Aliit: ascesa

di MollyTheMole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1- Venuta al mondo ***
Capitolo 3: *** 2- La voce dell'acqua ***
Capitolo 4: *** 3- Disperazione ***
Capitolo 5: *** 4- Bukephalos ***
Capitolo 6: *** 5- Il fantasma ***
Capitolo 7: *** 6- Manuale del perfetto Mando ***
Capitolo 8: *** 7- Guerriera di pace ***
Capitolo 9: *** 8- Il verd'goten ***
Capitolo 10: *** 9- Proposte indecenti ***
Capitolo 11: *** 10- A Scuola di Governo ***
Capitolo 12: *** 11- Il Palazzo del Governo ***
Capitolo 13: *** 12- Visione ***
Capitolo 14: *** 13- Il bev meshurok ***
Capitolo 15: *** 14- L'Uomo delle Stelle, pt. 1 ***
Capitolo 16: *** 15- Pericolo incombente ***
Capitolo 17: *** 16- C'è qualcuno? ***
Capitolo 18: *** 17- Dolore, pt. 1 ***
Capitolo 19: *** 18- La Fortezza delle Cascate ***
Capitolo 20: *** 19- La chiamata ***
Capitolo 21: *** 20- Il Ghiaccio Vivo ***
Capitolo 22: *** 21- Un uomo buono ***
Capitolo 23: *** 21.1- Un uomo buono ***
Capitolo 24: *** 22- Imboscata in volo ***
Capitolo 25: *** 23- Cercando riparo ***
Capitolo 26: *** 24- Iivin'yc redalur ***
Capitolo 27: *** 24.1- Iivin'yc redalur ***
Capitolo 28: *** 25- Spettri ***
Capitolo 29: *** 25.1- Spettri ***
Capitolo 30: *** 26- Solus ***
Capitolo 31: *** 27- Come cadere dal piedistallo in poche semplici mosse ***
Capitolo 32: *** 27.1- Come cadere dal piedistallo in poche semplici mosse ***
Capitolo 33: *** 28- I segreti della mente ***
Capitolo 34: *** 28.1- I segreti della mente ***
Capitolo 35: *** 29- Shereshoy ***
Capitolo 36: *** 29.1- Shereshoy ***
Capitolo 37: *** 30- Beroya ***
Capitolo 38: *** 31- Manifesto politico ***
Capitolo 39: *** 31.1- Manifesto politico ***
Capitolo 40: *** 32- La tana ***
Capitolo 41: *** 33- Per amore ***
Capitolo 42: *** 34- Guarigione ***
Capitolo 43: *** 34.1- Guarigione ***
Capitolo 44: *** 35- Runi ***
Capitolo 45: *** 36- L'Uomo delle Stelle, pt. 2 ***
Capitolo 46: *** 37- Gatto e topo ***
Capitolo 47: *** 38- Trotta trotta, ascolta e raglia ***
Capitolo 48: *** 39- Mirdal'ad ***
Capitolo 49: *** 40- L'ultimo saluto ***
Capitolo 50: *** 41- Dolore, pt.2 ***
Capitolo 51: *** 42- I Saggi ***
Capitolo 52: *** 43- Ni kar'tayl gar darasuum ***
Capitolo 53: *** 44- La fuga ***
Capitolo 54: *** 45- Bes'laar ***
Capitolo 55: *** 46- Attacco a Sundari ***
Capitolo 56: *** 47- La Porta ***
Capitolo 57: *** 48- Mand'alor ***
Capitolo 58: *** 49- La marcia ***
Capitolo 59: *** 49.1- La marcia ***
Capitolo 60: *** 50- Duchessa ***
Capitolo 61: *** 51- Politichese ***
Capitolo 62: *** 52- Kryze Manor ***
Capitolo 63: *** 53- Pirun redalur ***
Capitolo 64: *** 54- Manda ***
Capitolo 65: *** 55- Obi Wan e il Custode ***
Capitolo 66: *** 56- Abiik'ad ***
Capitolo 67: *** 57- Mar'eyce ***
Capitolo 68: *** 58- Il demagolka shosenla ***
Capitolo 69: *** 59- Ner cyare, ner re ***
Capitolo 70: *** 60- L'Uomo delle Stelle, pt. 3 ***
Capitolo 71: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


ALIIT: ASCESA

PROLOGO

Giorno, mese ed anno imprecisati, in un futuro lontano.

 

La navicella fumava ancora. 

I tre rimasero disperatamente a fissare l’ammasso di ferraglia schiantato al suolo, il muso del loro mezzo di trasporto ancora incastrato nel terreno e la coda in diagonale contro il fango. Dal cielo pioveva acqua a catinelle, inzuppando i loro vestiti e contribuendo a spedire il loro morale, o quello che restava di esso, sotto i tacchi delle scarpe fangose. 

Ni’Ven, gli occhi come pozzi dorati, fu la prima a riprendersi. Stringeva ancora tra le dita un archivio olografico, una delle poche cose che era riuscita a portare via dalla navicella prima che si schiantasse al suolo in un mare di terriccio, fango, erba e scintille. Dom Baren, invece, pareva essere l’unico a non curarsi dell’acqua. La sua specie, del resto, c’era abituata. Z6-K4, al contrario, non aveva fatto altro che lamentarsi da quando quel pezzo di ferraglia spaziale aveva urtato il motore di sinistra, mandando liquido refrigerante da tutte le parti e costringendo i due ad un atterraggio di emergenza. 

- Spostiamoci.- disse la nooriana, scuotendo il capo, i ricci scuri che spedivano goccioline da tutte le parti.- Cerchiamo riparo.-

Dom Baren era naturalmente attratto dall’acqua. Il giovane Mon Calamari, dal colorito azzurrognolo, insolito per la sua specie, si era diretto immediatamente a destra, per trovarsi di fronte alle rive di un lago immenso. Ni’Ven, invece, avrebbe di gran lunga preferito una bella caverna al caldo. Zeta, non lo sapeva. Le bastava solo di mettere all’asciutto i suoi circuiti.

- In fondo al lago non ci vengo.- borbottò, la voce monotona di chi non sente ragioni.- Mi dispiace. Se volete rovinare la scheda madre di qualcuno, fatelo al droide medico. Se serve, vi lascio qui.-
- Taci, vecchia brontolona.- ribatté la ragazza, mentre osservava il suo compare allontanarsi dall’acqua con aria delusa.
- Eh, niente, ci avevo sperato. E’ acqua dolce.- 
- Un lago?-
- Sembrerebbe, ma è immenso. Non ho mai visto niente del genere. Si confonde con l’orizzonte, e le sue acque sono talmente ferme e dense che rispecchiano il cielo alla perfezione.- 

Era vero. Ni’Ven se n’era  accorta immediatamente, mentre provava ad evitare il lago durante la manovra di atterraggio. La navicella si era specchiata in un modo così perfetto da farle credere, almeno per un momento, che ci fossero due distinti veicoli in difficoltà. 

Un tuono ed un lampo squarciarono l’aria, e la saetta del fulmine scese dal cielo e si incastonò con precisione esattamente al centro del lago, distante, ma pericolosamente vicino ai due.

Z6 protestò.

- Per una volta sono d’accordo con la vecchia ferraglia.- concluse il Mon Calamari, scuotendo il capo.

Ni’Ven, però, era stata attratta da un filo di fumo. No, non quello che proveniva dalla sua navicella. Un sottile filo trasportato dal vento della tempesta, che diffondeva un buon odore di caminetto nell’aria. 

Qualcuno doveva aver acceso un fuoco.

Z6, ovviamente, non gradì l’idea.

- Ci uccideranno tutti. Siamo in un pianeta sconosciuto, e non sappiamo chi ci vive. Non voglio farmi cancellare la scheda madre. Non voglio farmi cancellare la scheda madre. Non voglio farmi cancellare la scheda madre.-
- Io giuro che uno di questi giorni gliela disintegro, la scheda madre.- farfugliò il ragazzo, guardando per terra mentre la giovane nooriana conduceva il gruppo lontano dalla sponda del lago, fin dentro i boschi, e poi a nord. 

Era un luogo strano. C’erano piante, alberi, vegetazione di sottobosco che la ragazza non aveva mai visto. Il suolo era coperto quasi interamente da strani fiori bianchi, inflorescenze bluastre e una mucillagine bioluminescente che si illuminava sotto i loro piedi. 

Dom Baren per poco non si mise ad urlare quando uno dei fiori suonò.

- Che cos’è questa musica?-
- E’ stato il fiore!-
- Come?-
- Il fiore bianco, quello lì. Suona. Sembra quasi che canti.-

Se Ni’Ven non avesse toccato la campanula con le mani, non l’avesse vista schiudersi sotto ai suoi occhi e non l’avesse sentita intonare una nota flautata perfettamente, non ci avrebbe mai creduto, ed avrebbe attribuito il fatto ad una delle allucinazioni del povero Dom.

Doveva di sicuro aver battuto la testa da qualche parte.

Era uno posto strano davvero, invece, un luogo dove il muschio si illuminava, dove i fiori cantavano e dove il lago, nonostante il vento feroce, i fulmini e le saette, non faceva una piega e specchiava il cielo come se fosse fatto di metallo. 

In tutto questo, qualcuno aveva acceso il fuoco. 

Camminarono nel bosco, trascinandosi dietro una Z6 inviperita, fino a che non ne sopraggiunsero al limitare, davanti a quello che sembrava un immenso altopiano.

- Dove accidenti siamo finiti?-
- Più che altro, mi piacerebbe sapere che cos’è quello.-

Non c’era molto, a parte quella strana struttura scura che si stagliava contro l’orizzonte plumbeo. L’altopiano pareva estendersi per chilometri, ma declinava dolcemente verso il basso nella sua parte posteriore, dove i boschi riprendevano ancora una volta il possesso dell’ambiente circostante. Ni’Ven, da buona scienziata abituata a notare i dettagli di natura antropomorfa, scorse immediatamente la strana recinzione della pianura verdeggiante, ormai trascurata, ma che doveva essere stata coltivata per lungo tempo. Anche il molo - dove una barca simile ad una canoa semiaffondata era ancora legata - pareva aver visto tempi migliori. In lontananza dovevano esserci delle casupole, forse stalle abbandonate. 

Ciò che però le aveva fatto venire i brividi era stata la casa, o meglio, il grosso maniero turrito che svettava poco distante dalle rive del lago. Alla luce dei lampi, i suoi muri parevano neri, ma la nooriana la sapeva più lunga. Quello era un manufatto antico, e di tanto, anche, e doveva essere rimasto in quelle condizioni da secoli, attraversando chissà quali eventi e subendone tutte le conseguenze.

Non era oscuro, era scolpito dal tempo.

E, soprattutto, da uno dei comignoli spuntava un sottile filo di fumo.

- Entriamo.-
- Sei pazza? Ci vive di sicuro un assassino, o un uomo pericoloso. Non mi faccio cancellare…-
- Dom?-
- Ci sto.-

Entrambi i viandanti avevano notato che, man mano che si avvicinavano ai confini del bosco, il loro cammino si faceva sempre più agevole, come se stessero percorrendo un’antica via. Poi, il sentiero si era fatto evidente. La strada si estendeva lungo tutta la battigia del lago dalla parte del molo, proseguiva su per le colline ad est e ad ovest e si sarebbe persa nel nulla, se non fosse stato per due diramazioni: una, appunto, prendeva per il bosco e l’altra conduceva ai resti di una siepe e ad un viale privato, chiuso da un grosso cancello di ferro lavorato.

Zeta brontolò che sarebbe stato poco cortese entrare senza bussare, ma i due la ignorarono e si avviarono verso l’inferriata.

Corsero nella tempesta, sperando di evitare l’acqua del lago e i fulmini, e raggiunsero, in breve, il viale privato. Generalmente, pareva tenuto piuttosto bene, segno che, forse, qualcuno ci viveva ancora. La siepe, invece, era ridotta ad un cumulo di sterpi contorte. Ni’Ven ne fu immediatamente affascinata.

- Quanti anno hanno questi alberi secondo te, Dom?-
- Tanti. Secoli. Non saprei.-

Fu il cancello, però, ad attirare la loro attenzione. 

Era un pezzo d’arte, poco ma sicuro. Incuteva rispetto. Era grosso, massiccio, e di un materiale ferroso che non avevano mai visto prima. Incastonati in alcuni punti delle decorazioni floreali e naturalistiche, c’erano degli elementi di vetro colorato, così bello, liscio e trasparente da catturare la luce dei lampi.

Sul davanti, era scolpita nel ferro una grossa pianta a cinque braccia, ciascuna delle quali rappresentava una di quelle campanule che avevano tanto spaventato Dom.

- Che c’è scritto, secondo te?-
- Non lo so. E’ una lingua che non conosco. Assomiglia allo Standard, ma è antica. Oserei dire primitiva. Dovrò controllare meglio, una volta che questa maledetta tempesta si sarà placata.-

Scavalcarono i resti di una pianta facente parte della siepe, senza toccare il cancello, e percorsero il viale fino all’ingresso.

Il maniero aveva due torri, una per lato. Sul retro, sembrava averne altre due più piccole. Costruito in mattoni di nuda roccia, lasciati a vista, versava acqua contro il suolo dai tetti a spiovente. Il portone era enorme, di legno lavorato, dove ancora una volta erano state incise parole sconosciute, ma chiunque vivesse lì, per praticità, aveva fatto intagliare una porticina, quasi invisibile, a misura d’uomo, per entrare ed uscire senza muovere quel catafalco. 

Non c’erano campanelli, anche se sembrava essercene stato uno, a giudicare dai segni sul muro.

Qualcuno doveva averlo divelto.

Ni’Ven e Dom si guardarono. Zeta disse una parolaccia sottovoce, e il Mon Calamari bussò.

La prima volta, non accadde niente. 

La seconda volta, il portone si aprì.

Dall’altra parte, però, non c’era nessuno, se non il buio.

- Mette i brividi. Non voglio entrare. Ci tengo alla mia scheda madre.-
- Questa volta, sono d’accordo con Zeta.-

Ni’Ven, però, era troppo intenta a guardarsi attorno a bocca aperta per ascoltare davvero.

Le pareti erano coperte di arazzi, scritti in quella lingua così familiare, ma allo stesso tempo ignota. Erano manufatti lavorati a mano e di alta qualità, che dovevano avere forse qualche millennio. Alcuni oggetti parevano averne addirittura di più. L’armatura in fondo al corridoio, per esempio, doveva essere appartenuta ad un qualche guerriero la cui memoria si era persa nel tempo.

Dentro casa, faceva caldo.

- Ehi, di casa?- disse, provando ad intercettare una eventuale presenza.

Nessuno rispose. 

Ni’Ven, allora, marciò nel corridoio, tallonata dai suoi fedeli compari. Zeta era, in ogni caso, un droide da combattimento, e loro due erano armati.

Certo, a giudicare da quante armature e da quante armi c’erano in quella casa, sperava davvero di non dover mai venire alle mani con il proprietario, nel caso in cui, oltre a collezionarle, avesse anche saputo usarle. 

I lampi illuminarono il rosso, l’oro, il blu, l’argento degli arazzi, e questa volta la nooriana potè scorgere distintamente un nome, scritto in quei caratteri antichi ma in parte comprensibile, che le suonò tremendamente familiare.

Bauer.

Dove aveva già sentito quel nome?

I due ragazzi stavano seriamente ponderando l’idea di andarsene, percorsi da brividi che non avevano nulla a che fare con l’acqua piovana e il vento freddo, quando la loro attenzione fu catturata da una luce alla loro sinistra. 

Una candela accesa brillava su una tavola imbandita, un pasto per due che doveva ancora essere servito in una enorme sala da banchetto, che un tempo doveva aver ospitato decine di persone attorno allo stesso tavolo.

Adesso sì che ne avevano la conferma.

In casa c’era qualcuno, ed erano almeno in due.

- Veniamo in pace!- disse Dom, alzando le mani palmate. - Ci siamo schiantati. Abbiamo bisogno di riparo per la notte. Toglieremo il disturbo all’alba!-

Ancora una volta, però, nessuno rispose. 

La sala sembrava sospesa nel tempo. Ni’Ven potè scorgere le tende, leggermente tarlate, ma ancora intatte, di un bel materiale candido, che lasciava trasparire la luce dell’esterno. Osservò il divano, il fuoco ardente nel camino, ampio e spazioso per scaldare tutta la stanza. Scrutò il tappeto damascato, e il tavolo di legno che reggeva un set di bicchieri e una bottiglia di liquido ambrato vicino al camino, dove c’era una poltrona vellutata pronta per essere usata.

Un movimento, però, la distrasse.

Nell’angolo a sinistra c’era una porta, appena dischiusa.

Era certa di aver visto una luce azzurrognola provenire da lì.

Con una mano sul blaster, gli occhi vivi e la pelle color ebano che rifletteva le lingue del fuoco, fece cenno al suo compare di guardarle le spalle.

Di soppiatto, spinse la porta e la aprì. 

Dentro c’era pieno di gente.

Non erano vivi, no. Erano tutti appesi alle pareti, immobili, incrostati su tele secolari, i loro sguardi persi nell’eternità della memoria dopo la morte. 

Con la torcia elettrica in mano, la ragazza potè osservarli più da vicino. Alcuni risalivano ad epoche così antiche da non permetterle di datarli. Altri avevano uno stile più recente, ma comunque unico, che Ni’Ven non aveva mai visto. Erano tutti molto belli, in ogni caso.

Ce n’era uno che raffigurava un uomo basso e tarchiato, con una grossa ascia, quasi più grande di lui. Era rivestito di metallo dalla testa ai piedi, ma ciò che la affascinò di più fu la creatura dagli occhi di brace che lo sovrastava, alle spalle.

Sembrava un serpente, ma non lo era. Sembrava avere un muso simile a dei grossi animali zannuti che aveva visto una volta sui ghiacci di Orto Plutonia, ma no, non ci avevano niente a che fare. Eppure, nonostante fossero selvatici, erano regali, maestosi, e per la prima volta, davvero, Ni’Ven si chiese se non fosse capitata nella casa di qualche re.

C’erano alcune donne ritratte. Una faceva ridere solo a vederla, ma aveva negli occhi qualcosa di feroce, fiero, altero. Se non fosse stato per le piume, che parevano ricoprirla dalla testa ai piedi, e per la grossa bestia che aveva posato il muso sulla sua spalla, avrebbe creduto che si trattasse di un’attrice, e non di una condottiera. 

Alcuni di questi animali erano stati visibilmente ridimensionati per entrare nel quadro. Un uomo, ad esempio, ne teneva uno in grembo, come un cucciolo, ma Ni’Ven era certa che le sue dimensioni reali fossero ben altre.

Incappò, poi, in uno strano quadro. 

- Dom, vieni qui.-
- Che cos’è?-
- Non lo so, sembra un quadro doppio, ma è strano. Vedi, sulla mano ci sono delle crepe, come se fosse stato piegato.-

Era bella, lei. Bellissima. Era forse il quadro più realistico e vicino ai gusti contemporanei che i due ragazzi avessero visto fino ad allora. Ritraeva una donna bionda, dagli occhi color cielo ed il volto sereno, che guardava davanti a sé con aria quasi mistica. Aveva un abito blu ricamato e una tiara in testa, con dei fiori nei capelli. 

Campanule, per la precisione.

Accanto a lei, per terra, accoccolato con la testa sul suo grembo, uno di quei lucertoloni, così pallido e bianco da sembrare opalescente, ma con le iridi del colore della galassia, delle nebulose e degli astri. 

Una delle mani della donna era posata in grembo, sul capo della creatura, mentre l’altra era sul bracciolo della poltrona, leggermente spostata verso l’esterno, ed era attraversata da una crepa netta, che percorreva il quadro in lunghezza.

Accanto a lei, le dita intrecciate alle sue, c’era un altro ritratto, visibilmente unito al primo posteriormente, ma l’epoca in cui erano stati dipinti doveva essere stata più o meno la stessa. Rappresentava un uomo, avvolto in un manto marrone ed in una tunica color crema, dai capelli rossi striati di grigio e gli occhi color bruma, anch’egli con lo sguardo perso nell’eternità. 

I loro corpi, però, erano leggermente tesi l’uno verso l’altro, e le loro teste, soprattutto, sembravano inclinate, come se stessero per voltarsi e guardarsi negli occhi.

- Che bello. Chissà chi erano.-
- Sembrano molto innamorati.-
- Oh, lo erano, infatti.-

Ni’Ven urlò e lasciò andare la torcia elettrica, che rotolò al suolo ed illuminò con il suo cono di luce la sagoma di un uomo, vestito di tutto punto, ma decisamente all’antica, dall’aria bonaria ed assorta, il cui sorriso lasciava presagire solo buone intenzioni.

Ci misero un po’, i due ragazzi, a rendersene conto, però.

Z6, invece, non lo capì proprio e continuò a blaterare a proposito di quanto tenesse alla sua scheda madre.

- Chiedo venia, amici miei. Non volevo spaventarvi. Benvenuti nella mia umile dimora. Stavo giusto per cenare. Volete favorire?-
- Chi siete voi?- chiese il Mon Calamari, sospettoso.

L’uomo sorrise ancora.

Aveva gli occhi blu, incredibilmente simili a quelli della donna del ritratto, ma i capelli erano rossi, come dovevano essere stati quelli dell’uomo accanto a lei. 

Forse era un lontano parente.

- Io?- fece l’uomo, puntandosi il dito al petto e soffocando una risata.- Io sono il Custode.-
- Custode di che cosa?-
- Di questo luogo, ovviamente!- concluse, allargando le braccia e girando attorno.- Ma vi prego, non fate complimenti. Vi chiedo scusa per essermi palesato in ritardo, ma ho dovuto provvedere alla mia consorte. Era stanca, sapete. Vi ho sentito dire che vi siete schiantati con la navicella. Che cosa disdicevole. Avrete fame e sete, e forse avrete anche bisogno di cure mediche. Vedrò di fornirvi tutte e tre le cose. Inoltre, sono certo che il vostro droide gradirà di asciugarsi i circuiti davanti al fuoco. Prego, venite. Vi faccio strada.-

Tese cordialmente la torcia alla ragazza, che la afferrò titubante, e fece per guidarli verso la sala da pranzo, quando Dom lo interruppe.

- Chiedo scusa, ma esattamente che cos’è questo posto? Voglio dire, dove siamo?-
- Questo, mio giovane amico, è Kalevala, e voi vi trovate a Kryze Manor, l’atavica dimora dei signori di Mandalore.-

 

Ni’Ven avrebbe dovuto capirlo immediatamente.

Bauer. Ecco dove aveva già sentito quel nome!

E tutto quel beskar? Come aveva fatto a non vederlo?

Seduta al lungo tavolo, provando a mangiare quella sostanza leggermente piccante che il custode le aveva messo nel piatto e vestita con abiti caldi e puliti, cercava di carpire con lo sguardo tutti i segreti di quel posto così antico. 

Aveva dovuto spiegare a Dom la leggenda delle Abiik’ade, le Figlie dell’Aria, le mitiche guerriere volanti poste a protezione di Mandalore e, soprattutto, di Kalevala. Aveva amato quella storia fin da quando l’aveva udita, narrata a lezione all’accademia di Noori, quando ancora frequentava i suoi studi, ed adesso non poteva credere di trovarsi su quel pianeta remoto e così affascinante, pieno di storie da raccontare.

Il custode doveva aver intuito la passione di Ni’Ven per quanto stava vedendo. Le aveva fatto molte domande, e non a tutte la ragazza si era sentita in obbligo di rispondere con sincerità. Tuttavia, l’uomo aveva il volto attento e gli occhi luminosi, per cui non si stupì minimamente quando vide un lampo di malizia attraversare le sue iridi blu alla prima menzogna. 

- Ditemi, signorina.- le chiese con gentilezza.- Com’è accaduto che una Nooriana si sia imbattuta in un Mon Calamari?-
- E’ tanto strano?-
- Di per sé, no, ma se consideriamo che siete una coppia ben assortita, direi che c’è una storia da raccontare. Sono Mando, io amo le storie. Le conservo, e le racconto. E’ il mio compito, qui. Custodire la Storia, con la esse maiuscola. Ogni singolo oggetto, qui, ha una storia. Anche voi. Una Nooriana praticamente disarmata e un Mon Calamari dalla pelle alquanto insolita si schiantano su Kalevala e non hanno cura di salvare nient’altro se non un archivio olografico.-

Zeta brontolò che tanto li avrebbe uccisi tutti e che le avrebbe cancellato la scheda madre. 

- Oh, anche il droide paranoico dovete averlo raccattato da qualche parte. Sento che c’è una storia anche lì.-

Dom Baren era più propenso a parlare, e Ni’Ven tendeva a fidarsi di lui per queste cose. Era più sensibile, più socialmente intelligente di lei. Sembrava sempre, istintivamente, sapere quando e di chi fidarsi. 

A volte non gli era andata proprio benissimo, andava detto.

Questo custode, però, sembrava innocuo. Indossava quella che sembrava una palandrana di discreta fattura. Non pareva povero, e doveva essere pagato profumatamente per fare la guardia ad un posto così. Aveva lo sguardo intelligente e non ostentava petulanza o sapienza. Sedeva ed ascoltava, gli occhi vivaci che seguivano le parole dei suoi interlocutori con la fissità con cui si segue una scena vivida del balletto acquatico Mon Calamari. 

- Ni’Ven è un’archeologa di Noori, è molto brava. Eravamo diretti ai confini della galassia alla ricerca di un tempio perduto, ma ci è andata male, e un pezzo di spazzatura spaziale ci ha fatti schiantare qua. Per quanto riguarda me, sono letteralmente stato pescato su Mon Cala in mezzo ad una rissa tra Quarren, e siccome mi intendo di scienza medica e biologia, sono stato portato all’accademia di Noori e lì sono rimasto. Zeta, invece, è il droide di protocollo del rettore dell’accademia. Ha voluto prestarcelo a tutti i costi, dopo che Ni’Ven ha mandato a quel paese il re di Ithor rischiando di farlo venire meno ai suoi principi pacifisti.-

Il custode abbozzò un sorriso.

- Ithor. Un luogo molto particolare. Non ho mai avuto l’onore di andarci, ma ne ho studiate le tradizioni. Il pacifismo, purtroppo, non ha attecchito in questa galassia. Solo in questo momento pare regnare la pace, ma le vie della Forza sono infinite. Chissà che non cambi tutto da un momento all’altro.-
- Ve l’ho detto, ci ammazzerà tutti. Vede nemici da tutte le parti.-
- State calma, Zeta cara. Ho del buon lubrificante per le vostre ginocchia scricchiolanti, e vi posso garantire che non l’ho corretto con l’acqua. Vi farà bene.-

Per una volta il droide scosse la testa, ma rimase in silenzio.

Ni’Ven era attratta da quella conversazione. Il custode sembrava sapere così tanto. Conosceva Ithor, con le sue tombe e i suoi templi, un luogo di pace così affascinante.

- Se non vado errando, anche Mandalore ha conosciuto un momento di pace, sotto la guida della duchessa Satine Kryze.-
- Oh, sì.- disse il custode, e i suoi occhi si persero nel vuoto, come se fossero immersi in un ricordo.- Una donna notevole, di grande bellezza esteriore, che rifletteva quella interiore. Le sue capacità erano immense. Nessuno prima di lei era veramente riuscito a portare la pace su Mandalore. Conoscerete tutti le storie di guerra che accompagnano il mio popolo.-

La nooriana non era convinta di quella descrizione. Sembrava incredibilmente teatrale. Insomma, la duchessa era morta da secoli, eppure il custode ne parlava come se avesse avuto modo di incontrarla di persona. 

Doveva essere un membro del clan, o un uomo molto legato al suo pianeta, così tanto da sentire quella storia come sua, per reagire a quel modo. 

- La duchessa?- chiese il Mon Calamari, gli occhi grandi nel tentativo di comprendere meglio.- Non conosco questa storia.-
- Ma sì che la conoscete, ragazzo mio. La storia della duchessa Satine è dovunque, nella galassia. Ad esempio, quel blaster che portate alla cintura. Sapete qual è il suo nome?-
- Ha un nome?-
- Sì. E’ comunemente detto il lamento della duchessa. Un’arma micidiale dal tiro preciso. L’opposto della delicatezza e proverbiale sensibilità della nostra leader. Uno strumento del genere avrebbe ferito i sentimenti di sua altezza, e per questo gli è stato dato quel nome.-

Dom Baren guardò Ni’Ven, che annuì, confermando quella storia bizzarra.

- Non so quasi niente di lei. Su Mon Cala non se ne parla molto.-
- L’avete vista. E’ la donna bionda che stavate guardando nella sala dei ritratti.-

Certo. Come aveva fatto a non capirlo prima! Ni’Ven si sentiva quasi instupidita, da quando era entrata lì dentro. Sentiva la testa girare. C’era talmente tanta roba che avrebbe potuto lavorare in quella casa per tutta la vita e non scoprirne tutti i suoi segreti. La voce del custode, a volte, sembrava venire da un’altra dimensione. Anche nella sua figura c’era qualcosa che stonava. Aveva l’aria di un vecchio, ma il corpo e l’aspetto di un giovane, che doveva ancora superare la mezza età. 

Oppure portava molto bene i suoi anni. 

Insomma, sembrava un saggio nel corpo di un uomo, o un vecchio millenario ringiovanito. Il suo modo di parlare lo Standard suonava arcaico, il suo modo di vestire superato, il cibo che mangiava non era consumato da nessun’altra parte della galassia.

La ragazza subiva il fascino di quel posto, che però, allo stesso tempo, la metteva a disagio.

- Perdonatemi, ma non credo che sia vero. A quanto ne so io, la duchessa non si è mai sposata.-
- Anche questo è vero.-
- Nel ritratto, però, la donna pare avere un consorte.-

Questa volta gli occhi del custode brillarono.

- Ah, questa è davvero una bella storia. In verità, non è mai stato il suo consorte, ma quanto si sia più avvicinato ad esso. Il loro è stato un grande amore, sbocciato in gioventù, che è finito tragicamente, ma che ha trovato un lieto fine alla fine del loro tempo. La loro storia è strettamente legata al corso degli eventi di Mandalore, ormai molti anni or sono. E’ una delle leggende più belle del nostro sistema, quella dell’amore proibito tra la duchessa di Mandalore Satine Kryze e il maestro Jedi Obi Wan Kenobi.-
- No, aspettate un attimo!- esplose Dom Baren, la bocca spalancata e le mani palmate che mulinava nell’aria.- Quello là è Obi Wan Kenobi?-

Il custode annuì con aria grave.

Ni’Ven, invece, avrebbe tanto voluto mettersi a ridere.

- Non gli credere, Dom. E’ solo una leggenda. E’ questo quello che fate? Vi inventate le storie per acchiappare turisti creduloni?-
- Mi stupisce che una donna di scienza come voi non creda all’esistenza dei Jedi, mia cara. Sapete benissimo che Luke Skywalker…-
- Oh, sì, certo. Quello in cui non credo è che una Mando e un Jedi si siano mai amati davvero. E’ una bella leggenda, ma voi la state spacciando per vera!-
- Questo, perché lo è, ragazza mia. E’ vera. Se c’è bisogno, sono in grado di dimostrarvelo.-

Una parte di lei non aveva minimamente voglia di restare ad ascoltare quello che parevano delle vere e proprie panzane, ma Dom Baren sembrava molto preso dal racconto, e fuori stava infuriando il peggior temporale che avessero mai visto. Zeta, inoltre, le avrebbe rovinato la vita se solo avesse provato a schiodarla dal camino acceso.

Così, con rassegnazione, si prestò al gioco.

- Benissimo, sentiamo questa storia, ma sappiate che non crederò ad una singola parola di quello che direte.-

Il Custode sembrava preparato a quello scetticismo, e li invitò a sedere con lui accanto al fuoco, dove i loro abiti stavano ancora asciugando. Offrì loro del liquore, che accettarono volentieri, e con loro grande sorpresa fornì l’olio a Zeta, che si aggiustò le articolazioni senza brontolare e che per una volta parve fidarsi. 

- Spero che abbiate tempo e che non abbiate sonno, perché è una storia molto lunga, e soprattutto molto complessa. Ha inizio subito dopo la Grande Guerra Civile Mandaloriana, nell’interstizio tra essa e la Grande Guerra dei Clan. Tralascerò alcune informazioni per comodità. Vi basti sapere che Satine Kryze di Kalevala nacque dall’unione del duca Kyla Adonai Kryze e della guerriera Abiik’ad Vikandra Bauer, a circa metà del mandato di suo padre.- 
- Le Abiik’ade sono esistite davvero?-
- Sì, ragazzo mio. Se avremo tempo, vi mostrerò ciò che resta di esse e della loro storia. Per il momento, però, sarà meglio attenerci al filone principale della nostra storia, altrimenti, resterete qui per sempre e non ne vedrete mai la fine.-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Abiik’ade: lett. Figlie dell’Aria.

Aliit: lett. famiglia, ma anche appartenenza a qualcosa, per natura o per scelta.  

NOTE DELL'AUTORE: Innanzitutto salve a tutti! E' un piacere entrare a fare parte di questa community! Intendo fornire immediatamente alcuni chiarimenti così da poter rendere fruibile a tutti il contenuto della storia.
Per chi non è pratico del mondo cinematografico di Star Wars o delle ultime serie, animate e non, consiglio di recuperare prima di leggere. Il testo contiene spoilers sulla serie The Clone Wars, piccole anticipazioni disseminate qua e là. Gran parte di quanto contenuto è di mia invenzione, dal momento che tratta di un periodo antecedente agli avvenimenti canonici e che del sistema di Mandalore non si sa ancora granchè. Ho cercato di ricostruire la cultura Mando quanto più fedelmente possibile.
Il Mando'a contenuto nel testo è originale. Potete trovare il vocabolario sul web. 
Il popolo Mando è intriso di tradizioni guerriere e violente. Naturalmente, non è mia intenzione esaltare questo aspetto, tuttavia non può mancare un po' di violenza, necessaria anche per caratterizzare al meglio il personaggio e gli ideali della duchessa pacifista. I capitoli contenenti elementi di violenza esplicita saranno indicati con una segnalazione specifica all'inizio del capitolo. 
Al di là dei personaggi originali di Star Wars, dunque, su cui non possiedo naturalmente alcun diritto, è tutta farina del mio sacco. Nel corso del testo saranno introdotti anche miti, leggende e testi poetici della cultura Mando che ho creato di sana pianta. 
Vi ringrazio per l'attenzione, e vi auguro una buona lettura! 
Se vorrete lasciare una recensione ogni tanto, ne sarò molto felice!
Vostra,

MollyTheMole. 
 

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Capitolo 2
*** 1- Venuta al mondo ***


CAPITOLO 1 

Venuta al mondo

 

60 BBY, primavera mandaloriana.

 

Anche nel nulla cosmico si forma la vita. In sospensione nel vuoto ci sono centinaia di corpi che danzano armoniosamente, facendo fluttuare leggeri le loro masse enormi, pesanti. Sembra impossibile che dei corpi così grandi possano avere una simile eleganza, raffinatezza, nel movimento. Alcuni giganti sono più o meno lenti, ma danzano, in armonia perfetta con altri corpi più piccoli. Uomini, donne, animali, specie più o meno umanoidi danzano sulla loro superficie a loro volta, in gruppi, o da soli, inconsapevoli di stare seguendo lo stesso ritmo, la stessa musica. Piccole particelle rispetto alla grande massa dei corpi celesti su cui vivono, ma regolati dalle stesse leggi, dalla stessa forza, dalla stessa sostanza.

C’è chi crede che l’universo non sia nient’altro se non una piccola parte dell’infinito. C’è chi crede che l’universo sia solo una biglia, un piccolo oggetto in un universo più grande. Ciò non fa che rendere il miracolo ancora più incredibile, riducendo ciò che per un normale essere vivente è infinitamente grande a qualcosa di infinitamente piccolo. 

Quel giorno, la galassia continuava a funzionare come sempre. Le nebulose e il pulviscolo continuavano a generare stelle, sprigionando un’energia dirompente e ineguagliabile. Nuovi bagliori luminosi riempivano il cielo. Altri scomparivano piano piano, in silenzio, senza essere notati. Talvolta, la loro luce si affievoliva, fino appunto a scomparire, per poi tornare, fulgida, e scomparire di nuovo. Giganti rosse, nane bianche, pulsar. Alcune semplicemente morivano e sparivano, ma la loro luce continuava a brillare al loro posto, percorrendo la galassia alla velocità del suono, troppo distanti per poter essere immediatamente perdute alla vista. Altre collassavano, trasformandosi in enormi buchi neri capaci di ingurgitare, schiacciare e distruggere qualunque cosa. Per ogni stella che muore un’altra se ne genera. Per ogni detrito spaziale, un pianeta si forma, residuo di quell’esplosione che l’ha distrutto. Vita e morte si intrecciano in un equilibrio perfetto, in una danza armonica, un valzer che non smette mai di girare.

Nulla potrebbe far pensare che di fronte a tutte queste difficoltà la galassia potesse sentire la presenza di un essere minuscolo, infinitesimale, particella come il pulviscolo stellare, apparentemente di nessun valore. La galassia continuava a brillare, di rosa, di blu, di giallo. Il pulviscolo stellare continuava a generare stelle. I pianeti giravano. I satelliti ruotavano loro attorno. Le doppie eliche delle galassie si intersecavano e rilucevano attorno al loro centro, come sempre, eppure, se un cosmonauta avesse attraversato il nero dell’universo quel giorno, avrebbe sentito qualcosa, come una tensione, una distorsione, un’incombenza, come se qualcosa di straordinario, buono o cattivo che fosse, stesse per accadere da un momento all’altro. 

L’universo quel giorno era sveglio, consapevole, ma soprattutto in attesa. In attesa che il dolore finisse per dare nuova vita. In attesa di quella particella infinitesimale che avrebbe giocato un ruolo fondamentale nell’equilibrio della galassia. Uno potrebbe pensare che solo un titano enorme, dai poteri sovrumani, potrebbe tenere insieme quel groviglio di pesi, di equilibri, di vita e di morte. Eppure, quel giorno il miracolo stava per compiersi in un corpo minuscolo, da cui stava per avere origine un corpo ancora più minuscolo. Una creatura piccola come un granello di polvere nel vasto gioco dell’universo, o degli universi, se si considera questo universo una biglia nelle mani di un universo più grande. 

L’universo era in attesa. La galassia era in attesa, e quando qualcuno gridò un’ultima, disperata volta, per lasciare spazio ad un pianto spaventato ed infastidito, la galassia gioì, la tensione si spezzò, e nel vuoto tra i pianeti si diffuse la consapevolezza che era finalmente giunta quella vita che avrebbe cambiato il corso di molte cose.

Nessuno avrebbe mai creduto che un potere così grande potesse essere racchiuso in un corpo così piccolo, in una creatura bionda dagli occhi d’oceano, che fissava la luce, infastidita, incapace di tenere le palpebre sollevate e protestando con tutta sé stessa per quell’affronto, senza sapere che lei stessa era luce, e lo sarebbe stata per tutta la vita.

Nessuno, a parte la galassia, ne era consapevole, a dire il vero. Neppure i suoi genitori. Non sua madre, che voleva solo dormire, incapace di sentire alcunché dopo la fatica del parto. Non suo padre, incapace di dire una parola di fronte alla sua prima ed unica creatura, piccola, ma con un’energia dirompente, piena di personalità, che già si poteva percepire anche se era nata da poco. 

Mentre l’universo stava a guardare, suo padre riuscì soltanto a dire:

- Assomiglia a te, Vikandra.-

La donna scosse il capo. Aveva i capelli rossi, gli occhi blu come quelli della piccola, ma in quel momento doveva ancora rendersi conto che il mondo continuava a girare, prima di tornare ad essere la ribelle anticonformista che era sempre stata. L’uomo, invece, fiero, stringeva tra le mani il corpo della neonata, incapace di distogliere gli occhi tigrati da lei, e di smettere di pensare che condividevano gli stessi capelli.

- Benvenuta al mondo, Satine.- 

 

***

 

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Kyla Adonai “Il Magnanimo” Kryze, detto anche “Il Duca Buono”

Figlio di Gerhardt Il Legislatore, si presenta alle elezioni e vince a mani basse per ben due mandati. Prosegue nell’opera progressista del padre e nell’avvicinamento ai Nuovi Mandaloriani. Appena eletto duca, assieme al Governo e al Parlamento, cade vittima di un agguato organizzato dai terroristi della Ronda della Morte, che provano a cingere d’assedio il palazzo di Keldabe, ma vengono fieramente respinti dalle Abiik’ade. In quella sede, Vikandra Bauer viene assegnata a lui, come scorta personale. Innamoratosi follemente di lei, la sposerà tempo dopo. 

E’ noto principalmente per le sue abilità politiche superiori, che lo hanno reso particolarmente inviso alla minoranza conservatrice. Ha istituito fondi pensione, sussidi alle vedove e alle madri sole, sostegni agli invalidi e ai veterani di guerra. Ha propugnato l’abolizione delle disuguaglianze sui posti di lavoro e ha fatto di ciò la sua campagna principale, arrivando ad emanare lo Statuto dei Lavoratori. Ha promosso il recupero dei detenuti, ha protetto l’ambiente - in particolare quello singolare di Kalevala - e ha sostenuto la bonifica di Mandalore, praticamente desertico dopo le terribili guerre contro la Repubblica. Inoltre, è noto per aver portato la Guerra Civile Mandaloriana ad una rapida conclusione con un trattato di pace. La riforma della sanità, messa in cantiere prima della sua caduta, rimarrà l’unica incompiuta.

 

Vikandra “La Gloria di Kalevala” Bauer Kryze 

Vikandra nasce nel nobile clan dei Bauer ad Eyaytir, roccaforte delle Abiik’ade. Cresce tra di loro e si addestra fino a che non diviene una guerriera a tutti gli effetti. Lì conosce Maryam, sua amica di infanzia, sorella e scudiero, che porterà con sé per tutta la vita. La sua indole indomita e la sua straordinaria bellezza la rendono indigesta a molti. Fa parte della squadra di guerriere mandata a liberare il palazzo di Keldabe, e lì viene assegnata alla protezione personale del duca Kryze, di cui si innamora con il passare del tempo. Dopo il matrimonio, diviene la prima donna Abiik’ad a fare parte della famiglia Kryze e soprattutto la prima a divenire duchessa consorte.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Eyaytir: lett. scappare via, punto di fuga; la cittadella fortificata delle Abiik’ade, a picco sulle montagne di Kalevala.

 

NOTA DELL’AUTORE: Adonai Kryze è effettivamente il padre di Satine nell’universo di Star Wars, ma la sua connotazione politica, o il suo aspetto, o la sua famiglia (ad eccezione dei personaggi canonici di Satine e Bo Katan) sono completamente inventati dalla sottoscritta. Il corpo delle Abiik’ade - che giocherà un ruolo importante nel corso della storia - e le guerriere volanti di Mandalore sono un’altra delle mie creazioni, tra l’altro smaccatamente ispirate alle Valchirie della mitologia nordica. 

L’idea di un albero genealogico della famiglia mi è venuta leggendo il capolavoro di Don Rosa “Paperdinastia”, meglio noto come la Saga di Paperon de’Paperoni. L’ho trovata un’idea geniale, e ne ho inserito uno analogo per la famiglia Kryze. Nemmeno a dirlo, i personaggi, introdotti qua e là nel testo sono completamente inventati e nulla hanno a che fare con il genio del fumetto paperopolese. 

Sono nerd. Abbiate pazienza. 

 

Molly. 

 

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Capitolo 3
*** 2- La voce dell'acqua ***


CAPITOLO 2

 La voce dell’acqua

 

Kyla era ancora provato da quella settimana lunga e difficile. Il suo lavoro era stato un vero e proprio inferno, con la minoranza che aveva fatto il diavolo a quattro per opporsi a quella riforma sanitaria che gli era costata tutte le energie che aveva. Si trattava di una riforma di civiltà, in grado di garantire a tutti la possibilità di accedere ai servizi, ma aveva incontrato, con suo grande stupore, la resistenza del personale medico sanitario, che si rifiutava di aprire i pronti soccorsi di domenica, o i reparti di prima necessità nei giorni di festa. A poco erano valse le sue rimostranze, dicendo che avrebbero assunto più persone e che, in fondo, avrebbero lavorato tutti di meno. La minoranza capeggiata da quella testa di legno di Evar Saxon non gli aveva dato tregua nemmeno per un minuto, conducendolo ad un fine settimana triste e depresso nella sua casa di Kalevala. Aveva sperato nelle attenzioni di Vikandra e della sua bambina, ma era stato chiamato di corsa al villaggio di Nebrod, dove avrebbe dovuto assistere un ex diplomatico in pensione, prossimo a tornare a Mandalore. Così, si era portato dietro Vikandra, Satine, Maryam ed Athos, nella speranza di ritagliarsi un pomeriggio di pace nonostante l’incombenza. 

Il trapasso del povero Reeves era stato lento e doloroso. Kyla, che lo conosceva da una vita, era rimasto al suo fianco fino al momento decisivo. 

Poi, come voleva la tradizione, lo aveva guardato alzarsi, lo sguardo perso nel vuoto, seguendo qualcosa che solo lui vedeva, e lo aveva accompagnato fino al lago, in cui si era gettato per tornare nella Luce. 

Al mattino dopo aveva deciso, dopo i convenevoli del lutto, di godersi un po’ di pace in riva al lago e nel bosco di Nebrod. Era tanto che non andava più all’albero dei suoi antenati. I Kryze, duchi di Mandalore da tempo immemore e membri fondatori della nobile casata dei Kryze, potevano vantare un albero genealogico molto lungo, che si perdeva nel tempo. Le leggende raccontano che i suoi antenati fossero stati i più potenti dopo Mandalore il Grande. Kyla non era certo della verità di quell’affermazione, ma sapeva che le leggende nascondevano un fondo di verità, almeno quasi sempre. Il suo albero genealogico vantava nomi illustri, grandi condottieri e potenti signori che facevano la guardia con sguardi austeri a Kryze Manor dall’alto dei loro ritratti, accompagnati dai loro bev meshurok. Più che un grande guerriero, Kyla voleva essere un brav’uomo, e un buon padre, il primo aspetto dipendente dall’altro e viceversa. Sapeva che nella tradizione Mando questo era tanto importante quanto il resto, ma per uomini come Evar Saxon era come parlare Twi’lek ad un Togruta.  

Vikandra conosceva bene il bosco di Nebrod, mentre per la piccola Satine, di nemmeno tre anni, era un posto completamente nuovo. Guardava tutto con gli enormi occhi blu che aveva ereditato dalla madre, spalancati sul mondo. La piccola, a Qibal, aveva già un epiteto. Dral meshurok, gemma brillante, per via dei suoi occhi e della sua pelle diafana. Kyla sperava, considerato il gioco di parole con i bev meshurok, che fosse un segno di un destino altrettanto brillante.

La bambina giocò un poco con le foglie dell’enorme quercia della famiglia Kryze, anche se parve non gradirne il suono. Kyla sorrise, vedendola fare gli esperimenti ed ascoltare per la prima volta la voce degli alberi. Trovava sua figlia estremamente bella ed intelligente, ed ogni giorno che passava rivedeva sua moglie in lei. Era più calma e pacata di Vikandra, grazie alla Forza, ma era consapevole che si trattava solo di apparenza. Satine aveva una grande forza di volontà e anche se era ancora in tenera età sapeva ottenere tutto ciò che voleva - Kyla doveva proprio ammetterlo - con una facilità disarmante. 

Le piacevano di più le farfalle, e con grande sorpresa di suo padre, esse parevano essere attratte da sua figlia. Presto le farfalle blu la circondarono. Satine mulinava le manine per aria, cercando di prenderle, e loro le svolazzavano attorno. Una le si posò sul naso, facendole incrociare gli occhi per guardarla. Vikandra allora aveva riso e l’aveva scacciata, prima che sua figlia diventasse strabica per ammirarle le ali. 

Satine aveva voluto camminare. Le sue piccole gambe si erano messe in moto mentre rincorreva, tra un capitombolo e l’altro, le farfalle blu che continuavano a volarle intorno. Kyla aveva sentito delle storie su quelle farfalle. Alcuni pensavano che fossero un simbolo di Forza, confondendole con una varietà azzurra che di frequente circonda le sorgenti di quel potere che scorre nelle vene dei Jedi. Quelle farfalle, tuttavia, erano diverse, di un blu intenso, quasi luminescente. Buona parte della vita vegetale ed animale del sistema di Mandalore lo era, ad essere onesti. Più che la luminescenza, quindi, ciò che rendeva speciali quelle farfalle era il loro habitat. Popolavano prevalentemente il bosco di Nebrod, ed alcune zone considerate sacre.

Recentemente, avevano popolato anche il cortile di Kryze Manor. 

Giunti sul lago, la bambina lanciò uno strillo felice alla vista dell’acqua. Sua madre, accompagnata dalla sua nana, aveva deciso di fare una capatina all’albero della famiglia Bauer, lasciando Kyla, Athos e la bambina a chiacchierare in riva al lago. 

Athos era per Kyla ciò che Maryam era per Vikandra. Durante gli ultimi giorni di vita del duca Gerhardt, Athos era stato assunto per ridurre il personale e rendere Kryze Manor meno costosa. Kyla era un ragazzo all’epoca, così come lo era il nuovo tuttofare. Erano cresciuti insieme come fratelli, veri, coraggiosi e leali, e quando Kyla aveva deciso di mettere su la sua nuova famiglia, Athos era stato al suo fianco, come testimone. Maryam, invece, era stata scudiero e sorella di Vikandra, e l’aveva voluta con sé come levatrice quando aveva scoperto di aspettare Satine. 

Il resto, era storia. La loro famiglia allargata viveva in armonia, Maryam ed Athos bisticciavano come una coppia sposata da sessant’anni, ma si volevano bene, e soprattutto ne volevano a loro e alla bambina. 

Quando Athos e Kyla erano insieme il mondo smetteva di girare. Tornavano ragazzi, presi dalle chiacchiere, dai pettegolezzi sulle ragazze, o persi in una partita a scacchi, in cui Athos, di solito, perdeva miseramente e fingeva di arrabbiarsi. Ogni volta diceva che non avrebbe mai più giocato con lui, e poi, puntualmente, finiva per farlo ancora, ed ancora, senza stancarsi mai del teatrino.

Persi in una conversazione assolutamente banale, non notarono la piccola, che si era allontanata per seguire una farfalla.

La farfallina aveva sbattuto le ali qualche volta di fronte al suo naso, poi le aveva girato attorno e si era diretta senza troppe cerimonie verso il lago, per posarsi a metà strada tra l’acqua e la battigia. Satine l’aveva inseguita trotterellando e scivolando sui sassolini. Erano belle, quelle farfalle, e volevano sempre giocare con lei. Aveva pensato che seguirla fosse la cosa più naturale del mondo mentre, fluttuando nell’aria, l’animaletto si avvicinava sempre di più alla riva del lago. 

Un grosso corvo era sceso dal cielo per adagiarsi proprio di fronte alla farfalla. L’aveva squadrata, pronto a papparsela, quando la piccola aveva cacciato uno strillo che lo aveva fatto volare via. La sua amica farfallina voleva raggiungere l’acqua, e lei l’avrebbe accompagnata lì. Del resto, l’acqua era bella. Lei stessa aveva un debole per tutto ciò che faceva splash, con grande dispiacere della sua nana, e si trattava di una debolezza che avrebbe portato con sé per tutta la vita. 

Quando fu abbastanza vicina alla riva, la farfalla, inaspettatamente, spiccò il volo. Satine si allungò per prenderla, ma le sue gambette non le consentivano ancora grandi manovre, così capitombolò con le mani in acqua.

SPLASH.

Schizzò il vestitino che Maryam le aveva fatto arrivare poche settimane prima. La sua mamma e la sua tata sarebbero state molto arrabbiate con lei. Tolse il fango dalle piccole dita, mentre la risacca le bagnava anche le gambe e le scarpine di vernice.

Adesso sì che mamma e nana sarebbero state furiose. 

Ma l’acqua, all’improvviso, si ritirò. 

Kyla era già pronto per andare a recuperare la bambina prima che annegasse, e Athos stava già per accorrere quando l’acqua si allontanò dalla piccola Satine spontaneamente, facendole il vuoto attorno. 

I due si guardarono, confusi.

Satine parve non accorgersene. Osservava il fondale, dove una piccola conchiglia opalescente riluceva sul pietrisco limaccioso. Allungò la manina per prenderla e se la portò al viso, guardandola con interesse. Brillava, ed aveva mille colori. 

Decise che le piaceva, e se la mise in tasca. 

Cercò con lo sguardo il fondale, per scorgere un’altra conchiglia.

L’acqua si ritirò ancora, e ne espose una nuova. 

Satine si buttò a capofitto verso la conchiglia, scivolando sul fondo e sporcandosi ancora le calzette bianche. 

L’acqua si aprì, sollevandosi e increspandosi. Satine si sedette con le sue conchiglie in mano, ed alzò lo sguardo sul muro d’acqua davanti a lei. Era alto almeno due volte la bambina, nonostante fosse a riva, e per lei era un gigante. Storse il capo a destra, e poi a sinistra, cercando di capire come mai quella spuma ondosa torreggiasse sopra di lei senza abbattervisi. 

La spuma dell’onda si inclinò assieme a lei, come se la stesse studiando. 

Satine e l’acqua rimasero a guardarsi, mentre Kyla ed Athos non sapevano che pesci prendere. 

Poi la bambina alzò un ditino paffuto verso l’alto, e l’onda del lago si curvò per incontrare quella piccola mano e sfiorarla, senza nemmeno bagnarla. 

L’acqua attorno a Satine cominciò ad allargarsi, in un bel cerchio regolare. Un pesce saltò sopra l’onda, catturando la sua attenzione. Satine seguì con gli occhi quel pesce mentre fendeva il muro d’acqua, guardò alcuni anemoni colorati ondeggiare ed in lontananza alcune alghe verdi, lunghe ombre nere contro una strana luce biancastra.

Rimase a guardare quello spettacolo seduta nel fondo melmoso, battendo le manine, contenta. I pesciolini si muovevano veloci e gli anemoni assumevano forme strane, che la incantavano. Poi, la sua attenzione fu catturata da quella luce bianca che brillava laggiù, lontano, nel fondo del lago. Era bella, come la luce delle stelle, e la affascinava moltissimo. Cercò di rimettersi in equilibrio sulle corte gambe paffute e di seguire la luce, provando a non scivolare.

Fu in quel momento che Kyla ne ebbe abbastanza.

- Satine!- gridò, catturando l’attenzione della bambina.

L’acqua evidentemente se ne accorse, perché l’onda si divise in due, sollevò la bambina per la vita e la depositò, intatta, a riva, mentre esauriva la sua forza e scompariva nel nulla. 

L’acqua del lago era di nuovo piatta, calma, intonsa. 

Satine non aveva capito bene che cosa fosse successo, né perché il suo amico se ne fosse andato. Rimase lì, seduta sulla ghiaia, con le conchiglie fangose in mano, ad emettere adorabili suoni infantili, senza capire. Athos e suo padre stavano correndo verso di lei. Kyla non era certo di che cosa avesse appena visto, anche se cominciava a farsene un’idea. Prese in braccio la bambina, tutta sporca di melma, ma sorridente, che provvide immediatamente a mostrargli il prezioso bottino. 

- Tua madre mi ammazzerà stasera, e Maryam sarà arrabbiatissima per il vestito e le scarpe.- le disse, stringendola a sé e portandola via per raggiungere di nuovo le due donne. 

Di quel lago, per quella volta, ne aveva avuto abbastanza. 

Si voltò indietro una volta sola, ad osservare l’acqua. Sua figlia aveva continuato a fare ciao con la manina a qualcosa alle loro spalle. 

Dietro di loro, però, non c’era nessuno.

- Chi stai salutando, Tilli cara?-

- ‘ato conchiiiiie.- disse, un pugnetto davanti al suo viso e l’altro proteso verso l’acqua.

Il lago, però, era piatto, calmo, intonso.

Kyla sorrise, e se ne andò, attratto dalle voci della moglie e della domestica.

Prima o poi, anche lui sarebbe tornato a Mandalore. Anche lui, come tanti altri, si sarebbe gettato nel Pozzo dei Giganti, o ce lo avrebbero gettato a seconda delle circostanze. Anche sua figlia, quando la sua ora sarebbe arrivata, sarebbe finita laggiù.

Di una cosa, però, era certo.

Sarebbe passato molto tempo prima che Satine tornasse di nuovo a giocare con l’entità che viveva nelle viscere del Pozzo dei Giganti.

Se fosse dipeso da lui, non avrebbero giocato più per tanto, proprio tantissimo tempo.

 

***

 

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Gerhardt “Lo Spilorcio” Kryze, anche detto “Il Legislatore” 

Dopo la guerra contro la Repubblica, Mandalore sentiva il bisogno di pace. Gerhart Kryze salì al trono e riformò completamente la società Mando, avvicinandosi alla frangia pacifista dei Nuovi Mandaloriani. Ha istituito la scuola pubblica, di ogni ordine e grado, e l’università. Ha riformato il verd’goten rendendolo meno traumatico. Ha rivisto il sistema di addestramento, con un anno in comune per tutti, anche i figli dei più sfortunati o dei meno abbienti. Ha creato le prove per il trono, per evitare spargimenti di sangue tra innocenti e leader potenti, e ha di fatto trasformato il sistema in una repubblica presidenziale e democratica. Ha reso ufficiale la prassi delle adozioni, adottando lui stesso il giovane Athos. Per queste ragioni, ha preso il nome di Legislatore. Il termine “Spilorcio” gli è stato ingratamente assegnato per via della riforma della spesa pubblica, che ha comportato la rimozione dall’erario delle voci di spesa a favore di Kryze Manor. Lo scopo non era non pagare (anche se ridurre le spese non era una brutta idea) bensì evitare di far gravare le spese esorbitanti per una abitazione privata sulle casse dello Stato, provate dai costi della guerra. Si ammalò gravemente, e una volta saputo ciò si dimise, permettendo al figlio di partecipare a libere elezioni e succedergli al trono.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

(Qibal) Dral meshurok: lett. pietra/gemma brillante di Qibal, uno dei primi nomi attribuiti a Satine Kryze di Mandalore.

Bev meshurok: lett. spina di pietra, di solito poste sulla coda; caratteristica che definisce l’aspetto delle creature più famose di Mandalore, o ciò che rimane di essi: i Mitosauri.

Verd’goten: rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta, solitamente compiuto all’età di tredici anni.  

 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Che io sappia, esiste un vocabolario, ma non una grammatica Mando’a. Non essendoci ovviamente tutte, ma proprio tutte le parole, ho letteralmente inventato un sistema, piuttosto banale e primitivo, per il linguaggio. Facendo riferimento alle culture native americane, per le quali l’essenza di una persona era scritta nel nome, ho utilizzato le caratteristiche salienti degli animali - di mia invenzione - per identificarli. Allo stesso modo, non esiste nell’universo di Star Wars un bosco di Nebrod, Qibal, Kryze Manor o il Pozzo dei Giganti, men che meno esiste lo strano potere dal quale Satine sembra affascinata. Esiste, invece, il verd’goten, anche se il dettaglio della prova sarà di mia invenzione. 

In ultimo, sicuramente la scena dell’acqua, o gli alberi magici, ricorda qualcosa a qualcuno. 

Ho fatto qualche ricerca, ed ho scoperto che episodi analoghi con divinità acquatiche o silvane sono presenti un po’ dovunque nella letteratura. Il mondo Disney e Tolkien sono solo alcuni dei più famosi. Non ho preso ispirazione da nessuno in particolare e sì, l’idea non è originalissima, però è tanto bella. Semmai, l’idea delle dita che si toccano viene dalla Cappella Sistina e dall’opera di Michelangelo.

Buon divertimento, e aspetto le vostre recensioni!

 

Molly. 

 

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Capitolo 4
*** 3- Disperazione ***


CAPITOLO 3

 Disperazione

 

ATTENZIONE: La caratterizzazione psicologica di alcuni personaggi potrebbe infastidire il lettore.

 

Non sarebbe mai dovuto andare via. 

Quella mattina aveva lasciato Vikandra con la bocca amara, con la sensazione che le brutte notizie, quelle vere, dovessero ancora arrivare. Una crisi di governo, l’ennesima, gli aveva fatto capire che il suo controllo sul sistema stava lentamente sfuggendogli. Cominciava a sospettare che ci fosse una persona, in particolare, dietro tutte quelle crisi, ma Kyla Adoinai Kryze era un politico, sapeva che farsi nemici a destra e a manca non era una buona strategia. Così sopportava, chino sulle sue carte, con le orecchie tese, pronte a percepire il minimo bisbiglio, o mutamento, che lo portasse a comprendere le fitte trame che si stavano intessendo nelle camere parlamentari. Kyla non era sciocco, eppure, quella mattina, quando aveva varcato la soglia di casa, si era fermato sullo zerbino, a pensare, all’improvviso tentato di non uscire da Kryze Manor. 

Sua moglie sembrava la solita selvaggia. 

Satine aveva affondato il cucchiaio nella sua ciotola di cereali come se ne andasse della sua stessa vita, e Bo Katan faceva i capricci perché, nonostante fosse ancora minuscola, voleva mangiare quello che mangiavano i grandi.

Maryam spadellava in cucina, ed Athos, in livrea, lo attendeva presso la navetta spaziale pronto a trasportarlo al Palazzo del Governo di Keldabe, come tutte le mattine da quando era diventato padre per la seconda volta. 

Apparentemente, non c’era nessun motivo per cui restare, e preoccuparsi. Il suo senso del dovere aveva vinto sulla sua irrazionalità, ed era partito, per affrontare l’ennesima giornata dietro alla scrivania, ad ascoltare parlamentari, capigruppo, membri di partito, capi politici e capiclan, ex primi ministri che ambivano a continuare il mandato nonostante la sfiducia, e nuovi aspiranti tali, che avrebbero fatto carte false pur di poter prendere in mano il paese.

Kyla amava la politica, ma c’erano cose che sapevano farlo sospirare di delusione.

Fino a che non aveva aperto la posta serale, tutto era filato liscio. A quel punto aveva letto la lettera anonima, ed aveva capito che lontano da lui stava succedendo una catastrofe, e che non sarebbe stato lì ad impedirla.

Kyla Kryze aveva già fatto i bagagli quando le sue guardie lo avevano chiuso dentro il suo studio. A poco erano servite le sue proteste: lui era il Mand’alor, non avrebbe mai potuto lasciare un posto sicuro come il Palazzo del Governo per la sua casa su Kalevala, dove i cacciatori di taglie, incaricati da chissà chi, stavano facendo mattanza della sua famiglia. 

Aveva pregato, implorato, aveva persino pianto, ma non era riuscito a smuovere una sola anima. 

Chiese di essere accompagnato in bagno a rinfrescarsi, e glielo concessero. Una volta lì, saltando la finestra aperta, rimase in attesa di Athos, il suo fedele autista e tuttofare, che lo caricò sulla navicella e lo condusse via, il più velocemente possibile, verso casa. 

Furono fermati alle porte della tenuta dei Kryze. Athos distrasse le guardie mentre Kyla, armato, scendeva dal portello posteriore e scappava, di corsa, giù per la collina, cercando di raggiungere Kryze Manor il prima possibile, pregando di arrivare in tempo per salvare la situazione, votandosi ad ogni divinità che conosceva affinché sua moglie e le sue bambine venissero risparmiate. 

Non sapeva che dentro la sua casa stava infuriando uno dei più violenti scontri che avessero avuto luogo su Mandalore negli ultimi anni. 

Vikandra aveva studiato per diventare una Abiik’ad, era una guerriera provetta, bella e selvaggia, ribelle, ostinata e fiera. Aveva respinto colpo su colpo e con ogni mezzo gli attacchi dei sette cacciatori che le erano stati sguinzagliati contro. La dolce Maryam aveva fatto il suo. Armata di padelle e coperchi aveva colpito, stordito, accoppato quanta più gente riuscisse a raggiungere, prima di ricevere l’ordine perentorio di portare le bambine al sicuro. A colpi di spade e blaster, ma anche deflettendo i colpi con ciò che le capitava a tiro, Vikandra aveva già ucciso cinque dei sette cacciatori di taglie quando suo marito era rocambolescamente sbarcato sul pianeta ed aveva intrapreso la sua corsa vana e disperata per salvare le loro vite. 

Mentre Kyla sfrecciava lungo i campi e sparava un colpo di blaster ad un cacciatore rimasto di guardia, centrandolo in pieno, Vikandra crollava sulle scale del salone, stanca e stremata, ferita ad una gamba dopo una lunga lotta, ma non ancora vinta. Aveva la forza di una tigre e lo spirito di un mitosauro, suo marito lo sapeva, ma anche i più grandi, a volte, cadono, incapaci di rialzarsi.

Fece a tempo a scorgere Maryam cadere sul pianerottolo, colpita di rimbalzo da un calcinaccio caduto da chissà dove, mentre si apprestava a dirle di aver nascosto le bambine. Vikandra, tuttavia, non si perse d’animo. Si alzò in piedi e continuò a combattere, zoppicando, centrando in testa il sesto cacciatore di taglie, privato dell’elmo durante il combattimento. 

Ne restava soltanto uno, e poi sarebbero state in salvo. 

Risaliva le scale a ritroso, Vikandra, mulinando le sciabole per deflettere i colpi di blaster, mentre suo marito sfrecciava indefesso giù per lo sterrato che conduceva a Kryze Manor, pregandola di resistere ancora un po’.

Loro, però, avevano il beskar. Vikandra, nella sua casa ed in compagnia delle bambine, dopo il bagno e pronta per la cena, indossava solo la sua veste da notte. 

Loro erano armati fino ai denti. Vikandra aveva solo quello che riusciva a racimolare dentro casa e la sua incredibile forza di volontà. 

Volontà e fierezza che nulla poterono quando un colpo di blaster la raggiunse e la centrò in pieno petto, e così Vikandra la Abiik’ad cadde.

Cadde all’indietro, con grazia, senza perdere la fierezza che l’aveva contraddistinta, e scivolò piano giù, lungo le scale che aveva giurato di proteggere anche a costo della sua vita, perché quanto stava nelle stanze in alto valeva molto più di essa. 

E qualcosa, in quel momento, si spezzò.

Kyla Kryze inchiodò per strada, improvvisamente consapevole che sua moglie era morta. Urlò, con tutto il fiato che aveva in gola, sperando che qualcuno lo sentisse. 

E’ me che vogliono, pensò, o sperò, non lo seppe nemmeno lui. Sapeva soltanto che quello che pensava aveva senso. 

Se avranno me non toccheranno la mia famiglia.

Ma si sbagliava, oh, sì. Nella mente del mandante di quell’atroce delitto c’era qualcosa di più perverso di un semplice sequestro, di un colpo di mano, di conquistare il potere con metodi autoritari e violenti, retaggio di un vecchio sistema che Kyla voleva cambiare. No, c’era l’annientamento. Lo scopo era distruggere Kyla Adonai Kryze dall’interno, e Vikandra Bauer Kryze era solo una pedina minore in quella partita a scacchi vergognosa, dove il fine era rappresentato dal barbaro omicidio di due bambine innocenti.

E mentre Kyla riprendeva la sua folle corsa verso la sua casa, il cacciatore di taglie scavalcava il corpo inerte di sua moglie e saliva le scale, verso la biblioteca, inconsapevole del fatto che una piccola testa bionda, silenziosa, aveva osservato tutto, in lacrime, dietro lo stipite della porta. Aveva visto la sua nana cadere sul pianerottolo priva di sensi, ed aveva visto gli occhi di sua madre incrociare i suoi, in un attimo di distrazione, un secondo prima di morire. Adesso, osservava con orrore l’ombra di quell’uomo stagliarsi uniforme sul muro, l’elmo che rifletteva la flebile luce delle poche lampadine rimaste integre. 

Il cacciatore saliva, saliva, e controllava che il blaster fosse carico, prima di aprire la porta semichiusa dello studio. 

Kyla urlava e correva, senza fiato, sperando e pregando.

La porta si aprì, e il cacciatore si trovò di fronte al niente. Libri, divani, tappeti e una vecchia scrivania. Lampade. Scartoffie ovunque. Soffitti affrescati. Nemmeno l’ombra delle bambine.

Non poteva vedere, ma poteva sentire. Una piccola voce soffocata che bisbigliava nella parete sotto le scale del secondo piano, una piccola voce che non potè fermare il pianto disperato di una bambina poco più che neonata, il suo modo di gridare il suo terrore.

Il cacciatore di taglie ghignò sotto l’elmo, la mano sull’arma e pronto a fare fuoco su quei due corpicini nascosti sotto le scale. 

Forse, la sua rovina fu la sua stessa ambizione. Un altro al posto suo avrebbe sparato nel muro e avrebbe concluso quella farsa sul nascere, ma lui no, lui voleva vedere gli occhi di quell’abominio che l’avevano mandato ad uccidere. Voleva vederla piangere, avere la consapevolezza di averla annientata, di aver compiuto la sua missione. Aveva vinto contro quella Abiik’ad solo grazie al piacere che provava nel fare la guerra, e anche quella volta il suo sadismo ebbe la meglio. 

Premette la mano contro il muro, mettendo in moto l’ingranaggio della porta segreta sotto le scale, e si trovò di fronte ad una bambina di sette anni, minuta ed arruffata, gli occhi blu arrossati e gonfi di pianto, che cercava di ergersi a protezione della sorellina, un fagotto piagnucolante alle sue spalle. 

L’uomo sollevò il blaster e mirò alla testa della bambina, che fremeva di paura, frustrazione, senso di colpa. L’unica cosa a cui Satine riusciva a pensare era che era tutto profondamente ingiusto, che non avevano fatto niente di male e che non si meritavano tutto ciò. Non pensò che quell’uomo aveva ucciso la sua mamma, bensì credette di averla uccisa lei, catturando la sua attenzione nel momento più delicato. Pensò che lei aveva ucciso la sua nana, che era stata costretta a nasconderle ed era finita nella mischia. Pensò che il suo papà sarebbe rimasto solo e ne avrebbe sofferto moltissimo. Pensò che, dopo aver ucciso lei, avrebbero ucciso anche Bo, e che sarebbe stata colpa sua.

Kyla inchiodò un’ultima volta, il terrore negli occhi, quando udì l’urlo della piccola Satine straziare l’aria.

Poi, tutto cambiò.

Fu come se l’atmosfera si fosse improvvisamente fermata, come se i lievi refoli di vento che spiravano sempre sul Suumpir Darasuum avessero cessato di soffiare. Rimase lì, con gli occhi sgranati, ad osservare la sua casa implodere, o meglio, il suo studio esplodere dall’interno, saltare in aria come se vi fosse scoppiata dentro una granata. Una bomba dall’insolita luce bianca, con una patina azzurrognola, aveva sfondato la parete di fronte ed aveva sparpagliato detriti ovunque, mentre il tetto di quell’ala del maniero spiccava il volo ed atterrava in mille pezzi tutto attorno a lui, e la voce della piccola Satine echeggiava ancora, straziata.

Dopo quell’esplosione devastante, la luce bianca baluginò ancora. Si espanse e si contrasse, come una stella morente, diverse volte, fino a che non scomparve nel nulla, lasciando Kyla attonito, fermo nell’oscurità, a fissare la sua casa sventrata e le ceneri volare nel vento.

Quando aprì la porta distrutta dai colpi di blaster già piangeva. Superò i cadaveri dei cacciatori, uno per uno, senza degnarli di uno sguardo, gli occhi fissi sul corpo della donna adagiato ai piedi delle scale, i capelli rossi sparsi ovunque, come se dormisse. Avrebbe tanto voluto chinarsi, baciarla, renderle l’onore che meritava, ma c’erano le sue bambine in casa, ed avrebbe dovuto trovarle, accertarsi che stessero bene. Superò Maryam, sotto shock, che si guardava intorno smarrita. La accarezzò, e lei lo riconobbe. Lo guardò negli occhi e pianse.

Entrò, infine, nello studio distrutto. I tappeti e le tende erano lacerati e ridotti in cenere in più punti. I divani erano stati sbalzati fuori, nel vuoto, assieme a parte del corpo del cacciatore di taglie. Trovò i piedi, dei pezzi di gamba, un braccio e una mano. Il resto, sarebbe stato trovato la mattina dopo sparso per il giardino, assieme ai detriti. 

Rimase immobile, in un lampo di consapevolezza, a fissare la sua stanza segreta sotto le scale, dove Bo Katan piangeva ancora, e dove Satine, ferma davanti a lui in tutta la sua statura di bambina di sette anni, ancora splendeva della luce bianca e azzurra che aveva scatenato.

La piccola guardò suo padre, il terrore negli occhi, mente un leggero rivolo di sangue sgorgava dalle piccole narici. 

Poi, la sua luce si spense del tutto e si accasciò tra le sue braccia, sfinita.

Lontano da lì, in un tempio mandaloriano, un vecchio uomo camuso guardava esterrefatto l’altare sacro, senza sapere che pesci pigliare.

Era certo di avere visto l’incisione sacra illuminarsi di blu, ma non poteva essere vero.

Un evento del genere non si vedeva su Mandalore, stando alle leggende, da centinaia di anni.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Mand’alor: lett. signore dei mandaloriani, leader indiscusso del popolo. 

Suumpir Darasuum: lett. Lago dell’Infinito, enorme lago che si distende di fronte a Kryze Manor, le cui caratteristiche fisiche fanno sì che rifletta perfettamente il cielo. 

 

***

NOTE DELL’AUTORE: I cognomi utilizzati fino a questo momento per identificare i clan (Reeves, Saxon, Kryze etc.) sono tutti appartenenti all’universo Star Wars. Purtroppo, è necessario salutare Vikandra Bauer Kryze, ma non sarà di sicuro l’ultima volta che verrà menzionata. La sua è un’eredità decisamente pesante.

Sono sempre stata convinta che dietro al personaggio di Satine ci fosse molto di più di una semplice pacifista, e che il suo odio per la violenza dovesse avere un origine molto profonda. Per questo motivo, ho voluto spendere diversi capitoli su di lei e sulla sua infanzia, sulle sue capacità politiche ed intuitive. Perché una Mando apparentemente non sa combattere? E se lo sa fare, perché si rifiuta? Come ha fatto ad imporre la pace, un simile cambiamento, ad un popolo che ha fatto delle armi la sua missione ultima?

Grazie per l’interesse che avete per questa storia. Mi fa molto piacere!

In attesa di una vostra recensione, buona lettura a tutti!

 

Molly.

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Capitolo 5
*** 4- Bukephalos ***


 CAPITOLO 4

 Bukephalos

 

Diventare un mandaloriano è un percorso composto da molti passaggi necessari. Un vero Mando deve saper fare molte cose. Combattere, innanzitutto, ma ciò aveva come corollario, ai fini della sopravvivenza, anche cavarsela ai fornelli, restare pulito in ogni situazione e, perché no, avere un buon rapporto con la natura e con l’ambiente circostante. 

Meglio farsi amico un bev meshurok che doverlo combattere. 

Non erano di certo tutti i valori di un Mando, ma rappresentavano una buona sintesi. Se poi il ragazzo in questione era destinato a diventare Mand’alor, allora la situazione si complicava. Doveva diventare il meglio del meglio: il miglior guerriero, il migliore a sopravvivere, il migliore a curare il proprio aspetto, il migliore con le battute di spirito, il migliore come genitore, il migliore in tutte le cose. 

Soprattutto, doveva essere il più coraggioso, e trovare una strada ben definita da percorrere, la propria Via. Non era escluso, in ogni caso, che essa avesse a che fare con gli elementi naturali, almeno su Kalevala. 

Dopo la tragica morte di Vikandra, Kyla aveva cercato di rimettere insieme i pezzi della sua famiglia. Se in pubblico si era dimostrato magnanimo e disposto a perdonare il proprio nemico, in casa il suo cuore si spezzava ogni volta che vedeva il viso stanco della piccola Satine. Maryam gli aveva confidato che, mentre lui passava le notti insonni nel suo studio al Palazzo del Governo a cercare i responsabili, Satine rimaneva seduta sul letto a guardia della sorellina. Non dormiva, mangiava poco, parlava anche meno. Non metteva più piede nello studio del padre, completamente distrutto dall’esplosione che lei stessa aveva causato, e faticava a scendere le scale là dove il tappeto era rimasto macchiato del sangue della madre. 

Satine lo preoccupava più di ogni altra cosa. Kryze Manor sarebbe stata ricostruita, e Bo Katan probabilmente non avrebbe mai ricordato nulla di quella terribile notte. Lui e Satine, invece, sarebbero rimasti segnati a vita dal dolore di quell’evento atroce. Kyla poteva darsi da fare quanto più poteva per assicurare i criminali alla giustizia ed evitare che si ripetesse quanto già accaduto, nonostante il suo perdono, ma la piccola avrebbe portato nel cuore per sempre il senso di colpa di non essere stata abbastanza, o peggio, di aver fatto solo danni.

Avevano trovato quello che restava del cacciatore di taglie in giardino, tra i detriti. La testa coperta dall’elmo era stata trovata direttamente sulla sponda del lago, scagliata laggiù dalla potenza dell’esplosione. Satine non sapeva spiegare quanto accaduto, e forse era un bene. Se ne fosse stata consapevole ed avesse cercato di dominare quella forza, probabilmente sarebbero saltati in aria tutti da un momento all’altro.

Kyla sapeva di che cosa si trattava, naturalmente. Si spiegava tutto. Capiva come mai le farfalle blu avessero improvvisamente invaso il circondario del suo maniero, capiva perché, qualunque fosse l’entità che giaceva nelle viscere del Pozzo dei Giganti, essa amasse parlare con la piccola, e comprendeva altri piccoli gesti quotidiani che la bambina aveva sempre compiuto, stranezze a cui non aveva mai dato peso e che adesso gli sembravano rivelatorie. 

Aveva messo tutto a tacere. Con l’aiuto di Athos e di quella santa donna di Maryam, nessuno era venuto a conoscenza della vera causa della morte del cacciatore di taglie. Avevano messo in giro la voce che l’uomo, nello staccare una granata dal suo equipaggiamento, avesse sbagliato manovra e fosse esploso inavvertitamente con essa. Le bambine, nascoste in un vano segreto, si erano salvate per miracolo. 

Se l’erano bevuta praticamente tutti, e Satine poteva dirsi momentaneamente al sicuro. 

Quella domenica prometteva di essere particolarmente apatica. Grazie alla Forza, il clima era buono, e il grosso buco nel salone non comportava un problema per loro. La piccola non aveva freddo e Bo Katan era stata infagottata per bene da Maryam. Avevano fatto colazione tutti insieme. Satine aveva spiluccato come un uccellino quanto le era stato messo nel piatto, e poi era andata a nascondersi tra i ritratti degli antenati. Era un’ala di Kryze Manor in cui non andava quasi nessuno, mentre adesso, assieme ai lavori di rifacimento del salone, Kyla lo aveva fatto ingombrare di travi, pennelli, vernici, e dal ritrattista di corte, intento a fare il ritratto postumo alla sua amata Vikandra, per appenderlo assieme agli altri. Satine di solito si sedeva lì ed aspettava, paziente, che le mani del pittore tracciassero le ciglia degli occhi della madre, o le linee dei capelli. Talvolta, con voce da bambina, dava qualche consiglio, che l’uomo, col cuore stretto, cercava di accontentare. 

Fu proprio al solito posto che la trovò, seduta su una pila di lenzuola sporche di vernice a guardare il povero pittore dipingere. L’uomo gli aveva lanciato un’occhiata implorante, perché era evidente che lavorare con quella piccola anima silenziosa e dolente vicino non era semplice. Kyla la prese per mano e la invitò a seguirlo. La piccola lo guardò, con gli occhi blu che splendevano esattamente come quelli della sua defunta moglie, e lo seguì, senza proferire parola.

Uno dei numerosi step che era necessario affrontare per diventare un Mando vero e proprio era scegliersi un mezzo di trasporto. Non si trattava di navicelle spaziali, naturalmente, bensì di creature viventi, grossi animali che il giovane Mando avrebbe dovuto domare. Era un’arte che si perdeva nel tempo, quando i primi mandaloriani avevano imparato a cavalcare i mitosauri. 

Satine era decisamente troppo giovane per domare un bev meshurok, ma probabilmente sarebbe stata in grado di cavalcare un woor mav viinir. In fondo, non era niente di particolare, se non un grosso cavallo con delle ali ai fianchi, in grado di volare. Era uno degli animali preferiti della sua Vikandra, e si era chiesto se, magari, alla piccola non avrebbe fatto piacere vederne alcuni. 

Satine adorava l’aria aperta, specialmente l’acqua. Non sapeva dire per quale motivo, ma aveva sempre pensato che la Via di Satine fosse proprio quella. La piccola era una combinaguai delle migliori quando si trattava di scegliere la pozzanghera in cui cadere o il fango con cui imbrattarsi. 

Aveva pensato che sarebbe stata una buona idea prenderle un cavallo con cui andare in giro assieme a lui, magari sulle rive del Suumpir Darasuum prima di farsi un bel bagno. Le aveva manifestato l’idea, ma la piccola era stata abbastanza apatica, e non aveva risposto con nient’altro se non con un cenno del capo.

Fu con questi pensieri che si diresse all’allevamento, poco distante da Kryze Manor. Era là che Vikandra aveva acquistato la sua Ortense, e Kyla contava di poter trovare dei buoni esemplari per la sua bambina. 

Il vecchio Boba ne aveva a centinaia. Bai, bianchi e grigi, neri e pezzati. Alcuni atterravano, altri decollavano in continuazione. Satine era attratta da quel movimento continuo, fissando gli occhi al cielo e guardando quei bei puntini farsi sempre più vicini, fino a diventare splendide creature dal collo arcuato e dalle zampe possenti. Kyla poteva percepire l’interesse in lei, e fu contento di averla svegliata dalla sua apatia.

- Buongiorno, Boba.- disse, avvicinandosi al vecchio corpulento che fumava la pipa seduto su una brutta sedia di paglia all’entrata dell’allevamento.- Come vanno le cose, oggi?-

Il vecchio, evidentemente, non si era aspettato una sua visita. Kyla era sempre stato così. Non amava andare in giro in pompa magna, dicendo a tutti di essere il Mand’alor. Per il vicinato, era semplicemente Kyla, il bel ragazzo biondo che aveva sempre dimorato a Kryze Manor e che amava mangiare e bere in compagnia. 

Sotto le sopracciglia folte, lo sguardo del vecchio Boba si fece confuso, e poi si rischiarò. Si alzò sulle gambe storte, ma così storte che Satine immaginò di vederci passare in mezzo un gatto di Lothal con un pesce in bocca, e si diresse verso di loro reggendosi al bastone.

- Caro ragazzo, non mi aspettavo di vederti! Quanto tempo, eh?-

Kyla dondolò cortesemente la testa. L’ultima volta in cui era stato lì era stato per comprare Ortense, con Vikandra. Non voleva ricordare quel momento, non di fronte alla bambina.

Il vecchio lanciò un’occhiata alla piccola, che aveva lo sguardo perso sulle ali di un cavallo bianco e i boccoli biondi al vento. Guardò Kyla e strizzò un occhio malconcio. I due uomini si misero una mano sulle rispettive spalle, e tanto bastò per capirsi.

- Sono venuto a prendere un nuovo viinir per Satine. Facci vedere quello che hai.-

L’uomo girò sui tacchi e li condusse, reggendo stretto il bastone, dentro l’allevamento. Satine era visibilmente affascinata da quelle bestie così forti e regali, ma non parlava ancora. Kyla provò a farle esprimere la sua opinione, ma la piccola rispondeva di sì o di no con lievi cenni del capo.

Il duca sospirò e proseguì il suo giro. 

Passarono lì tutto il pomeriggio. Distribuirono carote e zuccherini, lavarono e pettinarono, intrecciarono persino la criniera di un bellissimo esemplare candido come la neve. Kyla sapeva che questo, di norma, non era concesso, e si ripropose di ringraziare lautamente il vecchio Boba per avere compreso quello che lui e la bambina stavano passando e per aver offerto loro un modo diverso di ammazzare il tempo.

Satine stava accarezzando il muso di quel bel viinir, quando un nitrito più forte degli altri la distrasse. Allungò il collo per vedere di che cosa si trattava, e suo padre decise di assecondare la sua naturale curiosità ed accompagnarla nel tondino a vedere che cosa stesse succedendo.

Un grosso cavallo scuro come l’ossidiana si era impennato, trascinando con sé ben due degli uomini di Boba. Aveva delle corde attorno alle ali e un grosso cappio attorno al collo, ma pareva non importargli. Continuava ad impennarsi, schiumante, e a scalciare nel tentativo disperato di liberarsi, le orecchie indietro in segno di minaccia. 

- Che è successo, Boba?-

- Oh, è questo qua.- disse il vecchio, prendendo un filo di fieno e ficcandoselo in bocca mentre si sedeva su uno sgabello malconcio a tre gambe, sostituto della sedia malandata fuori dalla tenuta.- Non vuole saperne di stare fermo. Temo che sia impossibile domarlo, è un diavolo di bestia. Ce ne sono alcuni che sono nati liberi e non possiamo fare altro che lasciarceli, o diverranno pericoli pubblici.-

- Non si fa proprio avvicinare?-

- Macché, morde, calcia e manda a gambe all’aria tutto ciò che gli capita a tiro.- 

- Lo credo bene.-

Nel tondino calò il silenzio. 

Boba e Kyla rimasero attoniti, guardando Satine, che aveva lasciato la mano del padre ed aveva fatto un passo in avanti, verso l’animale. 

I due uomini ne approfittarono per allontanarsi da quella creatura impetuosa. 

Il resto, guardava perplesso.

- Nessuno vuole essere domato. Se è nato libero, tutto ciò che possiamo fare è rispettarlo, in quanto tale.-

Piantò gli occhi blu sul vecchio, il filo di fieno che penzolava dalle sue labbra aperte.

- Posso avvicinarmi?-

L’uomo tentennò.

- E’ pericoloso, bambina mia. Forse è meglio se lasci fare a qualcuno di più esperto.-

Satine sembrò pensarci su.

- Se mi bloccassero le ali, anche io darei di matto.-

Kyla era troppo contento per quello scambio di battute per curarsi davvero delle implicazioni di quell’affermazione. Satine continuava a fissare l’animale che sbuffava come un mantice, il pelo sudato rilucente sotto il sole. Ci fu un momento, in cui la bambina e la bestia si scambiarono uno sguardo fugace, prima che la piccola scavalcasse lo steccato e si introducesse nel tondino.

- Satine, torna indietro!- gridò il duca, ma ormai era tardi. 

Il viinir nitrì, minaccioso.

- Lo so. Credimi, lo so. Non devi avere paura, non di me. Non ho motivo di farti del male.-

La bestia la guardava, circospetto, la bava che colava dalla bocca contratta per la tensione. 

- Un giorno sono stata sulla groppa di un animale come te. Era di mia madre. Lei mi portava sempre a cavallo, diceva che faceva bene. Mi permetteva di sentire l’animale, capirlo, intuire quando era felice, o aveva paura. Mi insegnava a rispettarlo. Se era stanco o non stava bene, lo lasciavamo nella sua casetta, o gli facevamo compagnia.-

Il muso del grosso cavallo alato seguiva il moto della bambina, mentre le orecchie si spostavano lentamente in avanti. Era ancora guardingo, ma non sembrava avere paura di lei. 

Lei era un cucciolo, dopotutto, e gli animali sanno quando ne hanno di fronte uno.

Satine si era avvicinata piano al cavallo. Dall’alto della sua statura di bambina, riusciva a mala pena a raggiungere le ali. 

Salì sulle punte per togliere le corde. 

- Abbiamo chiamato anche il dottore degli animali, non so come si dice, quando non stava bene. Si chiama Ortense, ed è bella come te, solo che era della mia mamma, e per me non va bene. Erano amiche, loro due, ed io non posso sostituire la mia mamma. Io ho bisogno di un amico nuovo.- concluse, tirando via le corde anche sull’altra ala. 

La bestia non si mosse.

- Forse io e te potremmo essere amici.- gli disse, avvicinandosi lentamente al collo. 

Gli occhi neri del cavallo la squadravano, impassibili. 

- Potrei avere qualcuno con cui giocare. La mia sorellina è troppo piccola per giocare con me. Io sono sola. Ora più che mai.-

Ci fu un attimo di tensione quando la bestia scosse la criniera. Satine indietreggiò, rapida, e tentò di avvicinarsi ancora, con calma, per rimuovere l’ultimo cappio.

- Sei bellissimo, lo sai?- ed azzardò una carezza sulla criniera.- Sei veramente bello. Sei tutto nero, e io sono tutta bianca. Siamo completamente diversi, e forse è per questo che possiamo andare d’accordo. Vuoi giocare un po’ con me?- 

Cercò di sollevare il cappio. 

Kyla trattenne il fiato, una mano sul blaster che portava sempre nascosto sotto la giacca, pronto ad intervenire. 

Boba sedeva, ruminando il povero filo di fieno stretto tra le sue labbra.

Poi, il viinir abbassò il muso e lasciò che la bambina gli sfilasse anche l’ultima costrizione.

Il cavallo e Satine rimasero a guardarsi, in silenzio.

Infine, l’animale nitrì e spiccò il volo.

Satine saltò, ridendo, e gli corse dietro, giù per i campi della tenuta, mentre lo guardava volare su, nel cielo azzurro, domandandosi come ci si sentisse a stare in aria, a volare come le aquile, senza la gravità che ti trattiene a terra. 

Kyla, invece, era più che mai concentrato sulla realtà.

- Mi dispiace molto, Boba. Ti ripagherò del cavallo che hai perso. Nel tentativo di far stare bene mia figlia, ho commesso un errore.-

- Bah, questo è quello che succede ad assecondare i capricci di una mocciosa!- brontolò uno dei grossi uomini dentro al tondino, scuotendo il capo.

- Scusate, ma di che parlate?- sbottò il vecchio Boba, alzandosi dallo sgabello traballante. - Questo è un mezzo miracolo!-

Kyla sollevò un sopracciglio, e il vecchio si tolse il filo di fieno dalle labbra per usarlo come una bacchetta, per indicare Satine e il viinir. La bambina correva come una scheggia per i campi, con l’animale che volava esattamente sopra di lei, in cerchio, planando sempre più in basso. Poi, la bambina si fermò e l’animale atterrò di colpo, sollevando la terra con gli zoccoli e lanciandosi al galoppo lungo la pianura. Satine lo rincorse, ed il cavallo inchiodò, cambiando direzione. Lo fece di nuovo, ed ancora, ancora una volta, e Satine rideva.

- Sai che cosa stanno facendo, figliolo?- disse il vecchio poggiando un braccio sulle spalle del duca.- Te lo dico io, che fanno. Stanno giocando.-

Kyla rimase a guardare la scena, meravigliato, senza rendersi contro che gli altri mandriani li avevano raggiunti e stavano guardando increduli quella bambina che giocava con uno dei cavalli più indisciplinati e pericolosi che avessero mai avuto come se fosse stato un cane.

Poi, accadde l’incredibile.

Satine, stanca per la corsa, si sedette per terra, in mezzo all’erba alta. Il cavallo rallentò, anche se aveva sgroppato felice ancora un paio di volte prima di trovare requie. Con la coda ritta e il collo fiero, le ali che svolazzavano aperte, la bestia si avvicinò a lei e, con calma estrema, si mise a brucare l’erba accanto alla bambina, che lo grattò sul collo. Il cavallo parve apprezzare, perché avvicinò il muso al viso della piccola, e quella poggiò la fronte contro le grandi narici umide. 

I due si scambiarono uno sguardo.

Il cavallo piegò le lunghe zampe possenti e si adagiò per terra. 

Satine, sotto lo sguardo attonito di suo padre e di dodici uomini grossi come armadi che non erano mai riusciti a fare niente del genere prima, si arrampicò sulla schiena dell’animale e gli salì agilmente in groppa. 

La bestia si rialzò, e si diresse di gran carriera verso il capannello di uomini, planando delicatamente sull’erba.

- Posso tenerlo, papà?- disse la piccola quando fu vicina, abbracciata saldamente al collo dell’animale. - Può venire a stare con noi? Può anche fare amicizia con Ortense, se gli va!-

Kyla fissò il vecchio Boba per un istante.

- Quanto…-

- Scherzi?- fece quello, battendogli le mani sulla schiena come su un tamburo.- Te lo regalo! Mai vista una cosa del genere in anni di lavoro, dico io!-

- Suvvia, Boba…-

- Niente chiacchiere, ragazzo! La bambina oggi ha dato a tutti quanti noi una bella lezione. Un animale non dovrebbe essere né venduto, né domato, bensì conquistato e rispettato. Solo così se ne assapora la vera essenza!-

Fu così che Satine si portò a casa il suo viinir personale. Il suo nuovo amico e compagno di giochi. Lo chiamò Bukephalos, dagli antichi miti, e Kyla, Maryam e Athos scoprirono ben presto che il duo aveva incluso anche la buona vecchia Ortense senza troppi problemi. 

La più grande soddisfazione di Kyla, però, fu vedere la sua bambina mangiare come un minatore prima di scappare a giocare con i due animali, e dormire di gusto fino al mattino successivo e senza fare storie, rossa come un peperone dopo una giornata estenuante passata all’aperto. 

Il vecchio Boba avrebbe ricordato quel giorno fino alla fine del suo tempo, senza riuscire veramente a capire che cosa gli fosse accaduto di fronte. Molti, però, giurano ancora di ricordare il bagliore nei suoi occhi appannati, quando raccontava l’episodio ai curiosi che venivano a comprare i suoi animali.

- Un giorno una bambina mi ha fatto vergognare di fare questo mestiere!- diceva, seduto sullo sgabello traballante, le gambe sempre più storte e un filo di fieno sempre stretto tra le labbra, chiuse a compensare l’ormai palese carenza di denti.

- E pensare che suo padre credeva che la sua Via fosse fatta d’acqua. Ma no, dico io, la sua Via è fatta di aria! L’ho sempre detto, io, eh? Ricordatevele bene queste parole: la piccola Kryze è stata capace di fare questo a soli sette anni! Non voglio immaginarmi che cosa sarà capace di fare da grande!-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Voor mav viinir: abbr. viinir; lett. colui che corre libero nel vento; grossi animali alati capaci di volare, simili a cavalli. E’ la tipica cavalcatura delle Figlie dell’Aria. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Ci voleva un capitolo più leggero, dopo la legnata che vi ho appioppato in quello precedente. Poi così leggero non è, ma è comunque meglio di niente, e poi ho sempre pensato che Satine si meritasse un abbraccio ogni tanto, da umani o cavalli fa poca differenza. 

Il vecchio Boba, costruito sull’immagine stereotipata degli allevatori di cavalli toscani, porta nel nome un chiaro omaggio al celeberrimo Boba Fett. 

Che le Figlie dell’Aria fossero ispirate alle Valchirie, l’avevo già anticipato e direi che ormai è abbastanza evidente. 

Bukephalos è greco, per Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno. 

Sono nerd e classicista. Abbiate pazienza.

Ci vediamo al prossimo capitolo! 

 

Molly.

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Capitolo 6
*** 5- Il fantasma ***


CAPITOLO 5 

Il fantasma

 

Il mento appoggiato sulla mano e la matita nell’altra, Satine si annoiava a morte in quella giornata uggiosa. Aveva finito i compiti per il giorno dopo da un pezzo, e stava cercando di fare quelli della settimana. Ad essere onesta, aveva già finito anche quelli del giorno dopo ancora, e stava cominciando a pensare a che cosa fare dopo. 

Andava a scuola con i compagni e conduceva la normale vita di una bambina di quasi otto anni, nonostante si portasse dentro un po’ di tarli. 

Da quando sua madre era morta, Satine aveva attraversato diverse fasi. Immediatamente dopo l’esplosione nella biblioteca, si era sentita come se uno star destroyer le fosse passato addosso senza nemmeno rallentare. Per i giorni successivi, alzarsi dal letto era stato difficile, aveva sentito le gambe pesanti e la testa girare, il sangue spesso era colato giù dal naso ed aveva avuto una fame da lupi, e sete costante. Questo le aveva dato modo di non uscire dalla sua camera per almeno un paio di giorni, e le aveva consentito di non prendere parte, dunque, alla rimozione del corpo di Vikandra. Quando una mattina si era svegliata ed aveva sceso le scale diretta alla cucina per fare colazione, aveva visto il terribile buco nel salone, il pianerottolo su cui si era accasciata Maryam e il luogo dove il colpo di blaster aveva centrato sua madre, il sangue ancora schizzato sulle pareti e sul tappeto. 

Era rimasta bloccata, gelata sul posto, senza essere nemmeno capace di muoversi. La fame era passata e la bocca era diventata arida. Per i giorni seguenti, non avrebbe mangiato se non per forza, ma soprattutto non avrebbe dormito, seduta sul letto vicino alla culla della sorellina. Nella sua mente di bambina, non sapeva spiegarsi bene per quale motivo desiderasse proteggerla così tanto. Bo Katan era arrivata all’improvviso, e i suoi genitori nemmeno le avevano chiesto se volesse un fratellino. Semplicemente, un giorno lei era entrata nella sua vita, quando sua madre aveva portato una culla nella sua stanza, e le aveva detto che da quel momento l’avrebbe divisa con il bambino che stava per arrivare. 

Satine l’aveva presa bene. Non le era dispiaciuto avere qualcuno con cui giocare, purché non rompesse tutto. Voleva bene a Bo, e nella sua mente infantile aveva pensato che proteggerla fosse naturale. 

I grandi, però, la sapevano ben più lunga di lei, ed erano perfettamente consapevoli che il ragionamento della piccola filava fino ad un certo punto. Mancava un tassello fondamentale, che loro avevano intuito e che Satine avrebbe dovuto elaborare.

Proteggere almeno lei è naturale.

Il suo periodo di mutismo le aveva dato modo di riflettere su tante cose. Adesso che mamma non c’era più, Maryam si sarebbe presa cura di Bo a tempo pieno, e lei sarebbe dovuta crescere alla svelta. Non poteva pesare sulle spalle della sua nana come aveva fatto un tempo. Poi, c’era papà, che avrebbe sofferto quanto lei, e lei doveva proteggerlo, essere grande e forte a sufficienza da reggere parte del peso che reggeva lui, da solo, sulle sue spalle. 

Nel giro di poco, Satine si era trovata a passare da bambina a ragazza, crescendo tutto d’un tratto. 

Inoltre, il ricordo degli occhi di sua madre un secondo prima di morire ancora la perseguitava. 

Se Satine non avesse catturato la sua attenzione, Vikandra sarebbe stata ancora viva. Almeno, questo era quello che la parte più profonda di lei continuava a ripetersi. Non aveva avuto la benché minima consapevolezza del fatto che Vikandra stesse già morendo, stanca per la ferita alla gamba e stremata dopo il combattimento, sola contro sette cacciatori di taglie armati fino ai denti. 

Non aveva mai pensato che sua madre, con quell’ultimo sguardo, aveva avuto tutta l’intenzione di salutarla.

Così, Satine aveva deciso che avrebbe votato la sua vita a fissare il volto di sua madre. Lei era morta guardandola, e lei l’avrebbe guardata per sempre, non l’avrebbe mai lasciata sola. Era scappata per giorni a nascondersi tra le tele del ritrattista di corte, a guardarlo dipingere, creare il viso di Vikandra sulla tela. Le era sembrato il posto giusto in cui passare il tempo.

Poi, un giorno, suo padre l’aveva portata a scegliersi un viinir tutto per sé, e Satine aveva riscoperto la vita.

Aveva sempre immaginato di immergersi in acqua, passarci dentro tutta l’eternità. Amava l’acqua, e sapeva che avrebbe dovuto scegliere, un giorno, di specializzarsi in un elemento, per imparare meglio a combattere. Aveva sempre pensato che fosse l’acqua la sua Via. Sin da quando aveva provato l’aria, però, il suo mondo era cambiato. Le aveva dato un senso di libertà che non aveva mai provato prima. Volare via da quella terra che faceva tanto male, su, in alto, leggera e senza peso, sentire il vento nei capelli e la libertà di essere sola con il sole, planando sulle ali del vento. 

Quello sarebbe stato il suo destino. 

E poi, anche la sua mamma aveva volato, anche lei aveva apprezzato il vento nelle orecchie e la libertà. In fondo, scegliere la stessa strada, oltre a venirle naturale, le avrebbe fatto anche onore. 

Un giorno, forse, sarebbe stata brava abbastanza da diventare una Abiik’ad a sua volta. 

Il pensiero che, in quel modo, sarebbe riuscita a tramandare la memoria di sua madre, a ricordarla, l’aveva fatta uscire dal suo mutismo ed era tornata, almeno in apparenza, la bambina di sempre. 

In apparenza, sì, perché Satine, nel suo cuoricino, sentiva ancora un peso, sapeva di avere qualcosa di irrisolto. 

Non aveva una grande memoria di quello che era successo quella notte, ma sapeva di avere ucciso qualcuno. Direttamente e fisicamente. Non era il senso di colpa a parlare. L’uomo a cui aveva gridato in faccia non c’era più, e lei lo sapeva. Sapeva che la grossa esplosione che ricordava era stata in qualche modo colpa sua. Non sapeva come avesse fatto, esattamente, ma era del tutto intenzionata a scoprirlo. 

Era con quei pensieri in testa che scarabocchiava con una matita sul quaderno di scuola, pensando che tanto avrebbe strappato la pagina prima che Maryam potesse riprenderla. 

Era sola, ed era giunto l’autunno. La luce cominciava a calare, anche se il pomeriggio era ancora giovane. 

Suo padre era a Keldabe. 

Athos era in giardino a governare gli animali. 

Maryam era andata a prendere la piccola Bo Katan dal medico, per uno dei tipici controlli periodici che ogni bambino della sua età avrebbe dovuto sostenere. 

Nella sera calante, Satine udì scricchiolare qualcosa in giardino. La sua stanza si trovava nella torre est, sul lato sinistro del castello, assieme alla stanza che sarebbe stata di sua sorella e a quella di Maryam. Dalla finestra godeva della splendida vista del Suumpir Darasuum, e si fermava spesso ad osservare il bagliore delle stelle che si riflettevano nelle sue acque. C’era un motivo se lo chiamavano Lago dell’Infinito, e doveva ammettere che aveva contribuito non poco a far crescere la sua passione per l’acqua. 

Il cancello di Kryze Manor dava proprio sul sentiero che portava al lago. La spiaggia era abbastanza vicina, e Satine doveva solo uscire dall’inferriata per gettarsi in esso e fare il bagno. Non c’era illuminazione, e questo le permetteva di vedere le stelle del cielo con grande chiarezza. 

Adorava quella vista.

Adorò un po’ meno le otto figure scure che avevano appena varcato il cancello.

Non avrebbero dovuto essere lì. Athos era fuori, avrebbe dovuto vederli. Se erano riusciti a raggiungere il portone di Kryze Manor significava soltanto una cosa.

Athos era morto, e loro erano venuti a finire il lavoro.

La prima cosa a cui Satine pensò fu che, grazie ad Hod’Haran, Bo Katan non era in casa. C’era soltanto lei, e sarebbe stata la vittima designata. 

Questo, però, le concedeva anche un ampio spazio di manovra. Essendo sola, sarebbe potuta scappare e nascondersi dove e come voleva, senza dover gestire l’impaccio di portare qualcuno con sé.

Saltò giù dalla sedia e volò di sotto dalle scale. La biblioteca era quasi conclusa, e, a parte un tendaggio in un angolo del soffitto, era quasi tutta coperta. In punta di piedi, Satine attraversò i nuovi tappeti e si appostò, come aveva fatto tempo prima, dietro la porta. 

Ad un primo sguardo, gli otto uomini non le sembrarono cacciatori di taglie. Non avevano beskar, né elmo. Dalla cintura pendevano alcuni blaster, ma per il resto, avevano l’aria di contadini, o pastori. Anche il loro modo di parlare aveva un forte accento kalevaliano, come se fossero nati, cresciuti e vissuti lì, come lei. 

Qualcosa non quadrava.

- Cercate dovunque!- disse uno di loro, la voce roca come se avesse passato tutta la sua vita a fumare.- Qualunque cosa nasconda quel dar’manda di Adonai, deve essere qui, da qualche parte.-

Satine sapeva che suo padre non era innocente. Era il duca di Mandalore, il Mand’alor, ed era assolutamente normale che avesse preso delle decisioni discutibili, per il bene comune. E’ uno dei rischi di chi governa, quello di sporcarsi le mani, e non c’era dubbio che suo padre lo avesse fatto. 

Ciò non lo rendeva un uomo migliore, o peggiore degli altri. 

Era solo uno che aveva dovuto fare compromessi per un bene superiore. 

Il gruppo si sparpagliò in giro per casa e, con grande stupore di Satine, trascurarono completamente i piani più alti. Sembravano avere un piano preciso, quello di rovistare prima nella parte bassa del castello, per poi risalire. 

Questo le avrebbe permesso di gestire le cose con più calma. Se nessuno aveva intenzione di salire in alto, lei avrebbe avuto diversi modi, più o meno sicuri, di scendere in basso.

Era come giocare a scacchi. Doveva far spostare un pezzo verso il basso per poter salire in alto. 

Suo padre gliel’aveva insegnato e, detto tra noi, era stata anche la sua rovina, perché da allora sua figlia non aveva fatto altro che vincere.

Satine, per avere sette anni, quasi otto, era scaltra, ed anche parecchio. La piccola peste che era dentro di lei sapeva fuoriuscire ogni volta ce ne fosse bisogno. Così, scivolò di nuovo dentro la biblioteca, e provò a fare un piano, mentre gli otto uomini di sotto facevano un gran fracasso ed urlavano chiamandosi tra loro.

Un nome richiamò la sua attenzione.

Angus.

Questo la faceva sentire meglio. Adesso era praticamente certa che non stessero cercando lei, anche se sarebbe stato meglio che non la vedessero, o la sentissero, men che meno che la trovassero. 

I Makyntire erano un clan antico ma sparuto, in declino, in ferma opposizione alle idee dei Kryze, e la loro rivalità andava avanti da secoli. Erano per lo più pastori, piuttosto rozzi ed analfabeti. A Satine piacevano i loro animali, ma a parte ciò, aveva sempre avuto molto poco a che spartire con la loro maleducazione. Sapevano essere burberi ed incredibilmente volgari, e non in senso mandaloriano. Il Mando’a è una lingua colorita, e la stessa Satine aveva un nutrito vocabolario di insulti, ma c’erano parole e parole, e quelle che usavano i Makyntire non erano appropriate alla bocca di una bambina, né a quella di nessun altro. 

Quindi, si trattava di gabbare i Makyntire, e forse Athos non era nemmeno morto.

Bene.

Trotterellando sulle gambe ancora corte e provando a fare molto silenzio, la bambina salì di nuovo le scale. Il bello di Kryze Manor era che l’intera casa era percorsa da cunicoli interni e costellata di pareti segrete, come se fosse un labirinto. Chi avesse voluto nascondersi tra quelle mura e avesse saputo che cosa fare, sarebbe sfuggito a chiunque. 

Nella stanza di Satine, per esempio, c’era una porta segreta dietro l’armadio. La piccola si intrufolò là dentro, con le mani tese nel buio, scostò la parete di fondo e premette con forza contro il muro. La serratura scattò con un lieve clic, e Satine fece capolino, per scrutare quelle scale di pietra così ripide e dall’aspetto non proprio salubre. Del resto, quelli erano spazi che non usava quasi nessuno, e di solito le era proibito andarci, perché sarebbe potuta scivolare e né Maryam né Athos se ne sarebbero accorti.

Casi estremi richiedono estremi rimedi, pensò la bambina, infilandosi dentro quel cunicolo con la sua piccola torcia e illuminando la sua discesa verso il basso.

Papà aveva fatto in modo che, in compagnia di Athos, Satine imparasse il tragitto a memoria. Se avesse lasciato delle mappe in giro, le avrebbero trovate e il nascondiglio non sarebbe più stato sicuro. Al fine di farlo restare tale, dunque, il mistero doveva rimanere celato nelle menti dei proprietari di Kryze Manor. Così, il buon Kyla aveva fatto con Satine quello che Gerhardt aveva a suo tempo fatto con lui. 

Adesso, la bambina stava filando come una scheggia giù per le scale, tenendosi al muro. Tre giri a spirale, anche se era difficile contare girando in tondo; poi, la rampa di scale a destra ed infine la svolta a sinistra. Altri due giri a chiocciola, e poi premere conto la parete a sinistra, terza pietra in orizzontale dopo il segno di vernice bianca. 

La porticina scattò.

Era un bugigattolo minuscolo nascosto dietro l’armadio dei cimeli nella sala dei ritratti. Satine fece cucù e provò a sbirciare oltre i cimeli, per vedere se la stanza fosse libera. 

Purtroppo non lo era, proprio per niente, perché Angus Makyntire si reggeva la pancia, con le mani in tasca, esattamente davanti a lei. Era evidente che stava ammirando qualcosa dentro l’armadio dei cimeli, e Satine aveva una gran voglia di saltargli sul ditone e fargli tanto male se ne avesse portato via anche solo uno.

- Trovato niente?-

- Macché. Qualunque cosa sia, quel dar’manda deve averla nascosta bene.- disse Angus, grattandosi rumorosamente la pancia pelosa.

- Secondo te che cosa può essere stato?-

- Non lo so. Ci abbiamo ragionato tanto, io e Krel, ma non ne siamo venuti a capo. Poteva essere una bomba, o un oggetto esplosivo, una qualche diavoleria dei Kryze. Di sicuro, qualcosa di potente, per fare così tanta luce e per spezzettare quel cacciatore di taglie in quel modo. Sai dove hanno trovato la testa?-

- Sì, in riva al lago. Ma, scusa, non è saltato per aria da solo staccando una granata?-

- Contro due bambine? Sarebbe stato esagerato, e anche volendo usare un ordigno sismico, che voleva, tirare giù il maniero? No no, il buon vecchio dar’manda fa tanto il pacifista, ma in verità è un figlio di un cane come tutti gli altri. Lo ha fatto fuori, quel cacciatore, e noi scopriremo come.-

Oh, se solo Satine avesse potuto parlare! 

Evidentemente, però, i suoi sospetti erano stati fondati fin dall’inizio. Anche se erano i Makyntire, e non cacciatori di taglie pronti a farle la festa, volevano lei, e volevano sapere che cosa aveva fatto a quel cacciatore.

Il pensiero della sua testa in riva al lago le fece venire la nausea, e si coprì le orecchie per non ascoltare più, ma i due uomini erano troppo vicini per poter essere ignorati.

- Dici che ha trovato un modo per incanalare la Luce?-

- Deve essersi inventato un aggeggio, sì. Sono sicuro che è andata così.-

- Ma è pericolosa, la Luce!- fece il sodale di Angus, un poco di paura nella voce.- Che ci facciamo noi, con quell’oggetto?-

Angus trasecolò.

- Ma dico, sei scemo? Chi governa la Luce, governa Mandalore! Adonai è stato abbastanza fortunato da poter fare qualche trucchetto ai tempi dell’investitura, ma se c’è un modo per incanalare la Luce, chiunque può competere al trono, anche noi.-

- E allora perché hai accettato i soldi di Evar?-

- Che vuoi fare, ci servono anche quelli. Ad Evar è già andata male una volta, gli andrà male anche la seconda. Col cavolo che gli do l’oggetto, se lo trovo.-

Satine non capì un granché. Suo padre, se poteva, non parlava di politica a casa, e cercava di fare del suo tempo trascorso con la famiglia un momento di qualità. Coinvolgeva Satine con giochi tattici, perché ormai, anche se la bambina non lo sapeva ancora, era palese che sarebbe stata la prossima candidata a succedere al trono di Mandalore. 

Satine non sapeva dunque che cosa fosse la Luce, e nemmeno chi fosse questo Evar, quando avesse fallito e che cosa stesse cercando. C’era di buono che i Makyntire erano fortemente convinti che si trattasse di qualcosa di materiale, e non di una persona, men che meno di una bambina.

Decise che non c’era proprio modo di uscire da quel vicolo cieco, e decise anche di averne abbastanza. Fece per sgusciare di nuovo verso il basso, nelle pareti del maniero, quando la voce di Angus la distrasse di nuovo.

- Qui ci sono dei gioielli con i cristalli.-

- Sicuramente c’entrano qualcosa. Male che vada, sono soldi guadagnati se li rivenderemo.-

- Li prendiamo?-

- Certo! E credimi- disse poi, fissando il ritratto di Vikandra appeso alla parete, anche se Satine non poteva più vederlo.- Se potessi mi porterei via anche quello. Se c’è una cosa che mi dispiace della sortita fallita di Evar, è che sia morta quella gran - parole che non sono permesse alla piccola -  che era Vikandra. Guarda là, che pezzo di rossa!-

Satine gonfiò le guance d’aria e contò fino a dieci, come le aveva insegnato sua madre da bambina. 

Mantieni la calma.

Ma la voglia di uscire e tirare calci negli stinchi a quel farabutto di Angus era forte, per cui trattenne il fiato di nuovo e ricominciò a contare, per una seconda volta.

- Laggiù che c’è?-

- Credo che siano le fondamenta del maniero.-

- Ci saranno un sacco di cimeli, laggiù. Oggetti di valore.-

- Non ci andremo.- tagliò corto Angus, dirigendosi verso l’uscita.- Dicono che siano maledette, che ci siano delle cose orribili, là sotto. Non mi interessa andarci, e se è lì che quel cane di un Kryze tiene il suo oggetto magico, che ci resti. Nessuno di noi vi scenderà.-

Gli occhi di Satine si illuminarono. 

Certo, nascondersi in un posto maledetto e pericoloso non era proprio il massimo, ma poteva essere certa che nessuno l’avrebbe cercata lì.

Nessuno l’avrebbe mai trovata.

Attese che i due uscissero dalla stanza e sgusciò fuori di nuovo. Sbirciò da dietro l’armadio dei cimeli aperto, e vide che non c’era nessuno. 

Poi, prese le gambe e scappò via. 

Saltò di corsa la soglia del ripostiglio, per dirigersi, praticamente volando, verso la porta delle fondamenta. Suo padre le aveva detto di non addentrarcisi, ma non c’entravano niente le maledizioni o la superstizione. Secondo lui, erano vecchie e pericolanti, e scendevano particolarmente in profondità. Se vi fosse entrata senza sapere dove andare, ed avesse vagato, non sarebbe riuscita a ritrovare la via di casa, e loro non avrebbero saputo dove cercarla. 

La piccola, però, aveva un’idea.

Armata della sua torcia elettrica, infilò una mano in uno scatolone, quello in cui il pittore aveva messo tutto ciò che non gli serviva più. 

Trovò un carboncino rosso, e gioì. 

Aprì la porta delle fondamenta e vi entrò, sicura. 

Là dentro c’era il buio più pesto che Satine avesse mai visto. Non c’erano luci, né interruttori. Roccia nuda scendeva verso il basso, lavorata e cesellata in più punti, probabilmente per contenere delle torce. 

Il posto, effettivamente, metteva i brividi.

Davanti a lei un lungo cunicolo si perdeva nel buio. Sembrava scendere verso il basso, nelle viscere della terra, e le sembrò di percepire come un profondo gorgoglio venire da laggiù.

Rabbrividì, e decise che non sarebbe andata da quella parte.

Altri due corridoi si aprivano alla sua destra e alla sua sinistra. 

Istintivamente, decise di andare nella direzione opposta a quella di Angus: la sala dei ritratti era alla sua sinistra, e lei sarebbe andata a destra. 

Con una mano reggeva la torcia, mentre con l’altra tracciava un segno rosso ben visibile sulla parete. Grosse statue coperte di armature accompagnavano il suo percorso dalla parte opposta, probabilmente vestigia di antichi suoi predecessori. Li ammirò, pur trovandoli inquietanti, e proseguì dritto, senza mai cambiare direzione, almeno fino a che non ebbe la sensazione di non essere sola.

Si guardò attorno, ma non vide nessuno. 

Aveva sentito numerose storie di fantasmi. La maggior parte di esse aveva a che fare con cantine e monumenti storici antichi. Satine si trovava in un posto che rappresentava entrambi, e finì con il chiedersi se per caso, per una volta nella sua vita, non avesse avuto ragione Angus a credere a quelle storie. 

Ovvio che no. Angus non poteva avere ragione perché era Angus, e i fantasmi non esistono.

Proseguì dritto, ma, stavolta, le parve di udire un leggero ticchettio proveniente dal nero buio di fronte a lei. Spaventata, Satine si fermò di nuovo. 

Il ticchettio si fece più forte. La bambina indietreggiò, terrorizzata.

Alle sue spalle, una mano fredda si posò sulla sua bocca.

Per tutta risposta, Satine sguainò i dentini da latte e li conficcò nel dito del malcapitato.

- Ahia! Acciderbolina, sei una bambina o un castoro?- disse quello, reggendosi il dito.

Satine era sicura di non avere mai visto quell’uomo in vita sua, ma non le sembrava un Makyntire. 

Indossava i colori dei Kryze, anche se portava vestiti decisamente fuori moda. Non aveva mai visto nessuno vestito così. Era biondo, come il suo papà, ma aveva una vistosa chierica e i capelli erano tagliati in modo strano attorno alla testa, quasi come se avessero usato uno scolapasta, e non erano nemmeno tagliati diritti. 

Inoltre, era fermamente convinta che nessuno tra i Makyntire conoscesse il linguaggio ricercato con cui quell’uomo si esprimeva.

- Chi sei?-

- Come chi sono?- fece quello, ridendo.- Ohibò! Sono il Custode di Kryze Manor!-

La bambina parve non berla.

- E da quando c’è un custode, a Kryze Manor?-

L’uomo sembrò non sapere che pesci prendere. 

- Da sempre, piccola impertinente. Ero qua quando sei nata, ed anche quando è nata tua sorella. Sei Satine, non è così?-

La bimba annuì. 

Makyntire o no, non aveva senso mentire quando si era intrappolati nelle fondamenta della propria casa. 

- Che cosa ci fai quaggiù? Papà Kyla non te l’ha detto, che è pericoloso?-

- Sì, ma i Makyntire hanno preso il controllo del castello, e io non so dove nascondermi. Vogliono la cosa che ha fatto esplodere la biblioteca.- 

Il signore si fece pensieroso, e si grattò il mento velato di una sottile barba bionda.

- Ah, quei felloni dei Makyntire! Ben so io come gliele suonerei! Non è la prima volta che le buscano, sai? Anche io ho dato qualche ripassata a quei villanzoni! Urge un intervento, non pensi, piccolina?-

- Sì.- fece lei, risoluta, il nasino per aria.- Hanno rubato i cimeli dall’armadio, nella sala dei ritratti.-

- Ah, che oltraggio! Che onta! Rientreremo in possesso dei nostri gioielli di famiglia, piccola, credi a me!- disse, e la prese per mano, conducendola sempre avanti, sempre dritto.

- Dove stiamo andando?-

- Fuori, piccola cara. Se continui a destra dalla porta da cui sei entrata, sempre dritto, arrivi ad un uscio che dà sulle scuderie. Non preoccuparti per il povero Athos, ha solo preso una brutta botta in testa. Vedrà le stelle quando si sveglierà, ma non avrà problemi. Probabilmente dorme ancora. Ah, eccoci qua, perbacco!- fece, affondando la mano sulla maniglia ed aprendo la brutta porta di legno scassato. 

La luce della notte quasi la abbagliò, tanto era il buio delle fondamenta. Di fronte a lei, Ortense teneva il muso per terra, intenta a brucare un poco di erba medica. Satine era molto felice di aver scoperto quel nuovo passaggio segreto, che sarebbe potuto tornarle utile in futuro. 

- Devo trovare un modo per dare una lezione ad Angus Makyntire.- disse la bambina, l’aria decisa più che mai.

Il Custode le lanciò un’occhiata perplessa.

- I Kryze non chiedono vendetta, mia cara. Dovresti saperlo.-

- Ha insultato la mia mamma. Ha detto che era una grande #@*//! -

Questa volta il Custode sembrò davvero indignato.

- Poffarbacco! Nessuno insulta Vikandra sotto questo tetto!- e si tirò su le maniche con grinta.

I due si scambiarono uno sguardo pensoso.

In quel momento, Ortense nitrì.

L’idea balenò nelle loro menti simultaneamente. Si guardarono e si intesero.

Mentre il Custode svuotava i sacchi del mangime per viinir e li riempiva di foglie secche, torba, residui di legno e sostanzialmente tutto ciò che trovava in giardino mentre borbottava poffare! tra i denti, Satine andò a smontare un’armatura dalle statue del corridoio. 

Oh, sarebbe stato divertente vedere la faccia di Angus Makyntire!

Quando il Custode tornò, assemblarono il fantoccio. Poi, presa Ortense da parte, lo legarono alla sella, avendo cura di proteggere bene l’animale da eventuali incidenti. 

Satine andò in avanscoperta. Piccola com’era, riuscì a sgusciare abilmente sotto le finestre. 

Impudenti, i Makyntire se ne stavano in piedi direttamente davanti all’entrata principale, contando i possibili guadagni della vendita del loro bottino.

- Con questa roba, in caso, ci facciamo un sacco di soldi.-

- Non credo che servano per incanalare la Luce, comunque. Sembrano oggetti comuni.-

- Dar’manda.- brontolò uno che Satine non seppe identificare. 

Era rimasta ad ascoltare anche troppo. 

Avevano insultato sua madre e chiamato suo padre traditore troppe volte. 

Ne aveva abbastanza. 

Con un gesto della mano chiamò il Custode, che si avvicinò tenendo Ortense per la cavezza. La povera bestia non sembrava essere consapevole di quello che stava per accaderle, e Satine pensò che non le avrebbe parlato per un po’, dopo quella sortita.

- Allora, qual è il tuo antenato preferito?- le chiese l’uomo, accovacciandosi vicino a lei.- Otis Botte di Ferro Kryze?-

- Temo che il nostro fantoccio sia un po’ troppo magro per essere Otis Botte di Ferro.-

L’uomo ridacchiò.

- Assolutamente vero. Allora chi scegliamo?-

- Che ne dici del duca Marmaduke? Con la sua scomparsa e il tesoro sepolto chissà dove, è sicuramente abbastanza famoso da essere giunto anche alle orecchie di quegli incivili dei Makyntire!-

Il Custode rise sotto i baffi e scosse la testa, divertito.

- Come volete voi, principessa. Duca Marmaduke Kryze sia!-

E con un gesto veloce della mano, diede fuoco al fantoccio.

Il fumo cominciò ad uscire dall’armatura di beskar, passando sotto l’elmo e, con le fiamme che saettavano alla luce della luna, sembrava veramente un demone uscito dalle viscere della terra.

- Sono il fantasma del duca Marmaduke!- urlò il Custode, coprendosi la bocca con uno degli scampoli di cuoio presi dalla stalla. La distorsione rendeva la sua voce profonda e spettrale, e i Makyntire sobbalzarono nell’udirla e nel vedere il fantasmagorico cavaliere. 

Ortense, che sentì l’odore del fumo, cominciò ad agitarsi e si impennò.

- Come osate profanare la mia dimora? Come osate depredare il mio tesoro?-

Ma i Makyntire ormai avevano preso il volo, giù per il viale, diretti a tutta birra verso il cancello e seminando gioielli lungo il percorso. 

Ortense, nemmeno a farlo apposta, si lanciò all’inseguimento.

- MAKYNTIRE!- sbraitò il Custode con impeto e facendo sbellicare Satine dalle risate.- Fatevi avanti, felloni! Restituite il maltolto, se non volete battervi con me ed assaggiare la mia spada!- 

Satine si stava rotolando nell’erba, ed il Custode sembrava divertirsi come un matto. Si asciugò le lacrime, mentre l’uomo, appoggiato contro il muro, continuava a ridersela di gusto. 

- E’ stato fantastico!-

- Ed abbiamo recuperato un bel po’ di cose!- le disse, aiutandola a rialzarsi da terra.- Sono certo che dopo quello che hanno visto non avranno problemi a restituire quello che manca, fosse solo per paura del fantasma del duca Marmaduke!- 

Poi, presa per mano la bambina, la portò da Athos, e se ne andò, diretto verso casa. L’uomo, che si stava riprendendo lentamente dalla brutta botta in testa, aveva sentito un gran fracasso, e Satine si dilungò nella spiegazione di come lei e il suo nuovo amico avevano terrorizzato a morte i Makyntire ed avevano recuperato la refurtiva.

Quando Kyla tornò a casa quella sera, trovò la povera Ortense - mezza affumicata, ma intatta - che faceva il bagno nel lago, con un fantoccio carbonizzato legato alla sella. Rimase ancora più stupito nel vedere che, dal cancello di casa fino al portone, il viale era costellato di oggetti, monili e gioielli. 

La casa era tutta sottosopra, con grande disperazione di Maryam, ma la cosa che lo stupì di più fu il racconto di sua figlia, e di come avesse fatto a cacciare i Makyntire dal suo territorio.

- Hai avuto molto coraggio, Sat’ika.- le disse, accarezzandole i capelli biondi e lanciando occhiate confuse ad Athos, mentre i tre, intenti a rimettere a posto la refurtiva, armeggiavano nella sala dei ritratti.- La povera Ortense ha avuto molta paura. Credo che ti terrà il muso per un po’.-

- Sono convinta che faremo pace.-

Nè lui, né Athos ebbero il cuore di dirle che Kryze Manor non aveva mai avuto nessun custode, e che, di solito, la porta che la bambina aveva varcato per accedere alle fondamenta veniva chiusa con ben quattro mandate e due chiavistelli. Non capirono mai perché fosse aperta, e forse preferirono non indagare più di tanto.

Per quanto riguardava Satine, per una volta, pareva saperla più lunga di suo padre.

- Sai, mi piace quell’uomo.-

- Chi, cara?-

- Il Custode.- disse, lanciando una lunga occhiata al ritratto del duca Marmaduke. 

La chierica abbondante era stata riprodotta alla perfezione, come i suoi capelli simili ad un cavolo cappuccio, gli abiti datati e l’aria aristocratica.

- Se non altro, ha dell’ironia.-

 

***

 

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Marmaduke “Il Protettore” Kryze 

E’ stato sicuramente il più potente utilizzatore della Luce di Mandalore che sia mai esistito, superato solo da Satine Kryze di Kalevala. Divenne Mand’alor aprendo la Luce per porre fine ad una piaga pestilenziale, derivante da misteriosi parassiti mai visti prima. Per questo motivo prese il nome di Cabur. Durante il suo mandato investì molto nel welfare della popolazione. Istituì le case per gli orfani, e molti li adottò lui stesso. Promosse la bonifica della aree lacustri di Krownest, su cui poi fece avviare fiorenti commerci di coloranti per tessuti. Promosse la legislazione sull’orario di lavoro dei minatori di Concordia, con grande disappunto dei conservatori. Istituì il reato di abuso e lesioni personali, con l’aggravante dello scopo politico. Promosse riforme sulla parità di genere, conformemente alle tradizioni di Mandalore, con grande disappunto, ancora, dei conservatori, che avevano fatto leva fino a quel momento sulla nuova distinzione tra uomo e donna per proclamare la supremazia maschile. Di lui e dei suoi poteri si è detto tutto e il contrario di tutto. La sua morte ancora oggi è un mistero. Alcuni dicono che fosse avaro, come tutti i Kryze, e che avesse un tesoro che è scomparso con lui, sepolto da qualche parte, in segreto, nelle fondamenta di Kryze Manor. Altri, invece, dicono che sia tornato alla Luce gettandosi in una delle Porte di Kalevala, e che da quel momento sia signore indiscusso del Ka’ra. La verità, come scoprirà Obi Wan, non è forse né l’una, né l’altra.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Dar’manda: lett. colui che non è più un Mando, ovvero un traditore.

Cabur: lett. protettore.

Ka’ra: il Concilio dei Re Caduti, antico mito mandaloriano per cui le stelle rappresenterebbero i Re di Mandalore, che vegliano sul sistema dall’alto. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Il clan dei Makyntire, atavico antagonista del clan Kryze, è una mia invenzione, anche nel nome. Il duca Marmaduke è un’altra mia creazione. 

La scena del cavaliere infuocato, per chi ha letto il capolavoro di Don Rosa, è un pezzo di storia, tuttavia ho preso spunto da una tavola sola, e la storia di questo capitolo è completamente diversa da quella del racconto.

Nel corso della storia potreste trovare alcuni simboli al posto delle parolacce. Anch’essi sono presi in prestito dal mondo del fumetto, perché rendono benissimo l’idea delle parole che una bambina non può dire e che il Custode, per rispetto, non le metterebbe mai in bocca nel raccontare la sua storia.

Il Ka’ra, invece, esiste veramente in Star Wars.  

E’ la prima volta in cui il Custode fa la sua apparizione dopo il prologo. Se, però, i due personaggi vi sembrano diversi nell’aspetto fisico, ebbene, è perché sono due persone diverse.

Il mistero verrà svelato più avanti, ma per il momento vi lascio trarre le conclusioni che preferite!

Un pensiero alla povera Ortense, Il Cavallo Affumicato, che nessuno deve permettersi di ricreare nella realtà, povera bestia. 

Attendendo una vostra recensione,

 

Molly.

 

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Capitolo 7
*** 6- Manuale del perfetto Mando ***


CAPITOLO 6

 Manuale del perfetto Mando

 

Essere un Mando significa compiere vari step e superarli tutti, naturalmente. Uno di questi, è il famoso - e poco apprezzato - verd’goten. O meglio, il tanto detestato dai tredicenni. Non che non si sentissero fieri di essere Mando, beninteso, ma la prova comportava dei rischi che, a tredici anni, forse ben si potevano evitare e i ragazzi non avevano di certo voglia di essere abbandonati nel deserto o sulla cima di una montagna senza un bel niente, a doversela cavare da soli per tre giorni, dimostrando di saper combattere e sopravvivere.

Dimostrando, insomma, di essere adulti. 

Satine non era di certo da meno. Ormai, alla veneranda età di nove anni, aveva capito piuttosto bene che sarebbe stata lei, eventualmente, a succedere al padre al trono di Mandalore, e non la piccola Bo. Certo, a giudicare dal caratterino che la bambina si trovava, sarebbe diventata una brillante guerriera, ed era proprio questo che Kyla non poteva permettere. Aveva iniziato una transizione pacifica, e questo era ciò che voleva per Mandalore, dopo anni di guerra, sangue e morte. 

Satine, con il suo talento e la sua lingua lunga, avrebbe fatto al caso suo e a quello del suo popolo.

Così, la piccola duchessa aveva cominciato il suo addestramento fin da piccola, ed aveva continuato assiduamente. Suo padre, dopo le lezioni al mattino, la aspettava giù, accanto alla Sala dei Ritratti. La Sala Armi non era molto grande, a dire il vero. Alcune armature avevano trovato lì il loro posto, assieme a diversi sacchi di miglio e un grosso uomo di paglia, che veniva usato quotidianamente dalla coppia come bersaglio, per imparare quando a sparare, quando a colpire con le spade, quando ad usare i lacci dell’armatura. A volte diventava un semplice strumento su cui sfogare la frustrazione per un allenamento venuto male. 

Kyla era stato costretto a notare - e una parte di lui non si era stupito, con una madre come Vikandra - che Satine tendeva a perdere la pazienza molto facilmente. Quando lanciava il lazo e non riusciva a circondare il bersaglio al primo colpo, la bambina si lanciava in una sfilza di improperi degni di un Mando. Nella maggioranza dei casi, però, si sedeva per terra a gambe incrociate, fumante di rabbia, e si rifiutava di proseguire oltre. Kyla aveva provato, sia con le buone che con le cattive, a convincerla che non era un comportamento consono ad una duchessa, e lei non gli aveva di certo mandato a dire quello che pensava, scaricandogli addosso tutte le colpe della galassia.

Una parte di lui la capiva. Come era stato per suo padre e per altri prima di lui, nessuno aveva chiesto il loro parere per entrare in politica. Semplicemente, i Kryze erano questo, da sempre: politici, signori, rappresentanti del popolo. Godevano di caratteristiche uniche, quasi come se si trattasse di una vera e propria investitura da parte di Mandalore, e non potevano, per loro stesso destino, allontanarsi da quella via. 

Anche in questo caso, la Via di Satine era stata scelta al momento della sua nascita. Il dono che le era stato dato, inoltre, la rendeva ancora di più adatta a ricoprire il ruolo di Mand’alor. 

Quando lo accusava di aver deciso tutto al posto suo, Kyla sapeva che la piccola aveva ragione, anche se non lo avrebbe mai ammesso davanti a lei. 

Inoltre, sospettava che il suo scarso amore per le tradizioni violente derivasse anche da ciò che aveva visto tempo addietro, al momento della morte della madre.

Kyla non era del tutto certo che le due cose fossero correlate, ma da quel giorno Satine aveva sviluppato una profonda passione per la letteratura, le storie di fantasmi e la mitologia. Sulle prime aveva considerato quell’attaccamento alla fantasia qualcosa di positivo, che permetteva alla bambina di evadere dalla realtà, al pari di una bella gita in groppa a Bukephalos. Tuttavia, con il tempo aveva cominciato a sospettare che Satine cercasse qualcosa, o più precisamente, che cercasse risposte. 

Alle sue domande dirette, Satine rispondeva sempre con risposte evasive. Diceva di non ricordare esattamente che cosa era successo la sera della morte di Vikandra, e tutti i suoi ricordi sembravano interrompersi al momento in cui quel maledetto colpo di blaster aveva ucciso la donna. Kyla però non aveva potuto fare a meno di notare il posto vuoto là dove aveva sempre risieduto Ruyot, il libro delle leggende di Mandalore, un volume gigante rilegato in cuoio che nemmeno Kyla sapeva datare. 

Si era sempre chiesto se Satine non sapesse molto di più di quanto dicesse di ricordare.

Una parte di lui temeva profondamente le risposte che la bambina avrebbe potuto trovare in quel libro. Temeva che arrivasse a credere in storie come l’Akaanati’kar’oya, o che provasse a controllare la Luce, causando un disastro cosmico che avrebbe avuto eco fin fuori dall’Orlo Esterno, ma con sua grande, sorpresa, Satine non sembrava minimamente interessata ad usare il suo dono. Nemmeno durante le sue lezioni di autodifesa e di arti marziali aveva mai provato a ricorrere a scorciatoie per chiudere l’allenamento in anticipo. 

Quello che Kyla non sapeva era che Satine era assolutamente terrorizzata da ciò che stava imparando. 

Nella sua testa continuavano a risuonare le atroci parole di Angus Makyntire.

Hanno trovato la testa in riva al lago.

Mano a mano che leggeva quelle storie leggendarie, la sete di sangue del suo popolo e le conseguenze della guerra, la sua voglia di apprendere diminuiva. Il suo popolo sembrava esser bravo solo a tagliare teste e progettare bombe. Aveva abbandonato presto la storia per darsi alla mitologia, ma se possibile, quelle storie erano addirittura più spaventose. Satine non ne poteva più di divinità sconosciute, mostri che si nascondevano in fondo ai laghi, bev meshurok dai denti affilati e lance invincibili che non potevano spezzarsi, oppure spade mitologiche e cristalli luminosi. 

Quella storia, ecco, sembrava fatta apposta per lei, e Satine l’aveva letta con avidità. Narrava di una forza incontrollabile nascosta nelle viscere di Mandalore che solo un uomo dotato di incredibili capacità avrebbe potuto domare. 

Una potenza distruttiva, temibile; insomma, un po’ come quella che aveva scatenato lei.

Quel libro le aveva confuso le idee, più che chiarirgliele. La parte ancora bambina di lei era portata a credere a quelle storie, mentre la parte più ragionevole si dava della stupida solo per aver provato a credere a favole assurde come quelle. 

Se solo avesse potuto chiedere a suo padre senza destare sospetti! 

Durante uno dei loro allentamenti più duri, il duca Adonai le aveva espressamente detto che, se avesse voluto diventare una Abiik’ad come sua madre, avrebbe dovuto fare molto di più. Il punto, però, era che Satine non era più certa di voler diventare come Vikandra. Era stata una nobile guerriera, certo, e questo le faceva onore e non alterava l’immagine mitica che la bambina aveva di lei. Tuttavia, non voleva più saperne di uccidere.

Ho fatto rotolare la testa di un uomo in riva al lago, ed avevo solo sette anni. Quando ne avrò venti, potrei contare schiere di cadaveri lungo la mia strada.

La piccola ne era disgustata, e non capiva come mai suo padre, un pacifista convinto, non sposasse la sua opinione e volesse costringerla ad imparare cose che potevano ferire qualcuno, inclusa lei stessa. 

Seduta per terra a gambe incrociate dopo l’ennesimo allenamento, imbronciata e con la sua fedele borraccia stretta tra le mani, sentì la mano di suo padre sulla sua spalla.

- Sat’ika, mi spieghi che cos’hai?-

La bambina sbuffò, cacciando lontano da sé il bracciale con il lazo e la bocchetta del fuoco, e non commentò.

- Posso provare ad indovinare?-

La bambina buttò giù un sorso d’acqua e fece spallucce.

- Io credo che tu mi stia mentendo, e sai perfettamente che a me non piacciono i bugiardi.-

- Non sto mentendo.-

- Omettere la verità a volte ci va vicino, lo sai?-

- Non sto omettendo proprio…-

- Dov’è il libro, Satine?-

Ecco, quella era una domanda che la bambina non si era aspettata. Di tutte le domande che suo padre avrebbe potuto farle - perché non combatteva, che cosa ricordava, se era triste per la mamma, arrabbiata o meno - il libro non era proprio nella lista.

- Quale libro?-

- Ruyot. Quello sulle storie di Mandalore. Grosso, vecchio e terribilmente spaventoso. In biblioteca non c’è più, e so che tu vai a leggerlo nell’ultimo posto in cui qualcuno potrebbe cercarti. La cosa non mi fa felice.-

Satine sospirò, annoiata.

Suo padre non aveva capito proprio tutto.

- Non vado a leggerlo nelle fondamenta, anche se parlare con il Custode potrebbe aiutarmi.-

Kyla alzò un sopracciglio.

Una delle caratteristiche dei Kryze era la loro abilità di leggere nella mente altrui. Kyla era sempre stato molto bravo, e credeva che sua figlia non avesse segreti per lui. Certo, aveva avuto un piccolo aiuto da parte di Maryam, che aveva frugato nei cassetti, nell’armadio e nella scrivania della piccola durante una sessione approfondita, diciamo così, di pulizie. 

Era più che certo che Satine andasse a leggere il libro di nascosto nelle fondamenta, magari con quel fantomatico custode che lei diceva di avere incontrato. Il fatto che Satine avesse un amico immaginario un poco lo preoccupava, ma non poteva ancora dare delle risposte definitive.

Giravano delle voci, storie sulle fondamenta del palazzo, che lui non poteva né confermare, né negare. Non aveva mai creduto a nulla di tutto ciò, ma da quando Satine era nata erano accadute molte cose che lo avevano fatto dubitare della sua razionalità.

- E dove vai a leggerlo, allora?-

- Dietro l’armadio, in camera mia, sulle scale del passaggio segreto. Lì non mi viene a cercare mai nessuno.-

Kyla si diede dello stupido per non esserci arrivato prima. 

- Beh, complimenti per avermi battuto in astuzia.- le disse, circondandole le spalle con le braccia. - Per quale motivo lo leggi?-

- Perché mi piace. No, cioè, a dire il vero no, ma voglio delle risposte. Ho pensato che avrei potuto trovarle lì, ma credo di essere stata una grande stupida ad averlo pensato.- disse, dondolando il capo, i boccoli biondi che le circondavano il viso.

- Non è affatto stupido, mia cara. E’ normale volere delle risposte, solo che mi hai mentito, e non mi hai detto che ti ricordavi quanto successo quella brutta sera.-

Satine parve pensarci un po’ su, con la testa bassa, prima di borbottare: 

- Io non voglio - disse lei, fissando il pavimento con occhi acquosi - non voglio far rotolare la testa di qualcun altro in riva al lago.-

Suo padre capì all’improvviso qual era il problema della piccola, e capì anche che lui stesso era stato in errore, pretendendo di insegnare a Satine quelle tradizioni mandaloriane che non avrebbe mai potuto accettare e pretendendo di farlo con metodi altrettanto tradizionali.

- Satine, non è stata colpa tua. Non potevi saperlo, e comunque ti sei soltanto difesa. La Luce di Mandalore è un potere enorme, che preferirei tu non provassi di nuovo. Ha delle conseguenze, o almeno è quello che si dice.-

- Perché io?- domandò la bambina, gli occhi sgranati.- Perché io e non te? O Bo?-

Kyla abbozzò un sorriso.

- Anche io sono come te, tesoro. Solo che tu sei molto, molto più brava di me. Io posso fare giusto qualche trucchetto.-

Aprì le mani e delle piccole scintille di luce bianca circondarono le sue dita, per poi riunirsi nel suo palmo e scomparire con un lieve puff!

Satine era ammaliata.

- Quello che hai è un dono, Satine, non qualcosa di cui avere paura. L’importante, però, è usarlo con cautela. Non è qualcosa che puoi utilizzare tutti i giorni, e voglio che questo sia ben chiaro. Per quanto riguarda il resto - aggiunse lui, accarezzandole i capelli biondi platino - tu non ucciderai proprio nessuno, e nemmeno io ho intenzione di farlo. Ti sei difesa, ed è successo quello che è successo, ma adesso è tutto nel passato. Tu puoi essere diversa, puoi decidere di fare dei tuoi talenti quello che preferisci. Devi imparare, però, che sei comunque una Mando. Hai un dovere nei confronti del tuo popolo, che è quello di conservare le tradizioni. Siamo un popolo guerriero, e ne andiamo fieri, così come andiamo fieri di tutto il resto, di tutto ciò che hai letto. Possiamo cambiare le cose, ma dobbiamo conoscere, per ribaltare la situazione. E poi, non tutti sono d’accordo con noi, sai?-

- Evar?-

- Che cosa sai di Evar?-

- Niente. So che Angus lo ha nominato un paio di volte, dicendo che aveva fallito e che voleva l’oggetto con cui tu facevi magie.-

Gli occhi di Kyla erano diventati grandi come pomelli e il volto si era tinto di rosso. Con quelle semplici parole, la piccola Satine aveva dato al padre la prova definitiva che Evar Saxon aveva cercato di sterminare la sua famiglia ed aveva provato ad impossessarsi surrettiziamente della Luce di Mandalore, salvo poi essere tradito dai Makyntire ed essere messo in fuga da un fantoccio su un cavallo infuocato che si spacciava per il fantasma del duca Marmaduke. 

- Papà?-

- Sì, cara. Evar non è una brava persona, e come lui ce ne sono molti.- continuò, provando a non perdere la calma.- In questi casi, dovrai imparare a difenderti. Non significa uccidere, o gettare teste in riva al lago. Significa avere le conoscenze per salvarsi la vita e magari fuggire. E’ per questo che devi imparare a combattere. E’ un dovere verso il tuo popolo, ed anche verso te stessa.-

Satine annuì, ma ancora un dettaglio non le andava a genio.

- Avevo detto che sarei diventata una Abiik’ad, come mamma.-

- Se vorrai, potrai esserlo.-

C’erano molte cose che Satine ancora non sapeva, ma tanto le era bastato per comprendere che quello che stava facendo non era sbagliato. Così, la piccola aveva continuato ad allenarsi con suo padre, senza i nervi tesi e la frustrazione che ne caratterizzavano quelle sessioni, e diventò brava, sempre più brava, talmente brava che suo padre cominciò a rivedere Vikandra anche in lei, non soltanto in Bo Katan. A differenza della madre, però, Satine aveva un carattere più introverso e riflessivo. Studiava l’avversario prima di attaccarlo, e mirava ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Era precisa e paziente, poteva continuare a combattere per ore sfinendo l’avversario e spingendolo a caricare fino allo stremo delle forze. 

Era evidente che la piccola presentava i tradizionali tratti dei Kryze, e Kyla non poteva che esserne fiero. 

Con il passare del tempo, suo padre cominciò ad insegnarle anche molto altro. Comprese che la sete di conoscenza di Satine, forse dettata anche da una certa mania del controllo derivata dal trauma subìto, poteva essere soddisfatta solo attraverso un addestramento completo. Il che, gli tornava molto utile, visto che presto o tardi avrebbe dovuto fare di lei la duchessa ed avrebbe dovuto rispecchiare a menadito i parametri del Resol’nare

Non c’era più dubbio alcuno, infatti, che Satine sarebbe diventata la prossima leader di Mandalore. 

Almeno, non se si fosse tenuto conto dell’incredibile talento che teneva racchiuso dentro di sé.

Così, un giorno, seduti entrambi nella biblioteca ricostruita, i due si erano presi un pomeriggio di pausa, fatto di cioccolata e libri buoni. Poi, sul far della sera, si erano appostati alla finestra per guardare il tramonto sul Suumpir Darasuum. C’era un motivo se lo chiamavano così, del resto. Era un lago immenso ad alta densità, che si perdeva nell’orizzonte e che rifletteva pedissequamente il cielo come metallo lucido. In quel momento, il cielo di Kalevala, screziato di arancione e rosa come un’albicocca, sembrava estendersi fino alle porte di Kryze Manor, scivolando sull’acqua. 

Satine aveva sempre pensato che fosse la vista più bella del mondo. 

- Credo che, adesso, tu sia pronta per scoprire tutto quello che vuoi scoprire, Sat’ika.- le disse, mentre sorseggiavano la cioccolata appollaiati sulla soglia della finestra.

La bambina si era preparata per quel momento tanto atteso. 

- Che cosa vuoi sapere?-

- Perché Evar voleva uccidere la mamma?-

Kyla sospirò.

- Evar Saxon, a modo suo, è stato una brava persona, da ragazzo.-

- Come puoi dirlo, papà?-

- Perché, semplicemente, appartiene ad una vecchia cultura che molti considerano superata, ormai. A quelli come lui piace vantarsi di credere ancora negli antichi déi, in Kad’Harangir che combatte contro Arasuum, ma non farti ingannare, Sat’ika. Mandalore è cambiato molto dai tempi antichi in cui i Taung dominavano la superficie del pianeta. I tempi di Mandalore l’Indomito sono passati ormai, così come le loro divinità. Siamo diventati meno superstiziosi e più razionali, tutti quanti. Io come molti altri, del resto, ed anche Saxon è tra questi, grazie al Manda. Nonostante ami fregiarsi delle sue conoscenze - ammesso che così si possano definire - non ci crede nemmeno lui, e si trova in forte minoranza nel sistema di Mandalore. Non voleva uccidere la mamma, tesoro. Voleva ucciderci tutti, ed in nome di interessi che nulla hanno a che vedere con le tradizioni o la religione.-

- Anche te, io e Bo?-

- Soprattutto io. Tu e Bo eravate in mezzo, e per lui siete pericolose.-

Satine aggrottò le sopracciglia.

- Come faceva a sapere che io so fare le magie?-

- Non lo sapeva.- aggiunse il duca, ridendo.-  Quella è stata una reazione del tutto inaspettata. E’ per questo che ha mandato i Makyntire a cercare uno strumento per fare quello che hai fatto tu.-

- Quindi non sa che sono io a fare le magie?-

- No. Evar Saxon sa soltanto che cosa siano le armature, i blaster e le armi in generale. Brama la Luce perché vuole il potere. Secondo le leggende, come tu ben sai, all’origine di questa galassia un gruppo di pianeti si è riunito qua, in questo sistema, attraversando lo spazio per orbitare tutti assieme attorno ad uno stesso centro.-

- Mandalore?- fece la bambina, interessata.

Suo padre annuì, accarezzandole i capelli. 

- Il sistema si è formato così e, sempre secondo le leggende, il centro di questi pianeti è composto esclusivamente da un materiale specifico, una specie di sostanza vetrosa incandescente, azzurrognola, che forma dei cristalli meravigliosi.-

Satine aveva letto qualcosa in proposito. Sapeva che alcuni studiosi avevano provato a scendere giù, nelle viscere del pianeta, alla ricerca della Luce di Mandalore, e che non avevano trovato assolutamente niente se non una fascia di cristalli azzurrognoli, che presentavano in ogni caso delle proprietà molto peculiari.

- Si dice che i cristalli che sono stati rinvenuti a quelle profondità non siano altro se non la cristallizzazione di quella sostanza incandescente che compone il nucleo, e che abbiano lo straordinario potere di racchiudere la forza sovrumana della luce del nucleo stesso. Quella che, apparentemente, hai scatenato tu.-

Satine non ci capiva un granché. A detta di suo padre, lei era stata in grado di canalizzare verso l’esterno la forza del nucleo dei pianeti di Mandalore, ma non capiva proprio come mai lei, una bambina di sette anni, fosse stata in grado di farlo.

- Questo, piccola cara, è un mistero. Una cosa, però, possiamo dirla per certo. Non ho mai visto nessuno con una forza così dirompente come quella che hai scatenato tu quella sera. E bella che, di duchi, nella storia di Mandalore ve ne sono stati tanti!-

- Come si diventa Mand’alor, papà? Che c’entra la Luce?-

Kyla si lanciò in una lunga e complicata spiegazione di tutto il procedimento, osservando la faccia angosciata della bambina mentre proseguiva.

Satine ascoltò quella sfilza di prove e si sgomentò. Sapeva, ed aveva accettato, ormai, che sarebbe stata la prossima in linea di successione. Quello che non si era aspettata, però, era tutta quella lunga serie di complicazioni.

Innanzitutto, avrebbe dovuto imparare a combattere in modo eccellente. 

Poi, avrebbe dovuto affrontare un anno di addestramento con gli altri ragazzi, dopo essersi allenata con il padre. 

A tredici anni, avrebbe dovuto affrontare il famigerato verd’goten, sperando di sopravvivere. 

Poi, avrebbe cominciato la scuola politica, e parallelamente si sarebbe dovuta esercitare per le prove per il trono. 

La prima prova sarebbe stata domare un bev meshurok, in ossequio alle tradizioni secolari che vedevano i Mando cavalcare i mitosauri

Come seconda prova, avrebbe dovuto convincere tutto il Consiglio dei Saggi, con il dono dell’eloquenza e della strategia, che era adatta a ricoprire quella carica, in onore di Kad’Harangir, il tradizionale dio della violenza, certo, ma anche del progresso e avversario della stagnazione di Arasuum.

La terza prova, il bes’laar, riguardava la musica, una delle più importanti attività artistiche di Mandalore, coerentemente con la tradizione di suonare i canti di guerra col bes’bev.

Infine, avrebbe dovuto aprire la Luce, e dimostrare di essere legittimata da qualunque essenza regolasse Mandalore.

Una volta Mand’alor, avrebbe dovuto scegliere un corpo militare di cui fare parte, e Satine già sapeva che avrebbe scelto le Abiik’ade. Non avrebbe combattuto, certo, ma fare quella scelta le avrebbe permesso di continuare a volare, nonché di indossare l’armatura della madre, e così sarebbe stata felice. 

Nella mente bambina di Satine, quel processo sembrava durare una vita. 

- Ci metterò un’eternità per completare tutte le prove!-

- Ma no, cara, vedrai che il processo durerà meno di quanto credi. Il tempo passa con grande rapidità. Non volevi mollare il ciuccio, e sembra che sia successo ieri!-

Satine divenne rossa, e si rannicchiò ancora di più nel suo angolino, come per nascondersi. Kyla le diede degli affettuosi colpetti sulla testa.

Una voce imperiosa di donna giunse dal piano di sotto.

- Credo che Maryam ti stia chiamando.- disse, seguendo con l’orecchio la voce dabbasso.- Credo che sia l’ora del bagno.-

Satine si alzò in piedi e fece per raggiungere la sua nana al piano di sotto, ma la sua curiosità non era stata ancora del tutto soddisfatta.

- Papà?-

- Dimmi cara.-

- Tu hai detto che devo aprire la Luce per essere legittimata da Mandalore, ma che significa?-

- Significa che, per essere accettata come una vera Mand’alor, devi dimostrare di essere capace di controllare il nucleo di Mandalore.-

- Ma questo è strano. Io credevo che si dovesse votare, per essere legittimati, o sconfiggere il Mand’alor in combattimento.-

Kyla sorrise.

- E’ vero, bisogna votare. Il combattimento è sempre valido, ma dopo tuo nonno Gerhardt, ormai è superato. Ci sono stati molti Mand'alor legittimati con lo spargimento di sangue. Molti altri hanno ottenuto il potere col voto. Altri sono stati legittimati solo da Mandalore, e non hanno mai governato. Pochissimi sono quelli che sono riusciti ad essere legittimati dal popolo e dal sistema.-

- Chi?-

- Mandalore il Grande, Fahra Piume al Vento, Marmaduke, ed io.-

- Tutti Kryze, a parte il Grande.-

- Sembrerebbe. Non preoccuparti per il combattimento. Lottare contro la Luce è la forma di combattimento supremo. Non ci sono botte che tengano.-

La bambina annuì e se ne andò, scendendo le scale di corsa per raggiungere la sua balia.

- Già, tutti Kryze.- borbottò Kyla, guardando fuori il lago infuocato dai colori del cielo. 

- Leggenda vuole che siamo custodi di qualcosa. Qualunque cosa sia, si paga a caro prezzo.- concluse, accarezzando il ciondolo di pietra tigrata che portava al collo e pensando alla precedente proprietaria.

Sua moglie sarebbe stata fiera di Satine.

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ruyot: lett. il passato, storia. 

Akaanati’kar’oya: Guerra della Vita e della Morte, mito della creazione, un tempo creduto reale, preso alla lettera ai limiti della superstizione. Successivamente, la società mandaloriana è cambiata, divenendo più razionale ed imparando ad interpretare i miti come parabole.

Resol’nare: i comandamenti  che scandiscono la formazione di un Mando. 

Manda: sorta di coscienza collettiva, un flusso di energia che avvolge ogni persona che decida di diventare Mando seguendo il Resol’nare e, di conseguenza, entrando a far parte della comunità. Quest’idea si è diffusa successivamente alla guerra contro i Jedi, e dunque in tempi piuttosto recenti.

Kad’Harangir ed Arasuum: divinità del pantheon mandaloriano, il primo dio della guerra e personificazione del cambiamento e della rinascita, il secondo dio della stagnazione e dell’apatia. Si tratta delle divinità principali, assieme a Hod Ha’ran, il dio della sorte e del caso. Secondo le leggende, attorno al 4000 BBY Mandalore l’Indomito si recò su Shogun, e al suo ritorno annunciò di aver avuto una visione, cancellando il credo di Kad’Harangir, Arasuum e gli altri, ed elevando la guerra a divinità principale a sé stante e creando i Crociati. 

Bes’laar: lett. musica.

Bes’bev: tradizionale strumento musicale a fiato, affilato ed utilizzato anche come arma. 

 

***

NOTE DELL’AUTORE: Un capitolo che è un po’ uno spiegone, ma che serve per capire per quale motivo i Kryze, nel mio immaginario, sono speciali, e temuti. Sanno sempre qualcosa che gli altri non sanno, ed hanno sempre risorse che gli altri non hanno. Sono custodi della storia del sistema e della sua evoluzione, e conoscono anche miti e leggende minori.

Doti che torneranno molto utili alla protagonista, in futuro. 

Mandalore il Grande, Mandalore l’Indomito e i Taung sono personaggi esistenti nell’universo di George Lucas, assieme alle divinità già riportate nel vocabolario. La Luce di Mandalore, Nebrod ed altre divinità me le sono inventata di sana pianta. Il pantheon mandaloriano è analizzato solo nei Legends, a quanto mi risulta, per cui ho sentito la necessità di introdurre altri dettagli per dare corpo alla storia. 

Fahra Piume al Vento è un’altra delle mie invenzioni, ma su di lei non anticipo nulla. Tornerà prossimamente, per cui vi lascio immaginare perché si chiami così e che cosa abbia combinato.

Un ringraziamento sentito a tutti voi che leggete!

 

Molly.

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Capitolo 8
*** 7- Guerriera di pace ***


CAPITOLO 7 

Guerriera di pace

 

ATTENZIONE: In questo capitolo è presente una forma nemmeno troppo velata di pressione psicologica e aggressività verbale. Nulla di eccessivo, in ogni caso, perché non mi piace esagerare, ma siete avvisati. 

 

Satine era completamente nuova a quel mondo, e la cosa, sinceramente, la lasciava stupita ed era dire poco.

Come previsto, al suo undicesimo compleanno aveva intrapreso un anno di addestramento con gli altri ragazzi. 

Ecco, quello era proprio il genere giusto. Ragazzi

Non c’era una femmina nemmeno a volerla trovare, lei era l’unica e in virtù di ciò soggetta al dileggio continuo della maggior parte dei suoi compagni di corso.

Non aveva mai avuto paura ad allenarsi con suo padre. Era una bambina forte, anche se non matta sperticata come sua sorella Bo, e si trovava generalmente bene in compagnia degli uomini. Le sue amiche a scuola le erano molto care, ma avevano la riprovevole tendenza ad essere vipere. Parlare alle spalle era una costante, piccoli dispetti ed ammiccamenti che non facevano altro che farla innervosire, quando lei voleva soltanto restarsene calma al suo posto. I ragazzi, invece, erano diversi. Aprivano la bocca e davano fiato, senza paura di dire quello che pensavano. Litigavano, puntualmente, e il giorno dopo lei e i maschi erano amici come prima, senza rancore. A volte erano addirittura venuti alle mani - anche se lei ne era stata fuori - e si erano sempre perdonati tra di loro. Un tratto di sincerità ed onestà che Satine sapeva apprezzare. 

Il primo giorno in cui aveva partecipato a quell’allenamento, era stata messa in fila con gli altri. I ragazzi svettavano di un buon palmo sopra di lei, che invece doveva sporgere la testa a destra e a manca per riuscire a vedere l’istruttore Gol, un energumeno grosso come un armadio che pareva scoppiare sotto l’armatura di beskar. Aveva la pessima abitudine di sputare mentre parlava, e Satine era sicura che, se non avesse avuto paura di essere fatta a fettine, gli avrebbe dato il fatto suo per tutti gli sputi che si era presa durante le sue sessioni di urla. Tuttavia, il cranio mondo e brillante come una palla da bowling la faceva ridere, e preferiva, in alternativa al suonargliele di santa ragione, ridersela tra sé e sé. 

Aveva indossato un surrogato del beskar della sua famiglia. Era chiaro che non poteva entrare in una beskar’gam completa, non ancora. Satine, inoltre, era talmente scricciolo che avevano dovuto imbottirla di più per fare in modo di non perdere i pezzi per strada. Così combinata era il principale diletto dei suoi compagni di corso, ed anche il suo istruttore sembrava averla presa di mira.

Quell’uomo, oltre ad essere un enorme pallone gonfiato, aveva anche un altro grande, grandissimo difetto agli occhi di Satine.

- Avevo chiesto che mi fossero assegnati soltanto uomini.- le disse, anzi, le urlò in pieno viso, mentre Satine ricambiava lo sguardo, confusa.

- Come accidenti pretendono che io faccia il mio lavoro se non mi ascoltano mai? Non ti allenerò, ragazzina. Io mi confronto solo con ragazzi forti, che possono diventare uomini forti. Tu sei solo una ragazzina debole, e gracile, nonostante tutta l’imbottitura che ti hanno messo per farti sembrare più grossa di quello che sei. Puoi anche salire di nuovo sul tuo bel pony, carina, non hai niente da fare, qui.-

- Il mio nome è Satine Kryze di Kalevala, sono stata mandata qui da mio padre il duca per essere addestrata alle Vie di Manda…-

- Per me puoi anche essere figlia di Kad’Harangir. Per quanto mi riguarda, tu non dovresti nemmeno stare qui. Torna a casa a tirare le gonne della tua nutrice, bambina. E’ quello il tuo posto. Solo veri uomini possono indossare del beskar, e tu non lo sei.-

Satine era convinta che se avesse saputo tutto quello che le stava passando per la testa in quel momento, il buon istruttore l’avrebbe considerata sicuramente un’eccellente Mando, se non altro per la padronanza dei suoi insulti coloriti. 

Se ti bucassi con uno spillo, ti sgonfieresti come il pallone gonfiato che sei, e di te resterebbe solo un mucchietto di ossa e muscoli flosci sotto il beskar di cui ti vanti tanto, razza di #@*//°§!!! 

Satine imparò presto che, comunque, il nome di suo padre le avrebbe aperto molte porte. 

Così, si era messa imperterrita in fila dietro i suoi compagni ed era entrata nell’accampamento insieme a loro. 

L’istruttore aveva provato a bloccarla, e lei gli aveva detto chiaramente che non poteva andarsene senza chiamare suo padre che la venisse a prendere. 

- Vogliate cortesemente accompagnarmi al commlink, affinché io possa informare casa dei motivi per cui la mia permanenza in questa sede non è ammessa e liberarvi dall’impiccio della mia presenza.- gli aveva detto, facendo i suoi migliori occhi innocenti. 

L’istruttore le aveva consegnato un commlink, e lei aveva fatto quella famosa chiamata.

Non seppe mai che cosa successe tra gli alti papaveri del centro di addestramento. Seppe soltanto che il giorno dopo lei era ancora lì ad allenarsi, ed il giorno dopo ancora, ed ancora. Certo, le cose non erano semplici. L’istruttore voleva evidentemente farle pagare il fatto di chiamarsi Kryze. Una bambina di undici anni gli aveva probabilmente inflitto la più grande umiliazione della sua vita, e se non era riuscito a mandarla via per protocollo, di certo sarebbe riuscito a convincerla ad andarsene. Renderle la vita impossibile sembrava la sua principale ragione di vita, e qualche ragazzo, forse sentendosi ferito nell’orgoglio dal fatto che una femmina potesse riuscire meglio in alcune circostanze, si era sentito incaricato del gravoso compito di spalleggiare l’istruttore.

Prova a coprire le spalle ad uno grosso come l’armadio dei cimeli giù in cantina.

Una delle prime prove a cui erano stati sottoposti i cadetti consisteva nel superare un percorso ad ostacoli. Erano fondamentali velocità, precisione, forza e una grande agilità. I ragazzi saltavano qua e là, aggrappandosi alle parallele e zompando dentro cerchi luminosi. Satine, invece, aveva dovuto fare i conti con ben altro. Essendo decisamente più tappa degli altri, non le bastava saltare per aggrapparsi alle parallele. Per quanto ci provasse, per lei era praticamente impossibile eguagliare lo sforzo fisico a cui erano sottoposti i suoi compagni. Era consapevole di essere all’altezza del compito, tuttavia agli occhi dell’istruttore Satine era soltanto una bambina piccola, le cui dita continuavano a scivolare inesorabilmente sul freddo metallo della parallela.

Successivamente, le era stato insegnato a combattere con i bastoni. In questo, lei era brava, ma dovette presto ammettere che suo padre le aveva risparmiato i colpi più duri. I suo compagni menavano le peggiori randellate che avesse mai preso, e per quanto provasse a proteggersi continuavano a distruggerle il bastone, volta su volta. Per l’istruttore, Satine cominciava a diventare anche un vero e proprio dispendio di denaro, per tutti i bastoni che aveva distrutto restando sulla difensiva. 

A poco servirono le sue proteste.

Insomma, allenamento va bene, ma i suoi compagni potevano anche evitare di attaccare come se lei rappresentasse il peggior cacciatore di taglie della galassia.

- Pensate di poter dire di essere la figlia del duca, quando i cacciatori vi attaccheranno? No, signorina bella, a loro non importerà un fico secco, e sarà solo una scusa per darvele più sode! Adesso tirate fuori gli attributi, o tornate a nascondervi da paparino. Detto tra noi, sarebbe la scelta più saggia che abbiate mai fatto!-

Poi, avevano imparato a nuotare. Per una insana congiunzione astrale sfavorevole, il loro istruttore aveva ritenuto saggio farli allenare nel fiume, un dedalo di correnti ghiacciate noto con l’infausto nome di Yustapir kyr’am aaray.

Fiume della morte dolorosa.

Di fronte a quel funesto presagio, anche qualche ragazzo si era ribellato, ma non aveva ottenuto l’effetto sperato. Il secco rifiuto dell’istruttore di cambiare programma era stato provvidenziale per Satine. Alcuni maschietti avevano ritenuto più saggio camminare nelle scarpe della ragazza, piuttosto che in quelle dell’istruttore, anche se si erano guardati bene dal dirglielo. 

Satine in quel momento aveva compreso che, per alcuni maschi, indipendentemente dall’età, ammettere di avere sbagliato era fuori questione. Imparò a leggere i piccoli cambiamenti, gli ammiccamenti che cercavano di farle capire più di quanto il loro coraggio permettesse loro di esprimere. Per quanto la riguardava, andava benissimo così. Aveva imparato a rispondere loro con altrettanti non detti ed ammiccamenti, e per una volta tutti andarono d’accordo con tutti durante gli allenamenti.

Il nuoto in particolare si era dimostrato il campo di Satine. L’aria come l’acqua rappresentavano due costanti della sua vita: l’aria la libertà, l’acqua il relax, e la ragazzina era abituata a sguazzarci dentro, contenta. Aveva sempre nuotato nel Suumpir Darasuum, in primavera ed in estate, e mai aveva pensato di trovare qualcosa di più freddo delle sue acque. Invece, lo Yustapir aveva dimostrato di essere un blocco di ghiaccio liquido dentro il quale nuotare e soprattutto presentava numerose insidie che Satine non aveva mai avuto modo di affrontare durante le sue nuotate nel lago. Correnti violente e pericolose erano pronte a trascinarla via in qualsiasi momento. Quando aveva cominciato a nuotare davanti a Kryze Manor, suo padre si era prodigato a farle presente che il pericolo principale del lago non era tanto l’acqua, quanto ciò che ci viveva dentro. Era capitato più di una volta che grosse creature acquatiche sbucassero dalle sue profondità ed affondassero qualche barca. Nessun mostro marino, beninteso; semplicemente il demagolka shosenla, o qualche tronco vagante rimasto impigliato nel fondale che le correnti sottomarine facevano andare su e giù. Nemmeno qualche vortice era mancato ogni tanto, ma per lo più si poteva dire che il Suumpir Darasuum fosse un luogo tranquillo, dove la maggior parte delle volte il cielo si specchiava perfettamente nell’acqua, e fine della storia. 

Nella morte dolorosa, invece, c’erano un sacco di correnti, e molto forti anche, che facevano rotolare grossi ciottoli a valle. Finirci dentro era un attimo, e non erano mancate le occasioni in cui l’istruttore e i suoi collaboratori erano dovuti andare a prendere i ragazzi con la canoa, letteralmente inseguendoli giù per le rapide. 

Satine, a quel punto, per evitare di fare la solita brutta figura e soprattutto per evitare di lasciarci la pelle, era giunta alla conclusione che le avrebbe cambiato la vita.

L’acqua era un elemento che lei non poteva controllare, lo sapeva, e non era intenzionata ad usare forze soprannaturali di cui sapeva poco o niente. Le sue braccia, per quanto magre e sottili, erano forti a sufficienza da permetterle di opporre una piccola resistenza, e forse tanto le sarebbe bastato, se avesse avuto un buon piano.

Così, dopo aver saggiato le correnti la sera prima affondando le gambe dentro la riva e dopo aver misurato accuratamente la profondità dell’alveo, al momento di fare il primo tuffo in allenamento Satine si era presentata con due grossi bastoni acuminati legati attorno alla schiena. 

Il gruppo aveva riso, e l’istruttore non si era astenuto dal dirle che aveva sbagliato classe. 

Satine non si era data per vinta. Si era posizionata sulla sponda assieme agli altri, pronta ad attraversare il fiume, e l’istruttore le aveva urlato che non le sarebbero serviti i remi.

Scoppio di risa generali, ma forse qualche ragazzo aveva cominciato ad intuire che la pulce aveva capito qualcosa che loro non avevano previsto.

Al fischio dell’istruttore, i ragazzi si erano tuffati. 

Satine aveva nuotato spedita, superando rapidamente gli altri di una buona spanna e recandosi al centro del fiume per prima. 

Era proprio in quel punto che le correnti cominciavano a giocare scherzi, e non appena Satine si era resa conto di aver perso di vista il suo masso di riferimento sulla riva, aveva sganciato il primo bastone e lo aveva conficcato con tutta la forza che aveva nel fondo roccioso. 

La corrente voleva portarla via, ma la ragazzina restava saldamente ancorata al suo arpione. Aveva sganciato anche il secondo, e via così, un passetto dopo l’altro, ancorata al fondale come se non ci fosse un domani.

Era arrivata alla sponda per prima, accompagnata dai suoi fedeli trampoli improvvisati, sotto lo sguardo sbigottito dell’istruttore e di buona parte dei suoi compagni di classe.

Alcuni la accusarono di aver barato, ma Satine si rese presto conto di un cambiamento nel comportamento dell’istruttore. Non l’aveva mai ritenuta all’altezza, e ancora la considerava scarsa, ma le riconosceva di aver fatto del suo meglio con quello che aveva a disposizione, e di essersela cavata. 

Nessuna parola di conforto sarebbe mai venuta dalla sua bocca, o un complimento, e di questo lei ne era a conoscenza. 

La prima volta che suo padre era venuta a prenderla, Satine era reduce da una sessione di combattimento corpo a corpo. Hai fatto a botte!, le aveva urlato Maryam, e Satine era certa che l’avesse udita l’intero accampamento. Non era certo un bel vedere. Aveva un occhio nero e gonfio, un labbro spaccato e le mani e le unghie sporche di terra. La sua nana era già partita, pronta per la pugna, quando suo padre l’aveva fermata e si era fatto raccontare gli eventi per benino.

- Sono fiero di te, Sat’ika.- le aveva detto, accarezzandole la testa.- Sapevo che avresti capito. Purtroppo, quando ho saputo il nome dell’istruttore, era già troppo tardi. Ti avrei iscritta ad un corso più adatto a te. Non si può pretendere che il corpo di un ragazzo e quello di una ragazza siano forti allo stesso modo. Siamo biologicamente diversi, anche se abbiamo uguali possibilità. Lo sforzo fisico dovrebbe essere adeguato, ma non per tutti questo è segno di civiltà ed uguaglianza, anzi, per gente come il tuo insegnante, è un segno di debolezza. Tu gli hai dimostrato di eccellere là dove quelli come lui fanno costantemente fiasco.-

Il duca si era toccato la fronte.

- Il cervello. Non sei una Kryze per niente, mia cara.-

- Mi sembra di barare.-

- Tu non bari proprio, nemmeno per scherzo! Quelli come lui si dimenticano che in guerra e in amore tutto è lecito. E’ vero, di sicuro non potrai nasconderti dai cacciatori di taglie dicendo che ti chiami Satine Kryze, ma potrai fare in modo che si ricordino il tuo nome, e non sempre partire in quarta a colpi di blaster è il modo giusto per farlo. Invece che affrontare l’ostacolo di petto, come quel nerboruto fa quotidianamente, tu ci hai girato intorno. Quello che lo ha stupito è che tu abbia ottenuto lo stesso risultato, anzi, che tu abbia ottenuto più degli altri. E puoi stare certa, che da questo momento in poi si ricorderà il tuo nome.-

Satine si era convinta di essere sulla strada giusta. Prima di lasciarla, dopo quel breve incontro, suo padre aveva ancora qualche perla di saggezza da darle.

- La tua è una mente brillante, Sat’ika. Non sei una Kryze per caso.- e le aveva strizzato l’occhio.- Abbi rispetto per le regole, sii onesta, ed avrai rispetto per te stessa. La linea fra la strategia e la disonestà può essere sottile, ma sono certo che tu non la valicherai mai. E quando quell’armadio ambulante verrà da te con tutte le sue pretese, fai in modo di ricordargli che sei una mezza Abiik’ad. L’ultima volta che ha combattuto contro Vikandra ha gettato le armi. Lo ricordo bene.-

Quando Satine si metteva in testa una cosa, la portava a compimento, e non aveva la più pallida idea di quando fosse il momento di piantarla. 

Dopo sei mesi, però, il suo istruttore aveva scoperto definitivamente le carte.

Le aveva consegnato Bukephalos e l’aveva invitata ad andarsene.

- Sei una donna. Sei debole. Non diventerai mai un guerriero. Vattene.-

Era rimasta con la cavezza in mano, congelata dalla desolazione, ferma a guardarlo. 

Non avrebbe pianto. No. Non di fronte a lui. Non desiderava nient’altro, quel bestione, che vederla cedere per avere conferma del fatto che lei era solo una femminuccia. 

Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. 

Così, si era messa in fila assieme agli altri per il percorso ad ostacoli.

L’istruttore le aveva urlato contro di andarsene a casa.

Satine non si era mossa. Avrebbero dovuto portarla via di peso da lì.

Gol aveva dato l’ordine al ragazzo accanto a lei di spingerla via.

Quello, candido candido, se ne era uscito con un secco nossignore.

- Come, prego?-

- Nossignore!-

- Non ho capito bene.-

- NOSSIGNORE!-

Per punizione fu costretto a fare cinquanta giri di campo di corsa. Satine si era sentita in colpa, perché aveva pagato per una presa di posizione che lei stessa aveva messo in atto. La colpa sarebbe dovuta ricadere su di lei, ma evidentemente era normale che gli altri pagassero per le sue scelte.

Come sua madre.

Satine Kryze, però, decise che ne aveva avuto abbastanza. 

Quel giorno fu uno dei più epici che quell’accampamento avesse mai visto. 

Satine aveva fatto due più due, ed aveva capito che aveva un modo ben preciso per superare quelle difficili prove. 

Così lo aveva messo in pratica.

I punti di forza degli altri ragazzi erano la forza e la resistenza.

I suoi erano la logica e l’agilità.

Dosando le energie nel modo giusto, Satine sarebbe potuta essere resistente quanto loro, e usando il cervello sarebbe anche potuta essere l’ultima a rimanere in piedi.

Così, quel giorno, Satine perse la pazienza, e decise di dimostrare a tutti di che pasta era fatta la piccola Kryze, e che sua madre Vikandra sarebbe stata fiera di lei.

Al fischio d’inizio, i ragazzi si lanciarono contro la prima parallela. Avevano saltato, e si erano appesi, pronti a penzolare come scimmie tra una parallela e l’alta fino all’ostacolo successivo.

Satine sapeva che era proibito utilizzare dei mezzi per saltare più in alto, come trampolini, molle od elastici.

Nessuno, però, potè dire niente quando, dopo una breve rincorsa, zompò sul palo, e da lì si lanciò sulla parallela, aggrappandosi con successo. Spinse le gambe in alto, per avere maggiore momento di spinta, e si aggrappò alla parallela successiva, e poi ancora, ed ancora. Sfruttò la gravità per dondolare più velocemente e con una spinta ancora maggiore.

Fu sull’ultima parallela quando il resto del gruppo era ancora a metà. 

Scartò in avanti e saltò sulla trave. 

Era un rettilineo che anche gli altri percorrevano facilmente. Satine aveva bisogno di un margine maggiore, e il segreto era tutto nel terreno.

La ghiaia fa attrito, e scivola sotto le scarpe, specie quando è umida, facendo perdere centimetri preziosi al corridore.

L’aria non fa attrito.

Così, mentre gli altri scendevano dalla trave e scivolavano inesorabilmente nella ghiaia, Satine spiccò il volo, ed atterrò venti centimetri buoni di fronte agli altri con un perfetto salto all’indietro. 

Mosse qualche passo, correndo all’indietro in modo da tenere la ghiaia stabile sotto i piedi, e poi via, di nuovo, verso l’ultima parallela, questa volta doppia, due pali di metallo sulla stessa impalcatura. Saltò sul palo e poi su, di nuovo, e invece di infilarsi nel mezzo ai due grossi tubi, Satine, in piedi sulla prima parallela, si chiuse come un panino. Mani tra i piedi e testa in giù, si srotolò come un gatto fino a toccare terra, in un secondo. Scartò di nuovo in avanti, pronta per saltare i tronchi. Non si fermò nemmeno. Lanciò la gamba sinistra in alto e lasciò che la fisica e la gravità facessero il resto. Sfruttò il momento del giro per ripetere il salto ancora ed ancora, fino all’ultimo tronco. Saltò agilmente dentro i cerchi luminosi, che non le avevano mai dato grossi problemi, e con un solo balzo si attaccò alla corda, arrampicandosi con tutte e due le mani verso l’altro ed impadronendosi per prima dell’arpione di ferro piantato alla vetta della sua scalata.

Poi, si sedette sul trave ed attese.

I suoi compagni erano indietro, ed anche parecchio, ed alcuni si erano fermati in mezzo al percorso per guardarla mentre senza aggirare le regole li batteva tutti sul tempo.

L’istruttore Gol aveva perso il fischietto per lo stupore.

Da quel giorno, Satine fu rispettata, come mai lo era stata, dai suoi compagni. Aveva scoperto di saper confondere l’avversario con i bastoni padroneggiando un eccellente mulino a vento. Aveva un’ottima mira con i blaster e le sue scampagnate con Bukephalos le avevano insegnato a calcolare la forza del vento e la deviazione dei colpi. Il fiume non la spaventava più. Sollevare i pesi era più facile con un bel paio di leve, e nel corpo a corpo aveva sempre cura di scegliersi i compagni più grossi e più impacciati nei movimenti. Sì, forse in questo aveva barato un poco, ma aveva sempre combattuto lealmente ed aveva vinto con grande fatica, dando il meglio di sé, per cui si sentiva alla pari dei suoi avversari, come se fossero stati svantaggiati entrambi. 

Fu all’esame finale, davanti agli esaminatori esterni, che Satine però diede il massimo.

Resosi conto che la ragazzina aveva alcuni dei voti più alti del corso, l’istruttore pensò bene di sfidarla in un duello chiaramente squilibrato, talmente tanto che persino un esaminatore protestò. 

Si schierò apertamente contro di lei, sul campo, con la solita scusa.

- I cacciatori di taglie non ti permetteranno di scegliere un avversario della tua costituzione. Difenditi!- le aveva gridato, lanciandosi contro di lei. 

Satine scartò di lato, ma quell’uomo era talmente grosso che balzare via le costava un enorme sforzo. Una volta, due volte, tre volte, poi riuscì a passargli agilmente sotto le gambe e a fargli lo sgambetto, facendolo andare giù come un birillo. 

Quello si rialzò, più furibondo che mai, e la afferrò con una mossa a tradimento, cingendole il collo con l’avambraccio e tenendola stretta a sé, rischiando di soffocarla.

Quello che l’uomo non sapeva, però, era che Satine aveva di recente appreso che i muri potevano essere dei validi alleati, fosse anche solo per camminarci sopra.

Così, la ragazzina, presa la spinta, piantò i piedi contro il muro e corse verso l’alto, lanciò le gambe oltre la testa, afferrò il collo dell’istruttore con la mano libera e lo colpì pesantemente con le ginocchia sulle spalle, mentre la sua testa bionda scivolava via dalla sua presa, sotto l’avambraccio. 

L’uomo perse l’equilibrio e cadde a terra, trovandosi la testa stretta tra le gambe della piccola Satine e il suo piccolo pugno ben piantato, fermo sotto il mento, a pochi centimetri dal suo collo.

Quando la bambina se ne andò con il suo diploma, suo padre fu l’uomo più felice del pianeta. Le altre famiglie lo guardarono con meraviglia, compiangendo con lui la povera Vikandra e rallegrandosi che la bambina avesse preso da lei.

- Oh, certo, ha il sangue delle Abiik’ade nelle vene, ma ha anche il cervello dei suoi antenati, vero, Sat’ika?-

L’aveva riportata a casa, felice, dopo un anno di lontananza, e Satine, ormai dodicenne, non vedeva l’ora di tornare a farsi fare la cioccolata in tazza dalla sua nana e a stuzzicare Bo Katan. 

Da quell’esperienza disastrosa, Satine aveva capito un po’ di cose.

La prima, era che chi la dura - e rischia un poco - alla fine la vince.

La seconda era che, per quanto brava potesse essere, preferiva la vita tranquilla e ritirata di Kryze Manor e la pace che suo padre voleva costruire. Il fango, il freddo e l’antagonismo non facevano per lei.

La terza, era che gli uomini erano disposti a dire tutto e il contrario di tutto, a seconda dell’occasione.

Già, perché il buon istruttore Gol non aveva fatto altro che parlare di lei, e non avrebbe fatto altro per molti anni a venire.

- La vedete quella lì, la Kryze? La vedete tanto carina, così, assisa in trono come se fosse fatta di sasso, ma quella è un demonio, ve lo dico io. C’è solo da ringraziare che ha scelto di fare la pacifista, perché se avesse imbracciato le armi le avrebbe suonate a tutti! Dico, l’ho addestrata io, no?-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Beskar’gam: armatura.

Yustapir kyr’am aaray: lett. fiume della morte dolorosa.

Demagolka shosenla: terrore sommerso, mostro marino che affonda le navi che solcano il Suumpir Darasuum. 

 

***

NOTE DELL’AUTORE: Mi raccomando, tutto ciò che è scritto qua dentro è inventato o ispirato a forme di arte marziale che non devono essere assolutamente replicate!

A rischio di scadere nell’ovvio, preferisco specificarlo. 

NON FATE NIENTE DI TUTTO QUESTO A CASA!

Il messaggio del capitolo è che il cervello conta più della forza bruta, e che la consapevolezza di sé e degli altri rende migliori. Le generalizzazioni non valgono a nulla e le persone contano nella loro umanità, indipendentemente dal loro modo - più o meno stereotipato - di esprimerla. La gente parla, non sa di che cosa parla, ma parla lo stesso, e alla fine noi siamo i soli che possiamo essere giudici di noi stessi, migliorare i nostri difetti e, quando non si può fare diversamente, imparare ad aggirarli.

Moraleggiante? Sì, al punto tale che alcuni personaggi possono apparire stereotipati, ma il personaggio di Satine è sempre stato intriso di etica, e da qualche parte dovrà pur averla imparata.

E i Mando sono un po’ sadici. 

Aspetto le vostre recensioni!

Vostra, 

 

Molly.

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Capitolo 9
*** 8- Il verd'goten ***


CAPITOLO 8 

Il verd’goten

 

Kyla Adonai Kryze passava la sua vita in costante preoccupazione. 

Le tensioni allo Tsad Droten non avevano mai accennato ad affievolirsi sin dall’inizio del suo secondo mandato, ed in quel momento Evar Saxon lo stava assillando più che mai. 

Da quando aveva scoperto che era stato lui ad ordire l’attentato contro la sua famiglia, che era costato la vita della sua amata Vikandra ed aveva quasi ucciso le sue bambine, Kyla non era più riuscito a guardarlo con gli stessi occhi. L’odio, il rancore e il risentimento gli chiudevano la gola ogni volta che lo vedeva.

Fare l’opposizione era un lavoro difficile, e la Forza sola sapeva quanto Kyla avesse tribolato nei suo anni da Vecchio Mandaloriano tendente al Nuovo. Capiva la posizione dei Saxon e capiva che l’unico modo che avevano per continuare ad esistere era fare rumore. 

Legittimava la dialettica politica, dunque, ma non l’omicidio e il massacro. 

Nulla poteva costare la vita di una donna e di due bambine innocenti. 

Se non fosse stato per Satine, che aveva fatto quello che aveva fatto a suo tempo, probabilmente lui in quel momento sarebbe stato un uomo finito.

Satine, però, aveva tredici anni ormai, e si stava preparando a superare il verd’goten. Kyla - nemmeno a dirlo - non era contento. Non aveva niente da ridire sul rito di passaggio (che trovava a tratti obsoleto, ma che, in quanto tradizionale, continuava ad approvare), semmai, aveva da ridire sulla situazione politica in cui suddetto rito di passaggio stava per avere luogo.

Satine non poteva saperlo, e Kyla non era nemmeno certo che avesse intuito qualcosa. Le aveva tenuto nascoste un bel po’ di cose, come il fatto che aveva avviato un’inchiesta interna basata principalmente sugli indizi che sua figlia gli aveva fornito, spacciandoli per il contenuto di una soffiata anonima. 

Quello che aveva scoperto lo aveva lasciato interdetto.

Alcuni fatti gli erano già noti: i cacciatori di taglie erano morti tutti ed Evar Saxon aveva pubblicamente ammesso di aver sottovalutato Vikandra e le sue capacità. Kyla si era avvalso dell’aiuto di un uomo, un parlamentare che dopo l’attentato aveva cambiato casacca per passare allo schieramento dei Kryze, per scoprire il resto. 

Stando a quanto egli gli aveva riferito, Saxon aveva immaginato che sua moglie, dopo due bambine, non fosse più in grado di combattere, che si fosse rammollita, insomma. Non si era aspettato che Vikandra fosse ancora in grado di fare fuori sei dei sette cacciatori di taglie che le aveva spedito a casa. I Makyntire, da tempo in crisi economica, si erano offerti di fornire informazioni sulla morte dell’ultimo cacciatore e sull’esplosione, e in quel modo Saxon era giunto alla conclusione che non si era trattato di una granata esplosa per caso, come Kyla aveva fatto in modo che si dicesse in giro. Si era persuaso che qualcuno avesse aperto la Luce di Mandalore e così, dietro una promessa di un lauto compenso, li aveva indotti ad introdursi all’interno di Kryze Manor per impossessarsi del giocattolo con cui il duca avrebbe, secondo lui, aperto la Luce, ritenendolo incapace di farlo da solo. 

Inutile dire che anche il secondo tentativo di intrufolarsi nella sua vita privata era finito male, e stavolta non ad opera delle straordinarie doti belliche di sua moglie, bensì per l’inventiva e la fantasia di una bambina.

Da quella volta, Evar Saxon era stato fin troppo calmo. Non che si fosse ritirato nelle retrovie; no, anzi, allo Tsad Droten era carico come una molla, pronto a balzare in piedi per opporsi a qualunque tentativo del duca di portare pace e progresso sul sistema. Gli attacchi alla sua persona, tuttavia, erano ampiamente diminuiti, fino a che Satine non era stata grande abbastanza da partire per il suo anno di addestramento.

Quando aveva scoperto che era stato lo stesso Saxon ad opporsi all’ammissione delle ragazze, si era reso conto che l’operazione poteva essere rivolta solo ed esclusivamente contro Satine, allo scopo di danneggiarla. Lo stesso Gol, un bestione grosso come un armadio che aveva raccomandato per il ruolo di istruttore, era famoso per essere uno dei suoi e, purtroppo, un fervente sostenitore del gruppo terroristico della Ronda della Morte. 

Che fosse un caso era piuttosto improbabile, per non dire impossibile. 

Così Kyla, che già era preoccupato di suo, si era agitato ancora di più quando aveva compreso che il nuovo target di Evar Saxon non era più lui, ma sua figlia Satine.

Il verd’goten si svolgeva tradizionalmente seguendo dei canoni ben precisi. I ragazzi dovevano dimostrare di sapersela cavare da soli, per tre giorni, senza alcun sostegno, se non quello delle loro abilità e delle poche armi che erano autorizzati a portare con loro. Dovevano costruirsi un riparo, dei vestiti, eventuali armi e suppellettili aggiuntivi, nonché trovare l’acqua e in buona sostanza tutto ciò che era necessario ad un essere umano per sopravvivere. La prova si sarebbe svolta in un ambiente tendenzialmente ostile scelto a sorte tra la montagna più o meno innevata, la prateria, la foresta più o meno tropicale, il deserto, il litorale.

Insomma, ogni ambiente disponibile sul sistema di Mandalore.  

Satine si era esercitata con lui, e Kyla era stato molto attento a che la sua bambina fosse preparata a tutte le evenienze. Purtroppo, però, per quanto Satine fosse piena di risorse, aveva dei punti deboli, e Kyla era certo che se Evar Saxon ci si fosse messo d’impegno avrebbe trovato il modo di far sorteggiare l’unico ambiente in cui la piccola faticava a resistere. 

La neve.

Sembra quasi assurdo che una ragazzina nata e cresciuta su Kalevala, che d’inverno diventa una grossa palla innevata galleggiante nell’universo, temesse il freddo, eppure era proprio l’ambiente che la piccola Satine sopportava di meno. Forse per la sua costituzione gracile e minuta, il freddo si impadroniva di lei immediatamente, le labbra le diventavano subito viola e le unghie blu. Soggetta all’ipotermia, la priorità di Satine era quella di restare coperta, ed il verd’goten non l’avrebbe permesso. Avrebbe dovuto cacciare un animale e ricavare dei vestiti dalle sue pelli per sopravvivere, e non era scontato trovare una bestia con pelliccia sufficiente a scaldarla a quelle latitudini.

Ammesso che sopravviva allo scontro con essa.

Anche il caldo eccessivo e l’umidità la sfinivano, ma in qualche modo riusciva a gestirli meglio. Non c’era bisogno di coprirsi con il caldo e l’umido, e la fame andava e veniva. 

La sensazione che sua figlia non avrebbe avuto fortuna aveva cominciato a tormentarlo da un pezzo, ormai, dopo i sorrisi lascivi in corridoio e l’apparente tranquillità nei palazzi del potere. 

Il sospetto che Evar Saxon sapesse di quanto Satine fosse potente si era affacciato alla mente di Kyla, ed era stato prontamente rimosso. Anche quando aveva incaricato i Makyntire, il vecchio volpone non aveva cercato lei, bensì uno strumento, il che significava soltanto che attribuiva a lui e non a Satine tutti i mali di Mandalore.

Non c’era giorno in cui Kyla non pregasse il Manda che così fosse.

Quando il giorno del verd’goten arrivò, un nutrito gruppo di giovani si riunì, armato e coperto alla meno peggio, presso il Tempio della Luce di Sundari, dove sarebbe avvenuto il sorteggio ambientale e poi da lì una grossa nave spaziale li avrebbe condotti al luogo della prova.

Kyla, in piedi dietro a Satine, le mani sulle sue spalle, era particolarmente nervoso. La vista di Evar Saxon con suo figlio Gar e l’aria di apparente tranquillità che questi aveva sul volto lo avevano fatto agitare ancora di più, e una brutta sensazione di costrizione si era impadronita del suo stomaco per non lasciarlo più.

Il Sommo Sacerdote - Satine pensò che non si fosse tagliato la barba e i capelli dai tempi della pubertà - infilò una mano lunga e nodosa dentro ad un sacco di pelle ed estrasse un bigliettino stropicciato. Lo dispiegò, poi lo avvicinò e lo allontanò dal volto per mettere a fuoco.

Satine pensò che gli servissero un paio di occhiali.

- La prova quest’anno si svolgerà su un ghiacciaio. Che i candidati si rechino immediatamente al Ruus Uj’ayl!- 

Kyla chiuse gli occhi, inalò ed espirò per controllare la grande voglia che aveva di venire meno a tutti i suoi principi pacifisti e prendere a pugni in faccia Evar Saxon mentre sghignazzava come se avesse sentito la più bella barzelletta di tutti i tempi. Satine parve rendersene conto e fissò il padre in cerca di una spiegazione.

Non poteva perdere la pazienza. Non davanti a lei.

- Non preoccuparti, Sat’ika, sono certo che ce la farai, anzi, certissimo. Non può essere peggio di Gol, no?-

Nulla poteva essere peggio di Gol, o almeno così Satine credeva. 

Annuì e mandò i boccoli biondi da tutte le parti con energia. 

Lanciò un’occhiata ai Saxon, cercando di capire che cosa animasse tanto l’astio che quel giorno suo padre covava per quell’uomo. Era un piccoletto tarchiato e pelato come una palla da biliardo. In qualche modo, le ricordava quel bestione del suo istruttore, ma di per sé era piuttosto anonimo. Tuttavia, una luce curiosa brillava nei suoi occhi.

O meglio, nei suoi occhi c’era la luce del nulla. 

Erano piatti e vitrei, come biglie azzurre. Non c’era niente dentro, non un segno di gioia, o soddisfazione, o tristezza. Il vuoto più completo. Satine, però, poteva vedere dalla mobilità delle sue pupille e dal ghigno sguaiato che si distendeva sul volto mano a mano che si dirigevano verso l’astronave che l’uomo stava gongolando, e anche di gusto, e che gli ingranaggi della sua mente stavano ancora lavorando.

E, non seppe perché, in quel momento ebbe paura.

Si guardò attorno, come per controllare di non essere seguita. Alzò lo sguardo e si rese conto che suo padre stava facendo lo stesso, scansionando i tetti circostanti.

Satine cominciò a sospettare che qualcosa, nel suo verd’goten, non stesse andando per il verso giusto.

- Andrà tutto bene, papà?-

- Certo, amore mio.- le aveva detto, senza guardarla in faccia.- Certo.-

Per la prima volta in vita sua, Satine comprese che suo padre le stava mentendo, e si spaventò.

Là fuori sarebbe stata sola e in un ambiente ostile, in condizioni di vita precarie. 

Lo sarebbe stata al massimo per tre giorni e se avesse usato il segnale d’aiuto, anche se non comportava il fallimento della prova, ciò l’avrebbe segnata per sempre e non sarebbe mai potuta diventare Mand’alor. 

Al contrario di suo padre, Gar Saxon non sembrava molto entusiasta della scelta del ghiacciaio e Satine si convinse di averlo sentito brontolare contro il freddo durante il viaggio in astronave. Qualunque cosa avesse detto, suo padre lo aveva perentoriamente zittito con un cenno della mano. 

- Sat’ika, cyar’ika - le aveva detto il duca prima dell’atterraggio, inginocchiandosi di fronte a lei.- Non avere paura di nulla. Sii coraggiosa, leale ed onesta con te stessa e con gli altri. Non avere paura di chiedere aiuto, se non sai più a quale divinità votarti. Io sarò al rifugio. Non mi muoverò di lì fino a che non tornerai.- 

La ragazza annuì, sperando di essere in grado di superare la prova. Si sentiva stranamente a disagio, come se l’astronave stesse collassando su di lei e le impedisse di prendere aria.

Poi, quando il portellone si aprì, il freddo le entrò nelle ossa.

Aveva soltanto un paio di calze tecniche e una camicetta di lana, il tutto corredato da un paio di stivali di pelle che però non la proteggevano un granché. Aveva un blaster, coltelli a volontà, un arco, delle frecce, una lancia e dell’esplosivo. Munizioni, naturalmente, e soprattutto una mappa.

Strinse la piccola camicetta attorno al corpo, provando a ripararsi dal freddo. Si diresse, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al padre, verso la sua postazione, pronta per iniziare il suo percorso nella neve.

Guardarsi intorno era complicato. Il vento soffiava forte. Su Mandalore c’era sempre stata una certa ventilazione, ma là ai poli, l’aria schiaffeggiava il corpo e la faccia e sollevava taglienti cristalli di ghiaccio che si conficcavano dappertutto. 

Satine era lì da tre secondi e già lo detestava.

Tre giorni. Dovrò restarci soltanto tre giorni, se riesco bene anche meno.

Per evitare che i ragazzi si incrociassero e si dessero una mano a vicenda, sarebbero stati scaricati in luoghi diversi e distanti l’uno dall’altro. Satine guardò il portellone dell’astronave richiudersi, suo padre ancora in piedi sulla soglia a guardarla scomparire lentamente nella neve.

L’astronave in volo sollevò un ulteriore fiotto di aria fredda e una pioggia di ghiaccioli. 

Satine imprecò.

Quando fu sola e il vento si fu calmato un poco, la ragazza cominciò a meditare sul da farsi.

Suo padre aveva avuto cura di esaminare la mappa prima di lasciarla andare via, e quanto aveva visto pareva averlo soddisfatto. Satine, dunque, non aveva alcun motivo di non ritenerla attendibile e vi si affidò. Cominciò ad incamminarsi nel freddo e nel gelo, come tutti gli altri ragazzi che avevano raggiunto le loro postazioni, stringendosi al petto la camicia di lana e consapevole di avere soltanto pochi minuti prima del sopraggiungere dell’ipotermia. 

Non sapeva che, lontano da lei, si stava svolgendo un’altra lotta, più politica e senza esclusione di colpi, tra suo padre ed Evar Saxon, mentre gustavano un punch al rifugio, al calduccio davanti al caminetto.

 

- Pensi che la tua piccola ce la farà?- gli aveva chiesto l’uomo, con i piedi sul tavolo e un’aria di tracotanza.- Sembra gracile per la sua età.-

- Anche il tuo Gar non sembrava granché entusiasta della scelta.-

- Gar è un guerriero. Tua figlia è una pulce.-

- Mia figlia ha messo nel sacco Gol.-

- Ha avuto fortuna.-

- Non risulta, né a me, né agli esaminatori. Tu che campana hai sentito, Evar?-

- Quella giusta.-

- Oh, sono certo che Gol sia stato molto efficiente.-

Nel fare rapporto a te rimase sottinteso, ma fu comunque compreso. 

Il silenzio era caduto tra il duca e il suo avversario, mentre centellinavano il punch ed evitavano accuratamente di guardarsi se non di sbieco e di sfuggita.

- Il ghiaccio penalizzerà tua figlia. Spero solo di non trovarla assiderata tra tre giorni, povera cara.-

- Mi domando - fece Kyla, trafiggendo il suo avversario con pungenti occhi tigrati, gli stessi che aveva trasmesso a sua figlia Bo - su quanti bigliettini fosse stato scritto, il ghiacciaio.-

Evar ghignò.

- Suvvia, Kyla. Se Satine non ce la farà, e sono pronto a scommettere che andrà proprio così, dovrà piangere soltanto se stessa e, forse, la sua genetica.-

- Dalla mia parte, non ne dubito.- concluse il duca, alzandosi in piedi e poggiando il bicchiere sul vassoio del cameriere. Sapeva essere intimidatorio, quando si ergeva in tutta la sua statura - ma dimentichi chi era sua madre. Te la ricordi, Vikandra, Evar?-

I due si guardarono intensamente, il non detto che galleggiava nell’aria tra loro.

Kyla fu il primo a sogghignare.

- Sì che te la ricordi. Lo credo bene.-

 

Intanto, Satine, mentre avanzava in direzione del rifugio, aveva fatto un piano.

Osservando con cautela la mappa, era arrivata alla conclusione che se non voleva morire di freddo doveva trovare un riparo. 

Sul ghiacciaio, notoriamente, non crescono alberi, tuttavia c’erano degli speroni di roccia interessanti che le avrebbero permesso di accendere un fuoco bruciando quel poco di combustibile che le era stato dato e qualcos’altro che avrebbe dovuto trovare da sola.

Acqua ne aveva a volontà, anche solo guardandosi intorno, e decise che la sua prima priorità era trovare del cibo. Qualcosa di grosso, possibilmente, per poterne ricavare quanta più pelle possibile. 

Se poi l’animale fosse stato anche peloso, sarebbe stato meglio.

Così, invece che procedere dritta per il rifugio, Satine si diresse a passo spedito verso est, alla ricerca del grosso munit gemas che aveva lasciato le sue impronte nella neve.

Erano ancora nitide, per cui doveva essere passato da poco.

Pensò che forse quella era una gran fortuna e seguì le orme.

Ben presto, quando ormai il pomeriggio era già inoltrato e Satine aveva perso la cognizione del tempo, mentre si avvicinava sempre di più ai picchi rocciosi, la sagoma del solitario gemas si stagliò contro il cielo, il vento e le folate di neve. Satine lo aggirò con calma, non vista, e quando gli fu abbastanza vicino agguantò l’arco e le frecce e pungolò la zampa anteriore.

L’animale si arrabbiò e si sollevò sulle zampe posteriori. Poi, confuso, rimase per un attimo a cercare la fonte di quel disagio.

Satine ne approfittò per usare la corda. Con un gesto fluido del polso agganciò il grosso orecchio a padiglione e si issò su, camminando sul corpo del grosso animale. Una volta in groppa, la bestia cominciò a sentirsi persa. Sbandava, e con grandissimo dispiacere di Satine prese a correre. Mentre ballonzolava sulla sua schiena, si rese conto che l’animale stava andando nella direzione sbagliata. Invece di fuggire in campo aperto, dove avrebbe avuto più chance di liberarsi di lei, si era diretto verso le rocce, dove sarebbe finito intrappolato. Le dispiacque molto per quell’animale, ma quello era forse il più grosso colpo di fortuna che le fosse mai capitato in vita sua e lo lasciò fare. 

Quando la bestia scivolò su un sasso ghiacciato e scoperto dal vento, Satine ne approfittò. Cominciava ad andare d’accordo con la sua cavalcatura ed ucciderlo le pareva un grosso spreco, ma aveva bisogno di carne, pelliccia, grasso e soprattutto aveva bisogno delle sue grandi corna ricurve sul davanti. 

- Mi dispiace.- gli disse accarezzandolo, mentre estraeva la lancia.

- Ni su’cuyi, gar kyr’adysh, in partayli, gar darasuum.-

Quando la conficcò alla base del cranio, uccidendolo all’istante, il sangue le schizzò addosso, e la ragazza dovette resistere all’istinto di vomitare.

 

Nel frattempo, al rifugio, i genitori si stavano annoiando a morte e cercavano di ammazzare il tempo come meglio potevano. Kyla si era fatto un giro al tavolo da sabacc, dal quale si era ritirato dopo aver vinto tre mani prima che Evar Saxon potesse accusarlo di barare. Nessuno aveva una faccia da sabacc migliore della sua, ed era talmente bravo a leggere quella degli altri che poteva tranquillamente indovinare le carte. Nessun trucco, nessun inganno, semplicemente competenze che il vecchio scorbutico non aveva e che forse gli invidiava.

Perse la pazienza quando si rese conto che il vecchiaccio - che vecchio non era, ma agli occhi di Kyla si meritava tutti i dispregiativi di questo universo ed anche oltre - stava piazzando scommesse su sua figlia e sul modo in cui avrebbe fallito il verd’goten.

- Evar, ma non hai un briciolo di dignità?- sbottò, quasi ribaltando il banco con un pugno sul tavolo. 

Lusk Wren, suo caro amico e compagno d’infanzia, mezzo addormentato per la partita, sobbalzò e cercò di rimettere le carte in ordine.

- Sei tu a non avere dignità. Avresti dovuto ritirare tua figlia da un pezzo.-

- Ce l’hai con me, lo abbiamo capito. Prenditela con me, dunque, e tieni fuori mia figlia!-

- Tua figlia è una donna ormai. Ha tredici anni, anche se andranno a recuperarla con le slitte e coi cani. Può difendersi benissimo da sola. Ba’jur gal beskar’gam, ara’nov, aliit…-

- … Mando’a gal Mand’alor, an vencuyan mhi. Tutto giusto, Evar, ma, sai com’è, non può difendersi, perché non è qua. Molto nobile, e soprattutto, molto mandaloriano da parte tua, approfittarti della sua assenza.-

Gli diede le spalle con disappunto, e poi aggiunse.

- Hai del fegato a citare il Resol’nare a me, Evar. Non sono io ad avere insidiato il Mand’alor.-

A quel punto, Evar Saxon stette zitto, ma aveva un tale sorriso da schiaffi sul viso da rendere Kyla propenso a credere che le scommesse stessero continuando.

Quel giorno perse la sua partita a scacchi, l’unica che avesse mai perso contro un giocatore diverso da sua figlia. La sua testa era altrove.

Precisamente, moriva dalla voglia di sapere quanti avessero puntato contro Satine.

 

I genitori non potevano immaginare che la pulce, così come l’avevano chiamata, era per il momento l’unica ad avere trovato riparo ed una fonte di sostentamento. 

Armata di zanne, Satine aveva rotto il ghiaccio attorno alle rocce e ne aveva ricavato uno spiazzo sassoso. Non era di certo il massimo della comodità e la ragazza non contava di restarci più di una notte, ma poteva dirsi soddisfatta del suo lavoro. Lo spiazzo consisteva in una rientranza nella roccia, dietro ad un grosso picco sottovento che la riparava dagli spifferi più insidiosi. Con grande perizia, Satine, armata di coltelli, aveva rimosso le zanne e le aveva usate come picconi contro il ghiaccio. Poi, aveva scorticato la carcassa dell’animale e ne aveva prelevato le pelli. Ne aveva arrotolato un grosso pezzo e l’aveva portato fino al suo quartier generale, dove lo aveva appeso e fissato contro la parete di roccia con l’aiuto di un paio di grossi massi.

Quella sarebbe stata la sua tenda.

Certo, non profumava di acqua di colonia. Appollaiata là sotto, con il cuoio rivolto verso l’esterno ad asciugare e il pelo verso l’interno, Satine aveva tagliato la lana e se l’era infilata dentro le scarpe per avere i piedi caldi.

Fu un’idea geniale, e dopo quell’esperimento riuscito prese mano a mano coraggio. 

Tagliò un altro pezzo di pelliccia, bello peloso, e lo portò al suo accampamento con l’idea di farci una coperta per la notte. 

Poi, fu il turno della carne. 

Satine aveva spesso guardato la sua nana in cucina. Maryam le aveva insegnato che tutto, su Mandalore, era un’arte, anche fare da mangiare. L’aveva vista maneggiare coltelli come una specialista e mulinare le mannaie come il miglior macellaio del mercato di Qibal. Provò a replicare i suoi movimenti per appezzare la carne del munit ed ottenne un risultato dignitoso.

In fondo, avrebbe dovuto mangiarla lei, mica offrirla al duca.

Per ultimo, mise insieme il fuoco.

Rasò la carcassa che era rimasta e fece a pezzi il cuoio. Al suo campo base, cosparse di liquido quegli avanzi e diede loro fuoco.

Il calduccio si impadronì di lei, e, tutta contenta, decise di osare anche qualcos’altro.

Tagliò la carne a strisce sottili, la appese alla corda e legò la stessa alle zanne dell’animale, piantate in verticale nel ghiaccio e nei sassi.

Presto si sentì un buon profumo di carne essiccata, e la braciola che stava arrostendo sul masso accanto al fuoco era ancora più invitante. 

Dopo un lauto pasto, Satine si fermò a pensare.

Quel posto poteva attirare altri animali, anche se era praticamente certa che fossero quasi tutti in letargo. Non poteva dirsi comunque completamente al sicuro e questa era la ragione per cui era fondamentale tenere il fuoco acceso. 

Inoltre, avrebbe dovuto lavorare le pelli. Non poteva continuare ad andare in giro in camicetta e calze tecniche. Le scarpe erano già imbottite di pelo, e tanto le bastava. Ce ne aveva messo talmente tanto che traboccava dall’orlo superiore dello stivale. Il resto di lei, però, era ancora un bel po’ scoperto, e se avrebbe potuto cavarsela restando sotto le sue coperte improvvisate per quella notte, di sicuro non avrebbe potuto affrontare un altro giorno al freddo e al gelo senza rischiare l’assideramento. 

Poi, Satine conosceva se stessa. Aveva talmente paura di morire assiderata che non avrebbe chiuso occhio quella notte, e se lo avesse fatto, sarebbe stato un sonno agitato, costellato da una miriade di risvegli causati dai suoi sensi all’erta.

Non sarebbe potuta restare tre giorni all’aperto. Quello era solo un termine ultimo, oltre il quale di solito scattavano le ricerche dei dispersi. 

Lei sarebbe tornata prima. 

Si era imbacuccata per bene ed aveva portato gli avanzi di cibo fino alla carcassa spezzettata del suo gemas. Aveva preso delle ossa, alcune più grandi, altre più piccole, e le aveva portate con sé.

Eliminare gli scarti significava attirare quanti meno animali possibile nella sua direzione. 

Sperava infatti che fosse la carcassa ad attrarre gli spazzini e non il suo accampamento improvvisato.

Meglio prevenire che curare, tuttavia, e fu per questa ragione che una volta tornata decise di mettersi all’opera.

Su Kalevala i sacerdoti del Tempio dei Boschi spesso tracciavano un solco che riempivano con quello che chiamavano tracyn darasuum, fuoco perpetuo. In verità, altro non era che un miscuglio di polveri, oli e grasso animale, che poteva bruciare per notti intere. Durante le sue gite in biblioteca e le sue letture mistiche, si era imbattuta in una ricetta che suo padre le aveva confermato e l’aveva imparata a memoria. 

Riposta la carne parzialmente essiccata su una roccia calda e cacciata la corda in un angolo, Satine si era presa la briga di scavare un solco nel terreno, tutto attorno alla sua tenda improvvisata.

Poi aveva aperto la sacca di esplosivo, che aveva miscelato al grasso animale e ai resti di pelo e pelle, e aveva disposto quel miscuglio dentro al solco. 

Con un colpo di blaster a bruciapelo accese il fuoco.

Le fiammelle crepitarono allegramente, mentre la luce si faceva sempre più fioca e il buio inghiottiva il ghiacciaio. Con il passare del tempo, il suo stratagemma si rivelò efficace ed apprezzò il fatto che il fuoco perpetuo fornisse un valido modo di avere calore a combustione lenta. 

Mentre si scaldava al falò, non era rimasta con le mani in mano. Aveva agguantato una pietra e si era messa a scheggiare le ossa, ottenendo dei grossi perni appuntiti. 

Se si fosse trovata a scalare qualcosa sarebbero stati utili e sarebbero state anche armi eccellenti in caso di necessità. 

Mentre pensava a come avrebbe fatto a cucirsi i vestiti, le venne il pensiero spiacevole che avrebbe dovuto rinunciare probabilmente ad un rotolo di corda. 

Sospirò, accoccolandosi meglio sotto le coperte, sperando di dormire un poco senza essere sbranata da un predatore.

 

Con il far della sera, l’ansia di Kyla si era fatta palpabile. Lusk Wren, un caro ragazzo, era rimasto con lui per tutta la notte, e anche quando gli altri genitori avevano avuto il coraggio di andare a riposarsi i due erano rimasti al fuoco del camino a contare le stelle dello splendido cielo fuori dalla finestra.

- Credi che ce la farà?-

- Ne sono certo. E’ piena di risorse. La mia Ursa era talmente stanca che voleva mollare l’allenamento, e lei di sicuro non aveva a che fare con un pallone gonfiato come Gol.-

Kyla sospirò.

- Ho una brutta sensazione, Lusk. Evar è troppo sicuro di sé, troppo esagerato.-

Lusk Wren era stato uno dei pochi ad essere messo al corrente delle incredibili ed atroci gesta dell’avversario politico. Kyla sapeva di potersi fidare.

- Ho paura che lei sia diventata il suo target.-

I due uomini rimasero in silenzio a guardare fuori, una mano sulla spalla dell’altro in segno di conforto.

 

Quando l’alba la colse, Satine era riuscita a dormire qualche ora. Non si sentiva esattamente riposata, ma era abbastanza lucida da potersi rimettere al lavoro.

Il fuoco perpetuo aveva fatto il suo dovere, e le fiammelle ancora crepitavano dentro il solco sassoso. Ci arrostì sopra un poco di carne e ne staccò un morso abbondante per fare colazione. 

Smontò la tenda con un colpo secco e distese la pelle sul pietrisco per tagliarla. Armata di coltello, incise le proprie misure e poi ritagliò una curiosa sagoma. Sembrava una grossa croce con un buco al centro, ma Satine sapeva perfettamente che sarebbe stata un ottima cappa. Forò la pelle sotto le braccia e lungo i bordi, e ci passò la corda dentro, stringendo con forza. Il pelo, accuratamente raschiato e privato di eventuali parassiti individuabili ad occhio nudo, sarebbe rimasto a contatto con la sua pelle e l’avrebbe tenuta calda anche là dove il cuoio non era unito del tutto.  

La parte destinata a chiudersi sul davanti era più grande di quella che le avrebbe coperto la schiena. Satine era contenta. In assenza di bottoni o cerniere, si sarebbe chiusa a portafoglio e sarebbe bastato un pezzo di corda in vita per tenerla al suo posto.

Ripetè l’operazione con i pantaloni, provando a sacrificare meno corda possibile per ricavarci delle bretelle. 

Ricavò poi delle muffole di pelo dagli scampoli di cuoio, dentro le quali avrebbe nascosto le mani e ripiegato le dita. Un grosso pezzo tondeggiante avrebbe fatto da cappello e se lo sarebbe legato sotto il mento con il lungo pelo.

Aveva attaccato la cintura con le armi ai pantaloni improvvisati e si infilò tutto il resto a tracolla. Incastrò nelle sospensioni anche le ossa lavorate, e dopo aver spento il fuoco ed essersi fissata la coperta sulle spalle - non senza prima avervi assicurato la carne dentro - si mise di nuovo in marcia, armata di mappa e zanne nuove di zecca con cui ancorarsi nella neve.

Procedette a passo spedito e superò la carcassa dell’animale, saccheggiata durante la notte dai predatori.

Satine rabbrividì e sperò che non fossero ancora nei paraggi, o puzzolente com’era probabilmente l’avrebbero inseguita per cacciarla.

Si fermò solo una volta per pranzare e succhiare un po’ di neve, prima di giungere all’ultima prova, l’ultimo ostacolo che la separava dal rifugio.

Ostacolo che consisteva in un’immensa parete di ghiaccio nudo, che, suppose, avrebbe dovuto scalare servendosi della piccola ed alquanto instabile ferrata che vi era stata installata chissà quanti secoli prima.

 

Kyla non aveva chiuso occhio. Aveva spiluccato la sua colazione e il suo stomaco si era chiuso definitivamente quando aveva sentito il funzionario affermare che c’era un soggetto in avvicinamento alla parete di ghiaccio. 

Sarebbe stato il primo a completare il verd’goten. 

Degli altri, non vi era traccia, nemmeno in lontananza.

La boria di Evar Saxon sembrava essersi un poco sgonfiata, per essere rimpiazzata da un cipiglio pensieroso.

- Dev’essere di sicuro il mio Gar.- gli aveva detto, dandogli di gomito e gongolando.

Kyla non aveva replicato, e forse non aveva nemmeno le forze per ingaggiare il suo avversario come sarebbe stato giusto fare. Era rimasto fermo, in trepidante attesa del nuovo arrivato, e si era mosso soltanto per consumare un pranzo frugale. 

Di norma, ai genitori in trepidante attesa non era concesso sbirciare dal parapetto per vedere chi stesse arrivando, ma Lusk Wren azzardò un’occhiata di sotto.

- Che si vede?- chiese allora Kyla, ansioso di ottenere una risposta.

- Solo un grosso mucchio di pelo che sale lentamente. Chiunque sia, deve aver fatto fuori un gemas.-

Kyla sapeva che Satine era brava e piena di sorprese, ma un gemas sembrava troppo pure per lei. Dentro di sé, si stava preparando a veder spuntare un pomposissimo Gar Saxon dal precipizio. 

I minuti passarono inesorabili e lenti, mentre i genitori attendevano con ansia che i loro figli tornassero dal loro rito di passaggio.

- E se fosse Ursa?-

- Nah. Non ha mai nemmeno visto un munit gemas.-

Pian piano nell’aria cominciò a diffondersi un flebile spack, che divenne sempre più martellante, nitido e regolare, mentre il candidato risaliva, lento, ma inesorabile, la parete di ghiaccio. 

Adesso, pure Evar Saxon se ne stava zitto, gli occhi fissi sul limitare del precipizio.

Poi, una mano pelosa e un grosso arpione di osso si incastrarono sulla vetta.

Il candidato arrancò, compiendo la sua ultima fatica, e rimase un momento a quattro zampe a riprendere fiato, prima di alzarsi.

Kyla ci mise un poco a riconoscere Satine. Sulle prime, tutto ciò che vide fu un ammasso di pelo puzzolente e due enormi occhi blu come il cielo di Kalevala che spuntavano dalla pelliccia.

Poi, esplose di una gioia incontenibile.

- SAT’IKA!- gridò, correndole incontro ed abbracciandola forte, e poco importava se entrambi avrebbero puzzato come moffette per i giorni a venire.

- Primo candidato a completare il percorso: Satine Kryze del Clan Kryze di Kalevala.- annunciò il funzionario, annotando il suo nome sull’elenco alla casella numero uno.

- La prima? Come?- disse lei, sgomenta.- Ero convinta di essere almeno nel mezzo!-

Senza volerlo, la piccola Satine, impellicciata come se avesse fisicamente incarnato un munit gemas, inflisse il colpo finale all’ego smisurato - e ben ridimensionato, in quel momento - di Evar Saxon.

Mentre gli altri genitori continuarono ad aspettare - Saxon tra questi, inconsapevole che sarebbe dovuto andare a prendere suo figlio in slitta - e prima del brindisi ufficiale, le fu scattata una foto che avrebbe conservato negli anni a venire. 

Si vede una ragazzina coperta di cuoio dalla testa ai piedi, con del pelo biondiccio che spunta da ogni dove, corda a tenere insieme i pezzi e grossi guanti di pelo, in abbinamento al cappello. Ciò che però fa più impressione sono le grosse zanne uncinate, incrociate sulla sua schiena, là dove le aveva legate prima di annodare la corda alla ferrata e cominciare a scalare la parete con i più pratici arpioni di osso. 

Fu così che, quel giorno, Satine Kryze si guadagnò uno dei tanti epiteti che avrebbero accompagnato la sua vita. 

Chaab be Ruus Uj’ayl. 

Il terrore del ghiacciaio del monte Glassa di Zucchero. 

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Tsad Droten: parlamento, senato. 

Ruus Uj’ayl: lett. Monte del Dolcetto allo Sciroppo, adattato in Glassa di Zucchero.

Cyar’ika: lett. caro, tesoro. Senza diminutivo, cyare.  

Munit gemas: lett. lunghi capelli/pelo; condivide l’aspetto fisico (ma non del tutto le dimensioni) con i mammut

Tracyn darasuum: lett. fuoco perpetuo, un mix di sostanze chimiche capaci di bruciare per ore.

Ni su’cuyi, gar kyr’adysh, ni partayli, gar darasuum: io sono vivo, ma tu sei morto, io ti ricorderò, così sarai eterno (con aggiunta del nome del defunto); formula di rito da rivolgere a chi non c’è più. 

Ba’jur bal beskar’gam, ara’nov, aliit, Mando’a bal Mand’alor - an vencuyan mhi: Cultura e armatura, autodifesa, il nostro clan, la nostra lingua, il nostro leader - tutti questo ci aiuta a sopravvivere. Rima insegnata ai bambini al fine di tramandare il Resol’nare, i sei principali comandamenti dello stile di vita mandaloriano.

Chaab be Ruus Uj’ayl: Terrore del ghiacciaio del monte Glassa di Zucchero.

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Il verd’goten è effettivamente un rito di passaggio, ma le modalità in cui viene sostenuto sono una mia assoluta invenzione. 

Il brindisi finale, invece, è reale. Non so perché, ma la cosa mi piace particolarmente, forse perché i Mando goderecci sembrano diversi dai guerrieri sadici che incarnano vita natural durante.

A proposito: vi giuro che non sono così sadica, ma forse i Mando sì, per cui ho tenuto la versione più dura del verd’goten tra le varie che avevo ideato e mi piace pensare che in un’epoca priva di riforme esistessero forme ancora più spietate di questa.

Alcune delle tecniche adottate da Satine probabilmente non funzionerebbero mai nella vita reale, ma che eroina sarebbe senza un po’ di fortuna?

Evar Saxon è l’esempio di come non fare politica. Suo figlio Gar fa effettivamente parte dell’universo di Star Wars, ma il padre rubicondo e manipolatore è frutto della mia penna. O tastiera. Come volete.

Che vi fosse un intrigo politico era scontato, ma è da questo momento in poi che comincia a prendere forma la fitta trama che condurrà alla chiamata dei Jedi. 

Vi lascio al prossimo capitolo, decisamente più leggero e spero anche più divertente. 

Vostra,

 

Molly.

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Capitolo 10
*** 9- Proposte indecenti ***


CAPITOLO 9 

Proposte indecenti

 

Quando tornava a casa, non c’era gioia più grande per Kyla Adonai Kryze che passare del tempo con le sue due splendide bambine. 

Satine era diventata una bellissima quattordicenne, sempre più alta e marmorea, sempre più bionda e con gli occhi sempre più blu. Crescere le donava. Aveva lo sguardo pensoso di sempre, con un cipiglio maturo che le dava un’aria da vera signora. 

Bo Katan, invece, era l’opposto assoluto. Se la si voleva, si poteva trovare la piccoletta di sei anni a rotolarsi nell’erba o nel fango, a cavalcare a pelo senza nemmeno le redini, o ad arrampicarsi su qualsiasi cosa, e di regole non voleva saperne. 

Kyla aveva sempre saputo di non avere scelta. Satine era la primogenita. Di per sé, non sarebbe stato questo a fare di lei quella destinata a superare le prove per il trono, tuttavia osservando da vicino le sue bambine, era anche conscio che affidare il regno a Bo Katan avrebbe significato probabilmente far saltare un qualsiasi tavolo di trattative diplomatiche a suon di calci. 

Sua figlia aveva ereditato i capelli rossi di sua madre e gli occhi tigrati di Kyla. Sfortunatamente, di sua madre aveva ereditato anche il carattere indomito, mentre Satine era più riflessiva, più incline al pensiero politico e al dialogo.

Se c’era una cosa che, però, le mancava, era la pazienza. Satine prendeva fuoco come dinamite se si oltraggiavano i valori in cui credeva e non smetteva di fare scintille fino a che non l’aveva vinta. Era una ragazza piena di talento e di solito otteneva quello che voleva. Aveva una forte volontà e suo padre l’amava anche per questo.

Il tempo le avrebbe insegnato a controllare la sua forza.

Kyla, tuttavia, non aveva intenzione di anticipare i tempi. Voleva che le sue ragazze si godessero la loro età. Non voleva condannare Satine ad una vita di restrizioni troppo presto, né voleva che Bo sentisse la competizione con la sorella. Voleva che la sua famiglia restasse unita e che le cose accadessero al momento giusto, senza bruciare le tappe. 

Così, soprattutto nei periodi di vacanza, divideva il suo tempo tra Bo e Satine. Spesso giocava con la più piccola, rientrando in casa sudato e sozzo come poche altre volte lo era stato nella sua vita, e con la più grande invece passava del tempo di qualità, discutendo di musica, holofilms e buoni libri. 

Satine aveva dimostrato di avere un enorme talento per l’arte, cosa che le sarebbe tornata utile al momento di affrontare le prove per diventare la legittima erede al trono, e aveva sviluppato una certa passione per il basso elettrico. Da quando lui gliene aveva regalato uno come ricompensa per il superamento del suo verd’goten, la ragazza aveva cominciato ad apprezzare davvero la musica mandaloriana. Aveva dimostrato di prediligere gli strumenti a corda in generale, e Kyla le aveva insegnato a suonare quel poco di chitarra che conosceva, poiché lui, a suo tempo, aveva preferito il pianoforte. 

Vikandra, invece, aveva sempre avuto dei polmoni d’acciaio e da buona Abiik’ad aveva suonato il bes’bev. Lui, invece, come Satine, tendeva a non riuscire a controllare la respirazione.

Immaginava che forse Bo Katan, un giorno, avrebbe suonato quello strumento. 

Le loro giornate di solito cominciavano con una bella colazione, per la quale Satine spesso e volentieri arrivava in ritardo. Kyla sapeva che restava sveglia fino a tardi a leggere o a suonare con gli auricolari, oppure semplicemente ad ascoltare vecchi dischi. Così, mentre lui e Bo Katan erano già seduti a tavola, Satine arrivava sempre di corsa, trafelata, come se fosse in ritardo per la scuola. 

Dopo aver mangiato, trovavano un’occupazione per tutta la giornata e spesso coinvolgevano anche Maryam ed Athos. 

Anche quel giorno, mentre fuori un pioggerella fastidiosa faceva appannare le finestre, Kyla sedeva a tavola stretto nella sua vestaglia di feltro, con Bo a fianco. Un tempo, i Mando mangiavano in piedi per essere pronti per la battaglia, e chinarsi avvolti nel beskar non era comodo. La bambina doveva sedere su tre cuscini per arrivare al piatto. Del resto, non era colpa sua se il tavolo era troppo alto. Era antico e farlo modificare significava fargli perdere il suo valore storico. Kyla aveva provato a convincerla a salire su un seggiolone fatto apposta per lei, ma Bo non aveva voluto saperne, perché lei era grande e non aveva bisogno di roba da marmocchi.

Maryam mise in tavola la colazione e si era appena seduta con Athos quando il campanello della porta trillò.

Kyla non aspettava visite e si fermò, perplesso, con il cucchiaio a mezz’aria pronto per rompere il guscio del suo uovo à la coque. I quattro si scambiarono un’occhiata fugace, o meglio, i tre, perché Bo Katan non staccò gli occhi dal piatto e si riempì la bocca di uovo come se fosse a digiuno da un mese.

Athos si alzò e dopo aver scambiato uno sguardo d’intesa con Kyla andò ad aprire il portone.

Quando tornò, aveva sul volto l’espressione più confusa e perplessa che il duca avesse mai visto. 

- Signor Duca, c’è il signorino Saxon che vi chiede udienza.-

I due si lanciarono un’occhiata eloquente.

E adesso che vuole questo?

Non saprei, ma che faccio, lo tengo sulla porta? Piove pure.

- Fallo entrare.-

Bo alzò la testa dal piatto, pezzetti di uovo che le cadevano giù dalla bocca piena. 

Gar Saxon si fece avanti ed incrociò immediatamente lo sguardo con la piccola selvaggia. I due si squadrarono, Saxon con il sopracciglio inarcato e Bo masticando a bocca aperta. 

Poi la piccola decise che lo riteneva un inetto e tornò ad inforcare la pancetta. 

Il giovane Saxon sembrava uscito da un holofilm. Vestito di tutto punto come un Mando che si rispetti, aveva i segni della sua famiglia esposti sulla casacca, il cranio rasato di fresco, e doveva aver provato a farsi la barba che non aveva ancora, perché il viso era arrossato e profumava - anche troppo - di dopobarba. 

- Mio caro ragazzo.- fece Kyla, senza alzarsi da tavola.- Spero che mi perdonerai se non mi alzo, ma sei il benvenuto. Stavo per consumare la colazione e se gradisci puoi unirti a noi. Maryam ha ancora delle uova e del pane da parte.-

- Ho già mangiato, ma accetto volentieri una sedia.- disse, avvicinandosi e prendendo il posto di Athos.

Kyla lanciò un’occhiata all’uomo, che aveva assunto la sua espressione da Maggiordomo Perfetto, sebbene un sopracciglio inarcato gli facesse capire che non aveva gradito l’usurpazione.

- Qual buon vento ti porta qui, figliolo?- gli disse, pronto a rompere il guscio dell’uovo à la coque.

- Sono venuto per chiedere la vostra benedizione.-

- Per quale motivo?-

- Ho intenzione di chiedere in sposa vostra figlia Satine.-

Il tempo nella stanza si fermò.

Maryam, che aveva spostato i piatti di Athos e stava allestendo la tavola per il nuovo ospite, rimase ferma immobile a guardarlo con il coltello in una mano e il tovagliolo nell’altra, sospesi a mezz’aria. 

Bo aveva lasciato andare la mascella ed era rimasta lì, con il pane in mano e la bocca aperta ancora piena di cibo. 

Athos aveva perso il suo aplomb ed aveva sgranato gli occhi come se avesse visto un fantasma.

Kyla era rimasto a fissare il suo uovo à la coque, il cucchiaio in aria e le sopracciglia aggrottate, non del tutto certo di aver capito bene.

- Tu vorresti sposare mia figlia?-

- Sissignore.-

La vita riprese il suo corso in casa Kryze. Maryam posò le stoviglie sul tavolo, Bo Katan ricominciò a mangiare rischiando di strozzarsi con il cibo pur di non ridere, Athos tornò il Maggiordomo Perfetto e Kyla posò il cucchiaio, visto che ormai di mangiare l’uovo non c’era verso.

- Permettimi di obiettare che entrambi avete soltanto quattordici anni.-

- Siamo adulti, ormai. Abbiamo superato il verd’goten.-

Kyla dovette sopprimere una risata. Incredibile quanto gli standard di Evar Saxon potessero cambiare a seconda delle circostanze. Prima si era messo a piazzare scommesse su come sua figlia avrebbe fallito, poi, quando era stato costretto ad andare a prendere il proprio, di figlio, con la slitta prima di trovarlo assiderato, all’improvviso entrambi avevano superato il rito di passaggio.

Si astenne da ogni commento.

- Questo è, se permetti, superfluo. Indipendentemente dal fatto che abbiate superato o meno il rito, avete comunque quattordici anni. Non pensi che sia un poco presto per pensare al matrimonio e alla famiglia?-

Il ragazzo fece spallucce.

- Dopo i tredici anni è normale, no?-

Kyla era certo, anzi, certissimo che l’idea fosse di Evar. Il vecchio brontolone, infatti, era rimasto dormiente fin troppo. Non era riuscito a conquistare l’accesso al potere con il figlio, che aveva fallito il verd’goten e che quindi non poteva candidarsi a Mand’alor, così aveva pensato che se avesse sposato quella che evidentemente era una papabile candidata, sarebbe riuscito a prendere il potere per vie traverse. 

Mi sposo, lei sale al trono e poi la rinchiudo in una torre e io governo.

Ci avevano già provato secoli prima con Lynar la Martire Kryze, del resto, e non c’era da stupirsi se volevano provarci ancora.

Come sia finita, dato il nome, è più che evidente.

Se non si stesse divertendo un mondo a guardare la faccia rubizza del povero ragazzo, Kyla Adonai Kryze avrebbe dato in escandescenze.

- Sta bene.- disse, accomodandosi meglio sulla sedia e stendendo il tovagliolo sulle gambe.- Devi però sapere che mia figlia è, come posso dire? Alquanto indomita.-

Ed era vero. Satine non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Del resto, nelle sue vene scorreva il sangue di Vikandra, con la differenza che la ragazza preferiva trafiggere qualcuno con le parole piuttosto che impalarlo con un bes’bev. 

Quella era roba per Bo.

- Oh, state tranquillo, non c’è problema. Imparerà ben presto a comportarsi come si conviene ad una moglie. Mi è stato detto - continuò, come se la cosa non lo riguardasse minimamente - che le donne della vostra famiglia hanno sempre avuto un temperamento molto forte. Capite che questo nella nostra, di famiglie, è invece intollerabile. Qualora Satine dovesse diventare una Saxon, dovrà seguire il nostro codice d’onore, e noi sappiamo come farci rispettare.-

Kyla non credeva che Gar sapesse dell’assassinio a sangue freddo di Vikandra. O meglio, sicuramente lo sapeva, come lo sapeva tutto Mandalore, ma non credeva che fosse a conoscenza del fatto che il mandante era stato suo padre.

Preferì non coinvolgere i ragazzi nella loro diatriba e si morse la lingua.

- Sono perfettamente a conoscenza dei vostri metodi, giovane Gar, come immagino tu sia a conoscenza del fatto che io non li condivido. Satine è cresciuta libera e vorrei che conservasse i nostri ideali, non che li sopprimesse.-

- Sono certo che potremo giungere ad un accordo. Dovremo solo domarla un poco, come i puledri, ma non preoccupatevi che saprò dimostrarle che un marito va rispettato ed insegnarle ad essere docile e a stare al suo posto, ad occupare il suo ruolo nella famiglia.-

Kyla, le mani conserte in grembo, decise di divertirsi un po’. Aveva appena visto un lampo di blu scivolare dietro lo stipite della porta alle spalle di Athos, e l’uomo lanciare un’occhiata circospetta alla sua destra, nella direzione in cui quell’ombra era sparita.

- In ogni caso, sarà Satine ad avere l’ultima parola. Athos, potresti andarla a chiamare?-

L’uomo si voltò e sparì, ma Kyla era certo che non avesse fatto molta strada. Per mantenere le apparenze, il duca invitò il ragazzo a servirsi di nuovo.

- Adesso che ci penso, una fetta di pane al miele la mangerei volentieri.-

Kyla fece cenno a Maryam di procurargliene una e la donna si alzò da tavola. Poi, dopo averlo servito, si mise a pulire la bocca unticcia di Bo Katan, brontolando perché mangiava come un piccolo maiale.

- Ma come?- fece il giovane, sgranando gli occhi e fissandoli su Kyla.- Voi mangiate con la servitù?-

L’uomo abbozzò un sorriso.

- Maryam è con noi da moltissimi anni, ormai, e ha cresciuto le mie figlie come se fossero sue dopo la morte della mia cara Vikandra.-

Il giovane Gar non ribatté e nemmeno ne ebbe il tempo, perché un’esile figura bionda ammantata in una vestaglia di tartan blu si era appena palesata sulla soglia. Alle sue spalle, c’era Athos - Kyla non capì se per impedirle di scappare o per un caso.

- Saxon.-

- Satine.-

Lui usava il nome, lei il cognome. Un segno di noncuranza da un lato e di rispetto dall’altro. 

Kyla si assestò meglio sulla sedia.

Sarà divertente. 

- Quale buon vento vi porta qua?- aggiunse lei, chinando il capo in segno di saluto.

- Sono venuto a chiedere la tua mano.-

Quello che Kyla non sapeva era che sua figlia era stata svegliata dal fastidioso suono del campanello. Con un occhio aperto ed uno chiuso, aveva aperto la porta di camera sua ed aveva sentito fare il nome dei Saxon. Terrorizzata all’idea che fossero venuti per suo padre, si era rassettata di corsa ed era scesa dabbasso con la vestaglia indosso, perdendosi, di conseguenza, la prima parte della conversazione. Quando lei aveva sbirciato da sopra la spalla di Athos, Gar Saxon era già seduto a tavola e sproloquiava a proposito di qualcuno che sarebbe stato addomesticato dalla sua famiglia.

Mai avrebbe pensato che la persona in questione fosse lei.

Rimase a fissarlo, il tempo sospeso come la prima volta in cui il ragazzo aveva fatto l’annuncio. Stavolta, tuttavia, c’era un senso di attesa intrappolato nella stanza, come se tutti quanti aspettassero - e temessero - la reazione della giovane aspirante duchessa.

Mi ha detto che sono una semplice “servitù”. Caccialo a pedate! pensò Maryam, che, come sempre, era pronta per la pugna.

Si è preso il mio piatto, le mie posate, la mia sedia e il mio pane al miele. Serve altro? pensò Athos, in piedi sulla soglia in modalità Maggiordomo Perfetto.

Menalo, Tilli! Dagliele! pensò Bo Katan, che stava già per esplodere e salire sui cuscini per fare il tifo.

Kyla fissava il duo con calma, assiso come in trono sulla sua sedia e sperando di poter mangiare il suo ovetto prima di pranzo.

Satine, invece, rimase lì a guardare il ragazzo come se fosse stato finto, nella sua giubba piena di ornamenti e con il volto rasato come un barboncino senza pelo. 

Poi, fece l’ultima cosa che la famiglia Kryze si sarebbe mai aspettata.

Scoppiò a ridere.

Satine rideva così di gusto che dovette appoggiarsi ad Athos per non cadere. La ragazza gli poggiò la testa sulla spalla, e lui la riempì di pacche sulla schiena, senza scomporre la sua faccia impassibile da Maggiordomo Perfetto. 

Quando tornò a guardare il ragazzo, Satine dovette asciugarsi le lacrime con le maniche della vestaglia.

- Questa è buona, Saxon.- gli disse, cercando di riprendere fiato.- Seri, seri. Che sei venuto a fare qua?-

- Sono estremamente serio. Sono venuto a prenderti in moglie.-

Questa volta il volto della ragazza divenne più scuro.

- Non starai dicendo davvero. Ho quattordici anni, col cavolo che mi sposo!-

- Lo trovo un rifiuto ingiustificato, Satine. Siamo adulti, ormai, abbiamo superato il…-

- Vorrai dire che io l’ho superato. Mi risulta che siano venuti a cercarti.-

Questa volta Saxon fu punto sul vivo. Arrossì troppo violentemente per essere una reazione alla rasatura e Satine ne ebbe in qualche modo pietà.

- Non che io badi molto a queste cose.- gli disse, scacciando via con la mano un pensiero come un moscerino invisibile.- Sono tradizioni che ritengo andrebbero riviste. Tuttavia, se permetti, quattordici anni è troppo presto. Non sono pronta e non me la sento. Mi dispiace per averti riso in faccia, ma la cosa non s’ha da fare.-

- Temo che dovrai riferire a mio padre, allora. Lui contava molto su queste nozze.-

Le sopracciglia di Satine si sollevarono fin quasi all’attaccatura dei capelli.

- Ah, lui ci teneva, eh?- ed era già lì lì per rispondere per le rime quando si ricordò che i matrimoni erano un po’ come la politica ed era sempre bene andarci piano.

- Ti prego di risparmiarmi il tedio di dover arrivare fino a Saxon House. Riferisci tu a tuo padre che gli porgo i miei omaggi, ma che non intendo accettare la vostra offerta.-

- Sarebbe vantaggioso per entrambi.-

Oh, per te di sicuro! pensò Satine, ma si trattenne dal dirlo.

Una volta sposati mi rinchiuderai in una torre e ti prenderai il MIO trono di Mandalore, per cui ho superato un verd’goten che LA TUA FAMIGLIA ha manomesso per farmi fallire!

- Io non lo credo.- ribatté, tagliando corto e scansando Athos dalla porta della sala da pranzo.- Non voglio trattenerti ulteriormente. Se non hai altro da aggiungere, ti accompagno alla porta.-

Gar Saxon la seguì, dopo aver salutato il duca con un cenno del capo. 

In corridoio cercò di raggiungerla e l’afferrò per un braccio.

- Satine, sii ragionevole!-

La ragazza si divincolò.

- E’ proprio perché sono ragionevole che ti dico di no, Gar. Mi dispiace per le aspettative di tuo padre, ma non sei il mio tipo. Credimi, nemmeno io sono il tuo.-

- Ma perché? Potremo governare insieme Mandalore!-

- Se mai diventerò Mand’alor, governerò da sola Mandalore.-

- Oh, andiamo, non puoi pretendere di riuscirci!-

- Come, prego?-

- Non ce la farai mai!-

- E per quale motivo?-

- Sei una donna!-

- Devo ricordarti che durante l’ultima imboscata dei terroristi c’erano delle donne a salvare le vostre nobili terga?- e detto questo indicò l’arazzo appeso alla parete con lo stemma della nobile casata di Vikandra e il simbolo delle Abiik’ade raffinatamente ricamato.

- Vabbè, ma le Abiik’ade…-

- Le Abiik’ade cosa? Sono donne, no?-

- Sì, ma sono un’altra cosa. E poi, insomma, chi le vuole delle donne così?-

A Satine si drizzarono i capelli in testa.

- Ti devo anche ricordare che mia madre era una Abiik’ad? E che ha ucciso ben sei cacciatori di taglie da sola prima di soccombere?-

- Appunto. E’ morta. Dai, non puoi pretendere di essere alla pari di un guerriero.-

- Fammi un favore, Saxon, sta’ zitto prima che tu mi faccia perdere davvero la pazienza. Salutami tuo padre e la tua allegra combriccola. Io e te non abbiamo niente da spartire.-

Ed affondò la maniglia con la mano. 

Gar Saxon si lanciò di corsa per fermarla ed impedirle di sbatterlo fuori. 

Ora, fermiamoci un attimo.

C’è chi dice che Satine Kryze, quel giorno, abbia commesso un grosso oltraggio nei confronti del clan Saxon, e che quello fosse stato il pretesto per far crescere le animosità che avrebbero fatto scoppiare la Grande Guerra dei Clan. 

Si dice infatti che la giovane ragazza abbia calciato nel didietro il povero ed onesto Saxon, venuto a chiederle la mano, facendolo finire testa e tutto nel fango del viale.

La storia vera è un po’ diversa.  

Gar Saxon, ricalcando lo schema che fu proprio di Vyron I Vizla Il Sanguinario e della povera Lynar la Martire, fu il primo a compiere con quella proposta un oltraggio nei confronti di Satine. Era da quei tempi perduti che i Kryze non accettavano matrimoni combinati, e la povera Lynar aveva rappresentato l’unico tragico esempio, finito in una morte atroce, sua e dei suoi quattordici figli.

Per questo motivo fu cosa buona e giusta che Gar Saxon finisse testa e tutto nel fango, ma questo avvenne per una congiunzione sfavorevole di diversi eventi indipendenti dalla volontà di Satine - o dalle sue gambe, o dalle sue ciabatte - e dal deretano del giovanotto.

Il caso volle che Maryam, da buona mattiniera, sul far del giorno avesse spazzato il viale e la soglia di casa prima che cominciasse a piovere e prima di mettersi a preparare la colazione. Così, lo zerbino di casa Kryze era finito arrotolato ai lati del portone. Un colpo di vento che minacciava di portare tempesta aveva rovesciato lo zerbino che adesso giaceva scomposto proprio davanti alla porta.

Il ragazzo era partito alla carica, con lo scopo di fermare Satine dal cacciarlo via da Kryze Manor. Satine, al contrario, aveva spalancato con slancio la porta e Gar Saxon, invece di afferrare la sua mano, acchiappò un bel pugno d’aria e si trovò fuori in men che non si dica.

Inutile dire che lo zerbino in questione finì tra le gambe del giovanotto che, tra uno sgambetto e l’altro, piroettò fuori da Kryze Manor e finì a quattro di bastoni lungo steso nel viale fangoso.

Satine ci rimase persino male. Provò ad uscire e aiutarlo a rialzarsi, ma pur di non essere ulteriormente ferito nell’orgoglio il giovane Saxon si rimise in piedi a tempo di record, si inchinò e sparì a passo di carica verso il cancello dove una vettura lo aspettava per trasportalo a Saxon House. 

Procedette per un poco lungo il viale, gocciolando fango, ma il destino, evidentemente, non si ritenne ancora soddisfatto.

Un tuono squarciò l’aria e il diluvio si abbatté su di lui.

Satine richiuse la porta, un po’ mortificata, un po’ divertita. Una parte di lei compativa Gar, che sarebbe stato anche un bravo ragazzo se si fosse deciso ad accendere il cervello e a non seguire pedissequamente tutto quello che quell’idiota di suo padre gli diceva di dire o di fare. Già, perché era certa che, se fosse stato soltanto per il giovane, la pantomima di quella mattina si sarebbe potuta tranquillamente evitare. 

In corridoio a guardare lo spettacolo c’erano tutti, incluso suo padre. Bo Katan rideva a crepapelle e strillava qualcosa a proposito del fargliela vedere noi e di imparare a comportarsi civilmente, razza di #@//!**#. Maryam borbottava qualcosa a proposito del destino, ed Athos aveva tolto la maschera del Maggiordomo Perfetto e sogghignava sotto i baffoni scuri.

La famiglia si sedette di nuovo a tavola, con l’aggiunta di Satine. 

Il duca poteva dirsi soddisfatto, anche se era certo che l’incidente dello zerbino avrebbe creato problemi in futuro. Per il momento, voleva solo godersi la sua colazione ed era troppo fiero di come sua figlia aveva gestito la cosa per badare al resto.

Ruppe finalmente il guscio del suo uovo à la coque, con più soddisfazione del solito. 

L’iniziativa di Evar Saxon, tuttavia, ebbe in qualche modo successo. Le oltraggiose proposte di matrimonio da quel giorno si moltiplicarono a vista d’occhio, e tutte si conclusero alla stessa maniera.

La voce dell’indole selvaggia della giovane Kryze, assolutamente immeritata, si sparse presto. Kyla doveva dire che, tutto sommato, la cosa lo divertiva. Teneva lontani pericolosi pretendenti arrivisti che miravano solo al trono e al patrimonio del suo clan e permetteva a Satine di farsi conoscere per l’indomita creatura che era. Il suo carattere indipendente le era persino valso un nuovo epiteto. Dopo Il Terrore del ghiacciaio del monte Glassa di Zucchero era arrivato anche Kalevala cin'ciri oyayc, ovvero Il Ghiaccio Vivo di Kalevala

Il duca aveva però a cuore che gli altri clan sapessero che, per quanto fiera e libera come l’aria, Satine era anche civile. La ragazza lo aiutava in questo, perché il suo comportamento era per lo più impeccabile e le sue maniere sempre gentili, educate ed apprezzabili.

Ovviamente c’erano delle eccezioni, e Kyla l’amava anche per questo. 

Così, il giorno in cui una scarpa volò dritta verso lo scalpo del giovane Vyron II Vizla, colpevole di aver osato troppo, accompagnata da un potente impiastro!, Kyla era sereno.

Tutto rientrava nella normalità.

 

***

 

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Baronessa Lynar “La Martire” Kryze, Giusta tra le Genti

Figlia di Gozo Il Filibustiere, la baronessa è stata l’unica della famiglia che abbia mai concluso un matrimonio di convenienza. Fu data in sposa dal padre a Vyron I Vizla Il Sanguinario, figlio dell’allora Mand’alor, e trascorse una vita d’inferno. Prigioniera in casa propria secondo le violente tradizioni dei Vizla, nella sua breve vita divenne madre per ben quattordici volte e vide morire tutti i suoi figli. Lynar, non potendone più, sedusse il marito per l’ennesima volta e lo pugnalò a morte. Morì al mattino dopo di crepacuore. Da quel momento in poi, nessun Kryze ha mai più concluso un matrimonio di convenienza, e l’empietà sulla famiglia, apposta dopo una pesante sconfitta inflitta ai Makyntire, fu rimossa per permettere alla baronessa infelice di diventare Giusta tra le Genti.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Kalevala cin'ciri oyayc: lett. neve viva, adattata a Ghiaccio Vivo di Kalevala.

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Da quanto ho capito indagando nella cultura Mando, la società è basata su un principio di uguaglianza puro e semplice che sembra riflettersi nella grammatica (in gran parte neutra). Apparentemente, ogni distinzione di genere è stata introdotta solo tardivamente per compensare la mancanza di caratterizzazione biologica. 

Per questo motivo ne ho fatto un argomento di scontro politico, in una polarizzazione sempre maggiore tra i due movimenti dei Nuovi e dei Vecchi Mandaloriani: i Nuovi, dominati dalle idee progressiste dei Kryze, adattati alle distinzioni ma pur sempre fedeli alle tradizioni millenarie del sistema, e i Vecchi, fedeli fin troppo, al punto da dimenticare il passato più remoto.  

Scrivere della famiglia Kryze mi diverte tantissimo. Mi piace immaginarmeli tutti diversi e tutti con le loro caratteristiche peculiari: Athos il guascone, Maryam l’uragano, Bo Katan la selvaggia e Kyla il furbacchione. So che corro il rischio di trasformarli in personaggi caricaturali, ma spero di dare loro uno spessore maggiore nel corso della storia.

Ho provato a spiegare anche l’animosità che Bo Katan dimostra nei confronti di Saxon nella serie animata (ve l’ho detto, sono fissata con i copyright!): ha insidiato ripetutamente sua sorella, ha oltraggiato la sua famiglia ed ha violato l’ora dell’ovetto à la coque, che è sacra e inviolabile. 

Direi che come apertura delle ostilità è più che sufficiente.

Il capitolo è leggero, irriverente e divertente quanto basta, tuttavia nella sua leggerezza l’episodio rappresenta il prodromo di un meccanismo mostruoso. Uno smacco del genere inflitto alla persona sbagliata, infatti, prima o poi si paga.

Ogni cosa a suo tempo, però.

Vostra,

 

Molly. 

 

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Capitolo 11
*** 10- A Scuola di Governo ***


CAPITOLO 10

 A Scuola di Governo

 

Al compimento dei quindici anni, Satine fu mandata, come da tradizione, alla Scuola di Governo. 

Fu la prima, grande separazione da Kalevala che lei avesse mai vissuto. Quando aveva passato un anno con Gol ad addestrarsi, era rimasta sul suo pianeta, con Kryze Manor ad un tiro di schioppo e suo padre a portata d’orecchio. Anche se si era ritrovata dall’altra parte del pianeta, si era sentita comunque a casa. Kalevala aveva qualcosa di magnetico e lei si sentiva molto legata ad esso, alla sua natura, alle sue tradizioni e al suo cibo. 

Mandalore, invece, era qualcosa di diverso. Era per lo più sabbioso e non si vedeva anima viva per chilometri, al di fuori dei centri abitati. Il cibo aveva un sapore molto forte e la luce poteva essere abbagliante in tutto quel deserto. 

Quando era arrivata a Keldabe si era sentita spaesata. Non era mai stata un granché a fare amicizia, perché non era il tipo di ragazza capace di giungere a compromessi riguardo ciò in cui credeva. C’erano elementi della sua personalità a cui lei non sapeva rinunciare e non era mai riuscita ad omologarsi, cosa che gli altri ragazzi invece parevano pretendere da lei. Sapeva, tuttavia, che quello era l’ambiente in cui si formavano molte amicizie, anche politiche, nazionali ed internazionali. La stima e il rispetto reciproco nascevano a Scuola di Governo, e si gettavano le basi anche per future alleanze. Inoltre, se lei fosse riuscita ad accattivarsi le simpatie di alcuni di loro, forse i loro genitori sarebbero stati influenzati dall’opinione che avevano di lei e avrebbero sostenuto suo padre.

Il contrario era possibile, ma altamente improbabile.

Così, per un po’ aveva giocato ad essere uguale agli altri. Discorsi impegnati, prese di posizione scontate erano all’ordine del giorno. Insomma, tante belle parole e poca sostanza. Allora Satine aveva provato ad intavolare discussioni differenti, dirottando la conversazione sulla letteratura, la musica, il cinema, i libri, ed aveva trovato ben poco sostegno. La metà di loro conoscevano solo superficialmente quello di cui lei parlava e l’altra metà ne sapeva ancora meno.

Tuttavia, tutti sapevano tutto di tutti: parenti, amici, conto in banca, auto, vestiti firmati o meno, chi si vedeva con chi e in che termini: fidanzati, parenti, amici, conoscenti, o mero sfruttamento. 

Le sembrava di stare nella sezione patinata dell’holonews. 

Purtroppo, però, nel mestiere di duchessa serviva anche questo. Conoscere il nemico, o anche l’amico, per valutarne la pericolosità politica e, purtroppo, in alcuni casi, quanto potesse essere almeno moralmente ricattabile. Un potenziale cambio di casacca, non tanto in entrata, quanto in uscita, avrebbe potuto destabilizzare un interno governo.

Telefonò a casa il primo giorno, la sera, chiusa nella sua stanza e isolata da tutti, e la prima cosa che disse fu che ne aveva già le tasche piene. Suo padre si era messo a ridere al telefono e le aveva detto che si era aspettato una simile reazione. Tutto ciò che doveva fare adesso era capire, come aveva sempre fatto, quale fosse il modo migliore per sopravviverci. 

Sarebbe stato quello che avrebbe dovuto fare per tutta la vita, del resto. 

Così, Satine si era messa l’animo in pace ed aveva continuato a fare buon viso a cattivo gioco. 

Quando si recita una parte, naturalmente, è difficile uscire dal personaggio una volta che ci si abitua ad indossare una maschera. La sua era fatta di sorrisi e moderazione, eppure più recitava -  e più le persone sembravano apprezzarla per questo - più si sentiva svuotata dentro, come se le energie la stessero abbandonando. Ai suoi compagni non piaceva lei, ma la versione che dava loro. In quello che vedevano c’era qualcosa di solo parzialmente reale e lei si sentiva soffocare sotto la maschera. Non sarebbe mai diventata altro da sé, questo no, ma non essere libera di esprimersi le dava fastidio. A volte, aveva bisogno di uno spazio solo per sé, rinchiudersi nella sua stanza, guardarsi allo specchio e riprendere le fila della sua vita. 

Le sembrava assurdo doversi isolare per ricordarsi chi fosse veramente. 

La musica era una via d’uscita molto interessante. Era come espandere la coscienza. Con le note della chitarra riusciva a riconnettersi con se stessa e tornava a respirare. A Scuola di Governo era stata costretta a prendere anche lezioni di danza, ed aveva scoperto di essere portata per il movimento. Il suo corpo rispondeva molto bene agli stimoli e la sua naturale agilità le permetteva di compiere formidabili acrobazie. Spaccate e gambe dietro la testa per lei non erano un problema, e la sua costituzione esile e scolpita dal duro addestramento le aveva attirato una buona dose di invidia.

Il fine settimana, quando poteva, tornava a casa a rincontrare i suoi affetti più profondi. Quando vedeva Athos con suo padre, seduto nella sua navicella spaziale, il cuore le faceva le capriole. Una volta a casa, si ingozzava con il cibo di Maryam, che la rimproverava per non mangiare mai abbastanza quando viveva a Keldabe. 

Non era colpa sua. Tutte quelle spezie non volevano proprio saperne di andarle giù.

Di norma, il sabato sera andava a ballare. Era convinta che suo padre non sapesse della sua passione per la musica mandaloriana, e così doveva restare. Aveva provato a corrompere Athos, che era stato più disponibile di quello che si era aspettata. Quando lei usciva con la scusa di andare a dormire da un’amica, Athos l’aspettava fuori con la sua navetta e poi la portava al club più confusionario di Qibal, dove ballava fino a notte inoltrata, per poi riportarla a casa. 

Grazie alla Forza, quando suo padre saliva a bordo della navicella era sempre tutto in perfetto ordine e Satine credeva che il duca non avrebbe mai scoperto niente.

Nonostante la storia ci abbia insegnato che raramente la duchessa di Mandalore ha sbagliato le sue previsioni, quello fu purtroppo uno di quei casi.

Una parte di lei si era aspettata che prima o poi Athos avrebbe cantato. Del resto, lui e suo padre erano come fratelli. Quello che non sapeva era che il suo segreto era stato scoperto praticamente subito, ed in un modo non proprio indiretto. 

Con il tempo, infatti, Satine aveva preso dimestichezza con le extension. Aveva imparato che cosa andava bene per lei e che cosa non le era comodo, aveva sperimentato con i colori e con la colla, con le clip o senza. Poi era passata al trucco, ai colori, alle ciglia finte. Si divertiva ad essere qualcuno di diverso per una volta, a fare quello che non avrebbe fatto mai. Unghie colorate e trucco glitterato non facevano per lei, come le ciglia finte o le extension del resto, ma si divertiva troppo a fare baldoria a quel modo ogni tanto. 

Era però necessario avere un posto dove prepararsi, e non poteva uscire di casa con le stelline adesive sul viso dicendo che dormiva da un’amica. Così, aveva trovato il nascondiglio perfetto nel vano portaoggetti di Athos. Lì aveva stipato trucchi, ombretti, smalti e rossetti improbabili, nonché pacchi e pacchi di extension colorate che applicava direttamente durante il tragitto. La povera navetta del maggiordomo era diventata lo stipetto personale di Satine e di tutti i suoi suppellettili.

Quando era andata a ballare l’ultima volta, Satine aveva cambiato colore di capelli. Con l’aiuto della sua sorellina Bo, complice di numerose marachelle, la ragazza aveva attaccato delle extension colorate che aveva nascosto nel cappello. Si era divertita a ballare con i capelli verde acido, ma l’attaccatura tirava sul cuoio capelluto e con il tempo avevano cominciato ad infastidirla. Il sudore faceva staccare l’applicazione, così se ne era stufata e alle tre di notte se le era tolte, sfinita, sulla navetta di Athos. Era stata attenta, o almeno così credeva, a non lasciare tracce, e se ne era andata a dormire con la consapevolezza che Athos avrebbe fatto la stessa attenzione che lei aveva prestato nel ripulire la sua navetta. 

Quando suo padre era andato ad un incontro diplomatico la domenica mattina con un rappresentante del sistema di Phindar, si era comodamente seduto al posto del passeggero e si era fatto scarrozzare dal fratello adottivo. Quando però era sceso dalla navetta ed aveva stretto la mano al suo ospite, quello gli aveva fatto notare che aveva dei capelli verdi che penzolavano dalla sua manica destra. 

Fu così che Kyla venne a conoscenza delle fughe notturne di sua figlia maggiore, e non se ne stupì, né si arrabbiò. Lui ed Athos avevano fatto lo stesso alle spalle del buon vecchio Gerhardt, e ricordava di aver visto le più belle ragazze di Kalevala in quel club. L’idea che qualche bellimbusto potesse insidiare sua figlia lo disturbava, ma immaginò che si trattasse del percorso di crescita che tutti dovevano affrontare, e il ricordo della scarpa che volava dritta dritta in direzione dell’ultimo spasimante lo rendeva certo del fatto che di sua figlia poteva ancora fidarsi. 

Di norma, al mattino dopo, prima che Satine scendesse a colazione - tardissimo e vestita di tutto punto come se fosse appena rincasata dal suo pigiama party con le amiche - Kyla scambiava due parole con Athos, che vertevano principalmente sul colore dei capelli della notte precedente. 

- Di che colore erano i suoi capelli, questa volta?-

- Rosa, vod.-

- Bene. Sicuramente meglio del verde acido. Le dona di più.- e con questo, di solito, rompeva il suo uovo à la coque e cominciava a mangiare.

Per il resto, la vita di Satine procedeva come sempre. Il senso di vuoto non se ne andava mai e la Scuola di Governo era quanto di più obsoleto e retrogrado lei avesse mai frequentato. Lo aveva fatto presente al padre, che si era detto d’accordo, ma che aveva le mani legate in proposito senza un’iniziativa parlamentare. Gli insegnamenti erano noiosi e le regole erano rigidissime. Alcune di queste, secondo Satine, non avevano il benché minimo senso. Era proibito indossare gioielli e monili per le ragazze, ma era consentito indossare i capi pregiati della propria famiglia. Secondo i professori, ciò serviva ad annullare le differenze fra clan, ma Satine non capiva a che pro, visto che al posto di un banalissimo gioiello si sfoggiavano broccati e blasoni così grandi da sembrare tende e patacche.

Non concorreva a renderle la vita facile la presenza di buona parte degli spasimanti che aveva rifiutato, Gar Saxon incluso. Aveva messo in giro la voce che lei lo aveva calciato fuori da Kryze Manor e Satine aveva dovuto difendersi. Alla fine della fiera, tuttavia, aveva scoperto che potevano anche pensare quello che pareva loro, purché la lasciassero in pace. 

Lei non si sarebbe sposata.

Punto.

I professori più rigidi sembravano essere molto vicini ad Evar Saxon, e sinceramente Satine cominciava ad essere stufa di tutta quella sceneggiata. Suo padre era il Mand’alor, ma evidentemente quella palla da biliardo aveva agganci ovunque e sapeva essere fastidioso come una zanzara di notte. 

Poi, un giorno fu toccato il fondo.

Satine frequentava quella scuola da quasi un anno ed era più insofferente che mai. Studiava e si esercitava, ma i risultati erano tendenzialmente scarsi. C’era quasi la paura, da parte di alcuni professori, di far emergere uno studente al posto dell’altro, per timore di turbare gli equilibri politici dei genitori. Il merito esisteva ben poco. Satine aveva ottenuto gli stessi voti sia studiando, sia trascorrendo tutta la giornata suonando la chitarra, e la cosa la disturbava. 

Buona parte degli studenti non studiava nemmeno e lei riteneva tutto questo solo un buon modo per produrre una classe dirigente ignorante ed incapace. 

Quel giorno era già al suo banco, seduta composta, quando una sua amica di Draboon, Indila Farrere, figlia del governatore, era entrata in classe con la testa avvolta in un foulard. Si era seduta al suo posto e pareva quasi volersi nascondersi dagli sguardi indiscreti della gente.

Già Satine sapeva che non sarebbe finita bene.

Quando la professoressa Oleson, di lettere e filosofia, era entrata in classe e si era seduta alla cattedra, era rimasta ferma a fissarla come se fosse stata congelata.

- Che cos’è quella roba?-

- Sono costretta ad indossarlo, professoressa. La prego, io non posso toglierlo…-

- Le regole valgono per tutti. Toglietevi quel coso orrendo dalla testa immediatamente.- 

- Ma io…-

- Se non ve lo togliete da sola - disse, alzandosi dalla cattedra.- Ve lo toglierò io.-

- Per favore…-

Ma ormai il danno era fatto. L’insegnante agguantò il foulard e lo strappò via con forza.

Una chioma di capelli di un brillante color papaya le crollò sulle spalle.

Indila aveva il volto tra le mani.

- Per favore, ho i capelli già bianchi, i miei compagni mi prendono in giro, ma ho sbagliato la tinta. Mi faccia tenere il foulard, la prego, sembro un uovo di strill!-

La professoressa parve pensarci su.

- Attendete qua, per favore.-

Poi, lasciò la classe.

Satine si avvicinò a Indila e provò a farla sentire meglio. In fondo, non era colpa sua. 

- Sono cose che possono capitare, Indi, ridici su e al diavolo tutti. Secondo me sono belli, i tuoi capelli.-

- Non è vero, sono orrenda!-

- Ma dai, lo sai che vado a ballare con i capelli colorati. Non puoi essere più brutta di me con i capelli arancioni!-

- Ma io ho i capelli arancioni!-

- Che c’entra? A te stanno bene!-

La professoressa era già rientrata nell’aula quando Satine tornò a sedersi al suo posto. La guardò male, ma la ragazza ricambiò con un’occhiata impassibile e lasciò perdere.

- Siete tutti convocati in aula magna per un’assemblea. Immediatamente.-

Una brutta sensazione a proposito di quell’assemblea si impadronì di Satine, e lanciò un’occhiata preoccupata a Indila, rossa come un peperone e con le lacrime agli occhi.

L’aula magna era già quasi piena quando la sua classe vi entrò. Il vicepreside Osbourne, un uomo piccolo e magro con la barba caprina e un paio di orribili occhiali spessi che incorniciavano due occhi maligni, era già seduto vicino al microfono.

- Come voi ben sapete - esordì, la voce squillante come quella di un cane molto piccolo.- La scuola di governo ha delle regole ben precise. Regole che in questo frangente non sono state rispettate!-

Satine si passò una mano sulla fronte, annoiata.

- Molti di voi hanno infranto le regole del nostro istituto in numerose occasioni, ma mai, MAI si era arrivati a questo!- disse, e si diresse senza troppi mezzi termini verso Indila. 

Satine era già pronta ad intervenire. Si era alzata in piedi ed aveva colpito la spalla della ragazza, cercando di tenerla seduta. Il vicepreside la afferrò per un braccio e la trascinò via, spingendo Satine di nuovo a sedere con la mano libera.

- Guardatela! Sembra un albero per il Giorno della Vita! Questo è IN-AM-MIS-SI-BI-LE!- e la scosse forte, mentre la ragazza si copriva il viso per la vergogna.

- E’ stato un incidente…- mormorò, tra le lacrime.

- Non ce ne importa un accidente delle vostre scuse. Questo non è accettabile nel nostro istituto, ed è il motivo per cui ci siamo sentiti in dovere di darvi l’esempio. Questo sarà ciò che accadrà qualora qualcuno, d’ora in avanti, non dovesse rispettare il regolamento. Sedetevi.-

In mezzo all’aula magna c’era una sedia, soltanto una. Le altre sedie erano state disposte in modo circolare attorno ad essa. 

Satine l’aveva guardata con sospetto fin da quando era entrata in quella stanza, ma non aveva creduto nemmeno per un momento che l’avrebbero usata per fare quello che stavano per fare.

Il vicepreside aveva appena afferrato un rasoio.

- No, no la prego!- borbottava Indila, mulinando le mani in aria.- Non lo farò più, resterò con i capelli bianchi! La prego, non lo faccia! Li tingerò di nuovo e sarà come se nulla di tutto questo fosse mai successo!-

- Taci e siediti. Dovevi pensarci prima.-

E con un movimento solo mozzò la chioma lucente di Indila.

Satine rimase impassibile a guardare il vicepreside che, lento ed inesorabile, rasava a zero la sua compagna di corso. Un’immensa rabbia bolliva dentro di lei ed era sul punto di esplodere come un petardo. Fu tutto merito dei suoi compagni se non si fece avanti con un piglio solitamente proprio di Bo Katan. La trattennero ed evitarono che rasassero a zero pure lei. 

Fu questo, banalmente, a darle l’idea, e il fatto che, per quanto l’istituto pretendesse di avere il controllo su tutto, non poteva controllare i dormitori.

E quel giorno era venerdì.

Le bastò una telefonata per farsi venire a prendere. Tornata su Kalevala, ci mise due secondi a corrompere Bo. La piccola era già entusiasta all’idea di fare una buona dose di caos e l’idea di Satine, se fosse riuscita a dovere, di caos prometteva di farne un bel po’.

Quando entrò a scuola il lunedì seguente, i suoi compagni rimasero a bocca aperta.

Non sembrava minimamente la figlia del duca Kryze. Satine era sempre stata inappuntabile, ligia a quelle regole che mal sopportava, rispettosa dello status quo. 

Quello che avevano fatto, però, l’aveva fatta arrabbiare.

Indossava il suo miglior paio di anfibi borchiati. Aveva i pantaloni di pelle che portava di solito quando andava a ballare, con l’immancabile catena che penzolava dalla tasca posteriore, la maglietta stampata con il logo della più famosa band mandaloriana e il chiodo nero. In più, aveva le unghie colorate, un vistoso paio di orecchini con le piume e un grosso foulard esotico a raccoglierle i capelli. 

Buona parte della scuola sapeva del suo piano e non vedeva l’ora di guardarla metterlo in pratica. Lo scopo era, ovviamente, evitare che quanto accaduto a Indila succedesse di nuovo, e tutti erano d’accordo che, per quanto Satine fosse il capo della ribellione, erano tutti responsabili.

Beh, con l’eccezione di Saxon e della sua combriccola, che però non sapevano assolutamente niente di quello che lei aveva intenzione di fare.

Meno delatori c’erano, meglio era.

Quando l’insegnante di lettere e filosofia entrò in classe, rimase come folgorata a guardare la nuova tenuta di Satine.

- Credete di stare ad un concerto punk? Toglietevi immediatamente quell’obbrobrio o ve lo toglieremo di dosso noi.-

- Avete intenzione di spogliarmi in pubblico?-

- Se necessario. Non crediate di salvarvi solo perché siete la figlia del duca.-

- Oh, non lo credo proprio. Penso, tuttavia, che dovrà faticare un bel po’ prima di riuscire a spogliarci tutti.-

Già, tutti. Perché tutti i suoi compagni di classe, sotto le casacche, indossavano le magliette del loro gruppo musicale preferito. C’erano le cose più strane. Una aveva la faccia di un noto musicista classico stampata sul davanti, un’altro invece il peggior gruppo di musica trash che Satine avesse mai sentito. Insieme, però, per quanto diversi e per quanto Satine faticasse a comprenderli, avevano deciso che c’era un limite al di sotto del quale non si poteva proprio andare. 

- Ma insomma, questo è un oltraggio!- sbraitò la donna, sbattendo i libri sul tavolo.

In tutta risposta, la classe cominciò a cantare una canzone molto in voga in quei giorni.

 

E quindi? Che cosa vuoi da me?

Che stia alle tue regole, al tuo mondo passato,

che io diventi quello che tu non sei diventato,

Che cosa vuoi da me?

Che io sia uguale a te, o forse meglio,

ma non riesco a farlo se non cresco,

non posso farlo se non cambio,

il mondo non è tuo, la galassia ha milioni di stelle,

migliaia i pianeti e innumerevoli le lune,

tutti vivono in modo diverso, ma se non conosco

non posso essere meglio di te.

Per essere migliore devo essere libero e onesto.

Io non sono te, sono me stesso. 

 

E fu così che Satine scopri di essere molto brava a fare casino. La classe le venne dietro molto facilmente, e ben presto il gruppo si trovò a ballare in corridoio, trascinando con sé la professoressa inviperita. Alcune facce curiose si affacciarono alle porte, e il corridoio si riempì di gente. Con sua grande sorpresa, molti professori si unirono alla baldoria generale. Tutti saltavano e ballavano a ritmo di musica, cantando a squarciagola e dirigendosi, Satine in testa, alla volta dell’ufficio del vicepreside. 

Indila era contentissima, stretta tra i suoi amici e per una volta fiera della sua testa completamente rasata. 

Satine, tuttavia, aveva ancora un asso nella manica.

Quando il vicepreside, corredato di barba caprina, si affacciò alla porta, si trovò di fronte la più grande banda di disgraziati che avesse mai visto. I suoi colleghi, anche quelli che lui riteneva più affidabili, avevano cominciato a danzare con loro, e lui era da solo contro l’intero istituto. Preso dal panico, si rifugiò di nuovo dentro il suo ufficio, cercando sostegno nel preside, che si precipitò in corridoio per vedere quello che stava succedendo. 

Satine, in testa al gruppo, continuava a cantare al mondo che essere liberi e onesti non era un male, che essere diversi era giusto e che dovevano solo apprezzarsi tutti per questo. Il resto della scuola le era andato dietro e solo pochi insegnanti e pochi studenti se ne erano rimasti in un angolo. Gar Saxon, ancora una volta in minoranza, guardava la ragazza con una punta di disprezzo ed osservava senza parole la professoressa di lettere e filosofia che ormai si era arresa alla folla e si era messa a ballare con in ragazzi. 

Fu in quel momento che Satine decise di dare il colpo di grazia al sistema.

Chiamò Indila accanto a sé e con un gesto fluido si sfilò il foulard dalla testa.

Una chioma di capelli rosa brillante crollò sulle sue spalle, mandando i compagni in visibilio.

Questa volta non erano extension, ma i suoi veri capelli, così biondi e così belli, che sua sorella aveva impiastrato di tinta rosa per ore divertendosi un mondo. 

Il vicepreside rimase di sasso e capì di avere preso una sonora batosta quando il preside accanto a lui si mise a ballare con i ragazzi.

Ovviamente, il fatto che la Scuola di Governo si fosse trasformata in una discoteca per una mezz’ora abbondante ebbe una certa eco. 

La prima conseguenza che causò fu l’incidente diplomatico con Draboon. La storia di quanto accaduto a Indila divenne di dominio pubblico ed il padre Floran Farrere, governatore della provincia, decise di portare la questione allo Tsad Droten. 

Lo fece, Satine dovette ammettere, con grande stile. 

Infatti si presentò a capo scoperto, con i capelli bianchi come la neve, nonostante fosse giovane.

- Mia figlia ha preso da me. Se non può tingerseli lei, non lo farò nemmeno io. Gli incidenti con il colore possono capitare.-

La seconda conseguenza fu un colpo di commlink proveniente da Phindar, il cui governatore si chiedeva come mai i (pochi) studenti che frequentavano la Scuola di Governo di Mandalore dovessero indossare le scarpe quando, notoriamente, i Phindian andavano scalzi. 

La terza fu un’altra chiamata di fuoco, stavolta tra il capogruppo allo Tsad Droten e il preside, che cercò di evitare il licenziamento della professoressa e del vicepreside.

A questo, tuttavia, aveva già pensato Satine.

Mentre lo Tsad Droten si riuniva, la ragazza aveva stilato un comunicato stampa che aveva fatto firmare dalla stragrande maggioranza dei ragazzi.

 

Noi, studenti della Scuola di Governo di Keldabe, non chiediamo vendetta. Non vogliamo che nessuno perda il lavoro e il proprio benessere personale e familiare per le circostanze incorse nei giorni precedenti. Vogliamo soltanto essere ascoltati. Tutti i giorni viviamo seguendo regole anacronistiche e contraddittorie che dovrebbero proteggere il merito e l’uguaglianza, ma che in verità favoriscono dissapori e inaspriscono le differenze. Non vogliamo mettere in atto ritorsioni, ma solo proporre uno scambio di opinioni produttivo per migliorare la nostra preparazione. Saremo la prossima classe dirigente, vogliamo poter rappresentare il sistema che amiamo e di cui andiamo fieri al meglio delle nostre possibilità. 

Chiediamo dunque che la professoressa Oleson ed il vicepreside Osbourne restino al loro posto. 

Non vogliamo cambiare corpo docente. Vogliamo cambiare il sistema.

 

E via di questo passo. Ovviamente, la prima firma del comunicato era di Satine. Al secondo posto, appariva il nome di Indila, ed il resto si era accodato con gioia. Persino Gar Saxon firmò. La cosa le diede particolare soddisfazione, dal momento che si trattava del suo primo esperimento politico. Aveva immaginato che non avrebbe mai rifiutato di firmare un documento che chiedeva di non licenziare gli insegnanti vicini a suo padre, e così fu.

Satine potè dirsi più che soddisfatta.

A seguito del comunicato, che aveva avuto risonanza interplanetaria, fu d’obbligo una telefonata al duca, che si disse perfettamente d’accordo sul suo contenuto. 

La professoressa Oleson e il vicepreside Osbourne rimasero al loro posto, ma la situazione cambiò.

Il codice d’abbigliamento fu radicalmente aggiornato. Con il tempo, fu introdotta una divisa, uguale per tutti, in modo che nessuno potesse più sfoggiare le patacche dorate che di solito portavano appese alle casacche. Furono concessi monili di piccole dimensioni e furono ammessi i simboli tradizionali di molti clan. 

Chi era solito coprire i capelli potè farlo, purché indossasse la divisa. 

Chi portava pitture sulle mani, potè dipingerle. 

Chi, invece, apparteneva ad un ordine religioso, potè indossarne i simboli comuni. 

I Phindian poterono camminare scalzi. 

La scuola si popolò di colori, di differenze e di tradizioni, nel rispetto dell’uguaglianza tra i ragazzi. Inaspettatamente, quel mondo così diverso, così vario, piacque anche ai più scettici, e ben presto la stranezza divenne la normalità. 

Nemmeno Satine si era aspettata un successo così clamoroso. Era nato tutto come un modo per mostrare solidarietà a Indila, ed il resto era venuto da sé.

Gli altri la guardavano in modo diverso. Gli studenti si sentivano molto più liberi di essere loro stessi e di condividere le loro passioni. Satine si sentiva meno indotta a fingere ed aveva meno paura di mostrarsi per quello che era. Certo, era pur sempre una scuola politica, con quello che ne conseguiva, ma lei poteva dire di essere più o meno felice.

C’era ancora un senso di vuoto, remoto, nascosto nel profondo del suo cuore. Un senso di incomprensione con il resto del mondo, che - Satine ancora non lo sapeva - l’avrebbe tormentata per tutta la sua vita. 

Indila però aveva scoperto che Satine amava il basso elettrico, e le due avevano cominciato a condividere spesso opinioni e soprattutto dischi, rendendo quella sensazione più sopportabile. L’incidente diplomatico si era risolto e Indila aveva cominciato a cambiare colore di capelli ogni mese.

- Hai avuto un gran coraggio a tingerteli di rosa. Io volevo solo farmi rossa, come sempre, e sono diventata una papaya per caso.-

- A me piacciono i capelli colorati. Volevo solo fare qualcosa di clamoroso.-

- Ci sei riuscita. Sono contenta, sai - disse, arricciando una ciocca dei capelli fucsia di Satine - che non te li abbiamo tagliati. Sarebbe stato un sacco triste, sono così belli.-

La ragazza fece spallucce.

- Che ci provino. Sai la faccia della Oleson se fossi andata a scuola la mattina dopo con il cappello della duchessa Fahra?-

- Fahra Piume al Vento Kryze?-

Satine ghignò.

- Con tanto di avvoltoio impagliato.-

 

***

 

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Fahra “Piume al Vento” Kryze 

Non fu la prima Mand’alor donna nella storia di Mandalore, ma fu la prima dei Kryze, o almeno la prima ad essere ricordata. Era una grande amante degli animali, soprattutto dei pennuti, e fu la prima ad introdurre nella legislazione di Mandalore la tutela del patrimonio paesaggistico e ambientale. Si diceva che passasse molto tempo nelle foreste di Kalevala, dove gli alberi si proteggono da soli. Allevava personalmente diversi esemplari di pennuti, anche non domestici, e la legge sulla protezione dei Mitosauri - purtroppo tardiva, ma sufficiente a salvare le specie imparentate con essi - porta ancora oggi il suo nome. E’ famosa per avere vinto la battaglia di Mar’eyce senza esplodere un colpo, usando solo piccioni viaggiatori addestrati. Anche le sue stravaganze divennero leggendarie. Alla morte del suo avvoltoio Zonzo, lo fece impagliare, ed era solita portarlo con sé dovunque grazie ad una piattaforma rimovibile di sua invenzione che applicava anche sull’elmo. Era specializzata nell’utilizzo di lacci e fruste, inclusi boa piumati con i quali sapeva costruire ottime trappole. Morì cadendo vittima di un attentato dei Vizla, ma solo dopo aver strangolato con il suo boa preferito il terrorista che aveva assassinato in quel contesto suo marito, il duca consorte Jorah Rau, a cui era molto legata.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Vod: fratello.

Strill: predatore con sei zampe che, di solito, emana un tanfo pestilenziale ed è molto, molto pericoloso.

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: All in all, it is just another brick in the wall. Capolavoro dei Pink Floyd, indimenticabile, sempre fonte di ispirazione.

La Scuola di Governo è una mia invenzione, come la giovane Indila Farrere e il suo clan. Al di là del contenuto del capitolo, quello che mi interessava di più, però, era far emergere un lato molto umano di Satine, un aspetto che non fosse squisitamente politico. 

Vi siete mai chiesti che cosa combinasse nel privato delle sue stanze la compostissima duchessa di Mandalore? Ebbene, io sì. 

Sono nerd, con me dovete avere pazienza. L’ho già detto e lo ripeto.

Così sono andata all’opposto di quanto abbiamo sempre visto nella serie animata. La duchessa irreprensibile in verità ama i capelli colorati, il trucco esagerato e la musica a tutto volume, o almeno lo ha fatto in gioventù. La duchessa tutta regole ed etichetta è la prima a farsene beffa, se questo significa perseguire un interesse superiore. 

In fondo, dovrà pur condividere qualcosa con Padmè Amidala, no?

I vari componimenti poetici nel corso della storia sono tutti scritti da me. La mia vena poetica è scarsina - anzi, chiamarla così è un complimento - ma farò del mio meglio, per cui abbiate pietà, vi scongiuro. 

Alla prossima,

 

Molly.

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Capitolo 12
*** 11- Il Palazzo del Governo ***


CAPITOLO 11

 Il Palazzo del Governo

 

Satine aveva le farfalle nello stomaco e la cosa era diventata un impedimento per la colazione. 

Prima della fine dell’anno scolastico, una domenica mattina, dopo che i suoi capelli erano finalmente tornati biondi, suo padre le aveva fatto la proposta a colazione. Satine era andata a ballare fino a notte inoltrata, e quando Adonai glielo aveva chiesto lei non era stata del tutto certa di aver capito bene.

- Come, scusa?-

- Ho detto che ho ottenuto una dispensa dal preside per poterti portare con me lunedì, al Palazzo del Governo.-

- Io, venire con te?-

- Non vedo perché no. Per te è tutta esperienza sul campo, e comunque prima o poi il mio mandato finirà.- 

Satine aveva accolto la notizia con gioia. Si era alzata con educazione da tavola, vogliosa segretamente di sdraiarsi sul letto e dormire fino all’ora di pranzo, e aveva fatto per andarsene prima che suo padre la fermasse.

- Blu.-

- Come?-

- Se proprio devi, blu. Almeno si intonano al vestito. Evita il rosa e il rosso, ma soprattutto il verde. Sei molto carina, il verde acido non ti dona.-

Sulle prime Satine non aveva capito, poi quando le parole avevano penetrato la sua scatola cranica, aveva sogghignato e se ne era andata a dormire con un segreto in meno a pesarle sul cuore.

Così, quel lunedì Satine era stata tirata giù dal letto da Maryam alle cinque del mattino per prepararla al suo primo round al Palazzo del Governo. Per Satine, fu un’ottima cosa. Ebbe la bellezza di un’ora e mezza per mangiare, e Hod Ha’ran solo sapeva quanto ne avesse bisogno. Era così nervosa che aveva gettato a terra la forchetta per tre volte ed aveva quasi catapultato un bicchiere giù dal tavolo. 

Era stata un’operazione delicata. Non doveva essere troppo elegante, come se si sentisse già duchessa prima del tempo. Allo stesso tempo non poteva essere troppo sciatta o avrebbe leso l’immagine della famiglia.

Non poteva ancora indossare la tiara da Mand’alor, ma avrebbe dovuto indossare quella da principessa. Con quel gesto, suo padre aveva ufficializzato la sua candidatura al trono. Satine era felicissima, ma ne sentiva tutta la responsabilità.

Bo era stata meno contenta di essere svegliata così presto dal continuo andirivieni di Maryam ed Athos. Quando però era entrata nella sua stanza ed aveva visto il vestito e la corona, si era emozionata anche lei ed era rimasta seduta nella camera della sorella, con i capelli rossi scompigliati e gli occhi pesti, a guardarla mentre l’aiutavano a prepararsi. 

Per Satine, inoltre, quello era anche il momento di indossare abiti che non erano stati cuciti per lei, ma per sua madre. Era stata una scelta intenzionale e Satine si rendeva conto che era anche piuttosto non convenzionale. Di solito i successori al trono cercavano di crearsi un’identità personale. Le famiglie spendevano un patrimonio cercando di rivestire dalla testa ai piedi i loro rampolli, talvolta con materiali preziosi per dare loro un aspetto particolarmente privilegiato. Satine aveva sempre ritenuto che ciò non fosse nello stile dei Kryze. Il duca Gerhardt aveva ridotto la spesa per il ducato, ritenendolo eccessivamente oneroso per le casse dello Stato. C’era stato chi lo aveva accusato di essere taccagno, ma avevano dovuto ricredersi quando si erano resi conto della quantità di denaro che si era riversata nelle casse del tesoro. Tenere soltanto Maryam ed Athos, con il giardiniere che faceva avanti e indietro una volta ogni tanto, ad alcuni era sembrato crudele. Il duca Gerhardt, però, aveva fatto le cose per bene e nessuno degli ex dipendenti di Kryze Manor era rimasto disoccupato. 

Per questa ragione, Satine non si sentiva particolarmente incline a rivestirsi d’oro. Lei apparteneva alla famiglia, alla Storia. Era l’ultima - no, la penultima, ma Bo era incandidabile - discendente di un clan glorioso e lo sapeva, ne andava fiera. Non era lì per diventare soltanto Satine Kryze, la duchessa di Mandalore; sarebbe diventata la rappresentante di centinaia di anni di storia, l’ultima di una linea di tradizione che sarebbe continuata nei millenni, o almeno lo sperava. Lei sarebbe stata una funzionaria, una rappresentante del popolo, delle tradizioni e dell’unità di Mandalore.

Per questo aveva scelto gli abiti di sua madre. Era un modo per dire che Vikandra era ancora viva. La sua morte era nata da divisioni e rabbia che con lei non sarebbero mai esistite. Il clan dei Bauer e quello dei Kryze erano ancora uniti più di prima e, se gli altri avessero voluto, avrebbero potuto unirsi a loro. 

Chiunque avrebbe dovuto saperlo, incluso Evar Saxon. 

Un popolo solo. Un segno di pace.

Anche quella era una tradizione mandaloriana. I periodi di pace c’erano stati, nella storia del sistema: più o meno tranquilli, ma c’erano stati. Quando non combattevano, i Mando erano un popolo aperto, curioso per natura, ospitale, rispettoso dell’altro, con una grande tradizione di affetto familiare. Non a caso avevano praticamente inventato il sistema delle adozioni che quasi tutta la galassia aveva successivamente applicato. 

Quando era uscita dalla sua camera, indossava l’abito azzurro che Vikandra aveva indossato la prima volta che era entrata - non in armi - al Palazzo del Governo. Aveva messo da parte le extension blu, chiaramente non appropriate, ed aveva lasciato che Maryam le mettesse la tiara e le acconciasse i capelli. 

Le piaceva, quella tiara. A differenza dei gioielli ducali, non conteneva cristalli blu. Era un sottile filo argentato che le circondava la fronte e si chiudeva con una clip dietro la nuca, dentro la sua semplicissima acconciatura. Due fili d’argento scendevano ai lati del viso e una perla a goccia pendeva sulla fronte tra le sopracciglia. 

Questo era quanto. Non aveva richiesto nient’altro. Niente collane, anelli o bracciali. Aveva solo le perle alle orecchie e una spilla di madreperla a forma di campanule canterine bianche, simbolo dei Kryze. 

Suo padre l’aveva vista e con la scusa di chiedere ad Athos se avesse fatto rifornimento era andato a piangere un po’ in cucina. Poi, dopo essersi ricomposto, era andato a prendere Satine ed avevano sceso le scale di Kryze Manor insieme fino alla navicella spaziale fuori dal portone. 

Al Palazzo del Governo tutti gli occhi erano puntati su di lei. 

Si sentiva in imbarazzo, ma sapeva di non poterlo dare a vedere. Si stupì del fatto che non tutti si aspettassero la sua presenza o il suo aspetto fisico. Forse le voci sul suo brutto carattere avevano fatto il loro lavoro fin troppo bene, e Satine fece di tutto per dimostrarsi amabile. 

Strinse mani e si inchinò ripetutamente ad ogni angolo, cercando di restare composta e non assomigliare sempre di più ad uno scovolino pieghevole. 

Quando entrò nel palazzo, tuttavia, fece la figura della sarda fuor d’acqua restando a fissare a bocca aperta il soffitto.

Era una costruzione meravigliosa, di pietra, beskar e vetro, che lasciava filtrare la luce come una lanterna. Si sentiva dentro ad una grossa voliera, ma era raffinata, elegante e luminosa, brillante. Le pareti di pietra erano lisce e precise, coperte da quadri, simboli storici e busti scolpiti nella pietra. 

Satine era davvero entusiasta. Seguiva suo padre passo passo e non vedeva l’ora di vedere l’aula dello Tsad Droten. 

Prima, però, il duca la portò nel suo ufficio al quarto piano. Era una stanza grande, dai colori caldi ed opachi, a differenza del resto del palazzo. La stanza era completamente di pietra, come fortificata. Solo una vetrata dava sulla città di Keldabe. 

- Bene, direi che fino ad adesso è andata alla grande, che dici, Sat’ika?-

La ragazza era senza parole e senza fiato, per cui annuì. Suo padre sorrise sotto i baffi.

- Non preoccuparti, la prima volta fa sempre questo effetto. Credo che l’aula parlamentare sarà ancora più impressionate per te. Centinaia di persone riunite nello stesso posto, in un ambiente davvero magnifico. Ti piacerà.-

Satine era visibilmente emozionata e ne approfittò per rinfrescarsi in bagno. Si guardò allo specchio, mentre si bagnava i polsi, le tempie ed il collo con l’acqua fredda. 

Non assomigliava per niente a sua madre. Vikandra era rossa, Satine era bionda. Vikandra era una dura, una guerriera, una donna estremamente forte, mentre lei era magra ed esile, un cin'ciri viinir. 

Hai i suoi occhi, però.

E la sua fierezza e la sua spina dorsale.

Sarebbe stata all’altezza. 

Quando tornò nell’ufficio di suo padre, lo trovò ad aspettarla in piedi sulla porta, un gruppo di guardie vestite di blu che lo circondavano.

- Pronta per la tua prima seduta parlamentare?-

- Non credo di poter dire di no, vero?-

Kyla rise, cingendole le spalle affettuosamente.

- No, non puoi, ma credimi, rimarrai delusa. Può essere una delle cose più noiose che tu abbia mai fatto.-

Satine sorrise, raddrizzò la schiena, spolverò il vestito e seguì le guardie lungo interminabili corridoi di vetro. Svoltò prima da una parte e poi dall’altra, e poi ancora ed ancora fino a che quasi non perse l’orientamento. Solo all’ultimo secondo si rese conto di essere giunta a destinazione, quando la porta si aprì direttamente sull’emiciclo e lei si trovò circondata da centinaia di rappresentanti che applaudivano educatamente il loro ingresso.

Fu un esperienza che le mozzò il fiato nei polmoni. Il soffitto era completamente di vetro, una cupola uniforme trapuntata da scintillanti rami di beskar. Sotto la cupola, invasa dalla luce del giorno, le panche e i banchi dei parlamentari circondavano il palco del Mand’alor, dove Kyla e Satine stavano per sedersi. Rimasero in piedi per tutto il tempo dell’applauso e Satine ebbe modo di lasciar girare lo sguardo su molti dei presenti. 

Riconobbe Lusk Wren tra le fila della maggioranza, che applaudiva educatamente con al fianco una ragazzina mora dagli occhi a mandorla che riconobbe come sua figlia Ursa. C’era anche Floran Farrere, sempre nella maggioranza, con la chioma bianca fieramente al vento. Vide una Abiik’ad dall’aspetto familiare seduta in mezzo a loro, e suo padre si premurò di dirle che, seppur di un ramo collaterale, quella donna era una Bauer proprio come sua madre. 

Dall’altra parte, nelle fila dell’opposizione, Satine individuò Evar Saxon, solo, che applaudiva di cortesia, inespressivo e con il cranio lucido come al solito. 

Quando l’applauso finì, Kyla lanciò un’occhiata di sbieco a Satine e si sedette. La ragazza seguì a ruota e si accomodò sul panchetto più scomodo che avesse mai provato in vita sua. Duro come un sasso ed inclinato da una parte, Satine era certa che si sarebbe spaccata la schiena prima della fine della giornata. Suo padre era perfettamente comodo sul suo scranno imbottito e si domandò se un giorno anche lei si sarebbe seduta su un trono come il suo. 

Come le aveva preannunciato suo padre, la seduta fu di per sé noiosa e Satine si rese ben presto conto che fare il Mand’alor poteva essere un compito gramo. Qualche giorno prima il duca Adonai aveva presentato, per l’ennesima volta, la proposta di riforma della sanità. Satine sapeva che il Mand’alor non era un sovrano assoluto, che non aveva potere decisionale, che sarebbe spettato al parlamento e ad esso soltanto decidere sulle questioni che riteneva rappresentassero maggiormente il popolo. Il governo, poi, era l’organo individuato ad hoc per svolgere le funzioni esecutive, ma il Mand’alor aveva comunque dei poteri, oltre a quelli di garanzia. Poteva fare raccomandazioni e proposte, ma oltre questo, non poteva fare. Più di una volta suo padre aveva provato ad individuare delle possibili alternative allo stato terribile in cui versava la situazione sanitaria mandaloriana, ma il parlamento aveva rigettato le sue proposte, considerando la riforma non prioritaria.

Un modo come un altro per dire che non c’era interesse a cambiare una virgola.

Satine, quel giorno, doveva assistere alla discussione della proposta ed aveva capito fin da subito che c’era una spaccatura consistente tra maggioranza ed opposizione. Seduta sul suo sgabello, aveva ascoltato i vari interventi ed aveva faticato non poco a trattenere uno sbadiglio.

Erano intervenuti in tanti, uno dopo l’altro, tutti con qualcosa da dire. Satine, cercando di leggere tra le righe, aveva compreso che la maggioranza avrebbe appoggiato la proposta del duca. La risposta costante era che non erano né a favore, né contro, e che forse, adesso, il paese era pronto per affrontare un simile passo in avanti. 

Tuttavia, non si sbilanciarono più di tanto. 

L’opposizione, invece, era ferma su un categorico no, pretendendo di spendere le risorse in armamenti per difendere il sistema da attacchi esterni piuttosto che in inutili paccottiglie mediche

Presto la discussione si fece più interessante. Un membro della maggioranza e uno dell’opposizione, le pareva che si chiamassero Eldar ed Awaud, si presero a male parole. Quello che però preoccupò di più Satine fu un gruppo dell’opposizione che, nel criticare aspramente la proposta di legge di suo padre, si alzò e si avvicinò pericolosamente alla loro posizione tenendo in mano qualcosa.

Satine toccò discretamente la gamba di suo padre, che le lanciò un’occhiata di sbieco e i due si intesero. Kyla era una maschera di calma, ma, seppur con delicatezza, strinse le dita della mano di sua figlia con un po’ troppa forza per essere tutto nella norma. Satine si lanciò un paio di occhiate intorno e si rese conto che le guardie del palco ducale erano in allerta. 

Mentre Eldar ed Awaud continuavano a darsi dei deboli e dei dar’manda a vicenda e un povero disgraziato del clan Kast provava a metter pace prendendole di santa ragione, il gruppo di parlamentari imbufaliti si stava dirigendo sempre più vicino al loro palco. 

Fu in quel momento che le guardie personali di suo padre entrarono in azione. 

In men che non si dica furono giù per il corridoio e fermarono lo scontro sul nascere. Uno riuscì a gettare quella che sembrava una borraccia d’acqua verso di loro, ma fu incredibilmente presa al volo. 

Un uomo si avvicinò a Satine, la prese per le spalle e la invitò ad allontanarsi dal palco.

La ragazza lanciò un’occhiata preoccupata al padre, che rimase seduto impassibile al suo posto e con un cenno del capo le disse di andare.

Satine fu portata via dalla guardia personale, direttamente nello studio del duca. Non riusciva, però, a trovare requie. Continuava a camminare in cerchio, o avanti e indietro, oppure guardava fuori dalla finestra o si tormentava le mani e la gonna. Suo padre era ancora in aula e non sembrava intenzionato ad uscirne, e non c’era nessuno che la stesse invitando ad entrare di nuovo. L’unica ragione per un simile comportamento era la persistente situazione di pericolo. Era chiaro che, se il duca fosse fuggito via, l’avrebbero accusato di codardia ed avrebbe rischiato il suo posto. Suo padre sarebbe dovuto restare fino alla fine della seduta, ma la cosa, per quanto razionale, di sicuro non rassicurava Satine. 

Dopo ore che le parvero giorni, numerose gite in bagno per rinfrescarsi la faccia e un pranzo sobrio che le fu portato dalla sua guardia personale, la voce di Kyla finalmente le rasserenò un po’ il cuore.

- Beh, speravo che ti avrebbero fatto stare tranquilla almeno oggi, ma devo dire che come primo giorno non è stato niente male.-

Satine gli corse incontro e lo abbracciò forte.

- Ti hanno fatto male?-

- Oh, no, cara, è stato solo un gruppetto di esagitati che pretendeva di farla da padrone, ma è stato presto sedato e tutto è tornato alla normalità.-

Satine sapeva bene che non era così e che suo padre stava solo cercando di rassicurarla.

- E’ giunto il momento di concludere la seduta parlamentare. Dobbiamo andare a salutare i deputati. Temo che tu debba venire con me. Te la senti?-

Non che avesse molta scelta, così seguì suo padre e la guardia personale fuori dallo studio. Rientrò in aula e, dopo le parole di rito, gli applausi e gli inchini, la sua prima temibile giornata allo Tsan Droten giunse alla conclusione.

Lei e suo padre non parlarono fino a che non furono fuori dallo spazio aereo di Mandalore. 

- Dimmi la verità, papà. Da quanto tempo va avanti questa storia?-

Kyla sospirò.

- Un po’. Sono anni, ormai, che la situazione comincia a degenerare. Fino a questo momento, i Vecchi Mandaloriani se ne sono stati buoni buoni all’opposizione, ma c’è qualcos’altro che si sta muovendo sotto la superficie, Sat’ika, qualcosa che io temo molto e che non so come fermare. Credimi, ho provato di tutto, ma non c’è verso di reprimere questi contrasti. Hai sentito parlare della Ronda della Morte, vero?- 

- Certo. Un gruppo di terroristi che aveva minacciato di ridurre Mandalore in cenere nell’ultima guerra civile. Quelli che ti hanno fatto incontrare mamma.-

Kyla sorrise.

- Esatto. Quello è stato l’ultimo attacco che hanno sferrato. Fu tua madre a venirci in soccorso, salvando me, Athos e anche buona parte di quelli che in questo momento si trovano all’opposizione. Il problema è che il potere tenta molti, troppi, e la Ronda della Morte promette di rovesciare il nostro sistema pacifico. Ogni essere dotato di razionalità dovrebbe essere spaventato da loro, eppure c’è una fazione che si illude di poter controllare quel movimento. Uno tra questi folli è, nemmeno a dirlo, Evar Saxon. Il movimento sta crescendo, Satine, troppo. Ho provato a rendere l’applicazione delle norme antiterrorismo più stringenti, ma purtroppo sono molti i conniventi. Alcuni governatori preferiscono chiudere un occhio, e forse anche due.-

- Li avete rintracciati?-

- Sì, su Concordia.-

- La nostra luna? Ma non è una delle autonomie assegnate ai Vecchi Mandaloriani?-

- Purtroppo sì. Inoltre, Concord Dawn è restio a rispettare le regole, e anche i Phindian stanno facendo la loro parte nel fare orecchie da mercante. Anche il piano internazionale non è dei migliori, bambina mia.-

Satine sospirò, e si accomodò meglio sulla navetta per l’atterraggio.

Non le piaceva per niente. Quello che aveva visto quel giorno sembrava l’anticamera di qualcosa di grosso, e la ragazza non era certa di voler sapere che cosa stesse bollendo in pentola. Era evidente che la Ronda della Morte stava diventando sempre più forte, e anche se non avrebbe raggiunto i numeri pericolosi che le avrebbero permesso di rovesciare il governo da sola, sicuramente avrebbe goduto dell’appoggio di molti e forse anche degli insospettabili.

Ciò che l’aveva infastidita di più, però, era stata l’ignavia della maggioranza.

Alla luce di quelle informazioni - che di sicuro non erano riservate e i parlamentari le conoscevano tanto quanto lei - l’obiettivo principale per preservare il sistema era mantenere il duca al suo posto. La maggioranza governativa avrebbe dovuto agire compatta per difendere l’operato del loro Mand’alor da chi lo considerava un dar’manda e faceva un gran baccano soltanto per delegittimarlo. Non capiva per quale motivo non prendessero una posizione chiara. Sosteniamo la riforma sanitaria!, avrebbero dovuto dire. 

Al di là dell’opportunità di tale riforma, in quel momento il motivo per cui farlo era squisitamente politico.

La situazione che aveva visto, invece, poteva significare soltanto due cose.

La prima, che suo padre stava perdendo il controllo di Mandalore.

La seconda, che anche all’interno della maggioranza c’erano interessi che si preferiva restassero al loro posto, anche se questo sarebbe costato la pace del sistema.

Inutile dire che Satine non era contenta. Aveva la sensazione che la situazione su Mandalore si stesse lentamente deteriorando, o forse era già deteriorata e si stava avvicinando sempre di più al punto di non ritorno.

Guardò suo padre, che ricambiò lo sguardo, ed in quel momento si dissero tutto. Si scambiarono ansie, dolori, paure. Suo padre sapeva molto più di lei, ma in quel momento capì che lei aveva capito, e che quello che non sapeva lo aveva intuito. 

Kyla era desolato. Aveva lottato per rendere Mandalore un posto migliore per le sue figlie, ed invece aveva lasciato alla sua bambina un mondo sull’orlo del baratro, pronto a precipitare da un momento all’altro in una guerra tra pari. In ogni caso e comunque fosse destinata ad andare quella storia, Satine ne avrebbe pagato il prezzo, e la ragazza dopo quel battesimo lo sapeva molto bene. 

- Sei stata molto brava, oggi.- le aveva detto carezzandole i capelli. Se lo meritava, dopotutto.- Hai mantenuto un perfetto autocontrollo. Ti sei comportata come una vera duchessa.-

- Grazie, buir.-

Satine era stremata, e si addormentò dopo essersi accoccolata sul sedile. 

Kyla lasciò che Athos guidasse la navetta in silenzio verso il grande globo di Kalevala.

Infine, con una lacrima tra le ciglia e gli occhi persi nel nero dello spazio, sussurrò:

- Ha già capito tutto.- 

Il maggiordomo annuì senza staccare gli occhi dal cosmo, un po’ per prudenza, un po’ perché non aveva il coraggio di guardare il duca negli occhi.

- E’ davvero brava, sai, Athos? Più brava di me e di molti altri prima di noi.-

- Dovrà essere più brava di Saxon e dei suoi sodali.-

- Lo è. Ha già dimostrato di esserlo. Vikandra sarebbe fiera di lei.-

Athos dondolò il capo, convinto.

- Sai, quando l’ho vista stamani ho creduto di non farcela. E’ così bella, Athos. Non si merita tutto questo. Non si è meritata nulla di quello che è stato e non si meriterà nulla di quello che succederà.-

Il maggiordomo rimase ad ascoltare in silenzio, una mano sui comandi e una sulla spalla del suo fratello adottivo.

- Assomiglia molto a lei, ma assomiglia molto anche a te. Avete la stessa indole, e anche il viso è il tuo. Di Vikandra ha gli occhi e la forza, la fierezza.-

- A volte mi chiedo che cosa ho fatto per meritarmi una perla come lei. Provi ad essere forte per le tue figlie, ma ti senti inadeguato tutti i giorni.-

- Sei troppo duro con te stesso. Lei ti adora e penso che questo sia il segno più grande di un egregio lavoro.-

Poi, tolse il braccio e tornò con una mano sui comandi, sospirando. 

- Adesso sta’ zitto, vod. Non posso atterrare se mi fai piangere.-

 

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Cin'ciri viinir: lett. neve che corre, una specie kudu albino dal corpo longilineo come quello di un’antilope, con le corna arricciolate verso l’altro e striate di bianco e nero.

Buir: lett. genitore.

 

***

NOTE DELL’AUTORE: Eldar, Awaud, Kast e soprattutto Wren sono clan realmente esistenti. Il clan Wren, ed Ursa in particolare, hanno trovato ampio spazio nella serie animata Star Wars: Rebels. Consiglio di dare un’occhiata, per evitare scomodi spoiler, anche se, essendo questa storia l’antefatto, non dovrebbe esserci niente di particolare. Lusk è un personaggio inventato dalla sottoscritta. 

Sul sistema di Mandalore non si sa granché. Stando ad alcune fonti, sembra che non abbia un assetto democratico, ma a giudicare da quanto visto in The Clone Wars, inclusa la presenza di un primo ministro, sembra appunto una democrazia, vuoi una monarchia parlamentare (in stile spagnolo, per intenderci), vuoi una repubblica presidenziale o semipresidenziale (ad esempio, quella francese). Ho preferito la seconda per motivi di praticità e perché mi sembra più congrua con le continue lotte intestine di Mandalore per la presa del potere

Per il resto, non c’è molto da dire, se non che mi piace psicanalizzare i miei personaggi e anche quelli degli altri.

Adonai Kryze in particolare è molto divertente da scrivere. Politico navigato, farabutto quanto basta, birba quel tanto che serve a renderlo simpatico e soprattutto un tenerone con le figlie e pazzo della moglie. 

Ah, e ha inventato la pet therapy.

Poveruomo. Sapesse che cosa lo aspetta.

 

Molly. 

 

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Capitolo 13
*** 12- Visione ***


CAPITOLO 12

 Visione

 

ATTENZIONE: contenuti inquietanti. 

 

Molte cose erano accadute dalla prima volta che aveva messo piede nello Tsad Droten.

Aveva continuato a seguire suo padre, di solito al pomeriggio. Aveva imparato ad andare e venire da sola dalla Scuola di Governo fino al Palazzo. Aveva visitato le sedi adiacenti e gli altri palazzi del potere. Aveva imparato le parole d’ordine e le guardie la lasciavano entrare nello studio di suo padre. Di solito, ci andava a studiare, ma le pratiche che lui lasciava sulla scrivania erano spesso oggetto di scrutinio segreto. Kyla lo sapeva, o almeno se lo immaginava, e non faceva nulla per nascondere quei file. Satine era intelligente, e suo padre incoraggiava quel comportamento per avere le sue opinioni in proposito successivamente. La ragazza aveva dimostrato di vedere ben più in là del proprio naso e forse addirittura più in là di quello del duca.

Era stata lei a subodorare per la prima volta il tradimento di Lusk Wren. 

Kyla aveva sempre pensato che fosse un suo caro amico, prima ancora che un alleato politico. Purtroppo, però, la situazione stava precipitando ad una velocità allarmante e la scusa era stata proprio la riforma della sanità.

All’ultima votazione, a scrutinio segreto, la proposta di Kyla Adonai Kryze era stata battuta seicentonovanta a quattrocento. Soltanto un clan era così numeroso da poter fornire i voti sufficienti per una simile batosta.

Adonai c’era rimasto male, non tanto per la sconfitta. Se i rappresentanti del popolo non manifestano la volontà di portare a termine una riforma negli interessi dei rappresentati, ad un certo punto non era un problema suo. Quando però si delegittima in quel modo la proposta del Mand’alor e alcuni movimenti politici di opposizione potenzialmente pericolosi crescono esponenzialmente, l’immagine del Mand’alor in questione viene danneggiata, e al contrario vengono legittimati quei terroristi che a parole si vogliono contrastare.

Questo era esattamente quello che era successo a Kyla. 

Non era la prima volta nella storia che la proposta di un Mand’alor veniva bocciata. Di norma, questo non aveva grosse conseguenze. Il duca, invece, si era trovato a fronteggiare una tempesta mediatica senza precedenti, un accanimento nei confronti della sua persona mai visto prima, e, soprattutto, commenti volgari rivolti a sua figlia e basati sul nulla più assoluto.

Era preoccupato, soprattutto per lei. Satine non aveva fatto niente e non doveva essere coinvolta. Stava solo imparando, come i figli di tutti gli altri. 

Nessuno si sarebbe mai sognato di trattare Gar Saxon o Ursa Wren con la stessa violenza verbale con la quale in quel momento stavano attaccando Satine. 

Sapeva che sua figlia ne soffriva, anche se non lo dava a vedere, ed aveva la sensazione che anche alla Scuola di Governo le cose fossero cambiate. Satine non ne parlava più e già questo era un segno che la situazione non stava di certo migliorando. La sua rivoluzione scolastica aveva avuto un buon esito, ma Satine era stata progressivamente abbandonata dai ragazzi che l’avevano inizialmente seguita. C’era rimasta male, ma i più fedeli le erano rimasti accanto. Indila, ad esempio, le era rimasta amica nonostante le differenze di opinione con gli altri ragazzi e la lenta ma progressiva emarginazione. 

Satine temeva che, prima o poi, l’avrebbe abbandonata anche lei.

Il tormento che aveva portato racchiuso nel cuore e parzialmente sopito era tornato a ruggire. La ragazza pensava ingenuamente di non potere stare peggio di così. Aveva cominciato a dormire male la notte e di nascosto aveva chiesto a Maryam se poteva darle qualcosa per aiutarla a chiudere occhio. Aveva provato con la camomilla, all’inizio, ma aveva ottenuto pochissimi risultati. Si rifiutava di prendere farmaci che avrebbero indotto il sonno e non voleva che suo padre fosse costretto a darle il permesso, così, a parte l’uso di qualche erba rilassante, Satine finiva con il fissare il soffitto e rigirarsi nel letto fino a tarda notte. Aveva perso la voglia di ballare nei club e continuava a suonare per ore per sfuggire al tedio. Aveva bisogno di riconnettersi con se stessa e con i suoi bisogni scoprendo però che nulla poteva fare per sentirsi meglio.

L’aria alla Scuola di Governo era effettivamente cambiata. Il non detto prevaleva sul detto. La sensazione che i rapporti venissero mantenuti per pura cortesia cresceva nell’animo di tutti. A Satine e agli altri ragazzi toccava l’arduo compito di distinguere il vero dal falso.

Anche l’amicizia di suo padre con Lusk Wren era stata vera, però, eppure era finita come era finita.

Satine, a soli sedici anni, cominciava a sentire il terreno sotto i suoi piedi tramutarsi in una palude.

Chiese a suo padre di portarla con sé da qualche parte che non fosse Keldabe e il Palazzo del Governo. 

Non ne poteva più della società civile, aveva bisogno di tornare su Kalevala e riconnettersi con la natura e la semplicità del suo mondo. 

La triste occasione si presentò poco tempo dopo, quando suo padre venne chiamato sul suo pianeta natale per assistere l’anziana Leera Rau. 

Da quello che ricordava Satine, la donna era stata da giovanissima un’ambasciatrice di Mandalore durante il governo di suo nonno Gerhardt. Era una persona stimata e riverita, considerata molto saggia, valorosa e leale. Aveva sostenuto la nobile casata dei Kryze per tutta la vita e anche sul letto di morte aveva chiesto di vedere Kyla. Sarebbe stato suo compito pronunciare la formula di rito, per salutarla come si conveniva ad una donna del suo calibro.

Satine era nuova a quel genere di esperienze. L’ultima volta che era accaduta una cosa del genere, lei era troppo piccola per ricordare e non vi aveva assistito. Le pareva che il poveretto in questione si chiamasse Reeves e fosse stato un diplomatico a sua volta. Non sapeva se era pronta ad adempiere a quell’obbligo, tuttavia era ben felice di tornare su Kalevala e vagare nei boschi che lei amava tanto. 

Così, quando suo padre era venuto a prenderla, aveva messo il suo vestito migliore per l’occasione ed era partita con lui.

La scelta dell’abito aveva coinvolto pure Indila, che si era rivelata una vera e propria esperta in materia. Satine aveva rivoltato l’intero armadio e la sua amica aveva correttamente optato per i pantaloni e la giacca scuri ricamati in argento che la ragazza aveva dimenticato di avere, sepolti sotto la marea degli abiti di sua madre. Era in effetti una scelta efficace, sobria ed adatta alle tristi circostanze che l’avrebbero condotta su Kalevala. 

Aveva evitato la tiara, preferendo la semplice e sottile fascia ricamata che le avrebbe avvolto la fronte. 

Nella navicella aveva trovato suo padre stranamente nervoso. Si guardava attorno con circospezione, e sulle prime non le disse niente eccetto un cenno del capo di benvenuto. Satine trovò tutto quanto molto strano, ma non replicò e lasciò che Athos guidasse la navicella fuori dallo spazio aereo di Mandalore.

- Papà?-

- Mh.-

- E’ successo qualcosa?-

Kyla parve svegliarsi dal suo torpore. La guardò con occhi nuovi, e per la prima volta si accorse di lei e dei suoi vestiti.

- Oh, no, Sat’ika. Sei bellissima, tra parentesi. Non potevi fare scelta migliore.-

- Mi ha aiutato Indila. Sei sicuro di stare bene?-

Kyla annuì, sorridendo.

- Non sapevo se dirtelo o meno, ma immagino che sia una storia che devi conoscere prima di imbarcati in questa impresa, o potresti rimanerne scioccata. Athos?-

L’uomo annuì, concentrato sull’inserimento del pilota automatico.

- Stiamo per andare al villaggio di Nebrod. Sai che cosa significa?-

Satine provò a fare mente locale. Aveva sentito più volte quel nome nei libri di storia e di leggende con cui aveva provato a dare un senso al suo potere. Le pareva di ricordare che Nebrod fosse la divinità dell’oltretomba a cui erano dedicati numerosi luoghi sacri e che il villaggio in cui stavano andando fosse ritenuto mistico. Sorgeva nel cuore di Kalevala, sul limitare del bosco e nei pressi di un lago le cui acque misteriose, secondo le leggende, inghiottivano le anime dei morti per portarle nelle viscere della terra. 

- Quello che ricordo non è molto rassicurante.-

Kyla sogghignò.

- Hai perfettamente ragione e ti capisco. Nebrod e il bosco circostante non sono luoghi ameni. Ci sei stata da piccola. Ti ricordi niente?-

Satine aggrottò le sopracciglia.

- Non molto. Mi ricordo il bosco e delle farfalle, e poi mi ricordo una voce.-

Il duca ne fu turbato e non si prese la briga di nasconderlo.

- Quale voce?-

- Non lo so, qualcuno che canta. Forse era mamma.-

Kyla sospirò. Era certo che nessuno, quel giorno, avesse cantato. Era stato un giorno triste e la bambina era rimasta quasi sempre con lui. Con Satine, tuttavia, non si poteva mai dire, ed era ampiamente probabile che chi le avesse cantato una canzone non fosse proprio un chi, bensì un cosa.

- E’ un luogo molto bello e suggestivo. Ci sono le tombe dei nostri avi. Anche tua madre è stata sepolta lì. Il rituale può spaventare e vorrei che tu facessi un bel respiro prima di continuare.-

Satine obbedì e si assestò meglio sul sedile.

- E’ scritto che il corpo del defunto debba essere messo in armi e portato al lago per essere adagiato nelle sue acque. Poi, la corrente porta il corpo al largo e, una volta giunto sopra il Pozzo dei Giganti, la Luce lo prende e lo porta con sé.-

- Che cosa significa? Che trascina il cadavere giù nell’abisso?-

- Esattamente. Successivamente, la famiglia si reca all’albero sacro e prova ad ascoltarne la voce. Quando la sente, a quel punto sa che il proprio caro estinto è in pace.-

Gli occhi di Satine si inumidirono.

- Vuol dire che se vado all’albero dei Bauer posso sentire la voce di mamma?-

- Ci sono andato spesso, quando mi mancava troppo. Tu e Bo eravate troppo piccole per poter capire e volevo che cresceste lontano dalle superstizioni. In verità, i fenomeni che si verificano al lago di Nebrod non sono mai stati del tutto spiegati, e non siamo nemmeno sicuri che non siano dovuti a fenomeni magnetici o altro. Non sappiamo un granché. Per chi ha fede, però, funziona.-

- Posso andarci?-

- Certo che puoi. Ora sei abbastanza grande per scegliere da sola.-

Satine annuì con convinzione, ma qualcosa nelle parole di suo padre non l’aveva del tutto convinta.

- Che significa i fenomeni che si verificano al lago?-

- Significa - fece quello, lo sguardo fisso sul globo di Kalevala sempre più vicino di fronte a loro. - Che i fenomeni inspiegabili non sono solo questi. Già il fatto che il lago sembri animarsi è di per sé inquietante, e gli alberi parlanti non sono di sicuro da meno. Tuttavia, il lago è anche un famoso luogo di pellegrinaggio. Si dice che, se invocato, Nebrod parli e lasci delle profezie a chi le richiede.- 

Satine inarcò un sopracciglio, pensierosa.

- Ci sono anche altri rituali che io non so? Tipo masticare erbe strane prima di andare al lago, o funghi colorati?-

Kyla ed Athos risero di gusto.

- Può essere che qualcuno si faccia di - chiamiamole così - spezie, ma ti posso garantire che non sono a conoscenza di nessuna tradizione simile.-

Pensò che non ci fosse ragione, per il momento, che la ragazza sapesse proprio tutto. Da una parte era un bene che lei non avesse memoria di quello che era accaduto tanto tempo prima, quando lei era solo un’infante che zampettava poco lontano dalle gonne di sua madre.

Avrebbe visto tutto con i suoi occhi.

La navicella atterrò in campo aperto, poco lontano da un villaggio le cui case erano arroccate l’una sull’altra. Era un posto curioso che in qualche modo le ricordava incredibilmente Qibal, la città dei Kryze in cui lei era nata e cresciuta. I colori erano molto simili: malta bianca era stata utilizzata per intonacare le pareti e i tetti sassosi si fondevano con il cielo ingrigito di quella giornata cupa. 

Una sottile umidità avvolgeva le case, dando al paese un’aria spettrale. 

Satine e suo padre, con Athos alle calcagna, percorsero la strada acciottolata che si arrampicava su per il paesino. 

Non c’era anima viva. 

Lanciò un’occhiata a suo padre, che ricambiò con un mezzo sorriso nervoso.

- E’ sempre un po’ inquietante, cara. Non badarci. La maggior parte della popolazione del paese è anziana, e quello che avanza è disabitato. Dicono che qua le persone possano vivere più a lungo. Non so se sia vero, magari mangiano soltanto meglio.-

E cinse le spalle della figlia per farle un po’ di coraggio.

Un bisbigliare consistente si avvicinò alle sue orecchie e Satine provò ad aguzzare l’ingegno per capire di chi si trattasse. Era la voce di un uomo e di una donna che chiacchieravano a bassa voce con quello che sembrava un grande rispetto per l’argomento in questione.

Quando svoltarono l’angolo, si trovarono di fronte ad una piccola casetta bianca con il tetto di sasso, la porta aperta e la sensazione che qualcosa stesse per incombere su di loro. Di fronte alla porta, tutta una serie di pacchetti e fiori, probabilmente l’ultimo saluto di chi era venuto a rendere omaggio alla signora Rau.

Sulla soglia c’erano Lusk Wren e una vecchia che sembrava avere tutti gli anni del mondo.

Suo padre sospirò accanto a lei e Satine gli strinse la mano per fargli coraggio.

Lusk parve accorgersi della sua presenza e si voltò a guardarli. Il terzetto si avvicinò alla porta, e lei si allontanò un poco da suo padre per lasciargli lo spazio che meritava.

- Lea. Lusk.-

I due annuirono.

- Come sta Leera?-

- Non le resta molto. E’ questione di ore.- fece la vecchia, rientrando dentro casa e lasciandoli soli.

Un silenzio scomodo calò sul gruppo. 

Athos accompagnò Satine dentro la casa, provando a lasciare soli il duca e quello che una volta era stato suo amico, ma la strategia non funzionò. I due li seguirono dentro il piccolo salotto e scambiarono solo poche fugaci parole.

- Che ci fai qui, Lusk?-

- Leera è una Rau. E’ legata alla nostra famiglia.-

Kyla annuì e non commentò.

Satine rimase in un angolo, mentre guardava suo padre e Lusk sedersi alternativamente sul letto nella piccola camera spoglia e tenere la mano alla donna. Lei li riconobbe entrambi e ricambiò la stretta con le poche forze che le restavano.

- Adonai. Quanto tempo.- gli disse, stringendo le dita attorno alle sue. - Ed hai portato anche Satine.-

- E’ bella, vero?-

- Come sua madre. E come te. Sono certa che darà lustro alla nobile casata dei Kryze.-

Satine fissò come ipnotizzata gli occhi cerulei e semivuoti dell’anziana donna, mentre questa li faceva scorrere sulla sua figura.

- Perché quella faccia triste?- chiese, tendendo la mano a Lusk Wren.- E’ un bel giorno. Sto per tornare alla Luce. Mi porterai da Nebrod, vero? Mi porterete?-

- Sì.-

- Insieme, vi prego. Accompagnatemi ancora una volta. Siete il capolavoro più grande. Un Kryze e un Wren, eterni rivali, adesso amici. Sono così fiera di voi, ragazzi miei.-

A Satine si strinse il cuore.

Se solo avesse saputo! Ma Leera aveva il diritto di morire serena, e nessuno disse niente.

La signora Rau disse ancora qualche parola, poi chiuse gli occhi. Si addormentò e spirò, in pace col mondo.

Ni su'cuy, gar kyr'adyc, ni partayli, gar darasuum, Leera Rau.

Kyla e Lusk si alzarono in piedi e lasciarono il capezzale della donna, pensierosi.

- Adesso dovremo portarla al lago.-

- Mi fa sempre effetto vederli sparire nel Pozzo.-

- Dopo averci portato Vikandra, non mi fa più né caldo né freddo. Mi dà più fastidio che possa disturbare Satine.-

- Perché l’hai portata, allora?-

- Deve imparare.-

I due, assieme ad Athos, si diressero nel salone per prendere accordi con Lea. Satine rimase indietro a fissare il corpo esanime della povera Leera Rau e a pensare che cosa avrebbe detto se solo avesse saputo della rottura fra i membri del suo grande capolavoro.

Pensò a quanto si potesse essere ipocriti, nella vita e nella morte, e si convinse che se la gente vivesse ogni giorno come se fosse l’ultimo avrebbe altre priorità e si comporterebbe in modo più onesto.

Sospirò e diede le spalle alla donna, rivolgendosi verso la porta.

Un fruscio curioso la distrasse.

Si voltò, insospettita, e trovò Leera Rau con gli occhi aperti, seduta sul letto. 

- Signora?-

La donna gettò le gambe scheletriche giù dal letto.

- Signora, dove andate? Resta… BUIR!-

Satine era rimasta immobile a fissare il corpo della donna mentre si alzava dal letto e si metteva in piedi, perfettamente eretta. Ciò che però la terrorizzò di più furono gli occhi. 

Bianchi e completamente velati.

- BUIR!-

- Non urlare, Sat’ika, non è il…-

Ma le parole morirono in gola pure al duca, mentre Leera Rau si voltava lentamente e piantava gli occhi bianchi su di lui.

Mosse qualche passo in avanti e Satine scartò di lato per non essere raggiunta. La donna parve non vederla nemmeno. Tese un braccio in avanti e scansò delicatamente Kyla dall’uscio, per poi proseguire sempre dritto, fuori dalla porta e sull’acciottolato, completamente scalza.

Lea borbottava che una cosa del genere non si vedeva da anni. Lusk aveva assunto un colorito verdognolo, mentre suo padre si era lanciato in un discreto inseguimento.

Satine, nonostante la gola secca, gli tenne dietro tallonata da Athos. 

Leera Rau uscì dal villaggio e scartò a sinistra, dove un sentiero sottile si faceva largo nel bosco. In fila indiana, Kyla, Satine, Athos e Lusk seguirono i suoi passi.

La ragazza era certa che la donna fosse morta. Qualunque cosa le fosse preso, tuttavia, sembrava dotata di vita propria. Incedeva spedita, certa di dove stesse andando, senza mai mettere un piede in fallo. 

Brividi freddi le percorsero la schiena, ma provò ad ignorarli e a non diventare verdognola come Lusk Wren, poco più indietro.

- Satine, va tutto bene?-

- Sei serio?-

Kyla sorrise.

- Erano anni che non accadeva una cosa del genere.- le disse, avvicinandola e cingendole di nuovo le spalle senza perdere il ritmo.- E’ un evento assolutamente raro. Immagino che abbia a che fare con il fatto che Leera Rau era l’ultima del ramo collaterale della sua famiglia.-

- E’ morta, vero?-

- Mortissima. Garantito. Nebrod l’ha chiamata a sé e lei sta andando da lui.-

- Per riunirsi alla Luce?-

- Per riunirsi alla Luce, sì.-

Camminarono nel bosco per una buona mezz’ora, fino a che il verde non cominciò a digradare e un lago blu profondo e rotondo come un cerchio disegnato sulla carta si aprì davanti a loro. 

Il gruppo si fermò al limitare del bosco, mentre il cadavere di Leera Rau continuava a camminare verso l’acqua.

Vi mise un piede su, e non andò a fondo. 

Continuò a camminare sull’acqua fino al centro del lago, dove l’abisso diventava nero, e si fermò al centro esatto di quella specie di pupilla gigante.

Il cielo era grigio, ma non spiegava il chiarore che l’acqua parve acquistare all’improvviso. Un lampo, due, tre, di una luce azzurrognola e biancastra. All’improvviso, un paio di rivoli d’acqua brillante si levarono dal lago e circondarono il corpo della donna, che sparì nelle profondità del Pozzo.

Poi l’acqua si calmò e tutto finì. 

Satine rimase a bocca aperta.

- Questo è…-

- Uno dei fenomeni inspiegabili di cui ti parlavo, sì.- le disse suo padre, il braccio ancora attorno alle sue spalle.- E’ suggestivo, vero?-

- E’ spaventoso!- fece lei, piantando gli occhi turchesi nelle iridi tigrate del duca. - E’ come guardare La luna nel pozzo, solo che è reale! E fa impressione! Insomma, là sotto è buio, umido e freddo…-

- Anche sotto terra c’è umido e freddo, e molto buio. Alla fine, è un metodo di sepoltura come tanti altri.-

Satine pensò che in questo senso i Jedi erano più avanzati, bruciando i corpi e facendo in modo che restassero nell’aria per sempre, liberi e in piena luce. Non la faceva sentire a proprio agio l’idea di essere risucchiata nelle viscere della terra quando in vita aveva soltanto voluto volare via, libera, nel vento. 

Era evidente che Lusk Wren, nonostante la situazione e il colorito, aveva voglia di parlare con Kyla, per cui Satine si fece in disparte. Sapeva di dover presenziare ai discorsi politici, ma quella, forse, era più una chiacchierata tra amici che tra un Mand’alor e un suo sostenitore. Così, si allontanò un poco, mentre Athos faceva la guardia poco lontano da loro per proteggere il suo fratello adottivo. 

Attratta dall’acqua, come al solito, si diresse verso le rive del lago. Le sue acque erano scure. Aveva il vago ricordo di essere già stata lì, ma si ricordava un posto luminoso, brillante, con un sacco di pesci, non di certo quel lago ombroso simile ad un occhio il cui centro sprofondava in abissi oscuri e, per i gusti della ragazza, pericolosi e poco invitanti. 

- Mi dispiace, Kyla, veramente.-

- Con tutto il rispetto, Lusk, ma proprio non capisco di che cosa tu ti debba dispiacere.-

- Di non aver votato la riforma della sanità.-

Kyla sospirò.

- E’ stato un colpo basso, amico mio. Non posso negare che sono molto deluso.-

- Ci metteresti in ginocchio, Kyla. Non siamo in grado di fornire gli approvvigionamenti per una sanità diffusa. Se ti rivolgerai all’estero, la concorrenza ci farà a pezzi.-

Le sopracciglia del duca si aggrottarono.

- Quindi è una questione di soldi.-

- Kyla, cerca di capire. Il clan Wren ha sempre manipolato le sostanze chimiche per Mandalore, siamo sempre stati noi i vostri farmacisti e i vostri artificieri!-

- E lo sareste rimasti, Lusk. Potevi parlarmene prima di far saltare il banco, avrei trovato il modo di riconoscerti il merito. E’ chiaro che non vogliamo essere ricoperti di farmaci esteri spazzatura, benché a basso costo! Se quanto avevo già proposto non fosse bastato, avrei trovato il modo di favorire ancora di più la produzione locale, ma forse, e dico forse, quello che ti ha promesso quell’intrallazzone di Evar Saxon era molto più conveniente, vero?-

- Adesso mi accusi di tradimento?-

- Se non è quello che hai fatto, spiegati meglio!-

- Ho solo tutelato gli interessi del mio clan!-

- Condannare a morte il figlio di tuo cugino, malato di poliomielite, è nell’interesse del tuo clan?- 

Lusk rimase in silenzio, a fissare le foglie degli alberi.

- Vorrà dire che Mandalore lo chiamerà a sé, e forse è meglio così.-

- Ah, bene. Vedo che il portafoglio fa diventare anche spirituali.-

- Non è così.-

- Perché non gliele paghi tu le cure? Con lo stipendio da parlamentare i soldi non ti mancano. Ah, giusto, l’ospedale costerebbe troppo, se un giorno dovessi finirci tu, o Ursa.-

Satine aveva mosso la sabbia con la punta della scarpa, cercando di carpire le parole dei due. La discussione non era di certo amichevole e ancora una volta le venne in mente Leera Rau, così contenta dei suoi ragazzi.

Cosa non si fa per denaro.

Non che Satine non capisse, ci mancherebbe altro. Comprendeva il bisogno di Lusk Wren di assicurare a se stesso e alla sua famiglia un futuro roseo, anche per quanto riguardava l’accesso alle cure. I Wren erano un clan numeroso ed avevano necessità particolari. Quello che non capiva era perché non si era rivolto a suo padre. 

Era certa che non avrebbe mai svenduto la produzione farmaceutica mandaloriana. 

L’occhio le cadde sul lago e sulla battigia. Rimase perplessa. Sembrava che l’acqua si fosse increspata, ed invece di estendersi e ritirarsi come sempre con la risacca, sembrava immobile, bollente. 

Poi, con sua grande sorpresa, l’acqua si ritirò un poco.

Satine si avvicinò.

- Se abbassassimo i costi, anche la qualità si abbasserebbe. Non avremmo i soldi per pagare le materie prime.-

- Sai benissimo che non è vero, Lusk. L’insulina costa sette crediti al chilo. Con un chilo di insulina voi guadagnate quattromila crediti. Solo con un chilo. Con tutto quello che smerciate, con i farmaci salvavita che costano un patrimonio, ci potremmo fare una finanziaria! Ho studiato prima di fare quella proposta, Lusk!-

- Ah, quindi aveva ragione Evar, quando diceva che mi avresti mandato volutamente sul lastrico!-

- Ma quale lastrico e lastrico, Lusk! L’acquisto dei tuoi farmaci era statale! Statale, capisci che cosa vuol dire? Vuol dire garantito! E comunque - brontolò, guardandolo di sottecchi.- Grazie per avermi confermato che è stato Evar Saxon a riempirti la testa di idiozie!-

Satine, ormai sulla riva, avanzò di qualche passo per studiare quella piccola onda in fermento, che pareva ritirarsi piuttosto che avanzare. 

Guardò in basso e vide una conchiglia perlacea che luccicava tra i sassolini.

Satine la raccolse, un ricordo così lontano da essere indefinibile che lentamente riaffiorava alla mente.

Poi, l’acqua le avvolse i piedi.

Fu come essere risucchiata dentro un buco nero. Non vedeva né sentiva nulla. Tutto all’improvviso era diventato buio ed ovattato. 

Poi, una luce accecante l’abbagliò. Satine si coprì gli occhi per sfuggire a quella luce azzurra così forte. Non era dello stesso colore della Luce di Mandalore, di solito diafana e quasi biancastra. La luce che la stava accecando era bluastra, più intensa, come se fosse una specie di neon. Scostò delicatamente le mani, e con quel gesto Satine notò che la luce si spostava un poco con lei.

Dietro a quel fascio luminoso c’era un viso. Un ragazzo, fuori da ogni dubbio. Sembrava giovane, ma aveva gli occhi determinati. Le parve di individuare una ciocca di capelli chiari dietro l’orecchio, ma accecata dalla luce non riusciva a vedere bene. 

Incrociò lo sguardo con quel ragazzo dall’aria adulta e rimase colpita dalla sua espressione.

Oltre alla determinazione, c’era anche qualcos’altro.

Sembrava triste.

Una malinconia che le ricordava molto la sua.

Poi, mentre la visione svaniva, udì una voce.

Fu come udire qualcuno parlare dalle viscere della terra, dalle profondità di una caverna. Era una voce strana, antica, poteva avere migliaia di anni e parlava in una lingua altrettanto arcaica. Ascoltò le sue parole, sgranando gli occhi per lo stupore e per la sensazione di malessere che le procurava avere quella voce nella testa. 

- Duca…-

- Non adesso, Athos. Lusk, non puoi dire certe cose sapendo che non sono vere!-

- Adonai.-

- Ho detto non adesso!-

- KYLA!-

Il duca si voltò verso Athos, piccato, giusto per seguire il dito puntato verso sua figlia, che aveva l’aria di sentirsi poco bene mentre galleggiava in aria, immobile, sospinta dall’acqua che le avvolgeva le gambe.

- Che sta succedendo?-

- Stanno parlando.-

- COSA?-

Quando la visione finì, Satine si sentì respingere, come se fosse stata sputata fuori da quel buco nero in cui era stata risucchiata. Atterrò e barcollò, mentre l’acqua riprendeva il suo regolare andirivieni.

Mosse i piedi bagnati, cercando di mantenere l’equilibrio.

Poi, cadde in ginocchio.

Quando comprese che cosa era appena successo, chi lei fosse e dove si trovasse, era già tra le braccia di suo padre e poteva distinguere nitidamente la preoccupazione nei suoi occhi.

- Sat’ika, che è successo?-

- Non lo so. C’ho parlato, credo.-

- Che cosa ti ha detto?-

Satine stava quasi per vuotare il sacco quando, con una rapida occhiata, vide il volto livido di Lusk Wren.

Non vi era la rabbia che si sarebbe aspettata di vedere in una discussione tra amici. Non c’era delusione, né disappunto.

Quello che vide fu una vera e propria maschera di invidia.

Lei e il capoclan rimasero a guardarsi, l’uno incapace di vergognarsi del suo sentimento nei confronti di una ragazzina, l’altra consapevole di essere l’oggetto che aveva scatenato tutta quell’invidia. Aveva avuto un privilegio che forse non era mai capitato nemmeno a lui e che sua figlia Ursa non era evidentemente stata in grado di ricevere.

Decise che era meglio non rendere pubblica la sua visione.

- Sto bene, papà.- disse, alzandosi in piedi in autonomia. Si rese conto solo in quel momento che suo padre si era imbrattato i vestiti di fango ed acqua per accorrere a soccorrerla.

Non era di certo il ritratto del duca irreprensibile.

- Credo che l’ultima volta che siamo venuti qua fossi io quella con le calze coperte di fango.-

Kyla sorrise e si rialzò. 

Il saluto tra Adonai Kryze e Lusk Wren fu abbastanza freddo e si concluse con un’inusuale stretta di mano. L’uomo se ne andò nella direzione dalla quale erano venuti, lasciando i tre da soli e bagnati sulla riva del lago. Suo padre aveva l’aria offesa e triste. Satine non sapeva come consolarlo. 

Alzò una mano per fargli una carezza, e si rese conto di stringere ancora tra le mani la madreperla. 

- Guarda che ho trovato!- gli disse, tendendogli la conchiglia. 

Una strana luce si accese negli occhi di suo padre, come se stesse ricordando tempi ormai passati. Strinse la madreperla tra le dita e la guardò, un sorriso stanco e mesto sulle labbra.

- Puoi portarmi dalla mamma, adesso?-

- Te la senti di andare?-

Satine ci pensò su un poco, ma ogni senso di malessere sembrava scomparso con la visione.

- Certamente.-

 

***

 

NOTA DELL’AUTORE: E’ un capitolo inquietante, lo so, come è inquietante ogni fenomeno che non si riesce a spiegare. Nebrod - completamente di mia invenzione - è stato concepito proprio per essere inspiegabile, ma in un certo senso anch’esso può avere una sua dimensione scientifica.

Tutto il racconto è incentrato sulle dicotomie: onestà/disonestà, giustizia/crimine, lecito/illecito, scienza/fede. Alcune sono irrisolvibili; su altre, incredibilmente, si può trovare un compromesso.

La povera Leera Rau è un mio personaggio, anche se il cognome appartiene alle serie originali. 

Ho sempre creduto che Satine Kryze fosse uno dei personaggi più intelligenti - e di conseguenza più odiati - della galassia lontana lontana. Trasformare un popolo votato alla guerra in un regno di pace ed essere capace di farlo durare per quasi vent’anni non è un’impresa da poco, ma per i miei gusti è più che sufficiente a dimostrarne la netta superiorità il fatto che ci siano voluti uno psicopatico e un signore dei Sith a capo di una trama galattica per metterla in difficoltà. 

Certo, non può proprio spiegarsi tutto tutto, almeno non ancora.

Lascio a voi l’interpretazione della visione, anche se credo che un’idea ve la siate già fatta.

 

Molly.

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Capitolo 14
*** 13- Il bev meshurok ***


CAPITOLO 13

Il bev meshurok

 

Kyla era - nemmeno a dirlo - molto nervoso.

Quella mattina si era svegliato con pochissima voglia di mangiare il suo ovetto à la coque, e quando il duca non ha voglia di mangiare il suo uovo non è mai buon segno. 

Aveva un buon motivo per non farlo. 

La prova del bev meshurok era di sicuro la peggiore da affrontare, nonché la prima delle quattro prove a cui un aspirante Mand’alor avrebbe dovuto sottoporsi. 

Proprio quella mattina sarebbe toccato a Satine.

La maggiore delle sue figlie era cresciuta, trasformandosi in una splendida donna piena di coraggio ed intelligenza, onesta e leale. Aveva mille talenti ed era molto dotata per la musica e l’arte. Parlava molto bene e conosceva alla perfezione il Mando’a e lo Standard, nonché una vasta gamma di dialetti usati in tutto il sistema di Mandalore. Era curiosa e la sua mente era molto vivace, adatta per la politica. Con il tempo si stava affermando come stratega e dimostrava di avere singolari doti nella risoluzione dei problemi. 

Insomma, l’incarnazione del Resol’nare.

Innanzitutto, l’aveva aiutato a risolvere il tarlo principale della riforma della sanità.

Satine, nella sua grande semplicità, aveva suggerito di dare ad Evar Saxon quello che voleva. Se il problema era che il duca Kryze viveva sulle nuvole e fuori dalla realtà, non c’era miglior soluzione che prendere in considerazione quanto l’opposizione chiedeva. Così, aveva chiamato tutti i capigruppo e i capiclan nella sala del trono, e così riuniti aveva chiesto a tutti quale fossero le loro posizioni in proposito e le condizioni che avrebbero dettato affinché la riforma passasse.

A quel punto erano state avanzate le proposte più disparate. Satine e suo padre erano stati in piedi tutta la notte per provare ad indovinarle, ed avevano fatto un buon lavoro. Quando era venuto il momento di fare la loro proposta, tuttavia, Kyla non aveva saputo rispondere ad un paio di punti che erano rimasti insoluti, almeno fino a che Satine non aveva preso la parola.

- Quindi, se dovesse ipoteticamente venire ad esistere una società privata partecipata al cinquanta per cento dallo Stato, con il quaranta per cento degli introiti stanziati in finanziaria, sottoposta al controllo di una commissione sanitaria permanente allo Tsad Droten e supervisionata in collaborazione con l’Ente di Ricerca Medica della Scuola Superiore di Sundari, che fungerebbe anche da filtro per l’acquisizione dei farmaci residuali dall’estero con valutazioni tecnico-peritali, la riforma si potrebbe fare?-

Gli astanti erano rimasti in silenzio, e anche quel cocciuto di Evar Saxon aveva acconsentito, forse credendo che non sarebbero mai riusciti a mettere in atto il loro piano.

Invece - alla faccia sua! - nella finanziaria successiva gli stanziamenti economici c’erano, e anche se qualcuno aveva tentato di sabotare la riforma votando no in segreto, la proposta del duca era passata seicento a quattrocentonovanta. 

La riforma sanitaria era di nuovo in pista. 

Con quella trovata, Satine, che già aveva avuto modo di conquistarsi il rispetto della gente per le sue maniere gentili e la sua mente acuta, nonché per la sua bellezza esotica ed algida, cominciò a guadagnarsi anche il rispetto della compagine politica, dimostrando di essere all’altezza del compito che le sarebbe stato assegnato in futuro.

Anche perché, oggettivamente parlando, Kyla non aveva molte alternative. 

Bo Katan era una vera e propria peste. Nonostante avesse solo nove anni, a scuola era la più vivace e discola di tutti. Non aveva voglia di imparare e i suoi voti, nonostante fosse incredibilmente intelligente, non erano brillanti. Se poteva, menava le mani alla prima occasione ed ogni circostanza era buona per fare casino, come le diceva sempre sua sorella. Aveva incarnato lo spirito ribelle di Vikandra, ma persino sua madre ad un certo punto aveva dovuto riconoscere di non essere adatta a fare la duchessa, per la bassa soglia di sopportazione che il suo carattere le imponeva.

Satine, pacata, tattica e furba come una volpe, era la persona perfetta per poter concorrere alla carica di Mand’alor.

Delle quattro prove da superare, tuttavia, quella del bev meshurok era appunto la più pericolosa. I test si aprivano volontariamente in quel modo per eliminare subito dal gruppo quelli che non avevano i requisiti. Tutti i Mand’alor avevano domato un bev meshurok, prima o poi. 

Anche lui l’aveva fatto, con il suo bev vorpan

Non che avesse optato per la specie più pericolosa, beninteso. Ne aveva scelto uno famoso per essere mansueto, dolce, una specie con cui giocano persino i bambini, nonostante la stazza. Altri, invece - e non mancavano mai - assetati dal bisogno di essere forti sceglievano prontamente il bestione indomabile, il cacciatore di uomini, e puntualmente uscivano dalla sua tana scappando a gambe levate e spesso con il sedere in fiamme.  

C’era stato anche chi c’aveva lasciato la pelle.

Qualche giorno prima ci aveva provato Ursa Wren, e c’era riuscita per un pelo. Gar Saxon non avrebbe dovuto nemmeno partecipare, considerato il fallimento del suo verd’goten, ma, non si sapeva bene come, il suo nome era finito nelle liste dei candidati. 

Forse aveva un Mand’alor nel Ka’ra, cioè un Saggio favorevole nel Consiglio.

Il Consiglio dei Saggi era una vera e propria istituzione su Mandalore e anche nei sistemi limitrofi erano molto rispettati. Svolgevano la funzione di Corte Suprema e si occupavano dei casi più delicati, nonché di diritto internazionale. Non era infrequente che i Mando - anche dei sistemi di Nuovo Kleyman e Concord Dawn - vi facessero ricorso e a volte anche i Phindian chiedevano aiuto al Consiglio dei Saggi.

Erano coloro che vigilavano sulla correttezza delle prove per il trono e sulle candidature, e proprio per questo motivo il duca ce l’aveva particolarmente con loro, in quel momento.

Non aveva nulla di personale contro Gar Saxon, e anche se aveva qualcosa da ridire contro il di lui padre, qui non era in discussione la politica e le diverse posizioni dei due clan, bensì la correttezza costituzionale del sistema tutto. 

Il duca era oltraggiato, dunque, ed aveva provato a chiedere informazioni al Consiglio dei Saggi, che però non aveva fornito le risposte adeguate. Evar Saxon, nemmeno a dirlo, ci aveva riso su, contento di avere gabbato il sistema.

Kyla aveva cominciato a subodorare la trama che lo avrebbe travolto di lì a poco, ma all’epoca non aveva prove né idee precise, ed aveva deciso di lasciar perdere, consentendo al povero Gar Saxon di rovinarsi da solo.

Fu esattamente ciò che accadde. Gar Saxon, povero ragazzo, aveva pensato bene di scegliere un bev carud, e nemmeno a dirlo era scappato a gambe levate al primo ruggito. Aveva ripiegato su un più tranquillo bev ast’ehut, ed era bastato salirgli in groppa tra qualche mugugno e brontolio di quella massa di grasso gigante per poter dire di essere candidato a Mand’alor.

Di solito avevano un po’ più di dignità, i ragazzi che si candidavano, ma tant’è.

Satine, per quanto piena di risorse ed ormai diciassettenne - una donna fatta, praticamente - non era mai entrata in contatto prima con un bev meshurok. Kyla l’aveva fatta salire in groppa al suo una volta, da piccola, ma non avevano nemmeno provato ad alzarsi in volo. Satine gli aveva fatto un po’ di carezze e lo avevano lasciato lì a brucare l’erba. 

Chissà quale animale avrebbe scelto per sé.

Satine, quando era scesa a colazione, gli era sembrata più verde di lui e del suo bev vorpan. Si era seduta ed aveva cominciato a giocare un poco con le uova nel piatto, mentre Bo Katan davanti a lei si ingozzava come sempre.

Satine aveva fatto una smorfia ed aveva abbassato gli occhi sul suo piatto come se fosse il suo nemico numero uno.

Presa da una frenesia che non sapeva controllare, era poi andata a prepararsi. 

Questa volta, avendo superato il verd’goten, avrebbe potuto indossare il beskar. 

Maryam ed Athos avevano fatto le prove per giorni per trovare un’armatura che le stesse bene e alla fine avevano optato per quella di Lady Elipha. 

Non era la più bella armatura che avessero in cantina. La migliore era decisamente quella di Vikandra, ma in quanto Abiik’ad aveva dei segni di riconoscimento che Satine non avrebbe potuto indossare. Così, avevano ripiegato su altro, ed avevano trovato quella bella armatura blu con i disegni bianchi delle campanule canterine sull’elmo. A Satine tutto sommato era piaciuta e ci stava comoda dentro, per cui aveva accettato il compromesso.

Un giorno sarebbe stata in grado di indossare l’armatura di sua madre, forse.

Vestita di tutto punto e con i capelli intrecciati per nasconderli sotto l’elmo, Satine era salita ancora una volta dentro la navicella di Athos, dove suo padre era già pronto ad aspettarla. 

Bo l’aveva abbracciata di corsa prima di lasciarla partire.

- Saprei io come fargliela vedere a quel bestione. Prima paffff, e poi puuum!- fece, mimando i gesti di una rissa. - Ma tu sei Miss Perfettina e non lo farai mai. Per favore, evita di morire. Sei una gran rompiscatole, ma non ti voglio morta.-

Satine si era messa a ridere, le aveva dato un bacio sulla guancia ed era uscita, pregando di non vomitare strada facendo.

Nella navicella, mentre sorvolavano lo spazio aereo di Kalevala, suo padre le aveva spiegato come avrebbe dovuto affrontare la prova, ancora, per l’ennesima volta e nel dettaglio.

Satine ne aveva un po’ le tasche piene, ma decise di lasciargli scaricare la tensione e pensò che forse avrebbe fatto bene anche a lei e alla sua mania del controllo.

Erano diretti a Vhetirn bev meshuroke, la Piana dei Mitosauri. Era un ambiente curioso. Si estendeva per chilometri all’estremo sud di Kalevala, poco prima del polo. Lì, una vasta pianura alluvionale creata dalla foce dell’Ori Yustapir aveva formato diversi ambienti. L’acqua aveva scavato delle caverne profonde dove di solito riposavano i bev carud. Luoghi da evitare assolutamente, oscuri e pieni di insidie e di scheletri. Aveva anche formato dei picchi rocciosi, specie verso il polo, che si erano congelati ed erano la casa dei bev kar’alor. In alcuni casi, le rocce si erano riempite di muschi, licheni e guano vario prodotto dagli uccelli acquatici, e lì pascolavano pacifici i bev vorpan. Dove regnavano solo sassi, invece, si potevano individuare a mala pena i bev ast’ehut, semplicemente perché parevano massi fuori misura. 

Le specie erano tantissime. C’erano quelli che volavano e quelli che non volavano. C’erano alcuni che avevano mantenuto le zanne anteriori come i Mitosauri originali, altri no. C’era chi aveva la proboscide, chi il pelo lungo, chi le scaglie. Chi era carnivoro, chi erbivoro, chi onnivoro. 

Insomma, ce n’era per tutti i gusti, e ciascuno in un habitat diverso.

Satine avrebbe dovuto fermarsi nell’habitat in cui prevedeva di trovare il suo bev meshurok.

Aveva fatto ricerche durante le sue notti parzialmente insonni. Si era documentata ed aveva visto quante più specie possibile prima che le si chiudessero gli occhi dal sonno. Alcuni erano davvero belli, mentre altri facevano accapponare la pelle. Esclusi questi a priori, Satine aveva pensato che ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo - ovvero sforzandosi un poco, a differenza di chi come Gar Saxon non si era sforzato per nulla - sarebbe stata la migliore opzione per lei, senza andarsi a complicare la vita con bestie indomite e pericolose che non l’avrebbero mai accettata o l’avrebbero mangiata non appena l’avessero vista.

- Sat’ika, dammi retta.- le disse suo padre, le mani fisse in grembo, forse per non far vedere che stavano tremando un po’.- Dammi retta. Sgombera la mente da ogni preconcetto e lasciati guidare dall’istinto. E’ così che si fanno le cose migliori. A volte le scelte di vita fatte sulla carta, per quanto sensate, non sono le più ottimali. Lascia che il cuore ti dica cosa fare e combinalo con la ragione. E’ pericoloso, con un bev meshurok, far parlare solo l’uno o solo l’altra.-

Satine annuì, pensierosa. 

I suoi pensieri si fecero ancora più torbidi quando sulla soglia della Piana trovarono ben tre navicelle ad aspettarli.

- Ma non è possibile, che faccia tosta!- fece Kyla, dando di gomito ad Athos. - E’ chi penso io?-

- Temo di sì, vod.-

- Che razza di verme odioso. Dopo tutto quello che è capitato con suo figlio, che non è stato nemmeno in grado di…-

- Chi c’è?- chiese Satine, interrompendo lo sproloquio del padre.

- Evar Saxon, ecco chi c’è! E’ venuto a vedere la tua prova. Non posso mandarlo via, ma ci vuole un bel coraggio! Va contro ogni correttezza e buona fede, nonostante le prove siano pubbliche! Ci sono i Saggi, per supervisionare. Lui non serve!-

- C’è anche Lusk Wren.- disse Satine, affacciandosi al finestrino e sbirciando dentro le altre navicelle.- E pure una donna che non conosco, ma l’ho vista allo Tsad Droten. La Abiik’ad, credo.-

- Inga Bauer? Ecco, mi fa piacere che sia venuta lei. Grande donna e di grande coraggio, cugina e grande amica di tua madre. Spero che anche lei non abbia cambiato idea con il passare degli anni. Ultimamente pare che tutti amino ribaltare le frittate.-

Sinceramente, a Satine non poteva importare di meno di Evar Saxon. Che fosse una spina nel fianco ormai l’avevano appurato, e dopo la figuraccia planetaria che aveva fatto suo figlio provando a domare il suo bev meshurok - in fondo, era stato costretto a ripiegare su una pietra che respira - lei poteva soltanto fare di meglio o fallire del tutto.

Alle brutte, sarebbe salita su una pietra anche lei.

Quello che la preoccupava di più era la presenza di Lusk Wren. Satine era ancora memore del volto contorto dall’invidia che aveva visto al Pozzo dei Giganti, e non era contenta di quella sua incursione. A differenza di Evar, che era un pallone gonfiato e non aveva paura di mostrarlo, Lusk Wren era subdolo, una serpe in seno pronta ad insinuarsi al momento giusto e trarre vantaggio da ciò.

Lo temeva perché sapeva che era venuto a studiarla.

In questo senso, era molto simile a lei. Satine era brava a capire le persone, a valutarne le caratteristiche e ad individuarne le debolezze. Lusk Wren faceva il suo stesso gioco, solo che non lo faceva in modo onesto. Era venuto a quella prova per capire i suoi punti deboli e poi usarli contro di lei addestrando sua figlia Ursa.

Tra l’altro, alla Scuola di Governo, dopo l’incidente al Pozzo, la ragazza con cui aveva faticosamente fatto conoscenza aveva smesso definitivamente di parlarle, togliendole anche il saluto. Satine era rimasta delusa e si era arrabbiata molto, ma alla fine aveva lasciato perdere.

La sua famiglia le aveva insegnato che l’invidia era il peggiore dei vizi di un uomo e lei provava solo pena per i Wren.

Oltretutto, loro non sapevano nemmeno che cosa volesse dire essere lei. 

Quando scese dalla navicella, coperta di beskar, fu accolta da uno sbuffo divertito di Saxon e dallo sguardo inquisitorio di Wren. 

Satine resse i loro occhi con naturalezza e li salutò con cordialità.

- Qual buon vento vi porta…-

- Sono venuto a vedere, ovviamente!- fece Evar, passandosi la mano sul pancione tornito.- Sono venuto a vedere come finirai sotto la coda di un bev meshurok!-

- Questa l’ho già sentita, Evar.- ribatté Kyla, mettendo una mano sulla spalla di Satine.

- Non preoccuparti, papà. Male che vada, mi arrampicherò su un sasso!-

Avrebbe dovuto tacere e lo sapeva, ma la faccia purpurea del rivale di suo padre fu impagabile. 

Per un Mando non c’è niente di più disonorevole che perdere contro un avversario indegno. Un bev meshurok, per quanto pericoloso, è un animale, e un uomo - e non uno qualsiasi, bensì un Mando, un grande condottiero - non può farsi sconfiggere da esso. Se tuttavia è ammesso subire una sconfitta, non c’è niente di più disonorevole di una vittoria immeritata. 

Meglio morire provando o rinunciare in partenza e subirne la conseguente onta. 

Vincere facile e pretendere di avere ottenuto una grande vittoria è quanto di peggio possa capitare.

- Satine ha la lingua tagliente, come sapete. Sapete anche, però, che è piena di risorse. Credo che tu debba piantarla, Evar, di considerarla sempre una tacca sotto Gar solo perché è una donna e perché è una Kryze. Credo che abbia provato ampiamente di avere lo scheletro di Vikandra.-

- Lo dicono in molti.- disse la Figlia dell’Aria, facendosi avanti.- Sono venuta a vedere se è vero. Se un giorno dovesse diventare duchessa e dovesse scegliere le Abiik’ade come sua madre, dovrà essere forte abbastanza per l’addestramento. Vorrei poter guardare, Kyla.-

- Naturalmente, Inga. Sentiti libera di fare quello che vuoi.-

Era una gran bella donna, nonostante avesse un’età. Non era più giovanissima ed aveva dei filamenti grigi nei bellissimi capelli ebano. Eppure era austera e fiera come solo sua madre lo era stata, ed indossava la bellissima armatura da Abiik’ad, con tanto di ali bronzee a circondarle il capo scuro. Aveva delle pitture bianche attorno agli occhi neri come caverne.

Vedendo la donna armata di tutto punto, con tanto di archi, frecce e sciabole, Evar e Lusk si fecero da parte per farla passare.

Satine avrebbe tanto voluto mettersi a ridere.

- E voi, Lusk? Siete venuto a vedere come cado sotto la coda di un bev meshurok?- disse Satine, ma il suo volto era scherzoso, giocoso, e il capoclan parve comprendere. 

Abbozzò un sorriso un po’ viscido ma tendenzialmente onesto.

- No. Vi ho visto fare cose che non mi fanno dubitare del vostro coraggio. Ero solo curioso. In fondo, vi conosco da quando siete bambina e la mia Ursa dice sempre belle cose su di voi.-

- Davvero?- e qui Satine avrebbe davvero voluto mettersi a ridere.- Sapete, è tanto che non la vedo più. Ditele che la saluto.-

Ursa avrebbe capito la frecciata e forse anche suo padre, ma il tempo di entrare nella Piana era giunto. Così, Satine, con la mano di suo padre fedelmente sulla spalla, smise di chiacchierare e si incamminò sui ciottoli abbandonati dal fiume con il pubblico al seguito. 

Seduti sul loro rover scalcinato, il gruppetto percorse la Piana in lungo e in largo. Ogni volta che si avvicinavano ad un habitat, il mezzo si fermava e dava il tempo a Satine di ponderare la situazione.

Fermi in una landa desolata, la ragazza si mise ad osservare un picco roccioso, impervio ed ostile, e nell’aria faceva stranamente caldo. Segni di attività lavica avevano marchiato il terreno nel tempo.

Quello are sicuramente il territorio di un bev carud.

- Andiamo.- disse, scuotendo il capo.

Evar Saxon aveva ovviamente qualcosa da ridire.

- Molli senza nemmeno tentare?-

- Preferisco non imbarcarmi in cause perse in partenza, e tengo al mio collo. Niente bev carud. Il prossimo.-

- Qualcuno direbbe che manchi di coraggio.-

- Qualcun altro direbbe che è da incoscienti tentare uno scontro ad armi impari senza una valida strategia, e nessuno ne ha una dignitosa contro un bev carud. Almeno, non di recente, e non conosco nessuno che ci sia riuscito prima. Quindi no.-

Evar Saxon aveva ovviamente qualcos’altro da ridire, ma questa volta fu Inga Bauer ad intervenire.

- La ragazza non può dirlo e il duca nemmeno, ma io sì. Fa’ un favore a tutti e chiudi quel forno, Evar.-

L’uomo tacque e Satine si chiese, mentre ballonzolava sul rover, se avesse trovato finalmente qualcuno capace di incutere timore a quella palla da biliardo.

Passarono di ambiente in ambiente, senza trovare nulla che la soddisfacesse. La cosa non era sfuggita ad Evar Saxon, che l’aveva definita di gusti difficili, ma un’occhiata perentoria di Inga aveva fatto in modo di fargli ingoiare ogni ulteriore commento.

Solo per un momento Satine si era fermata sulla riva putrescente, dove un bel bev vorpan se ne stava accoccolato a brucare delle alghe trascinate dal mare. Aveva soppesato la bella creatura per un momento ed aveva seriamente pensato di avvicinarsi. Poi, però, qualcosa l’aveva bloccata. Non sapeva bene che cosa, semplicemente aveva creduto di non essere del tutto nel posto giusto.

- Questo potrebbe andare, ma preferisco continuare il giro. Al massimo, torneremo qua più tardi.-

Kyla la accontentò e il giro riprese.

Stava quasi per darsi per vinta quando giunse all’ultimo picco, una guglia ghiacciata che svettava contro il cielo, solitaria, in una lingua di terra sottile che si gettava dentro il mare a ridosso del polo. Satine rimase a guardare la cavità bluastra, maestosa ed immensa, che si estendeva a perdita d’occhio dentro il picco.

- E’ bellissimo.- mormorò, incantata da tutto quell’azzurro e quel bianco. 

Un leggero sciabordare ipnotico d’acqua contro gli iceberg sembrava scandire il tempo.

- Quella è la tana di un bev kar’alor, fuori da ogni dubbio.- disse Inga, sporgendosi per guardare meglio.- E’ una bella impresa, se optate per questo.-

Satine parve pensarci un poco, prima di rispondere.

- Vorrei tentare. E’ così bello che ne vale la pena. Se dovesse andare male, posso tornare dal bev vorpan.-

Kyla non era molto contento, ma non poteva dirle di no. In questo non aveva voce in capitolo. 

Satine discese dal rover, indossò l’elmo e si incamminò, sola, verso la caverna, il beskar che tintinnava leggermente mentre muoveva i piedi. Aveva detto a Maryam che gli schinieri erano larghi e facevano un po’ troppo rumore, ma lei aveva voluto metterglieli per forza. Sicuramente sarebbero stati utili, ma se aveva intenzione di sgusciare di soppiatto dentro alla tana, quel rumore l’avrebbe fatta scoprire.

Kyla e gli altri, scesi giù dal rover, rimasero ad aspettare che Satine compisse la sua impresa.

- Secondo voi ce la farà?- tubò Saxon, massaggiandosi il pancione.

- Hai mangiato qualcosa che ti ha infastidito, Evar?- gli disse Kyla, osservando la mano che circondava la pancia.- Sembra che ti faccia male qualcosa.-

- Oh, no, è solo la bile che mi sale ogni volta che sento odore di Kryze.-

Kyla quel giorno aveva i nervi a fior di pelle, e se non fosse stato per Athos e per la presenza rassicurante di Inga Bauer sarebbe scoppiato il pandemonio. Che Evar Saxon lo sapesse era ovvio, e che cercasse di fargli perdere la pazienza era altrettanto ovvio. Kyla avrebbe solo dovuto fare del suo meglio per non dare di matto, e ben presto tutto sarebbe finito. 

 

Nel frattempo, Satine stava per entrare nella tana. Era un grosso buco scavato nel ghiaccio, liscio e levigato, che rifletteva tutti i colori della luce del fioco sole che c’era fuori. Il ghiaccio diventava violetto, blu, azzurro. Satine non aveva mai visto niente di più bello e si chiese se anche l’animale che lo abitava fosse all’altezza.

Quando aveva letto per la prima volta dei bev kar’alor ne era rimasta affascinata. Erano creature meravigliose, che riflettevano, secondo le leggende, la luce degli astri. Dal colorito pallido e diafano, il loro corpo era coperto di una pellicola di microscopiche scaglie e di una folta peluria sottile per tenerli caldi. Avevano perso le zanne dei loro predecessori, tenendo soltanto un paio di baffi gommosi da pesce gatto sotto al naso. Al contempo, diversamente da molte altre specie, avevano sviluppato un grosso paio di ali dai colori più disparati. Alcuni le avevano dorate nella parte inferiore, altre perlacee, altre argentate, altre ancora dei colori dell’iride, o delle nebulose. Anche i loro occhi erano unici, e non esisteva un bev kar’alor uguale all’altro. Le pupille verticali erano incorniciate da iridi multicolori e da una strana luminescenza che ricordava, appunto, le nebulose. Per questo, oltre a numerose altre abitudini notturne che li avevano resi peculiari rispetto agli altri, erano considerati siderali.

Un altro nome con cui venivano identificati, più comune e più semplice da dire, era Sole di Mezzanotte.

Mentre si addentrava nella caverna, Satine si chiedeva dove l’animale fosse di preciso. L’entrata e l’uscita era una sola, e probabilmente la tana era un vicolo cieco. 

Se se lo fosse trovato alle spalle, le avrebbe tagliato ogni via di fuga.

Cominciò a farsi guardinga, mentre il corridoio si faceva più largo e l’aria più calda. In fondo al corridoio si vedeva uno slargo un po’ puzzolente costellato di quelli che sembravano resti di cibo. 

E, come Satine aveva immaginato, era un vicolo cieco.

Si guardò intorno, cercando di restare coperta da una gelida guglia. Era una tana meravigliosa, che si estendeva nel ghiaccio verso l’alto, in un pinnacolo enorme e molto luminoso. La cima brillava così tanto da sembrare una lampadina e rifletteva la luce fin verso il basso, dove la creatura viveva. 

In quel momento, però, la tana sembrava essere vuota.

Satine entrò dentro la caverna e rimase a guardare, imbambolata come una falena attratta dalla luce, il pinnacolo luminoso che toccava il cielo e sembrava racchiudere un pezzo di stella.

Quel posto era meraviglioso.

Quello che Satine aveva momentaneamente dimenticato, nonostante le sue letture approfondite sui meshuroke, era che, al di là della suddivisione in specie, tutti quegli animali erano caratterizzati dalla coda, costellata da enormi spine appuntite e dure come massi o forse anche di più. Una specie di mazza chiodata che usavano come arma per scacciare gli intrusi e, nel caso dei più pericolosi, per cacciare le prede, anche umane. 

Fu propio quella coda spinata che si abbatté con violenza sull’entrata della tana, mandando il ghiaccio in frantumi e facendo cadere Satine dallo spavento.

 

Kyla aveva una gran voglia di prendere a pugni tutti, in quel momento, ma il dramma di essere un duca mandaloriano votato alla pace era quello di non poter ricorrere alle tradizioni che aveva rinnegato. Sua figlia era in pericolo mortale e gli altri, a parte Inga, sembravano non supportarla poi più di tanto. 

Evar Saxon era stato minacciato nuovamente dalla Abiik’ad, seppur in modo velato, ed aveva smesso di infierire, ma anche Lusk Wren, nonostante fosse più bravo a mantenere la faccia di bronzo, sembrava sotto sotto sperare che la sua Ursa non sfigurasse. 

Certo, lo capiva, ma avrebbe tanto preferito che non venisse a sperare nel fallimento davanti a lui.

Quando un grosso tonfo provenne dal picco ghiacciato, Kyla sobbalzò, teso come una corda di violino. Lui ed Athos si guardarono e il duca provò a cercare conforto nello sguardo del fratello adottivo.

E’ forte, ce la farà.

Convincersi, però, era tutto un altro paio di maniche.

Un ruggito potente squarciò l’aria.

- Ah, è cominciata la battaglia, a quanto vedo. Secondo me la vedremo scappare a gambe levate tra cinque minuti.-

- Chiudi quella bocca, Saxon. Pensa a quell’inetto di tuo figlio.- ribadì Inga guardandosi le unghie, noncurante. 

- Davvero pensa di poter diventare una Abiik’ad? Quella ragazzina è un mucchietto di ossa, Bauer, non ha un muscolo nemmeno a cercarlo con la lucerna!-

- Senti, palla di lardo.- fece la donna, portando la mano alla sciabola.- Fino ad ora te l’ho detto con le buone. Continua e vedrò di passare alle cattive, e potrò sempre dire che un bev meshurok ti ha involontariamente fracassato la testa su una roccia e passarla liscia.-

 

La bestia non voleva proprio saperne di darle tregua.

Non appena si era resa conto che l’animale l’aveva intrappolata, Satine aveva cercato riparo. Ormai priva di elmo, si era lanciata dietro un grosso masso congelato e lì aveva provato a ripararsi dalle violente sferzate della coda del suo nemico. Quello però sembrava molto, molto agitato, e continuò a mulinare la coda a destra e a manca. 

Satine dovette ben presto cambiare riparo quando l’animale mandò in frantumi il masso con un colpo solo della coda chiodata.

Ruzzolò alla sua sinistra, infilandosi in una trincea scavata dallo scivolare del ghiaccio contro il suolo. Ci gattonò dentro, mentre grossi detriti cadevano dal soffitto.

Alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere un candelotto di ghiaccio precipitare, la punta rivolta verso il basso, nella sua direzione. Presa dal panico, balzò in avanti appena in tempo per non essere trafitta e per osservare il ghiaccio distruggersi nello schianto.

Guardando il soffitto, si rese conto che quella non era l’unica stalattite ed intuì che avrebbe dovuto fare presto ad uscire da lì o l’avrebbero trovata impalata nel giro di poco.

Presa dal panico, decise che l’unico posto sicuro fosse quanto più vicino alla parete. Lì, di solito i candelotti non avevano sufficiente forza di gravità per svilupparsi e crescevano adiacenti alla superficie. Sarebbero stati meno pericolosi per lei. 

L’animale la guardò e ruggì, possente, i grossi denti appuntiti che costellavano le fauci enormi e il collo che vibrava per lo sforzo dell’urlo.

Satine cominciò a temere di avere sbagliato tutti i calcoli.

La creatura mandò la propria coda a sbattere proprio sopra la sua testa, mentre Satine, scivolando sul ghiaccio, cercava di nascondersi dietro ai picchi scalando la parete.

La coda la mancò una seconda volta, quando andò a colpire la guglia accanto a lei. Satine era consapevole che la bestia non avrebbe mandato il colpo a vuoto una terza, e quando la coda mulinò ancora la ragazza saltò e cadde rovinosamente su un grosso masso ovale, rotolò fino alla cima e rischiò di cadere di sotto. 

Aggrappata con le gambe attorno alla roccia e con le mani ai bordi per non cadere, Satine alzò la testa arruffata e sporca ed incrociò lo sguardo del bev meshurok.

Non era così grande come l’aveva immaginato all’inizio. Certo, era mostruosamente più grosso di molti altri animali, del suo viinir, ad esempio. La sua testa da sola era grande almeno quattro volte quella di Bukephalos, ma dopo aver cavalcato la schiena di un munit gemas non lo trovava poi così gigantesco.

Ciò che la colpì fu il muso.

Brillava come se fosse stato colpito dalla luce del sole. I baffi da pesce gatto sotto il naso caldo penzolavano umidicci per il respiro tiepido. I denti sfoderati splendevano e dalla bocca colavano grosse gocce di saliva.

Aveva gli occhi più belli che avesse mai visto. Lunghe ciglia pallide incorniciavano le iridi blu come il cielo di notte, costellate di puntini bianchi. La pupilla nera e verticale era circondata da un alone multicolore, azzurro, giallo e violetto.

Fu come guardare dentro una nebulosa.

Alla fine, Satine ricordò quello che aveva letto sui bev meshuroke e capì di avere sbagliato tutto.

 

Il fracasso dentro il picco continuava, e il cuore di Kyla continuava a battere come un martello dentro al suo petto.

Alla fine, si stufò.

- Basta.- disse, sbottonandosi i polsi della camicia.- Vado a prenderla.-

- Non fare cretinate. Deve farcela da sola.- gli disse Athos, cingendogli le spalle con un braccio per impedirgli di fare una stupidaggine.

- Tuo fratello ha ragione.- disse Inga Bauer, facendosi avanti.- La ragazza deve fare da sé.-

- Non mi resta molto altro, a parte lei e Bo.-

Nessuno ebbe il coraggio di ribattere tranne Evar Saxon, che scoppiò a ridere.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso e saltare definitivamente i nervi al pacifico duca.

- Lo trovi divertente?- gli disse, lanciandogli un’occhiata velenosa.- Pensi che ci sia qualcosa da ridere?-

- Ti vanti tanto delle tue donne, ma non mi pare che abbiano poi tutta questa spina dorsale. Tua moglie è morta e lo sarebbero anche le tue figlie se tu non avessi usato qualche arnese per aprire la Luce.-

Kyla sentì andare via il sangue dal viso. 

- Sette contro uno era un po’ troppo anche per il migliore dei guerrieri.- borbottò Inga, l’oltraggio visibile nei suoi occhi fieri.

- Infatti, tutto sommato mi dispiace. Morire per una simile nullità, una #@°*//! come Vikandra è stato uno spreco.- 

Kyla non fece una piega. Semplicemente, impassibile, cominciò a rimboccarsi le maniche.

- Kyla, no.-

Silenzio.

- Vod, no!-

Ancora silenzio, le maniche ai gomiti e un passo in avanti.

- Duca, ripensateci!-

Evar continuava a ridere. Lusk Wren restava fermo in un angolo, con Inga che lo guardava con ribrezzo e Athos che stringeva Kyla tra le braccia prima che sfogasse tutta la sua rabbia e il suo dolore su Saxon.

Poi, un colpo e un boato più forte degli altri fece tremare la terra.

Il gruppo si fermò e si voltò a guardare di scatto il picco ghiacciato mezzo in frantumi, dal quale uscì il bellissimo bev meshurok. Era una delle creature più belle che avessero mai visto, e a giudicare dal ruggito, anche una delle più letali.

- Prendete i blaster! Prendete i blaster!-

- Non ci fai niente con i blaster contro un meshurok, razza di imbecille!-  tuonò la Abiik’ad.- Salite sul rover. Tutti!-

- No!- sbottò il duca, divincolandosi dalla stretta di Athos e correndo verso il picco.- Non lascio qui mia figlia!-

- Allora suicidati pure, noi ce ne andiamo!-

- FERMI TUTTI!-

La voce possente della Figlia dell’Aria inchiodò tutti i presenti sul posto. Con la mano alzata per fermare il gruppo, la donna cominciò ad avanzare per giungere là dove Kyla aveva frenato.

- Guarda.- gli disse, tendendo il braccio in avanti e puntando il dito sulla schiena dell’animale.

Quando fu più vicino, Kyla potè vedere distintamente la creatura. Così chiara e luminosa da sembrare una stella, piantò gli occhi su di loro con aria di infinità superiorità - dovevano dire meritata. 

Era così bello da sembrare ultraterreno. 

Guardandoli con le lunghe ciglia bianche, lentamente abbassò il capo verso di loro.

- Sparate, sparate!- 

- Chiudi la bocca, Saxon.- sbuffò Inga Bauer, gli occhi fissi sul bev meshurok.

Il capo biondo di Satine spuntò da dietro la criniera pelosa dell’animale, mentre se ne stava comodamente seduta sul suo collo. 

Kyla rimase a bocca aperta e gli brillarono gli occhi.

L’animale si accucciò a terra, abbassando il capo ed esponendo Satine alla vista di tutti.

- Ce l’hai fatta!- mormorò il duca, guardando sua figlia, fierissimo e con gli occhi umidi.- E al primo colpo!-

- Avete domato un bev meshurok.- disse la donna, il volto soddisfatto.- Avrete un futuro tra le Abiik’ade.-

- Non l’ho domato.- ribatté Satine, carezzandogli la criniera bianca. - Un bev meshurok non si doma. E’ sbagliato pensare di essere superiori a loro. Non lo siamo. Io ho invaso casa sua e lei non ha gradito, come io non apprezzerei se qualcuno facesse irruzione dentro Kryze Manor. Non l’ho trattata da inferiore, bensì da pari.-

Il bev meshurok emise uno sbuffo, quasi a confermare le sue parole.

- E’ un animale fiero e libero, degno di rispetto, non una bestia da soma.-

Inga sorrise sotto i baffi.

- Dovete darle un nome. A voi sola risponderà.-

- Il suo nome è Myra.- 

Poi, lanciò un’occhiata a suo padre e ad Athos.

- Volete salire?- 

Kyla acconsentì mentre Athos, che soffriva di vertigini, preferì tornare a casa e forse cavallerescamente accompagnare Inga prima che tagliasse la testa a qualcuno dei presenti. 

L’animale abbassò l’ala e lasciò che il duca vi si arrampicasse sopra.

Poi, con un balzo, spiccò il volo.

Si scagliò contro il cielo plumbeo sollevando polvere al suo passaggio e brillando come una stella in tutto quel grigiore. Satine se ne innamorò immediatamente. Era cento volte meglio che volare su un viinir. Andava molto più veloce e saliva molto più in alto, ma il collo massiccio e la testa pelosa spaccavano l’aria senza farla soffocare contro il vento violento. Sentiva l’aria aprirsi attorno a lei e le nuvole farsi sempre più vicine.

Suo padre si attaccò alla sua vita come se fosse l’ultima spiaggia sicura e lasciò che l’animale li riportasse a Kryze Manor senza dire una parola, come se l’idea gli facesse perdere l’equilibrio. Solo quando fu a terra si azzardò a proferire verbo. 

L’animale si fermò solo un momento per farsi accarezzare il muso. Satine aveva scoperto che amava essere grattata tra i baffi, sotto il naso. 

Poi volò via, sopra il cielo terso riflesso nel Suumpir Darasuum, lasciando i due a guardare lo spettacolo con Athos di nuovo al loro fianco.

- Davvero, come hai fatto?-

- Niente di speciale, papà. Sono caduta su un masso e ho rischiato di precipitare di sotto. Myra ha portato il muso alla mia altezza e ci siamo guardate. E’ bellissima, vero?-

Kyla annuì.

- Ho capito che stavo sbagliando tutto. Lei non mi stava cacciando, si stava solo proteggendo. Così non ho più fatto niente e siamo rimaste a guardarci fino a che lei non si è fidata di me. Ha capito che non ero un pericolo e si è lasciata avvicinare.-

Lo diceva come se fosse la cosa più facile del mondo e Kyla si trovò a pensare che se non fosse diventata una Abiik’ad lei la lista delle candidate poteva anche ridursi a zero.

Satine volerebbe anche su una cavalletta, se potesse.

- Che cosa stavate facendo, quando sono uscita dalla sua tana?- chiese Satine, abbracciando suo padre ed avviandosi verso casa.

- Oh, niente.- fece Athos, passando a sua volta il braccio attorno a lei, cingendoli tutti e due.- Tuo padre voleva semplicemente pestare Evar Saxon.-

Satine trasecolò.

- Cosa?-

- Ha detto qualche parola di troppo, stavolta, e persino Inga l’ha minacciato.-

- Ormai non ha più nemmeno paura di dire che è stato lui a mandare i cacciatori di taglie a Kryze Manor.-

A casa, Maryam per poco non era svenuta quando aveva visto atterrare un bev meshurok in giardino. Bo Katan, invece, con la finestra aperta, strillava contenta e si sbracciava come se fosse stata ad un concerto di musica mandaloriana. 

Quella sera fu grande festa. Maryam preparò l’arrosto con le patate come piaceva alle ragazze e Athos apparecchiò con il servito buono. Mangiarono a sazietà e brindarono alla nuova candidata al trono di Mandalore.

Nei giorni successivi, sia Lusk Wren che Evar Saxon e gli altri aspiranti candidati avrebbero capito che la partita sarebbe stata molto più difficile del previsto. Inga Bauer, da parte sua, aveva provveduto a spargere la voce sul fatto che la figlia del duca aveva domato - anche se Satine avrebbe avuto da ridire sulla scelta delle parole - un bev kar’alor

La notizia ebbe ampia risonanza, contribuendo a rafforzare l’idea che Satine fosse decisamente dotata e possedesse le qualità necessarie per accedere al trono. 

Mentre i suoi nemici, ahimè, tramavano nell’ombra, la diciassettenne Satine Kryze si guadagnava un altro epiteto. Così, alla Gemma di Qibal, al Terrore del ghiacciaio del monte Glassa di Zucchero e al Ghiaccio Vivo di Kalevala si aggiunse anche quello di Alor bev meshuroke.

La Signora dei Mitosauri.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Bev vorpan: lett. (spina) verde, una creatura verdognola estremamente pacifica (per quanto possa esserlo un Mitosauro).

Bev carud: lett. (spina) fumosa, animale letteralmente fatto di una sostanza evanescente, estremamente letale e pericoloso.

Bev ast’ehut: lett. (spina) grassa, animale grigiastro che resta immobile praticamente per tutto il tempo e si nutre solo di ciò che gli capita a tiro. Ha le zampe atrofizzate e diventa grosso, talmente grosso e grasso da essere scambiato per una roccia; è del tutto innocuo.  

Bev kar’alor: lett. (spina) signore delle stelle, noto anche con il nome di Sole di Mezzanotte. Una creatura che riflette la luce degli astri, libera e indipendente. 

Vhetirn bev meshuroke: piana, pianura dei Mitosauri

Ori Yustapir: lett. Grande fiume 

Alor bev meshuroke: lett. la Signora dei Mitosauri

 

***

 

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Lady Elipha “La Sovrana delle Pentole” Kryze

Figlia di Marmaduke, è famosa per aver inventato uno specifico stile di combattimento, quello in cui si è specializzata Maryam e tutte le altre guardie del corpo dei reali di Mandalore. Durante la battaglia di Qibal, infatti, i Vizla riuscirono a penetrare dentro le mura dopo un assedio durato mesi e dopo aver incontrato una dura resistenza. La duchessa, in un estremo tentativo di difendere la città, sconfisse una squadra di nemici che aveva attaccato i magazzini pieni di viveri usando solo ciò che le capitò a tiro, ovvero pentole, padelle e suppellettili da cucina. A causa della schiacciante vittoria di Qibal, i Kryze furono dichiarati empi per una seconda volta dopo le terribili azioni di Gozo Kryze Il Filibustiere, perché i soldati, euforici per il trionfo, si lanciarono nei campi dei Makyntire - alleati e delatori dei Vizla - e ne bruciarono le messi. Nonostante siano passati molti anni, il clan serba ancora rancore nei confronti dei Kryze e l’empietà non è mai stata revocata per la forte opposizione degli stessi Makyntire.

 

***

 

NOTA DELL’AUTORE: Spulciando il vocabolario e senza pretesa di esaustività, credo di aver intuito che il plurale si formi aggiungendo una - e in finale di parola, con ‘ se finisce con vocale, oppure aggiungendo - se in casi particolari (come per la parola jetiise, il plurale di Jedi). 

Bionda, con gli occhi blu: dentro di me Satine è sempre stata un po’ Daenerys Targaryen. La grossa lucertola che cavalca, tuttavia, non è un drago, per quanto ci somigli. Se proprio devo dare un’immagine dell’animale, lo definirei un incrocio tra un clamidosauro e un drago vero e proprio dalla coda spinata, caratteristica principale da cui i meshuroke prendono il nome.

E Satine non è decisamente Daenerys. 

I Mitosauri sono effettivamente creature domate dai Mando in tempi antichi. Ne vengono fatte brevi menzioni qua e là. Formalmente sono estinti, ma nel rispetto delle tradizioni, ho ritenuto di riesumare una specie simile di mia invenzione. Anche la piana dei Mitosauri è una mia creazione. L’ispirazione per un ambiente così particolare viene dai paesaggi quasi alieni della Terra del Fuoco. 

L’assedio di Qibal è ispirato ad un evento storico reale. Per una disputa politica due città del litorale toscano si scontrarono in una guerra che uno dei due schieramenti aveva inteso concludere in breve. Si trovarono a fronteggiare una strenua resistenza durata mesi. Il campanilismo tra le due città è durato per secoli e dura ancora adesso, anche se non si fanno più la guerra. Fu costretto ad intervenire persino Lorenzo il Magnifico per siglare la pace. 

Il Magnifico, però, fu costretto ad ammettere la sconfitta e a fuggire con la coda tra le gambe, e l’accordo non fu mai raggiunto. 

Sono state bruciate messi e sono arrivate persino un paio di scomuniche dal Papa, per cui sì, a volte la realtà supera di gran lunga la fantasia.  

Ormai restano pochi capitoli prima della chiamata dei nostri eroi. Ciò che resta sarà dedicato a tratteggiare in modo più definito la terribile situazione politica di Mandalore e i nefasti eventi che hanno portato - nel mio immaginario - alla chiamata dei Jedi. Per questa ragione vi avviso: cominciate a prepararvi psicologicamente, perché i Mando quando fanno la guerra sono tremendi. 

Oh, e guardatevi anche da Inga Bauer. Tornerà, e non sarà una donna facile da gestire.

 

Molly. 

 

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Capitolo 15
*** 14- L'Uomo delle Stelle, pt. 1 ***


CAPITOLO 14

 L’Uomo delle Stelle, prima parte

 

Tutti avevano notato da diverso tempo, ormai, che in Satine c’era qualcosa che non andava. 

Sin da quando era andata alla Scuola di Governo, qualcosa negli occhi della ragazza s’era spento. In apparenza, sembrava sempre la stessa. In casa era sempre gentile con tutti e continuava a lasciarsi sfuggire i suoi commenti tutti pepe che ne avevano sempre caratterizzato la personalità. Sorrideva sempre e abbracciava tutti, soprattutto suo padre e sua sorella. 

Però a Kyla non erano sfuggite le numerose rinunce che sua figlia aveva messo in atto. Le uscite il sabato sera erano diventate sempre più rare e i suoi capelli sempre più ordinari. Quando tornava a casa rimaneva spesso da sola, nella sua stanza o altrove, a suonare o a leggere. Maryam, inoltre, aveva notato che al mattino mancavano sempre dei biscotti e un po’ di latte, o del dolce, come se qualcuno fosse venuto a nutrirsi nottetempo.

Il duca l’aveva osservata con attenzione durante le loro gite - se così si potevano definire - allo Tsad Droten. Era una ragazza meravigliosa e stava sbocciando in una donna ancora più bella, tuttavia i suoi occhi diventavano giorno per giorno sempre più tristi.

Così una domenica, dopo una mattinata particolarmente turbolenta, aveva deciso di affrontare la questione.

Satine non era andata a ballare quel sabato sera e nonostante tutto era scesa in ritardo per colazione. Aveva gli occhi cerchiati di scuro e la faccia di chi non aveva chiuso occhio in tutta la notte.

- Non ti senti bene, Sat’ika?-

- Ho dormito male. Non è niente.-

Kyla l’aveva squadrata ed aveva fatto finta di convincersi, riservandosi di chiederle da quanto tempo dormisse male. Il suo rendimento a scuola era ancora stratosferico, ma non aveva potuto fare a meno di notare che tale rendimento era tendenzialmente calato. 

Restava comunque la migliore del corso, ma non era da lei perdere colpi.

Quella mattina, poi, era avvenuta anche una brutta discussione con Bo. La ragazzina si era introdotta in biblioteca con lo scopo di prendere un libro e il caso aveva voluto che avesse scelto lo stesso che stava leggendo la sorella. Siccome Bo sapeva essere prepotente, aveva preteso di prenderlo a tutti i costi, nonostante Satine fosse già a metà della storia. Naturalmente si era rifiutata e Bo glielo aveva strappato di mano, squarciando a metà la pagina che Satine stava voltando.

Era scoppiato il putiferio.

La maggiore gliene aveva dette di tutti i colori, accusandola di essere una selvaggia e una prepotente. La minore, giusto per non dare ragione alla sorella, le aveva messo le mani nei capelli ed aveva tirato così forte da farle lacrimare gli occhi.

A quel punto era volato il primo - e l’unico - schiaffo che Satine avrebbe mai dato a Bo Katan.

Erano dovuti intervenire Maryam ed Athos a separarle. Kyla, per quanto amasse la sua bambina e per quanto le ricordasse la moglie, l’aveva messa in punizione per la prima volta nella sua vita. Si sarebbe sentito un mostro per giorni, ma lo aveva fatto per il suo bene e lo sapeva.

Aveva provato ad impartire regole e lezioni di vita alla sua figlia più piccola sin da quando era nata, riuscendoci però poco e male. Bo non era Satine. Bo non ascoltava, né rifletteva. Aveva minacciato, urlato, spedito in cameretta, ma non era servito a nulla. La amava per il carattere ribelle che aveva, ma aveva bisogno di imparare a contenerlo. Vedeva il potenziale pericolo aumentare in Bo man mano che cresceva e rifiutava sempre di più i modi della società civile.

Per quanto aveva riguardato Satine, era sfrecciata fuori dalla biblioteca, furibonda, non senza prima aver dato della scimmia selvaggia a sua sorella con un ringhio aggressivo che non le apparteneva. 

Si era chiusa in camera e non era più uscita per tutto il giorno. Non era nemmeno scesa a pranzo, preferendo farsi portare un panino in camera da Maryam dicendo di non sentirsi bene.

Kyla aveva provato ad indagare anche con i domestici. La donna aveva confessato che Satine le aveva chiesto aiuto per dormire qualche volta, ma non era mai andata oltre la camomilla e non aveva voluto dirgli niente per non farlo preoccupare. Il duca non se la prese, anzi, capì e lasciò correre. 

Athos, invece, aveva notato alcune differenze. In macchina con lui, Satine parlava sempre meno. Aveva tolto i suoi effetti personali dal vano portaoggetti. Quando usciva era sempre meno esuberante ed a volte sembrava che le costasse una gran fatica. L’aveva vista spesso nella stalla con Bukephalos ed Ortense, ed aveva provato ad avvicinarla senza ottenere un grande successo. Satine diceva sempre che era lì per governare i viinire, ma Athos non l’aveva bevuta e l’aveva guardata estraniarsi, seduta nella paglia a grattare la criniera dell’animale con lo sguardo perso nel vuoto. 

Che Satine stesse male ormai non c’erano più dubbi, e Kyla aveva tutta l’intenzione di vederci chiaro.

Aveva il sospetto che l’origine del malessere fosse stata la loro sortita al villaggio di Nebrod per dare l’ultimo saluto a Leera Rau. La ragazza non aveva mai confessato che cosa lui gli avesse detto. Ogni volta che provava a domandarglielo, diventava evasiva, aggirava la domanda con altre domande, oppure diceva di non ricordare bene. 

Quella era la scusa più comune. 

Non ho capito molto, parlava una lingua strana. 

Non sono riuscita a seguire.

Non so, non ricordo. E’ tutto confuso.

Aveva una voce cavernosa, non articolava bene.

Kyla non era stupido e sapeva che sua figlia stava solo accampando scuse per non rivelare che cosa Nebrod le avesse detto, e date le circostanze era assolutamente intenzionato a scoprirlo.

Deciso a prendere il toro per le corna, si era fatto preparare un paio di tazze di tè da portare con sé, con alcuni cioccolatini ed un paio di biscotti. Aveva salito le scale e si era fermato per un momento fuori dalla porta ad ascoltare.

Da un po’ di tempo a quella parte, Satine aveva messo da parte il basso elettrico per il suono più malinconico della chitarra classica. Kyla la ascoltò pizzicare le corde con delicatezza, mentre suonava un pezzo neoclassico molto triste. Gli pareva che la composizione si chiamasse Gemini 77 - Stargazing, di un compositore contemporaneo di cui non ricordava il nome ma che apprezzava occasionalmente. 

Sua figlia aveva talento.

Bussò alla porta, dispiaciuto di dover interrompere la sua performance.

Nessuno rispose.

Bussò di nuovo.

- Vattene Bo, sei in punizione e non voglio vederti.-

- Non sono Bo.-

La musica cessò e il cilindro della serratura scattò.

- Mi dispiace papà. Che cosa c’è?-

L’uomo ammiccò verso il vassoio coperto di roba da mangiare.

- Merenda?-

Satine sembrò pensarci su.

- Non ho molta fame, papà.-

- Allora posso fare io merenda con te?-

La ragazza sfoderò il suo migliore sorriso triste e lo fece entrare.

- Gemini?-

- Sì.-

- Ti riesce molto bene.-

- Grazie. Posso continuare, se vuoi.-

Kyla la lasciò suonare, mentre sgranocchiava un cioccolatino. La guardò mentre i capelli le cadevano su una parte del viso, gli occhi concentrati sulle corde e le dita che saettavano da un capotasto all’altro. La ascoltò respirare a ritmo di musica, fusa con lo strumento, prova di quanto le piacesse quel pezzo. 

Sorrise, quando finì e toccò le corde con il palmo della mano per farle smettere di vibrare.

- Brava. Adesso vuoi bere un po’ di tè?-

Satine acconsentì e si portò la tazza fumante alle labbra. Maryam aveva fatto il tè alle nocciole, il suo preferito, e lei apprezzò particolarmente. 

- Non vado fiera di avere detto quello che ho detto e fatto quello che ho fatto. Mi dispiace molto per aver colpito Bo, le chiederò scusa più avanti. Papà, non riesco più a controllarla. E’ adorabile a volte, le piace tingermi i capelli e farmi un sacco di domande, parlare di stupidaggini e ballare sulla musica mandaloriana con le cuffie. A volte però è veramente troppo. E’ prepotente, esigente, pretende che tutti facciano quello che vuole lei, e diciamocelo, è violenta.-

Kyla annuì.

- Hai ragione, non sei stata gusta con lei né coerente con te stessa, però hai ragione anche sul fatto che Bo abbia bisogno di regole. Ho davvero paura che, se cresce così, diventerà sempre più insofferente. Potrebbe anche fare del male a se stessa e agli altri. A volte mi domando dove ho sbagliato con lei.-

- Non hai sbagliato. E’ semplicemente fatta così. Ha bisogno di capire che non può fare quello che le pare. Potrebbe anche danneggiare la tua immagine, con il tempo. Sei il Mand’alor. E’ un onere anche per noi.-

Il duca le accarezzò la testa bionda mentre la osservava prendere con coraggio un biscottino. Vederla mangiare era sempre stato un piacere e in quei giorni così difficili, in cui sembrava molto inappetente, era felice di guardarla mangiucchiare qualcosa, anche se più che la sua Satine pareva un uccellino di nido.

La ragazza, invece, aveva capito chiaramente che suo padre era lì per parlare. Il suo comportamento strano, immaginò, doveva essere ormai noto a tutti. Lei stessa si era resa conto di essere cambiata troppo rapidamente per essere ignorata, e suo padre meritava una spiegazione.

Aveva provato a rimandare quella conversazione il più possibile. Non voleva dare pensiero a suo padre, che già ne aveva tanti senza che ci si mettesse anche lei. Aveva provato a cavarsela da sola, ma stava fallendo miseramente. 

Una parte di lei non aveva più voglia di rimandare.

- Satine, credo che io e te…-

- E’ una brutta cosa.-

Kyla aggrottò le sopracciglia.

- Come?-

- Nebrod. Non mi ha detto una bella cosa.-

Gli occhi del duca si fecero grandi e preoccupati, mentre quelli di Satine vagavano fuori dalla finestra, sulle acque iridate del Suumpir Darasuum.

- Mi ha detto che morirò.-

Al duca venne la nausea, ma provò a controllarsi. 

- Tutti muoiono, Satine. Prima o poi.-

- Secondo lui, più prima che poi.-

- Ti ha detto quando?-

- No. Mi ha detto solo che la mia vita non sarà lunga.-

Kyla provò a respirare a fondo. 

Certo, era meglio che sapere che sua figlia sarebbe morta il giorno dopo. 

Non aveva il coraggio di parlare per non far sentire a Satine che gli tremava la voce. 

In effetti, era una notizia orribile e sua figlia se l’era portata dentro, senza dirla a nessuno, per quasi un anno.

Capì perché e se ne dispiacque. 

Non spettava a lei farsene carico.

- Satine, Nebrod dice molte cose, e non tutte sono state interpretate correttamente. Certo, non è una bella notizia, ma tu sei brava e forte, e sono certo che riuscirai a cavartela benissimo…-

- Non mi ha detto solo questo. Potrei anche mettermi l’animo in pace per quanto riguarda l’idea di morire giovane. E’ il resto, però, che mi infastidisce parecchio.-

Suo padre, seduto sul letto accanto a lei, posò il vassoio sul comodino e si mise in ascolto.

- Mi ha detto che morirò da sola.-

Il volto di Kyla si oscurò.

Adesso capiva davvero perché Satine non aveva voluto dirgli niente.

Se Satine, in base a quanto aveva detto Nebrod, era destinata a morire giovane e a morire da sola, significava che tutti gli altri l’avrebbero lasciata o sarebbero morti prima di lei.

Incluso Kyla.

Athos, Maryam, forse pure Bo Katan.

- Cyare.- le disse suo padre, accarezzandole il viso. Non era mai buon segno, quando la chiamava così.- Nebrod ha detto tutto e il contrario di tutto nei secoli. Non sempre ha avuto ragione. Le leggende sono particolari, e per quanto abbiano un fondo di verità non è corretto crederci al cento per cento. Il fatto che ti abbia detto tutte queste cattiverie non significa che il destino della nostra famiglia, nella sua interezza, sia segnato.-

Satine non pareva convinta, e suo padre era affascinato da come lei potesse mettere da parte la sua sicurezza personale e l’orrore per quello che Nebrod le aveva profetizzato per il benessere delle persone che amava di più.

Era veramente una grande donna, sua figlia.

- Satine, andrà tutto bene. Non pensare a noi, ce la caveremo. Pensa a te, adesso. Quello che ti ha detto è orribile. Vorrei che tu ti concentrassi su questo, invece di preoccuparti per noi. Non mettere da parte quello che senti per…-

- Non è soltanto questo.-

Satine sospirò e si alzò dal letto per affacciarsi alla finestra. Con la fronte contro il vetro, lasciò che lo sguardo vagasse fuori, ancora, più lontano dell’orizzonte, mentre il suo alito caldo formava nuvolette di vapore sul vetro.

- Io devo essere molto strana, vero?-

- Tu? No, proprio no.-

- Allora perché nessuno mi capisce?-

- Sat’ika, hai diciassette anni, è normale che tu ti senta incompresa…-

- No, non hai capito. Mi sembra di vivere su un pianeta diverso dal resto del mondo. Mi pare di essere uno di quei pesci che nuotano contro corrente. Vado in una direzione opposta rispetto al resto della massa. Sto provando a fare quello che fanno tutti gli altri, a pensare quello che pensano gli altri, ma non ci riesco. E’ come se respirassi un’aria diversa. Fa male. Non mi ascolta nessuno. Non mi capisce nessuno. Faccio finta di stare alle regole ma non ci so stare.-

Satine era un fiume in piena. Si era allontanata dalla finestra e si era messa a camminare in circolo sul tappeto della sua cameretta e non pareva avere intenzione di smettere.

- Ursa Wren mi ha tolto il saluto, e anche molti altri che sembravano apprezzarmi adesso non lo fanno più. Ho sentito Osbourne dire che non sono una vera mandaloriana. Ho sentito una marea, e dico, una marea di gente che dice che ho tutto quello che ho solo perché sono la figlia del Mand’alor. Ho provato ad essere normale. Ho provato a ridere di Diva Almar che va a letto con il figlio del cuoco del suo amante. Ho provato a convincermi che il taffetà è meglio della seta. Ho apprezzato il broccato quando in verità mi fa schifo e mi sono riempita dei peggiori alcolici sul mercato solo perché li bevevano gli altri!-

Kyla la lasciò sfogare, anche se quello che sentiva lo stava allarmando. Che Satine avesse bevuto anche a sua insaputa, a diciassette anni se lo era aspettato. Quello che stava dicendo, però, gli dava l’idea che significasse ben più di un goccio ogni tanto con gli amici.

Sapeva di potersi fidare di lei, ma che razza di gente erano, i suoi amici?

- A lezione di ballo mi hanno detto che ho le gambe grosse come quelle di un bantha. A lezione di ginnastica mi dicono che sono uno scheletro ambulante. Mi trucco e mi dicono che sembro una #@°*//!. Vado in giro senza trucco, o molto poco, e mi dicono che sono sciatta e che non ho cura di me stessa. Mi metto i pantaloni e mi dicono che sembro un maschio. Mi metto la gonna e mi dicono che mi sta male, o che ho le caviglie grosse, o che lo faccio per farmi notare. Mi metto i tacchi, me la cerco. Mi metto le ballerine, che schifo. Mai una volta, MAI, che io mi senta dire che sono carina o che sono brava. Mi sento costantemente dire che sono una stupida o un’ameba, inadatta a fare alcunché della mia vita, ed ogni volta che provo a fare quello che devo fare, mi sento sempre dire che non ce la farò mai! E sai che c’è? Sono stufa marcia di essere sempre quella che ci crede, quella che fa tutto da sola! Mi piacerebbe sentirmelo dire una volta ogni tanto! Lo sai, io non ho scelto niente di tutto questo. Tutti quanti avete scelto per me! Io devo fare la duchessa perché sono una Kryze, perché Bo è un piccolo mostriciattolo insolente e se mettesse piede al Palazzo del Governo li ammazzerebbe tutti. A nessuno è mai venuto in mente che forse, e dico, FORSE, di fare la Mand’alor non me ne importa un fico secco?- 

Suo padre rimase a fissarla, la bocca aperta e un gran senso di consapevolezza dentro di sé.

- A nessuno è mai venuto in mente che l’unica cosa che mi interessa è correre nell’erba o fare musica, oppure scrivere storie? Che ne so, magari avrei un futuro come romanziere. Oppure potrei andare a suonare la chitarra per Diva Almar, e magari me la caverei anche bene! Invece no, è già stato tutto deciso e nessuno che mi abbia mai chiesto nulla! Nemmeno un parere. E’ giusto così! Sacrifichiamoci per il bene superiore, ma se devo sacrificarmi per il sistema, almeno voglio rispetto! Non sono l’unica in corsa! Io non vado a sputare sull’operato di Ursa Wren, e nemmeno degli altri che stanno facendo del loro meglio per rispondere a dei canoni che altri hanno stabilito per loro! Eppure, con me si sentono autorizzati a dire o fare le peggiori porcherie. Come se la mia vita pubblica non fosse già abbastanza, adesso viene fuori che nemmeno la mia vita privata è del tutto libera! Adesso una COSA che vive sul fondo di un lago mi viene a dire che non sono nemmeno libera di innamorarmi come voglio io e devo passare il resto dei miei giorni a comprare gatti!-

- Frena, furia, temo di essermi perso un passaggio.-

Satine sospirò ed abbassò lo sguardo sul tappeto.

- Nebrod mi ha sostanzialmente detto che non mi vuole nessuno.-

Il cuore di Kyla si strinse in un nodo, ma fece buon viso a cattivo gioco e si mise a ridere.

- Questo ti dimostra, Sat’ika, che Nebrod, o qualunque cosa esso sia, non c’ha capito proprio niente.- 

Satine tirò su col naso, gli occhioni lucidi.

Non aveva detto proprio tutta la verità. Forse quella era anche peggio.

Era tanto che suo padre non la trattava più così. Dopo averla guardata tirare su col naso, l’aveva fatta sedere sul letto accanto a lui e l’aveva presa in braccio. Quando era stata una bambina molto piccola suo padre l’aveva abbracciata molto spesso, e lo aveva fatto regolarmente prima di andare a dormire per un bel periodo. Si erano raccontati storie a vicenda ed avevano composto poesie e canzoni. 

Con il tempo, quell’abitudine era andata persa. Era una vita che non restavano più così, solo loro due, lei che piangeva e lui che la consolava. 

- Ti hanno detto davvero tutte quelle cose brutte sul tuo aspetto?-

- Sì.-

- E ti hanno fatto bere un sacco di robaccia?-

- Mh-mh.-

- E’ tutta invidia, cyare.-

- Ma io non la voglio, l’invidia. Ieri mi hanno detto che sarei anche carina se non ridessi. Ho la bocca talmente grande che sembro la Rana dalla Bocca Larga. Secondo loro dovrei imparare a ridere in modo femminile, misurato, e possibilmente senza farmi venire le fossette sul viso, che sono antiestetiche.-

Kyla rise di gusto.

- Tutte idiozie, tesoro mio. Sai cosa disse la volpe al grappolo d’uva che non riusciva a cogliere?-

- Che era acerbo?-

- Esattamente.-

- Posso essere stufa, però?-

- Sacrosanto.- le disse, scostandole i capelli dal viso e cullandola un po’.- E puoi anche mandarli a quel paese o ridere loro in faccia.-

- Mi sento poco onesta con me stessa. Non mi piace trattare loro come loro trattano me, e cioè male. Non è giusto quando è rivolto nella mia direzione, non è giusto nemmeno nella loro.-

- Sacrosanto anche questo. Ricordati, però, che difendersi non è sbagliato né disonesto.-

Satine annuì e stese un sorriso un po’ più felice, stavolta.

- Per quanto riguarda il resto, prendi la profezia di Nebrod con le molle, cyare. Non sappiamo niente su quello che fa e dice. E’ un evento talmente raro, per non dire unico, che è difficile capire che pesci pigliare. Sia io che gli altri siamo grandi e vaccinati, e ti posso garantire che non c’è nessuno al mondo che sappia resistere alle padellate di Maryam. Ce la caveremo bene, vedrai. Era per questo che non dormivi?-

Satine aggrottò un sopracciglio.

- Maryam mi ha detto della camomilla e dei recenti furti di latte e biscotti.-

- Non so perché non dormo. Mi si riempie la testa di pensieri e non riesco a prendere sonno.-

- Quali pensieri?-

- Confusi. Strani. A volte anche brutti.-

- Mi prometti che piano piano me li racconti tutti?-

Satine annuì.

Sapeva che suo padre aveva provato, probabilmente, tutto quello che stava provando lei. Anche per lui la vita era stata già decisa da suo padre, che aveva subìto a sua volta le scelte di suo nonno. Per i Mando l’impegno sociale era una parte fondamentale della loro vita, soprattutto se erano capoclan o appartenenti ai vertici della loro casata. Era piuttosto inevitabile. Tuttavia, Kyla sapeva che tutto quello che stava affrontando sua figlia era anche molto più di quanto avesse affrontato lui. La situazione politica del pianeta era effettivamente mutata tanto da quando lui era diventato Mand’alor, ed aveva preso una brutta, bruttissima piega. Gli attacchi personali nei confronti di Satine non erano rimasti solo virtuali. A Scuola di Governo, evidentemente, le lingue si stavano allungando molto, con critiche che esulavano dalla politica. 

La Forza sola sapeva quanto potessero ferire, quei commenti.

- Tipo, se io prendessi Bukephalos e volassi sul cocuzzolo di una montagna o in un atollo in mezzo all’oceano?.-

- Temo che ti annoieresti a morte. Non si può fare, cyare. Vorrei farti volare via ogni volta che vuoi, credimi.-

Satine si addormentò cullata dalle braccia del padre, che la lasciò accoccolata sotto le coperte e chiuse piano la porta per lasciarla riposare.

Avrebbe dovuto parlare con Bo. Anche lei meritava di essere ascoltata. Solo Kad'Harangir sapeva da dove provenisse la rabbia che aveva dentro, e forse Kyla, preso dai problemi della politica, aveva trascurato un po’ troppo le sue figlie.

Satine sembrava stanca oltremisura, di una stanchezza che non derivava dall’assenza di sonno, bensì la causava. Era preoccupato per lei perché sapeva che il dolore sopito può diventare distruttivo, e si rammaricava di essere una delle cause di tutto quel malessere. 

La profezia di Nebrod sicuramente non aveva sollevato l’animo già provato della ragazza. 

Era certo che Satine non gli avesse detto tutto, ma non poteva forzare troppo la mano. Forse con il tempo si sarebbe fidata di più.

Bussò alla porta di Bo Katan e non ricevette risposta. Affondò la mano sulla maniglia ed aprì, solo per scoprire che quella scimmietta aveva saltato la finestra e probabilmente stava ruzzolando da qualche parte nel parco di Kryze Manor.

Sospirò, consapevole che sarebbe dovuto andare a cercarla.

 

Satine era scesa a cena con l’aria leggermente più calma e riposata. Kyla era convinto che avrebbe dovuto darle un po’ più di considerazione prima che si facesse troppo male. Bo Katan, invece, era andata a fare il bagno nel lago senza dire nulla a nessuno. Suo padre si era arrabbiato, aveva provato a darle una lezione di civiltà, ma Bo aveva fatto orecchie da mercante ed aveva detto sì buir un po’ troppe volte per essere credibile. C’era di buono che con il tempo aveva imparato a mangiare come un essere umano e in modo meno disgustoso, per cui la cena proseguì senza troppi intoppi e a sera se ne andò a letto, dopo aver accompagnato le sue bambine e voglioso solo di chiudere gli occhi.

Non aveva sottovalutato la profezia di Nebrod. Aveva provato a consolare Satine, ma se era pur vero che quella cosa non parlava quasi mai ed era difficilissimo considerare i suoi sproloqui attendibili, tuttavia i suoi studi gli avevano dimostrato che buona parte di quello che aveva profetizzato si era avverato.

Certo, era difficile capire quanto fosse scritto nel destino e quanto fossero le scelte degli individui a determinarlo, decidendo di compiacere la profezia fatta. 

La profezia della solitudine, tuttavia, aveva margine per avverarsi.

Il duca era sotto attacco da una vita, e anche se non l’aveva ancora detto alle sue figlie, aveva cominciato a ricevere delle lettere minatorie con ben pochi dubbi sul loro contenuto.

Dirlo in questo momento a Satine sarebbe stato come darle il colpo di grazia. Non poteva ferirla ancora di più, senza rendersi conto che forse erano i suoi stessi tentativi di proteggerla a farle più male.

Aveva inoltre paura che le due sorelle giungessero ad un punto di rottura. La differenza tra Satine e Bo Katan era abissale, e temeva che la piccola soffrisse dell’ombra della sorella maggiore. 

Quello che il cervello arruffato di Kyla Kryze non aveva ancora capito era che Bo in verità era l’unica a conoscere il segreto della sorella, nonché l’unica a sapere come mai il sabato sera non usciva più e non dormiva comunque tutta la notte.

Quando fu certa che tutti stessero dormendo, Bo aprì la porta della sua cameretta e zampettò in punta di piedi fino alla porta della stanza della sorella. 

Abbassò la maniglia ed entrò.

C’era il lucernario aperto, come da un po’ di tempo a quella parte, e una scala appoggiata alla finestra. Satine sedeva sul tetto, con una bella coperta attorno al corpo a tenerla calda e lo sguardo fisso sul cielo stellato.

Bo trotterellò su per le scale e spintonò la sorella per avere spazio sotto la coperta. 

- Dimmi che Maryam ed Athos non stanno di nuovo amoreggiando in giardino. Bleah.- 

Satine scosse il capo, senza staccare gli occhi dal cielo. 

Bo Katan sbuffò e roteò gli occhi.

- Ancora con questa storia?-

- Sta’ zitta, Bo. Hai fatto abbastanza danni per oggi.-

- Disse quella.- sbottò la ragazzina, mollandole una gomitata tra le costole.- Tu e la tua aria depressa tutto il santo giorno. Sei una piaga, lo sai?-

Le due rimasero in silenzio a guardare le stelle ancora per un po’. Poi, quando Satine sospirò per l’ennesima volta ed ebbe anche la bella posta di renderlo sonoro, Bo prese fiato.

- Alloooora, durante le tue veglie notturne qualche alieno è venuto a prenderti?-

- Non chiamarli così. Sono solo persone che vivono su altri pianeti.-

- Vaaaaa bene, allora qualche straniero è venuto a rapirti e portarti via?-

- Sono ancora qui, no?-

- Che ne so io che cosa fai di notte qua sopra col tuo amante immaginario!-

- Guarda che ti do un altro schiaffo se non la fai finita.-

Bo fece una smorfia e si strinse la coperta attorno al collo.

Aveva beccato Satine a compiere quel rituale quasi un anno prima, poco dopo la sepoltura di Leera Rau. Era raro che Bo Katan avesse degli incubi, lei che non piangeva mai, ma quella notte non se l’era sentita di dormire da sola, così si era alzata ed era entrata nella camera della sorellona con tutto l’intento di infilarsi sotto alle coperte con lei, solo per trovare la stanza vuota e un fresco disagevole che entrava dal lucernario aperto.

Aveva perseguitato Satine per giorni per sapere che cosa ci facesse seduta sul tetto a guardare le stelle tutta la notte, fino a che la sorella non aveva vuotato il sacco.

- Devi smetterla di venire quassù, Bo. Maryam si è accorta che mancano il latte e i biscotti.-

- Che c’è? Mi viene fame a stare sveglia.-

- Mi sono presa la colpa, ma devi smetterla. Non c’è niente di interessante quassù.-

- Certo che c’è. C’è il tuo fidanzato!-

Satine sospirò.

Nebrod le aveva effettivamente detto che sarebbe morta giovane e sola, e la cosa non le era andata molto giù. Tuttavia era consapevole del fatto che, se fosse diventata duchessa, avrebbe corso un bel po’ di rischi, ed alcuni di questi avrebbero potuto rappresentare circostanze fatali per lei. 

In un certo senso, si era già un po’ abituata all’idea di morire.

Ciò che non aveva tollerato era stata l’idea di farlo senza avere vissuto. 

Satine voleva vivere al massimo e si sentiva costretta in una fitta trama che la sorte e il mondo avevano scelto per lei. Quando diceva che voleva volare via replicava esattamente l’immagine che aveva nella sua mente in quel momento. Libera nel cielo a cavallo della sua Myra, a guardare il mondo dall’alto senza toccarlo. 

Il mondo, però, le sarebbe mancato, nonostante volesse planarci sopra a volo d’uccello. Suo padre aveva ragione. Le sarebbe mancato il contatto con le persone. Non voleva perdere le sue radici, che per lei erano quanto di più importante vi fosse al mondo. Voleva sapere che cosa significasse avere degli amici veri, delle relazioni solide. 

Soprattutto, voleva sapere che cosa significasse avere qualcuno che la portasse nel cuore e magari ricambiarlo.

Non che Nebrod le avesse reso le cose facili, beninteso.

Secondo qualunque cosa vivesse sul fondo nel lago, nella sua breve vita lei avrebbe portato nel cuore una persona sola. Suddetta persona apparteneva alle stelle, da esse proveniva, e ad esse sarebbe tornata. Non sarebbe mai rimasto con lei perché il suo destino era altrove, ma si sarebbero amati per tutta la vita. 

Kar’jag. L’Uomo delle Stelle. 

Che tristezza.

In fondo, però, Satine ne era stata contenta. Si sentiva diversa, e forse lo era. Forse era veramente un pesce che nuotava controcorrente, ma l’idea che ci fosse qualcuno che sapeva nuotare controcorrente con lei la faceva sentire meno sola, per quanto distante esso potesse essere.

- Pensi davvero che esista, Bo? Che Nebrod abbia ragione?-

- Certo che esiste, ma non credo che lo incontrerai mai se ti prenderai una polmonite stando ad aspettarlo qua sopra. Che cosa pensi, che venga qua su un viinir e ti porti via cantando Vita mia dagli occhi blu?-

Satine rise.

- Sarebbe tanto brutto?-

- Cavolo, Tilli. E’ talmente smielato che fa venire il mal di stomaco.-

- Aspetta di passarci, poi vedremo chi è smielato.-

- Aspetta tu, e spera. Puoi cominciare a comprare gatti.-

- E dai, Bo.-

Le due sorelle rimasero così, sotto le stelle, a guardare le loro luci baluginare nel cielo. Bo si annoiava un po’, ma a sua sorella faceva piacere e quindi rimase con lei. Satine, invece, non ne aveva mai abbastanza di quelle luci e del loro riflesso nel Suumpir Darasuum. 

Le sembrava di galleggiare nello spazio.

- Ti ricordi quando andammo a vedere Starlight con Maryam?-

Bo non rispose.

- All’epoca giurai e spergiurai che mi sarei innamorata soltanto dell’uomo che mi avrebbe portata a ballare il valzer su una nebulosa.-

- Gatti.- bofonchiò sua sorella, la testa appoggiata contro il suo avambraccio ed una gran voglia di dormire.

Satine scosse il capo, sorridendo mesta.

- Sei sempre molto incoraggiante Bo. Non ti stuzzica proprio l’idea che ci sia qualcuno là fuori che ti assomiglia un po’? Che ti capisce? Che sa che non sei esattamente dove vorresti essere?-

Ma sua sorella dormiva poggiata sulla sua spalla, il litigio del mattino completamente dimenticato. 

Satine si tolse la coperta dalle spalle e vi avvolse la sorellina ancora di più.

- E anche stanotte dormi con me. Non sei un po’ grande per dormire nel letto con tua sorella?-

Silenzio stampa.

Prese in braccio la sua sorellina, ridiscese le scale e chiuse il lucernario. Poi, la infilò a letto e si accoccolò accanto a lei sotto le coperte.

Le riusciva difficile pensare che Bo l’avrebbe lasciata sola, un giorno. Gli altri, forse. Erano già tutti adulti e il tempo non sarebbe stato clemente con loro, ma la sua sorellina? 

Sarebbe stata una vera e propria catastrofe se l’avesse lasciata anche lei.

Chiuse gli occhi e si addormentò, e dormì sonni tranquilli per la prima volta dopo tanto tempo.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Kar’jag: lett. Uomo delle Stelle

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Ed eccoci qua. Un capitolone dove si anticipano un bel po’ di cose che accadranno in futuro, pur senza svelarne i dettagli.

Per i patiti della musica, consiglio l’ascolto di Songe Capricorne, uno straordinario pezzo per chitarra classica composto da Roland Dyens che ha ispirato Gemini 77, Stargazing.

La chitarra classica non è il vostro genere? Fidatevi, niente schitarrate da spiaggia. Questa è tanta roba.

Con me dovete avere pazienza. Sono nerd, classicista e chitarrista. 

Ma vi assicuro che ho anche dei difetti.  

Quanto è difficile vivere una vita che non si sceglie, ma che ci viene assegnata da altri? Quanto è difficile vivere in un mondo di cui non ci si sente parte? Quanto si è disposti a fare per essere quello che vuole la società?

Sono tutte domande da un milione, alle quali non pretendo di dare risposta. 

E chi non ha niente di carino da dire, farebbe prima a stare zitto. 

Con questo tassello la profezia di Nebrod è completa, così potrete farvi un’idea definitiva di chi sia il nostro Uomo delle Stelle, anche se penso che sappiate tutti di chi si tratta.

La conclusione è stata la più difficile da scrivere, essendo consapevole di che cosa accadrà più avanti. 

Per questo motivo consiglio di recuperare The Clone Wars. 

Aspetto sempre le vostre recensioni! 

 

Molly.

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Capitolo 16
*** 15- Pericolo incombente ***


CAPITOLO 15

 Pericolo incombente

 

ATTENZIONE: Alcune immagini potrebbero disturbarvi. 

 

Satine non aveva esattamente un vero motivo per dormire sonni tranquilli. 

La profezia di Nebrod ancora tormentava i suoi sogni, ed aveva seriamente valutato di prendere provvedimenti in previsione della sua morte. Inoltre, la parte relativa al famoso Uomo delle Stelle la lasciava sempre più perplessa ogni volta che ci rimuginava sopra. Poteva essere chiunque, un qualsiasi viaggiatore approdato allo spazioporto di Mandalore, e le probabilità che lei incrociasse la sua strada nello stesso momento erano praticamente ridotte a zero.

Più passava il tempo e meno ci credeva.

Logica conseguenza era, a detta di Bo, di non credere nemmeno alla parte relativa alla sua precoce dipartita. Satine, tuttavia, sotto questo punto di vista la vedeva diversamente. 

Per questo motivo era andata di nascosto nello studio del notaio a firmare il proprio testamento. Le sue ragioni, dovute nello specifico caso agli avvenimenti più recenti che avevano coinvolto lei e suo padre, erano più che valide.

Satine stava preparando l’esame finale della Scuola di Governo e non era mai stata più contenta in vita sua. Era stufa marcia di quell’ambiente così falso e tendenzioso. Certo, aveva provato a cambiarlo, ma le sue capacità si erano scontrate con la forza del suo avversario politico. Si era chiesta come si sentisse suo padre nello Tsad Droten, se la situazione fosse così difficile anche in aula o se fosse apertamente guerresca soltanto tra ragazzi troppo inclini a difendere l’onore dei genitori e delle famiglie. 

Satine, ormai, era frequentemente da suo padre. La riforma della sanità portava anche il suo nome ed era un suo onere portarla a compimento. Amava quella riforma, sentiva di fare qualcosa per i più poveri e i più bisognosi e la cosa la faceva sentire appagata a sua volta. Inoltre, avrebbe portato incredibili benefici per tutti consentendo l’accesso alle cure, per esempio, per chi, ricco o povero, avesse avuto la sfortuna di ammalarsi di domenica. 

Sarebbe potuto succedere a chiunque.

Era stato durante uno dei suoi pomeriggi passati ad osservare le carte del padre che si era imbattuta in un cassetto chiuso a chiave mentre era in cerca di una pinzatrice. 

Satine ne era rimasta stupita. Suo padre non aveva mai avuto segreti per lei, o almeno così credeva. Sapeva che doveva conservare alcuni ricordi di sua madre, privati e personali, da qualche parte dentro la sua camera, ma non se ne era mai interessata. 

Se c’era un cassetto chiuso al Palazzo del Governo, invece, era evidente che la cosa riguardava il governo stesso.

Satine aveva cominciato a pensare che fosse in atto un procedimento coperto da segreto di Stato e si era insospettita. 

Il giorno dopo, con un bello spillone nei capelli, Satine era entrata nella stanza del padre a studiare, come faceva sempre, ed aveva forzato non vista il cassetto. Dentro c’erano una serie di cartelle con nomi strani, che la ragazza sulle prime non capì. Una era etichettata con il termine spettri. Una, con la sigla ES/X WMA300, ed una, la terza, era bianca. 

Satine aveva cominciato da quella e le si era gelato il sangue.

 

Preparati a tornare da tua moglie.

Tu e quella #@°*//! di tua figlia morirete presto.

Faremo in modo che tu non torni mai alla Luce.

 

Quando suo padre era rientrato nella stanza l’aveva trovata seduta sulla sedia con la faccia di chi gli avrebbe messo volentieri le mani attorno al collo. 

A quel punto, Kyla aveva dovuto vuotare il sacco e raccontarle delle brutte minacce di morte che subiva da diverso tempo. Satine se l’era presa a male, e anche suo padre l’aveva rimproverata per aver frugato in cassetti chiusi a chiave. Aveva dovuto riconoscere, però, che sua figlia aveva avuto ragione. Nel tentativo di proteggerla in verità l’aveva esposta, sia all’interno della Scuola di Governo che fuori. Satine aveva continuato a comportarsi come se niente fosse quando in verità aveva bisogno di essere consapevole per potersi difendere al meglio. 

Kyla e Satine avevano fatto pace immediatamente. Non sapevano tenersi il broncio per più di qualche ora, ormai era assodato. Il duca ne approfittò per darle uno dei tanti baci di cui la riempiva da un po’ di tempo a quella parte e Satine se lo coccolò un po’, ricambiando l’affetto. 

Poi, i due si erano messi come sempre a fare piani.

I fascicoli furono portati a Kryze Manor e chiusi in uno scomparto segreto della biblioteca dove Bo, ormai prossima a partire per il suo anno di addestramento, non sarebbe mai riuscita a trovarli. 

Anche Kyla era stanco e provato. Gli ultimi giorni erano stati estenuanti tra ricevimenti, audizioni e sedute parlamentari. Tuttavia, i pensieri, invece che lasciarlo, continuavano a tormentarlo anche nel sonno. Così, dopo aver messo Bo Katan a letto, lui e la sua figlia insonne avevano preso l’abitudine di ritrovarsi in biblioteca e discutere dei fascicoli segreti che avevano nascosto.

La prima cosa da affrontare fu, naturalmente, l’individuazione del mittente delle lettere anonime.

Non fu molto semplice risalire a chi le spediva. Innanzitutto, Satine aveva pensato che sarebbe stato intelligente mettere delle telecamere vicino alla cancelleria. Non avevano trovato nulla, se non l’impiegata che consegnava le lettere tutte le mattine. Così avevano preferito concentrare la loro attenzione sul tracciamento postale, ma niente di consistente era stato individuato. 

Se non passava attraverso la posta, voleva dire che qualcuno le consegnava direttamente a mano al Palazzo del Governo. Satine cominciava ad essere a corto di idee, consapevole di non poter tempestare il palazzo di telecamere nascoste. A quel punto avevano deciso di rimuovere dall’incarico l’ufficio burocratico ed assegnare la consegna della posta alla guardia personale di suo padre.

Stranamente, la consegna delle lettere anonime si era interrotta.

Le rotelle nella testa di Satine, tuttavia, avevano continuato a girare un bel po’ per venire a capo di quella faccenda.

Ciò che l’aveva spaventata di più, tuttavia, era stato il fascicolo etichettato spettri.

Al mattino, Satine aveva cominciato a riciclare il giornale del padre per leggerselo sulla via per la Scuola di Governo. Di solito si interessava di più della pagina politica, tuttavia era difficile ignorare la cronaca nera, soprattutto quando veniva spiattellata in prima pagina a caratteri cubitali.

Da un po’ di tempo a quella parte, una serie di strani avvenimenti e morti sospette avevano cominciato a sconvolgere le comunità di Mandalore, su tutti i pianeti componenti il sistema. L’unico che per il momento pareva salvarsi era Kalevala e ciò aveva dato adito alle più incredibili teorie del complotto.

Non si riusciva ad identificare la causa della morte delle vittime. Nessuno aveva mai visto niente di simile. I corpi sembravano mangiati ed infatti l’orientamento prevalente della medicina forense includeva un possibile attacco da parte di un branco di animali. 

Il problema era identificare quali. 

Nessuna impronta dentaria sembrava corrispondere ad un animale conosciuto in tutta la galassia. Il fascicolo riportava dettagli raccapriccianti sulla condizione dei corpi e sulle sostanze che erano state trovate su di essi. 

Suo padre, tuttavia, la sapeva ben più lunga di chiunque altro.

All’interno di uno dei corpi era stato trovato del materiale genetico. Il che era già di per sé strano. In fondo, se di un attacco animale si trattava, sarebbe stato normale identificare sempre della saliva nelle ferite. Invece, non c’era assolutamente niente a parte una strana fanghiglia verdastra che impiastrava l’intero corpo e che sembrava contribuire a digerirlo. 

Suo padre l’aveva fatta analizzare in laboratorio ed aveva trovato tracce di materiale genetico mescolato, tra l’umano, l’animale e il vegetale. 

Insomma, una creatura del tutto ibrida.

Il dubbio che potesse essere stata creata in laboratorio era forte, ma mentre Kyla provava a trovare conferme altrove, indagando nei dipartimenti scientifici, la mente di Satine aveva vagato su altro in modo piuttosto inopportuno.

Ricordava di avere letto di creature misteriose nei libri di leggende in cui si rifugiava da bambina. Non che credesse a tutto ciò che c’era scritto, ci mancherebbe altro, ma sapeva che in tutte le leggende c’era un fondo di verità. 

Satine aveva sviluppato una profonda avversione per quelle storie, soprattutto adesso che era entrata ufficialmente in contatto con una certa creatura in fondo al Pozzo dei Giganti. Certo, erano storie affascinanti che, a voler credere nelle leggende, avrebbero dato loro una sottospecie di spiegazione. 

La mitologia, tuttavia, non dava una descrizione specifica di queste creature, anzi, era abbastanza povera di dettagli. Tutto ciò che emergeva chiaramente era che nessuno era mai sopravvissuto ad un loro attacco. 

Nei fascicoli del governo, invece, le creature erano descritte come esseri ibridi dal corpo umanoide e dalle estremità simili a radici. Alcuni avevano particolari come fiori, o foglie, e la loro forma poteva ricordare anche quella di alcuni grossi animali a quattro zampe. Avevano un tripla fila di denti minuscoli, ma affilatissimi e letali. 

C’era poi il fascicolo ES contro X. Non ci aveva messo molto per scoprire che ES stava - nemmeno a dirlo - per Evar Saxon. WMA 300 era invece la sigla tecnica di un’arma da fuoco, un grosso fucile automatico da guerra che era stato trovato in possesso di un terrorista della Ronda della Morte arrestato su Concordia diverso tempo prima. Dal momento in cui quell’arma era stata trovata, suo padre si era mosso nell’ombra ed aveva cercato di capire da dove provenisse. 

Ciò che aveva scoperto avrebbe potuto ribaltare le sorti della politica mandaloriana.

Secondo il report dei Servizi Segreti, l’arma proveniva da Absanz. Il pianeta era distante e sul suo conto non si sapeva granché. C’era chi diceva che produceva macchine sofisticate per via del deserto roccioso di cui era costituito e da cui potevano ricavare i minerali necessari per quel tipo di lavorazioni. C’era anche chi diceva che, per sopravvivenza, fornivano armi e altri mezzi meccanici e automatici, anche da guerra, a chi ne faceva richiesta e a chi pagava meglio.

Nel caso di specie, era stata intercettata una conversazione tra un terrorista della Ronda e il suo contatto su Concord Dawn, un certo R.H. - stante per Rako Hardeen, di cui Satine non avrebbe sentito parlare se non anni dopo quegli eventi e in tragiche circostanze - e si confermava lo scambio di armi, facendo riferimento al saldo. Non c’erano molti dubbi sul fatto che un’ulteriore partita di armi stesse per arrivare a Concord Dawn, ma il mistero più grosso era chi stesse finanziando quel massiccio riarmo.

Non erano cose che si leggevano sui giornali, naturalmente, e il contenuto era squisitamente politico.

C’era poi un altro dettaglio che l’aveva colta di sorpresa e al quale non aveva pensato, a differenza di suoi padre. La cosa l’aveva commossa e aveva pensato che suo padre, nonostante tutto quel tempo, non aveva mai dimenticato sua madre e doveva sentire molto la sua mancanza.

Per innescare il laser, il blaster da guerra ha bisogno di una carica ad iniezione, costituita dai più disparati materiali che interagendo tra loro consentono l’espulsione del raggio laser. La sostanza incandescente genera, di solito, una luce il cui raggio filtrato viene fatto rimbalzare per la canna del blaster. Alcuni preferiscono rendere il raggio corporeo, usando un materiale plasmatico incandescente. Era quello il caso della WMA 300, che aveva lasciato tracce di tungsteno sul corpo di sua madre e sulle pareti di casa. 

Era dunque altamente probabile che il traffico di armi andasse avanti da tempo e che chi aveva assoldato i terroristi per uccidere i Kryze fosse a conoscenza dell’uso di quell’arma.

Questa era la prova provata che Evar Saxon era coinvolto.

Suo padre aveva quindi fatto verificare i movimenti bancari dell’uomo ai Servizi, con risultati sorprendenti. Aveva scoperto che il buono e onesto Saxon aveva una serie di conti all’estero in paradisi fiscali e che da uno di questi conti, intestato a suo figlio, era partito un versamento della bellezza di un milione di crediti diretto ad una società offshore che faceva riferimento alla Federazione dei Mercanti, e che da lì la somma era rimbalzata tra altre società fino a giungere definitivamente ad Absanz.

Nessuna cifra che si rispetti viene fatta sparire nel modo in cui i Saxon avevano provato a coprire i loro movimenti e la destinazione era più che esplicita.

Un altro problema era capire come Evar Saxon fosse entrato in possesso di tutti quei soldi.

Satine sapeva che suo padre si era messo ad indagare, ma il fascicolo non conteneva ulteriori approfondimenti e sfortunatamente non li avrebbe contenuti ancora per un bel po’.

L’immagine dell’arsenale nascosto della Ronda della Morte l’aveva tormentata per diverso tempo, e si immaginava che anche i sonni di suo padre ne fossero sconvolti. Durante il periodo che aveva seguito la terribile scoperta dei fascicoli segreti, Satine aveva bussato sovente di notte alla porta di Kyla e l’aveva trovato sveglio. Si erano infilati sotto le coperte ed avevano dormito insieme, come avevano fatto spesso quando lei era piccola ed aveva gli incubi. 

Solo che era lei, stavolta, ad occupare il lato del letto che era stato di sua madre.

Non passò molto tempo, tuttavia, prima che alcuni tasselli venissero ad aggiungersi al puzzle che già stavano ricomponendo.

Un giorno, mentre Satine stava studiando al palazzo di Keldabe, seduta a gambe incrociate sui tappeti dell’ufficio del padre, Kyla entrò velocemente nella stanza e la prese da parte.

-Sat’ika, sono stato contattato dal Ranov’la.- le disse, sussurrandole all’orecchio.- Qualcuno ha visto i fantasmi.-

Satine drizzò le orecchie e alla fine della giornata, con suo padre, scese nel seminterrato. Solo lui aveva le chiavi di quella parte del palazzo e nessun altro poteva entrarvi. Satine, presentata come una parte integrante delle indagini e come una interprete squisita delle tradizioni mandaloriane, fu ammessa ad entrare.

Era un grosso privilegio e dentro di sé capiva come mai molti la invidiavano. Essere la figlia del Mand’alor era un’enorme responsabilità, ma allo stesso tempo le dava l’accesso a molti segreti che altri avrebbero imparato solo dopo essersi insediati. 

Nel seminterrato del Palazzo del Governo c’erano archivi che sfioravano il soffitto. Tonnellate e tonnellate di carta, documenti, ologrammi e microfilm, chiavette, video e quant’altro, le cui chiavi e i relativi segreti appartenevano solo al Mand’alor e ai Servizi Segreti di cui era a capo.

Camminando spediti attraversi pile e pile di cassetti e fascicoli, Satine si guardava intorno attonita. Un uomo dal volto coperto li stava conducendo verso una porta piuttosto scalcinata in fondo al corridoio. Dentro, sommerso dai fascicoli e da plichi e plichi di carta, un uomo pelato con degli occhiali a fondo di bottiglia restava seduto su una sedia girevole, le orecchie a sventola e gli occhi acquosi che scorrevano rapidi lo schermo del computer

- Duca!- disse, facendo cucù da sopra una pila di carte.- Venite, abbiamo grosse, grosse novità!-

Kyla e Satine aggirarono la scrivania per farsi vicino al tizio in questione, che portava appuntato sul camice da laboratorio un pass con su scritto Borg.

Satine pensò che dovesse essere il suo nome. 

Fittizio, o meno.

- Ci hanno mandato questo filmato dalle telecamere di sorveglianza di una karyai su Krownest. Devo dire che sono immagini forti, ma è la prima volta che riuscivamo a vederli e soprattutto a sentirli. Abbiamo recuperato i corpi. Ci saranno utili per le analisi, prima di consegnarli alle famiglie.-

L’uomo che Satine credeva si chiamasse Borg le lanciò un’occhiata interrogativa, ma il duca fu perentorio.

- Lei resta.-

Così, Borg premette il tasto della consolle e il video partì.

Il karyai si animò improvvisamente. Un uomo e una donna erano seduti al tavolo, cenando con un pasto frugale. Il collega accanto a loro, invece, stava ancora armeggiando con la consolle e stava inserendo alcuni dati che dovevano aver raccolto quei giorni. Poche scale conducevano alle stanze da letto, e un quarto uomo con gli occhiali le discese e si diresse a tavola con loro. 

- Sto per mandare avanti un poco il video, ma vorrei che sentiste questo.-

Un fischio acuto si levò dal nulla, e il gruppo si fermò ad ascoltare.

- Che cosa è stato?- chiese la donna, aguzzando la vista fuori dalla finestra.

- Dev’essere qualche animale là fuori.- concluse l’uomo che le stava di fronte senza smettere di nutrirsi.

La donna parve calmarsi e riprese a mangiare.

- Crediamo che sia un richiamo. Quando arriveremo al momento clou vi renderete conto da soli del perché.- fece Borg, accomodandosi sulla sedia.

Il video andò avanti a velocità raddoppiata. Il gruppo finì di cenare, poi si spostò sul divano, dove guardarono un holofilm tutti insieme, e alla fine si separò. Tutti si ritirarono nelle loro stanze per affrontare la notte.

Ad un certo punto, il video tornò a velocità normale. 

Un forte fischio si udì nelle vicinanze del centro di ricerca. 

Un altro lo seguì, ma Satine notò un’inflessione leggermente diversa, come se non si trattasse più di un richiamo, ma di una risposta ben precisa al segnale. 

Un’ombra passò rapida davanti alla finestra.

Si sentì un forte rumore di vetri rotti e poi un urlo. La donna si lanciò fuori dal corridoio verso le scale, ma parve inciampare. 

La telecamera inquadrò il momento orribile in cui cercava di attaccarsi con le unghie al pavimento, mentre qualcosa la trascinava indietro, verso la stanza da cui era venuta.

Voci allarmate cominciarono a susseguirsi, assieme ad altri vetri rotti e suoni strozzati. 

I fischi aumentarono, seguiti da gorgoglii e da quelli che sembravano ringhi.

Due dei tre uomini riuscirono a raggiungere il salotto, armati di spranghe e bastoni, ma le bestie li avevano ormai accerchiati. Uno sfondò la porta, mentre gli altri distrussero le finestre. Un terzo gruppo entrò dal corridoio.

Alcune erano creature capaci di stare su due zampe ed erano mostruose. Avevano il muso come quello di un insetto, ma il loro corpo era completamente diverso. Di forma umanoide, alcuni coperti di foglie, fiori e altre cose che Satine non riusciva ad identificare attraverso il video, entravano per lo più dalle finestre, mentre i più piccoli a quattro zampe se ne stavano sulla porta e sul corridoio.

Fu la cosa più orribile che Satine fosse mai stata costretta a guardare. 

Alla fine, uno dei due uomini si lanciò sulla consolle. Una di quelle orribili bestie gli aveva già staccato una mano, e l’altra aveva cominciato a lavorare sulla sua gamba. Il povero scienziato con gli occhiali riuscì ad inviare la registrazione che sarebbe arrivata al loro indirizzo, aperto in collaborazione con il Centro di Ricerca Nazionale.

Infine, un mostro si avvicinò alla telecamera, la guardò, parve annusarla, poi aprì le fauci e la mangiò, ringhiando.

Il video si interruppe.

Se il sangue potesse congelarsi in un corpo termoregolato, quello di Satine sarebbe stato a cubetti. L’ultima immagine delle fauci spalancate sul monitor le aveva fatto morire il fiato in gola. 

Solo dopo aver spento il video si rese conto di avere le mani sul volto e il sudore freddo sulla fronte. Suo padre le accarezzava la schiena, cercando di calmarla discretamente.

- Che cosa ne pensi, Borg?-  

- Penso che sia una delle testimonianze più importati e sanguinarie degli ultimi tempi. Finalmente sappiamo che faccia hanno queste bestiacce. Girano in branco e sono ben organizzati. Dovremo guardarcene. Possiamo mettere delle trappole per provare a catturarne alcuni, per studiarli in laboratorio.-

- No.-

Tutti si voltarono a guardarla, come se avesse appena detto la più grossa assurdità dell’universo.

Satine si sentiva in imbarazzo, ma doveva spiegare le sue ragioni.

- I fischi erano tutti diversi, ed anche i ruggiti. Non c’entra nulla la differenza vocale da individuo ad individuo. Era come se stessero comunicando, come se stessero parlando.-

Kyla aggrottò le sopracciglia.

- Non dica assurdità, principessa. Non è…-

- Ha ragione, Borg. L’ho notato anche io.-

- Sono ben organizzati ed hanno un piano. Se vogliamo provare a catturarli, dobbiamo essere preparati. Non basterà mettere un paio di trappole. Non sappiamo quanto siano in grado di pianificare un attacco. A seconda dei casi, potrebbero addirittura essere più organizzati di noi.-

 

Satine aveva lasciato l’ufficio con un grosso peso sul cuore e la sensazione di essere sull’orlo del disastro sociopolitico. Gli spettri potevano diventare un’emergenza nazionale ed aveva la sensazione che il governo potesse cadere da un momento all’altro. Che cosa sarebbe successo se le due cose si fossero sommate? Che cosa sarebbe successo, poi, se i terroristi della Ronda della Morte avessero deciso di usare gli spettri a loro vantaggio?

Il panico aveva colto sia lei che suo padre a quella prospettiva, e si erano detti che sarebbe stato cento volte meglio tenere il tutto segreto, per il momento. L’esistenza del video non era trapelata, ed avevano preferito riferire al Centro di Ricerca di sospendere le attività su Krownest. Ben presto, però, situazioni del genere cominciarono a ripetersi, gli episodi a moltiplicarsi. 

Il Centro di Ricerca fu costretto a concludere le sperimentazioni su quasi tutti i pianeti del sistema di Mandalore.

Come Satine aveva immaginato, la tensione sociale causata dagli spettri si riversò nello Tsad Droten. Le misteriose morti degli scienziati e la chiusura dei centri di ricerca avevano allarmato sia la maggioranza che l’opposizione e suo padre, consapevole di non poter tenere nascosta la faccenda troppo a lungo, aveva autorizzato l’istituzione di una commissione paritetica d’inchiesta. 

Considerate le incursioni sempre più frequenti degli spettri, prima o poi la gente avrebbe visto il loro volto mostruoso. 

Erano ormai arrivati al punto in cui, invece di garantire l’ordine pubblico, tenere tutto nascosto rischiava di sortire l’effetto contrario.

Al contempo, Kyla e Satine avevano continuato a portare avanti le indagini sul clan Saxon e sui loschi intrallazzi intrattenuti con la Ronda della Morte. 

Colpita dalla loro aria stanca, Bo Katan si era decisa a comportarsi civilmente per ventiquattr’ore e aveva deciso di fare qualcosa per loro. Per suo padre, aveva programmato con Maryam una merenda post allenamento domenicale, visto che ormai il tempo dell’addestramento militare era cominciato e gli undici anni si avvicinavano sempre di più. 

Con Satine, invece, aveva deciso di passare il tempo in un modo un po’ meno tradizionale.

- No, Bo.-

- E daaaaaai, staresti benissimo!-

- Sono più al Palazzo del Governo di Keldabe che a casa, pensi che non se ne accorgerebbe nessuno? Non è più il momento per i capelli colorati.-

- Mica tutti! Solo le punte! E poi, puoi sempre nasconderli dentro le cuffie di mamma. Se le metteva sempre quando si bruciava i capelli in allenamento!-

- E tu questo come lo sai?-

- Me lo ha detto Athos! Dai, scegli un colore!-

Satine a quel punto aveva sospirato. Era così tanto che non faceva qualcosa con sua sorella ed in quel momento, con il pennello in una mano, la tinta nell’altra e la miglior faccia da birba, si sentiva in dovere di renderle il favore di aver tenute segrete le sue scappatelle notturne sul tetto in attesa del suo Uomo delle Stelle.

- Solo le punte. E no, verdi no. Falli blu.-

Il giorno dopo, Satine era andata al parlamento con i capelli raccolti in una cuffia argentata fermata da due grossi spilloni sulla nuca, per coprire il piccolo disastro di sua sorella. 

La discussione si era infuocata, di nuovo, sulla riforma della sanità. Ormai ogni scusa sembrava buona per fare polemica. Adesso il problema era il colore delle divise dei dipendenti della società PharmaMandalore, che avrebbe prodotto i principi attivi dei prodotti farmaceutici nazionali. L’opposizione si era impuntata sul fatto che le divise blu sapevano troppo di Kryze ed avevano preteso di cambiare colore. 

Se solo lo avessero fatto prima che l’ordine venisse inviato, il problema non si sarebbe posto, ma ormai la richiesta era stata fatta e le divise erano già in consegna. 

Adesso l’opposizione pretendeva di rifarle, con un ulteriore aggravio di spesa pubblica che, naturalmente, non avrebbe potuto essere stanziata se non nella prossima finanziaria. 

Satine cominciava ad averne le tasche piene di chi voleva litigare per forza.

Quel giorno, a pranzo, si sarebbero riuniti a tavola con il capo dei Servizi e il Consigliere della Difesa. Era necessario ricevere gli aggiornamenti sulle loro ricerche e non potevano naturalmente permettere che altre orecchie indiscrete sentissero.

- Ci sono stati altri contatti.- aveva detto il generale, sedendosi a tavola con loro in risposta ad un cenno cordiale della mano del duca.- Sappiamo che hanno ordinato ben centosettanta granate. Tuttavia, signore, mi sento di dire che qualcosa, nei nostri conti, non torna.-

Satine, seduta alla destra di suo padre, stava ascoltando con attenzione le parole del generale mentre guardava la cameriera versare il vino nei calici. 

- Che cosa intendete?-

- Innanzitutto, dove tengono tutto quel materiale? Concordia è stata costantemente tenuta sotto controllo dai nostri agenti e nessun cargo è mai arrivato. E’ sicuro che hanno fatto l’ordine, è sicuro che è stato pagato, è certo che è arrivato, ma non su Concordia. Non sappiamo dove, ad essere onesti, a meno di mandare un nostro agente su Absanz.-

- Potrebbe essere un’opzione, generale. Mi riservo di pensarci, ma al massimo entro domattina avrete la mia risposta.-

Il generale annuì, pensoso. 

Satine lanciò un’occhiata a suo padre, che aveva preso il calice di vino e lo aveva fatto rollare dentro al bicchiere, ammirandone il bel colore rosso. Satine amava il vino buono. Non le piaceva l’alcol a buon mercato, preferiva bere poco e bene, indulgere in un piacere piuttosto che in una abitudine tediosa. Si era sforzata di bere con gli amici, ma non le era piaciuto.

Per non parlare poi del fatto che alcuni di loro, secondo lei, ne erano dipendenti e la cosa le faceva senso. 

- Inoltre, la somma che è stata versata per pagare la produzione di granate viene da un conto diverso da quello di Evar Saxon. Viene, per la precisione, da un conto oscurato di una filiale di Coruscant.-

- Coruscant?- fece Satine, aggrottando le sopracciglia.- Nessuno di noi va mai su Coruscant. Siamo fedeli alla Repubblica, ma il Senato è corrotto ed è da tanto che abbiamo deciso di defilarci, pur mantenendo il sostegno alla democrazia.-

- In effetti, non c’è posto più insospettabile di quello. Se qualcuno di noi avesse un conto su Coruscant, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di andarlo a cercare. Il che significa due cose.-

- Abbiamo a che fare con una famiglia potente, forse più potente dei Saxon.-

- Oppure abbiamo qualche senatore colluso, e se è così, più che una circostanza interna diventa una fattispecie galattica e conseguentemente molto più complicata.-

Il duca si alzò in piedi e sollevò il calice di vino.

- Propongo un brindisi. Abbiamo bisogno di ottimismo.-

Satine si alzò e fece tintinnare il proprio calice assieme a quello del padre e dei generali. Poi, si portò il bicchiere alle labbra.

Il duca inalò un bel respiro per gustarsi l’odore del buon vino, ma qualcosa lo disturbò. C’era un altro odore, dolciastro ma secco, non zuccherino, estraneo alla normale fermentazione del vino.

Fece girare di nuovo il liquido rosso nel bicchiere ed annusò di nuovo.

Sgranò gli occhi.

Come se il tempo stesse scorrendo a rallentatore, guardò sua figlia distogliere gli occhi da lui e portarsi il bicchiere alle labbra.

Non seppe esattamente come fece. Reagì d’istinto. Con uno schiaffo secco della mano mandò il calice di Satine in frantumi sul tavolo.

La ragazza rabbrividì. Aveva quasi portato il calice alle labbra quando suo padre glielo aveva fatto volare di mano con un colpo secco. L’aveva spaventata e pareva che il duca avesse proprio tutta l’intenzione di incuterle paura, anche in quel momento in cui restava fermo a sostenere lo sguardo di tutti, schiumante di rabbia repressa.

- Generale, credo che lei debba andare dove so io a chiamare chi so io.- disse infine, togliendoli tutti dall’imbarazzo.

- Credo che qualcuno abbia messo qualcosa nel bicchiere di mia figlia, e anche nel mio.-

Satine spalancò gli occhi e la bocca per un momento, terrorizzata all’idea che qualcuno si fosse spinto addirittura ad avvelenarli. 

E quello che era peggio, era che l’attentatore poteva essere ancora dentro la stanza.

- Generale.- disse rivolgendosi al Consigliere della Difesa, rimasto seduto per la sorpresa.- Sarebbe opportuno che lei sigillasse la stanza e chiamasse la mia guardia personale. Dobbiamo prenderlo. Ora.-

Fu il pomeriggio più difficile per Satine. Rimase seduta al tavolo per ore ad attendere il risultato del laboratorio analisi, giù nelle fondamenta del Palazzo del Governo. Si guardava attorno confusa, mentre suo padre seguiva i militari ed andava ad interrogare il cuoco, il sommelier, la cameriera, persino i fornitori di cibo e bevande. 

Venne fuori che nessuno sapeva niente.

In effetti, per come era strutturata la stiva della cucina, chiunque sarebbe potuto entrare ed uscire in qualsiasi momento senza essere notato. Nessuno era di guardia e non c’era mai stato nessun motivo per metterci qualcuno. 

Satine pensò che forse era giunto il momento di farlo.

Quando venne fuori che il veleno non era nel vino, bensì nel solo bicchiere del duca, Satine si rese conto che tutto quello che suo padre stava facendo era ormai perfettamente inutile e che il suo governo era al capolinea. 

Già, perché era piuttosto scontato che chi aveva apparecchiato la tavola non avesse avuto la più pallida idea di quale fosse il bicchiere di chi e li avesse disposti alla rinfusa. Chiunque, tra quelli che erano seduti al loro tavolo, avrebbero potuto mettere il veleno - una sostanza radioattiva piuttosto rara - nel bicchiere di suo padre. 

Satine non poteva essere certa di quanto stava ipotizzando, ma cominciava a sospettare che il colpevole non dovesse essere cercato all’esterno della sala da pranzo.

Sulla via del ritorno, quella sera, espose i suoi dubbi al padre.

Kyla non era uno sciocco e sapeva che sua figlia aveva ragione. 

Per un attimo, Satine vide un lampo di paura nei suoi occhi e comprese che il duca era arrivato alla sua stessa conclusione.

Quando un Mand’alor non ha più il controllo delle forze armate, se non fa qualcosa per cambiare il sistema in tempi brevi, è un Mand’alor finito.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ranov’la: lett. segreto, adattato per servizi segreti.

Karyai: abitazione tradizionale mandaloriana, con una sala centrale che funge sia da luogo di ritrovo, sia da roccaforte in caso di attacco.

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Come promesso, questi capitoli sono destinati a chiarire quella che è la trama politica - partorita dalla mia mente annoiata dal lockdown - che condurrà alla chiamata dei Jedi. 

Il richiamo a Rako Hardeen e all’arco narrativo che lo riguarda è voluto. Non appena ho scoperto la sua provenienza e dove si trovasse il pianeta ho deciso che no, non potevo non usarlo, giusto per rendere il tutto un po’ più tragico. 

Chi ha visto The Clone Wars capirà.

Non esiste nessun fucile WMA300 e non esistono nemmeno gli spettri. I miti a cui fa riferimento Satine saranno approfonditi più avanti e saranno in buona parte farina del mio sacco. 

L’ultima frase è una manipolazione di qualcosa che ho già sentito e che mi è rimasto impresso, anche se non ricordo dove l’ho letto. Quando un capo di Stato non ha più il controllo delle forze armate, quello è il momento in cui c’è spazio per il golpe. 

Per questo motivo, vi consiglio di tenetevi forte, ma proprio forte, per il prossimo capitolo.

 

Molly.

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Capitolo 17
*** 16- C'è qualcuno? ***


CAPITOLO 16

 C’è qualcuno?

 

ATTENZIONE: Il capitolo contiene immagini forti che potrebbero urtare la vostra sensibilità. 

 

Nessuno era stato più fiero di Kyla Adonai Kryze il giorno del diploma di sua figlia, promossa con il massimo dei voti. 

Il giorno in cui le avevano messo la pergamena in mano e l’avevano dichiarata abilitata a governare il sistema, il buon duca aveva avuto le lacrime agli occhi per l’orgoglio ed aveva fatto di tutto per non farsi notare. Solo quando sua figlia aveva evitato il resto della massa ed era corsa dritta dritta da lui per abbracciarlo si era concesso di far scivolare una piccola lacrima sulla guancia, prontamente asciugata dai capelli e dagli abiti di Satine.

Quel giorno c’era anche Bo Katan, e quella sarebbe stata una delle ultime volte che Satine l’avrebbe vista. Aveva ormai dieci anni e presto sarebbe partita per il suo anno di addestramento. Non sapeva che la sua sorellona stava facendo tesoro di tutti i momenti passati con lei. Un anno era comunque lungo da superare, e Bo Katan aveva intuito che qualcosa stava bollendo in pentola perché Satine, spontaneamente, le aveva chiesto nelle sere precedenti di dormire con lei. 

Dopo il diploma, la ragazza fu libera di affiancare il padre tutti i santi giorni nelle attività di governo. Aveva portato parte delle sue cose al palazzo di Keldabe, dove spesso, soprattutto in quei giorni concitati, dormiva nelle stanze del duca per essere pronta al mattino ed andare alla pugna allo Tsad Droten.

Superata la diatriba sulle divise della PharmaMandalore, un ulteriore dibattito era stato sollevato sul Centro di Ricerca Nazionale di Sundari. La minoranza riteneva il centro poco attendibile anche per il fatto di aver ritirato gli scienziati dal fronte dell’emergenza spettri. Reputavano la scelta codarda e contraria ai principi della scienza, e credevano che non avrebbero fatto un buon lavoro nella valutazione dei farmaci da distribuire su Mandalore.

Satine era particolarmente disgustata da quella strategia. Per ovvi motivi non avevano reso pubblico il massacro degli scienziati di Krownest. Tuttavia, il fatto che una specie aliena di origine sconosciuta stesse facendo mattanza della popolazione civile e che fosse una materia di sicurezza nazionale era ormai di dominio pubblico. Satine era fermamente convinta che di fronte ad una minaccia del genere la ricerca dovesse svolgersi altrove, o avrebbero mandato persone al massacro.

- La scelta di ritirare gli scienziati dai karyai è stata governativa ed il Centro di Ricerca di Sundari si è detto d’accordo. Gli uomini e le donne che hanno perso la vita erano adulti che avevano regolarmente superato il loro verd’goten, guerrieri, come tutti noi, che sono stati schiacciati da una forza che non sapevano fronteggiare. Non possiamo continuare a sacrificare vite in nome di una ricerca che può essere svolta anche altrove e in tutta sicurezza. Nulla di tutto ciò ha comunque qualcosa a che vedere con la riforma della sanità. L’attività di laboratorio è eccellente e non ci sono motivi per dubitarne.-

- Che direte allora alla popolazione? Che preferiamo che vengano sbranati loro, piuttosto che qualche scienziato che deve fare il suo lavoro?-

Satine avrebbe tanto voluto dire che, a meno che gli scienziati non avessero un buon sapore, era altamente probabile che gli spettri si fossero organizzati per attaccare principalmente i karyai, come se non volessero lasciar trapelare informazioni su di loro. 

Evidentemente, inoltre, da quella volta in cui erano stati filmati avevano sviluppato anche una predilezione per il sapore dei cavi e delle lenti delle telecamere.

Era stato chiamato un linguista specializzato che stava ancora lavorando al linguaggio degli spettri, ammesso che ce ne fosse uno. Biologi stavano analizzando la sostanza chimica simile a liquido vegetale che era stata trovata sul corpo delle vittime - o su quello che restava di esse - e bisognava attendere i risultati delle colture in laboratorio. 

- Qual è la vostra proposta, dunque?-

- Istituire un centro autonomo, affiancato alla PharmaMandalore.-

Questo era troppo. La pubblicità della ricerca era una garanzia di correttezza. Istituire un centro di ricerca parallelo a quello ufficiale di Sundari significava mettere in mano a privati - con i relativi interessi - la valutazione dell’efficacia farmaceutica di quanto acquistato all’estero, con la possibilità di inibire la riforma sanitaria ed accumulare maggior potere - e maggior denaro - nelle mani di chi possedeva la PharmaMandalore.

Naturalmente, nel consiglio di amministrazione, la maggior parte delle azioni, oltre al cinquanta per cento di partecipazioni statali, era in mano ai Wren.

Il tradimento di Lusk era ancora bruciante, e sia Kyla che Satine avevano la sensazione che l’uomo stesse facendo di tutto per creare lo strappo definitivo che lo avrebbe spinto ad abbandonare la maggioranza e a far cadere il governo, aprendo una crisi alla fine del mandato da Mand’alor di Kyla.

Una mossa del tutto irresponsabile o molto intelligente.

Inoltre, Kyla si era dedicato all’avvio di un’inchiesta interna sul potenziale avvelenatore e sui traditori che stavano tramando alle sue spalle. Muovendosi nell’ombra con la sua guardia personale, il povero duca aveva fatto scoperte disarmanti. 

Innanzitutto, aveva sguinzagliato uno dei suoi dietro al Consigliere della Difesa, per capire chi incontrasse o contattasse. Con un’attenta opera di pedinamento, Kyla e Satine avevano scoperto che il consigliere aveva ricevuto un pagamento importante da un conto sconosciuto. Inoltre, aveva incontrato un uomo, che di professione faceva il fornaio, ma che evidentemente aveva fatto da tramite per il passaggio della dose di veleno che era stata versata nel bicchiere del duca.

Nemmeno a dirlo, il fornaio in questione aveva tra le sue amicizie membri del clan Saxon e della casa dei Vizla.

Il generale, invece, sembrava pulito. 

Fu proprio a lui che Kyla affidò il repulisti dei Servizi Segreti, con la speranza - non troppo velata - di riuscire a riprendere il controllo della forza militare più importante di Mandalore. 

Era stato scoperchiato un pentolone enorme.

Naturalmente l’opera di Kyla era solo all’inizio, e lui stesso stava cercando di acquisire contatti fidati per poter procedere oltre. Tutto quanto, ovviamente, era segretissimo, e Satine era l’unica all’infuori dell’esercito - e solo parte di esso - ad esserne al corrente.

La batosta fu grande quando il generale fu trovato impiccato al letto di casa sua.

I giornali parlarono di suicidio, ma Kyla e Satine la sapevano più lunga.

La loro lotta continuava, ma in quel modo il principale contatto del duca era venuto meno, tagliando la vetta della piramide di amicizie su cui il Mand’alor poteva ancora contare.

La base di quella piramide, con molta probabilità, si era sentita persa e senza una guida autorevole, che non riusciva a trovare in un duca pacifista.

Probabilmente, sì, e non si può dire di più, perché la verità Satine non l’avrebbe mai scoperta fino in fondo.

Suo padre aveva richiesto, dopo una estenuante giornata in parlamento, di pranzare da solo con lei. Era stanco, e voleva parlare segretamente con la figlia del suo nuovo contatto, un colonnello che avrebbe presto sostituito il generale alla guida dei Servizi e che conosceva sin dall’infanzia.

- Il colonnello Grenade è un uomo tutto d’un pezzo, anche se ha una visione del mondo un po’ diversa dalla mia. Posso dire di potermi fidare, nonostante sia un militare e faccia la guerra per professione. Ammirava molto il generale e sono certo che sarà un contatto fidato.-

- Me lo auguro.- disse Satine, pulendosi la bocca con il tovagliolo dopo aver buttato giù l’ultimo dolcetto. - Un’altra debacle è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Fanno ancora pressione per il centro di ricerca privato?-

- Sì, ma oggi non ne discuteremo nello Tsad Droten.-

- E’ in programma per domani?-

Kyla la guardò di sbieco.

- Ma l’hai letta, la tabella della settimana?-

Sì, l’aveva letta, ma l’insonnia era aumentata e lei, in quel momento, se l’era completamente dimenticata. Satine lo guardò con l’aria di un cane bagnato e fu costretta ad ammettere di non aver dormito.

- Sai, credo che dovresti cominciare a parlarne con uno specialista. Un medico, forse, un terapeuta che ti aiuti a regolare il sonno. Così ti fai solo del male, e ricorrere a sonniferi non è mai una soluzione. Non è come dormire spontaneamente.-

- Lo so, papà. Non voglio però che la cosa ti desti ulteriori problemi.-

- Piantala di pensare a me, cyare.- le aveva detto, accarezzandole i capelli.- Ho le spalle larghe. Tu, invece, te le stai ancora facendo e nel peggior momento storico che Mandalore abbia mai attraversato dopo le guerre contro i Jedi. Se hai bisogno di aiuto, io ti capisco.-

La montagna di odio che era stata scagliata contro la persona di Satine Kryze era continuata ad aumentare giorno dopo giorno e non accennava a diminuire. Si trattava di una minoranza della popolazione, ma faceva un baccano clamoroso, con lo scopo di sottrarre consensi al duca e minare il percorso al trono di sua figlia. Satine aveva già superato una prova per diventare duchessa e Kyla contava di vederle superare le altre nei sei, sette mesi successivi, per poter concludere il suo ultimo mandato in pace, consapevole di avere un erede al trono.

Non aveva infatti dubbio alcuno che sua figlia sarebbe riuscita a completare tutte le prove. Il Consiglio dei Saggi sarebbe stata la seguente, e Satine era così brava a capire le emozioni delle persone e a pianificare strategie da superare in abilità persino lui. 

Per quanto riguardava la musica, la ragazza sapeva il fatto suo, sia suonando, sia cantando, sia ballando. 

La Luce di Mandalore? Il corpo squartato del cacciatore di taglie era ancora ben vivo nella sua mente.

La formazione di sua figlia, unita al talento naturale che l’accompagnava, era stata eccellente e dubitava fortemente che altri avessero le sue stesse capacità di governo.

Il telefono dell’ufficio suonò.

- Reeta?- disse, chiamando la segretaria. 

Nessuno rispose.

Il telefono continuò a squillare.

- Reeta?-

Ancora niente.

Suo padre posò il tovagliolo e si alzò da tavola.

- Segretarie. Non ci sono mai quando le cerchi.- disse, lasciando un bacio sui capelli di Satine prima di uscire dalla stanza per rispondere al telefono.

Uno squillo, due squilli, tre squilli.

- Arrivo, un attimo!- borbottò Kyla, come se il centralino potesse sentirlo.

Il telefono continuò a squillare.

- Papà?-

Nessuno.

Satine aggrottò le sopracciglia.

- Papà?-

Questa volta, il suono di un oggetto andato in frantumi catturò la sua attenzione.

Satine si alzò da tavola e scheggiò fuori dalla porta della sala da pranzo, diretta verso l’ufficio del duca.

Non avrebbe ricordato molto bene che cosa successe dopo.

Kyla giaceva a terra, supino, le mani che cercavano di aggrapparsi al tappeto. Guardava il soffitto con i begli occhi tigrati sgranati ed iniettati di sangue per l’assenza di aria. Schiuma bianca usciva dalla sua bocca, mentre un gorgoglio che ricordava tanto un urlo cercava di sfuggire dalle tenaglie della sua gola. 

Un rivolo di sangue sul collo ed una siringa gettata a terra poco lontano. 

L’odore indefinito di veleno nell’aria.

Il movimento convulso e il rumore del corpo del duca a terra.

Questo sarebbe stato ciò che Satine avrebbe ricordato di quel giorno.

Il resto, avvenne tutto molto velocemente.

Satine staccò la cornetta dell’oloricevitore e permise che l’immagine venisse trasmessa a chiunque fosse dall’altra parte, pregando che chiamasse i soccorsi.

Poi, si gettò sul corpo di suo padre, cercando di calmarlo e allo stesso tempo di salvarlo. 

Sapeva di avere urlato, anche se non ricordava che cosa aveva detto. Era certa, tuttavia, di avere chiesto aiuto. 

Doveva pur esserci qualcuno in giro. In fondo, era l’ufficio del duca. C’erano la segretaria, gli assistenti, il cameriere, il cuoco. Insomma, qualcuno l’avrebbe aiutata.

Vero?

Scappò di corsa in sala da pranzo, urlando come un’ossessa, e prese un cucchiaio per rimuovere la schiuma che ostruiva la respirazione. Quando Kyla si rese conto che Satine era con lui, si calmò un poco e lasciò che la figlia, che continuava a gridare a perdifiato, gli liberasse la bocca.

Cominciò a respirare meglio, ma il danno era comunque importante ed era evidente per entrambi.

Incerto sulla sua sopravvivenza, Kyla afferrò la mano della figlia e disegnò con il dito tremante, lentamente, un paio di lettere sul suo palmo.

R-E-E.

Per Satine fu abbastanza per recuperare un attimo di lucidità, prima di vederlo stramazzare con tutto il peso del corpo sul pavimento, gli occhi sbarrati e il respiro che moriva lentamente in gola, la mano che stringeva ancora la sua. 

Riprese a gridare e si lanciò con tutto il peso del corpo contro la cassa toracica, cercando di far battere il cuore.

Il caso aveva voluto che dall’altra parte del ricevitore ci fosse Athos, che voleva informare il duca di aver recuperato la navicella in riparazione e di poterli portare a casa personalmente a sera. Quando aveva compreso la scena che stava avvenendo dall’altra parte dell’ologramma, era salito a bordo di corsa ed aveva volato come un meshurok al palazzo di Keldabe, chiamando l’ospedale, le forze dell’ordine, l’antiterrorismo, persino l’antincendio e per un motivo che Satine non si sarebbe mai spiegata, anche la forestale.

- Io ho premuto il tasto delle emergenze sul cruscotto.- le avrebbe confidato successivamente.- Poi, chi s’è visto, s’è visto.- 

Fu lui a raccontarle, in seguito, la scena che aveva trovato e quanto aveva fatto Satine.

Dopo aver fatto irruzione nella stanza, seguito da una turba di medici ed infermieri, Athos aveva provato a rimuovere Satine dal corpo del padre. Kyla, incredibilmente, era ancora vivo, in fame d’aria e dopo un arresto cardiaco, ma grazie a Satine avevano evitato danni ulteriori.

La ragazza, a quel punto, aveva raccontato alla velocità della luce tutto quello che era successo a suo padre, dallo squillo del telefono al momento in cui lei lo aveva trovato disteso per terra schiumante. 

- Figurati che hai persino centrato il tipo di veleno.-

- Davvero?-

- Sì. Jaro. Persino i medici sono rimasti stupiti.-

Satine, seduta sulla sedia della clinica in cui stavano provando a salvare la vita di suo padre, non sapeva che pesci prendere. Fissava il vuoto con aria persa, incapace di togliersi dalla testa l’odore terribile che le aveva pervaso le narici quando aveva messo piede in ufficio.

- La schiuma del Jaro è corrosiva, sei stata brava a rimuoverla. Con quel gesto e il massaggio cardiaco, Kyla probabilmente ti deve la vita.-

- La siringa?-

- L’ho scortata personalmente, come se fossi tu.- le disse, accarezzandole i capelli e cercando di farle coraggio. Non che ne avesse molto in quel momento, ma lei doveva essere più a pezzi di lui.- E’ nelle mani fidate del colonnello Grenade, un Nuovo Mandaloriano della prima ora. Andrà tutto bene, vedrai.-

Ma Athos non ci credeva, nemmeno mentre pronunciava quelle parole.

Da quel momento in poi, Satine sarebbe rimasta completamente sola, ed in un covo di vipere. 

Già, perché quando Athos l’aveva trovata, aveva seguito le grida, che si sentivano per ben quattro piani. 

- Aiuto! Aiutatemi vi prego!-

Nel corridoio, nelle scale, negli uffici non c’era nessuno. Il nulla più assoluto.

- Vi prego! Morirà! Aiutatemi! C’è qualcuno?-

Ma nessuno sarebbe venuto. Non il cuoco, che in cucina non c’era ed era andato in bagno. Non il cameriere, che era in pausa. Non la segretaria, che Kyla stesso aveva accusato.

Una volta interrogati, molti avrebbero detto di essersi trovati altrove. Era la pausa pranzo, del resto. Chi mai restava in ufficio?

L’eco della voce di Satine, strangolata dall’angoscia e dal pianto, sarebbe rimasto nella memoria di Athos per sempre.

- C’è qualcuno?-

- Vi prego!-

- C’è qualcuno?-

 

La prognosi del medico fu devastante.

Se - ed era un se grosso come una casa - Kyla fosse sopravvissuto, avrebbe perso completamente la mobilità maggiore. Chiunque fosse stato ad attentare alla sua incolumità, aveva solo sfiorato la carotide. Quell’errore fatale gli aveva salvato la vita, perché se fosse riuscito nell’intento, il veleno sarebbe affluito direttamente con il sangue al sistema nervoso. In quel modo, invece, il duca sarebbe stato in grado di compiere piccoli movimenti, ma probabilmente avrebbe perso la possibilità di camminare e di reggere da solo il peso del proprio corpo.

Inoltre - ammesso e non concesso che riuscisse a recuperare la respirazione autonoma - avrebbe avuto bisogno di un sostegno di ossigeno una volta ogni tanto, soprattutto di notte. Nel peggiore dei casi, sarebbe rimasto attaccato ad un ventilatore per il resto dei suoi giorni.

Il danno più grande, però, era al livello orale.

- Chiunque abbia piantato la siringa nel collo ha usato molta violenza per passare la muscolatura ed arrivare a toccare le pareti dell’esofago. Il liquido ha corroso tutto, ed è risalito dalla bocca. In quella zona è tutto distrutto. Non potrà più mangiare cibo solido, né nutrirsi in autonomia. Non potrà più bere in autonomia. Non potrà più parlare. Le corde vocali sono completamente andate.-

Athos ammirò la prontezza di Satine, che sembrava avere tutto sotto controllo. 

Lui stava implodendo sempre di più, proprio adesso che la ragazza aveva bisogno del suo sostegno.

- Non c’è un modo per ricostruirlo?-

- Ci sarebbe.- rispose il medico.- Ma necessita di un supporto muscolare che, purtroppo, il duca ha perso con l’azione corrosiva del Jaro. L’unica cosa che possiamo fare è ricostruire quanto necessario per consentire il transito di cibo e bevande, ma questo non gli darà la capacità di deglutire in modo appropriato, né quella di parlare. Mi dispiace.-

Satine sospirò ed abbassò il capo.

- In ultimo, devo avvertirvi che la bocca è corrosa. Non potrà mangiare né bere per le prossime due settimane. Avrà bisogno di alimentazione artificiale, fisioterapia e dosi massicce di farmaci, che aggiusteremo con il passare del tempo, ma che suppongo dovranno essere permanenti.-

- Aspettativa di vita?-

- Non mi sento di fare prognosi.- le rispose il dottore, scuotendo il capo.- Per la scienza sarebbe già dovuto essere morto. In queste condizioni non lo aspetta un futuro roseo, ma non posso dire niente di preciso. Solo il tempo potrà stabilire se vivrà o meno.-

Quando il medico se ne andò, Satine chiese ad Athos di aprire l’holonews. Tutti i notiziari titolavano tra le ultime notizie il micidiale attentato al Mand’alor. Alcuni dicevano che era morto. Altri dicevano che non c’erano novità sul suo stato di salute, ma che era stato portato via dal suo ufficio vivo, seppur in condizioni critiche. 

In ogni caso, Evar Saxon e Larse Vizla avevano chiesto le elezioni anticipate.

Satine si passò una mano sulla fronte e poi tra i capelli, cercando di mantenere la calma.

- Athos, ti prego, chiama il direttore dell’ospedale, digli che devo parlargli.-

Il direttore era un ometto curioso, piccolo e tarchiato, con una chierica marcata e gli occhi piccoli e acquosi, ma era un brav’uomo. Le strinse le mani non appena la vide ed acconsentì di buon grado a prestarle l’ufficio per rilasciare una dichiarazione pubblica.

Satine si ricompose come potè, e fu in quel momento che il direttore le fece notare di avere una mano ferita.

Satine non se ne curò e chiese ad Athos di avviare la videochiamata.

Molte facce sconvolte sotto forma di ologramma comparvero nella stanza spoglia. C’erano Lusk Wren, che sembrava genuinamente provato, Inga Bauer, più bellicosa del solito, Evar Saxon e Larse Vizla, che evidentemente non si aspettavano di vedere Satine. C’erano anche gli Eldar, gli Awaud, i Kast, i Phindian e i rappresentanti di Concord Dawn, nonché tutti gli altri clan e capiclan e i capigruppo allo Tsad Droten. 

Il direttore dell’holonews sedeva in videoconferenza in un angolo.

Il direttore ospedaliero, stupito di vedere il proprio ufficio trasformarsi in una plenaria dei capigruppo, si defilò in un angolo, forse con la piccola consapevolezza di stare assistendo ad un pezzo di storia. 

- Non tergiverserò, andrò dritta al punto.- disse Satine senza salutare, eretta nonostante la stanchezza e la voce graffiata per il troppo urlare.- Mio padre è stato vittima di un attentato. Si tratta di veleno. Jaro, per la precisione.-

Un mormorio diffuso si sparse tra gli ologrammi.

- Mio padre è ancora vivo, ma nelle condizioni in cui è non potrà chiaramente esercitare la sua carica, almeno fino al miglioramento delle sue condizioni.-

- L’holonews ha detto che è morto.-

- Non è vero. Mio padre è vivo, seppur in condizioni critiche. In questo momento, mi trovo nell’ufficio del direttore dell’ospedale di Keldabe. E’ stato così cortese da consentirmi di trasformarlo in un’assemblea dei capigruppo.- e lo ringraziò, con un cenno gentile del capo.

L’ometto si palesò, fece un piccolo inchino, e poi sparì di nuovo in un angolo, ben lontano da tutti.

Satine sentì la mano di Athos posarsi sulla sua spalla.

- Quante probabilità ci sono che Adonai si salvi?- fece Inga Bauer, facendosi avanti.

- Si è già salvato. Secondo il medico è un caso più unico che raro. Non sappiamo quale aspettativa di vita abbia, ma di sicuro non riuscirà più a recuperare le piene funzionalità fisiche.-

La Abiik’ad era furente e si vedeva.

- Si sa chi è stato?-

- Le autorità competenti ci stanno lavorando. Sono sulla pista giusta.-

E ci credo. La prima cosa che ho fatto è stata spiattellare il nome di quella traditrice di Reeta Woves. 

Tutti gli occhi erano puntati su di lei, come in attesa, ma Satine aveva voglia di tutto fuorché di fare politica.

Per cui, tagliò corto.

- Ho saputo che alcuni di voi hanno già rilasciato delle dichiarazioni all’holonews. Naturalmente, capirete che non ho potuto seguire appieno le richieste dello Tsad Droten nelle ultime ore. Mi compiaccio tuttavia che la nostra compagine politica abbia così tanto a cuore il destino del nostro sistema da non fermarsi nemmeno di fronte a questa tragedia.-

Avrei voluto che foste stati altrettanto celeri nel venirci in aiuto, ma non importa.

La vendetta è un piatto che si consuma freddo, e la giustizia con essa.

Alcuni occhi imbarazzati incrociarono i suoi, prima di puntarsi sulle proprie scarpe.

- Vi chiedo dunque di ripetere le vostre richieste formalmente in mia presenza, in modo da poter continuare con l’operato di mio padre e condurre Mandalore a qualunque esito questa conversazione porti. In quanto titolare di un bev meshurok nonché diplomata alla Scuola di Governo, sono autorizzata a fungere da reggente, come mio padre aveva espressamente dichiarato pochi mesi fa al momento del mio diploma. Personalmente - e qui, Satine giocò l’asso che aveva nella manica - ritengo che sia più consono alla salvaguardia delle istituzioni e della loro credibilità procedere alle elezioni anticipate.-

Se c’è una cosa interessante di chi è assetato di potere, è che ragiona come se tutti gli altri lo fossero allo stesso modo. 

Evar Saxon e Larse Vizla non si erano minimamente aspettati che Satine fosse del loro stesso avviso. 

In effetti, era la soluzione più logica. L’attentato era capitato in un momento molto propizio per la minoranza, adatto a creare scompiglio. Nessuno dei ragazzi aveva ancora superato tutte le prove per accedere al trono, per cui la partita era ancora tutta da giocare. Se lei avesse chiesto di restare in carica e completare il mandato del padre come reggente, ovvero per un ulteriore anno, l’avrebbero accusata di prendersi il posto senza averne il merito e l’avrebbero deposta, anche con la violenza. 

Lo scopo era farla passare per un dittatore. 

Satine, così, aveva deciso di trovare una soluzione di compromesso. 

Volevano le elezioni anticipate? Avrebbe concesso le elezioni anticipate. 

Con una clausola, però.

- Non ci sono dubbi che le condizioni di mio padre siano critiche, ed anche se dovesse salvarsi e continuare a vivere ancora per qualche mese, non riuscirebbe comunque a portare a termine quanto necessario per garantire il regolare andamento dell’attività legislativa. Per questo motivo, ritengo opportuno che si voti il prima possibile. Tuttavia, come voi sarete di certo ben consci, non ci sono candidati pronti a sostituirlo.-

Eccome se lo sapevano. Avendo fallito le prove per il trono una volta, o avendo perso alle elezioni subito dopo, nessuno di loro si sarebbe potuto candidare. 

Sarebbe toccato ai figli, oppure avrebbero dovuto vincere il Mand’alor in combattimento.

Se un attentato si poteva qualificare come combattimento, chi si sarebbe fatto avanti avrebbe ammesso di aver tentato di uccidere il duca.

Se un attentato poteva definirsi un combattimento, inoltre, suo padre non aveva ancora perso.

Come si era aspettata, nessuno di loro si fece avanti.

- Per questo motivo propongo sei mesi di reggenza. In questi sei mesi verranno svolte le pratiche di ordinaria amministrazione, nonché i procedimenti già avviati dal duca e che devono solo essere ultimati.-

Naturalmente, avrebbe portato a compimento la riforma della sanità, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto.

- In questi sei mesi, le prove per il trono potranno proseguire, e al termine delle stesse procederemo all’avvicendamento elettorale. In questi sei mesi, in ogni caso, ci sarà il tempo per preparare le liste elettorali dei candidati allo Tsad Droten. Dovremo anche pensare alle amministrative, che avranno luogo su Krownest e Draboon nelle prossime settimane. Credo che sia una soluzione ottimale, di continuità rispetto a quanto fatto fino ad adesso, pur non snaturando il principio democratico di legittimazione elettorale. Che ne pensate?-

Inga Bauer era ampiamente soddisfatta, e la guardava con plauso. 

Lusk Wren annuiva, il volto visibilmente contorto dai morsi della sua coscienza. 

Per una volta, Eldar e Awaud andarono d’accordo. 

Evar Saxon e Larse Vizla si lanciarono un’occhiata in tralice.

Satine cominciò a pensare che i due si trovassero assieme nello stesso posto, anche se era difficile dirlo, perché gli ologrammi erano tutti vicini l’uno all’altro per assenza di spazio. Tuttavia, l’occhiata era stata particolarmente intensa e sembrava che i due fossero molto vicini anche nella realtà.

Satine appuntò mentalmente questo fatto.

- Credo che sia una soluzione molto intelligente, Reggente.- disse Vizla, annuendo, mentre Saxon si diceva concorde.

Phindian e Concordiani, con grande rammarico di Satine, si accodarono alle decisioni di Vizla.

Il fatto che non si fossero espressi prima, per lei era più che una conferma.

Così, la sua prima riunione politica da Reggente ebbe fine. Solo alla sua conclusione, Inga Bauer azzardò un commento.

- La situazione è incresciosa.- disse, gli occhi duri che giravano su tutti i presenti.- Mi auguro che chi sia stato, paghi.-

- Quanto a voi, Reggente.- aggiunse, posando lo sguardo addolcito su di lei.- Credo che qualche giorno di riposo non vi farebbe male.-

- Non credo che Mandalore me lo conceda, generale Bauer.- le disse, chinando il capo con un gesto di cortesia.- Comunque, farò il possibile. Domani mattina sarò in aula a Keldabe.-

- Almeno, fatevi medicare la mano.- le disse, indicando la bruciatura evidente sul mignolo della mano sinistra.- Che cosa avete fatto?-

Satine si guardò la mano come se la vedesse per la prima volta.

- La schiuma del Jaro è corrosiva.-

La stanza cadde nel silenzio più totale, e Lusk Wren sembrò sul punto di vomitare.

Satine preferì chiudere la riunione e contattare direttamente il generale Grenade.

- Io sono colonnello, Reggente.-

- Non più. Mio padre aveva intenzione di farvi generale, e generale diventerete. Risponderete soltanto a me, e a nessun altro. Non si deve sapere, naturalmente.-

- Naturalmente.-

Satine non era stupida. Sapeva perfettamente che la vera guerra sarebbe avvenuta nei sei mesi successivi. Aveva solo posticipato il giorno del giudizio, ed era a conoscenza di ciò. Probabilmente, al mattino successivo in aula la minoranza avrebbe scatenato l’inferno, e lei sarebbe stata pronta.

In quel momento, però, Satine aveva la testa altrove.

Aveva provato a restare fredda per tutto il tempo necessario a mandare avanti la macchina dello Stato, e c’era riuscita sotto gli occhi fieri e commossi di Athos. 

Adesso, però, era il momento di dedicarsi alla famiglia.

Fece un’ultima chiamata a Kalevala, per trovare Maryam prostrata e Bo Katan completamente fuori di testa, che piangeva e gridava vendetta, morte, peste e corna a chiunque avesse provato a fare del male a suo padre. 

Satine avrebbe tanto voluto fare lo stesso.

Disse loro quanto sapeva, che non era molto. Quello che aveva detto il medico non era incoraggiante, ma almeno Kyla Kryze era ancora vivo, e con un po’ di buona volontà ce l’avrebbe anche fatta.

In quel momento, tuttavia, mentre percorreva a ritroso il corridoio dell’ospedale verso la stanza di suo padre, Satine era consapevole del fatto che una parte della sua vita era finita definitivamente. La spensieratezza dei giorni passati, dei pomeriggi a scherzare con suo padre, era giunta al termine. Il tempo di lamentarsi per la cruda sorte era finito, ormai.

Da quel momento in poi, lei e ciò che voleva non avrebbero più contato niente.

Avrebbe vissuto per portare avanti l’eredità di suo padre fino a che Nebrod glielo avesse concesso. 

Poi, avrebbero aperto anche il suo testamento.

Una parte di sé era consapevole che, forse, la profezia stava per avverarsi senza che lei potesse farci nulla. 

Ma non le importava più di tanto. Davvero. 

Suo padre era steso nel suo letto d’ospedale, con tubi dovunque e il rumore del respiratore che in quel momento lo manteneva in vita, ma era sveglio. Quando sentì aprire la porta e i piedi della sua guardia personale strusciare contro il pavimento, aprì gli occhi e provò a muovere la testa, per guardarsi intorno. 

Satine staccò la sbarra del letto e si sedette con delicatezza sulla sponda, accarezzandogli la testa e togliendogli i capelli dal volto. 

Era vivo, e forse ce l’avrebbe fatta.

Non era sola. Non ancora, per lo meno.

Quella notte, Satine dormì in ospedale, accoccolata al fianco del padre. Kyla aveva avuto occhi per tutti. Aveva teso le mani ad Athos, nonostante fosse debole, ed aveva ricevuto una stretta vigorosa in cambio. Aveva accarezzato, o almeno ci aveva provato, il viso di Maryam, che aveva portato Bo Katan a vedere che papà stava bene. 

Bo naturalmente non l’aveva bevuta, ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco, stringendo i piccoli pugni sotto al letto per non farsi notare.

Quella notte, Satine avrebbe ceduto la poltrona letto a Bo Katan. Athos avrebbe trovato conforto tra le braccia di Maryam, lontano dagli sguardi indiscreti della gente, certi che quello che restava della guardia personale di Kyla, che non li aveva mai traditi, avrebbe fedelmente vegliato sul duca e sulle sue figlie.

Satine dormì con il padre, dopo aver coperto sua sorella con un brutto lenzuolo ospedaliero. Appallottolata in un angolo del letto, la mano fasciata posata sul petto del duca, era rimasta con lui a parlargli fino a che il sonno e la stanchezza non si erano impadroniti di lui. Aveva continuato a guardarla, con gli occhi tigrati tristi e provati, ma Satine era certa di aver visto un lampo di fierezza negli occhi quando gli aveva detto che cosa aveva fatto per il sistema di Mandalore mentre lui lottava ancora per la vita.

Non poteva parlare, ma le aveva tenuto le mani e le aveva accarezzato il viso. Le aveva persino asciugato una lacrima, quando Satine aveva permesso loro di scorrere, anche se aveva creduto di averle finite tutte.

Satine non poteva saperlo, all’epoca, ma suo padre non l’avrebbe lasciata ancora per molto, molto tempo. Sarebbe rimasto con loro. Danneggiato, ma vivo. 

E il buon duca non aveva alcuna intenzione di lasciare andare le sue figlie.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Jaro: lett. desiderio di morte, di solito associato ad atti insensati e stupidi, adattato in questa sede. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Il generale Grenade e la segretaria Reeta Woves sono personaggi di mia invenzione, che torneranno nel corso della storia.

Vi avevo avvisati. Mi dispiace per la brutta sorpresa, e mi rivolgo soprattutto a tutti coloro che come me apprezzano particolarmente Kyla Adonai Kryze. Il duca, però, non sparirà, anzi. Farà solo un passo di lato. 

La sorte del duca non è ben definita nell’universo di Star Wars. Questa è la mia versione, anche per soddisfare la mia voglia di continuare a scrivere di questo ribaldo dal cuore di panna che mi diverte tantissimo.

L’ascesa al potere di Satine è complicata come ogni intrigo politico, e soprattutto letale come ogni cosa su Mandalore.

Fino ad adesso, è stata una favola. D’ora in poi, il gioco comincia a farsi duro. 

Vi aspetto al prossimo capitolo!

 

Molly.

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Capitolo 18
*** 17- Dolore, pt. 1 ***


CAPITOLO 17

Dolore, prima parte

 

Seduta alla scrivania dell’ufficio che era stato di suo padre, Satine si passò una mano sugli occhi stanchi dopo aver protocollato l’ennesima pratica.

Come previsto, quel mese era stato un vero e proprio inferno.

Oltre alle istituzioni, aveva dovuto gestire anche tutti gli incartamenti legati alla degenza ospedaliera di suo padre. 

Quando l’attentato era avvenuto non c’era niente di pronto. Suo padre aveva pensato al sistema, cercando di garantire una continuità tra il suo governo ed una eventuale reggenza, ma non aveva disposto niente riguardo se stesso. Così, Satine si era trovata invischiata in un dedalo di burocrazia da cui, apparentemente, nemmeno il reggente incaricato riusciva a districarsi.

Si era chiesta come facessero le coppie anziane, assolutamente incapaci di trovare il bandolo della matassa, e si era detta che, forse, sarebbe stato meglio affiancare anche la riforma della pubblica amministrazione a quella della sanità. 

Sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto non appena diventata duchessa.

Innanzitutto, nonostante lei fosse la figlia maggiore del duca, non volevano darle l’accesso ai conti bancari.

- Scusatemi, ma le prestazioni mediche e gli ausili vanno pagati. Come faccio, se non posso usare i soldi della mia famiglia?-

A detta loro, la risposta era estremamente semplice.

Fondamentalmente pretendevano che il duca stesso, perfettamente inabile, firmasse la delega andando di persona in banca. 

Alla fine Satine, forzando la mano, aveva preso il direttore di banca e l’aveva portato in ospedale con il giudice al seguito, ed era riuscita a formalizzare il suo accesso, non senza che il banchiere mettesse la penna in mano a suo padre e lo facesse firmare.

Quando il burocrate se ne era andato, Kyla gli aveva fatto un brutto gesto alle spalle. 

Il problema si era riproposto anche quando Satine aveva dovuto fare richiesta per gli ausili domiciliari, dal lettino alla fornitura mensile di farmaci e cibo artificiale. Se era riuscita ad avere una sedia a rotelle, era stato solo grazie all’intervento di un medico dall’aria buona che aveva fatto in modo di accelerare, date le circostanze, la pratica di noleggio senza infrangere la legge.

Le sembrava di prendere parte ad un incontro di get’shuk, da cui Satine era eventualmente uscita vittoriosa, ma stremata.

Alla fine, dopo un mese di degenza e di battaglie burocratiche, Satine era riuscita ad ottenere la tutela legale del padre - con delega ad Athos e Maryam - e Kyla era stato dimesso dall’ospedale.

C’era voluto un poco per adeguarsi al cambiamento. La camera di suo padre al secondo piano aveva avuto bisogno di diversi aggiustamenti, a cominciare dalle scale. Installare il montascale era stata la spesa più cospicua che avessero dovuto affrontare fin lì, talmente cospicua che lo spirito parsimonioso dei Kryze era riaffiorato anche in Satine. 

Maryam capiva poco di farmaci e la ragazza aveva dovuto istruire sia lei che Athos. Inoltre, il maggiordomo aveva dovuto prendere in carico l’addestramento di Bo Katan ed aveva incontrato qualche difficoltà. 

Athos era il tipo di uomo a cui, di solito, nessuno dà credito. Sempre nelle retrovie, il maggiordomo perfetto apparentemente innocuo che, impassibile, fa la guardia alla porta. Come tutti i Mando, tuttavia - e soprattutto come tutti i Kryze - era un guerriero specializzato, un maestro nell’arte della fuga e del sotterfugio, nonché un’eccellente guardia del corpo. Bo Katan, però, con la sua irruenza ed assenza di regole, poteva dargli del filo da torcere, e così, in effetti, fu.

La bambina era animata da una rabbia cieca, un tipo di furia che Satine temeva molto. Sembrava assetata di sangue e vendetta, e se da un lato la capiva, dall’altro aveva paura per la sorella. 

Un trauma del genere dopo tutti quelli che aveva già subìto, sommato ad un carattere naturalmente ribelle, avrebbe potuto spingerla a fare scelte sbagliate per sé e per gli altri.

A Satine non importava più di tanto che Bo danneggiasse la sua immagine. La gente aveva già detto di tutto e di più sul suo conto, una sorella discola non avrebbe fatto poi troppi danni. Non negava, tuttavia, che quando aveva litigato con la sorella - le volte in cui non c’entravano libri strappati e mani nei capelli - l’idea di ledere l’immagine del padre l’aveva ferita e l’aveva fatta arrabbiare.

Avrebbe dovuto fare pace con Bo definitivamente. Mettere da parte l’ascia di guerra per delle stupidaggini e concentrarsi solo sul suo benessere. Era una bambina ed aveva bisogno di appoggio e sostegno in un momento in cui stava perdendo tutti i punti di riferimento.

Satine, però, era bloccata a Keldabe. 

Maryam ed Athos facevano del loro meglio, e il maggiordomo veniva a prenderla tutte le sere per portarla su Kalevala. Il viaggio era estenuante per Satine e spesso si addormentava sulla navicella spaziale. 

Detestava quel momento perché crollare sul sedile significava non dormire per buona parte della notte. 

Già dormiva poco, ci mancava soltanto di non dormire proprio.

L’unica occasione che aveva per confortare Bo era proprio la notte. Aveva scoperto che dormire con lei le dava un senso di calore che le conciliava il sonno. Dormire con la bambina era diventato naturale, anche se Bo menava calci per tutto il tempo e si lamentava del fatto che Satine fischiasse con il naso. Erano solite rinfacciarsi la cosa al mattino, con uno scambio amichevole che aumentava soltanto il loro legame. 

Tuttavia, c’erano occasioni in cui Satine stava talmente male da non riuscire a dormire nemmeno con la sorella.

In quelle circostanze, andava a dormire con il padre. Kyla aveva il ritmo circadiano alterato. Dopo l’attacco aveva dormito molto per riprendersi e a volte confondeva ancora il giorno con la notte. Spesso lo trovava sveglio ed annoiato a fissare il soffitto. Così, si infilava nel lato vuoto del letto, sotto le coperte, e si addormentava accoccolata contro di lui. 

Kyla apprezzava e il contatto con sua figlia calmava i suoi pensieri turbolenti.

Per quanto il Jaro avesse danneggiato il suo sistema nervoso, il duca era presente a se stesso e capace di controllare l’ambiente circostante. Al mattino si faceva leggere il giornale da chi gli capitava. Bo, od Athos, non faceva differenza, tranne Maryam, che di solito gli dava da mangiare e lui cercava di sollevarla dal compito di leggergli anche il giornale. Guardava il notiziario e teneva sotto controllo l’operato di Satine, seppure a distanza.

Le mani si muovevano benissimo e lui le usava per parlare a gesti. Le cose erano andate avanti così fino a che Satine non aveva trovato il modo di comprargli un monitor. Con quello, la tastiera e persino un chip applicato sulla tempia, riusciva a comporre parole che il monitor leggeva per lui. 

Da buon birbone quale era, si era fatto delle grasse risate. 

La ditta aveva impostato il monitor su una voce di donna e lui si era divertito a dire assurdità ad Athos con quella voce. Aveva scritto e detto cose che non avrebbe mai detto a nessuna donna, né alle sue figlie, e men che meno a Maryam, se non voleva morire con un colpo di coperchio in testa. Era certo però che il suo vod gliele avesse dette eccome, alla governante, e si erano divertiti come quando erano ragazzi nonostante le avversità.

Al di là degli scherzi, quel monitor si era rivelato uno strumento utilissimo ed un calmante per la sua frustrazione. Con quell’attrezzo era in grado di comunicare con la figlia anche attraverso frasi complesse, ben diverse da rimboccami le coperte, ho fame o ho i piedi freddi.

Certo, non era il massimo della vita. Non si muoveva quasi più, a parte piccoli movimenti, e non digeriva l’alimentazione artificiale. Aveva perso peso notevolmente, dando molto da pensare a sua figlia, che aveva addirittura contattato un nutrizionista per riuscire a risolvere il problema dell’alimentazione frullando il cibo solido e provando a dargli sostanze naturali piuttosto che alimenti proteici sintetizzati.

Quando dormiva con lui, Satine di solito era in pace. Tuttavia, c’erano volte in cui proprio niente funzionava e la ragazza finiva sul tetto della sua stanza a guardare le stelle.

L’attentato a Keldabe - ed in generale la crisi politica - avevano limitato grandemente le sue sortite notturne alla ricerca dell’Uomo delle Stelle. Quelli erano momenti in cui Satine si permetteva di essere se stessa, una ragazzina di quasi diciotto anni che sogna l’amore e tutte le sdolcinatezze che sogna una ragazza della sua età. Non avrebbe mai ammesso a se stessa - e soprattutto a Bo - di essere una inguaribile romantica, ma quello spazio privato la faceva sentire libera in un mondo che l’aveva messa in catene troppo presto.

Di recente, però, anche le sortite notturne non erano piacevoli. Cominciava a credere che l’unica parte della profezia di Nebrod destinata ad avverarsi fosse quella della sua imminente fine. Stava aspettando un uomo che non sarebbe mai arrivato o che forse Satine non avrebbe mai fatto in tempo ad incontrare.

La notte era diventata il momento migliore per sfogarsi. Piangeva per la maggior parte del tempo fino a prendere sonno. 

Tutti, Athos, Maryam, persino Kyla si erano accorti che Satine non rideva più. Mangiava poco e le occhiaie sotto il trucco aumentavano sempre di più. Si sarebbero accorti solo molto dopo, quando lei avrebbe abbandonato Kryze Manor in fretta e furia, del flacone di sonniferi che era stata costretta a nascondere in un cassetto bloccato in camera sua.

Nessuno nello Tsad Droten, tuttavia, sapeva della sua situazione personale. Si era guardata bene dal divulgare ulteriori notizie se non piccole briciole all’holonews in cui diceva che suo padre era stato dimesso e stava bene dove stava, ovvero a Kryze Manor. Per il resto, lei era la Reggente e su di lei avrebbe fatto in modo che le attenzioni di tutti si concentrassero.

La sua famiglia doveva restarne fuori.

Cercando di mantenere la facciata di perfetta Reggente, Satine si era presentata allo Tsad Droten il giorno dopo l’attentato fallito per portare avanti l’organizzazione delle elezioni amministrative su Draboon e Krownest. Quando era salita sul palco al posto del padre, lo Tsad Droten intero si era alzato in piedi e l’aveva applaudita per dieci lunghissimi minuti. 

Satine aveva pensato che fossero un gran mucchio di ipocriti. 

Ieri non siete stati altrettanto solerti.

- Dichiaro aperta la seduta plenaria di oggi.- aveva detto con un filo di voce, persa a suon di urla il giorno precedente.

- Scusatemi, sono afona.- aveva aggiunto, sedendosi nello scranno che suo padre aveva occupato prima di lei.

Le sue scuse avevano suscitato un altro scroscio di applausi.

Le elezioni amministrative erano andate stranamente bene. Era così sommersa dall’odio che le rivolgeva la minoranza da temere il ribaltone nei due pianeti che storicamente erano legati alla sua famiglia. Draboon era rimasto sotto la guida di Floran Farrere, il padre della sua cara amica Indila, nonché il capo di un clan fervente sostenitore dei Kryze e dei Nuovi Mandaloriani. Krownest, invece, polo industriale e di raffinazione delle erbe e dei medicinali, era rimasto in mano ai Wren, che avevano fatto di Nuovo Kleyman il loro centro di interessi da molti anni e che avevano contribuito molto al rilancio dell’attività economica del settore. Certo, un tempo rispondevano ai Kryze e non ai Vizla, ma poco importava. Erano sempre stato un clan complicato e Satine aveva la sensazione che, in fondo, Lusk Wren non avesse digerito l’orribile attentato nei confronti di Kyla. 

Quella sensazione si era dimostrata ben più reale di quanto la ragazza avrebbe mai potuto immaginare quando lo stesso Wren aveva bussato alla porta del suo ufficio chiedendole di poter raggiungere Kryze Manor con lei quella notte. Satine aveva alzato un sopracciglio, pensierosa, ma alla fine aveva acconsentito. Il suo istinto le diceva che non aveva nulla da temere da lui, e così, in effetti, fu.

L’uomo aveva varcato la soglia di Kryze Manor con il cappello in mano, dopo aver fatto il viaggio in assoluto silenzio. Bo Katan gli aveva lanciato uno sguardo truce e gli aveva voltato le spalle. Maryam lo aveva salutato con un cenno del capo e lo sguardo feroce dietro alla potenziale arma letale che era il vassoio della cena, mentre Athos lo aveva guidato in salotto con la sua faccia da Maggiordomo Perfetto, che di solito non prometteva nulla di buono.

Satine era andata ad avvertire suo padre della presenza del suo vecchio amico prima che la sua vista gli causasse un’alterazione dei cicli vitali. Kyla, invece, era sembrato contento di vederlo e aveva chiesto che entrasse nella sua stanza. 

Satine era rimasta stupita da quella conversazione. Per la prima volta aveva compreso che, per quanto Lusk Wren fosse assetato di soldi e di potere e fosse invidioso e rancoroso, non era del tutto un disonesto. A modo suo, aveva comunque un codice morale che non includeva assolutamente il vile attentato che era stato messo in atto ai danni del duca.

- Se avessi voluto batterti ti avrei sfidato a duello o ti avrei fatto cadere politicamente. Ci ho provato, a creare lo strappo. Le nostre idee sono diverse, Kyla, e non sostengo più la tua visione, ma mai ti avrei ucciso. Mai ti avrei avvelenato, e con il Jaro per di più.-

- Lo so.- aveva detto la monotona voce del monitor, questa volta impostata sul giusto tono maschile. 

Poi, Kyla aveva lanciato un’occhiata in direzione di Satine, di guardia sulla porta, sperando che lei capisse.

Nemmeno a dirlo, Satine aveva capito.

- Saxon sa avere dei metodi davvero incivili.-

Anche Lusk Wren, però, aveva capito.

- Non posso dirti chi è stato, Kyla. Uccideranno me e mia figlia Ursa. Non posso. Mi dispiace.-

Un doppio tradimento? Nessuno avrebbe mai potuto sopportarne il prezzo.

Per questo Satine e Kyla avevano improvvisato un piano.

- Voi non dovete dire proprio niente, Lusk.- si era fatta avanti Satine. 

Certo, era un rischio, ma avrebbero dovuto correrlo, se volevano trovare il bandolo di quella matassa.

E poi, un Lusk Wren piangente non si era mai visto. Non era mai stato un bravo attore, e il doppio gioco era altamente improbabile.

- Parlerò io e voi dovrete solo rispondere sì o no. Nessuno sa che siete qui e nessuno saprà mai quanto avvenuto qua dentro. Potete considerarvi sotto segreto di Stato.-

Lusk Wren era rimasto colpito dall’interrogatorio che ne era seguito, ma mai quanto Kyla.

- Questo è quello che penso io. Quando Evar Saxon ha provato ad ucciderci ha assoldato dei cacciatori di taglie. Ben diverso dal veleno, per cui io credo che non sia stato lui ad ordinare l’attentato. E’ stato Evar Saxon?-

Wren sospirò.

- No.-

- Bene. Sappiamo che sono stati effettuati dei pagamenti da un conto sconosciuto per commerciare del veleno. Ne siete a conoscenza?-

- Sì.-

- Sapete di chi è il conto?-

- Sì.-

Kyla aveva osservato sua figlia per tutto il tempo. Se non fosse stata destinata a fare la duchessa, sarebbe stata un ottimo commissario di polizia.

- Appartiene a Larse Vizla?-

Un’occhiata terrorizzata era apparsa sul volto di Lusk Wren.

In effetti, quella era stata una novità pure per Kyla.

- Sì.-

- Sappiamo che conti simili sono stati utilizzati per finanziare l’acquisto di armi da guerra provenienti da Absanz. C’entra Larse Vizla?-

- Sì. Vi prego, basta. Ci ammazzeranno tutti.-

- Hanno contatti al livello galattico?-

- Cosa?-

- Hanno contatti fuori dal sistema di Mandalore, a parte Absanz?-

- Non lo so, non ne ho idea.-

- Un’ultima domanda. Sapete dov’è Reeta Woves?-

- No. Era su Concordia, ma adesso non lo so.-

Tanto le era bastato. Come da copione, quella conversazione era rimasta segreta e soltanto il generale Grenade ne era stato messo a conoscenza sotto forma di soffiata anonima.

Grazie alle rivelazioni di Lusk Wren, Satine ed il generale erano riusciti a tracciare un quadro più completo della complessa situazione di Mandalore e quanto era emerso non era di certo rassicurante.

Grenade non era riuscito a trovare Reeta Woves su Concordia. I suoi informatori fidati avevano riferito che era stata trasferita su un pianeta esterno al sistema, destinazione sconosciuta. Era certo, però, che avesse avuto contatti con i membri della Ronda della Morte prima di andarsene.

Satine aveva chiesto una rogatoria internazionale per poterla arrestare e tutti i giornali ne avevano parlato. La cosa non aveva scandalizzato più di tanto la minoranza. In fondo, Kyla era sopravvissuto ed aveva riconosciuto chi aveva attentato alla sua vita. 

Nessun indizio poteva condurre alle rivelazioni di Lusk Wren.

Il fatto che avessero mandato via la terrorista prima che loro riuscissero a raggiungerla era altrettanto ovvio. Satine avrebbe fatto lo stesso e la cosa aveva dimostrato definitivamente che non era stato Evar Saxon a pianificare quell’attentato. Saxon era uno spaccone, un bullo che lavorava nell’ombra, ma quello per lui era buio pesto, peggio che andare di notte. Quello era lo stile di qualcuno abituato a muovere i fili alle spalle della gente, qualcuno che, probabilmente, aveva usato lo stesso Saxon senza che questi si accorgesse di essere il principale capro espiatorio delle sue azioni.

Il candidato perfetto, in questo, era Larse Vizla.

Era un uomo ambiguo che Satine non aveva mai incontrato di persona. Suo padre lo temeva e ne aveva rispetto. La nobile casata dei Vizla era in contrasto con i Kryze da molto tempo, ormai. Secoli, avrebbe detto Satine. I Vizla avevano sempre avuto un’identità molto forte, mentre i Kryze amavano contaminarsi con influenze esterne. I Vizla erano poco stanziali, a parte la loro sede centrale su Concordia, mentre i Kryze avevano abbandonato da tempo la cultura nomade per preferire uno stile di vita rurale e stabile. I Vizla erano un clan molto fisico, mentre i Kryze erano molto più cerebrali. Con l’avvento del movimento politico dei Nuovi Mandaloriano un centinaio di anni prima e le simpatie che i Kryze avevano sempre mostrato nei confronti del movimento pacifista, la spaccatura con i Vizla, Vecchi Mandaloriani storici ed incalliti, era diventata sempre più evidente. 

I Kryze, con il tempo, avevano quasi completato la transizione verso il nuovo schieramento dei Nuovi Mandaloriani, ma Kyla non aveva ancora compiuto il passo decisivo al momento dell’attentato.  

Satine era in breve tempo diventata il principale interesse dei Nuovi Mandaloriani, che vedevano in lei la possibile candidata per mettere fine alla transizione e passare definitivamente dalla loro parte. 

L’occasione per fornirle il plateale sostegno allo Tsad Droten era stata offerta loro proprio dalla riforma della sanità. 

Il dibattito sul centro di ricerca era continuato nelle settimane successive all’attentato. La minoranza non era intenzionata a cedere sulla privatizzazione e Satine non era intenzionata a cedere sulla pubblicità della ricerca. Alla fine, con suo grande rammarico, Satine era stata costretta a mettere il voto di fiducia sulla riforma.

Se non volevano far cadere la sua reggenza, avrebbero dovuto votarla così com’era.

La sua decisione aveva suscitato non poche polemiche e Satine non era stata particolarmente contenta di aver compiuto quel gesto. Era stanca di sentir dire stupidaggini che avrebbero dovuto essere messe da parte in un momento come quello. Le pretese della minoranza erano ridicole proprio su un piano legale. Lei non aveva il potere, in quanto Reggente, di adottare modifiche al testo di legge, né poteva mettere la sua firma su un testo completamente stravolto dal parlamento. Le questioni erano due: o sospendere la riforma e tenerla in caldo per il prossimo Mand’alor - nella speranza che portasse avanti il lavoro di Kyla - oppure provare a portarla a compimento, e Satine sapeva di doverlo a suo padre. 

Se però era consapevole di dover esporre il fianco alle critiche per riuscire ad ottenere un grande risultato per Mandalore, sapeva anche che non poteva alienarsi le simpatie dei maggiori clan per una mossa politica.

Così, in una plenaria dei capigruppo, Satine aveva annunciato di voler anticipare le prove di ammissione al trono di Mandalore.

- Ritengo che sia opportuno anticipare le prove per poter procedere alla transizione entro sei mesi. Non intendo abusare del mio ruolo restando in carica più del necessario. Avrei trovato la data per la seconda prova, quella del Consiglio dei Saggi, tra due mesi. Ho sentito il Consiglio, che si è detto d’accordo.-

Aveva trovato qualche resistenza da parte della minoranza. Satine se lo era aspettato. Lasciare un vuoto politico sarebbe stato l’ideale per prendere il potere con un colpo di mano, ed era proprio ciò che lei non intendeva permettere. Avevano lavorato troppo sodo, lei e soprattutto suo padre, per vedere crollare tutto quanto in quel modo. 

Quella era stata anche l’occasione in cui aveva potuto constatare che c’era una piccola spaccatura all’interno della minoranza. Larse Vizla era evidentemente il politico di turno, e dopo che egli aveva accettato la sua proposta anche il resto gli era andato dietro. Evar Saxon era partito per la tangente, urlando che non gli stava bene nessuna opzione che potesse danneggiare il percorso al trono, che anticipare le prove avrebbe causato un danno e non avrebbe garantito la correttezza dello svolgimento dell’iter, salvo poi ricredersi ad un cenno del capo del suo compare.

Lusk Wren non aveva detto nulla, invece.

Alla fine la sua proposta era passata, come era passata la riforma della sanità. Certo, si trattava solo di un primo passaggio in Tsad Droten ed avrebbe dovuto attendere un secondo turno, ma le operazioni di voto si erano concluse con la bellezza di settecentoquarantadue voti a favore e trecentoquarantotto contrari.

Satine aveva incassato tutti, ma proprio tutti i voti dei Nuovi Mandaloriani. Inoltre, aveva conquistato - anche se se lo era aspettato - i voti dei Bauer. Inga era rimasta così oltraggiata da quanto avvenuto a suo padre che aveva mandato di corsa una delegazione di Abiik’ade a vegliare Kyla in ospedale. Da quel giorno, mentre Satine faceva pulizia all’interno dei Servizi Segreti assieme al generale Grenade e controllava la sua guardia personale, le Abiik’ade non avevano permesso a nessuno di avvicinarsi al duca, né nella struttura ospedaliera dove era stato ricoverato per mesi, né a Kryze Manor. Inga Bauer, cugina di secondo grado di Vikandra, era ancora fedele alla famiglia dei Kryze e pareva apprezzare molto Satine e stimare Kyla. 

- Tua madre era una donna molto rigida, ragazzina. Non era una che si faceva mettere i piedi in testa. Solo tuo padre riuscì a vincere le sue resistenze, tanti anni fa. Per una donna straordinaria come Vikandra ci vuole un uomo altrettanto straordinario, e Kyla Adonai Kryze non si è mai dimostrato da meno.-

Le parole di conforto della donna, dette subito dopo l’attentato, le avevano dato sollievo come nessun altro balsamo. 

A sorpresa, aveva incassato anche parte dei voti del clan Wren, che si era spaccato sulla proposta. Lusk, per quanto avesse personalmente tenuto le posizioni dei Saxon e dei Vizla, aveva lasciato libertà di voto ai suoi, che in parte avevano preferito accontentarsi della proposta del duca piuttosto che rischiare tutto per un gruzzolo che rischiava di non arrivare mai. 

Satine l’aveva trovata una scelta saggia.

Tutto sommato, per quanto la sua vita non fosse esattamente come l’aveva voluta, poteva dirsi contenta. Il lavoro procedeva speditamente e sembrava avere un ottimo rapporto con i suoi funzionari, soprattutto con il generale Grenade. Il voto dei Nuovi Mandaloriani e la sua appartenenza a quel movimento, seppur abbastanza segreta, erano indicatori consistenti del fatto che non aveva mal riposto la sua fiducia. 

Almeno, averlo incrociato in corridoio con un sorriso soddisfatto sul volto subito dopo la vittoria schiacciante sulla riforma della sanità le aveva confermato da che parte stesse.

In quel momento, però, seduto di fronte alla sua scrivania con le gambe accavallate e l’elmo in mano, mentre la guardava massaggiarsi gli occhi stanchi, Satine era più che certa che Grenade conoscesse il suo piccolo segreto.

- Avete intenzione di dirlo a vostro padre?-

- Di cosa state parlando, generale?- gli disse, versandogli del tè dentro una tazza.

- Dei sonniferi.-

Satine aggrottò un sopracciglio e gli passò il tè.

- Ancora, di cosa state parlando, generale?-

- Andiamo. Gonfiano il viso con il tempo. Non ne abusate. Fanno male.-

Satine aveva sospirato e si era accasciata, sfinita, sulla poltrona.

- Se conoscete un altro modo per farmi dormire, sentitevi pure libero di dirmelo. Non cominciate con camomille ed erbe varie, però. Le ho già provate tutte.-

- Avete provato a parlarne?-

- Quando? E con chi? Non è esattamente un frangente molto consono per prendersi cura di sé, e soprattutto non sai mai quando il medico possa avvelenarti, non trovate?-

Il generale scoppiò a ridere e bevve un sorso di tè.

- Sono d’accordo. Temo, però, di non potervi mandare a casa a riposare, Reggente. Ci sono novità.-

Il generale le consegnò un appunto in cui i Servizi la avvisavano dei piani di sicurezza per il prossimo incontro diplomatico. Per quella circostanza avevano ritenuto il palazzo di Keldabe inappropriato a ricevere la delegazione del Senato della Repubblica ed avevano preferito dislocare l’incontro in una sede più privata e lontana dagli occhi indiscreti dell’opposizione e dei suoi informatori. Avevano deciso di convocare la riunione alla Fortezza delle Cascate, una bellissima costruzione al sicuro nel dominio dei Kryze, su Kalevala. 

Inoltre, avevano ormai avuto la conferma che Concord Dawn era immerso fino al collo nei loschi traffici di Larse Vizla, con una grande differenza. Il summenzionato R.H., ovvero colui che fungeva da tramite tra Vizla ed Absanz, aveva mosso un suo contatto su Phindar, che a quanto pareva aveva offerto loro la possibilità di lavare il denaro ricavato dalla compravendita di armi e suppellettili in una filiale di un’impresa sottoposta a partecipazione statale. 

Hai capito Phindar. E io che mi sono fatta in quattro per farli andare scalzi a scuola.

Il generale, però, era venuto prevalentemente per parlarle dei risultati ottenuti con gli studi sugli spettri, e quello era qualcosa per cui Satine avrebbe volentieri perso il sonno. 

Il linguista aveva concluso il suo lavoro sulla video sorveglianza del karyai. Con grande sorpresa di Satine, le conclusioni a cui era giunto erano molto simili a quelle di suo padre e alle sue. 

Osservò basita le annotazioni vergate a mano nel fascicolo che Grenade le aveva appena consegnato.

- Che cosa significa?-

- Significa che parlano, Reggente. E piuttosto bene, anche.-

- Sono capaci di elaborare pensieri complessi?-

- Sì. Sono in grado di comunicare per creare una strategia d’attacco. Il linguista crede che non abbiano una grammatica sviluppata e che comunichino principalmente associando alcuni suoni a pensieri, a cui danno significato semantico. Sono le basi rudimentali del linguaggio.-

Satine sfogliò le pagine del fascicolo, pensierosa, grattandosi i capelli dentro la cuffia argentata con il retro della penna. 

Stando agli studi del linguista, i fischi erano segnali di presenza. Fischiare a quel modo significava essere in sede e pronti all’attacco. Allo stesso modo, i grugniti declinati in una serie di ripetizioni potevano indicare la scelta della preda.

In buona sostanza, queste bestiacce si dividono le prede e stabiliscono cosa si prende chi grugnendo come maiali.

Il soffio, invece, era un segnale di pericolo. Satine non si stupì, perché aveva sentito quella creatura soffiare alla telecamera prima di mangiarla. 

Questo, ovviamente, aveva delle conseguenze.

- Nonostante abbiano un linguaggio molto semplice, pare che abbiano una grande capacità organizzativa.-

- Sì. Ricostruendo le altre scene del crimine, dove hanno attaccato in branco, abbiamo notato un pattern ripetitivo. Prima attaccano il retro, cogliendo le vittime di sorpresa, e poi le radunano tutte al centro del karyai per la mattanza finale. In altri casi isolati, abbiamo notato altre variazioni.-

- Del tipo?-

- In un caso hanno sbagliato struttura. Su Kalevala il centro di ricerca non era all’interno di un karyai, ed hanno attaccato alla stessa maniera. Quando se ne sono accorti, hanno cambiato tattica in corsa. Nessun sopravvissuto, comunque.-

- Se lo sono detto?-

- Probabilmente sì. Resta comunque il dubbio di come facciano, con un linguaggio così rudimentale.-

Ma bene

Adesso avevano pure a che fare con una superpotenza aliena capace di comunicare tra di loro sul modo migliore di cucinare la cena.

Satine guardò il generale con un misto di panico e disperazione.

- E adesso?-

- Bella domanda. Sicuramente dovremo trovare un modo per arginarli. Non possiamo permettere che continuino la loro caccia indisturbati.-

- Abbiamo capito da dove vengono?-

- No. Sembrano spuntare come funghi dovunque. Non ci sono navicelle o capsule disperse e conoscono l’ambiente. Hanno una dimestichezza incredibile con le nostre strutture.-

Certo. Avevano pure compreso che le telecamere di sicurezza erano capaci di spiarli. 

Incredibile quanto fossero intelligenti. 

Eppure manifestavano degli elementi primitivi che mal si addicevano all’intelligenza che dimostravano. Ripetere sempre lo stesso schema era efficace, ma alle lunghe era anche controproducente. 

L’avversario impara, come stavano facendo loro in quel momento.

- Se sono così intelligenti come sembra, presto cambieranno tattica. Dobbiamo organizzarci.-

- Questo di sicuro, ma rischiamo una guerra aperta, Reggente. Non so se siamo forti abbastanza da poterci permettere uno scontro in campo aperto.-

Ed aveva ragione. Quella circostanza sarebbe stata decisamente infausta. 

Lo scopo del generale e di Satine, ovviamente, era quello di evitare la disfatta totale. 

Dare un nuovo capo di Stato, una figura forte che mettesse definitivamente a tacere i tumulti della minoranza per fronteggiare uniti la vera minaccia degli spettri. 

Quello sarebbe dovuto essere il loro obiettivo principale.

- Ho saputo che avete fatto anticipare le prove per il trono.-

- Sì.-

- Ottima idea, signora. Avremo bisogno presto di un nuovo leader ed in tutta franchezza mi auguro che sarete voi.-

Satine provò a non arrossire e a mettere da parte l’argomento.

- Voi siete un generale, non dovreste avere inclinazioni politiche, giusto?-

- Sì, ma lavorare con voi è estremamente appagante, come lo era lavorare per vostro padre. La vostra intelligenza e la vostra capacità di governo sono ineguagliabili da buona parte di quelli della vostra generazione.-

- E della precedente?-

Grenade abbozzò un sorriso sornione.

- Diciamo che c’è qualcuno che ci prova. Potrebbe essere all’altezza del compito, Reggente. Non lo sottovalutate.-

Ogni riferimento a Vizla era puramente casuale, e i due si intesero. 

- Sono arrivati anche i risultati sul succo trovato su quanto restava degli scienziati. Il Centro di Ricerca Nazionale ci ha messo un po’, ma alla fine l’attesa ha dato i suoi frutti, incontrovertibili come sempre.-

Le colture batteriologiche avevano evidenziato la presenza di un quantitativo di batteri decompositori particolarmente elevato, che non poteva assolutamente provenire dai corpi morti dei poveri scienziati. 

- Scusatemi, generale, ma non capisco.- aveva detto Satine, il fondo della penna di nuovo piantato nella crocchia.- Com’è possibile che si tratti di archibatteri?-

- Non me ne intendo, Reggente. Prendo quello che dice il Centro e ci credo.-

Satine aveva sempre nutrito una profonda passione per la scienza e per la biologia. A scuola erano state le sue materie preferite. Aveva avuto problemi con la matematica e la fisica, ma la scienza cruda, la chimica, la geografia astronomica, l’anatomia, erano state il suo elemento assieme alle lettere.

Era certa, anzi, certissima, che gli archibatteri fossero monere originarie che vivevano soltanto in condizioni estreme, come ambienti estremamente caldi, tossici o comunque pericolosi per l’uomo. 

Trovarli sul corpo di uno scienziato morto mangiato da un animale non era di certo una circostanza comune. Inoltre, l’abbondante quantitativo rinvenuto in quella specie di saliva faceva pensare che l’animale ne fosse praticamente coperto.

Come se non bastasse, alcuni simpatici parameci costellavano quel liquido.

- Sapete che cosa sono questi, generale?-

- Amebe?-

- Parameci. Sono organismi unicellulari che si riproducono per mitosi e sono coperti di ciglia per muoversi. Vivono in acqua dolce, dove possono acquisire le sostanze nutritive per osmosi. Si nutrono principalmente di batteri e di alghe verdi.-

- Non capisco, Reggente.- 

- Questi animaletti di solito si nutrono di batteri e vivono in acqua. Per i batteri, siamo d’accordo, chiunque abbia lasciato tutti quegli archibatteri può aver attratto i parameci, ma l’acqua? Non c’era acqua sul luogo del delitto, giusto?-

Il generale si grattò un velo di barba non fatta.

- No, direi di no.-

- Allora le opzioni sono due. O il paramecio incriminato è arrivato lì perché era ospite della creatura, oppure c’era dell’acqua da qualche parte.-

Grenade era certissimo, però, che l’acqua non ci fosse.

- Come la mettiamo, allora?-

- La risposta potrebbe essere semplice. Hanno trovato dei cloroplasti dentro i parameci. Sono organuli che consentono la fotosintesi delle piante.-

Il generale si fece attento.

- Mangiando alghe e vegetali in generale, il paramecio trattiene i cloroplasti, e quando lo fa è capace di fare la fotosintesi come le piante, permettendo di produrre da solo delle sostanze nutritive a suo vantaggio. In questo caso, da organismo eterotrofo, il paramecio diventa autotrofo. Queste bestioline devono aver vissuto in un luogo molto, molto ricco di verde per poter acquisire così tanti cloroplasti, ed apparentemente ce li hanno tutti.-

Grenade non era contento, e a dirla tutta nemmeno Satine. Se gli archibatteri vivono in ambienti estremi, è molto difficile che condividano il loro habitat con le alghe di cui si nutrono i parameci. Gli spettri, poi, avevano in parte l’aspetto di piante, e forse in parte lo erano davvero. La saliva confermava l’esistenza di un DNA sconosciuto che sembrava mescolare tratti animali e vegetali. Era più che probabile che vivessero in luoghi molto umidi, cosa che consentiva loro di mantenere un ambiente propizio per la proliferazione dei parameci.

Il punto era che parameci ed archibatteri non avrebbero dovuto trovarsi nello stesso luogo per via delle difficili condizioni ambientali in cui questi ultimi sono soliti vivere.

Perché, dunque, li avevano trovati nella stessa poltiglia verde?

- Vivono in ambienti estremi, generale, dove un paramecio non sopravviverebbe. Com’è possibile che si trovino nello stesso ambiente?-

- L’ospite deve averli raccolti passando da qualche parte.-

- Proviamo ad indagare di più. Fate fare una ricerca su questi archibatteri, vediamo dove vivono maggiormente. Inoltre, fate anche un altra cosa.-

Questa volta, Satine si era fatta seria.

- I parameci non sono predatori, ma i didinium sì. Sono altri ciliati che normalmente si nutrono di parameci. Avrebbe senso trovarli in un ambiente umido e favorevole come questo, pieno di prede. Invece, non ce n’è nemmeno uno.-

- Chiederò di fare ricerche.-

- E credo che dovremmo anche porci un altro problema, generale. - concluse Satine, sbadigliando. - Dove vanno a morire, questi spettri? Perché non abbiamo trovato nemmeno un cadavere, e a meno che non muoiano mai di vecchiaia, qualcosa avremmo pur dovuto trovare con questi numeri. Voi ne sapete niente?-

Satine aveva sempre sospettato che qualche cadavere ci fosse e che nessuno glielo avesse detto, ma il generale le parve estremamente sincero quando rispose.

- Sono d’accordo con voi, Reggente. E’ strano che non abbiamo trovato ancora nulla. Indagherò più a fondo. Adesso, però, andate a casa. Avete una pessima cera. Desiderate che contatti il vostro autista?-

- No, grazie, generale. Athos è già stato allertato. Mi attende di sotto.-

I due si congedarono, con Satine che stringeva ancora in mano il curioso report del Centro di Ricerca e uno strano dubbio che le cresceva dentro.

Acqua. Condizioni estreme. Assenza di Didinium. Clorofilla.

Parlano male, ma sono troppo intelligenti per comunicare in modo rudimentale.

A meno che…

Era una teoria folle, ma ci poteva stare.

Decise che avrebbe provato a metterne al corrente suo padre quella sera.

Sera che, però, non era destinata ad andare come avrebbe dovuto. 

Non appena tornata a casa, si rese subito conto che qualcosa a Kryze Manor non andava. Maryam aveva il muso particolarmente lungo e Bo Katan era evasiva più del solito.

Satine, insospettita, prese da parte Maryam e si fece raccontare tutto.

Poi andò a prendere Bo per un orecchio.

- Che accidenti ti è saltato in mente?-

- Sai, dovresti preoccuparti. Maryam ed Athos evidentemente non sanno mantenere i segreti.-

- Non mi interessa, mi importa di te! Per quale insano motivo hai creduto che fosse una buona idea?-

Bo scosse le spalle come se avesse fatto la cosa più normale del mondo.

- Hai rubato un blaster, benedetta ragazza! E una Abiik’ad ha dovuto inseguirti giù per i boschi!-

- Che sarà mai? Lo so usare, me lo ha insegnato papà e Athos mi ha insegnato a prendere meglio la mira…-

- Potevi farti male! E’ un’arma, Bo! Hai dieci anni, per Arasuum! E’ già abbastanza incivile che dei bambini debbano imparare ad usare le armi, figuriamoci portarsele in giro come se fossero, non so, un libro di scuola!-

Bo la guardò malissimo.

- E’ questo quello che dirai, quando verranno a prenderci? Perché verranno, e tu lo sai, vero? Gli dirai che sono incivili per mandarli via?-

Così era quello il problema. Satine e Kyla lo avevano temuto fin dall’inizio. Bo Katan stava lentamente scivolando lungo un pendio pericoloso. Le parole che aveva detto in quel momento sembravano incredibilmente simili alle aspre frasi che il suo istruttore, Gol, le aveva detto molto tempo addietro durante l’addestramento.

Le frasi di un uomo che simpatizzava per la Ronda della Morte.

Non si trattava soltanto di uno schieramento politico, ma del loro credo. Satine e suo padre avevano provato a cambiare le cose, sottolineando tutte le altri tradizioni mandaloriane offuscate da anni ed anni di violenza, ed adesso la sua Bo, la sua sorellina, stava sfogando la sua rabbia nel modo peggiore possibile, un modo che la avvicinava alle persone che lei e suo padre avevano sempre combattuto.

Le stesse persone che lo avevano ridotto in quelle condizioni.

- Bo.- le disse, provando a calmarsi e sedendosi sul bracciolo del divano del salotto. - Voglio provare a raccontarti una storia. E’ banalissima, ma abbi pietà, non ho molta fantasia stasera.-

- Non ho voglia di favole. Non sono una bambina. Non più.-

- C’era una volta una bambina che aveva fatto amicizia con un altro bambino.-

- Piantala, Tilli.-

- Un giorno il padre del bambino fece molto male al padre della bambina. Inutile dire che lei ci rimase male. Così, la bambina prese un blaster e sparò al suo, di padri. Inutile dire che il suo amico ci restò male. Come pensi che continui la storia, Bo?-

- Ha avuto quello che si meritava!-

- Il bambino prese un blaster, e sparò alla sorella della bambina. Lei ci restò male, e sparò al fratello del bambino. E via così. Un giorno, rimasero solo loro, pieni di odio, senza più nessuno da uccidere se non loro stessi.-

- E ALLORA DOVREMMO PAGARE SOLO NOI?-

L’urlo di Bo Katan l’aveva presa alla sprovvista.

- Tu hai tutte le tue belle convinzioni sacre ed inviolabili, la tua fede. - sputò quella parola come se le facesse schifo. - Ma sai che cosa vedo io? Vedo una che resta ferma a non fare niente mentre le massacrano la famiglia. Hanno già ammazzato la mamma ed adesso sono venuti per papà. Un giorno verrano per te, e alla fine rimarranno solo loro, perché noi ci saremmo fatti uccidere tutti. Metti i fiori nei loro cannoni, Satine. Vedrai, ci accenderanno il caminetto!-

Satine non sapeva che cosa risponderle. 

Avrebbe voluto dirle della Luce. Di Vikandra. 

Dentro di sé, però, sapeva che non poteva farlo.

Non ancora. 

- Bo, la rabbia che provi tu, la provo anche io. Non voglio però andare in giro con un blaster ad ammazzare la gente. Mi comporterei come loro. Farei a loro quello che hanno fatto a me. Farei stare i loro figli come stiamo noi. Io credo che vadano catturati e consegnati alla giustizia, non uccisi.-

- La giustizia.- evidentemente nemmeno quella parola le piaceva.- Satine, ma quale giustizia! Tu li prendi e loro li sbatteranno fuori!-

- Ma loro chi, Bo?-

- I giudici, il sistema, tutti!-

- Sto provando a cambiare il sistema!-

- Beh, non stai provando abbastanza!-

- E papà? Perché io ho ereditato il suo lavoro, quello che lui ha fatto. Apparentemente è tutta colpa mia, però.-

Bo esitò.

- Anche il sistema di papà era sbagliato.-

- E allora, sentiamo, quale sarebbe l’alternativa? Andare in giro a sparare con un blaster?-

- Qualunque cosa faccia finire tutto questo! Qualunque cosa tolga le guardie dalla porta! Qualunque cosa metta i terroristi in galera! Non mi basta restare qui con le mani in mano, Satine. Non mi basta fare quello che fai tu.-

- Allora incanala la rabbia nel modo giusto. Pensi che non esista la giustizia? Studia per cambiarla. Pensi che il sistema sia sbagliato? Studia per cambiarlo.-

- Parli bene tu. Miss Perfettina. Rispetto a te io sono un’ameba. Sono stupida. Guarda come fa Satine, parla come fa Satine, combatti come fa Satine, bla bla bla.-

- Mi odi così tanto, Bo?-

- SI’!- sbraitò la bambina.- ODIO TE E LE TUE STUPIDE MANIERE!-

Poi scappò a tutta velocità fuori dalla stanza, lasciando Satine sola, seduta sul bracciolo del divano e con la voglia di scomparire. 

Quella sera non cenò nemmeno. Andò a dare le medicine a suo padre, che la guardò con la consapevolezza negli occhi.

- Non è stata colpa tua.- le disse la voce fredda del monitor, e Satine fece finta di credergli quando lo mise a dormire.

Il buco nero dentro di lei continuava ad assorbire tutta la luce del mondo. Si chiuse in camera sua, prese la sua dose di sonniferi e pianse per buona parte della notte.

Poi, proprio quando il principio attivo cominciava a fare effetto, uno scalpiccio di piedini fuori dalla porta catturò la sua attenzione. Udì la maniglia abbassarsi e vide lo spiraglio di luce del corridoio disegnare sul pavimento una piccola figura a piedi nudi e con i capelli scompigliati. 

Bo chiuse la porta e si infilò sotto le coperte, piagnucolando.

- Non è vero che ti odio.- le disse, affondando le manine nella sua camicia da notte.- Sono stata pessima, mi dispiace.-

- Non farlo mai più.-

- Lo dico sempre, ma non cambio mai, vero?-

- Non mi importa di quello che hai detto. Eri arrabbiata. Quello che mi interessa è che tu non esca mai più di casa con un’arma in mano.-

- Va bene.-

- Mi prometti che userai le armi solo in presenza di Athos?-

- Sì.-

Satine abbracciò Bo e provò a consolarla come potè. Il contatto con il corpo della sorellina, nonostante la rabbia e la ferita che le aveva inflitto, era rassicurante. 

Sapeva di casa, di famiglia.

- Domani mattina andrai subito a chiedere scusa a papà. C’è rimasto molto male.-

- Va bene.-

- Adesso dormi? Domani devo lavorare.-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Get’shuk: tradizionale gioco mandaloriano, con due porte ad ogni lato del campo e in cui i giocatori possono usare le mani per segnare. Simile al rugby. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Non credo che ci sia molto da aggiungere ad un capitolo già di per sé lungo e denso di contenuti. L’unica cosa che mi sento di dire è che sì, io a scienze ero bravina, ma di sicuro non sono all’altezza di un laureato. Ciò che ho scritto è frutto di una ricerca - per quanto approfondita - comunque generica. Ergo, se qualcuno tra voi è farmacista o biologo o che altro, eviti di tirarmi una scarpa ed abbia pietà, per favore! 

Grazie della vostra attenzione e al prossimo capitolo! 

Ve lo anticipo già: preparatevi psicologicamente. 

 

Molly.

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Capitolo 19
*** 18- La Fortezza delle Cascate ***


CAPITOLO 18

La Fortezza delle Cascate

 

42 BBY - inverno mandaloriano.

 

ATTENZIONE: immagini forti. Siete avvisati.  

 

La Fortezza delle Cascate era una bellissima struttura situata su Kalevala, distante da Kryze Manor, ma molto familiare per Satine. Era infatti vicina alla casa del fratello di sua madre, Korkie. 

Era un uomo curioso, dall’aspetto altrettanto curioso. La differenza con Vikandra era abissale. Tanto la donna era bella, tanto lo zio Korkie aveva dei difetti. Una era alta, l’altro aveva una statura piuttosto normale. Lei era una canna da giunco, lui era appesantito dalla vita sedentaria. Tanti capelli aveva lei, tanta stempiatura aveva lui. 

Insomma, a parte i colori e la forma del viso, nessuno li avrebbe detti fratelli.

Tuttavia, Korkie era brillante. Eccellente stratega e tattico, era diventato un celebre campione di scacchi nei suoi anni di gioventù. 

Nel suo tempo libero allevava munit susulurse. 

Satine lo aveva conosciuto poco da bambina, considerata la distanza, ma i pochi ricordi che aveva di lui lo rendevano un uomo buono ai suoi occhi, una persona di cui fidarsi.

Era venuto di corsa a Kryze Manor non appena aveva saputo dell’attentato a Kyla, ed era stato molto utile durante la gestione della burocrazia e delle terapie. Aveva creato delle utilissime tabelle per Maryam, dove aveva annotato tutte le medicine, divise per colore, ed addirittura aveva trovato dei portapillole che aveva etichettato con giorno, ora, ed eventualmente data della somministrazione. 

Da quel momento, i suoi rapporti con lo zio Korkie erano diventati più stretti. Le era stato vicino, a modo suo e con i suoi scherzi eccentrici, ma erano stati piccoli gesti che l’avevano fatta sentire meno sola e Satine ne era stata felice. 

L’incontro alla Fortezza non le avrebbe permesso di passare a salutarlo. Dopo l’attentato, inoltre, il generale Grenade era stato irremovibile: assolutamente nessun cambiamento sulla tabella di marcia. Il rischio era che qualche malintenzionato approfittasse dell’assenza delle guardie per colpire ed ucciderla. Soprattutto in quel momento, in cui Satine era diventata il simbolo della pace e della non violenza dopo un attacco così vile, i Nuovi Mandaloriani ci tenevano a proteggerla.

Satine, da una parte, era contenta di avere un forte appoggio politico, dall’altra parte però non le piaceva l’idea che un movimento si appropriasse di lei senza il suo consenso. Non che non fosse vicina alle loro idee: quelle dei Kryze assomigliavano parecchio alle posizioni pacifiste dei Nuovi Mandaloriani. L’idea però che un movimento si appropriasse di lei - sì, appropriarsene era la parola giusta - non le piaceva. Si sentiva un burattino, solo un utile strumento trovato nel posto giusto al momento giusto da usare al momento necessario. 

Come tutti gli strumenti utili, però, prima o poi cessano di svolgere la loro mansione e vengono scaricati.

Ecco, quell’ipotesi la metteva sul chi vive.

Quel giorno, anche se Satine non ne aveva nessuna voglia, avrebbe dovuto incontrare una delegazione del Senato della Repubblica venuta direttamente da Coruscant. Avevano diverse cose da discutere, tra cui, appunto, i contratti commerciali che avrebbero permesso l’acquisizione dei farmaci non prodotti dalla PharmaMandalore. Un lavoro lungo ed estenuante che non si sentiva pronta ad affrontare. Era stanca e la qualità del suo sonno non accennava a migliorare. Cominciavano a darle fastidio i sonniferi, che le facevano girare la testa quando si svegliava, e stava seriamente valutando di buttarli via anche se, esclusi quelli, non aveva idea alcuna di come avrebbe fatto a chiudere occhio la notte.

Maryam aveva scelto per lei un abito bellissimo. Anche quello era stato di sua madre, ma Satine non aveva apprezzato molto la scelta. Era, forse, un po’ troppo. In fondo, lei era Reggente, non duchessa. Era chiaro che non poteva esagerare o la minoranza - che faceva già fin troppo chiasso così - ne avrebbe approfittato per rivolgerle ulteriori commenti sprezzanti.

Preferì dunque un completo più dimesso, ma molto dignitoso. Maryam aveva brontolato che il colore non le piaceva, ma Satine ne era assolutamente convinta. La casacca damascata rossa, scura come il vino, le cadeva a pennello e risaltava benissimo sulla camicia bianca. 

Sul cravattino aveva applicato una spilla, come suo padre era solito fare con la pietra tigrata di Vikandra. Il duca non aveva voluto saperne di lasciarla andare, nemmeno dopo l’attentato. Ancora conservava la sua spilla appoggiata sul comodino quando era in pigiama. Quando invece si faceva imbellettare da Athos, la portava ancora al collo, per chiudere le camicie.

Un pantalone nero, racchiuso dentro uno stivale alto ed elegante, completava l’abbigliamento scelto per quel giorno. Satine rifuggì tiare ingombranti e gioielli vistosi, come sempre, ed optò per una delicata fascia rossa ricamata in oro che le avrebbe incorniciato la fronte. 

Raccolse i capelli dietro la nuca, avvolti in una retina foderata color oro per nascondere le punte blu che Bo Katan le aveva fatto tempo prima, e si ritenne pronta per uscire.

Salutò suo padre, che si commosse quando la vide. Satine strusciò la fronte contro la sua e gli promise che si sarebbero rivisti a sera e che gli avrebbe raccontato tutto.

Abbracciò la piccola Bo. I dissapori con lei sembravano essere del tutto scomparsi e si era comportata come una perfetta gentildonna nei giorni che erano seguiti a quella terribile discussione. 

Per quanto ci riuscisse: in fondo era sempre Bo, con tutta la sua energia e il suo spirito ribelle.

Athos già l’aspettava in macchina. Quel giorno non sarebbe stata sola con lui. La guardia personale di sua padre, spuria degli elementi corrotti, era tornata in azione da qualche settimana. L’avrebbero scortata alla Fortezza e l’avrebbero seguita ovunque assieme ad un manipolo di soldati fedelissimi del generale Grenade.

Il programma del generale era praticamente infallibile. Prevedeva una scorta armata ventiquattr’ore su ventiquattro, una navicella blindata e - contro la volontà di Satine - cecchini sui tetti.

Si era opposta, naturalmente, ma il generale Grenade era stato irremovibile.

- Reggente, capisco le vostre posizioni, e credetemi, le condivido. Tuttavia, è una precauzione necessaria. Voi siete l’ultima speranza di mantenere la democrazia in questo sistema. Preferisco uccidere un terrorista che lasciargli fare una strage, o peggio, mandare al macello tutta la popolazione in una guerra civile.- 

Consapevole di non poter discutere quella strategia - Satine doveva ammettere che non c’erano molte alternative - aveva acconsentito, e così quel giorno sembrò che stesse arrivando il Cancelliere della Repubblica, piuttosto che una semplice reggente.

Andava volentieri in quella parte del pianeta. Satine aveva vaghi ricordi delle vacanze all’Udesla, il Mare Calmo di Kalevala, e delle volte in cui era andata a trovare lo zio Korkie nella sua bella villa sul mare. La Fortezza era una struttura che l’aveva sempre impressionata. Fatta di beskar e vetro, come la maggior parte delle costruzioni di Mandalore, aveva la caratteristica di sorgere in cima ad un promontorio roccioso color sabbia che cadeva a picco sul mare, e di svilupparsi non tanto in altezza, quanto in profondità. La parte in superficie consisteva solo in un portico e in una struttura di accoglienza, che permetteva agli ospiti di scambiare gli iniziali convenevoli prima di scendere giù, nelle profondità della terra. Una torre con un orologio e un magazzino contenente le derrate alimentari e le scorte di acqua era quanto emergeva dalle alte mura pietrose, color sasso come la scogliera, dalle quali sgorgavano quattro cascate che si gettavano in mare. In verità, quelle non erano vere e proprie cascate, bensì acque reflue. Sua madre aveva sempre avuto qualcosa da ridire a proposito di quel meccanismo e di fare il bagno in un mare in cui le fogne si gettano così platealmente nelle sue acque. Satine però aveva imparato che quello era solo uno scarico d’acqua, presa dal mare e che al mare tornava, eventualmente addolcita dalle piogge e dall’uso di acqua domestica. Passava prima attraverso un controllatissimo ed affidabilissimo sistema di filtraggio che rendeva l’acqua addirittura potabile.

Le cascate si gettavano nel mare dall’altezza di ben dieci metri, creando un bellissimo effetto di umidità e nuvole che avvolgevano la struttura nella sua interezza, coprendo alla vista esterna le finestre e le luci accese dentro le sale interne. 

Andava volentieri a vedere quel posto bellissimo, nonostante il tedio di dover incontrare i Senatori della Repubblica. Non che ce l’avesse con loro, beninteso. Le risultava, dalle ricerche che aveva fatto, che fossero persone abbastanza perbene, ma la sua naturale diffidenza verso le relazioni politiche della Repubblica turbava l’armonia del suo animo.

Quel conto misterioso su Coruscant, da cui partivano pagamenti rivolti a finanziare le attività illecite della Ronda della Morte, inoltre, aveva disturbato i suoi sogni per diverso tempo ed in parte ancora la metteva in allarme.

Certo, poteva anche darsi che Larse Vizla possedesse un conto presso la filiale bancaria nei pressi del Senato, ma se non fosse stato così?

Se ci fosse stata anche la Repubblica, dietro a quella oscura e difficile vicenda?

E qualora fosse stato vero, come spiegare quella posizione, contraria per definizione ai trattati che suo nonno Gerhardt aveva stipulato con la Repubblica stessa, ormai quasi settant’anni prima?

Satine era determinata a non pensarci. Voleva godersi l’incontro diplomatico e la vista sul mare, e quel giorno si sentiva particolarmente bella, per cui scacciò i brutti pensieri dalla mente per fare spazio ad altri più frivoli.

Chissà se il suo kar’jag, se mai fosse esistito e se mai lo avesse incontrato, avrebbe apprezzato un giorno il suo guardaroba.

La sua attenzione fu ben presto catturata dall’inusuale clima festoso che quel giorno animava la sua scorta. 

Aveva notato subito, fin da quando le avevano aperto la portiera, la pacca sulla spalla data ad uno tra essi e lo scambio di sorrisi compiaciuti tra lui ed Athos. In macchina, poi, il gruppo aveva continuato a chiacchierare allegramente, anche se sottovoce e per rispetto alla sua persona.

- Parlate pure liberamente.- aveva detto loro, poggiando la testa contro il finestrino.- Io so già cosa dire e non ho bisogno di pensare ancora.-

- Alec è diventato papà!-

- Oh, davvero?- disse, voltandosi verso l’uomo dal volto coperto che avevano chiamato Alec.

- Le mie congratulazioni, Alec, o qualunque sia il tuo nome.- gli aveva detto, e questi aveva riso con gli occhi.

Insomma, il repulisti l’avevano fatto lei e Grenade ed era certissima che non ci fosse nessun Alec tra gli assunti come guardie personali di suo padre.

- E’ nato ieri.- aveva detto, felice come una pasqua. - Si chiama Mun.-

- Sono davvero felice per voi, credetemi. Una buona notizia ogni tanto non fa male.-

- Magari un giorno lo conoscerete.-

- Per la sua sicurezza, è meglio di no, ma vedrei volentieri una fotografia un giorno. Credo di avere qualcosa di mia sorella a casa, di quando era piccola. Sono oggetti che nessuno usa più, ed abbiamo la nostra scorta di ricordi. Se vi servono tutine e giocattoli, ne abbiamo in quantità.-

- Molto gentile, Reggente.-

- Mi farebbe piacere farvi un regalo, se ne ho la possibilità. In fondo, con quello che fate, vi dobbiamo molto.-

Satine aveva avuto modo di notare un cambiamento nella sua guardia personale. Quando suo padre era in carica, erano sempre molto silenziosi ed attenti. Non si lasciavano mai sfuggire un’espressione, uno sguardo di troppo. Satine non andava pazza per quel genere di formalità, ma ne capiva la necessità. Da quando invece lei e Grenade si erano liberati di certi elementi sospetti, il gruppo che si era formato sembrava molto più affiatato. Li coglieva spesso a chiacchierare tra di loro quando non erano in servizio e sembravano rispettarsi molto. Anche adesso, sembravano genuinamente felici per il loro compare, e anche per la proposta che aveva fatto di regalare dei giocattoli al piccolo.

Erano un bel gruppo e Satine apprezzava quell’aria di familiarità che si respirava dentro la navicella spaziale.

Quella di Athos era già, nemmeno a dirlo, una navetta blindata, per cui Grenade non aveva avuto obiezioni ad accordarne l’uso. Certo, era un po’ piccola, una semplice utilitaria quattro porte, per cui era stato istituito un seguito, un altro veicolo di scorta contenente sei militari con cui Satine non aveva scambiato parola alcuna se non un breve cenno di saluto.

Vide avvicinarsi in lontananza la Fortezza delle Cascate e la ammirò in tutto il suo splendore. Si lasciò rapire dalle nubi bianche che coprivano il mare ed il grosso della scogliera, le cascate che cadevano e sparivano nel nulla, immerse nel bianco del vapore acqueo. Dentro, se ricordava bene, era completamente scavata nella roccia nuda, con tutti i suoi tesori: stalattiti, stalagmiti, organismi bioluminescenti e metalli preziosi che dipingevano il soffitto di simpatiche venature colorate. 

Insomma, un vero gioiello e fiore all’occhiello di Mandalore, nonché un fortino fino a quel momento inespugnato.

Satine sperò che restasse tale ancora per molto. 

Athos guidò la navicella dentro le mura ed atterrò nel cortile con una manovra perfetta. 

Con un ultimo sorriso alla sua scorta, attese che le aprissero la portiera. Gli uomini erano scesi dall’altro veicolo e li avevano raggiunti mentre i suoi attendenti, scesi prima di lei, le facevano largo.

Non appena ebbe messo un piede fuori dalla navicella, però, un rumore la distrasse.

- Che cosa è stato?- chiese, provando a guardarsi intorno.

- Di che cosa parlate, Reggente?-

Poi, successe il finimondo.

Il rumore dei colpi di blaster che rimbalzavano dovunque le fece male alle orecchie. Sentì la pressione dei corpi della sua guardia su di lei e cadde all’indietro, sdraiata sul sedile, mentre con un’occhiata lanciata per caso in direzione di Athos scorgeva l’uomo lanciarsi sul sedile del passeggero ed agguantare con tutte e due le mani il blaster che aveva nascosto sotto la seduta.

Satine era terrorizzata. Aveva caldo e si sentiva bagnata di sudore, mentre Athos, sceso dalla navicella, si nascondeva dall’altra parte, dietro la portiera laterale, pronto a fare fuoco in qualsiasi momento. 

Poi, un colpo più forte degli altri le annebbiò la vista.

Scosse la testa, cercando di riprendersi, e si rese conto che un colpo di blaster le aveva sfiorato la fronte, bruciando un po’ di capelli e tagliando via la fascia ricamata. Sangue caldo colava lungo la sua guancia e le orecchie ancora fischiavano forte, impedendole di capire che cosa stesse succedendo e dove si trovasse.

Poi, realizzò.

Erano sotto attacco dentro la Fortezza delle Cascate. 

Non era mai successo che qualcuno riuscisse ad entrare in armi dentro la Fortezza, a parte il Mand’alor e la sua scorta. Grenade aveva insistito affinché venissero messi dei cecchini lungo il perimetro e già questo era qualcosa di insolito per quel tipo di struttura.

Le questioni erano due: o i cecchini non c’erano - e quindi Grenade l’aveva tradita - oppure erano stati uccisi tutti prima del loro arrivo.

Oppure erano loro che stavano sparando.

Un’occhiata rapida in direzione di Athos, però, le fece capire che questo non era possibile. L’uomo, blaster alla mano, continuava a mirare davanti a sé e non in alto.

Per di più, qualcuno doveva aver fatto esplodere una granata per causarle un simile fischio alle orecchie.

Si toccò di nuovo la fronte, lamentandosi un po’, mentre l’udito ricominciava a funzionare e attorno a lei si faceva silenzio.

Athos, seduto dietro la navicella, si era accucciato per ripararsi. 

Satine capì che ciò che l’aveva ferita e che le aveva strappato i capelli non era stato un colpo di blaster, bensì una scheggia, o comunque un corpo contundente partito da chissà dove e che l’aveva raggiunta, scagliato via dall’esplosione. 

Guardò in basso, verso i suoi piedi, che erano ancora vicino al portello della navetta, e quello che vide lo avrebbe sognato per tutta la vita.

L’uomo chiamato Alec, quello a cui aveva promesso i giocattoli per il figlio nato il giorno precedente, giaceva immobile sopra di lei. Satine notò con orrore gli occhi aperti e il viso sporco di sangue, e comprese immediatamente che era morto.

Le ci volle qualche secondo di più per realizzare che chiunque avesse sparato lo aveva colpito in pieno viso, facendo saltare via la mandibola. La parte inferiore della sua faccia non esisteva più, scagliata lontano dalla violenza del colpo e rimbalzata sulla sua fronte contusa, riducendo la bocca del poveruomo ad un ammasso di muscoli e sangue, e nient’altro.

Lo stesso sangue caldo che lei aveva scambiato per sudore.

Aveva voglia di urlare e di vomitare. Era rinchiusa dentro la navicella senza potersi muovere, sommersa da un mucchio di cadaveri, mentre qualcuno la stava tenendo sotto tiro.

Pregò che se ne andassero, ma a giudicare dall’attenzione di Athos, chi aveva sparato non aveva intenzione di abbandonarli al loro destino.

Cercando di controllarsi, alzò la testa per guardare fuori dalla navicella.

Un gruppo di persone, almeno tre, armati fino ai denti, erano spuntati da dietro il portico del magazzino. Erano coperti di beskar dalla testa ai piedi e Satine scorse immediatamente stampato in bianco sul petto il simbolo della Ronda della Morte. 

Si stavano avvicinando a passo sostenuto.

Nessuno che sparava dal perimetro.

Satine guardò con orrore uno di loro - le sembrava una donna - avvicinarsi ad un corpo a terra e colpirlo con un calcio. Quello si lamentò e lei, freddamente, sparò un colpo micidiale alla nuca della guardia, uccidendola sul colpo.

Stavano finendo il lavoro.

Satine comprese di non avere più tempo, ma non sarebbe morta senza combattere.

Lottando contro il peso dei cadaveri che le schiacciavano le gambe, riuscì a sgusciare da sotto l’ammasso dei corpi e a gettarsi giù dalla portiera aperta sul lato opposto, dove Athos si era acquattato, pronto a sparare. 

Si guardò, toccò la camicia e i vestiti intrisi di sangue e cominciò a respirare affannosamente.

Prima che potesse pensare alcunché, Athos la prese per le spalle e la scosse.

- Non devono prenderti, hai capito? Non devono prenderti!-

- Ma tu…-

- Io so sparare e ho chiamato i rinforzi. Sta arrivando Inga Bauer con le Abiik’ade. Corri dentro, devi salvarti!-

Ma Satine, per quanto provata e terribilmente spaventata, era ancora in filo col cervello.

Aveva ragione di credere che i cecchini non ci fossero o fossero passati al nemico. Se così fosse stato, stavano solo aspettando di vederla sgattaiolare fuori per spararle. 

Ogni dubbio fu fugato all’istante, quando uno dei suddetti cecchini - senza un braccio - cercò di mirare con il fucile ai terroristi della Ronda, venendo raggiunto immediatamente da un colpo di blaster che il più grosso di tutti aveva indirizzato contro di lui.

Quindi i cecchini c’erano, ma erano morti tutti.

Questo le avrebbe dato modo di scappare, ma se si fosse rinchiusa nella Fortezza non avrebbe avuto via d’uscita. 

Innanzitutto, avrebbe condannato le persone chiuse là dentro a morire in un modo terribile e poi, anche qualora le Abiik’ade fossero riuscite nell’intento di proteggerla, si sarebbe trovata in un dedalo di gallerie scavate sottoterra che non conosceva e che, con molta probabilità, non avevano uscita alcuna.

L’occhio le cadde sul canale di scolo.

Era una scanalatura nel terreno, non molto ampia e piuttosto profonda, dove l’acqua, prendendo velocità per l’inclinazione, si gettava a picco nel mare dopo aver attraversato per un tratto le mura. 

Di solito quell’accesso era chiuso, ma Satine aveva notato una grata abbandonata ed ancora fumante, segno che qualcuno - probabilmente i terroristi - erano entrati proprio dai canali di scolo, segando via le grate che ne occludevano l’accesso.

Questo, per lei, era un bene.

Il problema era riuscire ad arrivare fino a là. 

Athos aveva parcheggiato la navicella quanto più vicino possibile al portone d’ingresso della Fortezza, attraversando il quale Satine avrebbe dovuto scendere sempre più in basso, nelle aule della diplomazia.

Se si fosse nascosta sotto il portico e fosse scivolata tra le colonne, forse sarebbe riuscita a gettarsi nel canale di scolo e a tuffarsi giù dalla Fortezza.

Certo, era pur sempre un volo di dieci metri, e l’acqua da quell’altezza è un vero e proprio muro di cemento. 

- L’hai trovata?- udì la voce di un uomo farsi sempre più vicina alla navetta di Athos.

- No.-

- Gli ordini li conoscete.-

- Sparare a vista, lo sappiamo.-

- Non alla testa!- sbraitò il primo.- Quella devo portarla a chi sapete.-

Si sarebbe tuffata, poco ma sicuro. Almeno, non avrebbe permesso loro di riscuotere quella che, evidentemente, era una taglia e di non poco conto.

Satine tirò la manica di Athos e ammiccò in direzione del canale di scolo.

- Mi serve copertura. Pensi di farcela?-

L’uomo annuì, ma il panico gli aveva attraversato gli occhi.

Anche lui sapeva che era un piano rischioso e che Satine poteva farsi molto male, ma sapeva anche che mettersi a discutere con lei in quel momento non sarebbe servito a niente.

La ragazza non avrebbe mai permesso che altre persone perdessero la vita, e questo il maggiordomo lo sapeva.

Così Satine sgattaiolò via.

Quatta quatta, con la testa dolorante che pulsava, scivolò dietro la navetta di Athos e si nascose dietro la prima colonna del portico che trovò. Carponi per terra, poi, scivolò lentamente sotto il piccolo muro, provando a non farsi né sentire, né vedere.

Il pavimento era molto pulito e ben curato, per cui le sue ginocchia mosse cautamente non fecero troppo rumore. Quando giunse presso un’altra colonna, Satine azzardò un’occhiata oltre quella piccola recinzione, per controllare la situazione.

I tre terroristi stavano ancora facendo il giro dei cadaveri, ed erano pronti ad avvicinarsi alla navetta per scavare sotto i corpi. Athos stava cautamente facendo il giro, ed ogni tanto azzardava un’occhiata in alto per tenere sotto controllo l’arrivo delle Abiik’ade.

Quello era il momento buono per fuggire.

La prima cascata distava pochi metri da lei. Bastava che prendesse la rincorsa e si gettasse dentro il canale di scolo, per poi lasciarsi portare via dall’acqua e spuntare dalla parte opposta.

Lanciarsi nel vuoto.

Satine pensò che aveva sempre voluto volare via, ma non esattamente a quel modo.

Si alzò sulle gambe, sempre acquattata dietro il muretto, e provò a raggiungere senza fare rumore il fondo del porticato. 

Si guardò in giro e prese a correre.

Quando Athos sentì il suono dei suoi primi passi, si voltò a guardarla e poi, come se avesse ricevuto un ordine ben preciso, si alzò e sparò. 

I terroristi furono presi alla sprovvista, e il maggiordomo riuscì ad azzoppare la donna colpendola al ginocchio. Nascosto dietro la navicella aveva un’ottima visuale sul gruppo, che invece non riusciva a vederlo bene. Athos era furbo e forte, un uomo a cui di solito non si dà molto credito, ma che può salvare molte vite quando ci si mette d’impegno.

E quel giorno, il povero Athos fece un mezzo miracolo.

Solo con un blaster in mano, riuscì a tenere occupati i tre terroristi armati fino ai denti mentre cercavano di centrare Satine. La ragazza correva a perdifiato, sotto il fuoco nemico che si schiantava sulle mura della Fortezza, proprio sopra la sua testa china, e poi con un balzo fu nel canale di scolo, portata via dai residui fognari depurati.

L’acqua era molta e procedeva ad una velocità sostenuta dovuta all’inclinazione del terreno. Satine, gambe e braccia raccolti per non sbattere, cercava di controllare la discesa, ma nel buio più totale non vedeva niente e non riusciva a sentire altro se non il furioso sciabordare dell’acqua  e l’odore nauseante del cloro.

Poi, scorse una luce in fondo al tunnel, che le fu addosso prima che potesse rendersene conto.

Sentì un forte risucchio allo stomaco quando cominciò a precipitare nel vuoto. La forza dell’acqua l’aveva portata lontano dalla scogliera e Satine si trovò a volteggiare nell’aria poco lontano dagli spruzzi vaporosi della cascata.

Elaborò il tutto un secondo prima di sentire il rumore sordo del corno delle Abiik’ade.

Poi, nuvole bianche cominciarono ad avvolgerla.

Non vedendo niente, Satine non aveva modo di capire esattamente dove e in che modo sarebbe caduta. L’unica cosa che sapeva era che doveva restare quanto più perpendicolare possibile al livello del mare, o avrebbe rischiato di farsi seriamente male. 

Approfittò dell’ultimo squarcio di blu e con un colpo di reni fece una capriola in aria e si piazzò in quella che credeva fosse la posizione più verticale possibile rispetto al pelo dell’acqua. 

Poi chiuse gli occhi, sperando di non morire.

L’impatto con l’acqua fu meno doloroso del previsto. Le punte dei piedi ne avevano risentito, ma Satine fu contenta di scoprire di riuscire a muovere ancora le gambe e le braccia, e soprattutto di non essere caduta sulle rocce immediatamente sotto la scogliera. 

Il freddo, però, le tolse il fiato dalla gola. 

Istintivamente, aprì la bocca per respirare, ma si trattenne in tempo. La corrente della cascata aveva scavato sotto di lei un ampio fondo nero che a prima vista la terrorizzò.

La corrente, poi, continuava a trascinarla verso il basso.

Nuotò e nuotò, ma non riuscì a vincere quella forza irresistibile che la portava sempre più giù.

Alla fine, presa dalla disperazione, cominciò a nuotare in orizzontale invece che verso l’alto.

Quel cambiamento produsse effetti positivi. Invece che provare a vincere la forza in cui si trovava immersa, Satine aveva deciso di assecondarla e di sfuggirle in un altro modo. Certo, continuava a scendere verso il basso, ma almeno la forza dell’acqua cominciava a diminuire e lentamente Satine riuscì a risalire. Sapeva di non poter accelerare troppo l’emersione o avrebbe rischiato l’embolia, così nuotò piano verso la luce, ma l’aria cominciava a mancarle.

Nuotò più veloce, la luce del sole che filtrava tra le onde sempre più nitida fino a che non sembrò praticamente sopra di lei.

Convinta di essere ormai a pelo dell’acqua, aprì la bocca per respirare.

Satine, però, aveva sbagliato i calcoli e si trovava ancora un metro abbondante sotto la superficie. Sentì l’acqua bruciarle i polmoni e il suo corpo annaspare in cerca d’aria.

Convinta che fosse finita, si lasciò andare, mentre la pressione dell’acqua portava il suo corpo in superficie.

Quando però la luce del sole e l’aria fresca le accarezzarono il volto, l’istinto di respirare fortunatamente ebbe la meglio, e Satine cominciò a sputare acqua e a tossire violentemente, mulinando le braccia per restare a galla e buttando giù un altro po’ di acqua salata nel tentativo di non affogare, scossa dai conati e dalla forza della tosse.

Non appena si fu ripresa, si guardò intorno, spaesata. La Fortezza si elevava sopra di lei e Satine potè udire distintamente il suono di numerosi spari e le grida del combattimento provenire dalla cima della scogliera.

Pregò che Athos fosse vivo e che stesse bene.

Con suo grande dispiacere, però, non poteva restare nei pressi della scogliera. Se i terroristi avessero avuto la meglio l’avrebbero vista e sarebbero venuti a prenderla.

Se fosse rimasta in mare aperto, invece, e i terroristi avessero usato un jet pack per volare via, Satine sarebbe stata un bersaglio mobile, quasi come giocare al tiro a segno.

Doveva nuotare ed anche velocemente.

Indebolita per la lotta contro la corrente, Satine fece del suo meglio, ma fu costretta a prendersela più comoda del previsto. Eventualmente, dopo un certo numero di faticose bracciate, raggiunse il fondale e piantò i piedi per terra per respirare. 

Non aveva mai apprezzato tanto la spiaggia in vita sua.

Si gettò nella sabbia a prendere aria, anche se sapeva di avere poco tempo. Sopra la scogliera, distinse chiaramente la figura di un viinir che volava in cerchio sopra la Fortezza, probabilmente di vedetta. 

Chiamare le Abiik’ade sarebbe stato fuori questione o avrebbe attirato su di sé anche tutti gli altri terroristi nelle vicinanze.

Non poteva essere certa che fossero venuti solo in tre.

Si tastò la fronte dolorante e scoprì che sanguinava ancora là dove la mandibola del povero Alec l’aveva scalfita. 

Represse l’istinto di vomitare e si rialzò.

Dietro di lei si estendeva il bosco di conifere marittime tipico della macchia del Mare Udesla. Quello era il rifugio di molti animali. Uccelli acquatici di vario genere, ma anche quadrupedi amanti dell’acqua di mare e della sabbia, nonché una buona dose di serpenti e bisce - ma soprattutto ragni - che Satine tollerava molto poco. 

Quello, però, era anche il luogo dove di solito uno poteva trovare i munit susulurse di suo zio Korkie liberamente al pascolo. 

Se ne avesse trovato uno e lo avesse seguito, probabilmente l’avrebbe portata alla stalla e di conseguenza alla tenuta al mare di suo zio.

Certo, era ingenuo da parte sua credere che nessuno, proprio nessuno, fosse lì ad aspettarla. Se lei fosse stata una terrorista ed avesse pianificato un attacco ad un luogo così protetto e sicuro come la Fortezza delle Cascate, probabilmente avrebbe controllato anche i luoghi nei dintorni che avrebbero potuto fungere da roccaforte del nemico. 

Tipo la casa di suo zio Korkie.

Tuttavia, il basso profilo che aveva sempre tenuto aveva contribuito a renderlo uno dei membri più dimenticati del clan Kryze, e lo stesso poteva dirsi dalla parte dei Bauer. Per quanto tutti lo tenessero in considerazione, non aveva mai gradito le luci della ribalta tranne quando aveva giocato a scacchi. 

Alle lunghe, si era stancato anche di quelli ed aveva preferito allevare susulurse.

Satine si lanciò nel folto della foresta, provando a raggiungere il sentiero che portava alla villa e dove sperava di trovare uno di quegli animali.

Erano quadrupedi decisamente curiosi, dai quali Satine era sempre stata affascinata. Le suscitavano simpatia. Di dimensioni medie, avevano le orecchie grandi che favorivano il loro udito sopraffino, ed il pelo ispido. Erano più cocciuti di Bo Katan, ma in generale erano animali tranquilli e pacifici che passavano la giornata a brucare menta e fornivano un latte molto buono e sostanzioso da cui lo zio Korkie era solito ricavare un eccellente formaggio alle erbe. 

In generale, erano animali caserecci ed amavano tornare a dormire sempre nel solito luogo che chiamavano casa. Per questo contava che, prima di sera, qualche susulur avrebbe preso la via del ritorno. 

Sapeva che suo zio li pasceva bene.

Il sottobosco le stracciò i pantaloni, ma Satine era talmente stanca che se ne curò poco. In fondo, non poteva davvero sperare di non lasciare tracce in quella boscaglia. Era più attenta a non calpestare serpenti o altri animali che potevano non prenderla molto in simpatia.

In lontananza, un leggero grugnito la mise in allarme.

Lì per lì, pensò ad uno spettro.

Ci manca solo questa. 

Poi, invece, il grugnito si ripetè e Satine riconobbe immediatamente - mentre ringraziava Hod Ha’ran per la sua incredibile fortuna - il barrito di un susulur.

Corse in quella direzione e li trovò, tutti acquattati nell’erba, a brucare come se non ci fosse un domani il trifoglio e la mentuccia di cui andavano matti. 

Uno di loro la vide e si avvicinò per annusarla.

Satine sapeva che, lasciandoli liberi in quel modo, era più che probabile che qualcuno passando dalla spiaggia allungasse loro qualche dolcetto ogni tanto, e ne ebbe la conferma quando la bestiola sfoderò i denti e cominciò a frugarle la mano con le grosse labbra pelose.

- Non ho niente per te.- gli disse, accarezzandolo e passandogli un po’ di mentuccia che aveva strappato da terra.

Quello la mangiò e decise che Satine sarebbe stata sua amica.

La ragazza rimase nel folto del bosco per un bel po’ di tempo, anche se non avrebbe saputo calcolare per quanto. Il trauma di quanto era appena successo cominciava a sedimentarsi nella sua mente, a mettere radici, e solo dopo diverse ore passate a fissare il vuoto Satine si rese conto che il sole stava ormai calando e che lei aveva un freddo becco.

Gli animali, quasi come se avessero un orologio impostato sull’orario di ritorno, si stavano già alzando in piedi ed uno, a suon di hiiiii-huuuuuoooo, stava già risalendo lentamente la china alla testa della mandria.

Satine alzò gli occhi al cielo e non vide nessuno.

Forse l’aveva scampata bella.

Seguendo le bestie in campo aperto, pregò che, se qualcuno fosse stato nei paraggi, la scambiasse per un pastore. Per cui, si tolse la giacca damascata e la ribaltò, esponendo la fodera verso l’esterno per nascondere il ricamo costoso. 

Camminò e camminò, e si disse che solo animali pigri e nullafacenti come i susulurse potevano imbarcarsi ogni giorno nella stessa lunga ed identica scarpinata per andare a mangiare menta, unica occupazione della loro vita.

Lei, invece, non vedeva l’ora di vedere un viso amico e di avere notizie di casa.

Il primo pensiero andò ad Athos, al suo zio adottivo, che le era stato padre e madre quando i suoi genitori non c’erano. Poi andò a Bo Katan e allo strazio che doveva aver provato alla notizia dell’attentato, alla sua rabbia, ed ebbe paura che potesse fare una delle sue solite scemenze.

Poi pensò a suo padre, così malato e così in pericolo, e pregò che Maryam, santa donna accorta il cui cuore in quel momento era in pena sia per lei che per l’uomo che amava, gli avesse tenuto nascosta la notizia, anche se ne dubitava.

Non si accorse nemmeno di stare piangendo.

Quando anche l’ultimo susulur ebbe svoltato, Satine si rese conto di essere nel retro della villa di suo zio. 

Il cuore le fece un balzo di gioia nel petto, ma allo stesso tempo il cervello si mise in ascolto.

Aveva sentito delle voci provenire dal portico dove lo zio metteva a dormire i suoi pochi viinire.

In quel momento, il posto sembrava così affollato di animali da non sapere dove metterli.

- Notizie di lei?-

- No. Inga sta sorvolando la zona, ma non ha più molte speranze. Ha fatto un volo di dieci metri, Vanya. Potremmo anche non trovarla mai.-

Inga. Troppi viinire. Stanno sorvolando la zona.

Satine non aveva bisogno di sentire altro.

Ciabattò sfinita verso le due donne, sulla cui testa, nella penombra, rilucevano un paio di ali bronzee.

- Abiik’ade.- riuscì a dire, mentre sentiva le forze abbandonarla.

Le due donne - una le pareva che si chiamasse Vanya - si voltarono a guardarla, quasi sconvolte, come se avessero visto un fantasma.

Satine sentì la sua voce tremare e un singhiozzo uscirle dalla gola, incontrollato.

- Sono morti tutti.- borbottò, mentre continuava ad avvicinarsi a loro.

- Athos…-

- Athos è vivo, Reggente. Inga lo ha portato via.-

Prima di svenire tra le braccia della Abiik’ad, l’ultima cosa che Satine ricordò fu di avere pianto di gioia.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Munit susulur: lett. lungo udito, un animale da pascolo che fa un ottimo formaggio cremoso. Goloso di mentuccia e liberamente ispirato all’asino. 

Udesla: agg. lett. calmo, specifico per il mare. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Questo è tanta roba, lo capisco. Sono quasi stata tentata di cambiare il rating. Poi ho acceso la televisione e c’ho ripensato. Sono stata pessima, ma forse non così tanto.

Non finirò mai di ripeterlo: la violenza fa schifo, anche se ne siamo circondati. Quello che i protagonisti fanno e dicono in questa storia non è un gioco, non è “figo” e non deve essere MAI replicato. 

Ogni dettaglio, anche il più macabro, è funzionale a dimostrare come mai Satine Kryze odi la violenza nel profondo e la combatta con tutte le sue forze, senza ricorrere agli stessi strumenti. 

Anzi, la dicotomia tra ciò che è giusto e ciò che non lo è continuerà per tutta la storia.

Lo zio Korkie è un personaggio altrettanto fittizio, tuttavia il suo nome ha un significato per tutti coloro che hanno visto The Clone Wars. 

*Rullo di tamburi*… eccoli! Finalmente arrivano i nostri! Il prossimo capitolo inizierà un nuovo arco narrativo, incentrato sulla comparsa di due figure tanto attese. 

Alla prossima,

 

Molly.

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Capitolo 20
*** 19- La chiamata ***


CAPITOLO 19 

La chiamata

 

Quando riprese conoscenza, la prima cosa che vide fu il soffitto della camera di suo zio.

Satine scattò seduta, l’istinto di scappare ancora dentro di lei, ma una mano ferma la rimise a letto.

- Udesi, ad’ika.- le disse una donna, la mano sulla spalla che la spingeva di nuovo verso il materasso. 

Cominciò a realizzare di essere al sicuro. La donna di fronte a lei era una Abiik’ad, in armatura completa e corredata di una caterva di armi, molte delle quali - Satine era certa - erano nascoste così bene da renderle invisibili all’occhio. 

- Vanya?- borbottò, lanciandole un’occhiata di traverso. 

Al buio non aveva avuto modo di vederla bene.

- Sì.- le rispose, annuendo leggermente con il capo. 

Era bella - come tutte le Abiik’ade, del resto - ed era bionda, di un biondo abbagliante, quasi più chiaro del suo, ma gli occhi erano verdi come il muschio. 

- La mia famiglia… Avete avvisato la mia famiglia?-

- Sì. Inga Bauer sta venendo qua.-

Satine si accasciò di nuovo sul cuscino, la testa che pulsava dolorosamente. Si tastò la fronte e scoprì che qualcuno l’aveva fasciata e medicata a regola d’arte. 

Il ricordo della mandibola dell’agente che schizzava via e la colpiva alla fronte le fece stringere forte lo stomaco.

- Lo zio Korkie?-

- E’ di sotto. Sta organizzando il piano di fuga con il resto della squadra.-

- Quale fuga?-

- La vostra. E’ certo che i terroristi torneranno a cercarvi. Dovete andarvene presto da qui, ed in un posto sicuro.-

- No.- disse Satine, gli occhi fermi su Vanya. - Chiamate lo zio Korkie. Io non posso tornare a Kryze Manor.-

- Quello è il luogo più sicuro per voi, Duchessa.-

- Non sono duchessa, sono Reggente.-

La donna la guardò, gli occhi severi, ma il cipiglio di chi dentro di sé era profondamente dispiaciuto.

- Che cosa c’è?- sbottò Satine, un brutto sapore di sconfitta che le pervadeva la bocca.- Chiamate mio zio e il generale Grenade e dite loro che…-

- Duchessa.- ripetè ferma la Abiik’ad, sedendosi sul letto accanto a lei.- Il generale Grenade è morto.-

Fu come se avessero infilato la testa di Satine dentro una campana e poi avessero lasciato andare il batacchio. 

- Scusate, come?-

La Abiik’ad sospirò, ma fu Korkie Bauer a sollevarla dalla scomoda posizione di doverle spiegare tutto. 

Quando vide suo zio, Satine scattò a sedere e lanciò le braccia verso di lui. L’uomo ricambiò l’abbraccio con affetto e si passò una mano nei capelli rossi ed insipidi, sparati dovunque come se avesse preso la corrente.

- Hai dato tu tutta quella menta ai miei susulurse? Puzzavano di mentolo come se si fossero appena lavati i denti.-

Satine sorrise, colpevole di averne passata un po’ ad uno di loro, ma scosse il capo.

- Solo una manciata per farmeli amici.-

- Sei stata incredibilmente fortunata, lo siete stati tutti.- disse Korkie, accarezzandole i capelli.- O dannatamente bravi, questo non lo so. Certo che ci vuole del fegato per lanciarsi da dieci metri di altezza ed uscirne vivi. Per fortuna ti sei tuffata nel modo corretto.-

Satine però sapeva che lo zio stava solo cercando un modo per rimandare l’inevitabile, e la ragazza aveva una sfilza di domande che ancora cercavano risposta.

- Che cosa è successo, zio? E’ vero che Grenade è morto?-

- Purtroppo sì, cara.-

Era accaduto esattamente quello che Satine aveva cercato di evitare in tutti i modi, ma come le aveva detto il buon generale, il suo avversario aveva una mente piuttosto brillante e poteva tenerle testa. 

Certo, a modo suo; la violenza, purtroppo, avrebbe avuto sempre la meglio su metodi pacifici.

Chi urla più forte di solito vince, e chi è violento fa sempre più clamore - ed impressione - di chi muove proposte ragionevoli.

Politicamente Satine non aveva sbagliato nulla. Aveva fatto tutto quanto era stato in suo potere per garantire una transizione democratica. Anticipare le prove per il trono era stato logico, ma allo stesso tempo aveva messo i bastoni tra le ruote a chi, il potere, lo voleva soltanto per sé. Larse Vizla non aveva la benché minima intenzione di cedere il trono democraticamente. Aveva lavorato per anni per ottenere quella poltrona, per poi vedersela soffiare - almeno nel suo modo di vedere le cose - da Adonai Kryze.

Non avrebbe mai permesso ad una ragazzina di fare altrettanto.

Quando lei lo aveva messo con le spalle al muro, Larse Vizla aveva semplicemente anticipato ciò che da tempo aveva programmato.

Non gli interessava prendere il potere con mezzi leciti, gli bastava averlo, e negli anni aveva costruito un arsenale ed un gruppo terroristico abbastanza solido da poterlo fare, reprimendo nel sangue ogni ulteriore protesta.

La mattanza della Fortezza delle Cascate era servita proprio a questo: consolidare il regime e dissuadere chiunque dall’intraprendere azioni violente contro di loro.

La squadriglia aveva raggiunto nottetempo la casa del generale Grenade ed aveva fatto strage di ogni essere vivente che respirasse, gatto incluso. Poi, avevano frugato tra le sue cose, impadronendosi del piano antiterrorismo che aveva messo in piedi per proteggerla da possibili attacchi durante l’incontro diplomatico. Avevano preso anche le mappe della Fortezza, per cercarla se si fosse rifugiata dentro la struttura.

Quando Satine comprese che cosa era successo, si disse che aveva fatto bene a buttarsi giù.

- Avrebbero ucciso tutti i diplomatici della Repubblica se fossi entrata lì dentro.-

- Athos li avrebbe accoppati tutti prima. Quell’uomo è sempre una sorpresa.- borbottò sorridendo Korkie, appollaiandosi meglio sul materasso.

- I Senatori hanno già lasciato Mandalore?-

- Questa è la parte strana della storia.- proruppe Inga Bauer, entrando nella stanza ed occupando tutta la porta con la sua figura austera.

- La delegazione non è mai arrivata.-

Satine alzò un sopracciglio, pensierosa.

- Come sarebbe a dire? Il generale Grenade…-

- Il generale aveva ricevuto l’avviso che un gruppo di Senatori della Repubblica sarebbero giunti su Mandalore e così è stato, soltanto che invece di farli atterrare sono stati avvisati di tornare indietro. Qualcuno li ha chiamati ed hanno ricevuto un segnale di pericolo.-

Il che aveva senso. In fondo, se lei era la vittima designata dell’attentato e i terroristi erano andati a casa del generale nottetempo, potevano anche aver inviato un segnale ai Senatori per annullare l’incontro.

- Non capisco, però.- disse Satine, accarezzandosi la testa contusa. - Perché i Senatori non hanno chiesto soccorso, o hanno portato il racconto dell’attacco in Senato?-

Inga Bauer le lanciò un’occhiata penetrante.

- Duchessa.- le disse, la voce quasi carezzevole, come se le dispiacesse dirle quello che stava per dirle. - Il segnale di rientro non è partito da Mandalore, ma da Coruscant.-

Per Satine fu il secondo forte rintocco di campana, mentre la consapevolezza le trascinava il cuore in gola.

- Larse Vizla ha preso il potere, vero?-

- Di fatto, lo ha fatto la notte scorsa uccidendo Grenade.- le disse la Abiik’ad, il volto di solito fiero improvvisamente contrito. - Formalmente, ha appena rilasciato una dichiarazione a reti unificate in cui si dichiara Mand’alor.-

Satine sentì ribollire il sangue nelle vene.

- Quel #@//!* non è altro che un dar’manda, ed avevano pure il coraggio di definire mio padre in quel modo, lui e il suo lurido e grasso amico!- 

C’era però, come al solito, qualcosa che stonava. Finalmente era chiaro che i Vizla avevano un contatto su Coruscant che stava facendo il loro gioco e la Forza sola sapeva che cosa quel contatto avesse in mente e quali armi avesse comprato.

Satine cominciava a capire che, purtroppo, lei e suo padre avevano scoperto la trama troppo tardi, e che le misure che avevano preso avevano dato fastidio ai congiurati al punto tale da spingerli - chiunque essi fossero - ad anticipare il colpo di Stato. 

Satine aveva la certezza che, forse, anche i Vizla fossero manovrati da qualche straniero, e il fatto che qualcuno potesse impossessarsi di Mandalore a proprio vantaggio le faceva rivoltare lo stomaco.

Il tutto senza apparentemente infrangere il trattato con Mandalore.

Per Kad Harangir, quanto lo detesto!

- Mio padre sta guardando il notiziario?-

- E’ al corrente di tutto, sì.-

- Sa che sono viva?-

- Sì.-

- Non posso tornare a Kryze Manor, generale Bauer.- le disse, guardandola implorante.- Sarà il primo posto in cui verranno a cercarmi. Massacreranno tutti, e io non voglio che altri muoiano per me.-

- Vi capisco, Duchessa - fece la donna, avvicinandosi ai piedi del letto.- ma non posso, purtroppo, ottemperare alla vostra richiesta. Lo scopo dei Vizla e dei Saxon è cancellare i Kryze dalla faccia del pianeta. Che siate insieme o separati, per loro non fa differenza. Hanno armi a sufficienza per uccidervi dovunque vi troviate, a differenza delle nostre risorse, che sono scarse. Avervi tutti riuniti nello stesso posto ci dà maggiori chance di sopravvivenza. Sparpagliati potremmo guadagnare qualche giorno, ma moriremmo tutti, nessuno escluso.-

Lo zio Korkie l’aveva guardata con una strana lucina negli occhi, come se la sapesse ben più lunga di tutti loro in quella stanza.

- Hai un piano, vero, zio?-

- Certo che ce l’ho, o non mi chiamo più Korkie Bauer.- fece, scompigliandole i capelli biondi. - E parte di questo piano prevede che tu torni a Kryze Manor. Da lì, poi, chiederemo aiuto.-

- E a chi? La Repubblica parteggia per i sovversivi e qualunque mossa facciamo adesso ci condurrà alla guerra civile.-

- Temo, sotto questo profilo, che siamo già in guerra, Duchessa.-

- Volete smetterla di chiamarmi così?- sbottò Satine, perdendo la pazienza.- Non sono duchessa, sono Reggente, ed evidentemente non sono più nemmeno quello!-

- Per noi, la legittima duchessa siete voi.-

Satine abbassò gli occhi sulla coperta, le mani nascoste tra le pieghe per non far vedere che tremavano.

- Io vi ringrazio, signora Bauer, ma io non ho nemmeno superato tutte le prove per diventare Mand’alor, come potrei…-

- Il vostro attaccamento alle tradizioni è ammirevole, Duchessa.- le disse, posandole una mano su una spalla.- Ma per tempi eccezionali sono necessarie misure eccezionali. Il clan Bauer e le Abiik’ade sono con voi.-

 

Satine fu nascosta dentro un grosso mantello grigio. Si mimetizzava bene con il resto delle Abiik’ade. Le fu dato un viinir su cui volare ed il gruppo si strinse in formazione.

Quando si levarono in volo, Satine e suo zio Korkie si trovarono stretti tra Inga Bauer e la sua falange di Abiik’ade mentre procedevano con una formazione romboidale in direzione di Kryze Manor. Era buio pesto e faceva particolarmente freddo quella notte. Satine si strinse furiosamente nel mantello, cercando di frenare gli spifferi d’aria, mentre la testa pulsava a contatto con il vento freddo della notte. 

Kryze Manor da lontano sembrava un campo di battaglia. C’erano Abiik’ade da tutte le parti, armate fino ai denti, e il giardino, il suo bel giardino, era illuminato a giorno da tutte le parti da torce, lampade e fari. 

Quando Satine scorse le luci accese ai piani alti, si sentì finalmente a casa.

Sulla soglia della sua antica magione, Maryam le corse incontro, abbracciandola così forte come se volesse assorbirla dentro le sue curve rotonde. Aveva il viso gonfio e l’aria di chi aveva pianto tanto, e i capelli crespi e neri scompigliati sulla testa. 

Satine la riempì di baci come se non l’avesse vista per un mese.

Poi fu il turno di Athos, che subì un assalto al collo in piena regola. La ragazza si sentiva in colpa per averlo lasciato solo e si sentì ancora più a disagio quando notò la fasciatura ingombrante che portava sul braccio.

- Se tu sapessi come ho fatto!- le aveva detto, mettendosi a ridere. - Sono scivolato sulla ghiaia del cortile. Ti rendi conto? Non sono riusciti a spararmi in tre, ed io mi sono sfracellato da solo sulla ghiaia. Inga mi ha guardato come se fossi un povero imbecille!-

Satine si lasciò sfuggire un sorriso bagnato di lacrime, ma non era stupida, e notò lo sguardo che lui e Maryam si erano scambiati, rapidi e con il favore della penombra. 

- Io mi domando, che aspettate a sposarvi?- gli bisbigliò all’orecchio, dandogli un leggero pugno tra le costole.

- Anche se fosse, adesso non è un grande momento. E poi, se un giorno dovesse capitare, vogliamo che lo faccia la Duchessa.- e le strizzò l’occhio, complice. 

- Mi potete fare un favore?- fece la voce possente di una Abiik’ad dai capelli corti sulla soglia del salotto.- Potete darmi il cambio? Questa non è una bambina, è un meshurok!-

- TILLI!-

Ed in un secondo Satine prese in braccio la piccola Bo, improvvisamente trasformatasi in un meshurok piagnucolante al collo di sua sorella.

- Io giuro che un giorno…-

- Frena, bestiola, non fare promesse che sarà bene tu non mantenga mai!-

Le due si scambiarono un’occhiata complice, ma Bo tuffò di nuovo il naso dentro al collo della sorella, che la sollevò da terra e cominciò a salire le scale tenendola in braccio diretta verso la stanza del padre.

- E’ sveglio?-

- Sonnecchia. Il medico gli ha dato un tranquillante per evitare che i cicli vitali si alterassero troppo.-

Satine salì al secondo piano, dove le loro camere da letto erano situate, vicino alla torre. Superò le due Abiik’ade di guardia, tenendo la sorellina ancora in braccio, e fece capolino dentro la stanza del padre, che guardava con occhi assenti il buio fuori dalla finestra.

- Buir?- gli disse, sussurrando per non fare troppo rumore.

Kyla spostò immediatamente lo sguardo sulla porta e il suo volto si illuminò. Tese le mani verso di lei, mentre un paio di grosse lacrime gli rigavano il viso.

Satine sapeva che ormai era finita. Tutto ciò per cui avevano lottato era stato spazzato via dal gesto sconsiderato di un pazzo assetato di potere, ma non sapeva come dirlo a suo padre. Le sue condizioni, già gravi di per sé, potevano peggiorare sotto l’onda della depressione che la ragazza non sapeva fermare. 

Tutto ciò che aveva costruito in vent’anni era stato spazzato via in una sola notte.

Non ci fu bisogno di parole. Si guardarono, si compresero e cominciarono a piangere. 

Bo intuì che i due avevano bisogno di spazio e si sfilò dall’abbraccio per rifugiarsi tra le gambe della Abiik’ad dai capelli corti. Satine e Kyla posarono la fronte l’una contro l’altro e rimasero così, a coccolarsi per un po’.

Quando Satine alzò gli occhi stanchi e provati, scorse le Figlie dell’Aria con Inga Bauer sulla porta e suo zio Korkie, le mani dietro la schiena, ad aspettare il permesso di entrare. 

Con sua grande soddisfazione, scorse Maryam ed Athos, in fondo al gruppo, strusciare allegramente insieme i loro nasi.

- Mi dispiace interrompere - proruppe la Bauer, facendo un passo in avanti e posando la mano sulla testa rossa e scarmigliata di Bo Katan. - Ma abbiamo bisogno di un piano, o non reggeremo a lungo.-

 

Nessuno chiuse occhio quella notte, e la riunione andò avanti fin oltre l’alba.

I nodi da sciogliere erano molteplici, e Satine, a quanto pareva, era la chiave di tutto.

Molte Abiik’ade erano ancora ad Eyaytir, ma Inga Bauer ne aveva reclutate in maggioranza per disporle a protezione di Kryze Manor. Kyla non poteva muoversi da lì e così anche tutti gli altri, eccetto lo zio Korkie. 

Innanzitutto, avevano attentamente analizzato il discorso alla nazione di Larse Vizla. 

Faceva accapponare la pelle.

Con il candore di chi era convinto di stare facendo la cosa giusta e di avere tutti i mezzi per farlo, Vizla aveva affermato che, da quel momento in avanti, egli sarebbe stato il nuovo Mand’alor.

Bo Katan lo aveva mandato a quel paese senza troppi mezzi termini.

Da quel momento in poi, si era lanciato in una profonda esegesi della violenza come tradizione dominante su cui il sistema di Mandalore si fondava, e dichiarando dar’manda tutti coloro che intendessero far prevalere credenze ulteriori e non veritiere sulla unica grande verità della forza e dell’affermazione di sé in combattimento.

Stando alle sue dichiarazioni, Satine Kryze era morta fuggendo da uno sparuto gruppo di quelli che lui definiva guerrieri, dimostrando tutta la mollezza di spirito dei Kryze, trasformando lei e il suo clan nella suprema onta delle tradizioni di Mandalore più che nei loro massimi custodi. Aveva messo in discussione la conoscenza di cui questi erano depositari, dichiarando che si erano inventati tutto, o larga parte di ciò che tramandavano.

Secondo lui, Nebrod non esisteva perché non parlava a nessuno da secoli.

Il tuo amico Wren potrebbe dire il contrario, lo sai?

Sempre secondo lui, l’unico vero rito di passaggio era il verd’goten tradizionale, in cui non venivano fornite le armi ai ragazzi e non si poteva andarli a prendere qualora non fossero riusciti a superarlo. Sarebbero stati esiliati o abbandonati a morte certa.

Il figlio del tuo vice sono andati a prenderlo con i cani da slitta!

Larse Vizla ebbe premura di dire che quelle antiche tradizioni sarebbero state restaurate. 

Inoltre, ci tenne a sottolineare che le prove per il trono erano state cancellate e chi avesse voluto diventare Mand’alor avrebbe dovuto dimostrare di saper combattere e vincerlo in battaglia.

- Cioè - sbottò Satine passandosi una mano nei capelli.- Quello vuole restaurare le antiche tradizioni guerresche e farsi chiamare Mand’alor, ma non possiede nemmeno la Darksaber!-

- Sono tradizioni farlocche.- ripetè la voce metallica del monitor di suo padre.- Le adatta come gli pare, pur di avere il potere. Delle tradizioni non gliene può importare di meno.-

- Sono assolutamente d’accordo con te, Kyla. A proposito, dov’è la Darksaber?-

- Dove deve stare.- sbottò di nuovo il monitor, mentre suo padre guardava truce Inga Bauer.- In cantina.-

- E’ quasi certo che proveranno a rubarla, dobbiamo tenere d’occhio il luogo in cui è custodita. Nessuno dovrà avvicinarsi a Kryze Manor e men che meno alle fondamenta dove è stata nascosta la Darksaber.-

Satine pensò che, forse, sarebbe potuta andare a fare un salto di sotto a salutare il Custode, sperando di trovarlo. 

Marmaduke le sarebbe tornato utile. 

Quello che però premeva di più, in quel momento, era sbugiardare Vizla sulla sua morte. Nel tentativo di delegittimarla, loro avrebbero delegittimato lui.

Satine sapeva già che cosa dire e le Abiik’ade erano al lavoro per diffondere il messaggio a reti unificate. Sapevano che Vizla aveva preso possesso di tutte le reti ufficiali, per cui sarebbero dovuti passare da canali alternativi. L’etere, però, era libero, e le reti non ufficiali che trasmettevano - soprattutto dall’estero - erano numerose e ben radicate su tutto il territorio mandaloriano.

Vizla avrebbe impiegato un bel po’ ad imbavagliare la stampa.

C’era poi il bisogno di organizzare i passaggi successivi.

Kryze Manor era ben protetta ed altre Abiik’ade sarebbero arrivate a breve. Suo padre, Athos, Maryam e Bo Katan sarebbero stati al sicuro. 

- La piccola non può partire per il suo anno di addestramento. Troverebbero un modo per ucciderla non appena messo piede nell’accampamento.-

- A lei penseremo noi, Kyla. Diventerà un’ottima Mando e combatterà come Vikandra, poco ma sicuro.-

- Siete sicure di volervi accollare la sua educazione?- disse la voce fredda del monitor, lanciando un’occhiata divertita alla bambina.- E’ più selvatica di sua madre.-

Inga la guardò, complice. 

- Mi piacciono le sfide.-

Bo sembrava contenta, anche se le dispiaceva di non svolgere l’addestramento come tutti gli altri ragazzi. Si sentiva ostracizzata, emarginata, e Satine la capiva.

- Se consideriamo Satine come nostra Duchessa, e credo che siamo tutti d’accordo con ciò - disse Inga, lanciandosi uno sguardo attorno e trovando solo consensi.- credo che dovrebbe scegliere il corpo armato del quale divenire la guida.-

- Le Abiik’ade, fuori di dubbio.- disse Satine, sostenendo lo sguardo della donna.- Ho sempre sognato l’armatura di mia madre.-

- E posso garantire che è in grado di diventarne una.- rispose Kyla, sorridendo sotto i baffi.- Dobbiamo solo ringraziare che ha scelto di essere pacifista.-

Satine abbassò gli occhi, sorridendo, imbarazzata.

- E’ sopravvissuta ad un tuffo di dieci metri, non credo che potremmo chiederle di più.- disse Inga, posandole la mano sulla spalla.

Anche quella faccenda fu presto sistemata. 

Restava solo l’ultima, gravosa, incombenza.

I Nuovi Mandaloriani si erano compattati attorno a Satine e mentre lei giaceva fuori combattimento nel letto di suo zio era avvenuta la più grande spaccatura politica della storia di Mandalore.

I Vecchi Mandaloriani praticamente non esistevano più, almeno non nel modo in cui erano saliti al potere. Anche i Kryze erano stati Vecchi Mandaloriani, contrapposti agli estremisti.

Con il colpo di Stato di Vizla, i Nuovi Mandaloriani avevano incassato il sostegno di quella parte moderata dei Vecchi che non intendeva spartire nulla con gli estremisti. La fazione di Vizla conteneva ben pochi seguaci, come i Saxon e infine i Wren, che, comunque, avevano più che altro un interesse economico e non politico.

Vizla aveva definito se stesso impropriamente un Vecchio Mandaloriano, quando in verità era soltanto un terrorista. Molti Vecchi lo sapevano ed avevano preferito schierarsi con i Nuovi. Forse, definirsi tale era stato anche un modo per attrarre chi si definiva Vecchio per eccellenza e che non era disposto a compiere un passo così grande come unirsi al neonato movimento pacifista. 

Era importante che Satine smascherasse anche questo gioco sporco durante il suo discorso alla nazione. 

Tuttavia, era ormai palese che la guerra civile, un’altra, era imminente. I Nuovi Mandaloriani rifuggivano le armi, ma, come una bambina saggia aveva detto tempo addietro, se avessero messo fiori nei loro cannoni i terroristi ci avrebbero acceso il caminetto. Per cui ben presto, un po’ per difesa, un po’ per imporre la pace come stile di vita duraturo, sarebbero stati costretti paradossalmente ad imbracciare le armi.  

Satine era disgustata da questa circostanza, ma si rendeva conto che non c’erano alternative.

Se avessero lasciato carta bianca ai Vizla in nome della pace, quelli avrebbero portato l’inferno su Mandalore, sterminando le famiglie che ritenevano all’opposizione e trasformando la violenza in un sistema.

Un regime che non avrebbe risparmiato nemmeno i più giovani.

Il punto vero, però, era un altro.

- A parte Satine, non c’è nessun altro che abbia gli attributi necessari per diventare Mand’alor, soprattutto adesso che Ursa Wren è passata dall’altra parte. Se Satine dovesse morire, ogni speranza per Mandalore di risorgere svanirebbe con lei.-

- Ed anche tutte le tradizioni di Mandalore scomparirebbero nell’ombra della violenza.- borbottò il monitor di Kyla, mentre quello stringeva con la mano libera le dita fragili della figlia.

- Tenerla a Kryze Manor è fuori discussione.- disse Korkie, di nuovo nei panni dello stratega.

Satine ebbe modo di guardarlo bene e si rese immediatamente conto del cambiamento nella figura di suo zio. Dal pacifico pastore scarmigliato che viveva a contatto con i suoi susulurse, si era trasformato in una volpe che fiutava la preda, pronta a cacciare. Gli occhi dardeggiavano e poteva quasi sentire gli ingranaggi della sua mente incastrarsi. 

- Satine deve nascondersi fintantoché non risolveremo la situazione.-

- Questo sì che è fuori discussione!- aveva sbottato Satine, alzandosi in piedi. - Non tradirò la fiducia della mia gente lasciandola a massacrarsi tra loro!-

- Combatterai, allora?-

Satine esitò, le immagini dell’attentato e di un terribile giorno di tanti anni prima ancora vivide nella sua mente.

Hanno trovato la testa in riva al lago.

No, non avrebbe avuto il coraggio di farlo.

- Certo che combatterà! Che altro volete che faccia?- disse Bo, mettendosi in mezzo e lanciando uno sguardo alla sorella.

Quello che gli occhi della piccola intercettarono non parve soddisfarla.

- Non hai intenzione di combattere?-

- Bo, io ho visto che cosa la violenza può fare. Ho ucciso un uomo una volta, non lo farò di nuovo.-

- Tu hai fatto cosa?-

- Ha ucciso un cacciatore di taglie aprendo la Luce di Mandalore.- disse la fredda voce del monitor.

La stanza divenne muta.

- Ha aperto la Luce?- disse Inga, gli occhi che brillavano.- E non ci hai detto niente, Kyla?-

- Ho ritenuto più saggio tenerlo nascosto, o la avrebbero uccisa molto tempo fa. Ho detto che è stata una granata.-

- Ma di che parlate? Mia sorella uccidere un cacciatore di taglie? Ma se si è nascosta da Maryam in giardino pur di non ammazzare il coniglio che le aveva detto di cucinare!-

- Bo…-

- Non diciamo fesserie! E comunque, Satine deve restare. Non può andarsene. Dove andrebbe mai?-

- Bo!-

La bambina si voltò a guardarla e rimase ammutolita dallo sguardo grave di sua sorella.

- Non so che cosa sia successo. So che avevano ucciso mamma, e credevo che fosse morta anche Maryam. Ti nascosi, ma il cacciatore ci trovò. So solo di aver urlato. Mi hanno detto che hanno trovato i resti sparsi fino al lago. L’ho disintegrato.-

Bo Katan sgranò gli occhi, sconvolta.

- Hai ucciso per me?-

- Non so che cosa ho fatto, Bo. Non so che cosa sia successo. Avevo paura ed ho urlato. Quello che ho scatenato io non lo so, e temo di non avere nessun controllo su di esso. Se dovessi aprire la Luce di nuovo, potrei compiere un massacro. E non ho intenzione di farlo.-

Una grossa lacrima scivolò via dagli occhi gonfi e stanchi di Satine, mentre la stanza restava in silenzio.

- Capisco di non poter restare. In più, attirerei il fuoco su questo posto, e io non posso, capite? Vi condannerei a morte tutti. Non posso.-

- Non pensare a noi.- disse Athos, facendosi avanti pur senza mollare la mano della governante.- Siamo addestrati a cavarcela.-

- Con il tempo diventerà troppo anche per voi e non voglio che nessun altro muoia per me.-

Satine aveva cominciato a pensare che sua sorella Bo sarebbe potuta essere una brava leader, se solo si fosse impegnata un po’ per imparare. Lei avrebbe potuto consegnarsi e la falange dei Nuovi Mandaloriani si sarebbe compattata attorno alla piccola in segreto, per poi farla sbocciare al momento giusto.

Stava per proporre quel piano, ma lo zio Korkie ne aveva un altro già pronto.

- Satine dovrà allontanarsi di sicuro. Non ci sono alternative. Bo Katan è troppo piccola per prendere il potere, e se si trovasse a sfidare Vizla, la farebbe a pezzi. Non possiamo pretendere che una ragazzina, per quanto brava sia, si scontri con un uomo fatto, a meno che non vogliamo aspettare qualche anno, con tutte le vite umane che quell’attesa costerà.-

Satine comprendeva l’idea dello zio. Se volevano finire il conflitto presto, avevano bisogno di qualcuno che fosse immediatamente pronto a prendere il comando e Bo non sarebbe mai stata preparata a governare in tempo.

Le accarezzò la testa, con compassione.

- Nemmeno io voglio lasciarti, Bo. Non voglio lasciare nessuno di voi. E’ solo un breve periodo di tempo. Saremo insieme presto.- le disse, asciugandole gli occhioni tigrati e stringendola in un abbraccio strettissimo. 

- Avrà bisogno anche di protettori. E’ matematico che Vizla manderà qualcuno a cercarla. Dovrà sapere come difendersi.- continuò lo zio.

- Pochi, ma buoni. Non potrà andare in giro con uno stuolo di persone, o darà nell’occhio. Un paio, forse, dovrebbero bastare per poterla proteggere.- obiettò Inga, seria.

- Due o tre persone contro un manipolo di cacciatori di taglie!- brontolò Maryam, le braccia stavolta conserte contro il seno prosperoso.- Nemmeno i Jedi ci riuscirebbero!-

Gli occhi dello zio Korkie si fecero volpini.

- E’ proprio qui che sta il bello, Maryam. I Jedi.-

Silenzio.

- Zio, temo di aver capito male. Tu vuoi chiamare i Jedi?-

L’uomo fece spallucce.

- Chi mai se lo aspetterebbe? Cercheranno delle Abiik’ade quando invece sarai nascosta da forse un paio di uomini. Proveranno a spararti, e quelli li scacceranno con qualche trucchetto mentale. Propugnano la pace e ripudiano la guerra. L’ideale per le nostre idee. E poi - proseguì, l’aspetto sempre più simile a quello di un furetto.- ci sono anche gli spettri. In un clima così sanguinoso, ci sguazzeranno dentro e continueranno a proliferare indisturbati. Se dovessero attaccarti, l’unico modo per sfuggire loro è liberare la Luce di Mandalore o spedire un Jedi nel mucchio.-

- Ma siete fuori di testa?- sbottò la bambina, battendo i piedi per terra.- Mia sorella non accetterà mai i jetiise! Ci hanno ucciso e sterminato, sono nemici di Mandalore da tempo immemore!-

- Strategicamente però è un’ottima scelta.- disse il monitor di suo padre, facendole sbarrare gli occhi.

- No, è uno scherzo!- brontolò Bo, trattenendo a stento una risata e posando per la seconda volta gli occhi sulla sorella.- Tilli, diglielo che non lo faresti mai!-

Satine sospirò.

- Temo che le cose cambino, Bo, e anche noi dobbiamo cambiare con loro, se non vogliamo essere travolti dagli eventi. Tuttavia, mia sorella potrebbe avere ragione sotto un profilo.-

Satine divenne seria mentre cercava di mettere insieme tutti i pensieri.

- Secondo le indagini che abbiamo svolto io e papà tempo addietro, un conto su Coruscant sito in una filiale bancaria vicino al Senato della Repubblica ha saldato il pagamento di un carico di armi da guerra per la Ronda della Morte. Il carico è stato tracciato, ma non è mai arrivato su Concordia. Un tempo ci chiedevamo dove avessero il magazzino. Adesso, sappiamo che probabilmente era nelle segrete di una delle tenute dei Vizla.- e sospirò.- Oggi, una delegazione del Senato doveva presentarsi alla Fortezza delle Cascate, ma qualcuno da Coruscant ha dato il contrordine e non li ha fatti atterrare, facendoli tornare indietro. Non devo farvi notare che il Tempio Jedi si trova su Coruscant, vero?-

Ci fu uno scambio di sguardi perplessi.

- In effetti è strano.- disse lo zio Korkie, passandosi una mano sulla barba non fatta.- Tuttavia va detto che i Jedi non rispondono al Senato. Almeno, non ancora.-

- Come facciamo ad esserne sicuri?-

- Semplice.- disse Korkie, appoggiato contro lo stipite della porta.- Mentiamo, o meglio, omettiamo qualcosa al Consiglio Jedi.-

Questa volta fu il turno di Satine di mettersi a ridere.

- Ma dai, zio! Hai presente quella storia dei trucchi mentali?-

- Certo che l’ho presente. Se ce la giochiamo bene, verranno.-

- E se ce la giochiamo male, ci arrangiamo.-

- A quello pensiamo dopo. Io dico che vale la pena tentare.-

I presenti si scambiarono un’occhiata di assenso.

Bo Katan guardò sua sorella con gli occhi di pietra.

Satine provò a ricambiare con uno sguardo compassionevole prima che la bambina fuggisse a gambe levate fuori dalla stanza.

La ragazza sospirò, consapevole che la spaccatura con Bo Katan stava diventando sempre più profonda, e pregò che prima o poi capisse le sue scelte.

- Non piace nemmeno a me, ma non abbiamo altra scelta, mi pare.-

Il gruppo parve sospirare con lei.

- Cominciamo?-

 

Aveva nascosto il taglio sulla fronte sotto un cerotto più piccolo, e per una volta aveva dato retta a Maryam ed aveva indossato l’abito elegante. La cappa blu notte con i ricami dorati e la spilla di madreperla sotto il collo le donavano molto, ma Satine non era ancora capace di vedersi bella. Cercava di concentrarsi su quello che aveva da dire, ma non poteva fare a meno di trovare il lato negativo delle cose. 

Non riusciva a togliersi l’odore del sangue di dosso. La camicia ne era ancora intrisa quando se l’era tolta per cambiarsi. Immaginò che l’odore l’avrebbe accompagnata per un bel po’ di tempo prima che il suo naso si abituasse e sparisse la sensazione di nausea che le causava il sangue coagulato. 

Allo stesso tempo, non poteva togliersi dalla testa lo sguardo di disappunto di Bo e anche la cattiva sensazione che si era impadronita di lei quando aveva scoperto che volevano chiamare i Jedi. Non che non le andasse bene, anzi. Erano i migliori protettori che avrebbe potuto trovare nella galassia, ma purtroppo non si fidava più della Repubblica. Era evidente che Vizla aveva avuto una mano da qualche forestiero dei Mondi Centrali, e Satine non poteva fare a meno di pensare che forse avrebbe potuto sabotare anche la sua missione di salvataggio. 

Che gran fatica, la politica.

Infilò la tiara in testa, la solita, il semplice filo argentato con la perla sulla fronte, prese fiato e si pose di fronte al droide che l’avrebbe registrata, per poi mandare la sua trasmissione su tutte le reti.

- Siamo pronti?-

- Sì. Tre, due, uno…-

La luce rossa dell’unità R7 si accese.

 

Gentili cittadini e cittadine di Mandalore, amici miei,

non sapete con quanto cordoglio apprendo delle menzogne che la minoranza parlamentare ha deliberatamente diffuso sul mio conto. Come potete ben vedere, sono viva e sto bene. Sono sopravvissuta ad un attacco che è costato la vita di ben quattordici uomini, membri della mia guardia personale ed altri sei militari, nonché del fidato generale Grenade, un uomo di grande fede nella libertà e nella democrazia. Il mio autista è rimasto ferito, come molte delle coraggiose Abiik’ade che sono accorse a mia protezione.

L’attentato è stato accuratamente pianificato allo scopo di minare la normativa antiterrorismo, ed è stato messo in atto dal gruppo fuorilegge della Ronda della Morte. 

Porto nel cuore ogni singola vita perduta oggi e sono vicina alle loro famiglie nel loro dolore. La violenza messa in atto in queste ultime ore non è altro che la negazione di ogni civiltà, di ogni dialogo e scambio di idee pacifico e costruttivo, nonché la soppressione di ogni altra tradizione che Mandalore e la mia famiglia hanno diligentemente custodito nei secoli e nei millenni. 

Vi è stato detto che la violenza, la guerra e la morte sono la Via di Mandalore. 

Io vi dico che non è così.

Mandalore ha accolto negli anni persone splendide provenienti dai più disparati luoghi della galassia. Ha enfatizzato le diversità, la cultura, l’integrazione, favorendo la nascita di relazioni interpersonali basate sul rispetto e sull’apprezzamento reciproco, sulla tolleranza. 

Vi è stato detto che l’unico modo per guadagnare rispetto è usare la forza. 

Vi hanno mentito. 

Il rispetto si guadagna con la lealtà, l’onestà e l’amore per se stessi e per il prossimo. Il rispetto si guadagna avendo memoria del passato, vivendo il presente al massimo delle nostre possibilità, e curandosi del futuro perché diventi migliore. Lasciare morire i nostri fratelli, o peggio, essere la causa della loro prematura dipartita, significa privare il mondo di Mandalore delle grandi potenzialità che la nostra vita, cari concittadini, ha da offrire.

Per questo motivo io mi oppongo ad ogni sopruso, ad ogni angheria che la Ronda della Morte e Larse Vizla hanno commesso, ancora commettono e che commetteranno in futuro. 

Mi rifiuto di riconoscere come Mand’alor un uomo che ha perso la propria opportunità di salire al trono subendo una pesante sconfitta elettorale. Non riconosco come Mand’alor un uomo che non è stato in grado di sfidare mio padre a duello e che ha preferito ricorrere al vile strumento del Jaro per eliminarlo, non riuscendoci comunque. Non riconosco come Mand’alor un uomo che manipola le tradizioni di Mandalore a suo favore, trascurando quelle che non gli risultano convenienti.

Ho cercato di guidare la transizione in modo democratico e pacifico, anticipando le prove per il legittimo accesso al trono di Mandalore e stabilendo una breve reggenza per garantire un corretto percorso elettorale.

Larse Vizla ed i suoi sodali hanno infranto i sogni di pace ed il brillante futuro di Mandalore.

Io vi chiedo, miei concittadini, di non sopportare i soprusi, di non chinare la testa di fronte alla violenza e all’odio. Non lasciate che calpestino la vostra pace e la vostra libertà. 

Non inciterò alla violenza. Non vi chiederò di combattere per me, ma vi chiedo di proteggere la pace e la libertà che la vostra essenza mandaloriana vi ha garantito.  

Verrà un giorno in cui Mandalore soccomberà alla violenza, ma non è questo il giorno.  

Vorranno spegnere le vostre voci. Scopriranno ben presto che non ci riusciranno.

Resistete, miei concittadini. Abbiate la forza per andare avanti. Torneremo alla normalità. Torneremo a rispettarci.

Jatne Manda.

 

Quando la luce rossa si spense, Satine, che era rimasta eretta per tutto il tempo, sembrò collassare su se stessa e chiese di potersi sedere. Maryam accorse immediatamente, infilandole senza troppi riguardi una sedia sotto il posteriore e facendole aria con il grembiule.

- Mi dispiace, sono solo stanca.-

In effetti era l’alba e Satine non aveva chiuso occhio per ventiquattro ore filate. Maryam la strinse in un abbraccio stritolante col suo corpo rubicondo e Satine sospirò, cercando di trarne sollievo.

- Ed ora, i Jedi.-

- Non vuoi vedere come va la trasmissione del tuo discorso?-

- No, Inga. Credo che prima finirò, meglio sarà per tutti. Mi aggiornerete, vero?-

La donna annuì, la comprensione negli occhi, mentre resettava l’unità R7 per filmare un nuovo messaggio.

Satine pregò che avessero fatto la scelta giusta. 

 

Jatne Manda a tutti voi. 

Il mio nome è Satine Kryze di Kalevala, e da diverso tempo a questa parte sono la legittima Reggente di Mandalore in sostituzione di mio padre, il duca Adonai Kryze, caduto vittima di un vile attentato.  

Mio padre e mio nonno prima di lui sono stati eletti Mand’alor superando ampiamente le prove necessarie per conquistare il titolo, e sono stati confermati entrambi attraverso libere elezioni con più del settanta per cento dei voti, a fronte di un’affluenza del novanta per cento degli aventi diritto. Le minoranze che mettono in crisi il nostro sistema con questi attentati sono titolari del restante trenta per cento della legittimazione popolare. Il loro intento, come abbiamo avuto modo di appurare anche attraverso indagini interne, è quello di sovvertire l’ordine costituito di matrice pacifica, instaurato da mio nonno e da mio padre, interrotto solo per un breve lasso di tempo dalla guerra civile. 

Intendono epurare il sistema da tutti i Nuovi Mandaloriani ed istituire nuovamente il precedente regime bellico. 

In questo ultimo periodo tali gruppi organizzati, sebbene non siano cresciuti di numero, hanno unito le loro forze contro la nostra famiglia, dal momento che mio padre stava per disvelare un sistema di corruzione ad alti livelli in cui loro stessi risultano coinvolti. Il loro scopo era - ed è tutt’ora - quello di impedire una legittima transizione elettorale verso il trono e prendere il potere con la forza. 

Mio padre è caduto vittima di un tentativo di avvelenamento, un gesto vigliacco. E’ ancora vivo, ma nelle sue condizioni, purtroppo irreversibili, non è più in grado di governare. Così, come la legge consente di fare, ho acquisito la carica di Reggente e sono stata legittimata a prendere temporaneamente il suo posto. La mia transizione sarebbe dovuta durare sei mesi, al termine dei quali, completate le prove per la legittimazione al trono, avremmo dovuto procedere a libere elezioni.

Larse Vizla e i suoi sodali hanno impedito il procedimento di elezione democratica.

Allo stato dell’arte, non esiste un candidato che possa detronizzare Larse Vizla ed il suo governo illegittimo. Nessuno ha infatti ancora completato le prove legittimanti. 

Devo riconoscere che sono solo una ragazzina messa al comando di un popolo fiero, che non accetterà verità diverse dalle proprie. Mi trovo in una posizione difficile, attaccata dall’opposizione e sconfessata da parte dei Vecchi Mandaloriani. Ho il sostegno dei Nuovi Mandaloriani, ma sto perdendo l’appoggio di alcuni clan alleati, come il clan Wren, che vedono in questa occasione la possibilità di sfilare il potere politico dalle mie mani ed affidarlo ad una casata che possa maggiormente garantire profitto economico. 

Tuttavia, se io dovessi cadere, Mandalore sprofonderebbe di nuovo in un’epoca di sangue e morte, con tutto ciò che questo implica per gli equilibri della nostra galassia. 

Sono stata vittima di un attentato ieri mattina. E’ stata massacrata tutta la mia scorta. Io stessa mi sono salvata per miracolo, tuffandomi da una scogliera. Vivo reclusa. La frequenza attraverso la quale sto comunicando è segreta e protetta, nessuno ascolterà questa conversazione. 

Ho la certezza che la Ronda della Morte, un gruppo terroristico estremista che propugna il ritorno allo stato di guerra, si sia alleato con il clan Vizla e il clan Saxon per uccidermi, e che si tratti dello stesso commando che ha già massacrato quattordici guardie, sei militari e un generale, nonché ferito il mio autista e avvelenato mio padre. 

Io ho fatto una scelta, come mio padre e mio nonno prima di me, di pace. Io non ho intenzione di combattere, né di spargere altro sangue innocente, anche se ormai la guerra civile è imminente. 

Per questo, vi chiedo aiuto.

Sono consapevole che tra i nostri popoli intercorre astio e rancore, ma ho anche la coscienza storica del fatto che non siamo sempre stati nemici. In nome di un’antica alleanza che intendo nuovamente istituire, in nome della pace e del rispetto reciproco, vi chiedo di intervenire in mio soccorso. Non voglio trasformare questo intermezzo politico in un bagno di sangue più di quanto già non farà la Storia. 

Vi prego di aiutarmi. Siete la mia unica speranza.

Jatne Manda, a tutti voi. 

 

- Bene.- fece lo zio Korkie, spegnendo di nuovo la comunicazione del droide R7. - Adesso vediamo che cosa rispondono.-

L’unica cosa che Satine voleva fare, però, era prendere una buona dose di sonnifero ed andare a dormire con suo padre o sua sorella.

Prima, però, aveva un’ultima cosa da fare.

- Inga, posso parlarvi un momento da sola?-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Udesi: sost. calma, tranquillità. 

Jetiise: sost. plur., Jedi.

Darjetiise: sost. plur., Sith

Jatne Manda: lett. buon umore, un modo per indicare di essere tutt’uno con il proprio clan e con ciò che ci circonda. In questo senso ampio, un modo molto cortese di salutare. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Eccoci qua. Alea iacta est. Les jeux son fait, rien ne va plus. 

La guerra è scoppiata, i Jedi sono stati chiamati. 

E adesso?

Adesso viene il bello.

 

Molly.

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Capitolo 21
*** 20- Il Ghiaccio Vivo ***


CAPITOLO 20

 Il Ghiaccio Vivo

 

Satine aprì gli occhi al fastidioso beep-beep dell’unità R7, che trottava sulle sue rotelle accanto al letto. 

La ragazza posò una mano sul droide prima di comprendere che non si trattava di sua sorella, ma a giudicare dai suoni di apprezzamento il gesto era stato comunque gradito. Si mise a sedere, la testa pesante per l’effetto dei sonniferi e una gran voglia di tornare a dormire, ma evidentemente il droide non voleva lasciarla in pace, perché si mise a correre avanti ed indietro sulle sue rotelline come se avesse qualcosa di molto importante da dire.

- Fai piano, così lo svegli.- gli disse, ammiccando verso suo padre, che però aveva già gli occhi aperti e stava aspettando che Satine connettesse tutti i fusibili del suo cervello.

- Oh, beh, se è così…-

Inga Bauer entrò dentro la stanza, bussando e sporgendo la testa per essere certa di non disturbare.

- Posso entrare? Anche se mi sa che il nostro amico ha già fatto abbastanza rumore.-

Kyla le fece segno di avvicinarsi ed Inga obbedì.

- Il piccoletto ha ricevuto un segnale da Coruscant. Dal Consiglio Jedi, per la precisione.-

I tre si guardarono, curiosi.

- Passa pure la trasmissione.-

Era evidente che i Jedi avevano preferito comunicare con lei con un messaggio registrato, lo stesso modo con il quale lei aveva contratto loro. Un uomo intabarrato nella tradizionale divisa Jedi color crema e con quello che sembrava un pesante mantello di lana marrone sulle spalle ricambiò il suo sguardo. Pareva alto e massiccio e doveva avere la carnagione scura. Non aveva un singolo capello sulla testa monda, ma lo sguardo penetrante e magnetico compensava la carenza di segni particolari.

Quando parlò, aveva la voce profonda, a tratti quasi antipatica.

 

Gentile duchessa, 

abbiamo ricevuto il vostro messaggio e riteniamo che la vostra richiesta non possa essere ignorata. In quanto portatori di pace, i Jedi non possono esimersi dal rispettare la vostra nobile proposta. Per questa ragione, il maestro Qui Gon Jinn e il padawan Obi Wan Kenobi partiranno immediatamente in direzione del sistema di Mandalore. Vogliate cortesemente fornirci le coordinate per raggiungervi. 

I nostri migliori riguardi, duchessa. 

Abbiate cura di voi. 

Mace Windu, chiude.

 

La voce del maestro Windu scomparve con il suo ologramma non appena la trasmissione finì, ed R7 fischiò per la soddisfazione.

- Bene, i Jedi hanno accolto la nostra richiesta. Ho sentito parlare di questo Qui Gon, dicono che sia particolarmente bravo.-

Ovviamente lo zio Korkie, l’ideatore del piano, non aveva potuto fare a meno di origliare. Con la schiena appoggiata contro lo stipite della porta e l’espressione soddisfatta sul volto, era intento a scompigliarsi i capelli più di quanto già non lo fossero per natura.

- Adesso non ci resta che organizzare la fuga. Gli forniremo le coordinate di Kryze Manor…-

- No, assolutamente no, zio, questo è troppo!- disse Satine, alzando le mani.- La comunicazione è secretata e va bene, ma se per disgrazia i terroristi dovessero sentire l’indirizzo di questo posto, non avreste scampo. Avete un’idea di quanto sia pericolosa la Ronda, ne avete avuto un assaggio!-

- Mia figlia ha ragione, Korkie.- fece suo padre tramite il monitor.- Non è il caso. Tuttavia, possiamo dare le coordinate di uno spiazzo erboso sulle rive del Suumpir Darasuum.-

- C’è un altro problema, a questo proposito.- disse Inga, grattandosi i capelli appena striati di grigio. - Voi avete dormito, ma dovete sapere che in mattinata ha nevicato. Questo posto è quasi sommerso.-

Satine si alzò ed andò ad aprire la finestra, perplessa.

Un mucchio di neve le cadde ai piedi.

Si guardò intorno, ammirata. Kalevala innevata era splendida. Diventava una meravigliosa biglia bianca, vista dallo spazio. 

Viverci, però, era tutto un altro paio di maniche. 

Non faceva freddo come sul Glassa di Zucchero, ma la neve cadeva copiosa ed alterava completamente il paesaggio. Ricordava di avere studiato a biologia che alcune specie vegetali kalevaliane si erano adattate a restare congelate nella neve, solo per riprendere il loro ciclo vitale in estate. 

In quel momento il lago si stava lentamente congelando sotto una fitta coltre di neve. La riva ne era completamente ricoperta e alcuni cumuli parevano formare piccole collinette in giardino. La finestra che aveva appena aperto aveva i vetri congelati e la neve aveva cominciato ad accumularsi sulla loro superficie, fino a che Satine aprendola non aveva fatto cadere i fiocchi candidi dentro la stanza.

- Benissimo, con tutta questa neve non troveranno nemmeno un posto dove atterrare, o ci resteranno intrappolati, se non si spicceranno a ripartire.-

Richiuse le ante con garbo, ma la sua testa era già rivolta alle valigie.

Non avrebbe potuto portare niente di particolarmente ingombrante con sé. Satine non aveva idea di dove sarebbero andati. Non poteva nemmeno dire se sarebbero rimasti su Kalevala o meno. Era certa che, con molta probabilità, avrebbero addirittura cambiato sistema.

La cosa non la rendeva felice.

Quando entrò in camera sua, si chiuse la porta alle spalle. Nell’armadio aveva pronto uno zaino da diverso tempo in caso di emergenza. C’erano degli abiti civili adatti ad ogni stagione e qualche altro suppellettile che sarebbe potuto tornarle utile, inclusi i grimaldelli per forzare le porte. 

Sedette sul letto e cominciò a meditare su che cosa avrebbe dovuto portare con sé, quando un curioso pensiero le attraversò la mente.

Sì, poteva decisamente tornarle utile.

Seguendo l’intuizione che aveva avuto nel suo studio a Keldabe tempo prima, scese dabbasso a prendere il libro. In fondo, nessuno avrebbe sentito troppo la sua mancanza. Ruyot era orribile ed oscuro e non erano fiabe che di solito una bambina come Bo avrebbe dovuto leggere.

Satine non le aveva lette per addormentarsi, quelle storie, bensì per trovare risposte, e se possibile avevano contribuito a toglierle il sonno piuttosto che conciliarglielo. 

Il volume di leggende sarebbe finito nella sua borsa e l’avrebbe appesantita parecchio.

Si cambiò. Si tolse la veste da notte che gettò in malo modo nel bagaglio, ed indossò abiti più comodi per la partenza. Le calze tecniche erano sempre con lei, ogni inverno dopo il verd’goten. L’avevano protetta molto bene in quell’occasione ed avrebbero continuato a proteggerla dal freddo. A ciò aggiunse i pantaloni e gli stivali imbottiti di pelo. Una volta finita la sua prova, aveva fatto incollare il pelo del munit gemas dentro un paio di scarpe comode e ne aveva fatto degli ottimi stivaletti invernali, confortevoli e caldi.

Il suo abbigliamento da Chaab in quel momento faceva bella mostra di sé nella stanza dei cimeli, con la foto che le era stata scattata quel giorno e le zanne della bestia fissate al muro.

Puzzava ancora come il primo giorno che se l’era messo e c’era voluta una vita per togliersi quell’odore dalle narici. 

Si buttò addosso un maglione e l’occhio le cadde sulla finestra. Anche quella della sua stanza era ricoperta di neve, e Satine ne approfittò per cambiare l’aria. Scosse un poco l’anta prima di aprirla del tutto e la neve cadde fuori dalla stanza.

Satine inspirò l’aria fredda, provando a calmare il suo cuore in tumulto.

Avrebbe lasciato suo padre, con tutto quello di cui aveva bisogno.

Avrebbe lasciato Bo, con tutte le attenzioni di cui necessitava.

Avrebbe lasciato Maryam ed Athos nel cuore del ciclone, mentre lei se ne sarebbe andata.

Aprì gli occhi, provando a controllarsi. Il paesaggio invernale di Kalevala sapeva essere magico fintantoché la neve non copriva tutte le piante e gli arbusti sotto il suo manto, rendendo tutto omogeneo sotto collinette bianche.

Guardò in basso. C’erano Abiik’ade ovunque. Le donne avevano circondato la casa e pattugliavano il perimetro esterno. Prima, mentre scendeva in biblioteca a prendere il libro di mitologia, aveva sentito Athos brontolare che c’è un dannato viinir in soffitta, segno che qualcuna di loro si era appostata sul tetto. 

L’occhio le cadde sulla slitta che stavano allestendo. Avevano dato ai Jedi le coordinate di un punto poco lontano da Kryze Manor, ma piuttosto riparato e protetto da uno sparuto gruppo di alberi. Satine l’avrebbe raggiunto con la slitta, guidata da Bukephalos e da Ortense. Era vecchia, poverina, ma se la cavava ancora bene e Satine l’amava molto. 

Tuttavia, qualcosa catturò la sua attenzione.

Le parve di scorgere una figura ammantata che transitava sulla via del Lago. Non era qualcosa che accadeva spesso e soprattutto non era un evento che accadeva quando nevicava a quel modo. Chi passava dalla vicina Qibal di solito transitava nella parte posteriore del maniero, attraverso i campi, luogo la Via del commercio. La via del Lago era quasi sempre deserta, a parte quando qualche turista approdava lì vicino, al molo. In ogni caso, considerata l’importanza di Kryze Manor, l’area era quasi sempre protetta ed interdetta.

Satine aggrottò le sopracciglia e richiuse la finestra, improvvisamente sulla difensiva.

Uscì dalla stanza e discese giù fino al salotto, dove trovò Inga Bauer e la Abiik’ad di nome Vanya in piedi di fronte al tavolo con una enorme cartina del circondario.

- Posso parlarvi?-

- Sì, naturalmente.-

- Avete notato dei movimenti strani questa mattina?-

- No, a parte qualche passante.-

- E’ questo il problema.- le ammonì, lanciando uno sguardo alla porta.

Spiegò loro che non passava mai nessuno dalla via del Lago e le Abiik’ade sembrarono improvvisamente all’erta.

- Questo non ci era stato detto. Dovremo intensificare la guardia sul…-

- Non credo. Qualcosa resterebbe sguarnito e non è il caso.-

- Dobbiamo parlare con Korkie.-

- E se il piano ce l’avessi io?-

Le due donne si guardarono e poi rimasero in ascolto.

 

- Athos?-

Satine lo aveva trovato in una situazione piuttosto grottesca. Aveva un forcone sulle spalle e una balla di fieno infilzata come pasta su una forchetta, ed il tutto mentre si stava dirigendo in soffitta.

- Dai da mangiare al viinir, mh?-

- Che cosa te lo fa pensare?-

Satine si lasciò sfuggire una risata.

- Vieni, ti aiuto.-

Tenendo ciascuno un estremo del forcone, riuscirono a salire le scale della soffitta fino al quinto piano. Il viinir era bellissimo, di un aristocratico color champagne che le piaceva molto. Venne a sapere che si chiamava Ne’tra gal e le venne da ridere.

- Birra scura?-

- A quanto pare è caduta dentro un barile da puledra.-

L’animale sporse il muso per toccarle la mano e Satine gli passò un poco di fieno che l’animale prese con le labbra pelose, nitrendo e ringraziando.

- Abbi cura di loro, Athos.-

L’uomo rimase immobile, seduto su un vecchio baule pieno dei loro giocattoli.

- Ci puoi contare.-

- Papà ha bisogno di te, e Bo ha bisogno di un padre. Maryam, lo sai.-

- Certo.-

- Ib’tuur jatne tuur ash’ad kyr’amur.-

- Ib tuur jatne tuur ash’ad kyr’amur.-

Si scambiarono un sorriso ed un abbraccio d’intesa.

 

- Maryam?-

- Oh, carissima! Vieni, ti do qualcosa da mangiare.-

- Non adesso, Maryam, non ho fame, ma porterò via qualcosa volentieri!-

La donna le lanciò un’occhiata di traverso e non le ci volle molto per capire quale fosse il problema. 

Maryam era stata una seconda madre per lei, come Athos era stato un secondo padre. Lasciare loro faceva male come lasciare la sua vera famiglia. 

In fondo, che cos’è la vera famiglia, se non quella in cui vivi e cresci?

La sua nana aveva la faccia di chi non ne poteva più. Ne aveva viste troppe nelle ultime ventiquattr’ore. Prima aveva creduto di aver perso Athos, poi di avere perso lei. 

Alla fine, le avevano detto che se ne sarebbe andata, lasciandoli soli. 

Maryam era stanca. Il viso di solito gioviale e rubicondo era pallido e gonfio per la stanchezza, e persino il suo corpo rotondeggiante e florido sembrava floscio rispetto alla tradizionale grinta che emanava. 

- Bo Katan ha bisogno di una madre, e mio padre ha bisogno di aiuto. Non devo dire niente su ciò di cui ha bisogno Athos, vero?-

Maryam annuì, i crespi capelli neri che avevano perso la loro stabilità e vagavano liberi fuori dalla treccia. 

- Ti prego, Maryam.- 

La donna annuì, le lacrime agli occhi.

- Grazie. Ni baatir.-

- Ni baatir, Sat’ika. Ni baatir.-

 

- Bo?-

- Io non riesco ancora a crederci. Veramente, Tilli, stavolta stai esagerando!-

Satine aveva le lacrime agli occhi e non riusciva a non darlo a vedere. La rottura del legame con la sua sorellina era ciò che l’aveva più terrorizzata negli ultimi mesi e vedere quella spaccatura che tanto temeva avverarsi davanti ai suoi occhi le spezzava il cuore.

- Vorrei poter evitare tutto questo, Bo.-

- Puoi.-

- Non vedo come.-

- Puoi restare. Combatteremo. Le Abiik’ade ci difenderanno. Io vi difenderò. Tutti. Sono forte.-

- Lo so, Bo. Sei fortissima, molto più di me. Hai mai pensato, però, a come mi sentirei io se qualcuno di voi si facesse male per colpa mia? Perché ho attirato l’attenzione dei terroristi su di voi?-

- Ci stanno già addosso, Tilli. Prima o poi verranno a prenderci.-

- Perché non vuoi capire?- sbottò Satine, la testa che sbatteva contro lo spigolo della porta per la disperazione. - Onestamente, siete un gruppo abbastanza scalcinato. Papà è fuori combattimento e tu sei una bambina. Sì lo so, sei una tigre, ma lo so io, e Larse Vizla se ne infischia di te. Non penserai davvero che abbia paura di Athos, o Maryam. Non gliene importa niente di voi, a parte il valore simbolico che avete acquisito. A lui non servite. Io invece sono un bersaglio mobile!-

Sua sorella aveva ragione, ma Bo non voleva proprio arrendersi all’idea che la sua Tilli stesse per andarsene in compagnia di due jetiise. Sarebbe potuta partire con Inga Bauer, o con chiunque altro che non fossero due stranieri che fanno magie e che usano delle orribili quanto micidiali spade laser.

Insomma, non usavano nemmeno colori sobri e giravano coperti di stracci di lino o di lana. Per non parlare dei loro ridicoli capelli e del modo falso e tendenzioso con il quale avevano vinto la guerra contro i Mando tanti anni prima.

Si fa presto a vincere quando sei uno stregone contro gente che deve arrabattarsi per ottenere i tuoi stessi risultati.

- Bo, c’è stato un tempo in cui i Jedi non erano nostri nemici. Tarre Vizla…-

- Conosco la storia, grazie.-

- Forse un giorno potremo tornare ad essere amici. Forse possiamo gettare le basi per la pace. Non significa dimenticare. Significa andare avanti.-

- E tu? Andrai avanti? Te ne andrai con i tuoi nuovi amici e ci lascerai a marcire nel tuo passato?-

- Adesso sei ingiusta, Bo. Sto rinunciando al mio presente per costruire il futuro. Anche il tuo.-

La bambina abbassò il capo, i capelli rossi di Vikandra che le cadevano sul viso, forse per coprire gli occhi lucidi. Bo Katan era fiera, molto più fiera di Satine, e meno mansueta.

Piangere è per i deboli. 

- Bo, verrà un giorno, spero tardi, in cui io non ci sarò più. Quello sarà il tuo momento. Quello sarà il giorno in cui combatterai per tutto ciò in cui io credo. Io cui noi crediamo. Non adesso, però. E’ troppo presto, Bo. E’ troppo presto.-

- Io non voglio che tu te ne vada.-

- Io non voglio andarmene, ma devo farlo. E dovrò farlo presto, Bo.-

- Non parti più dopo pranzo?-

- No, parto prima. Siete in pericolo e voglio proteggervi.-

- Perché?-

- Perché sono qua fuori, cyare.- le disse, accarezzandole i capelli.- E stanno solo cercando un modo per attaccare.-

Lei e sua sorella si guardarono per un’ultima volta e poi si abbracciarono.

- Ib’tuur jatne tuur ash’ad kyr’amur.-

- Ci puoi contare, Bo. Ni baatir.-

- Ni baatir, Tilli.-

 

Quando entrò nella stanza di suo padre, Satine si accorse immediatamente che Kyla sapeva già tutto. Era una cosa che solo loro sapevano fare, scambiarsi le idee senza nemmeno esprimerle a voce. Sapevano intendersi solo con lo sguardo.

- Mi dispiace, papà. Sono qua fuori. Devo andare.-

L’uomo annuì, mentre la ragazza si avvicinava a lui per abbracciarlo un’ultima volta.

Poi, però, le emozioni furono più forti della ragione e Satine si gettò tra le braccia del padre.

- Non voglio lasciarti qui!- gli disse, piangendo sulla sua spalla. - Hai bisogno di me!-

- Io me la caverò. Maryam ed Athos sono molto bravi.-

- Ma non sanno cosa fare! Che succederà se avrai bisogno di qualcosa in ospedale?-

- Impareranno. Nemmeno tu sapevi dove mettere le mani la prima volta, nessuno lo sapeva. Come hai imparato tu, ci riusciranno anche loro.-

Satine annuì e posò di nuovo la fronte contro quella del padre. Gli voleva bene. Era stato tutto il suo mondo. Si era fatto in quattro per lei e Bo. Era tornato a casa anche quando era stanco, sfinito dopo una giornata di intrighi e complotti, a riempirle di attenzioni. L’aveva addestrata, educata, le aveva insegnato tutto quello che sapeva e non le aveva mai fatto mancare l’amore che un genitore può dare nonostante fosse da solo.

Aveva vissuto tutta la sua vita per le figlie, nonostante fosse il Mand’alor.

- Ti chiedo di farmi un ultimo favore, buir. Ti prego.- 

L’uomo annuì.

- Non mi lasciare. Voglio trovarti qua quando tornerò. Per favore, ho bisogno di sapere che anche se sono lontana non mi lascerai andare.-

Gar taldin ni jaonyc; gar sa buir, ori’wadaas’la, dicono i Mando, e Kyla ne era la dimostrazione. Nella storia dei Kryze, avevano avuto di tutto. Persone ignobili, taccagni, anche criminali, oppure brava gente, onesta, che aveva costruito un paese e una famiglia degna di rispetto, un simbolo di nobiltà, onore, lealtà e coraggio. 

Kyla Adonai Kryze era un uomo buono ed un ottimo padre, indipendentemente dal lignaggio e dalla linea di sangue.

- Te lo prometto. Resterò con te ancora per molto, molto tempo. Fosse l’ultima cosa che faccio.-

- Ni baatir gar, darasuum.-

- Ni baatir gar darasuum, cyare.-

 

Obi Wan aveva freddo.

Aveva avuto una brutta sensazione a proposito di quella missione fin dall’inizio. Già il fatto che a rivolgere loro una richiesta di aiuto fosse una Mando era cosa strana. Stavano meditando quando il Consiglio Jedi li aveva mandati a chiamare. Obi Wan aveva seguito il suo maestro dentro la grande stanza circolare ed avevano assistito alla più strana chiamata di soccorso che avesse mai visto in vita sua.

La ragazza aveva l’aria nobile, ma estremamente giovane. Certo, non era la prima regina che vedeva. Ne aveva incontrate anche di bambine, poco più che dodicenni, caricate di un peso troppo grande per le loro spalle. Da quello che aveva capito, però, la ragazza era la principessa - la figlia del duca o giù di lì - e non aveva ancora superato le prove per diventare duchessa. Chiedeva la loro protezione, paventando regimi sovversivi, ma la conversazione era stata talmente strana che Obi Wan non aveva capito se stesse dicendo tutta la verità oppure se volesse attirarli su Mandalore per proteggere se stessa ed imporre il suo, di regime. 

Qui Gon aveva fugato ogni dubbio.

- Mandalore è un sistema insidioso, e non dimenticare che la giovane Satine, per quanto in erba e profondamente pacifista, è pur sempre una Mando nell’osso, abituata a sopravvivere in quell’ambiente. E’ perfettamente consapevole del fatto che ricucire la frattura tra Jedi e mandaloriani è praticamente impossibile.-

- Allora perché l’ha chiesto?-

- Perché ha mentito. E ci vuole del fegato a mentire di fronte a tutto il Consiglio senza farsi beccare.-

La cosa, se possibile, l’aveva insospettito ancora di più. 

In quel momento era in piedi nel bel mezzo del nulla a sorbirsi la tormenta. Sarebbero dovuti atterrare vicino alla sua casa - gli pareva che si chiamasse Kryze Castle, o qualcosa del genere - ma avevano ricevuto una chiamata all’ultimo minuto che li aveva informati di un cambio di destinazione.

I due Jedi si erano allarmati, ma avevano eseguito le direttive impartite loro ed erano atterrati in una landa completamente desolata nel bel mezzo del niente. 

Sapeva che non era un comportamento appropriato per un Jedi, ma aveva un freddo becco e l’unica cosa che voleva era rientrare nella sua bella navicella ad aspettare la duchessa, al calduccio. 

Rilascia i tuoi pensieri nella Forza. Rilascia i tuoi pensieri nella Forza. Non fa così freddo e sarà solo questione di pochi minuti. Rilascia le tue tentazioni nella Forza. 

Un minuto, due, tre, ma di Satine Kryze nemmeno l’ombra.

Obi Wan cominciò a chiedersi se non fosse successo qualcosa. 

- Maestro?-

- Sì, lo so, Obi Wan.-

- Forse è meglio se andiamo a cercarla.-

- Non credo. Con questa tempesta non vedremmo ad un palmo dal naso e finiremmo col perderci. Lei è nata qua, sono sicuro che saprà come trovarci. Ho freddo anche io.- gli disse, lanciandogli un’occhiata sbilenca e severa.- Ma dobbiamo aspettare.-

Obi Wan guardò per terra e non disse niente.

Questo gli diede modo di constatare che i fiocchi di neve grossi come pesche di Aldeeran che stavano cadendo dal cielo a velocità folle stavano lentamente risalendo il portellone. Avevano già coperto di un buon palmo la passerella e ben presto avrebbero coperto tutto, anche loro, se non si fossero mossi.

- Maestro, io non vorrei passare per guastafeste, ma temo che la neve ci impedirà di decollare se continuiamo a restare qui.-

- Hai altre idee, padawan?-

- No, ma…-

- Allora resteremo qui. Pazienta e medita, se non riesci proprio a contenere il disagio.-

Obi Wan sospirò e tornò a guardarsi i piedi.

Medita. Medita. Medita.

Sentì una leggera distorsione nella Forza, ma non ci badò. Stavano aspettando una slitta, non un animale in lontananza che zampettava nella neve.

Il suo maestro sembrava non aver sentito niente, per cui anche Obi Wan rimase immobile. 

La presenza, però, si stava facendo sempre più ingombrante.

- Maestro…-

- Ti ho già detto di tacere, Obi Wan.-

- Io credo che stia arrivando.-

L’uomo alzò un sopracciglio innevato. Aveva neve dovunque. La barba era piena di neve, i capelli erano pieni di neve e le sopracciglia erano piene di neve. 

Obi Wan non voleva ridere. Il suo maestro si comportava in modo un po’ freddo già a cose normali senza che lui infierisse ancora di più. 

La presenza nella Forza si fece sempre più distinta ed anche Qui Gon questa volta la sentì. Cercò di aguzzare la vista, abbagliato dal bianco immacolato di quel pianeta così inospitale. 

Una figura ammantata stava arrancando nella neve. Non si vedeva niente di preciso, solo la sua sagoma innevata che avanzava, lenta ma costante. Il mantello doveva essere bianco, perché ad Obi Wan parve di distinguere soltanto un piccolo orlo dorato sul bordo che stava sparendo sotto il peso della neve. 

La Forza si riempì presto di una stana sensazione di malinconia, dolore e stanchezza. La ragazza sembrava sfinita. Tuttavia, Obi Wan poteva percepire la grandezza del suo animo anche a quella distanza. 

Emanava dignità, rispetto, lealtà. 

Nonostante quella missione puzzasse come un barile di krill di Mon Cala, la persona che si stava avvicinando sembrava una bella anima. 

Certo, la Forza poteva tradire, a volte, soprattutto alla prima impressione. I Jedi avevano imparato a non fidarsi del tutto e soprattutto a non interpretarne eccessivamente le vibrazioni, rischiando di leggere in esse quello che volevano trovarvi e non ciò che esprimevano in realtà.

Rimasero fermi a guardare la scena.

Aspettavano una slitta ed invece era venuta una sola persona, e disperata, anche.

Qualcosa doveva essere andato storto.

Poi, la ragazza cadde bocconi nella neve, sprofondando fino alle spalle. 

Ad un’occhiata del suo maestro, Obi Wan partì in soccorso.

Nonostante fosse già affondato fino al ginocchio nella neve, il padawan continuava a sentirsi sprofondare. 

Anche se la neve impacciava i suoi movimenti, riuscì presto a raggiungere la ragazza, ancora in ginocchio per terra e l’aria di non farcela proprio più a camminare.

- Duchessa, siete voi?-

- Sì.- rispose la ragazza, con un filo di voce.

- Maestro Jinn?-

- Padawan Kenobi. Il mio maestro sta accendendo i motori. Venite, dobbiamo andare.-

Prese senza troppe cerimonie il bagaglio che la ragazza portava sulle spalle - un pesante zaino mezzo congelato - e con la mano libera provò ad aiutarla a rimettersi in piedi.

Il cappuccio le cadde dalla testa.

Il vento continuava a soffiare, imperterrito, sparpagliando neve e cristalli di ghiaccio ovunque. La bufera sembrava intensificarsi ed in quel momento il padawan avrebbe dovuto pensare soltanto ad andare via di lì, a portare la duchessa al sicuro e a ripararsi dal freddo, magari facendosi una bella cioccolata calda nel cucinotto della navicella spaziale. 

Ed invece Obi Wan si chiese come mai in quel posto il ghiaccio potesse diventare vivo.

Aveva gli occhi blu. Zaffiri che brillavano nel bianco immacolato del suo pianeta. Ciocche di capelli biondi, chiari come il grano o il sole di Coruscant all’alba, fluttuavano nella neve, trattenendone i fiocchi mossi dal vento. 

Il resto di lei sembrava opalescente, brillante, bianco come il ghiaccio che l’aria trasportava nella tempesta.

- Obi Wan! Benedetto ragazzo, stai aspettando che congeli? Muoviti, portala via da lì!-

Come se avesse ricevuto una botta in testa, il giovane padawan parve risvegliarsi. Sentendosi un fesso, le passò un braccio attorno alle spalle e provò a tirarla su.

Gli parve che la giovane duchessa opponesse qualche resistenza, forse più per orgoglio che per altro, ma alla fine abbandonò ogni ritrosia e si lasciò condurre nella neve fino alla passerella, ormai praticamente sommersa. Qui Gon stava provando a ripulirla con una brutta scopa pieghevole, ma il risultato era scarso. Tanta era la neve che toglieva, tanta quella che si attaccava di nuovo al pavimento.

Non appena Qui Gon ebbe chiuso il portello della navicella, il resto del mondo smise di ululare al vento e il caldo cominciò ad impossessarsi di nuovo di loro. La duchessa Kryze scosse i capelli biondi dalla neve, mentre i due Jedi le lanciavano occhiate confuse.

- Temo che dovremo rimandare ogni spiegazione, perché se continua a nevicare in questo modo la navicella resterà impantanata e non riusciremo più a decollare.-

- Che cosa è successo, duchessa?-

- Eravamo attesi. Abbiamo creato un diversivo. Sono uscita dal retro con le scorte di emergenza ed abbiamo cambiato destinazione. Mi dispiace avervi dato disturbo cambiando il luogo del nostro rendez-vous, ma non potevo fare altrimenti.-

- Obi Wan, porta la duchessa nei suoi quartieri mentre io decollo, o almeno ci provo. E’ probabile che dovremo restare un poco in sospensione nello spazio per far scaldare i fluidi della navicella. Avremo tutto il tempo per fare due chiacchiere dopo.-

Qui Gon sparì alla vista, andando in plancia, mentre Satine ed Obi Wan si diressero verso le stanze. Il ragazzo le prese di nuovo lo zaino per farle una cortesia, ma un grosso pezzo di ghiaccio si staccò dal fondo e cadde con un sonoro tonfo sul suo piede.

Satine provò a trattenersi dal ridere, vedendo la faccia del giovane padawan contrarsi per non emettere uno sbuffo di dolore e mantenere un briciolo di dignità.

- Vi siete azzoppato, padawan Kenobi?-

- Permettete una battuta di spirito, duchessa?-

- Certo.-

- C’è un cadavere dentro questa borsa?-

Satine sorrise e lo seguì lungo il corridoio. La navicella non era grande e la ragazza non avrebbe fatto troppa fatica ad imparare la disposizione delle stanze. 

- Come potete vedere, la nave non è un granché.- precisò Obi Wan, cercando di non andare a sbattere.- Le stanze del maestro Jinn sono le più riparate, là in fondo. La vostra è questa a destra, e quella di fronte sarà la mia. Lo scopo è quello di restarvi quanto più vicino possibile, in modo da non perdervi di vista e garantire la vostra protezione.-

- Non è che cortesemente potreste…- disse, indicando il dispositivo di apertura. Satine vi poggiò il palmo della mano e la porta si aprì, consentendo al padawan di liberarsi del suo fardello e riprendere fiato.

- Sistematevi come preferite. Io attenderò fuori.-

Satine ringraziò con un mezzo inchino educato, ma lanciandole un’occhiata in tralice Obi Wan si rese conto che qualcosa nella ragazza non andava. Aveva delle profonde occhiaie violacee e le labbra scure e spellate. Le mani, inoltre, avevano un curioso colorito bluastro che non prometteva niente di buono.

- Duchessa, perdonatemi se mi intrometto, vi sentite bene?-

- Io? Sì, ho solo preso freddo.- rispose, ma Obi Wan non la bevve. 

Era palese che si sentiva male. La guardò andare a sedersi sul letto ed emettere un profondo sospiro malinconico, mentre le spalle si piegavano come se sottoposte ad un’importante pressione.

Fu in quel momento che il ragazzo si rese conto di quello che la duchessa aveva indosso. Non aveva niente di più di un maglione, un paio di pantaloni e di un paio di stivali pelosi. Non portava cappello né guanti, ed era uscita nella tormenta con il solo ausilio di un mantello bianco assolutamente inadeguato a quelle temperature glaciali.

Doveva essere uscita in fretta e furia dalla sua casa.

- Duchessa, sono praticamente certo che siate in ipotermia. Avete bisogno di cure, scusatemi se insisto.-

Satine abbozzò un sorriso divertito.

- Ma voi chiedete sempre scusa e chiedete sempre il permesso di fare quello che volete fare?-

Obi Wan si sentì arrossire ed abbassò lo sguardo.

- Volevo solo essere educato.-

Satine rimase colpita dalla sua cortesia. Era un ragazzo singolare con qualcosa di familiare nel viso. Non che non lo avesse notato in precedenza, anzi. Fin da quando l’aveva soccorsa nella neve aveva fatto caso allo sguardo di sincera preoccupazione nei suoi occhi grigioverdi. 

C’era qualcosa di tremendamente noto nella sua espressione, come se l’avesse già vista da qualche parte.

Forse le ricordava solo il viso dolce e gli occhi buoni di suo padre.

In quel momento si accorse dei capelli rossi e dell’orribile taglio da padawan che portava. Doveva ammettere però che la treccia all’orecchio, il rossore timido sulle guance e l’espressività del suo sguardo lo rendevano affascinante. 

Abbozzò un sorriso accomodante, provando a fare finta di sentirsi bene. 

- Lo siete stato. Non vi stavo criticando. Comunque, avete ragione. Se voleste cortesemente indicarmi la cucina, vorrei farmi una tisana calda.-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ne’tra gal: birra scura, bevanda tradizionale leggermente piccante - come quasi ogni cosa commestibile su Mandalore. 

Ib’tuur jatne tuur ash’ad kyr’amur: oggi è un bel giorno per morire, purché lo faccia qualcun altro, frase tradizionale.

Ni baatir: lett. ho cura, di qualcuno/qualcosa. In senso lato, prendersi cura di qualcuno della famiglia e quindi volere bene a qualcuno.

Gar taldin ni jaonyc; gar sa buir, ori’wadaas’la: non importa chi sia stato tuo padre, importa solo il padre che sarai, frase tradizionale, ad indicare che la linea di sangue importa fino ad un certo punto. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Finalmente ci siamo arrivati! I nostri eroi sono sbarcati su Mandalore!

Dal momento che ho speso una quantità incommensurabile di parole su quanto fosse brava, bella e intelligente Satine, ritengo opportuno spendere un’altrettanto grande fiumana di parole su quanto siano bravi, belli e intelligenti i nostri Jedi, ragione per cui i prossimi capitoli, nonostante contengano la giusta dose d’azione, saranno comunque molto introspettivi per permettere di dare spessore anche ad Obi Wan e Qui Gon. 

Per questo motivo potrebbe presentarsi la necessità di spezzare lo stesso capitolo in due parti, che verranno comunque caricati nello stesso giorno, così chi avrà voglia di leggere senza perdere il filo del capitolo potrà farlo tranquillamente senza dover aspettare una settimana.

Se passando di qua voleste lasciare una recensione, mi fareste molto felice!

Alla prossima!

 

Molly. 

 

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Capitolo 22
*** 21- Un uomo buono ***


CAPITOLO 21

Un uomo buono

 

Nonostante lo scarso assortimento, la tisana che il giovane padawan le aveva preparato era buona. 

I motori della navicella avevano iniziato a tuonare subito, non appena si erano seduti in cucina. La navetta era stata praticamente sommersa dalla neve e la tormenta non accennava a calmarsi. La neve aveva coperto tutti i vetri e solo il forte vibrare dei motori in riscaldamento aveva fatto cadere il ghiaccio dagli oblò.

Satine ed Obi Wan si erano seduti con calma in cucina e vi erano rimasti, attaccati quanto più potevano al tavolo e alla sedia, mentre Qui Gon faceva decollare la navetta. Il vuoto d’aria iniziale attanagliò per un poco i loro stomaci, come sempre, ma la sensazione scomparve non appena la traiettoria si fece leggermente più orizzontale. 

In un baleno, si trovarono ad osservare Kalevala dall’alto, un globo bianco come una biglia che brillava nel nulla cosmico. 

Obi Wan le aveva teso la tazza metallica piena di liquido fumante e Satine l’aveva immediatamente cinta con le mani, cercandone il calore ed annusandone il fumo caldo. Era ancora bollente e non si poteva bere, ma per il momento anche solo scaldarsi le dita era per lei un sollievo.

Obi Wan era rimasto a guardarla mentre la duchessa, in silenzio, si era avvicinata all’oblò ed aveva cominciato a guardare fuori. 

- Duchessa, se posso permettermi…-

- Smettetela di chiedere il permesso, padawan Kenobi. Che cosa volete chiedere?-

Obi Wan arrossì di nuovo, ma Satine, gli occhi fissi sulla biglia bianca che era Kalevala, non se ne accorse.

- Che cosa è successo? Vi attendevamo con una slitta. Avevamo pure fatto posto per il vostro guardaroba.-

La duchessa abbozzò un sorriso triste.

- Mi sono accorta che ci erano alle costole. Gente strana andava e veniva dalla via del Lago, che solitamente non è trafficata. Avevo intuito che stavano solo aspettando che io uscissi, o che stavano attendevano il momento giusto per entrare. Così, ho mandato avanti la slitta con qualche soldato scelto, mentre io uscivo dal retro con le scorte di emergenza. Mi sono consultata con le Abiik’ade, che hanno provveduto a correggere le coordinate per l’atterraggio.-

- Le Abiik’ade?- chiese Obi Wan, allargando gli occhi per la sorpresa.- Non pensavo esistessero veramente. Su Coruscant raccontano le favole, sulle donne guerriere di Mandalore.-

Satine rise.

- Spero siano lusinghiere.-

- Non ricordo un granché, ero molto piccolo quando me le hanno descritte. Mi ricordo solo che erano coraggiosissime e bellissime.-

Satine azzardò un sorso della tisana, finalmente alla giusta temperatura.

- Beh, grazie del complimento.-

Gli ci volle un poco per processare quella frase.

- No, aspettate: voi siete una Abiik’ad?-

Satine annuì, ma lo guardò storto.

- Come mai questo tono sorpreso?-

Il padawan non comprese come mai se la fosse presa. Cercò di ignorare il senso di offesa che lentamente si faceva strada dentro di lui e preferì tacere.

L’informazione non rendeva le cose più semplici. Obi Wan era sempre più convinto che quella missione fosse strana. Se davvero la duchessa di Mandalore era una Figlia dell’Aria, ciò cozzava con il suo dichiararsi pacifista, a meno che non ci fossero cose di cui loro non erano a conoscenza. Il che voleva anche dire che il suo maestro aveva avuto ragione, quando aveva detto che la duchessa aveva mentito - o meglio, omesso qualcosa - al Consiglio Jedi. 

- No.-

- Come?-

- Non c’è assolutamente nulla di strano. E’ tradizione che il Mand’alor scelga un corpo armato a cui appartenere. Mia madre era una Abiik’ad, ed io ho sempre voluto volare. Questo non significa che imbraccerò le armi, ma il mio dichiararmi contraria al conflitto non può nemmeno comportare lo smantellamento dell’apparato militare di Mandalore. Ci dobbiamo pur difendere.-

Ecco, questo lo impressionò parecchio.

Gli esseri senzienti e sensibili alla Forza possono percepire i pensieri degli altri. 

Di solito, però, non avviene il contrario. 

Per quanto ne sapeva lui, dunque, la duchessa non aveva avuto modo di sapere che cosa gli stesse passando per la mente, eppure aveva azzeccato in pieno i suoi pensieri.

- Facile anche questo.- gli rispose, tenendo gli occhi fissi su di lui. - La strategia è una delle caratteristiche principali del mio clan. Un tempo ci chiamavano stregoni, dicevano che sapevamo leggere nel pensiero. Ovvio che non è così.-

Stavolta Obi Wan sgranò gli occhi e provò a pensare a qualcos’altro, per vedere fino a quanto la duchessa fosse capace di spingersi.

Satine continuava a fissarlo negli occhi, mentre inclinava la testa da una parte e dall’altra, provando a leggergli nella mente.

L’avrebbe descritta come un cucciolo domestico, se non lo stesse guardando con penetranti occhi di ghiaccio.

- Prevedibile.- aveva detto a quel punto, distogliendo lo sguardo e fissandolo di nuovo sulla sagoma di Kalevala.- Avete provato a depistarmi pensando ad altro. Quello che avete pensato prima era direttamente collegato a quanto ci siamo detti, e quindi deducibile. Secondo voi come faccio a sapere quello a cui state pensando adesso, se non c’entra niente?-

Obi Wan era strabiliato e allo stesso tempo irritato dalla figura della duchessa. Era brava, per essere una persona non sensibile alla Forza, e forse anche troppo per non esserlo del tutto. Allo stesso modo, però, aveva un’aria saccente che gli dava sui nervi.

Forse era così che si sentiva Qui Gon quando lo accusava di essere un’enciclopedia ambulante.

- I miei complimenti, duchessa.-

- Per curiosità, a che cosa stavate pensando?-

- Oh, niente di che - le disse, dandole le spalle e raggiungendo la propria tazza di tisana. - Un membro del Consiglio Jedi che non potete conoscere.-

- Un certo Mace Windu, per caso?-

Questa volta Obi Wan trasecolò e Satine rise forte.

- Non vi scaldate troppo, padawan. Mi ha mandato un messaggio registrato per avvertirmi del vostro arrivo. Ho clamorosamente tirato ad indovinare.- 

Poi Satine sospirò, affondando di nuovo il naso nella tazza.

- Vi prego, smettiamola di giocare a questo gioco.- gli disse, sorridendo appena. - Mi sembra di mettermi in mostra e mi sento socialmente imbarazzante. Parlatemi d’altro. Non voglio offendervi dopo cinque minuti che ci siamo conosciuti.-

Sì, la duchessa era un po’ saccente, però sembrava anche molto alla mano ed intelligente. Obi Wan le aveva lanciato un’occhiata in tralice mentre la ragazza osservava malinconica il vuoto fuori dall’oblò. Aveva i capelli racchiusi in quella strana cuffia, ma non sembravano bagnati. Anche il resto di lei sembrava aver riacquistato un po’ di colore, a parte le mani. Il calore aveva sciolto i muscoli ed ammorbidito la pelle, che si era spaccata ed aveva cominciato a sanguinare un poco. Le unghie erano tornare rosa, ma Obi Wan immaginò che quei geloni ed i tagli dovessero fare molto male. In silenzio, voltò le spalle alla duchessa ed infilò in infermeria alla velocità della luce. 

Tornò con un piccolo kit del pronto soccorso, con un poco di bacta, fasce e cerotto.

- Oh, meno male. Pensavo di avervi fatto scappare.-

- Niente di più assurdo. Sono solo andato a prendere qualcosa per medicarvi le mani. Vi dispiace?- le disse, accennando alla sedia e al tavolino. 

Satine si avvicinò a lui e si accomodò. Obi Wan le prese le mani con delicatezza e cominciò a tamponare le ferite. 

Aveva delle belle mani. Lunghe ed affusolate come quelle di una musicista. A differenza di quelle degli artisti, però, le sue mani erano anche coperte di calli e sul mignolo della mano sinistra c’era una curiosa cicatrice smerigliata, come se si fosse bruciata con qualcosa.

- Che cosa avete fatto alla mano?-

Satine si guardò il mignolo, l’aria pensosa e triste.

- La schiuma del Jaro è corrosiva.-

- Che cos’è il Jaro?-

- Il veleno con cui hanno cercato di uccidere mio padre. Gliel’ho tolto di bocca prima che gli corrodesse il viso.-

Ne parlava come se fosse la cosa più normale del mondo, eppure era una scena talmente raccapricciante che il solo immaginarsela disturbava lo stomaco del giovane padawan.

Dentro di sé, si diede dello stupido per averlo chiesto.

- Mi dispiace, non avrei dovuto.-

- E’ un fatto di dominio pubblico. Non c’è niente di male.-

Obi Wan tornò a concentrarsi sulle mani della ragazza. 

Espanse i sensi nella Forza, sperando di carpire qualcosa di più su di lei. Fin dall’inizio aveva sentito la sua presenza, intrisa di malinconia e tristezza. Di fronte a lei, però, le sue sensazioni si intensificavano e peggioravano. La malinconia si trasformava in dolore, la tristezza in disperazione. Alle volte la giovane duchessa pareva estraniarsi, ferma con le mani protese in avanti in attesa che lui finisse di medicarla, assorta nei suoi pensieri.

Obi Wan non riusciva a smettere di pensare che Satine avesse bisogno di un aiuto serio.

- Ho finito. Vi fanno male?-

- Come?-

- Ho finito di medicarvi. Le mani vi fanno male? Le garze tirano?-

- No, grazie. Va tutto benissimo.- gli rispose, guardandosi pensosa le punte delle dita piene di cerotti e le mani fasciate. 

In assoluto, completo silenzio, Obi Wan raccolse il kit del pronto soccorso e lo portò via. Satine continuò a bere la sua tisana ormai tiepida, mentre ascoltava il rumore dei motori che rombavano con maggiore continuità e soprattutto più silenziosamente.

I liquidi probabilmente si stavano scaldando, nonostante l’azione del fluido antigelo avesse impedito loro di raffreddarsi del tutto.

- Vi capita spesso?-

- Chiedo scusa?-

- State bene?- le disse il padawan, affondando di nuovo nella sedia davanti a lei. - Sembrate…  Non so, persa.-

Satine scosse il capo e cercò di mascherare l’emozione negli occhi. 

Persa era la parola giusta. L’aveva cercata per molto tempo e finalmente l’aveva trovata.

- No, sono solo molto stanca e mi sono isolata per un momento. Che cosa avete detto?-

- Se vi capita spesso di andare in ipotermia.-

- Oh, sì. Il freddo per me è micidiale. Fa un po’ ridere la cosa. Voglio dire, sono nata su Kalevala, dovrei essere abituata alla neve, eppure non riesco mai a restare abbastanza al caldo.-

- Se posso… Oh, va bene.- disse Obi Wan, alzando le mani quando lei lo guardò male.- Ho notato che il vostro abbigliamento, era, come dire? Inadeguato alla tormenta.-

- Avete notato il mio abbigliamento?-

Obi Wan arrossì, non seppe nemmeno perché. 

In fondo, non aveva detto nulla di male, no?

- Insomma, siete qui, no? Voglio dire, vi vedo. Siete davanti a me.-

Questa volta Obi Wan si diede del fesso sul serio. Era uno che, se non sapeva che cosa dire, di solito se ne stava dignitosamente zitto. L’eventualità si presentava raramente. Obi Wan sapeva sempre che cosa dire, a volte anche troppo bene. Il suo maestro lo guardava sempre male perché diceva che parlava a sproposito, oppure perché faceva il saccente.

Quella volta invece stava blaterando a vanvera senza sapere che pesci pigliare.

Riprenditi, Obi Wan!

Quanto a Satine, si era sentita leggermente piccata dal fatto che a giudicare la sua apparenza fosse stato uno che girava con una tunica assemblata con quelli che parevano scampoli di lino messi insieme da un ente di beneficienza, Pia Sezione Ciechini Senza una Mano

Sii diplomatica.

- Semplicemente non credevo che i Jedi si intendessero di moda.-

- Non me ne intendo, infatti. So distinguere la lana dal cotone, però, e il vostro mantello è un po’ troppo leggero per questa stagione. Sbaglio?-

- No.- rispose secca, passandosi le mani sulle maniche del maglione come se volesse essere sicura che fosse di lana.

Satine cominciava ad essere a corto di argomenti. Sperò che fosse il giovane padawan a fornirgliene uno, ma evidentemente anche lui aveva finito la scorta di commenti intelligenti.

Piuttosto che dire scempiaggini, sta’ zitta.

La sensazione di familiarità che aveva provato non appena lo aveva visto non l’aveva mai lasciata, anzi, si era intensificata mano a mano che conversavano. Il modo in cui la guardava, gli occhi grigioverdi, persino la postura del suo corpo sapevano di già visto. 

Se solo Satine si fosse ricordata dove!

Anche perché, diciamocelo pure, un viso così se lo sarebbe ricordato bene.

Aveva gli occhi grigioverdi, ma era sicura di averlo già notato. 

E i capelli rossi, anche se più chiari di quelli di sua madre e di sua sorella Bo. Sembrava biondo, ma non lo era, e la treccia dietro l’orecchio piena di sottili fili colorati e metallici lo rendeva ancora più interessante.

E poi aveva un bel sorriso brillante a trentadue denti, che a volte si stendeva solo da una parte, e gli venivano due simpatiche fossette ai lati della bocca.

Ed aveva anche una leggera piega sul mento, e il viso pulito, fresco, senza la barba caprina del maestro Jedi.

- Ho qualcosa di strano in faccia?-

- Come, prego?-

- Lo avete fatto di nuovo.-

- Oh, scusatemi, devo dormire. Dicevate?-

- Ho qualcosa di strano in faccia? Perché mi fissate?-

Satine sentì il sangue andarle via dal viso, per poi risalirle alla testa alla velocità della luce. Era certa che, se non fosse stato lontano a sufficienza, il padawan avrebbe potuto sentire il calore irradiarsi dalle sue guance purpuree.

- Mi dispiace di avervi messo a disagio, solo che mi sembra di avervi già visto da qualche parte. Ci siamo già incontrati, per caso?-

Obi Wan fece spallucce, grattandosi il capo.

- Non credo, no. Il maestro Windu vi ha mostrato qualche immagine, forse.-

- No, lo escludo. Me lo ricorderei.-

- Allora forse sull’holonews. Ci siamo finiti un po’ di tempo fa, per aver impedito l’attacco bomba all’ambasciata di Ibaar.-

- Temo di non ricordare l’episodio. Sono stata molto presa da faccende interne, ultimamente.-

- Di sicuro, il mio buon padawan non ricorda l’ultima volta che ha visto me.- sbottò il maestro Jinn, in piedi sulla porta, le braccia conserte e lo sguardo severo.

Obi Wan divenne rosso come un gambero.

- Ti sei dimenticato di venire a darmi una mano in plancia?-

Satine, mossa a compassione, si sentì in dovere di intervenire.

- Credo, maestro, che sia stata tutta colpa mia. Sono uscita di casa in fretta e furia e con abiti poco adatti alla tormenta. Sono andata in ipotermia. Il vostro padawan mi ha curata.- gli disse, mostrandogli le mani bendate ed ammiccando al bricco di tisana calda posato sul fornello.

Il maestro alzò un sopracciglio, parzialmente convinto.

- Duchessa, apprezzo la vostra prontezza di spirito, ma per certe cose c’è il droide medico. E tu non sei un droide, vero, Obi Wan?-

Mormorando scuse, il ragazzo si alzò e si diresse verso il suo maestro, pronto a seguirlo.

- Ho bisogno di qualcuno ai comandi assieme a me, figliolo. Se la duchessa non ha più bisogno di te, preferirei tu mi dessi una mano.-

- Sì, maestro.-

Il Jedi era immenso. Non entrava nemmeno tutto nella porta. Satine era rimasta a guardare quella massa gigantesca che sfiorava il soffitto e si chiese come facesse uno così alto ad incastrarsi in una navicella spaziale così piccola.

Le sue maniere invece lasciavano un poco a desiderare. Aveva sentito che molti Jedi apparivano freddi e distaccati anche quando non lo erano davvero perché il loro codice morale impediva loro di provare emozioni. Non sapeva se fosse vero o meno, ma tendeva ad avvalorare quell’ipotesi. Il padawan giovane e carino che l’aveva aiutata sembrava molto più aperto di lui, nonostante il contegno che emanava. Forse proprio perché stava ancora imparando sembrava più propenso a lasciarsi andare. 

Il maestro Jinn, invece, aveva solo fatto commenti un po’ caustici da quando era arrivata.

Pensò che fosse solo di cattivo umore, ed un po’ ci sperò. 

Li guardò uscire, prima di giungere ad una conclusione un po’ diversa e un po’ più politica rispetto alle valutazioni personali che aveva fatto fino a quel momento.

Sorrise tra sé, maliziosa, consapevole di aver compreso.

In fondo, la tecnica del poliziotto buono e del poliziotto cattivo funziona sempre, no?

 

- Allora, che ti sembra?-

- Mi sembra la duchessa, fuori da ogni dubbio. Penso che la sua storia sia credibile e credo che dovremmo andarcene da qui, o ci troveranno. Il diversivo della slitta non durerà in eterno.-

Lo facevano spesso, loro due. Frequentemente le persone che assistevano erano giovani o in coppia. Erano capitati madri e figli, fratelli. Di solito, più giovani erano, più tendevano a confidarsi con Obi Wan. All’inizio, era stato un caso. Poi, constatata la regola, i due avevano cominciato a sfruttare quella tendenza. Certo, non facevano mai il doppio gioco, ma quando c’era qualcosa sotto - come nel caso della chiamata della duchessa di Mandalore - era una tecnica molto utile per acquisire informazioni che altrimenti non avrebbero mai ottenuto.

- Quindi possiamo essere certi che la ragazza non è un’impostora.-

- Con tutto il rispetto, maestro, ma la ragazza assomiglia incredibilmente a quella del filmato. Ha persino la stessa cuffia strana a nasconderle i capelli.-

- Non sai quanto sia facile fare un falso, ragazzo mio.-

Forse il maestro aveva ragione, però Obi Wan aveva anche percepito qualcos’altro.

- C’è di più però, maestro.-

- Qui Gon alzò un sopracciglio, pensieroso.

Erano in plancia, facendo finta di tenere d’occhio i comandi. Non ne aveva mai avuto bisogno, in verità, ma Qui Gon aveva utilizzato la prima scusa che gli era venuta in mente per contattare Obi Wan. 

- Pensavo di averti dato abbastanza tempo, ragazzo.-

- Ed infatti è stato sufficiente. Quello che intendo dire è che la duchessa è disperata. Un tipo di disperazione del genere è difficile da imitare.-

- Che cosa intendi dire con disperata?-

- Si isola. Fissa il vuoto e ci si perde dentro. Sembrava triste quando l’abbiamo trovata, cioè, quando lei ha trovato noi, ma adesso è peggio. Non è solo malinconia, è proprio disperazione. Non ho mai visto niente di simile in vita mia.-

Qui Gon sospirò.

- Abbi pena per lei e per le persone che non possono disperdere il dolore nella Forza, ragazzo mio.-

- Non so come faccia a reggere tutto quel dolore senza potersene liberare.-

- Impara a conviverci fino a che non se ne va da solo.- 

- Ammesso che succeda?-

- Ammesso che succeda.-

Obi Wan non era del tutto certo che avere pena per lei fosse la cosa giusta. Semmai, quello fortunato era lui. Persone come i Jedi hanno un grande dono da cui trarre forza. Satine, al contrario, sembrava una persona perfettamente normale, come la stragrande maggioranza degli esseri viventi della galassia, e doveva arrangiarsi con quello che aveva. 

Non andava compatita, andava ammirata.

Seduto in plancia con il suo padawan vicino, Qui Gon lanciò un’occhiata verso di lui, solo per trovarlo assorto e apparentemente concentrato sui comandi. Era evidente che Obi Wan aveva qualche pensiero che gli frullava per la testa e non se ne stupì. 

Il suo padawan aveva un grande dono, ovvero quello dell’introspezione. Poteva sembrare un inguaribile secchione, ma il tutto era dettato dal bruciante desiderio di fare qualcosa di se stesso. Il ragazzo era curioso e voleva solo imparare, nella speranza di diventare un giorno un buon Jedi. Preferiva rifugiarsi nell’intimo dei suoi pensieri, nascondersi da qualche parte a meditare, piuttosto che fare bella mostra di sé in allenamento con gli altri padawan.

Era stata una delle cose che gli avevano causato più problemi al Tempio.

Eppure quella era una dote ammirevole. Aveva la capacità di leggere se stesso e gli altri attorno a lui. Grazie alla sua empatia gli erano bastati pochi minuti in compagnia della duchessa per capire che qualcosa non andava, e forse medicarle le mani non era stato solo un modo per guadagnare tempo. 

Obi Wan era buono a sufficienza da provare a tirarla su di morale, almeno un po’. Era capace di farlo solo per il bisogno di prendersene cura. 

Poi, lo vide sbadigliare.

- Hai dormito poco, un’altra volta.-

Non era una domanda, bensì un’affermazione, e Obi Wan sapeva di non poter mentire.

- Ho faticato, maestro.-

- Nemmeno la meditazione ha funzionato?-

- Il problema non è addormentarsi. E’ l’incubo in sé che mi infastidisce e dopo non riesco più a prendere sonno.-

- Se capitano così di frequente non credo che siano incubi, bensì visioni, ragazzo mio. Dovremo venirne a capo.-

Obi Wan non amava quel tipo di conversazioni. Il suo maestro era un po’ fissato con le profezie e il padawan era convinto che non fosse una buona cosa. Credeva fermamente che ognuno è artefice del proprio destino e che le visioni potevano fornire un’anticipazione solo incerta del futuro. Le strade della Forza - come gli aveva insegnato il maestro Yoda a suon di colpi di bastone sulle nocche - possono cambiare, e nulla nel futuro è già scritto. 

La nostra storia cambia a seconda delle strade che si scelgono.

Una parte di lui, però, era consapevole che quando un sogno si ripete troppo spesso non può essere un caso. La cosa lo infastidiva, ma non poteva farci niente.

- Sì, maestro.-

Un leggero bussare alla porta della plancia li distrasse.

Qui Gon ed Obi Wan si guardarono, incerti.

- Duchessa?-

- Posso entrare?-

- Certo. Qualcosa non va?-

- Assolutamente no.- rispose loro, nascondendo una ciocca bionda ribelle dietro l’orecchio.- Ho solo pensato che voleste sentirmi, adesso che avete avuto modo di scambiarvi le opinioni che vi siete fatti di me.-

Se al padawan venne da ridere, il maestro Jinn fece schizzare le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli, preso in contropiede.

- Che significa? Noi…-

- Giocate al poliziotto buono e a quello cattivo, lo so. Il maestro austero e il giovane allievo faccia d’angelo che ispira confidenza. Uno raccoglie informazioni, l’altro aspetta e trae le conclusioni. Sentite, sono Mando e sono sopravvissuta ad uno svariato numero di attentati terroristici. Non sono una completa ignorante. Se volete, posso dirvi io quello che volete sapere.-

- Non c’è bisogno, duchessa. Il mio principale interesse era comprendere se foste veramente voi. Capirete che era strano che foste arrivata completamente sola. Volevamo solo essere certi di non avere caricato a bordo un’impostora.-

- E l’apparenza si può facilmente falsificare. Se foste stata una delle mie guardie personali, avrei apprezzato molto il vostro operato. Complimenti, maestro, padawan.- disse loro chinando il capo con cortesia. 

Quando Qui Gon incrociò lo sguardo della duchessa, non potè fare a meno che condividere l’idea che si era fatto Obi Wan. La ragazza era pallida e stanca, visibilmente infreddolita nonostante l’ipotermia fosse passata, ed oltre l’apparente compostezza i suoi occhi tradivano un profondo dolore che mandava i suoi riverberi potenti nella Forza.

Doveva aver vissuto di recente qualcosa di indicibile.

- Perché non andate a riposarvi, duchessa?- le disse, poggiandole una mano sulla spalla e provando a condurla fuori dalla plancia.

- Non volete davvero sapere niente?-

- No, non per il momento. Avremo modo di conoscerci meglio. Soltanto, sapete che cosa dobbiamo aspettarci?-

- Verranno a cercarmi, sicuramente.- concluse la duchessa, percorrendo il corridoio fino alla porta della sua stanza. - La prima volta hanno mandato la Ronda della Morte, ma dubito che lo faranno una seconda. Sono il braccio armato di Larse Vizla adesso, ed avrà bisogno di loro e della loro forza bruta per consolidare il suo regime. Io sono una spina nel fianco per lui, nonché la principale avversaria politica. Il fatto che sia sopravvissuta è un grosso cruccio per quel farabutto. Una volta accertata la mia fuga da Kryze Manor mi manderà qualcuno dietro. Cacciatori, probabilmente.-

Qui Gon ed Obi Wan dovettero ammettere di averci capito molto poco, ma non fecero domande.

- Andate a riposare adesso. Ne avete bisogno.-

E loro avrebbero avuto bisogno di quel tempo per studiare un po’.

Mandalore era un sistema che veniva ricordato spesso e volentieri per la sua violenza, ma mai per il resto. Se c’era una cosa che Obi Wan ricordava delle lezioni di storia che aveva pedissequamente frequentato, era la brutalità con cui si erano battuti e la spregiudicatezza con cui avevano distrutto il loro stesso sistema in nome della guerra, della supremazia e del potere.

Un nome sopra tutti era rimasto impresso nella memoria di Obi Wan, ed era quello dei Vizla. 

- Credo che dovremmo recuperare un po’ di informazioni. Il tuo database non ti dice niente?- gli disse Qui Gon, muovendo le dita attorno alla tempia per indicare le rotelle del suo cervello.

- Tarre Vizla è stato l’unico Mando che sia mai divenuto un Jedi, nonché il creatore della Darksaber. Se non sbaglio, oggi è diventata un simbolo di potere e di leadership. Poi, mi pare che Vizla fosse stato anche colui che aveva condotto le guerre mandaloriane un centinaio di anni fa, contro la Marina della Repubblica, e che hanno causato la desertificazione di Mandalore.-

- Insomma, i Vizla godono di buona fama!-

- Credo che la duchessa prima di andarsene abbia rilasciato un discorso alla nazione. Insomma, sarebbe stato logico, no?-

Qui Gon annuì, e i due si rifugiarono dentro la stanza del maestro. Il datapad acceso aveva trasmesso in diretta il discorso di Satine, lo stesso che aveva tenuto quella mattina prima di mandare la richiesta d’aiuto ai Jedi, ed i due ne erano rimasti strabiliati.

- La ragazza sa fare politica, va detto.-

- Ed anche bene. Insomma, a livello strategico è particolarmente brava. Ecco, questo mi sono dimenticato di dirlo, maestro. Lei è quasi capace di leggere nel pensiero!-

Qui Gon alzò un sopracciglio.

- Che vuoi dire?-

- Le ho chiesto come fosse arrivata qui, e lei ha risposto che è riuscita a fuggire con l’aiuto delle Abiik’ade, che hanno preso la sua slitta per attirare il fuoco dei terroristi mentre lei fuggiva in fretta e furia. A quel punto, lei stessa mi ha confessato di essere una Abiik’ad.-

Qui Gon spalancò gli occhi.

- Le leggendarie donne guerriere di Mandalore?-

- Apparentemente. La cosa, però, mi ha lasciato perplesso, perché credevo che essere una guerriera di quel genere non fosse compatibile con il pacifismo che la duchessa millanta. Non ho espresso questo pensiero, ma lei mi ha anticipato, dicendo che è tradizione che il Mand’alor scelga un corpo armato, e lei ha scelto quello in cui era stata sua madre, e che non avrebbe mai smantellato le forze dell’ordine per la pace perché ciò avrebbe significato rinunciare completamente a difendersi.-

- E’ un pensiero prevedibile, anche se è ammirevole che lei ci sia arrivata.-

- Non è finita qui. Ha capito che ero perplesso ed ha anticipato il mio commento, spiegandomi che il suo clan viene ritenuto magico, come se fossero degli stregoni, quando in verità hanno solo molta abilità a dedurre, appunto. Il problema è che poi ho provato a depistarla e lei ha capito lo stesso.-

- In che senso?-

- Ho pensato al maestro Windu. Lei ha capito che stavo provando a pensare a qualcosa che non avrebbe mai indovinato, e non appena le ho detto che avevo pensato ad un maestro, ha azzeccato Mace Windu pretendendo di aver tirato ad indovinare!-

Questa, poi, era bella.

- Non è che è sensibile alla Forza?-

- Una Mando? Anche se fosse, voglio vedere come farete a convincerla a farsi testare, e forse è meglio se Vizla non viene a saperlo.-

Qui Gon dondolò il capo, convinto. 

- Considerati i toni di questa guerra e i connotati della duchessa, forse è meglio se usciamo definitivamente dallo spazio aereo di Kalevala, o rischiamo di averli addosso nel giro di poco. La duchessa non è pronta per affrontare un altro disastro, e nemmeno noi siamo pronti a respingerli.-

 

FINE PRIMA PARTE

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Capitolo 23
*** 21.1- Un uomo buono ***


CAPITOLO 21.1
Un uomo buono

 

 

La luce azzurrognola lo aveva avvolto. Ancora. 

Il giovane padawan aveva sospirato, provando a controllare le sue emozioni ed il suo cuore in tumulto. 

La visione era tornata di nuovo e non poteva farci niente. 

Cercò di perdersi nel flusso di quel sogno, provando a vedere dove l’avrebbe portato, ma come al solito lo lasciò sospeso in un limbo.

La luce azzurrognola continuava ad avvolgerlo, a tenerlo sospeso nel nulla. Non c’era niente, se non quel bellissimo riverbero cristallino del colore dell’alba che riempiva l’aria.

Poi era arrivata la voce.

Quella era la parte della visione che lo spaventava di più. Chiunque stesse parlando aveva una voce cavernosa e - aveva pensato Obi Wan - quasi minacciosa. Eppure non c’era minaccia nella Forza, o almeno così credeva. Non riusciva a capire in quale lingua parlasse o che cosa dicesse. I suoni che emetteva erano melodiosi, molto delicati, ma allo stesso tempo profondi e secchi, netti. 

Se non avesse avuto quella sensazione di disagio dentro, avrebbe quasi apprezzato la sua visione.

Si sentì precipitare nel vuoto e nel nero ed aprì gli occhi sul nulla.

Il buio gli diede alla testa e scattò a sedere, sentendosi cadere. 

Solo in quel momento si rese conto di essere nella sua stanza, a bordo della navetta, con le luci di emergenza accese sotto la scrivania e il nero della galassia fuori dall’oblò. 

Si passò una mano nei capelli, spossato. 

Anche quella notte non ci sarebbe stato verso di dormire.

Si stese nel letto un’altra volta e si mise a meditare.

 

Non ci sono emozioni. C’è solo pace.

Non c’è ignoranza. C’è solo conoscenza.

Non c’è tormento. C’è solo serenità.

Non c’è caos. C’è solo armonia.

Non c’è la morte. C’è solo la Forza.

 

Finì a fissare il soffitto sentendosi un pessimo Jedi.

Si alzò dal letto e si diresse verso la cucina, sperando che con una camomilla si sarebbe riaddormentato.

Quando fu in corridoio, però, ebbe la sensazione di non essere solo.

Un’altra presenza intrisa di dolore sordo era sveglia assieme a lui.

Lanciò uno sguardo in cucina, dove la duchessa sedeva rannicchiata sulla sedia di fronte ad una tazza fumante, la testa tra le gambe ed i capelli biondi che le cadevano sulle spalle. Obi Wan percepì chiaramente la sua aura, immersa di tristezza, stanchezza e profonda solitudine mista ad una gran voglia di piangere.

Bussò piano ed entrò.

La duchessa non alzò nemmeno la testa dalle ginocchia.

- Non sono l’unico a non dormire, stanotte.- disse, fingendosi allegro. 

Satine scosse la testa senza dire una parola. Se non avesse riconosciuto la sua Forza, si sarebbe chiesto se non si trattasse di un droide vestito come lei. 

Ah, già, il pigiama.

Obi Wan non aveva mai visto niente di così imbarazzante. Nemmeno i pigiami di lino succinti di Adi Gallia potevano reggere il confronto. La duchessa indossava un orrendo pigiamone di pile acquamarina fosforescente, troppo largo per lei e allo stesso tempo troppo corto, abbinato ad un terrificante paio di calzini rosa confetto a pois bianchi e a due spaventose ciabatte di feltro viola.

Dovevano essere le famose scorte di emergenza di cui aveva parlato.

Cercò di non sorridere mentre le si avvicinava.

- E’ camomilla?-

Satine annuì di nuovo.

- Ce n’è ancora?-

Stavolta scosse la testa.

- Che c’è, duchessa? Un gatto di Lothal vi ha mangiato la lingua?-

Stavolta Satine non rispose. 

Obi Wan sospirò e le diede le spalle per prepararsi la camomilla. La sentì sospirare a sua volta e notò con la coda dell’occhio che le spalle si incurvavano sempre di più e si stringeva le gambe al petto, come per proteggersi. 

Aggrottò le sopracciglia, pensieroso, mentre la sensazione di malinconia e disagio si impadroniva sempre di più di lui.

- Duchessa, state bene?-

A quel punto, Satine sollevò la testa dalle ginocchia e si asciugò gli occhi con la mano, provando a non farsi vedere.

- Sì, ho sempre sofferto d’insonnia. Non ci badate.-

Mentire ad un Jedi, poteva anche funzionare. Certo, era un rischio, ma un bravissimo attore poteva anche far cadere il suddetto Jedi in un tranello.

Mentire ad Obi Wan, però, specie se si trattava di emozioni, diventava molto complicato. 

- Duchessa, perdonatemi se vi chiedo di perdonarmi…- e riuscì a strapparle un sorriso triste.- Ma voi non state per niente bene. Per favore, non raccontatemi frottole.-

Satine rimase un poco in silenzio, osservando il ragazzo seduto di fronte a lei in attesa del fischio del bollitore. 

- No, non sto bene. Per niente.-

- Come mai?-

- Un commando armato ha ucciso mia madre davanti a me quando avevo otto anni. Un commando armato ha cercato di uccidere mio padre molte volte ed alla fine è riuscito ad avvelenarlo. Un commando armato ha massacrato quattordici persone, sei militari e un generale, per colpa mia. Un commando armato sta cercando di uccidermi e c’è l’alto rischio che usino la mia famiglia per ricattarmi. Ho ucciso un uomo…-

- Voi avete fatto cosa?-

Satine sobbalzò, come se il tono del giovane l’avesse ferita nel profondo. Lo guardò con gli occhi smarriti e pieni di lacrime.

- Voleva uccidere la mia famiglia. Aveva già ucciso mia madre. Non so che cosa ho fatto, non me lo ricordo, ma so che sono stata io.-

Obi Wan provò a fare due più due. Se Satine aveva ucciso l’uomo che le aveva ammazzato la madre, questo significava che, a meno che non si fosse rifatto vivo dopo molti anni, l’omicidio era avvenuto contestualmente alla morte di quest’ultima.

Satine, quindi, doveva avere avuto circa otto anni.

- Forza benedetta. Mi dispiace, non lo sapevo.-

Ma Satine sembrava non voler smettere più.

- La vedete questa?- disse, mostrando la contusione violacea sulla fronte. - Questa me la sono fatta ieri mattina, durante il massacro alla Fortezza delle Cascate.-

- Mi dispiace…-

- E’ stata la mandibola di una delle mie guardie. Gliel’hanno fatta saltare via dalla faccia con un colpo di fucile. Era diventato padre l’altro ieri.-

Il fischio del bollitore li distrasse. 

Satine tornò a posare la testa sulle ginocchia, singhiozzando sommessamente, mentre Obi Wan si versava la camomilla senza sapere che cosa dire.

Tornò a sedersi in silenzio, ma questa volta, invece che incrociarla dall’altro lato del tavolo, provò ad accomodarsi accanto a lei, cercando una connessione, un contatto.

Fu in quel momento che se ne accorse e gli venne una grande idea.

- Sono blu!-

La ragazza alzò lo sguardo acquoso, perplessa.

- I vostri capelli, sono blu!-

Satine si toccò le punte dei capelli come se le vedesse per la prima volta ed abbozzò un sorriso.

- Ogni tanto andavo a ballare, su Kalevala.-

- Perché non mi raccontate qualcosa del vostro pianeta? Tutto quello che ho visto è solo bianco.-

La duchessa parve riprendersi un poco. Obi Wan aveva letto che i Mando erano molto fieri del proprio sistema, che amavano molto il loro pianeta. Questo amore poteva essere vinto solo dalla grande forza del potere e dell’odio che provavano per il clan nemico o contro la Repubblica. Non volendo far confluire la conversazione sulla guerra, Obi Wan decise dunque di dirottare l’attenzione della ragazza sull’ambiente del suo pianeta natale. 

- Ora sembra ostile.- disse, guardando fuori dall’oblò e provando ad identificare Kalevala nel nero del cosmo.- Ma in primavera e in estate è tutto molto verde.-

Il padawan la ascoltò parlare del lago. Doveva essere davvero un bel posto. Immaginò quel lago dalle acque dense e calme che rifletteva esattamente il cielo estendersi fino all’orizzonte circondato da boschi e rocce, dietro dolci colline arate. Immaginò il maniero - Kryze Manor, non Kryze Castle - stagliarsi contro il cielo sulle sue rive, le vecchie torri e i mattoni antichi che cozzavano con il beskar e il vetro dei palazzi moderni. 

- Sembra un posto bellissimo.-

- Quando tutto questo finirà, se finirà, spero di potervi accogliere a casa mia. Siamo molto ospitali, noi Mando, quando non ci facciamo la guerra.-

Obi Wan scoprì che gli sarebbe piaciuto molto conoscerla meglio e la cosa lo impressionò. Non era da lui provare coinvolgimento per le persone che proteggeva, ma Satine aveva un modo così entusiasmante di descrivere il suo paese, il suo mondo, con gli occhi che le brillavano così tanto che il padawan non poteva fare a meno di essere affascinato dalle sue parole.

Comprese come mai Vizla - non ricordava il nome - la considerasse pericolosa per il suo regime. Aveva un modo di parlare ipnotico e molto intrigante.

O forse era solo la curiosità di un ragazzo che non aveva mai conosciuto il suo pianeta natio, a parte Coruscant. 

- Posso chiedervi un favore, padawan Kenobi?-

- Certo.-

- Troppe persone sono morte per me. Non aggiungetevi alla lista, vi prego. Quando sarà il momento, consegnatemi ed andatevene.- 

Obi Wan sgranò gli occhi.

E’ matta, per caso?

- No, duchessa, non posso promettervelo.-

La ragazza parve di nuovo sull’orlo delle lacrime, una brutta sfumatura verdognola sul volto.

- E’ mio dovere servirvi e servire la causa.-

- E allora perché non fate quello che vi dico?-

- Perché adesso siete stanca e spaventata, e piena di disperazione. Che cosa direbbe vostro padre, se sapesse che vi siete lasciata uccidere?-

- Non provate a toccare questo tasto, padawan.-

- Voi lo amate molto, si sente da come ne parlate. Sono certo che lui vi ami allo stesso modo. Perdervi sarebbe molto doloroso, non trovate?-

Questa volta, Satine tacque. Obi Wan aveva intuito che suo padre era un argomento sensibile per lei ed aveva provato ad usarlo. Quando parlava di lui, la ragazza si animava tutta e sembrava molto felice, nonostante il dolore aumentasse. Era evidente che non riusciva a perdonarsi il terribile attacco che aveva subìto, di non avere fatto di più per salvarlo.

- Potete fare qualcosa per lui. Andare avanti, sopravvivere. Tornare a casa.-

- A quale costo, padawan? A quale costo?-

I due rimasero in silenzio. Obi Wan, a corto di parole, agguantò una ciocca di capelli blu e li passò tra i polpastrelli.

Aveva i capelli morbidi e setosi. Sembrava di toccare veri e propri raggi di luce.

- Tutto bene, padawan?-

- Sì.- disse, cercando di cacciare indietro il rossore sulle guance.

Medita.

- Vostro padre approva?- disse, ammiccando ai capelli blu.

Satine sorrise.

- Ho usato le extension colorate per parecchio tempo. Poi, siccome non ne potevo più, per fare un favore ad un’amica me li sono tinti.-

Aveva mentito su sua sorella, mescolando verità e finzione con la piccola rivoluzione che aveva fatto a scuola, quando aveva colorato i capelli per Indila. 

Obi Wan parve confuso, ma non insistette oltre, rispettando la sua privacy.

Satine lo apprezzò molto e posò la testa sulle ginocchia, di nuovo, senza piangere più. Obi Wan, dal canto suo, continuò a giocare con i suoi capelli, le ciocche blu che accarezzavano le sue dita mentre le faceva scivolare tra di esse. 

La duchessa si strofinò gli occhi blu, rossi e gonfi, scostò i capelli dal viso e trasse un profondo respiro.

- Va tutto bene.- le disse il giovane padawan, cercando di tranquillizzarla.

- No che non va bene.- rispose lei, piccata.

- Intendo dire che adesso ci siamo noi. Meglio, c’è il maestro Jinn. Non per vantarmene, ma è uno dei migliori in circolazione, sono certo che saprà trovare una soluzione ai vostri problemi. Sempre che proprio non vogliate contare su di me e sui miei tre neuroni, beninteso.- disse, abbozzando un sorriso, lo stesso che comparve, seppur con qualche esitazione, sul viso della giovane ragazza.

- Avete ben più di tre neuroni, padawan.-

- Avete ragione. Io stesso me ne do almeno sei, ma se il mio maestro dice che sono tre è meglio non contraddirlo.-

Aveva un umorismo nero che a Satine piaceva. In qualche modo, andava a nozze con i suoi pensieri tormentati, e non mancava mai di tirarla su di morale. Nonostante l’aria un po’ malandrina, il giovane padawan sembrava sincero ed innocente, uno che diceva sempre - seppur con una grande attenzione per le parole - quello che pensava. 

Pensò che fosse carino, educato ed una brava persona.

Cambia argomento.

- Vi ho svegliato io?-

La domanda arrivò senza preavviso ed il padawan fu distratto dai suoi vaghi - nonché strani - pensieri sulla sensazione che gli dava stringere i capelli della duchessa tra le dita.

Medita.

- No, ultimamente dormo male.-

- Come mai? Se posso chiedere, ovviamente.-

- Adesso chiedete voi il permesso?-

- Volevo solo essere educata.-

Ad Obi Wan scappò una risata quando lei ripetè le sue stesse parole.

- Punto per voi. A dire il vero, non lo so. E’ un po’ che continuo a fare sogni strani. Il mio maestro dice che sono visioni, ma finché non capisco in che lingua parla, la mia visione, temo di non poterne venire a capo.-

Satine aggrottò le sopracciglia, pensosa. 

- Posso aiutarvi? In fondo, voi avete aiutato me e ormai è quasi mattina, non credo che avremo molto tempo per riposare.- 

Con uno scatto fulmineo, Obi Wan guardò l’orologio digitale sulla parete e si rese conto che, se non fossero stati nello spazio, ormai sarebbe stata l’alba. 

- Non mi ero reso conto che fosse così tardi.-

- In verità, avete dormito un bel po’.- disse la ragazza, tirandosi indietro i capelli biondi sfumati di blu.- Quando sono venuta qua era già notte inoltrata e voi siete arrivato molto dopo.- 

Sapere di aver riposato per buona parte della notte lo faceva sentire rincuorato, anche se non del tutto soddisfatto.

- Quindi, la vostra visione?-

Si sentiva a disagio a raccontarle qualcosa di così privato, ma decise di provare a fidarsi. Le raccontò della luce e della strana voce che sentiva dentro la testa, e della sensazione di disagio - non seppe definire se positiva o negativa - che gli stringeva lo stomaco ogni volta che la visione compariva.

- Avete detto che parla in una lingua strana?-

- Diversa dallo Standard, sicuramente, e forse anche arcaica. Ha moltissime sibilanti, ma anche parole composte solo da vocali. Non saprei dirne il significato, però.-

- Potete provare, se non altro, ad imitarne il suono?-

Obi Wan ci pensò un po’ su, coprendosi la bocca con la mano.

- La prima parola è piena di esse. Una cosa tipo sirisin, o qualcosa di simile. La seconda invece è tutta vocali. Aioshi… Non saprei proprio.-

E si sentì un cretino che faceva versi insulsi di fronte alla duchessa di Mandalore. 

Satine serrò le labbra e scosse il capo, mesta.

Poi, improvvisamente, un pensiero le attraversò rapido la mente.

Ma non poteva essere vero. 

Vero?

- Cin'ciri oyayc?-

- Come?-

- La parola, è per caso cin'ciri oyayc?-

Obi Wan spalancò gli occhi.

Se da una parte quella era di sicuro la parola che aveva sentito nel sogno - il giovanotto ne era più che certo - dall’altra non riusciva a capacitarsi di come Satine facesse a saperla. 

- Come avete fatto?-

- In verità, è curioso.- disse lei, accoccolandosi meglio sulla seduta, lo sguardo improvvisamente luminoso e l’intelligenza viva dentro i suoi occhi.

- Molto curioso.-

- Che cosa è curioso?-

- Cin'ciri oyayc. E’ Mando’a. Significa ghiaccio vivo.-

Il padawan rimase a guardarla senza capire.

- E che vorrebbe dire?-

- E’ questo lo strano.- fece lei, i suoi pensieri contorti che cominciavano a prendere forma ed una brutta sensazione di amaro che le saliva alla gola.- E’ un nome. Un epiteto, per la precisione, dato ad un candidato al trono di Mandalore.-

- E a chi?-

Satine lo guardò dritto negli occhi grigioverdi, cercando una reazione.

- A me. Sono io il Ghiaccio Vivo di Kalevala.-

Da una parte, Obi Wan non riusciva a capire come avesse fatto a non arrivarci subito. In fondo, che lei fosse fatta di neve o ghiaccio era un pensiero che gli aveva attraversato la mente non appena l’aveva vista. Era più che logico che qualcun altro c’avesse pensato prima di lui. Quello che invece non riusciva proprio a capire era come mai quella parola e quella luce avessero tormentato i suoi sogni per mesi, ormai. Tutto era cominciato molto prima che ricevessero la chiamata di soccorso e forse la Forza aveva fatto in modo di fargli incrociare il cammino della duchessa quando lui non era riuscito ad andare da lei seguendo le visioni.

Perché la Forza aveva voluto condurlo da Satine Kryze?

- E la luce bianca?-

Gli occhi di Satine, questa volta, sembrarono sorridere.

- Beh, se è davvero tutto legato a Mandalore, quella potrebbe essere un po’ più complicata da spiegare.-

- Che cosa è complicato?- fece il maestro Qui Gon, entrando dentro la cucina con i capelli un poco arruffati per il sonno.

- Oh, niente. Discutevamo di lingua mandaloriana.-

- Non ne so molto. E’ camomilla?- disse, dando un’occhiata agli avanzi dentro il bollitore.

- Sì.-

Qui Gon sbuffò e poi guardò male il suo padawan.

- Hai svegliato la duchessa, Obi Wan?-

- Veramente, sono stata io a svegliare lui, temo.-

- Ci siamo svegliati insieme. Io avevo le visioni e lei… Beh, lei…-

- Io soffro d’insonnia da sempre, e in particolare in questo momento devo dire che ho i miei motivi per avere paura di chiudere gli occhi. E mi manca molto casa mia. Questo, però, voi lo sapete già, vero?-

Qui Gon la guardò più dolcemente, adesso.

- Certo.-

Il cavaliere Jedi si sedette a tavola, preparando la colazione per tutti. Satine aiutò anche se non aveva appetito, ed Obi Wan invece contribuì a sopperire alla carenza di fame. La quantità di cibo che il giovanotto era capace di ingurgitare era pari solo a quella che riusciva a consumare sua sorella Bo. 

Questo, però, aveva il vantaggio di mangiare in modo più civile e composto di lei. 

Mentre sbocconcellava la sua colazione, Satine si chiese per quale assurda congiunzione astrale ciò che aveva cominciato a credere che non sarebbe mai accaduto stesse accadendo.

Perché stava accadendo, vero?

Kar’jag. L’Uomo delle Stelle.

Un Jedi.

Non era possibile.

Doveva sicuramente esserci un’altra spiegazione, anche se tutto il ragionamento sembrava già filare così.

Il senso di familiarità ed un paio di occhi grigioverdi che non sono mai riuscita a dimenticare da quando Nebrod me li ha mostrati anni fa.

Ho poco tempo da vivere ed infatti ho i terroristi alle costole e una guerra civile imminente a minacciare me e la mia famiglia.

Avrei portato nel cuore un solo uomo, con poco tempo a disposizione è più che logico.

Lui viene dalle stelle e lì ritornerà perché appartiene alla galassia, come un Jedi che deve proteggerla e portare pace.

Ci ameremo per sempre, ma non sarà mai mio, perché il suo destino di cosmonauta glielo impedisce, per non parlare dei Mando che farebbero volentieri la festa a tutti e due se si venisse a sapere che la duchessa ha una relazione col nemico.

Certo, Obi Wan poteva avere interpretato male le sue parole. In fondo era andato a senso, ed aveva individuato nel suo epiteto la frase che la voce gli ripeteva, ma poteva essersi sbagliato. 

Poteva essere un caso.

Siamo noi i padroni del nostro destino. Nebrod non è mai stato chiaro e parte di quello che ha detto nei secoli non si è mai avverato. Siamo noi a decidere.

Per cui, si stampò un sorriso sul volto, cercando di mascherare le sue emozioni di nuovo in tumulto, e si sforzò di mangiare di più su esortazione del maestro Jinn.

Avrebbe lasciato correre. Se ne sarebbe infischiata.

Quello che deve accadere, accadrà da solo.

Mentre masticava un po’ di pane tostato, però, non potè fare a meno di pensare che, se fosse stato vero, il destino pareva divertirsi a farsi beffe di lei. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Il mantra è una traduzione dall’inglese - più o meno pedestre, giudicate voi - del Codice Jedi originale. 

Per il resto, essendo la storia un po’ lunga, ogni tanto ripeterò in modo chiaro gli eventi precedenti per non far perdere il senso logico del racconto. Non arrabbiatevi, dunque, se troverete qualche ripetizione di eventi passati. E’ una tecnica che uso soltanto per rendere ogni capitolo fruibile a tutti.

Da adesso in poi, per caratterizzare Obi Wan e Qui Gon, inserirò riferimenti principalmente alla serie Jedi Apprentice, che però ho letto nel Mesozoico e in inglese, quindi può essere che la mia personale interpretazione degli eventi si discosti un poco dalla trama (e dalla lingua) originale. 

Detto questo, il modo di fare amicizia dei Jedi è un po’ strano. Forse, però, tutto l’Ordine è un po’ strano. Qualche problema l’Ordine dei Jedi ce l’ha e l’ha dimostrato. 

Di sicuro un problema ce l’hanno Obi Wan Kenobi e Satine Kryze, il primo perché è un diciottenne invaso da ormoni impazziti e non sta capendo assolutamente nulla di quello che gli sta capitando, e la seconda perché forse ha capito fin troppo.

E perché i suoi pigiami sono terrificanti.

Embeh? Solo io devo andare in giro per casa col pigiama coi gufetti?

 

Molly.

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Capitolo 24
*** 22- Imboscata in volo ***


CAPITOLO 22

 Imboscata in volo

 

Qui Gon osservò i due ragazzi mangiare. Obi Wan era sempre il solito animale. Quel ragazzo aveva la capacità di ingurgitare in un giorno la metà del suo peso, ed anche in quel momento stava attaccando - seppur con garbo - la sua colazione come se ne andasse della salvezza dell’universo. 

Satine, invece, sembrava avere meno voglia di mangiare. Aveva giocato con il cibo dentro la sua gamella per un po’ e poi, sotto l’influsso rilassato ed affamato di Obi Wan, aveva cominciato a mangiare anche lei, spazzolando tutta la ciotola di porridge. 

Era singolare, Qui Gon doveva ammetterlo. Era di una bellezza algida e fredda, ma nonostante l’apparente aspetto da regina delle nevi aveva una luce, una fiamma negli occhi che ne addolciva i tratti e illuminava il suo viso. In generale, aveva dovuto dare ragione al suo padawan. In sua presenza, Satine continuava ad emanare tristezza e questa volta anche qualcos’altro. Il maestro Jedi percepiva anche un vago senso di confusione, e forse di rabbia, o delusione. Un sentimento che, temeva, poteva compromettere la loro missione, se represso.

Qualora fosse esploso, avrebbe causato loro grossi problemi.

Il buon maestro avrebbe capito con il tempo quanto potessero essere pericolose le, ehm, esplosioni della duchessa.

Cercò lo sguardo di Obi Wan, che continuava ostinatamente a guardare la ciotola, e Qui Gon decise di raggiungerlo attraverso il profondo legame nella Forza che avevano instaurato con l’apprendistato.

Che cosa c’è?

Devo parlarvi, maestro. In privato.

Qui Gon si passò le dita sul pizzo brizzolato.

- Duchessa, vi ringrazio per la vostra compagnia, ma temo di dovervi abbandonare per un momento. Il mio ragazzo ha ancora bisogno di studiare e stamani ci aspetta una sessione di meditazione. Vi ha raccontato delle visioni, immagino.-

- Oh, sì.- gli occhi di Satine contemplarono il vuoto, come se inseguissero un pensiero improvviso.- Strano, non è vero?- 

- Molto.-

E’ di questo che vi voglio parlare, Maestro.

Così Obi Wan si alzò da tavola, con un cenno rispettoso del capo verso la ragazza, e se ne andò seguendo Qui Gon con la bocca ancora piena dell’ultima boccata di porridge. 

Satine rimase in cucina a pensare. 

Non le piaceva restare sola con la sua testa. La vista dello spazio immobile fuori dall’oblò non era granché interessante, e così Satine decise che lavare i piatti sarebbe stata un’occupazione dignitosa per ammazzare il tempo, aspettando che i due Jedi finissero di meditare.

O meglio, che finissero di parlare di lei. Non era stupida e sapeva che, almeno in quel periodo iniziale, tutto ciò che lei avrebbe detto sarebbe stato riportato all’uno o all’altro, a seconda di chi sarebbe stato il suo primo confidente.

Avrebbe dovuto abituarsi.

Obi Wan, invece, era rimasto profondamente turbato dalla conversazione che aveva avuto quella mattina con la duchessa. Doveva avere al massimo vent’anni ed aveva visto un numero indicibile di orrori, in un mondo accanito contro di lei e che lei non era capace di odiare. 

Qui Gon l’aveva condotto dentro la sua stanza, un poco più grande di quella dove il padawan aveva trovato ristoro. Da una parte Obi Wan ringraziò per la cortesia, perché dalla sua fuga in cucina non vi aveva più messo piede, lasciando un gran disordine dietro di sé.

- Allora, qual è il problema?-

- La duchessa ha risolto il mistero delle mie visioni.-

Qui Gon sollevò un sopracciglio.

- Che significa?-

- Secondo lei, le parole che sento dire corrispondono ad un epiteto mandaloriano che le è stato conferito.- 

Provò a concentrarsi per ricordare le parole.

- Cin'ciri oyayc, credo. Vuol dire ghiaccio vivo. E’ il suo nome. E’ lei il Ghiaccio Vivo di Kalevala.-

Qui Gon pensò che non fosse mai esistito nome più azzeccato di quello, ma al di là della frivolezza di quel commento, sapeva che la ragazza poteva avere ragione. 

Avevano provato a risolvere il mistero in tutti i modi. Obi Wan aveva provato a disegnare le sue visioni, a ripetere nel sonno le parole che sentiva, con Qui Gon che ascoltava. Avevano provato a chiedere in giro per il Tempio, ma nessuno parlava quella lingua strana.

In effetti, nessuno parlava Mando’a, al Tempio.

Certo, la duchessa poteva essersi fatta influenzare dalla circostanza.

Se da una parte quella soluzione aveva senso, dall’altra la visione rimaneva inspiegabile.

Se veramente le cose stavano così, la Forza voleva mettere Obi Wan sulla strada di Satine, ma restava da capire perché.

- E la luce bianca?-

- Non ha fatto in tempo a spiegarmelo. Ha solo detto che è complicato.-

Qui Gon era seduto per terra a gambe incrociate ed Obi Wan sedeva di fronte a lui, mimandone la posizione. Grattandosi la barba caprina, il maestro provò a fare mente locale, ma non gli venne in mente niente che potesse fornire una spiegazione credibile e preferì passare ad altri argomenti.

- Com’è andata la nottata con la duchessa, dunque?-

Obi Wan arrossì.

Il suo maestro non intendeva fare allusioni. Era semplicemente fatto così: sceglieva le parole, forse non proprio giustissime, ma che avevano un significato elementare. Qui Gon voleva solo sapere come era andata la conversazione che avevano avuto lui e Satine all’alba in cucina, e non voleva assolutamente alludere al fatto che i due ragazzi avessero passato la notte insieme.

La mente di Obi Wan, però, era di solito più maliziosa, anche se gli piaceva pensare di non concepire pensieri del genere. Quasi si stupì dell’immagine che il suo cervello aveva proiettato - lui e Satine sotto le stesse coperte - e scosse il capo per cacciare quel pensiero molesto.

Medita.

- Ha avuto una vita complicata, come può esserlo la vita di un Mando. Certo, non ha avuto le difficoltà della povertà ed ha sempre condotto una vita agiata, ma è stata accompagnata dalla violenza per tutta la sua esistenza. Mi ha detto che un commando armato ha ucciso sua madre davanti a lei quando aveva otto anni. Suo padre è stato avvelenato durante un attentato che lo ha lasciato menomato e così resterà per tutta la vita. Sapete che ha una cicatrice sul dorso della mano? Se l’è fatta togliendo la schiuma del veleno dalla bocca del padre. E’ corrosiva.-

Qui Gon lo guardava con interesse, una luce negli occhi che tradiva l’empatia che provava nei confronti della ragazza.

- Dev’essere stato molto difficile per lei.-

- E non è tutto. Avete visto il livido sulla tempia?-

- Sì.-

- E’ stata la mandibola di un membro della sua scorta. I terroristi gliel’hanno staccata dal viso col fucile, colpendola in testa di rimbalzo. E’ morto, ed era diventato padre il giorno prima. Si sente in colpa.-

- Che crudeltà! Non ho mai sentito parlare della Ronda della Morte prima che la duchessa la menzionasse, ma sembrano veramente violenti!-

- Ha ucciso un uomo.-

Questa volta, Qui Gon trasecolò.

- Come sarebbe? Lei è pacifista!-

- Sì. Ha detto che non ricorda che cosa è successo. Aveva ucciso sua madre e lei credeva di essere sola. Si è difesa, ma questo significa che all’epoca aveva solo otto anni.-

Il maestro sospirò, scuotendo il capo.

- Non dubito che soffra d’insonnia, povera ragazza. Lavorare per la pace su Mandalore è come, non so…-

- Provare a saltare nel vuoto senza paracadute e senza la Forza?-

- Più o meno.- sogghignò il maestro, intristito da quella storia.- Ma c’è anche qualcos’altro che ti turba, vero, Obi Wan?- 

- E’ soltanto che… - disse, scuotendo la testa, senza sapere che cosa gli stesse prendendo. 

Non era mai stato a corto di parole, eppure la duchessa riusciva a rendere tutto estremamente complicato. 

Anche esprimersi.

- Non ho mai sentito niente di simile. Era così…- pensò a quale termine usare per descrivere il senso di impotenza e tristezza che aveva percepito in lei durante la notte.- Vuota. Ecco, sì, vuota, come se il suo corpo esistesse, ma il resto di lei no. E’ un guscio che contiene solo dolore.-

Poi, pensieroso, aggiunse: 

- Maestro, come può una persona vivere con tutto quel dolore dentro?-

Qui Gon osservò il suo padawan con aria paterna e allo stesso tempo soddisfatta. Obi Wan aveva l’incredibile capacità, innata in lui, di guardarsi dentro e di guardare dentro l’anima degli altri. Il dono dell’introspezione era qualcosa di molto ricercato in un cavaliere Jedi, e se da una parte era fiero del suo padawan, dall’altra si preoccupava del fatto che questo suo carattere riflessivo fino all’eccesso lo privasse della libertà e della spensieratezza che un adolescente dovrebbe vivere, anche da Jedi.

- Il dolore è una reazione normale, Obi Wan. Tutti noi proviamo dolore. Ciò che ci differenzia dalle altre persone è la possibilità di entrare in contatto con la Forza e liberarcene. Non puoi fare altro che dispiacerti per le persone che non possono farlo e fare qualcosa per farle stare meglio, fino a che non lo assorbono e lo dimenticano. Ricorda che il dono della Forza ci è stato dato per fare del bene, non solo a noi stessi.- 

Lanciò un’intensa occhiata al suo padawan, che, nonostante fosse consapevole del diversivo del suo maestro, stava cercando di concentrarsi per la meditazione. La sua aura, però, era agitata, confusa come un tessuto stropicciato e raggrinzito. 

La mente di Qui Gon si riempì di immagini di un passato lontano, di eventi a cui non pensava da tanto tempo, e si chiese se, in fondo, non fosse proprio quello lo scopo della Forza, la ragione per cui il ragazzo aveva avuto quelle strane visioni.

Il suo padawan, però, interruppe il fluire dei suoi pensieri. 

- Non so se avete notato - e questa volta fu il turno di Obi Wan di sogghignare.- ma la duchessa ha i capelli tinti di blu.-

- Davvero?-

- Blu elettrico. Ha detto che ha fatto un favore ad un’amica e che andava a ballare su Kalevala ogni tanto.-

- Dovresti farlo anche tu, e non uscirtene con la solita solfa, che non è da Jedi. Rilassati ogni tanto, ragazzo. Hai diciott’anni, se reprimi la tua libertà diventerà un problema con il tempo, come la rabbia che prova la duchessa.-

Obi Wan si accigliò. Quando il suo maestro faceva così, non c’era verso di convincerlo. Quello che gli premeva di più, però, era informarlo delle conclusioni a cui era giunto.

- Non credo che sia rabbia. Piuttosto, confusione. E’ stata sballottata di qua e di là per quasi quarantotto ore. Ha bisogno di mettere ordine nei pensieri e le manca terribilmente il padre, che ama più di ogni altra cosa. Inoltre si sente in colpa, e mi ha chiesto una cosa che non potremo mai fare.-

- Ovvero?-

- Nel caso in cui dovessero prenderci, mi ha chiesto di consegnarla in cambio della nostra vita. Lei non vuole che qualcun altro muoia per lei, e noi non siamo da meno nella sua lista di vite da salvare.-

- Stai scherzando?- sbottò Qui Gon, scuotendo il capo, contrariato.- Se questo è quello che pensa, rischia di causarci un sacco di problemi in caso di fuga. Dobbiamo assolutamente farle cambiare idea. Tu che cosa le hai detto?-

- Che non ci pensiamo nemmeno.-

- Bravo ragazzo.-

Un leggero toc toc alla porta li distrasse. 

- Temo di dovervi disturbare, posso?-

- Prego, duchessa.-

La ragazza entrò ed Obi Wan notò con soddisfazione che aveva messo da parte quello strano pigiama peloso per un abito molto più comodo. Aveva lasciato andare i capelli - tanto ormai il segreto delle punte blu era stato svelato - e il padawan fu distratto solo per un momento dallo svolazzare delle sue ciocche color dell’alba. 

Satine teneva un datapad tra le mani.

- Dovete vedere questo.-

Si sedette per terra assieme a loro e con un gesto rapido lo accese, proiettando l’immagine azzurrognola di Larse Vizla nell’aria.

Stava rilasciando il solito discorso alla nazione con parole estremamente dure. A vederlo, non sembrava nemmeno un dittatore. Aveva il viso pulito, anche se dai tratti duri e marcati, e gli occhi non erano particolarmente folli. Obi Wan lo avrebbe definito persino banale, l’incarnazione del Mando tradizionale dai colori chiari e dai tratti marcati. Aveva visto regnanti più pazzi di quanto lo sembrasse Vizla, ma le sue parole non lasciavano spazio all’interpretazione.

Con una crudezza terminologica che mai le orecchie del ragazzo avevano udito, l’uomo additava i Kryze come un male da estirpare definitivamente dal sistema di Mandalore. 

I tre rimasero agghiacciati ad ascoltarlo mentre elencava le più terribili delle punizioni che sarebbero state inflitte ai traditori della causa e ai sostenitori della dar’manda Kryze. Poi, associò la persona di Satine a tutta una serie di epiteti in Mando’a che Obi Wan non capì, ma se ne fece un’idea. 

- Che cosa vuol dire?- chiese Qui Gon, sussurrando verso Satine in quel religioso silenzio.

- Come dite voi in Standard, quando una donna presta il proprio corpo ad atti intimi con sconosciuti di ogni specie, genere ed identità?-

- Ah.-

La parte interessante, però, sarebbe venuta dopo gli insulti.

Stando a quanto diceva Larse Vizla, aveva assoldato dei cacciatori di taglie per scovare la fuggiasca.

Anche quella volta, dunque, Satine aveva azzeccato la sua predizione.

Poi, però, aveva riferito di aver messo una taglia sulla sua testa. Ben sei milioni di crediti, e a quel punto Satine era diventata furibonda.

- Li ha presi dal fondo per la riforma della sanità, il farabutto!- sbottò, colpendo il pavimento della navicella con un pugno.- Vuole distruggere tutto quello che io e mio padre abbiamo fatto negli ultimi anni! Adesso che cosa racconterà a quel voltagabbana di Lusk Wren, eh?-

I due Jedi non avevano la più pallida idea di che cosa la ragazza stesse dicendo, ma si riservarono di chiederglielo più tardi.

Oltre ai sei milioni di crediti, i cacciatori di taglie evidentemente avevano l’ordine di portarla indietro viva. Larse Vizla si lanciò in una dettagliata descrizione di che cosa le avrebbero fatto non appena l’avrebbero presa. 

Obi Wan non era sicuro che fosse la strategia giusta. In fondo, un discorso del genere non avrebbe fatto altro che galvanizzare la rivolta, invece che sedarla. Le minacce di Larse Vizla erano di sicuro veritiere, considerate le atrocità che i terroristi al suo soldo avevano commesso alla Fortezza delle Cascate, ma era anche vero che i Mando erano un popolo fiero che combatteva in guerre intestine da una vita e che era uso alla violenza. 

Non avrebbero mai ceduto ai ricatti di un tiranno.

Vero?

Immaginò i Nuovi Mandaloriani, pacifici ma comunque fieri, mentre ascoltavano le orribili torture a cui l’uomo voleva sottoporre la loro leader, e gli sembrava già di sentire i canti di rivolta. 

O forse era solo la sua speranza.

- In fondo, ha senso, no?- fece Satine, un riso sarcastico sul volto.- Se sono una di quelle, non dovrebbe essere un problema se se ne approfitta tutta la Ronda della Morte, giusto?-

Obi Wan rabbrividì.

Non era mica finita lì. Oltre all’abuso, a Satine sarebbe toccato anche essere frustata nella pubblica piazza, assistere al massacro di ciò che restava della sua famiglia, essere uccisa, e poi, non paghi, il suo corpo sarebbe stato lasciato, sempre nella pubblica piazza, ai cani e agli uccelli.

Il tutto detto con il volto più calmo che Obi Wan avesse mai visto. 

- Quest’uomo è uno psicopatico.- borbottò, passandosi una mano nella terribile capigliatura da padawan.

- Decisamente.- brontolò Qui Gon, lanciando uno sguardo sbilenco alla duchessa.- E voglio sperare che vostra altezza, qui, non intenda davvero consegnarsi.-

Satine si accomodò meglio sul pavimento.

- Sarà sempre così? Vi racconterete tutti i dettagli della mia vita privata? No perché, nel caso, ditelo che prendo le misure necessarie.- 

- Noi siamo qua per proteggervi…-

- Ed io non sono qua per farvi uccidere, padawan. Lieta comunque di sapere di poter contare sul vostro riserbo.-

Obi Wan abbassò il capo, pentito.

Che cosa pretendeva? Che non dicesse nulla al suo maestro dopo l’orrore che gli aveva raccontato? Dopo averla beccata con una crisi di panico in corso?

Aveva tanta voglia di cantargliene quattro, ma si trattenne, date le circostanze.

- Duchessa, permettetemi di dirvi che se avete chiesto il nostro aiuto…-

- Io non ho chiesto niente.-

- Ma la vostra corte sì.-

Satine sospirò ed abbassò la testa.

- Non esisterà nemmeno più, la mia corte, dopo questo caos. Ci uccideranno tutti. Voi non li avete visti, sono indemoniati. Si divertono ad uccidere. Ridono mentre lo fanno. Sono bestie. Animali, ed è un insulto agli animali stessi.-

Il datapad si spense al terminare del discorso, lasciando i tre ammutoliti. 

Qui Gon cercò di pensare rapidamente. Oltre a stabilire quale fosse la strategia migliore per proteggere la duchessa, doveva anche pensare ad un modo per convincerla a fidarsi di loro. Se proprio avesse voluto, la ragazza avrebbe potuto mandarli via in qualsiasi momento, ma il buon maestro sperava davvero che la loro avventura non si concludesse così. Anche se non aveva avuto modo di conoscerla approfonditamente, la giovane duchessa gli piaceva. Condivideva molto con il suo padawan, anche se i due sembravano non notarlo. Satine aveva lo stesso umorismo nero e la capacità di incavolarsi come una iena di Lothal quando ciò in cui credeva veniva messo in discussione.

Obi Wan era solo più bravo a nasconderlo ed un po’ meno a frenare la lingua quando era necessario.

Inoltre, c’era da dire che la Forza li aveva fatti incrociare, e forse Qui Gon avrebbe dovuto assecondare quella volontà e vedere che cosa il destino avesse in serbo per loro. Un sospetto, forse, già lo aveva.

Satine, dal canto suo, era più convinta che mai. Non avrebbe coinvolto ulteriori innocenti nella sua terribile dipartita. Se fosse stato necessario consegnarsi e morire pur di salvare il suo popolo da una morte atroce e la sua famiglia dal massacro, lo avrebbe fatto volentieri. Poco importava che la Ronda avrebbe ucciso comunque e che Larse Vizla avrebbe continuato a fare il bello e il cattivo tempo nei confronti di chi gli stava antipatico con la scusa della dissidenza politica. Il buon senso della giovane duchessa se ne era andato giù per il tubo di eiezione della loro navicella spaziale, lasciandola in un mucchio di emozioni, confusione, panico e depressione.

Meglio a me che agli altri.

Obi Wan, però, era stato quello che aveva subito di più i colpi di quel terribile discorso alla nazione.

Non sapeva perché gli importasse così tanto. Aveva visto di tutto, nei suoi anni da padawan. Era stato cacciato dall’Ordine dei Jedi dopo essere stato deriso per una vita. Qui Gon l’aveva raccattato su Bandomeer, e a seguito di ciò era stato crocifisso dagli altri padawan per essere quello strano che si era meritato una possibilità che agli altri era stata negata. Era stato un soldato bambino, abbandonato da tutti su Melida/Daan. Aveva perso i suoi migliori amici ed era finito sotto test del Consiglio Jedi che non si fidava più di lui. Aveva visto morire la magistra Tahl e il suo maestro dare di matto tanto da sfiorare il lato oscuro.

Nel mezzo, aveva studiato al Tempio e se ne era andato a spasso in giro per la galassia a salvare la pelle a diversi governanti, sacerdoti, eminenti personaggi della scienza e della tecnica, diplomatici. Aveva persino aiutato popoli schiavi, e non era la prima volta che entrava in contatto con l’orribile mondo della schiavitù sessuale.

Le parole di Larse Vizla avrebbero dovuto sembrargli per lo meno familiari. Aveva sentito molte volte discorsi simili.

Obi Wan giunse ben presto alla conclusione, però, che il problema non era il discorso in sé, ma il fatto che fosse rivolto a lei. 

Lei, che aveva rinunciato ai suoi bisogni per proteggere il suo popolo e la sua famiglia.

Lei, che desiderava la pace senza spargimento di sangue innocente.

Lei rappresentava tutto ciò che Obi Wan aveva sempre voluto vedere nella galassia, senza trovarlo.

Molti, anzi, quasi tutti avevano detto che i Jedi erano guerrieri formidabili e si aspettavano di vederli uccidere con la loro spada laser senza battere ciglio.

Lei aveva chiesto loro, seppur indirettamente, di non combattere.

Nonostante le iniziali diffidenze, Obi Wan si trovò ad ammettere che Satine Kryze era diversa dagli altri e che non meritava quello che le stava accadendo. Nessuno lo meritava, ma lei, in particolare, non avrebbe dovuto subire attacchi del genere.

Guarda tutta la fattispecie, non soltanto lei.

C’è un mondo a rischio, l’intero sistema di Mandalore.

Ma lei era ammirevole, davvero. Obi Wan poteva sentire quel dolore sordo dentro di lei farsi sempre più profondo, come se stesse per esplodere una bomba dentro al suo corpo, eppure non aveva mai perso quella luce negli occhi, quel fuoco dentro che le permetteva di fare la scelta giusta in un mare di scelte sbagliate.

Beh, adesso non le ha proprio azzeccate tutte tutte. Vuole farsi ammazzare!

Che c’entrava? Era disperata, e non era un Jedi. Ci volevano tanti attributi per tenere insieme tutto quel caos che era in quel momento Satine Kryze, senza rilasciare le emozioni nella Forza. 

Tutti sbagliano, hai sbagliato anche tu. Lei non ne ha mai sbagliata una. Che si lasci andare, per una volta.

Questo suo pensiero, però, lo colpì.

In fondo, chi era lui per dire che Satine non aveva mai sbagliato una volta? Chi era lui per dire che poteva permettersi uno strappo alla regola? Chi era lui per scusarla quando buttava il buonsenso fuori dall’oblò?

Ed ancora, perché, di tutti gli esseri viventi su Mandalore, continuava a pensare a quanto stesse soffrendo lei, a quanto fosse brava, lei, e a quanto andasse perdonata per qualche misero errore?

Lei, lei, sempre lei!

Medita.

Lei, con le sue risposte da saputella.

Medita.

Lei, con i suoi capelli color alba.

Medita.

Lei, con i suoi occhi color galassia.

Medita!

Lei, il Ghiaccio Vivo di Kalevala che aveva tormentato i suoi sogni per mesi. 

Lei, che lo stava mandando fuori dai gangheri!

Accidentaccio, medita!

- Tutto bene, ragazzo?-

- Sì. Credo, però, che non basterà allontanarci da Kalevala. Dovremo lasciare il sistema adesso. I cacciatori di taglie ci intercetteranno a breve.-

- Sono d’accordo. Ai vostri posti, ce ne and…-

Ma il povero maestro non fece nemmeno in tempo a finire la frase che una forza esterna scaraventò i loro corpi contro la parete di fondo. Satine brontolò qualcosa in Mando’a che Obi Wan fece finta di non sentire.

Sicuramente erano parolacce.

- Li cercavi, Obi Wan?-

 

Qui Gon era riuscito ad aggrapparsi alla scrivania, lasciando i due ragazzi a rovinare contro la porta chiusa. Si era alzato, traballante sulle gambe, e si era diretto all’oblò, dove aveva scorto un incrociatore di dimensioni modeste che si avvicinava a cannoni spiegati.

- Li cercavi, Obi Wan?-

Satine lanciò uno sguardo implorante al mucchio di cenci che era il padawan Kenobi, accanto a lei.

Consegnami o vi uccideranno.

Peccato che il padawan avesse altri piani.

- Quanto tempo abbiamo?- disse, rialzandosi da terra con un balzo fluido e raddrizzandosi la tunica a tempo di record.

- Poco.- brontolò il maestro mentre i due scheggiavano fuori dalla stanza diretti in plancia.

Satine tenne loro dietro con un brutto nodo allo stomaco che le fece rimpiangere di avere fatto colazione. 

- Coordinate per l’iperguida?- chiese Obi Wan, mentre il trio accelerava spedito lungo il corridoio.

- Sicuramente andremo fuori dal sistema. Temo però che ci saranno addosso prima che il motore sia pronto.-

- Dobbiamo evitare il raggio trainante, ammesso che ne abbiano uno.-

- Ce l’hanno di certo, figliolo.-

In plancia, lo spettacolo era disarmante. L’incrociatore stava facendo manovra per piazzarsi in posizione frontale, con i cannoni che già puntavano contro di loro. La nave era abbastanza grande e Satine cominciava a temere che fosse una squadra di cacciatori piuttosto numerosa e ben organizzata. 

- Scudi!- disse Qui Gon, seduto al posto di guida e già bell’e pronto per la battaglia, cinture di sicurezza e commlink sulla fronte.

- Già alzati al massimo.- rispose Obi Wan, altrettanto comodo al posto di copilota.- Avete già una strategia, maestro?-

- Tu cosa faresti, mio giovane padawan?-

- Manovra evasiva. Tipo uno o due, dipende se il lato da cui ci attaccano resta costante o meno. Se rimangono frontali, forse è meglio il tipo quattro.-

Qui Gon proruppe in un sorriso sbilenco.

- Ottimo piano, ragazzo.-

Satine, seduta dietro di loro al posto del passeggero, stava lottando con la cintura di sicurezza, ma riuscì ad allacciarla prima di annodarcisi del tutto. Ringraziò gli dèi di Mandalore per essersi legata in tempo al sedile, perché quando i colpi dei cannoni cominciarono ad impattare violentemente contro gli scudi la navetta prese a sussultare e il suo stomaco con lei.

Finirò per sentirmi male!

- Allacciatevi le cinture, duchessa!- gridò Obi Wan, cercando di superare il frastuono dei colpi che si abbattevano sopra gli scudi.- Balleremo un po’!-

La ragazza, per tutta risposta, si attaccò con tutte e due le mani ai braccioli del sedile come se ne andasse della sua stessa vita.

Vergognati, non hai mai avuto paura di volare!

I due Jedi sembravano troppo preoccupati per i comandi e per i cannoni - giustamente -  per notare la sua paura sempre crescente.

Una parte di lei udiva ancora le parole di Larse Vizla e voleva fuggire lontano per non subire tutto quello che le avrebbero fatto. L’altra, invece, voleva restare, mettere fine al massacro e forse anche mettere fine a se stessa. 

- Vorrei oppormi a tutto questo. Se mi consegnate…-

- Non se ne parla.- disse Obi Wan, calmissimo.

Lo sguardo della duchessa si indurì.

- Voi mi avevate promesso…-

- Non vi ho promesso proprio un bel niente. Semmai, ho detto che vi avrei protetta sempre. Si tratta di cinque minuti, duchessa, e saremo su un sistema sicuro. E credetemi - stavolta, il padawan si fece molto serio.- Siamo perfettamente in grado di tenerli lontani per cinque minuti.-

Qui Gon apprezzò la sua fermezza, mentre Satine, dentro di sé, brontolava. 

L’aveva zittita. Cioè, aveva davvero osato darle contro?

Se lo ricordava, che lei poteva mandarli via in qualunque momento, vero?

Ingrata.

Si morse la lingua, e continuò a stringere i braccioli del sedile.

- Mira ai motori, Obi Wan!- gridò il maestro Jinn, cercando di allontanarsi il più possibile dalla linea di tiro. 

Il padawan, ancora una volta, era di tutt’altro avviso.

- Non per disobbedire, maestro - disse, mentre scagliava una raffica di blaster contro il motore di sinistra.- Ma credo che sarebbe il caso di fare prima fuori i cannoni, se vogliamo guadagnare tempo.-

- Loro sono più veloci di noi!-

- Ma noi siamo più piccoli!-

- Non è il momento di discutere!-

Obi Wan, presa la mira accuratamente, centrò il motore di destra e con un colpo solo eliminò il cannone di poppa. La nave continuò a sparare con tutto quello che aveva senza muoversi di un centimetro, ma la potenza di fuoco era decisamente ridotta.

- Beh, forse anche la tua idea non era niente male, padawan!- si complimentò il maestro, dondolando il capo.- Inserisci il pilota automatico con la manovra evasiva. Siamo quasi pronti per l’iperspazio.-

- Dove siamo diretti?-

- Aldeeran. Il senatore Bail Antilles è un caro amico dell’Ordine. Ci ospiterà.-

Obi Wan annuì, mentre faceva fuori anche il cannone di prua. Adesso non restava altro che eliminare quelli laterali e la loro fuga sarebbe stata garantita.

Satine li guardò lavorare, una squadra perfetta anche senza scambiare parola alcuna. Se le circostanze non fossero state così infauste, sarebbe stato quasi un piacere rimanere ad osservarli. 

Inserirono le coordinate del sistema e si accinsero a sparire nel nulla. Satine sentì uno strano risucchio all’altezza dello stomaco, segno che stavano per partire a velocità luce, quando qualcosa li urtò violentemente, facendoli pericolosamente sbandare non appena entrarono nel canale iperspaziale.  

- Che cosa è successo?-

- Uno dei cannoni ci ha colpito al motore di sinistra. Non siamo in grado di tenere la rotta fino ad Aldeeran, maestro!-

Qui Gon sbuffò, afflitto, mentre si passava una mano nei folti capelli scuri striati di grigio.

- Io vado al motore, do un’occhiata al danno. Tu cerca di modificare le coordinate verso un sistema più vicino!-

- Sì, maestro.-

Detto questo, il Jedi sparì correndo dalla plancia, lasciando Satine ed Obi Wan soli in cabina di pilotaggio.

Il giovane padawan, nel silenzio più assoluto, stava cercando di governare da solo la navicella spaziale. Niente di più difficile. Con il solo motore di destra funzionante, l’equilibrio era completamente spostato in quella direzione e, per tenere la barra diritta senza impattare contro i margini del canale spaziale, il ragazzo doveva gettare tutto il proprio peso a sinistra, da solo, senza nessuno che lo aiutasse al sedile del pilota.

- Padawan Kenobi, di che cosa…-

- Va tutto bene, Satine.-

No che non va bene!

Pensò, però, che fosse meglio non dirlo a lei.

- No che non va bene!- rispose la duchessa, con voce alterata.

- E’ tutto sotto controllo. Il maestro Jinn risolverà il problema ed atterreremo altrove, siamo comunque al sicuro.- sbuffò il ragazzo, lottando come un pugile contro l’iperguida impazzita. 

Oltre che con il corpo, il giovane padawan aveva ingaggiato anche un combattimento senza esclusione di colpi con il proprio cervello. La sua mente si stava arrovellando per ricordarsi tutte le coordinate di potenziali sistemi sicuri. L’operazione, però, non era per niente semplice, anche perché l’aura della duchessa in preda al panico sul sedile posteriore non favoriva di certo la sua concentrazione.

Inserisci le coordinate!

Quali?

Cercale!

Dove?

Sul database!

Non c’è tempo!

Chiedile al maestro Jinn!

E come faccio, lo vado a cercare e faccio guidare la navetta a Satine?

Già, Satine, aiutala! Falla calmare!

Pure?

Già, Satine.

Lei era di Mandalore. Questo significava che era addestrata a combattere. Era pure una Abiik’ad, quindi addestrata a volare.

Perché accidenti non ci aveva pensato prima?

- Duchessa?-

- Sì?-

- Mi serve il vostro aiuto!-

- Il mio cosa?-

- Se terrete la mente occupata vi sentirete meglio. Eravamo diretti vero Aldeeran, ma non riusciremo ad arrivarci in queste condizioni. Dobbiamo modificare le coordinate dell’iperguida verso un sistema più vicino. Ditemene uno!-

- Beh, ecco, io…-

Obi Wan le lanciò un’occhiata di traverso, mezzo sdraiato sul pannello di controllo per tenere il volante in posizione.

- Non è il momento di essere indecisi!-

Quello fu l’attimo in cui qualcosa, dentro di lei, scattò.

Con grande sorpresa per il giovane padawan, la duchessa si sganciò rapidamente dal posto del passeggero e con un balzo felino saltò lo schienale del sedile vuoto di Qui Gon, cadendo seduta precisamente in posizione. Si infilò il commlink, agganciò le cinture a tempo di record e cominciò ad armeggiare con i pulsanti.

Quella era una situazione disperata, e per ogni situazione disperata c’era un piano d’emergenza. Tale piano, di solito, era completamente folle, e proprio perché lo era, sempre di solito, era anche efficace.

Fai l’ultima cosa che il nemico si aspetta da te.

Ci voleva un piano alla Kryze, come lo erano stati il fantasma del duca Marmaduke, la PharmaMandalore o camminare sui muri per fregare l’istruttore Gol.

E lei, i piani alla Kryze, sapeva farli bene. 

- Coordinate 4-5-9-1-0 per il sistema di Mandalore. Destinazione, Draboon.-

- Draboon?- sbottò Obi Wan.- Ma non è…-

- Un pianeta del sistema di Mandalore? Esatto, l’ho appena detto. Siamo saltati nell’iperspazio, l’esterno è quello che quei tizi si aspettano. Passerà un po’ di tempo prima che vengano a cercarci a casa nostra, e poi la figlia del governatore è una mia cara amica, e lui è un Nuovo Mandaloriano. Ci proteggeranno.- ribatté, mentre digitava il codice con aria seria e competente.

- E’ anche abbastanza grande per riparare la nave e ripartire nel più breve tempo possibile. Si tratta di sopravvivere solo qualche giorno. Adesso aiutatemi: dobbiamo evitare di atterrare nel mezzo al deserto.-

Obi Wan non replicò, colpito. Satine era passata da un’inerme creatura spaventata dai cacciatori di taglie ad una vera e propria leader, prendendo in mano la situazione e risolvendola praticamente da sola se non si voleva contare lui, sdraiato con tutto il suo peso sul volante e con mezzo busto incastrato tra il parabrezza e il pannello di controllo.

Il maestro Jinn lo trovò mentre provava a districarsi da quella posizione scomoda, con suo grande imbarazzo. Appena tornato in plancia, si guardò intorno e si sedette al posto che era stato di Satine.

- Che sistema avete scelto?-

Obi Wan guardò la duchessa.

- Mandalore. Draboon.- fece lei, fissando il blu dell’iperspazio, intenta a spingere la navetta a sinistra nonostante gli sbandamenti dovuti al motore.

- Draboon?- fece il maestro, sbalordito.- Complimenti. Ci avevo pensato anche io.-

Obi Wan sgranò gli occhi, sbigottito, ma non disse niente.

Doti di comando a parte, soltanto a lui quel piano sembrava una completa idiozia?

- E’ abbastanza folle da poter funzionare.- decise di aggiungere, stringendo le mani saldamente attorno al volante.

- Pronti per l’uscita dall’iperspazio.-

La sensazione di risucchio allo stomaco li travolse, e in men che non si dica il corridoio dell’iperspazio scomparve per lasciare il campo ad una vista sconcertante. 

E’ sempre pericoloso cambiare rotta una volta lanciati nell’iperspazio. Il rischio principale è quello di essere eiettati a velocità troppo elevata fuori dal canale, entrando di conseguenza nel sistema di gravitazione del pianeta e schiantandocisi sopra. Arrivare troppo vicini all’atmosfera era un rischio frequente ed era la principale ragione per cui quasi nessuno, se non in estremo stato di necessità, cambiava traiettoria una volta lanciato a tutta velocità nell’iperspazio. 

In quell’occasione, si trovarono di fronte ad un enorme pianeta dalle forme geometriche, verdeggiante a tratti e desertico in altri. 

Quando la duchessa aveva scelto quell’enorme palla colorata, però, non aveva specificato che esso fosse circondato da una spessa e fitta fascia di asteroidi, grossi come una pila di bantha e pronti a fare loro la festa. 

Fascia di asteroidi che fu loro addosso prima che potessero evitarli. 

Obi Wan e Satine agirono in perfetta sincronia, virando a sinistra ancora una volta con tutte le loro forze e facendo fare un fastidiosissimo giro della morte alla loro povera vettura. 

Poi, su, in alto, e di nuovo giù, e a destra, e di nuovo a sinistra, con tutte le difficoltà del caso.

Obi Wan ebbe la sensazione che riuscire ad atterrare in un posto sicuro sarebbe stato addirittura più complicato che guidare nell’iperspazio con un motore solo.

Inoltre, i detriti oscuravano il vetro e impedivano loro la visuale.

- Come è messo il motore?- chiese Obi Wan al suo maestro, che osservava la scena dal posto del passeggero, a metà tra lo strabiliato e il divertito. 

- Non bene, purtroppo. L’iperguida è praticamente andata, siamo usciti dall’iperspazio appena in tempo. I detriti intaseranno quel poco che ancora funziona del motore sinistro, dovremo cavarcela solo con il motore di destra. A proposito, perché non azioni i tergicristalli? Con questa polvere non vedresti un bantha ad un tiro di schioppo.-

Obi Wan azionò con il gomito la leva dei tergicristalli, mentre continuava a guidare in sincronia con Satine.

Qui Gon alzò un sopracciglio, pensoso. 

- Depotenziato dai detriti?- fece il ragazzo, una nota di disappunto nella voce.

- Il motore di destra? Depotenziato dai detriti.-

Di bene in meglio.

- Sistema di filtraggio?-

- A destra funziona, a sinistra è completamente andato. I detriti però sono troppi per un filtro solo. Dobbiamo calcolare il rischio di eventuali ostruzioni.-

Obi Wan sospirò, mentre sterzava bruscamente e la duchessa bofonchiò quella che sembrava un’altra parolaccia in Mando’a tra i denti.

- Maestro, volete riprendere il vostro posto?- chiese la ragazza con educazione, tra un grugnito e l’altro, mentre forzava il volante a sinistra facendo roteare la navetta per evitare un asteroide subdolo, spuntato improvvisamente a prua da dietro un ammasso di polvere stellare. 

- Assolutamente no, duchessa, ve la state cavando benissimo. Guidate persino meglio del mio padawan.- 

Obi Wan alzò gli occhi al cielo, esasperato.

Per quanto lui e Satine provassero a far funzionare i comandi, gli acciacchi tecnici cominciarono a dare seri problemi. Ben presto prese a funzionare un solo tergicristallo. Il volante cominciava a dare segni di cedimento per le continue torsioni a sinistra. La spia del liquido refrigerante indicava, inoltre, un pericoloso surriscaldamento a destra.

Rischiavano di andare alla deriva.

- Stiamo perdendo il controllo, maestro!-

- Avviciniamoci al pianeta. Se entriamo nella zona di gravitazione dovremmo riuscire ad atterrare!- gridò Satine, concentratissima. 

Obi Wan azzardò un’occhiata verso di lei, mentre sterzavano ancora una volta ed evitavano anche l’ultimo, famigerato asteroide prima di uscire dalla fascia.

- Nelle condizioni in cui siamo, se ci avviciniamo troppo a questa velocità prenderemo fuoco!-

- Possiamo reggere ancora un poco virando a destra, dovremmo raggiungere i paraggi della capitale. Perderemo velocità ed entreremo nel sistema di gravitazione.-

Obi Wan non era contento, nemmeno un po’.

- Se procediamo in questo modo, probabilmente non avremo più nemmeno il motore di destra, intasato dai detriti!-

- Da qualche parte dovremo pur atterrare, no?-

Su questo non ci pioveva. Semplicemente, il giovane padawan non aveva voglia di fare la fine del topo chiuso in una scatoletta di latta.

Volare è per i droidi!

- Quindi il vostro piano è schiantarci?-

- No. Non ci schianteremo, se sfrutteremo bene i venti!-

Questa volta, Obi Wan trasecolò per davvero. Qui Gon, invece, sembrava interessato e quasi divertito. Rimase a guardare i due ragazzi battibeccare, e una parte di lui si chiese se avrebbero sempre fatto così, per tutto il tempo che sarebbero rimasti insieme.

La sua pazienza aveva un limite, Jedi o no.

- Volete planare?- sbottò il ragazzo.- Siete completamente pazza!-

- Avete un’idea migliore, padawan Kenobi?- chiese piccata la duchessa, sterzando bruscamente a destra e marciando verso la capitale del pianeta. - Preferite restare su un asteroide in una bella caverna senza ossigeno, in attesa di fuggire dall’incrociatore dei cacciatori di taglie? Perché quando ci troveranno, se non saremo già morti, dovremo fuggire ancora una volta a bordo di questo catorcio!-

Si sentì molto Bo Katan, in quel momento, ma non disse niente. 

Il padawan, dal canto suo, si sentì improvvisamente molto determinato a portare a casa la pelle, anche se ciò significava provare a dare ragione alla duchessa.

- E va bene, proviamoci.-

Obi Wan ridusse la potenza dei motori al minimo per preservare l’integrità della navicella e per ridurre la velocità del veicolo. La traiettoria procedeva traballante verso destra, mentre i due ragazzi facevano di tutto per stabilizzare la rotta.

Già, la rotta.

- Sono fuori uso anche gli stabilizzatori?- chiese la ragazza, aggrappata disperatamente al volante.

- Davvero, Satine? Come ci siete arrivata?- le rispose il padawan, con un piede sul pannello di controllo per puntellarsi mentre spingeva il volante a sinistra.

- Non è il momento di fare dell’ironia, Kenobi.-

Il radar cominciò a suonare, segnalando la presenza di un agglomerato nelle vicinanze. Era una città piuttosto grande, almeno a giudicare dal monitor. Satine aveva avuto ragione. Probabilmente lì avrebbero trovato un modo per riparare la nave, rifocillarsi ed andarsene alla volta di Aldeeran.

O almeno così speravano i due Jedi.

- Idea eccellente, duchessa.- fece Qui Gon, controllando lo schermo e annuendo, soddisfatto. 

Draboon, però, era grande. Obi Wan ricordava distintamente di aver letto che fosse uno dei più grandi del sistema di Mandalore. Il padawan borbottò un commento sarcastico tra i denti, mentre cominciava a sentire la forza di gravità attrarlo inesorabilmente verso il suolo. 

La navetta cominciò a prendere spaventosamente velocità.

- Siamo entrati nel sistema di gravitazione.- disse, mentre il pannello di controllo si accendeva come le luci dell’albero della Festa della Vita. 

Satine aggrottò le sopracciglia, pensierosa.

Erano riusciti a diminuire la velocità, ma se avessero assecondato la gravità sarebbero precipitati a velocità raddoppiata, forse. Era fondamentale mandare i motori indietro tutta.

Peccato che ne avessero solo uno.

- Possiamo dirottare tutta l’energia utile al sistema frenante?-

- Obi Wan!- disse il maestro, concorde.- Dirotta l’energia del motore di sinistra. Tanto, ormai è andato. Dimezza quella del motore di destra e riduci quella degli scudi al sessanta per cento!-

Il giovane padawan fece come gli era stato ordinato, ma con un occhio osservava la duchessa, labbra strette e mani serrate sul volante, che si accingeva ad atterrare planando. 

Le questioni sono due: o è completamente pazza, o sa il fatto suo.

Quando la navicella urtò contro l’atmosfera a velocità eccessiva, l’abitacolo prese a tremare e Satine fu sbalzata contro il parabrezza nonostante la cintura di sicurezza allacciata. Borbottò una serie di improperi in Mando’a, mentre si accarezzava la testa bionda contusa, e tornò immediatamente a guidare.

- Vi siete fatta male?-

- Davvero, Obi Wan? Come ci siete arrivato?-

Morditi la lingua e non replicare, ragazzo!

Satine colpì con un pugno il pulsante del sistema frenante e la navetta cominciò ad arrestare la sua corsa. Poi, spinse il timone indietro tutta, cercando di portare la navetta parallela al suolo. 

Obi Wan la imitò, e in poco tempo l’astronave si stabilizzò, sfruttando quel poco di propulsione che ancora il motore forniva loro.

Non era ancora abbastanza, però.

- A quanti piedi siamo?-

- Troppi. Siamo ancora a seimila metri.-

- Vento?-

- Polare. Quarantasei nodi.-

- Nord o sud?-

- Sud.-

- Male. Spira sopra il deserto.- borbottò la duchessa, concentrata.

In effetti, sotto di loro si estendeva uno spettacolo a dir poco bizzarro. Dire che il pianeta aveva forme geometriche era un eufemismo. Il vento spirava verso sud e li stava facendo allontanare dal loro obiettivo. Raggiungere la capitale era fuori discussione, perché compiere un atterraggio di emergenza vicino ad un centro abitato era un’operazione criminale. Tuttavia, il vento che spirava da nord in direzione sud li stava mandando fuori rotta. Ben presto la navicella, che avrebbe dovuto sorvolare uno spazio verdeggiante, si trovò a percorrere il limitare del deserto, una netta linea verde contro il giallo ocra della sabbia, come se qualcuno l’avesse disegnata con una matita.

Obi Wan e Qui Gon, però, non ebbero il tempo di ammirare il panorama perché una spia cominciò a suonare improvvisamente in modo allarmante.

- Che cosa significa?-

- Il motore di destra è in sovraccarico. Troppa propulsione e troppi detriti. Rischiamo di perderlo. Duchessa, dobbiamo abbassarci ancora.- disse Qui Gon, serio. 

La situazione stava andando peggio del previsto.

- Teniamoci pronti ad eventuali espulsioni di emergenza.-

- Assolutamente no!- proruppe la duchessa.- La navetta ci serve, o non potremo più ripartire da Draboon! A seconda di dove atterriamo troveremo solo pezzi di ricambio e qualche tecnologia rudimentale, non potremo mai procurarcene un’altra!-

Obi Wan, per una volta, annuì.

- Sono d’accordo con Satine. Dobbiamo provare a salvare il salvabile.-

Il maestro scambiò un’occhiata rapida con il giovane padawan, ed annuì.

I due ragazzi ripresero a pilotare la navicella, per quanto fosse possibile. Il volante stava dando cenni di cedimento ed il vento non accennava a rallentare. 

- Quota?- chiese la duchessa, sospirando per la stanchezza.

- Duemila metri.-

In quel momento, il rombo del motore cessò completamente.

I tre si lanciarono uno sguardo sgomento.

Erano del tutto in balìa del vento.

- Quarantasei nodi dovrebbero essere sufficienti per mantenerci in volo.- fece Obi Wan.- Ma presto perderemo quota.-

- Sfruttando il vento forte e l’aria calda come freno, dovremmo riuscire ad atterrare. Ci dovrebbe bastare, facendo un rapido calcolo. Quarantasei nodi consistono in circa diciassette metri al secondo di spostamento, rapportati alla restante spinta ottenuta dalla propulsione?-

- Circa il doppio.- disse Obi Wan. 

- Rapportato alla distanza che dobbiamo ancora percorrere, aggiungendo la stazza della nave, la forza di gravità e l’attrito del vento?-

- Dieci chilometri e mezzo da percorrere in circa quindici minuti.-

- Carburante?-

- Quasi finito. Ne abbiamo almeno per trenta minuti. Per gli scudi e i freni dovrebbe bastare.-

- Dovremmo farcela.-

Tra i due ci fu un cenno di intesa.

Il maestro Qui Gon non era mai stato particolarmente malizioso, ma forse cominciava a capire come mai la Forza aveva fatto in modo che le strade dei due ragazzi si incrociassero.

Lei era brillante, tanto quanto lo era il suo padawan, mentre Obi Wan era abbastanza arrogante da poter credere che un piano folle come quello della duchessa potesse funzionare e darle fiducia.

Quei due avrebbero fatto una bella coppia, tutto sommato.

Continuarono a planare come uccelli sul deserto fino a che il vento, con un colpo più forte degli altri, inclinò la navetta verso sud e la mandò definitivamente alla deriva.

Satine, però, stava perdendo la pazienza ed aveva deciso che era ora di atterrare prima che arrivassero troppo lontano dalla capitale e troppo in là nel deserto. 

Quello era qualcosa che non potevano decisamente permettersi.

- Velocità?-

- Stabilizzata, ancora un po’ forte per atterrare.-

- Carrello?-

- Funziona con il motore, che ovviamente è andato.-

- Dobbiamo impattare sulla pancia?-

- Così sembra.-

Di bene in meglio.

La ragazza piantò gli occhi sul deserto e assottigliò le palpebre, concentrata.

Poi, si alzò in piedi e piantò le scarpe contro il cruscotto.

- Mio il timone.-

- Che volete fare, Satine?-

- Vi fidate di me, Obi Wan?-

Sinceramente?

Già l’idea di atterrare sulla plancia rischiando di saltare in aria non lo rendeva particolarmente entusiasta. In quel momento, poi, lo sguardo della ragazza non prometteva niente di buono.

Finora non ha sbagliato niente.

Chi sei tu per dirlo?

Il fatto che tu non ti sia rotto l’osso del collo nella fascia di asteroidi non ti basta?

La domanda, in quel momento, era puramente retorica. 

Il giovane padawan lasciò il timone, trattenne il respiro e si tenne stretto alla sua poltroncina. 

La duchessa, per converso, virò con forza sopra il deserto, dirigendosi verso il verde della pianura. Spinse il timone indietro tutta ed espose la pancia della nave all’aria aperta, frenando per forza di inerzia. Si aiutò con le gambe contro il cruscotto, le mani ferite dal freddo e dalle vesciche che facevano male, qualche taglio che aveva ripreso a sanguinare, ma non le importava. Stava fissando attentamente il suolo che si avvicinava pericolosamente, mentre la coda della navicella puntava verso il basso e il muso verso l’alto. 

- Satine…-

Ancora qualche metro.

- Satine!-

Ancora un po’.

- Ci schianteremo con la coda! SATINE!-

Con un colpo secco, spinse il timone verso il basso, e il muso dell’astronave tornò a fronteggiare l’erba fresca. 

Quando la pancia della navicella toccò terra, emise un tonfo sordo e sprofondò nel terriccio, sollevando zolle dovunque. 

Scivolarono sull’erba per un breve tratto, scavando un solco nel terreno. Poi, la navicella, sotto il controllo delle dita di ferro della ragazza, fece un pericoloso testacoda per evitare un grosso masso basaltico e infine si fermò, strisciando, a pochi metri dalla foresta.

Dentro l’abitacolo c’era fumo ed umidità dovunque. In un ultimo sussulto di dignità, il pannello di controllo si illuminò completamente e poi, con un vibrante suono sordo discendente, si spense. 

I tre, vivi e vegeti, rimasero a fissare il verde paesaggio fuori dal parabrezza, come se volessero essere certi di essere veramente fermi. Certo, tra la terra, i detriti ed il tergicristallo incrinato che continuava a fare avanti e indietro non si vedeva un granché, ma bastò per tranquillizzarli. 

Poi, sospirando di sollievo, i tre presero a guardarsi.

Obi Wan non aveva ancora lasciato i braccioli della sua poltroncina e, ad occhi chiusi, mormorava tra i denti qualcosa di molto simile a volare è per i droidi.

Satine, invece, non sembrava ancora certa di quanto stava vedendo e di essere ferma. Rimase seduta a guardare perplessa il verde e la terra fuori dal parabrezza.

Il primo a parlare fu il maestro Qui Gon Jinn. Si rimise seduto sul sedile, dopo essere finito a gambe all’aria durante il testacoda, e, con la testa scarmigliata e mezzo affumicato, chiese: 

- Duchessa, mi permettete una domanda?- 

Aveva una strana espressione divertita sul volto. La ragazza lo guardò, curiosa, mentre uno stranito Obi Wan accanto a lei si passava una mano tra i capelli emettendo finalmente un sospiro di sollievo.

- Siete sicura di non essere un Jedi?-

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: La descrizione di Larse Vizla e dei suoi discorsi allucinati è stata ispirata ad uno scritto di Oriana Fallaci, in cui ripercorre i suoi ricordi dei famigerati dittatori della Seconda Guerra Mondiale. Non c’è però nessun parallelismo politico. Vizla non nasce per somigliare a qualcuno in particolare. Sono i dittatori che si assomigliano sempre tutti: assetati di potere, spregiudicati, violenti. Vizla vuole essere la personificazione di tutto questo.  

Devo inoltre aggiungere che io soffro di vertigini e non so un bel niente di volo e di qualunque cosa possa riguardare lo stare in alto in generale. Ciò che ho scritto è probabilmente impossibile, nonostante abbia provato a documentarmi per rendere la storia il più realistica possibile. Sui calcoli, non vi conviene fare la prova perché la sottoscritta ha in tedio la matematica tanto quanto gli ascensori panoramici.

Insomma, non vi fidate e - non mi stancherò mai di ripeterlo - non fate nulla di tutto quello che leggete a casa. La storia vuole far comprendere l’odio per ogni tipo di violenza, non spingere a replicarla.

In conclusione, Satine è un disastro, Obi Wan è una tempesta di emozioni che non sa gestire, Qui Gon è sui generis, Larse Vizla è un pazzo sadico psicopatico con le peggiori intenzioni, i cacciatori di taglie sono…

Beh, nel resto della storia ve ne renderete conto. 

Satine volerebbe su qualsiasi cosa, mentre Obi Wan sta bene con i piedi per terra. 

Oh, e si sono schiantati.

Insomma, le cose non potrebbero andare meglio di così.

 

Molly.

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Capitolo 25
*** 23- Cercando riparo ***


CAPITOLO 23

Cercando riparo

 

Fu un disastro. 

Se l’intento di Satine era stato quello di salvare la nave, aveva fallito di brutto. Certo, un’idea del disastro imminente se l’era fatta quando il padawan le aveva detto che il carrello, funzionando con il motore, era spirato assieme ad esso. 

Tuttavia, la speranza di riuscire a farcela ce l’aveva avuta. 

Si sa, la speranza è l’ultima a morire

Per cui, quando vide il paraurti anteriore staccarsi e piombare nell’erba con un filo di fumo che usciva dalle giunture, sentì il morale andarle sotto i tacchi. 

Tutto sommato potevano dire di essere fortunati a poterla raccontare. In altre circostanze probabilmente si sarebbero schiantati di prua nel deserto e nessuno li avrebbe mai trovati. Obi Wan, per quanto ancora tremasse al pensiero del pazzo atterraggio, fu costretto a riconoscere che la duchessa era tutto fuorché indifesa. Quando volava, per lo meno, sapeva il fatto suo.

Tuttavia, il suo cervello era talmente sovraccarico da spingerlo a detestarla con tutto se stesso. 

Se si fossero eiettati sarebbe finita alla stessa maniera.

Non puoi pilotare un guscio a così poca distanza da terra, lo sai. Dove atterri, atterri. Saresti finito nel deserto e la Forza sola sa che cosa ci si nasconde dentro. 

Alla fine la nave s’è distrutta lo stesso e potevamo restarci pure noi.

Ha fatto il possibile per non farlo e, diciamocelo, vi sareste schiantati sicuramente se aveste guidato voi due.

Sicuramente, eh?

La situazione era complicata. Erano riusciti ad evitare il deserto, questo era vero, ma la navetta si era schiantata in campo aperto. Attorno a loro non c’era assolutamente nulla, nemmeno un posto dove trovare riparo. Così allo scoperto, Satine era in pericolo. Tutti loro lo erano, ad essere sinceri. La Forza non segnalava niente di pericoloso nei paraggi, ma non sempre con gli animali selvatici potevano dirsi protetti. Alcuni non volevano saperne di rispondere, se spaventati, e richiedevano un ingaggio corpo a corpo prima di farli ragionare.

Il pianeta poteva essere ostile e l’unica a poter fornire loro qualche informazione su Draboon era Satine. Con la duchessa, che in quanto pacifista non sarebbe mai stata in grado di affrontare una simile circostanza, era un rischio che era meglio non correre. 

E chi lo dice, che non è in grado?

Sta’ zitto e medita.

- Sembra un relitto.-

La voce di Satine lo risvegliò dai suoi pensieri e all’improvviso si sentì in colpa per essersi arrabbiato con lei. Sembrava decisamente afflitta. Guardava la navicella con le mani sui fianchi, i capelli sfumati di blu raccolti alla meno peggio dietro la nuca e spettinati, le mani fasciate che si stavano lentamente tingendo di macchioline rosse. 

Poi, scosse il capo e si guardò le scarpe con l’aria di chi sentiva il peso del fallimento.

- Ci ho provato.-

- Avete fatto il possibile, duchessa.- le disse il maestro, mettendole una mano sulla spalla con fare paterno.- Avete volato molto bene. Non è da tutti planare a quel modo. Ci sono piloti al Tempio Jedi che non sono capaci di farlo. Anzi, a questo proposito, sareste disposta a sottoporvi ad un piccolo test per i midichlorians? Siete stata così precisa da far pensare a…-

Satine, però, si mise a ridere.

- Senza offesa, maestro, ma non sono un Jedi. Non ho mai saputo far levitare le cose. Per quanto riguarda le misure, le ho prese ad occhio. Sono una Abiik’ad, come sono certa il vostro padawan vi abbia riferito. Sono abituata a volare.-

Obi Wan avrebbe tanto voluto obiettare che esistono diversi livelli di midichlorians e che poteva benissimo essere di poco al di sotto di Jocasta Nu, ma comprese che non era il momento di ingaggiare una discussione. Qui Gon aveva accelerato il passo verso la navicella e stava provando ad entrarci dentro.

Lo sportello si era saldato per via del surriscaldamento del metallo. Il maestro tirò e tirò, ma nulla si mosse. Estrasse quindi la spada laser e cominciò a tagliare il metallo, ma la porta cedette e l’uomo finì a gambe all’aria all’indietro, sull’erba, la spada laser poco lontano da lui.

- Tutto bene, maestro?- 

- Sì, ragazzo mio. Meglio se rientriamo, abbiamo un po’ di cose da ritirare. Io penso alle vettovaglie. Voi pensate al resto. Tu, figliolo, occupati del pronto soccorso, che dici?-

Obi Wan annuì e risalì a bordo della navicella con Satine al seguito. Si diresse verso la sua camera, con la ragazza che gli teneva dietro fedelmente. Quando imboccò la porta dell’infermeria, la vide con la coda dell’occhio mentre sbirciava dentro la propria stanza e si passava una mano nei capelli, disperata.

Tutto sommato, Satine non aveva molte cose con sé. Dentro il suo grosso zaino da campeggio - le sue scorte di riserva, come le aveva definite - aveva stipato gli oggetti più disparati. Quando aveva fatto il baule, ci aveva messo dentro un sacco di cose utili. Ci aveva messo gli stivali di pelo, i guanti, i vestiti buoni, quelli che le andavano ancora bene. Quando però si era accorta di essere braccata, aveva dovuto rimediare. Si era infilata addosso tutto quello che poteva, dalle calze tecniche al maglione, i guanti e gli stivali di pelo. Il mantello era troppo grande per entrare nello zaino, così aveva dovuto rinunciare a quello invernale ed aveva usato quello estivo. Dentro il bagaglio c’erano principalmente materiale per la notte, il necessaire da bagno, biancheria di vario tipo e un paio di cambi d’abito. C’erano un paio di commlink di riserva, il datapad, qualche oggetto per il pronto soccorso, un paio di scarponi. Maryam aveva aggiunto qualcosa di pieghevole per cucinare mentre Athos le aveva lasciato qualcosa per intagliare il legno o incidere la pietra e ricavare delle armi.

Bo Katan le aveva offerto il suo bes’bev, ma lei aveva rifiutato, facendole storcere il naso.

Servirà di più a te, le aveva detto, e così si era conquistata un sorrisetto sbilenco. 

I grimaldelli non potevano mancare, ovviamente.

Il dono più grande, però, gliel’aveva fatto suo padre.

In segreto, nello stivale, Satine aveva nascosto un suo coltello sotto gli occhi attenti del duca. Si era illusa che lo avrebbe usato per il cibo o per la legna da ardere, ma sapeva perfettamente che non era così. Per quanto lei avesse in odio la violenza, a mali estremi, estremi rimedi.

Magari non lo avrebbe usato per uccidere, ma solo per azzoppare qualcuno.

Ufficialmente invece suo padre le aveva fatto avere una copia della tradizionale lancia Mando. Fatta in puro beskar, aveva un grande segreto.

Nessuna spada laser poteva tagliarla.

Parliamoci chiaro, non l’aveva portata con sé per difendersi dai Jedi. Nonostante Satine li trovasse un poco falsi e tendenziosi visto che parlavano di lei alle sue spalle, tutto sommato le erano sembrati brava gente. No, Satine l’aveva portata con sé per lo stesso motivo per il quale portava il coltello negli stivali. 

Difesa personale.

Sua madre Vikandra aveva fatto aggiustare la lancia per nasconderla sotto l’armatura. Di fatto, a vederlo sembrava un piccolo pugnale di beskar che poteva essere infilato nella cintura. Pochi - se non i malcapitati che avevano avuto la sfortuna di incrociare le lame con sua madre - sapevano che si trattava in verità di un arma retrattile, un bastone alto quasi due metri e potenzialmente micidiale, se usato nel modo giusto.

Lei non aveva intenzione di usarlo per uccidere, ma per difendersi era più che ottimale, per non parlare di ulteriori molteplici usi. 

Diede una rapida occhiata al suo zaino e potè dirsi contenta. In fondo, a parte qualche bruciatura sull’esterno e un po’ di sporco, non c’era quasi nulla fuori posto. Recuperò il suo mantello e se lo gettò al volo sulle spalle. Infilò il necessario da bagno dentro lo zaino, assestò il coltello nello stivale e il pugnale di beskar nella cintura.

- Che cos’è?- chiese Obi Wan, accigliato.

- Oltre che pettegolo, siete anche solito entrare nelle stanze degli altri senza permesso?-

- Tecnicamente non sono entrato. Sono sulla soglia.-

- Beh, tecnicamente, anche se è un relitto, ormai, questa è ancora la mia stanza. Per quanto ne resta.- disse, nascondendo i capelli ribelli dietro un orecchio mentre la cornice dell’oblò si schiantava impietosamente sul letto.

- Avete recuperato quello che dovevate dall’infermeria?-

- Sì, duchessa. Il droide, temo che dovremo lasciarlo indietro, ma sono riuscito ad impacchettare tutto quanto. Voi avete recuperato i vostri effetti personali?-

- Ah, mi stavo giusto chiedendo quando saremo ritornati alle formalità. Comunque, sì, ho finito.-

Obi Wan la guardò perplesso, poggiandosi alla cornice della porta per riposare le gambe contratte dall’atterraggio.

- Di che cosa parlate?-

- Pensavo di essere diventata soltanto Satine, ormai.-

Sulle prime, il padawan parve non capire, poi realizzò l’errore madornale che aveva compiuto nella foga di portare a compimento il folle piano della ragazza e divenne rosso come un Mon Calamari.

- Vi chiedo scusa se vi ho mancato di rispetto.-

Satine si apprestò ad uscire dalla stanza.

- Nessun rimprovero, al contrario. Credo che a questo punto sia la cosa migliore da fare. Qualunque cosa accada, non risolverà la situazione in tre giorni, e sarebbe poco consono alla mia protezione se mi chiamaste duchessa tutto il tempo. Satine va benissimo, per il tempo che staremo insieme.-

Anche la mente di Satine era diretta, come quella di Qui Gon, o almeno così credeva il ragazzo. L’equivoco sullo stare insieme era evidente, ma la giovane donna parve non accorgersene, mentre sgusciava fuori dalla porta e si apprestava a scendere dalla navetta. 

Staremo insieme.

Insieme.

Ma insomma, Obi Wan, vuoi finirla? Medita!

Il suo maestro aveva detto che si trattava di un passaggio normale nella vita di un giovane. Obi Wan si sentiva molto impacciato e indisciplinato. Nella sua mente frullavano pensieri che non erano consoni ad un Jedi, pensieri relativi ad aspetti della sua vita privata che non amava rendere pubblici.

Era cominciato tutto diverso tempo addietro, quando aveva scoperto di apprezzare la compagnia della sua compagna padawan Siri Tachi. Tuttavia, nonostante l’amasse profondamente, con il tempo lei era diventata una specie di sorella, una ragazza speciale, insomma, un amore platonico.

Poi, un giorno si era trovato perso negli occhi viola della magistra Shaak Ti, e quando una scossa di terremoto aveva svegliato tutto il Tempio in piena notte, anni addietro, aveva indugiato un po’ troppo sul pigiama microscopico di Adi Gallia. 

Aveva scoperto che Quinlan Vos e altri padawan più sgangherati e meno ligi di lui avevano fatto circolare libri e riviste di dubbio gusto in giro per il Tempio. Avevano provato a coinvolgerlo, ma lui era diventato porpora dopo aver letto la prima pagina e si era defilato. Era fortemente convinto che quegli impulsi lo avrebbero distratto dalla Forza, nonostante il suo maestro ci avesse riso sopra, e nemmeno trovare una di quelle riviste sotto il materasso del rigidissimo maestro Windu lo aveva convinto del tutto della naturalezza di quei comportamenti. 

Satine era una bella ragazza. Alta ed atletica e tutto quanto aveva già notato in precedenza. Per lui e per i suoi ormoni impazziti di diciottenne, lei era una calamita, eppure il ragazzo faceva del suo meglio per starle lontano.

Era bella, ma bisbetica. 

Era bella, ma Mando. 

Era bella e sapeva suscitare dentro di lui emozioni che detestava e che cercava di sopprimere, e per questo la sua presenza lo faceva arrabbiare.

Satine, però, aveva ragione. Avrebbero trascorso un bel po’ di tempo insieme. Se questo significava abolire le formalità con il passare dei giorni, voleva anche dire mettere da parte gli impulsi e fare il bravo Jedi.

Pazienta, sopporta, medita. 

- Obi Wan.-

- Prego?-

- Il mio nome è Obi Wan. Se ci dovessero attaccare, prima che abbiate finito di dire padawan Kenobi vi avranno già portato su Mandalore e consegnata.-

Satine fece un sorriso sbilenco, pensosa.

- Obi Wan. Obi Wan Kenobi. Obi Wan Kenobi. Suona bene!- gli disse, dondolando la testa come se stesse ascoltando la musica.- Mi piace. Fa rima.-

Lo avevano preso in giro molte volte per il suo nome. Era stato Oafy Wan, perché dicevano che era imbranato e stupido. Per Bant, che aveva avuto difficoltà a parlare in età infantile per via della sua specie e della fila di dentini di perla che aveva dentro la bocca, era stato di tutto: Obi Ban, Bobi Bam, Bim Bum Bam, tutto, purché funzionasse.

Fondamentalmente, anche Satine stava ridendo di lui, ma non se la prese. Sembrava genuinamente divertita ed aveva commentato senza malizia. Più che una critica, pareva un apprezzamento e ciò aveva fatto muovere un animale non ben identificato che risiedeva sullo stomaco del giovane padawan. 

Dietro di lui, la cornice della porta rovinò a terra in uno sbuffo di polvere, facendolo sobbalzare.

- Non mi avete risposto, comunque.- le disse raggiungendola fuori dalla navicella.

- A proposito di che cosa?-

- Dell’arma che portate alla cintura.-

- Oh.- disse lei, facendo finta che la cosa non la toccasse minimamente.- Solo un cimelio di famiglia utile per la sopravvivenza all’aperto. Ci potrebbe servire per cacciare o tagliare la legna.-

O combattere.

Nessuno dei due, però, lo disse ad alta voce.

Raggiunsero Qui Gon, che stava montando la guardia fuori dalla navicella in loro attesa. Aveva un bagaglio spaventoso. C’era attaccato di tutto: pentole e padelle, un fornello elettrico, delle lenzuola e dentro lo zaino aveva stipato tutte le razioni che riusciva a portare, più una scorta d’acqua che divise tra i ragazzi.

- Sapete che mi dispiace proprio tanto?- fece Satine, guardando il loro veicolo con tristezza.- Non voglio lasciarla qui. Continuo a pensare che sia utile ripararla. Potremmo tornare con i pezzi di ricambio.-

- La vedo difficile, duchessa. Penso che sia meglio procurarsene una al prossimo spazioporto.-

La ragazza sospirò, scuotendo il capo, prima di dire addio alla bella navicella e seguire il maestro giù per i campi. 

Studiando una cartina, i tre erano giunti alla conclusione che la cosa migliore da fare fosse dirigersi verso la città di Solus attraverso il bosco. Quando avevano individuato la capitale sul radar avevano anche identificato lo spazioporto. Sapevano che lì avrebbero trovato un modo per andarsene e raggiungere Aldeeran. Non c’era dubbio, infatti, che ben presto i cacciatori sarebbero stati sulle loro tracce, e loro non potevano permettersi di essere raggiunti. 

Il problema era che il vento li aveva spinti parecchio ad est rispetto alla città, che distava ormai giorni e giorni di cammino. 

Così, avevano optato per altro. 

- Ci sono dei karyai qua vicino.- disse, indicando il confine con il deserto lungo la mappa.- La foresta si estende verso la città per due giorni di cammino. Possiamo fermarci lì e trovare riparo, per poi dirigerci verso Solus.-

- Che cosa sono i karyai?- chiese Obi Wan, seguendo il dito della ragazza sulla cartina digitale. 

- Sono delle case tipicamente mandaloriane. Vengono usate prevalentemente al nord, ma sono molto comode in ogni circostanza. Hanno una sala principale, che funge sia da soggiorno e luogo in cui accogliere gli ospiti, sia come ultima roccaforte in caso di assalto. Sono disseminate per tutto il sistema e venivano usate come centri di ricerca scientifica. Poi, quando le ricerche si sono interrotte, sono state abbandonate. In questo momento dovrebbero essere tutte disabitate.-  

Obi Wan non sapeva che cosa pensare. Da una parte, l’idea di dormire dove sarebbe loro capitato lo infastidiva per un duplice ordine di motivi. Innanzitutto perché era scomodo e sarebbe costato loro molta fatica e dispendio di energie accamparsi e montare la guardia. Inoltre, perché i cacciatori di taglie potevano fare lo stesso. Erano liberi e raminghi per definizione e non si sarebbero mai rinchiusi dentro un vecchio centro di ricerca, a rischio di essere intrappolati se attaccati dall’esterno dalle forze dell’ordine.

Non che ci fosse molto ordine, in quel momento, su Mandalore, ma loro erano comunque cavalieri Jedi, armati e, ai loro occhi, letali, oltre che nemici giurati.

Dall’altra parte, però, era anche vero che, se si fossero rinchiusi dentro questi karyai, i topi cacciati dai gatti sarebbero stati loro tre, con poche possibilità di andarsene se li avessero accerchiati. Non avevano molto tempo su Draboon e fermarsi in quella casa sembrava un azzardo. 

C’era poi qualcos’altro che proprio non lo soddisfaceva. Satine non aveva dato spiegazioni in merito e il maestro Qui Gon, nonostante un lampo di curiosità negli occhi, non aveva fatto ulteriori domande. 

- Credo che non abbiamo altra scelta.- aveva detto l’uomo, infilando il datapad nello zaino di Satine e riprendendo la marcia. - Se vogliamo andarcene da Draboon, dobbiamo raggiungere Solus. Una notte nel bosco, una nella casa e poi dritto in città a recuperare una nuova navicella.-

Satine non replicò ed Obi Wan la guardò ripartire a testa bassa, con lo zaino colmo fino all’orlo sulle spalle.

Il ragazzo ebbe la sensazione che la duchessa non avesse detto proprio tutto, ma dovette ammettere che sapeva mascherare molto bene le sue emozioni. Se non fosse stato un Jedi e non avesse percepito il sottile senso di reticenza nella Forza, non se ne sarebbe mai accorto. 

Camminarono nell’erba alta fino al limitare della foresta. A quel punto, Qui Gon, mani sui fianchi, si era guardato attorno, piccole gocce di sudore che scorrevano sulla fronte e sotto la folta chioma di capelli brizzolati.

- Fa un caldo soffocante qua!- disse, gettando lo zaino per terra.

- Draboon ha un clima piuttosto tropicale, dovremo arrangiarci.- fece Satine, asciugandosi la fronte con il dorso della mano.

Obi Wan brontolò. 

- Scusate, duchessa, ma visto che voi conoscete bene queste zone, non potevate dircelo subito? Eravamo sulla navetta, avremmo potuto cambiarci!-

- Scusatemi, padawan Kenobi, se dopo quell’orribile atterraggio non sono stata subito presente a me stessa. Comunque, c’eravate anche voi, qua fuori. Avreste potuto accorgervene da solo, no?-

Obi Wan aprì la bocca per rispondere, ma si accorse di non avere le parole giuste e la cosa lo mandò in bestia. Non capitava spesso che qualcuno riuscisse a togliergli le parole di bocca, e di solito non era contento quando capitava. Solo Qui Gon era autorizzato a fargli chiudere il becco.

Medita.

Lo stesso Qui Gon che, in quel momento, si stava domandando come mai il suo padawan sapesse essere un bastian contrario cronico e se avrebbe dovuto sopportare questi bisticci per tutta la durata della loro missione.

In silenzio, il terzetto si inoltrò nella foresta, seguendo le linee sottili tracciate sulla cartina. 

Il percorso era duro ed accidentato. Il fondo era scivoloso e coperto di foglie. Qui Gon chiese ad Obi Wan di procedere senza utilizzare la spada laser per evitare di attirare eventuali attenzioni indesiderate. Estratto il coltello, dunque, i due cominciarono a farsi largo nella boscaglia a fatica, sudando e - per quanto riguardava il padawan - maledicendo sottovoce i rovi che si attorcigliavano attorno alla sua tunica e la cera di alcune foglie che si appiccicavano dovunque impedendogli di muoversi adeguatamente.

Con loro grande sorpresa, la duchessa estrasse un coltello dallo stivale e prese a menare fendenti con precisione millimetrica, tagliando l’aria. Il coltello roteava senza sforzo e mieteva numerose vittime vegetali lungo il cammino.

Qui Gon pensò che, per quanto pacifista, la giovane Mando conosceva molto bene le tradizioni del suo sistema, anche quelle guerriere.

Obi Wan, più prosaicamente, preferì ripromettersi di non farla arrabbiare, o di farlo quando il coltello sarebbe stato a debita distanza. 

La marcia proseguì.

- Posso chiedervi una cosa, padawan?-

- Non avevamo detto di passare a fraseologie più dirette?-

- Obi Wan. Avete paura di volare?-

Il ragazzo tossicchiò, imbarazzato, e cercò di concentrarsi sulle liane che stava tagliando. 

- Che cosa ve lo fa pensare?-

Satine piantò i pugni verso il basso ed intirizzì il corpo e le braccia. Serrò gli occhi e mormorò tra i denti volare è per i droidi! in una perfetta imitazione del giovanotto che causò l’ilarità del maestro Jinn.

Obi Wan si imbronciò.

- Non ho sempre avuto paura di volare. E con un atterraggio da pirata come quello, chiunque avrebbe avuto paura!-

La ragazza, sorridendo sotto i baffi, roteò gli occhi e riprese la marcia. 

Sii più sportivo, dai!

- E va bene, va bene!- fece lui, alzando le braccia in segno di resa. - Ho paura di volare, sì. Prima volevo fare il pilota, poi quando ho fatto un volo dentro uno star destroyer ho cambiato idea.-

Satine aggrottò le sopracciglia, pensierosa.

- Un volo dentro uno star destroyer? Ma tipo dentro dentro?-

- Già.- disse quello, la treccia che volava da tutte le parti mentre scuoteva il capo contrariato.- Mai più, mai poi. Preferisco voli di crociera con atterraggi tranquilli.-

Non seppe identificare lo sguardo della duchessa quando commentò:

- Ci vuole, come dire? Stomaco, per volare dentro uno star destroyer.- 

Obi Wan non era certo che lei gli avesse appena fatto un complimento. Era ammirazione quella che vedeva nei suoi occhi? 

Si sentì un guastafeste. In fondo, lui non aveva fatto altro che criticare il suo modo di volare. 

Forse, avrebbe dovuto provare a rimediare alla sua brutta abitudine di brontolare sempre e nemmeno troppo sotto i baffi. 

- Lo so che sembro un vecchio brontolone.- aggiunse il ragazzo, provando a fare ammenda.- Devo dire, però, che per quanto l’atterraggio sia stato corsaro, vi sono grato per le vostre doti di pilota.-

Satine gli fece un sorriso, forse il primo concreto che avesse fatto da quando si erano incontrati. Era un bel sorriso. Le guance salivano verso l’alto, trasformando gli occhi in fessure brillanti, e i denti di perla scintillavano sotto la pelle candida, contornati da un paio di simpatiche fossette.

- Devo dire che i vostri calcoli mi sono stati molto utili. Sarò anche brava a pilotare, ma con la fisica faccio schifo.-

Obi Wan alzò un sopracciglio, poco convinto, mentre aggiustava sulla spalla il suo bagaglio e le cedeva il terreno.

- Posso non credervi?-

- No, naturalmente.- disse lei, facendo spallucce.- Il mio autista ci ha provato seriamente a farmi calcolare le cose a mente. Alla fine, mi ha detto: Vedi quella luce laggiù?, ed io: E’ il fanale di prua!. Benissimo, mi ha risposto lui, e l’altro lassù?, ed io: E’ il fanale di poppa!. Brava, m’ha detto, tieni quelle due luci in mezzo alle ali ed è fatta!.-

- Beh, adesso che lo so, non vi farò mai più pilotare una navicella spaziale!-

- Suvvia, forse è stato poco ortodosso, ma il risultato è stato eccellente!-

Obi Wan ripensò circospetto ai rottami che avevano abbandonato, in particolare al momento in cui la cornice in ferro della porta della stanza di Satine era precipitata a terra con un tonfo sordo sollevando una nuvola di polvere.

- Se questo è il vostro concetto di efficacia, non voglio pensare a che cosa consideriate un disastro!-

Satine schioccò le labbra, divertita, mentre continuava a menare fendenti.

 

Alla fine, il caldo ebbe la meglio su di loro. Erano stanchi, sudati, e l’umidità toglieva loro il fiato. Cominciavano ad avere fame, ma non potevano consumare troppe razioni o sarebbero rimasti senza cibo sufficiente per coprire il tratto tra la foresta e Solus. 

La prima a cambiarsi fu Satine. I due Jedi montarono la guardia fuori da un grosso albero cavo, in cui la ragazza si infilò con le scorte di emergenza e cambiò il maglione e le calze tecniche con qualcosa di più comodo e fresco. Non aveva portato molto con sé, ma quel poco era stato scelto apposta per essere versatile. 

Uscì pochi secondi dopo, con un paio di brutti pantaloni larghi e una maglia ampia e sottile, le maniche rivoltate fino al gomito e tenute su da morbidi lacci cuciti dentro la manica. Aveva scambiato gli stivali di pelo con un paio di più comodi scarponi. 

Rimase sola con il giovane padawan mentre il maestro si toglieva gli strati di lana e restava con la più semplice tenuta di lino.

- La lana ci servirà stanotte.- fece la ragazza, seduta per terra accanto al ragazzo. - C’è tanta escursione termica, l’umidità si raffredda e gela sulla pelle. Sempre meglio essere coperti.-

- Sapete molto, Satine.-

- Ho dovuto imparare.- concluse lei, facendo spallucce, ma senza nascondere la luce da birba negli occhi.

Si era fatta l’idea che i Jedi non avessero la benché minima conoscenza di che cosa volesse dire essere Mand’alor. Di sicuro, non conoscevano le tradizioni Mando e Satine non se ne stupiva. In fondo, non c’era nemmeno un Jedi di origini mandaloriane dai tempi di Tarre Vizla ed erano tempi molto, molto lontani. 

Inoltre, piuttosto che fare ricorso ai Jedi, i Mando preferivano scannarsi tra di loro.

Un tempo non erano stati nemici. Sarebbe stato bello - nonché utile - mettere da parte l’ascia di guerra. 

Ci credeva poco, eh, ma, ancora una volta, la speranza era l’ultima a morire.

Pranzarono al volo e continuarono a camminare per tutto il giorno, fino a sera. Satine era stanca, ma non stremata, con grande sorpresa dei due Jedi. Si lasciò sfuggire un altro sorriso malizioso ed aiutò ad accendere il fuoco con successo. 

Avevano trovato riparo dentro quella che sembrava una grossa mangrovia, ma l’acqua non c’era, da nessuna parte. Il terzetto rimase affascinato da quelle radici grandi come tubi che si gettavano in profondità nel terreno. Era un albero particolarmente caro a Satine, identico a quello dei Bauer, dove, quando voleva, poteva andare a sentire parlare sua madre.

Ecco, questa era una delle cose che non avrebbe dovuto dire ai Jedi, almeno non per il momento.

Aiutò a preparare il campo con una certa velocità, stupendo il maestro, che stava arrostendo un poco della loro razione su uno spiedo improvvisato.

- Duchessa, va detto che avete delle notevoli doti di sopravvivenza.-

- Tutti noi Mando le abbiamo. Ci vengono insegnate da piccoli.-

- Anche per la foresta tropicale? Non mi pare di averne viste su Kalevala.-

Satine guardò il maestro con una luce malandrina negli occhi. 

- Perché era sotto la neve. Siete atterrati su una foresta. Non dentro. Sopra.-

Obi Wan trasecolò e anche il maestro sgranò gli occhi.

- Volete dire che era tutta coperta?-

- Sì, maestro Jinn. La neve, su Kalevala, la fa da padrone in inverno. Alcune specie vegetali ed animali hanno trovato il modo di andare in letargo e riprendere il loro ciclo vitale dopo il disgelo.-

- Cioè, anche le piante?-

- Anche le piante.-

- Meraviglioso!- disse l’uomo, interessato, grattandosi la barba caprina.- Mi piacerebbe molto osservare il fenomeno.-

- Tuttavia, avete ragione, non sono foreste tropicali. Morirebbero con il freddo dell’inverno.- e detto questo si sedette vicino al fuoco, avvolgendosi dentro il maglione di lana e protendendo le mani fredde verso la fiamma.

Qui Gon, Obi Wan e Satine decisero di approfittare della situazione per provare a fare un po’ di amicizia. I due, con la delicatezza che contraddistingueva le maniere dei Jedi, si scusarono per avere preso informazioni su di lei con un tranello.

- Ci tengo a dire, Satine, che nulla di quello che ho fatto era dettato da strategia. Ero in buona fede. Sono colpevole solo di aver riferito al mio maestro.-

- Con il senno di poi - rispose lei, scuotendo il capo.- Vi ho accusato ingiustamente. Purtroppo, la mia partenza è stata difficile e non abbiamo avuto il tempo per fare correttamente le presentazioni. Mi scuso per le mie parole, non intendevo offendervi. Sarebbe meglio, però, che parlassimo direttamente, almeno adesso che abbiamo appurato che io sono io e non un’impostora.-

Qui Gon sorrise in un gesto distensivo di approvazione.

Una volta chiarito l’equivoco, Obi Wan scoprì di essere profondamente distratto dalla strana conformazione di quel pianeta. Più si guardava intorno, meno ci capiva. La foresta tropicale non era nemmeno tutta tropicale. In alcune zone c’erano delle escrescenze rocciose piene di muschio che di solito sono proprie dei corsi d’acqua, anche se lì non ce n’erano. Il suolo sarebbe dovuto essere terroso e viscido, ed invece era duro e compatto. Una mangrovia in quel posto non c’entrava assolutamente niente.

- E’ a causa delle perturbazioni in fase di fusione.-

Il giovane padawan sbatté le palpebre, colto alla sprovvista dalla voce leggermente impastata di Satine. La ragazza era seduta accanto a lui e di fronte al maestro Jinn, con le mani protese verso la fiamma nel tentativo di scaldarsi. Era evidente che la cena le aveva conciliato il sonno, tuttavia il bagliore negli occhi gli aveva fatto capire che era ancora lucida e vigile nonostante la voglia di dormire.

Scambiò un’occhiata in tralice con Qui Gon, che fece del suo meglio per non apparire perplesso.

- Scusate?-

- Lo pensano tutti quando vengono su Draboon. E’ oggettivamente strano, che un posto possa essere strutturato in questo modo. La foresta confina con il deserto, la pianura con il ghiacciaio. Dipende dalle perturbazioni in fase di fusione.-

I due Jedi si scambiarono uno sguardo consapevole e la lasciarono parlare. 

- Il pianeta è nato dall’implosione di una stella, Gemini 77, a due milioni di parsec di distanza da qui. L’esplosione fu talmente forte da generare un buco nero che ha inghiottito tutto ciò che circondava la stella, ma i detriti sono arrivati molto lontano. Uno di questi è Draboon, una enorme palla di fuoco che è stata attratta dal sistema ad elica dei globi di Mandalore. Ha cominciato a girare loro intorno, e mentre si raffreddava, si è spezzato tre volte, dando origine alle sue lune e alla fascia di asteroidi. Ha anche sprigionato tutta una serie di gas tossici nell’atmosfera creata di fresco, che hanno causato una serie di tempeste caratterizzate da venti forti ed irregolari. Molte sostanze sono finite nello stesso punto, per interrompersi bruscamente nell’altro. E’ il motivo per cui puoi trovare una mangrovia in una foresta tropicale senza acqua. Il terreno in alcuni punti è così arido che non potrebbe germogliare niente, in altri l’acqua è sottoterra, fenomeni carsici con roccia friabile. Se a questo aggiungete che ci sono stati degli assestamenti magnetici, potete capire perché alcuni elementi sono perfettamente diritti, altri curvi, come se seguissero linee geometriche. Addirittura alcuni fiumi hanno cambiato corso per via dell’influenza del magnetismo. Alcuni fenomeni sono ancora oggetto di studio. I karyai servivano anche a questo, prima che venissero abbandonati. I poli del pianeta hanno girato un bel po’ prima di assestarsi nel tradizionale nord e sud. Si pensa che addirittura si fossero stabiliti in orizzontale, al posto dell’est e dell’ovest, qualche miliardo di anni fa.-

L’avevano guardata parlare per tutto il tempo e la cosa stava cominciando ad infastidirla. Obi Wan aveva lanciato uno sguardo di sfida al suo maestro e un ghigno birichino gli aveva attraversato il volto.

E adesso, come la mettiamo?

- Siete proprio sicura di non essere un Jedi?- le chiese ancora Qui Gon, l’aria stupefatta.

- Direi proprio di sì. Perché?-

- Bah, non saprei.- fece Obi Wan, allargando le braccia.- All’inizio pensavo che fosse una coincidenza, che voi sapeste esattamente che cosa pensavo di Kalevala. Poi avete fatto un atterraggio d’emergenza degno del miglior pilota di caccia, azzeccando la velocità e la distanza da terra al millimetro e rigorosamente andando ad occhio. Adesso invece siete riuscita a capire esattamente che cosa stavamo pensando. Siete proprio sicura di non essere in alcun modo sensibile alla Forza?-

Satine fece spallucce, cercando sostegno in Qui Gon, senza però trovarne alcuno.

- Non credo di esserlo, no. Anche se…- disse, ed aggrottò le sopracciglia, pensierosa.

- Anche se?-

- Ci sono delle leggende, ma io non ci credo un granché.-

- Ogni leggenda ha il suo fondo di verità.-

Satine lo guardò, l’aria scettica.

- Fuori da ogni dubbio, ma non credo proprio che si tratti del mio caso. Ad essere proprio onesti, ha a che fare con le vostre visioni, Obi Wan.-

Non era necessario essere un Jedi per vedere l’attenzione destarsi negli occhi del maestro. Lo capiva. Se lei avesse sognato sempre lo stesso sogno in una lingua che non parlava, probabilmente si sarebbe spaventata ed avrebbe cercato di decifrarlo. In fondo, lei non aveva fatto lo stesso con la profezia di Nebrod?

Decise che un poco di soddisfazione poteva anche dargliela, senza rivelare troppo dei segreti del suo sistema.

- La chiamano Luce di Mandalore. E’ una forma di energia che collega ogni Mando, ogni essere senziente in questo sistema. Si manifesta con una luce azzurrognola, più bianca che blu. Non sappiamo esattamente come funzioni, ma dicono che sia una fonte di potere inesauribile e tremendamente pericolosa. Viene considerata il massimo simbolo di regalità.-

Se da una parte Qui Gon ed Obi Wan avevano immediatamente notato le somiglianze con la Forza, dall’altra le loro idee si facevano sempre più confuse.

Perché mai il ragazzo avrebbe dovuto sognare la Luce di Mandalore e una voce che ripeteva epiteti regali?

- Questo non rende la mia visione più comprensibile, purtroppo.-

- Io credo che, qualunque cosa la Forza abbia cercato di dirvi, vi volesse condurre a Mandalore con questo stratagemma. Sinceramente, anche io lo trovo piuttosto assurdo. La Luce è un segreto che custodiamo gelosamente e che solo il legittimo Mand’alor può utilizzare.-

- Un segreto per cui molti ucciderebbero.- disse Obi Wan, guardandola in tralice. Il volto della ragazza si incupì, gli occhi si intristirono e la voce scese di un’ottava.

- Molti venderebbero l’anima al diavolo per poter manovrare la Luce di Mandalore. In passato ci sono stati dei duchi mediocri, legittimamente eletti, ma moralmente e umanamente insignificanti, che non sono mai riusciti ad aprirla, per tutto il mandato. Per regnare basta la legittimazione popolare. Per essere un vero Mand’alor, in teoria servirebbe la Luce. Per essere al sicuro, nessuno dei due.-

- Quindi esiste qualcuno che ha saputo padroneggiare questo potere?-

- Non dovrei dirlo - fece, squadrando Qui Gon con un’occhiata che prevedeva morte e dolore perpetuo se ne avesse fatto parola ad alcuno. - ma sì, ci sono stati alcuni che sono riusciti ad aprirla. Quattro, per la verità.-

- Che sarebbero?-

- Mandalore il Grande, anche se non si sa se sia vero. Per noi, Mandalore sapeva fare qualunque cosa. Poi ci sono stati Fahra Piume al Vento Kryze, Marmaduke Kryze e mio padre Adonai. Qualcuno avanza dei dubbi anche su Otis Botte di Ferro, ma non ci sono certezze.-

Qui Gon ed Obi Wan preferirono tenere per loro il commento sul fatto che tutti quelli che aveva nominato, a parte Mandalore il Grande, sembravano avere fatto parte della sua casata.

Il ragazzo preferì dirottare l’argomento su altro.

- Botte di Ferro?-

- E’ quello che succede quando sei piccolo, tarchiato e avvolto nel beskar. E’ morto di indigestione dopo aver spazzolato tutta la dispensa del ducato per festeggiare una vittoria contro un clan rivale.-

- Tu e questo Botte di Ferro avete qualcosa in comune, padawan.- scherzò il maestro, battendogli una grossa mano sulla spalla. 

- A parte il fatto che non sono ancora morto di indigestione?-

- Una di queste volte scoppi, se continui a mangiare come mangi, ed ancora non riesco a capire dove metti tutti il cibo che ingurgiti!- disse, ammiccando alla perfetta forma fisica del giovane.

O forse c’aveva fatto caso Satine senza che il maestro dicesse nulla.

In ogni caso, meglio cambiare argomento, ed Obi Wan le venne in soccorso.

- Come funziona questa Luce? Che significa che deve essere aperta?-

- Volete fare un tentativo, padawan?-

Il ritorno al padawan da parte della ragazza non era un buon segno, ed Obi Wan preferì svicolare.

- Lungi da me, Satine. Visto che la sogno, sono solo curioso.-

- Dovete sapere che la Luce è senziente. Se forzata o tratta in inganno, si rivolta contro l’utilizzatore. E’ letale. Può uccidere.-

E che ci faceva un duca pacifista con un’arma del genere?

I Jedi preferirono non rendere pubblica quella domanda.

- Non sappiamo esattamente che cosa sia. - cominciò Satine, le mani candide che si torcevano in grembo. - Non conosciamo nemmeno la sua origine. Sono stati condotti alcuni studi sul sistema di Mandalore, inizialmente completamente snaturati dalla ricerca delle prove tangibili dell’esistenza della Luce, e sono state fatte interessanti scoperte sulla composizione degli strati più interni dei pianeti. Alcuni hanno teorizzato che queste caratteristiche comuni potrebbero spiegare l’origine della Luce.-

- Ovvero?-

- Tutti gli elementi del sistema, pianeti e lune, presentano al loro interno una fascia di quarzite opalescente di colore bluastro. Emanano lo stesso bagliore, seppur flebile, che è stato visto all’apertura della Luce di Mandalore. Si pensa che quelle gemme possano essere, se non la fonte, un amplificatore di quell’energia.-

Qui Gon ed Obi Wan si scambiarono un’altra occhiata.

Che fossero cristalli kyber?

- Alcuni di essi vengono usati per fare gioielli, monili che però spettano solo al duca. Si rigenerano abbastanza in fretta ed ancora è dibattuto il modo in cui si formano.-

- Scusate, Satine, non ho capito.- fece Obi Wan, le sopracciglia aggrottate per la confusione.- Voi avete detto che tutti gli elementi del sistema hanno queste pietre blu.-

- Esatto.-

- Quindi anche Draboon.-

- Assolutamente.-

- Ma il pianeta è un detrito di Gemini 77, giusto?-

- Ecco, questa è una delle cose più strane a proposito del sistema di Mandalore.- fece Satine, dondolandosi sulle anche, incerta se dire proprio tutto o no.- Abbiamo fatto condurre degli studi su Gemini 77. Sono molti i pianeti che hanno avuto origine da quell’esplosione e che sono riusciti a sfuggire alla fame del buco nero. L’unico a presentare i cristalli luminescenti è Draboon, ed è anche quello che ha percorso la distanza maggiore dal luogo dell’esplosione. Le leggende dicono che il pianeta abbia fisicamente e volutamente camminato fino a questo sistema per unirsi ai suoi fratelli.-

L’idea era bislacca di per sé, ma il fatto che fosse l’unico frammento di tutta Gemini 77 a contenere quei cristalli era molto curioso. Obi Wan cominciava a pensare che, forse, i cristalli si generavano una volta che i frammenti di materia interstellare si radunavano nello stesso punto e non fossero quindi preesistenti, ma rimaneva ancora un mistero che cosa contribuisse a crearli. 

Satine diceva di aver fatto condurre degli studi scientifici, e i due Jedi non avevano motivo di dubitare della loro attendibilità.

- E’ tutto molto affascinante.- disse il maestro, notando però che il viso della duchessa cominciava ad essere stanco e tirato.- Ma credo che gioverebbe a tutti noi dormire un poco. Il vostro racconto è accattivante, e non nego che mi piacerebbe scoprire molto di più del vostro sistema. Magari un giorno mi insegnerete.-

- Volentieri, maestro.-

- Perché non dormite un poco? Monto io il primo turno di guardia. Voi avete del sonno da recuperare.-

La duchessa parve improvvisamente tesa. Nonostante il sonno, non aveva voglia di chiudere gli occhi. Quando lo faceva, rivedeva sempre le solite, orribili scene di morte e dolore, di paura ed odio. Un tempo aveva adorato dormire, ma adesso era diventato un passaggio obbligato, che non vedeva l’ora finisse.

- Va bene maestro Jinn. Grazie.-

Satine ed Obi Wan si appallottolarono dentro le loro lane e le coperte termiche, tra le radici della mangrovia. Nonostante l’albero non fosse così grande, c’era spazio per tutti e due. Separati da un groviglio di legno nodoso, i due chiusero gli occhi, attendendo che il sonno arrivasse. 

Obi Wan non sapeva - anche se se lo immaginava - che Satine aveva paura di dormire. Se ne avesse avuto consapevolezza, avrebbe tratto maggiore conforto dalla sua presenza. Era certo che la visione sarebbe tornata, ed adesso che probabilmente ne conosceva parte del significato, non era detto che si sarebbe limitata a mandare lampi di luce e a borbottare parole in Mando’a.

Infatti, puntualmente, la visione tornò e cambiò.

Non era poi così diversa da come se l’era immaginata. La luce bianca ancora lo avvolgeva, con i suoi raggi luminosi come il sole dell’alba. Obi Wan galleggiava nel vuoto, sorretto da quella forza leggera, mentre una voce profonda mormorava parole incomprensibili. 

Non era più cin'ciri oyayc. Decisamente no. Questa volta, i suoni emessi dalla voce erano più gutturali, più duri, ma comunque poetici, con sillabe strascicate e sibilanti che rendevano la pronuncia molto piacevole. 

Per la prima volta a quella parte, Obi Wan non ebbe paura, né si sentì a disagio. Conscio che avrebbe potuto chiedere a Satine di aiutarlo a capire, si sentiva in possesso della Forza, di essere finalmente in grado di comprenderla. 

Almeno, Obi Wan non ebbe paura fino a che la Luce di Mandalore continuò ad avvolgerlo. Poi, improvvisamente, tutto divenne buio, la luce bianca si ritirò in un pulviscolo fino a scomparire, e all’improvviso la voce divenne un eco cavernoso proveniente dalle viscere della terra che si aprirono in una voragine rocciosa sotto di lui, il nero che lo trascinava sempre più in basso.

Obi Wan ebbe la sensazione di precipitare dentro le fauci di un mostro.

Si svegliò, con una patina di sudore che gli circondava la fronte e il fresco dell’umidità che lo infastidiva alla base del collo. 

Qui Gon lo raggiunse attraverso la Forza, mentre meditava ad occhi chiusi poco lontano dalla mangrovia.

- Stavo per venirti a svegliare, ragazzo.-

- Non c’è stato bisogno.- brontolò il giovanotto, alzandosi in piedi avvolto nella lana.

- Ancora la tua visione?-

- Sì.- grugnì, accoccolandosi vicino a lui, quasi a cercarne il conforto. Il suo maestro ne sentì le emozioni, e circondò le sue spalle con il suo braccio enorme.

- Vuoi raccontarmela?-

- E’ cominciata alla stessa maniera, anche se le parole erano diverse. Poi, è stato come se qualcuno avesse spento la luce ed io precipitassi dentro una caverna nera come la pece.-

Qui Gon sospirò. Più quella storia andava avanti, meno ci capiva, anche se era normale che la Forza provasse a dire loro qualcosa di più una volta risolto il mistero della prima visione.

- Mi ha fregato.- andò avanti il ragazzo, scuotendo le spalle.- Ero rilassato, stavo bene. Ero convinto di avere capito, e poi sono sprofondato in quel pozzo nero. C’era una presenza, là dentro, ma non so chi fosse. Ne ho avuto paura.-

- Ed hai fatto molto bene. Quando il lato oscuro chiama, stai lontano!-

Obi Wan annuì, sconsolato.

Tutto sommato, era contento di essere riuscito a dormire per un bel po’. Stava quasi per albeggiare. Il suo maestro avrebbe dormito ancora qualche ora e poi sarebbero ripartiti.

- Qualcosa ti turba ancora, Obi Wan.-

Il ragazzo sospirò per l’ennesima volta.

- Non pensate anche voi che sia strana?- disse, ammiccando verso Satine.

La duchessa sembrava dormire pacificamente sotto le coperte termiche.

- Che cosa intendi?-

- A parte la sua abilità a leggere la mente, ha anche altre capacità ambigue. Tutti coloro che sono riusciti ad aprire la Luce di Mandalore erano Kryze. Usa coltelli con una facilità imbarazzante, come se fossero bacchette per il cibo nooriano, e poi si guarda sempre intorno. Ci avete fatto caso?-

- Sì, mio caro ragazzo. Sembra guardinga, come se si aspettasse qualcosa. Forse ha solo paura dei cacciatori di taglie.-

- O forse no.- considerò il ragazzo, attizzando il fuoco e gettandoci sopra un po’ di sterpaglie.- A voi sembra normale che tutti gli avamposti scientifici siano stati chiusi?-

- No, e non mi piace nemmeno l’idea di dormirci dentro per una notte, ma non abbiamo alternativa. I cacciatori ci raggiungeranno presto e quello è un posto dove non andrebbero a rifugiarsi. La loro tana è la foresta.-

- E’ armata, maestro. Ha una specie di pugnale di beskar attaccato alla cintura e sono praticamente certo di averla vista addormentarsi con quell’oggetto in mano.-

- Quando siamo venuti qua, sapevamo che Satine Kryze aveva omesso qualcosa al Consiglio Jedi. Teniamo gli occhi aperti, figliolo. Ho la sensazione che questa storia sia molto più complessa di quello che pensiamo.-

Già Obi Wan aveva percepito un fitto intrigo politico dietro ai discorsi allucinati di Larse Vizla, e la cosa non lo aveva entusiasmato per niente. Odiava la politica, per quanto possa odiare un Jedi. Tutti i politici che aveva conosciuto avevano in qualche modo protetto i loro interessi a discapito del bene comune. Non gli piaceva l’idea di condividere lo stesso spazio vitale con loro, ma forse per Satine valeva la pena fare un’eccezione. Lei sembrava diversa, animata da un fuoco molto più simile a quello dei Jedi che a quello di uno dei tanti normalissimi e mediocri politicanti che avevano incontrato.

Era davvero quello, però, il bene della sua gente?

Sentì le foglie frusciare alle sue spalle. Si voltò, e scoprì che Satine aveva cambiato fianco su cui riposare.

- Andate a dormire, maestro. Ne avete bisogno.-

- Mi raccomando, ragazzo, occhi aperti. Al minimo rumore svegliami, anche se la Forza non te la racconta proprio giusta.-

- Va bene maestro.-

Il giovane padawan non riuscì nemmeno a finire la frase che un grido disperato riempì l’aria. 

I due Jedi scattarono in piedi, mani alle armi, per scoprire, invece, che Satine stava solo sognando. Gridava e piangeva, la faccia nascosta nella coperta termica, mentre ripeteva alcune parole, talvolta in Mando, talvolta in Standard.

- Buir! Buir! Aiuto! C’è qualcuno? Qualcuno mi aiuti! Buir! C’è qualcuno?-

- Per tutta la Forza, falla tacere, Obi Wan, o avremo i cacciatori di taglie addosso in cinque minuti!-

Il ragazzo saltò sulle radici della mangrovia e poi dentro la nicchia in cui Satine si era fermata a riposare. Provò a scuoterla, ma non ottenne risultato alcuno. Allora provò a calmarla. Le afferrò le spalle e la investì con un’onda di energia positiva, sperando che questo riuscisse a placare i suoi sogni. 

La duchessa parve sentirlo, e la cosa la disturbò tanto da svegliarla.

- Che cosa è successo? E’ già ora?-

- Stavate gridando.-

Solo in quel momento Satine parve rendersi conto della circostanza in cui si trovava. Si toccò il viso, stupefatta al contatto con le lacrime. Incrociò lo sguardo genuinamente preoccupato del maestro e gli occhi grigioverdi del giovane padawan, così vicini da poterli toccare.

- Io… Mi dispiace.-

- Non importa. Per fortuna non è successo niente. Adesso vi sentite meglio?-

- Sì, cioè, non lo so. Mi passerà, credo.-

Qui Gon si accoccolò nell’incavo che era stato di Obi Wan - anche se, date le sue dimensioni, faticava ad entrarci - e si addormentò come un sasso all’istante. Il ragazzo, avvolto nella coperta, prese la duchessa con sé e la portò vicino al fuoco, sperando di riuscire a calmarla. Poteva sentire ancora la sua aura in tumulto e voleva evitare un altro attacco di panico come quello della notte precedente.

Una duchessa nel panico sarebbe stata ingestibile ed avrebbe solo peggiorato la situazione.

- Che cosa significa buir?-

- Buir?-

Obi Wan annuì.

- Padre.-

Ah.

Il padawan non replicò, consapevole, e i due rimasero in silenzio vicino al fuoco, a scaldarsi.

Presero a guardarsi i rispettivi piedi, immersi in un mutismo imbarazzante. Le fiamme cominciavano lentamente a spegnersi, ma continuavano a lanciare ombre rossastre tutt’attorno, danzando assieme alle flebili luci dell’alba. Le ultime lingue di fuoco si specchiavano negli occhi blu di Satine, diventati improvvisamente due pozzi scuri e brillanti, persi nel turbinio ancestrale delle fiamme e dietro allo scorrere dei propri pensieri. 

Il ragazzo gettò un po’ di rametti sul fuoco per rinvigorirlo.

- Obi Wan?-

- Sì?-

- Posso dormire qua, accanto a voi?- disse, guardandolo con grandi occhi da bambina.

Il giovane padawan fece per rispondere, aprì la bocca, ma scoprì di non avere fiato in gola, né parole da pronunciare. Richiuse le fauci aride e scosse la testa, pretendendo di essere indifferente.

- Siamo nel bel mezzo del niente. Potete dormire dove vi pare.-

- Io intendevo… Non vi offende se dormo vicino a voi, e non per conto mio?- la duchessa abbassò lo sguardo, improvvisamente pudica.- E’ un periodo che ho paura a stare da sola con la mia testa.-

Obi Wan aggrottò le sopracciglia, pensieroso.

- Perché?-

- Quando chiudo gli occhi rivedo tutto. Ogni singola scena. La scorta. Mio padre e il giorno in cui… - la ragazza sospirò, grave. - Ho paura di chiudere gli occhi e rivedere tutto di nuovo.-

Il ragazzo annuì, l’aria triste.

- Capisco.-

Batté una mano sul suolo compatto accanto a sé. La ragazza distese la lana sul terreno per ammorbidirlo e si sdraiò sotto la coperta termica, le ginocchia al petto e l’aria di chi avrebbe dato qualunque cosa pur di risparmiarsi la tortura del sonno.

A differenza di quanto aveva creduto, invece, Satine dormì. 

Dormì un sonno senza sogni, interrotto solo dai tiepidi raggi del sole e dal ciarlare degli uccelli appena svegli. 

Dopo gli incubi di solito non dormiva mai, non senza l’aiuto dei sonniferi.

Quando si svegliò, il giovane padawan era ancora seduto accanto a lei ed il suo sorriso furbo fu la prima cosa che vide.

 

***

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Otis Botte di Ferro Kryze: figlio e successore di Ordo il Sordo, fu anch’egli un fiero Mand’alor. Dal padre ereditò la bassa statura e basta. Tanto il padre era parsimonioso, tanto egli era scialacquatore. Tanto il padre era di poche parole, tanto egli era pronto alla celia e alla festa. Amava le cose belle, ma soprattutto il buon cibo e i buoni alcolici, che requisiva con piacere con la scusa del protezionismo contro i prodotti corelliani. Di lui si dice che si facesse prima a saltarlo che a girargli intorno, ma era temibile quando era avvolto nel beskar e nessuno sfuggiva alla sua ascia, oggi conservata con dovizia dentro le mura di Kryze Manor. E’ passato alla storia per la battaglia di Navar, in cui confuse i nemici utilizzando un susulur. Morì dopo cena, dopo aver festeggiato l’ennesima vittoria sui Makyntire, perché spazzolò la dispensa fino a lasciarci le penne, o forse bevve fino al coma etilico, o forse no. Nessuno sa davvero come sia morto. 

 

***

 

NOTA DELL’AUTORE: E’ una ciappola! disse l’ammiraglio Ackbar ne Il ritorno dello Jedi. Vista la comunanza di specie, mi piaceva l’idea di replicare il difetto di pronuncia su una tenerissima Bant Eerin quando era ancora un pesciolino. 

Questa è la prima delle tante scampagnate nei boschi che il terzetto si farà. Ne seguiranno tante, e non tutte saranno semplici.

La vita è fatta di alti e bassi, e se voglio che i personaggi siano quanto più umani possibili è necessario caratterizzare i processi di guarigione mentale. 

Otis Botte di Ferro è un’altra delle mie invenzioni, liberamente ispirato al duca Pancia di Ghisa de’Paperoni. Anche la battaglia di Navar è ispirata ad un evento reale. Per sfuggire all’assedio della propria cittadina nel 1200 e qualcosa, un podestà fu costretto ad evadere di nascosto, e lo fece legando la corda della campana della chiesa al collo di un asino. L’animale, alzandosi a mangiare il fieno lasciatogli lì vicino, tirava la corda della campana, facendola suonare e dando l’impressione al nemico che l’abitato fosse pieno di gente. Quando sfondarono, non trovarono nessuno, e il podestà riuscì a mettersi in salvo.

 

Molly.

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Capitolo 26
*** 24- Iivin'yc redalur ***


CAPITOLO 24

 Iivin'yc redalur

 

Il risveglio, quella mattina, fu una sorpresa per tutti. Obi Wan aveva vegliato ininterrottamente fino al sorgere del sole e forse anche un poco oltre. Si era aspettato di dover tenere compagnia a Satine, ed invece la ragazza aveva dormito come un sasso fino a che il sole e il cinguettio degli uccelli non l’avevano svegliata. L’aveva guardato ed aveva sorriso, e sembrava che nulla potesse turbare la sua mente.

La prima cosa che aveva detto era stata che aveva fame.

Satine, che aveva sbocconcellato come un uccellino nelle ultime ventiquattro ore, adesso diceva di avere fame al risveglio e dopo un orribile incubo.

Qui Gon, invece, fu sorpreso dal cambiamento del clima. L’umidità era di gran lunga diminuita ed il caldo non era più così soffocante. Per di più, il profumo di barrette riscaldate sul fuoco aveva stuzzicato il suo appetito ed era rimasto molto soddisfatto dal fatto che la ragazza ed il padawan avessero già preparato quanto necessario per fare colazione. 

Ormai erano vicini al limitare del bosco. Il caldo si faceva sempre più secco e Satine diceva che era colpa della vicinanza con il deserto. A quanto pareva, la foresta sarebbe finita in una lunga linea orizzontale a contatto con le sabbie bruciate dal sole, e loro avrebbero dovuto sterzare bruscamente a destra per poter raggiungere il loro karyai e passare lì il resto del pomeriggio e la notte. Poi, di nuovo a destra, giù per la pianura, ed incrociare il deserto di nuovo, a cavallo del quale Solus sorgeva. 

Obi Wan aveva capito che si trovavano in una specie di grosso rettangolo, circondato su due lati dal deserto e sugli altri due da amene pianure e foreste verdeggianti come quella in cui si trovavano quel momento. 

Non appena si furono ristorati, i tre fecero i bagagli e lasciarono l’accampamento. Satine coprì il  fuoco con delle pietre e cancellò con un colpo solo, tra terra e foglie, i resti della latrina improvvisata che avevano scavato poco lontano. Obi Wan avrebbe voluto brontolare un po’. I due Jedi non profumavano esattamente di acqua di colonia, ma si trattenne, sia per i buoni propositi che aveva intrapreso il giorno prima sia per l’umiliazione che la duchessa stava loro infliggendo.

Nonostante, infatti, avessero condiviso gli stessi spazi e la stessa latrina e lo stesso cibo, loro due puzzavano come moffette, mentre lei emanava un buon profumo di mirto e i capelli tinti di blu erano perfettamente in ordine, raccolti in una treccia ordinata.

Avrebbe dovuto capire con quale astrusa magia ci fosse riuscita.

Si erano messi in marcia ormai da ore, quando Satine ruppe il silenzio.

- Avete sognato, questa notte, Obi Wan?-

- Oh, sì. Niente di interessante, la solita visione.-

Satine tacque, ponderando la risposta.

- Io ho sognato…-

- L’attentato a vostro padre. Lo so. Non c’è bisogno che spieghiate.-

La duchessa tacque di nuovo, mettendo un piede davanti all’altro con cautela. Qui Gon apprezzò la riservatezza del suo padawan, ma era anche consapevole che se la ragazza avesse continuato ad urlare come un’ossessa durante la notte li avrebbe trasformati in bersagli mobili. 

Prima o poi avrebbe dovuto liberarsi di quel peso. 

- La vostra visione è sempre la stessa?-

- No, è cambiata un poco. Le parole non sono più le stesse, ed invece che lasciarmi sospeso nella luce bianca, sul fondo c’è una grossa apertura rocciosa, come se fosse una caverna, buia ed oscura, che mi trascina verso il basso.-

Satine aggrottò le sopracciglia, pensierosa.

- Questo è difficile da spiegare. Che cosa dice, questa volta?-

- Non so.-

- E’ tanto diverso da cin’ciri oyayc?-

- Sì e no. Ci sono ancora delle sillabe strascicate, ma sembra molto più gutturale. Una cosa tipo scià.-

- Scià?-

- Sì.-

- E basta?-

- No, va avanti, ma non so, sicuramente ho capito male. Continuava a dire scià, scià ru-sciàli… o qualcosa del genere.-

Satine ci capiva sempre meno e le rocce scivolose e coperte di licheni non rendevano il loro incedere facile. Concentrarsi era sempre più difficile, mentre con una mano si teneva in equilibrio per non cadere su una roccia particolarmente insidiosa.

Poi, un pensiero la fulminò.

Non poteva essere, però.

- Non sarà mica chaab?-

Obi Wan si voltò a guardarla curioso.

- Chaab be Ruus Uj’ayl?-

Non me lo dite.- fece il padawan, scuotendo il capo e facendo dondolare in modo ipnotico la lunga treccia dietro l’orecchio.- E’ un altro dei vostri nomi?-

Satine scoppiò a ridere, di un riso genuino e non contenuto, per una volta.

Obi Wan pensò che aveva una risata bellissima. Pura, cristallina, come il rintocco di campane a festa. Avrebbe ascoltato quella risata per ore, come se fosse stata musica, ma la prima cosa che in verità gli ricordò fu l’acqua. La sua risata gorgogliava come una sorgente di acqua fresca.

Il padawan si accorse che, se avesse potuto, avrebbe bevuto quell’acqua all’infinito.

Medita.

Aveva una bella risata e basta. Punto.

- Sì. Letteralmente significa Il Terrore della Glassa di Zucchero.-

Qui Gon trasformò una risata in un colpo di tosse.

- Oh, no, potete ridere, maestro. In effetti, è ridicolo. E’ stato il primo nome che ho ricevuto dopo aver superato il mio verd’goten. Avvenne su un ghiacciaio, sulle vette di un monte vicino al polo di Mandalore. Si chiama Glassa di Zucchero perché sembra un dolce visto dall’alto. Credo, però, che dovrò manipolare un poco la traduzione, o la gente crederà che la duchessa abbia un problema con le torte.-

Il trio si permise di ridere un poco, anche se in verità l’attenzione di Qui Gon era di nuovo concentrata su quanto la duchessa aveva detto.

Non sapeva molto del verd’goten, ma quel poco che aveva sentito non era rassicurante. Sembrava un rito barbarico, violento e brutale, retaggio di vecchie tradizioni guerriere mandaloriane. 

- Parlatemi di questo verd’goten.- le chiese, reggendosi al tronco di un albero per non cadere.- Non so nulla di questo rito.-

- No, non vi credo. Se mi fate questa domanda è perché avete sentito dei brutti e cattivi mandaloriani che abbandonano i figli se non riescono a sopravvivere nel nulla da soli, giusto?-

Qui Gon scosse il capo, mesto, e le lanciò un sorrisetto di scuse.

- Purtroppo, fino a relativamente poco tempo fa era così. Il verd’goten è un rito di passaggio, da compiersi a tredici anni, dopo il quale si viene considerati adulti. Se non si riesce a superarlo, non si è degni di fare parte della comunità Mando, e quindi ostracizzati. Prima dell’ultima guerra contro la Repubblica era molto crudo, poi, con l’avvento dei Nuovi Mandaloriani e il bisogno di pace crescente tra la popolazione, le cose sono cambiate. Adesso si tratta di una prova molto più umana, anche se ancora difficile.-

Obi Wan scivolò su una roccia e con una manovra da equilibrista riuscì a restare in piedi. Qui Gon fu meno fortunato. Rovinò per terra, sullo zaino, in un gran fracasso di pentole e padelle. 

Satine riuscì a fermarsi in equilibrio precario, un piede su un masso e uno sull’altro, pregando di non fare la figura del tonno sul banco del pesce. 

- State bene, maestro?-

- Certo che sta bene.- fece Obi Wan, l’aria canzonatoria.- Dev’essere l’età.-

- Ti ci riprendo, figliolo, stai tranquillo che ti ci riprendo.-

Di nuovo stabile sui piedi, il gruppo riprese la marcia.

- Dicevamo, duchessa, che il rito è cambiato.-

- Sì. Il primo ad introdurre delle modifiche fu il duca Gerhardt, mio nonno. Sono stati introdotti dei limiti di tempo. La prova non può durare più di settantadue ore, dopo le quali si attivano i mezzi di soccorso. Successivamente, mio padre ha fatto in modo che ai partecipanti venisse consegnata una mappa precisa, per avere una idea di dove, eventualmente, andarli a cercare qualora fallissero.- 

- Vengono ancora esiliati?-

- No. Chi non supera il verd’goten è comunque un cittadino di Mandalore, ma non può accedere alle prove per il trono.-

- Intendete che non può provare a vincere in un duello il Mand’alor?-

- Anche quella è storia vecchia. Adesso, diviene Mand’alor chi supera tre prove, di cui la quarta, la prova della Luce, facoltativa. A quel punto, si procede a libere elezioni, e solo in casi estremi si giunge al duello. E’ il caso, per esempio, di un candidato avversario che rigetta il risultato elettorale, oppure di un Mand’alor messo in minoranza in parlamento. A quel punto, se c’è qualcuno che desidera sfidarlo, può farlo.-

Qui Gon annuì, e dovette ammettere che il sistema era cresciuto parecchio dall’ultima volta in cui i Jedi l’avevano, per così dire, visitato. Giunse alla conclusione che sui Mandaloriani si diceva tutto e il contrario di tutto, senza che nessuno, in verità, conoscesse quel popolo seriamente. 

Il buon maestro era entusiasta all’idea di essere uno tra i primi a toccare con mano quella realtà relativamente pacifica e a poterla divulgare.

Obi Wan, invece, era profondamente attratto da quella cultura. Era partito da Coruscant credendo che la duchessa volesse fare loro la festa. Si era aspettato un accoglienza fredda e guerresca, con gente intabarrata nelle armature di beskar. Niente di più differente. Le visioni, poi, lo intrigavano. La sua missione, anche se cominciata da nemmeno quarantotto ore, stava diventando un intrico di leggende e tradizioni, ben diverso dal sangue e dalla morte che i terroristi stavano provando ad imporre.

Quel mondo pieno di storia e fantasia gli piaceva. 

- Non avete risposto alla mia domanda, comunque.- disse il padawan, dandole la mano per non farla cadere.- Avete un problema con le torte?-

- Oh, no. La mia prova si è tenuta sul ghiacciaio del monte Glassa di Zucchero, appunto. Ho dovuto uccidere un munit gemas per poter sopravvivere: cibo, vestiti, armi, quella roba lì.-

- Come prego?- fece Qui Gon, voltandosi a guardarla.- Vestiti?-

- Già. Questa è una delle cose barbare che mio padre non ha fatto in tempo a cambiare. Può capitarti qualsiasi ambiente, che viene estratto a sorte dal sacerdote del Tempio di Sundari, e per questo non siamo autorizzati ad indossare niente di specifico. Solo in caso di situazioni estreme, come il freddo polare, ci danno le calze tecniche e una maglia.-

Questo significava che quei poveri tredicenni venivano mandati al freddo e al gelo senza nemmeno i vestiti?

E che accidenti era un municoso?

- Mun…-

- Munit gemas. E’ una specie di grosso bantha peloso con le zanne frontali, grandi e arcuate. Peloso, ma proprio tanto.-

- E voi ne avete ucciso uno?-

- Purtroppo. Mi serviva il pelo e la carne. Gli stivali che avete visto sono fatti con il pelo del gemas.- disse, ammiccando alle scarpe penzolanti dal suo zaino.- Diciamo che la pelliccia che ne ho ricavato non profumava esattamente di acqua di colonia ed era brutta, tanto tanto, e puzzava come il didietro di un bantha. Sembravo il didietro di un bantha, ad essere del tutto onesti, per cui sono diventata Chaab be Ruus Uj’ayl, Il Terrore del Ghiacciaio del Monte Glassa di Zucchero. Ecco, così suona meglio. Almeno non sembra che abbia fatto esplodere il forno di Kryze Manor.-

E poi, con un’occhiata in tralice verso Obi Wan, Satine commentò:

- E temo che, se vorrete sopravvivere in questo diavolo di posto, dovrete liberarvi del vostro accento coruscanta in favore del Mando’a, mio caro padawan.-

Nell’ultimo tratto del loro tragitto, la foresta mutò di nuovo conformazione. Esauriti i massi, i piedi del terzetto tornarono di nuovo sulla terra battuta. L’umidità era aumentata ancora, come le foglie e le liane. Satine ci rimase impigliata e i due Jedi ebbero un chiaro esempio della volgarità della lingua Mando quando, pur senza capirla, la sentirono sacramentare come uno scaricatore di spazioporto. 

Quindi, i tre ripresero a mulinare i coltelli, trattenuti dai rovi e dalla resina. La loro marcia procedeva bene, almeno fino a che le mani di Obi Wan non rimasero impiastrate di una terribile gelatina verdastra.

- Ma che cavolo…-

- FERMI TUTTI!-

I tre si fermarono, mentre il padawan si liberava da quella schifosa e viscida gelatina trasparente. Satine sembrava improvvisamente nervosa, gli occhi spalancati sul niente mentre cercava la foresta con lo sguardo. 

- Che sta succedendo?-

- Guardatevi bene intorno. Vedete qualcosa che prima non c’era?-

Qui Gon non era stupido e sapeva perfettamente che non c’era niente di meglio dell’istinto di un nativo del posto per scongiurare eventi nefasti. Tuttavia, poteva dire con certezza che non ci fosse niente di pericoloso nelle vicinanze. La Forza non gli diceva niente, e a giudicare dalla faccia del suo padawan, più forte di lui nella Forza Unificante, nemmeno lui percepiva un granché.

Qualunque cosa temesse la duchessa, non era un pericolo per loro.

Quindi, decise di muoversi nella direzione della ragazza.

- No, duchessa, vi posso garantire che va tutto bene.-

- Forse, o forse no. Questa cosa può sfuggire anche al vostro controllo, maestro. Tenete gli occhi aperti.-

L’uomo alzò un sopracciglio, perplesso, ma non disse niente.

Nulla poteva sfuggire alla Forza, e nella Forza, in quel momento, non c’era niente.

- Satine?-

- Quella non è resina, è saliva. O qualcosa che ci si avvicina, per lo meno.-

I due Jedi ci capivano sempre meno.

- Davvero non vedete niente di strano? O forse avete sentito qualcosa di curioso, non so, dei fischi o dei grugniti?-

- No, Satine, vi posso assicurare che nella Forza non c’è assolutamente…-

Prima che Obi Wan potesse finire, però, un fischio acuto si levò da un angolo della foresta poco lontano da dove si trovavano.

Satine sgranò gli occhi e con un gesto fulmineo estrasse il pugnale dallo scarpone, mentre una mano si avvicinò alla cintura alla velocità della luce.

C’era di buono che si era levato un fischio solo.

- Se non ci attacca, ci spia.- sibilò tra i denti la ragazza.- Proviamo a muoverci, ma dobbiamo tenere gli occhi aperti. Ci sarà addosso in un attimo.-

- Di che cosa si tratta, esattamente?-

- Di un animale mostruoso.- concluse Satine, e i tre si strinsero tra loro, spalla a spalla, mentre procedevano verso il limitare della foresta.

Camminarono in quel modo, come gamberi, per un bel tratto, gli occhi sempre aperti e ben vigili. Obi Wan non capiva un granché. Era evidente che qualunque cosa fosse, si trovava nelle vicinanze. Era convinto di avere sentito qualcosa muoversi tra le frasche, ed in più di un’occasione. Quello che lo lasciava perplesso, però, era la totale assenza di presenze nella Forza. Non si sentiva assolutamente nulla. Se una creatura fosse stata nelle vicinanze, Obi Wan si sarebbe connesso con lei, o se non altro avrebbe percepito la sua presenza.

Invece, assolutamente nulla.

Eppure, il fischio l’avevano sentito tutti e tre. Qualcosa, effettivamente, c’era. 

E non si sentiva.

Il passo del gambero continuò ancora, ma un fruscio più forte lo distrasse.

- Che cosa è stato?-

- Si sta avvicinando. Occhi aperti, Obi Wan!-

- Duchessa, io capisco quello che dite, ma è evidente che non c’è niente di pericoloso in giro…-

E la creatura balzò. 

Il maestro Qui Gon fu preso alla sprovvista e l’animale riuscì ad afferrargli la manica. 

Obi Wan gli trinciò il collo di netto con un colpo solo. 

Satine trattenne la nausea, mentre quello che restava dell’animale continuava a muoversi e a divincolarsi, la testa che ancora penzolava dalla manica del maestro Jinn. 

Poi, con un ultimo sussulto, il corpo si fermò.

I tre si scambiarono un’occhiata curiosa.

- Che roba è?- chiese Obi Wan, avvicinandosi ad esso e toccandolo con la punta della scarpa, come a voler essere sicuro di averlo ucciso. 

Satine distolse lo sguardo ed inspirò.

- Non lo sappiamo. Li chiamiamo spettri. Sono micidiali. Il fischio era un richiamo. Dobbiamo andarcene, prima che ne arrivino altri.-

Il maestro alzò il braccio ed osservò la testa recisa di netto con curiosità.

- Sembra un insetto.-

- Sembra, ma non lo è. C’è troppa sostanza vegetale e la forma è umanoide.-

- Ha ragione.- rispose Obi Wan, calciando un braccio e rivoltando il corpo a pancia in su.

Visti da vicino, la somiglianza con un corpo umano era devastante. A parte la testa, chiaramente animale, il resto del corpo aveva forma umana. Braccia, gambe, e quella che sembrava una cavità ventrale. Aveva dita lunghe ed acuminate, e un colorito livido poco invitante. Inoltre, era coperto dalla testa ai piedi di quelli che sembravano organismi vegetali.

Il tutto completamente umido e viscido. 

La manica del maestro, mezza sbrindellata, era coperta della solita saliva verdastra e le sue scarpe erano invischiate di una sostanza maleodorante di colore nerastro. 

- Sì, mi fa molto piacere che stiate esaminando questa cosa, ma temo di potervi dire molto di più io. Ad esempio, non abbiamo mai trovato un cadavere, per cui meglio muoverci, prima che i suoi compari lo raggiungano, e meglio toglierci il suo fetido odore di dosso, prima che ci seguano!-

- Sarebbe interessante riuscire a capire la ragione per cui non lo abbiamo sentito. Forse non dovevamo ucciderlo. Magari aveva buone intenzioni.-

- Fidatevi, no. Sembrerà strano, dalla bocca di una pacifista, ma queste creature non conoscono pietà. Credetemi, è perfettamente normale che non lo abbiate sentito. Adesso vogliamo andare?- continuò la duchessa, che non sembrava minimamente interessata a mettere via i coltelli mentre li sorpassava per marciare a passo spedito fuori dalla foresta.

I due Jedi la seguirono, perplessi. 

La comitiva proseguì gli ultimi chilometri in assoluto silenzio, incerti su che cosa fare o dire. Satine sembrava scossa ed avanzava con le orecchie tese e le armi in mano. Qui Gon ed Obi Wan, invece, non erano del tutto tranquilli. L’assenza di presenze nella Forza, improvvisamente, era diventata un segnale di allarme piuttosto che di comfort. Si lanciavano spesso occhiate in tralice ed ancora più spesso squadravano la duchessa, che non accennava a volersi fermare. Nemmeno quando Qui Gon propose uno spuntino la ragazza cedette. 

Preferirono non indagare oltre e proseguirono.

Il caldo secco del deserto ben presto li raggiunse, assieme ad una brezza arida che li investiva da destra. La sabbia aveva coperto parte del terreno, ma le piante tropicali non avevano ancora ceduto il passo alla secca vegetazione desertica.

La foresta finiva a punta, con un unico, ultimo albero, baluardo di un ambiente completamente diverso, proteso con le radici verso la pianura ed il tronco verso il caldo del deserto. 

Poi, una linea netta conduceva al karyai.

A vederla, sembrava quasi uno scherzo. La casupola bassa e rotonda era situata poco lontano da loro, rivolta verso la pianura e con alcune finestre che davano sul deserto. La linea retta conduceva al centro di ricerca in modo quasi perpendicolare, se esso non fosse stato costruito sul terreno morbido ed allo stesso tempo solido della vallata. 

A destra, il deserto. A sinistra, la pianura verdeggiante e lussuriosa.

A destra, una grossa torretta abbandonata, probabilmente per estrarre carburante. A sinistra, il centro di ricerca, con il filo per stendere tranciato dalle intemperie, ma ancora lì, e uno speeder scassato che prendeva la ruggine sotto il vento caldo.

Da una parte il nulla. Dall’altra gli uccellini e persino alcuni piccoli quadrupedi simili a gatti che si nascondevano nell’erba.

Loro tre, invece, stavano camminando come funamboli sulla linea di demarcazione, dove l’erba spariva sotto la sabbia. 

Tuttavia, a giudicare dalle occhiate preoccupate che la duchessa lanciava verso il cielo, anche il deserto non doveva essere del tutto disabitato.

Infatti, l’eco lontano di un gracchiare sconnesso li raggiunse.

- Senaare tracyne.- mormorò Satine, gli occhi rivolti verso il cielo.- Andiamocene, prima che ci vedano.-

I tre marciarono in fila verso il loro ultimo rifugio. Qui Gon in testa che guardava avanti, Satine in mezzo, con gli occhi verso il cielo, ed Obi Wan a chiudere la schiera, con lo sguardo alle loro spalle.

A parte le piante mosse dal vento, niente si muoveva.

La porta cigolò sui cardini e i tre furono dentro la casupola.

Era esattamente come l’aveva descritta Satine. La stanza centrale era unica e grande, uno spazio rotondeggiante in cui si ammucchiavano una sala con un divano a muro ed un holoproiettore, e una cucina e un laboratorio chimico spaventosamente vicini. Il padawan non si intendeva molto di cucina, né di chimica, ma sapeva con certezza che ci voleva coraggio a tenere le due cose insieme, perché il rischio di confondere il sale con qualche cristallo tossico era molto, molto alto.

Una tavola in mezzo alla stanza, circondata da sedie, indicava che quella era l’area più vissuta della casa. Tre scalini portavano alle stanze sul retro, presumibilmente le stanze da letto e la toilette.

Qualcosa, tuttavia, non andava. 

Le finestre erano rotte, ed entrava il vento caldo del deserto con una buona dose di sabbia. La consolle era parzialmente distrutta e le telecamere di sorveglianza erano state completamente divelte, sia all’esterno che all’interno. Il divano era graffiato in più punti, ma la cosa che fece accapponare la pelle al giovane padawan fu la presenza di una grossa macchia brunastra al centro della stanza, di fronte alle scale, che si espandeva un po’ dovunque. Sotto il tavolo c’erano quelli che sembravano segni di trascinamento e il liquido sembrava esser colato persino giù dalla consolle, creando una piccola pozza bruna sotto gli sportelli del mobile.

Obi Wan lanciò un’occhiata al suo maestro, poco convinto, e quello ricambiò lo sguardo circospetto. 

Qualunque cosa fosse successa in quel posto, non prometteva niente di buono.

- Duchessa?-

- Sì?-

- Credo che sia giunta l’ora di dirci il motivo per cui avete fatto chiudere i centri di ricerca.-

Satine sospirò, gettando il bagaglio sul pavimento e scansando la sedia per appoggiarcisi.

- Maestro, con tutto il rispetto, credo che prima di fornire ogni spiegazione sia il caso di capire se questo posto è sicuro. Che ne dite se finiamo il giro?-

- Che cosa troveremo, nelle altre stanze?-

- Qualcosa di molto simile a quello che abbiamo trovato qua. Nel migliore dei casi.-

- E nel peggiore?-

- Non ci voglio pensare. Tenete le armi a portata di mano.-

I due Jedi si guardarono e non dissero niente. Si misero in cammino, vicini, verso le stanze da letto e l’aera posteriore del karyai. 

Come previsto, lo scenario prospettatosi non era diverso da quello del salotto. Due stanze erano praticamente prive di macchie brune, mentre una era stata completamente devastata.

Se avevano dubbi sulla natura di quella sostanza rossastra, ogni dubbio fu frugato dal colore e dall’odore delle lenzuola della stanza da letto.

- Chi ha compiuto questo massacro?-

- Spettri.-

- Ah.-

Era evidente che erano entrati dalle finestre. I vetri erano praticamente distrutti e buona parte dell’intelaiatura di metallo era stata divelta. Obi Wan riuscì a ricostruire parzialmente la dinamica: una volta sfondata la prima finestra ed uccisone l’occupante, gli animali avevano raggruppato il gruppo di scienziati in fuga al centro della stanza, costringendoli a difendersi, conducendoli nel karyai ed uccidendoli lì. 

Faceva davvero accapponare la pelle.

Soltanto la stanza da bagno e l’armadio delle scope era stato risparmiato. Solo qualche vetro rotto faceva capire che le bestie erano entrate anche dalla toilette, precludendo tutte le vie di fuga, e che non avevano logicamente avuto interesse a mangiarsi scopetto e detersivo.

- Bene. Credo che per il momento questo luogo possa considerarsi sicuro. Meno ci restiamo, però, meglio è.-

- Vorrei ben dire.- disse Obi Wan, squadrando Satine che tornava a passo spedito verso la sala principale per liberarsi definitivamente del suo bagaglio.

- Volete darci delucidazioni, adesso?-

La ragazza annuì alla domanda di Qui Gon, gettandosi sulla sedia mentre il Jedi si accomodava, gaudente, sul divano. Obi Wan rimase in piedi, appoggiato allo stipite della porta, un piede a riposo su uno dei tre scalini che conducevano alle stanze da letto. 

Si accorse che Satine faceva fatica a parlare, ed era più che evidente che la fattispecie per lei era gravosa e particolarmente impellente. Il fuoco turchese nei suoi occhi non lasciava spazio a dubbi. 

Detestava quelle creature con tutta se stessa.

- Sono apparsi dal nulla.- affermò la ragazza, passandosi una mano nei capelli biondo alba.- Un giorno il Centro di Ricerca Nazionale di Sundari ha perso i contatti con uno dei karyai di Mandalore. Ha mandato una squadra in ricognizione per capire che cosa fosse successo, ed è stato scoperto il disastro. Sulle prime pensammo ad un commando armato, ma l’assenza di cadaveri e di rivendicazioni ci indusse ad abbandonare quella teoria. Pensammo quindi ad una fatalità. Un animale doveva essere entrato e doveva aver sorpreso la squadra senza armi. Certo, le modalità dell’attacco erano comunque strane. Sembrava pianificato, preciso, e più che un animale singolo, sembrava che avessero attaccato in branco. Nessuna specie è capace di mettere in atto un attacco così perfetto, almeno tra quelle presenti nel sistema. Abbiamo mobilitato i maggiori esperti ed abbiamo concluso che doveva trattarsi di una specie aliena. Una bestia sfuggita a qualche contrabbandiere.-

- E non è cosi?-

- Vi risulta che qualche pianeta di questa galassia possegga animali di quel tipo?-

- No.- fece Obi Wan, scuotendo il capo.- Almeno non ne ho mai visto uno nelle mie sessioni con Bant e il maestro Fisto.- 

Qui Gon annuì e le fece cenno di continuare.

- Cominciarono a moltiplicarsi segnalazioni di strani animali e di fenomeni inspiegabili. Alcune popolazioni animali scomparvero improvvisamente dal loro habitat, altre migrarono. Alcuni pastori o agricoltori segnalarono la presenza di figure che si muovevano nei boschi, altri di piante e animali avvelenati da una sostanza putrescente di origine non meglio identificata. Gli attacchi ai karyai si ripeterono e, in collaborazione con il Centro di Ricerca, io e mio padre riuscimmo ad ottenere un filo di comunicazione diretto con i centri per eventuali segnalazioni. Un giorno, uno di questi centri ci mandò un filmato, l’ultimo, una vera e propria miniera di elementi per dare un volto e un nome a ciò che fino a quel momento avevamo chiamato solo spettri.-

Obi Wan era rapito dal suo modo di raccontare. Sembrava vivido, reale, come se l’assalto si fosse svolto proprio in quella stanza dove i tre si trovavano. 

Sentiva freddo, anche se erano al limitare con il deserto.

- Attaccano sempre allo stesso modo. Uccidono le prede e se ne cibano, lasciando solo pochi resti, a volte anche nulla se non le tracce di sangue. Quello che resta di solito è cosparso di bava, quella che avete toccato, Obi Wan, sparsa sulle foglie della foresta. Passano dal retro, circondano la preda nel karyai per la mattanza finale. Quel filmato ci ha dato la possibilità di decrittare alcuni suoni e siamo arrivati alla conclusione che potrebbero non essere del tutto animali. Fischiano per chiamarsi tra loro, come un richiamo per il branco. Grugniscono per comunicare e soffiano per minacciare. Il linguista è riuscito a ricostruire almeno trenta suoni con i possibili significati.-

- Quindi la specie aliena avrebbe un linguaggio suo. Significa che sono specie dominanti, non animali.-

- Esattamente, maestro. Gli attacchi si sono ripetuti nel tempo, sia in strutture scientifiche che private. Alcune volte hanno attaccato delle famiglie o piccoli villaggi isolati. In alcuni casi, come su Kalevala, i centri di ricerca non hanno questa forma. Abbiamo ottenuto altre fortunate registrazioni, dove è evidente che sono in grado di cambiare tattica in corso d’opera. Sanno adattarsi e sono ben organizzati, forse addirittura meglio di noi.-

Obi Wan non sapeva che cosa dire. C’erano dei passaggi che non tornavano, comunque, e non mancò di porre delle domande alla duchessa.

- Scusate, ma avete capito da dove vengono?-

Satine lo guardò storto.

- Se lo avessi capito, avrei già risolto la cosa, anche se credo di essermene fatta un’idea. Contrariamente a quanto pensa la maggior parte della gente, io credo che gli spettri non provengano dall’esterno, ma che siano autoctoni.-

Il padawan alzò un sopracciglio rossiccio.

- E non li avete mai visti prima?-

- No. Non abbiamo nemmeno trovato gusci, materiali eiettabili, astronavi schiantate, niente di niente. A meno che non si riproducano ad un ritmo esorbitante, è molto probabile che continuino ad arrivare. A quest’ora avremmo trovato qualcosa, e vi posso garantire che il Ranov’la l’ha cercati in lungo e in largo.- 

- Ranov’la?-

- I servizi segreti.-

I due Jedi si scambiarono un’occhiata d’intesa e Qui Gon domandò:

- E’ tutto secretato, giusto?-

- Assolutamente sì. Non oso immaginare che cosa succederebbe se Larse Vizla mettesse le mani sui nostri documenti. In ogni caso, non è sembrato interessato. Credo che la sua tattica comprenda andare allo scontro aperto con gli spettri per affermare la sua superiorità. In questo caso, avrà una brutta sorpresa.-

Obi Wan non aveva una grande opinione della politica. Ad essere proprio onesti, la politica in sé gli piaceva, erano i politici che non sopportava. In fin dei conti, uno poteva star certo che facevano sempre i loro interessi e che anche dietro le azioni apparentemente più disinteressate avevano un tornaconto personale. Aspettandosi sempre il peggio, dunque, aveva imparato a fare politica, nel senso che aveva imparato a non ragionare più in termini di scelte nobili, ma di scelte utili. In questo, Larse Vizla probabilmente non era diverso dal resto della marmaglia. Aveva la possibilità di mostrarsi come il grande guerriero, il salvatore della patria, distruggendo gli spettri, ed avrebbe avuto la sua vittoria. Se invece si fosse servito degli spettri per acuire il suo potere, avrebbe vinto comunque. 

Insomma, qualunque cosa avesse fatto, Larse Vizla pensava di poter rigirare la frittata a suo vantaggio.

In questo senso, la scelta di Satine di tenere le ricerche segrete aveva dato i suoi frutti. Nessuno sapeva esattamente che cos’erano gli spettri né da dove venivano. L’unica a sapere la verità era lei, ed in quel caso la verità era un’arma.

Certo, un po’ spuntata contro creature simili, ma pur sempre un’arma.

Satine conosceva il loro modo di esprimersi, le loro tattiche e le loro strategie.

La Ronda della Morte no. 

Satine, probabilmente, sapeva anche molto di più.

- Intendete dire che non ha mai cercato di conoscere la verità sugli spettri?- chiese Obi Wan, cambiando stipite e riposando l’altra gamba.

- I casi sono due: o la sa già, e tutto questo è stato orchestrato ad arte dalla Ronda della Morte, oppure non ne sa niente. Non esistono copie dei documenti e l’unica esistente è stata portata via da Inga Bauer. E’ la Abiik’ad più alta in grado. Cugina di mia madre. Mia fedele alleata.-

Prima di andarsene, Satine aveva tentato il colpo. Presa da parte la buona vecchia Inga, le aveva confessato delle sue ricerche a proposito degli spettri. La donna ne era rimasta turbata ed era andata personalmente a casa del povero generale Grenade per recuperare quello che restava.

Al di là del macello che aveva trovato, la scrivania era intatta. Nessuno aveva aperto i cassetti, nessuno aveva provato a frugare tra le sue cose se non per recuperare i piani della sicurezza della Fortezza delle Cascate, forse convinto di poterci mettere le mani più avanti, una volta preso il potere.

Forse, Larse Vizla non era ancora a conoscenza dell’ultimo piano segreto del generale in caso di disastro.

- Permettetemi, duchessa, ma questo è praticamente impossibile. Cercate di capire che quell’uomo è un pericoloso usurpatore. La prima cosa che avrei fatto io sarebbe stata mettere le mani nei vostri segreti.-

- I miei segreti sono tutti bruciati assieme al Ranov’la.-

Qui Gon sgranò gli occhi.

- La sede dei servizi ha preso fuoco?-

- No. Solo l’archivio segreto, quello che conteneva il materiale che avevo individuato su di lui, sulla Ronda e sui suoi movimenti economici, nonché sugli spettri. Se vorrà mantenere il potere, dovrà faticare un bel po’, e non credo che avrà voglia di provare ad andare a prendere gli originali a Kryze Manor. Non adesso, per lo meno, che è circondata dalle Abiik’ade, che si sono rese disponibili a proteggere gli eredi dei Nuovi Mandaloriani.-

Obi Wan glissò sul fatto che le guerriere più micidiali della galassia si trovassero a difendere un movimento pacifista e preferì concentrarsi su altro.

Un’occhiata sbilenca e forse un po’ triste di Satine, tuttavia, gli fece capire che lei aveva capito. 

Sospirò.

- Quindi solo voi sapete esattamente che cosa fare con gli spettri?-

- Sì.-

- E solo voi conoscete esattamente la verità dietro la presa del potere di Larse Vizla?-

- So molto, ma non tutto. Chi ha provato a venirne a capo, o è morto o c’è andato vicino. Io, per ora, sono una delle poche a sapere come stanno veramente le cose.-

- E come stanno veramente le cose, duchessa?- chiese Qui Gon, cogliendo la palla al balzo.- Sono ormai certo che voi non ci abbiate chiamato solo per il colpo di stato.-

Satine abbozzò un sorriso mesto e scosse il capo.

- Maestro, padawan, non prendetevela sul personale, ma ho i miei motivi per non fidarmi dei Jedi o della Repubblica. Forse un giorno saprete perché ho omesso alcuni dettagli. Per il momento, sappiate che, consapevole di dovermene andare a spasso per la galassia con una razza potenzialmente superiore pronta ad uccidermi e con dei cacciatori di taglie alle calcagna, avevo bisogno dei guerrieri migliori dell’universo. Per di più, tutto sommato, credo in quello che ho detto, anche se so che per il mio popolo ricostruire lo strappo con i Jedi è quasi impossibile, soprattutto dopo Galidraan. Abbiamo molto in comune, più di quanto ci piaccia credere.-

- I Jedi non sono guerrieri, sono portatori di pace.- obiettò Obi Wan, piantando gli occhi in quelli della ragazza, quasi offeso.

- Lo so.- rispose quella, ricambiando lo sguardo con un po’ più di dolcezza.- E ci vuole un grande guerriero per scegliere quando non esserlo.-

 

FINE PRIMA PARTE

 

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Capitolo 27
*** 24.1- Iivin'yc redalur ***


CAPITOLO 24.1

 Iivin'yc redalur

 

Il gruppo era giunto alla conclusione che sarebbe stato necessario organizzarsi per passare la notte. Il karyai era gravemente danneggiato e poteva favorire l’incursione di animali notturni, nonché l’attacco da parte dei cacciatori di taglie. Urgeva riparare le finestre, nonché trovare un modo per creare un eventuale sistema di allarme. Bisognava rimettere in sesto la cucina e le camere e forse anche riattivare la stufa. La presenza del deserto era garanzia di una potente escursione termica.

Satine aveva raccontato loro anche altre cose sugli spettri. Era fermamente convinta che non stessero prendendo la cosa sul serio ed aveva fatto di tutto per fare loro capire che non era il caso di sottovalutare il problema.

Fu proprio in quel momento, poco prima di mettersi al lavoro, che Satine sganciò la bomba, quella vera.

- Il povero generale Grenade, che Nebrod l’abbia nella gloria del Ka’ra, era un uomo estremamente intelligente. Avevo avviato con lui una serie di progetti di ricerca sugli spettri che ci consentissero di estrarre più informazioni possibili da quanto poco era in nostro possesso. Grenade aveva dato disposizioni affinché venissero studiati, oltre al linguaggio, anche la bava verdastra trovata sui resti degli scienziati sbranati, nonché alcuni microorganismi particolari che sono stati trovati in larga parte sugli ambienti da essi contaminati. Tra questi, per pura curiosità, avevo disposto anche un conteggio dei midichlorians.-

- E per quale motivo?-

- A darmi l’idea, Obi Wan, è stata una vecchia leggenda popolare a proposito di misteriose creature che portavano scompiglio nel Mondo di Sotto. Un giorno, forse, ve la racconterò. Queste creature, secondo la leggenda, non possono essere sentite, né dai jetiise, né dai darjetiise.-

Obi Wan si grattò il velo di barba non fatta.

- I Jedi e i Sith?-

- Esattamente.-

- Questo non è possibile. Tutte le creature hanno una connessione con la Forza. Non sentire un turbamento è davvero fuori questione, Satine!-

La luce volpina negli occhi della ragazza, però, gli fece cambiare idea.

- Le leggende hanno dato diverse spiegazioni, ma nulla è attendibile al momento, incluse le dimensioni microscopiche di questi organismi o il loro aspetto. Tuttavia, la sostanza verdastra è un fluido corporeo, giusto? Saliva. Abbiamo trovato tracce di un DNA sconosciuto, misto animale e vegetale. Quindi, dovrebbe contenere tracce delle cellule necessarie al funzionamento dell’organismo.-

- E’ corretto.-

- E quindi dovrebbe anche contenere i midichlorians che vivono in quelle cellule, giusto?-

- Sì.-

- Ebbene, il conteggio è zero.-

Il maestro Jinn scosse la testa, contrariato.

- Dev’esserci stato per forza un errore di calcolo. Non è possibile. Non esistono esseri tagliati fuori dalla Forza.-

- Se volete rifare il conteggio, potete accomodarvi. La carcassa, ammesso che la troviate, dovrebbe essere ancora dove l’abbiamo lasciata. Fossi in voi, però, eviterei di andarla a prendere. Non abbiamo mai trovato un corpo, nonostante siano molto numerosi. Siamo giunti alla conclusione che prima o poi i sodali se li portino via. I più cruenti tra noi hanno anche ipotizzato che, come le formiche, si mangino i cadaveri.-

Obi Wan vide la luce sparire dagli occhi di Qui Gon, prima vivi all’idea di poter condurre l’esperimento e poi abbattuti dalla consapevolezza di non voler morire per mano di quei cosi.

Il padawan non era uno sciocco. Il suo maestro era forte nella Forza Vivente ed era certo che non avesse sentito niente nella foresta. Lui, invece, era più bravo nella Forza Unificante e nonostante tutto non aveva percepito un bel niente.

Che un animale sfuggisse al suo controllo, poteva starci. In fondo, era solo un padawan. Che un animale sfuggisse al controllo del suo maestro, anche, magari in un momento di distrazione.

Che sfuggisse a tutti e due era fuori questione.

Lo stesso maestro Jinn, a proposito della Luce di Mandalore, aveva detto che dietro ad ogni leggenda c’era sempre un fondo di verità, e se valeva per la Luce, per le sue visioni e per Satine, allora doveva valere anche per gli spettri. 

Forse la ragazza aveva ragione. Forse, erano davvero creature autoctone, che si erano risvegliate dopo tanti anni di sonno, dopo secoli in cui le leggende su di loro, se non fosse stato per il fine operato dei Kryze, si sarebbero perse tra le pieghe del tempo.

Obi Wan, dunque, non vedeva motivo alcuno per obiettare allo strampalato piano di Satine di costruire una specie di fortificazione attorno al karyai.

Qui Gon, più pratico, vedeva anche i limiti di quel piano.

- Ci vorrà molto tempo, duchessa.-

- Non poi così tanto. Stasera dovrebbe essere pronto.-

- Una palizzata entro stasera?- chiese Obi Wan, grattandosi la testa di capelli spinosi.

- Niente palizzata, Obi Wan.- scosse il capo la duchessa, l’aria da birba di nuovo sul volto.- Solo tracyn darasuum.-

I Jedi, nemmeno a dirlo, non sapevano nulla dell’antica tradizione del fuoco perpetuo e Satine fu più che felice di spiegare loro come si faceva. Qui Gon ne fu entusiasta e si offrì di andare a cercare la legna da ardere mentre i due mettevano a posto la casupola per la notte.

Obi Wan non era stato contento di lasciare andare il suo maestro da solo, soprattutto adesso che sapeva la terribile verità su quelle creature mostruose, ma sapeva di non poterlo trattenere. I due, attraverso il loro legame nella Forza, si erano scambiati segnali rassicuranti. 

Poi, il maestro aveva preso la porta ed era uscito, la mano sull’elsa della spada e le orecchie tese, pronte a percepire qualunque soffio, grugnito o fischio.

I due ragazzi rimasero chiusi dentro il karyai. L’idea era quella di utilizzare le lenzuola vecchie e macchiate di sangue per rappezzare le finestre. Almeno per quella notte non avrebbero dormito al freddo. Avevano portato in salotto le lenzuola che avevano trovato ed avevano cominciato a tagliarle, seduti per terra verso il divano, dove le macchie di sangue avevano lasciato uno spiraglio di pietra grezza intatta.

Con le forbici in mano, erano sprofondati in un nervoso silenzio. Obi Wan si sentiva un po’ tradito. Aveva sempre sospettato che la Mando stesse provando a fare loro la festa, e - anche se involontariamente - forse ci stava riuscendo. Aveva trovato il modo di attirarli lì con l’inganno, omettendo una delle ragioni per cui non poteva avvalersi soltanto dei guerrieri a sua disposizione.

- Va tutto bene, Obi Wan?-

- Sono solo preoccupato per il mio maestro.-

Satine, però, non la bevve, e il padawan si diede dello stupido solo per averci provato.

Imbecille.

- Sono certa che Qui Gon starà bene, come sono certa che non sia soltanto questo a turbarvi.-

Il ragazzo sospirò.

- Perdonatemi, Satine, ma non posso fare a meno di essere amareggiato. Non mi fraintendete, sia io che il maestro Jinn sapevamo fin dall’inizio che avevate omesso qualcosa, ma non ci aspettavamo questo. Potrebbe condannarci a morte certa. Va bene che siamo qua per servire il volere della Forza, ma almeno ci piacerebbe avere voce in capitolo quando si può.-

Il padawan sentì il clangore delle forbici che si adagiavano sulla pietra ed alzò lo sguardo dal suo lavoro. 

Satine lo stava fissando con gli occhi più tristi che avesse mai visto.

- Obi Wan, credetemi quando vi dico che mi dispiace. Nulla delle decisioni che ho dovuto prendere in extremis è stato semplice. In alcuni casi, non ero nemmeno d’accordo, ma ho dovuto piegarmi ai doveri della politica, e anche agli affetti familiari.-

Il ragazzo sospirò ancora.

- Capisco.-

- Credetemi, vi prego, quando vi dico che non ho voluto nulla di tutto questo. Non voglio mettervi in pericolo e capisco la vostra desolazione di fronte ad un vero e proprio tradimento. Almeno, io lo considererei tale.-

- Adesso non esagerate. Siamo comunque i migliori guerrieri della galassia, no?-

- Spero tanto che sia sufficiente, Obi Wan.-

Tra i due cadde di nuovo il silenzio, rotto solo dal frusciare del vento desertico e dallo sfrigolio delle forbici tra le falde della stoffa tagliata.

Fu Satine a riprendere la parola e a fugare ogni ulteriore dubbio.

- Ditemi una cosa, Obi Wan. Il Tempio Jedi risponde alla Repubblica?-

- Non esattamente. Per il momento, direi che è indipendente, anche se il Cancelliere e il Senato possono richiedere la nostra presenza, il nostro aiuto o addirittura l’intervento. Diciamo che, anche se non siamo un’armata vera e propria, perseguire la pace è più semplice in una democrazia, in un sistema libero e repubblicano.-

- In teoria, quindi non rispondete al Cancelliere, ma di fatto, potete rispondergli.-

Obi Wan annuì.

- Non che la cosa mi piaccia. Perché non vi fidate della Repubblica? Pensavo che dopo la guerra Mandalore avesse comunque giurato fedeltà…-

- Certo che lo abbiamo fatto, ed intendiamo mantenere la parola data. Almeno, noi intendiamo farlo. Non importa, comunque. Non posso ancora parlare di cose di cui non ho tutte le prove. In ogni caso, non potevo permettere ad informazioni riservate di uscire dal sistema di Mandalore, anche se sarebbero rimaste segrete tra le quattro mura del Tempio. Immaginate che cosa sarebbe successo se il Cancelliere fosse venuto a sapere che su Mandalore una specie animale autoctona ha sviluppato incredibili capacità elusive, oltre ad essere assassini provetti. Che cosa sarebbe accaduto?-

Le conseguenze erano abbastanza prevedibili. Considerato i trascorsi di Mandalore con la Repubblica, come minimo sarebbe stato commissariato, Satine sarebbe stata deposta, ogni segreto del pianeta sarebbe stato carpito e la Repubblica si sarebbe trovata con una super arma, forse incapace di controllarla. 

L’indipendenza di Mandalore sarebbe finita e quell’arma avrebbe potuto causare una nuova guerra.

Per non parlare dei traffici loschi, perché qualcuno sicuramente avrebbe provato a commerciare gli spettri, con incidenti annessi, fughe ed eventuali massacri.

- Non l’avremmo detto a nessuno, ma capisco il vostro punto di vista.-

- Non si tratta solo della Repubblica, Obi Wan.- concluse la ragazza, posando le forbici e guardando con aria critica il suo rettangolo di tela macchiato di rosso.- Immaginate che cosa succederebbe se i darjetiise venissero a sapere che i jetiise sono a conoscenza dell’esistenza di un’arma di distruzione di massa su Mandalore.-

Era vero che dei darjetiise, come li chiamava lei, non si vedeva nemmeno l’ombra da un po’, però non era un rischio che il ragazzo voleva correre. Al di là dell’incolumità di Mandalore, c’era lo stesso equilibrio nella Forza da salvaguardare.

Satine, poi, pensava anche a molto altro.

Che cosa accadrebbe se i darjetiise decidessero di mettere le mani sulla Luce di Mandalore?

E, per converso, che cosa accadrebbe se i jetiise se ne appropriassero?

Comunque la si volesse guardare, era evidente che vi sarebbe stata un’alterazione dell’equilibrio e questo non era accettabile.

Soprattutto, Mandalore, le sue tradizioni e la sua indipendenza sarebbero scomparse sotto la scure delle forze occupanti.  

- Capisco, decisamente. Avete fatto quanto dovevate per salvaguardare il vostro pianeta. Perdonatemi se sono stato scorretto. Temo che sia stato l’istinto di sopravvivenza a parlare.-

Satine alzò un sopracciglio bellicoso, le forbici - notò Obi Wan - pericolosamente vicine alle sue mani. 

- Vi state prendendo gioco di me, padawan?-

E ora che ho fatto?

- Io? Assolutamente no. Sono sincero. Avete fatto la cosa giusta. Temo che il retaggio delle storie sanguinose sui Mandaloriani sia ancora troppo forte in me. Vi ho giudicata male.-

Satine parve credergli, e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi, mentre lo squadrava dall’alto della sua posizione eretta.

- Ma quanto siete gentile, oggi, Obi Wan! Avete fatto dei buoni propositi nottetempo? Non importa, in ogni caso è l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. Che cosa c’è rimasto?-

Qui Gon aveva lasciato lo zaino con le razioni e i due scaldarono qualcosa sul fornello da campo. Non era un ristorante stellato, ma potevano accontentarsi. Probabilmente, il maestro sarebbe tornato anche con qualche tesoro di caccia e quella sera avrebbero mangiato meglio.

Ripresero a lavorare e, armati di martello e chiodi, cominciarono a fissare quei brutti tendaggi. Satine era infilata sotto la consolle e - tra una parolaccia in Mando’a e l’altra - aveva estratto la cassetta per gli attrezzi.

Obi Wan, con suo grande rammarico, si era sorpreso ad osservare con attenzione i rilievi della parte posteriore del corpo della duchessa, che sporgeva dal mobile.

Medita, per tutte le pellicce di bantha, medita!

La duchessa, però, sembrò non badarci minimamente. Con i chiodi tra i denti e il martello bello saldo in una mano, aveva aiutato Obi Wan a riparare le finestre, anche se non era contenta del risultato.

- Certo, passa meno aria, ma non è risolutivo. Questa notte farà un freddo becco. Dobbiamo mettere a posto le camere o ci prenderemo una polmonite.- 

Così, i ragazzi si erano accordati per dividersi i compiti. Obi Wan sarebbe rimasto a riparare la consolle e far partire il riscaldamento, mentre Satine si sarebbe presa la briga di pulire le stanze e fare il bucato. Il padawan si era posto il problema: su Coruscant la separazione dei sessi - e delle conseguenti mansioni - poteva essere molto forte, mentre su Mandalore non sembravano farsi gli stessi problemi. Tuttavia, la duchessa si era volutamente scelta quegli incarichi blaterando di fare il bucato alla Mando e faccio schifo con quelle diavolerie, così non aveva obiettato e si era messo al lavoro.

Satine però non aveva pensato che avrebbe dovuto mettere i materassi a prendere aria, ed il padawan era accorso in suo aiuto non appena aveva sentito una sequela di sacramenti in Mando’a e qualche parolaccia in Standard ben assestata. 

Gli scappò da ridere, mentre i due facevano passare dalla porta i materassi. 

- Ditemi un po’, Satine.- fece, scuotendosi la polvere di dosso.- Ma voi siete sempre così, beh…-

- Sacramento sempre come uno scaricatore di spazioporto? Sì, il Mando’a è una delle lingue più colorite della galassia. Non voglio dire che sia tradizione pure quello, però diciamo che abbiamo un modo molto variegato per offendere il prossimo.-

Obi Wan annuì, fingendosi convinto, e la guardò filare dentro il karyai, mentre si tirava su le maniche con grinta.

Aveva una bella energia, quando non era depressa. Sapeva togliersi da sola le castagne dal fuoco ed era brillante quando si trattava di pianificare una strategia. Sapeva suscitare una buona risata quando voleva, ed eseguiva gli ordini senza fiatare, quando non era lei a darli.

In effetti, più che una duchessa, gli era sembrato di discutere con una sua pari. Non accadeva spesso di avere quel tipo di rapporto con una persona sottoposta a protezione. Di solito li seguivano come cagnolini, convinti che loro avessero maggiori capacità, o comandavano a bacchetta convinti di avere potere su di loro. Sotto un certo punto di vista, questo era vero, ma Satine sembrava addestrata ad essere all’altezza della situazione da sola, senza bisogno di aiuto esterno, e questo influiva molto sul rapporto che i tre stavano provando a creare.

Il tutto in senso positivo.

Obi Wan ringraziò la Forza per essersi offerto di riparare la consolle, perché Satine aveva tutta l’intenzione di concretizzare l’ipotesi di fare il bucato alla Mando.

- C’è una tradizione anche per quello?-

- Non tutti hanno la lavatrice, sapete?- brontolò, guardandolo male mentre rovesciava federe e lenzuola dentro un bacile di pietra nella toilette. - Sul campo di battaglia c’è da arrangiarsi con quello che c’è.-

Ed uscì fuori dal karyai.

Benedetta ragazza.

- Dove accidenti state andando, Satine! Tornate qui!-

- Mi servono fiori ed erbe, non posso prenderli in casa. E bruciate un po’ di legna, che mi serve la cenere!-

Obi Wan la rincorse e le tenne dietro mentre la guardava staccare fiorellini dorati o erbe odorose. Teneva un occhio sulla porta e uno sulla duchessa per essere certi che nessuno entrasse in casa in loro assenza.

- Non siate irresponsabile, duchessa, e tornate dentro immediatamente!-

- Ho quasi finito. Non vorrete mica continuare a puzzare come moffette! Vi scoprirebbero subito, a Solus.-

- Come, prego?-

- Non conoscete il cinyc, quindi siete aruetii. Facile facile.-

Obi Wan sbatté le palpebre.

- Ho fatto la scuola su Coruscant.-

- Un Mando sa sempre essere pulito anche sul campo di battaglia. Chi non lo fa è incivile e quindi straniero. Prendetelo come un modo per imparare un po’ di parolacce in Mando’a, Obi Wan. Puzzi è una delle peggiori. Con i tempi che corrono, poi, non è il caso di passare per forestieri, no?-

Figuriamoci passare per Jedi, allora.

- E va bene, va bene!- brontolò il ragazzo, ancora concentrato sull’ambiente circostante.- Adesso possiamo rientrare?-

Satine, con il suo pugno di erbe in mano, annuì e seguì il padawan dentro il karyai. Obi Wan, anche se controvoglia, accese un fuocherello dentro la stufa, che era ostruita, e nel momento in cui il ragazzo ci infilò la testa dentro per controllare la canna fumaria un grosso pezzo di fuliggine gli cadde in faccia, suscitando l’ilarità della ragazza.

- Siete tutto nero, Obi Wan!-

- Volete favorire?-

- La vendetta non è la via dei Jedi.-

- Dice il saggio è un altro dei vostri epiteti?-

- No, non direi, ma sono sempre aperta a nuovi nomi.-

Ed anche a un po’ di divertimento. In cucina aveva trovato, sotto al proiettore, un vecchio giradischi, un reperto archeologico di epoche perdute, ma che ancora funzionava, e c’erano anche un buon numero di dischi incastrati sotto la dispensa. Obi Wan non aveva mosso obiezioni quando la ragazza aveva proposto di mettere un po’ di musica e così la puntina aveva preso a percorrere le venature del disco, diffondendo nell’aria un bel motivo allegro e movimentato. 

Satine aveva imparato da Maryam che lavorare con la musica, cantando o ascoltandola, è più facile. Aiuta a dare il ritmo, a far passare il tempo e a rendere più leggeri i compiti spiacevoli. Di sicuro girare una tonnellata di lenzuola dentro un bacile di pietra armata solo della sua lancia di beskar inossidabile e di acqua calda non era uno spasso. La cenere era finita in acqua assieme alle erbe e tutto sommato il profumo era soddisfacente, ma quel motivetto scanzonato la riportava indietro nel tempo, a quando sguazzava in acqua con Maryam con la scusa di aiutarla a fare il bucato.

Un piede avanti, uno indietro. Iivin'yc redalur, danza veloce. Di solito si ballava in coppia, ed aveva pestato spesso i piedi del povero Athos quando avevano fatto pratica, ma era divertente.  

Un salto a destra, un paio di twist, un salto a sinistra, un paio di twist, e un paio di giri alle lenzuola. Piroetta, un altro paio di giri mentre i tacchi degli scarponi battevano la pietra nuda.

Uscì a stendere il primo lavaggio giusto in tempo per scorgere Obi Wan che aggiustava i cavi della consolle a ritmo di musica, dondolando la testa e borbottando il motivo della canzone.

Satine sorrise ed uscì ad armeggiare con il filo per stendere, che era tranciato, ma con un paio di nodi solidi la ragazza lo rimise in sesto. Sfruttando il vento caldo del deserto, i panni si sarebbero asciugati nel giro di poco.

Rientrò per un altro giro di bucato e scoprì Obi Wan che dondolava il busto contro la sedia, con la centralina elettrica posata sulle gambe e i cavi in mano.

Sembrava un procione nell’atto di grattarsi la schiena contro un albero e le scappò da ridere.

- Che c’è?- chiese il ragazzo, ma all’improvviso comprese ed abbassò lo sguardo, quasi mortificato.

Satine lo trovò tenero.

Ma sei seria? 

Se l’avesse sentita sua sorella, l’avrebbe ripudiata.

- Volete ballare, Obi Wan?-

Il padawan la guardò come se gli avesse fatto la proposta più oscena della galassia.

- Come?-

- Volete ballare con me?-

Il giovanotto si grattò i capelli puntuti, gli occhi sul pavimento.

- Ioadireilverononsoballare.-

- Eh?-

Obi Wan ci riprovò.

- A dire il vero, non so ballare.-

Satine sgranò gli occhi.

- Non vi insegnano a ballare, al Tempio Jedi?-

- Solo passi base, per muoverci meglio quando combattiamo. Non ho la più pallida idea di che cosa fare con questo. Non so nemmeno che ballo è!-

- Iivin'yc redalur.-

- Iivin'yc… redalor?-

- No. Iivin'yc redaluuur.- disse, sottolineando bene la u.

- Redaluuuur.- 

- Bene. Si balla in due, così.- gli disse, tendendogli la mano ed invitandolo ad alzarsi.

Obi Wan la prese, riluttante, e dovette fare di tutto per ignorare la strana sensazione di solletico che il contatto con la sua pelle gli causava.

Satine lo condusse di fronte a sé e cominciò a muovere i piedi a ritmo di musica.

- Prima un passo a sinistra, così.- e si mosse piano, per fargli vedere come incrociare le gambe.- Poi uno di lato, avanti, lato, destra, dietro, ed ancora, bravo!- 

- Mi sento un po’ stupido.-

- Sempre così, la prima volta. Ancora. Bene, adesso salto a sinistra, tacco, spostate il peso… No, sui talloni. Bravo, così. Ancora. Ripetiamo a destra. Chi ha detto che non sapete ballare, Obi Wan! Imparate in fretta! Ancora!-

L’animaletto ribelle che in quegli ultimi giorni sembrava aver preso la residenza sullo stomaco di Obi Wan gioì ad ogni complimento che lei gli fece. Saltellò con lui mentre incrociava le gambe e scivolava sui talloni per seguire l’ondeggiare delicato del corpo di Satine, e rotolò violentemente quando lei gli prese le mani e lo spinse più vicino.

- Ve l’ho detto, si balla in due.-

- Non credo che sia appropriato per un Jedi ballare a contatto.-

- Come farete, allora, quando vi inviteranno a far ballare le opulente senatrici della Repubblica?-

- Non lo so. Abbraccio largo?-

- Con loro, non saprei. Con me, l’abbraccio largo da studio va benissimo.- gli disse, accondiscendente, ed Obi Wan comprese che, in verità, non c’era proprio modo di accorciare le distanze.

Con tutti quei salti l’avrebbe azzoppata di sicuro, se lo avesse fatto.

Manco a dirlo, sbagliò.

E come avrebbe mai potuto azzeccarci? Aveva le dita sulla schiena della ragazza e sentiva tutti, ma proprio tutti i muscoli che si aggrappavano alla spina dorsale come tenaglie. Sentiva il profumo di mirto che emanavano i suoi capelli e il calore della sua figura che diventava sempre più forte mano a mano che le sue curve si avvicinavano al corpo surriscaldato del giovane padawan.

Medita.

Satine contava la musica e gli dava il tempo, le guance accaldate e il sorriso sulle labbra.

Sottili, ma piene linee rosa che si muovevano nascondendo una fila di denti di perla. 

Non guardare, medita!

- No, Obi Wan. Ancora.-

E pian piano la mente del ragazzo si placò. Trovò un equilibrio, muovendo le gambe a ritmo di musica, seguendo la leggera pressione del corpo della ragazza contro le sue dita per intuire la direzione e lasciandosi trasportare dalla travolgente energia che la duchessa emanava. 

Era un concentrato di gioia e positività. Sembrava completamente diversa dalla ragazza depressa e sofferente che aveva incontrato poche ore prima, una persona che non conosceva incubi e pianti notturni. Obi Wan immaginò che forse quella era la vera faccia del dolore, infido e traditore.

Sa nascondersi dietro ai sorrisi quando vuole, e sa essere distruttivo agendo nell’ombra.

Quel pensiero, però, non riuscì a distrarlo dalla sua presenza. Lo inebriava. Aveva perso il contatto con il mondo esterno ed aveva persino ignorato la presenza confortevole del suo maestro, finalmente di ritorno dalla sua spedizione in cerca di combustibile.

Oh, porca…

Saltò via dall’abbraccio di Satine, improvvisamente rosso come un gambero, gli occhi fissi contro il pavimento mentre subiva il peso dello sguardo stupito di Qui Gon.

Satine, al contrario, sembrava più che a suo agio.

- Maestro!- gli disse, tendendogli una mano amichevolmente.- Quattro salti?-

- Grazie, duchessa, ma preferisco declinare l’offerta. Mi renderei soltanto ridicolo.-

- Non vi credo, ma come volete.-

Detto questo, strizzò l’occhio ad Obi Wan, che ancora si guardava le scarpe come se avesse commesso un reato, e sparì a concludere il ciclo di lavaggi.

I due Jedi rimasero soli dentro la sala centrale.

Qui Gon cercava di tenere la mandibola al suo posto e non cedere allo stupore.

Obi Wan voleva solo scavare una fossa e scomparirci dentro.

- Ragazzo…-

- Mi dispiace tanto, mi sono lasciato prendere la mano.- lo interruppe il padawan, sedendosi di corsa e riprendendo a lavorare alla consolle, confondendo i cavi e facendo un grande caos.- Avrei dovuto lavorare. Mi sono distratto. Chiedo scusa.-

- Ragazzo…-

- La radio sarà pronta entro sera, promesso.-

- Obi Wan…-

- La duchessa ha quasi finito le camere e le finestre sono…-

- Obi Wan!-

Il ragazzo si zittì ed alzò gli occhi, le guance ancora rosse di umiliazione.

- Non mi interessa che cosa avete combinato. Possiamo andare avanti ad oltranza a sistemare la casa, ma non ci fermeremo molto comunque, per cui non deve diventare un grand hotel. Quello che mi interessa non è che i compiti che vi ho lasciato siano eseguiti in modo impeccabile, ma che tu protegga la duchessa. Non ti sei accorto che ero entrato?-

- No. Vi ho sentito e basta. Non mi sono accorto di nient’altro.-

- Con i cacciatori di taglie in giro, non puoi abbassare la guardia.-

Poi, lo guardò con gli occhi più dolci.

Era stato un aitante giovanotto anche lui, e anche lui aveva fatto i suoi errori. Obi Wan era anche troppo diligente per la sua età, e lui era il primo a spingerlo a infrangere le regole una volta ogni tanto. La storia del ragazzo tuttavia era già abbastanza complicata, e per il suo padawan infrangere le regole era diventato un vero e proprio cruccio, ai limiti del panico.

Accidenti al Consiglio e a tutti i danni che fa.

Rivedere quella scena, in verità, non aveva suscitato nient’altro in Qui Gon se non sentimenti positivi, ricordi di quando, con la magistra Tahl, aveva imparato il valzer per la prima volta su Aldeeran. 

Ed erano ricordi che, per quanto belli, facevano male.

- Hai provato di essere un eccellente ballerino. Non credevo che tu avessi anche doti musicali.-

Obi Wan, se possibile, arrossì ancora di più.

- Nemmeno io, maestro.-

- Obi Wan, mi spieghi che succede?- gli disse, mettendosi ad infilare cavi assieme a lui.- Sembri diverso negli ultimi giorni, ed hai lasciato che lei dormisse vicino a te stanotte senza che tu facessi obiezioni.-

- Sto bene, maestro.-

- Questo lo so, ma qualcosa ti turba.-

Come se un grosso peso si fosse assestato sulle spalle del padawan, il ragazzo sembrò rimpicciolirsi sulla sedia. Mollò i cavi e si abbracciò, le braccia incrociate come faceva spesso ogni volta che si sentiva dolorante.

- Lei mi distrae. Mi confonde. Non riesco a controllarlo. E’ come se il mio corpo avesse un cervello tutto suo, sconnesso dal sistema nervoso. Non è solo la duchessa, è tutto. Mi sembra quasi di non essere più io.-

- Ha a che fare con le riviste che il maestro Windu ha, ehm… sequestrato?- 

Obi Wan lo guardò male.

- Non ho niente a che fare con quelle riviste. Sono un Jedi. Non posso.-

Qui Gon sbuffò.

- Ragazzo, ancora? Quante volte devo dirti che i sentimenti che provi, gli istinti che senti sono normali? Li ho avuti anche io. Li ho anche io. Siamo umani, è parte di noi e della nostra natura. Di per sé non sono pericolosi, purché non portino all’attaccamento…-

- E a distrazioni. E io mi distraggo. Coi cacciatori di taglie.-

Qui Gon scosse il capo.

- Questa volta è andata bene. Impara dal tuo errore e non farlo più, ma la tua è un’età in cui gli il corpo fa quello che gli pare. E’ come avere un secondo cervello, hai detto bene. Ci vuole un po’ a padroneggiarlo, o pretendi di diventare cavaliere domani mattina?-

Obi Wan lo guardò, implorante. Era passato un po’ di tempo dalla prima conversazione imbarazzante - benché obbligatoria - che i due avevano intrattenuto, e il ragazzo ricordava ancora fin troppo bene la voglia di nascondersi nell’armadio per voler replicare l'evento.

Soprattutto quando una duchessa di sua conoscenza stava ancora canticchiando in fondo al corridoio.

Qui Gon gli posò l’enorme palmo sul capo con fare rassicurante.

- Hai diciott’anni, Obi Wan. Ricordatelo. Sei anche troppo diligente per la tua età. Io, quando avevo i tuoi anni, mi presi la prima - nonché l’unica - sbornia della mia vita.-

Il padawan era incredulo e dimenticò per un momento se stesso per concentrarsi solo su di lui.

- Vedi che anche io ho fatto le mie stupidaggini? La magistra Tahl mi riportò a casa e mi schiaffò sotto la doccia, spada laser e tutto, di fronte agli occhi gelidi del suo maestro. Non mi sono mai vergognato tanto in vita mia.-

Un sorriso birbante si stese sul viso del giovanotto mentre il rossore si attenuava, con grande soddisfazione di Qui Gon.  

Satine passò, stracarica di lenzuola dall’ultimo lavaggio, e allungò il collo per adocchiare i due Jedi.

- Se avete finito lì, potete darmi una mano a stendere? Vorrei accendere il fuoco perpetuo prima che cali il sole.-

 

Satine e Qui Gon, intenti a mettere a punto il fuoco perpetuo, avevano spedito Obi Wan a rifare i letti. I materassi erano stati sistemati di nuovo al loro posto, areati e asciutti. Il suo maestro aveva scelto per sé la stanza più pericolosa, quella da cui probabilmente l’attacco aveva avuto inizio. Satine si era fermamente opposta, così i due Jedi si erano trovati a condividere la stessa stanza, adiacente a quella di Satine. 

Nonostante la conversazione imbarazzante con il maestro, Obi Wan si sentiva più leggero. Era bello sentirsi compresi, anche se solo in parte. Qui Gon continuava a vedere certe situazioni come normali, e non era la prima volta che il suo maestro entrava in contrasto con il Consiglio, o con il Codice. 

Obi Wan ricordava fin troppo bene che cosa significava avere il Consiglio contro. 

A volte aveva ancora gli incubi. 

Se c’era una cosa che non voleva fare, era trovarsi di nuovo nella stessa situazione. Non lo faceva per paura, no. Lasciarsi andare per lui era proibitivo perché tutto ciò che voleva era essere un bravo Jedi. Aveva fatto una scelta, lui. L’Ordine era tutto, proprio tutto quanto aveva sempre voluto. Se questo, poi, faceva in modo di tenere a bada quella bestia antipatica che era Mace Windu, allora era solo questione di cogliere due piccioni con una fava.

A differenza di Quinlan Vos e degli altri padawan, dunque, Obi Wan aveva più di una ragione per filare diritto. Aveva la sensazione che non gli avrebbero perdonato un secondo errore. 

Non puoi cedere. Controlla gli istinti. Medita.

Satine era una tentazione come tante altre. Non poteva farsi distrarre da lei. Era una ragazza intelligente, certo, e molto bella ed affascinante, ma non sarebbe stata lei a distoglierlo dalla sua strada  per diventare un cavaliere Jedi. 

Lanciò un’occhiata fuori dalla stanza mentre rifaceva i letti, e vide Satine e il suo maestro intenti ad arare la terra e a costruire una specie di piccolo terrapieno ai lati del solco. Mentre Qui Gon scavava, Satine cospargeva la buca di varie sostanze chimiche che aveva trovato sotto la consolle. 

Il sole, nel frattempo, stava pericolosamente calando. 

Passò alla stanza della ragazza, le lenzuola ripiegate strette al petto. 

La sua era quella più esposta a sud, e Obi Wan non era stato contento. Era l’ultima stanza prima della toilette, e se gli spettri avessero deciso di entrare, probabilmente sarebbero passati dal fondo, ancora una volta. 

Tuttavia, la ragazza non aveva voluto saperne.

Tanto per mezzo metro non cambia niente, aveva replicato, alzando le spalle e dirigendosi fuori con il maestro. 

Il ragazzo a volte la riteneva incredibilmente superficiale e troppo incline a mettere a rischio la propria vita e la loro missione. 

La duchessa aveva lasciato lo zaino in un angolo vicino al letto, e per il resto nella stanza non c’era assolutamente niente. Con ciò che avanzava dell’acqua del bucato, Satine aveva provato a lavare i pavimenti. Strati di acqua, cenere ed erbe aromatiche erano ancora presenti dove il sangue si era coagulato, e lo stavano lentamente sciogliendo. A sera sarebbero stati in grado di rimuovere tutto con il bruschino. 

Cercando di evitare le striature rossastre sul pavimento, Obi Wan si diresse verso il letto, che era, grazie alla Forza, lontano dalla finestra. Posò le lenzuola e spostò lo zaino per fare le cose per bene.

Lo zaino, che pesava un quintale, si rovesciò.

Il padawan, mortificato, cercò di rimettere le cose a posto. Si chinò per terra, sperando che la ragazza non lo vedesse dalla parte di finestra rimasta integra, e prese ad armeggiare con quanto era fuoriuscito.

C’era una borsa semiaperta contenente tutta una serie di suppellettili femminili che Obi Wan provò ad ignorare. Non sapeva come mai sentiva il bisogno di sapere tutto di lei. Normalmente non avrebbe mai curiosato nella borsa del trucco di Bant, ad esempio. Men che meno in quella di Quinlan Vos. 

Sapeva già che cosa avrebbe trovato dentro quella borsa e non aveva bisogno di ficcare il naso. 

Ricacciò la borsetta dentro lo zaino con grinta senza nemmeno guardarla, mentre raccoglieva il paio di calzini a pois che le aveva visto indosso.

Quello che però catturò maggiormente la sua attenzione fu un grosso libro borchiato, che da solo doveva pesare la metà dello zaino. 

Che accidenti ci faceva la duchessa con un libro così?

Provò a leggere il titolo, inciso nel cuoio vecchio come il mondo, le dita che scorrevano sulla copertina. Era il tipo di oggetto per cui Obi Wan avrebbe perso il senno e per il quale avrebbe perseguitato Jocasta Nu, anche solo per convincerla a fargli dare un’occhiata.

Ruyot.

Almeno gli sembrava che ci fosse scritto così.

Si sedette sul materasso nudo e sfiorò affascinato il dorso, i bordi, la copertina.

Poi, si costrinse a non aprirlo e lo infilò di nuovo dentro lo zaino.

Rifece il letto con precisione - o chi l’avrebbe sentita, se avesse dormito con i piedi fuori dal lenzuolo?- ed uscì a dare una mano ai due, che avevano quasi finito di girare attorno alla casa.

- A che punto siamo?-

- Ottimo, direi. Ci siamo quasi. Non appena calerà il sole, potremo appiccare il fuoco. Dovrebbe durare tutta la notte.- borbottò Satine, asciugandosi la fronte con il dorso della mano.

Obi Wan si avvicinò a lei.

- Devo dirvi che, mentre rifacevo il letto, ho involontariamente rovesciato il vostro zaino. Ho rimesso tutto a posto, anche il libro.-

Satine alzò un sopracciglio, bellicosa.

- Avete frugato tra le mie cose?-

- No. Lo zaino era aperto e si è rovesciato, tutto qui.-

- Avete letto quel libro?-

- No. Solo il titolo sulla copertina, ed anche se fosse, duchessa, non capirei una parola. Sapete com’è, non parlo Mando’a.-

Qui Gon avrebbe voluto mettersi a ridere. 

Ormoni adolescenziali, cotte giovanili e via di questo passo. Incredibile come gli adolescenti e i giovani uomini e donne potessero cambiare umore nel giro di pochi minuti.

Satine sembrava ancora infastidita per l’intrusione di Obi Wan, anche se sapeva che non aveva fatto nulla di male. 

- Che dite?- si intromise Qui Gon, un fiammifero acceso in mano.- Incendiamo?-

Il fuoco prese bene. Scoppiettò allegramente e le fiammelle azzurrognole presto circondarono l’edificio.

- Siete sicura che questo stratagemma ci terrà al sicuro?- chiese Obi Wan, ancora infastidito dal commento della duchessa.

- Certo, padawan. Non sappiamo molto di loro, ma sappiamo per certo che sono umidi. Sono coperti di animali unicellulari acquatici e batteri che si trovano in ambienti difficili, ma prevalentemente pieni d’acqua. Passare attraverso il fuoco, per loro, potrebbe essere un grosso problema. Potrebbero seccarsi. In ogni caso, l’indebolirebbe.-

- C’è solo una possibilità che il nostro piano vada storto.- fece il maestro, alzando gli occhi al cielo.- Potrebbe piovere.-

- Spero proprio di no!- brontolò Satine, mentre i tre rientravano dentro casa.- Va bene che si chiama fuoco perpetuo, ma non resiste proprio a tutto!-

- Mi domando - fece Obi Wan, chiudendosi la porta alle spalle e girando bene la chiave nell’uscio - se tutto questo non attirerà i cacciatori di taglie.-

Qui Gon si grattò la barba mentre afferrava il bruschino e lo porgeva alla duchessa.

- Certo, potrebbe. Non abbiamo molte alternative, però. O morire per mano dei cacciatori, o morire per mano degli spettri. C’è solo da sperare che il nostro piano funzioni, così domani potremo ripartire immediatamente e lasciarci il sistema di Mandalore alle spalle. Cucini tu, Obi Wan?-

Il ragazzo scosse il capo e alzò le mani.

- Credetemi, preferite che prenda il bruschino, o digiunerete questa sera.-

E, mentre si inginocchiava per terra di fronte a Satine, che già grattava il pavimento, Obi Wan non potè fare altro che sperare di andarsene presto via da lì.

Che la Forza ce la mandi buona.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Senaare tracyne: lett. uccelli di fuoco, uccelli rossastri che vivono nel deserto di Draboon.

Cinyc: lett. pulito, l’arte mandaloriana di restare sempre pulito sul campo di battaglia.

Aruetii: straniero .

Iivin'yc redalur: lett. danza veloce

Ruyot: storia

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Secondo voi, la Forza gliela manderà buona?

 

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Capitolo 28
*** 25- Spettri ***


CAPITOLO 25

Spettri

 

La Forza non gliela mandò buona.

Nottetempo, si scatenò il diluvio. Le lenzuola che avevano inchiodato al posto delle finestre non li protessero granché. Obi Wan fu svegliato dai brontolii del suo maestro, inzuppato dalla pioggia e dal vento. I due furono costretti a spostare i letti e a riscaldarsi con le coperte termiche. Al mattino, Satine aveva guardato il disastro causato dalla pioggia, con le mani sui fianchi e un ciuffo di capelli ribelli che le cadeva sonnolento sugli occhi.

- Niente, non c’è altra scelta. Dobbiamo fare le finestre.-

Sulle prime Obi Wan l’aveva presa a ridere, poi si era reso conto che la ragazza era maledettamente seria e si era preoccupato. 

Al mattino, dopo una breve colazione, i tre si erano sistemati in cucina, cartina alla mano. Andarsene da quel rifugio di emergenza sarebbe stata la cosa più logica da fare, ma evidentemente il tempo non aveva intenzione di concedere loro l’occasione di raggiungere Solus, se non a costo di un lungo e problematico giro in campo aperto, passando attraverso il deserto, che avrebbe allungato a dismisura i tempi di percorrenza e li avrebbe lasciati allo scoperto, senza protezione alcuna, in balia dei cacciatori di taglie e degli spettri. 

Sembra una pessima idea.

- Lo è.- brontolò Satine, grattandosi il capo sconsolata.- Se usciamo da qua e ci imbarchiamo in questa impresa, dovremo procedere per almeno due giorni di cammino verso sud, per poi svoltare di nuovo verso Solus, con un’altra mezza giornata di viaggio fino alla porta posteriore. Il tutto nel nulla cosmico e con una tempesta al confine con la pianura. Non potremo nemmeno cercare riparo.-

La sua considerazione aveva senso. Nel deserto sarebbero stati esposti e, se avessero deciso di fuggire di nuovo verso l’interno, avrebbero trovato il nulla per chilometri, a parte erba bagnata, fango e visibilità ridotta che li avrebbe impacciati ancora di più contro i visori degli elmi mandaloriani. 

Per non parlare della luminosità delle spade laser, che avrebbe attratto l’attenzione.

La via del deserto era chiaramente preclusa, tuttavia, continuare a procedere in pianura - con un’ampia possibilità di essere attaccati dagli spettri e dai cacciatori di taglie nella direzione di Solus - su quell’erba scivolosa, nel fango e con la visibilità ridotta non era proprio il massimo della gioia. 

Che fare?

L’opinione sostenuta dalla maggioranza assoluta del Concilio dei Tre - come l’aveva giocosamente definito Satine - era che restare nel karyai era l’opzione più sicura. Avrebbero atteso che spiovesse e poi sarebbero partiti. In fondo, avrebbero solo ritardato la partenza di ventiquattr’ore, non di più. 

Vero?

Quella linea passò all’unanimità, ma purtroppo, ancora una volta, la Forza non voleva saperne di fare loro un favore.

Piovve per quattro, lunghissimi giorni.

Giorni in cui la ragazza provò a darsi da fare, per quanto possibile. 

Come preannunciato, si era messa a fare le finestre. Obi Wan non aveva ben capito che cosa volesse dire fino a che non l’aveva trovata armata di metro e regoli a misurare le dimensioni di una teglia da forno, tutta unta ed arrugginita.

- Che ci volete fare con quella?- chiese il ragazzo, guardandola con interesse.

- Lo stampo, naturalmente.-

- Lo stampo?-

Poi, senza alcun preavviso, Satine, armata di secchio per pavimenti, uscì fuori dal karyai.

Con grande disperazione del giovane padawan.

- Satine! Per l’amor della Forza, dove andate? Tornate qui!-

Ma la ragazza sembrava non volerne proprio sapere. Sapeva quel che faceva e non aveva nessuna intenzione di lasciarsi fermare. Era intelligente, questo sì, ed Obi Wan l’ammirava per questo, ma avrebbe preferito che lo mettesse a parte dei suoi progetti, invece di fare tanto la misteriosa.

Con grande disappunto del ragazzo, anche il meteo sembrava aver risentito delle - com’era? Ah, sì - perturbazioni in fase di fusione.

Il karyai sorgeva, appunto, al limitare del deserto. Dalla porta di ingresso distava davvero pochi passi. Sulla sua sinistra, poteva vedere Satine, in piedi nel mezzo alla sabbia, i suoi capelli biondi stagliati contro il blu accecante del cielo terso. 

Su di lui, la nube della sfortuna.

Sole a sinistra, tuoni, fulmini e saette a destra.

Obi Wan sospirò, pensando che non avrebbe mai davvero capito quel pianeta dove pioveva e cinque centimetri più in là c’era il sole. 

- Allora, andiamo?-

Il padawan le trotterellò accanto, guardandosi intorno ed uscendo finalmente dal raggio d’azione della nube e della tempesta. Satine si allontanò un poco dal confine, tastando la sabbia con i piedi e controllando che non fosse bagnata dalla pioggia portata dal vento. 

- Che cosa stiamo cercando, di preciso?-

- Sabbia, ovviamente.-

- E perché, di grazia?-

- Vetro.-

Obi Wan aggrottò le sopracciglia.

- Volete fare il vetro?-

- Certo. Sono nata a Qibal, so fare il vetro.-

Il ragazzo sospirò, ma il suo commento fu immediatamente interrotto dal suono acuto di quello che sembrava un uccello di grosse dimensioni.

Satine, china nella sabbia a riempire il secchio, saltò in piedi con un balzo e si voltò a guardare il cielo.

- Haar’chak!- strillò, afferrando il padawan per il braccio e spostandolo accanto a lei. - Senaare tracyne! Dobbiamo andarcene, ora!-

Qualcosa gli fece capire che si trattava di uccelli carnivori ed Obi Wan non apprezzava molto l’idea di doversela cavare da solo. Qui Gon era uscito a caccia e loro si trovavano nel mezzo del niente senza nulla con cui difendersi, se non la spada laser del ragazzo. 

Erano brutti, ma proprio brutti. Grossi e rossi, con delle striature gialle sugli occhi e sulle ali, ed escrescenze ossee sulla testa, come se un masso si fosse conficcato nel loro cranio. In fondo alle ali avevano quelle che sembravano dita, ma che in verità erano artigli affilati e micidiali, di cui uno grosso e centrale che dovevano usare per uccidere. Le zampe posteriori erano forti, dotate di speroni acuminati, ma la cosa che aveva confuso di più Obi Wan era stato il collo. Lungo ma tozzo, a differenza degli esemplari di volatile che aveva studiato, sempre con un collo morbido e sinuoso.

Ben presto gli fu chiaro il perché.

Lo stormo fu su di loro quasi immediatamente, raggiungendoli ed attaccandoli da tutte le parti. Uno di loro si lanciò in picchiata verso Satine, ma la ragazza riuscì a scartare in tempo.

L’animale si piantò come un missile per terra, il becco lungo conficcato nella sabbia come uno spillo. 

Non fece una piega. A cose normali, una manovra del genere gli avrebbe spezzato il collo. 

Fu ben chiaro che quella era una tattica di caccia che mettevano costantemente in pratica e che il collo tozzo serviva proprio a supportare il becco e l’uso che gli animali facevano di quell’arma micidiale. 

Gli attacchi si moltiplicarono, includendo artigli graffianti, becchi, ali e speroni.

Non c’era tempo da perdere.

Satine portò una mano alla cintura ed una allo stivale. Stava per estrarre le armi e fare buon uso della sua lancia di beskar quando gli animali si fermarono a mezz’aria, immobili, gli occhi fissi su qualcosa alle sue spalle.

Dietro di lei c’era Obi Wan, le braccia protese verso il più grosso di loro, il cui collo era circondato da una gorgiera di pelo blu e giallo. I due si scambiavano occhiate intense e tutto lo stormo, pian piano, seguì l’atteggiamento del capobranco, guidato dal movimento delicato dell’altra mano di Obi Wan, sollevata verso l’alto.

Pareva un direttore d’orchestra, solo che al posto dei bes’beve c’erano un gruppo di uccelli carnivori letali.

- Vivono solo nel deserto?- 

Satine si svegliò dal suo stato di trance per rispondere alla domanda, sperando di aver capito bene.

- Sì.-

- Allora prendete il secchio e seguitemi.-

Satine prese il secchio pieno di sabbia e lo seguì pedissequamente mentre, percorrendo il tragitto a ritroso, il ragazzo conduceva con sé gli uccelli. La duchessa prese a guidarlo, mentre il padawan procedeva camminando all’indietro, senza interrompere il contatto visivo con le bestie. 

Poi, la pioggia fu di nuovo sopra di loro. 

Procedettero all’indietro ancora un po’, e poi l’acqua fu sopra i senaare tracyne. 

Gli animali gracchiarono, indispettiti. Fischiarono e brontolarono per un poco, azzuffandosi tra di loro nel tentativo di sfuggire alla pioggia torrenziale. 

Infine, abbandonarono la loro preda, ormai irraggiungibile sotto il diluvio, e volarono via verso il loro nido nel deserto.

Al caldo dentro la loro casetta, con il fuoco che scoppiettava nella stufa e la sabbia che fondeva dentro il calderone, Satine non potè fare a meno di manifestare la propria ammirazione.

- Come avete fatto?-

- A controllare gli uccelli? Ho usato la Forza. Lo impariamo al Tempio, ad entrare in sintonia con la mente animale. E’ facile, a dire il vero, percepire i pensieri delle menti semplici come quella degli uccelli. Con gli umani è più difficile. I trucchi mentali non sempre riescono, dipende da quanto la mente è forte.-

- Potete entrare nella testa delle persone?-

- Non esattamente. Posso connettermi con la loro essenza, con la loro Forza. In questo modo, loro sentono me ed io loro. Mando loro delle sensazioni di pace, di calma, e loro ci si perdono dentro. Dimenticano di essere arrabbiati, affamati. Mi seguono, se li invito a farlo. Con gli animali funziona quasi sempre, a meno che non siano precipitati nel lato oscuro. A quel punto, non si controllano più.-

- Con le persone non funziona?-

- A volte sì, a volte no. In ogni caso, non riesco ad entrare, come dite voi, nella loro testa. Posso manipolarne i pensieri sul momento, ma di solito la sensazione sparisce con il tempo e non si ricordano che cosa è successo. Quando poi si tratta di persone non sensibili alla Forza, le cose si complicano. Sono più difficili da leggere. Con qualcuno simile a me, ecco, noi possiamo sentire i nostri pensieri.-

- Ho capito.- fece la ragazza, attorcigliandosi i capelli attorno alle dita, pensierosa.

Avrebbe tanto voluto saperne di più, ma ormai la sabbia aveva raggiunto la temperatura giusta. Dentro la grossa stufa metallica Satine aveva allestito una specie di altoforno. La massa vitrea brillava incandescente dentro il paiolo e la duchessa, con l’aiuto del padawan, versò quella specie di lava dentro la teglia da forno che avrebbero usato come stampo.

Non c’era da fare altro che lasciarla freddare, e solo successivamente togliere le parti in eccesso ed infilare la lastra dentro i quadretti che erano rimasti integri.

Agli altri, avrebbero pensato poi.

- Quindi, se io adesso vi chiedessi di leggere nei miei pensieri, voi potreste farlo?-

- Volendo sì, ma non lo farei e non ne garantirei la riuscita.-

La ragazza annuì, soffiando sul vetro per farlo freddare prima. La lastra stava prendendo un curioso colore violaceo che nessuno dei due aveva inizialmente calcolato.

- Perché è così?-

- Deve esserci del potassio dentro la sabbia, per questo si tinge di viola.-

In verità, l’indaco del vetro era un bel colore. Le lastre non erano del tutto trasparenti, frutto della sabbia non depurata, ma avevano un bell’effetto decorativo. Il karyai si tinse di una bella luce violetta, persino rilassante, man mano che i ragazzi piazzavano le lastre di vetro al loro posto.

Quando Qui Gon tornò, rimase colpito dal colore della casa e dal senso di tepore che, senza l’umidità e la pioggia dell’esterno, si era diffuso dentro l’ambiente dalla stufa-altoforno.

- Che cosa è successo qui?-

- Satine ha fatto le finestre.-

Il maestro si guardò intorno, l’aria soddisfatta.

- Mi auguro che la duchessa sia altrettanto brava a cucinare questa specie di cinghiale. Non so voi, ma ho una fame da lato oscuro e sono bagnato fin nel midollo.-

Questa circostanza fu anche quella che diede l’idea a Satine per un’altra delle sue trovate. 

Dopo aver concluso il suo lavoro sopraffino con le finestre e dopo aver fissato delle assi di legno là dove non era possibile ripararle, la ragazza si era data al benessere. Il cinghiale era venuto bene, ma oltre al cibo c’era altro che una persona per bene doveva fare per proteggere la propria dignità. 

Se c’era una cosa che i tre non erano riusciti a fare propriamente, era lavarsi. I loro abiti, effettivamente, puzzavano quanto la loro puzzolente persona, e non avevano granché con cui cavarsela, se non quello che c’era dentro il centro di ricerca abbandonato.

Così, un giorno, Satine trascinò Obi Wan sotto la pioggia fino al limitare del bosco, dove si era messa a raccogliere fiorellini, erbe e legni odorosi tra i borbottii inviperiti del giovane padawan.

- Di’kut!- gli disse ridendo, e lo riportò dentro casa tutto bagnato.

Obi Wan non era del tutto sicuro che fosse un complimento, ma si trattenne dal commentare. Satine avrebbe volontariamente chiarito quel dubbio qualche tempo dopo, dove, per occupare le giornate, avrebbe scelto di insegnare un po’ di Mando’a ai due Jedi per non farli passare proprio per completi forestieri.

I tre fecero il bucato, di nuovo, e questa volta Satine pensò che sarebbe stata una buona idea iniziare anche i Jedi ai segreti della cultura Mando. Così, mentre lei versava la cenere dentro l’acqua calda e le erbe, i due ebbero l’occasione di ammirare la sua lancia di beskar in tutta la sua bellezza.

- Che strumento eccezionale!- fece Qui Gon, mulinandola in aria e soppesandola sulla grossa mano aperta.- E’ leggerissima e perfettamente bilanciata, nonostante sia retrattile!-

- In più, come tutto il beskar, è inossidabile. E’ utile per diverse mansioni, quando non la si usa per combattere. Tra queste, anche girare il bucato alla Mando. Se non vi dispiace…- disse, recuperando la lancia e conficcandola in acqua, mescolando per bene.

Obi Wan aveva scambiato quell’arma per un pugnale o per una punta di lancia. Immaginarsi il suo stupore, quando la ragazza aveva estratto un lungo bastone liscio dall’elsa, è piuttosto semplice. Adesso, non solo era armata, ma girava con uno strumento che poteva essere micidiale se usato bene, estremamente leggero, nonché multiforme, un’arma da guerra estremamente versatile.

Vero che era una Abiik’ad e quindi era più che prevedibile che girasse armata, però non se l’era aspettato da una pacifista, anche se usava la lancia principalmente per rimestare il bucato nel bacile. 

Avevano deciso di lavare gli abiti che avevano trovato dentro gli armadi e che nessuno aveva mai reclamato. Obi Wan - e anche Satine, ma questo lui non poteva saperlo - si sentiva un ladro. Gli sembrava di indossare qualcosa che non era suo e di star rubando ai morti. Non si sentiva a posto con la coscienza, ma riconosceva che non c’era altra via. Gli abiti da Jedi erano molto evidenti e possibilmente non adatti alle trasferte su altri pianeti, mentre i vestiti tradizionali Mando, oggetti semplici che potevano usare sempre e dovunque, potevano metterli al riparo e mescolarli con la folla. 

Nonché permettere loro di puzzare di meno.

Satine aveva pensato anche a questo, anche se questa volta dovette riconoscere di aver commesso un passo falso.

Il cinyc, ovvero l’arte di essere sempre pulito sul campo di battaglia, era un caposaldo della tradizione Mando. Un Mando che non conosce il cinyc non è un vero Mando. Maryam l’aveva edotta sull’argomento fin da bambina e Satine aveva appreso quell’arte in ogni singola forma, dal bucato alla pulizia personale. Così non aveva ritenuto di dare spiegazioni ulteriori ad Obi Wan quando l’aveva sorpresa ad armeggiare sotto il laboratorio alla ricerca della soda caustica.

- E che ci vuoi fare con la soda caustica?-

- Però forse non è il caso.-

- Direi!-

- Come?-

- Cosa?-

Non era riuscito a venirne a capo, ma era stato contento quando la ragazza aveva deciso di mettere da parte la soda caustica per del vecchio sapone abbandonato, che aveva sbriciolato ed aveva messo a fondere dentro al paiolo.

- E adesso che fa?-

- Ma che ne so.- aveva brontolato il padawan, ricevendo un’occhiata aspra da parte del maestro.

- Adesso si è messa a fare la piccola chimica.-

La reazione che però Satine stava preparando non era nient’altro che sapone. Sminuzzando i resti delle saponette che aveva trovato e mettendoli a fondere, sperava di moltiplicare il solvente da utilizzare per le volte successive, invece che mettersi a stagionare un sapone a base di soda caustica per mesi e mesi. Così, i due Jedi erano rimasti a guardarla mentre aggiungeva il grasso avanzato del cinghiale, olii e infusi alle erbe e alle bacche che aveva trovato durante la sfortunata - nonché umida - ricerca che aveva condotto con Obi Wan.

E se i due Jedi erano stati in grado di lavare la loro puzzolente persona nei giorni successivi era stato grazie all’estro della duchessa.

Oltre a ciò, Satine aveva messo a seccare le erbe vicino alla stufa ed in breve aveva ottenuto dei simpatici mazzetti odorosi che aveva manipolato fino ad ottenere dei sacchetti profumati.

E fu qui che accadde l’irreparabile, almeno ai suoi occhi, con il maestro Qui Gon.

Il mattino seguente alle operazioni di riparazione della casa, in cui Satine aveva fatto incredibile mostra di sé, Obi Wan si era trovato davanti un rossissimo maestro che, con gli occhi fissi sulla punta degli stivali, gli domandava per quale infausta congiunzione astrale i suoi abiti puzzassero di qualcosa di simile a lavanda.

In questo senso, il padawan era stato più fortunato, perché Satine aveva scelto per lui dell’alloro, del rosmarino e qualcosa di più dolciastro, delle bacche rosse che emanavano un buon profumo di frutta. Qui Gon, invece, aveva ricevuto un sacchetto ricco di fiori e foglie che profumava moltissimo, ma che non era esattamente ciò che era abituato a trovare nell’armadio.

Così, il ragazzo si era armato di santa pazienza ed era andato a chiedere alla duchessa che cosa fosse successo.

- Satine, posso parlarvi?- le disse, mentre la ragazza osservava con aria contrita la pioggia fuori dalla finestra e provava a nutrirsi con quello che sembrava un miscuglio di tè e biscotti.

- Certamente. Se chiedete, non deve essere niente di buono.-

Obi Wan fece spallucce.

- In verità, volevo solo ringraziarvi per avermi restituito forma umana. La Forza sola sa quanto detesti le missioni prolungate in cui puzzo come il retro di un bantha.-

La ragazza fece un bel sorriso, uno dei suoi, rilassati e dolci, che di solito distraevano il padawan, ma che non sarebbe riuscito a depistarlo in quel momento.

Aveva un compito da svolgere.

- Credo, però, che abbiate scambiato il vostro sacchetto con quello del maestro Jinn.-

La ragazza scosse il capo.

- Oh, no! Gli ho volutamente dato il migliore dei tre! Perché, non ha gradito?-

Venne fuori che, su Mandalore, sono le donne a portare i profumi più duri e forti, per far valere la loro personalità a fronte di una stazza fisica ridotta. Le guerriere portavano spesso profumi importanti, mentre gli uomini, dai tratti duri e marcati, per addolcire la loro figura erano soliti indossare profumo più floreali. Si trattava di un linguaggio simbolico. In una società dove uomini e donne non erano mai stati separati, se non tardivamente - divisione che, tra l’altro, era stata foriera di numerosi problemi relazionali tra i due sessi - il profumo parlava, definiva un soggetto nella sua personalità. Le donne tendevano a compensare i tratti più delicati con qualcosa che delineasse il loro carattere forte, mentre gli uomini esaltavano il loro lato più fragile e protettivo, in contrasto con l’immagine del guerriero spietato. 

Così, Satine, credendo di fare cosa buona e giusta, aveva dato al maestro Jinn, nobile guerriero, il sacchetto più delicato per sottolinearne la dolcezza del carattere.

Obi Wan dovette spiegarle che non funzionava proprio così su Coruscant, e la ragazza divenne rossa in volto e corse a scusarsi con il maestro.

Non che ce ne fosse bisogno. La sua spiegazione era stata più che esaustiva e Qui Gon apprezzò molto il gesto, più che il profumo. Considerato il nobile scopo, si sentì persino in colpa per averla mortificata, anche se non era stata sua intenzione.

Tuttavia, Satine ci tenne molto a rettificare, inserendo nel sacchetto la scorza di agrumi essiccati che aveva tenuto invece di buttarla via. 

Così, da quel giorno, il maestro prese a lasciare una buona scia di agrumi e fiori di campo, con sua grande soddisfazione, e dette anche segni di apprezzamento. Avrebbe mantenuto quella tradizione negli anni successivi, ostentando quasi fierezza ogni volta che qualcuno gli faceva notare il buon odore che si lasciava alle spalle. 

 

Ben presto si trovarono senza nulla da fare, o meglio, Satine si trovò senza nulla da fare. Obi Wan e il maestro Jinn, nel silenzio della loro camera, si erano trovati spesso a discutere di quel dettaglio. 

Satine aveva condotto un ammaraggio da manuale.

Satine aveva aiutato a tracciare il loro percorso.

Satine aveva contribuito, con una certa perizia, ad equipaggiare il campo.

Satine aveva individuato immediatamente uno spettro quando loro non erano stati in grado nemmeno di sentirlo.

Satine aveva aggiustato quel centro di ricerca praticamente da sola.

Satine li aveva protetti con il fuoco, per quanto era durata.

Satine li aveva nutriti, o se fosse stato per i due Jedi avrebbero mangiato del cibo duro come un sasso e praticamente indigeribile. 

Satine aveva lavato i loro vestiti puzzolenti, ed aveva fatto i modo che lavassero la loro persona altrettanto puzzolente. 

Qui Gon era andato a caccia, ed aveva tenuto gli occhi aperti.

Obi Wan l’aveva seguita come un cagnolino, ed aveva tenuto gli occhi aperti.

Basta.

In loro stava cominciando a sorgere il dubbio che la ragazza non avesse minimamente bisogno di essere protetta. Era chiaro che sapeva cavarsela da sola alla perfezione e conosceva il territorio meglio di loro. Il compito dei due Jedi sarebbe stato quello di restare lì, a farle la posta, e nient’altro, se non salvarla in caso di necessità.

Se non era lei a salvare loro prima dalla morte per inedia.

Obi Wan in particolare era strabiliato dal suo cambiamento nel giro di poco tempo. L’avevano raccolta in uno stato catastrofico, emotivamente distrutta e a rischio di ammalarsi, ed adesso era lei a portare tutti e due sulle sue spalle. Non sembrava nemmeno la stessa persona che aveva incontrato qualche giorno prima. Si stava rivelando piena di risorse e capace di mostrarsi per la mandaloriana che era senza averne timore, senza il filtro della duchessa. Non si comportava come tale, non si lamentava, non aveva pretese particolari come di solito succedeva con i nobili. 

Lei era diversa.

E continuava imperterrita a tormentare i suoi sogni. Le visioni lo svegliavano la notte, ma avevano preso un aspetto più spaventoso, più oscuro. La Luce di Mandalore, adesso ne era certo, ad un certo punto spariva per lasciarlo immerso nel buio più totale, circondato da occhi minacciosi, fischi e suoni orribili, mentre una voce gutturale e profonda continuava a salmodiare parole in Mando’a che il padawan non capiva. 

I suoi risvegli notturni gli avevano permesso di capire che Satine, in verità, non era cambiata un granché. Era spesso sveglia di notte, la sentiva nella Forza, ed in una occasione l’aveva anche sentita piangere. Era stato tentato di bussare alla sua porta, chiederle come stava, ma la ragazza doveva averlo sentito, perché si era immediatamente zittita ed era rimasta come in attesa.

Obi Wan l’aveva interpretato come un rigetto e l’aveva lasciata in pace.

Al mattino dopo, mentre la pioggia non accennava a diminuire e il maestro Jinn con uno sbuffo si apprestava ad andare a caccia di nuovo e ad inzupparsi nel midollo, un’annoiatissima Satine gli aveva fatto la fatidica domanda.

- Non dormite ancora bene, Obi Wan?-

- Continuo ad avere la stessa visione.-

- E continua a parlare di me?-

- Credo di sì, anche se non capisco che cosa dice. Non sembrano nomi. Deve essersi evoluta in frasi più articolate.-

Le raccontò del sogno e del buio, della voragine, degli occhi e delle voci, della Luce che scompariva. Satine gli sembrò turbata. Tenne gli occhi bassi sul suo tè scolorito per tutta la colazione, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo pensoso.

- Va tutto bene?-

- Sì.-

- Vi ho sentita piangere, ieri notte.-

Satine fece saettare lo sguardo immediatamente dal tè al viso del padawan, quello che sembrava un leggero rossore sulle guance.

- Davvero?-

- Sì. Ho avuto la sensazione che non voleste essere disturbata.-

Satine abbozzò uno di quei sorrisi dolci, ma tristi, che Obi Wan aveva scoperto di detestare. 

- Disturbatemi pure, se siete sveglio. In quelle circostanze preferisco sempre avere compagnia. Non voglio che vi sentiate obbligato a farlo, beninteso. Se dormite, meglio per voi. Tuttavia, se vi svegliate, non rifiuto mai un po’ di sostegno morale.-

- Continuate a sognare?-

- Incubi. Sì. Mio padre. La scorta. Mia madre. Tutti loro.-

- Mi dispiace.-

- Anche a me.- rispose la ragazza, facendo spallucce.

Tra i due giovani cadde un silenzio imbarazzante, mentre entrambi rimestavano l’acqua nella tazza con il cucchiaio. Satine sembrava avere un gran sonno, ma non aveva voglia di dormire, per niente. Obi Wan, invece, cercava di non mostrarsi frustrato per quelle odiose visioni che non comprendeva, ma doveva aver fallito miseramente, perché la ragazza gli aveva lanciato un’occhiata in tralice, prima di dire:

- Fastidioso, eh?-

- Sì, un sacco.-

- Forse, se conosceste un poco di Mando’a, vi aiuterebbe a comprendere di più le vostre visioni. Vi andrebbe di imparare?-

- Vi andrebbe di insegnarmi?-

- Non che ci sia molto altro da fare, al momento.- gli disse, allargando le braccia ed ammiccando alla stanza vuota tutta attorno.

In effetti, aveva ragione. Avevano riparato tutto quello che c’era da riparare e potevano dire che la loro sistemazione era quasi confortevole. Quasi quasi, gli dispiaceva dover lasciare il karyai di lì a poco, dopo che avevano fatto così tanto per rimetterlo in sesto. 

C’era, tuttavia, molto di più. Di norma Obi Wan non si affezionava agli oggetti materiali, come gli era stato insegnato. Non li considerava parte integrante della sua vita e li lasciava costantemente indietro, a parte qualcosa che gli era particolarmente caro e con il quale aveva decorato la sua camera: la pietra del maestro Qui Gon, qualche oggetto particolare che aveva trovato durante i suoi viaggi in giro per la galassia, i regalini che Bant gli lasciava nascosti nella Stanza delle Mille Fontane, al loro posto segreto. Sapeva che lei aveva tenuto la poesia che le aveva scritto per il suo ottavo compleanno. Un becero tentativo di comporre qualcosa, o almeno così riteneva. Non aveva nemmeno trovato il titolo, che aveva seguito il primo verso della filastrocca.

La mia amica pesciolino.

Insomma, non era esattamente un campione di design, o un artista. Gli oggetti non lo interessavano. Ciò che lo attraeva di più era il significato che tali oggetti avevano, o quello che lui gli attribuiva. 

Quel karyai era diverso. Non c’era niente di suo, nemmeno i vestiti, che avevano rubato ai morti. Non c’era nulla di nulla, e quello che c’era era completamente estraneo ai suoi interessi, come i macchinari scientifici e le sostanze chimiche e i reagenti. Nulla che lui sapesse o volesse maneggiare. 

No, quello che lo intrigava di quel posto era l’aria familiare che vi si respirava. Si sentiva a casa, esattamente come quando viveva al Tempio con il suo maestro e i suoi compagni padawan. Si sentiva protetto, e la cosa non aveva senso.

Erano nel mezzo del niente, in una casa mezza rotta che non era nemmeno la loro, con i cacciatori di taglie a fargli la posta e potenziali esseri extraterrestri assassini disposti a mangiarseli in un solo boccone.

Eppure, Obi Wan era felice.

Non riusciva a capire come potesse stare così bene lontano da casa, e ben presto trovò la risposta di fronte a lui.

Satine.

L’idea lo spaventò. Non era in grado, ancora, di definire che cosa stesse succedendo dentro di lui e perché. Credeva, come già aveva espresso al suo maestro, di avere un secondo cervello, ed era fortemente convinto che lei non fosse nient’altro che una distrazione, una calamita per il suo corpo impazzito. 

Sarebbe stato miope da parte sua, però, considerare Satine come una mera passione fisica. 

Era affascinato da lei, dal suo modo di essere, dal suo modo di sentire e di pensare. Lo intrigava, ed il padawan doveva lottare per astenersi dall’indagare, dal conoscere tutto di lei. 

Lei era Mando. Lei era cultura, lingua, religione. Lei era storia, miti e leggende. 

Non si stupì, dunque, quando udì la sua voce uscirgli di bocca e dirle di che sì, avrebbe imparato il Mando’a.

Da quel giorno, Satine cominciò a parlargli spesso in Mando’a. Cominciò con frasi basiche, semplici, con le prime parole che di solito si insegnano agli stranieri. Aveva una voce calma, profonda, setosa, delicata come una carezza. Gli piaceva ascoltarla mentre parlava quella lingua primitiva, antica, con una formazione grammaticale piuttosto semplice. Alcune parole si mescolavano con altre per dare i nomi alle cose, e ne riflettevano la vera essenza o quello che i Mando consideravano tale. Imparare quella lingua gli aprì una finestra su un mondo antico ed affascinante, di cui Satine era la padrona, la signora indiscussa. 

- Su cuy’gar.-

- Su quigar.-

- No. Su cuuuuy’gar.-

- Su cuy’gar. Che significa?-

- Vuol dire ciao. Letteralmente, significa sei ancora vivo!-

Ovviamente. Che cos’altro vuoi dire a qualcuno che non vedi da una vita quando rischi di morire tutti i giorni sul campo di battaglia?

Gli insegnò molto, Satine, in particolare per quanto riguardava le parole più semplici. Numeri, rapporti di parentela, qualche verbo, e anche una filastrocca in Mando’a che Obi Wan trovò molto utile per imparare la fonetica. 

 

Il susulur vien giù dalla montagna,

trotta, trotta, ascolta e raglia,

con l’orecchio verso il mare,

perché non si vuol bagnare,

tiene gli occhi sulla rena,

per non perdere la lena,

ma la mente è alla battigia,

alla menta grigia grigia. 

 

- Che cos’è un susulur?-

- Munit susulur. E’ un quadrupede di taglia piuttosto grande, anche se non come un viinir.-

- Un cavallo?-

- Esatto. E’ un po’ più piccolo ed ha le orecchie grandi, capaci di sentire tutte le vibrazioni attorno a lui. E’ molto domestico, a me piace tanto perché è pacifico e casereccio. Gli piace il comfort, la pancia piena e il cibo buono. E’ ghiotto di menta, che va a mangiare vicino al Mare di Udesla. Alla sua ora rientra nella stalla e non c’è verso di farlo uscire di lì.-

- Non gliene importa nulla, di niente e di nessuno, in buona sostanza.-

- Esattamente. Munit susulur vuol dire lungo udito, nella sua forma semplificata, e in questo modo va a caratterizzare il nome dell’animale.-

Qui Gon non ci capì granché. Di ritorno dalla sua battuta di caccia, trovò il suo padawan ad armeggiare con la consolle, cercando di mettere in funzione il sistema delle comunicazioni mentre canticchiava una strana canzoncina in una lingua sconosciuta. Alle sue domande, Satine rispose con un laconico è la canzone del Susulur.

Come se sapesse lui che accidenti era, un susulur. 

La situazione si complicò maggiormente con il tempo, quando fu chiaro che Obi Wan stava provando ad imparare la lingua. Satine provò ad insegnargli un’altra canzone, stavolta romantica, per rendergli familiari le parole legate alle emozioni e le locuzioni relative ad esse.

 

Il mio amore è la stella più bella,

la più splendente di tutto il cielo,

il mio amore è come un fiore,

del colore più raro e delicato,

il mio amore è il più giusto,

il più coraggioso di tutti,

il mondo di noi riderà,

ma io so che questa è la verità. 

 

Il ragazzo sembrava faticare, e la situazione sfuggì un po’ di mano quando si lasciò scappare un commento.

- Haar’chak!-

Satine strabuzzò gli occhi.

- E questa dove l’avete imparata?-

- Con tutto il rispetto, duchessa, ma con tutti i sacramenti che dite, prima o poi uno impara. Questa l’avete detta di fronte agli uccelli del deserto. Che significa di preciso?-

- E’ una parolaccia.-

- Questo lo so.-

- Vuol dire dannazione.-

- Ah, nemmeno poi così male.-

- Ragazzo!- brontolò il maestro, scaricando un coniglio sul tavolo della cucina.- Ti devo ricordare che sei di fronte alla duchessa di Mandalore?-

- Perché non l’avete sentita mentre provava a spostare i materassi, la duchessa di Mandalore.-

La ragazza fece il suo migliore sorriso da birba e squadrò Obi Wan con una luce malandrina negli occhi.

- Allora, mio giovane padawan, credo che sia il momento di conoscere il significato della parola di’kut.- gli disse, alzandosi ed armandosi di coltello per depezzare la carcassa per la cena.

- E’ quello che mi avete detto l’altro giorno, vero?-

- Esatto.-

- E che vuol dire?-

Satine fece spallucce, giocherellando con la lama del coltello tra le dita.

Poi, piantando la punta sotto il collo dell’animale, gli disse, sorridendo maliziosa:

- Scemo. Ma anche tonto va bene.-

 

FINE PRIMA PARTE

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Capitolo 29
*** 25.1- Spettri ***


CAPITOLO 25.1

Spettri

 

 

Ed infine, smise di piovere.

Dopo ben quattro giorni di acqua a catinelle, la pioggia stava dando loro tregua. Sarebbero partiti al più presto, aveva detto Qui Gon, al mattino dopo, non appena il sole si fosse levato nel cielo. I ragazzi avevano già fatto i bagagli e per dire addio al karyai che li aveva dignitosamente ospitati per quasi una settimana decisero di mettere in moto l’holoproiettore. 

Continuando nel solco di studi di Obi Wan, il maestro Qui Gon si disse favorevole a guardare un holofilm con i ragazzi. A Satine sarebbe toccata la scelta tra le poche pellicole che avevano a disposizione. Gli scienziati si erano portati un bel po’ di film di fantascienza e documentari, ma niente di particolarmente artistico. C’era qualche pellicola di azione, che Satine scartò a priori per non tediare i Jedi con dei combattimenti mandaloriani sanguinosi - anche se finti - che forse suscitavano memorie spiacevoli. Scartò anche i documentari, analoghi a centinaia di altri che avrebbero potuto tranquillamente vedere al Tempio. Restavano i film di fantascienza e un paio di film romantici, che con i Jedi ci entravano un po’ poco.

Stava quasi per rassegnarsi al film di fantascienza quando, ultimo sotto la pila di dischetti colorati, trovò Starlight.

Quando era andata al cinema con Maryam a vedere la pellicola, da ragazza, non ci aveva capito molto. L’aveva trovato anzi un poco stucchevole. La storia era sempre la stessa: lui, squattrinato e pieno di belle speranze, si innamora di lei, facoltosa e in cerca della sua strada. Il loro cammino si incrocia, ma non è destinato, per diversità di vedute, a stabilizzarsi. Dopo una storia breve, ma intensa, in cui i due trovano il modo di realizzare i propri sogni, le loro strade si dividono, ciascuno rivolto verso il proprio brillante futuro.

Bo Katan l’aveva capito meno di lei. Dopo i titoli di testa e qualche scena iniziale, si era addormentata nel sedile del cinema bagnando la spalla di Maryam di saliva. 

Non che la sua nana se ne fosse poi accorta. Era troppo impegnata a piangere per rendersi conto dell’altro tipo di fluido che le stava inzuppando la manica.

Satine, invece, aveva seguito il film dall’inizio alla fine, commentando tra sé e sé la prevedibilità delle sceneggiature moderne. Sembrava quasi che tutto, nel cinema, fosse già stato inventato, come nella letteratura. Dov’erano le grandi storie innovative, in cui tutto poteva cambiare all’improvviso, ed in cui tutto poteva anche finire male, pur di restare fedeli al realismo della narrazione? Dov’era il coraggio di mettere in scena qualcosa capace di rompere gli schemi?

Tuttavia, Starlight aveva anche dei tratti positivi.

Innanzitutto, era un film mandaloriano vecchio stile, in cui la musica giocava un ruolo fondamentale. L’artisticità, oltre alla ripresa dei vecchi schemi musicali e di ballo tipici di Mandalore, stava anche nella scelta del colore e della tecnica di ripresa che era stata utilizzata, filtrando la camera con vetri colorati per intensificare o ridurre l’effetto della luce e dell’ombra. 

Tutto sommato, Satine lo aveva apprezzato, ed una scena in particolare le era rimasta impressa, la stessa sui cui aveva tante volte fantasticato durante le sue notti insonni passate sul tetto di Kryze Manor a guardare il cielo.

Avvertì i Jedi sulla questione, è una storia d’amore, sappiatelo, può non piacervi ma è il massimo che l’arte Mando ha da offrire da un pezzo a questa parte e di sicuro quanto di meglio possiamo trovare in un posto sperduto come questo.

Con sua grande sorpresa, né Obi Wan, né Qui Gon storsero il naso, anzi. Sembravano interessati, anche se il tema non era esattamente calzante.

- Mia cara duchessa, non fanno film apposta per noi.- le disse Qui Gon, un sorriso sornione sulle labbra.- Siamo abituati ad adattarci al campionario, e questo non è di certo un cinematografo!-

Così, Satine aveva inserito il dischetto nell’holoproiettore e aveva premuto il tasto d’avvio.

Le note della colonna sonora e dei titoli di testa si diffusero nell’aria, calandoli nel contesto del film. In generale l’atmosfera era rilassante. Fuori dalle finestre riluceva il chiarore della luna e dei globi di Mandalore, mentre si alzava una leggera foschia umida. I vetri filtravano la luce lunare, creando una leggera atmosfera violetta che calmava i nervi. 

Il film, con i suoi colori saturati, indusse presto il maestro al sonno.

Rimasero svegli, seduti sul divano, soltanto Satine ed Obi Wan, che cercavano in ogni modo di trattenersi dal ridere. Qui Gon russava come un mantice, coccolato dalla musica e dalla luce offuscata, scatenando l’ilarità dei ragazzi. Il padawan gli mise persino un fazzoletto di carta sopra il viso, che volò via indisturbato alla prima pernacchia.

- Non siate cattivo, Obi Wan!-

- Ma no, lui lo sa. E’ il primo a scherzarci su!-

- Perché russa così forte?-

- Non me l’ha mai detto, ma credo che si sia rotto il naso durante una delle sue missioni, prima di prendermi come padawan.-

Il film andò avanti nonostante il russare imperterrito e costante di Qui Gon. In alcune occasioni divenne talmente forte che alcune parole venivano coperte dal rumore. Satine, a quel punto, si era voltata verso Obi Wan, gli occhi sgranati:

- Capisco adesso come mai non dormite la notte!-

Il padawan cercò di soffocare una risata.

- No, vi garantisco che non è questa la ragione, anche se confesso che durante i primi anni mi infastidiva parecchio. Adesso sono abituato, non lo sento nemmeno più.-

- Per forza della disperazione, dico io!-

- Per forza della disperazione, anche.-

C’era già stato l’incontro tra i protagonisti, lo scambio di sguardi, ed adesso il macchinario stava proiettando la scena dell’appuntamento. Satine ricordava che quel passaggio l’aveva fatta ridere. I protagonisti non facevano altro che battibeccare, cercando di darsi torto a vicenda salvo poi scoprire che in verità lei era carina quando si arrabbiava e lui era dolcissimo quando faceva l’offeso.

Quella scena le era sempre sembrata la più reale del film, e forse era proprio per quello che le piaceva tanto.

- Come mai giallo?-

- Come?-

- Perché lui è vestito di giallo?-

Satine ammiccò verso lo schermo. Effettivamente, anche lei aveva chiesto a Maryam la stessa cosa, quando aveva visto la pellicola per la prima volta. Il vestito giallo canarino che il protagonista indossava era a dir poco orrendo, ma assolveva allo scopo.

- Il giallo è un colore luminoso, a differenza di quello della ragazza, che è tetro. Lo scopo è sottolineare le diverse personalità. Lui è solare e divertente e alla fine salverà il destino della protagonista dandole la forza per andare avanti e perseguire i suoi obiettivi. Lei invece è triste, concreta, e vede sempre il bicchiere mezzo vuoto, ciò di cui lui ha bisogno per tenere i piedi per terra e non farsi travolgere dal suo ottimismo. E’ un po’ lo stesso principio del profumo.-

Il ragazzo annuì, pensieroso.

- Usate spesso un linguaggio simbolico?-

- Cioè?-

- Voglio dire, anche il vostro linguaggio sembra molto simbolico. Avete poche parole che declinate in nomi a seconda di ciò che l’oggetto o l’animale vi ricorda.-

Satine sembrò impressionata.

- Avete colto l’essenza del Mando’a. Con le parole cerchiamo di cogliere l’anima dell’oggetto e lo definiamo attraverso di esse. In alcuni casi è impossibile e facciamo riferimento ai segni particolari per identificarlo. A volte può sembrare un po’ ridicolo, come nel caso dei munit gemas, ma è estremamente efficace.-

- Che cos’è un munit gemas?-

- E’ una specie di grosso bantha peloso, con la proboscide e le corna, che vive sui ghiacciai di Mandalore. Letteralmente vuol dire…-

- Capelli lunghi? Forse me lo avevate già detto.-

- Pelo lungo, esatto.-

I due protagonisti, nel frattempo, stavano per raggiungere il momento clou del film, quando finalmente capiscono di amarsi. Secondo Satine era la scena più bella di tutta la pellicola. I due, tenendosi per mano, in un campo aperto e pieno di fiori, nel cuore della notte, si fermano a guardare le stelle, e dopo un tenerissimo bacio cominciano a ballare un dolce valzer, muovendosi a spirale fino a che non salgono su nel cielo e cominciano a ballare nell’universo, tra stelle e pianeti. Una scena con un altissimo valore simbolico.

- Ha un bel significato, vero?-

- Conosci il Mito delle Due Metà?-

- Ne ho sentito parlare al Tempio. Non è Mando, vero?-

- Non ne sappiamo l’origine, ma abbiamo fatto in modo con gli anni di integrarlo nella nostra cultura. E’ una di quelle storie senza tempo che fanno parte di tutta la galassia.-

Secondo il mito, in un’epoca passata esistevano esseri perfettamente completi, che non desideravano altro che se stessi. Vivevano egoisticamente, soli, e non necessitavano della compagnia degli altri. Erano creature indipendenti ed incapaci di provare altro se non ciò che sentivano verso loro stessi. La Forza, vedendoli così egoisti, spaccò i loro corpi in due, condannandoli a cercare la metà persa per tutta la vita. Conoscendo il dolore, la rabbia e il tormento, nonché il piacere di fare del bene durante il loro percorso, compresero di dover aspirare a qualcosa di meglio di ciò che erano, imparando le emozioni ed i sentimenti. Così, una volta riuniti, la Forza li premiò riammettendoli a danzare con gli astri, con la galassia e con l’universo tutto, in perfetta armonia.

Era un bel mito, che veniva insegnato ai Jedi per invitarli a servire il bene e ad essere consapevoli di sé e degli altri, ad imparare la compassione, la pazienza, la perseveranza e la gentilezza. 

- Sostanzialmente, sarebbe una rappresentazione della Forza che riammette i due amanti a danzare in armonia con il tutto, giusto?-

- Giusto. Era una delle mie scene preferite, quando ero bambina. La mia governante mi portò a vedere questo film al cinema. Fu molto istruttivo, anche se all’epoca ero forse troppo piccola per capirci granché.-

- Lo trovo molto bello, anche se ammetto che concilia un poco il sonno.-

Satine non si era aspettata che Obi Wan apprezzasse. Al suo sguardo interrogativo, il padawan rispose con un sorrisetto sghembo.

- Ai Jedi sono proibiti entrambe le cose, ma è meglio amare qualcuno che odiarlo, no?-

- Direi di sì.-

- E allora non stupitevi se anche a noi piacciono le storie d’amore.- e gli sfuggì un ghigno. 

Satine rimase a guardare il film, mentre i due attori continuavano a danzare nel vuoto dell’universo. 

- Sapete, una volta giurai che mi sarei innamorata soltanto dell’uomo che mi avrebbe portato a ballare su una nebulosa.-

Obi Wan aggrottò le sopracciglia.

- E’ un po’ pericoloso, ballare su una nebulosa.-

- Di più, è assolutamente impossibile!- gli rispose, ridendo.- Non voglio morire spaccandomi congelata nel nulla cosmico.-

- Per non parlare delle esplosioni di pulviscolo stellare, o delle tempeste magnetiche.-

- Per non parlare di quello, appunto. Però sarebbe bello ballare in una circostanza analoga.-

Il silenzio li avvolse, interrotto solo dalla musica del film. Obi Wan continuava a lanciare occhiate verso la duchessa, ma la ragazza finse di non vederle e continuò a guardare la pellicola.

- Lo avete mai trovato?-

- Che?-

- Qualcuno che vi porti a ballare su una nebulosa.-

Quella domanda la spiazzò. Non capiva come mai il padawan fosse interessato alla sua risposta, anche se cercava di mostrare il contrario. Non l’aveva guardata in viso, bensì aveva continuato a fissare la proiezione, la luce dell’ologramma che si rifletteva nelle sue iridi grigioverdi. 

- No. Non vedo come avrei potuto.-

- Sarete piena di amici, nella politica.-

- Se fosse così, non scapperei assieme a voi.-

- Ci sarà pure qualcuno tra i Nuovi Mandaloriani disposto a proteggervi.-

Satine sospirò, cercando di non cedere alle provocazioni del ragazzo. Si sentì quasi minacciata. Sapeva che non era sua intenzione intrufolarsi nei suoi affari personali, ma voleva tenere il suo cuore al sicuro, almeno per il momento.

Soprattutto se era davvero lui kar’jag.

- State cercando di capire se ho un fidanzato, padawan Kenobi?-

- Non mi permetterei mai, duchessa.-

E allora perché me lo domandi?

Satine, però, decise che una risposta vaga poteva pur fornirla, senza entrare troppo nei dettagli.

- Ho qualche amica, dai tempi della Scuola di Governo. Indila, la figlia del governatore di Draboon, era la migliore. Tuttavia, all’epoca le colpe dei padri polarizzavano i figli. Adesso, le cose sono cambiate. L’evoluzione della situazione politica probabilmente cambierà molto gli equilibri. Potrei scoprire di avere amici che non avevo mai preso in considerazione prima. In ogni caso, nessuno mi ha mai fatto una proposta seria, a meno che non coinvolgesse il prendere il potere tramite il matrimonio e rinchiudermi in una torre successivamente.-  

Obi Wan emise un riso sarcastico.

- Pensavo che tanto squallore esistesse solo nei romanzi rosa.-

- Ahimè, no, anche se, credetemi, mi piacerebbe pensarlo. Non che, comunque, io possa avere grandi aspirazioni, sia chiaro. Tutte le mie amiche mi hanno consigliato di comprare gatti.-

- Questo è crudele. Non ne vedo il motivo.-

- Voi aspettereste mai qualcuna che vi porti a ballare su una nebulosa?-

- Io sono un Jedi, io…-

- Risparmiatemi, vi prego. Avete capito che cosa voglio dire.-

Obi Wan abbassò il capo ed arrossì un poco.

- In effetti, è altamente improbabile.-

- Esattamente. Se aspetto davvero, posso proprio cominciare a comprar gatti, temo.-

Non gli disse niente della profezia, o di kar’jag.

Non forzare la mano. Lascia che le cose, se devono venire, vengano da sé.

- Inoltre - aggiunse, accomodandosi meglio sul cuscino.- Devo ancora sopravvivere ad una guerra civile, che non è scontato. Bisogna vedere se ci arrivo, anche solo a ballare con chicchessia.-

Obi Wan aveva aperto la bocca per rispondere quando un fischio acuto li mise in allerta.

Satine sbiancò. Con la rapidità di un felino balzò sul proiettore e lo spense.

Il karyai cadde nel buio più totale.

Qui Gon, come mosso da una forza invisibile, grugnì e si svegliò.

- Che succede, ragazzo?-

- Non ne siamo sicuri.-

Il fischio si udì per la seconda volta e molti altri risposero di rimando.

- Spettri.- borbottò la duchessa, di nuovo vicino ai due Jedi.- Tenetevi pronti, mano sulla spada laser. Non accendetela, o catturerete la loro attenzione.-

I tre si alzarono in piedi e si posizionarono al centro della stanza, armati. Satine aveva sfoderato il coltello e la lancia di beskar, mentre i due Jedi erano pronti a dare battaglia con le spade laser. 

- Dove sono, li avete visti?-

- No, maestro.-

- Abbiamo un vantaggio, ma temo che sia tardi per usarlo.-

Il maestro e il padawan le lanciarono un’occhiata in tralice.

- Sono esseri molto intelligenti, e con il loro linguaggio sono capaci di cambiare piano in corsa. La pioggia ha bagnato ciò che restava del fuoco perpetuo, che non potrà tenerli lontani, ma sappiamo che, di solito, seguono sempre un pattern ben preciso, quando attaccano un karyai. Entrano dal retro, spingendo le vittime nella sala principale, e poi li uccidono in branco, tutti qui.- ed indicò la stanza attorno a loro.

- Quindi ripeterebbero lo stesso schema che hanno già usato con gli scienziati?-

- E’ altamente probabile, ma nulla vieta che di fronte ad un ostacolo cambino piano in corsa.-

I tre rimasero lì, con il fiato sospeso, fino a che Obi Wan non incrociò con lo sguardo l’ombra di qualcosa che si muoveva velocemente su due gambe, fuori dalla finestra della sala, per poi scomparire nel buio.

I tre si acquattarono sul pavimento per non essere visti dalle finestre, ed evitare che il branco cambiasse piano comunicando la loro posizione.

I grugniti cominciarono a farsi più insistenti, mentre le bestie si organizzavano attorno alla casa. La Forza restava in silenzio, come se non sapesse nulla di tutto ciò, e la cosa disturbava i due Jedi, che per la prima volta nella loro vita cominciavano a sentire il senso di paura che deriva da una minaccia sconosciuta ed incontrollabile.

Satine non potè fare a meno di notare la loro tensione sempre crescente e di dispiacersene.

Loro erano i migliori combattenti della galassia dopo i Mando. Era certa che ce l’avrebbero fatta anche senza la Forza.

Il primo vetro ad andare in frantumi fu, come previsto, quello della stanza che dava sul deserto. 

Poi un altro, e un altro ancora.

Per ora, il branco sembrava seguire il solito piano.

Un raspare alla porta principale li mise in guardia. Qualcuno di loro stava cercando di saggiare la resistenza di quell’accesso per poi poterlo sfondare.

L’avevano già fatto una volta, e le riparazioni che i tre avevano apportato alla porta principale di sicuro non la rendevano stabile come prima. Non dubitavano del fatto che sarebbero riusciti ad entrare, ma sapevano anche che, a volte, la miglior strategia di difesa è un buon attacco.

Fu esattamente quello che fecero.

Quando la porta cedette, i due Jedi erano già pronti e gli spettri erano morti prima che uno di loro potesse emettere un fischio.

Tuttavia, il branco si era già accorto che qualcosa non andava.

Avevano seguito il loro piano, sfondando il retro e poi conducendosi lentamente verso il centro dell’edificio, ma il fatto che nelle camere non ci fosse nessuno li aveva già messi in guardia. Gli animali procedevano piano, carponi e guardinghi, lungo il corridoio, ignari che Obi Wan e Qui Gon erano già lì, ai lati dell’accesso, pronti a fare loro la festa. 

Il primo mise il muso dentro la sala e non ne uscì vivo.

Gli altri, però, non attaccarono.

Satine, Obi Wan e Qui Gon fecero appena in tempo a lanciarsi un’occhiata di sbieco e a riunirsi tutti al centro della sala che cominciarono ad arrivare da tutte le parti.

Sfondarono prima la finestra di cucina, con le loro mani lunghe ed artigliate. Sembravano radici, o grosse liane, e parevano in grado di allungarsi ben oltre la loro normale dimensione. 

Poi, si dedicarono pedissequamente a quella del salotto.

Oltre al frastuono dei vetri, si aggiunse il clangore del ferro piegato. Questa volta, si erano messi a divellere completamente il telaio della finestra per aprirsi un varco ai fianchi.

I due Jedi accesero le spade laser e si dettero da fare.

Con un colpo secco, Obi Wan tranciò le dita di almeno tre di loro, tra fischi e strilli spaventosi. Qui Gon, invece, si gettò sul divano tagliando braccia, teste e tutto ciò che gli capitava a tiro.

Solo in quel momento, però, Satine comprese che avevano fatto il loro gioco.

Il grosso arrivò dal corridoio e dalla porta principale ormai divelta. Lei, al centro della stanza, armata di coltello e lancia, era completamente sola e circondata.

Obi Wan lanciò un’occhiata indietro e rabbrividì.

- Maestro!-

Qui Gon si gettò nel mucchio, abbandonando la finestra sopra il divano, ma ormai il danno era fatto. Con quella tattica, il branco era riuscito a separare il gruppo. Avevano capito che presi singolarmente erano molto più facili da eliminare, fosse soltanto per il rapporto numerico.

Obi Wan dedusse che sarebbero stati almeno dieci spettri contro uno.

Con un balzo fulmineo il ragazzo sgusciò via dal gruppo che lo aveva accerchiato, sfiorò il soffitto e con un salto mortale preciso atterrò sulla schiena di uno di loro, intento a sbavare di fronte a Satine, per poi conficcare la spada laser nel collo della bestia. 

Qui Gon ne approfittò per inserirsi nella mischia e ne uccise altri tre.

Il gruppo era di nuovo compatto.

Satine assestò un violento colpo di bastone sul collo di uno spettro che dalla porta era balzato verso di lei, facendolo volare alla portata della spada del padawan, che lo abbatté al volo. Il maestro mulinò la lama verde un paio di volte, provando a catturare l’attenzione di quei mostri, ma non ci riuscì. 

Satine non aveva molto tempo per pensare e le mani le tremavano all’idea di uccidere, nonostante la consapevolezza di non poter fare diversamente.

Non c’era modo di ragionare, con quelle creature.

Tuttavia, non potè fare a meno di notare che il branco non attaccava Obi Wan con la stessa violenza con cui attaccava Qui Gon. Con il maestro l’attacco era più fisico, completo di balzi sulla lunga distanza e colpi violenti che, grazie alle sue abilità, l’uomo riusciva a ricacciare indietro. Con il ragazzo, invece, l’attacco avveniva in modo più subdolo e soprattutto le bestie sembravano temere la sua spada laser, al contrario di quanto accadeva con il buon maestro Jedi.

Perché?

Gli spettri, nonostante tutto, cominciavano ad avere la meglio. Erano troppo superiori di numero e i Jedi non godevano del favore della Forza. Era evidente che non avrebbero potuto continuare a lungo. Avrebbero dovuto trovare un modo per liberarsi del branco, o sarebbero periti in malo modo e in breve tempo.

- Sono troppi, maestro!- gridò Obi Wan, confermando le peggiori paure di Satine.- Non reggeremo ancora per molto!-

Gli ingranaggi della mente della ragazza stavano girando alla velocità della luce, nella speranza di trovare l’incastro giusto per riuscire a risolvere la situazione.

Vediamo, che cosa sai di loro?

Vivono in branco.

Sono carnivori, forse cannibali.

Hanno un linguaggio che gli permette di organizzarsi.

Hanno un cervello sviluppato, quasi da specie dominante.

Sono infestati da organismi acquatici, o forse lo è l’ambiente in cui vivono.

Il fuoco li infastidisce. 

Sembrano attratti dalla Luce della spada laser di Obi Wan.

E in quel momento, Satine comprese.

La spada laser del ragazzo era azzurra.

Non erano attratti dalla luce della spada. 

La temevano.

E questo, se da una parte risolveva i suoi problemi, dall’altra li complicava.

Non puoi aprire la Luce di Mandalore. Non sai come fare. 

Potresti uccidere i Jedi.

Potresti uccidere anche Obi Wan.

Hanno trovato la testa in riva al lago.

Certo, non poteva. 

Però, poteva provare a ricrearne l’effetto.

- Riuscite a coprirmi?-

- Che cosa volete fare, Satine?-

- Ho bisogno delle sostanze in cucina. Ho un’idea!-

I due Jedi si guardarono, ma preferirono non fare domande. Così, mulinando le spade a destra e a manca, il gruppo si diresse verso il bancone di cucina, mentre Satine menava bastonate dovunque le capitasse e puntava senza troppi mezzi termini alla credenza posta sotto la consolle. 

Quando furono vicini, ci infilò dentro senza dare troppe spiegazioni, mentre i due uomini continuavano a lottare.

Ben presto, però, furono allo stremo delle forze.

- Non ce la facciamo più!- tuonò Qui Gon, fendente dopo fendente.- Non possiamo resistere ancora a lungo!-

- Ci sono quasi!-

In effetti, era quasi pronta. Il bacile di fosforo che aveva usato per il fuoco perpetuo era ancora mezzo pieno, e la polvere di magnesio anche. 

Di stracci, ce n’era in abbondanza.

E anche di fiammiferi e tappi.

Un grido, però, la distrasse.

Uno degli spettri aveva fatto un balzo più lungo degli altri ed era riuscito a salire sulla consolle, per poi lanciarsi di corsa, con le dita artigliate protese in avanti, verso il giovane Obi Wan. 

Grazie alla Forza, il ragazzo fece in tempo ad individuarlo, ma, complice la stanchezza e il numero eccessivo di nemici, non fece in tempo a colpirlo come si conveniva.

Il ritardo gli era quasi costato un occhio.

La guancia gli faceva male ed il sangue scendeva copioso giù dallo zigomo là dove la bestia lo aveva graffiato, mancando la palpebra per un soffio. 

Non c’era più tempo.

Con uno scatto fulmineo, Satine emerse dalla credenza, in mano quello che sembrava un contenitore con una miccia infuocata.

Ne aveva uno per mano.

Con un gesto rapidissimo, lanciò il primo fuori dalla porta principale, e il secondo fuori dalla finestra.

Poi, afferrò i due per il collo.

- GIU’!-

Il cielo si tinse di bianco, rosso, azzurro e tanta polvere. L’aria si riempì di un boato assordante, di fischi, urla disperate e uno scalpiccio di piedi viscidi sulla pietra.

Ben presto tornò il silenzio.

I tre alzarono la testa impolverata e si guardarono intorno. 

Le bombe al fosforo e al magnesio di Satine sembravano aver funzionato. Parte del muro di cucina era stato divelto dall’esplosione, trascinandosi dietro alcuni spettri e seppellendoli sotto il suo peso. La facciata sembrava aver avuto meno danni, ma fuori dalla porta lo spettacolo era raccapricciante. La bomba era esplosa in mezzo al mucchio di spettri, facendo una vera e propria carneficina. C’erano arti e parti del corpo sparpagliate dovunque, e il muro era intriso di un liquido nauseabondo nero come la pece e vischioso come il sangue.

Preso alla sprovvista, ciò che restava del branco preferì battere in ritirata verso la foresta, fischiando e gemendo.

Le gambe di Satine cedettero sotto il suo peso, incapaci di mantenere la posizione eretta. Preferì restare seduta sui calcagni, certa che quell’immagine sarebbe andata ad aggiungersi ai suoi incubi già fin troppo crudi.

- Ma che t’hanno insegnato in quella benedetta scuola di governo?- borbottò Obi Wan, guardandosi intorno con aria perplessa.

Alla faccia della pacifista.

Qui Gon, tuttavia, non attese risposta e si alzò in piedi.

- Torneranno. Dobbiamo andarcene prima che tentino una nuova sortita o che provino a recuperare i cadaveri. I vostri bagagli, ragazzi!-

- Maestro, vi prego di ripensarci. Sono ancora là fuori e molti di loro sono integri. Se uscissimo adesso saremmo nel mezzo del nulla e con lo svantaggio delle tenebre. Loro possono radunarsi. Potrebbero addirittura essere molti di più di questi, quando torneranno. Qua, almeno, siamo protetti, ed abbiamo ancora qualche sostanza chimica da lanciare in caso di necessità. Nell’erba alta saremmo spacciati.-

- Satine ha ragione.- disse Obi Wan, alzandosi in piedi ed asciugandosi la guancia sanguinante con la manica.

Fu in quel momento che Qui Gon sembrò tornare in sé.

- Sei ferito, ragazzo.-

- Non è niente di grave.- rispose il padawan, scrollando le spalle.- E’ solo un graffio.-

- In ogni caso, devi essere medicato. Faremo come dite, duchessa. Certo è, però, che non appena sorgerà il sole dovremo andarcene e raggiungere Solus. Non voglio restare in questo posto un minuto più del necessario.-

Satine si alzò in piedi, sorpresa che le gambe la reggessero e che la sua voce suonasse così determinata, perché lei non lo era, nemmeno lontanamente.

- Sarà fatto, maestro. All’alba saremo pronti.-

 

Optarono per un cambio d’abito. Il maestro era stato riluttante, ma mai quanto Obi Wan, che teneva particolarmente ai simboli dell’ordine dei Jedi. Satine, tuttavia, lo convinse sottolineando la necessità impellente di togliersi di dosso l’odore degli spettri, prima che quelle bestiacce si mettessero di nuovo sulle loro tracce. 

Si cambiarono nella stessa stanza, lei in un angolo e lui in un altro, dandosi reciprocamente la schiena per non guardarsi, pur restando all’erta e vicini, in caso di protezione urgente. 

Satine indossò uno degli abiti della scienziata morta. Era un bel vestito bianco, lungo fino ai piedi e un po’ poco pratico per il combattimento, ma ampio abbastanza per non essere d’impaccio in caso di fuga, e soprattutto molto fresco. Lo adorò subito, nonostante la riluttanza ad indossare qualcosa che era appartenuto ad un altro.

L’abito tradizionale Mando da uomo era un po’ diverso da quello di solito utilizzato dai Jedi. Non c’erano tuniche, bensì casacche con il collo semiaperto, di diversi colori a seconda della casata di appartenenza. La moda, poi, si era evoluta fino a ridurre quei colori ad un mero elemento stilistico, anche se nelle famiglie più importanti avevano ancora un significato profondo sia per gli uomini che per le donne.

I pantaloni e la casacca di Obi Wan erano di un bel verde smeraldo, mentre quelli di Qui Gon di un profondo rosso scuro, tutti e due con finiture colorate. Il maestro ammirò i polsini dorati mentre il padawan scrutò affascinato la bordatura argentea ricamata.

Prima che potesse sporcarla di sangue, tuttavia, Satine fece in modo di medicarlo.

Era un quadretto niente male. In un angolo, il ragazzo aveva gettato i pantaloni sporchi di polvere e gli stivali, nonché parte della sua tunica. La camicetta di cotone era ancora sulle sue spalle, quando Satine lo aveva convinto a voltarsi e a mettersi seduto sulla scrivania, a piedi nudi, con i pantaloni smeraldo indosso e la vecchia camicetta bruciacchiata già sporca di sangue rappreso.

Satine strappò con i denti la busta di un pacco di bacta e prese a disinfettare e a pulire la ferita sulla guancia. Per fortuna non era eccessivamente profonda, e sperava che, con un bell’impacco, non sarebbe rimasta alcuna cicatrice. 

Le servirono un bel po’ di garze per medicare il graffio come si conveniva, e poi lasciò gocciolare il bacta. L’effetto fu quasi istantaneo e la ferita smise di sanguinare immediatamente.

Applicò una buona dose di medicazione, garze e cerotto, e potè dirsi soddisfatta.

- Non c’è bisogno che lo facciate voi, Satine. So medicarmi da solo.-

- Lo so, ma ci tenevo a farlo io. Non vi sareste mai fatto male se io non vi avessi trascinato in questa situazione.-

Obi Wan fece una faccia strana.

- Non dovete darvi la colpa di tutto. Non avete chiamato voi gli spettri.-

- No, ma vi ho attratto in un luogo dove vige un pericolo mortale, e non sono solo i cacciatori di taglie. Il tutto senza dirvelo.-

Il padawan tacque per rispetto. Le aveva già detto che aveva capito la sua decisione, ma all’epoca non aveva ancora visto l’operato di quelle bestie. Adesso che li aveva affrontati di persona, il senso di disagio era aumentato notevolmente. La duchessa, però, si sentiva già abbastanza in colpa senza che lui infierisse, e così si morse la lingua. 

Satine, fin troppo consapevole, non commentò e piantò gli occhi acquosi sul pavimento, mentre raccoglieva le medicazioni per bruciarle nelle braci accese della stufa.

- Avrei voluto farlo, credetemi. Avrei voluto confessarvi tutto. C’era così tanto, però, che non potevo dirvi.-

- Tipo?-

La ragazza sospirò, sedendosi accanto a lui sulla scrivania.

- Sono consapevole che ci sono ferite che non si possono rimarginare. Quanto avvenuto tra i nostri due popoli è stato troppo. Io vorrei poter ricucire il rapporto con i Jedi ed eliminare le differenze. Sapete come la penso in proposito, ma sono anche consapevole che per il mio popolo sarà un boccone duro da digerire. Spero di poter far cambiare loro idea, ma allo stato dell’arte, le cose stanno così.-

Nulla di nuovo sotto il sole. Obi Wan e Qui Gon ne erano stati consapevoli fin dall’inizio.

- Tuttavia, non ho mentito quando ho palesato la mia speranza di poter gettare un seme per la pace tra di noi. Spero che un giorno sarà possibile, anche se, dati i tempi, la speranza è tutto quello che mi rimane. In termini più prosaici, però, avevo bisogno di qualcuno capace di proteggermi senza battere ciglio. I vostri poteri sono infinitamente superiori rispetto alle capacità di qualunque mandaloriano, checché se ne dica. Voi eravate la soluzione migliore. Siete portatori di pace e io non voglio che muoia nessuno, nemmeno i cacciatori di taglie. In caso di necessità, però, nessuno sopravvive alla vostra spada. Chi meglio di voi, che potete sentire nella Forza una minaccia ben prima che avvenga? La vostra protezione è una garanzia di salvezza, e il mio popolo, oltre me, non ha nient’altro.-

Obi Wan rimase ad ascoltarla affascinato, gli occhi della ragazza di nuovo tristi e fissi sul pavimento.

Gli dispiacque di averla accusata, forse ingiustamente.

- Se vi può consolare, sapevo degli spettri, ma non della loro immunità alla Forza. Avevo dei sospetti, basati soprattutto su delle leggende, ed è la ragione per cui ho fatto fare un conteggio dei midichlorians. Solo alla morte del generale Grenade, quando ho spedito Inga Bauer a recuperare il dossier segreto a casa sua, ne sono venuta a conoscenza. Non ho potuto fare altro che sperare nella vostra abilità di guerrieri, e ad essere onesti, non mi avete delusa.-

Aveva un bel coraggio a dirlo. Erano stati praticamente sopraffatti, e se si erano salvati era stato solo grazie alle due bombe che la duchessa aveva creato in fretta e furia sotto la consolle del laboratorio.

- Apprezzo, ma non sono del tutto d’accordo. Sarai anche pacifista, ma come artificiere non te la cavi male.-

Satine abbozzò un sorriso un po’ più felice.

- Vorrei poterti dire molto di più, Obi Wan, ma il tempo corre, e il sole è quasi sorto. Dobbiamo andare.-

Il maestro Qui Gon entrò nella stanza, con lo zaino sulle spalle grosso come un baule e stipato fino all’orlo con tutto quello che era riuscito a portare via, fornello a gas incluso. Era apparentemente compiaciuto del suo abbigliamento, anche se i pantaloni erano un po’ corti per lui e la casacca gli scopriva i polsi, e Satine non potè fare a meno di sentire un leggero odore di fiori dolciastri mentre gli passava vicino.

- Se siete pronti, io andrei. Avete mangiato qualcosa?-

- Non ancora. Buttiamo giù una barretta e partiamo.-

I due ragazzi, vestiti e pronti per partire, sedettero di nuovo sulla scrivania con le barrette in bocca, uno accanto all’altra, a masticare. Non erano granché, andava detto, però erano in grado di sostenerli almeno fino a metà mattina. 

- Aspetta.- gli disse Satine, parlando a bocca piena e tendendo la mano verso il viso del ragazzo.- Si è staccato un cerotto.-

Fu allora che lo sentirono.

Fu come una scossa elettrica, un brivido condiviso che si propagò dal punto di contatto tra la pelle della guancia di Obi Wan e la punta delle dita di Satine, e discese giù, lungo tutto il corpo, drizzando i peli sulla nuca dei ragazzi e facendo sobbalzare la creatura invisibile che giaceva addormentata sopra lo stomaco del giovane padawan. 

Il contatto durò una frazione di secondo, ma per loro sembrò lungo un’eternità, e quando la ragazza ritirò la mano, imbarazzata, il brivido li abbandonò entrambi, lasciando loro una vaga sensazione di perdita ed insoddisfazione. 

Abbassarono gli occhi sul pavimento, Satine a contare le stringhe dei suoi scarponi che male si abbinavano all’abito bianco, ed Obi Wan perso nelle pieghe dei suoi stivali di pelle.

Quando il maestro venne ad esortarli di nuovo, li trovò con gli zaini in spalla, pronti per partire e tesi come corde di violino, mentre una vibrazione nella Forza che Qui Gon conosceva bene risuonava come musica.

Uscirono di casa e si incamminarono nell’alba, in quel prato fiorito bagnato e fangoso, lasciandosi alle spalle il macello della notte precedente. Il maestro, tuttavia, cominciava a farsi molte domande che non trovavano ancora una risposta.

Con quelle visioni, la Forza aveva voluto condurre Obi Wan su Mandalore, e molto probabilmente dalla duchessa. Il motivo, gli restava ancora oscuro. Certo era che, forse, quella sarebbe stata la prova più grande che il ragazzo avesse mai affrontato fino a quel momento, soprattutto alla luce delle ultime circostanze.

Qui Gon, dentro di sé, si chiese se Obi Wan avrebbe capito che quel sentimento che si animava dentro al suo cuore era amore, e se lo avrebbe fatto in tempo, al contrario di quanto era accaduto tra lui e Tahl. Inoltre, si chiese che cosa avrebbe fatto, una volta realizzata quell’amara verità e il contrasto che questa avrebbe suscitato con il Codice Jedi e le regole ferree imposte dal Consiglio.

Il suo ragazzo, così diligente.

Tuttavia, si permise anche di sorridere un po’ mentre guardava i due giovani camminare a testa basta nella frescura mattutina, e si disse che avrebbe comunque avuto tutto il tempo per pensarci su. 

Intanto, si sarebbe divertito a cronometrare quanto tempo ci avrebbero messo prima di accorgersi che erano ormai passati a darsi del tu. 

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Haar’chak!: impropero, lett. dannazione.

Di’kut!: altro impropero, lett. scemo, o tonto se si vuole usare una versione più soft

 

 

NOTE: Eccomi qua. Sotto l’albero, un doppio capitolo. 

Vi ricordate quando ne La minaccia fantasma Obi Wan ha fatto ironia sul fatto che stesse facendo la guardia al guardaroba di Padme Amidala? 

Ecco, con Satine il problema non si è mai posto. 

Starlight è ispirato a LaLa Land. Ho voluto modificare un poco la caratterizzazione dei personaggi per adattare meglio la storia alle circostanze, in particolare a Satine ed Obi Wan. La storia del film, in verità, c’entra poco o niente. L’elemento motore del capitolo è stata fondamentalmente la mia passione per un certo valzer danzato al planetario. Chiunque vorrebbe danzare su una nebulosa. 

O forse sono io, che sono troppo nerd.

Il procedimento del sapone con la soda caustica - o senza - si può trovare tranquillamente online.

Buonsenso vuole, tuttavia, che se vi dovesse venire in mente di fare il sapone in casa, lo facciate con a fianco un esperto e rispettando tutti i passaggi. 

Quanto fa la protagonista. Non. Deve. Essere. Imitato.

Il Mito delle Due Metà invece è una manipolazione del mito dell’androgino di Platone, contenuto nel Simposio.

 

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Capitolo 30
*** 26- Solus ***


CAPITOLO 26

Solus

 

- Etciù!-

- Obi Wan, ne fai tre al colpo!-

Ed oltre al naso, gocciolavano pure gli occhi, ammorbidendo il cerotto sotto la palpebra.

Stavano camminando da ore ormai, e le cupole vitree di Solus si vedevano in lontananza. 

Non c’era stata traccia degli spettri dopo la schermaglia che avevano avuto la sera prima. Probabilmente erano intenti a leccarsi le ferite. 

Il loro incedere era stato dunque tranquillo, interrotto solo da una breve pausa per mettere qualcosa sotto i denti e dai continui starnuti del giovane padawan.

L’ambiente era molto bello. La prateria quasi brulla in cui avevano vissuto per quattro giorni aveva lasciato posto ad una vegetazione più rigogliosa, mano a mano che il confine con il deserto si allontanava. Il clima era mite ed umido, forse troppo per via delle piogge torrenziali dei giorni precedenti, ma l’erba era verde e soffice, appena scivolosa, e ricca di erbe e fiori odorosi.

Forse, il problema di Obi Wan era proprio quello.

Aveva cominciato a starnutire non appena avevano messo piede in uno spettacolare campo di fiori blu come il cielo terso di quel giorno. Sulle prime, nessuno vi aveva dato troppo peso, ma ben presto gli starnuti erano diventati insistenti, poi praticamente ininterrotti, e il ragazzo ne faceva tre o quattro di fila, salvo poi riprendere ad intervalli regolari di cinque, dieci minuti di distanza. 

- Credo che sia allergico alle Vercopa tome’tayl.-

- Le memorie di che?-

- I fiori. Si chiamano Memoria dei Sogni.-

- Etciù!-

Le cose andarono meglio quando abbandonarono la landa di fiori e la pianura tornò a farsi brulla. Ormai, Solus era poco distante e potevano distinguerne le bellissime mura sormontate da cupole azzurrognole ed intelaiature di puro beskar. 

Obi Wan smise di starnutire, anche se il naso colava e gli occhi lacrimavano, e Satine fu costretta a fermarsi per fissargli nuovamente la fasciatura sotto l’occhio.

- Se continui a piangere in questa maniera dovrò incollarti la garza!-

- Non posso farci niente.- borbottò, il naso otturato dal muco che faceva suonare strane le dentali. 

- Forse nel kit del pronto soccorso c’è dell’antistaminico. Maestro Qui Gon?-

- Probabilmente, ma non abbiamo molti farmaci con noi, quindi è meglio aspettare. Se passa da sé, meglio. Preferisco conservare quello che abbiamo per situazioni più serie.-

Satine annuì e diede una compassionevole pacca sulla spalla al giovane padawan, che ricambiò con uno sguardo acquoso ed infastidito mentre tirava su impietosamente con il naso.

Solus si stagliava sopra di loro in tutto il suo splendore. Fuori dalle mura pietrose, dello stesso colore della sabbia del deserto, si ammucchiavano carri e commercianti carichi di merci, che si accingevano ad entrare in città con la mercanzia. I tre si mescolarono alla folla, provando a fingersi meno stranieri possibile. 

- La tua treccia potrebbe tradirti, Obi Wan.- gli disse la duchessa, dondolando la testa.- Non ci avevo pensato. Non c’è proprio modo di toglierla?-

Il ragazzo strabuzzò gli occhi e scosse la testa, convinto. 

Satine non replicò ed il terzetto finalmente entrò in città.

Per quello che avevano visto fino a quel momento, non avrebbero mai potuto immaginare che fosse una città così bella, e soprattutto viva. Sembrava un formicaio. La gente entrava ed usciva dalle porte, dai vicoli, spuntava dalle finestre e si riversava nel grande mercato subito alle porte della città.

La pianta della cittadella era piuttosto semplice e Solus non era un posto grande. La parte antistante la porta era un nugolo di vicoli e bancarelle, piene di oggetti per turisti. Più avanti, con una pianta stradale a croce, i banchi si trasformavano i grossi tendoni rettangolari pieni di ogni ben della Forza: frutta e verdura, carne, spezie, capi d’abbigliamento, ma anche pelli, legname, pentole varie e materiale metallico. Dietro di essa, la grossa struttura a cupola del Palazzo Comunale, dove il rappresentante della città svolgeva le sue mansioni amministrative. Le cupole più piccole che si sollevavano dietro di esso erano rispettivamente la dogana e lo spazioporto. 

Obi Wan notò che il vetro doveva essere stato ricavato dalla stessa sabbia del deserto che Satine aveva usato per fare le finestre, perché aveva la stessa sfumatura violacea. Gli edifici, inoltre, erano decorati e collegati tra loro con lunghi drappi di tessuto blu intenso, come le Memorie dei Sogni. 

Satine aveva visto Solus soltanto di sfuggita da bambina, quando era andata su Draboon per addestrarsi alla guerra con suo padre. Le era sempre piaciuta, ma non aveva mai avuto modo di tornarci. Andava poi detto che, a parte le attività commerciali, non c’era un granché. Non c’era storia né cultura, solamente fiorenti traffici e quel poco di tradizione che aveva era strettamente legata ad esso. 

I Jedi sembravano affascinati tanto quanto lo era stata lei quando aveva visto la città per la prima volta. Tuttavia, il senno delle loro menti vedeva già molto più in là.

- Nascondersi nella folla è comodo, ma come possiamo farlo noi, potrebbero farlo anche i cacciatori di taglie. Tenete gli occhi aperti, ragazzi, è di vitale importanza essere costantemente vigili. Andate a fare rifornimento di viveri.- disse il maestro, allungando un sacchetto di crediti ad Obi Wan.- Non ne posso più di cinghiale. Io, nel frattempo, vedo che cosa posso fare per trovare una navicella a basso costo.-

Obi Wan annuì e chiese se poteva fare incetta anche di medicine e farmaci da banco.

- Ottima idea, ragazzo.- 

Il padawan cercò di ignorare l’occhiata divertita che il suo maestro aveva lanciato al suo naso gocciolante e poi, con un cenno del capo, invitò Satine a seguirlo. 

Si mescolarono nella calca, i loro abiti che si confondevano perfettamente con quelli degli abitanti. Satine lo guidò nei dintorni, conducendolo senza troppe cerimonie al mercato interno, dove avrebbero trovato quello che sarebbe servito loro per partire. 

Si fermarono per calmare il respiro dopo la camminata spedita che avevano fatto e rimasero a guardare il banco di un mercante di tappeti. Aveva oggetti meravigliosi, esotici, rifiniti e ricamati in oro e leggere tonalità di blu violetto che ricordavano molto i colori della cittadina. 

- Come farà il maestro a trovarci?-

- Ci sentirà nella Forza. Verrà lui quando sarà il momento. Per noi è pericoloso andare allo spazioporto, dove i cacciatori potrebbero attenderti.-

Satine annuì, ed in quel momento un pensiero le attraversò la mente, fulmineo. Alzò gli occhi dalla bancarella, sgranando le iridi azzurre, e fissò il volto del giovane padawan.

Anche Obi Wan sembrava aver avuto lo stesso pensiero, ed aveva mollato di botto l’angolo del tappeto che stava studiando per piantare gli occhi sul volto stupito della duchessa con aria altrettanto stravolta, se non comica, data la goccia che scendeva giù dall’occhio sinistro. 

- Oh, perbacco.-

- Sono desolato, io non…-

- A dire il vero, direi che era quasi l’ora, Obi Wan.- fece la ragazza, facendo spallucce.- Non sappiamo per quanto resteremo in fuga assieme, giusto? Meglio abituarsi alla confidenza.-

- Sì, sono d’accordo.-

Dentro di sé, però, Obi Wan si stava dando dell’imbecille per non essersi accorto di aver cominciato a dare del tu alla duchessa di Mandalore così, dal nulla.

Non poteva sapere che Satine stava pensando la stessa cosa di se stessa.

Passarono di banco in banco, osservando le merci esposte, sempre l’uno al fianco dell’altra. 

Acquistarono un paio di ceste e se le sistemarono sulle spalle. Avrebbero aggiunto un peso considerevole sulle loro schiene, ma per un periodo limitato poteva anche essere sopportabile. Con grande stupore del ragazzo, Satine non fece una piega né si lamentò per il cambiamento. 

Obi Wan girò al suo fianco attorno alle bancarelle, fermandosi qua e là per acquistare della frutta ed altri viveri, e a volte per indicarle oggetti d’artigianato e chiedergliene l’origine. 

- Questo che cos’è?- chiese Obi Wan, fermandosi a fissare un banco pieno di oggetti in vetro.

- Vetro di Qibal, la città in cui sono nata. Sono mastri vetrai da secoli e le loro produzioni sono tra le più raffinate della galassia. Sono maestri per quanto riguarda soprattutto la gioielleria.-

In effetti, il padawan dovette ammettere che si trattava dei gioielli più spettacolari che avesse mai visto. Forse non erano raffinati ed esteticamente belli come le creazioni di Aldeeran, tuttavia erano unici e sembravano brillare di luce propria, catturare i raggi del sole e rifletterli. Pensò che sarebbe stato bello poter vedere Satine indossare quei gioielli, lei che era Mando in ogni sua cellula, per capire che effetto facevano sul suo viso.

Scosse il capo e provò a pensare ad altro.

La cena. Niente cinghiale, ricordatelo.

I due proseguirono il giro tra i colori caldi di Solus. Tendaggi blu, rossi, gialli. Un banco vicino a loro emanava un buon profumo di dolci e Satine lo convinse a sedersi ad una delle panche che il proprietario aveva allestito sotto il tendone. 

Prima, però, Obi Wan la osservò allontanarsi e dirigersi verso una bancarella piena zeppa di oggetti femminili. La seguì da lontano con lo sguardo, lasciandole la privacy che si meritava. Satine lanciò uno sguardo indietro, incrociò gli occhi del padawan e lo ringraziò con un sorriso delicato. 

Quando gli fu di nuovo a fianco, la duchessa aveva l’aria di chi si era tolto un peso dal cuore, e gli disse allegramente:

- E’ quasi ora di pranzo e, non so te, ma io ho fame!-

La ragazza ordinò al posto suo, dal momento che Obi Wan non aveva la più pallida idea di che cosa prendere. La duchessa gli spiegò che la cucina di Mandalore era solitamente molto, molto speziata, e che per il suo palato poteva essere particolarmente forte, se non fastidiosa. Così, scelse un mix di pietanze più o meno speziate, da cui potevano attingere entrambi senza necessariamente passare per stranieri. Obi Wan si fece indicare quelle meno forti che avrebbe potuto mangiare senza morire e Satine gliele indicò, mentre lei intingeva il proprio cibo in una salsa dal colore rossastro che sembrava prendere fuoco soltanto a guardarla.

- Vuoi provare?- gli disse, giocando.- Chissà che non riesca a liberarti il naso!-

Un certo senso di dignità, Obi Wan ce lo aveva ancora, e si risvegliò quando ebbe la terribile sensazione che lei lo avesse preso per una specie di smidollato.

- Per un po’ di peperoncino, che sarà mai!

Così, prese quella che sembrava una banalissima crocchetta di verdure e la inzuppò nella salsa, guardandola con aria di sfida. Se la mise in bocca e masticò con nonchalance.

Poi, prese fuoco.

Cominciò a piangere come un bambino, forse in una reazione incrociata tra l’allergia e il piccante della crocchetta, e fu seriamente tentato di sputare il boccone. Satine scoppiò a ridere di gusto, battendo i piedi per terra e una mano sulla panca, come se stesse assistendo alla scena più divertente del pianeta. 

Il padawan avrebbe tanto voluto obiettare, punto sul vivo per stare perdendo quel famoso senso di dignità in un modo del tutto indecoroso, e si costrinse a deglutire quel boccone infernale.

- Ma come fate a mangiare questa roba?- disse, tossendo e sputacchiando pezzetti di verdura senza ritegno.- Non è cibo, è veleno!-

- Esagerato.- rispose Satine, asciugandosi le lacrime dagli occhi con una mano e versandogli l’acqua con l’altra.- Con il tempo ci si abitua. Il cibo di Kalevala è più moderato e sinceramente l’ho sempre trovato più gustoso di questo. Si sentono tutti i sapori, non solo il piccante. Poi passi un paio di anni a Keldabe e ti dimentichi che sapore abbia il pane senza pepe!-

Il ragazzo si sbrodolò con l’acqua e si pulì la bocca con la manica senza troppe cerimonie.

- Credo che eviterò la salsa, d’ora in avanti. Avrò il bruciore di stomaco per tutto il giorno!-

- Sai, sei come un bambino. Piagnucoli e basta. K’atini!-

- Eh?-

- K’atini vuol dire qualcosa come trattieniti, letteralmente significa che è soltanto un po’ di dolore!-

- Soltanto? Forza, voi Mando siete proprio fuori di zucca.-

Il volto della ragazza si addolcì, mentre gli passava un tovagliolo di carta per pulirsi la bocca in modo adeguato ed asciugarsi gli occhi. Pensò di essere stata crudele a ridere di lui così, ma in fondo era una cosa che succedeva sempre a tutti gli stranieri che entravano nel sistema di Mandalore ed avevano la sfortuna di sedersi a tavola con loro, ignari. 

Stese una mano verso di lui e gli lasciò pacche confidenziali sull’avambraccio, cercando di fargli capire che non l’aveva preso in giro.

- Dammi retta, non provare a vincere il tuo stomaco ed ascolta il tuo orgoglio. Non mangiare ancora questa roba e torna a rosicchiare le crocchette, prima che tu ti senta male. Ho visto scene poco decorose da parte di diversi commensali, stranieri e non. Da’ tempo al tuo stomaco di abituarsi al piccante.-

Obi Wan non se lo fece ripetere due volte e tornò a mangiucchiare le polpette con rinnovato gusto, quando un dettaglio attirò la sua attenzione.

Alle spalle di Satine c’era uno losco figuro vestito di nero che non sembrava avere niente a che fare con l’ambiente circostante. 

- Che cosa…-

- Resta ferma.-

- Perché?-

- Copri la mia faccia. Resta ferma, sto cercando di capire se siamo in pericolo o meno.-

Satine obbedì e finse di mangiare come se la cosa non la interessasse minimamente. In verità, un brutto nodo le aveva stretto lo stomaco e non aveva improvvisamente più voglia di ingurgitare alcunché.

Obi Wan, pretendendo di fare finta di nulla, aveva concentrato il suo sguardo sul trandoshano che adesso stava mangiucchiando una zuppa di carne con aria poco compiaciuta in un tavolo opposto a loro. Era armato, ed anche parecchio. La gente del posto tendeva ad evitarlo e lui se ne stava seduto da solo al tavolo. 

- Obi Wan?- chiese la ragazza, gli occhi che ormai avevano perso la loro luce spensierata.

- C’è un trandoshano sospetto, preferirei cambiare aria prima di finire male.-

Satine chiamò il cuoco e si fece portare una scatola di cartone in cui incartare gli avanzi del loro cibo. Gli fece capire che buttare via il cibo su Mandalore era sacrilegio e Obi Wan non si disse contrario. 

Una scatola in più o in meno nelle loro ceste non avrebbe di sicuro cambiato niente.

Poi, rapidi e quatti, sgusciarono via dalla tenda e dal ristorante improvvisato. 

Quando furono lontani, il ragazzo prese per mano la duchessa e la condusse in un crocicchio di strade, in cui svoltò dietro un angolo e rimase fermo a controllare di non essere stato seguito.

- Ci stanno addosso?-

- Non preoccuparti, magari non è niente, ma i trandoshani hanno una certa fama e preferisco evitare inconvenienti spiacevoli.-

La ragazza sogghignò, provando a trovare il bicchiere mezzo pieno.

- Sai, indipendentemente dal fatto che tu abbia ragione o meno, in altre circostanze meno spaventose ti avrei accusato di essere razzista.-

Obi Wan alzò gli occhi al cielo.

- Non posso andare da lui a chiedergli se è uno dei cacciatori venuti a farti la festa, e considerato che, come molti altri popoli, i trandoshani sguazzano in questo genere di cose, quando uno di loro gira armato come una corazzata il dubbio mi viene.-

Satine ammiccò, convinta, e lasciò che il ragazzo le drappeggiasse attorno alla testa una sciarpa rossa.

- E quella da dove l’hai presa?-

- Diciamo che l’ho presa in prestito.-

- L’hai rubata?-

- Andiamo di fretta, Satine, non abbiamo tempo per pagare!-

La ragazza, anche se contrariata, non protestò, in particolare quando Obi Wan scartò improvvisamente dietro l’angolo e la schiacciò contro il muro con il suo corpo. 

Non è il momento di pensare a certe cose. Se lo ha fatto è perché sei in pericolo.

- Che succede?-

- C’è qualcuno.-

In effetti si udivano dei passi pesanti e poco rassicuranti incedere sul selciato pietroso. Satine tese le orecchie, nella speranza di riconoscere un qualche suono, possibilmente indicante gli stivali rigidi di Qui Gon.

Invece, sentì solo quello che sembrava il distintivo clangore del beskar.

- Che cos’è?- sussurrò all’orecchio del padawan, pericolosamente vicino alle sue labbra.

- Una donna in beskar dalla testa ai piedi. Armatura scura, grigio ferro, con uno strano simbolo sulla spalla sinistra.-

- Invece, sul petto? Ha disegnato qualcosa?-

- Una specie di tridente bianco.-

Satine sbiancò.

Che avrebbero prima o poi incontrato qualcuno, tra il colpo di stato di Larse Vizla e i guerrieri al suo soldo sparsi dovunque, era abbastanza ovvio.

Aveva sperato, però, di essere abbastanza fortunata da risparmiarsi la Ronda della Morte.

Evidentemente, la fortuna non era del tutto dalla sua parte.

- Ronda.-

- Come?-

- Ronda della Morte. Quelli che mi hanno assaltato alla Fortezza delle Cascate.-

L’espressione sul viso di Obi Wan non pareva molto rassicurante e, lanciato un ultimo sguardo in direzione della donna soldato, afferrò Satine per il braccio e le intimò di proseguire in direzione opposta.

- Pensi che siano loro?-

- Sul trandoshano non sono sicuro, ma questa qua sicuramente non è qui per caso. Dobbiamo filare, e possibilmente avvertire Qui Gon di lasciare perdere qualsiasi cosa stia facendo e svignarcela da qui!-

Satine gli trotterellò dietro, l’abito bianco che svolazzava nel vento caldo e il foulard rosso che le copriva il capo, la mano intrecciata a quella del ragazzo e i cesti ben saldi nelle dita libere. 

Obi Wan la fece svoltare di nuovo, poi ancora ed ancora, fino a che non giunsero in una piazza affollata dove un mercante cercava di vendere del bestiame e degli animali da soma. 

I due ragazzi si guardarono attorno, giusto per scorgere un’altra armatura di beskar sparire dietro l’angolo in cui doveva ancora trovarsi la donna. 

Sì, decisamente erano lì per lei. 

- Ci hanno trovati. La pioggia e il ritardo deve aver dato loro il tempo di trovare la navicella e trarre le relative conclusioni.- 

- Che facciamo adesso?-

- Ce ne andiamo da qui il prima possibile.-

I due ragazzi attraversarono la piazzetta, tra eopie e susulurse, e sgusciarono di nuovo nel nugolo di bancarelle colorate, tappeti, tessuti e generi alimentari.

Nessuno sembrava badare eccessivamente a loro. Satine era circospetta e si guardava spesso attorno. Il suo passo era leggermente accelerato rispetto a quello tranquillo e pacato di Obi Wan, che dovette spingerla indietro, al suo fianco, più di una volta.

- Se dai a vedere che sei nervosa, prima o poi ti troveranno.- le sussurrò, passandole un braccio nell’incavo del gomito e tenendola stretta a sé. - Dobbiamo cercare di arrivare allo spazioporto senza dare nell’occhio. Ho bisogno che tu stia calma.-

Bella, quella. Satine si sentiva una bomba porta ad esplodere. Aveva la più pallida idea, lui, di quello che aveva visto? Di che cosa provava anche solo all’idea di incrociare nuovamente uno di quei mascalzoni della Ronda?

Tuttavia, lui era lì per proteggerla e lo stava facendo bene. 

Doveva fidarsi.

Di domande ne aveva tante. Il padawan sembrava sapere esattamente dove andare ed avere gli eventi perfettamente sotto controllo. Si chiese se fosse la Forza a dargli quella sicurezza oppure se si trattasse semplicemente di abitudine ad affrontare il pericolo. In ogni caso, era affascinata dalla sicurtà che emanava e provò ad adattarsi. 

Acquisì un’andatura più sicura e lo seguì senza protestare né fare domande, una svolta dopo l’altra, in direzione di quello che sembrava lo spazioporto. 

Ad un tratto, lo vide rallentare fin quasi a fermarsi, e sollevò il capo, come se annusasse l’aria.

- Qualcosa non va?-

- Sento Qui Gon. E’ vicino. L’ho avvisato del pericolo.-

Satine annuì e i due ragazzi stavano quasi per rimettersi in cammino quando una voce li distrasse.

- Ehi, voi due, fermi là!-

Satine provò a guardarsi indietro, ma il padawan la spinse avanti.

- Non voltarti. Semmai, mi volto io.-

- Voi! Vi ho detto di fermarvi!-

Obi Wan voltò il capo e si trovò di fronte ad uno zygerriano fulvo e tigrato dall’aria poco amichevole, armato di fucile e di quella che sembrava una cintura esplosiva.

Prima un trandoshano, poi due terroristi Mando ed adesso uno zygerriano.

Ci si erano messi d’impegno!

- Dite a me, buon uomo?- fece il ragazzo, il ritratto dell’innocenza.

- Stiamo cercando la traditrice ex reggente di Mandalore, Satine Kryze. Sappiamo che è qua. L’avete vista?-

- Non saprei, questo mercato è sempre molto affollato, ma se dovessi vederla potete stare certo che vi informerò.-

E detto questo, chinò il capo e passò di nuovo il braccio sotto quello di Satine per portarla via.

Lo zygerriano, però, da buon cacciatore di taglie schiavista, mangiò la foglia.

- Dove andate così di corsa? La signorina non ha visto niente?-

- Mia sorella ha visto quello che ho visto io.-

- Davvero?- e con uno strattone violento tolse il velo dal capo di Satine, esponendo le sue onde dorate al sole del deserto.

Ci fu un attimo di consapevolezza, in cui le pupille verticali dello zygerriano si contrassero di fronte al viso della duchessa, che divenne color cera e sembrava già condannata all’oblio perpetuo.

Era fuori discussione che i cacciatori uccidessero Obi Wan. Non lo avrebbe mai permesso. Satine, come aveva già programmato da tempo, si sarebbe consegnata ed avrebbe lasciato liberi i Jedi, contro ogni buon senso. Prima di essere una donna in politica, era un essere senziente dotato di compassione e non avrebbe mai permesso che qualcun altro morisse per causa sua. 

Non avrebbe potuto convivere con la sua coscienza negli anni a venire, se si fosse trovata a vivere di nuovo un evento come il massacro della Fortezza.

Tutto ciò avvenne in una frazione di secondo, il tempo di uno sguardo scambiato con Obi Wan e di fare un piccolo passo avanti, mentre lo zygerriano metteva una mano sulla canna del fucile.

Il padawan, però, fu più veloce.

- Aspettate, sicuramente possiamo discuterne.-

- Togliti dai piedi, ragazzino.-

Obi Wan però aveva approfittato di quel piccolo scambio per fare un passo avanti e frapporsi, seppur di sbieco, tra Satine e lo zygerriano, catturando la sua attenzione.

Quando gli occhi del cacciatore incrociarono le sue iridi grigioverdi, Obi Wan mosse tre dita e scandì bene le parole.

- Noi non siamo le persone che state cercando.- 

Satine avrebbe tanto voluto mettersi ad urlare. 

Che accidenti stava facendo quell’idiota?

Di’kut!

Con sua grande sorpresa, però, lo zygerriano abbassò il fucile e intrecciò definitivamente lo sguardo di Obi Wan.

- Voi non siete le persone che stiamo cercando.-

- Non possiamo fare nulla per voi.-

- Non potete fare niente per noi.-

- Possiamo andare.-

- Potete andare.-

Satine, a bocca aperta, lasciò che Obi Wan la trascinasse via, prima che lo zygerriano venisse a più miti consigli. Solo quando ebbero messo un po’ di distanza tra loro e il cacciatore, il ragazzo si voltò di nuovo:

- Ed abbandona la tua arma!-

- Ed abbandono la mia arma.-

Con un sonoro clang, il fucile cadde a terra per non essere più ripreso, mentre il cacciatore di taglie se ne andava in direzione dello spazioporto.

Satine era strabiliata.

- Che cos’hai fatto?-

- Trucco mentale. Manipolazione. Per favore, non ti arrabbiare, non è il momento per una filippica sul libero arbitrio!-

I due furono costretti a tornare indietro, anche se attraverso un percorso diverso da quello che avevano intrapreso all’andata. Dovevano seminare lo zygerriano e gli altri, ed arrivare allo spazioporto prima che l’effetto del trucco svanisse e conducesse i cacciatori di taglie nuovamente sulle loro tracce. 

Si trovarono di nuovo nella piazzetta, dove il mercante continuava a vendere i suoi animali o almeno ci provava. Obi Wan si guardò intorno, concentrandosi sulla Forza per poter percepire il pericolo, ma non trovò niente, se non una leggera tensione che confermava il fatto che qualcuno, dovunque fosse, li stava cercando, ed anche intensamente. 

- Ho un’idea.-

Il ragazzo lanciò uno sguardo a Satine, che nascondeva il viso di nuovo dietro al velo rosso. 

Soltanto gli occhi blu brillavano dalla fessura sotto l’organza.

- Susulurse.- 

Obi Wan capì al volo. Afferrò il pacchetto di crediti che aveva a disposizione e si lanciò alla conquista degli ultimi due esemplari rimasti di quella specie di asino dalle orecchie larghe.

Con qualche abile - ehm - manovra, riuscì a pagare un solo animale, sotto lo sguardo contrito della duchessa, che sapeva di non poter fare nient’altro senza restare con le tasche completamente vuote per il resto della loro missione. Afferrata la cavezza, Obi Wan condusse gli animali lontano dalla calca e i due ragazzi caricarono le loro ceste, conducendo poi i due asinelli lungo le strade e i vicoli di Solus senza alzare il capo dal pavimento.

Dovevano raggiungere lo spazioporto per incrociare Qui Gon, o individuare un posto sicuro per il loro rendez-vous. Era chiaro che dovevano cambiare percorso, ed i susulurse sarebbero serviti proprio a questo. In caso di passaggio esterno, le bestie sarebbero state in grado di trottare sulla sabbia mentre loro, appiedati e stracarichi di oggetti, avrebbero arrancato fino a soccombere sotto i colpi dei cacciatori di taglie. 

La sorpresa sopraggiunse quando, mentre sgusciavano a testa bassa dentro i vicoli della cittadella, incrociarono l’uomo in beskar'gam, che sembrava avere un diavolo per capello, intento a strigliare lo zygerriano.

- Ma dico, sei scemo?-

- Ma non erano le persone che stavamo cercando!-

- Era bionda con gli occhi blu e il tuo tracciatore l’aveva identificata!-

- Ma forse non lo era prima, ma adesso lo è!-

- Chi?-

- La persona che stiamo cercando!-

Il terrorista si batte un pugno sull’elmo per la disperazione, ed Obi Wan e Satine ne approfittarono per sfrecciare via alla massima velocità consentita dalle gambette dei susulurse, che però non gradirono il cambio di andatura e protestarono con un paio di sonori hiiiii-huuuuuoooo. 

- Che cosa è stato?-

Ma i due ragazzi non avevano di certo atteso che i cacciatori si rendessero conto della loro presenza. Quando il Mando svoltò l’angolo, ormai nel vicolo non c’era più nessuno.

Obi Wan, tuttavia, non era tranquillo. Se avevano dei tracciatori, Satine non sarebbe stata al sicuro da nessuna parte, nemmeno fuori dal sistema di Mandalore. 

Il fatto che il trandoshano e lo zygerriano fossero arrivati così vicini a loro, forse era un segnale che ormai non avevano più molto tempo. Prima o poi, li avrebbero individuati nella calca, soprattutto adesso che lo schiavista pareva riprendere la memoria. 

Così, invece che tornare allo spazioporto dalla via maestra, Obi Wan fece uscire Satine da una porta laterale insieme ad una carovana di Aki - Aki, provando a mescolarsi con i loro colori. 

Il loro travestimento funzionò. 

Satine ed Obi Wan percorsero la via maestra laterale, una rotta antica che attraversava il deserto e che gli Aki - Aki parevano conoscere bene. Il ragazzo appuntò mentalmente di chiedere alla duchessa come mai quella specie, di solito non molto tecnologica e particolarmente sedentaria, scambiasse merci così proficuamente con Solus, ma una navicella lo distrasse. L’abitacolo era piuttosto piccolo, ma volava in cerchio sopra il deserto, come se stesse aspettando qualcuno.

Obi Wan chiuse gli occhi e cercò nella Forza la presenza del suo maestro, e lo trovò su quella navicella scalcinata che doveva aver recuperato per pochi crediti allo spazioporto, forse abbandonata e rimaneggiata.

Qui Gon.

Il loro legame nella Forza si attivò di nuovo e con uno strattone condusse il suo susulur nel deserto, seguito da Satine, che gli teneva fedelmente dietro. 

Almeno fino a che un colpo di blaster finito nella sabbia non catturò la sua attenzione. 

Satine voleva urlare, ma la voce le morì in gola, come se fosse occlusa. Incamerava aria, ma non riusciva a tirarla fuori, se non espirando pesantemente. Le corde vocali sembravano di legno ed in bocca sentì un brutto sapore amaro.

- Sali!-

Obbedì senza nemmeno pensarci troppo, e salì al volo sopra il suo susulur mentre Obi Wan la seguiva a ruota. Non era lucida, tuttavia, così il ragazzo fu costretto a tirare l’asino per la cavezza per farlo correre, con Satine che si reggeva come meglio poteva al collo dell’animale.

Altri colpi di blaster arrivarono a pioggia verso di loro mentre sfrecciavano a tutta birra, con sonori hiiiii-huuuuuoooo, tra le curve e le cunette del deserto.

Obi Wan estrasse la spada laser e senza troppo sforzo defletté alcuni colpi, rispedendoli al mittente.

Non fu sufficiente.

Fin da quando erano partiti, i due Jedi si erano fatti un’idea del pericolo che avrebbero dovuto affrontare. 

Se i cacciatori fossero stati tutti Mando, sarebbero arrivati da tutte le parti, volando con i loro jet pack. 

Una minaccia da non sottovalutare.

Se invece - anche se ne avevano dubitato - i cacciatori fossero stati stranieri, mercenari assoldati dal miglior offerente, c’erano una vasta gamma di armi che avrebbero potuto fronteggiare, ma, forse, nulla di così pericoloso come un Mando con un jet pack.

In questo caso, non soltanto avevano ben due Mando armati di razzi, ma addirittura uno zygerriano armato di frusta al plasma e cintura esplosiva e un trandoshano a bordo di quello che sembrava uno speeder cingolato. 

Di bene in meglio.

Come se non bastasse, un forte rumore, una vibrazione sotterranea li fece voltare di scatto verso Solus, giusto in tempo per vedere una grossa barriera metallica sollevarsi dalle mura e chiudersi a cupola sopra le architetture della cittadella, isolandola da ogni possibile attacco esterno.

Però, organizzati.

In questo modo, purtroppo, nessuno sarebbe potuto tornare indietro, limitando le loro opzioni di difesa, e la cosa infastidiva non poco il padawan.

Il trandoshano verdognolo ingranò la marcia successiva e lo speeder sfrecciò, sputando sabbia da sotto i cingoli e minacciando di raggiungere di gran carriera i loro poveri susulurse, che sembravano già stufi di correre e di supportare tutto quel peso. Obi Wan si lanciò in avanti, scattando, e con un colpo preciso della spada laser diresse uno dei colpi sparati dal Mando dritto dritto nel motore del veicolo, che si ribaltò ed esplose, trascinando con sé il rettile.

Lo zygerriano era quello più indietro di tutti e anche quello peggio armato, forse ancora confuso dal trucco mentale del ragazzo. Non lo preoccupava più di tanto, al contrario dei due Mando, che invece erano un problema serio.   

Si vedeva che erano addestrati a combattere e che sapevano coordinarsi alla perfezione, forse perché si erano allenati insieme per molto, moltissimo tempo.

Se Satine avesse avuto il tempo di pensare, si sarebbe chiesta da quanto tempo la preparazione della Ronda della Morte andava avanti, e si sarebbe fatta delle domande conseguenti.

Ci avrebbe pensato più tardi.

Ben presto i due li circondarono. Obi Wan defletté diligentemente i colpi di blaster ed ebbe il suo bel daffare a liberarsi di insidiose piccole armi sparate da uno dei bracciali dell’uomo, sospeso in volo sopra di loro. 

La donna, invece, sembrava avercela particolarmente con Satine. In altre circostanze, Obi Wan avrebbe fatto una battuta sul fatto che le donne tra di loro si comportano come veri e propri serpenti, ma non c’era tempo per l’ironia amara. Questa donna in particolare sembrava incallita e pareva voler dare del filo da torcere alla ragazza, che faceva di tutto per liberarsene. La duchessa aveva già fatto sterzare il susulur più di una volta a destra e a sinistra, e poi di nuovo, ma non era stato sufficiente. Il jet pack della Mando funzionava a dovere, e contro di esso Satine non aveva possibilità. Obi Wan aveva fatto il possibile per proteggerla, ma con quei due che attaccavano in sincronia non c’era assolutamente nulla di più che potesse fare, almeno non da solo.

Infine, la cacciatrice afferrò Satine per il collo e la sollevò dalla schiena dell’asino, sotto gli occhi disperati del padawan.

Obi Wan si lanciò in avanti, lo sguardo fisso sull’abito bianco sporco di sabbia e sul velo rosso che volava nel vento, sui capelli biondi scompigliati e sulle mani forti che artigliavano l’armatura di beskar, ma per quanto provasse a raggiungerla, il cacciatore gli aveva già tagliato la strada. Tese il braccio in avanti e gettò fuoco fuori dai bracciali, distraendo il ragazzo e costringendolo a scartare a sinistra. Dietro alle fiamme e alla luce blu della sua spada laser, il padawan potè scorgere la duchessa che si divincolava, sospesa nel vuoto con il braccio della cacciatrice attorno al collo.

Stava giusto pensando di intervenire sul jet pack della donna con la spada laser quando accadde qualcosa di inaspettato.

O meglio, di inaspettato per i cacciatori di taglie. Non capita infatti tutti i giorni di vedere una duchessa mandaloriana pacifista usare con simile perizia una lancia di puro beskar, per non parlare poi del fatto che suddetta lancia sembrava spuntare fuori dal nulla.

Contando sull’effetto sorpresa, Satine aveva estratto dalla cintura il suo pugnale per il quale, senza alcun ritegno, la cacciatrice l’aveva derisa. A quel punto, aveva premuto la valvola, e il meccanismo a molla era scattato, estendendo la lancia in tutto il suo splendore. 

Con precisione millimetrica, Satine conficcò il fondo della lancia alla base dell’elmo, depressurizzandolo e coprendo la visuale della cacciatrice, che istintivamente la lasciò andare.

Mentre era in caduta libera, poi, con un lancio netto danneggiò il reattore del jet pack, mandandola a gambe all’aria nella sabbia del deserto. 

Satine cadde a sua volta nella sabbia con un tonfo sordo, ma questa volta Obi Wan le era accanto assieme ai loro susulurse e impedì la visuale del cacciatore di taglie, costretto a vedersela con la sua lama azzurra.

In quel mentre, poi, un forte vento si era sollevato dal cielo sopra di loro, e il Mando fece giusto in tempo a guardare in alto prima di scartare velocemente per non essere travolto dai colpi dei cannoni e dai motori della navicella spaziale acquistata da Qui Gon.

Ammesso e non concesso che l’avesse acquistata davvero perché, a vederla da vicino, faceva proprio schifo. 

Satine, nel frattempo, aveva sganciato le provviste dal suo asinello, che pareva avere voglia di tutto fuorché di stare lì in mezzo a prendere colpi di blaster. Non appena fu libero, scappò via, in mezzo a sonori hiiiii-huuuuuoooo di protesta, e la duchessa caricò senza troppi complimenti i rifornimenti sul susulur rimasto. 

Obi Wan continuava a deflettere i colpi di blaster dello zygerriano, ultimo della fila ma comunque molto attento e preciso anche senza il suo amato fucile, e notò con la coda dell’occhio il trandoshano che, per quanto zoppo, stava sopraggiungendo a passo di carica.

Qui Gon, però, aveva già aperto il portello, e Satine aveva già messo al sicuro la bestia con il loro carico. Rimase ad attendere i due Jedi in cima alla rampa, appoggiata a quel capolavoro che era la sua lancia di beskar, o almeno vi restò fino a che Obi Wan non le urlò di dirigersi dentro la plancia e di cominciare la manovra evasiva.

Con un ultimo paio di colpi di spada, lui e Qui Gon, in piedi sulla pedana, scansarono gli ultimi colpi di blaster e non appena il portellone si fu richiuso si diressero in plancia ad aiutare la duchessa, che se la stava cavando bene, pur provando a tenere lontano dalla leva del cambio il muso curioso del susulur.

Il cacciatore di taglie Mando fu loro addosso in un battibaleno, e Satine sterzò bruscamente per gettarlo di sotto dall’ala sinistra del velivolo. Quando finalmente gli scudi furono alzati e nessuno riuscì più ad avvicinarsi a loro, Qui Gon premette l’acceleratore e sparirono nel cielo blu, finalmente soli.

Mentre la navicella sfrecciava tra le nubi azzurre dell’atmosfera di Draboon, i tre poterono finalmente guardarsi in viso mentre traevano un sospiro di sollievo.

Satine era quella messa peggio. Non si era fatta male, nonostante l’impatto con il terreno. Avrebbe avuto qualche livido nei giorni successivi ed al massimo sarebbe stata un poco anchilosata, ma tutto sommato stava bene. Era coperta di sabbia dalla testa ai piedi ed i capelli biondi striati di blu erano diventati una nuvola giallognola attorno alla sua testa, annodati e in qualche modo comici. La sciarpa rossa rubata era stracciata in un paio di punti e l’abito bianco era sporco di qualche sostanza che doveva aver assorbito durante il contatto con il beskar della cacciatrice. 

Aveva qualche graffio sul viso, ma niente di grave, mentre la ferita di Obi Wan aveva ripreso a sanguinare e necessitava di una medicazione pulita. I suoi abiti puzzavano un po’ di fumo e le maniche erano bruciacchiate là dove il fuoco del Mando lo aveva colpito.

Qui Gon, dei tre, era quello che sembrava passarsela meglio, se non fosse stato per il fatto che il susulur stava allegramente masticando il fondo della sua casacca rossa. 

- Ragazzi, capisco che vi avevo detto niente cinghiale, ma addirittura un asino vi siete portati!- disse, provando a togliere dalla bocca dell’animale l’orlo della sua giacca, anche se quello non parve gradire e gli mostrò i dentoni sporchi.

- Non è un asino, è un susulur. Hanno un udito sopraffino e fanno un ottimo latte da caglio.-

Come se questo cambiasse il fatto che sta rosicchiando i nostri vestiti!

- Pensate, maestro, che se uno di loro non si fosse saggiamente dato alla macchia ne avremmo avuti due in plancia!-

Qui Gon alzò un sopracciglio, fissando la casacca gocciolante saliva.

Le loro compere, però, erano esatte. Avevano preso quanto serviva loro, niente di più, niente di meno. Il maestro era soddisfatto ed appioppò una grossa mano sulla testa di ciascuno in segno di gratitudine. 

- Devo dire che nonostante le difficoltà siete stati bravi, soprattutto tu, ragazzo mio. Quattro contro uno, non era semplice.-

- Oh, ma anche Satine ha combattuto!- gli disse, ammiccando verso la lancia ancora sguainata.- E non credo nemmeno che se lo aspettassero!-

La duchessa scosse il capo, sconsolata.

- Abbiamo perso l’effetto sorpresa, anche se non ho fatto nient’altro se non liberarmi.-

- E’ già molto. Brava, duchessa. Siete piena di risorse.-

I problemi però erano altri, e i due ragazzi raccontarono al maestro tutto quello che avevano udito. 

- Quindi, ricapitolando, i cacciatori sono quattro: un trandoshano, uno zygerriano e due Mando, un uomo e una donna, che portano i simboli della Ronda della Morte?-

Obi Wan e Satine annuirono come un sol uomo.

Qui Gon, pensieroso, continuava a grattarsi il pizzo e a respingere la testa del susulur, che pareva accanirsi contro la sua casacca. 

- Ed avrebbero dei localizzatori?-

- Parrebbe.-

Ci troveranno presto.

- Temo che dovremo continuare a muoverci, ma, ahimè, dovremo atterrare a breve.-

- Per quale motivo?-

- La navicella ha dei grossi problemi. L’ho presa gratis e l’affare puzzava di truffa lontano un parsec, ma non potevamo permetterci di meglio. Questi di Solus sono dei gran commercianti, sanno vendere delle fregature meravigliose.-

Obi Wan e Satine si lanciarono uno sguardo complice. 

- Abbiamo bisogno di riparazioni e di carburante. Abbiamo giusto il tempo di fare il giro del pianeta. Non riusciremmo a saltare nell’iperspazio e nemmeno a raggiungere un sistema vicino.-

I cacciatori di taglie erano alle loro calcagna e lo sarebbero stati ancora per un bel po’. Considerato quanto Larse Vizla volesse Satine, era anche logico pensare che i tracciatori in loro dotazione fossero di ultima generazione e quindi capaci di identificare qualunque tipo di traccia biologica, incluse quelle morte, come i capelli.

Non potevano restare su Draboon. Era una follia bella e buona. 

Eppure non potevano fare altro. La navicella era quella che era, ed era già tanto che ne avessero una. Dovevano ripararla quel tanto che bastava per saltare nell’iperspazio e raggiungere, presumibilmente, Aldeeran. 

In effetti, il cruscotto della navicella già dava dei segnali di allarme. Apparentemente, il compressore faceva fatica a funzionare. Inoltre, un paio di spie segnalavano che l’olio ed il liquido refrigerante erano quasi a secco. 

Qui Gon sospirò e spinse via per un’ultima volta la testa del susulur, provando a convincerlo che né lui, né la sua casacca erano commestibili.

- Venendo a questioni meno serie.- disse, assestando il pilota automatico su un paio di coordinate casuali dall’altra parte del pianeta. - Che cosa progettiamo di fare con questa bestia?-

- Non è una bestia, è un susulur.- corresse Satine, e Qui Gon parve ricordare il nome dalla canzoncina che Obi Wan aveva imparato giorni addietro nel karyai.

- E fa un ottimo formaggio, oltre ad essere un’eccellente animale da soma.-

Stavolta, alla seconda ripetizione di quella frase, il maestro Jedi parve interessato.

- Quindi, dal cinghiale si passa al formaggio fresco?-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

 

Vercopa tome’tayl: memoria dei sogni, un tipo di fiore azzurro.

K’atini: lett. è solo un po’ di dolore, espressione usata per invitare qualcuno a darsi un contegno e a smetterla di lamentarsi.

 

NOTE DELL’AUTORE: Questi non sono i droidi che state cercando.

Un riferimento a Una Nuova Speranza era necessario, quasi doveroso. 

La cittadella di Solus è ispirata ai coloratissimi e spettacolari mercati dell’Africa bianca, dal Marocco all’Egitto. Anche la cupola di beskar, che qua fa la sua prima apparizione, intende essere antesignana di qualcosa che abbiamo già visto in The Clone Wars: una Sundari recintata da una specie di grosso cubo per proteggerla dal clima disastroso di Mandalore.

Questo sarà solo il primo scontro con i cacciatori di taglie. Siccome mi piacciono gli alieni, ho deciso di divertirmi con le specie. Trandoshani e Zygerriani, specie aggressive e schiaviste almeno da quanto emerso nella serie animata, mi sembravano ottimi concorrenti dei Mando per questo lavoro.  

Nel prossimo capitolo i nostri eroi se la prenderanno comoda e i due fanciulli cominceranno ad intendersela un po’ troppo per i gusti del buon maestro.

Oh, e ci sono gli acari velenosi. 

Alla prossima,

 

Molly.

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Capitolo 31
*** 27- Come cadere dal piedistallo in poche semplici mosse ***


CAPITOLO 27

Come cadere dal piedistallo in poche semplici mosse 

 

Il susulur era una femmina e prese presto il nome di Ruusaan. 

- Che cosa significa?-

- E’ un nome femminile molto diffuso su Mandalore. E’ una versione di ruusaanyc, che significa affidabile, qualcuno di cui ti puoi fidare.-

- Quindi quando vuoi creare un aggettivo aggiungi - nyc?-

Satine aveva aggrottato le sopracciglia, pensierosa.

- Non sempre. Alcuni aggettivi si formano così, ma non tutti. Cinyc, pulito, per esempio. Oppure tranyc, soleggiato. Anche sapanyc, elettromagnetico. Non saprei se ce ne sono altri, non credo.-

- Ad esempio, arrabbiato come si dice?-

- Kaden.-

Obi Wan c’era quasi rimasto male, perché aveva pensato di aver capito il meccanismo. Sdraiato nell’erba di una dolce vallata tra i monti settentrionali di Draboon, con la duchessa accanto a lui, erano rimasti ad osservare il cielo mentre il maestro a bordo della navicella se ne andava in cerca di riparazioni. Qui Gon sarebbe rimasto lontano per un po’, anche se avevano concordato di trovare un luogo sicuro assieme prima del calar del sole.

A bordo, con l’aiuto del datapad di Satine, avevano individuato una città industriale dall’altra parte del pianeta rispetto a Solus, un centro metallurgico piuttosto importante dove veniva estratto il lapislazzulo di Draboon. Lì avrebbero trovato i giusti pezzi di ricambio ad un buon prezzo. Qui Gon si era preso la briga di portare la navicella in quel luogo, dopo aver scaricato i due ragazzi - e il susulur mangione - nel mezzo di una vallata vicina ad un bosco, dove sarebbero stati al riparo. Poi, una volta compiuto quella deviazione, avevano progettato di darsi alla macchia dentro la selva, alla ricerca di un posto tranquillo dove passare le tre notti necessarie prima di fare rotta per Aldeeran.

La questione localizzatori era diventata dirimente, per cui Qui Gon aveva deciso che era il caso di prendere provvedimenti. Da quel momento in avanti, non avrebbero potuto spendere la maggior parte del loro tempo tutti e tre insieme. Avere un padawan poteva essere molto utile in quelle circostanze, perché non era costretto a portarsi dietro Satine in ogni occasione. Tuttavia, non poteva fare a meno di essere preoccupato per Obi Wan, che rischiava di trovarsi di nuovo da solo contro i cacciatori di taglie. 

Non che ci fossero molte altre possibilità.

Il ragazzo avrebbe passato più tempo con la duchessa, addetto alla sua protezione personale, mentre il maestro avrebbe svolto da solo le mansioni più esposte.

Qualcuno sarebbe venuto a cercare la navicella, di sicuro, ed andare in giro con la duchessa, perfettamente riconoscibile, era molto, molto pericoloso per la sua incolumità.

Così, Qui Gon era partito solo ed aveva lasciato Satine ed Obi Wan a godersi il sole ed il vento nell’erba, con Ruusaan che brucava foglioline di menta piperita in giro. Sarebbe tornato con uno speeder, che avrebbe nascosto nei boschi, e poi sarebbero partiti tutti e tre alla ricerca di un riparo. 

Vagare per il tempo necessario per la riparazione, tornare indietro, recuperare lo speeder e partire.

Questo, più o meno, era il loro piano.

- Dovremo lasciare Ruusaan qua, temo.-

- Dici?-

- Penso di sì. Se partiremo per Aldeeran, non possiamo portarla con noi. Soffrirebbe troppo la differenza. Come farebbe senza la menta?-

Satine abbozzò un sorriso, gli occhi che scintillavano del blu del cielo e riflettevano le nubi bianche. 

- Poverina, morirebbe di crepacuore.-

- Qua avrebbe tutta la menta piperita che vuole.- 

- Sì, penso che sia la cosa migliore, ma mi dispiace lo stesso.-

Ruusaan parve sentirla e ragliò una volta, forte. 

Avevano trovato proprio un bel posticino. Invece che la foresta tropicale, in cui il sudore e l’umidità la facevano da padrone, la montagna ricordava molto di più il paesaggio vicino a Kryze Manor. Anche il cielo sembrava emularne il colore. Satine amava quella radura e la natura sembrava ricambiare il suo affetto. Un nugolo di farfalle blu si era sollevato da un luogo imprecisato più a valle ed avevano cominciato a svolazzare di fiore in fiore attorno a loro, avvicinandosi lentamente alla sua figura. 

Satine tese un dito nel vuoto ed una farfalla ci si posò sopra allegramente.

- E’ molto bella.- le disse Obi Wan.

Le assomiglia anche.

Medita.

- Sono farfalle tipiche di Mandalore. Si trovano spesso, soprattutto nelle vicinanze dei luoghi sacri.-

- Come mai?-

- Non si sa. Sono state fatte delle ipotesi, ma per il momento non abbiamo una risposta definitiva. Le leggende dicono che siano sensibili alla Luce di Mandalore. Spiegherebbe come mai si trovano sempre nei soliti posti.-

Obi Wan si guardò intorno, pensieroso.

- Ci sarebbe un luogo sacro qua vicino?-

- No, direi di no, anche se non sappiamo esattamente quali siano questi luoghi.-

Altre farfalle si avvicinarono a loro ed una di queste si posò con prepotenza sulla testa di Satine, facendola ridere.

- A quanto pare gli piaci.-

- Non è la prima volta che lo fanno. E’ pieno di queste farfalle, a Kryze Manor.-

Un’altra si posò sul suo naso e Satine incrociò gli occhi per guardarla, facendo ridere Obi Wan.

- Ti fa ridere?-

- Hai fatto una faccia buffa.-

- Questa?-

Ed incrociò gli occhi un’altra volta, strappandogli una risata.

Indossavano ancora gli abiti con cui erano partiti da Solus, nonostante l’aria fosse decisamente più fredda, ma non importava loro più di tanto. Il vento li rinfrescava dalla calura e dall’umidità dei giorni precedenti, per non parlare della corsa che avevano sostenuto attraverso la sabbia del deserto. Entrambi sentivano il bisogno di rilassarsi un poco, incombendo su di loro anche la consapevolezza che non avevano molto tempo per godersi quello spazio aperto. I cacciatori li avrebbero raggiunti presto e soltanto in quel momento avrebbero potuto godersi un po’ di riposo meritato, con la certezza che i cacciatori non li avrebbero raggiunti prima del giorno dopo.

L’abito bianco svolazzava al contatto con la brezza montana ed il velo rosso giaceva scomposto sulle spalle della giovane duchessa, i capelli blu che fluttuavano nel vento come fili di seta dorata. Il freddo aveva imporporato le sue guance pallide mentre gli occhi riflettevano quella che sembrava felicità mista a tristezza. Obi Wan sapeva che doveva essere provata da quell’inseguimento, ed aveva pure combattuto. Era certo che, qualunque cosa le stesse passando per la testa in quel momento, non dovesse essere del tutto positiva.

- E’ sempre così?-

- Cosa?-

- Mandalore. Mi avevano detto che era un sistema semidistrutto dalla guerra, dove non poteva più crescere niente, che in alcuni punti era addirittura radioattivo. Questo posto, invece, sembra completamente diverso. C’è tanta natura, tanto verde. Non mi aspettavo di trovarlo.-

Satine sorrise dolcemente, come se i ricordi della sua infanzia si mescolassero a memorie malinconiche del passato recente e a premonizioni dell’immediato futuro. 

- Su Mandalore non c’è più niente. La guerra ha devastato tutto ed ha ridotto l’esterno delle città ad un deserto. Siamo ridotti a vivere in cupole macrobiologiche per non rischiare la devastazione. Concordia è stata completamente distrutta dall’attività mineraria ed in alcuni punti effettivamente ci sono alti livelli di radioattività, ma più che dalla guerra ciò è derivato dall’escavazione intensiva per recuperare il beskar necessario per ammazzarci tra di noi. Kalevala e Draboon sono stati risparmiati, mentre Nuovo Kleyman e Krownest hanno subito dei danni solo in alcuni punti.-

Si nascosero tra i boschi, con Obi Wan che dava le spalle e Satine che si cambiava d’abito dietro un albero. Non faceva eccessivamente freddo, tuttavia era meglio mettere da parte gli abiti estivi per qualcosa di più caldo. Uno strano istinto si impadronì di lui, ma riuscì a contenersi prima di voltarsi definitivamente a guardarla.

Gettati in un fiume gelido e placa i bollenti spiriti. Farai un sacco di vapore, quando ti ci tirerai.

Ah, te lo sei già detto, di meditare?

Quando ebbe finito, la trovò di nuovo con i suoi stivali di pelo e il maglione bianco. Nonostante i lavaggi ripetuti, la lana aveva acquisito un curioso colorito giallastro sui bordi delle maniche.

- Sembra che mi sia rotolata in una pozzanghera.- brontolò la duchessa, forse esagerando un poco. - Ho le maniche gialle.-

Mentre si cambiava, Obi Wan pensò al fatto che per i Mando quella di essere puliti fosse una vera e propria fissazione. In effetti, indossare di nuovo le lane invernali profumate di erbe aromatiche e bacche fresche era catartico, quasi come uscire da una vasca piena di acqua calda e profumata. Lo faceva sentire fresco e pulito, anche se non avrebbe disdegnato un bagno dopo la fuga nel deserto. Si sporse dall’albero per raggiungere lo zaino ed incrociò per un momento lo sguardo della duchessa, che prontamente fu dirottato sul muschio non appena lui se ne accorse. 

Aggrottò le sopracciglia, incerto.

Stava sbirciando, per caso?

Non seppe esattamente che cosa fare di quella considerazione, perché la circostanza era del tutto nuova per lui. Al Tempio, la separazione dei sessi era sacra ed inviolabile. Ragazzi nel loro spogliatoio, ragazze nell’altro. Le magistre potevano avere dei padawan maschi e i maestri delle padawan femmine, ma la situazione era completamente diversa. Si trattava di un rapporto tra insegnante ed allievo, ben lontano dall’attaccamento che poteva svilupparsi tra due giovani. 

Sapeva di riscuotere un certo successo nella componente femminile del Tempio Jedi, anche se nessuno - a parte Qui Gon - glielo aveva detto ad alta voce. Aveva visto crocicchi di ragazze cambiare argomento in sua presenza e a volte anche qualche ragazzo più grande gli aveva lanciato occhiate strane. Obi Wan si era sentito giudicato, quasi in pericolo, ed una sera aveva dato di matto di fronte al maestro, brontolando che tutti lo odiavano e parlavano alle sue spalle. 

Qui Gon aveva riso come mai aveva fatto prima, quasi rotolandosi sul pavimento, poi gli aveva dato dell’imbecille e gli aveva semplicemente spiegato che le ragioni di quelle occhiate e dei discorsi segreti non riguardavano la sua diligenza, né tantomeno le sue capacità di Jedi, quanto piuttosto le sue - come dire?- doti fisiche

- Ma… Pure i maschi?- aveva chiesto, senza capire, e Qui Gon gli aveva lanciato uno sguardo piuttosto patetico.

- Alcuni sparlano, e questo lo sai. Altri apprezzano, ed evidentemente questo non lo sai.-

Obi Wan ricordava di aver aperto e chiuso la bocca come un pesce fuor d’acqua diverse volte, senza riuscire a credere a quella spiegazione. Poi, un giorno, dopo aver ritirato un libro in biblioteca, aveva casualmente origliato una conversazione di Jocasta Nu con la magistra Tahl, prima che quest’ultima morisse, e aveva cominciato a credere ai pettegolezzi del suo maestro.

- Begli occhioni.- gli aveva detto Jocasta Nu, non appena le aveva dato le spalle. Obi Wan aveva fatto finta di appoggiarsi ad un banco per sistemare il mantello ed aveva tenuto d’occhio le due donne mentre processavano la richiesta della magistra. 

- Davvero.- aveva risposto la nooriana, passandosi una mano tra le trecce corvine.- Sai come lo chiamano le ragazze del corso di Bant? Il bel padawan dagli occhi di bruma. E credo che le sue puntate a nuotare nella Stanza delle Mille Fontane non abbiano fatto altro che peggiorare la cosa.-

Il bel padawan dagli occhi di bruma.

La cosa, inaspettatamente, lo aveva lusingato e da quel giorno aveva cominciato a diffidare meno del prossimo, anche se rifiutava costantemente il contatto. Il Consiglio Jedi lo osservava attentamente e non poteva permettersi alcun errore. 

Soprattutto, aveva evitato di allenarsi nel nuoto nella Stanza dalle Mille Fontane in presenza di Siri Tachi, e quando lo aveva fatto era stato prevalentemente in compagnia di Bant Eerin, la sua amica pesciolino con cui notoriamente non intratteneva altro se non un profondo rapporto di fratellanza da quando andavano all’asilo dei Jedi.

Satine era Mando ed in teoria doveva avercela coi Jedi. Doveva essere scritto nel suo DNA, eppure era stata lei a contattarli. Avevano appurato il motivo per cui lo aveva fatto, ma l’idea che la ragazza potesse sentirsi anche solo vagamente attratta da lui sembrava sempre e comunque fantascienza. 

Mentre si allacciava la cintura, lanciò un’occhiata indietro e scorse Satine che, di nuovo, lanciava uno sguardo nella sua direzione e poi si voltava dall’altra parte.

Bene, adesso stava decisamente sbirciando.

- Un po’ scorretto da parte tua.- le disse, uscendo dal suo nascondiglio dietro l’albero con la cintura ancora in mano e un sorriso scherzoso sul viso.- Io non ho sbirciato.-

Le guance della ragazza si imporporarono appena.

- Chiedo scusa, ma ero curiosa. Ho notato che voi Jedi avete una specie di rituale per vestirvi. Non avrei dovuto, mi dispiace.-

- Non c’è problema, non è un segreto. E’ vero, ogni strato che noi indossiamo ha un significato, ma per una novizia è difficile comprendere. Simboleggiano, comunque, un percorso nella Forza. Anche la lunghezza della tunica cambia con l’avanzare dell’età.-

Il cervello di Satine, però, si era fermato prima.

- Una novizia?-

Obi Wan annuì.

- Sì, certo.-

Gli occhi di Satine si indurirono.

- Pensi che non abbia mai passato il mio tempo a studiare l’ordine dei Jedi e la sua storia? Pensi che non abbia nient’altro se non una vaga familiarità con quello che fate?-

Il padawan non ci capiva niente. Che cosa aveva detto di sbagliato?

- Perdonami, non pensavo che tu ti fossi presa la briga di studiare. In fondo sei una Mando, non è che i nostri popoli…-

- Ah, quindi non mi sono presa la briga, eh?-

- Satine, non capisco che cosa ti stia prendendo. Ho detto qualcosa di male?-

La ragazza era livida.

- No, figuriamoci. Che cosa puoi aver detto di male, a parte avermi velatamente dato dell’ignorante?-

Questa poi era bella.

- Ma Satine, come puoi dirlo? Sei tutto fuorché ignorante!-

- Eccolo che si rimangia le parole!-

- Non mi rimangio proprio niente, io non ho mai detto…-

- E per la cronaca, se c’è qualcuno qui che è ignorante, questo sei proprio tu! Se non ti avessi insegnato a lavarti, avresti puzzato come il @#*/ di un bantha per il resto di questa missione! Razza di ge’hutuun!-

Obi Wan si era fatto l’idea che quella parola fosse un insulto e si sentì ferito nell’orgoglio. 

Per quale accidenti di motivo si era trasformata di un furiosissimo gatto di Lothal?

- Sentite, duchessa, non ho la benché minima intenzione di restare qua a farmi insultare da voi senza motivo. Se volete vedere problemi là dove non ce ne sono, accomodatevi. Io mi defilo. E non dimenticate che, se volete, potete tranquillamente cambiare Jedi, se quelli che avete non vi aggradano!-

- Mi piacerebbe che fossero educati, non barbari che se ne vanno in giro puzzolenti come bestiame a mulinare spade colorate così fastidiose da attirare con la loro luce tutta l’attenzione su di noi!-

- Allora temo che abbiate sbagliato protettori!-

- Non osare mancarmi di rispetto, padawan! Ricordati che sei solo mezzo Jedi!-

- E tu ricordati che cosa sarebbe successo se, in quel deserto, non ci fosse stato il suddetto mezzo Jedi!-

- Non tirartela troppo, gar yaihi’l!-

- Come si dice Principessa Tu-Mi-Stufi in Mando’a?-

- Non osare…-

Ma il rumore distinto di uno speeder in lontananza attirò la loro attenzione. Anche se era ancora un minuscolo puntino all’orizzonte, Qui Gon stava tornando e Obi Wan poteva sentire la sua presenza anche da una simile distanza. 

Realizzò che si era lasciato trascinare in una discussione senza uscita e soprattutto senza senso. Satine era evidentemente nervosa e probabilmente la cosa aveva a che fare con la fuga da Solus. La capiva. Aveva visto delle cose terribili, e in una persona con i suoi trascorsi quell’esperienza poteva innescare ricordi dolorosi e sensazioni insopportabili. Era normale che avesse i nervi a fior di pelle e se la prendesse per la prima cosa che le capitava di capire a rovescio.  

Eppure, non aveva percepito niente di simile nella Forza. Satine era rimasta tranquilla fino a che non l’aveva scoperta a sbirciare dietro l’albero.

E forse era proprio quello il problema.

L’aveva messa in imbarazzo e lei se l’era presa per niente, come se si trattasse di dimostrare la propria forza dopo essere stata chiaramente presa in castagna a mostrare una debolezza. Era un meccanismo curioso, ma poteva avere senso. 

Almeno, era l’unica cosa che gli sembrava averne, di senso, in quel momento.

Qui Gon fermò lo speeder a pochi metri da loro e chiese immediatamente aiuto per coprirlo con una serie di rami e foglie, nascondendolo alla vista dei cacciatori di taglie. I due ragazzi obbedirono immediatamente senza fiatare, ma il maestro Jedi non era un completo stupido e si accorse subito che qualcosa non andava. 

- Duchessa, va tutto bene?-

- Naturalmente, maestro. Perché?-

- Mi pare di percepire un po’ di tensione nella Forza.-

- Niente del genere, maestro. Possiamo andare, adesso? Non vorrei rimanere al limitare della foresta con i cacciatori qua intorno.-

Si addentrarono nel bosco, con Satine che filava in religioso silenzio in testa al gruppo accanto a Ruusaan, carica di bagagli. Obi Wan e Qui Gon rimasero vicini l’uno all’altro mentre il maestro provava a ragionare con il ragazzo tramite il loro legame con la Forza.

Ma che accidenti è successo, padawan?

Quando Qui Gon lo chiamava così, non era mai una bella cosa.

Non lo so, maestro. Ha dato di matto per niente.

Il maestro aggrottò le sopracciglia, pensieroso.

Come sarebbe a dire?

Obi Wan divenne rosso e sdrucciolò sul suolo umido. Si tenne in piedi posando una mano a terra e provò ad esprimersi al meglio, anche se non era facile.

L’ho colta in flagranza a sbirciare mentre mi cambiavo la tunica. Ha detto che voleva conoscere il rituale, e io le ho detto che per una neofita era molto difficile da comprendere e che rappresentava tutta una serie di passaggi nella Forza. E’ diventata una iena, mi ha accusato di averle dato dell’ignorante, e ha cominciato ad insultarmi.

Qui Gon si fermò e si raddrizzò, facendo schioccare la schiena indolenzita dal bagaglio, e lo fissò con un sopracciglio inarcato.

Io potrei aver risposto all’insulto. Non so che cosa mi sia preso. Mi ha trascinato in una discussione senza capo né coda. Mi sono sentito attaccato senza motivo e ho avuto l’istinto di difendermi, invece di…

Smettila, ragazzo.

Per il maestro era veramente impossibile comprendere come il suo padawan non riuscisse a capire l’effetto che suscitava nel gentil sesso. Al Tempio tutte - ma proprio tutte - avevano avuto una cotta per lui, dalla culla in poi. Persino le magistre parlavano di lui, anche se in termini differenti. 

Sarà anche un ragazzo problematico, ma la Forza l’ha benedetto era il commento più frequente tra chi non lo conosceva. Chi lo conosceva, invece, trascurava la prima parte, consapevole del fatto che non era assolutamente vera.

Satine era solo una delle tante ragazze che avevano avuto modo di apprezzare la fisicità del famoso padawan Kenobi, il rubacuori del Tempio di Coruscant che era ancora più affascinante proprio perché inconsapevole e inaccessibile. 

Il Tempio gli moriva dietro e lui lo rifuggiva come la peste.

Obi Wan, ancora? L’hai colta a sbirciare e l’hai punta sul vivo. Ogni scusa poi è buona per litigare.

Ma perché? Che cosa ho fatto?

Sei bello. L’hai colta ad apprezzare e la cosa l’ha infastidita, specie se la persona coinvolta è una Mando dai solidi principi e che trasuda integrità dal midollo osseo.

Obi Wan arrossì, ma non disse niente e continuò a camminare.

Per curiosità, che cosa vi siete detti?

Non lo so, lei mi ha insultato in Mando’a, comunque mi ha dato sicuramente dello stupido e forse anche di peggio. Ah, e puzziamo come il @#*/ di un bantha.

Ah, però. Non avevi torto quando dicevi che brontolava come uno scaricatore di spazioporto. Tu che cosa le hai risposto?

L’ho chiamata Principessa Tu-Mi-Stufi.

Questa volta Qui Gon esplose in una risata profonda e contagiosa, talmente forte da sembrare amplificata al microfono. Satine sobbalzò e si abbassò, convinta di essere in pericolo, ma scivolò e cadde con il sedere per terra.

La cosa, se possibile, la fece infuriare ancora di più. 

Obi Wan rimase a guardare il suo maestro senza sapere che cosa dire, e lasciò che la risata svanisse nell’aria mentre aiutava Satine a rialzarsi.

- Oh, per la Forza, ragazzi!- disse, non senza un sorriso sulle labbra. - Ditemelo se avete intenzione di continuare in questo modo, perché vi giuro che vi lascio qui!-

- Maestro, io non…-

- Non capite, duchessa, ma certo, ma certo!-

 

Calò la notte e il freddo si fece più intenso. La camminata nei boschi non era stata complessa come quella nella foresta tropicale. Non c’erano liane da tagliare e il suolo era scivoloso al punto giusto, reduce dalle piogge precedenti e con le rocce coperte di muschi e licheni. Con la coda dell’occhio, però, Obi Wan aveva scorto una melma verdastra che in qualche rara occasione si concentrava sulle radici degli alberi, qualche volta anche sul tronco. Alcuni erano stati visibilmente marchiati con segni sulla corteccia, come se un felino ci si fosse arrotato le unghie. 

Satine si lanciava occhiate intorno, furibonda ma comunque molto concentrata, evidentemente consapevole che anche in quella foresta invernale non erano del tutto soli.

Trovarono riparo in una grotta nascosta nel folto degli alberi. Il sole stava calando e il nervosismo di Satine stava aumentando. La stanchezza, probabilmente, stava giocando una parte nel suo stato di irritabilità. Obi Wan non ci aveva pensato, ma da quando erano stati attaccati dagli spettri nessuno di loro aveva chiuso occhio, e anche quella notte sarebbe stata caratterizzata da turni di guardia e poche ore di riposo. 

Lanciò al suo maestro uno sguardo implorante e l’uomo ricambiò, consapevole che il suo padawan voleva fare ammenda con la duchessa. Così, decise di spostarsi un poco più avanti, con la scusa di trovare legna da ardere, e li lasciò soli a rassettare la grotta, preparandola per la notte.

Nemmeno a dirlo, Satine non era contenta.

- Questo posto è umido come la morte.- disse, le mani sui fianchi e il cipiglio bellicoso di nuovo sul volto.- Dovremo trovare un modo per isolarlo.-

- Dubito che sia possibile, Satine. Non sarà come per il karyai. Non ci fermeremo più di una notte. Potremmo essere attaccati. Non credere che non abbia visto la melma. So che sono qui.-

La ragazza sospirò.

- Sono dovunque, purtroppo.-

Qui Gon era riuscito a portare via dal centro di ricerca una specie di rastrello. Era uno strumento singolare, ed Obi Wan non aveva mai visto nulla di simile. Era fatto come un ventaglio, i cui uncini di ferro ruotavano attorno ad un cardine. Si apriva proprio come un ventaglio e poteva essere usato per scavare o rimuovere piccoli ostacoli.

Satine lo stava usando per rimuovere le foglie e smuovere la terra, che di solito si scalda o si raffredda rapidamente quando è smossa. Da brava Mando addestrata alla sopravvivenza, lo sapeva bene.

Obi Wan decise di provare ad avvicinarsi a lei con la scusa di preparare il campo per la notte.

- Sono desolato.-

La ragazza sospirò.

- E’ stata colpa mia. Ho peccato di superbia. Sono molto stanca e non sono stata in grado di mantenere il controllo di me stessa. Ti chiedo scusa.-

La verità, però, era un’altra. Satine non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma il vero motivo per cui si era sentita infastidita non aveva nulla a che vedere con la stanchezza o la rabbia per l’attentato al quale era appena sfuggita. No, la sua frustrazione aveva avuto origine dal casuale scorcio che aveva avuto del corpo seminudo del giovane padawan.

Si era data dell’idiota fin da subito. Era stato un caso. Stava giocherellando con un sassolino e nel raccoglierlo aveva visto un braccio nudo spuntare da dietro l’albero. Poi, però, non era riuscita a placare la sua curiosità. Si era voltata una volta, due volte, convinta di farla franca. Poi una terza, e una quarta, e quella volta aveva avuto la certezza che Obi Wan se ne fosse accorto. 

Quando lui, scherzando e ancora parzialmente scomposto, se n’era uscito da dietro l’albero rinfacciandoglielo, si era inventata una scusa plausibile, ma era stata puntualmente messa all’angolo dal giovane padawan. 

A quel punto, indifesa, aveva dato in escandescenze. 

Solo dopo essersi lanciata in una filippica degna del suo grado di duchessa e colorata di insulti in perfetto stile Mando si era resa conto della grande stupidaggine che aveva commesso.

Il fatto che lui si stesse scusando le dava ancora di più sui nervi, facendola sentire inadeguata. 

- Io ti sono andato dietro e non avrei dovuto.-

- Vuoi smetterla, per favore?-

Aveva sbottato di nuovo, lasciando andare per terra il rampino di ferro con cui stava togliendo le foglie. Obi Wan la stava guardando con gli occhi spalancati, incredulo ed incapace di darsi una spiegazione del suo comportamento.

- Satine, ma che ti prende?-

- Niente.- borbottò, gli occhi bassi e il respiro pesante.- Mi dispiace. Abbiamo fatto pace. Ti prego, non parliamone più.-

E si rimise a lavorare.

Obi Wan si sentiva insulso ed inutile. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo, la Forza attorno a lei era un turbinio di emozioni positive e negative che non riuscivano ad armonizzarsi e darle un po’ di requie. 

Abbi pena per lei e per le persone che non possono disperdere il dolore nella Forza, ragazzo mio.

Decise di lasciarle il tempo necessario per calmarsi. Sistemò i propri oggetti e lasciò che Satine finisse il suo lavoro senza parlare, tenendosi a debita distanza da lui. 

Poi, Obi Wan uscì dalla caverna ed andò ad aiutare il suo maestro.

- Com’è andata?-

- Un disastro. Mi ha attaccato di nuovo, ma questa volta, più che piccata, sembra frustrata, quasi ferita. Credo che si senta in colpa, ma non sappia esattamente che cosa fare delle sue emozioni.-

Qui Gon annuì, dondolando la testa con aria compiaciuta.

- Quindi, che cosa intendi fare?-

- Darle il tempo di sbollire la rabbia, sperando che venga a più miti consigli più avanti.-

Il maestro gli mise una mano sulla spalla.

- Non hai nessun problema con lei. Non aspettarti delle scuse.-

- Non è per questo. Mi sono scusato io per averla infastidita, ma lei non vuole saperne. Dice che è tutto passato, ma sento che non lo è. La Forza è confusa attorno a lei. Spero solo che capisca che cosa fare.-

Il resto della serata proseguì senza intoppi. L’ambiente sembrava calmo e tranquillo, senza intrusioni da parte degli spettri. I Jedi avevano capito che non era il caso di fidarsi della Forza, ma non si sentivano fischi, grugniti, né fruscii, nulla che potesse indicare la presenza di un branco di spettri nelle vicinanze. Seduti attorno al fuoco, cenarono apparentemente in armonia, con Ruusaan che brucava la menta piperita lì vicino. Era incredibile come quell’animale sapesse scovare la menta anche nei luoghi più improbabili. Il susulur aveva ettari di bosco a disposizione, ma pareva accanirsi a mangiare anche le più piccole radici di quella piantina grigiastra che adorava, trascurando tutta la vegetazione circostante. 

Ogni tanto, Obi Wan lanciava un’occhiata verso Satine, che mangiava in silenzio e a testa bassa la sua porzione. Avevano riscaldato un poco del cibo che non erano riusciti a mangiare a Solus, e fu in quel momento che al padawan balzò in mente un’idea un po’ bislacca, ma che poteva funzionare per distendere la tensione.

- Perché non provate ad assaggiare, maestro? La salsa è molto buona.-

- Dici? So che il cibo di Mandalore sa essere piccante.-

- Oh, sì, ma Satine è stata molto gentile oggi ed ha ordinato solo le pietanze che sapeva sarei riuscito a mangiare.-

Quando vide il maestro inzuppare la crocchetta di verdure nella salsa rossa, gli occhi di Satine divennero grandi come palle da get’shuk, ma non fece a tempo ad avvertire Qui Gon del pericolo, perché quello si era già infilato in bocca l’intera crocchetta intinta abbondantemente nel liquido. 

- Buono.- disse quello, cercando di restare impassibile.- Molto buono.-

Tuttavia, non potè non tradire un bagliore negli occhi che diceva tutto il contrario, e il rossore sempre crescente sulle sue guance e sul suo collo palesava quali fossero le sue reali sensazioni in proposito.

Obi Wan scoppiò a ridere, scuotendo il capo, malandrino.

- Ci siete caduto!-

Ovvio che no, non c’era caduto, ma si era prestato al gioco per stemperare l’atmosfera e i due Jedi lo sapevano.

- Che accidenti ci avete messo dentro?- soffiò Qui Gon, affrettandosi a prendere un bel sorso d’acqua. 

Anche Satine però stava ridendo, e i due potevano dirsi soddisfatti per averla distratta un poco, anche se la Forza attorno a lei era tutt’altro che calma.

- Maestro, vi ricordate quella volta su Felucia, in cui siete rimasto attaccato a testa in giù ad un albero?-

- Eccome.- brontolò, scuotendo i capelli scuri.- Nessuno mi aveva detto che quella cosa era senziente.-

- Che cosa è successo?-

- Oh, niente, Satine. Il mio maestro, nel tentativo di apprendere i segreti dei frutti di un albero, è andato a stuzzicarlo, senza sapere che per difendersi suddetto albero è solito appendere a testa in giù le creature che disturbano il riposto dei suoi piccoli. Così, l’abbiamo trovato appeso ad una liana per uno stivale, che rimbalzava a destra e a manca come se fosse stato attaccato ad un elastico. E per ogni rimbalzo c’era, come dire? Una parola di biasimo.-

Ovvero un insulto. Anche Qui Gon, ogni tanto, perdeva la pazienza, anche se quella volta era stata tutta colpa sua.

Satine si immaginò la scena e rise di nuovo.

- Fila diritto, mio caro padawan, o potrei raccontare di quella volta in cui un gundark ti stracciò i pantaloni mentre provavi a nascondere un holocron.-

- Cosa?- 

- Eh, sì, mia cara duchessa, dovete sapere che il nostro, qui - continuò Qui Gon, ammiccando in direzione del ragazzo. - è un inguaribile so-tutto-io, e nella smania di diventare la più grande enciclopedia ambulante esistente nella galassia ebbe a suo tempo la splendida idea di partire assieme a me alla ricerca di un holocron che i Jedi consideravano perduto da secoli. In quella occasione, giunti in un vecchio tempio sperduto su un pianeta altrettanto sperduto, trovammo l’holocron ed ingenuamente credemmo che fosse ormai incustodito. Apparentemente, il gundark in questione la pensava diversamente.-

Obi Wan si passò una mano sugli occhi, provando a nascondere l’imbarazzo, ma era felice di vedere la duchessa ridere e parte dei disturbi nella Forza lentamente dissiparsi.

- Il gundark provò ad agguantarlo per recuperare l’holocron, ma Obi Wan, convinto di saperla più lunga, prese a scappare verso l’uscita provando a raggiungermi. L’animale, a quel punto, ha preferito conficcare una delle sue zampe nel mantello per provare a stabilizzarlo, e infine è rimasto impigliato ai suoi pantaloni. Credetemi, duchessa, era una visione comica, con la bestia che provava a raggiungerlo con tutte le zampe tranne una, e Obi Wan che faceva il giocoliere con l’holocron, provando a lanciarmi il manufatto senza romperlo. Alla fine siamo riusciti ad avere la meglio sul gundark, ma devo dire che ciò è venuto con un prezzo.-

Satine strabuzzò gli occhi per la curiosità.

- Avete perso l’holocron?-

- Oh, no, è al sicuro nell’archivio del Tempio Jedi, ma temo che Obi Wan abbia perso i calzoni, con gran diletto della popolazione locale, che ha avuto modo di ammirare le sue - ehm - doti naturali nella pubblica piazza.-

Satine rise, ma stavolta arrossì un poco, forse in virtù dell’immagine poco casta che la sua mente produsse, e provò a cambiare argomento per non indulgere in pensieri che non dovevano diventare, purtroppo, parte di lei.

- E così sei un topo di biblioteca, Obi Wan.-

- Non si era capito?- brontolò il maestro, ammiccando verso di lui e intingendo un’altra crocchetta nella salsa.- Quando uno ci fa l’abitudine, va detto che è buono.-

I due ragazzi si guardarono, Satine con un sorriso ed Obi Wan poco convinto dell’affermazione del suo maestro.

- Mi piace la roba vecchia, lo ammetto.-

- Come il mio libro?-

- Quello è uno di quei manufatti per cui potrei rovinare la vita di Jocasta Nu, la bibliotecaria.-

- Ed oltre ai libri, c’è…-

- Tutto.- concluse Qui Gon, bevendo un’altro sorso d’acqua dalla sua borraccia, mentre Ruusaan si avvicinava velocemente a loro. - Qualunque cosa odori di muffa e trasudi cultura straniera.-

Satine dondolò la testa con soddisfazione. 

- Non è proprio così, è che mi piace sapere che cosa è esistito prima di me, e devo ammettere che le culture che mi sono meno familiari sono quelle che mi affascinano di più.-

- Quelle misteriose, insomma.-

Satine pensò che la Forza - o Nebrod, in qualunque modo lo si volesse chiamare - aveva fatto proprio un bel lavoro e sospirò, provando a non dare a vedere il suo disappunto.

Obi Wan percepì il suo disagio e si chiese se fosse colpa sua, ancora una volta. Tuttavia, non espose i propri pensieri ad alta voce, limitandosi a lanciare un’occhiata in tralice al suo maestro, che non gli rispose.

Poi, di punto in bianco, Satine fece la battuta del secolo.

- ArcheoKenobi e il tempio del Bantha Rosa.-

Che il parallelismo con ArcheoGalactica, il protagonista della celebre serie di holofilm sull’archeologia spaziale, sarebbe venuto naturale, era più che scontato. Satine non sarebbe stata né la prima, né l’ultima a fare una battuta sulle sue inclinazioni da ArcheoGalactica. 

Che però le fosse venuto in mente un bantha rosa, quello era un caso più unico che raro.

La sua freddura rimase nell’aria per un po’ mentre i due Jedi provavano a raccapezzarsi di come le fosse venuta in mente una cosa del genere. Poi, Obi Wan proruppe in un sorriso, e poi ancora in una risata divertita che scoppiò in un gorgoglio roboante, mentre si rotolava per terra reggendosi la pancia.

- Come ti è venuta in mente una cosa del genere?-

- Perchè? Che ha di strano?-

- Il bantha rosa. Voglio dire, rosa!-

- Era nata come una presa in giro, padawan Kenobi!-

- Direi che è riuscita benissimo!- borbottò il maestro Jinn, esilarato, ma più contenuto. - Siete dotata di notevole fantasia.-

- Noi Mando abbiamo sviluppato una variegata quanto consistente predisposizione per individuare i modi più astrusi di insultare il prossimo.-

Ruusaan si avvicinò ad Obi Wan, ancora sdraiato per terra mentre si asciugava le lacrime, e con aria filosofica prese a masticare senza ritegno la manica della sua tunica.

- Duchessa, mi spiegate per quale motivo questo animale sembra attratto dai nostri vestiti?-

Satine si passò una mano nei capelli, pretendendo di nascondere l’imbarazzo.

- Potrei avere messo della menta nei vostri sacchetti, per aromatizzare gli abiti.-

- Questo coso ha il radar per la menta.- brontolò Obi Wan, provando ad allontanarla ed allungandole un rametto pieno di aghi di pino. 

Ruusaan non parve molto entusiasta, ma consapevole del fatto che quanto indossato dal padawan non pareva commestibile, preferì addentare il ramoscello di malavoglia e senza se e senza ma si diresse dentro la grotta, masticando e ragliando.

- Ve l’ho detto, sono animali caserecci.- 

Qui Gon decise di montare il primo turno di guardia, mettendosi seduto a gambe incrociate davanti al fuoco e consentendo ai ragazzi di avere un po’ di tempo per discutere di quanto successo nel pomeriggio, sperando di risolvere definitivamente la loro diatriba. Obi Wan aveva srotolato il suo sacco a pelo e le coperte termiche, e si era nascosto in un angolo della grotta vicino all’entrata, in cui poteva ricevere il calore delle fiamme del fuoco sui piedi. Satine, invece, se ne andò dalla parte opposta, lontana dal fuoco e vicina a Ruusaan. Lì per lì, il ragazzo pensò che la duchessa non volesse avere niente a che fare con lui e si rannicchiò sotto le coperte, una brutta sensazione di colpevolezza che si accomodava sul suo stomaco. 

Poi, Satine lo richiamò.

- Perché te ne stai laggiù? Vieni qua. Ruusaan emana calore, sicuramente molto di più del fuocherello distante del tuo maestro.-

Obi Wan non se lo fece ripetere due volte. Si alzò e, tenendo tutti i suoi oggetti personali stretti in mano, si diresse verso di lei, che giaceva già dentro il sacco a pelo e teneva stretta stretta sotto il viso la coperta termica. Ruusaan, accanto a lei, si era accoccolata per terra e teneva gli occhi chiusi, il respiro calmo e l’odore forte del suo manto che impregnava l’aria. Obi Wan percepì immediatamente il calore irradiato dal corpo dell’animale e non potè fare a meno di ringraziare Satine per la cortesia. 

- Sembri conoscere molto bene questi animali.-

Satine aveva il naso infilato sotto la coperta e la sua voce uscì ovattata.

- Mio zio Korkie li alleva, vicino al Mare di Udesla, su Kalevala. Sono adorabili una volta che uno impara a conoscerli, sempre che non si piantino.-

- Ovvero?-

- Sono intelligenti ed indipendenti. Se non vogliono fare una cosa, non la fanno. Non è un bene, quando li usi come animali da soma. Puoi caricarli per un viaggio molto lungo e loro possono piantare le zampe per terra e rifiutarsi di muovere un muscolo. -

Obi Wan si lasciò sfuggire un risolino divertito e poi contraccambiò la cortesia della precedente battuta.

- La donna che sussurrava ai susulurse.-

- Come, prego?-

- Pensi di poterla fare franca dopo la battuta su ArcheoGalactica?-

- Mi aspetto di più da te, Kenobi.- ribatte la ragazza, decisa a non dargliela vinta.- Almeno io ho provato a connotare il bantha.-

- Hai ragione. La donna che sussurrava ai susulur blu può andare o c’è un altro colore che ti aggrada?-

Il suono delle loro risate soffuse scaldò l’aria della caverna e il maestro tese l’orecchio, con un sorriso sornione, contento di aver risolto lo stupido litigio del pomeriggio.

Giovani adulti e l’amore. Una combinazione che sapeva essere letale, soprattutto se a fare da tramite era la Forza. Doveva ancora capire quale strada avrebbe preso quella relazione: amicizia, un bel rapporto di fratellanza o forse amore. 

Qualunque cosa sarebbe successa, pregò che il suo padawan avesse la forza per affrontarla.

I due ragazzi erano già sprofondati nel sonno, l’uno vicino all’altro e con Ruusaan che, nonostante fosse addormentata, aveva infilato il muso nel mantello del padawan, gettato sullo zaino contro la parete della grotta, per annusare il profumo della menta che amava così tanto.

 

FINE PRIMA PARTE

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ruusaan: nome femminile, deriva da ruusaanyc, lett. affidabile.

Tranyc: agg., soleggiato.

Sapanyc: agg., elettromagnetico.

Kaden: agg., arrabbiato.

Ge’hutuun: sost., villano, screanzato, lett. un bandito da poco.  

Gar yaihi’l: sost. composto, lett. pieno di sè.

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Capitolo 32
*** 27.1- Come cadere dal piedistallo in poche semplici mosse ***


CAPITOLO 27.1

Come cadere dal piedistallo in poche semplici mosse 

 

Qui Gon svegliò Obi Wan con un gentile tocco sulla spalla. Il ragazzo aprì gli occhi e rimase a guardare l’uomo, chino sopra di lui con una strana espressione sul viso.

- E’ successo qualcosa, maestro?-

- Al contrario, non è successo proprio niente. E’ questo lo strano.-

Non era esattamente il modo in cui Obi Wan avrebbe voluto svegliarsi. Non era bravo con gli indovinelli quando aveva ancora gli occhi semichiusi. Si mise seduto con un sospiro affaticato, una mano che arruffava la terribile pettinatura da padawan. 

- Spiegato in Standard?-

- Non hai avuto le visioni, stanotte?-

I tre neuroni di Obi Wan si svegliarono improvvisamente.

No, non aveva avuto le visioni, quella notte.

Il suo maestro lo stava svegliando per dargli il cambio alla guardia, e lui non aveva sobbalzato nel sonno.

I due Jedi si scambiarono un’occhiata consapevole.

- Forse quello che la Forza aveva da dirti, te lo ha già detto. L’importante, adesso, è dare un senso a quanto hai visto.-

Obi Wan lanciò un’occhiata accanto a sé, dove Satine sembrava dormire della grossa, accoccolata vicino a Ruusaan. 

Non era l’unica cosa strana di quella notte.

- Maestro, io non avrò avuto le visioni, ma nemmeno Satine sembra…-

- … Soffrire di incubi da sindrome da stress post traumatico? Sono d’accordo. Dorme pacificamente.-

Obi Wan pensò che, se il buongiorno si vedeva dal mattino, quella doveva essere una splendida giornata, e si accomodò a montare la guardia vicino al fuoco, in pace coi sensi, con la Forza e per una volta in mesi efficacemente riposato. Rimase a vegliare fino all’alba ed oltre, quando udì Satine stirarsi con uno sbadiglio piuttosto sonoro e Ruusaan ragliare affamata.

Si voltò giusto in tempo per vedere la ragazza seduta, gli occhi ancora chiusi e i capelli blu scarmigliati, e il susulur che si alzava in piedi e senza esitazione si dirigeva verso il cespuglio di menta piperita che aveva cominciato a razziare la sera prima. 

Satine gli fu accanto, ancora intontita dal sonno, e la prima cosa che disse fu:

- Lor’vram?-

- Che ha detto, ragazzo?-

- Colazione, credo.-

Quella mattina impararono che Satine faticava a svegliarsi. Quando dormiva bene, come evidentemente aveva dormito quella notte, carburare diventava difficile. Amava accoccolarsi e tenere gli occhi chiusi ai raggi del caldo sole mattutino, sotto il vento pungente dell’aria montana. Ci volle un po’ per scuoterla dal sonno, ma alla fine riuscì a completare tutte le sue mansioni e riuscì a caricarsi il suo bagaglio sulle spalle e partire.

Camminarono per un giorno interno, con qualche pausa qua e là per nutrirsi, bere e riprendere fiato. Sul far della sera, incontrarono un’ombra scura sulla vetta della collina, in mezzo ai boschi, e Qui Gon andò in esplorazione. Satine ed Obi Wan restarono indietro, una leggera tensione nella Forza che indicava il loro nervosismo. Dopo la loro sosta nel karyai temevano molto gli spettri, anche se non vi erano molte possibilità di incontrarli. Durante la loro scalata avevano trovato le loro tracce, ma non avevano sentito la loro presenza o i loro richiami. 

Dovunque fossero, in quel momento non erano lì. 

Ne ebbero la conferma quando Qui Gon tornò indietro, annunciando loro il via libera. 

Si trattava di un rifugio di montagna, tutto in legno e ben organizzato per l’inverno. Era evidente che, chiunque fosse vissuto lì, aveva lasciato quel luogo in fretta e furia. C’era ancora del cibo inscatolato, delle lenzuola e dei vestiti nell’armadio, ma lo strato di polvere non poteva fare altro che indicare l’abbandono di quel luogo. 

Di chiunque fosse quel rifugio, nessuno ci veniva da un bel po’.

Non c’erano armi, né strumenti di caccia, e ciò li portò ad escludere che il proprietario fosse un cacciatore. C’era solo una primitiva balestra di legno rotta che ormai era diventata un soprammobile.

Indice dell’attività degli spettri, invece, era lo speeder parcheggiato fuori dalle quattro mura del rifugio. Era stato morso e spezzato in più punti, e qualcuno aveva bevuto quasi tutta la benzina ed il resto lo aveva sparso sulle rocce dove era stato parcheggiato.

Più andavano avanti nell’esplorazione di quel pianeta, più le abitudini degli spettri sembravano incivili. Erano, come aveva detto Satine, la negazione di ogni civiltà e progresso. Dalla quantità di liquido che avevano trovato lungo il loro cammino, era più che chiaro che qualche esemplare era morto lì, ma non c’era nemmeno l’ombra di un cadavere e la cosa non faceva altro che insinuare il dubbio nei due Jedi che tutte le nefandezze che Satine andava raccontando fossero vere.

Certo, quella tensione palpabile non aiutava i due ragazzi a fraternizzare. Non c’erano stati altri scatti d’ira esplosiva da parte di Satine, ma il battibecco non si era certo placato con la sera precedente. 

In particolare, Satine sembrava avere l’aria di chi traeva giovamento dall’insultarlo.

- Vieni qua, carotina, c’è da pulire la stufa di nuovo.-

- Come prego?-

- Non fare il finto tonto, hai capito benissimo.-

- No che non ho capito. Che cosa ho fatto per meritarmi un simile appellativo?-

- Non sei rosso di capelli?-

- E che c’entra?-

Obi Wan, a quel punto, era infilato nuovamente con la testa dentro la stufa per uscirne più fuligginoso della prima volta che lo aveva fatto, scatenando l’ilarità della duchessa.

Si era sentito stupido e non era riuscito a mordersi la lingua in tempo.

- C’è poco da ridere, mucchio d’ossa. La prossima volta fallo tu!-

Satine aveva aperto e chiuso la bocca, presa in contropiede. Era diventata rossa come una Mon Cala e poi, pestando un piede per terra, se ne era andata a mettere a posto le sue cose dentro la sua stanza.

Non avevano spazi personali, questa volta. La camera era una sola ed avrebbero dovuto dividerla. Si erano disposti in modo da non infastidirsi l’un l’altro, ma riuscendo comunque a garantire protezione. Satine in centro, Obi Wan e Qui Gon ai lati. Avevano oscurato la finestra, per evitare che gli spettri dall’esterno potessero guardare dentro ed individuare la ragazza, la cui posizione era sì protetta, ma comunque esposta sotto la finestra. 

Passarono una notte piuttosto tranquilla, con la stufa a legna che funzionava a dovere e diffondeva tepore tutto attorno. I tre, sotto i loro sacchi a pelo, condivisero la stanza senza troppi problemi. Soltanto il russare fragoroso di Qui Gon infastidì la duchessa durante i suoi scarni tentativi di chiudere gli occhi.

- Sembra il corno delle Abiik’ade.-

- Lo so, ma non possiamo tappargli il naso. Credimi, russa anche con la bocca aperta.-

- Non hai dei tappi per le orecchie?-

- Secondo te?-

- Com’è possibile che non vi disturbiate a vicenda? Russate talmente forte che sono convinta l’intero Tempio avrà preso delle contromisure.-

- Non scaldarti troppo, mucchio d’ossa. Ti devono mettere i sassi nelle tasche per non farti portare via dal vento.-

Satine si indispettì talmente tanto da non riuscire a tenere la lingua tra i denti.

Carotina era un appellativo generalmente affettuoso. Mucchio d’ossa, no. 

Se voleva sfidarla, avrebbe dovuto fare i conti con la sua lingua lunga. 

- Sta’ zitto, figlio, nipote e collaterale di vituperio delle genti!-

- E sua sorella. C’hai pensato un po’ prima di ideare questo insulto, vero?-

- Come ti permetti? Solo perché tu sei un obsoleto pisquano sesquipedale ed hai bisogno di scegliere le parole da un dizionario!-

- Uff, per favore, taci!-

Eppure, nonostante gli insulti, i due si sentivano a loro agio. Quelle schermaglie in teoria avrebbero dovuto allontanarli, ed invece non accadde nulla di tutto ciò. 

Con il tempo avrebbero compresero che non c’era rabbia né odio in quelle parole, anzi, si trattava di un modo poco convenzionale per conoscersi, più che uno per litigare. 

Obi Wan cominciava ad abituarsi a quelle sciarade, in cui si dovevano sforzare di trovare un insulto appropriato l’uno per l’altra. Ventiquattr’ore erano state più che sufficienti per lui per farsi un’idea di quello che stava succedendo. Non conosceva le ragioni per cui Satine cambiava umore come il meteo cambiava le previsioni, tuttavia aveva capito se stesso, le reazioni che lei sapeva suscitare in lui e come fronteggiarle. La pazienza non gli era mai mancata e soprattutto adesso che gli insulti venivano mossi senza cattiveria né rancore, sentiva di cominciare a comprenderla di più. 

Insultandosi, scoprivano i loro punti deboli, ciò che li faceva arrabbiare e ciò che li feriva.

Se non ricordava male, già una volta, durante una missione, gli era capitato di assistere ad una cosa del genere. All’epoca era solo un tredicenne non troppo maturo, un novizio che non sapeva molto delle cose del mondo. Aveva creduto che i due ragazzi che aveva aiutato a riconquistare la libertà si detestassero, e solo quando Qui Gon aveva invece sottolineato che si sentivano attratti l’uno dall’altra aveva compreso.

Adesso, a quanto ne sapeva, i due erano ancora insieme.

Ma quello che voleva dire? Che lui e Satine si insultavano costantemente perché, in verità, si sentivano attratti l’uno dall’altra? 

Andiamo, era una cosa ridicola! Lui era un Jedi e lei una Mando, non si era mai sentita un’assurdità così grossa! Erano l’uno il contrario dell’altra. Lei era determinata ed indipendente, lui era un apprendista che non poteva fare a meno del suo maestro. Lei era una politica, mentre Obi Wan detestava qualunque cosa vagamente la richiamasse. Satine era destinata ad un futuro opulento mentre lui doveva vivere delle ristrettezze della vita dei Jedi. 

Lui mangiava come un animale mentre lei spiluccava come un uccellino.

Lo fa perché soffre.

Lei sapeva diventare furibonda, mentre lui propugnava la pazienza.

Quando l’hai chiamata Principessa Tu-Mi-Stufi eri calmissimo, infatti.

Lei sapeva inventare un insulto dal nulla.

Perché tu, fino ad ora, che cosa hai fatto?

Lei aveva una famiglia che l’aspettava a casa. Un clan. Un futuro brillante.

Tu hai Qui Gon, che è un padre per te. E tanti zii, di cui uno piccolo e verde. 

Per i Jedi faresti di tutto.

Lei sapeva sopravvivere dovunque ed aveva tutto sotto controllo. Sempre. Talmente tanto che, a volte, Obi Wan si era chiesto se non fosse lei a salvare loro, e non il contrario.

Lo fa per voi. Lo fa per ciò in cui crede. Lo fa perché va in pezzi se perde il controllo.

E forse, era proprio quello il problema.

Lei era turbolenta quanto lo era lui. Entrambi sapevano, per ragioni diverse, che cosa significasse avere paura della loro stessa ombra. Lei affrontava il dolore in un modo distruttivo perché purtroppo non aveva altri modi per farlo, e la capiva, perché anche lui, nonostante la Forza, aveva avuto i suoi problemi a tenere il panico sotto controllo.

Solo quando dormiva sembrava serena, in pace, fino a che gli incubi non cominciavano a tormentare le sue notti. 

Come le tue visioni.

Adesso, ad occhi chiusi, Satine era finalmente riuscita a prendere sonno, ignorando il russare eccessivo del suo maestro.

Obi Wan pensò che, probabilmente, non avrebbe sbagliato a dormire un poco anche lui, per una volta che sembravano trovarsi in un luogo sicuro.

 

Al mattino seguente, trovarono il posto di Qui Gon completamente vuoto. Satine non era contenta, ma il biglietto che aveva trovato aveva chiarito la situazione. Nessun pericolo e nessuno spettro, soltanto il bisogno di raggiungere la navicella poco dopo l’alba per partire al più presto, con la raccomandazione di restare al sicuro il più possibile almeno fino all’ora di pranzo, per la quale sarebbe venuto a prenderli in uno spiazzo erboso, una macchia circolare tra i boschi che d’estate fungeva da area attrezzata per i picnic.

- Non mi piace che vada da solo. Dovrebbe almeno portarti con sé. Se i cacciatori di taglie hanno raggiunto la cittadella rischia di essere spacciato, quattro contro uno.-

- E’ un Jedi. Quattro contro uno rende solo le cose divertenti.-

- Anche se due di questi sono Mando con un paio di solidi jetpack?-

Obi Wan dondolò il capo un poco, come se stesse soppesando la sua argomentazione.

- Punto per te, mucchio d’ossa. A proposito.- le disse, porgendole la sua porzione di colazione.- Non è personale. Non prendertela.-

Satine lo guardò male.

- Giudicare l’apparenza di una donna è sempre personale.-

- Non credere che mi faccia piacere quando mi definisci color carota.-

- Mi piacciono i capelli rossi. Mia madre era rossa, come il fuoco. Era bellissima. Non è necessariamente un insulto.-

Obi Wan non era sicuro di come doveva rispondere. 

Gli stava facendo un complimento.

Forse.

- Immagino di doverti ringraziare, allora.-

- Non farlo. Sei comunque un figlio, nipote e collaterale di vituperio delle genti.-

- Proprio per comprendere tutti.-

- Assolutamente. Il clan c’entra sempre.-

La legna per la stufa era quasi finita ed il sole era alto nel cielo. I due misero a posto quello che avevano, spensero il fuoco e portarono via quanto cibo riuscirono a stipare sulla schiena della povera Ruusaan. Ad essere proprio sinceri, la susulur sembrava essere quella che se la spassava più di tutti. Se ne stava fuori, placida, a brucare l’erba, e nella Forza emanava contentezza per tutta la menta che era riuscita a trovare.

Aveva ragione Satine quando diceva che erano animali piacevoli, pacifici, estremamente intelligenti e soprattutto caserecci.

Erano già a metà del tragitto quando si fermarono a sgranocchiare qualcosa. Sedettero per terra e si misero a mangiare la loro razione. Parte del cibo in scatola che avevano preso dal rifugio era buono anche freddo. Obi Wan svuotò la sua scatola in pochi secondi, mentre Satine sbocconcellò la sua porzione di malavoglia.

Il ragazzo aggrottò un sopracciglio e provò a tirarla su di morale.

- Ci credo che sei un mucchio di ossa, se mangi così poco!- 

Satine lo guardò di sbieco ed abbozzò un sorriso.

- Non ho molta fame.-

- Hai mangiato troppo a colazione?-

- No. Semplicemente non mi va.-

- Non ti piace?-

- Non ho detto questo. Non mi va di mangiare.- 

Obi Wan sospirò mentre sciacquava le sue posate ed offriva da bere a Satine, che si sentiva evidentemente in colpa, anche se non sapeva esattamente per che cosa.

Il motivo, in verità, era più semplice di quanto pensasse. La ragazza si sentiva in colpa per come lo aveva trattato. Non le piaceva l’idea di perdere il controllo e soprattutto non le piaceva affezionarsi a qualcuno che non avrebbe mai potuto tenere vicino. A differenza del padawan, la ragazza era molto più consapevole dei suoi sentimenti. Obi Wan era cresciuto con l’idea che dovessero essere rigettati, repressi nella Forza, mentre Satine aveva visto l’amore e l’odio sbocciare in tutte le sue forme ed aveva dovuto convivere con quei sentimenti per tutta la sua vita, specialmente quando questi sono stati rivolti contro di lei. Sapeva perché lo insultava. Lui sapeva darle sui nervi come poche altre persone nella galassia, ma allo stesso tempo sapeva capirla come nessun altro. Forse era merito del suo dono, o forse no. Forse era semplicemente fatto così. Lui e Qui Gon erano molto diversi. Il maestro sembrava molto più distaccato e freddo, anche se dava prova di essere un brav’uomo e di tenere a lei. Obi Wan, invece, aveva l’aria tormentata, a volte quasi ferita. Poteva percepire della paura in lui, anche se non sapeva da che cosa derivasse. Ostentava sicurezza, ma nel grigioverde dei suoi occhi c’era una fragilità che non riusciva del tutto a nascondere. A volte aveva avuto la sensazione che il padawan non riuscisse a stare troppo tempo a contatto con le persone, che avesse bisogno di isolarsi, anche da lei. Non sapeva se era un bene o un male. Aveva pensato che, forse, aveva solo bisogno di meditare, ma qualche occhiata di troppo le aveva dato il sospetto che non fosse così.

Nel mezzo c’era lei, che era un disastro ambulante e si andava a sommare a qualunque cosa Obi Wan si portasse dentro. 

L’aveva anche insultato per niente quando lui era sempre stato gentile e premuroso con lei. Non sapeva se si fosse prestato al gioco di imparare le tradizioni Mando solo per tenerle la mente occupata oppure se lo avesse fatto per interesse. Avrebbe detto la seconda, ma non lo capiva del tutto. Paradossalmente, il tira e molla di quelle ore, le loro baruffe verbali non avevano fatto altro che migliorare la situazione. Adesso sapeva che si sentiva insicuro per il suo aspetto, anche se non aveva la più pallida idea del motivo per cui lo fosse. 

Insomma, si era guardato allo specchio?

Ed aveva anche compreso che il suo chiamarla mucchio d’ossa era in verità un modo per prendersi a cuore la sua salute ed il fatto che non mangiava abbastanza per il suo sostentamento. 

- Se continui a mangiare così poco, finirai con il sentirti male.-

Satine sospirò, trovando conferma di quanto pensava nelle sue parole.

- Sei un caro ragazzo, e ti ringrazio per averci pensato. Magari mangerò più tardi. A rate. Di solito mi riesce di mangiare una porzione normale così.-

- Non è la prima volta che succede, vero?-

- No. Sono abbastanza abituata a questo genere di cose. Scarico la tensione sullo stomaco. Prima o poi mi passerà.-

Obi Wan si alzò in piedi e le tese la mano per alzarsi a sua volta, guardandosi rigorosamente le scarpe.

- Tensione per cosa?- le disse, mentre proseguivano il loro cammino.- Non ci sono pericoli, almeno non per il momento.-

- E’ proprio quello il problema. Finché dura, è tutto tranquillo.-

Satine camminava al suo fianco senza perdere il ritmo. Obi Wan pensò che non c’era addestramento fisico che potesse tenere di fronte al panico e alla tortura psicologica, e ringraziò che Qui Gon lo stesse aiutando a gestire le emozioni nonostante tutto quello che gli passava per la testa. Evidentemente, non c’era addestramento migliore.

- Prova a goderti la pace. So che non è facile, ma se resti sulle spine tutto il tempo, in attesa di qualcosa che forse verrà più tardi, finirai con l’esaurirti. Vivi nel momento. Adesso stiamo bene e siamo tutti e tre assieme, o almeno lo saremo presto. Ce ne andremo via da qui e i cacciatori di taglie non ci troveranno. Niente spettri, poi. E’ già un grosso vantaggio.-

Satine sapeva che aveva ragione tanto quanto Obi Wan era consapevole che vivere il momento non fosse facile. Non era semplice per lui, che aveva la Forza, figurarsi per lei. Così, prese il coraggio a due mani e fece una delle cose più assurde che avesse mai fatto nella sua vita.

Cioè, di per sé non era assurda. Aveva un senso. Con il suo maestro, soprattutto i primi momenti dopo la perdita della magistra Tahl, lo aveva fatto spesso, ed anche con Bant e con i suoi amici al Tempio. Tuttavia, non l’aveva mai fatto ad una persona estranea o non sensibile alla Forza.

Prese un respiro profondo e le posò una mano sulla schiena. 

Un’onda di energia positiva si trasfuse dal corpo di Obi Wan a quello di Satine, in un flusso di Forza che gli era stato insegnato ad usare per infondere calma e serenità. La ragazza chiuse gli occhi, godendosi quella bella sensazione di serenità e calore, e gli rivolse un’occhiata grata.

- Credo, dopo questa, che smetterò di chiamarti carotina, se ti offende tanto.-

Obi Wan le lanciò uno sguardo di gratitudine a sua volta e poi si fermò, una mano sulla spada laser.

- Aspetta. C’è qualcosa qua intorno.-

- E’ pericoloso?-

- Abbastanza da disturbare la Forza. Potrebbe non essere niente, ma tieni gli occhi aperti.-

Ruusaan sembrava saperne più di lui. Brontolò una volta, forte, e poi prese la rincorsa e si precipitò giù per il pendio a rotta di collo, diretta verso lo spiazzo erboso pieno di menta che avevano scelto per il loro rendez-vous. 

I due rimasero a guardare il susulur che spariva nel niente con tutte le loro provviste in groppa, e si scambiarono uno sguardo desolato.

Fu in quel momento che Satine proruppe in un sorpreso oh e tese un dito in aria.

Un simpatico animaletto vi si posò sopra. Sembrava una specie di mosca, o comunque un insetto volante, soltanto che era completamente azzurro e coperto da quelle che sembravano piume, o pelo molto soffice.

- Guarda, che carino.- disse, accarezzandogli il dorso con il dito. 

Obi Wan guardò l’animale e il senso di disagio aumentò.

- Satine, per favore, caccialo.-

- Perché?-

- Perché potrebbe essere pericoloso. Mandalo via.-

- E’ chiaro che non farebbe male a una mosca, è solo un insett… ahi!-

L’animale volò via di corsa, in mezzo alle foglie, lasciando la ragazza con un dito gonfio.

- Ti avevo detto che poteva essere pericoloso. Fa tanto male?-

- Un po’, ma non è niente di grave. Credo di aver capito che cos’è.-

- E che cos’è?-

- Un acaro velenoso. Fa male e gonfia un po’, ma con le giuste medicine passa presto senza conseguenze.-

- E noi le abbiamo, le giuste medicine?-

- Beh, qualcosa…-

Ma non fece a tempo a finire la frase che l’acaro tornò indietro.

E, ahimè, portò anche i suoi amici con sé.

- Per caso girano in branco?-

- Di solito.-

- E che aspettavi a dirmelo?-

Obi Wan afferrò il polso di Satine e filò via di corsa, giù per il pendio che aveva già percorso Ruusaan. 

Corsero e corsero a perdifiato, ma evidentemente lo sciame di acari non aveva la minima intenzione di smettere di inseguirli. Li tallonarono per tutta la discesa, a volte provarono a dividersi e a sorpassarli, ma Obi Wan l’aveva saputa più lunga ed aveva zigzagato tra gli alberi.

Tuttavia, loro erano piccoli e veloci, mentre i due ragazzi impiegavano il doppio del tempo per muoversi, a meno che il giovane padawan non si decidesse ad utilizzare la Forza.

Con uno strattone più forte degli altri, spinse la duchessa in avanti e cambiò mano, facendo in modo che fosse lei a tenere la sua e a guidarlo tra gli alberi.

- Provo ad entrarci in contatto, tu portami al punto di ritrovo!-

Obi Wan espanse i suoi sensi nella Forza, provando a comunicare con lo sciame di bestiole azzurre e pelose, che sarebbero anche state simpatiche e carine se non fossero state intenzionate ad assaggiare la loro carne. Ci provò e riuscì a mandarne via un po’, ma lo sciame era ancora lì, troppo grosso per potergli sfuggire e troppo determinato a proteggere il territorio, anche se questo significava trasformare i ragazzi nel loro pranzo. 

L’esperimento, dunque, era stato solo parzialmente un successo.

Il padawan spinse di nuovo sui tacchi degli stivali e sorpassò Satine, ma questa volta, con un altro strattone, la sollevò da terra e si lanciò verso il punto di ritrovo, facendola volare. 

Aveva percepito Qui Gon e il rumore della navicella cominciava ad avvicinarsi. 

Con un ultimo strattone, la prese in braccio.

Satine si trovò stretta al ragazzo, che se l’era caricata senza troppe cerimonie in spalla ed aveva messo tutta l’energia che poteva trarre dalla Forza nelle gambe, cercando di correre più veloce del vento. I rami degli alberi sferzavano i loro visi, ma non importava. Obi Wan la reggeva con tutte le forze che aveva, stringendole le gambe al petto mentre la ragazza provava a tenersi in equilibrio con le mani.

Hai il posteriore praticamente a pochi centimetri dalla sua faccia, e la testa troppo in alto! 

Rischierai di potare gli alberi, o che gli alberi potino te!

Resta bassa e cerca di non pensare al fatto che stai viaggiando all’indietro!

La corsa in senso contrario le stava dando la nausea, ma quella posizione poteva anche essere utile.

Ed infatti lo fu.

- Si sono divisi, metà a destra, metà a sinistra!-

Obi Wan comprese e rallentò, permettendo allo sciame di superarlo, per poi sterzare violentemente a sinistra e lanciarsi giù, tra i muschi, i licheni e qualche spina di rovo, verso lo spiazzo che avevano eletto a luogo di ritrovo. Satine volse lo sguardo nella direzione della corsa, giusto in tempo per vedere un pericoloso crepaccio aprirsi nella vicinanze.

- Buca!- gridò, ed Obi Wan saltò agilmente dall’altra parte.

Il canyon roccioso, però, sembrava procedere più a valle, forse il resto di un vecchio ruscello ormai estinto o che doveva aver cambiato corso. Un’altra spaccatura rocciosa si apriva poco più in là, per metà coperta da foglie e muschio.

Dalla sua posizione di vedetta, Satine gridò di nuovo:

- Buca e tanti sassi!-

Obi Wan atterrò ancora, agilmente, dall’altra parte.

Satine si scontrò con qualche ramoscello d’albero e l’impatto le fece bofonchiare qualche parolaccia in Mando’a. 

Hai più aghi di pino nei capelli tu dell’albero della Festa della Vita!

Gli acari stavano ancora loro addosso.

La fine della corsa, però, era ormai vicina. Gli alberi si stavano diradando, l’erba diventava sempre più verde e potevano sentire il vento della navicella del maestro Qui Gon, ormai prossimo all’atterraggio.

Obi Wan sfrecciò a tutta birra giù per il breve pendio, giusto in tempo per vedere lo sprazzo azzurro del cielo aprirsi di fronte a lui.

Ce l’avevano fatta. 

Ormai erano quasi al sicuro. Un paio di balzi ben assestati e sarebbe stato a bordo della navicella, ed avrebbe portato Satine con sé. Sarebbe uscito dopo averla nascosta, per aiutare il maestro con gli acari velenosi, e poi avrebbe caricato il bagaglio di Ruusaan ed avrebbero lasciato Draboon.

Sarebbero andati lontano dai cacciatori di taglie. 

Poteva vederlo, adesso. Qui Gon aveva aperto il portello e stava scendendo giù dalla piccola rampa, le braccia aperte in un gesto di incredulità per il segnale di pericolo che il suo padawan gli aveva mandato.

Divenne ancora più incredulo quando vide il resto.

A discolpa del povero padawan, però, va detta una cosa.

Purtroppo, con le ragazze è sempre così. Uno fa presto a diventare il loro eroe e a restarci. Non si dimenticheranno mai delle grandi imprese che hai compiuto per loro, ma, ahimè, non si dimenticheranno mai nemmeno l’unico, colossale fallimento della tua missione. 

Per quel fallimento, Satine sarebbe stata capace di prendere il giro il malcapitato padawan per tutta la vita.

Obi Wan, il buon giovane che era riuscito a salvarla dal disastro aerospaziale, dagli spettri, dai cacciatori a Solus e dagli acari velenosi adesso, smise di guardare dove metteva i piedi, convinto di essere ormai sul pari, al sicuro dalle insidie dei sassi del bosco. 

Insomma, certo di averla fatta franca. 

Non aveva fatto i conti però con le infingarde radici di un pino, cresciuto tutto storto verso lo spiazzo erboso. 

Anzi, la radice. C’era infatti una sola radice in tutto lo spiazzo, sopraelevata e contorta come una specie di grossa staffa di legno.

Il piede di Obi Wan ci finì dentro dritto dritto.

Satine non fece nemmeno a tempo ad accorgersi di stare cadendo, quando si trovò sospesa in aria e volò per almeno un paio di metri prima di toccare l’erba. Atterrò rovinosamente nel verde e rotolò sobbalzando fino ai piedi della navicella, dove urtò senza troppe cerimonie il lato esterno della gamba sinistra contro il bordo ancora caldo della passerella. 

Qui Gon rimase impassibile a guardare la scena. Obi Wan provava a liberare il piede e a tirarsi su, ruzzolando nell’erba. Satine si lamentava, reggendosi la gamba, a pochi passi da lui. Ruusaan - come accidenti c’era finita lì, Ruusaan, prima dei ragazzi? - che brucava l’erba come se non le importasse niente di quanto stava accadendo nel mondo attorno a lei, ed infine una nuvoletta azzurrognola che ronzava in modo minaccioso mentre usciva dalla foresta.

- E adesso che avete fatto?-

- Noi nulla! - brontolò Obi Wan, di nuovo in piedi e con la duchessa appropriatamente in braccio.- Acari velenosi. Vogliono farci la festa. Ho provato a dissiparli e un po’ se ne sono andati, ma il grosso ci ha inseguito fino a qui.-

Qui Gon annuì e scese dalla passerella, lasciando spazio ai ragazzi, che salirono veloci. Il padawan depositò la duchessa sul primo sedile libero che trovò, e solo in quel momento si accorse che digrignava i denti.

- Che è successo?-

Ma poteva anche vederlo da solo, che cosa era successo. Il portello doveva essere ancora caldo, fresco di saldatura, e Satine ci era caduta sopra, venendo a contatto con la superficie bollente. La stoffa del pantalone era lacerata e sotto si intravedeva una brutta bruciatura viola che doveva fare un male infernale, e sulla quale già stavano cominciando a formarsi le prime bolle di essudato.

- Oh, accidenti.- le disse, provando a calmarla e ad alleviare il dolore con la Forza. - Mi dispiace tanto, io…-

- Vai!-

- Come?-

- Vai ad aiutare Qui Gon, presto!-

Il suo aiuto, ormai, era abbastanza superfluo. Compreso che le negoziazioni non erano contemplate nella mentalità degli acari velenosi, il maestro aveva estratto la spada laser ed aveva ormai fatto fettine di buona parte dello sciame. Lesto come un sorcio, Obi Wan era sgusciato fuori ed aveva preso di corsa il carico di Ruusaan. La susulur gli aveva dato un ultimo gentile tocco con il muso, un segno di ringraziamento per averla portata via dal deserto ed averla consegnata ad un luogo così ameno e pieno di menta, e poi, le orecchie diritte e il naso per aria, se ne era andata alla ricerca di altra menta piperita da sgranocchiare.

Obi Wan pensò che, se avesse avuto la possibilità di rinascere, sarebbe rinato susulur. 

Che bella vita che fanno. Che bella filosofia!

Il portello si chiuse presto, con i due Jedi ormai a bordo. 

Obi Wan, carico di ogni ben della Forza, che avrebbe dato qualunque cosa per scomparire. 

Qui Gon, il sopracciglio sollevato, che doveva ancora venire a capo della scena surreale di cui si era ritrovato spettatore.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Lor’vram: lett. colazione

 

NOTE DELL’AUTORE: Sì, insultarci a vicenda per dire che ci vogliamo bene non è una grande idea, ma a quanto pare è un pattern ripetitivo nelle relazioni umane e due persone che si apprezzano sanno anche quali bottoni premere per farci scattare. Una dinamica non sanissima, ma molto comune, e poi dovevo fare qualcosa per farli battibeccare. Ancora, consiglio di recuperare The Clone Wars, anche perché questo tipo di scambio di battute pare essere il passatempo preferito di Satine ed Obi Wan.  

Quando ho caldamente consigliato ad un giovane Obi Wan in piena tempesta emotiva adolescenziale di gettarsi in un fiume a sbollire facendo un sacco di vapore, mi sono ispirata ad un passo reale che fu scritto non tanto per lui, quanto per un giovanissimo Dante Alighieri, alle prime armi con la poesia in volgare e infiammato d’amore per Beatrice Portinari. Dante da Maiano, solleticato ad esprimere un parere su un componimento inviatogli da Dante stesso, si espresse così: che lavi la tua coglia largamente, acciocch’’estinga e passi lo vapore.

Che classe che aveva il turpiloquio in stilnovo.

Per ulteriori approfondimenti, fatevi un giro su YouTube e cercate il documentario su Dante di Alessandro Barbero. E’ uno splendido modo per passare un’ora e mezza del vostro tempo divertendovi con la Storia. 

Sempre da YouTube viene l’ispirazione per ArcheoKenobi. Il richiamo ad Indiana Jones l’ho inserito io, ma la storia del bantha rosa è la traduzione letterale di un commento di un utente che non riesco più a trovare. Obi Wan Kenobi and the quest for the pink bantha

Hey tu, dovunque tu sia, sei un genio, e se passi di qua batti un colpo, che ti do credito volentieri!

Infine, l’intera scena della “buca con sasso” è un omaggio a “Il Federale” di Salce, in cui Ugo Tognazzi avvertiva il compagno sul sidecar delle insidie lungo la strada.

 

Molly. 

 

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Capitolo 33
*** 28- I segreti della mente ***


CAPITOLO 28

I segreti della mente 

 

ATTENZIONE: questo capitolo - diviso in due parti - contiene dei riferimenti a tematiche relative alla salute mentale che per alcuni potrebbero apparire fastidiosi.

 

Nessuno dei tre aveva mai preteso una navicella di prima classe, ed avevano sempre saputo che trovare un mezzo di trasporto decente con pochi crediti in una cittadella ai confini del deserto sarebbe stata un’impresa ardua. Per cui, nessuno si lamentò quando, nonostante le riparazioni, la navicella continuò a pendere a sinistra e i fari di prua e di poppa lampeggiarono invece di restare sempre accesi. Il viaggio era stato lungo ed avevano ancora altri parsec nel vuoto prima di saltare nell’iperspazio. I due ragazzi sopportarono con diligenza. Non si lamentarono neppure quando scoprirono che il motore dava un paio di scossoni l’ora per il sistema di filtraggio vecchio, ed Obi Wan non alzò nemmeno gli occhi al cielo quando questo gli fece rovesciare il disinfettante sulle mani. 

Aveva circostanze più impellenti a cui pensare, al momento.

Aveva visto ustioni peggiori, ma la ferita sulla gamba di Satine era destinata a fare molto male e la duchessa si incaponiva nel trascurarla, convinta di avere faccende più importanti a cui badare. In più, sia lui che la ragazza avevano subìto un po’ troppe attenzioni da parte degli acari velenosi, attenzioni che avevano lasciato più di un pomfo rosso sulla pelle.

Era la ragione per cui il padawan aveva fatto nuovamente ricorso alla loro scorta di medicine e si trovava le mani sporche di disinfettante dopo aver convinto la duchessa a farsi medicare.

Aveva lasciato Qui Gon in plancia e non era certo di poter ricevere alcun aiuto da parte sua. In quel momento si trovava in cucina, un ambiente minuscolo e rettangolare, sul cui tavolo Satine sedeva con le gambe penzoloni.

La Forza sola sapeva di quanto aiuto Obi Wan avesse bisogno in quel momento.

Certo, la cosa non avrebbe dovuto turbarlo più di tanto.

Era più che logico che si fosse tolta i pantaloni per medicarsi la gamba.

Obi Wan, a testa bassa, le aveva teso il disinfettante, cercando di non pensare.

- Grazie.-

- Prego. Hai bisogno d’aiuto?-

- No, tranquillo. Posso farcela.-

A cose normali, questo avrebbe dovuto porre fine alla conversazione. A cose normali, Obi Wan avrebbe fatto un bel giro sui tacchi e sarebbe tornato a fare qualunque cosa stesse facendo.

Quella, però, non era una situazione normale.

Vero?

Doveva restare lì. Non poteva mica piantarla da sola in un cucinotto buio dopo che si era fatta male per colpa sua!

Si sedette dall’altro lato del tavolino, cercando di non sbirciare i centimetri di pelle rosa che invadevano il suo campo visivo periferico.

- E’ stata colpa mia. Non sai quanto mi dispiace.-

- Non preoccuparti. Se non fosse stato per te probabilmente sarei morta sgranocchiata viva dagli acari velenosi. E’ stato stupido da parte mia non pensarci subito.-

- Non puoi conoscere a menadito tutta la flora e la fauna del sistema di Mandalore.-

- Dovrei. La verità è che non ci ho pensato.-

- Non è un crimine.-

- Lo so.-

Obi Wan la sentì trattenere il fiato mentre cercava di pulire la ferita e le bolle di essudato scoppiavano sotto il tocco delle sue mani. Poteva sentire il suo dolore nella Forza e d’istinto fece la stessa cosa che aveva fatto prima. Le posò una mano sulla schiena e provò ad infonderle un po’ di pace.

La sentì gemere quando una bolla più grande delle altre scoppiò sollevando la pelle essiccata, e un rivolo di sangue colò giù lungo la gamba.

- Dannazione.-

- Vuoi una mano?-

- Potrebbe servirmi.-

Obi Wan si voltò e tamponò la ferita cercando di non pensare a frivolezze a cui non avrebbe dovuto pensare. I due fecero del loro meglio, ma presto giunsero alla conclusione che, nonostante il bacta e l’impacco a regola d’arte, la bruciatura avrebbe probabilmente lasciato una cicatrice permanente. 

La pelle di Satine era fresca, ma sembrava bruciare al contatto con le dita di Obi Wan, come se fosse incandescente. L’unica ragione per cui non le aveva chiesto di misurarsi la febbre era l’assenza di arrossamenti locali, chiaro sintomo che non c’era ancora alcuna infezione in corso.

Il suo dito, però, quello che aveva ricevuto il morso per primo, era gonfio e violaceo, come il lobo dell’orecchio sinistro e un punto sotto la mandibola tra la testa ed il collo del maglione.

Il ragazzo immaginò di non essere lui stesso una bella vista e non commentò.

Finì di fasciare la coscia della duchessa, forse indugiando un po’ troppo sulla sua pelle un’ultima volta, e poi si fece da parte.

- Che cosa possiamo usare contro i morsi di acaro?-

- C’è della crema per i morsi di insetto e del bacta nel kit che ho comprato.-

Obi Wan annuì e se lo procurò dal bagaglio, che ancora odorava di Ruusaan, e le medicò le punture dopo aver disinfettato la pelle. Il sollievo - poteva percepirlo nella Forza - era stato immediato. Satine lo aveva guardato con uno sguardo riconoscente e poi aveva mosso le dita lungo la cicatrice sottile sulla guancia del ragazzo.

Era guarita ad una velocità impressionante. Si era riaperta durante l’ultima lotta e Satine lo aveva medicato ancora, non appena erano atterrati vicino ai boschi. Poi, con un bel sonno ristoratore e un pasto decente, il padawan aveva rimosso la medicazione e le aveva mostrato con soddisfazione la guancia guarita. 

Le aveva spiegato che era una delle prerogative di chi aveva la Forza, quella di guarirsi, anche se lui non era particolarmente bravo. 

- Sono lento.- le aveva detto, dondolando la testa con un sorriso sornione stampato sulle labbra.- E a volte, lento non è abbastanza.-

Anche in quell’occasione, le punture di acaro erano ancora lì. Aveva il collo e le mani piene di pomfi là dove gli acari lo avevano morso, forse quando era caduto inciampando nella radice ed era rimasto indietro. In confronto, lei se l’era cavata con poco.

Satine, allora, gli fece un sorriso e chiese se poteva ricambiare il favore.

- Tu hai medicato me, io posso medicare te, se vuoi.-

- Non darti disturbo, non è difficile.-

- Nessun disturbo. Solo gratitudine.- 

Provando a prevenire un possibile conflitto, Obi Wan lasciò che le sue dita indugiassero un poco sulle punture, sul collo e sulle mani, e poi passassero un velo di bacta anche sulla cicatrice sulla guancia.

- Perché? E’ guarita, ormai.-

- Così non dovrebbe restare il segno.-

- Non sarebbe né il primo, né l’ultimo.-

- Non ti interessa che una cicatrice rovini il tuo bel faccino?-

Medita.

Fece spallucce, provando a non interessarsi al complimento che lei gli aveva fatto nemmeno poi così velatamente, e lasciò che applicasse anche l’ultimo strato di garza sul suo collo.

- Così dovrebbe andare.-

- Come si dice mille grazie in Mando’a?-

- Ori’vor’e. Grazie, invece, solo vor’e.-

- Ori’vor’e.-

- Ba’gedet’ye.-

Obi Wan annuì e si allontanò in direzione della plancia, dando il tempo a Satine di rivestirsi. La ragazza si infilò di nuovo i pantaloni, che erano stracciati e che avrebbe dovuto riparare. Se fossero andati in un luogo fresco le sarebbero serviti integri. Stava giusto pensando a come avrebbe potuto ricucirli quando un’improvvisa accelerazione della navicella la schiacciò contro la parete del cucinotto. 

- Che sta succedendo?- chiese, affacciandosi di corsa, mentre ancora si chiudeva i pantaloni. I due Jedi erano alla guida, entrambi molto indaffarati con i comandi, mentre la navicella sfrecciava a tutta birra nel nulla cosmico, pur senza entrare nell’iperspazio.

- Ci hanno trovato. Allacciate le cinture, duchessa! Balleremo un po’ prima di riuscire ad entrare nell’iperspazio!-

- Questa navicella può reggere uno scontro armato con un incrociatore?-

La domanda cadde nel vuoto e Satine lo prese per un no.

Obbedì e si sedette nel terzo sedile a disposizione, stringendo le cinture il più possibile.

L’incrociatore dei cacciatori sembrava diverso, più grande e più efficiente. Era schiacciato, molto aerodinamico, probabilmente straniero, e sembrava avere una velocità di movimento più accentuata degli altri normali incrociatori.

Durante il loro ultimo scontro, anche il mezzo di trasporto dei cacciatori era stato danneggiato, ma era evidente che, al contrario del trio, era bastato loro tornare indietro a recuperare un’altra navicella, nascosta chissà dove e presa da chissà quale fornitore. 

Sarebbero sempre stati tecnologicamente più avanzati. Era come giocare a nascondino con qualcuno armato di visore notturno o rilevatore di calore. 

Non sarebbero stati al sicuro da nessuna parte.

Soprattutto se Larse Vizla continuava a spendere soldi in armi e velivoli da difesa e li metteva a disposizione dei cacciatori. 

Sempre ammesso che non ne avesse già comprati abbastanza prima del colpo di Stato. 

La navicella roteò e sparò contro di loro, sparendo rapidamente alla vista. Qui Gon ed Obi Wan alzarono gli scudi al massimo, ma l’impatto e la velocità fecero dondolare la navicella. Satine si aggrappò al sedile e pregò che le abilità di volo dei due Jedi fossero sufficienti a tenerli a bada. 

Poi, un’altra raffica di colpi di cannoni blaster colpì gli scudi, che si abbassarono pericolosamente.

- Non possiamo reggere ancora, dobbiamo saltare!-

- Non siamo pronti. Questa carretta ha l’iperguida lenta, ragazzo!-

La situazione, però, era critica, e lo diventò ancora di più quando un raggio trainante provò ad agganciarli. 

- Sterza, figliolo, dobbiamo sfuggire al raggio!-

Obi Wan sterzò e per un soffio non furono colti, ma una raffica di colpi di cannone tornò a colpire la fiancata sinistra, dove gli scudi erano già ridotti del trenta percento. 

- Beh, l’iperguida si dovrà velocizzare, o ci faranno a pezzi!-

- Manovra evasiva, tipo due!-

Ma era tardi. L’incrociatore dei cacciatori era tornato all’attacco, questa volta frontalmente, rendendo la manovra impossibile e bombardando la plancia di colpi di blaster.

- Sono troppo veloci! Nel tempo che noi impieghiamo a girarci, loro ci hanno già anticipato!-

E purtroppo era vero. Satine non vedeva via d’uscita se non tenere duro fino a che non fossero stati in grado di saltare nell’iperspazio, ma non era certa che quella manovra sarebbe riuscita. Se avessero continuato a braccarli e a sparare a quel modo, con molta probabilità non sarebbero mai nemmeno riusciti ad inserire nemmeno le coordinate.

- Hai un piano figliolo?-

Il ragazzo lanciò un’occhiata a Satine.

- Questa navicella ce li ha i gusci di salvataggio?-

- Due.-

- Satine! Carica i gusci con quello che abbiamo!-

La ragazza obbedì e cominciò a comprendere quale fosse il piano del padawan. Andarsene con i gusci poteva essere una via d’uscita, ma anche un grosso rischio. Con la giusta manovra, sarebbero fuggiti indisturbati mentre i cacciatori avrebbero continuato ad inseguire la navicella e a distruggerla, tuttavia era anche lecito pensare che, con tutto l’armamentario tecnologico di cui erano dotati - inclusi i tracciatori di ultima generazione - avrebbero individuato la sua presenza a bordo dei gusci di salvataggio. 

Li avrebbero ridotti in briciole nel nulla cosmico, particelle di materia in mezzo ad altre particelle nel freddo, nero totale. 

Le venne da vomitare, di nuovo.

Sapeva che in un solo guscio non sarebbero riusciti ad entrare in tre, così aveva diviso il carico tra i due gusci di salvataggio, consapevole che avrebbero dovuto separarsi. L’idea la terrorizzava, e se avesse saputo quello che stavano dicendo i due Jedi nella plancia, probabilmente avrebbe dato di matto.

- Che intenzioni hai, ragazzo?-

- Uscire da questa trappola per topi prima che riescano ad ucciderci e provare a depistarli.-

- Ovvero?-

Obi Wan dette un colpo alla leva del liquido refrigerante, che segnalava una pericolosa perdita nella zona del motore sinistro. 

- Se hanno dei localizzato di ultima generazione, credo che potranno intercettare tutte le tracce biologiche in circolazione. Quindi, se lasciassimo le nostre tracce e quelle di Satine su questa navicella, loro la inseguirebbero, convinti che siamo ancora a bordo, mentre noi ce la siamo svignata con i gusci di salvataggio!-

- Ci vedranno, ragazzo!-

- Non se impostiamo la manovra giusta. Smettiamola di evitarli e proviamo a lanciarci nell’iperspazio. Tracciamo la rotta ed inneschiamo il pilota automatico.-

Da qualunque parte ci attacchino, dovremmo riuscire ad andarcene senza morire in questo tugurio.

Era un’idea azzardata, ma Qui Gon sapeva che poteva funzionare. Strinse delicatamente la spalla del ragazzo, di cui apprezzava le doti di pilota anche se non glielo aveva mai detto, e si fidò completamente di lui.

- Possiamo farcela, anche con gli scudi al minimo.-

- E poi, almeno questa volta, abbiamo ancora tutti e due i motori!-

Proprio in quel momento, un cannone centrò il motore di destra e la consolle si illuminò come un albero della Festa della Vita.

Qui Gon guardò malissimo Obi Wan.

- Va bene, va bene! Sto zitto!-

Inserirono le coordinate ed attivarono l’iperguida, spingendo i motori al massimo in una direzione casuale. Come avevano sospettato, i cacciatori smisero di confonderli e li tallonarono, sperando di prenderli prima del salto nell’iperspazio, convinti che ci avrebbero provato di nuovo nonostante il problema al motore come avevano fatto la prima volta che si erano scontrati. 

Qui Gon ed Obi Wan, invece, erano già in procinto di lasciare la plancia per dirigersi nel magazzino di poppa, dove speravano di trovare Satine pronta con tutto il necessario.

- Maestro, c’è un’altra cosa.-

- Ovvero?-

- Non entreremo mai in tre in un guscio di salvataggio. Due possono stringersi in uno solo, ma è quasi certo che il terzo dovrà prendere l’altro, e guidare da solo fino al primo pianeta disponibile.- 

- Bene. Io sono il più grosso di tutti, prenderò un guscio, mentre voi due…-

- No maestro. Voi andrete con Satine, ed io prenderò l’altro.-

- Per quale razza di motivo…-

- Perché lei ha bisogno di un Jedi. Io sono solo mezzo Jedi, e se succede qualcosa, lei deve essere protetta. In caso, dirotterò l’attenzione dei cacciatori, facendomi inseguire. Voi portate Satine al sicuro.-

- Pensi che sarà d’accordo?-

- No. Conto su di voi per farla cooperare a qualsiasi costo.-

Non c’era tempo per pensare, né per commentare. Era la scelta più logica da fare, ma anche quella più straziante. I Jedi sono umani, anche se non sembra, per la freddezza che mostrano in circostanze di dolore e pericolo. Qui Gon sapeva perfettamente che nel peggiore dei casi quella manovra evasiva avrebbe condannato a morte il suo padawan.

Tuttavia, sempre meglio che morire tutti e tre.

Satine era la missione, e lei doveva salvarsi.

Non c’era altra scelta.

Corsero nel corridoio fino al magazzino di sinistra, dove Satine aveva già preparato i gusci, ma aveva l’aria di qualcuno che stava per sentirsi male. 

Obi Wan aveva le forbici in mano, e senza troppi complimenti tagliò le punte dei capelli del suo maestro, della sua coda da padawan e, con lo sguardo di chi non voleva morire sotto le sferzate della lingua pungente di una Mando, le disse:

- Mi dispiace, duchessa, ma temo che dovrete dire addio alle vostre punte blu.-

Satine comprese che il meccanismo di tracciamento doveva andare in tilt. L’idea era esatta e offrì senza troppi complimenti la sua treccia mezza blu.

Le forbici tagliarono la treccia di netto. 

Poi, Qui Gon prese la duchessa tra le braccia e la spinse dentro il guscio.

- No, aspettate, che significa?-

- Dobbiamo andare, duchessa.-

- Ma Obi Wan…-

- Lui prenderà l’altro guscio.-

Satine non protestò, ma aveva gli occhi grandi e spalancati, prima di sparire dentro il guscio di salvataggio dietro a Qui Gon.

Obi Wan gettò i capelli in plancia, richiuse il suo portello e poi, come un sol uomo, i due gusci finirono nello spazio.

Non avevano molto carburante a disposizione, come sempre quando si trattava di volare su una scialuppa di salvataggio, ma in questo caso il percorso sarebbe stato più difficile. Fortunatamente avevano già coperto un bel po’ di distanza tra Draboon e il confine dello spazio aereo di Mandalore, ma purtroppo non erano ancora riusciti ad uscire. Farlo era fuori discussione, e raggiungere un altro pianeta al di fuori del settore, pure. L’unica cosa che potevano fare era fare rotta verso il corpo celeste più vicino, luna o pianeta che fosse, e questo significava che, ancora una volta, non avrebbero lasciato il settore di Mandalore. 

C’era di buono che, almeno, avrebbero cambiato sistema. Il più vicino in linea d’aria era Nuovo Kleyman.

Obi Wan era certo che, nonostante il diversivo, prima o poi i cacciatori si sarebbero accorti che i tre non erano più a bordo della navicella. C’erano due possibilità: o l’avrebbero fatta saltare in aria - ed in questo caso i cacciatori sarebbero stati convinti di aver ucciso Satine, e loro tre sarebbero stati al sicuro - oppure avrebbero catturato la nave con un raggio traente e si sarebbero accorti di aver inseguito una falsa pista - cosa che non li avrebbe messi al sicuro, ma che avrebbe avuto senso dal punto di vista politico: Larse Vizla voleva la duchessa viva, come strumento dimostrativo della disfatta dei Nuovi Mandaloriani. 

I cacciatori, quasi sicuramente, non avrebbero riscosso un credito se l’avessero consegnata morta o se l’avessero fatta a pezzi nello spazio.

Obi Wan sentì un clangore metallico dietro di sé e si voltò, provando a lanciare un’occhiata alle spalle, e scorse la navicella che faceva una pericolosa retromarcia verso l’incrociatore, catturata nelle grinfie del raggio trainante. 

Nella Forza, il padawan sentì il suo maestro imprimere la massima velocità ai motori del guscio, ma Obi Wan aveva un piano ben preciso in mente e fece qualcosa che Qui Gon non si sarebbe mai aspettato.

Sterzò e si spostò nel vuoto, cambiando rotta e sparendo alla vista.

- Che sta facendo?-

- Sta depistando i cacciatori di taglie.-

- Che accidenti gli è passato per la testa? Sono su questo stramaledetto guscio, non potrebbe mai dirottarli perché le tracce biologiche li condurrebbero da noi!-

- Non se ha tenuto un po’ dei vostri capelli. Ha materiale biologico a sufficienza per confondere i tracciatori. E’ una mossa astuta, anche se pericolosa. Fidatevi di lui e lasciatelo fare.-

Satine, però, era nel panico più completo.

- Non avrà abbastanza carburante per atterrare. Si schianterà!-

- Il ragazzo è un eccellente pilota. Sa che cosa fa. Posso garantirvi, duchessa, che non ha nessuna intenzione di morire e adesso vi prego, ricomponetevi ed aiutatemi a pilotare il guscio. Dobbiamo atterrare su Krownest, possibilmente senza essere visti.-

- Come farà a trovarci?-

- La Forza lo porterà da noi.-

Se non muore prima.

Satine scacciò quel pensiero che peggiorava soltanto il suo senso di nausea, ed aiutò Qui Gon a pilotare il piccolo mezzo di trasporto.

Obi Wan era sparito dai radar.

Satine avrebbe voluto mettersi ad urlare. 

Intercettò una foresta di conifere sullo schermo e la indicò al maestro. Presto i cacciatori di taglie si sarebbero accorti di essere stati ingannati ed avrebbero cercato l’unico posto in cui sarebbero potuti atterrare con dei gusci di emergenza.

Krownest era la scelta, purtroppo, più ovvia.

Dovevano atterrare presto, se non volevano essere abbattuti in volo. 

Il gioco di Obi Wan era pericoloso anche per questo, anche se intelligente. 

Lui lascerà il guscio in evidenza, mentre noi nasconderemo, venderemo o distruggeremo il nostro. 

I cacciatori andranno dove lui li porterà, lasciandoci liberi di metterci in salvo.

Ma non sarebbe stato meglio Qui Gon?

Già. Obi Wan poteva essere un bersaglio facile per quattro cacciatori di taglie incalliti, ed anche se aveva dimostrato di sapere il fatto suo a Solus, era possibile che non ce la facesse a raggiungerli in tempo, che i cacciatori lo rintracciassero prima, che lo torturassero per farsi rivelare le informazioni, e la Forza sola sapeva quanto dolore potevano infliggere due Mandaloriani mentre facevano il loro lavoro.

Come può essere che non cadano nella trappola del ragazzo e seguano direttamente voi, con il rischio, dunque, che vi raggiungano quando siete solo in due.

Meglio noi che Obi Wan da solo.

Insomma, Satine non sapeva che pesci prendere, e tutto ciò che sapeva era che non voleva saperne di restare da sola con Qui Gon senza Obi Wan.

 

L’atterraggio fu piuttosto morbido, e lasciarono che il guscio scivolasse nella neve fresca. Il maestro aprì il portello e la fece uscire per prima, mentre lui toglieva quello che avevano a bordo e lo passava alla ragazza, in piedi nella neve.

- Dovete stare tranquilla, duchessa. Obi Wan è molto preparato e dovete confidare nella Forza.-

- E chi ce l’ha, la Forza?- sbottò la ragazza, il viso contratto e l’aria spaventata, mentre infilava lo zaino sulle spalle e provava a caricarsi in groppa ciò che non era riuscita a farci entrare. 

Qui Gon le lanciò uno sguardo compassionevole e le posò una mano sulla testa bionda, la pettinatura sfatta e i capelli tagliati storti là dove le forbici avevano reciso le punte blu.

- Confidate in me, allora. Sento che Obi Wan sta bene e che arriverà presto. Abbiamo un legame speciale, come avrete capito.-

La ragazza annuì, ma sembrava sull’orlo di una crisi di pianto. Il maestro le lanciò un paio di pacche comprensive sulle spalle, o almeno su quel poco che delle sue spalle era rimasto scoperto.

- Sapete, io credo di capire che cosa vi passi per la testa. Voi non avevate pensato che sareste rimasta sola con me, vero?-

La ragazza annuì, gli occhi per terra, nella neve, mentre camminava con passo spedito verso il bosco. 

I fiocchi di neve stavano già ricoprendo il guscio abbandonato.

- Voi credevate che vi avrei lasciata da sola con Obi Wan, come tutte le altre volte. Io sono il Jedi in missione, lui la vostra guardia del corpo.-

- Non prendetela male, maestro, non ce l’ho con voi.-

- Lo so. Semplicemente, credete che Obi Wan, per quanto talentuoso, sia un ragazzo come gli altri, come voi. Lui, però, non lo è. E’ un Jedi, ben più di mezzo Jedi, come lui stesso si definisce. Sono preoccupato anche io, sapete. E’ il mio padawan, so quali sono i suoi punti di forza e le sue debolezze. Sono certo, però, che in una situazione come questa lui saprà venirne fuori da solo, senza il nostro aiuto. E’ un ragazzo in gamba e lo siete anche voi, Satine. Voi sareste in grado di affrontare questa situazione da sola?-

Eiettarsi fuori da una navicella assaltata e guidare un guscio fino ad una landa desolata, dove avrebbe dovuto nascondersi nei boschi?

Certo che ce l’avrebbe fatta. Era Mando. Che domande.

- Allora, fidatevi, ce la farà anche lui.-

- Io sono Mando, sono addestrata.-

- E lui è un Jedi, e l’ho addestrato io. Obi Wan ha già dimostrato di sapersela cavare benissimo anche da solo. Pensate che è sopravvissuto ad un lavaggio del cervello completo a soli tredici anni senza nemmeno un graffio. E’ un osso duro, credetemi.-

Satine sospirò e lasciò che la grossa mano del maestro le accarezzasse di nuovo i capelli. 

Accolse la bella sensazione di pace che le trasmise e respirò un po’ più facilmente.

- Grazie, maestro. Spero solo che non si sia fatto male.-

E prego Nebrod affinché gli spettri lo lascino in pace.

Qui Gon, dal canto suo, evitò di rivelarle che il giovane Obi Wan, in passato, aveva dimostrato fin troppo spirito di sacrificio. Evitò di dirle che, per la sua salvezza e per consentirgli di fuggire, il ragazzo era stato sul punto di farsi esplodere. 

Che la Forza sia con noi.

 

Obi Wan non si era fatto male.

Aveva finito il carburante all’ultimo minuto, ma era riuscito ad effettuare un atterraggio di emergenza e ad atterrare perfettamente nella neve, con solo qualche scossone in più del dovuto. 

Il guscio era intatto ed Obi Wan lasciò volutamente il portello aperto, per attirare l’attenzione. In linea d’aria, doveva essere atterrato a circa mezza giornata di cammino da Satine e Qui Gon. Era abbastanza, tuttavia, per confondere le acque. Da quel punto, agli occhi dei cacciatori di taglie, chiunque avesse guidato il guscio avrebbe potuto prendere il sentiero per il rifugio, oppure incamminarsi in mezzo ai boschi. Dati i loro precedenti, trovare alloggio in un luogo solitario come un rifugio montano era un’opzione da considerare, mentre i boschi erano la via più perigliosa. Non sapeva quanta stima avessero di Satine e non sapeva quante possibilità ci fossero che il gruppo di cacciatori si separasse ed andassero ciascuno per la sua strada. 

Era certo, però, che una volta raggiunta Satine il trio avrebbe dovuto muoversi quanto più lontano possibile dal guscio di salvataggio.

Aveva lasciato un po’ di capelli della duchessa nel guscio, per testimoniarne un passaggio fittizio. Poi, una volta varcata la soglia del bosco, confidando nella neve che stava cadendo e nella speranza che coprisse le sue poche impronte, Obi Wan si era acquattato sotto un albero, aveva estratto il proprio accendino ed aveva dato fuoco al rimanente. Il blu e l’oro bruciarono rapidamente ed altrettanto rapidamente divennero cenere grigia mescolata alla neve e al pietrisco sotto gli alberi. 

Mentre i capelli bruciavano, una strana sensazione si impadronì di lui, un senso di imminenza che non seppe spiegare.

Lei è diventata cenere.

Una parte di lei è diventata cenere.

Rimase un momento a fissare i resti, perfettamente mimetizzati con il pietrisco, cercando di venire a capo delle emozioni che lo pervadevano.

Si alzò e cominciò a marciare. 

Sapeva che Qui Gon, probabilmente, avrebbe proceduto in linea retta. Se lo avesse fatto anche lui, i tre si sarebbero intercettati a vicenda. Certo, Obi Wan aveva più strada da percorrere.

Che cosa farebbe Satine al posto mio?

Semplice. Guarderebbe la mappa.

Così aveva fatto, infatti. Prima di lasciare il guscio, Obi Wan aveva sfruttato la poca energia elettrica rimasta per accendere il datapad e consultare la cartina della zona. Mezza giornata di cammino, precisa precisa, fino ad una serie di colline tondeggianti e pietrose, ricche di caverne e corsi d’acqua. 

L’ideale per nascondersi. 

Il suo bagaglio era enorme e lui era solo. Avrebbe dovuto portarlo per tutto il tempo, senza pause, o avrebbe finito con il fare troppo tardi e non arrivare in tempo nemmeno per il secondo turno di guardia. 

Le ore di luce stavano finendo ed era quasi notte. 

Raccolse un bastone da terra, e con due abili colpi di spada laser ne fece una lancia. Sarebbe stata utile contro gli spettri, nel caso in cui ne avesse incontrato alcuni e non avesse potuto estrarre la spada laser, pena attirarne altri.

Così armato, partì, da solo, nel silenzio del bosco, con gli occhi che saettavano da tutte le parti e i sensi all’erta.

Spero solo che Qui Gon e Satine siano al sicuro.

 

In effetti, i due erano proprio al sicuro.

Avevano camminato in linea retta nei boschi per parecchio, ma alla fine erano riusciti, anche se a sera inoltrata, a trovare riparo. La collina di brulla roccia innevata era soggetta a fenomeni carsici, e l’acqua aveva scavato numerose grotte e gallerie. Un fiume usciva dalle profondità della terra e scendeva giù, irruento, gorgogliando. Qui Gon e Satine avevano attraversato il precario ponticello di corda sopra di esso, sentendosi allo scoperto, e poi avevano proseguito più su e più a nord, dove le caverne erano più piccole e la fauna diventava meno pericolosa. Trovarono delle impronte di qualche animale montano, dei quadrupedi, probabilmente simili a susulurse, ma niente di più. 

Niente predatori.

La caverna in cui si accamparono era piuttosto spaziosa e permetteva di tenere bene il calore per via di un foro sul soffitto che comunicava direttamente con l’esterno. Accesero due fuochi, uno esterno ed uno interno, e poterono vedere che il foro tirava l’aria verso l’alto come se fosse una cappa di aspirazione, permettendo loro di accoccolarsi al caldo per passare la notte.

Satine aveva voglia di mangiare tanto quanto un bantha aveva voglia di affrontare il drago Krayt, mentre Qui Gon sembrava allegro. 

- Suvvia, duchessa, sorridete! Presto Obi Wan sarà qui, noi avremo la cena calda e pronta e non c’è nemmeno l’ombra di uno spettro in giro. Che ve ne pare?-

- Dico che se Obi Wan fosse già qui mi sentirei più tranquilla.-

Il maestro si sedette accanto a lei, mentre apriva una delle razioni e la metteva ad arrostire vicino al fuoco.

- Satine, non dovete sentirvi responsabile.-

- Non ho mai voluto che qualcuno morisse per me.-

Non era il destino di Obi Wan, morire per me.

- Ma non è morto nessuno! Suvvia, adesso non portategli sfortuna.-

Con quelle parole, la ragazza parve calmarsi. Qui Gon non credeva che la duchessa fosse superstiziosa e la cosa lo colpì.

Quando la gente non riesce a spiegarsi gli eventi crede a qualunque cosa.

Satine, però, la pensava diversamente e non espresse il suo pensiero a voce alta.

Obi Wan è in difficoltà. E’ solo nel bosco, di notte. Se gli spettri non sono qua, vuol dire che sono altrove. Forse vicino a lui.

La mia sfortuna, ammesso che esista, è l’ultima cosa di cui ha bisogno adesso.

Non voglio augurargli del male.

Le lingue di fuoco dardeggiavano rosse nel blu della notte. Le stelle erano belle come non mai. Là dove non c’era la luce, era normale che si vedessero di più. Da Kryze Manor poteva vedere tutto il firmamento riflettersi nel Suumpir Darasuum, ma non poteva vedere il cielo da Keldabe, illuminata a giorno dalle luci della città. Le erano mancate molto, le stelle, quando aveva studiato alla Scuola di Governo, o quando aveva vissuto con suo padre a palazzo. La gente diceva che lei era un cin’ciri viinir, ma forse assomigliava di più ad un susulur. 

Aveva ragione Obi Wan. Lei aveva bisogno di tornare a casa, una volta ogni tanto.

La razione fu presto pronta e i due mangiarono in silenzio. Qui Gon con la sua porzione ben stretta in mano, Satine, che giocava con il cibo prima di mangiarlo. 

Tuttavia, non c’era rancore nell’aria, o rabbia. La compagnia di Qui Gon le piaceva, soltanto che non aveva niente da dirgli. Niente di cui discutere, niente di cui brontolare. Qui Gon era la personificazione della perfezione, o almeno dava questa impressione. Era sempre composto, sempre impassibile, viveva il momento con la naturalezza con cui il mondo affrontava le gioie della vita. 

Peccato, però, che il momento fosse tutto fuorché gioioso.

Non la infastidiva, perché infondeva calma e serenità anche a lei che invece, se fosse stata sola, sarebbe già impazzita dal dolore da tempo.

Sentiva tutto. Le sembrava di essere in contatto con un mondo che non conosceva. Passava i minuti della giornata chiedendosi quante persone fossero già morte per quell’idiozia. 

Non poteva non pensarci. 

Lei era la reggente. La duchessa, per una parte dei Mandaloriani.

Non poteva non pensare a tutto il loro dolore. Sarebbe stato ingiusto, se lei l’avesse ignorato.

Quello che Satine non capiva, anche se lo intuiva, era che in verità non aveva bisogno di aggiungere dolore a dolore. Non serviva a niente farsi un po’ male per essere partecipi delle disgrazie di un sistema di cui sì, si era responsabili, ma che aveva causato anche a lei tanto dolore.

Suo padre e sua madre.

La rottura del rapporto con sua sorella.

La sua scorta.

Maryam ed Athos. Chissà dov’erano.

Lei aveva dato tutta la sua vita per Mandalore, rinunciando alla sua stessa libertà.

Per chiunque altro, sarebbe stato abbastanza.

La paura, però, fa brutti scherzi. La paura fa perdere la lucidità, il panico prende il sopravvento ed il dolore cresce.

Satine aveva paura, per se stessa di certo - sarebbe stata un’ipocrita a dire di no - ma anche per chi le stava attorno.

Paura che andassero a cercare suo padre, Bo, Athos e Maryam, lo zio Korkie ed anche Inga Bauer. 

Paura che il mondo morisse per lei, affinché lei lo ricostruisse, quando però non ci sarebbe stato più niente da costruire o nessuno con cui abitarlo.

Solo spettri, forse.

Ed Obi Wan non era con lei.

Con lui poteva sfogarsi. Poteva dire tutto quello che le passava per la mente. Anche insultarlo, perché no. Il giorno dopo avrebbero fatto pace. Lui capiva. 

Anche Qui Gon capiva, ma non era lo stesso. Era un uomo saggio, imponente nel fisico e nel carattere. Era un maestro nel midollo, con lui non avrebbe potuto tenere il comportamento che avrebbe voluto o l’avrebbe presa per una stupida ragazzina ingenua ed insulsa. 

E il dolore, quando lo si tiene dentro, cresce.

La sua razione rimase a metà, essendo incapace di mangiare alcunché. Satine non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che aveva mangiato. 

Su Draboon, sicuramente, un pranzo che non aveva finito perché l’ansia la stava divorando.

Non mangi da quasi ventiquattr’ore.

Era praticamente certa che si sarebbe sentita male. 

- Duchessa, parlatemi un po’. Quella stella lassù, quella che brilla tanto, che cos’è?-

- Quella è Coruscant, maestro. Lo sapete bene.- 

- Oh, già, che allocco che sono. Il mio ragazzo è bravo in geografia, io mi fido molto delle carte.- fece l’uomo, scuotendo il capo sconsolato.- Una delle ragioni per cui il Consiglio Jedi mi bacchetta sempre, ma, ahimè, non sono nato un campione di intelligenza. Ditemi, siete mai stata su Coruscant?-

Satine scosse il capo.

- No, anche se avrei dovuto. Se fossi stata eletta duchessa, sarei dovuta andare a giurare fedeltà alla Repubblica durante un’udienza privata con il cancelliere.-

- Un’udienza privata?-

- Anche io lo trovo curioso.- gli disse, gli occhi fissi sulla stella brillante nel cielo.- Ho sempre pensato che una cosa così importante dovesse passare dal Senato, ed invece si preferisce questa modalità. Non ho mai trovato una spiegazione plausibile, né mi è mai stata fornita. Credo che sia perché molti pianeti della Repubblica conoscono solo il sangue e la morte che Mandalore sa seminare, e non sarebbero favorevoli alla nostra fedeltà, né tantomeno crederebbero alle parole del Mand’alor eletto.-

Qui Gon si lasciò sfuggire un sorriso delicato.

- Siete una giovane donna piena di talento e di capacità, duchessa. Anche io lo credo. Tuttavia, da quando sono qua ho visto un mondo completamente diverso da quello che ci è stato raccontato. Non serve che vi ripeta che noi Jedi non ricordiamo Mandalore con particolare affetto.-

- Non dovreste reprimere le emozioni?-

Qui Gon rise.

- Ah, duchessa, ve la cavereste bene nel Consiglio Jedi. Noi non reprimiamo le emozioni, ma le lasciamo fluire, le disperdiamo nella Forza per evitare che intralcino il nostro operato e ci permettano di fare la scelta migliore.-

E’ questo quello che avete fatto, maestro? Avete lasciato andare nella Forza la vostra paura per Obi Wan, quando ha preso una strada diversa dalla nostra?

- Tuttavia, sì, avete ragione. Ultimamente il Consiglio Jedi tende a prendere in considerazione solo le emozioni che fa comodo considerare.-

- Questo non è molto ortodosso da parte del vostro ordine, vero?-

- No, proprio no. La cosa interessante è che tacciano di eterodossia chi invece segue la regola tradizionale.- 

- Mi ricorda qualcosa. Anche per noi è lo stesso. I cosiddetti ortodossi devono essere temuti.-

- Oh, mia cara, ma io non sono un Jedi ortodosso. Altrimenti, credetemi, non sarei qui.-

Ovviamente.

Satine stava per replicare quando un fruscio la mise in allarme. Drizzò le orecchie, la mano già sull’impugnatura della lancia, quando il braccio del maestro la fermò e potè scorgere un sorriso disteso sul volto del Jedi, con qualcosa che sembrava affetto che brillava nelle sue iridi azzurre.

- Vieni, ragazzo. Ti abbiamo tenuto la cena in caldo.-

Obi Wan spuntò tra le frasche, stracarico di oggetti e l’aria di chi non riusciva più a mettere un piede dietro l’altro. Gettò infatti il carico a terra in malo modo e poi crollò accanto al suo maestro, i piedi e le mani verso il fuoco caldo. 

- Nascondetevi un po’ più in alto, la prossima volta.- disse loro, un velo di ironia nella voce.- Mamma orsa non ha apprezzato la mia intrusione nella sua caverna.- 

Satine alzò un sopracciglio.

- Sei entrato nella tana di un jorir?-

- Di un che? Beh, comunque credo di sì. Ho fatto anche presto ad uscirne. Sto bene, tranquilli.- disse, rispondendo ad un’occhiata inquisitoria di Qui Gon.

Si avventò sulla sua razione come se non avesse mangiato da giorni e tra un boccone e l’altro comunicò loro l’amara notizia.

- Ho sentito dei fischi e dei grugniti giù a valle. Non so che cosa faranno, se di notte cambieranno quota o meno, ma credo che sia meglio tenere gli occhi aperti e spostarci verso est domani mattina. Ci allontaneremo dall’area di ricerca dei cacciatori di taglie e allo stesso tempo spero che ci lasceremo gli spettri alle spalle. Ne ho avuto abbastanza, in questi giorni.-

Non era una bella notizia, e proprio per questo Satine si stupì quando si rese conto di avere la bocca piena.

Abbassò lo sguardo e si accorse che aveva praticamente finito la sua porzione, abbandonata a metà prima dell’arrivo del giovane padawan.

Non vuoi ancora credere a kar’jag?

Non ci pensare. Mangia.

La porzione di Obi Wan sembrava essere evaporata nell’aria. Nel giro di cinque minuti non c’era più. Qui Gon non ne era stupito. Era abituato a vederlo mangiare, tuttavia era positivamente colpito dal rapido recupero della duchessa, che aveva spazzolato la sua porzione assieme a lui.

Era davvero preoccupata per il ragazzo, anche se faceva di tutto pur di non darlo a vedere.

- Bene, credo che sia opportuno che voi due dormiate un po’. Obi Wan è stanco morto e anche voi, duchessa siete provata. La gamba fa male?-

- No, maestro.-

- Bene. Allora chiudete pure gli occhi, il primo turno lo faccio io. E’ tardissimo.-

Qui Gon si portò verso il focolare esterno, da dove avrebbe potuto avere una visuale migliore in caso di attacco degli spettri, e lasciò Satine ed Obi Wan indietro, di nuovo da soli, a scaldarsi vicino al fuoco e a prendere sonno. 

Si accoccolarono vicini, per tenersi caldo a vicenda, le teste che si sfioravano e i corpi che affiancavano il fuocherello rotondo. Il sacco a pelo e le coperte termiche facevano il possibile, ma il fresco era pungente. Satine aveva anche ripescato i suoi calzini a pois e li aveva infilati dentro gli stivali di pelo per stare più calda. 

- Hai mangiato abbastanza?-

La voce del ragazzo venne quasi da lontano, a risvegliarla dal torpore che l’aveva presa mentre osservava le fiamme e provava a farsi conciliare il sonno. La tensione era ancora alta, anche se la presenza del padawan aveva placato i suoi pensieri più cruenti.

- Sì.-

- Sul serio?-

- Ho finito la razione.-

Obi Wan annuì, convinto. 

- Tu hai fatto dei brutti incontri, a parte il jorir? Stai bene? Sei ferito?-

- No. Sono sano come un pesce e stanco come non mai. Non so come faremo a portare tutto quel peso sulle spalle.- ed ammiccò verso lo zaino.

Satine annuì a sua volta. Senza Ruusaan, le loro scorte avrebbero gravato soltanto sulle loro schiene. 

Poi, ammiccò verso il bastone appuntito.

- Vedo che stai imparando a fare di ciò che trovi un’arma. Bravo. Il manuale del perfetto Mando, capitolo uno.-

Obi Wan rise.

- Beh, almeno il capitolo uno l’ho imparato.-

- Frena i viinire, ragazzo. Devi ancora imparare a piegare il metallo.-

- Ah, pure?-

- Ma che credete, che si frigga con l’acqua, su Mandalore?-

- Ma smettila, saputella.-

- Saputella io? Ha parlato ArcheoKenobi!-

- Niente bantha rosa?-

- Devo pensare a qualcosa di diverso. ArcheoKenobi e il guscio maledetto. Oppure ArcheoKenobi alla ricerca della dignità perduta. Questa è buona. La userò in futuro.-

I due ragazzi risero insieme ed ogni tensione svanì. Obi Wan si addormentò quasi subito, gli occhi chiusi verso il fuoco e il respiro regolare, mentre Satine si lasciò cullare un poco dal suo leggero russare, prima di scivolare nel sonno.

Quella notte non vi sarebbero stati né visioni, né incubi. Qui Gon avrebbe dovuto svegliare il suo padawan ancora una volta. Anche su Draboon i due ragazzi avevano dormito vicini e nulla aveva turbato il tranquillo scorrere della Forza e dei sogni.

Non che la cosa gli dispiacesse, chiaramente, ma Qui Gon cominciava a pensare che nemmeno quello fosse un caso.

 

Spensero il fuoco e ripartirono di buona lena al mattino presto. 

Si arrampicarono su per la collina, il fresco che li avvolgeva nonostante il sole si stesse alzando nel cielo. I due Jedi si strinsero nei loro mantelli di lana, ma Satine aveva soltanto quello bianco ed estivo. La scelta era stata eccellente perché le permetteva di mimetizzarsi nella neve alla perfezione, tuttavia non le consentiva di proteggersi adeguatamente dal freddo. Restava spesso indietro, cercando di stringersi di più nel mantello, ed Obi Wan non sapeva che altro fare. 

- Ma non hai comprato qualcosa per il freddo quando eravamo a Solus?-

- E dove lo mettevo, poi, in bocca al susulur? Non c’è spazio per un altro mantello. Dovremo fare con quello che abbiamo.-

Viaggiare con lei era strano. Non era la prima volta che i Jedi incontravano un reale. Di solito si portavano dietro l’intero guardaroba e la servitù. Ci voleva, praticamente, un cargo solo per i loro effetti personali, convinti di andare in chissà quale resort o abitazione di lusso. Satine era l’opposto. Sembrava che fosse partita per un campeggio, completamente sola, con il suo zaino sulle spalle e con tutte le difficoltà che partire in quelle condizioni comportava. Aveva un terzo dei comfort che una persona del suo rango avrebbe dovuto avere - se non, addirittura, di quanto avrebbe potuto richiedere - e non brontolava quasi mai. Mai un lamento, mai un rimbrotto, a parte quelle volte in cui sbottava per la tensione. 

- Satine ha freddo, maestro.- disse il ragazzo, tra i denti.

- Lo so, ma non possiamo fare molto. Può coprirsi con la coperta termica, se non ce la fa a sopportarlo.-

Quando il sole raggiunse lo zenit, tuttavia, i raggi si fecero caldi e il freddo svanì, come parte della neve, che si sciolse sotto i loro piedi rendendo le pietre scivolose. Il rumore del fiume carsico sotto di loro si fece sempre più forte, facendo a tratti tremare le rocce. 

Superarono il picco della collina e si fermarono a mangiare qualcosa. Il panorama era meraviglioso. Il picco roccioso era sgombero dalla neve, ma sotto di loro ancora ghiacciava, perché il terreno era esposto all’ombra del colle. Il corso sinuoso del fiume serpeggiava verso l’orizzonte, le acque impetuose che schizzavano con forza fuori da una profonda caverna e cadevano rotolando giù nella valle in un ampio fiume grigio come l’argento. 

Non c’era un ramoscello nemmeno a cercarlo con la Forza, per cui scaldarono le razioni sul fornello a gas che Qui Gon era riuscito a portare con sé. Evidentemente, durante una delle clamorose cadute del maestro, si doveva essere storta una gamba del treppiedi, così dovettero cuocere le loro razioni pericolosamente inclinate sul fornello. 

Il cielo era terso, ma una caligine biancastra si stava levando all’orizzonte, segno che il tempo sarebbe cambiato presto. Il loro percorso, seppur accidentato, attraverso le rocce della collina li nascondeva alla vista dei cacciatori e dei predatori e consentì loro di proseguire fino al tramonto, cercando riparo in un’altra caverna dall’aspetto asciutto e protetto. 

Il loro percorso, tuttavia, non fu privo di sorprese.

Era circa metà giornata quando udirono un grugnito sospetto. Il terzetto si acquattò sotto le rocce, lasciando che qualunque animale si stesse muovendo sopra di loro passasse indisturbato senza notarli. Il silenzio era di piombo, e se non fosse stato per lo scalpiccio sconnesso di piedi, probabilmente avrebbero pensato di essere soli.

La sensazione di paura crebbe quando la Forza si rivelò di nuovo muta, indicando che, con molta probabilità, qualunque creatura fosse non ne era dotata, e significava una cosa soltanto.

Spettri.

Il sole proiettò l’ombra di quella presenza malvagia sulle rocce e sul selciato. Videro una grossa creatura quadrupede allungare il collo in aria, alzarsi sulle zampe posteriori e poi emettere un fischio acuto, quasi fastidioso, insopportabile per le loro orecchie, così vicino e penetrante. I tre non osarono muoversi nemmeno per coprirsi i padiglioni auricolari, temendo che la creatura potesse udirli. 

Poi, così come era arrivato, sparì, seguendo la lontana risposta dei suoi compagni di branco.

Erano lontani, ma non troppo. 

Con questo in mente, una volta giunti al loro riparo, attesero che Qui Gon tornasse dalla sua spedizione in cerca di combustibile, ben acquattati dentro la caverna e con le razioni a scaldare sul fornello a gas. Le loro riserve stavano visibilmente calando, anche se il rifornimento a Solus aveva evitato il peggio. Se non avessero trovato un luogo dove fermarsi per qualche giorno, o un posto dove comprare viveri e vettovaglie, non avevano idea di come avrebbero fatto.

Satine aveva messo da parte gli scarponi per gli stivali di pelo ed Obi Wan aveva apprezzato la scelta, anche se avrebbe voluto che, di pelo, ne avesse di più a disposizione per coprire anche il resto del suo corpo. Le mani protese verso il fornello erano di nuovo violacee ed era chiaro, ormai, che il mantello era pressoché inutile a proteggerla dal freddo pungente della notte.

- Avvolgiti nella coperta termica.- le disse, insistendo per badare lui stesso alle razioni.- Non sarò un campione di cucina, ma per scaldare del cibo precotto non ci vuole la scienza.-

- Su Mandalore abbiamo delle tecniche precise anche per il cibo. Ci piace che sia cucinato con criterio. Il cibo riscaldato, non lo consumiamo nemmeno sul campo di battaglia. Mangiamo comunque roba fresca che ci arriva in accampamento dai cacciatori. Ci sono gruppi che escono, alternandosi tra loro, e se incontrano i cacciatori della fazione opposta non si uccidono. E’ una regola. Nessuno tocca chi porta cibo. Se vogliamo, però, possiamo prendere il nemico per fame quando lo mettiamo sotto assedio, senza permettergli di far uscire i cacciatori.-

- Il cuoco è sacro. Mi pare un’ottima cosa.-

- Abbiamo anche una costellazione dedicata ad un cuoco.-

- Davvero?-

- Sì, un cuoco da campo che si dice abbia inventato la ne’tra gal.-

Obi Wan alzò un sopracciglio, perplesso.

- Che cos’è la ne’tra gal?-

- E’ una birra scura, cremosa e dolciastra. E piccante, nemmeno a dirlo.-

Il padawan sorrise e porse a Satine la sua razione. 

Aveva avuto per un attimo un commento nervoso sulla punta della lingua. Se la duchessa aveva voluto dirgli, con quell’aneddoto, che il loro cibo faceva schifo, lui era pronto a renderle pan per focaccia.

Ci pensò un attimo. Guardò le sue mani violacee.

Pensò che non fosse il caso di discutere. 

Il due mangiarono avidamente, e per la prima volta la duchessa non sentì il brutto nodo che di solito le stringeva lo stomaco quando aveva l’ansia vicino all’orario dei pasti. Se si fosse trovata in circostanze normali, avrebbe azzardato di affermare di divertirsi, addirittura, in compagnia del giovane ragazzo dagli occhi verde bruma. Era un abile conversatore, dalla favella brillante, sapeva intrattenere e distrarre, e solo troppo tardi Satine si chiese se non l’avesse fatto apposta per farla mangiare. In questo caso, si era lasciata mettere nel sacco come la grandissima stupida che forse era.

Non era di sicuro la prima volta che la presenza del padawan la faceva sentire così.

Qui Gon arrivò tardi, quando Concordia era già alta nel cielo, e gettò senza troppi riguardi la legna a terra con uno sbuffo esausto.

- Si scivola tantissimo, l’umidità è ghiacciata al suolo. Una mossa sbagliata e uno si fracassa per terra. Dovremo fare attenzione domattina, o rotoleremo giù come sassi sulla discesa!-

Il maestro consumò il proprio pasto e si mise a vegliare vicino al fuoco, come sempre per primo, lasciando i due ragazzi a godere il sonno ristoratore della sera. Satine si sentiva un po’ in colpa per non avere mai fatto un turno di guardia.

- Potrei stare io alzata, stanotte. Voi due potrete riposare un po’ di più.-

- Lo apprezziamo molto, credimi, ma non penso che sia possibile. Lo scopo di vegliare è quello di combattere in caso di attacco, e di essere pronti a rispondere in caso di sorprese sgradite da parte di animali o spettri. Tu non spareresti nemmeno ad un moscerino e viaggi praticamente disarmata, a parte una lancia che potrebbe essere uscita direttamente da un museo.-

Satine comprese e si accoccolò sotto le coperte, un vago senso di ingiustizia che le aleggiava nel petto. La consapevolezza di essere pressoché inutile ce l’aveva sempre avuta, ma in quel momento sembrava acuirsi sempre di più.

- Non ci pensare nemmeno.-

- A cosa?-

Obi Wan le lanciò un’occhiata penetrante.

- Non è vero che non sei utile. Senza di te non saremmo sopravvissuti tre ore su Draboon.-

Satine abbozzò un sorriso e affondò la testa nel cuscino del sacco a pelo, pronta per dormire, quando qualcosa catturò la sua attenzione.

- Oh, guarda, quello è Birakis!-

- Chi è?-

- Birakis, il cuoco!-

Alla mente assonnata di Obi Wan ci volle un secondo per comprendere che non parlava di una persona, bensì della costellazione. 

E così, il bravo cuoco che aveva inventato la birra si chiamava Birakis. 

Qui Gon si unì per un momento a loro, voglioso di ascoltare la storia del cuoco dall’animo nobile che aveva meritato un posto tra le stelle di Mandalore, e Satine cominciò a raccontare.

- Stando alla leggenda, Birakis era il cuoco di Ordo il Sordo, e…-

- No, aspetta, Birakis ha inventato la birra ed era il cuoco di Ordo il Sordo?-

Satine rise.

- Non badavano a queste cose nell’antichità, o se non altro non ci badavano quelli che scrivevano le storie, credo. Insomma, Ordo il Sordo, capostipite della nobile casata dei Kryze, stava combattendo ormai da diverso tempo una guerra di posizione con il clan dei Makyntire, quando, un giorno, la valle fu invasa da una nebbia fitta e gelida. Nella trincea si moriva di freddo e i guerrieri erano molto giù di morale. Nessuno poteva uscire a caccia, e non avevano più voglia di mangiare gli avanzi, così il cuoco decise di mettere a fermentare del malto che gli era rimasto insieme a delle spezie piccanti, nella speranza di creare un cordiale che scaldasse gli animi dei soldati. Quando il decotto fu pronto, Birakis li chiamò a sé e quelli si misero in fila. Riempì loro la gamella e bevvero tutti a sazietà. Forse, però, il cordiale era un po’ troppo forte, perché i soldati si misero a cantare e ballare, ubriachi fradici. I Makyntire, incuriositi dal chiasso, si affacciarono dalla trincea ed alcune spie uscirono per vedere che cosa stesse succedendo. I Kryze non spararono, e quando le spie tornarono comunicarono la notizia dell’epica ubriacatura di massa del clan avversario. I nemici credettero che fosse giunto il momento per organizzare una sortita e prendere la trincea.-

- E ci riuscirono?-

Satine fece un sorriso furbo.

- Quando arrivarono alla trincea dei Kryze, si resero conto che la vittoria sarebbe stata facile. Saltarono nel fango, pronti a finire i nemici, quando questi, con la massima cordialità e l’alito dello stesso odore di una stazione di rifornimento, offrirono senza rancore alcuno la gamella. I Makyntire si appassionarono così tanto al cordiale che costrinsero il povero Birakis, l’unico sobrio, a versare da bere a tutti, nella convinzione di avere vinto la battaglia. Il cuoco obbedì, ed in breve furono ubriachi pure loro. La nebbia nel frattempo si era diradata e la valle fu illuminata dalla luce della luna. I soldati, non più avvolti dalla nebbia bensì dai fumi dell’alcol, decisero di organizzare una partita di meshgeroya tra Kryze e Makyntire, e le due squadre si affrontarono in campo aperto. Non si sa chi abbia vinto perché, presi dalla sbornia, ad un certo punto della partita le due squadre decisero di mettersi a dormire. Quando si svegliarono, si trovarono tutti quanti mescolati, fuori dalle trincee e stesi sul campo di battaglia. Incerti su che cosa fosse successo, andarono ad interrogare Birakis sull’accaduto. I Makyntire cantarono subito vittoria, considerato che entrare nella trincea dei Kryze anche solo per bere significava conquistarla, mentre i Kryze decisero, dopo aver ascoltato, di condannare il cuoco a morte.-

- Ma poverino!-

- Aspetta, Obi Wan! La condanna non fu mai eseguita! Secondo il vecchio ordinamento giuridico, infatti, ad eseguire le condanne a morte doveva essere o il Mand’alor o il capoclan. A quanto pare, al momento di tagliare la testa a Birakis, i Kryze si resero conto che Ordo il Sordo non era con loro e si misero a cercarlo. Cerca e ricerca, alla fine lo trovarono sdraiato che dormiva come un sasso dentro la trincea dei Makyntire. Durante la notte precedente, infatti, c’era caduto dentro mentre giocava a meshgeroya e, presumibilmente troppo imbenzinato per riuscire ad uscire con le proprie gambe, aveva ritenuto cosa buona e giusta schiacciarci un pisolino. Di fatto, aveva preso la trincea da solo, poco importava che ci fosse caduto dentro mezzo ubriaco mentre giocava una partita a palla. Così, i Makyntire da vincitori si trasformarono in vinti e Birakis divenne un eroe nazionale per aver messo fine alla guerra. Gli fu dedicata una delle stelle dell’ovest, ma il buon mastro birraio non si accontentò e decise di aprire il proprio birrificio di famiglia. Si dice che dal giorno della vittoria chiunque si trovi a dover affrontare una battaglia difficile brindi con la ne’tra gal, ed anche oggi, quando brindiamo, ripetiamo sempre la stessa frase: ne’tra gal mesh’la, jat’isyc, bal wayii jahaal’got!-

- Ovvero?-

- La birra è bella a vedersi, è buona, e, per gli astri, fa pure bene!-

Così, mentre il maestro tornava sorridendo a montare la guardia, i due ragazzi, tra un risolino e l’altro, scivolarono nel sonno dei giusti.

Obi Wan, questa volta, sognò.

Non era una delle sue visioni, soltanto un sogno. Sognò di essere in piedi in mezzo ad una vallata verdeggiante, con le colline blu nel cielo della notte e gli astri brillanti sopra di lui. Sentiva il profumo dell’erba medica e del trifoglio portato dal vento. Sognò di ballare, di stringere a sé una bella ragazza bionda e di baciarla, mentre reggeva un boccale di birra scura in mano ed accarezzava il suo corpo con l’altra.

Niente di male, di per sé. Non era il primo sogno di quel genere che faceva, anche se nel nulla in cui si trovavano non avrebbe avuto il comfort di una doccia fredda appena sveglio. Pensò che si trattasse di Siri. Non era la prima volta che la sognava, anche in circostanze compromettenti. Sapeva di buono, di qualcosa di dolce che non aveva mai assaggiato prima, un sapore esotico e zuccherino che gli stuzzicava i sensi e che lo spingeva a volere di più. 

Poi, però, sentì l’odore di mirto dei suoi capelli e capì che nel suo sogno non stava pomiciando senza ritegno con la padawan Tachi, bensì con Satine Kryze. 

Spalancò gli occhi sul freddo e grigio soffitto della caverna, mentre una goccia di umidità si schiantava sulla punta del suo naso. L’odore di mirto era pungente e si rese conto di essersi addormentato accanto alla duchessa, la testa che sfiorava il viso del ragazzo e i capelli sciolti sparsi sul cuscino del sacco a pelo. 

Si guardò attorno, sperando che nessuno si fosse accorto di niente, soprattutto lei.

- Ancora le visioni, ragazzo?-

- No, solo un sogno curioso.-

- Allora torna a dormire.- gli disse Qui Gon, congedandolo con un gesto della mano e tornando alla sua meditazione.- E’ ancora presto.-

Obi Wan fece come gli era stato detto, sdraiandosi sul fianco opposto a quello di Satine, anche se la cosa non aiutò più di tanto. Infine, riuscì comunque ad addormentarsi, con il dubbio, però, che il suo maestro avesse capito tutto.

Forse, anche più di lui.

 

Il mattino ha l’oro in bocca, ma quel giorno portò loro solo pioggia. La nebbia all’orizzonte si era trascinata fino al loro rifugio e pioveva umidità. Si svegliarono avvolti dalla pioggerella fredda della nebbia, l’aria bagnata che li infreddoliva fin nelle ossa. Satine dette un paio di colpi di tosse prima di colazione, ma nessuno, purtroppo, ci badò più di tanto.

Si rimisero in marcia nel freddo della nebbia, andando a tentoni per evitare di cadere di sotto dalle rocce a picco sulla valle. La nebbia diventava sempre più densa mano a mano che scendevano e il silenzio era quasi surreale. 

Ad un tratto, Satine tossì di nuovo, questa volta più forte. Fu costretta a fermarsi per riprendere fiato, consapevole che qualcosa in lei non andava. 

Chiamò aiuto più volte, ma nessuno rispose.

- Aspettatemi!-

Niente.

Attorno a lei, solo grigio e banchi di nebbia. Non vedeva ad un palmo dal naso, ma sapeva che qualcosa, là dentro, era in agguato. Poteva sentire lo scalpicciare di piedini bagnati sulla roccia, veloci, ratti come solo gli animali sanno essere, e cominciò a sudare freddo.

Non è il momento di andare nel panico. Concentrati.

Se avesse chiamato aiuto, gli animali l’avrebbero sentita ed avrebbero usato la sua voce per orientarsi e fare di lei una preda.

Tuttavia, c’era la possibilità concreta che quelli non fossero soltanto animali. 

Gli spettri avevano circondato le foreste ai lati del colle roccioso, per cui era possibile che nottetempo si fossero spinti più in alto, forse attratti dall’odore della loro pelle.

- Obi Wan?- chiamò, guardandosi attorno e tossendo di nuovo.

- Obi Wan?- e questa volta chiamò più forte, quasi disperatamente, mentre una sagoma scura emergeva dalla nebbia, come una grossa roccia semovente acquattata sul terreno.

- C’è qualcuno?- gridò, il ricordo ancora vivido dell’ultima volta che aveva urlato quella frase nelle sale deserte del palazzo di Keldabe, ed il panico ebbe la meglio su di lei.

Sfoderò la lancia di beskar, pronta a combattere, anche se le sue forze non erano delle più solide. 

Indietreggiò fino a toccare la schiena contro la roccia. 

Sopra di lei, un’altra sagoma nera si mosse e sparì alla vista. 

Udì un fischio, poi un altro, e un altro ancora.

Erano da tutte le parti, e lei era sola.

Forse i Jedi erano morti, o forse l’avevano lasciata indietro e consideravano morta lei.

Era sola.

E non sapeva perché, ma essere sola era il suo peggiore incubo.

Continuò a guardarsi attorno, in guardia, con la lancia di fronte a sé e gli occhi che saettavano a destra e a manca, finché un paio di mani forti non la afferrarono e poi bloccarono la lancia.

- Dov’eri finita? Ti abbiamo cercata dovunque!-

Obi Wan la guardava con aria severa e sembrava arrabbiato con lei, ma Satine, in quel momento, voleva solo gettargli le braccia al collo. Dietro di lui, Qui Gon la guardava con sospetto, una mano che si grattava il pizzo di barba caprina.

- Prendetevi per mano o tenetevi al mantello. Con questa nebbia non si vede ad un palmo dal naso.-

- Sono dovunque. Ci sono gli…-

- Lo sappiamo.- le disse Obi Wan, prendendole la mano e portandola con sé.- Li abbiamo visti.-

Camminarono per tutto il giorno, immersi nel nulla e nel silenzio. Non fecero ulteriori incontri, anche se lo scalpiccio dei piedi umidi degli spettri faceva loro comprendere che non erano soli e che li stavano tallonando, passo dopo passo. Per evitarli svoltarono numerose volte, su e giù per sentieri ed anfratti impervi, ed evitarono un crepaccio per un soffio. Sorpassarono delle pitture rupestri per ben tre volte, e solo a quel punto capirono di stare girando in tondo.

Gli spettri stavano facendo rumore apposta. Sapevano che il terzetto avrebbe fatto di tutto per evitarli e cercavano di fare in modo che non uscissero mai dal dedalo di viuzze e passaggi rocciosi nel quale, almeno apparentemente, si erano persi.

Qui Gon, visibilmente indispettito, sedette per terra.

Satine avrebbe tanto voluto fare domande, ma Obi Wan le fece cenno di tacere.

Il maestro chiuse gli occhi.

Sulle prime, non accadde niente, ma ben presto la nebbia cominciò a diradarsi, spinta via dall’impulso della Forza, e il loro cammino fu rischiarato da un flebile raggio di sole che filtrava dalla bruma grigiastra. 

Sopra di loro, alla percezione del sole, un gruppo di strane creature mezze quadrupedi e mezze bipedi grugnì e sparì alla vista.

- Forse siamo riusciti a liberarci di loro per un po’.- fece il maestro, alzandosi in piedi e riprendendo immediatamente la marcia.- Ma non durerà per molto. Dobbiamo spicciarci ad uscire da questo labirinto.-

Si sa, da un labirinto si esce sempre tenendo la destra. Almeno quando questo labirinto è fatto dall’uomo. Che succede, però, quando è un labirinto naturale?

Ci si affida alla Forza, quando la si ha.

Tuttavia, chi non ce l’ha non è sempre così fortunato da trovare l’uscita. I tre viandanti incontrarono numerosi scheletri e resti umani, alcuni con quelli che sembravano evidenti segni di attacco da parte di animali o forse di spettri. Le loro merci erano ormai malandate e inutilizzabili, a parte qualche utensile in ferro, oppure addirittura in materiale luccicante e prezioso.

- Questa può essere una buona cosa.- fece Obi Wan, avvicinandosi allo scheletro scarnificato di uno di loro ed estraendo una lama al plasma lunga e ricurva.- So che sei pacifista, ma questa cosa può servirti almeno contro gli spettri. E chi lo sa, magari può anche mettere sul chi vive i cacciatori di taglie. Potresti tagliare la frusta al plasma dello zygerriano.-

Satine prese la lama controvoglia. Era una bella spada, ben bilanciata, e la fece mulinare con perizia un paio di volte sotto lo sguardo perplesso dei due Jedi. Poi, con un’alzata di spalle, la spense e attaccò l’elsa alla cintura. 

- Può andare. Proseguiamo?-

E dette un altro colpo di tosse.

Si spostarono agilmente, con la nebbia diradata, e riuscirono a raggiungere la valle, ma oltre alla nebbia c’era anche la neve, in un curioso clima umido e tendenzialmente troppo caldo. Si trascinarono nel ghiaccio ridotto ad una poltiglia biancastra fino al limitare della foresta, ma gli alberi erano marchiati, scuri e maleodoranti, e la desolazione dell’ambiente non prometteva niente di buono. 

I tre si guardarono e poi si inoltrarono nella foresta.

Il verde migliorò mano a mano che si allontanavano dal picco roccioso. Ebbero la sensazione di essere stati circondati volutamente e di essere sfuggiti ad un agguato in piena regola, forse per un pelo.

Si fermarono a pranzare, con la nebbia ormai alta, ma nessuno dei tre aveva molta fame. La sensazione di essere osservati non era mai scemata del tutto e per i due Jedi era ancora più frustrante cercare le vibrazioni della Forza e non sentirne nessuna.

Ripresero il cammino fino al tramonto, di un bel colore giallo aranciato che si diffondeva tra le particelle di umidità, ma era un vespro freddo come nei suoi colori, come l’aria e come il luogo in cui si trovavano.

Il riparo di fortuna che avevano trovato era freddo ed umido come tutto il resto dell’ambiente. Satine non ne era contenta e sembrava che il paesaggio malinconico avesse influito sul suo umore. Tossiva spesso e se ne stava in silenzio più del solito. Obi Wan e Qui Gon le lanciarono occhiate preoccupate, ma nessuno dei due osò parlare. 

Definire quel posto caverna era fargli il più grosso dei complimenti. Più che altro era un anfratto umido, una conca ovale per lo più scavata nella roccia e senza un vero soffitto sopra la testa. Certo, sempre meglio che dormire all’aperto, ma erano prevalentemente scoperti, e con gli spettri in giro non c’era da augurarsi di restare troppo esposti alla vista.

Così, Qui Gon si decise a tagliare un albero, e poi un altro. Non che per un Jedi fosse difficile, visto che un solo colpo di spada laser poteva mietere la pianta senza troppo sforzo. L’albero, con un piccolo aiuto della Forza, cadde rettilineo davanti al riparo e i due uomini si misero a lavorare. 

Satine si avvicinò all’albero, convinta di poter contribuire, ma si rese ben presto conto di essere più d’intralcio che d’aiuto. Le spade laser tagliavano il legno come burro, e quando loro avevano già sfoltito un terzo della chioma, lei aveva staccato soltanto un paio di rami con la spada al plasma. Qui Gon ed Obi Wan non dissero nulla per non farla intristire ancora di più, ma ben presto fu Satine stessa ad abbandonare il campo e a dedicarsi ad altre questioni altrettanto pratiche.

Se volevano usare quel legname, dovevano avere un progetto. L’unica cosa certa, per i due Jedi, era che fosse necessario togliere la chioma per usare il tronco. 

Come?

A questo non avevano pensato.

Satine, tuttavia, dimostrò di saper far quadrare i suoi conti. Armata di bastoncino, aveva disegnato un rudimentalissimo progetto nel terreno, in cui i due Jedi non capirono un accidente, ma fintantoché ci capiva lei, andava bene lo stesso. Si fidarono ciecamente dei suoi ordini - tagliate questo pezzo in verticale, ricavate delle assi, oppure queste tagliatele a rondelle, riusciranno bene come supporti - e lentamente qualcosa cominciò a comparire dall’ammasso di legname che avevano accumulato.

Seguendo le istruzioni di Satine, pulirono il tronco dalla corteccia, che tennero da parte. L’albero era grande, per cui potevano ricavare diverse assi. Qui Gon si dedicò a quel lavoro periglioso, mentre Obi Wan accorciò la metà del tronco che avanzava, togliendo alcune grosse rondelle. Dopodiché, si mise a scavare una buca assieme a Satine, in cui, poi, i due conficcarono quel palo senza troppe cerimonie. La ragazza insistette affinché venissero applicati anche alcuni massi per puntellare la pertica, e così fu fatto.

Non restava che da mettere insieme le assi che il maestro aveva tagliato, e per quel lavoro furono costretti ad impiegare un po’ di fune, con la consapevolezza di doverla riprendere al mattino successivo prima di partire. Tagliarono le assi e poi le legarono assieme, lunghe e sottili, fino a creare una specie di grossa zattera. Satine aveva fatto stringere i nodi particolarmente stretti, e come risultato ottenne che la struttura si imbarcò, arcuandosi pericolosamente sotto le mani poco sapienti dei due Jedi.

- E’ esattamente così che deve essere!- aggiunse, fiera del suo risultato. 

Con l’aiuto della Forza, Obi Wan e Qui Gon sollevarono la struttura e la depositarono a terra. Con loro grande sorpresa, la zattera arcuata trovò il suo punto di equilibrio proprio sul palo che era stato piantato a terra, creando una specie di pergolato rudimentale, un’estensione della caverna stessa nella forma e nell’aspetto. Allo stesso modo, consentiva di convogliare un po’ di calore dal fuoco che avrebbero appiccato all’esterno, nella parte rimasta scoperta, e sarebbero stati più al caldo. 

Satine, però, non aveva finito.

Tra un colpo di tosse e l’altro, si impuntò per portare personalmente dentro l’incavo roccioso la chioma dell’albero. I rami e gli aghi di pino avrebbero tenuto loro caldo durante la notte, proteggendoli dalla nuda roccia fredda. 

Parte dei rami e dei trucioli furono, infine, usati per accendere il fuoco.

In generale, avanzava loro un bel po’ di legna per scaldarsi e per proteggersi dall’attacco dei predatori.

Consumarono un pasto piuttosto triste, all’ombra della loro caverna arredata, ma Satine era di malumore e non riusciva a trovare niente di positivo in ciò che avevano fatto. Fingeva serenità, ma se ne stava per lo più in silenzio, a tossire, con la forchetta in mano a mangiucchiare la sua razione poco invitante. 

- Dovete prendervi cura di quella brutta tosse, duchessa.- le disse Qui Gon, passandole una mano sui capelli biondi. - Non è proprio il caso di ammalarsi.-

La ragazza annuì, ma i suoi pensieri erano altrove.

- Maestro, il fuoco ci protegge dagli animali selvaggi, questo è vero, ma attirerebbe l’attenzione dei cacciatori di taglie. Forse dovremmo spegnerlo.-

- Mia cara duchessa, preferisco affrontare un cacciatore di taglie che percepisco nella Forza e di cui conosco lo stile di combattimento, che un branco di bestie inferocite che non posso persuadere nemmeno pregando.-

Satine strinse le labbra e non disse più niente per tutta la sera.

Obi Wan e Qui Gon si lanciarono un’occhiata perplessa, e decisero che avrebbero approfondito più tardi.

O meglio, Obi Wan avrebbe approfondito, perché era evidente che Satine si fidava particolarmente di lui. Così, quando la luna fu alta nel cielo e i due ragazzi stavano per addormentarsi sul loro giaciglio di legno profumato, il padawan provò a farsi avanti.

- Satine, che cosa c’è?-

- Ho freddo. Mi fa male la testa e credo di avere la febbre.-

Obi Wan le posò la mano sulla fronte e fu costretto ad essere d’accordo con lei. Era calda, anche se non scottava, ma il clima non la stava di certo aiutando e non l’avrebbe fatto nemmeno il suo cattivo umore.

Armeggiò un po’ con il suo zaino ed estrasse delle medicine, sperando di trovarne una che potesse fare al caso suo. Satine selezionò le scatole con competenza ed alla fine ne trovò un paio che parvero soddisfarla. 

- Sei molto brava.-

- Ho dovuto imparare. Mio padre, sai, dopo il veleno. E’ una competenza che non avrei mai voluto acquisire, ma tant’è. Può sempre tornare utile.-

Buttò giù una capsula e bevve lo sciroppo, poi si accoccolò sotto le coperte termiche con uno sbuffo stanco.

Obi Wan rimase a guardarla, percependo i sensi all’erta del suo maestro. Era chiaro che voleva sapere quanto lui che cosa stesse succedendo, ma non aveva intenzione di intromettersi più di tanto.

Così, azzardò.

- Ti sei spaventata, oggi?-

- Io sono Mando. Io non ho paura.-

- Va bene. Hai provato un qualunque sentimento accettabile per una Mando, oggi, quando ti sei persa nella nebbia?-

Satine rimase per un attimo in silenzio, prima di commentare.

- Non ho provato nessuna sensazione che una Mando potrebbe ammettere.-

Stavi per fartela addosso quando Obi Wan è venuto a prenderti.

Non avresti più voluto lasciarlo andare.

Il ragazzo parve capire e non indagò oltre, anche se aveva un dubbio che non era stato capace di risolvere in tutto il giorno. Avrebbe tanto voluto chiedere, ma sapeva che avrebbe osato troppo, per cui tenne a freno la lingua e rimase accanto a lei ad ascoltarla respirare. Le sue funzioni vitali erano ancora accelerate per la febbre, poteva sentirlo, ma sembravano stabilizzarsi mano a mano che il sonno prendeva il sopravvento. 

Era convinto che la duchessa fosse scivolata nel sonno, quando parlò un’ultima volta.

- Quando tocca a te fare la guardia, puoi svegliarmi?-

Obi Wan la guardò perplesso.

- Perché mai?-

- Non voglio dormire da sola.-

- Ma c’è il maestro Qui Gon…-

Satine, però, si era appallottolata sotto le coperte e non aveva più proferito parola. Temendo che avesse frainteso le sue intenzioni, il ragazzo provò a spiegarsi.

- Non prenderla male. Se vuoi dormire vicino a me, puoi farlo, mica mi offendo. Mi dispiace svegliarti, tutto qui. Ti stai ammalando, hai bisogno di riposo e di recuperare le energie, mi sembra un dispendio inutile. Il maestro Qui Gon veglia su di te tanto quanto lo faccio io.-

- Non importa, tanto mi sveglierò da sola.-

- Non dire così. Nei giorni scorsi non hai avuto incubi.-

- Appunto. Troppa grazia. E poi, adesso ho la febbre e non sono dell’umore giusto. Quasi sicuramente sognerò delle brutte cose.-

- Ma no. Dormirai come un sasso, vedrai.-

- Lo spero tanto.- gli disse, e con ciò si voltò su un fianco e si addormentò.

 

FINE PRIMA PARTE

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ori’vor’e: grazie mille, solo grazie, vore.

Ba’gedet’ye: prego, usato anche nel senso di per favore, anche nella semplice forma gedet’ye, similmente al tedesco. 

Jorir: lett. portare peso in senso ampio orso.

Meshgeroya: lett. gioco meraviglioso, leggasi calcio.

Ne’tra gal mesh’la, jat’isyc, bal wayii jahaal’got!: La birra è bella a vedersi, è buona, e, per gli astri, fa pure bene!

 

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Capitolo 34
*** 28.1- I segreti della mente ***


CAPITOLO 28.1

I segreti della mente

 

ATTENZIONE: questo capitolo - diviso in due parti - contiene dei riferimenti a tematiche relative alla salute mentale che per alcuni potrebbero apparire fastidiosi.

 

Obi Wan sognò di nuovo. Sognò ancora di danzare con Satine e di baciarla sotto il cielo stellato. Era un gran bel sogno, anche se il contenuto di esso era innegabile. Tuttavia, il padawan era convinto che fosse una cosa buona, il fatto che il suo corpo si sfogasse così. In fondo, quelle emozioni in qualche modo dovevano essere liberate, e se si liberavano nei sogni, tanto meglio, almeno lì nessuno le vedeva.

Almeno così il Consiglio non le vedeva.

Ciò che lo svegliò, però, non fu il tocco del suo maestro, né la piacevole sensazione di eccitazione che quel sogno accendeva in lui, bensì un pianto dirotto, disperato, seguito da un paio di colpi di tosse violenti provenienti da qualche parte alla sua destra.

Scattò seduto e si precipitò al fianco della duchessa, che sognava e piangeva raggomitolata in un angolo. Qui Gon se ne accorse e si avvicinò, provando a placare il tormento della giovane ragazza scossa dai singhiozzi.

- Qualcosa non va. E’ stata strana tutto il giorno.-

- Si è spaventata per l’attacco degli spettri.-

- Anche quello è stato strano.- disse il maestro, accarezzandole la schiena mentre la ragazza continuava a piangere, senza accennare a svegliarsi.

- Lo avete notato anche voi?- chiese Obi Wan, gli occhi spalancati per lo stupore e per la paura.- E’ stato come se avessero isolato solo lei. L’hanno tagliata fuori dal gruppo e poi le si sono quasi avventati contro. Noi due, invece, ci hanno quasi ignorato. Perché?-

Qui Gon scosse il capo, senza risposte e a corto di parole. 

Satine aprì un occhio e li guardò perplessa.

Poi, si asciugò gli occhi con il dorso delle mani e scosse il capo, quasi stizzita.

- L’avevo detto che avrei sognato. Ho urlato?-

- No, avete solo pianto.-

- Meglio così. Non ho svegliato l’intero bosco.-

Mentre i due Jedi si apprestavano a darsi il cambio della guardia, tuttavia, qualcosa cambiò, e cambiò nel momento esatto in cui si allontanarono dalla duchessa. La Forza si riempì di disperazione e i due furono costretti a constatare, con grande dispiacere, che la sorgente di quella devastazione era proprio lei.

Non lasciatemi sola, vi prego.

Maestro e padawan si lanciarono un’occhiata esplicativa e poi, con un cenno affermativo del capo da parte di Qui Gon, Obi Wan andò a prenderla.

- Vieni. Questa sera dormi con me.-

E lasciò che gli si appallottolasse accanto, sotto la legna, al riparo dal vento, dall’umido e dal freddo, e con le fiamme del fuoco a scaldarla.

L’alba non portò loro buone notizie. Satine continuava a tossire ed aveva la febbre. Qui Gon voleva andarsene il prima possibile da quel luogo, certamente prima che gli spettri si mettessero di nuovo sulle loro tracce, ma ciò comportava muoversi con la duchessa malata alle calcagna. Lei non aveva la Forza, non aveva la resistenza che ne derivava, né la capacità di curarsi, resistere alla stanchezza e al dolore fisico. La febbre l’avrebbe rallentata, e se avesse preso freddo avrebbe peggiorato irrimediabilmente il suo stato di salute, riducendosi in condizioni preoccupanti e senza la possibilità di avere accesso a cure mediche adeguate.

Era meglio fermarsi.

La nebbia, inoltre, aveva lasciato il posto ad una pioggia torrenziale. Restare all’aperto non era possibile e Satine aveva bisogno di un luogo poco umido e molto riparato. Così, trasferirono i loro oggetti personali sottovento, vicino alla bocca della caverna e in prossimità della loro tettoia di legno improvvisata. Lì, con il fuoco acceso, potevano avere tutto il calore che desideravano. 

La ragazza si scusò a profusione per quella sosta forzata, tra un colpo di tosse e l’altro, ma né Obi Wan, né Qui Gon trovarono niente da ridire. Tutto sommato un po’ di riposo avrebbe fatto bene a tutti, e i due Jedi ne approfittarono per meditare ed esercitarsi. Satine era rimasta a guardarli, ammaliata ed un po’ annoiata, strofinandosi un rametto di pino odoroso sotto al naso. 

Diceva che era balsamico e faceva bene.

A dire la verità, il padawan rimase colpito dall’attenzione con cui la duchessa l’aveva seguito mentre allenava le sue posizioni di Ataru. Poteva scorgere i suoi occhi turchesi studiare ogni sua singola mossa, e a volte l’aveva beccata ad imitarne le linee con le braccia, salvo poi nasconderle sotto le coperte per non attirare l’attenzione.

La situazione era ironica, ma non volle infierire e non disse niente.

Una Mando che impara una tecnica Jedi.

Tuttavia, il loro allenamento non poteva durare tutto il giorno. Le sessioni di meditazione erano per la duchessa estremamente tediose. Vederli combattere era interessante. Poteva già distinguere delle differenze tra i due Jedi soltanto guardando quelle brevi sessioni di allenamento. Erano entrambi scattanti ed atletici, ma Obi Wan era più protettivo, più chiuso su se stesso. Aveva le spalle larghe e squadrate, ma tendeva a chiudere i gomiti, mentre Qui Gon era più dinamico, aperto, quasi leggiadro. Immaginò che la tecnica del maestro fosse quella giusta, eppure non poteva fare a meno di vederne le pecche. Era spettacolare, molto veloce ed incredibilmente efficace, ma troppo aperta per i gusti di Satine. Non aveva la presunzione di poter sconfiggere un Jedi, ma se quelle mosse fossero state fatte da un Mando, senza la Forza, probabilmente la giovane duchessa avrebbe trovato un modo di infilarsi in una di quelle aperture e colpire l’avversario.

Quando meditavano, invece, i due erano fermi nel mezzo del niente, seduti, ad occhi chiusi. Talvolta restavano a terra, altre volte levitavano. Era affascinante vederli galleggiare, ma dopo un po’ le palpebre della ragazza tendevano ad appesantirsi. 

Dormì tante volte quel giorno, piccoli pisolini ristoratori che però la facevano sentire meglio di volta in volta. 

Se solo avesse potuto godersi il piacere del sonno, sarebbe stato la sua terapia preferita, un toccasana per i suoi nervi e per la sua salute.

All’ora di pranzo i due Jedi le avevano riservato la razione migliore, scaldata sul fuoco qualche minuto in più, e le avevano persino fatto una tazza di tè con una bustina requisita dalla loro prima navicella, che adesso stava probabilmente ammuffendo nelle vallate di Draboon.

Non poteva che essere loro grata. 

Durante uno dei suoi pisolini, però, il brutto sogno relativo al terribile avvelenamento di suo padre tornò, facendola svegliare di soprassalto e trovando gli occhi dei due Jedi puntati su di lei. 

- Ho urlato?-

- No, hai parlato.-

- Che cosa ho detto?-

- Continuavi a ripetere c’è qualcuno?-

Gli occhi della ragazza si inumidirono e guardò in basso.

- Mi spiace.-

Qui Gon stavolta si sentì in dovere di prendere in mano la situazione. Non ne poteva più di restare impotente di fronte al dolore di una giovane ragazza che aveva la stessa età di Obi Wan e che non riusciva a gestire da sola la sua disperazione.

- Duchessa, non voglio intromettermi, ma credo che se condivideste questi sogni con noi, forse vi sentireste meglio e ci fornireste uno strumento per aiutarvi.-

La ragazza lo guardò con gli occhi blu spalancati su di lui.

- Con tutto il rispetto, maestro, ma le nostre condizioni sono già abbastanza complicate senza che io aggiunga i miei problemi. E’ un peso che posso portare sulle mie spalle…-

- E svegliare tutto il bosco quando urli in piena notte. Non prenderla male, Satine, ma forse sarebbe più sicuro per tutti se non andassimo in giro con una sirena notturna.-

Se avesse avuto la forza di alzarsi in piedi e se non fosse stata pacifista, lo avrebbe preso a calci dove sapeva lei, ma era l’incredibile potere di quel ragazzo, non è vero? Pungerla sul vivo e farle scoprire i lati più nascosti - ed anche più oscuri - del suo carattere.

Così, la duchessa sospirò.

- E va bene. Volete avvicinarvi?-

Estrasse il datapad dal suo zaino e lo accese. La batteria non era al massimo, e il maestro dedusse che probabilmente aveva già trascorso diverso tempo compiendo quel rituale. 

Sullo schermo apparvero alcune fotografie.

La prima ritraeva un bell’uomo biondo con una bellissima donna dai capelli rossi e gli occhi brillanti. 

- Sono i vostri genitori?-

- Lei era mia madre, Vikandra Bauer Kryze, duchessa consorte. Lui, invece, è mio padre, Kyla Adonai Kryze, Il Duca Buono.-

Le fotografie si susseguirono. I suoi genitori rappresentavano i soggetti principali, assieme ad una rubiconda donna dai capelli crespi e neri e un uomo dall’aria guascona, con i baffi e gli occhi volpini. 

- Quando mio padre ha vinto le elezioni è succeduto a mio nonno Gerhardt Kryze Il Legislatore e ne ha proseguito il percorso di avvicinamento alla frangia pacifista, nata dopo le disastrose guerre contro la Repubblica. Mio nonno è stato il primo regnante a guidare la transizione da uno Stato totalitario, sotto la guida di un unico Mand’alor, ad uno democratico. I conservatori e i sovversivi, tuttavia, non accettarono il cambio di leadership. In verità, sono circostanze che si sono verificate abbastanza spesso nella storia di Mandalore. Il momento più delicato per un Mand’alor è quello post elettorale, dove chi ha votato in senso contrario potrebbe non accettare il suo ruolo e provare ad eliminarlo. E’ stato esattamente ciò che successe con la Guerra Civile: un gruppo di terroristi mise sotto assedio il palazzo di Keldabe, costringendo mio padre ed un buon numero di politici, anche dell’opposizione, a rimanere prigionieri dentro le loro stanze. Il clan Kryze è storicamente legato al clan Bauer, passato alla storia galattica per aver fondato le Abiik’ade, e chiese il loro intervento per rompere l’assedio. Tra le guerriere che parteciparono alla liberazione del palazzo di Keldabe c’era mia madre.-

- Figlie dell’aria.-

- Come, prego?- fece Qui Gon, squadrando il suo padawan con aria pensosa.

Satine, invece, sorrise.

- E’ vero. Il termine significa figlie dell’aria. Sono guerriere addestrate a volare con qualsiasi cosa, anche se l’elemento distintivo è, naturalmente, il viinir. Fu così che si conobbero. Mia madre venne assegnata alla sua protezione personale e divenne la sua guardia del corpo. Detta un po’ prosaicamente, l’ha guardato un po’ troppo e sono nata io.-

I due Jedi abbozzarono un sorriso.

- Maryam - aggiunse, indicando la donna dai capelli neri.- Era lo scudiero di mia madre. Non aveva i numeri per essere una Abiik’ad, ma era la sua spalla e l’ha seguita a Kryze Manor. E’ diventata la sua dama di compagnia, ma non fatevi ingannare dall’apparenza. Sarà anche corpulenta e avrà anche un viso simpatico, ma è una guerriera fenomenale, specializzata a combattere con qualunque oggetto le capiti a tiro, dalle padelle al piumino per la polvere. Lui invece è Athos, il maggiordomo. Lui e mio padre sono vode.-

- Fratelli?-

- Sì. Mio nonno aveva legalizzato la pratica delle adozioni, che è tradizionalmente sempre esistita, ma non aveva mai avuto un’espressione di legge scritta. Athos era il figlio di uno dei contadini che lavoravano le terre a Kryze Manor, prima che mio nonno tagliasse i costi della politica e riempisse le casse dello Stato, messe in ginocchio dalla crisi economica. Lui e mio padre sono cresciuti insieme, così decise di tenerlo alle sue dipendenze, trasformandolo nel maggiordomo tuttofare della nobile casata dei Kryze.-

- Fammi indovinare: non dobbiamo farci ingannare dall’aria placida?-

Satine rise.

- Oh, no, al contrario. Athos è esattamente quello che sembra. Un vero briccone. Lui e mio padre sono stati la coppia di furfanti più celebre di Kalevala. Poi sono arrivate mia madre e Maryam a far mettere la testa a posto a tutti. Mi domando che cosa aspettino a sposarsi.-

Poi, con un leggero rossore sulle guance, abbassò gli occhi.

- Scusate, non sono discorsi da Jedi, questi.-

- Mia cara duchessa, come vi ho già detto, non esiste un mondo su misura per noi. La vostra famiglia è interessante. Avete detto che vostro padre ha preso il posto di vostro nonno, ma non mi risulta che Mandalore sia una monarchia ereditaria.-

- Infatti non lo è. Mio padre è stato eletto con il settanta per cento dei voti, su una percentuale di votanti molto alta, quasi l’ottanta per cento. Si può dire che in quell’occasione ha votato quasi tutto il sistema. Siamo una repubblica presidenziale. Mio nonno pensò - e forse non a torto - che il sistema non fosse pronto per una democrazia piena. Dopo anni di uomini soli al comando non avrebbe saputo apprezzare il caos che derivava dalla repubblica parlamentare, così cercò la via di mezzo. Un mandato da Mand’alor dura dieci anni, venti se riesce ad ottenere il secondo mandato. Può ripresentarsi per un terzo, purché vi sia almeno un mandato diverso in mezzo.- 

- Qualcuno è mai riuscito a farlo?- domandò Obi Wan, accoccolandosi meglio accanto a lei per non inzupparsi con gli schizzi di pioggia.

- Un terzo mandato? No. Mio nonno è morto alla fine del secondo, perché era anziano. Mio padre non è riuscito a finire il secondo, ed io… Beh, non l’ho nemmeno cominciato, il mio.-

Le fotografie scorrevano sullo schermo. Una bambina paffuta con quello che sembrava formaggio appiccicato sul viso mostrava i dentini di perla, il ritratto della gioia.

- Quella sei tu?-

- Sì. Mi piace il formaggio dei susulurse.-

Sullo schermo apparve poi la bellissima immagine di un viinir impennato ad ali spiegate, con il cielo notturno che si rifletteva nitido sulle più belle acque limpide che i due Jedi avessero mai visto.

- Quello è il Suumpir Darasuum, e lei è Ortense, il viinir di mia madre. E’ vecchia, ormai, e sorda come un campanaro, ma è ancora in forma. Fa la bella vita, a ruminare fieno tutto il giorno e ad andarsene a spasso per i campi. Da quando è morta mia madre non si fa più cavalcare da nessuno.-

Io potrei aver dato una mano con la storia dell’armatura infuocata, ma questa non la racconto.

Qui Gon, comprendendo che stavano lentamente arrivando al punto, azzardò la domanda:

- Com’è morta vostra madre?-

Satine sospirò.

- Evar Saxon è un conservatore incallito, un violento e un pallone gonfiato. Assoldò otto cacciatori di taglie per sterminarci e non ne ha mai fatto mistero. Mio padre era su Mandalore quando noi fummo attaccate su Kalevala. Le guardie lo trattennero, per la sua sicurezza, ma lui riuscì a scappare con Athos e a raggiungere Kryze Manor. Era troppo tardi, però. Mia madre stava per andare a dormire ed era disarmata, ha combattuto con quello che ha trovato. Ne aveva uccisi sei ed era stanca. Il settimo ebbe la meglio, mentre l’ottavo, che faceva il palo, fu ucciso da mio padre nel tentativo di raggiungere casa. Io ero sola. Mamma era morta e Maryam era a tappeto. Il cacciatore cercò di uccidermi. Io non ricordo che cosa ho fatto.-

Un bel pasticcio, hai fatto. Un pasticcio che speri di non ripetere.

- Mi dispiace molto, Satine.- disse Obi Wan, lanciando un’occhiata scettica al suo maestro, che però pareva convinto di quello che stava facendo.

Obi Wan non replicò.

La ragazza, invece, scosse la testa amaramente.

- Evar Saxon ha la testa talmente grande da non passare nemmeno dalla porta. Avremmo dovuto capirlo subito che non poteva essere tutta farina del suo sacco. La verità, purtroppo, è venuta fuori molto tempo dopo, quando ormai era troppo tardi. 

- Mio padre non ha subito altri attacchi alla sua vita, ma è stato impegnato in una guerra di logoramento dove ad essere sotto attacco era ogni singola fibra del suo essere, nonché del nostro. Ogni scusa era buona per farsi beffe di noi, dal nostro aspetto estetico al nostro accento, solo in ultimo veniva criticato il contenuto politico. Sono state messe in giro voci sulla fedeltà di mia madre, sull’educazione assente di mio padre, sulle mie abilità e capacità. Mentre Larse Vizla teneva i fili della congiura, Evar Saxon faceva la parte del bullo, attirando l’attenzione. Avevo undici anni quando provarono ad escludermi dall’anno di addestramento obbligatorio.-

- E come hai fatto?-

- Ho partecipato comunque. Ero l’unica bambina e sono stata addestrata da un uomo che, era risaputo, simpatizzava per la Ronda della Morte. Se penso ora a come ho fatto a superare quell’anno, francamente non so darmi una risposta.-

Ed adesso sì che i due Jedi erano stupiti. Non soltanto Satine era una Mando addestrata a combattere, ma ad addestrarla erano stati niente meno che i suoi nemici giurati. 

- Poi hanno provato a sabotare il mio verd’goten. Sapevano che soffrivo il freddo ed hanno truccato il sorteggio ambientale per spedirmi sul Ruus uj’ayl. Gli è andata male anche quella volta. Sono cominciate le proposte di matrimonio. Se non potevano prendere il potere legalmente, intendevano prendere in sposa chi probabilmente il potere lo avrebbe avuto, salvo poi chiuderla da qualche parte - o farla direttamente fuori - e governare al posto suo. Considerata la storia del mio clan, si tratta di un vero e proprio oltraggio. Alla fine, sono finiti a spiare la doma del bev meshurok, e gli è andata male anche quella. Hanno spostato la strategia dell’odio su di me, e non hanno mai smesso.-

Qui Gon aggrottò le sopracciglia.

- Che cos’è un bev…-

- Un bev meshurok? Sono grosse creature pericolose, che sono quanto di più simile è rimasto dei mitosauri. Sapete, vero, che il mio popolo è famoso per averli cavalcati, prima che si estinguessero tanti anni fa?-

- Certo, ma temo di non avere capito.- trasecolò Obi Wan. - Tu cavalchi un mitosauro?-

Obi Wan pensò che forse sarebbe stato meglio se avesse tenuto la bocca chiusa.

Satine lo guardò malissimo

- Come mai questo tono sorpreso?-

Sullo schermo apparve una creatura meravigliosa, dalle scaglie opalescenti e dagli occhi blu come la galassia pieni di pagliuzze cristalline come stelle. 

- Myra è un bev kar’alor, ma credo che voi lo conosciate come Sole di Mezzanotte.-

Qui Gon non aveva idea di che cosa fosse, mentre Obi Wan ne aveva sentito parlare, ma non ne sapeva molto. Satine non provò nemmeno a spiegare loro che cosa significasse cavalcare una creatura come Myra, anche perché i due uomini erano ancora fermi alla parte in cui aveva confessato di averne domato uno.

Beh, domare è una parola grossa. Myra mi mangerebbe - letteralmente - se mi sentisse.

- Sentite, capisco che sono pacifista, però sono anche Mando. Solo perché ho scelto di non combattere, non significa che io non sappia fare ciò che il mio popolo sa fare meglio.-

Sacrosanto.

Mano mano che il racconto proseguiva, la storia della ragazza si faceva sempre di più a tinte fosche, in un quadro politicamente complesso dove il burattinaio muoveva le pedine indisturbato, con grosse disponibilità di mezzi economici e tutte le capacità per agire in incognito.

- Dopo la Scuola di Governo, ho affiancato mio padre a Keldabe. Non è stato per niente semplice, ed è stato in quel frangente che abbiamo scoperto degli spettri. Abbiamo continuato a studiarli e siamo giunti alle conclusioni che vi ho detto. Di più, non sappiamo. Le ricerche sono andate avanti anche dopo l’attentato, parallelamente alla congiura contro di noi. Abbiamo scoperto dei traffici loschi che la Ronda della Morte ed i suoi finanziatori intrattengono con le fabbriche di armi su Absanz. Abbiamo rintracciato diversi pagamenti provenienti da conti intestati ad Evar Saxon e ad un’altra persona, che si è rivelata essere Larse Vizla, anche se non avevamo le conferme. Hanno cercato di screditare mio padre facendo naufragare la riforma della sanità, e non ci sono riusciti. Hanno provato ad avvelenarlo una volta, ma gli è andata male, anzi, ci hanno fornito la scusa per indagare più a fondo. L’ultima volta, sono riusciti a metterlo fuori gioco. Non ricordo molto di quel giorno. So di aver urlato, forse per ore. Mi hanno detto che continuavo a ripetere se ci fosse qualcuno nel palazzo, ma, curiosamente, tutte le stanze quel giorno erano vuote.-

I due Jedi sospirarono, mentre Satine faceva scorrere le foto, fermandosi sull’ultima.

- Questo è quello che resta dell’uomo che avete visto nelle fotografie precedenti.-

La differenza era devastante. Del bell’uomo sorridente dallo sguardo vivido restava solo il fantasma. La fotografia lo ritraeva seduto in poltrona, vestito di tutto punto, ma evidentemente provato. Indossava le pantofole, ma i due Jedi potevano vedere le gambe sottilissime, rese magre dal non uso. I pantaloni gli stavano grandi. La giacca e la camicia nascondevano la magrezza, ma la spilla sotto il mento, dello stesso colore degli occhi, evidenziava il collo sottile. Il volto era sfigurato e corroso dal veleno, riducendo la bocca ad una sottile linea rosa, ma gli occhi, quelli erano ancora lì, brillanti, vividi e luccicanti d’intelligenza, mentre Satine gli passava una mano sui capelli biondi pettinati di fresco. 

La sua sagoma, per quanto provata dagli eventi, trasudava fierezza e dignità, forza. Il corpo del duca Adonai poteva essere malmesso, ma i suoi giorni non erano ancora finiti e lui sembrava avere tutta l’intenzione di vedere la conclusione di quella terribile storia.

- Cosa sono quelle macchine?-

- Lui non può più parlare. Lo fanno al posto suo.-

Che brutto destino, però, pensò Obi Wan, mentre guardava quella fotografia. 

Passare dall’essere un uomo dinamico ad una creatura completamente inerme, dipendente da qualcun altro, quando non dalle macchine. Non poter più sentire la propria voce, quando si è fatto di essa il proprio mezzo per fare del bene.

Per persone come lui, questa è una sorte peggiore della morte.

Ed adesso capiva anche il motivo per cui Satine stava così male. Al di là del senso di colpa di non essere riuscita a fare di più per evitare il peggio, era chiaro che vedere tutti i giorni la differenza tra il suo attuale padre e la persona che era stato doveva essere devastante, la dimostrazione più lampante della barbarie dell’essere umano che infligge quel tipo di sofferenza volutamente.

Rende ancora più nobile il fatto che lei voglia discostarsi da tutto questo, nonostante sappia di essere capace di replicarlo.

- Noi Mando siamo gente di tradizioni, per noi la famiglia è tutto. Mi manca casa. Pensate che finirà presto?-

I due Jedi rimasero in silenzio, a soppesare le parole.

- Non lo so, duchessa. In tutta onestà, non lo so proprio.-

Satine sospirò e richiuse il datapad, spegnendolo.

- Pensate che potrei chiamare casa? Ho una linea privata con le Abiik’ade. Dovrebbe essere segreta. Potrei avere aggiornamenti sulla situazione politica. Potrei dover fare delle scelte strategiche. Siamo su Krownest, non credo che ci convenga avvicinarci alla capitale e nemmeno alla zona industriale, dove i Wren sono fortissimi, sempre che non sia cambiato il quadro politico. Lusk Wren sembrava sinceramente dispiaciuto per quello che hanno fatto a mio padre. Erano amici un tempo, ma è tutto andato a rotoli per via della riforma della sanità. Larse Vizla lo ha convinto che i Kryze volevano togliergli il pane, che non avrebbe più guadagnato le stesse cifre per la produzione dei farmaci. Ovviamente non era vero niente. La neonata PharmaMandalore era praticamente in mano sua. L’ultima volta che l’ho visto, aveva lasciato libertà di voto, e il suo gruppo aveva votato a favore della riforma della sanità. Immagino che questo non abbia fatto piacere né a Vizla, né a Saxon.-

Ah, i soldi. Fanno miracoli, ma fanno anche presto a disfarli.

Qui Gon sembrò pensarci su e poi annuì, convinto.

- Penso che si possa fare. Adesso però riposate, duchessa. Avete bisogno di essere in forze per andarcene da qui domattina presto.-

- Maestro, padawan, c’è anche qualcos’altro che non vi ho detto. Con questo, vi prego di credermi, io vi ho detto tutto quello che so, e spero di fare bene.-

Sia il maestro che il padawan si apprestarono ad ascoltare con diligenza, tuttavia quello che sentirono non era esattamente ciò che si aspettavano.

- Quando indagammo sui traffici con Absanz, scoprimmo che un conto straniero finanziava la vendita di armi per la Ronda della Morte. Quel conto proveniva da Coruscant, e per la precisione da una filiale bancaria che mi risulta essere spaventosamente affine al Senato della Repubblica. Il titolare è secretato. Non siamo riusciti a rintracciarlo. E c’è di più.- continuò, l’aria grave mentre scrutava i volti dei due Jedi.- Quando c’è stato l’attentato alla Fortezza delle Cascate, stavo aspettando di incontrare un gruppo di senatori della Repubblica. Non sono mai atterrati. Qualcuno ha dato il contrordine perché c’era un attentato in corso, e lo ha fatto quando io non ero ancora partita da casa.-

- Beh, Larse Vizla ha fatto il colpo di stato nottetempo, se non sbaglio.- commentò Obi Wan, grattandosi il mento, pensieroso.

Gli occhi di Satine brillarono, non seppe se per furbizia o per paura.

- La chiamata non è partita da Mandalore. Il contrordine è venuto da Coruscant.-

Obi Wan e Qui Gon si guardarono.

Ah.

Adesso era finalmente tutto chiaro. Capivano perché Satine aveva mentito al Consiglio Jedi, la sua reticenza, il suo concedere informazioni con il contagocce. 

Non si fidava di loro e credeva di avere tutte le ragioni per farlo.

Solo alcune persone potevano permettersi di fare operazioni bancarie nel completo anonimato. Era una norma, quella, che aveva suscitato non poche perplessità e che molti pianeti della Repubblica osteggiavano apertamente, ma che era stata mantenuta per proteggere gli interessi di alcuni tra i più influenti politici repubblicani.

Se il conto era criptato, voleva dire che apparteneva ad un senatore. 

Ed i Jedi erano spesso in contatto con la Repubblica. Con il cancelliere. Con i senatori. Il tempio Jedi era su Coruscant e già questo poteva destare sospetti.

- Capisco.- disse Qui Gon, alzandosi per attizzare il fuoco.

- Ho bisogno di farvi questa domanda, maestro, padawan. Chi servite?-

La pace.

La democrazia.

La Repubblica.

Obi Wan pensò che i Jedi avevano molti padroni, ma ce n’era uno superiore a tutti.

- Noi serviamo la Forza, duchessa.-

- E la Forza, chi serve?-

Sta cercando di capire se la tradiremo. 

Vuole sapere se la venderemo al miglior offerente.

Vuole sapere se può fidarsi di noi o se è condannata a morte.

- La Forza serve solo se stessa ed il suo volere, mia cara.- le disse Qui Gon, rassicurandola.- La Forza non ha padroni e non è serva di nessuno. Soprattutto del denaro e del potere.-

Il maestro e la duchessa rimasero a scrutarsi per qualche secondo. Poi, sul volto della ragazza si distese uno dei pochi sorrisi sinceri che avesse fatto in quei giorni difficili. 

Avrebbe potuto dormire sonni tranquilli, adesso. 

 

Il dubbio di Obi Wan che la febbre di Satine derivasse dall’ustione alla gamba fu presto dissipato. La febbre passò e la tosse peggiorò, ma sembrava che il peggio fosse ormai lontano. A sera, la duchessa mangiò e bevve a sazietà e si accoccolò vicino al fuoco per dormire - ancora - forse per tutta la notte. Qui Gon sembrava soddisfatto del risultato di quel riposo forzato ed Obi Wan si fidò di lui. Sapeva per esperienza che il suo maestro non era un campione di sensibilità quando si trattava di malattia e affaticamento. Lui stesso non era capace di ascoltarsi quando stava male, e l’idea di farsi vedere dalla magistra Che in infermeria tormentava i suoi peggiori incubi. Nonostante questo, però, era anche memore della delicatezza che aveva spesso avuto nei suoi confronti, ed era consapevole che non avrebbe mai voluto il male della duchessa. 

Come al solito, il maestro montò il primo turno di guardia, brontolando per l’umidità ora che la pioggia aveva smesso di scrosciare. 

Satine stringeva le gambe al petto, lo sguardo malinconico fisso sulle fiamme, la testa poggiata sopra le braccia. Il rossore delle fiamme danzava sul suo viso assorto, una ruga di espressione marcata dal baluginare, una piega di preoccupazione che le solcava la fronte. Le dita avevano smesso ormai da un pezzo di tamburellare nervosamente sul sacco a pelo e anche i piedi erano ormai troppo stanchi per muoversi, ma la sua mente restava vigile, guardinga, incapace di porsi in quello stato di beata quiete chiamato sonno. 

Obi Wan percepiva la sua agitazione e si sentiva impotente. Pensò che farla parlare fosse l’unico modo per calmarla un po’ e cercò quindi di attaccare bottone.

- A che cosa stai pensando?-

La ragazza non distolse lo sguardo dal fuoco.

- Dici che mio padre sta bene?-

Obi Wan sospirò. Aveva sospettato che si trattasse di questo.

- Per quello che vale, sento che va tutto bene a casa, Satine.-

La ragazza abbassò lo sguardo ancora di più, posandolo sulle braci incandescenti.

- Vorrei avere anche io il tuo dono per poterlo sentire.-

- Avere la Forza è qualcosa di splendido, ma è anche una condanna. E’ come avere i sensi amplificati. Senti ogni singola vibrazione, presenza, felicità e dolore allo stesso tempo. Per qualsiasi cosa. Avere queste percezioni è magnifico, specie se si tratta di gioia, ma quando si tratta di altro…-

- Voi potete mandarlo via.-

A quel punto, Obi Wan non seppe che cosa dire. Sospirò, provando a trovare le parole giuste per esprimersi.

- Ci insegnano a privarci delle sensazioni negative, è vero. Disperdiamo nella Forza rabbia, paura, ansia, frustrazione, ma questo non significa esserne immuni. Ho sentito il tuo dolore fin dall’inizio. Non so come tu faccia a conviverci senza la possibilità di liberartene.- 

Poi aggiunse, fissandola negli occhi senza che lei ricambiasse il suo sguardo:

- Ti ammiro per questo.-

Questa volta lo sguardo di Satine si sollevò e si legò al suo. I due rimasero a guardarsi per attimi che sembrarono eterni, incerti su che cosa fare e che cosa dire. 

Il maestro Qui Gon, pretendendo di montare la guardia, se ne stava poco distante, tutto orecchi, percependo ogni singolo bisbiglio, anche se i ragazzi gli stavano dando del filo da torcere. 

- Puoi insegnarmi?-

- In che senso?-

- Voi pensate che io sia un po’ sensibile alla Forza. Posso imparare a privarmi del dolore?-

Obi Wan sospirò, incerto.

- Posso provare ad insegnarti a svuotare la mente, ma non è detto che funzioni. Sono dell’opinione che tu sia un po’ sensibile alla Forza, è vero, ma non quanto lo siamo noi Jedi. Diciamo che, tra migliaia di persone, tu sei diversa dalle altre, ma non abbastanza da poter, non so, far volare gli oggetti. Sei sensibile, ma non sei un’utilizzatrice naturale. Mi dispiace, ma potrebbe non funzionare a dovere. Potrebbe aiutarti, ma solo in parte.-

- Mi accontenterei.- disse lei, passandosi una mano nervosa tra i capelli.- Fosse anche solo per dormire questa notte.-

Obi Wan si fece sfuggire una leggera risata per la sua ingenuità.

- Non è una cosa rapida. Ci vogliono anni per imparare a padroneggiare la tecnica del tutto. Se sei brava, e sono certo che tu lo sia, raggiungerai un buon livello di qui a pochi mesi, ma non ti aiuterà per stasera.-

Satine lo guardò malissimo ed Obi Wan si sentì in dovere di mettere le mani avanti.

- Ti prego, non dare di matto! Volevo solo dire che…-

- Lo so.-

Satine sospirò e le sue spalle si incurvarono ancora di più. Con la testa posata sulle ginocchia, quasi nascosta, al giovane padawan sembrò di rivivere la notte in cui si erano incontrati, fatta di lacrime, confessioni e dolore. 

Decise che non l’avrebbe mai lasciata in quello stato.

Mai più.

- Satine?-

Il modo in cui pronunciava il suo nome era così diverso dall’accento Mando’a, e la faceva arrossire. Non ci era abituata, ma le piaceva tanto, tantissimo. Era soffice, in particolare la t non era dura, marcata, ma dolce. Non amava l’accento coruscanta, ma avrebbe dato qualunque cosa per sentire il suo nome uscire ancora dalle sua labbra, con quella voce, con quella pronuncia.

- Sì?-

- Va tutto bene?-

Voce profonda, vibrante, bassa, sospirata. 

Questa cosa la stava veramente mandando fuori dai gangheri.

Doveva riprendersi.

- Sì, sto bene, non preoccuparti.-

E la faceva diventare tutta rossa.

Sentì il dovere di giustificarsi. 

- Davvero, sto… -

- Eppure sento che qualcosa ti disturba. Posso ancora aiutarti?- ed allungò una mano per portarle una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio.

Quella era stata forse la mossa più coraggiosa che il padawan avesse messo in atto da tempo. Cercò di non farsi influenzare dal contatto con la sua pelle. 

Ogni volta che i due ragazzi si erano toccati, era stato per necessità. 

Prenderla in braccio per portarla via dagli acari velenosi.

Prenderla per mano per farla fuggire.

Toccarle la fronte per sentirle la febbre.

Medicarla.

Quel gesto, però, era intimo, privato, personale. Fatto per il gusto di farlo, per il piacere di farla stare meglio e anche per il piacere di sentire ancora una volta la seta dei suoi capelli tra le sue dita.

Questa conversazione sta prendendo una piega che non è da Jedi.

- A volte, da sveglia, la mia testa mi dice di fare cose di cui ho molta paura. Non voglio darle ascolto, ma diventa insistente, è come un’erbaccia che si espande in un giardino curato, contaminando tutto e rovinando tutto quello che c’è. E’ un chiodo che sta diventando fisso, e la cosa mi fa paura.-

Stavolta il padawan cominciò a preoccuparsi davvero e sperò che il maestro stesse origliando.

- Che cosa ti dice di fare la tua testa?-

- All’inizio mi diceva che sarei dovuta morire con i membri della mia scorta.-

Obi Wan capì fin troppo bene che cosa intendesse.

- E’ rimorso, capita a tutti dopo una tragedia, ma con il tempo passa.-

- Infatti, cercavo di concentrarmi sul colpo di stato, su mio padre, sulle mie attività, e lentamente quel tarlo ha smesso di tormentarmi, più o meno. Una volta in fuga, però, mi sono sentita inutile. Il tarlo nella mia testa ha cominciato di nuovo a rosicchiare tutto. Mi dice che non ho un senso, che non valgo né servo a niente, che forse, se me ne fossi andata con la scorta, non sarebbe stato solo un atto dovuto, ma un bene per tutti. Forse anche un bene per me stessa.-

- Non devi permetterlo, Satine.-

La ragazza sospirò, una strana durezza negli occhi stanchi.

- Lo so. So che questa non sono io. Non lo sono mai stata. Ho sempre lottato per quello che volevo, ho sempre combattuto per quello che ritenevo giusto. Sapevo che questa sarebbe stata la mia strada, anche se non l’avevo scelta io, ed ero consapevole, anche se non così pienamente, dei rischi che comportava. Adesso, però, è come se qualcosa di estraneo si fosse impadronito di me. Penso cose che non ho mai pensato prima, mi sento apatica, come se niente mi emozionasse più ormai.-

- Satine, io non mi intendo molto di queste cose, non sono un dottore e non posso aiutarti, però posso dirti quello che penso.-

La ragazza annuì, convinta.

- Non ne ho mai avuto esperienza, fortunatamente, ma credo che la tua sia la sensazione più brutta che esista. Ti priva di te stessa e del controllo sulle tue emozioni, ti isola fino a farti sentire un corpo, una larva, un involucro vuoto, e fino a farti desiderare di abbandonarlo. E’ come una bellissima ragazza che non riesci a toglierti dalla testa. Tu che cosa faresti, se ti trovassi in questa situazione?-

Satine sbatté le palpebre, stupita, un velo di ironia negli occhi.

- Un bellissimo ragazzo che non riesco a dimenticare?-

Se Obi Wan comprese, lo nascose per bene.

- Esatto.-

La ragazza fece spallucce, facendo dondolare i boccoli biondi.

- Esco con un altro?-

Obi Wan rise, a metà tra lo stupito e il divertito.

- Non vi facevo così libertina, duchessa.-

La ragazza arrossì.

- Sai com’è, non ho molta esperienza in materia, ho tirato ad indovinare.-

- Non credere che anche io sia un asso in queste cose.- disse lui, cercando di calmarla e di vincere il proprio imbarazzo, mordendosi un labbro. 

Accidenti a me e a quando ho fatto questo esempio. 

- Io sceglierei un approccio diverso.-

- Quale?-

- La inviterei ad uscire.-

Le sopracciglia della duchessa sfiorarono l’attaccatura dei capelli.

- Sei serio?-

- Sì. Si ragiona sempre meglio di fronte al cibo e le persone dicono cose che non direbbero mai a cose normali. Scoprirei molte più cose di lei e alla fine la ringrazierei e me ne andrei, consapevole che non è il mio tipo.-

Satine emise uno sbuffo divertito.

- Beh, è un piano alternativo che può funzionare.- poi si sistemò un ricciolo ribelle dietro le orecchie.- Che cosa dovrei fare, secondo te?-

- Prendi il toro per le corna e invita quel bel signore vestito di nero a cena. Affrontalo, parlaci, scopri che non fa per te, alla fine salutalo. Ci vorrà un po’, ma funzionerà.-

- Un bell’uomo che cerca di sedurti, ma non è il tuo tipo. Invitalo, parlagli e poi dagli il benservito.- 

Dagli la faccia di Gar Saxon. 

- Può funzionare.-

- Sei consapevole che quello che sta cercando di farti non ti piace?-

Accidenti!

- Certo.-

- Vuoi tornare ad essere quella che eri un tempo?-

Fargli fare un capitombolo sullo zerbino?

- Sì.-

- Non succederà. Non sarai più come prima. Tutto quello che hai visto, tutto quello che hai sentito, tutto quello che la tua testa ti ha detto ti segnerà per il resto dei tuoi giorni. Sarai una versione aggiornata di quella che eri prima. Stessa grinta, stesso carisma, stesso carattere, ma più consapevole dell’abisso che c’è dentro ognuno di noi. Magari, riuscirai anche a dosare le forze in modo tale da evitare di ricaderci.-

Sulla faccia di Satine spuntò un’espressione soddisfatta.

- Ribadisco che sono molto di più di tre, i neuroni che hai in testa, Kenobi.-

Tenne per sé la considerazione che le era venuta più naturale, immaginando che non fosse il momento adatto per esternarla. 

Ne sa un po’ troppo per essere semplice maturità. 

Obi Wan, dal canto suo, era preda di una frenesia nuova per lui. Si sentiva sospeso, come se avesse ancora un compito da svolgere, ma non sapesse bene quale fosse e come portarlo a termine. 

Non aveva tre neuroni. Ne aveva almeno sei - o almeno così avevano stabilito - ma che ce li aveva a fare, se non li faceva funzionare?

Cos’era che aveva fatto la magistra Che, quella volta che aveva curato la sua mente?

Bruck che precipita nella Stanza delle Mille Fontane.

Continuavi a sognare sempre la stessa cosa.

- Satine?-

La ragazza annuì.

- Vieni più vicino.-

La duchessa alzò gli occhi, incredula.

- Come, scusa?-

- Vieni vicino a me, qua.- le disse, battendo la mano sul muschio accanto a lui.- Vediamo se riesco a farti dormire, stasera.-

Satine sbatté le palpebre, stupita, poi fece come le era stato ordinato e si sedette accanto a lui.

- Brava. Adesso chiudi gli occhi.- le disse, mentre si assestava in ginocchio davanti a lei, facendo in modo che le loro gambe si sfiorassero. 

La ragazza fece come le era stato detto, un po’ nervosa per la totale assenza di spiegazioni da parte del giovane Jedi.

Obi Wan le poggiò le mani sul viso e si lasciò distrarre solo per un momento dal contatto con la sua pelle. Sentì una strana scarica elettrica corrergli lungo la schiena e si chiese se quel buon profumo di mirto fosse nei suoi capelli o fosse emanato direttamente dal suo corpo. Si riscosse, si concentrò, e poggiò la fronte su quella della duchessa, entrando in contatto con lei.

Il mondo attorno al padawan svanì. C’era soltanto il grigiore fumoso della sua mente, una nebbia densa di ricordi. Obi Wan cercò e cercò dentro le nubi della testa di Satine provando ad individuare quel tarlo, quel nodo che doveva sciogliere, quella tristezza che le attanagliava il cuore. Trovò i suoi ricordi di sangue e di morte, le sue paure più profonde per se stessa e per le persone più care, come veli neri avviluppati attorno alla sua anima bella, gentile, dolce e calma. 

Si stupì nello scoprire che molte di quelle paure riguardavano anche lui e il suo maestro, e si domandò se esistesse al mondo una persona più buona di Satine. 

Inglobò quei sentimenti con la Forza e strappò via quei veli neri, disperdendoli. Ciò che rimase fu pace, tranquillità, calma, una caligine tranquilla pervasa da una strana luce bluastra. 

La luce sembrava familiare ed Obi Wan si sentiva attratto da essa, come una falena dalla luce delle lanterne. Nuotò nella nebbia di ricordi, evitando di sbirciare in ciò che non gli apparteneva, e si diresse verso la sorgente di quella luce.

Come un pulviscolo luminoso in mezzo alla nebbia, là, nelle profondità della sua mente, c’era un bagliore azzurrognolo, così lontano da sembrare irraggiungibile. Così bello da sembrare irreale.

Obi Wan si sentì in pace con se stesso, calmo, sereno, e rimase a fluttuare in quei raggi, galleggiando nel vuoto di fronte a quella luce affascinante.

Poi, rimase invischiato in un velo di nebbia che portava il ricordo di una voce.

La sua voce. Quella profonda, oscura, che aveva terrorizzato le sue notti per mesi e che adesso Obi Wan trovava nella testa della ragazza a ripetere parole per lui senza senso, accompagnate da una curiosa sensazione di bagnato.

Se tutto ciò non fosse stato infinitamente sbagliato, sarebbe rimasto per sempre nella sua mente. Invece, confuso e con un sospiro, si staccò da lei spalancando gli occhi sul suo viso.

Scoprì che nel frugare la sua mente, le sue mani avevano cercato il suo volto, intrufolandosi furtive sulla sua nuca e nei suoi capelli, e che ancora la tenevano stretta rifiutandosi di lasciarla andare.

Scoprì anche che qualunque cosa fosse successa, la ragazza non se ne era accorta. Era rimasta seduta, gli occhi chiusi e l’ombra di un sorriso, il ritratto della serenità.

Obi Wan la lasciò andare, cercando di raccapezzarsi. 

Lei sa. Lei ha visto e sentito quello che ho visto e sentito io.

Satine aprì gli occhi, sentendosi libera da quel peso sul petto che si era portata con sé da troppo, e si specchiò nelle iridi grigioverdi di Obi Wan. Era stata una strana sensazione, sentire la presenza di qualcun altro nei suoi pensieri e nella sua mente, ma era anche stato un sollievo. Aveva apprezzato la discrezione con cui il ragazzo aveva scandagliato la sua memoria, senza insinuarsi là dove non doveva, senza cercare di rubare informazioni, rispettandola come forse solo la sua famiglia aveva fatto. Voleva qualcosa di specifico e l’aveva trovato, liberandola dalla sua oppressione. Si chiese che razza di persona fosse quella disposta a farsi carico del dolore di un’altra per condividerne il peso. 

Guardò ancora quelle iridi e trovò serenità, comprensione, compassione e rispetto. 

C’era anche dello smarrimento, però. Satine si chiese che cosa potesse averlo turbato, o se fosse solo stanco per lo sforzo che aveva compiuto, ma fu immediatamente rasserenata dal sorriso sbilenco che sprizzava gioia da tutti i pori spuntato sul viso del giovane padawan.

- Questo sì, dovrebbe aiutarti a dormire.- e mentre rideva di quel sorriso sghembo, piccole pieghe si formarono attorno a quegli occhi sinceri che sorridevano più del suo viso, increspando una spruzzata di lentiggini attorno al naso, quel naso che sembrava disegnato con un pennello da un artista sopraffino su cui le efelidi danzavano allegramente al baluginare delle fiamme. 

Satine abbozzò un sorriso e ringraziò, con una stretta al cuore che le fece definitivamente capire che lei, per quel naso, per quelle lentiggini, per quegli occhi e per quel sorriso avrebbe dato la propria vita senza pensarci due volte.

- Stai bene?- le chiese, invitandola a sdraiarsi.- A volte, cercare nella mente altrui può dare fastidio, può causare un senso di disorientamento, confusione. Del resto, è lo spazio più privato che abbiamo, ed io te l’ho appena invaso…-

- Ti ringrazio per la discrezione. Sei stato molto gentile. Sto benissimo e sono convinta che riuscirò a dormire stanotte.- 

Obi Wan si sentiva particolarmente coraggioso quella sera e tentò la Forza di nuovo, passandole una mano tra i capelli. 

Sentire le sue dita sul suo viso e tra i suoi capelli la convinse, definitivamente, che anche se era sconveniente - per non dire impossibile - ormai aveva perso la testa per lui e non poteva negarlo. 

Al diavolo ogni tentativo di fare finta di nulla. 

E’ kar’jag, fattene una ragione.

Incredibile come fosse bastato così poco. Si sentiva una bambina, un’adolescente alla prima cotta, incapace di contenere i propri sentimenti.

Ma lei era un’adolescente, o poco più di essa.

Un’adolescente chiamata signora.

Un’adolescente che non poteva permettersi di avere sentimenti, di vacillare, di diffidare delle proprie capacità.

Un’adolescente sulla quale contava un intero sistema.

La sua famiglia.

I Jedi.

In sostanza, un’adolescente che non poteva essere un’adolescente.

Eccetto che con Obi Wan.

Quando aveva avuto bisogno di aiuto, ma si era vergognata troppo per chiederlo, Obi Wan aveva teso una mano senza chiedere nulla in cambio. Era rimasto con lei a consolarla, l’aveva fatta parlare ed era riuscito persino a farla ridere, l’aveva accompagnata passo passo in un atterraggio che definire azzardato è un eufemismo instillandole fiducia, l’aveva portata in braccio correndo per la loro vita e l’aveva liberata da un peso che la stava distruggendo solo per farla dormire. 

Era la persona più generosa e disinteressata che Satine avesse mai conosciuto.

E poi era anche bello. Occhi grigioverdi, capelli biondo fragola, tratti marcati ed eleganti, voce profonda, calma, pacata…

Piantala.

La sua timidezza, il suo imbarazzo, la sua goffaggine la divertivano e allo stesso tempo la intrigavano. Obi Wan aveva l’aria di essere la persona più pacifica del mondo e allo stesso tempo sembrava attirare ogni disgrazia su di sé. Si era gettato un pezzo di ghiaccio grande come dei frutti di Muja sul ditone, era riuscito a dimenticarsi completamente della presenza del suo maestro per aiutarla, non aveva dormito più di una volta per ventiquattro ore filate, si era visto accoppare un motore una frazione di secondo prima di entrare nell’iperspazio.

Povero ragazzo. 

Con lui poteva parlare dei suoi interessi, delle sue passioni, della sua famiglia, dei suoi ricordi, della sua Kalevala. Poteva fare battute stupide e comportarsi da idiota, poteva prenderlo in giro sapendo che non se la sarebbe presa, ci avrebbero fatto una risata su e tutto sarebbe passato.

Con lui tutto era diverso. Poteva essere se stessa.

Forse era proprio per questo che le piaceva tanto.

- Quanti anni hai, se posso chiederlo?-

Obi Wan la guardò, perplesso.

- Diciotto, come te.-

- Sei così saggio per la tua età. - emise un sospiro stanco.- Ne hai viste tante, eh?-

- Effettivamente.- disse il padawan, facendo spallucce.- Ma anche tu, quanto a questo, non te la cavi male.-

- Ho un terzo della tua maturità.- disse, accomodandosi su un fianco mentre frugava tra le sue cose.- E voglio ancora dormire vicino a te, stanotte. Non voglio stare da sola.-

- Sono sicuro che sei troppo dura con te stessa.

Obi Wan si avvicinò a lei e srotolò il suo sacco a pelo. Ci si infilò dentro comodo comodo, percependo il profumo di mirto dei suoi fili d’alba. 

I due si guardarono per una frazione di secondo che sembrò eterna e proruppero in una risata imbarazzata. 

Fu la duchessa a chiudere la conversazione.

- Buonanotte, Obi Wan. Grazie di tutto.-

- Di niente, Satine. Buonanotte anche a te.-

La duchessa chiuse gli occhi e scivolò, per la prima volta in giorni, in un sonno davvero profondo.

Nelle iridi grigioverdi del giovane padawan, però, era rimasta la perplessità per ciò che aveva visto.

In più, Obi Wan era arrabbiatissimo con se stesso. Quella ragazza per lui era un mistero. In quanto Jedi, le sue abilità nella manipolazione mentale e nella percezione della Forza erano superiori. Poteva sentire i sentimenti di tutti, uomini e animali, persino del suo maestro, anche se con lui era molto più difficile. Con Satine, tuttavia, era impossibile. Forse perché una parte di lui non lo voleva veramente, ma leggere nei suoi pensieri diventava sempre più complicato ogni minuto che passava. Era come se la sua mente fosse circondata da una barriera impenetrabile. Sentiva le emozioni in generale, poteva percepire il dolore, la rabbia, la gioia, ma non riusciva a vedere oltre, non sentiva i suoi veri pensieri.

Ad esempio, quando lo guardava con quello strano bagliore negli occhi. Si trattava di qualcosa che non riusciva ad identificare. Aveva percepito una strana distorsione nella Forza, qualcosa che gli aveva fatto capire che lei aveva apprezzato il suo comportamento, ma non riusciva a leggerla, a capirla del tutto, come una frase di un libro incomprensibile anche dopo averla letta tre volte. 

Gli avevano detto molte volte che, con le persone non sensibili alla Forza, era più difficile sentire le emozioni. 

Lei, però, era un mistero totale. Persino la sua mente era misteriosa. Aveva incontrato altre menti, ognuna delle quali aveva la sua peculiarità, ma quella luce bluastra, quella lacrima opalescente che aveva visto nel profondo del suo essere era un completo enigma. Non aveva mai visto niente di simile.

Chi era veramente Satine Kryze?

Un’adolescente, di certo.

Un’adolescente che però aveva avuto gli attributi per domare un Sole di Mezzanotte.

Per mettere l’intero Consiglio Jedi in scacco.

Per guidare un paese da sola di fronte ad un’opposizione estenuante. 

Un’adolescente che forse avrebbe solo voluto essere normale, ma che sotto sotto sapeva di essere nata speciale.

Aveva visto più orrori di quanto una ragazza della sua età avrebbe dovuto vedere, Obi Wan lo sapeva bene, e la cosa gli faceva percepire Satine come più vicina a lui, più di quanto avrebbe voluto.

Per non parlare poi di quell’attrazione micidiale che aveva provato la prima volta che aveva incrociato il suo sguardo e che continuava a tormentarlo ancora, ogni volta che la sua vista cadeva sul suo viso, sui suoi occhi, sul suo corpo esile e allo stesso tempo generoso. A quanto pareva, era capace di perseguitarlo anche nel sonno.

Medita, e forse riuscirai a dormire. 

 

***

 

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Ordo “il sordo" Kryze

E’ il più antico antenato conosciuto, capostipite della famiglia Kryze. Di lui non si sa quasi nulla, se non che era di bassa statura. Nemmeno il nome è certo. Nasce su Kalevala, da genitori sconosciuti, e diventa in breve un abile stratega. E’ noto per aver sconfitto in battaglia i Makyntire da solo, dopo essere caduto ubriaco fradicio dentro la trincea per colpa del cordiale del cuoco Birakis, che senza volerlo inventò la ne’tra gal durante una giornata uggiosa. Si dice che abbia perso l’udito sul campo di battaglia, assordato dall’esplosione devastante di una granata troppo vicina a lui. La favella fu compromessa, e la leggenda vuole che parlasse per lo più a gesti e che riuscisse a dire poche altre parole, tra cui il suo nome, Ordo. Non si sa se sia il suo nome o se venisse chiamato così a causa del suo handicap. E’ considerato colui che ha posto la prima pietra di Kryze Manor e che lo abbia costruito così come lo hanno conosciuto i posteri, sulle rovine di qualcosa di preesistente, anche se non si sa che cosa fosse. E’ stato anche il primo ad iniziare la tradizione di apporre dei ritratti a Kryze Manor. Fiero Mand’alor, il suo handicap non gli ha inibito la facoltà di fare di conto. Fu un ottimo esattore delle tasse e per questa sua dote non sempre fu amato. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Sono stata a lungo indecisa se modificare questo capitolo in modo sostanziale o meno. Alla fine, ho optato per tenerlo grossomodo com’era. Questa è una storia che parla di crescita politica, umana e personale. Satine ed Obi Wan non resteranno sempre così. Cresceranno imparando l’uno dall’altra. 

Sono molto paranoica sotto questo aspetto e ci tengo a sottolinearlo: quanto contenuto qua dentro non è la soluzione ad alcun male. E’ solo un punto di vista, per cui, se qualcuno di voi si riconosce in una situazione analoga e si trova in difficoltà, cerchi aiuto e non provi a risolvere la questione con del fai da te. Sulla salute mentale non si scherza. Servitevi di un professionista, che non c’è assolutamente nulla di male.

Ora, venendo ad aspetti più leggeri, la storia di Birakis è una mia invenzione. Tuttavia, la partita a meshgeroya - leggasi calcio - nel bel mezzo di una guerra di trincea è riferita alla partita tra inglesi e tedeschi nella notte di natale del 1914.

Ordo il Sordo è un’altra delle mie creazioni. Oltre ad essere un espediente divertente per dare un background alla famiglia Kryze, sto seriamente considerando l’idea di utilizzare i personaggi attivamente in futuro. 

Vedremo che cosa verrà fuori.

Da una fanfiction che lessi nel Triassico viene l’idea dei veli neri e dei ricordi, mescolata a qualche passaggio sul Pensatoio della saga di Harry Potter. Anche in questo caso, visto che non ricordo nemmeno quanti anni avevo quando ho letto quella fanfiction, se l’autore fosse nei paraggi non si faccia problemi a scrivermi, che gli do credito volentieri.

 

Molly.

 

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Capitolo 35
*** 29- Shereshoy ***


CAPITOLO 29

Shereshoy

 

ATTENZIONE: alcune immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità. 

 

Al mattino presto, Qui Gon si svegliò.

Era stata una notte tranquilla e i ragazzi avevano dormito della grossa. Obi Wan ed il suo maestro si erano regolarmente dati il cambio, tuttavia l’uomo non aveva potuto fare a meno di notare gli occhi leggermente preoccupati del suo padawan mentre si apprestava a montare la guardia.

Aveva origliato quanto più possibile. Si era seduto ed aveva meditato, ma la conversazione lo aveva distratto ed aveva provato ad ascoltare le parole della duchessa. Si era preoccupato non poco. Tuttavia, il ragazzo aveva gestito molto bene la situazione e si era cimentato in una tecnica di cura mentale che l’aveva stupito. Non credeva che Obi Wan avesse imparato a curare la mente - anche se solo un poco - dalla magistra Vokara Che. Lui e la Twi’lek si stimavano, ma non si amavano. Era una donna molto severa, che aveva a cuore il suo lavoro più di ogni altra cosa, ma la sua rigidezza non suscitava le simpatie di Qui Gon, che tendeva ad evitare come la peste l’infermeria e, se poteva, ne usciva il prima possibile. La sua indole non gli permetteva di restare troppo tempo a riposo ed andava puntualmente a scontrarsi con le idee della magistra Che.

In questo senso, Obi Wan gli assomigliava parecchio, tuttavia il ragazzo era anche molto più saggio e più diligente di lui. 

Entrare nella mente della duchessa era stata una mossa coraggiosa e quello che aveva visto doveva averlo infastidito. 

Che ci sarà mai stato, nel cervello della duchessa?

Quando il maestro si svegliò, Satine dormiva ancora come un sasso. Obi Wan aveva già scaldato la colazione e mise la porzione di Qui Gon da parte per invitarlo a sedersi attorno al fuoco. 

- Hai dormito bene, ragazzo?-

- Sì.-

- Niente sogni?-

- No.-

Quindi la sua espressione corrucciata non era derivata da un sogno. 

Doveva avere per forza a che fare con la duchessa.

- Secondo te, come sta?-

- Ha dormito tutta la notte senza svegliarsi nemmeno per sbaglio. Credo che abbia recuperato abbastanza per camminare oggi, ma non credo che dovremmo sottoporla ad uno sforzo eccessivo. Rischia di ricaderci.-

Il ragazzo attaccò la sua porzione come se non ci fosse niente di più buono sul pianeta e suscitò un sorriso nel suo maestro.

Quel ragazzo avrebbe mangiato anche i sassi, se avesse potuto.

- Vi siete parlati ieri sera.-

- E voi avete ascoltato, vero?-

Qui Gon ammiccò un poco.

- Lo ammetto. Quello che ha detto è stato… Beh, triste, ma tu sei stato bravo. Hai gestito la cosa molto bene.- 

Obi Wan, improvvisamente, smise di mangiare e lasciò cadere la sua gamella sulle pietre del focolare per rivolgersi con aria preoccupata al suo maestro.

Non accadeva tutti i giorni che il padawan smettesse di mangiare per comunicare qualcosa, e non poteva fare altro che mettere in guardia Qui Gon.

- Che è successo, ragazzo?-

- Avete visto che cosa ho fatto, ieri sera?-

- Sì.-

- Lei è la mia visione.-

- Questo lo avevamo capito, ragazzo. La Forza voleva che…-

- No no, maestro. La Forza non voleva che venissi su Mandalore, la Forza voleva che incontrassi lei. Quello che vedevo non era la Luce di Mandalore, era la sua testa.-

- Cioè, stai cercando di dirmi che Satine Kryze ha i raggi di luce bianca nella testa e una voce profonda che parla Mando’a?-

Obi Wan sospirò e giocherellò un poco con il cibo nella gamella.

- Lo so che sembra assurdo, ma è esattamente quello che ho visto. La sua mente era piena zeppa di brutti ricordi che ho provato a disperdere nella Forza per farla dormire. Una volta rimossi, è rimasta la classica caligine di una mente pulita, ma in fondo c’era come un bagliore, una luce biancastra. Ho provato a raggiungerla e mi sono trovato nella mia visione. C’era anche la voce, anche se diceva cose che non capivo, e si associava ad una strana sensazione di umido. Credo che la voce fosse un ricordo che lei ha associato all’acqua, ma non saprei dirlo. Quello che è certo, è che Satine Kryze di Kalevala è la ragione per cui sono qui, e credo che lei sia quella giusta.-

- Quella giusta per cosa?-

- Per regnare su Mandalore. Ricordate che cosa ha detto a proposito dei precedenti Mand’alor che hanno aperto la Luce?-

Come no. Non aveva capito molto della tecnica che aveva impiegato Obi Wan per scandagliare la mente della ragazza, tuttavia non gli era sfuggito il fatto che tutti quelli che avevano aperto la Luce di Mandalore in passato avevano fatto parte della famiglia Kryze. 

Non era un’idea poi così azzardata, pensare che Satine portasse quella capacità dentro di sé, visto che sembrava correre nella sua famiglia.

Un tempo si erano chiesti se stessero facendo la cosa giusta, se Satine Kryze non stesse semplicemente tirando acqua al proprio mulino per imporre il proprio regime alla sua gente, un regime che su Mandalore non tutti avrebbero condiviso. 

Si erano chiesti, credendo di conoscere la cultura di Mandalore, se non stessero aiutando la persona sbagliata.

Adesso, cominciavano a pensare che fosse quella giusta.

Non sapevano se la leggenda della Luce di Mandalore fosse reale o no, ma ciò che Obi Wan aveva visto nella mente della duchessa era qualcosa di cui tenere conto.

Certo, Qui Gon era ancora perplesso. Non capiva molto dei segreti della mente, e per questo preferiva non speculare su quanto il padawan aveva visto. 

- Ricordati che solo i Sith ragionano per assoluti, figliolo. Dubita sempre di quello che i tuoi sensi percepiscono, quando si tratta della Forza. Le sue strade sono complesse. Tu pensi che quello che hai visto nelle visioni fosse la mente della duchessa, ma puoi esserne certo?-

In quel momento, Satine si stirò e sbadigliò, catturando l’attenzione dei due Jedi. Si lanciarono uno sguardo, Obi Wan facendo capire al maestro che aveva capito, e Qui Gon dichiarando chiusa la conversazione. 

Satine aprì un occhio e lo fissò sul giovane padawan.

- Lor’vram?-

- Colazione, eh?- chiese il maestro, il velo di un sorriso sul volto.

Obi Wan rise con gli occhi ed annuì.

La febbre non c’era più e la tosse era migliorata decisamente. Mentre la duchessa raccoglieva le sue cose, i due Jedi recuperarono la corda dalla loro tensostruttura improvvisata e lasciarono la loro caverna. 

Camminarono nei boschi, ancora ed ancora. Si fermarono, pranzarono e continuarono a camminare. A metà pomeriggio, Satine cominciò a dare cenni di cedimento. Tossì più volte di fila ed ebbe la sensazione di stare per collassare sotto il peso del suo bagaglio. Non disse niente, provando a nascondere il suo stato di salute ai due Jedi, che tuttavia non erano del tutto ingenui e decisero di fermarsi. 

Faceva ancora molto freddo, e il fatto che non avessero trovato un riparo sicuro per la notte non li rendeva di certo felici. Si nascosero sotto le piante e dormirono all’aperto, dandosi il cambio attorno al fuoco per scaldarsi. 

Trascorsero ben tre giorni in quelle condizioni, prima di trovare riparo in una conca scavata sotto la montagna. Anche in quell’occasione Satine disegnò un progetto nella neve e nella terra, e i due tagliarono gli alberi, ne presero delle assi, le legarono e ne fecero una tettoia. Trasportarono la chioma degli alberi dentro la conca per tenere caldo, e questa volta ricoprirono anche parte della tensostruttura per trattenere il calore.

Tre lunghi giorni, in cui Satine non aveva più accennato a nessun malessere. Non una parola, non un commento, non un sospiro che tradisse la sua solitudine e il suo dolore. Sembrava che avesse cambiato completamente il proprio atteggiamento. Era da stupidi pensare che tutto quanto fosse sparito con l’intervento di Obi Wan di quella sera, in cui aveva drenato nella Forza i suoi terribili ricordi. Sicuramente Satine stava ancora molto male, ma provava a non darlo a vedere. 

Così, una sera, mentre erano seduti attorno al falò, il padawan provò a comprendere.

- Sembra che tu ti senta molto meglio.-

La duchessa avrebbe potuto fare finta di non capire, ma era evidente che non ne aveva voglia.

- Non credere che sia tutto finito, Obi Wan. Sto meglio, mi hai fatto capire una cosa molto importante. Shereshoy.-

Il ragazzo sollevò un sopracciglio, perplesso.

- Non c’è un termine corrispondente in Standard, credo. Sostanzialmente, è la voglia di vivere, il desiderio di non perdere ogni singolo dettaglio della propria vita. E’ una tipica parola mandaloriana, una delle più tradizionali, che rappresenta la volontà di assorbire tutto ciò che la vita può dare e che il giorno porta con sé, con la determinazione di vivere un altro giorno ancora.-

Poi, Satine abbassò lo sguardo e alzò le spalle.

- Beh, almeno ci provo.-

Al contrario di quello che si era aspettato Obi Wan, il maestro Qui Gon le fece un sacco di feste. Le andò vicino, le poggiò una mano sulla spalla, le accarezzò i capelli e si mostrò molto disponibile con lei. La ragazza, dal canto suo, era evidentemente molto felice per quelle attenzioni e non mancò di dimostrarlo nei giorni successivi. Durante il cammino, al mattino seguente, non fece altro che chiedere al maestro quali fiorellini, muschio o corteccia preferisse. Glieli faceva annusare, così da scegliere una fragranza che gli piacesse per rimpolpare il suo sacchetto del cinyc. 

Obi Wan era contento che la ragazza gli rivolgesse tutte quelle attenzioni. Fino a quel momento aveva avuto paura che Satine stesse costruendo un legame soltanto con lui e, nonostante godesse intimamente dell’esclusività del loro rapporto, temeva l’idea che non riuscisse ad instaurare un legame di fiducia con il maestro, fondamentale per la riuscita della loro missione. Qui Gon, dal canto suo, sembrava consapevole di dover provare qualcosa alla giovane duchessa: che loro due erano degni di fiducia. Voleva farle capire che aveva la loro parola e che non l’avrebbero mai tradita, soprattutto dopo la rivelazione che avevano ricevuto in confidenza durante la convalescenza della ragazza. Si trattava di una ragione in più per assecondare i tentativi di Satine di stringere un legame, a cui il buon maestro non voleva assolutamente dire di no, e sembrava particolarmente ed insolitamente contento di esserle vicino.

Qui Gon non era uno sciocco. Ciò che stavano condividendo lei ed il suo padawan stava diventando ogni giorno sempre più evidente, e non poteva fare a meno di domandarsi se ciò che stava facendo fosse giusto. 

Stava stringendo un legame con la donna che, probabilmente, gli avrebbe portato via il suo padawan. 

Quello, però, era un pensiero egoista, sbagliato per un Jedi, anche per uno poco ortodosso come Qui Gon Jinn. Obi Wan non era suo, per quanto gli piacesse pensarlo. Il ragazzo apparteneva soltanto a se stesso e sua sarebbe stata la scelta di che cosa fare della sua vita. 

Aveva già sbagliato una volta.

Quella volta, però, il cuore c’entrava fino ad un certo punto.

In ogni caso quei pensieri erano prematuri, ed il buon maestro li mise correttamente da parte, salvo poi ripescarli in tempi successivi.

Non potè, infatti, fare a meno di pensare la stessa cosa quando vide ballare insieme il suo padawan e la duchessa.

Andiamo con ordine, però.

Il loro rifugio li protesse bene da una tempesta di neve che colpì la foresta. Sarebbe meglio dire, però, che li protesse al massimo delle sue possibilità. Sfortunatamente, le loro condizioni erano quelle che erano e Satine era carente di vestiti e lane che potessero tenerla calda. Passava la maggior parte del tempo avvolta in una coperta termica, almeno fino a che Qui Gon non ebbe l’idea balzana di cambiare menù e di andare a caccia.

Tornò con un grosso cervo o con qualcosa che ci somigliava molto. Satine ne fu contenta, sottolineando che la carne di quell’animale era buonissima, se cucinata a dovere. Si lamentò un poco per l’assenza di spezie, mentre i due Jedi ringraziarono la Forza.

Qui Gon non avrebbe mai confessato quel segreto, ma il suo apparato digerente aveva rimpianto la sua coraggiosa messinscena con la salsa piccante per giorni e giorni. 

Satine fu felicissima della sua pelliccia nuova. Scuoiò la carcassa con perizia, sotto gli occhi attoniti dei due Jedi.

Per essere una pacifista ha una certa confidenza con la morte e con i cadaveri.

Poi, ne mise a seccare le pelli.

Se non fosse stato per la necessità che avevano di quella pelliccia, i due uomini ne avrebbero fatto volentieri a meno. Puzzava di morte ogni minuto di più ed in qualche circostanza erano stati costretti a manipolare la mente dei predatori sopraggiunti perché attratti dall’odore. 

Un giorno la ragazza decise di buttare la pelle, ma i due Jedi si rifiutarono categoricamente. 

- Un animale possiamo mandarlo via. Una polmonite, temo di no.-

Era una gran bella pelle, e bella grande, una volta aperta. Sulle prime avevano immaginato che la ragazza avrebbe tenuto il pelo esposto all’aria e il cuoio a contatto con il corpo, ma Satine, invece, fece l’esatto opposto. Piegò la pelle in due e poi la tagliò a misura del suo corpo. Nello zaino aveva, oltre ai vari suppellettili personali di cui i Jedi erano a conoscenza, un kit per il cucito, piccolo e pratico, con un vasto numero di aghi e fili, tra cui quelli grossi e resistenti per cucire la pelle. 

Poi, una sera in cui il tempo era stato clemente ed aveva smesso di nevicare, lasciandoli a riposare sotto un pino attorno al fuoco, Satine si mise a cucire, e a cucire, ininterrottamente, provando a dare forma a quella grossa massa pelosa che per i Jedi non aveva un senso.

Al mattino dopo, trovarono la duchessa che sbadigliava, ma che indossava tutta contenta un bel giaccone di pelle imbottita, con il cappuccio peloso ricavato dal cuoio della testa dell’animale. 

Presto giunsero nei pressi di un fiume, le cui acque ghiacciate furono un ottimo approvvigionamento per le loro borracce. I tre bevvero a sazietà e si rimisero in marcia lungo la riva. A sera decisero di pescare, per cambiare un poco il menù. Presero tre bei pesci e li cucinarono all’ombra di un grosso albero dall’aria antica, che Satine guardò con ammirazione.

- E’ una veshok.- disse, accarezzandone il tronco con le mani.- Sono tra gli alberi più antichi del nostro sistema. Era moltissimo che non ne vedevo uno. Ce n’è qualcuno al bosco di Nebrod.-

Il fatto che fossero vicini ad un corso d’acqua di quella portata, come Satine aveva spiegato loro, significava anche che, probabilmente, erano vicini ad una centrale idroelettrica. Krownest era un luogo tecnologicamente avanzato, che viveva di contrasti. La maggioranza della popolazione era piuttosto povera o medio borghese. I villaggi erano pieni di operai che lavoravano per le grandi industrie, che prosperavano e facevano un po’ di soldi con le risorse minerarie e le materie prime farmaceutiche che lavoravano. 

Quella era una delle tante cose per le quali avrebbe dovuto provvedere. Krownest aveva dei grossi problemi con la sicurezza sul lavoro. 

Se solo fosse riuscita ad iniziare il suo mandato!

Essere vicini ad una centrale, però, significava due cose.

Innanzitutto, era probabile che la centrale fosse sorvegliata e che lì vicino ci fosse qualcuno. 

Poi, significava che la linea, probabilmente, era stata ripristinata.

Con il datapad di Satine, azzardarono una telefonata alla linea privata che aveva instaurato con le Abiik’ade, sperando che qualcuno rispondesse.

Alla prima chiamata, la linea suonò a vuoto e poi cadde.

Satine si preoccupò talmente tanto che non mangiò.

Poi, al secondo tentativo, qualcuno prese la chiamata.

- Chi parla?-

- Vanya?-

Per un attimo, l’interlocutore rimase in silenzio.

- Duchessa?-

- Sì. C’è Inga?-

Dall’altra parte del commlink si udì un vociare diffuso e un sonoro raspare, una voce imperiosa che dava ordini e persino un curioso ticchettare, come di zoccoli sul pavimento. 

Poi, l’ologramma di una donna si diffuse nell’aria.

- Satine?-

- Inga?-

- Per la misera, ragazza, ci hai fatto prendere un colpo! Non ti sentiamo da tempo!-

- Non potevo farlo.- disse, lanciando un’occhiata ai Jedi, che sorrisero cordialmente. - Posso presentarvi il maestro Jedi Qui Gon Jinn e l’allievo padawan Obi Wan Kenobi? Lei è Inga Bauer, generale e capoclan delle Abiik’ade.-

Ci fu un breve scambio di convenevoli e poi la conversazione riprese. I tre si rifiutarono di dire alcunché a proposito della loro collocazione attuale ed Inga nemmeno provò a chiedere.

Non era nata ieri, sapeva come funzionavano certe cose.

- Immagino che tu abbia chiamato per un motivo, Satine.-

- Sì. Vorrei sapere che cosa sta succedendo.-

- Non avete modo di avere accesso alla connessione?-

- E’ una domanda o un’affermazione?-

Satine non aggiunse altro ed Inga non chiese oltre.

- Diciamo che la situazione è piuttosto complicata. Larse Vizla è un pazzo scatenato. Farà più danni della grandine, se non riusciremo a toglierlo dalla leadership di Mandalore in tempo. Ha demolito la riforma della sanità, ma immagino che questo tu lo sappia già.-

- Me l’ero immaginato, sì.-

- Ha usato i sei milioni di crediti della riforma per mettere una taglia sulla tua testa.-

- Sappiamo anche questo. Posso parlare liberamente?-

- Permesso accordato.-

- Quel #@//!-

- Sottoscrivo. C’è di più. Continuano ad arrivare armi, bombe e persino navi da guerra. Non ho idea di dove le abbia prese, né con quali soldi le abbia pagate, ma siamo certi che ci sia di mezzo Concord Dawn e la marmaglia di gente che lo abita.-

Satine sospirò mentre la generale continuava il rapporto.

- Non sapevo avesse un simile patrimonio, e sinceramente dubito fortemente che lo possegga. L’aiuto esterno, a questo punto, è inevitabile.-

Inga non sapeva fare politica, ma era sveglia abbastanza da comprendere che i due Jedi potevano essere coinvolti nelle trame della Repubblica e preferì tenere le informazioni per sé. Satine non commentò, ma l’occhiata che si scambiarono Qui Gon ed Obi Wan fu un chiarimento più che sufficiente.  

- Oltre a ciò, ha requisito gli ospedali. Sono attivi soltanto quelli centrali nelle città, ed ha chiuso i distaccamenti. Vuole il controllo su chi entra e chi esce, ed impedire l’approvvigionamento farmaceutico ai nostri ospedali da campo. Noi abbiamo un assortimento piuttosto vasto, ad Eyaytir, ma alle lunghe finiremo anche quello, e anche le Abiik’ade non sapranno con che cosa curare né loro stesse, né i viinire.-

- Mostro.- sibilò Satine tra i denti.- Quell’uomo è un vero mostro.-

- Chi dei nostri ha avuto il coraggio di entrare in ospedale, non è più uscito. Siamo riusciti a portare fuori una delle nostre ragazze, e quello che ha raccontato fa accapponare la pelle. Vengono volutamente somministrare terapie sbagliate a chi è sospettato di essere un oppositore politico o un alleato dei Kryze. Se la morte non sopraggiunge per abbandono, gliela procurano loro.-

Questo, anche nella corrotta Repubblica, era un crimine di guerra. Larse Vizla sarebbe stato processato per i suoi crimini, una volta finita quella farsa, ed era certo come il sorgere del sole che Satine non ci avrebbe pensato due volte a consegnarlo.

Ammesso che, alla fine di quella farsa, Mandalore e Satine esistessero ancora.

Già, perché non erano proprio belle notizie quelle che portava Inga Bauer.

- Hanno chiuso i giornali e i canali principali. Tutte le linee sono sotto controllo. Abbiamo trasferito questo numero su una sequenza protetta, perché la Ronda della Morte ha preso il controllo di tutte le telecomunicazioni ufficiali. I telegiornali si tengono in diretta, con i terroristi armati dietro la scrivania del giornalista, che si guarda bene dal fornire informazioni contrarie al regime o a farle intendere. Il centralino, anche quello galattico, funziona solo se non hai niente da nascondere, o potrai avere la certezza di essere tracciato. Non usare il commlink per nessuna ragione. Ti saranno addosso nel giro di poco.-

- Ne abbiamo avuto un assaggio e c’è bastato, grazie.-

- State bene?-

- Quella che le ha prese di più, fortunatamente, è stata la nostra navicella.-

Inga Bauer annuì e fece spallucce. 

- Poco male. Il resto è peggio. Hanno armi chimiche, che hanno usato per sgomberare Keldabe dalla popolazione civile. Chi si è soltanto intossicato ha avuto fortuna. Molti civili sono rimasti sul campo. Tanti dei nostri combattono con la maschera antigas sotto l’elmo. Una nostra talpa nella Ronda dice che ci sono anche delle armi radioattive. Speriamo solo che non le usino mai, o potremo dire addio al sistema così come lo conosciamo. Sundari è sotto assedio dall’inizio della guerra. Quando riusciamo, gettiamo gli aiuti dal cielo, se non ci abbattono prima con missili a lunga gettata. La gente è stanca e anche noi cominciamo ad essere scoraggiati. Non credevamo possibile che Larse Vizla avesse tutta questa potenza di fuoco.-

- Avrei voluto potervelo dire, ma purtroppo è bravo a nascondere le sue trame. Non riuscivamo a trovare il suo magazzino. Ad un certo punto - e guardò alle spalle, verso i Jedi - avevamo anche pensato che fosse su un altro sistema.-

- Stiamo cercando di impadronirci delle armi nucleari, o di farle saltare nel deposito, distruggendo tutto.-

Satine inorridì.

- Scherzate, vero?-

- Non avremmo alternative.-

- Farete una strage!-

- Perché, Larse Vizla che sta facendo?-

- E’ mostruoso! Per non parlare delle conseguenze planetarie che un esplosione del genere potrebbe avere. Uccidereste qualunque cosa nel raggio di chilometri e contaminereste l’intero pianeta!-

Inga Bauer sospirò.

- Lo sappiamo e non ne siamo felici. Costerebbe anche la vita della nostra talpa, ma distruggerebbe tutte le armi della Ronda e parte di essa. Per quanto catastrofico, sappiamo che potrebbe spuntare definitivamente le armi dei Vizla e la guerra civile finirebbe con meno dispendio di vite e di civili. Forse non hai capito, Satine. Quell’uomo è un sadico. Un civile senza schieramento rischia di morire per avvelenamento solo perché una volta ha preso il caffè al bar dove lo prendeva Kyla. Ha già fatto più vittime lui di quante ne faremmo noi bombardando il magazzino.-

- Se proprio dovete fare secco qualcuno, fate secco lui! Gli altri si disperderanno!-

- Vorrei che fosse così, Satine, ma temo che i pochi suoi seguaci convinti, come i terroristi della Ronda, siano addirittura più invasati di lui, e non credere che Evar Saxon sia meno pericoloso. A differenza di Vizla, Saxon non è intelligente, ma è talmente pieno di sé da sguazzare nella violenza, se gli garantisce la supremazia.-

Satine sapeva che Inga aveva ragione, e il suo sospiro non potè fare altro che confermare le parole della Abiik’ad. 

La donna era bella, coperta da lastre di beskar scintillante, fiera, dallo sguardo di brace, e le ali bronzee nei ricci neri non facevano altro che renderla ancora più regale. I suoi occhi erano buoni e mostrava profonda lealtà nei confronti di Satine. Era visibilmente provata da quanto stava raccontando ed aveva l’aria di averne viste delle belle.

- Satine, credimi. Alla mia età avrei voluto solo vivere in pace, e vorrei risparmiarmi lo schifo che sto vedendo e che ci troviamo a perpetrare.-

- Vi capisco, Inga, e lo so. La mia contrarietà non significa che non sia consapevole, e men che meno che io stia incolpando voi per quanto sta succedendo. So che stiamo solo difendendo un ideale che porterà benessere ai cittadini là dove Larse Vizla porta solo dolore.-

- Sono lieta di sentirtelo dire. Tuttavia, devo informarti anche di una cosa positiva. Beh, più o meno. Lusk Wren è morto.-

Satine trasecolò.

- Cosa? Wren? Come? Quando?-

Inga Bauer dondolò il capo annuendo.

- Esattamente. Non sappiamo che cosa sia successo, ma la Ronda della Morte l’ha messo al muro e l’ha fucilato. Sua figlia Ursa ha preso il suo posto e il titolo di contessa, e credo che non sia molto contenta. Non ha ancora giurato fedeltà a Larse Vizla e, secondo quanto riportano le nostre orecchie all’interno del clan, pare che non abbia intenzione di farlo.-

Questa era una notizia, come Satine avrebbe spiegato ai Jedi successivamente. Lusk Wren era un invidioso ed un uomo assetato di potere, tuttavia non si meritava la fine che aveva subìto. 

- Le ultime parole di Lusk sono state: “Tor, iijaat, haat, verburyc, kotep.”-

- Il motto dei Kryze?-

- Esattamente. Il clan, a quanto pare, non sta né con noi, né con loro. Da una parte non vogliono essere uccisi, dall’altra non vogliono essere sottoposti ad un tiranno che li comanda a bacchetta senza dare loro nulla in cambio. I loro sogni di gloria con la PharmaMandalore sono naufragati, ormai.-

- La società non produce?-

- Assolutamente no. E’ praticamente abbandonata, a quanto ne so.-

Satine si grattò i capelli, pensierosa, mentre Obi Wan si passò una mano sul mento. 

Oh, quanto odiava quella barba. Quanto detestava non potersi radere come si conveniva ad un padawan!

Cacciò quel pensiero e tornò a concentrarsi sull’ologramma della signora Bauer.

- Quali sono le zone più colpite?-

- Keldabe e Sundari, fuori di dubbio. La Ronda è su Krownest per tenere sotto controllo la situazione con il clan Wren, che rischia di degenerare in qualsiasi momento a seconda delle scelte di Ursa. Floran Farrere su Draboon sta tenendo duro, ma presto riusciranno ad incastrarlo. Le cupole di metallo hanno fatto il loro lavoro. Kalevala è sotto assedio, ma per questo ci siamo noi. Ci aspettavamo che venissero a prenderci e siamo riuscite a preservare il nostro spazio aereo.-

- Grazie alle Abiik’ade, immagino.-

- Abbiamo fatto la nostra parte.-

Satine chinò il capo in segno di rispetto di fronte alla generale, che abbozzò un sorriso ed inclinò appena il capo con analogo rispetto.

Le Abiik’ade non si inchinano mai. 

- Non devasteranno il nostro pianeta come Mandalore. Cerchiamo di tenere il grosso della battaglia a Sundari e Keldabe. E’ una roccaforte dei Nuovi Mandaloriani, proviamo a catalizzare la loro attenzione lì, piuttosto che sparpagliare la guerra su tutto il sistema. Da noi ci sono state diverse incursioni, tutte dirette a stanare i Kryze, ma non devo farti sapere che non ce l’hanno fatta, vero?-

- Immagino, se siete qui a parlare con me, che non ci siano stati problemi.-

- Per noi, no. Per la Ronda, un po’, temo.-

Poi, Inga Bauer lanciò un’occhiata di lato per un secondo, salvo poi fissare lo sguardo nuovamente sull’ologramma della duchessa. La ragazza, però, era intelligente e non le sfuggì quel piccolo scambio di sguardi.

- Chi altro c’è lì?-

- Mia nipote Vanya.- la donna sospirò.- E c’è anche Athos.-

- Athos? Siete a Kryze Manor? Posso vederlo?-

L’uomo apparve nel campo visivo del commlink e sorrise a Satine, la stessa luce birbante negli occhi che i due Jedi avevano visto dalla fotografia sul datapad.

- State bene?- chiese la duchessa, senza nemmeno salutare. 

Athos parve non curarsene, anzi, sembrò apprezzare quell’irruenza.

- Oh, sì. Stiamo tutti bene, anche se siamo sorvegliati a vista.-

- Dì a questo manigoldo di rispettare le regole. La prossima volta che scappa per andare a fare lo splendido sulle rive del Suumpir Darasuum lo eviro.-

Però, tosta, Inga Bauer.

- Athos. Lo sai che Maryam si arrabbia.-

- Oh, conosco bene le padelle di Maryam, grazie. Comunque sì, stiamo tutti bene, anche se sentiamo tutti la tua mancanza.-

- Buir?-

- Sta bene. Era tanto che non lo vedevo più così. Ha tirato fuori una grinta niente male. Sai che ha detto, l’altro giorno? Un terrorista aveva avuto il coraggio di spingersi fino ai confini della tenuta e le Abiik’ade lo hanno messo in fuga. Peccato, ha commentato, gli avrei volentieri rotto il mio bastone sul groppone.-

Satine sorrise di un riso felice e spensierato, come poche volte aveva fatto in quei giorni.

- Come ha preso la morte di Lusk Wren?-

- Con filosofia, devo dire, anche se c’è rimasto male. Lo aveva perdonato, sai. Aveva definito le sue scelte uno sbaglio clamoroso, ma pur sempre uno sbaglio.-

- Gli voleva bene, in fondo.-

- Sì, lo credo anche io.-

Tra i due calò il silenzio, Satine con gli occhi bassi ed Athos che non sapeva che cosa dire.

- Gli manchi molto.-

- Anche lui a me. Sta bene davvero?-

- Sì, davvero. Mai una volta che abbia avuto bisogno del dottore.-

- Bene.- disse la ragazza, visibilmente sollevata.- Proprio bene.-

Un suono lontano e una voce sembrò richiamare all’ordine Inga ed Athos, che allungarono il collo alla loro sinistra e si voltarono di corsa per salutare.

- Dobbiamo andare. Spero che questa conversazione abbia chiarito tutti i vostri dubbi.-

- Grazie, Inga. Vi auguro il meglio. Cercate di restare vivi.-

- Sarà fatto.-

- Athos, sirbur’gar Buir ni baatir kaysh.-

- Elek.-

- Vor’e.-

- K’oyacyi!-

- K’oyacyi!-

La comunicazione si interruppe e l’ologramma scomparve. 

I tre si scambiarono uno sguardo intenso, ma era Satine quella maggiormente decisa.

- Bisogna fare qualcosa.-

Qui Gon ed Obi Wan sospirarono, sgomenti.

E adesso quale diavoleria le è venuta in mente?

 

In verità, per il momento, Satine non aveva un piano preciso. Intendeva trovare un posto sicuro dove ricaricare il datapad, registrare un messaggio e poi inviarlo ad Inga Bauer, contando sui loro canali di comunicazione. 

- Ha detto che quelli ufficiali sono controllati, giusto? Ebbene, quelli clandestini non lo sono, ed è esattamente su questi canali che comunica la mia gente. Se voglio far arrivare un messaggio ai Nuovi Mandaloriani, con lo scopo di tirare su il morale, allora sarà quello che farò. Ci penseranno loro, poi, a distribuirli ai civili.-

Così, i tre si misero in marcia di nuovo, alla ricerca di un posto sicuro dove dormire. Satine era più silenziosa del solito, ma a differenza delle altre occasioni in cui il mutismo era dovuto alla sua tristezza, questa volta sembrava pensierosa.

Durante il loro cammino, mentre erano alle prese con una china particolarmente rigida e ghiacciata, Satine se ne uscì con una trovata delle sue.

- Obi Wan, dimmi una cosa.-

- Ti ascolto.- disse il padawan, mentre infilava una mano in una fessura nella roccia sperando che reggesse.

- Credi che dovrei mettere la devastazione di Keldabe prima dell’assedio di Sundari?-

Il terreno cedette sotto le dita del ragazzo, che si tenne in equilibrio per miracolo.

- Come, scusa?-

- Keldabe è stata devastata da un attacco chimico, ma Sundari è una roccaforte dei Nuovi Mandaloriani, che sono i miei principali alleati. Nel mio discorso quale dovrei mettere per prima?-

Obi Wan sbuffò.

- Ma sei seria? Dico io, per la Forza, siamo letteralmente appesi per un dito alla nuda roccia!-

Satine lo guardò male.

- Di’kut!-

- Ah, di’kut, eh?- fece quello, rimettendosi in piedi e proseguendo, il capo chino per nascondere la faccia ombrosa.

Satine lo sentì borbottare qualcosa di simile ad incredibile, ma lasciò perdere.

Quella fu una delle questioni che l’assillò di più. Sembrava una stupidaggine, ma poteva avere un peso consistente. Se detta male, gli abitanti di Keldabe si sarebbero offesi, dimenticati dalla loro unica speranza nonostante le sofferenze dell’avvelenamento, e gli abitanti di Sundari, che la sostenevano a spada tratta, si sarebbero sentiti insignificanti, in secondo piano, soldatini senza nessun valore e sacrificabili sul campo. 

Visto che Obi Wan non voleva saperne di aiutarla, da buona politica, Satine aveva deciso di rigirare il discorso e di impostarlo in un modo diverso evitando il problema.

In buona sostanza, mentre continuavano a camminare nel nulla del bosco, sulle rive del fiume, Satine si stava preparando all’azione.

Giunsero ad una cascata. Avevano percorso il fiume controcorrente, ipotizzando che la centrale idroelettrica si trovasse più in basso. Le cascate sull’altopiano boscoso in cui si trovavano erano davvero violente, e la centrale avrebbe avuto bisogno di una forza minore. Così, pur di sfuggire alla vista degli abitanti di Krownest, si erano diretti nella direzione opposta a quella della corrente del fiume. 

Il problema era, però, che in questo modo non facevano altro che salire. Più salivano, più faceva freddo, e più faceva freddo, più diventava difficile trovare riparo. Le piante si diradavano e i tre potevano muoversi soltanto con il favore delle tenebre.

Quella, però, non era un’opzione accettabile.

Nel buio si muovevano anche altre cose che non avrebbero mai voluto incontrare.

Ebbero la conferma di non essere soli nel bosco quando incrociarono di nuovo una di quelle creature simili ad un cervo che avevano cacciato tempo addietro e di cui ancora conservavano parte della carne essiccata. Sulle prime, pensarono che stesse pascolando placido i licheni e le foglie aghiformi degli alberi.

Poi, lo scenario cambiò.

Obi Wan non seppe capacitarsi di come facesse quella creatura a stare in piedi con una simile ferita sulla schiena. Lo squarcio partiva dalla base del collo e si apriva da scapola a scapola. Si estendeva, poi, sul fianco sinistro. La pelle e la pelliccia erano completamente scomparse, lasciando in evidenza la carne fresca e le fibre muscolari. Era come guardare un manuale di anatomia. Potevano scorgere i muscoli e il loro colore, potevano vederli attaccarsi alle ossa e contrarsi attorno alla spina dorsale, ma la cosa più atroce avvenne quando l’animale si mosse. Le scapole danzarono sotto i loro occhi, i muscoli che si contraevano e si rilassavano alzandosi ed abbassandosi, emergendo dalla pelliccia, rosse e scarnificate, per poi sparire di nuovo sotto il pelo.

- Che cosa può averlo ridotto così? Sembra che gli abbiano tranciato la pelle con un coltello.-

Ma la domanda di Obi Wan era retorica. Sapevano perfettamente che cosa poteva averlo sbranato a quel modo.

I tre si lanciarono un’occhiata pietrificata.

Poi, Qui Gon si avvicinò all’animale, che spinse il muso sotto la sua mano.

- Come sta?-

- Non troppo male da morire subito, ma sarà il suo destino, temo. La ferita è vecchia di giorni. Lui lo sa, che non ce la farà.-

Satine chiuse gli occhi ed abbassò il capo in segno di rispetto. Obi Wan poggiò una mano sulla schiena della duchessa e provò ad infonderle un po’ di pace.

- Obi Wan.-

- Sì maestro?-

- Porta via la duchessa.-

Satine impallidì.

- Che volete fare?-

- Vieni via, Satine.-

- Ma…-

Obi Wan la spinse lontano e la ragazza non replicò, la consapevolezza di non poter fare niente. Quando un animale è in quelle condizioni, viene abbandonato dal branco. Muore da solo, di solito, nel nulla, per malattia, di fame o di stenti. 

A quella povera bestia non sarebbe di sicuro spettato un destino diverso. 

Si inoltrarono nel bosco quel tanto che bastava per perdere di vista Qui Gon e trovarono riparo sotto un grosso albero. 

Lì, Obi Wan spinse la duchessa contro il tronco e poi, con delicatezza, le coprì le orecchie con le mani.

- Guarda me.- le sillabò, quando gli occhi di Satine dardeggiarono in giro. - Guarda me. Ignora il resto. Guarda solo me.-

Satine annuì e rimase ferma a fissare il volto del giovane padawan.

Il sonno mancava anche a lui. Gli occhi erano ancora belli, come sempre, color della bruma, ma un leggero velo bluastro sotto la palpebra inferiore sottolineava la sua stanchezza. Era più magro rispetto alla prima volta in cui lo aveva incontrato ed i capelli erano cresciuti a dismisura. Non aveva mai visto nessuno con una simile quantità di capelli in testa. Morbide onde rosse gli circondavano il capo rendendolo, se possibile, ancora più affascinante. 

Fu in quel momento che lo vide. Nel ronzio del silenzio impresso dalle mani del padawan sulle sue orecchie, un lampo attraversò i suoi occhi. Nonostante il ragazzo provasse a non farsi distrarre dalla presenza del suo maestro, concentrandosi soltanto su di lei, quello era il segnale assolutamente non concordato che tutto era finito. 

Rimosse le mani dalle sue orecchie e Satine fu tentata di trattenerlo. I palmi avevano ovattato tutti i suoni, ma soprattutto avevano scaldato il suo viso. La sensazione della sua pelle ruvida e callosa sulle orecchie e nei suoi capelli le dava un senso di calore e familiarità.

In un gesto inconsulto, catturò il polso del padawan a mezz’aria.

- Che succede? Ti ho fatto male?-

Mollalo, stupida!

- No, io…-

Inventati una scusa credibile. Ormai il danno è fatto.

Ma di scuse credibili non ne aveva, quindi disse la verità.

- Non lasciarmi.-

Obi Wan sbatté le palpebre, perplesso, e poi abbassò gli occhi un attimo prima che il suo maestro tornasse.

- Possiamo andare. Ci sono dei massi, laggiù. Potremmo trovare un buon riparo per la notte.-

Si incamminarono di nuovo, Qui Gon in testa e i due ragazzi a tallonarlo.

Obi Wan prese Satine per mano, ma non scambiò uno sguardo con lei per tutto il tragitto.

Fu meglio così, perché altrimenti avrebbe visto il viso della Mando imporporarsi.

Il riparo non era dissimile dagli altri che avevano costruito in precedenza. Il freddo era particolarmente pungente e si mise di nuovo a nevicare. 

Satine se ne stava appallottolata in un angolo, il freddo che le intorpidiva i piedi nonostante gli stivali di pelo, ed anche la sua giubba nuova fatta di pelliccia di cervo non la riparava completamente. 

- Sai che fai quasi paura con quella testa di cervo sul viso?- le disse il ragazzo, scherzando e sedendosi accanto a lei.

Scoprirono che potevano usare una padella per scaldare l’aria circostante. Con un attento lavoro di mani e di legno, riuscirono ad estrarre le braci ardenti dal falò e a portarsene un po’ vicino, dopo aver riempito una padella inutilizzabile e deformata sotto il peso di Qui Gon durante uno dei suoi spettacolari scivoloni. Così riuscirono a tenere i piedi caldi, avvicinandoli alle braci ardenti dentro il loro piccolo calderone. 

- Vieni, Obi Wan, avvicinati alle braci.- gli disse Satine, facendogli posto sotto la parete rocciosa.- Non vorrai congelare i tuoi preziosi piedini.-

- Preziosi è una parola grossa.- commentò il ragazzo, fissando gli stivali malconci.- Sono convinto che quando mi toglierò questi stivali cambierò la pelle come i serpenti.-

Satine fece una faccia schifata, ma proseguì con il suo scherzo.

- Suvvia giovane padawan, come farete a ballare con le nobildonne del Senato della Repubblica senza i vostri piedi?-

- Io non so ballare, duchessa, lo sapete.-

- Quisquilie.- commentò lei, alzando il naso per aria.- Non esiste che voi Jedi non sappiate ballare. Ho visto come vi muovete. Le vostre tecniche sono molto simili alla danza.-

- Ci insegnano qualche passo giusto per essere coordinati ed armonici nel gioco di gambe, ma non saprei muovermi su una pista da ballo, poco ma sicuro.-

- Il che è decisamente un male. Dovremo proseguire con le nostre lezioni di ballo, che ne dici?-

Obi Wan arrossì.

- Non sono sicuro che sia appropriato, per un Jedi.-

- Oh, già, dimenticavo di star parlando con Obi Wan Kenobi, il Principe della Decenza.-

- Non ero ArcheoKenobi alla ricerca della dignità perduta?-

- Anche. Quando non fai il Principe della Decenza, e lascia che te lo dica, è molto più figo ArcheoKenobi.-

No, no, no, Obi Wan. Non ci provare nemmeno.

Medita.

Il padawan fece come gli era stato intimato e portò i piedi delicatamente vicino alla padella, con suo grande giovamento. Il calore delle braci gli scaldò le punte delle dita gelate e dentro di sé non chiedeva altro che il sacco a pelo per sparirci dentro ed addormentarsi con le coperte sopra il naso. 

Satine, tuttavia, non aveva intenzione di demordere.

- Devi assolutamente imparare a ballare.-

- Improvviserò, se mi capiterà l’occasione.-

- Stai scherzando, vero?- fece lei, una luce birichina negli occhi.- Sai che cosa succede quando improvvisi un ballo con una senatrice o una regina?-

Obi Wan scosse il capo, completamente all’oscuro.

- Allora, innanzitutto devi prendere in considerazione un fatto: non sarete in due a ballare.-

- Come no? E chi altro dovrebbe esserci?-

- Sarete in tre. Tu, lei, e soprattutto il vestito.-

Obi Wan rise di quel suo sorriso sghembo, in cui ridevano più gli occhi del suo viso, e la diceva lunga su che cosa pensasse delle tonache stravaganti dei regnanti che aveva visto.

- Quel vestito sarà il più grosso impaccio, sia per te che per lei. Sai che cosa succede se calpesti suddetto vestito mentre balli?-

- Si strappa?-

- Oh, sì, e solitamente, quando si strappa, si strappa alla cucitura in alto, non a quella in basso, e tu non vuoi lasciarla con le natiche al vento in mezzo a tutto il Senato, giusto?-

Obi Wan sgranò gli occhi e la guardò inorridito.

- Ma che, davvero?-

- Davvero davvero.-

- No, tu mi stai prendendo per i fondelli.-

- Nemmeno per idea.-

Obi Wan parve immediatamente incline ad imparare a ballare e Satine non potè fare a meno di ridere alla faccia scioccata del giovane ragazzo. 

Non sapeva se facesse sul serio o meno. Insomma, aveva quasi la sua età, e per quanto potesse essere un monaco, dubitava fortemente che non avesse mai visto una ragazza prima di allora.

Eppure il volto del padawan era rimasto positivamente scioccato all’idea della vista del sederone di una senatrice. 

Ciò voleva dire due cose: o non aveva la più pallida idea di come fosse fatta una donna, o lo sapeva benissimo, ma non gli interessava.

Magari, preferiva i ragazzi.

O forse si è immaginato una senatrice nello specifico e gli sono venuti i brividi.

No, dai, non è così cattivo.

Tuttavia, doveva saperne di più. Nonostante fosse disposta ad ammettere che lui potesse essere kar’jag, voleva essere certa al cento per cento di non star prendendo un abbaglio clamoroso.

Se devo restarci fregata, almeno non voglio fare la figura dell’imbecille.

Si ripromise, dunque, di affrontare il discorso più avanti. 

Anche perché era abbastanza scontato che il ragazzo avesse un certo seguito. Insomma, bastava guardarlo in faccia per comprendere che almeno qualche ragazza doveva aver perso la testa per lui, là al Tempio Jedi.

E chissà quante ce n’era, al Tempio, magari più carine di lei, magari più intelligenti di lei, forse pure più talentuose, più simili a lui di quanto non potesse esserlo Satine, che di Forza ne sapeva almeno quando i Jedi conoscevano Mandalore, e cioè poco.

La notte non le portò consiglio e Satine rimase ferma nel suo proposito di stabilire se il bel padawan dagli occhi color bruma avesse una fidanzata o meno. 

Tuttavia, il suo piano dovette attendere un poco prima di essere messo in pratica.

Innanzitutto, avrebbero dovuto spostarsi verso il basso, se non volevano morire congelati. Non avevano alternative se non procedere verso sud, ma purtroppo le condizioni meteorologiche migliorarono.

Purtroppo, sì, perché con il sole e le temperature più alte arrivò anche, se pur parzialmente, il disgelo, e quando uno si trova su un picco roccioso circondato da aghifoglie la cosa può diventare un problema, specie se la neve, per la pendenza, si scioglie in fiumiciattoli insidiosi che rendono le pietre scivolose e gli aghi di pino contribuiscono a fare del suolo una trappola mortale. 

Con il senno di poi, Satine fu più che contenta di essere sola con due Jedi, che fortunatamente non sapevano che cosa volesse dire portare rancore. 

In quella discesa ne combinarono di tutti i colori.

Ad aprire le danze fu Satine, scivolando su una porzione di terreno viscido reso fangoso dai minuscoli aghi caduti e mezzi marciti dalla neve. Cadde con un tonfo sordo, il sedere per terra, e gli oggetti che aveva con sé tintinnarono pericolosamente come tante piccole campane. 

- Shabla skanah!- disse, scansando senza troppe cerimonie il rastrello che avevano portato via da Draboon, prima di rimettersi in piedi.

- Che ha detto?-

- Non saprei, sta imprecando. Comunque, credo che abbia detto qualcosa di simile a maledetto aggeggio.-

La duchessa proseguì imperterrita, anche se il retro dei suoi pantaloni era pieno di fango incrostato, per il quale la coscienza della ragazza si turbava non poco.

La consolazione arrivò poco dopo, quando ebbe il piacere di assistere alla carambola di Obi Wan.

L’acqua aveva cominciato a scorrere delicatamente verso il basso, inondando il terreno e sfiorando la suola degli stivali, superandola di poco. Camminando, il trio scandiva il ritmo con sonori cic - ciac. Il fondo stava diventando sempre più viscido ed i tre avevano serie difficoltà a restare in piedi. Scivolare era la norma, ma Obi Wan prese quella norma un po’ troppo alla lettera, perché sdrucciolò e sforbiciò le gambe in aria, pronto per cadere nell’acqua. 

Ad onor del vero, va precisato che Obi Wan non ci cadde proprio dentro, anzi. Grazie alle sue abilità nella Forza, sentendosi scivolare, pur sforbiciando in aria, riuscì ad afferrare un ramo d’albero e a restarci attaccato, sospeso, salvando in questo modo il contenuto del suo zaino.

Quando mise i piedi per terra, però, l’acqua aveva smosso i massi e la pietra sotto la sua suola partì, sdrucciolando giù, a rotta di collo per il pendio, e portando il padawan con sé, in equilibrio su un piede solo nel tentativo di non cadere e ammollare le preziose medicine che trasportava. 

Tra un aiuto! e l’altro, il ragazzo abbracciò sotto gli occhi increduli della duchessa ben sei alberi prima di fermarsi, riuscendo ad abbracciare il tronco anche con le gambe. 

Qui Gon scosse il capo, desolato, ma la sua aria di supremazia durò poco. 

Quando infatti il terzetto riprese la discesa, fu il turno del buon maestro di capitombolare di sotto, dando origine ad uno degli spettacoli più epici che la duchessa avesse mai visto.

Sdrucciolò, nemmeno a dirlo, sul suolo viscido, e sforbiciò le gambe in aria esattamente come il suo padawan. La differenza sostanziale, però, stava nel fatto che, se Obi Wan aveva avuto modo di attaccarsi a qualcosa perché si trovava vicino agli alberi, Qui Gon si trovava nel nulla, e non riuscì ad attaccarsi a niente per evitare di cadere. 

Così, rovinò senza complimenti sullo zaino, un’altra volta, in un fracasso cosmico di pentole e padelle. 

Ecco, fu proprio una padella a tradirlo.

Ci cadde sopra e lì per lì non se ne dette pensiero, ma il fondo liscio della padella non fece presa sulle rocce e sulle foglie bagnate, lanciandolo in una discesa spericolata a gambe all’aria. Satine ed Obi Wan provarono a raggiungerlo senza ammazzarsi, ma la padella sembrava aver messo il turbo e non ci fu verso di agguantare il povero maestro. A quel punto, Obi Wan prese l’iniziativa e provò a fermarlo con la Forza, riuscendoci solo in parte. La discesa si arrestò, ma un attimo prima di fermarsi, il manico della padella aveva urtato un grosso sasso e l’attrezzo aveva cominciato a girare.

Obi Wan si trovò a tenere fermo il suo maestro, leggermente sollevato in aria, ma quello, ormai, aveva preso la spinta e continuava a girare in aria come una trottola. Smise di girare soltanto quando Satine riuscì ad agguantarlo per le gambe e a rimetterlo con i piedi per terra. 

Formalmente, tra i tre vigeva il tacito accordo di non commentare quelle esperienze, accordo che resse fino a che la duchessa non proruppe in una risata sguaiata e fu costretta a fermarsi per asciugarsi le lacrime agli occhi.

- Oh, per Nebrod, se ci vedessero adesso penso che non mi farebbero più rimettere piede a palazzo!-

- Nemmeno noi al Tempio, credo.- commentò Obi Wan, ed il trio proseguì il cammino tra le risate. 

 

FINE PRIMA PARTE

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Shereshoy: trad. lett. dall’inglese, voglia di vivere, e anche molto di più - tipica parola Mando, che vuole significare la gioia di vivere ogni giorni, la ricerca e l’assorbimento di ogni possibile esperienza, nonché sopravvivere per vedere il nuovo giorno - afferrare la vita e farne tesoro. Un sentimento, un modo di pensare comprensibile in un popolo guerrieri. Strettamente collegato alle parole che significano vita, caccia ed essere al sicuro. Vengono tutti dalla stessa radice.   

Veshok: quercia. 

Tor, iijaat, haat, verburyc, kotep: giustizia e verità, onore, lealtà e coraggio.

Sirbur’gar Buir ni baatir kaysh: dì a mio padre che gli voglio bene. 

K’oyacyi: idiom., resta viva!

Shabla skanah: parolaccia, in forma pronunciabile per il pubblico f*****o trabiccolo.

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Capitolo 36
*** 29.1- Shereshoy ***


CAPITOLO 29.1

Shereshoy

 

ATTENZIONE: alcune immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità.

 

Impararono che per un qualche astruso motivo il picco dove loro avevano trascorso la notte non era un ambiente consono per gli spettri. 

Sembravano non avere un habitat preciso. Erano andati a cercarli praticamente allo scoperto, in una nuvola di nebbia da tagliarsi col coltello, e poi erano scomparsi. Avevano banchettato al limitare del bosco e poi non si erano più visti. Lungo il fiume, avrebbero dovuto trovarli, vista la grande quantità di parameci sul loro corpo, eppure, niente. L’altitudine sembrava non entrarci nulla dunque, come il bosco. Erano stati attaccati in una foresta tropicale, in una pianura, sul cocuzzolo di una montagna e in una foresta settentrionale. 

Man mano che scendevano di quota, il bosco si riempiva di melma e alberi segnati, nonché avanzi di quelli che dovevano essere stati i pasti recenti di quelle creature immonde. 

Satine fu costretta a turarsi il naso e a reprimere l’istinto di vomitare.

- Pare che abbiano banchettato, qui.- brontolò Qui Gon, in piedi a gambe larghe e con le mani sui fianchi. 

Aveva riacquistato stabilità sulle caviglie mano a mano che la pendenza diminuiva.

- Forse il nostro cervo è riuscito a fuggire da qui.-

Fu in quel momento che notarono una strana forma poco lontano, e non ci volle loro molto per individuare a che specie appartenesse.

- Ma quello è…-

- Temo di sì. A giudicare dall’uniforme, deve essere stato uno degli operai della centrale idroelettrica.-

Satine annaspò in cerca d’aria ed Obi Wan e Qui Gon furono costretti ad intervenire per evitare che si sentisse male.

La duchessa, però, aveva tutt’altro in mente. Non era ingenua, sapeva che avrebbe visto molto di peggio in guerra e che probabilmente la guerra civile che stava infuriando su Mandalore aveva dato esiti ben peggiori di quello. 

Avrebbe dovuto abituarsi al sangue, alla morte.

Non che non facesse già parte della sua vita.

- Guarda me.- le disse il padawan, ripetendo il gesto che aveva compiuto per proteggerla dalla morte del cervo. - Guarda soltanto me.-

L’attimo di smarrimento passò presto e Satine fu di nuovo in pista, pur senza liberarsi della mano di Obi Wan. 

- Vorrei seppellirlo, se non vi è di disturbo. Morire così non è umano.-

I due Jedi lavorarono alacremente, mentre Satine provava cautamente a frugare il corpo del morto. Trovò un badge - che lo identificava con il nome di Goran Merrik - e se ne impossessò, assieme all’anello che portava al dito.

Thays Moran.

Infilò gli oggetti in tasca, decisa a prendersene cura. Una volta finita la guerra - o forse prima se le circostanze glielo avessero concesso - avrebbe restituito quegli oggetti alla vedova e ai figli. Meritavano di sapere dove e come era morto Merrik ed avere un suo ricordo.

In breve, la piccola pira di sassi che doveva fungere da tomba fu eretta. I tre rimasero a guardare per un attimo quel piccolo tumulo e poi se ne andarono, sperando che gli animali non distruggessero il loro lavoro.

Satine rimase pensosa per tutto il tragitto e la desolazione attorno a loro non faceva altro che accrescere il senso di oppressione che gravava sull’animo del terzetto. 

Non trovarono, fortunatamente, altri cadaveri umani.

Ben presto però furono costretti ad ammettere di essere seguiti. Emersero dalla boscaglia in uno spiazzo desolato, erboso e profumato di fieno, dove i fiumiciattoli del disgelo si concentravano innaffiando l’erba rinsecchita.

Lì sentirono il primo scalpiccio di piedi e scorsero la prima ombra sospetta muoversi tra i tronchi degli alberi.

Qui Gon trascinò Satine in mezzo a loro.

- Tieni gli occhi aperti, ragazzo mio. Potrebbe essercene più di uno. La duchessa deve restare in mezzo a noi.-

Obi Wan obbedì, tuttavia dubitava fortemente che sarebbero stati attaccati così, in campo aperto. L’unica volta in cui un gesto simile era avvenuto, era stato quasi un caso. Uno spettro isolato dal branco li aveva assaltati, forse più per fame e disperazione che per il bisogno di uccidere.

La carneficina che avevano visto non poteva essere avvenuta per mano di uno solo di loro.

Era convinto, dunque, che quando attaccavano in branco, lo facessero con un elemento a loro favore: la nebbia.

C’era stata la nebbia durante l’assalto al karyai. C’era stata la nebbia anche quando erano riusciti ad isolare Satine in cima al picco, poco tempo prima. 

Forse, ci sarebbe stata la nebbia anche durante il loro prossimo attacco.

Quello che li stava seguendo, ammesso che fosse solo, era probabilmente un esploratore, pronto a comunicare la loro posizione agli altri.

Tenere Satine sotto controllo, già loro prerogativa, diventava di vitale importanza.

Gli avvistamenti avvennero per tutto il giorno e poi scomparvero con il calar della notte. Non c’era segno di nebbia, anzi, il cielo era terso e si vedevano tutte le stelle. Obi Wan avrebbe tanto voluto sapere di più sulle costellazioni e sulle storie dei Mando, ma Satine non sembrava averne voglia. Rigirava tra le dita l’anello del morto, pensierosa, e Obi Wan non sapeva che cosa fare per rendere la sua sofferenza meno dolorosa.

- Forse sarebbe stato meglio se tu lo avessi lasciato lì.- le disse, sedendosi accanto a lei di fronte al fuoco, la sua razione calda stretta tra le mani.- Ti dà dei pensieri.-

Satine sospirò.

- I miei pensieri, adesso, sono altri. Questa è particolarmente semplice da risolvere. Se non dovessi riuscire a riconsegnare questi oggetti di persona, potrei trovare il modo di farli recapitare. In ogni caso, dopo essere sopravvissuta fino a qui, trovare questa Thays Moran non dovrebbe essere complicato.-

- E allora che cosa c’è che ti turba?-

Satine sospirò ancora e lasciò lo sguardo pensoso sull’anello.

- Queste bestiacce sono una piaga.-

Come darle torto?

- Tuttavia, per me questo è inspiegabile.- commentò, alzandosi in piedi e passeggiando avanti e indietro lungo il loro accampamento. - Non ha assolutamente senso.-

- Di che cosa stai parlando?-

- Di Larse Vizla.- e si accasciò di nuovo al suolo accanto a lui, sgonfiandosi come un palloncino.- Ricordi che cosa ti ho detto non appena ci siamo incontrati, quando nel karyai vi ho spiegato che cosa fossero gli spettri?-

Sì, ricordava che avevano discusso della loro esistenza e della ragione per cui si era reso necessario occultare le informazioni a Vizla bruciando la sezione segreta del Ranov’la

Vizla può usarli a suo vantaggio.

Satine lo ascoltò e alla fine convenne con lui.

- Non trovi, dunque, che sia strano? Inga ha menzionato Keldabe e Sundari, alcune incursioni sugli altri pianeti, la Ronda su Krownest, ma non ha detto nemmeno una parola sugli spettri. Sono certa che Vizla, come noi, stia ancora indagando, ma non capisco perché Inga ne sembri all’oscuro. Se ci fossero state novità da ambo le parti, la generale ce lo avrebbe detto. Non lo trovate strano?-

- Secondo te Vizla a quest’ora avrebbe dovuto scoprire qualcosa, giusto?-

- Certo. Pensateci un secondo: ci ha sempre accusato di essere deboli perché non siamo mai riusciti ad arginarne il proliferare. Strategicamente, dunque, avrebbe senso riuscire là dove il nemico non è riuscito. Vizla ha bisogno del clan Wren e di tutti i clan che riesce a racimolare per tenere in piedi il suo regime, e cosa ci può essere di meglio per ingraziarseli che annientare il nemico pubblico? Mi sembra una strategia sicuramente più remunerativa che concentrarsi sui Nuovi Mandaloriani, un mucchietto di inutili pacifisti traditori che possono essere tutti rinchiusi dentro Sundari e fatti marcire là dentro.-

I due Jedi dovettero ammettere che l’idea di Satine era buona e che i fatti, purtroppo, stavano contraddicendo la teoria.

La domanda, dunque, sorgeva spontanea.

- Per quale motivo Larse Vizla non si è ancora adoperato per eliminarli tutti?-

- Un errore di giudizio?-

- Ne dubito, maestro. Il dittatore è un gran volpone, anche se è accecato dalla propria sete di potere. Sa che gli spettri rischiano di diventare fin troppo pericolosi. E’ un guerriero molto preparato, fin troppo sicuro di sé. Questo può averlo fermato all’inizio, ma non adesso. Ora è un’emergenza incontenibile.-

- Che sia solo in ritardo?-

- Obi Wan, sospetto che Inga abbia occhi e orecchie dovunque. Se Vizla avesse fatto delle indagini sugli spettri come noi, mi avrebbe informata dei suoi risultati e dello stato delle nostre ricerche. Chi sappia più di chi, insomma.-

- Quindi, voi sospettate che Vizla non abbia mosso un dito.-

- Perché? Questa è la vera domanda!- commentò Satine, continuando a rigirarsi l’anello tra le dita inconsciamente.

A questo punto, però, una domanda veniva spontanea, ed Obi Wan non mancò di esprimerla a voce alta.

Quanto sapevano loro, in verità?

Se tutto quello che avevano sugli spettri era quanto Satine aveva loro riferito, certo non era poco, ma nemmeno tanto. Apparentemente quelle informazioni non fornivano alcun dettaglio utile a far finire quella piaga che stava infestando il sistema.

Almeno, questo era quello che credevano i due Jedi.

- Ricordate quel folclore di cui vi parlavo? Quelle antiche leggende che mi avevano ispirato a svolgere alcune indagini sul conto degli spettri?-

I due Jedi annuirono come un sol uomo.

Satine li fissò, poco convinta.

Mi prenderanno di sicuro per matta.

Poi, però, prese fiato.

- Vorrei che teneste presente il fatto che siamo nel campo delle ipotesi, che tutto quello che dovevate sapere ve l’ho detto.-

I due Jedi non fiatarono e la duchessa continuò.

- Avrei piacere di raccontarvi una storia. Il nostro padawan, qua - ed ammiccò verso Obi Wan. - Vi ha detto che sono solita brontolare spesso anche in modo colorito, e che in qualche situazione ho invocato il nome di un certo Nebrod, giusto?-

I due Jedi sorrisero ed annuirono.

- Nebrod è una delle nostre divinità, la più strana e misteriosa. Come voi sicuramente saprete, abbiamo Kad’Harangir, il dio del progresso, Arasuum, il dio della stagnazione, Hod’Haran, il dio del fato. Nebrod, nel pantheon di Mandalore, è il dio della vita e della morte. Si dice che instilli gocce di Luce in ciascun Mando, e che alla fine della nostra vita chiami a sé coloro che ritiene più meritevoli. A lui sono dedicati templi e luoghi sacri tra i più suggestivi del sistema, immersi nella natura e costellati di farfalle blu.-

- Farfalle blu?- chiese Obi Wan, grattandosi il mento.- Come quelle che abbiamo incontrato su Draboon?-

- Esattamente quelle. Come ti avevo già spiegato, non sappiamo perché vivano in quei luoghi. Di solito sono boschi piuttosto oscuri e vicino a corsi d’acqua, presso i quali si manifestano fenomeni che ad oggi non sappiamo ancora spiegare. Gli alberi crescono a dismisura, le persone vivono più a lungo della media e alcuni di questi corsi d’acqua presentano strane caratteristiche. Il più famoso è, senza ombra di dubbio, il villaggio di Nebrod su Kalevala, che prende il nome proprio dalla divinità. Molti studi sono stati condotti sul lago del villaggio e sul bosco circostante, ma non è stato possibile dare una spiegazione a nessuno dei fenomeni che vi avvengono regolarmente. Uno di questi è la Chiamata dei Morti a gettarsi nel lago.-

Sia Obi Wan che Qui Gon non avevano ben capito che cosa c’entrasse il racconto della duchessa e il misticismo di cui andava parlando con gli spettri, ma Satine sembrava seguire un proprio filo logico e i due Jedi l’assecondarono.

- Esiste un mito legato a Nebrod, ed è quello del Ka’ra. Ne avete mai sentito parlare?-

I due scossero la testa all’unisono e Satine non se ne stupì.

Il mito del Ka’ra, per le implicazioni che aveva, era uno dei segreti meglio custoditi del sistema.

- Ka’ra significa letteralmente Concilio dei Re Caduti. Esistono due versioni del mito. La prima, la più diffusa ed ufficiale, prevede che alla morte del Mand’alor, egli diventi una stella e brilli insieme agli altri astri dell’universo, sorvegliando Mandalore dall’alto. Ci sono svariate leggende che seguono questa idea che le persone possano trasformarsi in luce pura e diventare stelle. Tuttavia, esiste anche una seconda versione, più oscura e decisamente più preoccupante, che collega il Ka’ra alla Chiamata dei Morti. 

- Secondo questa seconda versione, i Mando più meritevoli diventano stelle soltanto successivamente, una volta svolto un ulteriore compito di difesa contro forze sconosciute che minacciano il sistema di Mandalore. Come credo di avervi già detto in precedenza, si dice che il sistema sia una specie di grossa creatura senziente animata dall’energia dei cristalli di Luce.-

I Jedi confermarono.

- Secondo questa seconda versione del mito del Ka’ra, la Chiamata dei Morti servirebbe ad acquisire i Mando più valorosi e meritevoli al fine di combattere queste forze oscure che minacciano il sistema in una specie di altro mondo, che noi chiamiamo Mondo di Sotto. Mandalore prospera solo quando i Re Caduti hanno il dominio su queste forze. Se essi ne perdono il controllo, ciò segnerà la fine di Mandalore. Qua, cominciano le speculazioni. Secondo le interpretazioni più acclamate, il mito ipotizzerebbe una specie di strato sottostante Mandalore, un luogo oscuro e pericoloso dove vivono creature immonde pronte a distruggere tutto qualora dovessero riuscire ad avere il sopravvento. I Sovrani Caduti hanno il compito di annientarli, e solo a quel punto potranno salire nel nulla dell’universo sotto forma di stelle.-

- E per quale motivo questa sarebbe l’interpretazione più accreditata?-

- Perché spiegherebbe molte altre usanze, tra cui quella di consegnare sempre il Mand’alor a Nebrod, e soprattutto di consegnarlo in armi.-

Satine non sapeva se informare o meno i due Jedi dello spettacolo raccapricciante che aveva visto qualche anno prima a discapito della povera Leera Rau, ed immaginò che la sua teoria fosse abbastanza strampalata così senza il bisogno di dipingere scenari da film apocalittico.

Così, lasciò perdere.

- E’ lecito supporre che un Mando venga sepolto in armi sia perché è il capo d’abbigliamento per eccellenza, sia perché, probabilmente, dovrà continuare a combattere, giusto?- 

Sì, tutto molto bello, ma che cosa c’entrava il Ka’ra con loro tre?

- Le leggende finiscono qua. Non vengono specificate le caratteristiche e gli attributi di queste creature. Non sono riportati casi di invasione. Si dice semplicemente che queste bestie sono solite invadere ciclicamente Mandalore per poi sparire. L’unico caso storicamente riportato, anche se non precisamente ricondotto a queste leggende, è quello di Marmaduke Cabur, Il Protettore.-

I due Jedi si ricordavano di aver sentito quel nome, precisamente nell’elenco dei signori di Mandalore che erano stati in grado di governare questa forza sconosciuta che era la Luce.

Quella che Satine sembrava avere in testa.

Obi Wan aveva una gran brutta sensazione a proposito di tutta quella storia.

- Mandalore fu colpito da una terribile piaga, una pestilenza causata da organismi microscopici, forse parassiti, che sterminarono la popolazione. La situazione si fece talmente drammatica da richiedere misure drastiche, così Marmaduke Kryze andò in uno di questi luoghi sacri, discese nelle viscere della terra e aprì la Luce, sterminando tutte quelle creature e riportando la pace nel sistema. Per il resto, non si sa altro, a parte un piccolo dettaglio che ha ispirato tutte le mie ricerche. Queste creature, secondo le leggende, non possono essere sentite né dai jetiise, né dai darjetiise.- 

Obi Wan sentì lo stomaco sprofondare dalle parti dei talloni.

Se il maestro manifestava segni di perplessità, purtroppo il giovane padawan aveva capito fin troppo bene dove volesse andare a parare la duchessa.

Una parte di lui non voleva credere a nulla di quanto aveva appena sentito, eppure tutto aveva dannatamente senso e complicava enormemente le cose.

Ci manca solo questa.

Sono leggende, suvvia. Non ci voglio credere.

- Ora, in base a quello che vi ho appena riferito, penso che possiamo trarre delle conclusioni. Io credo che ai nostri amici piaccia molto l’umido, ma su questo punto, immagino che ci fossimo arrivati tutti.-

La nebbia. Gli animaletti acquatici. Certo.

- Ora, come vi avevo spiegato, abbiamo trovato sul loro corpo delle sostanze acquatiche, in particolare un tipo di archibatteri che vive solo in condizioni estreme, come nelle sorgenti d’acqua termale. Sul loro corpo, poi, abbiamo trovato vere e proprie colonie di parameci, contenenti numerosi cloroplasti. Come ve la cavate a biologia?-

- Abbastanza bene, direi. I cloroplasti sono organuli che consentono la fotosintesi nelle piante, se non erro, e i parameci si possono nutrire di alghe e vegetazione acquatica acquisendoli.-

- Esattamente, maestro, ma non notate anche voi una contraddizione in termini?-

Il maestro parve pensarci su, ma il primo a riprendersi fu Obi Wan.

- Le due condizioni non dovrebbero essere compatibili. Per fare la fotosintesi le alghe dovrebbero avere bisogno di luce ed ossigenazione, mentre gli archibatteri vivono in condizioni estreme, proibitive per la maggioranza degli esseri viventi, se non per la vita stessa.-

- Esattamente. Quindi, parameci e archibatteri devono venire da due ambienti diversi, per non parlare poi del fatto che non abbiamo trovato nemmeno un didinium.-

- Che cos’è?-

- Un predatore. Un microorganismo che si pappa i parameci.- borbottò Obi Wan, il volto accigliato e la mano al mento, pensieroso.

- Esattamente. Non ne abbiamo trovato uno, nemmeno a cercarlo con il lumicino.-   

- E questo che cosa dovrebbe significare?-

Satine osservò attentamente lo sguardo dei due Jedi, cercando le loro emozioni. 

Trovò curiosità negli occhi del maestro e rassegnazione in quelli di Obi Wan.

- Ora, se è vero che ogni leggenda ha un fondo di verità, non posso fare a meno di notare come la nostra situazione attuale e il mio racconto si somiglino. Abbiamo creature sconosciute che uccidono senza remore qualunque cosa si muova, animale o vegetale, il cui habitat è assolutamente sconosciuto ed indeterminabile per caratteristiche contraddittorie, e che non hanno midichlorians. Vi ho già detto che ho ragione di pensare che siano autoctoni, ed infatti lo penso. Io credo che queste bestie provengano da strati inferiori del sistema di Mandalore, più precisamente da sottoterra. Risalgono le vie acquatiche, uscendo dalle viscere del pianeta, e attraversano il nulla in condizioni proibitive fino a risalire in superficie. Lungo la strada raccolgono quello che trovano, compresi archibatteri e parameci, che poi proliferano sulla loro pelle umida diventandone simbionti e nutrendosi delle loro particelle vegetali.-

Per quanto provassero a trattenere lo stupore, la mandibola dei due Jedi stava progressivamente scendendo verso il basso.

Obi Wan non voleva credere alle implicazioni che tutto ciò avrebbe comportato e provò a fare lo scettico, anche se una parte di lui era consapevole che non avrebbe trovato appiglio alcuno.

- Una creatura non può reggere tutta quella pressione, Satine. L’acqua lo ucciderebbe.-

- Che ne sappiamo? Non li abbiamo mai visti prima. Potrebbero aver sviluppato una certa resistenza, e poi si spiegherebbe anche un piccolo dettaglio che credo abbiate notato anche voi.-

- Ovvero?-

E qui, Satine sganciò la bomba che Obi Wan non voleva proprio sentire.

- Vogliono me. E temono la spada laser di Obi Wan.-

Il maestro guardò il ragazzo, che invece si guardò le scarpe. 

E questo adesso che dovrebbe significare?

- Le leggende, suffragate da prove scientifiche, affermano che i cristalli blu della Luce di Mandalore si trovano solo ad una certa profondità, ovvero a più di mille metri sotto terra, più o meno. A quelle profondità, le acque sono completamente oscure e le condizioni di vita sono impossibili, un habitat perfetto per gli archibatteri. La fuga dalle fonti di Luce potrebbe spiegare come mai gli spettri risalgono in superficie.-

- Aspetta un momento. Tu vuoi dire che quelle bestiacce vengono da profondità abissali e che scappano dalla Luce di Mandalore?-

- Se scappano, non lo so. Certo è che gli è antipatica. E’ l’unica soluzione, per quanto assurda, che sono riuscita a darmi. I luoghi sacri di solito si estendono per profondità inarrivabili, molti di questi sono acquatici e prendono il nome di Porte. Ogni pianeta del sistema di Mandalore ne ha almeno una. Di solito, sulle Porte sorgono i Templi della Luce. Porte su cosa, non ci è dato sapere. Chi ha provato a scendere così a fondo non è più tornato indietro. Le leggende dicono che siano vie d’accesso al Mondo di Sotto, dove il Ka’ra combatte la sua battaglia contro le forze del male. Un luogo dove i vivi non possono entrare. Non so quanto ci sia di vero, ma quello che è certo è che nessuno sa esattamente che cosa ci sia là sotto.-

Oh, beh, questa sì che è una notizia.

- E’ una teoria folle, che più folle non si può.- borbottò il maestro, grattandosi la barba caprina.- Talmente folle che potrebbe anche essere vera.-

Questa volta, però, fu il turno di un Obi Wan sotto stress di intervenire.

Perdere il supporto del proprio maestro l’aveva incupito parecchio. 

- Fin qui, l’assurdo potrebbe anche essere reale, e spiegherebbe perché hanno paura della mia spada laser. La sua luce ricorda loro il bagliore della Luce di Mandalore. Quello che non ho capito, però, è che cosa tutto questo abbia a che fare con te.-

Satine sospirò e gli piantò gli occhi in faccia.

Sempre perspicace, kar’jag. Non si smentisce mai.

- A proposito di quel dettaglio che non vi ho detto: io ho aperto la Luce di Mandalore.-

Questa volta sì che le mandibole dei due Jedi sfiorarono il terreno. Tuttavia, Satine aveva notato la scintilla di disperazione negli occhi del padawan, presto camuffata con un’espressione di interesse. 

- Come, prego?-

Satine cominciò a sospettare che Obi Wan sapesse più di quanto desse a vedere, ma proseguì, riservandosi di discutere l’argomento successivamente. 

- Vi ricordate quel cacciatore di taglie che ho detto di aver ucciso? Beh, non ho mai detto come l’ho ucciso.-

Così, i due Jedi scoprirono la drammatica verità sulla morte del cacciatore, e finalmente si fecero un’idea di come mai Satine avesse così in odio la violenza. Era già difficile credere che un evento del genere non segnasse una bambina di otto anni, che aveva sparato ed ucciso con un colpo di blaster colui che aveva preso la vita di sua madre. La ragazza, però, aveva fatto di peggio: aveva scatenato una potenza inaudita, su cui non aveva avuto nessun controllo e che aveva letteralmente sbriciolato una persona.

Se già freddare qualcuno era traumatico, disintegrarlo era devastante. 

Questo cambiava le cose. A voler ritenere vere le leggende, Satine - come Marmaduke - diventava l’unica in grado di eliminare gli spettri, nonché, con molta probabilità, l’unica legittimata al trono di Mandalore. Se questo era di per sé un vantaggio, potendo cacciare Larse Vizla dimostrando di avere un potere che lui non aveva, comportava anche che i cacciatori l’avrebbero cercata con tutti i loro mezzi.

- Larse Vizla non sa che io ho aperto la Luce né che posso aprirla, anche se lo sospetta, perché tutti i signori della Luce sono stati Kryze. Mio padre si è inventato l’esplosione di una granata, e chi non ci ha creduto, ha pensato che ad aprirla fosse stato il duca, non me. Lui l’aveva già fatto.-

Questa era un’ottima cosa, ma che dire degli spettri?

Logica conseguenza di tutte le loro elucubrazioni era che la stessero cercando per eliminarla. Sapevano che lei rappresentava l’ultimo ostacolo tra loro e il dominio di Mandalore.

- Spiegherebbe perché mi hanno tagliata fuori dal gruppo qualche giorno fa. Non pensate che non me ne sia accorta. Si sono accaniti principalmente su di me, lasciandovi andare. Non credo che sia un caso.- 

Quella conversazione ebbe delle conseguenze nei giorni successivi, primo fra tutti il fatto che i due Jedi accettarono di buon grado la proposta della duchessa di allenarsi con loro. La richiesta arrivò un giorno particolarmente uggioso, in cui la ragazza era sempre rimasta in un angolo a rimuginare. Aveva estratto il suo librone e si era messa a leggere, poi si era stufata ed aveva smesso. Si era quindi messa a scrivere, provando a buttare giù una bozza di comunicato da inviare ad Inga Bauer, ma alla fine aveva messo da parte il taccuino. Aveva dormito e si era annoiata a morte, e solo quando il giovane padawan si era messo a danzare in giro per la stanza, con la spada laser sguainata, si era alzata in piedi e si era avvicinata ai due.

- Vi dispiace se mi alleno con voi?- aveva chiesto, piantando gli occhi nel viso del maestro, che ricambiò lo sguardo, perplesso. 

- Sentite, so che non potete condividere con me le vostre tecniche e lo capisco, ma non ne posso più di restare in un angolo. Farò la muffa, con tutta questa umidità. Farò un paio di esercizi, qualcosa che posso fare anche io.-

Muoversi le teneva le mani e la mente occupata su qualcosa che non fosse il disastro politico di Mandalore e la questione spettri, Ka’ra, fantasmi e compagnia cantante, e con il passare del tempo Satine ne percepì i benefici. Saltellava a destra a manca, mulinando la sua lancia e mettendo in pratica alcune mosse che le erano state insegnate. 

Sembrava passata una vita dall’ultima volta che si era allenata, eppure quei movimenti ancora le erano familiari. 

Quando ebbe finito, si sentì la testa sgombra come non mai, e quando si rimise a scrivere riuscì effettivamente a produrre un discorso decente.

Qui Gon, in particolare, parve apprezzare molto il cambiamento. 

- Vi ho osservata oggi, e credo che i vostri movimenti siano molto interessanti. Non fraintendetemi, non so molto di tecnica di combattimento Mando, ma credo che sarebbe opportuno per noi imparare, ammesso che vogliate condividere con noi i segreti della vostra arte. Ci potrebbe aiutare a conoscere il nostro nemico, e magari a combatterlo meglio sullo stesso terreno.-

Satine fece una smorfia. 

- Ad una condizione.- 

- Sarebbe?-

- Che il vostro padawan impari a ballare. Sarebbe un disastro se un Jedi così devoto facesse una figuraccia sulla pista da ballo quando io avrei potuto evitargliela, con tutto quello che ha fatto per me.-

Qui Gon rise.

- E sia. Ragazzo, pronto per la tua lezione di ballo?-

 

La loro discesa verso il basso sembrava non avere fine, e nemmeno il disgelo. Presto tutta l’acqua divenne umidità e il freddo divenne più pungente, trasportato dalle sue particelle. Avevano trovato qualche riparo, più o meno decente, ma quella era la prima volta che riuscivano a trovare una vera e propria caverna. Era ampia e spaziosa, e sulle pareti c’erano delle pitture dall’aspetto antico che Obi Wan aveva immediatamente indagato. 

A sera, il fuoco le faceva danzare, e sembrava loro di essere di fronte ad un holofilm. 

- Chissà quanti anni hanno.-

- Moltissimi, di certo. Non so datarle con certezza, ma direi che sicuramente hanno qualche migliaio di anni.-

- Potrebbe averle lasciate direttamente Mandalore il Grande, o qualcuno del suo seguito.-

- Oh, beh, allora siamo a cavallo.- scherzò Satine, spazzolando la sua razione mentre era già infilata dentro il sacco a pelo per proteggersi dal freddo.- Stiamo per dormire nel palazzo di Mandalore il Grande, più di così.-

Le lezioni di ballo erano proseguite, come le lezioni di combattimento Mando. Satine ed Obi Wan si stavano pericolosamente avvicinando sotto gli occhi di Qui Gon, che cominciava a rimpiangere di aver acconsentito a quello scambio. Non riusciva a capire dove la Forza volesse portare i due, e se lui stesse seguendo il corso di essa o se la stesse in qualche modo favorendo. Il maestro non era del tutto stupido quando si trattava di affari di cuore. Certo, con la magistra Tahl aveva avuto bisogno di un po’ troppo tempo per venire a patti con il suo amore per lei, e forse era proprio per quello che si sentiva incapace di imporsi e di separare i due, tra cui stava crescendo una profonda amicizia, se non qualcos’altro. C’erano momenti in cui Satine ed Obi Wan sembravano sul punto di fare qualcosa di stupido, ed altri momenti in cui sembravano quasi estranei. Sentiva che, dei due, non ce n’era uno più attratto dall’altro. I ragazzi provavano gli stessi sentimenti l’uno per l’altra, ed era evidente che avevano i loro stessi codici morali a fermarli. 

Satine, una Mando destinata a governare altri Mando, senza tempo da perdere dietro a questioni di cuore, specialmente quando queste riguardavano un Jedi.

Obi Wan, con il suo Codice, le sue regole e il terrore del Consiglio.

Così, quando si era accoccolato vicino al fuoco ed aveva lasciato i due ragazzi a chiacchierare protetti dentro la caverna, con lo scaldino improvvisato in mezzo, aveva teso le orecchie e si era messo in ascolto.

I ragazzi, però, sembravano intenzionati a non fargli sentire quello che avevano da dirsi.

Distesi sul pavimento freddo, avvolti nelle loro coperte, rimasero a guardare le pitture sul soffitto, illuminate dalle danzanti fiammelle del fuoco.

Gli scudi di Obi Wan erano protettivi come non mai e Qui Gon capitolò, mettendosi a meditare.

Satine aveva sentito quella vicinanza crescere a sua volta. Le mani di Obi Wan tra le sue erano diventate la normalità, e quando non c’erano le mancavano. Aveva contato tutte le lentiggini sul naso, aveva scandagliato ogni singolo ciglio. Sapeva persino della cicatrice nascosta tra i capelli, vicino al suo orecchio, e non riusciva a distogliere lo sguardo dalle sue onde rosse quando danzavano assieme. Amava il suo senso di pulizia e come aveva immediatamente dominato il cinyc, come se fosse stata l’unica cosa di cui aveva bisogno nella vita per affrontare le difficoltà, e poi si radeva quella barba tremenda ogni mattina, quando loro ancora dormivano. La pelle era un po’ irritata, ma per lo meno non nascondeva il bel viso che aveva dietro quei peli inconsistenti che il suo maestro si ostinava a far crescere. 

Sentiva il peso della profezia di Nebrod farsi sempre più pesante, ma non voleva scaricare quel peso su di lui. Non voleva che credesse di essere predestinato, di non avere voce in capitolo. Come lei aveva voluto essere certa di amarlo prima di credere alla storia di kar’jag, voleva che lui arrivasse a comprenderla, apprezzarla, e forse anche amarla per quello che lei rappresentava, e non perché era il destino che la Forza in cui credeva tanto gli aveva assegnato. 

E’ pericoloso giocare con la Forza quando si ha a che fare con un Jedi.

Tuttavia, Satine cominciava a sentire il bisogno di una rassicurazione. La sua storia era destinata a finire male, e lei lo sapeva. Se fosse sopravvissuta, non avrebbe mai avuto il suo Obi Wan. 

Vi conoscete da quanto? 

Non ti sposerà dopo così poco. Nessuno lo farebbe.

Ti stai facendo un intero holofilm in testa, ma è soltanto questo.

Fantasia.

Vero. Era solo fantasia, ma se fosse destinata a diventare qualcosa di più?

Forse, e solo forse, Obi Wan sentiva già qualcosa per lei, come lei lo sentiva per lui.

Oppure ha una fidanzata supersexy al Tempio Jedi, che diva Almar scansati, proprio.

C’era poi l’alternativa. Nebrod le aveva profetizzato che sarebbe morta giovane e sola. Adesso che cominciava ad assumere la certezza che gli spettri la volessero morta, la sua possibilità di sopravvivenza era ridotta praticamente a zero.

Non che fosse alta in presenza di cacciatori di taglie, beninteso, ma in questo caso, con gli spettri tra i piedi, la posta era doppia. 

Non poteva dirgli di kar’jag, perché sarebbe stato egoistico da parte sua, ma poteva confessargli parte della sua profezia. 

Chissà come l’avrebbe presa. Anche lui aveva avuto delle visioni e forse sapeva che cosa si provava quando una forza esterna entrava nella propria testa. 

- Ho avuto una profezia, Obi Wan.-

Il ragazzo non disse niente e rimase a fissare il soffitto con aria assorta.

Satine lo guardò storto.

- Non hai niente da dirmi?-

- Lo immaginavo. Quando sono entrato nella tua testa l’ho visto.-

- Ah.- brontolò, fissando a sua volta le pitture rupestri.

Ecco spiegata l’aria di consapevolezza che aveva assunto quando aveva sentito la storia degli spettri.

- E che cos’altro hai visto?-

Al padawan vennero le fossette ai lati del volto.

- No, assolutamente no, non ho guardato dentro i tuoi ricordi. Semplicemente, mi sono trovato a galleggiare nella tua mente, che trasuda Luce di Mandalore da ogni angolo, e ho sentito la voce delle mie visioni ripetere parole che non capivo, accompagnata da una strana sensazione di bagnato, come se fosse coinvolta dell’acqua. Altro non so.-

Poi, voltò il capo verso il volto di Satine, guardandola negli occhi.

- Non farei mai nulla che potesse invadere la tua privacy.-

Satine annuì e tornò a guardare il soffitto.

Confessò, sospirando.

- C’è quel luogo, su Kalevala, il posto sacro, il villaggio di Nebrod.  Il lago prende il nome di Pozzo dei Giganti. Ma andiamo con ordine. Ti avviso, quello che sto per dirti potrà suonarti molto strano.-

- Satine, tutto quello che sto vivendo su Mandalore in questo momento è strano, incluso dormire nella caverna di Mandalore il Grande.-

La duchessa abbozzò un sorriso e proseguì.

- In quella zona, come ti ho detto, si manifestano alcuni fenomeni che risultano per il momento inspiegabili e che sono diventati oggetto di un vero e proprio culto. Gli alberi crescono in modo abnorme, sono così alti da sfiorare il cielo, e alcuni degli abitanti dicono di aver sentito le voci dei loro cari estinti quando ne hanno toccato uno. Alcune famiglie hanno il loro albero sacro, altri hanno eretto dei veri e propri altari di pietra per i defunti e Nebrod, che li avrebbe portati dentro gli alberi.-

- Ogni fenomeno ha la sua spiegazione.- disse Obi Wan, facendo spallucce e incaponendosi nel fare il bastian contrario.- Probabilmente si tratta di un potente campo magnetico che altera le nostre percezioni.-

Satine non sembrava convinta.

- Forse, ma c’è un fenomeno, ancora più misterioso e complesso, di cui io stessa sono stata testimone e di cui non so darmi una spiegazione. Ti ho parlato della Chiamata dei Morti, vero?-

Obi Wan sentì che il momento che aveva tanto temuto stava per arrivare.

Lo sapevo che c’entrava qualcosa.

Annuì, incerto se voleva affrontare davvero quella conversazione.

- All’interno del bosco, esattamente al centro, alla base di una grande montagna di basalto scuro, c’è un lago, enorme e profondissimo le cui gole sono scolpite con i volti degli antenati. Il Pozzo dei Giganti, appunto. Diverse spedizioni scientifiche hanno provato a scandagliare il fondo, ma non sono nemmeno riusciti a toccarlo. Le nostre attrezzature sono state distrutte dalla pressione prima di riuscirci, e quelle più resistenti sono state fuse da una qualche sorta di calore che ancora non abbiamo identificato. Le sue acque sono blu come la notte, ad alta densità, e riflette come uno specchio soltanto il cielo notturno. Le persone di Nebrod, quando sentono vicina la loro fine, si gettano in quel lago per tornare da lui. Loro dicono che tornano a Kalevala, che tornano nella Luce di Mandalore. Si dice che, quando arriva il momento, Nebrod parli al predestinato, lo conduca sull’orlo del lago, lo faccia camminare sulle acque fino al centro esatto, e poi lo porti via con sé.-

Fece una pausa, e poi vuotò il sacco.

- Quel luogo è la tomba predefinita di tutti i Mand’alor.-

Un brivido percorse la scheda di Obi Wan.

Non gli erano sfuggite le implicazioni di quell’affermazione.

- Un giorno io e mio padre siamo stati contattati per assistere una donna, Leera Rau, una diplomatica molto importante per noi, che ha servito egregiamente Mandalore e ci ha aiutato in innumerevoli occasioni. Era molto anziana, ed era andata sempre peggiorando fino a quel momento. Poteva essere la nostra occasione per salutarla. Sono andata in quella casa. Credimi se ti dico che quella donna non avrebbe potuto muovere un muscolo nemmeno sotto attacco. All’improvviso, ha aperto gli occhi, si è alzata ed ha camminato. L’abbiamo seguita fino nel bosco. Ci si è addentrata senza battere ciglio, letteralmente, come in trance, seguiva qualcosa che sentiva soltanto lei. Quando è arrivata al lago, l’acqua brillava di un colore innaturale, di uno strano azzurro, flash di luce intermittenti sotto la superficie, che diventavano sempre più frequenti e potenti. Si è incamminata sull’acqua e si è fermata esattamente al centro, due grosse onde azzurro fosforescente si sono alzate, l’hanno coperta e portata giù con loro. Poi la superficie dell’acqua si è calmata di nuovo, come se niente fosse successo.-

Obi Wan non si era accorto di stare trattenendo il fiato. 

- Questa è la Chiamata dei Morti. E’ un fenomeno molto raro. Secondo le leggende, qualunque cosa viva sul fondo del Pozzo dei Giganti chiama a sé chi ritiene meritevole di raggiungere il Ka’ra. E’ un grande privilegio. I Mand’alor vengono portati lì, ma non tutti vengono chiamati, mi spiego?-

- Ti spieghi, ma permettimi di dire che sembra una storia uscita da un film dell’orrore. Com’era che si chiamava?-

- La luna nel pozzo?-

Il padawan ammiccò. 

- Non mi fraintendere…-

- Oh, no, l’ho detto anche io quando l’ho visto. Non mi stupirei nemmeno se tu non mi credessi. Non ci credevo nemmeno io.-

Obi Wan si preparò per il colpo finale.

- Almeno, non fino a che non ho sentito la voce di Nebrod.-

Eccolo.

Obi Wan fece di tutto per impedire alla sua bocca di aprirsi.

Satine aveva dialogato con quell’entità.

Soprattutto, lui aveva dialogato con quell’entità?

- E’ avvenuto in quell’occasione, la prima ed ultima volta che sono andata in quel bosco. Avevamo appena visto qualcosa che non sapevamo spiegare. Quel giorno c’era anche Lusk Wren, che attaccò briga con mio padre. Mi sono avvicinata all’acqua ed è stato in quel momento che l’ho sentito. E’ entrato nella mia testa. Quello che mi ha detto non aveva alcun senso e l’ho sentito solo io, quindi, purtroppo, dovrai credermi sulla parola.-

Il padawan, adesso, la fissava intensamente. C’era qualcosa che non gli stava dicendo, poteva sentirlo, eppure aveva paura ad indagare, come se non volesse saperlo nemmeno lui.

Alla fine, si buttò.

- Puoi dirmi che cosa ti ha detto?-

La ragazza arrossì violentemente, all’improvviso non più così certa di voler rivelare altro.

E se ti allontana?

Se perderai tutto quello che hai costruito finora?

Allora vuol dire che non era kar’jag.

Avrai la prova definitiva.

- E’ personale.-

- Lo capisco. Se là sotto, però, c’è qualcosa che può servirci per riportarti a casa sana e salva, è necessario avere tutte le armi per usarlo.-

Satine sospirò, le guance color porpora, gli occhi fissi sul soffitto del colore delle braci ardenti.

- Mi ha detto che sarei morta, giovane e sola.-

Obi Wan si voltò verso di lei così di scatto che la sua spalla schioccò. Rimase a fissarla, lo sguardo più triste che Satine avesse mai visto, e all’improvviso sentì di avere una certezza. 

- Che significa?- chiese il ragazzo, un senso di panico profondo ad intrecciargli lo stomaco.

- Quello che ho detto. Non vivrò a lungo, evidentemente.-

- Quanto ti resta?-

- Se me lo avesse detto chiaramente, temo che non sarebbe Nebrod.- disse lei, facendo spallucce

Il silenzio calò tra i due, mentre ascoltavano lo scorrere dei propri pensieri senza sapere che cosa fare.

Il bosco di Nebrod, su Kalevala, era sicuramente un luogo interessante e sarebbe stato bello riuscire a mandare una spedizione scientifica dal Tempio Jedi. Un uomo di scienza come Kit Fisto non si sarebbe di sicuro tirato indietro. Il rischio era, almeno secondo Obi Wan, che si trattasse di una qualche creatura carnivora dotata di Forza e che entrasse in comunicazione con gli abitanti di Mandalore per cercarsi delle prede. 

Tuttavia, qualcosa non tornava, e sapeva anche cosa. 

Perché non si era pappato Satine, nonostante le avesse parlato? 

La verità era che stava cercando ogni scusa, una qualsiasi, per non credere al fatto che Satine fosse destinata ad una fine orribile. Non c’era altra spiegazione, perché la voce di Nebrod era la voce che aveva sentito nelle sue visioni e la Luce ciò che aveva visto. 

Non c’era modo di sfuggire alla Forza. 

A questo punto era abbastanza scontato che Mandalore avesse effettivamente qualcosa di senziente. Probabilmente c’era anche molto di più, qualcosa che coinvolgeva la Forza e che la duchessa sapeva sentire, addirittura manipolare. 

Qualunque cosa fosse questo Nebrod, un mostro o la Forza stessa, non aveva ragione di farle del male.

Almeno per ora.

E perché Obi Wan era stato condotto lì?

- Obi Wan?- mormorò lei, da sotto le coperte.

- Sì?-

- Mi porterai da Nebrod, quando succederà?-

Obi Wan sorrise e scosse la testa. 

- No, Satine, non ti porterò da nessuna parte, perché non accadrà.-

- Senti, mi fa piacere che tu voglia proteggermi, credimi, ma nelle condizioni in cui siamo adesso non puoi dirmi che non accadrà mai. E’ un eventualità che non possiamo scartare.-

Il ragazzo sospirò, la consapevolezza che trascinava il suo cuore giù dalle parti dei talloni. 

Il senso del dovere del giovane padawan sapeva indicargli la strada: quella di proteggerla a qualunque costo. Tuttavia, non era sciocco abbastanza da ignorare il fatto che, se la Forza voleva, poteva sacrificare le sue pedine per uno scopo più grande. 

Le sue vie erano misteriose. 

Il suo desiderio di proteggerla era un bisogno personale, oppure la ragione per cui la Forza lo aveva mandato lì? La visione di Satine era destinata ad avverarsi, con o senza la sua presenza?

Il suo ragionamento pacato e razionale cozzava con la sua immaginazione, grazie alla quale già si vedeva stringere la giovane Satine tra le braccia, giurandole che si sarebbe immolato per lei a tutti i costi in nome di quella strana creatura che si agitava all’altezza del suo stomaco e che forse si chiamava amore. 

Il che era un grosso problema che avrebbe affrontato più tardi.

Per il momento, non aveva elementi per definire le vie della Forza, e forse non li avrebbe mai avuti. 

Sapeva solo che la via dei Jedi era servire, la Forza e gli altri.

- Certo. Ti porterò dovunque vorrai. Adesso non pensarci. Quel momento è ancora lontano.-

- Come lo sai?-

- Non lo so. Lo spero.-

Il silenzio calò di nuovo tra di loro.

Obi Wan si morse l’interno della guancia.

Fa’ qualcosa.

E cosa?

Qualunque cosa. 

Sono tante le cose che vuoi dire. Dille e basta.

E se non ci riesco?

Sei serio? 

- Sat’ika?-

La duchessa si voltò a guardarlo, stupita. 

L’aveva chiamata in Mando’a, con quella t dolce coruscanta che era soltanto sua, e con il diminutivo, proprio come la chiamava suo padre. 

- Elek?- 

Obi Wan sembrò tentennare, poi prese fiato.

- Ni su’cuyi, gar kyr’adyc, ni partayli, gar darasuum.-

Non se l’era aspettato. Rimase a guardarlo, da sotto le coperte, mentre provava a pronunciare nel modo giusto la formula rituale per ricordare le persone care che non c’erano più, il capo appena voltato a guardarla, il volto rosso e uno strano riflesso umido negli occhi.

Gli chiese di ripetere, perplessa, ma in verità aveva sentito benissimo.

- Me’ven?-

- Ni su’cuyi…-

- Suvar’ni.-

Quel ragazzo era la creatura più bella che potesse esistere nell’intera galassia. 

- Vor’e.-

- Gedet’ye.-

Un grazie e un prego che valevano più di mille parole.

- Ni baatir gar.-

Ci tengo a te.

Non sapeva se fosse il massimo che potesse ricavare dalla bocca di un Jedi, ma quelle parole le scaldarono il cuore. Lo guardò, felice, e questa volta anche lui azzardò un’occhiata più intensa verso di lei.

- Ni cuy’vutyc gar. -

Sei speciale per me.

I loro occhi si incatenarono e rimasero a guardarsi, l’aria così tesa da tagliarsi con il coltello. 

Satine si avvolse di nuovo nella coperta e stavolta, coraggiosamente, tese le mani verso di lui, che le strinse nelle sue.

Si rilassò, chiudendo gli occhi e regolarizzando il respiro. In quella specie di abbraccio si stava bene, meglio di quanto avesse mai immaginato.

- Jate ca.- le disse, ma lei era già profondamente addormentata quanto lui le diede la buonanotte.

Obi Wan cominciava ad apprezzare davvero la bellezza di Mandalore, e non soltanto per Satine. Amava quel sistema così strano e complicato, pieno di storia e leggende. In Mandalore c’era molto di più di quanto si dicesse in giro per la galassia. Per quanto Mandalore fosse importante per lui, però, Obi Wan sapeva che era per lei che avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Sarebbe vissuta attraverso di lui. 

Avrebbe visto il mondo con i suoi occhi. 

L’avrebbe tenuta in vita.

Qualunque cosa dovesse accadere, Obi Wan l’avrebbe portata nel cuore per sempre. 

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

 

Cabur: protettore

Me’ven?: espr. di incredulità, come?/ che cosa?

Suvar’ni: lett. ho capito

Ni cuy’vutyc gar: lett. sei speciale per me

Jate ca: lett. buonanotte

 

NOTE DELL’AUTORE: Insomma, un capitolo pieno di romanticume. 

Per gli animalisti tra di voi, sappiate che voglio molto bene alle bestie e che mi dispiace per il povero cervo. Quelli crudeli sono gli spettri, non io, e soprattutto nulla di quello che è scritto è violenza gratuita. Tutto ha uno scopo, tutto è funzionale. In questo caso, credo che dovremo ringraziare la dipartita del povero cervo se Obi Wan e Satine hanno preso l’abitudine di tenersi per mano. Un’abitudine che, a quando pare, non perderanno mai, nemmeno dopo anni di lontananza. 

Thays Moran è un personaggio di mia invenzione, ma ho in programma qualcosa di più per lei. Del resto, suo marito ha un cognome importante per la serie. Chi ha visto Clone Wars sa di cosa parlo.

Se tutta questa storia degli spettri vi pare che non vada da nessuna parte, non preoccupatevi, non verrete delusi. 

Presto avrete modo di vederli in tutta la loro deprecabile potenza. 

Sono curiosa di sapere se qualcuno di voi ha capito che razza di creature siano. Se siete curiosi e avete voglia di lasciare una recensione, sarò più che felice di leggerla. 

Nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle. 

Pensavate che i cacciatori fossero andati in pensione?

 

Molly. 

 

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Capitolo 37
*** 30- Beroya ***


CAPITOLO 30

Beroya

 

ATTENZIONE: ci sono i cacciatori di taglie. E gli spettri. Insomma, il capitolo è violento per forza. Siete avvisati.

 

Quella sera erano stanchi e stressati. Non avevano trovato un luogo protetto dove riposare ed il tempo stava cambiando. Satine era stata la prima ad accorgersene, brontolando che i capelli non le stavano mai a posto.

- Non pretendo di essere ad un incontro di alta moda.- borbottò, passandosi ripetutamente le mani nei capelli.- Ma sembra che abbia messo le dita nella corrente. Cambia il tempo.-

- Dici? Influenza i capelli?-

- Non saprei. Lo dice sempre Maryam. Forse ha a che fare con l’umidità.-

Si fermarono nel mezzo di una radura quando il buio li colse. Avevano provato a raggiungere un picco roccioso, che si elevava sopra quello che sembrava un crepaccio da cui sentivano scrosciare l’acqua. Il buio, però, era calato prima che riuscissero ad arrivarci e la pesantezza dell’aria e l’umidità erano diventati troppo da sopportare. Si accamparono in mezzo al nulla, tra gli alberi, vicino al fuoco che Qui Gon aveva acceso nella speranza di tenerli caldi. 

Consumarono un pasto triste, mentre un lampo squarciava il cielo. Tra poco avrebbe piovuto, o peggio. La neve era ancora parzialmente ghiacciata attorno a loro e il rischio che qualche fiocco di neve li raggiungesse era elevato. 

Non avrebbero dovuto dormire all’aperto senza un riparo. 

I tre si strinsero vicini l’uno all’altro per scaldarsi. Satine aveva tenuto indosso la sua pelliccia di cervo, ma non bastava a proteggerla. Aveva il naso rosso che colava e anche le guance sembravano spaccarsi per il freddo.

- Sai che fa veramente effetto vederti con quel coso addosso?- borbottò Obi Wan, provando a tirarla su di morale.- Sembri… Non so cosa sembri. Hai l’aria tribale, primitiva.-

- Oh, questo è un gran lusso rispetto al mio abito da Chaab be Ruus Uj’ayil. In quel caso davvero che sembravo l’uomo delle caverne.-

Satine abbozzò un sorriso e la tensione fu stemperata per qualche secondo, prima che un tuono squarciasse l’aria e la pioggia cominciasse a cadere, piccole gocce che ben presto si trasformarono in un torrente scrosciante.

Qui Gon montò, come sempre, il primo turno di guardia, ma fu ben presto costretto a riparare sotto l’albero quando la pioggia si intensificò e spense inesorabilmente il fuoco. Sospirando, il buon maestro aveva acconsentito ad utilizzare un poco delle loro polveri per creare il fuoco perpetuo dentro la misera padella che i ragazzi avevano usato come scaldino. I tre avvicinarono le mani alla padella, ma non sarebbe servito a confortare il loro morale, messo a dura prova dall’acqua, dal freddo e dall’umidità. 

- Raccontami qualcosa, Obi Wan.-

- Cioè?-

- Raccontami una storia. Voglio dire, ne avrete combinate di tutti i colori durante le vostre avventure. Mi piacerebbe sentire qualcosa, occupare il tempo fino a che non prendiamo sonno.-

Qui Gon si piazzò accanto alla duchessa, stringendo la ragazza tra i corpi dei due Jedi e l’albero, provando a scaldarla. Si tolsero una manica per uno e la avvolsero dentro i loro mantelli.

Satine sorrise con gratitudine.

- Beh, potremmo raccontare di quella volta in cui siete caduto nella stalla di un allevatore di blurrg.-

- Visto che ti diverte così tanto raccontare le mie sventure, ragazzo, perché non racconti di quella volta in cui un gatto di Lothal ti rubò gli stivali e prese ad usarli per sputarci le palle di pelo…-

Ma Qui Gon non finì nemmeno la frase, perché voltò la testa di scatto verso il bosco e portò una mano all’elsa della spada. Obi Wan allo stesso modo saltò in piedi e sfoderò la spada laser.

Il raggio di luce blu tranciò la freccia nell’aria, ma la punta andò a schiantarsi contro il tronco dell’albero, conficcandosi a pochi centimetri dalla testa di Satine, squarciando il cappuccio e tranciando di netto un po’ dei suoi capelli biondi. 

- Sono qui! Obi Wan, davanti!-

Il ragazzo scattò davanti alla duchessa, mentre la ragazza ancora provava a riprendersi dallo spavento, ed il maestro corse alle spalle, parando appena in tempo un colpo di frusta al plasma da parte dello zygerriano.

I cacciatori erano di nuovo sulle loro tracce.

Non c’era da stupirsi che fossero arrivati a loro. Dopo aver trovato vuota la loro navicella, dovevano essere giunti alla conclusione che l’unico posto dove potevano essersi nascosti era Krownest. Non avrebbero potuto percorrere altre distanze a bordo di un guscio di salvataggio. Il depistaggio di Obi Wan li aveva tenuti occupati per un po’, ma, come avevano temuto, non avrebbe potuto tenerli lontani per sempre. 

Satine era rimasta acquattata intelligentemente vicino al tronco, con una mano sulla sua lancia retrattile e l’altra infilata nello zaino, alla ricerca di qualche diavoleria. Teneva la testa nascosta tra le braccia, sbirciando a destra e a manca per riuscire a capire la situazione. 

Obi Wan stava combattendo contro due di loro: la donna in beskar con lo stemma della Ronda della Morte e il trandoshano, che mostrava i denti e sibilava come un serpente. Alle spalle, invece, il Mando e lo zygerriano, che sembravano avercela con Qui Gon a livello personale. Il felino mulinava la frusta come se non avesse altro scopo nella vita, mentre il Mando approfittava della distrazione causata dai continui colpi di frusta per provare a colpirlo. 

Obi Wan, in questo, era stato più fortunato. La donna sparava all’impazzata contro di lui, ed anche il trandoshano. Con colpi precisi e mirati riusciva a deflettere i blaster, ma era evidente che avevano bisogno di un piano, o uno dei due sarebbe caduto.

Quello più in difficoltà era Qui Gon, ed in un lampo i due riuscirono a raggiungersi nella Forza.

Portala via, Obi Wan!

Il piano era semplice, ma aveva senso. Se il padawan avesse portato via la duchessa, era probabile che il gruppo si sarebbe diviso. Un paio di cacciatori avrebbero sicuramente provato ad inseguirli, e Qui Gon glielo avrebbe impedito. Il Mando e lo zygerriano, poi, avrebbero provato a liberarsi di lui, rendendo l’attacco più erratico e disorganizzato.

Qui Gon si sarebbe insinuato in quell’errore ed  avrebbe scardinato la loro strategia.

Poi, avrebbe inseguito Obi Wan e Satine ed avrebbe pensato a sistemare gli altri due.

Il ragazzo prese per mano Satine, mentre defletteva abilmente i colpi con una mano sola, e con un calcio rovesciò la padella, spargendo ovunque le braci ardenti. Satine ne approfittò per gettare una manciata di magnesio e polvere esplosiva sui tizzoni, creando uno scoppio e una nuvola di fumo giallastro che distrasse i cacciatori. 

Quando la nuvola scomparve, Obi Wan e Satine non c’erano più.

- Haar’chak! Vaii cuy’kaysh?-

- Dar’kaysh payt!-

Obi Wan, però, aveva già preso il volo. 

Scivolava sulle rocce, ma non gli importava. Stringendo tra le dita il polso di Satine, non aveva fatto altro che andare sempre più su, sempre più in alto. Non passò molto e il rumore del jet pack della Mando raggiunse le loro orecchie. Un colpo sordo indicava che stavano sparando dall’alto. Il padawan spinse la duchessa in avanti e la sollevò di peso, racchiudendola nell’incavo del suo corpo mentre correva come un ossesso alla ricerca di un riparo sicuro.

Se fosse riuscito a cavarsela in questo modo per un po’, avrebbe dato tempo al suo maestro di venirli a prendere e mettere le cose a posto.

 

Nel frattempo, Qui Gon stava combattendo la sua battaglia contro i due cacciatori, esattamente come si era immaginato di combatterla. Il Mando voleva andarsene alla svelta, ma lo zygerriano e la sua frusta gli stavano tra i piedi. Il felino, credendo di far bene, colpiva a casaccio, provando a legare il maestro Jedi, ma in quel modo non faceva altro che intralciare la mira del suo compare, che non riusciva a sparare diritto. 

Tuttavia, qualcosa era andato storto.

Evidentemente dovevano essere d’accordo, perché il trandoshano, invece di inseguire Obi Wan e Satine, era rimasto con loro. Il gioco del Mando fu presto fatto. Cogliendo al balzo la distrazione, azionò il jet pack e volò via nella direzione in cui i due erano scomparsi nel nulla. 

Male, anzi, malissimo.

Con la massima calma e il controllo di chi si è districato in situazioni peggiori, Qui Gon spostò la testa di lato mentre la frusta al plasma dello zygerriano si avvicinava pericolosamente al suo volto. In quel modo, il raggio di plasma gli passò accanto, lasciandolo illeso, ed andò ad avvolgersi attorno alla canna del blaster del trandoshiano, portandolo con sé mentre tornava indietro.

- Accidenti a te! Felino maledetto!- sibilò il cacciatore, improvvisamente senza la sua arma, e Qui Gon ne approfittò per avvantaggiarsi sullo zygerriano. 

Con un balzo in avanti, portò la spada laser agli occhi e tranciò di netto il manico della frusta al plasma, lasciandolo disarmato. Calciò lo zygerriano, che cadde lontano da lui e fu costretto ad appallottolarsi dietro ad un masso per non essere centrato dai colpi erratici del suo compare. Qui Gon, freddamente, rotolò a terra, lontano dal raggio stordente sparato dal trandoshano, raccolse il blaster e mirò in alto, là dove vedeva il rossore delle fiamme del jet pack che si allontanavano sempre di più. 

Mirò, e sparò.

Il jet pack, se non esplose, si danneggiò abbastanza da darne l’impressione. Il Mando precipitò lentamente verso il basso, mentre faceva di tutto per controllare la sua discesa.

Beh, se non altro ci metterà un bel po’ prima di raggiungere Obi Wan e Satine.

Tornò a rivolgere la sua attenzione a questioni più pregnanti, ma lo zygerriano era sparito nel nulla. Tutto ciò che rimaneva da fare era dunque sistemare il trandoshano, che era armato di tutto punto e sembrava avere delle cariche esplosive attaccate alla cintura.

Sarà una lunga notte

 

Obi Wan cadde, spinto via dall’esplosione di una carica a breve distanza. Teneva ancora Satine tra le braccia, e questa volta non la lasciò cadere. Rimase racchiusa tra il corpo del padawan e il suolo, il panico che si impadroniva di lei e il senso di impotenza che le riempiva uno stomaco già pieno.

Si costrinse, per dignità, ad inghiottire il panico ed evitare di vomitargli addosso.

Sarebbe una fine ingloriosa per una Mando.

Con un balzo, però, Obi Wan fu di nuovo in piedi e pronto a correre, la spada laser stretta tra le dita e gli occhi fissi sul bosco davanti a sé.

Non aveva acceso la spada per evitare di fornire ai cacciatori un punto luminoso su cui sparare, ma questo voleva anche dire non vedere ad un palmo dal naso. Il buio era calato e la notte era chiara, ma il bosco era oscuro e fitto di alberi, e la pioggia non aiutava. Non c’era modo nemmeno di vedere nitidamente il cielo, e la cosa mandava il buon padawan in bestia, perché non riusciva a capire da che parte stessero sparando.

La Forza lo aiutava, certo, ma al buio, con la duchessa in braccio e in movimento non era un compito facile, fosse stato anche solo per le mani occupate. 

Una scarica di mitragliatrice falcidiò gli alberi dietro di loro, e il padawan fece giusto in tempo a gettarsi a terra, coprendo Satine con il proprio corpo.

La sentì strillare e sperò di non averle fatto male.

Poi, cominciò a correre di nuovo.

Ben presto il rumore del jet pack si intensificò fino a sdoppiarsi, ma questo voleva dire, purtroppo, una cosa sola.

Qualcosa nel loro piano era andato storto.

Se anche il Mando era sulle loro tracce, questo voleva dire che Qui Gon aveva perso il controllo su di lui. Era certo che il suo maestro stesse bene e fosse vivo, o ne avrebbe risentito la Forza, ma era anche sicuro che, se non fosse stato in difficoltà, non sarebbe successo niente di tutto ciò.

Qui ed ora.

Concentrati.

Sfuggì ad un’altra sventagliata di mitra, poi un urlo e un sonoro pop! esplosero in aria.

Satine azzardò un’occhiata in alto, e potè scorgere la cacciatrice fissare il punto in cui una nuvola di fumo avvolgeva il cacciatore Mando, mentre questo provava a governare la sua catastrofica discesa verso il basso.

- Mando accoppato, resta solo lei!- gridò nell’orecchio del ragazzo.

Questo vuol dire che Qui Gon è ancora in pista e verrà a cercarci presto.

Sterzò bruscamente a sinistra e cominciò a zigzagare tra gli alberi, trascinandosi dietro Satine, che faceva da vedetta.

- A destra!- 

Obi Wan rotolò giusto in tempo, prima che una carica esplosiva centrasse il terreno.

Si alzò e partì di nuovo alla velocità della luce.

- Quante cariche esplosive ha ancora, riesci a vederla?-

- No, ma una cintura può portarne fino a dodici.-

Oh, Forza!

Poi Obi Wan saltò e si gettò dentro un avvallamento terroso, dove la neve aveva creato una pozza d’acqua stagnante. Si nascose contro la parete, schiacciando Satine nella terra e proteggendola con il proprio corpo.

Il mantello marrone li copriva entrambi, illudendo la vista della donna.

- Guarda che se ha i visori notturni le illusioni ottiche non servono a niente!-

- Non è che per una volta potremmo avere fortuna?-

E, per una frazione di secondo, credettero di averla avuta, perché la cacciatrice scomparve sopra le loro teste, volando apparentemente come se non li avesse notati.

 

La lotta con il trandoshano era stata estenuante, ma alla fine Qui Gon l’aveva spuntata. L’aveva lasciato legato, stordito, confuso e disarmato sotto la pioggia battente, mentre lui era filato di corsa dietro allo zygerriano, sperando di arrivare in tempo. Il buio e la pioggia non gli permettevano di seguire le sue orme, ma aveva imparato da tempo - da quando la magistra Tahl era diventata cieca, per l’esattezza - ad usare gli altri sensi. Così, provò ad aguzzare l’udito e l’olfatto, e sentì odore di gatto bagnato accompagnato da uno scalpiccio di piedi di fronte a lui, diversi metri più avanti. 

Purtroppo, aveva sentito anche l’acro odore di benzina e di esplosivo.

Il Mando doveva trovarsi nei paraggi.

Così, certo che il trandoshano non avrebbe mosso un dito, si era armato di santa pazienza, aveva esteso i propri sensi nel buio e si era lanciato all’inseguimento. 

Le tracce della caccia erano evidenti. Molti alberi avevano perso dei rami e il suolo era butterato di crateri. Uno straccio del mantello del suo padawan lo fece temere per la sua vita, ma la sua presenza nella Forza era ancora ben vivida e Qui Gon si concentrò sull’immediato presente.

L’odore di benzina stava aumentando, mentre la presenza dello zygerriano si era fatta più labile. 

Il maestro si mise a pensare. Era quasi sicuro che il cacciatore avrebbe raggiunto Obi Wan e Satine prima di lui, ma dubitava che si sarebbe apertamente schierato al fianco della donna Mando. Secondo Qui Gon, lavoravano insieme solo per agevolare il lavoro, ma i cacciatori sono noti per la loro avidità e c’era una grande possibilità che alla fine si rivoltassero l’uno contro l’altro.

In più, i Mando erano molto preparati a combattere contro i Jedi, e sapevano che con loro dividere equivaleva, a volte, a vincere. 

Se tutto fosse andato secondo i loro piani, invece, lo zygerriano avrebbe attaccato in un punto diverso, o almeno ci avrebbe provato, e Qui Gon l’avrebbe fatto fuori prima che riuscisse a premere il grilletto, lasciando la Mando da sola contro due Jedi e una duchessa che sapeva il fatto suo.

I suoi pensieri, però, furono interrotti dal fischio di una granata.

Scartò di lato e si gettò a terra, ma un fiotto di fango lo centrò in pieno, mandandolo a gambe all’aria.

- Allora, jetii.- disse l’aspra voce del Mando, ovattata dal casco.- Fatto un voletto, eh?-

Qui Gon fu presto in piedi, i sensi all’erta.

Lo zygerriano non era nei paraggi.

Bene.

Avrebbero regolato i conti solo lui e il Mando. 

Lanciò un’occhiata - per quanto poteva, al buio - alla sagoma dell’uomo che aveva di fronte. La caduta tra i rami aveva danneggiato la sua armatura. Il bracciale era andato, spaccato a metà. Sembrava perdere sangue dal fianco e forse zoppicava anche un po’. Il jet pack era esploso, ma non abbastanza da ferirlo. 

Non che gli volesse male, per carità.

Qui Gon non rispose alla provocazione e cominciò a girare in tondo, seguendo l’andamento del suo avversario.

- E’ inutile che tu corra tanto. Il tuo cagnolino e la landur dar’manda saranno morti prima che tu riesca a raggiungerli.-

Qui Gon, ancora una volta, non rispose. 

Era molto strano che volessero uccidere la duchessa. Non aveva senso, dopo tutto quello che aveva sentito dire a Larse Vizla. Certo, c’era sempre la possibilità che fosse tutta una montatura. Per l’usurpatore sarebbe stato meglio averla morta e pretendere di averle fatto tutto quello che aveva detto le avrebbe fatto.

Almeno, dal punto di vista di quel sadico, conveniva. Niente tentativi di fuga, niente martiri eroiche e via di questo passo.

Eliminandola immediatamente si sarebbe liberato di un peso e le avrebbe impedito di parlare oltre, scompaginando tutti i suoi piani.

Però, non credeva che questa fosse la vera intenzione dei cacciatori di taglie. Avrebbero riscosso soltanto se lei fosse stata consegnata viva.

Uccidere Satine significava non vedere il becco di un quattrino.

O almeno così sperava il maestro Jedi.

Aveva sempre capito poco di politica, dove tutto appare in un modo, ma dove la realtà giace completamente diversa sotto la superficie.

Sperò che quanto sapeva bastasse.

Il Mando si lanciò in avanti e Qui Gon imbracciò la spada laser.

 

Obi Wan decise di andare nella direzione opposta. 

Se fosse andato avanti, sarebbe finito dritto dritto tra le braccia della Mando, armata fino ai denti.

Se fosse tornato indietro, avrebbe trovato sicuramente il Mando e forse anche qualcun altro, tra lo zygerriano e il trandoshano.

Così, decise di tagliare in diagonale.

Se avesse continuato a dritto, poi, si sarebbe avvicinato pericolosamente al picco di roccia basaltica, che dava a strapiombo su un crepaccio. 

La tipica morte dei nexu, mandati a morire giù dai canyon.

Non gli piaceva molto l’idea, così sperò che, se fosse andato a destra, avrebbe depistato per un poco i cacciatori.

Sulle prime, parve una brillante idea. Attorno a loro non si sentivano rumori di sorta, né presenze pericolose. Quasi credette di avercela fatta, ma un colpo di blaster sfiorò la testa di Satine, andando a schiantarsi contro il tronco.

La sentì urlare e per un momento il mondo si fermò.

Fu una frazione di secondo sufficiente per vederla portarsi una mano ai lati del volto e ritirarla coperta di sangue. Il gelo si impadronì di lui e per un momento credette che fosse finita.

Qui ed ora. 

Concentrati.

Satine aveva il volto contratto, spaventato, ma vivo e vigile. I suoi occhi dardeggiarono a sinistra, dove, con sua grande sorpresa, Obi Wan incrociò gli occhi verticali dello zygerriano. 

Un attimo dopo aveva la spada laser sfoderata e stava respingendo i colpi uno dopo l’altro. 

Ancora una volta, fu il turno di Satine di guidarlo. Tenendolo stretto per il mantello, si lanciò giù, sul fianco della collina, mentre il ragazzo defletteva i colpi uno ad uno, e in un attimo di clamoroso coraggio riuscì ad usare la Forza per rispedire al mittente una carica esplosiva. 

All’improvviso gli venne un’idea, anche se non era certo che Satine avrebbe apprezzato.

Tuttavia, si poteva fare. 

Con un gesto arrestò la sua corsa, mentre poteva udire il jet pack della Mando tornare di nuovo vicino. Defletté i colpi ancora ed ancora, mentre lo zygerriano sembrava non averne mai abbastanza. Sparava a ripetizione contro di loro, cambiando arma in corsa, ed Obi Wan fu più che mai felice, nella distrazione del momento, di sfilargli il blaster di mano con la Forza e di passarlo a Satine.

- Lo sai usare?-

La ragazza lo guardò storto.

-  Non l’hai chiesto sul serio!-

Fu in quel momento, mentre Obi Wan provava a deflettere colpi, che vide la Mando spuntare da sopra gli alberi e lanciare una delle sue micidiali cariche esplosive.

Obi Wan defletté un colpo di blaster, ruotò su se stesso e spedì la carica di nuovo in alto, la mano protesa per spingerla via con la Forza.

Satine parve capire al volo.

Mirò e sparò.

Centrò la carica al primo colpo e quella esplose a mezz’aria, tra le grida di sorpresa dello zygerriano, investito da una pioggia di rami, e l’urlo arrabbiato della Mando, che non li vedeva più tra il fumo e le fiamme.

Quando l’effetto sorpresa fu finito, i due erano già lontani, giù per la collina.

Il fumo avrebbe attirato l’attenzione di Qui Gon, segnalando la loro posizione.

Sperando che non ci fosse nessun altro ad inseguirli.

 

Il Mando lottava come se ne stesse andando della sua stessa vita. Era furioso oltremisura, l’odio per i Jedi che sprizzava da ogni poro, da ogni gesto violento, da ogni mossa di quell’arte marziale così strana che Qui Gon aveva visto fare a Satine.

La duchessa, come ogni Mando, era una campionessa di corpo a corpo. Le sue lezioni erano state provvidenziali, o almeno lo erano state per Qui Gon, che adesso si trovava a combattere in quello stile e che pareva capirci qualcosa.

Dopo un pugno a vuoto di solito ne segue uno proveniente dal basso, poi un altro potenziale elemento di distrazione. Erano accorgimenti necessari, per un Mando che non possedeva la Forza, se lo scopo era sopraffare un Jedi. 

Un colpo, ed un altro ancora. Un calcio colpì Qui Gon al ginocchio, mandandolo a terra. Aveva evitato di usare la spada laser fino a quel momento, ma stava diventando necessario. Parò al volo il pugnale che voleva trafiggerlo, rotolò e si rimise in piedi, le mani salde attorno all’elsa resa scivolosa dalla pioggia che non voleva saperne di smettere di scrosciare.

- Non voglio ucciderti.- sillabò il maestro, provando a sopraffare il rumore dei tuoni e della pioggia battente.

- Temo che dovrai farlo, se vorrai salvare la tua duchessa.-

- Non è la mia duchessa, è la tua!-

- Lei non sarà mai una di noi!- e si lanciò di nuovo all’attacco. 

Qui Gon provò a svicolare. Proprio non riusciva a capire questi Mando, che non riuscivano a trovare pace. Con Satine aveva imparato che la fierezza di un popolo e il suo orgoglio potevano essere degli strumenti utili per volgere la situazione al meglio, trovare la propria identità per creare un sistema in cui vivere in pace. Costoro, invece, fomentavano l’odio, la rabbia e l’individualismo, in nome di valori che sì, erano Mando, ma fino ad un certo punto. 

I membri della Ronda sembravano invasati, pronti a combattere per dimostrare la propria supremazia, con tendenze al limite del suicidio. Lo scopo principale del giovane Mando lì presente, per esempio, non sarebbe dovuto essere uccidere il Jedi, ma sbrigarsela il prima possibile per andare a prendere la duchessa, prima che i suoi due compari gliela sfilassero da sotto il naso e lo abbandonassero su Krownest. Invece, eccolo lì, ad accanirsi contro Qui Gon, in un combattimento che era perso in partenza.

Perché?

- Perché vuoi morire?-

- Per far trionfare la vera Via di Mandalore!-

- E qual è la vera via? Quella in cui un ragazzo giovane come te muore inutilmente per aver ingaggiato il combattimento sbagliato? Quella in cui c’è da avere paura a farsi curare in ospedale? Qual è la vera Via di Mandalore?-

L’uomo non rispose, ma l’attacco che ne seguì fu piuttosto eloquente.

- Solo i duri sopravvivono!- ruggì, lanciandosi sopra Qui Gon con tutte le sue forze.

Il maestro, gli occhi chiusi ed un sospiro malinconico, mormorò.

- Anche il più duro tra i duri prima o poi crolla.-

E protese la spada laser verso il cacciatore.

 

Corsero a perdifiato giù per la collina, sperando di riuscire a seminarli, ma ben presto furono costretti a cambiare itinerario. 

Un crepaccio profondo si aprì sotto ai loro piedi, mentre il rumore del torrente ingrossato faceva tremare la roccia. Obi Wan afferrò la duchessa e la portò via, su, sempre più su, con la consapevolezza di stare avvicinandosi sempre di più a chi dovevano rifuggire. 

Era ormai praticamente certo che la navicella dei cacciatori fosse atterrata nello spiazzo basaltico.

Non c’era altra scelta, però. Quella era l’unica strada che potevano percorrere.

Qui Gon è vicino.

Verrà a darci una mano.

- Fermati, ti prego!-

Al grido di Satine, il padawan non potè fare altro che arrestarsi, allarmato. 

La ragazza era esausta. Stavano correndo da non sapevano nemmeno quanto, ed Obi Wan, con l’aiuto della Forza, pareva volare. Per tenergli dietro la povera duchessa aveva dovuto dare fondo a tutte le sue energie, con una lesione alla testa e con tutte le botte che aveva preso cadendo e rialzandosi.

L’adrenalina cominciava a non bastare più a tenerla in piedi.

Obi Wan si accucciò accanto a lei per essere certo che stesse bene.

- Ti porto io. Non ci possiamo fermare. Dobbiamo continuare a muoverci.-

Non fece in tempo a prenderla in braccio, però, che una nuova carica esplosiva fu loro tra i piedi.

Inorridito, Obi Wan la spinse lontano con la Forza, ma non abbastanza da non investirli nell’esplosione. Circondò Satine con il proprio corpo, e l’onda ad urto li scaraventò lontano, scivolando nel terreno roccioso e fangoso, mentre la pioggia scrosciava sopra di loro e li lasciava sdrucciolare sempre più giù, pericolosamente vicini al crepaccio.

Obi Wan piantò i piedi doloranti e riuscì ad arrestare la loro pericolosa discesa. 

Tuttavia, i suoi sensi erano ancora annebbiati. La vista era appannata, e quando non lo era l’acqua piovana gli impediva di vedere bene, e le orecchie fischiavano come il vento gelido del nord. Sapeva di stringere ancora Satine tra le braccia, ma un’ombra gliela strappò via con veemenza. 

Il padawan si rialzò in piedi di scatto, ignorando il dolore e il capogiro, la spada laser accesa tra le mani, e stava quasi per lanciarsi all’inseguimento quando una mano pelosa ed artigliata gli afferrò il codino e lo trascinò indietro, sbattendolo quasi con la testa contro la roccia.

Poi, fu come se qualcuno gli avesse strappato il cuore dal petto.

Sospirò pesantemente, guardandosi attorno, mentre il dolore nel suo corpo esplodeva. Poteva sentire la caviglia sinistra gonfiarsi e tutti i lividi del ginocchio, il dolore dell’abrasione sulla gamba là dove la roccia lo aveva graffiato, le orecchie e gli occhi che gli facevano male e le ferite delle schegge piantate ovunque nel suo corpo. 

Il dolore dei capelli, là dove lo zygerriano lo stava tenendo stretto.

- Bene bene bene.- disse la donna, la voce ovattata dalla pioggia e dall’elmo.- Finalmente vi siete stancati.-

- Lasciatela andare!- gridò Obi Wan, ma lo zygerriano gli torse di nuovo i capelli.

- E sentiamo, landur jetii.- continuò, sprezzante.- Che cosa vorresti fare con quel bastoncino luminoso, uhm? Adesso che hai quel bel collarino al collo?-

Satine guardò con orrore il dispositivo luminoso al collo di Obi Wan.

Un separatore.

Aveva sentito parlare di quella roba, anche se non l’aveva mai vista di persona. Erano strumenti capaci di inibire il contatto con la Forza, impedendone l’uso a chi riusciva a manipolarla.

Uno strumento di tortura orribile, usato spesso per far sentire dolore ai torturati che avrebbero potuto trovare conforto nella Forza.

- Forza, jetii.- continuò la Mando, ridendo a crepapelle sotto l’elmo.- Vediamo che cosa sai fare senza la tua magia.-

Obi Wan si alzò in piedi, ma la gamba cedette sotto il suo peso e cadde sul ginocchio malandato, la spada ancora stretta in pugno, incapace di usarla.

- Lasciatela andare immediatamente.-

- Altrimenti che cosa ci fai?-

- Io nulla, ma il mio maestro…-

- Ah, il tuo maestro!- e i due cacciatori scoppiarono a ridere.- Dammi retta, ragazzo, non ci sperare troppo. A quest’ora è cibo per spettri.-

Obi Wan sapeva che non era vero, ma non poteva fare altro che restare fermo a sentire il terrore impossessarsi di lui.

Fu lo sguardo di Satine a riportarlo alla realtà. Fermo, deciso, determinato come non mai, con una punta di odio e risentimento.

Poi, la voce affilata come la lama di un coltello, un ghigno sul volto, la duchessa parlò.

- Ciao, Reeta. Non sai da quanto tempo ti stavo cercando.-

 

Qui Gon sentì lo strappo e pensò di stare morendo assieme al suo padawan.

La sua presenza era scomparsa improvvisamente dalla Forza, come se l’avesse portato via il vento.

In più, lo spettacolo di fronte a lui era devastante. 

Il bosco era bruciato parzialmente e tra le chiome degli alberi si era aperto un enorme buco che ancora fumava.

Ciò che restava dell'esplosione di una carica esplosiva.

Doveva cambiare tattica.

Era evidente che i cacciatori avevano trovato Satine ed Obi Wan, e che, forse, il suo ragazzo era morto.

Il suo Obi Wan, che voleva sempre e solo imparare.

Lui, che gli era stato vicino nel momento più buio della sua vita.

Qui ed ora.

Concentrati.

Ma Obi Wan…

Non puoi più fare niente per lui.

Qui ed ora.

Qui ed ora.

Se voleva salvare almeno Satine, doveva trovare la navicella.

Lei era viva e vegeta, e c’erano diverse possibilità che li avessero presi lungo il crepaccio.

Forse la navicella era vicino al picco roccioso dove non erano riusciti ad arrivare.

Se fosse giunto lì prima di loro, forse sarebbe riuscito ad evitare l’irreparabile.

Figliolo.

Si mise in cammino, il cuore pesante, sperando di sbagliarsi di grosso.

 

- Per curiosità, dove sei stata? Credimi, ti ho cercata in lungo e in largo.-

Reeta Woves non si era aspettata quella mossa. Non credeva che Satine l’avrebbe riconosciuta, ed invece eccola lì, lo sguardo più strafottente che avesse mai visto, a darle sui nervi pure in una situazione come quella, di netto svantaggio per quella biondina antipatica che pretendeva di essere la Mand’alor.

- Sai com’è.- disse, sogghignando.- Ho degli amici all’estero.-

- Oh, lo so bene.- borbottò con sarcasmo Satine, l’aria di chi non si sarebbe mai piegata di fronte a nulla.- Mi piacerebbe soltanto sapere chi.-

Reeta Woves la teneva stretta per il collo, ma a Satine importava fino ad un certo punto. Adesso che sapeva la verità sulla cacciatrice, non era minimamente intenzionata a dargliela vinta. 

Quella #@*//! ha già rovinato mio padre, non rovinerà anche me.

Anche a costo di essere io quella che rovinerà lei.

Non toccherà Obi Wan.

Con oggi, Reeta Woves ha smesso di fare del male.

La donna rise al suo goffo tentativo di liberarsi, ma a Satine non importava davvero di sfuggire alle sue grinfie. Quello che le interessava era trovare un modo per proteggere Obi Wan, e per il momento aveva due possibilità.

Se avessero deciso di uccidere il ragazzo sul posto, lei sarebbe intervenuta immediatamente, ed avrebbe potuto farlo perché, nella foga della caccia, Reeta Woves si era dimenticata di toglierle la lancia nascosta sotto la pelliccia di cervo.

Se invece avessero deciso di ucciderlo alla navicella, Satine avrebbe preso tempo.

E solo lei sapeva che cosa poteva fare, se aveva tempo.

- Non credere di farla franca, dar’manda.-

- Dar’manda io?- sbottò la cacciatrice, la voce improvvisamente alta e volgare.- Mi dispiace, signorina, ma se qui c’è una dar’manda, quella sei tu.-

E detto questo, le assestò un vigoroso calcio alla gamba sinistra, che la mandò a terra rotolando. La donna lasciò la presa sul suo collo per trattenerle i capelli.

- Giù le mani!- sbraitò il padawan, provando ad alzarsi, ma lo zygerriano lo teneva sotto tiro e lo rimise a sedere con una potente scarica elettrica.

Ah, fantastico, quel coso è anche uno collare da shock?

- Posso sopportarlo.- disse la duchessa, sperando che Obi Wan capisse.

Dall’occhiata che le lanciò, probabilmente sì, aveva compreso.

- Andiamocene da qui.- brontolò lo zygerriano, calciando la terra e portandosi una mano al viso.- Con tutta quest’acqua, domani sarò anchilosato.-

Reeta sbuffò, mentre sollevava Satine da terra. 

- Questi dannatissimi gatti non reggono nemmeno due gocce d’acqua. Chi l’ha messo in testa a Larse Vizla che la cosa migliore fosse un gruppo internazionale, lo sa solo Kad Harangir.-

Satine prese mentalmente nota. 

Un gruppo internazionale significa alleanze, cara mia.

E se ti allei con Zygerria e Trandosha, ti allei con gli schiavisti.

Bella, la Via di Mandalore, eh?

Oh, ma glielo avrebbe detto a suo tempo.

- Che ci faccio con questo qui?- borbottò lo zygerriano, colpendo Obi Wan alla testa.

Calmati, Satine. Inspira, ed espira.

Ogni cosa a suo tempo.

- Lo butto giù?-

Reeta Woves parve pensarci su.

- Io lo farei, ma credo che il Mand’alor possa cavarne qualcosa di utile. Un riscatto dalla Repubblica, magari, oppure una bella esecuzione in pubblica piazza. Sarebbe un gran bel modo per mandare al diavolo quei parassiti della Repubblica.-

Satine si trattenne, per evitare di dire a quella maledetta dar’manda che di politica non ci capiva proprio niente.

La Repubblica non paga riscatti. 

Mai pagati, mai li pagherà.

- Leghiamolo e portiamocelo dietro, per il momento. Quando ci riuniremo agli altri, prenderemo una decisione. Se il trandoshano avrà catturato anche l’altro jetii, potremmo fare un bel colpo.-

- Ma abbiamo un solo separatore! Chi lo sapeva che s’era portato dietro l’apprendista?-

- Allora vuol dire che spareremo ad uno dei due. Quello che costa meno.-

Non vomitare.

Il prezzo della vita delle persone equivale al loro diritto di vivere.

Bella, la nuova Via di Mandalore.

Satine non replicò e decise di mettere in atto la sua seconda strategia. Aveva il tempo e i mezzi per farlo. Lanciò un’occhiata ad Obi Wan, ammaccato in diversi punti, ma prevalentemente integro. 

Che accidenti vuoi fare?

Satine non disse niente ed andò avanti.

Come avevano sospettato fin dall’inizio, il picco roccioso non era un posto sicuro. La landa desolata vicino al crepaccio era il posto dove i cacciatori avevano fatto atterrare la loro navicella, l’incrociatore ultramoderno da cui erano già fuggiti una volta. La ragazza lanciò un’occhiata alla sua struttura, anche se non aveva molta esperienza con quel tipo di navicelle.

Un conto era usare un paio di pedali, un volante e tre pulsanti, un conto era conoscerne la struttura come un meccanico, o il motore. 

Tuttavia, i cannoni sapeva vederli bene.

Quelli ventrali, soprattutto, e anche quelli laterali. Quelli di prua erano troppo alti, ma difficilmente li avrebbero usati per sparare a terra. 

In caso di fuga, prima spara ai ventrali, poi agli altri. 

- Dimmi una cosa, duchessa.- e quella maledetta donna pronunciò quella parola in modo sprezzante, mentre continuava a tirarle i capelli.- Di chi è stata l’idea della sceneggiata con i gusci di salvataggio? Ci ha confuso parecchio le idee.-

Si sarebbe presa la colpa volentieri, perché in quel modo avrebbe protetto i due Jedi, ma la politica e la stratega dentro di lei prese il sopravvento.

Se Reeta Woves e i suoi sodali avessero capito che lei non era la stupida ragazzina che avevano creduto che fosse, allora avrebbero cambiato tattica. Si sarebbero fatti più accorti, più severi, mentre i Jedi… 

Beh, loro erano sfuggenti per natura, ed avevano già battuto i Mando una volta tanti anni prima.

Dire la verità e dare la colpa ad Obi Wan, però, significava condannarlo a morte.

Ma il maestro Jinn non era lì.

- Il maestro.-

- Ah, immaginavo che fosse un’idea del vecchio volpone. Che dire? E’ un bene che abbia tirato le cuoia, allora.-

Satine vide il panico negli occhi del padawan e provò ad infondergli un po’ di fiducia. Senza la Forza sembrava perso, smarrito, un animale ferito che sapeva di non poter contare sul suo alleato migliore.

Come lo sguardo del cervo che il maestro aveva aiutato a morire.

- Tienili fermi, io metto in moto i motori e vado a chiamare gli altri.-

Così, Satine rimase in ginocchio per terra accanto ad Obi Wan, sotto la stretta sorveglianza dello zygerriano.

Ottimo.

Lanciò uno sguardo in tralice al ragazzo, informandolo che stava per mettere in atto la sua strategia. Il padawan, però, la guardò con occhi imploranti e lasciò che lo sguardo scendesse verso la sua cintura.

Satine individuò subito il busillis. 

Gli hanno preso la spada laser.

Satine ammiccò verso la sua, di cinture.

Ho la lancia di beskar.

Obi Wan annuì, confortato.

Vai a pensare te che la pacifista in verità è armata. 

- A quanto pare avete avuto la meglio. I miei più sentiti complimenti.-

- Sta’ zitta, #@*//!-

Però, forbito, l’amico.

- A quanto ammonta la taglia sulla mia testa? Me lo ricordi, per favore?-

- Sei milioni di crediti. Sei splendidi milioni pronti per tintinnare nelle mie tasche. L’unica pecca è dovervi riportare indietro viva, anche se capisco perché lo vuole. Con i miei schiavi avrei fatto lo stesso.-

Obi Wan si morse l’interno della bocca, forzandosi di stare zitto.

- Sei sicuro, eh?-

- Oh, certo. Gli schiavi…-

- No, dico, sei sicuro di intascare i sei milioni di crediti?-

Lo zygerriano si mise a ridere.

- Non provateci nemmeno, duchessa. Vizla è un uomo di parola, e soprattutto è pieno di palanche.-

- Oh, ma questo lo so, mio ingenuo cacciatore. Sai com’è, erano mie quelle palanche, prima che quell’usurpatore ne prendesse possesso, ma questa è un’altra storia. No, quello che io voglio dire è: sei sicuro che tu abbia sei milioni? Voglio dire, per quattro cacciatori farebbe ventiquattro milioni di crediti, sei ciascuno.-

Lo zygerriano tacque.

- E credimi, nelle casse non c’erano, ventiquattro milioni. Almeno, non quando le ho lasciate io.-

Il cacciatore, ancora una volta, tacque.

- E Mandalore è notoriamente antischiavista. Non riesco proprio a capire che cosa ci facciano con te. Non te la prendere, nulla di personale, ma sei proprio sicuro che, nella lista, tu non sia il prossimo?-

Un sonoro schiaffo fece cadere Satine in avanti, la testa ferita che impattava contro la roccia dura e bagnata.

Grugnì, ma rimase lucida. 

Aveva la scusa perfetta per sfilare la lancia di beskar.

Provando a rialzarsi, facendo leva sui gomiti, riuscì ad infilare le mani legate nella giubba e a sganciare la lancia, facendola scivolare tra le gambe. 

Si rimise carponi, stringendo la lancia tra le ginocchia, gli occhi di Obi Wan fermi sulle sue gambe e le orecchie tese, pronte a scattare.

I motori della navicella si accesero, ma Reeta Woves scese da sola. 

Qualcosa non va.

 

Qui Gon era rimasto acquattato per tutta la durata dello scambio di battute tra la duchessa e lo zygerriano.

Quella ragazza ne sa una più del diavolo.

Voleva metterli l’uno contro l’altro e ci stava riuscendo. Sapeva che l’unica arma a sua disposizione, con Obi Wan impossibilitato a combattere e Qui Gon chissà dove, era la manipolazione. Aveva fatto leva sulla scarsa esperienza politica dei cacciatori. Notoriamente, erano sicari che non avevano interesse a conoscere le ragioni per cui svolgevano un lavoro. Reeta Woves e il Mando forse erano indottrinati e credevano nella causa, ma lo zygerriano e il trandoshano credevano solo nei crediti.

Evidentemente, nessuno si era degnato di spiegare loro che cosa avrebbero fatto di quei soldi. 

Sei milioni diviso quattro faceva un milione e cinquecentomila.

Non esattamente quello che lo zygerriano avrebbe potuto avere se avesse lavorato da solo.

Quello che Satine non sapeva era che il trandoshano era perso nei boschi e il Mando era morto, e forse proprio in questo colpo di fortuna stava il vero capolavoro della duchessa.

Erano solo lo zygerriano e la Mando. Solo loro due, in un combattimento uno contro uno, che avrebbe garantito alla duchessa e al suo padawan una possibilità di fuga.

Già, il suo padawan.

Il sollievo si era impadronito di lui quanto lo aveva visto, un po’ malconcio ma vivo, e la rabbia invece l’aveva assalito non appena aveva visto il collare attorno al suo collo.

Non c’era tortura peggiore per un Jedi che essere separato dalla Forza.

Qui ed ora.

Medita.

Se il fatto che il suo padawan fosse vivo fosse un altro miracolo della duchessa, non lo sapeva, e non avrebbe mancato di chiederglielo più avanti. 

Adesso, non avevano tempo.

La Mando stava scendendo dalla navicella, la consapevolezza nel suo portamento che qualcosa era andato storto.

Si era aspettata di trovare i suoi compagni a bordo, ed invece non c’era nessuno.

Adesso si aprivano le danze.

 

- Qualcosa non va. Shal e Amur non ci sono.-

- Che dovremmo fare, allora?-

- Partiamo senza di loro. Andiamo a Keldabe, consegnamo a Larse Vizla la sua #@*//! e noi ci spartiamo il bottino. Chi se ne frega di loro. Non possiamo perdere tempo con il rischio di attirarci quel vecchiaccio jetii addosso.-

Satine avrebbe tanto voluto mettersi a gridare di felicità. Questo era esattamente quello che voleva. Reeta Woves aveva confermato tutte le paure dello zygerriano. Non avrebbe avuto sei milioni, ma solo un quarto di essi. 

A quel kaysh yaihi’l di Larse Vizla non era nemmeno passato per l’anticamera del cervello di discutere la posta, prima di mettersi a cacciare.

O forse aveva creduto di fare il doppio gioco?

Ah, ma non aveva importanza! La notizia migliore era che Qui Gon era vivo!

Non poteva essere diversamente, se i due cacciatori non erano riusciti a tornare dopo essersi scontrati con lui.

E questo voleva anche dire che, se Hod Haran la stava assistendo, il buon maestro era da qualche parte nelle vicinanze, nascosto nell’ombra, alla loro ricerca.

- Che accidenti fai?-

Lo zygerriano aveva estratto il blaster e lo stava puntando contro Reeta Woves.

Un blaster contro una Mando. 

Povero illuso.

- Mi dispiace, carina, ma non ho intenzione di dividere proprio un bel niente. Adesso porti il tuo bel sedere lontano da questa navicella e mi lasci salire.-

- Carina?- sibilò la Mando, portando la mano al blaster a sua volta.- Tu, lurido gatto bagnato e puzzolente, hai detto carina a me?-

Satine ghignò.

Oh, questa non dovevi farla, micio bello.

Mai chiamare una donna Mando “carina”, se non vuoi che ti mozzi il capo a tondo.

Satine ed Obi Wan si lanciarono un’occhiata di sbieco e il ragazzo portò di nuovo lo sguardo alle gambe della duchessa, prima di fissare gli occhi sui due cacciatori.

- Andiamo, bella, non discutere e levati di torno.-

- Che ti prende, razza di cretino? Non li vuoi, i soldi?-

- Oh, al contrario, li voglio. Solo che li voglio tutti.-

- Hai veramente creduto che tu e la tua specie lurida ed insulsa avreste avuto lo stesso nostro trattamento? Ragazzo mio, sei proprio scemo. Torna dai tuoi schiavi. E’ già tanto se ti prendi un milione e mezzo.-

E lo zygerriano sparò. 

Sparò e colpì l’armatura di beskar, che non fece una piega, ma ingaggiò il combattimento con la Mando, distraendola. Obi Wan, lesto come una donnola, afferrò la lancia di beskar e la aprì, tranciando di netto i lacci che gli legavano le mani.

Afferrò Satine e la mise in piedi di corsa.

Dovevano fuggire, e subito!

 

Qui Gon rimase a guardare la scena, ammirato.

Obi Wan era riuscito a liberarsi le mani e adesso stava portando via Satine con tutta la forza che aveva in corpo, solo che la duchessa non sembrava avere una grande voglia di andargli dietro. Continuava ad indicare la navicella e alla fine al maestro fu tutto chiaro.

Presto sarebbe entrato in azione. 

I due ragazzi scivolarono sotto l’incrociatore e, con un colpo secco della lancia, tranciarono i fili dei cannoni ventrali. 

Poi, la Mando affondò un colpo micidiale contro lo zygerriano, però il cacciatore pareva avere un’arma in più che la donna non aveva previsto, perché il colpo di blaster e il fuoco rimbalzarono via dal suo corpo. 

Nell’aria si diffuse un forte odore di pelo bruciato, ma lo zygerriano era di nuovo in piedi, intento a togliersi la giubba affumicata per mettere in mostra la corazza dorata che proteggeva il torace.

Questo, però, significava una cosa sola.

Aveva sganciato la cintura, dove c’era sia il blaster di Satine che la spada laser di Obi Wan.

Era il momento giusto.

Che la Forza sia con noi.

 

- Riesci a toglierlo?-

- No. E’ bloccato.-

- Accidenti! Riesci a prendere il cinturone?-

- Nemmeno nei miei sogni più rosei.-

- Allora dovremo cavarcela così. Prendiamo la navicella ed andiamocene.-

- E Qui Gon?-

- Ci troverà. Almeno saremo al riparo.-

Satine scosse il capo e trottò via da Obi Wan, provando ad avvicinarsi alla coppia di cacciatori, ma il loro scambio era troppo intenso per poter rischiare. Un colpo vagante avrebbe potuto colpire uno di loro due e, a quel punto, sarebbe stata la fine.

Successe, però, qualcosa di inaspettato.

Il cinturone prese a scivolare sulla nuda roccia verso di loro, come mosso dal vento, e si arrestò esattamente davanti ai piedi della ragazza.

Gli occhi di Obi Wan brillarono e cominciarono a scandagliare il circondario.

- Qui Gon! Qui Gon è qui!-

I due non potevano essere più contenti, e con il cinturone a portata di mano avevano anche la chiave per poter aprire il collare che separava il padawan dalla Forza.

Satine si chinò a raccoglierlo e fece appena in tempo, perché un colpo di blaster la mancò per un soffio.

- Che state combinando voi due? Tornate qui!-

Ma ormai era fatta. Obi Wan, nonostante il collare stretto attorno alla gola, era di nuovo in possesso della sua spada laser e stava menando fendenti dovunque per deviare i colpi. 

I suoi riflessi erano buoni anche quando non era la Forza a guidarlo.

Mentre il ragazzo combatteva, Satine mirava ai cannoni laterali. Con un colpo secco di blaster fece fuori quello di sinistra, e stava giusto mirando a quello di destra quando Qui Gon sbucò dal nulla.

- Bene. Penso che sia giunta l’ora di abbandonare i vostri propositi. Liberate la duchessa, adesso.-

I due cacciatori non erano esattamente contenti di quella novità. Con una sfilza di imprecazioni in Mando’a, la donna si lanciò contro di lui ad armi sguainate, ma Qui Gon aveva i riflessi pronti e deviò i colpi con precisione verso il cannone di destra, azzoppando definitivamente la navetta e consentendo a Satine di concentrarsi su materie ben più pregnanti, come lo zygerriano, che si era messo ad inseguire i due ragazzi. 

Obi Wan avrebbe tanto voluto avere la Forza per connettersi con il suo maestro e comprendere il suo piano, ma forse non ve ne era uno. Forse, l’unica ad avere avuto la più pallida idea di che cosa fare era stata Satine, che però al momento sembrava non avere programmi. 

Lo zygerriano si avventò contro di lei, ma Satine alzò il blaster e mirò volutamente alle spalle del cacciatore, mancandolo per un soffio. Fu abbastanza però per farlo scartare di lato, deviando la traiettoria del salto e mettendolo invece a disposizione della spada laser del giovanotto, che lo sfiorò e gli tranciò i peli dietro le orecchie.

Il cacciatore soffiò.

Mentre la battaglia infuriava, Qui Gon e la Mando se le stavano dando di santa ragione. Il maestro aveva spinto la donna al centro della radura e a suon di colpi era riuscito a mandarla a tappeto. Come ogni buona Mando, però, aveva degli assi della manica, e il maestro fu costretto a saltare lontano da lei per evitare il fiotto di fuoco rovente che era scaturito dal bracciale di beskar.

La donna, poi, estrasse un pugnale dal manicotto e lo lanciò contro il maestro, che si chinò di scatto e lo mandò a schiantarsi contro la nuda roccia alle sue spalle.

Con la coda dell’occhio vide il suo padawan in difficoltà, mentre lo zygerriano lo stava spingendo sempre di più contro il picco di basalto nel tentativo di raggiungere Satine.

Stava per lanciarsi di nuovo all’attacco, ma la Mando era di tutt’altro avviso. Balzò via da lui e, tenendolo sotto tiro, prese a risalire la rampa della navicella. 

Poi, con un colpo secco, chiuse il portello.

- Dove accidenti stai andando?- soffiò il felino. - Apri, maledetta, apri!-

Ma la cacciatrice non aveva la benché minima intenzione di aprire il portello al suo compare zygerriano. Mise in moto e sollevò la navicella traballante da terra.

Il cacciatore, al contrario di quanto avrebbe dovuto fare, sembrava non aver compreso davvero la gravità della situazione. Era da solo, abbandonato dalla sua collega, contro due Jedi e una duchessa che, per quanto pacifista, era pur sempre una Mando. L’idea di portarsi via la bellezza di sei milioni di crediti ne aveva accecato il giudizio, anche se la navicella con la quale avrebbe dovuto farlo stava volando via. Continuava a lanciarsi contro i due ragazzi, imperterrito, ma Qui Gon stava per raggiungerli e ben presto avrebbe messo fine a quella sceneggiata.

La navicella era già alta nel cielo e scheggiò via, nel buio della notte e nel fragore della pioggia. 

- Maestro! Prendete Satine!-

L’uomo, giustamente, fece quanto il padawan gli aveva chiesto. La priorità, adesso che avevano a che fare con un solo cacciatore, era mettere in sicurezza la duchessa. Così, con un gesto rapido e delicato, la portò via, trascinandola lontano per il polso.

Satine cadde in ginocchio poco lontano, mentre Obi Wan e Qui Gon continuarono a fronteggiare lo zygerriano. Era una battaglia decisamente impari e la ragazza non comprendeva come mai il cacciatore non volesse demordere. 

Poi, accadde l’irreparabile.

Un fischio acuto si levò dalla selva poco lontano, e ben presto la sagoma di una terrificante creatura parzialmente quadrupede si avventò contro il trio.

Satine urlò.

Qui Gon riuscì a scartare di lato, ma Obi Wan era troppo schiacciato contro la parete di basalto per poter guadagnare una via di fuga. 

Lo spettro investì in pieno lo zygerriano, che non si aspettava un attacco da una creatura selvatica.

Fu la cosa più atroce che Satine avesse mai visto in vita sua.

Il cacciatore si divincolava, gridava, chiedeva aiuto, e Qui Gon ed Obi Wan avevano provato ad intervenire, ma la creatura trascinava il corpo del cacciatore a destra e a manca, sbranandolo e rendendo impossibile menare il fendente decisivo. Lo spettro fischiava e grugniva, ed affondava i denti nella carne dello zygerriano, strappandone grossi pezzi, inesorabile. Il cacciatore tese le mani in avanti, provando ad afferrare il muso della creatura, ma, al contrario, riuscì solo a farsi tranciare di netto una mano.

Poi, con una crudeltà ed un’efferatezza che Satine non aveva mai visto, lo spettro affondò i denti nella testa del cacciatore.

Con un ultimo scossone, il suo corpo smise di muoversi.

Le sembrava di non riuscire a respirare. L’aria non entrava nei suoi polmoni. Inalava, ma le sembrava di annegare nell’acqua e nella pioggia, gli occhi sul volto sfigurato del cacciatore zygerriano e la bocca acquosa per la nausea, mentre osservava il sangue e i pezzi di carne cadere dalle fauci dello spettro che pasteggiava con la faccia del cacciatore. 

Il mondo girava tutto attorno a lei, un senso di vuoto che si impadroniva del suo stomaco e la inchiodava alla roccia nuda, incapace di farla fuggire.

Sarebbe dovuto scappare. Tutti loro avrebbero dovuto.

Come se lo spettro avesse sentito i suoi pensieri, alzò la testa e si guardò attorno. Vide la luce verde della spada laser di Qui Gon, e poi si concentrò sulla luce azzurra della spada di Obi Wan.

Satine lesse il panico negli occhi del padawan. 

Ruggendo, la creatura si alzò sulle quattro gambe e si lanciò contro di lui.

Il terrore la travolse.

No, lui no!

Non può mangiare la sua faccia.

Lo ucciderà!

Fa qualcosa!

FA QUALCOSA!

E alla fine lo fece, anche se inconsapevolmente.

Aprì la bocca ed urlò.

E’ me che vuoi.

Sono qua.

Prendi me!

Qui Gon rimase agghiacciato sul posto quando vide il corpo della giovane duchessa esplodere.

O meglio, sembrava che fosse esploso, perché all’improvviso aveva brillato di una luce bianca e abbagliante che si era espansa tutto attorno, come un’onda ad urto, ed aveva illuminato la notte a giorno.

L’onda bianca, trasparente, nitida e pulita, investì ogni cosa. Travolse il corpo dello zygerriano riverso a terra e smembrato, ed infine travolse lo spettro ed Obi Wan, e spedì i loro corpi in alto, schiacciandoli contro la parete di basalto, che si disintegrò sotto gli occhi attoniti del maestro.

Poi, il silenzio.

L’onda scomparve così come era arrivata, e Satine brillò ancora per qualche secondo prima di tornare la ragazza stanca e ferita di sempre, inzuppata sin nel midollo e spaventata come non mai.

Qui Gon trattenne il respiro, l’orrore di quanto aveva appena visto che sedimentava dentro di lui.

Obi Wan.

Obi Wan è morto.

No.

Fu l’urlo della ragazza a svegliarlo dal suo torpore. 

Satine ci aveva messo un po’ per capire che cosa fosse davvero accaduto, e l’orrore l’aveva travolta quando si era accorta di avere aperto la Luce di Mandalore, per disperazione, esattamente come aveva fatto da bambina contro il cacciatore di taglie che aveva ucciso sua madre.

E adesso aveva ucciso Obi Wan.

No.

Non poteva accettarlo. Urlò, con tutta se stessa, la testa tra le mani e gli occhi sbarrati, incapace di elaborare la verità. 

- OBI WAN!-

Fu il maestro il primo a riprendersi. Si lanciò contro l’ammasso di pietre e prese a smuoverle una per una. Si concentrò, usò la Forza, ma le pietre erano troppe, e ne fece rotolare diverse giù per il crepaccio pur di raggiungere il ragazzo.

Il mio ragazzo.

Il mio ragazzo, che voleva solo imparare.

Qui ed ora.

Concentrati.

Qui ed ora.

Satine continuava ad urlare e a piangere, tremando, in preda al panico e al terrore. 

Qui Gon spostava sassi dovunque, con la Forza e senza, nella disperata speranza di trovare vivo il suo padawan. 

Poi, all’improvviso, una mano spuntò dal mucchio di pietre ed accese una spada laser blu.

- Sto bene!- gridò una voce soffocata.- Sto bene!-

Qui Gon tirò un sospiro di sollievo e sollevò le rocce che coprivano il viso del ragazzo. 

La prima cosa che fece fu staccare il collare dal collo del giovane, e con suo grandissimo sollievo lo sentì fluire nella Forza, la sua presenza sfavillante come sempre, anche se un po’ stanca ed ammaccata. Non c’era segno di dolore, né di paura, solo una grande confusione, che si dissipò nell’immediato momento in cui vide il volto del suo adorato maestro.

- Che accidenti è successo?- borbottò il ragazzo, tirandosi su e scuotendo via la polvere dai suoi abiti.

All’improvviso, si rese conto di stare istintivamente stringendo tra le braccia qualcosa che aveva raccolto nella caduta, mentre i sassi si stavano ammucchiando sopra la sua testa. 

Solo in quel momento si accorse di stare tenendo stretto il torace smembrato dello spettro.

- Ah, che schifo!- tuonò, lanciando via il corpo, e lasciò che il suo maestro si connettesse di nuovo con lui.

I due si presero un momento per sentire la Forza fluire. Ogni pericolo era passato, non c’era traccia dei cacciatori. Obi Wan poteva sentire l’apprensione e il sollievo del suo maestro, che gli stringeva le spalle come se ne andasse della sua stessa vita, e il ragazzo ce la mise tutta per comunicargli il suo benessere nonostante la brutta disavventura.

Poi, un agghiacciante senso di terrore si impadronì di lui.

Satine.

Corse verso di lei, che continuava a piangere e a tremare, immobile sotto la pioggia, la testa tra le braccia e le mani nei capelli, mentre dondolava avanti ed indietro in una traumatica litania.

Hanno trovato la testa in riva al lago.

Non può mangiare la sua faccia!

Lui è kar’jag.

Ci tengo a te.

Dicono che la luce di Mandalore sia una forza positiva.

Ti ricorderò per sempre, così sarai eterna.

Hanno trovato la testa in riva al lago.

Obi Wan!

Ni baatir, Sat’ika.

L’Uomo delle Stelle, hai ucciso l’Uomo delle Stelle. 

Hanno trovato la testa in riva al lago. 

Hanno trovato la testa in riva al lago.  

- Satine.-

Ti porterò dovunque vorrai.

Quel momento è ancora lontano.

Sei speciale per me.

Hanno trovato la testa in riva al lago.

- Satine?-

Sono un mostro.

- Satine!-

Fu come tornare lentamente alla realtà. Quella voce familiare si insinuò nella sua mente, assieme alla confortevole sensazione del contatto fisico sulla sua schiena.

La duchessa alzò lo sguardo, che ancora brillava di flash bianchi, e posò gli occhi in quelli grigioverdi del giovane padawan.

- Va tutto bene, Sat’ika. Sto bene.-

Continuò a ripetere quelle parole fino a che gli occhi della ragazza non smisero di dardeggiare, tornando di un bell’azzurro limpido.

- Stiamo bene. Stiamo tutti bene. E’ finita.-

Alla giovane duchessa tremarono le labbra e si gettò in un pianto dirotto tra le braccia del padawan.

Se avessi saputo di dover quasi lasciarci le penne per farmi abbracciare, l’avrei fatto prima.

Sta’ zitto, cretino. 

Rimasero a cullarsi nel buio, mentre la pioggia si placava e il sole dell’alba spuntava dalle nubi.

Qui Gon, mettendo da parte il suo aplomb da maestro Jedi, si chinò e racchiuse tra le sue braccia enormi i due ragazzi in un abbraccio sincero e stritolante. 

Stavano tutti bene, davvero.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Beroya: cacciatori di taglie

Vaii cuy’kaysh?: dov’è andata?

Dar’kaysh payt!: è andata a sinistra

Landur dar’manda: sporca traditrice

Kaysh yaihi’l: come gar yaihi’l, ma in terza persona, pieno di sé

 

NOTE DELL’AUTORE: Povero Obi Wan. Le busca da tutte le parti, e le prende pure da una duchessa pacifista. 

Davvero, secondo me se fosse una persona reale mi farebbe causa fin da adesso. E non sa ancora che cosa gli capiterà in futuro, poveraccio.

Si fosse foco, arderei ‘l mondo/ si fosse vento lo tempesterei […] si fosse ‘mperador, sa’ che farei? a tutti mozzerei lo capo a tondo” . La citazione quasi testuale viene dal celebre sonetto di Cecco Angiolieri. 

Il fatto di non poter chiamare una Mando carina è originale. Il termine si usa di solito per animali e bambini, ma mai per le donne. 

Il ritorno di Reeta Woves la terrorista non era scontato, ma mi piaceva l’idea di dare uno spessore anche a lei e di creare questa specie di tensione, di rancore personale tra la donna e Satine. In particolare, mi intrigava l’idea di mettere in mostra due tipi diversi di rancore: il primo distruttivo, violento, sadico, il secondo declinato quasi come un sacrificio, come se al di là di ciò che è personale - ed è personale, perché il rancore non è mai positivo - ci fosse anche e almeno il bisogno di evitare il dolore di altri per colpa di uno.

Il prossimo sarà un capitolo di transizione in cui, però, non mancheranno i colpi di scena. Stiamo per avvicinarci al nucleo centrale della storia, dove gli eventi precipiteranno definitivamente.

Più di così? direte voi.

Sì, più di così.

Si sa: se uno vuole risalire, prima deve toccare il fondo.

Alla prossima,

 

Molly.

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Capitolo 38
*** 31- Manifesto politico ***


CAPITOLO 31

Manifesto politico

 

Non avevano avuto nemmeno il tempo di fermarsi a riposare.

Costruirono una piccola pira per lo zygerriano, che aveva fatto una fine così infelice. Il trandoshano se ne era probabilmente andato da un pezzo a leccarsi le ferite e il Mando era morto. Qui Gon l’aveva sussurrato all’orecchio di Obi Wan per evitare di alterare la duchessa, ancora scioccata da quanto successo. Era la prima volta, infatti, che Satine se ne stava volutamente in disparte, senza partecipare o contribuire alle attività dei due Jedi. Stringeva le ginocchia al petto e vi nascondeva spesso il viso, provando a mascherare le sue vere emozioni. 

Non potevano perdere tempo. Reeta Woves era ancora in giro da qualche parte sopra le loro teste e probabilmente sapeva dove trovarli. 

Avrebbe ricominciato a cercarli da lì.

La loro priorità era non essere trovati. 

Obi Wan si era ripreso a tempo di record. Con il ritorno della Forza, un po’ di meditazione lenitiva e un pizzico di autoguarigione, i suoi problemi ben presto erano spariti. Qui Gon sembrava star bene, a parte qualche ammaccatura, e ne aveva approfittato per andare a recuperare i loro bagagli. 

Satine, invece, faceva una gran fatica. A differenza dei Jedi, lei non aveva la capacità di curarsi da sola e le aveva prese di santa ragione. La testa sanguinava ancora, ma non sembrava una ferita grave e lei non pareva accorgersene troppo.

- Te la senti di camminare? Dobbiamo andarcene.-

- Eh?-

- Dobbiamo allontanarci da qui. Te la senti di camminare?-

Satine annuì. Qui Gon tornò con gli zaini e il terzetto ripartì. Per un po’ la duchessa tenne loro dietro, ma barcollò più volte, ed in generale aveva l’aria di chi era appena sopravvissuta ad un cataclisma. 

Alla fine, Qui Gon, mosso a compassione, si fermò. 

- Non possiamo andare avanti così. Lei non ce la fa.-

- Non possiamo nemmeno portarla, maestro. Con gli zaini come facciamo?-

Satine, nel frattempo, era rimasta appallottolata in un angolo e si era messa a giocare con un paio di stecchi.

Obi Wan la guardò, pensieroso.

- Maestro, abbiamo ancora la corda?-

- Certo.-

- E la tenda?- 

- Sì. Che vuoi fare?-

- Vediamo se riesco a passare al capitolo due del manuale del perfetto Mando.-

Così, potarono un altro albero e ne presero i rami. Una volta puliti, usarono la tenda per rivestirli, creando una barella improvvisata.

- Lo zaino, se lo tiene, e noi dividiamo il peso.-

- Ottima soluzione, ragazzo.-

Poi, si voltò verso Satine.

- Promosso?-

- Eh?-

- Dico, posso passare al capitolo due?-

La ragazza annuì, ma Obi Wan non era certo che avesse capito. 

Sembrava, più che altro, frastornata, come se avesse preso una brutta botta in testa ed i suoi sensi non stessero funzionando a dovere. Se non fosse stato certo che la ferita alla tempia non c’entrava niente, viste le sue brillanti performance per sfuggire ai cacciatori, Obi Wan si sarebbe sinceramente preoccupato. 

Non si stupì quando si addormentò dentro la barella, abbracciata allo zaino, mentre i due Jedi la scarrozzavano in giro. Non sapeva se fosse la scelta giusta, ma ad un attento esame del maestro la sua testa era risultata a posto e il sangue che aveva perso dalla fronte era stato soltanto dovuto ai tagli di alcune schegge.

Niente botte o contusioni gravi. 

Scesero ancora ed ancora, sempre più in basso. Ebbero il loro bel daffare a tenere la barella pari, ma alla fine riuscirono a non far cadere Satine. La ragazza aveva il sonno agitato e rovesciò lo zaino un paio di volte nel rigirarsi. Obi Wan la sentì brontolare un diverse occasioni e sorrise immaginando che stesse inanellando, come al suo solito, una serie di imprecazioni in Mando’a.

Alla fine, fu costretto a prenderla in braccio quando giunsero sulle rive del torrente.

La corrente era troppo forte e non c’era modo di attraversarlo, per cui furono costretti a procedere lungo il poggio stretto, umido e scivoloso. La barella era un impiccio e non sarebbero riusciti a procedere in equilibrio, così Qui Gon decise di prendere in mano la situazione ed accollarsi il bagaglio e la barella, mentre Obi Wan si fece carico della ragazza.

Procedettero lungo l’argine per diverso tempo, e solo quando il sole fu alto nel mezzogiorno riuscirono a raggiungere un ponticello di legno malconcio che consentì loro di passare dall’altra parte.

Satine continuò a dormire per quasi tutto il giorno e si svegliò solo per mangiare. Sembrava stare meglio e i due Jedi non la disturbarono oltre. Fu trasportata per un bel pezzo fino all’imbrunire, quando si offrì di preparare la cena per tutti e provare a ricompensare le loro fatiche.

In verità, al di là del suo indiscutibile bisogno di recuperare le energie, il suo era un modo per sfuggire all’inevitabile. 

Quello di cui il maestro Jedi voleva parlare non era un argomento piacevole, ma era anche vero che, prima o poi, quel tema andava affrontato.

Prima che apra di nuovo la Luce e, questa volta, costi la vita di qualcuno.

Così, mentre stavano cenando e Satine sembrava preoccuparsi particolarmente per le loro scorte di bacta, Qui Gon affrontò l’argomento.

- Duchessa, non preoccupatevi per noi. Siamo capaci di cavarcela con quello che abbiamo. Voi, invece, dovete essere medicata debitamente perché non avete la Forza a curarvi.-

- Grazie, maestro, ma sono dell’opinione che abbiate bisogno di cure.-

- Satine, siete una cara ragazza, tuttavia preferiremmo evitare che l’increscioso accadimento avvenuto all’alba si ripeta. Prevenire, piuttosto che curare. Non prendetela male, ma credo che sia giunto il momento di affrontare la questione, non credete?-

Satine abbassò lo sguardo e contemporaneamente abbassò la sua razione, come se non avesse più voglia di mangiare.

- Suvvia, non fate così. Per questa volta è andata bene, ma credo che sia necessario trovare un modo per fermare questi vostri… Ehm, come dire? Exploit.-

La ragazza sospirò, poi allargò le braccia, sconsolata.

- Se avete un modo per fermarmi, vi prego, ditemelo. Non ci tengo a ripetere l’esperienza.-

Qui Gon ci pensò un poco su, prima di parlare.

- Duchessa, so che non volete sentirne parlare, ma credo che sia l’ora di prendere seriamente in considerazione l’idea che voi siate, seppur parzialmente, sensibile alla Forza. Non credo che sia un caso che l’unico erede al trono abbia queste capacità. Ci vuole un almeno un minimo di Forza per poterla aprire, per non parlare poi della sintonia.-

Satine parve sull’orlo di scoppiare a ridere, o forse a piangere, non avrebbero saputo dirlo.

- Satine, non è una cosa poi tanto strana. Esistono diversi livelli di sensibilità. Tutti gli esseri viventi lo sono, ma solo pochi, cioè noi - continuò il padawan indicando se stesso e il maestro. - sanno utilizzarla. Anche tra i Jedi ci sono diversi livelli. Ci sono elementi che sono sensibili, ma non combattono sul campo. Poi ci siamo noi, e infine i maestri ed i gran maestri.-

Se Jocasta mi sentisse, mi ammazzerebbe.

Satine inarcò un sopracciglio confuso.

- Quello che voglio dire è che non devi necessariamente essere capace di sollevare i sassi, o un asso con le spade laser per poter essere sensibile alla Forza.-

- Obi Wan ha ragione. La vostra sensibilità probabilmente corre nella famiglia. Mi avete detto che tutti gli utilizzatori della Luce, in passato, sono stati dei Kryze. Forse, se riusciste a comprendere le vie della Forza, per quanto vi sia possibile, sareste in grado di controllare la Luce. Quale sia il giusto metodo, tuttavia, mi sfugge. Dovrete essere voi a trovarlo.-

Il silenzio calò sul terzetto e Satine tirò su con il naso, che colava dopo l’acquazzone della notte precedente. 

Forse avrebbe avuto una ricaduta. Avevano preso un sacco di freddo in quei giorni e la pioggia, lo stress e la fuga di sicuro non l’avevano aiutata a recuperare dopo l’influenza.

- Puoi aiutarmi a capire che cosa hai provato quando hai aperto la Luce?- le disse Obi Wan, propositivo e con il sorriso.

Falla stare calma.

Più si sente a suo agio a parlarne, meglio è.

Satine alzò gli occhi dalla sua razione, anche se non sembrava molto felice di ricordare.

- Paura, anzi, panico. Impotenza. Vuoto.-

E’ già un passo avanti, se riesce a dare un nome alle sue emozioni.

- Bene. Ora immagina esattamente che cosa hai pensato in quel momento. Parole? Immagini?- 

La ragazza chiuse gli occhi e respirò.

- Ho ripensato a quello che ho fatto. Al cacciatore di taglie. Ho avuto paura di me stessa. Continuavano a tornarmi in testa le parole dei Makyntire. Hanno trovato la testa in riva al lago.-

Obi Wan aggrottò le sopracciglia. 

- Questo è quello che hai pensato prima di aprire la Luce o dopo esserti resa conto di averla aperta?-

Satine lo guardò male, più per essere stata presa in castagna che per ciò che quell’affermazione comportava.

- Sì, temo di sì. Dopo.-

- Allora facciamo un passo indietro. C’è uno spettro. Che ti passa per la testa?-

- Che è una creatura ignobile.-

- Sottoscriviamo. Poi?-

- Che lo zygerriano, per quanto fosse un farabutto, non meritava di morire così male.-

Qui Gon sorrise.

- Poi?-

Satine prese a guardare dovunque, meno che di fronte a sé.

- Satine?-

- Sì, sì.-

I due Jedi rimasero in attesa, ma la duchessa sembrava messa sinceramente a dura prova.

- Ho pensato che potevamo morire anche noi.-

- Verità?-

- Ovvio.-

Qui Gon alzò un sopracciglio e Satine lo guardò implorante.

Ti prego, non farmelo dire.

Ma il buon maestro non sembrava intenzionato a demordere.

- Oh, va bene.- disse infine la ragazza, piantando gli occhi sul terreno.- Ho pensato che Obi Wan non poteva muoversi dall’angolo in cui era e che se lo spettro l’avesse visto sarebbe finito alla stessa maniera dello zygerriano.-

- E dunque che cosa è successo, poi?-

- Sono andata nel panico. Dovevo fare qualcosa, ma non sapevo cosa.-

- E poi?-

- Ho urlato.-

La ragazza fece spallucce.

- Come se potesse cambiare le cose.-

Qui Gon ed Obi Wan si guardarono.

- Che cosa avete provato, quando avete urlato?-

- Come se stessi per esplodere. Come se fosse l’unica cosa che potevo fare. L’unico modo per farla andare via.-

- Che cosa?-

- La disperazione.-

Poi abbassò, se possibile, ancora di più lo sguardo e mormorò:

- Volevo che prendesse me.-

Obi Wan sospirò.

Tutte quelle emozioni non erano un bene per la duchessa. Se non fosse riuscita a controllarle, prima o poi avrebbe causato un vero disastro, un’ecatombe. Satine sembrava consapevole di ciò, ma non pareva in grado di fare molto di più di quanto già non stesse facendo.

Era un mezzo miracolo che non fosse successa prima, una cosa del genere.

Se fosse stata un Jedi, le avrebbero detto di disperdere le emozioni negative nella Forza, di meditare, di ripetere i mantra, ma lei non era una di loro, era solo una ragazzina messa a capo di un’impresa più grande di lei e con un potere enorme che rischiava di divorarla.

Le passioni, le emozioni, sono la via per il lato oscuro, se non dominate.

Eppure, qualcosa non tornava. 

Qui Gon non era un Jedi ortodosso e probabilmente avrebbe fatto meno fatica ad accettare quello che Obi Wan stava pensando.

Ovvero, che la duchessa non sembrava avere assolutamente niente di sbagliato. 

Aveva paura di se stessa, e questo indicava una gran consapevolezza di sé e delle sue caratteristiche, delle sue capacità. Era un tratto positivo, che non tutti i Jedi che erano passati al lato oscuro avevano. Anzi, si poteva dire che la maggior parte delle conversioni fosse dovuta proprio all’assenza di questo, e a qualcosa di apparentemente superiore che faceva perdere la trebisonda al Jedi di turno, vuoi che esso sia il potere, vuoi l’amore, vuoi la ricchezza, il desiderio di onnipotenza.

Satine non sembrava un pericolo. Non era un pericolo. Obi Wan l’avrebbe sentito nella Forza, ed anche Qui Gon. 

- Maestro, posso chiedervi…-

- Dimmi, ragazzo.-

- Avete sentito niente nella Forza, quando Satine ha aperto la Luce? Distruzione, paura?-

Il maestro parve pensarci su.

- Ad essere sincero, no. Non so bene che cosa abbia sentito, ma non di certo qualcosa di malvagio.-

Questo risolveva un po’ di cose. 

- Maestro, se posso permettermi di azzardare un’ipotesi, io non credo che la Luce di Mandalore sia una fonte di energia negativa, anzi. Credo che sia positiva e che nasca da un bisogno altrettanto positivo.-

- E sarebbe?-

- Protezione. La prima volta che l’ha aperta, la fatto per proteggere se stessa e chi altri viveva dentro Kryze Manor. Adesso l’ha fatto per proteggere me.-

Quelle parole facevano quasi uno strano effetto nella bocca di Obi Wan, come se lo riempissero più del miglior liquore di Chandrilla. 

Non pensarci, vai avanti.

- Se fosse negativa avrebbe causato un gran disastro e lo avremmo sentito, invece…-

- Ha causato un disastro, Obi Wan, o ti devo ricordare che ci hai quasi lasciato la pelle?-

- Allora perché non mi ha fatto a pezzi?-

La domanda cadde nel silenzio della foresta, Satine improvvisamente pallida e il maestro accigliato.

- Che vuoi dire?-

- Voglio dire che ha disintegrato lo spettro, ma non me, eppure l’onda di Luce era la stessa per entrambi. Perché lui sì ed io no?-

Eh, bella domanda, quella. Nel panico che aveva provato sul momento e nello stato in cui versava ancora, Satine non ci aveva minimamente pensato. Era stata così convinta di aver sminuzzato Obi Wan da non credere ai suoi occhi quando l’aveva visto vivo.

Eppure, per la sua esperienza, questo non era possibile.

- Perché tu sei sensibile alla Forza?-

- E’ un’ipotesi, ma io la penso diversamente. Non solo credo che sia un’energia positiva, ma credo anche che sia direzionale. Credo che Satine sappia indirizzarla verso l’ostacolo che vuole eliminare. Il cacciatore di taglie che la minacciava, prima, lo spettro che minacciava me, dopo. Certo, ha buttato giù mezzo monte, ma l’ha fatto per caso, perché non ha saputo controllarla e non ha saputo evitare che si schiantasse conto la roccia. Sono convinto che, se impara ad usarla, potrebbe addirittura evitare di scagliarmi contro le pareti.- 

Tuttavia, il problema rimaneva.

Come fare per insegnarle ad aprire la Luce in sicurezza?

- Duchessa, voi ritenete che sia una buona teoria, quella del mio padawan?-

Satine fece spallucce.

- In verità non si sa molto della Luce. Quello che ho letto la definisce coma una forma di energia positiva, effettivamente, ma quello che ho visto io è stato solo distruzione.-

- Quante volte l’avete vista in azione?-

- Ehm… due? Con questa?-

Non era un granché come prova, ed era certo che, se chiunque avesse scritto quel libro che si portava sempre dietro era stato capace di identificare gli spettri, probabilmente era stato anche in grado di individuare se una forma di energia fosse davvero positiva o meno, sicuramente meglio di una ragazzina di otto anni terrorizzata dopo aver perso la madre e una ragazza di diciotto o poco più terrorizzata all’idea di perdere…

Non ci pensare.

Non può essere, né mai sarà.

Siete amici. Punto e basta.

Medita.

- Se non è buona, se non altro è plausibile che lo sia.- commentò il maestro, grattandosi la barba caprina, come faceva spesso quando pensava.- Credo che potremmo provare ad insegnarle a gestire la poca sensibilità alla Forza che possiede, così potrebbe provare a controllare quel turbinio di emozioni che si porta dentro. Mano a mano, dovrebbe riuscire a capire come gestire la Luce.-

- Per non parlare delle implicazioni politiche.- commentò Obi Wan, l’aria allegra. - Se dimostrasse di saper utilizzare la Luce, supererebbe di gran lunga gli altri candidati al trono di Mandalore e potrebbe tornare a governare dimostrando di essere la degna erede al trono.-

Potrebbe porre fine alla guerra civile.

Certo, era normale che il maestro avesse delle remore. Quello che aveva visto era stato, forse, solo un’assaggio della potenza che la ragazza sapeva scatenare. Anche Obi Wan ricordava bene ciò che Satine aveva detto tempo addietro a proposito del duca Marmaduke. Secondo le leggende, era stato in grado di spazzare via un’intera specie di parassiti da Mandalore semplicemente aprendola. 

Mica un’inezia.

Insegnarle ad usare un potere del genere significava aiutare a mettere sul trono forse la più potente utilizzatrice della Luce dopo Marmaduke stesso.

C’era solo da sperare che Satine ne facesse buon uso.

I tre restarono in silenzio per attimi che sembrarono eterni. L’aria era grave e tesa. 

O forse era colpa dell’umidità e del freddo atroce.

Erano tutti molto stanchi ed avevano sonno. Obi Wan, in particolare, sentiva il bisogno di meditare per liberare la mente da tutto: la tensione, il freddo, la stanchezza, i dolori sparsi per tutto il corpo, il profumo dei capelli di Satine, che aveva annusato quando l’aveva portata in braccio, il corpo aderente al suo, il suono della sua risata, che nei suoi ricordi recenti veniva sommerso da quello delle sue grida disperate, gli occhi stanchi e spaventati di Satine, Satine che respirava sulla sua spalla, Satine che dormiva con la testa nell’incavo del suo collo. 

Satine che sembrava ammiccare ai suoi sogni proibiti che non avrebbero mai potuto avverarsi.

- Certo, insegnarle è pericoloso.- commentò Qui Gon, dando voce ai suoi pensieri.- Imparare ad usare un potere del genere significa infondere una buona dose di sicurezza, che può mutare in arroganza, e l’arroganza nel lato oscuro, se non addestrato correttamente.- 

- E’ vero, noi non possiamo insegnarle ad accedere alla Forza come farebbe un Jedi, anche perché lei non lo è, nemmeno a volerla paragonare a Jocasta Nu.- proseguì Obi Wan. - Ma possiamo insegnarle ad utilizzare quel poco che ha e che già conosce.-

Il maestro aggrottò le sopracciglia.

- Cosa intendi dire, ragazzo?-

- Intendo dire che sa quali sono le emozioni che la portano a creare una forza distruttiva. Forse non avrà le capacità di un Jedi, ma se riesce a comprendere come dominare le sue emozioni, allora resterà razionale, e se lo farà, ci sono meno probabilità che diventi pericolosa.-

Il maestro Jinn sollevò un sopracciglio, ancora più pensieroso di prima.

- Intendi addestrarla ad aprire la Luce di Mandalore utilizzando emozioni positive?-

Obi Wan annuì, convinto.

- Non è necessario che sia sensibile alla Forza. Dato quello che abbiamo visto, noi supponiamo che lo sia, però non è detto senza un conteggio preciso. Quello che sappiamo è che sono le emozioni a scatenare la Luce. Se è una forza che nasce da emozioni positive, come la necessità di proteggere o l’istinto di sacrificio, non vedo perché dovrebbe scaturire solo in momenti di disperazione. Se la addestriamo a controllare il panico e a trasformarlo in pace, aprirà la Luce in serenità e potrà controllarla razionalmente, indipendentemente dal fatto che sia sensibile alla Forza o meno.-

Una scintilla attraversò gli occhi del maestro Qui Gon.

- C’è un motivo per cui ti ho voluto come padawan, ragazzo mio.-

L’orgoglio esplose nel petto del giovane apprendista, che se ne stava impalato e sorridente di fronte al suo maestro ed a una duchessa smarrita, che sembrava non avere la più pallida idea di quello che le stava accadendo intorno.

Lui e Qui Gon ci avevano messo un po’ ad andare d’accordo. Nonostante tutto, bisticciare era all’ordine del giorno. Erano due personalità completamente diverse, e il maestro in particolare era talmente concentrato sulla Forza da dimenticarsi, a volte, di avere Obi Wan con sé. 

I primi tempi, durante le prime missioni, si era dimenticato persino di dargli da mangiare.

Fargli un complimento non era esattamente qualcosa all’ordine del giorno.

Dal canto suo, il padawan era praticamente solito annotare tutte quelle occasioni sul calendario.

- Se la duchessa è d’accordo, facciamo un piccolo test e cominceremo l’addestramento domani.-

- Io non vorrei tediarvi…-

- Duchessa, come avrete ormai capito da tempo, avremo periodi di grande tensione e tempi morti. In qualche modo dovremo occupare le nostre giornate. Noi svolgeremo i nostri compiti di Jedi proteggendo la vostra persona, esercitandoci e meditando. Se voi parteciperete a queste sessioni, come avete già cominciato a fare, almeno non vi annoierete e ne trarrete un consistente vantaggio.-

Satine scosse il capo, sorridendo.

- Se ritenete che sia una buona idea, maestro Jinn, accetto volentieri.-

- Bene.- disse questo, dando loro la schiena e cominciando a disfare gli zaini alla ricerca di un calcolatore di midichlorians. 

Satine ed Obi Wan restarono a guardarsi in silenzio, un misto di emozioni che fluiva tra di loro. 

Il senso di colpa presto si trasformò in gratitudine e poi in serenità. Satine riprese colore e riuscì pure a finire il pasto. 

Forse il peggio era passato.

- Come ti senti?- le chiese il padawan, guardandola dritta negli occhi turchesi.

- Bene. Non devi preoccuparti. Aprire la Luce mi ha sempre richiesto uno stress emotivo forte. E’ già successo quando ero piccola. Ho dormito per non so quanto, terrorizzando tutta Kryze Manor. Mi prosciuga.-

Obi Wan l’aveva intuito, ma fu felice di trovare conferma nelle parole della duchessa.

- Tu, piuttosto, come stai? Ti è toccato pure scarrozzarmi in giro per i boschi, dopo quello che ti ho fatto.-

- Non mi sono fatto male, Satine. Sto bene.-

- Quell’oggetto, il collare.- aggiunse, torcendosi le dita, a disagio.- Fa tanto male?-

- Il separatore? Oh, sì, è una sensazione orribile. E senza la Forza non sono in grado di curarmi. Non che sia un asso, beninteso, ma quel poco che so fare è fondamentale per restare in piedi in momenti come quello, e per darmi la resistenza necessaria per affrontare il pericolo anche quando sono ferito. Senza… Beh, sento tutto come lo senti tu.-

- Cioè un male bestiale?-

Obi Wan sorrise.

- Un male bestiale.-

Satine assunse un’aria risoluta.

- Quando sarò Mand’alor, farò bandire tutti quei trabiccoli infernali dal sistema, dovessi distruggerli io con le mie stesse mani.-

Si scambiarono un sorriso consapevole e poi caddero in un silenzio assordante, senza sapere che cosa dire. Con Satine si stava bene anche in silenzio, ma il padawan sembrava voler cercare per forza un argomento, quasi a non voler fare la figura del fesso.

A corto di parole, eh?

Gli venne incontro, forse inconsapevolmente, il suo maestro, che si avvicinò per stuzzicare le dita della duchessa. La maggioranza delle persone protestava a sentirsi pungolare i polpastrelli per prelevare la goccia di sangue necessaria al calcolo dei midichlorians, ma Satine non fece una piega. 

Poi, mentre la macchina faceva i suoi calcoli, Qui Gon prese ad armeggiare con la spada laser, che invece faceva i capricci. Evidentemente l’umidità doveva aver compromesso qualche fusibile, e uno dei colpi subiti dai cacciatori di taglie l’aveva pesantemente sbilanciata a sinistra.

- Andiamo, Obi Wan, sgonfia il tuo ego e vieni ad aiutarmi!-

Le guance del giovane padawan si tinsero di rosso, abbassò lo sguardo e si gettò a capofitto nelle riparazioni.

- Obi Wan!-

Satine lo afferrò per la manica prima che potesse alzarsi, e il ragazzo si voltò a guardarla.

- Liser’gar nuhoy tome’ni?-

Obi Wan sorrise, provando a tenere a freno la sua mente maliziosa.

Ovvio che lei non intende in quel senso, suvvia.

- Elek.-

 

Ad essere proprio onesti, Satine quella sera pareva aver preso il coraggio a due mani, o forse si trattava della forza della paura e della disperazione, perché, con grande sorpresa di Obi Wan Kenobi, la ragazza aveva quasi preso alla lettera la sua affermazione. Non si era limitata ad appallottolarsi accanto a lui, ma si era spinta fino all’inusuale gesto di posare il capo sulla sua spalla ed insinuare le mani sotto la coperta termica, cercando quelle del ragazzo ed intrecciando le dita con le sue.

Quando fu il turno di dare il cambio della guardia, Qui Gon li trovò così, ma non commentò. Si limitò a svegliare Obi Wan, che scivolò agilmente via dal peso morto di Satine, che non gradì il cambiamento. Così, non appena il maestro si sedette accanto a lei, la ragazza fece la stessa identica cosa, con grande sorpresa del Jedi.

- Sapete, sono contento che stia legando anche con voi.-

- Non saprei dire. Credo di aver conquistato almeno la sua stima.-

- Oh, avete fatto molto di più, anche se non capisce molto quello che facciamo. Io volevo prendere la navicella e scappare, ma lei non voleva saperne di lasciarvi indietro.-

- Mi avresti lasciato indietro, ragazzo?-

- Mai. L’avrei messa al sicuro e sarei tornato a riprendervi. So che sareste riuscito a cavarvela, e confido, in caso, nella vostra abilità di trovare noi.-

Qui Gon sorrise, compiaciuto.

- Fai bene a confidare nella Forza e a mettere in salvo la duchessa. Lei è la nostra missione, non lo dimenticare.-

- E voi? No, perché la missione in questione sta sbavando sulla vostra manica.- 

Il maestro si accomodò meglio per terra.

- La missione mi piace. E’ giovane, forte, intelligente e combattiva. Non si lamenta mai. E’ più simile a noi Jedi di quanto le piaccia pensare.-

- E’ tosta.-

- Già.-

- E vi considera un grande guerriero. Vi regala pure i fiorellini profumati.-

Qui Gon lo guardò male ed Obi Wan ghignò.

- Tu pensa a montare la guardia, figliolo.-

Quello non fu, tuttavia, l’unico argomento che i due affrontarono quella notte. 

Obi Wan, infatti era curioso di conoscere il risultato del conteggio dei midichlorians. 

Incredibilmente basso.

Satine non avrebbe potuto sollevare un sasso nemmeno se avesse pregato la Forza di concederle l’opportunità almeno una volta.

L’unica soluzione, dunque, era che la duchessa fosse sensibile soltanto a qualunque cosa abitasse nelle viscere di Mandalore e che sembrava esplodere di fronte ad un bagaglio troppo grande di emozioni.

Non era la prima volta che una popolazione manifestava poteri particolari. Gli Hutt o i Toydarani, ad esempio, sembravano avere una specifica immunità alla manipolazione mentale, mentre gli Ysalamiri erano addirittura capaci di creare una bolla dentro la quale i campi di Forza non potevano entrare e dalla quale non potevano uscire, rendendoli apparentemente insensibili.

Lei, evidentemente, era connessa a qualcosa che nessuno - per il momento - aveva ancora saputo identificare. 

Il dubbio che quell’accertamento - accuratamente nascosto al Consiglio Jedi - potesse causare loro dei problemi aveva assalito il padawan, che però era stato liquidato dal maestro con un secco al diavolo il Consiglio. Se serve, si fa.

 

Al mattino dopo, Satine sembrava essersi perfettamente ripresa. Disfece il campo, mangiò come non aveva mai mangiato prima, si caricò lo zaino in spalla e ripartì. Solo sulle lunghe distanze cominciò a dare qualche cenno di cedimento, ma rifiutò costantemente la barella come se fosse stata veleno.

- Assolutamente no. Sono stanca, ma non invalida. Mi basteranno cinque minuti di pausa.-

Durante il pranzo si erano presi qualche minuto per riordinare le idee. Obi Wan era assolutamente convinto che la cacciatrice ormai se ne fosse andata. 

Erano rimasti soltanto lei e il trandoshano, ammesso che non fosse diventato cibo per spettri nel frattempo, ed era certo che avrebbero dovuto riorganizzarsi.

Una Mando sola contro due Jedi era un piano folle, e Reeta Woves aveva dato dimostrazione di essere intelligente. 

- Io credo che dovremmo andarcene comunque. Il trandoshano potrebbe essere in giro tra questi alberi. Dubito che quella serpe in seno di Reeta Woves sia tornata a riprenderlo, soprattutto dopo le idee suprematiste che le abbiamo sentito esporre.-

- A proposito.- si intromise il maestro.- Come mai la conoscete?-

Satine sospirò, come faceva sempre quando l’argomento le faceva molto male.

- Era la segretaria di mio padre. E’ stata lei ad iniettargli il jaro in gola.-

- Ci ha confermato di aver passato diverso tempo fuori dal sistema di Mandalore per non farsi trovare, adducendo presunti amici.-

Qui Gon ascoltò le parole del suo padawan e le considerò con grande attenzione.

- Amici su Coruscant?-

- Non lo ha detto, ma non lo escluderei a priori.-

Procedettero per tutto il pomeriggio senza interruzioni, e nella discesa furono ben lieti di notare che il terreno, man mano che declinava, diventava sempre più verde e il clima più caldo. Certo, avrebbero dovuto camminare ancora un bel po’ per trovare un clima mite, ma avevano diverso tempo davanti a loro.

Utilizzarono il datapad solo per qualche minuto, per tracciare una direzione. 

Da dove si trovavano in quel momento, non avrebbero potuto raggiungere alcun centro abitato. 

Ergo, non c’era modo di prendere una navicella spaziale al volo ed andarsene da Krownest.

I due Jedi ci tennero a mettere bene in chiaro che quello era forse il periodo più pericoloso che avessero mai affrontato fino a quel momento. Erano nel bel mezzo del niente, senza un posto dove ripararsi, in balia delle intemperie e degli spettri. Dovevano andare a caccia, ma stavano lentamente esaurendo le scorte di acqua, nonostante avessero riempito i loro otri prima di attraversare il ponte sul torrente. Avrebbero dovuto razionare cibo e bevande e il meteo non avrebbe dato loro tregua.

- Peggio di Kalevala?-

- No, non credo che ci sia un posto meno sicuro di quello.-

- Allora possiamo cavarcela. Poi andremo su Aldeeran?-

- Se riusciremo a lasciare il sistema, sì.-

Satine, però, era anche dell’idea che sarebbe stato conveniente programmare la loro fuga. C’era da aspettarsi che i cacciatori di taglie li avrebbero aspettato nello spazio e Satine era convinta che, se avessero programmato nel modo giusto la loro uscita di scena, probabilmente sarebbero riusciti ad evitare i cannoni e sarebbero partiti con tutti e due i motori sani e salvi, così da saltare nell’iperspazio e raggiungere Aldeeran indisturbati.

L’idea era buona e i tre continuarono a rimuginarci sopra. Nel frattempo, avrebbero fatto di tutto per raggiungere la prossima città di Loras. Da quanto avevano capito, si trattava di una città importante, che aveva una grande storia nella produzione e lavorazione di sostanze chimiche per la farmaceutica, ma anche per lavori di pelletteria, coloranti per abiti ed alimenti, e per ogni altro svariato utilizzo. 

- Scusami, ma loras non vuol dire cibo?-

- Propriamente vuol dire carne, ma effettivamente è abbastanza riferibile ad ogni cosa che adduca sostanze nutritive al corpo. In fondo, che cos’altro è il cibo, se non sostanze chimiche?-

Qui Gon scoprì di essere a corto di parole, con grande soddisfazione di Obi Wan.

- Adesso capite perché mi piace così tanto il Mando’a, maestro?- 

Qui Gon estese il loro legame nella Forza.

Non pensavo che ti piacesse proprio sempre sempre. 

Pensavo che ti piacesse soprattutto quando lo parla lei.

Obi Wan arrossì, ma - grazie alla Forza - Satine non lo vide. Qui Gon sogghignò e lasciò cadere l’argomento.

Ogni tanto il buon padawan aveva bisogno di qualcuno che gli facesse abbassare un poco la cresta. 

 

Poco dopo la pausa pranzo trovarono una grotta.

O meglio, un buco.

Cioè, una tana, forse.

Era una specie di cunicolo scavato nella roccia. Probabilmente l’aveva scavato l’acqua, conducendo verso il basso ed interrando il fiume. Satine aveva detto che c'erano frequenti fenomeni carsici e i due Jedi non stentavano a crederlo. 

La duchessa non era contenta del loro riparo, e ad essere proprio sinceri non lo erano nemmeno loro. Era un cunicolo senza via d’uscita, in cui, se si fosse avvicinato uno spettro, avrebbero fatto la fine del topo senza troppe cerimonie. Satine in particolare sembrava particolarmente guardinga, e i due l’avevano sorpresa a guardare giù, in basso, nell’ombra del cunicolo, mentre loro avevano focalizzato l’attenzione sull’uscita.

- Perché guardi laggiù, Satine?-

- Ti ricordi quando vi ho detto che secondo me gli spettri provenivano dalle viscere della terra, da luoghi ricchi di acqua?-

- Ah, già. Quello.- 

- Non vorrei che ci trovassimo, come dire? All’uscita della strada.-

- Resteremo solo una notte. Troveremo qualcosa di meglio domani mattina.-

- Potrebbe essere più rischioso dormire qui che all’aperto.-

- Sono d’accordo, ma almeno evitiamo che ci trovi la signorina Woves, non trovate?-

Satine sospirò e si acquattò nel cunicolo, provando a mettere a posto gli zaini. Insistette, comunque, affinché venisse acceso un fuoco all’uscita, visto che non potevano accenderne uno dentro, e si prodigò per trovare una sorgente di luce da apporre alla fine del cunicolo.

Mangiarono in silenzio, e forse in quell’occasione più di altre Satine dimostrò di avere paura. Era particolarmente taciturna e restava ad ascoltare ogni rumore che provenisse dal basso. Obi Wan aveva provato a tranquillizzarla, dicendole che nella Forza non c’erano pericoli, ma non c’era stato verso. La ragazza era rimasta tesa ed in ascolto, nel tentativo di individuare qualche suono diverso dal roboante scrosciare dell’acqua del fiume sottostante, per intercettare il pericolo prima che fosse tardi.

- Maestro, mi raccomando, prestate attenzione. Questo luogo non mi convince per niente.-

- Non avete motivo di preoccuparvi, duchessa.-

- Non voglio che rischiate la vita per niente.-

- Rischiare è il nostro mestiere. Siamo disposti ad accettare il pericolo.-

- Beh, io no. Non voglio condannare eyn aliit vod.-

Qui Gon alzò un sopracciglio.

- Prego?-

- Eyn aliit vod.- concluse Satine, gli occhi bassi per nascondere il rossore del viso.- Un fratello della famiglia.-

I due Jedi si guardarono.

- Aliit significa clan, famiglia. In un clan siamo tutti fratelli, tutti parte di un’unica realtà. Una famiglia, un semplice clan, una casata. Un mattone in un muro più grande. Aliit non è solo un nucleo familiare, ma un sentimento di appartenenza, l’idea di fare parte di un progetto, di avere uno scopo. Aliit ci da un senso, e noi diamo un senso ad aliit partecipandovi.-

- Come i Jedi.- commentò il maestro.

Satine dondolò la testa.

- Non proprio. Non oserei mai discutere il modo di vivere dei Jedi, perché non lo conosco approfonditamente, ma il nostro modo di percepire le relazioni sociali è decisamente diverso da quello dei pianeti centrali. In posti come Coruscant, ognuno ha la propria bolla di diritti, che spesso si incrocia con quella degli altri senza causare danno. Quando lo fa, ingenera doveri in capo al titolare dei diritti. Ho il diritto di parcheggiare lo speeder in un posto, fintanto che non limito il diritto di qualcuno, come un disabile, di parcheggiare lo speeder nel posto a lui riservato. Solo in quel momento, quando le vostre bolle giuridiche si incrociano, si ingenera la responsabilità, perché avete contravvenuto al vostro dovere di non intralciare i diritti dell’altro. Nel nostro caso, invece, il legame è molto più stretto. La bolla giuridica dei singoli si confonde con una bolla più grande. La bolla della nobile casata dei Kryze, quella dei Vizla e via di questo passo. Un torto ad un membro della bolla è un torto a tutta la bolla.-

Non esattamente la via dei Jedi, no. La loro non era neanche la via di Coruscant. Non erano del tutto ignari delle regole da rispettare, perché le seguivano anche loro. Il Tempio paga le tasse, ha i posti speeder riservati e lo spazioporto autorizzato, ma la responsabilità era un’altra cosa. Un torto fatto ad un Jedi restava proprio questo, un torto. Non coinvolgeva di certo tutto il Tempio, e spesso restava senza giustizia. Un Jedi non doveva avere problemi con le persone, non doveva portare rancore. Un torto andava disperso nella Forza. 

Il meccanismo, a detta di Obi Wan, faceva un po’ acqua, ma al Tempio nessuno voleva sentirne parlare. Così era e c’era da adattarsi. Poco importava se, a detta sua, il colpevole restava quasi sempre impunito. 

Bruck e quelli come lui restano impuniti. Non hanno freni, e ci nascondiamo dietro ad un dito quando passano al lato oscuro e fanno danni.

Aveva imparato, però, che certe cose era meglio non dirle ad alta voce.

Non era un amante di un sistema particolarmente stringente come quello Mando. Credeva che, se da una parte ciò risolveva i conflitti personali dando un codice di comportamento molto rigido e tenendo il rispetto in grande riguardo, dall’altra generasse conflitti massivi tra clan, piuttosto che rimediarli. 

Ciò che diceva Satine, tuttavia, era anche estremamente bello e al giovane padawan piaceva. Gli piaceva il senso che dava il clan, l’appartenenza, l’idea di difendere qualcosa in cui credi, qualcosa che fa parte di te. 

Lui avrebbe difeso i Jedi ad ogni costo. 

Davvero?

Beh, sicuramente avrebbe difeso Qui Gon ad ogni costo.

Ah, davvero?

Proprio ogni costo no, va bene. Il lato oscuro, però, non era nemmeno lontanamente nei suoi piani.

C’erano valori, tuttavia, per cui avrebbe dato la vita. La libertà, per esempio, o la giustizia. La pace, l’armonia. In questo contesto, il concetto di rispetto dei Mando aveva senso. 

Se rispetto il mio simile, ne rispetto anche le differenze. Ciò porta pace. Armonia.

Incredibile come un popolo con un senso dell’onore e del rispetto così forte potesse farsi la guerra in continuazione.

Forse, erano bellicosi proprio per questo. Credevano così tanto nella via di Mandalore da non comprendere né tollerare niente di diverso.

A volte vorrei che le cose cambiassero.

Vorrei non essere solo.

Lei mi capisce.

Quelli, però, erano pensieri pericolosi che non avrebbe dovuto esprimere ad alta voce.

- Sì, ammetto che il sistema è un po’ diverso dal nostro, che forse è meno foriero di scontri. Tuttavia, vi ringrazio per il complimento, duchessa. Vi pregherei, però, di non dirlo ad alta voce. Per quanto io sia fiero di fare parte della vostra cosa, come si chiama? Aliit, non sono altrettanto sicuro che i vostri concittadini apprezzeranno i vostri gusti in fatto di familiari.-

Satine fece spallucce e non commentò, mentre lanciava una lunga occhiata pensosa al maestro che usciva da quella specie di tana.

Obi Wan aveva trovato posto accanto a lei. Non avevano più il loro terribile scaldino ed avrebbero dovuto cavarsela con i mantelli e le coperte termiche. Del resto, non sarebbe nemmeno stato sicuro introdurre i tizzoni ardenti dentro quel cunicolo buio e stretto. 

Così, i due ragazzi si avvicinarono sempre di più, le teste vicine per non sentire la frescura dell’ambiente e l’umidità. Obi Wan le offrì cavallerescamente un lembo del suo mantello, ma Satine rifiutò, orgogliosa.

- Nemmeno se ti do tutta la manica?-

- Sarei costretta ad infilarmici dentro e ti starei addosso per tutto il tempo.-

Obi Wan non commentò, anche se una parte di sé si chiedeva dove avesse sbagliato.

Non mi era sembrata dispiaciuta, l’altra sera.

Tuttavia, la presenza di Qui Gon poteva aver reso la circostanza più innocente. In quella situazione erano soli, in un loculo di dimensioni ridotte, a stretto contatto, senza libertà di movimento. 

Incredibile come Obi Wan avrebbe definito quella situazione incresciosa e sconveniente fino a poco tempo prima. 

Già, quanto tempo era passato? Il ragazzo aveva praticamente perso il conto. Ciò che scandiva le sue giornate erano il bisogno di trovare cibo, acqua e riparo. L’arte di arrangiarsi, insomma, e loro erano già fortunati ad avere quello che erano riusciti a portarsi dietro.

Stupefacente, come le priorità di una persona possano cambiare nella vita. 

- Obi Wan?-

Il padawan la guardò, invitandola a procedere.

- Che cosa intendeva prima il maestro?-

- Quando?-

- Quando ha detto che la vostra Via è diversa e meno foriera di scontri. Oh, e che non avrebbero apprezzato la mia vicinanza a voi.-

Il ragazzo alzò le spalle. 

- Beh, non puoi negare che il tuo popolo è particolarmente incline a fare la guerra a tutto ciò che si muove.-

Aveva imparato che, quando Satine inarcava il sopracciglio destro, tirava aria di guerra ed era meglio tacere, per cui non proferì parola fino a che la ragazza non si decise a rompere personalmente il silenzio. 

- Per curiosità, ma voi Jedi non litigate mai?-

- Certo.-

- E allora come fate a risolvere i conflitti? Voglio dire, ammetto che la mia gente è leggermente suscettibile, e mi inserisco personalmente nel novero della categoria, ma se non vi arrabbiate mai, se tutto è Forza o comunque prima o poi ci va a finire, come risolvete le divergenze?-

Domanda difficile, ma Obi Wan era preparato. Conosceva il Codice praticamente a memoria.

Com’era che aveva detto Quinlan? 

Codice? Dicono che sia una bella donna, ma nessuno la vuole a parte Kenobi.

- Le divergenze ci sono, ma siamo addestrati ad appianarle usando la Forza e una buona dose di pazienza combinata a diplomazia.-

- Che cosa vuol dire?-

- Significa che ci meditiamo sopra e poi ci confrontiamo personalmente dopo, sperando che entrambe le parti in rotta di collisione abbiano la decenza di fare un passo indietro e giungere al compromesso.-

- E se non ci riuscite?-

- Non ce ne curiamo. Non è da Jedi avere dei conti in sospeso. Passiamo oltre e lasciamo cadere l’argomento nel passato, su cui ci è proibito rimuginare.-

Satine arricciò le labbra, poco convinta.

- Cioè, praticamente se venite ad un accordo bene, ed è come se non aveste mai litigato. Se non venite ad un accordo, è come se non aveste mai litigato lo stesso?-

- Più o meno sì, a parte la consapevolezza che deriva dal non fare pace. Significa che con quella persona non vai d’accordo.-

Il volto della duchessa era una maschera di perplessità quasi comica. Obi Wan dovette fare del suo meglio per non sorridere, vista la serietà dell’argomento.

- Non hai capito?-

- Francamente no.-

- E’ così strano, per te?-

- In linea di principio, no, anzi. Semplicemente, non credo che si possa fare davvero.-

- Che vuoi dire?-

Satine sospirò e si aggiustò meglio sotto la coperta.

Aveva il naso freddo, accidenti.

- Credo che lo scontro tra due persone lasci comunque una traccia. L’hai detto tu, la consapevolezza di essere diversi e di non andare d’accordo. Questi significa che una parte di te sa che di quella persona, per quanto tu voglia lasciare la discussione nel passato, non ti puoi fidare del tutto.-

- Sì, immagino che sia così.-

- Questo, però, è una contraddizione. Se non puoi sperare di raggiungere un armistizio con una persona che ti ha fatto un torto, a meno che non si tratti di un male minore a cui puoi passare sopra, significa che non ha la maturità di comprendere dove ha sbagliato. Ergo, per quanto vi ripetiate di meditare e di non curarvene, quello continuerà a ripetere l’errore nei tuoi confronti, perché non ha intenzione di modificare il suo atteggiamento, qualunque sia il motivo di scontro. Lui non crescerà mai e tu non ti libererai mai di ciò che ti lega ad un evento passato.-

Eh.

- Questo però significa riproporre costantemente una circostanza su cui non dovreste riflettere.-

- Non si può pretendere che le persone pensino e sentano sempre alla stessa maniera. Non posso pretendere, quindi, di vederla sempre come il mio maestro. Non avremmo personalità altrimenti. Spesso io e lui restiamo della nostra idea.-

- Non vi mancate di rispetto, però, perché lui ha l’intelligenza di comprendere che Obi Wan è Obi Wan, e tu di capire che Qui Gon è Qui Gon. Che succede, però, quando uno quell’intelligenza non ce l’ha? Ti potresti fidare di lui in battaglia, per esempio?-

Eh.

- No, direi di no.-

- Quindi il conflitto non è risolto, per cui, per quanto non vogliate pensare al passato, non riuscite però nemmeno a creare una situazione positiva da cui partire per guardare al futuro.-

- Qui ed ora. Noi viviamo nel presente e seguiamo la Forza.-

- Allora vuol dire che il vostro presente non cambia mai. E che cos’è il futuro, se non un susseguirsi ininterrotto di tempi presenti?-

Eh.

- Devo ammettere, però - rispose Obi Wan, provando a difendere il suo amor proprio.- Che al Tempio Jedi situazioni di questo genere non si sono mai verificate, almeno tra maestri che sanno padroneggiare la Forza. Tra studenti, può capitare.-

Bruck.

- Rimane comunque il problema della ripetizione. Ripetere un errore significativo molte volte, senza correggerlo, non è la via per il lato oscuro? E se invece le correzioni ci sono e queste occasioni sono più uniche che rare, allora perché Qui Gon mi ha detto di essere considerato un Jedi non ortodosso?-

Obi Wan sentì una punta di fastidio e un picco di ansia crescere dentro di lui. Prese un bel respiro, e provò a calmarsi.

Fallì miseramente.

- Per quale motivo stasera sei così interessata alla nostra vita da Jedi?-

Satine sbatté le palpebre, presa alla sprovvista.

- Come sarebbe a dire, perché mi interessa?-

- Sembra divertente per te provare a mettermi in difficoltà.-

La duchessa questa volta era veramente confusa. Non credeva di aver fatto nulla di male ed era la prima volta che vedeva Obi Wan davvero infastidito. Un conto era scambiarsi insulti per divertimento, quasi - se non fosse stato un Jedi - come una forma di flirt (anche se ammetteva era una prassi piuttosto curiosa). In quel caso, il ragazzo, a parte un primo momento iniziale di confusione, normalmente sapeva che cosa stava succedendo e la ripagava con la stessa moneta, con la stessa celia. 

Questa volta, invece, sembrava sinceramente punto sul vivo, e Satine non aveva fatto assolutamente nulla per ferirlo.

- Che c’è, ti ha morso un gra’tua edee?-

- Semplicemente non siamo perfetti, Satine. Certo che bisticciamo, ma risolviamo le cose a modo nostro, con la Forza. Quando le persone non lo fanno, vengono punite, e severamente. Non c’è molto altro da dire. Per quando riguarda Qui Gon - concluse, una punta di astio nella voce. - mi era parso di capire che avevi sviluppato una certa stima per lui. Se non ti fidi più, non so che cosa dire.-

La duchessa sgranò gli occhi.

- No, ma dico, sei ammattito?-

Le punizioni ci sono.

A volte, sono anche arbitrarie. 

Alcuni vengono lasciati cadere nel lato oscuro perché nessuno interviene. 

Perché si chiude un occhio e forse anche due. 

- Ho sonno, Satine. Se non hai altro da chiedermi, vorrei dormire.-

Ma la duchessa era indignata e non gli avrebbe di certo permesso di spuntarla così facilmente.

- Sai che c’è? Dormi pure nel tuo loculo.-

E così facendo, prese i suoi oggetti e se ne andò, carponi, fuori dalla tana, per piazzarsi senza troppi complimenti accanto al maestro Jinn.

- Che succede, duchessa?-

- Ma che ne so io? Chiedetelo al vostro padawan, se l’ha morso un gra’tua edee.-

- Un cosa?-

- Un insetto che morsica e fa un male bestiale perché ha le zanne velenose.-

Qui Gon sospirò. 

Sarebbe stata una lunga missione.

- Che cosa è accaduto, nello specifico?-

- Avevo delle domande sul vostro Codice, sul vostro modo di risolvere i conflitti, ma a quanto pare non ha una grande voglia di parlare.-

Ah.

Il buon maestro le batté una mano sulla spalla per confortarla.

- Mia cara duchessa, temo che vi siate scontrata con la cruda realtà, per la quale anche i Jedi sono persone. Obi Wan è molto attaccato alle regole ed ha un forte senso di giustizia, mentre io sono un po’ più ambiguo, metto in discussione tutto ciò che mi circonda. Con me potete parlare piuttosto liberamente - e calcò bene la parola per farle intendere che non era ammesso proprio tutto tutto - ma con lui è un’altra storia. E’ un ragazzo di solidi principi e di grande senso del dovere, per cui, quando il mondo si scontra con ciò che lui ritiene giusto, diventa un fatto personale.-

Satine annuì.

- Non riesco a capire, però. Non ho fatto niente di male se non domandare ed esporre un mio punto di vista.-

- Non c’è niente da capire, duchessa.- concluse il maestro, facendola sentire più a suo agio.- La reazione del mio padawan non è da Jedi. Un altro maestro si sarebbe arrabbiato con lui, ma io so bene qual è il problema. Obi Wan ha dovuto rendersi conto che le regole in cui crede tanto non sono sempre giuste.-

La duchessa aggrottò le sopracciglia e si sentì improvvisamente molto in colpa.

- Non credevo di avere fatto tutto questo.-

- Voi? Oh, no. Obi Wan l’ha imparato a sue spese. Deve riuscire a trovare un giusto compromesso dentro se stesso. Le regole sono importanti, ma esistono anche le vie della Forza, e non è detto che gli artifici umani, nonostante tutti gli sforzi fatti, riescano a codificarle al meglio.-

- In sostanza, viene da un momento difficile e questo per lui è un argomento sensibile?-

- Esattamente.-

Satine sbottò.

- E non poteva dirlo subito, quel di’kutla jetii?-

Qui Gon aprì le braccia.

- Certo che no, duchessa. Significherebbe rimuginare sul passato e voi sapete bene che non si può.-

Il volto della ragazza crollò per la disperazione e si passò spossata una mano sul volto.

- E’ ufficiale, non vi capirò mai.-

- Ah, non sareste la sola. Figurarsi, che non ci capiamo niente nemmeno noi.- disse, ammiccando al padawan in stato confusionale dentro la tana e suggerendole tacitamente di rientrare. 

Sì, forse tornare dentro era la scelta più giusta.

Ringraziò e rientrò nel tunnel, inconsapevole che il ragazzo si stava rodendo la coscienza per aver perso le staffe, rigirandosi costantemente sotto le coperte. Quando la vide arrivare, posare le sue cose e sistemarsi accanto a lui, era pronto a ingollare l’orgoglio, ma Satine fu più veloce.

- No, Qui Gon non mi ha sfrattata. Sono rientrata di mia spontanea volontà.- 

E si infilò sotto le coperte senza degnarlo troppo. 

Obi Wan, ancora mortificato, si acquattò ancora di più dentro il sacco a pelo, la voglia di scomparire per la vergogna, ma Satine, evidentemente, aveva ancora qualcos’altro da dire.

- Sai quella cosa che dicevo prima, a proposito della maturità di mettersi in discussione?-

- Sì.-

- Bene. Spero che un giorno, qualunque cosa tu ti porti dentro, sarai in grado di venirne fuori e magari di parlarne civilmente con qualcun altro. Forse, parlare è proprio la scelta migliore, invece che continuare a dire mezze verità o nascondersi dietro al cinismo.-

E detto questo si voltò definitivamente dall’altra parte, lasciando il ragazzo ammutolito a fissare la sua sagoma imbacuccata.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

 Liser’gar nuhoy tome’ni?: Puoi dormire insieme a me?

Loras: carne, in senso ampio sostanza chimica, nutrimento

Eyn aliit vod: un fratello della famiglia

Gra’tua edee: denti vendicativi, dolorosi

Di’kutla jetii: stupido Jedi

 

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Capitolo 39
*** 31.1- Manifesto politico ***


CAPITOLO 31.1

Manifesto politico

 

L’alba portò loro nefaste notizie.

C’era, innanzitutto, l’ombra del litigio della notte precedente ad incombere su di loro. Satine ed Obi Wan avrebbero tanto voluto parlarsi, ma nessuno dei due si decideva a fare la prima mossa: la ragazza riteneva che dovesse essere il padawan a sbloccarsi e a comunicare con lei, e il ragazzo concordava con lei, soltanto che non aveva le parole giuste per poterlo fare. 

Inoltre, avvenne uno scambio poco piacevole con Inga Bauer. Nell’accendere il datapad per definire il corso del loro cammino, trovarono innumerevoli chiamate perse dalla sera precedente.

Il cuore di Satine prese a battere all’impazzata, la ferma convinzione che suo padre e i suoi cari fossero morti che si faceva strada dentro di lei. All’improvviso, ogni screzio con Obi Wan sembrava dimenticato, di fronte a materie più importanti. 

Istintivamente cercò la sua mano, ma intercettò quella di Qui Gon e la strinse come se non ci fosse stato un domani.

- Inga, che è successo?-

- Quegli invasati hanno attaccato Keldabe in massa.-

Keldabe.

Un onda di sollievo la travolse, ed immediatamente si trasformò in paura e ribrezzo verso se stessa.

Come poteva gioire del dolore di un’intera città, soltanto perché la sua famiglia si trovava al sicuro?

- Quanti morti?-

Inga Bauer sospirò, gli occhi improvvisamente meno fieri del solito.

- Avevamo evacuato la città già a suo tempo, per gli attacchi di gas tossico. Qualcuno era rimasto, principalmente ribelli che avevano deciso di aiutare le milizie dei Nuovi Mandaloriani. C’era anche qualche civile, per restare vicino ai cari in guerra, ma la città era largamente disabitata. I danni collaterali sono stati contenuti. Otto uomini, nove donne, sette bambini, quattordici anziani.-

Se si considera che Keldabe, in tempo di pace, contava centinaia di migliaia di persone, si poteva dire che fosse andata bene, nonostante l’orrore di sentire quei numeri.

Otto uomini.

Nove donne.

Sette bambini.

Quattordici anziani.

Satine lo appuntò mentalmente.

- Il peggio, però, è che non siamo riusciti ad intercettare l’arsenale nucleare prima che lo usassero. Purtroppo, l’autobomba ha raggiunto il centro città e lì è stata abbandonata. E’ esplosa con la detonazione a distanza. Chi era dentro la cupola è stato spazzato via. Le schegge di vetro si sono diramate tutto intorno, causando ferite in tutte le truppe.-

La donna fece una pausa, cercando di comunicare quello che non riusciva a dire, il dolore e la rabbia, pur mantenendo la sua aria di competenza e professionalità.

La cosa non sfuggì alla giovane duchessa.

- Inga, vi prego. Quanti morti?-

Solo per un momento, la Abiik’ad abbassò lo sguardo.

- Trecentosettantacinque accertati. Ci sono altre quattrocentocinquanta persone che sono state raggiunte dagli shrapnel, e ottocento che hanno preso le radiazioni. Quelli tra loro più esposti stanno morendo. Di queste, venticinque erano Abiik’ade. E’ la cosa più orribile che io abbia mai visto, e credetemi, ne ho viste tante. C’è di peggio, però.-

- Peggio di così?-

- Hanno usato il kyramla buruk.-

Satine si mise la testa tra le mani.

Qui Gon ed Obi Wan si guardarono, senza capire.

- Satine, che cos’è il pericolo mortale?-

- E’ un brutto male. Si pensa che sia stato inventato da Demagol, lo scienziato pazzo. E’ stato sintetizzato come arma secoli or sono e fu bandito, considerato un demagolka.-

Obi Wan sillabò la parola mostruoso verso il suo maestro, che annuì.

- Ha causato vere e proprie epidemie. Veniva usato per decimare i soldati, ma prontamente sfuggiva di mano. Questa è stata una scelta politica, perché sono consapevoli che chi è su Mandalore non potrà più uscire, se non a prezzo di contagiare gli altri pianeti del sistema, e che chi cercherà rifugio da Keldabe in altre città porterà il male con sé, uccidendo chiunque fornisca ospitalità soprattutto a Sundari, vicina roccaforte dei Nuovi Mandaloriani.-

- Vogliono decimarci con ogni mezzo. Chi non è morto a Keldabe, morirà per le radiazioni. Chi non morirà per esse, perirà per il demagolka, portando con sé i Nuovi Mandaloriani che presteranno soccorso. Chi riuscirà a fuggire, morirà da solo nel deserto, perseguitato dalla Ronda in tenuta stagna e dagli spettri. Non possiamo far rientrare le Abiik’ade che erano a Keldabe. Abbiamo dato ordine di allestire un centro di quarantena fuori dalle porte di Sundari.-

La duchessa aveva il volto color cenere, e una parte di lei si odiava ancora, perché era comunque felice che la sua famiglia non fosse coinvolta. 

- Grazie di avermi informata, Inga. Temo che si renda sempre più necessario lo smantellamento del magazzino della Ronda.-

- Sono della stessa opinione.-

- Non mi piace l’idea.-

- Nemmeno a me.-

Satine sospirò per l’ennesima volta.

- Linea d’azione?-

- A parte l’ospedale da campo, per il momento non abbiamo assolutamente niente. Riprendere Keldabe ormai è fuori discussione. Non c’è rimasto nulla ed è inabitabile. Stiamo raggruppando gli sfollati alle porte della nostra roccaforte. Probabilmente arriveranno soccorsi dal resto del sistema, in particolare da Draboon.-

Satine fu presa in contropiede da quell’affermazione.

- Per quale motivo?-

- Kalevala è blindata. Siamo riusciti a proteggerla fino ad adesso e continueremo a farlo. I nostri difendono e combattono su Mandalore, provando a tenere il conflitto lì e ad evitare la devastazione nel resto del sistema. Non sempre funziona. Su Krownest ci sono stati disordini. I Wren hanno cominciato a capire che Larse Vizla non offre garanzie praticamente su niente. E’ stato costretto a mandare dei contingenti sul pianeta per sedare le rivolte. Hanno lasciato Loras da qualche giorno. I cittadini hanno provato a convincerlo ad aprire la PharmaMandalore senza successo. Da quanto sappiamo, adesso sono diretti a Sal, dove i lavoratori del tessile hanno organizzato delle manifestazioni di solidarietà ai Nuovi Mandaloriani. Stanno cercando di tornare a produrre anche per l’export, ma l’attuale situazione politica glielo impedisce. Per quanto riguarda Draboon, invece, è scoppiato un vero e proprio putiferio. C’è stata una segnalazione di un attacco mosso da parte di un gruppo di cacciatori di taglie avvenuto fuori dalla città di Solus, a danno di un paio di forestieri. La città si è protetta con le barriere, ma la cosa ha destato scalpore. Ci sono stati moti di protesta che hanno convolto persino Floran Farrere.-

La duchessa sentì il sangue fermarsi nelle sue vene. 

Il padre di Indila. 

- Che gli è successo?-

- A lui? Nulla. Ha fatto il diavolo a quattro. Ha appeso gli stendardi dei Kryze fuori dalla Magione del Governatore. Ha tenuto duro fino alla disfatta di Keldabe, poi, per evitare che anche Draboon subisse la stessa sorte, lo siamo andati a prendere con una squadra di esfiltrazione tra le migliori a nostra disposizione. Abbiamo fatto finta di trasferire lui e la figlia con i vecchietti di un ospizio. Raramente mi lancio in questo genere di commenti, ma penso che sia stato uno degli eventi più memorabili di cui io sia mai venuta a conoscenza.- 

La ragazza ricordò immediatamente Floran ed Indila con la chioma bianca e le sfuggì un piccolo sorriso.

- Perché mi sembra un piano da zio Korkie?-

- Perché è un piano dello zio Korkie.-

Satine provò ad allargare il sorriso e parve riuscirci in modo abbastanza convincente, anche se i suoi occhi dicevano altro.

- Spero che voi siate al sicuro, duchessa.-

- Sto bene, Inga, grazie. Ho i migliori protettori della galassia.-

- Sono lieta di sentirvelo dire. Comunicheremo questa notizia, sperando che riesca a risollevare gli animi. Abbiamo subito un duro colpo.-

La chiamata si concluse lì, lasciando i Jedi esterrefatti e Satine profondamente turbata.

Certo, si erano aspettati che la loro piccola disavventura a Solus potesse avere delle conseguenze, considerata la guerra civile in atto, ma mai avrebbero pensato che sarebbe stata utilizzata dal governatore come casus belli per dichiarare aperto sostegno nei confronti dei Kryze.

O forse non ci avevano pensato loro.

Com’era che aveva detto Satine, a quel tempo?

La figlia del governatore è una mia cara amica, e lui è un Nuovo Mandaloriano. Ci proteggeranno.

Cominciavano a pensare che non tutto quello che faceva la duchessa fosse a caso. Cominciavano a credere, ed avevano ragione di dirlo, che Satine sapesse perfettamente che cosa stava facendo. Non aveva avuto intenzione di portare la guerra su Draboon. Ci era andata, inizialmente, solo per trovare un rifugio sicuro, sapendo di poter contare sull’amicizia dei Farrere. Poi le cose si erano fatte difficili, e Obi Wan aveva il fondato motivo di ritenere che Satine avesse approfittato della situazione per una manovra politica di ampio respiro.

- Satine?-

La ragazza, però, sembrava persa nei suoi pensieri. Il suo viso era diventato improvvisamente duro, determinato, mentre stringeva il datapad tra le dita senza vederlo davvero. Il padawan poteva sentire gli ingranaggi nel suo cervello girare alla velocità del suono, provando a trovare un incastro, ed aveva quasi paura di disturbarla. 

Nei hai sbagliate anche troppe, negli ultimi giorni.

- Duchessa?- azzardò Qui Gon, una delle sue ampie mani poggiate sulle spalle esili della giovane, che sembrò svegliarsi dal suo sogno ad occhi aperti.

- Sì?-

- Dobbiamo andare. Restare qua non è una buona idea. Meglio spegnere il datapad dopo aver ricalcolato il nostro percorso.-

- Ricalcolare? Perché?-

I due uomini si guardarono senza capire. 

- Beh, la signora Bauer ha detto che…-

- Generale Bauer. Non fatevi sentire da lei quando la chiamate signora. So benissimo che cosa ha detto Inga. Il problema è che non possiamo andare da nessun’altra parte.-

Ed in effetti aveva ragione. Con sua grande costernazione, Obi Wan fu costretto a constatare che l’unico centro abitato raggiungibile dalla loro posizione era soltanto Loras. Nonostante infatti Sal e Loras fossero vicine in linea d’aria, dal luogo dove si trovavano avrebbero dovuto allungare parecchio il loro percorso e, anche volendo, non avrebbero avuto viveri ed acqua a sufficienza per raggiungere Sal. Se avessero deciso di evitare Loras avrebbero dovuto camminare per almeno una settimana verso sud, senza contare il fatto che, a detta della generale delle Abiik’ade, Sal era ormai un covo di seguaci di Larse Vizla mandati là in armi per sedare le rivolte.

Delle due, Loras sembrava molto più tranquilla.

 

Così, zaini in spalla, il terzetto si era rimesso in marcia per raggiungere Loras, con il cuore pesante e una brutta sensazione a proposito della loro missione. 

Per quasi tutto il tragitto, Satine non parlò, almeno non fino all’ora di pranzo, quando si fermarono sotto una grossa veshok a sgranocchiare le loro - poche - razioni rimaste. 

- Satine?-

La ragazza lanciò uno sguardo pensoso in direzione del padawan, la bocca piena e l’aria di chi aveva preso una decisione dipinta sul volto.

- Posso farti una domanda?-

- Da quando hai ricominciato a chiedere il permesso per fare qualsiasi cosa, Obi Wan?-

Il ragazzo arrossì e Qui Gon lo spronò a parlare tramite il loro legame con la Forza. Il padawan lo guardò implorante, cercando di fargli capire che lei non vuole parlare con me per favore risparmiami fallo tu, ma il maestro non parve sentire ragioni.

- Draboon. Non è stato un caso, vero?-

Satine alzò le spalle.

- A dire la verità, sì. Una grandissima casualità. Avevo pensato, lo ammetto, che Floran Farrere ci avrebbe protetti, se solo fossimo riusciti a chiedere asilo a lui o a qualcuno dei suoi. Certo, significava esporlo ad un rischio considerevole, ma avrebbe potuto fornirci i mezzi per andarcene dal pianeta e dirigerci verso Aldeeran. Purtroppo, però, le vicissitudini conseguenti al nostro atterraggio di fortuna ci ha portati in un’altra direzione, così abbiamo dovuto arrangiarci. Quello che non avevo immaginato era che l’attacco dei cacciatori di taglie arrivasse a coinvolgere tutta la città. Quei quattro devono aver fatto davvero un gran casino per suscitare la reazione sdegnata della popolazione. Sono mercanti, sono abituati a vedere di tutto. La presenza di due membri della Ronda della Morte deve averli destabilizzati.-

- E tu non hai pensati che avresti potuto trarre un vantaggio politico da questo?-

- Certo. Speravo che Floran Farrere prendesse una decisione e lo ha fatto. In politica, Obi Wan, come in guerra, vige una regola fondamentale: dividi il tuo nemico e regnerai sul sistema. Proprio per questo credo che sia giunto il momento, per me, di fare la mia seconda apparizione pubblica dopo la fuga dalla Fortezza delle Cascate.-

Venne fuori che Satine, nella sua testolina bionda, aveva deciso di approfittare della situazione per comprendere fino in fondo il quadro politico di Mandalore. 

Erano molti i nodi da sciogliere.

- Regola numero uno, in guerra e in politica: capire sempre quanto sostegno ha il tuo nemico. Se il tuo oppositore ha il favore del popolo e le risorse economiche, difficilmente riuscirai a ribaltare la partita. Infilarsi nelle crepe, a quel punto, diventa fondamentale.-

Innanzitutto, dunque, doveva capire chi stava con chi. Quando lei se ne era andata da Kalevala, i Saxon e i Vizla erano alleati. Un po’ poco, per tenere in piedi un colpo di stato. Per di più, c’era un’ampia zona grigia composta dai Wren, che sembravano in procinto di cambiare casacca un’altra volta e tornare all’ombra dei Kryze.     Poi c’erano gli Eldar e gli Awaud, titubanti i primi, recalcitranti i secondi e in odore di passare dai Kryze ai Vizla. Sui Farrere sapeva di poter contare, ma erano un misero alleato. A parte quel piccolo - ma tosto - clan, i Kryze erano abbastanza isolati. Gli Eldar erano rimasti a loro fedeli, ma erano confusi. I Wren cadevano a pezzi. Gli Awaud non c’erano più e i Bauer erano pochi, anche se micidiali. 

Ed aveva volutamente escluso dal novero i Makyntire.

Quella zona grigia, che presumibilmente non si sarebbe ribellata al potere di Vizla, era sufficiente a consentire al golpista di tenere per sé il trono che aveva usurpato. 

Tuttavia, adesso le cose stavano cambiando. 

I Farrere, con un gesto molto plateale, avevano ribadito il loro sostegno incondizionato al clan Kryze. Quella che però rappresentava per Satine un’occasione d’oro era la confusione regnante nel clan Wren. Aveva sperato in una decisione di Ursa, che reputava una persona intelligente nonostante gli screzi giovanili, ma tardava ad arrivare per ragioni che le sfuggivano. Il clan, tuttavia, era irrequieto, avendo compreso l’errore che avevano fatto a fidarsi di Larse Vizla. 

Se Ursa Wren non si fosse decisa a prendere la decisione giusta in tempi brevi, Satine le avrebbe dato una piccola spinta. 

- E qui subentra la seconda regola aurea della guerra e della politica, e più in generale della strategia: dividi e conquista, perché, e questa è la regola numero tre, un colpo di Stato non dura mai a lungo, se manca il sostegno del popolo.-

Se Satine fosse riuscita a fare il colpo grosso, il clan Wren sarebbe passato dalla parte dei Kryze e a quel punto a Larse Vizla sarebbe mancato il consenso popolare.

- In una dittatura, però, non si vota.-

- No, Obi Wan, non si vota. In una guerra civile, però, si combatte.-

E il ragionamento non faceva, purtroppo, una piega. Se i Wren si fossero apertamente schierati con i Kryze, avrebbero mandato contingenti, aiuti, armi, soldati, per non parlare dei rifornimenti medici. 

Avrebbero tolto a Larse Vizla il monopolio degli ospedali. 

Lentamente, il dittatore avrebbe perso il suo potere, trovandosi a combattere contro un intero sistema sceso in piazza contro di lui, nonché pronto a fargli la festa.

- La sceneggiata di Keldabe, per quanto riprovevole, sta a significare una cosa sola: Larse Vizla ha paura. Non è solo un invasato. Sa di stare perdendo il controllo, ed in questo senso quanto sta accadendo nel sistema gioca a nostro favore. Hanno mandato un contingente su Draboon per controllarlo. Hanno mandato un altro contingente su Krownest per soffocarlo. Su Kalevala, non si azzardano nemmeno, lasciando tutto in mano agli Awaud e ai Makyntire, che non possono uscire dal pianeta perché è contingentato. Questo significa, però, che su Mandalore combattono in due: Saxon e Vizla, e se non vogliono perdere, sparpagliati come sono in giro per il sistema, devono mostrare i muscoli.-

I Kryze avrebbero avuto dalla loro parte i Bauer e i Farrere, gli Eldar e i Wren, in un capolavoro di geopolitica che avrebbe consegnato nelle loro mani Kalevala, Draboon, Krownest e  con esso l’intero sistema di Nuovo Kleyman, lasciando in minoranza le forze avversarie su Mandalore e su Concordia.

Sarebbe un miracolo.

- La mia insicurezza ha portato al massacro di Keldabe. Devo fare il possibile affinché questa catastrofe finisca. Devo insinuarmi nelle crepe e provare a spaccare il fronte degli usurpatori.-

Obi Wan la guardò quasi con tenerezza, con grande sorpresa di Qui Gon.

- Satine, non potevi saperlo. Non sapevi delle proteste su Krownest e Draboon. Se tu lo avessi saputo, avresti agito prima, e comunque non ti dà la garanzia che Vizla non avrebbe, come dici tu, mostrato i muscoli lo stesso. In tutta onestà, non sappiamo nemmeno se ripeterà il gesto, dopo qualunque cosa tu decida di fare. E’ probabile, lo sai.-

- Sì.- disse la ragazza, sbuffando forte per il peso che portava sulle spalle.- Ma è meglio di niente. Se i nostri si scoraggiano è finita, e Larse Vizla la farà da padrone, massacrando la gente, scatenando epidemie e soprattutto lasciando fare agli spettri il bello e il cattivo tempo.-

Come se non bastasse, a detta di Satine, Larse Vizla stava inanellando un errore politico dietro l’altro. 

Se vuoi conservare il potere, la miglior cosa da fare è farti degli amici.

Vizla era riuscito a perderli nel giro di poco.

Se, poi, vuoi mantenere almeno il tuo potere, nonostante tu sia in minoranza, hai bisogno di una forza sovrumana, un apparato militare enorme. 

Vizla sembrava averne perso quasi il controllo. Le Abiik’ade gli avevano immediatamente fatto capire che, di alleanze, non se ne facevano nulla, e gli altri…

A parte la Ronda della Morte, sua milizia privata, e gli uomini e le donne del clan, dov’erano gli altri?

Per non parlare poi dell’enorme errore di valutazione che aveva fatto con gli spettri, pensando di poter rimandare la partita con loro e senza contare che sembravano spuntare come funghi da tutte le parti.

Ori’buyce, kih’kovid, aveva detto Satine, scuotendo il capo.

Tutto elmo, niente testa.

Si era messa in testa di provare a porre fine alla farsa, ed effettivamente la possibilità di riuscirci ce l’aveva. Obi Wan sapeva che le pesava molto e si sentiva impotente, incapace di alleviare quella sofferenza.

Fa parte del suo mestiere e lei lo sa.

Il padawan non l’avrebbe protetta per sempre ed avrebbe imparato a farsi le ossa. 

Così, decisero di rallentare la loro tabella di marcia. Satine provò a ripetere il suo discorso con grande fatica. Obi Wan l’aveva guardata camminare avanti ed indietro, e poi in circolo, mormorando parole sottovoce che non capiva, scuotendo la testa e cambiando parole, per poi ricominciare da capo.

Una vera e propria agonia.

Poi, la duchessa si era avvicinata a loro.

- Obi Wan, ho bisogno del tuo consiglio e di quello del maestro.-

- Diteci.-

Satine arrossì fino alla punta delle orecchie, nonostante provasse a mantenere un’aria superiore e regale.

- Come sto?-

Il maestro sollevò le sopracciglia.

- Cioè?-

- Cioè, non voglio apparire una completa scappata di casa, ma allo stesso tempo non posso sembrare eccessivamente regale. Non voglio che la mia gente pensi che io me la spasso nella bambagia quando loro stanno morendo in atroci condizioni. Allo stesso tempo, non voglio che pensino che sono un esserino fragile e triste in balia degli eventi. Devo sembrare normale. Come sto?-

Qui Gon ed Obi Wan si guardarono, poi il primo allargò le braccia, sconsolato, e il secondo piantò gli occhi sulle scarpe, sperando di nascondere le guance rosse.

- Non siamo campioni di stile, duchessa, mi spiace. Per quello che mi riguarda, vi trovo molto carina.-

Obi Wan annuì e mormorò qualcosa di incomprensibile, ma l’occhiata patetica che il maestro gli lanciò bastò a Satine per comprendere che cosa avesse detto.

- Nemmeno un cambiamento, proprio nessuno?-

I due fecero spallucce.

Non otterrò niente da questi due.

- Va bene. Abbiamo uno specchietto?-

Obi Wan le passò il suo, quello che usava per radersi. Odorava ancora di sapone ai mirtilli e Satine inspirò quel profumo prima di specchiarsi seduta su un sasso.

Bontà divina.

I capelli andavano in tutte le direzioni, nonostante la piccola treccia che era riuscita a ricavare facesse il suo modesto lavoro. 

Aveva le occhiaie e il volto scavato dalla fame continua. 

Doveva aver perso un bel po’ di peso, durante le loro scarpinate con il cibo razionato. Sembrava un grosso insetto tutto occhi.

Avrebbe dovuto darsi un po’ di tono o l’avrebbero presa per moribonda.

Cominciò a spazzolarsi i capelli, provando a mettere ordine tra quelle ciocche insipide e solo parzialmente colorate. Un po’ di blu era rimasto a sinistra, là dove il padawan, sforbiciandole la treccia, aveva tagliato inclinando le forbici verso il basso. Il taglio era diseguale e pendeva clamorosamente. I capelli non riuscivano a stare nella treccia e ciocche spinose uscivano da tutte le parti. 

Oh, che cosa avrebbe dato per un bel taglio!

Alla fine, sentì un paio di mani intrecciarsi piano dentro i suoi capelli e provare districare i nodi là dove lei non riusciva ad arrivare.

- Mi dispiace.-

- Non mi stai facendo male.-

- No, mi dispiace per ieri sera. Sono stato un vero e proprio di’kut.-

Satine ringraziò che Obi Wan non potesse vederla in viso, o si sarebbe offeso per il sorriso che si era steso sulle sue labbra.

- Sono cose complesse, Satine. Io stesso non ne capisco esattamente il senso. Quello che tu dici è giusto. Sono obiezioni che ho mosso anche io, ma ai Jedi, cioè, al Consiglio in particolare, le obiezioni non piacciono.- 

- Io non sono il Consiglio, Obi Wan. Con me puoi parlare senza sentirti messo in discussione.-

- Ci hanno insegnato, cioè, mi hanno insegnato, a temere la discussione su molti aspetti. Dicono che sia la strada per il lato oscuro. Le cose stanno così, e così devono restare.-

Satine annuì, provando a non compromettere l’opera del padawan, che ancora armeggiava con i suoi capelli.

Azzardò una domanda, sperando di non fare peggio.

- Obi Wan, tu hai paura del Consiglio?-

- No, cioè, sì, non lo so, Satine. E’ complicato. Non sono sicuro di avere una risposta. Quando ce l’avrò, te la dirò. Promesso.-

- Se vuoi non chiedo più.-

- Puoi chiedermi quello che vuoi. Sono io che devo imparare a controllare… uff, qualunque cosa mi scateni questa reazione.-

Lo sentì spostarsi indietro e lasciarle spazio per guardarsi allo specchio. Era stato bravo e molto gentile. Le aveva semplicemente appuntato i capelli dietro la testa e la maggior parte delle ciocche che Satine aveva provato ad incastrare erano ancora libere. Tuttavia, c’era qualcosa di molto bello, semplice ed elegante nel modo in cui le aveva acconciato i capelli, e decise che andava bene così.

Mi sento molto carina.

E’ così che lui mi vede?

No, cara, adesso hai un videomessaggio da mandare.

Non pensare. 

- Grazie.- gli disse, alzandosi in piedi e sorridendogli.

Obi Wan fece spallucce, ma c’era una consapevolezza diversa nei suoi occhi, come se si fosse tolto un peso dal cuore. La guardava con solennità, come se settimane di eventi avessero indotto in lui la consapevolezza di quello che stava effettivamente accadendo. 

Satine provò a ricambiare quella consapevolezza.

Se solo sapesse tutto della profezia di Nebrod.

Trovarono uno spiazzo pieno di foglie. Nessun segno di riconoscimento poteva essere scorto, e ritennero che fosse un luogo più che adatto per registrare quel messaggio.

Nessuno avrebbe mai saputo che si trovavano su Krownest.

Obi Wan e Qui Gon si piazzarono dietro il commlink e cominciarono la registrazione.

Satine prese un bel respiro profondo ed espirò, mentre il beep della registrazione si diffuse nell’aria.

 

 

Amici miei, concittadini,

 

Quanto avvenuto a Keldabe è un orrore indicibile. Non so esprimervi il mio dolore ed il mio rammarico per quanto accaduto e per ciò che la città di Sundari sta affrontando in questo momento. Sono vicina ad ogni uomo, donna, bambino, rimasto coinvolto nella tragedia. Sono accanto a tutti voi, ai nostri soldati, ai cittadini che coraggiosamente stanno salvando vite rischiando la propria. Sono vicina al personale degli ospedali da campo, il cui spirito di sacrificio e di servizio non verrà mai dimenticato. Sono accanto alle nostre fiere Abiik’ade, che hanno subìto strazianti perdite nel tentativo di proteggerci tutti quanti. Sono al fianco dei civili che hanno perduto le loro case, i loro averi, alcuni di loro hanno perso i loro cari in una delle più grandi tragedie che Mandalore abbia mai fronteggiato. Porto nel cuore tutti coloro che, in questo momento, stanno lottando per la pace e per la libertà nel nostro sistema, da Mandalore a Draboon, da Kalevala a Krownest, fino a Concordia. 

Mai avrei creduto che ci saremmo trovati ad affrontare un evento del genere. Avevo creduto, forse ingenuamente, che dopo anni di sanguinose guerre avessimo imparato che la radioattività e le armi batteriologiche avevano fatto abbastanza danni. 

Quanto avvenuto a Keldabe è la prova che non è possibile dare la ragione e il buonsenso per scontati, che non è possibile dare la Storia per scontata. Il nostro passato avrebbe dovuto insegnarci, guidarci verso un futuro migliore, scevro degli errori che ci hanno condannato a nasconderci come animali dentro le tane, ricorrendo a cupole macrobiologiche per rendere la nostra stessa aria respirabile. 

Questi uomini pretendono di conoscere la vera Via di Mandalore, affermano di possedere la verità, di imporre ciò che è giusto, ma ancora una volta hanno dimostrato di non avere la più pallida idea di che cosa sia, Mandalore. 

E’ vero, i nostri clan hanno un passato sanguinoso, ma mai nessuno si era preso la briga di riesumarlo nel modo in cui lo hanno fatto Larse Vizla ed i suoi sodali. 

Nell’epoca in cui i nostri antenati combattevano tra di loro, pur nella furia della guerra, vigeva il rispetto dell’avversario. I cacciatori non potevano essere uccisi, i villaggi non venivano devastati e i bambini venivano adottati. La scienza, di cui siamo sempre andati molto fieri, doveva servire a minimizzare le perdite, ed abbiamo sempre esportato le nostre conoscenze all’estero affinché anche altri popoli potessero curarsi con le nostre tecniche. Quando scoprimmo le mostruosità che Demagol aveva creato, il nostro popolo, di fronte all’orrore scatenato da esse, le ha allontanate, bandite, cancellate dalla cultura del nostro sistema, ritenendole vere e proprie empietà. 

Quest’uomo ritiene che la Via di Mandalore sia l’esatto opposto. Ritiene che la scienza debba essere posta al servizio del potere. Ci impedisce di curarci, di salvare i nostri cari, di commerciare e di prosperare. Invece di usare le nostre migliori tecniche per proteggerci, le usa per ucciderci, per sterminare quei villaggi, quei bambini che, assumendo il titolo di Mand’alor, ha giurato di proteggere. Ritiene giusto riesumare le pagine più oscure della nostra storia, ed invece di provare l’orrore che i nostri antenati ebbero la decenza di provare, considera cosa buona e giusta replicarle.

Vi dirà che la colpa è vostra, che siete stati voi, con la vostra smania di ribellione, a spingerlo a distruggere Keldabe.

E’ una scusa meschina.

Non esiste una ragione valida in tutta la galassia che autorizzi l’utilizzo prima del gas, poi delle radiazioni, e infine del kyramla buruk, in sequenza, nello stesso posto. Larse Vizla è un barbaro ed un sadico, un violento, nonché un vigliacco, che si nasconde dietro ai demagolka, alle mostruosità, per risolvere i conflitti che non può domare.

All’inizio di questa carneficina, vi dissi che rifiutavo di riconoscere come Mand’alor un uomo che aveva perso la faccia, evitando lo scontro con mio padre per avere accesso al trono e preferendo utilizzare - tra l’altro, nemmeno personalmente - il jaro per eliminarlo. Già in quel momento aveva dimostrato la sua empietà, il tradimento delle tradizioni di Mandalore di cui pretende di essere il massimo esperto, come ogni Mand’alor dovrebbe essere. 

Vi dissi che non avrei mai riconosciuto come Mand’alor un uomo che manipolava le tradizioni.

Non sono mai stata così convinta delle mie posizioni come quest’oggi.

Vi dirà che è colpa vostra, che la disfatta di Keldabe è stata inflitta come una giusta punizione per le pretese dei ribelli.

La verità è che Larse Vizla ha paura e, come ogni bestia braccata, attacca, colpisce, ferisce ed uccide, nel disperato tentativo di restare dov’è, su quel trono che ha usurpato.

Gli usurpatori stanno imparando a loro spese le tradizioni di Mandalore. Stanno imparando che i Mando’ade, quelli veri, non si nascondono dietro alle armi e alla violenza. Il combattimento fa parte di noi, ma non ci definisce. Ciò che ci rende fieri di chiamarci Mando’ade è il rispetto che abbiamo l’uno per l’altro, per il nemico, per la dignità dei nostri simili, per la giustizia. Ciò che ci rende Mando’ade è la nostra lealtà, l’onore e il rispetto con cui guardiamo ai nostri fratelli.

Gli usurpatori vogliono soltanto ridurci al silenzio, ma noi saremo lì a ricordare a questi dar’manda che in secoli e secoli di guerre i Mando’ade non hanno mai chinato il capo di fronte al nemico. Saremo lì a ricordare che nessuno, neppure la Repubblica, è mai riuscita a chiuderci la bocca. 

Mandalore è stato distrutto molte volte ed è sempre rinato. I Mando’ade hanno sempre avuto l’incredibile capacità di risorgere dalle ceneri della propria civiltà, di farla rinascere.

Ce la faremo anche questa volta.

Non perdiamo la nostra identità. Non cediamo ai ricatti. Faremo ricordare a Larse Vizla, Evar Saxon e ai terroristi, a suon di canti di rivolta, che nessuno può spegnere le nostre voci. 

Sarò lì, con voi, in ogni gesto ed in ogni parola. Vi sarò vicina, perché ho la responsabilità di un popolo che progredisce e costruisce, non distrugge, ed io, dalle mie responsabilità - nonostante quello che quei dar’manda dicono - non fuggo, mai.

Sopravviveremo. Risorgeremo anche questa volta. 

E potete stare certi che io sono e sarò lì a risorgere con voi, in un mondo più giusto.

 

Tor, ijaat, haat, verburyc, kotep. 

Giustizia e verità, onore, lealtà e coraggio.

 

Qui Gon spense il commlink ed impostò le coordinate della frequenza di Inga Bauer.

Satine quasi si afflosciò, come se tutta l’energia fosse uscita dal suo corpo. Sospirò, provando ad allineare di nuovo le spalle in posizione eretta.

- Allora, come sono andata?-

Qui Gon abbozzò un sorriso, mentre riponeva il commlink.

- Io combatterei.- disse Obi Wan, alzando le braccia, evidentemente colpito da quanto aveva sentito.

Il maestro lanciò un’occhiata sbilenca al suo padawan, che sorrise, a sua volta sbilenco, ed evitò di dire altro.

- Maestro?-

- Io dico - concluse l’uomo, l’espressione scettica che si trasformava in un sorriso orgoglioso mentre si alzava e le posava una mano sulla spalla.- Che non vedo l’ora di sentirvi in Senato, duchessa.-

 

Satine apprese solo molto tempo dopo quali conseguenze avesse scatenato il suo discorso, quando la sua situazione personale si fu assestata. Solo a quel punto comprese la portata di quell’evento.

Inga Bauer fu di parola e diffuse a reti unificate - seppur clandestine - il comunicato, che fu rilanciato anche sulle reti ufficiali e prontamente censurato. Il discorso venne trasmesso anche dentro la Repubblica e pure su Coruscant, dove di certo qualcuno avrebbe passato un po’ di tempo a mangiarsi le mani.

Nonostante tutti gli sforzi, nessuno scoprì mai dove Satine lo avesse registrato.

Sundari si tinse di bianco. Alle terrazze, ai tetti, dovunque fosse rimasto in piedi qualcosa a cui attaccarle, cominciarono a sventolare tende e lenzuola bianche con il disegno delle campanule canterine. Ciascuna campanula conteneva una parola del motto dei Kryze. 

Tor, ijaat, haat, verburyc, kotep

Su Draboon, Evar Saxon era stato mandato personalmente a dare il benservito a Floran Farrere e non aveva trovato nessuno. Aveva preso possesso della Magione del Governatore, instaurando un regime tirannico, ma non aveva fatto i conti con il tecnico dello spazioporto - che era cugino del nipote della sorella di una Abiik’ad - che fu ben lieto di squagliarsela dal pianeta per farsi sostituire da un infiltrato della resistenza, che fu altrettanto lieto di schiacciare il pulsante che innalzava la cupola di beskar. 

Sul suo esempio, molte altre città di Draboon dotate di muraglie - tra cui Solus - fecero lo stesso, tagliando fuori le guarnigioni di Larse Vizla prima che potessero prendere le loro città. 

La peggio la ebbe il caro Evar Saxon, chiuso dentro la capitale, che fu letteralmente cacciato a pedate, e il vicegovernatore fu colui che assestò il calcio finale, gridando il motto dei Kryze.

Kalevala si sollevò in massa. I Makyntire si rintanarono con le loro bestie nei loro terreni e non si fecero più vivi. I Saxon li seguirono a ruota, soprattutto quando il loro benamato capoclan tornò con la coda tra le gambe a nascondersi tra le mura familiari. 

Il clan degli Awaud, dopo anni di fedeltà ai Kryze, in quella brutta guerra civile aveva cambiato casacca, pensando che il duca e i suoi seguaci volessero dimenticare le tradizioni guerriere, contravvenendo al loro proposito di tutelare e conservare tutte le tradizioni mandaloriane. Con il tempo, però, si erano resi conto di essere diventati semplici vassalli dei Saxon, che spadroneggiavano senza ritegno nei loro territori, e soprattutto non garantivano loro nessun vantaggio da quell’alleanza. Il discorso di Satine, per quanto non potesse convincerli del tutto della bontà delle sue intenzioni, cominciò a risvegliare gli animi di alcuni di loro, che si resero conto di aver fatto un errore di giudizio potenzialmente enorme.

Su Krownest, la città di Sal accolse la delegazione dei Vizla con le ramazze. Stufi di sopportare le loro angherie, l’aria malsana, la carenza di tutele e soprattutto la sospensione del commercio, sentendosi traditi per le promesse infrante, attesero il gruppo al varco. I guerrieri della Ronda erano troppi e ben armati, e ben presto invasero la città, massacrando i rivoltosi. Le acque di Sal si tinsero di rosso, purtroppo, non a causa del pigmento delle alghe che allevavano per colorare i tessuti. I cittadini di Loras, allora, insorsero e accorsero in aiuto dei loro vicini, cingendo d’assedio la città e combattendo fino allo stremo delle forze. Dentro Loras rimasero solo poche persone che, in segno di solidarietà, appesero stendardi bianchi, oppure tutto ciò che avevano con lo stemma della PharmaMandalore, dando aperto sostegno alla riforma sanitaria dei Kryze su cui prima erano stati molto scettici.

Satine non lo avrebbe mai saputo con certezza, ma il massacro di Sal e Loras sarebbe stato l’evento che avrebbe spinto Ursa Wren a prendere una decisione definitiva sulla sfortunata alleanza con i Vizla.

Giorni dopo, quando Inga Bauer li avrebbe contattati di nuovo per aggiornarli sul procedere della guerra, avrebbe riferito, con il solito tatto:

- Ma, Satine, ditemi una cosa: avete mangiato qualcosa di specifico o siete sempre così? No, perché se siete sempre così, dal trono di Mandalore non vi ci schioderanno nemmeno con le cannonate.-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Kyramla buruk: pericolo mortale

Sal: lett. colore, in riferimento alla principale produzione locale

Ori’buyce, kih’kovid: idiom., tutto elmo, niente testa

 

 

NOTE DELL’AUTORE: Mi piace l’idea di una Satine Kryze insensibile alla Forza. Proprio zero. Nemmeno un pochino. Mi piace l’idea che, infatti, la storia la facciano anche e soprattutto coloro che non hanno poteri particolari, anzi, la loro semplice esistenza diventa ciò che è davvero straordinario. 

Allo stesso modo mi piaceva l’idea di collegare la Luce di Mandalore - che ripeto, è completamente inventata da me - a qualcosa di assolutamente umano come le emozioni, con tutto ciò che ne consegue, inclusa la sindrome da burnout e il sentirsi emotivamente stanchi, prosciugati. 

Voi mi direte: “Ma la Luce è un potere particolare”.

E’ un potere particolare, sì, ma fuori da Mandalore e dalla situazione contingente serve un po’ a poco. Non influenza nessuno se non la portatrice, politicamente non serve a nulla. Tutto ciò che Satine fa, lo fa con le sue sole forze, senza usare la Luce.    

La teoria delle bolle giuridiche è una teoria effettivamente esistente e nota a chi ha studiato filosofia del diritto o diritto costituzionale, o diritto pubblico in generale. Qui ne ho dato una mia personale versione.

Non c’è una Via giusta o una Via sbagliata. Non devono avere per forza ragione i Jedi o i Mando. Il bello dello scrivere delle conversazioni tra Obi Wan e Satine è proprio questo: lasciare libera interpretazione al lettore. Forse, la verità non risiede né nell’una, né nell’altra, o forse sì. 

A voi l’arduo compito - se ne avete voglia - di scervellarvi su quale sia la strada giusta da seguire. 

Non potevo non fare menzione della celebre frase della duchessa in The Clone Wars, qualcosa che suonava all’incirca così: “Senators, I presume you’re acquainted with the collection of half - truths and hyperbole known as Obi Wan Kenobi?”

(Sì, l’ho guardata in inglese, non me ne vogliate).

In italiano suona all’incirca così: “Senatori, presumo che conosciate quella collezione di iperboli e mezze verità nota come Obi Wan Kenobi?”.

Insomma, è epica. Dovevo citarla, dai.

Per il resto, che vi devo dire? Mi diverto. Mi diverto a scrivere dei Kryze che mi sono inventata e dei loro amici, che forse sono ancora più suonati del clan stesso. 

Tranne Keldabe. Quella parte non è stata per nulla divertente da scrivere - e presumo nemmeno da leggere - ma è necessaria ed è, naturalmente, il simbolo di quanto l’Uomo possa essere disumano.

Le regole della politica e della tattica che ho esposto sono, naturalmente, mia invenzione, a parte qualche riferimento ad avvenimenti storici che sono avvenuti effettivamente seguendo queste regole, mescolando un po’ di Machiavelli a Giulio Cesare. 

Certo è che, politicamente, questo è uno dei punti di svolta della storia.  

Il prossimo capitolo è… 

Tosto, mettiamola così.

L’avevo detto che, se fosse reale, Obi Wan mi farebbe causa. 

 

Molly. 

 

 

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Capitolo 40
*** 32- La tana ***


CAPITOLO 32

 La tana

 

ATTENZIONE: Alcune immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità. Soprattutto se volete bene ad Obi Wan Kenobi.

 

La notizia che Loras fosse semivuota li rallegrava e li rattristava allo stesso tempo. Satine, soprattutto, sentiva il peso di aver scatenato una sanguinosa rivolta, proprio quando lei aveva sempre voluto l’opposto, la pace. 

A poco erano servite le considerazioni di Obi Wan e Qui Gon in proposito.

- Duchessa, combattete oggi per restare in pace domani. Nei secoli dei secoli, spero.-

- Sono d’accordo, Satine. Hai fatto l’unica scelta che potevi fare, e purtroppo questa guerra non l’hai voluta tu.-

- Ne sono consapevole.- aveva risposto, arrancando sotto il peso dello zaino.- Tuttavia, il fatto che io sappia di non aver avuto altra scelta e di non poter porre immediatamente fine a questo futile conflitto non allevia né il senso di impotenza, né quello di colpa, per non parlare della sensazione di trovarmi dovunque fuorché dove dovrei essere.- 

Poi, tempo dopo, aveva mormorato un mi passerà, aveva tirato su la testa con un sospiro e si era trasformata nella solita duchessa piena di risorse.

Le sue conoscenze si rivelarono utili quando trovarono un grosso jorir squartato nel mezzo del bosco.

Il primo pensiero, purtroppo, fu rivolto agli spettri, e i due Jedi presero a guardarsi sospettosamente intorno, mentre Satine piantò lo sguardo nella terra.

- Non sono spettri, ma questo non significa che ciò che si nasconde in questi boschi non sia altrettanto pericoloso.-

- Che cos’è?-

- Potrebbe essere uno striil. E’ un grosso animale puzzolente come non mai che abbiamo usato per secoli per cacciare. In alcune aree del sistema di Mandalore ancora lo usano, anche se, ormai, preferiamo altri metodi. E’ letale. Il fatto che non vi sia odore, però, mi fa sospettare di un t’ad kovid, un animale a sei zampe, carnivoro e cacciatore. Meglio girargli alla larga. Si arrampica su qualsiasi superficie e, soprattutto, è bicefalo.-

- Abbiamo affrontato animali con ben più di due teste, duchessa. Ce la caveremo anche con questo.-

- Sì, ma è bene che sappiate che le due teste in questione sono una sul davanti ed una sul retro, ed è praticamente impossibile stabilire quale sia quella dominante. Ha la maledetta abitudine di cambiare direzione a seconda di quale testa vuole usare, per cui identificare se sta andando in avanti o all’indietro diventa molto complicato.-

Tutto è complicato, in questo settore.

Obi Wan, tuttavia, preferì non rendere pubblico quel pensiero.

Come Satine aveva predetto, dello striil non trovarono traccia - nemmeno olfattiva - ma il t’ad kovid fu loro presto addosso. Si calò dall’alto, atterrando al suolo con un tonfo e zampettando in modo molto disturbante verso di loro, la fila di denti acuminati sguainata in un sorriso terrificante e pieno di bava. 

Tuttavia, la brutta situazione si risolse con pochissimi danni e un ancora minore dispendio di energie. Mentre Qui Gon distraeva una testa dell’animale, Obi Wan utilizzò la Forza per entrare in contatto con la mente della bestia, confondendolo. Alla fine, tutte e due le teste furono condizionate dalla Forza e l’animale se ne andò di propria volontà, consapevole che di mangiare, quel giorno, non c’era verso. 

Passarono un altro paio di notti allo scoperto, ma non c’erano segni di vita, né degli spettri, né dei cacciatori di taglie. Erano giunti alla conclusione che Reeta Woves avesse deciso di tornare da Larse Vizla e riprogrammare la loro missione.

- Potete stare certa, duchessa, che dopo quel discorso che avete rilasciato il dittatore proverà in tutti i modi ad uccidervi.- 

E come avrebbe potuto essere diversamente? Aveva assoldato i cacciatori di taglie con l’unico scopo di eliminare l’unico ostacolo che si frapponeva tra lui ed il potere assoluto, l’unica che potesse sfilargli il controllo del gioco che stava conducendo su una scacchiera rischiosa, e quella non solo gli era sfuggita per ben sei volte - contando la Fortezza delle Cascate, l’agguato fuori da Kryze Manor, le due imboscate nello spazio e le schermaglie a Solus e nei boschi di Krownest - ma aveva addirittura trovato il modo di metterlo clamorosamente in difficoltà anche nei domini che ormai considerava suoi. 

Se le regole della politica, adattabili al caso di specie, erano effettivamente quelle che Satine aveva elencato, c’erano ben pochi dubbi sul fatto che Larse Vizla avrebbe provato a farla fuori ad ogni costo, visti i risultati.

Con il Mando morto, il trandoshano chissà dove e lo zygerriano che era ormai diventato cibo per spettri, era più che probabile che dovesse ricomporre la squadra dei cacciatori.

La cosa avrebbe mandato Vizla ancora più in bestia.

Stavano meditando sul da farsi quando giunsero alle porte di Loras. La città era chiaramente un polo industriale, ma non trascurava le tradizioni. Le mura non c’erano, ma c’era una porta, un grosso arco adornato che sorgeva in mezzo alle capanne e ai lavatoi. Quel poco che restava della neve aveva coperto le insegne dei Wren, parzialmente visibili sotto la coltre di ghiaccio. I colori sgargianti, le lettere color rubino e le tradizionali decorazioni in legno ricurvo placcate in giallo spiccavano nel grigio della cittadina.

Non c’era nient’altro, se non capanne. Sullo sfondo, invece dei boschi e delle colline, tutto ciò che si vedeva erano grosse caserme di cemento, beskar e vetro, che svettavano sopra i tetti delle umili capanne degli operai. Le insegne indicavano che a Loras si produceva qualunque cosa fosse chimica: colorante, tessuti, impianti di stoccaggio e riciclaggio dei rifiuti accanto a fabbriche di materiali più disparati, che alla fine del loro ciclo vitale sarebbero tornati a Loras, negli impianti di stoccaggio adiacenti. 

In fondo a tutti quegli edifici, ce n’era uno, grosso e ancora parzialmente in costruzione, che spiccava fra gli altri per la modernità della sua struttura e la raffinatezza dei colori, creati ad arte per confondersi con la natura e con l’ambiente circostante.

- Quella è la PharmaMandalore.- disse Satine, indicando il cantiere. 

I due Jedi non erano convinti. 

- Non avevi detto che era pronta?-

- Infatti lo è. Manca solo l’attracco dello spazioporto per i mercantili. Il laboratorio farmaceutico doveva già essere in funzione, ma Larse Vizla non ha la minima intenzione di inaugurarla.-

Quella della sanità era una parentesi che Obi Wan non aveva mai del tutto chiuso. Sapeva che il padre di Satine si era impegnato per riuscire a migliorarla, ma non aveva capito la ragione per cui Vizla, al contrario, avrebbe voluto smantellarla. 

- In verità, è abbastanza semplice, nonché miope.- aveva borbottato Satine, mentre li guidava dentro un vicoletto tra un paio di edifici apparentemente vuoti.- Non si è mai trattato della sanità in sé, bensì di una tattica per delegittimare mio padre. Puoi reggere questo, per favore?- disse la ragazza, passando lo zaino ad Obi Wan e mettendosi a frugare.- L’obiettivo era sfiduciare il Mand’alor con qualunque mezzo. Che proponesse la riforma della sanità o l’istituzione dell’università per i bantha, importava poco. Una volta preso il potere, uff, quanta roba c’è qua dentro! Vizla ha avuto bisogno di controllare la sanità. Serviva che non funzionasse a dovere per poter rintracciare i ribelli e gli oppositori.-

Venne fuori che Satine stava cercando un modo per coprire i capelli. Gli abitanti di Loras avevano quasi tutti la chioma molto scura e dei tratti molto marcati, che lei non possedeva. Non c’era modo di colorarsi i capelli, per cui avrebbe dovuto coprirli. Tuttavia, uno dei colori tradizionali di Krownest era il rosso, e da qualche parte, forse, c’era ancora quello straccio che Obi Wan le aveva rifilato in testa a Solus durante la loro fuga nel deserto. 

Inoltre, andare in giro con la testa coperta da un muso di cervo non avrebbe fatto altro che attirare l’attenzione. C’è una ragazza che va in giro vestita come il Terrore del ghiacciaio del monte Glassa di Zucchero, avrebbero detto, ed era l’ultima cosa che il terzetto voleva.

- Larse Vizla ha promesso ai Wren che avrebbero fatto maggiori profitti con lui sul trono, ma una volta ottenuto il potere ha preferito investire i suoi soldi in armi, secondo una proposta che, tra l’altro, aveva già avanzato in Tsad Droten subendo una sonora sconfitta. I farmaci che i Wren riescono a produrre vengono per la maggior parte destinati ai Vecchi Mandaloriani, lasciando i Nuovi all’asciutto, e non sono sicura che paghi i Wren per questo servigio, sapete? I soldi che erano destinati alla riforma sanitaria sono diventati il prezzo della mia testa, quindi ho seri dubbi.-

Questo, però, sollevava un altro problema, che Satine si era posta, mentre i due Jedi avevano dovuto pensarci un po’ su prima di arrivarci.

Che cosa sarebbe successo se i Wren avessero deciso di chiudere i rubinetti?

- Naturalmente, succederanno due cose, se la contessa Ursa dovesse decidere di schierarsi con noi: innanzitutto, i Vecchi Mandaloriani proveranno a riprendersi tutto quello che pensano spetti loro di diritto, e lo faranno con la forza. Inoltre, vorranno provare ad intercettare quei farmaci prima che vadano a rifornire gli ospedali da campo dei Nuovi Mandaloriani. Poi, ammesso e non concesso che Ursa Wren passi dalla nostra parte e riesca a resistere alle armi dei Vizla, potete stare certi che si rivolgeranno altrove per sopperire alla mancanza di prodotti farmaceutici. A differenza nostra, che possiamo vantare qualche contatto non così ricco, i nostri oppositori hanno un santo in paradiso disposto a sganciare tutti i crediti della galassia.-

La Repubblica, in queste circostanze, vi aiuterà.

Eppure Obi Wan sentì quel pensiero morirgli in gola prima ancora di riuscire a pronunciarlo.

Già, dov’è la Repubblica?

Perché la guerra civile va avanti da un pezzo, ma non mi sembra di aver visto incrociatori a sostegno di Satine Kryze.

Questo era un dettaglio che sulle prime gli era sfuggito, ma lanciando un’occhiata verso Qui Gon non potè fare a meno di scorgere un bagliore di consapevolezza dentro gli occhi del maestro, facendogli capire che, ancora una volta, era arrivato secondo.

Se né Satine, né Inga Bauer avevano mai accennato alla possibilità di ricevere aiuti dalla Repubblica, era perché erano certi che gli aiuti non sarebbero mai arrivati. 

Innanzitutto, perché era evidente che qualcuno da Coruscant stava finanziando i terroristi ed aveva fatto rientrare un gruppo di senatori quando ancora nessuno aveva saputo del colpo di stato in corso. 

Mandalore, però, aveva giurato fedeltà alla Repubblica, nonostante tutto e soprattutto nonostante la sfiducia nutrita dai senatori nei confronti di un popolo guerriero come quello dei Mando. 

Era decisamente meglio avere un popolo del genere come amico, piuttosto che come nemico.

- Quando sono stati conclusi i trattati con la Repubblica, sono certo che fosse stata inclusa una clausola di aiuto reciproco.- commentò il maestro, cercando conferma delle sue deduzioni.

Satine lo guardò complice.

- Quando il buon vecchio prozio Zuppetta concluse i trattati, fece le cose per bene. Il problema è che, a quanto pare, una parte è decisa a non rispettarli, o altrimenti la situazione sarebbe risolta da tempo. Con qualcuno, oltre all’amichetto di Vizla, intendo tutto il senato della Repubblica.-

Obi Wan non aveva la più pallida idea di chi fosse il prozio Zuppetta né del perché si chiamasse così. Tuttavia, anche volendo soprassedere alla questione relativa ai trattati internazionali, la situazione non aveva senso lo stesso.

Nessuno aveva mosso un dito. Avevano considerato la guerra civile alla stregua di un semplice affare interno, ma era una contraddizione in termini, perché nella Repubblica non esistevano affari interni tra pianeti e gli alleati erano importanti tanto quanto un membro effettivo. 

Un corpo unico, prendere o lasciare.

Allora perché nessuno interveniva?

Forse perché Satine non ha chiesto aiuto e la Repubblica aspetta una richiesta formale.

Già, e perché non aveva chiesto aiuto?

All’improvviso, tutta la trama gli apparve chiara come il sole, cristallina come l’acqua, e un profondo senso di sconforto e di disgusto per la politica tutta attanagliò le viscere del padawan.

A parte la sfiducia personale nutrita da Satine nei confronti della Repubblica, la spiegazione, ancora una volta, era meramente strategica.

Lei non ha chiamato nessuno perché teme che, in tal caso, la Repubblica risponderà invadendo.

E questo era qualcosa che i Mandaloriani non potevano accettare. La Repubblica sarebbe arrivata e probabilmente non se ne sarebbe più andata, trasformando Mandalore non in un regno autonomo, bensì in una specie di colonia. 

Si sarebbero trovati commissariati per il resto dei loro giorni.

Ed è esattamente quello che vuole chiunque stia muovendo i fili di questa pantomima.

Chiunque sia, deve essere in alto.

Con l’affermazione che Satine aveva appena fatto, era più che evidente agli occhi del giovane padawan che non fosse soltanto il congiurato a tramare per l’invasione, bensì la Repubblica intera, per il conseguimento di un obiettivo talmente alto da correre il rischio di violare i trattati con un popolo così complesso.

Prendere Mandalore con Larse Vizla o prenderlo senza. Se Satine avesse avuto l’ingenuità di chiamare la Repubblica in sostegno, ben presto il sogno di libertà di Mandalore si sarebbe infranto.

Questo, però, significava anche un altro paio di cose.

Innanzitutto, che Satine non si fidava proprio della Repubblica, ovvero di nessuno che componesse il senato o si trovasse in cariche di rilievo.

Perché?

- Satine?-

- Mh?- fece la ragazza, mentre provava a nascondere l’ingombrante cappuccio della pelliccia.

- Che cosa succederebbe se la Repubblica dovesse stufarsi ed agire?-

Satine gli lanciò un’occhiata fiera e determinata, e forse anche un po’ soddisfatta.

- Adesso capite perché voglio che questo conflitto finisca il prima possibile?-

Invaderanno comunque, richiesta o no.

Poi, osservandosi nel piccolo specchio da toeletta di Obi Wan e dichiarandosi soddisfatta, Satine si incamminò di nuovo verso la strada principale col capo coperto.

Diede un paio di colpi leggeri alla spalla del padawan, sorridendo.

- Pensa sempre più in là del prossimo tuo. Bravo Obi Wan. Manuale del perfetto Mando, capitolo secondo. Vai avanti così e vedrai che arriverai anche al terzo.-

- Quanti capitoli ha questo manuale?-

- Vuoi davvero saperlo?-

- No. Piuttosto vorrei sapere per quale motivo non ti fidi proprio di nessuno all’interno della Repubblica.-

- Obi Wan, tu mi confermi che le decisioni vengono prese con la maggioranza, giusto? E allora, se la Repubblica non si è ancora mossa, è perché la maggioranza è favorevole a non intervenire. Per quale motivo, ancora non lo so. Forse l’amico di Vizla è in alto, forse c’è un interesse più vasto. Certo è che la Repubblica non ha ancora trovato la quadra della situazione. Ergo, o sono profondamente divisi, o sono tutti d’accordo.-

Il terzetto ammutolì e proseguì per la strada maestra.

Non si vedeva un Vizla nemmeno a cercarlo con il lumicino. Le case erano quasi tutte vuote e buona parte di esse avevano le porte sbarrate e le assi inchiodate. Soltanto in alcune occasioni scorsero delle ombre dietro le finestre, mani frettolose che scostavano le tende della capanna e fuggivano di nuovo dentro casa dopo aver sbirciato, quasi avessero paura della strada.

I tre si scambiarono uno sguardo poco promettente.

- Ho una brutta sensazione.- commentò Qui Gon, e Obi Wan non potè fare a meno di annuire.

Incrociarono sul loro cammino una locanda aperta. L’insegna dichiarava che l’osteria apparteneva ad una certa Kot Hohenbauer e Satine fu felice di sentire quel cognome.

- E’ un ramo cadetto della famiglia di Inga, probabilmente sono amici. Possiamo provare a rifornirci da loro.-

L’interno era desolante, polveroso e vuoto. La massaia era una donna imponente dallo sguardo duro ed inquisitorio, e li accolse con l’aria di chi non aveva minimamente voglia di avere a che fare con inopportuni visitatori.

- Jatne Manda.-

- Jatne Manda un corno.-

Ecco, pensò Obi Wan, mentre osservava Satine avvicinarsi al bancone.

La ragazza fece finta di non capire e si sedette al banco, facendo cenno ai due uomini di avvicinarsi.

- Avreste qualcosa di caldo da darci? Fuori fa un freddo becco. Della ne’tra gal, per esempio?-

- A voi sporchi Vizla io non do niente.- disse, sbattendo una mano sul piano di legno, pericolosamente vicino ad una mannaia dall’aria affilata.

Satine alzò lo sguardo, pensosa.

- Vizla? Noi non siamo Vizla.-

- Qui, da fuori, vengono solo quegli sporchi assassini, e tu, bambolina, puzzi di continentale lontano un chilometro.-  

Satine abbozzò un sorriso, l’aria di chi sapeva esattamente cosa fare.

Spero che i Jedi non possano leggere nel pensiero a comando, perché altrimenti sentirebbero tutte le parolacce che sto dicendo in questo momento.

Pensa pensa pensa pensa pensa.

#@*//!

- Avete ragione, sono continentale.- disse Satine, poggiando i gomiti sul piano e provando ad ignorare l’ascia.- Ma non sono una Vizla.-

- E allora chi siete, di grazia?-

La duchessa tese il braccio, e per un attimo di folle panico Obi Wan e Qui Gon temettero che si rivelasse per chi era veramente.

Satine, però, la sapeva più lunga.

- Kyramla Bauer. Sono venuta qua con mio zio e mio cugino per lavorare alla PharmaMandalore, ma è scoppiata la guerra. Ci abbiamo messo un po’ per raggiungere Loras.-

La donna sembrò improvvisamente rasserenarsi e le strinse il polso come si conveniva alla maniera Mando.

- Bauer? Ah, ma io sono parente del nobile clan dei Bauer! Il clan delle Abiik’ade!-

Satine sorrise cordialmente e la donna si lanciò in una serie di improperi contro i terroristi e contro praticamente tutto lo scibile. 

- Noi siamo un clan, cioè, noi qui a Loras, i Wren, sono un clan che è sempre stato alleato dei Vizla. Hanno fatto la scelta di passare ai Kryze con Leera Rau, Lusk e Adonai, che il Ka’ra li abbia in gloria tutti e tre.- 

- Come, scusate? Il duca Adonai è morto?- chiese Satine, facendo del proprio meglio per non balzare dalla sedia.

Obi Wan tese una mano verso la sua e la strinse, non visto.

- Pare di no, che stia ancora facendo loro vedere i sorci verdi su Kalevala, ma nelle condizioni in cui è, poveruomo, dopo la vigliaccata che gli hanno fatto… E lo dico io, che sono abituata a stare con i Wren. Adonai sarà anche stato un pappamolle, ma ci faceva lavorare, ci faceva mangiare. La PharmaMandalore avrebbe portato un sacco di soldi, eh. Ormai, però, è tutto andato al diavolo.-

- Chissà.- fece Satine, alzando le spalle.- Forse Larse Vizla si ricrederà e folgorato sul cammino del Manda spedirà tonnellate di finanziamenti alla PharmaMandalore alla fine del conflitto. O forse vinceranno i Kryze e tutto tornerà come prima.-

- Sarà come sarà, certo è che la contessina deve prendere una decisione prima che faccia giorno. Capisco la storia e la tradizione, ma con la tradizione non si mangia. Il rispetto per l’antico alleato Vizla lascia il tempo che trova, per me, se non ci fa lavorare.-

Poi, allungò loro tre ciotole di roba calda e piccante e una pinta a testa di ne’tra gal. 

I tre, ben rifocillati, passarono allo step successivo.

- Sapete per caso dove possiamo trovare un luogo per passare la notte? Pensavamo di comprarci un karyai o di costruircene uno, ma dati i tempi, temo che non avremo modo di farlo a breve.-

L’ostessa all’improvviso si accigliò.

- Vi ospiterei io, se avessi denaro sufficiente, ma ahimè non ne ho, e dubito che voi, conciati come siete, possiate pagare. Mi dispiace, ma non ho risorse per tenere aperta la foresteria, nemmeno per i Bauer. E poi non si spillano soldi ai parenti.-

- Sapete allora se ci sono altri posti…-

- No. Loras è grandicella, ma non ci viene quasi nessuno, la mia è l’unica locanda. Ci sono dei centri di ricerca abbandonati fuori dalle mura e vicino alla zona industriale, se avete il fegato di andarci, ma io, fossi in voi, lascerei perdere.-

- Che intendete dire?-

- Che ci sono quelle maledette bestiacce in giro. La notte fanno le ronde per le strade. Persino i Vizla hanno preferito tagliare la corda. Stanno arrivando a centinaia e non riusciamo a capire da dove accidenti sbuchino. Mi hanno distrutto l’orto. Non mangiato, me ne sarei fatta una ragione se lo avessero mangiato, capite? Distrutto. Imbrattato di una biascia schifosa che non vi dico. Marcio nel giro di tre giorni e muffa da tutte le parti. Avevo degli animali. Spariti tutti. Ero riuscita a far arrivare persino un eopie, l’ho trovato a brandelli nel cortile. Nessuno dorme più al piano terra. Stiamo tutti su, nelle stanze in alto, ma a loro non importa nulla. L’altro giorno, quando era? Una settimana fa? Insomma, la vedova Perm si è buttata di sotto dal secondo piano per salvarsi. Non le è andata bene.-

Satine sospirò.

- Purtroppo sono dovunque. Li abbiamo incontrati anche noi, nel nostro cammino. Siamo vivi per miracolo.-

- E Vizla preferisce far casino a Keldabe, piuttosto che farli fuori tutti quanti! Bah! Che mondo a rovescio. Mi dispiace, ma la situazione è questa. Provate a chiedere in giro, qualcuno vi ospiterà sicuramente fintantoché dimostrate di non essere Vizla. Qui, li hanno a schifo quasi tutti. Ah, e datemi retta: state lontano dai karyai!-

I tre presero alla lettera l’affermazione. Scomparvero presto alla vista, scivolando tra i vicoli e si diressero verso la zona industriale fuori dalla città. 

L’idea era quella - almeno stando al maestro - di evitare il centro, dove gli spettri facevano la ronda tutte le sere alla ricerca di cibo. Sapevano che sarebbero venuti assolutamente, perché avrebbero trovato sostentamento assicurato. Nella zona industriale, invece, i tre si sarebbero trovati in un luogo dove, almeno in teoria, non lavorava più nessuno e dove, di norma, non avrebbero mai trovato nulla da mangiare.

Perché mai gli spettri sarebbero dovuti andare nella zona industriale di Loras?

Certo, conoscevano bene i karyai ed avevano dimostrato di avere gusti poliedrici in fatto di tecnologie con cui nutrirsi, ma, ancora una volta, quella era una zona priva di prede succulente. Semmai, avrebbero potuto nascondersi là, ma perché? Non gli erano sembrate bestie che tendevano a nascondersi all’asciutto, in nascondigli con un tetto sopra la testa, anzi, parevano sguazzare nell’umido senza timore.

Perché avrebbero dovuto nascondersi tra le fabbriche e scegliere di nutrirsi prevalentemente di schifezze tecnologiche, quando avevano i boschi come riparo e una città intera piena di cibo buono?

Quindi, un cantiere abbandonato sembrava la migliore opzione per trovare rifugio. 

Loras sarebbe stata per loro particolarmente pericolosa anche se non fosse stata invasa dagli spettri. Il maestro, poi, era rimasto particolarmente turbato dalle notizie che avevano ricevuto dalla locandiera. Una signora sui generis, questo era fuor di dubbio, ma con la testa sulle spalle e il cuore al posto giusto, anche se pericolosamente vicino al portafoglio. 

Qui Gon non voleva restare nel sistema di Mandalore un minuto di più. C’erano troppi movimenti politici in atto. La città di Sal era troppo vicina per poter essere ignorata e la PharmaMandalore era un luogo oggetto d’attenzioni da parte dei Vizla. 

Certo, nascondersi in casa loro sarebbe stato il modo migliore per fargliela sotto al naso.

Satine aveva pensato proprio a questo e l’idea non era dispiaciuta ai due Jedi. Il laboratorio era grande, spazioso e soprattutto non controllato. Gli spettri ci avrebbero messo un bel po’ a girarlo tutto, ed attaccarlo singolarmente era praticamente impossibile.

La PharmaMandalore, effettivamente, era enorme, ed Obi Wan trovò uno spreco di denaro e fondi pubblici lasciare una struttura così grande cadere a pezzi. Alcune luci erano perennemente accese, ma dentro non ci lavorava nessuno. La portineria era vuota. Le telecamere a circuito chiuso trasmettevano alla portineria che, essendo appunto chiusa, non registrava e non spediva i video alla centrale di sorveglianza. Le stanze e i laboratori erano puliti e pronti per essere utilizzati, approvvigionamenti inclusi. 

Non c’era nemmeno l’ombra di un’anima, umana o animale.

La parte ancora in costruzione della fabbrica era solo un’ala posteriore, che doveva essere stata adibita a parcheggio e a magazzino, o stoccaggio delle merci, e ad Obi Wan parve di scorgere anche una piattaforma per l’atterraggio dei cargo da trasporto.

Il progetto era stato portato a termine da uno dei più prestigiosi architetti di Mandalore, Seladon, un Nuovo Mandaloriano che aveva costruito alcuni edifici di grido e che aveva riscosso un enorme successo bipartisan quando aveva presentato i primi bozzetti. 

Girava voce che anche Satine e suo padre avessero messo mano al progetto. 

- E quelle voci sono vere?-

- Secondo te?-

- Sì.-

- Ovviamente.-

Satine aveva sorriso sorniona, e con grande soddisfazione si era lasciata andare alla descrizione dell’ambiente dedicato agli uffici, nonché dei materiali per comporre il tetto e le vetrate per non impattare sull’ambiente.

- L’ecologia e la tutela dell’ambiente sono valori della nostra famiglia da secoli.-

Qui Gon ne fu talmente entusiasta che decise di stabilire lì il loro campo base. C’era una grossa officina poco lontano e le luci erano accese. Si potevano sentire ancora i colpi dei martelli. 

- Posso provare a chiedere se qualcuno è disposto a vendermi una navicella spaziale.-

- Non credo che troverete qualcosa degno di essere definito tale là dentro, maestro.-

- Può essere vero, ma credo che sarebbe comunque meglio che restare su Krownest. Posso offrirmi di pagare per le riparazioni, in caso. Meglio restare qua qualche giorno in più che restarci per sempre.-

Obi Wan e Satine si dissero d’accordo e il maestro partì alla volta dell’officina. Tuttavia, non riuscì ad andarsene senza prima aver raccomandato ai ragazzi di dormire ai piani alti, di tenere spente le luci per non attirare l’attenzione, di nutrirsi adeguatamente e di coprirsi per la notte, possibilmente dandosi il cambio per vegliare. 

- E ricordatevi di meditare.-

- Sarà fatto.-

Obi Wan, tuttavia, aveva avuto una brutta sensazione per tutto il loro percorso fino alla PharmaMandalore. Non sapeva descrivere esattamente l’emozione che provava, ma si sentiva profondamente a disagio, come se qualcosa non fosse davvero al suo posto.

- Io non sento niente, ragazzo mio.-

- Non è esattamente nel qui ed ora, maestro, ma…-

- Ah, Obi Wan.- sbuffò Qui Gon, mettendosi le mani sui fianchi mentre lo zaino pieno di suppellettili tintinnava sulle sue spalle.- Tu ascolti troppo la Forza Unificante. Quante volte ti ho detto che quella che fa la differenza è la Forza Vivente? Qui ed ora, ragazzo mio. E’ fondamentale. Se ti concentri troppo sull’Unificante, sentirai tutto. Lo stress della popolazione di Loras, ad esempio. Se gli spettri fanno le ronde notturne, potresti sentire la loro tensione anche se il pericolo non c’è. Sensi all’erta, figliolo, e medita, anche con la duchessa, se vuoi, ma medita. Non c’è niente da temere.-

- Maestro, vi prego, non uscite stasera. Andate domani mattina a prendere la navicella. Non credo che nottetempo cambierà qualcosa…-

- In una guerra come questa, mio giovane padawan, in una notte può cambiare tutto. Statemi bene.- e se ne andò con lo zaino in spalla.

Così, Satine ed Obi Wan rimasero da soli dentro la PharmaMandalore, un casermone immenso parzialmente al buio e, soprattutto, assolutamente vuoto.

- Se non l’avessi fatto costruire io - brontolò Satine, mentre percorrevano il corridoio del primo piano, i sensi all’erta.- Lo giudicherei inquietante.-

- Lo è.- borbottò Obi Wan sottovoce, allungando un braccio indietro e provando a raggiungere le mani di Satine.- Stammi vicino, non sappiamo se qualcun altro si sia nascosto qua dentro. Mi raccomando, parla piano.-

I due procedettero senza troppi intoppi fino al secondo piano, dove c’erano gli uffici direttivi. Lì, Satine lo guidò nell’ufficio della sicurezza, dove le telecamere di sorveglianza mostravano i loro filmati su numerosi schermi ultramoderni. Obi Wan la trovò una grande idea. Se fossero rimasti là dentro avrebbero avuto il controllo su tutta la struttura, senza muoversi dal loro posto sicuro. 

Nonostante l’idea di Satine gli fosse parsa la più ragionevole, Obi Wan sentiva il profondo desiderio di andarsene il prima possibile da lì. 

Gli sembrava fin troppo strano, infatti, che tutta l’apparecchiatura della struttura funzionasse e, soprattutto, fosse accesa. Forse le truppe di Vizla avevano lasciato Loras in fretta e furia e si erano dimenticati di spegnere le luci.

O forse no.

Qui ed ora. Medita.

 

Gli esercizi di meditazione, sulle prime, erano stati strani per Satine, per non dire assurdi. Nelle prime occasioni in cui aveva meditato con Obi Wan, era rimasta seduta con gli occhi chiusi per un buon quarto d’ora, nella speranza di sentire una qualche connessione con la Forza.

Niente.

Le prime due o tre sessioni si erano concluse con una duchessa irritata che sbuffava inviperita, un padawan che si sentiva inutile ed un maestro altamente divertito da quella situazione.

Poi, le cose erano migliorate.

Satine aveva imparato che cercare una connessione con la Forza non serviva a niente, anche perché non ne aveva molta. Ciò che c’era, veniva da sé. Non sapeva se quello che sentiva fosse la magia dei Jedi o meno, ma a lei sembrava assolutamente normale. Ben presto aveva imparato a rilassarsi. Di solito seguiva la voce di Obi Wan attraverso i meandri della coscienza, e lentamente aveva scoperto di trovarsi in luoghi a lei sconosciuti. Beninteso, non aveva le visioni, tuttavia era capace di immaginare, di espandere la propria mente e di condurre se stessa in uno stato di - ehm, chiamiamola così - pace.

Satine, in verità, sapeva ben poco. A lei sembrava di chiudere gli occhi e comportarsi come qualsiasi persona seduta per terra con gli occhi chiusi. C’erano cose, tuttavia, che non poteva vedere o percepire, e a queste pensava il maestro Qui Gon. 

Era sempre rimasto ad osservare le sessioni di meditazione, in disparte, dapprima temendo che la giovane ragazza, in un picco di rabbia, o tensione, o spavento, potesse replicare l’exploit che aveva avuto contro lo spettro e fare del male al suo padawan, un po’ perché era davvero affascinante analizzare l’interazione tra i due ragazzi.

Obi Wan e Satine non se ne rendevano conto, ma, a parte quando litigavano come una coppietta sposata da un secolo, i due parevano essere perfettamente a loro agio l’uno accanto all’altra. Questo, di solito, era un bene. Nelle missioni prolungate, o ami il tuo compagno di viaggio o lo odi, e in quest’ultima circostanza continuare la missione diventa davvero, davvero difficile. Nel loro caso, però, era evidente che il loro rapporto era molto più complicato ed andava ben oltre una semplice amicizia. Beninteso, non facevano niente di male, ma era come facevano quel poco che facevano che lasciava intendere una relazione più profonda. A volte bastava davvero poco: un fugace scambio di sguardi, lo sfiorarsi delle dita di nascosto o una delicatezza sussurrata in un momento di solitudine, convinti di essere abbastanza lontani da sfuggire all’occhio - e all’orecchio - attento di Qui Gon. 

Quando meditavano, però, si innescava un meccanismo unico, qualcosa di speciale che il maestro non sapeva spiegare. Satine, inizialmente frustrata, si era progressivamente rilassata, guidata dalle parole confortanti dei due Jedi. Pian piano, aveva imparato le tecniche base della meditazione, che stava ancora praticando e che sembravano efficaci. Satine non aveva più perso il controllo e, in un’occasione in cui un incubo l’aveva profondamente turbata, Qui Gon l’aveva scorta respirare secondo le tecniche Jedi, e poi chiudere gli occhi e meditare, riuscendo a controllare le sue emozioni.

Tempo dopo, Obi Wan e Satine avevano cominciato a meditare insieme, in particolare prima di dormire, provando a sgombrarle la mente per impedirle di sognare brutti episodi. Quello era stato il momento in cui Qui Gon si era reso conto che le menti dei due ragazzi tendevano praticamente a fondersi insieme. Avevano la tendenza a diventare una cosa sola e ben presto fu chiaro anche osservando la loro aura nella Forza. 

Divenne palese quando, durante una sessione venuta particolarmente bene, aveva potuto scorgere i due ragazzi levitare, tenendosi per mano, Satine avvolta nella Forza emanata da Obi Wan e il suo padawan circondato da piccole spire biancastre, luminose, come se la Luce di Mandalore, servendosi del sostegno della Forza, lo avesse circondato. Non sembrava una minaccia, bensì una forma di protezione, e Qui Gon in quel frangente non aveva potuto fare a meno di chiedersi se la Luce non fosse davvero una forma di energia positiva come dicevano le leggende.

Quella convergenza, tuttavia, aveva un sapore amaro per il maestro. Era forse la prova più difficile che Obi Wan avrebbe mai dovuto affrontare, e non c’erano certezze che sarebbe rimasto con lui e con l’Ordine dei Jedi alla fine di tutto.

Qui Gon non aveva mai desiderato un altro padawan e non gli era mai importato di fare carriera nell’Ordine. Stava bene dove stava e come stava, senza il bisogno di essere inseguito da qualche ragazzo o di inseguire lui stesso ambiziose posizioni nel Consiglio Jedi. Dopo il tradimento del suo primo allievo, aveva giurato che non avrebbe mai avuto un altro padawan, ma Yoda aveva avuto altri piani per loro due, e bene o male questi piani erano andati a segno, con lo zampino della Forza - o forse era stata la Forza, e Yoda ci aveva messo lo zampino, ma tant’è, erano discorsi che lasciavano il tempo che trovavano.

Certo era, però, che Obi Wan era stato tutto fuorché un padawan facile. L’aveva protetto dallo zelo eccessivo del Consiglio, tuttavia il ragazzo aveva dei grossi problemi con l’attaccamento e questo avrebbe sempre giocato a suo sfavore. 

Anche in quella situazione.

Non rimpiangeva di aver preso il ragazzo con sé, tuttavia le sue emozioni potevano portarlo a fare scelte sbagliate, e per Qui Gon questo avrebbe rappresentato l’ennesima delusione.

E, da parte di Obi Wan, non sarebbe stata nemmeno la prima.

Il padawan lo sapeva, eccome, ed era una delle ragioni per cui temeva il legame che si stava creando con la giovane duchessa. Aveva sentito quell’attrazione nei suoi confronti fin da subito, ma la cosa che più lo aveva tormentato da quando quella missione era cominciata era stato il senso di familiarità, di casa che lei era capace di infondere. 

In altre circostanze, in cui il suo corpo aveva agito seguendo il suo cervello autonomo, qualcosa nella Forza gli aveva sempre detto che quello che stava facendo era sbagliato, che indulgere in quelle emozioni era ingiusto.

Con Satine niente sembrava ingiusto.

Provare le emozioni che provava, al contrario, sembrava naturale e assolutamente in linea con i progetti della Forza.

Le sue visioni avevano parlato di lei per mesi, ed adesso che l’arcano era svelato non si erano più palesate. Lei era diventata il mistero da risolvere. Lei e il suo pianeta, così bello e così difficile, lei e le sue tradizioni millenarie che regolavano tutto, ogni aspetto della sua vita. Lei e quel mondo bellissimo che stava facendo di tutto per proteggere.

Restare al suo fianco gli veniva naturale, e la Forza sola sapeva quanto questo lo spaventasse.

Il lato oscuro.

Il Consiglio Jedi.

Deludere Qui Gon, che, nonostante i divieti del Codice, amava come un padre pur temendo di non essere ricambiato.

 

La sessione non durò molto, perché il capo della duchessa cominciò ben presto a dondolare, e solo quando la sua nuca si adagiò sulla spalla del giovane padawan i due si decisero. 

Fecero uno spuntino e si prepararono per la notte.

Obi Wan si assopì un poco, ma i suoi sensi rimasero all’erta. Poteva sentire la duchessa scivolare delicatamente di posizione in posizione accanto a lui, e non mancò occasione di lanciare occhiate sbilenche agli schermi per assicurarsi che andasse tutto bene.

Che spreco, però. Quelle telecamere erano in funzione ventiquattr’ore su ventiquattro e probabilmente neppure il regime se ne serviva per evitare che i dissidenti sfruttassero la struttura, o la depredassero. 

La PharmaMandalore, in quel momento, per il sistema era un costo e basta, quando sarebbe potuta essere una risorsa. 

La notte ormai era inoltrata, quando Obi Wan svegliò Satine per darsi il cambio.

- E’ già ora?-

- Sì. Devo andare in bagno, puoi vegliare un po’? Pensi di poter restare al sicuro da sola per un paio di minuti?-

La duchessa annuì e si stiracchiò, pronta per il suo turno, mentre il padawan si dirigeva alla toilette in fondo al corridoio. 

Gli pareva che fossero passati secoli dall’ultima volta che aveva usufruito di servizi igienici appropriati. Avevano scavato latrine nei boschi ed avevano provato ad ignorarsi a vicenda. Si era sentito molto a disagio e non era mai riuscito a comprendere come facesse Satine con, ehm, le sue questioni femminili. Tutto sommato, però, quella era una domanda sciocca. La giovane donna profumava sempre come una rosa, era sempre pulita e non faceva mai a meno di far loro notare quanto poco civile fosse l’abitudine dei coruscanta di non lavarsi mai quando erano all’aperto.

- Dico, quando andate in campeggio come fate?- 

A poco erano valse le loro rimostranze in proposito del fatto che su Coruscant non si potesse andare in campeggio perché non c’era un solo posto verde, a parte i parchi pubblici.

Ignorare la possibilità di lavarsi in modo appropriato e soprattutto di radersi come si conveniva ad un padawan di tutto rispetto sarebbe stato troppo per lui. Così, dopo essersi sciacquato la faccia con dell’acqua fresca per svegliarsi del tutto ed essersi asciugato con delle salviette che odoravano un poco di polvere, si era già messo a fare progetti sull’impiego di rasoio e schiuma da barba quando qualcosa lo distrasse.

Gli era parso di sentire passi affrettati in corridoio, tuttavia non ne era certo. Espanse i propri sensi nella Forza, sperando di sentire Satine, ma la duchessa era al suo posto, nella stanza della sorveglianza.

In corridoio, apparentemente, non c’era nessuno.

Obi Wan era ben consapevole di che cosa questo volesse dire, e si nascose dietro la porta scorrevole della toilette.

Discretamente, sbirciò fuori, sperando di non essere visto.

In mezzo al corridoio stava lo spettro più brutto che avesse mai visto. Aveva quattro zampe, ma quelle dietro sembravano molto più lunghe di quelle davanti, e si muoveva come se stesse gattonando. Emetteva uno strano gorgoglio e sembrava muoversi come un animale rabbioso, il volto nascosto dalle spalle ricurve. Obi Wan scorse la sua pelle nerastra ed umidiccia, emanante come un fetore di alghe decomposte, brillare sotto le luci ballerine del corridoio. 

Poi, come se la bestia lo avesse sentito, si voltò verso di lui, mostrando il brutto muso da roditore.

O forse no. In quel momento fugace in cui i due si guardarono, Obi Wan ebbe la netta sensazione che assomigliasse più ad una pianta che ad un animale.

Forse si tratta solo di un’altra specie.

Il padawan, con un gesto fulmineo, ritirò la testa dentro la toilette, pregando che lo spettro non si fosse accorto di lui.

Fuori dalla porta non c’era più nessun rumore.

Le questioni erano due: o lo spettro era in agguato, o lo spettro se ne era andato.

Avresti sentito il rumore dei passi.

E fammi sognare che per una volta la Forza me l’abbia mandata buona!

Con grande attenzione, il ragazzo allungò ancora una volta il collo, ed ebbe la brutta sorpresa di trovare il brutto muso dello spettro a pochi centimetri dal suo, mentre puntava la porta con circospezione, pronto ad attaccare.

Non poteva sporgersi, o gli avrebbe tranciato la testa di netto.

Satine.

Lei era nascosta e al sicuro, ma a quel punto Obi Wan non era più certo che per loro ci fosse un rifugio sicuro nella PharmaMandalore. 

Certo, poteva anche trattarsi di uno spettro isolato.

Ma magari!

Inspirò ed espirò. Ripetè l’operazione, mentre i grugniti dello spettro si facevano più profondi. Si concentrò e proiettò nella sua mente l’immagine del corridoio.

Dunque, c’erano tre porte, quattro con la toilette. Due erano uffici direttivi, naturalmente vuoti e tappezzati da pareti di vetro. 

Una era la sala della sorveglianza. 

Uno era il bagno.

Doveva raggiungere Satine e portarla via, magari su, sul tetto.

La vedova Perm si è buttata giù dal secondo piano. Non le è andata bene.

Beh, almeno avrebbero aggirato il problema per un momento e avrebbero provato a contattare Qui Gon, nella speranza che venisse a prenderli volando.

Ecco, c’era quell’estintore, appeso al muro, nella stanza, l’ultima in fondo al corridoio. 

Qui ed ora. Concentrati.

La Forza è con me. Sono tutt’uno con la Forza.

L’estintore cominciò lentamente a muoversi.

La Forza è con me.

La base dell’oggetto ruotò di centottanta gradi.

Sono tutt’uno con la Forza.

E l’estintore cadde nel vuoto con un tonfo sordo.

Lo spettro voltò il capo di scatto e si allontanò, zampettando per il corridoio. 

Obi Wan balzò agilmente fuori dal suo nascondiglio. Non c’era niente in corridoio e lo spettro era troppo distratto dall’estintore per potersi accorgere del giovane che spariva quatto quatto dentro la stanza della sorveglianza.

Ad attenderlo, trovò una Satine ai limiti dell’isteria.

- Stai bene?- le chiese, quando la trovò seduta e quasi tremante di fronte agli schermi.

La duchessa non rispose.

- Suvvia, non fare così. E’ solo uno spettro, ce la caveremo. Abbiamo affrontato di peggio.-

Ma Satine non voleva sentire ragioni. Alzò gli occhi sconvolti sul volto apparentemente rilassato del giovane padawan e con un moto di disperazione spostò lo sguardo sugli schermi.

Obi Wan seguì il gesto ed immediatamente lo rimpianse.

- Forza, sono dovunque!-

 

Solo nel seminterrato se ne contavano dieci. Fuori, in aperta campagna, si vedevano continuamente figure oscure scivolare tra gli alberi, non avrebbero saputo dire quante. Al piano terra, almeno una ventina di spettri passeggiavano indisturbati per i corridoi, nutrendosi di tutto quello che trovavano. La scena più macabra avvenne quando uno di loro trascinò dentro un laboratorio chimico un gatto di Lothal, che fu fatto selvaggiamente a pezzi sotto gli occhi scioccati di Satine.

- Mostri.- sibilò, la rabbia che montava dentro di lei ogni secondo che passava.- Maledetti demagolka!-

Obi Wan le fece cenno di parlare piano. 

Al primo piano, un paio di spettri si stavano azzuffando tra di loro, mentre il resto del branco sembrava non curarsene minimamente. Se ne stavano acquattati dentro un laboratorio, intenti a spulciare tra le sostanze chimiche, quasi a scegliere la prelibatezza migliore.

Non capirò mai che cosa mangiano.

Avevano bisogno di un piano di fuga, ed anche rapidamente, sennonché la prima idea di Obi Wan di fuggire sul tetto si era rivelata ben presto impraticabile. 

Un’allegra famigliola di spettri si era piazzata proprio lassù, fuori dalla porta della scala antincendio, intenta a banchettare con i pipistrelli che incautamente si avvicinavano, attratti dal soffitto color dell’erba e dalle luci di segnalazione per le navi spaziali.

Non potevano salire, ma non potevano nemmeno scendere. 

- Siamo in trappola.-

- Non è ancora detta l’ultima parola.- brontolò Obi Wan, mentre si grattava il mento con le dita, pensieroso.- Restare qua sembra l’opzione più sicura, ma sia io che te sappiamo che basterà uno starnuto a fregarci. Abbiamo i minuti contati e dobbiamo lasciare questo posto il prima possibile.-

Avevano diverse possibilità. Una prevedeva andare sul tetto ed attendere, dopo aver ucciso la famigliola di spettri. Obi Wan sarebbe riuscito ad eliminarne tre, ce l’avrebbe fatta piuttosto facilmente. Meno scontato, tuttavia, era che Qui Gon sarebbe sopraggiunto volando. 

Si trattava di trovare una navicella spaziale a sera inoltrata e probabilmente provvedere alle riparazioni prima dell’alba - dietro negoziazione del compenso per il lavoro straordinario - e pregando che nessuno avesse fatto la spia ai Vizla.

Già così aveva dell’inverosimile. 

Inoltre, c’era anche la possibilità che Qui Gon non fosse riuscito a tornare indietro perché si era trovato nella loro stessa situazione. Con la PharmaMandalore circondata e l’officina nelle stesse condizioni, l’unica cosa che i due ragazzi potevano fare era contare sulle loro sole forze.

Provarono a comunicare con il maestro. Inizialmente, accesero il commlink, ma nessuno rispose.

Poi Obi Wan provò a mettersi in contatto con lui attraverso la Forza, ma era troppo distante per poter comunicare adeguatamente. Intercettò la sua presenza in lontananza, tuttavia fu solo un momento fugace, perché gli scudi mentali di Qui Gon lo rimbalzarono immediatamente indietro.

A quel punto, fu il turno di Satine di fare un tentativo, e se c’era una cosa che la giovane duchessa non accettava era un no come risposta. Si attaccò al commlink ad oltranza, fino a che il buon maestro non prese la chiamata.

- Che c’è?-

- Sono dovunque.- sussurrò Satine, le mani attorno alla bocca per evitare che si sentisse parlare fuori dal loro rifugio.- Siamo circondati!-

- Come? La linea è disturbata, potete parlare più forte?-

- No, non posso! Ci sentiranno! Siamo nascosti nella…-

- Sentite, se non è una cosa di vitale importanza io sto concludendo un affare, ed ho bisogno di calma, pazienza e concentrazione. Qual è il problema?

- Benedetto @#*//!- sbottò Satine, a voce un po’ più alta.- Spicciatevi o ci ammazzeranno tutti! E’ pieno di spettri!-

- Pronto, c’è qualcuno? Pronto?-

La linea cadde definitivamente, lasciando i due ragazzi d’umore misero e nero.

L’altra opzione prevedeva una fuga tradizionale, passando dalla porta fino al piano terra. Restava da capire se sarebbe stato conveniente uscire dalla porta principale o dal retro e attraverso quale via avrebbero avuto maggiori possibilità di salvezza.

Satine, in questo, fu categorica.

- Assolutamente la via frontale. Il retro è pieno di fossi ed avvallamenti, aree di scavo che erano state recintate e che ora, forse, non lo sono nemmeno più. Se ci addentrassimo in quel posto, spunterebbero dal terreno come funghi e noi rischieremmo di troncarci una gamba dentro a non so quale buco. Inoltre, c’è quello speeder abbandonato che mi sembra in buono stato. Potremmo, ehm, prenderlo in prestito.-

Gli pareva che l’obiezione avesse senso.

Come scendere, però?

Salire sarebbe stato più semplice, ma se Qui Gon non li fosse venuti a prendere volando, non sarebbero mai riusciti a fuggire. Sarebbero stati più in trappola di prima, ammesso che non volessero fare la fine della vedova Perm.

Obi Wan azzardò l’ipotesi di scendere per primo, da solo. Satine, con l’aiuto del commlink, avrebbe provato a guidarlo seguendo le immagini delle telecamere di sorveglianza.

Così, però, lei sarebbe rimasta scoperta.

Il tempo gli aveva insegnato a non sottovalutarla, ma tutti quegli spettri erano troppo anche per lei, ed aprire la Luce di Mandalore a Loras significava scrivere a caratteri cubitali Satine Kryze è stata qui ed è la legittima erede al trono di Mandalore.

No, si sarebbero mossi assieme. 

Provarono a memorizzare la posizione degli spettri nei vari corridoi, sperando di non incontrarne nei punti ciechi. Inoltre, provarono ad aggirare i loro nemici passando per zone meno frequentate. La maggior parte di loro sembrava concentrata nei corridoi centrali, mentre pareva trascurare i collegamenti laterali. 

Avrebbero provato a trarre vantaggio dalla situazione.

- Pronta?-

- Pronta.-

 

- Tutto bene, signore?-

- Oh, sì, mi spiace. Ho ricevuto una strana chiamata da mia figlia, non si capiva niente.-

- Saranno state quelle bestiacce. Mangiano di tutto, anche i cavi della connessione commlink.-

Qui Gon alzò un sopracciglio e pregò con tutto se stesso che non fosse così.

- Sono certo che abbia trovato un posto sicuro.-

- Com’è che volete andarvene?-

- In verità, siamo arrivati qua da poco. Ci avevano assunto alla PharmaMandalore, ma è scoppiata la guerra civile e siamo rimasti bloccati a Keldabe.-

Il fabbro, un uomo grosso dai capelli neri e gli occhi a mandorla, scosse il capo.

- Avete fatto un viaggio a vuoto. Qui non funziona più niente. Nessuno può vedere i Vizla, e se la contessina continua così presto molti di noi cambieranno pure clan, anche se non si può!-

Qui Gon si finse uno di loro, brontolando per la mancanza di lavoro, ma il pensiero dei due ragazzi soli dentro la fabbrica lo angustiava ed anche parecchio. Gli era parso di percepire Obi Wan nella Forza, anche se non ne era certo. Se aveva provato a mettersi in contatto con lui su quella distanza, significava che aveva davvero bisogno di aiuto e non aveva tempo da perdere in chiacchiere.

- Vorremmo evitare di rifare il viaggio di andata. Troppi spettri in giro. A questo punto, vorremmo tornare a casa nostra.-

- Ma non avete avuto la notizia? Keldabe è stata distrutta!-

- Lo so, purtroppo abbiamo saputo, ma io e i miei figli abbiamo dei parenti su Draboon e vorremmo provare a cercare fortuna a Solus, o da qualche parte in quei luoghi. Ci serve una navicella spaziale.-

Il fabbro e i suoi dipendenti si erano mostrati subito molto cordiali, e il meccanico si offrì di riparare immediatamente a metà prezzo un aggeggio che pareva una carretta ma che, gli garantiva, sapeva volare ed anche bene.

- L’ultima volta che me lo hanno detto mi hanno rifilato una bagnarola tale da necessitare tre giorni di riparazioni.-

Il meccanico l’aveva guardato con aria maliziosa.

- Si vede che ve l’hanno data quelli di Draboon. Quelli sarebbero capaci di vendere lapislazzulo ai Concordiani spacciandolo per beskar.- 

Qui Gon ammiccò, ammettendo la sconfitta.

- Quanto ci metterete a riparlarla?-

- Mah, direi almeno fino a domani sera.-

- E se vi pagassi a prezzo pieno, potreste rimetterla in sesto entro domani mattina?-

Il gruppo lo guardò con gli occhi sgranati.

Qui Gon alzò le mani.

- Mi dispiace, ma non ci tengo a fare la fine del topo in questo posto desolato. Abbiamo incontrato l’ostessa e non ci ha fatto un bel quadretto.-

Il gruppo fu ancora più stupito da quell’affermazione.

- Kot Hohenbauer vi ha dato da mangiare?-

- Sì, perché?-

- Brutta #@*//! Sono settimane che ci fa fare la fame. Quella è più spilorcia di Ordo il Sordo.-

- Siamo lontani parenti. Bauer.-

Il meccanico si mise a ridere, seguito a ruota dagli altri. 

- Che dirvi? Siete un uomo pieno di sorprese, ma vi posso garantire che gli amici di Kot sono nostri amici. Avrete la navetta per domattina.-

- Non so come ringraziarvi.-

Così, Qui Gon salutò e se ne andò, gli occhi fissi sulla PharmaMandalore e sulle luci di posizione che brillavano nel buio. 

- Scusate, ma dove credete di andare?-

- A casa, cioè, dove ci siamo accampati, perché?-

Il fabbro e il meccanico si scambiarono un’occhiata preoccupata.

- Da solo, al buio?-

- Qualcosa non va?-

- Pullula di schifezze là fuori. Fossi in voi, passerei la notte qui.-

Accidenti.

- Non posso proprio, devo raggiungere i miei figli.- 

Gli operai si lanciarono sguardi poco rassicuranti che innervosirono Qui Gon ancora di più.

- Perché credete che lavoriamo anche di notte?- brontolò il fabbro, scuotendo la testa.- Perché non ci riesce più tornare a casa. Ci andiamo di giorno, e prima o poi quelle bestie maledette si accorgeranno anche di questo e ci faranno fuori tutti.-

Adesso Qui Gon stava veramente sudando freddo.

- I miei figli sono là fuori.-

- Dove avete trovato rifugio?-

- Kot ha detto di non avere risorse per ospitarci. Ci siamo accampati in un karyai abbandonato.-

Era la prima risposta che gli era venuta in mente, anche se l’ostessa aveva detto loro chiaramente di non avvicinarsi ai centri di ricerca. 

L’occhiata amara che il fabbro gli scoccò gli confermò di avere sbagliato.

- Non voglio sembrarvi molesto, messere, ma se avete trovato alloggio nei karyai, a meno che i vostri figli non siano guerrieri più formidabili delle Abiik’ade, voi non avete più dei figli, ormai.-

E questa volta lo sentì bene. Obi Wan stava provando a raggiungerlo nella Forza, e se era riuscito a farsi percepire su una distanza così grande, doveva davvero essere disperato e nei pasticci.

Il suo ragazzo aveva provato ad avvisarlo e lui lo aveva ignorato.

Bontà della Forza, che cosa ho fatto?

- Non esiste.- concluse, scuotendo il capo.- Devo tornare dai miei figli. Dovessi morire con loro. Siamo Bauer. Siamo pieni di risorse. Ce la caveremo. Voglio ancora la navicella pronta per domani mattina e vi pago anche questo speeder, se me lo prestate.-

Il fabbro e il meccanico acconsentirono.

Qui Gon non aveva mai avuto dubbi. Quella gente aveva fame e qualunque credito, anche quello di un condannato a morte, sarebbe andato bene.

Soprattutto se quel condannato pagava profumatamente.

- E sia, messer Bauer, ma se non vi dispiace, data la scelta suicida, preferiremmo vederci corrispondere il compenso in anticipo.-

Anche il cinismo è tipico dei morti di fame.

- Niente di personale, si intende.-

Qui Gon allungò loro un sacchetto di crediti e pregò che l’affare andasse in porto davvero.

- Niente di personale.-

- Vi auguro di riuscire a farcela e di andarvene di qui.- gli disse il meccanico, stringendogli la mano alla maniera dei Mando e dandogli le chiavi dello speeder.- Si muore di fame e di malattia a Loras, e basta. Se non fosse casa mia e se non avessi una famiglia, verrei con voi.-

- Sì.- sbottò il fabbro, più burbero, ma più simpatico degli altri.- Così ti metteresti a vendere fibre di plastica agli Aki - Aki spacciandole per crini di susulurse.-

Il gruppo scoppiò a ridere mentre si mettevano al lavoro, ma il cuore di Qui Gon era precipitato dentro gli stivali.

Bontà della Forza! Che cosa ho fatto!

 

I due ragazzi avevano già strisciato contro un’infinità di pareti, la mano di Obi Wan salda sull’elsa della spada laser e quella di Satine solidamente sull’impugnatura della sua lancia, mentre con le mani libere si tenevano per mano. Il primo ostacolo si manifestò quando uno spettro decise di farsi un giretto lungo la tromba delle scale laterali del secondo piano. In quel caso, però, i due ragazzi ebbero fortuna, perché la luce lampeggiante del soffitto proiettò la sua ombra prima del suo corpo, così, quando la creatura svoltò l’angolo, si trovò con la testa tagliata prima che potesse lanciare ai suoi compari il segnale d’allarme. 

Al momento di attraversare il corridoio del primo piano, la situazione si fece complessa. Gli spettri sembravano non avere nessuna voglia di schiodarsi dalla loro posizione e i due ragazzi furono costretti a percorrere stretti corridoi laterali pieni di ogni ben della Forza, evidentemente in previsione dell’attivazione dei laboratori. 

Obi Wan e Satine si trovarono così a scivolare con circospezione tra materiali da imballaggio, bancali, persino secchi e spazzoloni. I sensi all’erta di Obi Wan intercettarono la presenza di Qui Gon, che sembrava farsi sempre più vicina, ed inviò un segnale d’aiuto con tutte le sue forze, pregando che non venisse rimbalzato indietro un’altra volta.

Tuttavia, ciò che poteva percepire del suo maestro non diede segni di vita.

Se non fosse stato un Jedi, si sarebbe decisamente scoraggiato.

Preferì non dire niente a Satine - che già si sentiva in colpa per aver definito il maestro un @#*//!, ma la paura aveva avuto la meglio sul suo giudizio.

La ragazza continuava a provare a mettere in pratica gli insegnamenti dei due Jedi, ma sotto pressione le riusciva molto difficile sgomberare la mente. Mille pensieri vi si affacciavano, confondendola. Inspirava ed espirava ciclicamente, provando a restare calma.

Non hai scelta. O resti calma, o fai secco Obi Wan.

E tu non vuoi fargli del male.

Tuttavia, la sua meditazione abbozzata fu presto interrotta dalla mano del giovane padawan, che la fermò sul posto, spingendola indietro all’altezza dell’addome. 

I due si guardarono, preoccupati, e con cautela sporsero la testa dietro l’angolo.

Un grosso spettro dall’aria malevola se ne stava seduto per terra, grugnendo e pasteggiando con quello che sembrava un barattolo di vernice bianca. 

Bontà di Nebrod, che schifo!

Satine pensò che con il muso bianco era ancora più brutto che tutto nero, violaceo o verde scuro che fosse. Sembrava davvero malsano, come qualcosa di morto e decomposto da tempo, e forse assomigliava più ad una pianta che ad un roditore. 

Ribadisco, bontà di Nebrod, che schifo!

Lo spettro lanciò un fischio acuto e richiamò i suoi compagni, trovando la vernice, evidentemente, una vera e propria leccornia. 

Presi da panico, Obi Wan e Satine si infilarono nella prima stanza che trovarono, ed il caso volle che fosse un altro bagno.

Dentro, apparentemente, non c’era nessuno.

Con la grazia silenziosa propria solo dei Jedi, il padawan sporse il capo in ricognizione.

- Che stanno facendo?- sussurrò Satine, ben nascosta in un angolo.

- A quanto pare trovano la vernice di loro gradimento.- bofonchiò Obi Wan scuotendo il capo per il disgusto.- Mi sa che vedremo spettri di colori diversi fino a che non ce ne saremo andati da qui.-

Satine fece spallucce e provò a buttarla sul ridere.

- Quando si dice vederne di tutti i colori.-

Obi Wan dovette fare del proprio meglio per non sorridere e si limitò ad alzare con un gesto di impazienza gli occhi al cielo. 

L’umorismo della duchessa sapeva essere peggiore del suo.

Rimasero in ascolto, mentre gli spettri consumavano il loro disgustoso banchetto. Satine in particolare era davvero impaziente di andarsene di lì, ma quello che la preoccupava era un ulteriore dettaglio.

Andare, ma andare dove?

Se il centro città era davvero impraticabile, avrebbero dovuto faticare parecchio per raggiungere l’ostessa Hohenbauer e pregare di farli entrare, dietro il compenso di una fenomenale difesa. L’unica alternativa, in caso contrario, era continuare a vagare e a muoversi, con il rischio di catturare l’attenzione di altre cose nel tentativo di liberarsi degli spettri.

Obi Wan sporse il capo con fare circospetto ancora una volta, e potè vedere il gruppo che, finalmente, sporco di vernice da capo a piedi, decideva di tornare a far visita agli altri nel corridoio principale.

Prese la mano di Satine con convinzione.

- Andiamo, prima che ci ripensino.-

Aveva già percorso più della metà del corridoio, quando lo sentì. Fu come un’onda di calore, una sensazione bellissima che altro non era se non il suo legame nella Forza con il maestro, che gli stava finalmente dicendo di aver capito e che stava arrivando.

- E’ Qui Gon!- disse, rivolto a Satine, il sollievo dipinto sul volto.- E’ lui, sta arrivando!-

Ma il sollievo, purtroppo, durò poco.

Anche con il senno di poi, né lui né Satine sarebbero riusciti a spiegare il curioso fenomeno che si manifestò in quel momento. 

Nessuno dei due, infatti, era passato vicino alla pila di assi di legno in bilico sul lato opposto del corridoio, e nemmeno erano avvenuti vuoti d’aria e spostamenti che avrebbero potuto pregiudicarne l’equilibrio precario.

Insomma, nessuno dei due capì mai come fu possibile che, proprio in quel momento, quando loro si trovavano in mezzo al corridoio e ad un passo dalla salvezza, tutte quelle assi di legno decidessero di sfracellarsi al suolo con un fracasso degno dei coperchi di Maryam quando si addestrava col metodo di combattimento domestico.

Nessuno dei due fu capace di darsi una spiegazione, se non attraverso l’intercessione di una immensa sfi… ehm, sfortuna.

Comunque la si voglia mettere, i due rimasero come congelati sul posto, terrorizzati, gli occhi sgranati che fissavano anche l’ultima asse di legno mentre rimbalzava con un tonfo sordo contro il pavimento imbrattato di vernice.

Dal corridoio provenne un fischio acuto, a cui seguirono dozzine di altri.

- Oh, Forza.- disse Obi Wan, stringendole la mano con tutto se stesso.- Corri Satine, corri!-

 

Qui Gon mandò lo speeder a tutta velocità giù per i boschi, sperando di arrivare in tempo.

Lo hai ignorato ancora una volta.

Testone, se lui ti dice che la Unificante parla, lo devi ascoltare!

Mai una volta che tu sia stato bravo, con la Forza Unificante.

Se muore qualcuno è colpa tua!

Ma il maestro si concentrò, come era sua abitudine, sul qui ed ora, per evitare che il panico e il senso di colpa offuscassero il suo giudizio.

Ne andava della vita della duchessa di Mandalore. Della missione.

Soprattutto, però, ne andava della vita di quel padawan che non aveva mai imparato a rispettare del tutto e che avrebbe meritato molto di più di quanto lui gli aveva dato.

 

Si lanciarono in una corsa a perdifiato giù per le scale, la spada laser di Obi Wan che brillava nell’oscurità e menava fendenti a destra e a manca nel tentativo di aprirsi la strada tra gli spettri, che spuntavano da ogni dove. Ad un certo punto, il ragazzo temette persino che potessero passare attraverso le pareti. Erano dovunque, non aveva nessun controllo su di loro e la Forza era praticamente inutile. 

Il suo sollievo fu enorme quando vide la porta principale e la portineria aprirsi davanti a lui, le scale che giungevano finalmente al termine e la libertà proprio di fronte a loro. 

Come tutte le cose, però, anche quella aveva un retrogusto amaro. 

Con la coda dell’occhio, scorse un gruppo di spettri particolarmente agguerrito risalire le scale dal seminterrato.

Ed erano tanti. 

Con un ultimo sforzo, sollevò Satine da terra, la strinse tra le braccia e poi la lanciò in aria con tutta la forza che aveva. La fece volare, zaini e tutto, sostenendola con la Forza, fin fuori dalla porta, che poi sbarrò con un movimento secco. 

Satine era fuori, libera.

Avrebbe preso lo speeder e raggiunto Qui Gon.

Lui le avrebbe dato il tempo per scappare.

Lo schema era chiaro, ma Satine non era molto collaborativa. Era rimasta fuori dalla porta, il volto terreo e la consapevolezza negli occhi, mentre guardava Obi Wan che le faceva cenno di andarsene.

- Via, va’ via!-

- No!-

- Qui Gon è qua! Vai!-

- No! Apri!- e la duchessa, sempre così composta, prese a dare pugni e calci alla porta, sperando che il paletto cedesse.

Obi Wan, però, non aveva intenzione di permetterle di entrare. Non con tutti quegli spettri in giro. 

Ce ne erano troppi per uno solo, ed il giovane padawan era perfettamente consapevole di questo. Tuttavia, sapeva anche che Satine era la sua missione, che non poteva assolutamente fallire.

Lei salverà questo sistema.

Lei porterà la pace.

Lei è quella giusta.

La mia vita è un prezzo congruo da pagare.

Per questo la Forza mi ha portato qui.

Così, diede le spalle alla giovane duchessa disperata e prese a menare fendenti, pregando affinché Satine se ne andasse. 

Un colpo a destra, a sinistra, uno alle spalle e poi di nuovo di fronte. Non poteva perdere un colpo e doveva contare solo sui suoi sensi. Osservava tutto, persino i riflessi nelle pareti di vetro, se potevano dargli un vantaggio. Arti, teste e membra erano cadute ai suoi piedi con facilità, come grano mietuto, ma per ognuna di quelle vittorie arrivavano altri predatori, un numero impressionante, e ben presto ebbero la meglio sul giovane padawan.

Non ne vide uno, e quando se ne accorse fu tardi. Alla sua sinistra, uno spettro su quattro gambe spuntò da sotto il corpo di un suo compare e lo attaccò al fianco, mordendolo con forza.

Obi Wan urlò, con tutto il fiato che aveva in gola. Per un momento, il mondo attorno a lui scomparve e si perse nel dolore.

Ma fu solo un attimo. 

Che stai facendo?

Sbatté le palpebre e con un solo gesto fluido decapitò la bestia che si era accanita sul suo fianco, lasciandolo a guardare consapevole il mix di sangue e carne che impregnava la sua tunica. 

Soltanto per quella ferita sarebbe stato spacciato, lo sapeva, ma avrebbe venduto cara la pelle.

Se c’è una cosa di cui potrò andare fiero, una volta che sarò tutt’uno con la Forza, è di essere rimasto loro sullo stomaco. 

Continuò a combattere, ignaro della duchessa disperata che continuava a piangere e a gridare, colpendo la porta con tutte le sue forze per riuscire ad entrare. 

Sbatté le palpebre per schiarire la vista appannata.

Che cosa mi sta succedendo?

Un fendente frontale, uno a sinistra, e lasciò scoperto il fianco destro, dove uno spettro affondò i denti nel suo polpaccio e tirò forte, trascinandolo a terra con un grido.

Ben presto li ebbe tutti addosso. Uno lo graffiò alla spalla, l’altro alla gamba sinistra. Uno lo colpì alla testa con una zampa, ed Obi Wan lo infilzò senza troppe cerimonie con la spada laser. 

Da sopra il suo cadavere, con un balzo formidabile, uno spettro si lanciò verso la testa di Obi Wan, ma lo mancò, ed aggredì la sua gola, straziando le carni sopra la clavicola.

Ed il giovane, valoroso padawan cadde. 

Si accasciò a terra, sfinito, sotto il peso di quegli animali diabolici che ben presto avrebbero banchettato con la sua testa.

Facevano sempre così, no? L’ultimo colpo sfigurava la vittima. Cancellava con un solo morso le funzioni cerebrali, distruggeva i lineamenti del viso.

Infatti, uno di loro si arrampicò sopra di lui, e rimase a fissarlo con i suoi occhi ferini, bui e neri, senza pupille, come voragini nel terreno.

Come le voragini delle sue visioni.

Si rifiutò di chiudere gli occhi. Avrebbe visto la luce e il mondo fino all’ultimo, almeno per quanto riusciva a vedere. Si sentiva girare la testa e grosse macchie nere avevano invaso il suo campo visivo.

Forse, era così che ci si sentiva in punto di morte. Non si sente più niente, nemmeno dolore. Si ha solo una gran voglia di dormire. 

Sentì il profumo dei capelli di Satine nelle narici mentre lottava per mantenere gli occhi aperti, e pensò a quanto sarebbe stato bello baciarla, toccarla, averla come non aveva mai avuto nessuna prima, come i suoi compagni avevano fantasticato molte volte per altre donne, senza regole, senza Codice, senza leggi. 

Pensò a quanto sarebbe stata bella la vita se avessero potuto vivere insieme per sempre, senza guerre civili, senza Ordine dei Jedi, senza regno. Avrebbero avuto bisogno soltanto di una casa, un susulur. Magari avrebbero avuto dei figli ed avrebbero discusso su quale assomigliava a chi. Lei ha i tuoi capelli, lui il tuo naso, no, i tuoi occhi. 

Gli parve quasi di vederlo, e pensò che era un bel modo di morire, con quell’immagine negli occhi, lui e Satine davanti al fuoco con i loro figli accanto, e pregò che la Forza gli desse la possibilità di continuare a vivere quel sogno per l’eternità.

Osservò il mostro aprire l’ugola nera e mettere in mostra una fila di aguzzi denti bavosi.

 

Qui Gon inchiodò, l’orrore negli occhi, mentre sentiva il legame con il suo padawan scomparire nella Forza.

No.

Solo una flebile forza vitale, un leggero battito rimase nell’aria, sospeso, e per un momento il maestro temette che un colpo di vento potesse portarglielo via.

E’ tutta colpa mia.

Rimise in moto, mentre allargava il collo del mantello, improvvisamente troppo stretto.

Obi Wan non poteva morire così.

Sto arrivando, figliolo, ti prego, resisti!

 

Gli spettri rimasero a guardare stupefatti il loro compare, infilzato come un pollo allo spiedo su una lunga lancia di beskar scintillante.

Poi, come un sol uomo, si voltarono a guardare Satine, in piedi sulla soglia, il pugnale in una mano e la sciabola al plasma nell’altra, pronta alla pugna. 

Mano a mano che le forze di Obi Wan si andavano dissolvendo, anche la presa della Forza sulla porta era venuta meno. Satine, con un colpo più forte degli altri, era riuscita a sfondare il paletto, e non ci aveva pensato su nemmeno per una frazione di secondo prima di far scattare la lancia, rotearla nel palmo e lanciarla contro lo spettro che stava per sbranare Obi Wan attaccandolo al volto.

Satine si stupì persino della sua stessa reazione, così differente da quanto si sarebbe aspettata. 

Panico, odio verso se stessa, senso di vuoto, sentirsi inerme. 

Al contrario, tutto ciò aveva lasciato il posto alla fermezza. 

Non ebbe paura di se stessa e non la ebbe nemmeno quando, incedendo nel mucchio di spettri e scivolando sul sangue, conficcò il coltello nel corpo di uno di loro.

Non ebbe paura nemmeno quando afferrò la spada laser dalla mano inerte del ragazzo e la accese con uno sfrigolio metallico. 

Del resto, Satine non aveva intenzione di combattere. No, voleva solo farla finita il prima possibile. Prendere Obi Wan e portarlo via, in ospedale, dove avrebbe potuto essere salvato.

Le implicazioni di quella decisione non le passarono nemmeno per l’anticamera del cervello. 

Le false identità, avvisare Qui Gon, le potenziali spie, i Vizla da tutte le parti, per non parlare della fallita riforma della sanità. 

No, ad essere proprio onesti non ci pensò nemmeno. 

Aveva tutto sotto controllo, come era stato quando suo padre era caduto vittima dell’attentato con il jaro, o come quando l’avevano aggredita alla Fortezza delle Cascate. 

Aveva tutto sotto controllo, come quando aveva incastrato Reeta Woves al picco roccioso, prima del disastro. 

Aveva tutto sotto controllo.

Anche se stessa.

Perché in quel momento Satine non provava emozione alcuna. Il panico e la disperazione avevano lasciato il posto ad una calma gelida, fredda. Come se avesse avuto un sasso al posto del cuore. Non c’era più niente, se non il bisogno di far prevalere la vita sulla morte, la luce sul buio, la bellezza sull’orrore, e non c’era nient’altro sulla faccia della galassia che potesse testimoniare la vittoria del bene sul male più del giovane che in quel momento giaceva quasi incosciente, con lo sguardo perso nel vuoto, accanto agli stivali insanguinati della duchessa.

Per permettere, però, che i buoni trionfassero sui cattivi, Satine aveva bisogno di tempo, che non poteva perdere con trucchi di giocoleria contro gli spettri, lanciando coltelli e mulinando spade in aria. 

Il gioco è bello quando dura poco.

Così, Satine, dopo aver menato fendenti sufficienti a restituirle un po’ di spazio vitale, spense la spada laser, raccolse la sua lancia e il suo coltello e si inginocchiò sul corpo del ragazzo. 

Obi Wan sarebbe sopravvissuto, oh, sì, parola di Satine Kryze di Kalevala.

Erano gli spettri, che sarebbero morti quella sera.

E Satine non chiuse nemmeno gli occhi quando, sospirando in cerca di pace, esplose in un lampo di luce bianca.

 

***

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Yllium Kryze Il Diplomatico, detto anche “Zuppetta”

Fratello maggiore di Gerhardt Kryze il Legislatore - nonché uno dei pochi fratelli Kryze rimasti in vita al termine del conflitto con la Repubblica - fu un grande stratega e un diplomatico al servizio del clan. Durante la guerra servì valorosamente al fianco del Mand’alor e, alla caduta di quest’ultimo, al fianco del popolo Mandaloriano. Accolse con ardore le istanze di pace provenienti dalla sua gente e concluse efficacemente i trattati di pace con la Repubblica. La redazione di tali trattati fu svolta con una qualità talmente solida da restare in vigore per secoli, fino alla tragica caduta dell’ultima duchessa di Mandalore e la decisione da parte della duchessina Bo Katan Kryze di cercare aiuto contro il Sith Darth Maul attraverso l’invasione della Repubblica. 

Svolse l’attività di Reggente fino ad età avanzata, quando il sistema fu pronto ad accogliere suo fratello Gerhardt come Mand’alor. Il suo soprannome, “Zuppetta”, deriva dalla sua abitudine di fare colazione sempre con la solita pappa, un misto di cereali, avena, frutta secca, bacche, pezzi di frutta fresca, cioccolato, miele e soprattutto una bella spruzzata di rum corelliano.

 

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Striil: animale carnivoro a sei zampe estremamente intelligente e capace di combattere. La sua natura di predatore lo rende un ottimo strumento per la caccia. I Mando dicono che abbia un odore tremendo. 

T’ad kovid: lett. due teste, un predatore a sei zampe estremamente micidiale dotato di due cervelli autonomi governanti lo stesso corpo 

Kot: lett. gloria, qui usato in senso di nome proprio

Kyramla: lett. mortale, letale, qui usato in senso di nome proprio

 

NOTE DELL’AUTORE: Solo dopo averla scritta tanto tempo fa, mi sono resa conto che la fuga dalla PharmaMandalore ricorda un po’ la fuga dal laboratorio di Hawkins di Stranger Things. Ormai avevo scritto il capitolo ed ho ritenuto di tenerlo com’era nato, nella sua versione originale. 

Le differenze sono comunque molte: gli spettri non sono demogorgoni, quest’ultimi non si nutrono di vernice, la casa farmaceutica non è una porta mostruosa su un altro mondo parallelo ed Obi Wan non è Bob Newby, tant’è che - com’è ovvio - sopravvive. 

Solo sotto un certo aspetto i nostri spettri assomigliano ai demogorgoni, ovvero condividono alcuni tratti somatici con le piante. E’ un piccolo indizio, ma - per chi tra voi ha deciso di cimentarsi nella caccia alla razza degli spettri - potrebbe essere addirittura risolutivo.

Inoltre, la fuga era funzionale sotto un duplice profilo. Questi due disgraziati prima o poi si dovranno pur innamorare sul serio, tanto da restare uniti una vita intera: farsi male significa curare, e curare significa condividere una delle parti più intime e private di se stessi. E poi, per lo svolgersi della storia, avevo assolutamente bisogno che Satine aprisse la Luce a comando. 

Per cui, ho lasciato il capitolo così. 

Il t’ad kovid, la bestia a due teste che incede sia in avanti che indietro, è una mia invenzione ed è ispirato ad un cane robotico che mi è capitato di vedere. Una roba davvero inquietante.

Allo stesso modo, l’architetto Seladon è una mia invenzione e il suo nome è un omaggio a Dark Crystal: Age of Resistance di Jim Henson. Una serie molto particolare, ma che consiglio assolutamente. 

Inoltre, non potevo non citare la celebre frase, I have a bad feeling about this.

Ho una brutta sensazione.  

I vostri feedback sono sempre ben accetti!

 

Molly.

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Capitolo 41
*** 33- Per amore ***


CAPITOLO 33

 Per amore

 

ATTENZIONE: Vi darà sui nervi.

 

Sfrecciò a tutta birra fuori dalla PharmaMandalore, per quanto il peso morto di Obi Wan la rallentasse. Sentiva il cuore batterle forte nel petto, irregolare, come se perdesse colpi sotto lo sforzo di muovere quel corpo che giaceva sulle sue spalle e le impregnava i vestiti di sangue. 

Lo speeder si stava avvicinando sempre di più, e così facevano anche i fischi accaniti degli spettri, i pochi sopravvissuti alla strage che aveva appena compiuto in portineria. 

Di solito la Luce la stancava, la sfiniva. Adesso, invece, si sentiva perfettamente normale, come se non fosse accaduto niente. Immaginò che fosse colpa dell’adrenalina e della paura, che aveva cancellato non solo ogni forma di stanchezza, ma anche il peso di quel corpo che giaceva sulle sue spalle e la vista terrificante della mano pallida e inerte che cadeva di fronte a lei, gocciolando sangue lungo la strada.

Resisti.

Salì sullo speeder e solo in quel momento si guardò indietro.

Se era stata convinta di aver fatto una strage, in quel momento ci ripensò. Arrivavano da tutte le parti, a decine, a quattro zampe o su due, a bocca aperta o digrignando i denti, alcuni ancora sporchi di vernice. 

Satine sedette ed adagiò Obi Wan di fronte a lei, stretto tra le sue braccia.

Sentì un respiro flebile accarezzarle il volto.

- Resisti, Ob’ika.-

Le chiavi dello speeder, prevedibilmente, non c’erano, ma per Satine non era un problema. 

In altre circostanze si sarebbe sentita irritata dallo sguardo canzonatorio del ragazzo.

Esattamente, dove hai imparato ad avviare uno speeder senza chiavi?

Ignorò la voce del padawan nella sua testa e continuò a far scintille, strusciando tra di loro i cavi sotto il volante.

Il motore sussultò e si spense.

Satine ci riprovò.

Che ti hanno insegnato in quella Scuola di Governo?

La duchessa continuò a sfregare i cavi assieme, brontolando ed incitando la Forza ed ogni divinità tra i denti, mentre i fischi degli spettri si facevano più vicini. 

Il motore partì, rombando.

Sì!

Ingranò la marcia e partì, l’aria fresca che le pervadeva il volto e faceva volare nelle pieghe del suo collo i capelli rossi di Obi Wan intrisi di sangue, piccole gocce che si schiantavano direttamente sul volto della duchessa.

- Obi Wan, ho bisogno che tu collabori. Devi restare cosciente. Se non riesci a parlare, ti prego, stringimi la mano, o dammi un segno di vita, uno qualunque!-

Obi Wan rimase immobile e questa volta Satine sentì il panico pervaderla.

Non era una sciocca. La gente moriva per molto meno. Le sue ferite erano gravissime e c’erano alte probabilità che non superasse la notte. Tuttavia, sentiva di dover tentare, e si stupì molto quando lo sentì stringere la mano attorno al suo ginocchio.

C’era ancora. Debole, ma vivo.

Satine notò con la coda dell’occhio un blaster abbandonato nella tasca interna dello speeder, sotto il volante, e nello specchietto retrovisore vide un branco di spettri lanciati all’inseguimento che stavano guadagnando terreno. 

Non ci pensò due volte.

Si chinò per afferrare il blaster, ma uno di loro si avventò su di lei e cercò di morderla con violenza.

Satine accese la spada laser di Obi Wan lo trafisse immediatamente, lasciandolo sulle rocce e sul muschio. 

Si affrettò ad afferrare il blaster e sparò un paio di colpi in direzione degli spettri più vicini, uccidendoli all’istante, ma il problema erano quelli che li stavano tallonando, troppi per una persona sola. 

Se non fosse riuscita a sfuggire dalle loro grinfie in tempo, sarebbe stata la fine per entrambi.

Sorpassò a tutta velocità una grossa cisterna e un’idea le balenò alla mente. 

Era pericoloso e l’onda ad urto avrebbe potuto fare del male sia a lei che ad Obi Wan, ma di certo avrebbe guadagnato tempo e posto fine a quella caccia pericolosa. 

Tenne in equilibrio il padawan e lasciò il volante con la mano sinistra.

Mirando nello specchietto, puntò il blaster alle spalle, verso la conduttura che collegava il generatore alla cisterna di gas liquido. 

Sparò una prima volta e danneggiò il tubo. 

Sparò una seconda volta ed innescò l’esplosione. 

La deflagrazione fu imponente e rischiò quasi di ribaltare lo speeder. Satine fece un mezzo miracolo tenendo la vettura sulla strada e reggendo Obi Wan in equilibrio sulla seduta. Rimase a guardare, per un secondo, la PharmaMandalore che bruciava, i fischi disperati degli spettri che cercavano invano di fuggire alle fiamme. 

Tutto ciò che Satine sapeva, però, era che il respiro flebile di Obi Wan sulla sua guancia si stava facendo sempre più lento e sempre più leggero.

Stava morendo e, se non si fosse spicciata, sarebbe morto di sicuro. 

Ingranò la marcia e sparì nella boscaglia, con la mano sul blaster e i sensi all’erta.

 

Quando il generatore esplose, Qui Gon inchiodò una seconda volta e pensò che fosse veramente finita. 

Tuttavia, il rumore di un motore in avvicinamento catturò la sua attenzione, e il suo sollievo fu immenso quando scorse la figura della duchessa alla guida di uno speeder. 

Almeno lei era riuscita a salvarsi.

Non gli era sfuggito, però, che la ragazza era coperta di sangue dalla testa ai piedi, e che reggeva tra le mani un blaster e un fagotto di panni che non aveva una forma definita, ma che lasciava dietro di sé una strana sensazione familiare nella Forza.

Obi Wan. 

Ingranò a sua volta la marcia e tenne dietro alla ragazza.

 

- Vi prego, aiutatemi!-

Non aveva perso tempo. Aveva quasi lasciato cadere lo speeder a gambe all’aria e non si era minimamente curata del mezzo quando aveva saltato il sedile e si era scapicollata dentro il primo soccorso dell’ospedale reggendo Obi Wan sulle spalle. 

All’interno non c’era quasi nessuno. C’era un uomo in barella che si lamentava, chiamando aiuto, ma non aveva ancora ricevuto alcun trattamento. Una fila di persone si snodava fuori dalla sala del commiato, ma la ragazza non ci badò. Scheggiò a passo spedito verso il triage, sperando di ricevere assistenza immediata.

- Sta morendo! Chiamate un medico, presto!-

La donna dietro il triage si stava limando le unghie, una boccetta di smalto colorato aperta sulla scrivania. Satine rimase in piedi di fronte a lei, in attesa che finisse di nettarsi l’unghia.

La cosa le dava già sui nervi.

Inspira, espira.

La donna alzò gli occhi e la squadrò dalla testa ai piedi.

Poi, riprese a limarsi le unghie.

- Che cosa è successo?-

- Un branco di spettri. Mio cugino è gravemente ferito, ha bisogno di una barella e di un intervento immediato.-

Alla parola spettri la donna alzò lo sguardo e le sopracciglia sottili schizzarono fino all’attaccatura dei capelli.

Poi sogghignò e scosse la testa, i boccoli biondi cotonati che volavano da tutte le parti.

- E pensate davvero che vi creda? Ehi, tu, chiama le guardie, ne abbiamo un altro da Sal!-

Satine la guardò confusa.

- Sal? Che c’entra Sal! Noi veniamo da Loras, e siamo…-

- Senti carina, inventane una migliore, d’accordo? Nessuno è mai sopravvissuto ad un attacco degli spettri. Vi siete illusi di poter fare la guerriglia e adesso ne pagate le conseguenze.-

La ragazza sgranò gli occhi ed avrebbe tanto voluto mettersi ad urlare.

- Senta, non so un bel niente di che cosa sia successo a Sal, ma se mi date una barella, potrete vedere da sola che mio cugino presenta segni di morsi. Ed invece di chiamare le guardie, per le mutande sudice di Kad Harangir, chiami il dottore! Il chirurgo! Chi c’è in turno, stasera?-

- Nessuno. E’ domenica.-

Se non le avesse avute così impegnate a reggere il peso di Obi Wan, a Satine sarebbero cadute le braccia.

- E’ uno scherzo. Ditemi che state scherzando.-

L’infermiera sembrava sul punto di mettersi a ridere, ma la duchessa aveva voglia di tutto fuorché di perdere tempo.

- Bene, non mi date una barella? E sia. Lo visiterete sul pavimento.-

E detto questo lo adagiò a terra, tenendo una mano costantemente sotto la sua testa per proteggere la nuca.

L’infermiera, questa volta, fu costretta a guardare e fece una smorfia di disgusto di fronte ai segni dei morsi. 

- Per Nebrod, che accidenti gli è successo?-

- Ve l’ho detto, spettri! Chiamate il medico, adesso?-

La donna la guardò, scettica, come se la stesse soppesando. Alla fine, schiacciò il tasto dell’interfono e parlò con qualcuno dall’altra parte della cornetta.

- C’è un codice zero otto sette, per favore, mandate qualcuno.-

Ma Satine non la ascoltava più. Il viso del padawan si era fatto terreo, ancora più cinereo di quanto già non fosse. Persino le labbra, che erano violacee già quando erano partiti dalla PharmaMandalore, erano diventate di un malsano colore blu grigiastro che non prometteva niente di buono.

Strinse il polso tra le mani, ma non sentì niente.

Prima che il panico la assalisse del tutto, poggiò l’orecchio sul torace, alla ricerca del battito del cuore.

Questa volta lo trovò, flebile e saltuario, ma ancora lì. 

- Che cosa devo fare per avere una barella, adesso?-

- Chiedetela alle guardie dei Vizla.-

- Che accidenti c’entrano i Vizla? Non siamo rivoltosi, siamo stati attaccati dagli spettri!-

- Qui tutto passa dai Vizla. Vedete quello là?- disse la donna, indicando l’uomo che Satine aveva notato entrando.- Sono tre giorni che è qua. Faceva il contadino a Sal, allevava krill per ricavare il Rosso di Krownest. Si è trovato in mezzo agli scontri e le ha prese di brutto. Non c’entrava nulla nemmeno lui, stando a quando ha detto, ma per i Vizla sono tutti colpevoli.-

Satine sospirò. 

- E noi, di grazia, di che cosa saremmo colpevoli?-

- Che ci facevate con gli spettri?-

- Sarebbe più corretto chiedersi che cosa stessero facendo loro con noi.-

La donna la guardò come se non gliene potesse importare di meno e ricominciò a farsi le unghie.

Satine era ancora in ginocchio per terra, accanto al corpo esangue di Obi Wan, quando il medico arrivò.

Era un uomo di grossa stazza, spalle larghe e ampio girovita, a cui il camice andava stretto. Tuttavia, aveva una luce negli occhi che lasciava ben sperare. 

Sembrava competente.

- Vi prego, aiutateci.- disse Satine, quasi allo stremo delle forze, mentre continuava a reggere la testa del ragazzo per aiutarlo a respirare.- Non ce la fa più.-

Il medico si chinò accanto a lei, le sopracciglia cespugliose e scure come i suoi capelli radi, aggrottate e pensierose.

- Che gli è capitato? E per quale accidenti di motivo sono stato chiamato per un’emergenza sulla sicurezza?-

Satine scosse il capo e sospirò.

- Spettri. Arrivavano da tutte le parti. Abbiamo combattuto, ma lui ha avuto la peggio.-

- Dottore, ho chiamato la sicurezza…-

- Perché? Questo ragazzo ha solo bisogno di un buon chirurgo e di una vasca di bacta.-

- Dicono di venire da Loras, ma sappiamo tutti che il problema adesso è a Sal, e…-

- Gli spettri sono da tutte le parti, signora Paguur.- le disse il medico, scostando i capelli intrisi di sangue dalla fronte di Obi Wan.

Con orrore, Satine si rese conto che aveva posato lo sguardo sulla treccia da padawan che pendeva al lato del collo, e che la stava soppesando con interesse.

Avresti dovuto togliergliela.

La spada laser, invece, era al sicuro dentro i suoi bagagli, abbandonati sullo speeder mezzo rovesciato fuori nel parcheggio.

Non hai avuto tempo.

- Chiamate il chirurgo, qui c’è bisogno di un intervento immediato.-

- Non verrà, è domenica.-

- Tecnicamente la mezzanotte è passata da quasi sei ore, signora Paguur. Si chiama turno di notte. Se non viene, è licenziato. Lo chiami e me lo passi, per favore. Parlerò io con lui.-

Quindi non era domenica, bensì lunedì mattina presto, e c’era anche chi era recalcitrante a perdere il sonno per espletare le mansioni previste dalla professione che aveva scelto.

Ah, ma quando sarò Mand’alor…

- Intanto, una barella. Dico, una barella!-

- Ma i Vizla…-

- Signora Paguur, per favore! I Vizla potranno anche fare il bello e il cattivo tempo, ma dentro questo reparto comando ancora io, e finché io resto ai vertici, mi spiace, ma nessuno verrà curato per terra. Non penso che ai Vizla cambi molto se il ragazzo sta sul pavimento o no, non le pare?-

La donna alzò le spalle e se ne lavò le mani una volta che gli ebbe passato il commlink, dedicandosi a mansioni più interessanti come laccarsi le unghie di viola.

Satine schiumava di indignazione, ma era talmente stanca ed assorbita dal ragazzo tra le sue braccia che rimandò la ripassata a più tardi.

Il padawan esanime fu caricato su una barella grazie ad uno sforzo collettivo. Ci vollero quattro persone per evitare che cadesse letteralmente a pezzi. Due ai lati lo tenevano per la tunica, mentre il medico reggeva le gambe e Satine la testa per evitare di fare danni maggiori. Nonostante tutto, la spalla si mosse troppo e prese a sanguinare come una fontana.

- Di sicuro la succlavia.- commentò il primario.- Serve qualcosa per suturare, adesso!-

Ma per suturare non c’era niente. Presa dalla disperazione, Satine afferrò una fascia di plastica dalla scrivania della signora Paguur, con grande sdegno di quest’ultima, e la passò al dottore, che la guardò con stupore.

- Ottima scelta!-

Il chirurgo, in compenso, arrivò sbadigliando un quarto d’ora dopo e lanciò un’occhiata sbilenca ad Obi Wan prima di commentare.

- E mi avete chiamato per questo qui?-

Satine ed il primario annuirono come un sol uomo.

- Ma siete ammattiti? Questo è spacciato. Mi avete svegliato per nulla. Vi avevo detto di chiamarmi solo per casi gravi.-

- Più grave di questo?- chiese Satine, incredula, le braccia allagate in segno di rassegnazione.

- Questo è anche troppo grave. Ripeto, questo è morto. Non ha bisogno di aiuto medico, ma di un buon sacerdote. Lasciatemi in pace.-

Il primario sospirò e poi fece cenno a Satine di attendere un minuto.

Si allontanò con il chirurgo, che continuò a scuotere la testa ininterrottamente per tutta la conversazione.

Alla fine, il povero primario, l’aria afflitta, tornò indietro da solo.

- Niente da fare. Ci ha fatto solo perdere tempo. Lo opero io. Poi, gli daremo una vasca di bacta, ma non voglio darvi false speranze, signorina. La situazione è veramente critica.-

- Ne sono consapevole.- commentò Satine amaramente, accarezzandogli di nuovo la fronte fredda.

Il primario spinse la barella lungo asettici corridoi infiniti, ma Satine notò subito diverse carenze. Le pareti erano sporche, in alcuni luoghi mancavano dei pannelli sul soffitto, mettendo in mostra le tubature in via di riparazione che in certi posti colavano addirittura per terra. 

Chiuse gli occhi e respirò.

Basta che lo salvino. Al resto penserai dopo.

Ma Qui Gon, dov’è?

Si accorse che il dottore le stava parlando solo quando le toccò la spalla.

- Mi dispiace. Stavate dicendo?-

- Dobbiamo registrare il ragazzo. Dovrò fare da solo, temo, e forse, date le circostanze, è meglio così.-

Satine comprese immediatamente che il medico aveva capito la vera natura di Obi Wan, ma non commentò.

Poteva solo sperare che non dicesse nulla ai Vizla.

- Il suo nome?-

Oh, non hai pensato ad un nome falso, vero?

La duchessa si maledisse, ma la sua mente sovreccitata trovò una soluzione nel giro di poco.

- Ben. Ben Hohenbauer.-

- Hohenbauer?- 

- Già.-

- E che ci fanno degli Hohenbauer a Loras?-

- Dovevamo lavorare per la PharmaMandalore, ma la guerra civile ci ha intrappolati allo spazioporto di Keldabe. Siamo arrivati a Loras ieri, dopo un estenuante viaggio a piedi.-

Il medico annuì, mentre un droide dall’aria malconcia segnava le informazioni su quella che doveva essere una rudimentale cartella clinica digitale.

Qui siamo ancora ai tempi di Mandalore il Grande, ma quando sarò Mand’alor…

- Il vostro nome?-

- Bauer. Kyramla Bauer.-

- Oh, siete parenti?-

- E’ mio cugino.-

- Vi chiedo scusa, credevo foste sposati.-

Gli occhi di Satine guizzarono immediatamente sul primario, l’ombra dell’imbarazzo dipinta sul volto.

- Che cosa ve lo ha fatto pensare?-

- Il modo in cui gli accarezzate la testa.-

Il buon primario, però, non sapeva che Satine aveva continuato ad accarezzare i capelli anche per provvedere a disfare la treccia e nascondere ogni segno di riconoscimento e di appartenenza all’Ordine dei Jedi. 

Almeno così sperava, ma non poteva sapere che, in realtà, l’uomo aveva l’occhio più lungo di quanto immaginasse.

- Ah, dovrebbe arrivare anche mio zio, suo padre. Jinn Hohenbauer, ma può essere che si presenti anche solo come Bauer.-

- Non era con voi?-

- No. Siamo stati isolati per molto, credevamo di trovare lavoro, ma per noi qua non c’è più nulla, così è andato a cercare una navicella spaziale per non rifare la scarpinata a piedi. E’ pieno di spettri nei boschi. Siamo vivi per miracolo. O almeno lo eravamo fino a stasera.-

Abbassò gli occhi, che cominciavano ad offuscarsi per la stanchezza e per le lacrime. 

All’improvviso, il peso di tutto quello che era successo si schiantò su di lei.

Osservò le sue mani intrise di sangue, la pelle slabbrata sul collo del giovane padawan a cui voleva così bene, i suoi occhi chiusi e le labbra scure per assenza di circolazione, e si sentì mancare.

Non puoi farlo.

Si appoggiò alla barella con tutto il suo peso e si sostenne così fino a che non giunsero alle porte della sala operatoria.

- Qua entro io.- le disse il primario, serio e concentrato.- C’è una stanza libera in fondo al corridoio. Numero diciannove. La usiamo per le degenze e per la vasca di bacta. Se supera l’operazione, è lì che lo terremo nei prossimi giorni. Mettetevi là. Raccogliete le vostre cose e fatevi una doccia. Ne avete bisogno. Riposate.-

- Grazie, dottore.-

- Vi terrò informata.-

- Sì.-

E detto questo, sparì dietro la porta.

Satine, come un’automa, si mosse verso la stanza numero diciannove. La trovò e ci si chiuse dentro.

Tutto ciò che avevano era abbandonato fuori, nel parcheggio, ma lei non aveva la forza per andare a recuperare gli zaini. Era stanca, puzzava di sangue ed altre sostanze che preferiva non esaminare, e la testa le scoppiava. 

Si guardò le mani con consapevolezza, e cominciò a piangere a dirotto mentre provava a raschiare via il sangue con le unghie. 

Si sentiva sporca. Un mostro, al pari degli spettri. Aveva paura di se stessa, quella paura che non aveva avuto quando era stato il momento di tirare fuori il carattere e salvare Obi Wan.

La sua testa non era in grado di seguire il filo dei pensieri, né di ragionare correttamente.

In qualsiasi altra situazione, avrebbe compreso che non aveva avuto altra scelta. Salvare se stessa ed Obi Wan. Chiunque altro nella sua posizione avrebbe fatto lo stesso. Inoltre, si sarebbe accorta di essere riuscita in un mezzo capolavoro, considerato il poco tempo in cui si era esercitata: aveva correttamente aperto la Luce a comando, senza svenire e soprattutto preservando il ragazzo dalle conseguenze dannose di quella circostanza. 

Qui Gon era ancora là fuori. 

Forse era morto, o forse aveva dato per morti loro.

Satine era sola, in ospedale, circondata dai Vizla, con il nome dei Bauer a fare la spia e un Jedi immerso in una vasca di bacta.

Un Jedi di cui stringeva ancora i segni distintivi tra le dita, il filo metallico colorato che intrecciava i suoi capelli. 

La spada laser.

Fu quel pensiero a ridestarla dal torpore. 

Aveva una spada laser nascosta nello zaino.

Doveva recuperarla prima che lo facessero altri e mettersi ancora più in difficoltà di quanto già non lo fosse.

Si alzò in piedi, anche se si sentiva un morto vivente, e si diresse di nuovo verso il triage.

Delle urla la convinsero che qualcosa di grave stava succedendo.

- Vi dico che è qui! Ho visto lo speeder! Adesso, benedetta donna, fatemi passare e ditemi dov’è!-

- Oh, voi di Sal credete di venire qui a fare il bello e il cattivo tempo, ma…-

- Ma quale Sal e Sal, voi siete ossessionata! Vi ho detto che vengo da Loras, LORAS, e i miei figli sono qui!-

- Zio Jinn?-

Satine posò lo sguardo sul Jedi, che svettava sopra la bionda antipatica del triage, furente di rabbia. 

L’uomo la guardò, sollevato, ma presto prese coscienza delle condizioni disastrose della ragazza e soprattutto comprese che il sangue sul suo corpo non era il suo.

Obi Wan.

- Che cosa è successo?- chiese, correndole incontro.

- Spettri. A centinaia. Ci siamo salvati per miracolo, ma Ben…-

La ragazza tirò su col naso.

- Oh, zio Jinn!- e lo abbracciò forte.

Qui Gon non sapeva che cosa dire. Circondò la schiena della duchessa con le mani enormi mentre serrava le labbra e provava a non perdere la calma.

Non è la Via dei Jedi.

Ci sei già passato.

Qui ed ora.

Qui ed ora.

Recuperarono i loro effetti personali e Satine condusse Qui Gon nella stanza diciannove, mentre provava a spiegargli l’accaduto. Il maestro era fiero del suo padawan, che si era comportato da vero Jedi e non aveva mai perso il coraggio, la forza di volontà, la ragione, la calma.

Gli avevano sempre detto che era inadatto, troppo arrogante, facile all’indignazione, troppo poco sensibile alla Forza Vivente.

Hanno - no, abbiamo - sbagliato tutto.

- E’ colpa mia, Satine. Non avrei mai dovuto lasciarvi soli. Obi Wan aveva provato a convincermi, ad avvisarmi del pericolo, ma io non l’ho ascoltato. Voi siete stata magnifica. Io, invece, ho fallito. Il mio ragazzo. Ho fallito.-

- Non dite così, maestro.-

Era difficile dargli torto, però. C’era da essere onesti. Qui Gon aveva la pecca di non prestare mai troppa attenzione a quello che il ragazzo diceva. A parte quando agivano come una squadra, in cui erano coordinati alla perfezione, il maestro pareva sempre doversi ricredere su quanto suggeriva il suo padawan o sulle posizioni che sosteneva.

Anche Satine lo aveva notato. Nella sua umiltà, Obi Wan era sempre un passo dietro Qui Gon. Quando un po’ più a destra, quando un po’ più a sinistra, ma sempre alla sua coda, tallonandolo. Non parlava molto. Quando comunicavano, di solito Qui Gon insegnava ed Obi Wan recepiva, a parte qualche battuta di spirito scambiata ogni tanto. 

Obi Wan, di solito, lo guardava adorante. Amava molto il suo maestro, confidava in lui e pendeva dalle sue labbra anche quando aveva torto. Lo aveva protetto spesso e in alcuni casi si era anche assunto la responsabilità delle sue posizioni, per il Consiglio poco ortodosse.

Non si poteva dire che fosse mai accaduto il contrario. Qui Gon sembrava nascosto dentro una fortezza impenetrabile. Fin dall’inizio aveva fatto in modo di tagliare fuori dal suo privato Obi Wan. I due avevano fatto fatica a trovare un equilibrio. Il padawan continuava a mettersi in discussione, dandosi la colpa di errori che non aveva commesso, e il maestro, invece, era rimasto sempre fermo nella sua posizione, irremovibile, incapace di far entrare il giovane apprendista nella sua vita. Persino Yoda, che aveva fatto il diavolo a quattro per appaiarli, si era ricreduto.

Hai permesso a Xanatos di avvicinarsi a te, sappiamo com’è andata.

E forse era stata solo paura. Forse, solo il terrore di legarsi di nuovo ad un allievo per poi venire tradito era stato ciò che lo aveva fermato. 

Aveva trattato Xanatos con i guanti, convinto che fosse il miglior regalo che la Forza potesse fargli, e quello lo aveva tradito, passando al lato oscuro.

Aveva trattato Obi Wan come un qualunque padawan, nemmeno come il suo padawan, per anni, senza mai riconoscergli alcun merito specifico, con fermezza e severità, eppure quello era ancora lì.

Ma quanto era merito della strategia e quanto era merito di Obi Wan?

 

L’aria fresca gli stuzzicava il naso e lo rendeva felice. 

Attorno a lui c’era solo molto verde e un bellissimo cielo terso, di un azzurro brillante. Poteva sentire l’odore del fumo del camino. Sapeva di buono, un legno esotico che non conosceva, ma che profumava di casa. 

Non c’era praticamente niente attorno a lui, solo l’erba piegata dai soffi del vento e il cielo, solcato da rapide nuvole bianche.

E poi, c’era lei.

Lei, con il sorriso bianco stagliato contro il cielo blu come i suoi occhi, che lo aspettava in cima alla strada e gli faceva cenno di raggiungerla.

Guardarla ispirava beatitudine. Era bella, radiosa, brillante come non mai, avvolta in quell’abito bianco che aveva preso dentro il karyai di Draboon…

Ma di cosa stava parlando? Quello era tutto nel passato, ormai. Sembrava un ricordo così lontano. 

E si sa, i Jedi non vivono nel passato.

Lei era il suo presente, e sarebbe stato anche il suo futuro. Ne era convinto, mentre la raggiungeva alla fine della strada e un sonoro hiiiii-huuuuuoooo gli ricordava che era l’ora di portare i susulurse nella stalla. 

Si fermò con lei, al limitare della collina, a guardare gli animali pascolare placidi mentre il mare calmo si apriva di fronte a loro e l’odore del sale pervadeva le narici.

Era la vista più bella che avesse mai visto.

Potrebbe anche farcela, contro ogni pronostico.

Chi stava parlando?

Mah, forse era solo un ricordo. 

Non c’era nessuno lì, in riva al mare, a parte loro due e i susulurse.

Se non si sveglia entro le prossime quarantotto ore, tuttavia, potrebbero esserci gravi conseguenze cerebrali per via delle neurotossine.

Obi Wan scosse il capo, contrariato.

Oh, insomma, vuoi stare zitto? Mi stai rovinando la giornata!

Ed una giornata così, pensò, non si poteva rovinare.

Erano felici, insieme. Lo sarebbero stati per lungo tempo. 

Non avevano nulla. Ricchezza, fama, potere. Niente. Solo loro due e gli animali. La natura. La pace.

Satine lo guardò e sorrise del sorriso più bello che avesse mai visto. 

E quando il vento sollevò il vestito bianco facendola ridere, Obi Wan pensò di essere l’uomo più felice della galassia.

 

- Purtroppo, è anche tutto il tempo che sono riuscito a garantirvi. Non posso lasciarvi la vasca di bacta per più di quarantotto ore. I Vizla e i Saxon la vogliono per sé. Sono riuscito a requisirne una, ma prima o poi lo scopriranno. Quella pettegola della Paguur si farà sicuramente sfuggire l’informazione.- 

- Perdonatemi, dottore, ma credo che gli ci vorrebbe almeno un mese di vasca per guarire del tutto.-

- Credete bene, signorina Bauer, ma purtroppo non possiamo fare di più. I tessuti più delicati dovrebbero riuscire a rigenerarsi nel giro di poco, e questo è già un bel progresso. Il resto, temo che dovrà farcela da solo. Ammesso, ovviamente, che si svegli prima delle quarantotto ore stabilite.-

Quella storia delle neurotossine aveva lasciato perplessi sia la duchessa che il maestro.

Quindi ora questi cosi sono anche velenosi?

Apparentemente, il torpore e il rallentamento delle funzioni vitali che aveva travolto Obi Wan non era dovuto soltanto all’ingente perdita di sangue e di energie, o all’ossigenazione carente, ma anche alla presenza di quelle sostanze, ormai in circolo per tutto l’organismo.

La mente stanca di Satine avrebbe elaborato quell’informazione solo più tardi, quando avrebbe avuto una maggiore lucidità e quando la loro situazione personale si sarebbe - anche se solo parzialmente - assestata.

Per il momento, l’unica cosa che il suo cervello riuscì a registrare fu l’ultimatum del medico. 

- E se non si sveglia?-

Il primario assunse un’aria grave.

- Temo che a quel punto si presenti per voi la scelta tra perseverare o lasciarlo andare.-

Qui Gon sospirò, passandosi una mano tra i capelli brizzolati. Satine, invece, aveva lo sguardo fisso sul corpo nudo e dilaniato del ragazzo, avvolto nel bacta, gli occhi chiusi e persi in chissà quale sogno. 

- La fascetta.-

- Come, scusate?-

- La fascetta di plastica. L’abbiamo usata per chiudere la succlavia.- disse, alzandosi ed arrampicandosi fino al tappo della vasca.- Gliel’avete lasciata.-

Il dottore si grattò la nuca, mortificato.

- Scusate. L’ho dimenticata. Di solito non faccio errori, ma ho fatto un turno massacrate, dopo Sal, e in sala operatoria ero praticamente solo. Persino il droide medico ha quasi dato forfait.-

Ah, ma se divento Mand’alor…

Satine penzolò per un po’ a testa in giù, le gambe fuori dalla vasca ed il busto quasi immerso nel bacta, per sfilargli la fascetta e permettere alla sostanza di medicare la ferita. Qui Gon, che in circostanze diverse sarebbe stato divertito da quel comportamento così poco nobile - dico, si è mai vista una duchessa con il sedere per aria a cavallo di una vasca di bacta? - ne approfittò per chiedere informazioni.

- Mi spiegate che cosa è successo a Sal? Perché sono tutti così ossessionati?-

Il primario li guardò con aria stupita.

- Come, non lo sapete?-

- No. Siamo arrivati solo ieri.- 

- Si tratta della duchessa Kryze.-

Satine per poco non ci cadde dentro, alla vasca di bacta.

- Ha rilasciato un messaggio sulle reti clandestine dei Nuovi Mandaloriani, che è rimbalzato in ogni angolo della galassia. I Vizla se la stanno vedendo brutta. Sal si è sollevata e tutti i contingenti armati sono stati dirottati lì, abbandonando Loras e altre città al loro destino. Purtroppo è stato un massacro, ma la repressione non fa altro che spingere alla ribellione, se non qui, in altre parti del sistema. Dicono che il duca Kyla stia facendo vedere i sorci verdi ai suoi nemici su Kalevala, nonostante lo faccia dal suo letto per invalidi.-

Satine abbozzò un sorriso, pensierosa, mentre chiudeva la vasca e scendeva di nuovo con i piedi per terra, la fascetta insanguinata stretta tra le dita.

L’ha chiamato Kyla.

Non Adonai, come tutti coloro che lo conoscono come Mand’alor. 

L’ha chiamato Kyla.

- Ho sempre pensato che il duca Kryze fosse uno striil travestito da susulur.- disse, provando a tastare il terreno.

Il primario ghignò.

- Anche io, signorina Bauer. Anche io. E temo che sua figlia non sia da meno, indipendentemente dall’orientamento politico.-

I due si scambiarono uno sguardo d’intesa.

- Naturalmente.-

 

Non c’era alternativa. 

Dovevano essere sposati. 

Satine, durante una conversazione molto privata intrattenuta in una fredda notte di luna piena, in un passato così lontano da non riuscire a definirlo, gli aveva spiegato che per i Mando le relazioni fuori dal matrimonio erano considerate sconvenienti. Il matrimonio - com’era che lo aveva chiamato? Il riduurok - era finalizzato da parte di entrambi alla cura dei figli e della relazione coniugale. 

Inutile dire che, quella sera, Obi Wan aveva dormito poco, la testa pervasa da pensieri che non osava confessare ad alta voce.

Adesso che, seduto su una panca davanti al fuoco del camino, teneva tra le braccia la sua bambina, non poteva fare altro che credere che sì, dovevano essere sposati.

Forse ricordava anche quando era successo. Doveva averglielo chiesto tanto tempo prima, quando era stato attaccato da un branco di spettri che lo aveva quasi ucciso. 

Sì, glielo aveva chiesto in quel momento. 

Sposami.

E lei gli aveva detto di sì.

Il fagotto che stringeva fra le braccia protestò per la carenza di attenzioni, mulinando i piccoli pugni contro la coperta, e il giovane rise, offrendole un dito.

- Ha la forza di sua madre.-

- E l’arroganza di suo padre.-

Ma sapeva che la sua Satine lo diceva solo per infastidirlo, per scherzare. Avevano sempre giocato a quel modo, pretendendo di bisticciare. Anche quella volta, in un tempo lontano, in cui si erano scambiati confidenze nella notte, aveva correttamente interpretato il cinismo della ragazza come una forma di gelosia, un modo per indagare se, al Tempio, avesse avuto una ragazza o un ragazzo.

Già, il Tempio. Sembrava un’era geologica precedente, ormai. Era tutto così lontano. I suoi amici, Qui Gon, la paura del Consiglio e tutte le incongruenze dei Jedi.

Aveva scelto lei. 

E la bambina che teneva in braccio. 

La sua Satine era seduta accanto a lui, radiosa e leggermente più rotonda rispetto a quando l’aveva conosciuta, ma era bella lo stesso, anche appesantita. Erano i segni del miracolo che aveva compiuto, ma in ogni caso Obi Wan l’avrebbe amata lo stesso, anche decrepita, rugosa e coi capelli bianchi.

- Dobbiamo darle un nome.-

- Qual era il nome di tua madre?-

- Non lo so, non l’ho mai conosciuta. La tua?-

- Vikandra.-

Obi Wan ci pensò un po’ su, passando un dito tra i capelli rossi della bambina. 

- E’ un bel nome, Vikandra.- 

- Vikandra Kenobi.- sussurrò la sua Satine, le fossette ai lati della bocca ad indicare che stava per esplodere in uno dei suoi bellissimi sorrisi raggianti. 

- Vikandra Kryze.- la corresse, sottolineando l’antica tradizione Mando di dare il cognome più importante ai figli, indipendentemente dalla linea di sangue. 

- Vikandra Kenobi Kryze, del clan Kryze, della nobile casata dei Kryze.-

- Viviamo in una capanna, Sat’ika.-

- Il sangue non mente.-

Si sta nascondendo.

Ancora lui?

Uffa.

Sta’ zitto, guastafeste.

Ma qualcosa in quella voce lontana, l’eco di un mondo dimenticato, lo turbò. 

Chi era? Perché gli suonava così familiare? 

Ben, ti prego. Dovunque tu sia, apri gli occhi.

Torna indietro.

Ben. Anche quel nome l’aveva già sentito, ma non ricordava dove.

- Ben?-

Il ragazzo sbatté le palpebre e fissò gli occhi azzurri ed eternamente limpidi e felici della sua Satine.

- Va tutto bene?-

- Oh, sì.- mentì, sorridendo.- Stavo solo pensando.- 

 

- Che significa che si sta nascondendo?-

- Significa che sta scappando dalla realtà, dalla paura, dal dolore. Si è ritagliato una bolla nella Forza, dove tutto questo non esiste. Un luogo dove ha pace e serenità. Da una parte, è un bene che non soffra. Dall’altra, se ci sta tanto bene, potrebbe non svegliarsi mai più.-

Satine sospirò e si accasciò sulla sedia.

Aveva trascorso le ultime ventiquattro ore seduta su quella sedia. Aveva dormito seduta, mangiato seduta, chiacchierato con Qui Gon, seduta, e meditato seduta. Le aveva provate tutte per riprendersi, ma il terribile spavento che si era presa non riusciva ad abbandonarla.

Una volta sistemato Obi Wan nella vasca di bacta, una volta spiegato al maestro tutto quello che era successo, nel dettaglio, Satine si era presa un po’ di tempo per se stessa. Si era lavata, di nuovo, approfonditamente, come se l’idea di avere ancora del sangue addosso la disgustasse. Dentro di sé, non sapeva se fosse vero o no, ma nonostante i ripetuti lavaggi continuava a sentire una curiosa sensazione di sporcizia sulla pelle. 

Il primario aveva portato loro del cibo, che avevano consumato in silenzio, tutti e due accanto alla vasca di bacta.

Qui Gon aveva provato a convincerla.

- Duchessa, io devo portarvi via.-

- Fossi matta.-

- Non possiamo fare niente per lui. Deve uscirne da solo, trovare la sua via per…-

- No. Non lo lascio qui. Il primario si è accorto che qualcosa nella mia storia non regge. Potrebbero abbandonarlo. Fargli del male. Se vuole sopravvivere, avrà bisogno di qualcuno che sappia muoversi nella sanità mandaloriana, e nessuno è meglio di me per questo. Fidatevi. Da solo è inerme.-

Il maestro aveva capitolato quasi subito. A dire il vero, Satine aveva notato un cambiamento in lui fin da quando si erano riuniti. Non lo aveva mai visto fuori controllo, ma il Qui Gon che aveva incrociato al pronto soccorso non assomigliava per nulla al pacato Jedi che aveva conosciuto, grande tra i grandi. No, sembrava tormentato, agitato. Un’ombra scura si era allungata sui suoi occhi solitamente brillanti e non l’aveva più lasciati. 

Una persecuzione.

- Non sentitevi in colpa, maestro.- gli aveva detto, per interrompere uno dei loro lunghi e desolanti silenzi.- Non c’entrate nulla. Non potevate saperlo, né prevederlo.-

Ma Obi Wan l’aveva avvertito e Satine ne era consapevole. Quella sera e quanto era avvenuto era stato causato, da parte di Qui Gon, da un grosso errore di giudizio.

Dentro di sé, la duchessa pregò che, quando tutto ciò fosse finito, il legame tra i due ne uscisse rinsaldato, che ci fosse più fiducia, più stima, più rispetto.

Qui Gon tendeva a tenere lontano il padawan, che invece non aveva occhi che per lui. Il suo maestro qui, il suo maestro là. Il migliore della galassia. Il più fantastico, il più coraggioso, il più in tutto.

Quello sarebbe stato uno dei tanti fantasmi della vita di Qui Gon, Satine poteva ben capirlo.

Sarebbe stato anche il suo, di fantasmi. Invece che dire ad Obi Wan la verità, invece che confessargli della profezia e dei suoi sentimenti per lui - non ci aveva ancora capito granché, per la verità, ma in quel momento cominciava a vedere tutto con occhi più consapevoli - non aveva fatto altro che bisticciare con lui, denigrarlo, a volte ferirlo, e quello aveva sempre incassato ogni colpo, ed invece di difendersi - a parte qualche occasione in cui, quando lei aveva morso, aveva morso a sua volta - aveva provato a capirla, mostrando un vivo e sincero interesse per lei, per la sua storia, la sua cultura, le sue tradizioni, senza giudizio: semmai, apprezzamento. 

Ed adesso che lo vedeva lì, immerso in quel viscoso liquido trasparente e puzzolente, praticamente nudo, non faceva altro che domandarsi se avesse fatto bene a salvarlo.

Non lo avrebbe mai lasciato alla PharmaMandalore, questo era certo. Solo il pensiero di ciò che gli avrebbe fatto il branco di spettri le rivoltava lo stomaco. No, lo avrebbe portato via, ma forse, invece di incaponirsi nel provare a salvarlo, avrebbe dovuto accompagnarlo nella Forza. 

In quel modo, osservando le sue ferite rattoppate alla bell’e meglio con i mezzi scadenti di un ospedale occupato e in fallimento, le sembrava, piuttosto che averlo salvato, di averlo condannato ad un dolore indicibile, talmente insopportabile da spingerlo a nascondersi da esso, a rinchiudersi in una bolla di Forza da cui non voleva - o non poteva - uscire. 

Chissà, forse quello spazio vitale se lo era costruito lui stesso, per paura o per il troppo dolore.

E lei? 

Obi Wan le aveva promesso che l’avrebbe portata da Nebrod, il giorno della sua morte. Aveva accettato quella verità con gli occhi tristi e forse un velo di lacrime, ma ancora una volta si era offerto di servirla, nonostante quell’eventualità gli spezzasse chiaramente il cuore.

E lei?

Che cosa aveva fatto, lei?

Non sapeva molto di Forza, ma c’era stata una piccola discussione con Qui Gon, in cui aveva cominciato a comprendere maggiormente come funzionasse.

- Mi state dicendo, dunque, che non dovremmo fare niente?-

- No. E’ una sua scelta, adesso. Se ci intromettessimo, forzeremmo la mano della Forza.-

Satine non aveva del tutto compreso la questione quella volta, e ci aveva rimuginato su per buona parte della notte mentre aspettava che il sonno la cogliesse.

Con il maestro avevano deciso che, considerato che non c’era verso di schiodarla da là, avrebbero atteso con trepidazione il passare delle quarantotto ore fatidiche nella speranza che il padawan aprisse gli occhi. Ventiquattro ne erano passate ed il primario, guardandolo, aveva scosso la testa mestamente, riducendo le loro speranze a poco sopra lo zero. Avevano i sensi all’erta costantemente e il cosiddetto Jinn Hohenbauer passeggiava ogni tanto per i corridoi per montare la guardia ed avvisarla in caso di presenze sospette.

Se avessero seguito il notiziario, avrebbero saputo che l’esplosione alla PharmaMandalore aveva destato particolare scalpore, ma non per il motivo che Satine avrebbe immaginato. L’esplosione del generatore aveva danneggiato la struttura, ma soprattutto aveva bruciato parecchi spettri. La loro presenza massiva in quel punto e soprattutto i loro gusti alimentari discutibili avevano spinto la popolazione di Loras a concludere che avessero fatto saltare in aria il generatore nel tentativo di masticare la conduttura del gas liquido. 

Inoltre, l’incendio si era propagato all’ala della fabbrica in cui Satine ed Obi Wan avevano dormito, distruggendo ogni cosa, e i bagliori di luce bianca erano stati attribuiti ai contatti tra cavi elettrici ripetutamente sgranocchiati da quelle creature immonde.

Nessuno avrebbe mai saputo che erano passati di lì.

Eppure, anche la popolazione di Loras aveva perso la pazienza. La cittadina, composta ormai principalmente da madri, anziani e bambini che non erano partiti per la rivolta di Sal, si erano riuniti in piazza ed avevano sollevato un tale polverone da convincere la contessina Wren a mandare un contingente armato in città per proteggere i cittadini. 

Satine non poteva saperlo, ma quello sarebbe stato il primo passo, oltre alla consapevolezza del massacro avvenuto nella sua città, che avrebbe spinto Ursa Wren a fare la scelta giusta.

In quel quadro complesso, i tre si trovavano nell’occhio del ciclone, nell’ultimo posto in cui si sarebbero trovati al sicuro, eppure mai si era sentita più a casa. 

Essere lì, in quel momento, ad aspettare che la Forza facesse il suo corso, le sembrava naturale, corretto. Non c’era nulla di sbagliato in quella scelta, qualunque cosa dovesse accadere.

Eppure, erano state le sue scelte a portarla lì. 

Non era stata una sua scelta quella di fuggire dalla PharmaMandalore?

Non era stata una sua scelta quella di provare a salvare Obi Wan, dargli la possibilità di continuare a vivere e brillare nella Forza come era sicura avrebbe fatto?

Beh, questo, ad essere proprio onesti, non era esattamente un fattore dipendente dalla sua volontà. Satine aveva agito ed era convinta di averlo fatto per il meglio, ma, come Qui Gon aveva correttamente detto, l’ultima parola spettava ad un padawan che, però, giaceva incosciente e zeppo di neurotossine dentro una vasca di bacta, forse inconsapevole dell’ultimatum prospettatogli, tagliato fuori dalla realtà e forse anche dalla Forza - Vivente, Unificante, non aveva ancora capito che cosa volesse dire - se non per la piccola illusione che si era creato.

Dargli una spinta nella giusta direzione, forse, non sarebbe stato sbagliato.

- Ancora, duchessa, forzeremmo la mano…-

- No, maestro, non voglio convincerlo che la scelta giusta sia aprire gli occhi. Non mi interessa. Cioè, sì, certo, vorrei che tornasse da noi, ma l’ultima parola spetta a lui. Soltanto che, se non lo sa, quella decisione potrebbe non prenderla mai. Non c’è un modo per fargli capire che deve uscire dall’angolo in cui si è rintanato?-

Qui Gon sospirò.

- Siete intelligente, duchessa, e quello che dite ha senso. Ho provato a raggiungerlo, ma non ci sono riuscito. Ho provato ad entrare nella sua mente, ma è ben protetta. Mi respinge costantemente. E’ come un animale ferito e messo all’angolo.-

E quindi era sulla difensiva. Non c’era modo per il maestro di approfondire la loro connessione nella Forza, di raggiungerlo, di comunicare con lui.

Gli aveva parlato, sperando che lo sentisse, ma non gli aveva risposto.

Qui Gon si era fatto l’idea, dentro di sé, che tutto quanto stavano facendo per lui fosse in verità uno spreco di tempo e risorse. Per quanto volesse bene ad Obi Wan, il segnale negativo che aveva ricevuto nella Forza era stato per lui una risposta più che sufficiente. 

Stava lentamente morendo, sparendo alla vista e ai sensi. Prima o poi, anche quella presenza rintanata in un angolo sarebbe scomparsa, evaporata come la nebbia al sole, e una parte del cuore del maestro, che si tormentava per i suoi errori, non voleva precludergli anche la possibilità di andarsene serenamente.

Satine, invece, nutriva ancora qualche speranza. Riteneva che fosse un diritto sacrosanto di Obi Wan fare quella scelta e farla con consapevolezza. Avrebbe voluto comunicargli lo stato dei fatti e solo in base a questo permettergli di decidere. 

Apparentemente, però, il ragazzo era troppo lontano da loro per essere raggiunto.

A meno che…

Satine condivideva qualcosa con Obi Wan, qualcosa che il maestro Qui Gon non aveva.

- Maestro?- gli chiese, gli occhi fissi sulla vasca di bacta ad osservare i raggi del sole calante che rifrangevano nel liquido.  

- Sì?-

- Esiste una connessione più forte di quella che c’è tra maestro Jedi e allievo padawan?-

L’uomo tentennò.

- Difficile dirlo. E’ un rapporto ai limiti del familiare. Immagino che anche altri rapporti del genere abbiamo un legame simile, ma come ogni cosa, può declinarsi differentemente a seconda delle circostanze. I vostri legami familiari sono più forti dei nostri, ad esempio.-

Era vero, ma Obi Wan aveva dimostrato di apprezzare Mandalore, e forse il suo modo di vedere il mondo era più simile a quello di Satine che a quello di un normale coruscanta. 

Annuì e Qui Gon lo prese come un segno di soddisfazione, ma in verità la ragazza si stava rivolgendo più a se stessa che a lui.

Valeva la pena tentare.

Sapeva di non essere forte come il maestro Qui Gon nella meditazione, ma la Forza, o Nebrod, o come volevano chiamarlo aveva dimostrato che esisteva un legame tra i due, qualcosa che, forse, andava oltre il rapporto tra maestro e padawan, tra genitore e figlio.

Una connessione che condividevano soltanto loro due, ed era il momento di metterla alla prova.

Così, Satine avvicinò la sedia alla vasca di bacta. Se toccava il vetro, o vi posava la fronte quando riposava, le sembrava di essere più vicina ad Obi Wan.

Magari avrebbe funzionato.

Sospirò e chiuse gli occhi.

 

Faceva sempre freddo quando, nel cuore della notte, le braci nel camino smettevano di sfrigolare. Era un momento particolare, quello, in cui di solito la sensazione di freddo e di buio lo svegliava, per non parlare dell’umidità, che gli indolenziva le ossa come se fosse stato vecchio e reumatico.

Quello era il momento in cui si accoccolava attorno al corpo caldo di Satine, la accarezzava, calmava il proprio animo turbato dall’ombra e dal freddo e poi continuava a dormire fino al mattino, quando i raggi dell’alba e lo strillare affamato della piccola Vikandra lo gettavano di sotto dal letto e lo convincevano a liberare i susulurse.

Di solito, Ruusaan si piazzava in testa al gruppo e li portava fin sulla battigia, dove brucavano la mentuccia fresca fino a sera inoltrata. 

Ruusaan?

Sì, Ruusaan. Una volta, tanti anni prima, aveva avuto, anche se per poco, una simpatica susulur di nome Ruusaan. Gli era dispiaciuto molto lasciarla indietro. Aveva sviluppato un certo legame con lei.

Si strofinò gli occhi insonnoliti e si voltò su un fianco, tremando per il freddo. Satine era lì accanto a lui, poteva sentirla respirare, immersa nei suoi sogni pacifici e sereni. Era così bella quando dormiva. C’erano stati anni in cui aveva avuto paura di chiudere gli occhi, tormentata dagli incubi. Adesso, invece, bastava un tocco nella notte e tutto passava.

Si accoccolò contro di lei, cercando la sua pace e il suo calore, e la trovò. Annusò il profumo dei suoi capelli e della sua pelle, e la sentì sospirare.

- Non volevo svegliarti.-

- Ben?-

- Dimmi.-

- Secondo te, che cosa succede quando moriamo?-

Obi Wan la guardò preoccupato, ma incontrò solo l’azzurro limpido dei suoi occhi sereni.

- Perché me lo chiedi?-

- Perché voglio saperlo. Che succede, quando moriamo?-

Il ragazzo si resse sul gomito, cercando una qualche traccia di preoccupazione sulla pelle candida della sua amata, ma non trovò niente.

- Diventiamo tutt’uno con la Forza. Hai avuto un incubo?-

Satine parve soddisfatta.

- Ci credi ancora, dopo tutti questi anni?-

- A che cosa?-

- Alla Forza. Agli insegnamenti dei Jedi.-

Certo che ci credeva ancora, che razza di domanda era? Lui era un Jedi, nel midollo. Tutta la sua essenza trasudava il Codice dei Jedi, persino Quinlan Vos lo aveva preso in giro. Solo perché aveva fatto una scelta diversa non significava che…

O forse sì?

- Sei sicura di stare bene?-

- Sì. Vorrei solo che Vikandra non scomparisse, quando succederà.-

Un brivido freddo si impossessò di lui.

- Che vuoi dire?-

- Che vorrei che lei sopravvivesse in qualche modo, quando noi moriremo. Cioè, quando tu morirai.-

- Di che accidenti stai parlando?-

Satine non aveva mai scherzato su questo. Si erano punzecchiati, sì, avevano litigato, certamente, si erano provocati fino a dirsi le peggiori schifezze, ma mai avevano usato argomenti del genere per farsi male, né per costringere l’altro a fare la pace.

C’erano cose su cui era meglio non scherzare.

Obi Wan lanciò un’occhiata di sbieco alla culla, un vago senso di panico che si impadroniva lentamente di lui, e quando la trovò vuota si sentì quasi mancare.

- Dov’è?- chiese, frugando tra le lenzuola e le copertine, come se avessero appena fagocitato la sua bambina.- Che fine ha fatto?-

Si voltò verso la donna, la paura negli occhi.

- Satine, che hai fatto?-

Ma non c’era più nessuno, nel letto, accanto a lui.

Dove prima c’era stata la donna della sua vita, adesso c’era un materasso intonso, con le coperte rimboccate e tirate su, come se nessuno ci avesse mai dormito. 

La capanna divenne ancora più buia e fredda, umida, e sentiva un brutto odore di marcio, muffa, come alghe decomposte che proveniva da chissà dove.

Un odore che gli era familiare e che gli faceva paura.

- Dove siete?- chiese, stringendosi le braccia al petto mentre provava ad attizzare il fuoco nel camino.

Le braci, però, erano spente e cosparse di una brutta sostanza viscida e gelatinosa che gli dava la nausea.

- Dove hai portato Vikandra? Satine?-

La capanna parve farsi sempre più piccola attorno a lui e all’improvviso decise di uscire.

Sicuramente Satine doveva essere uscita da quella porta, se in casa non c’era. Doveva essere andata via con la bambina, magari su un susulur. Perché lo aveva fatto? Aveva sentito parlare di una specie di sindrome depressiva che affliggeva le nuove madri, ma non avrebbe mai creduto che la sua Satine…

Un momento.

Sotto la porta, là dove avrebbe dovuto vedere il riverbero azzurro della luna e dei globi di Mandalore, c’era un raggio di luce brillante.

Impossibile. Era notte. Stavano dormendo. Non poteva essere già mattina.

Aprì la porta, la confusione che dominava la sua mente e le sue azioni, e quello che vide lo confuse ancora di più.

- Che razza di posto è questo?-

Innanzitutto, appunto, era giorno e non sarebbe dovuto esserlo.

Anche qualora però lo fosse stato ed Obi Wan avesse perso la cognizione del tempo, non riusciva proprio a capire come la sua casa avesse potuto spostarsi e finire lì.

Già, perché il mare non c’era più.

Al suo posto c’era un lago. Enorme, vastissimo, ma pur sempre un lago. Le sue acque erano così trasparenti, così vitree e ferme da riflettere il cielo in tutte le sue sfumature, annullando la distanza con l’orizzonte e fondendosi con esso.

Davanti a lui, non c’era traccia dei suoi susulurse. Si trovava in un immenso campo di grano, verde come i pascoli di Stewjon che aveva visto in fotografia. Le spighe ondeggiavano nella brezza che faceva correre le nubi bianche e i loro riflessi nitidi sulla superficie del lago. 

Nell’aria fluttuava la voce di qualcuno che cantava in una lingua antichissima. 

In mezzo a tutto quel verde e a quel blu, spiccava una casa.

Era molto diversa da qualunque cosa avesse visto fino a quel momento. Era forte, imponente, un castello, avrebbe osato dire, eppure non era così grande da poter essere considerato tale. Si alzava su più piani, aveva due torri, coi tetti a spiovente, ed era scuro, dalle pareti spesse che sembravano avere centinaia di anni. 

Niente vetro e niente beskar, niente strutture ultramoderne, niente di niente. 

Solo un posto che sembrava uscito dalle pieghe del tempo.

Si voltò indietro, ma la sua casetta non c’era più. Solo altro verde, un ruscello che gorgogliava, qualche sasso che spuntava tra le eriche e l’ombra di un bosco in lontananza.

Ma dove sono?

Non gli restava altro da fare che provare a chiedere agli abitanti del posto dove si trovasse e se qualcuno avesse visto la sua amata e la sua bambina. Doveva tentare, se voleva raggiungerle, se voleva trovarle.

Discese la collina arata camminando tra le spighe di grano ancora verdi, sfiorandole con le dita curiose. Era una bella sensazione, quella delle spighe sotto i polpastrelli. 

Se non fosse stato così angosciato, quel luogo gli sarebbe sembrato meraviglioso.

Meraviglioso proprio come l’animale che stava facendo il bagno nelle acque del lago. Non aveva mai visto niente di simile. Era un quadrupede imponente, nero come l’ossidiana, dal collo lungo e dal muso delicato, quasi femminile. La criniera reclinata da un lato e mossa al vento era così lunga da affondare nell’acqua. Percuoteva la superficie con gli zoccoli, sbuffando e nitrendo, gettandosi l’acqua addosso.

Poi, con un gesto che aveva del teatrale, spalancò le grosse ali nere e si impennò, scuotendo acqua da tutte le parti mentre mulinava la coda e la criniera, le piume delle ali che gocciolavano nel lago.

Obi Wan rimase a guardarlo, affascinato, mentre la creatura camminava piano e tornava sulla riva, fuori dall’acqua, e scuoteva via le ultime gocce con un leggero rollio, il collo fiero e il petto gonfio di chi non sarebbe mai stato domato, ma solo compreso.

La creatura e il padawan incrociarono lo sguardo. Aveva capito di che cosa si trattava. Un viinir, una delle creature alate su cui volavano e combattevano le Abiik’ade. 

La bestia rimase a guardarlo, gli occhi neri dalle lunghe ciglia morbide che parevano soppesarlo.

Poi, voltò la testa e si incamminò lungo il sentiero che conduceva alla tenuta.

I cancelli erano aperti, ed Obi Wan si affacciò per vedere se ci fosse qualcuno. Un giardiniere, una guardia, chiunque.

Le due ante del cancello, se chiuse, formavano uno stemma. 

Un grappolo di campanule canterine.  

Il ragazzo si avvicinò e ne sfiorò una, che conteneva incisa in lettere antiche una parola.

Tor.

Proseguì, trovandone altre.

Ijaat.

Haat.

Verità e giustizia, onore, lealtà e coraggio.

E comprese dove si trovava.

- Come sono finito a Kryze Manor?-

Ma in verità era una domanda piuttosto ovvia. Era logico che Satine, fuggendo con la bambina, fosse tornata a casa.

Il problema era che cosa ci faceva lui, lì.

E dov’era finita la sua capanna?

Qualcosa in tutta quella storia non quadrava ed Obi Wan, dentro di sé, aveva già cominciato a capire di star vivendo in un mondo d’illusione. Nel profondo del suo cuore, sapeva che in tutto quell’idillio che aveva vissuto fino a quel momento c’era ben poco di vero.

Non ricordava quando aveva lasciato l’Ordine dei Jedi per vivere con Satine.

Non ricordava i dettagli del loro matrimonio.

Non ricordava nemmeno quando avevano concepito la bambina e, oh, se se lo sarebbe ricordato, se solo fosse stato reale!

Ma dove si trovava, e perché? Che cosa ci faceva lì, e soprattutto, perché all’improvviso si trovava su Kalevala, o su ciò che almeno ci assomigliava parecchio?

E poi, lui non aveva mai visto Kryze Manor. Erano atterrati nel mezzo del niente in una tormenta di neve. Satine aveva lasciato casa da sola ed era quasi morta assiderata sotto i fiocchi di neve e sotto il peso del suo bagaglio.

Perché era lì? Come poteva vedere un posto così nel dettaglio quando non c’era mai stato? Era stata la Forza? Era una visione anche quella?

C’erano dei panni stesi che volavano nella brezza. Lucide lenzuola bianche. Qualcuno doveva pur averle appese.

Una voce continuava a cantare una canzone antica in Mando’a.

Decise di andare a chiedere.

Quando arrivò in prossimità della casa, però, non trovò nessuno. 

- C’è qualcuno?- chiamò, ma nessuno rispose.

Solo una bellissima farfalla blu svolazzava di fiore in fiore lì, vicino alle sue scarpe.

Satine gli aveva detto che si trovavano spesso nei luoghi sacri.

Perché era a Kryze Manor?

Come se avesse sentito i suoi pensieri, la farfalla volò verso di lui e si posò sul suo dito. Obi Wan la osservò, curioso, e la farfalla sbatté le ali un paio di volte, prima di spiccare di nuovo il volo e gironzolare attorno alla sua testa.

Poi, partì verso il porticato e si infilò dentro la porta aperta della casa.

Obi Wan si guardò attorno, grattandosi il mento, ma la farfalla tornò indietro, e girò ancora una volta attorno alla sua testa, prima di posarsi sulla ringhiera lignea del porticato. 

- Vuoi che ti segua, vero?-

La farfalla svolazzò di nuovo dentro la casa.

Cautamente, il ragazzo si sporse sulla soglia, guardandosi attorno.

- C’è qualcuno in casa?- chiese, ma la sua voce rimbalzò sulle pareti di mattoni e sui soffitti alti, sulle volte di pietra, sui ritratti appesi alle pareti e sugli arazzi colorati del corridoio.

Che posto meraviglioso.

La farfalla continuò a volare e lo condusse in un ampio salone dagli stendardi colorati, dove un’impressionante rampa di scale faceva bella mostra di sé. 

- Maryam? Athos?- provò, ma ancora una volta nessuno rispose.

Era convinto che fossero quelli i nomi degli attendenti di Satine. 

La farfalla svolazzò su per la prima rampa di scale, e si posò su una lampada a muro per riposarsi le ali.

La lampada si illuminò di una luce azzurrognola.

Ma no, non poteva essere vero.

Come incantato, si fermò ad osservare quella luce, non riuscendo a capire come potesse essere racchiusa in una lampadina. 

Era impossibile.

Non si poteva contenere la Luce di Mandalore.

Ma la farfalla aveva già spiccato il volo e si era fermata sulla seconda lampada a muro, ai piedi della nuova rampa di scale, e anche quella si era accesa di bianco e di azzurro.

Obi Wan percorse la scalinata, ipnotizzato dal moto armonioso delle ali della farfalla ed incantato dalla bellezza della luce delle lampade.

Poi, l’animaletto si infilò in un pertugio lasciato aperto dalla porta di legno, in cima alle scale. 

Obi Wan, con reverenza, spinse la porta e la aprì.

Era una grande biblioteca, come non ne aveva mai viste. Conteneva libri e carte così antiche che lo avrebbero fatto andare fuori di testa per la felicità, se solo avesse avuto il tempo di sfogliarle tutte, ma guardando la figura di fronte a lui, la sagoma sottile che riempiva le vetrate illuminate dirimpetto, capì che dovunque si trovasse, il suo tempo lì era finito.

Quella non era la Satine con cui aveva passato gli ultimi giorni, mesi, anni, non avrebbe saputo calcolarli. Il tempo e lo spazio, per lui, si erano fermati, ma non per lei. Non era la donna radiosa che aveva avuto accanto, né la madre dalle curve ancora morbide. No, la donna di fronte a lui era pallida e magra, fin troppo. I suoi occhi, che ricordava raggianti e pieni di vita, erano tristi e solcati da profonde occhiaie scure. I capelli erano raccolti di nuovo in quel brutto velo rosso che aveva rubato a Solus.

Già, Solus.

La realtà lo colpì come un pugno nello stomaco e la sua confusione si trasformò in consapevolezza.

Satine aprì le braccia ed Obi Wan ci si gettò dentro, e mai il profumo della duchessa, il suo corpo, il suo respiro gli erano sembrati così reali. Comprese di aver vissuto in un sogno, di essercisi nascosto dentro, dimenticandosi di vivere, abbandonando a modo suo quella vita che gli aveva fatto molto male.

Adesso tutto aveva un senso. La paura del buio e l’estraniazione, il freddo inquietante, la melma viscida e maleodorante delle braci. Ruusaan la susulur che non sarebbe mai dovuta essere con loro. Kryze Manor, che non aveva mai visto. Persino le voci di Qui Gon e di Satine, che aveva cercato di ignorare come se fossero state un pericolo.

Ben, il nome che lei gli aveva dato prima che Obi Wan perdesse definitivamente conoscenza sulla barella dell’ospedale.  

- Come sei riuscita a trovarmi?-

- Non ha importanza. Quello che importa, adesso, è che sono qui.-

Satine gli sorrise, le labbra tirate, ma ancora dolci sul volto scavato dalla stanchezza, e gli accarezzò il viso con le mani, guardandolo con la consolazione dipinta negli occhi.

- Sto morendo, vero?-

- Questo, mio carissimo Ben, dipenderà solo da te.-

- Perché continui a chiamarmi così?-

- Perché mi piace, e ti sta bene. Assomiglia anche ad Obi Wan. Se non vuoi, però, smetto.-

- No. Ti prego.- le disse, afferrandole le mani e stringendole tra lei sue.

Non voleva che finisse. Avrebbe ascoltato quella sillaba per l’eternità, se la Forza glielo avesse concesso.

- Che cosa è successo?-

- Ti ho portato via. Ho aperto la Luce. Li ho uccisi tutti, ma sono riuscita a salvare te.-

Obi Wan si sentì in colpa per averla costretta a tradire i suoi principi, e l’orrore dovette leggerglisi sul volto, perché Satine gli strinse le mani ancora ed ancora, portandosele alle labbra e baciando le nocche screpolate.

- Non preoccuparti per me. Ho fatto ciò che era giusto fare. Adesso, ragazzo mio, è giunto il momento per te di prendere una decisione.-

Il ragazzo comprendeva bene. Non sarebbe potuto rimanere in quel limbo per sempre. 

Doveva scegliere: tornare indietro, o andare avanti.

Entrare nell’eternità della Forza e lasciare indietro Satine e Qui Gon al loro destino, o affrontare il mostro là fuori e chiedere alla Forza di aspettare un altro po’.

Satine lo abbracciò di nuovo, nascondendo la testa nell’incavo del suo collo.

- Lo so che hai paura.- gli disse, accarezzandogli le spalle, ed Obi Wan gliene fu grato.- Ma non serve a niente nascondersi. Non cambia la realtà. Solo tu puoi farlo. Sei il mio cavaliere Jedi, senza macchia, altruista e coraggioso come nessun altro. E’ giunto il momento di cambiare le cose.-

Poi, lo guardò negli occhi con solennità, una sola lacrima che solcava le guance spigolose.

- Qualunque scelta tu faccia, sappi che noi ti capiremo. Non hai niente in sospeso, va bene così. Ti vorremo sempre bene. Io ti vorrò sempre bene.-

E lo baciò là, sullo zigomo, proprio dove aveva sognato che prima o poi lo avrebbe baciato, prima di dissolversi nel nulla e lasciarlo nel vuoto di quel salone sconosciuto, da solo, col cuore pesante e la paura negli occhi.

 

- Satine!-

Si accorse di aver sbattuto la testa contro la vasca di bacta quando sentì le mani del maestro Qui Gon che la sostenevano, sollevandola di peso.

- Che vi succede? Vi sentite male?-

No, era solo stanca. Usare la Luce così tante volte di seguito l’aveva sfinita, ma non l’avrebbe mai confessato.

- Il vostro naso…-

- Non è niente, devo aver sbattuto. Sto bene.- disse, strofinandosi il naso e pulendosi il volto dal sangue.

Se Qui Gon non era convinto non lo diede a vedere, anzi. Si sedette accanto a lei e provò a convincerla a dormire un poco.

Satine sospirò e si disse d’accordo, ma non avrebbe dormito prima di aver lanciato di nuovo un’occhiata disperata al corpo martoriato del giovane padawan nella vasca di bacta.

Del resto, in quel momento era tutto nelle sue mani.

E rimase lì, a guardare, la bocca semiaperta e l’ombra di un sorriso sul volto, mentre Qui Gon, incapace di proferire parola, si alzava in piedi e toccava il vetro là dove la mano del ragazzo sfiorava la superficie.

Obi Wan era ancora lì, fermo, immobile, a galleggiare senza forze e senza peso nel liquido trasparente, come aveva sempre fatto nelle ultime quarantotto ore.

Ma i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi grigioverdi, erano aperti e vigili, e fissi su Satine.

 

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Riduurok: matrimonio, vincolo familiare 

Paguur: verbo, disgustare, non piacere, qui usato in senso di cognome

 

NOTE DELL’AUTORE: Innanzitutto, mi preme sottolineare una cosa. 

Il tema della riforma della sanità non deriva da nessuno degli avvenimenti recenti, anzi, tutt’altro. Semmai, prende ispirazione da quelle aree del pianeta dove la sanità - o i principi etici e di servizio che accompagnano un sistema come il nostro - non esiste. Per questa ragione, non voglio che nessuno si senta toccato dal comportamento sdegnoso dei miei personaggi, in quanto non rappresentanti di un sistema, di una professione e della diligenza necessaria, quanto della sua totale assenza. 

Detto questo, andiamo avanti.

Quanto miele in questo capitolo. Sì, lo so. E’ stata una scelta dettata un po’ per il bisogno di dare una gioia a questi due, un po’ per motivi legati allo scorrere della storia. Se infatti tutta la narrazione è incentrata su ciò che è giusto - o almeno appare giusto - e ciò che non lo è, la storia della tragica scelta tra i Jedi e i Mando compiuta dal giovane padawan non può essere da meno. La Forza gli ha prospettato un’alternativa, in cui lui ha vissuto, seppur per proteggersi: gli ha offerto la prospettiva di una vita intera con Satine, una casa, una professione - fosse anche quella di pastore - e una famiglia, la forza di un legame unico scritto nelle pieghe della Forza stessa.  

Purtroppo, noi sappiamo già cosa sceglierà, ma questo non significa che sia stata una scelta facile.

Altrimenti, non ci sarebbe una storia da scrivere. 

Ed infatti questo è soltanto l’inizio di un tira e molla bello lungo. 

Vorrei inoltre aggiungere una piccola nota su un punto che temo di non aver mai chiarito. Nella mia storia, Satine ed Obi Wan hanno entrambi circa diciotto anni. Ora, se stando alle fonti originali Obi Wan è nato nel 57 BBY, e nel 42 BBY, al momento dello scoppio della guerra civile, aveva la veneranda età di quindici anni.

Ora, io capisco che nella galassia lontana lontana erano tutti molto, molto precoci, però mi sembra un po’ inverosimile che due persone così giovani possano dare origine ad una storia d’amore complessa come quella tra il maestro e la duchessa.

Così, per evitare di incappare in problematiche analoghe a quelle sorte attorno all’età di Anakin e Padme e per non alterare troppo la timeline, ho regalato a Satine e ad Obi Wan tre anni di vita in più. Se infatti retrodatiamo la nascita al 60 BBY, allora tutte le altre date tornano: il 42 BBY per la guerra civile mandaloriana, il 22 BBY per le guerre dei cloni e il 19 BBY per un fallimento di proporzioni cosmiche, fino all’anno zero.  

Il prossimo è un capitolo corposo, in cui cercherò di dare spessore anche alla figura di Qui Gon.

Sperando di rendergli giustizia come si deve. 

Oh, e comparirà anche un odiosissimo personaggio, uno che ha causato un bel po’ di problemi alla galassia tutta.

Fondamentalmente ha fondato un Impero. 

 

Molly. 

 

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Capitolo 42
*** 34- Guarigione ***


CAPITOLO 34

 Guarigione

 

Quando il primario entrò nuovamente nella stanza dove avevano ricoverato il giovane padawan, aveva una cattiva notizia da dare loro, ma non appena vide il ragazzo ad occhi aperti fargli ciao con la mano da dietro il vetro scoppiò in una risata gustosa.

- Ah, lo splendore della Forza! Quanto mi piacerebbe capirci qualcosa!- disse, scuotendo il capo per la meraviglia. 

Sulle prime, Satine e Qui Gon erano stati così contenti di vedere Obi Wan sveglio che non prestarono immediata attenzione a quelle parole.

Poi, la potenza di quanto detto esplose, come una bomba a scoppio ritardato.

- Prego?-

Il primario si guardò intorno e si sporse in corridoio. Quando fu certo che non ci fosse nessuno, chiuse la porta alle sue spalle e si toccò il naso, facendo capire che non erano soli nella struttura.

Fece loro cenno di avvicinarsi.

- Avete corso un grosso rischio venendo qua.- disse il primario, posando una mano sulla spalla di Satine.- Qualcuno avrebbe potuto riconoscervi, ed infatti è stato così.-

Puntò il dito contro il proprio petto, quasi con soddisfazione.

- Io c’ero, quando accadde di vostro padre. Fui uno dei medici che intervennero. Chiesi il trasferimento su Krownest per riuscire a ricongiungermi con la mia famiglia, sperando di risparmiare loro il caos che immaginavo sarebbe scoppiato su Mandalore. Inutile dire che ho fallito miseramente.- 

C’erano dei ricordi nella mente di Satine che non avevano senso, immagini che aveva immagazzinato senza saperlo, inconsapevole, travolta dalle emozioni di quel giorno. 

Incredibile come fosse un altro trauma a risvegliare quelle memorie, i ricordi di un giorno che avrebbe solo voluto dimenticare e della lotta libera che aveva ingaggiato con la burocrazia nei mesi successivi.

- Mi ricordo di voi.- disse, illuminandosi.- Voi avete fornito la sedia a rotelle a mio padre, a noleggio, prima che completassero la pratica per l’acquisto.-

- Desolato di aver infranto le regole, ma se aveste dovuto aspettare la fine dell’iter, probabilmente vostro padre sarebbe ancora seduto su una sedia.-

Satine lo sapeva. Il percorso burocratico era rimasto bloccato per un mese e mezzo in un ufficio, dimenticato, quando sarebbe solo dovuto passare alla porta accanto per essere concluso. Era dovuta andare dal titolare a fare il diavolo a quattro, ma alla fine aveva ottenuto il permesso definitivo per l’acquisto della sedia a rotelle che, grazie al rubicondo medico che aveva davanti, aveva ottenuto invece a noleggio pagando una cifra mensile.

Per i suoi gusti, per quanto vantaggiosa rispetto all’acquisto, era stata un’opzione dai costi comunque esorbitanti.

- Tecnicamente abbiamo fatto tutto secondo le regole, c’era un contratto di noleggio. Comunque, tant’è.- disse, accarezzandosi il pancione e fingendosi compiaciuto.- Ho riconosciuto la treccia del ragazzo, ho immaginato che fosse un Jedi. Ho una certa cultura storica, non per vantarmi.-

L’ometto sembrava veramente contento di vederla, ma Satine non immaginava che qualcuno potesse effettivamente mettere da parte il proprio rancore per i Jedi su Mandalore.

- Spero che la cosa non vi dispiaccia.-

- A me? No, assolutamente. E’ roba vecchia e credetemi, dopo le mostruosità che ho visto in questi giorni, la protezione dei migliori guerrieri della galassia mi pare consona alla vostra posizione. Tuttavia, il ragazzo è stato fortunato. Pochi secondi in più e non so se sarei riuscito a ripescarlo. Per il resto, dimostra di avere una dignitosa spina dorsale, più di molti Mando che conosco. Ogni riferimento ai Saxon e ai Vizla è puramente casuale, e mi raccomando, qua i muri hanno le orecchie.- disse, abbassando la voce e toccandosi di nuovo il naso, furbamente. 

Qui Gon e Satine furono sollevati ed Obi Wan lo percepì nella Forza. Immerso nel bacta, non sentiva assolutamente nulla e vedeva tutto molto sfuocato, ma riusciva a percepire le loro emozioni e tanto gli bastava. Guardava tutto, provando a comprendere di più, e la cosa non faceva altro che sollevare gli animi dei suoi amici.

- Il ragazzo è sveglio, senziente e perfettamente in filo col cervello. Anche questo è un mezzo miracolo. In ogni caso, purtroppo, temo che dovrò toglierlo dalla vasca di bacta.-

La luce sulla faccia di Satine si spense.

- E perché? Stava andando così bene!- 

- Perché non c’è stato verso di prendere per il naso i Vizla. Hanno scoperto che stiamo curando un civile attaccato dagli spettri con la vasca e a quanto pare la cosa non gli va a genio. Rivogliono la vasca per curare i loro uomini. Sapevo che non potevo prolungare la degenza, ma ci avevo sperato. Mi dispiace, dobbiamo toglierlo, ed è bene che succeda adesso prima che i Vizla vengano a toglierlo da qua di persona.-

L’operazione non fu semplice. Obi Wan era praticamente un peso morto. Non riusciva a muoversi, e non appena uscì dal bacta sentì di nuovo quanto male potevano infliggere i morsi di spettro. Annaspò in cerca d’aria quando il fianco sembrò trafitto da milioni di spilli, e ci volle tutta la pazienza di Qui Gon per riuscire a calmarlo.  

Satine si fece carico dell’amministrazione. Lasciò Qui Gon ed Obi Wan a meditare assieme, o almeno a provarci, e la duchessa si dedicò a ciò che sapeva fare meglio.

Di solito, facendo un po’ di confusione - sempre nei limiti del legale - riusciva ad ottenere quello che era giusto in circostanze normali, ma adesso, con una guerra in corso, aveva le armi spuntate. 

Non poteva parlare o si sarebbero accorti che lei non era una semplice impiegata in qualche industria locale. Non poteva farsi vedere in pubblico, o qualcuno avrebbe potuto riconoscerla e consegnarla ai Vizla pur di farla finita con quel massacro. 

Doveva giocare d’astuzia. 

Così, si mise d’accordo con il primario. Contò ogni singolo credito che aveva a disposizione per poter comprare le medicine che mancavano al ragazzo. Il loro assortimento era buono, ma non sufficiente. 

Inoltre, per diversi giorni non si sarebbe potuto muovere. Questo significava che doveva essere trasportato in barella almeno fino al loro trasporto, e poi, da lì, si sarebbe mosso o in sedia a rotelle o, ancora una volta, steso su un letto.

Purtroppo, il buon dottore non poteva darle né l’una, né l’altro. 

- Mi dispiace molto, ma hanno requisito tutto, e le barelle ci servono. Avete sollevato un bel polverone con il vostro discorso, duchessa. Il massacro di Sal, purtroppo, servirà. Girano voci sulla contessina, dicono che potrebbe passare ai Kryze, visto l’orrore di cui i Vizla sono capaci.-

Satine dovette mettercela tutta per trattenere il disgusto e ci riuscì solo parzialmente, almeno a giudicare dallo sguardo compassionevole del buon dottore. 

Non era un’ingenua, beninteso. Aveva considerato che il suo discorso avrebbe potuto avere anche dei riflessi negativi nel momento in cui l’aveva registrato.

Era uno dei tanti orrori della guerra. Tutto quello che uno fa o dice, anche quando predica la pace, ha un costo in termini di vite umane.

Soprattutto in un sistema come quello di Mandalore, dove i vicini di casa erano capaci di scatenare una guerra per un ramo caduto nel terreno dell’altro.

Sentiva il bisogno di fare qualcosa per tutti quelli che avevano rischiato le loro vite nelle rivolte, ma non poteva farlo senza palesare la sua identità. 

Così, armata di santa pazienza, si era messa a fare progetti con il dottore, che poi aveva accuratamente spiegato a Qui Gon.

- Quello speeder che ho rubato, avete presente?-

- Certamente.-

- Potreste smontare il sedile?-

Aveva aperto davanti a lui uno dei suoi soliti disegnini, non molto accurato e decisamente confuso, che in ogni caso pareva rappresentare una sedia a rotelle.

- Ci servirà per costruirla.-

Gli occhi del maestro si fecero tristi e depressi, ma non commentò. 

Satine non si sentì di infierire. In quei giorni, Qui Gon era sempre rimasto con lei tranne che per un paio d’ore, in cui era stato costretto ad allontanarsi per evitare che i meccanici vendessero la navicella che aveva pagato a caro prezzo. Aveva restituito lo speeder ed aveva imboscato la navetta, per non dare nell’occhio. 

Poi, era tornato a piedi, a vegliare il suo padawan, silenzioso come mai lo era stato fino a quel momento.

- Non ce la daranno, eh?-

- Non ce l’hanno proprio. Vizla ha requisito tutto.-

Il maestro sospirò e si mise in cammino verso l’uscita.

Satine rimase con Obi Wan per quasi tutto il tempo. La meditazione l’aveva sfinito e si era addormentato. La duchessa aveva provato a sistemargli il collo con scarsi risultati, per cui, piuttosto che svegliarlo, aveva preferito lasciarlo dormire, sperando che non gli facesse male. 

Solo in un momento di tensione, la ragazza, sola, dovette mettersi a litigare.

Oltre alla sedia a rotelle, alle barelle e alla vasca di bacta, evidentemente i Vizla avevano bisogno anche della stanza numero diciannove. Così, due inservienti - capeggiati dalla fastidiosissima infermiera Paguur - fecero irruzione nella camera e cominciarono a spostare oggetti, sedie e tutto quello che trovavano.

Sulle prime, Satine temette il peggio.

Sanno chi sei.

Poi, però, non notando nessun militare, cominciò a pensare che si trattasse di qualcosa che aveva a che fare con l’ospedale.

- Che state facendo?-

- Il paziente è dimesso. Dovete andarvene.-

Satine inarcò un sopracciglio. Non era il caso di fomentare rivalità, ma se c’era una cosa di cui era certa, era che Obi Wan, almeno per il momento, fosse tutto fuorché dimesso dall’ospedale.

- Fatemi vedere la lettera.-

- Prego?-

- La lettera di dimissioni. Fatemela vedere.-

L’infermiera Paguur le lanciò un’occhiata ostile.

- L’ha deciso il medico, la lettera arriverà a momenti.-

- Quale?-

- Eh?-

- E’ dura d’orecchio? Quale medico?-

L’infermiera non rispose e per tutta risposta afferrò la barella di Obi Wan e lo trascinò fuori dalla porta.

Satine avrebbe tanto voluto ribattere, ma sapeva che non sarebbe servito a niente se non ad attirare l’attenzione di soggetti indesiderati. Si sentiva impotente, ma si morse la lingua e seguì il padawan incosciente in corridoio.

Doveva essersi accorto di un qualche disturbo nella Forza, perché si era accigliato ed aveva mugolato qualcosa nel sonno. La duchessa pregò che non parlasse, perché era convinta che non sapesse nulla delle false identità e forse non avrebbe avuto la prontezza di riflessi per non fare il suo nome in pubblico.

Non sai quanto ti vorrei sveglio, ma per il momento dormi, ti prego!

La barella fu abbandonata in corridoio, sotto lo sguardo compiaciuto della signora Paguur, che evidentemente si divertiva molto nella parte della vipera incaricata di mordere. Uno degli inservienti spinse la barella in orizzontale, ma le ruote, incrostate dal tempo, non girarono come avrebbero dovuto ed Obi Wan si inclinò pericolosamente sulla barella e rischiò di precipitare di sotto.

Se quella specie di grosso carrello rimase in piedi fu solo grazie a Satine, che si lanciò con tutto il peso del corpo su di essa e fece da contrappeso. Agguantò il ragazzo per un braccio e per una caviglia e lo rimise al suo posto, ma ormai il danno era fatto.

Il povero padawan prese a lamentarsi. Il collo aveva risentito del colpo di frusta, perché la testa, non contenuta a dovere, si era mossa un po’ troppo, stiracchiando i muscoli lacerati e i punti di sutura. 

- Va tutto bene, va tutto bene.- 

Ma no, non andava tutto bene, perché la ferita si era riaperta e Satine aveva un diavolo per capello.

- Ho bisogno del dottore, il morso al collo…-

Ma l’inserviente le rise in faccia, il tutto sotto gli occhi irriverenti della signora Paguur, che si guardò bene dall’intervenire.

- E voi? Non dite niente?- 

La donna alzò le mani.

- Bisogna aspettare il dottore. E poi, il paziente è dimesso. Dobbiamo ricominciare da capo.-

E Satine gliene disse di tutti i colori, oh, se lo fece. Il corridoio era pieno di degenti abbandonati provenienti da Sal, più o meno gravi, e quasi tutti soli. Non si fece problemi. Disse tutto ciò che pensava. 

Semplicemente, tenne la politica fuori dal discorso. 

- Voglio parlare con il primario.-

- Non c’è.-

- Non è vero. Ci ho parlato mezz’ora fa. I turni finiscono all’ora del pasto, ragione per cui…-

- Vi ho detto che non c’è.-

- E’ un mio stramaledetto diritto parlare con il medico!-

- Senti, carina, è già tanto se l’abbiamo curato. Ce l’hai portato che era più di là che di qua, una vera e propria perdita di tempo.-

- E quindi? Doveva morire all’epoca, possiamo lasciarlo morire ora?-

La signora Paguur alzò di nuovo le mani e questa volta Satine perse davvero la pazienza.

- Voi siete una vergogna per la vostra professione, per la divisa che indossate, nonché una vergogna per tutta Mandalore! No, non tirate fuori questo argomento. La politica non c’entra nulla con l’etica professionale. Per me voi potete appartenere al clan Kryze o Vizla, non mi interessa, ma avete giurato di trattare ogni paziente al massimo delle vostre possibilità quando avete scelto questo lavoro…-

- E’ stato tanti anni fa.-

- E allora vi suggerisco di cambiare mestiere!-

- Come osate?-

- Oh, io oso eccome! Andate, su! Andate a chiamare le vostre amiche guardie, ma ricordatevi che in questa guerra tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Vedrete come si ricorderanno dei vostri servigi, quando non gli servirete più!-

Quelle parole dovettero colpire particolarmente la signora Paguur, che la guardò con aria dubbiosa e poi andò a rintanarsi al pronto soccorso da cui era venuta, guardandosi pensosa le unghie laccate di viola.

Qui Gon era rimasto impassibile in fondo al corridoio, la voglia di mettersi a piangere se solo non fosse stato un Jedi.

Non so se lo faccia apposta, ma sta davvero facendo di tutto per farsi ammazzare.

Poi, notò le mani sporche di sangue della ragazza e sospirò.

Perché ha le mani sporche di sangue?

E perché sanguina un’altra volta, povero ragazzo?

Il corridoio, invece, parve apprezzare, perché dal mucchio di malati e dalle stanze rimaste aperte si sollevarono urla di giubilo.

- Finalmente qualcuno che dice due cose sensate!-

- Fategliela vedere, a quella bisbetica!-

- Di farabutti ne abbiamo, ma lei è la più farabutta di tutti-

- Ci devono curare!-

- Lei e tutti i sodali dei Vizla!-

Satine incrociò lo sguardo disperato dello zio Jinn, l’aria di uno che se ne sarebbe andato volentieri al più presto e che la ragazza non poteva fare a meno di condividere.

Allargò le braccia, piccata.

- Mi sono sfogata.-

Il primario li raggiunse a tempo di record. Disse che la signora Paguur l’aveva mandato a chiamare perché un’isterica l’aveva insultata in corridoio per aver sgomberato una stanza su ordine dei Vizla.

- Immaginavo che foste voi. Adesso sì che dovrete spicciarvi ad andarvene!-

- Credetemi, dottore, non intendo restare un minuto di più in questo posto, e intendo rientrarci solo dopo che l’avrò riformato!-

- Tenetemi informato, duchessa. Mi piacerebbe cambiare reparto, in caso.-

- Mi state chiedendo un favore?-

- Oh, non oserei mai.- disse, alzando le mani.- Ma vorrei avere ancora un impiego, dopo la riforma della sanità.-

- Mio caro dottore, se mandassimo via gli elementi di valore non riformeremmo, bensì distruggeremmo.-

Obi Wan fu portato nello studio del primario e lì rimase con Satine, in attesa di Qui Gon e del loro velivolo. L’avrebbero caricato usando la porta sul retro dello studio, passando in corridoi privati per non dare nell’occhio. Attesero in silenzio, ma il medico ci tenne a farle sapere che le sue parole, ancora una volta, avevano avuto un effetto pesante su tutto l’ospedale.

- Sapete, il primo è stato l’uomo che avete incontrato al pronto soccorso. Vi ricordate il tipo in barella che si lamentava in continuazione?-

Satine annuì.

- E’ stato lui il primo a chiamarvi Dala Baa’ruur.-

- Dala Baa’ruur?-

- Esatto. Il modo in cui vi siete presa cura del giovanotto ha fatto breccia, e la voce si è sparsa. Anche i degenti in corridoio, dopo il siparietto con l’infermiera Paguur questa mattina, hanno cominciato a chiamarvi così. L’uomo purtroppo è morto, ma state pure tranquilla che le famiglie si ricorderanno di voi.-

- Avete messo in giro la voce che io sono qui?-

- Oh, purtroppo è andata peggio. C’è stato chi ha filmato la vostra sfuriata, e sta per finire nelle mani di una certa Inga Bauer. Immagino che la conosciate.-

Satine abbozzò un sorriso. 

Quella sarebbe stata un’altra delle cose che avrebbe scoperto molto dopo. Dala Baa’ruur, donna medico, sarebbe diventato uno dei tanti nomi con cui sarebbe stata chiamata una volta conclusa quella folle fuga. Lo avrebbe appreso da Inga Bauer, durante una delle sue innumerevoli telefonate, mentre lei e i due Jedi si sarebbero trovati in un luogo sperduto, lo stesso in cui, senza saperlo, stava per andare.

Obi Wan fu caricato di peso sulla navicella in mezzo ad assonnati brontolii. Il buon medico la salutò con grande delicatezza, augurando loro il meglio e stringendole la mano alla maniera dei Mando.

- Tor, ijaat, haat, verburyc, kotep.-

- Tor, ijaat, haat, verburyc, kotep. Mi raccomando, dottore. Il nostro sistema ha bisogno di persone di buon cuore come voi. Cercate di non farvi ammazzare.-

L’uomo sorrise con simpatia.

- Farò del mio meglio. K’oyacyi!-

- K’oyacyi!-

- Ah, un ultima cosa.- disse, quando già Satine stava per prendere il largo.- Siete proprio sicura che il ragazzo sia solo un Jedi?-

- Che intendete?-

- Intendo dire che, per quanto siate, come avete detto voi? Di buon cuore, dubito che una persona farebbe quello che avete fatto voi per un semplice guardiano.-

Satine tacque, nonostante avesse aperto la bocca per rispondere, ma la voce le mancò.

Tacere, in questo caso, equivaleva a confermare.

- State tranquilla, Mand’alor.- le disse, sempre ridendo bonariamente.- Il vostro segreto è al sicuro con me.-

 

Il viaggio fu piuttosto lungo. Date le circostanze - che Satine non aveva tardato a riferire a Qui Gon, omettendo accuratamente l’ultima parte - il buon maestro aveva giustamente deciso di spostarsi quanto più possibile dalle cittadine di Loras e Sal. 

Obi Wan dormì per quasi tutto il viaggio e solo alcune volte aprì gli occhi, ma lo sguardo era velato, assorto, quasi vitreo, come se con la mente fosse di nuovo da un’altra parte.

La cosa la spaventò, ma il maestro le confermò che, purtroppo, il ragazzo era fin troppo presente a se stesso e che la cosa si sentiva molto bene nella Forza.

Il che, forse, la spaventò ancora di più. 

Gli venne la febbre, ma questo era un evento previsto. Il medico era stato chiaro: la febbre era scontata, vuoi per infezione, vuoi per shock, e lo strabiliante sarebbe stato il suo non manifestarsi.

Si erano dotati di antibiotici, ma non sarebbero bastati, così decisero di fare una deviazione e fermarsi in una anonima cittadina di provincia, in cui nessuno avrebbe mai controllato. Qui Gon scese a fare rifornimento, mentre Satine rimase in plancia, all’erta, a vigilare sia su eventuali visite inaspettate, sia sul giovane padawan infermo a letto. 

Quando tornò, portò splendide notizie.

- Che cos’è questo simbolo, duchessa?- disse, mostrandole un ologramma delle campanule canterine su un lenzuolo appeso ad una terrazza.

Considerata la qualità pessima dell’immagine, doveva aver scattato la fotografia di nascosto mentre sgusciava fuori dalla città. 

- Campanule canterine. E’ il simbolo dei Kryze.-

- Bene, sappiate che era dovunque in città.- 

Satine pregò che Larse Vizla non venisse mai a saperlo e che invece ciò avvenisse con Ursa Wren, ma le sue attenzioni furono ben presto dirette ad Obi Wan, che parlava nel sonno mentre la febbre continuava a salire.

Non sapeva come interpretare questa sua sonnolenza continua. Una parte di lei era convinta che fosse normale, che dovesse recuperare. Ne aveva viste delle belle e il suo corpo era debilitato. Era giunta persino a pensare che potesse essere dovuto alla meditazione eccessiva, o al tentativo di curarsi. Ricordava che Obi Wan un tempo le aveva detto che non era un asso in quel genere di cose.

Eppure, una parte di lei continuava a tornare con la mente a quel curioso dettaglio che il buon primario le aveva riferito a proposito delle sostanze che aveva trovato in circolo nel corpo del padawan.

Neurotossine.

Satine sapeva che vari animali usavano le neurotossine come sostanza paralizzante, se non addirittura letale, per uccidere le prede. Questi animali, però, potevano essere sia prede, che predatori, come i serpenti, i ragni o gli scorpioni. 

Gli spettri non avevano l’aria di essere una specie predata, semmai predatoria. Erano molto aggressivi ed intelligenti, e giravano in branco. Non avrebbero avuto bisogno di neurotossine per stordire le vittime.

C’era poi quella somiglianza tremenda che aveva notato mentre fuggivano dalla PharmaMandalore, un attimo fugace in cui aveva pensato di essere inseguita da una pianta e non da un animale senziente.

Un’idea bislacca le attraversò la mente.

Potrebbe anche essere.

In effetti, andava di pari passo con le leggende che erano sempre circolate attorno all’impresa epica di Marmaduke il Protettore, ovvero la cacciata di organismi microscopici dal sistema di Mandalore.

Parassiti che infestano il sistema.

E se non fossero stati parassiti?

Se fossero qualcos’altro?

Certo, se la sua teoria avesse retto di fronte ad ulteriori prove e se Obi Wan fosse sopravvissuto, questo lo avrebbe reso non soltanto l’unico ad essere mai sopravvissuto ad un attacco di spettri su Mandalore, ma addirittura l’unico ad essere sopravvissuto ad un attacco di quella bestia lì in tutta la galassia.

Avrebbe avuto tempo, in ogni caso, per rimuginare su quell’eventualità. Viaggiarono per ore e la notte passò, mentre la navicella sfrecciava nel cielo di Krownest. Lei e Qui Gon si davano il cambio ai comandi, e l’altro andava a dormire accanto al giovane, che continuava ad essere agitato dalla temperatura troppo alta. 

Poi, alla fine, all’alba del secondo giorno di viaggio, Qui Gon decise di atterrare.

- Non è bene che questa navicella venga vista. Atterriamo, facciamo rifornimento e poi ci lanciamo nell’iperspazio verso Aldeeran.-

- Vorrei che non lo diceste, maestro. Tutte le volte che lo abbiamo programmato, ci è successo qualcosa che ce l’ha impedito, e non so come la vediate voi, ma se dovessero assaltare la nostra nave, non ho intenzione di abbandonare Obi Wan al suo destino e fuggire, così come non ho intenzione di portarlo con noi su un altro guscio di salvataggio nel mezzo del niente. Non reggerebbe nelle sue condizioni.-

Le parve di scorgere un lampo di disappunto negli occhi del maestro e non lo biasimava. L’idea di lasciare il sistema l’aveva sempre infastidita. Le sembrava di scappare via, di abbandonare la sua gente, che credeva fermamente in lei. Nonostante tutte le disavventure che avevano avuto, la sorte sembrava volerla tenere nel sistema di Mandalore o negli immediati paraggi, e lei l’aveva accolta con il sorriso.

Soprattutto in quel momento, in cui Krownest si stava finalmente ribellando e che Ursa Wren poteva scendere a patti col nemico e svoltare la guerra civile definitivamente, si sentiva poco incline a lasciare il pianeta.

In soccorso, questa volta, le venne uno stanchissimo senatore di Alderaan, che rispose alla telefonata di Qui Gon con l’aria di uno condannato al patibolo.

- Sono desolato di sentire le vostre disavventure, amico mio, e spero che il vostro padawan possa rimettersi presto.-

- Sarebbe sicuramente più semplice se potessimo avere accesso a strutture adeguate. Qua siamo abbandonati a noi stessi e gli ospedali sono inaccessibili. Troppi terroristi in giro.-

- Sembra un incubo.- sospirò Bail Antilles, passandosi una mano tra i capelli scuri. Aveva la faccia buona, ma gli occhi vispi di un politico navigato.- Non sapete quanto mi dispiaccia darvi la notizia.-

Satine avrebbe tanto voluto battere la testa nel muro.

Va bene, l’abbiamo capito: Aldeeran, non s’ha da fare.

- Purtroppo la cancelliera verrà in visita, e poi verranno avviate trattative con la Federazione dei Mercanti per i prezzi calmierati sui beni di prima necessità, e la parola d’ordine è una sola…-

- Fatemi indovinare: Aldeeraan è blindata.-

- … Non fare entrare nessuno. Esatto. Inoltre, maestro, temo di dovervi dare un’altra brutta notizia.-

Ancora?

- La giovane duchessa non è ben vista in Senato.-

Se l’espressione di Satine avesse potuto tramutarsi in voce, la sua risata sarebbe rimbalzata sulle pareti della navicella. 

Invece, l’abitacolo rimase in silenzio.

- Non vedo come questo sia possibile, senatore Antilles.-

- Francamente nemmeno io, ma c’è stato chi non ha gradito l’intervento dei Jedi. Sapete, la storia non si può cancellare, e pensano che un eventuale contatto tra Mandaloriani e Jedi possa, come dire? Alterare gli equilibri della Repubblica.-

Qui Gon scosse il capo, meravigliato.

- La cancelliera Kirames Kaj non è così ingenua, amico mio.-

- Ed infatti il problema non è la cancelliera, ma le persone che hanno proposto una mozione di non intervento.-

Il maestro alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere Satine sbracciarsi e sillabargli qualcosa che non capì.

Voglio i nomi!

Beh, a dire la verità era facile intuire quello che voleva sapere.

- Un gruppo di senatori, dunque, avrebbe votato contro l’aiuto della Repubblica, prestato, tra l’altro, ad un pianeta che ha giurato fedeltà alla Repubblica stessa e con il quale intercorrono degli accordi di reciproco intervento?-

- La cancelliera non è contenta.- disse l’uomo, passandosi di nuovo una mano nei capelli, e Satine pensò che fosse un chiaro segnale di disagio.- Ma tant’è. Alcuni senatori hanno cavalcato la naturale diffidenza nei confronti del sistema per creare immagini orrorifiche in cui i Mando invadono la Repubblica. Alcuni hanno detto, al contrario, che lei è debole, troppo giovane. Un sacco di stupidaggini, a parer mio. In verità, temo che ci sia un interesse di fondo che non riesco a capire e che qualcuno voglia invadere il sistema, ed è anche uno dei motivi per cui vorrei mettervi in guardia, amico mio. Forse, con tutti questi politici in giro, non è il caso di venire su Aldeeraan. Come ben sapete, un politico sa essere letale quanto un cacciatore di taglie, se vuole.-

Era un’affermazione coraggiosa, fatta da un giovane senatore. Doveva avere poco più di vent’anni, quasi l’età di Satine, e come lei doveva già averne viste tante. Aveva letto che su Naboo si poteva diventare re e regina molto presto, forse troppo, ma non era quello il momento per sindacare i costumi di un pianeta amico. 

No, Bail Antilles era un uomo saggio e si vedeva, ed andava rispettato. 

- Amico mio, faremo come dite. Non mi dareste di certo questa notizia se non foste sicuro delle vostre fonti.-

- Per onor di cronaca.- disse il senatore, guardandosi in giro ed avvicinandosi al commlink per non farsi sentire.- Uno degli oppositori è Sheev Palpatine.-

Satine lo aveva sentito nominare. Era uno degli astri nascenti della politica di Naboo. Si diceva che fosse molto influente, carismatico, bravo con le parole, ma che, per un qualche motivo a lei sconosciuto, preferisse le retrovie, lavorando per sostenere il cancelliere di turno più che per prenderne il posto. 

Satine non lo conosceva abbastanza per temerlo, ma sapeva che gli uomini come lui erano di solito arrivisti, narcisisti e dispotici, con un forte culto della loro persona da cui dipende il potere. Non poteva di certo dire con certezza che Sheev Palpatine fosse un farabutto di prima categoria, ma era un elemento che Satine preferiva tenere d’occhio. 

Se non aveva ancora agito, era perché, probabilmente, aveva un buon piano, e la cosa rendeva la duchessa guardinga. 

Gesticolò verso Qui Gon, che fece finta di non vederla per non imbarazzare il suo amico Bail Antilles, ma comprese comunque il gesto.

Voglio gli altri.

- Mi auguro che si trovi in una posizione di minoranza. Non riesco a capire come un uomo politico del suo calibro, in un sistema come quello di Naboo, da sempre votato alla pace, possa volere un massacro come quello che sta accadendo su questo pianeta. Voi non siete qui, Bail. Voi non avete idea di che cosa stanno facendo. Abbiamo visto cose ai limiti del mostruoso. Già le parole di Larse Vizla su che cosa intende fare alla duchessa, qualora dovesse raggiungerla, valgono più di mille discorsi.-

Il senatore aveva l’aria davvero addolorata.

- Purtroppo il Senato si è diviso in due, tra chi non vuole intervenire e chi vuole invadere. Nessuno che faccia un discorso serio sugli aiuti umanitari.-

Qui Gon sospirò e Satine scosse il capo, consapevole che non avrebbe ottenuto ulteriori informazioni.

- Avete un luogo dove stare?-

- No. Ne troveremo uno.-

- Chiamate il Consiglio Jedi. Sono certo che, di fronte a questa eventualità, troveranno altre persone disposte ad aiutare la duchessa e a sostituirvi. Potreste sottoporre il vostro padawan ad un trattamento medico opportuno.-

Qui Gon alzò gli occhi su Satine, che era improvvisamente impallidita ed aveva abbassato lo sguardo. Poi, con suo grande stupore, la ragazza annuì.

- Vedremo che cosa si può fare. Certamente dovrò informare i Jedi della situazione. Grazie comunque per la vostra disponibilità.- 

- Se doveste avere bisogno più avanti, non appena questa situazione finirà, vi ospiterò personalmente su Aldeeraan. Non può durare per più di un mese.-

- In un mese cambiano molte cose, mio caro Bail.-

- Ne sono consapevole, e da un certo punto di vista me lo auguro. Spero che finisca la guerra civile e che voi possiate tornare sani e salvi da dove siete venuti. Duchessa inclusa, naturalmente.-

 

Quando la conversazione finì, Satine sembrò sul punto di svenire. Qui Gon ne ebbe pietà. Si avvicinò a lei, mentre riponeva il commlink al suo posto, e le posò due grosse mani sulle spalle. 

- Duchessa, non dovete temere, noi…-

- Ha ragione lui, dovete tornare su Coruscant.-

Era la cosa più ovvia. Caricare Obi Wan sulla navicella e volare via, alla volta del loro pianeta, dove avrebbe potuto essere curato appropriatamente e dove avrebbe potuto smettere di soffrire, di delirare.

Qui Gon, però, non sembrava della stessa opinione.

- Voi siete la nostra missione. Quando siamo partiti, sapevamo che sarebbe potuto succedere. Non ci muoveremo da qui. Non è nemmeno scontato, visto il quadro politico, che il Consiglio accetti di sostituirci.-

- Obi Wan ha bisogno di cure appropriate, che in questo stramaledetto sistema io non posso offrirgli e…-

- Obi Wan sopravviverà o diventerà tutt’uno con la Forza. Le sue vie sono infinite.-

- Ma non possiamo restare qui a guardare. Lui…-

- No, duchessa, no.-

Qui Gon la guardò con occhi compassionevoli, e per la prima volta in quei giorni d’inferno Satine sentì tutto il peso della loro situazione sulle spalle. 

Si rese conto che in giorni non aveva mai pianto. Non aveva versato una singola lacrima quando aveva ucciso tutti quegli spettri. Non aveva versato una lacrima quando aveva fatto ricoverare a suon di urla ed insulti il giovane padawan. Non aveva fatto una piega quando aveva scoperto del massacro di Sal. Aveva versato qualche lacrima soltanto quando si era lavata in quella strana stanza diciannove, da sola, dove nessuno avrebbe potuto vederla.

Per il resto, aveva vissuto nell’immediato, senza rendersi davvero conto di che cosa stesse affrontando.

Era così che vivevano i Jedi, quando dicevano qui ed ora?

No, perché non faceva meno male.

Anzi.

Sentì il labbro tremare e il buon maestro se ne accorse nonostante i suoi tentativi di tenerlo nascosto. 

- Voi adesso parlate come un’amica ferita. Beh, più o meno. Non credete che sia ingenuo, Satine. Sono nato prima di voi due. Conosco il mondo e conosco i vostri cuori più di quanto a voi ragazzi piaccia ammettere.-

Oh, adesso sì che aveva una gran voglia di piangere. 

Strinse i pugni mentre combatteva contro se stessa per non versare nemmeno una lacrima ancora una volta.

Sei Mando.

I Mando non piangono.

- Voi non avete nulla da rimproverarvi, duchessa, capite? Nulla. Semmai, quello che ha un peso sulla coscienza sono io. Dev’essere stata la via della Forza. Dobbiamo rispettarla.-

Satine aggrottò le sopracciglia.

- Eh? La via della Forza?-

- Sì, duchessa. Forse, che non ce la facesse, era destino.- 

Oh, no che non è la via della Forza.

Kar’jag appartiene alle stelle, ed alle stelle ritornerà.

Oh, detta così però…

Un momento.

- Non è ancora morto.-

- Ma lo sarà. Probabilmente, per lo meno. Senza la vasca di bacta, riprendersi diventa non dico impossibile, ma…-

- Ma ci siamo noi! Non lo lasceremo un secondo!-

- Ci cercheranno, duchessa.- a Satine non sfuggì il cambio di tono.- Non possiamo rallentare. Dovremo andare via, ed Obi Wan non riuscirà a starci dietro.-

La ragazza si accigliò.

Adesso, invece di piangere, aveva voglia di urlare, fare una sfuriata come aveva fatto nel corridoio dell’ospedale.

Ma era Qui Gon. Non poteva parlare contro di lui allo stesso modo.

- Che cosa suggerite, dunque?-

Il maestro sospirò, le spalle sempre più curve e più in basso. 

- Non lo so. Dobbiamo andare avanti e portarcelo dietro. Potremmo rifare la barella che avevamo improvvisato per voi, oppure potremmo improvvisare una sedia a rotelle, ma sarebbe comunque complicato.-

- Maestro, con tutto il rispetto, non prendetela a male se vi dico che pare quasi che vi auguraste che Obi Wan non si svegli più.-

L’uomo la guardò in tralice, ma Satine potè scorgere un’ombra insinuarsi nelle sue iridi chiare.

- Non credete che non sappia che cosa avete fatto, in ospedale. Non avete sbattuto contro la vasca di bacta. Non crediate che non vi abbia sentito nella Forza.-

Non ci aveva mai nemmeno provato, ad illudersi. Che Qui Gon fosse potente nella Forza era scontato. Le aveva insegnato a meditare, era ovvio che avrebbe percepito anche il suo tentativo di raggiungere il padawan dovunque si fosse rifugiato.

In verità, però, questo era quello che per Satine sarebbe dovuto restare. Un tentativo. Certo, aveva nutrito la speranza che il legame segreto - forse, nemmeno così tanto - che la univa ad Obi Wan le permettesse di arrivare a lui, ma non era mai stata così sciocca da credere che una duchessa mandaloriana non del tutto sensibile alla Forza potesse riuscire là dove un maestro Jedi aveva fallito. 

- Ci avete provato voi, ci ho provato anche io. Non mi aspettavo di riuscire. Non volevo lasciare niente di intentato.-

Forse, però, era quello il problema? Il fatto che lei aveva goduto di un contatto privilegiato con Obi Wan?

- Vi avevo detto di no, duchessa. Vi avevo detto che non dovevamo forzare la mano della Forza. Solo il futuro adesso sa che cosa accadrà. Potremmo aver sovvertito l’ordine costituito, alterato l’equilibrio.-

Oh, no, Qui Gon.

Non tentate la carta della metafisica con me.

- Volete filosofeggiare, maestro?-

L’uomo ricambiò con un’occhiata pietosa la duchessa, che invece lo guardava con aria di sfida.

- Bene, filosofeggiamo.- gli disse, invitandolo a sedersi.

Satine potè scorgere un sorriso di superiorità sul volto di Qui Gon mentre si accomodava sulla poltrona di nuovo, ma la ragazza non era decisa a dargliela vinta.

- Adesso, maestro, illuminatemi. Le vie della Forza sono infinite?-

- Certamente. La Forza funziona in modi del tutto imprevedibili ed incomprensibili per noi comuni mortali, che possiamo solo provare a darle un senso ed affidarci ad essa, seguendola per arrivare all’equilibrio.-

Era qui che vi volevo, maestro.

- Quindi la Forza tende naturalmente all’equilibrio?-

- Ovviamente. La Forza disegna per noi un cammino che dobbiamo percorrere per il bene superiore.-

- Allora credo di non avere capito, maestro. Io pensavo che la Forza avrebbe comunque raggiunto l’equilibrio.- 

- E’ così, infatti.-

- Perdonatemi, ma messa così io ci vedo un vizio di fondo.-

Qui Gon alzò un sopracciglio, il fastidio visibile dentro i suoi occhi. A differenza di Obi Wan, il maestro pareva non disdegnare il sentimento negativo. Non lo reprimeva, bensì lo lasciava fluire. Satine lo apprezzava, lo riteneva più giusto, più umano, ma allo stesso tempo le sembrava poco consono ad un Jedi, almeno per quello che sapeva di loro.

Forse, il maestro era un po’ sotto pressione. Si sentiva responsabile, era normale che non avesse voglia di sentirsi tenere una conferenza sul modo di influenzare la Forza.

Soprattutto se a fargliela era una ragazzina Mando.

Ma i Jedi non dovrebbero solo imparare?

Ignorò l’aria canzonatoria e continuò.

- Avete mai sentito parlare del Paradosso delle Proiezioni?-

- Sarebbe?-

- E’ una storia che raccontano su Mandalore ai bambini. E’ la storia di un gruppo di scienziati che scoprono una macchina per predire il futuro. Quando la avviano, scoprono che il loro mondo è destinato a morire. Faranno di tutto per impedirlo, ma nonostante abbiano messo in atto ogni tentativo, tutto quanto era in loro potere, il pianeta morirà comunque.-

Qui Gon parve non tradire alcuna emozione, ma il tono della sua voce non lasciava spazio a dubbi.

Credeva palesemente che Satine non ci avesse capito nulla.

- E’ esattamente il contrario di quello che ho detto, duchessa.-

- Non credo proprio, maestro. Il paradosso sta nel fatto che la macchina calcola il futuro su dati esatti. Il tempo è come un anello che si ripete. La macchina sa già che cosa succederà dal momento in cui gli scienziati la accenderanno, fino alla fine del mondo. Ha già calcolato ogni singolo tentativo, per cui il risultato non può essere cambiato. Se voi mi dite che la Forza punta naturalmente a raggiungere l’equilibrio, significa che ha già una rosa di percorsi prestabiliti da intraprendere per raggiungere quell’equilibrio.-

Qui Gon si accigliò, forse comprendendo per la prima volta dove la duchessa volesse davvero andare a parare.

- Voi mi state dicendo che la Forza avrebbe già predisposto un’alternativa alla dipartita di Obi Wan?-

- Vi sto dicendo che non lo so. Vi sto dicendo che non ho certezze, mentre voi sembrate averle.-

Il maestro, per una volta, rimase in silenzio a pensare, e Satine decise di affibbiargli l’ultimo colpo.

- Io credo che la Forza abbia un suo fluire predefinito, in cui noi non abbiamo parte, se non in eventi massivi o in base a decisioni prese da personaggi di particolare rilevanza, che potrebbero influenzarne l’andamento in modo sostanziale. Prendiamo ad esempio la cancelliera. Se la mia governante decide di rifiutare le cure per una malattia, non succede niente. Morto un essere umano, se ne fa un altro. Se però la cancelliera decide di morire, questo principio non vale. Significa perdere un elemento in favore di un altro, uno con meno scrupoli come questo Sheev Palpatine. Quello che accadrebbe se io decidessi tra Jedi o Sith, tra la Repubblica e l’autonomia, tra la pace e la guerra. Tutto avrebbe un prezzo, ma una di quelle strade avrebbe un prezzo minore, più accettabile, meno pericoloso, e la Forza riuscirebbe a mantenere l’equilibrio.-

- Duchessa, continuate a confermare la mia teoria. Morto un Jedi, se ne fa un altro.-

- Come se trovassimo i Jedi come i funghi. Quanti sono gli abitanti della galassia e quanti sono i Jedi? Fate la proporzione. Ogni vostra vita è importante. Lo so che sembra cinico, ma voi avete il potere di cambiare le cose. I vostri sacrifici non sono mai vani, perché salvate le persone che cambieranno la galassia, anche quando sono civili, anche quando fosse una persona sola, voi potete ridisegnare il corso del tempo. Quando si tratta di voi, nulla avviene per caso. Guardate noi. Il sacrificio di Obi Wan è ciò che, forse, permetterà a Mandalore di ritrovare la pace. Ora, però, io dico: era necessario?-

- Per la Forza è necessario.-

Bene, ci sei quasi.

Ancora un paio di passi.

- Io credo di no, maestro.-

- Voi negate l’innegabile, duchessa, e con questo la discussione è chiusa.-

- No, per Nebrod!-

Era la prima volta che Satine perdeva la pazienza di fronte a Qui Gon. Il buon maestro era sempre stato gentile e distaccato, delicato, e lei ne aveva sempre apprezzato quei tratti. Logico, razionale, aperto alle discussioni, l’aveva seguita per terreni impervi, creduta quando nemmeno lei aveva creduto alle strampalate teorie che aveva tirato fuori dal cilindro come i conigli di un mago da circo. 

Non aveva mai avuto motivo di ostacolarlo e non aveva mai avuto motivo di contraddirlo.

Qui Gon, forse, se l’era aspettato, ed era già sul punto di ribattere.

- Ricordate quando vi ho detto che con me non sono ammessi proprio tutti gli argomenti di discussione, nonostante io sia poco ortodosso? Ebbene, questo è uno…-

- No, maestro, adesso parlo io. Già una volta avete creduto di avere la verità in tasca. Ascoltate, ve ne prego.-

Si sentiva una vigliacca. Era una carta che aveva sperato di non giocare e, a giudicare dal pallore sul volto dell’uomo, doveva aver colpito nel segno. Se ne rammaricò, ma aveva dovuto farlo.

Per Obi Wan.

Per il futuro della galassia, l’equilibrio della Forza o qualunque cosa possa essere definita con quel nome.

- La Forza ci da sempre una scelta. Tende all’equilibrio, ma è aperta al cambiamento. Chi ha un peso maggiore mette in atto cambiamenti maggiori e viceversa. Quando ci hanno attaccato gli spettri, avevamo una scelta. Avevate una scelta. Obi Wan ha sentito un mutamento nella Forza, anche quando gli spettri, di solito, non si sentono. Già questo è un indizio dell’importanza epocale di quello che è successo. Voi avevate una scelta: credergli o no. Privilegiare la sicurezza o rischiare per andarcene da quel posto orribile con la prima navicella. Avete scelto la seconda strada, ed ha avuto delle conseguenze. Obi Wan è rimasto ferito, forse mortalmente, ed io…-

E’ il momento.

- Io ho aperto la Luce a comando.-

Vide Qui Gon considerare la sua posizione per un momento.

Sta funzionando.

- Non era mai successo niente di simile prima. Non sapevo farlo. Mi ha dato l’occasione per avere il controllo su me stessa, per capire che cosa fare, per mettere in pratica con efficacia gli insegnamenti che voi mi avete dato. E’ stata la cosa giusta? Forse. Sta a me. Posso usare la Luce in modo costruttivo o distruttivo. Dalla scelta che farò io quando sarò Mand’alor dipenderà l’equilibrio della galassia. Ma non parliamo di me, lasciamo perdere. Parliamo di lui. Avevo due possibilità: lasciarlo morire o portarlo con me. L’ho portato con me. Avevo due possibilità, essere riconosciuta ed uccisa, o che la Forza mettesse sul mio cammino un uomo perbene. Ho incontrato un uomo buono. Avevo due possibilità: che Obi Wan si svegliasse oppure no. Vi siete mai chiesto perché, maestro, Obi Wan abbia risposto a me e non a voi? Vi siete mai chiesto perché la Forza lo ha portato qui? Vi siete mai chiesto per quale stramaledetta ragione io sapessi già che lui aveva visioni in Mando’a?-

Sì, se l’era chiesto, e non aveva trovato una risposta. Aveva lasciato fare alla Forza, ed anche quella era stata una scelta. Avrebbe potuto frapporsi tra Obi Wan e Satine, e non l’aveva fatto. 

Perché?

Perché Tahl non avrebbe voluto.

- Io sono solo una ragazzina con un quindicesimo dei vostri midichlorians che è riuscita dove voi avete fallito per il semplice fatto che doveva andare così. Voi credete in un’entità intangibile, che per il mio popolo è impossibile, mentre per voi è pane quotidiano. Tuttavia, non siete soltanto voi ad avere una divinità, ad avere delle profezie, sapete. Ce le abbiamo anche noi. Allora perché, se credete alle visioni, vi riesce così difficile credere che, dei due, quella che deve morire sono io?-

Questa volta aveva la piena attenzione del maestro, che sembrava aver trovato una certezza in quel mondo di chiacchiere.

- Esiste una profezia?-

Satine non rispose. Abbassò gli occhi e basta.

- Lui appartiene alle stelle, e alle stelle ritornerà.-

Gli raccontò tutto nel dettaglio. Gli raccontò dell’incontro al Pozzo dei Giganti, della paura di essere sola, del terrore di forzare la mano della Forza chiamando i Jedi, lo stesso che aveva provato il maestro. Lei era destinata a morire, ma i Jedi l’avrebbero aiutata a sopravvivere. La sua scelta voleva forse dire che la sua ora era rimandata, ma non significava che avrebbe alterato gli equilibri per sempre. Ed Obi Wan? Aveva smesso di credere alle favole da tempo, ormai, anche se aveva sempre nutrito la segreta speranza che un giorno qualcuno sarebbe arrivato a porre fine alla sua solitudine. Ed eccolo lì, un ragazzo piovuto dal cielo che sognava in una lingua che non conosceva e sentiva una creatura ripetere il nome di una donna sconosciuta, immerso in una luce bianca. 

La paura di aver preso un abbaglio.

Eppure, nessuno dei due aveva potuto evitare di sviluppare sentimenti l’uno per l’altra. 

- Io non avrei dovuto raggiungerlo, eppure è successo. Non ha aperto gli occhi per me. Lo ha scelto lui. Io gli ho detto che era libero, che gli avremmo sempre voluto bene e che avremmo capito. E’ stato lui a decidere.-

Qui Gon si era fatto silenzioso ed aveva cominciato a grattarsi il pizzo caprino mentre pensava.

Anche Obi Wan faceva la stessa cosa, solo che non aveva la barba.

Quanto si assomigliano, questi due?

- Che cosa intendete fare?-

- Io credo che, se la morte di Obi Wan diverrà indispensabile per mantenere l’equilibrio, allora la Forza se lo prenderà. Questo però non ci autorizza a non fare tutto ciò che è in nostro potere per aiutarlo, perché se lui fosse essenziale e noi lo lasciassimo morire, ciò vorrebbe dire che siamo stati noi due a cambiare il corso del tempo non facendo niente, e che non siamo stati in grado di imparare da quello che ci è successo. E’ come la macchina del tempo del Paradosso delle Proiezioni: il mondo troverà sempre un modo per finire, che prenda una strada o un’altra, e se necessario ciò che deve accadere accadrà comunque.-

- E se dovesse morire?-

- La catena di eventi che ha portato fino a qua avrà comunque un senso. Gli daremo l’addio che merita. Ce lo porteremo nel cuore. Impareremo da lui e da quello che ha lasciato. La galassia continuerà a ruotare. La Forza sarà in equilibrio. Questa è la Via.-

- E’ stata la Via della Forza.-

- Sì.-

Qui Gon si alzò, e Satine lo guardò passarsi una mano sul viso tirato e stanco. Sembrava vecchio, molto più vecchio della sua età, curvo sotto il peso di un passato pesante e di un futuro incerto. 

Vide gli occhi indurirsi e pensò di averlo offeso. 

- Maestro, io…-

- Potete continuare a guidare voi?- le disse, sorpassandola senza nemmeno guardarla. - Io devo meditare.-

E detto questo si chiuse la porta della stanza di Obi Wan alle spalle.

Satine rimase immobile, un senso di vuoto profondo che si impadroniva di lei.

Questa volta hai osato troppo.

FINE PRIMA PARTE

 

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Capitolo 43
*** 34.1- Guarigione ***


CAPITOLO 34.1

Guarigione

 

La meditazione del maestro durò parecchio, e Satine dovette fare del suo meglio per restare sveglia alla guida. Per scrupolo decise di inserire il pilota automatico, così da essere certa di non causare problemi se fosse crollata dal sonno sul cruscotto.

Quando il maestro tornò fu un sollievo, e Satine era già pronta a chiedere scusa quando incrociò il suo sguardo scontroso e preferì desistere.

Non era ancora il momento.

Si sedette alla guida e le indicò la porta per invitarla ad uscire.

Satine annuì e sgusciò fuori dalla plancia.

Obi Wan dormiva e pareva molto più riposato di qualche ora prima. Le medicine, probabilmente, avevano cominciato a fare effetto. Gli scostò i capelli dal viso, ancora bagnati di sudore e troppo lunghi.

Avrebbero dovuto tagliarglieli, prossimamente. 

Prese posto accanto a lui, accingendosi a passare un’altra notte sulla sedia, ma qualcosa la turbò. Il padawan aveva mosso un dito, poi un altro e un altro ancora, fino a che non ebbe la forza di sollevare le palpebre sul vuoto del soffitto.

- Satine?-

- Sono qui.-

La duchessa fu immediatamente in piedi, pronta a fare tutto quello che poteva per soddisfare i suoi bisogni.

Obi Wan la cercò con gli occhi ed incrociò il suo sguardo preoccupato. 

Era malato. Aveva bisogno di lei, come suo padre ne aveva avuto bisogno tempo addietro. 

- Non arrabbiarti con lui.-

Sulle prime, Satine, stanchissima, non capì.

- Non sono arrabbiata.-

- Qui Gon pensa che tu lo sia.-

- Hai parlato con lui?-

- No. Parla con la Forza, io lo sento. Possiamo sentire i pensieri, tra di noi. Lui pensa che tu sia arrabbiata con lui, perché è contrario ad alcune cose, ma non voglio che tu pensi che lui è cattivo. Il mio maestro è solo confuso. Riappacificatevi, per favore. Perdonalo.-

La ragazza sorrise dolcemente.

Se mai avesse avuto bisogno di dimostrare la grandezza di Obi Wan Kenobi, avrebbe portato quella circostanza come esempio.

Il suo maestro, l’uomo che considera un padre, lo lascerebbe morire perché pensa che sia la via della Forza.

E lui, che lo sa, non solo lo ha perdonato, ma sta chiedendo agli altri di fare lo stesso.

- Posso prometterti che lo farò, ma prima ho bisogno di dormire, e lui di chiarirsi le idee. Ammetto di non comprendere le sue posizioni, ma forse è una cosa da Jedi.-

- No, al contrario. Non è proprio da Jedi. Il mio maestro ha avuto un percorso complesso, costellato di difficoltà anche nelle relazioni sociali e personali. C’è già passato, per questa via: lato oscuro, perdita. E’ una storia che, se vorrà, ti racconterà personalmente. E’ solo spaventato. Ha paura che si ripeta ciò che è già successo. Stagli vicino. Confortalo.-

- Anche tu hai bisogno di me, Obi Wan. Hai bisogno di entrambi.-

- Io me la caverò. Dormirò tanto, e quando non lo farò, mediterò. Non preoccuparti per me.-

Satine gli sorrise ancora, con la delicatezza che la contraddistingueva. Per un momento, il padawan credette di vivere ancora nel suo sogno, dove tutto era bello e non esistevano paura né dolore. 

Provò a sorriderle nonostante si sentisse stanco, sfinito.

La ragazza gli diede da bere e gli fece mangiare un po’ di frutta. Poi il sonno tornò, potente, ad annichilire i sensi di Obi Wan. Prima di dormire, però, ci tenne a farle una domanda, che a Satine sulle prime sembrò sciocca.

- Dimmi, Satine, sei reale?-

La ragazza sgranò gli occhi.

- Certo che sono reale. Per quale motivo non dovrei esserlo?-

- Nella vasca di bacta, io sognavo.-

- E che cosa sognavi?-

- Avevo una capanna sul mare e dei susulurse. C’era anche Ruusaan con me, e c’eri tu.-

Satine dondolò i capelli biondi, ridendo.

- Mi hai sognata?-

- Credevo che fosse vero, ma era un bel sogno. Soltanto un sogno. Come poteva essere reale? Tu sei Mando, sei il Ghiaccio Vivo di Kalevala. Come potresti vivere in una capanna con un mezzo Jedi senz’arte né parte, né crediti, in mezzo ad un branco di susulurse?-

La duchessa sentì il cuore stringersi.

- Le vie della Forza sono infinite, Obi Wan.-

- Sono quasi certo che questa non rientri nel mio futuro.-

- E perché mai?-

- Perché tu sei una luce nella galassia, balli sulle nebulose e brilli con le stelle. Io sono un atomo destinato ad ammirarti nel cielo ogni notte.-

E lo guardò chiudere gli occhi e deglutire, trattenere l’amarezza che non voleva sfogare di fronte a lei.

Non è quello di cui ha bisogno adesso.

- Vuoi che dorma con te?-

Obi Wan la guardò, ma per la prima volta non lesse né disagio, né imbarazzo nei suoi occhi. 

- Per favore.-

La ragazza lo scavalcò e si acquattò contro la parete della navicella, provando a toccarlo il meno possibile per non fargli male. 

Sperando che Qui Gon non ci veda.

Ed in effetti non li vide. Satine si svegliò prima che il maestro potesse darle il cambio, così si alzò, silenziosa, e si diresse in plancia, pronta a sostituirlo.

Lo trovò assorto nella meditazione nel sedile di guida.

Satine si sedette sul sedile del passeggero, quasi timorosa di distrarlo, ma un leggero movimento della testa le fece capire che il maestro l’aveva sentita. 

- Duchessa.-

- Andate a riposare, maestro. Obi Wan dorme, sembra stare bene. Ha mangiato qualcosa ed ha bevuto.-

- No, duchessa, vorrei restare qua ancora qualche minuto. Vorrei parlare con voi, ad essere onesto.-

La ragazza sospirò e si accomodò meglio sulla poltrona, pronta a fargli le sue scuse.

- Maestro, ho osato troppo. Mi sono intromessa in questioni che non capisco. Non avrei dovuto tenervi una conferenza senza ascoltarvi, e senza comprendere che non era né il momento, né il luogo. Vi ho trattato con poco rispetto, e me ne scuso.-

Qui Gon le poggiò una mano sulla spalla.

- Al contrario, duchessa, sono io che mi scuso con voi. Lasciate che vi spieghi. Il mio padawan vi ha mai raccontato di una magistra di nome Tahl?-

- No.-

- E di un padawan di nome Xanatos?-

- Nemmeno.-

- Bruck?-

- Territori inesplorati.-

Obi Wan non si smentisce mai.

Chiuso con i lucchetti.

- Tahl era una magistra meravigliosa con cui sono cresciuto, e che con il tempo ho scoperto di amare. Purtroppo, me ne sono accorto troppo tardi.-

- Volete dire che è…-

- Sì. Qualche anno fa.-

Era incredibile quanto dolore e quanta perdita esistessero nell’universo. 

Ciò rendeva la guerra un modo per andarsele a cercare ancora di più, cosa che la rendeva ancora più intollerabile.

- Non la presi molto bene, al tempo. Cacciai per mesi il suo assassino e arrivai al punto di ucciderlo. Obi Wan provò a fermarmi, ma io non lo ascoltai. Accecato dalla mia vendetta, non mi accorsi nemmeno di averlo con me. Stava per accadere l’irreparabile quando una voce mi fermò. Se sono ancora un Jedi, lo devo a quel momento e ad Obi Wan, che mi ha preso e mi ha riportato a casa con sé.-

- Sono desolata, maestro. Non lo sapevo.-

- Obi Wan è arrivato dopo un’altra, enorme delusione. Il mio padawan, Xanatos, passò al lato oscuro della Forza, e trascinò con sé nella sua sete di vendetta contro i Jedi un giovanotto che si allenava con Obi Wan, un ragazzo di nome Bruck. La morte di Tahl e l’incredibile cantonata che presi in quella circostanza mi portò a riconsiderare molte delle mie convinzioni.-

- Non era mia intenzione girare il coltello nella piaga.-

- Al contrario, avete evitato che io facessi uno degli errori più stupidi della mia vita.-

Satine gli sorrise, la gioia negli occhi per essersi riappacificata con il grande saggio. Nonostante le divergenze e l’apparente distacco del maestro, aveva imparato ad apprezzarne la discrezione e la bontà dello sguardo. 

Le dispiaceva davvero di avergli dato una ripassata.

- La vostra interpretazione della Forza è, come dire? Insolita, ma efficace.-

- Non fraintendetemi, maestro. La mia paura è che, portando il vostro ragionamento alle estreme conseguenze, si finisca con il giustificare le peggiori azioni adducendo che è stata la via della Forza quando invece si è trattato solo di un’umana mancanza.-

- Ed avete ragione. Io intendo procedere con il nostro viaggio, duchessa, e che la Forza sia con noi. Non abbandonerò Obi Wan e terrò fede alla mia missione. Tuttavia, comprenderete che dovrò comunque ragguagliare il Consiglio sul caso.-

- E se il Consiglio dovesse dire qualcosa che non vi va a genio?-

- A quel punto, ci penserò. Per il momento, dobbiamo decidere dove andare per la convalescenza del mio povero padawan.-

Si aprì un dibattito concentrato su quale fosse il luogo migliore. L’unico punto su cui si erano trovati d’accordo, era il mare. Satine non aveva proposto quel luogo in relazione a ciò che le aveva confessato il ragazzo, bensì per l’aria salubre, il salmastro del vento e il sole. 

Non avrebbe potuto fargli altro che bene.

Per il resto, peggio che andar di notte. Qui Gon - che a sua discolpa poteva vantare la scarsa conoscenza dei luoghi - avrebbe preferito nascondersi dentro ad un bosco, nella macchia, per non farsi trovare dai cacciatori di taglie. Satine, invece, per praticità, avrebbe preferito un luogo chiuso, protetto dalle intemperie, dove Obi Wan si sarebbe potuto rimettere in sesto in tranquillità, lontano dallo sguardo indiscreto dei predatori selvatici attratti dall’odore del sangue.

Come giusta obiezione, Qui Gon aveva affrontato il tema spettri, temendo che un riparo del genere potesse costituire un luogo di attrazione, come già era accaduto in precedenza. Satine non potè escludere che non ne avrebbero incontrato uno, ma era convinta che ormai si fossero concentrati in luoghi più domestici. Adesso che avevano scoperto le città, non sarebbe mancato molto prima che cominciassero a preferire queste ultime agli ambienti selvaggi, quasi sempre disabitati e dove difficilmente avrebbero potuto trovare qualcosa che camminasse su due gambe o grande abbastanza da sfamare l’intero branco. 

Ammesso e non concesso, visti i loro terribili gusti alimentari, che non decidano di fare una scorpacciata di reti da pesca.

Alla fine, il maestro impostò la rotta e volò verso sud, dove Satine gli aveva indicato la presenza di una lingua di costa esposta ad est che avrebbe potuto fare al caso loro. La città di Gi non era né vicina, né lontana e, se avessero avuto bisogno di approvvigionamenti, non avrebbero fatto troppa fatica. Allo stesso modo, nessuno sarebbe mai venuto dalla città in quell’angolo di costa impervia, almeno non in quella stagione.

Quando atterrarono, il sole stava ormai calando. Avrebbero trascorso la notte a bordo per poi, al mattino, andare alla ricerca di un luogo dove stare. 

Obi Wan aveva passato la sua prima giornata senza febbre, ma era stanco e si vedeva. Era pallido e provato, anche se sembrava cosciente e razionale. 

- Dove siamo?-

- Al mare. Ci fermeremo qui.-

- Davvero?-

- Sì.-

Sembrò contento, talmente contento da azzardarsi a mangiare anche qualcosa di più solido oltre alla frutta. Lanciò qualche occhiata a Satine, che stava provvedendo a costruire la barella che avrebbero usato per portarlo alla loro nuova casa.

- Sarà cauto fermarsi?-

- No.- commentò il maestro, ma non permise al suo padawan di commentare oltre.- E non ci provare nemmeno, ragazzo. Non ti lasceremo indietro. I Jedi non abbandonano mai una missione, e per quanto ci faccia poco piacere dirlo, siamo una famiglia più di quanto siamo disposti ad ammettere, ed in famiglia nessuno resta indietro se non è strettamente inevitabile.- 

- Sembra una cosa molto mandaloriana da dire.- 

- Che dirti? Forse ci stiamo integrando.-

Con qualche domanda in più, prima di chiudere gli occhi e meditare, Obi Wan riuscì a scoprire che Satine non c’entrava nulla con quella decisione, che apparentemente era stata dettata, più o meno, da criteri scientifici. 

Era contento che la ragazza non avesse tradito la sua fiducia rivelando le loro confidenze al suo maestro. 

Da una parte, era convinto che Qui Gon sapesse già tutto, dall’altra non voleva dargli una delusione, e preferiva tenere i suoi sentimenti più profondi per sé.

La Forza gli sembrava favorevole, e a differenza di quanto era in grado di fare di solito, le sue capacità di guarigione gli erano sembrate migliorate. 

O forse le sue condizioni erano talmente gravi che ogni piccolo progresso gli sembrava importante come aver scalato una montagna fino alla cima ed essere tornato indietro vivo.

Solo quando, spossato, chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo, Satine si permise di prendere da parte Qui Gon.

- Ho tenuto questa.- gli disse, mostrandogli i fili metallici della treccia di Obi Wan.- Ho pensato che la rivoleste indietro.-

- Sì, grazie.- le rispose, contemplando quei fili e passandoseli soprappensiero tra le dita. - Gliela intreccerò di nuovo non appena avremmo trovato un minuto per prendere fiato.-

Satine parve soddisfatta e lo invitò a mettersi a letto e riposare.

- Oh, no, stasera monterò per primo il turno di guardia e ne voglio approfittare per meditare. Voi riposate con Obi Wan.-

- Faremo di tutto, vero?-

- Tutto ciò che ci è possibile, sì.-

- Questa è la Via.-

- Che la Forza sia con noi.-

 

Satine ben presto se ne uscì con un nuovo improbabile disegnino - incomprensibile come il primo - di una sedia a rotelle, e provò a spiegarlo a Qui Gon al massimo delle sue capacità. L’unica cosa che il buon maestro capì fu che la ragazza intendeva usare il sedile dello speeder che gli aveva fatto smontare e il meccanismo per reclinarlo. Essendo già parzialmente fatto, sarebbe bastato aggiungere un paio di ruote e replicare il sistema di pulegge per consentire al ragazzo, eventualmente, di reclinare la schiena e sdraiarsi con comodo. 

Qui Gon non era decisamente l’ingegnere, dei due. Obi Wan era portato per la meccanica ed era un’eccellente pilota, se solo la sua paura di volare non gli avesse impedito di mostrare al meglio il suo potenziale. 

Tutte ragioni per cui preferì lasciare il compito alla ragazza, che sembrava sapere il fatto suo, e si offrì di andare a cercare un riparo sicuro. 

Satine era stanca e si vedeva. Aveva gli occhi cerchiati di scuro dalla veglia e il viso gonfio per gli spaventi, ma il suo cervello funzionava ancora, e alla velocità della luce. Glielo avevano sempre detto, che lei era capace di dare il meglio di sé nei momenti più difficili, ma la duchessa era più accorta di quello che la gente pensava e si conosceva bene. Era vero che sul momento il suo cervello funzionava bene e sapeva trovare il modo migliore, più rapido ed indolore di risolvere la situazione, tuttavia sapeva anche che era capace di annullarsi del tutto, dimenticarsi di se stessa. 

Il che, tutto sommato, sulle prime poteva anche essere un bene, ma sul lungo termine diventava un serio problema, perché prima o poi arriva il momento in cui uno realizza che cosa è successo e fin dove si è spinto, e quello è il momento in cui, di solito, la gente come Satine va in pezzi. 

La ragazza temeva quella circostanza, la conosceva bene ed apprezzava l’essere sempre occupata per rimandare il momento in cui si sarebbe frantumata.

Così, mentre Qui Gon usciva in esplorazione, Satine si era accoccolata a studiare nella stanza di Obi Wan, il sedile dello speeder e il disegno sgangherato di fronte a sé.

- Non so come fai.-

La duchessa alzò lo sguardo sul giovane padawan, disteso nel letto ed incapace di girare il collo verso di lei, ma le iridi grigioverdi fissavano il vuoto nella sua direzione e provavano, per quanto potevano, a raggiungerla.

- A fare che cosa?-

- A leggere in quei geroglifici. Per me è lingua dei Sith.-

Satine rigirò il progetto un paio di volte a destra e a sinistra.

- Non fa così schifo.-

- No, figuriamoci.-

- Mi stai prendendo per lo shebs?-

- Che cosa te lo fa pensare, mia cara?-

- Vedo che il senso dell’umorismo è rimasto intatto.-

- Forse è l’unica cosa.-

Guardarla lavorare era interessante. Obi Wan si era sempre chiesto per quale motivo provasse a disegnare le sue idee. Il risultato finale era sempre clamorosamente diverso da quello che aveva progettato, eppure aveva lo straordinario dono di funzionare comunque. 

Anche in quel momento, Satine aveva fatto passare un cavo all’interno della puleggia del sedile, poi lo aveva annodato attorno ad un sistema improvvisato di argani, che doveva aver costruito nottetempo, mentre montava la guardia. Nel complesso, l’idea aveva senso. Con un sistema a manovella piuttosto rudimentale, il padawan sarebbe stato in grado di reclinare il sedile a sufficienza da cambiare posizione senza farsi male. Una volta fissato il tutto alle ruote, sarebbe anche stato in grado di muoversi.

Satine, di solito, aggiungeva e toglieva pezzi, provando a vedere in quale modo il meccanismo funzionasse meglio. Arrivava alla soluzione ad una velocità sconcertante, denotando la straordinaria intelligenza dalla quale il giovane ragazzo si era sempre sentito attratto. Anche in quel momento, con le sopracciglia aggrottate e i capelli sul viso mentre provava ad incastrare una ruota dentata, era affascinato da lei.

Le questioni erano due: o faceva schifo in meccanica - cosa che la duchessa pareva costantemente smentire - o faceva schifo a disegno.

Obi Wan si addormentò e si svegliò affamato. Satine gli diede da mangiare e da bere, prima di tornare a lavorare con le sue pulegge. Gli chiese la spada laser in prestito per tagliare in due del ferro, e lui gliela prestò, ma rimase di stucco quando si rese conto che, in verità, voleva tagliare il corrimano di sicurezza della stiva.

- Che vuoi fare?-

- E come pretendi che ti spinga senza maniglie, a calci?-

Tra uno strattone, un grugnito, un colpo di spada laser e qualche parolaccia ben assestata, Satine riuscì a sradicare il lungo tubo di ferro, e con l’aiuto - se così si può definire muovere le mani senza forzare e lasciare che la spada laser facesse tutto da sola - di Obi Wan riuscì a tagliare il tubo in tanti pezzi che poi provò ad incastrare uno dentro l’altro, con una nuova serie di strattoni, grugniti, perforazioni con la punta della spada laser e molte parolacce. 

Si addormentò di nuovo e quando si svegliò c’era anche Qui Gon, armato di un paio di ruote - ma da dove le aveva fatte spuntare?- intento ad imbullonare con le sue mani il sedile al telaio. 

Ah, il telaio. 

Satine doveva aver finito di lavorare con la sua spada laser, ormai.

Li sentì parlottare, anche se era sfinito e gli sembravano infinitamente lontani, a proposito di una casupola tra la macchia marina e il mare, immersa nel sole e nel salmastro dell’acqua. Era un posto caldo e riparato, non esposto, ma comunque vicino a sorgenti di acqua e fonti di cibo. 

Sembrava il luogo ideale. 

Nei suoi sogni, a volte, Obi Wan tornava a quella casa, a quel futuro che avrebbe tanto voluto, ma che non avrebbe mai avuto. Satine, sua figlia e i susulurse. Tuttavia, sapeva bene che, questa volta, invece di cercare un rifugio nella Forza dalla sua vita complicata, Obi Wan stava sognando, per la nostalgia della beatitudine e di quel senso di completezza che lo abbandonava completamente quando apriva gli occhi ed era costretto a contemplare la desolazione che lo circondava. 

Qui Gon fu molto bravo ad imboscare la navicella nella macchia. Atterrarono in una landa coperta da fitte fronde mosse dal vento, l’odore degli aghi di pino e della resina portato dal vento di mare. 

Poteva sentire gli uccelli gorgheggiare sopra la sua testa, grossi uccelli marini in cerca di cibo. 

Il suo maestro era stracarico. Satine trasportava il proprio zaino e spingeva la sedia a rotelle, portando anche il peso del padawan e del suo zaino grosso e pesante. 

Il Jedi e la duchessa, per risparmiare energie, si diedero il cambio molte volte. 

Fin dall’inizio era apparso un inconveniente: il sedile dello speeder non aveva un poggiapiedi, naturalmente, e Satine si era arrabattata per costruirgliene uno con il tubo metallico ed evitare che la gamba ferita penzolasse inevitabilmente nel vuoto. 

La struttura pareva reggere, ma Obi Wan si sentiva precario e non vedeva l’ora di giungere alla casetta per risparmiarsi quell’ondeggiare pericoloso su massi e radici.

Non poteva volerlo più di Satine, in ogni caso. In più di un’occasione il padawan aveva sentito invocare invano il nome della Forza o di quello che lei chiamava Nebrod, inviperita, quando un sasso faceva incastrare una ruota e Qui Gon era costretto a sollevare entrambi per procedere nella marcia.

Era una casa strana. Assomigliava ad un karyai, ma non lo era. Doveva essere un rifugio di qualche pescatore. L’unica cosa certa era che, qualunque cosa fosse, era abbandonato. La porta aveva bisogno di riparazioni. Non c’erano vetri alle finestre. Il camino era occluso da un grosso nido di uccelli dal becco lungo e dalle gambe ancora più lunghe che li guardavano con aria malevola. Al tetto mancava in parte la copertura e il triste filo per stendere che penzolava attorcigliato per terra aveva l’aria di essere lì da un secolo e di non volerne sapere di tornare al suo posto.

Era un relitto, insomma, come buona parte dei luoghi in cui avevano trovato riparo.

- Andrà alla grande.- commentò Satine.

Obi Wan non seppe dire se fosse seria o se stesse cercando di farsi coraggio.

 

- Come sarebbe a dire?-

- Quello che abbiamo appena detto, Qui Gon: dovete restare su Mandalore.-

Satine se ne era volutamente rimasta in disparte perché sapeva che, se avesse fatto altrimenti, avrebbe finito con il rovesciare per la rabbia anche il povero tavolo a tre gambe della cucina del loro rifugio improvvisato.

Il Consiglio Jedi si era rivelato assolutamente inutile. Aveva risposto ancora una volta quell’uomo, che ad occhio le era sembrato scuro di pelle, calvo come una palla da meshgeroya ed anche un po’ antipatico, nonostante gli occhi dicessero il contrario. Accanto a lui, tuttavia, c’era un grazioso omino dallo strano colorito e le orecchie da pipistrello, vecchio e grinzoso come una veshok, ma dagli occhi svegli e una certa aria malandrina che lo rendeva simpatico. 

La loro casa aveva bisogno di riparazioni importanti. 

Satine si era fatta una bella lista. 

C’era bisogno, innanzitutto, di fare le finestre. 

Obi Wan non avrebbe tollerato nemmeno un raffreddore. 

C’era poi da riparare il tetto e pulire il camino, che quasi sicuramente sarebbe stato otturato dalla fuliggine. 

Il ragazzo doveva restare al caldo. 

Aveva deciso che avrebbe assegnato a Qui Gon il compito di convincere gli inquilini sul comignolo a sloggiare, e non stava aspettando altro che la fine di quella chiamata per potergli confidare le sue intenzioni. 

Era già uscita ed aveva già messo il materasso a prendere aria. Ne avevano solo uno e, nemmeno a dirlo, lo avrebbero dato ad Obi Wan. In attesa di costruirne due o tre, si sarebbero serviti dei sacchi a pelo e delle coperte termiche. 

Aveva anche ricostruito il filo per stendere, che aveva l’aria floscia anche se era ben teso tra i ganci, ma tanto le bastava. 

Aveva già raccolto la sabbia per fare il vetro. 

Aveva solo bisogno di un po’ di legna, fuoco e soprattutto del camino pulito per poter cominciare a lavorare.

Se solo questo inutile supplizio finisse presto!

Inutile, sì. Satine non sapeva descriverla diversamente. Qui Gon aveva chiamato, come pattuito, il Consiglio Jedi alla ricerca di soccorso. Non che Satine ci avesse sperato più di tanto, beninteso. Le era parso di capire che il maestro non fosse intenzionato ad abbandonarla, ed Obi Wan non se lo sarebbe mai perdonato, se se ne fossero andati per colpa sua. Tuttavia, sentir proferire quella dura sentenza con una simile mancanza di tatto le aveva dato sui nervi ed avrebbe continuato a farlo anche a chiamata finita, lasciandola a menare fendenti con la ramazza sul pavimento mentre Qui Gon usciva dal camino coperto di fuliggine dalla testa ai piedi. 

- Io capisco le ragioni della vostra decisione.- aveva detto il maestro, tentando il colpo gobbo.- Tuttavia, in coscienza, lasciar morire il mio padawan in questo modo mi pare disumano. La nostra destinazione sarebbe dovuta essere Aldeeran, ma non ci è possibile per via delle trattative con la Federazione dei Mercanti. Pensavamo di dirigerci altrove, sarebbe stato opportuno, e i rischi per la salute di Obi Wan sarebbero stati compatibili con i benefici, ma in queste circostanze speravamo di ricevere aiuto dall’Ordine. Un suggerimento, magari. Chandrilla? Oppure la stessa Coruscant? Anche quella è off-limits?-

- Maestro Jinn, vi ho già detto che non ci sono alternative. Restate su Mandalore.-

- Non abbiamo sostituti, questo il problema è.- aveva aggiunto l’omino verde, facendo un passo avanti sulle sue gambette tozze. 

Satine pensò che il suo Standard fosse buffo assai, ma non lo avrebbe mai espresso ad alta voce.

- Nessuno che sappia tutto ciò che voi sapete su Mandalore, al Tempio c’è. Nemmeno Jocasta Nu. Ricominciare la missione da capo, troppo delicato è.-

Qui Gon, a quel punto, aveva chinato il capo, Satine non era riuscita a capire se in segno di rispetto o per scorgere quel nanerottolo dall’alto della sua statura. 

- Ritengo comunque, Maestro, che sia necessario un trasferimento. Porteremo la duchessa con noi dovunque andremo. Chandrilla? Naboo? Coruscant?-

- Peggio che mai. Non sapete che polverone è stato sollevato in Senato per il vostro intervento.-

A quel punto Satine si era fermata, ramazza in mano, ad osservare il cipiglio critico sul volto del Jedi.

- Con tutto il rispetto, Maestro Windu, ma non siamo intervenuti noi. Sono intervenuti i Jedi.-

L’uomo pelato non mosse un muscolo.

- Certamente, Qui Gon.- gli rispose.- Tuttavia, da parte di un consistente numero di senatori è stata ritenuta una scelta avventata. Non posso fare a meno di considerare il fatto che viviamo su Coruscant e siamo parte integrante del sistema della Repubblica. Alienarci le simpatie del Senato non porterebbe ad altro che a guai e potrebbe costringervi ad abbandonare la missione.-

Obi Wan, seduto sulla sua sedia a rotelle in un angolo della stanza, era visibilmente impallidito immediatamente dopo aver realizzato di essere in linea con il Consiglio Jedi. Aveva provato a tirarsi su, darsi un tono, ma aveva fallito miseramente ed adesso giaceva rannicchiato in un mucchio di coperte, l’aria di chi non aveva minimamente voglia di farsi vedere e soprattutto di chi stava per sentirsi male. 

Satine se ne era accorta immediatamente, ma aveva ritenuto fosse meglio lasciare i due Jedi ai loro compiti. Aveva lanciato un’occhiata inquisitoria al padawan, che le aveva prontamente fatto cenno con gli occhi di lasciare perdere.

- Devono essere cambiate molte cose da quando ho lasciato Coruscant, amico mio.- aveva detto Qui Gon, un lieve tono di reprimenda nella sua voce.- Non credevo che i Jedi facessero politica.-

- Infatti non la facciamo, e per favore non ricominciare con la Forza Vivente. Non possiamo mandare nessuno al posto vostro e la duchessa non può uscire da Mandalore, a meno che non desideriate spostarla su Tatooine, ma non credo che il tuo padawan potrebbe reggere un clima del genere.-

Non le era piaciuto per niente il modo in cui l’uomo calvo - Windu, lo stesso che aveva risposto alla sua richiesta di aiuto - aveva calcato la parola padawan, ma si era morsa la lingua ed aveva ripreso a ramazzare il pavimento per distrarsi.

- No, infatti. Equivarrebbe a condannarlo a morte.- 

- Forse, opporsi alla Forza è inutile.-

- Stai suggerendo che dovrei lasciarlo morire?-

- Sto suggerendo che dovresti controllare il tuo attaccamento verso di lui. L’ultima volta non ti è andata molto bene, Qui Gon. Dovresti aver imparato che la cosa migliore è lasciare andare le persone, non tenerle in vita ad ogni costo.-

Qui Gon era impallidito e Satine, con il garbo di cui era capace, aveva posato la scopa in un angolo e, dando le spalle ai due Jedi, si era accuratamente tirata su le maniche.

- Le mie emozioni sono perfettamente sotto controllo, per una volta, grazie, Mace. Tuttavia, il mio ragazzo, qua, ha solo bisogno di una vasca di bacta. Può riprendersi tranquillamente. Non vedo perché dovremmo darlo per morto quando…-

- Credo che tu stia perdendo di vista la tua missione, Qui Gon. Il tuo padawan non è la tua missione. La duchessa lo è. Quindi, se devi portarla su Tatooine, portala su Tatooine. Se il ragazzo muore, vorrà dire che era la Via della Forza.-

Ed era stato proprio in quel momento che Satine aveva sbottato.

Stufa di dare le spalle alla conversazione, con le maniche rimboccate come se stesse per fare a pugni fisicamente, si era diretta ad ampie falcate verso il commlink, pronta con il suo bel discorso in proposito, avete mai sentito parlare del paradosso delle proiezioni?, quando un’occhiata implorante di Obi Wan l’aveva fermata.

Ti prego, no.

Perfavoreperfavoreperfavore.

E si era fermata solo per lui, perché aveva capito che aveva paura, che non voleva peggiorare le cose, e per lui, se si fosse dovuta mordere la lingua, se la sarebbe morsa cento volte.

Così, aveva girato sui tacchi e preso la ramazza, ma il suo strusciare iracondo questa volta si fece sentire fin su Coruscant.

- Che cos’è questo suono?-

- Oh, niente, è la duchessa che mette in ordine per la notte. Credo che non ci sia nient’altro da dire, dunque.-

- La scelta più giusta tu fare devi, padawan.- aveva concluso l’omino verde, l’aria saggia e gli occhi chiusi, il naso per aria come se stesse annusando un buon profumo di cibo.- Confidare nella Forza, tu devi. Lei ti guiderà. Certo che saprai fare ciò che essa ti dice, io sono.-

C’era qualcosa nel suo sguardo che faceva ben sperare. A differenza del pelat- ehm, di Windu, il mostriciattolo simpatico non si era espresso. Non aveva suggerito loro di fare del male ad Obi Wan se necessario, anzi, Satine lo aveva scorto mentre guardava con aria pensierosa e triste il ragazzo in carrozzina. Sembrava molto affezionato a lui, e la cosa le aveva fatto piacere. 

Era bello sapere che il padawan aveva qualche Mand’alor nel Ka’ra. 

Prima o poi avrebbe dovuto chiedere ad Obi Wan la ragione per cui temeva così tanto il Consiglio Jedi. Una paura del genere non poteva essere legata alla normale ansia che una persona prova nei confronti di un superiore, il bisogno di far bene e la paura di una reprimenda. 

Doveva essere successo qualcosa. Qualcosa di cui Obi Wan non era ancora pronto a parlare.

Quando Qui Gon chiuse la conversazione con il Consiglio, l’aria di disappunto sul volto, Satine gli comunicò tutto ciò che aveva in mente. Senza ulteriori indugi, il maestro uscì a cercare legna da ardere, mentre la ragazza finiva di spazzare e provvedeva alle esigenze del povero ragazzo malmesso sulla sedia a rotelle.

Era evidente che Obi Wan cominciava a soffrire di quella posizione scomoda. Restare seduto tutto il giorno, al massimo inclinato su un fianco, doveva essere snervante per uno come lui, abituato a saltare a destra e a manca come un grillo. Inoltre, Satine non sapeva come girarlo. Inclinarlo a destra significava infierire sul collo e sulla gamba, a sinistra sul fianco, senza contare i graffi più o meno guariti che aveva sparsi un po’ dappertutto sul corpo. 

- Prova a girarti a destra, trovo il modo di sostenerti la testa.- 

Così, con la leva abbassata e il sedile reclinato, Satine lo aveva aiutato a girarsi, tra un grugnito, un brontolio e l’altro, ma non le era sfuggito il velo di sudore sul volto del ragazzo e il viso contratto.

- Abbiamo quasi finito.-

- Credo di dover prendere qualcosa.-

- Ti do subito un analgesico.-

Se non fossero stati in quella situazione, Obi Wan sarebbe stato un paziente modello. Docile, buttava giù qualunque cosa uno gli desse senza fare storie. 

Era molto diverso da quello che Qui Gon le aveva raccontato durante una delle loro notti all’addiaccio.

- Il ragazzo, qui, pur di non finire in infermeria farebbe i salti mortali, quintupli, per la precisione.-

Era stato così che la duchessa aveva appreso della fuga spericolata dalla finestra dell’infermeria per sfuggire alle grinfie di una magistra che le pareva chiamarsi Che. 

Vokara Che.

Già il nome incuteva rispetto, come quello di sua madre. Le era stata descritta come una donna marziale, e Satine si era chiesta, in modo molto infantile, se non fosse tipico delle guerriere avere un nome con la V.

Certo che no, non essere sciocca.

Obi Wan si calmò subito e si addormentò. Era stata lì lì per fare domande, ma aveva lasciato perdere. Aveva continuato a fare avanti ed indietro per tutta la casa, fino a che non era tornato Qui Gon con una caterva di legna da ardere.

- Maestro, così tanta?-

- Ne avremo bisogno. Vado sul tetto. La bestiola dovrà trovare un altro posto dove nidificare.-

 

Dal canto suo, Obi Wan provava a fare del suo meglio. Le medicine lo nauseavano e gli toglievano l’appetito, ma sapeva che erano una parte fondamentale del suo recupero così come lo era mangiare, bere e nutrirsi. Buttava giù quanto poteva, per lo più cibi leggeri e digeribili, ma non poteva fare troppo lo schizzinoso. Erano nel bel mezzo del nulla e doveva nutrirsi con quello che aveva. 

Obbediva a Satine con reverenza. Fin da subito si era accorto che, dei due, la ragazza era quella con la maggiore esperienza clinica. Non era così ingenuo. Sapeva che, se era vivo, lo doveva solo ed esclusivamente a lei e alla sua presenza di spirito al pronto soccorso. 

Per lo più dormiva, o meditava ad occhi chiusi. Le sue sessioni non erano del tutto inutili. Sentiva il suo corpo rigenerarsi rapidamente, ma quando aveva gli occhi aperti e vigili esso non pareva rispondergli più di tanto. 

- Sei messo male, Obi Wan. E’ normale che i progressi ti sembrino lenti. Sono contenta di sentire, però, che ti stai riprendendo.- gli aveva detto Satine, una mano sulla fronte per controllargli la febbre ed una sul polso per misurargli i battiti. 

Era una brava ragazza. Era contento che lo stesse curando lei. Faceva quello che doveva fare, e lo faceva senza remore. A volte persino senza pietà, ma non mancava mai di consolarlo, parlargli, stringergli la mano quando era costretta a fargli male. 

Non sapeva se la duchessa se ne fosse accorta o no, ma Obi Wan l’aveva osservata per tutto il tempo, ed avrebbe continuato ad osservarla anche dopo. Il suo maestro non c’era quasi mai. Passava le giornate a passeggiare per i boschi e lungo la spiaggia, a caccia e a pesca, alla ricerca di legna da ardere e materiale da utilizzare. 

Li aveva visti discutere a proposito di un nido di uccelli sul comignolo. Satine era decisa a rimuoverli, ma era anche consapevole che sarebbero morti di freddo e di fame se li avesse spostati altrove. Così, d’accordo con il suo maestro, avevano rinforzato il nido e lo avevano piazzato sul tetto, accanto al comignolo, dove gli uccelli avrebbero beneficiato del calore proveniente da sotto.

A giudicare dall’abbondante lascito di piume sulla loro finestra, là dove di solito mamma uccello andava a sedersi per beccare gli avanzi, Obi Wan immaginò che avessero apprezzato il cambiamento. 

Qui Gon sicuramente un po’ meno, considerato che era tornato in casa lasciando una scia piuttosto intensa di miasma di cloaca e che si era beccato un sacco di fuliggine in faccia provando a pulire la cappa del camino.

Satine, dal canto suo, aveva fatto del proprio meglio per mettere in ordine. Aveva fuso il vetro ed aveva rinforzato le finestre, in particolare nella piccola stanza adibita a camera da letto. Poi, aveva piegato la brutta teglia che aveva usato per fondere il vetro e ci aveva fatto, ancora una volta, uno scaldapiedi che metteva di solito vicino a lui per scaldargli le coperte.

Si alzava la mattina presto per fare da mangiare per tutti, mentre Qui Gon se ne andava a spasso alla ricerca delle solite cose. Un giorno, la duchessa gli aveva commissionato di raccogliere un sacco di foglie secche, di un tipo preciso, una specie di graminacea che cresceva selvatica lungo i campi. Obi Wan era rimasto stupito da quella bislacca richiesta, ma aveva imparato a fidarsi della ragazza, che era stata addestrata fin dalla nascita a cavarsela con niente. 

Come era prevedibile, Satine riuscì a fare uno dei suoi capolavori mettendo a frutto le sue conoscenze. 

I primi giorni erano stati duri. C’era una sola stanza da letto, appunto, ed un solo materasso su cui, prontamente, avevano piazzato Obi Wan. 

Satine e Qui Gon avevano dormito per terra, avvolti dentro i loro sacchi a pelo. 

Si era sentito in colpa per questo, nonostante sapesse che, se voleva salvarsi la vita, non avrebbe potuto fare altrimenti. In particolare, aveva sentito il cuore stringersi quando aveva visto la ragazza appena sveglia passarsi una mano sul fianco e trattenere un respiro tra i denti. 

Non appena le foglie erano essiccate, Satine le aveva accuratamente selezionate e le aveva stipate dentro due grossi sacchi che aveva trovato sotto la cucina. 

- Sono materassi di jair.- aveva detto, con aria soddisfatta.- Se accuratamente stropicciati, tornano in forma, sono morbidi e tengono caldo. Dovremo cavarcela con questi.-

In effetti, facevano caldo davvero. Aveva fatto anche dei cuscini per lui, con degli scampoli di tessuto che aveva ricavato da una tenda che pungeva e odorava di polvere, ma tratteneva benissimo il calore. Sostenevano bene il collo, ma soprattutto erano stati un vero toccasana per i suoi piedi. 

Inoltre, con l’aiuto di Qui Gon, avevano costruito una griglia con legname e foglie varie, con cui avevano impermeabilizzato il tetto danneggiato - con grande soddisfazione degli uccelli, che apprezzarono il caldo.

 

Durante i primi giorni, Satine lo aveva imboccato. Poi, aveva provato ad insegnargli a mangiare da solo. Obi Wan aveva fatto del suo meglio e, dopo i primi momenti di difficoltà in cui gli erano tremate le mani, con calma, con cucchiaio e forchetta, era riuscito a mangiare in autonomia. Gli preparava principalmente brodo liquido e sostanzioso a cui associava un po’ di carne, frutta e verdura. Mangiava poco e spesso, e non aveva potuto fare a meno di versare una lacrima, da solo, di nascosto, quando aveva visto la ragazza infilare una delle sue gallette tra quelle che sarebbero toccate a lui, e il suo maestro nascondere accuratamente un po’ della propria carne nella sua porzione.

Avrebbero protratto quell’abitudine per tutta la durata della sua degenza.

Satine era già magra di suo e mangiare meno non le faceva bene. Aveva il viso scavato, gli zigomi sempre più marcati e un velo di occhiaie che provava a nascondere bene con il poco trucco che aveva a disposizione. Era il sonno ciò che le mancava di più, non il cibo, ed Obi Wan lo aveva intuito.

Anche i suoi sogni erano tormentati. Continuava a vedere gli spettri assaltarlo al viso e al collo. Un vero e proprio incubo. A volte tornava con la mente alla bella visione che aveva avuto e in cui si era rifugiato, lui, Satine, il mare, i susulurse e la bambina. Era straziante sapere che quel sogno non sarebbe mai diventato realtà. Una volta aveva persino sognato sua figlia che lo chiamava, pregandolo di non lasciarla e tornare da lei. Si era svegliato urlando, incapace di muoversi per il dolore al collo e coperto di sudore. 

Satine e Qui Gon erano rimasti con lui, all’oscuro di tutto, ignari del fatto che i suoi sogni più belli erano anche quelli più dolorosi. 

A volte gli era capitato di sentire cantare. Succedeva spesso. Sia che sognasse la terribile notte alla PharmaMandalore, sia che sognasse la sua famiglia fittizia, nel momento di maggior sofferenza sentiva una voce. Non sapeva da dove provenisse e chi fosse a cantare, ma amava perdersi in quelle parole in Mando’a. 

 

Si avvicina il momento

in cui tornerai da me,

si avvicina il giorno

in cui ti vedrò ancora,

dall’universo al campo

di fiori blu di sogni

dove ci incontrammo,

mi racconterai del vuoto,

dei pianeti, delle stelle

che ti brillano negli occhi.

Ed io ti aspetterò

nel campo blu di sogni,

ti aspetterò 

sulla riva del fiume,

ti aspetterò

al limitare del bosco,

e dovunque il Fato

ti abbia portato, 

il vento ti parlerà di me,

e nell’alba di un mondo straniero

mi sentirai cantare

che il giorno dura troppo

nel caldo dell’estate,

e che il mare è troppo scuro

nel buio della notte,

ma io ti aspetterò,

e terrò il tuo cuore col mio,

fino a che Nebrod vorrà

che tu torni da me.

 

Quasi la aspettava. Sognava, arrivava al culmine degli orrori che vedeva e, puntuale come un orologio, la voce cominciava a cantare. Solo con il tempo era riuscito a comprendere che quella era la voce di Satine, che si svegliava ogni notte, distratta dal suo sonno agitato, e gli cantava la Canzone dei Cosmonauti per farlo scivolare di nuovo nel mondo dei sogni. Se ne accorse definitivamente quando la trovò rannicchiata in un angolo, sul materasso accanto a lui, dove si era addormentata, troppo sfinita per tornare nel suo letto. 

Di giorno, la ragazza, da sola, si dedicava quasi completamente a lui. C’era stata qualche chiamata con Inga Bauer, che doveva essere stata messa al corrente della situazione e che doveva aver riferito qualcosa a Satine a sua volta. Obi Wan non ricordava granché. Era in uno stato di dormiveglia e con qualche linea di febbre quando avevano preso contatto, ed aveva percepito solo qualche scambio di battute.

- Avete fatto un gran casino su Krownest. Larse Vizla è fuori di sé. Vi stanno cercando da tutte le parti.-

- Non possiamo muoverci. Obi Wan…-

- Lo vedo. Povero ragazzo. Che gli è successo?-

- Spettri.-

- Spettri? Ed è ancora vivo?-

- Sì.-

- Beh, in tal caso, è l’unico a poterla raccontare, che io sappia.-

Erano seguiti aggiornamenti sulla situazione su Mandalore, Kalevala, Draboon, Krownest. Ricordava distintamente che Inga Bauer aveva confessato che le avevano dato un nuovo nome.

- Dala Baar’ur. A quanto pare fate progressi nell’ambito della scienza e della tecnica, duchessa.-

 

Quando non pensava alla loro casa, ad Inga Bauer, al cibo e all’acqua, Satine, appunto, si occupava di lui.

Ed era molto spiacevole, di solito.

Beninteso, Satine non voleva fargli alcun male ed Obi Wan lo sapeva, ma era solita sottoporlo ad estenuanti sessioni di fisioterapia in cui lo costringeva a muovere le gambe, le braccia, a forzare sugli addominali e soprattutto, orrore degli orrori, a muovere il collo.

- Se non ti muovi mai i muscoli si accorceranno e diventerai tutto storto. Potresti persino essere zoppo per sempre. Potrai fare il cavaliere Jedi, da zoppo?-

Solo quel pensiero lo faceva andare avanti. In verità, se il ragazzo avesse avuto una normale percezione dello scorrere del tempo, si sarebbe accorto che lo sforzo restava concentrato in un’ora, al massimo un’ora e mezza. La duchessa si guardava bene dal massacrarlo di lavoro e dal farlo sudare troppo. Gli faceva muovere le gambe, toccami la mano con la punta del piede, respingi il mio palmo con la forza delle caviglie. 

Abbracciami.

Quello era l’esercizio che preferiva. Seduto sul letto, per fargli riacquistare un minimo di forza nei muscoli addominali, Satine gli chiedeva di oscillare avanti ed indietro, toccare il materasso di jair con le spalle e poi abbracciarla, inclinandosi in modo controllato. 

Era una scusa come un’altra per essere di nuovo a contatto con il suo corpo. L’ultima volta che aveva percepito la sua presenza era stato nella sua visione, a Kryze Manor, in cui il contatto con lei era sembrato estremamente reale. Adesso la sentiva di nuovo, lì, presente come non mai, con le sue curve e le ossa massicce di un corpo allenato, troppo magra per i suoi gusti. 

Era convinto che dovesse mangiare di più.

Era convinto anche che la duchessa se ne fosse accorta. Gli era sembrato di percepire un cambiamento nella Forza, verso di lui. Satine doveva aver capito che quando rallentava per rimettersi in equilibrio sul bordo del letto, lo sforzo non c’entrava nulla. Era Obi Wan che provava a restare vicino al suo viso il più possibile, perso nel profumo di mirto dei suoi capelli, per restare vicino a lei, misteriosamente profumata di pulito nonostante maneggiasse pesce di mare quasi tutti i giorni.

Il momento che, con gli anni, il padawan, cavaliere e poi maestro Jedi Obi Wan Kenobi avrebbe ricordato con più dolcezza, sarebbe stato però un altro, avvenuto tempo dopo la loro fuga da Loras e Sal.

In quell’occasione, sentì il suo maestro e Satine sussurrare poco lontano da lui, e poi udì qualcuno uscire. La giovane duchessa fece avanti ed indietro per tutto il tempo, trasportando legna, foglie, qualcosa di profumato ed odoroso che Obi Wan non riuscì ad identificare, almeno non sulle prime.

Poi, gli fu tutto molto chiaro.

- Sei coperto di bacta secco, Ben.- gli disse, spostandogli i capelli dal volto.- Non abbiamo avuto il tempo di ripulirti per bene. Hai bisogno di un bagno, o le ferite si infetteranno.- 

Non fu contento, ma la prospettiva di entrare in acqua non lo spaventava.

No, ciò che lo aveva messo molto a disagio era stato il pensiero che, a fargli il bagno, potesse essere lei

Scacciò via quell’immagine immediatamente e lasciò che la ragazza gli avvicinasse la sedia a rotelle. Era riuscito con un enorme sforzo a mettersi in piedi su una gamba sola, quella mattina, e così potè sedersi con l’aiuto di Satine senza troppe acrobazie.

Poi, però, la sua paura divenne realtà.

Qui Gon non c’era. Avevano finito la legna da ardere, ancora una volta, e non potevano lasciarlo al freddo nemmeno per un secondo. Satine aveva usato l’ultimo ceppo per scaldare l’acqua nella vasca e il maestro era uscito per cercarne altra per scaldare il letto del ragazzo durante la notte. 

Così, Satine lo condusse nel piccolo bagno della casupola, lo mise da parte e cominciò a girare l’acqua calda e trasparente con la sua lancia. Foglie, bacche e pezzi di sapone galleggiavano e profumavano l’ambiente, ed intorno a lui c’era del vapore caldo, che proveniva da delle braci ardenti in un pentolone, in cui Satine aveva messo a bruciare delle foglie odorose e un po’ di acqua. 

- Dovremo fare con quello che abbiamo. Vorrei che Qui Gon fosse qui, ma purtroppo non c’è, e non puoi restare così un minuto di più. Se il bacta dovesse incrostarsi sulla ferita appena rimarginata ti darebbe problemi a toglierlo. So che ti imbarazza, ma non ho altra scelta. Se solo non fossi ricercata e potessi uscire a cercar legna! So che ti sarebbe di sicuro più congeniale.-

Si spogliò da solo, per quanto poteva, dando le spalle ad una Satine in imbarazzo che si stava togliendo i vestiti a sua volta. Non era la prima volta che accadeva una cosa simile, ma di certo era il primo momento, dopo la loro fuga nei boschi di Draboon in attesa di riparare la navicella, che si approcciavano l’uno all’altra in quel modo. 

Fu così che i due ragazzi finirono nella vasca scavata nel pavimento, una pozza dove di solito si lavavano i vestiti e dove invece adesso si stavano lavando loro. Satine, un poco vestita, reggeva Obi Wan, nudo come un verme, che provava a nascondere il corpo coprendosi con le mani, e soprattutto provava a nascondere l’imbarazzo guardando dovunque fuorché il viso della duchessa.

Dando onore al merito, è opportuno riconoscere che Satine fece di tutto per spicciarsi. Con un colpo di straccio cacciò via i resti del bacta e gli lavò i capelli, districandoli con le dita. L’acqua tendeva a raffreddarsi e non avevano molto tempo. Lo lavò tenendogli la testa fuori dall’acqua e lo aiutò a reggersi. 

Fu in quel momento che Obi Wan pianse.

Ciò che sentiva non era disagio. Certo, da buon Jedi chiuso e riservato com’era, quella era di sicuro una situazione sconveniente. Tuttavia, l’iniziale sensazione di disagio si era ben presto trasformata in altro, una tensione che sentiva scorrere in tutto il corpo, il desiderio di essere visto per quello che era, un uomo fatto ormai, e non uno scheletro fragile da maneggiare con cautela. Aveva sempre sentito il bisogno di fare una bella figura davanti a lei, di non essere debole, ed invece lo era. Dipendeva completamente da lei. Anche nella vasca, se non l’avesse sorretto sarebbe annegato. 

E pianse per la vergogna, per la sua incapacità di controllare la reazione che la vicinanza con il corpo seminudo della ragazza gli suscitava, per il pensiero che potesse farsi beffe di lui o che potesse odiarlo, deriderlo, addirittura offendersi. 

- Ben, non sai quanto mi dispiace.- gli aveva detto, asciugandogli gli occhi col dito.- Purtroppo non possiamo fare diversamente. Forse avrei dovuto aspettare stasera, ma lavarti dopocena… Ho pensato che non ti avrebbe fatto bene alla digestione. Non voglio che tu la prenda così, come un’invasione, un danno alla tua persona. Ecco, prendi.- gli disse, mettendogli in mano l’asciugamano spugnoso.- Fai tu fin dove riesci, poi ci penso io. Mi dispiace così tanto.-

Dispiaceva a lei? Lei pensava di averlo offeso?

Satine dovette scorgere la perplessità nei suoi occhi, perché gli parve confusa. Lasciò che il suo sguardo dubbioso vagasse su quel corpo martoriato e ferito, e all’improvviso un lampo di consapevolezza le attraversò le iridi blu. 

- Va tutto bene.- gli aveva detto a quel punto, mentre lo faceva scivolare sull’acqua ancora tiepida, provando a calmarlo.- Non preoccuparti. Va tutto bene.- 

- Mi dispiace.-

- No. Va bene. Non c’è niente di male, ho capito. Va bene.-

- Non sai quanto…-

- Non pensare, Ben. Va bene così.-

Fu quello il momento in cui cadde una delle tante barriere che sarebbero cadute tra il Jedi e la duchessa con il passare del tempo. Fu in quel momento, in cui Obi Wan nascose il volto nella clavicola bagnata di Satine, respirando il suo profumo mentre attendevano che il tempo passasse e sembrava non passare mai, che fu siglato un tacito accordo.

Non avrebbero mai più avuto paura l’uno dell’altra. 

Di quel giorno, però, oltre alla gentilezza, delicatezza e discrezione con cui la ragazza si era presa cura di lui, oltre alla consapevolezza, ciò che il maestro Kenobi davvero avrebbe portato nel cuore sarebbe stato il ricordo del sapore della pelle di Satine, assaporata con un bacio rubato mentre piangeva nascosto nell’incavo del suo collo.  

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Shebs: retro, fondoschiena, nel contesto della frase traducetelo da voi.

Jair: verbo, scricchiolare, strillare, in questo contesto foglie che scricchiolano, una varietà di pianta che cresce su Mandalore

Dala Baar’ur: lett. donna medico

 

NOTE DELL’AUTORE: Sorpreeeesa! Siccome è la settimana di San Valentino, questa volta vi regalo ben due capitoli pieni di smancerie. 

Che poi sono tre, perché uno è diviso in due. 

Vabbè, insomma, avete capito.

Premetto che Qui Gon non è esattamente il mio personaggio preferito. L’ho sempre trovato un po’ insensibile e troppo devoto alle profezie. In ogni caso, ho cercato di rendere al meglio l’idea di un Jedi diverso dagli altri, poco ortodosso, capace di mettere in discussione i dettami tradizionali e, soprattutto, di farla in barba al Consiglio Jedi. Ho provato anche ad umanizzarlo un po’ rispetto al grande e potente maestro che la saga ci propone, sperando di non averlo spinto troppo fuori dai limiti del personaggio. 

Il Paradosso delle Proiezioni è una mia invenzione, ma gli appassionati di fantascienza potrebbero riconoscere tra le righe la teoria della psicostoria di Isaac Asimov, ed avrebbero ragione. Effettivamente, l’ispirazione è venuta proprio dai suoi lavori. 

I materassi di jair riprendono una tradizione antica, quella di fare i materassi con le foglie secche di granturco. Sono famosi per essere morbidi, caldi e per fare un rumore infernale quando uno si sdraia. 

La Canzone dei Cosmonauti invece è una mia invenzione, liberamente ispirata a Penelope’s Song, di Loreena McKennitt. 

Per il resto, c’è tanto miele anche qui. Lo so. L’idea, però, mi è venuta da una splendida intervista rilasciata dai doppiatori di Clone Wars, in cui si afferma letteralmente che lei è l’unica a conoscerlo davvero. Non Anakin, non Ashoka. E’ lei. Un’affermazione bella forte che merita una costruzione narrativa altrettanto forte. 

Una cosa come quanto accaduto in questo capitolo, dubito fortemente che un personaggio con i tratti emotivi di Obi Wan l’avrebbe mai confidata a qualcuno.

Ci sono molte cose che, evidentemente, Obi Wan ha tenuto per sé. Se lei è l’unica a conoscerlo davvero, allora significa anche che lei è l’unica a sapere tutto o quasi.

Per questa ragione è obbligatorio un capitolo pieno zeppo di altro miele - il prossimo - dove il giovane padawan vuoterà il sacco.

I richiami - e i pesantissimi spoiler - a Jedi Apprentice saranno moltissimi. Come credo di aver già detto in precedenza, sono libri che ho letto un’era geologica fa e li ho letti in inglese, quindi vorrete perdonarmi se troverete delle discrepanze tra la storia effettiva e la mia personale interpretazione.

Siete avvisati!

 

Molly.

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Capitolo 44
*** 35- Runi ***


CAPITOLO 35

Runi

 

Quella notte aveva sognato di volare. Aveva guardato in alto, e si era trovato immerso nel cielo più azzurro e terso che avesse mai visto. Aveva sentito l’aria nei capelli e la velocità attraversargli il corpo. Aveva cominciato a sorridere, mentre le sue iridi si specchiavano nell’azzurro del cielo, prima che una strana sensazione di vuoto allo stomaco lo distraesse e lo spingesse a guardare il mezzo di trasporto su cui stava volando.

Si era trovato in groppa ad una delle creature più strane che avesse mai visto. Era seduto tra due grosse creste ossee, di un curioso grigio pallido. La creatura respirava come un mantice e, nonostante avesse le caratteristiche e la rigidità di un rettile, il suo corpo era naturalmente caldo. Là dove si era aspettato di trovare delle placche o delle scaglie, aveva invece trovato una pellicola, una pelle sottile, bianco sporco, perlacea, rilucente sotto la luce del sole nel cielo terso. Accarezzò quella pelle così insolita, per sentirla ruvida e spessa al tatto. Due grosse ali cosparse di sfumature bronzee vicino alla struttura ossea dipartivano dal corpo forte ed affusolato sotto di lui. Con pochi movimenti fluidi, quel corpo - che sembrava fatto per tutto meno che per volare - si librava nell’aria come se non avesse peso alcuno. Una lunga coda spinosa concludeva quel corpo serpentino, dritta e sostenuta nell’aria come un timone.

Ciò che rendeva comoda la seduta del giovane padawan era un folto strato di pelo bianco, che tendeva ad allungarsi sotto il collo e vicino - almeno così Obi Wan credeva - al muso e alla mandibola. 

Quello che però gli aveva mozzato il fiato era stata la figura davanti a lui.

Satine cavalcava quel meshurok come se fosse un prolungamento del suo corpo, e non una creatura indipendente. Sembrava percepire ogni singola molecola d’aria, e si faceva strada tra di esse, perfettamente in armonia con l’atmosfera e l’animale. 

Ad un certo punto si era voltata di scatto a fissarlo, gli occhi blu come il cielo, i capelli biondi lasciati al vento, la pelle bianca che brillava sotto il sole come quella della creatura sotto di lei. Gli aveva fatto un sorriso sincero, poi si era voltata di nuovo e si era aggrappata con tutte e due le mani alla peluria bianca, che volava ovunque sottovento. Ad un cenno delle sue mani, il movimento della bestia era diventato calmo e regolare. Scivolava nell’aria nel mezzo al blu, completamente immobile, planando. Solo allora Obi Wan si era reso conto di essere sopra un lago. Un lago immenso, non poteva vederne la fine e l’orizzonte. L’acqua aveva assunto l’esatto colore del cielo, l’unica immagine riflessa era quella della sagoma del meshurok, la superficie leggermente increspata dallo spostamento d’aria sotto quella massa enorme. Obi Wan poteva ammirarne il muso riflesso nell’acqua: uno splendido volto bianco ed affusolato, dagli occhi blu come il cielo di notte, costellati da un mare di pagliuzze colorate. Attorno alla pupilla, verticale come quella di un gatto, un’esplosione di colori azzurro, oro e porpora, esattamente come una nebulosa. Aveva palpebre simili a quelle umane con lunghe ciglia bionde. Obi Wan poteva anche scorgere i peli sulla punta del muso e un aristocraticissimo paio di baffi carnosi da pesce gatto che fluttuavano al vento esattamente sotto le narici. 

Si era perso in quel turbinio di blu e bianco, fino a che non aveva sentito la voce di Satine richiamarlo alla realtà.

- Tieniti, Ben.- gli aveva detto, lanciandogli uno sguardo malandrino.- Balleremo un po’!-

Il giovanotto, istintivamente, aveva avvolto le braccia attorno alla sua vita in un abbraccio stretto, per evitare di cadere. Il meshurok, a quel punto, aveva scartato di lato ed in su, sempre più in alto con forza disumana, emettendo un profondo ruggito mentre si avventurava sempre più vicino al sole nel vasto blu. 

Obi Wan si sentiva libero come non mai, e il contatto con il corpo di Satine lo colmava di beatitudine. La sentiva respirare, sentiva il suo cuore correre selvaggio. Non l’aveva mai vista così fiera, così libera, così felice e determinata come la stava vedendo in quel momento, mentre fissava il cielo e si dirigeva verso il sole, un sole pallido e biancastro dagli strani riflessi blu…

Poi si era svegliato, con un dolore sordo alla spalla a ricordargli di muovere il collo se non voleva pagarne le conseguenze. 

Erano passate settimane da quel primo bagno con Satine, e ne erano seguiti diversi. Erano cadute molte barriere tra i due: ormai il padawan non aveva più paura di farsi vedere, come lei non aveva più timore di avvicinarsi o di toccarlo. Certo, ci avevano messo un po’, Obi Wan terrorizzato all’idea di insultarla, ferirla o di essere deriso, e Satine timorosa di altrettanto, nonostante ci fosse abituata.

- Su Mandalore non abbiamo la separazione dei sessi, così rigida come la vostra su Coruscant. Per noi è assolutamente normale condividere lo spogliatoio in palestra e fregarcene altamente di avere attorno un uomo o una donna.-

- Mi era parso di capire che ci fossero delle differenze, però. Le Abiik’ade sono solo donne, vero?-

- Seguono un’antica tradizione, per cui l’eredità storica e culturale si trasmette per via matrilineare. Nel loro caso, è giustificato. Meno giustificabile è stato invece il tentativo dei Vizla di estendere a tutti le loro tradizioni imponendo di inventare parole nuove per identificare uomini e donne. Quell’introduzione ha creato numerose controversie.-

Per Obi Wan, quello era un mondo completamente nuovo. Su Coruscant uomini e donne avevano spazi separati e privati, avevano una terminologia appropriata, anche se esisteva comunque qualcosa di neutro che andasse bene per entrambi. Su Mandalore, invece, il neutro definiva la maggior parte delle parole, e le differenze che erano state introdotte, per quanto legittime, avevano rappresentato una rivoluzione in negativo.

- Non ci vedo niente di male. Non è normale, ad esempio, che uomini e donne abbiano esigenze differenti?-

- Assolutamente sì.- aveva ribattuto la ragazza, con un’alzata di spalle.- Il problema, infatti, non è la definizione in sé, ma l’attribuzione che gli ha dato chi l’ha fatta, la distinzione.-

Era venuto fuori che, invece di definire in positivo la differenza tra uomo e donna, i Vizla l’avevano usato come pretesto per imporre al sistema la sottomissione femminile che vigeva, tradizionalmente, nel clan.

- No, Obi Wan, non c’è proprio nulla di tradizionale. Mandalore nasce matriarcale e poi si è adeguato a trasmettere il cognome del clan maggiore, permettendo il mantenimento del doppio cognome. I Vizla si sono dati delle regole a parte successivamente. Sono prepotenti ed offensivi. Hanno fatto di tutto, anche alle mie antenate. Le donne che sposano, di solito, hanno vita estremamente breve, imprigionate in una torre e dedite solo a fare figli per tutta la vita. Figli di cui, ovviamente, dispone il padre senza che la madre possa avere voce in capitolo. Mandalore è sempre stato altro. Persino i sacerdoti del Tempio della Luce li hanno dichiarati empi più di una volta.-

- Eppure non riesco a non vedere che quella distinzione potrebbe avere anche risvolti positivi.-

- Ce li avrebbe, se usata bene.- aveva commentato Satine.- Sarebbe una gran cosa se, ad esempio, prendesse in considerazione le differenze biologiche tra organismi per creare una medicina più avanzata che abbia riguardo delle differenze sistemiche e produca farmaci con meno effetti collaterali sulle donne. Purtroppo, la ricerca si fa prevalentemente sugli uomini.-

- Perché?-

A quel punto, l’aveva fatta ridere.

- Perché, mio caro Ben, voi maschietti siete biologicamente più semplici. Date meno problemi, meno effetti collaterali, meno reazioni. Siete più facili, suscitate meno domande. Noi, invece, abbiamo mille contraddizioni dovute alle centomila funzioni del nostro corpo, una fra tutte, la maternità. Hai idea di quante funzioni biologiche ci siano per creare un tale cambiamento? Solo per quello?-

- Un’infinità.-

- E un’altrettanto infinita serie di variabili per la sperimentazione. Troppo complicato, anche se sarebbe necessario prenderle in considerazione. Ciò che è giusto non sempre è facile. Ciò che è sbagliato, invece, puoi star certo che lo è.-

Così, forte della consapevolezza che lei non si sarebbe mai offesa, il padawan aveva cominciato a sentirsi meno in colpa.

Certo, questo non lo aveva distratto di sicuro dal suo percorso di recupero.

Era, infatti, del tutto intenzionato a riprendere il controllo del suo corpo e a lavarsi da solo. C’era quasi riuscito. Era capace di stare in piedi da solo e riusciva a spostarsi autonomamente - anche se con grandissima difficoltà e zoppicando pesantemente - dal letto alla sedia a rotelle, e dal lì alla pietra su cui si sedeva per lavarsi nella vasca. Satine doveva giusto accompagnarlo, e la prima volta che era successo gli era sembrata la persona più felice della galassia.

- Sono fiera di te!- gli aveva detto, scompigliandogli i capelli.

Già, i capelli.

Tra le grandi barriere che erano cadute c’era stata anche quella. 

Le aveva infatti permesso di avvicinarsi a lui con una lama in mano.

Guardandosi indietro, si era messo a ridere. Lui, che fin dal principio aveva temuto che la Mando li avesse mandati a chiamare per fare loro la festa. 

Adesso le permetteva di lavarlo e addirittura di passargli il rasoio sul mento.

- Mi raccomando. Sono sopravvissuto agli spettri, non voglio morire decapitato.-

- Ma non dire cretinate.- gli aveva detto, tirandogli scherzosamente un orecchio.- Adesso stai fermo o potrei cambiare idea.-

Così, lo aveva rasato e gli aveva tagliato i capelli, forse ancora un po’ troppo lunghi per i suoi standard, ma la ragazza sembrava avere un piano.

Aveva lasciato lunga, infatti, un’altra ciocca di capelli dietro l’orecchio opposto, come se volesse fargli crescere un’altra treccia da padawan.

Già, la treccia.

Qui Gon non gliel’aveva ancora intrecciata. Obi Wan aveva sofferto di ciò. Temeva che non volesse rimettergliela perché non lo voleva più avere come padawan. Si stava riprendendo troppo lentamente e non si stava allenando abbastanza. Si considerava un fallimento, e ciò che gli faceva più male era che il suo maestro potesse vederlo come tale.

Durante una notte insonne, in cui era rimasto sveglio a fissare il soffitto con Satine accanto a lui, le aveva sussurrato tutte le sue insicurezze.

Satine lo aveva consolato.

- Non ci pensare nemmeno, Obi Wan. Qui Gon ti vuole molto bene e non ti lascerebbe mai da solo. Semplicemente, ha ancora paura. L’hai detto tu, deve fare ordine dentro se stesso. Non dubitare mai dei tuoi progressi. Altri al posto tuo sarebbero morti quella notte a Loras. Tu stai scalando il Monte Glassa di Zucchero a mani nude, come puoi pretendere di raggiungere la cima come se tu volassi con un jet pack?-

Gli aveva celato, però, le sue conversazioni con il maestro, che era veramente giù di morale.

Il Consiglio aveva continuato a rifiutarsi di dare loro una mano. Preso dalla disperazione e a corto di risorse per curare il suo padawan, aveva chiesto aiuto, rifornimenti, un sostegno da un altro maestro Jedi guaritore, qualunque cosa che potesse aiutare. 

La risposta dei vertici era stata un secco no.

E il buon maestro era combattuto tra la sua missione e il suo padawan. Per proteggere Satine dovevano andare via. Per salvare Obi Wan, dovevano restare.

Satine aveva provato a mettere fine a quel conflitto interno sancendo una volta per tutte che lei di andarsene non ne aveva nemmeno mezza intenzione, che voleva restare con la sua gente e che lo sollevava da ogni responsabilità. Qui Gon, però, non si era sentito a posto con la coscienza e le aveva confidato di avere ancora dei dubbi.

- Mi sembra di farlo soffrire per niente.-

- Per niente? Ma che state dicendo? Doveva avere danni cerebrali permanenti ed invece si è alzato in piedi da solo. In piedi!-

- E se non riuscisse a fare di più? E se restasse così, invalido per tutta la vita?-

- A quel punto le cose si aggiusteranno. La Forza ha voluto che sopravvivesse, anche se invalido, per un motivo. Il suo cervello è più che sufficiente a farmi supporre che basti a compiere la sua missione nel mondo, qualunque essa sia. Poi, di che cosa stiamo parlando? Questo ragazzo ha vinto le leggi della fisica e sta continuando ad infrangere record. Diamogli un po’ di fiducia!-

Satine non si era di certo illusa che quella piccola conversazione avrebbe sopito il dubbio del maestro, e così infatti era stato. 

Dopo un giorno particolarmente difficile in cui Obi Wan aveva avuto qualche linea di febbre, la duchessa era rimasta accanto al padawan fino a che non aveva preso sonno. Qui Gon era andato fino in città a comprargli le medicine, ma i crediti stavano finendo e quando era tornato a casa la ragazza aveva notato subito il cambiamento.

- Maestro, dov’è il vostro tabarro?-

L’uomo aveva fatto spallucce senza nemmeno guardarla in volto.

- Avevo caldo.- le aveva risposto, ma la ragazza sapeva perfettamente che aveva barattato l’unico bene in suo possesso per le medicine che avrebbero salvato la vita di Obi Wan.

Quel gesto le aveva dato da pensare. I Jedi freddi delle leggende le sembravano lontani anni luce. Aveva davanti due uomini pieni di emozioni e sentimenti, con un modo singolare di interpretarli, ma che somigliavano moltissimo a lei. 

Qui Gon, però, le aveva confessato di non essere ritenuto un Jedi ortodosso.

E qual era, allora, l’ortodossia? Abbandonare un padawan moribondo senza nemmeno provare a salvargli la vita? Lasciare che la febbre lo divorasse senza sacrificare nulla di proprio?

Le sue domande, però, erano destinate a non avere una risposta, almeno non sul momento.

Non poteva sapere che il maestro, in verità, era angustiato anche da altro, memorie che si erano affacciate nuovamente alla sua mente dopo anni in cui le aveva considerate sopite.

 

Un giorno aveva accompagnato la magistra Tahl a fare un giretto per i livelli superiori di Coruscant, facendole sentire l’aria fresca e facendole esercitare le sue nuove capacità dopo la perdita della vista. Quello era stato uno dei cambiamenti che lo avevano destabilizzato di più, ed avevano cominciato a fargli capire che quello che sentiva per lei non era soltanto amicizia. Tahl aveva sempre avuto occhi bellissimi, dorati e verdi, ma adesso erano ridotti ad una opaca patina grigio biancastra, spenti. 

Così, nel sole del pianeta, avevano fatto due passi in centro, chiacchierando del più e del meno. Tahl era fenomenale, forte e determinata, e sapeva incavolarsi come una iena di Lothal quando si sentiva trattata come un’invalida.

Poi, di punto in bianco, la magistra aveva scaraventato due tizi, un uomo e una donna, dentro la fontana della città.

- Tahl, sei terribile!- le aveva detto, dandole di gomito.

- Perché?-

- Che ti avevano fatto di male?-

- Assolutamente niente. Semplicemente respiravano, anzi, sospiravano. Erano insopportabili.-

La nooriana gli aveva camminato accanto, a testa bassa, le trecce color cioccolato che ondeggiavano attorno al viso, cercando disperatamente un modo per non ridere.

- Poverino, ci stava provando seriamente!- aveva commentato Qui Gon, comprendendo.

- Non abbastanza. Quella tizia l’aveva capito da un pezzo, quello che lui aveva da dirle, e stava lì a guardarlo mentre si torturava! Dai, era un’agonia, gli ho solo fatto un favore!-

Qui Gon le aveva lanciato un’occhiata di sbieco, cercando di sembrare serio. 

- E dovevi per forza gettarli nella fontana, lui e la sua amichetta?-

- Se non se ne è accorta adesso, che gli piace, non se ne accorge più.-

I due piccioncini, nel frattempo, erano usciti dalla vasca e se la ridevano della grossa, tenendosi per mano, inzuppati dalla testa ai piedi.

- Sì, ma un po’ più di tatto non guasterebbe.-

Tahl a quel punto era scoppiata in una risata sguaiata, rovesciando la testa all’indietro e mostrando una fila di candidi denti lucenti contro la pelle d’ebano.

- Lo stesso che hai usato tu nei confronti del tuo vecchio maestro? Dooku?-

- Non ho detto nient’altro che la verità.-

- Ah, sì? Un vecchio bacucco traditore?-

- Perché, non lo è?-

- E’ questo ciò che insegni al tuo nuovo giovane padawan?-

Quello era stato il turno di Qui Gon di scoppiare a ridere.

- Perché non hai mai sentito la lingua sciolta di Obi Wan.-

Tahl gli aveva piantato gli occhi in viso, come se potesse vederlo ancora, e forse in qualche modo poteva. Lo sentiva come nessun altro, aveva imparato a percepirlo e forse conosceva i suoi pensieri prima ancora che riuscisse a rifletterci lui stesso.

Era questo che Qui Gon aveva sempre amato di lei.

Oltre al lato selvaggio, ovviamente.

- Tahl.-

- Jinn.-

- Siamo quasi arrivati.-

La magistra aveva annuito. 

- Lo so, vicino al tempio aumenta la Forza.-

Qui Gon voleva stuzzicarla. Era divertente farla arrabbiare, anche perché poi era divertente fare pace. Così, aveva sottolineato, a metà tra il divertito e l’ammirato:

- Ci sono un bel po’ di scale.-

Tahl aveva inarcato un sopracciglio, ma non aveva replicato.

- Se vuoi, posso aiutarti.-

- Non esco sempre con te, Jinn. Quando sono sola me la cavo, posso farlo anche adesso.-

Da quando aveva perso la vista, la nooriana si era indurita. Non che avesse sempre avuto un carattere facile, anzi, si poteva dire che aveva proprio un caratteraccio, tuttavia Qui Gon sapeva che si trattava soltanto di apparenza, che in verità aveva sofferto molto per quella menomazione e che ciò l’aveva spronata ancora di più ad essere indipendente, a cavarsela da sola. 

E a rifiutare l’aiuto degli altri anche quando era del tutto in buona fede.

Tahl aveva percepito il mutamento nella Forza ed aveva calato il sopracciglio che aveva precedentemente inarcato, abbozzando un sorriso.

- Tuttavia, sarebbe bello rilassarsi un po’, per una volta.- 

Aveva teso il braccio all’esterno, cercando il corpo di Qui Gon.

- Mi guidi tu?-

- Ah, posso fare di meglio!- 

E con un piccolo sgambetto se l’era caricata in spalla.

- Tu sei tutto pazzo, Jinn!- aveva strillato lei, cercando di dimenarsi.- Mettimi giù, adesso!-

- Scordatelo!-

- E il tatto?-

- Quando mai ne ho avuto uno?-

- Sarà dura fare tutte quelle scale con me in braccio!-

- Scommettiamo?-

- Scommetto che a metà scala avrai la lingua per terra!-

- Io invece ti porterò fino in cima! Se vinco domani ti farai pettinare da Bant!-

- Se vinco io, invece, dirai al tuo padawan quanto gli vuoi bene davvero!- 

 

Qui Gon quella volta aveva riso, senza sapere che sarebbe stata una delle ultime volte in cui lo avrebbe fatto in compagnia della sua Tahl, e doveva ancora adempiere alla sua scommessa e confessare al suo padawan che era un figlio, per lui, l’unico per cui avesse buttato all’aria il suo giuramento di non prendere più un allievo dopo la delusione di Xanatos.

Era stato in quello stato nostalgico e addolorato che la duchessa lo aveva trovato, seduto a tavola in piena notte mentre piangeva come un agnello stringendo tra le dita la treccia di Obi Wan. Satine era stata svegliata da un singhiozzo soffocato e, non trovando il maestro con loro, si era diretta nel cucinotto ed era rimasta con lui, ad abbracciarlo nel cuore della notte fino a che non si era sfogato del tutto. 

Il maestro e la duchessa, consapevoli di aver raggiunto un nuovo livello di stima e rispetto reciproco, avrebbero sempre taciuto quell’evento ad Obi Wan ed avrebbero sempre protetto l’affetto che - nonostante le avversità, l’ombra delle visioni del ragazzo e della profezia di Satine - provavano l’uno nei confronti dell’altra.

Da quel momento in poi, passata la febbre, Obi Wan era stato in continua ripresa. Satine lo scarrozzava dovunque. Pian pianino, il ragazzo era tornato a mettere il naso fuori di casa. Di solito la accompagnava fuori, Satine che spingeva la carrozzina e lui, bello imbacuccato, che teneva il cesto per i panni e la guardava stendere le lenzuola bagnate nel vento salmastro del mare, col bel vestito bianco che svolazzava sospinto dalla brezza marina. Era una bella vista che non mancava mai di metterlo di buon umore. Gli sembrava di essere tornato nella sua visione, quella in cui si era nascosto per sfuggire all’orrore della PharmaMandalore. Certo, non c’era sua figlia e Satine era talmente magra da non essere - decisamente - incinta, ma pur con quei cambiamenti il ragazzo non poteva fare a meno di pensare che ne era valsa la pena, di affrontare tutto quel dolore per poter vivere con Satine e Qui Gon in quel mondo così bello. 

Poi, di solito, la ragazza si ritagliava un momento libero dalle incombenze della sopravvivenza per poter restare all’aperto con lui, a chiacchierare o a canticchiare qualche canzone tradizionale per fargli ripassare il Mando’a. Era diventato bravo, anche se faceva ancora qualche errore di grammatica ed aveva una pronuncia terribilmente kalevaliana. 

Quella era stata di sicuro colpa di Satine. 

Il punto di svolta, però, era giunto proprio quella mattina. 

Forte del sogno notturno in groppa al meshurok, il padawan sentiva l’adrenalina fluirgli nel sangue. Era stufo marcio del letto, della sedia a rotelle e di dover sempre chiedere aiuto per qualsiasi cosa. La riabilitazione gli riusciva bene e non sentiva quasi più dolore a girare il collo. Solo quando restava fermo troppo a lungo in una posizione, con le spalle che pendevano verso il suolo per la forza di gravità, i muscoli cominciavano a gridare vendetta, ma con qualche leggero movimento il problema era risolto.

Era giunto il momento di cambiare. 

Aveva fame. L’ebrezza del volo in groppa al meshurok gli aveva stuzzicato l’appetito.

Dalla stanza attigua veniva un buon profumo di brodo caldo. 

Non ci pensò due volte. Gettò le gambe giù dal letto e si mise in piedi, ma nel farlo urtò la lancia di Satine, poggiata contro il muro a guardia del padawan, e la mandò a schiantarsi al suolo con un tintinnar di beskar.

La duchessa gli fu subito addosso.

Con tre balzi passò dalla cucina alla stanza da letto e fece per sostenerlo, ma Obi Wan la respinse delicatamente.

- Stamani faccio da me.-

- Ma…-

- Stammi davanti, in caso dovessi perdere l’equilibrio. Stamani, però, faccio da me.-

E mosse il primo passo.

Gli costava una gran fatica, ma non gli riusciva difficile né eccessivamente doloroso. Doveva solo concentrarsi un po’, prendere confidenza sulle gambe e connettersi con la Forza per trovare il giusto equilibrio tra essa e il dolore fisico. 

Poi ne fece un altro.

Lentamente uscì dalla porta, Satine a braccia aperte davanti a lui per coglierlo nel caso in cui fosse caduto. Svoltò in corridoio ed affrontò con stoica rettitudine i tre scalini che lo separavano dalla cucina. 

- Ci sei quasi.-

- Comincio ad essere stanco.-

- Sei in fondo, ce l’hai quasi fatta!- 

Qui Gon aveva abbandonato il paiolo del brodo, che stava mescolando con malcelato tedio, per lanciare un’occhiata ai due ragazzi, e si era alzato immediatamente in piedi quando si era reso conto del miracolo che si stava manifestando davanti ai suoi occhi.

Obi Wan continuò a muovere i piedi, un ghigno soddisfatto sul volto, e Satine procedeva a ritroso incitandolo.

Il maestro voltò immediatamente una sedia di fronte al tavolo per permettergli di sedersi e il padawan, mosso l’ultimo passo, ci si accasciò sopra senza troppe cerimonie, sostenuto dalle dita solide della duchessa. 

Rise come un matto e mai sedia gli era sembrata più comoda di quella - storta, bucata e solo parzialmente impagliata - su cui si era appena seduto. 

La sorpresa più grande, però, gliela fece Qui Gon che, in barba ai dettami del codice Jedi e con un’occhiata sbilenca lanciata verso la duchessa, gli circondò il collo con le braccia e ficcò il naso nei capelli rossi.

- Sono un vecchio brontolone, ma sono fiero di te, Obi Wan. Sarai un Jedi migliore di me.-

Il padawan ci mise un secondo a riprendersi dall’imbarazzo, per poi ricambiare l’abbraccio e goderselo, finalmente in pace.

- Ti voglio bene, figliolo.-

- Anche se non è da Jedi?-

- Che il Consiglio vada a farsi benedire al Tempio dei Sith.-

Obi Wan rise, ed avrebbe continuato a farlo per un bel po’.

- Vi voglio bene anche io, maestro.-

Quel pomeriggio, la treccia da padawan trovò nuovamente il suo posto nella chioma folta di Obi Wan.

 

Da quel giorno, le cose migliorarono a vista d’occhio, nel vero senso della parola. Nonostante gli costasse molta fatica, Obi Wan aveva ripreso ad allenarsi con risultati dignitosi. Le sessioni di meditazione con Satine erano ricominciate e Qui Gon non sapeva se essere felice o rammaricarsi del fatto che le menti dei due ragazzi sembrassero ancora più fuse di prima. Parimenti, erano ricominciate anche le lezioni di danza del giovanotto, che le trovava più semplici rispetto agli allenamenti Jedi. Un buon valzer era più tollerabile per il suo polpaccio torturato, e in qualche modo allearsi in quel modo gli permetteva di arrivare con i muscoli caldi e ben sciolti alle sessioni più dure con il suo maestro.

Per ora, il recupero fisico era predominante. Nei giorni successivi, dati i progressi, programmavano di ricominciare ad usare un poco le spade laser, magari facendo prima un po’ pratica con la lancia di Satine, sicuramente meno letale.

Certo, la stabilità era ancora lontana. Obi Wan perdeva l’equilibrio spesso e fare gli addominali era ancora una tortura, ma era sulla buona strada verso un completo recupero.

Persino Inga Bauer se ne accorse.

- Fatemi capire.- disse, reggendo lo sguardo del ragazzo, che ricambiava con un ghigno insolente.- Quello lì sarebbe la cosina triste ed imbacuccata che ho visto l’ultima volta?-

I tre annuirono come un sol uomo.

- Per i calzini puzzolenti di Arasuum, che gli avete messo nel biberon da piccolo?-

- Questo non lo so, ma posso garantirvi che ha ottime doti conviviali.- commentò il maestro, l’ombra di un sorriso sul volto. 

- Quando lo capirete, fatecelo sapere, potrebbe servire anche a noi.- e la generale gli lanciò uno sguardo ironico e vagamente apprezzante, e Obi Wan abbassò gli occhi sulle scarpe.

- Inga, abbi pazienza, ma non credo che tu ci abbia chiamato per ammirare la formidabile forma fisica del nostro buon padawan.-

- Oh, sono certa che qualcuna delle nostre gli darebbe una bella guardata, al ragazzo.- disse, scuotendo divertita i ricci scuri.- Però è vero, ho chiamato per un altro motivo. La contessina si è finalmente svegliata dal letargo.- 

Ursa Wren aveva finalmente deciso di darsi una scossa e prendere posizione dopo la catastrofe di Loras e Sal. La gente cominciava a scalpitare, sopportando sempre peggio le angherie dei Vizla e dei Saxon. Erano stanchi e chiedevano decisioni imminenti. Alla fine, le due città si erano sollevate definitivamente, tingendosi di stendardi bianchi e di inni ai Kryze. Così, la contessina aveva emesso un comunicato ufficiale che Inga Bauer trasmise sulla loro frequenza. 

A vederla, era ben diversa da Satine. Era fiera, certo, come lei. Aveva gli occhi piuttosto duri, scuri e a mandorla, e i capelli raccolti. Era giovane, ma allo stesso tempo non sembrava godere della stessa autorità che incuteva la duchessa. Seduta su un trono di pietra nel suo palazzo a Krownest, sembrava piccola, minuta, ed aveva gli occhi mobili. Sapeva di essere in una posizione difficile e si vedeva, nonostante nell’armatura di beskar provasse a sembrare forte.

 

Alla luce degli eventi di questi ultimi giorni, non possiamo fare a meno che rammaricarci della durezza con cui il nostro alleato Vizla ha sedato le manifestazioni di piazza. La nostra economia è bloccata da mesi, la gente ha fame, non mangia e non riesce a lavorare e a guadagnarsi da vivere. Invece che prestare ascolto alle segnalazioni provenienti dal nostro clan, per trasmettere le quali io stessa mi sono spesa molto, Larse Vizla ha preferito far ricorso alla violenza. La nostra fedeltà alla sua nobile casata, come da tradizione, non verrà mani meno, tuttavia non posso fare altro che prendere le distanze dalle violenze commesse negli ultimi giorni. Il clan Wren resterà sempre un clan fedele alla nobile casata dei Vizla, ma non riconosciamo Larse Vizla come nostro leader e non sosteniamo le politiche violente, dittatoriali e repressive di Evar Saxon. Per questo motivo, con grande rammarico, informo la società civile della mia decisione di non presentarmi in aula e di non partecipare alle prossime discussioni politiche. Sosterremo i Vizla, ma non sosterremo il presente candidato.

 

Satine aveva sempre ritenuto Ursa Wren una persona intelligente, ed effettivamente stava dando prova di sapere dove dormiva il polpo. 

Obi Wan e Qui Gon, invece, avevano manifestato una leggera impazienza durante il discorso. Non capivano il politichese e quelle parole sembravano loro vuote e prive di significato.

- Insomma, non ha deciso.-

- Ha deciso tutto, invece!- disse Inga Bauer, l’aria soddisfatta. 

Satine, grattandosi il capo, poteva comprendere a che cosa facesse riferimento la generale.

- Mettetevi nei suoi panni, maestro, padawan. Immaginate di essere sola in un covo di vipere, stretta tra i Vizla e il popolo. Ursa Wren non è come me. Vizla non ha nessun rispetto per lei e non ha fatto in tempo a costruirsi un’autorità personale. Larse Vizla ed Evar Saxon hanno già messo al muro suo padre e lo hanno fucilato, e Lusk Wren era un politico di una certa stazza. Oltre ad essere un segnale alla popolazione, è anche un segnale per lei: sgarra e farai la fine di tuo padre.-

- Inoltre, le rivolte promettono male. La gente continua a morire, e se dovessero perdere la pazienza, presto morirà anche lei per mano dei suoi stessi concittadini. Deve accontentare tutti, ma le posizioni sono apparentemente inconciliabili.- concluse Inga Bauer. 

- La gente non vuole i Vizla e preferisce i Kryze. Vizla vuole il controllo sulla gente che non lo vuole. L’unica è provare a tenersi in mezzo. Quello che Ursa sta cercando di dire è io non sto con i Kryze, i Vizla sono e saranno sempre la mia casa, ma non posso sostenere un mostro che mi ammazza la gente invece che farla lavorare come aveva promesso, per cui mi chiamo fuori fino a che non si cambia capo di Stato.-

Obi Wan non ci vide una grande differenza. In fondo, a un pazzo come Vizla le mezze misure non andavano bene. 

- Sono d’accordo con te, ragazzo.- rispose Inga, abbozzando un sorriso fiero.- Tuttavia temo, anche se la politica non è il mio mestiere, che la soluzione sia solo temporanea.-

- Assolutamente.- continuò la duchessa, gli occhi volpini.- Ursa sa benissimo che prima o poi - forse più prima che poi - Larse Vizla verrà a chiederle ragione della sua scelta, e sono assolutamente convinta che abbia già preso provvedimenti. Potrebbe arrivarci una comunicazione da un momento all’altro. Teniamo le orecchie aperte.- 

- E se non dovesse arrivare?-

- A quel punto procederemo noi prima che ci arrivi Vizla. Tuttavia, andiamoci con i piedi di piombo. Non credo che Ursa si spingerebbe mai a tanto, considerato quello che hanno fatto a suo padre, ma nulla vieta che sia una strategia per infiltrare qualcuno della casata dei Vizla all’interno delle nostre file.-

Inga si disse d’accordo e chiuse la comunicazione. Satine, invece, era raggiante e piena di speranza. Quella poteva essere la svolta decisiva, il passaggio definitivo da oppressi a maggioranza. 

In quel caso, Larse Vizla avrebbe tremato sul serio.

Obi Wan, tuttavia, continuava ad essere scettico. Gli sembrava così strano che Vizla non avesse capito nulla di tutto quel piano. Tutto sommato c’era arrivato anche lui, che non era una soluzione accettabile. O Vizla era un completo imbecille, oppure aveva un qualche asso nella manica e loro lo stavano ampiamente sottovalutando.

Tenne per sé quei commenti, proponendosi di farli alla duchessa in seguito. Prima aveva una sessione di meditazione da portare a termine e Satine fu ben lieta di partecipare. Si misero tutti e tre fuori, in spiaggia, al coperto sotto gli alberi della macchia, ed Obi Wan ne approfittò per respirare a pieni polmoni l’aria di mare. Aveva un buon profumo, il mare. Su Coruscant non poteva mai respirare il salmastro, ma ne approfittava sempre quando aveva modo di andare in luoghi acquatici per una qualche missione. Il rumore delle onde e lo sciabordio dell’acqua lo mettevano di buon umore e gli calmavano i nervi. Respirare quell’aria pulita gli conciliava la meditazione, e quel giorno gli venne particolarmente bene. Sentiva i midichlorians lavorare sui suoi muscoli danneggiati e contribuire a ricostruirli pezzo per pezzo. Poteva percepire la forza fisica tornare lentamente in lui. C’era stato un momento in cui aveva seriamente dubitato di farcela, in cui aveva dubitato di se stesso, ma Satine e Qui Gon gli avevano infuso fiducia. 

Adesso che era tornato a sentire la Forza fluire in lui in modo sufficiente, Obi Wan voleva soltanto ringraziarli per tutto quello che avevano fatto per lui.

Pian piano, avrebbe trovato un modo. Con Qui Gon era sempre difficile, perché non sapeva mai quanto in là potesse spingersi nel fargli capire che teneva molto al legame che aveva instaurato con lui. Con Satine, invece, sembrava una scelta obbligata, quasi naturale. 

Aveva dei conti in sospeso con lei, fin dall’ultima volta in cui avevano discusso nelle foreste attorno a Loras. Aveva avuto difficoltà a parlarle di quanto accaduto negli anni precedenti, eppure sentiva di doverglielo. Dopo tutto quello che avevano passato insieme…

Insomma, non poteva essere più imbarazzante che vedersi nudi in vasca da bagno, no?

Così, attese il momento buono. Qui Gon si prese del tempo per meditare e poi gli chiese di fare un po’ di ginnastica con lui. Obi Wan si prestò al gioco e con un occhio ammirò Satine fare pratica con la lancia. 

Si era sempre chiesto come fosse possibile che in un corpo così fragile potesse esserci tanta forza e tanta determinazione. 

In quel momento, ne comprendeva l’unicità. Satine non era solo fisicamente dotata, ma era una combinazione micidiale di corpo e mente, muscoli e cervello. Sapeva compensare evidenti carenze fisiche con altro, con un buon piano e con una buona armonia, coordinazione, tattica e strategia. 

Quando anche l’allenamento fu finito, il pomeriggio stava per giungere al termine. Il sole stava cominciando a calare e lo stomaco del padawan a brontolare.

Era l’ora dello spuntino.

Non avevano molto, e buona parte di quello che avevano era stato dato a lui. Qui Gon aveva trovato un albero da frutto e Satine gli aveva confermato che produceva dei semi molto buoni da mangiare, simili a mandorle. Ne avevano buttati giù dall’albero un po’ ed avevano fatto scorta, così, con il cesto pieno di semi e un pestello per aprirli, lui e Satine si erano seduti a godersi l’ultimo sole della giornata mentre il buon maestro se ne era andato a pesca per la cena.

- Buoni.- borbottò, mentre ne schiacciava un altro e se lo metteva in bocca.

- Sì, ma prendi fiato, Obi Wan.- gli rispose scherzando Satine, dandogli una gomitata.- Ne mangi tre al colpo!-

Per tutta risposta, se ne mise un altro in bocca, spingendola a fare una smorfia di disgusto.

Ne sgusciò un po’ e li diede a lei, che accettò. La duchessa aveva sentito il cambiamento nell’aria e cominciava a pensare che il ragazzo volesse dirle qualcosa e stesse cercando il momento opportuno per farlo.

Se non si spiccia facciamo notte.

Tuttavia, conoscendolo, Satine concluse che era meglio permettergli di pensare e decidere se fosse la cosa giusta da fare. Non voleva forzarlo o spingerlo a fare qualcosa che non voleva fare. Ne aveva già passate tante e, almeno in teoria, avrebbero avuto ancora un po’ di tempo prima della fine della loro missione. 

Prima o poi si sarebbe sbottonato, no?

Forse, più prima che poi.

- Satine, io vorrei parlarti, ma ti prego, qualunque cosa ti passi per la testa, ti prego, non dirla, e soprattutto non ridere. Fammi finire, d’accordo?-

La ragazza sollevò appena le sopracciglia, sorpresa, ma annuì e non disse niente. Un nugolo di farfalle spiccò il volo dentro al suo stomaco ed improvvisamente si diede dell’imbecille per averci anche solo sperato.

A parte il fatto che è un Jedi, e quindi non lo farà mai, ma anche se fosse, figuriamoci se si dichiara con il suo maestro ad un tiro di schioppo!

- Ti ricordi quando ti ho trattata in modo scostante, dopo che mi avevi fatto tutte quelle domande a proposito dell’ordine dei Jedi? Ti avevo promesso che un giorno ti avrei raccontato tutto.-

Oh, così è di questo che vuoi parlare.

Bene, ti ascolto.

- Ti sembrerà una storia molto strana, e forse non so nemmeno da dove cominciare. Anzi, facciamo una cosa. Le domande, falle tu. Scegli tu da dove partire, e poi io provo a spiegarti.-

Beh, doveva fidarsi davvero per darle carta bianca per fare domande sulla sua vita privata. Satine apprezzò, e provò a muoversi con la maggiore delicatezza possibile.

- Partiamo dall’inizio. Come sei arrivato al Tempio?-

Obi Wan sorrise.

- Non lo so. Mi hanno detto che mi ha trovato Yoda durante uno dei suoi girovagare in giro per pianeti. Poi lui mi ha raccontato che provengo da una famiglia del ceto medio di Stewjon, sono commercianti. So di avere un fratello, ma non lo ricordo. Avevo tre anni, quando i miei mi hanno ceduto al Tempio. Per loro ero già troppo grande, ma siccome era stato il gran maestro Yoda a trovarmi, mi hanno concesso il beneficio del dubbio.-

- Troppo grande?-

- Sì. L’età dei bambini di solito parte da sei mesi, e si tende a trovarli il più presto possibile, per evitare forme di attaccamento pericolose per lo sviluppo nella Forza. Scommetto però che tu sai una storia un po’ diversa, vero?-

Satine aggrottò le sopracciglia.

- Quello che so io conta poco. Jedi e Mando, insomma, lo sai. Ci hanno insegnato che voi rubate i bambini.-

- Non è vero. Non rubiamo nulla a nessuno. Le famiglie ci cedono volutamente. Molte sono povere, ed è conveniente avere una bocca in meno da sfamare in ogni caso. Altre, invece, provengono da ceti più abbienti, a volte anche altolocate, e lo fanno comunque per questioni di prestigio. Non forziamo nessuno. Il vecchio padawan del mio maestro, per esempio, era nobile.-

- Quello passato al lato oscuro?-

- Lui.-

Satine scosse il capo. 

Le cose non stavano andando esattamente come aveva previsto e non voleva mettersi a litigare con lui.

- Perdonami, purtroppo le nostre tradizioni sono proprio diverse. Comprendo quello che dici, e sospettavo che questa fosse la realtà, ma per noi cedere un bambino così piccolo a qualunque entità è proprio inconcepibile. Vyron Vizla il Sanguinario è passato alla storia, tra le tante malefatte, per aver ceduto due dei suoi figli al Tempio della Luce a pochi giorni dalla nascita, ed è considerato empio anche per questo.-

- Certo, in un concetto di clan deve essere una cosa inconcepibile.-

Che strano. Si era aspettata un bisticcio, o una risposta al pepe, di quelle che sapeva dare lui, ed invece niente.

Quello che veniva dopo, forse, era il vero punto della questione.

- E non ti mancano, i tuoi genitori?-

- Sinceramente no. Ho ricordi molto vaghi. Credo di averli rivisti una volta, attorno ai sei, sette anni, ma non sono sicuro. In ogni caso, ho una famiglia bellissima al Tempio. C’è il maestro Qui Gon, il maestro Yoda. Ho i miei migliori amici, che sono come fratelli. Ci vogliamo bene a modo nostro, e tutto sommato ci sto bene, anche se a volte mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se la Forza avesse preso un altro corso. Stava anche per prenderlo, ad un certo punto, ma il maestro Yoda ci ha messo lo zampino.-

- Che cosa è successo?-

- Circa tra i dieci e i tredici anni, arriva il momento per uno studente di diventare padawan. Vengono organizzate delle audizioni pubbliche, dove i maestri disponibili possono studiarti. Non è detto, però. Le strade possono incrociarsi anche al di fuori di questi eventi. Per me, non è mai stato così. Ho aspettato un sacco, ma nessuno è mai venuto a prendermi.-

Satine deglutì prima di fare la domanda successiva.

- E che cosa succede, se nessuno ti sceglie?-

- Vieni mandato via. E’ destino, si vede che non hai le doti, le qualità per diventare un Jedi. E’ la via della Forza. Fai fagotto con i pochi oggetti personali che hai e nel giro di ventiquattro ore sei fuori dal Tempio, diretto alle colonie agricole di Bandomeer. E’ quello che è successo a me.-

No, un attimo.

Obi Wan Kenobi, sposato al Codice dei Jedi, mister guai a chi infrange le regole, cacciato dal Tempio?

Questa poi.

- Bandomeer. Tu.-

- Sì. Fu tutta colpa mia. Ero un ragazzo cresciuto troppo in fretta, avevo difficoltà a coordinarmi, a volte inciampavo nei mei stessi piedi. C’era un ragazzo, si chiamava Bruck, che mi ha preso costantemente in giro da che ho memoria. Non c’era un vero motivo. Ogni occasione era buona. Quando erano i capelli rossi, quando le lentiggini, quando i piedi grandi o le gambe lunghe, quando le mie cadute a lezione. Insomma, mi dava addosso in continuazione, ed io un giorno ho perso la pazienza. Il problema era che, quel giorno, era il giorno della mia audizione e Qui Gon stava guardando. Mi misero contro Bruck, che mi provocò, e io finii col disarmarlo. Tutti i maestri dissero la stessa cosa: combatte troppo bene per avere tredici anni, e se non riesce a meditare passerà sicuramente al lato oscuro. Non deve essere allenato. Qui Gon è sempre stato diverso e comprese, ma, dati i precedenti, non se la sentì di scegliermi e fui mandato via.-

- Perdonami, ma non riesco a capire.- disse Satine, lo sguardo basso e la voce fioca per non farsi sentire da Qui Gon.- Ma per quale motivo non hai chiesto aiuto? Se quel ragazzo ti dava fastidio così tanto, sono certa che qualcuno sarebbe intervenuto prima o poi.-

- Ecco, questa è una delle grandi pecche, a parere mio, dell’Ordine dei Jedi dei nostri tempi: se ne infischiano altamente. Ci ho provato, a cercare aiuto, ma mi sono sentito dire sempre le stesse cose. Io dovevo capire, dovevo crescere, trovare il mio posto nel mondo, era una prova della Forza e dovevo imparare a farmi scivolare le cose addosso. Insomma, non era colpa sua, che stava evidentemente intraprendendo la via del lato oscuro. Quello pericoloso ero io, che non riuscivo ad essere maturo a sufficienza ai loro occhi da farmi scivolare addosso i commenti al vetriolo che lui e la sua combriccola facevano su di me.-

Satine sentiva l’indignazione salirle dentro, ma si trattenne dal commentare.

- Da una parte, avevano ragione. Avevamo torto entrambi. Io facevo di tutto per capire, ma non ci riuscivo. Nel mio egocentrismo, non avevo compreso il suo disagio. Non capivo, effettivamente, e non riuscivo a darmi una spiegazione decente per quello che stava succedendo. Lui, dal canto suo, si era fatto irretire da Xanatos e dai suoi sogni di gloria, ed era destinato a fare una fine infelice. In effetti, così fu. Ci fu un grave scontro al Tempio, che fu messo a ferro e fuoco. Lo trovai nella Stanza delle Mille Fontane, aveva incatenato Bant in fondo al lago. Mi scontrai con lui nel tentativo di salvarle la vita e cadde giù dalle rocce.-  

Bant.

Le pareva di aver sentito quel nome più di una volta. 

Un’ipotetica fidanzata al Tempio Jedi?

Si ripromise di chiederglielo più tardi. C’erano questioni più importanti da affrontare.

Ha visto morire un ragazzo della sua età. 

- Non lo rimpiango. Alla fine l’ho perdonato, e lui ha capito. Purtroppo, si è lasciato cadere prima che riuscissi a salvarlo. Questo, però, è avvenuto dopo, non corriamo troppo. Prima sono stato spedito su Bandomeer, e la cosa non è passata inosservata.-

- Yoda?-

- Esatto. Ci teneva particolarmente a che io trovassi un maestro, e provò a convincere Qui Gon senza riuscirci. Ce la fece solo quando gli prospettò la vita sulle colonie agricole, e a quel punto il mio maestro accettò una missione su quel pianeta. Inutile dire che mi incollai a lui sulla navicella e non mi scollai più. Alla fine, fosse anche solo per sfinimento, accettò di prendermi in prova. Dopo qualche scorribanda in giro per la galassia, mi riportò al Tempio ed affermò di aver trovato un padawan.-

- Per curiosità.- chiese Satine, anche se non era certa di voler sapere la risposta.- Si vive tanto male, su Bandomeer?-

Obi Wan rimase in silenzio ad osservare i gusci vuoti dei suoi semi, pensieroso. 

- Aspettativa massima di vita, due anni.-

Ecco, quello fu uno shock. 

Innanzitutto, ci volevano gli occhi foderati di beskar per non vedere che il ragazzo era destinato a fare il Jedi. Sputava codici e regole da tutti i pori, a parte la lingua pungente. Era disinteressato, umile, un po’ arrogante a tratti, ma ciò derivava da una grande voglia di imparare che lo rendeva tendenzialmente certo di quello che aveva studiato con sacrificio. In più, i grandi Jedi, portatori di pace, permettevano un abomino come le colonie agricole di Bandomeer, dove venivano mandati a lavorare ragazzi di appena tredici anni e dove sarebbero morti nel giro di due anni?

Era una mostruosità che non avrebbe mai voluto sentire.

E se lui fosse morto su Bandomeer?

Preferì non pensarci.

- Quindi, alla fine, è andata bene, no? Hai incontrato Qui Gon.-

- Sì, è stato la mia salvezza, anche se poi ho provveduto io stesso a rovinare tutto.-

- Che è successo?-

- Hai mai sentito parlare della guerra di Melida/Daan?-

Come no. Aveva sentito storie raccapriccianti a proposito di soldati bambini che facevano la guerra per salvare il pianeta, ma non aveva mai approfondito.

All’epoca, aveva avuto questioni problematiche ad impegnarla nel suo sistema.

- Sì. E’ stato orribile.-

- Io ero lì, e c’ero per scelta.-

Questa, poi, era bella.

- Conobbi Cerasi. Lasciai l’Ordine per lei. Era mia amica e la sua causa era giusta. Voleva davvero fare del bene. Non riuscivo a capire come i Jedi potessero chiudere un occhio, come potessero non vedere ciò che di giusto c’era nella sua attività. Per loro, era una questione interna al sistema che non ci riguardava. Io mi opposi e restai. Ho combattuto per molto tempo, ma ho fallito. Cerasi è morta ed è stata colpa mia. Non mi accorsi di un cecchino. Chiamai Qui Gon. Non sapevo dove altro andare, i ragazzi mi consideravano un traditore e i Jedi pure. Lui mi riportò al Tempio, ma le cose non andarono bene.-

Satine non sapeva che cosa dire. Obi Wan, il suo Ben, era stato un soldato bambino per il bene di qualcun altro, e la Forza sola sapeva le cicatrici che si portavano dentro i ragazzi come lui.

Già ne aveva lei, per molto meno.

- L’Ordine mi considerava un traditore nel peggiore dei casi, inaffidabile nel migliore. I padawan mi disprezzavano. Avevano tutti pagato le conseguenze delle mie scelte ed avevo gettato tutti nel discredito. I maestri erano stati molto severi con loro, convinti di non potersi più fidare. E poi, avevo avuto fin troppe possibilità negate ad altri. Già ero stato ripescato su Bandomeer, adesso venivo a chiedere ancora fiducia. Meritavo di restare fuori dall’Ordine.-

- No, no, no.- borbottò Satine, scuotendo il capo.- Che c’entrano loro? Loro sono rimasti, hanno seguito le regole. Tu te ne sei andato. Il problema è tuo, non loro.-

- Non ha funzionato esattamente così. I maestri volevano essere certi di potersi fidare dei padawan tanto da mettere nelle loro mani la loro vita. E’ logico, se ci pensi. Se Qui Gon non potesse fidarsi di me a quel modo, sarebbe completamente inutile continuare a lavorare insieme. Se c’è il rischio che il tuo padawan ti pianti da solo nel bel mezzo del niente, questo per i maestri è un male bello grosso. Le mie azioni insinuarono il dubbio che ciò fosse possibile. Insomma, per farla breve, Qui Gon si spese talmente tanto per me, con il piccolo contributo di Yoda, che alla fine decisero di testarmi. Se avessi dato prova di essere affidabile, allora mi avrebbero permesso di continuare a vivere al Tempio e ad addestrarmi.-

Satine rimase a fissarlo, mentre il ragazzo giocherellava con i gusci, gli occhi tristi persi in quel tritume.

- Fu un inferno.-

E smise di parlare.

La duchessa era rimasta senza parole. Non sapeva che cosa fare e che cosa dire. Osservò il vento scompigliargli le ciocche rosse, che forse gli aveva lasciato troppo lunghe, e gliene passò una dietro l’orecchio con le dita con fare incoraggiante.

Obi Wan parve comprendere e le sorrise un poco, triste. Seguendo le indicazioni della ragazza, aveva intrecciato anche la seconda ciocca che si era lasciato crescere, e l’aveva annodata attorno al codino assieme alla treccia da padawan, così da nasconderla senza toglierla. 

Le era grato anche per questo.

Non avere paura di lei.

- Tutto ciò che facevo non andava bene. Se parlavo, avrei dovuto tacere; se stavo zitto, sarei dovuto intervenire. Un giorno delle cariche esplosive fecero saltare in aria le sospensioni dell’asilo nido, una struttura tubolare sospesa. Rischiava di precipitare. Gli altri padawan andarono a chiamare i maestri e io rimasi lì. Mi avevano dato l’ordine di non intervenire, ma le giunture si spezzarono e la struttura si inclinò. Se non avessi tolto del peso dall’interno, sarebbe sicuramente venuta giù. Infatti crollò, ma riuscii a farli uscire tutti quanti appena in tempo. Il Consiglio mi distrusse. Persino Qui Gon si indignò per il trattamento che mi riservarono, ma furono irremovibili. Continuavo ad essere un padawan indisciplinato che non rispettava le regole. Litigai persino con Bant. Mai successo in anni di amicizia. Poi lei sparì, e finì incatenata sul fondo della Stanza delle Mille Fontane. Fu quello il momento in cui ebbi il primo attacco di panico della mia vita.-

- Obi Wan, io…-

- Ma adesso va meglio. Alla fine mi hanno riammesso. Col tempo ho imparato a non dire o fare tutto quello che penso. Ho imparato a tenere le opinioni per me. Ad aspettare. Ho imparato a seguire le regole, anche quelle che non capisco. Alla fine, quello che conta è che ci sia Qui Gon. Di lui mi fido, anche se sembra freddo e distaccato, e nonostante io sappia che sceglierà sempre la luce sul buio anche se questo significa sacrificare me, so che mi vuole bene. Quello che è successo con la magistra Tahl, per quanto tragico, ci ha fatto bene. Io ho protetto lui, e lui lo sa. Adesso, lui protegge me. Siamo pari.-

- Obi Wan.-

- Sì?-

- Non è cambiato nulla, vero?-

Il ragazzo sospirò.

No, non era cambiato nulla. I maestri lo guardavano ancora con sospetto. Tra padawan c’era sempre stata competizione. Qui Gon a volte sembrava lontano.

E lui si sentiva solo e inadeguato.

- Faccio ancora fatica, se è quello che vuoi sapere. Rispetto le regole del Codice a menadito perché voglio fare il Jedi, è vero, ma ammetto che ho il terrore di essere chiamato di nuovo nella sala del Consiglio a rendere conto di quello che faccio e di quello che dico. Questo, però, non è da Jedi, perché non dovremmo vivere nel passato. Quello che è successo è passato, finito, e deve sparire, ma in qualche modo continua a vivere dentro di me. Ho paura e mi vergogno. Ho ancora gli attacchi di panico ogni tanto. E continuo a non capire.-

Sospirò, le spalle curve e gli occhi chiusi.

- Non capisco perché certe cose vengano ignorate. Bruck si sarebbe potuto salvare, se qualcuno avesse prestato attenzione a quello che faceva. Invece è stato gettato tra le braccia del lato oscuro e si è preferito intervenire su di me, che non avevo fatto nulla di male, o almeno lo pensavo, ma forse non è così e sono io che non riesco a vedere i miei errori e hanno ragione quando mi dicono che sono arrogante, però io mi sforzo ma non riesco proprio a capire e nemmeno riesco a farmi andare giù questo atteggiamento, che fa solo del male all’Ordine, e fatico a stare dentro quel sistema e forse è per questo che non dovrei fare il Jedi, ed hanno ragione quando lo dicono, perché effettivamente ho problemi con l’attaccamento, però è anche vero che…-

- Ti prego, frena e prendi fiato.-

Obi Wan frenò e prese fiato, ma il suo corpo continuava ad emanare disagio. 

Satine ne ebbe pietà e si vergognò. 

Aveva sempre creduto che la vita al Tempio Jedi fosse facile. Pregare, meditare, fare un po’ di esercizio e ricominciare da capo. Un gruppo di privilegiati, insomma.

Oh, quanto si era sbagliata.

- Ci sono molte cose che io non capisco dell’Ordine dei Jedi, dai bambini a Bandomeer, e molto altro ancora. Per me il controllo delle passioni come predicate voi è inconcepibile, però posso, con un po’ di sforzo, comprenderlo. Ci sono cose, tuttavia, che non hanno senso in un mondo con o senza Forza. Quella che è stato fatto a te quando hai subìto le angherie di quel ragazzo ha un nome, e si chiama colpevolizzazione della vittima. Il carnefice viene legittimato a fare il bello e il cattivo tempo e la vittima viene costretta a sopportarlo, pena la cacciata da una realtà essenziale per lei, l’esclusione per inadeguatezza. Dalle donne vittime di aggressioni, dentro e fuori casa, alle realtà scolastiche, questo integra sempre e comunque un abuso, non importa quanto speciale tu sia. Sbagliare è umano, e sicuramente tu avresti potuto sopportare di più, ma sai perché sei andato in corto circuito? Perché ti sei reso conto che tu eri l’unico ad essere punito. Sbaglio?-

C’era qualcosa di simile a speranza negli occhi del padawan.

Lei capisce.

- No. E’ corretto.-

- E allora di cosa stiamo parlando? Quello che è successo su Melida/Daan non lo calcolo nemmeno, perché penso che i fatti parlino da soli. Non hai avuto nemmeno il tempo di recuperare che sei stato messo sotto il fuoco incrociato del Consiglio Jedi e di un adepto del lato oscuro. Quello che ti hanno fatto è una vera e propria forma di abuso psicologico, ai limiti della tortura. Adesso dirai che sono esagerata perché sono pacifista, ma anche io sono passata da qualcosa di simile durante il mio anno di addestramento. So che cosa significa. Mi guardo indietro e mi domando come accidenti ho fatto a sopravvivere. A volte sogno ancora il giorno dell’esame finale. Il mio istruttore mi voleva soffocare. Mi salvai camminando sui muri.-

Obi Wan la guardò con rinnovata consapevolezza e con un velo di sollievo sul volto.

Lei capisce davvero.

- Se hai bisogno di qualcuno che ti dica le cose come stanno, ebbene sì, non sei pazzo. Hai tutte le carte in regola per fare il Jedi, anzi. La cosa bella di te è che metti sempre tutto in discussione. Ti fa crescere, ti fa fare delle scelte, che saranno sicuramente più consapevoli di quelle di quanti seguono le regole senza capirle davvero. Hai sbagliato, hai pagato, stai pagando ancora, ma questo ti servirà per sciogliere i dubbi che hai. Quando lo avrai fatto, sarai un Jedi migliore, perché credimi, se non farai il Jedi tu, non vedo proprio chi altri dovrebbe farlo.-

Gli posò una mano sulla schiena e il padawan apprezzò talmente tanto che si spinse lievemente contro il suo palmo aperto.

Satine sorrise.

- Hai perdonato il tuo aguzzino. Sei quasi morto per me, e sono convinta che qualcosa di simile sia successo anche in passato con altre persone. Ti porti dentro il peso di ogni vita che hai perso e li ricordi tutti, cosicché vivranno coi tuoi occhi. Cerasi, Bruck, Tahl, tutti. Hai imparato il Mando’a e ti sei fidato di me. Nessuno lo avrebbe mai fatto al Tempio. Credi ancora nel Codice, nella Forza, nonostante tutte le angherie che hai subìto e che continui a subire. Il Consiglio ti ha lasciato qua, da solo, mezzo morto, eppure tu continui a psicanalizzare te stesso. Obi Wan, mi spieghi che altro vogliono da un Jedi? Che si affezioni meno alle persone? Affezionarsi mica è un male. Il possesso lo è, e lo è sempre, con o senza la Forza. Era sbagliato quando lo faceva Vyron Vizla, è sbagliato quando lo fa un Jedi. Volere un abbraccio ogni tanto, però, significa solo che sei più sensibile degli altri, che sai volere bene più degli altri e che ogni tanto hai bisogno di rimpinguare le tue riserve d’affetto. Volere bene non è mai sbagliato. Impara a farlo nel modo giusto e la tua empatia ti renderà la persona migliore della galassia.-

Poi, sbuffò divertita e ammiccò verso di lui.

- Come se ce ne fosse bisogno.-

Ed Obi Wan Kenobi le sorrise.

Le fece un sorriso meraviglioso, da orecchio ad orecchio, come non gliene aveva mai visti fare, gli occhi brillanti e le lentiggini increspate sulle guance. Satine ricambiò il sorriso e gli lasciò ancora una carezza sui capelli.

- Ti senti meglio, adesso?-

- Sì. Grazie, Satine. Te lo dovevo, dopo tutto quello che hai fatto per me.-

- Non mi devi proprio niente. Siamo pari.-

- Non per me. Vorrei poter fare di più.-

- Lo so. E’ nella tua natura. Continua ad essere la bella persona che sei. Non cambiare mai. Promettimi che non diventerai mai ciò da cui fuggi, ed io sarò felice così.-

- Te lo prometto.-

Satine si disse soddisfatta. Lo guardò inspirare ed espirare, come se si fosse tolto un grosso peso dal cuore, e ne ebbe pietà.

Fin troppe emozioni per un giorno solo.

- Io rientro, metto su il braciere per il pesce, altrimenti ceneremo a notte fonda. Spero che Qui Gon prenda qualche sogliola oggi. Non ne posso più di molluschi.-

- Ti viene bene la zuppa di pesce.- le disse, facendo spallucce e continuando a giocare con i gusci vuoti, l’aria timida.

- Perché questo tono sorpreso?- ribatté la duchessa, alzandosi in piedi e trotterellando verso la cucina.

Prima, però, aveva ancora in serbo una sorpresa per il giovane padawan.

Con la punta delle dita, gli sollevò il mento e gli schioccò un sonoro bacio sulla fronte.

Ecco, ricarica le tue batterie affettive, che ne hai bisogno!

I due si guardarono negli occhi per una frazione di secondo, poi la ragazza sparì dietro la porta di cucina.

Se avesse potuto mettersi a saltare, ballare e fare i salti mortali senza farsi male, Obi Wan l’avrebbe fatto volentieri. Si sentiva così felice che sarebbe anche potuto esplodere. 

Invece, non fece niente di tutto ciò, se non incrociare le gambe per meditare e curarsi ancora un po’. Solo Qui Gon, in lontananza, lo aveva raggiunto attraverso la Forza ed aveva catturato la sua attenzione sollevando con aria interrogativa il pollice in su.

Il padawan rispose con il pollice alzato, e meditò ancora un po’ con il sorriso sulle labbra.

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Runi: lett. anima, usato solo in poesia

 

NOTE DELL’AUTORE: Ammetto che questo è il capitolo che finora mi spaventa di più. Un po’ per il timore di non ricordare bene, un po’ perché la mia personale interpretazione degli eventi potrebbe cozzare con la vostra interpretazione. E’ il bello di leggere, farsi la propria idea.

Per cui, prendete questo capitolo per quello che è, ovvero un metodo per piegare la storia alle necessità della trama e fare in modo che Satine diventi l’unica a conoscerlo davvero, una confidente. 

Sto cercando di collegare tutti i pezzi, tutti gli indizi che ho disseminato fino a qua. Il prossimo capitolo - l’ultimo al miele, prima di tornare alle “gioie” della politica - segnerà un passaggio importantissimo nella relazione tra Satine ed Obi Wan. Proprio moooolto importante.

Del resto, chi di noi non vorrebbe ballare su una nebulosa?

Nel prossimo capitolo vi saranno anche piccoli spoiler dalla nuova serie sull’Alta Repubblica. Parliamo veramente di un dettaglio, che però può cambiare molte cose.

 

Molly.

 

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Capitolo 45
*** 36- L'Uomo delle Stelle, pt. 2 ***


CAPITOLO 36

L’Uomo delle Stelle, seconda parte

 

Obi Wan era deciso come non mai a portare a termine il suo piano.

Aveva i nervi a fior di pelle e si sentiva un idiota. 

Era un Jedi, insomma! Era addestrato a gestire certe cose!

Probabilmente il problema è proprio quello.

Nel suo peregrinare con i pensieri, infatti, era giunto alla conclusione che l’Ordine credeva di insegnare loro a fronteggiare le emozioni, ma in verità insegnava loro a nasconderle. Adesso come non mai, il padawan comprendeva gli insegnamenti del suo maestro e quanto essi si discostassero dall’Ordine moderno. 

Ricapitoliamo, però.

Sin dalla conversazione con Satine e dopo quel bacio sulla fronte, se Obi Wan aveva avuto dei dubbi a proposito dei sentimenti che provava per la giovane duchessa, se li era decisamente tolti. Ormai era più che chiaro ai suoi occhi di essersi innamorato. Avevano tergiversato anche troppo, girandosi attorno come gatti prima di un litigio, e quella realizzazione non aveva fatto altro che accrescere un senso di inquietudine che si portava dentro già da un po’.

L’evento aveva anche influenzato le sue sessioni di meditazione. 

Satine si era accorta quasi subito che il ragazzo era irrequieto. Per lei meditare era difficile, ed averlo seduto accanto mentre si assestava in continuazione, sospirava, sbuffava e brontolava sottovoce di sicuro non le rendeva le cose più facili. 

- Ma insomma, si può sapere che hai?-

- Niente. Perdonami. Ci sono dei pensieri che non trovano il giusto posto.-

- Ha a che fare con quello che ci siamo detti?-

- Sì.-

Di solito, Satine non replicava mai e si ritirava a meditare altrove, lasciandolo con Qui Gon, abituato a gestire i suoi scatti di irrequietezza. Tuttavia, anche il buon maestro ad un certo punto aveva perso la pazienza.

Una sera, dopo cena, aveva invitato Obi Wan a meditare con lui. Il ragazzo aveva lasciato la duchessa addormentata nella loro stanza comune e si era diretto giù dai pochi scalini che separavano la stanza dal cucinotto. 

A differenza di quanto si era aspettato, Qui Gon, invece di sedersi per terra e meditare, si era seduto a tavola e gli aveva fatto cenno di sedersi accanto a lui. 

- Credo che io e te dobbiamo scambiare due parole, ragazzo mio.-

Obi Wan si era sentito un condannato a morte, come si sentiva sempre quando qualcuno gli diceva quelle parole. 

- Non c’è niente di cui avere paura, figliolo. Non hai fatto nulla di male. Accomodati, per favore. Camomilla?-

Il padawan si era seduto ed aveva osservato il suo maestro versargli il liquido ambrato dentro la tazza. Aveva lasciato che gli chiedesse un po’ di convenevoli - come stai riposando, bene? Non hai più avuto le visioni? E quel dolore al piede sinistro, con gli esercizi sta migliorando un poco?- e poi aveva atteso il colpo di grazia. 

La scure, però, si era abbattuta con più delicatezza di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

- Senti, ragazzo, so che tu non ami parlare dei tuoi sentimenti, per cui ne parlo io. Vorrei raccontarti di alcuni episodi di tanti anni fa, prima ancora che tu ed io nascessimo. Vorrei parlarti dei bei tempi dell’Alta Repubblica e dell’epoca d’oro dei Jedi, quando Yoda era solo un semplice maestro. -

Obi Wan era rimasto in ascolto e quello che aveva scoperto era stato illuminante.

In buona sostanza, c’era stato un tempo in cui ai Jedi era permesso amare.

- All’epoca si riteneva che, tra padawan, fare esperienze di questo tipo fosse giusto, e sinceramente io sono d’accordo. Io credo che per avere contezza di che cosa sia veramente da temere e che cosa no, se ne debba fare esperienza. Il lato oscuro ha origine dalla paura, dalla sofferenza. Se non sappiamo che cosa dobbiamo temere, però, come facciamo a venirne a capo?-

Obi Wan si era sentito immediatamente più a suo agio ed incredibilmente compreso. 

Ho detto a Satine di affrontare il suo demonio nero, cenarci insieme e mandarlo via.

Se dunque Qui Gon la vede in questo modo e se anni fa anche i Jedi la pensavano così, significa che io non ho del tutto torto.

- Per evitare di avere problemi relazionali da adulti, imparare a conoscere l’amore era visto come un’opportunità. Le esperienze giovanili erano guardate con favore, salvo poi impedire ai cavalieri di proseguire oltre. Conoscere l’amore, imparare ad amare senza attaccamento, rifiutare il possesso ed espandere quelle conoscenze nei confronti di ogni creatura dell’universo era lo scopo originario del nostro Ordine. Poi, ahimè, tutto è cambiato. Chiediamo ai nostri ragazzi un controllo sui sentimenti che non possono avere. Jedi migliori e più esperti di te hanno fallito in questo, me compreso. Non possiamo pretenderlo, soprattutto da ragazzi così giovani, perché l’unica cosa che imparano è a temere l’amore e non a farlo proprio. Un Jedi che ha paura di amare non può amare tutte le cose dell’universo, come il codice ci dice di fare. Questa è la ragione per cui io non osteggerò mai il tuo legame con la duchessa, e non ho intenzione di riportare nulla di tutto questo al Consiglio Jedi.-

Obi Wan era rimasto in silenzio. Sapeva che, se le regole erano cambiate, era stato per necessità, per cui non poteva fare a meno di domandarsi se la scelta di Qui Gon fosse giusta o meno. Tuttavia, vedeva che c’era del buono in quello che diceva, soprattutto se combinato con quanto Satine gli aveva detto nei giorni precedenti. 

Continua ad essere la bella persona che sei. Non cambiare mai. Promettimi che non diventerai mai ciò da cui fuggi, ed io sarò felice così.

- L’Ordine, come sempre, non approverebbe la mia linea d’azione con te, ragazzo, sarò sincero. Probabilmente ti direbbero di soffocare quello che senti, di disperderlo nella Forza, di ignorarlo. Io non ti fermerò, invece, perché avrei voluto che qualcuno non mi avesse fermato quando avevo la tua età. Se sono caduto sull’orlo dell’oscurità, è stato perché la mia paura di perdere Tahl era diventata imperante. Mi sentivo privato di qualcosa che avevamo il diritto di vivere, io e lei, che ci eravamo negati per troppo tempo. Ce ne siamo accorti troppo tardi, e quando lei se n’è andata, io sono rimasto con il dubbio di quello che sarebbe potuto accadere se avessimo avuto più tempo, e quel dubbio, per me, era inaccettabile. Nessuno aveva il diritto di toglierci un futuro insieme quando non avevamo nemmeno cominciato a costruirlo, e ho perso la testa.- 

Obi Wan, però, lo sapeva già. Se lo era immaginato, almeno, anche perché quella era la prima volta che il suo maestro parlava così apertamente di ciò che aveva provato per Tahl, e si sentiva, in un certo senso, privilegiato.

Anche quello doveva essere stato uno dei miracoli di Satine. Invece che dividerli, come aveva sospettato il maestro inizialmente, la duchessa li stava unendo. Aveva fatto affrontare loro le più profonde paure, che si erano trascinati sempre dietro come ombre.

Mai si sarebbero immaginati di trovarsi, un giorno, seduti a tavola a discutere dei loro interessi amorosi davanti ad una tazza fumante di camomilla.

Nemmeno caffè, o brandy corelliano. Camomilla. 

- Lei ti piace, vero?-

Obi Wan aveva sentito la punta delle orecchie imporporarsi, ma non aveva avuto il bisogno di abbassare lo sguardo quando aveva risposto.

- Sì.-

In compenso, Qui Gon aveva buttato giù il suo bicchiere di camomilla, vuotandolo in un colpo solo.

- Meglio lei che qualcun altro. Mi piace sul serio, la nostra missione. Più passa il tempo e più mi ispira simpatia. Sicuramente, meglio Satine di Siri Tachi. Con tutto il rispetto, ragazzo, ma l’ho sempre ritenuta un po’ troppo snob.-

- Non dovete ritenerla, maestro.- aveva commentato il padawan, sorridendo.- Siri è snob. Però è anche una brava ragazza.-

- E soprattutto bionda con gli occhi blu. Adesso che sai di avere un genere specifico, guardatene bene in futuro.-

Ah, già, il futuro. Quello era un argomento che Obi Wan non si sentiva pronto ad affrontare, invece, ma sapeva che prima o poi quel nodo sarebbe venuto al pettine. 

Si era schiarito la gola prima di proferire parola, ma l’espressione compassionevole sul volto del suo maestro lo aveva messo subito a suo agio.

- Maestro, io non voglio che voi pensate che io potrei… Cioè, non voglio deludervi. Io…-

- Figliolo, non puoi sapere adesso dove ti porterà il futuro. Vivi nel presente. Quante volte te l’ho detto? Sii consapevole, ma vivi nel qui ed ora, per favore. La Forza ti mostrerà la via.-

- E se io decidessi di restare?-

- Ti lascerei con la consapevolezza di aver contribuito a farti diventare un uomo migliore di quello che eri, e di averti messo sulla buona strada per diventare un uomo ancora migliore in futuro. E’ stato il volere della Forza. Gli altri potranno biasimarti, ma non io. Non per amore. Non per la luce.-

Era stato in quel momento che il padawan aveva sentito un brutto morso allo stomaco, una sensazione che aveva già provato in passato, ma con un’intensità diversa.

L’aveva provato per Cerasi, quando era morta e lui non aveva potuto fare niente, e anche per Bruck, per Tahl e molti altri. 

In qualche modo, Obi Wan c’entrava sempre. Il senso di colpa lo aveva provato per loro, certo, ma una parte molto autocritica di lui era arrivata a biasimare se stesso. 

Che diranno adesso i miei amici di me, quando scopriranno che Cerasi è morta perché ho sbagliato?

Che faranno adesso i Jedi di me, quando tornerò al Tempio, perché ho sbagliato?

Che faranno adesso di me, quando sapranno che non ho potuto salvare Bruck, perché ho sbagliato?

Che faranno adesso di me, quando sapranno che ho salvato la nursery del Tempio, quando dovevo restarmene buono e rispettare gli ordini?

In quel momento, però, non si era sentito sbagliato. Guardando Qui Gon in volto, con gli occhi buoni e il viso di chi stava facendo la cosa giusta, Obi Wan non si era sentito in colpa perché stava sbagliando qualcosa, bensì si era sentito in colpa perché, se Satine fosse stata la sua scelta giusta, avrebbe causato un dolore al suo maestro.

Aveva sempre temuto anche per se stesso, ma in quel momento, temeva solo per Qui Gon.

Era tanto buono, il suo maestro. Era disposto a lasciarlo andare senza dargli il peso della delusione, anche se Obi Wan sapeva quanto ci tenesse a riportarlo con sé al Tempio. Era una brava persona, che avrebbe sempre scelto la luce, anche quando ciò significava soffrire un po’.

E lui? Sarebbe stato capace di fare la cosa giusta?

Non lo sapeva. Avrebbe dovuto vivere il tempo che gli restava con Satine per capirlo. 

Certo era che l’occasione necessitava un abbraccio da troppo tempo represso, e i due avevano condiviso un po’ di quel sano cameratismo che non erano soliti condividere. Forse, adesso che Obi Wan cominciava ad avere qualche anno in più, Qui Gon si sarebbe lasciato andare un po’ e magari si sarebbero comportati come due adulti, avrebbero chiacchierato come due adulti più spesso, invece di restare fermi allo schema studente - maestro che aveva sempre regolato i loro rapporti.

Al mattino successivo, Obi Wan era deciso. Avrebbe confessato a Satine i suoi sentimenti. Non aveva idea di come avrebbe fatto. Le regole non scritte del contatto sociale prevedevano che fosse lui a fare la prima mossa.

Davvero? Siri non è che ti abbia dato molto tempo, eh.

Sì, forse quelle regole cominciavano ad essere superate anche su Coruscant e sopravvivevano solo nelle inutili formalità dei rapporti politici con le senatrici della Repubblica. 

Satine, poi, era una Mando, ed era molto probabile che i codicilli che regolavano la vita sociale nei mondi centrali fossero completamente diversi da quelli che regolavano il suo stile di vita.

Forse avrebbe dovuto attendere che fosse lei a fare la prima mossa.

Gli dava l’idea, però, che non fosse intenzionata a farla. 

E bella che, di occasioni, gliene aveva offerte già più di una.

Qualche giorno addietro, per esempio, Qui Gon se n’era uscito con la pensata del secolo.

- Perché non ricominci con una qualche forma di Alchaka, ragazzo?- 

L’aveva buttata là come se fosse stata la cosa più normale del mondo, ed Obi Wan era diventato color cenere.

- Che cos’è l’Alchaka?- aveva chiesto allora Satine, mentre spiumava una quaglia che il maestro aveva abbattuto per pranzo.

- E’ una forma di meditazione molto avanzata, che permette di coniugare il movimento del corpo alla connessione nella Forza. E’ fatta apposta per sfinirti, ma dovrebbe servire per ricalibrare le forze del nostro ragazzone, qui.-  aveva spiegato l’uomo, ammiccando in direzione del giovanotto sbalordito.- Partire dalle forme più semplici, meditare muovendosi per recuperare più facilmente l’agilità, fino alla sua forma tradizionale.-

Satine l’aveva trovata un’ottima idea.

Obi Wan le aveva lanciato un’occhiata eloquente.

Ma da che parte stai?

Quello che Qui Gon aveva accuratamente omesso era che la meditazione Alchaka era anche estremamente personale, quasi segreta, e che i Jedi erano profondamente gelosi dei loro metodi di meditazione. Così, quando Satine si era seduta tutta allegra accanto ad Obi Wan quel pomeriggio, pronta per meditare insieme, si era trovata di fronte un sorriso imbarazzato e a una lunga serie di spiegazioni.

Sulle prime, Satine era rimasta in disparte, permettendogli di meditare da solo. Gli spazi, però, erano quelli che erano, e se Qui Gon doveva meditare da solo ed Obi Wan pure, alla duchessa non restava altro che gettarsi a mare. Avevano convenuto, dunque, che sarebbe stato meglio lasciarla con il padawan, dato che le sue forme di meditazione Alchaka erano rudimentali e superate e funzionali solo a ristabilire una corretta forma fisica in armonia con la Forza, prima di procedere alla meditazione completa. 

Sulle prime, era rimasta seduta in un angolo, per lasciare al ragazzo tutto lo spazio che meritava. Poi, una volta sola, aveva provato a replicarne i movimenti, mossa dalla curiosità. Alla prima posizione complessa, in equilibrio sulle mani, la ragazza era fiondata per terra con un tonfo sordo, attirando l’attenzione dei due Jedi.

- Così non va, duchessa. Dovete rimettervi in forma anche voi, o i vostri concittadini vi rideranno dietro.-

Qui Gon aveva scherzato, ma Satine aveva preso quel commento sul serio e lo aveva condiviso al punto tale da annotare i movimenti del padawan e replicarli tutti, dal primo all’ultimo. 

Certo, per lei era solo esercizio fisico, ma tanto bastava.

Per sbaglio, cadendo da una verticale fuori asse, aveva dato un calcio ad Obi Wan.

- Oh, per Nebrod, mi dispiace!- gli aveva detto, affannandosi attorno a lui come se stesse per andare in frantumi.- Ti ho fatto male?-

- Ma figurati. Coi piedini che ti ritrovi.-

Satine non aveva i piedi piccoli, anzi. Era una bella ragazza, alta, e i piedi erano proporzionati alle sue dimensioni. Era vero, però, che non gli aveva fatto male. Aveva voluto farle un complimento, ma non era sicuro di esserci riuscito. Satine gli era sembrata taciturna e non era certo di aver colto nel segno.

Quello che non sapeva era che, in verità, anche Satine stava venendo a patti con la sua coscienza. A differenza del ragazzo, che aveva avuto più difficoltà a lasciarsi andare, lei aveva compreso da un pezzo che l’uomo della sua visione era proprio lui, e che con molta probabilità - indipendentemente da quello che aveva detto Nebrod - sarebbe stato l’unico uomo della sua vita. 

Le sembrava impossibile concepire un legame con un’altra persona, adesso che c’era lui accanto a lei. 

Certo, non avrebbe mai compresso la sua vita per le parole di un’entità sconosciuta, ma cominciava a sospettare che avesse ragione.

Paradossalmente, l’idea di morire, adesso che aveva lui accanto, non la spaventava più. Le sembrava di essere completa, con tutti i pezzi al suo posto, e nonostante l’orrore di quello che stava passando e le difficoltà, le sembrava di non essere mai stata più felice, compresa, a casa in vita sua. 

Tuttavia, la consapevolezza delle differenze tra loro la frenava. Che dire del fatto che lui era un Jedi e lei una Mando? Avevano storie diverse, culture diverse, filosofie diverse, a tratti quasi incompatibili. 

Come potevano conciliarsi?

E se lui si fosse stufato di lei?

E se lei avesse capito di avere preso un abbaglio?

E se si stessero solo facendo male?

La convivenza, in tal caso, sarebbe stata insopportabile per tutti i mesi seguenti, in fuga dai cacciatori.

L’avrebbero abbandonata nelle mani di qualche altro Jedi ostile incapace di legare con lei?

Il fatto che Obi Wan fosse molto più morbido, meno rigido ed impostato, non le rendeva le cose semplici. Lo trovava sempre più adorabile - oh, Bo Katan l’avrebbe uccisa per questo! - e non riusciva a togliergli gli occhi di dosso quando lo guardava meditare, seguendo con lo sguardo ogni linea - più o meno, ehm, ortodossa - del suo corpo.

In un’altra occasione, invece, Obi Wan stava aiutando Satine a cucinare. Non che fosse bravo, anzi. La duchessa dovette accorgersi ben presto che il ragazzo era bravo in tante cose, ma non nell’arte culinaria. Per cui, l’aveva lasciato a sbucciare frutta fino a quando non si era insospettita per via dei sonori ciomp, ciomp, che giungevano alle sue orecchie.

- Obi Wan?-

- Mphf?-

- Canta mentre lavori, per cortesia.-

- Pché?-

- Così sento se mangi o no. Non li finire tutti, altrimenti che cosa mettiamo con la quaglia, oggi, se non possiamo farla nemmeno in agrodolce?-

Obi Wan, allora, si era messo a cantare sul serio. Con la bocca piena. Satine era rimasta scioccata, ma poi si era messa a ridere assieme a lui ed avevano finito con il bisticciare come un tempo.

- Sei stonata.-

- Io? Ma se ragli come un susulur!-

Qui Gon li aveva trovati appiccicati l’uno all’altra, Satine che provava a togliergli di mano la frutta per non fargliela mangiare ed Obi Wan che provava a farle il solletico per togliersela di dosso.

Eppure, anche in quella situazione non c’era stato nulla di più di uno sguardo e un po’ di contatto fisico. 

Niente dichiarazione, niente parole.

Niente bacio.

Zitto e medita.

Oh, se cominciava ad averne abbastanza!

 

- Maestro, avete visto Satine?-

- Non era con te?-

Scoppiò il panico. La duchessa non si trovava. Qui Gon e Obi Wan scapparono fuori dalla capanna per provare ad individuarla, ma non fu necessario cercare lontano. Satine era poco distante da loro, a piedi nudi nella sabbia, seduta tra la vegetazione marittima delle dune.

Obi Wan segnalò nella Forza al suo maestro di avere risolto il problema e il sollievo fu immediato. Tuttavia, non potè fare a meno di essere leggermente risentito. Non era da lei comportarsi così, e soprattutto rischiava di vanificare tutto il lavoro che i due Jedi stavano compiendo per lei. 

Immersa nel verde e degli sterpi delle dune, si distingueva solo la folta chioma bionda. 

Che accidenti le è venuto in mente?

Il padawan si diresse verso di lei, provando a mantenere la calma.

Sicuramente deve avere avuto un buon motivo per isolarsi.

- Sat’ika.-

La ragazza non rispose. Si voltò appena a guardarlo, salvo poi girarsi di nuovo dall’altra parte. 

- Che accidenti stai facendo?- le disse, sedendosi con apprensione accanto a lei. 

- Niente, Ob’ika. Lasciami sola.- commentò, lo sguardo basso. 

- Non ci penso nemmeno. Sei fuori allo scoperto, senza alcuna protezione.-

Satine sospirò, lo sguardo sempre più basso. Cercando di non farsi vedere, si passò le mani sugli occhi e spostò il viso dalla parte opposta.

Sulle gambe reggeva il datapad aperto con le foto di famiglia, che scorrevano automaticamente sullo schermo.

- Satine?-

- Che c’è?-

- Perché piangi? E’ successo qualcosa a casa?-

La ragazza sbuffò.

- Io sono Mando. Io non…-

- Ah, già, scusa, tu non piangi mai. Perché perdi fluidi dal naso e dagli occhi?-

Un mugolio soffocato scappò dalla bocca della ragazza, seguito da una sonora soffiata di naso.

- Non ho capito, perdonami.-

- E’ il mio compleanno, oggi.-

Obi Wan restò di sasso di fronte a lei.

Ah.

Era chiaro che le mancava casa, la famiglia, suo padre…

Che fare?

Forse era quella l’occasione che stava aspettando per dirle quello che voleva dirle. 

Certo, si sentiva un po’ impacciato ad approfittare della sua debolezza. 

No, avrebbe aspettato ancora.

Si accomodò a sedere sull’erba assieme a lei, immersa nei fiorellini bianchi delle dune.

- Allora non c’è niente per cui essere tristi, è un bel giorno! Quanti sono?-

Satine lo guardò male.

- Cioè, se posso chiedere.-

Questa volta lo guardò con maggiore tenerezza.

- Diciannove.- gli rispose, e un sorriso appena abbozzato comparve sul suo volto gonfio.

Obi Wan fece un sorriso sbilenco, uno di quelli che faceva sempre quando voleva combinarne una delle sue.

- Tanti auguri a te…-

- No, ti prego!- fece lei, colpendogli delicatamente il braccio e lasciandosi sfuggire un risolino mentre tirava su con il naso.

- Ahia! Hai la ghisa nelle mani, meno male che sei pacifista!- e alzò le mani, scherzando. -Va bene, va bene, smetto!-

Qui Gon si avvicinò a loro e si accucciò tra gli steli rinsecchiti. La cosa più saggia era rientrare, ma comprendeva che non era umano vivere come animali in gabbia. Disse loro che avrebbe montato la guardia poco lontano, che li avrebbe tenuti d’occhio, ma che sarebbe stato meglio per loro limitare l’uscita e tornare presto vicino alla casa.

Sembrava quasi che volesse avvertirli. 

Attenti a quello che fate perché io vi osservo poco lontano. Non siete ancora soli.

Obi Wan ringraziò con lo sguardo e rimase seduto accanto a Satine.

All’improvviso, mentre guardava il suo maestro allontanarsi, sentì il legame nella Forza tirare un poco e i pensieri di Qui Gon nella testa.

Falle una corona, ragazzo.

Era una grande idea. Maestro e padawan si scambiarono un’occhiata in tralice, e poi il giovane si lanciò su un paio di sterpi e cominciò a collezionare fiorellini.

- Che stai facendo?-

- Adesso vedrai.-

In breve tempo intrecciò il tutto in una coroncina colorata, bianca, blu, verde ed oro, che si addiceva benissimo ai suoi occhi, ai suoi capelli, alla sua pelle, insomma, a lei.

Accadde, però, un piccolo incidente.

Nel selezionare i fiori da mettere nella composizione, urtò disgraziatamente un cespuglio di campanule, che protestarono sonoramente.

E per sonoramente, Obi Wan intendeva esattamente in senso letterale.

- Ma che accidenti…-

- Oh, quelle?- fece Satine, per niente sorpresa.- Sono le famose campanule canterine. Sono il simbolo della nobile casata dei Kryze. Se le sfiori emettono suoni, come un bes’bev.-

- Un che?-

- Uno strumento a fiato tradizionale. Le più alte emettono note più alte e le più in basso cantano in chiave di basso.- 

Obi Wan provò a concentrarsi solo sulla sua composizione, anche se non poteva fare a meno di domandarsi quanto potesse essere strano quel posto. Nella sua peculiarità, era bello. L’idea che dei fiori potessero cantare era straordinaria e non faceva altro che dimostrare quanto la Forza fosse speciale, quando si decideva a creare qualcosa di bello che gli uomini sapevano valorizzare e conservare. 

Un’idea balzana gli attraversò la mente e decise che, come tutte le cose folli che aveva visto e fatto fino a quel momento, valeva la pena tentare.

Ci avrebbe pensato più tardi, però.

Lasciò cadere la corona sulla testa bionda della duchessa, scomposta, ed Obi Wan fu tentato di guardare da un’altra parte quando lei sorrise del più bel sorriso della galassia.

- Grazie! E’ bellissima! Come mi sta?-

- Sei splendida, come sempre.-

Sulle guance di Satine comparve un lieve rossore.

Era riuscito a convincerla a mettere i piedi nell’acqua di mare. Avevano trascorso delle ore placide ad ascoltare il rumore delle onde e a raccontarsi aneddoti passati, con Qui Gon che osservava la scena, in allerta, poco lontano.

L’acqua era fresca, ma non fredda. A quelle latitudini si stava bene anche in inverno. Satine gli raccontò del Mare di Udesla, della casa dello zio Korkie, dei susulurse e delle vacanze al mare da bambina. 

- Noi non abbiamo il mare, su Coruscant.- chiosò il padawan, smuovendo la sabbia con le dita dei piedi nudi.- Però al Tempio abbiamo la Stanza delle Mille Fontane. E’ enorme e ci andiamo a nuotare spesso, anche se l’acqua è dolce e non è comparabile a questo.-

Allargò le braccia, indicando il paesaggio circostante.

- La usate per allenarvi?- chiese Satine, curiosa.

- Anche, ma prevalentemente ci andiamo a meditare e a rilassarci un po’. A nuotare. Ci andavamo spesso, io, Bant e gli altri, quando eravamo piccoli e non rimbalzavamo in giro per la galassia con i nostri maestri. Era bello, all’epoca. Era tutto molto più semplice.-

Satine annuì, pensosa.

Bant.

Ancora quel nome. Era una persecuzione. Erano più le volte che il ragazzo la chiamava in causa di quelle in cui effettivamente parlava della sua vita al Tempio.

Quando, e se lo faceva, si poteva star sicuri che in qualche modo c’entrava Bant.

Vuoi vedere che la fidanzata al Tempio ce l’ha davvero e tu sei solo un bel giocattolo da aggiungere alla sua collezione?

- Beh, sono certa che Bant sarà contenta di sapere che hai visto il mare. Avrai di sicuro qualcosa da raccontarle al tuo ritorno.-

Obi Wan le lanciò un’occhiata confusa e si tenne sul vago.

- Oh, sì, sicuramente. Non credo che il mare le interessi molto, comunque. E’ un ambiente che conosce bene.-

- Allora potrai raccontarle del deserto.-

- Quello non credo che le piacerà.-

- Sofisticata, questa Bant.-

Obi Wan stava cominciando a capire e un sorriso sornione spuntò sulle sue labbra.

Ah, è così?

- No, per niente. Semmai, in questi anni sono stato io a darle un sacco di pensieri. Lei c’è sempre stata quando ho avuto bisogno. Quanto a me, non sono stato sempre un grande esempio, ma da lei ho imparato molto e spero che lei potrà dire lo stesso, un giorno.-

Satine borbottò un mph di circostanza, senza togliere lo sguardo dalla risacca che le bagnava i piedi. 

Il padawan avrebbe voluto mettersi a ridere, ma tenne duro. 

- Penso che apprezzerebbe se le portassi qualcosa da Mandalore. Abbiamo un posto segreto, nella Stanza delle Mille Fontane, dove nascondiamo qualche regalino ogni tanto. Ormai non ci incrociamo più molto spesso, così sappiamo che ci pensiamo. Ti prego, non dirlo a Qui Gon o non è più un segreto.-  

La duchessa non riuscì a trattenere un commento acido.

- Ma questa Bant, o come si chiama, ci esce mai dalle fontane?-

Obi Wan non aspettava altro.

- Beh, sì, ma ci ritorna almeno una volta al giorno. Ha bisogno di fare il bagno, o morirebbe.-

Questa volta l’espressione sul volto di Satine si fece confusa.

E che mi verrebbe a significare questa cosa?

Il ragazzo non la tenne sulle spine.

- Bant Eerin è una Mon Calamari.-

La faccia della ragazza divenne il ritratto della consapevolezza.

Ah.

Sei stata gelosa di una Mon Calamari.

Te lo rinfaccerà per tutta la vita.

Per tutta risposta, Obi Wan scoppiò a ridere, mettendo in mostra tutti e trentadue i denti di perla.

- Dovresti vedere la tua faccia!-

- Ma quanto sei scemo. Mando’ad draar digu.-

- Che paura!-

Gli diede una gomitata nelle costole, o almeno ci provò, ma il ragazzo scartò rapido e si allontanò dal suo raggio di azione.

- Adesso rientriamo? Il maestro Qui Gon darà di matto!-

La duchessa annuì e si diressero insieme verso la casupola. Obi Wan si divertì a prenderla in giro cantandole il Resol’nare e lei per vendetta lo riempì di delicati colpi sulle spalle.

Dalla finestra della loro abitazione di fortuna, il maestro Jinn si divertiva a guardarli, beandosi della loro spensieratezza. 

Turbolenti ricordi si susseguivano nella sua mente, molti dei quali legati ad una splendida donna nooriana dagli occhi di smeraldo. Scosse la testa, ripensando ai giorni felici, mentre guardava i due avvicinarsi sempre di più alla porta d’ingresso. 

Non era da Jedi, però, vivere nel passato. 

Che cosa sarebbe successo se non avessimo avuto paura di amarci?

Obi Wan si accorse immediatamente del cambiamento nella postura del maestro. Sapeva del suo piccolo hobby, segreto per i più, ma non per lui. Non ne conosceva le origini e l’uomo non ne parlava mai e, come ogni cosa di cui Qui Gon non parlava, era con molta probabilità attinente alla defunta magistra Tahl.

Sapeva anche che, se aveva suggerito l’idea della corona di fiori, probabilmente aveva anche intuito la ragione per cui la ragazza era triste, leggendo i suoi stessi pensieri nella Forza.

A volte, il ragazzo si domandava se, attraverso il suo legame con Qui Gon, non desse ad intendergli molto di più di quanto in realtà volesse fare davvero.

Tuttavia, in quel momento non aveva importanza. Voleva solo che Satine ricevesse il suo regalo di compleanno e che il maestro si prendesse i complimenti, per cui, prima che la ragazza s’imbarcasse in una delle sue mansioni domestiche per non farli morire di fame, finse di cadere dalle nubi. 

- Maestro?-

- Sì?-

- E’ il compleanno di Satine, oggi!-

- I miei più sentiti auguri, duchessa.-

- Grazie, maestro.-

L’uomo abbozzò un sorriso buono e lanciò uno sguardo storto al padawan.

- Bella corona.-

- Vi piace? E’ un regalo di Obi Wan!-

Il ragazzo scosse le mani, in imbarazzo. 

- Diciamo che è da parte di entrambi.- 

- Obi Wan fa il modesto.- continuò il maestro, un sorrisetto sornione sulle labbra.- In verità, anche io ho un pensiero per voi.- 

Quell’affermazione parve stupire molto la duchessa. Qui Gon stringeva tra le dita una figurina in legno, un bel cavallo alato impennato sulle zampe posteriori.

- Ho pensato, date le vostre attitudini, che vi sarebbe piaciuto. Ho usato un avanzo del legno per la stufa. Spero non vi dispiaccia.-

Satine strinse il viinir tra le dita, sorridendo contenta, tutti i dispiaceri di qualche ora prima apparentemente dimenticati. 

- Maestro, è bellissima! L’apprezzo tanto, grazie!-

E con grande sorpresa di Qui Gon, si alzò sulle punte e saltò un poco per lasciargli un bacio sulla guancia. 

Il maestro arrossì fino all’attaccatura dei capelli.

Obi Wan rimase a guardare.

E’ un’impressione mia, o ha gli occhi lucidi?

Lasciarono che Satine andasse a riporre i suoi regali e il giovane ne approfittò per affrontare il suo maestro.

Si avvicinò a lui, poggiandogli una mano sulla spalla.

- Grazie, per tutto.-

- Non c’è problema, ragazzo mio.-

Obi Wan, però, non sembrava avere intenzione di lasciare la sua spalla. 

- Maestro, vi sentite bene?-

Qui Gon sorrise.

- Certo.-

Ma la Forza era impregnata di tristezza e Obi Wan, nonostante avesse notoriamente un numero di neuroni limitato, non era certo così idiota da non accorgersene.

- Come volete voi, maestro.-

- Sai tutto, Obi Wan.- commentò, malinconico.- Non c’è niente di cui tu non sia a conoscenza.-

E tanto gli bastò.

 

Trovò Satine seduta sul letto a mettere in ordine i propri effetti personali nel suo zaino prima di dormire. 

Era il momento di mettere in atto il suo piano. 

Era stato strano per tutto il giorno. Ad un certo punto era sparito nel nulla. Satine lo aveva notato, ma stranamente Qui Gon era sembrato calmo, composto, come se fosse a conoscenza di dove fosse e di che cosa stesse facendo.

- Maestro, dov’è Obi Wan?-

- Oh, in giro. Ha bisogno di praticare un po’ di Alchaka in santa pace. La sua forma originale, intendo.-

Satine non era stata contenta di quella risposta.

- Obi Wan non dovrebbe andare in giro da solo. E se incappasse in un qualche pericolo, o nei cacciatori di taglie? Potrebbero ucciderlo. Lui non è pronto per combattere come prima.-

- Non succederà niente, duchessa, state tranquilla. Non è lontano, e se dovesse accadere qualcosa sarei il primo ad accorrere in suo soccorso.-

La ragazza non aveva replicato, ma quella strana assenza era inspiegabile ai suoi occhi. L’Alchaka era una spiegazione plausibile, tuttavia c’era un tarlo nella sua testa che non voleva proprio saperne di smetterla di tormentarla.

E’ plausibile, ma non è vero.

Così, aveva deciso di snobbarlo un po’ all’ora di cena.

Non che la sua scelta fosse destinata ad incidere più di tanto. Il padawan non l’aveva calcolata quasi per nulla. Sembrava perso nei suoi pensieri e l’aveva colto per sbaglio a mormorare qualcosa sottovoce, come se stesse contando.

Forse qualche danno cerebrale l’ha subito, dopotutto.

Così, quando il ragazzo le tese la mano, la duchessa apparve scettica.

- Che cosa c’è?-

- Vieni con me, voglio farti vedere una cosa.-

- Adesso?- disse, guardando fuori dalla piccola finestra. 

Era buio pesto e la luce dei globi di Mandalore si stava alzando nel cielo. 

- Certo, mica si vede di giorno. Vieni con me!-

E questa volta, deciso ad entrare in azione, la prese e la portò via.

Qui Gon non si vedeva da nessuna parte.

- Obi Wan, sei sicuro che…-

- E’ tutto a posto, Satine. Fidati di me. Vieni.-

La condusse fuori dalla casetta, guidandola per la mano, e la ragazza lo seguì trotterellando senza protestare. Si fidava ciecamente di lui, e la cosa lo faceva sentire responsabile e onorato allo stesso tempo. 

Era giunta l’ora che la ragazza scoprisse dove era stato e che cosa aveva complottato per tutto il pomeriggio.

Obi Wan sperava proprio che quanto aveva orchestrato - letteralmente - funzionasse a dovere.

La condusse un poco dentro il boschetto marittimo, fatto di arbusti e piante dal fusto medio, cariche di frutta e di foglie larghe per trattenere l’acqua piovana. Satine sembrava felice, anche se quella fuga notturna le stava facendo crescere le farfalle nello stomaco. 

C’era attesa nell’aria e anche una buona dose di piacevole confusione.

Che accidenti ha in mente?

Poi, una volta che si furono parzialmente addentrati dentro il boschetto, Obi Wan si fermò e si appollaiò su un sasso coperto di muschio.

- Vieni, siediti qua.-

Satine si accomodò, ma ci volle tutta la sua buona volontà per non afferrare il ragazzo per le spalle e costringerlo a vuotare il sacco.

Non stava più nella pelle dalla curiosità e la sua testa stava vagando per sentieri futuri, speranze sulle quali non voleva fare troppo affidamento per evitare di restarci male.

Di fronte al padawan c’era un cespuglio di campanule canterine. La duchessa rimase a guardarlo mentre le stuzzicava piano con le dita, seguendo un senso ben preciso e un ritmo ben definito.

Poi, sbagliò.

- Ops.- e ghignò verso di lei come solo lui sapeva fare. - Aspetta, ricomincio da capo.-

- Che vuoi fare, Ben?-

Ben.

Era da un po’ che non lo chiamava così, e la cosa lo riempì di speranza.

Sono sulla buona strada.

- Adesso vedrai.-

Ci riprovò di nuovo e stavolta funzionò. Le campanelle si intonarono perfettamente tra di loro, canticchiando un bel valzer andante che Satine non conosceva. Suonava in modo diverso rispetto al valzer mandaloriano, e immaginò che lo avesse sentito su Coruscant, magari in senato.

- Anche musicista, adesso?-

- Oh, no, sto spudoratamente copiando. Ci ho messo tutto il pomeriggio per riuscire a riprodurre un brano in modo decente.-

Ecco dunque dov’era stato per tutto il giorno! Certo, saperlo non attenuava la sua curiosità, e cominciava ad insinuarsi in lei un dubbio che fece sollevare in volo nel suo stomaco un intero sciame di farfalle. 

Mentre le campanelle continuavano a cantare il motivetto, Obi Wan si alzò e la portò poco distante, dove si vedeva il cielo tra le fronde degli alberi. 

Compreso quello che il padawan voleva fare, Satine arrossì e scosse il capo, divertita.

- Non è il posto giusto per ballare, Ben. Ci sono le radici, e il suolo…-

- Non voglio ballare qui.- commentò, senza troppi mezzi termini. 

In effetti, non voleva ballare con lei, almeno, non sulla terra. Lì era tutto molto facile, era qualcosa che avevano già fatto decine di volte. 

No, lui voleva portarla a ballare in un posto unico. 

Satine sembrava non capire e la cosa lo divertiva e allo stesso tempo lo faceva sentire soddisfatto di sé. 

L’avrebbe stupita. 

Una volta giurai che mi sarei innamorata soltanto dell’uomo che mi avrebbe portato a ballare su una nebulosa.

Non poteva offrirle una nebulosa, naturalmente, ma poteva darle il cielo, l’aria, la luce della galassia e i bei globi di Mandalore.

Poteva farla danzare assieme al suo sistema.

Il Consiglio Jedi non avrebbe sicuramente approvato. Quello era un uso frivolo della Forza, ma per una volta ad Obi Wan non importava. Non l’avrebbe fatto mai più. Nessun’altra avrebbe mai ballato nel cielo assieme a lui, soltanto Satine, che apparteneva a quei globi più di chiunque altro, era parte di loro e con loro sarebbe sempre rimasta. 

La signora indiscussa del sistema di Mandalore e anche del suo cuore.

Non dirlo in giro. Quinlan Vos ti prenderà in giro per tutta la vita.

Le cinse la vita con le mani e la sentì sobbalzare sotto le sue dita.

- Che stai facendo?-

- Ti fidi di me?-

- Perché mi viene da dire di no?-

Obi Wan rise di cuore.

- Credimi, ti piacerà. Salta più in alto che puoi, va bene?-

Sulle prime, Satine sembrò confusa come lo era stata fino a quel momento, ma ad un tratto un lampo di consapevolezza attraversò le sue iridi brillanti, tinte di blu scuro dall’oscurità della notte.

Non poteva credere alle sue orecchie.

Come poteva farlo? 

E soprattutto, era consapevole di che cosa le stesse proponendo di fare? Di che cosa significasse per lei?

Eppure, contro ogni buon senso, quando la sollevò in aria Satine saltò, e volò in alto, nel vento, oltre le fronde degli alberi, sospesa nel cielo ed immersa nella brezza del mare mentre le campanule continuavano a canticchiare il valzer. 

Guardò in basso, giù, oltre le foglie, e vide Obi Wan raggiungerla saltellando sugli alberi, salvo poi trovare l’equilibrio sui rami sottili della chiome ed attrarla a sé.

- E adesso che vuoi fare?-

- Adesso balliamo.-

E cominciò a muovere i piedi a ritmo di musica. Satine si muoveva goffamente, terrorizzata all’idea di precipitare, ma la sensazione di sospensione nella Forza era piacevole. Il ragazzo era concentrato per lo sforzo e saltuariamente si dava la spinta contro le foglie e i rami per poter restare ancora un po’ in sospensione. Volteggiarono nell’aria, danzando nel cielo, sopra gli alberi e la nebbia del mare, con il profumo del sale che pervadeva le narici e soprattutto con le sfere azzurrognole del sistema stagliate nel buio.

Satine si guardava attorno, affascinata, mentre volteggiava in circolo sospesa nel nulla. Kalevala brillava pallida ed opaca lontano da loro, mentre la grossa massa di Draboon sembrava una biglia perlacea e geometrica nel cielo. Mandalore, in mezzo a loro, sembrava di riuscire a toccarlo con un dito, e la luna, Concordia, orbitava attorno ad esso e pareva una stella brillante nel mare blu, viola e argentato dell’universo.

Obi Wan e Satine continuarono a volteggiare sospesi, e ad un tratto il padawan strinse le mani attorno alla vita della ragazza e la sollevò in aria, nel cosmo, là dove aveva sempre voluto danzare, fluttuante nel nulla in armonia con il resto della galassia. La guardò mentre il cielo si rifletteva nelle sue iridi azzurre, spalancate in ammirazione e brillanti di gioia. 

Era più bella di ogni altro essere vivente che Obi Wan avesse mai visto, e dubitava che ciò che non aveva ancora visto potesse avvicinarsi a lei, stupenda com’era in quel momento, il ritratto della felicità e il sorriso più ampio che avesse mai fatto.

Purtroppo, il rischio di essere visti c’era. Non tanto da Qui Gon - che quella sera avrebbe scientemente guardato da tutt’altra parte - quanto piuttosto dai cacciatori e dagli spettri. 

Si erano divertiti ed era stato bello, ma per il momento sarebbe stato abbastanza. 

Se avesse potuto, Obi Wan avrebbe preferito continuare a sforzarsi di restare in sospensione nel cielo. Satine era così felice. Non faceva altro che ridere, ridere a crepapelle, con le fossette sulle guance e gli occhi stretti, e se fosse dipeso da lui avrebbe passato l’eternità così, a tenerla sospesa lassù, farla volare libera come aveva sempre voluto: lui seduto per terra a guardarla in eterno, e lei sospesa a fluttuare in armonia con il tutto e con la Forza.

La strinse a sé mentre le campanule lentamente ammutolivano e cominciò piano la discesa. Satine gli si aggrappò, piantando le unghie nella tunica e guardando in basso, senza riuscire a smettere di sorridere.

- Certo, non è una nebulosa.- le sussurrò, mentre le loro dita toccavano di nuovo terra.- Ma è quanto di più simile sia riuscito a trovare, quindi…-

- Oh, ti prego, taci.- gli disse, e senza pensarci due volte poggiò le labbra sulle sue.

Il padawan sentì i suoi sensi annebbiarsi pericolosamente, come se il resto del mondo fosse sparito ed esistesse solo lei, il suo sapore zuccherino e il suo profumo di mirto e di qualcos’altro che non sapeva identificare, le sue mani incandescenti sulle sue spalle e l’incendio che sapeva causargli nelle profondità del suo corpo, come se avesse bevuto da solo un’intera bottiglia di brandy corelliano. 

Si allontanò da lei solo per un istante, ma fu sufficiente a gettarla nel panico.

- Che c’è? Ho sbagliato? Non sono molto pratica, io, voglio dire, la gente mi detestava per il modo in cui ridevo, per le fossette, sai, per cui, immagino…-

- Eh?-

I due rimasero a guardarsi per un momento, nel buio della notte, nel fresco della brezza marina. 

Poi, Obi Wan scoppiò a ridere.

- Ho solo bisogno di prendere aria e concentrarmi sulla Forza, prima che vada a sbattere contro qualche albero.-

La duchessa si calmò immediatamente e gli fece uno dei suoi sorrisi imbarazzati che non avevano ragione di esistere. 

Almeno, non con lui.

- Che hai detto delle fossette?-

Satine ammutolì.

- Non voglio rovinare tutto.-

- Non rovini niente. Che hai detto delle fossette?-

- Che alla gente non piaccio quando rido, perché sembro la rana dalla bocca larga. E perché ho le fossette. Dovrei imparare a ridere in un modo femminile, mi hanno detto.-

Obi Wan rimase a fissarla ammutolito per un secondo, e poi esplose in una risata gorgogliante.

- Forza, la gente ha dei problemi seri!-

- Perché, ha torto?-

- Satine, potrei restare a guardarti ridere in eterno nutrendomi solo del suono della tua risata.-

Passarono ancora qualche ora tra le dune, seduti nella sabbia a guardare il mare e il cielo notturno. Il sistema di Mandalore era bello di notte, nonostante fosse semplice e candido nei suoi colori. Il valore aggiunto a quella vista era la ragazza seduta accanto a lui, scintillante di felicità, che teneva le dita intrecciate alle sue nella sabbia mentre delle curiose lucciole azzurre danzavano attorno a loro come stelle del firmamento. 

Qui Gon, seduto alla finestra, rimase ad ascoltare la Forza cantare come non mai attorno a loro e, mentre Satine posava la testa sulla spalla di Obi Wan e il ragazzo riposava il mento tra i suoi capelli, si disse assolutamente convinto che l’Ordine dei Jedi avesse bisogno di rivedere drasticamente molte delle sue priorità.  

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Mando’ad draar digu: lett. un Mando non dimentica

 

NOTE DELL’AUTORE: Questo è un piccolo spoiler da Alta Repubblica, lo so, e non vi avevo avvertito, tuttavia non ho rivelato nulla di speciale, per cui vi invito a leggere le uscite editoriali recenti per avere dettagli in più. 

Come al solito, quanto scritto è la mia personale interpretazione.

Come il film Starlight è stato ispirato a La La Land, anche la scena del ballo sulla nebulosa è stata ispirata dalla scena del planetario, personalmente una delle mie preferite. Nei capitoli precedenti ho anche introdotto un riferimento al Simposio di Platone, con riferimento al mito dell’androgino che qui ho definito Mito delle Due Metà. Come esse danzano nel cosmo in armonia, finalmente riunite, anche i nostri due sfortunati amanti hanno diritto ad un momento di gioia.

Questo è l’ultimo della serie di capitoli smielati, promesso. Dal prossimo si ricomincia a fare politica, e con un bel po’ d’azione, anche.

 

Molly.

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Capitolo 46
*** 37- Gatto e topo ***


CAPITOLO 37

Gatto e topo

 

Quando Satine si svegliò quella mattina, la prima cosa che sentì fu il profumo della pelle di Obi Wan.

Nonostante il maestro fosse consapevole della loro - ehm, chiamiamola così - relazione, questo non significava naturalmente che concedesse loro carta bianca. Dormivano ancora tutti e tre in una stanza e la maggior parte del tempo lo passavano insieme, meditando tutti e tre, allenandosi tutti e tre e ballando… No, Qui Gon di solito in quelle sessioni restava a guardare.

Come quando Satine e Obi Wan parlavano Mando’a. Il buon maestro faceva davvero una grande fatica a capire tutto quello che i due si dicevano e, nonostante tendesse le orecchie, quei due, quando non volevano farsi capire, sapevano riuscirci.

Così, Satine, rannicchiata tra il maestro e il padawan, poteva starsene tranquilla e al sicuro, anche se a discapito della sua privacy. Di solito, però, si svegliava sempre e solo nella stessa posizione, tutte le sante mattine che Nebrod metteva in terra da quando aveva ballato un certo valzer originale sospesa nel cielo con un padawan di sua conoscenza.

E la posizione in questione era sempre, rigorosamente, con la testa appoggiata sulla spalla del giovane e un braccio lanciato attorno al suo corpo. 

Di solito restava a guardarlo dormire per un po’. Contava le lentiggini, le ciglia, le sopracciglia, i peli superficiali della barba, brillanti sotto i primi raggi del sole, e alla fine finiva con lo svegliarlo, stuzzicando la Forza attorno a lui che apparentemente poteva sentire anche quando era profondamente addormentato.

Le aveva confessato che la mente dei Jedi non si riposa mai del tutto, soprattutto nelle missioni ad alto rischio come la loro. Una parte, strettamente legata alla Forza e alla percezione del mondo esterno, è sempre vigile e fa in modo di svegliarli in caso di pericolo.

- Insomma, meglio dell’allarme.-

Obi Wan aveva ammiccato.

- Non farti sentire da Qui Gon.-

Durante la colazione, sobriamente preparata con frutta e qualche avanzo, il maestro propose ciò che era più logico proporre.

- Restare qua non ha più senso, ormai. Obi Wan è piuttosto in forma ed abbiamo la navicella poco lontano. Possiamo andare su Aldeeran, adesso che è in grado di reggere il viaggio.-

Cioè, di reggersi in piedi. Il padawan si disse d’accordo e Satine non potè fare a meno di fare altrettanto, anche se di lasciare il suo adorato sistema non ne aveva proprio voglia.

Le sembrava di fuggire molto vigliaccamente ed in modo molto poco mandaloriano.

Obi Wan risolse tutti i suoi dubbi.

- Nessuno lo deve sapere, Satine. Lo scopo è tenerti al sicuro, non importa dove. Per buona parte dei tuoi sostenitori, il fatto che tu sia già fuggita dal sistema è un dato praticamente scontato.-

Aveva ragione, ovviamente, ed era più la sua coscienza a tormentarla che la realtà dei fatti. 

Alla fine, capitolò.

Decisero di partire all’indomani, di prima mattina, e che si sarebbero presi quella giornata per mettere a posto le loro cose e lasciare la casa così come l’avevano trovata. 

Satine si era già messa a preparare, quando ricevette una chiamata da parte di Inga Bauer.

I tre si radunarono nel cucinotto, attorno alla stufa, per ascoltare.

- Inga, qual buon vento?-

- Vento di guerra, purtroppo. Ragazzo, ti vedo bene.-

Obi Wan abbassò lo sguardo.

- Grazie, generale.-

La prima cosa che Satine chiese riguardò la sua famiglia. 

- Tuo padre sta bene, ci vuole tutta per tenerlo a letto. L’altro giorno abbiamo avuto una bella sorpresa. E’ stato divertente, in un certo senso.-

Satine dubitava fortemente che il suo senso di divertente fosse lo stesso di Inga Bauer, e in cuor suo cominciava seriamente a preoccuparsi di quanto le stava raccontando. 

Lanciò un’occhiata ad Obi Wan, che provò a confortarla un poco con lo sguardo, tentando di passare inosservati.

- Siamo stati attaccati da una squadriglia di guerriglieri armati. Due donne facevano parte della Ronda. Si erano organizzati per benino. Un commando ha attirato le nostre Abiik’ade lontano dal maniero ed alcuni di loro hanno pensato bene di infiltrarsi dal tetto, ma hanno trovato pane per i loro denti.-

- Immagino che abbiate dato fondo a tutte le vostre risorse.- aveva commentato il maestro, le mani nascoste dentro le maniche del mantello.

- Noi? Oh, no. Noi abbiamo fatto ben poco. Bastano un manipolo di Kryze per farli secchi tutti quanti. Il maggiordomo ha una mira assassina e delle eccellenti arti marziali. La domestica, invece, credo che abbia distrutto tutta la cucina, ma caspita se ci sa fare. Esattamente come la ricordavo.-

- Maryam ha dato spettacolo, eh?-

- Non ho mai visto volare così tanti coperchi in vita mia, e penso che non sia rimasto un servizio di piatti integro in tutta la casa.-

Obi Wan soppresse a stento una risata. 

- Il meglio di tutti, però, è stato quel farabutto di Kyla. Li ha aspettati sulla porta della stanza con il blaster in una mano e il bastone nell’altra. Sarà anche invalido, ma è in grado di suonarle ancora. Quelli che non è riuscito a centrare con il blaster, li ha bastonati sonoramente. Ad un certo punto ha pure chiesto di portargli l’ascia di Otis Botte di Ferro. Grazie a Kad’Harangir siamo riusciti ad accopparli tutti prima che riuscisse a metterci le mani sopra.-

Era venuto fuori che il duca aveva voluto partecipare attivamente e che aveva espresso quel desiderio tramite la voce gracchiante del monitor, che aveva ripetuto mandateli qui! a tutto volume fino alla fine dell’assedio.

I Kryze erano tutti sani e salvi. 

Le Abiik’ade, ammaccate, ma integre.

I terroristi un po’ meno.

E la cucina era andata.

- Beh, Inga, che dire?-

- Che siete un gran manipolo di manigoldi, ecco che dire.-

- Devo informarti, in ogni caso, che una delle cacciatrici assoldata per darmi la caccia ed uccidermi è niente meno che Reeta Woves, che ha candidamente ammesso di essersi rifugiata da qualche suo amico fuori dal sistema e che se ne va in giro impunemente con l’armatura della Ronda.-

- Oh, lo sappiamo.- commentò la donna, i ricci scuri racchiusi dentro le ali di bronzo che dondolavano mentre annuiva.- E’ venuta qua.-

Satine trasecolò.

- Che cosa?-

- Ah, non preoccuparti, si ricorderà di quest’esperienza per un po’. Si è beccata prima un paio di pugni ben assestati da parte di Athos, poi un bel po’ di colpi di blaster e di bastone da parte di tuo padre. Infine, Maryam l’ha messa in fuga a suon di padelle. Credo che il manico della scopa abbia bisogno di riparazioni.-

Così suo padre aveva avuto modo di togliersi qualche sassolino dalla scarpa.

- Comunque, non è per questo che ti ho chiamata. Mi è parso di capire che non siate assidui frequentatori dell’holonet, e fate bene. Ho pensato che questo discorso di Larse Vizla potrebbe interessarvi.-

Il dittatore comparve in sospensione, in forma di ologramma bluastro. 

I tre rimasero a guardarlo. C’era un cambiamento evidente nella sua figura. Era sempre apparso in armi, simbolo del suo credo, ma era anche sempre stato spavaldo, arrogante, sopra le righe. Adesso, gran parte di quella spavalderia se n’era andata. Pareva più magro e sembrava che avesse le occhiaie. 

Qualcuno non deve aver dormito sonni tranquilli da un pezzo a questa parte.

Il discorso che rilasciò fu decisamente sconclusionato.

 

Mando’ade,

 

apprendo con dispiacere del tradimento di Ursa Wren. Evidentemente, non ha capito che non è possibile opporsi alle antiche tradizioni senza rinunciare alla cittadinanza mandaloriana. Suo padre ha pagato con la vita il suo tradimento, e da lei purtroppo non mi aspettavo altro. I nostri giovani sono cresciuti nella bambagia, spaventati dal confronto, incapaci di farsi valere. E’ giunto il momento che questo cambi.

Allo stesso modo, sono a  conoscenza di un gruppo di rivoltosi operante su Kalevala. E’ tempo che anche quell’ultima roccaforte di traditori venga espugnata. Per questo motivo, intendo entrare in armi sul pianeta e sconfiggere i guerriglieri. E’ ora che le donne tornino a fare figli. E’ ora che l’economia torni a circolare. E’ ora che Mandalore torni a praticare le tradizioni e i giovani a rinvigorire le proprie schiene. 

Fortunatamente, il clan Saxon, fatto di veri mandaloriani, è deciso a sferrare un attacco frontale alla cittadina di Khader, che sappiamo essere in mano ad un gruppo di pericolosi terroristi.

Quanto accadrà sarà da esempio a chiunque tenti di sovvertire l’ordine costituito.

 

La sensazione che i tre ebbero dalle sue dichiarazioni, fu che si trattasse di un messaggio diretto a qualcuno. Usava una terminologia non del tutto chiara e pareva omettere volutamente alcuni dettagli.

- Su alcuni riferimenti, direi che possiamo glissare. La questione delle donne è volutamente diretta a dichiarare dar’manda le Abiik’ade, e forse anche me, che ho avuto l’ardire di rifiutare la mano di diversi candidati provenienti dalla sua fazione, suo figlio incluso.-

- Quello che si è preso una scarpa in testa?-

Satine fece spallucce.

- La prossima volta terrà le mani in tasca.-

Inga Bauer rise, scuotendo i ricci neri, e Obi Wan avrebbe dato un bel po’ dei crediti a loro disposizione per vedere la donna far fare una colossale figuraccia in combattimento al dittatore.

Anche perché, a giudicare dal ghigno vendicativo sul viso, aveva tutta l’intenzione di farlo.

- Per quanto riguarda Ursa Wren, sapevamo che il suo doppio gioco non sarebbe durato molto. O con noi, o contro di noi, Vizla non sente altro. E su questo immagino che abbiamo fatto dei passi avanti.-

- Assolutamente sì.- fece la donna, raccogliendo al volo un report da un’altra Abiik’ad, fuori dal raggio visivo del commlink.- Ursa Wren è dei nostri da diversi giorni, ormai, ma ci tiene a non dichiarare un’alleanza pubblica. In buona sostanza, quello che ha detto è vero. Non è con noi, ma nemmeno contro di noi. Ritiene che il lavoro svolto da Leera Rau per l’avvicinamento tra Kryze e Wren fosse traditore delle tradizioni di Mandalore, che hanno sempre visto il clan appartenere alla nobile casata dei Vizla. Nonostante dunque si senta di fare parte della fazione opposta, ha i suoi motivi per detestare Larse Vizla.-

Satine comprendeva il punto di vista fino ad un certo punto. Lei non sarebbe mai passata nemmeno in punto di morte ai Vizla, dopo quello che avevano fatto a suo padre. Ursa, invece, doveva essere mossa da altre ragioni, oltre al sangue. 

Non sapeva dire se fosse molto ingenua o molto intelligente. 

- Non mi stupisce. In questo senso, i Wren sono sempre stati un clan molto indipendente. Un colpo al cerchio ed uno alla botte, e la loro nobile stirpe di industriali resta sempre in piedi. Non possiamo contare su di lei senza fare delle promesse che rischiamo di non poter mantenere, nel caso in cui Vizla dovesse dare fondo alle casse dello Stato.-

- A questo ha già pensato Kyla. Ah, vorrei tanto essere in filo col cervello come lui, dopo aver subito un attentato. Ha già provveduto a comprare, se così si può dire, la piccola Wren con la riforma della sanità. Sappiamo, comunque, che non durerà senza un colpo di scena. Se Saxon dovesse alzare la testa e deporre Vizla, la contessina tornerebbe nella sua nobile casata di corsa.-

La parte più interessante, però, era quella che non era emersa, il non detto. Satine era brava ad identificare le trame e sicuramente, se Inga Bauer l’aveva contattata, era perché temeva quanto era emerso da quel comunicato.

- Perché mi fai proprio il nome di Saxon, Inga?-

- Eh, perché purtroppo il pallone gonfiato ha deciso di spedire il figliol prodigo a conquistare Khader. Si sta già organizzando per partire. Al momento sono asserragliati dentro le difese dei Makyntire. Non possiamo farci niente senza scatenare una guerra interna, che ci distrarrebbe dalla difesa del pianeta.-

Satine era pensierosa. Aveva portato la mano al collo, accarezzando la clavicola mentre pensava, e Obi Wan dovette fare di tutto per mantenere la concentrazione sulla generale.

- Quindi, non potete fare niente.-

- Esatto, ragazzo. Il che, di per sé, è strano.-

Sulle prime il padawan non capì. 

All’improvviso la situazione gli parve chiara come il sole. 

Perché dire con largo anticipo di invadere una città come gesto dimostrativo, consentendo di organizzare le difese?

- Vuole un bagno di sangue e sa che i Kryze non possono impedirlo.-

- Volendo, potremmo.- continuò l’ologramma, l’aria grave.- Ma significa sottrarre risorse altrove, mettendoci in difficoltà. I Wren tentenneranno a correrci in soccorso.-

Anche quello era un dettaglio non da poco. Vizla aveva annunciato rappresaglia, ma a parte Loras e Sal, che altro era successo?

Stando a quanto diceva la Abiik’ad, nient’altro.

- Probabilmente Vizla sta giocando su due fronti. Da una parte deve mantenere un’aria di forza, deridendo Ursa, ma dall’altra ha bisogno di lei, perché sa che senza i Wren non ha l’appoggio politico per combattere. Probabilmente sta preparando una controproposta, sperando di superare le nostre promesse, e sta contemporaneamente provando a screditare i Kryze per convincerla a tornare sui suoi passi.-

- Che intendete dire, duchessa?-

- Intendo dire che Khader è una città strategica, occupata da due clan differenti che convivono pacificamente. Se riuscisse a dare prova del fatto che i Kryze non sono in grado nemmeno di proteggere la propria gente, recupererebbe il consenso e spaccherebbe la maggioranza.-

Ed era chiaro anche il riferimento che aveva fatto ai giovani. Dopo la batosta subita su Draboon, Evar Saxon probabilmente aveva perso la faccia anche con il proprio alleato interno, che aveva trovato nel figlio Gar il nuovo frontman. Quella sarebbe stata, se fosse riuscito a sgominare i brutti terroristi Kryze, la consacrazione del suo nuovo braccio armato e la conferma del suo ruolo a luogotenente dei Vizla al posto del padre, che aveva dimostrato tutti i suoi limiti. 

Inga Bauer non era contenta.

- Comunque la vogliamo mettere, siamo destinati a fare una figura pessima, se la contessina non si decide a schiodare il posteriore dal suo trono.-

Aveva ragione. Non potevano richiamare le truppe dislocate su Mandalore, o avrebbero perso i territori conquistati. Non potevano chiedere rinforzi eccessivi da Draboon e Krownest, o avrebbero lasciato campo libero ai Vizla per fare proseliti nei loro territori a suon di legnate.

La Repubblica non sarebbe mai venuta. 

Erano soli e potevano contare solo ed esclusivamente sulle loro forze.

- Inga, perché mi hai chiamata?-

La generale sorrise con amarezza.

- Perché, in tutta sincerità, non ci farebbe schifo uno dei tuoi piani.-

Satine sollevò un sopracciglio, bellicosa.

- Lo zio Korkie?-

- Lo zio Korkie ha fatto una risata e ha detto di chiamare te.-

Questo era abbastanza sorprendente, ma Satine cominciava ad avere una mezza idea di quello che lo zio voleva da lei.

C’è solo un motivo per cui io sono la scelta giusta.

Io ho qualcosa che loro non hanno.

Così, Satine chiuse la chiamata, salutando, con un’ultima domanda:

- Avete intercettato il magazzino?-

La donna scosse la testa, sconsolata. 

I Jedi porsero i loro rispetti a tutti i membri della famiglia.

Qui Gon andò a pesca, Obi Wan meditò e Satine passò il resto della mattinata in religioso silenzio, pensando. 

Poi a pranzo affrontò l’argomento.

- Maestro, voi vorreste ripartire domani mattina. Concordo con la vostra decisione.-

Qui Gon, però, non era stupido e guardò la ragazza con sospetto.

- Per quale motivo ho la sensazione che quello che sto per sentire non mi piacerà?-

Satine dondolò il capo, colta in castagna.

- Maestro, io devo andare a Khader.-

Si sollevò un coro di no. Obi Wan scosse la testa con talmente tanta violenza che dovette massaggiarsi il collo morsicato per far passare il dolore, e Qui Gon lasciò cadere la forchetta nella gamella in segno di protesta.

- Duchessa, ma come vi salta in testa un’idea del genere? Vizla non vede l’ora di venirvi a prendere su Kalevala!-

- So che mi aspetta al varco, sì, ma sono anche convinta che sia la strategia migliore.-

- Pensavo che l’avessi finita, Satine.- brontolò il padawan, guardandola con sdegno.- Pensavamo che le tendenze suicide fossero passate.-

La ragazza lo guardò male, ma proprio tanto male, prima di continuare.

- Non crederete davvero che io non abbia un piano! Lasciate che vi illustri quello che ho pensato, e poi vedremo.-

Fu così che Obi Wan e Qui Gon scoprirono la verità sulla famosa città di Khader.

Sulle prime, almeno guardando la cartina, non aveva proprio nulla di speciale. Era piuttosto piccola e fortificata da grosse mura antiche e spesse. Per il resto, non rappresentava assolutamente un punto nevralgico del sistema. Non c’erano scambi, né commerci. Era un luogo storico, turistico, e a parte la vicinanza con Igmur non c’era assolutamente nulla che potesse interessare il dittatore.

- Non curatevi di Igmur, non è quello che ci interessa. E’ una città esotica, in cui si sono concentrate le realtà immigrate di Mandalore e per questo guardata con sospetto da molti su Kalevala. In verità, avrebbe delle enormi potenzialità, ma un conservatore come Vizla non capirebbe mai queste posizioni. In ogni caso, torniamo a noi.-

Prendere Khader non aveva alcun senso, se non fosse stato per un piccolo dettaglio.

Sorgeva sul confine.

La cittadella era stata costruita secoli prima a cavallo del confine territoriale, per dimostrare l’amicizia tra due popoli notoriamente affini: i Kryze e gli Awaud. Il clan, con l’avvento della guerra, aveva deciso di lasciare l’alleanza con i Kryze in favore di quella coi Vizla - e forse, maggiormente, con i Saxon - perché temevano che la loro casata non volesse proteggere tutte le tradizioni di Mandalore, eliminando quelle guerriere a cui loro, invece, erano molto attaccati.

- Non fatevi un’idea sbagliata, sono un popolo pacifico. Tuttavia, hanno un culto speciale per le tradizioni e l’orientamento dei Kryze ha infastidito la frangia più tradizionalista, facendo credere che volessimo sminuire la loro forza bellica. Non è così, ma il pacifismo li ha spaventati. In ogni caso, nonostante la rottura con il nostro clan, Khader è sempre rimasta in pace.-

Per forza. Era una piccola cittadella, in cui si conoscevano praticamente tutti. Si trattava di un gruppo ristretto, meno di mille persone, che non avevano - né avrebbero, nei tempi a venire - mai ritenuto di farsi la guerra tra di loro. 

Politicamente, per Vizla offriva un perfetto capro espiatorio. Con i Kryze impossibilitati a prestare soccorso, se avesse preso la città e massacrato gli abitanti, avrebbe potuto dire che i Kryze erano deboli, non proteggevano nemmeno il proprio clan e abbandonavano gli altri. Se invece Satine e i suoi fossero andati a difendere Khader, lasciando scoperto qualche altro posto, Vizla avrebbe potuto assestare una sconfitta facile altrove, sminuendo la forza dell’avversario e potenzialmente convincendo la contessina a cambiare di nuovo bandiera.

- Credi davvero che la contessa potrebbe essere così malleabile con lui?-

- No. Dipende da quello che le promette e da quanto farà davvero per il suo clan. Sinceramente, non condivido la sua posizione. Se un uomo avesse distrutto due città, fucilato mio padre e ridotto la mia gente alla fame, ciò per me sarebbe sufficiente a non ritenerlo affidabile. Tuttavia, evidentemente si sente più parte degli ideali dei Vizla che di quelli dei Kryze. Mi domando che cosa sia successo per condurla a questo. Forse il suo rancore nei miei confronti ha contribuito, non saprei dire.-

- Rancore?-

- La Scuola di Governo non è un luogo ameno, Obi Wan. In ogni caso, a lei e all’economia del clan interessa stare dove si vince, e se vincerà Vizla si schiererà con lui, pur continuando a chiederne la testa, forse addirittura ambendo a prenderne il posto.-

Qui Gon e Obi Wan sgranarono gli occhi.

- Sul serio?-

- O è molto ingenua, o è molto intelligente. Vedremo con il tempo, ma quello che sappiamo è che non possiamo in nessun modo perdere Khader.-

Tuttavia, i Jedi ancora non capivano per quale motivo sarebbe dovuta essere proprio lei a risolvere il problema, ma la ragazza si era evidentemente già data una risposta.

Sospettava, infatti, che la presa di Khader e il bagno di sangue che ne sarebbe conseguito fosse una tattica di Vizla per fare uscire i Kryze allo scoperto, e qui si innestava tutta la sua strategia.

Era logico pensare, infatti, che i Kryze si sarebbero mossi. Meno probabile era che fosse proprio la duchessa pacifista e senza spina dorsale a scendere in campo. Certo, Vizla l’avrebbe sicuramente aspettata al varco. Ogni scusa era buona per catturarla, ma Satine non credeva davvero che avrebbe avuto la lungimiranza di prevedere un piano così assurdo come quello che aveva appena concepito lei.

Perché, al solito, quello era un piano alla Kryze.

Cioè, impossibile. 

- Reeta Woves è su Kalevala, e questo vuol dire due cose: o che hanno smesso di cercarmi, o che mi aspettano lì.-

- Oppure che la sortita effettuata a casa tua è stato un messaggio per dirti che sanno per certo che ci andrai.-

- Oh, è probabile. Vizla potrebbe aver preso, al suo solito, due piccioni con una fava, provando a mettere a segno un colpo contro la mia famiglia e provando a comunicarmi, dovunque io sia, che Kalevala è sotto assedio e di non provare nemmeno a recarmici. Sta insinuando che io ho abbandonato il sistema e la mia gente, che parlo e basta. E’ proprio per questo che io voglio andarci. E’ l’ultimo posto in cui si aspetta di trovarmi.-

Qui Gon sospirò, non condividendo l’idea della duchessa.

Era come andare disarmati dentro la tana di un nexus.

Satine, tuttavia, sembrava avere altri piani.

Lo zio Korkie era un genio, in questo senso, e se aveva ritenuto di coinvolgere lei, era proprio perché lei aveva qualcosa che gli altri non avevano.

E le differenze erano principalmente due: la Luce di Mandalore e i Jedi.

Lo zio Korkie riteneva che una delle due cose potesse essere determinante, e probabilmente non si trattava della prima. Aprire la Luce di fronte a Vizla, infatti, era fuori questione, e Satine per prima tendeva ad escluderlo per evitare di uccidere persone innocenti da un lato, e per evitare di accentrare su di sé tutto il fuoco del dittatore dall’altro, bruciandosi tutto l’effetto sorpresa e scrivendo a chiare lettere che lei era la legittima erede - guerriera -  di Mandalore.

No, Satine aveva altri piani e non erano quelli di fare una strage per prendere il potere. 

Quindi, i Jedi dovevano essere la chiave di volta del piano, per ora celato, dello zio.

- Dunque, che cosa pensate di fare?-

- Innanzitutto, dovremo trovare un modo per raggiungere Kalevala. Da lì, poi, dovremo riuscire a raggiungere la casa dello zio Korkie, sul Mare di Udesla. Là ci organizzeremo per prendere Khader.-

- Aspetta, aspetta.- fece Obi Wan, mettendo le mani avanti.- Tu vuoi combattere?-

- No, assolutamente.- disse Satine, scuotendo il capo.- Vado dallo zio Korkie proprio perché voglio andare a Khader e vincere senza combattere.-

I due Jedi cominciarono a pensare seriamente che la duchessa fosse fuori di testa.

- Satine, non penserete davvero che Saxon vi lascerà passare. Kalevala sarà tenuta sotto controllo e lo spazio aereo sarà blindato. Inoltre, Vizla sarà schierato con un esercito intero, e nonostante tutto noi siamo solo in due, per giunta contro un’orda di Mando incattiviti più che disposti a farci la festa. E’ una missione suicida, soprattutto per voi. Mi devo rifiutare, duchessa. Voi siete la nostra missione e dobbiamo fare di tutto per proteggervi.-

- Con tutto il rispetto, maestro.- fece Satine, gli occhi fissi nelle iridi azzurre dell’uomo.- Se perdo Mandalore, voi non avrete più nessuna missione da compiere, perché non avrete nessuna duchessa da proteggere. Al contrario, avrete una bella gatta da pelare, con i terroristi al governo. Forse, però, il Senato non aspetta altro per invaderci, e fossi in voi mi domanderei il perché, e soprattutto le possibili conseguenze dello stanziamento di un’armata della Repubblica in un paese invaso da spettri.-

La prospettiva non era allettante, per niente. Comunque volessero prenderla, il loro futuro sembrava nero e quello della duchessa segnato. Andare su Kalevala e liberare Khader, in tre - di cui una disarmata - contro un’armata di mandaloriani disposti a commettere anche crimini di guerra sui civili, e sperare di farla franca era follia pura, ma allo stesso tempo permettere che una specie pericolosa si espandesse per tutta la galassia, trasportata dalle armate della Repubblica e forse sfruttata, e seminasse terrore non li allettava per niente.

Che succederebbe, se uno spettro si aggirasse per i livelli inferiori di Coruscant?

I due Jedi repressero un brutto brivido freddo.

Satine doveva restare dov’era, e per restare dov’era doveva tenere Khader in pugno.

Se ce l’avesse fatta, i Wren avrebbero confermato la loro flebile alleanza, gli Awaud avrebbero parteggiato di nuovo per i Kryze, e i Vizla, i Saxon e i Makyntire si sarebbero ritirati di nuovo con la coda tra le gambe.

Il problema era che tenere Khader sembrava impossibile.

Qui Gon sospirò.

- Come pensate di fare?-

Satine lasciò che il suo sguardo cadesse nel piatto per un momento, le sopracciglia corrugate per la concentrazione.

- Non saprei ancora, ma una cosa possiamo farla. Direi che voi, maestro, potreste contattare di nuovo il vostro amico Antilles, per sapere come sono messi con le negoziazioni e se, in caso di disfatta, potremo rifugiarci su Aldeeran come avevamo stabilito. Altrimenti, dovremo pensare ad un altro piano di riserva. Obi Wan, tu invece non sei male in astromeccanica, giusto?-

Il ragazzo annuì.

- Bene, allora direi che puoi cominciare a spiegarmi nel dettaglio il funzionamento di quei benedetti tracciatori. Poi, mettendo insieme le nostre conoscenze dello spazioporto e le informazioni che ha Inga Bauer, potremo provare ad organizzare una sortita per confondere le acque.-

Così, i tre si misero al lavoro.

 

Obi Wan guardò sconsolato il suo bicchiere di liquore.

Non beveva quasi mai, soprattutto quando era in servizio, ma in quel momento, se voleva mantenere la copertura della ragazza, ne aveva assolutamente bisogno.

Si lanciava attorno sguardi perplessi mentre Satine se ne stava in un angolo, attaccata al commlink pubblico, arricciolandosi una delle poche ciocche di capelli rimaste sulla sua testa e chiacchierando allegramente con la centralinista.

Una follia così non l’abbiamo mai fatta in tutta la nostra vita, e mi auguro sinceramente di non trovarmi a farla mai più.

E bevve sconsolato un altro sorso di brandy.

Andiamo con ordine, però.

Il giorno precedente erano state prese delle grandi decisioni.

Stando al senatore Bail Antilles, l’incontro con la Federazione era praticamente finito. Se non avessero avuto incombenze più impellenti a cui pensare, si sarebbero resi conto che era durato fin troppo: non si era mai sentito che una trattativa diplomatica, commerciale per di più, fosse durata mesi. Per i Jedi, però, era necessario individuare una via di fuga, e il senatore aveva confermato che ormai si trattava di mettere a punto gli ultimi dettagli e poi gli invitati avrebbero lasciato Aldeeran per tornarsene da dove erano venuti. Satine ne era stata generalmente contenta. 

Questo significava che, qualunque cosa sarebbe accaduta di lì a poco, avrebbero avuto come piano di riserva la fuga dal sistema verso Aldeeran.

Ammesso che ci riuscissero, naturalmente.

I tracciatori, invece, funzionavano in modo ahimè fin troppo efficace. Stando a quanto le aveva spiegato Obi Wan, i tracciatori di ultima generazione erano capaci di percepire anche singoli filamenti di DNA non attivo, e quindi morto. In teoria, avrebbero potuto tracciarla dovunque e se avessero voluto trovare, per ipotesi, il suo cadavere, avrebbero anche potuto farlo utilizzando quegli stessi tracciatori.

La possibilità, dunque, di sfuggire ai cacciatori di taglie per troppo tempo era praticamente minima, per non parlare poi del fatto che c’erano elevate probabilità che li stessero aspettando nello spazio aereo del sistema, dove avrebbero dovuto circolare sia per andarsene da lì e dirigersi su Aldeeran, sia per spostarsi su Kalevala e prendere Khader.

Qui Gon ed Obi Wan erano stati categorici: Satine non sarebbe mai dovuta andare su Kalevala.

Quando mai, però, Satine aveva dato loro completamente retta?

Così, si erano impensieriti quando l’avevano vista dirottare l’argomento su un altro aspetto difficoltoso della loro sortita.

- Come comunicano tra di loro i cacciatori di taglie?-

- Come prego?-

- Come comunicano? Come mi trovano, l’abbiamo capito, ma come parlano tra di loro? Come parlano con il loro capo?-

Obi Wan si era grattato il mento, come faceva sempre quando era pensieroso.

- Sicuramente hanno delle linee di comunicazione private, come quella che tu hai con Inga Bauer.-

- Mh.- era stato il commento della ragazza.- Però Inga ha anche detto che controllano la comunicazione.-

Non sarebbe stato comunque utile ai cacciatori per comunicare. I loro piani dovevano restare principalmente segreti. Come loro ascoltavano le comunicazioni dei Nuovi Mandaloriani, era quasi certo che i Nuovi Mandaloriano ascoltassero le loro, o almeno ci provassero. Avevano bisogno di codici privati, criptati, frequenze note solo a loro…

Aspetta un attimo.

- Forse ho capito dove vuoi andare a parare, ma, Satine, è folle!-

- E’ un piano alla Kryze. E’ folle in partenza, e se lo zio Korkie ritiene che io ce la possa fare, significa che è un piano alla Kryze quello che c’è da mettere in atto.-

Obi Wan aveva una gran voglia di conoscere questo zio Korkie per dirgli tutto quello che pensava di lui, ma non aveva replicato alla folle idea di Satine. 

Qui Gon aveva alzato un sopracciglio, forse intuendo qualcosa.

- Cioè, il vostro piano è confondere le loro comunicazioni e recarvi non vista su Kalevala?-

- Dopo aver confuso i loro tracciatori, sì.-

Così, Obi Wan era finito a bere brandy in una cantina di terz’ordine nel centro città di Gi, abitato portuale dedito prevalentemente alla pesca marittima. Attorno a lui era pieno di marinai e droidi, immigrati da pianeti acquatici e altri che cercavano di commerciare come meglio potevano con gli abitanti della città. 

Satine gli aveva spiegato che in quella cittadella, di solito, vendevano la bottarga di ge’tal uram, pregiata e ricercata in tutta la galassia per le sue proprietà nutrizionali.

- Bocca rossa?-

- Sì. Lo hai mangiato mentre eri convalescente. Qui Gon ne ha pescati diversi.-

Non sapeva se in quella cantina si concludessero affari relativi alla bottarga, ma di sicuro si giocava d’azzardo e si puntava anche in alto, in particolare tra i marinai che giocavano a dadi su un barile, seduti su dei tozzi sgabelli a tre gambe.

Sorseggiò il suo brandy, gli occhi fissi su uno dei due, grosso come un armadio, e si domandò come facesse lo sgabello a reggere il suo corpo. 

Satine, invece, stava chiacchierando allegramente alla cornetta, il velo di un sorriso compiaciuto sul volto.

Obi Wan sospirò.

Non c’era assolutamente niente da ridere in quella faccenda, e loro avrebbero dovuto nascondersi come topi e fuggire, nonché combattere possibilmente senza uccidere, considerato che viaggiavano con una pacifista al seguito. 

Era tutto dannatamente difficile. Altro che sorriso.

Qui Gon aveva preso posto all’altro capo della cantina, di fronte ad un bicchiere di acquavite, vicino all’uscita posteriore per tenere d’occhio il barista e i camerieri, nonché la loro potenziale via di fuga in caso di necessità.

Come aveva suggerito Satine, si era messo nuovamente in contatto con Inga Bauer e le aveva spiegato il loro folle piano. La donna, per tutta risposta, era scoppiata a ridere ed aveva scosso la testa.

- Solo un folle può concepire un piano del genere.-

- E’ quello che dico anche io, ma non facciamoci sentire, la duchessa è nell’altra stanza.-

- Oh, al contrario, maestro, è un complimento. Dovete sapere che il clan Kryze, sotto questo profilo, è composto dalla peggiore banda di sciagurati della galassia, ma vi posso garantire che non ne hanno mai sbagliata una. Pensate che c’è stato, nei secoli passati, chi ha vinto battaglie da solo, con un susulur legato alla campana del palazzo del comune, e chi ha vinto assedi usando i piccioni viaggiatori senza mai spostarsi da casa.-

- Io sapevo solo quella relativa a quando uno prese la trincea nemica mentre era ubriaco come una giubba.-

- Anche, ma fa meno impressione. Si può dire che quella sia stata una botta di fortuna.-

Fatto sta, che quel piano pareva proprio doversi fare. Con Inga Bauer erano riusciti ad arrangiare un trasferimento che, se riuscito, sarebbe stato già un miracolo di per sé. Tracciata la rotta, la donna avrebbe dovuto far muovere la resistenza, indirizzando attacchi cibernetici mirati presso una base dei Vizla in controllo dello spazio aereo. A quel punto, la navicella di Qui Gon si sarebbe infiltrata e sarebbe passata inosservata, atterrando nei pressi della macchia vicino al mare di Udesla dove lo zio Korkie aveva la villa al mare.

- Sono certo, duchessa, che la villa sarà sorvegliata.- aveva commentato il maestro, grattandosi la barba caprina.

- La villa sarà sicuramente sorvegliata, perché è il principale centro degli affari di mio zio Korkie. Per questo noi non andremo lì, bensì alla villa in collina, dove lui di solito non va mai.-

- Scusami, Satine, ma se non ci va mai, che ci facciamo noi? Non avremo comunque modo di metterci in contatto con lui e, se dovesse venire a trovarci, i soldati lo inseguirebbero e lui li porterebbe da noi.-

- Mio caro Obi Wan, tu non conosci ancora mio zio Korkie.-

No, non lo conosceva, ma già gli stava antipatico.

Se fossero riusciti ad atterrare - sani, salvi e possibilmente integri - avrebbero potuto dire di aver concluso un’ impresa titanica per definizione.

Pensare che avrebbero dovuto compierne altre!

Innanzitutto, sarebbero dovuti andare a Khader.

Poi, avrebbero dovuto prendere la città in tre, di cui una disarmata, con due Jedi a cui un esercito di Mando avrebbe volentieri fatto la pelle.

Poi, avrebbero dovuto lasciare quel posto senza morire ed evitando ritorsioni, che sicuramente si sarebbero innescate una volta appresa la notizia che Satine era su Kalevala.

Infine, se ne sarebbero dovuti andare dal pianeta, con tutta l’armata dei Vizla puntata addosso dopo aver saputo della sua presenza lì.

Ah, c’erano anche i cacciatori di taglie nel mezzo al mucchio.

Non è da Jedi disperare. Bisogna avere fiducia nella Forza.

Sì, ma mi sa che questa volta ci lasciamo la pelle tutti quanti.

Per non parlare delle potenziali conseguenze di tutto ciò. Era necessario un piano di esfiltrazione vero e proprio per riuscire ad uscire da Kalevala senza far morire nessuno. Vizla avrebbe concentrato lì tutta la sua potenza di fuoco, poco ma sicuro. 

Satine, invece, ci credeva fino ad un certo punto.

- Lui sa che Kalevala è imprendibile. E’ la ragione per cui non ha mai provato seriamente a prenderla. Se lo avesse fatto, non avrebbe mosso Saxon e Makyntire solo adesso e si sarebbe servito prima degli Awaud, invece di lasciarli a riposo pronti per farseli sfilare. No, credo che Vizla voglia morti i Kryze per prendere Kalevala, e questo ci porta a Khader. L’importante è impedirgli di farmi fuori.-

Hai detto nulla. 

E’ proprio per questo che vogliamo portarti su Aldeeran, mucchietto d’ossa.

Ogni protesta, però, era stata inutile, ed in qualche modo i due Jedi vedevano in quell’operazione un disegno, un progetto particolare che poteva effettivamente portare a qualcosa di buono.

L’alternativa era un disastro totale, per cui doveva funzionare per forza.

Mentre Obi Wan sorseggiava il suo brandy e lanciava un’occhiata d’invidia alla seconda acquavite di Qui Gon, Satine inseriva un altro credito nel commlink fisso della cantina e faceva un’altra chiamata, ancora, arricciolandosi una piccola ciocca di capelli tra le dita.

Già, i suoi capelli.

Obi Wan era rimasto a bocca aperta quando l’aveva vista. La sua bella chioma bionda era già stata brutalmente menomata prima del loro arrivo su Krownest, quando aveva tranciato di netto le sue belle punte blu per creare un diversivo e distrarre i cacciatori di taglie. Quanto era rimasto era biondo come i raggi di luce dell’alba, e il padawan era particolarmente legato a quei capelli che profumavano sempre di buono, soprattutto quando giacevano scomposti sulla sua spalla al mattino, provocando un leggero formicolio in aree del suo corpo che preferiva tenere private.

Il suo dispiacere quando vide la sua testa di capelli biondi quasi rasata a zero fu enorme.

- Oh, Forza, che hai fatto?-

Satine lo aveva guardato di sbieco, il suo specchio da barba posato sul piano della cucina, il rasoio in una mano e il pettine nell’altra.

- Mi sono tagliata i capelli, ovviamente. Ci serviranno per neutralizzare i tracciatori.-

- Ma…-

La duchessa aveva alzato un sopracciglio, bellicosa.

- I tuoi capelli!-

- Sì, adesso ce li ho corti. Mi stanno tanto male?-

Ma no che non stava male, solo che era diventato dipendente dalle sue onde dorate e dal suo profumo. Passare le dita nei suoi capelli, poi, gli suscitava quella piacevole sensazione di formicolio che…

Ehi.

Sai che devi fare?

Meditare.

E tirarti di nuovo in un fiume a sbollire.

Faresti il vapore anche stavolta.

- Sei bellissima.- le aveva detto alla fine, accarezzandole il capino biondo sotto il suo nuovo pixie cut.

Satine gli aveva fatto un sorriso da birba.

- Davvero?-

- Davvero.-

- Non ti dispiace?-

- Mi ero affezionato, ma se piacciono a te, allora piacciono anche a me.-

Avevano passato la giornata a fare le trecce ai capelli tagliati di Satine. Era stato un lavoro lungo e complicato, ma alla fine lo avevano completato. O meglio, lui lo aveva completato, mentre Satine e Qui Gon selezionavano una serie di pianeti amici da contattare. Se avessero chiamato un luogo palesemente nemico di Mandalore, o un pianeta infestato da cacciatori di taglie, il loro piano sarebbe saltato. Nessuno avrebbe mai creduto ad una mossa del genere, e la sua intenzione di recarsi su Kalevala sarebbe stata disvelata. 

Questo, naturalmente, aveva condotto all’esclusione automatica dei sistemi di Phindar e Concord Dawn.

Con loro farò i conti a guerra finita.

Così, con quella lista alla mano e il sacchetto dei crediti nell’altra, si erano presentati in quella brutta cantina, scelta accuratamente per passare quanto più possibile inosservati in una località di pescatori dove raramente avrebbero potuto rintracciarli, soprattutto considerato che Reeta Woves era evidentemente da tutt’altra parte del sistema.

- Pronto, centralino? Sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore. Vorrei parlare con Cato Neimoidia, per favore.-

- Pronto, centralino? Salve, sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore. Vorrei che la mia chiamata venisse trasferita da Cato Neimoidia a Eriadu, per favore.-

- Pronto, parlo con il centralino di Eriadu? Salve, sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore. Vorrei parlare con Aldeeran, cortesemente.-

- Buonasera, sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore. Mi passerebbe Polis Massa, per favore?-

- Mi passerebbe Draboon?-

- Per quel trattato con Pasaana? Ho intenzione di continuare a lavorare, nonostante tutto.-

Durante il pomeriggio, Obi Wan era rimasto con Satine a fare un giro per la cittadella di Gi mentre il maestro si era recato allo spazioporto, travestito da mendicante. Si era infiltrato in diversi scali, con le sue trecce tra le dita, e le aveva lasciate dentro i vari container diretti, per quanto possibile, verso i pianeti della loro lista, o che almeno vi avrebbero fatto scalo. 

L’industria del pesce, evidentemente, non aveva risentito della guerra tanto quanto il tessile.

- Per forza, la bottarga viene considerato un bene di lusso. Porta soldi. Per quello che gli pare, Larse Vizla è sempre aperto al dialogo.- aveva commentato la duchessa, scuotendo il capo. 

Obi Wan osservò Satine mentre metteva un altro credito nel commlink.

- Pronto, centralino? Mi passerebbe Chandrila, per favore? Sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore.-

- Salve, mi reindirizzerebbe su Jedha? Sono la duchessa Satine di Mandalore.-

- Sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore. Sono sotto la protezione di due Jedi di Coruscant. Il vostro Tempio potrebbe accoglierci? Allora, potreste cortesemente dirottare la chiamata verso Lah’mu?-

- Salve, sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore, potrebbe passarmi Krownest, per favore?-

- Potrebbe passarmi Corellia?-

- E Coruscant?-

E se ne era fatti passare altri, tra cui lo stesso Mandalore, Kalevala, Concordia, anche più volte, in un dedalo di connessioni che difficilmente i cacciatori avrebbero potuto dipanare in tempo.

Obi Wan bevve ancora un’altro sorso, prima di vuotare il bicchiere.

Avevano analizzato diverse possibilità. La prima squadra di cacciatori di taglie era ormai dispersa. Integra, era rimasta soltanto Reeta Woves. Il mando era morto e lo zygerriano pure, e il trandoshano chissà dov’era finito. 

C’erano due possibilità.

Anzi, come aveva detto Satine, ce ne erano tre.

La prima, che Larse Vizla avesse deciso di prendersi del tempo per ricostruire la squadra, che avrebbe utilizzato in seguito, e nel frattempo avesse piazzato la sua cacciatrice su Kalevala, magari per un piano preordinato, sperando che Satine andasse a trovare la famiglia o a combattere a Khader, oppure perché l’aveva ufficialmente degradata dopo il suo fallimento.

La seconda, che non avesse minimamente intenzione di ricostituire la squadra, preferendo aprire la caccia al mercato delle taglie.

Quello sarebbe stato un grosso problema, perché significava che avrebbero avuto tutti i cacciatori di taglie della galassia addosso nel giro di poco.

Secondo Satine era un’ipotesi poco probabile perché, se così fosse stato, sarebbero già stati individuati. Invece, nessuno si era fatto vivo durante la convalescenza di Obi Wan, né a Gi né nei dintorni, o Qui Gon l’avrebbe sicuramente visto. 

Altrettanto improbabile, ma pur sempre possibile, era che Larse Vizla avesse definitivamente cambiato tattica e avesse ritirato la taglia sulla sua testa, preferendo tenderle altre trappole come quella di Khader. Secondo Satine, era la meno probabile delle tre, ma nulla vietava che Vizla la stesse tenendo come opzione, qualora lei dovesse sfuggirgli ancora da Kalevala.

Obi Wan finì definitivamente il suo brandy mentre Satine contattava Naboo.

Aveva compreso che la duchessa non aveva simpatia per un certo Sheev Palpatine. Il padawan non lo conosceva e reputava la diffidenza della ragazza momentaneamente eccessiva. 

La capiva. Dopo quello che aveva passato e dopo quello che aveva sentito sulle posizioni assunte dal Senato della Repubblica, anche lui sarebbe stato dubbioso.

Tuttavia, anche se di quel giorno e della conversazione con Bail Antilles non ricordava quasi nulla, gli aveva dato l’impressione di essere un gran manipolatore, questo Palpatine.

Forse sarebbe diventato un altro dei politici da mettere sulla lista nera del ragazzo.

- Buonasera, sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore. Potrebbe passarmi il centralino di Rodia?-

- Buonasera, sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore. Vorrei parlare con Rugosa.-

- Salve, mi passerebbe Hosnian?-

- Buonasera, sono la duchessa Satine Kryze di Mandalore, mi passerebbe Ryloth, cortesemente?-

Se la squadra era in via di formazione, o se non esisteva più una squadra, probabilmente il vero problema era avvicinarsi a Kalevala, e quello che avevano fatto fino a quel momento - incluso tagliare quei bellissimi capelli - sarebbe stato inutile. 

Se invece Larse Vizla avesse permesso il liberi tutti, probabilmente quello che avevano fatto sarebbe servito a tenere lontano il grosso dei cacciatori.

Naturalmente, si erano già coordinati con Inga Bauer.

Una volta finito quel giro di telefonate, sarebbero partiti immediatamente e, se tutto fosse andato bene, avrebbero superato gli ostacoli frapposti dai Vizla con il favore delle tenebre, per poi riposare nel mezzo ai boschi di Kalevala.

Stando a quanto avevano compreso, l’attacco a Khader sarebbe avvenuto ormai a breve. Per questo motivo, la loro copertura sarebbe dovuta bastare, più o meno, a proteggerli per al massimo quindici giorni. 

Era chiaro che prima o poi i cacciatori si sarebbero accorti che stavano facendo loro fare il girotondo. 

Quindi, il loro piano consisteva in semplici mosse.

Numero uno: chiamare a destra e a manca in giro per la galassia facendo credere di essere diretta in uno di quei posti. 

Numero due: avvalorare la tesi della fuga verso quei pianeti sfruttando l’ipersensibilità dei tracciatori con delle tracce biologiche nei cargo, per farla passare come passeggera clandestina. 

Numero tre: accordarsi con Inga Bauer, attirare l’attenzione dei Vizla e passare loro sotto al naso senza essere scoperti. 

Numero quattro: trovare il modo di raggiungere la villa in collina dello zio Korkie, anche se lo zio abitava in quella al mare.

Eventuale punto cinque: far muovere lo zio Korkie dalla villa al mare.

Punto sei: prendere Khader senza farsi ammazzare.

Punto sette: lasciare Kalevala senza farsi ammazzare.

Possibilmente.

Certo, nonostante la loro… Ehm, accurata pianificazione, potevano esserci degli inconvenienti. Un carico poteva non arrivare a destinazione. Un cacciatore di taglie avrebbe potuto capire il gioco e andarli a prendere direttamente su Kalevala.

Satine, in quel momento, attaccò il commlink, il volto soddisfatto sotto la frangetta del pixie cut. 

Era l’ora di andare.

Padawan e maestro si sentirono nella Forza e i due si alzarono. Obi Wan sarebbe uscito dalla porta principale con Satine e Qui Gon sarebbe passato dal retro per non destare sospetti.

Fuori il cielo era terso e il rumore del mare che si infrangeva sulle scogliere infondeva serenità.

La quiete prima della tempesta.

- Non mi piace quando bevi.-

Lo prese in contropiede.

- Come?-

Satine gli lanciò un’occhiata divertita.

- Ho detto che non mi piace quando bevi.-

Obi Wan non commentò mentre si appostavano in un vicolo stretto tra due portoni fatiscenti, attendendo Qui Gon.

La Forza continuava a dirgli che stava andando tutto bene, e lui si fidò.

- Non bevo di frequente, se può consolarti.-

- Sì, mi consola.-

E mentre un uomo ubriaco passava di lì, lanciando un’occhiata lussuriosa alle gambe di Satine, quella afferrò il padawan per la tunica e lo baciò sulla bocca.

L’uomo se ne andò, comprendendo che non tirava aria.

Satine, invece, storse le labbra.

- Lo sapevo. Puzzi di brandy.-

Obi Wan ghignò.

- E che cos’altro avrei dovuto bere per assecondare i gusti di vostra altezza?-

- Mai provata la ne’tra gal?-

- Tu non sai proprio starci senza il piccante, eh?-

Satine strabuzzò gli occhi, un sorriso malizioso sulle labbra.

- No, ma se continuo ad aspettare te…-

Sulle prime Obi Wan non capì, ma quando realizzò divenne rosso come la volta in cui aveva mangiato le crocchette in salsa piccante a Solus.

- Ma io non intendevo…-

- Lo so. Tu no, ma io sì.-

- Sfacciata.-

- Tardone.-

- E adesso che è successo?-

Qui Gon era in piedi dietro di loro, le mani sui fianchi, pronto per mitigare un’altra litigata.

- Oh, niente. Il ragazzo, qui, ha qualche problema a capire le battute.-

- Lo so. Le prende sempre troppo sul serio. Vogliamo andare? La nostra navicella è pronta e ci aspetta ancora un’ultima conversazione con Inga Bauer, prima di partire.-

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Gi: lett. pesce

Ge’tal uram: lett. bocca rossa, un pesce pregiato

 

NOTE DELL’AUTORE: Si riparte con la politica spicciola. 

Ci tengo a sottolineare che nulla di quanto avverrà in seguito ha preso ispirazione dai tragici tempi oscuri in cui viviamo. I capitoli sono stati scritti molto prima che scoppiasse la guerra.

Un abbraccio a tutti coloro che hanno amici e parenti in Ucraina, e a tutti coloro che non la vogliono, la guerra. 

Certe cose dovrebbero restare solo favole, fantasia.

 

Molly.

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Capitolo 47
*** 38- Trotta trotta, ascolta e raglia ***


CAPITOLO 38

Trotta trotta, ascolta e raglia

 

Dovettero tracciare una rotta pericolosa. Passare attraverso i pianeti era impossibile, per cui era necessario passare dall’esterno, uscendo dallo spazio aereo e rientrando per non intercettare le navi nemiche. 

Stando ad Inga, però, lo spazio aereo di Kalevala si era presto trasformato in un campo minato.

Stranamente, nel loro viaggio della speranza verso il pianeta, dei cacciatori di taglie non videro nemmeno l’ombra.

Ci fu un attimo di panico quando ricevettero una segnalazione da parte di una nave in rotta di collisione. Intimarono l’alt e l’identificazione, ma per fortuna Inga Bauer aveva pensato a quella eventualità.

- In caso di incontri ravvicinati, usate questa chiave.- aveva detto, fornendogli loro una stringa segreta che usavano per confondere i tracciamenti sulle navi cargo della resistenza.

Riuscirono ad evitare di usarla, al di fuori di quella terribile circostanza.

Se la cavarono identificandosi come una nave cargo proveniente da Felucia in transito, senza l’intenzione di fermarsi nello spazio aereo. 

La nave salutò e se ne andò.

Satine era rimasta in tensione per tutto il tempo. Solo quando la nave se ne fu andata, chiedendo loro la precedenza, si accorse di star stringendo la mano del padawan.

Per quanto le piacesse fare la parte della dura, che sapeva che cosa stava facendo e che poteva ribaltare il mondo con i suoi piani alla Kryze, dentro stava morendo di paura. Aveva mille se che le attraversavano la mente alla velocità del suono.

Il maestro aveva insistito affinché dormisse, ma non era riuscita a fare granché se non per qualche ora.

E se ci dovessero arrestare? 

Hai accettato il rischio. Un leader non lascia mai il proprio popolo. 

E se ci dovessero separare?

Hai accettato il rischio, potrebbero non riuscire a proteggerti.

E se dovessero usare di nuovo i collari?

Questo è un rischio che loro hanno accettato fin dall’inizio.

E se dovessero ucciderli?

E se accadesse ciò che logica vuole, cioè che questo scontro si trasformi in una trappola mortale?

Hai accettato il rischio. Un leader non…

E se dovessero fare del male ad Obi Wan?

In particolare quell’ultimo punto proprio non voleva andarle giù. Era venuta a patti con il fatto che le vie della Forza sono infinite e che rischiare faceva parte del suo lavoro. Era anche a conoscenza del fatto che, come Jedi, era molto più forte ed addestrato di lei.

Non a caso, la guerra tra Mando e Jedi l’avevano vinta i Jedi.

Tuttavia, ciò che non riusciva a sopportare era il pensiero che la causa della sua dipartita potesse essere proprio lei, che non aveva dato ascolto ed aveva deciso di dirigersi comunque verso Khader piuttosto che fare rotta verso Aldeeran. 

Con la sua posizione venivano anche le responsabilità che conseguivano alle decisioni prese. Un leader non abbandona mai il proprio popolo, un po’ perché in politica si fa così per le responsabilità derivanti dalla carica ricoperta, per l’adempimento di un dovere formale nei confronti del proprio paese, un po’ perché Satine stessa sentiva la responsabilità della sua scelta di campo e di tutte le persone che avevano deciso di seguirla. Tuttavia, cominciava a capire come mai i Jedi non potessero portare nessuno nel cuore. 

O meglio, non potessero creare legami.

Se lei era consapevole di poter dare di matto, in caso lui fosse stato ferito o ucciso, che cosa avrebbe mai potuto fare lui, con il suo enorme potere e la sua spada laser?

Quello era un punto che meritava un chiarimento, per cui, nella sua notte insonne, Satine andò a bussare alla stanza del padawan, che aveva schiacciato un sonnellino prima di dare il cambio alla guida al maestro.

Le aprì un cespo di capelli rossi tutto annodato e un paio di occhi pesti.

- E’ già ora?-

- Quasi. Ho bisogno di parlarti.-

Una scintilla passò negli occhi del padawan, immediatamente vigile, mentre si faceva da parte sulla soglia per farla entrare.

Satine si sedette sul bordo del letto, carezzando le lenzuola e lisciandole pensosamente.

- Qualcosa non va?-

La duchessa lo guardò seriamente. 

- Ho bisogno di mettere in chiaro una cosa.-

Una brutta sensazione si era impadronita dello stomaco del padawan ed improvvisamente il suo cervello andò completamente fuori rotta.

Lei non mi vuole più.

Per cui, sospirò e si sedette accanto a lei, lo sguardo basso.

- Ti capisco. Hai ragione.-

Satine alzò un sopracciglio.

Non poteva saperlo già.

- In fondo, è impossibile. Uno come me, per una come te…- e fece scorrere le mani sul corpo, come a dire insomma basta guardarmi i capelli, sono quello che sono, che ci vuoi fare.

La duchessa, però, non capì.

- Eh?-

- Cosa?-

La ragazza scosse la testa.

- Io vorrei semplicemente che tu capissi che, per quanto possa fingermi spavalda, sono perfettamente consapevole di che cosa vi sto chiedendo di fare. Per cui, vorrei anche che tu tenessi in considerazione che qualunque cosa succeda, io vorrei che tu restassi sempre così.-

Questa volta fu il turno di Obi Wan di non capire.

- Potremmo morire, Obi Wan. Potremmo essere messi in condizione di non poterci garantire reciproca protezione. Io potrei morire. E non voglio che questo ti cambi. Tu sei un ragazzo meraviglioso, sei speciale così come sei, per la luce che ti porti dentro e per il modo che hai di sceglierla sempre, anche a discapito dei tuoi interessi. Vorrei che qualunque cosa accada, tu continui ad essere te stesso, con tutta la luce che porti con te.-

Poi, con gli occhi bassi, mormorò:

- Non usare mai il tuo potere per fare del male. Se si trattasse di te, io lo farei. Esploderei. E se posso farlo io senza la Forza, quello che puoi fare tu è distruttivo. Non voglio. Voglio che tu resti la bella persona che sei. Se dovessi morire - e, se ci pensi, la profezia di Nebrod per quanto ne sappiamo potrebbe essere ancora valida - vorrei che tu vivessi nella luce anche per me. Resta buono. E’ di questo che mi sono… Beh… Se tu cambiassi, non saresti più tu, capisci?-

Obi Wan rise al suo goffo tentativo di non dire l’ovvio. Evidentemente, per una Mando integerrima, le cui relazioni sentimentali erano funzionali alla famiglia, irriducibile come solo lei poteva essere, quello che i due avevano instaurato era indefinibile.

Nel suo caso e per la sua cultura forse era corretto dire che non aveva davvero le parole per identificare la loro relazione.

In fondo, non le aveva nemmeno lui. Innamoramento? Amore? Cotta adolescenziale?

Un Jedi e una Mando non potranno mai avere una relazione normale, nemmeno nel nome.

Decise di darle tempo per venire a patti con i suoi sentimenti.

Quello che gli stava dicendo, però, aveva senso. Lei si era innamorata di una persona buona, di un portatore di luce, non di un cavaliere dell’ombra.

Se lui avesse usato la Forza nel modo sbagliato, se avesse ceduto alla rabbia, sarebbe diventato un mostro. 

Sarebbe diventato un Sith.

Satine stava cercando di mettere in chiaro che amava un jetii. Se lui fosse diventato un darjetii, non sarebbe più stato Obi Wan e lei non lo avrebbe amato più.

Gli stava chiedendo di non cedere all’odio per lei, ma non solo.

Gli stava chiedendo di continuare a vivere nella luce anche per lei.

Gli stava chiedendo di tenerla viva in quel modo. 

La prima cosa che hai pensato è stata che tu non sei abbastanza per lei.

Lei, invece, ancora una volta, ti ha messo il cuore in mano.

Sospirò, accarezzandole i capelli corti.

- Per te lo farò. Mi devi promettere, però, che anche tu farai lo stesso. Qualunque cosa succeda, continua ad essere la mia Satine. Anzi, sii un po’ meno depressa. Vivere nella luce significa anche vivere felici.-

Adesso che aveva la certezza, Satine si sentiva più leggera, e non le sfuggì l’inflessione del giovanotto, seduto pericolosamente vicino a lei.

E soprattutto, seduto sul letto.

Insomma, avete condiviso situazioni più intime ultimamente.

Tipo fargli il bagno.

Sai, si è nudi, di solito, quando ci si lava.

Scacciò dalla mente quell’immagine, ma subito ne seguì un’altra.

La mia Satine.

La sua Satine.

Le piaceva. Aveva sempre rifuggito come la peste l’idea di essere il possesso di qualcuno, ed invece in quell’occasione si trovava ad arrossire.

Che cosa era cambiato?

La risposta, però, fu semplice e la trovò immediatamente mentre tornava a dormire - o almeno a provarci - e Obi Wan si apprestava a dare il cambio a Qui Gon.

Non era cambiato assolutamente niente.

Il padawan non aveva provato ad imporle i suoi punti di vista. Non le aveva impedito di tagliarsi i capelli, nonostante avesse reso manifesto il fatto che amasse quei fili biondo alba. Anzi, da quando se li era tagliati non aveva fatto altro che passarci le dita, non in un modo nostalgico, bensì con interesse, quasi a volerle dimostrare che, nonostante tutto, l’apprezzava lo stesso.

Non le aveva chiesto di cambiare se stessa per conformarsi alle sue esigenze. 

Semmai, Obi Wan aveva assorbito il suo comportamento, la sua inflessione, anche quando parlava Mando’a, e lei aveva imparato parte delle vie dei Jedi senza entrare in conflitto, aveva ascoltato le loro storie ed aveva abbracciato tutti i loro limiti, soprattutto quelli del ragazzo, la sua pudicizia, il suo bisogno di rispettare parametri del Codice che faticava a capire. 

Non era possesso. Era accettazione, assimilazione, la volontà di darsi importanza a vicenda.

Per questo non le dispiaceva che lui la definisse sua. In un certo senso, lei era in parte sua, almeno tanto quanto lui era in parte suo. Lo era quando provava a immaginarsi al fianco di Gar Saxon e le venivano i brividi. Essere accanto a lui, invece, era normale. Era quello che voleva, e lo voleva proprio perché Obi Wan amava la sua libertà almeno tanto quanto lei amava quella del ragazzo.

Quindi, prima di provare a riposare un poco, risolse che sì, non le dispiaceva per niente l’idea di considerarsi sua.

Anche se non avrebbe mai potuto esserlo davvero.

Lui appartiene alle stelle e alle stelle ritornerà.

Sì, ma per il momento, era sua. 

E lui era suo.

La notte trascorse tranquilla e si trovarono, verso l’ora dell’alba, in vista di Kalevala. 

Oh, diamine, ma quanto tempo è passato?

Il pianeta si stava lentamente scongelando. Il termine, considerato quanto aveva raccontato Satine sul suo inverno, era azzeccatissimo. C’erano ancora alcune tracce di bianco, soprattutto nelle fasce polari, ma il pianeta stava lentamente diventando verde. Le prime striature cominciavano ad intravedersi nella fascia equatoriale, ed in parte anche nell’emisfero centro settentrionale e meridionale. 

Aveva dei colori bellissimi.

Sarebbe stato ancora più bello se, invece di essere costellato da navi da guerra e da pezzi di spazzatura spaziale, il terzetto avesse avuto la visuale libera, ma purtroppo Saxon e Vizla sembravano aver stanziato permanentemente una stazione medica e alcuni grossi starfighter, dai cannoni ancora più grossi. 

Qui Gon sospirò e, quatto quatto, guidò la navicella lontano, provando a passare inosservato.

Attraversare quel tratto di spazio aereo era fuori discussione. Allo stesso modo, però, si sarebbero trovati in difficoltà passando da un altro punto della stratosfera, perché avrebbero dovuto procedere volando bassi e quindi intercettabili dai radar. 

Come le Abiik’ade avrebbero potuto vederli, avrebbe potuto farlo anche Vizla, Saxon e i Makyntire.

Se tutta quella manovra era una grossa trappola per braccare Satine Kryze, in quel modo avrebbero fatto soltanto il loro gioco.

Per questo motivo Qui Gon, prendendo spunto da un’affermazione di Satine, aveva chiesto delucidazioni alla generale prima di partire.

- Inga, chiedo venia, ma come fate a comunicare tra di voi?-

- Che intendete dire, maestro? Volete le nostre frequenze?-

- Oh, no, non mi permetterei mai. Tuttavia, sono dell’idea che usiate un meccanismo particolare. In fondo, se i Vizla controllano le reti principali, sono anche consapevoli che comunicherete su quelle secondarie. O non hanno i mezzi per tenervi d’occhio, o voi riuscite a disturbare l’audio degli ascoltatori che tentano di intercettare le vostre conversazioni criptate. Considerata la libertà con cui vi esprimete, propendo per la massima sicurezza delle comunicazioni.-

Inga era una donna molto particolare, fiera e libera come il vento, che in diversi anni di vita non si era mai legata a nessuno, non perché non ne fosse attratta o perché non ne avesse voglia, ma perché non aveva mai trovato nessuno, almeno a suo dire, che avesse i numeri per tenerle testa.

A giudicare dal modo in cui aveva guardato Qui Gon in quel momento, forse uno lo aveva trovato.

- I miei complimenti, maestro. Disturbiamo le frequenze con un programma specifico, per proteggere le comunicazioni.-

- Mi chiedo se non sia possibile replicare l’esperimento con un progetto su scala un po’ più ampia.-

Inga aveva riso senza celare troppo la sua ironia.

- Vedo che cominciate a ragionare come un Kryze, maestro.-

Ed in effetti il buon maestro non aveva fatto altro che chiedere un disturbo di frequenza, ma questa volta non intendeva proteggere alcuna comunicazione. 

Voleva semplicemente disturbare il radar.

Affinché il suo piano andasse in porto, però, erano necessari tempi certi ed azioni mirate. 

Questo aveva richiesto qualche calcolo.

Il Mare di Udesla distava da Kryze Manor qualche ora a velocità di speeder. Non era lontano, ma nemmeno vicino, abbastanza da richiedere una navicella rapida e, a voler proprio fare prima, un breve passaggio ad alta quota. Se uno starfighter dei Vizla avesse sostato sopra quella zona, quasi certamente li avrebbero visti. Per cui, sarebbero dovuti entrare come saette immediatamente nella zona di Udesla o non ne sarebbero mai venuti fuori.

Il disturbo che Inga e le Abiik’ade avrebbero causato non sarebbe durato in eterno.

Ci avevano pensato a lungo. Attaccare direttamente la torre di controllo e le comunicazioni sembrava troppo sfacciato. Già a cose normali Vizla si sarebbe insospettito per un guasto improvviso alle comunicazioni. Un attacco di quel genere avrebbe rappresentato un chiaro depistaggio.

Così, Qui Gon ed Inga avevano raggiunto un accordo. 

L’operazione si sarebbe sdoppiata. Al segnale lanciato dalla navicella, sarebbe stata lanciata una perdurante azione di disturbo nei confronti della torre di controllo e del radar. Parimenti, vi sarebbe stata un’azione delle forze ribelli presso un magazzino dei Vizla, una riserva di stoccaggio armi che era già stata presa di mira dai Kryze in vista della battaglia di Khader, che adesso veniva a costituire un buon diversivo. 

Dal giorno precedente, in cui il terzetto aveva deciso di lasciare Krownest per dirigersi su Kalevala, le Abiik’ade avevano cominciato a mandare, alternativamente, segnali di interferenza. I Vizla avevano chiaramente interpretato quel malfunzionamento come un problema tecnico interno ed avevano avviato delle procedure di controllo che non erano ancora state terminate.

Quando la loro piccola navicella, dunque, si trovò nel posto giusto al momento giusto, fu lanciato un segnale più forte che annullò l’operatività del radar per mezz’ora buona.

In più, un droide infettato con un chip riprogrammato era stato destinato ad azioni di sabotaggio, in modo da eliminare ogni eventuale prova che legasse quell’azione a Satine Kryze.

Sulle navi dei Vizla si era scatenato l’inferno, ma questo i tre non potevano saperlo. All’ennesima interruzione di servizio, i luogotenenti di Vizla avevano sbraitato a più non posso contro i Saxon, a terra, per la loro incapacità, mentre quelli urlavano a loro volta che dovevano farla finita di rompere le scatole e di lasciarli lavorare. Il droide fu trovato ore dopo, i danni furono riparati il giorno successivo, nessuno pensò mai ai Kryze e al loro piano e Satine fu nel giro di mezz’ora a terra sana e salva, con le mani già tra le frasche per nascondere la loro navicella.

Atterrarono ben lontano dalla Fortezza delle Cascate, a circa un giorno di cammino dalla casa dello zio Korkie. Satine aveva fatto loro notare che la scogliera, che si interrompeva qua e là con deliziose calette in cui aveva amato fare il bagno, nascondeva anche grotte e ripari a picco sul mare, dove nessuno sarebbe mai andato a cercare una navicella spaziale e che avrebbero eventualmente potuto usare in caso di disfatta come riparo temporaneo prima della loro partenza verso Aldeeran. Così, Qui Gon pilotò agilmente la navicella dentro una grotta abbastanza grande da accoglierli, disturbando la vegetazione bioluminescente che si illuminò per protesta.

- Che cos’è?- domandò Obi Wan, ammirando meravigliato quella grossa macchia di mucillagine luminosa che si espandeva fin sulle pareti della caverna.

- E’ una specie di fungo, innocuo per l’uomo, che si nutre prevalentemente di microorganismi acquatici e piccoli insetti. Non vi preoccupate, resta acceso per un po’ se disturbato, ma poi si spegne.-

Scendere giù dalla scogliera per recuperare la navicella e sparire nello spazio sarebbe stato facile. Salire sulla terraferma ed avviarsi verso la casa dello zio Korkie, un po’ meno. Avrebbero dovuto scalare la nuda roccia friabile a picco sul mare. I Jedi non avrebbero avuto problemi, ma Satine?

- Ho scalato un ghiacciaio con dei picchetti di osso, posso farcela.-

A volte Satine raccontava aneddoti talmente strani che i due Jedi non erano sicuri se crederle o no, tuttavia i fatti, con il tempo, tendevano a confermare la sua versione. Anche quella volta si dimostrò abile, seppur non come i Jedi, a scalare la parete di roccia.

Rimase indietro, tuttavia. I due se l’aspettavano. Loro erano addestrati ed avevano la Forza. Quella scalata per lei era molto più ardua, fosse anche solo per sollevare tutto il suo peso. 

Obi Wan guidava la fila, Satine era in mezzo e Qui Gon chiudeva il percorso. La duchessa sdrucciolò un paio di volte, ma riuscì ad aggrapparsi alla roccia con le dita e a tenersi in equilibrio. La corda che la legava ad Obi Wan, inoltre, rendeva la salita più sicura e i tre furono ben presto sulla cima verdeggiante della scogliera. 

Dalla vetta la vista era spettacolare. Il mare si estendeva sotto di loro a perdita d’occhio, grigio sotto il cielo dell’alba. L’aria ferma del mattino increspava appena la superficie e non c’era traccia di nubi all’orizzonte. La primavera stava arrivando ed invitava a fare il primo bagno in mare. 

La scogliera digradava gentilmente verso il basso. La macchia diventava sempre più rarefatta, man mano che l’altitudine aumentava, mentre più a valle si copriva di grosse piante verdeggianti dalle chiome a fungo.

Il terzetto fu ben presto costretto a scendere. L’area era troppo scoperta e Satine non era al sicuro. Non c’era modo di sapere se il diversivo di Inga Bauer stesse effettivamente funzionando o meno, per cui, prima si sarebbero nascosti, meglio sarebbe stato. Scivolarono giù, verso il basso, tra la vegetazione rarefatta e le sterpi marittime piegate dai resti della glaciazione, e poi discesero pian piano, fino ad imboscarsi nella foresta.

Nella pineta si stava bene. C’era un gran fresco. Gli aghi degli alberi trattenevano l’umidità e il venticello muoveva le foglie balsamiche facendo profumare l’aria di fresco e di resina. 

Camminarono nella pineta, guardandosi attentamente attorno. Satine li stava guidando nel folto del verde, scivolando pian piano sempre più lontano dal mare e sempre più lontano dalla villa dello zio Korkie.

Inga Bauer, sotto questo profilo, era stata categorica.

- Korkie è sorvegliato. Mi raccomando, occhi aperti e soprattutto non alla casa al mare.-

Il trio l’aveva presa alla lettera e, nel discendere dalla scogliera, invece di prendere la strada verso il mare, avevano tenuto la destra, prendendo quella per la collina. 

Ogni tanto sentivano ragliare sonoramente e Satine sorrideva, indicando in giro i resti del passaggio di alcuni susulurse.

- La mandria dello zio deve essere vicina. Hanno già razziato tutta la menta dopo il disgelo.-

Si fermarono a fare colazione all’ombra di un grosso pino fresco. Sgranocchiarono un poco delle loro razioni e Qui Gon ne approfittò per fare momentaneamente il punto della situazione.

Aveva ancora la sensazione che tutta quella manovra fosse in verità una grossa trappola per attirare Satine su Kalevala. Tutto quello che la ragazza aveva aggiunto, però, specialmente sulle conseguenze politiche della presa di Khader, lo avevano persuaso che la trappola fosse soltanto una delle ragioni per cui Larse Vizla aveva deciso di muoversi nel modo in cui si stava muovendo.

Sospettava, anche se non poteva esserne certo, che nella testa della duchessa cominciasse a formarsi un’ipotesi non del tutto infondata, ovvero che oltre a prendere Khader e riuscire a scompaginare le truppe di Vizla, fosse necessario procedere con un piano alternativo per riuscire a metterlo definitivamente nel sacco ed evitare la cattura.

Se davvero fosse riuscita a mettere a segno entrambi i colpi, quella sarebbe stata probabilmente la manovra politica più folle e allo stesso tempo più geniale che fosse stata messa in atto nella galassia da qualche centinaio d’anni a quella parte.

Era audace, ma poteva funzionare.

Quello che lo preoccupava di più, però, era un’altra cosa.

Obi Wan, per quanto avesse ricominciato ad allenarsi e per quanto stesse riprendendo la sua forma fisica ad una velocità quasi imbarazzante, era comunque rimasto ferito in modo estremamente grave. La scalata sembrava averlo provato e il peso dello zaino cominciava a gravargli sulla spalla ferita. Gli lanciò un’occhiata di sbieco mentre lo guardava mangiare la sua colazione con soddisfazione, e non potè fare a meno di notare che il ragazzo, ogni tanto, si massaggiava la spalla e tratteneva una smorfia che diceva tutto.

Non avrebbe potuto reggere ancora per molto.

Spostò gli occhi sulla duchessa, che mostrò di aver notato quel gesto. Lo guardava accigliata e il maestro poteva sentire gli ingranaggi nel suo cervello girare a vuoto per trovare una soluzione.

Poi, la sua espressione cambiò. Dovevano essersi incastrati, i suoi ingranaggi, perché tornò a guardare la sua colazione con aria soddisfatta e riprese a mangiare fino a che non ebbe svuotato la gamella.

I tre ripartirono, ma questa volta Obi Wan rimase indietro. Arrancava sotto il peso dello zaino e Qui Gon cominciava ad essere seriamente preoccupato.

- Satine.- le disse, trattenendola per un braccio.- Non ce la fa.-

- Lo so.- gli rispose, guardandolo con aria contrita.- Ma la mandria di susulurse è vicina, e sono convinta che non sia custodita. Avete visto anche voi che sono animali molto domestici, tornano a casa da soli. Mi conoscono, almeno uno di loro non avrà problemi a seguirmi, se lo corrompo con un po’ di menta. Caricheremo gli zaini su di lui.-

I susulurse avevano provato di essere eccellenti bestie da soma e l’idea era buona. Attesero che il ragazzo li raggiungesse, ma con loro grande dispiacere, il giovane si gettò a sedere su un tronco e posò lo zaino, con il volto contratto per il dolore.

- Riesci a camminare ancora un po’?- chiese il maestro, poggiandogli una mano sulla testa.

- Sì. Sto bene.-

- No. Non sta bene.- concluse Satine, scuotendo il capo.

Ci aveva pensato, beninteso. Sapeva che Obi Wan non era pronto per tornare a combattere come prima. Forse, non lo sarebbe stato ancora per molti mesi. Sarebbero dovuti andare via. Sarebbe stata la cosa più semplice. Satine sarebbe stata al sicuro ed Obi wan avrebbe avuto tempo per riprendersi. Su Aldeeran gli avrebbero prestato le migliori cure, quelle che lei - e il suo sistema, fino a che non fosse diventata Mand’alor - non potevano offrirgli. 

Eppure, se avessero perso Khader nulla di tutto questo sarebbe mai esistito. La gente avrebbe continuato a morire. La sanità non sarebbe mai stata riformata. La vita normale delle persone non sarebbe mai ripresa.

L’errore, semmai, lo aveva fatto il Consiglio Jedi rifiutandosi di mandare, se non un sostituto, almeno un droide medico. 

Satine ci provava, a convincersi che quella era la via della Forza, che qualunque cosa fosse destinata ad avvenire con la loro sortita a Khader fosse scritta nel destino e nell’eterno gioco degli equilibri, ma vederlo soffrire la faceva tentennare nelle sue posizioni e, soprattutto, la faceva sentire in colpa.

- Posso farcela.-

- Se ti sforzi troppo ti scompensi, Obi Wan. Resta fermo dove sei. Vado a prendere un susulur.-

Qui Gon fece tanto d’occhi.

- Non se ne parla. Se mai, ci vado io. Nonostante Ruusaan volesse costantemente mangiarmi i vestiti, avevo instaurato un certo legame con lei. Credo di sapere come prendere un susulur, ormai.-

Satine annuì e guardò il maestro incamminarsi da solo nella pineta, sperando che non succedesse nulla a nessuno dei tre.

La duchessa si sedette accanto ad Obi Wan, che brontolava tra i denti.

- Sai, sembri tornato ai buoni vecchi tempi in cui borbottavi sempre come una pentola di fagioli.-

Il padawan le lanciò un’occhiata in tralice e sembrò contrariato.

- Avrei anche potuto farcela. Dovevo solo fermarmi un momento.-

- Non ne dubito. Poi, quando sarai in scompenso cardiaco, ti fermerai del tutto.-

- Andiamo, Satine! L’unico Jedi decente se n’è andato alla ricerca di un asino e tu sei qua senza protezione! Se non sono nemmeno in grado di portare uno zaino, secondo te, come posso essere in grado di difenderti? E’ stata una pessima idea. Dobbiamo fermare Qui Gon.-

- Obi Wan.-

- Adesso andiamo, cinque minuti e poi…-

- Ben, per favore, basta. Sei nel panico.-

E niente, non ce la faceva proprio ad ignorarla quando lo chiamava così. Non aveva mai capito da dove venisse quel nome e la ragione per cui lo pronunciasse solo ed esclusivamente quando erano soli, ma quando lo chiamava così gli veniva impossibile dirle di no, qualunque cosa gli avesse chiesto.

Inoltre, aveva ragione. Era nel panico. Si sentiva inutile e tutta una serie di meccanismi psicologici ben radicati nella sua testa cominciarono nuovamente ad emergere.

Fai pietà.

Bandomeer. 

Dovevi restare su Bandomeer.

Tu non sei fatto per essere un Jedi.

I Jedi sono perfetti e tu non lo sei.

Non sei in grado.

- Qualunque cosa tu stia pensando toglitela dalla testa, Ben.-

- Fosse facile.-

- Tu sei speciale, sei bravo, intelligente, e pure bello, diciamocelo.-

Obi Wan scosse il capo.

- Non sono niente di tutto ciò.-

- Forse, ma lo sei per me, quindi smettila di deprimerti. Ti fa male il collo, dopo quello che hai passato è il minimo. Jedi migliori di te sono morti per ferite come le tue. Non sei al cento per cento, vero, ma direi che ti puoi accontentare.-

Aveva ragione, naturalmente, ma per la sua testa nel panico diventava complesso processare tutti i pensieri.

Così, Satine decise di passare al contrattacco.

- Adesso ti siedi con me e meditiamo insieme, va bene?-

L’aveva visto fare spesso ai due Jedi, in quei giorni difficili. Quando Obi Wan si era trovato in difficoltà e la frustrazione aveva avuto la meglio, Qui Gon si era seduto per terra ed aveva meditato con lui. Certo, qualunque cosa il maestro avesse fatto per infondergli calma non era replicabile da parte di Satine, che poteva confidare solo nella sua presenza, ma tanto sarebbe bastato o almeno ci sperava.

Dal canto suo, Obi Wan cominciava a chiedersi quanto Satine stesse apprendendo davvero da loro, e soprattutto da Qui Gon. 

Il maestro, di ritorno dalla sua scampagnata e con un susulur che gli trotterellava dietro, attratto dal cespo di menta che reggeva in mano, li trovò così, seduti per terra a meditare, schiena contro schiena, Obi Wan che galleggiava sospeso nell’aria portando con sé la duchessa, e la duchessa che abbracciava con la Luce di Mandalore la Forza attorno a lui.

Questi due sono due facce della stessa medaglia.

Percependo la sua presenza, il padawan aprì un occhio e depositò la ragazza delicatamente a terra. Satine, dal canto suo, ne approfittò per mettere immediatamente tutti gli zaini sulla povera bestia, per poi afferrargli la cavezza e cominciare di nuovo a camminare. 

La scalata fu più agevole e la presenza del susulur permise loro di arrampicarsi su per la collina anche in passaggi più accidentati che diversamente avrebbero dovuto aggirare, esponendosi al fianco scoperto del colle.

- Maestro, ma la cavezza ce l’avevate voi?-

- No. Anche a me è sembrato strano. Tutte le bestie ce l’avevano.-

Questa dev’essere una trovata dello zio.

Perché non c’era alcun dubbio che quelli fossero gli animali di suo zio. Erano della stessa razza e il pelo era stato tosato sulla zampa sinistra a forma di campanula canterina. Non esisteva nessun altro clan che li allevasse in quella zona o che avesse un simbolo simile.

Pensare ad una trappola le sembrava esagerato, così prese per buona la teoria che lo zio, avvisato della sua venuta, avesse lasciato la cavezza per poter meglio condurre i susulurse alla sua casa in collina. 

Qui Gon tenne dietro alla duchessa per tutto il tragitto, ma non staccò mai gli occhi dal suo giovane padawan. Era sudato fradicio e sembrava non farcela più. Furono costretti a fare un’altra sosta, immersi nel verde delle piante secolari della collina.

Satine prese una bacca e la mangiò.

- Siete sicura che siano commestibili?-

- Scherzate? Da queste si fa l’olio più buono di tutta Kalevala. Servitevi pure, se volete uno spuntino. Sono coltivate senza pesticidi e trattamenti antiparassitari. Sono piante secolari, patrimonio planetario.-

Così, mentre aspettavano che Obi Wan riprendesse le forze ancora una volta, i due si fermarono a sgranocchiare bacche per una buona mezz’ora. Satine prese ad accarezzare l’animale, che pareva averla presa in simpatia, e ne approfittò per corromperlo ancora con un po’ di menta.

- Non possiamo permetterci che decida di tirare i remi in barca e piantarci in asso in mezzo alla prossima salita.-

Il maestro era assolutamente d’accordo con lei. Il suo padawan non avrebbe mai potuto procedere oltre con lo zaino in spalla, e la duchessa lo sapeva. 

Mentre il sole si alzava man mano in cielo e Satine ne approfittava per respirare l’aria di casa ed ascoltare gli insetti frinire, Qui Gon ed Obi Wan decisero di intrattenere una breve conversazione nella Forza.

Che cosa è successo, prima?

Oh, niente. Ho avuto un attacco di panico. Di nuovo. Francamente questa cosa comincia a darmi sui nervi.

Qui Gon rimase quasi stupito dalla disinvoltura con cui il ragazzo aveva parlato dei suoi sentimenti. Di solito era sempre molto chiuso. Le emozioni non esistevano, non potevano essere mostrate, c’era solo la pace e il Codice Jedi e nient’altro. 

Vivere con Satine stava cominciando a cambiare la sua prospettiva, e forse questo era un bene. 

Sei riuscito a gestirlo?

Sì, mi ha aiutato lei. Quando s’è resa conto che parlare non serviva a niente, si è messa a meditare con me. In tutta onestà, maestro, dovete smetterla di passare così tanto tempo assieme. Sta diventando come voi!

Il maestro abbozzò un sorriso e anche sul suo stomaco un animaletto che si chiamava orgoglio aveva mosso una zampetta, felice. 

In fondo, anche lui si stava affezionando a quella ragazzina bionda con la faccia da birba che aveva la forza di uno starfighter, il cervello fino e il cuore di panna.

Per la stima che ho di lei, devo ringraziarti per il complimento. 

Vorrei tanto sapere come fa. Io sono scarico, e lo accetto, ma lei non esaurisce mai le pile!

Stai attento, ragazzo mio. Lei, le batterie, sospetto che le abbia finite da un pezzo. Riesce a trovare la forza di andare avanti in ciò che la circonda, e quando non la trova lo nasconde, fino a che non le diventerà impossibile e scoppierà. Non fidarti mai dell’apparenza. 

Aveva ragione e lo sapeva. Satine aveva dato loro modo di capirlo fin da subito, con le notti insonni, gli incubi e le difficoltà a mangiare, ma da un pezzo a questa parte sembrava diversa, più energica, più convinta di quello che stava facendo e meno fragile. Era andata sempre crescendo e appariva radiosa nonostante fosse il momento più difficile di tutti.

Non capisco. Non è cambiato nulla da quando è partita, anzi, forse la situazione è andata sempre peggio. Adesso ha addirittura un Jedi solo. Almeno prima ne aveva uno e mezzo.

E invece, per lei è cambiato tutto, ragazzo mio. Non è più sola.

E certo. Adesso c’era lui. I sorrisi erano aumentati dopo il loro ballo sotto le stelle, così come l’autostima, la sicurezza di sé. Satine sembrava credere in se stessa per la prima volta dopo tanto tempo. Mai come in quel momento era apparsa ai loro occhi come la legittima Mand’alor.

Tutto questo l’ho fatto io?

Pensa a quanto potrebbe fare ogni singolo uomo, se fosse in grado di ascoltare il proprio cuore di più e pensare un po’ di meno. 

- Beh, avete finito di intrattenere conversazioni segrete alle mie spalle?-

Qui Gon sorrise.

- Parlavamo male di voi.-

- Non ne dubitavo.-

- Direi che possiamo ripartire.- fece Obi Wan, mettendosi in piedi ed agguantando una bacca.

E così fecero. Salirono su per la collina, in mezzo al trifoglio, alla menta e a quelle belle piante secolari che profumavano di antico. Il povero padawan era fradicio di sudore quando arrivarono ad uno spiazzo erboso e ben curato, dove trovarono un uomo dai capelli rossi sparati da tutte le parti con una spiga in bocca a godersi il sole sotto ad una pianta.

- Ba’vodu!-

La duchessa gli corse incontro e i due si abbracciarono come se non si vedessero da secoli. Lo zio Korkie, a dire la verità, non sembrava un amante delle effusioni. Rispose al calore di Satine a scoppio ritardato, con un paio di pacche sulle spalle, ma a giudicare dall’espressione del volto era davvero felice di vederla.

Obi Wan si fermò contro un tronco, la bocca spalancata in cerca d’aria, coperto di sudore. Lanciò uno sguardo tragicomico al suo maestro e parve implorare pietà. 

Basta, per l’amor della Forza, staccatele le batterie!

- Ben arrivata. Vedo che hai preso Chaavla. Sono contento che sia riuscito a tenere la cavezza. Trova sempre il modo di togliersela, quel mariolo.-

- Posso presentarti il maestro Jedi Qui Gon Jinn e il padawan Obi Wan Kenobi?-

- Korkie Bauer, piacere mio.-

Poi, l’uomo lasciò scorrere lo sguardo indagatore sull’aspetto comico del ragazzo.

- Il giovanotto ha l’aria di uno che non se la sta passando molto bene.-

- E’ stato attaccato da un branco di spettri. E’ vivo per miracolo.-

- E se l’è fatta tutta a piedi fino a qui? I miei complimenti. Quello che dicono a proposito della resistenza dei Jedi è vero.-

Satine lanciò un’occhiata saccente ad Obi Wan.

Che t’avevo detto?

Ma lo zio non diede loro il tempo di riflettere.

- Non possiamo restare troppo tempo all’aperto. Venite, entriamo. La casa non è pulitissima come quella al mare, ma credo che ci potremo accontentare, fintantoché funziona il riscaldamento e l’acqua corrente.-

Il susulur ragliò e tenne loro fedelmente dietro, riconoscendo il padrone. 

Già, la casa al mare.

Obi Wan lanciò uno sguardo in tralice al maestro, che, apparentemente, si stava facendo la stessa, medesima domanda.

Ma quest’uomo non doveva essere il sorvegliato speciale dei terroristi, nella sua villa al mare?

Mentre osservavano lo zio incamminarsi a piedi nudi sull’erba, diretto alla casa, con un braccio attorno alle spalle di Satine, il maestro e il padawan ebbero la certezza assoluta che dovevano ancora vederne delle belle.

 

Venne fuori che anche qualcun altro aveva tratto vantaggio dal disturbo dei radar.

Lo zio li aveva condotti all’interno della sua umile - si fa per dire - dimora. L’ingresso era antico e parzialmente affrescato, intonacato di bianco e molto luminoso. Le scale di pietra sembravano avere centinaia di anni, ma la parte più bella della casa era il tetto. Obi Wan non sapeva se l’uomo lo avesse fatto volutamente o se avesse semplicemente ricostruito il soffitto mancante a quel modo, ma era stato un colpo di genio. In soffitta c’era un grosso telescopio puntato verso la galassia, sotto una cortina di vetro e beskar che poteva essere aperta dall’interno. 

Obi Wan ne era rimasto affascinato, e sperava di poter andare a guardare le stelle da lassù almeno una volta, prima di lasciare Kalevala.

Le loro camere erano chiuse da diverso tempo e c’erano lenzuola bianche a coprire i mobili. Satine ed i due Jedi ci misero poco ad aprire la finestre e a togliere i veli. 

La polvere svolazzò da tutte le parti e li fece starnutire. 

Poi, si fecero una bella doccia calda, ognuno nelle rispettive stanze.

Il padawan, tuttavia, non rimase ignaro del trambusto che stava avvenendo a piano di sotto. Tese l’orecchio, per cercare di comprendere che cosa si stessero dicendo le parti coinvolte, ma non ci riuscì. Meditò un po’, sperando di capirci di più, ma tutto quello che riuscì a comprendere era che c’erano tre forme di vita al piano di sotto e che non sembravano rappresentare un pericolo per la duchessa.

In ogni caso, decise di passare all’azione.

Bussò alla porta del bagno mentre Qui Gon si stava ancor lavando. 

- Maestro?-

- Ragazzo mio, sarei sotto la doccia e leggermente nudo…-

- Ci sono altre persone in casa. Non sento un pericolo, ma potremmo essere attesi al piano di sotto. Preferirei fare la guardia alla porta della duchessa.-

La testa di Qui Gon spuntò da una nuvola di vapore. 

- Sono d’accordo. Tieni gli occhi aperti. Arrivo tra poco.-

Così, il giovane si appostò fuori dalla porta della stanza della ragazza, non prima di aver bussato cautamente.

- Chi è?-

- Obi Wan. Apri, per favore.-

Satine aprì la porta solo un poco, per evitare di farsi vedere. Era ancora stretta nell’asciugamano e provava ad asciugarsi il pixie cut con uno più piccolo. 

- Che succede?-

- Ci sono altre persone al piano di sotto. Potresti non essere al sicuro. Non percepisco pericoli imminenti, ma preferisco farti la guardia. Guardati attorno, va bene?-

Satine annuì e tese l’orecchio per ascoltare. Scosse il capo, confusa, e chiuse di nuovo la porta per finire di asciugarsi. 

Obi Wan rimase fuori, sulla soglia, a meditare, cercando di togliersi dalla testa l’immagine della ragazza seminuda e bagnata. 

Potrebbe essere in pericolo.

Non è il momento.

Eppure non poteva fare a meno di pensarci. C’era qualcosa di incredibilmente attraente e pericolosamente accessibile in lei. L’aveva vista in situazioni molto più intime. Fuggire nei boschi non garantiva di certo la privacy, anche se per quanto riuscivano, ci provavano. Le condizioni che lo avevano afflitto, poi, non avevano fatto altro che costringerli ad un’intimità inattesa e allo stesso tempo sorprendente. 

Una parte di lui era consapevole che lei non sarebbe scappata, se Obi Wan avesse provato a toccarla, e questo gli faceva paura.

C’era solo una porta a separarli, e lei era di là, forse ancora nuda. Ci sarebbe voluto pochissimo ad abbassare la maniglia ed entrare. 

Allora perché non farlo?

Perché era sbagliato. Perché lei aveva diritto ad essere rispettata come persona e come duchessa.

Le altre volte è stato necessario.

Questa è una scelta deliberata.

Non puoi approfittarti della sua disponibilità.

Tuttavia, il vagare del suo pensiero fu presto interrotto da un suono metallico, una voce robotica proveniente dal piano di sotto.

Non sapeva se Korkie Bauer avesse un droide di protocollo, e in tutta onestà quella storia puzzava. Come poteva un uomo come lui, guardato a vista dai terroristi della Ronda della Morte, sparire dalla sua villa al mare e giungere in collina senza farsi vedere? Oltretutto, accogliendo anche ospiti?

Se non ci fosse stata la Forza a dirgli di star calmo, probabilmente avrebbe già portato via Satine di lì - e di corsa, anche - diretto verso Aldeeran.

La ragazza aprì la porta e lo raggiunse in corridoio proprio mentre il maestro Jinn usciva dalla sua stanza bello rinfrescato e profumato di agrumi.

- Vedo che il sacchetto di Satine fa ancora il suo dovere.-

- Assolutamente. Possiamo scendere. Obi Wan, tieni la duchessa tra di noi. Io vado avanti, controllo l’ambiente.-

Così, i tre scesero giù dalle scale, guardandosi attorno, e seguirono le voci fin dentro la sala da pranzo, un ambiente spazioso e dominato prevalentemente dal grosso tavolo circolare in legno antico.

Oltre a Korkie Bauer c’erano altre due persone. 

Lo zio aveva un sorriso sornione sul volto e i capelli ancora più sparati in testa di quando li aveva accolti.

Satine lo squadrò con aria interrogativa, prima di procedere a studiare gli ospiti. 

Erano un uomo e una donna, quest’ultima seduta su una sedia a rotelle e con un monitor vicino. Entrambi avevano i capelli grigi, e l’uomo aveva un vistoso paio di baffi che nascondevano la bocca, circondata da una folta barba grigia. Il cappellaccio che portava in testa e il mantello contribuivano a renderlo indecifrabile, e Satine era certa che, chiunque fosse, stesse cercando di nascondere la propria identità.

La vecchietta, invece, aveva un cappello con la veletta e una coperta sulle gambe. Tra le dita stringeva un bastone dall’impugnatura intagliata nel legno, raffigurante un animale che nessuno riuscì in quel momento ad identificare.

Poi, il viandante sorrise apertamente e il cuore di Satine si fermò.

- Athos?-

Il briccone si tolse il capello e la barba finta, sfoderando trentadue denti in una risata gustosa, ma la vera sorpresa venne quando l’anziana signora alzò una mano per togliersi la veletta.

- BUIR!-

Satine gli corse incontro e gli si agganciò al collo, buttando il cappello all’aria lontano da lui e facendo rotolare il bastone per terra.

Obi Wan e Qui Gon non sapevano esattamente che cosa pensare. Era la prima volta che si trovavano fisicamente di fronte ad Athos e la prima volta che vedevano il duca.

Di certo non si erano immaginati di trovarselo davanti vestito da donna e con la parrucca.

Era un bell’uomo, Adonai Kryze. O almeno, lo era stato. Era estremamente magro, probabilmente a causa della perdita di massa muscolare per l’immobilità forzata dopo l’attentato. Allo stesso tempo, però, aveva un bel viso. Forse, un po’ scavato sugli zigomi, ma ciò non faceva altro che accomunarlo a Satine, evidenziando i tratti che le aveva trasmesso. Aveva i suoi zigomi, appunto, ma anche la sua bocca e i suoi capelli, biondi come le luci dell’alba e elettrostatici per colpa della parrucca. 

Gli occhi, invece, erano verdi screziati di scuro, tigrati come quelli di un animale selvaggio, e lanciavano dardi d’intelligenza tutto attorno. 

In quel momento, però, guardavano la figlia come se fosse stata la gemma più preziosa dell’universo.

Gli tremavano le mani, di un tremito che non era indotto dall’emozione, bensì dai nervi danneggiati. Con aria perplessa, le passò i palmi sulla testa e le dita nei capelli, guardandola con aria interrogativa. 

- Sì, ho dovuto tagliarli per depistare i cacciatori di taglie. Come sto?-

L’uomo annuì, e poi le schioccò un bacio sul naso e sulla fronte con quello che restava della bocca.

Era stata la cosa che aveva sconvolto maggiormente Obi Wan. Della parte inferiore del viso e del collo restava poco. La bocca era prevalentemente corrosa e solo un leggero pallore indicava l’esistenza delle labbra, pur mantenendo la dentatura coperta. Cicatrici cheloidi gli rigavano le guance fino alle orecchie, fino a raggiungere la parte superiore del collo.

Sembrava di guardare le gocce di un liquido corrosivo scavare solchi nel tessuto. 

Soppresse un brivido. 

Satine piangeva, ma sembrava ringiovanita di dieci anni. Le brillavano gli occhi e per un momento parve essersi dimenticata della presenza dei due Jedi. Poi, voltandosi a guardarli, raddrizzò la schiena e li indicò entrambi a suo padre.

- Papà, questi sono i migliori uomini della galassia. Il maestro Jedi Qui Gon Jinn e il padawan Obi Wan Kenobi.-

Il duca lanciò loro un’occhiata penetrante e rimase a squadrarli mentre si inchinavano educatamente.

Poi, il monitor accanto a lui si illuminò. 

- Sono onorato di fare la vostra conoscenza. Vi assicuro che in circostanze normali non vesto da donna. Il dovere e il desiderio di rivedere mia figlia, però, me l’hanno imposto. Il mio compagno di scorribande è Athos, che a cose normali fa il maggiordomo, ma credo che voi questo lo sappiate già.-

- Ci siamo già incontrati, anche se solo attraverso un ologramma.- concluse il maestro, accondiscendente.- E vi possiamo garantire che non badiamo all’abbigliamento. Se preferite, non faremo parola a nessuno del vostro piccolo escamotage.-

- Ve ne sarei eternamente grato.-

Poi, lanciò un’occhiata verso Athos e gli tese la mano. 

L’uomo accorse subito e lo sostenne mentre cercava di tirarsi su appoggiandosi al bastone.

- Buir, tion’meg nar’gar?-

Athos, però, le fece cenno di lasciarlo fare.

Gli tremavano le mani e ci mise un poco a raddrizzarsi, in posizione eretta sulle gambe, ma, con grandissimo stupore della ragazza, suo padre stava in piedi.

E, con suo ancor più grande stupore, mosse un passo verso i Jedi.

Strascicando i piedi, passetto per passetto, il braccio di Athos da una parte e il bastone nell’altra, il duca chiuse la distanza tra loro e, mollato il bastone, tese loro la mano. 

Qui Gon rispose con una stretta ferrea, in puro stile coruscanta. Obi Wan, invece, preso alla sprovvista, rispose istintivamente con un gesto inconsulto e gli strinse l’avambraccio alla maniera dei Mando.  

Il duca rimase a fissarlo, gli occhi intelligenti che dardeggiavano sul suo viso.

Il padawan si sentì avvampare, ma non abbassò lo sguardo, nonostante la tentazione.

Si sentiva nudo come un verme.

Perché ho la terribile sensazione che sappia tutto?

Dal modo in cui lo studiava, e soprattutto dal contatto prolungato sul suo braccio - che non passò inosservato neppure a Qui Gon - Obi Wan dedusse che lo stesse soppesando per via della stretta di mano insolita che aveva stuzzicato la sua attenzione.

Un’altra parte di lui, invece, aveva la terribile impressione che l’uomo sapesse tutto, ma proprio tutto.

Sa che fantastichi su sua figlia nuda.

Ma no, è impossibile.

Lanciò uno sguardo in tralice a Satine, che si asciugava gli occhi nel mantello del maggiordomo.

Ti ricordi com’era quando l’hai conosciuta, vero?

Azzeccò i tuoi pensieri alla lettera. Beccò persino Mace Windu.

Se tanto ti dà tanto, ha preso da lui.

Allora è peggio: lui sa che l’hai VISTA nuda.

Sotto lo sguardo indagatore del duca, che il padawan sostenne con dignità nonostante il volto purpureo, il giovane voleva solo sotterrarsi e non emergere mai più.

Cercò di sorridere al massimo delle sue possibilità.

Poi, il monitor parlò.

- Tu sei il ragazzo che è sopravvissuto all’attacco degli spettri.-

- Sì, signore.-

- Ti trovo bene.-

- Grazie, signore.-

Il duca alzò un sopracciglio.

- Tutto a posto, sì?-

- Sì, signore.-

Obi Wan scorse Satine alle spalle del padre fargli dei gesti ad indicare la bocca.

Pare ti sia presa una paresi.

Cambiò espressione e anche lo sguardo del duca si addolcì.

Obi Wan recuperò il bastone, poggiato contro il tavolo, e si rese conto che l’impugnatura intagliata nel legno aveva la forma di una strana creatura alata dalla testa imponente e baffuta. 

Rimase ad osservarlo un secondo di troppo, destando l’attenzione dell’uomo.

- Quello è un bev meshurok.-

- Oh, quindi è così che sono fatti.- disse, tendendogli il bastone con garbo.

Un lampo di interesse solcò le sue iridi tigrate.

- Chissà, forse un giorno ne vedrai uno in carne, ossa e coda chiodata.-

- Lo spero, signore.-

- Se mi chiami ancora signore, ragazzo mio, sai che ci faccio con questo bastone?-

- Non c’è bisogno di dirlo, signor… duca.-

Adonai Kryze chiuse gli occhi ed emise uno sbuffo divertito, ed accettò di buon grado la sedia a rotelle che Athos gli aveva accostato alle gambe. 

Lo sforzo, evidentemente, era molto grande per lui.

- Come avete fatto?- chiese Satine, inginocchiandosi accanto a lui.- Il medico ha detto che non avrebbe mai più potuto camminare o muoversi in autonomia.-

- Infatti è così.- rispose Athos, pacato. Obi Wan pensò che avesse una voce molto bella, molto profonda. - Con un bel po’ di ginnastica siamo riusciti ad ottenere questo, ma di più, non può fare.-

- Scherzi? Mi pare già un mezzo miracolo!-

E si lanciò di nuovo al collo del padre, borbottando parole in Mando’a.

- Jate gar, jate gar, jate gar!-

E strusciò il naso contro il suo in segno d’affetto.

Il duca apprezzava, eccome. Se ne stava lì, ad occhi chiusi, a lasciare che sua figlia strusciasse il viso contro il suo e gli pettinasse i capelli elettrostatici. Sembrava non averne mai abbastanza. 

- Devo ringraziarvi per quello che state facendo per mia figlia. Capisco che quanto sta accadendo su Mandalore, e su Kalevala in particolare, non sia la vostra battaglia, tuttavia vi saremo eternamente grati per l’impegno che vi siete presi. Per essere al sicuro, mia figlia dovrebbe trovarsi dovunque fuorché qua, ma tant’è.-

- Sono d’accordo con voi, duca, ma comprendiamo che questo sia per voi un momento cruciale, e per questa ragione proteggeremo la duchessa pur non condividendo del tutto la sua decisione di partecipare alla battaglia di Khader.-

L’uomo annuì e scambiò uno sguardo d’intesa con Qui Gon. 

Il tavolo era imbandito di tante cose buone. Lo stomaco di Obi Wan brontolò alla sola vista di tutto quel ben della Forza. Non fece obiezioni quando lo zio Korkie li invitò a sedersi e si servì abbondantemente di una pietanza bianca e molle che odorava tantissimo di latte.

Satine lo invitò ad assaggiare e gli riempì il piatto di pane alle bacche, quelle che avevano mangiato sulle colline per fare uno spuntino. 

Obi Wan le intinse nella crema e ne mandò giù un solido boccone.

Gli si illuminarono gli occhi.

- Questo è formaggio di susulur. Com’è?-

- Spettacolare. Sa di fresco.-

- Ci credo, con tutta la menta che mangiano è già assai che non producano automaticamente latte e menta. Chi vuole favorire?-

Il duca aveva già mangiato con i vari stratagemmi legati alla sua condizione. Athos evidentemente no, perché si riempì il piatto con una porzione spaventosa di cibo. 

Qui Gon ponderò un momento la situazione, guardandosi attorno. A giudicare dalla quantità di cibo in tavola e dai piatti dei commensali, dedusse che i Kryze, oltre ad essere pazzi scatenati, erano anche delle buone forchette. Per cui, decise che non c’era niente di male a riempirsi il piatto a sua volta, e così fece.

Rimasero a tavola per qualche ora a parlare del più e del meno. Korkie portò in tavola anche del miele, assieme a dell’ottima carne salata. Satine si divertiva a far provare loro nuovi abbinamenti e trovava grande soddisfazione nel giovane padawan, che sembrava non perdere l’occasione per riempirsi lo stomaco di qualcosa che non fossero barrette: formaggio, focaccia, miele, tutto quello che gli capitava a tiro. Lo zio era talmente soddisfatto dalla riuscita del suo banchetto che gli versò pure un bicchiere di vino, che il padawan scolò senza troppe cerimonie con uno sguardo colpevole diretto al suo maestro.

Siamo in servizio, lo sai, vero?

Solo uno, maestro, promesso.

E Qui Gon lo lasciò fare, convinto che, dopo tutto, si meritasse di riprendere le forze con del buon cibo e con un buon calice di vino rosso. 

- Devo essere onesto, averne di commensali così! Fa soddisfazione veder apprezzare il proprio cibo.-

Obi Wan divenne rosso fino alla punta delle orecchie ed abbassò gli occhi, con gran dileggio di Satine.

- Il mio ragazzo, qua, mangerebbe anche i sassi pur di stare in piedi.- commentò Qui Gon, scuotendo il capo divertito.

Il duca, nel frattempo, aveva puntato la ciotola del miele e la guardava intensamente.

- Alla sua età, anche io mangiavo come un minatore. Quanti anni hai, ragazzo?-

- Diciotto, sig…-

L’uomo lo fulminò con lo sguardo e il padawan tacque.

- Allora no, alla tua età mangiavo come due minatori. In ogni caso, credo che Korkie apprezzi di avere qualcuno che mangia il suo pane senza dirgli che è duro come una suola da scarpe.-

Il maestro intervenne.

- Tutto questo lo fate voi?-

- Oh, sì, vino incluso.-

- I miei complimenti.-

Il duca, lesto come Obi Wan non si sarebbe mai aspettato da un uomo nelle sue condizioni, afferrò il cucchiaio pulito del maggiordomo, lo affondò nella ciotola del miele e se lo ficcò in bocca.

- Kyla!- gli disse quello, provando a fermarlo.

Il monitor gli rispose, piccato.

- Oh, piantala, razza di guastafeste. Il miele si scioglie. Posso ancora buttarlo giù.-

Athos lo guardò male. Satine, invece, scoppiò a ridere.

- E’ sempre bello vedere che certe cose non cambiano mai, eh, buir?-

- O non mi chiamo più Kyla Adonai Kryze!-

- Ad essere onesti - riprese il maestro - non mi è chiaro come, esattamente, voi possiate essere qua. Tutti e tre. Ci era stato detto che eravate sorvegliati a vista.-

I tre uomini si scambiarono un’occhiata complice.

- Niente di più vero.- mugugnò il monitor, mentre il duca sogghignava, le labbra che stringevano ancora il cucchiaio colmo di miele.- Ma l’oscuramento dei radar non è tornato comodo solo a voi.-

Athos spiegò loro che, con l’oscuramento, la loro navicella non poteva essere tracciata. Così, in un lampo di genialità, Athos e Kyla si erano travestiti e si erano fatti accompagnare fuori dal raggio d’azione dei guerriglieri. Lì avevano cambiato la navicella con una fornita dalle Abiik’ade, blindata, irrintracciabile e non segnalata, con la quale avevano percorso la distanza rimanente verso la casa dello zio Korkie. 

Al momento nessuno si era accorto di niente, e se qualcuno avesse sbirciato dentro Kryze Manor - come probabilmente avrebbero provato a fare - avrebbero trovato Maryam che faceva la balia ad un fantoccio nel letto al posto del duca, ed avrebbero scoperto che Athos era a letto con un’intossicazione alimentare e che non si sarebbe fatto vivo per un po’, ragione per cui la guardia attorno al maniero era stata rafforzata.

Lo zio Korkie, invece, era quello che se la passava meglio di tutti. Chiuso nella sua villa al mare, apparentemente continuava a fare la sua vita come sempre. Al mattino, lasciava liberi i susulurse. Alla sera, li faceva rientrare. Ogni tanto qualcuno lo vedeva impilare il fieno. Riceveva sempre i fornitori e i commercianti che compravano il formaggio da lui. C’era chi giurava di averlo visto alle macine, o al frantoio di sua proprietà, con sacchi pieni di granaglie ed orci gonfi d’olio. Avrebbero avuto ragione, perché Korkie effettivamente si trovava lì, sempre. 

Almeno, sempre quando era necessario farsi vedere. 

Quando non aveva nulla da fare - e la cosa accadeva spesso, soprattutto durante l’inverno - dopo aver fatto la sua comparsa giornaliera ed aver messo a tacere le spie silenziose che lo sorvegliavano, lo zio si ritirava in cantina, dove, a detta della popolazione locale - e anche dell’ufficio del catasto - aveva uno studio e una biblioteca piena di vecchi registri e libri mastri.

Nessuno si era mai fatto troppe domande, in virtù della tradizione rinomata su Mandalore secondo cui i Kryze sarebbero degli accorti gestori del loro patrimonio personale, al limite della taccagneria. 

Nessuno aveva mai scoperto la verità.

Sotto la casa al mare del buono zio Korkie si estendeva un lungo cunicolo che aveva fatto scavare ai tempi della prima guerra civile. Subito dopo la fine del conflitto, prevedendo la possibilità che se ne verificasse un altro, aveva fatto scavare quel tunnel in gran segreto, una catacomba che portava direttamente alla sua villa in collina, passandoci sotto. Così, lo zio campione di scacchi si faceva vedere una volta ogni tanto per poi sparire ad immergersi nei suoi conti solo apparentemente. Due volte al giorno faceva avanti e indietro dalla sua villa, disabitata e non sorvegliata, dove le imposte restavano sempre chiuse, ma dove l’uomo organizzava la guerriglia con gli ologrammi del duca Adonai e della generale Inga Bauer. 

Quando ebbero finito di mangiare, aiutarono a sparecchiare e a liberare il tavolo per piazzarci sopra un commlink. Era uno strumento rotondo e grosso per ricevere più frequenze e proiettare diversi ologrammi contemporaneamente.

Quel giorno avrebbero ricevuto solo un segnale.

Inga Bauer torreggiò tra loro, e nella sua forma olografica era quasi più imponente. Era piuttosto alta e ben piazzata, un fascio di muscoli temprato da anni di addestramento. Li guardava con aria seria ed importante, e le ali di bronzo tra i capelli la rendevano ancora più superba di quanto già non fosse.

Lanciò immediatamente un’occhiata a Satine.

- Piaciuta la sorpresa?-

- Eccome!-

La donna emise uno sbuffo divertito mentre Kyla stringeva le dita della figlia accanto a lui.

- Sai, quel mariolo non me l’aveva mica detto che ne voleva combinare una delle sue. L’avevo intuito, eh, che programmava qualcosa. Mi metteva in difficoltà con un sacco di domande sul radar e faceva sempre quella faccia che fa quando fa il finto tonto, sai?- e si lanciò in una perfetta imitazione di Kyla, con le sopracciglia sollevate e il viso falsamente assorto.

Satine rise.

- Mai avrei detto che avrebbe fatto una scempiaggine del genere, ma sono contenta che, se non altro, sia riuscito ad arrivare incolume e che stiate tutti bene. Athos? Immagino che tu abbia dovuto trascinare la carrozzina su per la collina.-

- Sono un osso duro.-

La generale scoppiò in una risata divertita.

- Maryam me l’ha già confermato, tranquillo.-

E fu così che scoprirono che il buon Athos il furfante sapeva arrossire, se non altro quando era coinvolta una certa governante di sua conoscenza.

Kyla gli diede di gomito e di sicuro non gli rese la vita più facile.

Il tempo delle risate, però, giunse ben presto al termine, e l’aria nella sala da pranzo si fece tesa. 

- Bene, signori, al bando i bagordi. Abbiamo una battaglia da pianificare. Vogliamo cominciare?-

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ba’vodu: zio, zia

Chaavla: lett. senza legge, per l’appunto, mariolo

Buir, tion’meg nar’gar?: papà, che cosa stai facendo?

Jate gar: sei grande

 

NOTE DELL’AUTORE: Ormai è risaputo che, purtroppo, la storia della duchessa non ha un lieto fine. In molti si sono chiesti per quale ragione il maestro Jedi non sia passato al lato oscuro, e l’interpretazione prevalente vuole che lo abbia fatto per lei, per non tradire i suoi ideali e per non essere niente di diverso da quello in cui lei aveva creduto. Ho voluto rendere onore alla scelta creando il casus, il momento in cui la duchessa gli ha espressamente chiesto di non passare dall’altra parte.

Il prossimo capitolo è lungo, vi avviso. Tipo, un bel po’ lungo. Tuttavia, racconta la battaglia di Khader - completamente inventata da me - e non è opportuno spezzarlo per non interrompere la narrazione.

Vedrà ben tre punti di vista: Satine e il trio, i Kryze e i Vizla. 

Si tratta pur sempre di una battaglia. Combattuta in modo inusuale, molto, ma pur sempre una battaglia, pagata sui corpi degli uomini ed anche - nel nostro caso soprattutto - delle donne. Fin da adesso vi avverto che ci saranno immagini che urteranno la vostra sensibilità. In particolare, potrebbero ferire chi ha una storia personale di violenza. 

Tutto è bene ciò che finisce bene, naturalmente. Del resto, il fine ultimo di questa storia è sottolineare come certi comportamenti e la guerra facciano schifo.

Al prossimo capitolo,

 

Molly.

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Capitolo 48
*** 39- Mirdal'ad ***


CAPITOLO 39

Mirdal’ad

 

ATTENZIONE: Alcun immagini urteranno sicuramente la vostra sensibilità.

 

Cavalcare un viinir non era per niente facile.

Satine sembrava perfettamente a suo agio sulla cavalcatura, ma Obi Wan tentennava. Le ali lo destabilizzavano. Ogni tanto la creatura le allargava senza volare, come se avesse avuto bisogno di respirare. La prima volta l’aveva quasi disarcionato.

Si era attaccato alla criniera per non cadere e l’animale non aveva apprezzato. Aveva nitrito, si era impennato e l’aveva mandato lungo steso per terra.

Satine era impazzita. Gli era corsa vicino, lo aveva tenuto per terra e lo aveva perquisito con le mani alla ricerca di qualcosa di rotto. Aveva insistito per controllare le ferite ed essere certa che non si fossero riaperte, e alla fine gli aveva permesso di salire di nuovo sull’animale. 

Il resto del loro viaggio era proseguito senza troppe interruzioni. 

Bukephalos era una creatura straordinaria. Era nero come l’ossidiana, il pelo, la criniera, gli occhi e le ciglia, le ali e la coda, l’intera cavalcatura sembrava fatta d’ebano e risplendeva sotto la luce del sole, appena velato da una leggera umidità che imbiancava a tratti il cielo terso. 

Aveva le zampe solide, massicce, ma nonostante trasudasse forza da tutti i pori era slanciato e leggero, flessibile, una creatura nata per solcare il vento, non per percuotere la terra. 

La criniera era talmente lunga che toccava quasi terra. A volte scuoteva la testa con maestosità, facendo fluttuare i crini neri dovunque. Obi Wan, guardando quella creatura speciale, aveva provato un senso di familiarità, come se lui e Bukephalos si fossero già incontrati da qualche parte.

Poi aveva ricordato la sua visione, quella che gli aveva salvato la vita, in cui l’animale aveva giocato con l’acqua. Lui non era mai stato a Kryze Manor, ma Satine sì, ed aveva riprodotto casa sua alla perfezione includendo anche il cavallo maestoso.

Bukephalos si era comportato da vero signore con lui. L’aveva annusato, girando le orecchie verso il ragazzo con interesse. Si era lasciato grattare il naso e aveva accolto con piacere qualche complimento, salvo poi sbuffare ed alzare il muso con disinteresse altezzoso, e piantarlo da solo per preferirgli Satine.

La cosa aveva suscitato l’ilarità del maestro, anche se sicuramente non l’aveva scatenata quanto il suo capitombolo dalla sella di un bel viinir grigio perla dall’aria placida.

- Lei è Ne’tra gal, è la viinir di una delle nostre migliori Abiik’ade, buona come un pezzo di pane, che ha un debole per il fieno fresco e a volte anche per qualcosa di alcolico.-

- Date gli alcolici ai cavalli?-

- No, ma a quanto pare, durante la prima guerra civile, c’è stata una sortita alla fabbrica e la bestiola, qua, è caduta dentro un barile di birra da piccola. Da allora ne apprezza l’odore e, evidentemente, anche il sapore.-

A quanto pare, il pezzo di pane non aveva apprezzato il suo cavaliere, almeno non all’inizio. 

- E’ probabile. Non credo che sia mai stata cavalcata da un uomo.-

Gli aveva girato attorno con fare altezzoso prima di farsi cavalcare di nuovo, questa volta con una maggiore tolleranza nei confronti del padawan, che alla fine sviluppò un certo legame con lei e potè confermare il giudizio della duchessa. Era un animale dolcissimo.

Il loro piano prevedeva che fossero accompagnati per un tratto, vicino alla città. Per disperdere le loro tracce avevano impiegato quasi un giorno, con diversi cambi di vettura. Alla fine, dopo essere rimbalzati a destra e a manca, erano arrivati abbastanza vicino da prendere i viinire e raggiungere la cittadella.

Satine era felice in groppa al suo Bukephalos. 

Aveva nascosto i capelli corti sotto una cappa rossa cremisi che le copriva il volto. Obi Wan non aveva capito molto bene per quale ragione la ragazza avesse insistito per indossare quella cappa. Era tagliata in un modo strano, appuntata ripetutamente sul davanti e per cavalcare era palesemente scomoda, eppure Satine era stata irremovibile.

- Era di mia madre, e Hod Haran solo sa per quale motivo non dovrei indossare il suo abbigliamento quando vado in battaglia.-

Khader sorgeva in una conca, in una vallata piuttosto brulla circondata dai boschi collinari. Di solito il paesaggio era verde d’erba, ma dopo la gelata invernale e lo scioglimento del permafrost, quello che era rimasto era una landa giallastra di vegetazione cotta dal ghiaccio che accennava solamente in quel momento a rialzare la testa. 

Tirava un vento leggero che increspava appena i loro mantelli e la criniera dei viinire, mentre nell’aria si diffondeva un pervasivo odore di carburante.

- Jetpack.- disse Qui Gon, arricciando il naso in aria. -Tenete gli occhi aperti.- 

Il passaggio dell’esercito dei Saxon era evidente. Il terreno era fangoso e calpestato in più punti. L’aria era impregnata dell’odore di carburante. C’erano segni di ruote e cingolati sul terreno, qualche impronta di droide, e lungo la strada avevano rinvenuto i resti dei bivacchi dove l’esercito aveva dormito. 

Satine, Obi Wan e Qui Gon si guardarono, prima di esortare i viinire a proseguire.

Si va in scena.

 

Kalevala, villa Bauer, quasi quarantotto ore prima. 

- Verranno di sicuro a cercarti.-

Lo zio Korkie, giustamente, era giunto alla conclusione che l’esercito - beh, più o meno - dei Kryze sarebbe stato atteso. Inga Bauer, inoltre, aveva sottolineato come l’esercito dei Saxon si fosse già diretto a Khader e che il tempo stava stringendo.

Avevano cinto d’assedio la città già da ventiquattr’ore e aspettavano soltanto il momento buono per colpire.

Obi Wan aveva manifestato l’ipotesi che stessero aspettando loro e l’idea aveva inizialmente ammutolito i partecipanti.

- Effettivamente, potrebbe anche essere, ma dubito che stiano aspettando Satine. Il diversivo è andato a buon fine e Vizla non ha ricevuto particolari comunicazioni relative al disturbo del radar. Che attendano Satine è quantomeno improbabile, anche se non impossibile. Che invece aspettino l’armata dei Kryze e che nel frattempo cerchino di sfinire la resistenza cittadina prendendoli per fame, è praticamente certo.-

Così, erano partiti dal presupposto che ci fossero delle spie in avanscoperta, che avrebbero segnalato l’arrivo della falange dei Kryze.

Che cosa sarebbe successo, però, quando avrebbero capito che la falange, in verità, era composta da sole tre persone?

E che cosa sarebbe successo se avessero capito che quelle tre persone erano in verità la duchessa e i suoi due Jedi?

- Perché una cosa è certa, soprattutto se Reeta Woves è tornata su Kalevala: avrà fatto rapporto a Larse Vizla e gli avrà rivelato che noi siamo con lei. Ormai, i protettori Jedi non sono più un segreto.-

Il maestro Qui Gon, effettivamente, aveva colto il problema. 

Sembrava incredibilmente fuori posto. Era enorme rispetto agli altri e torreggiava persino sull’ologramma di Inga Bauer, posato sul tavolino. Sicuramente i compagni cospiratori ne rispettavano l’intelligenza, ma il ragazzo era convinto che anche la sua mole imponente suscitasse rispetto. 

Lo zio Korkie sembrava perfettamente a suo agio, invece, di fronte a qualsiasi problema.

- Sicuramente sono a conoscenza della vostra esistenza e Larse Vizla si aspetterà che Satine trovi un modo per raggiungere Kalevala. Che lei abbia scelto di scendere in campo è, invece, una sorpresa. Non possiamo sapere che cosa faranno prossimamente a proposito della vostra presenza, signori, ma possiamo aspettarci qualcosa per questa battaglia, nel caso voi vi presentiate. Saranno preparati.-

Avevano organizzato una complessa trama di scambi per riuscire a sfuggire ai cacciatori e alle spie. La probabilità che Reeta Woves e i suoi scagnozzi stessero trottando in giro per la galassia alla ricerca delle tracce biologiche della duchessa era alta, ma questo non li metteva al sicuro dalle spie disseminate sul territorio.

Per la riuscita del loro piano, era fondamentale che la duchessa riuscisse a raggiungere Khader, o almeno le sue vicinanze. 

- Per farlo, posso mettere a disposizione cinque Abiik’ade, non di più. Ci sono anche alcuni Farrere disposti a dare una mano. Floran sicuramente ne manderà qualcuno, ma non possiamo sguarnire le difese.-

- Ci sono anche io.- aveva commentato Athos, offrendosi di fare la staffetta.

Tracciarono cinque linee di percorrenza, di cui due a vuoto. Con le navicelle e i viinire, avrebbero percorso le altre tre, modificando l’itinerario fino a destinazione. Athos li avrebbe accompagnati per un primo tratto, rigorosamente travestito, lasciando Kyla a casa. Poi sarebbe tornato alle sue mansioni. Il resto del viaggio lo avrebbero intrapreso con autisti e guide procurati da Inga Bauer.

Infine, avrebbero preso i viinire ed avrebbero raggiunto Khader da soli, percorrendo l’ultimo tratto.

- A quel punto, possiamo star certi che vi vedranno. Avranno sicuramente delle sentinelle a guardia dell’accampamento. Così, potremo tutelare l’effetto sorpresa: non si aspetteranno Satine Kryze, e nemmeno i Jedi. Volevano un esercito, ma dovranno fare i conti con una falange di tre persone. Questo significa anche un’altra cosa.-

Gli occhi dello zio Korkie si erano fatti volpini.

- Gar Saxon, alla guida dell’esercito, crederà di aver fatto il colpo del secolo.-

 

Campagna di Khader, poco dopo pranzo.

Li accerchiarono quasi subito.

L’odore del combustibile per jetpack aveva tradito la presenza delle sentinelle, ma l’incredibile velocità con cui furono loro addosso li aveva comunque sbalorditi. Piovvero dall’alto, rapidi come gocce di pioggia e silenziosi come uccelli, e li circondarono ad armi spianate, coperti di beskar tinto di rosso. 

Alcuni di loro portavano sull’armatura i segni della Ronda della Morte.

Satine storse la bocca, disgustata.

- Veniamo in pace.- disse la duchessa, alzando le mani.- Vogliamo solo parlare con Gar Saxon.-

Uno di loro, un uomo massiccio i cui muscoli parevano scoppiare sotto le lastre di beskar, si mise a ridere.

- Immagino che vogliate negoziare la pace, dala pakod.-

Satine alzò un sopracciglio e Obi Wan fece del suo meglio per restare calmo.

Qui Gon lo squadrò.

Mettiamola così: donna facile come lo sono i suoi costumi.

Ah.

- Sono certa che Gar Saxon ha interesse a scambiare due parole con me.-

L’uomo rise.

- Credetemi, ha interesse a scambiare anche molto altro con voi.- 

 

Ancora Kalevala, villa Bauer, quasi quarantotto ore prima. 

- Perdonatemi, ma non credo che Saxon abbia delle buone intenzioni.-

Il consesso guardò Obi Wan come se fosse scemo.

Satine scosse la testa.

- Quello che intendo dire è che, da quello che ho capito, Satine per loro non è altro se non un oggetto. Temo che potremo essere troppo lontani da lei per proteggerla, se non addirittura fuori combattimento.-

Il consesso rimase ancor a una volta di sasso, come se stessero ponderando quale neurone mancasse al ragazzo.

L’unico che parve comprendere fu il duca.

Seduto accanto al padawan sulla sua sedia a rotelle, allungò una mano tremante di lato e gliela posò sul polso, guardandolo con occhi buoni.

- Quello che il ragazzo vuole dire è che teme per l’incolumità fisica di mia figlia. Effettivamente, considerate le mire sul corpo di Satine che il giovane Saxon ha ripetutamente reso note, i suoi timori sono fondati. -

Inga Bauer alzò un sopracciglio, pensosa.

- Che vuoi dire?-

- Quello smidollato ha avuto la geniale idea di chiedere la mano di mia figlia. Fu l’apripista, altri dei Vecchi Mandaloriani seguirono, ottenendo sempre la solita risposta.-

- Un sonoro no?-

- E qualche scarpa ogni tanto.-

Obi Wan lanciò un’occhiata alla duchessa, che arrossì ed abbassò lo sguardo solo per un momento.

Inga cercò di non ridere. 

- Hai tirato una scarpa a Gar Saxon?-

- No, quello era Vyron II Vizla. Saxon, beh, diciamo che lui è inciampato nei suoi stessi piedi e ha detto a tutti che sono stata io a calciarlo fuori di casa.-

Athos trasformò una risata in un colpo di tosse.

- Diciamo che è inciampato nello zerbino, ecco.- concluse il duca, reggendo la mano del padawan.- Ciò, però, non cambia il fatto che il ragazzo potrebbe avere ragione.-

Il gruppo annuì, per un momento pensoso. 

Non c’era molto che potessero fare. Satine sarebbe stata sola con il mostro, almeno per un po’ di tempo. C’era solo da pregare che non togliessero loro le spade laser, ed Obi Wan era quasi certo che invece sarebbe successo. Aveva provato a trovare conforto nel maestro, che però non era stato di grande aiuto.

Che facciamo se ci tolgono la spada laser?

Temo che potremo fare ben poco.

Noi dovremmo proteggerla.

Non ad ogni costo, ragazzo. Si è messa da sola in questa situazione.

Proprio da sola, no. Diciamo che ce l’hanno messa i suoi parenti.

Sta parlando il Jedi o il tuo attaccamento verso la duchessa?

Obi Wan era stato costretto a deglutire e a rimangiarsi le parole. 

Effettivamente, chi stava parlando? Il Jedi che sapeva fare sempre la scelta giusta o il ragazzo innamorato che avrebbe fatto qualunque cosa per la donna a cui aveva donato il cuore?

Se i Saxon e i Vizla avessero inflitto a Satine anche solo un terzo di quello che avevano promesso di farle, sarebbe mai riuscito a sopportarlo? A restare a guardare, o peggio, sentire, con le orecchie e con la Forza, tutto lo strazio che ne sarebbe conseguito?

Senza fare niente? Perché è la cosa giusta da fare?

Lo so che è difficile, ragazzo. C’è un motivo se non possiamo avere legami.

Dobbiamo portarla via.

Non abbiamo potere in questo. Satine è forte ed arrogante a sufficienza da sapere che cosa rischia. Mi dispiace dirlo, ma noi non possiamo fare altro che assecondarla, a questo punto, e qualunque cosa verrà dopo, beh, Satine sapeva a che cosa andava incontro e credo che lo sappia anche adesso. 

In effetti era vero. Satine era consapevole, e poteva sentirlo nella Forza. Sapeva che cosa rischiava, che c’era una zona grigia nel loro piano in cui avrebbero avuto bisogno di una grande fortuna. In cui lei avrebbe avuto bisogno di una gran fortuna. 

Perché lo stava facendo? Perché lo accettava? Come poteva affrontare con un simile stoicismo la sua sorte, se le cose fossero andate storte?

Non posso contare sulla ragionevolezza di Satine, figliolo, altrimenti a quest’ora saremmo già su Aldeeran. Devo sapere, però, che qualunque cosa accadrà, potrò contare su di te, perché saremo soli in una turba di Mando invasati, e probabilmente saremo isolati dalla Forza. Moriremo.

Maestro, io non so se…

Devi saperlo, Obi Wan, altrimenti ci tiriamo indietro immediatamente. Ai padawan venivano concesse queste relazioni per capire e crescere. Questo è il tuo test. Che vuoi fare?

Obi Wan avrebbe voluto mettersi a piangere.  

La conversazione stava andando avanti, ma il ragazzo pareva non sentirla. Vedeva le bocche degli altri convenuti muoversi, ma non sentiva le loro voci, penso nei suoi pensieri.

Sospirò.

Sì, maestro.

Sei sicuro? Una volta entrati nel campo dei Saxon non potrà aiutarci nessuno. Saremo solo io e te. 

Sì.

E lo era, in effetti. Sarebbe stato straziante, certo, ma Obi Wan sapeva che, se non avesse potuto prevenire, avrebbe fatto di tutto per curare. 

Ammesso che Satine sopravvivesse, naturalmente.

Qualunque cosa accada, la porteremo fuori da lì?

Potremmo non farcela.  

Satine stava parlando, muovendo la bocca muta come un pesce.

Sei pronto?

Obi Wan tirò un ultimo, profondo sospiro.

Sì, maestro.

Inga Bauer lo distrasse dai suoi pensieri.

- Un modo ci sarebbe, ma devo dire che bisogna sperare che Saxon non sia così empio da non concedere neppure questo.

- Ovvero?-

- Ovvero appellarsi al Codice della Guerra.-

 

Vallata di Khader, accampamento dei Saxon, pomeriggio. 

L’accampamento era piuttosto spartano. 

I soldati riposavano in tende drappeggiate di rosso e portavano armature di beskar screziate di colori scarlatti. 

Obi Wan immaginò che il rosso fosse il colore del clan.

Nemmeno a dirlo, furono scortati direttamente in accampamento, e lo fecero con l’ovvia precauzione dei collari separatori.

Sempre altrettanto ovviamente, il gruppo si impadronì delle loro spade laser.

Furono scortati volando. I viinire erano tenuti alla cavezza e guidati nel cielo. I Jedi, privi della Forza, si erano disperatamente attaccati alle selle e alle criniere, e Obi Wan in futuro avrebbe potuto dire con certezza che quella era stata una delle esperienze più terrificanti che avesse mai fatto.

Satine doveva essere completamente pazza per decidere di volare su quegli animali senza Forza.

Atterrarono sulla sommità del colle, poco distante dalle prime tende. 

L’accampamento era circondato da picche, e su alcune di esse erano state lasciate, come monito ai ribelli, le teste di alcuni prigionieri di guerra.

L’odore era insopportabile.

Obi Wan lanciò uno sguardo a Satine, che non aveva fatto una piega. Con una scusa poco plausibile il gruppo si era fermato ad aggiustare un jetpack, ma sia lui che Qui Gon sapevano benissimo che quello era solo un diversivo per fare in modo che la duchessa vedesse bene chi era stato infilzato su quelle picche.

Se si erano aspettati una qualche reazione da lei, ebbene non la ottennero. Rimase impassibile, gli occhi di ghiaccio che percorrevano quello scenario atroce con calma micidiale.

Non arricciò nemmeno il naso di fronte al terribile olezzo di morte.

Obi Wan notò due di loro scambiarsi un’occhiata perplessa, e uno invece scoppiò a ridere sommessamente. 

- Allora, pakod, hai riconosciuto qualcuno?-

Satine alzò un sopracciglio e scosse il capo.

- No, direi di no.-

- Non preoccuparti. Tra poco riconoscerai la testa di questi due qua. Poi arriveranno anche quelle dei tuoi parenti, ed in ultimo la tua.-

Obi Wan fu costretto a combattere contro la grande voglia che aveva di sferrare un pugno in faccia al Mando che rideva.

Osservò Satine, impassibile. Qui Gon, immobile.

Represse la rabbia e un brutto sapore amaro gli riempì la bocca.

I viinire furono legati fuori dall’accampamento, lasciati alle cure di una Mando dall’armatura rossa. Furono portati quasi in trionfo, i Jedi legati e separati dalla Forza e Satine in testa al trio, libera, ma solo in apparenza. Il gruppo di Saxon rideva a squarciagola mentre passavano, alcuni facendosi deliberatamente beffe di lei.

Ked’alor, la chiamavano. 

La duchessa in catene. 

Furono tratti dentro una tenda più grande delle altre, circolare, dove quattro Mando grossi come armadi montavano la guardia, scoppiando sotto le loro armature di beskar rosso. 

Dentro la tenda trovarono Gar Saxon.

Non era male. Il padawan lo scrutò da capo a piedi e pensò che, tutto sommato, potesse essere anche un bell’uomo agli occhi di una donna. Aveva la bocca sottile e il viso marcato come il resto del suo corpo spigoloso. Era dotato in generale di un corpo ben definito e i suoi colori erano chiari. Sembrava estremamente pulito e una persona che teneva in considerazione il suo aspetto. 

Era seduto dietro ad un tavolo da campo. 

Le lanciò uno sguardo freddo, poi si alzò.

Nella stanza c’era silenzio. I soldati che li circondavano tacquero. Fuori il beskar di soldati in movimento tintinnava sonoro.

Poi, Gar Saxon strinse il mento di Satine tra le dita ad artiglio e la baciò con violenza.

Qui Gon lanciò un’occhiata nella direzione del padawan, a cui ribolliva il sangue e non ci voleva la Forza per dirlo. Ormai il maestro conosceva molto bene il ragazzo e, anche se non poteva percepirne i pensieri e le emozioni, aveva imparato a riconoscere la punta delle orecchie arrossata e la vena pulsante sulla tempia destra, sintomo di rabbia.

Richiamò la sua attenzione con un respiro più sonoro degli altri, e quello che trovò fu gli occhi cristallini del ragazzo che aveva imparato a conoscere.

Qualunque creatura stia ruggendo dentro di lui, è ancora sotto controllo.

Saxon però non aveva fatto i conti con i denti di Satine, perché si tirò immediatamente indietro con una smorfia di dolore e un labbro gonfio e tumefatto.

- Vedo che non sei cambiata per niente.-

- Avevi dei dubbi?-

Satine si pulì il volto con il dorso della mano e sputò a terra un poco di saliva mista a sangue. 

Saxon, però, sembrava sul punto di mettersi a ridere, e una luce sadica illuminò i suoi occhi grigi, altrimenti vitrei.

- Oh, ma cambierai. Vedrai, se cambierai.- 

Satine non commentò.

Qui Gon non potè fare a meno di fare un paragone azzardato osservando quella scena.

Obi Wan e Gar Saxon si somigliavano abbastanza. Stessa altezza, stessa forma fisica. Forse il Mando era un po’ più gonfio del padawan, ma probabilmente era un fattore legato al tipo di allenamento. Avevano entrambi i capelli chiari e gli occhi grigi. 

Eppure c’era una morbidezza, un’emotività sul volto del padawan che non riusciva ad individuare su quello di Saxon. Obi Wan tradiva ogni emozione: rideva con gli occhi, chiedeva perdono con lo sguardo, trasudava indignazione con le sopracciglia e preoccupazione nella linea delle labbra. 

Gar Saxon era una maschera di immobilismo, e tutto ciò che trasudava - questo sì - era tracotanza.

- Immagino che tu sia venuta a negoziare.-

- Immagini bene.-

- Non c’è nulla da negoziare, Kryze. Abbiamo Khader.-

Ci fu un lampo di panico negli occhi della ragazza.

- Siete già entrati?-

- Ancora no, ma lo faremo presto. Adesso, però, abbiamo anche te, e questo sì che sarà divertente.-

Le spalle della duchessa scesero pericolosamente verso il basso.

- So che non hai rispetto per la mia gente, Saxon, non ne hai mai avuto. Pensavo che tu ne avessi almeno per gli Awaud. Non stavano con voi?-

Il ragazzo si sedette sul bordo del tavolo da campo. Il legno si imbarcò un poco sotto il suo peso.

- Una piccola lezione, giusto per ricordare loro chi comanda e da che parte conviene stare, nel caso in cui decidessero di ripensarci.-

- E non credi che un attacco del genere avrà proprio quello, come risultato? Che gli Awaud ci ripensino?-

- E’ un buon argomento, Kryze - e sputò quel cognome come se fosse veleno.- Ma in ogni caso, debole. Satine, cyare, se non si consegnano da soli verranno sottomessi. Gli Awaud dicono di essere così guerrieri, ma non hanno mai combattuto in campo aperto.-

- Questo non è vero. Ai tempi di Ordo il Sordo…-

- Ordo il Sordo! Ti prego, è stato migliaia di anni fa!-

Qui Gon aveva ascoltato spesso le conversazioni in Mando’a che Obi Wan e Satine avevano intrattenuto, con la scusa di insegnare al ragazzo la lingua. Non aveva mai compreso un granché. Era il giovane padawan il droide di protocollo della coppia di Jedi, ma qualcosa l’aveva imparato.

Grazie, prego, tonto erano parole all’ordine del giorno. Mi fa male purtroppo era diventata frequente, come ho freddo oppure ho gli incubi. 

Cyare era una di quelle e, anche se non conosceva il significato, poteva intuirlo dalla dolcezza che pervadeva la duchessa quando pronunciava la parola, o dagli scudi serratissimi del giovane padawan contro i quali il maestro rimbalzava sempre in quelle occasioni.

Sentirla uscire dalla bocca di Gar Saxon infondeva tutta un’altra sensazione, e non ci voleva la Forza per percepirlo. C’era dileggio, canzonatura nella sua voce, non di certo l’affetto che era invece una regola tra la duchessa e il padawan.

Quel ragazzo impassibile dall’animo viscido gli faceva rivoltare lo stomaco.

Saxon si alzò dal tavolo e si avvicinò pericolosamente a Satine.

I due Jedi la guardarono mentre serrava i pugni per non far vedere che le tremavano le mani.

- Sai anche tu che questa battaglia è persa, bella bionda. Dimmi la verità. Perché sei qui?-

 

Ancora Kalevala, ancora villa Bauer, sempre in quelle famose quarantotto ore prima. 

- Dovremo pensarci bene, o non ci cadrà.-

- A questo, mio caro Kyla, ci penso io.- rispose lo zio Korkie, gli occhi volpini e i capelli sempre più spettinati mentre se li grattava con aria divertita.- E’ sempre uno spasso prendere per il naso quel gonzo pallone gonfiato di Saxon. Piuttosto, siamo sicuri che la gente di Khader ci verrà dietro?-

- Sicurissimi.- ribatté Inga, ferma nelle sue convinzioni.- Le nostre spie sono state chiare. Qualcuno purtroppo è stato preso e giustiziato, ma il messaggio è arrivato a Khader. Il sindaco ci aspetta per negoziare. I Saxon, invece, hanno pochi uomini per una sorveglianza continua dall’alto, e nessun drone, anche se sembra incredibile.-

Qui Gon ed Obi Wan si guardarono e sospirarono quasi all’unisono.

Ho un brutto presentimento.

 

Khader, accampamento dei Saxon, dove Satine sta seriamente ponderando l’idea di venire meno a tutti i suoi principi pacifisti. 

- Per negoziare.-

- Non c’è niente da negoziare. Non puoi salvare la città.-

Satine resse lo sguardo gelido di Saxon, ma le unghie conficcate nei palmi tradirono la sua tensione agli occhi dei Jedi.

Quello era il momento in cui si stava giocando il tutto e per tutto. 

Beh, quello e un altro immediatamente dopo, ma intanto se fossero riusciti a superare quel primo step avrebbero portato a casa metà del loro piano.

- Lo so.- sospirò la ragazza, i pugni così stretti che Obi Wan immaginò di vedere i palmi sanguinare.- Voglio negoziare la resa.-

Saxon scoppiò in una risata sguaiata. 

- Non hai capito, bellezza, non c’è resa da negoziare! La città è mia. I cittadini moriranno e servirà come monito per gli altri. Tu verrai consegnata a Larse Vizla e guarderai morire tutta la tua stirpe, dopo aver fatto da pakod a ciascuno di noi. Semplice semplice.- 

Obi Wan sentiva il furore salirgli alle tempie.

Come osava?

Inspira. Espira.

Si vergognava di respirare la stessa aria di quel viscido verme. 

Lui non si sarebbe mai permesso, né con Satine, né con nessun’altra. 

Non si sarebbe mai permesso nemmeno di pensare una cosa del genere.

Non che la sua mente potesse concepire anche solo vagamente un simile abominio.

Satine deglutì e chiuse gli occhi per un istante, prima di ribattere.

Obi Wan pensò che fosse un’attrice consumata, o che stesse soffrendo per ogni singola parola che le usciva di bocca.

- C’è un’altra via.-

- Non penso proprio, mia cara.-

- Io accetto.-

Saxon alzò un sopracciglio, divertito.

- Accetti cosa?-

- La tua proposta, Saxon. Il riduurok. Lo accetto.-

Obi Wan sbiancò.

Certo, quella proposta era stata discussa nei minimi dettagli nel concilio che avevano tenuto nella villa in collina di Korkie Bauer, ma sentirla pronunciare da Satine e notare la leggera ruga di disgusto che le aveva segnato la bocca gli faceva venire la nausea.

Tutto questo ad un uomo non sarebbe mai successo.

 

Ancora Kalevala, chi, dove e quando ormai è noto.

Erano tutti convinti che Saxon, da buon pallone gonfiato, fosse pieno di muscoli ma scarseggiasse quanto a materia grigia. Il suo ego era smisurato, ma, per grande fortuna di Satine, non lo era altrettanto il suo acume. 

- Gar Saxon non è stupido, bensì è egocentrico. Non vede più in là del suo naso, se il suo ego viene stuzzicato. Sentire Satine accettare un ridduurok in cui chiaramente non crede lo farà sentire grande, potente.-

- Saxon non accetterà mai, non dopo quello che è successo anni fa a Kryze Manor.- borbottò il monitor di Kyla, con voce monotona.

- Questo è certo. Non ci aspettiamo infatti che accetti. Ci aspettiamo che provi a fare quello che fa sempre, ovvero pensare di essere il più furbo dei furbi. Si sentirà potente non perché ha ottenuto la mano di Satine. Si sentirà intelligente per aver capito il suo piano. Mia cara Satine, per una volta ti tocca scendere dal piedistallo perché sono stato più intelligente di te, penserà, ed è per questo che le dirà di no.- 

In pratica, il piano di Korkie Bauer pretendeva di leggere nella mente di Saxon e manipolare i suoi pensieri prima che potessero diventare realtà.

Il duca mise bene in chiaro con un linguaggio poco nobile che quel piano non gli piaceva per niente. 

La testa di Obi Wan, al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere, era pericolosamente ciondolata verso il basso.

E come faremo, senza la Forza?

Se il piano fosse andato storto, per Saxon si sarebbe trattato di decidere da che parte stare, se sarebbe stato più appagante vedere Satine morire sotto la scure di Vizla o se sarebbe stato più soddisfacente ucciderla lentamente, piegarla nell’animo e nel fisico fino alla morte con le sevizie conseguenti ad un matrimonio orribile. Secondo Satine, Saxon era un violento, mentre Vizla era uno stratega. Quest’ultimo l’avrebbe preferita morta, sicuramente, per annientare il seme della ribellione da un lato ed evitare di avere sorprese dall’altro, perché se c’era una cosa che la storia aveva insegnato era che dei Kryze e della loro proverbiale imprevedibilità non c’era da fidarsi.

L’ego di Saxon, tuttavia, poteva indurlo a pensare diversamente. Se non altro, poteva indurlo a credere che sarebbe stata una mossa intelligente godersi un po’ il piacere della disperazione per poi liberarsi del fardello. 

In fondo, che c’era di male? Sarebbe anche stato in linea con l’idea che aveva Vizla della detenzione che sarebbe spettata a Satine prima dell’esecuzione.

E poi, c’era di che fantasticare. Immaginare un mondo. Come sarebbe stato se le tradizioni segreganti dei Vecchi Mandaloriani si fossero estese a tutta Mandalore?

Non ci sarebbe più stata una donna libera e tanto, tanto divertimento per i predatori.

Obi Wan avrebbe tanto voluto non aver mangiato quel giorno.

 

Khader, dove un ignaro Saxon sta seriamente rischiando l’osso del collo. 

Una fitta di gelosia lo travolse.

Lei è mia.

E subito un’onda di vergogna si abbatté su Obi Wan.

Lei non era sua. Non apparteneva a nessuno. Era libera come il vento, e proprio per questo l’ammirazione che aveva per lei cresceva sempre di più.

Lei è tua solo perché lei ti ha dato il consenso.

Lei è un dono da custodire, non un oggetto da possedere.

Saxon, evidentemente, non la pensava come lui. 

- Fammi capire. Vuoi sposarmi? E per quale motivo dovrei, dopo la figura che mi hai fatto fare a Kryze Manor?-

- Innanzitutto, la figura l’hai fatta tu, non io. La storia del calcio te la sei inventata, non raccontiamoci fesserie. Lo zerbino di sicuro non ce l’ho messo io e nemmeno ho provveduto ad attorcigliartelo in mezzo alle gambe. In ogni caso, sono disposta a cedere la mia libertà personale e la mia vita per salvare Khader.-

Con grande stupore del maestro, il giovane Saxon parve pensarci un po’ su. Avrebbe dato più di un credito per i suoi pensieri e per poter avere la Forza per sentirli, ma si accontentò delle sue espressioni facciali. Lì per lì, il ragazzo era parso divertito, ai limiti del canzonatorio. Poi, i suoi ingranaggi avevano cominciato a girare ed era palese che stava valutando i pro e i contro di quella proposta.

Loro, naturalmente, lo avevano già fatto quarantotto ore prima alla villa dello zio Korkie, ma la paura che quel piano campato per aria potesse andare a rotoli l’avevano comunque, soprattutto Satine.

Trascorsero secondi che parvero ore.

Poi, con grande sorpresa dei Jedi, Saxon disse esattamente quello che si erano aspettati che dicesse.

- Non ci pensare nemmeno, Kryze.-

Le cose stavano andando esattamente come le avevano immaginate e il sollievo fu grande.

Gli occhi di Satine dardeggiarono con stupore sul volto di Saxon, apparentemente incerta su che cosa dire. 

- Tu vuoi solo sfuggire al tuo destino, carina, ma mi dispiace per te, non c’è modo di sfuggirgli. Pensavi davvero che avrei scaricato Larse Vizla per te? No, hai sbagliato completamente. Voi del clan Kryze vi credete così superiori, così intelligenti. La verità è che siete solo dei poveri pezzenti. Pensavate di potermi manipolare? Invece sei stata tu ad essere manipolata. Tuo padre ti ha venduta per chiudere il conflitto e passare gli ultimi giorni che gli restano nel suo letto, non te ne accorgi? Adesso chi è il nemico? Quel vecchio preferisce che tutti gli uomini dei Vecchi Mandaloriani si prendano sua figlia piuttosto che morire con onore, e tu, carina, ci sei caduta con tutte le scarpe.-

Satine si morse il labbro, mentre Saxon continuava ad alitarle in faccia insulti, contro di lei e contro la sua famiglia.

Con il senno di poi, Obi Wan non avrebbe mai capito come avesse fatto a restare calmo per tutta la sortita. Le orecchie vibravano e fischiavano come se la sua scatola cranica fosse una pentola a pressione pronta ad esplodere ed ogni muscolo del suo corpo era contratto, in attesa di un minimo segnale per scattare.

Il segnale in questione non sarebbe mai arrivato e lo sapeva. Satine non avrebbe mai permesso che venisse sparso sangue, nemmeno dei Saxon, e di sicuro il padawan temeva troppo il lato oscuro per usarlo e vendicarla.

Lei gliel’aveva fatto promettere.

Non cambiare mai. Resta quello che sei.

Obi Wan respirò e cercò il contatto con il corpo del maestro quando Saxon allungò le mani ed agguantò i fianchi di Satine, stringendo fino a farle male.

- Tuttavia, di una cosa puoi star certa. Prima che il sole tramonti, mi toglierò la soddisfazione di sentirti implorare pietà. Sono convinto che Vizla approverebbe. Magari vorrà farsi un giro anche lui.-

Satine rimase in silenzio, mentre provava ad allontanare il viso dal fiato famelico di Saxon.

E chi l’avrebbe mai immaginato che il suo odio per lei potesse spingerlo a tanto?

- Non mi puoi negare una cosa, però.-

Il giovanotto sospirò e la lasciò andare, facendo un passo indietro.

- Sentiamo. Adesso che c’è?-

- Non puoi impedirmi di dire addio ai miei concittadini. Fa parte del Codice della Guerra. Se una parte si arrende, ha il diritto e il dovere di comunicarlo personalmente ai suoi.-

Saxon conosceva il Codice della Guerra, certo, ma non come i Kryze. Saxon non sapeva - e su questo Satine aveva fatto ruotare tutto il suo piano - che quell’istituto era stato creato affinché i Mando potessero linciare il capo traditore. Non esisteva resa in un combattimento tra Mando, solo onore e morte. Il capo rinunciatario meritava di perire per tradimento.

Nell’ottica più avanzata del clan di Satine, dunque, la resa non era ammessa perché non era ammessa la pena di morte e di conseguenza il linciaggio, mentre tra i duri e crudi Saxon sì.

Almeno, questa era la teoria, e se solo quel pallone gonfiato avesse conosciuto davvero il codice di cui si vantava di seguire le regole, avrebbe capito il trabocchetto.  

Invece, il giovane pensò che non fosse poi una richiesta così strana e che nemmeno fosse conveniente non adempiere a tale richiesta. 

Chi non rispettava il Codice della Guerra veniva tacciato di empietà. Lo stesso marchio disonorevole di cui, agli occhi dei Saxon, si erano fatti portatori i Kryze abbracciando la via della pace.

Con quella mossa, Saxon comprese che la biondina l’aveva messo, ancora una volta, con le spalle al muro.

Certo, aveva comunque margine per spuntarla.

- Immagino che tu voglia il tuo bel viinir per svolazzare dentro Khader e magari volare via da noi. Non ci conterei troppo, se fossi in te.-

- Non mi serve un viinir. Un susulur va più che bene.- 

Saxon ci pensò su un poco, mentre con la mano accarezzava il collo e la clavicola di Satine.

Obi Wan strinse i denti.

- Preparate il viinir. Puoi andare a dire addio alla tua gente, Satine, ma sappi che non riuscirai mai a fuggire da qui. I nostri guerrieri hanno tutti il jetpack. Non provare nemmeno a volare via. Ti abbatteremmo prima che tu possa aprire le ali. I jetiise, ovviamente, restano qui.- 

Satine annuì.

- La bestia è una gentile concessione che ti deve servire solo per fuggire da lì nel caso in cui qualcuno volesse farti fuori. Non permetterò a nessuno di privarmi di quello che mi spetta di diritto, e a me spetta di spezzarti per primo non appena calerà il sole.-

Con un leggero colpo alle spalle, i Mando esortarono il terzetto ad uscire dalla tenda. 

Obi Wan scambiò una rapida occhiata con Satine. Era pallidissima ed aveva il labbro gonfio là dove aveva affondato i denti, ma lo sguardo era fermo.

Il ragazzo sapeva perfettamente che dietro la sua maschera da dura, Satine stava morendo dentro. Si era spenta lentamente, forse prefigurandosi che cosa sarebbe successo una volta arrivata a Khader, fin dal primo momento in cui aveva avuto notizia del piano di Vizla. 

Per lei, quel frangente doveva essere foriero di un dolore atroce. 

Avrebbe voluto consolarla, asciugarle gli occhi umidi. Soltanto tenerle la mano, se fosse servito a qualcosa. 

Dirle che nessuno le avrebbe mai fatto del male.

Non poteva e lo sapeva. Non solo per le circostanze, ma per l’assolutezza che quell’affermazione comprendeva.

Solo un Sith ragiona per assoluti. 

Non puoi prevenire, ma puoi curare.

Puoi esserci dopo, quando di solito non c’è più nessuno.

Deglutì aria amara, perché di saliva non ne aveva più, mentre cercava gli occhi della duchessa, che però scivolarono su di lui senza guardarlo.

Avevano parlato anche di questo. Niente contatto visivo. Nulla deve far pensare a Saxon che lui e Satine fossero sentimentalmente legati.

Se lo avesse compreso, sarebbe stata la loro rovina.

Così, la duchessa sfilò fuori dalla tenda sotto lo sguardo attonito dei soldati della guarnigione, e fu accompagnata da Bukephalos.

Salì in groppa e partì al trotto.

- Hai un’ora per andare e tornare!- le aveva detto Saxon, prima che trottasse giù per la collina. 

I due Jedi rimasero a guardarla fino a che non divenne un puntino sempre più piccolo nella pianura giallastra di Khader, fino a che non sparì in prossimità della porta delle mura, immediatamente richiusa alle sue spalle.

- Che ne facciamo di questi due?- disse uno, coperto di beskar rosso, avvicinandosi pericolosamente.- Li facciamo fuori?-

Una donna disse che avrebbe voluto prendersi cura di Obi Wan e lasciare quello grosso agli altri.

Padawan e maestro si guardarono.

Dimmi che Satine c’ha preso anche questa volta.

- No.- commentò Saxon, scacciando quei pensieri con la mano e liquidando i soldati.- Moriranno stasera sotto gli occhi della duchessa. Voglio che veda. A quel punto decideremo il da farsi, ma non prima che sia tornata. Piuttosto, state pronti. Se vedete un viinir volare, voglio che spariate a vista.-

E si fermò, dando le spalle ai Jedi, ad osservare Khader e a fantasticare sul premio che lo avrebbe atteso quella sera. 

 

Khader, sotto le mura della città. 

- Duchessa!-

Il sindaco di Khader l’accolse a braccia aperte. 

Era un Awaud e questo le fece ben sperare. 

Aveva trottato da sola fin sotto le mura. Fino a quel momento, il loro piano era andato bene. 

Cioè, bene per modo di dire.

Satine si era aspettata che qualcosa del genere potesse accadere, ma era stato peggio di quanto avesse mai immaginato. Saxon era un vero e proprio viscido verme, pendaglio da forca. Sapeva che aveva il dente avvelenato, ma mai avrebbe pensato che il suo scopo fosse umiliarla a quel modo. 

Sentiva ancora l’odore del suo alito in faccia e le sue manacce scivolarle sul corpo. 

In fondo, vista la piega che avevano preso gli eventi, avrebbe potuto farle di peggio. Le era andata bene. Il suo comportamento restava ingiustificabile, ma una mano sul fianco e un bacio rubato era pur sempre meglio di tutto il resto. 

Nel quadro drammatico degli eventi e nella consapevolezza di che cosa spettava di solito alle donne vittime di guerra, poteva dirsi fortunata che non fosse successo nient’altro.

Se però l’intervento di Saxon era stato mirato a torturarla psicologicamente, c’era maledettamente riuscito. Sentiva le sue mani dappertutto anche se non le aveva messe praticamente da nessuna parte. Sentiva il suo fiato caldo in faccia e sul collo nonostante la brezza delle ali e degli zoccoli del viinir. Aveva la bocca secca e la gola strozzata, ma non poteva ancora bere. 

Meglio sicuramente di prima, in cui aveva sinceramente temuto di vomitare sulle scarpe di Saxon, e quello no, quel pallone gonfiato non gliel’avrebbe perdonato proprio.

Era stata sorpresa dalla reazione dei due Jedi. Non aveva mai dubitato di Qui Gon, ma Obi Wan rappresentava un tasto dolente. 

Restare a guardare, senza intervenire.

Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo mortificato che le aveva lanciato e che lei aveva finto di non vedere. 

Tuttavia, era stato bravissimo. Si era controllato perfettamente, nonostante l’assenza di Forza. Era stato perfetto

Gliel’aveva fatto promettere e lui aveva provato con tutte le sue forze a mantenere la sua promessa. Satine sospettava che non fosse tutto lì. Sapeva che una conversazione con Obi Wan l’attendeva alla fine della loro missione.

C’era ancora così tanto da fare.

Quello, per lei, era uno dei momenti più delicati. Inga Bauer aveva detto alla cittadinanza che qualcuno sarebbe venuto a negoziare, ma non aveva specificato che si trattasse di lei. Non sapeva come l’avrebbero accolta e soprattutto non aveva idea di come la pensassero davvero gli Awaud, al di là del sindaco, che a quanto pareva era dichiaratamente tra le fila dei Kryze.

Sarà vero?

Sola e in campo aperto, in una cittadella potenzialmente ostile.

Se avesse fallito, dall’altra parte c’era Saxon pronto a farle la festa.

Per questo fu piacevolmente sorpresa quando la vedetta lanciò uno strillo alla sua vista.

- Per la misera! Spalancate le porte, presto!-

Ad aspettarla c’era l’intera città. Chi fuori per strada, chi, più anziano, affacciato alle finestre, ma tutti nei pressi della porta, nella speranza di vedere qualche viso amico. 

Le loro facce stupite furono impagabili. 

Il sindaco era un uomo anziano, canuto, dai capelli piuttosto lunghi e grigi, ispidi come le sopracciglia cespugliose che circondavano un paio di profondi occhi scuri. Indossava il beskar, ma addosso a lui era quasi ridicolo. Era palesemente troppo grande, ricordo degli antichi fasti e dei tempi migliori in cui era stato un ragazzo florido e pronto alla battaglia. Zoppicava leggermente e le sue mani tremavano appena.

E’ troppo vecchio per combattere. Non può farcela.

Satine ne fu quasi mossa a compassione. Per gli Awaud le tradizioni belliche erano importanti, ma non erano mai stati guerrafondai. Pensavano sempre due volte, prima di impugnare le armi. La paura di perdere la loro identità li aveva spinti tra le braccia dei Vizla, salvo poi comprendere che a loro non importava un fico secco delle tradizioni e dell’identità e che avrebbero volentieri schiacciato il clan per confermare il loro potere.

Satine scese dal viinir e il sindaco l’abbracciò.

- Duchessa, perché siete venuta? Non aspettano altro per portarvi via!-

La ragazza gli passò una mano nei capelli grigi con affetto.

- State tranquillo, ho un piano, ma per farlo funzionare ho bisogno della collaborazione di tutti voi.-

I cittadini si avvicinarono lentamente a lei. Un bambino biondo come il grano si attaccò alla sua gamba e si rifiutò di lasciarla andare.

- Saxon vuole questa città per diversi motivi. Il primo: dimostrare la debolezza dei Kryze e minacciare gli Awaud. Il secondo: fare un bagno di sangue per affermare la sua forza. Il terzo: sottomettere il vostro clan, ma noi non glielo permetteremo!-

Tra gli astanti ci fu un’occhiata di curiosità ed assenso.

Il sindaco le strinse le mani.

- Che cosa intendete fare, duchessa?-

La ragazza sogghignò.

Spirba. Abbiamo poco tempo. Dobbiamo sbrigarci.-

 

Khader, accampamento dei Saxon, primi accenni di un tramonto impaziente. 

Fu l’ora più lunga della vita di Obi Wan.

Fu scortato fuori dalla tenda assieme a Satine e fu lasciato lì, a guardarla scomparire nella campagna di Khader, accanto a Qui Gon.

Sentiva il sangue andare alle tempie e svanirgli dal viso ciclicamente.

La bile continuava a risalirgli in gola per il disgusto che gli suscitava quel misero uomo. 

Saxon guardava Satine allontanarsi sorridendo malevolo, pensando alla sua prossima ricompensa.

Il padawan pregò che andasse tutto bene, solo per avere la soddisfazione di suonarle a quel piccolo lestofante viscido verme esca da lenza.

Dopo che il grande capo ebbe decretato che la loro esecuzione sarebbe avvenuta di fronte agli occhi inermi di Satine, si ritirò per deliberare dentro la sua tenda, lasciandoli soli ad attendere fuori, sorvegliati a vista. 

Qui Gon parlò.

- Il vostro capo non è un uomo saggio.- disse, squadrando dall’alto una donna minuta sotto un elmo rosso.- Lasciare due Jedi da soli con voi non è una scelta ottimale.-

- Perché? Siete senza magia e senza armi. Non vedo che cosa potreste fare.-

- Siamo comunque due, ed io sono bello grosso.-

La donna sghignazzò sotto l’elmo. 

- Contro un Mando, senza la vostra magia, non avete chance.-

Obi Wan pensò che poteva anche essere vero.

Soffiava un leggero venticello che increspava l’erba gialla e faceva correre le nubi bianche nel cielo. Il sole primaverile brillava e scaldava la pelle. 

Il padawan pensò che in circostanze diverse quella sarebbe potuta essere una vista meravigliosa. 

In quel momento, però, la sua mente era tutta concentrata su Satine. Che cosa stava facendo là dentro? Come l’avevano accolta? Stava andando tutto bene? 

Senza la Forza era molto difficile per lui controllare il panico. Inspirò ed espirò, provando a calmare i battiti impazziti del suo cuore e la voglia di mettersi a urlare.

- Puoi sopportarlo.- gli disse il maestro, criptico, consapevole che avrebbe capito solo lui.

- Che cosa può sopportare?-

Qui Gon sorrise.

- Le scarpe. Gli fanno male.-

- Presto non sarà più un suo problema. Non sentirà più nulla.-

- Mi spiegate per quale motivo ce l’avete con il ragazzo? E’ soltanto un padawan, uno studente. Non può fare alcun male. L’unico vero Jedi, qui, sono io.-

- Vorrà dire che ci prenderemo solo un pezzo di lui.- commentò la donna, squadrandolo da sotto l’elmo con quello che sembrava malcelato apprezzamento.- Personalmente, saprei anche quale.-

Lo stomaco di Obi Wan fece una capriola e si chiese come Satine fosse riuscita a sopportare tutte le angherie di Gar Saxon senza battere ciglio.

Ora sai come si sente Aayla ogni volta che esce e la trattano come una schiava solo perché è Twi’lek.

Non era un’esperienza che avrebbe voluto ripetere.

- Non dire cretinate, Dral- commentò un uomo, o forse un ragazzo, a giudicare dalla stazza e dalla voce.- Anche se è solo mezzo Jedi, lo faremo a pezzi. Voglio essere sicuro di estirpare ogni piccola goccia di magia, fosse necessario dissanguarlo.-

La ragazza fece spallucce e continuò a guardare il campo aperto in attesa del ritorno di Satine o di ciò che restava di lei. 

Qui Gon sorrise.

- Fai conquiste anche su Mandalore, figliolo.-

- Ridete adesso, perché tra poco non riderete più.- commentò spietato il ragazzo da sotto l’elmo rosso.- Saxon è andato a chiamare Vizla. Presto sarà qui. Ci divertiremo molto con voi, ma soprattutto con lei.-

Il gruppo tacque.

Obi Wan ammirò l’abilità del maestro nel manipolare la conversazione ed appuntò mentalmente che, qualora fossero usciti vivi da lì, avrebbe dovuto chiedergli di insegnargli di più dell’arte retorica. 

Si era praticamente fatto dire che cosa stesse combinando Saxon nella sua tenda. 

Sapeva di avere già da solo una lingua tagliente, con qualche tecnica in più avrebbe potuto fare grandi cose.

I due si scambiarono un’occhiata eloquente, prima di tacere.

Tutto stava andando secondo i loro piani.

Incredibile.

 

Kalevala, villa Bauer, ultime previsioni di un piano indigesto. 

C’erano due probabilità. Sicuramente, Saxon avrebbe chiamato Vizla una volta saputo che Satine era definitivamente nelle sue mani. Il dittatore, a quel punto, avrebbe avuto due scelte: avrebbe potuto dirottare buona parte delle sue forze contro Kalevala, privando per un momento Mandalore di alcuni suoi corpi scelti, oppure avrebbe potuto mandare qualcuno al suo posto, e lì entravano in gioco i cacciatori di taglie.

- Io penso, e credo di aver ragione, che Vizla non si muoverà in prima persona.- disse l’ologramma di Inga Bauer, sospeso sopra al tavolino.- Secondo me chiamerà i cacciatori. E’ la soluzione più logica.-

In effetti, aveva senso. Per quale motivo Vizla avrebbe dovuto muoversi di fronte ad una resa? Se fosse entrato dentro Kalevala, lo avrebbe fatto in pompa magna, non certo con un manipolo sgangherato di uomini sottratto frettolosamente alla difesa di Mandalore. 

Si trattava di una questione di dominio.

No, avrebbe occupato il pianeta al pieno delle sue forze, non di sicuro passando inosservato. 

Se fosse caduta Kalevala, sarebbero caduti anche Draboon e quello che restava di Krownest.

Avrebbe avuto il sistema in pugno e non avrebbe più avuto bisogno di tenere roccaforti. Avrebbe potuto radunare l’intero esercito.

Vizla però sapeva che Satine era intelligente e la resa gli sarebbe parsa strana. Inga, in questo, aveva ragione. Avrebbe mandato i cacciatori, che l’avrebbero portata da lui, e poi, una volta eliminata pubblicamente, Vizla avrebbe fatto irruzione nel pianeta sbaragliando con vigore le ultime forze resistenti.

Quello, ecco, era un piano fatto bene.

- Da quello che ho capito, però, i cacciatori di taglie stanno rimbalzando come flipper in giro per la galassia. A quel punto, Vizla si insospettirà seriamente della resa di Satine. Perché fare tutto quel caos con la squadra di cacciatori se non per allontanarli da Kalevala?-

- Athos ha ragione. Vizla farà presto ad accorgersi che qualcosa non va.-

Fu in quel momento che Satine si intromise nella conversazione

- Avete detto pochi uomini, niente difesa aerea, niente droni, giusto?-

Tutti annuirono.

Satine si grattò la testa bionda.

- Secondo voi, Saxon attaccherà subito Khader?-

Ci fu un momento di silenzio.

- Perché perdere l’occasione per farti guardare? Sì, direi di sì.- 

- Allora un’idea ce l’avrei, ma il fattore tempo è fondamentale.-

- Sarebbe?-

La duchessa abbozzò il suo solito sorriso da birba.

- Semplice. Se non posso uscire dalla porta e non posso andarmene volando, vorrà dire che evacuerò la città passandoci sotto.-

 

Khader, in un rosso tramonto inoltrato. 

Poi, ad un tratto, le porte della città si aprirono. 

Satine uscì, sola, a cavallo del suo viinir ed avvolta nella cappa cremisi di sua madre. 

Sembrava scarmigliata, stanca, ma viva. 

Le porte si richiusero dietro di lei e la città si asserragliò dietro le sue difese. 

Bukephalos trottò nella campagna dorata, tra l’erba fluttuante, Satine in sella.

Saxon uscì dalla sua tana per ammirare lo spettacolo con un ghigno feroce sul volto.

- Bene, anche questa è fatta. Dral, prepara i ceppi per le esecuzioni e due picche nuove. Vizla sta mandando qua una squadra di cacciatori a portarla via ed io ho intenzione di divertirmi un po’. Fa’ preparare una tenda tutta per lei. Ci entreremo a turno.-

La donna annuì e sparì dietro i due Jedi verso una destinazione a loro sconosciuta.

Qui Gon ed Obi Wan si lanciarono uno sguardo preoccupato.

Adesso sarebbe venuto il bello.

Gli sembrava che Satine si muovesse a rallentatore. La cosa quasi lo infastidiva. Voleva che spiccasse il volo e se ne andasse. L’aspettava un destino orribile se le cose fossero andate storte, e c’era il rischio serio che ci andassero.

Inspira. Espira.

Puoi sopportarlo.

No, non poteva. Non avrebbe potuto sopportare le urla, le risate, la ferocia della violenza. Non poteva proprio. 

Qui Gon lo guardò con compassione.

Forse questa è una prova più grande di lui. Sarebbe più grande di molti, persino di me.

Il povero padawan sentiva la bocca bagnarsi di saliva e poi inaridirsi man mano che Satine si avvicinava, provando a tenere sotto controllo la nausea.

Ti prego, vola via!

Ma la ragazza procedeva inesorabile, e in un tempo troppo breve per i suoi gusti raggiunse l’accampamento e smontò dal viinir.

Fu subito presa in custodia.

- Allora, fatto il tuo bel discorso inutile?- commentò Saxon, la ferocia sul volto freddo.

- Adesso puoi prenderti la città, bestia.- fu l’unico commento di Satine. 

Lo guardò in faccia con disgusto e odio, un mix di disappunto che mai Obi Wan le aveva visto sul volto.

Sembrava una Mando, adesso, una vera. Un’espressione del genere se l’era immaginata sul viso della donna di nome Dral, non sul suo. Una di quelle facce, insomma, che le leggende tramandano.

- Questa bestia ti insegnerà un paio di cose, tra poco. La tenda è pronta?-

- No, signore. La stanno ancora montando.-

Il cuore di Obi Wan perse una decina di battiti, fece un po’ su e giù dentro la cassa toracica e poi si assestò definitivamente nella sua posizione originaria.

Forza, manca solo un tassello!

Saxon sbuffò, evidentemente infastidito dalla poca solerzia dei suoi.

Poi fece esattamente quello che il terzetto aveva previsto. 

- Va bene. Lascia un paio di uomini a montare la tenda, un altro paio di guardia e cinque di vedetta. Non mi stupirei se arrivasse qualcuno a liberarla o almeno ci provasse, e se arrivano i cacciatori voglio saperlo. Non se ne andrà di qui fino a che non avremo finito con lei. Metteteli in una tenda e fate la guardia. Voialtri, tutti con me. Andiamo a massacrare un po’ di Kryze.-

Nel campo si diffusero grida di giubilo, e molti uomini e donne andarono ad armarsi e si schierarono in fila con Saxon. 

Satine, Obi Wan e Qui Gon furono scortati dentro una tenda, mentre l’esercito si preparava a muovere verso Khader. 

Il padawan lanciò uno sguardo a Satine, che ricambiò, questa volta, e fece apparire sulle labbra un timido sorriso. 

Era andato tutto bene. 

 

Il resto fu facile. Talmente facile che fu quasi imbarazzante. 

Il terzetto, assieme agli altri, si era fatto un’idea di come sarebbero potute andare le cose se - e ammesso che - fosse riuscito il piano fino a quella parte.

Avrebbero potuto separare Satine da loro, e quella sarebbe stata l’opzione peggiore. In quel caso, nessuno avrebbe potuto difenderla, anche se la ragazza si era detta pronta a rischiare per il bene comune. Obi Wan aveva protestato, attirandosi le ire degli altri e le simpatie del duca, ed il tutto era finito con una reprimenda del maestro. 

Se invece, come Satine credeva, Saxon avesse avuto il piacere e il desiderio di distruggere la città sotto i suoi occhi - dovevano ammettere che avevano optato subito per il sadismo del ragazzo, il semplice ritardo nel montaggio di una tenda era stato merito della Forza - i tre sarebbero probabilmente rimasti insieme e in compagnia di pochi uomini, forse i più deboli che non erano ritenuti in grado di combattere, o i più instabili e inaffidabili in combattimento.

Fu esattamente così che andarono le cose.

Satine, Obi Wan e Qui Gon, ammanettati a dovere, furono condotti dentro ad una tenda, sbattuti lì e lasciati al loro destino in attesa della conclusione del massacro, con due soli uomini di guardia.

Il grande colpo di fortuna fu poi che suddetti uomini erano anche a guardia delle loro spade laser.

Una volta soli dentro la tenda, Obi Wan cominciò:

- Satine io non so che…-

- Non è il momento adesso. Toglimi la cappa.-

Obi Wan sbatté le palpebre, pensoso.

- Eh?-

- Non fare il fesso, forza! Toglimi la cappa! Aprila e prendi i grimaldelli!-

I grimaldelli?

Questo non faceva parte del loro piano.

- E dove li trovo?-

- Nella fondina sulla gamba destra. Muoviti, prima che entrino!-

Poi, all’improvviso, capì.

Satine non aveva mai avuto nessuna voglia di farsi mettere le mani addosso. Nella peggiore delle eventualità, sarebbe stata rinchiusa da sola in una tenda, separata dagli altri, ma lei, che fin dall’inizio aveva avuto tutta l’intenzione di liberarsi e di fuggire, si era organizzata per farlo, programmando anche di entrare nella tenda dei Jedi di soppiatto, liberarli ed andarsene. 

Per questo aveva insistito così tanto per indossare la cappa della madre. Non c’entrava nulla il colore rosso cremisi che poteva confondersi con i Saxon, né la famiglia. 

C’entrava il sotterfugio.

La cappa copriva perfettamente le gambe.

Vikandra doveva averla fatta cucire così volutamente, per nascondere le armi!

Le manette lo impacciarono un poco, ma riuscì a tirare giù la zip con una certa rapidità. La fondina di cuoio conteneva i grimaldelli, infilati per bene in ogni singolo spazio, e non ci mise molto ad individuare quelli che sarebbero serviti per la loro fuga.

Li sfilò, vagamente conscio di star toccando la sua gamba ma troppo euforico per poterci badare, e ne infilò uno senza troppi complimenti nelle manette di Satine.

Non appena fu libera, la ragazza cominciò a svitare il collare del padawan, mentre Obi Wan liberava Qui Gon e ben presto tutti e due furono nel pieno delle loro forze. 

Il resto fu dannatamente semplice.

Satine avrebbe tanto voluto vedere la faccia delle guardie, sotto l’elmo, quando trovarono due Jedi liberi e Satine che ghignava vendicativa in mezzo a loro. 

Prima che potessero anche solo dire o fare qualcosa, Obi Wan aprì un palmo e i due uomini si sollevarono in aria, retti per la cintura.

Strinse il pugno e la cintura si spezzò, mandando i due uomini a terra con un tonfo.

I cinturoni con le armi e le spade laser appese volarono in direzione dei due Jedi, e ben presto il campo fu illuminato da fasci di luce verde e blu. 

I pochi uomini accorsi in aiuto degli altri finirono tutti, inesorabilmente, ammucchiati in una tenda.

La donna di nome Dral sbottò, stridula:

- E adesso che farete? Ci massacrerete tutti, come fate sempre?-

Satine, in testa al terzetto, guardò la donna con sguardo malevolo.

- Un paio di ideucce le avrei, sai? Dopo tutto quello che mi hai fatto, dopo tutto quello che mi hai detto, che mi avete fatto e detto, dopo tutto ciò che avete fatto alla mia gente, potrei lasciare che si divertano un po’. Con te, magari. In fondo, non sei niente male.-

Obi Wan potè sentire il terrore impadronirsi della guerriera, anche se non riusciva a leggerle in volto.

- Sai qual è però la tua fortuna, carina?- ghignò Satine, grattandole via una macchia dal beskar.- Che io non sono Saxon. E i Jedi non sono assassini, ma portatori di pace. Se solo tu avessi studiato un po’ invece di farti indottrinare dal primo scemo che passa lo avresti saputo.-

Detto questo, Satine diede le spalle al gruppetto sparuto di guerrieri.

- Obi Wan?-

- Con piacere.- disse il padawan, facendosi avanti.

 

Mandalore, quartier generale di Larse Vizla. 

- Dove vi trovate?-

- Pasaana, signore. Sappiamo che Satine Kryze si trova qui per un trattato commerciale.-

L’appuntato, la testa nascosta sotto un elmo macchiato di grigio, lanciò uno sguardo al signore seduto sul trono e ringraziò di avere la testa protetta e lo sguardo oscurato.

Gli occhi di Vizla si contrassero appena.

- Pasaana? Posso dire con certezza che la Kryze si trova su Kalevala.-

- Questo non è possibile, signore. Abbiamo seguito i tracciatori ed intercettato una chiamata proveniente da Gi, su Krownest. Siamo sicuri che sia andata lì. Le tracce biologiche…-

Ma Vizla, ormai, non ascoltava più. L’appuntato pensò quasi che si fosse rassegnato, vedendolo chiudere gli occhi e respirare a fondo, ma si era sbagliato. 

Per fortuna aveva l’elmo in testa.

Vizla esplose, urlando tutto quello che pensava nel ricevitore.

Satine Kryze gliel’aveva fatta un’altra volta.

E probabilmente aveva abbindolato anche Saxon.

 

Campagna di Khader, l’epilogo di un giorno che sarebbe passato alla storia. 

Il terzetto non aveva potuto vedere la faccia dei soldati Mando, ma potè vedere la faccia delle tre Abiik’ade che Inga Bauer aveva mandato a prenderli nel luogo concordato per il rendez-vous. L’una più meravigliata dell’altra, rimasero a bocca aperta quando li videro spuntare, al trotto sopra i tre viinire, tutti e tre integri e senza nemmeno un capello fuori posto.

- Vanya, che bello rivederti. Spie?-

- Ce n’era uno di vedetta.-

Ci fu un momento di silenzio, in cui la donna di nome Vanya fece capire quanto c’era da capire, Satine lo accettò suo malgrado ed Obi Wan rimase a fissare i resti fumanti di un jetpack tinto di rosso.

- Segnali d’allarme?-

- Nessuno. La staffetta è pronta. Vizla non si è visto. Per ora non c’è nemmeno un cargo in avvicinamento.-

- Chissà dove si trovano i cacciatori di taglie. In ogni modo, domani ce ne andremo. Quando raggiungeranno Kalevala, noi non saremo più qui.-

- E troveranno Inga ad accoglierli. L’hai mai vista condurre un attacco di terra su un destroyer?-

Satine scosse il capo e quasi rise alla comica reazione malcelata del maestro, che parve improvvisamente interessato alla menzione delle capacità belliche della generale. 

- No, ma mi piacerebbe molto.-

Il gruppo trottò via indisturbato, pronto per ripetere il percorso a staffetta dell’andata e tornare alla villa dello zio Korkie.

 

Il resto, è leggenda.

Gar Saxon fece un grande caos. Sfondò le mura con ogni mezzo che aveva, entrò dentro la città senza nemmeno guardarsi intorno, sparò, bombardò, e solo quando ebbe finito la metà delle munizioni si accorse che nessuno stava opponendo resistenza.

Insospettito, si diresse dentro la città per trovarla completamente vuota.

Preso dal panico, si lanciò verso l’uscita posteriore, nella speranza di uccidere almeno un fuggitivo, ma fu costretto a fermarsi.

Infatti, non appena aprì le porte, si trovò nel territorio degli Awaud e trovò tutti, ma proprio tutti i membri del clan - e non solo quelli fuggiti da Khader - ad armi spianate, pronti a fargli la festa. I Kryze fuggiti dalla città erano in testa, con il sindaco che li guidava nonostante le poche forze, siglando definitivamente l’alleanza tra i due clan. 

Saxon fu costretto a riparare di corsa nell’accampamento.

Beninteso, lui Khader l’aveva presa, soltanto che aveva preso un mucchio di sassi. Dentro non c’era nessuno. I cittadini se l’erano battuta usando le vecchie grotte di Spirba che nessuno di loro, naturalmente, si era preso la briga di studiare.

Nessun bagno di sangue, nessuna prova di forza, se non si voleva interpretare come tale la distruzione di una città vuota con uno spiegamento di armi quasi pari a quelle usate nella battaglia di Keldabe.

Saxon era furibondo. Già pregustava la vendetta che avrebbe soddisfatto sul corpo della giovane Satine quando, tornato all’accampamento, trovò una scena surreale. 

Nell’aria c’era odore di ozono, sprigionato dalle spade laser dei Jedi. Per terra c’erano manette, collari e cinture spezzate. 

Ciò che però lo stupì di più furono i canti che si levavano da una delle tende.

Già, perché Obi Wan, di solito misurato e paziente, si era tolto qualche sassolino dalla scarpa.

Inga Bauer aveva riso fino alle lacrime quando lo aveva saputo, e quella fu una delle poche occasioni in cui il gruppo la vide finalmente fuori dai panni della generale.

- E’ stata un’idea geniale! Del resto che cosa ci volevamo aspettare? Siete stati fantastici! Mai vista una simile combinazione di intelligenza, strategia, inventiva e fortuna nello stesso consesso. I miei complimenti. Siete una squadra perfetta!-

Obi Wan non ascoltava nemmeno. 

Se c’è una cosa che ho capito dopo questa follia, è che la fortuna non esiste.

L’unico suo desiderio era abbracciare Satine, consolarla un po’ dopo le brutture che aveva dovuto sopportare. La ragazza gli aveva lanciato un’occhiata eloquente ed aveva lasciato che lui le leggesse la mente.

Più tardi. 

- La pace con gli Awaud è stata siglata definitivamente. Il sindaco è praticamente innamorato di te, ragazza mia. Non fa altro che ripetere le stesse parole da quando lo abbiamo preso in custodia.-

- Cioè?-

- Mirdal’ad. Figlia intelligente. Mi sa che ti sei guadagnata un altro nome.-

 

Nel frattempo, Gar Saxon stava appunto fronteggiando lo spettacolo più surreale che avesse mai visto in vita sua.

- Che accidenti state facendo?- disse, mulinando le mani per fermare quel canto convulso a cui apparentemente nessuno aveva dato il via. I suoi uomini, i pochi che erano rimasti a fare la guardia, continuavano a cantare la stessa canzone, immuni alle parole del loro capo.

Doveva essere una magia dei Jedi, di certo. 

- Volete tacere?-

- Il susuluuur vien giù dalla montagnaaa…-

- Silenzio! Dove sono i prigionieri? Dove sono i jetiise? Dov’è la pakod?-

- Trotta, trottaaa, ascolta e ragliaaa…-

- Insomma, volete stare zitti?-

- Con l’oreeec-chiooo verso il maaaa-reeeee…-

Nella sua tenda c’era soltanto un messaggio di Vizla, una chiamata sul commlink a cui non aveva potuto rispondere.

- Peeer-ché non si vuol bagnaaa-reee…-

Dentro di sé, già sapeva che cosa avrebbe sentito, e quando vide il volto di Larse Vizla nell’ologramma abbassò il capo a terra, pieno di vergogna e di rabbia nei confronti di Satine Kryze.

- Tiene l’oooc-chiooo sulla reee-naaa, per non perdeee-re la leee-naaa…- 

Il messaggio diceva una cosa sola.

Sei un cretino!

- Ma la meeen-teee è alla battiii-giaaa, alla mentaaa grigia griiigiaaaaaaaaaaaa!-

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Dala pakod: donna di facili costumi

Ked’alor: la duchessa in catene 

Spirba: lett. passaggio, qui usato come cunicolo, grotta artificiale, ovvero Grotte di Spirba

Khader Mirdal’ad: lett. figlia intelligente di Khader

 

NOTE DELL’AUTORE: E anche questa è andata.

There’s no such a thing as luck è un’altra delle iconiche frasi che dovevo citare per forza. 

La guerra purtroppo è cinica. Usa le persone, le storie vengono cancellate, diventiamo numeri e non esseri umani. Per questo tengo a sottolineare che, purtroppo, quanto descritto in questo capitolo è tendenzialmente irrealistico. Le conseguenze sui corpi e sulle menti delle persone, purtroppo sì, sono reali, ma la tattica… Beh, quella è un’altra storia.

Ci sono, tuttavia, situazioni in cui la realtà supera la fantasia, come nel caso dell’assedio - che vi ho già raccontato - vinto utilizzando un asino. Quella è storia vera. 

Chissà, magari un giorno invece di farci la guerra tra di noi infliggeremo una punizione al nemico modello Kenobi, che fa cantare Saxon la versione Mando’a di Romagna mia

Mai dire mai.

Da ora in poi gli eventi andranno piuttosto velocemente. Finalmente capirete chi accidenti sono gli spettri, e da questo momento comincerà l’escalation verso la fine della guerra.

Ciò non significa che non vi sarà altro miele.

Alla prossima,

 

Molly. 

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Capitolo 49
*** 40- L'ultimo saluto ***


CAPITOLO 40

L’ultimo saluto

 

Alla villa dello zio Korkie quella notte fu festa grande. 

Festeggiarono in un modo semplice, con il cibo prodotto nella fattoria e con una buona dose di ne’tra gal. Non ne aveva mai bevuta, ma il giovane padawan scoprì che era effettivamente apprezzabile. Aveva un bel retrogusto amaro con un sentore di piccante non esagerato che gli piaceva parecchio e, a giudicare dal bel boccale che aveva di fronte, piaceva molto anche al maestro Qui Gon. 

Inga Bauer festeggiò con loro via commlink, perché non poteva lasciare l’accampamento. I cacciatori di taglie stavano arrivando e avrebbe dovuto ingaggiarli per evitare che entrassero nello spazio aereo e dare il tempo a Satine di andarsene da Kalevala. Tuttavia, c’era ancora tempo e, per quel poco che potevano, lo passarono in allegria.

- Ti giuro, ragazza mia, il sindaco è innamorato di te. Sono tre ore che continua a ripetere mirdal’ad. Dice che vuole darti le chiavi della città alla fine della guerra.-

- Dove si trovano tutti, in questo momento?-

- Al sicuro nel territorio degli Awaud. Avevi ragione. Hanno sfruttato Spirba al massimo delle potenzialità. In questo momento stanno fortificando le gallerie sotto le colline. Se Saxon vorrà provare a cercarli, dovrà scavare, letteralmente, ammesso che non voglia combattere. Gli Award sono pacifici, non pacifisti, e sono abbastanza arrabbiati da dargli del filo da torcere.-

- Ammesso che non usi altre armi di distruzione di massa.-

- Su Kalevala non ci sono, che io sappia, e di sicuro non permetteremo che entrino, dovessi far saltare in aria le navicelle nello spazio con le mie stesse mani.-

Il primo a prendersi qualche ora di sonno fu il duca, che schiacciò un pisolino sulla sua sedia a rotelle dopo i festeggiamenti. Poi aprì un occhio e - giustamente, a causa della sua condizione - preferì prendere un tranquillante e chiudere gli occhi per qualche ora nel comodo letto che il cognato gli aveva riservato. Satine lo accompagnò insieme ad Athos e rimase un po’ con lui fino a che il sonno non ebbe la meglio.

Obi Wan, dal canto suo, non l’aveva persa di vista un secondo. Sapeva che l’allegria serviva a contrastare, almeno momentaneamente, i brutti ricordi, ma se aveva imparato qualcosa dalla sua permanenza su Mandalore era che la duchessa assomigliava spaventosamente ad una pentola a pressione: tratteneva il vapore e se non seguita attentamente poteva anche esplodere.

La lasciò festeggiare fino a che non furono tutti troppo stanchi per proseguire oltre. Inga Bauer salutò, dal momento che l’aspettava una lunga nottata priva di sonno, e Korkie Bauer preferì organizzare la fuga. Sarebbero partiti tutti immediatamente: Satine avrebbe lasciato il pianeta sul fare dell’alba, e il duca con il maggiordomo avrebbe lasciato la villa assieme a loro, travestito come sempre, per giungere incontrastato a Kryze Manor e riprendere a suonarle ai Vizla dal suo trono di piume d’oca e copertine di tweed.

Nonostante le finestre dovessero restare chiuse per ragioni di sicurezza, e le luci spente, ai due Jedi e a Satine sembrava di stare al grand hotel. Non avevano dormito in un letto morbido per mesi - adesso lo riconoscevano - e non avevano mangiato del cibo fresco e così buono da quello che a loro pareva un secolo. La doccia calda, poi, era stata un’utopia, e in quel momento Obi Wan aveva apprezzato come non mai i miracoli del progresso su un corpo martoriato come il suo. 

L’acqua calda e corrente aveva fatto meraviglie sul suo collo perennemente contratto. 

Fu a quel punto, dopo la doccia e prima di dormire, che Satine crollò.

Obi Wan e Qui Gon stavano giusto sistemando gli ultimi oggetti personali e si stavano apprestando a dare la buonanotte alla duchessa, quando la ragazza si fiondò in corridoio con i capelli ancora bagnati.

- Satine, state bene?-

La duchessa scosse il capo e il labbro tremò vagamente, prima di voltarsi e fare finta di niente. 

Lei è Mando. Lei non piange. 

I due Jedi si guardarono, ma non ci voleva il genio dello zio Korkie per capire.

Il maestro si avvicinò a lei e le grattò delicatamente una spalla. 

Obi Wan contò mentalmente fino a tre.

Satine si voltò e ficcò la faccia nella tunica dell’uomo, piangendo a dirotto.

- Su, su.-

Non c’era nulla da fare, però. Obi Wan sapeva per esperienza che quando Satine rompeva gli argini, l’unico modo per calmarla era farla sfogare. Così, la portarono nella loro stanza, provando a farle compagnia per quanto potevano ed aspettando che le passasse.

Sedette con loro per un po’, piangendo nella tunica del maestro.

Poi, drizzò il capo e cominciò a comportarsi come se nulla fosse.

- Vi sto facendo perdere tempo. Lasciate stare. E’ già passato. Perché non dormite un po’?-

Padawan e maestro si lanciarono uno sguardo.

E’ nella sua cultura non mostrare dolore.

- Oh, vi prego, smettetela!- disse Satine, alzando gli occhi e le braccia al cielo.- Detesto quando fate così.-

- Così come?-

- Quando vi parlate l’uno nel cervello dell’altro. Non dite niente, ma fate un sacco di facce, ed è fastidioso, perché non so mai se parlate di me o no. Ditemi la verità e basta.- 

Fu Obi Wan ad essere incaricato a darle spiegazioni.

- Ci stavamo semplicemente accordando su quale fosse il modo migliore per consolarti.-

- Non ne ho bisogno. Sto bene.-

- Vedi perché non te l’abbiamo detto?-

Satine sollevò un sopracciglio e si morse il labbro tumefatto. 

- Posso dormire con voi?-

Più che una richiesta, era una preghiera, e i due Jedi non se la sentirono di dirle di no. Stretta tra di loro nel grosso letto si sentiva protetta, come se avesse lasciato lo spettro di Saxon da solo nella stanza vuota accanto alla loro. Si rannicchiò con la schiena contro quella del maestro e con il volto verso quello di Obi Wan.

Qui Gon prese immediatamente a russare.

- Sai, a volte invidio la sua abilità di dormire dovunque.-

Soppressero un sorriso.

- Ti senti meglio?-

- Insomma.-

Rimasero in silenzio mentre la luce della notte filtrava dalle imposte chiuse. Satine respirava piano, scivolando lentamente nel sonno, mentre il padawan non riusciva a riposare.

- Sai qual è stata la cosa che mi ha infastidito di più? Non sono le minacce o le unghie, o il bacio rubato. No, quello che mi ha infastidito di più sono i dettagli. L’alito, per esempio. Quelle sono cose che non sono tangibili. So che non mi sta più né baciando né toccando, ma non riesco a convincermi che ogni refolo di vento non sia il suo fiato sul collo.-

Obi Wan le sfiorò i capelli umidi, provando a consolarla, ma non sapeva cosa dire.

- Hanno detto delle cose anche a me. Per questo ho fatto cantare loro la canzone del susulur. Non è vendetta, è educazione. Certe cose non si possono dire o fare, e qualcuno prima o poi glielo deve spiegare. Si sentiranno umiliati, tanto quanto ci siamo sentiti umiliati noi, nonostante ci sia una bella differenza. Spero che imparino la sensazione e non ci provino più.-

La duchessa sorrise un po’ nel buio della stanza.

- Mi dispiace che anche tu…-

- Non dispiacerti. In fondo, rispetto a quello che è successo a te mi è andata bene. Solo qualche commento fastidioso, però mi sono sentito un pezzo di carne sul banco del macellaio, da scegliere, sotto gli occhi della gente.-

Satine brontolò.

- Sì, di solito è così che ci si sente.-

Si strinsero le mani e rimasero a guardarsi mentre il sonno si impadroniva di loro, cullati dal russare del maestro.

- Posso chiederti una cosa?-

- Spara.-

- Come hai fatto? A restare impassibile, dico. Se lo avessero fatto a te, io credo che sarei impazzita. Era ciò che temevo di più, che tu non riuscissi a controllarti mandando tutto all’aria. Invece hai avuto la faccia tosta di restare a guardare senza fare niente, come eravamo d’accordo di fare. A parte la canzone del susulur, non hai nemmeno cercato vendetta.-

Obi Wan sospirò.

- Non credere che sia stato facile, o che mi sia divertito. Se non avesse fatto parte del piano, se fosse successo in un altro posto e in un altro contesto, credo che lo avrei fatto a fettine. Sapevo, però, che avrei messo a repentaglio la tua sicurezza, se avessi perso le staffe. Non facevo altro che ripetermi che ci sarei stato dopo. Dopo. Dopo. In continuazione, come se potesse rendere meno orribile quello che poteva succederti. Ci sarei stato dopo, quando di solito c’è solo la solitudine. Non potevo prevenire nulla, ma potevo curarti.-

Satine gli strinse le mani più forte e Obi Wan percepì la sua gratitudine.

- Sai, mi piacciono i tuoi parenti, ma non i loro piani. Questo era troppo spregiudicato.-

- Ha funzionato.-

- Sì, ma c’è un limite a quello che si può fare per vincere. Mettere a repentaglio la tua integrità non rientra tra queste. Saxon ha detto che ti hanno venduto, beh, tutti i torti non li aveva.-

- Non dire questo della mia famiglia.-

- A tuo zio stava bene che ti…-

- No. Mio zio è arrogante, non un farabutto. Ha avuto troppa fiducia nella sua intelligenza, e con il senno di poi gli eventi gli hanno dato ragione. Alla fine, le minacce non sono diventate concrete.-

- Ha accettato il rischio. Questo io non posso condividerlo.-

- L’ho accettato anche io, il rischio.-

- E’ diverso. Hai deciso per te stessa. Lui e gli altri, invece, hanno deciso per te senza chiederti niente. Non fraintendermi, non ce l’ho con loro, soprattutto con tuo padre, che era contrario. Questo piano, però, per quanto efficace, conteneva degli elementi discutibili e troppe variabili, e non puoi negarlo.-

Satine tacque.

- No, non lo nego.-

Si addormentarono, per quel poco che avrebbero potuto dormire, pensando che se alla fine era andato tutto bene, più che merito di Korkie Bauer e dei suoi piani strampalati - indubbiamente il suo zampino era stato fondamentale - era stato grazie alla Forza, che aveva voluto così.

 

La sveglia suonò troppo presto.

Quando Satine aprì gli occhi, si trovò avvolta nello stritolante abbraccio di Qui Gon da un lato e Obi Wan dall’altro. 

Provò a sgusciare fuori dalla morsa senza svegliarli, ma non ci riuscì. Il padawan aprì un occhio, poi anche l’altro, e il maestro grugnì con soddisfazione mentre si stiracchiava come un gatto di Lothal.

- Sono tutto anchilosato. Questo letto è troppo piccolo per tre persone. Duchessa, respirate ancora o vi abbiamo soffocato sotto il nostro peso?-

Satine sorrise, rasserenata, e qualunque tensione nella Forza scomparve. 

Scesero per fare colazione, portando con sé le proprie cose. Kyla era stato portato in salotto, già vestito da donna, con la veletta che minacciava di cadergli dentro il cucchiaio colmo di miele.

- Non dargli troppa di quella roba, Athos.- brontolò Satine, accarezzando la testa bionda del padre nella parte rimasta scoperta.- Gli si altera la glicemia.-

- Sì, signora.- commentò, quasi ironico, mentre il duca annuiva e succhiava allegramente il cucchiaio.

Francamente me ne infischio.

Lo zio Korkie, prima di partire, fece un’ultima chiamata ad Inga Bauer, che però sembrava di malumore. 

- Non voglio rispondervi male, ragazzi, ma qua siamo nel bel mezzo di un gran caos. Chiunque stia finanziando questi cacciatori e Larse Vizla con loro, deve avere tante di quelle palanche da farci il bagno la mattina e andarci a letto la sera. Con le sole casse di Mandalore, sono sicura che non potevano pagare nemmeno lo spinterogeno di un incrociatore così. E non ho nemmeno dormito. Come siete messi?-

- Stiamo per partire.-

Inga sembrò pensierosa. Si fermò, con aria confusa, grattandosi i ricci neri tra le ali di bronzo e guardandosi attorno per un momento.

- Vanya!-

La Abiik’ad apparve solo marginalmente, spezzata a metà per il raggio limitato del commlink. Lei ed Inga parlarono un poco sottovoce, poi la ragazza si allontanò e la lasciò sola.

- Vanya potrà sostituirmi per qualche minuto. Volevo informarvi che abbiamo novità sul caso spettri.-

Un brivido corse lungo la schiena di Obi Wan, che provò a reprimerlo senza riuscirci.

Qui Gon gli posò una mano sulla spalla e potè sentire lo sguardo del duca su di lui.

- Abbiamo un corpo. L’abbiamo trovato qualche giorno fa, prima che Khader assorbisse tutte le nostre energie. Abbiamo messo un medico legale al lavoro. Ha consegnato i risultati stamattina e credo che dovreste proprio leggerli, anche perché… Beh, diciamo che c’è stato un incidente.-

Il commlink si illuminò e si riempì di pagine e pagine di dati. Satine le scorse con il dito, una per una, dando il tempo agli altri di leggere.

Quanto scoprirono fece accapponare loro la pelle. 

I corpi degli spettri erano strani, e di questo se ne erano accorti. Non solo per la loro forma e le loro dimensioni, ma anche per la curiosa colorazione, per le alghe e per l’odore. Qualunque liquido scorresse nelle loro membra, inoltre, non aveva il colore del sangue animale.

Questo perché animali non erano, e non erano nemmeno umani. Erano esseri inclassificabili in nessuna creatura esistente, ma avevano delle caratteristiche particolari che li rendevano ancora più inquietanti.

- Fateci capire, Inga. Stai cercando di dirci che è esploso?-

- Più o meno.- concluse la donna, accomodandosi su uno sgabello a tre gambe che dondolò pericolosamente sotto il suo peso.- Il loro corpo, di sicuro, era inanimato. Dopo aver svolto un accertamento esterno, il corpo si è gonfiato fino ad esplodere, ed ha cosparso la stanza del medico legale di spore nerastre. Una gran schifezza, ve lo garantisco. Il laboratorio ha anche approfondito quella ricerca che avevi fatto fare, per scoprire se avevano la magia dei Jedi. In effetti, ce l’hanno. Nel campione che avevamo inizialmente, non avevamo trovato nulla di attivo, ma alla ricerca di midichlorians silenti, beh, ne hanno trovati un bel po’.-

Obi Wan si passò istintivamente una mano sul collo, abbracciandosi il gomito con la mano libera.

Lo sguardo del duca si concentrò ancora una volta su di lui. 

Il padawan potè sentire i capelli sulla nuca drizzarsi.

Satine aveva aggrottato le sopracciglia.

- Certo, se fosse così, si spiegherebbero tante cose, ma altre rimarrebbero insolute.-

- Questo, in verità, potrebbe essere più semplice di quello che pensiamo. Non devono nutrire il corpo, bensì ciò che lo abita.-

Un corpo vegetale, ovviamente, non si muove da solo. Non ha una coscienza. Al massimo, ha un sistema elementare che intercetta la luce e si muove per raggiungerla al fine di svolgere la fotosintesi e le funzioni necessarie alla sua sopravvivenza. Solo in alcuni casi, come per le piante carnivore, si può parlare di un sistema nervoso primitivo che fornisce sensibilità alle foglie, fondamentale per procacciarsi la preda. 

Per muoversi nel modo in cui si muovevano gli spettri, una pianta ha bisogno di una forma di energia che lo spinga a muoversi, che lo controlli. 

Qualunque cosa fosse, dunque, sicuramente aveva bisogno di sostanze per restare in vita. 

Gli spettri, però, hanno anche parte di patrimonio genetico animale.

Che sia quello dominante?

Satine non era del tutto convinta.

- State pensando ad una specie di animale capace di controllarli tutti?-

- Una mente alveare.- concluse Obi Wan, improvvisamente pallido.

- Proprio così. Una mente alveare sarebbe la soluzione migliore, e spiegherebbe per quale motivo sono così organizzati e comunicano così bene tra di loro. La mente comanda tutto, dirige tutto, ha possibilità di controllo e di adattamento.-

Nella sala calò il silenzio. 

Satine si grattava i capelli corti, pensierosa, mentre i due Jedi si fissavano senza comprendere esattamente dove conducessero quelle rivelazioni. Obi Wan, in particolare, era estremamente preoccupato. Le sue conoscenze in materia di menti alveari, per quanto limitate, gli suggerivano che esse avevano come scopo primario il propagarsi per sopravvivere. Ciò implicava trovare dei sistemi per assoggettare quanti più corpi possibili al loro dominio. 

E lui? Lui, che era stato morsicato più volte, poteva diventare oggetto della possessione della mente alveare? E se sì, per quale motivo ancora non si erano manifestati i primi sintomi?

L’ipotesi di perdere la testa lo aveva sempre terrorizzato. L’idea di perdere la testa e fare del male a Satine e Qui Gon lo disperava.

Satine lanciò un’occhiata ad Obi Wan, giusto in tempo per vederlo sbiancare e portarsi una mano alla bocca in modo circospetto.

- Date dell’acqua a questo ragazzo, per favore.- commentò il monitor del duca, indugiando ancora su di lui.- Se sentissi questa roba dopo aver passato quello che ha passato lui, vomiterei anche io.-

Korkie Bauer sparì dentro la cucina per tornare subito dopo con una bella caraffa di acqua fresca e un bicchiere ricolmo per il padawan, diventato color formaggio di susulur.

- Rimane da capire da dove vengano, e per quale motivo attacchino…-

Ma la testa di Obi Wan era altrove. 

Troppe cose non tornavano nella ricostruzione del medico legale.

Innanzitutto, è vero che le piante sono solitamente autotrofe, ovvero hanno la possibilità di produrre da sole il nutrimento necessario al loro sostentamento, tuttavia esistono in natura anche piante parzialmente eterotrofe come, appunto, le piante carnivore. Inoltre, gli spettri avevano in parte del materiale genetico animale, che li spingeva a muoversi su due o quattro gambe, ed avevano una testa dall’aspetto vagamente animale e un istinto di caccia ben sviluppato.

Le comunicazioni avvenivano attraverso suoni esterni, con un linguaggio piuttosto sviluppato. Una mente alveare non ne avrebbe avuto, in teoria, bisogno.

In teoria, sì, perché con gli spettri a questo punto era l’unica arma che avevano.

E poi, venivano dalle profondità della terra, su da cunicoli e tunnel, almeno stando alla teoria di Satine.

Tunnel.

All’improvviso gli sembrò tutto chiaro come il sole, come se la verità fosse stata sempre sotto i suoi occhi. 

Era così semplice.

Davvero era così semplice?

- Sarlacc!- 

Sputò quella parola prima ancora di rendersi conto di aver aperto bocca, e la stanza piombò nel silenzio.

Poi, vide Satine battersi un palmo sulla fronte e sgranare gli occhi.

- Certo! Come ho fatto a non pensarci prima!- e lo baciò sulla guancia.  

La stanza, se possibile, cadde in un silenzio ancora più denso.

la duchessa ci mise un po’ a comprendere che, più che l’ipotesi del padawan, a sconvolgere il gruppo era stato il suo bacio spudorato. Sulla guancia, certo, ma pur sempre un bacio che una Mando aveva dato ad un Jedi.

Tossicchiò e provò a dirottare l’argomento su altro.

- Obi Wan ha ragione, sono sarlacc!-

Questa volta gli astanti cominciarono a prenderla sul serio.

- Pensateci. E’ una delle creature più rara della galassia, che nessuno conosce davvero. I libri su quelle creature sono pochissimi, anche per la loro esistenza ciclopica. Quanto tempo hai detto che vivono, Obi Wan?-

Il padawan preferì non sottolineare che non aveva mai detto nulla riguardo alla loro vita, ma lasciò perdere.

- Quasi diecimila anni.-

- Un eone, praticamente. Nessun essere vivente nella galassia può vivere abbastanza a lungo da documentarne la nascita, la vita e la morte. Per questo motivo le sue origini sono così oscure!-

- Non capisco.- commentò Inga, dondolando il capo. - Solo perché sono misteriose non significa che…- 

Satine fu costretta ad interrompere la sequenza di informazioni della generale per comunicare a tutti le conclusioni a cui era arrivata.

- Io credo che la soluzione di questo problema vada cercata nelle leggende di Mandalore.-

Vi fu più di un sopracciglio inarcato.

Obi Wan non replicò.

- Voi sapete perfettamente che, secondo la mitologia, Marmaduke Kryze ha sconfitto una grande piaga causata da parassiti, o da animali di dimensioni minuscole capaci di uccidere. Se ci pensate bene, i sarlacc esplodono alla fine della loro vita, diffondendo spore dovunque! E se nelle leggende di Mandalore ci fosse un fondamento di verità e questi microorganismi fossero esattamente delle spore di sarlacc?-

Silenzio.

- Pensateci, ha senso! Un sarlacc si sviluppa nelle profondità della terra fino a diventare enorme. Potrebbe essere l’origine delle nostre grotte e delle nostre Porte! Probabilmente nelle profondità c’è un ambiente favorevole che permette ai cuccioli di svilupparsi, salvo poi risalire in superficie alla ricerca di cibo. Passano attraverso il reticolo scavato dal predecessore. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui non sappiamo come mai sono presenti in alcune aree del pianeta e non in altre. Cioè, adesso sono dovunque, ma prima abbiamo faticato un bel po’ prima di capire per quale motivo spuntassero in alcune località e non in altre. E poi, sono in parte piante! Anche il loro aspetto estetico assomiglia terribilmente a quello di un sarlacc!-

- E per quale motivo avrebbero delle abitudini alimentari discutibili?-

- Questo non lo so.- commentò Satine, guardandosi le unghie.- In teoria il sarlacc è un carnivoro che risucchia lentamente le proprie vittime dopo averle narcotizzate… Per le mutande pietose di Arasuum, Obi Wan! Le neurotossine! Eri imbottito di quella roba quando ti hanno morso!-

Il ragazzo abbassò il capo ed annuì.

Rimasero tutti ad ascoltarla attentamente, e più Obi Wan metteva insieme i pezzi, più si rendeva conto che, con le informazioni aggiuntive fornite da Inga Bauer, il puzzle andava sempre più a comporsi in modo uniforme.

Se di trattava di sarlacc, abituati a vivere negli abissi della terra, non c’era da porsi il problema della loro resistenza alla pressione dell’acqua. 

Inoltre, si spiegava il motivo della totale assenza di anomalie nella Forza. Quando erano nei paraggi, erano le altre forme di vita a segnalare la loro presenza, ma come potevano i Jedi percepirli? Erano prevalentemente piante, menti semplici. Qui Gon aveva delle difficoltà a sentirle, mentre Obi Wan, forte nella Forza Unificante, era riuscito a percepire qualcosa di più.

- Ha senso per davvero! Parameci e archibatteri non possono condividere l’ambiente, devono per forza di cose aver scalato vari livelli, portandoli con loro e fungendo da veri e propri vettori, microcolonie in cui si sono sviluppati a dismisura senza predatori. Gli unici luoghi pieni d’acqua e così profondi sono le Porte di Mandalore, e gli spettri rifuggono la Luce. Probabilmente, è da essa che scappano, ciò che li spinge a salire in alto. Posso confermare che la Luce contro di loro funziona, e sono terrorizzati dalla spada laser di Obi Wan, che è bluastra a sua volta.-

- E perché mai un sarlacc dovrebbe avere paura della Luce di Mandalore?-

Ecco, questo era un tasto dolente. Satine sapeva perfettamente di stare camminando sulle uova. In fondo, la sua era solo una teoria basata su un mito.

Tentò e sperò in un atto di fede da parte dei suoi parenti e dei suoi amici. Sapeva di star chiedendo molto, ma gli indizi che aveva ricevuto fino a quel momento la facevano ben sperare.

La pensata di Obi Wan metteva tutti i pezzi al loro posto e rendeva per la prima volta le cose davvero plausibili.

- Io ho una teoria, ma mi rendo conto della sua astrattezza. Tuttavia, volendo fare uno sforzo mentale, devo dire che con quest’idea che ha avuto Obi Wan, tutto torna.-

Satine entrò nel dettaglio del mito. Con convinzione, spiegò loro le origini degli spettri. 

Attorno a lei calò il silenzio.

Al contrario di quanto si era aspettata, Satine dovette constatare che Inga era scettica, e non esitò a darlo a vedere.

- Mi dispiace, duchessa, mi chiedi un atto di fede, ma io di fede ne ho poca. Confido in altri principi.-

- Però credi nella Luce di Mandalore. Per quale motivo esiste, secondo te?-

- Non è il momento di fare della filosofia.- commentò Korkie Bauer, le braccia conserte e lo sguardo duro.- Quanto dice Satine potrebbe avere senso, anche se è difficile da credere.-

Obi Wan si morse la guancia, provando a trattenere un commento ostile. La situazione era delicata e lui era stanco. Aveva messo alla prova la sua tempra morale per troppo ed adesso cominciava a sentire il controllo sulle sue emozioni svanire. 

Sospirò pesantemente, chiudendo gli occhi per meditare un poco. Nelle sue orecchie ronzavano vagamente i commenti della generale e dello zio Korkie.

- Andiamo, Korkie, è una teoria strampalata. E poi, che vuoi che ne sappia il ragazzo di Mandalore?-

- E’ proprio perché non ne sa niente che il suo punto di vista ha senso!- ribatté la voce di Satine, indignata.- Le sue deduzioni sono basate solo ed esclusivamente sulla sua esperienza personale, che nulla ha a che vedere coi nostri misteri, e perdonatemi, ma anche anatomicamente quelle creature si avvicinano molto ad un…-

- Satine, ci vogliono prove per queste cose. Il ragazzo è un Jedi che passa la maggior parte del tempo seduto a meditare. Quanto vuoi che abbia visto del mondo e della galassia? Anche lui parla di sarlacc per sentito dire, mia cara.-

Obi Wan aprì gli occhi, inspirò ed espirò di nuovo, cercando il sostegno del suo maestro.

A quanto pareva, però, il duca era interessato a sentire che cosa aveva da dire. Con un cenno della mano, segnalò ad Athos di spingere la carrozzina verso di lui, e parlò solo quando gli fu davanti.

Lo squadrò con gli occhi tigrati, come se potesse leggergli nel pensiero.

- Sono interessato a quello che hai da dire, ragazzo.-

Nella stanza, di nuovo silenzio.

- Io non ho niente da dire, signore. E’ il vostro posto, non il mio, sostenere delle posizioni…-

- Bando alle ciance, figliolo, e piantala di chiamarmi signore. Darei più di un credito per i tuoi pensieri in questo momento, e ti autorizzo a parlare liberamente. Nemmeno il tuo maestro ti brontolerà.- e lanciò uno sguardo a Qui Gon, che tentennò, ma alla fine acconsentì.

Obi Wan prese fiato e si preparò ad incassare una buona dose di critiche.

- Ci sono alcune cose che non riesco a capire, sinceramente. Ogni volta che mi sembra di aver compreso qualcosa del vostro modo di vivere, arriva qualcos’altro a contraddirmi. Mi pareva di aver capito che foste gente fedele, leale, intelligente, molto legata alla famiglia e ai legami di sangue, al clan, però non riesco a capire: come mai, se Satine è tutto questo, una parente, nonché la vostra Mand’alor, siete disposti a mandarla da Saxon, rischiando l’abuso, ma non siete disposti a crederle, nonostante sia la leader che voi avete designato?- 

Nella stanza stavolta calò il gelo.

Satine rimase a bocca spalancata per il coraggio che doveva esserci voluto per quell’esternazione. Obi Wan voleva abbassare il capo e chiedere scusa, ma non fece alcun passo indietro. Rimase eretto, incrociando i suoi occhi blu e implorandole perdono.

- Voglio dire, da una parte è la vostra leader, dall’altra non la trattate come tale.-

Satine tentò la carta della mediazione.

- Io non mi sento un leader, anzi…-

- Lei ha provato ad offrirvi una soluzione - continuò Obi Wan - e secondo me, permettetemi, ha ragione. Sono uno straniero, dei miti di Mandalore non so quasi nulla se non ciò che mi ha racontato Satine, ma con le informazioni che ci avete appena fornito, effettivamente possiamo tracciare un quadro più completo. Nulla sfugge alla Forza, eccetto alcune creature poco senzienti. Non possiamo percepire oggetti inanimati o creature semplici, o in assenza di midichlorians attivamente funzionanti, e questo spiegherebbe perché non percepiamo mai gli spettri. Questo, mi pare, sia un elemento ricorrente anche nei mostri delle vostre storie, che sfuggivano al controllo dei Jedi e dei Sith. Se sono sarlacc, poi, non c’è bisogno di resistere alla pressione dell’acqua a quelle profondità. Anche se si rompe qualcosa o si deforma, l’importante è che sia salvo il corpo centrale attraverso il quale si nutre. In fondo, sopravvive mangiando qualsiasi cosa. Nessun essere vivente che esista nella galassia mangia così tanta vernice e trucioli come noi gliene abbiamo visti mangiare. La vernice, mi spiego? Non gli interessa che sia carne, umana o animale, o un oggetto inanimato come la pittura per infissi. Mangiano di tutto, persino le cortecce degli alberi, e pensare che dovrebbero essere loro simbionti!-

Si sentiva un fiume in piena. Le parole uscivano come se non potesse controllarle, ma in verità Obi Wan comprese che stava semplicemente dicendo tutto quello che si portava dentro da un bel po’ e che sentiva il bisogno di dire. 

- E’ vero, noi Jedi restiamo spesso al Tempio a meditare, ma siamo comunque una comunità di qualche migliaio di persone, e assieme abbiamo accumulato un bel po’ di esperienza. Nel tempo, hanno raccolto moltissime storie, informazioni, indizi. Maestri come Kit Fisto sono scienziati di un certo livello ed hanno una formazione avanzata. Quando non andiamo personalmente in giro per la galassia e quando non meditiamo, passiamo il nostro tempo a studiare. Ho letto molto sui sarlacc. Tutto quello su cui la bibliotecaria mi ha permesso di mettere le mani. Certo, le nostre informazioni non sono complete perché gli studi sui sarlacc non sono completi. Infatti mi farebbe molto piacere sapere se quelle bestiacce si riproducono solo attraverso spore, perché, sapete, mi hanno morso un po’ in tanti, e non avrei voglia di diventare un pericolo per Satine o per qualcun altro. Sarei di sicuro un pericolo per lei, perché la vogliono. Per quale motivo non lo so. Forse hanno paura, forse hanno fame e sono attratti dalla Luce che si porta dentro. Certo è che la isolano, ogni volta che provano ad attaccarci cercano di tagliarla fuori dal gruppo, e l’unica cosa che la contraddistingue da noi è l’uso della Luce di Mandalore. Lei rappresenta l’ultimo ostacolo tra loro e il dominio del sistema, e forse la vogliono morta. Anche la mia spada laser dà loro fastidio, perché è blu. Tutto quello che Satine dice, dunque, ha un senso, per cui datemi un motivo valido per cui non dovreste crederle. Nulla di tutto ciò che ho visto su Mandalore da quando sono arrivato ha un senso logico, ma se posso venire a patti con la sete di potere di certuni, beh, con bestie del genere c’è poco da dire.-

Chiuse la bocca e si guardò le scarpe, provando ad evitare lo sguardo dei presenti.

- Non è una critica personale, vorrei che fosse chiaro, solo che…-

- Se non è una critica personale, ragazzo, evita, per cortesia, di immischiarti negli affari di Mandalore. Il tuo ruolo è di proteggere. Resta al tuo posto.- commentò dura Inga Bauer.- Stai insultando il duca e tutti i…-

- Non ha insultato proprio nessuno, Inga cara, anche se apprezzo il tuo tentativo di difendermi.- commentò il duca, o meglio, il suo monitor, con quello che sembrava un sorriso sul volto.- Anche perché io sono assolutamente d’accordo con il ragazzo. Satine ha rivoltato quei libri da cima a fondo fin da quando aveva otto anni, conosce quelle storie meglio di tutti quanti noi. Se dice che quelle creature potrebbero essere autoctone, io tendo a crederle. E, del resto, io ero contrario a quanto abbiamo deciso di fare a Khader.-

Satine sorrise, gli occhi pieni d’ammirazione, nonostante fosse consapevole che il commento del padawan era stato un po’ eccessivo. Incassare il sostegno di suo padre, tuttavia, non era scontato e Satine fu fierissima del fatto che i due si piacessero.

I due Bauer si guardarono ammutoliti. 

Il primo a riprendersi fu lo zio Korkie.

- In ogni casi, dubito che quello che sappiamo li fermerà. Stanno facendo delle vere e proprie stragi.-

- Lo sappiamo. Dopo quello che abbiamo visto a Loras…-

- Loras, rispetto ad altri posti, è messa bene. Li hanno avvistati a Nebrod, hanno devastato il villaggio. Fortunatamente non c’era nessuno, non è stagione. Il Tempio della Luce, però, è distrutto. Si sono pappati la metà dei sacerdoti e l’altra metà è riuscita a fuggire e a cercare aiuto, anche se malmessi. Li stanno curando al Centrale di Kalevala.-

Satine cominciava a sentire il tempo stringerlesi attorno. Non poteva tergiversare. Avevano vinto una battaglia, ma non la guerra, e forse quella vera non era nemmeno contro Larse Vizla.

Le rotelle nel suo cervello continuavano a girare e dovevano trovare un modo per incastrarsi.

Gli spettri, la Luce, le prove, la guerra, Larse Vizla, i clan…

Doveva pur esserci un comune denominatore capace di mettere insieme tutti quei pezzi.

Il loro tempo, però, era ormai scaduto. Inga Bauer ingaggiò praticamente in diretta video la battaglia contro i cacciatori di taglie, più agguerriti di quanto potessero immaginarsi. Kyla Kryze decise di ripartire con Athos immediatamente alla volta di Kryze Manor, per poter prendere parte ai preparativi della resistenza contro Larse Vizla e attendendosi ritorsioni da parte dei Makyntire e dei Saxon.

- Se quella palla da biliardo di Evar dovesse palesarsi con quel pallone gonfiato di suo figlio Gar, troverà pane per i suoi denti. Per quanto riguarda Angus Makyntire, possiamo star certi che proverà a presentarsi a Kryze Manor, ma noi abbiamo un piano.-

- Tipo?-

- Pare che credano in un certo fantasma che infesta i confini della tenuta.-

Satine scoppiò a ridere sotto gli occhi perplessi dei due Jedi.

- Un giorno, magari, vi racconterò la storia. E’ piuttosto divertente.-

Fuori dalla tenuta, guardarono il duca partire, scarrozzato sulla sedia a rotelle da Athos, mentre si reggeva la gonna con una mano e con l’altra teneva a portata di mano il bastone. Il maggiordomo, dal canto suo, si era calcato il cappellaccio in testa e arrancava sotto il peso del duca.

Satine, Qui Gon e Obi Wan, invece, preferirono riprendere la marcia per i boschi, diretti alla loro navicella parcheggiata educatamente dentro la grotta sulla scogliera. Korkie Bauer si offrì di accompagnarli, ma fu taciturno per tutto il tragitto. Per evitare di scarpinare, preferirono prendere un piccolo speeder, che scheggiò rapido giù per i sentieri. Lo zio aggirò la collina e con il favore dell’ombra degli alberi il trio sfuggì agli occhi di eventuali spie e riuscì a sparire fino alla cima della scogliera. 

Si fermarono nella sterpaglia, dove nessuno poteva vederli, per salutarsi.

- Ci tengo a dirvi che non intendevo insultarvi o ferirvi in alcun modo. Semplicemente, io…-

Korkie sorrise, poggiando una mano sulla spalla del padawan.

- Non ce l’ho minimamente con te, figliolo. Quello che hai detto è in parte vero. Credo che il nostro punto di vista sia viziato dal fatto che Satine è molto giovane e che per noi resterà sempre la bambina che si impiastricciava la faccia con il formaggio di susulur quando veniva in vacanza al mare. Sotto questo profilo, temo che ci sia poco da fare. Per quanto riguarda Inga, lei è una stratega. Bisogna fare quello che c’è da fare, che ci piaccia o no. Non si fa troppi problemi, né è uno scandalo per lei sacrificare i diritti di qualcuno per il bene superiore. E’ quello che fanno i generali. Fanno scelte difficili.-

Obi Wan gli sorrise di rimando, contento, ed anche Qui Gon gli strinse la mano con aria soddisfatta, affermando che era stato un piacere conoscerlo. Satine, per ultima, gli si gettò al collo, coprendolo di baci.

- Ti ho visto volentieri, zio. Facciamo in modo di non far passare troppo tempo, la prossima volta, va bene?-

Quando era mescolato ai suoi affetti, fuori dalla sua veste di tattico e giocatore di scacchi, Korkie Bauer era una persona piacevole. Arrossì e parve apprezzare molto l’abbraccio di Satine, e quando le rispose che sì, si sarebbero rivisti presto, e magari l’avrebbe chiamata ogni tanto, sembrava proprio sincero, con una lucina birichina negli occhi che rifletteva quella che brillava nelle iridi blu della duchessa.

Si assomigliavano molto. 

Contenti dunque che tutto si fosse risolto, i quattro si salutarono cordialmente. Il terzetto si diresse verso la cima della scogliera, pronto a calarsi giù e raggiungere la bocca della grotta, e lo zio diretto al suo speeder nascosto nei boschi. 

Obi Wan e Qui Gon si misero a legare la corda, saggiandone la resistenza e preparandosi alla scalata, quando uno scintillio sulla riva della spiaggia catturò la loro attenzione.

Un disturbo nella Forza fece loro capire che era il momento di andare, prima che succedesse qualcosa di pericoloso e potenzialmente letale.

- Dobbiamo sbrigarci. Cominciamo a scendere. Obi Wan, tu per ultimo, la duchessa in mezzo e…-

Ma un fischio squarciò l’aria. 

Ad essere proprio onesti, l’immagine ed il suono erano leggermente sfalsati. Prima ancora che potessero udire il fischio del missile terra aria, videro la scia che solcava il cielo e, prima che potessero essere travolti dall’onda ad urto dell’esplosione e dal boato, videro la nube di detriti e fumo sollevata dal punto in cui il missile si era schiantato.

Satine rotolò a terra impietosamente e rischiò di cadere di sotto dalla scogliera. Sommersa di polvere, terra e fili d’erba, tossì sputacchiando fumo e sporcizia. 

Attorno a lei, i due Jedi si stavano affannando a preparare la fune per scendere e ad armarsi di ramponi.

Se un altro missile fosse caduto sulla corda, l’avrebbe spezzata e loro sarebbero precipitati nel vuoto, se non avessero avuto altro con cui scendere.

Satine, però, pensava ad altro, perché il missile era caduto in un luogo ben preciso, in un punto che lei ricordava essere riparato, sotto gli alberi, ideale per nascondere un mezzo di trasporto.

Con le orecchie che ancora fischiavano per l’esplosione, Satine si alzò in piedi e barcollò un poco in avanti, verso il punto dell’esplosione.

Sì, era terribilmente familiare.

- Satine, dove vai?-

Ma la ragazza non ascoltò. Continuò ad avvicinarsi al punto dell’esplosione sempre di più, sentendosi come sospesa nel vuoto.

No.

- Satine!-

Le sembrava di intravedere, tra il fumo e le fiamme, una sagoma familiare, una forma squadrata parzialmente sollevata da terra, che adesso giaceva scomposta sul terreno, in parte deformata, ma di una cosa era purtroppo fin troppo certa.

Seduto al posto di guida c’era qualcuno.

NO!

Non si era nemmeno resa conto di essersi messa a correre in direzione dello speeder fumante. Una parte del suo cervello sapeva che, ormai, non c’era più nulla da fare. Satine sapeva che suo zio era ridotto in cenere, e che tutto ciò che restava della sua sagoma era soltanto questo, uno scheletro carbonizzato.

Forse non si era nemmeno accorto di essere morto.

Un paio di braccia la sollevarono con forza e la costrinsero a tornare indietro.

Satine scalciò e si dimenò, e sgusciò solo parzialmente dalla stretta, finendo in ginocchio per terra. 

- Obi Wan, portala via!-

Ma era più facile a dirsi che a farsi. Satine si dimenava come un’anguilla, e piangeva, e gridava con tutta se stessa, chiamando lo zio, ed adesso era in ginocchio per terra in un fiume di lacrime, mentre il ragazzo provava a farle scudo con il proprio corpo da qualunque cosa potesse piovere dal cielo. 

- Satine, dobbiamo andarcene, prima che prendano di mira la grotta!-

La ragazza, però, non sentiva, per cui, a malincuore, fu costretto a prenderla in braccio e a portarla via di peso. 

La legarono come meglio poterono e la fecero scendere assieme a loro giù dalla scogliera. 

Non badarono a nulla. Non considerarono la mucillagine luminescente sulle pareti e sul pavimento della grotta, che protestò con un violento bagliore al loro passaggio e all’iniezione dei motori.

- Satine, Satine! Agganciati la cintura, forza!-

La duchessa, però, sembrava un pupazzo inanimato. Sedeva e piangeva a dirotto, e l’unica cosa che fu capace di fare fu spingere la cintura dentro la sicura. Per il resto, tirò su con il naso e continuò a singhiozzare mentre si guardava attorno, smarrita, reggendosi con tutte e due le mani al sedile. 

Spinsero i comandi ed uscirono di volata dalla grotta, filando via verso l’atmosfera. Un missile li mancò per un soffio e finalmente la navicella fu fuori dal raggio d’azione del nemico, troppo in alto per essere raggiunta e troppo in basso per essere vista dalle navicelle fuori dall’atmosfera.

Non appena ebbero sfondato la stratosfera ed entrarono nello spazio, non trovarono nessuno. 

Filarono via, inserendo le coordinate per Aldeeran e saltando nell’iperspazio, per la prima volta in mesi senza intoppi.   

Solo tempo dopo, dopo aver raggiunto il pianeta ed essere stati protetti da Bail Antilles, avrebbero scoperto che cosa era successo davvero.

I Saxon avevano deciso di vendicarsi. Satine, però, non c’entrava niente, a parte avergli inflitto una sconfitta sonora. Volevano vendicarsi dei Kryze, ma sapevano perfettamente che Satine era inaccessibile e che il duca Adonai era ben protetto. Non sapevano della sua sortita alla villa del cognato e nemmeno del suo travestimento poco ortodosso. Non sapevano nemmeno che Korkie Bauer fosse nella sua casa in collina, ma quello che era certo era che era il meno protetto e il più sfuggente. Non riuscivano a prenderlo da mesi. Lo avevano preso di mira da diverso tempo, ormai, e non erano mai riusciti a capire dove fosse e dove andasse. Avevano semplicemente bisogno di una scusa per eliminarlo, e la sconfitta di Khader, dove sicuramente aveva avuto una parte nella preparazione del piano, era caduta a fagiolo. Si erano appostati fuori dalla sua casa al mare, erano entrati ed avevano distrutto tutto, saccheggiato i granai e le riserve, smantellato la sua mandria di susulurse. In casa, però, non avevano trovato nessuno. Una spia sulla spiaggia aveva riferito di aver visto del trambusto sulla cima della scogliera e i Saxon si erano diretti al coperto, dove avrebbero potuto spiarli senza essere individuati. 

Una volta identificato lo speeder dello zio Korkie, avevano fatto fuoco con un razzo.

E quello, ahimè, fu tutto.

Satine lo avrebbe saputo solo molto dopo. Sarebbe rimasta in preda alla disperazione per giorni, sentendosi in colpa per la morte dello zio, per aver biasimato il suo piano nei momenti più bui, pur senza dirlo ad alta voce. Inoltre, non avrebbe avuto notizie di suo padre per un po’, e nella sua disperazione Satine avrebbe cominciato a temere che anche lui fosse caduto vittima di un attentato, ignara del fatto che in verità la nobile signora con la veletta e il bastone decorato con un meshurok, e un uomo intabarrato in un manto da pochi soldi coperto da un cappello da viandante erano arrivati sani e salvi a casa, nascosti dentro Kryze Manor e intenti a vendicare la morte del loro sodale. 

Satine, però, tutto questo l’avrebbe scoperto solo molto dopo, quando Bail Antilles avrebbe fornito loro una linea protetta con cui comunicare con Inga Bauer.

Per il momento, Satine era soltanto un mucchio di stracci piangente che solcava l’iperspazio, persa tra le braccia di un padawan e di un maestro Jedi che provavano a fare di tutto per consolarla.

 

NOTE DELL’AUTORE: Eccoci qua, finalmente l’arcano degli spettri è svelato. 

La pubblicazione di questo capitolo è coincisa con un momento personale piuttosto complesso, in cui si sono accavallate diverse incombenze che hanno comportato un lieve ritardo. Me ne dolgo assai, ma non potevo fare diversamente. 

Per questo motivo, è possibile che siano presenti degli errori di battitura o di grammatica. Ho scritto per tutto il giorno, abbiate pazienza.

La dipartita dello zio Korkie è funzionale non soltanto alla fine della guerra civile, ma anche ad un altro scopo, che i fan di Clone Wars conoscono bene.

Il “nipote” della duchessa dovrà pur aver preso il suo nome da qualcuno, no?

 

Molly.

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Capitolo 50
*** 41- Dolore, pt.2 ***


CAPITOLO 41

Dolore, seconda parte

 

Quando arrivarono nello spazio aereo di Aldeeran, Satine dormiva. L’avevano lasciata riposare il più a lungo possibile. Fin dalla loro partenza avevano provato a convincerla a ritirarsi nella loro stanza per dormire un po’, ma la ragazza si era rifiutata. 

- La stanza è anche vostra, ed io non ho sonno. Andate a riposare. Obi Wan ha ancora bisogno di cure.-

Così, il padawan si era ritirato nella stanzetta, dove aveva provato a chiudere occhio senza riuscirci, mentre Qui Gon era rimasto di guardia a guidare. Più tardi gli avrebbe riferito che la duchessa si era accoccolata sul sedile ed aveva dormito, pianto, sonnecchiato, un mucchio di cenci ed ossa così come l’aveva lasciata. 

Poi, il sonno era diventato costante. Era la cosa che faceva più spesso. A parte poche parentesi in cui aveva tenuto gli occhi aperti per adempiere alle basilari funzioni corporali e per mangiare, aveva principalmente dormito per quasi tutta la durata del viaggio.

Qui Gon gli aveva detto di non preoccuparsi.

- E’ normale. Le ultime ventiquattr’ore sono state disastrose per lei. Praticamente non ha dormito fino a che non è arrivata su Kalevala, poi ha passato una notte agitata e una giornata terribile. Ha dormito qualche ora - se va bene - prima di lasciare il pianeta ed è riuscita anche a vedere la morte di suo zio. Ha del sonno arretrato e dello stress da sopire. Lasciamola fare.-

Forse il suo maestro aveva ragione, ma Obi Wan si sentiva teso. Avrebbe voluto fare qualcosa di più per lei, permetterle di fare chiarezza nella sua testa per evitare di trovarsi di nuovo a gestire il fascio di nervi che aveva incontrato non appena era arrivato su Mandalore. 

Decise che le avrebbe proposto di meditare. Si era accorto che da quando la duchessa aveva imparato, anche se solo in parte, a gestire le tecniche dei Jedi, dormiva meglio e mangiava più serenamente. Con calma, aveva imparato a riprendere possesso della sua vita e probabilmente Satine aveva acquistato sicurezza anche grazie alla sua presenza.

Verrà un giorno in cui tu non ci sarai più per lei. 

Non potrai più aiutarla. 

Dovrà imparare a farcela da sola.

Perché tu te ne andrai, vero?

Il padawan represse subito quel pensiero.

Non era il momento. 

Qui ed ora.

Quando giunsero nello spazio aereo di Aldeeran, dunque, Satine dormiva ancora, raggomitolata sul sedile del passeggero, un unico ciuffo di capelli biondi che usciva dalla coperta che il maestro le aveva gettato sulle spalle. 

Furono costretti a svegliarla. La ragazza aprì un occhio, poi anche l’altro, e sbadigliò strusciandosi le palpebre con i pugni chiusi.

Aldeeran era un pianeta bellissimo. C’era stato una volta con il suo maestro, appena ragazzo, ed Obi Wan l’aveva sempre apprezzato. 

Sperò che Satine potesse apprezzare la vista delle dolci colline e dei laghi di Aldera tanto quanto lui aveva fatto tempo prima.

- Vedrai, ti piacerà.- le disse, mentre le sfiorava la mano sulla rampa, in attesa di scendere.- Bail Antilles è un amico e una brava persona. Sono certo che ci troveremo bene, e magari ci darà anche una frequenza segreta con la quale telefonare a casa.-

- Voglio avere notizie di mio padre. Almeno lui…-

- Le avrai, te lo prometto.-

- Sarà la prima cosa che chiederò al senatore, duchessa, potete contarci.-

Satine strinse la mano del maestro, e la rampa si aprì.

Dall’esterno provenne un vento tiepido che trasportava il profumo dei fiori di Aldera. Obi Wan inspirò a pieni polmoni. Gli mancavano i campi. Gli avevano detto che lui veniva da Stewjon, un pianeta agricolo, e non aveva mai saputo spiegarsi la sua passione per l’aria aperta fino a che non aveva conosciuto quel dettaglio. Forse la genetica c’entrava qualcosa? Non lo sapeva, ma era certo che Coruscant, a volte, gli andava stretta.

Troppo cemento, troppo grigio, nonostante il pianeta facesse di tutto per consentire la crescita di vegetazione in aree artificiali.

Aldeeran, dunque, era il benvenuto, anche perché dopo mesi passati su Mandalore sapeva finalmente di un bel posto caldo ed accogliente e soprattutto senza pericoli.

Senza strane creature pronte a farti la festa.

Bail Antilles era giovane, estremamente giovane, addirittura di più del suo maestro. Non aveva l’età di Obi Wan, ma quasi. Aveva l’aria di una persona consapevole della bellezza del suo pianeta e di ciò che aveva da offrire, e della possibilità di apparire affascinante tanto quanto le sue terre.

Non appena li vide, sfoderò il suo miglior sorriso abbagliante, i capelli rossicci che fluttuavano in onde ordinate sul suo capo e gli abiti damascati color violetto che contrastavano con i suoi occhi chiari e con i colori tenui dell’ambiente circostante.

- Che piacere amici miei!-

Dovette accorgersi dell’accoglienza fredda perché rimase momentaneamente interdetto quando Satine ricambiò solo con un cenno del capo. Scrutò i loro visi per qualche secondo, mentre il sorriso gli moriva sul volto e una luce preoccupata attraversava i suoi occhi.

- Sono lieto di accogliervi. Immagino che abbiate passato momenti molto duri, e… Ah, ragazzo, sono lieto di rivederti in piedi. Come stai, figliolo?-

- Ho visto giorni migliori, tuttavia posso dire di stare molto bene, grazie, senatore.-

- Bene, bene!- fece, forse con un po’ troppo entusiasmo, per fare fronte alla dura realtà che si era trovato a fronteggiare.- Seguitemi, vi prego. I miei attendenti provvederanno ai vostri bagagli. Immagino che vorrete riposarvi un poco, prima della cena. Mangiamo tra qualche ora. Se preferite riposare, vi condurrò immediatamente nelle vostre stanze.-

- Ve ne saremmo molto grati, Bail, amico mio.- fece Qui Gon, passeggiando accanto a lui e lasciando Satine ed Obi Wan indietro.

I due si scambiarono un’occhiata, ma non dissero niente e li seguirono.

Le loro stanze erano ampie, spaziose, e Bail Antilles sembrava aver preso spunto dall’architettura mandaloriana per arredarle. Obi Wan ammirò la vetrata sorretta da una sottile intelaiatura di metallo, che dava sulle dolci colline verdi di Aldeeran. Sulla cima di una di esse sorgeva una città spaziosa e sempre festante, almeno per come la ricordava lui.

Aldera aveva anche i cibi più buoni della galassia. 

Antilles, da buon padrone di casa, doveva aver riservato loro alcune delle stanze migliori, forse documentandosi sulle splendide opere d’arte Mando. 

Satine aveva il volto tirato, e quando entrò nella stanza per un momento si rischiarò, fissando la bellezza del vetro e dell’acciaio, forse pensando a casa. C’erano tre porte, che evidentemente davano su tre stanze separate, che si dipartivano dallo stesso salotto dove la vetrata dominava la vista pur mantenendo complessivamente il tradizionale mobilio basso aldeeraniano.

La duchessa si avvicinò alla finestra e rimase a guardare fuori, mentre gli attendenti del senatore lasciavano i loro zaini sulla soglia di ogni camera, pronti per essere disfatti dai proprietari.

Non che ci fosse qualcosa da disfare. 

Bail Antilles, sulla porta, il sorriso di circostanza piuttosto simile ad una paresi, rimase a guardare il quadretto. 

Satine era in piedi di fronte alla vetrata e guardava fuori, rapita da quello spettacolo, ma muta come un pesce. Il padawan, che sembrava non sapere che pesci pigliare, faceva scivolare lo sguardo tra la duchessa, il maestro e il senatore, incerto sul da farsi. Qui Gon, dal canto suo, sembrava aver già preso qualunque decisione avesse preso ed era più pronto degli altri. Fissò il padawan, che ricambiò lo sguardo. Vi fu un cenno di assenso, e il maestro si diresse verso Antilles, mentre il ragazzo tese un braccio verso la duchessa.

Il senatore sentì il sorriso diventare pian piano più naturale.

Comunicazioni tra Jedi. Non le capirò mai.

- Amico mio, venite. Vi illustro la nostra linea d’azione.-

E lo scortò fuori prima che vedesse la mano del giovane ragazzo posarsi con un po’ troppa confidenza su quella della duchessa.

- Vorrete perdonarmi per l’imbarazzo, Bail, ma purtroppo ne abbiamo appena viste delle belle e la nostra giovane duchessa ha un bel po’ di questioni da elaborare.-

Il senatore ascoltò in silenzio, mentre passeggiavano per il corridoio, diretti chissà dove, tutte le peripezie che avevano intrapreso nelle ultime settantadue ore e i terribili fatti che li avevano condotti su Aldeeran.

- Quello che mi state raccontando ha dell’incredibile, maestro. Volete dirmi che quell’uccellino, nella stanza di là, è stata capace di vincere praticamente da sola una delle battaglie più importanti della galassia senza combattere?-

- Ahimè, sì. Purtroppo i suoi avversari non le hanno risparmiato i colpi della tortura psicologica, ma è forte, se la caverà. Deve soltanto mettere insieme i pezzi.-

Il senatore si massaggiò la barba rossiccia, un sottile velo di peluria che doveva essere ricresciuto nottetempo.

- Avete detto che suo zio è morto?-

- Sì, disintegrato da un missile assieme al suo speeder prima della nostra partenza.-

- Quando dite prima, intendete…-

- Che purtroppo è avvenuto davanti ai suoi occhi, sì.-

Antilles scosse la testa, manifestamente contrariato.

- Quanti anni ha, se posso chiedere?-

- Diciannove, verso i venti, mese più, mese meno.-

- E’ giovane.- borbottò tra sé, come se stesse soppesando l’elemento.- Forse troppo.-

- Che intendete dire?-

L’uomo si fermò vicino ad una finestra per guardare fuori. Il sole era ormai tramontato e il vento increspava delicatamente le acque del lago di Aldera. Il cielo si era tinto di viola e il giovane senatore sembrava mimetizzarsi con l’ambiente.

- Purtroppo la situazione per lei non è rosea, almeno non dentro la Repubblica. Il Senato è fondamentalmente spaccato in due, tra chi non si cura di Mandalore e chi vorrebbe invaderlo. In un certo senso, c’è chi vede nell’instabilità del sistema un pretesto per controllarlo, anche da lontano, politicamente. Lei, che sostiene la posizione idealmente più vicina alla Repubblica, si trova schiacciata tra altri interessi ed altri poteri, e diventa sacrificabile. Detto tra noi, maestro, nessuno la vuole alla guida di Mandalore, perché il sistema con lei diventerebbe indipendente e competitivo. Esattamente quello che gente come Palpatine non vuole, e sapete quanto me che persone di quella risma non fanno complimenti. Non ne hanno fatti per persone più grandi di lei e con maggiore esperienza.-

Il maestro imitò il senatore, guardando il cielo tingersi di rosa e di viola con il far della sera.

- Sarò franco con voi, amico mio. Ci eravamo fatti un’idea di tutto questo già da tempo, e sospettiamo che qualcuno nel Senato abbia fatto molto di più di un semplice discorso in aula.-

 

- Satine?-

La ragazza rispose con un vaghissimo mh? che scacciò rapidamente la domanda.

Il padawan, però, non si perse d’animo.

- A cena con il senatore potrai chiedergli di metterti in comunicazione con Inga Bauer, se vuoi, per discutere delle strategie successive. Potrai avere informazioni sulla tua famiglia e sui cacciatori di taglie. Sono sicuro che le Abiik’ade gliel’hanno suonate, a quei mascalzoni.-

- Mh-mh.-

Oh, ti prego, dì qualcosa!

Ma Obi Wan ormai aveva imparato per esperienza che quando Satine taceva era solo la quiete prima della tempesta, pochi secondi prima dell’esplosione. 

Ed infatti, così avvenne.

La guardò sedersi sul letto mentre percepiva l’aria riempirsi di disperazione, e la guardò piegare le spalle verso il basso, il capo chino, le labbra serrate e un ciuffo di capelli ribelle che le scendeva sugli occhi.

- Satine?-

La guardò singhiozzare sul letto, sentendosi impotente. Fece l’unica cosa che sapeva fare, ovvero sedersi accanto a lei e coccolarla un po’, nella speranza di essere abbastanza.

Forse, però, quello era un vuoto che lui non poteva colmare.

Aveva bisogno di un familiare, e lui, per quanto le volesse bene e per quanto il sentimento fosse ricambiato, non lo era.

Maestro, ho bisogno di voi!

 

Qui Gon percepì il giovane Obi Wan e la sua richiesta di aiuto nella Forza, e con il massimo garbo invitò tacitamente il buon senatore ad incamminarsi nuovamente verso le loro stanze.

- Stando così le cose, va detto che la ragazza ha coraggio. Non tutti avrebbero avuto lo stomaco di fare quello che ha fatto lei.-

- Ha il coraggio dei sogni, quello che molti di noi hanno perso da tempo.-

Passeggiarono in silenzio lungo il corridoio. Bail Antilles era un uomo intelligente, con cui si stava bene anche in silenzio, ed era una delle ragioni per cui Qui Gon lo apprezzava molto. Nonostante la sua giovane età ed una tendenza all’ostentazione del proprio fascino, era una brava persona di sani principi e di belle speranze.

Forse fin troppo, in un mondo squallido come quello della politica della Repubblica. Di solito, gli onesti difficilmente facevano carriera, e se la facevano, restavano all’opposizione. 

Nutriva qualche riserva solo sulla cancelliera, che aveva conosciuto in un’unica occasione, ma che non gli era sembrata malaccio, nonostante la posizione.

Man mano che si avvicinavano ai loro quartieri, il maestro cominciò a percepire sempre più distintamente il senso di vuoto nella Forza lasciato dalla duchessa e comprese il motivo per cui il padawan aveva deciso di chiedere soccorso.

Questo è un compito che non può svolgere lui.

Ancora una volta, rimase colpito dalla sua capacità di introspezione e dalla sua abilità di mettersi in discussione, e risolse di dirglielo alla prima occasione utile.

- Vi anticipo già, amico mio, che la duchessa ha un estremo bisogno di contattare casa. Suo padre invalido e il suo maggiordomo sono dispersi sulla via del ritorno. Vorrei potervi assegnare il mio padawan per i lavori. Nonostante si schernisca, è molto bravo con la meccanica e sono certo che potrà esservi d’aiuto.-

- Istituiremo quanto prima una linea criptata con l’indirizzo che mi fornirete, ve lo garantisco.-

- Grazie. Le notizie da casa sono sempre gradite.-

- Credete che per questa sera la duchessa preferisca cenare in camera?-

Qui Gon ci pensò un momento, poi decise di seguire l’istinto.

- No, senatore, sono convinto che la duchessa questa sera ci sarà. Grazie mille per la premura.-

E sparì dietro la porta.

 

Obi Wan lasciò piangere Satine sulla spalla di Qui Gon, almeno fino a che il maestro non gli chiese di seguire l’attendente di Bail Antilles per organizzare una riunione di famiglia su una frequenza privata.

Tramite la Forza, il maestro lo aveva raggiunto e con grande tatto gli aveva spiegato tutto.

Ha bisogno di una figura paterna.

Ed aveva ragione. Il padawan stesso si era reso conto che la sua presenza sarebbe servita a poco, e a giudicare da come la ragazza si era attaccata alla tunica del buon maestro, il suo intuito gli aveva dato ragione.

Così, trotterellò dietro all’attendente, cercando di allontanare il sentimento di disagio che lo attanagliava. Doveva concentrarsi sul qui ed ora, sull’uomo che spiegava come e quando avrebbero ottenuto la frequenza, la crittografia e quant’altro, ma non riusciva a tagliare quella connessione che lo legava a Satine e al suo dolore sordo. Annuì con cortesia, finse di partecipare il più possibile e ci provò davvero, con scarsissimi risultati.

Quando chiamarono per la cena, fu contentissimo.

Raggiunse gli altri e li trovò che già aspettavano di mettersi a tavola. Qui Gon gli lanciò un’occhiata e nella Forza fece trapelare la sua soddisfazione. 

Obi Wan lanciò uno sguardo verso Satine, che pareva essere tornata - almeno in apparenza - quella di sempre e ne fu lieto. 

La osservò per tutta la cena. Satine si era scusata per essere stata scortese, aveva spiegato la situazione con una leggera inflessione nella voce, segno che in ogni caso il dolore era ancora lì, ma aveva mangiato la cena con convinzione, senza giocare con il cibo come faceva di solito quando stava male. Aveva chiacchierato cordialmente con Bail Antilles e alla fine aveva salutato con educazione.

Se uno non l’avesse conosciuta, non si sarebbe probabilmente accorto che i suoi modi erano fin troppo contenuti, ma Obi Wan aveva intercettato la fissità nello sguardo e la tensione nella mandibola e le interpretò correttamente.

Si incrociarono nella sala comune, quando fu il momento di andare a dormire. 

Il padawan si guardò intorno, sospettoso, e poi le strinse le dita tra le sue.

- Come ti senti?-

- Sto meglio. Shereshoy. O almeno, ci provo.-

Si fissarono intensamente.

- Per qualsiasi cosa, sono qua con te.-

Satine gli sorrise, intuendo la sua domanda.

- Grazie per esserci. Stasera vorrei dormire da sola. Devo riordinare le idee.-

- Mi prometti che dormirai?-

- Sì. Pare che ultimamente io non sappia fare altro.-

 

Al mattino seguente, Obi Wan fremeva. L’attendente di Bail Antilles aveva bussato alla sua porta al mattino presto, comunicandogli che stavano per testare la linea di comunicazione. Era saltato giù dal letto quando aveva avuto quella notizia ed era accorso alla prova tecnica con Mandalore.

Il problema era venuto quando l’attendente gli aveva chiesto la parola d’ordine.

- Eh?-

- Non apriranno la comunicazione fino a che non sentiranno qualcosa che riconoscono, come una parola d’ordine. Sarebbe opportuno dirla. Se preferite, vi lascio solo.-

Obi Wan aveva annuito, ma non aveva la più pallida idea di che cosa fare o dire.

E chi la sa, la parola d’ordine?

Così, aveva deciso di improvvisare, sperando che la Forza gliela mandasse buona.

Quando il segnale aveva agganciato la cella, Obi Wan si era lanciato.

- Date al duca l’ascia di Botte di Ferro.-

La frequenza era rimasta muta.

Obi Wan era teso oltre misura. Sapeva quanto era importante quella conversazione per Satine e gli sarebbe dispiaciuto molto non riuscire ad accontentarla.

Aveva atteso, immobile, che la linea si stabilizzasse.

L’attendente gli aveva detto che ci sarebbe voluto un po’ prima che intercettassero la frequenza e la decrittassero. Poi avrebbero sentito la parola d’ordine ed avrebbero aperto i canali di comunicazione. 

Così, il ragazzo era rimasto in quella stanza con il fiato sospeso fino a che l’ologramma di Inga Bauer non era comparso sul tavolino. 

- Certo che ne hai di fantasia, ragazzo.-

Obi Wan aveva ammiccato ed era corso a dare la notizia.

 

Così, in quel momento, fermo di fronte alla porta, prese fiato e bussò.

Satine mugugnò in risposta. Poteva sentire la sua presenza intorpidita dall’altro lato della porta e sorrise, immaginandosela mezza addormentata che provava a realizzare chi stesse scocciando. 

- Satine, sono io, ci sono novità.-

La ragazza si affacciò sulla soglia, con i capelli arruffati.

- Nu mird’ni sol’yc lor’vram.-

Obi Wan rise.

- Credo che questa volta dovrai carburare prima di colazione, mia cara, perché ci sono delle persone che vogliono parlarti.-

- Tipo?-

- Tipo Inga Bauer.-

Satine fece tanto d’occhi, improvvisamente sveglia. 

Per via del clima di Aldeeran aveva scelto di dormire con qualcosa di più leggero addosso. Aveva usato l’abito bianco che aveva preso su Draboon e si era coperta con la sciarpa rossa per uscire. Obi Wan fu costretto a ricordarle che era scalza, altrimenti sarebbe volata fuori dalla stanza senza scarpe per l’entusiasmo.

Qui Gon percepì il trambusto e sbucò fuori dalla sua tana con rapidità per seguirli immediatamente.

- Inga!-

- Buongiorno, o buonasera, non ho idea di che ora sia là dove siete.-

- Ho appena aperto gli occhi. Dimmi che è successo, ti prego!-

- Perché, che cosa dovrebbe essere successo?-

Il padawan guardò la duchessa stringere i pugni, come se volesse suonarle seriamente alla generale delle Abiik’ade.

- A parte la fantasia bislacca del tuo amico, direi che le cose sono andate esattamente secondo i piani.-

Se avesse potuto emettere fumo dalle orecchie, Satine l’avrebbe fatto. Per calmarsi, preferì concentrarsi su ciò che la donna aveva aggiunto.

- Come sarebbe a dire, fantasia?-

Obi Wan tossicchiò.

- Non sapevo la parola d’ordine, così ho deciso di comunicare con loro usando una frase che ho sentito durante una nostra conversazione con la generale. Tuo padre voleva l’ascia di Otis Botte di Ferro per suonarle ai cacciatori di taglie.-

- Pochi conoscono quell’episodio. Ficcherà anche il naso negli affari di Mandalore, ma devo dire che nel suo lavoro è bravo.-

Le orecchie del ragazzo divennero rosse e ringraziò che la generale non potesse vedere.

Dopo qualche dibattito e scambio di convenevoli, Maryam si intromise di prepotenza nella conversazione. Era la prima volta che la vedevano, al di fuori delle fotografie che Satine aveva mostrato loro. Era straordinaria, Obi Wan la trovava esilarante. Era forte e combattiva, corpulenta, dalle forme abbondanti come il cespuglio di capelli neri che le circondava la testa, ma sapeva far morire dalle risate con qualche battuta ben assestata nel momento giusto.

La prima cosa che chiese, da brava balia, fu se aveva mangiato.

- Certo, Maryam, grazie, anche se qua è prima mattina. Non sono ancora riuscita a fare colazione.-

- Mi raccomando, voi due, controllate che mangi, perché è buona di saltare i pasti.-

- Fidatevi, lo sappiamo.- ammiccò Qui Gon, l’aria rassicurante.

Satine, poi, fece la domanda che le premeva di più.

- Come stanno gli altri? Dov’è mio padre? Athos?-

- Athos si deve ancora riprendere per tutte le padellate che gli ho dato. Quel farabutto mi ha fatto prendere un colpo! Lui e tuo padre, sarà bene che non mettano più il naso fuori di casa per un bel po’ o potranno star certi che li ripasserò per benino.-

Venne fuori che i due se l’erano cavata piuttosto bene. L’attentato era stato diretto prevalentemente contro lo zio, per togliere di mezzo un pericoloso stratega che si stava facendo beffe di loro da troppo tempo. Dopo lo smacco inflitto ai Saxon, se non fossero riusciti a raggiungerlo con il missile sulla cima della scogliera, lo avrebbero raggiunto mirando a casa sua. Ormai la decisione era stata presa e non c’era stato nulla da fare. Per compiere la loro impresa a Khader, alcune delle spie dei Kryze erano state dislocate ed avevano perso di vista la casa dello zio e le guardie dei nemici che facevano la ronda.

- Avrei dovuto provvedere maggiormente, ma purtroppo le nostre forze sono limitate. La coperta è corta, se copro la testa, finisco con lo scoprire i piedi.- borbottò Inga, scuotendo il capo.

Satine parve sul punto di dire qualcosa, ma si trattenne. Riformulò prontamente ciò che stava per dire per adattarlo ai modi di pensare dei Mando.

Ci mancherebbe anche che pensino che sto diventando un Jedi, se dico che è stato il volere della Forza.

- Hai fatto quello che potevi, Inga. Questa è la Via.-

- Questa è la Via.-

Suo padre raggiunse il commlink personalmente per dirle che stava bene, ma che non si sarebbe mai più vestito da donna.

- Troppo scomodo. Ho sempre avuto stima di voi signorine, ma adesso che ho provato i vostri abiti è triplicata. Anche se, temo, avete una certa vena masochista. Non mi metterò mai più quelle scarpe in vita mia.-

Satine aveva sorriso, il rossore sulle guance ad indicare che si sentiva decisamente meglio, adesso che aveva avuto notizie da casa. Mandò i suoi più cari saluti, ma prima di andarsene fece un’ultima domanda che il padawan non capì.

- Se c’è, vorrei parlare con lei.-

Tra i presenti fu scambiata un’occhiata guardinga.

- In questo momento non c’è.- commentò Maryam, facendo spallucce.

- E dov’è? Non prendermi in giro, nana. Non può essere andata da nessuna parte, non con tutto questo caos in corso. So che c’è.-

Gli astanti si fecero improvvisamente silenziosi, poi il duca ruppe il silenzio.

- Sarò sincero. Non vuole parlarti.-

Satine alzò un sopracciglio, ma un velo di rimorso si distese sul suo viso.

- Perché?-

- Lo zio è morto per cause che esulano dalla tua volontà, Satine. Non fartene una colpa, indipendentemente da quello che dicono gli altri.-

- Pensa ancora che io sia una specie di dar’manda Jetii?-

- No, ma è una mentalità retrograda e diffusa, che vede nella pace un modo per usare gli altri e sacrificarli, invece di combattere. Lascia perdere, questo è un problema mio, non tuo.-

Obi Wan ebbe l’impressione che ogni gioia fosse scomparsa dal volto di Satine e che gli occhi le si fossero velati di lacrime, ma la ragazza era forte e le ricacciò prontamente indietro.

- Va bene. Capisco. Vi voglio bene. A tutti.-

- Anche noi, mia cara. Non dimenticarlo mai.-

E si diressero a fare colazione. Satine mangiò di gusto, anche se il padawan poteva percepire una piccola distorsione nella Forza che indicava che la duchessa soffriva ancora, ma era strabiliato dal suo cambiamento. L’aveva conosciuta in una situazione analoga e l’aveva trovata in pezzi.

Adesso, era diventata forte a sufficienza da rimettere insieme tutti quei pezzi e saperli tenere al loro posto. 

Forse si era semplicemente indurita, non lo sapeva. Si augurava di no. La bellezza di Satine stava, oltre che in altre cose, anche e soprattutto nella sua delicatezza, sensibilità e profonda bontà. 

Doveva aver imparato a non farsi schiacciare da quelle qualità, che le facevano sentire troppe emozioni fino a soffocarla. Aveva imparato a gestirle.

Era, in fondo, l’essenza di crescere.

Si ripromise di farsi un esame di coscienza, mentre masticava un bignè. 

Era cresciuto anche lui?

 

Nei giorni successivi, lui e Qui Gon provarono a risolvere l’enigma della persona misteriosa della telefonata. Giunsero alla conclusione che doveva trattarsi di qualcuno della famiglia, di un parente che probabilmente non avevano mai conosciuto e di cui Satine non aveva mai parlato. Ipotizzarono che potesse apprezzare poco l’orientamento che il clan aveva preso, votato alla pace, e si chiesero se dovessero preoccuparsi.

Il maestro aveva deciso di lasciare ad Obi Wan il tempo necessario per raccogliere le informazioni più opportune. Al padawan non piaceva quel metodo, ma riconosceva di essere oggettivamente la persona più vicina a Satine, quella con la quale, probabilmente, lei preferiva confidarsi. Così, durante la loro permanenza su Aldeeran, un pomeriggio si era recato da lei per fare due chiacchiere.

Aveva notato che era diventata sempre più pensierosa negli ultimi giorni. Avevano passato un periodo tranquillo. Su Mandalore, altri si stavano occupando della guerriglia e la sua famiglia era al sicuro. Lei non aveva altro da fare se non riposare, e così i due Jedi. Durante le loro conversazioni, tuttavia, il ragazzo aveva notato un cipiglio diverso sul volto della duchessa, un’aria pensierosa che lo aveva insospettito.

Sta macchinando qualcosa.

Eppure non aveva mai ricevuto una risposta precisa. Le sue domande erano sempre state scansate con un gesto della mano, relegando i suoi pensieri a niente di particolare, non preoccuparti per me. 

Eppure Satine, in quei giorni, non ne stava azzeccando una. Gli aveva pestato i piedi mentre ballavano, lei, che era sempre perfetta oltre ogni previsione, e si era fatta battere troppo facilmente durante una sessione di allenamento con la lancia. 

Quando bussò alla sua porta, era del tutto deciso a scoprire che cosa le passasse per la testa. 

- Avanti.-

Obi Wan abbassò la maniglia e rimase impietrito sulla porta.

La stanza era bella. C’era una grande vetrata con il balcone, che Satine di solito apriva. 

Le tende bianche fluttuavano nella leggera brezza primaverile. 

Il tappeto lilla per terra e il baldacchino addolcivano la luminosità della stanza, del letto candido, grande e circolare, del mobilio delicato e delle lampade dorate. 

Dal bagno proveniva un buon profumo di sapone misto a mirto, quell’odore inconfondibile che parlava di lei e a giudicare dallo scoscio dell’acqua e dal vapore sullo specchio doveva essere pronto un bagno caldo.

E Satine sedeva sul letto, completamente nuda.

Gli dava la schiena, un fascio di muscoli cesellati in un corpo spigoloso, ma femminile. Aveva voltato la testa verso la terrazza, gli occhi chiusi contro la brezza tiepida, semiaperti giusto per accorgersi della sua presenza.

- Immaginavo che fossi tu.- commentò, senza spostarsi nemmeno.

Obi Wan tacque, la bocca arida, e provò a deglutire.

Non sei Saxon. Controllati.

- Perdonami.- gli disse, afferrando un grosso asciugamano e stringendolo a sé.- Dimentico sempre che non sono i vostri costumi. Non condividete spazi privati, voi coprite il vostro corpo di fronte all’altro sesso.-

Obi Wan provò a sospirare il più silenziosamente possibile e fece un passo in avanti.

- Non è sicuramente la prima volta che succede questo… Ehm, inconveniente.-

- Colpa mia.-

Aveva l’ombra di un sorriso sul volto, e il padawan comprese che non ce l’aveva con lui.

Mi sta stuzzicando.

Di male in peggio.

Quelli erano i momenti in cui l’apprezzava di più. Nelle circostanze in cui erano stati, non avevano avuto molta privacy e questo, per quanto imbarazzante, aveva permesso loro di vederla per quello che era: una donna giovane e forte dai mille talenti, e non soltanto la nobildonna che viveva in un palazzo dorato, dalle mani curate, che non aveva mai fatto nient’altro in vita sua. No, Satine era una donna a tutto tondo, ma c’era sempre qualcosa  di rigido, di marziale nel suo comportamento. Il dovere veniva prima di tutto. In qualche modo, indossava sempre l’armatura della duchessa. 

Per quanto riguardava il maestro, era del tutto convinto che la ragazza fosse se stessa soltanto quando passava del tempo da sola con il padawan. I momenti in cui Qui Gon e Satine erano stati soli si erano concentrati principalmente durante la convalescenza del giovane ed aveva permesso loro di recuperare un contatto umano, una stima personale, non solo professionale. Adesso le cose erano cambiate anche con lui e cominciava a conoscere davvero le passioni più profonde della giovane birba che si portava appresso.

Al di fuori di quelle circostanze, le uniche occasioni in cui Satine aveva tolto i panni della duchessa rappresentavano momenti di estrema fragilità, in cui aveva del tutto perso il controllo di sé.

Momenti come quello, in cui Satine era seduta sul letto ad aspettare di fare il bagno, erano quelli che Obi Wan preferiva. Erano secondi di intimità, attimi privati, scorci di quotidianità che erano belli proprio perché erano naturali. Non c’era la duchessa, o la guerriera Mando. Non c’erano sacchetti profumati, abbigliamento decoroso o capelli tirati per evitare i parassiti della natura selvaggia.  

C’era solo una donna con i suoi pensieri e i capelli in disordine.

Era così bella senza filtri.

Peccato per le chiazze scure sui fianchi, là dove quel farabutto aveva affondato le dita. Obi Wan si sentì stringere lo stomaco e un senso di nausea assalirlo nel momento in cui immaginò il resto.

Se questo è ciò che può fare una semplice minaccia, che segni può lasciare una violenza vera e propria?

Pregò la Forza di non farglielo scoprire mai.

- Posso entrare?-

- Certo. Stavo per fare il bagno. Di cosa hai bisogno?-

C’era qualcosa nel modo in cui diceva quella frase che lo prendeva sempre alla sprovvista. Non gli chiedeva mai che cosa c’è, bensì di che cosa hai bisogno. C’era qualcosa in quella frase, una forma di servizio, un modo per dire che era là per lui, per qualunque cosa avesse bisogno. 

Si domandò se anche quella fosse una tradizione Mando. Ce n’erano tante. Forse nella loro lingua usare quella frase significava dimostrare la propria disponibilità ad un commilitone in difficoltà, un fratello nel momento del bisogno.

C’era qualcosa che gli piaceva in ciò, qualcosa che lo colpiva nel profondo, forse perché in quanto Jedi era sempre stato abituato a servire e a non aspettarsi niente in cambio.

Era strano sentirsi dire che qualcuno era lì per lui.

- E’ tutto a posto. Ero venuto per sapere, semmai, se tu avessi bisogno di qualcosa.-

La ragazza fece spallucce, la parte frontale del suo corpo coperta dall’asciugamano mentre ancora sedeva noncurante sul letto.

- No, direi che è tutto a posto. Perché?-

- Ti ho visto pensare, in questi giorni. Hai qualcosa per la testa.-

Gli sorrise, e Obi Wan pensò che fosse il sorriso più bello del mondo.

- Ho sempre qualcosa per la testa. Ormai dovresti averlo capito.-

Rimase a guardarla per un secondo. Sembrava fatta della più preziosa porcellana di Qibal e rifletteva la luce come il vetro che lo aveva ammaliato nelle bancarelle di Solus.

- Posso sedermi con te?-

Satine gli fece posto sul letto, scostandosi appena sotto l’asciugamano.

- Non voglio immischiarmi, lo sai. E non voglio nemmeno che tu pensi che mi manda Qui Gon. Sai che si è accorto anche lui che sei un po’ assente ultimamente. Vorrei solo essere certo che tu stia bene.-

- Sto bene come può stare bene qualcuno che ha visto morire lo zio disintegrato da un missile terra aria e che ha creduto che la stessa sorte fosse toccata a tutta la sua famiglia mentre lei era in fuga.-

Tra i due calò il silenzio, rotto solo dal ticchettare di un orologio sul comodino. 

Fu Satine la prima a riprendersi, e gli posò una mano sul ginocchio.

- Grazie, Obi Wan. Non credo che smetterò mai di farlo. Ti sei preso il peggio di me senza mai lamentarti, e mi hai dato il meglio senza chiedermi niente. Sarò onesta, non sto bene. Credo di aver bisogno di tempo per piangere tutti i miei morti e feriti, tempo che credevo di aver avuto, ma che forse non ho mai sfruttato nel modo giusto. Incontrare voi due mi ha aiutato e mi sta aiutando ad incanalare tutte le mie emozioni nel modo corretto. Io sono esplosiva, lo so. Se non vi avessi incontrato, credo che avrei finito col distruggermi. Adesso, però, va meglio. Medito prima di dormire. Non sogno quasi mai, e se lo faccio non lo ricordo, non mi sveglio, non piango né urlo. Riesco a mangiare. Ti rendi conto? Mi pareva un’utopia fino a qualche tempo fa, se qualcuno me lo avesse detto gli avrei riso in faccia. Ero Mando, ma mi mancava un tassello, un capitolo del manuale: shereshoy. Grazie a voi sto imparando. Datemi tempo. Vi prometto che passerà.-

Il padawan le fece un bel sorriso.

- Se ti sentissero, imparare un principio Mando da un Jedi!-

Questa volta, Satine mostrò i denti di perla.

- Siamo più simili di quanto crediamo. Le barriere esistono solo nella nostra testa.-

- Io credevo di averti dato il peggio di me.-

- Mettiamola così: abbiamo visto il peggio di entrambi ed abbiamo tratto il meglio da ciò.-

- Sei molto saggia.-

- E tu molto devoto.-

Le sfiorò con la punta delle dita il fianco contuso, facendo attenzione a non scendere troppo in basso.

- Fa molto male?-

- No. Solo se premo sui lividi. Con un po’ di bacta passeranno.-

- Lo hai già applicato?-

- Aspettavo di fare il bagno.-

Obi Wan si alzò in piedi, con tutto l’intento di lasciarla sola a lavarsi.

- Non ti rubo altro tempo, allora. Fammi un favore, cerca di volerti un po’ bene. Prenditi cura di quei lividi, d’accordo?-

Satine annuì e lo seguì con lo sguardo fino a che non prese la porta e se la chiuse alle spalle.

Avvenne tutto in una frazione di secondo.

In quel momento, Satine pensò.

Si sentiva in colpa per la morte di suo zio. Si sentiva in colpa per avergli dato dell’arrogante poco prima che morisse. In fondo, non le era piaciuto il modo in cui era stata trattata, né da lui né da Inga Bauer. Era stata colpa di Saxon, era innegabile, tuttavia in quei giorni di quiete la ragazza aveva individuato il vero problema e sapeva di poterlo risolvere. 

Si sentiva in colpa, sì, ma non era stata colpa sua. Un diverbio può capitare. Un missile non cade per caso, invece, e nulla, nemmeno un alterco, avrebbe mai potuto cambiare l’affetto che aveva provato e che provava ancora per i membri della sua famiglia, proprio tutti.

La famiglia era tutto per lei.

Sotto sotto, era già andata bene così come era andata. Avevano salvato centinaia di persone da una fine orribile, uomini, donne, bambini ed anziani. Si erano salvati loro stessi. Si era salvato suo padre con Athos. Si erano salvate le Abiik’ade ed Inga Bauer contro i cacciatori di taglie.

Si erano salvati tutti, tranne lo zio.

Era una macchia indelebile in una missione praticamente perfetta, ma era, per quanto potesse sembrare cinico, freddo e calcolatore da dire, il male minore. Una vittima di fronte ad un piano che ne prevedeva migliaia. Aveva dell’incredibile, inoltre, che il missile fosse stato diretto solo sulla casa dello zio Korkie, e non contro il duca. Sarebbe stato stupido immaginare che nessuno si fosse accorto del fantoccio nel letto di Kryze Manor, per non parlare poi dell’ipotesi più atroce, ovvero del bombardamento dell’antico maniero. 

Un missile può centrare uno speeder come un intero palazzo.

Già, ma Kryze Manor era protetto, non solo dalle Abiik’ade, ma anche dal demagolka shosenla. 

Il fatto era, comunque, che quanto avvenuto sapeva terribilmente di una vendetta personale contro lo stratega che aveva rovinato loro le uova nel paniere.

Chissà da quanto tempo lo zio era sotto tiro da parte dei Saxon.

Bo Katan, poi, l’aveva ferita. Aveva provato a non dire niente a proposito della sua sorellina di fronte ai Jedi. Sentiva il bisogno di coprire la sua esistenza. Nessuno doveva sapere dov’era e come si chiamava, o se per disgrazia ciò fosse sfuggito a qualcuno, la sua vita sarebbe stata segnata. Sarebbe diventata un bersaglio ambulante, come lo zio Korkie. 

Non poteva restituirle un’infanzia normale, ma poteva evitarle molti dolori celando alla galassia la sua esistenza.  

Sentire da suo padre quelle parole, notare il velo di disappunto sul suo volto, le aveva fatto male. Bo l’accusava di essere colpevole della morte dello zio, di essersi nascosta dietro di lui, di non aver combattuto, di non aver rischiato.

Un tempo si sarebbe disperata. Un tempo, avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché Bo capisse che lei non si era mai tirata indietro, che ci voleva coraggio a restare ferma e disarmata di fronte ad un’orda di incivili, che ci voleva fegato a lasciare che un uomo affondasse le sue sudicie dita nella propria pelle per permettere la salvezza di una città intera. Un tempo avrebbe venduto l’anima a Nebrod affinché sua sorella comprendesse che, se avesse potuto, sarebbe morta al posto di tutti loro, se solo questo avesse concesso loro la salvezza. 

Un tempo, sì, ma adesso non più.

Perché non c’era stata Bo di fronte a Saxon a respirare il suo alito puzzolente e a pregare che non la toccasse più. Non c’era stata lei da sola dentro Khader, disarmata, confidando solo nelle spie di Inga Bauer e in un vecchio sindaco con cento anni per gamba. Non c’era stata, da sola, a scampare ad una violenza per una tenda montata in ritardo.

No, Bo Katan non c’era stata, per fortuna, ma lei sì, e non avrebbe mai più implorato nessuno per avere comprensione, nemmeno la sua amata sorellina. Il veleno che la bambina stava sputando proveniva da lontano, e non avrebbe mai perduto il senso di rimorso per non avere fatto di più quando era stato il momento.

Ma lei? Chi aveva pensato a lei?

No, Bo cercava attenzione e la otteneva facendole del male. Non era nemmeno sicura che pensasse davvero tutto quello che diceva, ma di certo era consapevole che ferendola avrebbe avuto la sua attenzione, le sue parole, le sue scuse. 

Quello, però, non era un problema che lei poteva gestire da Aldeeran. Come aveva ben detto suo padre, non era un problema suo. Altri, in quel momento, avrebbero pensato alla piccola Bo, che aveva tanto bisogno di tutti loro e di fare una vita normale. Questo non la giustificava, però, quando usava tutte le sue armi contro i suoi cari. 

Lei avrebbe rotto quel circolo vizioso, anche per amore della sorella. Non le avrebbe più permesso di farle del male. 

La solitudine l’aveva sempre oppressa e quello era uno dei momenti più vulnerabili della sua vita, eppure si sentiva padrona di se stessa come non mai, nel pieno possesso delle proprie facoltà decisionali.

Aveva compreso, ormai, che era proprio quella la chiave di tutto quanto.

Lo avrebbe detto ai Jedi, oh sì, lo avrebbe fatto l’indomani, perché quel giorno se lo sarebbe preso per sé, per curarsi, per guarire e per prendere decisioni riguardanti se stessa e la sua vita.

Perché lei non se lo meritava, proprio no. Non si meritava di essere una marionetta nelle mani dei Nuovi Mandaloriani. Non si meritava di essere una pedina nei giochi della Repubblica. Non si meritava di essere una vittima sull’altare di Nebrod. No, lei era una persona, con dei sentimenti, un corpo che si faceva male e un cuore che sapeva sanguinare, e meritava di essere felice.

Meritava una famiglia che la amava, e grazie alla Forza ce l’aveva, sorelle bisbetiche a parte che faticavano a fare pace con i propri sentimenti.

Meritava un futuro brillante, e se avesse giocato le carte giuste, lo avrebbe avuto.

Meritava qualcuno memorabile che le desse la gioia di sentirsi amata.

Sarebbe morta presto? 

Secondo Nebrod, sì, sarebbe successo. 

Lei, però, sarebbe rimasta seduta sul letto ad aspettare che la morte la cogliesse?

No, nemmeno per idea.

Avrebbe portato nel cuore un uomo che non sarebbe mai stato suo? 

Secondo Nebrod, sì. 

Lei, però, sarebbe rimasta seduta sul letto a piangere per la sua infelicità, o avrebbe preso il buono da tutto ciò? Avrebbe passato la sua vita a rimpiangere le occasioni perdute, o avrebbe potuto dire di avere portato nel cuore, completamente, del tutto, l’uomo della sua vita? 

Che lo avrebbe portato nel cuore per sempre?

Avrebbe permesso alla Forza, a Nebrod, al destino o come si chiama, di annientarla del tutto, toglierle tutto ciò che di bello la vita aveva da offrire?

No. 

Lo avrebbe fatto, se la galassia fosse dipesa da questo, ma non era il suo caso. 

Shereshoy. Avrebbe preso tutto ciò che di bello aveva da offrire la vita ogni giorno. L’avrebbe fatto suo, fino alla fine del suo tempo, e avrebbe potuto chiudere gli occhi con la consapevolezza di aver vissuto una vita bellissima, piena d’affetto, di gioie, ma anche dei dolori che la vita sapeva dare. Semplicemente, con tutti gli alti e bassi del caso, avrebbe vissuto. 

Tutto ciò, Satine lo pensò in una frazione di secondo.

E in un lampo, aprì la porta della sala comune.

Trovò Obi Wan seduto sul divano ad armeggiare con la propria spada laser. Non la usava da un po’ ed aveva bisogno di manutenzione. Il padawan alzò lo sguardo su di lei e sul suo asciugamano bianco, un lampo di allarme nelle iridi grigioverdi.

- Che succede?-

Non rispose subito. Rimase lì, in piedi, una parte di sé che si domandava se non stesse esagerando, se non si sarebbe offeso.

Decise di provare lo stesso.

- Hai detto che devo volermi bene un po’ di più, giusto?-

- Sì.-

Satine annuì.

- Bene, sono d’accordo. Vorrei chiederti un favore.-

Obi Wan mise da parte la sua spada laser e si alzò in piedi.

- Fai il bagno con me?-

Non era una richiesta, ma una domanda pura e semplice. 

Il bagno era uno spazio intimo e personale, che se fatto per necessità perdeva la sua sfera privata in favore dell’assolvimento di un dovere. 

In precedenza, era stata appunto una necessità, più che un desiderio, assolvere il bisogno di lavarsi e soprattutto di lavare lui, che era ferito ed aveva bisogno di cure, incapace di badare a se stesso da solo. 

In quel caso, invece, il condividere la vasca rendeva il tutto ancora più intimo e personale, privato, in quanto derivava dal desiderio di vivere quel momento in due.

E non c’era niente che Obi Wan amasse di più dei semplici momenti di intimità condivisa con Satine.

Era il suo modo per dirgli che lo rispettava tanto quanto lui rispettava lei. Non era un servitore, ma un pari, e la sua opinione contava come contava la sua cultura e il suo codice che la ragazza non capiva. 

Rimase lì, come folgorato per un istante prima di rispondere.

- Sì.-

Lo condusse per mano nella sua stanza, dove il padawan chiuse le tende e si apprestò a svestirsi. Satine, che aveva già disposto i suoi effetti personali sulla sedia, si avviò per prima nella bella vasca circolare, incassata nel pavimento e piena di bolle di sapone. 

L’acqua era calda e profumava di buono. Obi Wan la raggiunse in un lampo e lasciò che l’acqua calda lenisse i muscoli doloranti del collo.

- La spalla è ancora contratta?-

- Sì, un po’, anche se va molto meglio da quando abbiamo accesso all’acqua calda.-

Satine gli sorrise, il vapore che le faceva arricciare i capelli corti. La guardò avvicinarsi e non protestò quando gli chiese di voltarsi. Cominciò a massaggiare la spalla con dita esperte, consapevoli ormai di dove fossero le contratture più grandi e doloranti.

Obi Wan chiuse gli occhi, assaporando le sensazioni che gli trasmetteva il contatto con la sua pelle. Era stranamente consapevole di quello che stava facendo, come se una parte di lui fosse venuta a patti con le conseguenze di quel legame. 

Si era chiesto se era cresciuto e si era detto di sì. Aveva lasciato il Tempio che era poco più di un ragazzo timoroso della sua stessa ombra, e quando si era guardato allo specchio aveva visto un giovane uomo più consapevole di se stesso, dei suoi limiti ma anche dei suoi pregi. Aveva visto l’ombra del male e l’aveva fuggita, aveva visto la brutalità e l’aveva trasformata in affetto. Era cambiato, in meglio, aveva acquisito una forza interiore, un dominio su se stesso che aveva creduto - o era stato indotto a credere - di non avere. Satine una volta gli aveva detto che lui aveva una volontà forte come il beskar, e forse aveva ragione.

Il ragazzo fragile aveva lasciato il posto ad un giovane uomo razionale e consapevole, con una volontà di beskar, sì, ma anche con una forte bussola morale che, adesso sapeva, puntava quasi sempre il nord. 

Aprì gli occhi e si voltò verso Satine, sollevando tutti gli scudi in suo possesso.

Qui Gon non deve sapere.

Non deve sapere.

Non deve sapere.

- Io non sono Saxon. Non lo sarò mai.-

- Lo so, mio caro Ben. Non potresti mai esserlo.-

Obi Wan si accigliò.

- Ho sempre voluto chiedertelo. Perché Ben?-

Satine fece spallucce.

- E’ un diminutivo molto comune, qua, ed ho pensato che ti stesse bene, che si accostasse bene al tuo nome. Poi, il tuo nome assomiglia molto alla parola blu in Mando’a.-

Il ragazzo ci pensò un attimo.

- Keben?-

- No, kebiin, ma il tuo accento coruscanta in questo caso gioca a tuo favore.- 

Obi Wan si grattò un velo di barba non fatta.

- E per quale motivo? Blu?-

- E’ la stessa radice di kebii’tra, che vuol dire cielo. Cielo di giorno, per la precisione. Ha un sacco di colori, azzurro quando è terso, color ghiaccio quando è freddo o nevica, o verdastro quando è in tempesta. Kebii’tra è il colore dei tuoi occhi.- 

E se voleva comprarlo, convincerlo, così ci riuscì. 

- Di che cosa hai bisogno?- le chiese, riproponendole la stessa domanda che lei gli aveva fatto, il fiato trattenuto in gola dove il suo cuore sembrava aver preso la residenza. 

Satine fece spallucce. 

- Per una volta voglio essere libera.- 

Non se lo fece ripetere due volte.

 

I loro incontri clandestini si stavano facendo sempre più frequenti, sotto il naso di Qui Gon, che in parte non sapeva e che in parte ignorava. 

Si incontravano da soli di giorno e anche di notte, quando condividevano la stanza. Fermarsi, ogni volta, diventava sempre più difficile per entrambi. Conoscevano le regole del riduurok: i legami fisici e personali erano finalizzati alla crescita dei figli, e i due giovani erano intelligenti a sufficienza da sapere che certi limiti non potevano essere superati per la natura stessa della loro relazione.

Almeno, non per il momento. 

Un giorno, però, l’idillio su Alderaan fu interrotto dalla chiamata di una furibonda Inga Bauer.

L’attendente di Bail Antilles, che ormai era diventato un habitué delle stanze degli ospiti, aveva bussato alla loro porta, ma aveva colto Qui Gon e Satine immersi nella meditazione. I due avevano cominciato a meditare insieme in quei giorni, la duchessa e la sua figura paterna, per aiutarla a superare la perdita. Così, era stato Obi Wan ad uscire dalla stanza e a seguirlo al centralino.

L’ologramma furibondo della generale si stagliava spietato sopra il tavolo, e quando lo vide arrivare non nascose il suo disappunto.

- Per quanta simpatia io abbia per te, ragazzo, preferirei parlare con la duchessa.-

- In questo momento è indisposta. Credo che dovrete accontentarvi di me.-

Era evidente che la donna non si era aspettata un no come risposta. 

- Sta male?-

Obi Wan ci pensò su.

In fondo essere in lutto equivale a stare male.

- Sì, da un certo punto di vista. Potete dire a me.-   

- Il tuo maestro?-

- E’ con lei in questo momento.- e ripetè, serio.- Potete dire a me.-

La donna sospirò.

Le Abiik’ade avevano accoppato l’incrociatore dei cacciatori pochi giorni prima, ma evidentemente la fuga della duchessa era diventata di dominio pubblico. Il gruppo era stato seguito dalle Figlie dell’Aria fin su Mandalore, da dove era ripartito con un incrociatore nuovo di zecca, diretto non si sapeva bene dove. Così, la generale aveva messo in moto un complesso meccanismo fatto di delazioni e spie che alla fine aveva dato i suoi frutti. 

La torre di controllo di Aldeeran aveva mandato una segnalazione. 

- I tecnici dello spazioporto di Aldera hanno ricevuto una strana richiesta di attracco. Alla fine, hanno rifiutato la richiesta ed hanno continuato a tracciare la navicella sul radar. Altro che mayday. Quell’affare è rimasto in orbita per tutto il tempo, prima di allontanarsi. Hanno persino tentato un atterraggio clandestino, ma la contraerea li ha fermati. Purtroppo, il modello dell’incrociatore corrisponde perfettamente al nuovo veicolo dei cacciatori, e la donna al microfono parlava con un forte accento Mando’a.-

Fu il turno del ragazzo di sospirare.

- Purtroppo ci siamo già passati. I cacciatori hanno come obiettivo quello di non far uscire il loro target dal sistema. Ci hanno già provato su Mandalore e ci sono riusciti due volte. Se restano in orbita, significa che aspettano una navicella, armati di tracciatori, e probabilmente stanno aspettando noi. Ci serve un buon piano per uscire da qui.-

Inga aveva un sopracciglio sollevato.

- Senza Korkie Bauer, siamo a corto di strateghi. Credo che dobbiate cavarvela da soli, anche perché io sono tutto fuorché pratica di Aldeeran.-

- Sicuramente il senatore Antilles saprà consigliarci per il meglio, e per quanto ci riguarda, ormai abbiamo capito come ragionano. Li abbiamo seminati diverse volte, li semineremo anche questa.-

La generale era sempre stata di poche parole, ma Obi Wan percepì una certa freddezza nei suoi confronti ed immaginò che potesse essere attribuita allo scontro - se così lo si poteva chiamare - avvenuto nella villa in collina su Kalevala. La sua critica alla strategia di Khader, e soprattutto essere messa in minoranza dal duca Adonai, doveva averla profondamente indignata. 

- Vi ringrazio, generale. Senza il vostro aiuto, non saremmo mai riusciti a raggiungere Aldeeran.-

La donna alzò un sopracciglio bellicoso, ma alla fine capitolò, intendendo correttamente le parole del padawan come un’offerta di pace.

- Ed io ringrazio voi per il vostro intervento e per i vostri preziosi suggerimenti, che sono quasi sempre legittimi.-

Il ragazzo lo prese per un accordo di pace e la comunicazione fu chiusa.

Quando tornò, trovò il maestro e la duchessa intenti a fare merenda con tè e biscotti. Dopo la meditazione curativa, Satine sembrava sempre più allegra e riposata, e non si stupì quando, con la bocca piena e un biscottino gocciolante, si offrì di dividere il suo tè con lui.

- Preferisco aspettare. Ho ricevuto una comunicazione da Inga Bauer.-

Raccontò loro tutto quanto la donna gli aveva riferito e Satine si accigliò immediatamente. Era chiaro, ormai, che era necessario lasciare Aldeeran per evitare che la ragazza diventasse nuovamente un bersaglio, e la Forza sola sapeva che cosa sarebbe stato in grado di fare adesso un gruppo di cacciatori imbufaliti.

Non sapevano quali erano i piani di Vizla, che dopo Khader potevano tranquillamente essere cambiati e comportare l’uccisione del bersaglio e non più la sua cattura.

Non sapevano nemmeno da quanti membri era composta la nuova squadra. Il fatto che ci fosse una donna aveva fatto immediatamente pensare loro che Reeta Woves fosse stata confermata, ma non ne avevano la certezza. Potevano essere di specie diverse, oppure tutti Mando, e in tal caso sarebbe aumentata anche la componente della Ronda della Morte. 

Non erano pronti per uno scontro e dovevano lasciare Aldeeran prima che si accorgessero di loro. 

Satine rimase pensosa tutto il pomeriggio. Pensava seduta sul divano, seduta per terra, con i piedi sul tavolo o scalzi sul tappeto. Pensava sul letto, pensava passeggiando in corridoio e pensava uscendo in terrazza, avvolta dalle tende che volavano nel vento. 

Obi Wan cominciava a capire che, qualunque cosa l’avesse disturbata in quei giorni, adesso stava decisamente prendendo forma nella sua mente.

- Hai scoperto di chi stava parlando, con il padre?-

- No, non vuole dirmelo. Mi ha liquidato con un parente piantagrane, ma è troppo giovane per darci problemi.-

Qui Gon aveva annuito e si era rimesso a meditare.

Il loro stupore fu palese quando, prima di cena, la duchessa aprì la bocca per parlare, per la prima volta in tutto il pomeriggio.

- Ho una comunicazione da farvi.-

Quando parte così, sono cavoli amari.

Qui Gon ed Obi Wan si guardarono, ma non dissero niente.

- Ho pensato molto in questi giorni. Sono successe molte cose che mi hanno stupefatta e così ho deciso di mettere ordine. Dovevo capire che cosa fosse davvero successo a Khader, che cosa era successo nella mia famiglia e soprattutto che cosa fare della mia vita dopo la battaglia. Sono giunta ad una serie di conclusioni, ma temo che non vi piaceranno.-

- Duchessa, se c’è una cosa che ho imparato, è che le vostre decisioni, per quanto sconcertanti, hanno il grande dono di essere esatte. Sentiamo che cosa avete da dire.-

Satine li guardò riconoscente e continuò.

- Obi Wan ha sollevato un punto interessante, quando eravamo alla villa in collina: non mi trattano come una Mand’alor. Non sono loro a seguire me, ma io a seguire loro. Obi Wan non ha avuto del tutto ragione, semplicemente perché ha dato la colpa di questo fatto ad altri. Invece, il problema è mio. Io non mi sento un leader, e un leader che non si sente tale non è un leader. Ho sempre apprezzato il lavoro di squadra, l’approccio condiviso, il confronto, ma alla fine dei giochi, è il leader a prendere le decisioni. Per molti, io non ho lo stomaco per farlo, e quando lo faccio, non ho gli attributi per restare ferma nelle mie decisioni. Non sono gli altri a dover cambiare. Sono io a doverlo fare. E per dimostrare al sistema che ha un leader, dovrò mettere i puntini sulle i. Una volta per tutte.-

Prese a camminare avanti e indietro, a piedi nudi sul tappeto morbido. Nonostante fosse scalza, aveva un’aria decisamente regale, come non l’aveva mai avuta prima.

- Ho sempre avuto la sensazione che ci fosse una parte dei Nuovi Mandaloriani in cerca di un leader, e con la caduta di mio padre il vertice si è trovato investito di un potere enorme a cui si stanno abituando e che già a suo tempo non sono riusciti del tutto a cedere. Io sono giovane, sono inesperta, nonostante il talento che mi dite di avere, e loro si sentono incaricati di guidarmi, con il risultato che mi hanno fatto duchessa a metà. Le decisioni le prendono loro, e io ratifico. Le strategie le fanno loro, e io mi conformo. Mi chiedono un comunicato ogni tanto, ma al di là di quello, sono solo una ragazzina che si è trovata nel posto giusto al momento giusto e che più che guidare può fare da passacarte. Un passaggio obbligato, un consenso necessario, ma non indispensabile, dal momento che le decisioni vengono prese altrove. Beninteso, sono consapevole che i Nuovi Mandaloriani mi stimano, ma al di là del loro rispetto personale, non ho il loro rispetto politico.

- Se ci pensate bene, il mio problema è proprio quello anche sul versante bellico. Il mio nemico non mi rispetta politicamente e nemmeno umanamente, perché nella sua visione le due fattispecie sono collegate. Non sono una guerriera, non sono niente per loro, nemmeno una donna, perché non rispondo a nessuno dei loro valori. Per i miei, invece, sono la custode delle tradizioni, ma a parte quello, non sono altro se non giovane ed inesperta. In molti credono in me, certo, ma come possono credere in un leader che non c’è, che lascia prendere le decisioni ad altri? Non comando io, comandano i miei attendenti, io firmo e basta. Sono sperduta chissà dove, per quel che ne sanno loro ho abbandonato il sistema da tempo. Alle lunghe, se questa guerra tra clan dovesse andare avanti per un po’, finirebbero con lo stancarsi di proteggere gli ideali di qualcuno che non c’è mai, che non partecipa, o che se lo fa, è soltanto passivo. Un leader non dovrebbe mai abbandonare il proprio popolo, e con tutto il rispetto - disse, alzando un dito e fermando Obi Wan prima che potesse cominciare a parlare - poco importa che sia vero o no. Basta che credano che io li ho lasciati. Con il tempo diventerò sacrificabile, e le opzioni sono due: o mi metteranno da parte per qualcun altro, e io non sarò stata nient’altro che una reggente fatta duchessa per il tempo necessario a trovare un leader vero, oppure perderanno, e la Forza sola sa che cosa ne sarà del mio sistema, se perderanno.

- Certo, la sortita di Khader sicuramente ha aumentato la mia credibilità sia agli occhi della popolazione che agli occhi dei Vizla, ma non credo che abbia cambiato qualcosa ai vertici dei Nuovi Mandaloriani. Avete visto la reazione di Inga Bauer di fronte a certe obiezioni, e sui familiari non posso contare. Per loro sarò sempre la piccola di casa da proteggere. No, su mio padre, su Maryam ed Athos, non potrò fare affidamento, perché so che loro farebbero qualunque cosa per tenermi al sicuro. I mezzi di comunicazione clandestini hanno diffuso le immagini della mia presenza a Loras e sicuramente hanno rinvigorito gli animi di molti, ma non sarà abbastanza per essere un leader. Anche i miei devono capire che l’ultima parola ce l’ho io. Il mio consenso all’operazione di Khader per loro è stato scontato. Il mio consenso al sacrificio, per loro è stato scontato. In un’ottica strategica era inevitabile, ma in un’ottica personale mi hanno usata. Sotto questo profilo, Obi Wan ha avuto ragione. Non si tratta solo di vincere una guerra, ma di rispettare il leader. Voi mandereste mai la cancelliera a farsi molestare dal nemico, anche se ciò garantisse la vittoria in guerra?-

Qui Gon sedeva pensieroso a gambe incrociate, ed Obi Wan cominciava ad avere una gran brutta sensazione.

- Nelle tradizioni Mando, c’è solo un modo per essere accettato come leader.- e Satine si fermò, lo sguardo duro fisso sui due Jedi. - Uccidere il Mand’alor e prenderne il posto. Khader ha segnato un punto a mio favore, certo, ma non si è trattato di una lotta corpo a corpo, come la tradizione prevede. Affrontare Vizla o scendere in guerra è fuori discussione, sia perché non concepisco una cosa del genere, sia perché non la capirebbero coloro che mi seguono, politicamente parlando. Per cui, l’unica alternativa è superare le prove. Dovrò seguire le orme di mio nonno, che ha istituito le prove per il trono sulla base degli antichi rituali. Ho superato il verd’goten e la prova del meshurok, me ne mancano ancora tre. Devo convincere i Saggi, dimostrare i miei talenti artistici e infine aprire la Luce di Mandalore. Se riuscissi a superarle tutte e tre, allora la mia strada al trono sarebbe spianata e i Nuovi Mandaloriani rinvigoriti avrebbero più possibilità di vincere la guerra e mettere fine a questo bagno di sangue. La mia presenza diverrebbe evidente. I vertici mi accetterebbero come leader indiscussa e alla fine tutto tornerebbe alla normalità. Per fare questo, però - e qui lanciò un’occhiata contrita ai due seduti di fronte a lei - mi sembra ovvio che dobbiamo tornare su Mandalore.-

Le spalle dei due Jedi precipitarono verso il basso. Obi Wan scosse il capo e dentro di sé si maledisse per aver fatto quella requisitoria alla villa su richiesta del duca. Qui Gon, invece, nonostante l’aria di rassegnazione, sembrava aver preso quella decisione con più filosofia.

- Adesso capisco perché avete premesso che la vostra decisione non ci sarebbe piaciuta, duchessa, e sarò sincero, in effetti non mi piace.-

- Non avevo dubbi, maestro.-

- Tuttavia devo riconoscere che la vostra conoscenza della politica e del sistema si è rivelata fondamentale per poter sopravvivere, e tendo a fidarmi di voi. Tornare su Mandalore, però, significa una grande organizzazione per evitare, tra i mille rischi, i cacciatori di taglie che vagano nello spazio aereo di Aldeeran.-

Obi Wan tentò di opporsi.

- Io non vorrei che, invece, la decisione sia stata presa a causa delle illazioni mosse da un certo qualcuno a proposito della morte dello zio. Satine, non hai niente da dimostrare a nessuno…-

- La morte di mio zio Korkie non c’entra niente.- ribatté lei, scacciando quell’affermazione con la mano come se fosse un fastidioso insetto.- Non c’entra proprio nulla. Quello è un parente pieno di rabbia le cui affermazioni meriterebbero attenzione per scopi terapeutici, non sicuramente politici. Quello che ha detto, però, è stato rivelatore di come una parte della popolazione mi percepisce. Io sono qualcuno che si nasconde dietro agli altri per non sporcarsi le mani e ne accetta la morte. Sono qualcuno che predica la pace, ma accetta lo spargimento di sangue quando si tratta di proteggere la mia persona.-

- Ma non è vero, Satine!- aggiunse il padawan, allargando le braccia.- Quando ti ho chiesto di volerti bene io intendevo…-

- So esattamente che cosa intendevi e ti ringrazio. Io mi voglio bene. Io so quello che ho fatto e so che cosa ho rischiato, ma pensate veramente che Inga Bauer abbia detto a tutti delle volgarità che Saxon ha detto e fatto? O forse è più realistico che sappiano il racconto mitico della presa geniale della città, sorvolando su quanto io abbia veramente rischiato?-

Sotto questo profilo, Obi Wan sapeva che Satine aveva ragione. Sicuramente il sindaco di Khader aveva sparso la voce del piano geniale dell’evacuazione e niente più, perché non poteva sapere tutto ciò che era accaduto all’accampamento e di conseguenza non poteva raccontarlo. 

Dall’altra parte, non potevano contare su Inga Bauer e sugli altri. 

In tempo di guerra, ahimè, quanto accaduto a Satine era fin troppo frequente, e di solito non finiva bene.

Qui Gon guardò Obi Wan, che si era ormai rassegnato.

- Quindi, duchessa, che cosa programmate di fare?-

Satine sorrideva, ma aveva la determinazione negli occhi.

Non gli disse niente. Non gli disse del terribile timore che aveva che, in verità, la battaglia da combattere fosse un’altra. In cuor suo, Satine cominciava a capire che la missione sarebbe potuta costare la sua vita, non tanto per quel folle di Larse Vizla, quanto piuttosto per una profezia e per un nemico comune, un mostro chiamato sarlacc che infestava il suo sistema e che lei cominciava a credere essere collegato a quanto dettole da Nebrod tempo prima.

Non gli disse nulla. Non gli disse di avere paura. Rimase al suo posto, sorridente, come se la cosa non la toccasse. Del resto, non era del tutto sicura di che cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Era certa solo di una cosa: rimuovere Vizla dal trono senza risolvere la piaga degli spettri significava vincere una guerra a metà.

E se le leggende che conosceva erano vere, Satine aveva tutte le ragioni di temere per la sua incolumità.

Non gli disse nulla. Fece soltanto spallucce.

- L’unica cosa che posso fare. Superare le prove per il trono e tornare su Mandalore il prima possibile.-

Obi Wan si passò una mano sulla fronte.

Sarebbe stata una lunga missione. 

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Nu mird’ni sol’yc lor’vram: lett. io non penso, prima di colazione

Kebiin: blu

Kebii’tra: cielo, in particolare di giorno

 

NOTE DELL’AUTORE: Sono un’idiota.

Vi chiedo infinitamente scusa per aver scoperto con clamoroso ritardo di aver balzato un capitolo a piè pari. Il capitolo 35 è stato caricato. Mi spiace non sapete quanto, ma il periodo è stato stressante e non sono riuscita a far incastrare come volevo le cose. 

So, my apologies. Il danno l’ho fatto. Spero di aver rimediato.

Ormai gli eventi stanno prendendo la piega che devono prendere. La guerra civile si avvicina al culmine e la resa dei conti tra Satine Kryze e Larse Vizla sta per arrivare.

Con tutti i colpi di scena del caso.

Ci vediamo alla prossima,

 

Molly.

 

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Capitolo 51
*** 42- I Saggi ***


CAPITOLO 42

I Saggi

 

Si svegliò con il profumo di mirto nelle narici.

Era da tanto tempo che non si svegliava più così, con un vago senso di appagamento all’altezza dello stomaco e la sensazione di aver riposato come si conveniva ad un essere umano.

Fissava un baldacchino lilla, che ingombrava il soffitto e ricadeva drappeggiato attorno a loro. La finestra era semiaperta per lasciar entrare la fresca brezza primaverile e il sole cominciava a sorgere dietro le colline di Aldera. 

Accanto a lui, Satine dormiva ancora, e di gusto, anche. 

Di solito la sera facevano sempre un po’ tardi. Innanzitutto, dovevano aspettare che Qui Gon si addormentasse. A quel punto, il padawan andava a bussare alla porta della stanza della duchessa e lei lo lasciava entrare, oppure lei sgattaiolava nella stanza del ragazzo senza che nessuno si accorgesse di niente.

Poi…

Eh, poi?

Poi di solito erano baci, carezze e tante coccole fino a che il sonno non aveva la meglio. A volte si perdevano a sussurrarsi parole all’orecchio con un holofilm nel proiettore, oppure Obi Wan continuava a studiare il Mando’a ripetendo frasi che non avrebbe mai detto a nessun’altra. Satine rideva, rideva come non aveva mai riso prima, soffocato nel cuscino o nella spalla del padawan, e quella era la sensazione più bella del mondo. 

Poi, si addormentavano e si risvegliavano al mattino presto, quando uno dei due sgattaiolava di nuovo nella propria stanza per sfuggire all’occhio attento di Qui Gon.

Obi Wan era convinto che il maestro si fosse accorto di qualcosa, anzi, ne era assolutamente certo. Una mattina dopo colazione, gli si era avvicinato dicendogli:

- Dubito che quello sia un segno del tuo rasoio da barba, ragazzo mio. Dille di evitare la parte superiore del collo, o mettiti qualcosa che copra quei segni. Pensa al Consiglio, intesi?-

Da quel giorno aveva chiesto a Satine di mirare più in basso e lei lo aveva rispettato.

Quella era stata una notte difficile, in cui fermarsi sembrava un’utopia. Erano felici insieme, esplorare ogni centimetro di pelle veniva naturale. Sapevano bene, però, che c’erano aree che era meglio non saggiare, per evitare di perdere il controllo della situazione.

Avevano mandato quasi ogni restrizione a farsi benedire, quella notte.

Erano miracolosamente riusciti a fare i bravi ragazzi. Se chiudeva gli occhi, Obi Wan poteva ancora sentire il calore della sua pelle e il suo sapore salato sulle labbra. 

Si sentiva bene. Molto bene.

A giudicare dal sorriso placido sul volto della duchessa, anche lei doveva essere felice.

Le stavano ricrescendo i capelli ad una velocità strabiliante. Già le punte più corte le sfioravano le orecchie in un delicatissimo caschetto biondo. Per quanto il padawan amasse il suo pixie cut, i suoi fili color alba erano una droga per lui e ci passò prontamente le dita per svegliarla.

La ragazza rispose con uno sbuffo.

- E’ l’alba. Torno di là.-

- Mphf.-

Le hanno dato così tanti nomi. Mi stupisce che Mugugno non faccia ancora parte dell’elenco.

Satine rotolò su un fianco e aprì mezzo occhio.

La veste da camera era andata perduta da qualche parte, e in quel momento Obi Wan dovette fare del suo meglio per evitare di osservare le forme rotonde sotto il lenzuolo immacolato.

- E’ l’alba. Devo andare.-

Satine lo guardò un po’ più vigile.

- Non tremi più.-

Il ragazzo arrossì.

- Nemmeno tu.-

La duchessa sorrise, gli fece una carezza sul viso e si infilò ancora di più sotto le coperte.

Obi Wan, invece, sgusciò fuori dalla stanza e raggiunse la sua.

Vi restò fino all’ora di colazione, quando il maestro venne a bussare alle porte per svegliare i ragazzi. Obi Wan si fece trovare pronto, asserendo come scusa quella di aver meditato.

- E la duchessa?-

- Non saprei. Dorme?-

- Obi Wan, benedetto ragazzo, mi hai preso per scemo? Sento che odori di mirto lontano un miglio!- 

Il padawan esplose in una risata imbarazzata. 

Beh, almeno so di buono.

- Direi che è sveglia.-

Si trovarono per colazione nella sala comune, e Bail Antilles si unì cortesemente a loro per portare le ultime notizie.

Inga Bauer, purtroppo, aveva avuto ragione. I cacciatori erano stati avvistati di nuovo. In particolare, avevano avuto la bella posta di attaccare un paio di cargo mercantili alla ricerca della duchessa. 

Obi Wan interpretò quella come una notizia relativamente buona. Se la stavano cercando dentro dei mercantili, probabilmente alcuni dei vecchi cacciatori erano rimasti nella squadra e li stavano cercando seguendo ancora il trucco che avevano ideato per andare a Khader. 

Una era quasi sicuramente Reeta Woves, che di certo voleva essere sicura che Satine ancora una volta non li stesse turlupinando per benino. 

Se fosse stato vero, avrebbero avuto già una certa conoscenza del loro modo di operare. 

Certo, c’erano anche lati negativi, a cominciare dal fatto che, se loro conoscevano i cacciatori, anche i cacciatori conoscevano loro.

Non si può avere tutto dalla vita.

La conseguenza inevitabile di quella conversazione a colazione era la loro partenza nel giro di poco. Qui Gon decise di restare nel palazzo per organizzare la fuga con Bail Antilles, ed incaricò Obi Wan e Satine di andare a fare rifornimento al mercato di Aldera. 

Il padawan prese quell’occasione per evadere dal palazzo e stare un po’ da solo con la duchessa. Sapeva che non sarebbero stati al sicuro da nessuna parte, ma al mercato avrebbero potuto confondersi con la folla, e sarebbero riusciti a sparire alla vista di eventuali nemici. 

Per mascherare la loro persona ancora di più, Satine coprì i capelli con la sciarpa e Obi Wan legò le trecce dietro la nuca, attorno al codino della terribile acconciatura da padawan. Fargli crescere una seconda treccia era stato un colpo di genio della duchessa, per il quale non avrebbe mai smesso di ringraziarla abbastanza. 

Così combinati, i due vagarono per le strade del mercato passando del tutto inosservati. 

Dopo avere visto il mercato di Solus, Aldera non sembrava più molto interessante, anche se era comunque un posto bellissimo. Osservò le tende aperte e i banchi esposti, pieni di merci da ogni dove, nazionali ed esotiche. Il fascino di quella città era la sua bellezza naturale. Le case erano curate, le strade rifinite, i campi ben tenuti e i fiori recisi di fresco. Era una bellezza curata, che aveva a tratti un che di artificiale, anche se la natura ci aveva messo del suo. Satine osservava tutto con curiosità, scivolando fra le merci alla ricerca di una farmacia.

- Che c’è, Ben?- gli chiese, notando il suo disinteresse.- Non ti piace?-

Il ragazzo fece spallucce.

- Prima di vedere Mandalore, pensavo che Aldeeran fosse il posto più bello della galassia.-

- Ma lo è!- ribadì la duchessa, sorridendo.- Mandalore è un deserto!-

- Mandalore è unico, è pulsante, è vivo. Persino le piante parlano. Qua è tutto molto estetico, ma… Non saprei, ecco, è come se sentissi di meno.-

Si tennero per mano mentre passeggiavano tra le bancarelle. In farmacia, fecero incetta di tutto quanto necessario in caso di, ehm, dialogo con forze straniere, e il ragazzo lasciò a Satine lo spazio per acquistare in santa pace i suoi effetti personali più necessari.

Quando tornò scoprì che tra i suoi effetti la duchessa aveva aggiunto anche un paio di lenti a contatto colorate.

Non fece domande, ma ogni suo dubbio fu fugato successivamente, non appena la vide aggiungere una parrucca mora al suo necessaire

Il suo commento? Non si sa mai.

Obi Wan scosse il capo ridendo. 

Ripresero il giro, con la busta della farmacia stretta in mano.

Si fermarono a fare spese. Satine acquistò con i propri crediti un grosso poncho da uomo. 

La ragazza gli raccontò che il maestro aveva venduto il suo per comprargli le medicine e che riceverne uno nuovo gli avrebbe fatto piacere.

Sostarono poi un po’ più in là, per fissare ammirati un banco di gioielli. Il luccichio poteva essere visto da lontano, e molte signore si alternavano ad acquistare le merci, o anche solo per dare un’occhiata. 

C’erano diversi monili di vetro, gemme e pagliuzze colorate. Un pendente blu catturò l’attenzione di Obi Wan, che si trovò a pensare - romanticamente, ma non l’avrebbe mai ammesso - a quanto somigliasse agli occhi di Satine. 

Era quasi tentato di comprarlo e regalarglielo quando Satine si avvicinò ad un medaglione color tempesta.

- E’ bellissimo.- disse, e mormorò tra sé la parola kebii’tra. 

Uno stormo di farfalle prese il volo nel petto del padawan, ma si trattenne dal dire o fare alcunché.

Satine, infatti, posò il medaglione di nuovo sul banco.

- Non abbiamo crediti da spendere in queste cose, anche se mi sarebbe piaciuto.- borbottò, prima di trascinarlo via stringendogli la mano.- E credo che, in ogni caso, tu non l’avresti mai accettato, giusto?-

Obi Wan arrossì. 

- Io non posso tenere oggetti personali. Sono un Jedi. Non posso attaccarmi nemmeno a quelle poche cose che ho. Tu, però, puoi indossarlo, se ti piace. Anzi, ce n’era uno blu che mi piaceva, se mi permetti…-

- Non sprecare il poco denaro che hai. La Forza sola sa per quanto tempo ancora io, te e Qui Gon dovremo fuggire. I crediti, purtroppo, ci servono.-

Passeggiarono in silenzio tra le bancarelle e acquistarono delle provviste. Alla fine, le loro ceste erano ricolme di oggetti di prima necessità che avrebbero portato con loro. Bail Antilles si era offerto di rifornirli di cibo ed acqua, per cui erano sollevati da quelle commissioni.

Sulla via del ritorno, Obi Wan portò Satine a mangiare qualcosa. Ricordava di essere stato in quel luogo una volta con Qui Gon, durante un incontro diplomatico. I due, in un minuto di pausa e mezzi morti di fame, si erano fermati nella prima piazza che avevano trovato e si erano fatti servire a volontà da un corpulento signore che odorava di fritto.

Il loro livello di trigliceridi ne aveva sicuramente risentito, ma si erano riempiti la pancia, e anche bene. 

- Fa le frittelle di mele più buone della galassia!- le aveva detto con entusiasmo, prima di trascinarla lì.

La piazza era piccola e circolare, costruita interamente da mattoncini chiari. Al centro c’era una bella fontana bluastra con giochi d’acqua che uscivano dalle sculture a forma di pesce. Una serie di case private dalle terrazze fiorite si aprivano sullo slargo e un paio di negozi di generi alimentari richiamavano l’attenzione con vistose decorazioni luccicanti ai banchi.

- Una volta mi hanno spiegato che lo fanno per gli uccelli. Si fidano delle persone, qua, e vengono a rubare il cibo.-

L’uomo delle frittelle aveva ancora il negozio aperto all’incrocio, e Obi Wan lasciò Satine seduta sulla fontana per andare a prendere il cestino delle frittelle.

- Ragazzo, quante?-

- Un po’, fate voi.-

L’uomo infilò il ramaiolo nella friggitrice e sollevò un paio di frittelle calde calde. Lanciò un’occhiata al padawan, che si era voltato per tenere d’occhio la duchessa bionda, anche se non percepiva distorsioni nella Forza.

Satine aveva il dono di brillare di luce propria anche nell’angolo più buio dell’universo. Aldeeran era bellissimo, ma lei trovava il modo di essere unica, diversa e bella in mezzo al bello. Vestita di bianco, con la sciarpa rossa sul capo, seduta sulla fontana in quel luogo meraviglioso, non era solo bella. Era poetica.

Il cuoco sorrise.

- La signorina quante ne vuole?-

- Altrettante.-

- Crema?-

- Sì.-

- Vaniglia o limone?-

- Vaniglia, direi.-

E lanciò di nuovo un’occhiata a Satine, come per sincerarsi che sì, voleva la vaniglia.

- Ah, bei tempi!- commentò l’uomo, mentre faceva scolare l’olio dalle frittelline.- Anche io guardavo la mia signora così, quando eravamo giovani. Adesso siamo tutti e due messi male: io non ci vedo da un occhio e lei è zoppa da una gamba. L’età avanza e non possiamo più fare i giovanotti!-

Obi Wan sentì le orecchie tingersi di rosso, ma fece finta di nulla.

- Quant’è?-

- Cinque crediti, ma per voi piccioncini fanno due e cinquanta!- e gli strizzò l’occhio, ammiccando verso Satine.

- Se vuoi un consiglio, figliolo, portala stasera al belvedere. Fanno i fuochi d’artificio per la festa di primavera. Se volete fare i fuochi d’artificio pure voi, ve lo consiglio assolutamente!-

Il padawan ringraziò e se ne andò con i cestini in mano, certo di non essere rosso solo sulle orecchie.

Consegnò le frittelle a Satine, che le guardò con sospetto. Il cibo da strada non le dispiaceva, ma sentiva un intenso odore di fritto provenire da quel negozio e la cosa la disturbava un po’.

- Che c’è? Sono buone!-

- Esattamente quanti anni aveva l’olio per friggere?-

- E che ne so? Zitta e mangia, ingrata!- le disse, pizzicandole affettuosamente il fianco. 

Satine afferrò la frittella con malcelato sospetto, poi la intinse nella crema e se la mise in bocca.

Le brillarono gli occhi.

La seconda frittella sparì a tempo di record, infilata in bocca per intero in un colpo solo.

- Visto? Donna di poca fede.-

- Spettacolari, sono d’accordo. Dove andiamo adesso?-

- Verso casa, direi.- commentò il ragazzo, permettendole di infilargli un braccio nell’incavo del gomito.

La via del ritorno fu silenziosa. L’unico suono distinto dal chiacchiericcio del mercato era Satine che si leccava le dita e ripuliva con dovizia la coppetta della crema. 

Prima di uscire dalla città ed avvicinarsi al palazzo, i due si misero in coda assieme a tutti gli altri cittadini, in attesa del mezzo di trasporto. 

Solo in quel momento, Satine parlò.

- Ti ho mai raccontato di come mio padre ha conosciuto mia madre?-

Il padawan scosse il capo, perplesso.

Come le è venuta in mente questa, adesso?

- Non nel dettaglio, no.-

Satine sospirò, un lieve rossore sulle guance, e il ragazzo percepì l’imbarazzo in lei.

Era dolcissima quando si vergognava.

- Mia madre era una Abiik’ad da diverso tempo, ormai. Si può dire che lo sia stata per tutta la vita. Era nata ad Eyaytir, la cittadella delle Figlie dell’Aria. Dopo la guerra contro la Repubblica, il sistema sentiva il bisogno di pace, e la trovò in mio nonno Gerhardt e nelle sue riforme. Mio padre continuò nel solco della sua attività, ma la minoranza di esagitati che non gradiva i cambiamenti, un giorno, decise che ne aveva abbastanza e scatenò una prima guerra civile, contenuta, ma non meno dannosa. Cinsero d’assedio il palazzo di Keldabe, chiudendoci tutti dentro, duca incluso. Le Abiik’ade intervennero e mia madre finì nella mischia, rompendo una vetrata. Capitò per caso nel gruppo di parlamentari che stava combattendo assieme a mio padre e gli salvò la vita. Si conobbero così. Poi, Inga Bauer, da sempre amica dei Kryze e da poco nominata generale, decise di assegnare una scorta personale al Mand’alor, composta da un gruppo di guerriere scelte. Tra queste c’era mia madre, che divenne la sua guardia del corpo. Lo seguiva dovunque.- 

Obi Wan sentì il suo disagio crescere ed era quasi tentato di dirle che non gli importava, ma la ragazza sembrava determinata a concludere il suo racconto e così la lasciò fare. 

- Si frequentavano per motivi professionali da un po’ di tempo, ormai. Si apprezzavano, ma non se lo erano mai detto. Un giorno, durante una delle poche giornate libere a disposizione di mio padre, stavano passeggiando per il mercato di Qibal quando incapparono in una bancarella piena di gioielli in vetro, come quella che abbiamo passato. Mamma vide una spilla e la comprò. La cosa lo stupì molto. L’indomita Abiik’ad che sguazzava nelle frivolezze! Voleva prenderla in giro, ma lei gli disse che era dello stesso colore dei suoi occhi, e che si era stufata di portarlo solo nel cuore, così l’avrebbe portato anche sul cuore dovunque fosse andata, una volta finita quella missione. Non si sono più lasciati fino a che un cacciatore di taglie non le ha sparato una decina d’anni fa.-

Se c’era una cosa che aveva sempre lasciato confuso il padawan a proposito della loro curiosa relazione era stato proprio il fatto che non se lo erano mai detto. Lui e Satine avevano dormito insieme, condiviso molte paure e dolori, si erano fatti coraggio e dati gioia a vicenda. Avevano visto i rispettivi corpi nudi, avevano fatto il bagno insieme, si erano toccati, baciati, abbracciati, ma non si erano mai detti le fatidiche due parole.

L’azzardo più grosso lo aveva fatto lui, quando le aveva detto che teneva a lei.

Da allora, il nulla più assoluto.

Si era sempre detto che, evidentemente, le Mando preferivano i fatti alle parole, ed aveva trovato conforto dalle sue insicurezze nei baci calorosi della duchessa, nelle sue carezze e nelle sue dita intrecciate con le sue.

Quella invece che cos’era, una dichiarazione?

No, perché se lo era, come aveva ragione di credere, il padawan era già pronto a tornare correndo alla bancarella e a comprarle tutti i gioielli che voleva.

- Se vuoi - le disse, stringendole il bracciò di più e sentendo il suo corpo accostarsi al suo.- Posso andare a comprare il medaglione, o il pendente, o qualunque cosa tu voglia. Se corro usando la Forza ci metto cinque minuti e non perdo nemmeno la corriera.-

Ma Satine lo trattenne, sorridendo.

- Ci servono i crediti, Obi Wan. Non importa. Non ho bisogno di un oggetto per ricordarmi di te.-

Le cinse le spalle con il braccio e la duchessa poggiò il capo coperto nell'incavo del suo collo. 

Se qualcuno li avesse visti in quel momento, avrebbe creduto di incrociare una coppia di sposi novelli, o di fidanzati, non di certo una duchessa e una guardia del corpo in fuga dai cacciatori di taglie e dai loro stessi destini, due persone in cerca di un’alternativa per far funzionare l’amore impossibile tra una mandaloriana e un allievo della Forza.

Quei momenti passati al mercato di Aldera, li avrebbero ricordati come magici. Attimi fugaci in cui non erano stati nessuno, una coppia normale in mezzo a coppie normali, senza limiti oltre quelli che loro stessi si erano dati. 

Una coppia innamorata con un futuro.

Fu allora che lo notò.

- Hai della crema qua.- le disse, sfiorandole il viso con la mano. 

Satine si toccò le labbra con le dita, ma prima che potesse rimuovere il sottile alone di crema, Obi Wan si chinò su di lei e la baciò.

Era stata una mossa coraggiosa. Non potevano sapere se erano davvero soli o no. La Forza cantava attorno a loro e non c’era motivo di credere che fossero seguiti od osservati, ma anche qualcuno con intenzioni migliori dei cacciatori di taglie sarebbe stato un pessimo custode del loro segreto. 

Non importava, però. Satine gli aveva confessato che per lui avrebbe ripetuto lo stesso gesto della madre. Obi Wan voleva che sapesse che per lei era disposto ad uscire allo scoperto e che non ne aveva paura. Voleva dirle che l’avrebbe portata al belvedere a guardare lo spettacolo pirotecnico e che, se lei glielo avesse permesso, una volta soli, avrebbero fatto l’amore sul prato. Voleva che sapesse che era stufo marcio dei nascondigli, dei baci rubati, dello sfiorarsi delle loro mani di nascosto da Qui Gon, stufo di dover attendere settimane per avere un momento di intimità con lei, lontano dagli sguardi della gente.

E poi, perché? 

Che guardassero pure. Non aveva niente da nascondere. Amava Satine, e se qualcuno gliene avesse chiesto ragione, lo avrebbe confermato.

Anche davanti al Consiglio Jedi.

Si allontanò dalle sue labbra solo per prenderle di nuovo e sentì Satine stringerglisi al petto.

Se la folla non li avesse sospinti, non si sarebbero accorti di nulla. Non del fischio acuto dei freni, o dell’odore forte di carburante, né dello spostamento d’aria, o della voce robotica che elencava le fermate. 

Obi Wan e Satine salirono a bordo e proseguirono la loro corsa verso il palazzo. 

Il maestro Kenobi, tuttavia, avrebbe trascorso molte notti infelici della sua vita, negli anni a venire, a pensare a che cosa sarebbe successo se, quel giorno, avessero perso la corriera e non fossero mai tornati a palazzo. 

 

Quando questo trabiccolo si ferma glielo dico.

Era bell’e che pronto. Glielo avrebbe detto non appena fossero scesi dalla corriera. 

Vieni al belvedere con me.

Aveva un piano. Se lei avesse detto di sì, sarebbero andati in incognito, come quel giorno, sarebbero rimasti fino alla fine dello spettacolo pirotecnico e poi, sul finire dei fuochi d’artificio, quando il rumore sarebbe stato fortissimo e nessuno li avrebbe sentiti, le avrebbe detto le parole magiche. 

Ti amo. Voglio restare con te. 

Beh, sulla seconda parte era ancora indeciso. Avrebbe avuto il coraggio di farlo davvero? Lasciare tutto ciò che aveva sempre conosciuto, abbandonare la sua famiglia per seguire un percorso oscuro?

Eppure sentiva che la Forza lo aveva portato da lei. Era un test? Era un modo per dirgli di scappare dal Tempio finché era in tempo?

Una strana sensazione si era impadronita di lui a quel pensiero. Perché mai la Forza gli aveva proposto quell’alternativa? Si sentiva ad un crocevia, dove una scelta sbagliata avrebbe potuto portarlo alla rovina.

Potrebbe portare tutti alla rovina.

La prima volta che aveva avuto quel pensiero era stato dopo una terribile visione in cui aveva visto se stesso inseguito da un esercito di uomini tutti uguali. Aveva avuto una paura folle, e la prima cosa che aveva pensato non appena aveva aperto gli occhi, annaspando in cerca d’aria, era stata che doveva appendere la spada laser al muro e scappare via, il più lontano possibile da quell’orrore.

Poi, però, la razionalità aveva preso il sopravvento.

Durante le loro notti trascorse su Aldeeran, non tutte per il giovanotto erano state tranquille. Dopo essersi accoccolato esausto accanto a Satine, aveva chiuso gli occhi ed aveva sognato, sognato quell’esercito di uomini tutti uguali che ripetevano sempre la stessa frase mentre lo uccidevano a colpi di blaster.

Un bravo soldato esegue gli ordini.

In alternativa, aveva avuto un sogno in Mando’a in cui una voce profonda, deformata e irriconoscibile, immersa nell’oscurità, ripeteva sempre una frase, come un’eco che rimbalzasse sulle pareti della sua buia scatola cranica. Non diceva niente di particolare, ma il senso di panico, dolore e orrore che gli suscitavano, pur essendo inspiegabile, era sufficiente a svegliarlo.

Partayl’gar, Obi Wan, ner cyare…

Ricorda, mio caro Obi Wan…

Che cosa avrebbe dovuto ricordare? E perché, ancora una volta, la voce parlava Mando’a?

No, non le avrebbe confessato che sarebbe rimasto. Aveva ancora troppi nodi da sciogliere, prima di poter confermare la sua scelta.

Diversamente, l’avrebbe solo illusa. L’avrebbe fatta soffrire.

Dunque si sarebbe solo dichiarato, sì, sotto una pioggia di fuochi d’artificio e soli in un campo di un paese straniero dove nessuno li avrebbe mai riconosciuti e dove sarebbero stati solo una giovane coppia in attesa di restare da soli per… beh

Scesero dalla corriera tenendosi per mano. Mancava poco al palazzo reale, e non avevano più molto tempo per essere due comuni mortali in giro per Aldera. Camminarono assieme per un po’, mano nella mano, e poi presero una traversa isolata per raggiungere un’entrata laterale del palazzo. 

Satine lo tirò per la mano e lo trattenne.

- Che c’è, qualcosa non va?-

La risposta fu un bacio, e un altro, e un altro ancora. Obi Wan l’assecondò. Non aveva più voglia di lei di tornare a fingere. Erano sempre stretti in un bell’abbraccio comodo quando le fece la proposta.

- Senti, il tizio delle frittelle mi ha detto che stasera fanno i fuochi d’artificio al belvedere per la festa di primavera. Se ti va di uscire dal palazzo, possiamo andare.-

- Mi ci porti?-

- Certo che sì, e sono sicuro che Bail Antilles saprà darci ulteriori suggerimenti.-

Satine si sollevò sulle punte dei piedi e strofinò il naso contro il suo, facendogli il solletico. Il padawan rise e si allontanò, ma capì immediatamente di aver fatto una cosa stupida, perché la duchessa ci rimase evidentemente male.

- Ho sbagliato qualcosa?- le chiese, tenendola ancora stretta.- Non dirmelo, è una tradizione mandaloriana che non conosco, vero?-

Satine annuì e il suo viso si rischiarò.

- Voi su Coruscant non fate altro che baciare le persone per dire che provate dei sentimenti per loro?-

Obi Wan ci pensò su. Non che fosse un campione in materia, ma sì, di solito era così che si faceva, no? 

- Diciamo che ci sono molti modi per dimostrare affetto, ma il bacio è sicuramente il più comune per dimostrare amore.-

Ripresero a camminare fino alla porta del palazzo, dove una guardia li vide e li lasciò passare. 

Si separarono, per non dare nell’occhio, anche se le mani libere lungo i loro fianchi sembravano calamitate le une verso le altre e si toccavano alla prima occasione utile.

- Affetto? Amore? Che vuol dire?-

- Come sarebbe?- 

- Non capisco la tua lingua. Che cosa significa?-

Obi Wan sbatté le palpebre, perplesso, ma anche la Forza gli stava confermando che la duchessa era dannatamente seria.

- Cioè, fammi capire, a scuola su Mandalore vi insegnano a dire recisione dell’arteria succlavia in Standard, e non conosci parole come affetto o amore?-

Satine lo guardò come se fosse la cosa più normale del mondo.

Obi Wan si grattò il capo, sconsolato.

E adesso come glielo dico senza dirle quello che volevo dirle stasera?

- Mettiamola così. Affetto è quel sentimento che si prova nei confronti di qualcuno che ci è caro. Si prova affetto nei confronti degli amici, ad esempio, o nei confronti di qualcuno che si considera parte della propria famiglia. Amore invece implica qualcosa di più. E’ un sentimento esclusivo, che si ha con qualcuno in particolare e basta, che comporta anche un legame più…-

- Fisico?-

- Anche, sì.-

- E ci sono gesti differenti a seconda delle categorie?-

Accidentaccio!

- I gesti di affetto vanno bene sempre. Alla fine, amore è anche affetto, è una sua evoluzione.-

- Però i baci sulle labbra sono prevalentemente, come dire, esclusivi?-

- Sì, direi di sì.-

- Da noi è diverso.- sentenziò Satine, apparentemente soddisfatta per la spiegazione del padawan. 

- Ah sì? E com’è?-

- I baci sono esclusivi, ma servono principalmente per dimostrare che si prova attrazione. Per dire a qualcuno che è speciale, noi di solito strusciamo il naso. Se poi qualcuno è proprio speciale speciale, da passare una vita insieme, allora tocchiamo insieme la fronte. Si chiama… Mh, qualcosa come bacio di Keldabe.-

Oh, capisco.

- Beh, in tal caso grazie. Ricambierei, se Qui Gon non fosse ad un tiro di schioppo. Mi avevi solo solleticato il naso.-

Satine annuì, il sollievo tangibile sul suo volto, ma ormai Qui Gon era in vista nel cortile e purtroppo c’era anche Bail Antilles e uno shuttle aldeeraniano.

Obi Wan fu travolto dalla brutta sensazione che i suoi fantastici piani per quella sera fossero appena finiti alle ortiche.

- Eccoci pronti!- li accolse il maestro, andando loro incontro.- E’ tutto a posto. Possiamo partire. Purtroppo i cacciatori hanno messo a ferro e fuoco un’altra nave. Non è più sicuro per noi stare qua e il nostro amico Bail non può più ospitarci senza emergere troppo.-

Il motivo, dunque, è anche politico, pensò il padawan mentre guardava con rammarico le colline di Aldera e il belvedere. 

Non può più tenerci qui senza dire niente a nessuno, se i cacciatori gli fanno fuori tutte le navi che attraversano lo spazio aereo.

Satine fece di tutto per non mettere il muso, e con il sorriso più finto che avesse mai fatto durante il loro periodo in fuga disse che andava a mettere via le sue cose.

Qui Gon lo guardò storto.

- E adesso che hai combinato, ragazzo?-

Obi Wan abbassò le spalle, sconfitto.

- Volevo solo portarla a vedere i fuochi d’artificio per la festa di primavera, stasera.-

Lo sguardo del maestro si addolcì immediatamente.

- Se non fosse un pericolo troppo grande per lei e se potessimo abusare ancora un po’ della pazienza di Bail Antilles, credimi, rimanderei la partenza. Temo, però, che dovrete guardare i fuochi d’artificio dal datapad.-

Una parte di lui era rassegnata, un’altra profondamente infastidita, ma tant’era. 

Che l’idillio sarebbe finito, prima o poi, lo avevano messo in conto.

Quando Satine tornò con il suo zaino gigantesco in spalla - com’era che le aveva chiamate all’inizio della loro avventura? Le sue scorte di emergenza! - portava ancora quel sorriso finto sul volto. Salutò con cordialità il senatore Antilles, con la promessa che i due sistemi avrebbero mantenuto fiducia e stima reciproca. 

- Servo vostro ora e sempre!- aveva ribattuto quello con cerimonia, inchinandosi quasi a novanta gradi e Obi Wan dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo.

Infine, salparono. 

Il viaggio verso Mandalore fu lungo e faticoso. Antilles si era offerto di scortarli con un paio di caccia, ma il maestro aveva rifiutato, per evitare di attirare l’attenzione. Avevano localizzato la navicella dei cacciatori dal lato opposto di Aldeeran, così avevano dato fuoco al carburante ed erano partiti immediatamente, puntando altrove e restando in contatto con il senatore per eventuali rinforzi. 

Alla fine, nonostante si fossero tenuti con le unghie e coi denti ai loro sedili in più di un’occasione, quando diverse navi commerciali avevano chiesto loro l’identificazione, visti i precedenti, se l’erano cavata bene e il salto nell’iperspazio non aveva causato problemi alcuni. 

Il contatto con Inga Bauer avvenne poco prima dell’uscita dal canale iperspaziale. 

Inutile dire che la donna non fu contenta.

- Voi avete intenzione di fare cosa? Ma dico, benedetta ragazza, ti sei bevuta il cervello?-

- Faccio la mia parte per far finire questa guerra.-

- Fai la tua parte nel farti ammazzare!- 

- Sono consapevole dei rischi che prendo, Inga. E poi, non mi sembrava che per Khader vi foste fatti gli stessi problemi.-

- Se il ragazzo continua ad aizzarti, giuro che lo rispedisco su Coruscant.-

- Il ragazzo se ne va quando lo dico io, Inga, ed ho un cervello autonomo in grado di prendere decisioni. A volte ho la sensazione che tu ti dimentichi che sono la tua duchessa. Con tutto il rispetto, ovviamente.- aggiunse, chinando il capo in segno di apprezzamento.

La donna tacque, sdegnata.

- Le mie Abiik’ade rischieranno la vita per te.-

- E le ringrazio ogni giorno che passa. Non ti chiedo di compiere un’azione pericolosa per me o di mettere a rischio la vita delle tue ragazze. Ti chiedo semplicemente di farmi atterrare. Continuate a disturbare il radar di Mandalore?-

- Quotidianamente, o le nostre truppe non potrebbero scendere a terra.-

- Allora fatelo ancora. Datemi una fascia oraria e la mia navicella passerà non vista fra i detriti spaziali per poi atterrare a Bral.- 

Inga dette il suo benestare, ma Satine rimase rabbuiata per un po’. Non le piaceva imporsi, né tanto meno ricordare agli altri chi comandava. Era una persona portata alla condivisione per natura, e Satine non sembrava rendersi conto che era proprio per quel motivo che il ruolo di leader le veniva naturale. 

Le piaceva lavorare in squadra, non mostrare i muscoli, anche se riconosceva che la squadra, alle volte, era una gran seccatura.

Lei ed Obi Wan, in quelle ore di vuoto assoluto, non erano mai rimasti soli e sentivano la tensione salire tra di loro. La frustrazione del padawan divenne palpabile e fu costretto a ritirarsi per meditare. 

La loro missione era pericolosa e non sapevano quando sarebbero stati in grado - e soprattutto se mai lo sarebbero stati - di dirsi quelli che c’era bisogno di dire. La loro conversazione fuori dalle porte del palazzo di Aldeeran e quella curiosa spiegazione sul significato di affetto e amore, sui baci e sullo strusciare i nasi era andata molto vicina ad una dichiarazione. Satine aveva fatto un vero e proprio atto di coraggio, confessandogli la storia d’amore tra suo padre e sua madre, e lui si sentiva indietro, ultimo, adesso che aveva bisogno di dare una definizione a quello che loro due erano, mettere in chiaro le cose prima che fosse troppo tardi.

Ma troppo tardi perché? Doveva confidare nella Forza, come aveva sempre fatto.

Forse, erano i suoi sogni a destabilizzarlo.

Fu disturbato da Satine, che era entrata nella stanza per prepararsi all’atterraggio. Obi Wan aveva ancora le trecce legate attorno al codino, ma Satine era sempre la stessa, e il cambiamento fu enorme con la parrucca e le lenti a contatto. 

- Sembri un’altra persona.- le disse quando la vide mora e con gli occhi verdi.

- Lo scopo sarebbe proprio quello.- commentò la duchessa, guardandosi allo specchio.- Sembrare una versione aggiornata e decisamente più credibile di Kyramla Bauer.-

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, pensoso.

- Bauer è un cognome pericoloso su una Mandalore ostile.-

Satine parve pensarci su.

- Sì, sono d’accordo. Soren. Kyramla… Kyra Soren. Penso che potrebbe andare bene.-

- Intendi usare una falsa identità?- 

- Non so se servirà. In caso, il travestimento è pronto.-

 

Mandalore era bianco come Kalevala d’inverno, ma a differenza di quanto si poteva pensare al primo impatto, non si trattava di neve, bensì di deserto. Il pianeta era stato ridotto da secoli di guerra aspra e spietata ad un mucchio di sabbia bianca, dove era praticamente impossibile far crescere alcunché. Adesso, come se non bastasse, quel pazzo di Larse Vizla aveva fatto in modo di aggiungere le radiazioni e le armi batteriologiche.

A questo proposito, Satine li aveva resi edotti di alcuni dettagli importanti per la riuscita della loro sortita.

- Io sono fermamente convinta che Vizla non si aspetti questa mossa. Pensa che fuggirò e che farò fare la guerra ai miei. Il fatto che mi sia presentata a Khader, in questo senso, va di pari passo con il suo ragionamento. Ogni persona sana di mente se ne starebbe fuori dalla scena per un po’, per evitare di diventare un bersaglio. Secondo lui, se mai sono stata fuori dal sistema, dopo la battaglia sono tornata da dove sono venuta, e se invece sono rimasta, sono ben nascosta. Nessuno si aspetterebbe mai che a poco tempo dalla battaglia e dalla vittoria io provochi la sua rabbia in questo modo, a viso aperto. Se anche dovesse farlo, si aspetterebbe un’offensiva, non di certo l’assolvimento di una prova che per lui non ha nessuno valore ed è del tutto pacifica. Per questo credo che non troveremo resistenza a Bral, a meno che i Saggi non decidano di cacciarci personalmente.-

Obi Wan aveva dei dubbi sulla sicurezza di quel piano. Vizla poteva anche non aspettarsi una mossa del genere - ed in effetti era altamente improbabile il contrario - ma i Saggi, da che parte stavano? 

Perché se stavano dalla parte del dittatore erano fregati.

- A questo proposito, non ho una risposta certa, ma il mestiere di Saggio è decisamente unico. Sono terzi, imparziali. Sono la nostra Corte Suprema quando ne abbiamo bisogno e sono loro a svolgere la prova di strategia. Vivono nella cittadella fortificata di Bral, che è solo per loro e per le loro famiglie. Nessun altro vive lì. Hanno delle guardie scelte che non rispondono a nessun altro se non a loro. Passano la maggior parte del tempo riuniti in assemblea a deliberare sui casi più difficili o a preparare le prossime prove. Non vedo pericolo alcuno. Larse Vizla, se può, non li chiama o li ignora. Mai fatto, mai lo farà. Quando proprio è tenuto dal Codice, allora li considera, altrimenti evita. Non penso che abbia interesse. Che cos’è mai una corte per lui, se non un modo per evitare di combattere, e quindi empio? Questa poi è una Corte che non risponde nemmeno alle sue regole, e Larse Vizla non risponde a nient’altro che a se stesso. Tutto il resto è carta straccia.-

Avrebbero sorvolato la cittadella dall’alto, per farsi un’idea di quello che avrebbero trovato, e poi sarebbero atterrati nel deserto, dove avrebbero potuto coprire la navicella con la sabbia e si sarebbero potuti incamminare verso il fortino.

- Nel deserto saremo allo scoperto.- borbottò Obi Wan, ed effettivamente aveva colto il punto.

- Questo è l’ultimo dei nostri problemi. Il deserto è pericoloso per molte cose, non solo per l’assenza di copertura e per la possibilità di essere riconosciuti. C’è il buruk nell’aria, e sarà necessario coprirci il viso con delle maschere. Poi, dovremo fermare la sabbia, che entra dovunque sollevata dal vento. Abbiamo delle tute a tenuta stagna?-

Qui Gon ed Obi Wan si guardarono.

- Direi di no.-

- Allora speriamo che le radiazioni non siano arrivate fino a qua, o rischieremo di essere esposti tramite la polvere che respireremo.-

- C’è davvero un rischio?-

- Credo di no, ma non posso garantire. Keldabe è lontana, ma se quella roba si è sparpagliata, non ci sarà modo di contenerla. Meglio coprirsi. E poi, più ci scambiano per kar’ja’hail meglio è.-

- Sarebbe?-

- Una tribù nomade, famosa per leggere il destino nelle stelle. Sono scienziati, al di là delle superstizioni. Allora, andiamo?-

Quando Inga Bauer ebbe dato il suo ultimo, finale assenso, condussero la navicella dentro lo spazio aereo.

Era un campo minato. Disperso nello spazio c’era di tutto. Cibo, rifornimenti, carburante, liquido refrigerante che galleggiava in grosse bolle e, naturalmente, pezzi di navicelle spaziali e cadaveri. Era una vista impietosa, quei corpi congelati e parzialmente smembrati dal freddo cosmico e dalle esplosioni, ma cercarono di non farsi condizionare.

Obi Wan sentì Satine irrigidirsi accanto a lui. Le prese la mano di nascosto per farle coraggio e poi proseguirono oltre. 

Scartarono tra i detriti spaziali ed entrarono nello spazio aereo, apparentemente senza essere visti. Sorvolarono Bral senza notare particolari segni di presenze ostili. Non c’erano navicelle, a parte le poche adibite ad uso personale dei Saggi, ed effettivamente la Forza sembrava calmissima attorno a loro. 

Sorvolarono il deserto, che in verità del tutto deserto non era. Con grande sorpresa dei due Jedi, diverse creature lo attraversavano. Man mano che planavano verso il basso, incrociarono bestie enormi coperte di una corta peluria giallastra che camminavano su due zampe, tutte storte. Ce n’erano altre piccole e chiare, la loro pelle, o meglio, il loro pelo sembrava raggrumato e terroso, un’ottima tattica per potersi mimetizzare tra le rocce e le sabbie del deserto di Mandalore. 

Quando scesero dalla navicella, sembravano usciti da un holofilm postapocalittico. Satine aveva optato per i pantaloni lunghi, gli scarponi e la camicetta. Era stretta nel suo mantello bianco, il volto coperto dalla sciarpa rossa che si era stretta attorno alla bocca e al naso, già coperto da una maschera alimentata da una bombola agganciata allo zaino. Un grosso paio di occhiali da cosmonauta le copriva gli occhi dalla sabbia e dai raggi cocenti del sole. Alla vita aveva appese tutte le sue armi e sulle spalle un bagaglio che faceva invidia a quello di uno scalatore.

Qui Gon ed Obi Wan avevano optato per capi più tradizionali, ovvero la loro tunica da Jedi, anche se il maestro aveva aggiunto il nuovo poncho grigio per coprire i segni distintivi del loro ordine. Obi Wan aveva ancora i capelli legati. Entrambi erano coperti dalla testa ai piedi, con bocca e naso protetti, occhiali e zaini giganteschi sulle spalle, da cui pendeva ogni genere di oggetti, pentole e padelle incluse.

Il deserto era di un bianco abbagliante. Il cielo di un azzurro terso da far lacrimare gli occhi. 

I due Jedi si misero l’uno di fianco all’altro, le mani protese verso il vuoto e gli occhi chiusi, e con un enorme sforzo riuscirono a sollevare la polvere e la sabbia e a coprire la navicella, o quantomeno a sporcarla in più punti, per fare in modo che si mimetizzasse al meglio con il resto del paesaggio desolato.

Poi, i tre si misero in cammino.

Nonostante fosse un ambiente arido e desertico, dove la polvere e la sabbia si alternavano a spazi assolutamente disidratati e il terreno si spaccava in ampie crepe sotto i loro piedi, non faceva eccessivamente caldo. Camminare era difficile più che altro per il peso e per la luce abbacinante che li circondava.

Poi, ad un tratto, la terra sotto i loro piedi tremò.

- Che sta succedendo?-

- Si sta avvicinando qualcosa. Sembra un branco di animali.-

Qui Gon portò la mano alla cintura, ma si fermò improvvisamente. Qualunque cosa si stesse avvicinando, non sembrava ostile, solo grande.

Meglio non provocarli, in caso. 

La ragazza si passò una mano sulle lenti impolverate e cercò di guardarsi meglio attorno.

Fu allora che li videro. 

Dovevano essere almeno tre, o forse quattro. Si stavano avvicinando lentamente, caracollando sulle grosse zampe, nel calore emanato dal terreno. L’orizzonte increspato dall’aridità e mosso dal vento non permetteva loro di vedere meglio, ma Satine riuscì a cogliere quanto le bastava per fare la sua diagnosi.

- Vhetin seenar.- disse con aria consapevole, mentre il sollievo si impadroniva di lei. - Niente di serio, fortunatamente. Sono uccelli pacifici se lasciati in pace.-

Obi Wan non aveva mai visto niente di più strano in vita sua. Erano grossi uccelli dalle ali grandi e dal corpo tozzo, che camminavano su due zampe invece di volare. Non aveva idea di quale fosse il motivo per cui non spiccavano mai il volo. Immaginò che si trattasse del peso del loro corpo.

Erano piuttosto alti e grandi, ma la cosa più buffa era il loro muso.

Avevano il cranio triangolare, dal becco appuntito in avanti e dotato di grossi fori per respirare meglio. Una sottile membrana callosa si apriva e si chiudeva al ritmo del loro respiro, come il coperchio del becco di una teiera. Gli occhi laterali erano enormi e le loro ciglia lunghissime e piumate, perennemente incrostate della terra che tenevano lontana dagli occhi curiosi. Sulla testa scattante c’era una cresta di piume nere e sottili, con soffici piumini neri e bianchi sulle punte. 

Il resto di loro era grande più o meno come quello di un viinir, con l’aggiunta delle grandi ali piumate grigie e bianche, perfettamente mimetizzate nel deserto, che aprivano solo per sembrare più grandi. 

Avevano zampe possenti. Erano due, che estendevano in avanti con un moto circolare davvero curioso, con sole tre dita e un paio di grossi speroni posteriori, completamente prive di piume se non per quello che appariva come un discreto paio di culottes bianche sotto la pancia. 

- Sono uccelli di terra.- la duchessa rispose alla domanda tacita dei due Jedi.- Non volano, ma hanno mantenuto le ali. Il nome significa proprio questo: uccelli di terra. Qualcuno li chiama anche pel shebs, retro morbido.-

Gli uccelli erano tre, grossi e ritti sulle loro zampe, che li guardavano con aria buffa, sbattendo le lunghe ciglia piumate e dondolando la testa a destra e a sinistra come se stessero studiando che razza di animali avevano davanti. 

Obi Wan era sempre stato bravo a comunicare con gli animali. Stese la mano verso di loro e lentamente uno si staccò dal gruppo e si avvicinò. 

Abbassò la lunga testa verso di lui come per annusarlo. Poi, si fece grattare la testa e fischiò con simpatia.

Qui Gon provò ad avvicinarsi in modo un po’ più diretto, ma la creatura si spaventò. Spalancò le ali e le scosse, sollevando polvere dovunque e pedalando in circolo. Poi si mise a scavare rapidamente con le zampe, sempre in modo circolare, spingendo la terra grigiastra dietro di sé. 

Stese il capo in aria, starnazzando, e infine ficcò la testa dentro la buca, restando così, con il retro soffice per aria e le ali aperte come per proteggersi.

Satine rise.

- Ha avuto paura. Fanno sempre così, quando hanno paura.- 

 

Si erano aspettati molto da quella sortita: botte, guerra, lotta. 

Sicuramente, non che sarebbero entrati dentro Bral in groppa a tre grossi vhetin senaar, di cui uno terrorizzato che zampettava come se stesse andando in bicicletta seminando lapilli di polvere e terra dovunque, anche in faccia al suo enorme cavaliere.

La cittadella era abbarbicata in una muraglia di roccia calcarea striata di grigio. Il canyon in cui si trovavano declinava gentilmente verso destra e si restringeva man mano che proseguivano il loro cammino. 

Doveva essere stato il vecchio letto di un fiume. 

I Saggi avevano scavato la loro dimora nella roccia grigiastra. Il portone principale era scolpito e adornato di mille figure, retaggi di un’antica cultura in cui la natura era ancora tenuta in considerazione. Tralci e foglie pendevano dai bastioni, fisse nell’immobilità della pietra. Sul davanti erano stanziati due grosse bestie simili a nexus. Satine aveva precisato che si trattava di videk kyr’bes, grossi rettili che vivevano prevalentemente nella savana e nel deserto e che avevano fama di essere incalliti protettori del loro territorio. 

C’erano due torri a sbalzo intagliate nel muro e numerose finestre che indicavano la parte frontale dell’edificio. Tuttavia, non c’erano ante. Le finestre erano prevalentemente chiuse e decorate con vetri colorati.

- La cittadella prende aria dal tetto.- disse la ragazza, pulendosi gli occhiali e provando a tenere ferma la sua cavalcatura.- C’è una cupola che serve a filtrare l’aria per evitare il buruk e le radiazioni. Le cupole ci permettono di condensare acqua e gestire il tempo estremo. Solo così possiamo vivere qua, quando ormai non ci sarebbe più spazio per la vita. Lo facciamo da secoli. Purtroppo qualcuno ha usato i demagolka anche in passato, prima che venissero messi al bando.-

Scesero dai loro senaar, non senza difficoltà. Il maestro dovette chiedere scusa al suo animale per avergli tirato le piume, e quello lo perdonò assestandogli una beccata amichevole - ma non indolore - sulla spalla. 

Con loro grande sorpresa, gli animali non proseguirono oltre. Si misero a beccare il terreno lì attorno, raspando la terra con le loro curiose zampe. 

I tre si trovarono di nuovo con i piedi sulla sabbia. 

Si guardarono, perplessi, dietro le lenti degli occhiali da pilota.

Poi, si apprestarono a varcare la soglia della cittadella di Bral.

Dentro era più spettacolare che fuori. Il primo posto di guardia era immediatamente dopo le grandi porte scorrevoli, e, nemmeno a dirlo, il terzetto non riuscì a superarlo.

Ma andiamo con ordine.

La cittadella era stata interamente scavata nella roccia. Come se qualcuno avesse estratto un grosso cilindro di calcare dal cuore della montagna, il cortile circolare interno era coperto dalla sola cupola, all’esterno della quale era stato costruito un piccolo spazioporto adatto agli usi di una cittadella contenuta come quella. Sul cortile si affacciavano un dedalo di corridoi e porticati. I corridoi in salita erano prevalentemente a vista, aperti sul vuoto, circondati da colonnati e bassorilievi, intarsi e qua e là piante sempreverdi che cadevano nel vuoto cercando la luce. Si vedevano i Saggi passare, di solito, avvolti nelle loro toghe porpora, ma non quel giorno. Quel giorno erano in seduta plenaria, come avrebbero appreso più avanti. 

Non che la cosa disturbasse particolarmente Satine.

Quando le porte si aprirono, furono subito avvicinati da due guardie, il picchetto di turno, che era stato colto di sorpresa durante una partita a sabacc. Le carte erano finite dovunque, in un gran tintinnare di armi, e presto il terzetto fu bloccato sulla soglia.

- Chi siete, e che cosa ci fate qui? Perché siete entrati dall’entrata principale?-

- Perché è da lì che veniamo, dal deserto.- commentò Satine, gli occhi blu finalmente liberi dagli occhiali.- Il mio nome è Satine Kryze, e sono qua per completare le prove per il trono.-

Le due guardie restarono per un momento mute. Si guardarono, sospettosi.

Poi, scoppiarono a ridere.

- Questa è buona!-

- Non sono mai stata più seria in vita mia. Sono qua per completare le prove per il trono di Mandalore.-

- Signorina, forse vi è sfuggito che ci troviamo in una dittatura. Quelle prove, ormai, sono inutili.-

- E’ esattamente perché siamo in una dittatura che sono venuta ad esercitare il mio democraticissimo diritto ad accedere al trono senza dover ammazzare nessuno. Intendo conferire con i Saggi e sostenere la prova, e la legge me lo permette.-

Adesso le guardie sembravano infastidite. Si guardarono l’uno con l’altro e alla fine, dopo un vario gesticolare e qualche chiacchiera a proposito di non volere problemi, li invitarono a lasciare l’edificio. 

- Non si può, le prove non si fanno.-

- Avete ricevuto ordini da Larse Vizla?-

- Non rispondiamo a nessuno se non alla giustizia. Quell’uomo non c’entra. Le prove non si fanno, punto. E poi, i Saggi oggi sono in plenaria.-

- Non mi sembra una spiegazione sufficiente. Voglio conferire con i Saggi. E la plenaria si interrompe in questi casi. Sono le regole.-

Ma non c’era niente da fare, ed Obi Wan cominciava a disperare. Non sarebbero mai riusciti a passare dall’altra parte e il piano di Satine sembrava destinato a fallire sul nascere. 

Alla fine, i due Jedi furono accompagnati fuori dal corridoio, nella luce abbagliante del deserto. 

Satine fu l’ultima a seguirli, dal momento che continuava a protestare per il trattamento arbitrario che aveva appena ricevuto. 

Sotto gli occhi terrorizzati di Obi Wan, la ragazza, borbottando tra i denti un ma tu guarda che mi tocca fare!, scoprì il capo e liberò il viso dagli occhiali e dalla sciarpa, trasformandosi definitivamente nel Ghiaccio Vivo di Kalevala.

Le guardie erano sempre più attonite.

- Intendete farmi passare, adesso? O intendete fornirmi un motivo, possibilmente credibile, per il vostro comportamento arbitrario?-

La risposta lasciò di stucco i due Jedi.

Un terzo uomo venne dall’interno e senza troppe cerimonie afferrò Satine per le spalle e la sollevò da terra.

Il padawan stava già per lanciarsi in sua difesa quando il maestro lo fermò.

- Veniamo in pace, ragazzo. Se sfoderi la spada laser adesso, Satine Kryze prenderà la città con la forza e non è quello che vuole.-

Certo, la duchessa di Mandalore non voleva nemmeno essere lanciata per aria, né finire rotolando ai piedi dei Jedi, strusciando sul terreno come se fosse stata un qualsiasi Gar Saxon inciampato nello zerbino di casa sua.

Eppure fu esattamente quello che accadde.

I tre rimasero basiti, i due Jedi a bocca aperta e Satine coperta di polvere dalla testa ai piedi, a terra e con lo zaino abbandonato metri più in là. 

- Non l’hanno fatto sul serio.- bofonchiò, sperando in una risposta da parte dei due uomini, che però non arrivò. Non sapevano esattamente che cosa dirle. 

Il comportamento dei cosiddetti Saggi era stato a dir poco oltraggioso.

Il primo a riprendersi fu Obi Wan, che si inchinò accanto a lei e la aiutò ad alzarsi in piedi. Le scosse un po’ di polvere dai capelli e dalle spalle, ma la duchessa era una furia. Brontolava insulti in Mando’a e Qui Gon fu felice, per la prima volta in tanti mesi, di non comprendere una parola di quella lingua.

- Chakaar! Di’kut! Hut’unn! Vod verd… gratua! Atin chakaar! Di’kut! Hut’unn!!!- brontolò, assestando un calcio ad un grosso pezzo di terra crepata, che si distrusse in mille pezzi. 

- Che sta dicendo, ragazzo?-

- Fidatevi, maestro, non lo volete sapere.-

Poi, la ragazza sembrò apparentemente placare la sua ira per fermarsi allo scoperto, nel mezzo del deserto, con le mani sui fianchi e l’aria di chi stava pensando a qualcosa da fare.

E mentre Obi Wan stava cercando uno stratagemma per formulare l’idea di ripartire immediatamente nel modo più indolore possibile, gli occhi del Ghiaccio Vivo si illuminarono e la sua mente fu trafitta da un’idea.

Guardò i due uomini e mise le mani avanti.

- Mi seguirete qualunque cosa accada?-

I due si guardarono ed annuirono, incerti.

- Bene.-

Attorno a lei non c’era nulla, se non i tre vhetin senaar che sminuzzavano con calma qualunque cosa avessero trovato in quel gran polverone. Satine si avvicinò a loro, con le mani tese e un fievole quiiii bello, bello, tsk, tsk!  all’udire del quale i tre uccelli sollevarono la testa in aria e la dondolarono, incerti sul da farsi.

Poi, Satine saltò in groppa ad uno di essi, che mosse appena le ali per stare più comodo. 

Zampettò vicino a loro e la duchessa guardò i due Jedi dall’alto in basso.

- Sempre sempre?-

- Sempre sempre. Perché, che intendete fare?-

Obi Wan si passò una mano sul volto, da una parte travolto da una brutta sensazione, dall’altra desideroso di vederla compiere quell’impresa.

- Io me ne sono fatto un’idea.- disse, mentre la guardava avvicinarsi alla porta in groppa al grosso uccello di terra.

Qui Gon storse il capo, perplesso.

- Perché vuole entrare con quello? Cosa pensa, che la lasceranno parcheggiare nel cortile interno?-

- Oh, no, maestro. Vuole caricarli.-

Qui Gon fissò Obi Wan, sbalordito, e il padawan voleva quasi mettersi a ridere, se non ci fosse stato da piangere.

- Nah.- concluse il maestro.- Sarebbe troppo pure per Satine.-

- E’ Mando. Può diventare una bestia quando non si rispettano le regole e le tradizioni, e pur forzando la mano questa non è una vera e propria infrazione. Sono stati i Saggi a rifiutarle udienza, anche quando aveva reso manifesto che si trattava di lei, infrangendo le loro stesse leggi. Satine, in questo modo, intende ristabilire l’ordine costituito. A mali estremi, estremi rimedi. Quella roba è abbastanza veloce da permetterle di raggiungere la plenaria prima che le guardie possano dire o fare alcunché.-

Ed in effetti sembrava proprio che la duchessa avesse tutta l’intenzione di procedere a quel modo.

E fu epico.

Satine si avvicinò alla porta e la aprì.

Le guardie uscirono, stavolta in tre. 

Satine tornò indietro con il senaar, zampettando, e infine si voltò verso la porta, la testa che puntava l’entrata, mirando da dietro il collo lungo ed ondeggiante della creatura.

Poi diede fuoco alle polveri.

L’animale scattò in avanti, starnazzando, con le ali aperte e le zampe che pedalavano a tutta birra sotto di esso. 

Le guardie scartarono di lato ed uno si accucciò a terra, incerto sul da farsi.

Fu prontamente scavalcato.

I due Jedi si guardarono attorno e, prima che le guardie potessero chiamare rinforzi, sfrecciarono dietro la duchessa nella scia di polvere lasciata dal senaar.

L’uccello continuava a correre come se l’avesse punto un calabrone. Con le ali aperte e le piume sparse ovunque, ostruiva l’intero corridoio, mentre la duchessa in groppa saliva e saliva su per la spirale che circondava il cortile, dietro colonne, bassorilievi e piante pendenti, tra un pista! e un fate largo! per evitare che qualcuno ostruisse il passaggio uscendo dalle sale che affacciavano sul corridoio e si facesse male.

L’uccello strepitava come se ne andasse della sua stessa vita. 

Con una lieve tirata di piume, Satine riuscì ad entrare dentro la stanza principale al terzo piano, un grosso portone di legno che riempiva un terzo della facciata visibile dall’accesso principale. 

I Saggi erano tutti radunati lì, seduti ai loro scranni e con le loro toghe purpuree, a discutere di una qualche questione che Satine non conosceva e che non le importava.

Balzarono tutti sulle sedie quando videro un senaar sfrecciare starnazzando dentro la plenaria.

- Ma che accidenti…-

- Perbacco, è Satine Kryze!-

- Che ci fa qui?-

- E perché mai sta cavalcando un vhetin senaar?-

- Perché, si possono cavalcare i vhetin senaar?-

- Questo è oltraggioso, a dir poco!-

- Chiedo venia per le modalità di accesso e per l’interruzione della vostra assemblea, ma nonostante mi sia appellata ripetutamente alle leggi del vostro Consiglio, l’accesso mi è stato rifiutato, in violazione di ogni regola e di ogni tradizione.- disse, cercando di calmare l’uccello imbizzarrito che pedalava in giro per la stanza ad ali spiegate. 

Uno dei Saggi, un uomo vecchio, con i capelli bianchi e lunghi che gli cadevano sulla toga porpora, si alzò dal suo scranno centrale e fu immediatamente riverito da tutti gli astanti, Satine inclusa. 

- E quali sarebbero le vostre istanze, duchessa?-

- Intendo sostenere le prove per il trono, come sancito dalla legge.-

- Ed intendete farlo occupando l’aula in questo modo?-

- La legge ormai non esiste più, c’è Vizla al governo!- borbottò un altro dal fondo della sala.

- Sì, intendo farlo, ed intendo farlo adesso. La legge cessa di esistere nel momento in cui la gente non la segue più. Fintanto che questo avviene, si chiama consuetudine, e non è meno valida della legge. Per quanto riguarda la atroce parata che ho appena messo in scena, sono la prima a rendermi conto di quanto sia inappropriata, ma, ripeto, le vostre guardie non intendevano farmi passare e - aggiunse, con un lampo di malizia negli occhi - non ho con me il mio viinir. E nemmeno il mio meshurok.-

A quelle parole l’aula si fece quieta.

Beninteso, non intendeva far passare il messaggio che avrebbe passato le prove con la forza, no. Semplicemente, ci teneva a far ricordare che lei, al contrario di altri, aveva effettivamente lottato contro un meshurok.

Mica come un certo qualcuno che si è limitato a salire su un sasso, e pure surrettiziamente, dal momento che non poteva partecipare perché aveva fallito il verd’goten, ma gliel’avete permesso lo stesso.

L’anziano saggio parve comprendere il messaggio che la duchessa gli stava mandando. I due Jedi, trafelati, spuntarono alle spalle della ragazza, scortati dalle guardie.

Tre di esse erano belle impolverate.

- Signore, questi sono due soldati di Satine Kryze.-

- Non sono soldati, o Venerabile, sono portatori di pace, tanto quanto lo sono io. Nessuno di noi qua ha intenzione di torcere un capello ad alcuno, se non per legittima difesa. Dubito, tuttavia, che un luogo di giustizia come questo si macchi di un’onta simile. Nemmeno Vizla arriverebbe a tanto.-

Ci fu un mormorio di assenso generale, mentre la duchessa scendeva dalla sua soffice cavalcatura e assumeva connotati più civili.

- Sono qua semplicemente affinché il mio diritto a partecipare alle prove venga garantito. Tutto qui. Non chiedo altro, né intendo abusare della vostra pazienza o esporvi al pericolo. Non appena avrò finito, vi lascerò alle vostre mansioni senza ulteriori interferenze.-   

Le guardie avrebbero tanto voluto protestare, ma il saggio aprì le braccia in segno di accoglienza e le congedò con parole gentili. Così, gli uomini se ne andarono borbottando, e i due Jedi si nascosero in un angolo, per evitare di infastidire e danneggiare un equilibrio che sembrava già precario così com’era. 

Non era sfuggito loro che Satine non aveva menzionato né la loro provenienza, né il loro mestiere, ma li aveva semplicemente definiti portatori di pace. Il ché, ovviamente, aveva senso. Se si fosse presentata scortata da due Jedi, sarebbe stato un grosso problema. I Saggi l’avrebbero presa come una vera e propria aggressione, dal momento che i cavalieri erano visti come veri e propri mostri senza pietà che sterminavano i nemici usando la magia.

Non si sarebbero sentiti al sicuro e questo non era quello che Satine voleva.

- Il vostro diritto deve, giustamente, essere garantito. Se desiderate partecipare alle prove, allora deve esservi permesso di farlo. Tuttavia, temo che qualunque risultato otterrete, questo non sia più utilizzabile. Al dittatore non importerà un accidente delle prove e del loro esito. Per lui conta solo la violenza.-

Ma Satine era preparata anche su questo.

- Ho reso ben chiaro fin dall’inizio di questo insensato conflitto quali fossero i miei propositi: le tradizioni devono essere rispettate, mai offese, sempre adattate. L’adattamento è il principio cardine della sopravvivenza. La cristallizzazione porta alla distruzione. Vizla rimprovera  a me e alla mia gente di aver ripudiato il progresso. Al contrario, io intendo promuoverlo. Ritengo, a differenza sua, che non sia necessario spargere sangue per progredire. Rimprovera a me e alla mia gente di aver reso meno brutale il verd’goten. Io rivendico di aver salvato centinaia di ragazzi che altrimenti avrebbero patito una fine atroce a soli tredici anni, e che hanno mantenuto vivo questo pianeta guerra dopo guerra, generazione dopo generazione. Si tratta di persone che hanno servito, servono e serviranno Mandalore, nei limiti delle loro possibilità. Vizla mi rimprovera una mollezza di costumi, ma i miei principi sono saldi. Non intendo piegare le regole al mio volere. Non intendo cambiare le tradizioni per convenienza, né manipolarle. Intendo conservarle il più possibile, per quanto i tempi lo permettano. Se diventerò Mand’alor, a differenza di Vizla, lo farò legalmente. Se diverrò Mand’alor, a differenza di Vizla, sconfiggerò il mio avversario politicamente e strategicamente, senza fare ricorso a sotterfugi come il jaro, in cui invece egli è uno specialista. Per questo intendo procedere con le prove per il trono. Potranno non valere niente per Vizla, ma valgono per me e per le migliaia di persone che credono in un mondo di onore e rispetto e si battono per esso. E’ ad esse che io rispondo, ed è ai loro occhi che io devo apparire un legittimo candidato.-

Il Venerabile parve guardarsi attorno, cercando una risposta affermativa nei suoi colleghi. Dei quasi cento Saggi riuniti, quasi nessuno diede un segno di vita. 

Obi Wan ne fu spaventato, anche se l’atmosfera non sembrava ostile. Quello che non sapeva era che in aula vigeva una ferrea disciplina, che imponeva una richiesta specifica da parte del Venerabile prima di formulare una qualsiasi ipotesi o esprimere un’opinione.

- Quanti sono a favore?- chiese, alzando la voce per farsi sentire da tutti.

Nella stanza c’era un’acustica fenomenale, e le sue parole echeggiarono nell’aria.

Più di metà dell’emiciclo alzò la mano.

- Quanti contrari?-

Una manciata di Saggi sollevò un dito sonnolento.

- Quanti astenuti?-

Ancora meno.

- Benissimo. Possiamo dichiarare aperta la seconda prova per il trono. Duchessa, se desiderate accomodarvi fuori, noi procederemo con l’organizzazione delle strategie. La chiameremo tra un’ora esatta.-

Così, Satine uscì dalla stanza con un profondo inchino e una serie di ringraziamenti, strizzando l’occhio ai Jedi.

- Visto? E’ andata bene!- sussurrò ad Obi Wan, dandogli di gomito.

- Ehm, duchessa?-

- Sì, o Venerabile?-

- Potreste cortesemente condurre fuori la vostra cavalcatura?- fece, e un bagliore ironico gli attraversò gli occhi velati.- Non posso permettere che mangi un altro parrucchino.-

 

Obi Wan non aveva mai avuto problemi di pazienza, ma in quel momento le sue abilità stavano cominciando a scarseggiare. Satine, passata l’arrabbiatura dei minuti precedenti, cominciava a rendersi conto di quanto successo e di quanto stava per accadere, e passeggiava nervosamente avanti e indietro sotto il porticato del terzo piano, con le mani conserte dietro la schiena. Qui Gon meditava seduto per terra e il ragazzo l’aveva già seguito, senza grandi esiti. Si era alzato ed aveva meditato in piedi, senza sentirsi meglio. 

Sentiva di aver già meditato a sufficienza e cominciava ad essere malfermo sulle gambe per l’impazienza.

I giovani sono impazienti per natura, sentenziava di solito Jocasta Nu quando nessuno voleva attendere il proprio turno in fila alla biblioteca, è per questo che bisogna domarli presto.

Per cui, Obi Wan si sedette con garbo per terra, un’altra volta, ad occhi chiusi, ma l’aura nervosa di Satine lo disturbava.

Stava quasi per chiederle di unirsi a loro, quando la porta della plenaria si aprì.

- Duchessa, prego, accomodatevi.- disse il Venerabile, strascicando i passi anziani sotto la tonaca porpora.- Il Consiglio è pronto e riunito.-

Nonostante la morsa allo stomaco, la ragazza annuì ed entrò dentro la stanza, con i due Jedi al seguito.

Non era cambiato molto rispetto a qualche ora prima. I saggi erano ancora tutti seduti, ma con disposizioni alterate. Un grosso tavolo quadrato era stato disposto al centro della stanza, con una cartina olografica in rilievo. Una fila di Saggi erano discesi dalle loro postazioni e si erano radunati lungo la balaustra, ciascuno con una piccola carta di colore diverso rispondente a numerose bandierine appuntate sull’ologramma.

Satine aggrottò le sopracciglia.

Obi Wan e Qui Gon compresero presto che ogni Saggio aveva la sua strategia, e che Satine avrebbe dovuto risolvere ogni singolo test basandosi sulle postazioni segnate sull’ologramma.

Era un lavoro immane. Il duca Gerhardt non c’era di certo andato leggero, quando aveva creato le prove per il trono. Voleva abolire la violenza, ma di certo voleva valorizzare il cervello e tutte le caratteristiche che denotavano un eccellente guerriero.

Il bev meshurok rappresentava la forza e la resistenza.

I Saggi, la strategia in battaglia (e conseguentemente in politica, un altro campo dove la sopravvivenza - specie su Mandalore - non è garantita).

L’arte, la versatilità e l’introspezione.

Infine, la Luce, il massimo potere supremo.

Satine si posizionò di fronte al tavolo quadrato, con gli occhi fissi sull’ologramma.

Si guardò indietro cercando l’appoggio dei due Jedi, che le sorrisero con incoraggiamento.

Non si voltò più per tutta la durata della prova. 

- Innanzitutto, che posto è questo?-

- Il Vhetik Ve’vut, l’altopiano dorato di Kalevala.-

- Bene. Che si proceda alla prima bandiera!-

Una parte di lei era particolarmente felice che i Saggi avessero scelto quel luogo, non soltanto perché lo conosceva bene, ma anche perché era la piana dietro le colline che erano state teatro della batosta di Khader.

O meglio, una parte di essa era stato teatro della batosta di Khader, ovvero le Grotte di Spirba, e Satine non aveva dubbio alcuno che almeno uno dei saggi avesse impostato la propria strategia facendone uso.

Che fosse un modo velato per dire che, tutto sommato, anche loro avevano apprezzato che Larse Vizla e Gal Saxon le avessero buscate di brutto?

Satine adocchiò la postazione sulla mappa e poi concentrò lo sguardo sul Saggio con la carta rossa.

I due rimasero a scrutarsi per un po’, come se si stessero soppesando. Poi, Satine concentrò la sua attenzione sulla mappa, voltandola di quando in quando con il dito e studiandola nel dettaglio.

Il silenzio e la tensione erano talmente palpabili che quando la duchessa parlò Obi Wan quasi sobbalzò.

- Chiunque intenda attraversare il ve’vut sa perfettamente che il problema sono i kyrayc senaar, che mangerebbero qualunque cosa sul loro cammino. In assenza di riparo nel bel mezzo dell’altopiano, vi sono solo poche alternative. Una di queste è combattere, ma non sono certa che sia la risposta giusta.-

- Intendete rimandare, duchessa?-

- Per il momento, sì.-

- Bene, il prossimo!-

Un vecchietto ricurvo dagli occhi brillanti reggeva tra le dita una carta verde.

Satine ci mise tre secondi.

- Voi intendete passare per le gallerie, ma è una scelta azzardata. Gli Awaud ne hanno scavate a migliaia per proteggersi, ma hanno dei difetti. Innanzitutto, molte sono inutilizzate, e non essendo manutenute c’è l’alto rischio che una volta imboccate vi troviate la strada sbarrata, o peggio, vi crollino in testa. L’altro rischio è che con il disgelo molti fiumi si gonfino e vi troviate incastrati fra pareti d’acqua. L’ultimo, infine, è quello di spuntare, non graditi, fuori dalle mura di una delle cittadelle del clan. Un piano intelligente, ma rischioso. Si può fare solo ed esclusivamente se si è con l’acqua alla gola o se si ha la certezza di dove si va.-

A buon intenditor, poche parole.

Il Venerabile si voltò verso l’anziano.

- Coincide?-

- Sì, coincide.-

- Il prossimo!-  

Questo era decisamente più giovane degli altri. Doveva essere un nuovo arrivato, e reggeva una carta viola. Aveva passato da poco la mezza età, ma rughe di intelligenza già gli solcavano gli occhi. 

Satine lo scrutò con attenzione, prima di proferire parola. 

- La vostra bandiera è posizionata sull’unico punto sopraelevato dell’intero altopiano. Ne deduco che intendiate prendere il volo. E’ un piano intelligente, tuttavia temo che non potrete andare esente da armi. I senaar possono attaccarvi anche in volo, e non sono certa che riuscireste ad attraversare indenne la piana. Del resto, non sono certa nemmeno negli altri casi. In campo aperto, l’alea c’è sempre.-

- Coincide?-

- Sì, coincide.-

- Il prossimo!-

Andò avanti così per un bel po’. Satine ne scartò altri due, prima di giungere alla conclusione del suo percorso. Ne aveva azzeccati cinque su otto senza troppe difficoltà: verde, viola, blu, giallo, grigio. Mancavano solo il rosso, il rosa e l’arancione. 

L’ultimo scontro si sarebbe svolto così, con i tre Saggi in fila contro Satine che riposava su un piede solo di fronte alla cartina e con i capelli corti più arruffati che mai.

Se ne avesse sbagliato anche solo uno, ciò avrebbe pregiudicato l’intera prova.

Sospirò, cercando di concentrarsi. Ricordò gli insegnamenti dei due Jedi e sentì il cuore impazzito rallentare la sua corsa.

Squadrò la cartina e le facce dei tre Saggi.

Il primo, quello con la carta rossa, sembrava un grandissimo mariolo, tuttavia non pareva particolarmente cattivo o pericoloso. Satine l’aveva scartato all’inizio perché temeva un tranello, e forse aveva avuto ragione. Uno, quello con la carta arancione, era vecchio come il mondo e piuttosto placido, anche se il suo sguardo era bello arzillo. Il terzo e ultimo, quello con la carta rosa, sembrava fatto e messo lì, a sedere, senza arte né parte, ma aveva gli occhi acquosi e mobili che la percorrevano incessantemente per tutta la figura come se la stessero controllando.

Tutte e tre le bandierine erano disposte l’una vicino all’altra. Non cambiava assolutamente nulla. Non c’era un segno distintivo che le potesse indicare la possibile strategia. 

Solo tre bandierine in fila, nello stesso posto.

In questo caso, la risposta era una sola.

O meglio, erano sette.

- Secondo il mio modesto parere, voi, con la bandierina rossa, intendete approfittare del buio. Attraversare la piana di notte può essere utile per evitare i senaar, e considerato il periodo di disgelo vi permetterebbe di sfuggire ai predatori più grandi, che dovrebbero ancora svegliarsi dal letargo. Non ci sono altri indizi se non il mio intuito che possano portarmi a differenziare le vostre tre posizioni. Voi, invece, con la carta arancione, intendete approfittare delle Grotte di Spirba, ma per farlo dovrete raggiungerle, e questo significa affrontare un pezzo di campo aperto. Personalmente, ritengo che la distanza non sia eccessiva e che una forma di combattimento, per quanto io la aborra, sarebbe comunque sostenibile. Nulla vieta, però - e questo è quello che farei io - che voi intendiate procedere con un diversivo. In questo caso, potreste procedere in svariati modi. Devo elencarli tutti?-

- Almeno tre.-

- Potreste procedere con una linea di fuoco aereo, per stordire i senaar ed impedire loro di avvicinarsi al terreno. Allo stesso modo, potreste dotarvi di tracyn darasuum per percorrere il breve tratto. Oppure, se avete risorse sufficienti, attrarli altrove con il cibo. Sconsiglio l’esplosivo. Se per disgrazia una granata dovesse esplodere a terra e una delle grotte dovesse collassare, Nebrod solo sa fin dove si estenderà la voragine e quanti di voi la grotta trascinerebbe con sé nel crollo. Per quanto riguarda voi, invece, con la carta rosa… Beh, voi intendete combattere. Semplice semplice. In questo caso, azzarderei una formazione a cuneo, anche se, non so perché, ad istinto direi che voi preferite una formazione a raggiera.-

Obi Wan si rese conto di aver trattenuto il respiro per tutta la durata dell’ultimo round solo quando calò il silenzio in aula. Il Venerabile, a quel punto, si era voltato dal suo scranno sopraelevato verso i tre Saggi rimasti, che lo avevano fissato dal basso, in attesa.

- Coincide?- chiese al primo, con la carta rossa.

- Sì, coincide.- fece, e si alzò per tornarsene al posto.

- Coincide?- chiese ancora il Venerabile all’uomo con la carta arancione.

Il vecchietto si alzò in piedi sulle gambe traballanti, e dovette reggersi alla balaustra per non cadere con la faccia a terra, ma i suoi occhi sprizzavano entusiasmo.

- Sì, perdinci, coincide! E’ proprio un diavolo di Kryze!-

L’ultimo ometto, dall’aria apparentemente innocua ma dal volto stranamente impassibile, rimase seduto al suo posto in attesa del Venerabile.

- Coincide?-

Rimase un poco in silenzio, indagando il corpo di Satine con i suoi occhietti mobili ed acquosi, e solo dopo attimi che parvero eterni si decise ad alzarsi in piedi e a rispondere, come se dovesse farlo per forza.

- Sì, coincide.-

Il Venerabile la accolse a braccia aperte.

- Mia cara duchessa, le mie congratulazioni. Otto su otto!-

Satine parve sgonfiarsi, nonostante stesse facendo di tutto per mantenere la statura eretta. Sorrise, con una visibile ombra di sollievo sul volto, e si avvicinò alla sbarra per inchinarsi di fronte ad ogni saggio che l’aveva interrogata. Tutti, tranne l’ultimo, inespressivo come sempre, parevano felici e sorridenti.

- Il vostro impegno a sostegno della legalità è apprezzabile, duchessa. Ci auguriamo sinceramente che questa guerra finisca presto e che possiate prendere il posto che, legalmente e di fatto, vi spetta.- 

- Sono io che vi ringrazio, o Venerabile, per avermi dato la possibilità di rispondere ancora una volta alle regole della democrazia. Il vostro gesto e il rischio che avete corso accogliendomi non sarà mai dimenticato.-

- Non che potessimo fare diversamente, duchessa. Siete entrata con un vhetin senaar!- gracchiò il vecchietto malfermo sulle gambe, alzandosi in piedi per darle la mano.- E permettetemi di dirlo, che entrata! Era dai tempi del… Del… Da quanto tempo era che non si vedeva una cosa del genere?- chiese, ammiccando verso gli altri alle sue spalle.

- Temo, mio caro Vercopa, che questa cosa non si sia mai vista prima.- fece il Venerabile, alzandosi in piedi.- La seduta, per questa sera, è tolta. Mi auguro che voi e i vostri portatori di pace ci onoriate della vostra presenza a cena e che vi fermerete fino all’alba. E’ pericoloso attraversare il deserto di notte. Ci sono cose che si muovono nel buio. Cose che è meglio che restino fuori da queste mura.-

 

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Partayl’gar, Obi Wan, ner cyare…: lett. Ricordati, mio caro Obi Wan…

Bral: collina fortificata, qui usato nel senso di nome proprio, fortino.

Kar’ja’hail: lett. Osservatori delle stelle

Vhetin senaar: uccelli di terra, anche detti pel shebs, lett. retro morbido, grossi uccelli simili a struzzi. 

Videk kyr’bes: lett. coloro che portano la corona sul collo, analogia per leone

Chakaar! Di’kut! Hut’unn! Vod verd… gratua! Atin chakaar! Di’kut! Hut’unn!!!: serie sconnessa di insulti che può essere letteralmente tradotta così: Criminale da strapazzo! Imbecille! Vigliacco patentato! Maltrattare una sorella d’armi… Ci vuole vendetta! Criminale da strapazzo e pure recidivo! Imbecille! Vigliacco!

Vhetik Ve’vut: lett. Altopiano dorato, zona agricola alle spalle delle colline di Khader, in pieno territorio Awaud. 

Kyrayc senaar: uccelli dei morti, simili ad avvoltoi

Vercopa: lett. sogno, qui usato in senso di nome proprio

 

NOTE DELL’AUTORE: Se avete pensato che questo capitolo fosse pieno di miele, è solo perché non avete ancora visto il prossimo.

Ogni cosa a suo tempo, però.

Scrivere di Vikandra è stato bello, finché è durato. Purtroppo non poteva rappresentare un personaggio ricorrente, ma il peso della sua memoria è tale da attraversare tutta la storia. Mi piaceva però che, oltre all’ infallibile guerriera, venisse ricordato anche la parte più dolce di lei, quella che, bene o male, si nasconde anche dentro il più duro di noi.

C’è un bel po’ di Mando’a in questo capitolo, e con alcuni passaggi mi sono divertita. 

Innanzitutto, mi è piaciuto particolarmente infilarci gli struzzi. 

Quanto sono carini, gli struzzi. 

Mi sono divertita a cimentarmi in un chilometrico insulto in Mando’a, di cui per la prima volta do traduzione. Sappiate che era pure più lungo, ma alla fine ho deciso di tagliarlo.

Ci sono poi due citazioni alle quali tengo moltissimo. 

La prima consiste nella traduzione in Mando’a di parte delle ultime parole che Satine pronuncerà ad Obi Wan prima di *spoiler*.

A chi la do a bere. Se leggiamo - e scriviamo - di loro due è perché, probabilmente, abbiamo una vaga idea di come finisce.  

La seconda è avvenuta quasi per caso. Il nome della cittadella, Bral, prende il nome dalla parola che significa bastione, collina fortificata.

Nella traduzione letterale inglese, high ground.

Il posto giusto per Obi Wan Kenobi e la sua fiamma.

Alla prossima,

 

Molly. 

 

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Capitolo 52
*** 43- Ni kar'tayl gar darasuum ***


CAPITOLO 43

Ni kar’tayl gar darasuum

 

Il gruppo accettò di buon grado l’accoglienza dei Saggi. Il luogo era bellissimo e Satine aveva confidato loro di essere piuttosto certa che quello fosse un rifugio sicuro. I Saggi erano una vera e propria istituzione su Mandalore, ed era meglio non alienarseli. Beninteso, era più che convinta che una parte di loro - tra cui il tipetto viscido che le aveva fatto l’ultimo test - sotto sotto simpatizzasse per la minoranza, ma era anche consapevole che attaccare i Saggi era una mossa poco intelligente e completamente fuori dai canoni dell’operato di Larse Vizla. 

Satine infatti aveva loro confidato che il potere dei Saggi era sconfinato. Un potere del genere era difficilmente controllabile con le armi.

- Se si trattasse di me e non avessi scrupoli, come Vizla, giocherei di tattica. Se non riesco a controllare quel potere, allora devo trovare il modo per toglierglielo. Un colpo al cerchio e uno alla botte. E’ vero che con la guerra c’è in parte riuscito. Quale miglior modo di depotenziare un tribunale, che cancellare la legge?-

In buona sostanza, secondo Satine il modo migliore per vincere i Saggi non era dunque usare la forza, bensì sostituirli lentamente, dall’interno, con nomi fedeli al dittatore.

- Un’operazione che non credo abbia cominciato a fare. Deve aver trovato delle resistenze, o deve aver concentrato la sua attenzione altrove. Almeno per adesso, questa Corte non gli serve, soprattutto dal momento che ha già il Tempio della Luce dalla sua parte. In ogni caso, la sorte è dalla nostra parte, almeno per ora. Prima ce ne andiamo, meglio è. Sto cominciando a dubitare della mia capacità di penetrare la mente di Larse Vizla, fosse anche solo per tutti gli errori strategici che ha commesso ultimamente.-  

Secondo Satine, solo un folle avrebbe attaccato frontalmente i Saggi.

Tuttavia, non era più certa che Vizla fosse del tutto razionale. Se fosse stato per lei, infatti, sarebbe intervenuta immediatamente, dietro le quinte e nel modo più rapido possibile, se avesse dovuto fare un golpe. Invece, Vizla aveva preferito ripiegare sulla fedeltà dei sacerdoti del Tempio della Luce, presso i quali era riuscito a truccarle il verd’goten.

La sua insicurezza era stata una delle ragioni per cui Satine aveva voluto sostenere la prova immediatamente. 

Voleva la legittimazione prima che quell’empio le togliesse la possibilità di ottenerla.

C’era anche un’altra eventualità, e Satine ci avrebbe messo la mano sul fuoco se ormai Vizla non stesse ragionando come un ori’buyce ki’khovid qualsiasi. 

Il dittatore aveva dimostrato di sapere che non conveniva mettersi contro le tradizioni più dure a morire di Mandalore. Le manipolava, ma non le cancellava mai. 

Il Codice della Guerra ne era stato un chiaro esempio. Satine era andata a Khader pregando in tutte le lingue che conosceva che Larse Vizla e Gar Saxon non avessero cancellato anche quello, e invece essi avevano dimostrato di averlo in una certa venerazione. 

Sì, Gar Saxon era ignorante - nel senso che ignorava davvero - nel patrimonio genetico ed era caduto nella sua trappola con tutta la beskar’gam, ma quella era un’altra storia.

Era molto probabile che il Consiglio dei Saggi riscuotesse lo stesso successo del Codice, tuttavia quella non era una possibilità da scartare del tutto, soprattutto se il piano del dittatore era quello di infiltrarsi nella Corte.

Ovvero, se il dittatore avesse scelto l’opzione più ragionevole. 

C’era poi anche l’attacco a suo padre a confermarle quella tendenza. Vizla lo aveva sconfitto, certo, ma senza affrontarlo di persona e senza un conflitto a viso aperto. L’uso del veleno - e nemmeno personalmente, ma attraverso un membro della sua cerchia - la induceva a pensare che il dittatore sapesse ciò che stava facendo. 

Rispettava le regole e allo stesso tempo le tradiva, come quando si era fatto dichiarare Mand’alor secondo la vecchia tradizione di sangue, pur senza impugnare la Darksaber, al sicuro nelle fondamenta di Kryze Manor.  

La questione del clan Wren, inoltre, era ancora spinosa, e a quanto Satine aveva potuto capire, la contessina non aveva cambiato opinione di un centimetro.

Resto una Vizla, ma senza il dittatore. Quando avrete deciso che cosa fare chiamatemi.

Per cui, per il momento, volente o nolente, Ursa Wren stava con i Kryze, e i Kryze credevano nei Saggi. 

E se Vizla fosse consapevole che, se dovesse muovere guerra al Consiglio, dovrà rinunciare per sempre al ritorno di Ursa Wren tra i suoi ranghi?

Magari. 

No, Vizla non era stupido. I Saggi dovevano servirgli ancora, e fino a che non li avrebbe resi del tutto inutili, li avrebbe tenuti in piedi per tenersi buona quella porzione di suoi adepti che apprezzavano ancora l’operato del Consiglio.

Per quanto riguardava i due Jedi, potevano dirsi abbastanza tranquilli. Si fidavano di Satine e del suo giudizio, e le sue ipotesi erano più che ragionevoli. 

Dentro Bral, l’atmosfera era pacifica e trasudava intelletto. Le loro stanze erano spaziose e piene di luce, proveniente dalle finestre di vetro colorato.

Si stava bene nella cittadella e i due Jedi sapevano apprezzare la tranquillità e le cose belle. 

 

Qui Gon si prese un momento per meditare, seduto sul suo nuovo letto, al riparo dagli sguardi indiscreti della gente, immerso nella luce gialla e blu dei vetri. Dava un’aria mistica alla stanza e favoriva la connessione con la Forza.

Satine, invece, continuò ad arrovellarsi per ore, passeggiando avanti ed indietro nella sua stanza come se volesse scavare un solco nel pavimento, e i motivi erano tutt’altro che politici.

Ogni cosa a suo tempo, però.

Obi Wan fu il primo a venire a conoscenza della notizia.

Stava passeggiando lungo il porticato. L’aveva percorso praticamente tutto. Era una spirale che saliva costantemente, senza scalini, liscia e piastrellata. L’inclinazione non era eccessiva e consentiva un’ascesa morbida.

Il suo corpo, nonostante provasse a non darlo a vedere, dava ancora qualche segno di allarme. Si svegliava sempre indolenzito. Anche i risvegli più dolci, animati dal profumo di Satine nelle narici e dalla voglia di stare con lei, erano sempre attraversati da un momento in cui il giovane padawan doveva fare un respiro profondo e disperdere i crampi e il dolore nella Forza.

Il collo era la parte del corpo che gli dava più problemi in quei giorni di ripresa delle loro attività. Aveva provato a non lamentarsi mai, ma gli era costato uno sforzo terribile, ed era convinto che il suo maestro si fosse accorto di quando, di tanto in tanto, restava indietro a massaggiare, provando a sbloccare una spalla che non voleva saperne di stare al suo posto. 

Avrebbe avuto ancora bisogno di riposo, ma non avevano tempo. Il soggiorno su Aldeeran era stato un toccasana e il suo corpo aveva dato segnali di apprezzamento. Il collo aveva cominciato a funzionare di nuovo come avrebbe dovuto e i crampi muscolari si erano attenutati, complice un’alimentazione rigorosa e finalmente diversa dalla cacciagione e dalle barrette da campo.

Stava passeggiando lungo il corridoio, ammirando il soffitto. Il portico era magnifico e finemente decorato. Le colonne non avevano uno spazio vuoto. Erano prevalentemente decorate con fiori, foglie e piante, ma alcune erano intarsiate con delicate spirali ed altre con scene di eventi storici che Obi Wan ancora non conosceva. Il soffitto era affrescato alla stessa maniera, di rosso, oro, verde. Le piante rampicanti profumavano, e una di quelle aveva fatto dei fiori viola così grandi che il padawan era rimasto a fissarli per un quarto d’ora buono mentre riposava il suo corpo stanco. 

Erano grandi come le sue mani. La pianta pendeva da un gancio appeso al soffitto e non aveva terra. Le radici penzolavano nell’aria in ogni direzione. Le foglie grandi e carnose precipitavano nel vuoto, coprendo una parte della visuale, ma rendendo l’insieme molto suggestivo.

Fu in quel momento che il Venerabile si avvicinò a lui.

- Quella è una vhekad sarad.-

- Un Fiore del Deserto.-

L’uomo annuì, chiudendo piano gli occhi.

- Vedo che parli bene Mando’a.-

Obi Wan provò ad interpretare quella frase come un segno di distensione. Se glielo aveva chiesto, infatti, voleva dire che aveva capito che il portatore di pace in questione non era Mando.

- Faccio del mio meglio.-

L’anziano strascicò i suoi passi sul pavimento e sfiorò le foglie della pianta con la punta ricurva delle pallide dita.

- E’ una pianta meravigliosa. Cresce negli incavi rocciosi. Si nutre solo di sole e di acqua, quando la trova. La trattiene nelle pieghe delle foglie le rare volte che piove nel deserto. Inoltre, riesce a catturare piccoli insetti chiudendo i petali dei fiori. Sopravvive così, nelle intemperie, e fiorisce sempre, anche nelle condizioni più difficili.-

Obi Wan guardò ammirato quel fiore viola.

Il Venerabile lo squadrò di sottecchi.

- Come la nostra duchessa. Sembra avere delle analogie con questa pianta.-

Il ragazzo sentì la punta delle orecchie farsi rossa ed ebbe la sensazione di essere un libro aperto agli occhi dell’anziano saggio.

- Sarad.- mormorò tra sé e sé, pensieroso.- Sì, sarebbe un bell’epiteto.-

L’anziano emise una risata gorgogliante.

- Allora ho fatto bene a diramare nel comunicato ufficiale che il Fiore del Deserto ha ufficialmente passato la prova dei Saggi e che risulta la più papabile candidata al trono di Mandalore!- aggiunse, e gli diede un’amichevole pacca sulla spalla.

- Vieni, ragazzo. C’è qualcosa che ti incuriosisce di questo posto?-

Il padawan si fece guidare. Aveva la sensazione che la Forza avesse in serbo qualcosa per lui. Quell’uomo gli aveva dato immediatamente confidenza e familiarità, e non era sicuro di ciò a cui sarebbe andato incontro alla fine di quella conversazione.

Se aveva compreso il suo ruolo di Jedi, non lo aveva dato a vedere, e il Venerabile pareva poco propenso a discutere della sua provenienza. Una volta accertato che si trattava di uno straniero, tanto gli era bastato. La spada laser del ragazzo era ancora nascosta sotto il mantello e la treccia da padawan era accuratamente legata dietro la nuca assieme all’altra.

- La duchessa è giovane ed ha il coraggio dei sogni. La visione del futuro, haa’it, è un punto cardine della nostra cultura. Usiamo la parola visione anche nella formula per siglare patti e fare promesse. La giovane Satine è piena di sogni e le auguro di riuscire a realizzarli tutti. Tuttavia, la vita di un Mand’alor è una vita grama. Si può essere molto soli, per garantire la felicità degli altri.-

Il ragazzo rimase in silenzio, camminando lungo il porticato al fianco del Venerabile mentre salivano lentamente verso l’alto. Là si trovavano le loro stanze, e soprattutto là c’era la cupola, da cui poteva scorgere i raggi del sole declinare sul far della sera.

- La duchessa ti ha raccontato come vivevano i Mand’alor prima della guerra, giovanotto?-

Obi Wan scosse il capo.

- Prima della guerra contro la Repubblica, Mandalore era un pianeta in guerra con se stesso. I clan si avvicendavano con una frequenza disastrosa, ed il risultato fu che la visione di un mondo unito sotto un’unica tradizione divenne un’utopia. L’unico modo per diventare Mand’alor era prendere il potere con la forza, uccidendo il precedente leader. Una volta salito al potere, il Mand’alor era sposato a Mandalore, e ad esso votava tutta la sua vita fino a che qualcuno più forte di lui non veniva ad ucciderlo. Per questa ragione, per quanto fosse il mestiere più ambito, era anche quello più gramo, ed erano pochi ad avere il senso di sacrificio sufficiente per prendere il potere e tenerselo stretto. Troppi, invece, avevano la sola ambizione. Questa tradizione ha fatto migliaia di morti in passato, tra leader e sfidanti.- 

L’anziano fece una pausa e prese un respiro profondo. Obi Wan si fermò accanto a lui per dargli un attimo per riprendere fiato. Data la sua età, salire e parlare contemporaneamente doveva essere una faticaccia.

- Solo un Mand’alor decise di cambiare le regole, e fu una donna. Una Kryze, per la precisione. Fahra, ne hai mai sentito parlare?-

Obi Wan ci pensò un secondo.

Sarebbe stato saggio dire che aveva sentito quel nome legato alla Luce di Mandalore?

- No, mai.-

- Era una donna singolare. Si diceva che passasse ore nei boschi, là dove nessuno osava andare. Ci sono luoghi, su Kalevala, animati dal mistero. Conosci il bosco di Nebrod?-

- Me ne ha parlato.-

- Allora ti sei fatto un’idea di che cosa possa accadere in questi luoghi misteriosi. Si dice che la duchessa passeggiasse per ore nei boschi, là dove nessuno osava avventurarsi, anche vicino alle paludi, dove si dice che gli alberi si difendano da soli. Ebbene, quei grandi alberi pericolosi, a detta delle leggende, la trattavano come un’amica, e gli uccelli dei boschi rallegravano le sue giornate con i loro canti. Incontrò un uomo, un giovane soldato che per sfuggire all’orrore della morte si era dedicato alla coltivazione, Jorah Rau. Lo amò, e lo sposò. La loro fine fu tragica, come quella di molti, anzi, tutti i Mand’alor, ma si narra che il loro amore fu lungo e felice, e che il sistema abbia prosperato sotto la saggia guida di entrambi. Lei è stata la prima ad interrompere il ciclo di sangue e morte. Molti altri Mand’alor si sono sposati dopo di lei, uno tra questi fu Marmaduke il Protettore.-

Lo guardò con aria interrogativa, come ad essere certo che lo conoscesse. Quando trovò conferma, proseguì nel suo racconto.

- Non tutti i leader hanno beneficiato della compagnia di qualcuno, e quando lo hanno fatto, non tutti hanno trasferito il loro benessere sul sistema. Sai delle tradizioni dei Vizla in fatto di donne? Certo che lo sai, che te lo chiedo a fare, ragazzo mio? Dopo aver passato tutto questo tempo al fianco della duchessa, immagino che tu ne abbia viste e sentite di tutti i colori.-

Obi Wan continuava a non capire dove l’anziano volesse andare a parare, e l’impazienza cominciava ad imporporargli di nuovo le orecchie.

Il vecchio sembrava esserne a conoscenza e sembrava divertirsi alle sue spalle. 

- Un Mand’alor solo è un Mand’alor molto triste, ragazzo mio. Una vita sacrificata, ferita, a metà, dove i dolori sono più grandi delle gioie e i pericoli maggiori della voglia di vivere. Non sono mancati Mand’alor morti suicidi. Altri, invece, sono scomparsi nel nulla, pur di non sopportare più un peso così grande.-

Una morsa si strinse attorno al cuore del ragazzo, e il suo disagio dovette essere visibile, perché l’anziano gli accarezzò la spalla con delicatezza.

- Sei un ragazzo sensibile, si vede. Questa prospettiva ti disturba, e posso vedere nel modo in cui le stai vicino che tu sei molto legato alla duchessa. Ti ho osservato durante la prova. Hai trattenuto il fiato per tutto il tempo e hai gioito più di quanto un commilitone avrebbe fatto quando ha concluso la prova con successo. Oserei dire che il tuo legame non è a senso unico, almeno a giudicare dai piccoli segnali, assolutamente ignoti ai più. Ti ha cercato spesso per conforto, non è così?-

Obi Wan abbassò lo sguardo e si imporporò definitivamente, ma il vecchietto trovava la cosa molto divertente.

- Non fare così, figliolo. Avere la mia età porta saggezza, e ho camminato nei tuoi stivali prima di te. Ho guardato allo stesso modo la mia amata moglie, che Nebrod l’abbia nella gloria del Ka’ra. Ti auguro di avere la felicità che ho avuto io, finché il tempo te lo concede.-

Erano quasi arrivati alle stanze, e si fermarono a guardare il soffitto con calma. La cupola si era tinta di un tenue blu lavanda e le prime stelle cominciavano a far capolino nel cielo della sera.

- Hai intenzione di dirglielo, ragazzo?-

Obi Wan rimase fermo a pensare, gli occhi persi nel blu del cielo che ricordava terribilmente quello degli occhi di Satine.

- Sì. Al momento giusto, glielo dirò.-

- Non tergiversare troppo, figliolo. Il tempo passa in un lampo, e una volta che hai perso il treno, è difficile che questo torni a prenderti.-

L’anziano, a quel punto, si diresse verso le proprie stanze, strascicando i piedi e facendo fluttuare la tonaca porpora.

- Pensaci, ragazzo. Saresti un eccellente duca consorte.-

Obi Wan sentì un improvviso moto d’orgoglio e senza rendersene conto si fece più eretto, le spalle più larghe e il volto più deciso.

Il vecchietto lo guardò e sorrise un’ultima volta, prima di sparire dietro la sua porta.

La tentazione era forte. La sua vita da Jedi gli aveva dato mille soddisfazioni. Stare con Satine era naturale per lui, e sapeva dargli una serie di emozioni che la sua vita al Tempio gli proibiva. Si sentiva inebriato, felice nonostante le difficoltà, e si sentiva pronto ad affrontare tutti i dolori del futuro pur di avere accanto la donna della sua vita. 

C’era qualcosa, tuttavia, che ancora lo legava a Qui Gon. Lo amava come un padre, ed amava anche Bant, e tutti i suoi amici al Tempio, persino il maestro Yoda. 

Andarsene dal Tempio gli avrebbe spezzato il cuore, ma lasciare indietro Satine gli avrebbe dato altrettanto dolore. 

Era una scelta ardua, e l’unica cosa che lo spingeva verso la duchessa era la consapevolezza che il suo cammino era costellato di insidie e pericoli, e che lei era inerme, molto più inerme di quanto potesse essere Qui Gon, o Bant, o chiunque altro al Tempio di Coruscant. 

Sarebbe stato davvero un buon duca consorte? Lui, che detestava profondamente la politica, tranne quando a farla era Satine?

Il Venerabile gli aveva appena fatto un gran complimento, ma la verità era che Obi Wan stava aspettando un segno, uno qualsiasi, da parte della Forza per decidere quale fosse la giusta via da percorrere. Non poteva avere entrambe le cose, di questo era certo. 

Essere un Jedi, o amare la donna della sua vita e sedere sul trono al suo fianco. 

Si strinse nelle spalle, l’orgoglio improvvisamente trasformato in tormento, e si diresse verso i suoi quartieri.

Era lui, adesso, ad aver bisogno di una figura paterna su cui contare.

Sperò che il suo maestro avesse finito la sua dose quotidiana di meditazione e che avesse tempo per scambiare due chiacchiere con lui. Non aveva intenzione di dirgli che voleva lasciare la via della Forza, ma voleva chiedergli come fare per decidere. Un consiglio, insomma, un modo per superare l’impasse. La Forza Vivente gli diceva di restare con Satine, quella Unificante di restare con i Jedi. 

Come risolverla?

Oh, maestro, se solo potessi evitare di scegliere!

 

Satine, nel frattempo, si stava tormentando nella sua stanza.

Stava per andare a cena con il Venerabile, onore concesso a pochi e di rado, eppure ciò che l’agitava era tutt’altro.

Non sapeva perché era così nervosa. La decisione di procedere con le prove era stata sua, e sua era stata la volontà di imprimere una svolta a quel conflitto che andava avanti anche da troppo. 

Satine sapeva che, se la sua gente l’avesse riconosciuta come Mand’alor definitivamente, sul serio, sarebbe andata allo scontro diretto con Vizla, prima o poi.

E questo poteva costarle la vita.

C’era inoltre la prova dell’arte, che non sarebbe stata scontata, come non era stata scontata la prova dei Saggi. Certo, l’istituzione del Consiglio era temuta e rispettata per la sua integrità, ma la duchessa non poteva sapere se ci fossero delle infiltrazioni di un qualche tipo al suo interno.

Per quanto riguardava il Tempio della Luce, invece, oh, lì sì che le infiltrazioni c’erano, e poteva star certa che, sul fare della seconda prova, ne avrebbe viste delle belle anche solo per entrare nell’edificio. 

Se poi fosse riuscita a superare la seconda prova, c’era la terza ed ultima, ovvero l’apertura della Luce.

Anche quella sarebbe potuta costarle la vita, nonostante tutti gli sforzi fatti dai Jedi per aiutarla a concentrarsi e a dosare le forze. 

Già, aprire la Luce. L’embrione di idea che si era affacciato alla mente di Satine da qualche giorno a quella parte si stava facendo sempre più concreto e - doveva ammetterlo a se stessa in tutta onestà - la stava terrorizzando. 

La battaglia con Vizla non era l’unica a dover essere vinta, e la giovane duchessa era consapevole che battere il dittatore sul campo poteva non essere sufficiente. Non se c’erano altri nemici in giro, spettri, sarlacc o come li si voleva chiamare, che erano disposti a massacrare l’intera popolazione e contro i quali avevano le armi spuntate.

O forse no.

Sospirò, cercando di trovare un equilibrio che tardava ad arrivare. 

Forse perché adesso sentiva che la situazione stava per svoltare, percepiva il tempo sfuggirle di mano. Come se non bastasse e come se la profezia di Nebrod non stesse incombendo sulla sua testa come la Darksaber sul collo di un Mando’alor sconfitto, presto il suo Uomo delle Stelle sarebbe volavo via, o perché lei era destinata a morire sul campo, o perché la sua missione si sarebbe conclusa.

Non voleva che se ne tornasse tra le stelle senza sapere che cosa sentisse davvero per lui. 

Accidenti a lei e a tutte le volte in cui non aveva prestato attenzione ai pettegolezzi che giravano dentro la Scuola di Governo. Accidenti a lei e a tutte le volte in cui aveva rifiutato le riviste spazzatura con cui le sue autodichiarate amiche volevano convincerla a diventare più aperta alle esperienze con i ragazzi.

Si era arrabbiata come un gra’tua edee la prima volta che le avevano detto quelle parole. 

Come se non avesse la più pallida idea di come si facciano i bambini!

E loro volevano convincerla a tutti i costi a leggere di strani rimedi per favorire l’amore, o di tecniche di seduzione e via di questo passo. Satine di solito balzava via come un gatto di Lothal infuriato, disgustata, e si chiudeva in camera sua con la scusa di un mal di testa, scuotendo il capo.

Non avrei mai pensato che una simile robaccia sarebbe potuta tornarmi utile in futuro!

Beninteso, non aveva la benché minima intenzione di drogare il povero Obi Wan con un filtro fatto in casa, che più che un rimedio pareva un tentativo di avvelenamento, né aveva intenzione di cospargersi il corpo di sostanze oleose, il cui odore - o sarebbe più appropriato dire il cui tanfo - sarebbe stato, a detta di summenzionate riviste, inebriante per i sensi maschili.

No, semplicemente aveva intenzione di dire quello che era necessario dire, dopo mesi passati assieme legati da… da… Beh, quello che era, ed era scandaloso che non avesse trovato uno straccio di parola per dichiararsi.

Come accidenti si dice “ti porto nel cuore” in Standard?

Già, perché come le aveva generosamente fatto notare Obi Wan, Satine conosceva ogni singolo modo per uccidere qualcuno e sapeva nominare l’intero apparato scheletrico, nonché ogni singolo muscolo per nome, anche traducendolo in Standard, ma non sapeva dire che provava dei sentimenti romantici verso di lui.

In fondo, che cosa voleva dire ni kar’tayl gar darasuum?

Al di là del significato letterale del termine, che non poteva andare oltre a ti porto nel cuore per sempre, c’erano una serie di sfumature interessanti da rilevare.

Innanzitutto, chi si porta nel cuore per sempre è una persona che si conosce bene, profondamente. Qualcuno di cui si apprezzano pregi e difetti, che non si cerca di cambiare, ma che si cerca di completare. Portare qualcuno nel cuore significa donare a quella persona uno spazio che non sparirà mai: anche quando i sentimenti decadono, la memoria rimane. 

Poi, c’è il per sempre, che non è una parte da poco. Per sempre è un’incredibile quantità di tempo. Ci sono discussioni aperte su quanto voglia dire per sempre. C’è chi dice che si intende l’arco di tempo limitato della vita di un essere umanoide. C’è chi invece preferisce credere, obiettando che molte specie possono vivere centinaia di anni, che per sempre alluda ad una concezione trascendente, ovvero che finché si ha vita, si porta nel cuore qualcuno, e quando non se ne ha più, la persona viene portata con sé, ovunque l’anima - o la Forza, o quello che vi pare - vada a finire.

Ecco, c’erano una sfilza di miti, storie, racconti su Mandalore che non finivano più. Satine, naturalmente, li conosceva tutti e li apprezzava molto. Sembrava incredibile che un popolo guerriero e fiero come il suo perdesse così tanto tempo a scrivere e a tramandare storie d’amore, ma evidentemente era stato uno dei passatempi preferiti degli antenati. 

Satine li conosceva tutti, appunto

Peccato che li conoscesse rigorosamente in Mando’a.

Nel suo peregrinare avanti ed indietro per la stanza, Satine borbottò una sfilza di insulti sottovoce, maledicendosi profondamente per la sua allergia alle frivolezze da adolescenti.

Avrei dovuto imparare tutte le parole sconce in Standard che giravano su quei giornalacci da quattro soldi. 

E dunque, che fare? 

Sarebbe andata da Obi Wan a dirgli che in Mando’a per identificare l’amore romantico si usa la locuzione ni kar’tayl gar darasuum che significa portare qualcuno nel cuore per sempre che significa anche conoscere quella persona nel profondo che vuol dire conservare uno spazio per lei finché morte non li separi che poi forse non è nemmeno così perché la morte non c’entra nulla perché portare nel cuore qualcuno va oltre la vita fin dentro il Manda che è il paradiso dei Mando che penso che per voi si chiami Forza eccetera eccetera?

Oh, bontà divina. Sarebbe stata la dichiarazione d’amore più atroce della storia della galassia.

No, c’era sicuramente una forma idiomatica, un linguaggio consono da usare, appropriato, ecco, per dirgli quello che sentiva. 

Come aveva detto, lui? Affetto e amore. 

Amore.

Bene, adesso sapeva che il sostantivo era quello, ma il verbo?

Io provo amore per te.

Io sento un sentimento d’amore per te.

Beh, sulla lunghezza c’era quasi. Assomigliava clamorosamente a ni kar’tayl gar darasuum.

Satine era quasi convinta di averci preso.

Quasi.

E se poi fosse finita con il rovinare tutto dicendo una frase inventata?

Già. Tutto che? Quando glielo avrebbe detto? Come? Dove?

La luce che entrava dalle sue finestre era soffusa e calda, raggi color lavanda e cobalto che indicavano l’affacciarsi della sera. Presto sarebbe dovuta andare a cena con il Venerabile e lei non si era ancora lavata, né preparata.

E non sapeva ancora quando dichiarare il proprio amore ad Obi Wan. 

Forse sarebbe stato meglio aspettare.

Eppure, Satine si sentiva euforica. Aveva superato le due prove più difficili, quella del meshurok e quella dei Saggi, era sopravvissuta a non sapeva quanti attacchi tra cacciatori di taglie e spettri, osava persino pensare che, forse, era ad un passo dal vincere una guerra e stava per andare a cena con il Venerabile.

E forse stava per morire, ma quella era un’altra storia.

No, sarebbe stata la volta buona. Si erano girati attorno come gatti prima di una zuffa per troppo tempo. Adesso era venuto il momento di scoprire le carte definitivamente.

Ora o mai più.

 

La cena fu di sicuro interessante.

Dal momento che il Consiglio era composto prevalentemente da anziani, si davano tutti una mano a vicenda. Il risultato era che il Venerabile non era mai solo. C’era sempre qualcuno più giovane che gli portava del cibo, o i panni stirati, ed egli ricambiava le cortesie con grande calore. Qui Gon individuò alcune donne, piuttosto anziane a loro volta, che mescolavano pietanze nei pentoloni, ed alcuni uomini che invece litigavano su come dividere i piatti da portata. Era evidente che ogni clan aveva le sue tradizioni, e anche i Saggi non erano immuni dal ricordare quei piccoli dettagli di vita imparati fin dall’infanzia. 

Quella sera al banchetto si unì il vecchio Vercopa, più arzillo e pimpante che mai. Cenarono seduti ad un tavolo alto, pescando da un grosso piatto unico con delle sottili focacce di farina e acqua salata. Il cibo era tradizionale e pizzicava molto sulla lingua, sul palato, beh, dovunque ad essere onesti, ma per non mancare di rispetto al Venerabile i due Jedi buttarono giù tutto ciò che veniva offerto loro sopportando stoicamente.

Ragazzo, dimmi che abbiamo del protettivo gastrico nel kit del pronto soccorso.

Sì. Ne ho fatto incetta dopo il primo assaggio del cibo mandaloriano a Solus.

Che la Forza ti benedica, figliolo.

Obi Wan, però, aveva percepito fin da subito una certa tensione nell’aria. Per quanto Satine provasse a recitare la parte della duchessa instancabile, capace di parlare di politica per ore senza curarsi minimamente della propria vita personale e privata, la sua aura emanava un fortissimo senso di attesa, e non potè fare a meno di pensare che il motivo di tale turbamento fosse proprio lui quando, in un attimo di distrazione suscitato da una battuta divertente del vecchio Vercopa, Satine gli si avvicinò e gli sussurrò all’orecchio:

- Vieni sotto la cupola stanotte. Il cielo del deserto è spettacolare.-

Il ragazzo sentì tutte le farfalle della galassia librarsi in volo nel suo stomaco e gli passò completamente la voglia di mangiare. Da quel momento in poi, ogni secondo sembrò durare un’eternità e l’immagine del suo sogno infranto su Aldeeran non faceva altro che comparire davanti ai suoi occhi.

Loro due che facevano l’amore sotto il cielo stellato.

Scoprì di star sorridendo tra sé, ma non per il sogno, bensì per come riusciva a gestirlo. Un tempo, aveva affrontato ogni desiderio legato al femminile come una piaga, represso, respinto. 

Adesso, i suoi sogni su Satine li accettava come se avessero sempre fatto parte di lui. 

Aveva imparato a trarre forza dalla positività di quelle emozioni.

- Avete aperto un datapad da quando siete qua, duchessa?-

- No, Venerabile, non l’ho fatto. Che cosa mi sono persa?-

- Questo Consiglio ha diramato, come da legge, la notizia del superamento della vostra prova. Il ragazzo, qua, ha trovato uno splendido nome per voi, che ho provveduto a diffondere con il comunicato. Spero che non vi dispiaccia.-

Sia Qui Gon che Satine si voltarono a guardarlo, stupiti.

Obi Wan abbassò gli occhi, rosso come un krill di Mon Cala.

Le cose non stanno esattamente così!

- Ovvero?-

- Vhekad Sarad. Fiore del Deserto.-

Oh, per la Forza, ditemi che se mi nascondo sotto al tavolo sto comodo!

Qui Gon abbozzò un sorriso divertito, mentre Satine rimase a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua per qualche secondo, prima di realizzare.

- E’ un nome bellissimo, Ben. Grazie!-

- Il mio ragazzo ha sempre avuto la lingua argentina.- borbottò il maestro, scuotendo il capo con ironia.

Obi Wan avrebbe tanto voluto scomparire, ma l’espressione stupefatta di Satine e il bagliore nei suoi occhi finì con il sopire ogni imbarazzo.

La cena continuò e finì tra mille convenevoli, saluti e una cordialità che raramente aveva trovato altrove.

Vide Satine dirigersi verso la sua stanza e lanciargli uno sguardo consapevole.

Qui Gon entrò nella sua. Obi Wan sparì dietro la porta.

Ed attese.

Attese che il sole calasse del tutto, che il buio invadesse la sua stanza. Tese le orecchie per percepire i movimenti. Meditò, ma la Forza era piena di attesa.

Quella notte sarebbe accaduto qualcosa, qualcosa di positivo e magico, lo sentiva, ed era convinto che, tutto sommato, lo sentissero anche gli altri. Se ne era accorto il Venerabile e forse se ne era accorto anche il vecchio Vercopa. Qui Gon, sicuramente, aveva sentito la tensione nella Forza.

Sollevò gli scudi al massimo per proteggere le sue emozioni.

Qui Gon non deve sapere.

Poi, quando nel cielo si udivano solo i canti di qualche uccello notturno e il silenzio avvolgeva la cittadella di Bral, un paio di piedini scalpicciarono fuori, nel corridoio, e si arrampicarono su, in alto, sugli scalini scavati nella pietra.

Obi Wan aprì gli occhi, uscì dal suo stato di meditazione e seguì quei passi.

La cupola era impressionante. Solo una parte era costruita in metallo rigido. Il resto era puro vetro trasparente che lasciava filtrare i raggi di luce del sole, delle lune e dei globi di Mandalore. Il cielo notturno era spettacolare. Poteva distinguere il margine violaceo della galassia, le stelle più brillanti, i loro colori, le sfumature del pulviscolo stellare. 

Non aveva mai visto niente del genere.

In mezzo, c’era lei, oscura nel buio, ma brillante alla luce delle stelle e dei globi di Mandalore. Sedeva poco lontano, sul tetto della cittadella, ben distante dallo strapiombo circolare del cortile, con lo sguardo in alto e gli occhi splendenti della luce delle stelle. 

Era ammaliata dal cosmo e il padawan era ammaliato da lei.

Si sedette al suo fianco e la sentì sobbalzare.

- Non volevo spaventarti.-

- Non mi hai spaventato. Sono solo tesa.-

- L’ho sentito. Qualcosa non va?-

Satine sospirò ed abbassò lo sguardo. I capelli stavano ricrescendo ogni giorni di più, ed adesso il caschetto corto le scendeva appena sugli occhi.

Aveva l’aria malinconica.

- Fiore del Deserto. Sei stato poetico. Non ti ringrazierò mai abbastanza.-

Obi Wan fece spallucce.

- In verità non è andata proprio così. L’idea è stata del Venerabile. Io mi ero solo soffermato ad ammirare le piante lungo il portico.-

Satine rise piano, sfoderando i denti brillanti e gli occhi si illuminarono come candele accese.

- Beh, il Venerabile ha occhio, soprattutto per scrutare nell’animo delle persone. Ti ringrazio comunque.-

Alzarono gli occhi verso il cosmo e rimasero ad osservare lo splendore della galassia. Le loro dita si intrecciarono, eppure Satine non aveva ancora trovato né il coraggio di parlare, né le parole giuste per esprimere tutto quello che sentiva e che gli doveva ancora confessare.

- Il mio Uomo delle Stelle.- mormorò, rivolta al cielo stellato e percorrendo con gli occhi la figura di Obi Wan.

- Come, scusa?-

La guardò sospirare ed abbassare gli occhi, pensosa. 

- C’è una cosa che non ti ho detto. Non l’ho fatto perché ritenevo che, date le circostanze, avrebbe coartato il volere della Forza. Volevo che, qualunque cosa dovesse accadere, essa accadesse naturalmente senza influenze esterne, e voglio che tu sappia che questo principio è valso per te tanto quanto è valso per me, per cui tutto ciò che c’è stato tra noi fino ad adesso, Ben, è stato vero.-

Obi Wan si spaventò, ma rimase in ascolto.

- Quando sono entrata in comunicazione con l’entità che vive in fondo al lago di Nebrod, essa non mi ha solo rivelato la mia morte. Mi ha rivelato anche la parte più bella della mia vita.-

Gli strinse le dita, come se stesse cercando qualcosa a cui ancorarsi.

- Mi ha detto che avrei amato un solo uomo nella mia vita, un uomo che proveniva dalle stelle. Tuttavia, kar’jag non sarebbe mai stato mio, perché lui apparteneva alle stelle ed alle stelle sarebbe tornato. Ci saremmo amati in eterno, ma non avremmo mai condiviso una vita insieme.-

Obi Wan fu turbato da quell’affermazione più di quanto già non fosse.

- Che cosa voleva dire?

- Cominciavo a credere che non ci fosse nulla di vero, che nessuno mi avrebbe mai amata e che io non avrei mai avuto il tempo materiale di amare qualcuno. Poi sei arrivato tu, ed io sono sempre stata sicura che tu fossi kar’jag, perché quel giorno al lago io non ho solo sentito una voce descrivere la mia vita futura, ma ho anche visto qualcosa. Nello specifico, ho visto la tua spada blu. E ho visto i tuoi occhi. E ti prego, non dirmi che non è vero, perché quello sguardo tormentato di chi sente troppo e si mette in discussione costantemente, quel grigioverde potrei riconoscerlo anche se mi trovassi fuori dai confini del cosmo.-

Obi Wan resse lo sguardo della duchessa per qualche istante, prima di rivolgerlo di nuovo verso le stelle. 

- Sarò onesto con te, Satine. Questo dettaglio mi disturba, come mi hanno disturbato le mie visioni mesi or sono, prima che atterrassi su Mandalore. Non fraintendermi, non ti porto rancore alcuno per aver atteso a confessarmi questo. Ci sono persone che non confessano mai le loro visioni, ed io ti apprezzo per il coraggio che hai dimostrato. E’ difficile scegliere. A volte le persone si spaventano e fuggono via. Io, francamente, sono spaventato. Sono convinto che tu abbia agito per il meglio, cercando di non cedere alle lusinghe delle visioni e non facendoti condizionare da esse. Se dici di averlo fatto, io ti credo. Quello che mi terrorizza dunque non è che il nostro legame non sia in qualche modo reale, perché lo è. Quello che mi spaventa è il legame che sento con Mandalore. Fin da quando sono venuto qua, mi sono sentito parte di qualcosa. Mi sono sentito a casa, e per un Jedi non c’è posto peggiore dove sentirsi a casa. Sento che questo legame profondo non ha un’origine certa. Come può una persona generare visioni, sogni, circostanze come quelle che mi hai descritto? No, c’è la Forza all’opera, e io mi sento impotente perché non la capisco, e sono diviso tra un mondo che amo e un mondo di cui faccio parte, che si escludono l’un l’altro.-

Satine tacque. Una parte di lei era felice che non l’avesse presa male. L’altra parte, invece, era nervosa per quanto stava per accadere. 

C’erano ancora cose importati da dire, quella notte.

Tornarono a fissare il cielo in silenzio. Voleva dargli il tempo di digerire quella rivelazione. Obi Wan disegnava cerchi sul dorso della mano della ragazza e Satine sentiva dei leggeri brividi correrle lungo il braccio.

- Hai freddo?- le chiese.

- No.-

Le tenne stretta la mano, ma Satine ebbe l’impressione che stesse cercando qualcosa di specifico su nel cielo.

- Che cosa cerchi?-

- Birakis. Ormai dovrei essere in grado di riconoscerlo.-

Satine sorrise e glielo indicò.

- Tu invece, che cosa cerchi?-

- Coruscant.-

Ed Obi Wan gliela indicò.

- Bene. Così farò finta di guardarti quando sarai lontano.-

Tra i due calò un silenzio insopportabile. Nessuno dei due riusciva a dire altro che avesse senso.

Obi Wan stava impazzendo. Perché Satine l’aveva invitato lassù? Per dirgli della profezia? 

Sentiva che c’era qualcos’altro, qualcosa che non era ancora stato detto.

Sospirò, cercando una scusa per attaccare bottone e non restare in silenzio cronico.

- Quella, invece, che cos’è?-

Satine osservò le due stelle brillanti che il padawan stava indicando e le venne da ridere. 

Dentro di sé, stava facendo i salti di gioia. Quello era il colpo di fortuna più grosso che le fosse mai capitato prima. 

Beh, almeno nelle relazioni sentimentali.

Di tutte le costellazioni, Obi Wan era finito con l’indicare proprio quella.

Un piano cominciò a formarsi nella sua testolina bionda, e prima che il padawan potesse insistere o cambiare idea, decise di provarci.

- Quella è la Costellazione dei Cosmonauti. Noi su Mandalore, però, le chiamiamo tradizionalmente Stelle dell’Amore Eterno.-

Obi Wan la guardò, basito.

- Scherzi?-

Vuoi dire che ho usato bene la parola amore? 

Ottimo.

- Ci sono diverse storie legate alle costellazioni, non tutte come Birakis. Molte sono romantiche. Questa, secondo me, è particolarmente bella.-

Visto che aveva catturato l’attenzione del ragazzo, Satine sospirò e si mise a raccontare.

- Secoli or sono, vivevano nel sistema di Mandalore un uomo di nome Din e sua moglie Ruusaan. I due erano farmacisti e vivevano in pace nel loro villaggio curando i concittadini e i soldati.

Un giorno, il Mand’alor di allora - si dice che fosse un Wren della casata dei Vizla - decise di organizzare una spedizione ai confini della galassia, dove aveva sentito che poteva trovare del metallo simile a beskar a buon prezzo. In quel tempo, le spedizioni spaziali erano pericolose, e il tratto di galassia che avrebbero dovuto attraversare era pieno di insidie: asteroidi, nebulose, buchi neri e soprattutto pirati. Din sapeva di non poter dire di no e immaginava che, partendo, avrebbe messo a rischio la sua vita e che forse non sarebbe più tornato. Così, cominciò a pensare ad un modo per dimostrare il proprio amore a Ruusaan. Tuttavia, per quanto ci provasse, non riusciva a trovare niente che fosse sufficiente a dimostrare il suo amore per lei. Ruusaan aveva tutto quello che una persona potesse desiderare per vivere bene: una casa, un buon lavoro, una famiglia, dei figli. L’unica cosa che le sarebbe mancata sarebbe stata la sua presenza, così come lei sarebbe mancata a Din.

- Il giorno della partenza, i cosmonauti, nel salutare i familiari, consegnarono loro dei doni: chi lasciò gioielli, chi soldi, chi pacchi di lettere da lasciare ai figli. Din non aveva niente per Ruusaan, perché di niente ella aveva bisogno, escluso il suo cuore. L’unica cosa che Din poteva fare era farle capire che lo avrebbe avuto per sempre vicino, qualunque cosa fosse accaduta, a qualunque distanza egli si fosse trovato. Decise, così, di inventarsi un modo per dirglielo.

- Ni baatir vuole letteralmente dire io ho cura, e non andava bene, perché, con lui lontano, la sua funzione di cura nei confronti della moglie e dei figli non poteva essere assolta. Inventò quindi un altro modo per dimostrare di tenere particolarmente a lei. Fu il primo nella storia di Mandalore a pronunciare la frase Ni kar’tayl gar darasuum, ovvero ti porto nel cuore per sempre, per identificare il legame romantico. In questo modo, Ruusaan avrebbe avuto la certezza che il suo cuore sarebbe stato con lei, in qualunque parte della galassia Din si trovasse. 

- Il viaggio di Din il cosmonauta non giunse mai al termine. Nessuno della spedizione tornò. Neppure il Mand’alor riuscì a salvarsi dal triste destino della compagnia. Ruusaan, forte della promessa fatta la marito, continuò ad aspettarlo per tutta la vita, guardando le stelle ogni notte e cantando il suo cuore al cielo notturno. Una notte, però, mentre cantava, una stella si accese in cielo, e Ruusaan credette che il suo Din avesse trovato un modo per dimostrarle di essere ancora con lei, e che Nebrod gli avesse permesso di trasformarsi in una nuova stella. La donna disse a tutti che il suo caro compagno era diventato una stella per tornare da lei e nessuno le credette.

- Ruusaan, però, perseverò e continuò a cantare ogni notte al cielo stellato, per dire al suo adorato che lo portava ancora nel cuore, come promesso. Quando giunse il suo momento, Nebrod premiò la sua fede e, invece di portarla nella Luce, la trasformò in una stella e la fece salire in cielo sotto gli occhi attoniti della popolazione del villaggio. Adesso Ruusaan e Din sono di nuovo insieme, sospesi nel vuoto del cosmo per l’eternità, l’uno accanto all’altra, e la loro costellazione prende il nome di Costellazione dei Cosmonauti, o Stelle dell’Amore Eterno. Inoltre, tutti i Mando hanno adottato la locuzione ni kar’tayl gar darasuum per identificare i legami romantici, forse nella speranza di brillare un giorno nel cosmo assieme a Din e Ruusaan.-

Ed in quel momento, fissando le due stelle simmetriche che ruotavano l’una attorno all’altra, Obi Wan comprese che era arrivato il momento. Quello era l’attimo che aveva atteso per giorni. Satine stava facendo del suo meglio, ma non voleva che fosse lei a rivelare per prima i suoi sentimenti. 

- Satine, io avrei qualcosa da dirti.-

- Anche io. Anche perché credo di avere capito un po’ di cose.-

Stando così le cose, Obi Wan decise di lasciarla parlare.

- Tu hai detto che affetto e amore su Coruscant sono due cose differenti. Uno più familiare o informale, mentre uno è speciale, giusto?-

Il ragazzo annuì.

- Giusto.-

Satine deglutì, cercando il coraggio.

- Quindi se io dovessi parlare con un familiare o con un amico a cui tengo, con una persona cara, ecco, gli direi ni baatir, che significherebbe che io ho cura di quella persona perché sono affezionata a lei. Giusto? Affetto?-

Obi Wan annuì e sentì di stare perdendo il controllo della propria respirazione.

- Se io invece dovessi dire ad una persona, alla persona più speciale del mondo, che la porto nel cuore e che la porterò nel cuore per sempre, dovrei dirgli ni kar’tayl gar darasuum.- concluse, guardandolo dritto dritto negli occhi. 

La notte stellata del deserto brillava nelle sue iridi blu, adesso viola, blu e azzurre come la galassia. 

Obi Wan trattenne il respiro, ma non si mosse, in attesa del resto.

- Credo di saperlo, ma non voglio sbagliare.- concluse Satine, abbassando solo per un momento gli occhi, intimorita.

Il suo Ben le strinse le dita per farle coraggio.

- Come si traduce ni kar’tayl gar darasuum in Standard?-

Non aspettava altro. 

Non aveva aspettato altro fin dal primo giorno in cui l’aveva incontrata. Solo adesso, in cui si erano presi del tempo per riflettere, si erano resi conto di essersi sentiti attratti l’uno verso l’altra immediatamente, che il bisogno di dare benessere l’uno all’altra era derivato da un sentimento che aveva un nome ben preciso. Se la Forza aveva fatto in modo di portarli assieme, aveva fatto loro il regalo più bello della loro vita. 

E per un momento non importò loro di nulla. Non importò loro di comprendere che cosa avesse in serbo il destino, del mistero della creatura in fondo al lago, della morte che li attendeva là fuori, degli spettri che si aggiravano anche nel deserto, dei cacciatori di taglie. 

Non importava. Esistevano soltanto loro due, le loro dita intrecciate e perduti l’uno negli occhi dell’altra. 

Il padawan non era certo un linguista, ma era convinto di essersi fatto un’idea della traduzione.

E non aspettava altro da tanto tempo.

- Ti amo.- le disse, e gli sembrò che il mondo stesse girando troppo velocemente e che la sua voce andasse perduta nel rombo del sangue nelle tempie.- Si dice ti amo.-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ni kar’tayl gar darasuum: lett. io ti porto nel cuore per sempre, in Standard io ti amo

Vhekad sarad: lett. Fiore del Deserto

 

NOTE DELL’AUTORE: Io adoro i vecchietti.

Sono fantastici, energici, con la saggezza di chi ha visto molte cose nella propria vita. Passano il tempo con semplicità ed hanno sempre qualcosa di speciale da condividere. Un gruppo di vecchietti Mando non può che essere esilarante e tostissimo allo stesso tempo.

Insomma, ne vedremo delle belle.

La Costellazione dei Cosmonauti è la stessa che dà il nome alla Canzone dei Cosmonauti, in qualche capitolo più indietro. Come la canzone è ispirata ai testi di Loreena McKennitt, in particolare a Penelope’s Song, anche la leggenda di Din e Ruusaan, completamene inventata da me, è ispirata alla storia di Ulisse e Penelope.

Vi aspetto al prossimo capitolo, dove ci sarà un bel po’ d’azione ed anche qualche lieto ritorno.

Vostra,

 

Molly.

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Capitolo 53
*** 44- La fuga ***


CAPITOLO 44

La fuga

 

ATTENZIONE: Alcune immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità. La mia vena poetica è altrettanto atroce, quindi regolatevi. 

 

La notte passò. Le lune ruotarono, le stelle solcarono il cielo, ma Obi Wan e Satine non si mossero. Rimasero per ore l’uno accanto all’altra a sussurrarsi parole all’orecchio.

Il padawan non avrebbe mai pensato che i Mando potessero essere così romantici. La duchessa aveva colto l’occasione per illustrargli la letteratura, le leggende, le canzoni, e perché no, anche la poesia. Erano rimasti per gran parte della notte vicini, a recitare poesie nel buio. 

Non che il ragazzo si considerasse un asso in letteratura, beninteso, però quello era uno dei pochi lussi che al Tempio si era concesso. Niente riviste discutibili, niente parole sconce o giudizi sui corpi delle loro compagne padawan, ma un buon libro di poesie ogni tanto sì, ed aveva il sospetto che Jocasta Nu fosse ormai edotta ampiamente sui suoi gusti personali in fatto di autori e, purtroppo, anche di temi.

Non era ignaro infatti delle occhiate curiose che la donna ogni tanto gli lanciava quando consegnava o ritirava altri libri. Si era accorto del suo stupore quando l’aveva visto prendere in prestito Le stelle stanno a guardare - raccolta di sonetti d’amore ed altri sentimenti. 

Da quella volta aveva fatto scomparire simili letture dentro il mantello - anche se aveva la certezza che la bibliotecaria lo sapesse - oppure venivano rigorosamente copiate a mano sui suoi taccuini personali, che nascondeva prontamente nel cassetto segreto nell’armadio della sua stanza. 

Quello che non sapeva era che la magistra era ben consapevole di questo, e puntualmente, quando il droide le consegnava l’inventario e lamentava che qualcuno aveva rubato qualcosa, le bastava scorgere i titoli per rendersi conto di chi fosse il ladro, e puntualmente annotava il prestito nei registri, mantenendo il suo segreto.

 

Possa il cielo annerirsi e la luna spegnersi

Possa il sole nascondersi dietro alla terra

Che la tua luce possa essere la sola

ad illuminare il mondo.

 

- E questa da dove spunta?-

Obi Wan abbassò gli occhi, sentendo l’imbarazzo crescere.

- Poesia Twi’leki.-

- Lo so. Non mi aspettavo che voi… Oh, non importa, lascia perdere. Devo ancora togliermi di dosso alcuni pregiudizi a proposito dell’apparente insensibilità dei Jedi.-

- Pensi che io sia un insensibile?-

- No, ma ci hanno insegnato che non provate emozioni. Per questo motivo mi suona strano che un Jedi conosca le poesie d’amore ryl. So che non è così e in ogni caso non importa. Tu sei diverso.-

E continuarono in questo modo, scambiandosi poesie o inventandone di nuove su due piedi.

 

La vita su questa terra

vive del soffio del tuo respiro

 

 

Ti darò acqua quando avrai sete

avrai fuoco contro le intemperie

ti darò l’aria quando ti mancherà il respiro

e avrai la terra da cui nutrirti,

l’ombra quando farà caldo,

la luce quando sarà buio.

 

 

Avrai i miei occhi

per vedere ciò che non vedi.

 

 

Se un giorno mi trovassi

ad esprimere un ultimo desiderio,

chiederei un tuo sorriso,

che portasse il sole un’ultima volta

 

 

Se un giorno mi trovassi

ad esprimere un ultimo desiderio,

chiederei un po’ di tempo

per rivivere una vita passata con te.

 

Non ho niente da offrirti

ma diventerei qualunque cosa,

soldato o scudo, in pace e in guerra.

 

Obi Wan all’epoca non poteva sapere che Satine avrebbe ricordato ogni poesia, anche le più brutte; che le avrebbe scritte, conservate con malinconia per tutta la sua vita, e che alcune di esse le avrebbe anche declamate. Suo nipote credette per lungo tempo che fossero un'invenzione bislacca di sua zia, ed invece avrebbe scoperto molto dopo che aveva tramandato le dolci parole che un giovane padawan le aveva sussurrato all’orecchio in una pacifica notte stellata.

Qui Gon e gli altri non seppero mai che cosa si dissero quella notte, e quando i tre si ritrovarono al mattino a colazione, il maestro parve non sospettare niente. 

Tuttavia, una chiacchierata con lui era più che necessaria, per cui fu lo stesso Obi Wan a cercarlo all’alba, dopo essere stato svegliato dal leggero trambusto nella stanza del maestro.

Così, bussò.

- Ragazzo. Di buon ora, questa mattina?-

- Ho bisogno di chiedervi consiglio. Posso meditare assieme a voi?-

Obi Wan era sempre stato molto meditativo e riflessivo, tuttavia non ci volle molto per capire qual era il vero problema che lo affliggeva. Qui Gon capì e lo invitò a meditare, sedendosi per terra ad occhi chiusi ed aspettando che il ragazzo si accoccolasse vicino a lui.

La Forza si rilassava sempre attorno a loro quando meditavano insieme. Ci avevano messo un po’ prima di riuscire ad andare d’accordo, ed ancora, a volte, faticavano a comunicare. Il maestro seguiva vie che potevano apparire incomprensibili agli occhi del giovane, e spesso si sentiva ferito dalle sue decisioni, ma dopo tanto tempo insieme e soprattutto da quando erano giunti su Mandalore qualcosa nella loro relazione si era rafforzato. Quella mattina la Forza era particolarmente favorevole, in sintonia tra di loro, ed Obi Wan ne approfittò per confidare molto di ciò che portava nel cuore. 

Era una fortuna che le persone sensibili alla Forza potessero sentire i pensieri l’uno dell’altro. Non avrebbe avuto le parole per spiegare il turbinio di emozioni che infuriava nel suo petto.

Obi Wan sapeva che la Forza seguiva vie misteriose e che l’unico modo per scoprirle era vivere nel presente e cogliere l’attimo quando la Forza stessa gliene avesse offerto la possibilità. Obi Wan, però, per sua natura, tendeva a guardare sempre oltre. Vivere nel presente per lui diventava complesso. Ci aveva messo anni per capire quale fosse il motivo per cui la Forza Vivente era così misteriosa ai suoi occhi, eppure era stato soltanto quando aveva conosciuto Satine che aveva compreso veramente quale fosse il suo problema.

Ho paura del dolore.

Il padawan era sempre un passo avanti agli altri ed era un grande vantaggio. Le sue percezioni nella Forza Unificante lo tenevano all’erta, ed era bravo a percepirla perché era lui, per primo, a ragionare in un modo analogo. Era calcolatore, sottile, una persona capace di leggere i sentimenti degli altri e di anticiparli. Non era una brutta dote, anzi, in un Jedi era ricercata. Il problema era non farsi dominare da essa, non pretendere di vedere troppo in là del proprio naso e lasciarsi guidare fino al momento giusto.

Purtroppo, Obi Wan scalpitava per anticipare sempre. Sapeva come sarebbero andate le cose e, forte di ciò, cercava di ottenere ciò che voleva prima del tempo. 

Spesso, questo cambiava gli equilibri così tanto da ribaltare una situazione che all’inizio era stata a lui favorevole. 

Adesso capiva il perché di tante cose. 

Se anticipava gli eventi, li controllava, e se li controllava, impediva alle persone di fargli male.

In fondo, era stato ciò che lo aveva mandato in crisi con il Consiglio Jedi. Nel tentativo di essere ciò che loro volevano che lui fosse, aveva perso se stesso. Era stato così concentrato nel prevedere che cosa avrebbe dovuto fare per essere nel giusto, riabilitarsi e diventare ciò che desiderava di più al mondo da perdere il concetto di sé.

In questo senso, conoscere Satine ed attraversare lo strazio di un corpo mortalmente ferito gli aveva insegnato ad apprezzare la bellezza di un mondo che non corre, dove ogni momento è una preziosa conquista, un dono che ha molto da insegnare. Mentre meditava cercando di guarire, aveva sperimentato molto con la Forza Vivente, trovandovi spesso conforto. Nei momenti difficili, tuttavia, Obi Wan continuava a correre in avanti, a pensare prima del tempo.

Quello era uno di quei momenti.

Satine era diventata un problema, ma in senso buono. Lei era la cosa più bella che gli fosse capitata da un pezzo a quella parte e alla fine, forse, era la cosa più bella in generale. La Forza aveva voluto condurli insieme, su questo non c’erano dubbi, ma non era stata per niente chiara su quello che sarebbe avvenuto poi. 

La sua mente già correva.

Ho passato una vita intera cercando di essere un Jedi perfetto.

Il Venerabile ha detto che sarei un buon duca consorte.

La vita dei Jedi è solitaria, ma abbiamo la Forza, la cui pratica diversamente abbandonerei.

La politica non mi piace per niente, ma Satine mi basterebbe.

La Forza mi ha portato da lei perché sono un Jedi, altrimenti non avrei mai percepito nulla di tutto ciò.

Ma perché mi ha portato da lei?

Per farmi lasciare l’Ordine e giocare una partita più significativa su Mandalore, dove non sarei uno tra i tanti, ma il duca consorte?

Una profezia le ha indicato un’altra via. Potrei non esserci io. Oppure andrà così perché io sceglierò di non esserci? Le visioni mi confondono sempre.

La Forza non mi indica niente di sbagliato quando sono con lei, anzi, sembra la cosa più giusta della galassia.

Altrimenti? Lasciarmela alle spalle e diventare un Jedi migliore grazie a quello che lei mi ha dato?

E’ questo che è lei, per me? Il mio futuro, o solo la persona giusta al momento giusto, e tanti saluti?

Che cosa dovrei fare, maestro?

L’uomo ascoltò con grande pazienza. Era una bella domanda, per la quale non aveva una risposta. Non era ingenuo al punto tale da non vedere che la duchessa gli aveva portato beneficio. Gli episodi in cui Obi Wan andava letteralmente in paranoia da quando erano arrivati su Mandalore erano drasticamente diminuiti, ed aveva immaginato - correttamente - che ci fosse lo zampino di una bionda di sua conoscenza. 

Quello che il padawan pensava era perfettamente lecito, e non si trattava di domande da poco su azioni minimali, come quelle su cui si era spesso crucciato per fare bella figura agli occhi del Consiglio. No, quelle erano domande esistenziali, domande importanti, la cui risposta avrebbe cambiato per sempre il corso della sua vita.

Il problema, dunque, non era dove la Forza lo avrebbe condotto, ma se sarebbe stato in grado di gestire l’eventuale risposta. 

Sai cosa devi fare, figliolo.

E lo sapeva, sì. Doveva aspettare. Soltanto aspettare un segno della Forza, un indizio che gli permettesse di prendere una decisione. 

Un Jedi ed una Mando, non funzionerebbe mai.

Non è detto. Satine sta portando un grande cambiamento su questo sistema. Non correre, Obi Wan. Fermati a pensare. Che cosa dice la Forza Vivente?

C’è attesa.

Per cosa?

Non saprei, ma la Forza è in allerta. Non so se sono io… 

Se la Forza è in attesa, tu attendi con lei.

Era una parola.

Obi Wan sbuffò.

Perché hai paura, figliolo?

Perché, non lo so, ma ho paura di tutto. Di perdermi, di perdere voi, di perdere lei. 

Potrebbe succedere per qualsiasi cosa, indipendentemente dal futuro che ti aspetta, su Mandalore o meno. Sei pronto a farvi fronte?

Non lo so, mi sembra inimmaginabile.

E allora immagina. E preparati. La Forza può darti due strade: Satine o l’Ordine. Se ti guidasse da lei, saresti disposto a lasciarci? E se invece ti guidasse da noi, saresti disposto a lasciarla?

Non posso avere la botte piena e la moglie ubriaca, vero?

Qui Gon si accigliò nella meditazione.

Lo prendo per un no.

Il padawan sospirò di nuovo ed aprì gli occhi.

Sapeva che cosa doveva fare.

- Grazie, maestro. Ne avevo davvero bisogno.-

L’uomo non disse nulla, mentre accompagnava il ragazzo sulla porta.

- Ci vediamo a colazione, figliolo.-

- Sì.-

Ma il maestro ci ripensò. Una donna molto saggia un giorno gli aveva detto che non poteva vivere di indizi, e che aveva bisogno di donare un pezzettino di sé alle persone che aveva intorno.

In fondo, Obi Wan e Qui Gon non erano molto diversi. Entrambi avevano paura del dolore. La differenza fondamentale era che il maestro aveva dovuto imparare attraverso la via più dura. Obi Wan, invece, era dotato di un’introspezione sufficiente per capirlo da sé.

- Sei cresciuto molto.- gli disse, prima che si chiudesse in camera ad attendere la colazione.- Non so se è merito di una certa duchessa o no, ma hai lavorato bene, benissimo. Sei stato bravo e hai ancora un grande margine di miglioramento. Quello di cui sono più fiero, però, è ciò che io non ti ho potuto insegnare. Non solo hai talento per fare il Jedi, o il duca consorte, o quello che sarà. Quello, volendo, si impara. No, tu sei un bravo ragazzo, e, cosa più importante, stai diventando un brav’uomo.-

Qui Gon non era tipo da lanciarsi in complimenti sperticati, soprattutto dopo la bruciante delusione inflittagli dal suo precedente padawan.

Le parole del suo maestro riempirono il ragazzo d’orgoglio e, soprattutto, di affetto nei suo confronti.

Forse la strana coppia funzionava davvero, nonostante tutti i timori del Consiglio.

Alla faccia di Yoda, che ha rimpianto la sua decisione.

- Quindi, figliolo, fai un favore al tuo vecchio e non cambiare quello che sei. Adesso che ti stai ritrovando, non perderti. Non permettere ad altre persone o alle circostanze di cambiare ciò che sei diventato. Pensa venti volte prima di fare qualcosa e domandati sempre: lo farebbe Obi Wan perché pensa che sia giusto, o lo farebbe il Consiglio, per cui Obi Wan si adatta? E’ ora che tu cominci a darti un po’ di credito, direi. Il Consiglio non è infallibile, e non lo è nemmeno il tuo vecchio. Nemmeno tu, beninteso. Non montarti la testa. Semplicemente, su un tot di volte in cui sbagli, c’è anche una percentuale piuttosto alta di volte in cui ci prendi.-

Obi Wan ghignò.

- Satine adesso vi darebbe un abbraccio.-

L’uomo sparì dietro la porta.

- Non ci provare.- 

 

La colazione fu estremamente amichevole. Obi Wan e Satine si scambiarono un sorriso tenero sulla porta e il Venerabile gli strizzò l’occhio.

Chiacchierarono del più e del meno. L’anziano saggio sapeva che Satine non avrebbe potuto rivelare niente sulla sua prossima destinazione, in caso alcune orecchie indiscrete stessero ascoltando con lo scopo di riferire al dittatore. Così, non fece troppe domande.

In compenso, preferì rivolgersi ai due portatori di pace, come li aveva definiti Satine, e provare a capire quale fosse la loro origine.

I due mentirono abilmente. Citarono il clan Bauer, Hohenbauer o quello che era, ma il vecchietto non la bevve. Ammiccò al poncho e al mantello in più di un’occasione.

- Fa così freddo, qua dentro? In caso, posso chiedere di alzare il riscaldamento. Sapete, qua è autonomo.-

I due rifiutarono con garbo, ma avevano la sensazione che il buon vecchio Venerabile la sapesse più lunga di quanto desse a vedere.

- Bene.- fece ad un certo punto, alzandosi.- Se non vi dispiace, adesso devo proprio andare. Abbiamo una plenaria tra un’ora. Discutiamo ancora, per quel poco che il dittatore ci lascia discutere, ma almeno è qualcosa. Per parte nostra cerchiamo di mantenere in vita quel poco di diritto che quel dar’manda non ha ancora cancellato, anche se temo che lo faccia più per tornaconto politico che per effettiva tradizione…-

Ma non fece in tempo a finire la frase, che una guardia armata si scapicollò dentro le sue stanze.

- Venerabile! Navicella in avvicinamento! E’ un incrociatore, non dei nostri, ed è pesantemente armato. Non risponde ai segnali e si dirige sopra di noi!-

La descrizione lasciò poco spazio all’immaginazione.

I cacciatori di taglie erano venuti a prenderli.

Satine si trovò a pensare rapidamente, ma sapeva di non avere certezze. 

Intanto, non sapeva più chi erano. 

Non sapeva, inoltre, se la taglia sulla sua testa fosse aumentata o meno, o se Vizla avesse dato ai cacciatori assoluta licenza di uccidere chiunque si frapponesse tra loro e l’obiettivo, anche se questo qualcuno sarebbe stato il Venerabile.

Se si fosse consegnata, forse - e solo forse - avrebbe salvato i Saggi, ma non ne aveva la benché minima garanzia. 

Aveva imparato a sue spese che la moralità non faceva parte delle tradizioni dei Vecchi Mandaloriani.

No, degli estremisti. I Vecchi Mandaloriani, probabilmente, si stavano rivoltando nella tomba per quel paragone.

La soluzione più rapida e indolore prevedeva farsi inseguire dall’incrociatore e poi ingaggiare battaglia in campo aperto con lo shuttle alderaniano che avevano. In quel modo, almeno, avrebbero allontanato l’attenzione da Bral.

Questo, però, portava problemi.

Innanzitutto, perché i senaar non erano più lì - o almeno così credeva - e se fossero fuggiti avrebbero avuto bisogno di un mezzo di trasporto celere per poter battere i riflessi della navicella di ultima generazione dei cacciatori. 

Nemmeno a dirlo, quei mezzi non li avevano.

Trovarono inaspettatamente una buona spalla nel vecchio Venerabile, che si erse in tutta la sua traballante statura e disse, deciso:

- Questi farabutti stanno attaccando la nostra cittadella. Una cosa del genere non si è mai vista. Se periremo tutti, avremo la soddisfazione di essere rimasti loro sullo stomaco. Alle armi! Oggi Bral si difende, e si ricorderanno bene di che pasta è fatta la giustizia!-

Poi, allungò loro le chiavi di uno speeder.

- Questo è il mio. E’ un po’ scassato, ma funzionerà. Andate, finché siete in tempo!- 

Satine indugiò qualche minuto in più per ringraziare il Venerabile, che però sembrava assorbito in altre faccende.

- Allora, dove sono le alabarde? Sì, sì, duchessa, non preoccupatevi. Fate un favore a questo vecchio e ricordatevi di me, quando tutto questo sarà finito, volete? Sì, le padelle ci serviranno. No, tu a sinistra! E tu, le hai barricate le porte principali? Armate le finestre coi fili di piombo! Oggi qua dentro non entra nessuno! Sì, duchessa, siate felice, eh? Mi raccomando! Muoversi, con le beskar’gam! Già ci vorrà un’eternità ad indossarle! Oh, perdiana, mi sento un giovanotto!- 

I tre, dunque, salirono di corsa le scale per raggiungere la superficie, sotto la cupola, ma in quel momento l’intera cittadella tremò.

Il suono dei cannoni al plasma che si infrangevano contro la cupola era assordate. Satine si coprì le orecchie con le mani, mentre i due Jedi riparavano sotto un trave per evitare il pietrisco che pioveva dal soffitto. Obi Wan afferrò la duchessa e la strinse forte, cercando di coprirla.

Passare dalla cupola era un problema. Se avevano preso di mira quel punto, era probabilmente per distruggere lo spazioporto, e c’erano grandi possibilità che lo speeder scassato del Venerabile fosse ormai ridotto in cenere. 

Tra un piccolo terremoto e l’altro, riuscirono a raggiungere la spianata sulla quale si ergeva la cupola, e lo spettacolo, purtroppo, fu impietoso. 

Non c’era rimasto quasi nulla. Lo spazioporto era completamente distrutto, le guardie stavano facendo del loro meglio per riuscire a contenere i danni, ma erano pochi e male armati, e sparsi per tutta la cittadella. Il Venerabile, giustamente, aveva dato ordine che venissero puntellati gli accessi principali, per cui molti erano finiti a rinforzare le finestre o il portone che dava sul canyon, mentre i soldati che restavano proteggevano la cupola o trottavano in giro per la cittadella alla ricerca di beskar ed armi.

Che erano ovviamente poche in una città di giudici.

Fuggire a quel modo era praticamente impossibile.

Così, i tre tornarono dentro di corsa, nella speranza di trovare ancora il Venerabile nelle sue stanze intento a mettersi la beskar’gam addosso.

In effetti, lo trovarono che borbottava inviperito assieme al vecchio Vercopa.

- Quell’impostore infingardo, ha osato infrangere una delle poche leggi di Mandalore ancora rimaste in piedi. Quel farabutto, ha mandato i cacciatori di taglie! Ah! Nemmeno la faccia tosta di presentarsi di persona! Ah, ma nessuno entra dentro Bral. Se lo può scordare!-

- Venerabile?-

- Ah, ma ancora qua, siete?-

Satine gli restituì le chiavi dello speeder con amarezza.

- Che, non parte?-

- Mi sa che non partirà mai più. E’ in fiamme nello spazioporto, o in quello che resta di esso.-

Il Venerabile si infuriò quanto poteva infuriarsi una persona della sua età.

- Venerabile, nessuno meglio di me capisce la voglia che avete di dirne quattro a Vizla, ma dobbiamo organizzarci. Così non ne usciremo mai. Ci serve un buon piano!-

L’anziano diede ordine che gli facessero il tè.

Un piano è buono tanto quanto è buono il tè di fronte al quale si progetta, aveva sentenziato, sedendosi a tavola in un tintinnar di beskar. 

Quello sarebbe stato un consiglio di cui Obi Wan avrebbe fatto tesoro negli anni a venire.

Mandare un segnale di soccorso ad Inga Bauer era fuori questione, non solo per una questione di orgoglio, ma anche perché la donna aveva fatto capire loro chiaro e tondo che non aveva risorse da mandare. 

Avrebbero dovuto arrangiarsi. 

Il vecchio Venerabile, allora, tra un tremolio e l’altro scatenato dall’incedere dei cannoni, sorseggiò tè e diede loro la notizia.

Il senaar che Satine aveva molto cordialmente introdotto all’interno di Bral era stato ben felice di restare, e così la sua allegra famigliola. Il tupé che aveva sgranocchiato doveva essere stato di suo gradimento, perché i tre uccelli erano stati trovati quella mattina a vagare fuori dal portone in attesa di qualcosa da mangiare. Un bambino li aveva visti e li aveva portati dentro, ed erano rimasti a spiumarsi non visti da nessuno in un angolo del portico al piano terra.

Quindi, un modo per fuggire, volendo, lo avevano anche senza lo speeder. 

Il problema, però, era che se i tre avessero scelto la via più semplice, ovvero uscire dal portone principale a cavallo degli uccelli di terra e filarsela il più presto possibile, ciò non avrebbe salvato Bral, né il Venerabile, né alcuno dei Saggi. Non conoscevano gli ordini che Vizla aveva impartito e, per quanto ne sapevano, potevano anche essere autorizzati ad ucciderli tutti.

Dovevano elaborare un’altra strategia.

La fuga a bordo dei senaar era inevitabile, tuttavia dovevano attirare l’attenzione su di loro. 

Ad Obi Wan quel piano non piaceva di più di quello adottato a Khader, ma ne comprendeva la necessità ed avrebbe fatto la sua parte per portarlo a termine.

Come ogni cittadella fortificata che si rispetti, Bral era dotata di cupola di metallo. Sollevare la cortina di ferro significava tagliare fuori ogni attacco dei cacciatori di taglie, che però avrebbero potuto spostarsi sulla facciata e distruggere tutto.

Ecco, quello era un gran bel però: per quale motivo non l’avevano fatto prima?

Sarebbe stato più semplice. Butti giù un po’ di cose, entri, prendi la duchessa e te ne vai incontrando zero resistenza, se non qualche anziano mezzo sommerso dalle macerie.

Perché, dunque, avevano scelto di attaccare dall’alto?

Per venerazione?

Vizla poteva aver perso il rispetto del Consiglio dei Saggi, ma non i suoi mercenari. Se così fosse stato, significava che c’era un’ampia abbondanza di Mando nella squadra appena inviata. 

Il che non era un bene, ma almeno spiegava un po’ di cose.

In caso contrario, invece, potevano essere tutti stranieri e non conoscere il significato di un attacco del genere.

Poteva anche trattarsi di un problema di spazio. L’incrociatore poteva essere troppo grande per calarsi dentro al canyon e colpire la facciata.

Oppure, Larse Vizla aveva dato ordine di prendere soltanto lei e di non distruggere Bral.

Insomma, un bel rompicapo.

Scoprire le vere ragioni era di vitale importanza per il loro piano di fuga, ma purtroppo non avevano tempo. 

- La cortina a che punto è?-

- Stanno mettendo in moto il meccanismo, ma non è mai stata sollevata. Nessuno ci aveva mai attaccato prima.-

 

Finirono con l’escogitare un altro piano alla Kryze, folle e disperato, ma non avevano altre alternative.

Satine avrebbe finto di consegnarsi ai cacciatori, sperando che questo se non altro offrisse il tempo necessario per avviare la cortina di ferro. Certo, questo non le avrebbe impedito di difendersi, e i due Jedi avrebbero combattuto per farla fuggire. Il piano era, una volta messa un sicurezza Bral, gettarsi giù dal canyon per afferrare i senaar, portati nel frattempo fuori dal portone, e filare via di corsa sfruttando l’ombra delle pareti di roccia per non essere visti. 

Il problema sarebbe stato il campo aperto, dove avrebbero dovuto combattere apertamente e sfuggire ai cannoni, ma se i senaar avessero corso a tutta birra e se i due Jedi avessero combattuto al massimo delle loro possibilità, probabilmente sarebbero riusciti a farla franca.

Un altro bellissimo piano.

Gli occhi del Venerabile brillarono mentre percorrevano le figure dei due uomini.

- Portatori di pace, senza dubbio. Ed eccellenti guerrieri, se riescono a tenere testa a dei cannoni al plasma.-

I due non dissero niente, ma Vercopa strizzò loro l’occhio e infine, consapevoli che il loro segreto era stato svelato, decisero di mettere in azione il loro piano disperato. 

Un vecchietto incartapecorito più del Venerabile e di Vercopa si era piazzato alla radio e stava provando a farla funzionare.

- Qualcosa non va?-

- Non capisco. In che lingua è scritto?-

Il vecchietto strizzava gli occhi e sfiorava il naso adunco sulla pagina alla ricerca delle istruzioni. Vercopa si avvicinò, con fare curioso, poi sospirò.

Afferrò il libro per la parte superiore e poi, senza troppi complimenti, lo ribaltò sotto sopra.

- Oh, ora sì che ci capisco!-

Vogliono combattere una battaglia contro i cacciatori di taglie con un tecnico radio che deve leggere le istruzioni, e per giunta al contrario, e non se ne accorge.

Obi Wan avrebbe tanto voluto battere un palmo sulla fronte, ma si trattenne.

- Mettiti gli occhiali, Mu’Na!- gli disse Vercopa, piazzandogli sul naso aquilino due grossi lenti a fondo di bottiglia.

Il tecnico, in verità, una volta compreso che stava leggendo al contrario, dopo aver percorso con la calma della Forza tutte le righe con il dito nodoso, ci mise tre secondi a far funzionare il sistema.

Il vegliardo, dunque, era ancora molto in filo con il cervello, quando si trattava di fare le cose per cui era specializzato.

Ben presto intercettò il segnale della navicella ed inviò una richiesta di contatto.

Ricevettero subito risposta e il fuoco cessò immediatamente.

Satine si piazzò al commlink, e l’immagine olografica di un Mando con l’elmo in testa e il tridente bianco della Ronda della Morte disegnato sul petto parlò.

- Non siamo qui per parlare. O vieni con noi viva, o vieni con noi morta.-

Satine non replicò, ferma sulle gambe ben piantate al pavimento.

- Non ho intenzione di parlare. Intendo venire con voi, ma ad una sola condizione.-

- Non sei nella posizione di dettare condizioni.-

- Bral non deve essere distrutta e i Saggi non devono essere uccisi.-

L’uomo non commentò e rimase pensieroso per un momento.

- Sì. Non abbiamo ordini in proposito. Va bene. Venite fuori, tutti e tre, con le mani in alto.-

Tutti e tre?

Beninteso, lei non sarebbe di certo uscita da sola, ma non si era aspettata che i cacciatori avessero un triplice ordine.

E per quale motivo volevano anche i Jedi?

 

Quando uscirono dalla cupola, l’incrociatore era già atterrato nel deserto. 

La vetta del canyon non era difforme dai suoi meandri. Una spianata bianca, brillante, sabbiosa e sassosa, brulla, senza nemmeno un animale o una foglia. 

Satine, i piedi piantati nella polvere sollevata dal vento caldo, era vestita di tutto punto, capo coperto ed occhiali sul naso, zaino in spalla e la sua fedele lancia al fianco pronta per essere usata. 

I due Jedi non si erano ancora azzardati a prendere le spade laser, ma lo avrebbero fatto alla prima occasione buona.

Dalla rampa dell’incrociatore erano scesi tutti i cacciatori, in pompa magna ed in pieno dispiego di armi.

La squadra era aumentata di numero, ma non di molto. La prima a scendere fu, nemmeno a dirlo, Reeta Woves, che era chiaramente a capo del gruppo. Alle sue spalle c’erano tre Mando, uno di più dell’ultima volta in cui avevano combattuto, tutti con il simbolo della Ronda della Morte sul petto. Il trandoshano era sempre lo stesso contro il quale avevano combattuto su Krownest, ma adesso aveva collezionato una bella cicatrice su un occhio, forse frutto della fuga nei boschi o del combattimento con Qui Gon, questo Obi Wan non lo sapeva. 

Si era aggiunto al gruppo un quarren, in sostituzione dello zygerriano che aveva tragicamente perso la vita contro lo spettro.

I tre rimasero immobili nella sabbia bianca, mentre il vento spirava leggero.

- Per quale motivo avete voluto anche i miei protettori? Saxon ha chiesto vendetta?-

Reeta Woves le rispose con una risata sardonica.

- Perché devono morire tutti. Sono jeetise, devono sparire dalla faccia della galassia, e Vizla li vuole morti. Saxon non conta così tanto, ma quello lì - disse, indicando il padawan - è assai carino. Potrei farmici un giro prima di decapitarlo.-

Ancora?

Ma sono assatanati questi terroristi!

Satine strinse i pugni.

La donna fece segno ai due Mando.

- Prendeteli. Mettete loro i collari e toglietegli le spade laser. Se si muovono, sparate.-

E si mossero, infatti. Subito. Sguainarono le spade prima che i Mando potessero toccarli e i due balzarono indietro, colti alla sprovvista. 

Satine estrasse la sua lancia di beskar e fece scattare la molla.

I cacciatori risero.

- Ma non eravate pacifista, duchessa?- fece il quarren, calcando bene la parola come se gli facesse schifo.- Avete intenzione di cuocerci tutti allo spiedo?-

- Ci sono molto modi per usare una lancia.-

- Adesso falla finita e vieni con noi.-

- Ah.- fece la ragazza, alzando una mano.- Io vi ho detto che sarei venuta con voi e che voi avreste lasciato in pace Bral e i suoi cittadini per questo motivo. Non vi ho detto che vi avrei seguito senza combattere.-

Un colpo di blaster partì nella loro direzione, ma Qui Gon fu lesto a pararlo e il proiettile si schiantò contro lo spazioporto distrutto e fumante.

Ripensandoci, adesso c’era un’altra possibilità di fuga. Estrema, certo, ma pur sempre presente, e se fossero riusciti a sconfiggere i cacciatori c’era da approfittarne.

Un commlink suonò.

Reeta Woves guardò il braccio, dove il segnale di comunicazione si accendeva e si spegneva. Premette il tasto e il volto di Larse Vizla si diffuse azzurrognolo nell’aria.

- Sto arrivando con l’esercito.-

La donna cambiò posizione del corpo e sembrò visibilmente infastidita.

- Non capisco perché. Ce l’abbiamo. Si è consegnata.-

- Non crederle. Ha sicuramente qualcosa in mente. I Saggi hanno tradito. I Saggi moriranno. I Jedi sono solo due. Sarò io a portarla via.-

La donna scosse il capo ed Obi Wan poteva dire che era furiosa anche da sotto l’elmo.

- E il pagamento?-

Silenzio.

- I crediti, Vizla.-

L’uomo sollevò un sopracciglio, senza cambiare espressione.

- Il vostro è un lavoro ingrato, Woves. A volte va bene, a volte no.-

Il quarren si mise a ridere.

- Lo sapevo che non avrei dovuto accettare!-

Ma Satine, ormai, non ascoltava più. La querelle tra cacciatori non la interessava davvero.

Ciò che l’aveva congelata era stato sapere che Vizla stava marciando con l’esercito in direzione della cittadella, e che doveva essere molto vicino per poter permettere ai cacciatori di taglie di andarsene senza target e senza bottino, perché tanto ci avrebbe pensato lui.

E i Saggi?

Adesso era praticamente certa che sarebbero morti tutti.

E’ solo colpa tua.

Lanciò un’occhiata disperata ai due Jedi, che si stavano guardando e probabilmente stavano parlando con la loro magia, come al solito.

- Niente da fare, Vizla, la grana ci hai promesso e la grana sgancerai. La prendiamo in custodia fino a che non ci avrai dato i soldi che ci devi dare e te la consegneremo non appena vedremo il tuo esercito. Ragazzi, prendetela e facciamola finita. Decapitate i Jedi, se necessario.-

Reeta Woves chiuse la chiamata per non parlare oltre con il dittatore, e il gruppo si lanciò all’attacco.

I tre non avevano avuto molto tempo per pensare, ma adesso anche la fuga con i senaar sembrava compromessa. Da dove sarebbe venuto Vizla? Se non avessero prestato attenzione, gli avrebbero trottato incontro per raggiungere lo shuttle!

Non c’era tempo per pensare, però, perché i colpi arrivavano da tutte le parti. Satine combatteva bene, menando fendenti a destra e a manca, stordendo e mai ferendo, o uccidendo. Aveva ragione, del resto. Una lancia non era uno spiedo per porg e c’erano molti modi di usarla.

Cinque cacciatori, però, erano troppi anche per due Jedi.

Beninteso, un guerriero della Forza poteva fare cose più folli che affrontare cinque persone contemporaneamente. Il problema sorgeva quando le cinque persone in questione erano guerrieri senza scrupoli armati fino ai denti e senza un briciolo di morale, che colpivano giocando sporco e, soprattutto, erano in buona parte Mando, addestrati da un gruppo terroristico di una violenza brutale ed equipaggiati di tutti gli arnesi di questa galassia studiati apposta per annientare un Jedi.

Reeta Woves provò a portarla via. La afferrò per le spalle e la trascinò in alto con il jetpack, ma Satine era pronta. Con un’agile torsione del busto, afferrò il pugnale dentro la scarpa e accoltellò l’armatura, smagnetizzandola e facendo staccare il jetpack. 

Le due fiondarono a terra come un sacco di patate. 

Satine crollò sopra la donna, che si lamentò, ma era protetta dal beskar e non si fece seriamente male. 

La duchessa rotolò via con un balzo felino ed afferrò il blaster della cacciatrice prima che potesse recuperarlo.

Lo gettò prontamente tra le fiamme dello spazioporto. 

Nel frattempo, Obi Wan e Qui Gon erano occupati con un Mando a testa. Il quarren era toccato al giovane, mentre il trandoshano aveva un conto in sospeso con il maestro.

Se qualcuno avesse assistito a quel combattimento, lo avrebbe trovato memorabile. I Jedi volteggiavano alla velocità della luce e sapevano parare colpi in un battito di ciglia. La duchessa, invece, faceva da contorno. In attesa che Reeta Woves si riprendesse, si era dedicata alla neutralizzazione delle armi nemiche. Spaccò con un solo gesto il jetpack di un Mando, mentre con un altro fendente distrusse il bracciale di un altro. 

Le funi penzolarono giù da quell’arnese ormai inutile, e l’uomo lo gettò via con un grugnito di disappunto.

Il quarren la afferrò per i capelli e tirò forte, facendola urlare. Obi Wan avrebbe tanto voluto lanciarsi all’inseguimento, ma era braccato da un cacciatore e non riusciva a muoversi dalla sua postazione.

Osservò con orrore mentre la trascinava via nella polvere, tirandola per i capelli.

Satine, però, non era ancora vinta. Schiantò il fondo della lancia contro il piede del quarren, che sobbalzò e gridò di dolore. 

A quel punto, Satine gli lanciò una manciata di terra negli occhi, facendolo incespicare nei suoi stessi piedi e mettendolo a tappeto.

Qui Gon era riuscito a stordire il trandoshano, di nuovo.

Ha la guardia bassa. Ancora.

Reeta Woves, nel frattempo, pareva essersi ripresa, ma si era tolta l’elmo, scuotendo il capo per riprendere cognizione di sé. Una nuvola di ricci rossi cadde sul suo collo e, se ci fosse stato il tempo e se non si fosse trattato di una pazza assassina, probabilmente Qui Gon l’avrebbe trovata anche una bella donna.

Mentre Satine riprendeva fiato e si preparava a fronteggiarla, fu costretta a constatare con grande dolore che quella donna micidiale e accecata dall’odio assomigliava tremendamente a sua sorella Bo.

Non è lei.

Non ci pensare.

Ci sono altri problemi al momento.

Ed infatti il problema erano i due Mando, che non avevano intenzione di cedere un briciolo di terreno. In quei casi, l’unica cosa che i due Jedi potevano fare era ferirli, anche solo leggermente, per guadagnare tempo e fuggire via da Bral. 

In quel modo avrebbero anche potuto rubar loro la navicella e fuggire nel nulla prima che l’esercito di Vizla arrivasse a prendere possesso della cittadella. 

Sembrava l’unica soluzione possibile, dato che fuggire a bordo dei senaar era diventato impraticabile.

Obi Wan scartò di lato, spalla a spalla con Qui Gon, e in un colpo solo corrosero la visiera dell’elmo dei due Mando, impedendo loro di vedere dove stessero andando e che cosa stessero facendo.

I due, temendo che il vetro della visiera si incollasse alla loro pelle, cercarono di rimuovere l’elmo immediatamente.

Maestro e padawan scattarono in avanti.

Afferrata Satine per un gomito, la spinsero correndo a perdifiato verso la navicella, ma furono fermati.

Obi Wan fu costretto a voltarsi per parare un colpo di blaster, e proprio quando stava per ricominciare a correre Reeta Woves lanciò una serie di lacci contro di lui, afferrandogli la gamba e facendolo precipitare al suolo.

Obi Wan li recise prontamente, ma ormai i cacciatori erano loro di nuovo addosso ed avevano capito il loro piano.

Qui si mette male.

Satine si avventò sul Mando, impavida. Saltò come un gatto e circondò la sua testa con le gambe, gettandolo a terra. 

Niente male. Questa devo impararla anche io.

Poi, prese un blaster e sparò a bruciapelo al polpaccio del quarren, ferendolo senza altre conseguenze se non quella di azzopparlo lievemente e temporaneamente. 

La duchessa si rialzò nel clamore generale, mentre i due Jedi ancora combattevano, ma non aveva fatto i conti con Reeta Woves, che la afferrò per i capelli e le sferrò un violentissimo pugno in volto con le dita coperte di beskar.

Obi Wan fu distratto dalla vista del sangue. Satine cadde a terra con un tonfo sordo, confusa ed apparentemente incapace di stare in piedi, ma ciò che lo aveva freddato era stato lo sbuffo di sangue, la nuvola di vapore rosso che sembrava ancora galleggiare nel vento là dove prima c’era stata la sua testa. 

Si parò davanti a lei, ma ormai aveva perso tempo. Fu legato, ancora una volta, dall’unico bracciale Mando rimasto integro, e ben presto capitolò anche Qui Gon, ultimo loro baluardo, colpito ad una gamba da un colpo di blaster a bruciapelo.

Satine era una maschera di sangue. Per fortuna l’aveva colpita di striscio, evitando di farle saltare i denti, ma la botta era stata potente e il beskar aveva graffiato e tumefatto le labbra, che stavano spargendo sangue a profusione sul mento e sulle mani.

La guancia stava diventando viola.

Medita.

E il ragazzo chiuse gli occhi per equilibrarsi, per pazientare. Non sarebbe passato al lato oscuro, no, anche se in quel momento voleva soltanto fare molto male alla Woves e a tutti i cacciatori.

Medita. Lei non lo vuole. Medita.

Ma ormai era chiaramente finita. Non c’era altro da fare. I cacciatori avevano vinto e loro ne erano usciti sconfitti. Presto sarebbe venuto Vizla. Avrebbe preso Satine. Le avrebbe inflitto degli orrori indicibili e solo dopo, forse, sarebbe morta.

Ci sono vari modi di uccidere una donna.

Non sempre implicano la morte fisica.

Abbiamo fallito.

Un potente rumore di corno si levò in lontananza.

 

Aspetta. Che cos’è questo suono? 

Fu quel pensiero a distoglierlo dal suo stato di meditazione forzata. Sulle prime aveva pensato che si trattasse di Vizla e la disperazione si era impadronita di lui, ma dopo aver incrociato lo sguardo con gli occhi trionfanti di Satine aveva cambiato idea. 

Chiunque fosse, la ragazza era contenta di sapere che stava arrivando.

Un’idea gli attraversò la mente e fu presto confermata dai cacciatori di taglie.

- Haar’chak!- tuonò Reeta Woves, passandosi una mano nei capelli rossi.- Presto, portiamola via prima che sia troppo tardi!-

Li spinsero in ginocchio con la forza e Satine barcollò cercando di trovare l’equilibrio.

- Un’ultima volta.- disse la ragazza, lanciando uno sguardo consapevole ai due uomini.- Un’ultima volta.-

Qui Gon annuì ed Obi Wan fece lo stesso.

Ci sta chiedendo di combattere ancora.

Sa che cosa fa.

I due Jedi spinsero indietro i cacciatori con la Forza e si alzarono in piedi, malconci, con le spade laser sfoderate.

Il quarren e il trandoshano evidentemente non avevano compreso il rischio che stavano correndo, perché se la ridevano di gusto. I tre Mando, invece, sembravano sinceramente preoccupati.

Bene.

Poi, all’improvviso, prima che i due potessero ingaggiare battaglia, un potente ruggito si levò dalle pareti del canyon.

Il gruppo si zittì improvvisamente.

- Che cosa è stato?-

- Sembrava un animale.-

E Satine rise. Sorrise nonostante le labbra spaccate, perché non le sembrava vero.

Il vento aumentò.

- Copritemi le spalle.- disse loro, alzandosi in piedi e preparandosi a correre.

- Satine, capite che ormai è difficile…-

- Non è finita. Non ci prenderanno mai. So come fuggire da qui, ma dovete coprirmi le spalle.-

E con tutte le volte che aveva salvato loro la vita, con tutte le volte che i suoi folli piani erano andati a buon fine, non potevano dirle di no.

Ingaggiarono battaglia disperatamente, ancora una volta, mentre la duchessa attraversava di corsa il deserto fino allo strapiombo.

- No!- urlò la Mando, correndole dietro.

Satine, però, si buttò giù, nel vuoto, prima che potesse raggiungerla e sotto gli occhi attoniti dei due Jedi e degli altri cacciatori.

La battaglia si fermò per un momento. L’aria si fece tesa.

I due Jedi sgranarono gli occhi.

Satine era viva, su questo non c’erano dubbi. Ciò che però li aveva stravolti era l’incredibile creatura, grande come un palazzo, che percepivano dentro al canyon e che stava lentamente risalendo. 

La testa bionda di Satine spuntò dallo strapiombo, mentre un paio di grosse ali bianche e brillanti come pietre preziose spuntavano dall’abisso.

Spuntò anche il resto di lei, gli occhi e il viso macchiato di sangue, il corpo e le gambe piegate per reggersi in equilibrio su una testa mostruosa, che mostrava denti e ruggiva con astio contro il gruppo di cacciatori di taglie.

Era la creatura più incredibile che avessero mai visto. Era bianca come il deserto, costellata di spine e coperta da una pelle opalescente che si mescolava ad un delicato strato di pelo bianco sotto al collo. Un paio di aristocraticissimi baffi da pesce gatto le pendevano dal naso sottile, sotto al quale torreggiavano file e file di denti aguzzi ed acuminati.

Aveva gli occhi più belli di ogni altra creatura: blu, viola, rosa, pagliuzze dorate. Due galassie solcate da una pupilla verticale come un buco nero.

Ed era arrabbiata, molto arrabbiata.

Persino i cacciatori fecero un passo indietro mentre la bestia ruggiva e un filo di bava pendeva dalla sua bocca schiumante di rabbia.

Seduta tra le creste sul dorso, c’era Inga Bauer.

- Serve una mano?- gridò, sorridendo beffarda mentre ammirava lo stato disastroso dei due Jedi.

 

La generale saltò giù dall’animale, ma la bestia non fermò la sua ascesa. Con Satine saldamente ancorata sulla sua testa, volò in alto, sempre più su, una lucertola bianca come il deserto e dalle ali di cielo che con un’abile manovra riuscì a girarsi e puntò giù, dritto dritto verso la navicella dei cacciatori di taglie.

Atterrò con un forte tonfo, spaccando la terra con gli artigli delle zampe.

Satine stringeva il pelo della creatura e gli sussurrava parole in una lingua che Obi Wan non capiva.

La bestia, ruggendo più forte che mai, il collo che vibrava visibilmente per la forza dell’urlo, addentò un’ala della navicella e la dilaniò.

Poi, girandosi sulle zampe e sollevando una nuvola di polvere, si abbatté sul mezzo, distruggendolo con un potente colpo della coda chiodata. 

I due Jedi rimasero a guardare lo spettacolo con la bocca semiaperta, senza sapere che pesci pigliare.

- Quello, ragazzi miei - fece Inga, dondolando la testa verso Qui Gon. - è un meshurok. Anzi, oserei dire che è il meshurok. Quella è Myra, la nobile cavalcatura della duchessa di Mandalore.-

All’improvviso fu ben chiaro che i cacciatori, dal momento che non potevano più fuggire, avevano un solo modo per salvarsi, ed era uccidere il cavaliere.

Date le dimensioni di quella creatura, ci sarebbero riusciti solo volando. 

Peccato, però, che Satine avesse minuziosamente fatto fuori tutti i loro jetpack.

Mirare, inoltre, diventava improbabile. Myra era naturalmente corazzata e tutto quello che le avrebbero scagliato contro sarebbe inesorabilmente rimbalzato.

Un altro forte rumore di corno tuonò nell’aria e Myra ruggì di nuovo, rispondendo.

- Bene.- fece la generale, sfregandosi le mani.- Io e le mie ragazze abbiamo Vizla da sistemare. Ci vediamo prossimamente. Fossi in voi, salirei a bordo e filerei via. Bral è in buone mani.-

Qui Gon rimase perplesso per qualche secondo.

- Inga, io non so cosa dire. Non avevate detto che…-

- Che non sarei venuta? Mio caro maestro, quando un Mand’alor chiama, io rispondo, o non rispetto il Resol’nare.- e gli strizzò l’occhio, per poi procedere a grande falcate verso i cacciatori di taglie in una nuvola di ricci neri al vento.

Il collo della bestia si abbassò e la testa sfiorò quasi il terreno. Satine adesso sedeva a cavalcioni della creatura, salda sulla cima del collo e attaccata alla criniera. 

Fece loro cenno di salire, mentre la bestia poggiava con delicatezza un’ala aperta a terra.

Il quarren provò a sfoderare il blaster, ma Inga lo bloccò prima.

- Vuoi sparare ad un meshurok? Fossi in te non ci proverei.- disse, sfoderando il suo migliore sorriso crudele.

L’uomo guardò gli altri Mando e colse la loro paura. 

Rinfoderò il blaster, in silenzio.

I due Jedi si arrampicarono titubanti sul corpo del meshurok e si sedettero tra le spine del suo collo.

Guardarono in alto e rimasero stupefatti dalla bellezza dello stormo delle Abiik’ade. Dalla loro posizione sopraelevata potevano scorgerle bene, punti iridati che solcavano il cielo ad ali spiegate in una perfetta formazione a punta, le ali di bronzo che splendevano nel bianco abbagliante del sole e del deserto. 

Satine borbottò qualche parola a Myra. Quella ruggì appena e poi prese a correre.

Obi Wan si aggrappò con tutte le sue forze al pelo dell’animale, mentre Qui Gon cercava di mantenere l’equilibrio abbracciato ad una delle escrescenze rocciose sul suo dorso.

Con una rincorsa traballante, Myra si gettò nel vuoto del canyon e volò via.

Passarono davanti alla porta principale di Bral e sentirono le urla di giubilo dei vecchi Saggi, eccezionalmente attaccati al vetro delle finestre piombate ad ammirare lo spettacolo. Il vecchio Vercopa, il bastone in mano, mulinava i pugni per aria, euforico, ed incitava gli altri.

Poi, i tre salirono nel cielo e volarono via.

Fecero in tempo, tuttavia, a vedere le Abiik’ade abbattersi sui cacciatori mentre la cortina di ferro di Bral si chiudeva finalmente attorno alla cupola.

Satine ne approfittò per lanciare uno sguardo verso i Jedi, che sembravano senza parole, e sorrise mentre accarezzava il pelo della sua Myra.

- Come ci sei arrivata fino a qua? Da Kalevala?- le sussurrò, mentre l’animale volava incessantemente verso il sole e via dalla città dei Saggi.

 

Obi Wan aveva già volato sul dorso di Myra. Certo, era stato solo un sogno, ma incredibilmente reale, e non era andato molto lontano dal vero.

Myra volava sinuosa nel cielo, in una nuvola di pelo bianco e brillante sotto il sole, iridescente nel deserto bianco. Il suo corpo era caldo, scaldato in parte dal sole e dal sangue che pompava dentro le sue vene. 

Era un animale bellissimo.

Ebbero per un momento un brutto incontro con Vizla. L’esercito in marcia stava costruendo il campo nel deserto in prossimità di Bral e si stava preparando alla guerra.

Myra ruggì nel cielo sopra di loro, costringendo i guerrieri e il dittatore a guardare in alto.

Planò, sbatté le ali sollevando nuvole di polvere, e poi salì su, nel cielo.

Non avrebbero mai saputo che cosa avesse pensato Vizla in quel momento mentre osservava la creatura solcare il blu e brillare come una stella vivente. 

Tempo dopo fu tramandato che quello fu il momento in cui si rese conto di avere perso. 

Chissà, forse andò davvero così.

Più sicuro, invece, è che Vizla ebbe la certezza che Satine Kryze gli era sfuggita ancora una volta, e che non sarebbe potuta andare molto lontano se non a Sundari, la città che aveva appena sguarnito per dirigersi contro Bral trascinandosi dietro le Figlie dell’Aria, e la cosa lo rese certamente furibondo. 

In effetti, Satine non aveva nessun altro posto dove andare se non Sundari. Recuperare la navicella era ormai fuori questione. Con i loro bagagli a disposizione, non c’erano ragioni per avere bisogno di essa.

La seconda prova e la terza si sarebbero tenute a Sundari.

Al di là, dunque, del fatto che non ci fosse nient’altro se non il deserto e le rovine di Keldabe assai più in là, Sundari era la scelta più logica e il trio non avrebbe potuto fare diversamente.

Volarono nel cielo. Qui Gon aveva il volto stupefatto e lo mantenne tale per tutto il viaggio, incapace di farsi una ragione della bellezza dell’animale e del fatto che non fosse conosciuto in tutta la galassia.

- Che bestia meravigliosa!- avrebbe detto, scendendo dalla sua groppa ed avvicinandosi a lei.- Mai avrei creduto che potesse esistere tanta magnificenza.-

Quando Sundari apparve all’orizzonte, dopo che ebbero volato per chissà quanto, la sola cosa che videro attraverso le lenti degli occhiali impolverati fu una massiccia cortina di beskar circondare la città solo per metà, permettendo alla luce del sole di filtrare dalla cima della cupola. 

Myra ruggì, felice di star volando libera con la sua amica.

C’erano delle guardie allo spazioporto. Non che vi fosse qualcosa da proteggere. I viinire delle Abiik’ade rimaste in città erano stati portati dentro le mura per evitare che venissero uccisi dalle raffiche dei Vizla e, a parte qualche navicella usata per il conflitto aereo e un bombardiere, non c’era nulla che avesse attraccato. 

Le guardie fungevano principalmente da sentinelle, per poter segnalare tempestivamente l’arrivo dei nemici. 

Myra ruggì di nuovo.

Obi Wan potè vedere gli uomini di vedetta sobbalzare e poi chiamarsi, darsi il cambio, invitando la gente ad uscire fuori ad ammirare lo spettacolo. 

Satine volò in circolo sopra la città, studiando il posto giusto per l’atterraggio. L’ombra di Myra oscurò il sole quando passò sopra la cupola, e molti si precipitarono fuori per vedere che cosa stesse succedendo e per - eventualmente - combattere.

L’unico luogo sicuro era lo spazioporto, e così decisero di sfruttare la piattaforma libera per far atterrare il meshurok in sicurezza.

Myra spalancò le ali e rallentò, sollevando vento e polvere e terra, e i guerrieri usciti a guardare rimasero abbagliati dal suo candore e dalla bellezza delle sue ali. 

Respirò ed inspirò, buffando come un mantice, ed atterrò con un boato, ruggendo in direzione degli uomini armati sulla soglia della città.

Quelli, spaventati, indietreggiarono e presero le armi. 

- Non sparate!- disse Satine, aprendo le braccia e facendosi vedere sulla testa dell’animale. 

La popolazione mormorò.

- Vuole solo proteggermi. Non toccatemi e lei non toccherà mai voi.-

Una donna dalle spalle larghe e dall’elmo dipinto di viola alzò una mano ed ordinò agli altri di abbassare le armi.

Riluttanti, tutti abbassarono i blaster.

Il ruggito di Myra si fece più mansueto, fino a ridursi ad un mugolio pacifico. Abbassò un’ala, permettendo ai due Jedi di scivolare giù, e poi poggiò il muso sul duro metallo, permettendo a Satine di calarsi dalla sua testa reggendosi alle sue spine nodose.

- E’ Satine Kryze.-

- E’ veramente qua?-

- Quello è un kar’alor?-

- Mai vista una creatura così.-

- Quando è stata l’ultima volta che qualcuno si è presentato con un meshurok alle porte di una città, se non per fini celebrativi?-

- Io non mi ricordo nemmeno quelli, ad essere sincero.-

- Ma non era su un altro pianeta?-

- No, era a Khader poco tempo fa!-

Il mormorio si fece più intenso mentre si avvicinavano alla porta. Satine sfiorò il viso contro il muso caldo e umidiccio di Myra, destreggiandosi tra i suoi baffi da pesce gatto. Grattò un po’ sotto il mento e le sussurrò qualche parola in quella lingua strana, e poi le lasciò un buffetto sulle narici.

L’animale si issò sulle zampe posteriori, sbatté le ali e spiccò il volo in un turbine di vento e sabbia.

- E’ qui per restare!-

- Come ha fatto ad arrivare?-

Ormai la folla ronzava come un alveare, e quando Satine si fece vicina si zittì immediatamente come se stesse trattenendo il fiato.

- Jatne Manda.- disse lei, inchinando delicatamente il capo verso il basso.

Il consesso fece lo stesso.

- Chi comanda qui?-

- Inga Bauer, ma in sua assenza comando io.- fece la donna, facendosi avanti. Si tolse l’elmo e mise in mostra un’intricata rete di trecce scure.- Generale Maudra Kell.-

Satine annuì, pensierosa.

- Kell, della nobile casata dei Kryze. E’ un grande onore incontrarvi.- e le strinse la mano alla maniera dei Mando. 

Dietro di lei c’era un ragazzo giovane, che non doveva avere più di vent’anni e che sembrava averne già passate delle belle. 

- Il sottotenente Skirata, mi affianca nella gestione della città.-

Il ragazzo si chiamava Idril ed era biondo come il deserto. Bianco come il deserto, ma con gli occhi rossastri come se fosse un animale.

E’ albino.

- Idril Skirata, anche voi della nobile casata dei Kryze. E’ un piacere vedervi. Per quanto sia una frase retorica, nel mio caso non posso trovare altre parole per esprimervi la mia gratitudine per quanto fatto. La guerra non dovrebbe essere il mezzo per arrivare alla pace.-

Mesi di guerra, però, avevano indurito il cuore degli astanti, perché nessuno di loro commentò la sua frase né sembrò condividerla. Beninteso, tutti loro stavano combattendo per i Kryze e per evitare una dittatura durissima che avrebbe portato solo sangue e morte. In un certo senso, dunque, combattevano per la pace, ma dopo avere visto quello di cui era stato capace Larse Vizla, anche il cuore del più santo dei santi sarebbe stato sottoposto a tentennamenti.

Tutto ciò che quella gente voleva davvero era finirla con la guerra, in un modo o nell’altro.

- Perché siete qua, duchessa?- domandò la donna, reggendo l’elmo violaceo sotto il braccio.- Vi credevamo a Bral.-

- Lo ero, ma purtroppo sono arrivati i cacciatori di taglie, accompagnati dai terroristi della Ronda della Morte, ad eliminarmi su ordine di Larse Vizla. Non sapendo se avessero anche ordine di sterminare i Saggi, ho preferito allontanarmi, diventando il loro principale bersaglio. Poi, si è intromesso Vizla in persona. Per fortuna è arrivata Inga Bauer con le Abiik’ade, altrimenti la lotta sarebbe stata impari.-

Satine lanciò una lunga occhiata alla generale, che la ricambiò con profondi occhi scuri come quelli di un cerbiatto.

Poi, come se avesse compreso, annuì.

- Bene, vi accogliamo con piacere. Seguitemi.-

Li condusse dentro la cupola di ferro. 

La città, se non fosse stata semidistrutta, sarebbe stata molto bella. C’erano vetro e beskar dovunque e le strade erano completamente coperte di detriti. Una parte della cupola era crepata in basso, là dove il metallo proteggeva i livelli inferiori. Dei palazzi non era rimasto quasi nulla, se non una grossa struttura quadrata che torreggiava sulle altre.

Una tensostruttura indicava la presenza del mercato coperto e un tetto a pianta circolare la presenza del Tempio della Luce. 

Per il resto, non era rimasto in pedi quasi nulla. 

Le macerie piovevano dovunque, ma in città c’era vita. La gente spuntava da ogni dove, da dietro le poche colonne rimaste in piedi, sopra i balconi dai tetti scoperchiati. I Mando non si erano fatti scoraggiare dalla guerriglia ed avevano continuato a vivere nelle loro case. Segni di riparazione e di lavori intensi erano all’ordine del giorno. C’erano sostegni, pilastri, armature in legno per sorreggere colonne e travi portanti, ponteggi. Quell’angolo della città era in ricostruzione e, nonostante la fine del mondo che affrontava tutti i giorni, profumava di vita, di voglia di farcela. 

La gente uscì in strada a guardarla passare. Qualcuno le strinse la mano. Satine si fermò, scambiò due chiacchiere e proseguì, seguendo la generale, che non perdeva tempo in convenevoli. 

- Metà della città è nostra.- proseguì, indicando la parte occupata dal mercato coperto.- L’altra metà è di Vizla. Dopo aver devastato Keldabe ha spostato il Palazzo del Governo qui, tanto per fare un altro po’ di danni. Abbiamo difeso con le unghie e coi denti e, invece che farci cacciare, ci siamo tenuti più di metà città. Vuole il Palazzo del Governo? Che se lo tenga.-

Satine non aveva ricevuto quella notizia da alcuno e adesso si spiegavano molte cose, a cominciare dal nervosismo di Inga.

- Quando è successo?-

- Subito dopo Keldabe ci sono state le prime incursioni. Poi, qualche giorno fa, Vizla ha fatto il gradasso, cercando di riconquistare la faccia perduta con Khader. C’è riuscito solo a metà. E’ confuso, comunque. Ha abbandonato la città in fretta e furia ieri sera per dirigersi a Bral con la maggioranza delle truppe.-

Il rumore di una esplosione in lontananza li fece sobbalzare.

- Entro fine giornata dovremmo riuscire a riprendere anche il Palazzo del Governo. Quando tornerà, avrà una bella sorpresa.-

Satine annuì, pensosa.

Lasciare Bral era stata la cosa migliore da fare per proteggere i Saggi. Certo, con l’arrivo dell’esercito la ragazza aveva avuto dei dubbi. 

Come potevano salvarsi?

Un conto era fronteggiare un mucchietto di cacciatori di taglie, un conto era Vizla con tutto l’armamentario.  

La presenza di Inga Bauer era stata provvidenziale e confidava in lei per limitare i danni.

Inoltre, Vizla avrebbe potuto fare dietrofront e provare a tornare a Sundari. Era quasi certa che lui sapesse dove sarebbe andata, consapevole che non c’era nient’altro per chilometri.

La generale svoltò a sinistra in un ampio viale diroccato, diretta a quello che sembrava il loro quartier generale. Era una villetta di discrete dimensioni, parzialmente integra. Aveva i lati della casa e i contrafforti danneggiati, e i muri erano coperti dai segni della mitragliatrice. Delle finestre non era rimasto più nulla, ma era decisamente più accogliente di molte altre case i cui ospiti dormivano ormai sotto le stelle.

Il problema era la strada.

Obi Wan ci mise un po’ per comprendere che il rosso della via non era quello dell’asfalto architettonico. 

No, purtroppo era più che palese che la strada fosse impregnata di sangue.

Satine allungò le mani ed afferrò disperata le braccia dei due Jedi, che le si avvicinarono immediatamente per darle conforto. Avanzare su quella strada era straziante e nauseante allo stesso tempo. Ad ogni passo sembrava di udire rumore di acqua, come se fosse stata pioggia, ma in verità il liquido era bel altro, e in alcuni punti dove la terra era più molle sembrava di sprofondare in una melma rosso bruna dall’odore insopportabile.

Satine riuscì a mantenere una certa freddezza, nonostante la reazione iniziale. 

Non poteva far vedere a Maudra Kell che aveva voglia di vomitarle sulle scarpe. 

La donna, dal canto suo, non batté ciglio e continuò a camminare.

- Ci sono alcune parti della città che sono messe peggio. Il mercato coperto è il nostro ospedale. Tutto sommato, nonostante l’odore e il disagio - fece, indicando tutto attorno.- a noi è andata bene.- 

Obi Wan non osò immaginare il resto e seguì il generale e il sottotenente fin dentro la casa.

Non c’era niente di particolare. Il mobilio era stato rimosso per fare spazio a piantine, carte, piattaforme elettroniche e un grosso commlink centrale. Alcune persone andavano e venivano, ascoltando qualcosa dentro grosse cuffie soffici o trascinando plichi di scartoffie che, Obi Wan immaginò, dovessero contenere informazioni di controspionaggio. 

Kell li condusse al piano di sopra, dove l’ambiente era più tranquillo. Sulle scale fu fermata da una ragazzina giovane, con i capelli raccolti in due grosse trecce sopra le orecchie. Le sussurrò qualcosa e la generale la congedò immediatamente.

Dietro una tenda spartanamente tirata su un architrave, c’erano quelli che sembravano i quartieri privati della generale Kell. Nulla di più di un letto per terra e un tavolo, nell’angolo una toilette e una finestra perennemente chiusa che faceva filtrare la luce. 

La donna li invitò a sedersi e poi disse ciò che non avrebbero mai voluto sentire.

- Inga Bauer ha appena chiamato. L’assedio di Bral è finito. La cittadella è salva, ma Vizla sta tornando indietro. E’ diretto qui con l’esercito e vuole voi.-

Satine si era aspettata quella mossa e sospirò. 

Sapeva che ormai il suo tempo stava per finire. Avrebbe dovuto affrontare immediatamente la seconda e la terza prova per poter avere la legittimazione al trono e successivamente, se necessario, avrebbe affrontato Vizla.

Sempre che fosse vissuta abbastanza da fronteggiarlo personalmente.

Stava quasi per metterla al corrente del suo piano quando percepì negli occhi della generale una freddezza che la fece vacillare nelle sue intenzioni.

Aveva l’aria di essere tutto fuorché cordiale. 

- C’è di più. - continuò, girando attorno alla duchessa con ampie falcate tintinnanti per il beskar. - I Saggi sono per lo più salvi. Qualcuno è un po’ ammaccato, ed è necessario aspettare per capire se si riprenderà, data l’età. Vizla, però, ha ucciso il Venerabile. Il suo posto verrà preso dal vecchio Vercopa.-

Satine sgranò gli occhi e il labbro le tremò. 

Non aveva avuto modo di approfondire la conoscenza del vecchio saggio, ma, per quel poco che aveva visto, le era sembrato una brava persona ed aveva immediatamente sentito una connessione con lui.

Forse, in qualche modo le aveva ricordato suo padre. Un uomo non anziano, di certo, ma fragile e compromesso, che aveva bisogno di accudimento e protezione.

Tutto quello che lei non poteva dare in quel frangente.

- Io non ho mai voluto che…-

- Non ne dubito.- commentò la donna, più fredda che mai. - Ma proprio perché voi non avete mai voluto… - C’era una nota di biasimo nella sua voce che non passò inosservata nemmeno ai due Jedi, che si guardarono perplessi.

- … Per quale motivo siete venuta adesso a portare la guerra a Sundari?-   

 

NOTE DELL’AUTORE: Pietà.

Chiedo pietà per la mia terribile vena poetica, ma se Obi Wan è destinato a diventare “un ammasso di iperboli e mezze verità”, da qualche parte, queste iperboli, dovevano pur spuntare.

Il nostro gruppo di simpatici vecchietti, come promesso, è sano e salvo nella loro cittadella.

Nella serie The Clone Wars, possiamo vedere Obi Wan in tenuta di guerra parlare un impeccabile Ryl, la lingua dei Twi’lek. Mi piaceva l’idea di riprendere il dettaglio trasformandolo in un piccolo vizio poetico del nostro bel giovanotto.

Ci sono poi una serie di riferimenti ad altri film di cui devo dare conto.

Il primo proviene da The Last Jedi. So che i Porg hanno diviso il fandom - ma che cos’è che non divide il fandom, in Star Wars? - tra chi li ha amati per i loro occhioni simpatici e chi invece li ha detestati profondamente, come Chewbacca. Personalmente li trovavo carini e, siccome sono dell’opinione che non ci fossero persone più colte e politicamente preparate di Satine Kryze nella galassia lontana lontana, ebbene sì, lei li conosce. Abbastanza da pensare di poterli cuocere allo spiedo.

La scena del vecchietto che legge il manuale di istruzioni al contrario è ispirata ad una delle tante scene esilaranti, di Train de Vie: un treno per vivere. Nonostante il tema, che di divertente ha molto poco, è un film che ho trovato splendido e che affronta il dramma della Shoah dal punto di vista di un uomo… particolare. Da vedere assolutamente.

 

Molly.

 

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Capitolo 54
*** 45- Bes'laar ***


CAPITOLO 45

Bes’laar

 

Non fu una conversazione piacevole. 

Satine si mordeva la coscienza da quando era atterrata su Mandalore. Era conscia delle conseguenze della sua decisione e non ne era felice. Salvare Bral per sacrificare Sundari? Non era mai stato nei suoi piani. 

Vizla l’aveva presa in contropiede, e Satine non riusciva proprio a comprendere per quale motivo avesse deciso di attaccare la cittadella dei giudici. Erano vecchi e soli, accompagnati dalle loro famiglie altrettanto vecchie e sole. Avrebbe potuto chiudere l’assemblea e deportarli, chiuderli in carcere, esautorarli del loro potere. Avrebbe potuto semplicemente coinvolgere i cacciatori di taglie, senza schierare l’esercito.

Perché aveva schierato l’esercito?

Aveva spogliato di ogni protezione la parte della città di Sundari che era in suo possesso per andarla a prendere personalmente a Bral, per commettere una strage di persone inermi che non gli avrebbe fruttato assolutamente niente.

Voleva un simbolo? Avrebbe potuto prendere la città senza spargere sangue. I Nuovi Mandaloriani avrebbero perso una delle loro istituzioni cardine e questo sarebbe stato un duro colpo alla democrazia e alle tradizioni del paese.

Perché? 

Non era convinta che la spiegazione potesse essere semplicemente la sua follia. Vizla era pazzo, ma un pazzo lucido, un fine stratega che aveva asservito la razionalità agli istinti più bassi dell’uomo. 

Doveva esserci una logica dietro tutto ciò.

Certo era, però, che la generale Kell non voleva sentire una parola delle sue paranoie, e la giovane duchessa fu costretta ad improvvisare. Dopo una breve conversazione con i suoi protettori - che necessitavano di cure mediche che tardavano ad arrivare, soprattutto per il maestro, che ancora sanguinava da una gamba - concluse che l’unica soluzione fosse andarsene al più presto da Sundari. 

Non ci volle poco a convincere Maudra Kell che Satine non aveva intenzione di restare in città. 

- Ho solo bisogno di qualche ora per sostenere il bes’laar e la prova della Luce. Niente di più. Me ne andrò rapidamente, probabilmente prima che Vizla riesca a tornare e a cingere d’assedio la città.-

Il busillis, però, fu di facile individuazione.

Sundari non aveva shuttle.

Quello che avevano era stato distrutto dal dittatore, o era indispensabile agli approvvigionamenti, all’evacuazione dei civili o al bombardamento dei mezzi nemici.

Satine allora propose di farsi inseguire per riuscire a distrarre l’esercito dalla città.

- Vizla vuole me. Non cingerà mai d’assedio la città se avrà me. Tolto il leader, il resto si sfalda. Mi farò inseguire nel deserto e troverò un modo per fuggire prima che lui mi prenda. Ho fatto di peggio. Non è un’impresa impossibile.-

- Senza un leader, il gruppo si sfalda o viene incoraggiato a combattere per liberarlo. La vostra presenza ci è d’impiccio.- tagliò corto la donna mentre si sistemava l’elmo sotto il braccio. - Vi invito a prendere il vostro meshurok e a cambiare aria, duchessa. Questo non è posto per voi.-

Obi Wan si era morso il labbro per tutta la conversazione, voglioso di far notare che la donna con cui stava discutendo la generale era la duchessa di Mandalore, quella vera, e che se solo avesse dato loro modo di dimostrarlo, lo avrebbero fatto, ma non aveva voce in capitolo. 

Lo capiva, eppure era arrabbiato, nervoso, perché oltre che ad essere irrispettosa, Maudra Kell stava dando dimostrazione di quello che Satine aveva sempre sostenuto.

Un passacarte, non un leader.

La conversazione si era conclusa con una Satine stizzita e una generale infastidita che fu costretta a prendere atto che non poteva cacciare la legittima erede al trono di Mandalore. 

- Con tutto il rispetto, generale. Sono la duchessa di questo sistema. Questo è il mio sistema. Non lo posseggo più di voi, beninteso, ma come voi ho il diritto di restare in questo luogo. -

- Adesso reclamate la vostra posizione? Il vostro diritto? Avete scelto voi di andarvene, duchessa, non io. Se volevate il vostro diritto, avreste dovuto esercitarlo molto prima, invece di mettere le vostre nobili terga al sicuro fuori dal sistema. Mentre voi vi godevate la vita, noi stavamo combattendo, stavamo morendo. Le vostre priorità sono alquanto singolari.-  

Beh, questo è un problema.

Il discorso della generale lasciava poco spazio all’interpretazione e per la prima volta Obi Wan fu costretto a riconsiderare l’opportunità di separare Satine dalla sua famiglia. Se c’era stato del buono nella scelta del duca e dello zio Korkie - pace all’anima sua - ciò che di sbagliato quella scelta aveva ricompreso si stava riversando inesorabilmente su Satine.

Se la giovane duchessa non era una duchessa nemmeno per i suoi, il suo destino sarebbe presto stato segnato.

Alla fine della guerra sarebbe stata deposta dalla sua carica di reggente, e la Forza sola sapeva che cosa sarebbe successo dopo.

A giudicare dal lampo di ferocia negli occhi di Satine, probabilmente anche lei aveva compreso le implicazioni di quell’evento.

Una volta conclusasi la guerra civile tra estremisti e Nuovi Mandaloriani, potrebbe cominciare un’altra lotta per il potere.

Mai come in quel momento Obi Wan comprendeva la necessità di Satine di superare tutte le prove. Se l’intero sistema l’avesse vista aprire la Luce di Mandalore, la competizione sarebbe stata spazzata via con un solo gesto, l’ordine ristabilito, le malelingue messe a tacere. 

Lo spargimento di sangue sarebbe finito per sempre. 

- La mia distanza, come la chiamate voi, è stata imposta dalla necessità di proteggere me, i miei cari e soprattutto il movimento. Il vostro attacco è ingiustificato. C’ero io a Khader, non voi. Io ero a Loras e a Sal durante le rivolte. Io ho sfidato i cacciatori di taglie a Solus, sì, ero io, non faccia quella faccia stupita. Chi altro volevate che fosse?-

Maudra Kell aprì la bocca per ribattere, ma Satine fu più lesta di lei.

- Il mio rifiuto di combattere non giustifica l’allontanamento dalla mia gente. Se non fosse stato pericoloso per voi, non per me, sarei stata negli ospedali da campo. Sarei stata al vostro fianco. Per proteggere anche voi, sono stata lontana dalla folla, ma adesso è giunto il momento di mettere fine a questo scempio, e se per farlo dovrò essere presente a Sundari e sporcarmi le mani, allora lo farò.-

Quando ci si metteva, Satine sapeva essere imponente. Per quanto minuta, non era decisamente piccola. Era alta, slanciata, insomma, una bella ragazza, che quando piantava gli occhi duri su qualcuno e raddrizzava la schiena, impettita, sapeva trasformarsi nella Mando che aveva nei geni.

Torreggiò sulla generale con lo sguardo assottigliato sopra gli zigomi affilati.

- Ho tutta l’intenzione di superare le prove, generale Kell. Con voi o senza di voi.-

La donna sospirò e scosse il capo, sconfitta.

- Superare le prove non farà cambiare idea a Vizla. Tutto questo è inutile.-

- Oh, ma io non lo faccio per Vizla. Non me ne importa nulla di Vizla. Ho tutta l’intenzione di pensare a quella bestia e al suo amico palla da biliardo a tempo debito. No, lo faccio per un altro motivo. Ditemi una cosa, generale Kell: avreste mai detto alla legittima duchessa nominata attraverso le prove di fare i bagagli e togliersi dai piedi? Le avreste mai detto che è inutile?-

Il gelo calò nella stanza. 

Satine assottigliò gli occhi ancora di più, l’aria quasi serpentina mentre svettava sopra Maudra Kell, gli occhi improvvisamente mobili sotto il dedalo di trecce scure.

La generale tentennò.

- La vostra sicurezza è la nostra priorità…-

- Ah, adesso è la mia sicurezza? Che strano, mi era parso di capire che steste parlando prevalentemente della vostra.-

La donna non replicò. 

Chiarito quel punto, Satine parve sgonfiarsi e si accomodò su una sedia traballante, pronta per passare al punto successivo, trovando accordo con la generale per indire una riunione con i capiclan presenti nella città. 

Aveva qualcosa da dichiarare ed aveva intenzione di farlo di fronte a tutti.

Quando il consesso si sciolse, la duchessa accompagnò la generale sulla soglia, prima di ritirarsi in una stanza privata.

- Rimango dell’idea, duchessa, che sarebbe meglio se ve ne andaste.- 

Satine alzò un sopracciglio e procedette fuori dalla stanza con il capo per aria.

- Quando avrete trovato qualcun altro che sia disposto a governare questo sistema, generale, potrete tranquillamente mettermi alla porta. Voi vi ritenete adatta al compito?-

Lo sguardo della generale si fece duro.

- Sono convinta che sarei in grado.-

Le due rimasero a scrutarsi sulla porta. 

Poi, Satine girò sui tacchi e se ne andò. 

 

Satine potè nascondersi a sbollire la rabbia in una stanza privata. La generale le aveva offerto uno dei suoi quartieri, contando sul fatto - e lo aveva ammesso candidamente - che se ne sarebbe andata presto. 

Alla duchessa non importava granché di quei commenti, perché il sangue le ribolliva nelle vene per la rabbia ed aveva una gran voglia di cantargliene quattro.

Non poteva, però. La politica è anche questo. Sapersi mordere la lingua nel momento giusto.

Il problema andava affrontato con calma e raziocinio. L’opinione di Maudra Kell poteva essere isolata, ma Satine era certa che non fosse così. No, molti altri avevano subodorato il possibile vuoto politico dopo la vittoria su Vizla, un vuoto lasciato da suo padre, e che buona parte dei suoi non la riteneva all’altezza di colmare.

Se agli occhi della giovane donna, tuttavia, la questione era squisitamente politica, per i due Jedi si trattava di una questione pratica.

Non può più contare su nessuno, ormai, nemmeno sui suoi. Rischia di ritrovarsi catapultata in un covo di vipere non meno pericoloso di Vizla. 

Ci saremo soltanto noi - ed Inga Bauer, naturalmente - a proteggerla.

La furia di Satine non si placò per un bel po’. Era arrabbiata e soprattutto dispiaciuta. Si sentiva inadeguata. Era naturalmente portata per l’ascolto, trovava il lavoro di squadra una componente fondamentale del suo modo di fare politica, ma di fronte ad un attacco diretto come quello della generale Kell, che altro avrebbe potuto fare, se non rispondere per le rime?

Cominciò a trottare avanti ed indietro per la stanza, incapace di formulare una frase di senso compiuto e sperando di sbollire la rabbia.

Qui Gon ed Obi Wan non sapevano proprio che cosa fare. Per calmare il suo padawan, oltraggiato per il comportamento tenuto dalla generale, il buon maestro aveva usato il loro legame nella Forza, ma con Satine era tutto un altro paio di maniche.

E poi, diciamocelo, aveva ragione la duchessa. Vedere purtroppo quanto la lontananza avesse contribuito a distaccare i sostenitori dal leader faceva male. Satine aveva sempre avuto ragione, fin dall’inizio, ma in quel momento al povero Qui Gon il danno sembrava fatto ed irreparabile. 

Agli occhi del maestro, superare le prove non le avrebbe fatto riconquistare il rispetto perduto con l’allontanamento.

C’era poi la questione del Venerabile. 

Oh, quanto si era sentita in colpa nell’apprendere della sua morte! Era stato un uomo buono e profondamente intelligente, che Satine avrebbe tenuto nei propri pensieri per tutta la vita. Il suo consiglio le sarebbe tornato utile in futuro, ma ahimè, Larse Vizla era riuscito a toglierle un prezioso alleato.

C’era di buono che il vecchio Vercopa non era da meno del Venerabile e, anche se Satine non poteva ancora saperlo, in futuro le avrebbe prestato soccorso.

La ragazza interruppe il suo andirivieni soltanto per affacciarsi dietro ad una tenda, che copriva una finestra martoriata dai colpi di blaster. Non era una grande idea, ma la città era in tumulto perché era arrivata la duchessa, e Vizla era fuori. Il brulicare della vita fuori dalla sua stanza era una vista accattivante. 

Era abbastanza certa che nessuno avrebbe mai scorto il piccolo dito che aveva spostato la tenda per consentire ad un occhio azzurro di guardare la desolazione della città. 

- Ni su'cuy, gar kyr'adyc, ni partayli, gar darasuum, Ijaat’ad.-

I due Jedi ascoltarono in religioso silenzio la formula di saluto prima di affrontare la duchessa.

- Non potete prevedere tutto.- commentò il maestro, poggiandole una mano sulla spalla. - Non dovete rimproverarvi niente. Mi avete detto che i Saggi per voi sono praticamente sacri. Compiere quell’azione da parte di Vizla è stato empio. Non potevate aspettarvelo.-

- Davvero? Dopo tutto quello che ha già fatto il dittatore? Dopo le radiazioni, le armi batteriologiche? Ho davvero creduto che quell’uomo abbia ancora un briciolo di dignità?

I Saggi non sono guerra. I Saggi sono un’istituzione, come lo è il Tempio della Luce. In una Vizla crede, nell’altra no.

In una non ci sono ancora passata io.

Satine sospirò, nella speranza di riuscire ad interiorizzare quello che il maestro le stava dicendo, ed annuì. Incrociò lo sguardo mortificato del giovane padawan, che avrebbe tanto voluto consolarla, ma non sapeva come fare. Gli fece un sorriso triste che voleva dire tutto, e poi si mise a meditare con loro. 

In verità, i due Jedi meditavano, Satine pensava. 

C’era qualcosa in quello che le aveva detto Maudra Kell che non le dava senso. Vizla ci aveva messo del suo per prendere Sundari, almeno a metà, salvo poi lasciarla per andare a prendere Satine a Bral, di corsa, con un grosso esercito al seguito. Di fatto, aveva praticamente sacrificato Sundari per prendere lei.

In questo senso, la generale aveva ragione. Adesso che Satine era in città, Vizla avrebbe attaccato con il doppio della forza, e forse anche con qualche demagolka. 

Eppure.

Eppure, al di là di tutto il dispiacere per la morte del Venerabile e per la perenne sensazione di essere un’impostora più che una duchessa legittima, quella mossa da parte di Vizla era la prova decisiva di quello che aveva sempre sostenuto. Il dittatore stava perdendo colpi. 

Innanzitutto, con le sue capacità militari e con l’approvvigionamento costante che riceveva dai suoi finanziatori all’estero, Vizla avrebbe dovuto - e potuto - fare molto di più che prendere un solo pezzo di Sundari. Avrebbe potuto prendersela tutta spiegando la metà del suo arsenale. 

Certo, i Nuovi Mandaloriani avevano i Kryze a fare le strategie, cosa che lo metteva sicuramente in difficoltà in virtù della loro assoluta imprevedibilità, tuttavia questo non poteva essere sufficiente a spiegare il ritardo che Vizla stava incontrando nel raggiungere i suoi scopi.

Nemmeno la presenza di un’accanita resistenza e del corpo delle Figlie dell’Aria poteva giustificarlo.

Forse, accecato dalla fretta, aveva lasciato la città sguarnita, preferendo lei a Sundari, oppure aveva altri problemi interni.

Forse, lo stavano sopravvalutando.

Le questioni erano due, dunque: o si stava preparando al colpo finale, con il quale avrebbe distrutto tutto attraverso un grande spiegamento di forze e con un assedio in piena regola, oppure aveva completamente perso la trebisonda. Stava perdendo il controllo sul potere che aveva usurpato e l’unica cosa che lo avrebbe conservato sul trono sarebbe stata l’eliminazione fisica di Satine Kryze e dei suoi sostenitori. 

Per portare a termine la sua missione e la sua vendetta, poteva dimostrarsi disposto a fare qualunque cosa.

Satine tendeva a credere sia alla prima che alla seconda soluzione. Potevano essere entrambe giuste. C’era quel dettaglio, tuttavia, che le faceva sospettare che ci fosse qualcosa sotto.

Se ha un rifornimento costante di armi e di suppellettili bellici, perché non li usa? Perché li ha usati solo a Keldabe?

Credere che il suo sostenitore preferito abbia defezionato significa confidare in un po’ troppa grazia da parte della Forza?

Forse voleva solo darti il modo di raggiungere Sundari e distruggerti con tutti gli altri.

Beh, era possibile.

Non sapeva che pesci prendere.

Certo era che Vizla sarebbe tornato presto e che avrebbero dovuto avere un buon piano per fermarlo.

Satine si alzò in piedi e si diresse verso la porta.

I due Jedi la guardarono con sospetto.

La duchessa afferrò la maniglia, strizzò un occhio e la abbassò con forza, osservando con un sopracciglio inarcato il sottotenente Skirata, il pugno sollevato in aria mentre stava per bussare.

- Come…-

- Vi ho sentito camminare. Prego, entrate.-

 

Il ragazzo si guardò intorno ed incrociò lo sguardo dei due Jedi. Istintivamente, portò la mano alla cintura, come per raggiungere un’arma e proteggersi, ma Satine si frappose tra lui e i suoi protettori.

- Loro sono fidati tanto quanto me.-

Non doveva avere più di vent’anni. Era giovane, persino il velo di barba che aveva sul volto non era uniforme. Satine vide l’immagine di sua sorella davanti agli occhi e dovette voltarsi per guardare altrove. 

Bo non avrebbe mai dovuto indossare il beskar. Avrebbe fatto qualunque cosa affinché sua sorella non vivesse la vita che aveva vissuto lei e quelli della sua generazione.

- Vorrei potervi offrire qualcosa, ma temo che siamo in ristrettezze, ed anche le nostre scorte stanno pericolosamente giungendo al termine.-

Il sottotenente accettò di buon grado la sedia che Satine gli aveva porto e si accomodò, lasciando scivolare lo sguardo pensieroso su tutti i presenti.

Era chiaro che cercava di dissimulare la ragione per cui era venuto a trovarla, anche se non ci riusciva molto bene. Giocherellava con l’elmo e il suo piede sinistro non era capace di stare fermo.

Tossicchiò.

- Ho sentito che ve ne andrete presto.-

Satine si accomodò di fronte a lui e lo fissò con intensità.

- Questo sarebbe il piano. Sostenere la prova del bes’laar e poi ripartire per dirottare Vizla su di me ed allontanarlo da Sundari.-

Skirata annuì, ma non sembrava soddisfatto di quella risposta.

Satine aveva immaginato che, se aveva scelto di presentarsi da lei, da solo e sentendosi così in imbarazzo, era perché con molta probabilità non concordava del tutto con le posizioni della generale Kell. 

Beh, almeno, questo era quello che sperava. Le avrebbe fatto piacere. 

Beninteso, non è sempre facile andare contro il volere dei propri superiori e soprattutto non è sempre giusto, ma Skirata era giovane a sufficienza da fornirle quello che Kell non aveva potuto - o voluto - fornirle. 

Il punto di vista della gente comune.

Continuò a fissarlo intensamente nella speranza che dicesse di più, ma siccome non pareva intenzionato a domandare oltre, alla fine fu la duchessa a fare la prima mossa.

- Sempre che non mi diate un motivo per cambiare idea.-

Il ragazzo parve sollevato e le lanciò un’occhiata speranzosa.

- So che il generale è di diverso avviso, come Inga Bauer del resto. Loro pensano che voi sareste più al sicuro lontano da qui, ed anche la popolazione sarebbe più protetta. La differenza è che la generale Bauer vi conosce. Ci ha detto che alla fine fate sempre di testa vostra e che tutto sommato non è una pessima idea lasciarvi fare. Kell, invece, fatica un po’ di più a venire a patti con il fatto che ci sono cose che non può controllare, ed è arrabbiata. Ha visto la sua buona dose di schifezze, qui. Non è una cattiva persona. E’ solo… Non so come dire…-

- Le piace avere il controllo ed è stata messa a dura prova dagli eventi. Non c’è un altro modo per dirlo.- concluse Satine, annuendo con convinzione.

Skirata sembrò rilassarsi a quell’affermazione. La duchessa non lo aveva trattato con sufficienza, né con eccessiva intrusione. Gli prestava molta attenzione e soprattutto non sembrava giudicarlo.

Questo lo metteva a suo agio.

- Il suo bisogno di controllare tutto a volte le impedisce di avere una visione d’insieme. Quello che teme è vero: Vizla potrebbe dirottare tutte le sue forze su Sundari. Il popolo è esaltato dalla vostra presenza, questo è un dettaglio che dovete sapere. La voce si è sparsa. Chi aveva deposto le armi le ha impugnate di nuovo. Dicono che, se siete qui, è perché la guerra sta per finire. Che avete un piano. Che voi metterete fine al dominio di Vizla una volta per tutte.-

Satine fece un respiro profondo ed abbassò lo sguardo.

La verità era che, un piano, non ce lo aveva, almeno non a lungo termine. Nutriva la segreta speranza che, dopo il superamento delle prove, si presentasse l’occasione per sferrare l’attacco finale. Aveva inoltre la speranza - non proprio segreta - che Vizla e i suoi sodali si sarebbero fatti da parte pacificamente, o che sarebbe riuscita a riconquistare il trono senza uccidere.

Alla luce del suo ultimo rimuginare, purtroppo, quella era un’ipotesi ormai estremamente remota. 

Se necessario, avrebbero combattuto un’ultima volta e poi avrebbero deposto le armi. 

Forse sarebbe arrivato un segno del destino prima della fine della sua permanenza a Sundari che le avrebbe indicato con precisione che cosa fare.

Sospirò, una brutta sensazione di imminenza che incombeva su di lei.

Magari quel segno era proprio il sottotenente Skirata e ciò che aveva da dirle.

- Tuttavia, credo che dobbiate essere informata anche di un’altra questione, non meno dirimente di Vizla.-

Obi Wan chiuse gli occhi.

Se l’era immaginato. 

- Gli spettri stanno diventando un grosso problema. Non abbiamo mai capito da dove spuntino, ma girano un po’ troppo spesso in città. Da quando è iniziata la guerra, abbiamo cominciato a trovare le loro tracce, ma di recente si sono moltiplicate a vista d’occhio. Inizialmente pensavamo che fossero piccoli furti messi in atto tra vicini per sopperire alle ristrettezze della guerra, ma quello che mancava era incompatibile con ogni attività svolta qui: vernice, pezzi di corda, di tutto. Poi ne abbiamo colto uno in flagrante, mentre mangiava del solvente per olio di motore. Una cosa così disgustosa non l’avevo mai vista in vita mia, ed abbiamo capito che sono in città, e che sono loro a rubare e a nutrirsi di ciò che rubano. Quando il cibo è finito o è stato messo in sicurezza, sono passati ai piccoli animali domestici e poi alle persone. Ormai quasi nessuno vive al primo piano. Quello che non abbiamo mai capito, però, è da dove siano entrati. Nel deserto ci sono, e lo sappiamo, ma dallo spazioporto non sono passati, né dagli altri tre accessi cardinali della città. Sono sempre sorvegliati e sigillati. Le telecamere hanno rilevato del movimento, ma sono sempre stati respinti. Non abbiamo davvero la più pallida idea di come abbiano fatto ad intrufolarsi qui.-

Satine serrò le labbra, il sospetto che cominciava a trasformarsi sempre di più in realtà.

Una realtà che la terrorizzava non solo per le conseguenze che avrebbe avuto su di lei, ma anche per quello che sarebbe accaduto alla città se la situazione fosse degenerata. 

Non disse niente e lasciò continuare il giovanotto.

- Vizla li ha apertamente sottovalutati. Sulle prime, li ha usati come pretesto per dimostrare la mollezza dei Kryze, come aveva già fatto in Tsad Droten. Poi, li ha spacciati per sue creature, dicendo che rispondevano ai suoi ordini e che sarebbero stati mandati a punire i dissidenti politici.-

Satine emise uno sbuffo tra il sarcastico e il disperato.

Che razza di idiota.

- Credo che ci abbia provato seriamente, a controllarli. Non penso che ci sia riuscito, perché poi ha cambiato versione un’altra volta, dicendo che li avete creati voi in laboratorio e che per questo motivo lui non aveva informazioni: era stato tutti distrutto od occultato, e lui avrebbe dovuto ricominciare le ricerche da capo.-

Beh, in un certo senso era vero. Satine aveva effettivamente fatto distruggere tutto, quando il Ranov’la aveva preso fuoco.

Lo aveva fatto per due motivi.

Innanzitutto, era fondamentale che Vizla non scoprisse tutto ciò che lei sapeva sul suo conto, o avrebbe reso l’attività della resistenza praticamente impossibile. 

In secondo luogo, inoltre, era necessario guadagnare tempo per evitare che lui facesse esattamente quello che aveva provato a fare.

Creare una super arma da scatenare contro l’opposizione.

Distruggere tutto era servito perché Vizla aveva dovuto effettivamente ricominciare tutte le ricerche da capo, e questo aveva salvato molte vite. 

Quello che nemmeno Satine aveva previsto, però, era che gli spettri fossero capaci di moltiplicarsi a vista d’occhio, insinuando in lei il dubbio che sì, far tardare Vizla era stato necessario, ma era costato parecchio in termini di perdite. Inga e i Kryze avevano continuato a tenerli sotto controllo e a studiarli, per cui avevano ottenuto tutte le informazioni necessarie ad avanzare delle ipotesi sulla loro provenienza, tuttavia anche loro come Vizla non avevano delle prove definitive sulle loro origini. 

Cominciava a pensare che una prova certa non l’avrebbero trovata mai.

- Posso garantire sulla falsità di questa affermazione, anche se spero che non serva la mia parola.-

- Assolutamente. Nessuno ci ha creduto, nemmeno i suoi. Nemmeno Ursa Wren. Alla fine è stato costretto ad ammettere che non aveva la più pallida idea di che cosa fossero e del perché fossero qua, o come ci fossero arrivati, o che cosa stessero cercando. Ha dovuto ammettere che sono una minaccia, ma ha scaricato la colpa sulla popolazione, dicendo che siamo tutti dei rammolliti che non sappiamo fare fronte nemmeno ad un animale selvatico.-

- Immagino che anche questa volta sia tutta colpa dei Kryze e dei loro costumi sciatti.-

- Ovviamente.-

Satine scosse il capo.

Quella notizia giungeva gradita come musica nelle sue orecchie. Vizla stava perdendo legittimazione, dunque, per un grosso errore di giudizio che aveva fatto fin dall’inizio e su cui Satine aveva sempre sperato.

Che il dittatore si dia la zappa sui piedi da solo. 

Adesso che gli spettri erano diventati una minaccia sistemica, nessuno si sentiva più di dire che gli scienziati sarebbero dovuti morire sul campo, o che chi lamentava la loro presenza era un dar’manda senza spina dorsale. 

E Vizla aveva sempre meno consenso.

Forse forse, la sua teoria sullo sbandamento dell’esercito nemico e sui suoi rifornimenti non era poi campata troppo per aria.

- Sembrerà assurdo, ma la presenza degli spettri ha giocato a nostro favore. Molti si sono stufati delle stupidaggini di Vizla ed hanno cominciato a sostenerci. Certo, gioire è quasi impossibile. Sono mostri spietati e terribilmente organizzati, ma Inga Bauer sembra sapere che cosa fare, per cui…-

- Questo perché gliel’ho detto io.-

Skirata spalancò la bocca, come un pesce fuor d’acqua, e fece scorrere lo sguardo attonito sui due Jedi.

- Seriamente?-

Obi Wan e Qui Gon annuirono come un sol uomo.

- Voi sapete come eliminarli?-

Satine scosse il capo.

- Questo, mio caro ragazzo, è tutto un altro paio di maniche. Mi sono fatta un’idea di che cosa siano e da dove vengano, e forse, se quanto ha fatto Inga Bauer ha funzionato, non è poi così sbagliata. Da lì ad essere in grado di risolvere il problema, ce ne corre, purtroppo. Mi sono fatta un’idea anche della potenziale soluzione, se è questo quello che volete sapere.- gli disse, alzando un dito di fronte alle sue labbra prima che potesse parlare.- Ma temo che avrò bisogno ancora di qualche prova prima di poter mettere in atto un piano qualsiasi per eliminarli. E poi, lo avete detto voi, sono tanti. Una manovra su così vasta scala chiede tempo, risorse e persone disposte a metterla in atto.-

Obi Wan alzò un sopracciglio e mandò un segnale di allerta nella Forza al suo maestro.

Non abbiamo mai parlato di questo in precedenza.

Qui Gon non rispose, pensieroso.

- Quelle, credo che ne troverete a centinaia.- replicò il giovanotto, improvvisamente rincuorato.- Potremo anche essere divisi sui Vizla e sui Kryze, ma non sugli spettri. Quelli infastidiscono tutti. E ci disgustano. Li avete visti i denti?-

Il padawan guardò fuori dalla finestra per evitare di chiudere gli occhi e rivedere quanto accaduto alla PharmaMandalore.

Eccome. Li ho anche sentiti, se è per quello.

Satine annuì con delicatezza.

- Sì, purtroppo li ricordo bene. Ditemi di più, ragazzo. Come siamo messi? Mi pare di capire che la gente è con noi.-

- Sì. Siamo molti di più di quelli che sembriamo sulla carta. Anche il clan Wren è tendenzialmente con noi, al di là della contessina che gioca a melina con Vizla.-

La duchessa, però, era consapevole che su quella fascia di ignavi non si poteva del tutto contare. In chi non si schierava apertamente c’era chi non poteva per ragioni familiari, chi non aveva interesse per ragioni economiche, chi non aveva scopo per questioni politiche e chi, invece, ambiva solo a fare il proprio comodo, senza regole e soprattutto senza guida. Gli individualisti fortunatamente erano pochi, ma contare su una sollevazione con quelle variabili era praticamente inutile e pericoloso.

Il fatto che, però, il suo mandato da duchessa potesse trovare un simile ampio sostegno in futuro la rendeva soddisfatta e soprattutto la rincuorava, dopo la disastrosa conversazione avuta con Maudra Kell.

- Sono contenta di sentirvi dire questo, sottotenente.- gli disse, alzandosi dalla sedia e dirigendosi di nuovo verso la porta.

- Dove andate?-

- Ad aprire alla generale Kell.-

- Ma lei non è…-

Satine però aveva già aperto la porta, per trovare la generale più che stupita, con il pugno alzato e l’elmo sotto il braccio, a chiedersi perché la porta fosse aperta prima ancora che lei avesse bussato.

- Generale. Immagino che l’assemblea improvvisata dei capigruppo sia pronta.-

La donna fece scorrere lo sguardo su Skirata, che fece spallucce alle spalle della duchessa.

- Sì, direi di sì. Ma come…-

- Allora possiamo andare. Prego, fate strada.- disse Satine, uscendo in corridoio.

Skirata e Maudra Kell, mentre percorrevano il corridoio, si chiesero più e più volte come facesse la duchessa ad aprire la porta a quel modo, e se lo sarebbero chiesto anche per gli anni a venire.

Qui Gon aveva continuato a sorridere tra sé, convinto che l’addestramento all’uso della Forza di Satine stesse dando i suoi frutti.

Obi Wan, dando di gomito ad una duchessa che sorrideva sorniona, si disse che la ragazza aveva un udito sopraffino e che soprattutto aveva un certo talento per i colpi di teatro.

 

Si erano aspettati delle resistenze al Tempio della Luce. Quella era la stessa sede che aveva compromesso il verd’goten di Satine, e se i Jedi ne erano preoccupati, lei sembrava non curarsene minimamente.

Quello che le interessava era superare le prove in fretta, perché la duchessa aveva una mezza idea di battere Vizla sul tempo.

Nella sua testolina bionda, il piano era semplice.

- Ho due prove da superare. Tutte e due riguardano il Tempio della Luce. Ho intenzione di recarmi lì prima che Vizla riesca a raggiungere di nuovo Sundari e ad ingaggiare battaglia, così da dare un leader legittimo alla mia gente. A quel punto, faremo i conti con Vizla.-

Obi Wan non aveva fatto domande al riguardo, perché la locuzione fare i conti con Vizla poteva essere decisamente ambigua, soprattutto se messa in bocca ad una pacifista.

Satine, però, era stata categorica.

- Io non capisco proprio per quale motivo mi avete affibbiato questo termine. Pacifista. Io voglio la pace, e posso capire che volere la pace su Mandalore possa apparire agli occhi dei più come un’impresa degna di un pacifista, ma è un termine un po’ esagerato. La guerra è un affronto alla vita e la violenza è una forma di giustizia barbara, ma questo non significa che io abbia un approccio assolutamente non violento. Non significa che non mi difenderò mai, che non userò alcuno strumento per farlo. Se fosse così, andrei in giro disarmata, senza un pugnale e una lancia in beskar e un paio di lame al plasma raccolte chissà dove. Semplicemente, io non intendo usare la forma più crudele e barbara di violenza. Non ucciderò se potrò stordire. Non menomerò nessuno se potrò farne a meno. La pace è un valore che cercherò di perseguire al massimo delle mie potenzialità, ma non a qualunque costo.-

Obi Wan aveva chiesto lumi prima della riunione ed aveva immediatamente trovato soddisfazione.

- Ad esempio, se io avessi un approccio assolutamente non violento, mi sarei arresa a Vizla. Avrei rifiutato di combattere ed avrei detto alla mia gente di fare altrettanto. Avrei permesso una resistenza passiva, ma a che prezzo? Arrendermi a Vizla significa consegnare la mia gente nelle mani di un uomo capace di avvelenare qualcuno solo perché - e queste sono le testuali parole dei miei attendenti - ha preso un caffè una volta nel bar dove lo prendeva mio padre, elemento sufficiente per considerarlo un traditore. Se mi arrendessi e non mi difendessi, se non difendessi la mia gente, permetterei a Vizla di compiere una strage legalizzata in un regime. Se io invece, dopo questa terribile guerra, riuscissi ad imporre anni di pace, un sistema sano ed alternativo dove poter vivere e crescere, questo non permetterebbe a Mandalore di risollevarsi, ripopolarsi, diventare competitivo a livello galattico? Non porterebbe del progresso? La domanda da porsi è sempre quella: quanto si è disposti a rinunciare per la pace? Se, per esempio, una potenza straniera invadesse il mio mondo, sarei disposta a gettare le armi e a vivere sotto l’invasore in nome della pace? A rinunciare a me stessa e ai miei costumi, a vivere sotto le imposizioni di altri? Oppure, mi difenderei cercando di arrecare meno danno possibile, ma pur sempre proteggendo ciò che sono e rappresento?- 

Alla riunione si erano presentati in tanti e molto era stato discusso. In diversi avevano condiviso le posizioni della generale Kell a proposito della sicurezza della duchessa, ma molti altri avevano visto in Satine un’opportunità. La duchessa ne aveva approfittato per rendere la popolazione edotta delle sue conoscenze sugli spettri e persino la generale era stata costretta ad ammettere che, forse, Satine non se ne sarebbe proprio dovuta andare.

Magari, si sarebbe solo dovuta spostare un po’ più in là per salvaguardare Sundari.

Satine si era detta soddisfatta del risultato e non aveva aggiunto altro.

Quello che non si era aspettata era che il principale impedimento al suo bes’laar sarebbe venuto proprio da Inga Bauer.

Andiamo con ordine, però.

Dopo dei frettolosi preparativi, Satine era pronta a dirigersi verso il Tempio con un manipolo di soldati come sua guardia personale. Maudra Kell le sarebbe venuta dietro assieme al sottotenente Skirata, che sembrava entusiasta di partecipare ad un simile evento. 

Satine non capiva proprio che cosa ci trovasse di tanto speciale, anzi. Cominciava a sentire le farfalle nello stomaco e quasi lo invidiava per non doversi recare nella tana del nexus a farsi giudicare. 

Se il sacerdote del Tempio avesse voluto metterla in difficoltà, ci sarebbe riuscito. Con l’arte, non si sapeva mai dove si andava a parare. Potevano chiederle di fare qualcosa che lei non sapeva fare e a quel punto superare il bes’laar sarebbe stato complicato. Considerati poi i rapporti che il Tempio intratteneva con Vizla, era praticamente certa che avrebbero provato a metterle i bastoni tra le ruote.

Stavano per lasciare il quartier generale di Maudra Kell, quando sentirono un rumore di zoccoli provenire dall’esterno. 

Satine, Obi Wan e Qui Gon si guardarono, perplessi.

Fuori, in strada, stavano arrivando di gran carriera quattro Abiik’ade. Le loro cavalcature galoppavano e si impantanavano nella melma bruna del viale, e si fermarono nitrendo di fronte alla porta.

Le guerriere, tuttavia, non scesero dai viinire.

Satine aggrottò le sopracciglia ed andò loro incontro. 

Tra le quattro donne, c’era Vanya a cavallo di Netra’gal

- Vanya, che è successo?-

- Vizla si sta avvicinando. E’ ancora lontano, ma ha dei missili a lunga gittata in dotazione. Potrebbe colpire Sundari a momenti. Non avete molto tempo, duchessa. Mia zia lo sta trattenendo, ma non durerà a lungo.-

Accidenti. Ha fatto prima del previsto.

Satine sapeva di avere i minuti contati, eppure non riusciva a togliersi di dosso il senso di imminenza e di disagio, come se qualcosa di grosso la stesse attendendo.

Sentiva che una svolta nel conflitto era vicina, ma non sapeva dire in che modo si sarebbe verificata. 

Così, con gli occhi spalancati e guardandosi a destra e a manca, la duchessa lasciò il quartiere generale con il suo seguito e con l’aggiunta delle quattro Figlie dell’Aria.

La città era quasi deserta, se non fosse stato per i soldati dei Kryze che marciavano nelle strade cercando di raggiungere le loro postazioni. 

Era evidente che qualcosa si stava muovendo, perché la generale Kell si era ripetutamente attaccata al commlink dando ordini in Mando’a, ed anche le Abiik’ade si guardavano attorno circospette. 

- Quanto distano?-

- Almeno una rotazione di marcia. Il problema, però, sono i missili. Inga pensa di poterli trattenere ancora per qualche ora, ma dobbiamo fare presto, o non ne usciremo vive. In caso, temo che saremo costrette a lasciarvi sola con i vostri protettori. Se Vizla dovesse entrare in città o raderla al suolo prima che voi abbiate finito, dovremo andare a combattere per garantirvi una via di fuga.-

Satine non era stata molto contenta di quel seguito. Non voleva che il Tempio vedesse nella sua incursione un vero e proprio assedio. Sotto un certo profilo, la presenza dei militari in quella circostanza poteva indurre il Tempio ad affermare che avevano coartato la volontà dei sacerdoti per dichiarare la riuscita positiva della prova.

Beh, non che avessero altra scelta. Se Satine si fosse presentata da sola o con i soli protettori, probabilmente sarebbero stati consegnati direttamente a Vizla.

Doveva esserci un compromesso, dunque, qualcosa che Satine avrebbe potuto mettere in atto per poter evitare un disastro e salvare capra e cavoli. 

Alcuni si affacciarono lungo la strada. Un gruppo di bambini spuntò da dietro un angolo e rimase a guardarla con interesse. Era terribile pensare che creature così giovani avessero già visto tutto quell’orrore e che lo considerassero normale.

Quando io sarò duchessa, nessun bambino dovrà mai più giocare per strade rosse di sangue. 

Il Tempio della Luce era una bella struttura circolare, piena di colonne e porticati in beskar, vetro e pietra lavorata. C’era una grossa cupola con una lanterna in vetro sul soffitto, da cui prendeva luce l’intera struttura.

Se non fosse stata la sede della prova e soprattutto un covo nemico, Obi Wan avrebbe trovato quel luogo incredibilmente affascinante.

Era anche uno dei pochi posti di Sundari in cui si potevano coltivare le piante. C’erano dei rampicanti che salivano lungo le colonne e si arrampicavano sul tetto fin sulla lanterna, coperti di fiori viola e circondati da piccoli insetti impollinatori.

Satine sentì la brutta morsa della nostalgia afferrarle lo stomaco.

Kalevala. 

Un giorno, quando sarò duchessa, tutti potranno godere del verde pubblico anche su Mandalore.

Il gruppo giunse alla base del Tempio e salì le scale che circondavano la struttura. 

Sulla porta, c’era il Sommo Sacerdote ad aspettarli.

- Che diavoleria è mai questa? Che empietà! Avete intenzione di assediare un luogo sacro!-

- Nulla di tutto questo, Sommo.- concluse Satine, inchinandosi elegantemente davanti a lui.

L’uomo trasecolò, ma si guardò bene dal dire alcunché.

- Come avete potuto capire, sono Satine Kryze di Kalevala e sono qua per sostenere la prova del bes’laar.-

- Le prove? Quelle, ormai, sono preistoria, mia cara. Nessuno le fa più.-

- E chi lo ha stabilito? Vizla? Voi? La tradizione prevede che le prove debbano essere ammesse ogniqualvolta qualcuno chieda il permesso, e questa è una di quelle occasioni.-

- Non ne vedo l’utilità.- commentò il Sommo, incrociando le braccia.

Non era cambiato molto dall’ultima volta che Satine lo aveva visto. Aveva ancora la barba lunga, che probabilmente non aveva mai tagliato dai tempi della pubertà, e doveva vederci ancora male, forse peggio di prima, perché Satine non era certa che avesse compreso veramente chi avesse avuto davanti, almeno non fino a che lei stessa non aveva fatto nome e cognome.

- Non dovete vederla. Dovete solo rispettare le tradizioni. Per quanto mi riguarda, ho già superato la prova del meshurok e quella dei Saggi. Come voi ben sapete, le altre due prove, una volta superate queste, sono obbligatorie. Non avete motivo né ragione alcuna per rifiutarvi.-

Il sacerdote tentennò.

- Immagino che se dicessi di no il vostro commando mi ucciderebbe.-

Satine scosse il capo e sorrise con delicatezza.

- Il mio commando, come lo avete chiamato voi, è qua solo per proteggermi. Toccatemi e ne pagherete le conseguenze. Se tuttavia non avete intenzione di farmi del male, i miei protettori non vi attaccheranno mai. La comunità, però, saprà che vi siete rifiutato di seguire le tradizioni, e sulla loro reazione io temo di non poter garantire. Mesi di guerra hanno indurito gli animi anche dei migliori. Io non ho intenzione di ferirvi, ma non posso parlare per gli altri.-

In quel momento, si sentì un forte fragore di esplosivo fuori dalla cupola.

Inga aveva ingaggiato battaglia ancora una volta.

Satine provò a controllarsi, nonostante il fragore delle esplosioni scuotesse la terra ed anche il suo animo.

Cercò con gli occhi Obi Wan, che le mandò un segnale rassicurante.

Era sempre confortevole averlo vicino. Sapeva proteggerla anche a distanza.

Fissò in volto il Sommo Sacerdote, che strinse gli occhi appannati per vederla meglio.

- Vizla sta tornando. Deciderà lui sulla questione.-

- Davvero, Sommo? Sapete che cosa è successo a Bral? Vizla ha attaccato i Saggi. Intendeva distruggere l’istituzione che rappresentano, e sapete perché?-

- Perché hanno osato ostacolarlo.-

- Oh, no, signor mio. Lo ha fatto solo perché c’ero io. Che cosa penserà, una volta che saprà che io e voi ci siamo parlati, che sono stata qui?-

- Che io ho difeso i suoi ideali da un’usurpatrice.-

Questa poi è bella.

- Pensate che tra i Saggi non ci fosse nessuno della nobile casata dei Vizla? Pensate che abbia avuto pietà di loro? No, Sommo, Vizla non ha pietà di nessuno. Non ha mai preso Kalevala. Non ha mai preso Draboon. Ha perso Krownest, è stato sonoramente sconfitto a Khader e non è riuscito a riconquistare Sundari se non in parte. Ha perso Bral, protetta dalle Abiik’ade, e soprattutto ha perso me, e più di una volta. E’ talmente ossessionato dalla mia presenza che non crederà mai a quello che avete detto. Ha paura di perdere il potere, e chiunque entri in contatto con me non è un bravo difensore, ma un potenziale traditore. Credete che vi porti una medaglia, quando invece ha in serbo per voi una punizione ben peggiore della morte. Ha già ucciso il Venerabile. Che cosa vi fa pensare che con voi agirà diversamente?-

Satine gli voltò le spalle. 

- Se tuttavia preferite morire per niente, fate pure. La città saprà che mi avete rifiutata e che avete impedito lo svolgimento di una prova che mi spettava di diritto. Vizla saprà che siete entrato in contatto con me. Mi spiace per voi.-  

Obi Wan non era certo di sapere dove volesse andare a parare. Non riusciva a capire se volesse convincerlo o se volesse ricattarlo. Il tono con cui aveva trattato non era di certo stato accondiscendente, tuttavia nemmeno irritante.

In verità, Satine aveva un piano ben preciso.

Se c’era una cosa che i Sacerdoti del Tempio non sopportavano, era la stupidità. Le loro accademie erano considerate prestigiose e la loro formazione superiore. Satine sapeva, dunque, che la mente del Sommo era tutto fuorché offuscata come la sua vista.

C’era Vizla che stava ingaggiando battaglia fuori dalla cupola, e per quanto Inga Bauer fosse brava, era scontato che presto il dittatore avrebbe ripreso possesso almeno del Palazzo del Governo e della sua metà di Sundari.

Satine era lì e chiedeva di svolgere una prova che non sarebbe servita a niente, indipendentemente dal suo successo.

Avrebbe potuto mandarla via e farlo sapere a Vizla, nella speranza che il dubbio del suo tradimento non fosse così forte da costargli la vita.

Oppure.

La seconda alternativa era di sicuro la più allettante. Se avesse dato il permesso di svolgere la prova ed avesse creato un test estremamente difficile, sarebbe riuscito a trattenerla a sufficienza da permettere a Vizla di rientrare in città e consegnarla, sperando di ricevere tutti gli onori del caso.

Di sicuro, i Kryze presenti in città gli avrebbero risparmiato la testa, almeno per il momento. Magari, gli avrebbero pure concesso il tempo per fuggire. 

Se poi Satine avesse fallito la prova, sarebbe stato lo smacco definitivo per la rivolta, e ciò avrebbe consolidato il potere di Vizla e di conseguenza quello dei Sacerdoti del Tempio.

Sì, la seconda opzione era la più logica ed interessante.

Di sicuro il vecchio Sommo non avrebbe avuto problemi ad individuare qualcuno che mandasse un messaggio a Vizla, avvisandolo della detenzione di Satine.

Inoltre, la duchessa aveva un piano anche per la fuga.

Forse.

C’era comunque la possibilità che l’anziano decidesse di cacciarla e di negare fermamente di averla mai vista.

In tal caso, ci avrebbe pensato lei a fare in modo che la voce giungesse a Vizla.

Spregiudicata? Sì, ma in ogni caso era necessario porre fine alla guerra definitivamente.

Satine scambiò un’occhiata rapida con Obi Wan e sillabò, mentre se ne andava con la schiena voltata verso il sacerdote.

Uno, due…

- Va bene, Kryze.- 

Tre.

Satine si voltò, con un sopracciglio sollevato.

- Volete svolgere la prova? Vi accontenterò.-

La generale Kell ed Idril Skirata non sembravano capirci granché, mentre le quattro Abiik’ade si erano scambiate uno sguardo pensoso, per poi indirizzarlo di nuovo verso la cupola e i fragori della guerra.

Che accidenti vuole fare?

 

Su suggerimento di Satine, tre Abiik’ade, la generale Kell e il sottotenente Skirata rimasero fuori dal Tempio, mentre Vanya, Obi Wan e Qui Gon entrarono nella stanza assieme a lei. La prova si sarebbe tenuta nell’atrio, sotto la lanterna di vetro che illuminava a giorno l’intera stanza. Solo l’ombra di alcuni rampicanti screziava di scuro il cono di luce del soffitto. 

La stanza era circolare e costellata di alte colonne di pietra chiara. Satine era rimasta in piedi, al centro del cono di luce, mentre attorno a lei avevano preso posto tutti i sacerdoti del Tempio. Seduti sui loro scranni, fissavano Satine, che attendeva di procedere alla sua prova.

Il Sommo sembrava pensieroso. Aveva passeggiato per qualche minuto su e giù, prima di giungere davanti alla sua seduta, in posizione centrale rispetto all’emiciclo. 

Si era accomodato ed aveva giunto le mani.

- Bene. Direi che possiamo cominciare con la prova scelta dal candidato. Che cosa desidera mostrarci?-

Satine non esitò nemmeno.

- Gemini 77, Stargazing.-

- E che cosa sarebbe?-

- Una composizione per chitarra classica ispirata all’esplosione della stella Gemini 77.-   

Le fu portata una sedia e una chitarra dall’aspetto aristocratico. 

Satine si accomodò, nel cono di luce della lanterna. Sfiorò le corde con le dita ed accordò la chitarra pizzicando e premendo sui capotasti.

Quando la chitarra fu accordata e la cassa adagiata con delicatezza sul suo ginocchio, Satine prese un respiro profondo e cominciò a suonare.

I Jedi non avevano mai sentito parlare di quella composizione e la trovarono bellissima. Chiunque l’avesse composta aveva evidentemente pensato all’esplosione ed alla distruzione di una stella, e contemporaneamente a che cosa potesse sentire un eventuale spettatore che si trovasse ad ammirare quello spettacolo bellissimo e terribile allo stesso tempo.

Alternava note basse a note alte, passando abilmente dalle corde di basso agli accordi più alti. Elegante e raffinata, Satine respirava con le note e con il ritmo della musica. 

Non si intendevano molto di musica, ma non ci voleva un esperto per capire che quello era un grande pezzo e che Satine suonava dignitosamente. 

Un boato e un fragore improvviso scossero il terreno, ma la ragazza non smise di suonare. I suoi occhi dardeggiarono verso il Sommo, che non aveva fatto una grinza, e Obi Wan sentì nella Forza il suo disagio.

Provò a confortarla da lontano e l’esecuzione continuò ad andare a gonfie vele. 

Concluse con un susseguirsi di rapide note, mentre le dita scorrevano veloci sui tasti, scivolavano sulle corde e concludevano in perfette armonie naturali. 

Poi, con un ultimo arpeggio, le vibrazioni delle corde riempirono l’aria e lì restarono, nel silenzio più assoluto, fino a che la musicista non poggiò il palmo aperto sulle corde e sulla cassa armonica.

Obi Wan era felicissimo. Gli sembrava che la prova fosse andata molto bene. Satine aveva suonato alla perfezione e il brano era meraviglioso. 

Dall’emiciclo, tuttavia, si levò solo un applauso freddino, di circostanza.

Satine non sembrava aspettarsi nulla di diverso e la cosa lo rincuorò.

- Niente male, devo dire. L’esecuzione è stata quasi perfetta.- e il Sommo calcò parecchio la parola, come per dare ad intendere che, nonostante tutto, non era sufficiente. 

Satine inarcò un sopracciglio, aspettando il resto.

Vanya sbuffò sonoramente, ma nessuno ci badò.

- Tuttavia, temo che non sia sufficiente.- 

E ti pareva.

- La chitarra non è uno strumento tradizionale di Mandalore, come può esserlo, invece, un bes’bev. Temo che dovrete fare molto di più per convincerci che siete degna del trono.-

Suonare quello strumento, però, era fuori discussione. 

Satine l’aveva sempre rifiutato per un duplice ordine di motivi. 

Innanzitutto, non le piaceva suonare uno strumento che poteva essere usato per impalare la gente. 

In secondo luogo, non aveva fiato a sufficienza. La sua capacità polmonare, a differenza di quella di Bo Katan e di sua madre, era sempre stata piuttosto contenuta. 

Persino quando correva restava senza fiato.

C’erano però altre strade che poteva percorrere.

- Il bes’bev, purtroppo, va contro tutti i miei principi. Per quanto possa emettere suoni, è anche vero che è usato per uccidere, ed io non ho mai condiviso questa pratica. Rispetto chi lo suona e ne apprezzo anche la melodia. Semplicemente, io preferisco non suonarlo. La musica Mando, però, è anche molto altro.- 

E, con il suo migliore sorriso da birba, calò l’asso. 

- Avete un basso?-

- Un basso?-

- Sì, un basso. Anche elettrico. Avete presente Onde?-

Obi Wan immaginò che la canzone che aveva appena menzionato fosse scandalosa, perché la faccia del Sommo espresse tutto il suo disappunto. 

- Che oltraggio. Quella non è musica, è rumore!-

- Eppure siamo stati noi ad inventare distorsioni e pedaliere.-

- Rimane il fatto che non è musica tradizionale.-

- E’ talmente pesante che non l’ascolta nessuno, nemmeno su Coruscant.-

- Non vedo come questo possa andare a vostro vantaggio, Kryze. Niente basso, men che meno elettrico. Se proprio volete suonare qualcos’altro, prendete il bes’bev, altrimenti la questione è chiusa.-

- Ed immagino di non avere superato la prova.-

- Direi proprio di no.-

Satine non era una sciocca. Sapeva che il Sommo stava solo cercando di guadagnare tempo. Quel ragazzino, ad esempio, quello che era andato a sedersi in ritardo nell’angolo a destra dell’emiciclo, era spuntato da una porticina incassata tra il muro e la colonna, e Satine era certa che fosse andato ad avvertire Vizla su ordine del sacerdote. 

Se voleva batterlo sul tempo, doveva semplicemente dargli un’altra possibilità e poi inchiodarlo di fronte all’evidenza.

Per questo motivo, Satine depose la chitarra contro la sedia e si alzò in piedi.

- E sia. Volete una prova della mia versatilità? L’avrete. Non intendo però venire meno ai miei principi e suonare un bes’bev. Per questo motivo, intendo affrontare un’altra disciplina.-

Il Sommo sembrò andare a nozze con quella proposta. Una lucina si illuminò dentro ai suoi occhi infossati e velati dall’età, forse convinto che Satine si stesse inerpicando su di un pendio impervio, incastrandosi con le sue stesse mani.

- Che cosa desiderate affrontare, dunque?-

- Desidero cimentarmi in una prova di danza.-

Un mormorio si diffuse tra i presenti.

- Suonare e ballare. Non tutti sanno farlo. Siete sicura di volerlo fare? Se la prova di danza si rivelasse scadente, temo che voi vi trovereste esclusa dalla corsa per il trono.-

- Sono sicurissima.- ribatté, il sorriso fiero sul volto.

Poi, senza alcun preavviso, si voltò verso Obi Wan.

- Padawan Kenobi, siete pronto?-

La verità era che il povero ragazzo stava ancora cercando di sopprimere l’ilarità scatenatagli dall’immagine di Satine che pizzicava energicamente il basso elettrico di fronte al volto sconvolto del Sommo. Per questa ragione, quando tutti si voltarono a guardarlo, gli ci volle un momento per comprendere che cosa fosse appena accaduto.

Qui Gon lo guardò, divertito.

- Come, prego?-

- Siete pronto per ballare?-

Si sentì incastrato. 

Vuoi vedere che questa peste aveva calcolato tutto fin da quando ha cominciato a darmi lezioni di ballo?

Poi, però, di fronte allo sguardo apparentemente sereno, ma in realtà implorante della duchessa, ogni sua considerazione in proposito scomparve.

Si era trovata alle strette e contava su di lui per riuscire. 

Beh, chi era lui per negarle un ballo?

Tossicchiò e si erse in tutta la sua statura - che al fianco di Qui Gon pareva ben misera - e si avvicinò a lei, facendo un passo nel cono di luce della lanterna. 

Nel Tempio si sollevò un mormorio diffuso. I sacerdoti stavano confabulando tra di loro a proposito della scelta della duchessa di affrontare un ballo in coppia. 

- Voi vi rendete conto che state affrontando una prova di danza, ballando con un partner che non è il vostro, vero?- fece un uomo di mezza età, stempiato e con gli occhiali, ma dal volto ancora glabro.

Il che, per gli standard delle barbe del Tempio, era praticamente indice di noviziato. 

Satine annuì con garbo.

- Il padawan Kenobi è istruito nella danza ed è un eccellente ballerino. Pur non essendo il mio partner sulla pista da ballo, sono certa che troveremo un modo per andare d’accordo.-

- E’ rischioso. La vostra prova potrebbe essere penalizzata dal fatto che non conoscete la guida del vostro nuovo ballerino.-

Obi Wan cominciò a sudare freddo e tutti i consigli che lei gli aveva dato nel corso dei mesi avevano cominciato a frullargli per la testa a tutta velocità.

Siete in tre a ballare: tu, lei e il vestito.

Non vuoi pestarle i piedi, o la lascerai in mutande.

Ma non ha un vestito, ha i pantaloni!

Che c’entra? Non puoi pestarle i piedi!

Ricordati che quando balli pendi a destra.

Se la sbilanci lei cade per terra, come quella volta in cui siete scivolati sui sassi di Krownest.

Se non ti mostri all’altezza, lei non supera la prova e Vizla governerà per sempre.

Insomma, non ne aveva, di pressione, proprio no.

- Un motivo in più per considerarla valida, qualora la dovessi superare. Mi fido ciecamente del padawan Kenobi ed intendo comunque provare un valzer mandaloriano.-

Beh, almeno lo aveva scelto facile. Se gli avesse fatto ballare l’iivin'yc redaluur… 

Non era certo che ci sarebbe riuscito.

A quel punto, i sacerdoti non dissero altro.

Con l’aiuto di un datapad, riuscirono a scegliere la musica giusta per la prova.

Satine ed Obi Wan fecero un ascolto preliminare, ma il ragazzo sudava ancora freddo ed era visibilmente provato.

- Che succede se sbaglio?-

- Non sbaglierai. Non hai ragione di farlo. Sei un bravo ballerino. Datti credito e togliti la voce del Consiglio Jedi dalla testa. Ascolta solo la mia. Ripensa alla spiaggia. Balliamo su una nebulosa. Va bene?-

Eccome. Purtroppo le circostanze non avevano permesso loro di replicare l’evento. Da un certo punto di vista, ad Obi Wan andava più che bene, perché gli costava molta fatica fluttuare a quel modo. Inoltre, era giusto conservare il ricordo di un momento irripetibile così com’era, senza privarlo del suo fascino trasformandolo in un’abitudine.

La voglia di provare di nuovo l’ebrezza di quel ballo, però, non era mai svanita.

Avrebbe solo ballato. Per terra, senza volare, in un atrio luminoso che, se non fosse stato ostile, sarebbe stato uno dei posti più belli che avesse ma visto.

Tanto per cambiare. Quante altre volte lo hai detto, da quando sei atterrato su Mandalore?

Annuì, convinto, e calmò un po’ il respiro.

Quando la musica partì, Obi Wan condusse Satine al centro della pista, e con estrema delicatezza cominciò a guidarla nel valzer, avanti e indietro, poi con movimenti circolari, fino a danzare nella luce bianca di Mandalore come se non toccassero nemmeno terra.

Volteggiarono intensamente, dimentichi di tutto, anche di non essere soli. Non si accorsero nemmeno dell’arrivo di una trafelata Inga Bauer, che inchiodò sul posto accanto al maestro ed annuì con rispetto nei suoi confronti, mentre li ammirava volteggiare nella luce candida della sala.

Quando la musica rallentò, sulle ultime note del valzer, i due fecero un passo di lato e un modesto inchino.

Poi, la musica svanì.

Stavolta l’applauso giunse più convinto. 

Satine cominciò a pensare che, se il vecchio Sommo avesse chiesto altro, avrebbe trovato l’opposizione di almeno parte dell’emiciclo.

Sinceramente, non aspettava altro. Come Obi Wan non aveva mai mancato di farle notare, non sapeva disegnare e se le avessero chiesto di cimentarsi in qualcosa di simile avrebbe fallito miseramente. Di suonare altri strumenti, non se ne parlava. Recitare? Ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Avrebbe potuto ballare qualcos’altro, ma non era certa che il buon padawan al suo fianco sarebbe stato contento - o all’altezza - del compito.

Il Sommo si grattò la barba.

- Sì, passabile.- disse, mentre lo stridere delle unghie sui suoi peli infastidiva la duchessa.- Tuttavia un valzer è un ballo piuttosto facile…-

Un sonoro ehm si levò dal fondo, ed Inga Bauer comparve nel cono di luce.

Era provata e si vedeva. Era sporca di sabbia e di sangue, ma lo sguardo cerchiato sotto le pitture da Abiik’ad era ancora fiero. 

L’emiciclo rumoreggiò.

- Chiedo venia per l’interruzione, tuttavia ritengo legittimo informarvi che Larse Vizla sta per circondare la parte ovest della città. Ha subito una pesante sconfitta a Bral, da cui è stato costretto a ripiegare, e i nostri hanno circondato il Palazzo del Governo. Lui, Evar Saxon e il suo seguito sono rinchiusi nel loro accampamento a programmare la nuova strategia difensiva. Considerato il numero di spettri che abbiamo trovato nel deserto, non sono sicura che usciranno mai vivi da lì.-

La faccia del Sommo crollò.

Ci aveva sperato fino all’ultimo, nella riuscita del suo piano, ma evidentemente la Forza aveva in serbo un destino diverso. 

- Ci tengo a sottolinearlo perché non voglio che questa prova si trasformi in una farsa. Con tutto il rispetto, Sommo, non si è mai sentito che qualcuno dovesse cimentarsi in tutte le forme di arte mandaloriana o che fosse costretto a suonare un bes’bev prima di adesso.-

Con quel caldo invito a recuperare la dignità perduta, il povero sacerdote si lanciò un’occhiata attorno.

Chi era in disaccordo, aveva abbassato il capo.

Chi era d’accordo con la generale, invece, lo fissava speranzoso.

Gli sguardi in alto erano evidentemente più di quelli in basso, perché il sacerdote sbottò.

- Che cosa volete che faccia? Che ci piaccia o meno, adesso che lei è venuta qua, se le facciamo superare la prova Vizla ci sterminerà tutti. Se sostengo che Satine Kryze ha superato la prova, saremo tutti spacciati!-

- Non è detto, o Sommo.-

La voce di Satine irruppe nel silenzio lasciato dal discorso del sacerdote, che ormai si stava abituando all’idea di vedere la propria testa su una picca sul terrazzo del Palazzo di Sundari. 

La duchessa fece un passo avanti, al centro del cono di luce, esattamente sotto la lanterna, e si rivolse a tutti gli astanti.

- Io non so come abbiate fatto fino ad adesso a convivere con questo peso. Leggo la paura nei vostri occhi, e mi domando come possiate sostenere un uomo che vi suscita questo terrore. Nessuno dovrebbe avere paura di fare il proprio dovere o di sostenere le proprie idee. Nessuno dovrebbe temere per la propria vita in virtù di quello che fa o dice. Se io dovessi diventare duchessa, tutto questo cambierà. Non sono qua, però, per cercare sostegno politico. Sono qua per proporvi un piano. Sapete benissimo che io ho in odio la violenza, e nonostante la vostra scelta di essermi avversari, io non auguro a nessuno di voi la morte, e se posso, sono intenzionata a salvarvi.-

Adesso il silenzio si era fatto di piombo.   

Satine, lieta di aver catturato l’attenzione, sospirò e continuò.

- Vizla non deve sapere che ho superato il bes’laar. Non per forza. Manca ancora una prova da sostenere, ed è quella dell’apertura della Luce di Mandalore. Tutti noi sappiamo quanto il superamento di quella prova sia importante. Un Mand’alor legittimato dalla popolazione e da Mandalore stesso gode di fiducia incondizionata, e chi intendesse negare l’apertura della Luce sarebbe empio. Se io dovessi passare l’ultima prova, ebbene, voi non potreste fare altro che prendere atto della mia candidatura ufficiale.-

- Ciò non toglie che Vizla potrebbe venire a farmi la festa da un momento all’altro.-

- No, perché ci saremo noi a proteggervi. Come ho detto, non ho interesse a che moriate per me, nessuno di voi. Il buon Venerabile, purtroppo, ha pagato con la sua vita. Non permetterò che accada una seconda volta. Voi verrete protetti dai miei uomini e dalle nostre Abiik’ade, e Vizla non potrà alzare un dito su di voi. Basta soltanto che aspettiate. Non informate il dittatore dell’esito della prova sostenuta. Attendete che a parlare sia la Luce. A quel punto, Vizla sbatterà il naso contro la dura realtà, e voi non avrete più nulla da temere nel fare il vostro dovere.-

Il Sommo sembrò tentato e lanciò uno sguardo attorno.

La platea sembrava approvare.

- E nel frattempo?-

- Nel frattempo lascerò qua un gruppo di Figlie dell’Aria pronte ad intercettare Vizla qualora dovesse attaccare. Intendo procedere rapidamente. Non più di qualche ora, al massimo. Dopodiché, sarete liberi di condurre la vostra vita come meglio credete.- 

Obi Wan e Qui Gon poterono percepire il cambiamento nell’aria. Dal senso di preoccupazione si era passati ad un senso di profondo sollievo. Adesso, persino i sacerdoti sembravano spingere con piccoli gesti il Sommo a dichiarare la prova superata e ad attendere quella della Luce. 

Certo, vedevano tutte le falle di quel piano, ma avevano la sensazione che Satine avesse pensato anche a quelle. 

Dopo un breve confabulare, il Sommo si alzò in piedi ed allargò le braccia.

- Dichiaro superato il bes’laar.- proclamò a gran voce, e la stanza applaudì.

- E che Kad’Harangir vi venga incontro, duchessa.-

Satine gli strinse la mano alla maniera dei Mando e si inchinò verso gli altri sacerdoti.

- Che venga incontro a tutti quanti noi.-

Poi, diede loro le spalle e si avviò verso l’uscita, seguita dai suoi protettori.

Non appena le porte del Tempio si furono chiuse alle sue spalle, Satine cominciò a dare ordini.

- Non mi fido di loro. Qualcuno sicuramente proverà a contattare Vizla. Piazzatevi qua con un datapad e disturbate le loro comunicazioni fino a nuovo ordine. Tenete d’occhio tutte le entrate e tutte le uscite. Voglio tornare qua con la consapevolezza di non avere sorprese.-

Inga Bauer si disse d’accordo e si appartò con alcune delle sue ragazze per discutere della strategia. 

Maudra Kell si fece avanti, scettica.

- Ne deduco che la prova è andata bene.-

- Benissimo!- commentò con un po’ troppa allegria Vanya, e si guadagnò un’occhiataccia da parte della donna.

- Sì, è andata bene.- concluse Satine, l’ombra di un sorriso sul volto.- Tuttavia, temo che dovrete riaccompagnarmi al quartier generale. I miei protettori sono feriti e la gamba del maestro non è ancora stata medicata. Io stessa mi sento come se avessi messo la faccia su un fornello rovente. Per di più, ho una fame da lupi e ho bisogno di energie per affrontare l’ultima prova. Adesso che Vizla è nei pressi della città, inoltre, vorrei discutere con voi di una strategia per riuscire a vincere questa guerra prima della fine della settimana.-

Maudra Kell alzò le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli.

- Come, prego?-

- Ve l’ho detto, generale. Non intendo causare problemi più di quanto non abbia già fatto. Se per evitarlo dovrò far finire personalmente questa guerra, sono intenzionata a farlo.-

Poi, trottando in avanti sulla via con un presentimento poco positivo dentro al cuore, mormorò, più a se stessa che agli altri.

- Questa farsa è durata anche troppo.-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ijaat’ad: lett. figlio dell’onore, Venerabile.

 

NOTE DELL’AUTORE: Un capitolo corposo, me ne rendo conto.

Un noto politico italiano affermò che il potere logora chi non ce l’ha.

Forse, o forse no.

Il potere è ambito, agognato, ricercato. Non sempre, però, gli oneri che il potere comporta valgono la sua conquista. Il potere aprirà pure tante porte, ma ne chiude altrettante.

La solitudine, per esempio, è una conseguenza naturale.

Insomma, non sempre il gioco vale la candela.

Al prossimo capitolo,

Molly.

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Capitolo 55
*** 46- Attacco a Sundari ***


CAPITOLO 46

Attacco a Sundari

 

41 BBY - estate mandaloriana. Battaglia di Sundari, giorno uno.

 

La gamba di Qui Gon, ferita nello scontro con i cacciatori di taglie, fu medicata prontamente. 

Il bacta che il gruppo aveva a disposizione non era granché, ma se lo fecero bastare. 

Satine aveva la faccia gonfia e il labbro spaccato, ma da tempo ormai aveva smesso di sanguinare. Per evitare che la ferita si riaprisse, Obi Wan volle applicarne comunque uno strato.

- Non c’è bisogno, Ben, davvero.-

Il padawan strappò la confezione con i denti.

- Preferisco comunque versarne un goccio.-

Satine sbuffò, ma lo lasciò fare. 

Le applicò giusto un sottile strato sulle labbra, che Satine prontamente spalmò serrandole, e lo costrinse a richiudere la confezione.

- Potrebbe servirci. Sigillalo di nuovo nel sacchetto e lasciamolo lì. Abbiamo ancora una battaglia da combattere.-

Obi Wan mordicchiò ancora una volta la confezione per richiuderla, e poi la sigillò in un sacchetto e la rimise nello zaino.

Il pasto che avevano consumato era stato frugale, ma sostanzioso. Seduti attorno al loro tavolo, avevano discusso per ore con Kell e Skirata per riuscire a trovare la quadra del cerchio. 

Il piano di Satine di concludere la quarta ed ultima prova nel giro di poco sembrava essere destinato, purtroppo, ad andare in fumo. 

- Una volta che avrò concluso la prova della Luce, c’è da stare certi che le cose cambieranno.-

- Non ci crederà mai. Dichiarerà guerra, ammesso che non lo faccia prima ed Inga non sia costretta a capitolare.-

- Questo è possibile, se restiamo qua con le mani in mano ancora per molto, ma non certo. Vizla potrà anche dire quello che vuole, ma non è detto che i suoi lo seguano. Stiamo parlando della Luce. Pure lui dovrà crederci, o il prezzo da pagare potrebbe essere troppo alto. Saxon ha già provato ad entrare a Kryze Manor ed impadronirsi di qualunque oggetto egli credeva avesse permesso a mio padre di aprirla, illudendosi di poterla dominare così. Potrà anche gridare alla stregoneria, ma sta di fatto che teme la Luce ed anche i suoi la rispettano.-

Satine cominciava a pensare, però, che quel ragionamento potesse essere viziato dalla disperazione. Se avesse superato la prova della Luce e se fosse sopravvissuta - e date le circostanze Satine nutriva tutti i dubbi del caso - Vizla sarebbe stato un uomo finito, e la giovane duchessa cominciava a credere che avrebbe tentato il tutto e per tutto pur di sopravvivere a quel conflitto.

Non si trattava più di tenere il potere, ma di uscirne vivo o di morire con dignità.

- Conto sul fatto che la notizia manderà in crisi i suoi. I fedelissimi, probabilmente, resteranno con lui, ma in molti accetteranno di avere perso. Il problema è, che cosa succederà dopo?-

In effetti, c’erano diverse variabili.

Un Mando ha la fierezza radicata nel midollo osseo. La Ronda non avrebbe mai accettato di prostrarsi, sconfitta, ai piedi del nuovo Mand’alor. Piuttosto, i terroristi se ne sarebbero andati in esilio da qualche parte, oppure avrebbero trovato un modo per morire. 

Satine voleva a tutti i costi evitarlo.

Nessuno sarebbe dovuto morire, nemmeno tra le fila dei nemici. Inoltre, non voleva creare fughe pericolose. 

La storia le aveva insegnato che chi fugge da Mandalore prima o poi torna, e non sempre lo fa con le migliori intenzioni.

Qualunque cosa fosse successa, Satine intendeva controllare il nemico, tenerlo d’occhio per i mesi, forse gli anni a venire.

Questa, però, era una delle sue fughe in avanti.

Andiamo con ordine.

Il problema principale, dunque, era evitare rischi nell’immediato futuro. Per farlo, dovevano avere una strategia di contenimento.

- Innanzitutto, dobbiamo muoverci con anticipo. Sappiamo esattamente dove si trova Vizla?-

Su una mappa olografica, l’area in cui era stanziato era tinta di rosso. Aveva occupato principalmente la zona del Palazzo del Governo e il circondario. L’intento era, chiaramente, quello di rientrare dalla parte della città che era già stata in suo possesso. In verità, era una zona piuttosto limitata. Le Abiik’ade erano riuscite a strappargli il mercato coperto a suo tempo ed ancora ne erano in possesso. 

Al di fuori del Palazzo e dell’ospedale centrale, dunque, non c’era assolutamente niente di interessante che il dittatore potesse occupare o che potesse usare come magazzino. 

- Circondiamo l’area. Facciamo in modo di prevenire l’assedio e di contenerlo nella sua zona della città. Una volta che lo avremo spinto lì, sarà lui a trovarsi assediato, ed io verrò con voi. Se sarà necessario, aprirò di nuovo la Luce davanti a loro. Se non si arrenderà volutamente, lo faremo arrendere.-

- L’idea di una manovra a tenaglia non è male, ma sospetto che, piuttosto che consegnarsi, Vizla si ucciderà.-

- A quel punto tratteremo la resa degli ostaggi. Si tratta di salvare quanti più Vizla e Saxon possibili. Se quel folle desidera uccidersi, temo che non potrò fare nulla per salvarlo, ma posso provare a tirare fuori gli altri prima che sia troppo tardi.-

Maudra Kell sembrava molto scettica, e tutti i torti non li aveva. 

Salvare il proprio nemico, dopo tutte le ferite che si erano inferti l’un l’altro fino a quel momento?

- Comprendo la vostra posizione, generale, tuttavia se vogliamo ricostruire questo paese non possiamo pensare di ucciderci tutti. Vizla e Saxon potranno anche non cambiare idea, ma la loro gente potrebbe. Non pretendo che passino al clan Kryze, ma che nutrano almeno un minimo di riconoscenza per la libertà e la vita concessa da lasciarci in pace almeno per qualche anno. Non crediate che io non abbia alcun piano per il futuro: sono determinata a renderli inoffensivi.-

Voi fate la guerra, io faccio politica. Ognuno al suo posto. Fidatevi di me.

Nella stanza accanto, i commlink presero a squillare incessantemente, ma Satine, la generale, il sottotenente e i due Jedi erano troppo presi da altro per rispondere. Una giovane ragazza dai capelli corti, intenta a decifrare codici e intercettare segnali, prese la chiamata e si fiondò di corsa dentro i quartieri della generale.

- Generale Kell! Abbiamo una chiamata dallo spazioporto, pare che abbiano ricevuto un segnale di aiuto dal deserto!-

- Da parte di chi?-

La ragazza prese a scorrere il datapad alla ricerca di informazioni.

- Ursa Wren.-

Satine spalancò gli occhi e il suo castello di carte cominciò a crollare.

Che ci faceva lì Ursa Wren?

Per un attimo temette che la contessina avesse deciso di accorrere in soccorso di Vizla. In fondo, non aveva mai preso le distanze dalla casata, pur disconoscendo il dittatore. Inga le aveva assicurato di aver preso contatto con lei, però, e che effettivamente i Wren ormai facevano parte dell’alleanza. 

Ciò, però, non chiariva la sua domanda: che cosa ci faceva Ursa Wren lì?

La sua mente cominciò a produrre i peggiori scenari.

Ursa Wren che cambia casacca all’ultimo minuto.

Ursa Wren e il suo numerosissimo clan che invadono Sundari dalla parte non esposta ai combattimenti con i Vizla, annientando le difese dei Nuovi Mandaloriani, schiacciati tra i due schieramenti.

Ursa Wren che comincia una nuova guerra civile contro i Vizla e i Saxon per deporre il despota ed ambire lei stessa al trono.

Ursa Wren che si impadronisce con la forza della Darksaber protetta accuratamente tra le quattro mura di Kryze Manor. 

Quando giunse allo spazioporto per accogliere la contessina aveva le palpitazioni. I Jedi non l’avevano persa di vista un attimo e nemmeno Maudra Kell e Idril Skirata, che l’avevano seguita fino a lì, da una parte curiosi di sapere come avrebbe reagito, dall’altra perplessi tanto quanto lei.

Lo spettacolo che trovarono fu politicamente rincuorante, ma umanamente molto, molto demoralizzante.

Il clan Wren era sempre stato un clan numeroso, e il battaglione che la contessina stava guidando era comunque corposo, ma le loro condizioni erano desolanti. Erano coperti di polvere dalla testa ai piedi e qualcuno zoppicava visibilmente, sorretto dai compagni. Le placche di beskar erano ammaccate in più punti e il giallo del clan era stato grattato via da qualunque cosa li avesse attaccati. 

Questi sicuramente hanno combattuto, ma non contro di noi.

Satine si fece immediatamente avanti ed Ursa si tolse l’elmo.

- Kryze, tu qui?-

- Dove altro sarei dovuta essere?- le disse, stringendole la mano alla maniera dei Mando.

La contessa sbatté le palpebre, pensosa, e ricambiò la stretta con aria perplessa.

- Che cosa vi è successo?-

- Spettri. Ce ne sono a migliaia. Non sapevamo più a che santo votarci, fino a che un meshurok bianco come il deserto non è venuto a fare man bassa di loro.-

Gli occhi di Satine brillarono.

- Sono contenta che Myra vi sia stata d’aiuto. Vorrei poter fare di più. Da dove venite?-

Ursa rimase a fissarla, gli occhi a mandorla che non avrebbero potuto aprirsi più di così. 

- Quella creatura è tua?-

- Certo. Tuo padre, quel giorno, era presente. Che Nebrod l’abbia nella gloria del Ka’ra.- le disse, poggiandole una mano sulla spalla.

Non mi hai ancora detto da che parte stai.

Ursa, però, era intelligente, ed aveva capito perfettamente che non poteva fingere, non di fronte a quella che, a questo punto, sarebbe probabilmente diventata la duchessa di Mandalore. 

Così, prese un bel respiro e commentò.

- Siamo atterrati ore fa, quando abbiamo saputo dell’assedio di Bral. Intendevamo dare man forte ai vostri, ma non siamo arrivati in tempo. Le Abiik’ade avevano già messo in fuga il dittatore, che si stava dirigendo pericolosamente verso Sundari. Abbiamo ripiegato sulla città, ma siamo stati sopraffatti dagli spettri. Bestiacce a perdita d’occhio. Krownest è in ginocchio. Loras è invasa, Sal è stata distrutta dai terroristi.-

- Lo so.- disse Satine, accompagnando Ursa e i suoi uomini dentro la città.- Io ero lì.-

La contessina questa volta non riuscì a trattenere il proprio sgomento.

- Tu eri dove?-

- Non ho mai lasciato il sistema, se non dopo Khader, quando è stato necessario riorganizzarci. Vivevo nei boschi di Krownest quando è accaduto della PharmaMandalore. Uno dei mie protettori è rimasto ferito, ma è stato difficile trovare assistenza. E’ stato così che ho appreso delle rivolte di Sal. Avrei voluto poter fare di più.-

Ursa sapeva che era stato girato un filmato in uno degli ospedali di Krownest, in cui la duchessa aveva arringato in favore della riforma della sanità e dell’etica in corsia. Lo aveva visto anche lei. Quello che non si era aspettata era il resto.

- Non hai mai lasciato il sistema?-

- Mai.-

- Ed eri lì? Hai combattuto contro gli spettri?-

- Per quanto la mia etica e la mia morale mi abbiano consentito, sì.-

Ursa camminò al suo fianco, impressionata. Era Mando e non amava dare a vedere le proprie emozioni quando si trattava di essere presi in contropiede. Eppure, quella notizia l’aveva rasserenata ed aveva sollevato anche Satine, che adesso cominciava ad essere certa che la contessina fosse dalla sua parte.

- Vizla, purtroppo, è riuscito a riprendere il controllo della parte ovest della città. Il Palazzo del Governo e l’ospedale centrale è in mano sua. Al mercato coperto abbiamo allestito una clinica per i nostri, e un tendone c’è anche fuori, ma so che Inga Bauer lo aveva allestito prevalentemente per i malati di buruk e per coloro che avevano preso le radiazioni di Keldabe. Vi consiglio di andare al mercato, dove troverete le cure necessarie.-  

Ursa annuì.

- Chi è abile a combattere, tuttavia, preferirei che restasse schierato. Se gli spettri stanno arrivando, dovremo essere pronti, e soprattutto intendo stanare Vizla prima della fine della settimana.-

Questa volta, lo sguardo della contessina si fece duro.

- Dimmi che posso ammazzarlo con le mie mani.-

Satine aggrottò le sopracciglia.

- Credimi, Ursa, non lo amo più di te, tuttavia credo che sia necessario, almeno per il momento, procedere con calma. Non sappiamo nemmeno se lo prenderemo vivo. Sai meglio di me che pur di non arrendersi sarebbe disposto a fare follie.-

La contessina era d’accordo e non esitò a stringerle la mano e a dirigersi, al seguito di Skirata, verso l’ospedale da campo. I suoi guerrieri erano malconci e con il morale a terra, ma erano un valido aiuto alle loro schiere decimate. Satine non ignorava la stanchezza dei suoi uomini, e l’ultima cosa che voleva era che gettassero la spugna sul più bello.

L’arrivo di Ursa Wren era una benedizione.

La giovane ragazza che aveva dato loro la comunicazione della presenza del clan Wren fuori dallo spazioporto era stata incaricata da Satine di portare avanti delle verifiche segretamente. Inga Bauer, con grande soddisfazione della duchessa, aveva effettivamente confermato che la contessina aveva inviato un messaggio informandola che stava sopraggiungendo per combattere a Bral. Le due erano poi rimaste in contatto.

Satine, sotto lo sguardo attendo dei Jedi e della popolazione locale, prese da parte la generale Kell e volle tornare verso il quartier generale per cambiare la strategia.

- Adesso che abbiamo rinforzi dal clan Wren, credo che sarebbe giusto rivedere il nostro piano. Possiamo circondare anche la parte posteriore del palazzo e spostare l’artiglieria sul fianco destro, che fino ad ora era rimasto scoperto.-

- La cavalleria, potremmo metterla sul tetto dell’edificio di fronte, è di dieci piani.-

- Tutti integri?-

- Beh…-

- Forse sarebbe meglio mettere i cecchini lì, oppure le spie, per tenere d’occhio la condotta di Vizla e dei suoi. La cavalleria potrebbe spiccare il volo dalle ali laterali del Museo di Scultura e dalla torre della Fondazione Astronomica.-

Maudra Kell sembrò prendere in considerazione seriamente quell’opzione.

Forse, adesso che Satine era lì e stava giocando tutte le sue carte, avrebbe cambiato opinione a proposito della duchessa e della sua presenza.

La programmazione dell’attacco andò avanti per ore. Inga Bauer arrivò di corsa non appena ebbe intercettato casualmente una chiamata tra un comandante dei Vizla e un luogotenente di stanza nei pressi della cella commlink del Tempio. 

Apparentemente, Vizla intendeva attaccare prima che attaccassero gli altri.

- Non penso di poter aspettare altro tempo. Devo andare ad aprire la Luce di Mandalore e lo farò mentre voi procederete a cingere d’assedio il Palazzo del Governo. Non posso fare diversamente. Una volta che l’avremo costretto nella sua tana, sarà tutto più semplice.-

- Che cosa faremo, una volta che l’avremo rinchiuso lì?-

- Io verrò da voi, e se servirà tirerò fuori personalmente Vizla dal Palazzo.-

- Duchessa, mi permetto di dissentire, non credo che sia…-

Ma il loro ragionamento fu interrotto dal clamore della sirena.

- Che sta succedendo?-

- E’ la sirena della cupola. Qualcosa sta arrivando dall’esterno.-

Satine si spaventò e a buon titolo. Lanciò un’occhiata ad Obi Wan e a Qui Gon, che ancora si massaggiava la gamba dolorante, per ottenere in risposta il suo stesso sguardo sgomento.

Siamo stanchi. Non siamo pronti.

Si rivolse ad Inga, nella speranza che gli eventi non stessero precipitando del tutto.

- Contraerea?-

- Quella di Sundari o quella di Vizla?-

Satine sollevò un sopracciglio.

- Vizla aveva dei missili a lunga gittata, prima di fare un giretto a Bral. Poi ha deciso di tornare indietro, e certi giocattoli a casa mia non entrano. Per quanto riguarda Sundari… Beh, la contraerea c’è.- disse, indicando se stessa.- Stanca e con le armi spuntate, ma c’è.-

A chiarire ogni dubbio fu Skirata, che si precipitò trafelato dentro i quartieri privati di Maudra Kell per gridare, ahimè, l’amara verità.

Ovvero che Vizla non c’entrava proprio nulla.

- Spettri!- bofonchiò, nel tentativo di riprendere fiato.- Spettri ovunque! Sono migliaia!-

Satine sospirò.  

Dentro di sé, aveva già cominciato a capire da tempo. Forse, agli occhi degli altri, la questione spettri poteva sembrare separata dalla guerra civile, ma Satine non ne era mai stata del tutto convinta. 

Fin dall’inizio, aveva sempre creduto che chi sarebbe riuscito a controllare gli spettri sarebbe stato colui che avrebbe vinto.

Lì per lì, aveva supposto che qualcuno avrebbe cercato di dominarli.

Adesso, dopo una riflessione durata mesi, aveva capito che era necessario annientarli.

Il loro peregrinare per il sistema di Mandalore e tutte le loro tribolazioni sembravano aver portato a quel punto. Nebrod, la Forza o come si vuole chiamarla, aveva fatto in modo di mettere sulla sua strada numerosi pericoli che però le avevano dato delle certezze che gli altri non avevano.

Lei sapeva come eliminare gli spettri, sapeva che cosa erano e di che cosa avevano paura.

Vizla, no.

Ed adesso, per il volere della Forza o per un colossale colpo di fortuna, Satine si trovava nel posto giusto al momento giusto. Si trovava nella città principale di Mandalore - almeno, l’unica rimasta - sede di una delle Porte più grandi e, soprattutto, nel momento esatto in cui gli spettri avevano deciso di desinare lì.

Era giunto il momento di aprire la Luce.

Deglutì ed ignorò il peso che gravava sul suo stomaco.

Da diverso tempo, infatti, non aveva soltanto intuito che sarebbe stata lei a mettere fine alla piaga dei sarlacc. 

Satine aveva ormai capito che, di tempo, non ne aveva più. Che la sua missione, come era stato già scritto tanto tempo prima, le sarebbe costata la vita.

Se qualcuno intuì i suoi pensieri, non lo rese pubblico. Si voltò verso Maudra Kell, che si era fatta terrea in volto, pur senza perdere il cipiglio bellicoso.

- Andiamo a vedere di che cosa si tratta e riorganizziamoci. Ho ragione di credere che questa volta anche Vizla combatterà per salvarsi la pelle. Il nemico del mio nemico è mio amico.-

- Narudar?-

- Narudar.-

Tutti sapevano che la battaglia contro il dittatore era soltanto rimandata. Prima, avrebbero dovuto vincere la guerra contro gli spettri e salvare la città dalla distruzione.

 

Lo spettacolo fuori dalla cupola era desolante. 

Satine aveva compreso, come aveva riferito Skirata, che di spettri ce n’erano tanti, ma non avrebbe mai pensato che ce ne fossero così tanti. C’erano creature a perdita d’occhio. Il deserto si era tinto di nero, verde e viola, di creature dalle forme più strane. Alcuni camminavano a quattro zampe, altri erano eretti. La massa scura si perdeva fino all’orizzonte e a volte veniva coperta dall’ombra colossale di Myra, che volava attorno alla cupola, stridendo infastidita. 

Insomma, avevano bellamente cinto d’assedio la città. 

Le notizie dall’estero non erano confortanti.

Stando alle comunicazioni che il quartier generale continuava a ricevere, infatti, la stessa, identica situazione si stava verificando anche nelle altre città del sistema. 

Qualcosa, tuttavia, non andava.

Satine, Obi Wan e Qui Gon avevano sempre creduto che gli spettri amassero l’umidità, e la sostanza viscida che si lasciavano dietro aveva contribuito a creare quella convinzione. 

Questa massa informe, però, si trovava in pieno deserto, ed aveva attaccato i Wren là, in mezzo al niente, dove non avrebbero mai avuto la possibilità di incrociare dell’acqua.

Da dove venivano, dunque?

Un terribile pensiero attraversò la mente della duchessa.

- Generale Kell, ditemi una cosa. Chi è rimasto a Keldabe a chiudere la Porta?-

La donna la guardò come se Satine avesse bevuto troppo.

- Come sarebbe a dire, chi è rimasto? Nessuno è rimasto! Con quel livello di radiazioni si può star certi che non regna anima viva in quel posto! E poi, perché, la Porta doveva essere chiusa? Che vuol dire, chiudere la Porta?-

Satine si passò una mano nei capelli.

Dopo l’assalto alla città, la Porta di Keldabe è rimasta senza controllo, e se tanto mi dà tanto, anche tutte le altre Porte del sistema non sono mai state controllate. Forse, solo quella del bosco di Nebrod.

All’improvviso comprese che era assolutamente necessario intervenire prima che fosse troppo tardi.

La cittadinanza era atterrita di fronte a quella marea nera. Persino i guerrieri e le guardie dello spazioporto tremavano sotto il beskar.

Satine non perse un momento.

- Kell, Skirata! Maestro, padawan! Venite con me. Passatemi un commlink, presto!-

Il sottotenente obbedì, e Satine fece un’ultima disperata chiamata.

E’ la resa dei conti, ormai.

- Bauer.-

- Inga, vieni immediatamente via di lì!-

- Ma, Satine, le comunicazioni…-

- Lascia perdere le comunicazioni! E’ da lì che vengono! Vieni via di lì, o quando saranno usciti dalla Porta sarai la prima pietanza che troveranno!-

La conversazione si interruppe immediatamente, mentre la duchessa percorse la strada di corsa ed andò incontro ad Ursa Wren.

La generale Kell e il sottotenente Skirata si guardarono, un velo di panico dipinto sul viso.

- Che vuol dire, che sono dentro?-

Ursa percorse a grandi falcate il viale con l’elmo sotto il braccio.

- Ve l’avevo detto, sono tantissimi e soprattutto hanno una fame che non ci vedono.-

Satine sapeva che non era fame ciò che li muoveva, ma preferì non commentare. 

Camminò per le strade di Sundari, dando indicazioni come meglio poteva. Aveva un piano, ma se avesse avuto ragione e fossero sbucati dalla Porta, la loro possibilità di sopravvivenza era, come al solito, pari a zero.

- Attaccheranno su due fronti, questo è certo.- brontolò, mentre procedeva spedita in direzione del quartier generale.- Dobbiamo evitare che la massa all’esterno sfondi le mura. Ci servirà una difesa doppia. Generale Kell!-

La donna rispose alla chiamata, nonostante non stesse capendo niente di ciò che Satine stava dicendo.

- Lasciamo perdere Vizla e dirottiamo tutte le nostre forze vero la cupola. Nessuno deve entrare o uscire. Quanti guerrieri abbiamo a disposizione?-

- Qualche migliaio, ma non sono decisamente sufficienti a contrastare…-

- Basteranno. Di fronte ad un offensiva del genere sono convinta che anche Vizla difenderà i confini.-

Almeno, ci spero. Ne va della sua stessa vita, e gli spettri non si fermeranno sicuramente dopo essersi riempiti la pancia coi Kryze.

- Disponete delle guarnigioni alle porte laterali. Che nessuna di esse venga lasciata scoperta. Create una barriera rivolta verso l’interno, sono convinta che la minaccia arrivi prima da…-

Non fece in tempo a finire la frase. La spada laser di Obi Wan, azzurra come il cielo di Sundari, si distese di fronte a lei e menomò malamente uno spettro lanciatosi nella sua direzione.

Il corpo rimase fermo per terra, sotto gli occhi sbigottiti di Maudra Kell.

- Come…-

- Sono già dentro. Dobbiamo evitare che riescano a farci soccombere. Io devo andare al Tempio ad aprire la Luce il prima possibile!-

- Come potete pensare alle prove in questo momento! Non capite che siamo in una guerra senza precedenti?-

- Come potete non capire voi!- ringhiò la duchessa, fermandosi di fronte a lei.- La Luce è fondamentale per eliminare queste creature. Sto andando disarmata nella tana del nexus per voi, generale, gradirei un minimo di fiducia!-

La generale sbatté le palpebre per qualche secondo, mentre grida di panico e terrore cominciavano a sollevarsi per ogni dove. Il clangore del beskar era diventato quasi assordante, mentre turbe di guerrieri e guerriere in armi si ammassavano in strada per difendere gli accessi alla città. 

Altro sangue che colorerà le strade di questo bellissimo posto.

No, era l’ora di finirla, e Satine l’avrebbe fatta finita una volta per tutte, anche se ciò sarebbe costato la sua vita.

- Ursa.- 

La ragazza si fece avanti.

- I Wren hanno combattuto con coraggio. Pensate di riuscire a combattere ancora?-

- Non credo di avere molta scelta.- disse, alzando le spalle sotto il beskar giallo.

Non ha tutti i torti.

- Allora proteggete l’ospedale da campo. Il mercato coperto è diventato un rifugio per gli inabili a combattere. Sono prevalentemente giovani madri e padri coi figli piccoli e gli anziani. Sono soli. Voi che siete già provati dallo scontro con gli spettri, difendete l’interno. Disponetevi lungo gli obiettivi strategici. L’assedio potrebbe durare giorni, e gli spettri hanno un talento naturale per inquinare e guastare cibo ed acqua. Proteggete gli approvvigionamenti e chi non può combattere. I Kryze proteggeranno la cupola.-

Non c’era molto altro che potessero fare, ed Ursa acconsentì di buon grado. Gridando parole che Obi Wan non capì - forse complice il dialetto di Krownest, che non aveva mai imparato - sparì nella calca, diretta al mercato coperto. 

Satine fece un ultimo, disperato tentativo di difendere la cupola e tornò sui suoi passi.

- Dove andate, duchessa?-

- A vedere se riesco ad agire su due fronti.-

Allo spazioporto, quando la videro marciare alla carica, la lasciarono passare senza fare domande.

Quando uscì sulla piattaforma di atterraggio, la folla di spettri rumoreggiò come se avesse visto il proprio peggior nemico.

E forse era davvero così.

Senza tergiversare troppo, Satine gridò il nome del meshurok a gran voce. 

Myra arrivò di gran carriera, volando, e restò sospesa sopra le loro teste. Le ali sbattevano e sollevavano polvere dovunque, e gli spettri parvero non gradire.

Rimase ferma ad ascoltare la voce di Satine, mentre le dava gli ordini necessari. L’animale sbatté le ciglia lunghe come piume e alla fine sembrò quasi annuire. 

Si librò in volo, in attesa del momento giusto per attaccare.

Satine tornò indietro, seguita da Maudra Kell e da Idril Skirata, che non sapeva che pesci prendere.

- Myra vi aiuterà.- sentenziò, procedendo ad ampie falcate verso il quartier generale.- Le ho detto di pattugliare il perimetro ed intervenire dove sono i cluster peggiori. Scompaginerà le fila degli spettri e ne eliminerà quanti più potrà. Non credo che atterrerà, ma anche in volo dovrebbe riuscire a fare del suo meglio.-

La generale annuì, mentre adesso il gruppo stava quasi correndo lungo il viale, verso la casupola che li aveva visti organizzare i loro piani.

Dentro, c’era un gran fermento.

Anche i tecnici delle comunicazioni si erano coperti di beskar.

La lotta contro gli spettri ci sta unendo tutti sotto un’unica bandiera.

Narudar.

Bene.

- Aspettate a scendere in campo, ho ancora bisogno di voi!- disse, fermando i tecnici dentro il quartier generale.- Ho bisogno che allestiate una comunicazione con tutti i nostri soldati. Devo dare loro delle indicazioni importanti.-

La giovane ragazza - uno degli elementi più fidati della generale - che li aveva assistiti fino a quel momento, dispose Satine in mezzo alla stanza, mentre altre cinque persone provvidero ad attivare i canali di comunicazione. Fu persino allestita a tempo di record una proiezione sul Palazzo del Governo, con grande gioia di Vizla. 

Il dittatore, tuttavia, ascoltò con grande interesse le informazioni che Satine fornì.

Ci sono diverse leggende a proposito di quando Larse Vizla comprese di avere perso. Molti dicono che cominciò a capirlo dopo la sconfitta di Khader. Altri dicono che se ne sia accorto dopo averla vista cavalcare il suo meshurok a Bral. 

A volere dare retta ai Kryze, Larse Vizla lo avrebbe capito nel momento del fallito attentato alla Fortezza delle Cascate, oppure dopo il primo fallito agguato dei cacciatori di taglie. 

La verità è che, forse, Vizla capì in quel momento che non c’era proprio più nulla da fare. Quando si rese conto che lui, che in teoria avrebbe dovuto detenere il potere e tutte le risposte che esso fornisce, era costretto ad ascoltare una ragazzina e le sue conoscenze, che Satine Kryze aveva più consapevolezza di lui, quello fu anche il momento in cui si accorse che era finita per davvero.

Perché la duchessa di Mandalore, in quell’occasione, di sicuro non si risparmiò.

 

Figli e figlie di Mandalore, miei concittadini,

Purtroppo la situazione sta precipitando. Non mi perderò in chiacchiere, perché non c’è tempo per i convenevoli. Tuttavia, vi dirò quanto dovete sapere per poter fronteggiare al meglio la più grande catastrofe che si sia mai abbattuta su questo sistema.

Gli spettri non sono semplici creature viventi. Sono esseri antichi, millenari, che infestano la galassia da tempo immemore, capaci di vivere così a lungo da impedire uno studio scientifico completo. Per quanto assurdo possa sembrare, vi prego di credere alle mie parole: gli spettri non sono nient’altro che sarlacc nella sua forma primigenia. Non chiedetemi come siano arrivati qua. Tutto ciò che so si basa sulle indagini scientifiche svolte su quel poco che siamo riusciti a trovare. Sono piccoli, immaturi, non si sono ancora innestati nel terreno ed hanno fame, molta fame. Cercheranno di mangiare qualsiasi cosa su cui riusciranno a mettere le zampe, inclusi voi stessi. Il loro scopo è quello di raggiungere la maturità ed innestarsi da qualche parte, o riprodursi nel modo più rapido possibile. Per questa ragione, una volta morti, esplodono in mille spore. 

Non fatevi ingannare dal luogo in cui si trovano in questo momento. Un saracc, almeno per quanto ci è noto, può vivere dovunque, ma ci siamo accorti che i nostri amici amano l’umidità e l’acqua, ed è per questo motivo che è necessario proteggere l’interno della città.

Ho ragione di credere, infatti, che la loro residenza abituale sia sotto terra, presso le nostre Porte della Luce, dove l’acqua di solito scorre in larghi fiumi. La presenza di alcuni spettri all’interno delle mura si spiega con la loro provenienza dal Tempio.

E’ là che mi sto recando, allo scopo di porre fine a questa disgrazia il prima possibile. Un mio precedessore ha già compiuto un’impresa analoga in passato, spero di essere all’altezza del compito.

In ogni caso, intendo far cessare questa sciagura ad ogni costo.

Il vostro compito è quello di impedire che quanti di essi si trovano all’esterno riescano a penetrare all’interno della cupola di Sundari, perché in tal caso non avremmo più speranza di sopravvivere.

Myra, il mio meshurok, ha ricevuto istruzioni per aiutarvi. 

Il vostro coraggio, la vostra forza e il vostro sacrificio non saranno mai dimenticati. Se il popolo di Mandalore vivrà un altro giorno sarà solo grazie al senso di comunità che voi siete riusciti a creare, che non avete mai perduto, nonostante le disgrazie di una guerra ingiusta abbiano indurito i nostri cuori e suscitato egoismi di parte.

E’ per questa ragione che mi rivolgo a te. Sì, a te, Larse Vizla, l’usurpatore, il dittatore, a te che non conosci le nostre tradizioni e che non le hai mai rispettate. Oggi mi appello al Narudar, nella speranza più viva che tu comprenda la delicatezza della situazione. 

Se Sundari non sopravviverà a questa ondata di violenza inaudita, Mandalore stesso perirà. Se permetteremo agli spettri di acquisire forza, non ci sarà più speranza per nessuno di noi. 

Non per Mandalore, non per Concordia, non per Draboon o Krownest. Non per la mia Kalevala. 

Noi Kryze faremo la nostra parte anche per voi. Proteggeremo le mura e faremo di tutto affinché questo non sia l’ultimo giorno della civiltà di Mandalore. 

Il clan Wren ha già preso posizione per proteggere l’interno della città, difendendo i più deboli. 

Vi chiedo di fare la vostra parte proteggendo l’area in mano vostra.

Oggi, fratelli miei, concittadini, non sarà l’ultimo giorno. Oggi non è la fine. Se uniamo le forze, se combatteremo per la Luce, il Buio non potrà prendere le nostre vite. 

Forse un giorno verrà la fine di Mandalore.

Ebbene, quel giorno non è oggi.

Siamo sempre sopravvissuti alla furia della guerra, alla violenza del tempo e delle intemperie. Viviamo su un pianeta che non potrebbe ospitare la vita.

Eppure siamo qua.

Abbiamo resistito a malattie gravissime, ad armi batteriologiche, alle radiazioni.

Siamo ancora qua.

Il popolo di Mandalore sopravviverà. Sopravviviamo sempre. 

Oggi dobbiamo combattere per vivere un altro giorno, ed io sarò con voi. 

Combatterò al vostro fianco, farò la mia parte al Tempio della Luce. 

Non so che cosa troverò, ma so che qualunque cosa accadrà, farò tutto ciò che è in mio potere per riuscire a garantirvi di vedere l’alba del nuovo giorno.

Tor, ijaat, haat, verburyc, kotep.

 

La notizia che Sundari era cinta d’assedio presto si diffuse per tutto il sistema. Il discorso della duchessa fece il giro delle reti, anche di quelle ufficiali. 

Ci fu chi si entusiasmò per la storica battaglia che si sarebbe tenuta di lì a poco, e provò a raggiungere la città senza riuscirci. 

Sarebbero atterrati nello spazio aereo solo dopo lo scontro, e i più fortunati sarebbero riusciti a bombardare gli spettri dall’esterno con le loro astronavi.

Ci fu chi, invece, si disperò, con la certezza nel cuore che quello scontro non sarebbe finito bene. 

Tra questi, c’era anche il Duca Buono Kyla Adonai Kryze. 

Il buon duca, come tutto il resto della famiglia che assisteva impotente al discorso della giovane Satine, sapeva esattamente che cosa la ragazza stava per fare. 

Sapeva anche, tuttavia, che pur avendo la massima fiducia in lei, quella sarebbe potuta essere l’ultima volta in cui avrebbe visto sua figlia.

 

- Amanti come sono dell’umidità, temono il fuoco. Puntate sull’esplosivo e sulla durata dei suoi effetti. Costruite ordigni di tracyn darasuum, quanti più potete. Contate sull’effetto sorpresa. Temono i bagliori di luce chiara. Mescolate del fosforo o del magnesio, se necessario. Abbiate cura di spedire gli ordigni lontano dalle mura e, possibilmente, evitate di centrare il mio meshurok. Vi sarà di aiuto più di quanto possiate immaginare.-

Satine era filata di corsa fuori dal quartier generale alla ricerca di un modo per raggiungere il Tempio senza essere uccisa, ma in molti avevano già ingaggiato battaglia. 

Non le ci volle molto per individuare il primo spettro per strada. 

Se voleva attraversare la città, avrebbe dovuto farlo armata e con la giusta protezione.

Kell e Skirata offrirono la loro guardia, e la duchessa accettò di buon grado, pur con qualche remora.

- Generale, forse sarebbe più opportuno che voi restaste al quartier generale a coordinare…-

- C’è il mio secondo per questo. Con tutto il rispetto, ma in questo caso vengo con voi.-

Satine annuì ed individuò negli occhi della donna quello che sembrava un bagliore di rispetto. 

Il gruppo si lanciò per strada di corsa. 

Raggiungere il Tempio si rivelò più difficile del previsto. Gli spettri erano tanti, ma non troppi. Tenerli a bada era ancora possibile. Tuttavia, molte strade erano state barricate e, considerate le attitudini della popolazione di Mandalore, era necessario avere occhi da tutte le parti.

Anche i cittadini che non erano scesi in campo aperto, infatti, si erano attrezzati come meglio potevano su ciò che restava delle loro case, costruendo delle vere e proprie barricate. Satine e i suoi protettori trovarono spesso la via sbarrata, e dovettero schivare di tutto: bombe, granate, colpi di blaster, persino zoccoli, ciabatte o datapad che piovevano dall’alto in direzione degli spettri.

Insomma, la presenza degli spettri aveva scatenato una guerra di tutti contro tutti e con ogni mezzo.

Il maestro Jedi Obi Wan Kenobi avrebbe compiuto molti compiti difficili nella sua vita, alcuni addirittura più difficili di quello, ma non avrebbe mai ricordato altro con così tanta ansia, così tanta tensione come quegli attimi in cui aveva attraversato la città di Sundari correndo come un forsennato. 

Con il tempo, si sarebbe dato varie risposte. 

Innanzitutto, dopo l’ultimo scontro avuto con gli spettri, si poteva dire che li temeva, anzi, ne aveva paura. Rivederli gli suscitava una brutta sensazione e gli pareva che il dolore dei morsi non fosse ancora del tutto andato via.

In secondo luogo, poi, la sua spada laser aveva colpito, tagliato, accoppato di tutto, in un gran caos di corpi ed oggetti che volavano per ogni dove. Se non fosse stato per la Forza che lo guidava, non avrebbe saputo distinguere uno spettro da un uomo o una bomba da una scarpa, in quel fuggi fuggi generale, combatti, alle armi!, combatti - passami questo, lancia l’altro, fuoco! 

La loro avanzata disperata procedette ad intermittenza per minuti che parvero ore. L’adrenalina teneva le loro menti accese e la Forza viva, ma ciò non impedì che si andassero ad infilare in un vicolo cieco. 

Mentre provavano ad avanzare, infatti, si ritrovarono circondati da un gruppo di quattro spettri. 

Sguainarono tutti le armi e Satine estrasse la sua lancia di beskar.

- E quella dove l’avete presa?- commentò Maudra Kell, facendo tanto d’occhi.

Satine fece spallucce.

- Cimelio di famiglia.-

Skirata, invece, sembrava affascinato dalle spade laser dei due Jedi, talmente tanto che quasi non si ravvide dello spettro che rischiava di mangiargli il blaster.

- Guarda quello che fai, ragazzo!- gli intimò Qui Gon, sferrando un colpo alla sua sinistra.- Quando avremo finito, se sopravviveremo, potrai vedere le spade da vicino!-

Ma la lotta era impari. Da quattro divennero sei, poi otto, erano agilissimi ed arrivavano da ogni dove, e sembravano voler impedire a tutti i costi a Satine di raggiungere il Tempio della Luce.

Almeno, lo scontro durò fino a che una bomba di tracyn darasuum non esplose poco lontano da loro.

Il gruppo ne approfittò e scartò di lato, giù per i vicoli in direzione del Tempio, dove speravano di trovare Inga Bauer e le Abiik’ade ancora vive e pronte a dare battaglia.

Fu un gran sollievo quando le videro.

Certo, anche la grande generale aveva perso il suo aplomb. I ricci neri volavano da tutte le parti, l’armatura bronzea era sporca di polvere e di una sostanza nerastra che Obi Wan preferì ignorare, e sputacchiava ordini a destra e a manca con aria imperiosa mentre stava combattendo con…

Beh, quella sì che era una sorpresa.

In mano teneva due sciabole dorate al plasma. Belle, indubbiamente. Il problema era che tra le dita e tra i denti teneva anche altre lame, che lanciava con una fluidità spaventosa mentre mulinava le sciabole.

Contemporaneamente.

Poi, c’erano i lacci del bracciale, che si attorcigliavano attorno a qualsiasi cosa, e infine, immancabile, il blaster che pendeva dal suo fianco e che sapeva finirle in mano in meno di una frazione di secondo, all’occorrenza.

Obi Wan era praticamente certo che quello fosse solo parte dell’arsenale che la generale portava addosso, ma non commentò.

Se non fosse stato per la tensione del momento, il giovane padawan avrebbe potuto scorgere un lampo di interesse negli occhi del buon Qui Gon.

Tuttavia, non ci badò, soprattutto perché, purtroppo, la sirena d’allarme squarciò l’aria.

Satine sgranò gli occhi, terrorizzata, e il gruppo si fermò a lanciarsi occhiate disperate intorno.

- Lo spazioporto ha ceduto. Sono dentro!-

 

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Narudar: il nemico del mio nemico è mio amico.

 

NOTE DELL’AUTORE: La battaglia di Sundari è, ovviamente, una mia invenzione. Indipendentemente dal fatto che i sarlacc me li sono inventati io, che Larse Vizla non esiste e che la guerra civile così com’è andata me la sono inventata di sana pianta, mi piaceva l’idea che tutto finisse là dove Satine avrebbe cominciato il suo mandato da duchessa di Mandalore, là dove avrebbe messo tutto il suo impegno per ricostruire ed anche là dove tutto sarebbe finito. 

Al di là delle previsioni di Satine, una battaglia non si vince in pochi giorni.

O sei un genio, o ci vuole del tempo, soprattutto quando non ci sono le condizioni per vincere in breve tempo.

In quel caso, bisogna crearle.

Per cui, preparatevi a guardarla mentre sfodera tutti i suoi assi nella manica nei prossimi capitoli.

 

Molly.

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Capitolo 56
*** 47- La Porta ***


CAPITOLO 47

La Porta

 

41 BBY - estate mandaloriana. Battaglia di Sundari, giorno due.

 

Il numero degli spettri raddoppiò a vista d’occhio. 

Persino Inga Bauer, che di solito mostrava una certa spavalderia, cominciò a dare segnali di cedimento.

L’arrivo dei due Jedi fu provvidenziale per liberare lei, Vanya e le altre da un gruppo particolarmente incallito di mostriciattoli a quattro zampe. 

Inga si piazzò prontamente al fianco di Qui Gon, consapevole che quello era un posto molto comodo e privilegiato dal quale combattere.

- Spiegatemi, com’è che sono raddoppiati nel giro di cinque minuti?- chiese, sferrando un nuovo colpo di sciabola di fronte a lei e colpendo con un pugnale un spettro un po’ più in là.

Qui Gon fece spallucce.

- E’ da qui che vengono, e lo spazioporto non è riuscito a contenerli.-

- E’ finita, dunque.-

Qui Gon si liberò con un colpo solo di tre di loro, ed altri tre li tenne in sospensione con la Forza.

- E’ finita solo quando la Forza lo decide. Soprattutto, è finita quando noi decidiamo che è finita.-

- Sono troppi, maestro. Non possiamo farli fuori tutti quanti. Ah, ma venderò cara la pelle. Se c’è una cosa di cui potrò andare fiera quando tornerò a Mandalore, è di essermene portata dietro un po’, di queste maledette bestiacce!-

Obi Wan riuscì a scagliare lontano uno di loro prima che riuscisse a mordere il braccio della generale, che ricambiò la cortesia con un borbottio inviperito che assomigliava molto ad un a buon rendere. 

Nel frattempo, Satine stava cercando in ogni modo di entrare nel Tempio senza venire mangiata dagli spettri.

Ne uscivano a frotte, e la duchessa sapeva di avere i minuti contati. Se voleva riuscire a sopravvivere - e soprattutto se voleva riuscire a far sopravvivere il suo popolo - doveva aprire la Luce di Mandalore il prima possibile.

Certo, avrebbe anche potuto aprirla in quel momento, ma avrebbe consumato energie inutili. Quel potere la prosciugava, nonostante l’adrenalina e la meditazione. 

Dopo l’esperienza a Loras sai bene che, se ti stanchi troppo ed usi la Luce a ripetizione, nonostante gli insegnamenti dei Jedi esaurisci le energie.

Per cui, l’unica cosa che poteva fare era combattere con la propria lancia, colpendo e stordendo come meglio poteva, nel tentativo di aprirsi un varco ed avvicinarsi alla Porta. Obi Wan ce la metteva tutta per darle una mano e la ragazza apprezzava.

- Che stanno facendo?- gridò la generale, mentre colpiva al volo uno spettro prima che raggiungesse il maestro.- Dove hanno intenzione di andare?-

- Vogliono arrivare alla Porta. Satine intende aprire la Luce di Mandalore.-

- Al diavolo le prove! Qui c’è una battaglia da combattere, e quelli giocano a…-

- Generale, con tutto il rispetto, credo che dovreste avere un po’ più di fiducia in quella ragazza.- obiettò il maestro, eliminando anche l’ultimo spettro che incombeva sulla donna.- In fondo, fino a questo momento non ne ha sbagliata una. Aveva una sua teoria sugli spettri, ricordate?-

Inga dondolò la testa, poco convinta.

- Quella storia strampalata sulla Porta e sulla Luce? E’ per questo che vuole entrare là dentro?- 

Qui Gon annuì e la generale gli lanciò un’occhiata che voleva dire palesemente che se le cose stanno così, stiamo freschi.

- Fiducia, mia cara Inga.- le disse, con una pacca sulla spalla.- Un po’ di fiducia nei ragazzi e nella Forza non guasta mai. Andate!- disse loro, con un gesto della mano.- Qua ci pensiamo noi.-

Inga grugnì, poco convinta, e spedì Vanya dietro ai due.

Maudra Kell ed Idril Skirata fiancheggiarono la generale e il maestro a protezione dell’entrata del Tempio.

- Fiducia, maestro.- gli disse l’Abiik’ad, sguainando le sciabole e infilandosi un coltello tra i denti.- Sperando di non avercene a pentire.-

 

I tre marciarono a rotta di collo dentro il Tempio.

Fu uno spettacolo disarmante.

Della bella struttura a pianta circolare che avevano visto restava poco. La lanterna era rotta e il bel vetro che di solito lasciava filtrare la luce del sole era completamente imbrattato di una viscida sostanza nerastra. Le piante erano sradicate e i muri sporchi di vari liquami che Obi Wan preferì ignorare. 

C’erano i resti di un sacerdote poco lontano. Satine trattenne il fiato e distolse lo sguardo per l’orrore.

Vanya colpì con tutta la forza che aveva uno degli spettri piombato dall’alto su di loro.

- Perché ho la sensazione che ci seguano?-

Obi Wan e Satine si guardarono e tentennarono. Loro sapevano che gli spettri volevano Satine a tutti i costi, ma da lì a dirlo ad alta voce…

- Forse hanno capito che noi abbiamo capito. E’ l’ora di farla finita.-

I tre provarono ad uscire dall’atrio e Satine li invitò a dirigersi verso il basso, lungo i corridoio che portavano alla cripta e alla Porta. Già a metà corridoio, però, furono costretti a fermarsi.

Un gruppo di spettri arrivò saltando verso di loro. Vanya ed Obi Wan si pararono di fronte a Satine e riuscirono ad eliminarli prima che potessero prenderla.

Poi, ripresero la loro discesa.

La cripta era immensa. Non era esattamente una cripta, piuttosto una caverna, che con il tempo era stata decorata e scolpita da mani sapienti. Al centro c’era un altare di pietra bianca, inciso con delle parole in Mando’a molto antiche che le conoscenze di Obi Wan non potevano tradurre. 

Ciò che restava di quella lastra era spaccato in più punti. Era evidente che gli spettri si erano fatti largo con la forza, anche a sacrificio di alcuni di loro, i cui resti compromessi erano sparsi dovunque sul pavimento.

Comprese, però, che sotto la lastra dovesse esserci molto di più, perché Vanya e Satine si gettarono contro i resti che coprivano l’altare e provarono a ricomporli.

Obi Wan intuì immediatamente che quello doveva essere un mezzo disastro. Osservò con attenzione l’altare di pietra e notò che era incrostato di cristalli azzurrognoli in più punti, e che le stesse incisioni sembravano coperte da una patina bluastra che luccicava sotto la fioca luce delle lampade.

Guardò Satine mettersi le mani nei capelli e sospirò.

Evidentemente il suo piano non stava andando come aveva sperato. 

- Che succede?-

- Succede che le leggende parlano chiaro. Il duca Marmaduke ha aperto la Luce presso l’altare di pietra, ma che succede se l’altare non esiste più?-

- E’ un problema?-

- Potrebbe. In fondo, tutti questi cristalli serviranno pure a qualcosa!- brontolò, fissando la lastra di pietra senza sapere che pesci prendere. 

Poi, prese a spingere via i massi e i cristalli con cipiglio pensieroso.

Qualunque cosa volesse fare, Obi Wan decise che l'avrebbe assecondata. 

- Aspetta, ci penso io!- disse, e le due donne si allontanarono immediatamente dall'altare, mentre il padawan alzava una mano e chiudeva gli occhi.

Il coperchio spezzato si sollevò nell’aria, leggero e incredibilmente stabile, per poi accomodarsi al suolo poco distante da loro. 

Vanya e Satine si guardarono, la prima stupita e la seconda orgogliosa.

- Giusto, sollevate sassi. Avere un Jedi al seguito ha i suoi vantaggi.- commentò la guerriera. 

Tuttavia, gli spettri non sembravano avere la minima intenzione di demordere. Uno di loro, arrampicatosi sulla volta della caverna, si abbatté sul gruppo con forza, atterrando Vanya.

Obi Wan gli fu addosso prima che potesse morderla, ma la ragazza se ne era già liberata prima che riuscisse ad aiutarla.

Altri rantoli, grugniti e soffi provennero dalle profondità della terra, oltre l'altare di pietra, ed altri spettri continuarono ad arrivare dal corridoio, pronti per attaccarli. 

Il padawan ebbe la sensazione che non li volessero troppo vicino alla Porta.

Se è davvero casa loro, stanno tornando a difenderla. 

- Vanya!- tuonò Satine, spingendo uno spettro di nuovo nelle profondità della terra con il fondo della sua lancia.- Dì ad Inga e agli altri di ripiegare. Il problema non sono gli spettri che vengono dall’interno. Dobbiamo impedire agli altri di entrare!- 

Il piano della duchessa, dunque, era quello di restare asserragliata dentro al Tempio ed impedire agli spettri di risalire dalla Porta.

Obi Wan intuiva tutte le falle di quel piano.

Nessuno garantiva loro forze sufficienti a contrastare i sarlacc che spuntavano dal terreno. Non potevano controllarli e non avevano idea di quanti ancora avrebbero potuto risalire la china.

Vanya, tuttavia, non si fece troppe domande e contattò immediatamente sua zia, ordinandole di ripiegare.

I rumori della battaglia si fecero sempre più consistenti e ben presto poterono scorgere le prime Figlie dell’Aria sciamare nei corridoio nel tentativo di mettere in sicurezza il Tempio.

Combatterono contro gli spettri ancora per un po’, soli nella cripta mentre arrivavano da tutte le parti.

Poi, ad un certo punto, non accadde più niente.

O meglio, accadde che Inga Bauer marciò verso Satine a passo di carica, con Qui Gon che la tallonava ed alzava le spalle in direzione del suo padawan.

E’ furibonda. Sappilo.

Ed Inga non tardò a confermare l’impressione del maestro.

- Prega le tue divinità di avere un buon piano, Satine.- ringhiò, le sciabole al plasma ancora strette tra le dita.- O non usciremo mai vivi da qui.- 

 

Furono minuti di fuoco, in cui il gruppo e le Figlie dell’Aria che avevano seguito Inga in combattimento fecero di tutto per resistere, asserragliati dentro il Tempio mentre fuori la battaglia contro gli spettri infuriava.

Satine non era certa di voler provare ad aprire la Luce. Il tentativo le sarebbe costato energie, e se fosse stato infruttuoso rischiava di non avere forze a sufficienza per poterci riprovare. 

La città di Sundari, però, non poteva aspettare un minuto di più. 

Erano chiusi nella cripta a discutere delle prossime messo quando dalle viscere della terra giunsero dei suoni che fino a quel momento non avevano mai udito.

La stanza si fece quieta.

- Che cos’è?- 

Satine aggrottò le sopracciglia. 

Non aveva mai sentito un suono simile provenire dagli spettri. Le questioni erano due: o si trattava di un altro animale, o qualcosa di imprevisto stava spuntando dall’oscurità.

Qualcosa di cui non avevano assolutamente bisogno.

Il suono si ripetè.

- Credete che sia umano?- domandò Satine, lanciandosi uno sguardo attorno.

Qui Gon chiuse gli occhi e cercò di raggiungere quella cosa, qualunque essa fosse, nelle profondità della terra.

- Temo di dovervi informare che sì, è umano, ed è qualcuno che conosciamo.- 

Piantò gli occhi su Satine.

- E’ il Sommo.-

Se Maudra Kell, Idril Skirata, Inga e le Abiik’ade non compresero esattamente come avesse fatto, Satine non se lo fece ripetere due volte. 

Scrutò il buio dentro la Porta e con un balzo fu dentro. 

- Satine, perdiana, dove stai andando?- gridò il padawan, cercando di scorgerla nel buio. 

Tutto ciò che vide, però, fu l’ombra della sua testa bionda che spariva nel nulla, diretta da qualche parte verso il basso.

- Valle dietro, ragazzo, prima che si ammazzi.-

Obi Wan filò via correndo a tutta birra.

Altro che caverna, quello era un pozzo vero e proprio!

Il padawan estrasse la spada laser e la accese per avere una fonte di luce. Scoprì di essere atterrato su un grosso sperone di roccia proteso nel vuoto. Attorno a lui, l’apertura si apriva ampia e vasta. Lo strapiombo circolare sprofondava nel buio. Piccole cascatelle nascevano dalle pareti ed esplodevano in nuvole di vapore circolare mentre precipitavano giù, dove solo il nero regnava sovrano. 

Alla sua destra c’era una rampa di scale ad elica scolpita nel pozzo. Scorse Satine che saltellava giù dai gradini, inseguendo il lamento che proveniva dalle viscere della terra. 

Non perse tempo e le trottò dietro. 

Scesero giù, nel nulla. Le scale si intrecciavano ripetutamente nel buio in una specie di spirale che sembrava sparire nel nero. 

Sarebbe stato un capolavoro di arte, se non fosse stato un posto così spettrale. 

La roccia era coperta della solita melma nerastra e puzzolente che tormentava i sogni del giovane padawan, ma il ragazzo aveva le sue emozioni sotto controllo. Satine si era fermata ad aspettarlo e lo guardò con occhi imploranti.

- Ti prego, non dire niente.-

- Cioè non dovrei dire che stai cercando di farti ammazzare?-

- Lo so che è il Sommo e che me ne ha combinate di tutti i colori, ma non ho intenzione di lasciarlo qua, se posso dargli una morte dignitosa.-

Obi Wan strinse la mano di Satine con uno sguardo d’intesa. 

Avevano già fatto un bel po’ di scale, quando il lamento si fece più vicino. 

Il gorgoglìo, poco rassicurante, proveniva da un posto un po’ più in basso, in una nicchia scavata nella roccia allo scopo di far riposare lo sventurato che doveva accingersi a compiere l’ardua impresa di scendere fino in fondo.

Le goccioline di una piccola cascata proteggevano quella conca, ed Obi Wan alzò la spada laser, pronto a dare battaglia. 

- Nau.- disse la voce, strangolata dalla fatica.- Nau…-

- Aspetta.- fece Satine, una mano sul braccio di Obi Wan per fargli abbassare la spada.- E’ il Sommo.-

Ciò che restava di lui era ben poco. Era anziano, e non c’erano possibilità di salvarlo, almeno non con quelle lesioni. Satine ne ebbe pietà e si inginocchiò accanto a lui, provando a sollevargli la testa e a farlo stare più comodo sistemandogli il mantello slabbrato dietro la nuca.

- Duchessa.- le disse, sobbalzando al tocco della ragazza.

- Cercate di stare calmo. Presto qualcuno verrà a prendervi e allora sarete salvo.-

L’uomo scosse il capo.

- Non c’è più niente da fare, ormai. Non sono uno sciocco, ne sono consapevole. Mi dispiace.- le disse, stringendole la mano con disperazione.- Mi sono prestato ad un gioco di potere che non riguardava il Tempio della Luce. Vi ho mancato di rispetto per tutti questi anni senza ragione alcuna. Questo non è Mandalore. Sono pentito e vi chiedo perdono. Voi siete la vera duchessa. Siete qua per un motivo, vero?-

La ragazza annuì e gli sorrise.

E’ tutto dimenticato, ormai.

- Volete replicare quanto fatto da Marmaduke secoli or sono.-

Satine annuì di nuovo.

Obi Wan deglutì.

Non avevamo discusso nulla di tutto questo.

Mai.

Il Sommo la fissò per un secondo, poi chiuse gli occhi ed esalò un respiro pesante.

- Duchessa, vi auguro di riuscire. Siete la nostra unica speranza.-

Satine continuò a tenergli la mano per attimi che sembrarono eterni. Obi Wan non sapeva che fare. La sua vita da Jedi era stata costellata di perdite: amici, persone che aveva considerato mentori, uomini e donne comuni che aveva incontrato sulla via della Forza. 

Incredibile come fosse impossibile abituarsi a guardare gli occhi di qualcuno che muore. 

- Sommo, io devo chiedervi un ultimo favore.-

L’uomo aprì un occhio e fissò Satine.

- Dovete dirmi come avete fatto a scendere qua sotto.-

Gli ci volle un attimo prima di rispondere, e il padawan pensò che non avrebbero mai avuto quell’informazione, quando il vecchio sacerdote decise di sorprenderlo ancora una volta.

- Credevo che qua sarei stato al sicuro. Non avrei mai creduto…-

- Nemmeno io lo credevo, fino a poco tempo fa. E’ tutto a posto.-

L’anziano deglutì.

- C’è un accesso secondario dietro le colonne della cripta, sulla sinistra. Basta percorrere il corridoio per qualche minuto fino alla teleferica. Scende per un po’ nel nulla. La usavamo per estrarre…-

Gli mancò il fiato, ma Satine comprese e non lo fece finire.

- I cristalli, certo. Ditemi, Sommo, siete mai stato in fondo?-

- Oh, no. Nessuno è mai stato laggiù. Sciagurato colui che vi andrà. Nebrod solo sa quali mostruosità si nascondano là sotto.-

Poi, il sacerdote aprì di nuovo gli occhi con l’angoscia nello sguardo, e si aggrappò a lei come se fosse l’ultima sua chance di restare vivo.

- Nau!-

- Sì. Se resisterete ancora un poco, potrete vederla.-

Ma l’uomo era perso nei meandri della propria mente, ormai, e non vedeva più nessuno di loro. Fissava il vuoto mentre stringeva le mani di Satine e sorrideva.

Poi, si accasciò di nuovo contro la parete.

La duchessa sospirò.

- Ni su'cuy, gar kyr'adyc, ni partayli, gar darasuum, Sol’yc.-

Gli chiuse gli occhi con la punta delle dita e con una preghiera mormorata in Mando’a.

Obi Wan rimase fermo a fissare quell’atto di pietà rivolto nei confronti di una persona che nella sua vita non aveva fatto altro che danneggiare la donna che lo aveva accompagnato nella morte. 

Si sarebbe ricordato per sempre di quel momento.

 

Quando tornarono, sorpresero Inga, Vanya, Qui Gon e la generale Kell con il sottotenente Skirata.

- E voi da dove siete spuntanti?-

Satine spiegò loro del secondo accesso. 

- So che vi sembrerà una follia, ma non so che cos’altro fare. Le leggende non dicono nulla a proposito di come Marmaduke abbia fatto ad eliminare quelle che oggi credo fossero spore di sarlacc…-

- No, aspettate un momento. Di che accidenti state parlando?-

Nemmeno Qui Gon ed Obi Wan sapevano esattamente che cosa la duchessa avesse in mente, per cui, all’occhiata esasperata di Inga Bauer, non poterono fare altro che alzare le spalle in segno di ignoranza.

- Sentite, so che non volete credere a quelle vecchie storie, tuttavia credo che i dati scientifici questa volta ci stiano dando una mano. Io e i miei protettori abbiamo la certezza che i nostri amici spettri temano la Luce e tutto quello che le assomiglia. Mi sono fatta l’idea, anche se non ho le prove, che stiano scappando da essa, risalendo dalle viscere della terra. Le Porte, evidentemente, sono sempre state la loro casa, oppure la via d’accesso principale al mondo di sopra, pieno di prede succulente di cui nutrirsi. Se temono così tanto la Luce, deve pur esserci un motivo. Non sono fotosensibili, perché altrimenti non ci avrebbero assaltato in pieno deserto. L’unica loro debolezza è l’umidità, il bisogno di trovare un posto interrato, umido e protetto per sopravvivere. Se quindi la luce in generale non c’entra nulla, la Luce di Mandalore deve essere la chiave. Sappiamo che Marmaduke, aprendola, ha messo fine ad una pestilenza provocata da organismi microscopici. Nulla vieta che fossero le spore dei nostri amichetti, quelle che emettono quando si disintegrano per riprodursi.-

Gli sguardi perplessi dei presenti la indussero a pensare che ancora non le credevano.

- Sentite, so che vi sembra fantarcheologia degna del miglior film di ArcheoGalactica, ma che altro devo fare? Hanno paura della Luce e intendo usarla contro di loro. Marmaduke è l’unico che ha fatto una cosa del genere prima d’ora, e se avessi qualche istruzione in più su come abbia fatto, sarebbe perfetto.-

- Duchessa, se non le avete voi, queste informazioni! Io non so nemmeno di che cosa stiamo parlando!- brontolò la generale, una mano nascosta nell’intrico di ricci scure.

Dall’esterno provenivano i rumori delle esplosioni, le grida, gli ordini abbaiati dai soldati. 

I rumori della guerra senza quartiere che stava spazzando via Sundari, così forti da essere uditi anche nella cripta.

Non c’era più tempo.

- L’altare di pietra è inutilizzabile. Se i cristalli secoli or sono hanno fatto da amplificatori, voglio scendere là sotto per replicare il fenomeno. Il Sommo, prima di morire, ci ha detto che c’è una teleferica che porta in profondità. Più riuscirò ad avvicinarmi ai cristalli, meglio sarà.-

Skirata abbassò il capo in segno di lutto e qualcuno tra i presenti mormorò la formula di commiato.

Fu Obi Wan, però, ad individuare il problema.

- Quel posto pullula di sarlacc. Sarà già tanto se riusciremo a scendere per qualche metro usando la teleferica. Dovrai difenderti. Dovrai combattere.- 

La guardò sospirare e scuotere il capo biondo.

- Non ho molte alternative, temo.-

- Verremo con voi.- si offrì il maestro, facendo un passo avanti.- Io e il ragazzo vi saremo d’aiuto.-

- Voi servite qua. Non sappiamo quanto ci vorrà per arrivare in fondo con la teleferica. Non so nemmeno se sarà abbastanza. Potrei dover scendere a piedi. Potrebbe volerci quasi una rotazione intera. No, voi dovete dare manforte ad Inga, Vanya e alle nostre truppe. Sarete un valido aiuto.-

- Io verrò con te.- protestò Obi Wan, e il suo tono non ammetteva un no come risposta.

Il suo maestro gli lanciò un’occhiata di apprezzamento.

Bravo ragazzo.

Satine, invece, pareva ponderare se prenderlo a schiaffi o saltargli al collo.

- E sia. Se desiderate scendere, scenderete.-

Inga scoppiò in un ruggito furibondo.

- Ma non capisci? E’ finito il tempo di giocare all’archeologa! Sei un capo di Stato, la guida di un paese intero e programmi di scendere là sotto a suicidarti? Vuoi capire o no che senza di te questa guerra è persa?-

Erano convinti di avere visto Inga arrabbiata in diverse occasioni, ormai, ma non l’avevano mai vista così furiosa, la furia di chi è disperato, di chi non può sopportare di vedere altro orrore, di chi ha creduto che la fine della guerra fosse vicina ed adesso vede soltanto la fine del proprio sogno di invecchiare in pace a casa propria.

Satine rimase a fissare la donna negli occhi scuri cerchiati di occhiaie e pitture bianche. 

Forse, oltre alla disperazione, potè scorgere anche una dose di quella che sembrava apprensione.

- Hai ragione, Inga. E’ venuta l’ora di pensare al futuro.-

Si erse davanti a lei in tutta la sua statura e continuò a fissarla negli occhi.

- In ginocchio.-

Obi Wan e Qui Gon videro il panico crescere negli sguardi dei presenti.

Questa volta fu Maudra Kell a farsi avanti.

- Duchessa, non potete destituirla, non dopo tutto quello che ha fatto per voi!-

Satine, però, fu irremovibile.

- In ginocchio.-

Obi Wan tese una mano verso di lei per farla ragionare, ma il maestro lo fermò.

Per quanto mi dispiaccia, non è una questione che ci compete.

Lo sguardo della Figlia dell’Aria si fece duro, ma obbedì alla persona che considerava, evidentemente, la sua Mand’alor.

Satine estrasse la lancia che era stata di sua madre.

Batté il fondo sul pavimento con un tonfo sordo ed Inga abbassò gli occhi.

- Nel nome di Mandalore e della Luce.- cominciò Satine, poggiando la punta della lancia sulla fronte della donna.- In osservanza del Resol’nare.- e la spostò di nuovo davanti a sé. 

Tutti trattennero il fiato, aspettandosi di udire la frase successiva.

… Da quest’oggi in poi, tu non sei più un Mando.

- Da quest’oggi in poi…-

Inga chiuse gli occhi.

- … Ti nomino mio secondo in comando.-

Ci fu un attimo di silenzio in cui tutti i presenti processarono le parole della duchessa.

La prima a riprendersi fu Vanya, che trasformò l’istinto di portarsi una mano alla bocca in una carezza sul proprio collo.

Inga sbatté le palpebre per qualche secondo prima di rendersi conto di che cosa fosse davvero successo.

- Alzati, Mando’ad.- concluse Satine, ritraendo la lancia e tendendo una mano in avanti verso di lei.

Inga si alzò in piedi e gliela strinse alla maniera dei Mando.

- Se io non dovessi tornare, Mandalore avrà una guida. Mi rendo conto di chiederti molto, Inga. So che hai capito le implicazioni della mia scelta. La priorità, in questo momento, non è che io governi, bensì che io ponga fine ad un massacro. Ti rendi conto, vero? Che se non lo faccio non resterà più alcuna Mandalore da governare?-

La generale sospirò e il maestro potè giurare che avesse gli occhi lucidi.

- Sì, lo capisco. Tuttavia, io voglio morire di vecchiaia ad Eyaytir insieme alle aquile, non su un trono maledetto. Io non voglio regnare. Quindi, vedete di tornare integra, Mand’alor.-

Se Satine stava aspettando una reazione, quanto udì le bastò. Si inchinò con un saluto verso tutti gli altri, piantò gli occhi sul padawan e presero ad avvicinarsi all’accesso dietro le colonne.

- Aspettate, dove andate?- borbottò Inga, trottando verso di loro.- Voglio che tu torni viva. Non puoi scendere disarmata!-

E prese a fare quello che nessuno di loro si sarebbe mai aspettato che facesse.

Cominciò a togliersi l’armatura.

- Inga, che fai? Fermati!-

- Col cavolo. Da’ retta al tuo secondo e mettiti il beskar. Ne avrai bisogno.- 

- Ma tu…-

- Io ho combattuto in condizioni peggiori di questa, fidati. Allaccialo bene… Così, ecco. Bene, adesso potete andare.-

La osservarono allontanarsi e sistemare i coltelli e le sciabole in nuovi nascondigli, in ciò che della beskar’gam le era rimasto addosso.

 

Si erano attesi una resistenza disperata. Satine, che rappresentava l’unica arma per distruggere gli spettri, stava scendendo nella loro tana e quelli, apparentemente, non si stavano difendendo.

Obi Wan aveva una terribile sensazione.

Anche la ragazza sembrava convinta di essere stata attirata in una trappola e si guardava attorno con sospetto. 

Se qualcuno li avesse visti raggiungere la funicolare, li avrebbe trovati esattamente così, lo sguardo un po’ incredulo di fronte a quella strana assenza di spettri e allo stesso tempo sconcertato dal trabiccolo antidiluviano che avevano di fronte.

Satine osservò quella sottospecie di funicolare passandosi una mano nei capelli biondi e Obi Wan pensò seriamente che, se non li avessero uccisi gli spettri, sarebbero morti su quell’arnese precipitando di sotto.

- Satine, sei seriamente convinta di scendere là sotto?- 

La ragazza lo guardò senza sapere che cosa dire.

- Lo so, nemmeno io sono tanto contenta di salire lì sopra, ma sempre meglio che scendere a piedi, non trovi? Ci metteremmo dei giorni che non abbiamo.-

Obi Wan sospirò e portò una mano alla spada laser.

Il pannello di controllo era un grosso quadrato di metallo ruvido e rugginoso, dotato di qualche grosso pulsante ed una leva.

- Il freno di emergenza?-

- Probabile.-

Un freno che, però, non avrebbero mai potuto usare, dal momento che sarebbero dovuti scendere entrambi. 

Che la Forza ce la mandi buona.

Ciò che però lo mise di più in allerta fu il grosso cartello inchiodato alla parete di pietra, che recava scritto con caratteri cubitali rossi fiamma se l’ascensore si blocca o scende troppo rapidamente, gridare aiuto.

Fantastico. Alla faccia della sicurezza sul lavoro.

La funicolare consisteva in una piattaforma rettangolare sospesa nel vuoto come una grossa bilancia. L’unica protezione era un parapetto di assi di legno fissate con dei vecchi chiodi arrugginiti, sulla cui stabilità nessuno dei due avrebbe messo la mano sul fuoco.

Quando gli stivali del padawan toccarono la superficie, la piattaforma dondolò pericolosamente, ma tenne il loro peso.

La funicolare prese a scendere a ritmo costante verso il basso. A parte qualche scossone e qualche spettro qua e là, il percorso fu privo di incidenti nonostante la spada laser di Obi Wan accesa per illuminare l’ambiente.

Una parte di Satine cominciò a sperare che la scorta di sarlacc nascosti nel terreno fosse finita. Non sapeva darsi alcuna spiegazione del fatto che nessuno la stesse cercando. O meglio, sapeva darsela bene, soltanto che non voleva crederci per le conseguenze che comportava.

O sono tutti in superficie, o ti stanno aspettando tutti in fondo a questo buco. 

Ebbero un piccolo problema quando una cascatella investì la funicolare, inzuppandoli da capo a piedi. Rimasero sotto il getto d’acqua mentre scendevano per diversi metri. Era piena di minerali, pesante e zeppa di calcare, e lasciava un sapore di ferro in bocca. Satine ed Obi Wan rimasero immobili sulla piattaforma, mentre l’acqua li investiva, e fu in quella circostanza che videro il primo spettro sparire dentro un cunicolo nella roccia. 

Ben presto, quando la loro vista si abituò definitivamente al buio accecante che si circondava, si resero conto che c’erano parecchi occhi ad osservarli.

Semplicemente, non attaccavano.

Non avrebbero saputo dire per quanto tempo la funicolare li portò a fondo nell’abisso. Persero la cognizione del tempo. Quando la piattaforma toccò il suolo, scoprirono di essere atterrati su uno sperone roccioso, e che  davanti a loro si apriva una gola profonda, con scalini di pietra scavati nella roccia che scendevano verso il basso.

Ancora.

Quanto accidenti è profondo questo posto?

E questa volta Obi Wan fu certo di sentire uno scalpiccio di piedi proveniente dalle pareti in alto scendere rapidamente verso di loro.

Ci stanno attirando in una trappola.

- Satine.-

- Non abbiamo scelta.-

Si presero per mano e continuarono a scendere. 

 

In superficie, nel frattempo, nulla era cambiato se non in peggio.

Vizla aveva aderito alla richiesta di Satine. Narudar. Così, aveva ingaggiato battaglia contro gli spettri e difeso al meglio delle sue possibilità l’accesso che dava sul Palazzo del Governo. 

Ursa Wren e i suoi sodali stavano facendo il diavolo a quattro per proteggere i civili, e ci stavano riuscendo piuttosto bene. Purtroppo, la caduta dello spazioporto aveva reso le cose più complicate, e i bambini e gli anziani inabili al combattimento dentro al mercato coperto cominciavano a sentire con preoccupazione i suoni della battaglia e lo stridere degli spettri farsi sempre più vicino.

Per quanto riguardava la comitiva al Tempio, la situazione stava rapidamente degenerando. Più spettri eliminavano, più ne arrivavano da ogni dove. Inga, Qui Gon, Kell e Skirata, dislocati dove la necessità li chiamava per proteggere il Tempio, cominciavano ad essere davvero stanchi. Avevano esaurito tutto l’esplosivo e potevano fare affidamento solo sulle loro forze.

Anche Vanya, rimasta sola a proteggere l’accesso alla Porta, stava cominciando a dare i primi segni di cedimento. Era in piedi dalla mattina, non aveva ancora fatto una pausa dopo l’assedio di Bral e non ne poteva più di combattere.

Quando calò la sera, di Satine ed Obi Wan non vi era ancora traccia. Gli spettri, invece, con il favore delle tenebre sembravano aver triplicato la loro forza. 

Nel bel mezzo del combattimento, Inga lanciò un impropero in Mando’a e guardò Qui Gon con aria scettica.

- La mia fiducia comincia ad avere una data di scadenza, maestro.-

- Pazienza, generale.- le disse, ma una parte di lui cominciava ad avere i suoi dubbi.

Il maestro era abituato alla resistenza anche in situazioni estreme e la Forza gli dava una mano, ma la gamba ferita e i combattimenti estenuanti degli ultimi giorni cominciavano a minare la sua stabilità. Mancò uno spettro ed avrebbe rischiato grosso se Inga non si fosse intromessa.

- Perdete colpi, maestro! Dev’essere l’età!-

- Voi avete discusso troppo con il mio padawan.- 

La generale rise. Incredibile come riuscisse a mantenere la spavalderia anche in una situazione così complicata. 

Era anche molto consapevole, però, e lo dimostrò subito. 

- Voi credete che stiano bene?-

- Sì. Posso sentirli nella Forza. Va tutto bene. Ce la faranno.-

Il Tempio resse, come tutti gli avamposti dei Kryze e dei Wren. Vizla fece del suo meglio. Myra fu vista fare man bassa delle ultime linee nemiche e risalire lentamente verso l’orlo della cupola. 

Il rischio che nessuno, tuttavia, riuscisse a superare la notte era molto alto.

Fate presto, ragazzi. Non resisteremo ancora per molto!

 

Avevano continuato a percorrere la scalinata che scendeva giù, nelle profondità della terra. Con il prolungarsi della loro discesa la roccia si era fatta sempre più umida e sempre più viscida, il caldo era diventato soffocante e il buio così forte da costringere i ragazzi a procedere a tentoni, nonostante la spada laser di Obi Wan facesse del suo meglio per illuminare lo spazio circostante. 

I gradini ben presto si trasformarono in gradoni, non più scolpiti da mano umana, ma dalle sapienti mani dell’acqua che in millenni di fenomeni carsici aveva scavato gole altissime. Quando non erano riusciti a scivolare giù dalle rocce sulla melma putrida, il padawan aveva usato la Forza per sollevare la duchessa e farla atterrare senza che si facesse male.

Il soffitto sopra di loro si perdeva nel nero del buio. Non avrebbero saputo dire quanto fosse alto. Ciò che era certo, invece, era che in quel posto doveva esserci vissuto un grosso animale, almeno a giudicare dai solchi lasciati in orizzontale lungo le pareti verticali.

Satine dedusse che quelle linee fossero ciò che restava delle tracce del passaggio di un vecchio e gigantesco sarlacc. 

Fu proprio quando cominciavano a perdere le speranze di incontrare i cristalli che la curva davanti a loro si tinse di blu. Era una strana luce quasi malsana, fioca, decisamente non ciò che Obi Wan si sarebbe aspettato di incontrare. Almeno, non dopo aver visto Satine esplodere in un bagliore nitidissimo di luce bianca.

Ciò che videro quando svoltarono strappò alla duchessa un commento di stupore.

- Per la miseria, che accidenti è questa roba?-

La parete di fronte a loro era completamente marcescente, puzzolente come poche altri odori avevano annusato prima di allora. I cristalli erano incrostati di qualunque cosa componesse quella melma viscida e puzzolente e splendevano offuscati sotto strati di incrostazioni.

Poco lontano da loro, il tunnel proseguiva perdendosi nelle profondità della terra. 

Non che i ragazzi fossero poi così interessati a proseguire il loro viaggio. Bastava guardarsi attorno per rendersi conto che quello era un luogo speciale.

Da qualche parte, sotto di loro, un fiume scorreva rombando.

Se le circostanze non avessero imposto loro di pensare ad altro, sarebbero rimasti per ore ad ammirare quel posto stupendo, sommerso dalla poltiglia nerastra che gli spettri si lasciavano sempre dietro. I due ragazzi, però, avevano un sistema da salvare, ed era finalmente giunto il momento della resa dei conti.

Purtroppo, anche gli spettri se ne accorsero.

Furono loro addosso prima che potessero anche solo formulare un pensiero al riguardo. Del resto, si erano aspettati di cadere nella loro trappola. Un primo spettro piombò dall’alto sulla testa della duchessa, e se non fosse stato per il suo accompagnatore probabilmente non avrebbe potuto raccontarlo.

Presto molti altri si avventarono su di loro, ma Obi Wan era pronto. Calmo, lucido, freddo e concentrato come mai avrebbe creduto di poter restare, dopo aver avuto a che fare con quelle creature immonde alla PharmaMandalore, prese a menare fendenti con precisione millimetrica alle spalle della ragazza. 

Satine, dal canto suo, prese ad osservare quel muro di melma desolata e provò a scorgere un filo di luce sotto quel nero.

I cristalli erano ancora là.

Sospirò e guardò Obi Wan ancora una volta.

Una parte di lei si sentiva in pace. Aveva sistemato tutto ciò che c’era da sistemare. Suo padre era in ottime mani. Kryze Manor non avrebbe potuto chiedere di meglio. Inga avrebbe guidato il paese al massimo delle sue capacità, accompagnata da Bo Katan, che era sicura sarebbe diventata una validissima protettrice del sistema. 

I due Jedi avrebbero potuto dire di aver assolto il loro dovere salvando Mandalore e proteggendo la duchessa quel tanto che serviva a compiere l’estremo sacrificio, ciò per cui era nata.

Salvare il sistema.

Sarebbe finita così, dunque. La resa dei conti era finalmente arrivata. Il suo Uomo delle Stelle, che mai come in quel momento era parso identico a quello della sua visione, col volto pensieroso e la spada laser immersa nel buio, sarebbe tornato nella galassia a cui apparteneva, orfano come lei di un amore impossibile. 

Avrebbe fatto del bene. Sarebbe stato un grande Jedi. 

Tutte le loro poesie, tutti i litigi, tutti quei momenti bellissimi passati insieme.

Sarebbe finito tutto là sotto, ma qualunque cosa l’avrebbe attesa dopo - la Forza, il Manda o magari il Ka’ra delle leggende - Satine era certa che l’avrebbe portato nel cuore per sempre.

Satine era tante cose. Superba, certo. Saputella, fuori da ogni dubbio, ma se c’era una cosa che non era, era stupida.

Aveva compreso da tempo, ormai, che eliminare gli spettri in un colpo solo usando la Luce di Mandalore era un’impresa quasi disperata. Aveva contato di dilazionare lo sforzo nel tempo. Si sarebbe recata presso i Templi della Luce, a rate, iniziando da Sundari, e l’avrebbe aperta con calma. Questo era stato il suo piano, fino a che la sirena non aveva suonato ed Ursa Wren non le aveva dato la terribile notizia.

Soltanto eliminare tutti quelli presenti in città le sarebbe costato la vita. Ne era praticamente certa. La quantità di energia che avrebbe dovuto sprigionare sarebbe stata immensa.   

Certo, un po’ di speranza ce l’aveva. Marmaduke prima di lei ce l’aveva fatta senza lasciarci la pelle. Eppure, Marmaduke era stato il più grande utilizzatore della Luce che fosse mai esistito.

Ammesso che avesse davvero fatto quello che le leggende dicevano che avesse fatto. 

Anche se fosse stato vero, non avrebbe mai potuto pretendere di competere con lui.

Così, Satine si prese ancora un attimo per contemplare il viso del bel ragazzo che avrebbe portato nel cuore per sempre, con la segreta speranza che lui avrebbe fatto lo stesso per lei.

Obi Wan se ne accorse.

- Che succede, adesso?- disse, mentre continuava a menare fendenti.- Perché non cerchi un riparo? Nasconditi!-

Ma Satine non si mosse, un sorriso triste sulle labbra e la consapevolezza negli occhi. 

- Adesso succede che ti saluto, Ben.-

Lo lesse nelle sue iridi grigioverdi, che aveva capito, mentre il tempo sembrò fermarsi. 

Gli occhi tormentati dalla paura e dal dolore di un giovane che aveva visto troppo per la sua età, illuminati dal bagliore azzurro della spada e dei cristalli sulle pareti.

Se avesse potuto mettersi ad urlare al mondo tutta l’ingiustizia che sentiva ribollire dentro, Obi Wan l’avrebbe fatto.

Lei era troppo, per morire così.  

Lo sapevano entrambi. Lo avevano sempre saputo che la loro era una storia d’amore bellissima, ma tragica, destinata a non avere un futuro. Tuttavia, mai come in quel momento sembrava assolutamente impensabile che lei potesse cessare di esistere.

Lei era luce, vita. Quando tempo prima aveva delirato sul letto improvvisato di una navicella sgangherata, ferito e depresso, non aveva mentito quando aveva detto a Satine che era una stella. Brillava di luce propria, della forza dei sogni che sconfiggono anche le leggi della fisica, della visione di un mondo diverso. 

Se fosse stata un’altra donna, un’altra governatrice, altrettanto talentuosa, intelligente, politicamente brillante, Obi Wan non si sarebbe mai innamorato di lei. Non così. Quello che gli piaceva di Satine era lei, la luce che si portava dentro e che adesso aveva tutta l’intenzione di donare al mondo.

E pensò che sì, forse quello era davvero l’unico modo di far splendere il sole in un sistema sprofondato nell’ombra. 

La comprese, ancora una volta, e ancora una volta la sostenne. 

Questo era Satine Kryze di Mandalore. Una salvezza. Colei che aveva sempre la soluzione ad ogni problema, la persona su cui potevano tutti contare quando non ce la facevano più. Lei era quella che aveva sempre una buona parola, che perdonava, che si sentiva in colpa quando doveva farsi rispettare ed usava parole dure. 

Lei era quella alla quale potevi tendere la mano, nella certezza che l’avrebbe presa e che non avrebbe mai lasciato indietro nessuno.

L’ingiustizia dentro di lui ruggiva forte. 

Non lo meritava. Non meritava di andarsene da sola, in una gola profonda nel mezzo del buio, puzzolente di melma e di umidità. 

- Lo sapevamo.- gli disse, avvicinandosi a lui ed accarezzandogli il viso con la punta delle dita.- Lo sapevamo.-

Sì, lo sapevano, ma nulla avrebbe mai potuto prepararli a quello che sarebbe successo di lì a poco.

Rimasero a fissarsi, le mani sul volto a darsi conforto l’uno con l’altra.

- Ti prego. Resta la bella persona che sei. Fallo per me. Non diventare altro dal grande Jedi che sei destinato a diventare.-

Obi Wan annuì, mordendosi l’interno della guancia così forte che avrebbe giurato di sentire il sapore del sangue in bocca.

Uno strillo proveniente da qualche parte, nel buio, vicino alla parete di melma, li costrinse a tornare nel presente.

- Io devo concentrarmi. Fa’ del tuo meglio, per favore. K’oyacyi!-

 

Il quartetto era allo stremo delle Forze. Avevano combattuto tutta la notte, ma l’assalto era stato troppo violento. In un disperato tentativo di sopravvivere, Qui Gon, Inga, Maudra Kell ed Idril Skirata si erano ritirati dentro alla cripta, raggiungendo le retrovie assieme alle Abiik’ade e incontrando una Vanya sfinita sul loro cammino.

- Dove sono?-

- Ancora di sotto.-

- Niente?-

- No.-

Inga - che si sentiva pronta a tutto tranne che a due eventualità: morire o diventare Mand’alor - stava cominciando a pensare ormai che Satine ed il padawan fossero morti nel tentativo di compiere una follia. Qui Gon, invece, li percepiva ancora nella Forza entrambi, assieme ad un forte senso di attesa, come se qualcosa di enorme stesse per accadere.

Se non fosse stato per la sua calma presenza e la sua rassicurazione che i ragazzi erano effettivamente vivi da qualche parte là sotto, la fiera generale probabilmente avrebbe ceduto prima del tempo.

In effetti, qualcosa di grosso accadde.

Il primo segnale fu dato dall’illuminarsi dell’incisione sul coperchio della cripta, adagiato poco lontano dal pozzo. 

Il primo ad accorgersene fu Skirata, che lo notò con gli occhi sgranati e lo indicò al gruppo.

Poi, dopo istanti di calma piatta in cui persino gli spettri avevano preso a guardarsi attorno, il Tempio esplose.

Almeno, questo era quello che uno spettatore avrebbe visto se avesse osservato la città dall’esterno. Una palla di luce bianca e azzurra che si gonfia, circondando il Tempio, ed esplode. 

L’onda ad urto si scatenò per tutta la città, ma la devastazione fu minima.

Inga Bauer rimase frastornata, reggendosi alla spalla del maestro per non cadere. Si stropicciò gli occhi con le mani, incerta di quello che aveva appena visto.

- Che cosa è stato?-

Qui Gon sorrise e le batté una pacca sulla spalla.

- La vostra fiducia ripagata, generale.-

Il fenomeno si ripetè, ancora ed ancora, come un’onda di marea, bianca e opalescente. 

La cittadinanza rimase a guardare attonita l’onda bianca che si propagava per tutta la città e trasformava gli spettri in polvere fluttuante nel vento. 

Il gruppo rimase immobile ai piedi della Porta, e quando i loro occhi si abituarono alla luce abbagliante, rimasero esterrefatti dalla potenza del fenomeno, dai raggi di luce che scaturivano dal terreno e che esplodevano in quella che diveniva l’oggetto della loro salvezza.

Non ci voleva la Forza per sentire la positività che scaturiva da quell’incantevole vista. 

- Guardate!-

- Che cos’è?-

- Sta succedendo anche là!-

Qui Gon fu distratto dalle voci dei guerrieri rimasti fuori dal Tempio e il gruppo si precipitò sui gradini esterni, pronto a fronteggiare qualunque diavoleria li stesse aspettando.

Quello che videro li lasciò di sasso.

Non era soltanto Mandalore a brillare di luce bianca. Kalevala, Krownest, Draboon, persino Concordia, tutti i globi del sistema rilucevano dello stesso bagliore ed erano spazzati dalle stesse onde che stavano lentamente ripulendo, salvando la città di Sundari. 

E se Qui Gon od Inga avessero mai dubitato del fatto che il sistema di Mandalore fosse un corpo solo unito dalla stessa anima, in quel momento non poterono fare altro che credere a quelle leggende. 

All’improvviso, un’onda più forte delle altre li investì.

Poi, più niente.

Il silenzio era palpabile. La popolazione guerriera rimase a guardarsi intorno, sbalordita, mentre la polvere degli spettri veniva spazzata via da quello che restava dei refoli di vento dell’esplosione. 

La popolazione civile dentro al mercato coperto cominciò a mormorare, stupefatta.

Vizla comprese, una volta per tutte, di avere perso, ma dentro di sé gioì, nella ferma convinzione che quella rappresentasse la morte di Satine Kryze di Kalevala.

Tutti i torti, purtroppo, non li aveva, perché se tutti quanti applaudivano alla meraviglia che aveva concluso il conflitto, essi erano ignari dell’immane tragedia che stava avvenendo sotto di loro.

 

Obi Wan aveva combattuto valentemente. Si era battuto per proteggere la duchessa e c’era riuscito. Satine era stata in grado di concentrarsi a sufficienza per aprire la Luce di Mandalore, ma era stata poca cosa, all’inizio. La Luce aveva spazzato via qualche spettro, ma non aveva fatto il miracolo che avrebbe dovuto compiere.

Così, Satine si era concentrata di più, e meglio. 

Aveva ripensato alla bellezza opulenta della Fortezza delle Cascate prima che Larse Vizla danneggiasse permanentemente il ricordo che aveva di essa. 

Aveva ripensato al bosco di Nebrod e agli alberi senzienti di Kalevala, la sua Kalevala, il luogo che aveva amato e che ancora amava più di ogni altra cosa al mondo.

Allora la potenza della Luce era aumentata ed era riuscita ad investire tutta la città.

Ma non era stato abbastanza, no, e mentre il giovane padawan, ammutolito, era rimasto a guardarla mentre brillava di luce propria come una stella e una sola lacrima di dispiacere gli aveva solcato il viso, Satine aveva pensato alla sua famiglia, alle persone che amava di più. 

Suo padre, permanentemente invalido per avere fatto solo del bene.

Sua madre, morta per l’odio degli altri. 

Maryam ed Athos, che avrebbero voluto sposarsi di fronte a lei. 

Inga, che anche se a volte la trattava male era una donna deliziosa che avrebbe avuto bisogno di un po’ d’affetto ogni tanto. 

Lo zio Korkie, di cui avrebbe tramandato la memoria per sempre se solo ne avesse avuto il modo.

Qui Gon, colui che le era stato padre quando aveva creduto di non potere avere nient’altro se non la sua famiglia distrutta, ed Obi Wan, il suo dolcissimo Obi Wan, il ragazzo fragile che aveva trasformato i suoi sogni più folli in realtà, il giovane che le aveva fatto conoscere l’amore e che per lei aveva sofferto le peggiori torture, colui che le aveva dimostrato che la forza e la fiducia, la voglia di crescere e mettersi in discussione si può trovare anche nei momenti più bui della vita.

Era stato in quel momento che la Luce di Mandalore era esplosa in tutta la sua potenza.

E mentre la popolazione applaudiva al miracolo, il duca piangeva nella propria poltrona dentro Kryze Manor, reggendo il braccio di Athos e credendo che fosse finita.

Qui Gon, allo stesso modo, aveva barcollato pericolosamente ed era stato costretto ad appoggiarsi ad una delle colonne del Tempio per non cadere.

Nessun altro poteva percepire la portata della disperazione che lo aveva raggiunto attraverso la Forza e attraverso il legame che aveva stretto col suo giovane padawan.

Lo stesso che, in quel momento di gioia, stava piangendo disperato in fondo a quel pozzo buio, immerso nella luce pura dei cristalli di Mandalore finalmente liberi dalla melma, mentre reggeva il corpo di Satine Kryze di Kalevala.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Nau: luce.

Sol’yc: Sommo.

 

NOTE DELL’AUTORE: Mi scuso per il ritardo, ma motivi personali mi hanno costretta a tardare di qualche giorno la pubblicazione.

Non perderò tempo in chiacchiere. Chi di voi ha seguito la serie animata si aspetta che la storia non finisca qui. Infatti, è ben lontana dal finire. La battaglia contro gli spettri sarà pur vinta, ma c’è ancora un dittatore da sistemare e… Beh, tante cose che devono collegarsi alla futura timeline.

Quindi, miei prodi lettori - che ringrazio per il coraggio che avete avuto per arrivare sin qui - non vi resta che prepararvi alle ultime due giornate della battaglia di Sundari.

 

Molly.

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Capitolo 57
*** 48- Mand'alor ***


CAPITOLO 48

Mand’alor

 

41 BBY - estate mandaloriana. Battaglia di Sundari, giorno tre.

 

Ragazzo mio, che è successo?

Aiuto! Aiutatemi, per favore!

Ragazzo, dimmi che cosa sta succedendo.

Non risponde più, non mi risponde più!

Qui Gon, in parte, sapeva già che cos’era accaduto. Sprigionare un’energia del genere avrebbe ucciso anche il più forte nella Forza, non c’era da stupirsi se la giovane duchessa non ce l’aveva fatta.

Questo, però, cambiava tutto.

Si guardò attorno, come se avesse preso un brutto colpo in testa e dovesse tornare a riconoscere i volti di chi gli stava accanto. 

C’era Inga Bauer. Una generale che non ne aveva assolutamente voglia di fare il Mand’alor, ma che da quel giorno in poi avrebbe dovuto sacrificare tutta se stessa per il sistema. 

Vanya era con loro. Una ragazza giovane che avrebbe dovuto prendere il posto della zia al comando dell’esercito più letale di Mandalore.

Kell e Skirata se ne stavano imbambolati a fissare la Porta come se avessero visto la più grossa assurdità della loro vita. 

Beh, prova a dare loro torto.

Il buon maestro non poteva nemmeno fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe successo di lì a poco. Maudra Kell, che aveva avuto l’ardire di ritenersi in grado di guidare il sistema, avrebbe sfidato Inga, nominata direttamente dalla defunta duchessa reggente?

Tutti loro avevano confidato nel fatto che Satine sarebbe stata la prossima Mand’alor, ma adesso sarebbe cambiato tutto. 

Che cosa avrebbe detto ad Inga Bauer? 

Che cosa avrebbe detto al duca Kryze?

Era quasi certo che il poveruomo non sarebbe sopravvissuto alla terribile notizia.

Perché, soprattutto, gli importava così tanto di quello che avrebbero detto, o fatto, o pensato quelle persone nei confronti delle quali non aveva niente da dimostrare? Lui era un Jedi. Il suo incarico era finito. Ciò che sarebbe successo in seguito non era affar suo.

Maestro, aiuto!

E si rese conto di stare correndo, esattamente come il suo padawan.

Fermati, Obi Wan. Medita.

Ma come, medita? Ci serve un medico, uno bravo, e del cibo, e dell’acqua buona…

Ragazzo mio, fidati di me. Non parlare come un amante ferito. Sii un Jedi. Controllati. Medita. Pensa.

Ed Obi Wan obbedì, nonostante il panico crescente. Chiuse gli occhi e trattenne il respiro, cercando di controllarlo.

Satine era la sua priorità, adesso.

Le scostò i capelli dal viso mentre la teneva in braccio, cercando di scorgerle gli occhi e la bocca, provando a capire se respirava.

Chiuse gli occhi ancora una volta e il battito del cuore sembrò stabilizzarsi assieme al suo respiro, anche se le mani continuavano a tremare.

Lentamente, mentre cercava soccorso nella Forza, sentì la piccola luce di Satine, flebile, ma presente, diventare mano a mano sempre più forte. 

Aprì gli occhi, tirando un sospiro di sollievo, ignaro che le sue emozioni stessero giungendo in modo altrettanto forte a Qui Gon, su, sulla superficie.

Un maestro che non poteva fare altro che condividere il senso di sollievo del suo giovane apprendista, soprattutto quando una sconvolta Inga Bauer con gli occhi lucidi gli andò vicino.

- Ditemi di no.-

- No.-

- No perché me lo voglio sentir dire o no perché è viva?-

- No perché è viva.-

La generale esalò un sospiro di sollievo talmente forte che tutti quanti si voltarono a guardarla. Si passò una mano sul viso e poi nei ricci neri, e quando si rese conto che tutti, ma proprio tutti aspettavano un cenno da lei, alzò le mani e fece spallucce.

- Insomma, ammettetelo, se fosse morta non avreste voluto essere nei miei panni. Soprattutto quando avreste dovuto fare una certa chiamata a Kryze Manor.-

Poi si rivolse al maestro e fece un cenno con la mano.

- Vado ad accendere il commlink, prima che su Kalevala prenda un colpo a qualcuno.-

 

Nel frattempo, giù nelle viscere della terra, la situazione stava lentamente volgendo al meglio. 

Molto lentamente.

- Di’kut.-  mormorò Satine, aprendo appena le ciglia per vedere il giovane padawan accanto a lei. 

Lo aveva chiamato tonto così tante volte, durante quei momenti morti in cui non avevano nulla da fare se non punzecchiarsi a vicenda. Obi Wan era arrivato a detestare quel nomignolo. In quell’attimo, però, gli sembrava la parola più bella del mondo, come se non avesse mai sentito nulla di più divertente in vita sua.

Era vero che era uno scemo, ma era il suo scemo, e da lei se lo sarebbe fatto dire per tutta la vita se questo significava vedere i suoi occhi brillare, sentire la sua voce e la sua risata mentre lui faceva finta di essere offeso.

- Credimi.- le disse, ridendo e piangendo allo stesso tempo mentre la stringeva sempre di più.- Non sono mai stato così felice di sentirtelo dire!-

In generale, si può dire che quello sia stato un giorno di festa, anche per ciò che sarebbe successo dopo. Anche se i Kryze e i Nuovi Mandaloriani non potevano ancora saperlo, la sanguinosa guerra civile che aveva distrutto il sistema stava per volgere al termine. Era andato tutto esattamente secondo i piani.

Cioè, i piani di Satine. Nessuno nei quartieri alti, nemmeno a Kryze Manor, avrebbe potuto pronosticare una fine del conflitto tanto eclatante.

Eppure, quel giorno avrebbe rappresentato sia la gloria, sia la condanna della giovane duchessa. Satine era destinata a lasciare un segno tangibile nella storia di Mandalore, e per fortuna, bisogna dire. Tuttavia, non avrebbe mai più goduto di così tanta popolarità come in quel momento, non per i vent’anni successivi, in cui avrebbe governato con perizia e con grande astuzia politica. 

Forse, fu proprio questa la sua condanna. Sono stati spesi crediti su crediti per comprare i fiumi di inchiostro che hanno narrato le sue gesta, la sua ascesa e la sua caduta. Ciò che è certo, però, è che nessuno ha mai saputo darsi una spiegazione di come sia stato possibile che la donna più amata nella storia del popolo di Mandalore abbia finito col fare una fine così triste. C’è chi ha detto che Satine Kryze è nata millenni prima del suo tempo, madre di una visione troppo evoluta per essere compresa. C’è chi ha detto che la sua estrema intelligenza e raffinatezza politica ha fatto sì che nessuno la capisse, prono a disegni dai risultati ben più immediati. C’è chi ha scritto, invece, che Satine Kryze non fosse poi così abile, per non essere stata in grado di gestire i bisogni primari dei suoi cittadini e di mettere da parte la sua visione per il bene comune.

Forse, la verità è un’altra ancora. Tutto ciò che è certo, però, è che nessuno, in quel momento, si pose il problema. Il piacere del significato immediato del gesto della duchessa, della sconfitta degli spettri, era più che sufficiente per un popolo stanco ed affamato, desideroso di rinascita. 

Era la fine della guerra. Bastava soltanto che Satine Kryze fosse viva e vegeta.

Tanto tempo dopo, durante le Guerre dei Cloni, quando ormai la duchessa aveva raggiunto l’apice dei suoi anni da Mand’alor, in un’intervista per l’holonews avrebbe dichiarato:

- Conosco bene il significato delle parole. Essere leader di un popolo intero e la rappresentante di diversi sistemi neutrali in sede internazionale ti impone l’obbligo di imparare. Proprio per questo ne conosco il peso, ed anche il peso del silenzio. Il peso del servizio. Chi diventa un leader, se fa il suo mestiere per bene, è destinato a perdere la propria individualità per il bene della comunità. Poco importa se si è indisposti o se semplicemente si è persa la pazienza. Tutto, anche le proprie emozioni, deve piegarsi al fine ultimo rappresentato dal bene del proprio popolo. Per questo non mi vedrete mai denigrare chi serve sotto le armi della Repubblica. Per quanto io non sia d’accordo con questo conflitto e per quanto io non condivida il metodo con cui quest’alleanza si procura i soldati, so il significato del rinunciare a tutto per servire. Da loro ci si aspetta il risultato sperato, sempre, indipendentemente da tutto il resto. Nessuno si chiede davvero perché abbiano fallito. Erano stanchi? Non avevano risorse sufficienti? Oppure, nessuno si chiede come stiano adesso. Hanno perso i loro fratelli. Sono uomini, non macchine. Siamo uomini. Tutti noi.- 

Allora come al tempo dell’intervista, nessuno si chiese come stesse Satine. Ne aveva viste di tutti i colori in quei giorni. Prima aveva affrontato la fuga da Bral, dove ne aveva buscate parecchie. Poi, come se non bastasse, aveva intrapreso un volo complesso su una creatura gigantesca soltanto per recarsi a Sundari e sostenere una prova in cui era stata volutamente messa in difficoltà. Aveva messo al proprio posto una generale riottosa e risolto probabilmente uno dei più grandi problemi strategici che Mandalore avesse mai vissuto in una battaglia.

Insomma, aveva vinto una guerra in ventiquattr’ore, anche senza la Luce.

Con questo gesto, aveva decisamente dato una svolta agli eventi.

Nessuno ci badò. Dove fosse e come stesse era irrilevante. Alcuni non presero nemmeno in considerazione l’idea che potesse essere morta. 

Beh, col senno di poi, in forza di ciò che sarebbe accaduto dopo, forse quello fu un bene.

 

Che cosa succede, ragazzo?

Questa volta, anche se provato e con i pensieri un poco confusi, il messaggio arrivò forte e chiaro.

E’ viva. Sta bene, ma è molto debole. Ha bisogno di riprendersi. Potete guadagnare un po’ di tempo?

Eccome se lo avrebbe fatto. Era assolutamente necessario che la popolazione sapesse che Satine Kryze era viva prima che Vizla ne approfittasse per riprendere forza.

La ragazza non si sarebbe fatta vedere per un po’. Al maestro bastò un rapido calcolo. Per scendere dovunque i due ragazzi fossero scesi, ci avevano impiegato quasi un giorno intero. 

Ed erano stati in condizioni fisiche decenti.

La Forza sola sapeva come la duchessa avrebbe fatto a risalire dal fondo della Porta, se le sue condizioni erano così precarie. 

Obi Wan non aveva parlato di sé, ma il maestro immaginò che anche lui non fosse in condizioni migliori, fosse anche soltanto per la battaglia senza esclusione di colpi che doveva aver ingaggiato con quelle bestiacce là sotto.

Degli spettri non c’era più traccia. Inga aveva chiamato per avere notizie, ma nessuno aveva saputo dire dove fossero. Erano stati cercati, seguiti, cacciati e all’improvviso puff!, spariti, dissolti dalla potenza della Luce. Nemmeno i corpi erano rimasti sul terreno. Dallo spazioporto erano giunte urla di giubilo al commlink di Inga Bauer, e qualcuno si era lamentato del fatto che c’era un dannato meshurok appollaiato sulla cupola.

Anche questa è finita.

Così, il maestro prese Inga Bauer da parte e la condusse via dalla folla crescente che stava circondando il Tempio.

- Che cosa sta succedendo? Dov’è la duchessa?-

Qui Gon la guardò serio.

- Non credo che abbia le energie per risalire.- 

Il commento bastò a far intendere quanto c’era da intendere. Il fatto che non menzionasse direttamente il giovane apprendista aveva fatto capire alla generale che sì, Satine era viva, ma non stata proprio benissimo. 

- Il mio padawan si sta prendendo cura di lei, ma Inga, siamo seri. Le ci vorrà un po’ prima di tornare ad essere la Satine che conosciamo.-

Tuttavia, sul volto della generale si dipinse una espressione di puro sollievo, e il maestro giurò di avere visto un velo di lacrime negli occhi fieri della donna.

- Ce la farà.- le disse, mettendole una mano sulla spalla.- Ma ha bisogno di soccorso, e sicuramente dovremo guadagnare un po’ di tempo. Che cosa potrebbe cercare di trarre Larse Vizla dalla improvvisa dipartita della duchessa Kryze?-

- Una furberia delle sue.- commentò la donna, scuotendo i ricci scuri scompigliati.- Provvedo immediatamente. Chiamo di nuovo Kryze Manor. Vedo se riesco a cavare qualcosa dal baccano che stanno facendo laggiù.-

La generale si avvicinò alla giovane Vanya, stanca e provata, ma con ancora le energie tipiche di chi ha la sua età.

- I ragazzi hanno bisogno di aiuto. Riesci a scendere là sotto?-

La Figlia dell’Aria non se lo fece ripetere due volte. Girò sui tacchi e sparì dentro il Tempio.

 

Vanya ci avrebbe messo un bel po’ prima di arrivare sul fondo della Porta. L’arnese infernale che chiamavano teleferica doveva risalire in superficie e poi scendere di nuovo, per non parlare della scarpinata che l’avrebbe attesa giù lungo la gola carsica.  

I due ragazzi avevano ancora del tempo per loro prima che la realtà tornasse ad irrompere nelle loro vite. 

Così, il giovane padawan rimase a cullare dolcemente una giovane duchessa a cui sanguinava il naso, ma che apparentemente non aveva nulla di rotto o di irrimediabilmente danneggiato. 

- Ti ho sporcato la tunica.- gli disse, con le dentali ovattate per l’epistassi. 

Obi Wan rise di gusto.

- Non che mi importi granché. Per quanto mi riguarda puoi anche soffiartici il naso dentro. Più sudicio di così non potrei comunque essere.-

La duchessa aprì un occhio blu, che sembrava più blu nel bagliore dei cristalli, e mai come prima di allora Obi Wan pensò che la ragazza fosse un pezzo di Mandalore fatto carne. 

- Sei bellissima.- le disse, e lo pensava davvero.

Questa volta Satine aprì anche l’altro occhio e lo guardò scettica.

- Sì. Immagino che devo essere davvero una gran bella vista con la faccia tumefatta, le labbra spaccate e il naso che cola sangue come una fontana.-

- Per non parlare della terra, dell’umidità e della melma.- aggiunse il padawan, stringendola ancora di più a sé.- E sì, non sei mai stata più bella in vita tua.-

La sentì nascondere il volto nell’incavo del suo collo e ridacchiare, e Obi Wan ne fu contento.

Era finita. 

La realtà lo colpì in testa come un pugno.

E’ finita.

E adesso?

 

- Che cosa è stato?-

- Una bomba al fosforo?-

- Macché, non esiste una bomba del genere.-

- Gli spettri sono morti tutti!-

- Sì, e saremmo dovuto morire anche noi se si fosse trattato di una bomba. Ragiona, testa di legno!-

- Chi è stato?-

- Satine Kryze aveva detto che sarebbe scesa là sotto.-

- Come ha fatto la Kryze ha sprigionare un’energia del genere?-

- Dite che ha aperto la Luce?-

- Da sola? Una forza del genere l’avrebbe uccisa.-

- Forse è morta.-

- Vizla lo sa?-

Mentre le ore passavano ed i nostri eroi erano impegnati in altre e ben più pregnanti mansioni, la folla rumoreggiava fuori dalla porta del Tempio. La gente, compreso lo scampato pericolo, si stava radunando attorno al portico, nella speranza di ottenere qualche spiegazione o una semplice rassicurazione che sì, era finita davvero. 

Quel fenomeno li aveva scioccati. Molti di loro avevano sentito parlare della Luce di Mandalore, ma non l’avevano mai vista. C’era addirittura chi affermava che era solo un mito e non esisteva nulla del genere.

Che accidenti era successo al Tempio, e soprattutto, che cosa era successo a Satine Kryze di Kalevala?

Il fatto che, però, la cittadinanza avesse deciso di radunarsi ai piedi del portico e non ai piedi di Larse Vizla aveva rincuorato Qui Gon. Era evidente che la popolazione aveva intuito chi aveva risolto il problema degli spettri, e che, con molta probabilità, era destinato a diventare il nuovo Mand’alor.

La popolazione cominciava a riconoscere in lei la leader che era.

- Gente, diamoci tutti una calmata!- fece Inga Bauer, aprendo le braccia.- Satine Kryze sta bene e presto sarà qua con voi. Ha solo bisogno di tempo per risalire dalle profondità della Porta della Luce.-

- Ma è stata lei?-

- E’ stata lei a fare che cosa? Che cos’era quella luce bianca?-

Inga Bauer aprì di nuovo le braccia per ridurre tutti alla calma.

- Sono lieta di annunciarvi che Satine Kryze ha pienamente superato tutte le prove per il trono di Mandalore, inclusa quella relativa all’apertura della Luce. L’onda bianca che avete visto attraversare tutti i nostri pianeti è stata scatenata dalla duchessa Kryze, che a questo punto è il legittimo Mand’alor del sistema.-

Un brusio, come un ronzare d’api, si diffuse su tutta la platea. 

Tuttavia, qualcuno ebbe da ridire.

- Ma dai, davvero ci credete?- sbottò uno, l’elmo ben calcato in testa.

I membri della compagnia dei Kryze presero a guardarsi l’uno con l’altro.

Seriamente?

- Satine Kryze è solo un’impostora!-

Qui Gon dovette mettere una mano sulla spalla della generale delle Abiik’ade prima che facesse qualcosa di stupido.

- Si, si, lo so.- commentò quella, sospirando.- Pazienza e fiducia. Meno male che Nebrod me n’ha data tanta, di pazienza, o a quest’ora avrei già fatto una strage.-

 

Obi Wan aveva perso il conto di quanti massi avesse già saltato, di quante pareti avesse scalato e di quanti scalini avesse salito.

In giù anche i ciocchi di legno, vanno, era solito dire il maestro Yoda. In su, solo chi pazienza, fiducia, ingegno e Forza ha, riesce ad andare. 

Sarà che Obi Wan era stanco, ma cominciava a non poterne più. Aveva un leggero mal di testa, dovuto probabilmente all’uso eccessivo della Forza e all’adrenalina che calava consistentemente, e le braccia e la schiena doloranti per il peso morto della duchessa. 

Si era caricato Satine sulle spalle non appena era stata stabile abbastanza da reggersi in piedi e circondargli il collo con le braccia. Poi, aveva cominciato la loro scalata, gradino per gradino, in un buio che non sembrava più così buio. Con la scomparsa della melma a coprire i cristalli, le profondità della Porta brillavano di un blu intenso e di una luce diafana, come se si fossero trovati dentro una grotta di ghiaccio. 

Sapevano che non avevano molto tempo a disposizione. Dovevano tornare in superficie il prima possibile. La gente sicuramente li stava aspettando. In più, non avevano assicurazione alcuna che, con il livello di energia sprigionato, nessuno si fosse fatto niente e Satine era del tutto intenzionata ad accertarsene.

Certo, il fatto che Obi Wan - decisamente più esposto degli altri alla Luce - fosse integro e non in briciole faceva loro ben sperare, ma la consapevolezza di condividere un legame speciale e privilegiato in forza del quale Satine non gli avrebbe mai fatto alcun male minava un poco le loro certezze. 

Nonostante il loro intento di fare il prima possibile, Obi Wan fu costretto a fermarsi un paio di volte nelle conche sotto le cascate per riprendere fiato. Satine era leggerissima, ma caricarsela a peso morto sulle spalle fino in cima ad una scala infinita non era comunque un’impresa semplice. 

Fu durante una di quelle soste, mentre si avvicinavano sempre di più alla teleferica, che il padawan si rese conto che il naso di Satine aveva ripreso a sanguinare.

La fece accomodare su un masso e raccolse un po’ d’acqua da una cascatella per permetterle di lavarsi il viso.

- Grazie.- gli disse, pulendosi senza troppe cerimonie con le mani.

Il padawan si accasciò in un angolo, respirando a fondo. 

Era stanco e non era certo di riuscire a portarla fino in cima. Aveva combattuto valorosamente e il suo corpo cominciava a risentire di tutto quello stress.

Nonostante cercasse di non darlo a vedere, sapeva che non era ancora guarito del tutto.

La funicolare non è lontana.

- Ti fa male il collo?-

- Un po’.-

- Dovrei camminare.-

- No, sei sfinita. Ti porto io.-

- Ma…-

- Niente ma, Satine. Sei messa peggio di me, sicuramente.-

Si accostò a lei e le scostò i capelli umidicci dal volto stanco. Con la fronte poggiata contro la sua, Satine si permise di chiudere gli occhi per un secondo.

Se solo avesse potuto, sarebbe scivolata nel sonno in un attimo.

Rimasero così, non seppero per quanto tempo, fronte contro fronte e stringendosi le mani, rifiutandosi, per una volta, di pensare a che cosa sarebbe accaduto in futuro. 

Poi, un tonfo sordo li distrasse. 

Per un terrificante secondo, Obi Wan pensò che la funicolare avesse ceduto.

Nulla può garantirmi che gli spettri non l’abbiano rosicchiata per non farci più uscire.

Poi, espanse i sensi nella Forza cercando di ignorare il mal di testa crescente, e potè percepire una presenza che stava scendendo rapidamente verso il basso. Poteva comprendere che era una persona benintenzionata, che non rappresentava un pericolo e portava con sé un qualcosa di familiare che gli permise di stabilire con certezza che non c’era rischio alcuno.

- Chi è?-

- Tranquilla, è Vanya.-

Satine sospirò, consapevole di doversi allontanare da lui, ma al contrario di quanto si era aspettata, Obi Wan l’aveva attirata a sé e stretta in un abbraccio, commentato così:

- Al diavolo le apparenze. Hai fatto un mezzo miracolo, sei sfinita ed ho tutto il diritto di abbracciarti, tanto quanto tu hai il diritto di avere un po’ di sostegno.-

Fu così che Vanya li trovò, abbracciati seduti su un masso. Non che fosse interessata, beninteso. Era talmente confusa da quello che era accaduto che non badò minimamente all’atteggiamento chiaramente intimo dei due.

- Che cosa è successo?-

- Ha aperto la Luce di Mandalore. Non riesce a salire le scale, è distrutta e francamente lo sono anche io.- commentò il ragazzo, aiutando la duchessa ad alzarsi.- State tutti bene, in superficie?-

La guerriera annuì, ancora più perplessa di prima e faticando a processare il tutto.

Aveva davvero visto la Luce in azione?

Satine aveva davvero fatto quello che secoli prima aveva fatto Marmaduke?

E lei lo aveva visto davvero? Cioè, poteva davvero raccontarlo?

- Temo di non riuscire più a portarla.- commentò poi il padawan, riuscendo a far muovere qualche passo instabile alla duchessa.- Potreste darmi una mano, Vanya?-

La ragazza si riprese dallo stupore del momento ed accorse immediatamente in soccorso. Satine le sorrise, dimostrandole di stare bene, e le permise di infilarle un braccio sotto la spalla per camminare. 

Non appena furono arrivate sulle scale, passando sotto la cascatella, la Abiik’ad se la caricò in spalla, come aveva fatto il padawan prima di lei, e riprese a salire le scale.

Obi Wan, finalmente più leggero, riuscì a tenerle dietro senza troppi problemi, aggrappandosi alla Forza per trovare le energie, fino alla funicolare, sulla quale si stravaccò senza troppe cerimonie.

Se viene giù, mi sposto un po’ più in là. O grido aiuto. 

 

- Che cosa vorreste dire?- 

Si era fatta sera inoltrata quando l’uomo coperto di beskar rise sotto l’elmo.

- I Kryze sono sempre stati degli impostori e non esiste un essere vivente che possa scatenare una simile energia. Insomma, parliamone! Solo il duca Marmaduke ci è riuscito, forse, e considerato che la sua storia è per metà mito non abbiamo nemmeno la certezza che abbia compiuto davvero quel gesto. Come minimo, la vostra duchessa impostora ha trovato un mezzuccio dei suoi per riuscire nell’impresa.-

Inga Bauer lasciò cadere le braccia sui fianchi, disarmata.

- Non me lo dite.- commentò, in tono di biasimo.- Saxon?-

- E fiero di esserlo!-

- Andiamo bene.- brontolò la generale tra i denti. 

Qui Gon si avvicinò a lei e le sussurrò piano all’orecchio:

- Vi prego, generale. Non gli sparate.-

La donna sbuffò con l’ombra di un sorriso sul volto.

- Se non scatenassi un’altra guerra civile, credetemi lo farei. Accidenti a Satine e a quando mi ha fatto secondo in comando!-

- Ve la state cavando benissimo.-

- Semmai, questa è la prova che non sono tagliata per la politica.-

La massa sembrava non aver gradito il commento dell’uomo. I Nuovi Mandaloriani, in quel luogo, erano chiaramente in maggioranza e non avevano alcuna intenzione di stare a sentire le fandonie dei loro oppositori.

- Ma per favore! Anche se avesse trovato uno stratagemma, non mi pare che il tuo dittatore sia stato in grado di fare lo stesso!-

- Chi li ha eliminati gli spettri, eh?-

- Di sicuro Vizla ha mantenuto una certa dignità, piuttosto che darsi alla stregoneria!-

La folla rumoreggiò, ed Inga e Qui Gon cominciarono a temere per l’ordine pubblico quando Skirata li raggiunse al trotto e sussurrò loro all’orecchio:

- Sono qui. Vanya li ha trovati e li ha portati in superficie.-

Inga fece un cenno a Skirata e a Maudra Kell di sostituire lei e Qui Gon.

La folla brontolava come una pentola di fagioli.

- C’è un solo Mand’alor, e quella è Satine Kryze!-

- Mai!-

I due sospirarono, consapevoli che mantenere la calma sarebbe stata un’impresa ardua.

- Vi avviso.- disse loro Skirata, prima di lasciarli andare.- Il ragazzo è in condizioni decenti, ma la duchessa… Francamente non so come faccia a tenere gli occhi aperti.-

 

In effetti, i due ragazzi rappresentavano uno spettacolo abbastanza desolante.

Obi Wan era coperto di polvere, terra e melma dalla testa ai piedi. Una fanghiglia nerastra gli impregnava la tunica e la spalla destra era stata stata bagnata da un copioso flusso di sangue. 

Satine, invece, era bianca come uno straccio lavato, con profonde occhiaie nere e il naso incrostato di sangue rappreso.

Dovette rendersi conto della faccia di Inga e del maestro, perché si affrettò ad assicurare.

- Sto bene, non preoccupatevi.-

Ma il suo era stato un tentativo flebile, che aveva avuto breve vita. Non appena Vanya la depose a terra, infatti, Satine barcollò e fu costretta ad aggrapparsi ad Obi Wan per non cadere.

Fu immediatamente allestito quello che pareva una stanza d’ospedale improvvisata. Attraverso un fitto passaparola, servono le lenzuola e un kit di pronto soccorso, porta il bacta, il cuscino della sedia andrà bene, Satine fu fatta sedere e poi sdraiare, fu avvolta in un lenzuolo e Inga personalmente si prese cura del suo naso sanguinante.

- Come stanno, Inga? Le persone?-

- Stanno bene, duchessa. Decisamente. Gli unici che hanno pagato gli effetti della Luce di Mandalore sono stati gli spettri.- 

Satine si raddrizzò, appoggiando la schiena contro la parete dove fu subito messo un cuscino per evitare che prendesse freddo.

- Che cosa dicono? Che cosa sta facendo Vizla?-

- Adesso devi riprenderti, Satine, pensaci dopo.-

Non fu solo la sensazione di Obi Wan. Il comportamento di Inga era effettivamente cambiato. Non faceva niente di strano, beninteso, ma sembrava molto diversa dalla donna fredda ed algida che avevano incontrato nelle loro videochiamate. Sembrava più rilassata, quasi dolce verso Satine, come se l’atteggiamento che aveva nei suoi confronti fosse stato profondamente segnato da un rispetto che prima non aveva avuto per lei. 

Qui Gon le lasciò discutere, sedute sul pavimento, e dedicò le proprie attenzioni al suo padawan. Nonostante le sue condizioni fossero decenti, come aveva detto Skirata, sentiva la sua tensione nella Forza. Era evidente che il corpo gli faceva ancora male, ma era come se non lo sentisse. Obi Wan era stanco, emotivamente sfinito. Il panico aveva lasciato il posto ad una pace sonnolenta dovuta al calo dell’adrenalina. 

Povero ragazzo, si è preso un bello spavento.

Conosceva bene quella sensazione, per cui si avvicinò con discrezione e gli posò una mano sulla spalla, nella speranza di suscitare in lui un po’ di animo.

Il giovane lo guardò con aria stanca, ma serena, ed abbozzò persino un sorriso.

Come va, figliolo?

E’ viva e sta bene. E’ finita davvero.

E sentì una coltellata di dolore invadergli la cassa toracica. Qui Gon sapeva che Obi Wan era tutto fuorché stupido, ed era consapevole che quella era probabilmente la fine della loro avventura. Nonostante la stanchezza e la felicità palpabile per la salvezza della duchessa, il dolore del distacco imminente si stava già insinuando in lui e il maestro poteva sentirlo.

Gli strinse la spalla con decisione.

Non pensarci adesso, figliolo. Devi riposare, e deve riposare anche lei.

Nella Forza ci fu silenzio per un momento.

Ripartiremo domani, maestro?

Qui Gon aggrottò le sopracciglia.

Credo di no, ragazzo. La battaglia è vinta, ma non la guerra. Larse Vizla è ancora al suo posto e Satine deve ancora salire sul trono.

Era vero, ma non potevano sicuramente contare su mesi. Avevano i giorni contati, ormai, e anche il maestro lo sapeva.

Il giorno della scelta che più temeva si stava avvicinando pericolosamente, ma quello non sarebbe dovuto essere il momento per discuterne.

Non fare una delle tue solite fughe in avanti.

Satine stava ancora confabulando con Inga Bauer, che si stava prendendo cura di lei con una delicatezza quasi materna. 

- Hai veramente aperto la Luce tutta da sola?-

- Chi altro avrebbe dovuto aiutarmi, Inga?-

- Ma era davvero tanta, Satine. Non credevamo che fosse possibile usare così tanta energia e sopravvivere.-

La duchessa ridacchiò.

- Se ti può consolare, Inga, non lo credevo possibile nemmeno io.-

Qui Gon lanciò uno sguardo ad Obi Wan, sul cui viso si era stesa una nuvola scura.

Dev’essere stato terribile per lui.

- Molta gente ti crede morta. Non voglio spingerti a fare più di quanto tu possa fare, ma c’è bisogno che ti vedano, che sappiano che ci sei e che sei la legittima Mand’alor. Senza questo, temo che la tregua che abbiamo ottenuto fino ad adesso sia ben precaria. Già ci sono dei Saxon fuori dal Tempio disposti a chiedere la tua testa.-

Satine sospirò ed Obi Wan borbottò qualcosa di altamente offensivo tra i denti.

- Prego?- domandò la generale, voltandosi a guardarlo.

- Oh, insomma, siamo seri!- aveva commentato il ragazzo, allargando le braccia.- Il vostro contributo è stato importantissimo, ma accidenti, se Satine non fosse andata a Khader quando vi siete trovati persi, la guerra sarebbe stata vinta da Vizla mesi fa. Lo stesso commento si può fare per quanto accaduto a Bral. Siete stati a tanto così dal riprendere la metà occupata di Sundari soltanto perché Satine è venuta qua, ed anche senza gli spettri avreste probabilmente condotto l’assedio e posto fine alla guerra nel giro di ventiquattr’ore grazie al suo piano. Chiedete a Maudra Kell, se non ci credete. Ha fatto il diavolo a quattro nelle ultime ore, e ancora c’è chi farfuglia fesserie?- 

Inga lo guardò con rinnovato rispetto.

- Sai, quando non è rivolta contro di me la tua lingua forcuta non è niente male, ragazzino.- 

Obi Wan arrossì.

- Purtroppo Saxon e Vizla sono ancora in città, e non c’è molto che possiamo fare per persuaderli se Satine non si mostra in pubblico. Per il resto, concordo con te. Nonostante il mio scetticismo, di cui mi scuso, devo ammettere che Satine è stata davvero la chiave di volta che ci ha portato a vincere la guerra. O almeno, ad andarci vicino. Di fatto, non abbiamo ancora vinto.-

- Vinceremo.- concluse la duchessa, alzandosi in piedi e reggendosi al muro.- Questa farsa deve finire adesso. Intendo parlare alla popolazione di Sundari. Preparate i collegamenti con gli altri sistemi e con Draboon, Kalevala, Krownest e Concordia. Ah, a proposito, qualcuno ha parlato con la mia famiglia?-

- Io.- confermò Inga.- Tuttavia sono certa che tuo padre preferirebbe sentire la tua voce, piuttosto che la mia.-

Satine annuì e si fece portare uno specchio per rassettarsi alla bell’e meglio.

La faccia che fece quando fissò la sua immagine riflessa fu quanto di più comico i due Jedi avessero mai visto.

- Sembro un fantasma.-

- Considerando che tutti vi credevano morta, duchessa, direi che siamo più che contenti così. State benissimo, fidatevi.-

- Forse è meglio se ci pensiamo tra qualche ora, che dici?- 

Satine dondolò il capo ed acconsentì, ma volle registrare comunque un breve messaggio per far sapere a tutti che era viva e stava bene, promettendo alla popolazione di incontrarla il prima possibile per spiegare loro tutti ciò che dovevano sapere. 

- Vi prego di non fare niente di cui potreste pentirvi. La minaccia degli spettri è stata eliminata. Tutti noi abbiamo bisogno di tempo per recuperare le forze. Stanotte dormirete sonni tranquilli. Domattina avrete notizie sulla situazione. Jate ca, Mando’ade.- 

Non appena il commlink fu chiuso, la testa di Satine prese a ciondolare comicamente verso il basso. 

Qui Gon dette di gomito alla generale.

- Com’è messa la vostra pazienza, Inga?-

- Credo di averne abbastanza da resistere alle provocazioni dei Saxon ancora per qualche ora.-

- Allora direi che è opportuno che la duchessa…-

- … Schiacci un pisolino. La trovo un ottima idea. Prima, però, vorrei rientrare in possesso della mia beskar’gam. Dite che la duchessa ha ancora energia per spogliarsi? Ci tengo, sapete.- 

 

41 BBY - estate mandaloriana. Battaglia di Sundari, giorno quattro.

 

- Sta’ zitto, vecchia ciabatta!-

- Ma per favore! Tenetevi le vostre favole! Voi Kryze avete una super arma!-

- Ma quale arma e arma! E anche se fosse, Satine Kryze ha vinto lealmente!-

- Avreste dovuto condividere le vostre fonti.-

- Sì, come voi avete condiviso le bombe radioattive!-

- Signori per favore calma!-

- Vi siete fatti salvare da una pacifista!-

- Quindi ammettete la sconfitta?-

- GENTE!-

La notte profonda era ormai inoltrata e il sole cominciava a fare capolino sul deserto di Sundari. La giovane duchessa e i suoi compagni erano riusciti a dormire qualche ora. La folla, però, non aveva voluto saperne di riposare. Il brusio era ormai incontenibile e la situazione purtroppo era in piena escalation. 

Contenere la gente radunata ai piedi del Tempio sarebbe stata un’impresa impossibile per le Abiik’ade già provate e per coloro che avevano combattuto duramente alle porte di Sundari. Maudra Kell e Skirata avrebbero tanto voluto separare i litiganti, ma le forze a loro disposizione erano poche e sembravano riottose a loro volta.

Li capivano. Insomma, dopo mesi di guerra, non ne potevano più, e sentire Saxon e Vizla sparare una stupidaggine dopo l’altra pur di non ammettere l’inevitabile dava sui nervi anche alla compassatissima generale Kell.

Skirata si avvicinò a lei, schivando uno stivale chiodato partito da chissà dove e diretto alla testa di un conservatore. L’aveva mancato per un pelo e per poco non ci aveva rimesso il povero sottotenente.

- La situazione è ingestibile, generale. Che si fa?-

La donna sospirò.

- Preparatevi a sedare la rivolta. Impugnate le armi.-

- Non serve.-

La voce di Satine giunse flebile alle orecchie della donna, ma fu abbastanza per farla voltare a guardarla. 

La duchessa era in piedi sugli scalini del Tempio e li stava scendendo reggendo le mani dei due Jedi.

A dire il vero, più che lei ad accompagnare i due, sembravano loro a sorreggerla. Nonostante avesse provato a darsi un po’ di contegno, la ragazza era decisamente provata, e Maudra Kell non era certa che sarebbe riuscita a non svenire ancora per molto.

Un piccolo drone volò in alto, sibilando, pronto a riprendere la scena.

Satine, una volta stabile in fondo alle poche scale del Tempio, lasciò le mani dei due Jedi e mosse qualche passo incerto in direzione della generale, tendendole le mani.

Quando fu vicina, gliele strinse forte e mormorò solo poche parole.

- E’ finita, generale. E’ finita davvero stavolta.-

Alla sua comparsa, la folla tacque improvvisamente e la guardò scendere le scale con aria incerta. 

Chi aveva affermato che fosse morta sul fondo della Porta, si era dovuto ricredere. 

Chi aveva creduto che nessuno sarebbe mai stato in grado di tornare da un luogo che era notoriamente associato alla sepoltura dei Mand’alor, aveva cambiato idea. 

Chi aveva sostenuto che non sarebbe cambiato nulla, fu costretto a rivedere le sue opinioni.

Satine Kryze aveva appena affermato che era finita e, per quanto debole e stanca, era in piedi, viva e vegeta, e potevano essere certi che se avessero provato ad ingaggiare battaglia di nuovo quel diavolo di ragazza sarebbe stata lì, ancora una volta, a rompere loro le uova nel paniere.

Super arma o no, era abbastanza certo a questo punto che Satine Kryze era la legittima Mand’alor e che aveva tutte le carte in regola per vincere quella guerra.

I suoi sostenitori videro in lei la legittima duchessa in linea di successione dopo il grande Marmaduke il Protettore, l’unico ad avere avuto le capacità per aprire la Luce di Mandalore ed usarla in un modo così devastante per salvare l’intero sistema. 

Questo cambiava le cose. 

Adesso, Satine Kryze era un leader. Uno vero, non una reggente o un passacarte che godeva della fiducia di alcuni senza avere la stima della maggioranza.

Satine Kryze di Kalevala, adesso, era una Mand’alor.

E lo dimostrò immediatamente, allontanandosi dalla generale ed inoltrandosi nella folla, da sola, con le sue gambe, senza protettori e senza paura.

Attorno a lei c’era di tutto. Kryze, Wren, Saxon, Vizla, Bauer. Tutti loro avevano combattuto una guerra contro un nemico comune senza riuscire a vincerla fino a che lei non si era decisa a compiere quell’ultimo, disperato gesto.

Ai loro occhi, la giovane Kryze aveva vinto tutte le leggi della fisica.

- E’ finita!- gridò, per farsi sentire.- Gli spettri non torneranno. Se ne sono andati, e spero per sempre. E’ finita, finalmente!-

E tese le mani in avanti, cercando il primo che le capitasse a tiro per complimentarsi con i suoi guerrieri.

Afferrò le mani di un Wren, che non si aspettava di essere accolto con così grande calore, e ricambiò la stretta.

Poi, afferrò una Abiik’ad, che abbassò la testa in segno di rispetto.

Uno dopo l’altro, Satine strinse le mani a tutti quelli che riuscì a raggiungere nel piccolo vuoto che le si era creato attorno. 

Le forze la stavano abbandonando e non vedeva l’ora di tornare a sdraiarsi.

Scoppiò a ridere, la tensione che lentamente andava sciogliendosi.

Si avvicinò a lei un uomo anziano coperto di beskar, che aveva partecipato alla battaglia pur non avendo le energie necessarie e miracolosamente sopravvissuto.

L’uomo zoppicò. Era stanco e provato dall’età e da molte battaglie, ma la luce nei suoi occhi era ancora vivida. 

Allungò una mano verso di lei e Satine gliela strinse con aria cordiale.

- Voi siete uno straniero.- disse, tenendogli strette le dita tra le sue ed osservando le pitture nere sul suo volto.

Dev’essere un Mirialano.

- Sì. Vengo da Igmur.- commentò l’anziano, trattenendola.- Lì ho vissuto la metà della mia vita. L’altra metà, l’ho vissuta ramingo in giro per la galassia, senza casa o sostegno. Qua ho trovato l’inizio della mia vita, quella vera.-

Le baciò la mano in un gesto di galanteria, poi fece un passo indietro e disse la cosa più inaspettata.

- Nau.-

Satine sorrise e chinò il capo, ringraziando, ma ben presto attorno a lei la parola fu ripetuta diverse volte, e molte mani si protesero per toccarla.

- Nau.-

- Nau!-

- Nau Manda’yaim.-

Qui Gon chiese numi, anche se la sensazione che pervadeva la Forza era più che positiva.

- Che cosa stanno dicendo?-

Obi Wan dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di tradurre, incredulo per ciò che stava vedendo.

- Luce di Mandalore.-

La folla si divise. Furono pochi quelli che non si unirono al grido del popolo di Sundari che acclamava la loro Mand’alor a gran voce. 

La città si riempì di urla di giubilo, tra chi esaltava il nuovo epiteto appena creato per la duchessa e chi gridava il suo titolo da ogni dove.

- Mand’alor! Mand’alor! Mand’alor!-

- Nau! Nau Manda’yaim. Nau!-

Il piccolo drone fece il suo lavoro egregiamente, spedendo le immagini in diretta su tutti i canali. 

Vizla osservò la scena con gli occhi sgranati dal Palazzo del Governo, consapevole che questa volta aveva le ore contate. 

La famiglia Kryze potè tirare un sospiro di sollievo, vedendo la piccola Satine - non più così piccola ormai - viva e vegeta, sulle proprie gambe, essere acclamata Mand’alor a gran voce dalla stragrande maggioranza dei cittadini di Sundari.

L’acclamazione si ripetè dovunque nel sistema. Le immagini di Satine acclamata a furor di popolo invasero l’holonet e l’holonews, e le piazze si riempirono di persone, manifestanti che, più o meno in armi, inneggiavano alla nuova Mand’alor e alla Luce di Mandalore.

Ben presto la notizia uscì da Mandalore, e le principali reti di comunicazione trasmisero la scena in ogni angolo della galassia con i loro toni enfatici, titolando senza troppi indugi:

 

Grandi notizie dal sistema di Mandalore! Satine Kryze ha vinto la guerra! 

La duchessa è riuscita a sconfiggere il dittatore Larse Vizla senza esplodere un colpo e a capo di un movimento pacifista!

 

Qualcuno su Coruscant non la prese bene. Chiuso nel proprio ufficio, con i polpastrelli incrociati sotto il mento e le unghie lunghe e curate che si toccavano, si sfiorava il naso con disagio.

Quella piccola pulce aveva mandato all’aria tutti i suoi piani.

Tuttavia, se Satine Kryze era convinta di aver vinto la guerra, si stava sbagliando di grosso. Nel vasto scacchiere politico che quell’uomo cercava di controllare, Mandalore rappresentava solo una piccola pedina, che avrebbe facilitato ampiamente i suoi piani se controllata, ma che al momento non era così indispensabile.

In quel frangente, l’uomo avvolto nel mantello rosso seduto alla scrivania, con le dita puntute sotto al naso, era perfettamente consapevole che la resa dei conti con la piccola Kryze era soltanto rimandata. 

Prima o poi si sarebbero incontrati di nuovo, e quella sarebbe stata la fine della duchessa di Mandalore.

Per il momento, la giovane Kryze si sarebbe goduta le luci della ribalta, ed avrebbe avuto l’illusione di aver scampato il pericolo. Lì, in mezzo alla folla, acclamata da un intero sistema in tumulto, la nuova duchessa tese le mani ai due Jedi, che accorsero immediatamente in suo soccorso.

- Sono sfinita. Vi prego, portatemi dentro prima che collassi in mezzo a tutti facendo una figuraccia intergalattica!-

Satine avrebbe scoperto solo molto dopo il putiferio che la sua acclamazione aveva scatenato a Kryze Manor. 

L’unica che aveva apprezzato solo parzialmente la notizia era stata Bo Katan, che aveva compreso fin troppo precocemente che la sua sorellona, purtroppo, non sarebbe più tornata a casa. 

- Non torna Satine, torna il Mand’alor.- e la piccola ebbe la consapevolezza che il rapporto con sua sorella sarebbe cambiato per sempre.

Per il resto, la casa era in festa. Le Abiik’ade poste a protezione del maniero corsero ad abbracciarsi tra loro. Maryam uscì dalla cucina, uno straccio in testa, una padella in una mano e una spatola nell’altra, saltando e gridando all’impazzata. 

Athos corse subito da lei ad abbracciarla e a strusciare il naso contro il suo, ridendo di gusto, ma il migliore di tutti fu il duca Kryze, che dalla sua postazione sulla poltrona alzò il volume del monitor al massimo e prese a gridare:

- Abbiamo vinto! ABBIAMO VINTO!- 

- Vado subito a fare le valige!-

- Ma dove vai! Dove vai! Athos, vieni qua, e porta su tutta la netra’gal della cantina! Alle valige ci pensiamo più tardi. Stasera mi ubriaco come Ordo il Sordo!-

 

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Nau Manda’yaim: Luce di Mandalore, dove manda’yaim lett. Mandalore, pianeta

 

NOTE DELL’AUTORE: Con il prossimo capitolo, la presa di Sundari è destinata a concludersi. 

Sarà piuttosto lungo e probabilmente sarò costretta a dividerlo in due parti. Va detto anche che, nei capitoli che concluderanno questa storia bella lunga, dovrò riprendere le fila di tutto ciò che ho lasciato indietro, collegare tutti i puntiti.

A cominciare proprio dal prossimo capitolo.

Alcuni dettagli, tuttavia, sono destinati a restare sospesi. Questo perché ho in programma di dare un seguito a questa storia, basato principalmente sulle Guerre dei Cloni. Ci sono ancora troppi spazi vuoti, troppi momenti perduti che stuzzicano la mia attenzione. 

Per cui sì, penso che dovrete sorbirvi i miei sproloqui ancora per un po’.

Sono curiosa di sapere se qualcuno ha capito, tra le mille cose che ci sono da capire in questa storia, chi sia il tizio dalle dita aguzze avvolto nel mantello rosso. 

Non che ci sia molto da fantasticare, eh. 

Del resto, tutta la storia di Star Wars ruota attorno ad un certo Manipolatore Supremo. 

La rivalità tra il Pezzo Grosso Per Eccellenza e la Luce di Mandalore è un aspetto a cui mi piacerebbe dare seguito.

Ogni cosa a suo tempo.

Resta anche da stabilire chi sia il nostro Custode, il Narratore di questa lunghissima storia d’amore. Anche perché, è destinato a tornare presto.

Qualcuno di voi si è già fatto un’idea? 

 

Molly.

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Capitolo 58
*** 49- La marcia ***


CAPITOLO 49

La marcia 

 

Non appena fu rientrata nel Tempio e le porte si furono chiuse alle sue spalle, Satine crollò. Fu solo merito dei due Jedi se non batté la testa per terra accasciandosi come un sacco vuoto. 

Le Figlie dell’Aria andarono immediatamente a recuperare oggetti per costruire un giaciglio più comodo di quello che la ragazza già aveva, per evitare di doverla lasciare a riposare per terra, e così Qui Gon si fece carico di tenerla in braccio fino a che non ebbero finito.

Il suo nuovo letto non era molto diverso dal precedente, a dire il vero, ma avevano usato una maggiore imbottitura ed avevano evitato di farla dormire sulla stuoia che aveva precedentemente occupato. Sicuramente si trattava di un miglioramento ed Obi Wan fu costretto ad ammettere che avrebbe schiacciato volentieri un pisolino anche lui. 

Non appena la adagiarono sul letto per lasciarla riposare, la duchessa fu immediatamente circondata da persone pronte a portarle del cibo e dell’acqua. Certo, non era granché, considerato che la guerra aveva decisamente messo in crisi il settore degli approvvigionamenti, tuttavia le stavano fornendo tutto quello che era a loro disposizione, e Satine accettò di buon grado. Protestò un poco solo quando le portarono dei cibi non confezionati, preferendo destinarli all’ospedale da campo, ma Inga Bauer insistette talmente tanto che alla fine anche la duchessa capitolò.

Obi Wan era stanco ed affamato, ma non aveva avuto bisogno di chiedere niente. Non lo avrebbe fatto in ogni caso: in quanto Jedi, non era il suo posto quello di chiedere aiuto o sostegno, almeno non per sé. Satine, però, l’occhio attento come sempre ai minimi bisogni della gente, aveva tenuto da parte qualcosa anche per loro.

Presto l’attenzione dei soldati fu attratta altrove, innanzitutto per la grande risonanza che il filmato dell’acclamazione aveva avuto a livello galattico. Erano in molti a provare a mettersi in contatto con il movimento dei Nuovi Mandaloriani, adesso, e persino l’holonews aveva difficoltà a descrivere quanto stesse accadendo in quei momenti concitati. C’era Vizla da controllare, e così la generale Kell e gli altri decisero di ritirarsi nel quartier generale per decidere il da farsi. Il piano di Satine era ancora valido, per cui c’era solo da mettere a punto gli ultimi dettagli prima di metterlo in pratica.

- Non credo che riuscirò a fare alcunché prima di oggi pomeriggio, mi spiace. Sono davvero stanca, ho bisogno di riposare.-

Nessuno osò obiettare. 

- Dite al generale Kell che potrebbe essere utile piazzare qualche cecchino sul tetto del palazzo di fronte a quello governativo sin da adesso, e di controllare il Museo di Scultura e la torre della Fondazione dell’Astronomia. Non voglio che sparino, ma se Vizla si mette le dita nel naso, voglio saperlo.-

A quel punto l’avevano lasciata sola, libera di mangiare e di disquisire con i due Jedi in tranquillità. 

Obi Wan si era subito fatto avanti, inginocchiandosi accanto a lei, seguito a ruota dal maestro Qui Gon. 

Satine spinse il piatto in avanti con quello che aveva tenuto loro da parte.

- Avete combattuto valentemente oggi. Non so come ringraziarvi. Questa non era la vostra battaglia, eppure siete stati protagonisti eroici della nostra vittoria. Avrete la mia eterna gratitudine.-

Il maestro le scompigliò i capelli con simpatia e il ragazzo affondò la propria crocchetta dentro la salsa. 

Non sentì nemmeno il piccante, questa volta. 

- Sapete, Obi Wan è stato coraggiosissimo.- gli disse, passandogli una galletta.- Ha combattuto fino allo stremo e mi ha protetto in modo eccellente. Non ha mai avuto paura degli spettri, e non li ha nemmeno odiati. Un vero Jedi. E’ stato perfetto.- 

E calcò bene l’ultima parola per far passare meglio il messaggio.

- Sono contento di sentirvelo dire. Ammetto che dubitavo della sua lucidità. Uomini migliori di lui non sono stati in grado di affrontare il proprio nemico dopo aver subito ferite come le sue. Sono fiero di lui.-

Qui Gon gli dette di gomito ed Obi Wan sorrise, arrossendo un po’.

- Satine ha fatto tutto il lavoro. Dovevate vederla. Concentratissima, aveva tutto sotto controllo. E’ stata fantastica!-

Il buon maestro sapeva che i due ragazzi avevano bisogno di spazio, così con la scusa di controllare la medicazione alla gamba si allontanò un poco, piazzandosi sulla porta e facendo la guardia.

Nessuno aveva mai fatto nulla di simile per lui e Tahl, ma adesso non lo rimpiangeva più. Era passato molto tempo, e sapere di avere fatto qualcosa di buono per Obi Wan gli dava la certezza che, in fondo, il sacrificio della magistra non era stato vano. 

Satine si fece da parte immediatamente, per consentire al padawan di sdraiarsi accanto a lei.

- Hai l’aria sfinita.-

- Sinceramente, lo sono. Fosse anche soltanto per il colpo che mi hai fatto prendere là sotto.- commentò, ammiccando in direzione della Porta.

Poi, fissando la luce del sole che trapassava i vetri della lanterna, commentò.

- Vedere che stai bene è… Un sollievo.-

Satine sorrise, e gli strinse le dita in segno di incoraggiamento.

- Dev’essere stato difficilissimo per te. Non sai quanto sono dispiaciuta di averti fatto soffrire. Tu, però, sei stato perfetto. Tu sei perfetto, tutto quello che potrei desiderare.-

E strusciò la testa sulla sua spalla.

- Il mio cavaliere Jedi senza macchia e senza paura.-

E accidenti, dopo quello che avevano passato avevano tutto il diritto di coccolarsi un po’. Il contatto con Satine gli mancava, soprattutto adesso che entrambi erano fragili e stanchi. Così, messo da parte il piatto leccato come uno specchio, le permise di accoccolarsi nell’incavo del suo collo, tenendola stretta e sussurrandole una canzone in Mando’a.

 

Ed io ti aspetterò

nel campo blu di sogni,

ti aspetterò 

sulla riva del fiume,

ti aspetterò

al limitare del bosco,

e dovunque il Fato

ti abbia portato, 

il vento ti parlerà di me,

e nell’alba di un mondo straniero

mi sentirai cantare

che il giorno dura troppo

nel caldo dell’estate…

 

- La Canzone dei Cosmonauti?-

- Perché? Che c’è di male?-

- Te la cantavo quando eri ancora convalescente.-

- Lo so, me lo ricordo.-

Gli lasciò un bacio sulla guancia prima di accoccolarsi e dormire un poco.

Inga Bauer li colse così, con Satine che dormiva profondamente sulla sua spalla ed Obi Wan che provava a rimboccarle le coperte senza svegliarla.

Non si fece notare e richiuse la porta con delicatezza. 

Qui Gon, però, la colse sul fatto.

- Tutto bene, generale?-

La donna, che aveva l’aria di voler dormire più di ogni altra cosa, lo guardò con lo sguardo di chi non aveva voglia di problemi.

- Volevo semplicemente informare la duchessa che abbiamo efficacemente piazzato le nostre spie sui tetti dei palazzi limitrofi a quelli del governo.- e dondolò la testa con soddisfazione.

- Vizla si è messo le dita nel naso?- commentò il maestro, una vena di sarcasmo nella voce.

Inga rise.

- Non ci crederete mai, maestro, ma sì, si è ficcato le dita nel naso! Volevo dirglielo, ma apparentemente la nostra giovane duchessa è impegnata in attività più proficue.- 

Qui Gon non sapeva come interpretare la frase della generale. Gli era parsa una donna sui generis, decisamente poco incline al conformismo, ed era praticamente certo che non le importasse poi più di tanto l’estrazione sociale dell’uomo con cui Satine era solita, ehm, intrattenersi. Tuttavia, dato il peculiare rapporto tra Jedi e Mando, il buon maestro non sapeva esattamente che cosa aspettarsi. 

- Vi pregherei, a questo proposito, di non rendere pubbliche le, ehm, attività che la duchessa svolge nel tempo libero. I Jedi potranno anche andare bene come guerrieri, ma non esattamente come, ehm…-

- … Amanti?- concluse la donna, con un sorriso quasi offeso sul volto.- Maestro, per chi m’avete preso? Conosco il mio popolo a sufficienza per poter dire che non abbiamo bisogno di un’altra guerra civile.-

Qui Gon fece ammenda con un delicato gesto del capo.

- E voi, generale? Scatenereste una guerra civile?-

Inga parve pensarci un po’ su.

- Dipende. Se siete qua, è anche perché io ho dato il consenso al piano assurdo di Korkie Bauer, assieme al duca e alla maggior parte della corte della duchessa. Per converso, mettiamola così: dipenderà da come vi comporterete e da come si comporterà il ragazzo.-

Qui Gon si aggiustò la benda sulla gamba e si riposizionò sullo stipite della porta per montare la guardia.

Aveva immaginato che Inga si sarebbe ritirata per riposare, ed invece la osservò con stupore piazzarsi accanto a lui e montare la guardia, imperterrita.

- Dite un po’.- commentò la donna, in modo apparentemente casuale.- Io credevo che questo genere di, ehm, intrattenimento vi fosse proibito. Mi è parso di capire che un Jedi non potesse creare legami.-

Qui Gon tentennò.

Che faccio, parlo?

- Mettiamola così - disse, optando per una via di mezzo.- Non possiamo creare legami. Tuttavia, abbiamo fatto un voto di celibato, non di castità, anche se alcuni di noi lo interpretano in quel modo.-

Inga aggrottò le sopracciglia, perplessa.

- Sarà che da noi le due cose vanno per forza insieme, ma non posso fare a meno che trovarvi sempre più biasimevoli.-

- Mi dispiace se ho offeso il vostro credo.-

- Ho detto che da noi le cose funzionano in un modo diverso, non che io seguo le regole.-

Ah.

Qui Gon stava seriamente cominciando a chiedersi dove quella conversazione lo stesse portando. Che cos’era che voleva esattamente la generale? Qual era lo scopo di tutte quelle domande?

Non dovette attendere molto per avere una risposta.

- Quindi nel vostro modo di vedere le cose sedurre una donna ed abbandonarla è perfettamente normale.-

- Diciamo che chi sceglie di intrattenersi con noi sa già a che cosa va incontro.-

- E quello che sta facendo il vostro padawan è perfettamente legittimo.-

- In linea teorica, sì.-

- Ed in linea pratica?-

- Qualunque cosa accada, cresceranno, tutti e due. Sapranno ricavare il meglio da questa esperienza.-

- E voi? Saprete ricavare il meglio da questa esperienza?-

- Che cosa intendete dire?-

Inga Bauer sembrò pensarci su un attimo.

- Se il vostro padawan dovesse decidere di non tornare al Tempio, voi che cosa fareste?-

Ah.

Inga continuava a confonderlo. Non riusciva proprio a venire a capo di quell’interrogatorio, eppure una parte di lui sentiva che si stava comportando come un fesso e che la risposta era così ovvia da far diventar bianco persino Mace Windu.

- Questa è una bella domanda, a cui temo di non avere risposta. Sarà la Forza a guidare le decisioni del mio padawan. Per il momento, le cose sono già fin troppo complicate senza contare l’impiccio dei legami sentimentali.- 

La generale tacque e un silenzio scomodo li avvolse. Qui Gon continuò a guardare fisso davanti a sé, attendendo un commento di Inga, e la donna continuò a guardare in giro, attendendo un commento dell’uomo.

- Una cosa è certa, però.- concluse il maestro, pur di non sopportare oltre quel terribile silenzio pieno di non detto.- Il mio ragazzo, di là, detesta la politica.-

Inga Bauer si mise a ridere.

- Un grosso problema per un duca consorte!-

- Già.-

Aveva una bella risata, Inga. Qui Gon si sorprese a pensarlo, ma alla fine comprese anche perché. La generale non rideva quasi mai. Le poche volte che lo aveva fatto, si era limitata ad un gorgoglio contenuto, eccetto rari casi. Adesso, invece, si era sentita libera di ridere, con sollievo. Era diversa dalla donna imperiosa ed austera che aveva conosciuto. La sua risata era squillante, un suono imprevisto che lo distrasse dai suoi pensieri confusi, e all’improvviso ebbe la risposta a tutte le sue domande.

- Non so che cosa accadrà in futuro, però posso dire una cosa.-

Pensò che Tahl non l’avrebbe mai perdonato, e allo stesso tempo pensò anche che lo avrebbe capito. 

Se mi senti, perdonami, ma ho bisogno di tornare a vivere per capire.

- Non avrei mai pensato di dirlo, ma Mandalore mi piace.-

La generale sollevò un sopracciglio.

- Mandalore, eh? Non che ci sia molto, a parte il deserto e le città distrutte. Dovevate vedere com’era prima. Sundari era bellissima. Vetro e beskar dovunque. Adesso restano solo sassi, schegge e strade sporche di sangue.-

- Forse un giorno tornerò, e rivedrò Sundari riportata agli antichi splendori. Oppure potreste farmi vedere voi quanto era bello questo pianeta prima della guerra.-

Inga annuì, considerando seriamente la sua proposta. 

- Sapete, sulle prime non ero per niente contenta della piega che avevano preso gli eventi. Non era mai successo prima che un ragazzino con due peli di barba in faccia osasse contraddire l’opportunità dei miei ordini.-

Qui Gon ghignò.

- Avete soltanto avuto un piccolo assaggio della lingua lunga di Obi Wan. Vi posso garantire che farebbe stare zitto persino il dittatore.-

- Chi si somiglia si piglia.- commentò la generale, ammiccando alla ragazza che dormiva sulla spalla del giovane.

Satine, effettivamente, dormiva della grossa, e Obi Wan con lei, la testa reclinata ed appoggiata sui suoi capelli biondi.

- E’ stata una fortuna, in un certo senso. In missioni difficili e prolungate come la nostra, o ami il tuo compagno di viaggio, o lo odi.-

- Il vostro ragazzo vi ha preso alla lettera.- sogghignò Inga, tornando a badare al corridoio e facendosi apparentemente gli affari propri.

Sì, solo in apparenza.

- Sarete ansiosi di tornare a casa. Qualcuno, di sicuro, vi starà aspettando.-

Ah, finalmente c’è arrivata!

- A dire il vero, no.- commentò l’uomo, facendo spallucce.- Anzi, meglio, sicuramente tutta la compagine femminile del Tempio nella giusta fascia d’età sta attendendo in gloria il ritorno del bel ragazzo dagli occhi di bruma, ma per quanto mi riguarda, temo che mi aspetti soltanto un sacco di burocrazia.-

- Proprio nessuno nessuno?-

- Nessuno nessuno.-

- Questo è un peccato.-

- Sì, lo è.-

Un guerriero in beskar venne a chiedere informazioni sulle postazioni di controllo del Palazzo del Governo. Inga si piazzò prontamente davanti alla porta, occludendo la visuale e dando disposizioni alla massima velocità che la sua lingua le permetteva.

- Pericolo scampato.- commentò, non appena l’uomo se ne fu andato.

- Il vostro è stato un lavoro prezioso.- disse Qui Gon, lanciando l’ultimo affondo e sperando che andasse in porto.- Devo dire che ho apprezzato molto le vostre abilità.-

Se avesse avuto i baffi, Inga avrebbe gongolato parecchio sotto di essi.

- Vi ringrazio. Non sono cose che mi sento dire spesso.-

- Questo perché incutete timore.-

- Anche a voi?-

- Io non sono tutti.-

Dentro la stanza, Satine mugugnò e Obi Wan la strinse meglio sul cuore.

- Quei due fanno venire il diabete.-

- Non siete sentimentale.-

- Io? Lungi da me. Sono, diciamo, pragmatica.-

Qui Gon decise che era stufo di quel tira e molla. La Forza sembrava non nascondere insidie, per cui decise di azzardare.

- E’ un invito?-

La generale lo fissò con intensità, una patina di leggerezza negli occhi che le ringiovanì il viso e la rese più bella di quanto già non fosse.

- Perché no? Si dice che ad Eyaytir risiedano le più belle donne della galassia.-

- Se verrò, non verrò sicuramente per consultare il catalogo. Sarebbe oltraggioso da parte mia.-

- Avete già qualcuna in mente, allora.-

- Forse.-

- Forse.-

 

Satine sognò.

Sognò che un uomo vestito di rosso si avvicinava verso di lei tentando di ucciderla, e sognò che alle sue spalle c’era Larse Vizla. 

- E’ così, dunque, sei uno schiavo della Repubblica.- aveva commentato la ragazza, fissandolo negli occhi con aria di sdegno.

- Ricordati che devi morire.- le aveva risposto l’uomo, gli occhi freddi e algidi di sempre mentre l’orribile essere ammantato di rosso stendeva le mani pallide e grinzose verso il suo collo, rantolando tra i denti sudici.

Che razza di creatura era quella?

Si svegliò di soprassalto, disturbando Obi Wan, che dormiva saporitamente assieme a lei.

- Che è successo?-

- Nulla, solo uno strano incubo.- commentò, passandosi le mani sugli occhi per svegliarsi meglio.

Avevano dormito tanto. Il sole era alto nel cielo e brillava attraverso i vetri rotti della lanterna. 

Satine si sentiva più riposata, ma era ancora stanca. Nonostante tutto, l’adrenalina scatenata dal sogno la teneva lucida e vigile. 

E decise che era giunto il momento di sferrare l’ultimo attacco a Vizla, prima che fosse troppo tardi. 

Obi Wan ebbe da ridire con il suo maestro, perché non gli aveva dato il cambio nel fare la guardia alla porta, ma con sua grande sorpresa, lo trovò che sbadigliava, arruffato, mentre mangiava qualcosa con Inga Bauer. 

- Perché, ragazzo mio? Non c’era bisogno. Hanno montato la guardia le Figlie dell’Aria.-

Oh.

E all’improvviso comprese che forse una Figlia dell’Aria aveva fatto la guardia anche a lui, e girò sui tacchi per lasciarlo solo a concludere qualunque conversazione stesse intrattenendo con la generale. 

Quando rientrò nella stanza trovò Satine seduta mentre tratteneva Vanya per la manica e le chiedeva di poter conferire con lo stato maggiore e con Ursa Wren.

- Riposate, avete bisogno di riprendervi…-

- Grazie, ma ho dormito anche troppo. Questa guerra finisce oggi. Dite a vostra zia che ho intenzione di conferire con lei, Maudra Kell e il sottotenente Skirata, assieme ad Ursa Wren.-

- Satine, che ti prende?- borbottò il padawan, rientrando e sedendosi accanto a lei.- Almeno mangia qualcosa, prima!-

Ma la ragazza aveva già la bocca piena di barrette e i baffi di latte.

- Vieni a mangiare. Latte di susulur.-

Quando Inga Bauer rientrò nella stanza, reggeva tra le mani una postazione commlink pronta per essere utilizzata, con grande soddisfazione di Satine.

- Vedo che vi siete svegliata bene, duchessa.-

La ragazza sorrise, visibilmente energica. Il viso e le labbra non erano più così gonfie, anche se il livido era ancora visibile, e il naso non sanguinava più.

Le due donne si scambiarono un’occhiata complice mentre armeggiavano con il commlink per avviare il collegamento. In un momento di distrazione, la generale lanciò uno sguardo perplesso alla mano di Obi Wan, che era scivolata via dalla spalla di Satine con rapidità quando aveva compreso che era il momento di avviare le comunicazioni. Non potè fare a meno di rimuginare, ancora una volta, sull’argomento che l’aveva preoccupata di più da quando aveva scoperto dell’intenso rapporto tra la duchessa e il padawan, un tema che non aveva avuto il coraggio di affrontare nemmeno con Qui Gon. 

Che succede se il ragazzo decide di restare?

Un ex Jedi duca consorte?

Sospirò, il forte dubbio che non fosse possibile, e tornò a concentrarsi su altro.

Le comunicazioni furono avviate e gli ologrammi di Maudra Kell, Idril Skirata e Ursa Wren comparvero di fronte a loro.

- Signori, credo che sia giunto il momento di sferrare l’attacco finale.-

Ci fu un mormorio di assenso generalizzato.

- Generale, abbiamo novità dal fronte?-

- Sì. Ci sono stati strani movimenti per tutta la notte. Il giovane Saxon è stato richiamato all’ordine e sembra aver ricevuto un incarico importante. Per quanto riguarda Vizla, dopo un po’ è sparito. Giusto il tempo di darci la soddisfazione di vederlo infilarsi le dita nel naso.-

Satine abbozzò un sorriso.

- Siamo certi che non abbia usato travestimenti per uscire dal palazzo e nascondersi, o scappare fuori da Sundari?-

- E’ altamente improbabile. Abbiamo controllato tutte le porte del palazzo e i quattro accessi della città. Nessuno è entrato o uscito, né dei nostri, né dei loro, e non abbiamo ricevuto cargo di sostegno, né abbiamo spedito nulla.-

- Nemmeno l’immondizia?-

- No, duchessa. Nemmeno l’immondizia.-

- Interventi manutentori?-

- Nessuno.-

La duchessa annuì con concentrazione.

- Penso che il piano che avevamo progettato io e la generale Kell sia ancora valido. Procediamo a cingere d’assedio il palazzo di Sundari.-

Poi, i suoi occhi si fecero volpini.

- Tuttavia…-

Inga alzò gli occhi al cielo.

C’era qualcosa in Satine Kryze quando diceva tuttavia, che sapeva far venire i brividi. Forse era l’aria da birba e la lucina negli occhi di chi sta per combinarne una delle sue, o forse era l’irrimediabile sensazione che lei stesse per incastrarti, Inga non avrebbe saputo dire quale delle due. Certo era che, non appena la duchessa ebbe pronunciato quel tuttavia, quasi tutti gli astanti abbassarono il capo in segno di rassegnazione.

E adesso che c’è?

- Credo che valga la pena di tenere d’occhio il piccolo Saxon. Qualcuno di voi ha una vaga idea dei rapporti intercorrenti tra Larse Vizla, Evar Saxon e suo figlio Gar?-

La prima a rispondere fu Inga.

- Per quanto ne sappiamo noi, dopo la batosta subita su Draboon, Evar Saxon è stato degradato a tirapiedi semplice di Vizla. Da quel momento si è mosso solo il giovane rampollo. Non che abbia ottenuto risultati migliori, beninteso.-

- E’ proprio questo che non mi convince, Inga cara.- commentò Satine.- Mi rendo conto che in questo momento sono a corto di generali e luogotenenti, tuttavia mi sembra assurdo continuare a riporre fiducia in due figuri loschi come Saxon padre e figlio. Io, fossi stata Vizla, avrei fatto una scelta diversa.-

- Ovvero?-

- Mi sarei affidata a qualcun altro e mi sarei liberata di Saxon, in un modo o nell’altro. Vero è che a Vizla serve il supporto del clan, e per questo motivo non può mandarli a dirigere il traffico, tuttavia non avrei affidato loro gli incarichi importanti. Quelli li avrei affidati a qualcun altro, e Vizla ha dimostrato di saper essere spietatamente efficiente quando vuole, come a Loras e Sal. Chi c’era lì?-

- Morto.- commentò Ursa Wren, ruvida come la carta vetrata.- Non importa. Era l’ultimo in linea gerarchia. Non l’ha sostituito nessuno.-

- Ne sei certa?-

- Come è vero che l’acqua parla.- 

Satine si grattò il mento.

- E se le cose stessero in un altro modo?-

Inga alzò di nuovo gli occhi al cielo.

- Ovvero?-

- Sono l’unica ad avere la sensazione che questa sia una colossale trappola?-

Venne fuori che Satine aveva intenzione di vincere. Definitivamente.

E per poterlo fare, aveva intenzione di avere un piano che reggesse di fronte a tutte le variabili.

Nella sua testolina bionda, la giovane duchessa aveva partorito la seguente idea.

Per qualche ora, la popolazione - dittatore incluso - l’aveva creduta morta. Questo aveva dato a Vizla la possibilità di giocare le proprie carte. 

C’era quella considerazione, un pensiero che aveva preso corpo durante le sue prime ore a Sundari. Un’idea che, se confermata, le avrebbe fatto vincere la guerra nel giro di cinque minuti. 

Satine si era infatti aspettata in quel frangente d’indecisione una mossa lampo da parte del dittatore, un attacco definitivo che avrebbe scompaginato le fila dei Kryze e dei Wren, inebetite dall’evento clamoroso dell’apertura della Luce di Mandalore e sfinite dalla resistenza senza quartiere che avevano messo in atto negli ultimi giorni. 

Eppure, Vizla non l’aveva fatto. Perché?

 

Le questioni erano due, come al solito, sempre le stesse su cui andava rimuginando da diverso tempo, ormai: o il dittatore si stava preparando al colpo finale, con il quale avrebbe distrutto tutto attraverso un grande spiegamento di forze e con un assedio in piena regola, oppure aveva completamente perso la trebisonda. 

Fatta salva quell’ultima, estrema possibilità, prima improbabile e che, questa volta, poteva diventare realtà.

Ormai, Vizla aveva perso definitivamente il controllo sul potere. I suoi gli erano ancora fedeli, ma l’esercito era decimato, a giudicare da quanto avevano riferito Inga Bauer ed Ursa Wren. Se i suoi collaboratori più stretti erano soltanto Evar e Gar Saxon, allora era messo male. Satine era certa che non fosse proprio così, ma dopo l’apertura della Luce di Mandalore la ragazza aveva conquistato una posizione di forza inimmaginabile per il dittatore, indipendentemente dal numero di uomini e mezzi a disposizione. 

Si poteva dire che avesse praticamente ribaltato la situazione, e lei, i suoi generali, non solo ce li aveva ancora tutti, ma aveva i migliori in circolazione.

C’era stato un tempo in cui Satine Kryze aveva pensato che il dittatore sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa pur di portare a termine la sua missione ed avere la sua vendetta. 

Adesso, cominciava a dubitarne.

Perché se avesse davvero avuto altro buruk, se avesse davvero avuto altre armi nucleari, allora Vizla non avrebbe esitato un secondo. Avrebbe aperto il suo arsenale ed avrebbe distrutto tutto: Sundari, i suoi cittadini, la duchessa con loro. Avrebbe affondato tutta la nave con il capitano. Avrebbe fatto tabula rasa. E lui si sarebbe tenuto il potere.

Almeno finché un altro Kryze o un Wren non fosse venuto a reclamare il ruolo di Mand’alor da uno dei pianeti del sistema che ormai Vizla aveva perso. 

Cioè, tutti tranne Concordia, che oltretutto era una semplice luna.

E una parte di Satine era fermamente convinta che chiunque stesse finanziando la guerra da oltre i confini del sistema di Mandalore queste cose le sapesse. Vizla era un abile politico, ma aveva dimostrato enormi limiti come stratega. Chi lo spalleggiava, invece, quel semplice omissis sul conto corrente che Satine aveva rintracciato ormai quasi un anno prima, lui sì che sapeva giocare la partita. Era certa che, chiunque fosse, avesse ormai capito di aver perso, che tutti i soldi nella sua saccoccia non avrebbero mai potuto comprare Mandalore, se Mandalore non voleva essere comprato. 

Se dunque la guerra era persa, se Vizla si era reso conto di essere solo e soprattutto di non avere i numeri per poter combattere contro Inga Bauer e gli altri esponenti dei Kryze, a questo punto gli restavano soltanto due strade da percorrere: trovare un modo per andarsene oppure distruggere tutto al momento giusto.

E quale momento migliore, se non quello in cui Satine o chi per lei avrebbe marciato verso di lui con l’esercito per l’assalto finale?

- Quindi, fammi capire: tu pensi che il movimento degli ultimi minuti non sia finalizzato ad organizzare un’offensiva?-

- Oh, al contrario, io penso che stia macchinando qualcosa, solo che credo che sia un diversivo.-

- Uno specchietto per le allodole?-

- Esattamente.-

Il punto, però, era riuscire a stabilire che cosa Vizla stesse tramando. Le informazioni che le spie avevano riportato erano ancora troppo poche.

- Giusto per sincerarmene, sappiamo dov’è questo benedetto arsenale?-

Inga scosse il capo.

- Bene. Faremo senza. Da quello che mi è parso di capire, ha usato sia le radiazioni che il buruk, e in entrambi i casi deve aver usato qualcosa per la diffusione. Sulla bomba nucleare, siamo tutti d’accordo. Sul buruk?-

- Anche in quel caso si è trattato di esplosivo.-

- Chiarissimo. Siamo tutti d’accordo che una bella esplosione, indipendentemente da che cosa spargerà, sarebbe un’eccellente diversivo nel caso in cui qualcuno di nostra conoscenza dovesse tentare la fuga?-

- Ma chi, Vizla?- domandò Maudra Kell, gli occhi sgranati.- Duchessa, mi era parso di capire che fossimo d’accordo sul fatto che, piuttosto che fuggire, quello sarebbe stato in grado di uccidersi.-

- Dipende. Ha ancora l’avamposto di Concordia e le armi che ha accumulato col tempo. Sul perché non le stia usando, non ho ancora una risposta. Non sappiamo nemmeno quante ne abbia e chi gliele stia pagando. Fuggire all’estero non sarà una grande idea, ma potrebbe provare a raggiungere Concordia.- 

Satine batté i palmi aperti sulle cosce e si alzò in piedi. 

- Bene. Rivediamo i nostri piani. Ursa, come sono messi i tuoi artificieri?-

La ragazza lanciò un’occhiata attorno a sé, sperando di trovare conforto nello sguardo degli altri generali, ma dovette ben presto rassegnarsi.

- In piedi.-

- Ho bisogno che tu svolga un incarico molto delicato per me. Ho bisogno che tu circondi il perimetro della città senza farti vedere e che tu controlli che non ci siano ordigni o altri trabiccoli che potrebbero causare un eccidio di massa. Abbiamo una mappa dei luoghi strategici per il piazzamento di bombe?-

Maudra Kell annuì e decise che avrebbe discusso con la contessina il da farsi.

- Perfetto. Ho tutta l’intenzione di batterlo sul tempo. Se ho ragione, è altamente probabile che cercherà di trarre vantaggio dall’azione di Saxon. Dubito che si tratti di qualcosa di particolarmente importante. Avrà tenuto il gran finale per sé, qualunque esso sia. Piazzare una bomba e tornare all’ovile mi sembra un compito all’altezza di Gar. Altri obiettivi sensibili?-

- Potrebbe prendere di mira i civili al mercato coperto.-

- Lì ci siamo noi.- commentò Ursa Wren, questa volta più sicura.- Si può star certi che non passerà nemmeno dalla porta.-

- Ricordatevi che non abbiamo una contraerea. Se dovesse usare dei missili, avremo bisogno di jetpack. Carburante?-

- Non molto, ma ne abbiamo abbastanza.-

- Ottimo.-

- Siamo sicuri che funzionerà?-

- No, ma dobbiamo tentare. E’ anche una questione politica, Maudra. Non possiamo permetterci una sconfitta adesso, non possiamo abbassare la guardia.-

Quella era una versione del tutto inedita della giovane duchessa di Mandalore. Qui Gon ed Obi Wan avevano conosciuto una ragazza dolce dai grandi ideali, ma in quel momento di lei e del suo sorriso compassionevole restava ben poco. Avevano davanti una Mando fatta e finita che, per quanto detestasse la guerra, sapeva farla estremamente bene. 

Un conto era guardarla mentre indovinava le strategie di qualche vecchio saggio su una cartina olografica sbiadita, un conto era vederla in azione nella realtà della guerra. 

Non aveva nulla da invidiare ad Inga Bauer, in quel momento. 

La cosa straordinaria era che Satine non stava complottando per danneggiare, ferire od annientare il nemico, anzi, tutt’altro. La giovane duchessa intendeva neutralizzare l’attacco sul nascere al fine di spargere meno sangue possibile, catturare il proprio nemico e concludere una guerra che aveva fatto fin troppi morti senza esplodere un colpo.

O almeno così sperava.

Il piano, dunque, era quello di pattugliare i luoghi sensibili al fine di intercettare Saxon prima che facesse un disastro, arrivare in prossimità del Palazzo del Governo prima che Vizla potesse fare alcunché e metterlo nelle condizioni di arrendersi. 

Questo voleva dire non andare da sola. 

In generale, il gruppo si disse d’accordo. Ursa Wren propose di schierare i suoi guerrieri, una volta di ritorno dal pattugliamento, come riserve dietro alle fila dei Kryze, nella speranza che vedere i Wren subentrare nella formazione di attacco potesse dissuadere Vizla dal procedere oltre.

- Mi sembra una buona idea, tuttavia ci tengo a mettere in chiaro che non intendo combattere. Preferisco tentare la mediazione, anche personalmente, se necessario.-

Ci fu uno scambio di sguardi tra i membri del consesso.

- Duchessa, se permettete…-

- Non è un luogo sicuro per una pacifista? Sì, avete ragione. Vizla non negozierà mai? Probabile. Starà organizzando un contrattacco e c’è il rischio di rimanere incastrata in un fuoco incrociato? Verissimo, tuttavia non ho intenzione di ritirarmi dal momento decisivo del conflitto. Ho i miei protettori, non graverò su di voi.-

- Con tutto il rispetto, Duchessa, ma un uomo solo e un ragazzo non credo che possano fare molto contro l’esercito di Vizla.-

Satine sorrise ad Ursa con delicatezza. 

A parte i suoi sostenitori, non tutti erano stati informati della scelta dei Jedi. I collaboratori più stretti di Satine ne erano stati messi subito a parte e, nonostante rappresentasse un segreto solo per modo di dire, non sapeva come Ursa avrebbe preso la notizia.

- Questi due uomini sono stati in grado di proteggermi a Loras. Il ragazzo, come tu lo hai definito, è l’unico sopravvissuto alle ferite infertegli durante un attacco massivo di spettri, ed è stato in grado di proteggermi là sotto, da solo, quando ero diventata il bersaglio della maggior parte di quelle creature immonde nel tentativo di aprire la Luce di Mandalore. Come vedi, è ancora in piedi.-

Ursa lanciò uno sguardo ammirato al giovane Obi Wan, che inchinò la testa con rispetto.

Wren non replicò.

- Dunque, se nessun altro ha delle obiezioni da muovere, per quanto mi riguarda non c’è nient’altro da dire. Intendo prepararmi per raggiungere il palazzo in tarda mattinata, e non sarò sola.-

- Che intendete, duchessa?-

Satine sogghignò.

- Vizla non si arrenderà mai di fronte ad una parata militare, ma si arrenderà di fronte alla popolazione di Mandalore.-

Obi Wan fece tanto d’occhi, e così fecero anche gli altri. 

Ci fu un mormorio di protesta, ma Satine non volle sentire ragioni.

- Non sono così sciocca, tuttavia, da presentarmi disarmata. A questo proposito - e fissò Inga Bauer con aria implorante.- Non è che qualcuno di voi ha una beskar’gam da prestarmi?-

 

La conversazione si chiuse così, con l’impostazione dell’orario per il rendez-vous a metà pomeriggio.

Obi Wan non era certo che la strategia della duchessa potesse funzionare. 

Innanzitutto, era davvero complicato radunare in un solo posto la popolazione civile.

- Che cosa hai intenzione di fare?- le disse, affrontandola una volta che gli ologrammi furono scomparsi.

- Semplicemente, voglio mettere in atto l’ennesimo piano alla Kryze nella speranza che Sundari mi venga dietro. Qualora non dovesse riuscire, mi accontenterò del mio manipolo di fedelissimi.-

Qui Gon, tuttavia, era di altro avviso.

- Siete sicura che sia saggio condurre i civili in una zona di guerra?-

- Maestro, su Mandalore la differenza tra un civile e un soldato è di fatto inesistente. In ogni caso, non ho intenzione di coinvolgere la popolazione resistente nella battaglia. A quella, se ci sarà, penseranno le milizie.- rispose, scuotendo i capelli biondo alba.- Intendo fermare la marcia prima di fare alcunché. Tuttavia, voglio che Vizla veda.-

Quindi era questo il suo piano? Marciare con la popolazione civile verso il Palazzo del Governo e dimostrare a Vizla di non avere più sostegno?

Beh, l’idea non era male: pacifica e persino sicura, se la contessina fosse riuscita a controllare la mappa degli hotspot e a neutralizzare eventuali ordigni.

Aveva un solo difetto: era utopistica.

Avrebbe funzionato se la gente l’avesse seguita.

Se Ursa fosse riuscita a neutralizzare gli attacchi bomba.

Se Vizla non avesse deciso di ingaggiare battaglia.

Insomma, un sacco di se.

Satine, tuttavia, era convinta che la sua idea potesse realizzarsi. Così, chiese aiuto ad Inga Bauer per piazzare il drone e aprire le comunicazioni. 

- Se mi vedranno, capiranno che è finita e che è il momento di partecipare.-

Mentre la generale aggiustava il drone, Satine esperì un goffo tentativo di ricomporsi con l’aiuto di Obi Wan e Qui Gon.

- Ancora una volta, duchessa, non mi intendo di moda.-

Così, toccò ad Obi Wan, su ordine perentorio di Satine, provvedere all’aspetto estetico.

- Fammi il raccolto che mi avevi fatto la volta scorsa.-

- Eh?-

- Quella cosa che avevi fatto ai miei capelli, quando ho rilasciato il comunicato su Krownest.-

Eh, se solo tu non ti fossi tagliata i capelli.

Mettere il beskar, invece, era stato tutto un altro paio di maniche. Obi Wan e Qui Gon non avevano mai assistito alla vestizione e, tutto sommato, non avevano la più pallida idea di come fosse assemblata un’armatura mandaloriana. Satine li aveva aiutati, suggerendo in che verso andassero applicati gli schinieri e quanto stringere le cinghie. L’armatura - un pezzo di seconda mano del clan Kryze sulla cui provenienza Satine non fece domande - le stava un po’ grande, ma nel complesso cadeva bene e faceva il suo lavoro.

Certo l’armatura di mia madre è un’altra cosa, ma per il momento mi accontento. 

Fu proprio in quel momento, quando fu pronta per uscire e non restava altro da fare che provare il discorso ed accendere il drone, che accadde l’irreparabile.

L’esplosione scosse il Tempio e i pezzi di vetro che ancora erano rimasti attaccati alla lanterna si frantumarono definitivamente al suolo. Obi Wan fu immediatamente sopra Satine, nel tentativo di proteggerla da eventuali urti, e il maestro estrasse immediatamente la spada laser.

Quando le vibrazioni cessarono, Satine, Obi Wan, Qui Gon ed Inga Bauer si guardarono attorno, cercando di capire che cosa fosse successo.

- E’ nel palazzo?-

Inga scosse il capo e si attaccò al commlink.

Sulla prima frequenza non rispose nessuno. 

Sulla seconda, neppure.

Che accidenti stava succedendo?

Satine suggerì di chiamare direttamente Ursa Wren, per vedere se avesse informazioni.

Nulla di fatto.

Venne loro incontro il sottotenente Skirata, che si precipitò di corsa dentro la stanza.

- E’ saltata la cupola!- gridò, indicando fuori da ciò che restava delle finestre.- Qualcuno ha piazzato un ordigno sismico!-

Satine si mise le mani nei capelli.

Un ordigno simile è capace di distruggere da solo mezza città di Sundari. 

La duchessa corse immediatamente ad affacciarsi, ma quello che vide, pur nel disastro, le sollevò l’animo.

La bomba era stata piazzata in un punto specifico, in una rientranza dove nessuno sarebbe mai riuscito a trovarla. L’esplosione si era in parte dispersa verso l’esterno e il deserto, danneggiando prevalentemente la cupola e l’immediato circondario delle mura interne. 

Nel frattempo, Inga stava inveendo con tutto il suo vocabolario contro il commlink che, sentendo la voce del padrone, non mandò a vuoto il tentativo di comunicare sulla terza frequenza. 

Rispose Ursa Wren, l’aria stanca e ferita, la faccia impolverata e il fiato corto, come se avesse corso.

- Saxon!- tuonò inviperita.- Ci ha battuti sul tempo. Quel gran figlio di #@*//! ha innescato una bomba sismica nella parte ovest della città. Le casualità sono contenute, ma ci sono dei morti, e la parte immediatamente vicina alle mura è stata distrutta completamente. La cupola è danneggiata, sospetto irreparabilmente!-

Il primo pensiero di Satine fu che fosse necessario evitare una nuova guerra civile o una rappresaglia. 

- L’avete preso?-

- No, è riuscito a scappare.-

Un altro discorso da rilasciare alla città, prima che sia troppo tardi.

Non posso più aspettare.

Prima che potesse anche solo rendersene conto, cominciò ad abbaiare ordini e fare domande. Filava come un treno in direzione dell’entrata principale circondata da soldati dei Kryze e dalle Figlie dell’Aria. 

Accese il suo datapad e proiettò in aria una cartina di Sundari.

- L’esplosione è avvenuta qua, giusto?-

Sull’ologramma comparve una grossa macchia rossa al tocco della sua mano.

- Sissignora.-

Satine si grattò i capelli.

- Obiettivi civili?-

- Prevalentemente case, ma c’è un grosso spaccio poco lontano e l’acquedotto sulla sinistra. Le vasche sono interrate, ma…-

Il #@*//! vuole farci morire di fame e di sete.

Oh, l’avrebbe pagata cara!

Forse, però, avevano problemi più impellenti a cui pensare.

- Il buruk?-

- Prego?-

- Il kyramla buruk! Può arrivare fino a qui?-

- La pestilenza? No, non può arrivare fino a qui da Keldabe.-

Poi, però, un lampo di terrore passò negli occhi di Inga.

- Lì vicino, però, c’è l’ospedale da campo, e lì ci sono pazienti affetti sia da sindrome da radiazioni che malati di buruk.-

Il #@*//! vuole farci morire di fame, sete e di armi chimiche.

Ah, ma l’avrebbero pagata cara, lui, quella palla da biliardo di suo padre e il loro compare prezzolato!

- Quante ragazze hai nell’ospedale da campo?-

- Una decina, perché?-

- Saxon ha fatto saltare la cupola. Mi serve che sigillino tutte le entrate e le uscite dall’ospedale. Il buruk e le radiazioni non devono uscire da lì!-

La donna non se lo fece ripetere due volte e si allontanò immediatamente per dare gli ordini necessari.

Senza commentare, Satine digitò una frequenza sul commlink e se lo portò alla bocca.

- Generale Kell. Le maestranze che ancora lavorano quali sono?-

- Principalmente quelle che stanno ricostruendo il Centro di Ricerca.-

- Dirottiamole alla cupola. Quanto vetro abbiamo?-

Maudra Kell non parlò e si guardò le scarpe.

- Beskar?-

Silenzio stampa.

Satine sospirò.

- Non c’è un altro modo per riparare la cupola?-

- Ci sarebbe bisogno di far colare del liquido nelle crepe così da stabilizzarla, ma non so se ne abbiamo abbastanza. Parliamo di tonnellate e tonnellate di gel!-

Quindi, la cupola era destinata a collassare.

Satine sospirò.

- Dobbiamo evacuare la città, prima che sia troppo tardi!-

- La vita nel deserto è invivibile, maestro Jedi! Moriremo tutti se passeremo una notte fuori!-

- Maudra ha ragione.- commentò la duchessa, ad un passo dall’uscire nel piazzale del Tempio.- Tuttavia, dobbiamo farla valutare. Chiama le maestranze. Informati se può reggere, e se sì, per quanto. Ci dà il tempo di una battaglia, l’ultima?-

La generale annuì. 

- E Saxon?-

Eh, e Saxon?

Satine contattò di nuovo Ursa Wren.

- Quanti sono i guerrieri che siete riusciti a catturare?-

- Purtroppo non ne abbiamo preso nemmeno uno. Ad ogni modo, ho ragione di credere che siano un bel po’. Io personalmente ne ho visti almeno dieci, ma altri miei uomini raccontano di averne incontrati altrettanti in parti diverse della città. Potrebbero essere anche un migliaio in tutto, forse di più.-

Satine si morse il labbro.

Tra Saxon e Vizla sono abbastanza da mettere a ferro e fuoco la città.

Satine si grattò la testa con veemenza.

Pensapensapensapensa.

Poi, chiamò di nuovo Maudra Kell.

- Cambiamo tattica. Ho ragione di credere che Vizla abbia intuito il nostro piano.-

- Cioè?-

- La manovra a tenaglia. Vuole replicarla. La bomba è un diversivo. Ha sguinzagliato Saxon in giro per la città con i suoi uomini per prenderci alle spalle quando ingaggeremo battaglia sotto il Palazzo del Governo.-

- E che cosa hai intenzione di fare?-

- Chiama Ursa Wren. Dille di non unirsi alle retrovie. Dille di restare in disparte fino a che Saxon non si muove. A quel punto, tagliamo la via di fuga.-

- Una doppia manovra a tenaglia?-

- Chi la dura la vince.-

 

Satine non voleva bruciare le tappe, ma Vizla l’aveva costretta a farlo. Adesso, la sua priorità era quella di evitare la rappresaglia e la guerriglia urbana.

Ideale per scompaginare le fila dei Kryze, ma non darò a Vizla la soddisfazione di riuscirci. 

Vizla si sarebbe reso conto definitivamente che la partita era ormai conclusa.

Non appena il drone fu pronto, Satine uscì dal Tempio.

Il piccolo drone volò in alto e l’immagine di Satine rimbalzò per ogni dove. Per le strade di Sundari, attraverso l’etere dei pianeti del sistema. Persino sull’holonews e sull’holonet.

Aveva tutta l’intenzione di raggiungere quante più persone possibile.

Fuori c’erano un bel po’ di persone. Prevalentemente si trattava di anziani, giovani e bambini, qualche donna che non aveva potuto combattere, ma anche uomini e donne ancora in armatura. Erano tutti impegnati a ricostruire, a ripulire, a mettere in ordine quello che restava della città per renderla almeno un po’ vivibile, fino a che lo scoppio della bomba sismica non aveva gettato tutti nel panico.

La gente si fermò non appena vide Satine Kryze uscire dal Tempio.

Rimase ferma sulle scale, cercando di calmare il respiro per improvvisare il discorso e per dare il tempo alla popolazione di avvicinarsi. 

A giudicare dallo schieramento di forze - inclusa una solenne Inga Bauer che incuteva rispetto impalata accanto a lei - era evidente che la duchessa aveva qualcosa da dire alla sua gente.

Presto, un piccolo capannello si radunò di fronte al Tempio.

Satine si schiarì la voce, aprì le braccia e tuonò:

- Popolo di Sundari! Mantenete la calma. Vi prego di non rispondere alla violenza con la violenza! La cupola è stata danneggiata, ma stiamo facendo quanto in nostro potere al fine di mettere tutti al sicuro. Per il momento, vi chiediamo di fare del vostro meglio. Chi non è abile a combattere, resti in un posto protetto, possibilmente coperto e ai margini della cupola. Consiglio ai più fragili di restare nel mercato coperto, mentre invito gli abili a raggiungermi. 

Vi invito inoltre a stare lontano dalla parte ovest della città e dalla sua porta, luogo di esplosione dell’ordigno. 

Chi è rimasto ferito eviti di uscire dalla città e non raggiunga in alcun modo, ripeto, IN ALCUN MODO, l’ospedale da campo fuori dalle mura. Recatevi al mercato coperto, dove riceverete assistenza. 

Vi chiedo clemenza e pazienza. Riusciremo a risolvere questo pernicioso problema, tuttavia sono qua a chiedervi collaborazione. Non tradite i nostri ideali. Non siamo qua per creare rappresaglia o fomentare la guerriglia urbana, sostenendo il progetto dei rivoltosi. Ci difenderemo, ma non offriremo il fianco ai loro piani di distruzione. 

Le nostre Abiik’ade e i nostri guerrieri sono già all’opera al fine di mettere in sicurezza la città e voi, miei concittadini. Tutto ciò che vi chiediamo di fare è di mettervi al sicuro. 

A Gar Saxon, autore dell’attacco bomba alla nostra cupola, chiedo di abbandonare ogni proposito di guerra e di costituirsi alle autorità. Non verrà fatto alcun male né a lui, né ai suoi sostenitori.

Stiamo lavorando ad un cessate il fuoco.

A Saxon dunque chiedo di cooperare al fine di cessare ogni ostilità.- 

Una giovane Figlia dell’Aria passò una chiamata alla generale, che la girò prontamente alla duchessa.

- Pronto?-

- Sono il capo delle maestranze del Centro di Ricerca.-

- Jatne Manda, dottore. Che mi potete dire?-

- Per quel che mi riguarda, se non scoppia nient’altro, penso che la cupola possa reggere ancora per un bel po’.-

Satine tirò un sospiro di sollievo.

- Non sapete quanto vi ringrazio.-

Chiuse la chiamata e guardò Inga negli occhi.

Le due donne si scambiarono uno sguardo di fuoco.

Quando il gioco si fa duro, i Kryze cominciano a giocare.

Gli altri salgono sui bev ast’ehut.

- Popolo di Mandalore!- tuonò ancora, riprendendo il discorso.

Il drone vibrò in alto nel cielo.

La folla si fermò ad ascoltarla, rapita.

Satine si guardò attorno speranzosa e continuò.

- Sundari era un luogo ameno e prospero, dove la nostra gente era abituata a vivere in pace. Prima gli spettri, e poi Vizla, adesso quest’esplosione, hanno fatto in modo che di quel paradiso non restasse nulla. Oggi viviamo in miseria, tra le macerie, dove i pezzi di metallo e vetro possono ferirci solo camminando per strada, dove i nostri figli hanno conosciuto l’asfalto e non la bellezza della natura, dove i nostri piedi poggiano su strade rosse di sangue!-

Sì, è vero! mormorò qualcuno tra la gente.

- Questo non durerà per sempre, amici, fratelli mie! L’epoca della violenza indiscriminata, della distruzione, è destinata a concludersi! Per questo io vi chiedo, cittadini, figli e figlie di Mandalore, di compiere un ultimo sforzo per il nostro sistema! Chiedo a chi tra vuoi può farlo, di venire con me, per fare in modo non soltanto di far finire la guerra, ma di farla finire quest’oggi!-

La folla rumoreggiò.

- Troppo sangue è stato versato in nome della contingenza, del bisogno immediato di potere e di dominio. Oggi noi combattiamo per costruire il futuro! Oggi noi marciamo per cambiare il nostro destino! Oggi noi daremo a Mandalore la visione che è mancata in questo durissimo periodo di guerra!

Voi siete in strada ed io vi ammiro, perché nonostante la perdita e il dolore, voi siete qua a ricostruire, siete qua a dare un futuro migliore a tutti noi, ed io vi dico, urliamolo! Insegniamo al dittatore che alle sue bombe noi risponderemo con i giardini pensili! Alle sue barricate, noi risponderemo lasciando le porte aperte! Ai suoi pugni, noi risponderemo con le mani tese! Alla sua distruzione, noi opporremo la costruzione di una società più giusta, più aperta e soprattutto più rispettosa delle nostre tradizioni!-

Qualche pugno si alzò in aria, con grida di giubilo.

- Guardo le macerie e vedo i palazzi, vedo i giardini, i fiori ai balconi! Vedo i nostri figli giocare nelle piazze e lo spazioporto pieni di merci! Vedo la mia gente che prospera e dimostra alla galassia intera che essere Mando significa progresso, e per questo io oggi vi chiedo, fratelli miei, marciate con me! Senza violenza, senza odio e senza rancore, mostriamo all’universo che non ci sono mostruosità, radiazioni, piaghe o tragedie che tengano di fronte alla forza del lato migliore di Mandalore!-

Il gruppo era diventato più nutrito, e Satine potè percepire il coro di Mand’alor! Mand’alor! che si levava dalla massa.

Così, senza troppe cerimonie, tentò l’affondo.

- Dimostreremo a chiunque si prenda gioco di noi che non solo sopravviveremo sempre, ma rinasceremo sempre! A chi ci credeva annientati, oggi grido che Mandalore risorge dalle sue ceneri! Oggi faremo vedere alla galassia che questa è Mandalore: speranza, visione, ricostruzione! Oggi noi dimostreremo alla galassia che cosa significano giustizia e verità, onore, lealtà e coraggio!-

E lanciò l’urlo finale.

- Oggi noi siamo Mandalore, e ci riprendiamo tutto quello che ci è stato tolto!-

E fu subito rivolta.

Satine scese nel folto del gruppo, e tutti le furono immediatamente attorno con le mani tese. Le si fecero attorno altre persone, uomini, donne, anziani e bambini, più o meno abili a muoversi, ma tutti animati dallo stesso principio: porre fine allo scempio che Larse Vizla aveva fatto di Mandalore. 

Poi, alla testa del corteo, Satine si mise in marcia verso il Palazzo del Governo.

Obi Wan e Qui Gon le furono immediatamente accanto, le spade laser accuratamente piazzate dentro la veste e pronte ad essere usate, ma quello che si sentiva nella Forza non lasciava supporre alcuna azione punitiva o pericolo incombente nei confronti della nuova Mand’alor. Tutt’altro, la Forza vibrava di energia positiva, sembrava cantare con la coscienza delle persone radunate attorno a Satine, e mai come in quel momento la città era sembrata viva, un grosso organismo pulsante con un cuore solo e una sola intenzione.

Forse, però, era proprio questo il bello di Mandalore: il sistema sarà anche un essere vivente sulla cui esistenza reale vi sono soltanto un turbinio di leggende, ma se aveste chiesto ai due Jedi che cosa ne pensavano, in quel momento avrebbero risposto che sì, un pezzo di Mandalore risiede davvero in ogni abitante della superficie.

Dopo un paio di svolte, qualcuno si mise a cantare quello che poi sarebbe diventato l’inno di Mandalore.

 

Dimmi viandante, nel tuo vagare,

quali meraviglie hai visto accadere?

Ho scoperto un luogo dal nucleo vitale,

che sa d’antico, di storia e di cuore. 

 

In città ho incontrato gente amica,

porte aperte, un popolo perbene, 

la gioia di chi crede che la vita

non sia soltanto quella che si vede.

 

Nei boschi ho incontrato creature, 

che vincono le leggi della scienza,

le stelle brillano, in gran numero unite, 

riflessi d’anime di grande possanza.

 

Dimmi viandante, di sogni alfiere,

quali segreti l’anima ha appreso?

Ho incontrato un popolo fiero

la cui unica legge è il progresso.

 

Una sola cultura, una sola armatura,

una la difesa, una grande famiglia,

una lingua per tutti, una guida sicura,

un unico scopo per vivere ancora.

 

E dimmi viandante, dove andrai ora?

Torno laggiù, nel verde e nel blu,

torno là dove la vita migliora,

da dove vorrei non andare via più!

 

Molte voci si unirono alla sua. La città esplose in un canto unico.

I due Jedi cominciarono a faticare a tenere le persone a distanza. Spuntavano da tutte le parti. Uomini, donne, bambini, anziani, mani tese dovunque. Satine le stringeva tutte, salvo poi continuare nella sua marcia, sempre in avanti alla volta del Palazzo del Governo.

C’erano bambini a piedi nudi in quella poltiglia di asfalto, fango, sangue e schegge. C’erano anziani appoggiati al bastone. Chi non riusciva a camminare, si affacciava da ciò che restava delle case e cantava dalle finestre, dai tetti, sotto i portici rimasti in piedi.

Il drone ha fatto bene il suo lavoro. 

Ciò aveva dato adito a situazioni esilaranti.

C’è stato un vecchietto, ad esempio, che si era organizzato per benino. Si era portato, con l’aiuto della figlia, la sedia sulla soglia di casa, un cuscino per poggiare i piedi gonfiati dal tempo e un tavolino storto su cui aveva poggiato, in impeccabile stile Mando, un fiasco di vino e qualche bicchiere. Offriva da bere a chi passava di lì e cantava a squarciagola la canzone con i tre denti che aveva in bocca, le orecchie a sventola che si alzavano e si abbassavano al ritmo della sua risata.

La figlia, invece, si era organizzata diversamente, in un modo più contenuto. Aveva preso il lenzuolo bianco più grande che aveva ed aveva ingaggiato il figlio piccolo per disegnare delle campanule canterine, su cui lei aveva scritto il motto dei Kryze a caratteri cubitali. 

Non seppero mai se quella donna avesse dato l’idea agli altri o se il movimento si fosse organizzato spontaneamente, ma la città si tappezzò ben presto di stendardi improvvisati, lenzuola e tende dipinte. 

Passarono sotto ciò che restava del Centro di Ricerca di Sundari, dove gli operai stavano provando a salvare il salvabile. Dall’alto piovvero grida di incoraggiamento. Gli attendenti, attaccati ai ponteggi con le funi, cominciarono a penzolare avanti e indietro, facendo piccole acrobazie in aria per dimostrare la propria partecipazione al corteo.

Davanti al mercato coperto, Satine si trovò di fronte ad una folla immensa. Quando aprì le braccia in segno di benvenuto, la folla esplose in un boato ed accorse nelle fila del corteo. 

Il popolo di Sundari non smise mai di cantare, per tutto il percorso della Marcia. Satine li accompagnò sempre, fino a che non arrivarono in prossimità del Palazzo del Governo.

A quel punto, Satine aprì le braccia e fermò il corteo.

Si guardò intorno. Era esattamente dove sarebbe dovuta essere. Davanti a loro si apriva lo slargo che avrebbe condotto alla Via del Corso, da cui avrebbero visto bene il Palazzo del Governo entro il quale Vizla era saldamente asserragliato. Dietro di loro, la strada si disperdeva fin nei meandri della città. Ai lati il viale proseguiva ampio fino al perimetro della cupola.

Satine borbottò qualcosa nel commlink che aveva all’orecchio e Maudra Kell, schierata in assetto di guerra, fece capolino dallo slargo solo per restare a bocca aperta assieme al sottotenente Skirata. 

Era il momento di entrare in scena. 

Satine si avvicinò a lei e le chiese:

- Percorso pulito?-

- Lindo come il posteriore di un neonato.-

- Perfetto. Vizla?-

- E’ dentro, ma c’è stato un movimento curioso. In teoria, l’esercito è schierato, ma lui non esce e non vuole saperne di guidarlo.-

Satine aggrottò le sopracciglia e pensò che fosse qualcosa di molto strano.

Che la Forza o Nebord che dir si voglia ce la mandi buona.

- Non voglio che mi seguano.- disse, ammiccando verso la folla che continuava a cantare alle sue spalle.- Ho bisogno che una parte dei tuoi uomini li tenga buoni mentre io parlo col dittatore. Attuiamo il nostro piano. Pensi di riuscirci?-

La generale guardò la massa in festa e sbiancò. Poi, in un moto d’orgoglio, annuì.

- Bene.-

Una fila di uomini della generale si staccarono dallo schieramento e raggiunsero la folla, spingendola delicatamente indietro ed ordinando loro di rientrare in una strada secondaria. 

Il terzetto, invece, proseguì dietro Maudra Kell fino all’esercito schierato nel viale.

Satine mormorò di nuovo qualcosa nel commlink mentre incedeva imperterrita verso il Palazzo del Governo, infilandosi tra le fila dei suoi soldati.

- Ursa, situazione?-

- Movimento a ore sei. Poi un giorno mi dirai come hai fatto a farti venire in mente una cosa del genere.-

- Il corteo sta arrivando. Tieniti pronta. Non appena Saxon parte, dagli un po’ di vantaggio e poi tallonalo. L’effetto sorpresa è fondamentale e ricorda: se vogliamo sopravvivere tutti, non deve esplodere nient’altro.-

Satine si infilò tra le fila dei suoi soldati e prese a marciare alla testa dell’esercito in direzione del Palazzo.

Il viale era completamente vuoto, costellato qua e la dai resti delle schegge di vetro crollate dalla cupola.

In un momento di incoscienza, Obi Wan ebbe la pessima idea di alzare gli occhi verso il cielo.

La cortina di beskar era parzialmente sollevata, come lo era sempre stata da quando avevano messo piede in città. Dal vetro riluceva il sole del tramonto, e sarebbe stata anche una vista bellissima, se non fosse stato per la ragnatela di spaventose crepe profonde che rischiavano di mandare la cupola di vetro in mille pezzi alla minima vibrazione.

Speriamo che le maestranze c’abbiano preso e non ci crolli tutto in testa.

La marcia solitaria dell’esercito dei Kryze procedette senza intoppi fin quasi alla scalinata del Palazzo del Governo.

Lì, trovarono l’esercito schierato ad aspettarli.

Sulle scale era schierato un copioso battaglione costellato di divise rosse e blu, di un blu diverso da quello dei Kryze, più denso ed opaco. C’era di tutto: dalla fanteria elementare all’artiglieria pesante.

Il che, conoscendo le attitudini dei Mando, non era molto rassicurante.

Qui Gon pensò che anche un semplice fante, se Mando, era di per sé artiglieria pesante, figuriamoci quando era dotato di cannoni di terra al plasma, puntati sulla duchessa.

Satine, per tutta risposta, si mise a ridere, consapevole che qualcuno nell’esercito la stava ascoltando.

- Alla faccia. Hanno così tanta paura di non centrarmi che preferiscono disintegrarmi coi cannoni. Non pensavo di essere dimagrita tanto.-

Obi Wan alzò gli occhi al cielo. 

Satine si attaccò di nuovo al commlink.

- Inga. Novità?-

- No, e non riesco a capire per quale motivo. Le nostre spie non hanno rilevato movimenti sospetti dentro al Palazzo del Governo. Calma piatta. In compenso, Ursa Wren mi ha detto che Saxon ha fatto esattamente quello che tu pensavi che avrebbe fatto.-

- Ed è un bene, no?-

- Semplicemente non mi capacito di come tu abbia fatto. E soprattutto non capisco per quale motivo una follia del genere non sia venuta in mente a me.- 

La duchessa abbozzò un sorriso.

- Suvvia, Inga. Ne hai escogitate tante, di follie. Resta in allerta. Voglio che dal Palazzo non esca niente, nemmeno la spazzatura. Sai per caso se esistono dei cunicoli?-

La generale rise di gusto.

- Mia cara, solo tu sei capace di passare sotto una città assediata per uscirci. No, niente cunicoli sotto il Palazzo del Governo. C’erano a Keldabe, ma non qui. Questa era solo la Magione del Governatore, prima che Vizla la trasformasse.- 

Satine storse la bocca.

Che accidenti sta combinando Vizla là dentro?

Giusto per togliersi ogni dubbio e con gran disappunto dei Jedi, Satine si staccò dall’esercito e si avviò, da sola, verso le truppe posizionate sulle scale.

Ci fu un momento in cui Obi Wan, Qui Gon, Maudra Kell e il sottotenente Skirata si scambiarono uno sguardo perplesso.

Poi, i tre si lanciarono all’inseguimento, mentre il giovane sottotenente albino teneva l’esercito in posizione. 

Quando fu in prossimità delle prime file dell’esercito, Satine pose una semplice domanda:

- Chi di voi comanda qui?-

Una giovane donna si fece avanti.

Satine la squadrò per bene.

- Dov’è Vizla?-

- All’interno del Palazzo del Governo. Qui comando io.-

- Ottimo. Dì al tuo signore che voglio parlargli. Non intendo fargli del male. Digli di uscire.-

La ragazza tentennò, ma alla fine accese il commlink e provò a mettersi in contatto con il dittatore. 

Satine non udì molto della conversazione, tranne la sua conclusione.

- Attenetevi al piano. Mantenete la posizione.-

Obi Wan percepì un cambiamento nella Forza e si accorse che quel mutamento proveniva dalla giovane donna. Sembrava confusa, come se non stesse capendo assolutamente nulla di quanto le stesse dicendo Larse Vizla, e forse era davvero così.

Attenersi al piano, qualunque esso fosse, poteva anche andar bene. Il problema era che si stava rifiutando di incontrare Satine, e non sapevano per quale motivo.

Evidentemente, non lo sapevano nemmeno i suoi.

Il dubbio che l’intuizione di Satine su una doppia manovra a tenaglia fosse stata soltanto parziale cominciò ad insinuarsi nella mente del giovane padawan.

La duchessa, dal canto suo, stava cominciando a perdere la pazienza. 

- Vizla!- tuonò, marciando verso l’esercito nemico schierato sulle scale.

Nessuno si mosse. Nessuno rispose. 

- E’ finita, Vizla!-

Satine rimase in silenzio per un momento, attendendo una risposta che tardava ad arrivare.

L’esercito nemico rimase fermo al proprio posto.

Che accidenti sta succedendo?

Il commlink al suo orecchio prese a suonare.

Satine si allontanò un poco per rispondere senza che nessuno sentisse.

- Ursa.-

- Ci siamo. Saxon ha inquadrato l’esercito. Stanno marciando per prendervi alle spalle.-

- Attieniti al piano.-

Si avvicinò di nuovo alla giovane donna a capo dell’esercito nemico, e ad Obi Wan parve di scorgere un velo di preoccupazione nei suoi occhi.

Temette che qualcosa stesse andando storto e lanciò un’occhiata perplessa al suo maestro.

- Chiamalo di nuovo. Digli che non mi muovo di qui fino a che non si deciderà a trattare la resa.- 

La ragazza si irrigidì.

- Noi non ci arrenderemo mai.-

- Giusto. O vittoria o morte, vero?-

- Dovrete ucciderci tutti.-

- Mi spiace, non fa per me.- 

- Allora dovrai trattare la resa.-

- Sì, la vostra, non la mia.-

In quel mentre, cominciò ad udirsi il clangore del beskar.

Il terzetto si voltò a guardare l’esercito di Vizla che avanzava inesorabile, chiudendo la via di fuga alle spalle delle fila dei Kryze e della duchessa.

Con grande disappunto del giovane padawan, in prima fila c’era un pomposissimo Gar Saxon.

La ragazza sogghignò.

- Manovra a tenaglia. Non ci avevi pensato, eh?-

Obi Wan guardò Satine irrigidirsi, serrando la mandibola con fare estremamente mandaloriano.

Qui si mette male. 

Il commlink della giovane ragazza prese a vibrare, e questa volta l’ologramma di Larse Vizla riempì l’aria.

- Ma guarda un po’ chi si vede.- commentò Satine, eretta come uno fuso e con lo sguardo duro come pietre.- Il dittatore. E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati.-

- E’ quello che succede quando qualcuno scappa invece di combattere.-

- Vizla, finiamola. Getta la maschera. Sai perfettamente che sono sempre stata qui. Mi odi proprio per questo, vero? Nonostante tutti i tuoi tentativi, mi sono nascosta in bella vista e tu non sei riuscito a stanarmi.-

- Ti sei nascosta. Tanto basta.-

- Anche tu, se non sbaglio. Perché c’è una ragazzina alla guida del tuo esercito?-

L’uomo era una maschera impassibile. Non tradiva nessuna emozione. Gli occhi erano cristallini, fermi e vitrei, come se fossero state biglie di vetro.

Non c’era emozione in lui. Non rabbia, non odio. 

Satine ci riprovò.

- Esci, Vizla. Sono disposta a darti una via di fuga onorevole. Possiamo accordarci sulla resa. E’ finita, ormai.-

- Davvero?- e per la prima volta i due Jedi lo videro ridere apertamente.- Non mi pare. Sei rinchiusa tra due eserciti, ragazzina. Non serviranno i tuoi trucchi di magia, adesso. Non importa quanti conigli hai nascosti nel cilindro. Sei in trappola.-

Il commlink di Satine prese a vibrare.

- Sì?-

Poi, senza togliere gli occhi freddi come il ghiaccio dalla figura di Vizla, commentò:

- Sì.-

- Dunque, sentiamo.- riprese, assestandosi meglio sui piedi e piazzandosi a gambe larghe di fronte all’ologramma.- Secondo te, io sono in trappola.-

- Secondo me? Bambina, sei in trappola. Guardati intorno. Tu non sei tuo padre, e nemmeno tuo zio. Quelli sono fuori gioco da un pezzo, ormai.-

- Io ho superato…-

- Sì, sì, la prova dei Saggi. Quell’istituzione venduta. Ho fatto bene ad eliminarli. Adesso non potrai più comprare nessuno.-

- E come li avrei comprati, di grazia?-

- Oh, tu hai molte armi, a cominciare dall’avvenenza.- e la squadrò da capo a piedi.- Se tu non fossi stata una sporca Kryze, avrei anche potuto prenderti in moglie.- 

- E invece hai preferito mandare avanti tuo figlio, una sfilza di cacciatori di taglie e tutto l’esercito di Saxon. Non farti psicanalizzare, Vizla, è meglio.-

Qui Gon non aveva mai avuto dubbi, ma se ne avesse avuti, in quel momento aveva definitivamente chiarito come mai Satine ed Obi Wan andassero tanto d’accordo. 

- Dunque, se ho perso, ormai, per quale motivo non esci a discutere le condizioni per la resa?-

- Semmai, dovrai essere tu ad entrare nel Palazzo, possibilmente in catene.-

- Vizla. Sei tu a non farmi passare. Hai l’esercito schierato sulle scale.-

Era evidente che la duchessa stava cominciando a perdere la pazienza. Le mani giunte dietro la schiena cominciavano a dare segni di agitazione, mentre giocherellava con le dita.

Che fine ha fatto Ursa Wren?

- Voglio che tu consegni Inga Bauer. Per lei c’è la pena capitale, come c’è per sua nipote Vanya Bauer, per Maudra Kell, per Idril Skirata e per tutta la tua famiglia.-

- Se vuoi farmi aspettare fino a che la mia famiglia non arriva da Kalevala, stai fresco, Vizla. Io me ne vado.-

- Accomodati. Ammesso che tu voglia provarci.-

La giovane ragazza fece un passo in avanti per afferrare il braccio di Satine, ma fu bloccata da due spade laser colorate.

L’esercito di Maudra Kell fece un passo in avanti.

Satine alzò il braccio in segno d’attesa.

- Brava, bambina. Vedo che hai finalmente capito.-

- Oh, no, Vizla, sei tu che non hai capito. Non hai capito proprio niente. Non ho nessuna intenzione di trattare la mia resa. Sono qua per trattare la tua.- 

Un sonoro clangore di beskar pervase l’aria, e il cuore di Obi Wan perse qualche colpo quando vide - finalmente - le fila dei Wren sopraggiungere a passo di carica a chiudere a Saxon la via di fuga.

Satine sogghignò e si voltò verso Vizla, l’aria di sfida sul volto.

- Manovra a tenaglia. Non ci avevi pensato, eh?-

Questa volta l’impassibilità di Vizla vacillò. I suoi occhi si fecero mobili, mentre guardava l’ambiente circostante con aria confusa.

Satine l’aveva veramente battuto sul tempo.

La testa della duchessa, però, era tutto fuorché tranquilla. 

Era un momento cruciale, quello. Se fosse riuscita ad incastrare tutte le azioni che aveva in mente nei tempi giusti, l’unica opzione per Vizla sarebbe stata arrendersi.

Almeno, l’unica opzione sensata. 

E se si fosse comportato in modo tutt’altro che sensato?

Era un rischio che aveva deciso di correre e che aveva considerato, tuttavia le variabili sembravano tutte a suo sfavore.

Eppure, Vizla non usciva dal Palazzo del Governo.

Perché.

Che accidenti ha in mente?

Non fece in tempo a chiederlo, però, che l’ologramma del dittatore si dissolse nell’aria.

- Non deve finire così!- gridò ancora Satine, nella speranza che qualcuno la sentisse, dietro le vetrate danneggiate del Palazzo. - Nessuno morirà oggi, nemmeno tu!-

- E’ inutile, duchessa.- 

La giovane donna, sul cui petto campeggiava il simbolo della Ronda della Morte, cercò di ergersi in tutta la sua statura per eguagliare quella di Satine.

- Non ci arrenderemo mai. Se vorrai sopravvivere, dovrai combattere. O morire nel tentativo.-

- Non morirà nessuno.-

- Guardati intorno. Sei assediata. Che dirà la tua gente, quando ti vedrà con le mani sporche di sangue?-

L’esercito dei Kryze si schierò in assetto da guerra e le fila di Ursa Wren sfoderarono le armi.

Non era più il clangore del beskar a farla da padrone, però. C’era dell’altro, un canto lontano che cominciava piano piano a prendere forma.

 

Dimmi viandante, nel tuo vagare…

 

Fu esattamente in quel momento che satine seppe di aver vinto.

Quando il terzetto si voltò per guardarsi alle spalle, si trovarono di fronte alla folla più grande che avessero mai visto.

La Via del Corso traboccava di gente. Si vedeva solo un mare di teste a perdita d’occhio, fino alla fine della strada e ai limiti della cupola.

Una fiumana di gente che si stava avvicinando senza pietà al Palazzo e alle spalle dell’esercito dei Wren, protetta dal cordone di forze disposte da Maudra Kell. 

Quando Satine aveva lasciato il Tempio per dare inizio alla Marcia di Sundari, un evento che sarebbe passato alla storia, era stata circondata da un gruppo consistente di persone.

Per strada dovevano essersene aggiunte altre, perché il corteo si estendeva a perdita d’occhio lungo il viale, fino alle mura della città.

Chiunque stesse osservando la scena avrebbe dovuto rendersi conto che l’intera città di Sundari stava acclamando la nuova duchessa e che, di conseguenza, non avrebbe più tollerato il vecchio regime. 

Un popolo intero che chiedeva un cambiamento. 

Obi Wan tossicchiò per sciogliere il nodo che gli aveva stretto la gola e lanciò uno sguardo a Qui Gon, che per una volta in vita sua lasciò che gli occhi gli si inumidissero in pubblico.

Satine, in un primo momento frastornata da tanto consenso, ebbe la forza d’animo e la prontezza di riflessi di non fermarsi. Si voltò di nuovo verso il Palazzo gridò a pieni polmoni:

- Non serve abbandonare i vostri figli e le vostre famiglie! Loro saranno comunque fieri di voi, indipendentemente dalla vostra sconfitta! Non deve finire così! Non morirà nessuno, per cui ti conviene uscire con le tue gambe, Vizla, assieme ai tuoi sodali, prima che venga a prenderti io stessa!-

Incontrò il più totale silenzio.

Qui Gon ed Obi Wan, però, avevano gli strumenti necessari a comprendere che la battaglia era finita davvero. La ragazza di fronte a loro era terrorizzata, e Saxon, poco lontano, non era da meno. 

Suo padre doveva essere ancora dentro, e qualunque cosa stesse accadendo, il giovane temeva per la sua sorte.

Obi Wan lanciò uno sguardo a Satine ed ammiccò verso il giovanotto. Satine comprese al volo e invitò la ragazza a scendere.

- Come immagino tu ti sia resa conto, adesso siete voi quelli accerchiati.-

Alzò gli occhi verso l’alto giusto in tempo per vedere Inga in groppa ad un viinir sul tetto della Fondazione di Astronomia.

- Se il tuo signore non vuole uscire a negoziare, allora voglio offrirvi la possibilità di salvarvi la vita. Intendete negoziare al posto suo?-

La ragazza non sapeva che pesci prendere.

- Solo parlare. Non muore nessuno. Letteralmente.-

Lei e Saxon intrattennero una breve conversazione al commlink, poi la ragazza si tolse l’elmo ed annuì. 

Era minuscola, con gli occhi mobili e scavati, un caschetto a spazzola che volava da tutte le parti. Fissò i due uomini, le spade laser appese di nuovo alla cintura, e seguì la duchessa giù dalle scale.

Ogni spavalderia sembrava scomparsa, e la ragazza pareva minuscola mentre sfilava in mezzo all’esercito dei Kryze, apertosi al passaggio del terzetto.

Saxon avanzò a sua volta, l’arroganza che lo contraddistingueva sempre dipinta sul volto nonostante la situazione sfavorevole.

Maudra Kell rimase a guida dell’esercito, mentre il sottotenente Skirata si avvicinò con i tre.

Al momento di parlare, però, il ragazzo rimase in silenzio.

- Non voglio fare del male a nessuno di voi. Nemmeno a te e a tuo padre, per quanto la cosa possa suonarti strana.-

Gar digrignò i denti. 

- La mia proposta è questa. Resa incondizionata e abbandono delle armi. Verrete presi in custodia, ma avrete la garanzia di un giusto processo. Non voglio che nessuno muoia né ora né mai, nemmeno tu e tuo padre.-

- Morire sarebbe sicuramente più dignitoso che essere condannati a morte da una dar’manda come te.-

- Ti sembrerà incredibile anche questo, Saxon, ma io non condannerò a morte nessuno. Al massimo, vi condanno all’ergastolo.-

- E non è una condanna a morte? Solo più vigliacca, perché non hai il coraggio di ucciderci!-

- Questo è un buon argomento, Saxon. Mi prometto di riconsiderarlo non appena finiremo questa sceneggiata, perché potresti avere ragione. Il fine pena mai potrebbe non essere legittimo. La condanna al massimo della pena, però, non ve la toglie nessuno.-

- Mi padre uscirà e…-

- Davvero, Saxon? Con tutto il rispetto, ma io non lo vedo da nessuna parte. Anzi, mi piacerebbe proprio sapere che cosa sta facendo. Tu ne sai niente?-

Saxon digrignò i denti e non si mosse.

- Posso dirti che, se lo prenderemo vivo e Vizla non lo uccide prima, tuo padre verrà trattato con i guanti. Come te.- 

Calò il silenzio.

La giovane ragazza dai capelli a caschetto non pareva molto incline a farsi ammazzare. Sembrava star aspettando soltanto l’assenso del ragazzo per deporre le armi.  

Gar Saxon, invece, la fissò con un’espressione indecifrabile sul volto.

Obi Wan sentì brividi freddi percorrergli la schiena.

E adesso?

Saxon aveva due possibilità: l’attacco diretto e morire combattendo, trascinando con sé quanti più Nuovi Mandaloriani possibili, o la resa.

Non era certo di quale avrebbe preferito.

- Non siete stanchi?- chiese Satine, alzando la voce e rivolgendosi direttamente all’esercito nemico.- Non siete stanchi di combattere per un uomo che vi considera carne da macello? Non siete indignati per la faccia tosta di costui che si proclama Mand’alor, parla di onore e rispetto, e poi vi abbandona sotto la scure delle Figlie dell’Aria? In mano al nemico? Dov’è il vostro leader, adesso che avete bisogno di lui?-

Poi, si rivolse direttamente a Gar Saxon.

- Gar, per una volta nella tua vita, accendi il cervello. Persino la stampa internazionale ha già decretato la vostra sconfitta. Non vi sostiene più nessuno. Lascia perdere gli ordini di tuo padre e ragiona con la tua testa. Tutto questo vale la tua vita? Le vostre vite?-

Saxon non replicò e rimase a fissarla con quell’espressione indecifrabile che voleva dire tutto e nulla.

Satine insistette.

- Saxon, per favore. Troppi sono morti per la follia di pochi. Dammi retta. Da’ l’ordine di rompere le righe. Non voglio uccidervi. Per me, oggi, la guerra finisce qui.- 

E per dare l’esempio, aprì la lancia che era stata di sua madre e la conficcò nel terreno polveroso e sporco di sangue.

Per attimi che parvero eterni ai due Jedi, il ragazzo rimase a ponderare la proposta di Satine.

Poi si avvicinò il commlink alla bocca e mormorò qualcosa. 

Ci fu un attimo di esitazione, in cui tutti i guerrieri si scambiarono occhiate perplesse da sotto l’elmo. 

Poi, ruppero le righe e fuggirono da tutte le parti.

L’esercito di Maudra Kell si spaccò a metà, coadiuvato dalle Figlie dell’Aria che calavano dall’alto sui viinire. Ben presto, circondarono ciò che restava dell’esercito e lo presero in custodia.

La folla esplose in grida di giubilo, così forti che la terra tremò sotto le loro scarpe.

Satine fece il percorso a ritroso, salì i gradini e dalla scalinata del Palazzo del Governo, le braccia aperte verso la folla festante, gridò solo poche parole, amplificate dal drone che volava in alto.

- Concittadini! La guerra è finita! Abbiamo vinto!-

 

FINE PRIMA PARTE

 

NOTE DELL’AUTORE: Gentilissimi, per motivi personali la seconda parte del capitolo verrà pubblicata prossimamente. Continuerò a rispettare la cadenza settimanale.

Grazie per la pazienza,

 

Molly.

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Capitolo 59
*** 49.1- La marcia ***


CAPITOLO 49.1

La marcia

 

La folla festante si sparpagliò da tutte le parti e la popolazione andò a festeggiare come meglio sapeva, dentro le loro case, nei rifugi o in ciò che restava di essi, per strada o nelle mense militari. Nell’aria rimase la profonda sensazione di gioia e speranza che invase la Forza, e per una volta i due Jedi, guardando le macerie di Sundari, videro una città di vetro e beskar che brillava sotto i raggi del sole, circondata da giardini pensili e arte meravigliosa.

Per un momento, prima di essere distratto dalla voce tonante della generale Bauer, Obi Wan credette davvero che il sogno di Satine, la sua visione potesse realizzarsi.

- E di questi, che ne facciamo?-

Satine si voltò verso l’esercito, il sopracciglio inarcato.

- Portateli via.-

- E dove li mettiamo?-

Satine abbozzò un sorriso.

- Credo che il carcere andrà bene, per il momento.-

Poi prese Inga da parte e fu molto chiara.

- Non abbassiamo la guardia sul Palazzo. Vizla è ancora dentro e potrebbe fare qualcosa di stupido. Potrebbe farlo esplodere e far crollare la cupola. Potrebbe organizzare una specie di suicidio di massa per tutti quelli che cadranno con lui. Oppure, potrebbe tentare la fuga. Non so dove potrebbe andare, ma ricordiamoci che ha amici abbienti all’estero. Non deve succedere, Inga. Valutiamo l’ipotesi di fare irruzione. Niente morti, per favore.-

La generale alzò gli occhi al cielo, ma partì immediatamente con Vanya ed altre Abiik’ade dalle strane pitture scure attorno agli occhi.

Il seguito di quella mattina straordinaria fu per Satine un continuo stringersi di mani e saluti alla gente festante che provava a raggiungerla. 

Il drone aveva registrato tutto, e le immagini della Marcia di Sundari e dell’incredibile vittoria dei Nuovi Mandaloriani, conclusasi con l’arresto in flagranza dello stato maggiore del dittatore, fecero il giro della galassia. Satine Kryze, la Luce di Mandalore, divenne famosa in ogni angolo dell’universo conosciuto come l’unica donna ad avere mai vinto una guerra nella sua fase definitiva senza combattere. 

La Marcia di Sundari arrivò a contare così tante persone da superare nel numero i partecipanti della Festa della Liberazione di Naboo, passando alla storia come il più grande evento pacifico di massa che abbia mai avuto luogo nella galassia, nonché per essere stato l’unico a non aver avuto conseguenze illegali.

Il maestro Jedi Obi Wan Kenobi avrebbe sempre fatto tesoro di quei ricordi, piedi di speranza e di gioia di vivere, e ne avrebbe costantemente tramandato la memoria in futuro.

Non sottovalutare mai il potere della luce, Anakin - avrebbe detto al suo padawan - C’è stato un momento in cui ho visto un popolo rinascere grazie al sogno, alla mera speranza di un futuro migliore. Ho visto una persona fermare una guerra sanguinosa con la gentilezza. Nessun potere oscuro potrà mai darti una simile forza.

Il giorno in cui il maestro avrebbe proferito quelle parole, però, sarebbe ancora dovuto arrivare. Per il momento, il maestro Qui Gon e il giovane Obi Wan rimasero accanto alla duchessa, sulle scale, a farle la guardia mentre stringeva mani a destra e a sinistra e mentre le sue forze armate prendevano possesso del Palazzo del Governo di Sundari. 

La consapevolezza di aver appena assistito, anzi, di essere stati parte di qualcosa di storico stava soltanto iniziando a sedimentare.

Mentre stringeva mani, si inchinava e salutava, Satine vide con la coda dell’occhio un bambino correre tra le gambe di una guerriera in beskar’gam inseguito da una signora di una certa età, anch’essa in armatura.

- Sai, mi era scappato, ma adesso che l’ho ripreso è tutto tuo, vero, piccola peste?-

- Scusa, mamma.-

- Ciao, Tahys, ci vediamo più tardi!-

Un campanello tra gli ingranaggi del cervello di Satine trillò a furor di popolo.

- Scusatemi! Il vostro nome è Thays Moran?-

La donna si voltò a guardarla, stringendo il bambino al fianco. 

Non sembrò capire perché la duchessa si stesse rivolgendo proprio a lei e, soprattutto, perché sembrasse conoscerla.

- Sì, sono io.- 

Satine sorrise e la prese da parte.

- Vogliate avere la pazienza di attendere un poco. Mettetevi qua, con i miei protettori. Ho qualcosa da consegnarvi.-

 

Come avrebbe amaramente scoperto Satine, il palazzo era praticamente distrutto. 

Vizla aveva evidentemente deciso che dopo il suo passaggio non sarebbe dovuta crescere nemmeno l’erba nell’amena città di Sundari. 

A poco era servita la cautela di Inga Bauer e di Ursa Wren, che avevano cercato di adempiere agli ordini della duchessa. La contessina, dopo aver sfondato il portone principale, si era fiondata immediatamente nelle fondamenta alla ricerca di ordigni esplosivi, senza trovarne nemmeno uno che potesse funzionare. Inga, invece, aveva provato ad evitare di ingaggiare battaglia, ma era stata costretta a rinunciare al proposito e a sfoderare le armi. Quando ormai i luogotenenti di Vizla compresero che non c’era più nulla da fare, si arresero e si consegnarono.

Anche perché avevano fatto talmente tanti danni che Inga ebbe gioco facile nell’organizzare la strategia d’attacco.

Non serve spiegare molta forza quando il tuo nemico ha già fatto il lavoro sporco ed ha molto gentilmente sfondato le finestre per lasciarti entrare, viniire e tutto.

Di Vizla e di Saxon, però, non trovarono traccia. 

Quando fu abbastanza sicuro entrare, Satine rimase ad ammirare il palazzo praticamente raso al suolo per un secondo, prima di procedere con il suo piano. 

Un tempo era stata la sede istituzionale del governatore della città, del distaccamento del Ministero degli Esteri e dell’ambasciata di numerosi paesi, tra cui anche la Repubblica. Dentro, le stanze - una volta ampie e splendenti in cui la luce del sole di Mandalore filtrava dalle vetrate e rifletteva sul beskar - erano ridotte a discariche di lamiere, pezzi di vetro, beskar piegato forse nel modesto tentativo di rattoppare alcune armature. 

Satine e i Jedi si guardarono attorno in quella desolazione, senza sapere che cosa dire.

La duchessa scosse il capo, sconcertata. Thays Moran, che non si sarebbe mai neppure sognata di entrare in quella sede, rimase a bocca aperta a fissare la volta in frantumi. Al suo fianco si erano aggiunti anche altri due bambini, tutti suoi, che la tallonavano passo passo. 

- Possiamo rimetterlo in sesto.- brontolò la ragazza, muovendosi ad ampie falcate dentro il corridoio, per quanto le permettessero di fare le macerie.- Non prima, però, di aver ricostruito la parte civile della città. Prego, da questa parte. Skirata!-

Il sottotenente spuntò dal corridoio, un manipolo di uomini che lo seguivano e che si diressero verso la Sala delle Assemblee.

- Abbiamo una stanza decente per accogliere i miei ospiti? Non si fermeranno molto, ma ho bisogno di un posto sicuro dove lasciar giocare il bambino.-

Il ragazzo, gli occhi brillanti per la vittoria appena conseguita e per la fine della guerra, annuì e la condusse a passo spedito verso una stanzetta laterale che dava sulla città di Sundari o su ciò che restava di essa. Il pavimento era stato parzialmente ripulito dal vetro e solo il venticello fresco della sera animava la polvere sulle piastrelle.

- Prego, accomodatevi.- disse la duchessa, sedendosi su una sedia spezzettata.

Qualcuno doveva aver affilato delle lame sulla spalliera. Satine scosse il capo, disgustata, salvo poi fare cenno ai suoi ospiti di accomodarsi.

- Certa gente non conosce il valore delle cose. Adesso questa sedia varrà meno della metà. In ogni caso- continuò, infilando una mano dentro la veste.- Avevo detto che avevo qualcosa da darvi. Ecco, questo credo che vi appartenga.-

Le consegnò il badge del marito e l’anello, nella speranza che capisse che, purtroppo, non c’era nient’altro da dire.

In effetti, fu così.

Gli occhi della donna si inumidirono, mentre rigirava il badge e l’anello tra le dita.

- Avete trovato Goran?-

Satine annuì, lo sguardo grave.

- Immagino che non ci sia più niente da fare.-

- Purtroppo no. Spettri.-

Il volto della donna divenne verde, mentre stringeva gli oggetti così forte da farsi male.

Satine si alzò ed afferrò un cestino di metallo che doveva aver svolto una funzione centrale durante le attività di ufficio che si erano tenute là dentro prima della guerra, e lo tese alla donna, che lo prese senza troppi complimenti.

- Venite, tesori.- disse la duchessa, prendendo i bambini da parte e consegnandoli ad Obi Wan.- La mamma deve aver mangiato qualcosa che le ha dato fastidio. Vi va di giocare un po’ con il mio amico? Si chiama Obi Wan.-

Il padawan annuì ed anche Qui Gon preferì non restare a guardare il dolore della povera donna, così entrambi uscirono, montando la guardia alla porta e portandosi dietro i tre piccoletti.

Satine batté le mani sul dorso della donna e le tenne la testa per quanto fu necessario.

Poi, le porse un fazzoletto per pulirsi la bocca.

- Mi spiace.- commentò Thays Moran, passandosi una mano sul viso.

- Non c’è problema, ho reagito allo stesso modo molte volte.- le disse, sedendosi di nuovo di fronte a lei.- Faccio portare dell’acqua?-

La donna scosse il capo.

Satine, provando pietà per quella povera donna che aveva creduto fino all’ultimo che il marito fosse vivo da qualche parte, provò a procedere con il maggior tatto possibile.

- Lo abbiamo trovato nelle foreste di Krownest. Gli abbiamo dato una sepoltura decente. Se vorrete andarlo a trovare, o trasferirlo qua, abbiamo le coordinate.-

La donna annuì, ringraziando. 

Poi, parve pensare un poco se chiedere o no quello che voleva chiedere.

- Io non vorrei, però… Com’era?- chiese, passandosi una mano nei ricci crespi e castani.- Voglio dire, era…-

- Non saprei dire, purtroppo. Era già passato diverso tempo quando lo abbiamo trovato. In ogni caso, credo che sia meglio che lo ricordiate com’era l’ultima volta che lo avete visto. La morte non è mai un bello spettacolo.- 

Thays Moran annuì e si alzò in piedi.

- Devo andare. Ho una casa da ricostruire e tre figli a cui dare da mangiare. Soprattutto adesso che so che sono sola. Non voglio mancare di rispetto, ma temo di non avere tempo da perdere.-

Satine annuì e si alzò per stringerle la mano.

- Mi dispiace molto, davvero. Qualora abbiate bisogno di qualcosa, non abbiate timore a cercarmi. Vostro marito è stato un valente operaio sulle nostre dighe e voi avete dato un contributo vitale al conflitto.-

- Sì.- disse, scuotendo il capo come per togliersi un peso dal collo.- Non è stato facile. Da Keldabe, da sola, senza poter parlare con mio marito…-

- Voi eravate a Keldabe?-

- Siamo fuggiti appena in tempo.-

- Nulla di tutto quello che avete fatto verrà dimenticato.- le disse, accompagnandola fuori.

I bambini si gettarono di nuovo tra le sue gambe, e Satine le riferì le coordinate per raggiungere la tomba del marito. 

La duchessa e i suoi protettori la guardarono con rispetto mentre usciva dal palazzo, la testa alta e la schiena diritta, stringendo le mani dei bambini che le trotterellavano accanto. 

Parlare con Thays Moran aveva ricordato a Satine che aveva un’altro conto da pareggiare, ed era quello con il piccolo Mun, il bambino nato dall’unione della sua guardia del corpo di nome Alec e da sua moglie. Il poveruomo aveva trovato la morte durante l’attentato alla Fortezza delle cascate, ma Satine non aveva perso la memoria.

Aveva promesso che avrebbe inviato vestiti e giocattoli alla famiglia e lo avrebbe fatto. 

Adesso che era duchessa, avrebbe avuto moltissime possibilità per fare tutte le cose che avrebbe dovuto fare.

Si prese un momento per asciugarsi una lacrima, ma Satine era fatta così. Una ne faceva, centomila ne pensava e riusciva a tenere il filo di tutto nonostante le avversità.

Così, dopo un sospiro e uno sguardo appesantito dagli eventi rivolto ai due Jedi, trottò di nuovo nel corridoio alla ricerca di Skirata.

- Dov’è quel benedetto ragazzo, quando serve?- chiese, cercando dovunque mentre marciava nel corridoio.

- Ah, eccovi qua! Chi c’è al comando, adesso, ragazzo?-

- La generale Bauer, duchessa. La generale Kell ha preso in custodia l’esercito e lo sta portando in carcere.-

- Perquisizione del palazzo?-

- Ursa Wren sta procedendo, ma per ora non abbiamo trovato nulla che possa lasciar pensare ad un ordigno sismico o ad altri possibili attentati.-

- E Vizla?-

- Per il momento non abbiamo trovato tracce, né sue, né di Evar Saxon.-

Satine continuò a marciare spedita per i corridoi, scavalcando lamiere e pezzi di legno e beskar, pietre piovute da chissà dove.

- Non mi convince per niente. Morti?-

- Purtroppo qualcuno ha tentato di resistere, e qualcuno ha preferito morire piuttosto che consegnarsi. I corpi sono stati radunati sul retro e tra poco verranno identificati e sepolti.-

- Dubito fortemente che Vizla se ne sia andato così. Probabilmente sono malfidata, ma voglio essere certa che non rappresenti più un’insidia per noi. Vivo o morto che sia, temo che potrebbe fare parlare ancora di sé. Mi raccomando, attenzione.-

Skirata annuì e fece per andarsene, quando Satine pensò di dover chiedere ancora qualcosa.

- In ogni caso, dov’è il commlink centrale? Voglio parlare con Maudra Kell.-

Il sottotenente svoltò sui tacchi e cambiò direzione un’altra volta, conducendoli dentro il palazzo verso una stanza ampia dove l’ologramma della generale marciava, dando ordini, attorno ad un tavolo.

Satine si piazzò sulla porta ed attese, paziente, che la generale finisse di dare tutte le disposizioni del caso.

Quando le comunicazioni si chiusero, la duchessa si fece avanti con passo deciso ed espose i suoi dubbi alla donna.

- Ho la netta sensazione che ci stia sfuggendo qualcosa. Siamo proprio sicuri che non ci sono ordigni nel palazzo?-

- Abbastanza positivi, sì.-

Satine si grattò la testa scompigliata. I capelli, dopo la fatica della marcia, erano usciti dalla composta acconciatura raccolta che Obi Wan le aveva fatto sulla nuca.

- Fondamenta?-

- Perquisite. Niente.-

- Pertinenze?-

- Le squadre dei Wren ci sono adesso, ma niente da segnalare per il momento.-

Satine continuava a non essere convinta. 

- Abbiamo altre squadre in giro per la città?-

La generale aggrottò le sopracciglia.

- C’è qualcuno sulle porte a presidiare la cupola, ma non abbiamo nessuno che possa andare all’inseguimento dei Saxon e dei Vizla che sono fuggiti. Perché?-

- Non escludo la guerriglia urbana. La scomparsa di Vizla mi pare così strana che l’assenza di conseguenze quasi mi sembra un’utopia.-

La generale si disse d’accordo, ma assicurò che in ogni caso Sundari era blindata sia in entrata che in uscita, e che i cittadini erano comunque armati e pronti a difendersi.

Sai come ci andrebbero a nozze quelli della Repubblica, se la presa di Sundari dovesse risultare farlocca?

- Ci sono anche un po’ di cose che intendo discutere con voi. Innanzitutto, voglio preparare un cessate il fuoco definitivo.-

- Vizla e Saxon firmeranno.-

- Intanto dobbiamo trovarli e quando lo faremo, ammesso che siano vivi, quasi mi aspetterei di no. Una firma in carcere potrebbe apparire come una firma estorta, ed ogni pubblicità è buona pur di far parlare di sé. Dobbiamo studiare bene la cosa. Devo anche preparare un discorso per il Senato della Repubblica con cui affermo la stabilità di Mandalore. Inoltre, qualcuno deve chiamare Kryze Manor, prima che si senta male qualcuno laggiù, e poi devo andare a cercare Myra. Chissà dov’è, in volo sul deserto.-

Decisero che la cosa migliore era liberare la frequenza del commlink e prepararla per la chiamata a casa.

Mentre i due Jedi armeggiavano con il commlink e preparavano la frequenza, Inga Bauer e altre due Figlie dell’Aria dagli occhi tinti di scuro si fecero avanti sulla soglia.

- Ho trovato Skirata che girava come una trottola per il palazzo, dice di averti vista qua e che vuoi notizie di Saxon e Vizla.-

Satine alzò gli occhi dal commlink e guardò la generale, implorante.

- Dimmi che li hai trovati.-

Inga, purtroppo, alzò le spalle.

- Magari. L’unica cosa certa è che hanno fatto un macello prima di andarsene. Se questo posto ti sembra distrutto- disse, in risposta agli occhioni sgranati della duchessa.- meglio che tu non veda il resto.-

La duchessa scosse la testa, sconfitta.

Era certa che Vizla avesse in mente qualcosa. Se solo fosse riuscita a capire cosa! Non aveva alcun senso schierare l’esercito e poi non presentarsi, a meno che…

A meno che…

Una parte di lei credeva che fosse un’idea dissennata, che Vizla non avrebbe mai messo in atto. Lui aveva un codice d’onore. Sarebbe morto per la causa.

Vero?

Se solo avesse potuto parlare con Gar Saxon!

- Va bene, Inga. Dobbiamo trovare un modo per farci dire come stanno le cose. Un piano ce l’hanno, di sicuro. Impostiamo un collegamento con Maudra Kell ed interroghiamo il giovane Saxon, vediamo che cosa sa.-

Il collegamento, però, fu deludente.

- Saxon? No, qui non c’è.-

- Come sarebbe a dire, non c’è?-

- Non c’è. Non è stato catturato. Pensavo che lo avesse Inga, ma a questo punto deve essere fuggito con un manipolo dei suoi uomini mescolandosi tra la folla.- 

Satine batté la fronte contro il tavolino.

Diamine.

- Va bene, niente Saxon. Avete calcolato quanti sono i fuggitivi?-

- Circa un centinaio.-

Ah, fantastico.

- Ribadisco quello che ho già detto. Mi sembra estremamente curioso che Vizla e Saxon non si trovino, e con questi numeri ce n’è abbastanza per la guerriglia urbana. Tenete gli occhi aperti.-

Inga era stanca. Si era accomodata su un orribile sgabello a tre gambe che stava in piedi per miracolo e sembrava non avere alcuna intenzione di muoversi da lì per i millenni a venire. Borbottò qualcosa a proposito del fatto che ci vuole l’età giusta per fare la guerra e Qui Gon le borbottò in risposta se per caso si sentisse vecchia. 

Obi Wan, invece, fece finta di ignorare lo sguardo scambiato tra i due con occhi luccicanti, che voleva dire soltanto una cosa.

- Inga, in generale, novità?-

- A parte che tutta Sundari sta facendo un fracasso infernale? No, nessuna.-

- Le spie che dicono?-

- Vizla non si vede da nessuna parte, ma deve aver cominciato le operazioni di pulizia. C’è un mucchio di cadaveri alla porta posteriore, dovremo dare loro una degna sepoltura al cimitero della città. Io e Maudra Kell stiamo organizzando delle squadre per questo, ci sono anche alcuni civili volontari. Mi ha stupito, in questo senso, la solerzia di Vizla. Prima di andarsene, aveva già cominciato le pratiche. Sono usciti alcuni infermieri con delle barelle. Ci sono ancora dei corpi coperti da teli abbandonati lungo la str…-

Ma Satine, ormai, non l’ascoltava più.

Le passò l’intero film davanti agli occhi e sobbalzò.

No, @#**//!, no!

- Per la miseria, fermateli immediatamente!-

Inga sussultò sul treppiedi.

- Eh? E perché mai?-

- Non capisci? E’ così che sta fuggendo! I cadaveri sono l’unica cosa che nessuno ha controllato! Si mescolerà tra di essi, alla folla, ai volontari, potrebbe persino rubare la beskar’gam a qualcuno!-

Inga parve perplessa.

- Ma… La beskar’gam è sacra!-

- Inga, seriamente? Quante cose erano sacre prima di questa guerra?-

Gli occhi della generale si illuminarono di comprensione.

- Fermateli subito!-

Inga scheggiò fuori dalla porta lanciando un caustico commento a Qui Gon, che assomigliava molto a su questo sistema non c’è tempo per la vecchiaia e volò via, letteralmente, afferrando il primo viinir che le capitò a tiro e sparendo fuori da una finestra in un frullar di piume. 

Sentirono lo scalpiccio degli zoccoli delle Abiik’ade mentre spiccavano il volo per raggiungere gli infermieri e i cadaveri fittizi, e Satine non potè fare a meno che alzare gli occhi al cielo per la rabbia e lo stupore. 

- Speriamo solo che non se ne sia andato. Se hanno lasciato passare altri finti cadaveri, chissà quanti sono quelli che sono riusciti a fuggire!-

I due Jedi chiesero lumi e Satine ne approfittò per spiegare ad alta voce quale fosse il piano dei cosiddetti Veri Mandaloriani.

- Questi sono quelli che hanno mandato migliaia di ragazzi al macello, un macello che fortunatamente siamo riusciti ad evitare, sulle scale del Palazzo del Governo, salvo poi svignarsela di nascosto mescolandosi in mezzo ai morti. O vittoria o morte vale solo per gli altri. Per loro, c’è la fuga.-

Qui Gon decise di azzardare.

- Senza offesa, duchessa, ma io trovo comprensibile che i capi del movimento debbano sopravvivere, per la sopravvivenza stessa dell’ideale. Non mi stupisce che…-  

- Oh, non stupisce neanche me. In fondo, io ho fatto la stessa cosa. Sono stata nascosta perché senza di me il movimento per la pace sarebbe morto sul nascere, ma c’è una bella differenza. Io non ho mai lasciato il sistema, mentre il nostro amico, viste le conoscenze che può vantare, potrebbe già avere un bel salvacondotto pronto per qualche pianeta dove non riusciremmo mai a prenderlo. E soprattutto, io non ho mai pagato per essere protetta, non ho mai chiesto a nessuno di combattere per me, nel mio nome o in quello della casata, salvo poi svignarmela ed abbandonare le fila dei miei uomini sotto il fuoco nemico e soprattutto io non sono mai stata pagata per distruggere il mio sistema!-

Coerenza, questa sconosciuta.

Satine uscì dalla stanza e si scapicollò in corridoio, cercando di aggirare le macerie nel tentativo di raggiungere la parte posteriore del palazzo assieme ad Inga.

L’operazione rischiava di essere troppo lunga. In alcuni punti le scale erano state fatte saltare ed il pavimento era pericolante. La giovane duchessa si mise le mani nei capelli per la disperazione e ruggì più di una volta, inveendo contro Vizla e la sua stirpe, fino a che non riuscirono a raggiungere i corridoi delle cucine, che portavano sul retro, dove di solito i fornitori consegnavano la merce.

Lì, un fruscio di ali e un borbottio inviperito li distrasse.

Sopra di loro, Inga e un paio di Figlie dell’Aria avevano ingaggiato battaglia con due uomini armati di jetpack. Uno era alto e longilineo, quasi elegante nelle forme, mentre l’altro era rotondo come una palla da biliardo e si muoveva come un sacco di patate. 

Satine comprese immediatamente di chi si trattasse.

- Guarda un po’ chi si vede, parlando del diavolo.-

La battaglia si accese nel cielo di Sundari.

Satine, però, ne aveva piene le tasche. Non aveva più voglia di combattere. Voleva prendere il dittatore e consegnarlo al carcere, fare in modo che tutto quel caos finisse così da poter finalmente comunicare con la Repubblica e con la sua famiglia. 

Era stanca. Stanchissima.

Così,  borbottò nel commlink:

- Inga, mira al jetpack. Tu prendi Saxon, io Vizla.- 

Una volta che ebbe azionato l’ingranaggio, mulinò la lancia nell’aria un paio di volte, prese la mira e con un colpo secco centrò il jetpack del dittatore, mandandolo a gambe all’aria poco lontano da lì.

I due Jedi gli furono immediatamente addosso e lo immobilizzarono prima che potesse arrivare ad impugnare altre armi.

Satine avanzò eretta, con l’aria di chi non avrebbe indietreggiato nemmeno di fronte al supremo signore del male, e depressurizzò l’elmo del nemico, rivelando il volto di Larse Vizla.

Come sempre, sul viso del dittatore non c’era emozione alcuna. Era freddo, algido come se niente potesse toccarlo, e fissava con malcelato disprezzo la giovane donna che lo sovrastava, mentre lui rimaneva in ginocchio per terra.

O forse, quella era soltanto l’espressione che aveva di solito.

Obi Wan pensò che, date le credenze di Vizla, quello dovesse essere uno smacco bello grande.

Una donna, in questo momento, è più in alto di lui.

Satine reggeva l’elmo del nemico sotto il braccio, come se fosse stata una sua conquista. Lo guardò negli occhi tersi, un velo di disprezzo che copriva il suo sguardo, prima di parlare.

- Sentiamo, dittatore, che cosa ci facevi sdraiato in una barella, nascosto sotto un lenzuolo?-

- Questo lo dici tu, pakod.- le disse, con un’onda di odio nella voce che il suo volto apparentemente non rifletteva.- La verità è che siete venuti a prendermi e che avete osato mettermi le mani addosso. I miei uomini sanno che cosa fare.-

Satine alzò un sopracciglio.

- No, mio caro Vizla. Sei caduto dal jetpack. Nessuno ti ha messo le mani addosso.-

Il borbottio di Inga, traducibile in un e sta’ fermo, porca @#°**//!, mentre provava a trattenere un corpulento Evar Saxon, le diede maggiore sicurezza. 

- Tuttavia, se ciò che dici è vero, sono certa che non ti dispiacerà sottoporti ad una piccola perquisizione. Ecco, questo sì che è mettere le mani addosso.-

Ammiccò nei confronti dei due Jedi, e mentre il maestro placcava ben saldo il dittatore, Obi Wan frugò nelle tasche e nel beskar alla ricerca… 

Beh, alla ricerca di qualunque cosa Satine stesse cercando. 

Ha del fegato a fare una cosa del genere. 

Nel frattempo, Inga aveva accalappiato Saxon e stava ripetendo l’operazione sulla sua persona, sancendo che era una vita che non vedeva l’ora di farlo.

Alla fine, Obi Wan trovò quello che immaginò Satine andasse cercando.

Nell’armatura del dittatore, incastrato in uno degli schinieri, c’era un codice a barre, sottile come un credito ma lungo abbastanza da poter essere inserito in un lettore magnetico.

- Guarda un po’ che cosa abbiamo qui.- disse, sfilando il codice dalle mani di Obi Wan ed alzandolo in alto, in modo che tutti potessero vederlo.- Un codice di atterraggio!-

- Ce l’ha anche lui.- dichiarò Inga, mostrando il codice mentre Saxon bofonchiava parole sconnesse, incapace di difendersi.

- Chissà dove eravate diretti! Sicuramente, non da qualche parte su Mandalore. Codici come questo servono in particolare per il passaggio dall’Orlo Esterno ai Pianeti Centrali.-

Lo dico io dove stavi andando, farabutto: a trovare il tuo amichetto su Coruscant, sperando che ti offrisse protezione!

Ebbene, ti insegno una piccola cosa: sei stato solo una pedina.

A lui, di te, non importa un fico secco, e se gli farà comodo, ti venderà alle mie guardie.

- Adesso li porto via.-

- No, Inga, portali dentro.- commentò Satine, voltandosi verso il palazzo.- In cucina. Prima voglio parlarci io.-

 

Fu nel vasto e spazioso ambiente delle cucine del Palazzo del Governo che si svolse il primo - e purtroppo l’unico - interrogatorio di Evar Saxon e Larse Vizla.

Obi Wan e Qui Gon non avrebbero saputo dire se Satine scelse coscientemente di torchiare prima Saxon o se fu una semplice coincidenza. 

Certo è che quel colloquio fu piuttosto memorabile.

- Allora, mio rotondo amico. Quanto tempo è passato, eh?-

L’uomo rispose soltanto con sonoro grugnito.

Satine pensò molto malignamente che si addicesse al maiale che era, ma non lo espresse ad alta voce.

- Dimmi un po’, com’è che volevi svignartela alla chetichella mentre tuo figlio moriva sul campo?-

Saxon sbiancò.

- Mio figlio cosa?-

- Come, il tuo amico non te l’ha detto, che ha schierato il tuo ragazzo in una manovra a tenaglia che, alla fine, è stata scoperta ed aggirata? Non te l’ha detto che stava guidando un esercito destinato a morte certa?-

L’uomo deglutì.

- Li hai ammazzati tutti. L’ho sempre detto io che non eri poi troppo diversa da noi. Sei solo troppo altezzosa per ammetterlo.-

Satine sbadigliò.

- Vedi cosa c’è che non sopporto di te, Saxon? Tu sei convinto che il mondo giri nel modo in cui gira per te. Tutti sotto sotto sono uguali, tutti pensano la stessa cosa. Mai nessuno che abbia un’etica, una morale. Ti dimostro subito il contrario. Tuo figlio è vivo, insieme ad un altro centinaio di persone che sono riuscite a fuggire. Anche quelli che abbiamo arrestato sono vivi. Stanno tutti bene. Staranno bene. Nessuno condannerà a morte nessuno. Nessuno morirà. Non sulla mia agenda.- 

- Anzi.- continuò, mettendosi senza troppa grazia a cavalcioni di una sedia.- Se tu volessi cortesemente dirci dov’è, te ne saremmo grati.- 

- E consegnarlo a te? Mai.-

Satine fissò Saxon con occhi di pietra e cambiò tattica.

- Va bene, non dirmelo, però voglio suggerirti una cosa.- e si avvicinò con il viso al corpo di Saxon.- Fossi in te, chiederei al tuo amico che cosa ha in mente, perché se ha deciso di dare quella stringa anche al nostro giovane ribaldo, il tuo caro ragazzo ti pianterà qui, alla mercé dei Kryze, ed andrà a trovare rifugio presso chiunque…- 

- Forse tu. Il mio Gar non lo farebbe mai.-

- Davvero? E dov’è? Perché io non lo vedo. Pensa quanta voglia ha di starsene in carcere col padre. L’ha già fatto, Evar. Renditene conto, prima che tu sia l’unico a pagare.- 

Nella stanza calò un silenzio di tomba.

Saxon serrò la mandibola. Vizla non mosse un muscolo.

Satine alzò un sopracciglio.

- Inga.-

- A disposizione.-

- Da’ l’annuncio: li abbiamo presi entrambi. Che i fuggitivi gettino le armi. Nel Senato della Repubblica trarranno le ovvie conclusioni.- 

Satine si alzò dalla sedia e fece per allontanarsi.

Fu in quel momento che Saxon sbottò.

- E mio figlio?-

- Tuo figlio è libero cittadino, purtroppo. Deciderà lui il da farsi, anche se io, fossi in lui, getterei le armi. Che si consegni, la vedo difficile, ma è sempre una possibilità. Probabilmente se ne andrà da qualche parte. Forse, dove sareste dovuti andare voi.-

- Gar verrà a prendermi! Al mio ragazzo non importa nulla di andare su…-

- Sta’ zitto, imbecille.- commentò secco il dittatore.

Tanto bastò per far chetare Evar Saxon. 

Satine, invece, lanciò un’occhiata in tralice al dittatore. 

Forse sta funzionando.

- Non so esattamente che cosa si aspetti di trovare, dovunque andrà.- commentò la duchessa, mirando di nuovo verso la porta.- Sarà solo di fronte ad un pianeta diverso e potenzialmente ostile, considerata la sua testa calda. Magari finirà a fare il mestiere mandaloriano più antico del mondo.-

Obi Wan si morse il labbro.

Il cacciatore di taglie.

- Oppure dovrà adeguarsi, tenere un profilo basso. Sarebbe la scelta più intelligente. Con la fine di questa guerra, chiunque vi aveva degli interessi ha perso, ormai.- 

La ragazza si voltò a guardare il dittatore per l’ultima volta, incontrando gli occhi vitrei che però, questa volta, saettavano a destra e a sinistra.

- Dimmi, Vizla. Da quanto tempo il vostro amico ha smesso di foraggiare le vostre spese folli?-

- Non so di cosa tu stia parlando.-

Satine roteò gli occhi verso il cielo.

- Andiamo, sei serio? Pensavi davvero che non lo sapessi? Com’era che avevi detto, Inga?-

- Che con le casse di Mandalore non avrebbero mai comprato nemmeno lo spinterogeno dell’incrociatore dei cacciatori di taglie.-

- E non era l’unico spinterogeno compromettente, immagino.-

- Assolutamente.-

- Star destroyer, starfighter, tutta roba che costa parecchio, vero?-

- Eccome.-

- Tutte cose che non ci saremmo mai potuti permettere. Tu hai un bel po’ di soldini, ma non bastano. No, i talleri veri ce li ha qualcun altro. Qualcuno che, immagino, dovrebbe proteggerti adesso che hai perso. Almeno tu lo speri, giusto?-

Gli occhi del dittatore saettarono di nuovo a destra e a manca.

- Sai qual è il problema di dipendere da qualcun altro? Prima o poi, gli dovrai rispondere. Se ci pensi, è il problema della politica: fai delle promesse e poi le devi rispettare, o le persone non ti voteranno mai più. I clan non ti sosterranno più. Essere un dittatore, in questo senso, ha i suoi vantaggi. Tu lo sai. Fai quello che ti pare, prendi le decisioni che vuoi, tanto qualunque apparato che sembri anche solo vagamente democratico è vuoto di significato. L’ultima parola ce l’hai tu. Anche la dittatura, però, non è immune dal sostegno popolare. Se non c’è, se non cresce il disinteresse per la cosa pubblica, anche il dittatore è destinato a cadere. Esattamente quello che è successo a te.-

Vizla sbuffò, apparentemente riprendendo un briciolo della freddezza che ormai sembrava aver buttato alle ortiche.

- Adesso devo sentirmi fare lezioni di politica da una ragazzina.-

Inga borbottò inviperita che se sei un così gran volpone com’è che la ragazzina ti ha incastrato?, ma Satine parve non prestarsi al gioco.

- Oh, lungi da me!- commentò, alzando le mani.- Sia mai che io abbia qualcosa da insegnare al nobile barone! Una cosa, però, la posso dire. Tu, Vizla, sei un dittatore a metà. No, non c’entra niente Evar Saxon.-

Il rubicondo ometto aveva infatti alzato un dito paffuto per far notare la sua presenza e la condivisione del potere.

- E fossi in te, Saxon, non starei tanto allegro. Non sei un dittatore completo perché qualcuno ti finanzia. Qualcuno ti paga. Dipendi talmente tanto da quella persona che la tua stessa esistenza è appesa ad un filo. Ti rivelo una grande verità, Vizla: a lui non servi più. Gli hai fatto comodo fintantoché sei riuscito a tenere il potere. Dal momento in cui lo hai perso, il tuo amico, che attraverso di te avrebbe governato Mandalore, ti ha scaricato. Che cosa dovrebbe farci con te? Assolutamente nulla. Preparare una nuova ribellione? Perché mai? Sa benissimo che con il consenso che hai visto - ed ammiccò verso l’esterno per far comprendere ai suoi interlocutori che si riferiva alla marcia - e con quello che ho sui pianeti del sistema che non hai mai conquistato, un’altra rivoluzione è altamente improbabile. E poi, tu sei un leader compromesso. Hai già scoperto tutte le tue carte. Tutti sanno chi sei, come la pensi e come agisci, di cosa sei capace. Anche se tu dovessi metterti a capo di un’altra rivolta, non saresti credibile. Non ti seguirebbero. Sei bruciato, caro mio. E per questo devi ringraziare il tuo amichetto.- 

Satine sembrava un gatto che girava attorno alla preda prima di balzare. Fissava il dittatore con occhi sottili. Non c’era minaccia fisica in lei, né aggressività. C’era soltanto la cruda realtà dei fatti, e la crudezza con cui li esponeva la sapeva trasformare in un essere estremamente intimidatorio anche se non stava facendo nulla di male.

Obi Wan la osservò e prese nota per il futuro.

- Giochiamo a carte scoperte, Vizla. Io so dove eravate diretti. So chi vi paga. Ho tracciato il suo conto corrente. Tutto ciò che mi manca è un nome. Dammi il nome, e farò in modo che tu venga protetto.-

- E da chi, di grazia?-

- Dai tuoi, che ti vedranno come un traditore quando sapranno, perché lo sapranno, che stavi cercando di raggiungere il tuo capo su Coruscant. Oppure dai Wren. Ursa ha il dente avvelenato. Le hai fucilato il padre. Al suo posto, chiunque proverebbe uno straccio di rancore. Persino io avrei voglia di darti un bel pugno sul naso, ma sono pacifista. Coerenza. Una parola che purtroppo io conosco bene.-

Nella stanza calò il silenzio. L’unica interruzione fu il breve mugolio soffocato proveniente da Evar Saxon, che domandava se potesse essere protetto anche lui.

Inga roteò gli occhi al cielo, infastidita.

Satine si sedette di nuovo a cavalcioni della sedia.

- Solo un nome, Vizla. Solo un nome, e posso garantirti che non ti verrà torto un capello.-

Fu a quel punto che il dittatore esplose.

Obi Wan, Qui Gon ed Inga non si erano aspettati un simile grido di rabbia. Sembrava più un latrato di un cane, un ringhio famelico piuttosto che la voce di un essere umano. Il padawan sobbalzò sul posto mentre osservava il dittatore sbraitare come un ossesso, il volto rosso come quello di un krill di Mon Cala mentre inveiva contro Satine e contro tutto lo scibile.

Saxon si fece più piccolo sulla sedia.

- Arrogante ragazzina! Mezza tacca! Tu pensi di sapere tutto! La verità è che non sai niente!-

Satine non mosse un muscolo. Rimase a fissare il dittatore con un sopracciglio inarcato mentre quello esplodeva di rabbia repressa e sputacchiava come un animale, una bestia incastrata in un angolo.

- Tu non hai la più pallida idea di chi ti sei messa contro!-

- Aiutami a capirlo. Dammi il nome.-

- Tu pensi davvero che tutto questo finirà con me? Non finirà mai, Kryze. Pregherai perché finisca. Ti sei messa in un gioco più grande di te. Più grande di tutti noi!-  

Era una scena terrificante. Dall’uomo pacato e tranquillo che erano stati abituati a vedere in forma olografica, Larse Vizla si era trasformato in un vero e proprio mostro. Persino le fattezze del suo viso, di solito freddo come il ghiaccio di fronte alle peggiori atrocità, sembravano deformate. 

La rabbia aveva fatto sì che il dittatore rivelasse la sua vera natura: un piccolo uomo gonfio d’odio, di invidia, di ambizione smisurata e di paura. 

Obi Wan si chiese come facesse Satine a restare impassibile di fronte ad una simile esplosione di rabbia.

- Se quest’uomo è così potente…-

- Uomo? Uomo? Ragazzina, dimostri di non aver capito niente.-

- Va bene. Se questa entità è così potente, deve essere fermata. Perché ti sei prestato al suo gioco fin dall’inizio?-

- Perché era l’unica cosa che potevamo fare. Avrei spazzato via quella feccia della tua stirpe dalla faccia di Mandalore ed avremmo dato quello che voleva al nostro finanziatore.-

- E che cosa voleva?-

- Davvero, Kryze? Che cosa potrebbe mai volere uno straniero da Mandalore?-

Satine alzò le mani.

- Senti, Vizla, non ho voglia di giocare al gatto col topo, quando avrai voglia di parlare chiaro, fammi un fischio, va bene? Inga, portali via.-

La generale fece un passo in avanti e si avvicinò ai prigionieri.

- E’ la tua ultima possibilità, Vizla. Il nome.-

- Lo scoprirai quando verrà a prenderti. Perché verrà, puoi starne certa. E quel giorno vedrai andare in frantumi tutti i tuoi sogni!-

 

Il colloquio con Vizla aveva profondamente turbato Satine. La sera era ormai inoltrata e nessuno aveva ancora cenato. Mangiucchiarono delle scorte di cibo che erano rimaste loro, un pasto frugale rimediato alla bell’e meglio, inebetiti dalla stanchezza e dalle emozioni di quella giornata sconvolgente.

Nel buio della sala commlink, dove avevano steso le loro coperte, Satine aveva giocato con il cibo senza mangiarlo per un bel po’. L’adrenalina era ancora in circolo e le parole del dittatore l’avevano disturbata non poco.

Al punto tale che aveva chiesto a Maudra Kell delle cautele in più.

- Fai in modo di tenerlo d’occhio. Nessuno dovrà avvicinarsi. Voglio che resti vivo fino a che non mi avrà dato quel nome. Toglietegli tutto, qualunque cosa possa essere un’arma. Voglio quel nome, costi quel che costi. Se è una minaccia per Mandalore, devo saperlo.- 

Quando ormai era giunta l’ora di riposare, alla loro porta bussò una Inga Bauer dall’aria contrita.

- Sono desolata di disturbare, ma ho un problema con mia nipote Vanya.- 

Nipote che, evidentemente, era rimasta di vedetta dietro la porta, perché la sentirono borbottare che se non la pianti ti faccio dormire con un colpo in testa.

- Insomma, come avrete capito, sono vessata da mia nipote, che vuole mettermi a nanna a tutti i costi.-

E la brava nipote aveva deciso, per impedirle di brontolare, di metterla a dormire con la duchessa, dandole l’impressione di stare almeno facendo il suo dovere di proteggerla.

Se non altro, si trovavano nella stessa stanza.

Il primo ad accogliere la notizia con una certa contentezza fu Qui Gon, che borbottò qualcosa a proposito del fatto che la vecchiaia implica l’essere comandati a bacchetta dai più giovani.

Inga fece spallucce, anzi, si lasciò sfuggire una mezza risata che fece trasecolare Satine, la quale si voltò verso Obi Wan ed intrattenne con lui una non poi così sottile conversazione a gesti, che implicava un pollice che attraversava il collo da parte a parte, un’alzata di spalle del padawan, due dita che si toccano ripetutamente e un sorriso piuttosto eloquente.

Com’è che non l’ha ammazzato?

E che ne so?

Non mi dire che se la intendono!

Non vedo, non sento, non parlo.

Restava un ultimo adempimento, prima di poter finalmente chiudere gli occhi.

Con il senno di poi, Obi Wan avrebbe ricordato quel momento come uno dei più divertenti della sua vita.

La chiamata a Kryze Manor fu esilarante. Era evidente che qualcuno stava festeggiando di gran carriera. Il commlink fu acceso da una Maryam euforica, col bicchiere in mano, mentre Athos reggeva direttamente la bottiglia di netra’gal e brindava con il vuoto.

- Esattamente, quante ne avete già bevute?-

- Non lo so, chiedi al duca, è stata sua l’idea!-

Satine scosse il capo, ridendo.

- Spero che non lo abbiate fatto bere così tanto.-

- Oh, al diavolo, Sat’ika, oggi posso fare quello che voglio!-

In effetti erano un bel quadretto. Maryam che saltava a destra e a manca, Athos che teneva un braccio attorno alle spalle del duca e brindava con lui - quando non preferiva l’aria vuota come commensale -  battendo le bottiglie di netra’gal. Adonai, per parte sua, aveva gettato da una parte la coperta e lanciato le ciabatte chissà dove nell’impeto dell’esultanza, seduto sulla poltrona di casa.

Mancava una persona, che non stava festeggiando con loro. Satine se ne accorse e lanciò un’occhiata interrogativa a Maryam, chiedendo:

- Siamo tutti, sì?-

La donna annuì, l’aria festosa scomparsa per un attimo, e lei e la duchessa si intesero.

- Mi raccomando, fate i bravi. Non preoccupatevi per me, io sto bene. Cercate di riguardarvi e soprattutto non togliete le protezioni da Kryze Manor. Parte dell’esercito di Saxon e Vizla è riuscito a fuggire e non escludo la guerriglia urbana. Se qualche esaltato intenderà prendere il posto dei capiclan in carcere, è probabile che lo farà provando a conquistare il nostro fortino. La guerra è finita per tutti, ma non per noi.-

Satine non intendeva gettare acqua sul fuoco, ma era evidente che alcune misure dovessero essere mantenute. I suoi familiari, tuttavia, erano tutto fuorché sprovveduti: avevano già pensato a tutto ciò e le diedero rassicurazioni in proposito.

La chiamata si concluse tra i canti di giubilo dei Kryze, che intonarono una filastrocca per festeggiare. Il processore del duca, che trasmetteva il segnale cerebrale al computer col volume sparato al massimo, rivelò che la combriccola era decisamente alticcia, e la filastrocca divenne sconnessa per colpa della netra’gal. Quello di cui Satine, Inga e i Jedi erano certi, era che il componimento comprendeva frasi del tipo è caduto il dittator, a cui faceva seguito qualcosa che suonava come ohi, ohi, che gran dolor, e che trovava una conclusione in gli han fregato anche i calzon. 

Un poemetto di cui il maestro Obi Wan Kenobi si sarebbe fatto dare il testo completo, e il ricordo di quella sera sarebbe rimasto talmente vivido nella sua memoria che - leggenda vuole - abbia intonato la canzoncina anche dopo il celebre incidente di Cato Nemioidia. 

- Maestro, chi è che ha perso i calzoni?-

- Oh, niente di importante, Anakin. Solo un vecchio canto popolare.- 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: E’ un periodo denso. Mi scuso infinitamente per i vari rinvii che si sono susseguiti in questo periodo.

Spero che nelle prossime settimane la situazione si assesti e mi permetta di non incappare più in problemi simili.

Adesso, al bando le ciance e torniamo a noi.

Cominciamo dalla prima metà del capitolo.

Qualcuno di voi ha compreso chi sia il mostriciattolo grinzoso sotto il mantello rosso nei sogni di Satine? 

Beh, siamo seri. Non è un segreto. 

C’è una storia lì, una storia che deve ancora essere raccontata. Chissà, magari potrebbe essere il seguito di questa qui. Vedremo se avrò le capacità per mettere assieme tutti i pezzi.

Il commento di Ursa Wren, com’è vero che l’acqua parla, è un richiamo ai primi capitoli di questa storia e alle curiose attività - che mi sono inventata - che si svolgono sul fondo del lago di Nebrod. 

Attività che ben presto torneranno in auge, ma non voglio fare spoiler.

Nella serie Clone Wars, Sundari è protetta da un grosso cubo di beskar e vetro. Avevo bisogno di far saltare la cupola per poter ricostruire la città secondo il canone. Rimango dell’idea che la forma sferica sia molto più bella esteticamente - e più resistente in senso architettonico, una lastra di vetro completamente piatta senza un piedritto di sostegno in mezzo rischia di spaccarsi a metà per la pressione della gravità che gli architetti e gli ingegneri in questa pagina mi perdonino per il mio linguaggio tecnico pedestre ma io faccio tutt’altro nella vita - ma il canone è il canone. Non lo decido io.

Come le strade intrise di sangue hanno purtroppo avuto ispirazione dalle tragiche immagini belliche che ci sono giunte negli anni dal mondo, anche la grande Marcia di Sundari ha un’ispirazione ben precisa, ovvero la grande Marcia su Washington per il Lavoro e per la Libertà, alla presenza di nientemeno che Martin Luther King.

I codici di atterraggio sono un prototipo di quelli visti in The Bad Batch.

Infine, aspettiamo in gloria i prossimi lavori del franchise per scoprire che cosa sia successo su Cato Neimoidia. Quella è una storia che sento di voler sapere. 

Nel frattempo, buona serie Obi Wan Kenobi a tutti!

 

Molly.

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Capitolo 60
*** 50- Duchessa ***


CAPITOLO 50

Duchessa

 

 

41 BBY - autunno mandaloriano

 

I giorni che seguirono la cattura del dittatore furono parecchio frenetici. 

Innanzitutto, se non fosse stato per la stanchezza dovuta ad avere aperto la Luce di Mandalore, Satine stessa sarebbe partita alla ricerca dei dissidenti, di persona. Era infatti intenzionata a condurli nelle carceri assieme agli altri, con meno casualità possibili. 

Tuttavia, le sue condizioni e la sua posizione di pacifista avevano indotto lei e la sua corte a correggere il tiro: sarebbe stato meglio che se ne occupasse Inga Bauer, e così fu. Satine, nel frattempo, avrebbe studiato un piano di disarmo e un cessate il fuoco che i Vizla e i Saxon avrebbero potuto accettare.

La giovane duchessa non era andata troppo per il sottile: aveva preteso una resa incondizionata e la consegna di tutti gli armamenti, la confisca dei magazzini e un processo presso la Suprema Corte dei Saggi. 

Aveva informato il vecchio Vercopa e l’aveva trovato sul piede di guerra. 

O meglio, in guerra con i piedi e un deambulatore.

A quanto pareva, durante lo scontro a Bral il vecchio Saggio era scivolato su un mestolo che aveva usato lui stesso per colpire un Vizla, e il capitombolo gli aveva causato qualche problema alla sciatica.

- Mio caro Vercopa, se alla vostra età cappottassi per terra, sarei ben felice di avere solo un problemino alla sciatica!-

L’anziano signore aveva fatto spallucce e, di fronte alla prospettiva di processare Vizla e Saxon, si era sfregato le mani.

- Mandateli, mandateli.-

- Siete sicuri che andrà bene? Che avrà un giusto processo?-

Gli occhi del vecchio si erano fatti volpini.

- Sicuro come il fatto che il sole sorge a est. Si prenderà tutti gli anni che si merita, non uno di meno.-

Obi Wan non era mai stato un asso in politica, ma poteva comprendere come mai Satine fosse particolarmente guardinga quando si trattava di Vizla. Era infatti il dittatore a preoccuparla di più.

- Saxon conta quanto il due a briscola senza Vizla.- aveva commentato la duchessa una sera in cui, esausta, si era gettata nel letto del padawan senza troppe cerimonie.- Non so nemmeno se abbia idea di chi sia il loro finanziatore. Se lo sa, non è così scemo da fidarsi di lui. Evar è un farabutto, non dimenticarlo. Lo scopo primario della sua vita è quello di sopravvivere e di farlo a modo suo. Ergo, venderebbe anche il suo compare, se gli facesse comodo per salvare la pelliccia. Vizla, invece, si trova tra l’incudine e il martello. E’ essenziale che, per quanto possibile, si fidi di me, e per farlo è necessario che la Corte faccia il suo lavoro senza sgarrare, che goda di condizioni di salute e di detenzione decenti, che capisca che ci sono vantaggi a stare da questa parte della barricata.- 

In verità, Satine era preoccupata anche per qualcos’altro. In quei giorni concitati che avevano seguito la presa di Sundari e la fine della guerra, la duchessa aveva mosso le sue spie per riuscire a comprendere la reale portata dell’esercito e il sostegno ai Vizla. Era sicura, infatti, che il gruppo di persone che erano riusciti ad arrestare il giorno della marcia di Sundari fosse solo una parte di ciò che realmente era l’esercito di cui il dittatore disponeva. Così, era riuscita a farsi un quadro più complesso della situazione in cui versava il suo nemico.

E non era buona.

Il figlio di Vizla, Vyron II, quello che aveva osato palpeggiarla e si era preso una scarpa in testa, era caduto in battaglia. 

Povero ragazzo.

Inoltre, della linea di Larse Vizla non era rimasto quasi nessuno. Suo fratello, che era stato uno dei suoi più importanti collaboratori, era caduto a Bral contro le Abiik’ade

La famiglia del dittatore, dunque, era stata decimata dalla guerra che lui stesso aveva causato. Non restava nessuno, se non il nipote, figlio del fratello del dittatore, un certo Pre, che però non aveva fatto una grande mostra di sé durante il conflitto. Era un nome sull’albero genealogico, più che un vero e proprio guerriero. Nessuno lo aveva mai visto, né aveva brillato per strategia, o almeno ciò non era dato loro sapere. 

In una condizione del genere, Satine aveva cominciato a maturare il sospetto che Vizla non avesse nessuna voglia di continuare a tirare ancora la corda. In un certo senso, fuggire rappresentava esattamente che cosa gli stesse passando per la testa. Aveva perso tutto: la sua famiglia, il suo potere, persino la sua dignità di leader. Andarsene non avrebbe poi inciso più di tanto sulla sua reputazione già distrutta. Altrove avrebbe avuto modo di non essere nessuno, ricostruirsi una dignità. 

In carcere, invece, avrebbe avuto soltanto una via d’uscita per ristabilire l’onore perduto.

Una via che Satine non aveva nessuna intenzione di lasciargli percorrere.

Le misure di sicurezza sul dittatore erano aumentate di giorno in giorno ed era sempre sorvegliato. Una mattina, la duchessa si era recata personalmente al carcere per parlare di nuovo con lui ed aveva esposto chiaramente le sue idee.

- Non credere che sia finita, Vizla. Non è la sorte, siamo noi a decidere quando è finita. Se mi dirai quel nome, potrai ricominciare da capo. Troveremo un modo. Avrai il mio supporto. Non credere che non capisca quello che stai passando.-

Non aveva ricevuto risposta alcuna e, ancora una volta, la giovane duchessa se n’era andata via a mani vuote e con i nervi a fior di pelle.

Saxon, invece, si era dato alla macchia. Satine non aveva alcuna certezza su che cosa il ragazzo avesse condiviso con il padre: informazioni tattiche, codici di atterraggio…

Non poteva escludere del tutto - anche se le sembrava molto improbabile - che avessero condiviso anche alcuni piani di fuga e come fare terra bruciata qualora avessero dovuto abbandonare il campo di battaglia.

Inutile dire che, se così era stato, suo figlio avrebbe potuto prenderla alla lettera.

Peccato che fosse sparito nel nulla. Come avesse fatto, era un mistero per Satine. Gar non era mai stato una cima, e il suo risultato al verd’goten lo aveva dimostrato. Tuttavia, era abbastanza intelligente da sapere che la guerra e la necessità cambiavano le persone, e nulla vietava che del ragazzo impacciato e insignificante che aveva conosciuto da ragazza fosse rimasto ben poco.

Così, la duchessa aveva disseminato stuoli di uomini e spie alla ricerca di Saxon, ma non lo aveva trovato. A questo punto, era giunta alla conclusione che avesse lasciato il sistema. Probabilmente, aveva optato per quel grande covo di ricettatori che era Concord Dawn, un luogo meschino che le aveva voltato le spalle in più di un occasione. 

Chissà, magari è andato a trovare il suo amichetto, R.H., con cui trafficava armi prima della guerra civile.

Ecco, quella era stata uno straccio di buona idea. Satine aveva chiesto ad Inga di mettersi sulle tracce di quel trafficante e di provare a trovarlo. 

- Magari, Gar Saxon è con lui. Vedi che riesci a fare.- 

Nel frattempo, mentre i giorni passavano rapidi e le riunioni si susseguivano, infinite, l’una dopo l’altra, intervallate soltanto da estenuanti sessioni di pulizie che Satine utilizzava per sgomberare la mente dai pensieri di quei giorni, i distaccamenti dei Nuovi Mandaloriani su tutti i pianeti del sistema non avevano segnalato la presenza di spettri. La duchessa si era raccomandata, in più di un’occasione, di non farsi prendere dalla gioia della fine del conflitto e di tenere gli occhi aperti. tuttavia, nonostante le continue precauzioni, nessuno ebbe assolutamente nulla da segnalare.

Sembravano scomparsi nel nulla. 

Nel suo eccesso di zelo, Satine aveva preferito comunque tenere gli occhi aperti ed aveva consigliato a tutti di non abbassare la guardia. Così, in una delle ultime riunioni prima del fatidico giorno dell’incoronazione, dopo un’intensa sessione di pulizie in cui aveva sollevato una lastra di metallo con un piede di porco, la giovane duchessa, piede di porco alla mano, aveva riunito gli alti papaveri del Centro di Ricerca di Sundari, al fine di istituire una commissione permanente sui sarlacc. 

- Vorrei riuscire a tenere la situazione sotto controllo, questa volta. Dubito fortemente che torneranno, ma queste creature hanno tempi di sviluppo estremamente lenti e di loro conosciamo la metà delle informazioni che ci servono per contrastarle. Se condividete la mia posizione, vi chiederei di organizzarci: intendo riaprire i karyai, come distaccamento del Centro di Ricerca Nazionale, e dove non ve ne siano, intendo costruirli, soprattutto in prossimità delle Porte. Da parte mia, mi impegno all’acquisto della strumentazione scientifica che vi servirà per monitorare rumori sospetti e filtrare la presenza di spore.- 

C’era stato, inoltre, un importante incontro con le maestranze di Sundari per la ricostruzione della città e, soprattutto, per la stabilizzazione temporanea del Palazzo del Governo. 

Satine avrebbe voluto dare priorità ad altre questioni, ma l’incoronazione e l’ufficializzazione del suo ruolo di duchessa sarebbe avvenuto da lì a poco, e non c’era più tempo da perdere. 

La duchessa, però, non aveva voluto saperne di cedere, almeno non su tutti i fronti. 

Coì, aveva ottenuto un accordo: il Palazzo del Governo sarebbe stato ricostruito, ma non subito. Innanzitutto, era necessario che le maestranze dessero l’agibilità. Poi, una volta adempiuto a quell’obbligo, Satine e i suoi si sarebbero dati alla messa in sicurezza e alle pulizie, ma solo delle stanze che avrebbero utilizzato per l’incoronazione. 

Il resto dell’attività delle maestranze si sarebbe concentrato sulla cupola danneggiata e sulla ricostruzione delle case dei civili, nonché sulla messa in sicurezza dei palazzi antichi e dei tesori non ancora perduti di Sundari. 

Satine sarebbe stata incoronata in Sala Armi, una amplissima stanza circolare circondata di vetro e con un bel balcone che affacciava sull’esterno, sulla piazza dove il popolo della città si sarebbe radunato per acclamare il Mand’alor. C’era un bel trono di pietra, che un tempo era stato circondato di cristalli. 

O meglio, c’era prima che Vizla lo distruggesse. Le maestranze lo avevano rimesso provvisoriamente in piedi, ma ciò che ne restava era davvero poco, ed Obi Wan non potè fare a meno di pensare che c’era qualcosa di molto poetico e di molto triste nel vedere la nuova duchessa seduta su un trono di macerie che si affacciava ad un balcone tenuto su con i ponteggi.

Così, i due Jedi si erano dati da fare per dare una mano. Si erano presi la responsabilità di sollevare travi e ponteggi con la Forza per aiutare nella ricostruzione, e se i corridoi del palazzo furono sgomberi in poco tempo fu anche merito loro. Riscossero persino il plauso delle maestranze, che per una volta decisero di abbandonare l’ascia di guerra nei confronti dei Jedi e di usufruire delle loro magie.

 

E quando il giorno precedente l’incoronazione arrivò, arrivarono anche le brutte notizie.

Inga venne a bussare alla porta della sua stanza di prima mattina, costringendo il giovane padawan a scattare fuori dal letto e a vestirsi in tutta fretta per evitare che la generale comprendesse l’inevitabile verità. 

Tuttavia, quando Inga entrò non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Sembrava persa nei suoi pensieri, il viso torvo di chi stava portando tempesta e non ne aveva minimamente voglia. Sembrò non badare ai capelli arruffati di Obi Wan e al suo volto impastato, e men che meno ai resti della biancheria della duchessa gettati con poco garbo su ciò che restava di una sedia nella sua - chiamiamola così - camera da letto. 

Si piazzò a gambe larghe al centro della stanza ed aspettò che Satine connettesse i neuroni, prima di parlare.

- Inga, non possiamo… Che ne so, dopo colazione?-

- Temo di no. Devo darti una brutta notizia.-

Ci fu un attimo di silenzio, prima che Inga decidesse di proseguire.

- Vizla è morto.-

Satine balzò sul letto.

- Che cosa?-

- L’hanno trovato stamattina presto. Non c’è stato nulla da fare.- 

Satine andò in bestia. Chiese ripetutamente dove fossero le guardie e perché non l’avessero impedito, ma non le fu data una risposta soddisfacente.

- Tecnicamente, tutto si è svolto a regola d’arte. Le guardie si sono date il cambio regolarmente. Vizla ha mangiato i suoi pasti. Non ha risposto per colazione, e a quel punto qualcuno si è insospettito ed è andato ad aprire. Quando si è reso conto che Vizla penzolava dal soffitto, è andato a chiamare aiuto, ma ormai era tardi.- 

Dopo quell’informazione, Satine era stata taciturna per tutta la mattina. Dopo colazione, aveva preso da parte Inga e si era allontanata confabulando con lei fitto fitto. 

Obi Wan e Qui Gon riuscirono solo a comprendere che le stava affidando una nuova missione, e non poterono fare a meno di provare un poco di empatia verso la generale.

Non riesce a trovare requie, povera donna. 

La notizia ebbe come unico effetto positivo la dispersione del movimento d’opposizione. Anche se all’epoca Satine era ben lontana dal saperlo, la notizia della morte di Vizla fece definitivamente capire al nemico che, ormai, non c’era più alcuna partita da giocare.

Alcuni avrebbero provato ad attribuire quella morte improvvisa a Satine Kryze, affermando che Vizla, in verità, non si era suicidato, bensì che era stato ucciso da una delle sue guardie su ordine della duchessa. All’epoca, però, il consenso verso la neoeletta duchessa di Mandalore era talmente vasto che nessuno ci credette, e quelli che ci credettero, purtroppo, legittimarono l’azione scellerata. 

Dopo tutto quello che quell’impostore aveva fatto, non c’era da stupirsi se qualche guardia aveva perso la testa ed aveva fatto finta di non vedere mentre quello si toglieva la vita in cella per proteggere il suo onore perduto.

L’unica a non essere stata convinta da nessuna delle teorie che al tempo circolarono sulla morte di Vizla fu proprio Satine Kryze, che, il giorno prima dell’incoronazione, in un momento imprecisato - e soprattutto molto solitario - della giornata ricevette in privato Inga Bauer, che le passò un dischetto. 

Satine, quel giorno, sfogliò le immagini sul datapad e si dette una risposta.   

 

L’incoronazione fu anche l’occasione in cui i due Jedi incontrarono per la prima volta la famiglia Kryze al completo. 

Il duca Adonai arrivò con la sua navicella privata, attraccando allo spazioporto, e fu scortato al palazzo dalle Figlie dell’Aria e da Vanya in persona. Assieme a lui c’erano anche il maggiordomo Athos e la dolcissima Maryam, che si lanciò al collo di Satine non appena la vide.   

La duchessa lasciò che la sua nana la coccolasse ancora una volta. Era così bello riabbracciarla, dopo così tanto tempo, e sapeva di mamma, di casa, di famiglia e di sicurezza. 

Quello fu il momento in cui Satine Kryze di Kalevala comprese che era finita davvero. Avere i due Jedi accanto le era stato di grande conforto, ed era stato come avere una seconda famiglia, ma nulla avrebbe mai potuto cancellare il piacere dell’abbraccio di Maryam, la sicurezza della presenza di Athos e soprattutto la calda protezione degli occhi di suo padre.

Sarebbe stata persa senza di loro. C’era stato un momento in cui aveva creduto che la sua vita fosse destinata ad essere solitaria e senza affetti, ma adesso che li aveva accanto, aveva recuperato quella gioia e quella speranza che erano state sopite sotto un velo di apparente calma e razionalità.

La sua famiglia era tutto per lei.

Il duca andò a stringere le mani ai due Jedi con la sua carrozzina e con rinnovato entusiasmo. Questa volta, azzardò una pacca sulla guancia del giovane Obi Wan, che rispose con gratitudine e con un inchino gentile.

Una parte di lui, contraddetta immediatamente dall’altra più razionale, voleva continuare a credere che il buon duca non si fosse accorto di nulla.

Segretamente, Satine cercò con lo sguardo Bo Katan, e non la trovò.

Quella fu l’unica macchia in un momento praticamente perfetto.

- Dimmi che non ti sei ubriacato.- commentò rivolta a suo padre, per cambiare argomento.

L’uomo fece spallucce.

- No mia cara, non lo farei mai.-

Ma uno scambio di sguardi con Athos le fece sospettare che, se non si era ubriacato del tutto, almeno era stato un po’ alticcio, e la ragazza scosse il capo in segno di biasimo.

- Ti devi prendere cura di te stesso.-

- Sono controllato tutti i santi giorni. Dovessi morire come Otis Botte di Ferro, almeno muoio contento il giorno in cui mia figlia è diventata Mand’alor. Un bricco di netra’gal ci stava, ed infatti c’è stato.- disse, massaggiandosi lo stomaco come ad indicarne la capienza, mai inficiata dal jaro.  

Consapevole che non sarebbe mai riuscita a convincerlo del contrario, la ragazza lasciò perdere e condusse suo padre nelle stanze del palazzo. 

Rimase con lui per quasi tutto il giorno, quando non era attesa altrove e non aveva altre incombenze a cui badare.

Il che, fu un bene. Almeno, così ritenne il maestro quando un Obi Wan dagli occhi acquosi in mezzo al corridoio gli chiese di meditare assieme.

- Che succede, ragazzo?-

Il padawan si morse il labbro.

- Partiamo domani, vero?-

Qui Gon, dovette ammetterlo a se stesso, non se lo era aspettato. Dopo avere visto quanto accaduto al Tempio della Luce, infatti, il maestro si era ormai persuaso che sarebbe tornato al Tempio Jedi da solo. Per quanto questo gli facesse male, non era dispiaciuto più di tanto. Non si trattava di un errore di gioventù condotto di fronte alla prima scelta difficile, ma una decisione consapevole presa da un ragazzo ormai più che maturo e, soprattutto, posto di fronte alla scelta suprema.

Insomma, non si era aspettato il plurale, in quella frase.

- No, non credo, ma penso che partiremo presto, salvo imprevisti. Almeno dopo l’incoronazione.-

Obi Wan abbassò gli occhi e non sembrò molto contento.

- Preferirei partire domani.-

- Perché mai, ragazzo mio?-

- Perché almeno non ho tempo per cambiare idea.-

E gli tremò il labbro inferiore.

Qui Gon abbozzò un sorriso e gli posò una mano sulla spalla per dargli conforto.

- Vieni con me, figliolo. Avremo tutto il pomeriggio per meditare insieme.-

 

- Dov’è Bo?-

Era una domanda abbastanza prevedibile. Kyla is era aspettato che la prima cosa che Satine avrebbe chiesto sarebbe stata relativa alla sorella, l’unica persona mancante nella combriccola dei Kryze. Non si era aspettato però quell’attesa, come se avesse voluto menzionare la sorella lontano dai due Jedi.

Per quale motivo?

Avrebbe tanto voluto indagare, ma forse quello non era il momento giusto e si riservò di chiederglielo più tardi. 

- Bo non è qui.- disse il monitor, ripetendo i pensieri del duca.- Ha detto che voleva discutere del suo allenamento con le Abiik’ade, per cui non tornerà fino a stasera.-

Gli occhi di Satine si fecero enormi.

- E per quale motivo, di grazia? Non avrebbe potuto aspettare un quarto d’ora? Sono mesi che non torno a casa! Ho bisogno di vederla, è mia sorella, mi manca e…-

- Lei è convinta - si introdusse Maryam, facendo un passo in avanti con enormi occhi da cucciolo di foca, quasi implorando che ambasciator non porta pena - che tu non abbia intenzione di vederla. Non sei più sua sorella, adesso, sei il Mand’alor, e non hai più tempo per lei.-

Satine strabuzzò gli occhi.

- Ma chi le ha messo in testa una simile fesseria? Io ho sempre tempo per lei! E’ mia sorella!-

E’ tutto quello che mi resta della mia infanzia, dei ricordi più spensierati.

I tre si guardarono.

Venne fuori che la distanza aveva fatto diversi danni. Satine non era stata contenta di allontanarsi, ma Bo l’aveva presa particolarmente male, specificamente per la decisione di andare via con i Jedi. Dopo il disastro di Galidraan, i Kryze avevano provato a rimettere insieme una società distrutta e sconfitta, ma avevano incontrato gravi resistenze. 

Nei confronti dei Jedi c’era ancora troppa diffidenza. A poco era importato il fatto che i monaci fossero stati manipolati dal governatore del pianeta: per molti gli utilizzatori della Forza erano dei veri e propri mostri, sin dalle guerre contro di essi, fino a quella contro la Repubblica.

Bo Katan, evidentemente, era tra questi. 

- Lei però è cresciuta con noi. Lei sa la verità. Come le è venuto in mente che io potrei essere una di loro?-

E che male ci sarebbe? pensò, ma si astenne dal renderlo pubblico. 

- Il problema è molto più complesso e profondo. Bo è un mio fallimento.- borbottò il monitor di suo padre, gli occhi pieni di dispiacere.- Non crucciarti. Vedrai che domani ci sarà, ad acclamarti come tutti gli altri. La rabbia contro di te è solo la punta di un iceberg, temo, molto più grande di quanto potessimo immaginare. E’ indisciplinata. Persino le Figlie dell’Aria faticano a tenerla. Inga ha addirittura protestato, dicendo che, se continua così, non l’addestrerà più. La sua minaccia è stata l’unica cosa che l’ha trattenuta dal comportarsi anche peggio.-

Le nascose l’ultima, infamante ingiuria, ovvero che la sorellina l’aveva accusata di averle rubato l’armatura. 

Stando a Bo Katan, infatti, l’armatura di Vikandra era sprecata su una pacifista che non l’avrebbe mai indossata in vita sua. Lei, che si sarebbe addestrata con il reggimento della madre, invece, non avrebbe avuto un’armatura sua.

A poco erano servite le rimostranze del padre. L’armatura di sua moglie era un simbolo che avrebbe avuto un significato politico molto forte, se indossata da Satine. Inoltre, se il suo progetto politico fosse andato in porto, era chiaro che nemmeno Bo avrebbe mai dovuto indossare l’armatura per combattere. Era rimasto sorpreso, inoltre, dal fatto che la bambina tenesse così tanto all’armatura di una donna che non aveva mai conosciuto. 

Bo aveva rinunciato a quell’argomento, ma era stato molto triste vederla andare via, piena di rabbia e incredibilmente sola, mentre stringeva i pugni lungo i fianchi.

- Non farti rovinare la giornata da lei. Adesso devi pensare all’incoronazione. Maryam ti ha portato le valigie con un po’ di cose e stavolta temo che dovrai farti andare bene gli abiti solenni.-

- Mi incoronerai tu?-

- Certamente. La tradizione vuole così. Tuo nonno era stato molto chiaro in proposito.-

Satine avrebbe dovuto attraversare, in pompa magna, tutta la Sala Armi, e poi fermarsi ai piedi delle scale, dove suo padre le avrebbe posto la corona in testa e poi l'avrebbe accompagnata a sedersi sul trono. Sarebbe stata acclamata prima dalla sala, di fronte ai capiclan, e poi dal balcone, di fronte al resto della popolazione di Mandalore. 

- Athos, se vorrà, potrà accompagnarti lungo la sfilata e soprattutto potrà accompagnarti al trono. Io temo di non poterlo fare.-

Satine guardò il maggiordomo con aria penitente.

- Non vorrei sembrare scortese, e spero che Athos non me ne voglia, ma, se devo fare politica, voglio farla bene.- e guardò suo padre con aria sorniona.

Kyla Kryze parve capire.

- Ho un’altra idea.-

 

E’ il segno della Forza che stavi aspettando.

E’ il segno della Forza che stavi aspettando?

Meditare non aveva aiutato Obi Wan un granché. Trovare conforto nella Forza era sicuramente la via migliore per smettere di piangere, ma non era la soluzione. 

Se Satine avesse perso, quello sarebbe stato il segno del destino. Se Satine non fosse riuscita a sollevare l’intera città con una canzone, forse quello sarebbe stato un segno della Forza, che lui avrebbe interpretato come un invito a restare. Magari, l’avrebbe portata via con sé per farla sopravvivere. L’avrebbe portata su Coruscant insieme alla sua famiglia, o su un qualsiasi altro pianeta dove avrebbero potuto cominciare una vita nuova. 

Si era illuso che i Kryze avrebbero accettato di vivere bene anche altrove. 

Satine, però, era riuscita nell’impensabile. 

Era riuscita a vincere la guerra e ad essere nominata Mand’alor. 

No, era giunto alla conclusione che, qualunque indicazione dalla Forza lui stesse aspettando, essa non era ancora arrivata.

Obi Wan, però, non ne poteva più di aspettare. Era stato paziente, calmo, aveva atteso con stoica fermezza di scoprire dove il destino li avrebbe portati, ma non ce la faceva davvero più. I giorni, i minuti, le ore passavano in una lenta e costante agonia che non riusciva più a sopportare. Aveva bisogno di risposte e ne aveva bisogno subito. Vedere Satine che faceva tutto quello che faceva gli spezzava il cuore. 

Si stava abituando, giorno dopo giorno, e la cosa lo spaventava. Poco prima, mentre stavano ripulendo la Sala Armi dalle macerie, si era sorpreso a pensare che sarebbe stato bello se le vetrate fossero state decorate col beskar, come aveva visto in numerose occasioni in giro per la città, magari con delle campanule canterine e del vetro colorato. Satine sarebbe stata contenta di vedere l’arte di Kalevala trapiantata nel palazzo di Mandalore.

Decorazioni, mobilio: sembrava quasi che dovesse trasferirsi in quel posto. Obi Wan si era sentito come se quella fosse stata la sua stanza, da arredare, e con un coinquilino che non fosse Qui Gon, ma Satine.

Era andato nel panico. Nella sua paura incontrollata di non pensare lucidamente, Obi Wan aveva fatto l’unica cosa che non avrebbe dovuto fare, ovvero non pensare proprio. In preda al panico, aveva cercato il suo maestro, sperando di trovare conforto in lui e nella sessione di meditazione. Fortunatamente, il conforto era arrivato, la sua mente aveva ricominciato a funzionare a dovere, ma le risposte che cercava erano ancora fin troppo lontane da lui, e mantenere la calma diventava davvero molto, molto difficile. 

Eppure dovrai aspettare ancora.

Fino a che la Forza non ti dirà cosa fare.

Temeva quel momento per tutta una serie di ragioni. Perdere Qui Gon e la sua vita da Jedi gli avrebbe spezzato il cuore. Perdere Satine gli avrebbe spezzato il cuore. Se la Forza non gli aveva ancora detto niente, inoltre, era perché ancora doveva accadere qualcosa, perché la sua presenza era ancora richiesta la fianco della duchessa. 

Non era finita, quindi?

Satine era ancora in pericolo?

Un leggero bussare alla porta li distrasse.

- E’ Satine.- disse il maestro, alzandosi per andare ad aprire e lanciando un’occhiata ad Obi Wan.

Il ragazzo si asciugò gli occhi col dorso delle mani.

- La faccio entrare?-

Il padawan annuì. 

Satine marciò dentro la stanza, torturandosi le mani con aria perplessa. Qui Gon la fece accomodare e la ragazza andrò dritta al punto. 

- La tradizione prevede che ad incoronarmi sia mio padre, il Mand’alor uscente. Date le condizioni di salute di mio padre, non sarà possibile svolgere la cerimonia regolarmente. Con la carrozzina sarebbe un problema per lui scivolare dietro a ciò che resta del trono dopo la passeggiata lungo la Sala Armi. Qualcuno dovrà accompagnarmi all’altare mentre mio padre mi aspetterà dietro al trono, e io vorrei che mi accompagnaste…- prese fiato e continuò.- Io vorrei che mi accompagnaste voi, maestro.-

Qui Gon sbatté le palpebre per un momento, perplesso.

Si era perso alla fase assestare la carrozzina dietro al trono.

- Io?-

- Sì, voi. Mio padre avrà bisogno di essere già in posizione, o non potrà muoversi con la sedia a rotelle su e giù per le scale, quindi ho bisogno di qualcuno che lo sostituisca, e vorrei che foste voi.-

Abbassò lo sguardo, le guance leggermente rosse, e si fissò le scarpe.

- E vorrei che Obi Wan fosse accanto al trono a capo della mia guardia personale, assieme a Inga.-

I due Jedi si guardarono.

Questa si che era una notizia!

- Siete sicura che il povero Athos non se ne avrà a male?-

- Athos è disposto a barattare la passeggiata per la Sala Armi con il matrimonio a Qibal. Lui resta da parte a patto che io sposi lui e Maryam al mio ritorno.-

Qui Gon rise.

- Direi che è un buono scambio.- e la prese sottobraccio con aria complice.- Dobbiamo fare le prove?-

- Se preferite, ma non si tratta di nulla di speciale.-

Il maestro non era stupido, naturalmente. Sapeva che quella era una astuta mossa politica. Rappresentava un ramoscello di ulivo teso nei confronti della Repubblica e dell’Ordine dei Jedi.

Considerati i rapporti tesi tra Mandalore e le summenzionate realtà, questa era una mossa degna di Satine Kryze, da cui, sicuramente, programmava di trarre enorme vantaggio.

Averli al fianco durante l’incoronazione era un’abile mossa di politica internazionale e un segnale molto forte di cambiamento dell’ordine interno. Probabilmente, non tutti avrebbero apprezzato la loro presenza, ma con la scelta che aveva fatto la duchessa avrebbe potuto cambiare le cose.

Qui Gon ed Obi Wan non erano due Jedi casuali. Erano un Jedi poco ortodosso ed un padawan ripescato, la cui fama era giunta anche su quel pianeta ostile alla Forza. Obi Wan, inoltre, era diventato fluente nelle tradizioni di Mandalore e rappresentava un gesto di integrazione fuori dal comune. Se Satine avesse dimostrato che il rapporto che la legava ai due era di amicizia e di collaborazione, più che di dominazione e sudditanza, il suo popolo avrebbe accettato il maestro e il padawan in modo più aperto.

Satine, però, era anche consapevole che il maestro non era stupido e che aveva capito, e pensò che fosse giunto il momento di dire anche l’altra verità, la sua, nascosta sotto la politica e le strategie.

- In assenza di mio padre, non sapevo a chi altro chiedere. Voi capite, vero?-

L’uomo sorrise cordialmente e strinse ancora di più il suo braccio esile.

- Sì, certamente.-

La duchessa si voltò infine verso il ragazzo.

- Non c’è molto da fare. La mia guardia personale sarà disposta dietro il trono in semicerchio, dietro a mio padre, con la corona in mano, e poi ci sarò io, seduta sul trono, Qui Gon alla mia sinistra e tu alla destra, assieme ad Inga, d’accordo?-

Obi Wan annuì.

Satine rimase a guardarlo per qualche secondo, accigliata.

- Stai bene?-

- Sì.-

- Sicuro?-

- Sì, certo. Sarà un onore per me.-

Satine rimase a squadrarlo per un momento.

Aveva gli occhi lucidi e la rima inferiore arrossata.

All’improvviso, sentì una morsa allo stomaco e una gran voglia di piangere a sua volta.

- Ne sono lieta.- concluse, e condusse via Qui Gon per un braccio. 

 

Fu solo a cena che Obi Wan e Satine si incrociarono di nuovo. Tutta la famiglia si riunì attorno ad un tavolo alto e cenò con un pasto frugale. Fu un modo molto cordiale per riallacciare finalmente i contatti ed approfondire i nuovi, nonché di discutere gli ultimi dettagli dell’incoronazione che sarebbe avvenuta il giorno dopo. 

I clan che avevano combattuto sui pianeti del sistema arrivarono alla spicciolata. Lo spazioporto si riempì di gente e navicelle. 

Inga Bauer, Maudra Kell, Idril Skirata ed Ursa Wren erano finalmente tornati dalle loro incombenze, purtroppo senza grosse novità né su Gar Saxon, né su Vizla, ma quella sera non permisero che le brutte notizie turbassero una serata che, altrimenti, prometteva di essere cordiale, per cui si unirono ai commensali e chiacchierarono con allegria.

Già l’assenza di Bo Katan disturbava abbastanza la duchessa, non aveva bisogno di altre cattive notizie.

Ha chiesto di cenare in camera, dice di avere mal di testa e non vuole essere disturbata.

Satine a quel punto aveva sospirato e si era diretta verso la sala da pranzo per cenare, facendo finta di niente. 

La contessina ne approfittò per andare a stringere la mano del duca, siglando probabilmente un patto che sarebbe presto diventato definitivo sulla riforma della sanità, e il padawan non rimase ignaro delle occhiate che la generale lanciava in direzione del suo maestro, scandalosamente ricambiate - almeno per gli standard di Qui Gon.

Satine aveva osservato Obi Wan, seppur di soppiatto, per tutta la cena, e non aveva potuto fare a meno di notare un cambiamento in lui. Era quasi sempre alle spalle del maestro, quando un po’ più a destra, quando un po’ più a sinistra, nella speranza di non farsi notare. Parlava poco e rideva anche meno, lui che di solito era oggetto di attenzione della combriccola dei Kryze per il suo bel viso e la sua educazione.

Persino Inga lo aveva notato.

- Che cos’ha il ragazzo?- domandò, dandole di gomito.

- Non lo so, è tutto il giorno che è strano.-

La generale aveva annuito e se ne era andata senza domandare oltre.

Kyla Kryze, invece, era stato meno prosaico ed era andato direttamente da lui.

- Ragazzo, che ti succede questa sera? Sei muto come un pesce.-

Obi Wan abbozzò un sorriso, abbassando il capo educatamente.

- Non sono molto portato per la politica.-

Il duca annuì e gli tese la mano per farsela stringere. 

Sotto le dita del padawan, quelle sottili e fragili del duca tremavano leggermente.

- Sa essere tediosa, a volte, ti do ragione.- concluse, serrando la stretta attorno alle sue dita.- Ma non devi farla tu. Deve farla lei.-

Obi Wan la guardò mentre, con la schiena dritta come un fuso, andava a stringere la mano di Ursa Wren, parlando fitto fitto. 

- A volte non so come faccia. Io vorrei solo andare via.-

Si pentì delle parole che aveva scelto non appena le pronunciò, e si passò una mano sul volto, disperato.

- Cioè, voglio dire, comprendo la necessità della politica e della diplomazia, ma io a volte vorrei solo ritirarmi in una stanza a meditare. Troppa gente, troppa cura dei dettagli.-

- Troppa falsità.- commentò il duca, annuendo con gli occhi di tigre fissi su di lui.

Obi Wan abbozzò un sorriso mesto.

- Anche, sì.-

Adonai Kryze però sembrò d’accordo, e la cosa lo mise a suo agio, togliendogli dalle spalle il peso di avere fatto una tremenda gaffe.

- Non sai quanto ti capisco. E’ per questo che è fondamentale avere qualcuno di cui ti puoi fidare, quando fai politica. Un ambiente domestico che di politico non ha praticamente niente. Io ho avuto mia moglie, fintantoché è vissuta, e le mie figlie. Satine avrà me finché avrò vita, e spero che possa avere anche qualcun altro su cui contare.-

Obi Wan sospirò ed abbassò gli occhi, sentendoli umidi di nuovo.

Eh, niente, oggi non è giornata, proprio no.

Il duca parve rendersene conto, e gli strinse la mano ancora di più.

Per non metterlo in imbarazzo, salutò con garbo e si diresse lontano da lui, verso Maryam ed Athos che stavano confabulando concitatamente a proposito di qualcosa. 

Non appena potè, il ragazzo si defilò. La sala dove avevano pranzato dava accesso ad una terrazza circolare che si affacciava sulla parte devastata dalla bomba sismica. Lo spazio vuoto era terribile da osservare. Emanava un senso di solitudine e desolazione.

Non era una vista molto entusiasmante e men che meno risollevava il suo animo.

Un rumore di passi si avvicinò alle sue spalle.

- Dovresti essere con gli altri.- disse, senza nemmeno voltarsi a guardarla.

- Gli altri possono fare a meno di me per cinque minuti.- rispose Satine, avvicinandosi a lui.

Era appoggiato alla balaustra parzialmente distrutta, reggendosi su i gomiti e tenendo strette le mani, l’una dentro l’altra.

La duchessa si posizionò al suo fianco, fissando la città devastata. 

Rimasero in silenzio, guardando il vuoto, mentre l’aria fresca dentro la cupola li sfiorava.

Satine si spinse delicatamente contro il suo braccio, e fu felice di constatare che il ragazzo non si sottraeva al contatto con lei.

Le era sembrato così strano, quel giorno.

Aveva il sospetto che ci fosse un motivo ben preciso, e forse lo aveva anche indovinato. Non era un’ingenua. Adesso che lei era duchessa, che la guerra era vinta, che il trono era suo, la loro presenza lì non era più richiesta. 

Presto sarebbero volati via tutti e due, lontano da lei, dentro le stelle. 

E lei sarebbe rimasta sola.

Satine poggiò la testa sulla sua spalla, e Obi Wan ricambiò con un leggero tocco della tempia.

- Vorrei poter restare con te, ma stanotte la mia famiglia ha bisogno di me.-

- Non ti avrei mai portata via da loro.-

- Dormiamo insieme domani sera? Vorrei restare con te dopo l’incoronazione.-

Obi Wan alzò gli occhi al cielo e Satine potè vedere il bagliore delle stelle riflesso nei suoi occhi. 

O forse aveva di nuovo gli occhi lucidi.  

- Se la Forza me lo consentirà, sì.-

E Satine comprese quale fosse il problema.

- Stasera dormo con te, allora. Non mi interessa. Dormirò con la mia famiglia per tutta la vita.-

Obi Wan non la guardò nemmeno.

- No, stai tranquilla. Loro sono tutto quello che hai, e poi adesso sei duchessa, hai dei doveri da compiere.-

Tra questi, non ci sono io.

- Resta con loro. Te lo sei meritato, e ti sono mancati molto.-

Satine rimase a fissarlo, un senso di conclusione, di qualcosa di definitivo che le stringeva lo stomaco, e non ebbe più voglia di mangiare, di dormire, di fare niente di quello che aveva imparato a fare in quei mesi.

Gli strinse le dita e lo sentì ricambiare.

- Allora, ti prego, domani dammi una mano a prepararmi. Maryam non potrà. Acconciami i capelli come sai fare tu. Alla mia incoronazione ci sarete, vero?-

Obi Wan rimase a fissarla, e sentì le sue dita sfiorargli la guancia là dove una lacrima aveva lasciato un sottile solco iridescente mentre il suo cuore andava in frantumi.

- Non mancherei per nulla al mondo.-

 

La trovò che passeggiava avanti ed indietro per la stanza, tesa come una corda di violino.

Avevano passato entrambi una notte parzialmente tranquilla. Dopo l’ennesima crisi di pianto nascosto in bagno, Obi Wan aveva deciso che era giunta l’ora di darsi un contegno e di fare il Jedi, ovvero di piantarla di essere umano. Satine era solita mettere da parte se stessa per il bene comune ed era giunto il momento di imparare da lei. 

Di fare come lei.

Non sapeva che, in verità, la ragazza si era svegliata alle prime luci dell’alba, agitata tanto quanto lui e con la netta sensazione che le sue conquiste non avessero poi un sapore così dolce. 

Maryam era andata a prendere Bo, perché era decisa a portarla all’incoronazione - con la forza, se fosse stato necessario. Athos e suo padre si erano offerti di aiutarla a prepararsi, ma Satine aveva cordialmente declinato l’offerta, spedendoli entrambi a lisciarsi le piume per la cerimonia che si sarebbe tenuta di lì a poco.

Così, Satine si era messa di buona lena a prepararsi, prima della colazione, in segreta attesa di un cavaliere che sarebbe dovuto sopraggiungere di lì a poco per pettinarle i capelli.

In effetti, così fu.

Puntuale come un orologio, Obi Wan bussò alla sua porta con molto garbo, cercando di non disturbare. 

Satine gli aprì immediatamente e rimase ad osservare col cuore gonfio di tristezza gli occhi grigioverdi del ragazzo, ancora arrossati e gonfi, ma con una luce di determinazione brillante nelle pupille.

Si sentì stringere lo stomaco e distolse lo sguardo.

- Allora, nervosa?-

- Terrorizzata sarebbe un termine più appropriato.-

Obi Wan abbozzò uno dei suoi sorrisi sghembi e fissò la stanza, come per invitarla a farlo entrare.

Una parte di lei voleva scomparire. Permettergli di farle i capelli significava prendere l’ennesima decisione che le avrebbe spezzato il cuore. Il momento della partenza si avvicinava e lei lo sapeva. 

Anche lui lo sapeva, evidentemente. 

Sarebbe stato meglio se avessero cominciato ad allontanarsi, dimenticarsi.

Si spostò dalla soglia e gli permise di accomodarsi.

I fili d’alba di Satine non erano ancora ricresciuti alla loro lunghezza originaria, ma erano decisamente più lunghi. Ormai non erano più acconciati in uno sbarazzino pixie cut, bensì cadevano in modo informe in onde delicate attorno al suo viso e sulle sue orecchie. 

Passarci le dita dentro era piacevole come la prima volta in cui lo aveva fatto.

Pettinò, tirò, acconciò, fermò con uno svariato numero di mollette. Satine gli dava indicazioni, ma si rese ben presto conto che la presenza di Maryam avrebbe fatto la differenza. Aveva insistito molto per averlo vicino, ma la carriera da parrucchiere non si addiceva al giovane padawan.

In verità, la ragazza aveva deciso di lasciarlo fare. Avrebbe aggiustato l’acconciatura più avanti. L’importante era condividere quel momento, far tesoro di ogni secondo che la Forza le aveva concesso con lui. 

Chiuse gli occhi e si rilassò mentre il padawan le passava le dita tra i capelli, un po’ troppo a lungo per essere effettivamente dovuto all’acconciatura. Entrambi sapevano che stavano solo guadagnando tempo e nessuno dei due si sentì in dovere di dirlo ad alta voce.

Tuttavia, anche le occasioni migliori prima o poi finiscono, e l’ora della colazione e dell’incoronazione si stavano avvicinando pericolosamente. 

Satine non ebbe bisogno di ritoccare la sua acconciatura più di tanto. Un po’ di lacca e due colpi di spazzola fecero il miracolo sulla sua capigliatura ancora piuttosto corta. 

La tiara ufficiale era enorme. Gliel’avrebbe posizionata suo padre direttamente sulle spalle. Sulle spalle, sì, perché si trattava di un grosso palco di pietre intarsiate, un’ampia corolla simile ad un fiore dei colori dei Kryze che avrebbe trovato stabilità soltanto con il sostegno della sua schiena.

Molti duchi e Mand’alor l’avevano indossata prima di lei. Si narra che Otis Botte di Ferro l’abbia indossata durante le celebrazioni in onore di suo padre Ordo il Sordo, e che un colpo di vento lo abbia letteralmente ribaltato, complice l’enorme peso posto sulle sue spalle e la sua costituzione abbondante. Pare che Otis Botte di Ferro ci sia rimasto talmente male per quella figura barbina da imporre la creazione di una corona sostitutiva in beskar cavo, leggerissimo, rivestito di una resina che l’avrebbe resa praticamente identica all’originale, ma pesante meno della metà. 

Per tutto il suo mandato, Satine avrebbe indossato la corona finta, se così si può dire, mentre quella vera avrebbe fatto bella mostra di sé a Kryze Manor o, più propriamente, al Museo dei Leader a Sundari. 

Quel giorno avrebbe indossato di nuovo la tiara da principessa, questa volta nutrita di parecchi filamenti argentati e una spilla di vetro per coprire la chiusura. 

Un tempo l’avrebbe nascosta nel ciuffo, ma ormai i capelli non c’erano più.

Chissà che fine avevano fatto. Magari qualcuno li stava ancora inseguendo in giro per la galassia.

Durante l’incoronazione, dunque, suo padre avrebbe sganciato alcuni fili della tiara da principessa, per applicare invece quella da Mand’alor. Avrebbe rimosso la perla che le ornava la fronte per sostituirla con il paramento ufficiale, un grosso cristallo blu dalla forma circolare incastonato in un drappo violaceo. Avrebbe rimosso, poi, i pendenti laterali per lasciare spazio alle zanne di mitosauro, intagliate anch’esse nei cristalli blu di Mandalore. Infine, avrebbe rimosso il fermaglio a forma di farfalla per lasciare spazio ad una composizione di campanule canterine. Alla fine di quel procedimento, la tiara da principessa, a parte alcuni elementi in argento che avrebbero continuato ad adornarle il capo, sarebbe praticamente sparita, sostituita da quella grandissima impalcatura dal peso spropositato che, in ultimo, le sarebbe stata posata sulle spalle.  

Obi Wan, dunque, non aveva l’onere di procedere alla vestizione ufficiale. Aveva soltanto l’arduo compito di posizionare gli ornamenti sulla sua fronte e sul suo vestito. 

- E’ bellissima.- disse il padawan, rigirandosi tra le dita la bella farfalla blu di vetro e metallo che avrebbe fissato sulla nuca di Satine. 

Era un compito difficile, a tratti quasi insormontabile per lui. C’erano tanti di quei fili d’argento da mettere a dura prova la sua pazienza, ed erano così belli nel riflesso dei capelli di Satine da fargli perdere la cognizione di quello che stava facendo.

Medita.

Non appena la chiusura scattò e la tiara apparve ben stabile sulla testa della duchessa, Obi Wan applicò la spilla sul retro, e lasciò che i fili argentati e le perle cadessero giù dal capo e le circondassero il viso.

Forza, quanto è bella.

Non si era truccata, se non per un velo sottile che la faceva sentire presentabile. Non voleva sembrare frivola o vanitosa. Lei era una persona semplice, e una persona semplice sarebbe rimasta.

A discapito delle sue convinzioni, tuttavia, avrebbe dovuto indossare l’abito più opulento che avesse mai visto. C’era broccato dovunque. La sottogonna era di broccato viola e tutto ciò che veniva a contatto con la pelle era stato fabbricato con fine seta di Cyrene dello stesso colore. La sottoveste era di broccato blu. Il soprabito era di broccato verde intenso, color acqua di mare, che si sposava perfettamente con l’insieme e cadeva sul suo corpo ad imitare la corolla di una campanula. 

Persino le scarpe col tacco erano intarsiate. E verdazzurre.

A tenere insieme il tutto vi era una cintura, che più che una cintura pareva un busto ortopedico. Alta, spessa, grossa e pesante, ricopriva l’intero addome, sosteneva il seno e, più prosaicamente, proteggeva buona parte degli organi interni. Satine sapeva che il cuoio era solo una facciata, e che dentro la cintura era attraversata da un’intelaiatura di beskar di alta ingegneria. 

Lapislazzuli di Draboon la ornavano e la facevano apparire un oggetto più innocente di quanto in verità non fosse.

L’intero vestito non sarebbe stato completo senza un pomposo manto verdazzurro ricamato, così grande da poter coprire un letto matrimoniale e pesante una tonnellata.

In un’altra circostanza, in cui l’ansia le avrebbe giocato meno scherzi, avrebbe avuto la prontezza di spirito di osservare che, più che eventi solenni, per lei quelle circostanze si traducevano in una sessione di sollevamento pesi - o trascinamento che dir si voglia, che si parlasse della corona o del mantello, poco cambiava. 

Mangiarono qualcosa nel privato della stanza della duchessa, e alla fine Obi Wan le appuntò i gioielli sul corpo. Le mise gli orecchini e la collana, e le fissò la spilla di madreperla sotto il collo, pronta per reggere il mantello.

Si permise un ultimo contatto con il suo corpo, facendole scivolare le mani lungo le braccia, prima di allontanarsi.

- Andrà tutto bene, vedrai.-

- Ne sono certa.- gli disse, fissandolo dritto negli occhi di bruma.- Ho accanto il mio cavaliere Jedi senza macchia e senza paura.- 

Lo baciò e strusciò il naso contro il suo, sperando che quella non fosse l’ultima volta.

 

La sua corte aveva dovuto accontentarsi dei posti in piedi. Le panche erano andate distrutte, e non c’erano abbastanza sedie per tutti.

La Sala Armi era circondata di Abiik’ade in alta uniforme. Gli ospiti di Satine, tutti pezzi grossi, erano vestiti anche più pomposamente di lei. Tra la folla spiccava una folta delegazione del clan Wren, con la contessina nei suoi abiti migliori; il sindaco della città di Khader, sempre zoppo e sempre più vecchio, ma in grandissima forma e sfavillante nella sua beskar’gam; Vercopa, nelle vesti del nuovo Venerabile del Consiglio dei Saggi, ed anche il nuovo Sommo Sacerdote del Tempio della Luce. Nel mucchio spiccavano una testa candida come la neve ed una di un improbabile color prugna, facilmente identificabili in Floran Farrere e sua figlia Indila.

Maudra Kell aveva ricevuto la richiesta di far entrare anche Thays Moran e i suoi tre figli, ed eccoli lì, tutti in fila di fronte alla madre e il più possibile composti.

Il piccolo mostrava il pollice bavoso a tutti, ma poco importava.

Maryam era in piedi in prima fila assieme ad una bambina rossa e ribelle che Satine conosceva molto bene.

Il sottotenente Skirata picchettava la porta. Athos attendeva dietro il trono, un mucchio di sassi che somigliava solo vagamente alla splendida opera d’arte che era stato in precedenza e che Satine aveva intenzione di ripristinare. Il duca Adonai Kryze era seduto sulla sua carrozzina, in attesa, il monitor acceso e il chip in posizione, inappuntabile e con la spilla di Vikandra sul colletto della camicia, come sempre.

Inga Bauer era in piedi alla destra del trono, assieme a Vanya e a parte della guardia personale dei Kryze. L’altra metà occupava il lato sinistro, dove c’era anche Maudra Kell.

Il suo Obi Wan era in piedi a fianco del trono, eretto, inappuntabile nella sua divisa da Jedi, pettinato e con qualcosa di malinconico e di fiero negli occhi.

Satine sospirò e strinse forte il braccio di Qui Gon.

- Siete pronta, ragazza mia?-

La duchessa sospirò di nuovo ed annuì.

- Sapete, non lo dico spesso, per cui fatene tesoro.- le disse, strizzandole un occhio.

- Sono molto, molto fiero di voi.-

Satine sfoderò un bel sorriso soddisfatto.

Il corno delle Abiik’ade suonò. 

Stringendosi vigorosamente il braccio a vicenda, i due varcarono la soglia della Sala Armi.

Quel giorno c’era un bel sole caldo. La luce dall’esterno illuminava la stanza di un bagliore bianco candido e spirava una bella brezza che il sistema filtrante della cupola lasciava fluire. In alcuni punti i vetri erano ancora rotti e le finestre sgangherate. 

Satine procedette con un lento incedere fino al trono, passando in rassegna tutti i membri della sua corte.

Il minore dei figli di Thays Moran cacciò fuori dalla bocca il pollice bavoso e lo mostrò alla duchessa con un sonoro guuuuu-ga. 

Satine annuì impassibile in segno di saluto, trattenendo il sorriso, e il suo cuore perse un battito dalla gioia quando vide la sorellina tra la folla.

Ben presto, però, i suoi occhi deviarono a sinistra, là dove il giovane Jedi la guardava con occhi fieri e brillanti, in piedi e in attesa, e si sorprese a sognare che stesse aspettando lei, non accanto al trono, bensì di fronte ad un altare sacro, non per una corona, ma per pronunciare i voti del riduurok. 

Il suo sogno ad occhi aperti durò solo un secondo, il tempo necessario per mettere radici nella sua testa, prima di concentrarsi e salire i pochi gradini che l’avrebbero condotta al trono.

Si inginocchiò di fronte a suo padre, che la guardava con occhi brillanti, più felice di quanto lo fosse mai stato in anni.

- In nome del popolo di Mandalore!- tuonò il monitor, mentre Kyla, con mani tremanti per la malattia e per l’emozione si accingeva a rimuovere la spilla blu dai suoi capelli.

Il gioiello cadde su un vassoio con un clangore metallico.

- In nome delle nostre tradizioni e della nostra cultura!-

Rimosse la perla sulla fronte e i pendenti.

Satine fece saettare lo sguardo attorno a sé, il cuore che batteva a mille nella cassa toracica.

- In nome dei nostri antenati, del loro valore e della loro eredità!-

Posizionò il grosso cristallo sulla fronte e gli orecchini.

Satine vide sua sorella che guardava fuori dalla finestra e le venne da sospirare.

- In nome dei nostri clan e delle nostre beskar’gam!-

Incastrò la tiara di fiori nei suoi capelli.

Poteva sentire la tensione crescente nella sala ed ebbe la consapevolezza che ormai l’incoronazione stava per terminare.

Assieme alla sua vita normale, se mai lo era stata. 

Ancora poche parole e sarebbe diventata ufficialmente il Mand’alor.

- In nome della Luce, in nome di Mandalore e del Manda!-

Con l’aiuto di Athos, Kyla Adonai Kryze, il Mand’alor uscente, sollevò la pesante tiara in aria.

La sala trattenne il respiro, immersa nella bianca luce del deserto di Sundari.

L’impalcatura si posò con grazia sulle spalle della duchessa, e ben presto il suo volto fu circondato da due grosse foglie verdazzurre coperte di incisioni in antico Kalevaliano.

- Io ti incorono legittima Mand’alor, duchessa Satine Kryze di Kalevala! Tor, ijaat, haat, verburyc, kotep!-

Nella sala si diffuse un urlo di acclamazione marziale assieme ad un tintinnar di tacchi e scarpe che battevano ritmicamente contro il pavimento. 

- Mand’alor! Mand’alor! Mando’alor!-

Satine restò un poco immobile sul trono, permettendo alla sua corte di ammirarla.

Maryam piangeva, ed anche Bo, stavolta più presente alla cerimonia, aveva arricciato il labbro.

Qui Gon, al fianco di Obi Wan, la guardava fiero.

Il suo Ben le sorrideva come solo lui sapeva fare, e per un momento ogni dubbio sul futuro svanì.

Inga e Maudra Kell avevano mantenuto la faccia di bronzo, ma potè giurare di scorgere uno scintillio nell’angolo dell’occhio della Figlia dell’Aria.

Suo padre aveva chiesto ad Athos di spengere il monitor, prima che dicesse qualche sproposito ad alta voce di fronte a tutta la corte, e i due si erano dati man forte per controllare le emozioni.

Ad un gesto di Vanya, vide Skirata dirigersi alle porte del balcone della Sala Armi. 

Satine si alzò, si inchinò delicatamente pregando di non ribaltarsi come Otis Botte di Ferro, attraversò la sala tra i capiclan che la acclamavano e si affacciò al balcone, dove una Sundari festante la accolse tra grida di giubilo e canti, stendardi, coriandoli e campanule canterine dovunque.

Satine accolse la folla a braccia aperte e poi prese a salutare la città che le avrebbe dato il maggior numero di soddisfazioni. 

Quello, tra coriandoli, feste e canti di giubilo, fu il giorno in cui Mandalore tornò alla vita. 

Fu l’inizio di un’epoca nuova, non meno tradizionale delle altre, anzi, forse di più. Vecchie tradizioni furono riportate alla luce, le differenze culturali non furono nascoste, bensì incentivate.

Qualcuno ha affermato che Satine Kryze era una conservatrice. In un certo senso, era vero. Conservava un’identità culturale molto forte, che però sapeva non essere dominante, isolante, bensì inclusiva e generosa. 

La stagnazione non fu combattuta con la distruzione e con le armi, ma con l’ingegno e la dialettica, col progresso. 

Quello fu il giorno in cui fu posata la prima pietra per la ricostruzione di Sundari, così come la conobbero i senatori della Repubblica, i cancellieri, i Jedi, i cloni e persino i Sith e lo sciagurato Imperatore. 

Satine, Qui Gon ed Obi Wan non ne avevano idea, ma quel momento, quel saluto offerto dal balcone di un palazzo in rovina ad un popolo stanco, sarebbe stato l’inizio di un’era e allo stesso tempo la fine di tutto.

Quel giorno ebbe inizio l’Epoca d’Oro di Mandalore, che sarebbe durata per quasi vent’anni.

E sempre quel giorno, guardando il proprio fallimento supremo, qualcuno su Coruscant decise che presto o tardi avrebbe ucciso Satine Kryze.

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Questo capitolo mi ha dato l’occasione per inserire quel gran, ehm, signore che era Pre Vizla, un soggetto che, almeno a mio parere, per fare il doppio gioco che ha fatto doveva avere del gran pelo sullo stomaco. 

Lo zio Larse Vizla, purtroppo, doveva scomparire per due motivi ben precisi. 

Innanzitutto, perché nel canone di Star Wars, Satine non arriva mai a scoprire chi sia il misterioso soggetto che tiene le fila di tutte le catastrofi della galassia. Ci andrà vicino, terribilmente vicino - ed è per questo che sostengo che sia uno dei personaggi più intelligenti e politicamente preparati dell’universo di George Lucas - ma non avrà il tempo di arrivarci del tutto.

In secondo luogo, perché il personaggio è di mia assoluta invenzione. Nel canone si parla di una guerra civile tra le due fazioni, ma non si menziona mai un leader politico opposto a Satine Kryze. Per questo motivo, per essere quanto più fedele possibile alla storia, sono stata costretta a rimuovere il personaggio del dittatore.

Anche la cerimonia di incoronazione è completamente inventata da me. Mi piaceva pensare, però, che l’abbigliamento della duchessa avesse antiche origini, una caratteristica di un clan unico che, per una volta, non imponeva l’uso della beskar’gam.

D’ora in avanti, sarà necessario procedere alla ricostruzione di Mandalore e dei pianeti del sistema. Per poter dedicare un po’ di tempo a quest’ultima fase finale, ho deciso di prolungare un poco la permanenza dei nostri Jedi al fianco della duchessa. Il canone parla di una missione dalla durata di circa un anno, io ho deciso di aggiungere circa cinque mesi in più. 

L’unica cosa con la quale mi sono permessa di giocare, di tutto ciò che compone il canone di Star Wars, è appunto il tempo.

Ormai mancano una manciata di capitoli alla fine della storia. Ancora qualche settimana ed il nostro viaggio nelle tradizioni di Mandalore e nella storia del Jedi e della Duchessa giungerà al termine. 

O meglio, il viaggio di Ni’Ven, Dom Baren e del droide Zeta nei ricordi e negli aneddoti del Custode di Kryze Manor sta per terminare, e rimangono ancora diverse domande a cui dare risposta.

Non preoccupatevi. Nell’epilogo tutto ciò che è rimasto in sospeso troverà una soluzione.

Tranne ciò che dovrà essere sviluppato… Nel seguito di Aliit: ascesa.

Un seguito il cui schema di base è già in fase di elaborazione. Vi avviso: ci vorrà un po’. Come questa storia, anche Aliit: caduta verrà pubblicato solo ed esclusivamente a lavoro ultimato

Non anticipo altro - anche perché non ho molto altro da anticipare, se non una lista di capitoli dal contenuto ancora informe - e vi lascio ai prossimi capitoli. 

Vi ringrazio molto per il sostegno che avete dato fino ad oggi a questa storia.

Attendendo un vostro feedback,

Vostra,

 

Molly.

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Capitolo 61
*** 51- Politichese ***


CAPITOLO 51

Politichese

 

- Devi motivarla meglio, Qui Gon. Non c’è motivo di prolungare la vostra permanenza su Mandalore.-

Il maestro si era preparato bene. Sapeva che avrebbe incontrato una certa resistenza, ma era anche certo che la missione non fosse finita. I cacciatori di taglie erano ancora là fuori, e nulla li avrebbe fermati se la taglia sulla testa della duchessa non fosse stata ritirata e soprattutto se Saxon non si fosse consegnato. 

Satine aveva finalmente conquistato il suo trono, Vizla si era suicidato in carcere e i dissidenti erano un manipolo di esagitati, ma Qui Gon sapeva che la vera minaccia sarebbe venuta dall’esterno. C’era qualcuno su Coruscant che aveva pagato profumatamente per il colpo di stato, e forse avrebbe continuato a pagare Saxon pur di vedere Satine morta, indipendentemente dal fatto che la duchessa avesse intenzione di recuperare i fondi che sarebbero serviti per pagare la sua taglia e li avesse destinati nuovamente alla riforma della sanità.

Questa, però, era una verità che Qui Gon sentiva di dover tenere per sé.

- Il dittatore è morto, Evar Saxon è in carcere, ma ci sono ancora dei dissidenti là fuori, e il figlio di quest’ultimo, Gar, è un serio pericolo per l’incolumità della duchessa. La battaglia di Khader non è stata facile come sembra. La minaccia nei confronti di Satine Kryze è reale, e il rancore portato da quel ragazzo è profondo.-

La fama dell’impresa compiuta dalla duchessa a Khader aveva raggiunto anche Coruscant, e il maestro Qui Gon potè vedere più di un volto impressionato tra le fila del Consiglio Jedi. 

Non tutti, però, si erano lasciati convincere.

- Poco importa. Adesso che la duchessa è sul trono, qualunque problema relativo alla sua persona inerisce alla sicurezza interna. Non è più la nostra giurisdizione.- 

Il maestro alzò un sopracciglio.

- Mace, con tutto il rispetto, la nostra giurisdizione è quella della Repubblica o quella legata alle richieste d’aiuto che riceviamo? No, perché a me risultava la seconda opzione, ma se abbiamo cambiato partito, ditelo.-

L’ologramma dell’uomo calvo alzò un sopracciglio e un sonoro grunt provenne dalla bocca rugosa del maestro Yoda.

- Ragione potresti avere, Qui Gon.- disse, battendo la punta del bastone per terra.- Tuttavia qualcos’altro, sento che c’è.-

Qui Gon sospirò.

Ci aveva provato. Proteggere Obi Wan era stata una delle sue principali priorità, ma adesso non aveva altra via d’uscita se non dire esattamente le cose come stavano.

- Sento che la Forza ci trattiene qui. Abbiamo risolto il mistero delle visioni del mio padawan.-

Il Consiglio riunito mormorò.

- Con il passare del tempo e una maggiore dimestichezza del Mando’a, abbiamo scoperto che la voce nella sua testa continuava a ripetere delle parole nella lingua locale.-

- Ovvero?-

- Il Ghiaccio Vivo di Kalevala. Cin'ciri oyayc. Uno dei tanti epiteti attribuiti alla duchessa. Successivamente, se ne sono aggiunti altri, come Chaab be Ruus Uj’ayl. Il Terrore del ghiacciaio del Monte Glassa di Zucchero. Fondamentalmente, il mio padawan ha passato mesi a sognare una voce che ripeteva il nome della duchessa di Mandalore.-

Questa notizia suscitò stupore nel Consiglio. Molti membri confabularono tra loro prima di essere perentoriamente interrotti dal bastone del maestro Yoda.

- Che il ragazzo sia destinato a compiere qualcosa, tu pensi.- disse, invertendo come sempre l’ordine delle parole.- Possibile, questo è. Tuttavia altro, tu ci devi ancora dire.-

Accidenti a voi, maestro!

Sospirò di nuovo e sentì le spalle abbassarsi.

- Il mio padawan ha sviluppato dei sentimenti per la duchessa.-

Mace Windu alzò gli occhi al cielo.

- Quel ragazzo ha sempre avuto dei problemi con l’attaccamento. Non un’altra Melida/Daan. Ti prego.-

Il ragazzo è il più sano di tutti, qua dentro.

- Numerosi avvenimenti mi hanno condotto a pensare che tali sentimenti siano ricambiati e soprattutto temo che ci sia lo zampino della Forza, almeno a giudicare da un certo numero di segnali. Prime fra tutti, naturalmente, le visioni.-

Satine l’aveva implorato di non fare menzione ad alcuno della Luce di Mandalore. Qui Gon aveva acconsentito senza fare domande, anche se aveva intuito il perché.

Finché Mandalore resta inesplorato, è protetto. 

Così, aveva deciso di non riferire nient’altro della loro avventura. Nulla che avesse avuto a che fare con la Luce di Mandalore o con gli spettri.

Il Consiglio si sarebbe dovuto accontentare. 

- Non abbiate timore, questa situazione non ricorda nemmeno per sbaglio quanto avvenuto su Melida/Daan. - concluse il maestro, gli occhi piccoli mentre scrutava il viso di Windu e con la memoria rivolta a quanto era accaduto durante la permanenza del suo giovane padawan dentro una certa vasca di bacta in un certo ospedale.

- E’ molto peggio di Melida/Daan.-

Ci fu uno sbuffo generale e qualche brontolio da parte dei più ortodossi. Il maestro udì distintamente la frase sarebbe stato meglio se fosse rimasto su Bandomeer.

- Insomma, vuoi dire che questa volta il ragazzo ha preso una bella batosta. Pensi che tornerà indietro con te?-

- Ne ha manifestato l’intenzione, per il momento.-

- Bene, allora prendilo e portalo via, prima che sia tardi.-

- Tardi per cosa? Se lo porto via senza un segno della Forza, come posso essere sicuro che sia la cosa giusta?-

- Quale segno della Forza? Hai finito la tua missione, punto e basta!-

- Non direi. I cacciatori di taglie sono ancora a piede libero, e se non proteggiamo la duchessa presto Mandalore andrà in pezzi di nuovo. La pace esiste solo sulla carta, Mace, e Satine continua a chiedere il nostro aiuto, almeno fino a che non avrà trovato i dissidenti e non avrà preso provvedimenti in materia. Intendo adempiere al mio dovere nei suoi confronti e nei confronti della Forza, che piaccia al Consiglio o no. Inoltre, voglio permettere ad Obi Wan di compiere una scelta consapevole, non dettata da costrizioni o senso del dovere. Se il suo futuro sarà al fianco di Satine Kryze o se sceglierà la Forza, voglio essere certo che non abbia rimpianti.-

Questa volta il Consiglio si fece silenzioso, come sempre quando Qui Gon prendeva delle posizioni che non li soddisfacevano. Tuttavia, il maestro potè scorgere un bagliore sospetto negli occhi di Mace Windu, come se stesse comprendendo davvero la sua posizione.

Mace era sempre una sorpresa, sotto ogni aspetto. Era giovanissimo, quando era entrato nel Consiglio, e da quel momento aveva suscitato nei Jedi impressioni contrastanti. Alcuni lo detestavano profondamente, per la sua schiettezza e i suoi modi burberi. Altri, invece, ne apprezzavano la franchezza, l’onestà e la rettitudine, anche se a volte le sue maniere lasciavano molto a desiderare. La sensazione di Qui Gon era che, dietro la maschera dell’uomo di pietra tutto d’un pezzo, ci fosse un uomo dai sentimenti talmente profondi da essere talvolta inesplorati. Del suo privato non si sapeva nulla, e lui non ne parlava in giro. La sua ex padawan, Depa Billaba, lo conosceva meglio di chiunque altro e lo adorava, quasi letteralmente, ed anche il maestro Yoda lo teneva in grande considerazione.

Non aveva mai dimenticato, tra le tante cose, l’episodio delle riviste equivoche nascoste sotto al letto, e pensò che un angolino del cuore di quell’uomo dovesse pur essere tenero.

- Ragione, potresti avere, Qui Gon. I sentimenti di Obi Wan, tuttavia, non poco mi preoccupano. Il ragazzo troppe difficoltà, ha già dimostrato. Una scelta saggia, potrebbe non essere.- 

Yoda si accigliò.

- Saggio che torni all’Ordine, potrebbe non essere, in ogni caso.-

Qui Gon alzò entrambe le sopracciglia e incrociò le braccia con aria bellicosa.

- State espellendo Obi Wan?-

- Non nego che qualcuno potrebbe essere a favore, in questo consesso. Io me ne chiamo fuori in ogni caso.- borbottò Windu, alzando le mani.

- Forza, vi ha dato veramente di volta il cervello! Jedi migliori di noi hanno sperimentato con i sentimenti durante i loro anni da padawan. Durante l’Alta Repubblica…-

- Non spiegare a me l’Alta Repubblica, Qui Gon.- sbottò Yoda, alzando il pomello del bastone.- Io c’ero, in quel tempo.-

Il piccolo omino verde lanciò uno sguardo pensieroso su tutto il Consiglio.

- Obi Wan, via, non andrà. Durante l’Alta Repubblica, possibile era, per i padawan, provare emozioni. Scoprire la sua strada, il ragazzo dovrà. Quando al Tempio tornerà, se tornerà, dimostrare fedeltà, lui dovrà.-

Ancora.

Non avrebbe riferito quel dettaglio al ragazzo. L’idea di essere torturato di nuovo lo avrebbe spinto di corsa tra le braccia di Satine. Qui Gon non voleva coartare la sua decisione, così, non appena la chiamata finì, riportò solo parte delle notizie alla duchessa e al padawan.

Li aveva lasciati a fare colazione, ma li ritrovò nella sala esattamente come li aveva salutati qualche minuto prima. Non avevano quasi toccato cibo, e solo Satine aveva rigirato un poco la forchetta nel piatto nella speranza di acquisire calorie sufficienti a farle leggere il lungo rapporto di Inga sull’arsenale dei dissidenti.

Non appena lo vide, Obi Wan balzò in piedi, quasi ribaltando la sedia per la tensione.

Satine fu più composta, ma la forchetta tintinnò pericolosamente sul bordo del tavolo.

- Allora?-

- Allora restiamo. Non so per quanto ancora ce lo permetteranno. Sono riuscito a prolungare la nostra permanenza di un paio di mesi, ma non posso garantire nulla.-

Satine annuì e parve che un grosso peso le fosse stato tolto dalle spalle. Obi Wan, invece, si sedette di nuovo con gli occhi bassi, forse cercando di metabolizzare la notizia e realizzarne il significato.

- Bene!- disse Satine, muovendo nella sua direzione ed allargando le braccia. - Sono contenta che restiate. E’ fondamentale partire al più presto per rimettere in sesto il sistema. Dovranno vedermi su Draboon, Krownest, Kalevala, Concordia, per non parlare poi del rapporto di Inga. Abbiamo bisogno di guadagnare tempo per…-

Ma Obi Wan non la ascoltava più. 

Sarebbe rimasto ancora per un po’.

Il sollievo fu immediato. Gli venne immediatamente fame e sentì ancora una volta gli occhi umidi. 

Incrociò lo sguardo di Qui Gon, sorridendo come un ebete ed incontrando un paio di occhi buoni. 

Così, mentre Satine continuava a blaterare di impegni politici, rapporti e programmi, il padawan si infilò una forchettata di uova in bocca, sentendosi rinato.

Aveva ancora un po’ di tempo da spendere con lei. Era incredibile come le sue priorità fossero cambiate completamente nel giro di un anno.

Un anno? Era passato già così tanto tempo?

Sembrava ieri che aveva raccolto un pezzo di ghiaccio dagli occhi blu nel mezzo della neve, un disastro psicologico che aveva richiesto parecchio tempo per essere riparato. Con il senno di poi, però, Obi Wan non era certo di essere stato lui a salvarla. Guardandosi allo specchio tutte le mattine - finalmente avevano uno specchio decente! - quasi non si riconosceva. L’insicurezza dai suoi occhi era sparita. Lo sguardo accigliato di un ragazzo che aveva paura della sua stessa ombra era scomparso, lasciando il posto ad un volto giovane, sì, ma più maturo, più consapevole, e l’espressione sul suo viso, più che disagio, esprimeva la tristezza della consapevolezza.

Lui, forse, aveva salvato lei, ma il padawan era certo che fosse stata lei a salvare lui dai suoi stessi demoni.

Proteggerla sarebbe stata ancora la sua priorità. Nella sua mente di ragazzo innamorato - lucida abbastanza da comprendere che con il passare del tempo tutto poteva comunque cambiare - proteggerla sarebbe stata sempre la sua priorità, ma quel momento di pausa dalla paura e dal pericolo gli avrebbe permesso di restare con lei. Restarle accanto davvero, vederla fare politica, guardarla mentre contratta con i suoi oppositori e con i suoi pari di pianeti diversi. Non sarebbe più stato vicino ad una ragazza bionda dagli occhi di cielo, sperduta nei pericoli del mondo. Quella ragazza era diventata la duchessa di Mandalore, il Mand’alor, e per quanto lui potesse amarla per la semplice ragazza che era, avrebbe dovuto fare i conti con tutto ciò che la sua nuova posizione comportava.

Satine sarebbe sempre rimasta la stessa. Adesso, Obi Wan avrebbe dovuto imparare a convivere con la duchessa.

Voleva che ogni minuto passato con lei diventasse speciale, avesse un senso, non tempo vuoto sprecato ad inseguire dei segni della Forza che non sapeva nemmeno quando e come sarebbero arrivati. 

Mentre rimuginava su queste cose, la giornata di Satine trascorreva lenta e tediosa. 

Per prima cosa, subito dopo colazione, mandò a chiamare Ursa Wren, per discutere di alcuni dettagli.

- Intendo palesarmi su Krownest il prima possibile. Avrei piacere che tu fossi presente. Quando pensi che si possa fare?-

Non aveva chiesto il permesso. Si era imposta. 

Verrò su Krownest, che ti piaccia o no, alleati o meno. 

La ragazza alzò un sopracciglio, ma non replicò.

- Quando vorrete, Duchessa. Le porte delle nostre città sono sempre aperte.- 

Satine sfogliò distrattamente un’agenda bruciacchiata. L’aveva trovava tra le macerie e l’aveva riutilizzata. Era appartenuta ad uno studio dentistico ormai distrutto, a quanto pareva, perché Satine aveva aggiunto a penna Appuntamento con Inga ore 11:00 dopo aver cancellato Omar V. per dentiera, ore 9:30.

- Benissimo, allora ci vediamo tra tre giorni a Sal.- 

Ursa rimase quasi frastornata da quella notizia.

Sbatté per un secondo le lunghe ciglia sugli occhi a mandorla. 

- Tre giorni? Come tre giorni?-

- Certamente. Oggi penserò a fare i bagagli. Domani mi attendono su Draboon per l’insediamento del governatore. Dopodomani mi prenderò mezza giornata per lasciare il pianeta, spostarmi su Krownest e provvedere al discorso che terrò. Sal è il posto adatto. L’intera città si è sollevata pagando un prezzo fin troppo caro, e come ben sai la vicina Loras ha pagato un costo in vite umane molto elevato, sia per la guerra che per gli spettri. Ho delle promesse da mantenere, non trovi?-

Presa in contropiede, la contessina alzò le spalle, senza sapere che dire.

- Allora è deciso!- le disse Satine, infilandole un braccio nell’incavo del gomito ed accompagnandola fuori dalla stanza.

- Mi dispiace sembrare sbrigativa, ma purtroppo sono in molti a tirare i lembi del mio mantello, in questi giorni. Dare ad ogni cosa le giuste attenzioni può essere davvero molto, molto difficile. Conto sulla tua collaborazione, allora. Tra tre giorni a Sal!-

E richiuse la porta alle spalle di una contessina che cominciava appena a rendersi conto di che cosa volesse davvero dire avere a che fare con quell’uragano che era Satine Kryze di Mandalore.

In effetti, quelli erano stati giorni davvero frenetici. Se la giovane duchessa e i suoi protettori avevano pensato di potersi riposare, si erano sbagliati di grosso. 

Avevano passato ogni singolo minuto libero alla stesura di un armistizio, che fu prontamente approvato e consegnato all’unico superstite rimasto, ovvero Evar Saxon. 

L’armistizio era piuttosto chiaro ed inequivocabile: consegna di tutte le armi, disarmo dei due clan, un patto in base al quale i Saxon e i Vizla si impegnavano a non offendere il clan Kryze negli anni a venire, consegna dei criminali di guerra. Inoltre, la duchessa aveva chiesto ed ottenuto l’interdizione dai pubblici uffici e la decadenza da alcuni diritti politici - tra cui la facoltà di candidarsi ad ogni tipo di elezione - per i mandanti del colpo di stato e per tutti coloro che dovessero essere ritenuti colpevoli delle azioni criminali commesse in guerra. 

Per parte sua, Satine si obbligava al rispetto del patto di non offensività, al disarmo e alla garanzia di un giusto processo nei confronti di tutti gli imputati, e faceva salvi tutti i diritti civili e politici per coloro che venissero riconosciuti innocenti. Si obbligava a non scendere al di sotto della dignità umana nei trattamenti detentivi e in fase di interrogatorio. 

In buona sostanza, garantiva di rispettare il nemico caduto.  

Saxon, livido in volto, aveva firmato l’armistizio senza dire una parola e, come prima cosa, aveva confessato di non sapere assolutamente dove fosse suo figlio Gar.

- Il codice di atterraggio era solo per me e per Vizla, non ne avevamo uno anche per lui.-

- Chi ve lo ha dato?-

- Non lo so. Io ho parlato solo con un intermediario, un tipo strano dalla pelle azzurrognola e un fortissimo accento di Coruscant. Era Vizla quello che sapeva.-  

Così, Satine era stata costretta a ripiegare sul normale controllo allo spazioporto, consapevole che, però, Saxon sarebbe potuto andare dovunque senza essere trovato. 

 

Subito dopo Ursa Wren, Satine agguantò in corridoio il sottotenente Skirata e lo condusse senza troppi mezzi termini dentro la stanza che aveva adibito ad ufficio.

- Ho bisogno di un favore, mio caro Idril.-

Il ragazzo gonfiò il petto, dandosi un sacco di importanza.

- Ho bisogno che tu svolga un incarico molto delicato per me. So che sei stato, diciamo così, un addetto alle comunicazioni. Un sovrintendente, per la precisione.-

Un modo come un altro per dire che hai fatto la spia.

- Sì, signora.-

- Bene. Abbandona pure quel signora, ragazzo, con me non attacca. Devo affidarti un incarico personale, e mi serve che tu impieghi la massima discrezione, ci siamo capiti?-

Sentendosi incaricato di qualcosa di confidenziale, il giovanotto provò a farsi serio, ma il bagliore di entusiasmo nei suoi occhi era difficile da celare.

- Prima dello scoppio di questa terribile guerra, faceva parte della mia scorta un uomo, che i suoi sodali chiamavano Alec. Sono consapevole che questo nome era soltanto convenzionale, ma sono riuscita a scoprire che, il giorno prima della sua morte, aveva avuto un figlio che aveva chiamato Mun. All’epoca gli promisi vestiti e giocattoli. Ora credo di dover fare molto di più. Vorrei che tu rintracciassi la moglie e il bambino per me.-

- Sì, sig… Ehm… Duchessa?-

- Ti voglio chiedere anche un altro favore. Prendi tutte le informazioni che hai su una certa Thays Moran e portamele qua. Acqua in bocca, siamo intesi?-

Il ragazzo si passò pollice ed indice sulle labbra, come per chiudere una cerniera.

- Bravo, figliolo. Adesso va, non perdere tempo che oggi il tempo lo devo distribuire col contagocce!-

Si fermò sulla porta quando già stava per chiuderla alle spalle del sottotenente, pensò un attimo, girò sui tacchi e tornò indietro, in corridoio.

- Aspetta! Ho un altra cosa da farti fare! Ho bisogno che tu cerchi la professoressa d’architettura dell’Università di Sundari. Mi serve una consulenza. Puoi procurarmi anche il numero dell’architetto Seladon? Grazie!-

- Certo. Per quando?-

- Un’ora ti basta?-

Skirata sbatté le palpebre, perplesso.

- Farò del mio meglio.-

- Bravo ragazzo, così mi piaci!-

Questa volta chiuse la porta per davvero.

Il rapporto di Inga Bauer era lungo e tedioso. Satine lo aveva ripassato per bene ed era giunta alla conclusione che, nonostante ormai fosse stata acclamata duchessa e godesse dell’immunità che quella posizione le garantiva, non poteva dirsi ancora del tutto al sicuro. 

Come se il mestiere di Mand’alor potesse davvero mettere al sicuro qualcuno. Un capo di Stato è sempre in pericolo, il leader dei Mando è in pericolo per definizione.

Per questa ragione aveva chiesto a Qui Gon di restare. Certo, l’influenza di un paio di occhi da cucciolo grigioverdi c’era stata, ma la razionalità di Satine era stata dominante e le aveva permesso di analizzare la situazione anche alla luce di quel rapporto.

Durante il suo periodo su Aldeeran, le Abiik’ade avevano avuto più tempo per cercare l’arsenale di Vizla, ma non lo avevano trovato, nemmeno quando Satine aveva manifestato l’intenzione di partire per Bral. Questo, però, aveva fatto sì che le Figlie dell’Aria aumentassero l’attività di perlustrazione del pianeta e riuscissero ad intercettare di nuovo la loro talpa tra le fila di Vizla, che aveva fornito, finalmente, delle informazioni interessanti. 

Era venuto fuori, infatti, che Vizla, asserragliato dentro il Palazzo del Governo, comprendendo che ormai Satine Kryze aveva vinto la guerra, aveva dato l’ordine di dare fondo a tutte le armi dell’arsenale, scaricandole su Sundari e su qualunque centro abitato fossero riusciti a colpire. Le immagini della marcia di Sundari, però, arrivate fin sugli schermi di quel luogo segreto, avevano fatto desistere i più e coloro che non avevano desistito erano stati, ehm, sistemati dalla talpa in questione. 

Era stato così che nulla di più era accaduto, Vizla era stato catturato e il regno di Satine Kryze era potuto iniziare.

L’arsenale era situato su Mandalore, nel bel mezzo del deserto e sulla linea dell’equatore, un luogo talmente inabitabile da non essere mai stato preso in considerazione da nessuno sano di mente. Adesso, tutte le armi, incluse quelle chimiche, erano in possesso delle Abiik’ade, e Satine programmava di fare qualcosa di quel centro, anche se non sapeva ancora bene che cosa.

Magari un centro di smaltimento di rifiuti speciali, come armi o materiale radioattivo.

In ogni caso, quelle armi non sarebbero più servite a nessuno, né a Vizla, che ormai era morto, né a Saxon padre, che rimaneva in carcere, o a Saxon figlio e ai suoi sodali, troppo pochi e male armati per assaltare il magazzino circondato da mezzi dei Nuovi Mandaloriani. Quelle armi andavano isolate e distrutte. 

Le Figlie dell’Aria avevano comunque predisposto una sorveglianza puntigliosa, per evitare incidenti. 

Per di più, strani movimenti attorno al sistema facevano pensare che chiunque la volesse morta, su Coruscant, non avesse ancora ritirato la taglia sulla sua testa. Magari ne aveva garantita una di tasca propria, adesso che Satine avrebbe dirottato tutti i fondi sulla sanità.

Questo significava che non era ancora al sicuro.

Nonostante il numero di dissidenti fosse esiguo e buona parte della Ronda della Morte fosse rinchiusa in carcere, essi erano abbastanza pericolosi e ben addestrati da poter causare grossi problemi. Inga già aveva messo in conto possibili atti di terrorismo nei principali centri del sistema e nel suo rapporto aveva chiesto di creare hotspot specifici da tenere sempre, costantemente sorvegliati. 

Uno di questi era, naturalmente, il Palazzo del Governo di Sundari, ma c’erano anche Kryze Manor e la Magione del Governatore di Draboon, e molti altri ancora.

Quando Inga si presentò sulla porta, alle undici in punto come pattuito, Satine aveva già un piano ben preciso.

- Sono d’accordo per quanto riguarda gli hotspot, ma non sono d’accordo sul tenere a piede libero dei pericolosi terroristi. Dovremo creare un luogo dove poterli rinchiudere tutti.-

- Un carcere speciale?-

- Una specie. Beninteso, non voglio ostracizzare nessuno, ma ritengo che, almeno in questa fase di assestamento, non si possa fare altrimenti. Non posso permettere a un centinaio di persone… Quante sono? Un centinaio, vero? Non importa, sono comunque poche rispetto alla popolazione, e non posso permettere loro di gettare il sistema nel caos. Allo stesso modo, però, non possiamo nemmeno intasare i nostri penitenziari. Il nodo giustizia deve essere sciolto.-

- Mi ripropongo di offrire una soluzione nel più breve tempo possibile. Che cosa hanno detto i Jedi?-

Satine sapeva che non poteva dare un ultimatum ad Inga come aveva fatto con la contessina ed il sottotenente, tuttavia sperava sinceramente che potesse giungere ad una soluzione in tempi brevi.

- Per il momento restano, ma se il Consiglio chiamerà, saranno tenuti a rispondere, purtroppo.-

La generale annuì e alla duchessa parve di scorgere un lieve bagliore nei suoi occhi scuri, simile a sollievo.

- Inoltre, voglio vederci chiaro sulla morte di Vizla. Non possiamo ancora abbassare la guardia, e considerato che domani comincerò il mio tour del sistema…-

- Domani?- fece la generale, strabuzzando gli occhi.- Come domani?-

- Non posso perdere altro tempo, il vetro va soffiato finché è caldo. Dicevo, considerato che domani comincerò il mio tour del sistema, credo che sia opportuno convocare anche la generale Kell e discutere dell’organizzazione della mia sicurezza personale, nonché di quella della mia famiglia.-

La generale la guardò con un misto di sgomento ed irritazione.

Questa ci tiene proprio a farsi ammazzare.

Alla fine capitolò, e l’ora di pranzo trascorse tra piani d’azione e misure di sicurezza.   

Anche i Jedi vennero coinvolti. 

Skirata fu di parola e consegnò tutti i suoi fascicoli - una pila di cartellette colorate che avrebbero ingombrato per giorni la scrivania di Satine - nel giro di un’ora e mezza. Si scusò per il ritardo e scomparve per il resto della giornata, dedicandosi alle sue mansioni prima che Satine potesse appioppargliene altre.

Obi Wan insistette affinché Satine mangiasse qualcosa per pranzo, ma la ragazza si concesse soltanto un boccone al volo con la propria famiglia in procinto di ripartire per Kalevala, perché dopo la terribile riunione con Inga e Maudra Kell, durata quasi tre ore e in ogni caso non del tutto conclusiva, la duchessa si riservava di tenere a colloquio non uno, bensì due architetti.

La titolare della cattedra di architettura dell’Università di Sundari era una tipa particolare, che si presentò in beskar’gam, ogni pezzo di un colore diverso. 

Al di là della sua armatura patchwork, era una luminare nel suo settore, e Satine le suggerì senza troppi mezzi termini di dare fondo alla fantasia per ricostruire Sundari. 

L’architetto Seladon, invece, era una cima nell’architettura green, ed era famoso per aver progettato la PharmaMandalore. 

Satine, naturalmente, voleva rivedere il progetto ed averlo pronto per quando sarebbe andata su Krownest. 

Ovvero, da lì a tre giorni.

- Tre giorni? Come tre giorni?-

- Non importa che sia curato nel dettaglio, basta che sia sufficiente a ricostruire la fabbrica. Al resto, penseremo con calma alla fine del mio giro del sistema.-

L’uomo sbatté le palpebre, perplesso.

- Farò del mio meglio.-

- Oh, grazie, architetto.- rispose Satine, con le dita intrecciate sotto al mento e l'aria sorniona.- Sono certissima che ce la farete.-

A parte il breve incontro con le due generali, Obi Wan e Qui Gon non la videro per quasi tutto il giorno. Rimasero a guardarla da lontano, di guardia alla porta, vedendola trottare a destra e a manca e accogliendo un ospite dopo l'altro, tutti quanti che se ne andavano con l’aria di essere appena usciti dall'occhio di un ciclone.

Soltanto a sera, dopo cena, Satine si gettò nel letto del giovane padawan, stremata.

- Te lo avevo promesso.- gli disse, accoccolandosi sulla sua spalla.- Te lo avevo promesso.-

Obi Wan non fece nemmeno a tempo a risponderle che Satine già ronfava nell’incavo del suo collo. 

 

Draboon sembrava ancora uscito dalla fantasia di un pittore surrealista, nonostante fosse passato molto tempo da quando vi erano stati. Le forme geometriche, le spirali colorate nel terreno, tutto era ancora intatto. Soltanto qua e là vi erano i segni della guerra: qualche cratere dovuto ad alcune bombe, le fenditure nelle mura della città, le ammaccature sulle cupole di beskar erano tutti indici che una battaglia era avvenuta anche lì, in quel posto così placido ed ameno. 

Satine era atterrata sul pianeta di buon mattino. Con lei erano atterrate anche cinque Figlie dell’Aria e la sua guardia personale, che si sarebbe unita al contingente di Nuovi Mandaloriani di cui il governatore era a capo.

Quella sarebbe stata una giornata intensa. 

Aveva trovato i Farrere al completo ad aspettarla. Floran portava fieramente la sua chioma bianca su un abito formale blu pervinca, e sua figlia Indila aveva preso l’etichetta alla lettera e si era tinta i capelli dello stesso colore.

Pranzarono tutti assieme alla Magione del Governatore. Era un bel palazzo, concordemente allo stile degli altri palazzi di Draboon. Assomigliava molto alla sede del municipio di Solus, per come la ricordavano i Jedi, solo molto più grande e molto più luminosa. 

Satine aveva dei piani ben precisi per quel pranzo, che non aveva confidato a nessuno, nemmeno ad Obi Wan. Il giovane padawan, però, ebbe la sensazione di essere oggetto dell’interesse della giovane Indila, che lo aveva fissato per tutta la mattina con le ciglia lunghe e gli occhi intelligenti sotto i capelli da Memoria dei Sogni.

L’aveva vista confabulare di soppiatto con la nuova duchessa mentre percorrevano gli ampli corridoi della Magione, dandole di gomito, ed aveva avuto la sensazione di essere l’oggetto di qualche commento.

In effetti così era stato. Non appena l’aveva avuta vicino, infatti, la giovane Indila era andata a sincerarsi della favorevole situazione sentimentale dell’amica.

- Dì un po’, chi è il bel bambino dagli occhi dolci che ti porti dietro?-

- E’ il mio protettore.-

- Questo non ne dubito.- le aveva detto, lanciandole un’occhiata sorniona.

Satine aveva aggrottato le sopracciglia.

- Non so di che cosa tu stia parlando.-

- Dì, ti protegge sempre? Ma sempre sempre? Notte e giorno? E dovunque?-

- Dai, Indi!-

- Se non lo vuoi, me lo presti?-

- Non so se accetterà, è un Jedi.-

- Ah, pure proibito! Te lo sei scelto per benino!-

A quel punto le aveva dato una gomitata ed aveva nascosto un risolino.

Satine, però, non era intenzionata ad introdurre distrazioni nella loro conversazione, a pranzo. Le serviva la piena attenzione del clan Farrere, ed aveva assolutamente intenzione di ottenerla.

Così, tra un boccone di carne e una foglia di insalata, decise di partire in quarta.

- La situazione di Draboon è decisamente migliore di quella su Mandalore e Krownest. Siete riusciti a mantenere l’integrità di buona parte del vostro territorio.-

Floran Farrere alzò la forchetta, con aria fiera.

- Le nostre cupole di beskar hanno fatto un discreto lavoro. Per non parlare della popolazione. L’aiuto delle Figlie dell’Aria è stato fondamentale per le operazioni di esfiltrazione, ma devo dire che chi è rimasto ha fatto di tutto per mettere in crisi Saxon. E’ finita con un sonoro calcio nel didietro. Non so se sei stata informata dei fatti.-

- Sì, e sinceramente sarei stata volentieri a guardare la scena, ma le circostanze mi avevano portato altrove.-

- E dove, se posso chiedere?-

- Su Krownest, credo. In ogni caso, ero nel sistema, nelle vicinanze di Draboon. La notizia mi ha molto rasserenato, anche in virtù della vostra collaborazione. La lealtà che mi avete dimostrato è stata provvidenziale, anche per il mio spirito.-

- Sono lieto di sentirtelo dire.-

Satine mangiucchiò un poco della sua insalata e soppesò accuratamente le parole che stava per dire.

O la va o la spacca, e speriamo di non avere dell’insalata tra i denti.

- A questo proposito, vorrei capire come riusciremo ad impostare i prossimi mesi, o anni di governo nel nostro sistema.-

Floran Farrere era un gran volpone ed aveva già intuito ciò che quelle parole lasciavano presagire.

Almeno, lo aveva intuito in parte.

- Non ci sono molte strade: o riprendiamo da dove abbiamo lasciato, o procediamo con le elezioni.-

Satine arricciò appena il naso.

- Credo che sarebbe opportuno riprendere, almeno momentaneamente, il governo del pianeta come lo avevamo lasciato. Sarebbe un’ottima transizione, prima delle elezioni.-

- Procederai alla stessa maniera anche su Mandalore?-  

- Penso di sì. Per un primo momento, continuerò con i miei consulenti migliori. Un governo tecnico, mettiamola così. Poi prenderò le decisioni del caso per indire elezioni. Votare adesso sarebbe solo confuso e richiederebbe un’organizzazione troppo complessa. E poi, votare per cosa? Per un governo che risponde a che? Non abbiamo nemmeno un testo con i valori fondamentali, almeno non per il momento. Terrò in piedi il sistema con quello che abbiamo, nel frattempo convocherò una costituente e poi voteremo.-

Il silenzio calò tra i commensali. Solo il tintinnio delle forchette risuonava nella sala da pranzo.

Satine continuò. 

- Non nego, in tutta sincerità, che sono un poco frastornata e confusa. Creare un governo di reggenza… Già è stato difficile nominare un reggente - disse, tendendo il dito contro di sé. - immaginiamoci adesso, un intero governo. Avrò bisogno di fidarmi ciecamente delle persone che sceglierò.-

- Sono certo che non mancheranno.- continuò guardingo Floran Farrere.- Dopo quello che è successo con la Luce, sono certo che nessuno potrà dirti di no.-

- I miei collaboratori più stretti ad oggi sono quasi tutti militari, e capirai da solo che non ho intenzione di sfruttare eccessivamente queste conoscenze. Per un governo di pace, piazzare un militare in un posto chiave è controproducente. Sono certa che Inga farebbe bene agli interni, ma per lei ho altri piani.-

Indila aggrottò le sopracciglia.

- Parli come Mand’alor o parli come leader dei Nuovi Mandaloriani?-

Satine sorrise.

Indila non deludeva mai.

- Entrambi. Non ho intenzione di ripetere gli errori di mio padre. Se sono il capo di un movimento politico, non starò di certo a guardare mentre tale movimento si autodistrugge. Ho intenzione di proteggere almeno la prima metà del mio mandato da Mand’alor. Ci tengo alla pelle. Si tratta, dunque, di creare un governo di reggenza, e poi un governo che possa vincere le elezioni. Per questo è difficile. Praticamente, ne sto programmando due. Tre, se vogliamo contare le amministrative. Non voglio lasciare le province ai Vizla, nemmeno sotto tortura.-

Padre e figlia si guardarono, capelli bianchi rivolti verso capelli turchesi.

- Sembra complicato.-

- Lo è. Soprattutto da un punto di vista umano.-

E qui Satine calò l’asso, con la bocca piena.

- Per questo ho intenzione di sciogliere la provincia di Draboon.-

- Che cosa?

Floran Farrere era visibilmente oltraggiato, lo si poteva leggere nei suoi occhi. 

Chi non lo sarebbe stato? Aveva tenuto l’intera provincia sotto controllo anche quando erano arrivati i Saxon, ed adesso la donna per cui avevano combattuto li stava calciando fuori dalla Magione del Governatore.

- Questa non me l’aspettavo da te, Satine.- disse Indila, scuotendo il capo.- Abbiamo ribaltato il pianeta per te. Davvero, complimenti, bell’amica, se solo avessi saputo io…-

- Saputo che sto per nominare te reggente della provincia fino ad elezioni e tuo padre ministro dell’economia? Sì, so che mi avresti ringraziato.-

Padre e figlia restarono a bocca aperta. 

Satine masticò il boccone e deglutì. 

- Prendetelo come un ringraziamento per la vostra lealtà e per avermi permesso, se pur indirettamente e senza consenso, di rifugiarmi a Solus e di avere trovato un mezzo per fuggire dai cacciatori di taglie.-

Ci fu un attimo di silenzio in cui i due parvero soppesare le sue parole, con tutti i risvolti del caso.

Ministro dell’economia.

Governatrice ad interim, con la possibilità di ricandidarsi, visto il prestigio di cui godeva il clan dei Farrere sul pianeta. 

Solus.

Aspetta, Solus?

- Sei stata tu?- chiese Indila, alzando le sopracciglia turchine. - Sei stata tu a far scattare la cupola di beskar a Solus?-

- Proprio io, no. Sono stati i blaster dei cacciatori di taglie.-

- E sei fuggita a bordo di una navicella spaziale?-

- Sì, anche se, permettimi, mi avete rifilato una bagnarola. Gli altri mezzi che abbiamo trovato, invece, sono stati eccellenti.-

I due rimasero a guardarsi perplessi per un secondo, prima di scoppiare a ridere di gusto. 

- Non sei cambiata per niente.- commentò la ragazza, scuotendo i capelli turchini.- Demonio eri e demonio sei rimasta.-

- Per carità, ne ho abbastanza di nomi spaventosi! Demonio non è nelle mie corde!- fece Satine, scuotendo le mai e mettendosi a ridere.

Il pranzo continuò, ma l’atmosfera cambiò. Il gruppo era più disteso, festante, gioioso.

Solo sul finire del pasto la duchessa si permise di avanzare di nuovo la proposta.

- Dunque, accettate? Sarebbe un grande onore, per me.-

Floran Farrere alzò le spalle, recitando la parte di chi non ha altra scelta.

- Quando il mio Mand’alor chiama, io rispondo, altrimenti non rispetto il Resol’nare.-

Satine fece un sorriso malandrino.

- E tu, Indila?-

La ragazza fece lo stesso.

- Quando il mio Mand’alor e mio padre chiamano, io rispondo, altrimenti non rispetto il Resol’nare.-

Satine rimase un attimo interdetta e poi scoppiò a ridere, felice.

Con quei due, Draboon e le casse dello Stato sarebbero state in ottime mani.

- Voi due sapreste vendere sabbia agli Aki - Aki.-

Indila le strizzò un occhio.

- Disse quella del clan che di solito riscuote le tasse.- 

Così, una delle tante trattative che avrebbe dovuto condurre in quei giorni potè dirsi conclusa. 

- Dimmi ancora una cosa, però.- fece Floran Farrere.- Quali sarebbero stati gli altri mezzi che Solus ti ha fornito?-

Satine ammiccò.

- Susulurse, ovviamente. Quelli funzionano sempre.-

Solo dopo tutti quei sorrisi avrebbe scoperto di aver avuto dell’insalata tra i denti.

 

Il pomeriggio precedente al suo viaggio su Krownest, tappa intermedia del suo tour da Mand’alor, Satine l’aveva passato attaccata al commlink con l’architetto Seladon, alla ricerca di un compromesso sul progetto della PharmaMandalore.

- Non mi fraintenda, dottore, il suo progetto è bellissimo, solo che mi piacerebbe che fosse, come dire? Un po’ più ad impatto zero.-

- Ancora di più? Duchessa, se continuiamo così non ci sarà più nemmeno spazio per il tetto!-

- Sarebbe un grosso problema?-

- Un open space? A cielo aperto?-

- Beh, dipende da cosa ci si fa con quel piano scoperto, no?-

Tutto sommato, però, il progetto era buono, e Satine l’aveva accolto di buon grado. 

L’avrebbe portato con sé su Krownest, nella speranza di convincere la contessina della bontà delle sue intenzioni. Satine sapeva che Ursa stava giocando una partita tutta sua e sperava, con quel progetto e con qualche proposta in più, di convincerla definitivamente della decisione che aveva preso. Ursa era un osso duro e Satine sapeva che, con molta probabilità, si era legata al dito l’imposizione di un colloquio così a stretto giro. Nonostante il suo ultimatum molto ravvicinato, però, la ragazza si era dimostrata leale ed aveva fatto tutto quanto in suo potere per assicurare la sicurezza della nuova Mand’alor.

La cosa la faceva ben sperare. 

Quella mattina si era svegliata presto, e sulla sua navicella aveva continuato a fare avanti e indietro ripetendo e ponderando le parole che avrebbe detto e le proposte che avrebbe fatto.

Perché Satine, naturalmente, aveva un piano.

Sapeva che Ursa era la più ostica da convincere, e che se era passata al clan Kryze era stato soltanto per l’affronto che Larse Vizla aveva fatto al suo clan e per l’offerta di riforma sanitaria che suo padre le aveva promesso. 

Le sue proposte avrebbero dovuto essere all’altezza, e Satine aveva tutta l’intenzione di rispettare le promesse del padre, se non di rincarare la dose.

In effetti, aveva elementi a sufficienza per rincararla, la dose.

Quando sbarcò su Krownest, però, si rese subito conto che qualcosa non stava andando per il verso giusto. 

Atterrò a Sal, come aveva previsto, e la folla la salutò festante. Molti ripetevano il suo nome, Dala baar’ur, donna medico, segno che non avevano dimenticato la sua sfuriata nei corridoio dell’ospedale cittadino. 

C’era anche molta gente di Loras che era accorsa a salutarla. Satine riconobbe nella folla anche l’ostessa che li aveva rifocillati, e fu felice che fosse venuta a salutarla. 

In fondo, siamo parenti.

Quello che però Satine non aveva previsto era stata l’accoglienza della padrona di casa. 

Ursa Wren non si era portata dietro nemmeno un Nuovo Mandaloriano. Tutta la delegazione era composta da Wren in armi e niente di più, mentre Satine era circondata dalle Abiik’ade e da un conciliabolo di Nuovi. 

Era evidente che la contessina voleva fare una dimostrazione di forza. 

Dammi quello che voglio e forse, dico forse, potrei entrare a far parte della tua casata.

Satine sospirò, affaticata.

Quella sarebbe stata una delle trattative più difficili.

Strinse la mano di Ursa Wren alla maniera dei Mando e fu condotta dentro la Magione del Governatore, dove un tavolo ben allestito la attendeva.

Sarebbe stata da sola e senza scorta, salva la presenza dei due Jedi. 

Non c’era nulla da mangiare, nessuna delicatezza offerta per cortesia, nemmeno un bicchiere d’acqua.

Mi sarei accontentata anche di quella del rubinetto.

- Dunque - disse la contessina, sedendosi e facendole cenno di imitarla.- Immagino che abbiamo delle proposte da discutere.-

Satine alzò un sopracciglio.

Non era così che volevo che andassero le cose.

Senza dire una parola, la duchessa accese il datapad e proiettò il progetto della PharmaMandalore.

Ursa la studiò per un secondo.

- E’ lei?-

- E’ lei.-

La ragazza si grattò il mento, pensierosa.

- Non male.-

- Secondo me va ritoccato in alcune parti. Troppo impattante sull’ambiente. Se vogliamo che sia all’avanguardia, voglio fare le cose per bene.-

- Ritarderà la costruzione?-

- No, entro l’anno entrerà in funzione, come promesso. Nel frattempo, creerà manodopera e posti di lavoro, soprattutto per i costruttori di Loras.-

La contessina parve soddisfatta mentre girava attorno all’ologramma, scrutandolo bene in ogni suo angolo.

- Che cos’è che vorresti cambiare, esattamente?- 

- Il tetto. Sono già in contatto con Seladon per diminuire l’impatto. Troppo grande e spesso, vedi qui?- ed indicò il cornicione con il mignolo.

Ad Ursa non poteva importar di meno del cornicione, ma lasciò perdere. 

- Posso considerare l’accordo rispettato.-

Nella sala cadde il silenzio.

La scelta della contessina di tenere il colloquio in modo così spartano aveva confuso i piani della duchessa. Satine, esperta di protocollo, sapeva benissimo che in quelle circostanze stuzzichini, bocconcini e un bicchiere di qualcosa da bere, meglio se alcolico, era sempre d’obbligo. Una tartina e un bicchiere di vino rosso a bassa gradazione, e l’interlocutore si sentiva immediatamente a suo agio. 

Davanti al cibo si discute sempre meglio. 

Così, invece, sembrava più un interrogatorio di polizia che una trattativa politica. Da una parte apprezzava la schiettezza di Ursa, dall’altra stava cominciando a dubitare delle sue intenzioni. 

Nel protocollo, tutto è importante.

Accogliere un ospite così non è cortesia, specie se si tratta del tuo Mand’alor. 

Fosse stato anche soltanto per il fatto che Satine, a quel modo, era in seria difficoltà, senza sapere da dove partire e come dire ciò che aveva pensato di dire. 

Così, decise di prendere l’avversaria di petto.

Se voleva la schiettezza, le avrebbe dato la schiettezza. 

- Non intendo andare ad elezioni subito, Ursa. Non voglio destabilizzare l’equilibrio del sistema. Creerò un governo tecnico di transizione, mentre convoco una costituente. A quel punto, voteremo. Ci vorrà circa un anno. Il tempo di finire la PharmaMandalore ed ultimare tutte le grandi opere necessarie per la ripartenza.-

La ragazza parve soppesare quelle parole.

Ti sto offrendo la possibilità di restare dove sei, farti bella con la costruzione per garantirti uno zoccolo duro di voti per candidarti alle elezioni politiche e, se vorrai, potrai fare parte non solo dello Tsad Droten, ma anche di qualcos’altro, se lavorerai bene. 

- E questo che cosa mi viene a significare?-

Satine fece spallucce. 

- Che per quanto mi riguarda tu stai bene dove sei e non ho intenzione di mettere mano alla provincia di Krownest. La tua famiglia ha fatto un ottimo lavoro in questi anni, credo che sia più che giusto riconoscervene il merito. Resterai al tuo posto, a meno che tu non voglia sedere nella costituente o che tu non abbia altre ambizioni.-

Un lampo di luce bellicosa attraversò gli occhi della contessina.

- Fammi capire bene, tu stai dicendo che io ho il tuo benestare per restare in un posto che mi sono conquistata di diritto?-

Satine si accigliò.

- No, Ursa. Proprio no. Di solito, però, dopo una guerra civile gli equilibri cambiano, ed io ti sto dicendo che non ho interesse a cambiare proprio nulla e che per quanto mi riguarda quel processo su Krownest non ci sarà. Punto.- 

Fece una pausa, attendendo che la contessina digerisse le sue parole.

- A meno che - riprese, alzando le mani.- Tu non mi dica di avere altre ambizioni. Il tuo aiuto è stato fondamentale nella nostra vittoria, e sono convinta che…-

- Mi stai proponendo un posto allo Tsad Droten?-

Satine cercò di scegliere bene le parole.

- Sai benissimo che io non ho questo potere. Solo le elezioni possono stabilire se entrerai in Parlamento o meno. Ti reputo, però, una persona intelligente, e preferisco avere te attorno che altri più… Come dire? Ingarbugliati.-

In verità nessuno è più ingarbugliato di te e del tuo clan, ma preferisco averti come amica che come nemica. 

- Sono aperte le candidature per la costituente. In più, ho bisogno di gente fidata che porti avanti i progetti nel periodo di transizione. Stavo pensando ad un governo tecnico, giusto il tempo di concludere i lavori dell’assemblea per andare a votare. Se ritieni di poter contribuire, c’è posto anche per te. Se preferisci stare dove sei, va altrettanto bene. Qualunque scelta tu faccia, sono sicura che tu non sarai da meno di tuo padre.- 

Ursa sbuffò, ridendo divertita.

Satine non comprese proprio che cosa ci fosse da ridere.

La contessina prese a giocare con una penna battendola sul tavolo. 

- Sai perché mio padre è morto?- commentò, senza nemmeno guardarla in viso e rigirandosi la penna tra le dita. - Perché è passato ai Kryze. Se non avessimo mai cambiato casata, forse nulla di tutto questo sarebbe mai successo.-

Satine fissò per un momento la contessina da dietro l’ologramma azzurrognolo della PharmaMandalore.

- La follia non è stata di tuo padre. Dubito che la posizione del clan Wren avrebbe cambiato granché. Larse Vizla era completamente fuori di testa e anche tu ne hai avuto la prova. Persino tuo padre ha dovuto rendersi conto che i suoi progetti erano folli.-

- Non nominare mio padre davanti a me.- sibilò Ursa, conficcandole gli occhi a mandorla in viso.- E non sto parlando di Larse Vizla. Se tuo padre non si fosse ficcato in testa di voler fare il buon samaritano e svendere la nostra sanità, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto.-

Satine sgranò gli occhi per lo stupore.

Come, scusa?

Tutto si era aspettata, fuorché questo. Le era parso di capire che Ursa e il duca fossero stati d’accordo, che avessero raggiunto un compromesso, che la pace fosse fatta. Le era sembrato, inoltre, di aver positivamente impressionato la contessina a Sundari, durante la resa dei conti, e ne era stata convinta fino a quel momento, considerato che Ursa Wren non aveva mai, nemmeno una volta contestato i suoi ordini o la sua leadership.

Banalmente, Maudra Kell era stato un osso più duro di lei, ed era del clan Kryze. 

A cosa era dovuto quel voltafaccia?

- E adesso tu pensi di venire qui e comprarmi con un posto allo Tsad Droten? No, Kryze, non ci pensare nemmeno. Io sono e resto un membro della nobile casata dei Vizla. Non sono una traditrice, io. Non sono una dar’manda come te e la tua risma.-

Obi Wan e Qui Gon, in piedi sulla porta, sgranarono gli occhi, increduli.

Sembrava completamente diversa dalla ragazza che avevano incontrato a Sundari, che aveva aiutato a combattere gli spettri e che aveva contribuito alla cattura dei dissidenti.

Satine, dopo un primo momento di stupore, fissò la ragazza con aria glaciale.

Poi, si alzò da tavola e spense il datapad. 

L’ologramma della PharmaMandalore scomparve nel nulla. 

- Immagino dunque che il nostro patto sia rotto. Peccato. Mi dispiace, il progetto della PharmaMandalore era molto bello.-

- Ti tiri indietro, dunque?-

Satine si mise a ridere.

- Io? Mi pare che tu ti sia appena tirata indietro, contessina. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Mi hai chiamato dar’manda, non mi riconosci dunque come Mand’alor, eppure pretendi che io mantenga le promesse quando tu non mantieni le tue.-

La contessina strinse gli occhi a mandorla in due fessure.

- Ci sono cose più importanti della Luce di Mandalore, Satine. Ci sono i valori, e la gente.-

- La stessa gente che muore nei vostri lavatoi tutti i giorni intossicata dai veleni che assorbe quando colora i tessuti?- Satine si lasciò sfuggire una risata sarcastica. - Ripeto: peccato. Avevo una proposta anche per loro. Andrai tu a Sal a dire che le cose non cambieranno. Il patto che hai stretto con mio padre prevedeva la vittoria del conflitto e sostegno almeno all’inizio del primo mandato, quello che tu non sembri intenzionata a dare, in cambio non solo della PharmaMandalore, ma anche di un finanziamento statale, dell’acquisto dei vostri prodotti garantito in bilancio. Praticamente un monopolio. E anche tutte le riforme sulla salute dei lavoratori, sul filtraggio dell’aria e dell’acqua, sullo smaltimento delle scorie. Mi era sembrata una proposta molto vantaggiosa per entrambe. In più, ti ho lasciata libera di scegliere la carica che preferivi. Di solito, quando uno fa un governo, fa delle proposte. Io ti ho dato carta bianca, ma la colpa è mia, immagino.- 

Impacchettò le sue cose e si alzò dalla sedia senza nemmeno degnare Ursa, all’improvviso confusa sul suo scranno da Governatore. 

- Che devo dire? Io ci ho provato. Vorrà dire che farò a meno dei tuoi voti.-

Satine si incamminò verso la porta, i due Jedi sconvolti che le tenevano dietro senza sapere che pesci prendere.

- Non scomodarti.- commentò, sarcastica, dal momento che la contessina non sembrava intenzionata a scortarla fuori. - Riferirò a mio padre che ti tiri indietro, e a chi di dovere che sarai all’opposizione. Mi dispiace per i progetti.-

- Abbandonerai la gente di Krownest così, dopo quello che hanno fatto per aiutarti?-

- Io non abbandono nessuno. Il progetto della PharmaMandalore è pronto e la riforma del lavoro pure. Fammi un fischio quando ci starai.-

Le diede le spalle definitivamente e si chiuse la porta alle spalle mentre marciava in corridoio. 

Obi Wan le trotterellò dietro.

- Satine, che cosa hai intenzione di…-

- Aspetta.-

- Ma i Wren…-

- Aspetta!-

- Avevo capito che era importante!-

- Ti ho detto di aspettare, Obi Wan!- 

- Aspetta!-

La voce della contessina Wren echeggiò tra le strette pareti, mentre avanzava in beskar’gam gialla verso di loro.

- Che ti avevo detto?- sussurrò la duchessa, strizzandogli l’occhio.

Ursa sembrava molto contrariata. In effetti, le cose non stavano andando come aveva programmato. Aveva immaginato che avrebbe fatto la parte del leone in casa propria. Aveva persino delle proposte, ma Satine era stata più furba di lei.

In seguito la storiografia avrebbe riportato quali fossero le reali condizioni che la contessina Wren voleva imporre alla duchessa: controllo assoluto del mercato farmaceutico, un investimento ingente in bilancio nella riforma dell’impiantistica nei settori tessili ed estrattivi di Krownest, anche con un disavanzo, rotte commerciali aperte e, soprattutto, potere, potere incondizionato su Nuovo Kleyman per il prossimo mandato. 

Ben più di quanto il duca le aveva promesso per togliere il proprio sostegno a Larse Vizla. 

Satine si era presentata dicendo che le avrebbe concesso praticamente tutto prima ancora che lei potesse chiederglielo, e non solo, le aveva addirittura lasciato carta bianca su quale carica scegliersi, senza costringerla ad optare per altro che non fosse fare il governatore.

Non era stata Ursa a mettere Satine di fronte al fatto compiuto, bensì Satine a mettervici Ursa.  

La stava tenendo in pugno. 

Inoltre, la contessina sapeva di non poter tentare lo strappo. Poteva anche sentirsi dalla parte dei Vizla, ma il suo clan non lo era. Dopo le persecuzioni di Loras e Sal, i suoi concittadini non ne potevano più di quella gente, in barba a tutte le tradizioni. La folla acclamante che aveva accolto Satine ne era stato un chiaro esempio. 

Se Ursa si fosse tirata indietro, avrebbe dovuto spiegare il motivo per cui le proposte della duchessa erano state rigettate.

E non era per nulla sicura che la sua gente gliel’avrebbe fatta passare liscia.

Satine la guardò con aria accogliente, impassibile ed algida come era la maggior parte delle volte che faceva politica. 

Ursa sembrava sconfitta, ma consapevole.

- Se ti dico di sì e ti darò appoggio almeno per il primo mandato, tu farai la PharmaMandalore?-

- Sono i nostri patti ed io sono di parola.-

- E lo Statuto dei Lavoratori?-

Satine annuì.

- Resterò al mio posto?-

- Sì, fino a che non andremo tutti ad elezioni o fino a che tu non deciderai di dimetterti per qualsiasi motivo.-

- E le rotte commerciali?-

- Farò tutto quello che potrò fare. Anche con la Repubblica, se serve per ristabilire Krownest.-

Obi Wan pensò che, con una tradizionalista come Ursa Wren, quella proposta fosse inaccettabile, ma ancora una volta Satine aveva visto più in là di lui.

Mio caro Ben, non sai quali miracoli possano fare i soldi se si è interessati ad averli!

Ursa annuì.

- Allora così sia. Tal’oni’gar.-

Satine alzò un sopracciglio e le tese la mano alla maniera dei Mando.

- Tal’oni’gar.-

Poi, si diresse verso il vociare della folla festante, che la acclamò a braccia tese non appena l’usciere le aprì le porte.

Aveva ancora un discorso da fare e delle promesse da mantenere. 

 

Se Ursa Wren era stata parca all’accoglienza, non fece lo stesso per quanto riguardò la permanenza della duchessa. Offrì al trio un paio di camere nella Magione del Governatore e una lauta cena, forse nel tentativo di fare ammenda per quanto accaduto nel pomeriggio. 

Satine era sfinita ed accettò di buon grado, considerando ben poco se quella fosse una mossa politica o meno. 

In ogni caso, apprezzo, quindi Ursa ha motivo di essere contenta. 

Obi Wan e Qui Gon erano la sua vera unica consolazione in quei giorni frenetici.

- Vorrei potervi dedicare più tempo.- borbottò, prima di mettersi a dormire.- Ma sono giorni concitati, e devo mettere le cose in chiaro prima di poter cominciare a lavorare seriamente per il sistema. Mi manca ancora Concordia, la roccaforte dei Vizla.- 

E scosse il capo, capelli biondo alba che volavano dovunque in mestizia.

- E’ il vostro lavoro, duchessa. Fate soltanto ciò che è vostro dovere fare. Non pensate a noi.-

Qui Gon aveva ragione, ma Obi Wan le mancava tremendamente e non le bastava passare la notte con lui per addormentarsi dopo cinque minuti. Voleva restare sveglia a fargli le coccole - e a riceverle - come avevano fatto per mesi. 

Paradossalmente, quanto ad intimità, Satine si trovò a rimpiangere il periodo trascorso in fuga. 

Per quanto stressante, era stato anche estremamente intimo e privato, uno spazio in cui aveva conosciuto una persona che non avrebbe mai dimenticato e per la quale adesso pareva non avere più tempo.

Glielo disse quella sera, mentre si stringeva a lui sotto le coperte. Il padawan era sgusciato fuori dalla porta della stanza dei Jedi e si era diretto verso quella della duchessa, passando fortunatamente inosservato.

Era stata una mossa coraggiosa, considerato il luogo in cui si trovavano, ed era sicuro che il maestro Qui Gon non avrebbe apprezzato.

Troppi occhi. 

- Non sai quanto sia faticoso parlare in politichese.- commentò la ragazza con uno sbadiglio.- Vorresti mandare tutti al diavolo ma non puoi, devi sempre fare attenzione. Non sai mai chi può usarti, chi può usare le tue debolezze contro di te per ferirti. Mi piacerebbe una politica un po’ più alta, ma purtroppo gli interessi in gioco sono così tanti che la cautela deve essere massima. Non tutti condividono i tuoi stessi ideali di onestà e rettitudine.-

Obi Wan aveva annuito nel buio. Satine sentì il suo battito accelerare mentre la sua mente correva dietro ad un pensiero che non riusciva a tradurre a parole.

Mettiamo da parte il politichese, allora.

- Allora smetti.-

- Di fare cosa?-

- Di parlare in politichese.-

- Non posso. Dovrei rinunciare ad essere il Mand’alor.-

- Non con me. Con me sei Satine, niente di più. Non ti serve il politichese.-

Satine si accoccolò meglio sul suo cuore e un pensiero furfante le attraversò la mente.

- Quindi posso parlare semplicemente Mando’a?-

Obi Wan annuì.

Naturale.

- Ammesso che tu lo capisca.-

- Oh, ma qualche parola la capisco.-

Molto di più, naturalmente. Il Mando’a di Obi Wan era ormai notevole, anche se alle volte parlava ancora con uno spiccato accento coruscanta, oppure pronunciava alcune parole con una leggera inclinazione kalevaliana ereditata dalla sua insegnante.

Insegnante che in questo momento sembrava avere pensieri tutt’altro che politici - per non dire casti - per la testa.

- Tipo?-

- Obi Wan parve pensarci su.

- Tigaa’ni gayiyla, murcyu’ni, ceta’gar…

Lo schiocco delle mani di Satine sul suo costato echeggiò nella stanza.

- Piano, sono ferito!-

- Sì, nell’orgoglio!- gli disse, ridendo.- Perché io ho la parola chiave!-

- Davvero? E qual è?-

Satine si avvicinò pericolosamente al suo orecchio.

- Kebii’tra.-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Tal’oni’gar: da tal’onidir, lett. sudare sangue, significa che un soggetto è disposto a mettercela tutta per assolvere il proprio compito, trad. metticela tutta!, datti da fare!

Tigaa’ni gayiyla, murcyu’ni, ceta’gar: lett. toccami ovunque, baciami, in ginocchio

 

NOTE DELL’AUTORE: Questi non sono capitoli semplici.

Voi direte: “Siamo alla fine della storia, che cos’altro c’è da dire?”

C’è proprio la parte più difficile da raccontare: la connessione con The Clone Wars.

Qua c’è bisogno di costruire tutto ciò che abbiamo visto nella serie, gettare le basi per la politica futura di Mandalore.

Insomma, un sacco di roba.

Non mancherà nemmeno un po’ di divertimento, in ogni caso.

Sono comunque i Kryze, se non ne combinano un po’ non sono contenti.

 

Molly. 

 

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Capitolo 62
*** 52- Kryze Manor ***


CAPITOLO 52

Kryze Manor

 

Quando al mattino dopo partì per Concordia, Satine volle buttare giù dal letto suo padre con una chiamata, a suo dire, assolutamente necessaria.

Mentre i tre erano intenti a lasciare Krownest e la navicella solcava l’atmosfera rarefatta, il buon duca spuntò dal commlink in vestaglia e cappelli arruffati, con un cucchiaino in mano.

- Colazione?-

- Sì, cara. Aspetto… Ah, grazie Maryam.-

Kyla sistemò il portauovo con l’ovetto à la coque sulla tavola da letto.

Ruppe il guscio con destrezza nonostante le mani tremanti.

- Riesci a mangiarlo?- gli chiese sospettosa, mentre lo osservava affondare il cucchiaino nel tuorlo.

Il duca annuì.

- E’ morbido, non lo mastico nemmeno. E poi, l’uovo à la coque è sacro. Lascia qualche vizio a questo povero vecchio. A questo proposito, per quale motivo vieni a disturbare l’ora del mio ovetto?-

Satine sorrise di sghimbescio.

- Perché sto per andare su Concordia.-

Il duca sollevò immediatamente gli occhi dalla sua colazione, poi abbassò il cucchiaio e sospirò.

- Ah.-

- Con i Farrere è stato facile. Con Ursa un po’ meno, ma ha funzionato lo stesso. -

La duchessa raccontò a suo padre del curioso colloqui avvenuto con la contessina, e Kyla si mise a ridere.

- Ah, Ursa Wren è un osso duro, degna figlia di suo padre!-

- Che intendi dire?-

- Intendo dire che Lusk era un uomo di pregio e sapeva rendersi conto di quale mondo gli girasse attorno, ma aveva un difetto: era avido. Voleva sempre di più e se poteva, lo otteneva. Non era un disonesto… Beh, diciamo che in linea generale non lo era - commentò di fronte al sopracciglio inarcato di sua figlia.- Ma sapeva essere assetato, ed invidioso. Ero certo che Ursa non si sarebbe accontentata delle nostre promesse. E’ identica a suo padre. Voleva avere potere su di te, ed infatti ce l’ha.-

Come dargli torto? I Wren erano un clan numerosissimo. Satine aveva già la maggioranza, ma se voleva restare dov’era e garantirsi la tranquillità almeno durante il suo primo mandato, era fondamentale tenere sotto controllo un clan potente e vasto come il suo.

Questo aveva dato ad Ursa la consapevolezza di poter contrattare. Sapeva di essere nella posizione di poter decidere della vita e della morte di un Mand’alor, ed aveva giocato quella carta con lei, pensando di metterla con le spalle al muro chiedendo potere, ciò a cui ambiva di più.

- Tu non soltanto l’hai anticipata su tutto, mettendoti in posizione dominante quando lei stessa credeva che avrebbe dominato la contrattazione, ma hai anche avuto la bella posta di farle presente, e a ragione, che il suo clan è necessario, sì, ma non indispensabile a garantirti la sicurezza. Con il clan Saxon e il clan Vizla in carcere per almeno la metà dei suoi componenti, è praticamente certo che, anche se Ursa decidesse di stare all’opposizione, avrebbe gioco facile nell’accrescere il suo potere e il suo consenso. Tu sai che cosa significa questo, vero?-

Obi Wan non lo sapeva, ma Satine ebbe la premura di spiegarglielo una volta chiusa la chiamata con suo padre.

- Pensaci, Ben. Ursa ha avuto più di un momento di difficoltà durante la guerra civile, per via della sua cieca fedeltà al clan Vizla. C’è stato un momento in cui non voleva tradire le tradizione, ma allo stesso tempo il suo popolo le avrebbe chiesto la testa. Così, ha deciso di tenere un piede su due staffe, mascherando il suo passaggio ai Kryze come un segno di sfiducia nei confronti di Vizla: se resta il dittatore, io me ne vado. Se lui se ne va, io resto nei Vizla. La colpa è di Larse Vizla, non mia.

- A questo punto, Ursa sa perfettamente che non ha più alcuna ragione di stare dalla parte dei Vizla, a meno che io non la metta in condizione di stare all’opposizione. Essere in maggioranza significa sì dare fedeltà ad un clan che non si apprezza, però significa anche che quel clan fornisce progetti, tutele, legislazione innovativa. All’opposizione, al contrario, Ursa avrebbe dovuto pretendere di difendere gli interessi del proprio clan quando, in questo momento, non c’è più nulla da difendere. E’ tutto distrutto. Adesso l’unico interesse è la ricostruzione, per cui dovrà trovare un validissimo motivo per dire al suo clan che la PharmaMandalore non si fa, e quel motivo non ce l’ha.

- Stare all’opposizione, al contempo, è una tattica intelligente. Criticando l’operato del Mand’alor e della sua forza politica, Ursa si costruirà uno zoccolo duro di fedeli, ambendo, forse, a prendere il mio posto al prossimo mandato. Per questo motivo Ursa è pericolosa. Sulla sua fedeltà non si può contare. Farle delle promesse ulteriori, oltre alla PharmaMandalore, significa garantire la sua fedeltà nel tempo. Non tutto verrà fatto subito. In prima battuta avvieremo i lavori della PharmaMandalore, poi faremo il resto, contemperandolo con quello che ho promesso agli altri. Ursa non se ne starà buona e darà battaglia, pretendendo che i suoi interessi vengano prima di quelli degli altri. Proverà a farmi opposizione dall’interno, per accrescere il suo potere. Un potere che potrebbe avere. Ieri ha provato a dimostrarmelo, io le ho detto chiaramente che, se vuole, può tranquillamente andarsene all’opposizione prima del tempo, una posizione che, al momento, non le conviene. Per questo alla fine ha capitolato. Sinceramente è una serpe in seno da cui mi aspetto di tutto, ma per il momento ci accontentiamo.- 

Chiarito dunque che di Ursa Wren non c’era da fidarsi, Satine si fece avanti per chiedere al padre consiglio sull’argomento caldo del giorno. 

Il duca fece cenno di non dire di più.

Satine aveva fatto bene a chiedere consiglio. Non era di certo la prima volta che Concordia dava problemi, considerato che era da sempre stata una roccaforte dei Vizla. I Kryze avevano avuto a che fare con quel luogo tante volte, ma adesso la situazione era ancora una volta diversa.

In tempi passati, non c’era mai stato interesse a considerare Concordia come un luogo civile ed abitato. Per farla breve, non si era mai davvero voluto raggiungere un accordo di distensione tra le due casate. I Vizla perdevano, e di conseguenza venivano sottomessi. Se a perdere erano i Kryze, venivano dominati a loro volta dai vincitori, fino alla rivolta successiva.

Satine non voleva di sicuro offrire il fianco ai Vizla per ricominciare i contrasti, così, se voleva ottenere una pace che durasse più di qualche mese, doveva andare su Concordia con una certa preparazione ed un certo programma. 

Aveva già delle idee, naturalmente, ma le conoscenze di suo padre potevano sciogliere tutti i suoi dubbi.

In fondo, Kryze Manor era stata la sede centrale dell’intelligence dei Nuovi Mandaloriani per tutta la guerra civile, era normale che il duca fosse in possesso di informazioni che lei non conosceva.

In effetti, conversare con lui fu molto utile. 

Venne fuori, infatti, che la situazione su Concordia era praticamente disperata.

Nonostante la sua economia fosse stata l’unica a funzionare appropriatamente durante la guerra, il pianeta era allo stremo delle forze. 

Vizla aveva estratto ogni risorsa mineraria su cui era riuscito a mettere le mani. 

La popolazione ci aveva guadagnato in termini di stipendio, ma aveva perso molto in termini di salubrità. 

Ai poli, inoltre, pareva che quel disgraziato avesse testato anche alcune delle sue armi radioattive, rendendo l’ambiente impraticabile.

Obi Wan guardò Satine passarsi una mano sugli occhi, stufa prima ancora di cominciare.  

- La questione dell’economia green l’avevo già presa in considerazione. Vorrei anche implementare lo Statuto dei Minatori di Concordia, se è possibile. Il punto è, con chi devo parlare? Larse Vizla si è ammazzato, suo figlio è morto…-

- Ci sarebbe una persona che potrebbe fare al caso nostro e che è ben vista sulla luna, nonostante abbia ripetutamente preso le distanze dal clan Vizla, ed è Haran Rook.-

- Della casata dei Kast?-

Il duca annuì. 

Satine parve pensarci un po’ su.

- Per quale motivo dovrei fidarmi di lui in particolare?-

- Semplicemente perché è stato un nostro fidato collaboratore. Prima dell’attentato avevo preso contatti con lui per la questione delle miniere. E’ figlio di minatori. Le condizioni insalubri, man mano, hanno sterminato tutta la sua famiglia. Si è messo in politica proprio per offrire un’alternativa a Concordia, ma purtroppo Larse Vizla si è intromesso ed ha distrutto la luna ancora di più. Durante la guerra ci ha tenuti informati sull’andamento della situazione. Ti ricordi quella talpa che teneva monitorato l’andamento dell’arsenale di Vizla?-

- Era lui il nostro informatore?-

- Direttamente dalle fila dei Vizla. Non amava il dittatore più di noi. Era anche disposto a far saltare il magazzino, anche se questo sarebbe costato la sua vita. Peccato che non l’abbia mai trovato. Ha fatto il trafficante per un po’ e ci ha tenuti informati su ciò che partiva e ciò che arrivava a Concordia. Quando è riuscito a mettere le mani sui registri e ad individuare l’ubicazione dell’arsenale, la battaglia di Sundari stava già infuriando. Hai chiuso la partita prima che ci riuscisse lui.-

- Sembra un tipo in gamba.-

- Forse troppo.- le disse, facendole l’occhiolino.

A buon intenditor, poche parole.

Satine parve soddisfatta, mentre scorreva sul datapad le poche informazioni che aveva ricevuto su di lui.

- E’ un valido elemento, Sat’ika. Vale la pena di fare un tentativo.-

 

In effetti, l’arrivo su Concordia fu piuttosto triste. Già da lontano i due Jedi poterono vedere quanto fosse brulla, letteralmente scorticata di ogni elemento vivente. Quando il portello della loro navicella si aprì, trovarono materiali di scarto disseminati ovunque.

Obi Wan potè raccogliere un pezzo di beskar grezzo soltanto camminando lungo la strada per la Magione del Governatore. 

Era evidente che i Vizla non se la passavano benissimo. Certo, erano pieni di palanche. I locali erano aperti e le famiglie vestivano bene, avevano le dispense piene e potevano permettersi dei mezzi di locomozione di una certa fattura. Li si poteva vedere mentre percorrevano la strada praticamente deserta, lontano da loro, ma per il resto dovevano svolgere una vita piuttosto grama. Il cielo era prevalentemente grigio, le strade erano grigie, la terra era grigia, le case erano grigie, l’aria sembrava piena di polvere e cenere.

Satine si era guardata intorno, quasi disperata. Era stata poche volte su Concordia, da bambina, ma la ricordava verdeggiante e screziata di bei colori marroni là dove la terra, fertile per i minerali nel terreno, veniva arata per ettari. Le miniere esistevano già e l’attività estrattiva era sempre stata intensa, talmente intensa da causare problemi con il lavoro e la salute dei minatori, ma al di là di ciò, Concordia era sempre stata ben lontana dalla palla semidistrutta sulla quale era appena atterrata.

Datemi il tempo di ripartire, e le nostre foreste ricresceranno anche qua.

Considerato l’ambiente, Satine era stata presto circondata da un gruppo di Figlie dell’Aria e dalla sua guardia personale. 

In effetti, andare su Concordia senza scorta equivaleva a chiedere apertamente a qualcuno di farle la pelle.

Obi Wan e Qui Gon le furono immediatamente a fianco sin dall’attracco.

Haran Rook era un uomo giovane, molto giovane. Doveva avere, più o meno, l’età del sottotenente Skirata, ma era l’esatto opposto. L’uno era albino, l’altro era olivastro ed aveva gli occhi scuri come quelli di un cerbiatto. 

Le strinse la mano alla maniera dei Mando e la condusse rapidamente presso la sede delle trattative, per toglierla dall’impaccio della strada, dove sarebbe stata in pericolo.

Si era trattato di una esplicita richiesta di Satine. La Magione del Governatore sarebbe dovuta essere la sede per il loro incontro ufficiale, ma la duchessa aveva pensato che la popolazione l’avrebbe presa come una vera e propria usurpazione, se fosse entrata praticamente in armi all’interno della Magione stessa, così aveva optato per un altro luogo. 

Il clan Kast e il clan Kryze si sarebbero incontrati in campo aperto, dunque, lontano dalla popolazione civile e in sedi meno istituzionali, individuate per l’occasione. 

Satine, scortata dai due Jedi e dalla guardia personale, nonché dalle Figlie dell’Aria, aveva stretto la mano di Rook nel mezzo del nulla, in una vallata ormai sassosa distesa tra due colline, dove un bunker chiatto e rotondo sorgeva nel centro. Le guardie del clan Kryze e del clan Kast si mescolarono all’esterno del bunker, mentre i due Jedi accompagnarono la duchessa fin dentro la struttura.

Satine e Haran Rook sedettero l’uno dirimpetto all’altra, un tavolo fatiscente in mezzo a separarli. 

I Jedi sostarono sulla porta. 

Rook lanciò loro un’occhiata non del tutto convinta, ma decise di lasciare perdere e trattare la resa.

- Immagino che sia proprio per questa ragione che siete qua, duchessa. Per trattare la resa.-

Satine alzò un sopracciglio, pensosa.

- Vizla è caduto e il suo secondo in comando ha accettato la sconfitta. C’è ancora qualcuno o qualcosa che si deve arrendere?- 

Rook dondolò il capo.

- Dunque, voi ritenete che Concordia si sia arresa.-

Satine non sapeva davvero che cosa fare di quella conversazione.

- Se me lo dite, immagino che sia stato un mio errore di giudizio.-

L’uomo, però, sorrise con determinazione.

- No, nessun errore di giudizio. Le sacche di resistenza rimaste sono piuttosto poche. Tuttavia, Vizla è ancora molto forte, su questo pianeta, ha parecchio consenso. Non pensiate che la popolazione riconosca la vittoria così com’è. La accettano, perché è un dato di fatto, ma non la riconoscono.-

Satine comprese il significato di quelle parole e finalmente individuò la direzione che quella conversazione stava prendendo.

Ed era esattamente dove voleva andare a parare lei.

- Sono perfettamente consapevole delle difficoltà ed è proprio per questo che sono qua.-

Rook rimase a fissarla negli occhi per un momento.

Aveva dei begli occhi. Scuri come pozzi neri e circondati da foltissime ciglia lunghe come quelle di un bambino. 

Se Satine non avesse avuto una netta preferenza per un certo color verde bruma avrebbe anche potuto perdercisi dentro.

Si sentiva come se fosse stata chiusa in una stanza di radiologia. Era certa che il suo interlocutore stesse provando a leggerle dentro.

Se solo si fossero tenute le prove per il torno in modo corretto, Satine avrebbe avuto paura di Rook. Sembrava molto dotato e capace, e alla prova dei Saggi avrebbe potuto darle del filo da torcere.

Suo padre ne aveva un gran rispetto, ed adesso poteva capire perché.

- Il mio primario interesse è fare sì che chi è fuggito da Sundari non crei scompiglio o fomenti la rivolta tra la popolazione civile. Sia io che voi abbiamo dei progetti per Concordia, immagino.-

- Immaginate bene, duchessa. Vi farà piacere sapere che abbiamo rintracciato una trentina di rinnegati ad Akaan. Sappiamo con certezza che si stanno riorganizzando.-

Satine alzò un sopracciglio, e quando Satine alzava un sopracciglio di solito non prometteva bene.

- Immagino che abbiate intenzione di sedare le rivolte.-

Rook annuì.

- Immaginate bene. Tuttavia, sono convinto che sia necessario accordarsi prima di procedere. Voi avete una visione per Concordia, giusto?-

Satine si accomodò meglio sulla sedia, ed Obi Wan ebbe la sensazione di stare osservando un felino pronto a balzare sulla preda.

La partita è appena cominciata.

 

Non ebbe nemmeno il tempo di discutere dei risultati ottenuti su Concordia assieme a suo padre, perché la sua tabella di marcia la vedeva a Khader nelle ore immediatamente successive. Dormirono sulla navicella e, quando si svegliarono, si trovarono direttamente in mezzo alle campagne della città.

Obi Wan era rimasto estremamente affascinato e allo stesso tempo perplesso dalle trattative che Satine aveva condotto su Concordia. C’erano diversi punti sui quali il padawan aveva avuto dei dubbi ed ancora li nutriva, tuttavia parlarne direttamente con lei in quel momento era assolutamente inopportuno. Si era svegliata con un brutto cerchio alla testa e non aveva avuto tempo nemmeno per fare colazione in modo appropriato, perché si era dovuta catapultare a Khader, dove erano in corso delle circostanze decisamente particolari.

- Da quanto va avanti questa storia?-

- Sin da subito dopo la vittoria. Saputo che Khader era vuota, anche se semidistrutta, parte della popolazione emarginata vi si è recata e ne ha preso possesso. Molti di loro vengono da Igmur. Quando i proprietari delle case di Khader sono tornati a riprendere possesso dei loro beni o di ciò che ne restava, hanno trovato la sorpresa. La gente di Khader vuole sicurezza e il possesso delle loro proprietà, la gente di Igmur vuole un posto dove vivere, e si aspetta che i Kryze gliene offrano uno, soprattutto dopo i loro servigi in battaglia. Molti di loro hanno pagato con la vita e con le vite dei loro cari.-

Inga era stata esaustiva a sufficienza e Satine aveva annuito con coscienza, massaggiandosi le tempie.   

- Sì, fortunatamente ci avevo già pensato.-

Ma quando le ha pensate tutte queste cose?

Citrullo, ha avuto un anno in fuga per fare piani per il futuro.

Certo, le circostanze sarebbero potute cambiare, e probabilmente Satine avrebbe dovuto rivedere il proprio piano. 

La duchessa ci aveva pensato, infatti, più di una volta e soprattutto negli ultimi giorni, quando la situazione si era cristallizzata del tutto in quella attuale.

L’eventualità che una città ne invadesse un’altra allo scopo di ottenere un posto dove stare era stata abbastanza lontana dalle sue fantasie.

Non appena aveva messo piede sulla rampa, il sindaco di Khader, sempre più vecchio e sempre più zoppo, la accolse a braccia aperte a suon di Mirdal’ad. Satine gli era corsa incontro, mantenendo fede alla promessa di rispetto e stima che aveva fatto alla popolazione della cittadella tempo addietro.

Dentro la Municipio, il sindaco era terrorizzato, convinto che i forestieri fossero venuti qua per farci la festa e prendersi tutte le nostre cose.

Satine alzò un sopracciglio per quella caduta di stile, ma non commentò.

La verità è che per anni ce ne siamo altamente infischiati di Igmur, e adesso ne paghiamo le conseguenze.

Per non parlare poi del fatto che Khader era sempre stata una città molto autoreferenziale, storica e turistica, isolata dal resto del mondo e che non ambiva a mantenere contatti troppo stretti con qualunque cosa non odorasse di Khader, Kryze o Awaud. 

Igmur era quanto di più lontano potesse esserci da essa, per costumi e stili di vita.

Così, decise di uscire da sola sulle scale del Municipio.

- Vi fidate di me, signor sindaco?-

- Certo, certamente, Mirdal’ad.- e via di questo passo con una sfilza di ossequi in buona fede che, però, la facevano sorridere.

- Allora lasciatemi fare. C’è un luogo che possiamo usare per le trattative?-

Il sindaco le indicò la sala consiliare, bella grande e piena di sedie, e Satine ne fu contenta quando vide il numero delle etnie che avrebbero voluto parlare con lei.

Ce n’era per tutti i gusti.

- Chi comanda tra voi?- disse, allargando le braccia per farsi notare.

Si erano fatti avanti una Twi’lek verde, una Togruta dall’aria antica, un Mon Calamari color pesca, un Phindian strabico, una Rishii dal becco lungo e persino un Mrlssi azzurro coperto di piume verdastre. Satine riconobbe anche il Mirialano che le aveva dato il nome di Nau e chinò il capo verso di lui con rispetto.

- Bene, vogliate entrare, per cortesia.-

I membri dell’eterogeneo gruppetto si guardarono l’uno con l’altro e poi, non sapendo che pesci prendere, seguirono la duchessa dentro il Municipio.

 

Se la giovane Satine aveva avuto intenzione di cavarsela senza un analgesico, ebbene, non ci riuscì. 

La fecero diventare matta. 

Si trovò immersa in una babele di lingue e culture diverse, con la Rishii che tendeva a ripetere come un tatug tutto ciò che non capiva. Per l’amor della Forza, non che Satine ne fosse dispiaciuta, anzi! In altre circostanze - e soprattutto senza mal di testa - ci avrebbe sguazzato volentieri, dentro a quel crogiolo di culture. In quel momento, però, avrebbe fatto volentieri a meno di alcune cose.

- A questo punto, dunque…-

- A questo punto, dunque…-

- … E’ fondamentale mantenere la calma. -

- … E’ fondamentale mantenere la calma.-

Satine lanciò un’occhiata eloquente e la Rishii tacque, appollaiandosi sulla sedia.

- Igmur può diventare un centro inimitabile a livello galattico, se avrete la pazienza di attendere la ricostruzione. Potrete vivere dove vorrete su Mandalore, naturalmente. La città non diventerà sicuramente un ghetto, ma se quello è il luogo che avete eletto a vostra residenza…-

- E quanto duvevà questa vicostvuzione?- fece la Twi’lek, con un forte accento e la r molto arrotata.

- I nostri architetti stanno già lavorando ad un progetto, tuttavia sarebbe opportuno che anche alcuni di voi con esperienza di costruzione partecipassero, per poter garantire a tutti il rispetto della cultura e delle tradizioni. Vorrei che mi indicaste qualcuno nelle prossime ventiquattr’ore. Prima di lasciare Khader sarebbe ottimale. Partiremo coi lavori immediatamente.-

Ci fu un mormorio di assenso tra le parti.

Satine lanciò uno sguardo sulla sala, sperando di essere finalmente giunta al termine di quella trattativa estenuante.

- Quando dovrebbe cominciare lo sgombero?-

- Subito. Al più tardi domani mattina, quando avrete riferito a tutta la vostra comunità del nostro accordo. Khader, però, deve tornare libera nel più breve tempo possibile.-

Ancora borbottii di assenso.

- E nel frattempo, dove vivremo?-

- Mobiliterò in serata la protezione civile per delle casette prefabbricate. Chiederei a ciascuno di voi di fornirmi una lista delle persone senza casa abitabile per poter fare due conti. Nel giro di due o tre giorni dovreste essere al sicuro.-

Il Mrlssi azzurro sollevò il bastone, mentre si riposava appollaiato su una zampa sola.

- Prego.-

- Io ritengo - cominciò, un tono di voce sorprendentemente basso per uno della sua specie.- Che sia fondamentale giurare fedeltà a Mandalore. Non tradiremo le nostre origini, ma credo che al fine di ottenere una pace duratura sia necessario riconoscere che abbiamo scelto questo sistema come nostra casa, dopo le vicissitudini che ci hanno condotto a lasciare il nostro pianeta. Ritengo dunque che sia opportuno che tutti noi, nel rispetto delle nostre origini e tradizioni, rispettiamo il Resol’nare e qualunque costituzione Mandalore adotti dopo questa guerra.-

Satine gliene fu grata, e non escluse che il simpatico Mrlssi fosse a conoscenza della sua difficoltà nell’esporre quel punto di vista.

Essere diversi significa avere una propria identità. Chiedendo una fedeltà incondizionata, avrebbe implicitamente chiesto di rinunciare alla loro cultura. Se quella proposta, però, proveniva dalla stessa società di Igmur, beh, lei era sicuramente meno in difficoltà e non passava per tiranna, dal momento che la popolazione stessa avrebbe scelto quale parte della propria cultura limitare per ragioni di compatibilità.

Così, sorrise con soddisfazione.

- Vi ringrazio per la vostra posizione. Conosco bene il vostro popolo e ne ammiro la saggezza.-

Ma il Mrlssi non la ascoltava già più, ormai, perché era intento a sussurrare all’orecchio della Rishii quanto aveva detto nella sua lingua. 

Era evidente che la donna non parlava bene né Mando’a, né Standard.

Tutti quanti, però, sembrarono essere d’accordo su quell’affermazione. Il Phindian approvò - anche se Satine, confusa per il mal di testa, faticò a comprendere se stesse parlando con lei o se stesse guardando la Rishii con un occhio e il Mon Calamari con l’altro - ed anche il Mirialano annuì con vigore. 

L’anziana Togruta si alzò instabile sulle gambe.

- Quindi, siamo liberi?-

- Quindi, siamo liberi?-

- Oh, sta’ zitta, pennuta!-

- Oh, sta’ zitta, pennuta!-

La donna allargò le braccia sconsolata in direzione di Satine, che batte la fronte sul tavolo per la disperazione.

- Non stiamo parlando con voi… Cortesemente, qualcuno traduca!-

- Non stiamo parlando con voi…- ma la Rishii fu prontamente interrotta dal Mrlssi che si apprestò a tradurre simultaneamente.

Satine fece cenno alla donna di continuare.

- Niente più guerra?-

- Niente più guerra.-

- E avremo un posto dove stare?-

- Non solo. Avrete la possibilità di svolgere le vostre attività commerciali, lavorare in modo autonomo o dipendente e potrete far fiorire Igmur nel modo che preferirete, ma le regole sono chiare. Niente conflitto.-

- Parola d’ordine: integrazione.-

Satine approvò la scelta di parole.

Mi piace.

- Le tradizioni di Mandalore sono sacre ed inviolabili. Mandalore il Supremo ha affermato che chiunque può diventare Mando a patto che rispetti il Resol’nare. Intendo onorare la tradizione, ma non voglio privarvi della libertà di essere voi stessi. Quindi, liberi di mantenere le vostre tradizioni, ma niente conflitti, né tra di voi, né con gli altri abitanti di Mandalore. Igmur deve diventare un inno alla civiltà.-

La Togruta sgranò gli occhi viola.

Poi, balzò in piedi.

- Volete dire che, dopo aver passato ottant’anni schiava, adesso sono libera di fare quello che mi pare?-

Satine la guardò con compassione ed annuì.

La vecchietta si mise a ballare reggendosi al bastone.

- E adesso, ottant’anni libera! Forza gente, leviamo le tende! Abbiamo una città da costruire!-

Satine sospirò soddisfatta, mentre la delegazione passava a stringerle la mano e se ne andava dalla sala consiliare.

Poi, per ultimo, prese da parte il sindaco di Khader.

- Adesso siete soddisfatto? Non ci resta che ricostruire quello che è andato distrutto della nostra bella città.-

 

Una volta sulla loro navicella, Satine inserì le coordinate per raggiungere Kryze Manor e si accasciò sulla poltroncina, spossata.

Ricevette una chiamata da Vanya, che l’avvisava che era attesa a breve sia su Phindar che su Concord Dawn, ma Satine rispedì l’invito al mittente.

- Quelli sono sistemi stranieri e molto delicati, Vanya. Dopo tutto quello che ho passato in questa settimana e dopo un anno in eterno campeggio, credo di non avere né la forza né la lucidità di affrontare quello che di fatto è un nemico.-

Come dimenticare che Phindar aveva fatto da paradiso fiscale ai Saxon e ai Vizla e che Concord Dawn era stato il centro principale del traffico di armi della Ronda della Morte?

No, per affrontare quelle conversazioni avrebbe dovuto essere lucida tanto quanto avrebbe dovuto esserlo nel fronteggiare la Repubblica.

Aveva bisogno di tempo.

- Dì loro che al momento sono invischiata in questioni interne che non mi permettono di lasciare il sistema. In effetti, ce n’è anche troppo, di lavoro, su Mandalore e circondario. Mi prendo almeno una settimana di pausa. L’aspetto internazionale lo affronterò successivamente, dopo essermi ripresa ed essermi consultata con la mia famiglia. Sono questioni che richiedono una certa attenzione.-

Vanya non ebbe nulla in contrario e chiuse la chiamata.

La navicella superò un lago immenso dai colori del cielo, riflettendosi perfettamente in esso. L’arsura dell’estate aveva ormai lasciato il posto ai colori dorati dell’autunno, trasformando Kalevala in un turbinio di giallo, rosso ed arancione che si sollevò dovunque sotto i reattori della loro vettura. I due Jedi erano rimasti ad osservare quello spettacolo meraviglioso scorrere fuori dal finestrino, rapiti, mentre Satine provava a schiacciare un pisolino, massaggiandosi le tempie.

La tensione alla testa era andata mano a mano scemando mentre si avvicinava a casa sua, sempre di più, come se il suo corpo sapesse che stava andando a casa, a riposare, tra i suoi affetti più cari, dove le sue parole non avevano un peso e dove nessuno era pronto a farle la festa. Avrebbe finalmente riabbracciato la sua famiglia, e le era parso di capire che aveva un matrimonio da celebrare. 

Non che le pesasse, assolutamente. Quello sarebbe stato forse l’unico evento davvero lieto in tutta quella terribile storia. 

Atterrarono all’attracco ufficiale di Kryze Manor, sito nei campi dietro le colline. Attorno a loro si estendevano ettari ed ettari di terreno, in parte arato, in parte adibito a campo di fieno mietuto in grosse balle rotonde a seccare al sole.

Sulla Via delle Colline, i fittavoli e i loro animali andavano e venivano da e verso Qibal, una città bassa con poche torri che si stagliavano nel blu del cielo d’autunno. 

Un panorama placido ed agreste che Obi Wan aveva visto solo in fotografia e che sapeva infondergli una grande calma. 

Si stava bene, su Kalevala. Il maestro Kenobi l’avrebbe sempre detto, per tutta la vita. Se mai potessi scegliere dove trascorrere gli ultimi giorni della mia esistenza, sceglierei Kalevala, era solito dire. Anakin Skywalker l’avrebbe preso in giro per quella scelta ed avrebbe creduto fermamente che il vero motivo alla base di quella preferenza non fosse il pianeta in sé, ma una certa sua inquilina. Nei boschi di Kalevala regna la pace, per quanto possa sembrare assurdo in territorio mandaloriano. Posso garantirti che non esiste nessun altro luogo nella galassia con quell’energia. Persino i colori sembrano esaltati. E poi, proprio tu parli? Tu, che passi il tuo tempo libero su Naboo? e con quelle parole il buon maestro sarebbe stato solito chiudere la conversazione. 

Il giovane Skywalker, come ormai sanno tutti, era un po’ duro di comprendonio, e non avrebbe mai capito che con il suo maestro era meglio non discutere se non si voleva rivelare aspetti della propria vita che sarebbe stato meglio tenere nascosti. 

Non importa. Non siamo qua a dissertare sull’ingenuità di Skywalker o sulla sua malcelata vita privata.

Dicevamo?

Ah, sì. Quel posto piaceva molto al giovane padawan. Gli piacevano l’aria apparentemente giovale dipinta sul volto delle persone, la voglia di lavorare che trasudavano e il profumo dell’erba medica.

Gli piaceva Satine, che si era tolta le scarpe e camminava a piedi nudi nel foraggio appena mietuto, accarezzando le balle di fieno con le dita sottili e salutando i suoi compaesani con la mano.

Un nitrito e un rumore di zoccoli catturò la loro attenzione e poterono vedere Bukephalos arrivare in lontananza, saltando, svolazzando e scuotendo la criniera color ossidiana mentre galoppava spedito nella loro direzione.

Satine si mise le dita in bocca e - come si confà ad un nobile, c’è da dirlo - fischiò. 

Il cavallo rispose con un sonoro nitrito.

Obi Wan le si avvicinò e le sorrise.

- Sai, qualcuno potrebbe trovare questo gesto un po’ poco, ehm, femminile.-

Satine gli sorrise da orecchio ad orecchio.

- Mi pareva di aver capito che io ti piacessi proprio perché mi comporto come uno scaricatore di spazioporto.-

Il ragazzo ghignò.

- Mica parlavo di me.-

La duchessa, allora, fece spallucce e gli ficcò le scarpe in mano.

- Mio caro Ben, ho smesso di ascoltare quello che pensano gli altri della mia estetica da un po’, ormai.-

- E da quando, esattamente?-

- Da quando non ho più bisogno di qualcun altro che mi dica che sono carina.- e gli strizzò l’occhio, complice.

- Non ti dispiace se vado a Kryze Manor a cavallo, vero?-

- No, ma come ci arriviamo noi, a Kryze Manor?-

- Seguite la strada.- disse Satine, indicando la via sassosa che conduceva in paese.- Verso sud, in direzione del lago. Se non frenate, mi entrate in casa.-

Obi Wan annuì e la guardò accarezzare il muso di Bukephalos, la criniera veleggiante nell’aria mentre rallentava la sua corsa e salutava la sua amica. 

La duchessa gli saltò in groppa - senza sella e senza scarpe - e partì al galoppo.

Il viinir volò sull’erba anche senza aprire le ali, facendole sentire il vento nei capelli e la gioia di essere libera dopo mesi di agonia e giorni d’inferno. Saltò agilmente una famigliola di ne’tra briik usciti dalla loro tana e spiccò un leggero volo rasoterra ad ali spalancate, planando sul verde e sulle dolci colline dietro Kryze Manor.

Athos la vide arrivare e la salutò con la mano, mentre reggeva il forcone fuori dalle scuderie.

- Ha riconosciuto il rumore della navicella.- le disse, mentre Satine smontava di groppa e lasciava il viinir ad asciugarsi il sudore al sole.- Ha cominciato a scalpitare nella stalla. Alla fine l’ho lasciato libero.-

Abbracciò il suo maggiordomo come se non lo vedesse da mesi.

- Maryam è dentro?-

- E’ con tuo padre, tra poco si mangia.-

- E Bo?-

Un’ombra scura passò sul volto di Athos, ma fu salvato da una raggiante Maryam, che salutava dalla finestra.

- Spero che i due Jedi si fermino a cena e che abbiano appetito, perché ha cucinato per un battaglione!- fece quello, poggiandosi al forcone e indicando col pollice la donna alle sue spalle.

- Ti posso garantire che hanno ottime doti conviviali, specialmente il giovanotto. Tu, piuttosto, l’hai scelto il vestito?-

Athos fece il suo miglior sorriso da guascone.

- Spicciati a sposarci, o se continua un altro po’ con questa storia che lo sposo non può vedere la sposa prima del matrimonio finisce che faccio uno sproposito.-

Satine alzò le sopracciglia, perplessa.

- Maryam così conservatrice, non ce la facevo.-

- Infatti non lo è, ma ha paura - e ha ragione - che io apra l’armadio e curiosi, scoprendo il vestito.-

Le venne da ridere.

- Sei un diavolo di ficcanaso.-

- Tu spicciati e basta.-

 

Venne fuori che Bo aveva lasciato Kryze Manor assieme alle Abiik’ade, programmando di cominciare il suo addestramento immediatamente e riprendere la sua vita normale.

Non che la vita di Bo avesse avuto alcunché di normale. Era stata in guerra praticamente dalla nascita, prima sfuggendo all’attentato a sua madre, poi sopravvivendo ad una guerra civile che l’aveva costretta a rinunciare ai suoi diritti di bambina e di giovane adolescente, fino a dover condividere la casa con un commando armato specializzato e sfuggire ai cacciatori di taglie in giardino. 

Satine capiva, dunque, quando la piccola diceva di voler tornare a fare quello che tutti i bambini della sua età avevano fatto, ovvero un anno di addestramento comune. Quello che non riusciva proprio a capire, però, era perché era voluta partire senza salutarla. Che cosa sarebbe cambiato mai, se avesse aspettato uno o due giorni al massimo? Sarebbero rimaste insieme, come erano sempre state prima della guerra, avrebbero passato una notte a spettegolare. Le avrebbe potuto raccontare di come aveva incontrato il suo Uomo delle Stelle e di quanto fosse speciale. 

Invece, Bo era partita immediatamente, e la risposta che Satine si era data era una sola. 

Bo scalpitava per tornare alla sua vita normale, che però non comprendeva più lei. 

Lei, che adesso aveva tutti i suoi doveri da Mand’alor e che, agli occhi della dodicenne, non aveva più tempo da condividere con la famiglia. Convinta che Satine l’avesse abbandonata per altri lidi, se ne era andata, abbandonando - questo sì - la sorella maggiore da sola.

Il taglio che la bambina aveva dato era stato così netto da spingerla a tentare l’evasione pure dalla sua cerimonia di incoronazione.

Satine era preoccupata per lei. Voleva ricucire il rapporto con la sorella, ma non sapeva come fare. Bo riusciva sempre a sfuggirle. 

Una parte di sé le dava pure ragione.

Non poteva dirsi del tutto innocente se non riusciva nemmeno a trovare il tempo per stare vicino alle persone che aveva accanto.

Come Obi Wan, con il quale non aveva più dormito né comunicato in modo appropriato dall’appuntamento su Krownest con Ursa Wren.

Quella sera avevano cenato tutti insieme ed erano stati bene, vicino al camino acceso, con del buon cibo e della buona ne’tra gal. Si erano divertiti a chiacchierare con il duca e con i due domestici, raccontandosi a vicenda un sacco di storie passate e molte delle loro disavventure in giro per i boschi. I due Jedi erano rimasti a bocca aperta di fronte alla quantità di oggetti, monili, beskar’gam, arazzi, tutti i cimeli e i reperti storici collezionati dentro quel maniero. 

- Ah, già, è la prima volta che entrate qui, giusto?-

- Tutto ciò che abbiamo visto, lo abbiamo visto indirettamente dalle foto di vostra figlia, duca.-

- Sono sicuro che nei prossimi giorni avrete modo di soddisfare tutta la vostra curiosità. Tutti gli inquilini di questo vecchio maniero sono ben istruiti e conoscono a menadito ogni angolo della casa. Io stesso posso farvi da guida, se non siete infastiditi dal gracchiare di questo aggeggio.- aveva commentato Kyla, indicando il monitor accanto a lui.

Satine in particolare, tra quelle chiacchiere che sapevano tanto di bei vecchi tempi passati in famiglia, era stata bene e si era sentita a casa, nonostante la delusione per il comportamento di Bo Katan.

Maryam aveva assegnato al maestro la stanza degli ospiti e al giovane padawan la stanza della ragazzina, anche se conteneva ancora tutti i suoi effetti personali. 

Obi Wan non se ne curò più di tanto. Non era solito curiosare negli oggetti degli altri e in ogni caso aveva programmato di dormire molto poco in quella stanza.  

Infatti quella notte, quando ormai Kryze Manor era sprofondata nel sonno e l’unico suono udibile era il ronzio del supporto vitale del duca, Obi Wan scivolò fuori dalla stanza e si diresse senza remore verso la porta di Satine, sulla quale bussò educatamente, salvo poi essere trascinato dentro con veemenza per il colletto dell’uniforme.

Uniforme che, in quel momento, alle prime luci dell’alba, giaceva scomposta sulla sedia della scrivania di Satine assieme alla veste da camera della ragazza, sotto una finestra che affacciava direttamente sullo splendido panorama del Suumpir Darasuum.

- Mi dispiace.- gli disse Satine, percorrendo con le dita una cicatrice sottile che gli attraversava il torace.

- Per la cicatrice?-

- No, per non averti parlato molto in questi giorni. So che dopo Concordia avresti voluto discutere con me. Non dire di no, ormai ti conosco. Quando non apprezzi quello che faccio o ti lascia perplesso ti viene una ruga qui, in mezzo alle sopracciglia.- e gli toccò la fronte nello spazio in mezzo agli occhi.

Obi Wan rimase a fissare il soffitto con aria pensosa, mentre faceva scorrere le dita dentro i suoi fili d’alba.

- Non è che non apprezzo, solo che…-

- Non ti convince?-

- Non posso fare a meno di vedere tutto quello che può andare storto nella gestione.-

Satine sospirò.

Non era stato semplice per lei fare le scelte che aveva fatto. Sapeva benissimo di non poter togliere troppa autonomia ai Vizla, altrimenti avrebbe ottenuto l’effetto contrario. Invece che guadagnarsi la loro stima, li avrebbe respinti ancora di più, facendoli sentire invasi. Sapeva anche, però, che il clan difficilmente l’avrebbe accettata anche a cose normali, per cui se non avesse messo dei paletti ben presto sarebbe andato tutto a rotoli.

Rook aveva un piano, naturalmente, che Satine aveva apprezzato fino ad un certo punto, ma quando interagisci con qualcuno con quelle potenzialità devi essere a conoscenza del fatto che su alcune cose non cederà mai.

La politica è bella quando si vince sempre, un po’ meno quando si deve fare compromessi e cedere su alcune cose che non si condividono, ma che possono portare al raggiungimento del bene comune.

Come l’autonomia di Concordia. Satine aveva sperato di trasformarla almeno in un protettorato, ma Rook era stato irremovibile. Se voleva intraprendere tutte le riforme che voleva intraprendere su Concordia senza ostacoli, la duchessa avrebbe dovuto cedere sull’autonomia. La luna sarebbe stata una regione autonoma con un suo governatore, con poteri speciali, conferiti - questo sì, l’aveva trovata d’accordo - per tenere buoni Vizla e i suoi sodali, nonché per gestire l’altra grande, importantissima innovazione che Rook aveva proposto.

Il confino.

Ancora, Satine non era una sciocca. Le carceri mandaloriane non erano sufficienti a contenere tutti i terroristi e rivoltosi, altrimenti non ci sarebbe stato posto per tutti gli altri detenuti ordinari. Inoltre, non poteva mettere in carcere un clan intero per il semplice fatto di chiamarsi Vizla, o avrebbe completamente spazzato via l’opposizione trasformando Mandalore in una vera e propria tirannia.

Quelli tra i Vizla che non avevano combinato pasticci erano dunque benvenuti, ma coloro che avevano fatto parte della Ronda della Morte, o che avevano rappresentato ufficiali di alto grado al soldo di Saxon o Vizla, sarebbero stati processati per crimini contro l’umanità. 

Il confino, dunque, era stata un’idea interessante. Secondo Rook, chi aveva intrapreso azioni pericolose contro Mandalore e contro la sicurezza nazionale doveva essere allontanato ed incarcerato al fine di mantenere l’ordinamento che Satine voleva costituire. Inoltre, c’era il bisogno di un giusto processo, da svolgersi presso il Consiglio dei Saggi, che però doveva riorganizzare le nomine e gli incarichi dopo le perdite subite nella battaglia di Bral e che avrebbe deliberato solo dopo la costituente, dal momento che le regole per tale giusto processo ancora non c’erano. 

Se avessero atteso, i tempi, però, sarebbero stati troppo lunghi, così Satine aveva deciso che i Saggi sarebbero stati una corte più che adatta a giudicare per i crimini di guerra così come stavano, tranne qualche incarico ad interim. In fondo, la Corte funzionava benissimo anche quando c’era carenza di personale, ad una condizione sola: che fosse stato nominato il Venerabile.

A quanto ne sapeva, il buon Vercopa sedeva ancora al suo posto da Venerabile in perfetta salute, anche se aveva il deambulatore per via della sciatica. 

Per trattenere i prigionieri in custodia cautelare avrebbero avuto bisogno di un posto ad hoc, magari lontano da Bral, un carcere che avrebbe permesso loro di trattenerli per il tempo necessario all’istituzione del tribunale ed infine processarli.  

Rook aveva proposto di trasformare la città di Akaan in un confino per i terroristi.

- Purtroppo, mio carissimo Ben, i difetti del piano di Rook li vedo anche io.-

E come poteva non vederli? Ce n’erano una marea. L’autonomia di Concordia era una grande cosa, ma doveva potersi fidare del governatore, altrimenti non ci sarebbe stato verso di tenerla sotto controllo e sarebbe diventata un ricettacolo per la peggior risma di guerrieri, per non parlare delle conseguenze se Akaan, oggi rifugio di un manipolo di terroristi ed infine divenuta prigione, fosse lasciata nelle mani dei suddetti terroristi, lì rinchiusi in un soggiorno a spese dello Stato, con la consapevolezza che avrebbero potuto fare quello che volevano, incluso riorganizzarsi e preparare il prossimo colpo contro quello Stato che li manteneva ad Akaan. 

Così, Satine si era impuntata sulla giusta punizione.

Se Rook voleva tenersi Concordia così com’era, che se la tenesse, ma c’erano delle condizioni a cui avrebbe dovuto piegarsi.

Innanzitutto, la pena di morte, o l’ergastolo, non avrebbero fatto parte del sistema di Mandalore, nemmeno per i terroristi. 

Satine contava di costringerli ad uscire dalla tana prima o poi, per monitorare la loro condotta. Rinchiuderli ad Akaan e buttare via la chiave era una pessima idea. Rimetterli in libertà ad un certo punto, invece, poteva avere un effetto migliore. Per funzionare, però, la sua idea doveva includere un percorso di reinserimento nella società che non fosse meramente detentivo.

Così, Satine aveva calato l’asso, consapevole che trasformare il carcere in un business avrebbe attratto l’attenzione di Rook.

Concordia aveva bisogno di essere ricostruita, non solo a livello edilizio. Il suo ambiente era disastroso, tossico, a tratti velenoso. L’acqua aveva bisogno di essere purificata, l’erba di tornare a crescere, gli alberi di tornare a produrre ossigeno respirabile. A parte i sassi, su Concordia non c’era più nulla, nemmeno il beskar, le cui miniere rischiavano l’esaurimento per l’uso massiccio che Vizla ne aveva fatto durante la guerra civile.

Questo, tra le altre cose, comportava malcontento nella popolazione civile che non aveva partecipato alla guerra in modo preponderante, e Satine sapeva che avrebbe dovuto fornire loro un’alternativa all'estrazione di minerali per continuare a mangiare, se non voleva che la cacciassero dal trono a suo di legnate. 

Akaan non avrebbe dovuto essere un luogo chiuso. Al fine di smetterla di fare i cacciatori di taglie, gli assassini e i terroristi, i prigionieri avrebbero dovuto comprendere che un altro mondo era possibile, e che non ci si viveva poi così male. Così, avrebbero riparato ai danni fatti collaborando con i cittadini alla ricostruzione. Questo implicava che i cittadini stessi avrebbero avuto incentivi per aprire attività industriali che purificassero le acque o che comprendessero la piantumazione di alberi, qualunque progetto essi avessero in mente. Satine aveva intenzione di fare della compatibilità ambientale una delle sue battaglie principali, e sapeva come fare a movimentare l’economia e a favorire il suo sviluppo.

La soluzione era relativamente semplice: detrarre le spese dalle tasse.

Lei era una Kryze, perdiana, se non sapeva riscuoterle lei, le tasse, nessun altro ci sarebbe riuscito. 

Il piano, dunque, era piuttosto semplice.

Rook voleva tenere Concordia indipendente, senza nemmeno un protettorato? 

Bene, l’avrebbe avuta, ma avrebbe dovuto rispettare una serie di regole.

Regola numero uno: Akaan, ormai disabitata e distrutta, sarebbe diventata un carcere, ma alle condizioni della duchessa.

Uno punto uno: non avrebbe offerto soggiorni a spese dello Stato a vita né si sarebbe trasformata in un’impresa di pompe funebri.

Uno punto due: avrebbe introdotto la riabilitazione dei detenuti, insegnando loro un mestiere edificante da svolgere una volta usciti dal carcere.

Uno punto tre: le industrie e le collaborazioni sarebbero state qualificate, per evitare pericolose forme di corruzione, e questo sarebbe avvenuto attraverso una delicata procedura di selezione a carattere pubblico.

Uno punto quattro: i dati degli schedati sarebbero stati consegnati al Ranov’la, al fine di effettuare dei controlli una tantum per essere certi che la riabilitazione avesse funzionato.

Regola numero due: le attività che sarebbero nate su Concordia avrebbero dovuto avere come fine primario il recupero del pianeta. Agli incentivi e alla detrazione dal fisco ci avrebbe pensato lei, mentre Rook avrebbe dovuto mettere a disposizione i finanziamenti necessari.

Aveva voluto la bicicletta? Avrebbe anche pedalato, però. 

Regola numero tre: le miniere sarebbero rimaste aperte, ma non con attività estrattiva. Non tutte, infatti, erano salubri e sicure. Concordia avrebbe dovuto accettare il nuovo Statuto dei Minatori, in cui si sancivano orari di lavoro ridotti, limiti d’età in entrata e in uscita dal mercato del lavoro per attività usurante, sgravi fiscali per le miniere che si sarebbero messe in regola con la sicurezza e con gli strumenti da assegnare ai minatori, nonché per la conversione ad impianto turistico con l’assunzione di personale locale. Solo alcune miniere, quelle messe meglio, sarebbero rimaste in attività per estrarre beskar che sarebbe stato utilizzato solo ed esclusivamente a scopo edilizio. La forgiatura di beskar’game sarebbe stata statale e fornita solo a quei ragazzi che ne avrebbero fatto richiesta.

Più di così, Satine non sapeva che altro fare.

Obi Wan, che diceva di detestare la politica, stava dimostrando con il tempo di avere grandi doti per farla. Si era accorto subito della falla in quel piano, un osso talmente grande da restare in gola persino a Satine.

Quel piano avrebbe funzionato fintantoché Rook sarebbe rimasto su Concordia, al suo posto di governatore.

Fuori da quel mandato, dunque, il piano rischiava di fallire. Un’autonomia così importante significava che il governatore avrebbe ambito a prendersi molto potere, magari anche aggirando il controllo del Mand’alor. Se una cosa del genere fosse avvenuta su Draboon o Krownest, sarebbe stato grave, ma se fosse avvenuta su Concordia avrebbe rischiato di diventare letale.

Satine lo sapeva, e sospirò mentre tracciava delicati cerchi sulla pelle del giovane padawan.

- Come pensi di fare, dunque?-

- Cinicamente?-

- Cinicamente.-

Satine si tirò su su un gomito per poterlo guardare meglio in viso. 

Le era mancata così tanto quell’intimità. Restare a contatto pelle su pelle era piacevole, lasciava soffici brividi sull’epidermide. 

Obi Wan lasciò vagare lo sguardo sulle curve scoperte di Satine, per poi concentrarsi di nuovo su di lei.

- Spero che Rook resti in carica abbastanza da permettermi di sfilargli il giochino tra le dita alla prima occasione utile, prima che degeneri.-

Gli infilò le dita tra i capelli rossi e adagiò la testa sul petto, nell’incavo del suo collo, respirando il suo profumo ed ascoltando il battito regolare del suo cuore.

Obi Wan continuò ad accarezzarla, pensoso.

- Ho paura per te.-

Satine abbozzò un sorriso.

- Lo so, mio caro Ben. Sei il mio cavaliere Jedi senza macchia e senza paura.-

Un tocco un po’ più privato e un sorriso da birba le fecero venire i brividi.

- Ed anche senza ritegno?-

Il ghigno sul volto di Obi Wan si allargò e Satine decise di abbandonarsi alle sue mani e di lasciare Rook lontano dai suoi pensieri, almeno per quella notte.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Tatug: da tatuig, ripetere,  lett. colui che ripete, pappagallo

Ne’tra briik: lett. riga nera, piccolo animale a strisce bianche e nere, puzzola.

 

NOTE DELL’AUTORE: Haran Rook è un personaggio di mia invenzione, anche se il suo clan - come la nobile casata dei Kast - fa parte dell’universo di Star Wars.

Allo stesso modo, ne fanno parte anche tutte le creature aliene che ho inserito nella storia. Il borgo di Igmur, capolavoro di integrazione, è completamente inventato, e al suo interno ho inserito alcune delle etnie più famose: i Togruti, di cui facevano parte Ahsoka Tano e la magistra Shaak Ti, i Mirialani, come la magistra Luminara Unduli e la padawan Barriss Offee, i Twi’lek, come Aayla Secura e la meravigliosa Hera Syndulla, e i celeberrimi Mon Calamari, con l’eccellente rappresentanza dell’ammiraglio Ackbar. Mi sono divertita anche ad aggiungere specie un po’ meno note, come i Phindian, e i miei preferiti, i Rishii e i Mrlissi. Entrambe specie aviarie, si differenziano nelle caratteristiche e nell’aspetto fisico. I Rishii vengono descritti come una specie aviaria senziente, carnivora, nativa del pianeta Rishi, e con una certa tendenza a ripetere tutto quello che viene loro detto. I Mrlissi, invece, sono descritti come umanoidi dalla forma di uccello, incapaci di volare, alti in media meno di un metro, e sono famosi per le loro grandi abilità di studiosi ed accademici. 

Per dare una caratterizzazione indimenticabile ad ognuno di loro, ho dovuto aggiungere particolari. Vorrei pregare chiunque segue questa storia a non riconoscersi nei difetti dei miei personaggi, anche quando questi sono fisici. Si tratta solo di espedienti narrativi e niente di più, finalizzati alla caratterizzazione del personaggio. Non vi è nessun intento di prendersi gioco delle disabilità o delle fattezze fisiche di alcuno.

In ogni caso, i nostri amici di Igmur torneranno più avanti, dando origine ad altri siparietti che permetteranno di approfondire la caratterizzazione.

Il prossimo è un capitolo cruciale, in cui inizieranno a delinearsi le circostanze che spingeranno i nostri eroi a lasciare Mandalore.

Come ho già detto, si tratta di riannodare tutti i fili e giungere, infine, alla conclusione di questa storia. 

Grazie e alla prossima,

 

Molly. 

 

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Capitolo 63
*** 53- Pirun redalur ***


CAPITOLO 53

Pirun redalur

 

- Mhi solus tome, mhi solus dartome, mhi me'dinui an, mhi ba’jur verde.-

Silenzio.

Gli astanti si lanciarono un’occhiata perplessa finché Satine non sbottò. 

- Oh, suvvia! Baciala!- 

La famiglia scoppiò in un gioioso applauso mentre il maggiordomo e la domestica si scambiavano tenere effusioni nei loro abiti migliori. Satine, col sorriso fino all’attaccatura delle orecchie, si sfregava le mani dopo aver celebrato un matrimonio atteso da ormai troppo tempo.

Kryze Manor era stata addobbata a festa e per l’occasione Satine aveva coinvolto anche i Jedi.

- Non vorrete mica che Maryam ed Athos svolgano da soli i preparativi per il loro matrimonio! Non esiste!-

Così, Qui Gon era stato spedito a comprare la torta in pasticceria a Qibal, ed era tornato con grande ritardo pieno zeppo di ninnoli in vetro che avrebbe voluto studiare con calma. Obi Wan, invece, era stato ingaggiato per appendere le ghirlande ed evitare che la nuova duchessa si rompesse l’osso del collo sulla scala a pioli. 

Quella fu anche la prima occasione in cui il giovane padawan e il duca Kryze ebbero modo di interagire in modo appropriato. Scambiare due chiacchiere o parlare di politica era una cosa, vivere la vita di tutti i giorni un’altra. Satine gli aveva impilato in grembo una sfilza di ghirlande che il duca aveva avuto l’arduo compito di districare con le dita tremanti e passarle ad Obi Wan.

- Sat’ika, se lo faccio io ci metterete tre giorni.-

- Ma smettila, buir, non è vero!-

Non ci misero tre giorni, in effetti, ma una giornata intera sì, e Obi Wan comprese che, più che una necessità, quello era un gesto per coinvolgere il padre nei preparativi e non farlo sentire un inabile fermo in un angolo.

Così, aveva aspettato pazientemente che il duca districasse le ghirlande e poi le aveva appese alle pareti in alto facendole volare con la Forza.

Il giardiniere aveva fatto del suo meglio ed aveva avuto un bel risultato. Maryam ed Athos si erano sposati sotto un bell’arco di foglie di vite, ormai ingiallite dall’avanzare dell’autunno, con il Suumpir Darasuum a fare da cornice e il cielo macchiato da piccole nuvole bianche.

C’erano anche Inga Bauer e Vanya, passate di lì per l’occasione con un pensiero per gli sposi. Assieme a loro c’era una piccoletta dall’aria tutta pepe che Obi Wan non conosceva, ma che aveva l’aria familiare. La Forza attorno a lei gli ricordava qualcuno, ma la rabbia che dominava l’animo della piccola gli era del tutto sconosciuta.

Deve essere il parente fastidioso che ha destabilizzato Satine su Aldeeran.

In ogni caso, non aveva fatto domande e si era ritirato presto vicino al suo maestro per sfuggire agli sguardi penetranti della ragazzina, che sembrava avercela particolarmente con lui.

Nel bel mezzo dei festeggiamenti, quando ormai tutti avevano una fetta di torta in mano e un calice di ne’tra gal nell’altro, il commlink di Satine prese a squillare con insistenza.

La ragazza osservò il numero e respinse la chiamata.

Il commlink squillò ancora.

Satine sospirò, guardò con rammarico Maryam ed Athos e prese la chiamata, sparendo dentro le mura di Kryze Manor.

Obi Wan colse lo sguardo del duca mentre seguiva la figlia fin dentro il maniero. 

Poi, inaspettatamente, l’uomo voltò la testa e posò lo sguardo su di lui mentre gli faceva cenno con la mano di avvicinarsi.

Il padawan si inginocchiò accanto alla sedia a rotelle.

- Non voglio chiederlo ad Athos. Oggi è il suo giorno. Per favore, portami da mia figlia.-

Obi Wan non se lo fece ripetere due volte. Tolse i freni della carrozzina e lo spinse oltre la porta alla ricerca di Satine.

Non ci volle molto per trovarla, anche perché stava vociando dentro al commlink con l’indignazione di chi era appena stato interrotto sul più bello.

- Ma per tutta la biancheria sudicia di Kad’Harangir, proprio domani?-

Qualcuno brontolò qualcosa in risposta.

- E come accidenti faccio, secondo voi? Ho appena sposato il mio maggiordomo e la mia domestica, che dopo tutto quello che hanno passato avrebbero anche il diritto di godersi un viaggio, cioè, un viaggetto di nozze… No, non è una questione di soldi, è una questione di guerra! Dove vuoi andare a divertirti se è tutto distrutto? Più per passare del tempo insieme che per altro… Ma insomma, volete smetterla con questa storia della taccagneria? Non è per i soldi, vi dico!-

Obi Wan potè vedere il duca alzare gli occhi al cielo.

- Questa farsa non finirà mai, ormai il pregiudizio si è radicato.- brontolò il monitor, mentre con una mano cercava il braccio del padawan per portarselo vicino.

Quando lo raggiunse, lo invitò a chinarsi su di lui come per dirgli qualcosa in confidenza.

- Che poi, mica è vero che siamo spilorci. Siamo parsimoniosi.-

Satine si accorse di loro e si voltò verso suo padre, allargando le braccia.

- Generale Kell, ripeto, comprendo i bisogni della politica, ma domani non posso, almeno dopodomani… Va bene! Va bene! E sia! Andrò domani a Nebrod. Sì, si, va bene. No, la Rishii parla sempre così, deve essere molto anziana e nuova del sistema. Chiamate il Mrlssi, lui sa tradurre ed evita che la vecchia pennuta ripeta tutto quello che dite. Credetemi, è impossibile condurre una trattativa con lei che gracchia di sottofondo… No, il Phindian ci vede benissimo, vi confonde, ma il progetto lo guarda bene, quindi mi raccomando, controllate anche le virgole. Sì, riferite che ci sarò. Grazie.-

La ragazza chiuse la chiamata e sbuffò sonoramente.

- Non che non li capisca, eh.- esordì, guardando il pavimento e manifestando chiaramente una gran voglia di pestare i piedi.- Alla fine Maryam ed Athos hanno fatto lo stesso ma, per Arasuum, tutti adesso?-

- Qualcuno si sposa?-

- A quanto pare la popolazione di Nebrod si è insediata nuovamente ed hanno eletto a furor di popolo il nuovo sindaco in virtù delle sue azioni compiute in battaglia. Il problema è che il nuovo sindaco è stufo di aspettare e lui e la fidanzata hanno deciso di sposarsi domani. Nulla di sbagliato, se non volessero coinvolgere anche me. Non ci vado nemmeno volentieri, a Nebrod, dopo l’ultima volta, e invece adesso mi tocca in nome della politica. Sono stata a Khader, che, non ci vuoi andare a Nebrod, distrutto dagli spettri?-

Suo padre la guardò con compassione.

- I primi momenti dopo l’insediamento sono i più delicati, Satine. Vedrai che gli sforzi che fai adesso saranno ampiamente ripagati in futuro.-

Le spalle della ragazza crollarono inesorabilmente verso terra.

- Uffa.-

- Lo so, ma credimi, non è un problema. Maryam ed Athos capiranno. In fondo, si tratta solo di un paio di giorni. Andata e ritorno. Andrà tutto bene, vedrai. Staremo bene.-

Satine annuì e forzò un sorriso.

L’occhio le cadde sul quadretto che aveva di fronte. Suo padre assiso sulla sua sedia a rotelle ipertecnologica ed Obi Wan alle sue spalle che lo spingeva con pazienza.

Le dita del duca stringevano ancora un angolo della sua tunica.

Il cuore della duchessa si strinse un poco, mentre li guardava uscire di nuovo in giardino a festeggiare i due sposi novelli.

Suo padre si stava legando ad Obi Wan. Satine ormai era certa che sapesse che tra loro due c’era qualcosa. Forse, mostrandogli simpatia, stava solo facendo del suo meglio per convincerlo a restare a Kryze Manor e a non ripartire per Coruscant.

Non sapeva se essere felice o mettersi a piangere.

Rimase un momento indietro a meditare sul da farsi. Quella sera avrebbe dovuto preparare nuovamente la valigia e telefonare a qualcuno nel villaggio che le offrisse un luogo dove passare la notte per tre persone: lei e i suoi due protettori. Inoltre, avrebbe dovuto prendersi un minuto per meditare. Voleva arrivare psicologicamente preparata a ciò che l’avrebbe attesa al Pozzo dei Giganti. 

Un matrimonio come un funerale poteva essere un ottimo momento per Nebrod per parlare con lei.

La Forza sola sapeva quanto ne avesse bisogno! Doveva sapere che cosa fare. L’attesa la stava consumando. Obi Wan sarebbe rimasto? Sarebbero diventati un’unica, grande famiglia? 

Non aveva mai voluto comunicare con la creatura che viveva in fondo al Pozzo dei Giganti. L’idea di farlo di nuovo la terrorizzava. Allo stesso tempo, però, l’eventualità l’intrigava, soprattutto adesso che aveva bisogno di risposte e di certezze.

Sua sorella la trovò così, che pensava seduta sul divano di casa con la testa tra le mani e le dita che massaggiavano delicatamente le tempie.

- Nemmeno per il matrimonio di Maryam ed Athos riesci a liberarti?- 

Satine sentì un moto di rabbia invaderle il petto.

E’ lei quella arrabbiata, non tu.

Anche se non vuole vederti, se ha quasi disertato la tua incoronazione, se ha bellamente glissato sul tuo ritorno a Kryze Manor, è lei quella arrabbiata, non tu.

Tu non devi comportarti male.

Provò a dare ascolto alla sua vocina interiore e guardò la sorella con fare accogliente.

- Ciao anche a te, Bo. Come va il tuo addestramento con Inga?-

La ragazzina fece spallucce.

- E’ davvero un piacere vederti. Mi sei mancata tanto.-

Allargò le braccia ed abbracciò sua sorella. Le voleva bene. Non le importava nulla di tutto il resto: Bo poteva essere arrabbiata quanto voleva, ma era sua sorella, l’avrebbe amata per sempre. Sarebbe stata la bambina dai capelli rossi che aveva protetto per tutta l’infanzia.  

Quanto le era mancato quel legame! Sentire Bo viva e vegeta, e soprattutto vicina, non le aveva mai scaldato il cuore così tanto come in quel momento.

La ragazzina sulle prime parve sorpresa, ma alla fine ricambiò l’abbraccio come erano solite fare prima della guerra ed ogni freddezza sembrò superata.

- Avrei tanto voluto salutarti prima.- le disse, nascondendole il caschetto rosso dietro le orecchie.- Ma sei sparita improvvisamente. Avrei voluto parlarti. Ti avrei presentato i due…-

Bo Katan sbuffò. 

- Io con quelli non ci parlo.- 

Satine le lanciò un’occhiata eloquente, ma preferì non fare polemica.

Non adesso che aveva appena ritrovato sua sorella.

Le fece cenno di sedersi accanto a lei sul divano e sua sorella si accomodò. 

Satine lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e si rese conto che suo padre si era fatto piazzare da Obi Wan in una postazione strategica, dalla quale poteva vedere dentro il maniero ed osservare la conversazione tra le due figlie.

Papà ne sa sempre una più del diavolo.

- Allora, dimmi: come va il tuo addestramento con Inga?-

La bambina fece spallucce, guardandosi le scarpe.

- E’ dura. Non pensavo che fosse così tosta, addestrarsi con le Figlie dell’Aria.-

Satine le fece un sorriso compassionevole.

- Ne so qualcosa, quando sono partita per il mio anno di addestramento…-

- Non vedo come.- la interruppe sua sorella, alzando il mento in alto e guardandola con aria di sfida. - Non ti sei mai addestrata con Inga e con le altre. Eppure porti la loro armatura.- 

Satine colse l’implicazione di quell’affermazione e trattenne il fiato.

Resta calma.

- Il mio, più che un gesto bellico, è un atto politico. Lo sai. La tigre delle due sei sempre stata tu.- e le accarezzò il caschetto rosso un’altra volta.- In ogni caso, non importa. Se le cose andranno come penso che andranno, nemmeno tu dovrai mai indossare un’armatura, quindi non fa differenza.-

Bo si finse convinta ed annuì.

- Se tua sorella un giorno entrasse a far parte delle forze armate, ti offenderesti?-

- Vuoi fare il militare?-

- Offenderei l’onore del Mand’alor?-

Pronunciò quella frase con una certa inclinazione canzonatoria che non sfuggì alla duchessa. Si morse la lingua e decise di procedere come sempre: ricambiando la leggerezza.

- Non dire scemenze, sarei fierissima di te. E poi, sarò anche contraria alla guerra, ma questo non vuol dire che accetti di arrendermi. La difesa è sempre legittima, e se tu volessi difendere il tuo paese non potrei fare altro che stare dalla tua parte. Il resto si adatterà alle inclinazioni del Mand’alor!-

Aveva sperato di strapparle una di quelle risate sguaiate che solo Bo sapeva fare, ma ottenne in cambio soltanto un sorrisetto.

Dov’è che sbaglio?

Il silenzio calò tra le due.

- Quando riparti?-

- Subito dopo la cerimonia. Vado via con Inga e Vanya.-

Satine aggrottò le sopracciglia.

- Credevo che ti saresti fermata un poco qua con noi. Mi avrebbe fatto piacere passare un po’ di tempo con te. Ti ho vista giusto giusto all’incoronazione e poi sei sparita. Sono stata via un anno in una specie di lungo campeggio, nascosta nei boschi e nei deserti del sistema. Io e i Jedi abbiamo avuto un sacco di avventure, non le vuoi conoscere?-

Vide la curiosità brillare negli occhi della sorella, ma lo sguardo di Bo Katan si era indurito. Non era più la bambina vivace che Satine aveva lasciato un anno prima.

La guerra può fare questo e anche di peggio.

- Sinceramente, no. La magia non mi è mai piaciuta.-

- E le storie di cavalieri, di dame? Quelle ti piacevano. Ti piaceva sentire della tragedia di Bo Katan Vizla, eri così fiera di portare il nome della ragazza che aveva cercato di porre fine ad una guerra inutile andando contro il volere del padre.-

- E’ vero, mi piacevano. Una volta. Tanti anni fa. E poi, la tua non è una storia epica. L’hai detto tu. Eri in campeggio.-

Se solo tu sapessi che è successo, mentre ero in villeggiatura.

- Beh, diciamo che ho usato un termine un po’ riduttivo. E’ stato un campeggio in fuga dai pirati.-

- Smetti di usare queste metafore da favola, Satine. Non ho più sette anni.-

No, ne hai dodici. Non è che ci sia molta differenza.

- Allora potresti ascoltare di come ho preso Sundari.-

Bo emise uno sbuffo sarcastico, ma non commentò.

Satine provò a cambiare argomento.

- Bene, allora raccontami tu che cosa è successo qua in un anno di conflitto. Avrai sicuramente delle storie avvincenti da raccontare. Possiamo mettere a posto la tua stanza e poi stasera andiamo sul tetto a raccontarci le storie…-

- No, parto.-

La duchessa chiuse gli occhi.

Calma e gesso.

- Che ne dici se ti vengo a trovare ai Eyaytir uno dei questi giorni?-

- Quindi è vero. Te ne vai.-

Satine strabuzzò gli occhi.

- No, non vado da nessuna parte. Mi hanno costretto ad andare a Nebrod domani, ma tornerò a casa immediatamente e poi potremo passare del tempo…-

- E il viaggio di nozze di Maryam ed Athos? E papà?-

Satine scosse il capo, mesta.

- La mia famiglia vale per me più di ogni altra cosa al mondo. Ho praticamente litigato con la generale Kell, pur di non partire.-

- Eppure partirai.-

- Per non inimicarmi il nuovo sindaco di Nebrod, sì. Hod’Haran solo sa quanti nemici già abbiamo senza metterci un’altra dichiarazione di empietà.-

- E ti porterai i tuoi cani magici dietro?-

Un lampo passò negli occhi di Satine.

Nemmeno mia sorella è autorizzata a definire Obi Wan e Qui Gon in questo modo.

- Modera i termini, Bo. Mi hanno salvato la vita e meritano la nostra riconoscenza.-

La bambina arricciò il naso.

- E’ per questo che riparti stasera con Inga e Vanya? Per non parlare con loro?-

Bo schivò abilmente la domanda.

- Non che cambi granché. Tanto non ci saresti stata lo stesso.-

- Bo…-

- L’hai detto tu, che sei a Nebrod. No?-

Le spalle di Satine crollarono verso il basso. 

- Perché non vieni con noi? Andiamo, dà ai due Jedi una possibilità! Sono sicura che se tu li conoscessi, ti starebbero simpatici.-

Satine lanciò un’occhiata a suo padre fuori dalla finestra e lo vide mentre si infilava in bocca un cucchiaio di panna, direttamente dalla seconda - o forse la terza - fetta di torta di Athos.

Aveva lanciato uno sguardo dentro la stanza con i baffi di panna ed aveva incrociato gli occhi di Satine per un momento.

Non sta andando benissimo, però non è nemmeno una tragedia.

Ci riprovò.

- Il maestro, per esempio, è molto curioso, anche se sulle prime sembra un po’ freddo. Potresti raccontargli delle storie. Ti ascolterebbe volentieri. Oppure, Obi Wan ha imparato benissimo le nostre tradizioni e parla la nostra lingua. Perché non ci parli?-

In cuor suo, Satine voleva davvero che sua sorella vedesse quanto di buono c’era nei due uomini. L’avevano protetta per mesi, a rischio della loro vita. La duchessa li adorava come si adorano i familiari, dei genitori. Beh, almeno per quanto riguardava Qui Gon. 

Obi Wan era un’altra storia. 

- No, grazie. Mi è bastata la sceneggiata all’incoronazione. Dovevi davvero portarteli all’altare?-

Satine cominciò a spazientirsi, ma provò a mantenere i nervi saldi.

- Bo, fai parte della nobile casata dei Kryze. Devi imparare a fare politica. I Jedi vivono su Coruscant, dove c’è il Senato della Repubblica.- 

Un lampo di consapevolezza attraversò gli occhi tigrati della ragazzina, assieme ad un misto di colpevolezza e vergogna.

Poi, il suo sguardo si fece duro di nuovo.

- Fa lo stesso. I Jedi sono stati nostri nemici e un Mando non dimentica. Per non parlare del fatto che la Repubblica se ne è bellamente lavata le mani, di Mandalore. Non capisco proprio per quale motivo dovremmo metterci in combutta con loro.-

- Non dobbiamo metterci in combutta. Dobbiamo semplicemente avere la consapevolezza che, per quanto corrotta e confusa, la Repubblica è l’alleanza galattica più vasta, e che prima o poi dovremo averci a che fare. Meglio averla come amica che come nemica. E poi, noi abbiamo firmato un trattato con essa. Dobbiamo rispettarlo.-

- Ma loro…-

- Loro non lo hanno rispettato, è vero. Questo non significa però che possiamo arrogarci il diritto di passare dalla parte del torto.-

Fu in quel momento che Satine ebbe una pessima idea. Meglio, sarebbe stata una splendida idea se avesse conferito con chiunque altro eccetto Bo Katan, ma non sapeva più che pesci prendere, davvero. Voleva a tutti i costi che sua sorella capisse. 

Per quanto potesse dire a se stessa che il problema non era suo, voleva che Bo fosse parte della sua felicità.

Non poteva dirle che amava un Jedi, ma poteva fare in modo di farle capire che di lui, tra tutti i Jedi, si sarebbe potuta fidare ciecamente.

- Perché non parli un po’ con Obi Wan? A lui la politica non piace, proprio come a te, ed è per questo motivo che è estremamente bravo a negoziare. Quando avrà completato l’apprendistato, sono sicura che sarà uno dei migliori Jedi e dei migliori diplomatici che questa galassia abbia mai visto. Avete molte cose in comune.-

Bo Katan, questa volta, sbottò.

- Perché insisti? Ti ho già detto che io con quelli non ci voglio parlare! Non ho niente da condividere con loro!-

- Perché voglio dimostrarti che ti sbagli, Bo. Sono partita con loro perché me lo ha chiesto la mia corte, perché era tatticamente un’idea geniale, ma nemmeno io li avevo molto simpatici. Sono comunque troppo vicini alla Repubblica. Eppure ho scoperto un sacco di cose, ho imparato a rispettarli e loro hanno imparato a rispettare noi. Senza di loro sarei morta, seriamente. Obi Wan mi ha insegnato a non avere paura di me stessa, a controllare la Luce. E’ così che sono riuscita a…-

Bo Katan spalancò gli occhi, offesa.

- Tu hai raccontato ad un Jedi della Luce di Mandalore?-

Satine proprio non riusciva a capire dove fosse il problema.

- Io non gli ho raccontato proprio niente. Mi è capitato di aprirla per sbaglio contro uno spettro ed ho rischiato di fare un mezzo macello. Senza l’insegnamento del maestro e di Obi Wan, sarei morta alla PharmaMandalore. Non è esploso un serbatoio, Bo. Nulla di tutto ciò. Sono stata io a far saltare in aria la fabbrica. Era diventata una tana di spettri, e noi ci siamo caduti dentro. E poi, andiamo, Bo! Secondo te come avrei fatto a vincere a Sundari senza aprire la Luce di Mandalore? Era ovvio che prima o poi avrebbero scoperto qualcosa. C’è di buono, però, che sono due persone intelligenti e fidate e…-

- Un Jedi non è mai degno di fiducia.-

- Come fai a dirlo se non ci parli?-

- Come fai tu a dire che non ti tradiranno! Davvero, non so che cosa sia peggio, che tu abbia confidato i nostri segreti ad uno sporco mago o che tu li abbia utilizzati con l’ausilio delle tecniche dei Jedi…-

Satine non seppe mai che cosa quel giorno rivelò i suoi veri sentimenti. Tutto ciò che la giovane duchessa voleva era fornire alla sorella gli strumenti per comprendere che sì, un mondo diverso era possibile, e - se solo gliene avesse data la possibilità - dimostrarle che se c’era stato spazio per un Jedi ed una Mando innamorati, allora ci sarebbe stato spazio anche per un mondo in cui la ragazzina non avrebbe sofferto più.

In un mondo ideale, questo sarebbe stato ciò che sarebbe accaduto.

Il mondo, però, era fin troppo reale.

E siccome lo sapeva, Satine non aveva detto assolutamente nulla, né lo avrebbe mai ammesso se sua sorella non avesse intuito la verità.

Da cosa, non lo seppe mai.

- Ti prego, dimmi di no.-

- A proposito di cosa?-

- Non puoi averlo fatto davvero!-

- Bo, di che cosa stai parlando?-

- Non fare la stupida! Sai benissimo di cosa sto parlando!-

E prese fiato, come per trattenersi dall’esplodere.

- Tu… E il Jedi…-

- Siamo amici, sì. E allora?-

- Non prendermi per scema. Tu e lui- increspò il naso per il disgusto.- Siete molto peggio.-

Satine avrebbe tanto voluto risponderle. E’ una favola. Sono tutte fantasie. Chi ti ha raccontato queste idiozie?

Aprì la bocca per rispondere, ma non ne uscì niente.

Sconfitta, abbassò il capo e si guardò le scarpe.

Bo Katan, invece, esplose come una bomba.

- CHE COSA?-

- Bo, che c’è di male?- riuscì a commentare Satine, aprendo le braccia.- Non sono mai stata più felice…-

- E ME LO CHIEDI?-

La duchessa sospirò.

- Lui mi rende felice, Bo. E’ come me. Vede il mondo come lo vedo io. E’ fragile come lo sono io e allo stesso tempo è molto più forte di me. Ci completiamo a vicenda…-

- Sveglia, Satine, questo non è Starlight, è la realtà, e dopo Galidraan significa che te la spassi col nemico!-

- Sai benissimo anche tu che Galidraan è stato uno sporco trucco per ingannare i Jedi e convincerli a commettere una strage…-

- Sì, sì, tutte scuse per difendere i tuoi nuovi amici, ma la nostra gente è morta quel giorno, e tu ti porti a letto uno di quei mostri!-

Satine avvampò.

Un silenzio teso calò nella stanza, mentre Bo Katan fissava la sorella, oltraggiata. 

La osservò mentre serrava le palpebre e sibilava, minacciosa:

- Che non esca mai più una simile nefandezza dalla tua bocca, Bo Katan.-

La ragazzina percepì la minaccia e fece un passo indietro, stringendo i pugni e le labbra.

Satine era scandalizzata. Come poteva? Era la persona che la conosceva meglio di ogni altro dopo suo padre. Come poteva sua sorella accusarla di aver infranto il Resol’nare, di aver usato i voti del riddurok, di aver creato un vincolo

Oh, le sarebbe piaciuto un sacco, ma no.

No.

- Tu sai esattamente che ci sono limiti oltre i quali non mi spingerei, Bo. Non senza una valida ragione. Sai benissimo che queste cose non si fanno per politica, non da parte del nostro clan. Ed io sono fedele a Mandalore, a te e alle nostre tradizioni. E comunque - il tono della sua voce si fece affilato come la lama di un rasoio.- Quello che faccio nella mia vita privata o nel privato delle mie stanze non ti riguarda.-

Bo tacque per un secondo, prima di ribattere.

- Papà lo sa che ti fai un etyc jetti?-

Satine alzò pericolosamente un sopracciglio, ma Bo la sfidò apertamente a provare a punirla.

Inspira, espira.

- A papà Obi Wan piace.- le rispose in tutta onestà.

Satine non sapeva, all’epoca, che quella sarebbe stata una delle ultime volte in cui avrebbe visto sua sorella. Non sapeva che uno degli ultimi ricordi che avrebbe avuto di lei sarebbe stata la sua piccola schiena minuta che si stagliava contro il cielo autunnale sulla soglia di Kryze Manor, il caschetto rosso che si fondeva coi colori delle foglie e dell’erba.

Non sapeva nulla di tutto ciò, ma averlo saputo non le avrebbe comunque fatto meno male. 

- Bo, ti prego, aspetta!-

Ma la bambina non si fermò nemmeno mentre prendeva la porta.

Satine, a quel punto, esplose.

- Perché?- tuonò, un ringhio nella voce che non le apparteneva e che soltanto il comportamento insolente di Bo sapeva tirarle fuori.- Perché non puoi essere felice per me, per una volta nella tua vita?-

Le notti passate sul tetto a discutere di come sarebbe stato il mio Uomo delle Stelle, del suo aspetto, delle sue qualità.

Le notti passate a sognare insieme mondi lontani e futuri possibili.

La profezia di Nebrod, che non mente mai.

Come hai fatto a dimenticare tutto?

Questa volta, Bo Katan si fermò.

Si fermò sulla soglia, i pugni lungo i fianchi e il capo rosso che sfiorava il blu del cielo.

Voltò appena il viso, abbastanza per poter mostrare a Satine la freddezza nei suoi occhi tigrati, identici a quelli di suo padre, ma allo stesso tempo così diversi.

- E’ questo quello che vuoi, Satine?-

Satine. Non più Tilli. Soltanto Satine.

Si sentì stringere il cuore.

- Sì.-

- Sei felice con lui?-

- Sì.-

Bo voltò di nuovo il capo verso l’esterno.

- Allora auguri e figli maschi, Satine. Sono felice per te.-

E sparì oltre la porta.

Satine non si fece ingannare. Sua sorella non era davvero felice per lei. 

Non era nemmeno felice di essere sua sorella. 

Incrociò lo sguardo di suo padre, in parte furioso ed in parte avvilito, il cucchiaio sporco di panna che giaceva rassegnato sulla coperta, macchiando il tessuto. 

Avrebbe potuto continuare a dirsi che non aveva colpa, che la rabbia di Bo Katan andava curata, che lei era soltanto un capro espiatorio, ma una parte di sé sapeva che non era così.

Quella fu la prima volta in cui la giovane duchessa fu costretta ad andare a sbattere contro la dura realtà. 

Prima che i Jedi fossero dei benvenuti su Mandalore, sarebbero passati molti, molti anni.

Richiuse la porta alle spalle della sorella, prendendosi un momento per calmarsi. 

Una strana sensazione di chiusura, di un qualcosa di definitivo la pervase.

Sii felice, Satine, ma senza di me.

 

Non disse niente a nessuno. Non a suo padre, e nemmeno a Qui Gon. 

Non ad Obi Wan.

Fece finta di nulla, come solo lei aveva imparato a fare. Quel giorno uscì di nuovo in giardino col sorriso a festeggiare. Mangiò la torta e scattò le fotografie con gli sposi.

La sera andò a letto, da sola, dopo avere fatto le valigie, e il giorno dopo era già seduta sulla sua navicella pronta per andare a Nebrod quando i due Jedi la raggiunsero.

Soltanto suo padre si era accorto della delusione nei suoi occhi blu, così simili a quelli di sua madre, e se ne fece carico, come aveva sempre fatto per tutta la vita. Questa volta, però, le sue parole rassicuranti non sortirono alcun effetto.

- Bo è un mio fallimento…-

- No, papà, Bo è un fallimento collettivo. Avrei dovuto impegnarmi di più. Avremmo dovuto tutti quanti impegnarci di più. Le abbiamo dato tutto, e nonostante questo le è mancato quello che le serviva.-

- E che cosa sarebbe?-

- Non lo so. Vorrei che potesse dirmelo.-

Poi, Satine si era fatta seria ed aveva aggiunto qualcosa che aveva allarmato profondamente il duca, insinuando in lui il sospetto che il disagio di Satine fosse dettato da qualcosa di più dell’ennesimo litigio con la sorella.

- Buir, che cosa facevi quando uno dei tuoi progetti non funzionava? Voglio dire, che cosa facevi quanto era tutto assolutamente perfetto, quando tutto andava secondo i piani e poi arrivava quel piccolo dettaglio, quel qualcosa che lasciava l’amaro in bocca?-

Il duca ci aveva pensato un po’ su.

- Intendi, come la riforma della sanità?-

- Più o meno.-

- Mi prendevo un po’ di tempo per elaborare il lutto della sconfitta. Poi, ci provavo di nuovo.-

- E se quella seconda occasione non esistesse?-

- C’è sempre una seconda occasione, Sat’ika. Siamo padroni del nostro destino. Se la sorte non bussa alla porta, possiamo sempre aprirle la finestra.-

La conversazione non lo aveva illuminato, tuttavia, vedendo Satine fare buon viso a cattivo gioco, preferì non mettere il dito nella piaga e provare a risolvere la questione in un altro modo, rivolgendosi direttamente a Bo Katan.

La ragazzina, però, non era stata di grande aiuto. Aveva riposto con parole evasive sulle prime, salvo poi esprimersi con una certa ruvidezza riguardo alle, come dire? Relazioni fisiche e sentimentali che la sorella intratteneva con un certo ragazzo di sua conoscenza.

Era stato così che il buon duca era venuto a definitiva conoscenza di quanto aveva sempre sospettato fin dal primo momento in cui aveva incontrato il bel giovanotto dagli occhi di bruma. 

Non aveva mai fatto nulla di male, povero ragazzo. Si comportava da manuale. Mai un’allusione o un ammiccamento, e nessun contatto in sua presenza. Era stato come aveva fatto quel poco che aveva fatto che aveva tradito i suoi sentimenti per Satine: l’indignazione per l’avventatezza del piano di Khader, la paura di essere diventato un pericolo per lei dopo i morsi di spettro, il chiodo fisso che qualcuno potesse farle del male o che potesse fargliene lui stesso, uno sguardo di troppo diretto a lei e la fierezza negli occhi quando l’aveva vista seduta sul trono accanto a sé.

Ecco, quello sguardo - assieme al morale a terra del padawan la sera prima dell’incoronazione -  era valso per il duca più di mille parole.

Se però Kyla vedeva di buon occhio quel rapporto e - anche se non l’avrebbe mai ammesso pubblicamente - aveva cominciato a prendere in simpatia il ragazzo dall’aria scanzonata e con l’appetito di un gemas, Bo non la pensava alla stessa maniera, e dopo un alterco moderato per il temperamento della bambina, l’aveva guardata andarsene via assieme a Vanya ed Inga Bauer. 

Satine, per conto suo, non aveva avuto più voglia di parlare di Obi Wan con nessuno, ed anche in quel momento, al suo posto sulla navicella, rimase in silenzio per quasi tutto il viaggio di andata.

Solo quando furono in prossimità del lago si decise a raccontare ai Jedi tutto quello che sapeva sul villaggio di Nebrod e sulle loro usanze.

- Quello che ci troviamo ad officiare oggi è il Rito dell’Acqua, Pirun Redalur.- chiosò mentre apriva la portiera e scendeva dalla navicella.- E’ un rito propiziatorio che si celebra in occasione dei matrimoni. Dura un giorno intero. Ci si sposa al mattino presto, si salutano i parenti e si scambiano i regali, si pranza e poi a turno ci si bagna tutti nel lago mentre gli sposi tentano la sorte e si lanciano alle spalle degli oggetti. Può trattarsi di fiori o di piccoli gioielli. Chi riesce a prenderli si sposa entro l’anno, o almeno dicono che Nebrod così voglia. In ultimo, prima di cena, tutti gli invitati devono ballare nel lago, una cosa a proposito di percuotere la terra coi piedi e smuovere l’acqua per augurare buona sorte e soprattutto una prole numerosa.- commentò infine, scuotendo la mano avanti e indietro come per dire che non aveva intenzione di dilungarsi troppo sull’argomento.

Il terzetto fu purtroppo costretto a prendere atto che paesino era stato effettivamente devastato dagli spettri. Molte delle case rurali che Satine aveva visto anni prima non esistevano più e il bel borgo aveva tetti scoperchiati, porte divelte e brutte macchie sulle facciate delle case. Tuttavia, la popolazione si era data da fare, nonostante l’età avanzata. Avevano ricostruito gran parte dei tetti e, a non voler far caso ai segni della guerra, si sarebbe potuto dire che la città era piuttosto ridente, immersa nei colori dell’autunno e piena di decorazioni di fiori e foglie sulle porte, adornate a festa per il lieto evento.

- Ci ospiterà Lea.- disse Satine, mentre salivano al villaggio attraverso un viottolo acciottolato molto pittoresco che i due Jedi studiarono quasi con circospezione.- E’ un personaggio piuttosto importante qua. Di solito è lei ad officiare i riti principali, come matrimoni o funerali, ammesso che non venga richiesta la presenza del Mand’alor.-

La signora Lea, che pareva avere tutti gli anni del mondo, sembrò molto felice di rivedere Satine e fu molto cordiale anche con Obi Wan e Qui Gon. Per la prima volta, tuttavia, i due poterono percepire nella Forza un certo alone di diffidenza che li spinse a pensare che non fossero del tutto bene accetti.

Satine aveva spiegato loro che Lea era una donna molto intelligente e che aveva capito immediatamente quale fosse la loro vera natura. Nonostante questo e la certezza che non li avrebbe mai traditi, anche Satine fu costretta a mordersi la lingua nel constatare che, purtroppo, non tutti la pensavano come il clan Kryze.

Sì, Galidraan era stata effettivamente una fregatura ai danni dei Jedi in cui c’avevano rimesso tutti, maghi e Mando. 

Sì, le guerre contro i Jedi erano avvenute migliaia di anni prima e, stranamente, i Mando avevano perso. 

Forse è proprio questo a rendere la cosa ancora più inaccettabile. 

Si stava parlando di preistoria, però, paleontologia, e tutti sapevano com’erano andate davvero le cose su Galidraan.

Eppure, nonostante la sua sapienza, anche una donna colta e avanzata come Lea non riusciva a mettere da parte la diffidenza.

Satine pensò che avrebbe dovuto fare qualcosa al riguardo.

Tuttavia, non ebbero molto tempo per pensare. Lea li trascinò immediatamente sulle rive di un bel lago dalla strana forma circolare, ai piedi di un picco di roccia scura. 

Obi Wan notò la pupilla di acqua scura, la fossa verticale che i Mando chiamavano Pozzo dei Giganti, e sentì un brivido freddo scorrergli lungo la schiena.

Il matrimonio fu celebrato quasi immediatamente sulle rive al lago, in quella bella giornata di sole autunnale che tingeva tutto di arancione e di giallo, mentre l’acqua rifletteva opaca le chiome degli alberi e le nuvole bianche, e il vento si agitava quel tanto che bastava a sollevare scialli e gonne.   

I saluti furono calorosi e persino i Jedi furono presentati a qualche notabile invitato al matrimonio. La sensazione di disagio, però, non li abbandonò mai, ed ebbero la conferma dei loro sospetti quando, dopo aver stretto la mano ad un ambasciatore, poterono udire la signora bisbigliare all’orecchio del marito:

- Ma che cosa ci fanno ancora qua?-

- Si vede che la duchessa non è ancora al sicuro.-

La donna a quel punto si era guardata alle spalle ed aveva arricciato leggermente il naso alla loro vista.

Non siamo graditi.

Il banchetto fu allestito su un tavolo basso, dove i commensali mangiarono sedendo per terra su stuoie colorate. Anche in quell’occasione, i due Jedi furono trattati con circostanza. Il cameriere, addirittura, si fermò con la portata in mano chiedendo il permesso di mettere il piatto in tavola.

- Certo, figliolo. Avanti, non mordiamo mica!-

Il tentativo di sdrammatizzare di Qui Gon, però, cadde nel vuoto, e il cameriere filò via come il vento, pretendendo di avere altri commensali da servire urgentemente.

Mangiarono fino a scoppiare. Ci fu chi si addormentò al fresco sotto un albero, chi invece preferì prendere il sole. Altri si tuffarono subito in acqua per adempiere al rito. Gli sposi rimasero a chiacchierare, e Obi Wan, accanto a Satine nella sua solita posizione di guardia, potè intuire per quale motivo la loro presenza fosse ritenuta così invasiva.

- Mia cara duchessa, non sapete quanto siamo felici che voi siate qua!-

- Sono io che ringrazio voi per l’invito, e mi dispiaccio di non potermi fermare di più. Purtroppo la mia posizione in questo momento non mi permette di riposare.-

Il sindaco era un uomo che non aveva ancora raggiunto la mezza età, ma che già presentava alcuni segni tipici di chi aveva vissuto una vita intensa. Anche la sua signora - che agli occhi di Obi Wan sembrava leggermente più in là con l’età - per quanto raggiante portava i segni di una vita complessa sul volto. 

Non aveva niente contro di loro, o almeno non aveva avuto nulla a che ridire fino a quel momento, quando si trovò ad ascoltare le parole che uscirono dalla bocca dello sposo.

Si era dimenticato che, purtroppo, era un politico.

- Vedo che avete ancora i vostri protettori con voi.- disse, lanciando un’occhiata al ragazzo poco distante.- Qualcosa non va?-

Satine scosse il capo con educazione.

- Nulla di preoccupante, ma vista la situazione e quanto già accaduto, credo che sia di fondamentale importanza che le cose restino così ancora per un po’.- concluse, ammiccando nella direzione del padawan.- Voglio prima prendere tutte le misure necessarie a garantire la stabilità.-

L’uomo parve solo parzialmente soddisfatto.

- Vi dirò, duchessa, non sono offeso e non c’è nulla di personale in quello che sto per dirvi, tuttavia credevo che vi avrei incontrata da sola, o al massimo con vostro padre. Devo ammettere che la presenza dei vostri protettori mi mette in soggezione.-

Satine non mangiò la foglia.

- Non vedo perché mai, amico mio. Questi uomini mi hanno salvata da situazioni perigliose e mai, mai hanno fatto male ad alcuno. Non vedo per quale ragione dovreste sentirvi intimidito dalla loro presenza. Sono gli esseri più affidabili di questa galassia.-

Il sindaco fece un sorriso che, per una frazione di secondo, parve ad Obi Wan terribilmente finto. 

- Non ne dubito.- e il padawan ebbe la certezza che sì, ne dubitava, e anche parecchio.- Tuttavia, uno potrebbe pensare che non vi sentiate al sicuro. Qua siamo tra amici, duchessa, nessuno si sognerebbe mai di farvi del male, o sospettate dei vostri primi sostenitori, i Nuovi Mandaloriani?-

Satine trattenne un sospiro.

E ti pareva.

Adesso che sono sul trono, si ricomincia con il teatrino. 

C’è ancora chi vuole il passacarte e non il leader.

E forse in termini politici le sarebbe convenuto pretendere di esserlo. Hod’Haran solo sapeva che cosa avrebbero potuto fare i capiclan potenti se lei avesse alzato troppo la testa.

Il Resol’nare prevede la fiducia cieca nel Mand’alor, ma il potere ne richiede altrettanta, e l’economia anche. Basta avere un po’ d’intraprendenza per esercitare l’uno e l’altro, e se il Mand’alor è nel mezzo può scegliere se scansarsi volutamente un po’ più in là o se essere scansato.

Fece buon viso a cattivo gioco.

- Mio caro sindaco, non dovete assolutamente preoccuparvi. Mi fido di voi come mi fiderei della mia famiglia. Quanto fatto dai Nuovi Mandaloriani non sarà mai dimenticato. I miei protettori mi seguiranno fino a che non avremo risolto la questione dei rinnegati e dei terroristi in fuga, dopodiché se ne andranno con l’inizio delle principali riforme, che intendo avviare nei prossimi mesi. Datemi il tempo di fare questo e di concludere il tour del settore con Phindar e Concord Dawn. Non avrò più bisogno di guardie, dopo. Solo di voi!- concluse, scherzando, e il sindaco parve prenderla bene. 

Dopo quel colloquio ne seguirono altri, e la sensazione di essere osservato non abbandonò Obi Wan per tutta la durata di quel matrimonio.

Con il calar del sole vennero accese le lucerne. L’acqua di tinse del rosso delle luci. I primi invitati più alticci stavano già ballando in acqua al ritmo dei tamburi. Una donna reggeva un bouquet di fiori con un sorriso a trentadue denti, certa che Nebrod avrebbe fatto in modo di farla sposare entro l’anno, e un uomo sfoggiava un vistoso paio di gioielli nuovi sui polsini della casacca, eredità dello sposo e auspicio di buona sorte. 

La danza entrò nel vivo quando anche gli sposi si unirono agli invitati, a piedi nudi nell’acqua. Saltarono, percossero la terra con le palme dei piedi nudi e schizzarono acqua dovunque.

Satine e i due Jedi rimasero a guardare, battendo le mani al ritmo dei tamburi.

Almeno, la duchessa rimase lì fino a che la sposa, bagnata dalla testa ai piedi e con l’abito semitrasparente che si attaccava alla sua figura, non uscì dall’acqua di corsa, l’afferrò per le mani e la trascinò nel mucchio.

Satine tentò di opporre un poco di resistenza, ma fu presto vinta dall’entusiasmo della coppia. Calciò via le scarpe e si mise a ballare, saltare e cantare assieme a tutti gli altri, inzuppandosi dalla testa ai piedi.

Qui Gon dette di gomito ad Obi Wan.

- Tu non vai, ragazzo?-

Il padawan, però, non era certo che fosse una buona idea.

- E se mi accusassero di volermi appropriare di qualcosa che non è mio? Non siamo ben visti qui, maestro.-

L’uomo fu costretto a dargli ragione.

- Saggia scelta. Inoltre, è un po’ troppo, ehm, su di giri per essere appropriato per quelli come noi. Fai bene a restare qua.-

E lo era davvero, su di giri. Anche Obi Wan lo era, perso a guardare la figura bagnata di Satine che  si districava nella massa di corpi umidi e danzanti sulla riva del lago, le fiamme rosse che le illuminavano i capelli biondi e il sorriso che splendeva nel chiarore della sera d’autunno. 

Si immaginò per un momento lì a ballare con lei, in un rito dal sapore antico e da un’alta carica, ehm, emotiva, ma fu costretto a guardarsi le scarpe per concentrarsi e riconnettersi con la Forza.

Quella è un tipo di danza che vuoi ballare con lei da un po’. 

A sera inoltrata il rito finì, la pirun redalur fu finalmente conclusa e la cena servita in tavola. 

Altra musica ed altri balli seguirono quelle portate con cui i due Jedi si saziarono senza pietà, in barba a chi li stava guardando. Erano abbastanza certi che, pieni com’erano di netra’gal, nessuno avrebbe più pensato a loro e così fu. La loro presenza, un tempo oggetto di attenzione costante, finì rapidamente nel dimenticatoio. 

Ringraziarono la Forza per questo. Il pomeriggio era stato terribilmente imbarazzante e aveva lasciato loro una brutta sensazione di essere percepiti come intrusi. Non che non fossero consapevoli di che cosa pensassero i Mando di loro, tuttavia il contatto con la famiglia Kryze aveva fatto loro sperare che le cose potessero cambiare. L’impatto piuttosto brutale con il mondo interessato della politica - e soprattutto la consapevolezza che non tutto Mandalore era come Satine - li aveva impressionati non poco e aveva insinuato in loro il dubbio che la visione della giovane duchessa potesse essere in larga parte irrealizzabile.

Un angolino della coscienza di Obi Wan, che si era trovata a dubitare della sicurezza della ragazza, aveva gioito immaginandosi accanto a lei, suo protettore per sempre senza dover nemmeno rinunciare al suo addestramento da Jedi.

La consapevolezza che fosse soltanto un’illusione, però, si era sedimentata presto in lui.

Gli unici sobri - e soprattutto savi e scevri da ogni pregiudizio - erano i bambini presenti alla festa. A loro non importava un accidenti che fossero Jedi, Mando o Sith. Si fecero attorno a Qui Gon, che provò ad intrattenerli con qualche trucco di magia, non senza imbarazzo, suscitando la tenerezza di Obi Wan e Satine. I genitori dei bambini erano troppo intenti a ballare per accorgersi di loro, e alla fine anche la giovane ragazza prese il padawan per mano e lo trascinò in mezzo alla calca che adesso stava ballando un’accesissima iivin redalur.

- Vieni, Ben, andiamo!-

- Ma non conosco nemmeno tutti i passi!-

- Chi se ne importa? Nemmeno io li so tutti!-

Ebbe giusto il tempo di lanciare un’occhiata alle sue spalle al suo maestro, che batteva le mani al ritmo di musica per far ballare i bambini, e poi sparì dentro la folla danzante.

Non lo avrebbe mai confessato ad alcuno al Tempio Jedi - con l’esclusione di Bant Eerin, si intende - ma si divertì un mondo.

Qui Gon, allo stesso modo, non avrebbe mai detto a nessuno di essersi divertito a fare per un po’ da babysitter. Obi Wan era cresciuto, ormai, e il contatto con i bambini gli riportò alla mente bellissimi ricordi condivisi con il ragazzo.

Sorrise mentre batteva le mani e li guardava ballare, provando a tenere dietro al tempo, Satine più sciolta ed Obi Wan più impacciato, che provava a seguirla senza perdere il filo.

Si disse che, per quello che valeva, li avrebbe lasciati divertire ancora per un po’.

Se le cose stanno così, comincio a sospettare che non avranno più molto tempo per farlo.

 

Il buon maestro ebbe purtroppo la conferma di tutti i suoi dubbi in nottata, quando ormai la festa nuziale era conclusa e tutti dormivano saporitamente. 

Obi Wan in particolare si era addormentato come un sasso, mentre Qui Gon aveva faticato un poco a prendere sonno.

Alla fine, stufo di rigirarsi ne letto senza scopo, decise che una tazza di infuso caldo gli avrebbe fatto bene e scese in cucina alla ricerca di una teiera. 

Lì trovò la vecchia Lea seduta al tavolo del cucinotto. 

L’aveva vista andare via presto dopo cena, mentre le danze infuriavano sulla riva del lago. Qui Gon non sapeva perché, ma aveva avuto la sensazione che quella donna avesse voluto comunicare il suo disappunto con quella ritirata anzitempo, e cominciava a sospettare che lo avesse aspettato alzata, e che lo avesse fatto per un motivo ben preciso. 

Decise di assecondarla. Scostò la sedia e si sedette a tavola con lei. 

- E’ camomilla?- le chiese, ammiccando con cortesia verso la sua tazza.

La donna scosse il capo.

- E’ behot.-

Non si dilungò in ulteriori spiegazioni, così il maestro azzardò.

- Di che sa?-

- Limone.-

- Posso berne un po’ anche io?-

La donna lo fissò intensamente e Qui Gon si chiese per tutta la durata di quello sguardo se non le avesse chiesto qualcosa di sconveniente. Magari era una medicina, o chissà quale altra schifezza la signora dovesse assumere.

Poi, con sua sorpresa, la donna si alzò e gliene versò una tazza da una teiera riposta su una piastra ad induzione.  

- E’ buono.- le disse dopo qualche sorso, e la vecchia dondolò il capo, senza parlare.

Tra loro calò il silenzio. Qui Gon, troppo paziente ed educato per venire subito al dunque, e Lea, che aveva visto abbastanza vita da immaginare un po’ di cose che non sentiva di dover rendere pubbliche. 

Quando la signora parlò, colse Qui Gon talmente di sorpresa da farlo quasi balzare sulla sedia. 

- Il ragazzo.- mormorò a quel punto, senza alzare gli occhi dalla tazza. - Il ragazzo ha ballato la Pirun Redalur?-

Qui Gon rimase colpito da quell’affermazione.

- Dipende.- 

La vecchia gli lanciò un altro sguardo penetrante con le iridi opache dal tempo.

Il maestro sentì qualcosa dentro di lui farsi piccolo piccolo.

- No, non ha ballato il rito dell’acqua. Ha ballato dopo, quando ballavano tutti, anche i bambini. Avrebbe dovuto?-

Lea sembrò soppesare le parole.

- Dipende.-

Il maestro ebbe la sensazione che quella conversazione fosse molto importante, ma non osò proferire parola. L’anziana signora voleva arrivare da qualche parte e lasciò che fosse lei a condurre la conversazione.

- Quando ripartirete?-

- Per il momento non lo sappiamo. Il nostro scopo è garantire la sicurezza della duchessa, e fino a che non sapremo dove siano finiti i cacciatori di taglie e i rinnegati di Vizla temo che Satine Kryze non possa dirsi del tutto al sicuro. Non appena Inga Bauer e la generale Kell avranno svolto le loro indagini ed avranno catturato i terroristi, allora potremo dichiarare la nostra missione conclusa.-  

Lea mugugnò, facendo girare il liquido scuro del decotto nella tazza. 

Ancora una volta Qui Gon attese che parlasse.

- Se la duchessa ha violato il Resol’nare sono problemi.-

- Che cosa intendete?-

- Noi abbiamo delle regole. Il Resol’nare, il Riddurok. Se queste regole vengono violate, si fa presto a perdere la stima dei propri sostenitori.-

- Temete che Satine abbia violato le regole? Con tutto il rispetto, signora, ma la duchessa è l’epitome del vostro Resol… Scusate, non sono bravo con il Mando’a.-

- Resol’nare. Sì, lo sospetto, e se un ragazzo l’ha indotta a farlo, uno straniero e per di più un mago, allora sono problemi grossi.-

Qui Gon posò la tazza, piccato.

- La condotta del mio padawan è stata irreprensibile.-

- Lo spero bene. Satine Kryze è la nostra unica speranza.-

- Obi Wan sa perfettamente che ci sono limiti che non può superare. Prima ancora che essere dettati dalla vostra legge, sono dettati dal nostro Codice, e lui ha giurato fedeltà ad esso. Lui e Satine hanno semplicemente fatto amicizia…-

- E vi pare poco?-

Il maestro sospirò, consapevole che quella notte non avrebbe dormito, behot o no. 

- Lea, vi risulta così impossibile concepire l’idea che le nostre genti possano essere amiche, dopo tanto tempo?-

- Su Galidraan non vi siete posti lo stesso problema.-

- Su Galidraan le nostre fonti ci avevano raccontato altro.-

Ma lo scetticismo negli occhi della donna era evidente, e Qui Gon comprese presto di dover giocare un’altra carta.

- Dooku, il maestro che causò la strage di Galidraan, è stato il mio maestro. Mi abbandonò per il lato oscuro, una scelta che io non potrò mai perdonare. Divenne un Sith, un mostro. Un darjetii.- 

Questa volta parve catturare l’attenzione di Lea.

- Come quelli con cui faceva affari Gozo?-

Qui Gon non aveva idea di chi fosse Gozo, ma annuì comunque.

- Se ciò che voi intendete per Jedi è il Conte Dooku, temo che abbiate un’idea sbagliata di quello che siamo. Io non sono il mio maestro e non lo sarò mai. Per il resto, alcune circostanze sono talmente lontane nel tempo che non conosciamo nemmeno la verità storica. I massimi custodi della vostra cultura sono i Kryze, o almeno così mi pare di aver capito. Se lei si fida di noi, perché non potete farlo anche voi?-

La donna poggiò la tazza e lo fissò intensamente ancora una volta.

Se non lo facesse perché è estremamente intelligente sarebbe inquietante. 

Poi, fece schioccare le labbra.

- Voi sapete manipolare la mente. Volete indurmi a pensare quello che pensate voi.-

- Non lo farei mai.-

- Davvero?-

- Non ne ho il motivo. Non siete una minaccia. Se mi volete, rimango, se non mi volete me ne vado. Non ho motivo di confondervi, né di usare la Forza su di voi.-

- E il ragazzo? Ha usato la magia sulla duchessa?-

Sì, e l’ha fatto per guarire la sua mente ferita, e senza di lui non ce l’avreste nemmeno, la duchessa.

- No, non l’ha fatto, ed anche se fosse, temo che non ci sia riuscito. La testa della nostra Satine è troppo dura da penetrare.- e abbozzò un sorriso.

La signora sembrò distendersi un poco, un velo di sollievo sul suo viso. Gli ingranaggi della sua mente tuttavia continuavano a girare e Qui Gon poteva percepire il suo cervello lavorare.

- Li ho guardati danzare.- disse, persa in un ricordo lontano che l’aveva vista protagonista di una simile scena.- La loro intesa è forte.-

Il maestro non commentò.

- La loro amicizia potrebbe non essere soltanto tale.-

Ancora silenzio.

- Io potrei capire, maestro. Potrei, davvero. In parte lo vorrei anche, ma gli altri… Non posso garantire sugli altri.-

- In ogni caso Obi Wan non costringerebbe mai Satine ad infrangere le vostre leggi. Piuttosto lo farebbe lui. I Jedi non sono carcerieri. Se vuole rinunciare al Codice, può farlo. Potrebbe vivere secondo le leggi di Mandalore, se decidesse di restare.-

La donna sorrise di un bel sorriso. Qui Gon pensò che dovesse essere stata bella, da giovane, della bellezza dell’intelligenza.

- Sì, potrebbe, anche se non so se sarebbe meglio così.-

- Che intendete dire?-

- Che non ci sono solo le storie, maestro. Non c’è solo la mitologia. C’è il potere. Quello fa gola a molti, e penso che ve ne siate fatto un’idea dopo la stucchevole sceneggiata del sindaco questa sera.-

Qui Gon dovette ammettere che sì, si erano resi conto che adesso sarebbe cominciata la vera lotta politica, una battaglia senza esclusione di colpi, non meno di una guerra.

- E ditemi, maestro, che pensereste voi se un jeti, rinnegato forse, ma pur sempre un jeti, stringesse un riddurok con la duchessa di Mandalore?-

- Che ha preso il posto di qualcuno più meritevole.-

Lea posò la tazza col decotto sul tavolo e si appoggiò allo schienale della sedia, fissando Qui Gon con occhi intelligenti.

- Vedete che capite?-

 

***

 

LA NOBILE CASATA DEI KRYZE

 

Gozo “Il Filibustiere” Kryze 

Farabutto e malfattore, fu inviso a tutta la sua nobile casata. Di molti Mand’alore sono state tramandate le gesta, di tutti è stato scritto qualcosa. Di lui fu scritto - ed è l’unico nella storia del sistema a potersene vantare - che, per via di tutti i disastri che combinò, fortunatamente non divenne mai Mand’alor. Soggetto dalla dubbia moralità e dalla personalità mutevole e camaleontica, operò sotto la leadership dei Vizla, ed intrattenne con essi e con altri clan rivali diversi interessi economici di dubbia liceità. Sicuramente è noto un traffico di spezie piuttosto consistente con un trafficante di Corellia. Su altre sue gesta spopolano leggende. Si può dire che con certezza che siano state attribuite a lui più malefatte di quante ne abbia effettivamente compiute, e questo è indice della sua fama. Piuttosto certa è la cessione di una villa su Concordia, di proprietà del clan Vizla, barattata per la conclusione di un matrimonio combinato tra la figlia Lynar Kryze e il figlio del Mand’alor, Vyron Vizla. La tenuta è stata poi venduta da Gozo ad uno straniero, che si è rivelato essere un darjetii. Grazie alla sua operazione di compravendita, molti minatori sono morti e molti villaggi sono stati svuotati a causa della furia del Sith, che perì, infine, sotto i colpi di un’orda di Mando imbufaliti. Per questo motivo e per i dolori arrecati alla povera figlia Lynar, i sacerdoti di Mandalore lo definirono empio, e con lui tutto il clan dei Kryze, salvo revocare la dichiarazione di empietà per consentire a sua figlia di acquisire lo status di Giusta tra le Genti.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Pirun Redalur: lett. danza, rito dell’acqua.

Mhi solus tome, mhi solus dartome, mhi me'dinui an, mhi ba’jur verde: formula rituale del ridduurok, lett. Siamo una cosa sola quando siamo assieme, siamo una cosa sola quando siamo separati, condivideremo tutto, cresceremo dei guerrieri. 

Etyc jetti: lett. sporco, lurido Jedi. 

Behot: erba utilizzata nei decotti e nelle tisane, antisettica e rinvigorente. In questa sede, liberamente interpretata come una tisana al limone.  

 

NOTE DELL’AUTORE: Non ricordo chi abbia detto questa frase - forse l’attrice che la interpreta, ma non voglio mettere in bocca alle persone parole che non hanno mai detto, quindi se qualcuno di voi lo scopre me lo faccia sapere, please - ma penso che racchiuda tutto il senso del personaggio di Bo Katan Kryze: “deve ancora capire chi lei sia davvero”. 

Ecco perché il suo personaggio è così. Confesso di non averla mai capita del tutto, nonostante io sia una fan sfegatata di Clone Wars. Ho deciso, dunque, di trasferire nel suo personaggio tutte le contraddizioni che ho percepito in lei e ne ho fatto la sua caratteristica. Bo Katan vuole qualcosa, ma non sa che cosa sia, e cerca di ottenerlo con qualunque mezzo, che puntualmente si rivela, se non ingiusto, inappropriato allo scopo. La mia Bo Katan è caos misto a rabbia ed apparentemente è impossibile spiegare perché sia così.

La danza dell’acqua, come migliaia di altre cose in questo racconto, è di mia invenzione ed è ispirata alle danze africane. 

Il prossimo è un capitolo tosto, in cui verranno anticipate molte cose di ciò che accadrà in futuro. 

Del resto, Nebrod non ha ancora parlato, e di sicuro non voglio farmi sfuggire l’occasione di rendere il tutto ancora più drammatico. 

Stay tuned!

 

Molly. 

 

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Capitolo 64
*** 54- Manda ***


CAPITOLO 54

Manda

 

La notte non portò consiglio a nessuno. Solo altri guai.

Questo, però, i nostri eroi non potevano saperlo, tuttavia, potevano immaginarselo.

Se lo immaginò di sicuro una Satine arruffata quando, al mattino dopo, fu svegliata dalla mano nodosa della vecchia Lea.

- Che succede?-

- Vi'Dan sta morendo.-

La duchessa non aveva idea di chi fosse questo Vi’Dan, tuttavia aveva ben chiaro che, dopo un matrimonio, le sarebbe toccato celebrare anche un funerale.

Insomma, era già lì. Era ovvio che questo Vi’Dan, o chi per lui, avesse richiesto la presenza della duchessa.

Tanto, che le sarebbe mai costato?

Non sapevano che, in verità, Satine aveva sognato quel mattino con tutta se stessa, non per celebrare alcunché, bensì perché svegliarsi e fare colazione avrebbe significato in modo inequivocabile che Athos sarebbe venuta a prenderla di lì a poco e se ne sarebbe andata da quel luogo inquietante che sapeva essere il villaggio di Nebrod. 

Satine, come era solita dire sempre, non pensava prima di colazione, e la sua mente senza carburante decisamente non l’aiutava a cogliere tutte le implicazioni di quella novità. L’unica cosa che il suo cervello assonnato e senza zuccheri registrò, dunque, fu che la famiglia del prossimo defunto aveva chiesto il suo intervento per dargli l’ultimo saluto, e Satine non era certo il tipo da tirarsi indietro.

Così, mentre faceva colazione, aveva informato Athos di posticipare la partenza e subito dopo si era diretta con i Jedi al seguito verso la casupola del vecchietto. 

Il villaggio, quel giorno, sembrava goffo e malandato. C’era una caligine fredda e poco accogliente che avvolgeva le piccole case dai tetti di pietra grigia. L’acciottolato sul terreno era umidiccio, come se avesse piovuto nottetempo. 

Non incontrarono nessuno né per strada, né nella casa del moribondo. A parte Lea e un uomo dall’aria altrettanto anziana, non si vedeva anima viva. 

Sembrava un luogo completamente diverso da quello che i due Jedi avevano visto il giorno prima, ed ebbero la sensazione che ci fosse qualcosa in quel villaggio, qualcosa che in quel momento era compartecipe di quanto stava accadendo in quel luogo e in quel preciso momento.

La cosa, unita alle terrificanti confidenze che la ragazza gli aveva fatto una notte di tanto tempo prima, riusciva a rendere tutto ancora più inquietante agli occhi del giovane padawan. 

Satine scoprì che l’uomo anziano presente in casa era il figlio del signor Vi’Dan, l’ultimo rimastogli vicino, fosse anche solo per ragioni anagrafiche.

- Ma quanti anni ha quest’uomo?-

- Non saprei dire, Ben, ma è abbastanza normale incontrare persone così a Nebrod. Leggenda vuole che qua le persone vivano più a lungo del normale.-

Non fu un incontro piacevole. Certo, era un funerale, non si erano aspettati molto entusiasmo. La parte veramente spiacevole, però, al di là delle circostanze di fatto, fu quando l’uomo dichiarò espressamente di volere soltanto Satine e il figlio accanto a sé. 

Lea, dal canto suo, sembrava abituata ad aspettare fuori. Sfilò fuori dalla stanza, mormorando che avevo detto, io? verso Qui Gon, e i Jedi rispettarono la volontà del signore ed uscirono dalla porta da cui erano entrati.

Si erano accorti dello sguardo perplesso e scontento del figlio del vecchio, e non erano rimasti stupiti quando il moribondo stesso aveva alzato un dito pallido come la morte ed aveva rantolato fuori di qui!

- Ve l’ho detto.- bisbigliò Lea, una volta che furono tutti e tre fuori dalla casupola.- Galidraan. La famiglia di quest’uomo è stata sterminata laggiù. Come lui, ce ne sono tanti.-

Quando Satine uscì di nuovo dalla porta andando loro incontro, aveva l’aria di chi ne aveva avuto più che abbastanza di quel posto.

- Senza offesa per nessuno, ma non vedo l’ora di andarmene. Se volete venire, arrangiamo il trasporto fino al lago e poi lo lasciamo andare. Tenetevi a distanza, il figlio non vi vuole nemmeno sotto tortura. Oh, per Nebrod, mai mi sarei immaginata di doverlo dire!- e si rifugiò di nuovo dentro casa, scuotendo il capo.

A differenza di quanto Satine aveva raccontato ad Obi Wan, non vi fu nessuna Chiamata e il cadavere non si mosse. Non si alzò né camminò. Si lasciò adagiare dentro la canoa piena di fiori che lo avrebbe condotto verso il Pozzo dei Giganti e si fece docilmente condurre fino alle rive del lago, che ancora presentavano le tracce del rito del giorno precedente.

Obi Wan era memore di ciò che Satine gli aveva confessato. Sparire dentro le acque di quel lago sarebbe stato il suo destino, come lo era stato per tutti gli altri Mand’alor prima di lei. Sprofondare laggiù, nel nero, al freddo, in un lago abitato da una creatura di cui nessuno sapeva nulla e nel quale si poteva solo avere fede.

Guardò quella canoa piena di fiori mentre accoglieva le spoglie del vecchio Vi’Dan, cercando di restare quanto più lontano possibile e di rispettare la volontà del defunto. Rimasero a distanza per tutto il tragitto, poi, in una strettoia, il feretro era dovuto passare loro davanti. 

In quell’occasione, Obi Wan, costretto tra gli alberi e il feretro, vi aveva lanciato uno sguardo dentro.

E dentro, c’era lei.

Si strofinò gli occhi per essere sicuro di aver visto bene, ma non poteva sbagliarsi. Lei era inconfondibile. Bionda e pallida di un pallore innaturale, distesa su un letto di campanule canterine, uno strano diadema con delle ali di bronzo nei capelli e la lancia di sua madre stretta tra le mani giunte.

Sentì l’aria andare via dai polmoni ed afferrò Qui Gon per la manica mentre si sforzava di guardarsi le scarpe.

Che succede, ragazzo?

Quando però il povero giovane padawan fece per rispondere, nel feretro c’era di nuovo il vecchio Vi’Dan, magro e consunto e con lo sguardo ancora aperto reso opaco dalla vecchiaia.

Cercò di ricomporsi.

Niente. Vi spiegherò poi.

Quando la canoa raggiunse le sponde del lago, tutti rimasero in attesa che il fenomeno si compisse. 

Qui Gon ed Obi Wan attesero diligentemente sul limitare del bosco.

Lea aveva lanciato loro un’occhiata incerta, come se temesse che, se l’evento non fosse avvenuto, sarebbe stata colpa loro.

Il suo timore, tuttavia, fu ben presto sopito dalla luce bianca che cominciò ad illuminare l’intero lago.

La canoa si mosse delicatamente, sospinta dalle correnti di luce bianca che attraversavano il lago, si dipartivano dalla pupilla centrale ed avvolgevano il piccolo scafo. La barchetta attraversò la superficie solcando l’acqua fino al centro esatto della pupilla, dove due onde traslucide l’avvolsero come un sudario e la trascinarono nel profondo.

Il lago divenne di nuovo piatto, calmo, intonso. 

Satine si prese qualche secondo per porgere le proprie condoglianze al figlio del vecchietto, mentre Lea si incamminò di nuovo sul sentiero, pronta per tornare alla sua casetta nel villaggio.

- Se non vi rivedrò, posso dire che sia stato un piacere, contrariamente a quanto mi aspettavo.- disse, stringendo la mano di Qui Gon e lanciando un’occhiata sospettosa nei confronti di Obi Wan.

- Comportati bene, ragazzo.-

- Ci potete contare.- commentò, ma la sua mente era altrove.

 

Lo spettacolo aveva a dir poco terrorizzato il povero Obi Wan, che non riusciva a togliersi dalla testa la maledetta promessa che aveva fatto alla giovane duchessa tempo prima.  

Satine gli aveva fatto promettere che, se fosse morta, l’avrebbe portata a Nebrod. 

Dentro di sé, Obi Wan stava cercando una scusa, una qualunque, per non ottemperare a quella richiesta.

Te lo ha fatto promettere in un momento in cui era convinta di dover morire nel giro di poco.

Adesso le cose stanno diversamente.

Sapeva, però, di star cercando solo un modo per uscirne. Quando le aveva promesso che l’avrebbe accompagnata dovunque, anche nella morte, lo aveva fatto senza limiti di tempo. Già all’epoca aveva intuito che quello che lo legava a lei non era un sentimento banale, ma qualcosa di profondo che poteva essere duraturo, indimenticabile. Già all’epoca aveva compreso che lei sarebbe stata importante come nessun’altra.

Così, si mise a pregare la Forza e tutto il pantheon mandaloriano affinché ciò non accadesse mai, innanzitutto perché non voleva vedere Satine morire, e poi perché non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di mantenere quella promessa, fatta con l’incoscienza di chi non sa di che cosa parla e soprattutto di chi farebbe qualunque cosa per la persona che ama.

Quanto aveva già visto gli sarebbe bastato per tutta la vita. 

Percepì solo distrattamente il commento del maestro e della duchessa a proposito degli alberi.

- Fortunatamente la funzione è finita senza troppi gesti eclatanti. A volte Nebrod sa veramente essere spettacolare, per chi ha il gusto del macabro. Dopo la celebrazione di solito i familiari vanno al loro albero a sentire la voce del defunto, per sapere che tutto è andato bene.-

- Ricordo che ci avevate raccontato qualcosa di simile. Stento a credere, duchessa, che sia vero.-

- Se volete, potete ascoltare. Venite, avvicinatevi ad un tronco e ditemi che cosa sentite!-

Il terzetto si mosse compatto verso l’interno seguendo un ampio sentiero sterrato e lasciando le rive di quel lago spaventoso. Obi Wan seguiva a ruota come un’automa, incerto se voleva davvero ascoltare le voci dei morti negli alberi.

Tutto sommato, ne avrebbe volentieri fatto a meno e scambiato quell’esperienza con la navicella di Athos, che lo avrebbe portato immediatamente a Kryze Manor.

Ne ho abbastanza, di questo posto.

Qui Gon, quando veniva assorbito da qualcosa, era capace di dimenticarsi di dormire, di mangiare, persino della presenza del suo padawan. Anche in quell’occasione, si dimenticò di lui e non si avvide minimamente del suo disagio. L’unica a rendersi conto di qualcosa fu Satine, che si voltò verso Obi Wan e richiamò la sua attenzione.

- Tutto bene?-

Il ragazzo quasi sobbalzò ed annuì non troppo convinto.

Ignara della visione che aveva avuto, Satine lo guardò con circospezione e continuò a guidare il gruppo verso uno degli alberi più vicini.

- Questa è la veshok dei Kast. Provate ad avvicinarvi al tronco, maestro, e poggiate l’orecchio.-

L’uomo fece qualche passo in avanti, scettico. Accarezzò la pianta con rispetto e poi posò la testa contro il tronco dell’albero.

Sulle prime non sentì niente, o almeno così dedussero i due mentre lo osservavano lanciare loro un’occhiata quasi divertita.

E’ roba per creduloni ed io non lo sono.

Poi, però, qualcosa nella sua espressione cambiò.

Aggrottò le sopracciglia e premette l’orecchio contro la superficie per sentire meglio.

Poi, Qui Gon si allontanò improvvisamente dalla pianta come se avesse appena toccato qualcosa di infetto.

- Non capisco, sembra che sia risalita con la linfa dalle radici dell’albero, una voce leggera che canta una ninna nanna. Che cosa…-

- Se vi può consolare, maestro, non capiamo nemmeno noi. Che cosa avete sentito?-

Qui Gon ci pensò un po’ su.

- Non saprei replicarlo.

Satine si grattò i capelli. Poi, prese a mormorare in Mando’a:

 

Gioisci perché

la vita è bella com’è,

gli uccelli volano nel cielo blu

sopra il tetto dove ci sei tu…

 

- Come lo sapete?-

La duchessa fece spallucce.

- E’ una ninna nanna molto comune dalle nostre parti. Me la cantava anche mia madre. L’albero dei Kast è qua da una vita, e la voce canta, da una vita, sempre la stessa canzone.- 

Obi Wan continuava ad essere inquieto. Si passò un dito nel colletto della divisa da Jedi e sentì crescere in lui sempre più intensamente la voglia di scappare da un albero che cantava canzoni per bambini e da un lago che rubava i corpi dei morti. Sentiva che c’era qualcosa di minaccioso in quel luogo. Non correvano pericoli, ma il senso di ineluttabilità che pervadeva la Forza lo disturbava, come se potesse percepire tutte le minacce di un futuro che Nebrod - o chi per lui - pareva conoscere bene. 

Soprattutto, lo disturbava il contrasto tra la gioia della sera precedente e la fatalità di quella mattina, come se ci fosse qualcosa di senziente in quel posto, un qualcosa che effettivamente partecipava - se non ne era l’artefice, come credevano i Mando - della vita e della morte, delle gioie e dei dolori della gente del posto. 

Aveva la sensazione che la Forza, qualcosa volesse dirgli che non avrebbe potuto fare nulla per cambiare il futuro, qualunque cosa fosse destinata a succedere.

Forse, anche portare il corpo di Satine sulle rive di quel lago.

Si sentiva soffocare.

Satine si accorse del dito che di soppiatto si era infilato nel colletto della divisa del padawan per allentare la stretta attorno alla gola, e gli si era fatta vicino.

- Sei sicuro di sentirti bene?-

Questa volta Obi Wan scosse il capo.

- Perdonami, ma preferisco fare due passi. Non mi sento bene e non voglio restare qua. Ho bisogno d’aria.-

Gli passò una mano sulla guancia per offrirgli conforto.

- Va bene, ma resta nei paraggi.-

Se ti senti male voglio poterti dare una mano.

Obi Wan annuì e si incamminò di nuovo verso la riva del lago, non perché lo amasse, anzi, bensì perché in quel modo avrebbe potuto abbandonare il folto delle chiome di quegli alberi così alti e così strani. Contribuivano ad acuire quel senso di incombenza che lo aveva pervaso, come se stessero per chiudersi su di lui ed inghiottirlo nel verde.

Non sapeva perché quel luogo lo disturbasse così tanto. Satine gli aveva già raccontato molto, e quanto avvenuto, per quanto inquietante, non era stato nemmeno poi così male. 

Nella sua vita da mezzo Jedi aveva visto di peggio.

Come Melida/Daan.

Forse, però, era proprio questo il problema. Non aveva nemmeno vent’anni e portava un peso sulle spalle più grande di lui. Aveva già perso troppo nella sua vita. Chissà quante altre persone avrebbe dovuto ancora perdere nella sua carriera da Jedi. Avrebbe visto morire altri amici che considerava come parenti. Lui stesso avrebbe potuto avere un padawan ed avrebbe rischiato, come Qui Gon rischiava con lui, di lasciarlo da solo per uno scontro andato male in una missione.

Aveva sofferto per tutti. Per Cerasi, per la magistra Tahl.

Per Bruck.

Satine lo aveva aiutato ad accettare il suo passato e a farci i conti, ma Obi Wan cominciava a pensare che il tormento per certi avvenimenti non lo avrebbe lasciato mai.

Aveva insegnato a Satine che lasciarsi il passato alle spalle non significava dimenticare, ma ricordare con consapevolezza, ed avrebbe dovuto farlo anche lui, ma non sapeva se voleva andare avanti a ricordare con consapevolezza per tutta la vita, perdendo chi gli era più caro.

Si asciugò gli occhi di nascosto, consapevole che Satine e Qui Gon lo stavano guardando.

Mandalore gli avrebbe potuto offrire un’altra vita. Non ci sarebbe stato meno dolore. Quello fa parte dell’esistenza di un essere umano, però avrebbe avuto lei. Satine sarebbe stata un’ancora, un porto sicuro, quella che avrebbe raccolto tutti i pezzi come lui aveva raccolto i suoi.

Sei un Jedi. La Forza è il tuo porto sicuro.

Sì, ma la Forza non ti abbraccia, non ti accarezza la schiena, non ti passa le dita nei capelli o ti canta le canzoni quando hai gli incubi. La Forza è impalpabile. E’ dovunque, la senti ma non ti tocca, non ti consola. Puoi meditare quanto vuoi, ma non sentirai mai il calore di un altro essere umano che condivide il tuo dolore. 

La Forza non ti dice che andrà tutto bene. Devi solo sederti ed aspettare che ti insegni tutto ciò che ti deve insegnare seguendo le sue vie. Anche attraverso il dolore sordo che puoi curare da solo.

Obi Wan, però, era stanco di essere solo.

Si sentiva diviso in due. Una parte di lui era attratta da quel mondo bellissimo e misterioso in cui Satine lo aveva trascinato. Era incantato da lei e dalla sua visione della vita. Dall’altra parte, però, lo scontro con la dura realtà era stato crudo. La verità era che i Mando li avevano tollerati, non integrati. Essere cacciati dal capezzale di un moribondo era stato sufficiente per fargli capire che non sarebbe bastato per lui giurare sul Resol’nare per diventare uno di loro. 

Forse, niente sarebbe bastato a togliergli di dosso l’etichetta di mago pericoloso alla corte della duchessa. 

E poi, per lui la Forza era come la luce nell’oscurità, come quando, tormentato dalle visioni, si era svegliato in preda al panico ed aveva visto le luci d’emergenza accese sulla navicella spaziale, ottenendo così la certezza, la sicurezza che tutto era passato.

Protezione, ecco cos’era la Forza per lui.

Se dunque una parte di sé lo invitava a restare, a soddisfare quel bisogno egoistico di amore e vicinanza di cui si sentiva privato senza motivo, la parte della sua coscienza più razionale e più affine al Codice dei Jedi gli intimava di tornare indietro.

Si chinò verso terra, attratto da un bagliore tra i sassolini, e raccolse una piccola conchiglia di madreperla.

Pensò a Satine e a quanto sarebbe stata bene tra i suoi capelli.

Sa fare di tutto, magari sa farci un fermaglio.

E poi, perché? Perché avrebbe dovuto scegliere? Perché era sbagliato quello che stavano facendo? La Forza sembrava dire l’esatto contrario. Anche Qui Gon si era accorto che non c’era nulla di male nei loro sentimenti. Perché l’Ordine gli proibiva di restare con lei ed essere un Jedi allo stesso tempo?

Forse l’Ordine stava sbagliando?

Qui non è solo una questione di Ordine dei Jedi, qui è una questione di politica. Anche se l’Ordine ti desse il permesso, lei potrebbe essere comunque irraggiungibile.

Si asciugò gli occhi un’altra volta, cercando di scacciare dalla mente l’immagine della terribile visione che aveva avuto e il pensiero che, qualunque cosa avesse fatto per cambiare le cose, la Forza avrebbe comunque potuto raggiungere quell’esito terribile e spezzargli il cuore.

Si chinò a raccogliere un’altra conchiglia.

 

- Ho sbagliato a portarlo qui. Avrei dovuto mettervi sulla navicella con Athos ed occuparmene da sola.-

Satine aveva compreso fin dall’inizio il turbamento di Obi Wan. Quando, quella notte di così tanto tempo fa, soli al freddo in una grotta, gli aveva raccontato della terribile premonizione che aveva avuto e della sorte che l’avrebbe attesa al Pozzo dei Giganti, aveva visto il dolore nei suoi occhi.

Vedere ciò che le sarebbe successo doveva averlo ferito ancora di più. 

- Obi Wan deve imparare a controllare le sue emozioni. E’ un Jedi. Fa parte di lui. E’ sempre stato il suo punto debole, essere emotivo.-

Satine scosse la testa.

- Mi dispiace, maestro, ma per quanto mi sforzi non riesco a vedere l’emotività di Obi Wan come un difetto. Non c’è impulsività in lui, né aggressività. Almeno, non più di quella che possiede ogni persona normale. E’ semplicemente sensibile, e temo che quanto accaduto oggi qua al lago lo abbia ferito.- 

Come se i commenti al vetriolo della mia gente non avessero già fatto abbastanza.

Una parte di Satine cominciava a rendersi conto che i suoi sogni di duchessa, di pace e prosperità e soprattutto di stima tra popoli, potevano restare davvero soltanto questo.

Sogni.

Lei, però, era una visionaria per natura. Avrebbe continuato a lottare per tutta la vita per quello che era giusto fare. Ci sarebbe voluto del tempo, ma piano piano il suo popolo avrebbe accettato la pace con i Jedi.

Non era ingenua al punto tale da dimenticare, però, che in quel lasso di tempo Obi Wan non sarebbe stato ben visto, forse al punto tale da compromettere la sua posizione di duchessa, oppure da costringerlo ad abbandonare il sistema e tornare sui suoi passi per il suo stesso bene.

Si passò una mano nei capelli, pregando che Athos li raggiungesse presto.

- Non è un difetto, duchessa, ma deve imparare ad usarla bene affinché diventi un vantaggio. Il nostro ragazzo può diventare un Jedi pregiato, se impara a controllarsi.-

Satine guardò Obi Wan mentre si chinava a raccogliere una conchiglia.

Più pregiato di così, finisce che si trasforma in una statua di beskar massiccio.

 

Forse, più che un fermaglio per i capelli ci avrebbe fatto una collana.

Ne raccolse un’altra e un’altra ancora. 

Poteva sentirli parlare alle sue spalle, ma non era certo di voler ascoltare.

Voleva solo dormire nella navicella di Athos e dimenticarsi di quell’orribile posto.

Si avvicinò all’acqua e rimase ad osservare quel fondale oscuro per qualche secondo.

No, più lo guardava più si convinceva che qualcosa in quella storia puzzava come un barile di krill di Mon Cala e non ne voleva proprio sapere di convincersi a portare Satine là sotto, se il futuro le avesse riservato una fine infausta.

Smettila. Ti stai solo facendo un sacco di paranoie inutili.

L’acqua si ritirò nel lento andirivieni della risacca e mise in mostra un’altra conchiglia fresca fresca di fondale.

Obi Wan si chinò a raccoglierla.

Non si avvide minimamente delle spire che si erano sollevate dalla riva se non quando si trovò stritolato in quei rivoli d’acqua gelida. Provò a dimenarsi, ma quei serpenti d’acqua trasparente gli avvinghiarono le gambe e non lo lasciarono più andare.

Stava per cadere quando l’acqua lo sospinse in alto, lontano da terra, e alla sua vista divenne tutto nero.

 

Sbatté le palpebre un paio di volte, incerto. 

Si era forse sentito male?

E che cos’erano quella specie di serpenti marini fatti d’acqua?

Lui, però, non era più al lago. Non c’erano acqua, né conchiglie. Non c’erano Satine e il suo maestro.

Era solo, al centro di un’ampia navata di vetro e beskar. 

Una torbida luce filtrava dalle finestre in frantumi. 

Mosse qualche passo verso la vetrata per poter guardare fuori.

Il cielo era plumbeo. C’era fumo ovunque. Le case erano quasi tutte distrutte o menomate. Si sentivano grida di guerra, spara, spara! E’ andato di là! Inseguiteli, non devono scappare!

Ciò che però gli mozzò il fiato in gola fu la vistosa crepa sulla superficie di quella che pareva una cupola di beskar e vetro, una crepa che lui aveva già visto.

Si voltò, respirando affannosamente e fissando la grande sedia di pietra intagliata, vetro e resina. Una parte di quella bellissima struttura, una vera e propria opera d’arte, ancora luccicava di luce propria, i colori sgargianti di Mandalore tessuti in delicati disegni ormai in pezzi sul pavimento.

Il resto di essa era stato tranciato di netto, squarciato da una lama affilata.

Voleva gridare, ma non ci riuscì. 

Quella era la sala del trono di Sundari.

E se Sundari era in guerra e se la sala del trono era distrutta voleva dire soltanto una cosa.

Satine non era più lì.

 

- Questi alberi sono davvero maestosi.- commentò il maestro, rivolto verso Satine e con una mano sulla corteccia della veshok.

- Dicono che qua crescano più alti.-

Qui Gon alzò un sopracciglio.

- Certo che succedono un sacco di cose in questo villaggio. Le acque del lago inghiottono i morti, gli alberi parlano, crescono di più e le persone vivono troppo a lungo rispetto ai normali standard.-

Satine alzò le spalle e fece qualche passo verso riva, cercando di individuare Obi Wan e di raggiungerlo.

- Chissà, forse il terreno è nutriente e gli esseri viventi mangiano solo me…-

Ma la duchessa non finì mai la frase. Cacciò un urlo e partì di corsa in direzione del lago.

Qui Gon fu costretto a voltarsi e si accorse del suo povero padawan, stretto nelle spire di quel lago spaventoso.

Bontà della Forza, che accidenti sta succedendo qui?

Satine non gli diede nemmeno il tempo di pensare. Si lanciò in soccorso gridando e il maestro fu costretto a tenerle dietro.

- Ben! BEN!-

 

Sentì il pavimento tremare sotto i suoi piedi. Guardò per terra e vide i frammenti di vetro e beskar sobbalzare sotto la spinta sussultoria di qualunque cosa stesse cercando di sfondare il solaio. 

Obi Wan tentò di tenersi in piedi come potè, ma un grossa crepa si aprì da sotto il trono deturpato e squarciò il pavimento sotto ai suoi piedi, facendolo precipitare nel vuoto.

Aveva creduto di cadere al piano di sotto, in una delle tante sale che costellavano il Palazzo del Governo, e invece cadde, cadde nel nulla per attimi che gli parvero eterni in una gola nera come la pece, dove creature orribili simili a piante e dagli artigli adunchi provavano ad afferrarlo fischiando, ringhiando e facendo un fracasso infernale. 

Si divincolò, cercando di sfuggire alla presa degli spettri. Per fare una simile confusione dovevano essercene migliaia, ed Obi Wan stava quasi per estrarre la sua spada laser quando il panorama cambiò di nuovo e si trovò a galleggiare nel blu. Un blu acquoso, tendente al nero, di un abisso che nulla aveva a che fare col precedente e che continuava a trascinarlo verso il basso con forza inesorabile. Un vuoto in cui gli mancava l’aria, che risaliva sotto forma di bollicine in superficie. 

Poteva vedere la luce del sole farsi sempre più rarefatta sopra la sua testa.

Si voltò, in un disperato tentativo di nuotare verso il pelo dell’acqua, quando si accorse di star precipitando in una profonda gola circolare. Nelle pareti di pietra erano stati scolpiti volti enormi, sagome di uomini e donne incoronati e dall’aria austera, le cui mani stringevano spade, archi e frecce, lance di ogni tipo.

Comprese di star precipitando nel Pozzo dei Giganti e si sentì mancare.

Il panico prese possesso di lui, ma se credeva di essere giunto all’apice della paura dovette ricredersi quando una voce cavernosa e tuttavia piuttosto familiare pronunciò oscure parole in Mando’a. 

Gli ci vollero un paio di ripetizioni per poter capire. 

 

Partayl’gar, Obi Wan, ner cyare: ni kar’tayl gar darasuum be’chaaj tuur, ni kar’tayl gar darasuum nakar’tuur.

 

Non che fosse lucido a sufficienza da perdere tempo a disquisire in Mando’a con una forza sconosciuta, in ogni caso. L’unica cosa che voleva fare era tornare in superficie, e se questo avesse significato combattere contro gli spettri o contro qualunque forza lo stesse trascinando a fondo, allora lo avrebbe fatto.

Sfoderò la spada laser, e apparentemente lo fece appena in tempo, perché nell’abisso oscuro una lama nera come la pece si schiantò contro la sua.

Comprese di non essere più immerso nell’acqua e respirò a pieni polmoni.

La visione - perché di questo si trattava, Obi Wan ne era convinto - cambiava continuamente e non gli dava il tempo di comprendere davvero che cosa stesse vedendo. Che cos’era quella spada laser dalla lama nera? Non ricordava di averne mai vista una in vita sua, ma non ebbe il tempo di pensare ulteriormente, perché un paio di orribili occhi gialli spuntarono dall’ombra e lo squadrarono con un odio talmente profondo da fargli più paura del Pozzo dei Giganti.

- Chi sei?- gli chiese, ma la creatura dagli occhi gialli non rispose. 

Respirava, quasi rantolando, un ringhio di una cattiveria infinita, di pura follia. 

Un profondo senso di vuoto lo pervase ed ebbe la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di terribile, bel oltre la sua immaginazione.

- No!-

Lasciò cadere la spada laser e tese le mani in avanti alla ricerca del suo maestro, di Satine, di qualunque cosa, nella speranza di evitare l’inevitabile.

Gli occhi gialli si fecero avanti. Una sagoma indistinta cominciava a prendere forma nel buio. Poteva sentire il respiro maligno e un suono metallico, come di leve e pistoni.

Quello era un uomo o una macchina?

Non ebbe il tempo di pensare, ancora, perché il rantolo si trasformò in un ringhio di odio viscerale ed esplose in un terrificante grido.

- KENOBI!-

 

- Ben!-

Spalancò gli occhi su un cielo lattiginoso che minacciava pioggia. 

Respirò a pieni polmoni, l’oppressione che si sollevava appena dal petto e gli permetteva di incamerare aria.

Scattò seduto afferrando l’aria con le dita, disperato, ma l’unica cosa che trovò fu la tunica del suo maestro e il suo sguardo preoccupato.

- Ragazzo, calmati!-

E comprese che quella visione orribile era finita, che aveva individuato ciò che in attimi di puro terrore era andato cercando, e si lasciò andare.

Casa. Protezione. La Forza e il suo maestro. 

Sapeva di stare piangendo. Forse lo aveva sempre fatto da quando aveva capito che qualcuno avrebbe spezzato i sogni della sua Satine. 

Ci avrebbe messo diverso tempo a comprendere il senso di quella visione. Per lui, la creatura dalle parti del corpo metalliche non avrebbe significato nulla per molti, moltissimi anni. Ciò di cui era certo, però, era che il sogno di Satine di vedere Mandalore in pace non sarebbe durato.

Anche se non sapeva come sarebbe caduta, né quando, sapeva che sarebbe successo e che, prima o poi, sarebbe stato costretto a fare per lei ciò che avevano fatto quella mattina per il vecchio Vi’Dan.

Rimase a guardare Qui Gon, piangendo come un agnello e incapace di dire altro. 

Dietro il suo viso, spuntò quello della ragazza, gli occhi grandi e sgranati in una maschera di paura.

Lanciò le braccia verso di lei e trovò le sue mani, che catturarono le sue, bagnate e tremanti, e non le lasciarono più.

Rimasero lì, Qui Gon a reggere il suo povero padawan in braccio e Satine a tenergli le mani, fino a che Obi Wan non smise di piangere nella tunica del suo maestro e i tre furono pronti per raggiungere Athos e la sua navicella.

Gli ci sarebbe voluto del tempo per digerire quanto aveva visto. Athos capì, ma non fece domande, salvo scambiare uno sguardo perplesso con la ragazza. Satine non chiese, e nemmeno Qui Gon indagò. Lasciarono che il padawan si prendesse il tempo necessario per guarire e che fosse lui stesso a raccontare quanto il lago gli aveva mostrato.

Se Satine, però, era sembrata pensierosa fin da quando aveva compreso che cosa era appena successo, Qui Gon non sapeva che cosa pensare.

Di una cosa sola era certo, anzi, due.

La prima, che non avrebbe mai più messo piede in quel villaggio finché la Forza gli avrebbe permesso di evitarlo.

La seconda, che qualunque cosa quella creatura gli avesse mostrato, il buon maestro non aveva mai visto in anni di addestramento così tanta agonia negli occhi del ragazzo.

 

***

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Manda: coscienza collettiva, paradiso, ovvero essere Mando nel corpo, nella mente e nello spirito. Anche aggettivato, come essere supremo, angelo custode

Partayl’gar, Obi Wan, ner cyare: ni kar’tayl gar darasuum be’chaaj tuur, ni kar’tayl gar darasuum nakar’tuur: Ricordati, mio caro Obi Wan: ti ho sempre amato, ti amerò per sempre. Volutamente con una grammatica imperfetta; lett. ti ho amato in un giorno lontano, ti amerò domani, dove nakaar’tuur: giorno indefinito

 

NOTE DELL’AUTORE: Mi sono sempre chiesta per quale motivo Obi Wan avesse deciso di lasciare Satine e non mi sono mai saputa dare una risposta.

Che la Forza per lui fosse tutta la sua vita, lo abbiamo sempre saputo. 

Il passaggio in cui indica la Forza come la luce nel buio è apertamente ripreso *SPOILER ALERT* dalla serie a lui dedicata.

Per il resto, i conti non mi sono mai tornati. A tratti, Obi Wan è saggio, ad un punto che uno si aspetterebbe da Qui Gon, non da lui. In più di un’occasione ha dimostrato di esserlo. 

Ho cercato di dare una spiegazione al suo contegno, all’apparente freddezza di alcuni momenti di incomunicabilità - con Anakin in particolare - attraverso il bisogno di trincerarsi dietro ad un’aria di perfezione per evitare di andare contro ciò che ha sempre voluto essere: un bravo Jedi. Una paura che ho provato a fargli superare assieme a Satine. 

E allora, se è così saggio e semplicemente si nasconde per vivere i dettami da Jedi, se è consapevole, perché lasciarla scaricandole il barile? 

“Have you said the word, I’d have left the Jedi Order”

Beh, molto comodo e discutibile, a meno che non fosse, invece, molto saggio.

Così, ho provato a colorare il racconto, ancora una volta, coi colori della politica, dipingendo un uomo immerso in una cultura che ama, ma che non lo vuole. 

E poi, Star Wars è una storia di politica - con buona pace di chi dice il contrario. Sorry.

E’ una storia di politica e di fede, e se non ci fosse lo zampino del volere della Forza - o di qualunque cosa viva in fondo al Pozzo dei Giganti - mancherebbe una componente fondamentale della saga: l’inspiegabile.

Lascio a voi l’interpretazione della visione.

Il prossimo capitolo è più divertente, almeno nelle intenzioni.

 

Vostra,

 

Molly. 

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Capitolo 65
*** 55- Obi Wan e il Custode ***


 

CAPITOLO 55

Obi Wan e il Custode

 

41 BBY- inverno mandaloriano 

 

A colazione si era ripetuta sempre la solita scena.

Maryam aveva servito tutti e si era messa a tavola per ultima. Athos aveva dato da mangiare al duca, che sedeva a capotavola in vestaglia sulla sua poltrona preferita, e poi si era seduto pronto per mangiare assieme alla moglie. Satine di solito sedeva accanto al padre e trovava sempre il modo di fargli assaggiare qualcosa dalla sua porzione. Qui Gon era solito mangiare e ritirarsi per meditare. Obi Wan, se avesse potuto, avrebbe ingurgitato anche le gambe del tavolino e poi, sentendosi in colpa per aver indugiato nei piaceri conviviali, sarebbe andato di corsa a meditare con il suo maestro o avrebbe passato un po’ di tempo a fare la posta a Satine anche se a Kryze Manor non avrebbe avuto alcun bisogno del cane da guardia.

A colazione, dunque, si era ripetuta sempre la solita scena, con un’unica, grande differenza.

In quei giorni Obi Wan sembrava avere perso il suo proverbiale appetito. 

Se ne erano accorti tutti. Mangiava e di sicuro non gli mancava niente, ma non impugnava la forchetta con lo stesso piacere e non puliva il piatto come era solito fare. 

Siccome questo teatrino andava avanti da qualche giorno, ormai - e per la precisione da quando avevano compiuto una maledetta gita al villaggio di Nebrod - Satine aveva preso da parte il maestro ed aveva provato a metterlo sotto torchio.

Meglio, più che prenderlo da parte gli era piombata in camera una sera dopo un allenamento con il padawan, mentre stava per infilarsi sotto la doccia.

- Benedetta ragazza, che state facendo?- aveva detto, intabarrandosi sempre di più nel suo accappatoio come se fosse stato fatto di materiale trasparente.

Satine non aveva tergiversato e l’aveva invitato a vuotare il sacco, ma aveva ottenuto ben poco. Obi Wan era chiuso con i bottoni, ed aveva la sensazione che Qui Gon non volesse tradire la - apparentemente poca - fiducia che il suo padawan aveva riposto in lui. Così, la risposta era stata molto laconica.

- So che ha visto qualcosa di spaventoso e so che in qualche modo ci entrate anche voi, ma non posso dirvi altro, duchessa. Quando Obi Wan non vuole parlare, non parla.-

Satine lo capiva e lo rispettava. Per confessare a suo padre la terribile visione che aveva ricevuto la prima volta che era andata a Nebrod c’aveva messo quasi un anno. Il ragazzo avrebbe avuto bisogno di tempo per aprirsi, per venire a patti con quanto visto e soprattutto per dargli un senso.

Una cosa era certa: non sembrava che Obi Wan avesse intenzione di concludere quel famoso teatrino in tempi brevi. Meditava spesso ed era stato scostante anche con Satine.

Eccome se lo era stato, e la giovane duchessa non l’aveva ancora perdonato.

Dopo qualche giorno, infatti, la ragazza aveva provato a cercare un po’ di, chiamiamole così, attenzioni notturne

In risposta, aveva ricevuto una gomitata e un secco rifiuto.

Era vero che l’aveva colpita per sbaglio e che si era scusato letteralmente a profusione per una mezz’ora buona - forse anche quaranta minuti - ma il fatto che Obi Wan rifiutasse quel genere di attività con una scusa banale come sono davvero stanco perdonami facciamo un’altra volta aveva del ridicolo.

Così, aveva provato a calare l’asso.

- E’ stato così orribile?-

- Tu non sei mai orribile, mia cara.-

- Non fare il finto tonto, sai di che cosa parlo.-

Dall’altra parte, silenzio.

La notte successiva Satine ci aveva riprovato, e questa volta Obi Wan l’aveva delusa davvero.

Per essere precisi, l’aveva messa davanti a ciò che lei sapeva già.

- Satine, non pensi che forse è meglio se evitiamo questo genere di cose?-

- E perché mai?-

- Perché non durerà in eterno. Presto finirà. Prenderai i cacciatori di taglie, prenderai i rinnegati e li metterai in prigione, e noi non ti serviremo più. Forse faremmo meglio a prendere un po’ le distanze, prima di farci troppo male.-

Quella sera la giovane duchessa di Mandalore si era alzata dal letto e gli aveva aperto la porta, invitandolo ad andarsene. Lo sentì mormorare un giorno capirai e mi ringrazierai sottovoce mentre prendeva la via del corridoio, e la cosa l’aveva fatta soltanto arrabbiare di più.

Satine non era un’ingenua ed aveva capito da un pezzo ormai che la fine dei suoi giorni felici - tragici, ma felici - stava per sopraggiungere, e la terribile sceneggiata al matrimonio del sindaco di Nebrod le aveva dato conferma che, purtroppo, le sue speranze e i suoi sogni per ora erano destinati a rimanere utopie. Tuttavia, sentirsi sbattere in faccia con una simile chiarezza che sarebbe ripartito presto le aveva fatto male, più di quanto volesse ammettere.

Una parte di lei, quella più sognatrice e più romantica, era ancora convinta che in fondo avrebbe scelto lei, che sarebbe rimasto. Forse, era anche la parte più egoistica della sua personalità. 

Sapeva che, se lo avesse amato davvero, non gli avrebbe mai proibito di diventare un Jedi per la mera soddisfazione personale di averlo accanto.

Eppure quell’affermazione le aveva lasciato l’amaro in bocca. Si sentiva seconda a qualcosa. La consapevolezza di non essere la cosa più importante della sua vita, di venire dopo i Jedi e il Codice le aveva spezzato il cuore. 

Sei stata solo un bel passatempo.

Non sapeva che Obi Wan era tormentato dal suo stesso dolore. Sapeva di averle spezzato il cuore, ma dentro di sé era convinto di aver agito per il meglio. 

Ci siamo divertiti, è stato bello, ma adesso basta.

Basta dopo quello che ho visto.

Basta per quello che rischi di passare, anche e soprattutto per colpa della mia presenza.

Se voglio cambiare il tuo futuro, io non posso restare.

Quello era il segno della Forza in cui aveva sempre sperato, un evento che gli dicesse che sì, era il caso di tornare indietro. Era certo di avere visto il futuro di Satine, e anche se non sapeva esattamente che cosa volesse dire la sua visione, era stato abbastanza per metterlo in allarme. 

Non conosceva nessuno che forgiasse spade laser nere, ma aveva sentito parlare della Darksaber, e non prometteva nulla di buono. Qualche suo rivale di sicuro si sarebbe abbattuto su di lei ed Obi Wan non riusciva a togliersi dalla testa la terribile sensazione di responsabilità.

Non dopo che la società di Mandalore gli aveva fatto capire chiaramente che sarebbe stato meglio se avesse concluso il suo soggiorno a breve.

Ne aveva paura. La cosa con la spada nera e parti meccaniche lo aveva terrorizzato. Cos’era, un droide? Non lo sapeva, ma era certo di non voler vivere abbastanza da incontrare, un giorno, un mostro come quello.

La Forza, però, ha vie misteriose. 

Certo era che quella creatura che risiedeva in fondo al Pozzo dei Giganti gli aveva mostrato un popolo in guerra, la pace distrutta, il fallimento dell’impegno di una vita, un trono squarciato da una spada laser e la sua Satine pronta ad andare tra le stelle assieme ai suoi antenati caduti.

Ah, ecco, quella parte.

Era un rompicapo bello e buono, quella frase misteriosa. Aveva intuito il significato del Mando’a, anche se la voce non era stata nitidissima e il lessico fin troppo ricercato per le sue conoscenze.

Comunque volesse rivoltarla, quella visione proprio non aveva senso, ma la realtà ne aveva fin troppo, ed era più che sicuro che, se davvero amava Satine e voleva proteggerla, avrebbe dovuto fare il buon Jedi e lasciarla alla sua gente.

Di sicuro non l’avrebbero guardata in modo strano solo perché aveva scelto come duca consorte un ex mago pericoloso che rubava i bambini.

C’era, infine, un dettaglio non da poco. 

Durante la visione, si era sentito perso, smarrito. Aveva provato ad aggrapparsi alla Forza, ma non c’era riuscito. Gli era sembrato di non essere in controllo di se stesso e delle sue facoltà, in balìa dello scorrere del tempo e degli eventi senza che lui potesse fare alcunché.

A parte una gran paura, in quella visione lui non aveva percepito proprio nulla.

Soltanto quanto era stato tutto finito aveva sentito di nuovo il fluire della Forza dentro di lui, come un interruttore che accende la luce.

Come se fosse tornato a casa.

Amava Satine, dal profondo del cuore. La visione, però, aveva voluto dirgli qualcosa? Al di là degli orrori che gli aveva mostrato, aveva voluto fargli provare la sensazione di vivere una vita lontano dalla Forza, dai Jedi, dal Codice e dal Tempio?

Al di là delle loro riflessioni personali e del broncio che Satine gli aveva tenuto per qualche giorno, il periodo trascorso a Kryze Manor era stato un toccasana. Non avevano fatto praticamente niente, se non aiutare Maryam ed Athos con i preparativi per un viaggio di nozze che era stato rimandato fin troppo a lungo. 

Destinazione: Mar’eyce.

- Che posto è?-

- Una stazione termale non lontano da qua. Se avrete bisogno d’aiuto, dovrete solo fare un fischio e saremo qui!-

- Per favore, Maryam! Cascasse il mondo, non ti chiamerà nessuno!-

 

Phindar e Concord Dawn sarebbero state le prossime tappe della duchessa. Un parte del cervello di Satine si stava godendo il riposo, mentre l’altra stava già preparando gli eventi. Sarebbero stati sistemi difficili da gestire, ma con cui era costretta ad intrattenere rapporti più o meno cordiali. 

Di solito, la sera, prima di andare a dormire, trascorreva un po’ di tempo con suo padre, che le dava suggerimenti dettagliati per le trattative che avrebbe dovuto affrontare.

Quella mattina, però, Satine non ne aveva proprio voglia di politica. Zero assoluto. Suo padre era bello pasciuto sul suo trono di legno ad osservare la tavolata, Maryam ed Athos si facevano gli occhi dolci di nascosto, Qui Gon era placido come sempre ed Obi Wan stava cercando di nascondere la sua espressione di condannato all’oblio perpetuo. 

No, niente politica. Era l’ora di cambiare aria.

- Maestro, vi va di andare a vedere Qibal? Questa volta per davvero, senza commissioni da fare.- concluse, alludendo alla volta in cui lo aveva spedito a fare spese per il matrimonio del maggiordomo e della sua nana. 

L’uomo drizzò immediatamente le orecchie.

- La città del vetro?-

- Esatto. Se abbiamo tempo possiamo anche andare a visitare il Museo dei Miti. Mi siete parso interessato, l’ultima volta che ve ne ho parlato.-

Qui Gon si interessò eccome, mentre Obi Wan abbassò gli occhi sul piatto e non li mosse più, tant’è vero che il maestro fu costretto a rendere esplicita la domanda:

- Vuoi venire anche tu, figliolo?-

Il padawan lo guardò penitente.

- Non mi sento molto bene, maestro. Preferirei meditare, se per voi non è un problema.-

Una parte di lui era assolutamente consapevole che non era ancora il caso di lasciare sola Satine, ma insomma, Qui Gon era il meglio del meglio! Con lui sarebbe stata sicuramente al sicuro.

Più che in compagnia di Obi Wan, fuori di dubbio.

Il maestro lo squadrò con malcelata perplessità e una spruzzata di disappunto, ma alla fine dovette arrendersi all’evidenza.

- E sia. Lasciamo qua questo muso lungo e prendiamoci una giornata solo per noi, duchessa.-

Avete un luogo preciso in mente? Un itinerario?-

- Mi rimetto al vostro infallibile giudizio.-

Così, la gita fu presto decisa. Avrebbero passato la mattinata a Qibal, avrebbero mangiato qualcosa al volo in centro e poi avrebbero dedicato il pomeriggio al Museo dei Miti, mentre Obi Wan sarebbe rimasto a casa a fare la muffa.

In effetti, Kryze Manor senza il chiasso e il dinamismo di Satine, le sue cantate in cucina o sotto la doccia, sembrava vuota. 

A parte quando il duca lanciava un urlo dal monitor per farsi aiutare a fare qualcosa, non c’era granché movimento. 

Le stanze erano grandi e per lo più vuote. L’unica consolazione del padawan intristito dagli eventi fu la biblioteca. Dovette ammettere che, quando Satine aveva provato a salvarlo tempo addietro usando la Luce di Mandalore, ne aveva fatta una copia quasi perfetta. 

Doveva conoscere quei libri a memoria, per replicarli con una simile precisione.

Ruyot era tornato al suo posto. Obi Wan lo aveva sfogliato per un po’, prima di rinunciare.

Ne aveva avuto abbastanza di miti strani, di abissi oscuri e di creature misteriose portatrici di morte e distruzione. 

- Athos!-

Il duca poteva chiamare quanto voleva. Athos era fuori a dar da mangiare ai viinire e non avrebbe mai potuto sentirlo. 

- Athos!-

Obi Wan rimase in ascolto, sperando di sentire arrivare il maggiordomo o di comprendere il motivo per cui il duca sembrava così indispettito.

- ATHOS! Per le pantofole puzzolenti di Hod’Haran! Molla le sottane di Maryam e vieni quassù!-

Comprendendo che, probabilmente, il duca doveva davvero aver bisogno d’aiuto, Obi Wan si alzò e fece gli scalini che portavano al secondo piano, dove c’erano le stanze da letto.

Trovò il duca seduto tra mille cuscini, il monitor che borbottava quelle che sembravano parolacce in Mando’a.

- Il maggiordomo non c’è, è fuori con i viinire. Posso essere utile?-

L’uomo lo guardò per un secondo, perplesso. Poi, mentre sfilava un cuscino da sotto una gamba, gli fece cenno di avvicinarsi.

- Crampo.- disse soltanto, indicando il polpaccio sinistro.

In effetti, il muscolo era visibilmente contratto.

Cioè, quello che restava di esso, perché le sue gambe erano sottili come fili d’erba, senza massa per colpa del non uso. 

Obi Wan prese la gamba e la massaggiò, la piegò, la distese, ed usò un pochettino la Forza per riuscire a fargli passare il dolore.

La faccia del duca, però, era già cambiata non appena aveva cominciato a manipolare la gamba. Il sollievo, fortunatamente, era stato immediato. 

- Non sono molto bravo come Guaritore.- disse il padawan, continuando a massaggiare. - Va meglio?-

- Che cos’è un Guaritore, ragazzo?-

- Un Jedi che usa la Forza per curare le ferite. Cioè, non io.-

L’uomo abbozzò un sorriso briccone.

- Quanto siete complicati. Avete sempre questa mania di fare tutto a modo vostro. Dottore, come lo chiama ogni comune mortale sulla faccia della galassia, non era sufficiente? No, non sarai bravo come dottore, ma con me hai fatto anche troppo. Grazie, e fermati pure.-

Obi Wan posò la gamba dritta sul materasso, con il tallone sopra un cuscino. Coprì la gamba con la coperta e poi fece per andarsene con un inchino appena accennato.

- Dimmi, figliolo, in casa non c’è nessuno?-

- No, signore.-

- Che cosa abbiamo detto a proposito del chiamarmi signore?-

- Avete ragione, duca. Mi dispiace.-

Lo squadrò con gli occhi tigrati.

- Se ti annoi, puoi restare qua. Non c’è molto da fare, quando sei confinato a letto e quello che dovrebbe essere tuo fratello preferisce le bestie a te.-

Obi Wan ci pensò un po’ su. Da una parte, lo sguardo del duca gli metteva sempre timore, dall’altra gli piaceva quell’uomo dal senso dell’umorismo simile al suo. E poi, doveva annoiarsi davvero tanto. Che cosa fa di solito un uomo nelle sue condizioni? Guarda l’holonet, qualche holofilm, legge l’holonews, conta i granelli sul soffitto, guarda fuori dalla finestra nella speranza che passi qualcosa che catturi la sua attenzione.

Questo tutti i santi giorni che la Forza mette in terra.

Ci vuole coraggio e tanta voglia di vivere per condurre un’esistenza così.

- So a cosa stai pensando, figliolo. Ti chiedi perché lo faccio. Non nego che me lo sono chiesto anche io, innumerevoli volte.-

Il padawan abbassò gli occhi, sentendosi terribilmente colpevole.

Avrei dovuto immaginarlo. E’ il padre di Satine, da qualcuno avrà pur preso.

- La verità è che non ho ancora avuto il tempo di considerarmi un peso. In guerra, con tua figlia in fuga e la tua casa in pericolo, una dinastia da proteggere e un pianeta da guidare. Diciamo che la ribellione mi ha aiutato a non perdermi d’animo. Comincio a rendermi conto adesso di quanto le giornate possano essere vuote senza uno scopo. Oh, beh, in verità uno scopo ce l’ho, ed è l’unico che mi spinge a continuare un’esistenza che definire esistenza è un complimento.- disse, allargando le braccia verso i macchinari con cui riusciva a comunicare.- E quello scopo è mia figlia.-

Non disse quale, e si guardò bene dal dirglielo. Aveva avuto la sensazione che i Jedi non sapessero nulla dell’esistenza di Bo Katan, e pensò che Satine avesse avuto le migliori ragioni per non rivelare ancora nulla, soprattutto dopo l’ultimo, terribile litigio avvenuto prima della loro partenza per il villaggio di Nebrod. 

- Satine vi vede come una guida.- commentò Obi Wan, facendo un passo avanti.

Quell’uomo meritava un po’ di consolazione.

- Non riuscirebbe a concepire una vita senza di voi.-

- E allora non ci dovrà nemmeno pensare, ad una vita senza di me. Ho fatto trenta, farò trentuno, anche trentadue o trentatré se necessario. Tuttavia, figliolo, non lo nego, mi sento solo oggi. Dannatamente solo.- 

Presa la sua decisione, Obi Wan si avvicinò al letto e si sedette su uno sgabello.

Il duca tese una mano verso di lui e lasciò che gliela stringesse tra le dita.

- Dimmi, figliolo.- cominciò, cercando un argomento di conversazione.- Come mai sei rimasto a casa, invece che andare a divertirti a Qibal?-

Il padawan giocò un poco con la coperta. 

- Sinceramente, non mi sentivo di uscire.-

- Lo so. Sono giorni che ti guardo mentre vaghi per Kryze Manor. Che cosa t’è successo, ragazzo? Ti senti male? I morsi ti danno fastidio?-

- No, no, grazie alla Forza!-

Il duca lo squadrò ancora, lo sguardo vivido sul viso deformato dalle cicatrici.

- Satine mi ha raccontato che cosa è successo al villaggio di Nebrod. Devo dire che è singolare che abbia scelto proprio te. Leggenda vuole che, qualunque cosa viva in fondo al Pozzo dei Giganti, parli solo con i Mando. Una questione di Luce, non so spiegartela. Evidentemente, però, parla con chi gli pare, purché gli sia utile.-

Obi Wan smise di giocare con la coperta ed alzò uno sguardo quasi spaventato sul duca Kyla, che lo sostenne per qualche secondo prima di replicare:

- Non preoccuparti, non ti chiederò che cosa hai visto. Satine ci ha messo quasi un anno per raccontarmi la sua visione. Nebrod sa essere mostruoso, spaventoso, terrificante, oserei dire. Ricordo ancora quando si è preso la mia Vikandra. Non ho dormito per quindici giorni, se non qualche ora per notte. La tua visione è soltanto tua, ma credimi, una volta che avrai condiviso quel peso con qualcuno, quando sarai pronto, ti sentirai molto, molto meglio.-

Gli occhi tigrati di Adonai Kryze brillavano di curiosità, ma Obi Wan comprese che lo rispettava a sufficienza da lasciargli spazio, anche se gli prudevano le mani per sapere.

Decise di dargli un po’ di soddisfazione.

- Ho visto e sentito molte cose a cui, devo essere onesto, non so dare un senso. Tuttavia, se c’è una cosa che non voglio che si avveri è…-

Tossicchiò.

- Satine vi ha parlato della sua visione, vero?-

Il duca sospirò.

- E’ una spada sul collo con cui conviviamo da tempo, ormai. Devo essere onesto: chiamare i Jedi per Korkie è stata una strategia; per me, una garanzia. Satine non lo sa, ma ho sguinzagliato le Figlie dell’Aria sull’holonet alla ricerca di informazioni su di voi. Devo dire che ne hai combinate un po’, ragazzo. Che ci facevi su Melida/Daan?-

Obi Wan sbiancò.

- Come sapete di Melida/Daan?-

- Te l’ho detto, figliolo, ho le mie fonti. Mi siete piaciuti subito. Devo dire che il tuo maestro è quanto di meno prono al potere io abbia mai incontrato. E l’ho apprezzato, davvero. Sapevo che non avreste tradito Satine. Era la mia unica possibilità per riportarla a casa viva e mandare Nebrod a farsi friggere.-

Kyla sospirò un’altra volta.

- La storia di Nebrod si perde nelle pieghe del tempo. Ha vaticinato poco, ma quasi mai male, anche se Satine questo non lo sa. Una visione, posso aggirarla, ma due…- si passò una mano nei capelli biondi.- Posso solo sperare di non essere ancora vivo, quel giorno.-

I due uomini rimasero in silenzio, Obi Wan con lo sguardo fisso sulla coperta ed il duca a contare le travi del vecchio soffitto. 

- Satine lo sa?-

- No. Non gliel’ho detto, e non sono certo che glielo dirò mai.-

- Non hai visto soltanto questo, vero?-

- Ho visto la fine di tutti i suoi sogni.-

- Allora non dirglielo. La distruggerebbe.-

Il padawan annuì, lo sguardo basso.

Avevo la stessa faccia quando mi bastonava Vikandra, ma di solito dopo facevamo pace.

Che gli vuoi dire, povero ragazzo?

- Cambiamo argomento, che ne dici?- e si sfregò le mani.- Da quanto tempo è che dormi con mia figlia?-

Se fosse possibile diventare color cenere, meglio, ridursi in cenere seduta stante e sparire dalla faccia dell’esistenza, Obi Wan in quel momento l’avrebbe fatto, ed aveva l’aria di chi era già bell’e che pronto all’autocombustione quando il duca intervenne a salvarlo.

- Andiamo, ragazzo, non mi avrai mica preso per cretino! E poi, la notte spesso non dormo. Succede, quando passi gran parte della tua vita a letto o in poltrona. Prima o poi dormi, e finisce che quando dovresti dormire - cioè di notte - non hai più sonno. Com’è che fai quando bussi alla sua porta?- e batté dei colpetti ritmici contro la coperta.- Ingegnoso, davvero.-

Obi Wan era rosso come un peperone, ed aveva una gran voglia di sotterrarsi da qualche parte.

- Non l’ho mai costretta a fare niente che lei non volesse. Voglio solo ciò che è meglio per lei, anche se questo significa…-

- … lasciarla andare?-

Il ragazzo annuì senza staccare gli occhi dalla coperta.

Povera stella.

- Fai una cosa, ragazzo? Prendi il bacile e il rasoio. Athos mi ha lasciato la barba lunga. Ti va di farmi la barba?- 

E passarono una mezz’ora piacevole, a stuzzicarsi con piano con le lame, se Vikandra sapesse che un Jedi mi sta radendo la gola non avresti nemmeno il tempo per un ultimo respiro, non ti far crescere quel pizzo caprino del tuo maestro perché giuro che vengo a tagliartelo di persona.

Il duca era una persona piacevole con cui stare. Ad Obi Wan piaceva. Almeno, gli piacque fino a che non fu il momento di lasciarlo riposare, perché proprio prima di andar via si prese da Kyla una bella tirata d’orecchie.

- Ahia! Che cosa ho fatto?-

- Mi insidi la figlia. Insomma, mi sarai anche simpatico, ma dovrò pur ricordati chi comanda, altrimenti che padre sono?-

Obi Wan proruppe in un ghigno, uno dei suoi, finalmente tornato al posto del muso lungo.

- Vai vai, prima che ci ripensi e ti tiri anche l’altro orecchio.- gli disse il duca, facendogli sciò con la mano.- Se ti comporti bene, qualunque scelta tu faccia, sarai sempre il benvenuto a Kryze Manor. Tranne in un caso.-

- Sarebbe?-

- La barba. Ti giuro che se ti vedo con quell’aggeggio non ci metti nemmeno piede, a Kryze Manor.- 

 

Proprio mentre stava per scendere di nuovo dabbasso, fu sorpreso da un’ombra umana che si estendeva lungo il muro del corridoio.

Sobbalzò, spaventato, e stava quasi per sfoderare la spada laser quando si rese conto che, chiunque fosse il proprietario di quell’ombra, stava proiettando l’immagine del proprio stinco peloso, appeso a testa in giù per un piede a quello che sembrava un cappio di corda.

Obi Wan aggrottò le sopracciglia, pensoso. Aprì la finestra del corridoio e guardò giù, sperando di identificare il proprietario di suddetto stinco.

- Athos?-

- Oh, ragazzo, non sai quanto sono felice di vederti!-

- Che ci fate appeso per un piede al tetto?-

- Eh, la buona vecchia Ortense oggi fa i capricci.- commentò a testa in giù, sotto i baffoni scuri. - Non è che potresti darmi una mano?-

 

Fu così che finì sul tetto a mangiare daryc’see con Athos.

Erano buone, le daryc’see. Sembravano noci ma erano più scure e con una grossa macchia color nocciola alla base. Athos le sgusciava e le mangiava così, dopo averle arrostite sul camino in salotto. Avevano un buon profumo e soprattutto un buon sapore.

- Oggi la buona vecchia Ortense non vuole saperne di stare ferma.-

Obi Wan si mostrò interessato. 

- E’ come la sua padrona. Vikandra non sapeva sopportare il tedio della vita di corte troppo a lungo. Era nata per volare, per gli spazi aperti e l’azione. Non come Maryam. Sai che mia moglie è una Figlia dell’Aria, giusto?- 

Sulle prime, Obi Wan credette di aver capito male.

Non dubitava minimamente delle straordinarie doti di guerriera della domestica. Ne aveva già dato prova in più di un’occasione. La sua immagine, però, era completamente diversa da quella di Inga Bauer, o di Vanya. 

Innanzitutto, non era esile, slanciata, insomma, una figura che sembrava fendere l’aria. Maryam era bella tonda ed era felice di esserlo. 

In più, non era austera come lo erano le Abiik’ade che aveva conosciuto. Maryam era dolce, gioviale, abbracciava sempre tutti ed aveva l’aria di essere un pezzo di pane al di fuori delle occasioni in cui la sua famiglia veniva minacciata ed era necessario spaccare qualche servizio di piatti.

Athos rise.

- Lo so che a vederla dopo aver visto Inga non le si darebbe un credito, ma Maryam è nata e cresciuta ad Eyaytir. Non aveva le doti per essere una vera Abiik’ad, ma è stata un ottimo scudiero e la più fedele sorella di Vikandra. Oh, credimi, quando sono arrivate hanno fatto la rivoluzione. Eravamo solo io e Kyla in questo grosso maniero. La metà di esso era chiuso a chiave. Poi sono arrivate loro e addio pace, ma non lo rimpiango. Anche se hanno fatto un casino del diavolo ed abbiamo passato i primi tempi a litigare, devo dire che non cambierei la mia vita con loro nemmeno per la luna. Poi Vikandra è morta, e qualcosa si è rotto. La vita si è fatta più tranquilla. Sotto sotto nulla è cambiato, ma manca il pepe che sapeva mettere nelle cose che faceva. Maryam non lo dice, ma si sente sola da quando lei non c’è più. Ha riversato tutto ciò che aveva sulla famiglia. Ha cresciuto Satine come se fosse stata sua. Sta bene qua. Le piace la vita domestica. Non l’avrei mai creduto, da una mezza Figlia dell’Aria, eppure le piace sfornare manicaretti.-

Ed Obi Wan ringraziò per questo, perché da quando era arrivato a Kryze Manor aveva preso per lo meno un paio di chili, forse qualcosa di più.

- E questa testona - continuò Athos, battendo una pacca sulla pancia del bel cavallo argentato che giaceva sdraiato al sole sul tetto.- E’ uguale precisa identica alla sua padrona. Nonostante abbia quasi trent’anni, non ci veda da un occhio, zoppichi da una zampa e sia sorda come un campanaro, nonostante tutti gli acciacchi ogni tanto decide che la stalla le va stretta e tenerla è un’agonia.-

- Credevo che quello indomabile fosse Bukephalos.-

- Bukephalos non è indomabile, è semplicemente #@*//!.-

Gli venne da ridere. 

- E’ snob come poche altre creature io abbia mai conosciuto in vita mia. In verità è un pezzo di pane, ma ti guarda e ti tratta con un’aria di sufficienza che io sono praticamente sicuro lui pensi che sono un cretino.-

Ortense sentì il profumo delle daryc’see e mosse il muso verso la mano aperta di Obi Wan. 

Il padawan sentì il muso morbido e baffuto del viinir solleticargli il palmo mentre mangiava pure le bucce.

Venne fuori che, mentre Athos provava a gestire una Ortense imbizzarrita che non poteva sentirlo, non riusciva a vederlo e non aveva intenzione di capirlo, si era distratto un attimo alla ricerca di qualcosa da farle mangiare per convincerla a calmarsi. Ortense aveva tirato forte ed aveva sciolto la cavezza, che era caduta a terra con il cappio - che avrebbe dovuto fissarla ad un gancio sul muro - ancora in forma. Athos ci aveva messo per sbaglio un piede dentro, indietreggiando, e quella lo aveva trascinato per benino fuori dalle stalle e poi su, sul tetto, dove aveva deciso di sdraiarsi a prendere il sole e di lasciarlo a penzolare fuori dalla finestra del secondo piano.

- Sono contento di averti fatto fare una risata, figliolo. Erano giorni che avevi un muso lungo…- 

No, ti prego, basta. 

Non ne voglio parlare.

Obi Wan fece spallucce, senza commentare.

Athos comprese e lasciò perdere.

- Perché non scendi giù con Maryam? E’ quasi ora di pranzo. So che sta preparando della roba buona. Ha impastato per un bel po’ stamattina, e credimi, Maryam, quando impasta, lo sa fare bene.- 

- E voi?-

- Io riporto a casa questa briccona, qua. Poi mi unirò al banchetto. Andiamo, Ortense! Hai avuto fin troppe avventure oggi!-

Il viinir ruotò le orecchie nella loro direzione e non si mosse.

Obi Wan sogghignò.

Altro che sorda, tu sei solo una gran vecchia furbacchiona.

 

- Il pranzo a Mar’eyce con questo si faaaa… Papuur’gal, shuner, in gran quantitaaà… jah, pak, loras e un po’ di pirpaak, questo è ciò che stare bene ci fa…- 

- Si può?- chiese Obi Wan, bussando alle porte della cucina.

Se avesse potuto, avrebbe passato ore lì dentro. C’era sempre un buon profumo di lievito e pane appena fatto. Trovava sempre qualcosa abbandonato da qualche parte e pronto per essere mangiato. C’erano spezie ordinate con grande cura sul muro, sopra una mensola di legno. Grosse piastre costituivano i fornelli. Il davanzale di una bella finestra semicircolare era riempito di erbe aromatiche, colte fresche tutto l’anno. C’erano un forno gigante a legna e uno elettrico. Il banco della cucina scintillava, sempre pulito, e soprattutto c’erano una gran quantità di pentole, padelle, coltelli e utensili vari appesi in bella mostra e pronti per essere sapientemente usati, sia quando si trattava di spellare un coniglio che quando si trattava di cacciare i terroristi.

Persino la credenza dei piatti, adesso parzialmente vuota e piena di stoviglie scompagnate, non era chiusa a chiave ed aveva una pratica impugnatura per essere aperta, sintomo che un Mando era vigile anche quando spadellava in cucina.

- Non farci caso, ragazzo mio.- gli disse Maryam, andandogli incontro con un coltellaccio sguainato.- E’ ciò che rimane dopo le incursioni dei terroristi. Temo che dovrò comprare un nuovo servito di piatti.- 

Obi Wan fece spallucce e fu presto sopraffatto dalle braccia tornite della domestica, che lo stritolarono in un bell’abbraccio che sapeva tanto di mamma.

- Ho visto Athos volare sul tetto attaccato per un piede, povero caro, devo andare a dargli una mano. Puoi stare attento alla tiingilar?-

A che?

- Ci ho già pensato io. Sta provando a riportare Ortense nella stalla.-

- Oh, bene! Quella briccona riesce sempre a volare via. E’ sempre stata così, fin da puledra!-

Gli passò le mani sul corpo e lungo le braccia, come per accertarsi che avesse tutti i pezzi al suo posto.

- Ma mangi abbastanza, sì? Ti ho visto un po’ giù di corda in questi giorni.-

- Sì, Maryam. La vostra cucina è eccellente.-

- Ah, non diciamo sciocchezze!-

- Sicuramente meglio della cucina del Tempio.-

Se Obi Wan in quel momento era serio e sinceramente convinto che la cucina del Tempio di Coruscant facesse discretamente schifo, Maryam lo squadrò come se stesse ponderando che accidenti gli dessero da mangiare in quel di Coruscant per essere così appassionato della sua cucina. 

Preferì non commentare e passare ai fatti.

- Vieni, ho fritto due cose, dimmi se sono buone.-

Se c’era una cosa che Obi Wan amava di Maryam - oltre alle mille altre cose che apprezzava di lei - era che era capace di friggere praticamente qualsiasi cosa perché, si sa, fritta è buona anche una ciabatta.

Nonostante dunque Maryam dosasse il fritto in modo corretto, quando lo portava in tavola i suoi ospiti cominciavano a sbavare soltanto scorgendo la bella panatura dorata che spuntava dalle tonnellate di carta assorbente in cui fasciava il cibo. 

Le due cose che Maryam aveva fritto erano una padellata gigantesca di pasta lievitata, grossi gnocchi cavi di pura bontà da riempire con cremosissimo formaggio di susulur in cui la buona domestica aveva mescolato spezie fresche e le gustosissime bacche del mare di Udesla.

- Hai fame?- gli disse, passandogli la manona sulla schiena.

Io ho sempre fame.

- Un po’, ma non voglio abusare della vostra…-

- Ma che, scherzi? Tieni, mangia!- gli disse, riempiendogli il piatto con una palettata di formaggio da fare spavento e persino Obi Wan fu costretto a dirle di rallentare quando costruì un vero e proprio tempio di pasta fritta.

- Mettici anche queste, che sei patito!- gli disse, aggiungendo una manciata di bacche ancora grondanti salamoia. 

Obi Wan fu costretto un’altra volta a dirle basta.

A Kryze Manor non si facevano mancare niente. Il duca una volta gli aveva detto: Non c’è piacere più grande per un guerriero di ritorno dal campo di battaglia che nutrirsi con del buon cibo. Noi non combattiamo? E che c’entra? Le strategie le facciamo lo stesso. Combattiamo col cervello, quindi l’assunto regge ancora.

Qualcuno al Tempio avrebbe protestato, dicendo che indulgeva nei piaceri della vita che lo distraevano dalla Forza, che un buon Jedi dovrebbe mangiare in modo equilibrato, anzi, che non ha bisogno di mangiare se non il minimo indispensabile perché, si sa, la Forza dà energie sufficienti per sopravvivere per un lungo periodo senza appesantirsi.

Qualcuno l’avrebbe detto, sì, perché non avevano mai assaggiato i panzerotti di Maryam.

Era convinto di non avere molta fame, ed invece finì con lo spazzolare quel piatto spaventoso di cibo che la domestica gli aveva servito. Poi, non paga, gliene aveva offerto ancora.

- Sì, non sono mica cieca, sai? L’ho visto che sei triste, e credimi, non c’è rimedio migliore di questo per il mal d’amore.- e tirò fuori una bottiglia di liquore rosato.

Obi Wan alzò un sopracciglio, perplesso.

- Che c’è? Qualcuno lo troverebbe diseducativo e io potrei anche dargli ragione, però sono anche sicura che sei un ragazzo bravo - e gli diede una pacca sulla testa - maturo - e gliene appioppò un’altra con le mani di un fabbro - e responsabile, per cui sai che non si beve a stomaco vuoto e che non ci si ubriaca mai.- 

E con questo gli versò un bicchierino di liquore.

- Ci puoi mangiare i biscottini, ce li inzuppi dentro. Oppure le vuoi un po’ di daryc’see? Le ho arrostite ora ora…-

Quelle però gliele aveva già date Athos, sarebbe stato ingordo ad approfittarsene due volte.

Così optò per quattro o cinque biscottini.

Il liquore - tihaar, gli pareva si chiamasse - sapeva di frutta ed era buono, con i biscotti ci stava proprio bene. Maryam gliene versò un altro goccetto giusto per pulirsi la bocca, tanto sarebbe rimasto un segreto tra loro due. Andava giù fin troppo bene ed Obi Wan decise di non tentare la sorte chiedendo un secondo bicchiere. 

Si sentiva pieno come un uovo e decise di fare due passi, o di schiacciare un pisolino, ancora non lo sapeva.

- Ti ha tirato un po’ su di morale?-

- Il vostro cibo tirerebbe chiunque su di morale, Maryam.-

E lungo steso sul letto, anche.

La domestica gli infilò una mano da fabbro nei capelli e gli schioccò un bel bacio sulla guancia.

Non aveva mai avuto una mamma. Della sua famiglia biologica ricordava solo alcuni flash: lo scialle di sua madre, le mani di suo padre, l’apparizione indefinita di suo fratello. La figura che gli era più simile ad una madre era Jocasta Nu, lei era stata una mamma e una nonna per mezzo Tempio Jedi. Nessuna magistra però, nemmeno la magistra Tahl era mai stata così affettuosa come Maryam lo era stata con lui. 

Non che le manifestazioni di affetto al Tempio piovessero come grandine, eh. 

Eppure in quel momento si trovò a pensare che se mai avesse avuto una mamma da qualche parte, se la sarebbe immaginata proprio come Maryam.

Si lasciò stropicciare ancora un po’, prima di congedarsi.

- Aspetta, caro! Ho un’altra cosa per te!-

E gli passò una grossa tavoletta di cioccolato.

- Che cos’è?-

- Il secondo rimedio contro il mal d’amore. E lo spuntino di mezzanotte, se uno ha fame.-

 

Restare solo nella sua stanza era una noia mortale. A chiunque fosse appartenuta prima del suo arrivo, doveva essere un tipo tosto. Sulle prime aveva creduto che Satine avesse una sorella o forse un fratello maggiore, a giudicare dal quantitativo incredibile di dischi di pesantissima musica mandaloriana e di film improponibili per una eventuale sorella o fratello minore. Allo stesso tempo, però, aveva pensato che Satine gli avrebbe rivelato un dettaglio così importante, così era giunto alla conclusione che fosse qualcun altro. In fondo, i Mando avevano delle famiglie allargate, fatte di orfani adottati e parenti accuditi. Clan in cui nessuno restava mai indietro.

Non ci sarebbe stato da stupirsi se avessero allevato un cugino di chissà quale grado. 

E doveva trattarsi proprio di quel parente problematico a cui lei aveva fatto allusione più di una volta. Aveva visto una bambina dai capelli rossi che però non gli aveva quasi mai rivolto la parola, ed era stato propenso per un periodo a credere che fosse lei la persona in questione, ma non ce la vedeva proprio, piccola così, a guardare un holofilm come La luna nel pozzo

L’aveva guardato con Quinlan - naturalmente, con chi altri se non con quello scalmanato di Quinlan?- una sola volta, ed all’epoca era già un adolescente. 

Non aveva dormito per una settimana, almeno non prima di aver staccato il monitor dalla presa elettrica ed aver chiuso l’armadio a doppia mandata, per il terrore che la protagonista gli spuntasse o dall’uno o dall’altro.

Per non parlare dei piedi, nascosti sotto le coperte per evitare di essere preso e trascinato via da una forza sconosciuta.

Era stato stupido ed irrazionale, ma se era stato capace di giocare con la sua testa da Jedi allenato alle peggiori schifezze e soprattutto quasi adulto, gli scherzi che un film del genere poteva fare sulla mente di una bambina così piccola erano per lui inimmaginabili. 

Per cui no, in quella stanza non ci stava volentieri, anche perché in alternativa al farsi tessere le ragnatele attorno alle orecchie per la noia avrebbe finito con il ficcanasare in giro e non gli faceva piacere.

Entrare nella stanza di Satine era fuori discussione. 

Col duca, con Athos e con Maryam ci aveva già parlato.

Forse, sarebbe potuto andare nelle stalle a coccolarsi Bukephalos, ammesso che lo degnasse di uno sguardo. Oppure, avrebbe potuto leggere qualcosa in biblioteca, tanto per cambiare.

Oppure si sarebbe fermato lì, nel bel salone di Kryze Manor, dove il sole filtrava tra i tendaggi chiari e dava la sensazione di essere in un piacevole posto arioso, caldo ed accogliente.

Fuori, i primi fiocchi di neve cominciavano a cadere. Dentro, un bel camino acceso spargeva calore dovunque. La poltrona e il poggiapiedi di chintz del duca erano pronti per essere usati e sembrava invitare a schiacciare un pisolino al calore del fuoco ristoratore.

Si accomodò. Si tolse le pantofole e stese i piedi sul piccolo pouf. Reclinò lo schienale e chiuse gli occhi.

Chissà se Satine e il maestro avrebbero patito il freddo, là fuori.

Magari in quel momento erano chiusi in qualche ristorante a guardare la neve cadere di fronte ad un bel piatto caldo. 

Sospirò, le palpebre che si facevano mano a mano sempre più pesanti mentre l’ululare del vento e il crepitio del fuoco lo cullavano lentamente nel sonno.

Poi, lo udì.

Il suono che aveva tormentato i suoi incubi di adolescente per mesi. Ed era stata tutta colpa di Quinlan.

Screeeeeeeeeeeek

Spalancò gli occhi e si guardò in giro.

Non era cambiato nulla. Il tavolo da caffè era ancora al suo posto, fuori nevischiava, le finestre erano ben chiuse e il vento non poteva entrare dentro il maniero.

Nascosta alla vista da un costolone di pietra del caminetto c’era una porta. 

Una porta che, lenta ma inesorabile, si stava aprendo, scricchiolando.

Da sola.

Obi Wan fece un bel respiro profondo.

E dai. Maryam si sarà dimenticata una finestra aperta mentre faceva le pulizie.

Decise che l’avrebbe richiusa per evitare altri spiacevoli incidenti. 

Si alzò, aggiustandosi la tunica e domandandosi se non stesse diventando troppo domestico. Si infilò le pantofole e si diresse senza pensarci troppo verso la porta che continuava a cigolare.

Afferrò la maniglia e fece per chiuderla quando rimase con la mano a mezz’aria e la bocca aperta.

Che razza di posto è questo?

Satine gli aveva menzionato dei ritratti in più di un’occasione, ma non aveva mai davvero pensato di curiosare dentro Kryze Manor al punto di trovarli. Era entrato dentro il maniero, quello che aveva visto gli era bastato. Non avrebbe mai potuto credere che ci fosse altro, oltre all’ammasso di oggetti, cimeli e ricordi che invadevano ogni singolo angolo di quel luogo, dalle armature ai quadri, dagli arazzi alle pietre del muro esterno con i nomi dei lavoranti, incisi chissà quanti secoli prima.

Apparentemente, oltre ai quadri sulle scale c’erano altri ritratti, questa volta più personali. Era una vera e propria pinacoteca che si perdeva nelle viscere del castello, corridoi tappezzati di quadri ritraenti tutti, ma proprio tutti i membri del clan Kryze, da Ordo il Sordo in poi. 

Obi Wan, dimentico dello spavento, del fuoco acceso e del fatto che nessuna finestra poteva aver creato una corrente d’aria tale da aprire quella porta, quel giorno li passò tutti in rassegna, nessuno escluso, ed ottenne anche un piccolo aiuto.

Ma andiamo con ordine. 

Il primo ritratto doveva essere quello del famoso Ordo. Era piccolo e ben piazzato, ma ciò che colpì il giovane padawan fu il viso completamente sfigurato da quella che doveva essere stata una forte esplosione. Le orecchie erano ridotte a piccoli grumi a forma di cavolfiore, e non si stupì se gli avevano dato quel nome, il Sordo. Anche la mandibola sembrava parzialmente dislocata, storta di sicuro. Gli occhi però erano vividi e vivaci e la sua lancia di beskar compensava la sua bassa statura, rendendolo minaccioso nella sua beskar’gam.

All’epoca di Ordo qualche Mitosauro originale doveva essere rimasto, perché ciò che svettava alle sue spalle non era sicuramente un meshurok. Obi Wan osservò le lunghe corna arcuate, il pelo lungo, il muso squadrato. 

Il teschio di Mitosauro era un simbolo della cultura Mando.

Passò oltre ed incontrò la figura tarchiata di quello che, a giudicare dalla targhetta apposta sotto il quadro, doveva esserne il figlio.

 

Otis figlio di Ordo, Botte di Ferro Kryze.

 

Satine doveva già averglielo menzionato perché il nome non gli giungeva nuovo. 

Certo, non ci voleva molta fantasia per capire come mai lo avessero chiamato così.

Rimase a fissarlo, chiedendosi come un uomo della sua stazza potesse efficacemente entrare nel beskar e combattere da guerriero temibile e valoroso come era sicuro che fosse stato per meritare un ritratto, finché una voce non lo fece trasalire.

- Il buon Otis Botte di Ferro. Si fermano sempre tutti a guardare il quadro e puntualmente si chiedono: ma come faceva a menar legnate se stentava ad alzare le braccia?-

Obi Wan balzò come un gatto ed atterrò con le spalle al muro e la spada laser sguainata.

Perché cavolo non l’ho sentito nella Forza?

- Che giovane ribaldo! Come osate fruire delle vostre stregonerie nella nobile dimora dei Kryze?-

Obi Wan tentennò e rinfoderò la spada.

In che lingua parla questo?

- Chiedo scusa, non vi ho sentito arrivare e mi sono spaventato.-

Visto che però la situazione era in stallo, il padawan decise di improvvisare.

- Mi chiamo Obi Wan Kenobi. Sono il protettore della duchessa Satine.-

L’uomo cambiò immediatamente espressione. Gli sorrise con fare cordiale e si portò la mano alla falda del cappello piumato che portava sul capo.

- Ah, poffarbacco! Sono io che devo chiedere venia, allora! Lungi da me volervi spaventare, o nobile cavaliere! Io sono il Custode, al vostro servizio!- e si inchinò togliendosi il cappello.

Rivelò una testa di capelli biondi come quella di Satine, corti ed acconciati in uno strano taglio che lo rendeva simile ad un cavolfiore. La chierica lucida sulla cima della sua testa era stata tenuta nascosta abilmente dal cappello piumato, che adesso sfiorava il pavimento in un eclatante gesto di ossequio.

Se Obi Wan era stato confuso prima, adesso era confuso ancora di più.

- Il Custode?-

- Ora e sempre, da tempo immemore!-

- Non sapevo che ci fosse un custode a Kryze Manor.-

L’uomo lo squadrò da capo a piedi.

- Dico io, non avete parlato con la duchessa?-

Obi Wan si guardò intorno, come a cercare Satine.

- Avrei dovuto?-

Il Custode scosse il capo, sconsolato.

- Credo di dover intrattenere una conversazione con la nostra duchessa. In questo posto continuano ad ignorarmi! Dico, svolgo questo mestiere egregiamente da quanto tempo? Ohibò, non lo so più nemmeno io, eppure continuano a dire tutti la stessa, medesima cosa: perché, c’è un custode a Kryze Manor? Ah! Io non sono solo un custode, io sono il Custode!-

Obi Wan annuì, accondiscendente.

Questo mi sa che non ha tutte le rotelle al posto giusto.

L’uomo continuò a parlare da solo a proposito dell’ingiustizia del mondo che, in anni di onorato servizio, gli aveva rivolto le peggiori accuse: Non mi si riconosce nemmeno il mio titolo, e poi dicono che sono un avaraccio! Avaro io? Ma quando mai! Semmai, parsimonioso, oculato, ma avaro proprio no! Guarda te, che mi tocca sentire, e per cosa poi? Non percepisco un credito per questo lavoro, che volete, che paghi anche l’erario? E’ il minimo che sia esentasse, perdinci! Basta, pretendo rispetto!

Poi, come se fosse improvvisamente tornato in sé, si voltò verso Obi Wan, frusciando con gli abiti antichi sul pavimento.

- Bando alle ciance, mio giovane ribaldo! Che cosa fate qui?-

- Io sono il protettore…-

- Sì, sì, questo l’abbiamo capito. Intendo, qui!- e con le mani indicò il corridoio antistante.

Il padawan non sapeva esattamente che cosa dire.

E se questo dà di matto e riparte con qualcosa che c’entra con le tasse?

- La porta deve essersi aperta per un colpo di vento. Mi sono alzato per richiuderla e…-

- Colpo di vento? Finestre aperte? Giusto cielo, in questa stagione ci costerà un occhio di riscaldamento!-

Obi Wan si affrettò a correre ai ripari.

- No! Adesso è tutto chiuso, glielo posso garantire!-

- Tutto tutto? Anche i lucernari sul tetto?-

- Sì, e il camino è acceso!-

- Ah, questa è un’ottima notizia. Insomma, volevate chiudere la porta e invece vi si è aperta la bocca di fronte a cotanto splendore, erro?-

Obi Wan si guardò intorno: i re, le regine, i meshuroke e i Mitosauri.

- Sì, decisamente.-

Il Custode si sfregò le mani.

- Allora questo è il momento buono per una bella visita privata! Che ne pensate, potete dedicare cinque minuti del vostro preziosissimo tempo a scoprire qua con me i misteri della nobile ed antica casata dei Kryze? Posso garantirvi che sono un aedo più che affidabile, mio cavaliere senza macchia e senza paura!-

Obi Wan arrossì, abbassò il capo ed annuì.

Satine me lo dice sempre in altri contesti, che sono il suo cavaliere senza macchia e senza paura.

Oh, quanto gli mancavano quei contesti!

Ma il Custode non gli diede nemmeno il tempo di perdersi in quei piacevoli ricordi, perché lo costrinse a girare sui tacchi a tornare sui suoi passi, proprio sotto il ritratto di Ordo il Sordo.

- Ah, il buon vecchio Ordo! Un valoroso guerriero e un sapiente amministratore. Sapete, una volta riuscì a conquistare da solo una trincea nemica…-

- … Cadendoci dentro ubriaco fradicio. Conosco la storia di Birakis. Me l’ha raccontata la duchessa.-

L’uomo dondolò la chierica linda, soddisfatto.

- Non mi darà un credito, ma almeno le cose le sa. Ordo rimase sfigurato in combattimento, quando perse l’udito e la favella dopo una forte esplosione. Non si sa che cosa sia stato, forse un cannone, o una granata. All’epoca usavano ancora riempirsi di piombo, il plasma era ancora lontano. E’ stato lui a costruire Kryze Manor, proprio così come lo vedete adesso. Pose la prima pietra là.- ed indicò un punto imprecisato alla fine del corridoio.- Prima delle fondamenta. C’è ancora l’incisione con cui afferma la paternità dell’opera. Non si faceva sfuggire niente, il buon vecchio Ordo. Sia mai che qualcun altro si intestasse la proprietà e poi gli facesse pagare l’affitto. E’ stato un grande amministratore e un superbo esattore dei conti. E’ famoso per aver inventato un’altra cosa, oltre alla storia della netra’gal.-

Obi Wan lo ascoltava con attenzione.

- Ovvero?-

- Il pedaggio, ovviamente.- gli disse il Custode, strizzandogli l’occhio.

- Ma veniamo a storie relativamente più recenti. Ho visto che stavate ammirando il ritratto del nostro Otis Botte di Ferro. Non serve che vi dia ulteriori spiegazioni, vero?-

Il padawan fissò ancora per un momento la pancia ingombrante del duca.

- No, direi di no.-

- Ah, Otis era l’esatto contrario del padre. Tanto quello era di poche parole, tanto questo dava aria alla bocca. Tanto quello era oculato con le spese, tanto questo era scialacquatore. Tanto quello era morigerato nello stile di vita e nelle passioni, tanto questo spendeva e spandeva in cibo e bevande e donne di dubbia moralità che… Oh, non importa, nessuno ha mai capito come facesse.- concluse, fissando il vuoto per un secondo e cercando la risposta alla sua silente domanda, ovvero come facesse ad avere sempre un codazzo di spasimanti alle calcagna quando in verità era così maleducato e viveur. 

Obi Wan cercò di distrarlo dalla sua trance tossicchiando, ma non ci riuscì. 

Tossì ancora, e questa volta il Custode parve tornare in sé.

- Ho sentito parlare della sua ascia.-

- Oh, sì. Otis era temibile in battaglia, un guerriero sensazionale e un tattico sopraffino. Pensate che ha vinto una battaglia con il solo uso di un susulur.-

Il ragazzo fece tanto d’occhi e il Custode se ne accorse, così si lanciò nel racconto.

- Secoli or sono vi fu una terribile battaglia nella cittadella di Navar, in cui i Vizla e i Makyntire cinsero d’assedio il clan Kryze dentro le mura della città. Otis sapeva di dover chiedere rinforzi agli Awaud, ma era anche a conoscenza del fatto che il nemico stava controllando ogni sua mossa ed aveva tagliato ogni via di comunicazione e di approvvigionamento. Tutte, tranne le gallerie che gli Awaud avevano segretamente scavato sotto le loro città. Così, fece incamminare l’intera città e tutti i soldati nelle gallerie dopo aver inviato esploratori in avanscoperta, e in città rimase soltanto lui. Alla fine, per scappare e riuscire ad informare gli alleati, Otis ideò un piano geniale. Legò la corda della campana del Municipio al collo di un giovane susulur e piazzò la sua mangiatoia piena di mentuccia poco lontano. L’animale, mosso dalla fame, di tanto in tanto si alzava per andare a brucare le foglie e faceva suonare la campana. Il clan dei Makyntire era convintissimo che la città fosse piena e che stessero indicendo una riunione cittadina, quando si trovarono assediati alle spalle dal clan Kryze e dal clan Awaud. Furono costretti ad arrendersi e fuggirono in una ritirata disastrosa che valse la vittoria ad Otis. Leggenda vuole che suddetto susulur abbia trovato ristoro e riposo nelle stalle di Kryze Manor fino alla fine dei suoi giorni, immerso nella menta con tutti gli onori tributati ad un eroe di guerra.- 

Obi Wan parve pensarci un po’ su.

- Assomiglia molto a quello che ha fatto la duchessa a Khader, senza l’assedio, però.-

- Beh, a lei non interessava annientare il nemico. Devo dire che la duchessa ha studiato proprio bene e che ha avuto anche più classe di Otis. Ha lasciato che il nemico si rovinasse da solo.-

Il Custode si spostò più avanti, chiacchierando a ruota libera.

- La sua armatura è custodita là.- disse, ed indicò un punto lontano in corridoio dove però si poteva scorgere bene una beskar’gam dal girovita ciclopico ed un’ascia dentata che prometteva dolori indicibili.

- Era un guerriero formidabile. Non s’è mai capito come facesse…- ed ancora una volta il Custode si perse nei suoi pensieri.

Obi Wan tossicchiò.

Nulla.

Tossicchiò di nuovo.

Nulla.

Il Custode borbottò tra sé e sé, perché così grosso, insomma, almeno un minimo d’impaccio…

Il padawan si giocò un’ultima carta.

- E’ caduto in battaglia?-

- Come? Oh, no, perdincibacco! Ci mancherebbe altro, non era nel suo stile! No, si rinchiuse in cucina dopo l’ennesima vittoria sui Makyntire e si sbafò l’intera dispensa ducale fino a lasciarci la pelle. O forse si ubriacò. O forse no, non si sa. La sua non è stata né la prima, né l’ultima scomparsa misteriosa avvenuta tra queste mura.-

Obi Wan seguì il Custode lungo il corridoio, guardandosi attorno. Alcuni ritratti erano davvero antichi. Non avrebbe mai saputo datarli, ma fu abbastanza facile stabilire uno spartiacque.

Ovvero se erano stati dipinti prima o dopo l’estinzione dei Mitosauri.

Da un certo punto in poi, infatti, cominciarono ad arrivare i meshuroke. Il padawan dovette ammettere che erano presenti nella maggioranza dei dipinti e che alcuni di questi facevano davvero paura.

Uno in particolare lo colpì, e trovò quel ritratto così caotico da spingerlo a chiedere informazioni.

Il Custode si mise a ridere.

- Ah, quella? Lei è Fahra Piume al Vento Kryze. Il suo talento nel guidare il paese è stato pari soltanto alla sua passione per i pennuti. Quel povero avvoltoio, per esempio, quello che porta in testa, si chiamava Zonzo ed era il suo animale preferito. Lo amava così tanto che alla sua morte lo fece impagliare e poi lo portò così, sul cappello o sull’elmo. Non fu l’unica specie che addestrò. Ebbe persino dei tracyn senaar, dei pel shebs e chi più ne ha più ne metta. Non le interessava se fossero o meno pericolosi, con lei erano comunque mansueti. E con essi venivano le piume, i boa, tutto ciò che poteva avere altre piume, persino gli orecchini. Fahra era una piuma ambulante. E’ stata una delle prime utilizzatrici della Luce di Mandalore mai attestate, ma è famosa anche per altro. Fu la prima a proteggere l’ambiente e ciò che restava dei Mitosauri, preferendo i meshuroke, anche se ormai il danno era fatto. La leggenda che preferiamo tramandare, però, è quella del suo amore per il guerriero e contadino Jorah Rau.-

- La conosco, il Venerabile me l’ha raccontata prima di morire.-

Il Custode ne fu sorpreso, ma non la prese a male.

- Era una donna singolare, Fahra. Guerriera micidiale col cuore di panna. Quando i Makytnire e i Vizla presero Mar’eyce, decisero di attirare i Kryze in battaglia e poi di far esplodere la città, minacciando di distruggere tutto, anche le cascate e le grotte termali. Mai fu compiuto un atto così sacrilego. Si dice che quel luogo sia una delle misteriose cinque Porte di Kalevala. Insomma, Fahra subodorò la trappola e utilizzò i suoi animali per vincere la guerra. Aveva addestrato i suoi uccellini a riportarle delle perline colorate. Con il loro aiuto, riuscì a localizzare precisamente la disposizione dell’armata nemica dentro la cittadella. Usò di tutto: passeri, piccioni, persino pappagalli. E loro riportarono la perlina colorata corrispondente ad artiglieria, cavalleria, fanteria, esplosivo. Organizzò le proprie risorse così da colpire in modo mirato, e vinse la guerra quasi senza esplodere un colpo. Un vero e proprio genio.-

- Cioè, ha vinto la guerra coi piccioni viaggiatori?-

- Mio caro ragazzo, i piani alla Kryze non sapeva farli solo Korkie Bauer!- 

L’uomo proseguì per un po’ brontolando tra i denti qualcosa come ohibò, che poi fosse un Bauer a fare i piani alla Kryze è bella, però si può permetterne l’uso a terze parti. Certo, senza nemmeno far pagare i diritti…

Obi Wan soppresse a stento una risata. 

I Kryze non saranno stati proprio tutti tirchi, ma sicuramente sapevano come massimizzare i profitti.

Poi, un quadro diverso dagli altri lo colpì.

Era una donna dai morbidi capelli castani e dallo sguardo triste. Sembrava profondamente buona, assorta nei suoi pensieri. Non c’erano meshuroke o altre creature, solo lei, l’aria stanca sotto le ciglia lunghe e il corpo lievemente chino sotto la treccia castana. 

C’era lo stemma dei Kryze sulla cima e una grossa G intarsiata posti sopra il suo capo. Ai suoi piedi, invece, quattordici piccoli stemmi, miniature con il volto di altrettante persone e i loro nomi.

- Ah, lei. Curioso che vi abbia colpito proprio lei.- 

Obi Wan attese che continuasse.

- Lei è Lynar la Martire Kryze, Giusta tra le Genti. Povera donna, la vittima per eccellenza di una tra le più aberranti tradizioni di Mandalore, ovvero quella dei matrimoni combinati.-

- Il suo nome non mi è nuovo.-

- Era la figlia di Gozo Kryze, il Filibustiere. La pecora nera della famiglia. Un uomo senza scrupoli, senza ritegno e senza rispetto. Barattò sua figlia, cedendola ai Vizla in cambio di una tenuta su Concordia. Commise azioni disgustose per tutta la sua vita. Persino il Tempio gli rifiutò la sepoltura al Pozzo dei Giganti. Derubò, contrabbandò, uccise, e quando non lo fece condannò a morte altri abbandonandoli nelle grinfie di subdoli figuri, come il Mostro.-

Il padawan aggrottò le sopracciglia.

Non prometteva bene.

- Affittò la tenuta per una cifra esorbitante ad un uomo proveniente da lontano, una creatura oscura che faceva magie e vestiva sempre di nero. Si divertiva a massacrare la gente. I villaggi di minatori di Concordia ancora lo ricordano, e ricordano il giorno della sua morte come festa nazionale. Era una creatura assetata di sangue, morte e potere. Dopo l’ennesimo massacro, tutto il popolo di Concordia si riunì in un conciliabolo segreto, accordandosi per ucciderlo, pur avendo la consapevolezza che quella missione sarebbe costata la vita di molti di loro. Ci riuscirono, anche se a caro prezzo, ma alla fine nemmeno la sua spada rossa riuscì a fermare la furia dei Mando.- 

- Aspettate, era un Sith?-

- Noi preferiamo darjetii, ma penso che Sith sia la definizione esatta, sì.-

Obi Wan si chiese discretamente se anche quella terribile esperienza non avesse condizionato l’idea che i Mando si erano fatti dei Jedi. In fondo, un utilizzatore della Forza per loro era sempre lo stesso. Poco importava se la usava per il bene o per il male. Era un potere che andava temuto. Che voleva dire avere una spada rossa o una blu? Il problema persisteva. E’ più forte di un uomo normale, e può uccidere o costringere un altro a fare cose che non farebbe mai in vita sua. 

Avere un assaggio del potenziale distruttivo del lato oscuro doveva aver condizionato la popolazione per sempre.

Il Custode però non sembrò interessato ai suoi pensieri.  

- Gozo ne combinò talmente tante che fu dichiarato empio dal Tempio della Luce, e con lui tutta la sua famiglia, inclusa la povera Lynar, che aveva soltanto pagato il prezzo di avere un padre di tal fatta. Fu data in sposa a Vyron I Vizla il Sanguinario, un uomo volgare, gretto e meschino, che le fece fare una vita terribile e una fine ancora più straziante. Questo, ad esempio - ed indicò il primo cartiglio. - E’ Ator, il figlio maggiore dei quattordici che la povera Lynar fu costretta a generare. Compresa la violenza e la scarsa umanità del padre, organizzò una congiura per eliminarlo, ma purtroppo fu ucciso prima da quel mostro, strangolato a mani nude sotto gli occhi della madre.-

Il padawan rimase a fissare il piccolo ritratto di un bel ragazzo dai capelli neri e gli occhi pensierosi.

Povera donna e povero lui.

- Questo, invece, è il più piccolo, Bora. Aveva solo pochi mesi quando suo padre lo uccise. Purtroppo si era reso colpevole di piangere troppo. E queste tre? Povere donne. Tutte e tre spose giovani a clan affini, tutte e tre morte di una morte terribile. Yve, una delle maggiori, morì dopo l’ennesimo parto. Kendra, invece, la mora che assomigliava a sua madre, fu lasciata morire di influenza. Sì, di influenza. La lasciarono agli spifferi e senza medicine. Nerah, invece, fu lasciata in una torre a morire di fame dopo aver tentato la fuga con l’aiuto di uno scalpellino. Jax e Qa’Ru, i due ragazzi mezzani, furono mandati a combattere una guerra inutile e persero la vita sul campo, assieme alle loro sorelle Sekhmi e Ger’da. Che cos’era, aspettate? Un regolamento di conti per un diritto di passo su un fondo agricolo, credo, ma per Vizla era abbastanza per dichiarare guerra. Il peggio, però, lo toccò con la povera Bo Katan.-

Obi Wan osservò con riguardo le dita del Custode sfiorare il cartiglio di una ragazza dai capelli corti e gli occhi chiari. 

- Fu l’unica a tornare viva e a chiedere al padre di fermare il massacro per il diritto di passo. Si offrì di trattare la disposizione della servitù prediale, ponendo fine ad un bagno di sangue inutile. La condannò al plotone d’esecuzione per aver tradito la causa. Fu in quel momento che sua madre cominciò a meditare vendetta, ma per il bene degli altri figli si trattenne. Poi, pur di non tenerli in casa, due vennero consegnati appena nati al Tempio della Luce, una cosa che nemmeno i jetiise avrebbero mai accettato. Lynar cominciava a non poterne più, ma fu l’orrore di Krel e Uma a rendere più semplice la decisione di uccidere il marito.- 

Krel era un ragazzo giovane dall’aria semplice, mentre Uma era una ragazzina dallo sguardo di pepe incorniciato da una cascata di boccoli rossi.

- Si sposò in segreto con una contadina che amava alla follia.- continuò il Custode, indicando il giovane.- Ebbero un figlio, e quando Vizla lo seppe, compose un commando per eliminarlo, temendo l’insorgere di un ramo collaterale che lo avrebbe privato del potere. Krel si mise in mezzo, per proteggere la moglie e il bambino, ma non bastò. Morirono tutti. Uma, l’ultima rimasta, terrorizzata all’idea di fare la stessa fine di tutti gli altri, corruppe il maniscalco che l’aiutò a fuggire, ma non ci fu scampo nemmeno per lei. I sicari di suo padre la fermarono e la fecero a pezzi. Convinto che fosse stato un piano di Lynar, Vizla le fece consegnare il corpo in una scatola. A quel punto, la decisione fu presa, e durante l’ennesima notte in cui suo marito voleva approfittarsi di lei, Lynar lo accoltellò, salvo poi morire di crepacuore al mattino successivo. La sua storia commosse così tanto l’opinione pubblica che il Tempio fu obbligato a rimuovere l’empietà assegnata a Gozo e ai Kryze per dichiararla Giusta tra le Genti.-

Obi Wan rimase a fissare quella donna dall’aria gentile e dallo sguardo tormentato, finalmente riunita a tutti i suoi figli, almeno nel suo ritratto. 

Che storia. 

In un certo senso, la sua espressione gli ricordava molto lo sguardo triste e malinconico di Satine.

O forse voleva trovare lui una somiglianza per giustificare la brutta sensazione di ribrezzo che gli suscitava la figura di Saxon, forse anche più di quella di Larse Vizla.

Sapeva per esperienza che Satine ancora sognava quanto avvenuto a Khader, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

Poi, l’occhio gli cadde sulla cosa più oscena che avesse mai visto.

- E quello cos’è?-

Il Custode si mise a ridere.

- Questo, mio caro, è quello che resta del corpo di un munit gemas, nonché una prova tangibile delle potenzialità dell’intelletto della nostra duchessa. Questo, mio caro ragazzo, è il capo di haute couture che le è valso il titolo di Terrore del Ghiacciaio del Monte Glassa di Zucchero.-

Terrore sì. E poi lei aveva il coraggio di giudicare la divisa dei Jedi?

Nella teca di vetro era disposto in bell’ordine il completo, in cui tutto era fatto di pelo. Il cappello di pelo, il giubbotto di pelo, i calzoni di pelo, i guanti di pelo. Il cuoio ruvido e non trattato era esposto all’aria e sembrava un grosso pezzo di carne rivoltata. Gli stivali di pelo erano tornati al loro posto dopo un anno in fuga dai terroristi, ma ciò che lo impressionò di più furono le colossali zanne che erano disposte sul muro, agganciate a grossi morsi di ghisa.

- Non male, eh? Posso garantire che era proprio brutta così, e puzzava anche. Ancora puzza, quando apriamo la teca dobbiamo areare la stanza. Nessuno, però, è mai riuscito in una cosa del genere prima, e vi garantisco che soltanto a guardare quelle zanne che le spuntavano sopra la testa valeva la pena di dichiararla Mand’alor anzitempo. Guardate qua, questa è la foto originale!-

Obi Wan sogghignò, consapevole che avrebbe potuto ricattarla per sempre per quella semplice fotografia, dove non si vedeva assolutamente niente se non un paio di feroci occhi blu da tredicenne sotto un folto mucchio di pelo, con corda dovunque e due grosse corna ad incorniciarle la testa.

Oh, beh, effettivamente faceva paura, ma questo il padawan non l’avrebbe mai ammesso.

Alzò lo sguardo per guardarsi intorno, ma non ottenne un granché. Fece giusto in tempo a scorgere la targhetta del duca Marmaduke, quando il Custode lo afferrò per le spalle e lo fece girare sui tacchi.

- Ah, questa è bella! Lady Elipha Kryze, la Sovrana delle Pentole. Avete mai visto Maryam suonarle a qualcuno? Ebbene, quando lo fa, segue le regole della buona vecchia Elipha. E’ stata lei ad inventare questa tecnica! Pensate che una volta, dopo la morte del duca Marmaduke, qualche citrullo tra i Saxon ritenne che attaccare Qibal, ormai senza una guida, sarebbe stata una buona idea, ma ah! Elipha era lì, purtroppo. Incontrarono una resistenza estenuante, e solo alla fine decisero di provare a prenderci per fame, ma mia fi… ehm, Elipha era lì ad organizzare la resistenza. Dispose la ricostruzione delle mura e la cura dei feriti, e quando si rese conto che un manipolo di dodici Saxon si era introdotto nella Torre Municipale per sabotare le provviste, entrò da sola e li stese tutti così, pafff! Usando solo quello che le capitava a tiro, ovvero pentole, piatti e padelle. Da allora quello stile di combattimento è fondamentale per chiunque si occupi dei Mand’alor, e Maryam lo ha padroneggiato benissimo!-  

Li superarono tutti, e per tutti il Custode aveva una storia da raccontare. Arrivarono fino in fondo al corridoio e il suo nuovo compagno d’avventura ebbe da raccontare qualcosa persino sul prozio Zuppetta - Illum Kryze, gli pareva che si chiamasse, colui che aveva sottoscritto i trattati con la Repubblica e che a quanto pareva amava fare colazione con una specie di porridge corretto al rum di Corellia - e sul nonno di Satine, il duca Gerhardt Kryze lo Spilorcio, che poi oh, spilorcio non era. Questa cosa dell’avarizia, da dove sarà venuta fuori, nessuno lo sa. Non abbiamo mai avuto il braccino corto. Semmai, siamo sempre stati oculati amministratori delle nostre finanze.

Obi Wan però era stato catturato dal ritratto di una bellissima donna dai capelli rossi e dallo spazio vuoto accanto a lei. 

Ciò che lo aveva colpito di più era stata l’armatura da Figlia dell’Aria, ma ad un’occhiata ravvicinata ciò che lo lasciò a bocca aperta fu la somiglianza con Satine. 

Gli occhi, innanzitutto. Stessa forma e stesso colore. Il pittore aveva fatto un ottimo lavoro nel riprodurre quella luce di fierezza che brillava sempre dentro di essi, anche nei momenti più bui. Le labbra sottili e la bocca erano identiche, persino il velo di sorriso sornione disteso sul suo volto. Il mosso naturale dei suoi capelli, che cadevano in onde gentili attorno al suo viso intrecciati a piume di vario genere.

Vikandra Bauer.

Del duca, Satine aveva la forma del viso, gli zigomi alti, il naso appuntito, le sopracciglia sottili intrecciate in una ruga d’espressione sopra l’attaccatura del naso, ma nel resto, in tutto il resto, era decisamente la copia di sua madre. 

- Vikandra Bauer Kryze, la Gloria di Kalevala. Una delle più grandi guerriere di Mandalore, la prima Figlia dell’Aria a diventare duchessa consorte nella storia. Una delle creature più indimenticabili che questo sistema abbia mai conosciuto. Conoscete la sua storia, ragazzo?-

- Sì. Me l’ha raccontata Satine.-

- Allora saprete anche della sua celeberrima dichiarazione d’amore. Quella selvaggia! Un semplice ni kar’tayl gal darasuum non le bastava mica. Troppo diretto, non sarebbe mai riuscita a dirlo. Figurarsi, la Abiik’ad che dichiara il proprio amore a qualcuno in un modo così romantico! Si inventò di volerlo portare anche sul cuore, quel furbacchione del duca Adonai, e senza volerlo rese tutto ancora più romantico. Non se ne pentì mai, per quanto facesse finta del contrario. Il duca porta ancora la sua spilla al collo. Non se ne separa mai, e credo che mai lo farà. Vikandra è stata l’unica donna della sua vita. Quel posto vuoto è per lui, per restare accanto a lei per l’eternità quando giungerà alla fine del suo tempo.-

Il padawan rimase a guardare le fattezze della donna, così simili a quelle di Satine e allo stesso tempo così diverse. Sentì un peso posarsi sul suo cuore e quel momento di ilarità passato con il Custode sembrò all’improvviso vuoto e senza senso. 

Satine gli mancava. Forse gli sarebbe mancata per tutta la vita.

L’uomo però parve non avvedersene minimamente.

- Adesso che siamo arrivati in fondo ai ritratti, credo che potremmo passare in rassegna alcune delle armature. Ci sono dei gioielli ducali, degli stendardi, cose molto antiche ed interessanti da vedere! Pensate che, una volta, il clan dei Makyntire ha cercato di rubarli!-

- Dite davvero?-

- Oh, sì! Sono stati messi in fuga da Satine - che all’epoca, pensate, aveva circa otto anni, più o meno - ma loro sono ancora convinti che il fantasma del duca Marmaduke infesti la tenuta di Kryze Manor, cacciando i malintenzionati in groppa al suo cavallo di fuoco!-

Obi Wan non ci capì granché, ma quanto detto gli fu sufficiente a comprendere che Satine ne aveva combinata una delle sue, e una piuttosto clamorosa per la sua tenera età.

Una storia che, sicuramente, le avrebbe chiesto di raccontargli più tardi, perché il Custode, nel frattempo, era ripartito con la sua parlantina antiquata.

- Oh, ecco, perdiana, me l’ero dimenticata! Quella è la lastra posta da Ordo il Sordo al momento della costruzione di Kryze Manor. C’è chi dice che vi sia stato seppellito sotto. Non so se siano state fatte delle ricerche, credo di no, ma anche se avessero provato, dubito che l’avrebbero trovato.-

- Al Pozzo dei Giganti.-

- Come, scusate?- 

Obi Wan si schiarì la voce.

- Intendo, tutti i Mand’alor vengono sepolti al Pozzo, giusto?- 

Il Custode sollevò un sopracciglio con aria inquisitoria e sorpresa allo stesso tempo.

- In linea teorica, sì. In verità, i duchi e le duchesse di Mandalore non hanno sempre subìto la stessa sorte nella morte. Anni di guerra hanno generato difficoltà nel seppellire i propri morti, ma per i Kryze la fede e una serie di eventi peculiari hanno complicato ancora di più le cose. Ordo è scomparso, come suo figlio Otis. Il più celebre tra i morti scomparsi nel nulla è il duca Marmaduke, ma non è stato il solo.-

Poi tacque, e prese a borbottare di nuovo tra sé che, anche in questo caso, ma come gli è venuta in mente la storia del tesoro nascosto? Ma secondo voi, ragazzo, quello era così scemo da farsi murare vivo per sbaglio con il suo tesoro? Ma per favore! L’avrebbe usato bene o l’avrebbe portato con sé. Magari, lo avrebbe investito. Dopo le imprese del Protettore, quello va a fare una fine così? Ah, tutta roba inventata ad arte da quegli infingardi dei Saxon e da quegli impostori dei Makyntire, ve lo dico io!

Obi Wan fece un sorriso gentile, ma in verità la sua testa era altrove.

Che cosa voleva dire il Custode quando affermava che erano spariti nel nulla? 

Che non avevano mai trovato i corpi? Che erano fuggiti via? Il Venerabile gli aveva detto che molti Mand’alor non avevano retto alla pressione. E se dopo anni di guerra e di fatica per restare sul trono avessero deciso di squagliarsela alla chetichella? No, non gli sembrava decisamente un piano degno di un Kryze, votato al dovere fino al martirio. E dunque, che cosa aveva voluto dire?

E soprattutto, perché dirlo a lui?

Lo aveva preso per un turista? No, era stato chiaro che era il protettore di Satine, e poi non credeva che Kryze Manor fosse aperta alle visite guidate, almeno non in tempi di crisi come lo erano stati gli anni appena precedenti. E allora perché glielo stava raccontando? Perché gli stava svelando i segreti della famiglia?

Il Custode parve cogliere la sua perplessità e decise di girare il coltello nella piaga.

- Sapete la storia delle Porte di Mandalore?-

- Sì. Pozzi sacri, accessi alle viscere del pianeta dove crescono i cristalli blu.-

- Giustissimo. Alcuni pianeti ne hanno più di una. Mandalore ne ha due, per esempio, Keldabe e Sundari, mentre Kalevala… Beh, si dice che Kalevala ne abbia ben cinque. Le leggende sono molte in proposito, e nessuna accertata. L’unica Porta in fervente attività è quella sotto al Pozzo dei Giganti. Si dice che un’altra sia a Mar’eyce, ma non se ne hanno le prove. Una, la più misteriosa di tutti, si dice che sorgesse su di un altopiano vulcanico, frutto di un’attività eruttiva ormai esaurita.-

Rimase in silenzio, sperando che Obi Wan cogliesse l’allusione, ma evidentemente qualcosa dovette sfuggirgli, perché rimase a guardarlo mentre sbatteva le ciglia degli occhioni verde bruma.

Il Custode sospirò e continuò.

- Considerato che l’unico vulcano spento si è riempito di acqua e che ha preso il nome di Suumpir Darasuum, e considerato che l’unico altopiano vulcanico esistente su Kalevala è questo qua, si pensa che la terza porta sia Kryze Manor, e che Ordo il Sordo abbia costruito il suo maniero su qualcosa di già esistente, sull’accesso, dunque, al fine di proteggerlo.-

Questa volta il padawan sgranò gli occhi. 

- Cioè, la terza porta sarebbe qui?-

- Esatto, mio giovane ribaldo.-

Un refolo d’aria fredda lo distrasse.

Dietro al Custode c’era una porta aperta che dava su quello che sembrava un magazzino, all’interno del quale c’era un’altra porta semiaperta da cui proveniva quel venticello freddo.

Che accidenti c’era laggiù? La porta che aveva fatto aprire quella del salotto?

- Che cosa c’è lì?-

Il Custode si voltò di scatto.

- Oh, nulla, solo un sacco di cianfrusaglie e l’accesso alle fondamenta del maniero.-

Cioè quelle che porterebbero alla Porta e all’antica Kryze Manor?

Mentre pensava quelle cose, però, una parte di Obi Wan si diede dello stupido.

- Non credo che sia vero, sapete?- disse al Custode, mentre faceva qualche passo verso quella porta.- Gli spettri risalivano da laggiù. Se fosse stato così, Kryze Manor ne sarebbe stata invasa.-

- Ottima osservazione, mio caro, ma non avete ancora dato una risposta alla mia domanda.-

Obi Wan tornò a fissare lo sguardo bonario e quasi canzonatorio del Custode.

- Dove sono finiti tutti coloro che sono scomparsi nel nulla dentro Kryze Manor?-

- Che stai combinando?-

Il padawan sobbalzò.

Satine era rimasta a fissarlo con lo sguardo di biasimo che solo lei sapeva fare quando qualcosa non le andava a genio.

- Ti stiamo cercando da un sacco di tempo. Maryam era convinta che tu fossi andato a riposare.-

Obi Wan si grattò la testa, perplesso.

- Mi spiace. In effetti, mi ero messo a sonnecchiare vicino al camino quando la porta della Sala dei Ritratti si è aperta. C’è del vento freddo che viene da laggiù.-

Ed indicò la porta delle fondamenta che, però, era chiusa.

Obi Wan si accigliò.

Sono sicuro che fosse aperta fino a pochi secondi fa.

Satine gli si era fatta vicino ed aveva guardato nella direzione che lui aveva indicato, trovando la porta sbarrata. 

Lo squadrò con un sopracciglio inarcato.

- Sei venuto a chiuderla e ti sei perso nella Sala dei Ritratti?-

Il padawan si sentì ferito nell’orgoglio.

- Non mi sono perso!- brontolò, incrociando le braccia al petto.- Ho fatto una interessantissima conversazione con…-

E stava quasi per indicare qualcuno accanto a sé, quando si fermò con il dito a mezz’aria.

In corridoio non c’era nessuno.

- Ma dov’è andato?- borbottò, guardandosi attorno.

- Chi, Obi Wan?-

- Il Custode, come chi? Certo che me lo potevi anche dire che c’era qualcun altro in casa oltre a Maryam ed Athos, avrei evitato di fare la figura del fesso!-

Sul volto di Satine si alternarono una serie di espressioni assolutamente indecifrabili. Sulle prime, gli parve di scorgere confusione, poi consapevolezza e di nuovo perplessità, mentre un lampo di luce nei suoi occhi gli faceva capire che sì, lei aveva capito esattamente di chi stesse parlando.

- Ti giuro che era qui un attimo fa!-

- Ne dubito fortemente, Obi Wan.-

- Perché mai?-

- Kryze Manor non ha un custode, Ben. Mai avuto e mai l’avrà!-

E accidenti, so benissimo che tu lo conosci! Stai cercando di spaventarmi per niente!

Ma gli occhi di Satine, che pur tradivano l’emozione di quella notizia, si erano posati di nuovo sulla porta delle fondamenta, chiusa a chiave coi catenacci. 

Il tempo restò per un secondo sospeso. 

Poi, all’improvviso, la duchessa girò sui tacchi e tornò sui suoi passi.

- Andiamo, Ben. Il maestro è entusiasta e ce l’ha con te per esserti perso.-

- Non mi sono perso! Smettila, Satine, sai esattamente che cosa è successo, vero?-

- No Ben, non lo so. Credimi, non ne ho la più pallida idea.-

Si fermò, alzò lo sguardo su un ritratto e poi fissò il padawan con aria allusiva.

- E’ uno dei pochi misteri che non so risolvere, e forse non voglio nemmeno provarci.-

E proseguì diritto.

Obi Wan allargò le braccia, stupefatto, ma non aveva voglia di continuare a discutere in quel corridoio così ambiguo, così seguì Satine verso il salone.

Si fermò là dove si era fermata anche lei e guardò il ritratto, per pura curiosità, posto proprio sopra la teca del Terrore.

Marmaduke Kryze, il Protettore.

Rimase un istante a guardare con la bocca aperta gli abiti antichi, la chierica e il taglio di capelli da cavolo cappuccio.

E all’improvviso gli venne voglia di correre.

- Per la miseria, Satine, aspettami!-

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Daryc’see: lett. marroni, castagne, caldarroste.

Papuur’gal: vino

Shuner: pane

Jah: da janad, piccante, tras. pepe

Pak: sale

Pirpaak: zuppa

Tiingilar: tipico stufato mandaloriano, mangiato in famiglia prevalentemente nei giorni di festa, estremamente piccante. 

Tihaar: liquore a discreta gradazione alcolica, dal sapore fruttato

 

NOTE DELL’AUTORE: Come ho ripetuto molte volte, nessuno si senta toccato dalla caratterizzazione dei miei personaggi. Sono solo personaggi, nulla di più. Non rappresentano stereotipi o luoghi comuni in cui riconoscersi. Ciascuno di noi è speciale per quello che è, con i suoi pregi e i suoi difetti. 

Ho ritenuto di dover ripetere alcuni passaggi sulla storia dei miei personaggi per far incontrare Obi Wan ed il Custode. Un incontro che era fondamentale, ai fini di trama, per due motivi.

Innanzitutto, perché avevo bisogno di mettere in chiaro chi fosse questo benedetto Custode, che ormai tutti avete capito essere Marmaduke Kryze. 

Eppure, quest’uomo è lo stesso che ha parlato a Ni’Ven e Dom Baren nel prologo? Non direi. Quello aveva gli occhi blu, incredibilmente simili a quelli della donna del ritratto, ma i capelli erano rossi, come dovevano essere stati quelli dell’uomo accanto a lei. 

E allora, chi è il Custode? E’ cambiato? E’ un’altra persona?

Avrete la soluzione, ma in seguito. Molto in seguito. Nel frattempo, divertitevi a speculare.

In secondo luogo, perché credo che approfondire la mitologia - che, è bene ripetere, mi sono inventata di sana pianta - a questo punto sia necessario, perché credo che avrà una parte piuttosto importante nel seguito di questa storia. 

Perché, infatti, se Nebrod parla solo ai Mando per una questione di Luce, ha parlato proprio ad Obi Wan?

Anche in questo caso, divertitevi pure a speculare.

Se vorrete rendermi note alcune delle vostre speculazioni, per favore scrivetemi pure una recensione. 

La canzone cantata da Maryam è liberamente ispirata a These are a few of my favorite things, da The sound of music. E’ fatta per rimare in Mando’a, per cui, pazienza, se la traduzione non è perfettamente in metrica sono sicura mi perdonerete.

 

Molly.

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Capitolo 66
*** 56- Abiik'ad ***


CAPITOLO 56

Abiik’ad

 

I tour di Satine su Phindar e Concord Dawn andarono bene fino ad un certo punto. Phindar mantenne le apparenze e tutto sommato si dimostrò curioso di vedere che cosa la buona duchessa avesse in serbo per loro. Non che Satine contasse molto sulla loro lealtà, beninteso. Era un sistema che aveva sempre fatto vita a sé rispetto a Mandalore, con cui manteneva rapporti sì, ma si trattava più di uno sfruttamento reciproco che una vera e propria unione come quella con Nuovo Kleyman. 

Concord Dawn invece si dimostrò per quello che era, ovvero un covo di malviventi, centro di smistamento per ogni cacciatore di taglie della galassia. Per farla atterrare lì, Inga Bauer aveva disposto un dispiegamento di forze pauroso e persino i Jedi ebbero il loro da fare a mantenere la compostezza.

C’erano stati pericoli ad ogni angolo. 

Gli ambasciatori - su alcuni dei quali Obi Wan potè scorgere i segni inconfondibili di una rissa recente e su almeno uno di essi le tracce dell’uso di spezie nelle pupille - si profusero in una marea di ma certo duchessa, sarà un piacere duchessa, quello che desiderate, duchessa, ossequi un po’ troppo affettati per un pianeta che aveva chiaramente contribuito alla disfatta del sistema e all’instaurazione di un regime.

Satine cominciava a sospettare che Concord Dawn avesse un piano alternativo, e probabilmente ce l’aveva.

Il che l’aveva spinta a cercare di nuovo Rook e a domandargli a che punto fossero i lavori per la cittadella - carcere. Stando al governatore, i lavori stavano procedendo speditamente e la struttura sarebbe stata pronta ad ospitare i primi ospiti già di lì a un mese, mese e mezzo.

Certo, in quel mese e mezzo sarebbe potuto succedere di tutto.

Servì però a guadagnare un po’ di tempo. Nei suoi report al Consiglio Jedi, ormai diventati settimanali, Qui Gon ci tenne a precisare quella data. 

Una volta finito il carcere, sarà solo questione di chiudere i terroristi a chiave a doppia mandata e la nostra permanenza su Mandalore potrà dirsi conclusa.

Il Consiglio era stato - fin troppo - entusiasta della notizia del loro imminente ritorno. 

Obi Wan era ancora intento nella sua pratica masochista di provare ad ignorare Satine. In verità, la gita su Concord Dawn gli aveva dimostrato quanto fosse inutile. Se la maschera da padawan perfetto era rimasta al suo posto, ad ogni minimo segnale di pericolo si era trovato pronto a balzare in suo soccorso. Nulla che un Jedi non dovesse fare, beninteso, tuttavia sarebbe stato del tutto ipocrita a dire che quanto sentiva per lei non avesse influito per niente.

Sapeva che la vita senza Satine avrebbe avuto un sapore diverso.

Non poteva fare altro che domandarsi se si sarebbe mai spenta, quella piccola spia che aveva in fondo al cervello e che gli diceva che Satine andava protetta ad ogni costo, non perché era la duchessa di Mandalore, ma perché era Satine. 

Quando però giunse la chiamata di Inga Bauer,  lo colse impreparato e completamente perso nei suoi piani per continuare a far crescere la distanza tra di loro, nella vana speranza di fare meno male ad entrambi al momento della separazione.

- E’ giunto il tempo di prendere il vostro posto tra le Figlie dell’Aria, duchessa.- aveva commentato l’ologramma azzurro prima di scomparire di nuovo.- Vi aspettiamo quanto prima ad Eyaytir.-

Così, Satine non aveva nemmeno fatto in tempo ad atterrare a Kryze Manor che era dovuta ripartire in tutta fretta. L’armatura della madre era stata provata di fronte al duca e ai domestici, con i Jedi rigorosamente fuori dai piedi, e poi era stata riposta accuratamente in un baule che pesava come se ci avessero appena rinchiuso un cadavere dentro.

- Per la Forza, ma che cosa ci avete messo dentro, i sassi?- domandò il maestro, mentre sollevava la cassa e la metteva a bordo della navicella di Athos.

- Oh, no, l’armatura pesa poco, sono le armi che pesano. Le sciabole, la faretra, le frecce, la lancia, i coltelli, tanti coltelli, i lacci, i bracciali, lo scudo al plasma…- 

Maryam andò avanti per ore ad elencare tutto l’armamentario che sarebbe servito ad una Abiik’ad, e ad un certo punto i due Jedi smisero di ascoltare, consapevoli ormai che le Figlie dell’Aria erano capaci di nascondere armi nei luoghi più improbabili.

Così, il terzetto e l’autista partirono con tutta calma alla volta della cittadella. 

Nella stiva c’era un Bukephalos poco mansueto che, a quanto pareva, non amava volare sulle navicelle spaziali tanto quanto amava volare libero.

Obi Wan non gli dava tutti i torti.

Parve calmarsi soltanto quando Satine lo fece uscire dalla stiva e lo condusse in plancia.

- Satine, qui?- domandò Athos, mentre la criniera di Bukephalos gli faceva da parrucca.

La duchessa fece spallucce.

- Se non guarda fuori è buono di sfasciare la stiva.- 

E i due Jedi dovettero ammettere che il buon viinir aveva più di un motivo per guardare fuori.

La navicella di Athos aveva il tetto panoramico e un vasto parabrezza da cui si vedeva lo spettacolo della natura di Kalevala. Il Suumpir Darasuum si estendeva immenso sotto di loro, riflettendo i monti, i boschi, i laghi e le scogliere, mentre il cielo turchese e spazzato dal vento brillava senza fine oltre l’orizzonte. 

Ad un tratto, una parete rocciosa nerastra alla loro sinistra catturò la loro attenzione.

- Che cos’è?- chiese Obi Wan, guardando fuori ed indicando il picco.

La massa nera sembrava muoversi, come se uno stormo di uccelli fosse appollaiato sulla scogliera a picco sul lago.

Satine alzò le spalle come se fosse la cosa più normale del mondo.

- Eyayt’cerar, la Montagna Sospesa. Quelle sono Abiik’ade, in addestramento a volare in formazione.-

Il suono di un corno vibrò fin dentro la navicella e un viinir nero si staccò dalla parete e si lanciò a testa in giù verso la superficie dell’acqua.

In un volo perfettamente sincronizzato, l’intera parete nera si disgregò in tanti viinire, resi piccoli per la lontananza, in picchiata verso il lago. La massa di puntini neri si muoveva intrecciandosi perfettamente in cerchi e fila concentriche, fino a che non assunsero una formazione triangolare e non sparirono su, nel cielo, contro il sole.

Rimasero ad ammirare le Figlie dell’Aria che volavano nel cielo come uccelli fino a che Athos non sterzò e diede una spinta ai maglev, permettendo alla navicella di levitare verso l’alto senza sforzo. 

Nel moto ascensionale, Qui Gon individuò alcune cavità nella roccia che sembravano scavate dall’uomo. Gli parve, ad un certo punto, di riconoscere la sagoma definita di una Figlia dell’Aria con un arco in mano e un fucile in spalla.

Satine gli venne in soccorso.

- Posti di guardia. Anche la cittadella delle Abiik’ade ne ha bisogno.-

Continuarono a levitare con leggerezza verso l’alto e la roccia si fece man mano sempre più elaborata. Giunti all’altopiano, però, la loro visuale divenne fenomenale.

Eyaytir era stata scavata nel fianco del monte. Dalle vette di quella montagna doveva esser caduta una cascata colossale nei tempi antichi, che aveva letteralmente scolpito l’altopiano su cui stavano per atterrare. Ciò che non era stato modellato dalla natura, era stato trasformato in una vera e propria scultura di roccia dalla mano dell’uomo, scavato con strade e viuzze nel fianco della montagna e ricca dei colori del granito, marmo, basalto. C’erano viinire che volavano dovunque, Figlie dell’Aria armate fino ai denti, bambine che imparavano a fare la lotta. Un formicaio dalle colonne intarsiate e dalle case di roccia nuda, beskar e vetro, perfettamente fuso nella natura, disegnato da un architetto la cui memoria era andata perduta nelle pieghe del tempo, ma che continuava a stupire dopo centinaia di anni. 

Eyaytir saliva a spirale su, verso il cielo, e si perdeva nelle nubi come un nido d’aquila posto a guardia dell’intera valle del Suumpir Darasuum, chilometri di verde e bruno dei campi coltivati, del grigio dei boschi collinari fino a Kryze Manor, un puntino lontano sull’altopiano di tufo dall’altra parte del lago.

Atterrarono con un tonfo sordo e Bukephalos, stufo, nitrì. Prima di scendere, però, Satine ci tenne ad avvisarli.

- Le Figlie dell’Aria appartengono ad una cultura estremamente tradizionale e matriarcale. Non voglio dire che sono una setta, però, ecco, diciamo che sono un gruppo molto ristretto. Sono quasi tutte donne e i pochi uomini che ci sono non hanno ruoli di rilievo, gestiscono prevalentemente i servizi di Eyaytir. Seguono ancora le regole della vecchia tradizione mandaloriana, per cui ke barjurir gar’ade, jagyc’ade kot’la a dalyc’ade kotla’shya.-

Qui Gon lanciò un’occhiata sbilenca ad Obi Wan.

- Addestra i tuoi figli ad essere forti, ma le tue figlie ad esserlo di più.-

- Ah.-

- Non dico che non sarete bene accetti. Le Figlie dell’Aria hanno combattuto contro i Jedi, ma ben presto si chiamarono fuori da un conflitto che ritenevano senza scopo. Non parteciparono a Galidraan. Non avete nulla da temere da loro per quanto riguarda il vostro status, sopratutto perché state simpatici ad Inga, e qui quello che dice Inga è verbo. Semplicemente, non prendetevela a male se rideranno di voi e delle vostre armi, o delle vostre prestazioni fisiche, perché sono convinte di essere le migliori guerriere della galassia, cosa che infatti sono ma non le giustifica…-

Satine si rese conto che stava dicendo cose senza senso e alla fine tagliò corto.

- Insomma, sono un po’ snob, e il mio consiglio è: qualunque cosa vi dicano, rideteci su.-

Il portellone finalmente si aprì e i quattro poterono entrare ad Eyaytir ed ammirarla in tutto il suo splendore.

Inga e Vanya li stavano aspettando.

- Finalmente, era ora che arrivaste.-

Satine strinse la mano della generale alla maniera dei Mando e la donna ricambiò. Gli altri fecero lo stesso, ma Obi Wan ebbe la netta sensazione che la mano del suo maestro si fosse fermata per una frazione di secondo di troppo sul polso della donna.

Preferì non commentare e si dedicò a scaricare le casse della duchessa assieme ad Athos.

Inga poi si allontanò con Satine verso le sue stanze private, lasciando a Vanya il compito di mostrare la cittadella ai due Jedi.

La ragazza era molto bella, anche se non aveva il fascino austero di sua zia. Li considerò il giusto, senza mostrare troppo entusiasmo nei loro confronti, senza tuttavia ignorarli del tutto.

Non si potè dire lo stesso del resto delle Figlie dell’Aria.

In linea generale, i due Jedi si sentivano pesci fuor d’acqua, o animali in una zona protetta. Camminando per le strade di Eyaytir si erano sentiti sempre osservati, e a buon diritto. Al loro passaggio la città si era praticamente fermata ad osservarli, e bisbiglii d’interesse erano immediatamente giunti alle loro orecchie.

- Non vedete uomini molto spesso da queste parti, vero?-

Vanya sollevò un sopracciglio perplesso nei confronti di Qui Gon.

- Dovremmo?-

I due Jedi si guardarono.

- Suppongo di no.-

Obi Wan si lanciò occhiate sospettose intorno in più di un’occasione, e in altrettante circostanze ebbe modo di scorgere qualcuno che gli strizzava l’occhio, o lo salutava con la mano, o percorreva tutta la sua figura con gli occhi come si guarda un bel pezzo di torta lasciata a freddare sul davanzale.

Quelle attenzioni lo infastidivano, esattamente come lo avevano infastidito a Khader la prima volta che gli erano state rivolte, con la differenza che, mentre in quella circostanza l’intento era stato chiaramente quello di fargli del male e trarre beneficio da ciò, in questo caso le donne sembravano mosse da vera e propria curiosità, come se stessero trovando genuinamente attraente ed inusuale quanto stavano vedendo.

La cosa lo metteva comunque a disagio, anche se lo faceva sentire meno in pericolo.

Almeno fu così fino a quando, passando per un vicolo stretto pieno di fucine al lavoro per forgiare le armi, una donna armata di tutto punto, pallida come il latte e truccata di nero, non gli bisbigliò un po’ troppo vicino al viso:

- Che ci fai qua, bel topolino?-

Il sorriso di Obi Wan, ancora una volta, si trasformò presto in una paresi e cercò istintivamente conforto nella manica del suo maestro. 

Maestro, la cosa si sta facendo imbarazzante.

Satine ci aveva avvertiti. Ridiamoci su e speriamo che questo giro finisca presto.

Le stalle ciclopiche in cui riposavano centinaia di viinire attirarono presto la loro attenzione, e Qui Gon si fermò ad accarezzare il muso di uno di essi, che aveva esposto la testa da dentro la stalla per farsi grattare il naso.

- Ma che bello che sei.-

L’animale ruotò con curiosità le orecchie verso di lui.

- Posso?-

- Prego.- fece una Figlia dell’Aria. 

Doveva avere all’incirca la stesa età di Qui Gon. 

Obi Wan la sentì mormorare qualcosa a proposito di un sacco di altre cose che magari gli sarebbe piaciuto guardare, e preferì ignorare.

Maestro?

Finisce presto, figliolo. 

Se non altro so come si sente Aayla tutte le volte che va in giro per Coruscant.

E compatisci gli esseri che traggono soddisfazione da ciò. Una cosa però va detta.

Obi Wan aveva ripreso a tallonare Vanya, e guardò il maestro con aria interrogativa per invitarlo a riprendere la loro conversazione nella Forza.

Sono spavalde e superbe, ma sono tutte, e dico tutte, molto belle.

Questo era vero. Si ricordava che qualcuno - forse la stessa Satine - aveva accennato al fatto che leggenda voleva che ci fossero le più belle donne della galassia in quel corpo armato, e tutti i torti, in effetti, la leggenda non li aveva.

Insomma, figliolo, anche guardandosi in giro, non ce n’è una che abbia un difetto nemmeno a volerlo cercare…

Maestro!

Ma l’uomo rideva sotto i baffi, e forse era stato proprio quello il suo scopo, stuzzicare il compostissimo, castissimo e inquadrassimo Obi Wan.

Forse avrebbe cambiato idea, se avesse saputo tutto ciò che combinava il suo non proprio castissimo padawan con la duchessa mentre lui dormiva. 

 

Vanya li condusse poco lontano dalle stalle, in uno spiazzo erboso e fangoso evidentemente adibito a palestra. 

Lì c’erano gruppi consistenti di donne in armi che si stavano addestrando. Alcune tiravano coll’arco, altre di spada, altre provavano a modificare la traiettoria del lazo mentre combattevano corpo a corpo. 

Vederle addestrarsi era molto istruttivo ed interessante. Qui Gon era convinto che avessero i loro buoni motivi per ritenersi superiori. Muoversi con quella rapidità e precisione, per una persona non dotata di Forza, era impresa ardua. Le loro abilità acquisite con anni di duro addestramento dovevano aver indotto in loro un certo senso di superbia. 

Anche perché, effettivamente, erano superbe.

Soprattutto una certa signora dai capelli d’ebano che si stava dirigendo di nuovo verso di loro ad ampie falcate. 

Nonostante l’età non più giovane, Inga svettava ancora di un buon palmo sopra tutte le altre. 

- Ke’sush!-

L’urlo si era levato da un avamposto poco lontano. 

Obi Wan fece appena in tempo a scorrere una Figlia dell’Aria sbracciarsi e un giavellotto passargli ad un palmo di naso prima che Inga Bauer lo afferrasse al volo ed evitasse di fargli trafiggere un viinir a pochi passi da loro. 

- Ulyc!- tuonò la donna di rimando, lanciando il giavellotto verso la giovane e facendolo conficcare al suolo a pochi passi da lei.

- Vor’e!-

- Ah, avere quell’età ti fa sentire il mondo ai tuoi piedi. Devono prestare attenzione a quello che fanno, o si faranno male. Allora, piaciuta Eyaytir?-

- Bellissima, anche se devo dire che non sono mancati i momenti di disagio.-

Inga Bauer abbozzò un sorriso nella direzione di Qui Gon.

- Mi auguro che le mie ragazze non vi abbiano importunato.-

Maestro e padawan si lanciarono un’occhiata.

La generale scosse il capo.

- Le più giovani non hanno mai visto un uomo in vita loro e le più anziane si ricordano dell’unica volta che ne hanno visto uno, quindi sì, immagino che possa essere stato imbarazzante. Anche tra di noi ci sono quelle con la mentalità più aperta e più chiusa. Immagino che sia la conseguenza naturale - e sbagliata, beninteso - di essere un gruppo autoreferenziale come il nostro. Alcune pensano che tutto sia loro dovuto in virtù non tanto delle loro capacità, ma in forza del nome di Figlia dell’Aria, senza considerare che è una concessione e un privilegio, non un diritto garantito ed acquisito, fonte di potere.-

- Ne abbiamo viste alcune con delle strane pitture sul viso.- 

Inga alzò un sopracciglio.

- Se le pitture erano nere, allora avete visto delle Ombre. Adesso che la guerra è finita, alcune di loro sono tornare a casa. Altre sono ancora in giro.-

- Che cosa sono le Ombre?- chiese Obi Wan, all’improvviso convinto di aver fatto una domanda impertinente.

Inga parve pensarci un attimo.

- Come le chiamate voi in Standard? Prudiise, ja’hail.-

Ah

Il padawan tradusse.

- Spie.- 

Qui Gon stirò un sorriso sornione.

- Così quella che ti ha terrorizzato era una spia?-

Obi Wan arrossì.

- Non mi ha terrorizzato.- brontolò, abbassando il capo imporporato.

Nessuno mi chiama bel topolino.

Vuoi mettere con kebii’tra?

Inga fece spallucce.

- Mi dispiace figliolo. Te l’avevo detto che qualcuna delle mie ragazze ti avrebbe dato volentieri una bella guardata, col faccino che ti ritrovi. Purtroppo, non sono onnipresente. Farò in modo che questi comportamenti si interrompano per tutta la durata della vostra permanenza.-

Ma il ragazzo ormai non l’ascoltava più, troppo intento a studiare la figura in beskar’gam che stava avanzando verso di loro.

In quel momento comprese che tutti i suoi propositi per tenere la duchessa fuori dalla sua testa erano andati completamente alle ortiche. 

Satine indossava l’armatura della madre ed era quanto di più stupefacente avesse mai visto in vita sua. Aveva gli occhi dipinti di bianco come quelli di Inga e le ali dorate nei capelli. Piume e trecce di crine di viinir pendevano ai lati del volto mentre Bukephalos trotterellava spavaldo accanto a lei, quasi a fregiarsi di avere cotanta padrona.

Sentì il respiro caldo di Inga sfiorargli l’orecchio.

- Chiudi la bocca, figliolo, ti ci vanno le mosche.-

Obi Wan parve riprendersi da quello stato di trance ed arrossì.

Sentì Qui Gon sbuffare divertito e provò ad ignorarlo. 

Bukephalos aveva ormai raggiunto la sua padrona e si fece fare un grattino sul naso prima di permetterle di salire. Satine saltò in groppa al suo viinir mentre le altre Abiik’ade interrompevano l’addestramento e si facevano da parte, reverenti. 

Poi, con una bella rincorsa al galoppo, decollò nel cielo blu e sparì tra le nubi.

- Niente, la genetica non mente.- commentò la generale, mentre guardava la duchessa apparire e scomparire tra i vapori bianchi del cielo.- Tale e quale a sua madre. In tutti i sensi. Satine è come lei. Non è una completa Figlia dell’Aria, ma non può vivere senza esserlo, e per questo non è proprio una Kryze domestica e stanziale come tutti gli altri. Lei è qualcosa di particolare.-

- Che intendete dire?- 

- Vedete, maestro, come vi ho detto, non tutte siamo uguali. Ci sono quelle più matriarcali e tradizionaliste, e quelle che lo sono di meno. Quelle più settarie e quelle meno classiste. Vikandra, agli occhi di alcune di noi, fece una cosa assolutamente sconveniente.-

Fece una pausa, scuotendo i ricci d’ebano per il disappunto.

- Si innamorò. Non si prese solo il duca, ma tutto ciò che egli comportava. Accettò la perdita della sua indipendenza per lui, scomparve tra le mura di Kryze Manor, sempre al suo fianco, ma mai davanti e soprattutto quasi mai in armi. Per alcune di noi, questo vuol dire soltanto una cosa: rammollirsi. Vikandra era di un’altra pasta. Non è mai stata domestica nemmeno quando ci provava, eppure la ricordo in un’occasione in cui mi confessò che non sarebbe mai voluta tornare indietro. Puoi non credermi, mi disse, ma non pensavo che questo pezzo della mia vita mi mancasse così tanto, fino a che non l’ho provato.-

Obi Wan si sentì chiamato in causa, ma lanciando un’occhiata ad Inga si rese ben presto conto che la donna stava parlando più a se stessa che a lui.

- Forse aveva ragione.-

Preferì non dire niente. Questa era chiaramente una conversazione privata tra lei e Qui Gon.

Satine atterrò di nuovo, con il plauso delle altre Abiik’ade, che la considerarono così una di loro, definitivamente. 

La guardò smontare dal viinir e incamminarsi di nuovo verso di loro.

Forse è meglio se lascio soli questi due, prima che si intrometta anche Satine.

 

Dovette spiegare a Satine le ragioni per le quali aveva deciso di portarla via immediatamente, non appena fu smontata dal viinir

- Fammi capire: Qui Gon ed Inga?-

- Qui Gon ed Inga. Lasciamoli soli per un po’. Hanno una conversazione in sospeso dalla fine della guerra a Sundari.-

Satine lo guidò nella foresteria, dove avrebbero trovato ristoro. Le stanze erano piccole e spartane, ma nonostante tutto accoglienti. I segni dello scalpello erano ancora visibili nella nuda roccia e le finestre e le porte erano sormontate da capitelli a forma di ala.

Satine gli aveva spiegato - come se ce ne fosse stato bisogno - che tutto ad Eyaytir ruotava attorno all’aria. 

La duchessa rimase a guardare il padawan mentre sistemava gli oggetti personali dei due Jedi nelle loro stanze. Non sapeva che cosa fare. Obi Wan le era sembrato leggermente più morbido rispetto ai giorni precedenti, in cui era stato terribilmente distante, al limite dello scostante.

Forse stava cominciando a digerire la sua visione, e magari si sarebbe sentito anche pronto a raccontarla, prima o poi.

C’aveva quasi sperato. Obi Wan non l’aveva allontanata e Satine non si era spostata. Convinta che fosse il momento buono, fece un passo in avanti per avvicinarsi a lui e scambiare due parole, ma in quel momento il suo sogno si infranse.

- Devo meditare. Ti dispiace?-

Satine aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua.

- Certamente.-

Girò sui tacchi e se ne andò, lasciandolo a guardare con rammarico la sua figura in beskar che si allontanava lungo il corridoio.

Obi Wan sospirò e passò l’intero pomeriggio a meditare, seduto sul pavimento di pietra fredda e immerso nella luce abbagliante del cielo di Mandalore, quasi a volersi punire per le sue scelte.

Qui Gon si stava avvicinando ad Inga, finalmente, dopo tanto tempo passato in completa solitudine. Era contento per lui. Avrebbe potuto provare anche solo una briciola di quello che lui stava già provando per Satine. Non gli augurava, però, il rimorso e il rimpianto di fare una scelta. 

Soprattutto, di fare la scelta che aveva fatto lui nelle circostanze in cui l’aveva fatta, con la visione orribile e la creatura mostruosa ad incombere su di lei e sul suo futuro.

Eppure, una parte di lui era rassicurata da quella circostanza. Se Qui Gon, infatti, sarebbe stato in grado di separarsi dalla generale con pace e tranquillità, allora avrebbe potuto farlo anche lui.

Forse.

Ammesso che le due cose potessero essere comparabili.

Il suo tormento e, di conseguenza, la sua sessione di meditazione finirono soltanto quando la campana del dormitorio annunciò l’ora di cena. Satine andò a bussare alla sua porta e Obi Wan ne uscì tutto anchilosato. 

- Perché non hai meditato sul letto, scusa?-

- Perché mi andava di farlo sul pavimento.-

Satine alzò un sopracciglio, ma non disse niente.

La cena andò bene. Erano seduti tutti ad un lungo tavolo, dove le Figlie dell’Aria cenavano assieme gomito a gomito. Obi Wan si strinse accanto a Satine e lanciò un’occhiata a Qui Gon ed Inga poco lontano, mentre chiacchieravano sottovoce con la testa china sul piatto.

- Va bene, lo ammetto, forse si piacciono.- commentò la duchessa, sorridendo sotto i baffi.- Sono contenta. Inga se lo merita. Nonostante le nostre divergenze, credo fermamente che sia una brava persona.-

Sì, lei vede sempre il buono negli altri.

Il padawan non replicò se non con un cenno del capo.

Sentì Satine sospirare accanto a lui e gli si strinse il cuore.

Obi Wan spazzolò la sua cena, come sempre, mentre Satine spiluccò un poco. Finì la cena con un po’ di sforzo, ma quando le Abiik’ade si alzarono in massa da tavola, anche lei fu in grado di recarsi in dormitorio.

La duchessa, tuttavia, era stufa marcia di dover andare in giro a chiedere spiegazioni. Voleva certezze e le avrebbe ottenute quella sera, così tampinò il padawan fino alla sua camera e rimase in attesa sulla porta.

- Obi Wan, possiamo fare due chiacchiere?-

- Davvero, Satine? Sono un po’ stanco, preferirei…-

- Meditare? Sì, ultimamente hai sempre qualcosa d fare pur di non parlare con me.-

Il silenzio calò tra loro due, il padawan che dondolava sui talloni e Satine ben piantata a gambe larghe davanti a lui. 

- Dimmi la verità, Ben. Che cosa hai visto al Pozzo dei Giganti?-

E seppe di aver colpito nel segno, quando un lampo di consapevolezza gli attraversò le iridi grigioverdi.

- Nulla di rilevante.-

- Non ti spingerò a parlare. Nessuno meglio di me sa quanto ci vuole per mandar giù le visioni di Nebrod. Ti posso garantire, però, che una volta che avrai vuotato il sacco ti sentirai meglio.-

- Non ne voglio parlare, Satine.-

- Riguarda me, vero? E’ per questo che hai deciso di tornare al Tempio e non mi parli più?-

Ma Obi Wan era veramente a disagio. Se avesse potuto sbatterle la porta in faccia e sparire, l’avrebbe fatto. Una parte di lui era addirittura tentata.

Fallo e lei non ti rivolgerà più la parola.

Fallo, e questo tormento sarà finito.

Lei sarà libera e salva, e tu non dovrai soffrire più, sapendo che lei ti odia.

Per quanto fosse facile, però, la mano non sfiorò mai l’interruttore e la porta non si chiuse.

Rimase, invece, in piedi di fronte a lei a mordersi il labbro e a provare ad evitare di tirare su col naso.

- Ben, per favore. La nostra vita è già complicata così, e se abbiamo capito una cosa, è che da soli non si va da nessuna parte. Non tagliarmi fuori dalla tua vita.-

Con sua grande sorpresa, Obi Wan si fece da parte sulla porta e la lasciò entrare.

- Non qui. Non davanti alle Figlie dell’Aria. Ho la certezza matematica che presto anche Inga passerà di qui.-

Satine abbozzò un sorriso sornione ed entrò nella stanza del padawan.

 

Qui Gon poteva dirsi contento, anzi, più contento di quanto lo fosse stato in mesi.

Aveva a che fare - anche se non l’avrebbe mai ammesso - con la notte appena trascorsa, con una certa generale di sua conoscenza e soprattutto con la duchessa ed il padawan, che sembravano aver trovato di nuovo un equilibrio.

Finalmente si guardavano e parlavano come tutti i comuni mortali. Sostenevano l’uno lo sguardo dell’altra senza sottrarsi e sembravano stranamente sollevati. La tensione dei giorni precedenti sembrava svanita e il maestro si domandò se il ragazzo non avesse finalmente avuto modo di togliersi più di un peso dal cuore.

Non poteva sapere della promessa che il giovane padawan aveva fatto al duca Adonai, di non rivelare la terribile fine di tutti gli sforzi della figlia. 

Non c’era stata nessuna chiacchierata approfondita, né altro. Satine era rimasta seduta sul letto con lui, ad ascoltare solo parte di quella terribile visione avuta al Pozzo dei Giganti. Obi Wan le aveva semplicemente confessato che, a giudicare da quello che aveva visto, sarebbe stato la causa della sua morte.

La tua gente mi odia, e da quello che ho capito c’è una buona probabilità che io sia più un problema per te che una soluzione.

Satine non aveva stentato a crederlo, considerando le orribili visioni che lei stessa aveva avuto. O meglio, non stentava a credere che la profezia, prima o poi, si sarebbe avverata. 

- Non so esattamente che cosa accadrà e quando succederà, non so nemmeno se succederà, ma sono certo che l’unica cosa che voglio è tenerti al sicuro. Se per farlo devo andare via, allora lo farò.-

E per il momento si era accontentata. Gli aveva tenuto la mano, si erano coccolati un po’ ed erano giunti alla conclusione che non fosse necessario sapere altro. 

L’aria leggera durò per tutto il giorno e la giornata sembrava destinata ad andare particolarmente bene. Anche la chiacchierata che Inga Bauer e Satine avevano affrontato al mattino aveva dato degli ottimi frutti.

- Inga cara, che te lo dico a fare? Ormai già stai facendo quello che sto per chiederti, l’hai fatto per tutta la guerra e, sotto sotto, l’hai sempre fatto per la nostra famiglia.-

- Di quale lavoro stai parlando?-

- Dell’intelligence. Non credo che potrebbe esserci qualcuno migliore di te per ricoprire quell’incarico.-

Inga non se l’era fatto ripetere due volte, ed aveva accettato soltanto ad una condizione.

- Accetto solo se mi prometti che non dirai mezza, dico mezza parola sul maestro Jedi.-

Poi aveva aggiunto, dandole di gomito:

- Capisco anche che cosa ci trovi, adesso.-

L’unica nota stonata era stata l’assenza di Bo Katan. Quel giorno sembrava completamente sparita dai radar.

- Non si è fatta trovare. Mi dispiace molto. E’ una guerriera formidabile, ma ha la testa dura. Credo che ne abbia viste troppe per la sua giovane età. E’ sensibile, anche se non vuole darlo a vedere. Credo che il suo problema non sia né fisico, né caratteriale. Penso che sia tutto qui.- e la generale si era toccata la tempia.- Qualcosa che io, temo, non posso risolvere.-

Anche la tensione tra i due Jedi e le altre Figlie dell’Aria parve dissiparsi definitivamente quando i due - in particolare il padawan - si offrirono di fare un giretto volando sui viinire

- Non capita mica tutti i giorni che due uomini vogliano cimentarsi nelle arti delle Abiik’ade. Men che meno due Jedi.- commentò Vanya, grattandosi la testa.- Sì, immagino che potrebbe essere divertente per le nostre ragazze guardarvi mentre… Beh, fate del vostro meglio.-

Quella premessa non sembrava promettere bene, ma Obi Wan aveva passato così tanto tempo con Satine che, ormai, conosceva bene l’ambiente. 

Inoltre, la sua vecchia amica Netra’gal, con cui aveva legato durante la loro sortita a Khader, contribuì al prestigio che il padawan si guadagnò agli occhi delle guerriere quando nitrì ed andò a posargli il muso sul palmo aperto.

Le Figlie dell’Aria, però, cavalcavano su selle particolari che usavano per volare e per restare attaccate all’animale in combattimento. Le staffe erano molto rigide ed avevano un meccanismo ad incastro per tenere i piedi al loro posto. 

Obi Wan si tenne in piedi per miracolo. 

Altrettanto stupore, ma anche altrettanta ilarità, suscitò la caduta di Qui Gon durante un combattimento contro Inga Bauer.

Più tardi il maestro avrebbe detto che non avrebbe mai potuto battere la generale delle Figlie dell’Aria nel suo territorio. Era una questione di opportunità. 

Insomma, aveva volutamente finto di finire a gambe all’aria.

Obi Wan sapeva, però, che la verità era un’altra anche se il maestro non l’avrebbe mai ammesso. 

Inga l’aveva davvero messo a tappeto.

Satine, dal canto suo, decise di provare ad insegnare al povero padawan ad usare il lazo. Dopo aver montato il bracciale al suo polso, lo invitò a colpire il bersaglio in legno e a catturarlo, ma Obi Wan preferì avvolgersi come un salame nelle spire e finire al suolo.

Oh, quello sì che scatenò le risate delle guerriere.

A differenza del giorno prima, però, i due Jedi non si sentirono sotto osservazione, come una specie protetta al circo, o come una preda da scegliere accuratamente. Al contrario, trovarono simpatia, cameratismo. Ogni curiosità su di loro sembrava essersi dissolta. Una ragazza tese persino la mano al giovane padawan avvolto come un salame per aiutarlo a rimettersi in piedi.

Non seppe mai se vi fosse stato un intervento di Inga, come aveva promesso, ma la Forza sembrava suggerirgli un cambiamento nella disposizione d’animo delle guerriere ben più genuino della mera esecuzione di un ordine.

Il senso di vergogna di Obi Wan, poi, fu presto sopito quando la duchessa gli diede una sonora pacca sulla spalla.

- Ti faccio ridere così tanto?- commentò, piccato.

- Oh, Ben, credimi, se tu non ci fossi andresti inventato!-

Successivamente, la duchessa gli avrebbe confermato che, con le loro buone maniere e il loro fare riservato - e con qualche battuta di spirito ben assestata che aveva messo a tacere le più intraprendenti senza troppe conseguenze - i due si erano conquistati la simpatia del corpo armato.

Non ti aspettare che te lo dicano, però. Siamo pur sempre Mando, avrebbe commentato Satine anni dopo, quando si sarebbe finalmente ricongiunta con il maestro in circostanze, purtroppo, infauste come quelle delle Guerre dei Cloni.

La stessa Satine, inoltre, quel giorno decise di dare prova - anche se solo con i bastoni - di avere imparato alcune tecniche di Ataru e Soresu, ammaliando le sue compagne con le sue tecniche di combattimento innovative. Obi Wan e Qui Gon, a loro volta, fecero del loro meglio per imitare alcuni passaggi imparati dalla duchessa durante le loro sessioni di allenamento.

L’addestramento con le Abiik’ade fu, tutto sommato, divertente. Sarebbe stato uno dei momenti che avrebbero ricordato con più piacere di quella missione. 

In fondo, i due Jedi avevano tratto una grande lezione da quella gita in cima al monte a picco sul Suumpir Darasuum. Un principio che il maestro Jedi avrebbe provato a tramandare - con o senza successo, ai posteri l’ardua sentenza - alle future generazioni al Tempio.

Con un po’ di buona volontà, educazione e gentilezza si può ottenere un meritato rispetto, e quando non vi si riesce, difendersi e cercare aiuto in chi può garantirlo è un diritto sacrosanto. 

In generale, però, i principi di buona convivenza valgono sempre, specie quando hai di fronte un avversario con un’etica forte che, in fondo, la pensa come te.  

Così, quando lasciarono Eyaytir, al contrario di quanto si sarebbero aspettato al momento del loro arrivo, salutarono le guerriere come si saluta un vecchio amico, e partirono con la consapevolezza di aver trovato un prezioso alleato, delle buone amiche, un compagno d’armi che ammiravano e da cui erano a loro volta ammirati.  

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Eyayt'cerar: lett. la Montagna Sospesa

Ke’sush!/Ulyc!/Vor’e!: le tre battute del dialogo tra Figlie dell’Aria, rispettivamente: “Attenzione!/Occhio!/Grazie!”

Prudiise, ja’hail: lett. ombre, coloro che guardano, tras. spie

 

NOTE DELL’AUTORE: Mi rendo conto che questo è un capitolo controverso.

Almeno, tocca un argomento controverso, e non sarebbe la prima volta che la mia storia sfiora tematiche di questo tipo. Chi ha ragione di fronte ad un commento o ad una parola piazzata in un determinato modo? Integra una qualche forma di violenza? E’ solo un commento senza significato?

Ognuno deve dare la propria risposta.

Se il punto di questo capitolo non è dunque quello di mandare un messaggio morale, qual è, dunque, il suo senso?

Innanzitutto, ha un senso logico all’interno della storia. Inga è un personaggio che, tutto sommato, tra luci ed ombre, è venuto discretamente bene, e penso che in un eventuale seguito di questa storia potrebbe giocare un ruolo fondamentale. 

Inoltre, mi serviva uno spazio per creare dei punti di contatto: uno tra Satine ed Obi Wan, l’altro da Qui Gon e il suo padawan. Un contatto che servirà al momento giusto, tra un pugno di capitoli.

Quattro, per la precisione. Escluso l’epilogo, in cui incontreremo di nuovo Ni’Ven, Dom Baren, Zeta e il Custode. Ormai questa storia è destinata a giungere alla sua conclusione.

Il senso morale è che se caliamo il tutto nella cultura Mando - e dunque parliamo di una società che è l’emblema delle pari opportunità - dobbiamo comprendere che a parità di diritti e doveri corrisponde anche parità di vizi, declinata a seconda delle inclinazioni personali di ciascuno. Come Gar Saxon, in queste pagine, è un predatore, lo è anche la giovane Dral, che si era trascinato dietro a Khader, indipendentemente dall’identità di genere del personaggio.

In questo universo, un rapporto equivalente come questo ha senso. 

Il resto è rimesso alle vostre coscienze e alla vostra interpretazione. 

 

Molly.

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Capitolo 67
*** 57- Mar'eyce ***


CAPITOLO 57

Mar’eyce 

 

I lavori per instaurare il governo di Satine Kryze di Kalevala continuarono a marce serrate.

Nei giorni trascorsi a Kryze Manor, infatti, avevano ricevuto diverse chiamate via commlink e svolto innumerevoli riunioni telematiche, molte delle quali attinenti non solo alla formazione della nuova compagine di governo, ma anche al percorso avviato nelle settimane precedenti alla gita di Satine ad Eyaytir. 

La prima telefonata che ricevette fu da Indila Farrere.

Su Draboon infatti avevano optato per un insediamento sobrio, senza feste o pompa magna, senza duchessa. In fondo, la ragazza era per il momento soltanto una governatrice ad interim, che avrebbe dovuto attendere la conferma elettorale.

Seguirono il primo discorso di Indila dall’holonews. Era politicamente molto brava e preparata, e si sentiva dal modo che aveva di scegliere le parole, dalla postura con cui occupava lo schermo, dall’inflessione della voce. L’unica nota scanzonata - e di cui evidentemente la giovane ragazza aveva fatto un marchio di fabbrica - erano i capelli, stavolta di un intenso viola come frutti di Muja e perfettamente composti sopra le sopracciglia espressive dello stesso colore. 

- Indila carissima! Sono fiera di te!-

- Anche io sono felice! E’ andato tutto benissimo e domani ricominceremo a lavorare. Solus vuole farti cittadina onoraria!-

- Hai sparso la voce della mia fuga, eh?-

- Naturalmente, e hanno deciso di farti un dono!- 

Satine ed Obi Wan si erano guardati in tralice.

Quelli di Solus che regalano qualcosa?

Ci dev’essere un inghippo, per forza.

- E sarebbe?-

- Oh, lo vedrai, mia cara. Lo vedrai.-

Nei giorni successivi era arrivato a Kryze Manor un telegramma in cui ciò che restava delle Poste Statali affermava che una spedizione a nome della duchessa di Mandalore stava per arrivare a Kryze Manor e chiedevano le coordinate per l’atterraggio.

Satine disse ad Athos di comunicarle, e ben presto se ne dimenticò.

Le conversazioni con Rook si erano fatte più interessanti ed erano apparsi anche i primi attriti. Il governatore di Concordia aveva cominciato i lavori ad Akaan, per trasformarla definitivamente nel carcere di massima sicurezza del sistema. Aveva disposto la ricostruzione degli ambienti interni e delle mura, ma non aveva ancora disposto nulla riguardo ai servizi integrativi.

La cosa aveva tediato un poco la giovane Satine.

- Duchessa, non sarà un po’ presto? In fondo, non abbiamo nemmeno preso i terroristi…-

- Siamo sulla buona strada, governatore, non abbiate timore. Al contrario, penso che sia proprio il momento giusto. Immaginate quanto ci vorrà per trovare dei candidati papabili, con l’attenzione che c’è da prestare alle infiltrazioni terroristiche dall’esterno. E’ fondamentale trovare qualcuno di competente e qualificato, che sia un contatto sicuro, non di certo il primo che passa. Credo che la costruzione delle celle debba andare di pari passo alla selezione del personale. Se desiderate, me ne occuperò io stessa.-

Rook aveva alzato un sopracciglio, ma alla fine aveva acconsentito.

- Come desiderate, duchessa. La data di fine lavori è stimata per la primavera prossima.-

Alla telefonata di Rook aveva fatto seguito un briefing con Inga Bauer e le sue ragazze.

Il tema era, naturalmente, la caccia ai terroristi.

- Li avete trovati?-

- Macché. Comincio a sospettare che si siano rifugiati all’estero.-

Satine si era grattata il mento, pensierosa.

- Credo che dovremo cambiare tattica. Finora li abbiamo tallonati, ma sono convinta che abbiano trovato il modo di confonderci, o avremmo trovato qualcosa, a questo punto. Proviamo a seguire le tracce digitali. Dovranno pur aver fatto un prelievo di denaro da qualche parte, soprattutto se, come sospetto, si sono rifugiati da qualche amico sui mondi centrali.-

- Non sappiamo nemmeno i loro nomi, duchessa.-

-A questo può sopperire Rook. Lui ha la lista degli irreperibili. Proviamo a chiedere una rogatoria internazionale e cerchiamo di tracciarli.-

Satine, poi, aveva continuato a tenere sott’occhio Ursa Wren. Se la contessina sperava di potersi grattare il naso senza essere vista dalla ragazza, beh, si era sbagliata di grosso. Il discorso che le aveva fatto nelle segrete stanze della Magione del Governatore non le era minimamente andato giù.

Tuttavia, fu lieta di sapere che i lavori della PharmaMandalore stavano procedendo speditamente, e che avevano anche trovato una soluzione ad impatto zero per il tetto.

L’architetto Seladon ne era stato entusiasta. 

- Mai vista una cosa del genere! Innovativa, mai provata nemmeno su Coruscant!-

- Di che parlate, dottore?-

- Ma del MorphaMat, ovviamente!-

- Sarebbe?-

- Un nuovo materiale chimico ricavato dal riciclo di scarti di beskar. Si produce tramite fusione e dunque non lascia scorie né inquina, si lavora con l’acqua e se filtrata non lasca tracce, può essere laccato in ogni colore che si vuole senza perdere la resistenza ed è sottile e leggero come una sottilissima lastra di vetro. Gli animali non si accorgeranno nemmeno della differenza, non impatta sulle miniere e soprattutto non inquina! Che gliene pare?-

- Mi pare che sia ottimo, architetto. Sapevo di poter contare sul suo estro.-

L’ultima di una lunga serie di buone notizie venne con l’anziano sindaco di Khader, riconfermato per l’ennesimo mandato, che aveva ricominciato la ricostruzione della città.

- Quel farabutto di Saxon ha fatto un bel disastro, ma noi siamo grandi lavoratori ed abbiamo già ricostruito le mura! Che vene pare, duchessa?-

- Sono orgogliosa di voi e della vostra città, signor sindaco.-

- Tuttavia, vi chiamo anche per chiedervi consiglio.-

- Di cosa avete bisogno?-

- Fatichiamo a trovare i fondi per ricostruire le scuole e non vogliamo che i nostri figli vadano a lavorare con i genitori.-

Satine, quel giorno, era particolarmente stanca e non aveva la più pallida idea di che cosa rispondere al povero sindaco che si trovava per le mani un annoso problema.

- Mio caro sindaco, per il momento sospetto che dovremo cavarcela con ciò che abbiamo. Sto formando il mio governo ad interim, e penso che nominerò una persona molto capace alle finanze. La richiesta vostra e di molti altri come voi sarà la prima ad essere esaminata.-

- Mille grazie, duchessa. Ah, abbiamo deciso di intitolarvi una piazza. Cunak Mirdal’ad. Se voleste posare per noi, saremmo ben lieti di farvi un monumento. Beskar di Concordia va bene? Oppure preferite il lapislazzulo di Draboon?- 

Satine, a quel punto, si era messa a ridere.

- Non dite sciocchezze, sindaco! Non serve spendere tutti quei soldi per del materiale pregiato! Mi basta la piazza.-

- Ah, ma noi ci teniamo! Sicuramente ci inventeremo qualcosa, anche se eviteremo di utilizzare questi materiali, visto che siete così attenta all’ambiente e alle finanze. Ah, a proposito di ambiente, avete avuto notizie da Igmur?

- No, avrei dovuto?-

- Credo che abbiamo qualche problema in relazione ai confini e alla popolazione dei Rishii. Vi consiglio di informarvi meglio, perché io non so molto, ma penso che il vostro intervento sarebbe più che gradito.-

- Volentieri, grazie.-

Dove chiamare, però?

Già, perché Igmur era praticamente in costruzione. C’era un vecchio palazzo comunale al centro della città, ma per quanto ne sapeva lei, era disabitato. 

E poi, anche se fosse, chi era in quel momento l’inquilino del palazzo comunale?

Così, alla fine, quel giorno Satine risolse per fare un tentativo e compose il numero. 

Alla prima telefonata, il commlink squillò a vuoto.

Probabilmente non c’è nessuno.

Per eccesso di zelo, la duchessa decise di fare un secondo tentativo, e con sua grande sorpresa qualcuno rispose.

- Chi è?-

- Sono Satine Kryze. Con chi parlo?-

- Satine? Ma chi, la duchessa?-

Perché, ce ne sono altre?

- In persona. Con chi ho il piacere di parlare?-

- Ah, ma ci conosciamo! Sono Layla, la Togruta con cui avete trattato a Khader.-

Satine sbatté un attimo le palpebre, perplessa.

Poi si illuminò.

- Sì, ricordo! Che piacere sentirvi! Come vanno le cose lì ad Igmur?-

La donna parve tentennare.

- Bene, direi. Abbiamo solo avuto un piccolo problema con i Rishii, ma niente che non si possa risolvere.-

- Bene, bene. Quindi voi adesso siete il sindaco?-

- Oh, no, il sindaco è Mbpol.-

- Chi?-

- Mbpol, il Mrlissi.-

Satine annuì.

- Ricordo, ricordo! Mbpol ha un momento per parlare con me?-

La signora doveva essersi alzata dal tavolo lasciando l’interfono aperto, perché Satine potè sentire tutta la splendida conversazione dall’altra parte. 

La donna pareva avercela con qualcuno chiamato Brekex, e la conversazione aveva preso una piega del tipo vuoi sgranchirti le zampe? Alza il posteriore dalla poltrona e vai a chiamare il sindaco, che con quattro salti ci sei. Io? Io sono vecchia, mi vuoi far fare tre piani di scale? Eh? No, c’ho l’apparecchio acustico spento. Vai, vai!, salvo poi concludere, probabilmente convinta che nessuno la stesse sentendo, con questo qua scalda la poltrona tutto il giorno e gracida così forte da farmi sanguinare i lekku, per forza che spengo l’apparecchio acustico. Come si fa con questo? Ah, sì, luce verde… Pronto?

- Sono qua, Layla.-

- Sta arrivando, ci vorrà qualche minuto, immagino. Gli piace stare appollaiato sul trespolo all’ultimo piano.-

Ed in effetti ci vollero dieci interminabili minuti prima che il Mrlissi raggiungesse il commlink, con un frullar d’ali e un suono soffice di piume.

- Duchessa, qual buon vento! A cosa devo la vostra chiamata?-

- Ho ricevuto la lieta novella. Complimenti per la vostra nomina a sindaco, signor Mbpol!-

L’uccello chinò il capo e chiuse gli occhi.

- Avete chiamato per congratularvi?-

- Anche. Ho chiamato per sapere come vanno le cose. Che duchessa sarei se non mi informassi sul mio territorio e su quello che ho contribuito a creare? Tengo molto alla nascita di Igmur.-

Il Mrlissi sbatté le lunghe ciglia piumate.

- Vi ringraziamo. Sono diventato sindaco, la buona vecchia Layla è un’eccellente vicesindaco. In linea generale, non ci sono problemi di sorta. Abbiamo un piano urbanistico e un’idea generale della ristrutturazione delle abitazioni già esistenti. Ci piacerebbe mantenere l’identità culturale e tradizionale delle nostre popolazioni, e ritengo che sia un effetto estetico molto bello, oltre che un esperimento socialmente produttivo. Una capanna Togruta vicino ad una caverna Twi’lek o una casa Mirialana, penso che sia molto bello.-

- Sono d’accordo.-

- Proprio a questo proposito, abbiamo avuto un problema con Ishaar.-

- Ishaar?-

- La vecchia Rishii che avete conosciuto. La signora che ripeteva sempre le parole.-

Io con questa non ci parlo un’altra volta.

- Che cosa è successo?-

- I Rishii nidificano in alto, e la signora con la sua comunità vorrebbe nidificare sulle guglie del canyon di Spirba. Tuttavia, non sono sicuro che…-

- E che problema c’è?-

- Beh, ecco, non so come dire, i confini di Igmur non sono ben nitidi, bisognerebbe chiedere un’apposizione di termini, ma…-

Satine rimase con un sopracciglio inarcato.

- Insomma, sono nostri anche quelli? Non erano territorio degli Awaud?-

- Mio caro Mbpol, voi siete nel territorio degli Awaud, ma questo non significa che non abbiate il diritto di stabilire i vostri confini. Per quanto mi riguarda, potete tranquillamente nidificare lì, con la consapevolezza, però, che ci sono i senaar…-

- Per questo, non ci sono problemi. I Rishii potranno effettuare una buona disinfestazione.-

- Allora sospetto che il capoclan non avrà niente in contrario. Per quanto mi riguarda, avete carta bianca.-

Il Mrlissi aprì e chiuse il becco, come se avesse l’affanno. Dondolò il capo in avanti numerose volte, come se volesse annuire, ma Satine dedusse che in verità dovesse trattarsi di altro.

- Tutto bene?-

- Oh, sì. Mi prude la schiena.- 

Passò un braccio piumato dietro la testa e si grattò con vigore.

- Ah, così va meglio. Bene, duchessa, allora ci vedremo presto per l’inaugurazione. Do per scontato che verrete, visto che tenete così tanto al progetto.-

- Potete contarci, sindaco.-

- Taglierete voi il nastro, e le chiavi della città saranno vostre. Abbiamo anche una piazza nel piano urbanistico, intitolata a voi. Cunak Dira Daesha.-

Satine ci pensò su un poco, ma le venne incontro il padawan accanto a lei, che le sussurrò all’orecchio la traduzione.

- E’ Twi’leki. Significa la regina gentile.-

Quindi adesso ho pure un nome Twi’leki? 

Fantastico.

- Non so come ringraziarvi, Mbpol. E’ un onore.-

- Il minimo, il minimo. Non è nella nostra cultura usare materiali preziosi, tuttavia…-

- Non c’è bisogno, assolutamente! I soldi servono per la comunità!-

Il Mrlissi annuì ancora e prese a riposarsi su una gamba sola.

- Allora spero che la terracotta andrà bene.-

- Anche niente, ma se ci tenete…-

- Ci teniamo, ci teniamo.-

La conversazione si concluse con i convenevoli di rito. Il Mrlissi svolazzò via, lasciando dietro di sé qualche piuma. Layla chiuse la comunicazione mentre qualcuno dietro di lei gracidava ininterrottamente.

- Come si spegne questo affare?-

- Il tasto rosso, Layla.- commentò Satine, offrendo aiuto.

- Certo, se ‘sti cosi li facessero un po’ più semplici…-

- Layla?-

- … O magari è la volta buona che mi vogliono mandare in pensione…-

- Layla?-

- … Ora giuro che se non la smette di gracidare ci faccio la zuppa con quel…-

- Layla!-

- Come dite? Ho l’apparecchio acustico spento, o questo qua mi farà venire il mal di testa! Aspettate, eh, com’era che si accendeva?-

- Satine?-

Athos era fermo sulla porta, l’aria di chi non sapeva esattamente che pesci prendere.

Per evitare che la povera Layla prendesse definitivamente lucciole per lanterne, la duchessa chiuse la chiamata in prima persona.

- Che succede, Athos?-

- E’ arrivato il tuo regalo da Solus.-

- Ah, perfetto. Avete già aperto?-

- Eh, ecco, non è proprio corretto…-

Satine inarcò un sopracciglio, senza capire.

La risposta, però, provenne dal regalo stesso, che proruppe in un sonoro hiiiii-huuuuuoooo e il commento incisivo del maestro fugò ogni dubbio.

- No. La manica no. Non è commestibile. Smettila.-

Obi Wan dovette mordersi il labbro per non ridere mentre Satine chiuse gli occhi.

- Questa è stata sicuramente un’idea di Indila.- 

 

La compagine di governo fu presto delineata.

Alcuni ripresero ben presto il loro posto. Il Primo Ministro Verd Eldar, ad esempio, era un uomo tutto d’un pezzo che aveva combattuto con il clan degli Eldar e che era riuscito a portare a casa la pelle. A lui si erano affiancate il Ministro degli Esteri e il Ministro dell’Interno, due donne di fama su Mandalore, Tor Vahllah della casata degli Awaud e Rang Fennec della casata dei Kryze. Floran Farrere, invece, aveva sostituito il defunto Ministro dell’Economia e delle Finanze. 

Tra questi, come d’accordo, non comparve Ursa Wren, ma dal suo clan venne un uomo nuovo alla politica, ma molto capace, di nome Haran Almec, che ricoprì la carica di Ministro del Tesoro. 

Altri nomi si erano susseguiti in ministeri, con o senza portafoglio. 

Inga si era insediata al Ranov’la ed aveva avuto da ridire.

- Per la miseria, ragazza mia, quando hai dato l’ordine di dare fuoco all’archivio ti hanno preso alla lettera!-

- Qual è il problema, Inga?-

- Questo posto va ristrutturato completamente. Ci cade l’intonaco carbonizzato in testa. Dobbiamo metterci mano o ci intossicheremo con la fuliggine.-

Fu stabilito, dunque, che la sede dei Servizi si sarebbe spostata, per il momento, ad Eyaytir, sotto la ferrea supervisione della generale e di sua nipote Vanya.

Per il resto, il periodo di riposo della duchessa e dei due Jedi trascorreva tranquillo. Maryam ed Athos erano da tempo tornati dal loro viaggio di nozze e si vedeva: la governante cantava quasi sempre e Athos fischiettava continuamente sotto i baffi. Ogni scusa era buona per l’uno, per andare a vedere che cosa stesse succedendo in cucina, o per l’altra, per andare a chiedere al maggiordomo dove avesse nascosto certi strumenti.

Insomma, trovavano ogni occasione per passare un momento da soli.

Il duca faceva la sua solita vita tranquilla, dall’alto del suo scranno in piume d’oca e copertine di tweed. 

Stava filando tutto talmente liscio che, nel bel mezzo della settimana, Satine si rese conto che non avrebbe avuto nulla da fare per qualche giorno.

Stiamo parlando di Satine Kryze di Mandalore. Restare con le mani in mano non era un caso nemmeno contemplato.

A quel punto, dunque, si era aperto il toto - nomi.

- Potremmo visitare Qibal.- 

- Abbiamo già visto il Museo dei Miti.-

- Obi Wan non è venuto.-

- E se invece visitassimo Navar?-

- Ormai è un rudere!-

- E l’industria del vetro?-

- Ci siamo già stati con il maestro.-

- Perché non andate tutti a Mar’eyce a recuperare un po’ le energie? Siamo stati così bene, io e Athos!-

Senza saperlo, Maryam aveva offerto loro l’occasione d’oro. 

Per una volta, però, fu Qui Gon a fare il guastafeste.

- Mi dispiace, ma i centri benessere non fanno per me. Mi annoierei nel giro di cinque minuti. E’ il mio ragazzo, qua, il pesciolino della situazione. Perché non vai a nuotare, figliolo? Ti farebbe bene ai muscoli anchilosati, ed io potrei farmi un altro giretto all’industria del vetro di Qibal, tanto le due città sono vicine e in caso di bisogno sarei, naturalmente, a vostra disposizione.-

Il Concilio dei Tre deliberò all’unanimità e ben presto Satine ed Obi Wan si trovarono soli su uno speeder diretti alla cittadella di Mar’eyce.

- E’ il posto che Fahra Piume al Vento ha salvato usando solo i piccioni viaggiatori, giusto?-

Satine, a quel punto, aveva sogghignato sotto i baffi.

- Vedo che non hai dimenticato la tua conversazione con il Custode, Obi Wan.-

Il ragazzo bofonchiò un e chi se la scorda! tra i denti mentre la duchessa parcheggiava lo speeder.

- Non vuoi proprio dirmi la verità?-

- Te l’ho già detto. Ci sono misteri di cui non voglio conoscere la risposta.-

- E secondo te, dopo aver passato tutto questo tempo con te, ti dovrei credere?-

Satine allargò il ghigno. 

- La vera domanda è: sei sicuro di volere una risposta?-

 

Mar’eyce era un bel posto. Si trattava di una cittadella completamente bianca, costruita su un crinale di roccia calcarea altrettanto bianco. All’entrata della città era stato disposto un enorme arco bianco con un grande brocca di porcellana, alta tanto quanto una persona, il simbolo delle acque curative di quel posto speciale.

Il bianco della malta e dell’intonaco era quasi abbagliante nel blu del cielo. Le case erano bianche e decorate con piastrelle di porcellana blu ricoperte di fiori e disegni. Dalle finestre sempre aperte pendevano vasi di fiori colorati, rossi, viola, gialli. 

Il paese, nel suo bianco sfavillante, era un turbinio di colori.

Non c’era molto rumore. Chiunque ci vivesse, evitava i rumori forti. La musica delicata di un’arpa proveniva da dentro la finestra di una delle case. 

L’insegna dell’unico ristorante dondolava placida al vento. 

L’entrata dello stabilimento termale era adornata di drappi bianchi, leggeri come la seta, e una fila di persone vestite con accappatoi - ovviamente, bianchi - aspettavano di entrare nel centro massaggi.

- Andiamo?-

Satine rimase a fissare per un momento il giovane padawan. Non aveva l’aria di uno che si stesse divertendo un mondo e l’idea di entrare in un centro benessere non lo intrigava minimamente. 

- Non ti piace l’idea, eh?-

- Sinceramente non credo di avere abbastanza coraggio.-

Satine stava per replicare, ma all’improvviso si rese conto di quale fosse il vero problema.

Era pacifico che Obi Wan detestasse la cura personale nel profondo del midollo, quando eccedeva i dettami del cinyc. Era un bene che uno fosse sempre lavato e pulito, composto e rasato nel modo giusto, ma perdere tempo in cose futili come i massaggi o l’estetica, o peggio ancora l’infermeria… 

Beh, diciamo che Obi Wan preferiva fuggire a gambe levate. 

In questo caso, però, il problema poteva essere più profondo. 

E se non avesse il coraggio di mostrare quelle brutte cicatrici in pubblico?

Così, decise di fare come hanno sempre fatto i membri della sua famiglia.

Piantò le sue iridi blu in quelle grigioverdi del padawan.

Obi Wan si guardò le scarpe, ma non arrossì.

Colpa. Vergogna.

Satine tese una mano verso di lui e gli sfiorò il braccio. 

Stranamente, il ragazzo non fuggì il contatto.

- Andiamo. Non siamo obbligati ad entrare nel centro termale. Ci sono altri posti in cui fare il bagno.-

Mar’eyce, infatti, sorgeva sul cocuzzolo di una montagna calcarea all’interno del quale si verificavano dei fenomeni carsici piuttosto importanti. Dal ventre della montagna scaturivano diverse sorgenti, la maggior parte delle quali di proprietà dello stabilimento. Solo una era rimasta ad uso e consumo della popolazione, e per un motivo ben preciso. 

Sulla Cascata Bianca infatti erano sorte diverse leggende. Si diceva, appunto, che fosse una delle Porte di Kalevala. La cascata esplodeva dentro la montagna e scorreva fino ad uno slargo dal soffitto alto. Lì, il lago di acqua calda creava un’atmosfera quasi soffocante in cui proliferava una colonia di lucciole alcaline blu.

L’acqua poi si incanalava in diversi ruscelli che scendevano lungo la collina, scavando corridoi nella roccia bianca come la neve. 

L’acqua turchina tingeva le pozze del colore delle pietre preziose.

Se non fosse stato per l’odore di zolfo, sarebbe stato un paesaggio davvero paradisiaco.

In verità, non era un luogo sacro. La popolazione del luogo usava le cascate per fare il bagno e la grotta come attrazione turistica, ben lontano dunque dalla sacralità attribuita ad un luogo come il Pozzo dei Giganti, ed anche questo era avvenuto per un motivo ben preciso. 

Sulle cascate si poteva dire tutto e il contrario di tutto, ma nessuno, nemmeno Satine, aveva mai sentito di un qualche fenomeno avvenuto nella cittadella.

Le leggende tramandavano soltanto che era un luogo sacro.

In quel periodo dell’anno, dato che cominciava a fare freddo, i turisti che facevano il bagno all’aperto erano pochissimi e quasi nessuno entrava nella grotta, soprattutto da quando avevano aperto lo splendido stabilimento termale, con tante vasche al chiuso e belle calde, piene di giochi d’acqua e servizi benessere che attraevano la stragrande maggioranza dei turisti.

Obi Wan parve apprezzare il cambiamento. Era un luogo selvaggio e quel giorno erano completamente soli. Oltre alla duchessa e al giovane padawan, c’erano solo gli storni e gli uccelli di palude, che avevano fatto il nido nei canneti soprastanti e giù a valle, dove le cascate diventavano un bellissimo fiume dalle acque placide. 

Satine invitò Obi Wan a spogliarsi tra le canne. Poi, con la biancheria indosso e i loro vestiti piegati accuratamente tra le braccia, discesero lungo la scalinata intagliata nella roccia fino ad una delle belle pozze d’acqua turchese in cui avrebbero provato a trovare ristoro.

Batterono i denti per il freddo, ma l’acqua era bella calda e ben presto fare il bagno divenne l’unica salvezza dal freddo pungente. Tuttavia, ai ragazzi non importava più di tanto. Avevano dormito in grotte, sotto gli alberi, si erano lavati con l’acqua gelida dei fiumi di Krownest ed avevano scarpinato nella neve. Un po’ di freddo non avrebbe fatto loro alcun male, soprattutto dal momento che erano immersi fino al collo nell’acqua bollente e nel vapore.

Il paesaggio era bellissimo e il silenzio rendeva lo sciabordio dell’acqua più forte. I due ragazzi nuotarono per un poco e poi si accomodarono sugli scogli per rilassarsi. Satine poggiò la nuca sul bordo della vasca naturale, mentre Obi Wan posò il mento sugli avambracci e chiuse gli occhi con un sospiro.

- Qui va bene? Hai abbastanza coraggio per questo?-

Obi Wan aprì un occhio e una fossetta fece capolino ai lati del volto.

- Sì, direi di sì.-

Rimasero a respirare il vapore acqueo per un poco, ad occhi chiusi, intenti a rilassare i muscoli. Dopo mesi in fuga, quella pausa era un vero e proprio toccasana, per tutto: dai calli alle contratture, dai piedi costretti nelle scarpe alle spalle martoriate dal peso degli zaini. 

Non avrebbero saputo dire per quanto tempo rimasero così ad occhi chiusi a galleggiare nell’acqua. 

Satine aprì un occhio e poi l’altro, fissando il blu del cielo e le nuvole bianche. 

Mar’eyce non era un luogo sacro, ma di sicuro sapeva essere un luogo magico. 

Una farfalla blu attraverso il cielo sopra di lei.

- Certo che si sta proprio bene qua. Vero, Obi Wan?-

Silenzio stampa.

- Obi Wan?-

Un sonoro ronf le fece comprendere che il giovane padawan aveva trovato un’ottima occupazione per trascorrere il loro tempo alle cascate.

Dormire.

Povero. Dopo tutte le veglie notturne assieme al maestro Qui Gon, ha del sonno da recuperare. 

Si guardò in giro, cercando qualcosa da fare. Se non occupava la mente per troppo tempo, Satine si sentiva persa. Senza Obi Wan con cui scambiare due parole, c’era ben poco che potesse fare e finì ben presto con l’annoiarsi a morte.

Di svegliarlo, però, non ne voleva nemmeno sentire parlare.

Così, decise di fare una puntatina dentro la grotta per vedere se era ancora agibile e se le lucciole vivevano ancora lì.

Pensò che sarebbe stato un bello spettacolo da condividere col padawan.

Chissà, magari si sarebbe ammorbidito ancora un pochino e sarebbero tornati due persone normali, capaci di rispettarsi a vicenda e di parlarsi senza saltarsi alla gola ogni volta o peggio, evitarsi come la peste.

La grotta era esattamente come la ricordava. Umida, avvolta in una leggera caligine. Sul soffitto c’erano dei funghi bioluminescenti, come quelli che crescevano dentro le grotte del Mare di Udesla. Le lucciole erano radunate in grappolo vicino alla stalattite centrale e lampeggiavano sbarazzine a contatto con le goccioline d’acqua. Alcuni anemoni luminosi illuminavano di blu il fondo della grotta semicircolare, dove l’acqua fluiva con una certa forza, ma dove si riusciva ancora a nuotare senza essere trascinati via.

Vicino alla cascata era praticamente impossibile sostare senza reggersi.

Satine rimase per un momento ad ammirare quello spettacolo così surreale.

Sembrava di stare nel bel mezzo del Manda, o almeno lei se lo era immaginato così, e forse era anche per questo motivo che alcune leggende avevano ritenuto che quel posto fosse sacro. 

Il segreto più bello, però, lo avrebbe rivelato solo con Obi Wan presente, perché lo spettacolo valeva la pena di essere ammirato.

Sguazzò fuori dalla grotta solo per trovare il ragazzo che ancora ronfava della grossa appoggiato al bordo della polla.

Gli carezzò la schiena, provando a svegliarlo con delicatezza. Il padawan fece un sospiro profondo, sbadigliò e poi aprì gli occhi.

- Mi dispiace.-

- Perché? Ne avevi bisogno.-

Lo guardò mentre si strusciava gli occhi pesti con il dorso delle mani e le venne da ridere.

- Hai dormito bene?-

- Molto.-

- Il collo, come va?-

Obi Wan dondolò il capo a destra e a sinistra, poi avanti e indietro, infine un giro completo a destra e di nuovo a sinistra.

- Direi piuttosto bene.-

- Vuoi un massaggio?-

Obi Wan si avvicinò a lei e lasciò che gli massaggiasse le spalle e il collo. Le contratture stavano lentamente sparendo e quello che c’era rimasto non faceva più poi molto male.

O forse era lui, che era stato talmente male da poter sopportare qualsiasi cosa, a quel punto.

Nonostante si fossero chiariti, il giovane padawan aveva ancora qualche remora a lasciare che la duchessa gli si avvicinasse troppo. Cercò di convincersi che la ragazza stesse facendo quello che aveva già fatto per mesi senza chiedere nulla in cambio, ben prima che i due fossero consapevoli delle loro emozioni reciproche. Cercò di credere alla menzogna che si stava raccontando, ovvero che quel gesto non significava nulla. Le mani di Satine erano un toccasana per lui. 

O forse non era poi così brava ed era solo la sensazione di averla vicino a cambiare tutto quanto. Gli era mancata molto. Provare ad evitarla era stato difficile, quasi autodistruttivo per lui. Se fosse stata lontana, ad anni luce di distanza, forse sarebbe stato tutto molto più facile, ma averla lì, tutto il giorno, ogni minuto, ogni secondo, e non poterla toccare, doverle parlare per forza era stata una vera e propria tortura.

Solo in quei giorni di isolamento forzato aveva compreso davvero quanto Satine fosse ingombrante nella sua vita. Anche quando non la conosceva ancora, lei era stata capace di infondergli paura e curiosità attraverso le sue visioni. 

Poco c’entrava lo zampino del caso. Le visioni avevano sempre parlato di lei e adesso ne era certo.

La vicinanza che avevano sentito immediatamente quando si erano incontrati la prima volta. 

I segreti scambiati di notte mentre non riuscivano a dormire. 

Solo con il senno di poi Obi Wan si era accorto che gli aveva stravolto la vita in nemmeno una settimana.

Sentì le sue dita scivolare via dalla pelle bagnata.

- Meglio adesso?-

- Sì, grazie.-

Si voltò verso Satine, la testa bionda avvolta nel vapore e i capelli resi crespi dall’umidità.

La ragazza ammiccò verso la caverna.

- Vuoi andare a vedere? E’ bellissima, ci sono le lucciole!-

Obi Wan fissò per un momento quell’anfratto scuro che si apriva in mezzo al vapore e un pensiero curioso gli attraversò la mente.

Se ci entri, sappi che non potrai più tornare indietro.

Che assurdità. Certo che sarebbe potuto tornare indietro. Sarebbe bastato nuotare, e qualunque cosa avesse visto o fatto, ci sarebbe stata comunque la possibilità di elaborarla o porvi rimedio.

Per quale motivo, dunque, provasse quella strana sensazione all’altezza dello stomaco, non lo sapeva.

Contro il suo stesso buon senso, che gli gridava di non farlo, il giovane padawan si lasciò prendere per mano e si lasciò condurre dentro la grotta.

Era effettivamente molto bella, nonostante la corrente che tentava di spingerli all’esterno. Dovettero lottare un poco giusto all’imbocco della caverna, ma una volta dentro la pozza d’acqua, la pressione si calmò e consentì loro di nuotare.

C’erano anemoni luminescenti e bluastri sul fondo, come la mucillagine sul soffitto a contatto con le stalagmiti, e al centro una enorme sfera luminosa, un grappolo di lucciole che svolazzava pacifico e che formava una palla globosa attorno alla stalattite centrale, quella più grande.

- E’ bellissima, vero?-

- Sì. E’ la Porta?-

- Non si sa. Alcune leggende dicono di sì, altre di no. I più razionali dicono che non c’entra nulla la Luce di Mandalore, che si tratta solo della bioluminescenza, che ha confuso le idee alla gente.-  

- Può essere.-

Nuotarono per un poco e raggiunsero il centro dello specchio di acqua blu. Satine sembrava avere in mente qualcosa e lo guardò con gli occhi brillanti, il suo sguardo da birba che prometteva meraviglie.

- Oltre alla mucillagine, alle alghe e alle lucciole, però, questa grotta ha una caratteristica particolare, e non è la Luce.-

- E dunque sarebbe?-

- Che le pareti di questo posto sono fatte in gran parte di materiale magnetico. Guarda il soffitto.- ed indicò la parte alta della stanza. 

In effetti, c’erano delle macchie brune sotto la mucillagine blu che lasciavano supporre la presenza di un minerale non meglio identificato, ma diverso dal resto della grotta.

- L’acqua è diamagnetica, ovvero…-

- …Tende ad essere respinta dai campi magnetici.-

- Esatto. Ora, il fondo è perfettamente normale, e quindi non respinge l’acqua che è anche soggetta alla gravità. La parte superiore non è forte a sufficienza da attrarla, ma che cosa succede se io offro una goccia d’acqua all’altezza giusta, nel bel mezzo del campo magnetico?-

Satine sollevò un dito in alto e una piccola goccia d’acqua colò giù dall’unghia.

Con grande sorpresa di Obi Wan, la goccia d’acqua non cadde nel lago, ma prese a galleggiare verso l’alto, salvo poi tornare verso il basso, venire respinta di nuovo e tornare a galleggiare fino a scomporsi in molecole di vapore.

Il padawan fissò la duchessa, che rideva del suo sorriso ammaliato, affascinata come un bambino che scopre il mondo per la prima volta.

Gli rivolse quel sorriso, uno dei suoi, e si spostò sotto la stalattite.

Satine sollevò un dito e una goccia, di nuovo, salì verso l’alto.

Questa volta, però, incrociò il grappolo di lucciole alcaline che, disturbate da quella presenza, si staccarono dalla stalattite e presero a svolazzare tutto attorno come piccole stelle del firmamento.

Ci fu un momento di consapevolezza, in cui i due ragazzi rimasero a guardarsi.

 

Come ho detto molte volte, da buon Custode, il mio scopo è quello di raccontare la bellissima storia d’amore che ha travolto il Jedi e la Duchessa di Mandalore.

Questo significa anche raccontare ciò che, all’epoca, nessuno seppe.

Molti lo insinuarono, ma non riuscirono mai a trovare le prove. Entrambi erano consapevoli dell’enorme rischio che avevano corso e delle terribili conseguenze che si sarebbero riversate su entrambi se quel segreto fosse trapelato.

Oggi sappiamo con certezza che Satine Kryze La Luce di Mandalore mentì al suo popolo.

Giurò ripetutamente di non aver mai violato il Resol’nare, di non aver mai commesso alcun atto che avrebbe potuto compromettere la sua integrità agli occhi del suo popolo.

Erano parole obbligate, allo scopo di tutelare chi amava di più e chi la teneva più cara. 

Con gli occhi di un contemporaneo, il riserbo e la ritrosia sull’argomento potrebbero far sorridere, ma è necessario ricordare che tutta questa storia non è soltanto legata alle tradizioni di Mandalore e alle regole del Codice dei Jedi.

Questa è una storia che parla principalmente di politica, e di come essa abbia influenzato le vite di due persone, al punto di distruggerle.

Con il senno di poi, né il Maestro Kenobi, né la Duchessa di Mandalore avrebbero saputo spiegare che cosa accadde quel giorno. 

Forse fu colpa del caldo e del relax che si erano concessi, delle loro difese emotive più basse. 

Forse fu colpa del sorriso affascinante di una ragazza che sapeva guardare il mondo con l’ingenuità e la semplicità di chi è nel giusto, e degli occhi brillanti di un ragazzo curioso che sapeva ancora stupirsi della bellezza dell’universo.

Forse, invece, fu colpa del vapore e delle lucciole, il ricordo di un ballo che non si sarebbe mai più ripetuto e di una promessa fatta una notte in cui avevano creduto di aver ballato su una nebulosa.  

O forse fu disperazione, la consapevolezza che qualunque cosa avessero coltivato, essa non sarebbe durata in eterno, che il tempo a loro disposizione era ormai agli sgoccioli, che nessuno avrebbe mai più reso loro quegli ultimi giorni di felicità passati assieme, che provare ad essere distanti faceva troppo male e non dava nessun beneficio.

Oppure, quella era davvero una Porta e c’era di mezzo lo zampino della Forza, o di Nebrod, o di chi per loro. 

Non seppero mai darsi una spiegazione. Semplicemente accadde. 

Quello che il maestro e la duchessa avrebbero però avuto ben chiaro negli anni a venire sarebbe stato che, mentre il mondo continuava a girare inconsapevole, mentre la galassia continuava a danzare nell’universo, loro due avevano condiviso qualcosa che si sarebbero portati dentro per tutta la vita.

Un segreto di fronte al quale più di uno avrebbe alzato un sopracciglio.

Con il tempo, sarebbero state dette molte cose sul loro conto. Qualcuno avrebbe insinuato dubbi, avanzato teorie. 

Ha tradito i Jedi.

Ha tradito Mandalore.

Qualcuno avrebbe escogitato persino piano malefici. 

Insomma, chi più ne ha, più ne metta.

Quello che però è certo, è che nessuno ha mai trovato una prova, una sola, che potesse sostenere quelle teorie.

La prova la sto fornendo io, il Custode, adesso che questa storia sta finendo, una storia che nessuno, oltre me, potrà più raccontare.

Per alcuni, come nel caso del maestro Qui Gon e del duca Kyla, sarebbe stato ovvio, e lo stato d’animo del padawan e della duchessa nei mesi successivi alla fine della missione lo avrebbe confermato.

Tuttavia, anche nel loro caso, l’intelletto sarebbe stato libero di vagare. Nè Satine, né Obi Wan avrebbero mai detto nulla di quanto accaduto quel giorno alla Cascata Bianca. 

Ciò che fecero dentro la grotta di Mar’eyce rimase un meraviglioso e travolgente segreto che si sarebbero portati entrambi nella tomba.

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Mar’eyce: lett. scoperta, qualcosa che è stato finalmente trovato, stato di beatitudine; in questo senso, La città del Benessere.

Cunak Mirdal’ad: Piazza della bambina/figlia intelligente

Cunak Dira Daesha: Piazza della Regina Gentile

 

NOTE DELL’AUTORE: E insomma, una gioia a questi due va data, anche solo per rendere il saluto ancora più struggente. 

Ormai mancano soltanto un paio di capitoli alla fine, un finale che cercherà di spiegare per quale motivo il giovane Obi Wan - che fino ad adesso ha sempre dimostrato, in tutta la sua umanità, di essere una persona estremamente buona per tutta la durata della saga di Star Wars - abbia fatto lo sgarbo supremo alla donna che amava: non considerarla minimamente per quasi vent’anni.

Uno sgarbo dettato da un paio di cose, tra cui ci sono sicuramente il buon senso e le regole, ma anche qualcos’altro.

Entrando nel dettaglio del capitolo, ho cercato di mantenere il più possibile la caratterizzazione delle specie aliene di Igmur. In particolare per il Mrlissi, ho voluto farlo assomigliare, anche negli atteggiamenti, quando più possibile ad un uccello.

Il nome del Mrlissi è un omaggio ad un’altra celeberrima saga fantascientifica, ovvero Star Trek.

Sì, ho osato mescolare i due fandom. Non prendetevela a male.

Il nome è chiaramente ispirato ai Vulcaniani. Sarò banale, ma Spock è sempre stato uno dei miei alieni preferiti. 

Brekex, invece, è stato creato sulla scorta della signora rana di The Mandalorian. Il suo nome è mutuato dall’onomatopea Brekekekex che Aristofane ha utilizzato per dare voce alle rane cigno della sua commedia, Le Rane. 

Mar’eyce, invece, è ispirato alle bellissime cascate bianche di Pamukkale, in Turchia. 

Per arrivare alla conclusione di questa storia, ho avuto bisogno di un piccolo aiuto, un personaggio finora inedito che però ha sempre fatto da contorno e sulla cui presenza siete ormai lucidamente edotti: il demagolka shosenla

Il mostriciattolo in fondo al lago non è lì perché mi piace disegnare mostri marini. 

Cioè, anche.

Però ha uno scopo, come - spero - tutto ciò che ho inserito in questa storia.

Gli indizi sulla sua funzione sono stati disseminati lungo tutta la storia. 

Sono curiosa di sapere se vi siete fatti un’idea.

Vostra,

 

Molly. 

 

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Capitolo 68
*** 58- Il demagolka shosenla ***


CAPITOLO 58

Il demagolka shosenla

 

- Qui Gon, ancora?-

- I terroristi non sono ancora stati rintracciati. Abbiamo il sospetto che possano essersi rifugiati su uno dei mondi centrali. Le Figlie dell’Aria li stanno tallonando. Sono certo che arriveranno presto ad una conclusione.-

Mace Windu, azzurrino nell’ologramma, alzò un sopracciglio cinico.

- A maggior ragione, non riesco a capire perché vuoi prolungare questa solfa, Qui Gon.- commentò, gli avambracci poggiati sulle ginocchia e inclinato verso Yoda.- Le sue guardie metteranno presto i fuggitivi in carcere. E’ un problema suo, non nostro. Non c’è motivo alcuno di restare su Mandalore.-

Qui Gon inspirò ed espirò, provando a centrarsi.

Stavolta, però, cominciava a temere di avere le armi spuntate.

- Il carcere di massima sicurezza non è ancora concluso e anche i Nuovi Mandaloriani tramano nell’ombra. La duchessa non è al sicuro…-

- La duchessa dovrà costruirsi una corte da sola. Non ti ha assunto come consigliere, Qui Gon, ma come protettore.-

Il maestro alzò un sopracciglio.

- Assunto? Adesso ci assumono?-

- Non fare il finto tonto, sai benissimo che cosa intendo.-

- Sei particolarmente acido, Mace. Ti senti bene?-

Il maestro Yoda batté il bastone sul pavimento e l’intero Consiglio Jedi tacque.

- L’asilo, questo, non è.- commentò, fissando i due. - Con serietà, dobbiamo discutere. Sento che altro c’è, Qui Gon.-

Il maestro sospirò ancora e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra.

 

Kryze Manor innevata era splendida. La neve aveva cristallizzato la campagna attorno in una statua di ghiaccio. 

La foresta vicino al lago non era stata del tutto coperta dalla tormenta dei giorni precedenti, per l’umidità che proveniva dalla presenza dell’acqua non ancora del tutto gelata. Il risultato era strabiliante. Gli alberi si stagliavano verso il cielo in nodosi grovigli di ghiaccio e le foglie pendevano come grossi grappoli di neve. Persino le gocce di umidità che dalle foglie erano colate verso il basso si erano congelate in fili di ghiaccio mossi dal vento.

La stalla era stata ripulita accuratamente e gli animali erano stati messi al caldo. Bukephalos e Ortense amavano la neve ed avevano imparato a conoscerla, ma il povero susulur proveniente da Solus, che aveva conosciuto solo il deserto, aveva passato i primi giorni a ragliare disperato dentro la sua stalla, convinto di essere di fronte alla fine del mondo.

Satine ed Obi Wan lo avevano portato fuori per fargli conoscere la neve. Si era piantato come se fosse stato di fronte ad un precipizio ed aveva ragliato forte. Poi, dietro ricompensa di un po’ di fieno, qualche carota e una buona dose di menta, si era fatto coraggio ed aveva mosso i primi passi, anche se prima aveva saggiato la superficie con gli zoccoli ed ancora camminava come se fosse stato un prototipo robotico.

Alla fine aveva deliberato che preferiva il calduccio della stalla e se n’era tornato dentro, contrariato e con le orecchie basse.

Maryam, invece, era rimasta contrariata per tutto il giorno non con il susulur, ma con loro due.

- Per quale motivo il mio vasetto di menta piperita non c’è più, in cucina? L’avevo piantata due settimane fa, aveva preso così bene!-

I due avevano finto di fare orecchie da mercante e si erano allontanati, presagendo la strigliata dei giorni successivi. 

Con il progredire dell’inverno, anche il lago si era del tutto congelato. Il ghiaccio era così spesso che in superficie erano comparse delle crepe bianche e brunastre. Fuori regnava la calma più piatta che avessero mai visto. Solo ogni tanto dal lago provenivano dei rumori che il giovane padawan e il maestro Jedi non sapevano spiegare.

- Che cos’è questo suono?-

- Oh, è solo il demagolka che spacca un po’ di ghiaccio.-

Questo aveva suscitato non poche perplessità. Demagolka, almeno a quanto ne sapeva Obi Wan, voleva dire mostruosità, orrore, qualcosa di innominabile.

Satine ne aveva parlato facendo spallucce, come se fosse stato un animale da compagnia.

Il ragazzo non aveva mancato di chiedere spiegazioni, e prontamente gli erano state fornite.

Se poi fossero quelle che lui voleva sentire, quello era un altro discorso. 

- Nessuno sa esattamente che cosa sia il demagolka shosenla.-

- Mostro degli abissi?-

- Terrore sommerso. E’ una creatura misteriosa che nessuno conosce, ma ogni tanto si fa vivo, soprattutto in primavera e in estate, quando gli animali cominciano a fare il bagno e lui se ne ciba, o quando qualche disgraziato avventore finisce con la barca in uno dei suoi vortici. Il Suumpir Darasuum è un lago meraviglioso, Obi Wan, ma non farti ingannare dalla fissità delle sue acque. C’è vita dentro, esattamente come in tutti gli altri laghi.-

- E poi va detto - aveva continuato, mentre frugava nell’armadio alla ricerca di qualcosa che il ragazzo non aveva ben identificato.- che il demagolka è qua da sempre e la sua presenza è stata un significativo deterrente per gli attacchi a Kryze Manor. C’è stato chi ha avanzato le più disparate teorie. C’è chi dice che lo abbiamo creato noi, un mostro a guardia del maniero. C’è invece chi dice che Kryze Manor sorga su un luogo sacro e che il demagolka sia qui da secoli a proteggerlo.-

Era uscita da dentro l’armadio con due paia di pattini da ghiaccio stretti tra le mani.

- Che dici, andiamo?-

Obi Wan aveva sgranato gli occhi.

- Sei seria? Mi dici che c’è un mostro in fondo al lago e tu vuoi andarci a pattinare sopra?-

Satine aveva fatto spallucce e l’aveva scansato dalla porta, decisa ad uscire.

- Sempre fatto. Eppure sono ancora viva. Andiamo, non avrai mica paura?-

Era stato così che Obi Wan era finito a pattinare sulle rive del Suumpir Darasuum quel giorno. Si era infilato la tuta da neve che il duca non metteva più ed aveva seguito la duchessa sulla riva del lago, dove si erano seduto sul molo a mettersi i pattini.

Satine saltò giù mentre il ragazzo finiva di legarsi le stringhe, e saggiò la tenuta del ghiaccio.

- Solidissimo, come sempre. Il Suumpir è una garanzia. Sai pattinare?-

- Non sono una cima, ma imparo in fretta.-

Così, scivolarono sul ghiaccio.

Dopo quanto avvenuto a Mar’eyce, stare lontani e soprattutto mascherare i loro sentimenti in pubblico era diventato molto complesso. Stavano bene nelle quattro mura della casa della duchessa o nelle stanze di Sundari, dove ogni tanto erano andati per risolvere le questioni più importanti del sistema.

Innanzitutto, si era insediato il governo. Satine lo aveva voluto al suo fianco assieme a Qui Gon e alle Abiik’ade durante la cerimonia di insediamento. 

Era stato bello, ma allo stesso tempo Obi Wan ne era rimasto turbato.

Il ragazzo non era all’oscuro di che cosa significasse per Satine compiere un passo come quello che aveva compiuto a Mar’eyce. Per quanto lo riguardava, sapeva di avere fatto ciò che era stato giusto fare e che non aveva tradito i suoi sentimenti per lei. Voleva restare con lei, esserle accanto durante gli insediamenti di tutti i governi del suo mandato, per cui considerarsi il suo compagno - il suo riduur, in Mando’a - era la cosa più normale del mondo, qualcosa che sentiva come naturale.

C’era, però, un ma.

Innanzitutto, c’era il ma della visione e c’era anche il ma del Consiglio Jedi.

Obi Wan lanciò un’occhiata su, verso la torre est dove Qui Gon stava svolgendo la sua chiamata con Coruscant, e sentì una strana morsa stringersi allo stomaco.

Potremmo non avere il tempo di far progredire ciò che abbiamo cominciato.

E se la scelta per lui era decisamente obbligata, questo non significava che avrebbero concluso il loro percorso da estranei.

Ci siamo scelti. Così deve essere.

Continuarono a pattinare assieme, allontanandosi sempre più dal piccolo molo.

 

- Sì, maestro, c’è altro. Il ragazzo, come sapete, ha avuto delle visioni e delle strane esperienze con la Forza da quando è qua. Visioni che non hanno ancora un senso.-

- Il ragazzo può risolvere le sue visioni al Tempio, Qui Gon. Ci sono anche più risorse per fare ricerche che in un vecchio maniero. Mando, per giunta.-

- Al contrario, Mace, ho il forte sospetto che le visioni di Obi Wan riguardino Mandalore, e non mi risulta che al Tempio di Coruscant ci sia poi tutto questo vasto assortimento sugli usi e costumi di questo settor…-

- Ci stai dando degli ignoranti, Qui Gon?-

- Francamente, Mace? . In un anno con la duchessa ci siamo resi conto che, nella nostra arroganza, abbiamo creduto di conoscere ciò che in verità non conoscevamo affatto. Questo è un popolo di famiglia, tradizione, cultura e leggende, un posto meraviglioso dove la guerra è soltanto la più terribile delle componenti e che, tra l’altro, non fanno nemmeno più.-

Yoda proruppe in un sonoro mh, mentre chiudeva gli occhi e sospirava, cercando conforto nella Forza.

- Le visioni del giovane Kenobi, interessanti sono.- sentenziò, senza nemmeno aprire le palpebre. - Ma la vostra missione, continuare, non può. Privare il Tempio delle nostre risorse, non possiamo più. Adesso, compito della duchessa, costruire il sistema, è. Il nostro intervento prolungato, ingiustificato, appare.-

Ah, dunque era quello il problema.

Qui Gon incrociò le braccia e si grattò contrariato la barbetta caprina.

- Immagino che il Senato abbia avuto da ridire, maestro Yoda.-

L’omino verde annuì.

- Sempre brontolato, esso ha. Mai ascoltato, noi abbiamo. Se però bisogno non c’è più, voi tornare, dovete. A meno che la Forza altro, non dica.-

No, la Forza non diceva altro.

O meglio, aveva già parlato, e fin troppo, anche. 

In cuor suo, Qui Gon sapeva che Obi Wan, proprio per via di quelle conversazioni con la Forza, aveva già preso la sua decisione.

 

- Stai tranquillo.- commentò Satine, pattinando accanto a lui con le mani dietro la schiena.- Sono sicura che la chiamata di Qui Gon sta andando bene.-

Obi Wan non le rispose, assorto nei suoi pensieri.

Vorrei esserne sicuro quanto te.

La lama solcava il ghiaccio e lasciava dietro i ragazzi piccoli tagli nella superficie. 

Ad un certo punto, uno strano rumore provenne da… Beh, non seppero dire da dove, ma mise il giovane padawan sul chi vive. Inchiodò e trattenne la duchessa, che rischiò di finire a gambe all’aria sul ghiaccio. 

- Dico, sei matto?-

- Che cos’è stato?-

- Quel suono? Quella specie di esplosione?-

Il giovanotto annuì.

- Ah, ma quella è Cin’ciri Jorad.-

- La Voce del Ghiaccio?-

- Esatto. Hai mai sentito il ghiaccio cantare?-

 

- Non dirmi che il ragazzo ha deciso di nuovo di restare.-

- No, non credo. L’ultima volta che ne abbiamo parlato, ha manifestato la più ferma intenzione di tornare al Tempio, anche se a malincuore.-

- Non gli daremo un’altra possibilità, Qui Gon, è bene che tu lo sappia. Se decide di andarsene, questa volta resterà fuori dal Tempio. Non lo riammetteremo.-

- Ho appena detto che ha deciso di restare, Mace.-

Calò un profondo silenzio tra i membri del Consiglio. Yoda pareva meditare ad occhi chiusi. Alcuni tra loro sembravano disinteressati, mentre altri come Mace attendevano una reazione qualsiasi da Qui Gon.

- Sul mio ragazzo si può contare. credo che ne abbia dato ampia prova di recente. Soprattutto durante questa missione su Mandalore, ho fatto errori di cui lui e la duchessa hanno pagato lo scotto. Se Satine è ancora viva, è in gran parte merito di Obi Wan, che è stato la sua guardia del corpo mentre io giocavo al Jedi in missione. Inoltre, dopo il terribile attacco che ha subìto, mi piace pensare che sia un segno della Forza il fatto che viva ancora.-

- Straordinario, in effetti, questo è.- commentò il maestro Yoda con il suo buffo Standard che non sarebbe mai riuscito a correggere. - Pochi tra noi anche un solo credito avrebbero dato, al ragazzo. Obi Wan, però, sopravvissuto, è.-

Qui Gon era felice che almeno Yoda gli reggesse il moccolo. Il nanerottolo verde aveva sempre mostrato simpatia per il ragazzo, nonostante le delusioni e i numerosi ripensamenti. 

- Ciò però non cambia che le notizie che porti da Mandalore ci hanno messo in allarme. La relazione tra i due ragazzi non può andare avanti, Qui Gon.-

- Obi Wan ne è consapevole. Per questo ha deciso di partire.-

Beh, non proprio, diciamo così.

Aveva avuto infatti la netta sensazione che qualcosa, dopo la gita dei due ragazzi a Mar’eyce, fosse cambiato. Se ne era accorto dagli sguardi in tralice, dal malcelato bisogno di cercarsi, dallo strano contegno che avevano assunto in pubblico. 

Questi due hanno combinato qualcosa.

Ed aveva cominciato a sospettare che il giovane ragazzo stesse disperatamente cercando di tenere un piede su due staffe: uno in quella del Consiglio Jedi, e uno in quella della Duchessa di Mandalore. 

Un piano che, Qui Gon già lo sapeva, era destinato a fallire in partenza. 

Non per colpa del ragazzo, no.

Bensì, per le decisioni scellerate di qualcun altro.

- Allora, se ne è consapevole, il Consiglio ha ritenuto opportuno che renda consapevoli anche noi.-  

Qui Gon sentì il morale scivolargli sotto i tacchi.

Ecco.

- Intendete testarlo di nuovo?-

- Naturalmente, Qui Gon.- commentò Mace, assestandosi meglio sulla poltroncina.- Naturalmente.-

 

- Se continuo a restare così, prima o poi mi si staccherà l’orecchio.-

Satine rise.

- K’atini!-

- Sì sì, ridi pure. Io sto congelando.-

- Non ti piace?-

- Il suono del ghiaccio è bellissimo. Il freddo un po’ meno.-

La duchessa lo guardò con i suoi occhi brillanti e il sorriso largo, lo stesso che faceva spesso in quei giorni e soprattutto dopo la loro gita a Mar’eyce.

Un tipo di sorriso che era soltanto per lui.

- Te la senti di continuare da sola? Ho bisogno di qualcosa di caldo.-

I due pattinarono lentamente verso il molo e Obi Wan si sedette sulle assi di legno per slacciarsi le stringhe ed infilarsi di nuovo gli stivali.

- Non dovresti tenermi d’occhio?-

- Non ti perderò di vista un attimo.-

- Ma se vuoi andare a berti la cioccolata in tazza in cucina da Maryam!-

- Mi basterà beccare Athos nella stalla e chiedergli se può portarcene un po’.-

- Anche per me?-

- Ovviamente.-

Così, Satine riprese a pattinare, dandogli la schiena, componendo cerchi eleganti sul lago ghiacciato, lasciando Obi Wan a guardarla e a soffiare sulle dita arrossate dal freddo.

 

- Questa volta non lo sopporterà, Mace. Già l’ultima volta, permettimi, avete esagerato.-

- Tu sei troppo protettivo con lui. Non devo ricordarti che cosa è successo con Xanatos, vero?-

Qui Gon divenne rosso porpora e si sentì sul punto di esplodere. 

Questa è la volta buona che dico tutto quello che penso di te, caro amico mio. 

Fortunatamente intervenne il benefico commento del maestro Yoda.

- Rivangare il passato, questo il momento non è. Il ragazzo paura ha, e questo un bene non è. Qui Gon, Obi Wan superare la sua paura, deve.-

- La sua paura ha avuto un’origine ben precisa, e voi lo sapete. Il Consiglio non è perfetto, e il vostro comportamento è stato a dir poco…-

- Se non ti piace come gestiamo l’Ordine, Qui Gon, puoi sempre…-

- Peggiori dei padawan, voi siete!- sbottò il maestro Yoda con un sonoro colpo di bastone sul pavimento.- Altro, io non voglio sentire! Qui Gon, con questo test d’accordo io non sono. Tuttavia, il passato cambiare non si può. Molti dubbi Obi Wan deve ancora fugare, e da questo test più forte lui uscirà, almeno io credo. Pazienza e forza, il ragazzo deve acquisire. Domare un poco della sua arroganza egli deve. Se ce la farà, un Jedi migliore diventerà.-

E’ un se grosso come una casa.

- Non pensate che il distacco dalla duchessa potrebbe essere una sanzione sufficiente?-

Mace alzò un sopracciglio.

- Potrebbe, se fatto bene.-

- Che significa?-

- Che il ragazzo non avrà accesso a nessun dispositivo fino a che non dimostrerà di avere le sue emozioni sotto controllo. Niente commlink, niente datapad. Qualunque cosa dovrà fare, la farà con ricerche manuali o in biblioteca assieme a Jocasta Nu. Non potrà usare le tue frequenze. Non avrà libere uscite.-

- Insomma, è in carcere!-

- Sai benissimo che il Tempio non imprigiona nessuno, Qui Gon, nemmeno tu.-

- Buoni voi due, vedete di stare!-

I due Jedi continuarono a guardarsi in cagnesco, ma non dissero altro.

Solo dopo secondi di intenso silenzio il maestro Windu proseguì.

- Potrà fare quello che vorrà, ma dovrà farlo dentro il Tempio. Potrà nuotare, fare sport, tutto quello che di solito gli piace fare, ma niente di extra.-

- Ha vent’anni scarsi, Mace. Nemmeno tu restavi chiuso in camera a meditare alla sua età.-

- Se è per questo, io alla sua età avevo lavorato abbastanza bene da sentirmi chiedere di entrare nel Consiglio, cosa per cui il ragazzo non mi sembra nemmeno lontanamente pronto. Io potevo permettermi di fare quello che volevo. Lui, no.-

- E questi non sono arresti? La duchessa sta cercando di fare la stessa cosa, ma con un carcere di massima sicurezza!-

- Se sarà diligente, non durerà molto.-

Qui Gon morse con grinta l’interno della bocca per non esprimere il suo disappunto.

- Se questa è la decisione del Consiglio, immagino che non ci siano alternative. Tuttavia, il maestro Yoda ha detto di non essere d’accordo. Chi altri, se posso saperlo, non lo era?-

Con suo grande rammarico, nessuno alzò la mano tranne la magistra Billaba.

- Depa?-

- Perdonami, Mace, ma mi sembrano misure drastiche non risolutive.-

Poi fissò Qui Gon, facendo spallucce.

- Io avevo votato per un Guaritore Mentale da affiancargli quattro volte a settimana, ma nessuno ha sostenuto la mia idea. Mi dispiace, Qui Gon.-

L’uomo chiuse gli occhi e fu sul punto di commentare, quando un sonoro BOOOOM fece tremare le fondamenta del maniero.

- Per tutta la Forza, che cosa è stato?-

 

Obi Wan fissò con orrore i tentacoli giganteschi del demagolka mentre torreggiavano sopra ciò che restava del lago ghiacciato.

Satine scheggiò a tutta birra sui suoi pattini, cercando di raggiungere il molo prima che potè, ma non ci riuscì. Uno dei tentacoli si adagiò sul ghiaccio e le sbarrò la strada, impedendole di proseguire oltre.

Allora la ragazza si voltò e spinse quanto più forte potè sulle lame per raggiungere un ansa del lago, un luogo riparato dove un paio di scogli avrebbero potuto offrirle protezione.

Un tentacolo spuntò dal ghiaccio improvvisamente, spaccando la superficie tutt’attorno, e Satine fu costretta ad attaccarsi ad una delle sue viscide ventose.

Riuscì a sentire soltanto il flebile Satine! di Obi Wan e a scorgerlo mentre correva trafelato verso il lago, con Qui Gon alla finestra che segnalava a qualcuno il pericolo e cercava di attirare l’attenzione di Athos.

Il tentacolo salì su, sempre più in alto, e Satine comprese che se voleva sopravvivere, doveva prestare sufficiente attenzione a come quel grosso aggeggio gommoso avrebbe impattato sulla superficie. 

Soprattutto, dove.

Se centra gli scogli non ho speranze.

Non appena la gravità cominciò a reclamarla, Satine tenne d’occhio la caduta e si arrampicò sulla parte esposta per evitare di essere schiacciata. 

Poi, con un balzo, saltò giù quando fu in prossimità del ghiaccio.

Rotolò un poco verso gli scogli e riuscì ad aggrapparcisi prima di cadere nell’acqua gelida, evitando l’ipotermia.

- Shabla skanah! Te ne sei sempre stato buono, che accidenti t’è preso oggi, bestione?-

Il demagolka parve risponderle quando dalle viscere della terra risalì un mugghiare ovattato dall’acqua. 

 

Sulla riva stava succedendo il finimondo. Chiunque fosse stato in comunicazione con il maestro, era stato ben presto liquidato. Adesso Qui Gon, in pantofole prestate da casa Kryze, si era gettato nel viale cercando di raggiungere Obi Wan, che se ne stava sul molo nel vano tentativo di entrare in comunicazione con la bestia usando la Forza.

Campa cavallo che l’erba cresce, pensò Satine, guardandosi intorno.

Athos era accorso a tutta birra dalle stalle e si era unito al gruppo.

Satine sapeva che c’era solo un modo per sfuggire al demagolka, e quel modo era volare. 

Bukephalos, però, non sarebbe bastato. Era una creatura inerme, incapace di impedire al mostro di muovere i tentacoli ed inseguirla.

Solo Kad’Harangir sa quanto può essere rapido il demagolka quando ci si mette. 

Quindi, c’era solo un’altra creatura che avrebbe potuto salvarle la vita.

Si guardò attorno con disappunto, mentre le lastre di ghiaccio galleggiavano desolate attorno a lei.

Ma tu guarda che mi tocca fare.

Si alzò in piedi e si sbracciò per attirare l’attenzione di Obi Wan.

Se avesse urlato, avrebbe solo attratto il demagolka ancora di più, ed era quello che Satine non voleva assolutamente.

Il padawan la scorse dal molo e le fece cenno di parlare.

Satine cominciò a gesticolare.

 

- Che sta dicendo?-

- E che ne so?-

- Non può parlare, o il demagolka andrà da lei.-

- Mi aveva detto che non era pericoloso.-

- E infatti non ci ha mai dato fastidio. Qualcosa sott’acqua deve averlo disturbato.-

I tentacoli scivolarono di nuovo sotto la superficie ed altri ne uscirono, diramandosi tutt’attorno.

Satine continuava a gesticolare.

- Io?- fece Qui Gon, indicandosi il petto.

No, gesticolò la duchessa, indicando di nuovo qualcuno del mucchio. 

Indice. Due dita assieme. Altro indice puntato nel mucchio.

- Assieme. Io?- disse Obi Wan, e Satine annuì con la testa bionda.

- Assieme a chi?-

- Io?-

Satine alzò i pollici al commento di Athos.

Mano che batte sul palmo riverso dell’altra mano, indicando un posto lontano.

- Andare?-

Sì!

Poi, Satine incrociò i pollici e mimò qualcosa che volava nel cielo.

- Bukephalos?- chiese Obi Wan, indicando le stalle.

No! 

Satine ripetè il gesto.

- Forse è Ortense, ma è vecchia…-

- Ci sono! Le Figlie dell’Aria!-

Un altro no.

I tre si guardarono con aria desolata.

Che accidenti vuole dire?

Poi, un pensiero attraversò come una folgore la mente di Obi Wan, che fu tentato di fare un bellissimo e raffinatissimo gesto dell’ombrello alla duchessa.

- Aspetta, Myra? Vuoi che vada a prendere il meshurok?-

Con suo grande rammarico, la testa bionda della ragazza dondolò soddisfatta avanti e indietro.

- Fossi matto. Quella mica mi conosce. Mi mangia!-

Ma Satine si era impuntata con le mani sui fianchi e il dito puntato.

- Mi sa che ci tocca, figliolo. Vieni. Ti porto a Vhetirn bev meshuroke mentre il maestro monitora la situazione.-

Con il senno di puoi, fu un bene che la duchessa non fosse presente alla Piana dei Mitosauri ad assistere a quelli che Obi Wan ritenne penosi tentativi di avvicinarsi a suo lucertolone. 

Athos lo scaricò davanti al pinnacolo di ghiaccio quando il sole era alto nel cielo e lo stomaco del padawan brontolava per assenza di cibo. 

Era entrato in quella guglia con grandissimo riguardo, ma Myra non aveva esitato a fare le presentazioni. Aveva esposto la testa dentro il cunicolo ed aveva ruggito così forte che alcuni ghiaccioli erano precipitati giù dal soffitto.

Obi Wan era stato investito dal suo fiato puzzolente e la vista dei dentoni in quello spazio chiuso non aveva sicuramente contribuito ad accrescere la sua sicurezza.

Qui finisce che ci lascio le penne.

 

Inspirò ed espirò e cercò di entrare in contatto con il Mitosauro.

Nella Forza, Myra era imponente come nella realtà. Grande, libera e fiera, con una personalità straripante che, di per sé, era pericolosa, ma non minacciosa. Non sembrava volergli fare del male, se non fosse stato per il fatto che era piombato in casa sua e lei non vi voleva nessuno. 

Così, Obi Wan sospirò, cercando di centrarsi.

- Va bene.- le disse, alzando le mani.- Mi sono introdotto in casa tua ed ho sbagliato, ma sono venuto per un buon motivo. Mi manda la tua, ehm, amica Satine. E’ in pericolo ed io ho bisogno di parlarti.-

Myra ruotò la testa a destra e a sinistra, come se stesse comprendendo le sue parole.

- Vuoi che esca? Va bene, esco, ma per favore, una volta fuori puoi starmi a sentire?-

Con sua grande sorpresa, la bestiola lo seguì fuori dalla guglia e poi posò il muso per terra, all’altezza del padawan, per studiarlo meglio con le sue grandi iridi color galassia.

- C’è un mostro sotto il Suumpir Darasuum, e la tua amica è rimasta intrappolata su un mucchio di scogli. Sono qua per portarle aiuto e per farlo ho bisogno di te. Ho bisogno che tu la prenda, volando, e che tu la porti via. Puoi farlo per me?-

Myra alzò il muso e dondolò il capo con curiosità.

Poi, avvicinò i baffi da pesce gatto al corpo del padawan per annusarlo.

Obi Wan trattenne il respiro.

Devo aiutare Satine. Ti prego, non mangiare l’aiuto di Satine.

Con sua grande sorpresa, Myra emise un ruggito al cielo e spiccò il volo. Athos e Obi Wan la seguirono da lontano fino a Kryze Manor, ed ben presto furono di nuovo lì a guardarla mentre si abbatteva impietosa sui tentacoli del demagolka

Soltanto in una occasione, a dire il vero, fu necessario che Myra usasse la coda chiodata e colpisse con forza una ventosa troppo vicina a Satine. Per il resto, riuscì a schivare i tentacoli con praticità e piombò velocissima sul mucchietto di scogli dove Satine era rimasta acquattata.

Con grandissimo orrore, Obi Wan fissò il meshurok mentre apriva la bocca e la richiudeva sul corpo di Satine.

Sgranò gli occhi e fissò il suo maestro, che non pareva meno terreo di lui. Certo, nella Forza non si sentivano distorsioni, né dolore né perdita, ma la paura fu grande. 

Fortunatamente, tutto ciò che rimase di quella terribile esperienza fu un sacco di bava e la voglia di non pattinare mai più sul Suumpir Darasuum.

 

Myra atterrò con un tonfo e un ruggito nel giardino di Kryze Manor, affondando nella neve. Tenne il collo in alto mentre ruggiva di nuovo, la bocca serrata come se stesse trattenendo un oggetto per lei preziosissimo tra i denti. 

Obi Wan, Qui Gon ed Athos avevano circondato l’animale e stavano aspettando che restituisse loro Satine - o quello che era rimasto di lei.

Myra dondolò il capo ancora, prima a destra e poi a sinistra, come se quello fosse un gioco bellissimo.

Infine, abbassò il capo fino a sfiorare i baffi per terra ed aprì la bocca.

Satine cadde sui piedi, perfettamente in equilibrio e soprattutto intera, ma interamente coperta di saliva puzzolente.

Si passò una mano sugli occhi mentre slittava sulle lame dei pattini e cercava di mantenersi in equilibrio. 

Bleah.

Myra, invece, aveva evidentemente voglia di giocare. Le girò attorno con il capo un paio di volte, la colpì con i baffoni e la fece cadere seduta per terra. Poi la spinse di nuovo in piedi e le leccò la faccia con la sua smisurata lingua blu.

Aggiungendo, con questo, bava a bava.

Satine le grattò i baffoni e la bestia parve contenta. Girò su se stessa un paio di volte per spiccare il volo, ma si fermò nel bel mezzo della manovra, come se stesse rimuginando su qualcosa.

Satine bofonchiò qualcosa come sei buona e cara, ma dovrei cominciare a lavarti i denti, quando Myra fece un clamoroso dietrofront e si avvicinò al quartetto, zampettando sui piedoni.

I quattro rimasero interdetti, ma ben presto il suo intento fu chiaro quando, in un moto di simpatia, decise di manifestare il proprio affetto ad Obi Wan inondandolo di bava con una bella leccata.

Il giovanotto si pulì la faccia e provò a sorriderle, desolato per quel liquido puzzolente, ma la bella meshurok aveva già spiccato il volo e andò via, volando verso la sua guglia al freddo della Piana.

Satine scoppiò a ridere.

- Ti sei fatto un’amica, Ben!-

- Non preoccuparti, ragazzo. Dirò a Maryam di fare un bel lavaggio!-

Dovrei farmelo io, il lavaggio, vestiti, scarpe e tutto.

Al momento di entrare in casa e farsi il bagno, però, Qui Gon lo trattenne sulla soglia.

- Che succede, maestro? Sto sgocciolando bava?-

Ma gli occhi del Jedi tradirono il suo rammarico e Obi Wan conobbe già la risposta prima che l’uomo potesse dirgliela.

- C’è che dobbiamo andare, figliolo.-

Il padawan deglutì, ogni voglia di ridere all’improvviso scomparsa.

- Quando?- mormorò.

Qui Gon gli passò una mano sulla spalla bavosa, senza rimpiangerlo.

- Cinque giorni, Obi Wan. Non sono riuscito ad ottenere di più.- 

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

 

Cin’ciri Jorad: lett. Voce del Ghiaccio.

 

NOTE DELL’AUTORE: Countdown: meno tre, epilogo incluso.

Questo è un capitolo di passaggio, e si sente. Almeno, l’ho sentito io quando l’ho scritto. Non contiene nulla di speciale, se non qualche siparietto che ormai è diventato tipico dei Kryze. Mi serviva, però, per creare l’occasione per chiarire quello che mi è sempre stato a cuore: come mai il nostro giovane ribaldo abbia fatto la scelta che ha fatto quando in verità era disposto a lasciare l’Ordine dei Jedi per Satine Kryze.

Complici della scelta, dunque, sono stati una serie di elementi che verranno definitivamente affrontati nei prossimi capitoli: il bisogno di non abbandonare la Forza, la necessità di tenere in salvo Satine dal suo stesso popolo, una visione dai contorni sfumati e un Consiglio Jedi troppo invadente, che sta cominciando a giocare ad un gioco politico pericoloso e che ben presto scriverà la sua stessa rovina. 

La Voce del Ghiaccio è ispirato al suono emesso dal ghiaccio che si spacca, tipico delle regioni polari e del nord Europa.

Non dirò altro, per evitare di fare innumerevoli spoiler sui capitoli successivi, che saranno gli ultimi.

Dirò solo che, ben presto, il Custode tornerà a tirare le fila di questa lunga faccenda.

E voglio ancora sapere da voi se qualcuno ha qualche idea a proposito del bestione degli abissi!

 

Molly.

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Capitolo 69
*** 59- Ner cyare, ner re ***


CAPITOLO 59

Ner cyare, ner re

 

40 BBY - Inverno, pochi giorni dopo il Capodanno.

 

- Un brindisi! Alla Duchessa di Mandalore!-

- Alla Duchessa!- risposero tutti, alzando i boccali di netra’gal

Alla dedica fecero seguito le tradizionali parole di rito. 

Ne’tra gal mesh’la, jat’isyc, bal wayii, ja’haal’got!

E poi bevvero tutti a sazietà.

Maryam aveva preparato un banchetto sontuoso per celebrare il completamento delle liste per l’Assemblea Costituente. Ormai l’insediamento era alle porte e Satine non poteva che essere contenta. Le persone che aveva individuato erano decisamente competenti e capaci, uomini e donne fedeli alle tradizioni, preparati, stanchi della guerra e adatti al ruolo che avrebbero ricoperto.

Erano già passati cinque, lunghissimi, giorni. La partenza dei due Jedi, ormai, era imminente. Quel giorno Qui Gon aveva ricevuto una comunicazione dal Tempio Jedi, con la quale erano stati avvisati che una navicella sarebbe venuti a prenderli nella tarda mattinata del giorno successivo. 

Sarebbe atterrata poco lontano da Kryze Manor, nei campi incolti in cui non avrebbe fatto danno a cose o persone. 

Così, quella sera, Maryam aveva dato fondo alle sue capacità creative per poter festeggiare anche i due Jedi e i nobili servigi da loro svolti per la famiglia.

Il duca, in questo, era stato molto chiaro.

Dalla fine della guerra, Kyla sembrava da un lato invecchiato, dall’altro ringiovanito. La consapevolezza della sua condizione era diventata, purtroppo, granitica. Tuttavia, nonostante quel cruccio lo affliggesse parecchio, era anche fermamente convinto di non voler cedere al tedio e al male di vivere, così si era dato attivamente da fare sia per aiutare la figlia, sia per rimettersi in sesto. Le sessioni di fisioterapia si erano fatte più intense ed aveva conquistato con fatica un pizzico di massa muscolare in più. 

Certo, non era come vivere la vita di un tempo, ma sarebbe stato sufficiente a farlo stare fisicamente e mentalmente bene.

Per quella sera aveva chiesto ad Athos di metterlo in ghingheri. Sua figlia aveva fatto spallucce, ricordandogli che, in fondo, quello era un giorno triste.

- I due Jedi se ne vanno domattina, buir. Non c’è molto da festeggiare.-

Il riferimento alla futura assenza - definitiva - di Obi Wan era più che esplicito.

Il duca aveva sollevato il capo, la consapevolezza negli occhi riflessi nello specchio mentre Athos gli annodava il cravattino sotto il collo.

- Un essere umano dotato di dignità va al patibolo con l’abito della domenica.-

E così dicendo aveva infuso un poco di forza anche a sua figlia, che invece voleva soltanto nascondersi nel sottoscala e restare lì dentro fino alla fine dei suoi giorni solitari.

Così, pulito ed imbellettato, quella sera sollevò di nuovo il calice alla volta dei due Jedi, seduti a tavola con loro ed appollaiati sulle alte sedie.

- Credo che sia più che giusto rendere omaggio a voi e ai vostri servigi. Avete combattuto una battaglia che non era la vostra, siete stati al fianco di persone le cui tradizioni sono contrarie alle vostre. Non mentirò, molti tra noi ancora non vi amano, ma spero che un giorno questo cambi. Conoscervi è stato un privilegio. Sarete sempre i benvenuti, qualora decidiate di tornare a fare visita ad un uomo malato e alla sua famiglia. Kryze Manor sarà, ora e per sempre, anche casa vostra.-

E sperò che il messaggio fosse giunto forte e chiaro alle orecchie di un certo padawan, che preferiva non alzare gli occhi dal piatto e che, quando lo faceva, doveva sforzarsi per non far vedere che aveva una gran voglia di scappare via da lì.

La stessa voglia che vedeva dipinta sul volto della figlia. Certo, era cambiata molto da quando era partita. Aveva lasciato una ragazza resa fragile dagli eventi ed aveva ritrovato una donna determinata, forte abbastanza da governare un mondo intero da sola. Il duca, però, era passato da quello strazio prima di lei e sapeva quanto poteva essere dilaniante perdere qualcuno che si aveva caro.

Soprattutto se quel qualcuno lo si è scelto.

Non sapeva che cosa sarebbe successo da quel momento in poi, ma voleva essere certo che fosse chiaro a tutti che, per quanto lo riguardava, Qui Gon ed Obi Wan avrebbero fatto per sempre parte della famiglia Kryze. 

Il maestro era un brav’uomo, ma il ragazzo, oh, il ragazzo gli sarebbe mancato. Rivedeva nella malizia dei suoi occhi e nel suo sorriso storto tutte le caratteristiche della sua famiglia: intelligente, furbo, lingua tagliente. Assomigliava a sua figlia più di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere, e forse era proprio per questo motivo per cui il duca era particolarmente dispiaciuto per la sua partenza.

Non aveva mai avuto figli maschi, ma se ne avesse avuti, era quasi certo che sarebbero stati simili al giovane Kenobi. 

- E voi sarete i benvenuti al Tempio Jedi, ogniqualvolta desideriate farci visita. Comprendiamo le circostanze e non ci toccano. I vostri costumi ci sono noti e la rivalità tra i nostri popoli è troppo antica per essere sedata in così poco tempo. Forse un giorno torneremo ad essere amici. Vostra figlia pare incline a fare miracoli, per cui non ne dubito.- commentò Qui Gon, alzando il calice verso di lei e strappandole un sorriso.

Bevvero e mangiarono a sazietà e poi si ritirarono nel salotto, attorno al bel camino di fronte al quale Obi Wan aveva schiacciato un pisolino prima di essere distratto dal Custode. 

Quell’evento era rimasto unico. Ogni volta che era passato di fronte a quella porta era stato tentato di entrare, scoprire il segreto di quelle fondamenta così misteriose, ma era sempre accaduto qualcosa che lo aveva dissuaso: quando era stata Satine, quando Maryam, Athos, il duca o il suo maestro, quando semplicemente il suo istinto, che gli diceva che no, forse non voleva scoprire davvero che cosa si celasse là sotto.

Chiacchierarono per ore che parvero eterne di fronte al camino, dei parenti Kryze e delle loro stranezze, della compagine di governo, della Costituente e delle prossime azioni che Satine avrebbe voluto intraprendere.

Di carne al fuoco, la duchessa ne aveva parecchia.

- Intanto, è necessario che l’Assemblea finisca il suo lavoro. Dopo aver fatto la Costituzione, si procederà a libere elezioni e alla conferma elettorale della mia carica.-

- Non penso che avrai problemi. Ci vorrebbe una bella faccia tosta a delegittimarti dopo quello che hai fatto.- commentò il duca.- Inoltre, sai che non sei tenuta a farlo, il passaggio elettorale.-

- Non sono tenuta, ma voglio. Il rapporto con i miei elettori deve essere quanto più trasparente possibile, o sai l’opposizione come andrà a nozze con il fatto che non sono mai passata dalla consultazione elettorale? Poi, bisogna portare a compimento la riforma della sanità, e questa volta ci riuscirò. Ah, e voglio modificare la pubblica amministrazione e il sistema burocratico. Troppo farraginoso.-

La lista era lunga e ad un certo punto Athos fu costretto a farla smettere.

- Se continui così l’opposizione ti accuserà di aver cambiato troppo il sistema!-

La battuta scatenò una risata e la conversazione si fece più lieve. 

La tristezza dei due ragazzi fu offuscata dai brindisi, dalle risate, dalle battute di spirito della famiglia Kryze, ed Obi Wan non era del tutto ignaro del fatto che il duca, più di una volta, aveva fatto un poco il pagliaccio con il semplice scopo di farli divertire. 

Solo quando il buon duca, per sbaglio, rovesciò l’ultimo goccio d’acqua sul pavimento per un colpo di sonno, la comitiva si decise a tornare nelle proprie stanze. Athos accompagnò il duca al montascale, mentre Satine e Maryam intrattenevano una breve conversazione a proposito della partenza dei due Jedi al mattino dopo.

Obi Wan andò ad aiutare il maggiordomo, che stava facendo del suo meglio per accompagnare il duca a sedere senza farlo cadere. Non era stabile sulle gambe, nonostante tutti i progressi che aveva fatto, e spostarsi era ancora pericoloso, soprattutto a quell’ora di sera e con un bel po’ di sonno a gravargli sulle gambe malferme.

Lo prese sottobraccio ed il duca parve apprezzare. Rimase con lui mentre Athos andava a prendere la sedia a rotelle al piano di sopra, e gli strinse la mano in segno di ringraziamento.

- Grazie, duca, per tutto. Anche per stasera.-

- Sono io che devo ringraziare te, figliolo. Hai insegnato a mia figlia tutto quello che io non avrei mai potuto insegnarle, e credo che tu l’abbia fatto molto bene nonostante tutte le difficoltà.-

Obi Wan abbozzò un sorriso mesto.

- Temo che, dei due, sia stata lei ad insegnare qualcosa a me.-

- Queste cose funzionano così, ragazzo. Sono reciproche. Un po’ si da, un po’ si riceve. Sarebbe un bel problema, se non fosse così. Di una cosa, però, sono certo. Non so se si sia trattato di una serie di eventi, o se tu ci abbia messo lo zampino. Sospetto la seconda ipotesi, ma da quando sei arrivato qua, Satine è cambiata. E’ cresciuta, è consapevole, è diventata forte senza smettere di essere fragile. E’ la versione migliore di se stessa, e di questo te ne sono grato.-

Il padawan sorrise e sedette sullo scalino in attesa del maggiordomo, che però non pareva volerne sapere di farsi vivo.

- Ho detto ad Athos di prendersela comoda. Volevo scambiare due parole con te, prima di salutarti domani mattina.-

Il ragazzo sospirò e lo guardò con aria implorante.

- Vi prego, non provate a fermarmi. E’ già difficile così, senza dover rendere conto delle mie scelte a nessuno che non sia Satine. Non prendetela a male, è che…-

- Io? E chi vuole dirti niente! So che per te questa è la scelta migliore da fare, e devo essere onesto, ragazzo, dopo quello che mi hai raccontato, mettendo i miei piedi nei tuoi stivali, io avrei fatto la stessa identica cosa. Quello di cui voglio parlare sei tu. Percepisco della paura in te. Qualcosa ti turba. Credevo che tornare a casa ti avrebbe fatto piacere.-

Obi Wan abbassò il capo ancora di più, come se volesse nascondere la testa tra le ginocchia. 

- Io voglio tornare a casa. I Jedi sono la mia famiglia. Non siamo così anaffettivi come sembra, gestiamo solo le emozioni in modo diverso. Voglio bene al maestro Qui Gon, come voglio bene ai miei amici, che sono come fratelli, e a tutti gli altri. Ho anche uno zio verde.-

- Yoda, giusto?-

- Sì.-

- L’ho visto ogni tanto all’holonews. Mi sono sempre chiesto quanti anni abbia.-

- E’ una bella domanda. Credo che nessuno lo sappia con precisione, ed abbiamo tutti troppa paura delle sue bastonate sulle nocche per provare a chiederglielo. Comunque, tanti.-

Il duca sorrise e lo invitò a continuare.

- Mi manca casa. A cose normali, sarei davvero felice di tornare indietro. Tuttavia, ho il sospetto che il Consiglio sappia della mia storia con Satine.-

Lo disse con una trasparenza quasi disarmante, come se fosse ovvio, e lo disse senza problemi davanti al duca. Obi Wan si sorprese di se stesso, eppure non trovò l’emozione che si sarebbe aspettato di trovare. Un tempo fare un’affermazione del genere gli sarebbe costato tutto il suo coraggio. Oggi, invece, quella era una mera constatazione, un dato di fatto, un’ovvietà, appunto. 

Non si vergognava più di nulla, ormai.

- Il Consiglio sa essere molto rigido quando decide di tenere qualcuno sotto controllo. Ai loro occhi io non sono un padawan facile e nemmeno uno dei più dotati, chiaramente destinati a fare i cavalieri Jedi. Ho il sospetto che, quando tornerò, le cose non saranno semplici, e la Forza sola sa quanto io tema le punizioni del Consiglio. Ci sono già passato una volta.-

- Che cosa avevi fatto per suscitare così tanta indignazione?-

- Decisi di non tornare su Coruscant per restare ad aiutare un’amica su Melida/Daan. Lo sapete già.-

Il duca si fermò un momento a pensare, ma un lampo di luce gli attraversò le iridi tigrate, segno che sì, aveva capito di che cosa si trattava.

Anche grazie ad un certo report delle Figlie dell’Aria sul conto del giovane padawan, commissionato dal duca stesso tempo addietro e della cui esistenza Obi Wan era perfettamente al corrente. 

- Ah.-

- So che sarà dura, un periodo di cui conosco l’inizio, ma di cui non so la fine.-

- Un po’ troppo discrezionale da parte loro.-

- Sì, ma vi prego, non fate niente. So che siete una brava persona…-

- … E che vorrei informarmi su di te e darti una mano se serve. Stai diventando un Kryze, ragazzo. Cominci a leggere nell’animo delle persone. Se tu non vuoi, però, non farò nulla. Capisco che la mia interferenza porterebbe solo il Consiglio a convincersi a tenerti sotto controllo ancora di più.-

Athos fece rumore con le ruote della sedia a rotelle al piano superiore. Obi Wan si alzò e cominciò ad impostare la salita del montascale sul pannello di controllo.

- Sapete, qualcuno direbbe il contrario. Direbbe che siete voi ad avere le doti dei Jedi.-

Il duca sogghignò con la bocca piena di cicatrici.

- Figliolo, voi manipolate i pensieri nella mente delle persone, noi leggiamo nell’animo. Ti assicuro che c’è un trucco per questo.- 

Obi Wan alzò un sopracciglio, perplesso.

- Diventare genitore. Ti garantisco che è un ottimo esercizio di interpretazione.-

 

Nel silenzio della notte, Obi Wan fissava il soffitto della stanza in cui era solito dormire con le braccia incrociate dietro la testa.

Per la precisione, stava studiando i colori fluorescenti di un poster di un gruppo di musica elettronica.

Amici del buio, un album dal titolo Pochi ma Buoni.

Sospirò, incerto sul da farsi. 

Sapeva che non avrebbe dormito per tutta la notte. Il pensiero di dire addio a tutto ciò che lo circondava lo disperava. 

Chiuse gli occhi.

 

Non ci sono emozioni. C’è solo pace.

 

Il duca gli voleva bene. Satine lo amava. Un mondo parallelo rispetto a quello che aveva sempre conosciuto, eppure era così vero, così reale. Si sentiva a casa lì non meno che al Tempio. 

Lui, però, non poteva amare.

Questo era ciò che capitava a chi si affezionava alle cose materiali, a chi creava legami ed attaccamento con le persone.

Rotolarsi nel letto per notti intere senza trovare requie. Senza centrarsi nella Forza.

 

Non c’è ignoranza. C’è solo conoscenza.

 

La conoscenza, sì. La conoscenza di tutto ciò che aveva vissuto. I sarlacc. La Ronda. La collusione della Repubblica.

I Jedi avrebbero provato a carpire le informazioni in suo possesso? E lui? Che avrebbe fatto a quel punto? Aveva offerto la sua lealtà alla Forza e al Tempio. Se glielo avessero chiesto, avrebbe dovuto dare tutte le risposte del caso. 

Una parte di lui, però, sentiva che non era giusto.

 

Non c’è tormento. C’è solo serenità.

 

Che cosa sarebbe successo se il contatto della Ronda nella Repubblica fosse venuto a sapere tutto quello che lui sapeva? Che Satine sapeva tutto? Anche se sicuramente lo sospettava, con le sue dichiarazioni Obi Wan gliene avrebbe dato prova.

E questo era sbagliato.

Se lui avesse fornito quelle informazioni all’Ordine anche in modo confidenziale, non poteva avere la certezza che nessuno le avrebbe divulgate al Senato, che era palesemente contro Satine e contro l’indipendenza di Mandalore. 

Già in quel momento il Consiglio aveva dimostrato chiaramente di non essere del tutto immune dalle influenze della politica. 

 

Non c’è caos. C’è solo armonia.

 

Ah, no? E quello che aveva nella sua testa in quel momento che cos’era, se non caos? E tutto quello che c’era là fuori, nella Galassia, nella Repubblica, nella politica, che cos’era se non caos, se non un luogo disunito in cui ognuno tirava acqua al proprio mulino a discapito del bene comune?

A discapito di Satine?

 

Non c’è la morte. C’è solo la Forza.

 

Obi Wan tese le orecchie e rimase in ascolto.

Dabbasso proveniva il distinto suono, ovattato da strati di tessuti ed arazzi lungo le pareti, di un pianoforte.

Aprì gli occhi, perplesso.

Socchiuse la porta, tendendo l’orecchio. I cardini cigolarono un poco, ma non riuscirono a coprire il suono strimpellato proveniente dal piano di sotto.

Era evidente che qualcuno stava cercando di mettere qualcosa in musica. 

Sapeva già chi fosse quel qualcuno. C’era soltanto un’altra persona che non avrebbe dormito quella notte, ed Obi Wan sapeva esattamente che Satine doveva aver compiuto quel rituale molte volte, prima del suo arrivo, quando non sapeva come tirare fuori tutto il dolore e i brutti ricordi e quando aveva paura di dormire.

Dalle porte delle camere non proveniva nessun rumore. Kryze Manor dormiva saporitamente.

Scese le scale e si affacciò sul salone della biblioteca. In una nicchia ricavata tra la parete che dava sull’esterno e il sottoscala, c’era un pianoforte a muro.

Poteva scorgere una testa bionda china sui tasti.

- Obi Wan?-

- Sì.-

- Ti ho svegliato?-

- No. Non riuscivo a dormire.- 

- Nemmeno io.-

Satine gli sorrise di un sorriso mesto, ma luminoso, e i suoi occhi blu brillarono nell’oscurità illuminata dalla luce dei globi di Mandalore.

Scese le scale e si accomodò vicino a lei, mentre la guardava sfiorare i tasti del pianoforte. Una ciocca color alba le circondava il viso seminascosto nel buio, illuminato solo dalla vecchia lampada sopra lo strumento. Respirava a ritmo di musica e ogni tanto si interrompeva per annotare qualcosa su un foglio di carta.

- Che cosa stai componendo?-

- Una canzone. E’ tradizione.-

- Di che cosa parla?-

Satine fece spallucce.

- Non ne ho idea. Per ora ho scritto solo la melodia e non è completa. Non sono del tutto soddisfatta. Se hai un contributo da dare, è ben accetto.-

Obi Wan prese a sfiorare i tasti bassi del pianoforte, creando una piccola armonia. Non sapeva esattamente che cosa dire, eppure sentiva di dover fare o dire qualcosa. Non poteva andarsene così. Era vero che lo avevano sempre saputo, che non sarebbe durata, tuttavia si sentiva in colpa, in dovere, per rispetto a lei e a tutto quello che lei rappresentava.

Ad un certo punto, Satine steccò.

- Non so come concludere questo passaggio.-

Obi Wan ci pensò un attimo su, e poi sfiorò i tasti centrali, provando a trovare una conclusione.

Passarono buona parte della notte componendo e scrivendo. La storia narra che ad un certo punto, il giovane padawan abbia mescolato alcuni versi di poesia di Ryloth con la musica, dando alla duchessa l’idea di scrivere una canzone su di loro e sulla loro storia. 

Su quella canzone non si sa molto. A causa della natura clandestina della relazione tra la duchessa e il giovane padawan, poi Maestro Jedi, se quei versi fossero diventati di dominio pubblico, questo avrebbe scatenato un vero e proprio incidente diplomatico ed avrebbe rappresentato un grosso problema per entrambi. Così, la canzone è andata perduta nelle pieghe del tempo. Solo i parenti più stretti, le persone che conoscevano meglio la duchessa e il maestro erano a conoscenza dell’esistenza di quella canzone. 

Si tramanda che non fosse meno bella della Canzone dei Cosmonauti e che raccontasse tutta la loro storia: dall’amore improvviso e incompreso alla maturità, dal desiderio di possesso alla volontà di fare la cosa giusta e il bisogno di lasciare andare la persona amata per il suo bene, per permettere ad essa di compiere il suo destino.

Oggi, altro non sappiamo di quella canzone se non il titolo.

Ner cyare, ner re.

Amore mio, vita mia.

Tutto ciò che sappiamo è che la duchessa e il padawan, ad un certo punto, cessarono di comporre. Compiuta la loro fatica, decisero di tornare a dormire con il cuore pesante. 

Stando alle memorie della duchessa, quella sera, coperta la tastiera del pianoforte e nascosta la composizione dentro una carpetta, il padawan le nascose la ciocca bionda dietro l’orecchio e le racchiuse il viso nel palmo della mano. Poi, intrecciando le dita, salirono le scale della biblioteca diretti verso l’ala ovest di Kryze Manor, dove erano situate le camere.

Percorsero il corridoio fino in fondo, superando la stanza di Maryam ed Athos, la camera del duca, la stanza degli ospiti di Qui Gon e la camera di Bo Katan, dove Obi Wan dormiva e la luce da notte illuminava ancora il poster degli Amici del Buio.

Superarono tutte le porte e si nascosero dentro la stanza della duchessa.

 

Quando Obi Wan aprì gli occhi, un vento freddo lo infastidì.

Si guardò attorno, cercando ciò che restava della sua veste da notte. Scorse le sue pantofole in un angolo e i pantaloni gettati per terra poco lontano, assieme alla biancheria di Satine.

Allungò il braccio verso il comò e raccolse i propri effetti personali mentre fissava con disappunto il lucernario aperto sopra la sua testa.

Satine non era più accanto a lui.

Gettò le gambe giù dal letto e si vestì con tutta l’intenzione di andare a prendere la duchessa e chiudere il lucernario.

Non era sicuro per lei. I cacciatori di taglie erano ancora in giro ed Inga Bauer non era ancora riuscita ad incarcerare tutti i fuggitivi.

Il carcere di massima sicurezza non era ancora pronto.

Sospirò, mentre saliva i gradini della scala di legno poggiata contro la finestra cercando di non fare alcun rumore.

Fuori faceva freddo. Il tetto era ghiacciato, ma nell’angolo vicino al comignolo, da cui usciva il calore della stufa, la neve era sciolta e si sentiva provenire un discreto tepore. 

Nella neve c’erano piccole impronte di piedi e il segno del trascinamento di una coperta.

La scorse là, appallottolata sotto le coperte e vicina al comignolo per tenersi calda, ferma, al buio, a guardare le stelle. 

Obi Wan sospirò ancora.

- Sai, lo facevo spesso.-

Sapeva che stava parlando con lui, ma lo stupì lo stesso il fatto che la duchessa potesse sentirlo, sapere della sua presenza pur senza vederlo o sentirlo nell’oscurità della notte.

- Ti sento camminare. Sei l’unico che potrebbe seguirmi quassù nel cuore della notte. Non lo sa nemmeno mio padre che ogni tanto vengo a guardare le stelle. Questo posto, poi, è ancora protetto. Nessuno oserebbe mai avvicinarsi adesso che la guerra è vinta e le Figlie dell’Aria sono la nostra forza prediletta.-

Obi Wan percorse il tetto innevato digrignando i denti per il freddo, e accolse di buon grado il lembo della coperta che Satine gli stava porgendo.

- Non so come fai a restare qua sopra. Fa davvero freddo. Ti prenderai un malanno.-

Satine fece spallucce.

- Vivo qua da tutta la vita. Soffro il freddo, ma lo conosco e non mi spaventa.-

Rimase a fissare le stelle ed Obi Wan seguì il suo sguardo, individuando immediatamente la stella che stava osservando.

Coruscant brillava sopra di loro, proprio al centro del cielo.

- Avevo appena saputo della profezia di Nebrod, di te e del mio Uomo delle Stelle. Salivo qua sopra e guardavo la galassia domandandomi dove fosse, quando sarebbe arrivato, quando sarebbe venuto a prendermi e a portarmi via. Guardavo su e vedevo Coruscant. Mai avrei pensato che il mio Uomo delle Stelle sarebbe davvero venuto da lì.-

E gli posò la testa sulla spalla. 

Obi Wan le passò un braccio attorno al corpo, non meno malinconico di lei.

Un tarlo nella sua testa lo aveva tormentato per giorni, retaggio delle antiche insicurezze in parte innate in lui, in parte apprese da mesi di difficoltà al Tempio Jedi.

Sapeva che, per mettere a tacere quel tarlo, sarebbe bastato un semplice gesto. Ogni sua indecisione sarebbe scomparsa in un secondo se Satine avesse fatto una semplice proposta.

Resta con me.

Sapeva che non sarebbe mai riuscito a dirle di no, se la ragazza glielo avesse chiesto. Se lei gli avesse proposto di restare, avrebbe lasciato tutto. 

Avrebbe protetto tutti i segreti di Mandalore assieme a lei.

Avrebbe coltivato la Forza a modo suo, lontano dai dettami del Tempio Jedi e del Consiglio.

Avrebbe accettato tutto ciò che sarebbe venuto.

Contro ogni buon senso.

Sì, contro ogni buon senso. In barba a tutte le belle riflessioni, alle visioni terribili, all’evidenza delle circostanze che gli imponevano di lasciarli indietro. 

Non sapeva dire di no alle preghiere di Satine.

Tuttavia, la duchessa non gli aveva ancora chiesto niente.

Perché?

Era sicuro che il pensiero le avesse attraversato la mente più di una volta. 

Deglutì mentre continuava a guardare Coruscant.

- Non ho più voglia di te di andare via.-

E pregò che tanto bastasse a farle capire, a farle intendere che se lei glielo avesse chiesto, lui sarebbe rimasto.

Se la fine verrà, la aspetteremo insieme. 

Andrò via con te.

Si dette dello stupido nel momento stesso in cui formulò quel pensiero. 

Lui non poteva. Il volere della Forza era un altro. 

Era convinto della sua scelta e della giustizia di quella decisione, e non sapeva spiegarsi la ragione per cui il silenzio della ragazza lo perseguitasse tanto. Probabilmente, era soltanto una parte del suo cuore e del suo cervello, ancorati saldamente al dubbio di non essere mai abbastanza, che continuavano a tormentarlo, insinuandogli il tarlo che, in verità, fosse Satine a non volerlo.

E se avesse soltanto giocato?

Si sentiva in malafede. Satine gli aveva messo il cuore in mano. Aveva violato le tradizioni della sua gente per lui. Aveva sacrificato i suoi ideali per salvargli la vita.

Accusarla di fingere era ingiusto.

Eppure era talmente confuso e tormentato da non riuscire a vedere chiaramente. Voleva una rassicurazione, qualcuno che gli dicesse che tutto stava andando come doveva andare e che il volere della Forza non avrebbe mai potuto cambiare il semplice fatto che loro due si amavano, e lo facevano onestamente.

La guardò mentre il sorriso le spariva dal volto.

- Io credo che in futuro salirò quassù, di notte, a guardare le stelle e a chiedermi dove sia il mio cavaliere senza macchia e senza paura. E credo che buona parte delle stelle che guarderò esisterà ancora grazie a lui.-

- Tu riponi troppa fiducia in me e nelle mie capacità.-

- Ci vuole qualcuno che ci creda per due, con la coscienza contorta che ti ritrovi.-

La abbracciò forte e rimase con lei a guardare le stelle. Il Suumpir Darasuum era stupendo di notte. Quando era ghiacciato, come in quel momento, era una distesa immensa di lastre bianche che brillavano come pietre preziose sotto i globi di Mandalore. 

Gli iceberg si stavano riassestando dopo la sceneggiata che aveva imbastito il demagolka e ancora si sentivano i suoi gorgoglii sotto la superficie dell’acqua.

Satine gli si fece più vicino.

- Tu credi nell’esistenza dei Molteplici?-

Obi Wan alzò un sopracciglio.

Il mito dei Molteplici era una storia che veniva raccontata ai padawan per insegnare loro che la realtà può essere relativa. Fondamentalmente, si trattava di una storia in cui un Sith cattivissimo scopriva che in un universo parallelo esisteva un suo alter ego, assolutamente uguale a lui, che però era un Jedi. 

La morale è che non importa chi sei: a parità di personalità, sono le scelte che si fanno e gli accidenti capitati nella vita di ciascuno di noi a renderci quelli che siamo. 

- Da un certo punto di vista, sì.-

- Il punto di vista del siamo ciò che scegliamo eccetera eccetera?-

- Sarebbe un problema?-

- No, sono d’accordo con te.- gli rispose, accoccolandosi meglio nell’incavo della sua spalla.- Sapevi che qualcuno ha provato a dare forma alla teoria del Molteplici? C’è chi crede, ad esempio, che i buchi neri siano portali su altre dimensioni, universi paralleli, per intenderci. Qualcuno sta cercando di dimostrarlo scientificamente, ma al momento non ci sono materiali né strumenti forti a sufficienza da poter uscire indenni dalla forza di un buco nero.- 

- E tu ci credi?-

- Non lo so. Certo, mi piacerebbe sapere che da qualche parte nell’universo c’è un’altra me che ha avuto la possibilità di fare una vita diversa accanto ad un altro te.-

- Magari in un universo parallelo sei una della Ronda della Morte.-

- Ti prego, non dirlo ai miei oppositori. Mi manca solo un’altra guerra, e magari di doverla combattere contro la leader dell’opposizione, cioè me stessa.-

- Satine Kryze contro Satine Kryze. Cavolo, sarebbe una battaglia epica!-

Satine gli lanciò un’occhiata di biasimo e Obi Wan fece spallucce, sorridendo.

- Magari non ci sarebbe nessun combattimento. Immagina un universo parallelo in cui i Mando non hanno mai fatto nessuna guerra. Immagina se vi foste dati alla pastorizia. A quel punto non ci sarebbe alcun astio verso i Jedi e le cose sarebbero più semplici.-

Satine sembrò ponderare un attimo quelle parole.

- Obi Wan, sarò sincera con te. Non sono certa che il mio popolo sia pronto a digerire la pace coi Jedi. Ho dato un segnale, ma quanto ho fatto è valso più come un simbolo di vicinanza verso la Repubblica che come una vera e propria riconciliazione con voi. L’hai visto. Non vedono l’ora che ve ne andiate. Temo che, tra tutte le mie missioni, io abbia fallito quella che, forse, era la più importante per me stessa.-

Il padawan la strinse più forte mentre un vento gelido si sollevava da nord.

Non riusciva proprio a capire che cosa ci fosse di tanto difficile da comprendere. Galidraan era stata una trappola, una di quelle che aveva spinto il buon vecchio Dooku tra le braccia del lato oscuro. Non c’era stato nulla di intenzionale da parte dei Jedi, che si erano mossi sulla base di informazioni false che erano state loro fornite.

No, beh, ecco, siamo sinceri, magari avrebbero potuto fare uno sforzo in più per verificarle, quelle informazioni, però non si poteva proprio addossare tutta la colpa all’Ordine - che di colpe ne aveva, ma tant’è.  

La dinamica di quanto accaduto su Galidraan era stata resa nota, i colpevoli arrestati, i Jedi avevano fatto ammenda per l’errore commesso.

Certo, per chi ha perduto una persona cara non c’è ammenda che tenga.

La politica però non è emozione. Non è sentimento. La politica è calcolo. Fare politica e diplomazia significa anche avere il coraggio di fare delle scelte impopolari e scendere a compromessi.

Perché non si voleva proprio accettare un compromesso con i Jedi?

- In tutta onestà, Satine, non riesco proprio a capire che cosa avremmo dovuto fare di più.-

La voce della duchessa, però, si fece fredda.

- Magari controllare le informazioni prima di agire. C’è gente che è morta, Obi Wan. La mia gente.-

- Ne sono consapevole. Non sto giustificando Galidraan. E’ stato un grandissimo abbaglio. Una volta compreso l’errore, però, non riesco a capire perché non si voglia muovere da lì per ricostruire. Non parlo di sentimenti, ma di diplomazia. Sarò sincero, a volte ho la sensazione che la tua gente non voglia la pace tra i nostri popoli, anche qualora fosse tecnicamente possibile.-

E che gli avrebbe dovuto rispondere? Aveva ragione. Aveva maledettamente ragione. I Mando volevano vivere in pace, ma tra di loro, senza influenze esterne. Venivano a compromessi fintantoché si parlava di economia, ma il resto… Beh, o sei Mando o ci diventi. Non c’è spazio per troppe differenze. Vivere su Mandalore e dichiararsi fedeli alla Repubblica vivendo con i loro costumi corrotti? Volendo, uno poteva anche farlo, con la consapevolezza che si sarebbe attirato le antipatie di tutta la comunità.

Non importava da dove uno veniva. L’importante era giurare. Anche la gente di Igmur aveva giurato sul Resol’nare

Essere Mando e seguire il Codice dei Jedi era impossibile due volte, partendo da questo ragionamento.

- Non c’è soltanto Galidraan, Ben. C’è stata anche la Ani’la Akaan.-

- La Battaglia Finale? Quella tra i Nuovi Crociati e i Jedi? Satine, è stata secoli fa!-

- Lo so. Lo so io. Proprio perché è secolare, però, quel tipo di odio è troppo difficile da estirpare. Paghiamo la poca volontà di fare diplomazia dell’epoca ed il nostro conservatorismo. Da una parte è ciò che ci ha salvato, ciò che ci ha dato un’identità. Dall’altra è la nostra condanna. Quanto avvenuto su Malachor è storia vecchia di secoli, ma noi l’abbiamo assorbita incrementando il senso di rabbia per l’affronto subìto, e cancellare secoli di odio può essere un’impresa che nemmeno Satine Kryze la Luce di Mandalore è capace di compiere.- 

Obi Wan alzò un sopracciglio.

- Abbiamo combattuto onestamente.-

- Un utilizzatore della Forza contro un essere umano? Andiamo, Ben. Sai anche tu che la vittoria è scontata. Per quanto l’Ordine possa aver combattuto onestamente, ciò non toglie che la percezione dei Mando è stata quella di essere stati sconfitti scorrettamente utilizzando trucchi di magia.-

Entrambi i ragazzi si sentivano intrappolati in una discussione senza uscita. Come erano finiti a discutere di queste cose? Satine non voleva dare l’impressione di star attaccando Obi Wan e la sua gente, e men che meno voleva farlo il giovane padawan. 

E fu in quel momento che la consapevolezza sedimentò nei loro cuori e nei loro cervelli.

Non era possibile. Non poteva essere. La loro storia non poteva andare avanti perché era difficile persino parlare di quegli argomenti senza discutere. Obi Wan e Satine, con molta calma, sarebbero anche riusciti a parlarne senza tirarsi le sedie, ma gli altri…

Il padawan si irrigidì e si assestò meglio dentro la coperta.

- Tu pensi questo?-

Satine sgranò gli occhi.

- Io? Ma come ti viene in mente?-

- Non so che cosa pensare. Sembra quasi che tu ti sia arresa.-

Si sentì punta sul vivo. 

Arresa?

Arrendersi, lei?

- Sì, mi sono arresa.- commentò, una punta di acidità nella voce.- Mi sono arresa a non capirti mai. Ho capitolato al volere della Forza, a seguire strade che per me sono impossibili da comprendere, ma che, lo percepisco, hanno un senso logico. Voglio cambiare questo mondo, Ben. Voglio che sfrutti al massimo le proprie potenzialità pur senza perdere la sua identità. Questo sistema avrebbe soltanto da guadagnare con l’avvicinarsi ai Jedi, ma non posso cambiare una mentalità vecchia di secoli in pochi giorni.-

Per te lo farei.

Se solo tu volessi restare, ma tu non vuoi, e in parte non puoi.

- Io correrei il rischio.- ammise col cuore in gola.- Non mi importerebbe un accidente di quello che pensa la gente. Riuscirei, ne sono convinta, a fare qualcosa di impossibile. In fondo non è nient’altro che l’ennesimo piano alla Kryze, e posso prometterti che un giorno riuscirò a portarlo a casa, il risultato. Questo, però, non c’entra niente con la situazione contingente. Il punto è che tu domani te ne andrai non perché noi non vi vogliamo, ma perché è giusto così.-

Perché è questo il punto, vero?

Stai cercando un motivo per capire perché te ne devi andare.

Perché io non ti chiederò di restare.

- Perché ci sono ragioni, Ben, che io ho accettato di non capire. Ci sono cose che non so. Cose che forse tu sai. Del resto, la visione era tua, non mia, e in tutto questo tempo non me l’hai mai raccontata. Almeno, non tutta. Lo rispetto.- gli disse, fermandolo con un dito sulle labbra.- E lo accetto. So che appartieni alla Forza. Quindi sì, mi sono arresa. Sono una Mando e mi sono arresa alla Forza. Se non lo avessi fatto, non mi sarei arresa a te il primo giorno che ti ho incontrato, per quanto il mio ego cerchi di dirmi che non te l’ho data vinta proprio subito.-

Riuscì a strappargli un sorriso e una stretta calda. Satine infilò il naso nel suo collo, annusando il suo odore forse per l’ultima volta. 

Voleva imprimerselo bene nella mente, per ricordarlo fino alla fine del suo tempo.

Lo sentì sospirare ed accoccolarsi meglio sul suo viso.

- Io non voglio mentirti, Sat’ika. Non voglio nemmeno ferirti. Hai ragione tu. Andare è la cosa giusta. Non voglio metterti in pericolo, né col tuo popolo, né con altre forze che ancora non conosciamo. Perché non voglio che tu ti arrenda un’altra volta, capisci? Se lo farai ancora, non so come andrà. Non voglio proprio saperlo.- 

Satine ebbe la netta sensazione che Obi Wan volesse dirle qualcosa di importante, ma non seppe interpretare che cosa. 

Certo era che, stando così le cose, non c’era più nient’altro da dire.

Restarono abbracciati sotto le coperte sul tetto, fin quando il vento freddo che preannunciava l’alba li sfrattò da sotto al comignolo. Discesero per mano dentro la camera passando dal lucernario aperto e rimossero la scala. 

E dopo le parole, rimasero solo i fatti. Sarebbe stata l’ultima volta, l’ultimo loro incontro, e avrebbe dovuto essere memorabile. Ciò che prevalse, dunque, sul destino, sulla Forza, furono quelle poche ore rubate assieme, in cui fecero in modo di imparare e di imprimere nelle loro menti ogni singolo centimetro di pelle dell’altro.  

 

***

 

VOCABOLARIO MANDO’A

 

Ner cyare, ner re: lett. amore mio, vita mia 

 

NOTE DELL’AUTORE: Capitoli rimasti: due. Epilogo incluso.

La musica è eterna. I poemi epici più importanti sono stati composti originariamente con un accompagnamento musicale, probabilmente improvvisato, certamente perduto. Le parole, però, sono rimaste.

L’epopea di della Duchessa e del padawan meritava uno strumento che la tramandasse, nell’universo di Star Wars, per sempre.

Il gruppo Amici del Buio è completamente inventato, e no, non è un riferimento alla Cantina Band. Preferisco immaginarmi un complesso musicale molto dark e oscuro - buio, appunto - con un’impronta chiaramente militare. Pochi ma buoni, un manipolo di soldati capace può più di un esercito.

Mi sembrava un concetto molto Mando.

Il mito dei Molteplici è ispirato ad alcune teorie - che di dimostrato non hanno granché - sui buchi neri. Più prosaicamente, invece, ha preso ispirazione dalla scena de L’Ascesa di Skywalker, con la doppia Rey, luce contro buio.

Non denigro l’ultima trilogia, ma nemmeno mi fa impazzire. Qualcosa di buono c’è. Una è la scena di Dark Rey. 

Alla prossima settimana, il penultimo appuntamento prima che Molly la Talpa torni nella sua tana.

Saluti,

 

Molly.

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Capitolo 70
*** 60- L'Uomo delle Stelle, pt. 3 ***


CAPITOLO 60

L’Uomo delle Stelle, terza parte

 

Avevano sonnecchiato per un’oretta. 

Erano stati svegliati dal suono del campanello e da Maryam che armeggiava con la porta. 

Satine si era avvolta in un lenzuolo e si era affacciata alla finestra per controllare chi fosse.

- E’ Inga. Deve essere passata per salutarvi.-

In effetti, la governante aveva fatto le scale con il suo solito passo felpato degno di un bantha per andare a bussare ad una porta che, però, non era quella di Obi Wan né quella di Satine.

- E’ per Qui Gon.- borbottò la ragazza, avvicinandosi al padawan.- Evidentemente, vuole salutarlo.-

E anche loro si sarebbero salutati, di lì a poco. 

La loro decisione era granitica. Niente lacrime. 

Satine era stata irremovibile.

- Questo è un bel giorno. E’ il giorno in cui io ricostruirò Mandalore e in cui tu tornerai tra le stelle a fare del bene. Non è un giorno triste. Niente lacrime?-

- Niente lacrime.-

Obi Wan non le aveva detto niente, e nemmeno Qui Gon. Satine non era sciocca e sospettava che il ritorno al Tempio non sarebbe stato semplice, ma non sapeva nulla del tremendo test che aspettava il giovane padawan. 

Se lo avesse saputo, sarebbe intervenuta. Avrebbe protestato. Avrebbe fatto di tutto per tenerlo lì con lei ed evitargli il dolore di quella prova. 

O forse avrebbe cercato di fargli digerire l’evento come solo lei sapeva fare.

Certo era che la duchessa aveva fin troppi pensieri senza doverne aggiungere anche altri sul suo futuro.

Così, Obi Wan aveva taciuto, per il bene di tutti, e forse anche per il proprio.

Quando scesero per colazione, Kryze Manor era in fermento. Athos era già nella camera del duca per fargli il bagno e prepararlo per la partenza. Maryam stava già spadellando in cucina e Qui Gon ed Inga stavano chiacchierando sottovoce vicino al tavolo nel salone.

C’era della malinconia in quella stanza. Qui Gon era sempre Qui Gon, consapevole di sé e di quale fosse la sua strada, ed Inga fingeva di essere come lui, riuscendoci piuttosto bene. 

Se mai c’era stato un gioco, però, questo era sfuggito di mano alla buona vecchia Inga fin dall’inizio. Satine ed Obi Wan provarono a lasciare loro spazio, ma la generale li individuò e tagliò corto.

Prima di essere chiamati, il padawan potè percepire l’ultimo sussurro della donna rivolto al maestro:

- Le porte di Eyaytir saranno sempre aperte per te.-

Chiuse gli occhi, chiedendosi se non fosse l’unico a dover dimenticare qualcuno alla fine di quell’avventura.

- Ragazzi, ben svegliati.-

Satine fu la prima a farsi avanti e a pretendere che nulla fosse successo e che nulla dovesse accadere.

- Inga, qual buon vento?-

- Per il momento, nessuno. Ho solo delle piccole novità che ti riferirò più tardi. Sono solo passata a salutare. I nostri eroi partono oggi, giusto?-

- Sì, giusto.-

Inga si avvicinò ad Obi Wan e gli posò una mano su una spalla.

- Figliolo, che tu ci creda o no, è stato un piacere conoscerti.-

Il ragazzo fece un bel sorriso. Apprezzava Inga. Era tosta e agguerrita, e si comportava come qualsiasi altro militare, ma era buona. Gli piaceva.

- Ci credo, e che voi ci crediate o no, è stato un piacere anche per me, generale Bauer.-

Inga tirò un angolo della bocca in un sorriso che però esprimeva poca gioia. Poi, seguì il trio a tavola, dove avrebbe fatto colazione con loro.

- Verrai con noi, Inga?-

- No.- rispose secca.- Resterò qua. Ho delle cose da discutere ed altre da verificare. Spero che non ve la prendiate a male.-

E nessuno infatti la prese male. Anzi, al contrario, compresero le ragioni per cui non se la sentiva di arrivare fino alla navicella, guardarli mentre le voltavano le spalle e volavano via verso l’ignoto.

Era la stessa ragione per cui, se Satine avesse potuto, sarebbe rimasta a casa con lei.

 

Inga non sarebbe stata l’unica a non lasciare Kryze Manor quel giorno. 

Il duca era stanco e provato. Non sarebbe stato giusto muoverlo da casa per così poco e soprattutto per un momento di commiato. Sarebbe avvenuto in casa, nelle sue stanze, al sicuro e in assoluto, completo relax.

Kyla tuttavia aveva chiesto che Athos lo preparasse per bene. Ci teneva ad essere presentabile. Come amava ripetere sempre, un essere umano dotato di dignità va al patibolo con l’abito della domenica.

Così lo trovò Obi Wan, assiso sulla sua poltrona con l’abito migliore, verde scuro e ricamato del colore dei suoi occhi, con la spilla di sua moglie appuntata saldamente sotto la gola e il cravattino bianco annodato comodo. Teneva le mani sottili ed ossute intrecciate sulla copertina di tweed, sotto la quale spuntavano solo un paio di ciabatte scure.

Quando lo vide gli fece un bel sorriso e tese le mani verso di lui.

- Vieni, ragazzo. Dammi un abbraccio.-

Obi Wan trotterellò vicino a lui e poi obbedì alla richiesta, lasciando che il duca gli lasciasse un paio di sonore pacche sulla schiena.

- E’ stato bello conoscerti, figliolo. Sono fiero di te.-

- Il piacere è tutto mio, duca.-

Kyla continuò a sfregargli la schiena anche una volta sciolto l’abbraccio.

- Perdonami se non vengo, ma la verità è che sono un povero vecchio. Ho qualche parametro fuori posto stamattina. E’ meglio se non mi muovo.-

- Non c’è problema. Restate qua e riguardatevi. Vostra figlia ha bisogno di voi.-

- Nebrod solo sa quanto ne abbia davvero bisogno, ragazzo. Il problema, però, è che temo di averne più d’uno, di figli.-

- Davvero?-

Guardò il duca annuire, lo sguardo serio e una patina lucida sulle iridi.

- Sì, una fa la duchessa di un sistema complicatissimo, l’altro studia da Jedi su Coruscant. Non è facile pensare a tutti e due.-

Obi Wan si sentì stringere la gola e guardò il duca con occhi riconoscenti. Sperò che un altro abbraccio andasse bene, e a giudicare dalla reazione del duca, fu ben accolto. 

Che cos’altro c’era da dire? Nulla. Sperò che fosse chiaro che gli voleva bene anche lui e che non si sarebbe mai dimenticato del Duca Buono di Mandalore.

- Fammi un favore, figliolo, vuoi?-

- Quello che volete, duca.-

- Quando mediti, o preghi, come lo chiami, ricordati un poco di questo povero vecchio qua su Mandalore, va bene?-

- Ve lo prometto.-

Rimasero a chiacchierare finché Athos non arrivò con una ciotola fumante piena di cibo frullato. 

- Ah, è arrivata la mia sbobba mattutina. Vuoi favorire, figliolo?-

- Ho già mangiato, grazie.-

Il duca gli strizzò l’occhio.

- Se non fosse la mia unica fonte di sostentamento, lo direi anche io. Ho già mangiato, grazie.- disse, scacciando Athos che se la rideva sotto i baffi.

 

Maryam era sparita dalla circolazione. 

Gli ci volle un po’ a trovarla. Prima guardò in cucina e non la trovò. Poi cercò nelle stanze, convinto che fosse andata a rifare i letti. Niente. A quel punto uscì in giardino e la cercò nelle scuderie. 

Accanto alle stalle e alla legnaia c’era una casupola di legno dove zampettavano dei conigli e un gallo beccava il becchime per terra. Dall’interno provenne un sonoro coccodè e quella che pareva una poderosa soffiata di naso.

Obi Wan alzò un sopracciglio confuso ed entrò.

- Si può?-

- Vieni caro. Oggi uova per pranzo.-

Maryam gli dava le spalle seduta sulle ginocchia, il corpo rubicondo avvolto in un grembiule bianco più grosso di lei. Chissà da quanto tempo era lì, eppure le uova erano ancora tutte dentro i nidi delle galline, che sembravano infastidite dalla sua presenza e sedevano costantemente sui loro preziosi ovini bianchi.

Obi Wan si avvicinò.

- Ce n’è uno lì.- disse, e ne raccolse uno rimasto incustodito per metterlo nel cesto della governante. 

- Grazie, ragazzo.-

La donna sembrava non volerlo proprio guardare in faccia, ed Obi Wan ne rispettò la scelta. Gattonò fuori dal pollaio per lasciarla sola, quando si sentì trattenere per una caviglia.

Si voltò a guardarla e scoprì che tirava su col naso copiosamente.

- Ma devi proprio andare? Dovete proprio andare, tutti e due?-

Perché le cose non possono essere più facili?

- Purtroppo sì, Maryam. Mi dispiace, ma questa è la Via.-

Le aveva risposto volutamente alla maniera dei Mando, per evitare di tirare in causa la Forza e scoprire che anche Maryam, in verità, non capiva esattamente come gli altri. 

Non voleva ulteriori delusioni.

Maryam, però, parve essersi fermata alla prima parte della sua risposta, perché tese le braccia verso di lui e lo strinse come si stringe un peluche, forte forte sul cuore e con le mani nei capelli.

O forse, come si stringe un figlio.

Obi Wan non ci voleva pensare. Cercò di trovare pace nella Forza e chiuse gli occhi per meditare. 

Tutto ciò che sarebbe rimasto con lui quell’ultimo incontro con Maryam sarebbero stati l’odore pungente del pollaio e la presenza delle galline, nonché la sensazione di essere tra le braccia dell’unica persona che gli aveva fatto capire come ci si sentisse ad avere una mamma, anche se questa era in ginocchio tra i polli ed aveva le loro piume nei capelli.

 

Presero la navicella per mera comodità, per evitare di dover attraversare i boschi a piedi. Sorvolarono i campi incolti ed innevati e le colline di Kalevala, ammirando il Suumpir Darasuum dall’alto.

Potevano scorgere Eyaytir ergersi sui picchi rocciosi lontano da loro.

Athos guidava la navicella con destrezza, ma dentro l’abitacolo c’era silenzio assoluto. Satine sedeva sul sedile anteriore assieme a lui, mentre i due Jedi si erano accomodati nel retro, sul sedile del passeggero, dove Satine di solito viaggiava con qualcuno di scorta. 

Anche se quella era una circostanza difficile, avevano voluto riservare loro i posti d’onore. 

Il cielo era terso e il vento spazzava le nubi. La superficie del lago era cristallizzata in un blocco unico di ghiaccio. Sotto di esso, il demagolka doveva aver finalmente trovato requie.

Che cosa lo avesse disturbato quella volta, era un mistero che i due Jedi non avrebbero mai risolto.

Scorsero la nave della Repubblica mentre si apprestava ad atterrare. La propulsione dei motori e la pressione della discesa sparpagliò neve da tutte le parti in ampie onde, mettendo in mostra l’erba congelata. Videro i grossi supporti della nave affondare nel ghiaccio e l’abitacolo massiccio, grigio ed imponente, riposare sulle guarnizioni come un animale stanco. 

Anche Obi Wan si sentiva incredibilmente stanco, e non c’entrava niente il fatto che non aveva praticamente chiuso occhio per tutta la notte se non per fare brevi pisolini.

Lanciò un’occhiata al suo maestro, e per un momento gli parve perso a fissare un punto imprecisato sulla scogliera del lago.

Gli venne in mente che potesse star guardando Eyaytir e si sentì meglio.

La consapevolezza di non essere solo ad affrontare il distacco lo confortava. 

Qui Gon capirà. 

Insieme, come sempre.

Satine fissava il mondo davanti a sé, perdendocisi dentro. Non parlò mai, nonostante le occhiate inquisitorie di Athos. 

Era un brav’uomo, Athos. Aveva visto di tutto ed aveva sempre mantenuto un rigoroso riserbo sui segreti della sua famiglia. Mai una parola fuori posto, mai un commento inappropriato. Maryam era più aperta. Il duca era un furfante. Athos, in un certo senso, era più riservato.

Una dote ambita in un maggiordomo, e importante in un uomo che possa definirsi un gran signore.

Quando giunsero in prossimità del punto di arrivo, Athos spense il motore e permise a tutti di scendere dalla navicella. 

Gli ultimi metri li avrebbero fatti a piedi.

D’istinto, il ragazzo si guardò attorno. Mesi di guerra e di fuga lo avevano messo in un costante stato di allerta. Era spontaneo, ormai, guardare in alto e tra gli alberi per individuare i segni dei cacciatori di taglie o di eventuali sarlacc. 

Con il senno di poi, quei mesi erano stati davvero una faticaccia. Avevano vissuto alla giornata, senza sapere che cosa il futuro avrebbe avuto in serbo per loro.

Detto così, sembrava persino romantico. La verità era stata molto diversa. C’era stato di tutto, ma non il romanticismo. Persino il loro ballo nel cielo, il momento più dolce che avessero mai condiviso, era stato tutto fuorché romantico. Era stato rimediato, con la musica creata - e stonata - dalle campanule canterine e servendosi di foglie e rami instabili come pavimento.

Eppure, era stato indimenticabile. 

Ogni singolo momento, era stato indimenticabile.  

Guardò la nave avvicinarsi come si guarda il giorno del giudizio che incombe.

Era la fine. Finita davvero.

Sospirò, seguendo il suo maestro passo passo. La sua presenza nella Forza era confortante.

Gli lanciò un’occhiata, sperando che capisse.

Tutto bene, Obi Wan?

Sì.

Se vuoi cambiare idea, questo è il momento di farlo.

Il ragazzo sospirò di nuovo.

No. E’ la cosa giusta da fare.

Il maestro, in completo silenzio, gli mise una mano sulla spalla.

Sono fiero di te, figliolo. E sono con te.

Grazie, maestro.

Prima che potessero salire la rampa, però, Athos li fermò entrambi e li salutò personalmente. Disse loro che ci teneva, e scambiò dei cenni di amicizia con entrambi. 

Per ultimo, si rivolse ad Obi Wan.

- Figliolo, mi raccomando, datti da fare. Sei bravo. Voglio sentire parlare di te in futuro.-

- Spero di riuscire ad accontentarvi, tutti quanti.-

- Ne sono sicuro. E torna a trovarci. Il duca apprezza molto la tua compagnia e francamente anche io. Non è male avere un uomo in giro, quando sei sommerso da donne.-

Il padawan abbozzò un sorriso e lasciò che il maggiordomo gli scompigliasse i capelli.

- A proposito di donne, devo dirti da parte di Maryam che devi mangiare. Nel caso in cui tu te ne dimenticassi. Scherzi a parte, dice che sei patito e che se non mangi adeguatamente viene al Tempio Jedi a dire a quei pelandroni di nutrirti come si deve.-

- E’ sempre così?-

- Maryam? Sì. Se non mangi, o stai male, o sei moribondo. Saltare il pasto non esiste!-

I due Jedi si avvicinarono alla rampa e si voltarono di nuovo a guardare i loro compagni di viaggio. 

Athos aveva fatto un passo indietro per lasciare spazio a Satine, in piedi davanti a loro, con un bel sorriso dolente sul viso e le braccia tese verso Qui Gon.

- E’ stato un onore e un piacere, maestro.-

L’abbracciò stretto, la testa bionda che sfiorava appena le spalle. 

Il maestro ricambiò l’abbraccio con calore. Non aveva scherzato quando aveva affermato che la sua missione - cioè la duchessa - gli piaceva. Era convinto che fosse una giovane ragazza straordinaria e piena di talento, di cui avrebbe sentito raccontare meraviglie. Aveva in programma, se la Forza glielo avesse concesso, di tornare a trovarla, rivedere Mandalore costruita come lei l’aveva pensata. 

Era certo che sarebbe stata bellissima.

E poi, aveva una generale da rivedere. Lo aveva promesso e aveva tutta l’intenzione di onorare quel voto.

- Il piacere è stato tutto mio, Satine, credetemi. Siete una giovane donna meravigliosa. Non vedo l’ora di vedere i risultati del vostro impegno. Per qualunque difficoltà, sentitevi libera di contattare di nuovo il Consiglio Jedi, e me personalmente. Sarò sempre a vostra disposizione. Consideriamola una pietra per la pace tra Jedi e Mando.-

- Che la Forza sia con voi.-

- Sempre. Questa è la Via.-

Si strinsero la mano alla maniera dei Mando e il maestro risalì la rampa, lasciando indietro Obi Wan.

Hai un minuto, figliolo. Salutala ed andiamo.

 

I due ragazzi fecero un passo avanti, l’uno verso l’altra. Incredibile come i cerchi sapessero chiudersi sempre. L’aveva conosciuta nel mezzo ad una tempesta di neve su Kalevala, e su una Kalevala innevata la stava lasciando, più bella e più matura, più speciale di quando l’aveva incontrata. Eppure era sempre la stessa, con gli occhi di zaffiro e il resto di lei scolpito nel ghiaccio. 

Questa volta, però, invece del freddo e dell’ipotermia, c’erano i suoi abiti invernali da duchessa e la corona formale a dargli l’addio. 

- Mi mancherai molto.- le disse, tendendo le mani in avanti e prendendo le sue.

- Anche tu. Stai bene, mi raccomando. Prenditi cura di te.-

- Lo farò. Cerca di farlo anche tu.-

Entrambi sporsero la testa l’uno verso l’altra, le fronti che si toccavano nel freddo di quella splendida giornata d’inverno. 

In un tempo che sembrava anni luce, Satine gli aveva insegnato che quello era l’unico, vero bacio tra Mando.

Poi, la duchessa interruppe il silenzio.

- Vorrei che tu tenessi questo.-

Obi Wan la guardò mentre si sfilava una catenina dal collo. Aveva un ciondolo di un materiale azzurro luccicante che il padawan riconobbe subito.

- Non posso accettarlo, Satine. Questo è…-

- Lo so. Questo è un gioiello della mia famiglia, uno di quelli regali, fatti coi cristalli della Luce. Quando i Makyntire lo hanno rubato, quando ero bambina, lo hanno rotto nella fuga. Vorrei che tu tenessi questo pezzo. Io ho l’altra metà.-

E gli mise il ciondolo in mano, chiudendogli le dita con le sue.

Obi Wan non sapeva che cosa dire.

- E’ un dono importante che non merito.-

- E’ un dono che voglio farti. Lascia decidere a me se lo meriti o no. Almeno avrai qualcosa che ti ricorderà i bei momenti passati in questo posto.-

Avrebbe tanto voluto dirle che non gli serviva un amuleto per ricordarsi di lei, che l’avrebbe portata con sé per tutta la vita nonostante le avversità e la necessità di separarsi, ma scoprì di non avere le parole.

Meglio, le parole ce le aveva. Ce le aveva in una lingua che aveva tormentato le sue visioni per mesi e che aveva finito con il fare sua, una lingua che gli piaceva moltissimo e che nella sua semplicità sapeva essere molto più espressiva dello Standard.

La guardò dritto dritto nelle iridi blu, gli occhi che non avrebbe mai dimenticato.

- Ni kar’tayl gar darasuum.-

Satine sorrise, un velo di lacrime lucide negli occhi.

Aveva promesso. Non avrebbe pianto.

- Ni kar’tayl gar darasuum, Ben. K’oyacyi.-

- K’oyacyi.-

Stringendo il gioiello tra le dita, il giovane padawan mosse qualche passo all’indietro prima di voltarsi definitivamente a fissare la rampa. 

- Sii felice!- la sentì dire mentre risaliva lentamente, come se il portello non finisse mai.

- Anche tu!- commentò, voltandosi un’ultima volta verso di lei.- Prenditi cura di te. Athos…-

- Sarà fatto.-

- Grazie.-

E con un ultimo cenno del capo sparì su per la rampa.

 

Quando il portello si richiuse, i motori si accesero e un forte rombo pervase l’aria, spaventando gli animali che erano sfuggiti al letargo. Il rombo dei motori fece vibrare la terra e sotto il ghiaccio del lago una creatura protestò con un mugugno. Poi, le eliche sollevarono uno scroscio di neve mentre spingevano la navicella verso l’alto, pronta per il decollo.

Satine ed Athos rimasero lì a fissare il grosso pachiderma di metallo che si librava sempre più alto nel cielo. Rimasero a sopportare il freddo ed il vento fino a che non divenne un puntino lontano nel blu e scomparve alla vista.

Satine era rimasta a fissare gli oblò nella speranza di vedere Obi Wan salutarla per l’ultima volta.

Grande fu il dolore quando non riuscì a vederlo. 

Convinta che ormai lui se la fosse lasciata alle spalle come centinaia di altre persone prima di lei, Satine non riuscì proprio a convincersi che fosse giusto. La ragione, in quel momento, era completamente offuscata dal bisogno del suo cuore di tenerlo vicino. 

Non c’era proprio nulla di giusto in quel finale.

Una parte di lei, però, sapeva che non poteva perdere tempo. Aveva sempre saputo che sarebbe finita così, per cui non valeva la pena piangere sul latte versato.

Rimase a fissare la navicella fino a che non scomparve, dunque, e solo a quel punto si permise di piangere un poco, con la mano di Athos ferma sulla sua spalla. 

Poi, il Ghiaccio Vivo chiese di essere riaccompagnata a Kryze Manor e che venissero preparate le valigie.

- E’ l’ora di supervisionare i lavori della costituente. Io e mio padre siamo attesi a Sundari.-

A poco valsero le rimostranze del maggiordomo, che avrebbe preferito farle prendere un periodo di riposo. Satine aveva bisogno di riempirsi la testa, occupare lo spazio e il tempo per non pensare al grande vuoto che la partenza del giovane padawan dagli occhi di bruma le aveva lasciato dentro.

Se solo avesse saputo la ragione per cui suddetto padawan non l’aveva salutata dall’oblò, forse avrebbe sofferto di meno, o forse di più, perché sì, quel finale era decisamente ingiusto.

 

Non appena il giovane padawan mise piede dentro la navicella e non appena il portello si fu richiuso, fu avvicinato da un paio di guardie del Tempio e preso in custodia. Fu portato in plancia e perquisito, sotto gli occhi attoniti del maestro. Gli furono tolti commlink, datapad, tutto ciò che era in sua dotazione e che gli avrebbe permesso di comunicare con l’esterno. Persino i suppellettili che aveva costruito su Mandalore durante la loro missione e ciò che aveva raccolto durante il loro viaggio fu portato via. Il ragazzo riuscì a mettere in salvo soltanto l’ultimo dono della duchessa, nascondendolo in una nicchia dietro il tubo del condensatore, accanto al portello d’imbarco. Attraverso la Forza, riuscì a comunicare il fatto a Qui Gon, che sgraffignò l’oggetto prima che qualcun altro potesse metterci le mani sopra.

Poi, il povero Obi Wan fu scortato nella stiva della navicella, dove avrebbe trascorso tutto il viaggio verso Coruscant.

A poco erano valse le rimostranze del maestro.

- Insomma, almeno fategliela salutare!-

- Ordini del Consiglio, non si può.-

- E perché mai dovrà restare lì da solo tutto il tempo? Avete paura che veda la duchessa tra le strisce dell’iperspazio?-

Ma non era seguita nessuna risposta.

Con grande sorpresa del maestro, Obi Wan prese quelle restrizioni con grande maturità. Si sedette per terra nella stiva e meditò per lungo tempo, in silenzio, sotto gli occhi vigili delle guardie che lo avrebbero scortato per tutto il tragitto e fin dentro la sala del Consiglio al Tempio di Coruscant.

L’unica concessione che gli venne permessa fu di trascorrere quel tempo con il maestro. 

Qui Gon, infatti, rimase nella stiva assieme a lui a meditare. In fondo, anche lui aveva una generale da dimenticare.

Se la duchessa avesse saputo, probabilmente avrebbe fatto un tal caos da venire presa in custodia pure lei, oppure Obi Wan avrebbe finito con il restare su Mandalore.

La duchessa, però, non sapeva e non avrebbe saputo per molto tempo.

I due ragazzi, infatti, non avevano idea che la Forza avesse in verità altri piani per loro e che si sarebbero incontrati ancora, molto tempo dopo. Quindici lunghi anni, per la precisione, quindici anni prima di tornare a rivivere le emozioni che furono. Un lungo tempo in cui molto è accaduto ed è servito a maturare decisioni che avrebbero segnato per sempre la storia di Mandalore e la storia dei Jedi.

Questo, però, è il futuro lontano.

Per il momento, la grande storia d’amore tra la nuova duchessa di Mandalore Satine Kryze e il giovane Jedi Obi Wan Kenobi finisce qui. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Fin.

Non mi dilungo in dettagli. Ritengo che sia già stato detto tra le righe di questo capitolo quanto doveva essere detto.

Ni’Ven, Dom Baren, Zeta e il Custode vi aspettano nell’epilogo per trarre le fila di questa - lunga - storia.

Sempre vostra,

 

Molly.

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Capitolo 71
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

Nel bel salone di pietra il silenzio si poteva tagliare con il coltello.

Il Custode rimase fermo a guardarli tutti, uno per uno: Ni’Ven persa nei suoi pensieri, Dom Baren con la bocca aperta e i dentini aguzzi scoperti per lo stupore, Zeta che ronzava mentre ricaricava le sue batterie al calore del fuoco con i pannelli geotermici sfoderati. 

Ci misero qualche secondo per comprendere che la storia era ormai giunta al termine. 

Dal canto suo, l’uomo sembrava perfettamente a suo agio nella bella poltrona su cui era seduto, gli abiti antichi e l’aria di uno che aveva la consapevolezza di aver fatto centro mentre allungava i piedi avvolti nelle pantofole verso il camino. 

Per rompere il ghiaccio, afferrò la bottiglia di liquore alla sua destra e ne versò ancora un po’ nei bicchieri dei suoi ospiti. 

Gli venne da ridere quando il droide, che si era asciugato per bene i circuiti seduto sulla soglia del caminetto, commentò:

- Questa storia non è nel mio database. Devo avere un problema con la scheda madre.-

- Ma no, Zeta cara, non hai nessun problema. In pochi conoscono questa storia. E’ qualcosa che la gente di qui tiene molto cara, ma non è diffusa. Noi Mando siamo molto gelosi delle nostre tradizioni, come sono certo avrete ormai compreso. Un po’ di liquore? Mi sembra che ne abbiate bisogno.-

Ni’Ven e Dom Baren accettarono volentieri il bicchiere di liquido ambrato.

La giovane spazioarcheologa era convinta di conoscere bene la storia del settore di Mandalore. Era convinta di sapere che cosa aveva guastato i rapporti con Phindar, il ruolo che Concord Dawn aveva avuto nella caduta della duchessa, le guerre di Mandalore e anche ciò che era avvenuto successivamente. 

Ni’Ven aveva studiato bene la storia della nascita del Concilio dei Sistemi Neutrali e sapeva chi era e che cosa aveva fatto Satine Kryze.

Almeno, aveva creduto di saperlo.

Ammesso e non concesso che la storia del Custode fosse vera.  

La duchessa di Mandalore, la pacifista, era un personaggio controverso, su cui era stato detto tutto e il contrario di tutto. La storiografia ufficiale era profondamente divisa: c’era chi l’aveva descritta come una donna opportunista, profondamente conservatrice ai limiti dell’autarchia, una politica spietata nascosta dietro la maschera dell’agnello fragile e indifeso. Altri, invece, l’avevano descritta come un’incompresa, una visionaria nata nel periodo sbagliato e nel sistema sbagliato. Anche in questo caso, però, si poteva sempre percepire una certa ambiguità nei suoi riguardi, quasi come se l’aura di mistero che circondava Mandalore e le sue tradizioni avesse influito sul giudizio della gente nei confronti della duchessa. 

Anche la storiografia, che dovrebbe essere una scienza e quindi assoluta come tutte le altre scienze, si era trovata a dover fare i conti con una marea di fonti contaminate.

- Vorrei fare una domanda, se non vi dispiace.-

Il Custode la invitò a proseguire.

- Ammesso e non concesso che questa storia sia vera, non capisco il motivo per cui desiderate che rimanga confinata dentro le mura di Mandalore, o di questo maniero. Chiarisce molti aspetti della vita della duchessa che ad oggi sono oscuri, se non del tutto travisati.-

L’uomo si passò una mano dentro i capelli rossi e si stiracchiò sulla poltrona prima di rispondere.

- La domanda è pertinente, mia cara. La verità è che è stata la stessa duchessa a volere che certi segreti restassero segreti. In un certo senso, è stato un bene. Mandalore è stato invaso, distrutto, saccheggiato, la sua gente si è sparpagliata per la galassia in una diaspora senza fine, eppure nessuno è mai riuscito a carpire i segreti più profondi di questo luogo e, di conseguenza, nessuno è mai riuscito a dominarlo. Ci hanno provato, senza successo. Se questo è stato possibile, è stato grazie alla lungimiranza di Satine Kryze.-

- Ma… Non capisco!- fece Dom Baren, sempre più stupito.- In questo modo, nessuno saprà mai chi è stata davvero Satine Kryze!-

L’aria all’interno del maniero si fece di piombo.

- E’ vero. Quale estremo sacrificio, per il bene di chi l’ha detronizzata ed infine uccisa. La verità è che Satine Kryze ha avuto molti nomi, ma nessuno è mai stato in grado di capirla a sufficienza da darle l’unico che si sarebbe meritata.-

Il gruppo guardò il Custode in silenzio.

- Vercopa. Speranza. E la speranza non muore mai. Cammina sulle spalle di chi viene dopo. E’ stato grazie a quella speranza che il nostro popolo è sopravvissuto fino a questo giorno. Anzi, meglio, è stato grazie alla scelta di credere in quella speranza che la duchessa per prima ha fornito a questo sistema.-

Ni’Ven aveva centinaia di domande. Non era sicura che avrebbe potuto chiedere tutto quello che le passava per la testa. Il Custode era stato chiaro: certi segreti sarebbero dovuti restar tali.

Eppure, quei dubbi non volevano proprio andarsene.

Se è così, perché sta raccontando tutto questo a noi, stranieri piovuti dal cielo?

Non potè fare a meno di pensare che già un altro era piovuto dal cielo, un Uomo delle Stelle che era stato messo a parte di tutti, ma proprio tutti i segreti di Mandalore.

E forse, dopo loro tre, era stato l’unico.

E anche lui se li era portati tutti nella tomba.

Ad interrompere il silenzio fu Dom Baren che, con malcelato entusiasmo, sussurrò sibilando tra i dentini di perla:

- Posso vedere il vestito del Terrore?-

Il Custode scoppiò a ridere.

- Ma certo, ragazzo! Venite, tutti voi. Seguitemi nella Sala dei Ritratti!-

Attraversarono di nuovo il corridoio buio, ma questa volta il Custode accese una serie di luci a led che illuminarono i quadri e l’ambiente circostanze, rendendo il luogo meno tetro.

All’improvviso, proprio vicino al quadro del duca Marmaduke, comparve la terrificante sagoma di una palla di pelo tenuta insieme da fili di corda, e un grosso paio di corna arcuate talmente lunghe da sovrastare l’intero completo.

- Ha portato sulle spalle quelle ossa? Saranno state più grandi di lei!-

- Erano effettivamente più grandi di lei. La fotografia è proprio lì.- 

Ni’ven rimase indietro con il Custode, mentre Dom Baren osservava tutto con occhi curiosi seguito da Zeta, che scattava fotografie.

Ne approfittò per fare alcune di quelle domande che proprio non volevano trovare risposta.

- Ero certo che, nel mio racconto, alcune cose sarebbero suonate strane ad una donna di scienza come voi. Non smentite l’impressione - eccellente, ci tengo a sottolinearlo - che mi avete fatto sin dall’inizio.- 

La nooriana abbozzò un sorriso.

- Mi lascia perplessa il comportamento dei sarlacc. Sappiamo da millenni di studi che il loro comportamento è un po’ diverso da quello che ci avete descritto.-

- Avete ragione. Il sarlacc, di norma, è un animale solitario, carnivoro, parzialmente vegetale, che raggiunge la maturità dopo migliaia di anni e solo a quel punto esplode in una miriade di spore. Per non parlare del fatto, poi, che adorano le zone aride. L’ultimo di cui si ha traccia, se non sbaglio, è proprio nel bel mezzo del deserto di Tatooine, giusto?-

Ni’Ven guardò il suo compare Mon Calamari aggirarsi per il corridoio a bocca aperta. 

- Ah, Tatooine.- continuò il Custode, seguendo piano piano i movimenti del suo ospite.- Un pianeta reso celebre da nomi eccellenti, che hanno fatto la storia della galassia: gli Skywalker, Obi Wan Kenobi…-

- Anche Jabba the Hut, purtroppo.- commentò l’archeologa, facendo spallucce.- E un Mando noto per il controllo sulla malavita del pianeta dopo il forfait degli Hut stessi.-

- Boba Fett.- fece il Custode, ciabattando dietro a un sovreccitato Dom Baren.- La duchessa non ne aveva molta stima. Dei Fett, dico.-

Ni’Ven alzò un sopracciglio.

- Satine Kryze ha conosciuto Boba Fett?-

- Non personalmente, no. Ha incontrato suo padre, Jango, solo una volta, dopo che il maestro Kenobi si fu palesato su Mandalore per avviare un’inchiesta su di lui a nome del Consiglio Jedi. Stimava le sue origini, ma non la sua scelta di vita. Non approvò nemmeno la scelta di cedere il proprio patrimonio genetico per la clonazione ai kaminoani, ma Satine Kryze era diversa dagli altri. Non perdonò Jango Fett, ma fece di tutto per evitare che altri Jango nascessero e crescessero su Mandalore.-

- In che senso?-

- La storia di Jango è triste. La causa della sua misera vita fu la guerra. Tra bande, tra estremisti, ma pur sempre una guerra. In quell’unico incontro che ebbero, la duchessa cercò di convincerlo che il mondo era cambiato. Il problema era che non era cambiato lui, e non aveva intenzione di farlo. Così, successe quello che successe. La clonazione, le armate, la guerra galattica. Certo è che Satine Kryze non si fece abbattere. Trattò i cloni come veri uomini, generati secondo natura. Condivise il rancio con loro. Insegnò loro parte della lingua e delle tradizioni mandaloriane. Non tutti videro le sue azioni di buon occhio. Sua sorella, ad esempio, non ritenne mai i cloni dei veri Mando. In questo, la duchessa incontrò l’aiuto e il sostegno del suo amato maestro Kenobi. Il Battaglione d’Assalto 212 l’ha sempre ricordata con gratitudine fino all’infimo Ordine 66.-

Accertato che Dom Baren e Zeta non avrebbero fatto danni, Ni’Ven e il Custode presero a passeggiare nella direzione opposta, verso la fine del corridoio. 

Gli ultimi ritratti appesi alle pareti prendevano vita sotto la luce dei led, e i flebili raggi fecero scintillare dei gioielli luccicanti chiusi in una teca in fondo al corridoio.

- Tornando ai nostri amici, come avete giustamente notato, mia cara amica, i nostri sarlacc si comportavano in un modo completamente diverso. Cacciavano in branco, comunicavano, amavano le zone acquose ed umide, si nutrivano di qualsiasi schifezza trovassero ed esplodevano molto presto. In verità, nessuno è mai riuscito a dare una risposta alla vostra domanda, Ni’Ven. La duchessa ci ha provato, ma non è approdata a niente di certo. Secondo quanto ha lasciato scritto, non si trattava di sarlacc puri.-

- Credeva che fossero ibridi?-

- Non esattamente. Era giunta alla conclusione che qualcosa, durante l’esplosione dell’ultimo sarlacc e l’assalto del duca Marmaduke, fosse andato storto. Le spore rimaste nelle profondità del pianeta avrebbero generato creature che, per sopravvivere, avrebbero mutato il loro comportamento e parte della loro biologia, adattandosi alle nuove condizioni di vita in un ambiente che, in fondo, era loro favorevole, ricco di sostanze nutritive e piccole prede. Per questo si sono riprodotti a dismisura, divenendo simbionti di altre specie che si sono adattate con i sarlacc fino a perdere le loro caratteristiche originarie. Che cosa erano, mi chiedete? Non si sa, e temo che non si saprà mai. Dopo la duchessa, nessuno ha mai più visto un sarlacc su questo sistema. Fortunatamente, aggiungerei.-

Ni’Ven alzò gli occhi sul ritratto del duca Marmaduke, distante da loro a sufficienza da oscurare parte del viso.

Con un sopracciglio inarcato, la nooriana si rivolse al Custode.

- Nel vostro racconto, voi avete insinuato che il Custode di questo posto fosse Marmaduke stesso. Secondo voi la sua presenza avrebbe addirittura spaventato il maestro Kenobi.-

L’uomo sorrise di sghimbescio, mettendo in mostra delle rughe di espressione attorno agli occhi brillanti per l’emozione.

- Pretendete che vi creda?-

- I Makyntire ci hanno creduto per anni.-

- E infatti quel fantasma era un falso bell’e buono.-

- Quel falso, per la precisione.- fece il Custode, indicando alle spalle della ragazza.

Un’armatura bella affumicata era racchiusa in una teca di vetro sormontata da una targa.

 

Il celebre Fantasma Cavalcante.

La prima creazione di Satine Kryze di Kalevala. 

 

Le venne da ridere.

- Non pretenderete davvero che io creda alla storia del fantasma che protegge il maniero!-

Il Custode la guardò, sornione.

- No, non lo pretendo. Certo è che molti signori di Mandalore sono scomparsi tra queste mura. Che fine abbiano fatto, non si sa. In fondo, questa è una storia di fede, mia cara Ni’Ven.- aggiunse, passeggiando lungo il corridoio.

- La fede è incerta per eccellenza: o si ha e si crede, o non si ha e non si crede. Voi siete libera di credere ciò che volete.-

- E voi, dunque, dovreste essere un fantasma a vostra volta. Magari, siete lo stesso Marmaduke. Ditemi, siete voi?-

L’uomo questa volta si mise a ridere di una bella risata limpida ed argentina, e all’improvviso l’archeologa ebbe la sensazione di averlo già visto da qualche parte. 

E dove? 

Piantala, ti stai facendo influenzare.

- Per carità! Non sono io, potete stare tranquilla. Io sono io, me medesimo e, lasciatemelo dire, tapino: pensate che vestirei in questo modo se fossi scomparso nel nulla con tutti i talleri di Marmaduke?-

Ni’Ven osservò Dom Baren che continuava ad aggirarsi eccitato in corridoio, tallonato da Zeta. Il droide era bislacco, ma sapeva fare bene il suo lavoro. Da quando le sue orecchie bioniche avevano compreso che c’erano dei dati a disposizione che la sua preziosa scheda madre non aveva ancora immagazzinato, aveva smesso di ciarlare e si era messa a raccogliere informazioni a raffica, ronzando come un nido di acari velenosi.

A proposito.

- Avete accennato alle memorie della duchessa.-

- Sì, esistono diversi manoscritti che Satine Kryze ha redatto di proprio pugno mentre era in vita e che sono stati conservati gelosamente nelle mura di questo maniero.-

- Di che genere?-

- Oh, abbiamo delle carte politiche che sono state digitalizzate. Ordini militari, all’epoca secretati, che la generale Vanya Bauer, secoli or sono, ha gentilmente condiviso con noi per tenere viva anche la memoria della zia Inga. Abbiamo gran parte della sua corrispondenza privata. Abbiamo anche l’epistolario segreto che la duchessa e il maestro hanno intrattenuto per lungo tempo. In prevalenza lettere d’amore. Non credo che vi interessi.-

Ni’Ven avrebbe tanto voluto dire che, al contrario, era ben curiosa di leggere quello scambio epistolare: la chiacchierata storia d’amore tra la duchessa di Mandalore e il maestro Jedi era rimasta poco più di una leggenda per migliaia di anni, e lei era casualmente capitata in un luogo che rappresentava una vera e propria miniera di informazioni.

E poi, avrebbe avuto l’occasione di sbugiardare il Custode, qualora tutte le informazioni che millantava si fossero rivelate false.

- Che c’è lì?-

Dom Baren si era avvicinato ad una porta in mezzo al corridoio, chiusa e sprangata, lucchetti che pendevano dalle catene vicino alla serratura.

Ni’Ven sobbalzò quando il Custode sbraitò:

- No, lì no!-

Nell’aria cadde il silenzio per una frazione di secondo.

Dom Baren aveva ritirato la mano di scatto, come se avesse toccato qualcosa di estremamente caldo. Zeta stava ancora computando le ultime informazioni che aveva accumulato e continuava a ronzare.

Ni’Ven se ne stava lì con gli occhi sgranati a fissare l’uomo che, apparentemente consapevole di aver fatto qualcosa di stupido, cercò di ricomporsi ed abbassò il tono.

- Ricordate le difficili fondamenta di Mandalore? Quelle potenzialmente letali? Ebbene, sono dietro quella porta.-

Nella sua voce, tuttavia, rimase un velato tono di minaccia.

- Vi prego di rispettare il mio comando e di non avvicinarvi, nemmeno con la luce del giorno, o in compagnia, o con delle attrezzature. In molti sono scesi là sotto. In molti non sono tornati. Siete forestieri. Non vorrei avervi sulla coscienza. Spero che comprenderete. Nessun rancore.-

Ni’Ven, però, non era sciocca.

Le fondamenta di un antico maniero possono essere davvero pericolose, soprattutto se non vengono manutenute da tempo, ma il Custode era stato fin troppo celere per essere credibile.

Che cosa nasconde quest’uomo?

Tuttavia, l’incertezza fu solo questione di un istante. Ben presto Dom Baren e Zeta ripresero a vagare per il corridoio e lasciarono Ni’Ven sola con i suoi dubbi.

E con il Custode, che stava facendo di tutto per sembrare perfettamente tranquillo.

- Stavamo dicendo? Oh, sì, le memorie della duchessa…-

- Satine Kryze è mai scesa là sotto?-

La domanda parve interdire il Custode, che si passò nervosamente una mano nei capelli.

- In che senso, mia cara?-

- Ha fatto ricerche su qualsiasi cosa, dubito fortemente che non abbia approfondito l’origine del maniero. E’ il tipo di sfida che sembra fatta al caso suo: unisce fede e scienza. Satine Kryze è mai scesa nelle fondamenta del maniero? E se lo ha fatto, ne ha lasciato traccia nelle sue memorie?-

Una saetta di consapevolezza balenò negli occhi del Custode.

- Siete intelligente, Ni’Ven, ed anche molto preparata. Vi dirò, nulla di specifico ci è giunto sulle fondamenta del maniero. Come vi ho detto, certi segreti devono rimanere segreti. Se mai le ha fatte, Satine Kryze si è portata i risultati delle sue ricerche nella tomba.-

- In fondo al Pozzo dei Giganti?-

- Esattamente.-

- E chi ce l’ha portata?-

Il Custode alzò lo sguardo ed indicò la parete dietro Ni’Ven.

- Lui.-

La ragazza osservò lo sguardo di bruma di Obi Wan Kenobi, perso nella fissità della tela.

- Glielo aveva promesso, del resto.-

Per la prima volta in tanti anni di vita, la giovane archeologa spense il cervello di fronte al ritratto del maestro Jedi e lasciò che la sua mente vagasse libera. 

Se solo fosse stata vera - e non era ancora detto che fosse vera - la storia d’amore tra Satine Kryze ed Obi Wan Kenobi! Era romantica al punto di richiamare le vecchie tragedie, scritte quando ancora esistevano i teatri e gli attori recitavano su un palco e non su uno schermo digitale. 

Una storia d’amore vecchio stile, che le sarebbe piaciuto vivere.

Magari, concludendola con un finale diverso.

Lo scintillio dei gioielli ducali catturò la sua attenzione e si mosse vero la teca chiusa a chiave. 

Il vetro era impolverato, ma mostrava ancora lo splendore del suo contenuto.

- Che belli. Sembrano brillare di luce propria.-

- Leggenda vuole che abbiano racchiuso il bagliore della Luce di Mandalore che risplende giù nelle profondità del pianeta.-

- A proposito!- disse, cercando lo sguardo del suo interlocutore.- Come mai i sarlacc temevano la luce?-

- La duchessa ha cercato di rispondere anche a questa domanda, ed è giunta alla conclusione che, essendosi adattati a vivere nelle viscere della terra, fossero diventati con il tempo fotosensibili ed avessero perso l’attitudine agli spazi luminosi così come avevano perso la simpatia per le zone desertiche. Poi, una volta raggiunto un numero insostenibile per il loro ecosistema sotterraneo, sarebbero risaliti in superficie alla ricerca di prede, invadendo il sistema. Naturalmente, questo non spiega molte cose, ad esempio per quale motivo la duchessa fosse il bersaglio preferito dei nostri letali amici e per quale motivo temessero la Luce di Mandalore, alla quale sarebbero dovuti essere abituati, considerato il loro habitat. Per chi ha fede - e solo per chi ha fede, suvvia, non storcete il naso, mia cara - essi sarebbero stati memori della terribile lezione impartita loro dal duca Marmaduke secoli prima della nascita della duchessa.-

Mentre Ni’Ven sogghignava sotto i baffi, il Custode estrasse dalla sua tunica un mazzo di chiavi così grande e pesante che, le venne da pensare, era già stato tanto se l’uomo non era caduto sotto il suo peso. 

Lo guardò mentre sceglieva cautamente una chiave e la inseriva nella toppa della teca.

La serratura schioccò e scattò. L’anta ruotò sui cardini, scricchiolando.

- Questo, mia cara - fece, mostrandole un ciondolo a forma di farfalla.- E’ il gioiello che la duchessa ha recato in dono al suo giovane amante al momento della sua partenza. E’ stato gentilmente riparato e restituito da un’antica Magistra in tempi remoti, durante il suo peregrinare per la galassia nel tentativo di sopravvivere all’Impero. Immagino che la conosciate. Si chiamava Jocasta Nu.-

La nooriana osservò affascinata la crepa orizzontale che recideva il ciondolo esattamente a metà, proprio come il Custode l’aveva descritto nel suo racconto.

Poi, il gioiello si sollevò nel palmo aperto dell’uomo e si illuminò di un’incantevole luce blu, così ipnotica da incantare sia Ni’Ven che Dom Baren e Zeta, sopraggiunti per ammirare la scena.

Il Custode sospirò, la Luce si spense e il ciondolo ricadde nel palmo aperto dell’uomo.

Il trio era atterrito.

- Quella era…-

- Sì, mia cara. Questa è la Luce di Mandalore. Cioè, lungi da me dichiararmi al pari di… Oh, beh, so fare qualche trucchetto. Del resto, corre nella mia famiglia da secoli. Tuttavia, questo è imbarazzante rispetto a quello che sapeva fare la duchessa. Come imbarazzante è stato, del resto, il trattamento che le hanno riservato. Tutti, nessuno escluso. Anche i suoi sostenitori.-

Ripose il gioiello con cautela dentro la teca e la richiuse, ossequioso. Poi, riposte le chiavi in tasca, si rivolse di nuovo ai suoi ospiti.

- Qua non c’è altro da vedere e l’ora è tarda. Se non vi dispiace, preferirei ricondurvi nel salone e poi alle vostre stanze. Immagino che avrete bisogno di riposo, se domattina, condizioni atmosferiche permettendo, vorrete riparare la vostra navicella.-

 

Il trio procedeva sulle scale a passo lento, mentre il sonno cominciava a prendere possesso di loro. 

Solo il Custode, nonostante avesse parlato per ore, sembrava fresco come un virgulto e disposto ad andare avanti a raccontare.

Dal canto suo, Ni’Ven era profondamente confusa.

Aveva ascoltato rapita - lei come gli altri, del resto - la splendida storia che l’uomo aveva loro raccontato. La sua mente analitica, però, non si era mai spenta. 

L’incongruenza sul comportamento dei sarlacc non era stato l’unico dettaglio poco convincente che aveva individuato, ed una parte di lei non si era mai arresa alla fede.

Quando il Custode aveva finito il suo racconto, Ni’Ven era stata del tutto certa che la sua missione fosse dimostrare che quella era soltanto una bella storia e basta.

Poi lo aveva visto accendere il cristallo blu nella sala dei ritratti, e tutte le sue certezze erano crollate generando un polverone di ulteriori domande.

Com’era stato possibile, infatti, che nessuno fosse mai venuto a conoscenza dell’esistenza di un simile potere? Com’era stato possibile che nessuno fosse mai venuto a sapere dei sarlacc?

Com’era stato possibile che una donna con così tanto potere e così tanti segreti fosse incappata nella terribile fine che aveva fatto?

C’erano molte altre domande, domande politiche, che Ni’Ven si era scoperta incapace di formulare.

Le implicazioni delle conseguenti risposte sarebbero state troppo grandi da digerire.

- Voi dormirete nella camera della duchessina Bo Katan, mio ceruleo amico.- commentò il Custode, battendo una mano sulla spalla di Dom Baren.

- La stessa in cui ha dormito il maestro Kenobi quando era un padawan?-

Il Custode gli sorrise, malizioso.

- Quella in cui avrebbe dovuto dormire, sì. Temo che abbia schiacciato ben pochi pisolini su questo letto. Ecco qua. Chiedo scusa per la polvere. Sono solo a tenere in piedi questo maniero, con eccezione della mia signora che, però, non ha poteri sovrannaturali e non riesce a fare tutto ciò che ci sarebbe da fare. E’ rimasto tutto uguale all’epoca in cui la duchessa regnava. Accomodatevi, prego.-

Ni’Ven osservò la piccola stanza ed ascoltò Dom Baren lanciare piccole grida di giubilo, oh guarda, c’è il dischetto con l’holofilm La luna nel Pozzo, e c’è anche Starlight! 

Poi, in un estremo tentativo di dimostrare che il Custode stava mentendo, non vista da nessuno, aprì il datapad e digitò poche semplici parole sul motore di ricerca.

Amici del Buio. Pochi ma buoni.

Il nome del gruppo musicale il cui poster era appeso al soffitto sopra il letto che, a detta del loro chaperon, sarebbe appartenuto a Bo Katan Kryze.

L’esito della ricerca, però, fu per lei desolante.

 

Gli Amici del Buio sono un gruppo di musica rock elettronica mandaloriano che ha raggiunto la fama internazionale nel 44 BBY con l’album Pochi ma Buoni, divenuto il simbolo della band, con brani come Siamo Mando e lo stesso Pochi ma Buoni, un inno alla resistenza contro le avversità della vita…

 

La ricerca si concludeva con l’ultimo lavoro del gruppo musicale.

 

L’ultimo album, I Grandi Successi, è stato rilasciato nel 31 BBY, ed è considerato il canto del cigno della band più famosa di Mandalore…

 

Ni’Ven si passò sconsolata una mano sugli occhi.

A regola, in base alle informazioni fornite dal Custode, nell’epoca di attività della band - e soprattutto all’epoca dell’uscita dell’album Pochi ma Buoni - la duchessa Satine avrebbe avuto circa sedici anni, mentre la duchessina Bo Katan all’incirca otto.

Che la stanza fosse stata sua, quindi, era più che plausibile.

Diamine.

- … Buon riposo, mio ceruleo amico, e buonanotte anche a voi, Zeta cara. Per ogni esigenza, non esitate a chiamarmi!-

- Dove vi trovo, per curios…-

- Oh, basterà fare un fischio in corridoio. Sarò nei paraggi.-

E con questo, il Custode chiuse la porta.

- Voi, invece, seguitemi. Vi ho lasciato la stanza più bella del maniero.-

La giovane nooriana se l’era quasi aspettato, che quel singolare uomo dall’aria familiare avrebbe tentato il colpo di teatro per convincerla della veridicità del suo racconto, tuttavia non si era di certo aspettata quello che, in quel momento, stava vedendo con i propri occhi.

La stanza era esattamente così come l’aveva immaginata. Tutto, persino i colori, erano vividi come la sua mente li aveva descritti. Pensò di star vivendo in una specie di allucinazione collettiva mentre osservava la finestra che dava sul Suumpir Darasuum, screziato dalle saette della tempesta, la chitarra classica riposta in una teca di vetro vecchia come il mondo, accanto all’armadio, e il letto ai piedi di una scala a pioli in legno che dava sul lucernario chiuso.

La stanza di Satine Kryze.

Si voltò a guardare confusa il Custode che, invece di uscire, si era chiuso la porta alle spalle e si era accomodato su una vecchia sedia impagliata.

La stessa su cui doveva essersi seduto il duca Kyla tanti anni prima, mentre conversava con sua figlia in quella stanza.

- Lo so, mia cara. Lo so.-

- Com’è possibile che…-

- Che devo dirvi, ragazza mia? Ho avuto il dono della favella. Posso garantirvi che tutto ciò che è qua dentro è originale, così come ve l’ho descritto nel mio racconto. Vi ho visto fare la vostra piccola ricerca. Se desiderate, posso fornirvi la discografia completa degli Amici del Buio. La duchessina Bo Katan aveva quasi tutti gli album, e la duchessa continuò la collezione, dopo che la sorella ebbe lasciato Kryze Manor, nella speranza che, un giorno, sarebbe tornata a casa. Una speranza che, purtroppo, non divenne mai realtà. Soltanto alla fine le due ebbero modo di riconciliarsi. La duchessina avrebbe portato con sé il senso di colpa di aver ucciso la sorella per tutta la vita.-

Ni’Ven accarezzò le coperte soffici e si sentì un’intrusa mentre si sedeva sul letto, lo stesso letto che era stato il nido d’amore della duchessa e del giovane padawan.

Il Custode, dal canto suo, non si mosse.

L’archeologa lo guardò perplessa.

- Ho le risposte, come sempre.- commentò quello, aprendo le braccia.- Le rispose a tutte le vostre domande. Quelle scomode. Quelle che so che avete, ma che non siete riuscita a fare. Questo è il momento di formularle. Sono a vostra disposizione.-

La nooriana deglutì, incerta.

Poi, non riuscì più a trattenersi. 

- So che il ruolo di Mand’alor, dopo la morte della duchessa, è stato assunto, seppur in modo travagliato, dalla sorella Bo Katan, che voi però avete descritto come la pecora nera della famiglia. Anche la storiografia ufficiale è ambigua su di lei. Se non sbaglio, la duchessa fu uccisa dalla Ronda della Morte, di cui fece parte proprio sua sorella, che però ha combattuto per anni in suo nome dopo la dipartita di Satine Kryze.-

Il Custode le sorrise.

- I miei complimenti, mia cara, siete preparata. Sì, alla morte della duchessa la giovane Bo Katan ne prese il posto. Questa, però, è un’altra storia, e molto lunga, anche. La Ronda della Morte di cui la povera ragazza faceva parte era ben lontana dall’essere la Ronda originaria. Di essa aveva preso soltanto il nome. Gli uomini e le donne che ne facevano parte erano guerrieri forti, di sicuro, ma strategicamente imbarazzanti. La duchessa Kryze li definì teppisti, e penso che mai termine fu più calzante di questo. Dopo averli trovati, se ne liberò in quattro e quattr’otto, decimando le loro fila. Soltanto pochi di loro riuscirono a fuggire alle spietate retate della duchessa, ma furono sufficienti per compiere l’errore madornale di portare un mostro su Mandalore. Un errore che molti di loro hanno pagato con la vita, incluso il loro leader, Pre Vizla.-

Ni’Ven sembrò persa e il Custode fece spallucce. 

- Questo è qualcosa che la storiografia ufficiale, come voi la definite, è restia a tramandare. Non stupitevi, dunque, se non sapete tutto questo. La Ronda originaria nacque dalle vecchie tradizioni dei Vizla, radicate su Concordia. La Ronda moderna nacque invece nella cittadella - carcere di Akaan. Persino i Vizla avevano rinunciato, all’epoca, a molte delle loro tradizioni più sanguinarie, una volta provato il nuovo stile di vita della duchessa. Cambiarono persino lo stemma, che passò da un tridente bianco ad un tralcio di rose. L’unica cosa che non persero mai fu l’ambizione, e per quella - e per imporre ciò che restava della loro visione - erano disposti a fare qualunque cosa.- 

- Per quale motivo la storiografia non vorrebbe tramandare un dato del genere? E’ del tutto irrilevante!-

- Davvero, mia cara?- fece il Custode, osservandola di sottecchi mentre restava immobile sulla sedia e Ni’Ven faticava a trovare una posizione comoda per star seduta su quel letto. - Avete ascoltato la mia storia. Sapete che c’erano interessi ulteriori, attorno a Mandalore. Interessi che qualcuno voleva che restassero segreti. Vi viene in mente niente?-

Eccome, se le veniva in mente.

- La Ronda della Morte, assieme a Larse Vizla, rispondeva a qualcuno all’esterno del sistema.-

- Esattamente.-

- Quel qualcuno è mai stato individuato?-

- Ovviamente, mia cara. Provate ad arrivarci. Chi ha scritto la storiografia ufficiale di Mandalore?-

- Gli studi su Mandalore sono stati prevalentemente condotti in età imperiale.-

- E chi ha scritto la monografia su cui, sono certo, anche voi avete studiato?-

- L’ammiraglio Tarkin.-

- E chi era l’ammiraglio Tarkin?-

Il braccio destro di Darth Vader.

E all’improvviso agli occhi di Ni’Ven fu tutto chiaro. 

- Sidious.-

- Avete fatto centro, mia cara. Sheev Palpatine fece con Mandalore la prova generale di ciò che avrebbe fatto in futuro con le Guerre dei Cloni. Si insediò in Senato e seminò discordia contro Mandalore, conducendo l’assemblea ad uno stallo mentre, sul pianeta, i sodali da lui profumatamente pagati facevano di tutto per consegnargli l’intero sistema.-

La nooriana sbatté le palpebre, sempre più perplessa.

- Ma perché? Per quale motivo fare una cosa del genere?-

- Oh, di motivi ne aveva, e più di uno. Era stato allievo di Darth Plagueis, un uomo che, per quanto maligno, era estremamente colto. Aveva sentito parlare della Luce di Mandalore. Grazie alla duchessa e al maestro Kenobi, che ha gelosamente tenuto per sé i segreti del sistema nonostante la sua fedeltà al Codice Jedi gli imponesse di rivelare la verità al Consiglio, non è mai riuscito ad impadronirsene. Ci avrebbe riprovato anche in futuro, una volta che la duchessa ebbe perso la vita, ma non vi riuscì. Come ben sapete, Mandalore è protetta. Anche da forze in cui voi non avete fede, ma Sidious sì.- 

Ni’Ven fece per intervenire, ma il Custode la fermò con un cenno gentile della mano.

- E poi, c’era il suo piano di guerra. L’imperatore aveva già una mezza idea di che cosa avrebbe combinato di lì a poco, e sapeva benissimo che avrebbe avuto bisogno di mezzi per portare a termine il suo piano. Jango Fett e il maestro Syfo Dias caddero proprio a fagiolo. Anche quando, però, era ormai convinto di avere la galassia in pugno, Satine Kryze sopraggiunse a rompergli le uova nel paniere, fondando il Concilio dei Sistemi Neutrali e sottraendogli un’enorme fetta di quel potere che Sidious avrebbe voluto soltanto per sé.-

- Detta in questo modo, sembra quasi che l’imperatore avesse tutti i motivi per ucciderla.-

- Ci ha provato, oh, sì, innumerevoli volte. Ci ha provato con Larse Vizla e con la prima Ronda della Morte, senza successo. All’epoca credette che fossero stati i Jedi a guastargli i piani, ed infiltrò nell’Ordine tutta la sua oscurità per far sì che non fossero più un problema. Poi, fu costretto ad ammettere che Satine Kryze era una spina nel fianco anche da sola, e ci riprovò di nuovo con la seconda Ronda della Morte e la guerra economica, infiltrando agenti corrotti nel sistema. Fu un fiasco totale. Alla fine, la chiacchierata storia d’amore tra il Jedi e la duchessa di Mandalore giunse casualmente alle orecchie di Darth Maul, suo vecchio apprendista e pazzo a sufficienza da fare il lavoro sporco per lui e vendicarsi al contempo dell’uomo che lo aveva tagliato in due, ovvero il maestro Kenobi. A quel punto, convinto di avercela fatta, una volta salito al potere pretese di prendere Mandalore, ma trovò pane per i suoi denti. Non riuscendo ad ottenere ciò che voleva con i mezzi che aveva, indispettito, decise di eliminare il problema alla radice. Come i bambini bizzosi: se non posso avere io il giocattolo, allora non deve averlo nessuno.-

- La Purga.-

- Esattamente.-

Ni’Ven si grattò la testa, pensierosa.

- Quando dite Darth Maul, intendete il signore del sindacato criminale? Come si chiamava…-

- Proprio lui, mia cara. Proprio lui. Anche in quell’occasione, fece esattamente quello che ha fatto con il sindacato che governava. Lo ha sfruttato fino all’ultimo per i suoi scopi, e così fece con la Ronda della Morte.-

- E che cosa c’entra la duchessina Bo Katan in tutto questo?-

Il Custode sospirò e si aggiustò meglio sulla sedia.

Sembra che questa parte della storia gli pesi parecchio.

- Dopo che la duchessa ebbe sgominato la seconda Ronda della Morte, soltanto il gruppo più preparato, quello guidato da Pre Vizla e la duchessina, rimase in piedi. Molto si è detto sull’attività di Bo Katan all’interno di quel gruppo. La versione più accreditata vuole che la giovane donna amasse il nipote del dittatore al punto da accecare il proprio giudizio. Nella convinzione che egli fosse un fine stratega, rimase a guardare mentre si suicidava con le sue stesse mani e condannava a morte sua sorella. Un atto di cieca fiducia per il quale non si è mai perdonata.

Vizla fu scemo a sufficienza da credere di poter controllare Maul, ignorando i precedenti contrasti con i Sith avvenuti ai tempi di Gozo Kryze il Filibustiere. Maul si liberò presto di lui e prese il controllo della Ronda, entrando apertamente in contrasto con la giovane Bo Katan. Fu a quel punto che la ragazza si ravvide, anche se non avrebbe mai condiviso le posizioni pacifiche della sorella. Certo è che il cambio di posizione fu tardivo. Maul voleva vendicarsi del maestro Kenobi, e la chiacchierata duchessa di Mandalore fu lo strumento eletto attraverso il quale attuare la sua vendetta. La Ronda della Morte si spaccò e Bo Katan divenne il capo dei Gufi della Notte, la squadriglia che provò a liberare la duchessa senza successo, e che successivamente riuscì a far fuggire il maestro Kenobi, prigioniero di Maul.-

Ni’Ven guardò fuori dalla finestra.

Il buio era diventato pesante e la notte era ormai avanzata. La tempesta, però, non accennava a placarsi e scrosci d’acqua sferzavano i vetri. 

Pregò che l’indomani spiovesse e permettesse loro di cominciare le riparazioni.

- Dunque Bo Katan non voleva diventare Mand’alor al posto della sorella.-

- Sì e no.- commentò il Custode, passandosi una mano nei capelli rossicci.- E’ diventata un’esigenza, più che una volontà espressa della duchessina. La storia delle due sorelle Kryze è lunga e tortuosa e, ahimè, anche dolorosa. Ad un certo punto della sua vita, Bo Katan ha deciso di supportare un nuovo Mand’alor per il mero desiderio di dimostrare a sua sorella che la sua non era la giusta Via. Ci avrebbe messo del tempo, per capire chi fosse davvero. Ci sarebbe riuscita soltanto quasi alla fine del suo tempo. Avete mai sentito parlare di un uomo di nome Din Djarin?-

- No.-

- Non mi stupisce. Anche la storiografia post-imperiale… Bah!- e il Custode scosse il capo, mesto. 

E mentre l’uomo continuava a borbottare invettive contro la manipolazione della Storia con la esse maiuscola, Ni’Ven si alzò dal letto e si diresse verso la finestra, rapita dalla tempesta che si stava abbattendo su Kalevala.

- So che cosa state cercando di fare.- commentò, avvicinandosi a lui.- Darmi questa camera. I poster nella stanza di Dom Baren. Voi volete disperatamente che noi crediamo nella vostra storia. Perché?-

L’uomo sospirò, e per la prima volta la giovane nooriana ebbe la sensazione che fosse triste.

- Perché la duchessa era un’anima buona e il maestro ha avuto una vita difficile e piena di dolore. Nessuno dice esattamente le cose come stanno. Satine Kryze non era un’opportunista né una politica spietata. Ogni scelta che ha fatto, l’ha fatta con dolore e consapevolezza. In alcune situazioni, non ha avuto nemmeno scelta. Questo non significa che abbia apprezzato quello che si trovò a fare. La scelta di creare il Concilio dei Sistemi Neutrali, ad esempio, non fu sua.-

- Questo non è quello che dice la storiografia ufficiale.- e guardò implorante il Custode, nella speranza che le perdonasse quell’attaccamento morboso a ciò che fino a quel momento aveva imparato a conoscere.

- Ovviamente.-

Ni’Ven provò ad indagare.

- Se Satine Kryze conosceva l’identità del doppiogiochista, perché non l’ha mai rivelata a nessuno?-

Il Custode sospirò di nuovo.

- Perché è morta prima di avere la certezza delle sue deduzioni. Sapete, era arrivata alla conclusione che la sua guerra non sarebbe mai finita. Le era bastato unire i puntini. Il primo generale che aveva aiutato suo padre a scoprire la trama di Larse Vizla, ricordate? Era stato trovato morto impiccato in circostanze discutibili. Anche il dittatore, per la storiografia ufficiale, morì impiccandosi in cella. Tarkin, però, si è dimenticato di dire una cosa fondamentale: come ci si può impiccare, se si tocca terra?

- Quello per la duchessa fu solo il primo indizio, ciò che la indusse a pensare che il potere del doppiogiochista, come lo avete chiamato, fosse ben superiore al suo, e solo durante le Guerre dei Cloni intuì che dovesse essere arrivato all’interno del Governo della Repubblica. Prima di morire, subodorò il tradimento di Palpatine, ma non fece mai in tempo ad avere le conferme che cercava. Riuscì ad avvisare il maestro Kenobi di guardarsi dal Cancelliere, ma il danno, ormai, era fatto. Il maestro diffidò. Il suo padawan, no.

- Ormai la strategia dell’imperatore era riuscita: gli stessi che l’avevano acclamata, corrotti dai crediti, dalla fame o dalla convenienza politica, l’avevano abbandonata. Traditori di Mandalore e della Luce, un sacramento di cui si erano ormai dimenticati per votarsi al dio quattrino. Per farla breve, Satine Kryze pagò per la sua integrità: pagò per non aver concesso ciò che volevano alle correnti del suo stesso partito, perché non era eticamente giusto concedere quei favori. Pagò la gogna mediatica che la seconda Ronda ereditò dalla prima, nelle mani di uno spregiudicato traditore come il primo ministro Almec. Non era una sprovveduta, beninteso: aveva capito da tempo che l’onestà, in politica, non pagava. Se voleva essere più avanti degli altri, che giocavano sporco, avrebbe dovuto imparare a giocare alla loro partita. Tuttavia, una parte di lei non è mai riuscita a dimenticare quella scuola di alta politica nella quale si era formata: la concepiva come un servizio, e un servizio senza passione ed etica, mosso solo da interesse, è un servizio fatto male.- 

Poi, soprappensiero, prese ad accarezzare il bordo della sedia su cui era seduto.

- Sapete, Satine Kryze non rinunciò mai al suo trono scomodo. Aveva cominciato seduta su uno sgabello duro come un sasso, al fianco della poltrona imbottita di suo padre. Era stata incoronata su un trono di mattoni e calcinacci, la Duchessa delle Macerie. Non ricostruì mai il trono originario. Ne fece fare uno di pietra e vetro, duro e scomodo come la sua prima seduta. Il massimo della comodità che si sarebbe concessa, sarebbe stata un cuscino. Per lei, Mandalore non sarebbe mai cambiato. Sarebbe sempre stato ciò che portava nei suoi ricordi. Una famiglia a cui sedersi accanto su una sedia scomoda. Capite, vero? Capite, adesso, perché lo faccio?-

Ni’Ven annuì, la sensazione che tutta quella storia fosse fin troppo importante per quello strano uomo dalla lingua argentina e l’aria familiare per essere inventata.

E’ personale.

- Poi Satine Kryze è morta, e tutti i sogni di questo sistema sono scomparsi assieme a lei. Se n’è andata esattamente come il povero maestro Jedi aveva visto nella sua visione. La duchessa fu uccisa da una creatura metà umana e metà macchina che non aveva assolutamente nulla a che fare con lei. Con il senno di poi, non poteva esserci fine più appropriata per la Luce di Mandalore, se non quella di soccombere per mano dell’oscurità, della follia più estrema.-

Il Custode, poi, prese a grattarsi il mento, pensieroso.

- Che poi, soccombere è una parola grossa…-

Consapevole di aver parlato da solo e di aver attratto l’attenzione di Ni’Ven su un argomento che non avrebbe dovuto sapere, l’uomo decise di correre ai ripari.

- Del resto, si sa. Satine Kryze era speranza allo stato puro, e quella non muore mai!- 

Ni’Ven fece un passo in avanti verso il Custode, spostandosi dalla finestra.

- Capisco il vostro punto di vista. Questo per voi non è soltanto un lavoro, vero? Siete un discendente?-

Questa volta il Custode posò lo sguardo su di lei, gli occhi blu come il cielo e i capelli rossicci che brillavano alla flebile illuminazione notturna.

- Questo, mia cara, lo sapete già, vero?-

- Avete alcune delle loro doti. Avete aperto la Luce di Mandalore. Avete capito il mio problema senza che io ve lo dicessi. E poi, voi assomigliate molto a…-

Il Custode non la fece nemmeno finire.

- Questo aspetto è stata una benedizione per me, ma anche la peggior condanna che potesse capitarmi. Assomiglio ai Kryze, è vero, eppure non sono un discendente diretto. Sono stato adottato. Mettiamola così, sono la prova vivente che ognuno può essere un Kryze, se si impegna ed impara le loro tradizioni. Non serve essere signori della Luce. Quello rende solo speciali.-

- Che intendete dire?-

L’uomo si alzò dalla sedia e prese a rassettarsi i vestiti.

- Alla fine di questa storia, che cosa resta? Un mucchio di bugie manipolate da un uomo dall’animo oscuro. Non fraintendetemi, la Storia è Storia. La maggioranza di ciò che avete studiato è vero. Mandalore è particolare per molti motivi. Per il settore, innanzitutto. Concord Dawn ha ancora una certa fama. E poi, molti pensano che, ormai, Mandalore non abbia più niente da dare, che sia tutto distrutto. Tutti i torti non li hanno. Solo Kalevala si è salvata, ma non assomiglia nemmeno lontanamente al pianeta che la duchessa aveva coltivato. Un tempo era un vero paradiso. Oggi è un bosco abbandonato.

- Mandalore ha anche pagato sulla propria pelle l’astio che intercorreva con la Repubblica e con i Separatisti. Nessuna delle due parti ha mai avuto interesse ad approfondire davvero la realtà di Mandalore. Era conveniente che la gente pensasse che era il mondo guerrieri e senza legge che tutti ricordavano. Allo stesso modo, l’Impero aveva bisogno di una scusa per giustificare la distruzione programmata del sistema. Che cosa avrebbe mai dovuto diffondere? Che Mandalore era un mondo meraviglioso con un incredibile potenziale?- 

Tutti i torti non li aveva, e una parte di Ni’Ven si sentì sollevata per il fatto che alcune sue certezze rimanevano ancora incrollabili, nonostante i racconti rivelatori di quell’uomo strano.

- Alla fine di questa storia, al netto di tutto ciò che non è mai stato raccontato e di ciò che è stato raccontato male, che cosa rimane? Le persone. Rimangono le persone. Coloro che tramandano la memoria e che credono in essa. Mandalore non è mai stato un artificio retorico. Un giorno, magari, memore della nostra chiacchierata, deciderete di approfondire la storia di Din Djarin, il Mando che non si toglieva mai l’elmo. Un giorno, forse, capirete che cosa voglio dire. Che cosa significa essere Mando? Non far vedere il volto? Combattere? Ci sono cacciatori di taglie in giro per la galassia che si vantano di essere Mando senza avere la più pallida idea di quello che dicono. No, mia cara, quelli non sono Mando. Potranno anche esserlo in linea di sangue, ma hanno perso la vera essenza di questo posto: il sogno, la visione. Essere Mando significa credere nel futuro, nei sogni di libertà, e questa è una scelta di vita. Il resto, si impara. Si impara a combattere e ad indossare un’armatura, ma se non sai perché lo fai, se non ci credi, è inutile fregiarsi di un’appartenenza di sangue. Non è reale.

- Avete ragione, questa storia mi è particolarmente cara. La duchessa mi è cara. Non ho soltanto letto le sue memorie. La sua storia è in parte anche la mia. Questo posto è casa mia. Sentirlo bistrattare fa male. Adesso che è passato molto tempo, adesso che siamo finalmente liberi, è giunto il momento che la verità venga a galla, non trovate? E’ giunto il momento di riabilitare la figura di una donna che ha dato tutto per il suo sistema e che ha cambiato le sorti della Galassia.-

La ragazza si avvicinò a lui, fissandolo per la prima volta negli occhi blu ed ammirandone l’orgoglio.

Vi trovò solo sincerità e un fuoco dentro che la fece sentire piccola piccola. 

- Voglio lasciarvi un’ultima cosa, mia cara.- le disse, avvicinandosi alla piccola scrivania in un angolo della stanza.

C’era un cassetto a scomparsa sotto la superficie piana, tenuto chiuso da un meccanismo a pressione. Il Custode lo azionò e il cassetto si aprì, rivelando una cartellina piena di fogli.

- Vorrei che aveste questo. Magari avrete piacere di leggerlo.-

- Che cos’è?- 

- L’epistolario della duchessa. L’originale. Le lettere che ha scambiato con politici, diplomatici, familiari e anche con il maestro Kenobi. E’ tutto qui. Spero che troverete le risposte a tutte le vostre domande.-

Detto questo, l’uomo fece un piccolo inchino con il capo e si diresse verso la porta, segno che la conversazione era conclusa ed intendeva ritirarsi per la notte.

Ni’Ven rimase con la bocca aperta a fissare il tesoro di carte che il Custode le aveva coraggiosamente affidato. 

Poi, lo rincorse in corridoio.

- Aspettate! Perché sono scritte su carta?-

- Perché, mia cara, i messaggi olografici sono immediatamente rintracciabili. La carta, se hai un valido intermediario, no.-

- E l’intermediario era?-

L’uomo si mise a ridere.

- Credetemi, non avrete mai abbastanza immaginazione per indovinare i multiformi - e pazzi - stratagemmi della duchessa!-

- Un’ultima cosa: nel plico che mi avete consegnato c’è anche la canzone?-

- Quale canzone?-

- La canzone! Quella che hanno composto il Jedi e la duchessa!-

Il Custode abbozzò un sorriso.

- Sapete, è una bella domanda. Un segreto che, forse, non potrà mai essere rivelato.-

- Perché? Non avevate la tradizione di tramandare le canzoni?-

- Oh, sì, ed è una tradizione bellissima. Ci permette di ricordare in poesia eventi lontanissimi nel tempo. Tuttavia, questa canzone è peculiare. Immaginate che cosa sarebbe successo, in passato, se fosse diventata di dominio pubblico. Sarebbe scoppiato, come minimo, un incidente diplomatico che sarebbe costato caro sia alla duchessa, sia al maestro. Inoltre, va anche detto che durante l’Impero quella canzone così bella sarebbe stata profanata. Immaginate che cosa sarebbe successo se a cantarla fosse stato quella bestia di Maul. No, non era quello che la duchessa voleva, così la distrusse.-

- Cosa?-

- La bruciò. La sapeva a memoria. Adesso la canzone viene tramandata all’interno della famiglia. E’ bellissima, ve lo garantisco. Tuttavia, vi confesso che non sono pronto a cantarvela. E’ privata. Personale. Spero che capiate.-

Ni’Ven e il Custode rimasero a fissarsi per qualche secondo, una consapevolezza che, lentamente, prendeva corpo nel cuore della giovane nooriana.

Io so chi sei.

Ma non può essere vero.

Il Custode, questa volta, girò sui tacchi con tutta l’intenzione di andarsene, ma la giovane archeologa lo trattenne per un’ultima volta.

- La duchessa e il maestro si sono incontrati di nuovo, ma sospetto che quello che so non sia assolutamente vero.-

- Sospettate bene, ragazza mia. Sospettate bene. Tuttavia, l’ora è davvero tarda e io devo tornare dalla mia consorte. Ormai mi darà per disperso.-

- A proposito, dov’è? Non l’abbiamo mai vista.-

- E’ molto stanca. Ha riposato per tutta la sera. Conto di farvela conoscere domani.-

E con queste ultime parole, il buon Custode lasciò la giovane Ni’Ven a fare i conti con quanto aveva appreso e scomparve nel buio del corridoio.

 

 

 

 

La ragazza ha cervello.

 

Sì, ne ha molto. Sono proprio contento che sia arrivata qua. Sento che la Forza è all’opera in questo. Sono convinto che sia la volta buona.

 

C’è bisogno di qualcuno che riabiliti il buon nome dei Kryze!

 

Ordo!

 

Ordo dice che è d’accordo.

 

Sì, assolutamente. I due ragazzi sono preparati e sono convinto che il droide sarà ben contento di dimostrare al Rettore che la sua scheda madre funziona a dovere, poffarbacco!

 

Il Custode ciabattò con calma verso il fondo del corridoio.

Poi, invece di entrare nelle stanze che erano state di Maryam ed Athos, e del duca Kyla, prese a scendere le scale diretto verso il salone.

Conosceva quella casa a memoria. Non aveva nemmeno bisogno di accendere la luce.

Aveva passato secoli chiuso in quel posto, a svolgere la sua mansione nel migliore modo possibile. 

Certo, non era stato per niente semplice. La guerra prima, l’Impero poi. 

Saxon, che aveva sempre continuato a fare l’idiota, fino alla fine del suo tempo.

Poi la Purga. Infine, la Nuova Repubblica. Il Nuovo Ordine.

La galassia stava attraversando un lungo periodo di pace, finalmente. 

Quella poteva davvero essere la volta buona per riabilitare il buon nome di Satine Kryze. 

Il momento giusto per riscoprire la leggenda della duchessa e del Jedi coraggioso. 

Dalla finestra del salotto proveniva un sonoro ticchettio. Il Custode si avvicinò alle ante, sorrise alla vista dell’animaletto che svolazzava fuori dalla finestra ed aprì. 

Una farfalla blu volò attorno alla sua testa e poi si posò sul suo dito mentre l’uomo chiudeva di nuovo fuori da Kryze Manor il temporale che infuriava sull’altopiano.

- Ciao, mia cara. Sono contento di vederti.-

Il suo mestiere era ben più arduo di quanto Ni’Ven e gli altri potessero immaginare. Se Kryze Manor era sopravvissuto intatto alle pieghe del tempo e a tutti gli accidenti che avevano travolto Mandalore, era stato soltanto grazie alle sue peripezie.

E a un certo fantasma infuocato che ancora infestava le campagne del maniero.

 

Hai avuto un po’ d’aiuto, per quello.

 

Le trovate della duchessa erano geniali allora come adesso.

 

Solo che questa volta non hai avuto bisogno né di viinire, né di armature da bruciare.

 

Eh, le cose con il tempo cambiano, e sono convinto che il buon vecchio Marmaduke si diverta a fare lo splendido una volta ogni tanto.

 

Puoi chiederlo di persona, perdinci. La prossima scorribanda è già stata pianificata!

 

A proposito delle condizioni del maniero, andrebbe rifatta la siepe…

 

Chi se ne importa delle piante? Lascia perdere i discorsi di questa pennuta, qua. Le piante costano care!

 

Ci costerà di più se i Makyntire dovessero entrare nel maniero e saccheggiarlo. Per quale motivo hai lasciato che il cancello arrugginisse?

 

Ho due mani sole, ragazzi miei. Ogni cosa a suo tempo. Se poi Marmaduke volesse dirmi dove ha nascosto i talleri, allora sarebbe molto più semplice manutenere questo posto!

 

Giammai! Quelle sono le scorte per i tempi bui!

 

Ordo. Ordo. Ordo.

 

Ordo dice che è d’accordo con l’avaraccio, qui.

 

Non ne dubitavo. Come se non ne avessimo avuti abbastanza, di tempi bui.

 

Sorrise sotto i baffi mentre, in silenzio, scendeva le scale ed imboccava il corridoio diretto al salone, completamente solo se non per la sua fedele amica blu, posata sulla sua spalla, e quelle voci che accompagnava lo scorrere nei suoi pensieri.

Una compagnia che poteva sentire soltanto lui.

Sapeva che l’indomani avrebbe piovuto ancora, che la tempesta non sarebbe passata. Poteva percepirlo nella Forza. 

Quel dono che era stato quasi una condanna e che era costato così tanto a lui e ai suoi cari.

Tutto ciò che era accaduto in passato, finalmente stava per essere rivelato. Qualcuno avrebbe saputo la verità. 

Adesso sembrava tutto chiaro, anche il motivo per cui quel dono così peculiare era toccato proprio a lui.

 

Il mio compito è quello di ridare lustro al buon nome della nobile casata dei Kryze.

 

… Sì. Vuoi venire a letto, adesso? Ti stiamo aspettando tutti.

 

Come se dormiste davvero. Quand’è stata l’ultima volta che uno di noi ha chiuso occhio?

 

Smettila, guastafeste. Vogliamo sapere. Torna qui!

 

Ooooordoooo!

 

Ordo dice che ti devi muovere. 

 

Il Custode rise di gusto mentre attraversava il salone. 

Osservò la farfalla sulla sua spalla sbattere le grandi ali blu.

Poi, all’improvviso, si scosse proprio come un gatto, lanciando goccioline da tutte le parti.

Ridacchiò, divertito.

Oltrepassò il salone buio, illuminato soltanto dai lampi della tempesta, ed imboccò una porta aperta sul nero nulla.

La Stanza dei Ritratti.

Mentre percorreva il corridoio, il Custode prese a canticchiare sotto i baffi.  

 

Anche se non so chi sei

io ti conoscevo già

anima dei sogni miei

prima che tu fossi qua

 

Lanciò un’occhiata al ritratto del duca Marmaduke, suo predecessore, e si disse convinto che quella sera lo avrebbe subissato di domande.

 

Non so per quanto ancora

tu resterai con me

fosse un giorno o forse un’ora

è un eternità per me

 

Un boato più forte degli altri lo distrasse e scosse il capo.

La farfalla fece un voletto indignato, per poi posarsi di nuovo sulla sua spalla.

 

Qualcuno vada a calmare il vecchio brontolone sotto il lago, o finirà con il terrorizzare gli ospiti.

 

Posso dire di aver vissuto

una vita insieme a te

gli altri secoli di vuoto

valgono un’ora con te

 

Si fermò, infine, a guardare il ritratto doppio.

Il Jedi e la Duchessa finalmente vicini per l’eternità.

Guardò gli occhi della donna, che erano anche i suoi, e i capelli del Jedi, che erano anche i suoi.

 

Adesso non tirartela troppo, caro mio.

Sei adottato, lo sai.

 

Sì, ma sono pur sempre…

 

Oh, giusto cielo! Quante volte l’ho già sentita questa storia?

 

E per proprietà transitiva, dunque, sarei anche…

 

Ma piantala e vieni a casa!

 

Ordo dice che hai rotto le scatole. Muoviti.

 

Non l’ho sentito, Ordo. 

 

Si è espresso per fatti concludenti.

 

Il Custode rise, pensando che fosse ora di dare retta alla sua consorte e raggiungerla dovunque lei fosse.

La porta delle fondamenta, un tempo sprangata e chiusa con i lucchetti, era aperta e spalancata sul nulla.

Il Custode riprese a camminare, canticchiando. 

 

Ner cyare, ner re… 

Amor mio, vita mia… 

 

Le parole echeggiarono nel corridoio buio e vuoto, tra i rombi dei tuoni, protette dallo scudo di una porta che, allo sguardo di un eventuale confuso spettatore, sarebbe apparsa chiusa e incatenata a doppia mandata. 

 

***

 

NOTE DELL’AUTORE: Grazie.

Non mi intendo di numeri, né di pubblicazioni. Come sapete già, questa è stata la mia prima storia su questo sito. Non so dunque, se i numeri che ho macinato siano ingenti da un punto di vista oggettivo, ma di sicuro hanno superato tutte le mie aspettative. Dal mio punto di vista, siete stati tantissimi.

Grazie, dunque, a tutti coloro che hanno avuto il coraggio di seguirmi per sessanta capitoli nei meandri della mia contorta fantasia. Grazie a chi ha recensito, a chi ha preferito, a chi ha ricordato, a chi ha seguito e anche soltanto letto questa storia. 

Spero che non vi dimenticherete di Molly la Talpa, che tornerà presto su questo sito con altre storie da raccontare. 

 

Vostra ora e sempre,

 

Molly.

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