Ahora que te vas di Ivy001 (/viewuser.php?uid=1071053)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5 Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6 Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7 Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8 Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9 Capitolo ***
Capitolo 10: *** 10 Capitolo ***
Capitolo 11: *** 11 Capitolo ***
Capitolo 12: *** 12 Capitolo ***
Capitolo 13: *** 13 Capitolo ***
Capitolo 14: *** 14 Capitolo ***
Capitolo 15: *** 15 Capitolo ***
Capitolo 16: *** 16 Capitolo ***
Capitolo 17: *** 17 Capitolo ***
Capitolo 18: *** 18 Capitolo ***
Capitolo 19: *** 19 Capitolo ***
Capitolo 20: *** 20 Capitolo ***
Capitolo 21: *** 21 Capitolo ***
Capitolo 22: *** 22 Capitolo ***
Capitolo 23: *** 23 Capitolo ***
Capitolo 24: *** 24 Capitolo ***
Capitolo 25: *** 25 Capitolo ***
Capitolo 26: *** 26 Capitolo ***
Capitolo 27: *** 27 Capitolo ***
Capitolo 28: *** 28 Capitolo ***
Capitolo 29: *** 29 Capitolo ***
Capitolo 30: *** 30 Capitolo ***
Capitolo 31: *** 31 Capitolo ***
Capitolo 32: *** 32 Capitolo ***
Capitolo 33: *** 33 Capitolo ***
Capitolo 34: *** 34 Capitolo ***
Capitolo 35: *** 35 Capitolo ***
Capitolo 36: *** 36 Capitolo ***
Capitolo 37: *** 37 Capitolo ***
Capitolo 38: *** 38 Capitolo ***
Capitolo 39: *** THE END ***
Capitolo 1 *** 1 Capitolo ***
“Sebastìan,
Ginevra…dove siete? Quando
la finirete di giocare a nascondino ogni volta che bisogna fare i
compiti?” – è
una voce maschile a richiamare all’appello due bambini,
precisamente gemelli,
con tono rassegnato ad un comportamento ormai solito.
“Allora,
Bogotà? Li hai trovati?”
– lo raggiunge una donna dai capelli castani e corti.
“No,
Tokyo. Approfittano della
mia bontà, perché con Nairobi non fanno mai
così” – si lamenta il saldatore,
constatando la realtà dei fatti.
“Perché
tua moglie sa come
gestirli. Era o non era la tua boss? Come vedi sa comandare anche i
vostri
figli” – ridacchia Selene, dando una tenera pacca
sulla spalla all’amico.
“Nessuno
resiste con lei. E’
impossibile” – commenta lui, arrossendo. Poi
riprende – “Però non vorrei subire
io stesso la ramanzina di Nairobi quando rientrerà a casa,
dobbiamo trovare un
modo per rimetterli in riga. Hai suggerimenti?”
“Mmm,
non saprei!” – riflette la
Oliveira, camminando avanti e indietro
nella stanza dei gemelli, scrutandone ogni angolo.
“Papà”
– sopraggiunge una terza
persona che ha con sé uno dei due bambini.
“Alba,
sei degna figlia di tua
madre” – si complimenta Tokyo, notando che la
primogenita della coppia ha
scoperto il nascondiglio di uno dei suoi due fratellini.
“Sebastìan,
adesso voglio sapere
dove si trova tua sorella. Avanti, dimmelo! O mi arrabbio sul serio,
stavolta” –
Bogotà mostra un lato molto severo, seppure poco credibile
agli occhi dei figli
presenti, che conoscono il loro paparino amorevole.
“Non
lo so, papi” – il bambino è,
in realtà, molto scosso. Mantiene lo sguardo basso, mentre
alcune lacrime gli
rigano il volto.
“Ehi,
ma cosa ti prende? Stai
tremando come una foglia!” – la zia Tokyo si
preoccupa e istintivamente
abbraccia il nipotino.
“Se
non mi dici dove è Ginevra entro
tre secondi…” – Bogotà sta
perdendo la pazienza. Neppure le lacrime del figlio gli
appaiono credibili e, se vuole ottenere gli stessi risultati di
Nairobi, deve cominciare
a comportarsi da duro.
“Papà,
io non lo so. Te lo giuro….l’ho
vista salire su una macchina e poi…è
sparita” – racconta il piccino,
strofinandosi gli occhi inumiditi dal pianto.
“Che
cosa? – esclama, scioccato,
il saldatore, incrociando subito lo sguardo pietrificato della compagna
di
Banda.
Senza
proferire altre parole,
Bogotà lascia la stanza, correndo spedito verso il giardino.
Dietro
di sé c’è Alba, che lo
segue terrorizzata.
“Gin!
Ginny dove sei?” – urla l’uomo,
setacciando ogni angolo del quartiere.
Il
vicinato lo guarda alla
finestra e chiede spiegazioni, ma basta poco per intuire che la piccola
è sparita
nel nulla.
Senza
vergogna alcuna, suona ad
ogni campanello delle ville vicino la sua, domandando e ricevndo aiuto
da parte
di qualcuno.
Il
trambusto che si crea è
inevitabile, seppure il professore a suo tempo fu chiaro con i
Dalì: “Non dovete farvi
notare, può bastare un
piccolo movimento sbagliato per provocare un casino tale da smuovere
nuovamente
le ricerche su di noi.”
Però
in un momento così tragico,
a Bogotà importa poco di ciò che può
accadergli in prima persona.
***************************************
E’
ora di cena e a tavola è
seduto solo Sebastìan, con il suo piatto di pasta.
Cerca
di non pensare a quanto
accaduto eppure quello che ha visto lo opprime.
E’
difficile dimenticare come, da
una stupidata organizzata con sua sorella gemella, per evitare i
compiti scolastici,
si sia poi trovato di fronte a qualcosa di tragico.
Da
quel momento in poi, la sua
voce non emette più suoni e il silenzio diventa il suo
migliore amico.
Nel
frattempo, Tokyo contatta e
informa i vari membri della squadra, tentando di rintracciare Sergio
Marquina,
trasferitosi, a differenza di molti del gruppo, in Tailandia.
“Come
faccio a mantenere la calma,
Denver! E’ impossibile. E per di più Nairobi a
breve tornerà a casa e non sa
ancora nulla!”
Il
panico che viene vissuto dagli
adulti, prende inconsapevolmente anche i minori. Alba,infatti,
è seduta sul
divano a fissare il vuoto mentre vede la stabilità e la
serenità, che i suoi
genitori non le hanno fatto mai mancare, frantumarsi. I suoi soli
undici anni
sono pochi per permetterle di controllare le emozioni che le riempiono
la testa.
La
tv è accesa e trasmette il
notiziario. Le peggiori notizie vengono comunicate dal giornalista e
Alba sente
che da lì a poche ore, tra le news di cronaca,
comparirà anche quella di sua
sorella.
Un
rumore proveniente dalla
cucina fa sobbalzare sia la undicenne che la Oliveira. La donna chiude
immediatamente la telefonata e raggiunge Sebastìan.
Il
piccolo ha gettato il piatto a
terra, sparpagliando sul pavimento i resti del cibo mai toccato. Lui
è seduto
sulla sedia con lo sguardo terrorizzato, le mani tremanti, e gli occhi
arrossati.
“Piccolino,
va tutto bene!” – lo prende
in braccio Tokyo, stringendolo forte a sé.
La
maggiore dei tre figli di
Bogotà, seppure a fatica, ripulisce come meglio
può, seppure la rabbia che cova
nel cuore la spingerebbe volentieri a distruggere tutti i piatti della
credenza,
uno dopo l’altro.
“Ho
finito, zia! Ho pulito la
cucina” – comunica a Selene, qualche minuto dopo.
“Brava
tesoro, vieni qui” – le risponde
la Oliveira, seduta sul divano con Sebastìan addormentato
tra le sue braccia.
“Andrà
tutto bene, Ginevra
tornerà a casa. te lo giuro” – cerca di
rassicurarla, seppure fatica lei stessa
a credere alle parole dette.
“Non
sappiamo neppure dove sia”
“Dimentichi
che abbiamo rapinato
la Zecca, poi la Banca. Siamo qui per raccontarlo. Abbiamo fatto
qualcosa di
impossibile… e una volta che il Professore saprà
cosa accaduto, si mobiliterà.
Scopriremo cosa accaduto e agiremo di conseguenza!”
Proprio
di fronte a tali
affermazioni, così forti e convincenti, Alba si lascia
andare ad un pianto
liberatorio, trattenuto per ore.
Ed
è in quel preciso istante che
Agata Jimenez torna a casa, in tutta tranquillità, convinta
di poter godere
della serata con i suoi tre figli e il marito.
Ignora
che la felicità che con
forza aveva guadagnato, sta per dirle di nuovo addio.
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Capitolo 2 *** 2 Capitolo ***
I
secondi che precedono l’arrivo
di Nairobi in salone, sono vissuti da Tokyo con estrema ansia; questo
perché conosce
bene la Jimenez e sa che la questione “figli”
è stato, da sempre, il suo tallone
d’Achille.
“Cosa
le diciamo?” – sussurra l’undicenne
alla zia, riconoscendo la voce della mamma che,
dall’ingresso, chiama la
famiglia.
In
quel momento, la Oliveira
adagia il piccolo Sebastìan addormentato tra le braccia
esili di Alba, e si
prepara psicologicamente all’incontro con l’amica.
La
gitana, dal canto suo,
immagina di trovare il marito seduto sulla poltrona, con la tv accesa
sul
solito canale sportivo, mentre i bambini giocano sul tappeto.
Però
la scena a cui assiste, non
appena raggiunge il salotto, è
totalmente diversa.
È
stupita di vedere Selene ancora
lì, dato l’orario di cena. Però
sorvola, considerando quell’occasione come l’unica
per poter scambiare quattro chiacchiere tra donne.
“Ehi,
come è andata la visita?” –
domanda la Oliveira, chiedendo del controllo medico della sua migliore
amica.
“Pff!”
– sbuffa Nairobi – “Due
ore d’attesa per dirmi che è tutto ok e che per
fortuna non sono incinta!” –
commenta, dopo essersi preoccupata di un ritardo del ciclo.
“Per
fortuna?” – ripete, stupita,
Tokyo, abituata ad ascoltare i discorsi della gitana su quanto
è bello lo stato
di gravidanza.
“Già,
ammetto che tre piccole
pesti mi bastano” – ridacchia Agata, volgendo lo
sguardo ad Alba, per scherzare
della questione.
Però
è l’espressione di sua
figlia a insospettirla, costringendola a cambiare tono.
“Che
succede, amore mio?”
“Ehm…”
– l’undicenne è scossa e
di fronte alle domande della madre inizia a sudare freddo –
“Io… mamma… ecco…”
– spaventata dalla reazione del suo stesso corpo, la bambina
lamenta
improvvisamente delle forti palpitazioni e dolori al petto.
“Sei
pallida come un lenzuolo.
Non ti senti bene?” – si allarma la Jimenez,
controllando la temperatura corporea della bambina,
ponendo una sua mano
sulla fronte di lei.
“Nairo…
ecco…c’è una cosa che
dovrei dirti…” – intanto la compagna di
Rio cerca di rivelarle l’accaduto.
“Non
ora Tokyo, piuttosto…prendi
Sebastìan e portalo a letto, così faccio stendere
Alba sul divano” – con fare
rapido e deciso, come è solita organizzare la sua vita, la
donna di Bogotà
sistema al meglio la sua primogenita, alzandole le gambe, temendo un
improvviso
calo di pressione e uno svenimento.
Terrorizzata
da quanto sta
accadendo, e quello che da lì a pochi minuti sarebbe potuto
succedere alla sua
compagna di squadra, Selene si dirige verso la stanza dei gemelli,
coricando il
piccolino come ordinatole. Lo libera degli abiti e lo veste con un
comodo
pigiama blu; con dolcezza gli rimbocca le coperte e lo bacia
teneramente sul
capo. Solo allora l’occhio le cade sul letto vuoto di Ginevra
e il senso di
colpa si trasforma in lacrime che gli solcano il viso.
“se
solo fossimo stati attenti,
cazzo!” – rimprovera se stessa per la distrazione,
poi aggiunge, decisa –
“Smuoveremo mari e monti per riportarti
qui…!”
Pronuncia
quelle parole fissando,
determinata, la foto incorniciata alla parete che ritrae il primo
compleanno
dei piccolini di casa. Guardandola, molti flash le tornano alla mente,
legati
all’arrivo dei gemelli nelle vite di tutti. Quello che fa
crollare emotivamente
Tokyo è un flash, rimasto indelebile tra i suoi ricordi,
vissuto in un
pomeriggio invernale di quasi otto anni prima.
“Incinta?
Dici sul serio?”
“Si,
Tokyo e sono preoccupata! Se questa gravidanza dovesse andare male come
l’altra?”
“Non
spaventarti amica mia, il piccolo verrà alla luce sano come
un pesce. La vita ti
ha dato un’altra possibilità per allargare la
famiglia!”
“Ehm…in
realtà le possibilità sono due!”
– confessa la Jimenez, emozionata.
“Cosa?
In che senso?”
“Sono
due gemelli e nasceranno a dicembre”
Tra
lo stupore e l’euforia del momento, Tokyo le manifesta la sua
commozione - “Nairobi,
penso che con il loro arrivo regalerai a tutti noi e a
Bogotà in primis, il più
bel Natale degli ultimi anni”
“Il
loro arrivo cancellerà i mesi di tristezza e dispiacere
dovuti alla perdita del
nostro secondo bambino”
“Il
tempo cura le ferite e offre gioie come questa, che non ti saresti
aspettata”
“Hai
ragione, amica mia! E sai, ho deciso già che avranno anche
loro i nomi di due
città!”
“Così
come hai fatto con Alba?”
“Esatto,
e ho pensato al nome Sebastìan ,come la città
basca di San Sebastìan..”
“E
per una bambina?” – domanda curiosa Tokyo.
“Se
ti dicessi che si trova in Svizzera?”
Quel
flashback ricorda alla
Oliveira quanto il tempo sia volato e quanto Nairobi avesse temuto per
quella
gravidanza, giunta a distanza di un anno da un aborto.
Sapere
che la peggiore paura
della sua migliore amica, ovvero quella di perdere l’ennesimo
figlio, stava per
realizzarsi, affligge Selene che, approfittando del momento di
solitudine,
piange e sfoga la
sua sofferenza.
Ed
è proprio allora, in
quell’attimo di fragilità, che la voce di Nairobi
la pietrifica.
La
gitana è alle sue spalle e le
chiede – “Perché piangi? Si
può sapere che cazzo sta succedendo?”
Con
il cuore in mille pezzi,
Tokyo si volta verso di lei mostrandole la tragedia che è
appena accaduta.
Le
indica il letto vuoto e a
fatica pronunciare parole
che mai
nessuno nella vita, neppure l’essere più crudele
al mondo, meriterebbe di
ascoltare.
“Ginevra
è scomparsa da ore!”
“Che?”
– esclama Nairobi, cadendo
vertiginosamente vittima di uno stato di shock.
“Li
abbiamo persi di vista due
minuti, te lo giuro. Sono usciti di casa e si sono nascosti. Poi lei
è… ecco…
insomma… la troveremo, te lo giuro”
La
gitana fissa il viso di Selene
cercando di metabolizzare quanto appena udito. Le gambe le tremano, le
sente
indebolirsi improvvisamente, mentre avverte una fitta dolorante
paragonabile a
quella provata in seguito allo sparo subito nella Banca di Spagna anni
addietro.
Gli
occhi si coprono di un velo
di tristezza tale da impedire persino alle lacrime di scendere.
Senza
aggiungere nulla, né
emettere un grido di rabbia, né un pianto di liberazione,
Nairobi lascia la
stanza di Sebastìan e corre via.
Tokyo
la segue in tutta casa,
cercando di esserle d’aiuto, di farle da spalla su cui
sfogarsi. Eppure Agata
in quei minuti non mostra lucidità. Cammina, confusamente,
tra i corridoi,
scruta ogni dannato angolo di quell’abitazione che, mai come
in quel momento,
le pare odiosamente enorme.
“Fermati,
ti prego. Non è qui,
abbiamo controllo ovunque”
Niente
da fare! La Jimenez non
ascolta, ha spento le sue emozioni e vaga senza controllo, preda di un
secondo “proiettile”
che ha colpito il suo cuore e che viaggia ora senza meta, distruggendo
le sue
più solide emozioni.
Tokyo
singhiozza mentre la
osserva agitarsi, con le mani nei capelli, mentre parla a se stessa
come una
folle – “Ginevra, vieni fuori. Non farmi
arrabbiare”
Comincia
solo allora ad urlare a gran
voce il nome di sua figlia, convinta di averla a pochi passi da
sé.
Alba,
ripresasi dall’attacco di
panico proprio grazie alle precedenti cure materne, raggiunge la zia
all’ingresso, lì dove Nairobi manifesta ogni forma
di delirio possibile.
Solo
allora le due consanguinee
si trovano faccia a faccia, guardandosi e specchiandosi l’una
negli occhi
dell’altra.
L’undicenne
è spaventata dalla
persona che ha di fronte e che sembra aver cancellato ogni espressione
solita
della gitana.
“Mammina,
per favore, ascoltaci…non
è qui! Non sappiamo dove sia…ma non è
qui….”
La reazione di Nairobi non tarda ad arrivare.
Alza
gli occhi al cielo,
respirando profondamente, come a voler trattenere dei sentimenti
così forti e
intensi che le impediscono di ragionare. Poi inizia a ridere, una
risata
nervosa, a tratti inquietante, mentre le lacrime le scavano il viso.
“Alora
vado a cercarla” – dopo
quei minuti interminabili di silenzio e di irrazionalità, la
Jimenez si dirige
verso la porta d’uscita.
Le
basta percorrere pochi metri
per imbattersi in Bogotà, seguito a sua volta da Rio.
Moglie
e marito si osservano,
nessuno dei due ha la forza di proferire parola. L’ex
saldatore fissa la sua
compagna, trattenendo il pianto nel rivedere in lei l’esatta
copia di Ginevra:
gli stessi occhi grandi scuri, i capelli nero corvino, la carnagione
olivastra…
una somiglianza evidente anche con Axel. Ed è proprio questa
similarità tra fratello
e sorella ad essere da sempre la gioia e la condanna per Agata Jimenez.
E’
sempre stata felice di poter ritrovare in Ginny alcuni tratti del suo
primo
figlio, ormai ventenne, lontano chissà dove. Però
nei momenti di nostalgia,
guardarla in volto le ricordava il dolore dalla distanza da Axel e la
sua
impossibilità di riabbracciarlo.
Bogotà
avanza verso di lei a
braccia aperte, pronto a stringerla a sé. Avverte proprio il
bisogno di
sentirla vicina, di respirare il suo profumo, di ricevere dalle sue
labbra il
calore familiare, specialmente di condividere un momento
così difficile
insieme.
Purtroppo
Bogotá non ottiene
dalla moglie la risposta attesa. La donna carica di rabbia, di dolore,
di
frustrazione, lo schiva, ignorando il contatto fisico, riprendendo il
cammino
da sola.
Così
l’uomo, assieme a Tokyo e Rio,
osserva la gitana allontanarsi, sentendosi impotente e sconfitto da una
vita
bastarda che non dà pace a nessuno, tantomeno ad una mamma,
da sempre roccia
inscalfibile, costretta a portare alla luce le sue più
profonde fragilità…fragilità
correlate al legame speciale con i suoi figli.
E
così Agata percorre in
solitudine l’intero quartiere, illuminata dalle luci dei
lampioni di quel
quartiere, nella città australiana di Melbourne, che le ha
donato stabilità e
gioia per quasi dodici anni e che improvvisamente si è
trasformato nel suo più
grande incubo.
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Capitolo 3 *** 3 Capitolo ***
E’
tarda ora e di Nairobi nessuna traccia.
Ad attendere il suo rientro a casa c’è Tokyo, in
preda all’ansia, che cammina
avanti e indietro, parlando a se stessa pur di calmarsi.
Alba,
addormentatasi a fatica, è sdraiata
sul divano. La dolce zia le ha adagiato sul corpo una coperta e nel
mentre ha
preparato una camomilla.
Peccato
che quella bevanda non riesca a
placare l’agitazione, ormai alle stelle.
Il
pianto improvviso di un bambino allerta
la donna, che sa benissimo a chi appartiene quel vagito.
“Santiago,
mi amor! Eccomi, sono qui” – il
piccoletto di circa tre anni è l’unico figlio
avuto dalla Oliveira e il suo
compagno. Dopo aver congedato la babysitter, Tokyo l’ha
portato nella villa
degli amici, tenendolo con sé nell’attesa del
rientro degli altri.
Anche
lei, ormai mamma, avverte quanto il
legame con il proprio sangue sia un vincolo infrangibile e quanto possa
far
male saperlo lontano da se.
In
quei minuti, durante i quali
la donna culla Santiago, il
chiavistello della porta la pone in
allerta.
Speranzosa,
avanza rapida verso l’ingresso,
con il bebè in braccio.
Di
fronte a se ci sono Rio e Bogotá.
Quest’ultimo è visibilmente abbattuto; il suo
volto porta i segni di una
disperazione e di un dolore difficili da spiegare.
“Allora?
Avete trovato Nairobi?” – chiede
Tokyo.
Cortés
scuote il capo, amareggiato.
“E
vi siete arresi così? Siete impazziti?
Non vorrete mica che sparisca anche lei?” – li
rimprovera la donna, fortemente
in pena per la migliore amica.
La
sua reazione infastidisce Bogotá, che,
però, si contiene per l’ennesima volta. Ignora la
predica di Selene e raggiunge
Alba in salotto.
Osserva
l’undicenne dormire e, di fronte
agli amici che l’hanno seguito, prende tra le sue braccia la
figlia maggiore e
la stringe al suo petto. In quel preciso istante, avrebbe voluto
sfogare la
sofferenza in un pianto liberatorio. Eppure le lacrime faticano a
scivolargli sul
viso, sono paralizzate anch’esse come lo stesso cuore di quel
povero padre di
famiglia.
Pentita
per il poco tatto utilizzato poco
prima, Tokyo cerca di confortarlo in merito alla faccenda di Ginevra.
“La
troveremo, ho già contattato chi di
dovere” – prende parola la Oliveira.
Quell’affermazione
spiazza i due uomini
che, confusi, la guardano. Poi è Rio a domandare,
ipotizzando qualcosa – “Non
dirmi che hai intenzione di riunire la Banda…per la terza
volta?”
Tokyo,
decisa che quella è la soluzione
migliore, annuisce e spiega le sue ragioni –
“Sapete come sono fatta e nessuno
meglio del Professore può aiutarci. Qui siamo bloccati,
sotto copertura, con
false identità…non possiamo neppure contattare la
Polizia senza destare
sospetti, abbiamo bisogno di lui e del suo genio! ”
“Si
, amore, però avresti prima potuto
consultarci, non ti pare? Non puoi sempre fare di testa tua e
…” – il tono di
rimprovero da parte di Rio, spiazza Tokyo stessa convinta, invece, di
aver
agito coscienziosamente, probabilmente per la prima volta nella vita.
Determinata
sulle proprie idee, comincia a
discutere con il compagno.
E
dopo averli ascoltati litigare fin
troppo, Bogotà prende parola - “Hai ragione, qui
da soli siamo impotenti. Spero
di non causare problemi ai Dalì, invitandoli tutti in casa
mia. Può essere un
grandissimo rischio per tutti, e per questo motivo ho intenzione di
convocare
una squadra speciale ”
“Cioè?”
– chiede, confuso Rio.
“Nessuno
sa chi sono, hanno la fedina
pulita… sono gli aiuti di cui abbiamo bisogno”
– sostiene senza precisare nulla
a riguardo.
Così
dicendo, congeda gli amici
ringraziandoli. Seppure a fatica, data la resistenza della Oliveira
risoluta a
rimanere lì fino al rientro di Nairobi, la coppia lascia la
villa.
Quella
sarà una notte lunga e complicata,
nessuno dormirà sogni tranquilli, ne sono certi.
Bogotà,
cosciente di mettere a rischio
altre vite, oltre quelle dei Dalì, sente di non aver altre
possibilità: la sua
Ginevra deve tornare, sana e salva… ed è
necessario arruolare gente!
Giunto
nella stanza di Alba, adagia la
bambina sul letto, rimboccandole le coperte.
Le
prende il pc, utilizzato dalla undicenne
per svolgere dei compiti per la scuola, e dirigendosi nella camera
matrimoniale,
accende il computer e scrive una serie di e-mail.
**************************
Sono
le due di notte quando Nairobi rincasa.
Il silenzio che si avverte tra quelle mura è per lei un
rumore assordante… il
buio che riempie l’ingresso, contrasta con la fioca luce
della sua stanza.
A
passo lento, la donna percorre pochi metri,
barcollando proprio com’è solita camminare una
persona ubriaca, priva di
lucidità. Ed è così che Agata si
sente…svuotata di ogni emozione, privata della
sua vitalità, dominata dal rimorso e dai sensi di colpa.
Non
le è servito a nulla correre lungo l’intero
viale, percorrere chilometri a piedi, attraversare zone della
città mai viste,
al solo scopo di metabolizzare l’accaduto. In cuor suo non
ammette che Ginevra,
la sua dolce e piccola Gin, sia sparita nel nulla.
E
così, mentre in quelle dannate ore convinceva
se stessa di vivere un brutto sogno, che a breve si
risveglierà circondata
dalle braccia di suo marito e dalle coccole dei suoi figli, la
realtà dei fatti
si mostra violenta ai suoi occhi.
La
cameretta dei gemelli ne è la prova:
c’è
Sebastìan che dorme, però il lettino con la
trapunta di Frozen, quella tanto
voluta da Ginevra per Natale, è perfettamente in ordine. Le
foto della piccola
diventano, in un battibaleno, delle coltellate al cuore e il suono
della sua
dolce voce riecheggia nelle pareti.
“Mammina,
mi leggi la favola della buona notte” –
Agata sobbalza e, senza esitare, si
guarda attorno , come a voler cercare la bambina.
Corre
in tutta casa, continuando a
chiamarla, ormai preda di una vera e propria follia.
Si
immobilizza, nel corridoio, di fronte
alla fotografia del suo matrimonio.
Tutta
la sua serenità cominciò quel giorno.
E
ogni cosa sembra essere finita oggi!
La
voce di Bogotà, alle sue spalle, la
distoglie dai suoi pensieri.
“Sei
tornata, grazie a Dio!”
Nairobi
non sembra intenzionata a voltarsi
ed incrociare lo sguardo di lui, e ciò spinge
l’armeno ad avanzare nella sua
direzione..
“Parliamo,
per favore?” – la prega lui,
sfiorandole un braccio.
Quel
gesto manifesta premura e attenzione. Bogotá
sente l’esigenza di averla con sé, di sentirla
vicino, in un momento tanto
difficile. E
vederla ritrarsi, è l’ennesima
batosta.
“Quanto
vuoi farmi pesare questo fatto? Pensi
che io non mi senta in colpa? Per me è uno strazio, ti prego
non allontanarti.
Non fa bene al nostro rapporto tutta questa tensione! Andiamo a letto,
per
favore!”
I
secondi che passano sembrano un’eternità,
durante i quali la Jimenez non mostra un segnale di compassione verso
il
marito. Addirittura lo fredda, comunicandogli - “Io dormo
nella stanza degli
ospiti stanotte!”- riprende il passo ,diretta verso la stanza
in questione;
chiude la porta con forza e si isola, schiava di un dolore sempre
più
asfissiante ed invasivo, che le ha schiavizzato la mente.
All’ex
saldatore, rimasto impassibile
davanti alla freddezza della gitana, non rimane che costatare quanto il
suo
matrimonio possa rischiare lo sfracello dopo la vicenda di Ginevra.
Così,
dopo dodici anni di condivisione di
un letto nel quale ha vissuto tante notti di puro amore, si corica,
amareggiato. Ed è allora che il PC, rimasto acceso, segnala
l’arrivo di un’e-mail.
“Caro
papà, ho contattato alcuni dei miei fratelli, conta pure su
di noi” – legge
ad alta voce l’uomo, appurando che Julian, il suo primogenito
ha confermato la
sua presenza.
Non
riuscendo più a chiudere occhio, Bogotá
trascorre le ore seguenti di fronte allo schermo del computer,
intrattenendosi
con i suoi figli. E sono proprio loro, i sette eredi del saldatore, la
soluzione giusta: la
famiglia è l’unica
medicina per quel dolore. E riabbracciarli, a distanza di tanto tempo,
non può
che alleviare le ferite che hanno marchiato il suo debole cuore.
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Capitolo 4 *** 4 Capitolo ***
NOTA
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti/e. Spero che la fanfiction
vi stia piacendo. Ringrazio chi di voi la segue e l'apprezza. Ammetto
che una recensione per rendermi cosciente che la storia piace o meno,
mi farebbe molto piacere. Però sono contenta comunque che
c'è gente che la legge ugualmente. Quindi non mi resta che
augurarvi buona lettura con questo nuovo capitolo.
xoxo Ivy
*************************************************
E’
mattino e il cinguettio degli uccellini
risveglia Nairobi, la quale non solo apre gli occhi a un nuovo giorno,
ma è
chiamata ad affrontare, da lì in poi, l’assenza di
sua figlia minore.
Stiracchiandosi,
una volta in piedi, appura
di trovarsi nella camera degli ospiti: ciò è la
prova lampante che quanto
accaduto la sera prima è reale e non frutto di un brutto
sogno.
Nessuno
correrà a salutarla per darle il
buongiorno come di rito. Nessuno si getterà sul lettone per
farsi spazio tra
mamma e papà. Nessuno supplicherà Nairobi per un
pezzo di pane e marmellata in
più… nulla di tutto ciò
accadrà, e Agata questo lo sa bene.
Alquanto
stanca, viste le poche ore di
sonno, si dirige verso la cameretta di Alba.
Nota
che il letto è in perfette condizioni.
Si reca allora da Sebastìan e la situazione è
analoga.
Il
panico non tarda a farsi sentire.
“Bambini
dove siete?” – grida, mentre gira dentro
casa con fare nervoso.
Raggiunge
la cucina, accorgendosi che anche
lì tutto è pulito e lucido come uno specchio.
“Che
cazzo succede?” – esclama, incredula.
Terrorizzata,
inizia a chiamare il marito.
“Bogotà!”
– insiste più volte ed è allora
che, finalmente, riceve risposta.
L’uomo
è in veranda, con un sigaro tra le
dita, mentre invia e-mail con il PC di Alba.
“Che
cosa stai facendo qui fuori? I
bambini dove sono?”
“Buongiorno
anche a te” – commenta lui,
fissando lo schermo del computer con estrema serietà
– “Sono da Tokyo. Lei ha
voluto che andassero a fare colazione e ho acconsentito”
“Ah
beh certo…io non conto nulla adesso? Non
potevi informarmi prima?”
“E
quando avrei dovuto? Mi hai praticamente
sbattuto la porta in faccia e ti sei chiusa in camera senza voler
vedere
nessuno. Se fossi entrato per informarti, mi avresti rimproverato di
non
rispettare la tua privacy…” – replica il
saldatore.
Nairobi
non risponde a quello che è un vero
e proprio attacco, cosciente che forse Bogotà non ha tutti i
torti.
Così
lascia stare la questione e torna
dentro casa, intenta a fare una doccia veloce e uscire.
“Dove
pensi di andare?” – domanda lui, mezz’ora
dopo, guardandola indossare un giubbotto di pelle rossa.
“A
cercare mia figlia! Non me ne sto sulla
veranda a smanettare con il PC… io!” -
precisa lei.
“Adesso
basta!” – a quel punto l’uomo non
sopporta più di essere un oggetto contro cui scagliare
frustrazioni – “Odiami quanto
vuoi, trattami come se fossi uno straccio… ho capito che ti
fa stare meglio
agire in questo modo…ma non permetterti di insinuare che io
non cerchi
Ginevra!! Questo no, cazzo!”
“A
me sembra che tu sia talmente rilassato
da fumare un sigaro in piena
tranquillità…”
Bogotà
sa che da lì a pochi secondi la
discussione sarebbe diventata una lite molto forte.
Si
contiene, di nuovo. Poi decide di
informare la donna di quanto sta per accadere.
“I
Dalì verranno qui!”
“Cosa?”
– quella confessione spiazza
Nairobi che, pietrificata, ricorda i momenti vissuti
all’interno della Banca di
Spagna, durante i quali ha rischiato di morire –
“Non possiamo permettere che si
espongano l’ennesima volta , mandando a puttane la loro
libertà!”
“Lo
so, è stata Tokyo a contattare il Professore!”
“Adesso
mi sentirà!” – arrabbiata, la
Jimenez afferra le chiavi dell’auto e si dirige verso la
porta d’uscita
secondaria, che la collega direttamente al garage, dove è
parcheggiato il
mezzo.
Prima
che la donna sale a bordo, Bogotà la
segue e le dice – “Io ho voluto che partecipassero
i miei sette figli”
E’
tale rivelazione a paralizzare
totalmente Nairobi. La gitana fissa il marito, incredula. Comprende
solo allora
di avergli gettato addosso tanto fango e sputato veleno ingiustamente.
Lui non
solo si era messo al lavoro per reclutare aiuti, ma ha scelto tra
questi i suoi
eredi… il sangue del suo sangue , consapevole che
è certamente pericoloso per
dei giovani alle prime armi.
“Come
pensi che possano cavarsela? Sono dei
ragazzini”
“Non
più. Lo erano dodici anni fa, quando
raccontai a te e Denver della loro identità! Hanno coraggio
da vendere, tutti!
E saranno qui in serata”
“Di
già?”
“Sì,
hanno preso i biglietti aerei per
raggiungere Perth il prima possibile. Non hanno esitato quando gli ho
raccontato l’accaduto…sono l’aiuto di
cui necessitiamo!”
Il capofamiglia conclude così il suo discorso, tornando in
casa pronto ad
allestire le camere per i suoi figlioli.
Spiazzata
e al contempo preoccupata per
quello che potrebbe accadere, Nairobi scende dal mezzo e abbandona
l’idea di
ricercare Ginevra senza alcun piano o tracce importanti su cui indagare.
A
passo lento raggiunge il consorte,
notandolo alle prese con un letto e delle lenzuola pulite.
“Cazzo!”
– esclama poi, dopo essersi
accorto di averle sistemate al contrario.
L’armeno
sta per cedere al pianto…Nairobi
ne è certa… e quando lo vede accasciarsi a terra,
con le mani sul volto,
capisce la sua sofferenza e se ne colpevolizza.
Lo
raggiunge, creando imbarazzo in lui.
“Non
eri andata…?”
“Ho cambiato idea! Ti aiuto qui” –
così dicendo, mantenendo sempre e comunque
un tono distaccato, la Jimenez prepara la camera in un battibaleno.
La
mattinata trascorre tra silenzi e
assensi.
Dopo
aver informato la scuola di una brutta
influenza di Ginevra, unica scusa plausibile per giustificarne la non
presenza,
Bogotà si pone davanti alla tv.
Il
notiziario è diventato qualcosa d’inguardabile,
viste le tante notizie di cronaca.
Stanco
di quel bombardamento emotivo, opta
per cambiare canale. Però è Nairobi a ordinargli
di non farlo, perché qualcosa ha
attirato la sua attenzione.
“Alza
il volume” – dice e l’uomo non esita
a farlo.
“La
piccola Beth è sparita nel nulla da una settimana. I
genitori sono
terrorizzati. Non sanno cosa pensare. La madre teme che sia un
rapimento per
chiedere un riscatto. Intanto, altre sparizioni pongono in allerta
l’area di Perth.
Che ci sia un maniaco in giro? La polizia indaga. Vi terremo aggiornati”
L’idea
di Ginevra tra le mani di un folle esaltato,
rapitore di bambini, terrorizza i due coniugi che guardandosi ,
turbati, si
convincono che l’idea di Tokyo sia stata quella giusta.
“Ti
prego devi venire qui assolutamente!” –
scrive Agata a Sergio, poco dopo.
E
la risposta del Professore non tarda ad
arrivare – “Saremo lì domani! I
Dalì stanno tornando…vedrai che andrà
tutto
bene, non temere e non perdere la lucidità. Sarebbe solo
peggio…anzi! Non devi
permettere che il tuo matrimonio risenta di questa faccenda.
Chiaro?”
Le
parole di Marquina toccano Nairobi nel
profondo. Con l’aria alquanto amareggiata, la gitana posa lo
sguardo sul marito,
alle prese con il suo sigaro.
“Non
avevi smesso di fumare?” – chiede.
“In
momenti di grande tensione non posso
non farlo! mi sfogo così” – commenta il
saldatore.
In
quel momento la Jimenez percepisce in
lui la stessa sua fragilità.
“Avrei
dovuto rimanere a casa ieri!”
- dice, cambiando discorso all’improvviso.
“Che
dici?” – domanda l’uomo, confuso.
“Sì,
ho dato la colpa a te sapendo che
sarebbe potuto accadere anche se a casa ci fossi stata solo
io!”
“No,
tu sei più attenta. Con te non
sarebbero scappati in giardino per nascondersi…”
“Adesso
che Ginevra è chissà dove e chissà
con chi, e adesso che la tua idea di riunire la famiglia è
ciò che serve, penso
che possa essere utile anche a me chiamare qualcuno
d’importante”
“Sei
sicura? Ti senti pronta a questo?” –
Bogotá
ha inteso immediatamente le intenzioni di lei.
La
gitana annuisce.
Afferra
il cellulare regalatole dai
complici del professore, divenuti ormai amici, i loro protettori.
Compone
un numero e attende qualche
secondo.
Il
telefonino squilla quattro volte…attimi
paragonabili a un’eterna attesa.
Poi
una voce risponde.
“Pronto?”
“Axel,
sono la mamma! Ho
bisogno di un favore”
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Capitolo 5 *** 5 Capitolo ***
Nairobi
e Bogotá hanno intenzione di riunire
la loro grande famiglia allargata, ben coscienti dei rischi. Non hanno,
però,
altre scelte. È la soluzione al problema più
grande d’affrontare, quello
riguardo il segreto da mantenere sulle loro reali identità.
Ottenuta
anche la conferma di Axel, possono
ritenersi soddisfatti. Rivedere il suo primogenito, probabilmente,
sarà la
boccata l’aria di cui Agata ha bisogno.
Il
piano prevede la collaborazione degli otto
ragazzi, sconosciuti alle autorità mondiali, in quanto
nessuno più di loro può
agire di nascosto e indagare la scomparsa di Ginny senza destare
sospetti.
“Sei
felice che Axel venga qui?” – chiede
Bogotà
alla moglie, una volta sistemata casa.
“Felice
non lo sarò mai, se non avrò i miei
figli qui… tutti!” – precisa mantenendo
un tono molto distaccato. Lasciando il
marito sul pianerottolo, si avvia verso l’automobile.
Costretto
dalle circostanze ad ingoiare l’ennesimo
boccone amaro, il saldatore dei Dalì accetta
l’ennesima sconfitta. Quella
che sembrava una pace, un
riavvicinamento, non lo è affatto.
Segue
la donna fino al mezzo, sul quale sale
qualche secondo dopo. Entrambi si dirigono, così, verso la
villetta dei Cortés-Oliveira.
Quando
Tokyo apre loro la porta d’ingresso,
resta piacevolmente sorpresa di vederli assieme. E così,
approfittando di una
distrazione di Nairobi, sussurra all’orecchio di
Bogotá - “Avete chiarito,
allora?”
L’uomo
sospira profondamente, non
approfondendo la questione. Le dice solo - “La situazione
è stabile!”
Una
volta pronti a rincasare, con i propri
bambini, il saldatore annuncia agli amici la decisione presa, quella di
convocare qualcuno di speciale per le ricerche di Ginevra.
“Volevamo
dirvi che il Professore sarà qui
domani e lo stesso vale per un team d’eccezione che spero
siate felici di
conoscere”
“Chi
sarebbero?” – domanda Selene, confusa.
“I
nostri figli!” – sono queste le parole
chiarificatrici di Bogotá. Poche ma incisive, che colpiscono
tutti, inclusi i
figli che si guardano tra di loro confusi.
“Non
capisco, papà!” – prende parola Alba.
“I
vostri fratelli e le vostre sorelle
verranno a Perth per aiutarci a riportare Ginny a casa!”
– spiega il genitore,
abbassandosi all’altezza dei bambini, guardandoli negli
occhi.
Con
tenerezza, li avvicina a sé e li
abbraccia. Il loro profumo e la loro sola presenza sono ossigeno
puro…e pensare
che non si comportò mai da padre con gli altri sette figli,
senza sapere quanto
di bello avesse perduto! E sono stati proprio i suoi ultimi tre bambini
ad
insegnargli a diventare un papà e a godere delle gioie
nell’esserlo.
Dopo
quella scena tanto dolce e commovente,
la famigliola si congeda.
Salgono
a bordo della loro auto percorrendo
quei pochi kilometri che li separano dalla loro villa.
C’è
silenzio, fin troppo, durante quei minuti
di tragitto, allora Bogotá, non sopportando
quell’assenza di caos che, da
sempre, invece, era solito udire e rimproverare ai suoi figli, accende
la
radio.
La
musica a medio volume sembra riempire
degli spazi in cui una voce mancante pesa sul cuore di tutti.
Casualmente
viene tramessa una canzone in
particolare. Una canzone che fa accapponare la pelle dei due adulti.
https://www.youtube.com/watch?v=ByfFurjQDb0
E
quando Nairobi non sopporta più i tanti
ricordi ad essa collegati, spegne l’apparecchio.
“La
canzone preferita di Ginevra!” – commenta
Alba, trattenendo il pianto, volgendo lo sguardo al finestrino per
distrarsi da
pensieri troppo forti da tollerare e sopportare alla sua giovane
età.
Sebastìan,
al contrario, è paralizzato dal
suo dolore. Non ha aperto più bocca dalla sera precedente, e
non manifesta
reazioni di alcun tipo, neppure udendo la musica che la sua gemella era
solita
canticchiare con la sua voce angelica.
Bogotá
con la coda dell’occhio scorge lo
stato emotivo della consorte: le mani le tremano e lei cerca di
controllarle,
invano.
Con
tenerezza, adagia la sua, staccandola dal
cambio marcia, su quella di lei. Però quel gesto viene del
tutto evitato.
Nairobi
respinge la premura del marito,
alimentando la tensione tra loro.
Accortasi
di essere giunti a destinazione, è proprio
la gitana la prima a scendere dal veicolo.
Aspetta
i bambini e, prendendoli entrambi
sotto la sua ala protettrice, entra in casa…non prima di
aver osservato Bogotá,
rimasto in automobile, solo con se stesso.
“Cazzo!”
– esclama l’uomo, sfogando la sua rabbia,
con dei colpi al volante.
Stanco
di una situazione che gli appare
surreale, riaccende il mezzo e sfreccia via.
Non
ha una meta, non uno scopo preciso…sente
che allontanarsi di casa è la cosa migliore per non
esplodere.
“Papà
dove è andato?” – domanda Alba, notando
dalla finestra la fuga del genitore.
Nairobi
non sembra dar peso al fatto e si
limita solo a dire - “Avrà dimenticato qualcosa da
zia Tokyo!”
Raggiunta
la cucina, per distrarre la propria
mente e quella dei figli, la Jimenez chiede loro di aiutarla a
preparare dei biscotti.
Sa che è difficile, visto lo stato d’animo che la
attanaglia da ormai
ventiquattro ore. Eppure
non vuole che
tali circostanze complicate siano assorbite dai bambini, i quali, a
loro volta,
inevitabilmente, ne risentono.
Specialmente
Sebastìan, chiusosi in se
stesso, non si pronuncia in merito alla proposta della mamma: infatti,
si siede
al tavolo e guarda, impassibile, la donna cucinare assieme ad Alba.
E
molti flashback gli balzano alla mente. Quante
volte, assieme a Ginevra, si sono divertiti a impasticciare. Nairobi
accendeva la
radio e ballavano come matti e cantavano a squarciagola.
Agata
è consapevole di non poter replicare
quei momenti di allegria. L’allegria ha lasciato quelle mura
quando Ginny è
sparita. Non è giusto né normale ci sia gioia
laddove si respira solo tanto
dolore.
“Amore
mio, assaggiane uno!” – dice la
Jimenez al piccolo, porgendogli il vassoio, una volta sfornati i
biscotti.
Il
bambino, tanto simile a Bogotá nelle
espressioni e nei colori della pelle e dei capelli, scuote il capo.
“Dai,
sono buoni. Li abbiamo preparati come
piacciono a te” – insiste la gitana.
Se
c’è una cosa che Sebastìan non sopporta
è
la costrizione. Alla sua adorata mammina ha sempre ceduto, stavolta non
lo fa.
Si
arrabbia e lo mostra colpendo con forza il
vassoio, lasciando che tutto cada a terra.
Proprio
come la sera precedente, il gemello
di Ginevra perde il controllo, scaraventando qualcosa sul pavimento.
Dispiaciuto
e arrabbiato allo stesso tempo,
corre nella sua camera, ignorando la madre e la sorella che,
seguendolo, si
preoccupano.
Bussano
alla porta, tentano di farlo
ragionare…eppure Sebastìan non risponde.
Sono
i suoi singhiozzi, la prova di un pianto
liberatorio.
“Sorellina
mia, mi manchi dove sei?” –
piange, strofinandosi gli occhi. Accucciato a terra, con le spalle alla
parete,
sfoga in solitudine la sua tristezza.
Prende
un pezzo di carta e scrive una frase,
per rassicurare le due persone che da almeno dieci minuti sono di
fronte alla
sua cameretta e gli parlano insistentemente. Dopo aver piegato il
biglietto, lo
infila sotto la porta, permettendo ad Alba di afferrarlo.
“Voglio
stare da solo. Mammina, non ti
arrabbiare, ti prego” -
legge
l’undicenne, mostrando il foglio alla madre.
E
così, accettando il volere del bambino, le
due tornano in cucina. Nairobi sente le sue certezze frantumarsi ogni
ora che
passa… tra queste certezze, teme che perfino
l’arrivo dei Dalì o dei ragazzi di
Bogotà e di Axel, non possano cambiare le cose.
Vivere
un trauma tanto forte e intenso, muta
le persone… e tale mutamento può causare la fine
di molte cose… soprattutto delle
relazioni umane!
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Capitolo 6 *** 6 Capitolo ***
La
giornata trascorre in apatia, tra delle
mura diventate una vera e propria prigione che alimenta
l’agonia di chi vi
abita.
Sebastìan
non abbandona la sua stanza, tanto
che Nairobi si vede costretta a lasciargli la cena a pochi passi dalla
cameretta, adagiando un vassoio su un piccolo mobile di legno
lì accanto.
Alba,invece,
indossa le grandi cuffie
regalatele al compleanno dagli adorati zii, Tokyo e Rio, e si isola nel
suo
mondo fatto di musica o cinema. Ama guardare film e serie tv, grazie ai
quali è
in grado di sognare di trovarsi in una
realtà diversa da quella che sta purtroppo vivendo.
Dal
canto suo, Agata, rimasta in cucina a
lavare le stoviglie, anche quelle già pulite, trova sfogo
alla sua frustrazione
nella pulizia e nel riordino di vecchi libri sulle mensole del salone.
È proprio
quando sistema raccoglitori vari, si imbatte, senza volerlo, in un
album dalla
copertina bianco perla, sulla quale si possono rilevare e palpare i
calchi di
due fedi nuziali.
La
gitana, nostalgica, lo apre vogliosa di
assaporare, tramite i ricordi, dei momenti di felicità
pura…una felicità
guadagnata dopo difficoltà che credeva insormontabili.
La
prima fotografia mostra, in un solo scatto,
l’amore che lega la donna a Bogotá, uomo che
inizialmente non apprezzava, se
non sul piano professionale.
“Non ti
toccherei nemmeno con un palo” – quella
frase rivolse anni addietro all’attuale
marito, dandogli un amaro due di picche, riecheggia nelle sue orecchie,
ricordandole quanto fosse stata scontrosa con un uomo che perse la
testa per
lei dopo solo qualche ora di conoscenza.
La
dolcezza del saldatore, all’apparenza un
casanova senza scrupoli, la conquistò e la cambiò
totalmente. Abbassò quelle
mura difensive che si era costruita dopo aver sofferto molto e si
aprì all’amore
vero.
“Ricordi
quando ti ho detto che non ti avrei toccato neanche con un palo?
Beh…ci sto
pensando” – anche quel momento si fece
vivido alla mente della gitana,
accendendo in lei un timido sorriso.
Sfiorò
la fotografia, come a voler assorbire
la gioia di quel giorno, impresso nella sua memoria. Delle nozze
organizzate in
maniera bislacca, come sono soliti fare tutto nella vita i
Dalì. E Nairobi
sapeva bene, quando accettò la proposta del saldatore, che
il matrimonio
avrebbe avuto dei limiti: niente chiesa addobbata di fiori e di un
lungo tappeto
rosso, niente ristorante con feste e numerosi invitati, nessun parente
… beh di
questo la Jimenez non soffrì sicuramente, visti i rapporti
inesistenti sia con
la madre che con il padre.
Mentre
scorre le pagine dell’album
fotografico, con le lacrime agli occhi, la gitana non può
non sentire il
desiderio di tornare a quei momenti speciali, quando Tokyo fu la sua
testimone
e Rio quello di Bogotá. Alba aveva due anni
all’epoca e indossava un vestitino
bianco di tulle, con un cerchietto di fiori tra i capelli,
già molto lunghi e
voluminosi, corposi come quelli della sua mamma.
Innamorata
di quell’immagine scattata alla
damigella, mano nella mano con Selene, la Jimenez nota una forte
somiglianza
tra la figlia e Bogotà. Hanno la stessa carnagione, lo
stesso colore di
capelli, persino lo stesso sguardo.
“Il
mio angioletto” – commenta ad alta voce,
riferendosi ad Alba seduta sulle gambe di Tokyo, durante la cerimonia.
Continua
la visione dell’album ed ecco che
torna a bloccarsi…stavolta davanti all’immagine di
un bacio che segnò un SI per
la vita, un bacio che aveva il sapore del tanto desiderato happy
ending.
Il
giorno più importante della sua vita,
Nairobi lo trascorse in condivisione con i suoi testimoni
nonché migliori amici
e due persone, ormai di fiducia, considerate protettrici delle
identità dei
quattro Dalì giunti a Perth: Carmen e Adam Johnson, lei spagnola, lui
australiano. Sono stati
proprio i due, conoscenze di Sergio Marquina, a dare ai Dalì
residenti a Perth
la giusta protezione, oltre che delle false
identità… per l’ennesima volta!
“Da
oggi in poi, qui in Australia sarete i
signori Sanchez!” – fu quello che venne comunicato
alla coppia, subito dopo la
celebrazione. Anche la loro prole avrebbe portato quel cognome.
La
gitana , fissa con lo sguardo sull’album,
non si accorge che Bogotá è rincasato.
L’uomo,
a passo lento, percorre i pochi metri
che lo separano proprio dal salotto dove la donna, seduta sul divano,
rispolvera vecchi ricordi.
L’ex
saldatore spia la moglie, osservandola
commuoversi. È spiazzato nel guardarla sfogliare
l’album del loro matrimonio, e
fingendo di non aver notato quel dettaglio, manifesta la sua presenza
lusingandola
- “Sei bellissima”
Non
resiste nel dirlo, vedendola talmente
splendida nella sua fragilità.
Quel
complimento fa sobbalzare Nairobi che,
si volta verso di lui e chiude subito l’album di foto,
nascondendolo sotto il
cuscino del sofà.
“Sei
tornato?! Cosa hai fatto fino a
quest’ora?” – il tono di rimprovero,
sminuisce l’apprezzamento sincero
dell’uomo alla sua compagna.
“Avevo
bisogno di stare da solo! Però guardandoti
lì, preda delle tue emozioni, mi sono accorto che non mi fa
stare bene la
solitudine…” – lento avanza verso la
consorte e le si siede vicino.
“Se
hai fame, c’è del pane e del
prosciutto…”
– commenta lei, alzandosi in piedi.
Fa
per andarsene, ma stavolta è Bogotà a
impedirle di farlo.
“Aspetta,
ti prego” – la prende per mano,
trattenendola.
“Cosa
vuoi? Ho sonno, lasciami andare a
dormire. Domani arriverà la squadra e dobbiamo essere in
forze! Starmene a casa
qui a non fare un cazzo mi fa solo più
male…almeno tra 24 ore daremo il via
alle ricerche. Abbiamo aspettato anche troppo…”
– così dicendo, allenta la
stretta del marito e si dirige nella stanza degli ospiti, la stessa
nella quale
ha pernottato la sera precedente.
“Per
quanto tempo pensi che dormirai in un
letto che non è il nostro?” – replica il
saldatore, costatando i fatti.
“Buonanotte!”
– Nairobi non ha voglia neppure
di replicare. Chiude la porta e si libera immediatamente della maglia
che ha
indosso.
Non
immagina che il marito avrebbe invaso la
sua privacy proprio in quell’istante.
“Nairo…ascolta”
– dice, piombando nella
camera.
“Ma
che cazzo…?!”
- esclama la gitana, arrabbiandosi.
“Scusami,
volevo solo chiarire che…”
“Ti ho detto che ho sonno. Voglio dormire, puoi uscire per
favore? Prima che mi
incazzi sul serio. Mi conosci, sai come divento quando mi arrabbio.
Adesso
esci…” – gli indica la porta.
E
quando è a pochi passi dall’uscita, il
capofamiglia scuote il capo, fortemente deluso dalla consorte
– “Se non mi ami
più, basta dirlo!”
“Che?!”
“Perché
cazzo guardi le fotografie del nostro
matrimonio se invece non provi più nulla?”
“Cosa
stai dicendo? Non capisco” – finge lei,
appurando che l’album che lei ha nascosto con premura per non
essere scoperta
nel momento di fragilità, è stato invece scoperto.
“Ti
ho vista prima! E conosco quell’album alla
perfezione. Lo guardo spesso anche io, sai? Mi ricordami di quando
eravamo
felici! Perché non vuoi più avermi
vicino?”
“Basta!”
– replica lei, non sopportando
parole che le appaiono assurde. Certo che lei ama Bogotà,
anche se il suo
comportamento dice il contrario.
“Basta
lo dico io! Se mi ami davvero, se
tieni a me, stanotte non dormi qui dentro. Dormi accanto alla persona a
cui hai
detto SI sull’altare. Io ho bisogno di averti accanto, di
sentire che ci sei.
Affrontare un momento così difficile da solo è un
suicidio. Sai che è così.
Siamo marito e moglie e i problemi li affronteremo uniti. Sbaglio o sei
stata
proprio tu ad insegnarmelo? Mi hai detto più volte che io
fuggivo dalle
responsabilità e dalle
difficoltà…bene, eccomi! Io ci sono, li sto
affrontando…sei tu quella che scappa…”
– lo sfogo di Bogotà paralizza Agata
che, rimane in silenzio, con gli occhi bassi.
“Se
mi vuoi ancora, sai dove trovarmi!” –
conclude lui, chiudendosi la porta alle spalle.
E
Nairobi, sola di fronte ad una stanza
vuota, si accascia a terra e scoppia a piangere.
Bogotá,
invece, torna in salotto e tira fuori
dai cuscini del divano l’album nascosto da Nairobi. Si getta
a fondo nei
ricordi, speranzoso che solo quelli possano placare il suo animo.
È
tarda notte quando il saldatore si corica,
costatando che il letto è vuoto.
Sua
moglie ha deciso ormai…e ha deciso di
fare a meno della sua presenza!
Affranto,
si libera della camicia, indossa i
pantaloni del pigiama e una canottiera nera, si sdraia nella sua
postazione
abituale, spegne la bajour sul comodino e chiude gli occhi.
Difficile
dormire, pensa tra se e se eppure
senza rendersene conto, cade tra le braccia di Morfeo, esausto
fisicamente,
psicologicamente ma soprattutto emotivamente.
***************************************************
E’
quasi l’alba e Nairobi viene svegliata di
soprassalto da un incubo.
Due
occhi agghiaccianti e una voce inquietante
la fanno tremare
“Hei
meticcia, ti avrei detto che ti avrei
uccisa”
Sudata
e tremante, sobbalza dal letto,
pronunciando il nome di un essere mostruoso che la torturò,
voglioso di
toglierle la vita.
“Gandia”
- anche solo
menzionarlo sembra risvegliare
nel suo corpo l’ansia vissuta.
E
così istintivamente, i suoi piedi e la sua
testa la conducono in un’altra camera da letto.
Entra,
senza far rumore, proprio nella sua
stanza matrimoniale dove il marito dorme.
Avrebbe
potuto chiamarlo o chiedere conforto
tra le sue braccia. Eppure avverte, nuovamente, un freno.
Così,
trova un’altra soluzione. Raggiunge
Alba e si stende accanto a lei.
“Mammina,
che succede?” – domanda
l’undicenne, svegliata di soprassalto dalla figura materna.
“Shhh
torna a dormire!” – le sussurra,
accarezzandole il viso con dolcezza.
E
la bambina approfitta del momento,
accoccolandosi al petto della donna.
L’abbraccio
che la Jimenez cercava per
tranquillizzarsi le è servito a chiudere gli occhi di nuovo
e cedere al sonno.
*******************************
E’
tarda mattinata quando la Jimenez si
sveglia, di soprassalto, rendendosi conto di essere sola nel letto.
“Cazzo!”
– esclama, controllando poi la
sveglia sul comodino – “Ma è
tardissimo!”
Trova
un biglietto sul cuscino di Alba e lo
legge ad alta voce.
“Dormi
pure, mammina! Noi siamo con zia
Tokyo” -
a comunicazione serve a
tranquillizzarla circa l’assenza della figlia.
Così,
il più rapidamente possibile, indossa
le sue babbucce e corre in bagno per una doccia.
Questo
giorno è speciale: avrebbe
riabbracciato i Dalì e conosciuto finalmente i sette figli
di Bogotà…ma
soprattutto, rivedrà il suo adorato Axel.
Veloce
come la luce, raggiunge la cucina
mentre sistema una pinza tra i capelli.
C’è
del caffè caldo già pronto e una tavola ben
imbandita di cibo e bevande.
Si
siede e sgranocchia i biscotti preparati
la sera prima. All’improvviso viene attirata da alcune voci
in giardino.
Sbircia
dalla finestra e le basta poco per
riconoscere che a parlare con Bogotà sono persone fin troppo
familiari.
Gli
occhi di lei si illuminano e, senza
esitazione, corre fuori casa diretta proprio verso un gruppetto di
gente.
“Professore”
– grida di gioia, andandogli
incontro.
Sergio
Marquina, sempre uguale nel look e nel
portamento, tranne per alcuni capelli brizzolati, l’accoglie
in un abbraccio.
Sempre rigido come quando Nairobi lo conobbe la prima volta,
l’intellettuale
fratello di Berlino si emoziona nel rivederla.
E
ovviamente, come stabilito, non c’è solo
lui… Agata in un battibaleno si trova accerchiata da
Lisbona, Denver,
Stoccolma, Helsinki, Palermo…
“Siete
venuti tutti!” – piangendo, li
abbraccia uno ad uno, ringraziandoli di cuore per aver messo a rischio,
per
l’ennesima volta, la loro libertà.
“Scherzi,
vero? Sai che siamo venuti qui
perché ci mancavi da morire” – ridacchia
Denver, sdrammatizzando. Probabilmente
la sua presenza sarà fondamentale per smorzare la tensione
ogni volta che si
toccherà l’apice.
Tokyo
e Rio, assieme ai Johnson, raggiungono
il gruppo poco dopo.
Una
volta entrati tutti in casa, i Dalì si
trovano di nuovo di fronte a una missione e mai come in quella
circostanza,
sentono di dover dare il massimo.
“Ginevra
tornerà qui, state tranquilli. È una
promessa” – così Sergio conforta gli
amici.
“Hai
qualche idea su chi potrebbe essere
stato? Magari se qui vive qualcuno della polizia che vuole
catturarci!” –
chiede il saldatore al Professore.
“Dubito,
però bisogna scovare delle tracce.
Innanzitutto la prima cosa da fare è chiedere quanto
più possibile all’ultima
persona che ha avuto contatti con Ginevra…”
– sostiene il Marquina.
“Sebastìan!”
– afferma Bogotà, ricordando che
i gemelli erano assieme al momento della scomparsa.
“Deve
raccontarci ciò che sa! E’ un modo per
cominciare altrimenti rischiamo di perdere ancora del tempo
prezioso” –
aggiunge Lisbona, intromessasi nella conversazione tra i tre.
Nairobi,
presente ma di poche parole, sente
in cuor suo che nulla sarà facile come previsto. Il suo
bambino si è chiuso in
se stesso, non parla…come possono costringerlo a rivelare
dettagli utili alle ricerche?
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Capitolo 7 *** 7 Capitolo ***
I
Dalì sono finalmente, di nuovo, tutti assieme.
Quante volte ciascuno di loro sognò una bella rimpatriata,
resa impossibile dalle
regole del Professore: non uscire dai confini del continente che li
ospita,
tutelare la propria identità, non mettere più a
rischio la copertura, come già
successe con Rio in passato.
“Amici
miei, mi siete mancati da morire!” –
confessa Denver, seduto su una poltrona in salotto, dove sono radunati
gli
uomini.
“A
chi lo dici. Noi fortunatamente abbiamo
vissuto con Nairobi e Bogotà, o sarebbe stato un dramma.
Tokyo, specialmente,
dopo il casino combinato ai Caraibi, quando mi catturarono, ha pensato
bene di trasferirsi
nella stessa città della sua migliore amica per averla
accanto 24ore su 24” –
spiega Cortés – “Pensate che onore poter
essere i testimoni di queste due
meravigliose persone” – aggiunge, ricevendo una
pacca sulla spalla proprio dal
padrone di casa, lusingato dalle belle parole.
“Peccato
che non abbiamo assistito al
matrimonio! La mia Nairo mi raccontava sempre, quando eravamo in
Argentina, di desiderare
delle nozze uniche” – Helsinki si commuove,
ricordando l’assenza da un giorno
tanto speciale per quella che considera sua sorella minore.
Palermo,
rimasto in piedi, si siede accanto
al serbo e gli sorride in modo particolare. Quel dettaglio è
subito colto dal
saldatore che commenta, piacevolmente sorpreso - “Cazzo, voi
due state insieme ?”
“Ho
penato tanto, e alla fine si è
innamorato!” – Helsinki dà la conferma,
ridacchiando.
“Smettiamola
di parlare di argomenti così,
sapete che odio le smancerie in pubblico…” - si
imbarazza l’ex leader della
Banda, ed evita di approfondire la questione.
Tra
una chiacchiera e l’altra, il padrone di
casa, intenzionato a rendere partecipi i suoi compagni di un momento
unico a
cui non hanno partecipato, mostra loro il famoso album nuziale
porgendolo
proprio a Helsinki, il quale si emoziona subito guardando la sposa
– “Nairobi è
un incanto. Era bellissima con quell’abito”
– nessuno ha mai conosciuto quel
lato tenerone del serbo, probabilmente solo la Jimenez!
“Già,
è stato un momento indimenticabile” –
commenta Bogotà, incupendosi subito dopo.
“Che
succede? Come mai quella faccia?” – a prendere
parola è il Professore, rimasto in silenzio fino ad allora.
Lui, infatti,
sospetta la crisi tra i due e precisa – “Avevo
scritto ad Agata di non
permettere che la situazione potesse destabilizzare la vostra
relazione…”
“Lo
so, però non capisco perché, lei sta
facendo esattamente questo! Sta mandando a puttane tutto
quanto” -
si confida Bogotà, lasciando emergere le sue
debolezze e i suoi dubbi.
“Non
demordere. Nairobi è una donna
orgogliosa. Non ama mostrare fragilità… tu non
cedere. Se percepisce che da parte
tua non esiste più nulla, sarà la prima a
chiudere. Questo va impedito…” – il
consiglio
viene da Helsinki, che, dopo aver vissuto con la Jimenez per due anni,
ha imparato
a conoscerla bene – “Sei suo marito, non permettere
che lei si autodistrugga e
distrugga la vostra storia!”
In
quel momento, voci femminili che avanzano
verso di loro, pongono fine alla conversazione. Tokyo e Stoccolma
raggiungono i
compagni con un vassoio di dolci e una caffettiera fumante.
“Ecco
uomini, assaggiate. La nostra Nairo è
anche una buona cuoca! Assaggiate questi biscotti, sono
squisiti” – sostiene Monica,
sedendosi sulle gambe del marito.
“Ehi
vi ricordate quando preparò la paella e
io brontolai che era una porcheria…” –
dice Denver, rammentando i vecchi tempi.
La sua risata contagia i presenti. La Gaztambide invece gli dice
– “Che scemo
che sei! Non apprezzi nulla”
“Apprezzo
te, mi amor” – aggiunge lui,
baciandola sulle labbra.
Assieme
alle due ex Dalì è giunta anche Alba,
con delle tazze da caffè vuote nelle quali versare la
bevanda. La bambina
ascolta con piacere le battute e l’allegria del gruppo,
tornando a respirare
aria pulita e serenità. Ha lo sguardo rilassato e non mostra
disagio alcuno ad
avere gente sconosciuta in casa. Bogotà la guarda fiero e
tira un sospiro di
sollievo, costatando che almeno un pezzo della sua famiglia ha
abbandonato lo
stato apatico. Infatti, l’undicenne seppure timida e
riservata, non ha avuto
difficoltà ad aprirsi, specialmente con Monica, nota per la
sua dolcezza.
“Tua
figlia ti somiglia molto, sai?” –
sussurra Palermo al saldatore, complimentandosi poi per
l’educazione della
piccola e per la sua bellezza, gonfiando d’orgoglio ancor di
più il suo papà.
******************************
La
gitana è ancora in cucina assieme a
Lisbona, rimasta con lei sapendola triste e sconfortata. Per evitare di
toccare
il tasto dolente dell’amica, la Murillo affronta un argomento
che crede sia
fonte di gioia…purtroppo sbagliandosi alla grande.
“Bogotá
,poco fa, mi ha raccontato che anche
Axel si unirà alla Banda! Sarai contenta di riabbracciarlo,
vero?”
La
Jimenez annuisce, non aggiungendo altro. La
mente è talmente assorta tra pensieri più
disparati, da non dar peso a una
questione che invece non solo le sta a cuore ma che la rende
segretamente
felice.
Raquel
è spiazzata da quella reazione, così
spenta, così atipica. La Nairobi che conosceva, una
combattente, una vera Leader,
la forza della natura della banda dei Dalì, pronta a reagire
di fronte alle
avversità, ha lasciato spazio ad una donna svuotata di ogni
emozione, priva di
luce e di voglia di fare.
Le
ragioni di tale mutamento sono
comprensibili e, proprio per questo, la Murillo accetta senza repliche
la
freddezza dell’amica nei suoi riguardi.
Tra
le due cade il silenzio. Un silenzio
pesante che taglia l’aria, creando una strana tensione. E
Lisbona, vogliosa
solo di dare una mano e aiutare la compagna in difficoltà,
le pone una domanda
che, probabilmente, se avesse saputo, non avrebbe mai posto.
“Come
va con Bogotà? Vi trovate bene qui in
Australia?”
Ecco…
senza volerlo ha toccato una questione
alquanto scomoda: la relazione con il marito.
Nairobi
vorrebbe rispondere che tutto procede
alla grande, che vivono sereni e contenti. In fondo era così
che procedeva prima
della sparizione di Ginevra.
Fino
a due giorni prima, tra loro c’era la
solita sintonia, il solito smisurato amore che non nascondevano davanti
ai
bambini, scambiandosi tenerezze e coccole.
Tale
questione tocca corde profonde del suo
povero cuore devastato, in quanto tutto ciò è
venuto a mancare e sa benissimo
di essere la sola responsabile.
Proprio
perché cosciente di ciò e preda di un
forte senso di colpa, sbadatamente, la gitana si distrae e rovescia, in
parte,
la caffettiera sul tavolo, preda di un momento di nervosismo che
difficilmente
passa.
“Cazzo,
me ne andasse una nel verso giusto” –
esclama, furiosa.
Per
contenersi, nasconde il viso tra le mani;
questo mentre l’ex ispettrice di polizia si appresta a pulire
rapidamente il
danno.
“Tranquilla,
ci penso io” -
mai come allora, Raquel aveva visto Agata in
quello stato.
Certo,
le due non si erano mai conosciute
fino in fondo. Probabilmente fu la mancanza di una vera amicizia a non
dar modo
a Nairobi di sfogarsi come avrebbe potuto e dovuto.
“So
che non siamo molto amiche, però vorrei
che tu sapessi che ci siamo tutti, per qualunque cosa abbiate bisogno!
Non devi
arrenderti, una roccia come te non l’ha mai fatto, non devi
cedere adesso” – la
consola. poi aggiunge - “
Se hai bisogno
di parlare, ci sono”
In
quel momento, la gitana approfitta della
poca confidenza con la ex ispettrice e irrazionalmente la abbraccia.
Quel
gesto nasconde un forte dolore e Raquel lo
percepisce sulla pelle, con tale intensità da avvertire il
cuore schiacciato da
qualcosa di talmente grande da non poter essere spiegato a parole, ma
solamente
sentito nell’anima.
Poi
un’esternazione di Agata, emersa senza
volere alcuno, fa sussultare Lisbona.
“Non
ce la faccio più, sto impazzendo!”
“Allora
tira fuori ciò che provi, non tenere
nulla dentro. Non frenare le tue emozioni. Cosa senti che ti pressa e
che ti
impedisce di respirare? Dillo, liberatene… è la
medicina giusta al tuo
malessere!”
Ed
è proprio in quell’istante che Nairobi
pronuncia delle parole dure e pesanti, che pietrificano Lisbona.
“Sono
morta dentro! Ecco cosa succede… ho
perduto parte di me stessa quando ho perduto Ginevra"
Come
si può consolare una madre con banali
discorsi? Pensa Raquel, riconoscendosi impotente di fronte a tanta
sofferenza. Può
solo limitarsi a dirle - “Abbi fede, risolveremo
tutto”
In
quel momento la figura di un bambino
compare sull’uscio della cucina e viene immediatamente notata
dalla Jimenez.
“Sebastìan!
Amore mio, sei uscito dalla tua
camera finalmente!” – esclama la donna, sciogliendo
l’abbraccio con Raquel, dirigendosi
verso suo figlio.
Si
inginocchia di fronte a lui, specchiandosi
nei suoi grandi occhi scuri. Lo accarezza dolcemente e gli apre le
braccia in
attesa di accoglierlo a sé.
Il
gemello di Ginevra, dopo aver udito il
vociare di gente in casa, ha pensato di raccogliere il coraggio e
confrontarsi
con coloro chiamati a riportargli la sua amata sorellina.
Rimasto
in silenzio, si limita ad osservare
la sconosciuta, ovvero Lisbona.
“Ciao,
tesoro! Sono Lisbona, sono una dei
Dalì. Piacere di conoscerti” – la
Murillo si presenta, con fare materno,
sorridendo al bambino.
Sebastìan,
però, in risposta, si accoccola al
petto materno.
Raquel
ricorda ad Agata che il bambino può
aiutare a smuovere le ricerche di Ginny, e così, tra le
braccia della sua
mamma, il figlio di Bogotà e Nairobi viene condotto dai
Dalì, in salone.
“Vi
presento Sebastìan” – dice la gitana,
una
volta raggiunto il gruppo.
“Sei
tu Seba! Il tuo papà mi ha parlato tanto
di te, sai?” – lo saluta Helsinki, porgendogli una
mano.
Il
bambino si ritrae accucciandosi alla madre.
“Ti
va di raccontare a questi amici cosa è
accaduto quando hai visto Ginevra salire su
quell’auto?” – lo prega Nairobi,
addolcendo il tono di voce.
È
necessario agire il prima possibile, e
Sebastìan deve assolutamente sbloccare quello che appare a
un vero e proprio
mutismo selettivo.
Lui
scuote il capo, non intenzionato ad
aprire bocca.
A
quel punto, il Professore avanza verso di
lui.
“Ti
va di vedere un gioco?” – tira fuori dal
taschino un pezzo di cartoncino rosso.
“E’
stranissimo quest’uomo! Mi domando come
mai ha quella roba nella giacca” – puntualizza
Tokyo, ridacchiando e creando
ilarità nei compagni a lei vicini, Denver e Rio.
“Ecco,
guarda! Adesso farò una magia. Questo pezzo
di carta diventerà un cigno. Ti va di vederlo?”
L’idea
incuriosisce Sebastìan che finalmente
sembra cedere e volge lo sguardo sul Marquina.
Così,
il professore con il suo talento innato
per gli origami, riesce a conquistarlo – “Se vuoi
ti insegno”
Il
bambino, entusiasta, accenna un sorriso e
quella reazione colpisce piacevolmente tutti.
In
primis, i suoi genitori non contengono la
commozione.
Bogotà
istintivamente guarda la moglie,
cercando i suoi occhi. E
finalmente
Nairobi ricambia lo sguardo.
“Sai
che il tuo aiuto è importantissimo per trovare
la tua sorellina?” – chiede Sergio al gemello di
Ginevra, mentre si cimenta nella
realizzazione di un aeroplano.
Il
bambino non risponde, si limita a fissare
gli origami creati dalle mani di quello che per lui è un
mago.
“Se
mi aiuti ne creiamo uno insieme per
Ginny, così quando tornerà lo troverà
sul suo lettino. Che ne dici?”
I
Dalì, in piedi ad ascoltare e sperare in una
reazione positiva, si sciolgono quando Sebastìan, dopo
attimi di tentennamento,
alza il capo e annuisce.
“Quindi
è un SI?” – insiste il Prof,
intenzionato a farlo parlare a tutti i costi.
“Si”
- Seba trova la forza e il coraggio di
rispondere. Si avvicina al professore per abbracciarlo, in segno di
gratitudine
– “Fai una magia, signor Mago. Porta qui mia
sorella”
Riascoltare
la voce del suo bambino e la
richiesta che lui pone a Sergio, fanno crollare emotivamente Nairobi
che, non
contenendo il pianto, si allontana.
Non
vuole essere compatita né vuole
spaventare suo figlio, così si nasconde in veranda.
Accovacciata
a terra, accanto ad una casetta
per bambini, comprata da Bogotá mesi prima per i gemelli,
sfoga le sue
emozioni.
E
mentre le lacrime le scivolano sulle gote, senza
sosta, per l’ennesima volta, si accorge di qualcosa proprio
accanto alla “Casetta”
colorata.
“Questo
cos’è?” – si chiede,
asciugandosi le
guance bagnate con il dorso della mano, mentre con l’altra
afferra il
bigliettino.
“Cara
Ginny, il mio papà ci
porterà al parco
domani, veniamo a prenderti davanti casa. Non mancare, mi
raccomando” –
legge ad alta voce.
“Cazzo!”
– esclama Agata, alzandosi in piedi.
Si
dirige, spedita, verso i Dalì i quali sono
alle prese con Sebastìan.
“Hai
detto che Ginny ti ha confessato che
aveva un appuntamento?”
“Si,
non so con chi… non me l’ha detto”
–
precisa il piccolo.
A
quel punto, interviene la Jimenez - “Forse
chi l’ha invitata è la persona che ha scritto
questo biglietto” – mostra il
foglio che ha tra le mani, porgendolo al Professore.
L’uomo
lo esamina e commenta - “La grafia non
è quella di un minore. Il che è strano,
perché sarebbe potuto essere un
semplice invito di una o di un compagno di scuola!”
“Dove
l’hai trovato?” – sussurra
Bogotà alla
moglie.
“In
veranda! Cazzo, Bogotà…e se avessimo la
prova sotto gli occhi e non ce ne rendiamo conto?”
“Calma,
appena arriveranno i nostri figli,
setacciamo tutta casa! Bisogna agire,basta perdere altro tempo
prezioso!”
|
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Capitolo 8 *** 8 Capitolo ***
Nelle
ore seguenti,
i Dalì si confrontano su come agire. Il Professore sa bene
che uscire insieme
può smuovere le acque, agitando una situazione che hanno
faticato a rendere
stabile con gli anni.
Per
tale motivo,
divide il gruppo: una parte di questo setaccia l’abitazione,
raccogliendo
quanto di più utile su Ginevra, le amicizie
e la sua routine.
Lui,
invece, si
occupa di ascoltare le testimonianze della famiglia della bambina
scomparsa.
“Stiamo
andando, vi
daremo notizie appena possibile” – Monica avverte i
compagni di Banda,
accingendosi ad uscire dalla villa.
“Dove
vanno?” –
domanda l’undicenne, confusa, al Marquina.
A
quel punto,
Sergio spiega - “Sebastìan, ci ha dato
un’informazione importante. Ha detto che
Ginny aveva un appuntamento con qualcuno. Questo fa presumere che abbia
accettato, sia salita su quell’auto perché
conosceva la persona che l’ha
invitata al parco. Adesso, Stoccolma e Denver, così come
Tokyo e Rio, si
recheranno in tutti i giardinetti della zona,
chissà…magari rileveranno
dettagli incisivi”
Nairobi
e Bogotá,
rimasti i soli Dalì nel salotto assieme al Professore,
attendono di essere
“interrogati” dal loro boss.
“Vorrei
mi
raccontaste, voi in primis, come andò la
faccenda…” – afferma l’uomo,
che ha
tra le mani penna e quaderno, precisando poi –
“… e dopo vorrei trovare il modo giusto per
lasciare che sia Sebastìan a farlo”
Il
tic agli
occhiali, che l’adulto ripete spesso, affascina i bambini
presenti che, non
prestano attenzione alle sue parole, piuttosto al suo modo di fare
così
particolare, qualcosa di mai visto prima.
Infatti,
è Alba a
sussurrare al fratellino - “E’ un poco strano, non
pensi anche tu, Seba?”
“E’
un mago, ecco
perché lo è!” - risponde
l’altro, avvicinandosi all’orecchio della sorella
maggiore.
Quando
prende
parola Bogotá nel riferire la sua versione dei fatti,
Nairobi chiede silenzio
ai due figli presenti.
Così
l’ex saldatore
dei Dalì, schiarendosi la voce, racconta - “Quel
giorno Nairobi portò i nostri
figli a scuola. Poi raccomandò me di andare a prenderli alla
fine delle lezioni
perché aveva un impegno. Arrivammo a casa e trovai Tokyo
all’esterno della
villa; mia moglie le chiese di aiutarmi con i bambini, sapendo bene
che, se si
trattava di compiti per la scuola, erano molto
disobbedienti!” – rivela il
saldatore, volgendo gli occhi su Seba che, dispiaciuto, china il capo
subito
dopo – “ Così io e Selene ci siamo
adoperati per il pranzo, la sistemazione
della casa, e per avviare la fase più complicata…
quella dello studio. Ricordo
che mi allontanai perché Ginevra mi chiese di prepararle la
merenda. Tokyo era
con Alba in quel momento. Allora io scesi in cucina, presi del pane e
della
Nutella, e una volta tutto pronto, salii al primo piano, entrando nella
camera
dei gemelli…” – in quel preciso istante,
il capofamiglia sentì un tonfo al
cuore. Rivivere, a parole, quanto accaduto lo mette duramente di fronte
alla
realtà dei fatti e gli rammenta quanto sia stato sciocco da
parte sua lasciarsi
“manipolare” dai gemelli.
“Tranquillo,
amico.
Nessuno è qui per giudicare…cosa è
accaduto dopo?” – il Professore gli è
vicino
e affettuosamente, anche troppo per un uomo rigido come lui, posa una
mano
sulla spalla del compagno di squadra.
Agata
invece
osserva la scena con un nodo alla gola. Ricordare fa male, ma venire a
conoscenza di come le cose sono andate, annienta definitivamente.
Dopo
un respiro
profondo e alcuni attimi di silenzio, Bogotà riprende
– “Trovai la stanza
vuota, allora pensai subito che stessero giocando a nascondino.
È capitato più
volte, perciò non gli ho dato il giusto peso. Ho cercato
nelle varie camere, in
veranda, dentro la casetta di plastica che gli ho regalato qualche
tempo fa.
Nulla. Erano scomparsi. Così sono uscito in
giardino…”
“E
non hai notato
nulla di preoccupante?” – si intromette la Jimenez.
In fondo, è lì, a pochi
passi dal cancello, che Ginevra è stata vista da
Sebastìan.
La
domanda della
donna è lecita, e la risposta del marito è
tutt’altro che esplicativa – “Non mi
sono accorto di niente!”
Gli
occhi sgranati
della gitana lasciano intendere la delusione di fronte a tali parole.
I
coniugi, se non
ci fossero stati i figli, avrebbero certamente discusso in merito.
Però per il
bene dei bambini evitano bisticci e ulteriori tensioni.
“Continua
pure, Bogotá”
– lo invita Sergio, facendo cenno ad Agata di calmarsi
perché il suo volto e la
sua tensione emotiva sono ben evidenti e percepibili.
“Si,
dicevo che ho controllato
tutta casa, senza nessun risultato. A quel punto ho pensato che li
nascondesse Tokyo.
L’ho raggiunta ed era ancora assieme ad Alba!”
“Confermo,
io e zia
stavamo studiando. Mi aiutava con degli esercizi di
matematica” – interviene
l’undicenne.
“Deduco
che Selene
abbia negato, giustamente. E poi cosa è successo?”
– aggiunge il Prof.
“Abbiamo
cominciato
a cercare di nuovo, sotto i letti, negli armadi… era fin
troppo strano che
nessuno dei due saltasse fuori e venisse scoperto”
– spiega Bogotá – “ Le
ricerche hanno coinvolto anche Alba. E’ stata lei ad arrivare
poco dopo con
Sebastìan.. lì è iniziata la nostra
disgrazia”
Quelle
parole fanno
tremare tutti i presenti, bambini inclusi.
Solo
udendo tali
dichiarazioni, Nairobi viene al corrente dell’accaduto e di
come sono stati
vissuti quei minuti di panico dal consorte.
Ma
quel punto tocca
a lei parlare. Il suo intervento è breve, essendo lei
assente nel momento dei
fatti.
“Ero
da un
ginecologo quel pomeriggio. Sapendo dell’impegno, ho chiesto
a Tokyo di dare
una mano a Bogotá. Chi avrebbe mai pensato che una bambina
potesse sparire nel
nulla sotto la vigilanza di due adulti!”
“Non
mi hai mai
detto che andavi dal ginecologo” – il saldatore non
è a conoscenza di un
dettaglio che la donna gli ha tenuto nascosto, così gli
sembra più che lecito
farle tale domanda.
“Nulla
d’importante”
– e la consorte svaluta il fatto.
“Come
nulla di
importante, mamma?” – è Alba a parlare,
in quanto la sola, assieme alla
Oliveira, messa al corrente della visita medica della madre, e
dell’esito della
stessa.
“Ehm…
ok, credevo
di essere incinta. Ma tutto ok, tranquillo!” –
confessa.
“Cosa?”
– quella
scoperta lascia Bogotá di sasso.
“Amici
miei, vi
consiglierei di fare attenzione quando, insomma, mi avete
capito!” – Sergio puntualizza,
imbarazzato, riferendosi ad attenzioni durante i rapporti intimi, per poi zittirsi ricordando
la presenza di
minori.
“Beh
dubito che il
rischio si ripresenti da qui in futuro!” – commenta
la Jimenez, che torna al
suo discorso, ignorando il peso dello sguardo del compagno su di
sé.
Il
capofamiglia
continua a fissarla, incredulo di fronte alla persona che ama e che non
riconosce più.
Con
poche parole,
Nairobi termina la sua testimonianza. Sedutasi
accanto al consorte, ascolta le domande che Sergio pone ad Alba la
quale
risponde in modo attinente al racconto paterno.
Mentre
la bambina
parla, i due coniugi non si rivolgono parola. C’è
fin troppa tensione nell’aria
e Bogotá sente di esplodere da un momento
all’altro.
“Esco
un attimo per
fumare” – comunica, alzandosi bruscamente dal
divano, diretto alla veranda.
Sente
l’esigenza di
scaricare il nervosismo, ormai alle stelle.
Bogotá
del passato avrebbe
già mollato la presa, ricostruendosi una vita nuova altrove.
Ad oggi, qualcosa
lo tiene fermo con i piedi per terra. E sa bene cosa è
questo “qualcosa”:
l’amore per la sua Nairobi. Lui continua ad amarla,
nonostante lei lo tratti
come uno straccio, anche se la vede così diversa rispetto a
quando l’ha
conosciuta. Infatti ha atteggiamenti ambivalenti nei suoi riguardi:
vorrebbe
lasciarsi andare, poi si frena…lo guarda, poi lo
schiva… gli parla commossa,
poi gli risponde con distacco e freddezza…
l’esatto comportamento di chi è ad
un bivio ed è combattuto ma non trova il coraggio per
scegliere e mettere da
parte l’orgoglio.
Approfittando
dell’assenza di Bogotá, Sergio con una scusa
allontana i bambini e si isola con
Nairobi.
“Perché
lo tratti
così?E’ tuo marito!”
“Non
mi va di
parlarne! Siamo qui per un’altra cosa, ricordi?”
“Agata…
ti avevo
detto di non fare...”
“Si,
lo so!” – lo zittisce,
poi continua – “ Tutti mi dicono cosa è
giusto fare e cosa no. Credete che sia
facile?”
“Ovviamente
no,
dico soltanto che…”
“La verità vuoi sapere qual è?
Bene…io mi scaglio contro di lui perché lo amo
troppo, in realtà”
“Non
capisco” –
esclama,confuso, il professore non cogliendo il senso del discorso.
“Lui
è l’altra metà
di me ed io è con me stessa che sono arrabbiata!…
sfogarmi con lui è come farlo
con la mia persona, come se mi guardassi allo specchio e mi accusassi
di tutto…e
non riesco a frenare la rabbia quando mi è accanto. Vorrei
baciarlo, ma anche
prenderlo a schiaffi. Vorrei abbracciarlo ma anche spingerlo
lontano…non so
gestire ciò che provo. Stanotte ho sentito il bisogno di
averlo vicino, di
essere stretta tra le sue braccia… e invece? Niente, mi sono
tirata indietro…”
“Devi affrontare il problema con lui, non allontanarlo come
stai facendo. Potrebbe
stancarsi, prima o poi…”
“Se si stancherà, vorrà dire che non mi
ama come dice!” – con quelle parole, il
discorso viene chiuso dal rientro dei bambini in salone.
Sebastìan
si siede
sulla “sedia dell’interrogatorio”, come
la definisce lui e attende il suo
turno.
“Sono
pronto,
signor mago!” – dice il piccolo, richiamando
l’attenzione di Marquina.
“C’è
una priorità
adesso!” – commenta Nairobi, invitando
l’amico a tornare alla missione.
Dispiaciuto
nel vedere
la Jimenez tanto diversa, Sergio riprende laddove si era interrotto.
Di
fronte al gemellino
di Ginevra, si appresta ad ascoltare la versione dei fatti della
persona che
probabilmente è l’unica fonte di dati utili alle
ricerche.
“Dimmi
pure!”
Agitato
e tremante,
Sebastìan dà il via al suo racconto –
“Ginny mi ha proposto di nasconderci,
quando papà ha detto che avrebbe portato la merenda. Mi
ricordo che era
contenta e sembrava quasi che non aspettasse altro che allontanare
nostro padre
per uscire di casa”
“Sul
serio?” –
domanda, preoccupata, Nairobi.
“Si,
lei continuava
a parlare di un appuntamento importante a cui non poteva mancare...e io
faccio
sempre quello che fa lei. Mi disse di non rivelarlo, non l’ho
fatto. E anche
quel giorno ha proposto di nasconderci e io l’ho fatto. Siamo
corsi in giardino,
io non riuscivo a starle dietro. Lei è velocissima, io sono
un po' grassottello…lei
invece è magrissima!” – spiega,
riferendosi a qualche chilo in più che ogni
bambino a quell’età ha e con la crescita tende a
smaltire – “Io sono stato
distratto da un pallone, un Super Santos stranamente lasciato nel
nostro
giardino. Allora ho sentito il rumore di un auto che frenava
bruscamente.
Ho
corso,
incuriosito, uscendo dal cancello, e proprio qu quel mezzo stava
salendo Ginevra
…” – raccontare l’accaduto
riporta Sebastìan ad un pessimo stato emotivo che si
manifesta con delle lacrime sulle gote –
“E’ colpa mia se l’hanno portata
via”
Bogotá,
tornato in
salone, ha udito la storia, tenendosi in disparte.
Istintivamente
si
avvicina al figlio e lo abbraccia.
“Piccolo
mio, tu
non hai responsabilità! Nessuna”
Nairobi,
pietrificata dalla scena, fissa il marito il quale ha assunto lo stesso
comportamento che avrebbe messo in atto lei, se lui non
l’avesse preceduta. Quanto
di se stessa ritrova nel suo uomo! E’ incredibile.
“Tuo
padre ha
ragione!” – dice poi la donna, attirando gli
sguardi su dei parenti – “Sono
convinta che quel pallone è stato messo lì
appositamente per distrarti. Tu non
lo sapevi...”
“Dovevo dirle di No, di restare a casa. Invece..”
“Invece nulla, tesoro. Sappiamo com’è
fatta tua sorella. Fin troppo simile a
me, alquanto comandante sotto tanti aspetti. Trattava te come io tratto
tuo
padre, o meglio, come lo trattavo” – Agata si
riferisce all’atteggiamento da
Leader a cui il marito da sempre si è sottomesso, e che
l’ha fatto innamorare
di lei perdutamente.
“Sono
un debole!”
“No,
sei più forte
di tutti noi. E se te lo dico è perché
è così. La pazienza è una
virtù di pochi
e tu ne hai fin troppa!” – aggiunge la Jimenez.
Dolcemente
lo bacia
sulla fronte, mentre il piccolo si avvinghia a lei, stringendola forte.
Bogotá,
emozionato,
riconosce in quella tenerezza la sua donna.
Stavolta
non è lui
a cercare gli occhi della gitana. È proprio la coniuge a
farlo.
E
per l’ennesima
volta Nairobi alterna un atteggiamento schivo a uno complice.
Però
tale ambiguità
non fa che destabilizzare il saldatore, il quale, per quella volta,
seppure combattuto
nel farlo, schiva lo sguardo di Nairobi. Non può illudersi
quando lei si mostra
buona, per poi soffrire quando la donna sfoga su di lui la
frustrazione.
*******************************************
“Professore,
siamo
tornati” – Denver e Monica, rientrati nel primo
pomeriggio, raccontano di non
aver rilevato nulla d’importante. Lo stesso fanno Tokyo e
Rio, incaricati di
setacciare altre zone della città.
“Sono
convinto che
l’appuntamento al parco era una scusa, un modo per
allontanare Ginevra da casa!”
– sostiene Sergio.
“Cazzo,
e adesso?” –
esclama Bogotá, in panico.
“Calma,
Lisbona, Palermo
e Helsinki hanno raccolto le cose di Ginevra e mi hanno consegnato un
diario”
“Un
diario?” –
ripete Nairobi, sorpresa di un dettaglio di cui è
all’oscuro. Da quando in qua,
la bambina ne custodisce uno?
“Si
chiama “segreto”
proprio perché nessuno deve trovarlo, amica mia”
– commenta Tokyo.
A
quel punto, la
gitana lo strappa dalle mani del Marquina, esigendo di leggerlo lei in
primis.
Non
vuole sorprese,
né duri colpi, delle scoperte che potrebbero annientarla del
tutto…si isola
nella sua stanza, concentrandosi su pagine che potrebbero racchiudere
il vero
essere della sua bambina… e in quei minuti, leggendo le sue
parole, il cuore
accelera i battiti.
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Capitolo 9 *** 9 Capitolo ***
“E’
questa la strada giusta? Ne sei proprio
sicuro?” – domanda una giovane ventenne, dai
capelli castani, alla persona alla
guida di una Monovolume a sette posti.
“Dubiti
delle mie doti orientative, sorella?”
– precisa l’autista, scherzosamente, conscio anche
lui di non essere abile a
seguire le indicazioni del navigatore.
“GoogleMaps
non sbaglia mai!” –
aggiunge l’unico maschio dai capelli biondi,
mentre mostra al passeggero sedutogli accanto l’esatta
posizione indicata dallo
smartphone.
“Solo
in Islanda non sbaglia, caro fratello!”
– ridacchia un moretto, nel sedile posteriore. Poi scherzando
gli scompiglia la
capigliatura perfetta.
Dopo
aver girato e rigirato nel quartiere,
meta del loro viaggio, il gruppetto può finalmente
ascoltare, dalla voce registrata
del navigatore – “Sei
arrivato a
destinazione!”
“Finalmente!”
– esclama una ragazza dai
lunghi capelli chiari, intrecciati con estrema perfezione.
Parcheggiatisi
proprio dinanzi ad una villa ,
i sette passeggeri scendono dal mezzo e si dispongono, uno di fianco
all’altro,
decidendo come muoversi da lì in poi.
“Andrò
avanti io che sono il maggiore.
Statemi dietro” – precisa il più grande,
un ragazzo dai capelli neri,
venezuelano, di ventisette anni.
Percorrono
pochi metri per ritrovarsi davanti
ad un enorme portone d’ingresso sul quale è
leggibile un’insegna con il cognome
dei proprietari.
“Famiglia
Sanchez!” – legge una delle due
ragazze– “Siamo nel posto giusto, papà
ha detto di aver dovuto cambiare cognome
per motivi di sicurezza”
“Bene,
siete tutti pronti a riabbracciare il
nostro vecchio?” – chiede il capogruppo, entusiasta
più degli altri di prendere
parte ad una missione importante e di poter scoprire quella famiglia
mai
vissuta come avrebbe voluto.
In
quei momenti, i sette avvertono una certa
ansia, oltra al magone dovuto a ciò che dovranno affrontare.
Un
respiro profondo, poi bussano con
decisione alla porta e si aprono a una nuova strada di vita.
*********************************
Nairobi
è chiusa in camera da ormai due ore e
i Dalì sono preoccupati da quanto possa aver letto su quel
diario.
Le
donne della squadra tentano più volte di
ricevere segnali dall’amica, recandosi nella sua stanza ma
senza successo.
Agata
è immersa nel mondo segreto di sua
figlia, conscia che da quel momento in poi tutto potrebbe cambiare.
Con
delicatezza, la gitana sfoglia pagina
dopo pagina, sapendo di toccare chiavi profonde del cuore della sua
bambina.
Molte
di quelle parole, scritte ovviamente
con un linguaggio tipico di una minore di soli sette anni, sono ben
comprensibili
e arrivano dirette alla donna che se ne sorprende.
Con
gli occhi lucidi scopre che a consigliare
Ginny sull’uso di un diario è stata
un’insegnante il cui nome non è mai citato,
e che la piccola definisce “
maestra
Honey”.
E’
questo il nomignolo che l’intera classe dà
alla docente per la sua carineria nei confronti di ciascuno studente
che
chiama, appunto, “tesoro”.
Nairobi
legge gran parte del diario, non
rilevandovi dettagli importanti circa la sparizione. Però
conosce una parte
della bambina che mai avrebbe immaginato.
E
rimane totalmente paralizzata di fronte a
uno sfogo della piccola datato esattamente qualche giorno prima della
sua
sparizione.
“Mamma
mi dice sempre che assomiglio a mio fratello maggiore. Si chiama Axel,
io non
so chi sia, non l’ho mai visto. Però non mi piace
questa cosa, io sono Ginevra,
non sono Axel.
Sono
stanca che mamma mi ripete “Sei come lui, hai gli stessi
occhi, gli stessi
capelli”. Uffa. Lei mi guarda e non vede me, lei vede
lui!”
Di
fronte a tale affermazione, la gitana
interrompe la lettura avvertendo un tonfo al cuore.
Davvero
sua figlia ha da sempre sofferto la
somiglianza con Axel?
E
pensare che lei credeva potesse essere un
fattore positivo: in fondo, quella somiglianza avrebbe accentuato il
legame di
sangue tra fratelli.
Pensandoci,
però, Agata capisce che per
Ginevra quel rapporto familiare non esiste; per lei Axel è
solo un nome a cui
associa costantemente le parole di Nairobi.
Dispiaciuta
di quanto letto, la donna non
continua e, controllando che quelle sono le ultime righe compilate del
diario,
decide di chiuderlo.
Lo
ripone in un cassetto della scrivania e,
con un nodo allo stomaco, lascia la stanza per raggiungere i
Dalì.
Sapere
di aver avuto libero accesso alla
privacy di sua figlia minore, senza alcun risultato utile, è
un cruccio enorme,
che si aggiunge ad uno ancor più opprimente appena scoperto.
Mentre
cammina lungo il corridoio,
raggiungendo la scala che la conduce al piano terra, lì dove
ha lasciato il
gruppo alle prese con l’organizzazione di un piano di
salvezza per Ginny,
Nairobi viene distratta da un vociare non familiare proveniente
dall’ingresso.
Le
basta poco per capire di chi si tratta.
“Eccoti,
Nairo!” – le corre incontro Tokyo, vedendola
di nuovo tra loro, mentre scende a passo lento le ultime scale, intenta
a scrutare
in silenzio, nel mentre, i sette volti stranieri.
“Sono
i figli di Bogotá!” – le dice la
Oliveira all’orecchio, invitandola ad unirsi alla famigliola
appena riunitasi.
Alba e Sebastìan sono accanto al Professore e a Stoccolma,
fortemente
intimiditi dalla gente sconosciuta.
Il
saldatore, invece, piangendo dall’
emozione, stringe a sé i suoi ragazzi, ormai tutti adulti e
chiama a sé i
bambini per le presentazioni.
Nairobi,
rimasta in disparte, guarda i
piccoli e fa cenno loro di avanzare verso i fratelli. Sorpresa dalla
resistenza
posta, interviene e sblocca anche la sua di esitazione.
Li
prende per mano e raggiunge la numerosa
prole del marito.
“Ragazzi,
vi presento Alba e Sebastìan” –
dice Bogotà. Poi volge lo sguardo sulla compagna e con poche
parole mostra a
tutti il suo amore – “E lei è Nairobi,
la donna della mia vita”
Di
fronte a tale esternazione, i presenti
rimangono sorpresi. I Dalì inclusi.
Agata,
imbarazzata di fronte a quelle parole,
arrossisce e sente il cuore accelerare il battito. Questo non le accade
da
qualche giorno ormai.
Accenna
un timido sorriso e prende parola –
“E’ un piacere conoscervi tutti, spero vi troverete
bene qui!”
“Assolutamente”
“Certo,
anzi grazie per l’ospitalità”
“Speriamo
di potervi aiutare”
“Riporteremo Ginevra a casa”
Ognuno
dei sette si sente lieto e coinvolto
da una squadra epica come quella fondata dal Professore.
Radunatisi
tutti in salotto, mai così pieno di
gente come quel giorno, Sergio spiega le regole del team.
“Abbiamo
sorvolato sulla regola circa le
relazioni personali, però…è bene che
ognuno di voi abbia un nome in codice!”
“E’
proprio necessario? I miei figli non
devono essere coinvolti assolutamente…non voglio che la
polizia associ anche
loro a noi e diventino ricercati a vita” – precisa
Bogotá.
“Papà,
tranquillo! Ne abbiamo parlato durante
il viaggio e siamo tutti d’accordo”
–precisa la figlia dai capelli scuri.
“Si,
Hanna ha ragione! Siamo pronti a
diventare dei Dalì in piena regola. Abbiamo già
scelto quali identità assumere”
– aggiunge il figlio maggiore, Emilio.
Uno
per uno, si esprime in
merito.
“Io
sono Emilio e
mi chiamerò Yerevan, come la capitale
dell’Armenia, in tuo onore, papà”
–
spiega il primogenito, ricevendo l’immediato abbraccio
commosso del genitore, originario
di quella nazione.
Poi
tocca agli
altri pronunciarsi.
Julian,
si presenta
come Quito, riconoscendo la scelta per la vicinanza di quello Stato
alla
Colombia, di cui è rappresentante Bogotá.
“Io
da greco quale
sono ho scelto Mykonos” – precisa Yaris, fiero
delle sue origini.
Le uniche due ragazze dei
sette si presentano
con nomi di città a cui riconoscono arte.
“Varsavia
e Vienna?
Bella scelta” – si complimenta Sergio, con Ivana e
Hanna la cui bellezza viene
notata dai più giovani dei Dalì.
“Direi
che stai
sbavando troppo per i miei gusti” – commenta Tokyo
guardando il compagno,
offesa, e sostenuta da Monica che tira una sberla a Denver, anche lui
rimasto
incantato soprattutto dalla biondissima Ivana.
“Noi
amiamo solo
voi, siete le nostre sole regine, giusto Rio? Stavamo solo
familiarizzando con
i visi delle nostre nuove colleghe e…” –
cerca di discolparsi a modo suo Daniel
Ramos, cercando di sdrammatizzare la gelosia delle due donne.
A
quel punto
conclusero le presentazioni gli ultimi maschietti del gruppo.
“Il
mio nome da
oggi in poi sarà Copenaghen! Mi rispecchia come
città” – spiega Eric, il
giovane islandese, tra i più precisi dei fratelli.
“E
io sono Londra,
lì c’è classe, c’è
storia, c’è perfino la
regina…” – sostiene Drazen facendo
quasi pubblicità alla capitale inglese generando una
discussione simpatica tra
i vari Dalì, ciascuno a sostegno della propria città
rappresentativa.
Ad
interrompere la
conversazione, che crea un clima piacevole tra i presenti, è
il Professore, il
quale entusiasta dei nuovi membri li accoglie nel gruppo.
“Benvenuti
in
famiglia, ragazzi!”
Nairobi,
rimasta in
disparte ad osservare la riunione e l’euforia che le new
entry portano con il
loro arrivo, non si pronuncia sulla storia del diario.
L’arrivo dei sette figli
di suo marito hanno infatti distratto i Dalì dalla questione
relativa al
quaderno segreto di Ginny.
“E’
bello vedere
che i bambini si siano sciolti con quei ragazzi” –
afferma Tokyo, avvicinandosi
all’amica gitana.
“Si,
sono contenta,
spero che non vivano male l’arrivo di Axel”
“Perché
dovrebbero?
È un fratello anche lui” – aggiunge
Selene, stupita di sentire tali
affermazioni.
“Ginevra
soffriva
tanto del paragone che facevo tra lei e Axel”
“Dici sul serio?”
“Già,
e ora come
ora non so se farlo venire qui possa servire. Probabilmente ricordarlo
ai
bambini ogni qualvolta ne sentivo l’esigenza, è
stato solo un modo per
risollevare il mio cuore più che il loro”
– commenta, dispiaciuta, la donna.
“Non
fartene una
colpa, Nairo! Sei una mamma e per una mamma ogni figlio è
sacro. Non potevi di
certo far finta che Axel non esistesse. Sono sicura che lo
adoreranno”
“Lo
spero davvero
tanto perché sarebbe l’ennesima batosta e non
penso di poterlo sopportare”
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Capitolo 10 *** 10 Capitolo ***
Basta
poco alla squadra dei Dalì per entrare
in sintonia con i figli di Bogotá.
Nairobi,
supportata psicologicamente da
Tokyo, osserva la scena che ha di fronte: un gruppo di gente che, fino
a tre
giorni prima, non avrebbe pensato di poter ospitare in casa sua. Tra
questi, ci
sono i fratellastri e le sorellastre dei suoi bambini, di cui sa poco o
nulla,
se non che nacquero da relazioni brevi tra suo marito e sette donne
differenti.
Ma
Agata in fondo è al corrente che il
saldatore non ha mai vissuto storie stabili prima delle loro nozze.
Oggi
proprio quell’immensa prole, radunata in
salone, intenta a scambiare idee e conoscersi con i membri della Banda,
è la
salvezza per una famiglia disperata.
È
emozionante per la Jimenez vedere Alba
familiarizzare con le sorelle maggiori e Sebastìan fare lo
stesso con i cinque
maschietti con cui condivide metà sangue.
“Sono
l’immagine della felicità, non trovi
anche tu?” –domanda Selene all’amica,
guadando la nipote di undici anni, seduta
sul divano assieme ad Ivana e Hanna.
“Già,
io non avrei mai pensato che potessero
affezionarsi a persone praticamente estranee, e in così poco
tempo” – risponde
la gitana, sospirando, osservando anche Sebastìan alle prese
con i fratelli
maggiori. Julian l’ha caricato sulle spalle, regalandogli momenti di spensieratezza
che un bambino di
quell’età dovrebbe vivere quotidianamente
Il
silenzio di Nairobi viene interrotto da
Tokyo che le chiede - “Stai ancora pensando ad
Axel?”
La
risposta di Agata tarda ad arrivare per
via dell’improvviso avvicinarsi di Alba alle due donne.
“Guardate
che bella treccia mi ha appena
fatto Ivana” – dice la bambina, mostrando
l’acconciatura di cui è super felice.
“Sei
stupenda, tesoro” – risponde Agata.
“Una
principessa!” – aggiunge la Oliveira,
dandole un dolce bacio sulla guancia.
Richiamata
da Hanna, l’undicenne torna a
sedersi e lascia le due Dalì di nuovo da sole, in disparte
rispetto al gruppo.
A
quel punto, Tokyo ripropone la domanda.
“E’
per Axel che stai così?”
“Sto
pensando a Ginevra…” – precisa Nairobi,
confessando
poi – “Su quel diario non c’è
un cazzo di indizio che possa condurci a lei. A
parte una certa “Maestra Honey” che non capisco chi
possa essere”
“Bisogna
indagare sulla questione scuola!
Potrebbe aver avuto inizio tutto da lì”
“Né
io né Bogotà possiamo recarci
nell’istituto e chiedere informazioni, soprattutto
perché sono due giorni che
mia figlia è assente dalle lezioni e non vorrei che la
nostra visita inattesa
destasse sospetti”
“Meglio
parlarne con il Professore” –
sostiene, convinta, la compagna di Rio.
Mentre
le due si confidano, Bogotà circondato
da tutti i suoi figli si sente l’uomo più
raggiante del pianeta. La sua gioia
toccherebbe l’apice se solo anche Ginevra fosse al suo fianco.
Saperla
chissà dove, lo incupisce
immediatamente. Ad accorgersi di come il volto tanto allegro di minuti
prima,
abbia lasciato posto al dispiacere, è Emilio il suo
primogenito.
“Papà,
non voglio vederti così abbattuto!
Devi farlo per Alba, per Sebastìan, per noi sette che siamo
giunti fino a Perth
per salvare nostra sorella minore”
“Lo
so, figliolo! E ve ne sono grato”
“Allora
reagisci”
“Se
fosse facile, lo farei”
In
quell’istante, il giovane ormai chiamatosi
Yerevan gli pone una domanda lecita.
“Ho
notato freddezza tra te e tua moglie. Va
tutto bene con lei?”
Il
silenzio del saldatore è un forte
campanellino d’allarme e il venezuelano, ormai ventisettenne,
sente di poter
rimproverare il padre senza freni.
“Cazzo,
papà! Pensavo fosse la donna giusta
stavolta”
“Lo
è infatti”
“E
come mai la stai lasciando andar via in
questa maniera?”
“Non
sto facendo…” – poi si zittisce
comprendendo che il figlio si sta comportando da padre con lui
– “Che fai?
Ribalti i ruoli adesso?”
“Voglio
che tu sia sereno. Non permettere che
quei bambini vivano l’assenza di un genitore
perché ti assicuro che non è
piacevole” – confessa, ricordando i momenti in cui
da minore sentiva sua madre
lamentarsi di averlo messo al mondo senza la presenza di una figura
maschile
pronta ad aiutarla.
“Tua
madre non mi perdonerà mai di averla
mollata su due piedi” – aggiunge Bogotà,
rammaricato.
“Credo
che nessuna delle donne che hai avuto,
intendo tutte le mamme dei miei fratelli e delle mie sorelle, ti
perdoneranno
mai. E’ proprio perché saperti sposato da
più di dieci anni mi ha fatto ben
sperare, che ti dico di non mollare e di evitare la fine che nessuno
desidera”
Le
parole tanto sagge di Emilio spiazzano
l’adulto che, con tenerezza gli scompiglia i capelli,
tirandolo poi a sé per
abbracciarlo.
“Sono
fiero di ciò che sei diventato, ragazzo
mio!” – si complimenta il genitore.
La
chiacchierata s’interrompe con l’arrivo di
Ivana e Hanna che tengono per mano la sorella minore.
“Papà
guarda come sono belli i miei capelli”
– dice Alba mostrando la treccia, entusiasta, come se avesse
ricevuto il più
bel regalo di Natale del mondo.
In
realtà per lei la conoscenza dei suoi
parenti più prossimi è stato davvero un regalo di
Natale.
“Sei
bellissima” – dice Bogotà
all’undicenne,
invitandola a sedersi sulle sue gambe.
A
quel punto, un’osservazione di Yaris,
accende una domanda in Alba stessa.
“Caspita,
notavo che Nairobi è molto più
giovane di te. Sei un macho vero, papà”
“A
proposito, papino, mi racconti di come vi
siete innamorati tu e la mamma?” – ecco
l’interrogativo che la bambina solleva
e che spiazza il saldatore dei Dalì.
Gli
sguardi curiosi di tutti e nove i figli,
sedutigli intorno, lo costringe ad esporsi.
“Ehm…ecco…”
“L’hai
sicuramente fatta cadere ai tuoi
piedi!” – commenta Erik, sapendo la fama da playboy
del genitore.
Invece
la risposta lo sorprende – “E’ stata
lei a farmi innamorare perdutamente”
“Ah
si? E come?” – a quel punto anche Ivana
è
curiosa di scoprire il lato dolce del padre.
“Avete
presenti le Amazzoni? Lei è una di
loro” – sostiene Bogotà, arrossendo.
“Ehi
Nairobi, scusa, puoi venire qui?” – è la
voce di Julian a richiamare Agata che, confusa, avanza verso il
gruppetto che
sembra radunato come le tribù indiane attorno ad un capo.
“Cosa
succede?” – chiede lei.
“Papà
ci stava raccontando di come vi siete
innamorati” – spiega Sebastìan,
sorridendo, convinto che la sua mammina avrebbe
gioito nel sentire tale racconto.
Invece
la Jimenez resta in silenzio.
Sposta
gli occhi su Bogotá anch’egli rosso di
vergogna.
“Ehm...io
devo andare dal Professore,
scusatemi ragazzi, fatevelo spiegare da vostro padre. Lui è
un esperto in
faccende amorose!” – con quelle parole, la gitana
fredda tutti.
Cade
il silenzio e ormai i sette nuovi Dalì
capiscono che tra Bogotá e Nairobi c’è
una fortissima tensione.
“Forse
è meglio tornare al piano. Ricordate
che va salvata Ginny” -
con quella frase
finale, l’argomento viene bruscamente
chiuso – “Ve lo racconterò quando
sarà il momento giusto” – ciò
crea un immenso
ed evidente dispiacere in Alba.
“Ehi
piccolina, vedrai che si risolverà
tutto. Adesso che ci siamo noi qui, troveremo un modo per fargli far
pace” – la
convince Hanna, dandole un dolce abbraccio.
Agata,
dopo l’imbarazzo creatosi con i sette
figli del marito, si avvicina a Sergio e si concentra solo ed
esclusivamente
sulla cosa più importante di tutto: Ginevra.
“Prof,
io ho letto il diario”
“Bene,
cosa hai trovato?” – quella
comunicazione riattiva Marquina che spera in buone notizie. Mai come
allora gli
è parso di brancolare tanto nel buio. Non sa proprio che
pesci prendere…non si
tratta di rapine e piani da organizzare per tirare fuori oro, soldi o
persone…bisogna salvare una bambina da non si sa chi,
scomparsa per non si
conosce quale motivo, situata in chissà quale
posto…un mistero che non si può
risolvere in quattro e quattr’otto.
Agata
racconta a Sergio ciò che potrebbe
essere utile sapere.
“Hai
detto che la chiama Maestra Honey?” –
pensa l’uomo, sistemandosi gli occhiali con il suo solito tic.
“Esatto.
Ti viene in mente qualcosa?”
“Mmm
direi di no”
Una
quarta persona si unisce ai tre e precisa
- “Mi ricordo di un film. C’era una maestra che si
chiamava la signorina Honey”
“Cosa
c’entra adesso il film?” – commenta
Tokyo, inarcando un sopracciglio, perplessa, volgendo lo sguardo su uno
dei
nuovi arrivati.
“Non
so, forse tutto forse niente” – aggiunge
il moretto messicano – “Però ricordo che
nella storia, la signorina Honey
dovette fuggire di casa per sfuggire ai maltrattamenti della zia e che
la
preside, quella pazza che odiava i bambini, uccise suo padre”
“Ma
che cazzo dice?” – sussurra Selene
all’orecchio della Jimenez, anch’essa alquanto
confusa dall’intervento, inutile
e alquanto fuori contesto, di Julian.
“Io
penso che andrebbe ricercata questa
insegnante dolce come il miele” – propone il
giovane Quito.
Sergio,
spiazzato da osservazioni poco utili
e non attinenti all’argomento, decide di discuterne con tutti
i presenti. Così chiede
silenzio e richiama l’attenzione sulla sua persona.
“Nairobi
ha detto di non aver trovato nulla
sul diario, purtroppo!”
“Cazzo”
– esclama Palermo, dopo aver rilevato
proprio lui quel quaderno, ed era positivo in merito a quanto potesse
essere
fondamentale.
“Beh…eccetto
la parte relativa all’insegnante
misteriosa” – interviene di nuovo Quito.
“E
sarebbe?” – si pronuncia, confuso, Yaris.
“Non
ricordo ci fossero docenti con quel
cognome” – riflette il capofamiglia.
“E’
un nickname” – puntualizza Ivana.
“Io
ho un’idea che potrebbe esserci utile per
entrare nel contesto “scuola”!”
– propone Hanna – “Io sono una
violinista,
andrò in quell’istituto proponendomi come docente
di musica per dei corsi
straordinari. Indagherò dall’interno”
“Mi
pare eccellente” – si complimenta il
Professore.
“E
noi altri?” – domanda Erik.
“Ginevra
non ha amicizie importanti su cui si
può indagare?”- interviene Emilio.
“Si,
la sua migliore amica si chiama Laura” –
spiega Nairobi – “Conosciamo la sua famiglia, sono
gente per bene”
“Mai
fidarsi. Intanto faremo delle ricerche
su di loro, giusto fratelli?” – Yerevan sprona i
consanguinei a darsi una
mossa.
Stabilita
il primo passo da compiere, che
vede protagonista, al momento, solo Vienna, Rio propone ai
Dalì il
pernottamento in casa sua.
“Se
qui rimarranno gli eredi di Bogotá, voi
altri verrete a stare da me e Tokyo”
“Anche
i Johnson hanno camere extra” –
aggiunge la Jimenez, ricordando il supporto degli amici.
E
così, dopo il pranzo abbondante, com’è
solito organizzare Bogotá con il suo barbecue, ognuno viene
condotto al proprio
luogo di ristoro.
“Ragazze
questa è la camera più luminosa ed è
la vostra” – comunica Nairobi alle due uniche
femmine del gruppetto.
Il
saldatore conduce, invece, gli altri
cinque in tre stanze al secondo piano.
“Uno
di voi avrà la singola!”
“Io
che sono il maggiore” – si fa avanti
Emilio, senza dar modo agli altri di pronunciarsi.
“Però
non è giusto”
“Sei sempre il solito”
“Il
bello di essere il più grande” –
ridacchia il venezuelano.
“Pochi
bisticci, siete adulti ormai. Potete
sistemarvi, riposare, insomma… dovremmo attendere gli ordini
del Professore.
Fate come se foste a casa vostra”
Così
dicendo, Bogotà si congeda e torna nella
sua di camera.
Sorpresa
sorpresa..
“Come
mai sei qui?” – chiede riconoscendo
Nairobi seduta sul letto con le braccia incrociate al petto e
l’aria di chi ha
voglia di discutere, per l’ennesima volta.
“Devo
dirti che prima la situazione d’imbarazzo non mi è
piaciuta affatto. Evita di
aprire certi discorsi..”
“Cosa?
Adesso mi accusi di parlare con i miei
figli di te?”
“No,
voglio solo che non mi mettiate in
situazioni come quella di prima… volevano creare disagio,
beh ci sono riusciti”
“Si può sapere da quando in qua parlare del nostro
amore ti crea disagio?” – a
quel punto Bogotá perde le staffe. La sua pazienza ha un
limite e non si
trattiene più.
Accorcia
la distanza tra se e la donna, e lo
fa in modo molto audace.
Il
che costringe Agata ad indietreggiare fino
a trovarsi bloccata con le spalle alla parete.
Il
marito è davanti a lei, con l’aria di chi
non ha voglia di scherzare.
“Non
mi piace diventare oggetto di scherno”
“Cosa
cazzo dici? Scherno? Mi avevano solo
domandato come ci fossimo innamorati”
Nairobi
sente gli occhi di lui fissarle le
labbra.
Lo
conosce bene e sa che presto potrebbe
baciarla…e non vive bene quella sensazione.
Per
evitare che ciò accada, lo allontana a
parole, attuando l’atteggiamento di chi schiva la gente o la
provoca per tenerla
a debita distanza.
“Ah
si? Allora dimmi…come ti sei innamorato
di me? Per il mio corpo? Sbaglio o dicevi che il mio sedere ti faceva
arrapare?”
“Arrapare?”
– ripete, scioccato, il saldatore
– “Hai davvero questa scarsa considerazione di
me?”
Indietreggia,
esausto di un comportamento
ingiusto nei suoi riguardi.
“Penso
che sia inutile continuare di questo passo…tu non mi ami
più…” – le dice - “Sappi solo
che così facendo non abbiamo
perduto solo Ginevra, ma anche la nostra relazione. Dovresti seguire il
cuore e
non le paure. Il mio cuore vuole offrirti tanto, tu invece mi scansi
ogni volta
che ne hai modo. Ed io non voglio essere più il sacco da
colpire per liberarti
dalla frustrazione. Ho sopportato, però ora basta. Io non
insisterò più, sta a
te decidere se mandare a puttane tutto o reagire!”
– conclude il discorso, con
un nodo alla gola, segnale del suo malessere interiore. Si appresta a
lasciare
la camera, mentre proprio in quei frangenti, nella mente di Nairobi
partono
mille pensieri e mille ricordi.
Stavolta
il cuore domina la testa e le
rammenta di quanto fu bello scoprire l’amore per
Bogotá, quanto fu bello
baciarlo la prima volta, quanto fu bello sposarlo, diventare sua
moglie,
trascorrere notti insieme tra momenti intimi di pura passione e attimi
di
dolcezza e coccole, quanto fu bello dare alla luce Alba, e regalargli
poi altra
gioia con l’arrivo dei gemelli.
Tutti
questi flash balzano rapidi e violenti
e sembrano non fermarsi.
Ed
è allora che Agata mette in standby la
ragione. Si dirige alla porta dalla quale Bogotá
è prossimo ad uscire.
Lo
frena, interponendosi tra l’uomo e l’uscio.
“Cosa
vuoi ancora?” – borbotta il
capofamiglia.
Non
ha tempo di aggiungere altro. Nairobi si
avventa sulle sue labbra e lo fa come se quello fosse un istinto
naturale di
cui non può più fare a meno per sopravvivere.
Le
loro mani si intrecciano, i corpi iniziano
ad accaldarsi e i cuori ad accelerare il battito.
Avrebbero
potuto frenarsi, discutere
lucidamente su quanto sta accadendo. Invece no.
Lui
desidera lei.
Lei
desidera lui.
È
un gioco di passione quello che segue.
Mentre
continuano a baciarsi, si liberano
degli indumenti.
Nairobi
spinge il marito sul letto e si pone
a carponi sul corpo di quell’omone grande e grosso e dal
cuore tenerissimo.
Nel
giro di pochi minuti i due si denudano
totalmente, e consumano la passione carnale tra pulite e profumate
lenzuola
bianche.
L’uomo
accarezza ogni parte del corpo della
sua donna, godendo di un momento tanto voluto. E ogni pezzo di carne
che sfiora
lo manda in estasi.
Perdersi
in lei, inebriarsi del suo profumo,
sono la sola medicina ad una sofferenza che cova da giorni e che sapeva
bene
che solo Nairobi avrebbe potuto alleviare.
I
loro corpi si uniscono e si muovono al
ritmo dell’amore, il sentimento che ricorda loro che
avrebbero potuto perdersi
per sempre.
Ma
chissà se quando la passione si estinguerà
tra loro tornerà la serenità o se dopo un intenso
momento intimo le circostanze
e il dolore gli rammenteranno delle tensioni non effettivamente
superate?
|
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Capitolo 11 *** 11 Capitolo ***
Alba,
sola nella
sua stanza, si osserva allo specchio, ammirando quella bellissima
acconciatura
che Ivana ha realizzato con estrema dolcezza, mentre le raccontava di
se e
della vita trascorsa in Ucraina.
L’undicenne
non ha
mai pensato di poter trovare immediata sintonia con una persona
effettivamente
sconosciuta. Invece ciò è accaduto, a
dimostrazione del potere e della forza
dei legami di sangue. Probabilmente, però, il
“colpo di fulmine” tra le due
sorelle è scattato non per la parentela, ma per la
somiglianza caratteriale.
“Mi è sempre stato detto di avere un
caratteraccio quando avevo su per giù la tua età.
Beh, è vero! Mia madre mi
rimproverava ogni due per tre. Però sapevo farmi rispettare.
Con il tempo e la crescita
sono diventata più razionale e meno casinista” - le ha rivelato Ivana, o
meglio Varsavia,
mentre chiacchieravano al momento della presentazione.
Anche
Alba si
ritiene una bambina dura e forte come la roccia, inscalfibile. Almeno
è ciò che
credeva fino alla sparizione di Ginevra, circostanza di vita che
l’ha messa di
fronte alle fragilità proprie della sua età.
Fragilità che ha scoperto esistere
anche negli adulti e di cui soffre anche lei, in segreto.
Avrebbe
messo la
mano sul fuoco circa la storia d’amore della sua mamma e del
suo papà:
dopotutto li vedeva ogni giorno scambiarsi effusioni, essere
l’uno la seconda
metà dell’altra. E improvvisamente tutto
è cambiato, e l’ha resa consapevole
che nulla nella vita può essere dato come certo e definitivo.
Il
flash di poche
ore prima le piomba insistente nella mente, facendosi strada
violentemente tra
i tanti pensieri. Non potrà mai dimenticare lo sguardo di
Bogotá di fronte alla
domanda che lei gli pose sull’innamoramento. E tantomeno
potrà scordare la
freddezza e l’imbarazzo di Nairobi quando venne chiamata in
causa, spinta ad
esporsi.
Gli
occhi di Alba
si inumidiscono al solo ricordo, velandosi di immensa tristezza.
“Non
tornerà più
nulla come prima” – commenta ad alta voce. Volge un
ultimo sguardo su di se,
riflessa allo specchio, e scioglie la treccia, lasciando i lunghi
capelli
castani ricaderle sulle spalle e coprirle in parte il viso.
Con
un nodo alla
gola, la bambina si dirige nella camera del fratellino, vogliosa di
distrarsi.
Sebastian
è alle
prese con le macchine a giocattolo. Allora Alba, senza disturbarlo, lo
spia
dalla porta socchiusa. Accenna un timido sorriso, mentre lo sente
imitare la
voce del Professore o degli altri Dalì, inscenando
un’ipotetica fuga dalla
polizia a bordo dei suoi veicoli di plastica.
“Sbrighiamoci,
abbiamo poco tempo”
“Si,
facciamo in
fretta o ci prenderanno”
Continua
a dire il
piccoletto, muovendo le automobiline una dietro l’altra.
Fortuna
che
Sebastìan ha sbloccato il suo mutismo, pensa Alba, cosciente
che, semmai ciò
non fosse accaduto, la situazione sarebbe sprofondata nel baratro
più totale.
“Ehi,
cosa ci fai
qui?” – le domanda qualcuno comparso alle sue
spalle improvvisamente.
Lei
si volta
riconoscendo la voce.
“Ivana!”
– esclama.
“No,
ti correggo…”
– precisa la vent’enne, fiera della nuova
identità – “Sono Varsavia!”
“Ok,
Varsavia! Però a me piace chiamarti
Ivana”
“Allora, solo per te rimango Ivana!” – le
sorride dolcemente la bionda,
mostrandosi talmente dolce e premurosa, da regalare alla sorellastra
quella
dose di affetto tipicamente materno di cui proprio Alba necessita ora
più che
mai.
La
ragazza le
accarezza i capelli notando l’assenza della treccia,
però sorvola non volendo
mettere, magari, in imbarazzo la parente che li ha volutamente sciolti.
“Ti
va di
chiacchierare un po' io e te?” – le chiede
Varsavia, avendo intuito il
malessere dell’undicenne.
“Certo!
Vieni,
andiamo in veranda!” – risponde la minore,
prendendola per mano, trascinandola
fino al luogo preciso.
Siedono
sul
divanetto da esterno che dà a quel posto un tocco di
eleganza.
“Questa
villa è fin
troppo lussuosa per me che sono sempre stata abituata ad avere
poco!” –
sostiene Ivana, ammirando con quanta precisione è curato
anche il terrazzo.
Poi
le due si
accomodano e si lasciano andare ai ricordi.
Varsavia
chiede ad
Alba si raccontarsi, così da sperare che quel momento possa
condurla ad uno
sfogo e alla liberazione di un sentire nascosto.
Alba
apre il suo
cuoricino, narrando di momenti dove tra le mura di casa regnava
soltanto la
felicità, momenti dove Ginevra era presente e fortemente
centrale.
“Che
rapporto hai
con lei?”
“Speciale!
Proprio
come faccio con Sebastìan, la proteggo sempre da
tutti”
“Sei una bravissima sorella maggiore” –
la lusinga Ivana, asciugandole il viso
da una lacrima che, senza volere di Alba, è scivolata sulla
guancia.
“Adesso
che non è
qui con noi, io sento un forte buco qui” – dice la
bambina, indicandosi il lato
sinistro del petto, lì dove sa, imparandolo a scuola, che
è posizionato il
cuore.
La
ragazza avrebbe
tanto da dirle per trasmetterle conforto e vicinanza, però
ogni parola appare
come vana. Quindi si limita ad un abbraccio.
A
quel punto è
proprio l’undicenne a ricordare un vecchio video trovato sul
PC tempo addietro
per puro caso.
“Voglio
farti
vedere una cosa, aspetta!” – preda di una forte
nostalgia, la bambina afferra
il computer, riposto da due giorni proprio su un tavolino in veranda e
lo accende.
Cerca,
attenta,
qualcosa sotto lo sguardo curioso di Varsavia.
“Eccolo!!”
–
esclama, una volta trovato il filmato in questione.
Dopo
che Alba clicca
il Play, davanti agli occhi di Ivana si mostra un momento speciale,
girato con
uno smartphone, da Rio, sette anni prima.
7
anni prima…
E’
luglio e l’arrivo
dei gemelli è previsto verso la prima metà di
dicembre.
Tokyo
decide di
organizzare un party dopo aver scoperto della moda americana del
“Gender Reveal”.
All’insaputa di tutti, consulta la ginecologa di Nairobi,
grazie all’aiuto di
Carmen Johnson, venendo così a conoscenza del sesso dei
piccini in arrivo
prima, addirittura, del resto della famiglia.
“Sicura
che nessuno
riuscirà a scoprirti?” – le domanda,
all’epoca, la
tutrice
dei Dalì.
Le
due sono appena
tornate a casa con delle buste per la spesa stracolme.
“Ehi
ma avete
svaligiato il supermercato?” – chiede Rio,
svegliatosi di soprassalto dal suo
solito pisolino pomeridiano, a causa del vociare chiassoso delle donne.
“Bene,
proprio l’uomo
che ci serviva!” – afferma, sorridente, Selene
affidando la roba pesante al
compagno.
“Che?!”
– esclama
lui, costretto a sobbarcarsi mansioni di cui non sa neppure lo scopo
– “Da quando
in qua sono diventato il maggiordomo?”
“Da
sempre, mi
amor!” – lo prende in giro la Oliveira, dandogli un
bacio a stampo come
ringraziamento del servizio – “Portali in cucina e
disponi la roba come si deve!”
“Potrei
sapere, di
garbo, cosa ti sta passando per la mente?” – Rio
è confuso e mentre esegue gli
ordini della compagna, esige spiegazioni.
Ovviamente
Tokyo tace,
impedendo anche a Carmen Johnson di aprire bocca in merito.
“E’
una sorpresa. A
proposito…hai il gonfiatore elettrico da qualche
parte?” - domanda
la donna, tirando fuori dalla borsa due
palloncini sgonfi uno di colore bianco, l’altro nero.
Quell’interrogativo
spiazza ancor di più Anibal che, inarcando il sopracciglio,
alquanto perplesso,
si chiede a cosa possa mai servirle. Ovviamente evita di farle altre
domande,
visto che Selene non ha intenzione alcuna di svelare il fatto.
Così,
le indica
dove trovare l’aggeggio e, dopo la sistemazione della spesa,
torna in camera
per riprendere il suo sonnellino.
“Nairobi
e Bogotá
sono invitati a cena da noi stasera! E anche i Johnson” - comunica la Oliveira a
Rio, quando l’uomo
nel tardo pomeriggio raggiunge la donna in cucina.
“Sul
serio? Ecco spiegato
perché di tanta roba!” – commenta,
rubando al volo da un vassoio dei biscotti
colorati.
“Cosa
sono questi? Perché
rosa e blu?” – indica la copertura di glassa del
cookie.
“Anziché
farmi l’interrogatorio,
raggiungi Adam in soggiorno. Lui è alle prese con i
palloncini!”
“I
palloncini? Ma che
giorno è oggi? il compleanno di qualcuno e non lo
ricordo?” – Cortés consulta il
calendario, cercando di capire di più. Ma tutto inutile; non
gli rimane che
accettare di non sapere cosa sta per accadere.
Le
ore seguenti i
due uomini sistemano quanto più possibile, su ordine delle
rispettive compagne
e, una volta tutto pronto, Tokyo e Carmen si distendono sul divano
organizzandosi
sul da fare.
E
quando, alle 19
in punto, suonano alla porta gli invitati, è proprio Selene
a correre all’ingresso
per accoglierli.
Bogotá
ha in mano
una torta gelato confezionata che porge subito alla padrona di casa.
“Cazzo”
– esclama non
appena nota che in soggiorno c’è un vero e
proprio banchetto.
Nairobi,
a bocca
aperta, non riesce a rimproverarlo per l’espressione scurrile
perché è troppo
spiazzata dall’abbondanza di cibo.
“Alba,
tesorino, ti
va di venire con me? Devo dirti una cosa!” –
approfittando di distrazioni della
coppia di amici, la Oliveira si allontana con la bambina,
all’epoca di quattro
anni.
Conoscendo
bene le
possibili gelosie che possono sorgere tra minori, con
l’arrivo di un fratellino
o una sorellina, specialmente gelosie duplicate essendo i new entries
dei
gemelli, la ribelle dei Dalì cerca di rendere sua nipote
partecipe dell’evento.
“Dovrai
essere tu a
portare mamma e papà nel salone principale. E quando
sarà il momento, sarai
proprio tu a bucare i palloni. Va bene?”
“Si!”
– esulta di
gioia la piccina.
Così
la serata,
rimasta impressa nei ricordi di tutti i presenti per essere stata ricca
di
cibo, di allegria, di serenità, e di sorprese, scorre veloce.
“E’
il momento
giusto” – sussurra Tokyo ad Alba.
La
bambina esegue
subito la missione datale dalla adorata zia. Così si
avvicina a Nairobi e le
chiede di seguirla.
Agata
non esita,
pensando che sua figlia dovesse rispondere a bisogni fisiologici.
E
non appena si
trova nella sala addobbata, nota due enormi palloni leggendo
chiaramente su di
essi “Boy or Girl”.
“Non
ci credo” – si
commuove, comprendendo quanto sta per accadere e il perché
di una vera e
propria sorpresa.
Bogotá,
condotto
dal resto del gruppo proprio in quel punto preciso della villa, rimane
a bocca
aperta.
“Siete
dei pazzi” –
esclama il saldatore, avvicinandosi alla moglie, a due passi da quello
che a
breve Alba farà esplodere.
Mai
nessuno ha mai
organizzato qualcosa di tanto speciale per loro…eccetto il
giorno delle nozze!
“Vi
vogliamo bene,
amici!” – risponde Selene, commuovendosi di gioia.
“Sei
un genio, mi
amor”- dice Rio a Tokyo, cingendole la vita e appoggiando il
mento sulla spalla
di lei. Ora sì che tutto è chiaro anche per lui.
“Volevo
la versione
spagnola di questi buffi palloni, purtroppo qui in Australia hanno
quella
inglese…perciò Boy or Girl! Si capisce
ugualmente, giusto?” – aggiunge la padrona
di casa, sorridente.
Dopo
una serie di
lacrime versate e l’euforia del momento, la bambina si
posiziona tra i
genitori.
“Sei
curioso di
saperlo?” – domanda la gitana al marito,
stringendosi forte al suo petto.
Lui
le bacia il
capo con dolcezza, però non trova parole per risponderle,
troppo preso dalla
felicità.
“10…
9…8…7….6” – i
Johnson
insieme ai Cortés-Oliveira iniziano il conto alla rovescia.
Udendo
l’euforia
degli amici, Nairobi e il suo adorato consorte si scambiano un puro e
dolce
bacio, sotto lo sguardo estasiato di Alba.
La
loro primogenita
ha soli quattro anni e non sa cosa significhi la parola
“amore”, ma le basta
vedere la sua mamma e il suo papà e gli sguardi che si
scambiano per capirlo.
“3…2…1”
Boom!
Alba
fa esplodere
sia il pallone alla sua destra che quello alla sua sinistra, liberando
in aria coriandoli
rosa e blu.
Rio,
alle prese con
la registrazione del momento, grida euforico, creando il caos.
Ed
è proprio quel caos
che adesso, proiettato sul PC, Alba sta mostrando ad Ivana.
“Siete
una famiglia
bellissima. E papà e Nairobi si amano alla follia”
– commenta la ragazza,
asciugandosi il viso bagnato di lacrime.
“Non
si amano più
come quel giorno” – precisa, amareggiata,
l’undicenne.
“Invece
sì, è solo
la situazione di Ginevra ad averli allontanati. Però,
proprio come fece Tokyo
con quel party a sorpresa, dobbiamo trovare un modo per fargli far
pace, per
regalare loro la gioia di cui necessitano”
|
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Capitolo 12 *** 12 Capitolo ***
“Allora
finisce tutto così?” – domanda
Bogotá
a Nairobi, guardandola rivestirsi, nel suo ormai abituale silenzio.
“Guardami
quando ti parlo, per favore” –
l’uomo, ancora a letto, coperto solo da leggere lenzuola
bianche, sfiora il
braccio della moglie, invitandola a voltarsi verso di lui.
Quel
tocco così delicato lascia una scossa
elettrica sul corpo di Nairobi, ricordandole di quando suo marito le
raccontò,
subito dopo la fuga dalla Banca, che quando la conobbe
percepì la stessa
scarica lungo la schiena.
Una
sensazione, quella che avverte, che
sembra farla star bene.
E
Agata sa di essere stata bene tra le
braccia di Bogotá. Ha goduto al massimo quel momento di
passione e si è sentita
amata, esattamente come sempre. Nulla è cambiato da parte di
suo marito che la ama
con la medesima intensità.
Respirando
profondamente, la gitana ricambia
lo sguardo del saldatore.
“Non
è significato niente per te?” – insiste
lui.
La
Jimenez avrebbe così tanto da dire, eppure
il turbamento che avverte non molla la presa. Il suo silenzio spiazza
totalmente Bogotá che, a quel punto, prende una drastica
decisione.
“Io
posso aiutarti, tu lo sai bene. E’
l’amore la sola medicina di cui hai bisogno, di cui abbiamo
bisogno. Però
proprio perché io ti amo follemente, ti lascio libera.
Prenditi il tempo che ti
serve. Inutile che io insista a convincerti a provare per me cose che
forse non
provi più. Sappi che per qualsiasi cosa, ci sono. Vorrei
ritrovassi te stessa,
e se per ottenere ciò devo mettermi da parte, lo
farò”
L’amore
profondo di Bogotá è comprovato da un
gesto tanto nobile che sa bene gli costerà caro.
È difficile dover rinunciare a
chi si desidera, però non ha altra scelta. Continuare sulla
strada del litigio
non porta soluzioni.
Dopo
la sfuriata di qualche ora prima, dove lui
mise la sua compagna alle strette, mostrandole quanto la sua pazienza
fosse
esauritasi, il saldatore dei Dalì comprende che, in nome di
quel sentimento
forte che prova, e del suo stesso cuore che sente di dover tutelare da
ulteriori batoste, è bene mettere in standby la loro
relazione.
Avvolgendosi
il lenzuolo attorno alla vita,
afferra al volo i suoi indumenti e si chiude nel bagno privato,
collocato
esattamente all’interno della stanza.
Nairobi
rimasta sola e senza parole, cede
allo sconforto.
E’
stata lei a creare quel pandemonio e
adesso dovrà pagarne le conseguenze.
A
malincuore, prende anch’essa gli abiti di
ricambio e si avvia verso la toilette in fondo al corridoio. Sola con
se
stessa, s’immerge nella vasca da bagno tentando di
metabolizzare quanto
accaduto, inclusa la decisione presa da Bogotá.
Probabilmente è quella la parte
di tutta la storia che le fa più male, ma di cui
è palesemente responsabile.
*****************************
Emilio
è nella stanza singola per gli ospiti.
Disteso sul letto, è attanagliato da vari pensieri.
Mascherare
le sue emozioni è sempre stato il
suo “migliore difetto”. È
così che definisce tale copertura…un
“dif-regio”.
Ricorda
bene cosa scatenò in lui risentire Bogotá
dopo ben dodici anni di lontananza, un vero e proprio tonfo al cuore,
sapendo
di doverlo rivedere e di doversi mostrare come la persona
più serena del mondo
nel farlo.
Durante
il viaggio intrapreso con i suoi sei
fratelli, il venezuelano ha ascoltato le posizioni di ognuno di loro,
eleggendosi
capobranco, venendo a conoscenza di quanto i suoi consanguinei, a
differenza
sua, fossero entusiasti di ritrovare il genitore.
Ora,
dopo aver mandato l’ennesimo messaggio a
sua madre, Yerevan la congeda e congeda così anche i suoi
dilemmi interiori.
A
risvegliare le sensazioni più nascoste è
proprio la mamma. Quella donna non smette mai di tempestarlo di
chiamate e sms
pur di avere notizie sulla sua condizione emotiva.
Chi
più di quel suo genitore lo conosce così
intimamente e fu proprio lei a criticare Bogotá di fronte
alla richiesta che l’ex
pose ad Emilio, prevedendo un dolore per suo figlio.
************
“Sparisce
per più di dieci anni, e pretende che tu scatti in piedi
alla prima occasione
per raggiungere l’Australia? E’ folle”
“Ma’,
calmati. Lo so che sei in pena per me, ma io sto bene”
“Ti
conosco tesoro. Leggere l’email di tuo padre ti ha riaperto
vecchie ferite, lo
so. Sei sangue del mio sangue. Anche se ti ostini a mascherare
ciò che senti,
io lo percepisco”
“Sono
adulto e ho imparato a gestire le mie emozioni!”
– sono queste le parole con cui Yerevan a alla donna di voler
partire e
raggiungere Perth.
E
prima di lasciare casa e salire sul taxi,
non manca da parte della donna un commentino rancoroso verso
l’ex – “Per uno
come lui, la relazione con questa
nuova “vittima” è durata anche troppo.
Al primo problema, stai certo che la
mollerà”
“Piantala
con questo risentimento, dai!” – risponde
il giovane, dandole un bacio
sulla guancia, per sfrecciare poi diretto verso il suo destino.
****************
Un
rumore proveniente dal giardino, udibile
per via della finestra spalancata, Emilio costata che la Banda dei
Dalì è di
nuovo nei pressi della villa, pronta a rientrare e riprendere la
missione.
Ricomponendosi,
cancellando i brutti pensieri
dalla testa, si osserva allo specchio, per dei secondi, indossando
ancora una
volta la maschera da bravo primogenito, fiero e deciso, difensore della
sua
famiglia, e soprattutto roccia inscalfibile.
Percorre
il corridoio a passo svelto, scende
una rampa di scale, ritrovandosi al primo piano.
Bussa
alla prima delle due stanze occupate
dai fratelli maschi, ed entrandovi li trovai alle prese con la lotta
con i
cuscini.
“Che
cazzo fate? Vi sembra questo il momento
per mettervi a giocare?”
“E’
colpa sua!” – esclama Yaris indicando Julian.
E
l’altro, ridacchiando, alza le mani come a
dire “Io non c’entro nulla”
“Su,
forza! Mettete in ordine visto che non è
casa vostra, e scendiamo giù in salotto. Il Professore ci
aspetta”
“Che
dici?” – esclama, confuso, il messicano,
ormai per tutti Quito – “Papà
è stato chiaro, questa E’ casa nostra!”
“Non
significa che dobbiamo distruggerla!
Forza, muovetevi. Io vado a richiamare gli altri” –
così dicendo, Yerevan si
reca nella camera accanto.
Apre
la porta e davanti ai suoi occhi si
palesa una condizione totalmente opposta a quella veduta in precedenza:
Erik e
Drazen, i più calmi del gruppo, sono alle prese con delle
ricerche su internet.
“Cosa
fate?” – domanda.
“Appuntiamo
tutti i nomi degli insegnanti
della scuola di Ginevra! Vogliamo trovare questa Maestra Honey quanto
prima!” –
spiega il biondino.
La
determinazione dei due è fonte d’orgoglio
per il maggiore, ma avverte anche un pizzico d’invidia.
Quanto vorrebbe avere
la loro instancabile voglia di fare e sfamare il cervello di quante
più informazioni
possibili!
Dopo
aver comunicato anche a Copenaghen e
Londra dell’arrivo dei Dalì, Emilio si reca
dall’ultima parte di famiglia
rimanente. Educatamente, bussa ed entra nella camera delle sorelle per
avvertirle..
“Hanna,
andiamo! Dov’è Ivana?” – le
chiede
come prima cosa, notando l’assenza della ucraina.
“Con
Alba! Quella bambina non è molto serena”
– precisa Vienna.
“E’
normale. Non capita tutti i giorni che
una sorellina sparisca nel nulla”
“Non
solo per quello… lei teme la rottura di
papà e Nairobi!”
In
tale frangente, tornano alla mente di
Emilio le parole di sua madre.
“Per uno
come lui, la relazione con questa nuova “vittima”
è durata anche troppo. Al
primo problema, stai certo che la mollerà”
Scuote
il capo, come a voler cancellare le
parole di una donna paragonabile quasi a una veggente.
“Dubito
che accada! Si amano troppo” – si limita
a dire, volendo essere il più positivo ed ottimista
possibile. Poi segue la sorella
fino al salone, lì dove sono radunati tutti…
anzi, quasi tutti.
La
mancanza di Agata e Bogotà è evidente.
“Che
fine hanno fatto quei due?” – si chiede,
preoccupata, Tokyo.
“Spero
stiano chiarendo definitivamente” –
commenta Rio all’orecchio della compagna.
A
distogliere la coppia dall’ansia per i loro
migliori amici è Sergio
che prende
parola ponendo una domanda a Hanna.
“Vienna,
sei pronta a recarti a scuola?”
“Si,
professore. Ho già un’idea su come
presentarmi per fare buona impressione” – spiega
lei.
“Noi
abbiamo svolto alcune ricerche sul
personale scolastico di questo istituto!” –
interviene Erik, indicando anche
Drazen, da sempre noti per essere dei secchioni in piena regola
– “Possiamo
fare una carrellata di nomi per verificare se Sebastìan
conosce qualcuno noto
per la sua dolcezza mielosa!”
“Assolutamente!”
– afferma, fiero, Marquina. Si
rivolge al piccoletto chiamandolo ad avvicinarsi –
“Seba vieni qui, abbiamo
bisogno di te, sei sempre importantissimo”
Il
piccino, seduto su un divano accanto a
Mykonos, scatta in piedi e raggiunge il suo mago preferito, pronto ad
ascoltare
la lista di nomi e a dare il suo contributo.
E
mentre il gruppo si consulta e ascolta il
bambino, compare Bogotá dal fondo della sala.
Avanza
verso i compagni con passo lento.
Senza
pronunciarsi, si siede sul divano, tra
due dei suoi figli. Yerevan
è uno dei
due in questione e percepisce la stranezza e l’inquietudine
paterna.
A
quel punto gli sussurra – “Come ti senti? Hai
una faccia!”
“Ho
l’aria di chi ha appena messo in pausa
una storia d’amore di dodici anni” –
confessa senza remore.
“Che?”- esclama, sbalordito, il ventisettenne.
Il
saldatore non aggiunge altro, si limita a
fissare Sebastian che parla con Sergio pur di concentrare la sua
attenzione esclusivamente
su un obiettivo: le ricerche di Ginevra.
Al
diavolo il resto, è bene rimpostare le sue
priorità. E quella che primeggia su tutte le altre
è il ritrovamento della sua
adorata bambina.
“Affrettiamo
i tempi, Professore” – prende parola
poco dopo – “Voglio Ginevra a casa quanto
prima!”
|
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Capitolo 13 *** 13 Capitolo ***
Nairobi
è immersa
nella vasca da bagno, e con occhi socchiusi, tenta di rilassarsi.
Sa
bene quanto è
difficile farlo. Sono tre giorni che non vive in pace con se stessa,
tre giorni
di astio con suo marito, tre giorni di tensione emotiva…tre
dannati giorni
senza Ginevra.
E
pensare che fu
proprio in quell’idromassaggio che i gemelli vennero
concepiti! E Agata lo
ricorda come fosse ieri.
Per
di più, la
gitana si è sempre ritenuta soddisfatta della sua storia
d’amore con Bogotá,
specialmente quando Carmen Johnson lamentava l’assenza di
desiderio con Adam,
ricordando a Nairobi che la passione in una coppia di novelli sposi
è solamente
inziale. Via via tende ad affievolirsi fino a diventare solo un lontano
ricordo. E invece la Jimenez ha dimostrato l’esatto opposto.
Con suo marito il
desiderio non si è mai spento, rimasto intatto come il primo
giorno, anche a
distanza di dodici anni dal primo bacio.
Non
può dimenticare
le premure del saldatore che in occasione del secondo anniversario,
chiese a
Tokyo di prelevare Alba e lasciarlo solo in casa con la moglie. Si
adoperò, con
la dolcezza che lo contraddistingue da sempre, per regalarle una serata
speciale tutta per loro.
***********************
“Non sbirciare, mi raccomando”
– le
sussurra, dopo averla bendata. Prendendola per mano, mira a condurla in
camera
da letto, lì dove, su suggerimento di Rio, crea una
suggestiva atmosfera.
Candele e petali di rose…l’immagine perfetta per
un incontro romantico. In
realtà il primo step è nel bagno degli ospiti,
dove fu montata, da pochi
giorni, la vasca idromassaggio. Sistema anche lì delle
candele profumate e dei
calici di champagne.
“C’è della musica!”
– nota Nairobi per
via del rumore di sottofondo.
La
canzone che
Bogotá sceglie, fa sorridere la gitana che, divertita dice
– “Chissà
perché ma sembra un genere fin troppo
da Rio!”
https://www.youtube.com/watch?v=8IUpxMR_LVI
“Ehm… confesso che sono stato aiutato”
–
ammette Bogotá, imbarazzato – “Se non ti
piace, cambio senza problemi”
La
donna scuote il
capo e inizia a muovere i fianchi a tempo di musica, sotto lo sguardo
estasiato
del marito.
“Ok, basta così”
– non resistendo alla
tentazione di baciarla, le toglie la benda dagli occhi mettendola di
fronte a
quello che aveva organizzato.
“Wow” – esclama lei,
piacevolmente
colpita. Si volta verso il compagno ed è lei a fiondarsi
sulle sue labbra.
Fermatisi
per
riprendere fiato, i due optano per un massaggio in acqua. Senza
esitare, si
liberano degli abiti e con indosso solo l’intimo,
s’immergono nella vasca
allietati da due calici di spumante.
“Cazzo, questo si che è il paradiso”
–
commenta il saldatore, placando così anche i bollenti
spiriti.
Ma
l’intenzione di
Nairobi non è certamente quella di rilassarsi e calmare la
passione.
La
gitana si pone a
carponi sul compagno, avvinghiandosi letteralmente al corpo di lui.
“Se volevi sorprendermi, ci sei riuscito
amore mio” – dice lei, sorseggiando
l’ultima goccia di drink.
Con
tenerezza, lei
accarezza ogni angolo del suo volto, con lo sguardo follemente
innamorato, ricambiato
da quello di Bogotá.
Mordicchiandosi
il
labbro, la Jimenez decide di fare la mossa decisiva.
Si
libera del
reggiseno, gettandolo sul pavimento, godendo dell’imbarazzo
dell’uomo.
“Sei bellissima, lo sai vero?”- la lusinga, non riuscendo
a staccarle gli
occhi di dosso.
“Nonostante le mille cicatrici?”
–
precisa lei, indicando l’esatto punto dove fu sparata e
successivamente operata
dai Dalì.
“Quelle cicatrici ti rappresentano e ti hanno
resa la guerriera che sei!” – aggiunge,
adagiando il capo sul seno scoperto
di Nairobi.
“Ti amo” – dice la
gitana, felice come
mai prima nella vita, e sempre più convinta di un sentimento
che può sfidare
qualsiasi cosa, un sentimento che in un modo o in un altro vince su
tutto.
Tra
confessioni
amorose, baci e carezze, i coniugi si concedono l’uno
all’altra, assaporandosi
a vicenda e regalandosi attimi di smisurato amore, coccolati
dall’acqua
massaggiatrice e dalla playlist musicale, non proprio romantica, di Rio.
***********************
Quei
ricordi di una
forte attrazione fisica e di una notte magica, riaffiorano nella mente
di
Nairobi che non trova pace interiore.
“Cazzo,
inutile
mettere la storia in standby, se ogni cosa mi ricorda lui”
Afferra
l’accappatoio e lo indossa al volo.
Di
fronte allo
specchio, stabile alla parete, guarda il suo corpo, scrutandosi nei
dettagli:
occhiaie sotto gli occhi, sguardo cupo, poca cura verso la sua
persona…lei non
è mai stata tanto disattenta. Anzi, adorava curarsi come
meglio poteva e oggi
fatica a riconoscersi.
Indossa
l’intimo
pulito, mentre fissa le cicatrici che hanno martoriato il suo corpo.
“Sono
un rottame” –
commenta, sfiorando ciascuna di esse.
I
suoi figli, e persino
il saldatore, non perdevano occasione per complimentarsi con Nairobi,
ricordandole di avere “una pelle di ferro”, che non
si piega di fronte a
niente, neppure alle avversità della vita. E lei
scherzosamente gli rispondeva
che essere meticcia aveva tanti pro.
“Forse
questa
cicatrice che mi lacera il cuore, la porterò dentro per
sempre!” – dice ad alta
voce, riferendosi all’ennesima sofferenza che il destino ha
stabilito per lei
con la sparizione della piccola Ginny.
Improvvisamente
c’è
un unico spiraglio di razionalità e di luce che la sprona a
non abbattersi…ed è
esattamente la voce della sua piccolina scomparsa che le disse quando
trovò una
vecchia fotografia della gitana con indosso un abito corto di colore
blu – “Mamma
sei stupenda. Voglio diventare come te”.
Così,
intenzionata
a tornare a guardarsi come un tempo, corre verso la sua stanza, quella
dove alloggia
da ormai due notti.
------------------------
Mentre
i Dalì
organizzano il da farsi, Bogotá si estranea, sedendosi sul
divanetto in
veranda, per consumare uno dei suoi sigari.
Helsinki
è tra i
primi a notare l’isolamento del saldatore e gli siede accanto
pronto a
raccomandargli di badare allo stato emotivo di Nairobi.
“Non
lasciarla da
sola per favore” – sono le prime parole che
pronuncia.
“Che
dici? Non capisco!”
– è stranito il padrone di casa.
“Mi
riferisco a tua
moglie”
Bogotá,
infastidito
dalla questione, non risponde, concentrandosi soltanto sul fumo.
Il
serbo capisce al
volo di aver toccato un argomento delicato e, considerando Nairobi una
sorella
minore, non può non intervenire.
Con
fare brusco,
strappa il sigaro dalle mani del compagno di squadra e lo posiziona nel
posacenere adagiato sul tavolino.
“Che
cazzo fai?” –
gli tuona contro il saldatore.
“Agisco
per il tuo
bene”
“Senti,
Helsi non
ho voglia di discutere. Ne ho piene le palle ok?”
“E’
questo che vuoi
insegnare ai tuoi figli? A tirarsi indietro? Loro sono venuti fin qui,
si sono
buttati il passato alle spalle, un passato che sai bene quanto possa
averli
feriti. Essere cresciuti senza di te accanto, non sarà stata
una passeggiata. E
tu invece…”
“Lo
so che non sono
stato un padre modello! Non mi serve che sia tu a ribadirlo”
“Voglio farti
aprire gli occhi! Presta attenzione
a Nairobi”
E
sentendo quelle
parole come un attacco, Bogotá risponde con una risata quasi
beffarda.
“Perché
ridi
adesso?” – domanda, confuso, Helsinki.
“Non
sai un cazzo,
amico mio. Ho prestato attenzione a Nairobi, eccome se l’ho
fatto. E indovina?...puntualmente
lei mi allontanava. Sono stanco, le ho dato i suoi spazi”
“In
che senso le
hai dato i suoi spazi? Non mi dirai che vi siete lasciati?”
“Ci
siamo presi una
pausa. Niente sermoni, amico! Lasciami in pace, voglio fumare e
allentare la
tensione! Ne ho bisogno…” –
così dicendo, accende un altro sigaro e s’isola
dal
resto del mondo.
Nessuno
dei due
Dalì si è accorto che, dall’uscio della
porta scorrevole, c’è Emilio. Il ventisettenne
ha ascoltato, casualmente, il discorso tra i due, rimanendone provato.
Ciò
che sta
accadendo lo preoccupa realmente: se i suoi fratelli minori venissero a
sapere
il fatto, non osa immaginare quale potrebbe essere la loro reazione.
Solo
al pensiero,
gli si stringe lo stomaco.
Anche
lui da
bambino ha sofferto la lontananza dei genitori. Seppure vedere il padre
due
sole volte ogni anno lo rallegrava, il cuore ne soffriva tanto. E Alba
e Sebastìan
non meritano di patire per le medesime circostanze.
“Non
meritano tanto
dolore! Già soffrono per la sorellina! Non è
giusto, cazzo!” – pensa il
ventisettenne, mentre cammina nei corridoi del primo piano, senza una
precisa
meta.
La
seduta con il
Professore si è sciolta da qualche minuto e ogni
Dalì è alle prese con mansioni
affidategli in merito alla ricerca di Ginevra. Yerevan, invece, si
è dileguato
dal gruppo, appena udito lo sfogo del padre con Helsinki.
Preda
dei suoi
pensieri, si reca in una delle camere degli ospiti. Si chiude la porta
alle
spalle ed è allora che una voce lo fa sobbalzare.
“Che
ci fai qui?”
Di
fronte al
ragazzo c’è Nairobi, con indosso un abito di
colore blu conservato da anni e
che le ricorda quando, da giovane rapinatrice dei Dalì era
prossima alla
conquista della Zecca, e che indossò per un’uscita
segreta con Tokyo, Rio e
Denver.
La
bellezza della
donna è disarmante e Emilio, arrossendo, chiede perdono per
l’intrusione non
voluta e fa per uscire.
“Aspetta!”
– lo trattiene
Agata - “Sembri sconvolto. Che succede?”
– gli domanda, preoccupata.
“Nulla,
ho saputo
di te e papà!”
- confessa liberamente
Emilio.
E
quell’esternazione
lascia la gitana in
silenzio, con lo
sguardo fisso sul figliastro, visibilmente inquieto.
“Tu
come mai ti sei
vestita così?” – chiede lui, cambiando
discorso.
“Ehm…
diciamo che
ho voluto fare un esperimento. Anzi, direi una sfida con le mie
insicurezze. Ho
voluto rivedermi come la Nairobi di anni fa”
“E
funziona? Ti sei
rivista?”
La
Jimenez, si
volta verso lo specchio alla parete e si guarda per qualche secondo.
Respira
profondamente,
poi fa spallucce, non convinta di aver ottenuto la sicurezza che
avrebbe voluto
recuperare.
“Sei
bellissima, lo
sai vero?” – lo stesso tono di voce di
Bogotá, lo stesso modo di esprimersi… fa
sorridere la donna. Così la gitana si volta verso il
venezuelano e gli dice - “Grazie,
questo non è un bel momento per me purtroppo”
“Immagino!
Se vuoi
sfogarti, sappi che ci sono”
- si fa
avanti Yerevan.
Chi
l’avrebbe mai
detto!
Allora
i due, sedutisi
sul letto, a modi confessione, liberano i loro pensieri più
segreti, sfogandosi
e alleggerendo i propri cuori.
Probabilmente
entrambi
hanno trovato la medicina umana di cui necessitavano da un po'.
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Capitolo 14 *** 14 Capitolo ***
Nairobi
racconta il suo passato ad Emilio,
spiegandogli quanto abbia duramente lottato per ottenere la rivincita
su una
vita beffarda e crudele: un’infanzia traumatica, dopo la fuga
di suo padre, l’adolescenza
in un quartiere malfamato assieme alla madre e al compagno di lei,
l’innamoramento
per il padre di Axel, la gravidanza inattesa e l’arrivo del
suo bambino, la
perdita di lui a soli tre anni, la droga, la galera…
Il
giovane Yerevan comprende solo allora
quanto quello di Ginevra sia solo l’ennesimo trauma che
quella povera donna sta
patendo.
“Perché
non mi parli anche dei bei momenti? Sai
che ricordare le belle cose, spesso serve a risollevare il proprio
stato d’animo?”
– dice Emilio, tentando il tutto e per tutto pur di vederla
sorridere.
E
quell’osservazione più che sensata, porta
la mente di Nairobi ad uno dei tanti episodi felici vissuti nella sua
vita.
“Quando
conobbi tuo padre, ero alquanto
scettica e ammetto che non amavo le sue avance”
“Quindi
mi stai dicendo che conoscerlo è
stato uno dei momenti belli?” – le sorride lui,
cercando di sdrammatizzare.
“Così
come lo è stato sposarlo, avere dei
figli da lui…”
“Hai
detto che non ti piacevano le sue avance…
immagino per il lato da casanova che aveva!” –
commenta Emilio, ben consapevole
della fama di suo padre.
“Però,
alla fine, ha saputo conquistarmi, e
ti assicuro che, una volta scoperto il suo lato più dolce me
ne sono follemente
innamorata. Non vedevo più quello che sembrava un rozzo
omaccione, ma l’uomo
che mi avrebbe regalato la felicità che cercavo da
tempo!” – confessa, e al
ricordo del fatidico momento in cui tutto le è apparso con
più chiarezza, il
cuore le sussulta, proprio come allora.
E
di fronte ad una dichiarazione così
esplicita, seppure velata da un immenso dolore, il ventisettenne
riconosce - “Te
lo leggo negli occhi che lo ami tanto! Allora spiegami una
cosa…perché ti sei
allontanata? In fondo, sai bene anche tu che la sola medicina al questo
malessere
interiore che vivi, è lui”
“Se
ti dicessi che sono masochista?” – le
parole della gitana arrivano dirette e violente al cuore del
venezuelano.
“Non
farti altro male, oltre quello che già
la vita ti ha dato ingiustamente” – di fronte al
deperimento mentale e fisico
di Agata, Emilio non può non darle consigli appellandosi ai
racconti del
passato di lei, ascoltati con attenzione poco prima.
Un
sorriso forzato si disegna sul viso della
Jimenez, consapevole della verità ma fortemente combattuta
nell’accettarla, per
via dei suoi dilemmi interiori.
“Parlo
sul serio” – insiste Yerevan,
adagiando la sua mano su quella della donna, che mantiene lo sguardo
basso.
La
vicinanza a quel giovane ventisettenne
sembra donare ad Agata degli attimi di apertura con il mondo esterno e
averlo
accanto diventa di vitale importanza per il suo stato emotivo, messo a
dura
prova da quanto accaduto. Si
sente
alleggerita di un peso emotivo che la stava distruggendo.
“Non
avrei mai pensato di poter trovare una
complicità tale con qualcuno conosciuto da meno di
24ore”- aggiunge lei, piacevolmente
colpita.
“Se
hai bisogno di qualcuno che ti ascolti,
sai che abito sotto il tuo tetto ormai” – le porge
la mano pronto ad uscire con
lei per raggiungere il gruppo.
Così,
la gitana si alza e prima di lasciare
la camera, torna a guardarsi allo specchio.
“Sei
bellissima, non dimenticarlo mai!” – le ripete
Emilio, costatando quanto sia
vero quello appena detto. Non sono solo parole pronunciate allo scopo
di
accrescere l’autostima della gitana, ma è
palesemente un dato di fatto: Nairobi
è davvero una donna bellissima, come poche e merita di
sentirselo dire sempre.
“Sei
un tesoro”- risponde lei, accennando,
finalmente un sorriso.
Il
ragazzo arrossisce potendo ammirare il
volto rilassato della matrigna e mentre la donna continua a fissare se
stessa
riflessa allo specchio, cercando di tranquillizzarsi, lui fa lo stesso,
non riuscendo
a smettere di guardarla.
“C’è
tanto da imparare da una leonessa come
te!” – si complimenta poi, una volta lasciata la
stanza.
“Sei
il degno erede di Bogotà, ho rivisto
molto di lui in te, forse per questo c’è molta
complicità tra di noi!” –
commenta la gitana.
“Allora,
se con lui non riesci a sfogarti, se
in me rivedi mio padre, sfrutta questa cosa a tuo vantaggio. Fingi che
io sia tuo
marito, arrabbiati con me, piangi, ridi, prendimi anche a schiaffi se
ti fa
stare meglio” – i consigli del ventisettenne sono
sinceri e sentiti profondamente;
ha preso davvero a cuore la faccenda, probabilmente più di
quanto avrebbe mai
immaginato.
Agata
apprezza tanto il gesto di quel ragazzo,
fino a poche ore prima, sconosciuto. Per ringraziarlo di quelle premure
e
attenzioni, gli si avvicina e lo abbraccia.
Emilio
è noto per essere grande e muscoloso,
proprio come lo era suo padre a quell’età.
Probabilmente alto quasi quanto
Nairobi, i due sembrano davvero una coppia di coetanei in un attimo di
dolcezza
smisurata. Imbarazzato dal gesto, Yerevan lascia che le braccia esili
di lei si
avvolgano al suo collo, però la sua posizione è
di ghiaccio.
Lui,
immobile, di fronte ad un affettuoso e
materno abbraccio, sente accrescere dentro se il desiderio di rimediare
alla
faccenda brutta che tutti vivono. Anche
se,
probabilmente, ciò che avverte adesso ha poco a che vedere
con la salvezza di
un matrimonio.
Esita
a ricambiare la stretta, rimanendo
impassibile, mentre Nairobi continua a sussurrargli parole di
ringraziamento.
A
quel punto, nella mente del giovane una
vocina gli sussurra “Stringila a te”,
“Non lasciarla andare via”, “Ha bisogno
di qualcuno che le dia calore”.
Ma
appena è prossimo a lasciarsi andare, con
le mani ormai prossime a toccarle la pelle, accade qualcosa che lo
frena giusto
in tempo.
“Mammina,
Emilio, cosa fate qui da soli?”-
domanda Sebastìan vedendo i due nel
corridoio.
“Tesoro
mio, stavamo venendo in salone” –
risponde Nairobi, asciugandosi il viso dalle lacrime.
“Non
piangere più, ti prego” –
l’attenzione
del piccolo si focalizza immediatamente sul dettaglio del volto
materno, perciò
la supplica di smettere, esausto di vedere la depressione dei genitori.
“Non
lo farà più, fratellino! Fino a quando
ci sarò io qui, ti prometto che la tua mamma
sorriderà” – si intromette
Yerevan, prendendolo in braccio, proponendogli di giocare
all’aereo.
Mentre
i due consanguinei si divertono a
correre e volare tra risate e allegria, la Jimenez li osserva e pensa a
quanto
sia stato essenziale incontrare Emilio e potergli raccontare di se.
A
passo lento percorre i pochi metri rimasti
prima di riunirsi alla squadra.
“Ehi,
va tutto bene?” – le domanda
immediatamente Tokyo vedendola arrivare, preoccupata di quel ritardo.
“Si,
ora sto meglio” – la tranquillizza la
gitana – “Tutto merito di Yerevan. È un
ragazzo d’oro” – spiega.
Mentre
la gitana ricopre il figliastro di
complimenti, Denver cambia argomento perché nota un
dettaglio che la stessa
Selene aveva ignorato.
“Sbaglio
o quest’ abito blu lo indossasti
quella famosa sera…?”
“Già,
Denver ha ragione! Me lo ricordo anch’io,
hai steso una decina di ragazzi alla festa…”
– si intromette Rio.
“E’
uno schianto, vero? Anche se sono
trascorsi 14 anni, sei una figa da paura!” –
aggiunge la Oliveira, appoggiando
i due Dalì che vogliono in quel modo regalare alla loro
compagna un momento di
spensieratezza tra vecchi ricordi.
Bogotá,
rientrato dalla veranda, proprio in
quei minuti, seguito da Helsinki, scruta la moglie alle prese con dei
racconti
passati.
“Wow,
Nairo! Ma sei meravigliosa” – anche il
serbo ha solo belle parole per la gitana.
È
il saldatore a non proferire parola,
seppure non indifferente al fascino di lei.
Tra
marito e moglie c’è il gelo totale e i
silenzi reciproci sono percepiti dai presenti che comprendono quanto la
situazione
sia ormai fuori controllo.
“Amico,
devi sapere che tua moglie aveva una
fila interminabile di uomini che volevano essere suoi per una
notte” –
ridacchia Denver, sperando di aizzare il fuoco e alimentare la gelosia
del
saldatore, così da verificare se era rimasto un briciolo di
speranza per la
coppia.
“Papà,
non credi che sia uno schianto?” – anche Emilio, raggiunto il
gruppo, interviene
per dare una scossa al genitore e smuovere le acque tra lui e la
consorte.
“Meno
pagliacciate e piuttosto diamoci una
mossa con le ricerche!” – Bogotá non ha
nulla da dire se non occuparsi della
faccenda che più gli interessa.
Si
allontana alla ricerca di Hanna con la
quale vuole parlare del ruolo che avrà nella scuola dei
gemelli, ed ignora
Nairobi destabilizzandola nuovamente. Solo allora, la Jimenez si
accorge di
quanto il suo matrimonio sia ormai finito. Non si tratta più
di una pausa di
riflessione… dietro quella idea di “pausa di
riflessione”, c’è la sensazione
sempre più forte di una rottura totale, una rottura
insanabile.
**********************************************
La
prima notte dei figli di Bogotá in quella
casa è movimentata.
Alba
e Sebastìan non danno tregua ai fratelli
e alle sorelle maggiori.
“Voglio
dormire con voi” – insiste l’undicenne
con le due femmine della famiglia.
E
il piccoletto pretende di condividere il
letto con Emilio.
Il
caos nel corridoio insospettisce Nairobi
che, indossando la sua vestaglia di seta nera, e le babbucce, raggiunge
la
fonte di quel casino.
A
pochi passi dalla stanza dove la donna
ormai pernotta, ci sono tutti e nove i figli di Bogotà.
Appena
si accorge dei capricci dei suoi
bambini, la gitana , come da sempre è solita fare,
interviene a modi
comandante. Finalmente sente, in parte, di essersi liberata dal suo
blackout
emotivo, durato tre giorni che apparivano
un’eternità.
Fischia
per attirare l’attenzione e zittire
il gruppetto. Poi a passo rapido li raggiunge e dice - “Al
mio 3, ciascuno
nella sua stanza. Sapete che mi arrabbio e se mi arrabbio
poi…” – precisa,
alzando una mano in aria, pronta per il breve conto alla rovescia. La
ramanzina
è diretta ai minori ma viene ben colta anche dai grandi che,
senza aggiungere
altro, si chiudono ciascuno nella propria camera.
Yerevan,
che ha assistito alla scena
divertito, è sollevato di vedere una Nairobi diversa da
quella di qualche ora
prima, abbattuta, spenta, e demoralizzata.
Così,
coricatosi a letto, il ventisettenne
spegne la lampada sul comodino, prossimo a cadere tra le braccia di
Morfeo,
lieto di aver contribuito a sbloccare la situazione di
instabilità della
Jimenez.
E
a proposito di Agata…
Qualcuno
bussa alla porta e il venezuelano
resta sorpreso di vedere che ad averlo raggiunto è proprio
la gitana.
“Scusami,
volevo solo ringraziarti, parlare
con te mi fa bene al cuore, sarei lieta se continuassimo a
farlo!”
“Volentieri”
– sono le sole parole che lui le
rivolge, alquanto colpito dal ruolo determinante che Nairobi gli ha
riconosciuto.
Dopo
parole brevi e intense, la gitana va
via, lasciando Yerevan solo con se stesso e con un inaspettato e
bizzarro
batticuore.
Cerca
di sorvolare, stranito da tale
sensazione, pensando sia dovuto alla forte emozione per aver aiutato
una donna
in difficoltà.
Chiude
gli occhi e la prima immagine che la
sua mente gli presenta è proprio quella di Nairobi allo
specchio, con indosso l’ormai
noto abitino blu.
Non
solo questo…
Emilio
dorme e sogna…sogna le sue mani
avvolgere i fianchi di una donna, poi scendere giù fino a
raggiungere il
fondoschiena.
Mani
che si immergono in una folta
capigliatura scura.
Mani
che accarezzano delle braccia esili.
Poi
finalmente la figura si palesa…e un grido
prende il ragazzo che si sveglia di soprassalto, sudato ed agitato.
“Che
cazzo mi succede” – parla a se stesso.
Possibile
che tra tante donne che avrebbe
potuto sognare, ha sognato proprio la sua matrigna?
Non
c’è nulla di rassicurante in tutto ciò,
probabilmente interferire troppo in una relazione instabile, al solo
scopo di
aiutare, può essere più un male che un bene.
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Capitolo 15 *** 15 Capitolo ***
Sono
le tredici in punto quando la campanella
segna la fine della giornata scolastica.
“Ricordate
che lunedì ci sarà la prova di
matematica. Vi voglio in gran forma, studiate per bene in questo fine
settimana, mi raccomando” – ricorda
l’insegnante agli studenti, una classe
numerosa di ben ventidue bambini di sette anni, euforici per
l’inizio del
weekend.
Salutandoli
uno ad uno, la
docente torna a sedersi alla cattedra, decisa
a trattenersi una mezz’ora in più rispetto
all’uscita solita per la correzione
di alcuni esercizi svolti dagli allievi.
Nota,
però, che in aula è rimasto qualcuno.
“Ginny,
tesoro, hai bisogno di qualcosa?” –
le domanda, visto che la bambina tarda a lasciare la scuola.
“Volevo
solo dirle, maestra, che alla fine ho
seguito il suo consiglio” – racconta la piccola,
sistemandosi lo zaino sulle
spalle.
La
donna, confusa, non capisce. E la sua
espressione stranita viene percepita da Ginevra che le spiega subito
dopo – “Mi
riferisco al diario!”
“Ah,
certo! Il diario segreto…e dimmi, ti sta
aiutando averne uno su cui annotare tutto?”
“Certo.
Ho scritto tanto..” – comunica la
bambina, entusiasta.
“Sono
contenta, scommetto che migliorerai
anche nella scrittura”
“Posso
chiederle una cosa?”
“Dimmi
pure”
“Sono
libera di scrivere tutto, giusto? Proprio…tutto
tutto?”
“Quello
che ti fa stare bene. Usalo come se
fosse un’amichetta a cui confidi ogni tuo segreto.
Quest’amichetta non ti
giudicherà mai, ma ti ascolterà ogni qualvolta tu
avrai bisogno di sfogarti!” –
ribadisce l’adulta, dopo aver raccontato, durante la
ricreazione, giorni
addietro, della bellezza di un diario così.
Fu
la passione con cui raccontò di quando lei
stessa ne scrisse uno, ad intrigare Ginevra e a convincerla a prendere
un
quaderno e a utilizzarlo come scrigno segreto.
“Puoi
scrivere cosa fai durante le giornate…puoi
raccontare di te…insomma, pensa che quella che hai davanti,
non è una pagina di
carta, ma una persona che ti vuole conoscere e che può
custodire segreti senza
spifferarli a nessuno!”
Quell’idea
piace molto a Ginny che,
elettrizzata, ringrazia la maestra per l’ennesimo
suggerimento.
In
quell’istante, la conversazione tra le due
viene interrotta dall’arrivo del bidello, il simpatico signor
Lucas, entrato
nell’aula con l’intenzione di lucidare i pavimenti.
Il
tizio, i cui baffi lunghi e neri hanno da
sempre divertito i bambini di quella scuola, sobbalza notando la
presenza della
docente e della studentessa.
“E
voi cosa fate ancora qui? Sapete che oggi
è venerdì, vero?”
“Stavamo
andando via!” – si scusa la maestra,
cambiando i programmi. A quel punto, avrebbe sistemato le sue faccende
scolastiche
durante il pomeriggio, tra le mura domestiche.
“Buon
fine settimana, signorina Jones” –
aggiunge l’uomo, apprestandosi a pulire l’intera
stanza.
“Lucas,
non dimenticare che i miei alunni mi
chiamano maestra Honey!” – precisa la donna,
sorridendo.
“Hanno
ragione, è la dolcezza in persona” –
si complimenta il tizio.
Dopo
rapidi saluti, l’adulta, assieme a Ginevra,
esce dall’istituto.
“Possibile
che sei la solita ritardataria?” –
brontola Sebastìan, rimasto davanti l’uscio della
scuola ad attendere la
gemella.
“I
migliori si fanno sempre attendere, non lo
sapevi fratellino?”- risponde
lei, con tanto di
linguaccia.
Il
bambino alza gli occhi al cielo, arresosi
di fronte alla quotidiana modestia della sorella.
“A
lunedì, maestra!” – dice la piccola,
rivolgendosi all’insegnante che, di fianco a lei,
è alle prese con una
telefonata.
“A
lunedì, bambini!” – risponde
rapidamente, e
con un cenno di mano li saluta, dedicandosi poi alla persona che
l’ha
contattata.
I
gemelli, mano nella mano, percorrono il
viale e raggiungono i parcheggi delle auto.
Tra
quelle che sostano lì a quell’ora, molte
appartengono a genitori in attesa dell’uscita da scuola dei
propri figli. E adesso,
il solo mezzo ancora presente è quello su cui i gemelli
salgono a bordo.
“Come
mai tanto ritardo?” – domanda Bogotá ai
piccoli, sedutisi nei sedili
posteriori. “Scommettiamo che Ginevra è la
responsabile?” – la punzecchia Alba,
seduta, invece, alla postazione accanto a quella di guida.
“Ho
dovuto parlare con la mia maestra!” – si giustifica
la moretta, giocando con le treccine realizzate da Nairobi con cura
quella
mattina.
“Ah
si? Come mai? Qualche compito non è
andato bene?” – chiede il saldatore, accendendo il
motore del veicolo, pronto a
raggiungere casa quanto prima, visto il brontolio allo stomaco per la
fame.
“Nulla
d’importante, cose mie” – risponde la
piccola, cambiando subito argomento –
“Lunedì abbiamo la verifica di
matematica”
“Ok,
quindi oggi pomeriggio lo trascorriamo
tra i libri” – afferma Bogotá, deciso.
Eppure
si sa, con lui non funziona mai e
infatti anche i bambini, ridacchiando, lo prendono in giro –
“Con te, papi, al
massimo facciamo un pomeriggio di pacchia!” – a
parlare è il maschietto, che
con quella battutina fa ridere tutti, incluso suo padre.
Anche
il saldatore, infatti, è cosciente di
essere poco autorevole con i suoi figli quando si parla di compiti da
fare. E così
arreso all’evidenza precisa – “Allora
sarà vostra madre a tenervi legati alla
sedia, oggi! Fossi in voi, mi preoccuperei”
Percorrono
i pochi chilometri che li separano
dalla villetta, tra prese in giro, risate e leggerezza. La radio
trasmette
musica spagnola, dando il via al momento nostalgia per una famiglia
che,
seppure costruitasi in Australia, soffre la lontananza dalla terra
natia.
Con
il volume in modalità fiesta, i quattro
si dilettano a cantare a squarciagola, fino a quando Alba chiede al
padre – “Quando
potremo andare in Spagna?”
Domanda
di cui sa bene la risposta e che vede
Bogotá stesso dispiacersi nel ribadirle –
“Non si può, non ancora. Quando diventerai
adulta, avrai la tua libertà, potrai recarti dove vorrai. In
fondo, nessuno sa
della vostra identità. Perciò, come vi abbiamo
detto tante volte, solo allora
potrete girare il mondo”
“Io
non voglio andare in Spagna” – precisa Ginny,
quasi disprezzando quel posto.
“Scherzi?
È casa nostra” – risponde Alba.
“Casa
mia è Perth!” – la reazione della
bambina spiazza anche il capofamiglia.
“Tesoro,
lì potrai scoprire le tue radici!”
“Axel vive a Madrid, lo ha detto la mamma!”
– la puntualizzazione di Sebastìan,
desideroso di conoscere suo fratello, irrita Ginevra che
però non replica, ma
borbotta a bassa voce – “Appunto per questa ragione
non voglio recarmi lì. Io quello
non lo voglio vedere…mai nella vita”
Giunta
a casa, i tre vengono accolti da Tokyo
che è seduta in soggiorno a chiacchierare con Agata.
E
una volta congedata la tenera zia, i
piccoli si sistemano a tavola pronti per il pranzo.
Ma
prima di servire il pasto, la Jimenez con
il cuore in gola, emozionata come non le capita da tempo, comunica ai
presenti –
“Ho ricevuto una lettera da Axel!”
C’è
euforia tra i presenti e soprattutto tanta
curiosità di sapere cosa il ragazzo, ormai ventunenne, ha
scritto loro.
L’unica,
totalmente indifferente alla
notizia, è Ginevra, rimasta seduta al suo posto, con
l’aria di chi avrebbe
voglia di chiudersi in camera ed evitare di ascoltare i soliti paragoni
con un
fratello lontano e che non ha la minima intenzione di conoscere.
Approfittando
dell’attimo di distrazione dei
genitori così come di Alba e Sebastìan, la
bambina si allontana. Va in camera,
apre un cassetto e afferra il suo diario segreto.
È
quello il giorno che scrive della sua
difficoltà e del disagio emotivo che nutre ogni qualvolta ci
si dimentica di
lei in quanto Ginevra, e scatta automaticamente il confronto con Axel,
figlio
che Nairobi ha visto strapparle dalle braccia e della cui lontananza
soffre
ancora oggi.
Ma
c’è un particolare che Agata, nella
lettura integrale del diario, non ha potuto costatare.
Quel
dì, Ginny ha scritto - “Mamma mi dice
sempre che assomiglio a mio fratello maggiore. Si chiama Axel, io non
so chi
sia, non l’ho mai visto. Però non mi piace questa
cosa, io sono Ginevra, non
sono Axel. Sono stanca che mamma mi ripete
“Sei come lui, hai gli stessi
occhi, gli stessi capelli”. Uffa. Lei mi guarda e non vede
me, lei vede lui!...”
– eppure il discorso
della bambina
non si è concluso così… - “ Oggi
è arrivata una lettera, probabilmente ci
dirà che verrà qui! Ho paura che sia davvero
così, non sopporterei di vederlo
di persona. Forse sarebbe meglio se sparissi per un
po'…chissà, magari solo
così qualcuno si accorgerebbe che io esisto come
Ginevra” – queste ultime
righe, sono state scritte e successivamente cancellate.
Se
solo la gemella
di Sebastìan avesse mantenuto intatto lo sfogo emotivo
riportato su carta!! E invece
ai Dalì resta niente, solo tanti FORSE, tante incertezze e
indizi senza fondo,
apparentemente studiati a tavolino per incasinare le loro idee.
**************************************
E’
mattino quando
la casa della “famiglia Sanchez” viene risvegliata
dal suono del campanello.
Ad
aprire la porta
è Alba, già sveglia e pimpante come al solito.
“Chi
sei?” –
domanda, trovando di fronte a se un giovane più che ventenne.
Le
basta poco per
capirlo – “Axel?”
“Ciao”
– saluta lui,
accennando un sorriso fin troppo simile a quello di Nairobi.
Rimasta
di sasso,
l’undicenne è folgorata dalla somiglianza tra la
persona appena entrata nella
villa, sua madre e perfino Ginevra.
“Siete
fatti con
lo stampino” – commenta, indicandogli una
fotografia alla parete.
E
mentre, euforica,
corre su per le scale per avvisare i genitori del lieto arrivo, Axel
fissa l’immagine
alla parete, quella di tutti e cinque insieme, scattata mesi prima e
incorniciata a dovere. Foto di famiglia che rappresenta
l’emblema della
felicità.
Axel
non conosce
bene Agata Jimenez, se non tramite qualche stampa di giornale o
internet, per
via delle due rapine passate alla storia.
Eppure
in quella
donna rivede se stesso e in un battibaleno gli sembra che accettare
quella
missione sia stata la decisione più giusta e più
sensata mai presa in tutta la
sua giovane vita.
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Capitolo 16 *** 16 Capitolo ***
Alba
mette la famiglia al corrente
dell’arrivo del fratellastro, gridando euforicamente nei
corridoi, bussando a
tutte le porte delle varie camere. La prima ad essere svegliata
bruscamente dai
casini dell’undicenne è Nairobi.
“Cosa
succede?” – si chiede la donna,
stiracchiandosi.
Indossa
la vestaglia e, con i capelli ancora
in disordine, esce dalla stanza e, brontolando, rimprovera la bambina -
“Cos’è
questo baccano?”
E
la risposta della minore, le fa esplodere
il cuore.
“C’è
Axel”
Un
tonfo al cuore.
Agata
trema.
Non
ha parole…sente solo di dover correre il più
veloce possibile per appurare quanto detto da sua figlia.
Quando
raggiunge il salone, dove Axel è in
attesa, la gitana non riesce a crederci…il suo adorato
figlio, la luce dei suoi
occhi, l’amore della sua vita, il cucciolo che
partorì con dolore e che con la
medesima sofferenza le fu strappato dalle braccia, è adesso
a pochi passi!
Con
lo stomaco sottosopra e il battito cardiaco
accelerato, la gitana avanza verso di lui, che è di spalle,
intento ad
osservare l’immensità e la ricchezza di quella
villa.
“Figliolo”
– trova la forza per sussurrare
quella parola che sembra quasi magica.
Ed
è allora che anche Axel la sente…la voce
di sua madre, di cui aveva dimenticato il suono e, udendola, avverte
una strana
sensazione, piacevole ma a tratti anche estraniante.
“Mamma”-
risponde poi, voltandosi lentamente,
trovandosi così faccia a faccia con la persona che
l’ha messo al mondo.
Il
resto della famiglia raggiunge i due in
tutta fretta, rimanendo impressionata dalla somiglianza tra loro. Non
intenzionati a disturbare quell’incontro tanto atteso, i
sette giovani si
pongono in disparte ad osservare la scena.
Bogotá,
giunge per ultimo nel salone, mano
nella mano con i suoi due bambini.
“E’
lui?” – chiede Sebastìan
all’orecchio di
Alba.
L’undicenne
annuisce, elettrizzata dall’evento
unico e raro.
Il
saldatore, invece, non si pronuncia e,
come i suoi figli, si mette da parte, dando modo , ad Agata e al
giovane Jimenez,
di rincontrarsi e mettere da parte il dolore del passato. Impossibile
per il
capofamiglia non percepire la forte emozione che ora vive sua moglie.
In
fondo sa quanto lei desiderasse quell’incontro
e quanto avesse lottato per riavere con sé Axel.
Dimenticandosi
momentaneamente dei dissapori
di coppia, Bogotá si lascia andare all’emozione.
“Papà,
ma stai piangendo?” – domanda Alba al
genitore che è di fianco a lei.
“No,
avrò un ciglio nell’occhio” –
mente, non
volendosi mostrare come un piagnucolone.
Ma
è Ivana a fare una considerazione sul
padre – “La verità è che sei
sensibile!”
- e sorridendogli si accoccola al suo petto, ricevendo
dall’uomo una
dolce e tenera carezza.
Nel
frattempo, Nairobi e Axel si osservano
senza emettere un singolo suono, come se il silenzio fosse
indispensabile per
entrambi affinché si scrutassero e si studiassero a vicenda.
Ma è il
ventunenne a rompere finalmente il
ghiaccio. Ritrovando se stesso negli occhi dell’adulta, le
corre incontro e si
getta tra le sue braccia: mai come allora, sente di trovarsi nel posto
giusto e
con la persona giusta.
“Piccolo
mio” – sussurra la gitana,
riempiendolo di baci, cosa che avrebbe fatto volentieri anche dodici
anni
prima, quando Alicia Sierra glielo mostrò
all’esterno della Banca.
“Ti
giuro che quel giorno mi sarei
infischiata di tutto e tutti e sarei corsa fuori, da te, per stringerti
e non
lasciarti più” – confessa, commuovendosi.
“Se
avessi saputo che mi utilizzarono per farti
del male, avrei evitato” – aggiunge lui.
“Ora
sono qui, sana e salva e ho modo di
averti nella mia vita. Sappi che non ho alcuna intenzione di
mollarti” – gli
sorride, mentre le lacrime sembrano interminabili.
Solo
in tale momento, Agata si accorge di avere
dietro di sé l’intera famiglia e, felice come una
Pasqua, è lei a fare le
presentazioni.
“Vorrei
conoscessi qualcuno di speciale” –
dice al figlio, ed indica i sette ragazzi, invitandoli ad unirsi a loro.
“Ehi,
benvenuto fratello! A sentire Nairobi
che dice che non ti molla più, credo che per te sono
cominciai i guai seri” –
scherza Julian, stringendo la mano del nuovo arrivato.
Quella
battuta fa ridere Axel che riconosce nel
gruppetto di coetanei un senso di accoglienza, mai provato prima,
neppure con
persone con cui ha trascorso gran parte della sua vita.
Uno
ad uno i neo Dalì accolgono il ragazzo. È
solo Bogotá, volutamente isolatosi, a non essersi ancora
esposto. E di questo Agata
se ne accorge, costatando che il marito tiene vicini a sé
perfino Alba e
Sebastìan.
Spiazzata
da quel comportamento, la Jimenez
si avvicina e, non rivolgendogli parola, prende i bambini per mano
conducendoli
esattamente dal fratellastro.
Basta
poco e i minori, ormai abituatisi a
gente straniera che arriva e che entra in famiglia, si sentono a loro
agio. Con
la loro allegria e dolcezza permettono ad Axel si provare la stessa
sensazione.
“Seguici,
ti mostriamo casa” – dice
Sebastìan, mentre il resto dei giovani si divide. Chi
prepara la colazione, chi
si chiude in bagno per una doccia veloce, chi sistema la propria
stanza, e chi,
come i piccoli, fa da cicerone.
In
un battibaleno, gli unici rimasti nel
salone sono esattamente i coniugi.
“Avresti
potuto almeno avvicinarti e
presentarti” – commenta lei.
“Avrò
modo di farlo. Ho voluto che si
sentisse a suo agio prima con i miei ragazzi!”
“Credi
che lui possa avere problemi con te?”
– la domanda viene posta con tono decisamente brusco.
“Non
dico questo, è che ho preferito farmi da
parte” – ripete il saldatore.
Marito
e moglie si fissano per alcuni secondi,
ma senza esprimere altro. E’ Agata per prima ad allontanarsi,
sbuffando.
“Non
voglio rovinare un giorno tanto
importante” – borbotta ad alta voce mentre sale le
scale che la conducono
diretta al primo piano, nella camera dove alloggia, pronta a prepararsi
per
affrontare la situazione che sta vivendo e che, da adesso, affronta con
uno
spirito diverso.
In
cucina, invece, si trova Emilio, il quale,
dopo la nottata in dormiveglia, ha bisogno di abbondanti dosi di
caffè che
servono a dargli la carica per la nuova giornata.
Mentre
sorseggia il suo Espresso, Yerevan
tenta di rimuovere dai ricordi dei flash che continuano a balzargli
alla mente.
Sono degli scatti che hanno come protagonista il corpo di una donna che
lui
conosce solo da 24 ore e a cui sente di volere già molto
bene… forse, anche
troppo.
“Cosa
cazzo mi prende?!” – dice a se stesso,
rimproverandosi di comportamenti poco ragionevoli, da cui, lui in
primis, è
totalmente spiazzato.
A
distrarlo per un breve attimo è la comparsa
di Bogotá, sull’uscio della porta.
Non
sembra avere l’aria serena, dopo l’arrivo
di Axel in famiglia.
Con
in mano il giornale del mattino, raccolto
proprio allora davanti casa, il saldatore siede a capotavola, afferra
la
caffettiera e versa la bevanda, ancora fumante, in una tazzina.
Emilio
fissa suo padre, concentrato sulla
lettura del quotidiano, immerso nel suo silenzio e inconsciamente
avverte nei
suoi confronti un certo senso di colpa: ha sognato sua moglie,
dopotutto…
Ma
come può dirgli una cosa simile? Soprattutto
sapendo la crisi tra loro.
E
pensare che nella vita ha sempre seguito
una morale, inculcatagli da sua madre: non essere come
Bogotà! Non essere un
uomo che cede all’ormone, bensì uno che usa il
cuore, che non sfrutta la
fiducia e i sentimenti di una donna! Queste sono solo alcune delle
raccomandazioni
materne udite costantemente da Emilio.
Adesso,
però, Yerevan avverte un grosso peso
sul cuore che si chiama tradimento: tradimento mentale, sia verso sua
madre e i
suoi insegnamenti, sia verso suo padre, perché è
sua moglie che il venezuelano
sogna di notte, sia verso se stesso, divenuto ,non volendo,
l’esatta persona
che, a suo tempo, stabilì di non voler essere.
Teso
come una corda di violino, il
ventisettenne osserva, con la coda dell’occhio, il genitore
intento a fissare
pagine di giornale, mentre cerca di scacciare dalla mente i cattivi
pensieri. Difficile
farlo, soprattutto se c’è un assurdo caos
proveniente dal primo piano, ad opera
dei suoi fratelli.
“Ora
che ti sei sistemato, che conosci la casa, che sai qual è la
tua stanza,
possiamo passare alla fase due” – sostiene,
entusiasta, Yaris, dopo aver
condotto il coetaneo in giro per la villa.
“Cioè?”
- domanda Axel.
“Bisogna
battezzarti come nostro fratello a
tutti gli effetti” – aggiunge Julian.
“Mi
sto preoccupando” – interviene Erik,
temendo che i due più scalmanati della famiglia potessero
proporre cose
imbarazzanti o, peggio, pericolose.
“Volete
un patto fatto con il sangue?” –
ridacchia il figlio di Nairobi, stando al gioco.
“Pensiamo
che tu, per sentirti “di casa”,
debba rinunciare a qualcosa e sostituire questo qualcosa con
altro” – sostiene
il giovanotto greco.
“EH?”
– esclamano in
coro Alba e Sebastìan.
Interviene
subito Drazen, intuendo il tutto –
“Tranquillo, amico! Niente sangue, ma questi due scemi
vogliono che tu diventi
Dalì come noi”
“Un
Dalì?” – ripete, confuso, il ventunenne.
“Ebbene
sì, e per farlo c’è un requisito da
rispettare” -
aggiunge Quito.
**************************
Sono
passate da poco le dieci quando la Banda
raggiunge la villa della famiglia allargata.
“Hanna,
sei pronta per la tua missione?” –
chiede il Professore a Vienna, ricordandole di fare attenzione e di
servirsi di
una microspia per spiare chi incontrerà.
“Vedrai
ce non la noterà nessuno” – precisa
Stoccolma,
sistemando la cimice sulla giacca azzurra della ragazza, ben nascosta
da un
bottone.
“Sicura
di non volere che ti accompagniamo?” –
le ripropone Emilio per la centesima volta, preoccupato per la sorella.
Nairobi
sorride di fronte al lato protettore
di Yerevan e così gli si avvicina e, con una mano sulla sua
spalla, gli
sussurra all’orecchio di stare tranquillo.
Agata
è ignara che la sua vicinanza non fa
bene al venezuelano come lei spera. Anzi, alimenta solo pensieri che
lui cerca
di scacciare da ore ormai.
E
mentre la Banda congeda Hanna che lascia
casa, arriva in salotto Axel, scortato da Yaris e Julian. Dietro i tre,
ci sono
Erik e Drazen, arresisi alle manie protagoniste dei consanguinei
più scalmanati
del gruppo.
Tra
l’incredulità dei presenti, è Agata a
fare le presentazioni ufficiali.
Fiera
del suo adorato figlio, lo vanta e lo
mostra come un trofeo, un trofeo che le spettava di diritto da troppo
tempo e
che finalmente ha vinto.
Il
gitano viene abbracciato, stritolato dalle
braccia di Helsinki, sbaciucchiato da Tokyo in lacrime, accolto
teneramente da
tutti.
“E’
un onore averti nella squadra” – dice
Sergio, accennando un sorriso compiaciuto.
“L’onore
è il mio” – aggiunge il ragazzo,
sancendo l’amicizia con una stretta di mano.
Il
momento di conoscenza raggiunge l’apice
con la presa di parola di Bogotá.
Il
saldatore, finalmente , si avvicina al
ventunenne e dopo averlo osservato attentamente, occhi negli occhi,
dice – “Io
sono Bogotá… per me non è un onore
averti nel team…”
Quella
frase spiazza il gruppo, e pone
Nairobi in allerta.
Incredula
da quanto sentito, sta per
scagliarsi contro il marito.
Ed
è l’uomo stesso ad impedirlo, precisando
–
“Per me, invece, è un onore averti in
famiglia…. figliolo”
I
Dalì tirano un sospiro di sollievo e
perfino la Jimenez si rilassa quando li vede abbracciarsi.
“Adesso
sì che ci siamo tutti” – conclude il
saldatore, visibilmente commosso.
“Un
attimo” – interviene Yaris, alzando la
mano, come si è soliti fare a scuola per prendere parola.
“Piantala”
– lo rimprovera Ivana, dopo aver
udito dalla sua stanza tutti i discorsi dei fratelli con Axel.
“Che
succede, Mykonos?” – domanda Denver, incuriosito.
“Anche
Axel è un Dalì ormai… e cosa rende un
Dalì un vero rapinatore?”
Segue
il silenzio e gli sguardi confusi della
banda.
È
Sebastìan a gridarlo – “Il nome di
città”
“Promossooo”
– gli fa un applauso Julian,
generando allegria.
“Hai
ragione, sei libero di scegliere se
prendere o meno un’altra identità”
– precisa Marquina.
Axel,
stranito da quella proposta, apprezza l’idea
che non gli dispiace affatto.
Così,
senza esitare, comunica – “Non ho
bisogno di pensarci troppo! Ho già scelto un nome”
“E
quale?” – chiede, interessata, la gitana.
Un
po' di suspance…poi il ventunenne rivela -
“Avana!”
“Avana?”
– resta spiazzata Nairobi
- “Come mai? Ha qualche significato
speciale?”
“Si,
su quell’isola dei Caraibi sono
cresciuto ed è la terra che mi rappresenta!”
“Bene,
vada per Avana, allora! Benvenuto tra
i Dalì” – conclude il Professore.
A
quel punto tutto è pronto e Hanna, uscita
di casa da pochi minuti, è diretta verso la scuola dei
gemelli, con il cuore in
gola e l’ansia alle stelle.
Adesso
sì che la partita ha davvero inizio…
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Capitolo 17 *** 17 Capitolo ***
È
suonata la campanella e le lezioni sono
cominciate da appena dieci minuti quando, alla porta
dell’ufficio della
presidenza, bussa qualcuno.
“Avanti”
– risponde una donna sulla
cinquantina, con i capelli corti e neri, gli occhiali da vista adagiati
sulla
punta del naso e lo sguardo fisso su innumerevoli documenti.
“Mrs.
Williams, c’è qualcuno che vorrebbe
parlarle” – spiega il bidello Lucas, trattenendosi
sull’uscio della porta.
“I
genitori di qualche studente? Dovrebbero
sapere che il ricevimento non è previsto prima delle
dieci” – commenta la
dirigente, ribadendo le regole imposte da lei stessa alle famiglie.
“In
realtà è una giovane ragazza e ha una
proposta da farle” – aggiunge l’uomo.
Incuriosita,
la donna da il
consenso e ,adagiando cartelle
varie e fogli da compilare su una cattedra accanto, si pone
all’ascolto della
persona appena entrata nella aula.
“Buongiorno,
mi chiamo Hanna Virtanen, grazie
per la sua disponibilità” – mostrandosi
quanto più sciolta e garbata possibile,
la finlandese consegna, in primis, il curriculum alla dirigente
scolastica.
“Vorrebbe
essere assunta qui, deduco” –
accerta l’adulta scrutando un profilo degno d’onore
della fanciulla.
“Lei
viene da Turku e ha appena ventitre
anni. Mi complimento per le esperienze che ha vissuto e per le
capacità che
possiede” – Mrs Williams è piacevolmente
colpita dalla preparazione di una così
giovane ragazza.
E
Vienna di questo è soddisfatta
ed è ben di essere giunta rapidamente al
traguardo, visti gli apprezzamenti ricevuti.
Ma
si sbaglia, e le sue certezze crollano
quando la signora precisa – “Però al
momento abbiamo raggiunto i numeri di
docenti disponibili. Anche se la mia è una struttura
privata, non sono previste
assunzioni su concorso, abbiamo selezionato con cura il personale e non
necessitiamo di ulteriori professionisti”
“Ha
insegnanti di musica?”
“Certo,
il signor Turman lavora qui da oltre
vent’anni” – spiega la preside.
“Con
tutto il rispetto signora Williams, ma
non le sembra che dei bambini per essere coinvolti abbiamo bisogno di
novità?”
– le parole di Vienna, nota per non contenersi specialmente
nel dire cose
scomode, spiazzano l’adulta.
“Insinua
che ci sono persone anziane
qui?” -
la donna si pone subito sulla
difensiva.
“Assolutamente
no, intendo dire che io ho
studiato e sono una violinista professionista. Avrei tanto da dare dai
bambini,
aiutarli ad apprezzare la musica vista da un lato diverso da quello
dell’
“Imparare a memoria” ciò che viene
spiegato! Mi dia un’opportunità, non se ne
pentirà”
Dopo
qualche secondo di silenzio, Mrs Williams
esprime la sua opinione, non cambiando idea in merito –
“Al momento non è
un’urgenza per la scuola. Semmai avrò bisogno di
lei, la contatterò”
Senza
dar modo alla ventitreenne di
insistere, la dirigente la invita ad uscire dalla stanza.
“Cazzo”
– pensa tra se e se Hanna, che sente
come un macigno il fallimento della missione.
Raggiunto
l’esterno della struttura, la
giovane, appartandosi, si appresta a raccontare tutto ai
Dalì.
“Abbiamo
visto tramite la microspia” – commenta
Erik - “Che si fa adesso?”
“Calma
e sangue freddo! Sbaglio o c’è un tipo
anziano che lavora lì?” – fa notare
Denver.
“Esatto” – risponde Hanna.
“Bisogna
semplicemente farlo licenziare”
- spiega Ramos.
“Ma
cosa dici?” – il tono di rimprovero di
Monica mostra il suo diniego – “Perché
mai dovremmo recare danno a terze
persone?”
“Amore,
sei sempre troppo buona e dolce. Non
abbiamo altre chance, giusto prof?” – a quel punto
Daniel si rivolge a Sergio.
“C’è
sempre un’altra opzione da considerare,
Denver, quella di mettere la preside di fronte alla fama di Hanna.
Dovrà capire
che perdere un diamante prezioso come una violinista di grande talento
equivarrebbe ad una grossa perdita per la scuola che, invece, ne
potrebbe
aumentare di prestigio” – riflette Marquina,
camminando avanti e indietro, nel
salone.
“Tornare
lì ed insistere non è il caso”
–
sostiene la finlandese. Così, carica di dubbi, chiede
–“ Come faccio a renderli
consapevoli del mio talento?”
E
a fronte del silenzio dell’intera
Banda, è Axel a prendere parola.
“Aspetta,
ho un’idea” - tira fuori un
computer, da un borsone dei tanti che ha portato con se fino a Perth,
lasciato
casualmente sul divano.
“Io
posso fare in modo che i tuoi video, il
tuo nome, le tue esperienze, arrivino alla scuola, o meglio, alla
visione della
preside! Mi basta sapere solo l’indirizzo email della
dirigente”
Tutti
sorpresi dal talento tecnologico del
gitano, si complimentano.
“E
pensare che il genio della rete dovevo
essere io” – ridacchia Rio, cedendo il plauso al
nuovo Dalì.
“Chi
ti ha insegnato queste cose? In che modo
farai quanto hai detto?” – il professore
è scioccato mentre lo osserva
smanettare al PC.
“Questi
sono i segreti del mestiere” –
risponde Axel, concentratissimo sul compito assunto.
E,
se a casa qualcosa si smuove, all’esterno
della scuola dei gemelli Vienna chiede supporto e aiuto su come agire.
“Allora?
Cosa devo fare? Datemi segnali. Non
posso restare qui in eterno”
“Ti
consiglio di non allontanarti troppo.
Potrebbero contattarti quanto prima”-
Axel è certo e quando schiaccia il tasto Invio,
sa che le sue previsioni
non sbagliano.
“Caspita,
un giorno dovrai insegnarmi” –
Ivana è rimasta impressionata dal giovanotto dai capelli
nero corvino che si
mostra un genio, superiore
perfino, al
professore.
“A
te, forse, potrei raccontarlo” – risponde
il ventunenne, volgendo lo sguardo sulla bionda, di cui gradisce i
complimenti.
E, guardandola meglio, adesso gradisce proprio averla di fianco.
“Caspita,
non ti avevo messa bene a fuoco
prima” – commenta, toccandosi, imbarazzato , la
nuca. La bellezza di quella
ragazza è qualcosa di paradisiaco.
“Come?”
– chiede lei, non avendo afferrato il
senso.
“No,
nulla! Piuttosto, concentriamoci su
Vienna!” – tornano così a centralizzare
l’attenzione della “inviata” del
gruppo.
Nei
minuti che seguono, Hanna si siede su una
panca di fronte la scuola, studiando ogni movimento di gente che entra
e esce,
mentre gli amici l’ascoltano commentare, di tanto in tanto, e
visualizzano
quello che la microspia mette a fuoco.
Se
in un primo momento tutto sembra essere
piatto e inutile, ecco che accade qualcosa, inaspettatamente, che
colpisce la
finlandese: trattasi della figura di una donna con la coda alta, i
capelli
chiari, e gli occhiali da vista, che ha con se una borsa da lavoro, e
varie
cartelle alla mano.
“L’ennesima
docente” – dice la giovane ai Dalì,
rispondendo a Tokyo che ha appena domandando chi fosse la persona
appena
giunta.
Eppure
qualcosa spiazza la finlandese circa
quella donna sconosciuta, ovvero l’appellativo con cui un
bambino, di passaggio
con la sua mamma, si rivolge alla tipa.
“Maestra
Honey, ciao”
Ecco…
è questo che sciocca la figlia di Bogotá.
“Mio
Dio” – esclama la ventiduenne, alzandosi
dalla panca per avvicinarsi quanto possibile all’ingresso
dell’istituto per
visualizzare la famosa Maestra Honey.
“Che
succede adesso Hanna?” – domanda il
professore, guardandola muoversi confusamente ed agitarsi.
“Ho
scoperto chi è la maestra che cercavamo!”
– comunica, felice che, dopo un’iniziale sconfitta,
ha ottenuto un minimo
successo.
“Descrivila
bene, così possiamo ricordarla” –
interviene Nairobi, seduta sul divano, di fianco ad Emilio e Alba.
E
la sua posizione e vicinanza con Yerevan
viene notata da Tokyo, rimasta ad osservare i due tutto il tempo,
piuttosto
sospettosa.
La
faccenda della maestra Honey colpisce
Mykonos che solleva un quesito importante- “Possibile che
Seba non sappia chi
sia? Sbaglio o siete nella stessa classe?”
“Mi
dispiace non potervi aiutare. Io non
conosco questa maestra Honey” – si scusa il
piccolo, accolto subito tra le
braccia di zia Tokyo.
“Quindi,
non tutti gli alunni la chiamano con
quell’appellativo, mi pare di aver capito”
– riflette Lisbona ad alta voce.
“E’
che Seba non presta molta attenzione a
queste cose, e sicuramente solo alcuni si rivolgeranno a quella donna
con quel
nomignolo affettuoso” – precisa Bogotà,
consapevole che il suo bambino non è
attento a particolari come quello.
“Esatto,
per me le maestre sono tutte uguali.
Mi danno i compiti, mi rimproverano per gli errori, parlano, parlano,
parlano e
mettono voti” – spiega, elencando con le dita della
mano, le caratteristiche
che riconosce alle insegnanti. E nel farlo,si mostra esattamente come i
classici alunni che odiano la scuola e non vorrebbero mai metterci
piede.
“Mi
domando da chi lui possa aver ereditato
“l’amore” per lo studio!”
– l’osservazione di Erik, tra i più
secchioni dei
sette nuovi Dalì.
“Sicuramente
non da te” – la battutina di
Julian, fa ridere i presenti e distoglie per qualche istante dalla
preoccupazione inerente la donna misteriosa.
“Ebbene?
Cosa devo fare? Attendo che esca di
scuola?” – Vienna torna a ricercare il supporto
della squadra.
“No,
veniamo noi lì”- Nairobi è decisa ad
agire e sceglie di farlo raggiungendo la figliastra.
“Bisogna
essere prudenti, Agata” – la
trattiene Sergio, temendo possa agire in maniera sconsiderata.
“Non
andrò da sola!”- lo tranquillizza la
gitana.
A
quel punto tutti pensano che la Jimenez
sarebbe uscita, scortata dal marito. Chi più di lui
può accompagnarla nelle
ricerche sul campo.
E
invece…
“Yerevan
verrà con me!” – senza averlo
interpellato, Nairo prende per mano il venezuelano e si avvia alla
porta.
Inseguita
da altri Dalì che provano a farla
ragionare sul da farsi, Bogotá resta in silenzio, seduto al
suo posto.
Ma
ad essere rimasto accanto all’uomo c’è
qualcuno.
“Che
succede tra te e mia madre?” – chiede Axel,
sospettoso.
Il
saldatore fa spallucce, nascondendogli la
crisi.
“Inutile
che menti o che fingi che non sia
accaduto nulla! C’è freddezza tra voi, non vi
guardate mai e i vostri occhi
sono spenti!”
“Cazzo,
che osservatore che sei” – commenta
l’adulto,
mantenendo lo sguardo basso.
“Adesso
che sono qui con voi, farò di tutto
per dare una mano…che voi siate d’accordo o meno,
non potete distruggere il
vostro matrimonio”
“Siamo
messi malissimo, figliolo! La cosa
peggiorava sempre più e ho messo un punto!”
“In che senso?”
Il
brusio di persone che rientrano nel salone
interrompe la conversazione.
È
la Oliveira a prendere Bogotá in disparte,
con fare molto nervoso, e a separare i due uomini che conversavano.
“Cosa
cazzo state facendo tu e Nairobi?”
“Cosa
intendi dire?”
“Che
state mandando a puttane tutto”
Il
saldatore evita di rispondere e cerca di
andare via, per evitare il discorso e possibili liti con la compagna di
squadra.
“Fermo
lì” – è Selene a bloccarlo,
facendogli
notare un dettaglio di cui si è accorta.
“Ti
sei reso conto che Agata ha portato con sé
Emilio e non te?”
“Si,
e allora?”
“E
allora? Ho visto come lui la guarda, come
arrossisce e non ho dubbi Bogotá!”
“Senti
Tokyo, piantala con questi giri di
parole. Se devi dire qualcosa, dillo, o me ne torno in salone”
“Svegliati
o rischierai di perderla per
sempre!”
Quell’affermazione
colpisce diretto il cuore
dell’uomo che, inarcando il sopracciglio, perplesso, ascolta
le parole
conclusive.
“A
me è sembrato che Yerevan la guardasse come
la guardavi tu dodici anni fa… spero di sbagliarmi,
però, se così fosse, e
soprattutto, se lei alla fine cedesse… avresti dei seri
problemi”
Con
quella confidenza, la Oliveira lascia da
solo l’amico, perché chiamata da Rio. Non immagina
minimamente quale dilemma ha
appena scatenato nella mente di Bogotá.
“Dove
vai adesso?” – Sergio richiama all’ordine
il saldatore, guardandolo apprestarsi ad abbandonare la villa.
“Cavolo,
ma sono tutti impazziti!” – esclama,
in panico, Marquina, seguendolo per riportarlo sulla diretta via.
“Penso
sia colpa mia!” – sussurra Tokyo a Rio
– “Ho agito, come al solito,
istintivamente” Probabilmente rivelargli i suoi
sospetti è stata la cosa peggiore che potesse mai fare.
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Capitolo 18 *** 18 Capitolo ***
“Bene,
bambini! Avete svolto delle prove di
matematica brillanti” – comunica la maestra Honey
alla classe.
Poi
è una biondina in prima fila ad alzare la
mano per richiedere la parola.
“Dimmi,
Betta!”
La
piccola, proveniente da una famiglia di
banchieri, iscritta appositamente in quella scuola illustre e per
pochi, mostra
la sua estrema educazione, laddove alcuni dei suoi compagni hanno
mancanze di
questo tipo.
“Ginevra
e Sebastìan sono assenti da tre
giorni ormai, signorina. Volevo chiedere se ci sono notizie”
Gli
occhi della docente si posano sul banco
vuoto dei due gemelli, in terza fila.
Poi
torna a guardare la piccola, rivoltasi
con evidente preoccupazione circa la situazione dei due che sono tra i
suoi più
cari amici.
“Presto
torneranno, stai tranquilla” – si limita
a dire la donna, sorridendole per rassicurarla –
“Hanno l’influenza. Il loro
papà ci ha informati e appena entrambi si sentiranno meglio,
rientreranno”
“E’
strano” – commenta la minore.
“Perché?
Può capitare” – risponde
l’adulta.
“Io
e Ginny ci sentiamo quasi sempre! Ma sono
tre giorni che sembra essere scomparsa nel nulla” –
riflette, mostrando la sua
tensione.
Eppure
la sua osservazione non ottiene
risposta ed è il suono improvviso della campanella a
chiudere la faccenda.
Tutti
gli alunni si alzano dalle loro sedie,
salutano la maestra e lasciano l’aula.
È
Betta l’ultima ad andare via e quando è
prossima ad uscire dalla stanza, viene trattenuta proprio dalla maestra
Honey.
“Devi
essere sinceramente legata a Ginevra,
vero?”
“Molto, è la mia migliore amica e mi manca tanto
non vederla né parlare con lei”
“Sei
andata a casa sua?”
“No,
i miei sono sempre troppo occupati per
accompagnarmi da qualche parte” – si incupisce la
bambina, sofferente alle poche
attenzioni della famiglia nei suoi confronti, una figlia unica
destinata a
rimanere tale per sempre.
“Se
vuoi vedere Ginny, ti porto io da lei, va
bene?” – le propone l’adulta, spiazzando
Betta che, senza esitare, accetta.
“Dammi
due minuti che faccio una telefonata e
a breve avremo l’auto che ci condurrà da
lei”
********************************************
Nairobi
ed Emilio, nel frattempo, sono
prossimi a raggiungere, Hanna, ancora seduta sulla stessa panca, da
ormai più
di un’ora.
Durante
il tragitto, Agata ha esposto al
figliastro i suoi dubbi sulla donna in questione, cercando di ricordare
di lei,
durante riunioni varie a cui partecipò come genitore dei
gemelli.
E
mentre parlava, parlava, parlava, in quei minuti
di viaggio, Yerevan non si è pronunciato in merito.
È rimasto in silenzio a
rimuginare su pensieri che si dissociavano totalmente con le
circostanze che
erano chiamati ad affrontare e vivere.
“Siamo
arrivati” – comunica la Jimenez al
ventisettenne, riportandolo con i piedi per terra.
“Ehi,
tutto bene?” – chiede lei, sorpresa
della sua scarsa partecipazione – “Scusami, magari
avresti preferito rimanere a
casa. Io ti ho trascinato qui…”
“No,
no, figurati! Sono contento che mi hai
considerato e hai ritenuto giusto che fossi al tuo fianco..”
si lascia andare
il giovane, nascondendo l’imbarazzo.
Ma
Nairobi più lo guarda più nutre per lui un
affetto smisurato, paragonabile, paradossalmente, a quello che sente
per i suoi
stessi figli. Non le è mai accaduto qualcosa del genere, con
nessuno!
E
questo, Emilio lo avverte e gli pesa
enormemente sul cuore.
“Adesso
andiamo da Hanna, e smascheriamo
questa maestra Honey” – così dicendo, i
due si avviano alla postazione, dove
Vienna è seduta.
“Che
ci fate qui?” –domanda la ragazza,
vedendoli avanzare.
“Ho
bisogno di vedere in faccia quella donna!”
– risponde la gitana, determinata ad agire ed indagare
esponendosi anche più
del dovuto.
“Sbaglio
o avevamo deciso che né tu né papà
dovevate mettere a rischio la vostra identità?” - replica la violinista,
infastidita dalle
interferenze di persone che evidentemente non si fidano del suo agire
– “Vi
avevo detto che c’avrei pensato io”
“Calmati,
sorellina! Siamo qui per altro, non
per criticare il tuo operato” – interviene Yerevan,
abbracciandola con la
solita dolcezza che è solito regalare alle due sole sorelle
adulte appartenenti
alla famiglia allargata. Quello basta a chetare la finlandese.
E
mentre i due figli di Bogotá si coccolano,
Nairobi siede sulla panca, e accavallando la gamba e incrociando le
braccia al
petto, si appresta a studiare l’esatto punto dal quale, da
lì a qualche minuto,
sarebbe uscita la maestra misteriosa.
A
proposito di Bogotá, il saldatore agitatosi
dopo aver ascoltato i turbamenti di Tokyo s’incammina verso
la scuola, seguito da
qualcuno di inatteso.
“Fermati,
ti prego! Dove pensi di andare!”
“Axel,
torna in casa. Sbaglio o non dovevi
lavorare con il computer?” – replica
l’uomo, accelerando il passo.
Il
gitano, infatti, accortosi dell’uscita del
patrigno, ha messo in sospeso quanto era impegnato a sistemare, e
raccomandando
i Dalì di non varcare i cancelli per precauzione,
è corso incontro al marito di
sua madre.
“Ci
vuole un’eternità ad andare fin lì
senza
un’auto” – sostiene il moro.
“La
mia l’ha presa Nairobi…insieme a
Emilio…ha
preferito avere uno sconosciuto vicino”
“Aspetta!
Cosa stai cercando di dirmi?” – a quel
punto, Axel approfittando della sua agilità fisica raggiunge
l’adulto e gli si
pone davanti come barriera.
Lo
costringe a fermarsi – “Sei esausto, hai
il fiatone, sei agitatissimo. Non ti conviene rincasare? A breve avremo
notizie. Ricorda che Hanna ha il microchip e possiamo sapere tutto
quanto”
Bogotá
sospira e non risponde, si limita ad
ignorare quanto udito e riprende il passo.
“Se
vuoi davvero rischiare il tutto e per
tutto, puoi prendere l’automobile del Professore,
no?”
Cazzo,
certo! Pensa il saldatore – “Che
idiota!” – rivolge quel
“complimento”
a
se stesso per aver percorso un tratto lungo di strada sapendo che
invece aveva
il mezzo a portata di mano.
“Però,
riflettici su! Che senso ha andare
davanti la scuola di Ginevra? Serve solo ad alimentare possibili
sospetti su un
gruppo di cinque persone che fa la spia”
“Cinque?”
“Certo,
cinque! Non crederai che io ti lasci
da solo in questo stato?” – gli dà una
pacca sulla spalla, mostrandosi
volenteroso addirittura a guidare il veicolo, se proprio
Bogotá non avesse
ceduto ai suoi consigli.
“Sei
un bravo ragazzo”
“Me
l’hai già detto” – ridacchia
il giovane
Jimenez, desideroso di regalare al patrigno attimi di pace, e magari
anche
qualche risata.
“Allora?
Torniamo a casa?”
“Posso
chiederti un favore?” – domanda Bogotà,
deviando l’argomento centrale.
“Certo”
“E’
importante. Riguarda Emilio, mio figlio
maggiore”
“Che
succede?”
L’adulto
sospira di nuovo, profondamente, poi
dice – “Vorrei scoprissi cosa prova per
Nairobi”
“Hai
detto “Cosa prova..”!? Mi stai dicendo
che potrebbe essere interessato alla mamma?” – Axel
a bocca aperta, incredulo,
e spiazzato, reagisce sdrammatizzando – “Ok, mia
madre è una donna molto bella
e affascinante, però io mi butterei più su
coetanee!”
“Ti
prego, è un fatto preoccupante, non ci si
può ridere sopra! Se fosse come temo, la situazione si
complicherebbe e io
sarei costretto ad agire di conseguenza”
“Cosa
intendi dire?” – in quel momento, colta
l’estrema serietà del saldatore, il gitano smette
di giocare o banalizzare le teorie
dell’uomo.
“Vorrei
mi facessi questo piacere” –
ribadisce l’adulto.
“Ok,
farò del mio meglio”
Con
una stretta di mano, i due si promettono
a vicenda di tutelare la loro grande bella famiglia.
“Che
si fa ora?” – il ventunenne torna sulla
faccenda della scuola, di cui parlarono pochi minuti prima –
“Aspettiamo che
tornino tutti alla villa?”
Calmatosi
e assicuratosi dell’aiuto del
figliastro, Bogotá annuisce.
Come
padre e figlio, percorrono gli ultimi
metri che li separano dalla loro meta, facendosi spalla l’un
l’altro.
“Eccovi
di ritorno” – va loro incontro Tokyo.
Poi
si rivolge all’amico della Banda –
“Perdonami,
non era mia intenzione metterti in testa strane idee!”
“Non
ti preoccupare, è tutto passato” – con
quelle brevi parole, Bogotá liquida l’amica e si
dedica ad altro.
Avvicinandosi
al computer, collegato al
microchip di Hanna, si focalizza su quello che la telecamera mostra e
sulle voci
poco comprensibili dei tre Dalì ancora posizionati davanti
l’edificio
scolastico.
Ed
è proprio lì che finalmente qualcosa
sembra smuoversi.
La
figura di una donna, che ha per mano una
bambina, diventa oggetto focale del trio.
“E’
lei” – esclama Vienna, indicando la
persona in questione.
Nairobi
cerca di metterla a fuoco e, in quel
momento, le sembra un viso familiare.
“L’insegnante
di matematica, ecco chi è” –
giunge in pochi secondi alla soluzione del dilemma.
Cerca
di raggiungere la famosa signora Honey
ma le basta vedere la tipa salire a bordo di un’auto, assieme
alla piccolina di
cui è certa di conoscere l’identità,
per sospettare e temere il peggio.
“
Quella è Betta! Dove la sta portando?” –
preda di un miscuglio di emozioni, si dirige verso il mezzo, pronta ad
affrontare tutto, senza paure e infischiandosi di regole imposte dal
Professore.
Però,
una volta prossima alla verità,
qualcosa la immobilizza.
Anzi…qualcuno!
“Non
ci credo” – impallidisce quando scorge
l’autista
dell’automobile sul quale la docente è salita
assieme alla studentessa.
“Che
succede?” – chiede Hanna, raggiungendo, assieme
ad Emilio, la matrigna visibilmente scioccata.
“Dobbiamo
seguirli. Sto temendo seriamente
che la maestra Honey sia legata a una persona del passato che mi fa
fatto tanto
male” – e con quelle parole, Agata sembra
sprofondare nei vecchi ricordi e in
ferite che le pulsano ancora sulla pelle.
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Capitolo 19 *** 19 Capitolo ***
SALVE
A TUTTI. DOPO UN PO’ DI GIORNI RIECCOMI CON UN NUOVO
CAPITOLO.
PRIMA
DI AUGURARVI BUONA LETTURA, CI TENEVO A CONDIVIDERE CON
VOI UN VIDEO/TRAILER CHE HO REALIZZATO (PERDONATE MA E’ UN
ESPERIMENTO, QUINDI
NON SARA’ PERFETTO) PER QUESTA FANFICTION.
https://www.youtube.com/watch?v=aL8gHG7O8Pg
PERCIO’
NON MI RESTA CHE AUGURARVI BUONA LETTURA, E STAVOLTA
ANCHE BUONA VISIONE! J
xoxo
E’
da poco terminato il pranzo, quando una ragazzina
dai capelli neri come la pece e la carnagione olivastra, si sistema sul
divano,
di fronte ad una tv accesa, esattamente di fianco ad una donna,
all’incirca di
quarant’anni.
“Hai
pulito tutto?” – chiede la grande.
“Sì,
lucido come uno specchio” – precisa
l’altra osservandosi le mani consumate dall’ormai
routinario lavaggio di piatti
e pavimenti.
Intenta
a rattoppare, con ago e filo, una
vecchia maglia, l’adulta, soddisfatta, ha incaricato la
minore delle mansioni
domestiche, per l’ennesima volta e ha giustificato quello
sfruttamento con tali
parole - “Sappi che la mia intenzione è solo
quella di educarti al meglio così
da essere una perfetta moglie!”
Udire
tali parole, spiazzano la ragazzina
che, risponde – “Dovrei sposarmi?”
“Beh,
mi pare ovvio. Cosa credi?! Che
rimarrai sotto il mio tetto tutta la vita? Non farai la mantenuta,
tesoruccio.
Dovrai sposarti, occuparti di tuo marito e della vostra casa. Io ho
smesso di
darti il pane gratuitamente, Agata!” – le parole
dure che la quarantenne usa
dimostrano quanto quella povera moretta, di appena tredici anni, sia
diventata
un enorme peso gravoso sulle sue spalle.
“Mamma,
come puoi dirmi queste cose? Non mi
vuoi bene?” – con le lacrime agli occhi, la
ragazzina, non trova spiegazione al
comportamento della persona che l’ha messa al mondo.
E
la risposta della madre non tarda ad
arrivare.
“Non
dire sciocchezze! Perché mai avrei
stabilito per te un buon matrimonio se non volessi il tuo bene? Tesoro,
è ora
di crescere!”
“Ma
io non voglio sposarmi, vado ancora a
scuola!” – ribadisce Agata.
“Appena compirai diciotto anni, e chiuderai la tua carriera
scolastica,
celebreremo le nozze. Niente No e
niente Ma. Sei grande abbastanza
per
capire il tuo ruolo nel nostro mondo!” – a quel
punto la donna opta per
temprare la corazza di sua figlia preparandola psicologicamente ad
accettare il
suo destino. Così continua – “Quando
dico che sei diventata grande è perché hai
avuto il primo ciclo, un mese fa”
“Ti
riferisci a quando ho perso sangue da…?”
– chiede la tredicenne, indicandosi il basso ventre,
spaventata dal ricordo di
un’esperienza che la scosse, di cui non fu mai informata da
nessuno e che le
creò anche malessere fisico - “Non mi
accadrà più, vero?”
Di
fronte tale domanda, la signora esplode in
una rumorosa risata, quasi beffarda, che umilia la giovane sedutale di
fianco.
“Ma
cosa insegnano in quella specie di
scuola? Dovrebbero informarvi su questo, e non a ribellarvi contro il
sistema” –
sostiene la donna, alzando gli occhi al cielo.
Così,
non avendo scelta, rende cosciente Agata
delle esperienze che il suo corpo avrebbe vissuto da lì in
poi.
“Quella
è stata la prima di tante altre,
figliola!” – le comunica, turbando la ragazzina
che, esclama, incredula - “Dio
mio, io non voglio”
E’
la madre a rivelarle il destino di ogni
donna, soprattutto di una zingara come lei.
“E’
qualcosa che accade a tutte … e non mi
riferisco solo al ciclo!”
“Anche
al matrimonio?”
“Esattamente.
E’ la regola che vige da noi,
da quando ho memoria. Così fecero per me i tuoi nonni,
così ora tocca a te! Appena arriva
la prima mestruazione, puoi
dire addio alla tua infanzia, ed entrerai nella vita dei grandi.
Questo mi
raccontò mia madre, quando anch’io alla tua stessa
età, mi trovai davanti ad un
matrimonio combinato!”
“Tu,
però, puoi salvarmi. Vero? Puoi
risparmiarmi una vita così! Sei mia madre!”
“Proprio
perché sono tua madre, so che devo
fare la cosa più giusta. Ho trovato un pretendente perfetto!
Mi è costato caro,
lo ammetto. Ma ne varrà la pena”
A
quanto pare, la zingara adulta, con a
carico una figlia da crescere da sola, ha optato per la salvezza di
Agata da
una vita pessima, costretta in un barrio orrendo e sporco, con
delinquenti in
ogni dove.
“Andrai
via da questo postaccio. Sai quanto è
dura campare e io non riesco con quei miseri spicci racimolati qui e
lì. Non posso
mantenerti più. La famiglia che ho scelto per te
è benestante, nonostante tutto”
“Io
voglio stare con te, non m’importa del
denaro, mamma!”
“Ora
parli così; un giorno piacerà anche a te
circondarti di soldi e fare la bella vita”
In
quell’istante, nella mente di Agata si
accede una lampadina e le sembra di aver trovato l’escamotage
perfetto per
salvarsi da un matrimonio non voluto.
“Io
sono brava a falsificare la tua firma, e
anche quella degli zii e dei cugini. Potrei tentare con altro”
“Cosa
vuoi dire?” – le chiede, confusa, la
madre.
“Imparerò
a falsificare denaro. Potremmo diventare
ricche. Ricchissime”
La
donna, spiazzata da tale idea, resta in
silenzio. Sa benissimo quanto sia assurdo pensare di arricchirsi con
soldi
finti, per di più falsificati da una ragazzina.
Eppure non le dispiacerebbe riempirsi le tasche di
bigliettoni e
lasciare quell’orrido quartiere in cerca di fortuna.
“Provare
non costa nulla” – commenta l’adulta,
cedendo alla proposta di sua figlia.
Ed
è allora che Agata precisa – “Io ti
rendo
ricca, tu mi rendi libera. Che ne dici? Ci stai?” –
le porge la mano,
speranzosa in un ok immediato.
Però
la zingara esita, sospettosa che l’accordo
non sia chissà quanto vantaggioso.
“Cosa
invento con quella famiglia per
annullare il vostro vincolo?”
“Ci
penseremo quando sarà il momento. Ora ho
tredici anni e fino ai diciotto perfezionerò al massimo la
mia abilità. Le banconote
da 50 euro saranno il nostro salvacondotto”
Ciò
che accade dopo quel patto madre-figlia
ha dell’incredibile.
La
ragazzina imparerà realmente a falsificare
denaro. E alla vigilia del suo quindicesimo compleanno,
sperimenterà un
pagamento con soldi finti.
“Allora?
Ha funzionato?” – le domanda,
agitatissima, sua madre, accogliendola rientrare in casa, in tarda
serata.
E
dopo istanti di suspense, cattivo segno per
la gitana adulta, l’adolescente le conferma di avere delle
doti speciali e che
nulla è andato storto.
L’euforia
è incontenibile e sarà la loro
rovina.
“Signora
Jimenez, sono Jorge Gonzales. In giro
circola una voce allettante sul suo conto, mi piacerebbe scambiare
quattro
chiacchiere con lei”
Un
uomo, sconosciuto, si presenta alla porta
di casa delle due e allaccia con la capofamiglia un rapporto che
persisterà
fino a quando Agata, messa al corrente da pettegolezzi di quartiere, si
trova
costretta a chiedere spiegazioni.
“Gli
hai rivelato i nostri piani? Come hai
potuto”
“E’
il mio compagno. Abbiamo una storia
ormai! Non può non sapere nulla”
“Io
non voglio casini, mamma!”
“Non
ne avremo. Lui ci darà una mano!”
“E
come? Sfrutterà come meglio può le mie
capacità da falsificatrice e appena possibile, ci
metterà alle strette”
“Mi
credi così stupida? Sbaglio o tra noi c’era
un patto? Vuoi ancora la libertà?”
L’espressione
dell’adulta ha tutti i tipici
tratti di un ricatto.
“Minacci
di farmi sposare se non sostengo la
tua storia d’amore, giusto?”
La
donna non risponde, eppure è chiara l’intenzione.
Da
quel momento in poi qualcosa nel loro legame
si sgretolerà. Un legame che, in realtà,
è sempre stato unilaterale: era Agata
ad amare sua madre; sua madre non teneva a lei come avrebbe dovuto fare.
E
così Agata continua il suo lavoro segreto
con le banconote, costantemente soggetta
ai cambi d’umore e d’idea di sua madre, la quale
continua a ricattarla con la
questione “Nozze”.
“Non
posso vivere così” – la ragazza, ormai
sedicenne, sfoga con un’amica il suo malessere durante una
lezione di
matematica.
Quella
è l’amica il cui fratello diventerà
speciale
per la figlia della signora Jimenez e sarà lui che
conquisterà presto il suo
cuore.
“Ti
stai frequentando con Juan? È un morto di
fame!” – la accusa sua madre, messa al corrente
della realtà dei fatti dal suo
compagno.
“Chi
ti dice queste cose?”
L’adulta
non rivela nomi ma continua – “Non è
la persona che devi avere accanto. E poi, tu un uomo già ce
l’hai!”
“Non
più, mi pare!” – e Agata si riferisce
all’accordo che la libera dal matrimonio combinato. La sua
determinazione e gli
artigli tirati fuori al momento giusto, spiazzano totalmente la mamma,
che
rimpiange i piagnistei e le paure da ciclo della ragazzina di qualche
anno
prima.
“Sei
diventata cazzuta in un battibaleno. L’influenza
di quel Juan non mi piace”
Agata
non ha intenzione di rinunciare a
qualcosa di bello che sta vivendo e scoprendo.
Sarà
Juan il suo primo amore. Sarà Juan a cui
darà il suo primo bacio e a cui cederà la sua
verginità. E proprio quella notte
magica, Agata rientrerà a casa in tarda ora ricevendo una
punizione esemplare
non da sua madre, bensì da Jorge.
“Tu
non sei mio padre, non puoi chiudermi qui
in camera!”
“Non
rischieremo di perdere soldi e ricchezza
per colpa dei tuoi colpi di testa” - su consenso della
compagna, l’uomo decide
della sorte della sedicenne.
Un
appuntamento organizzato con Juan…una fuga
studiata nei dettagli… va in fumo! E in fumo vanno anche i
sogni di libertà di
una giovane zingara innamorata.
Chiusa
in se stessa, rancorosa verso due
persone adulte che si comportano da prepotenti, la Jimenez decide di
sottostare
per salvezza. Appena possibile lascerà casa per sempre.
Questo
è il suo piano.
Stanca
di vivere soffocata dalle oppressioni
di chi la tiene in bilico tra castigo e libertà, la ragazza
ormai prossima alla
maggiore età, scappa.
Senza
meta, senza nessuno accanto, commette
la mossa sbagliata.
“Appena
tornerà, perché stai sicuro che lo
farà, beh… si sposerà con il
pretendente che scelsi per lei. Basta fare la
buona. Mia figlia deve sottomettersi, deve capire chi comanda
davvero” – le parole
forti e arrabbiate di sua madre suonano come una vendetta personale: ai
suoi
occhi, Agata è fuggita e fuggendo ha portato via la sua
abilità da
falsificatrice.
E
niente falsificatrice, niente denaro.
Agata
viene acciuffata da alcuni scagnozzi di
Jorge, noto per avere amicizie poco affidabili in tutta Madrid.
Ricondotta
al suo nido, la maggiorenne non ha
più scelta. Sposerà un ragazzo subito dopo il
rientro a casa, un ragazzo di cui
a stento conosce il nome.
“Questa
è la punizione che meriti. Ad un
uccello che vuole volare, l’unico modo per impedirgli di
farlo è tarpargli le
ali per sempre!” – ridacchia Jorge quando, con aria
soddisfatta, l’accompagna
all’altare.
Un
matrimonio destinato a finire presto.
“Incinta?
Sei incinta?” – esclama entusiasta
la madre, in attesa di ricevere questa notizia da tempo ormai. La
gravidanza
mette un freno, a suo avviso, al temperamento esuberante della ragazza.
Così,
a soli 23 anni, Agata scopre di
aspettare un bambino. Ma non solo. Il tradimento di suo marito
metterà la
parola fine ad una relazione mai consolidatasi, se non sul piano
meramente
sessuale.
“Se
c’è una cosa che io odio è il
tradimento.
Così fece tuo padre con me, così ha fatto quel
verme del tuo sposo. Sai che ti
dico? Ora abbiamo i soldi per campare da sole il piccolo Axel! Vivrete
sotto il
mio tetto e con me e il tuo patrigno il piccolo non avrà
problemi. Mai!”
Ciò
che accade da lì in poi è storia, una
storia che Nairobi sa bene, che ricorda come fosse accaduto ieri, che
pesa
gravemente sul suo cuore.
E
tutti quei flashback di un passato fatto di
turbolenti rapporti con la madre, con il patrigno, con un ruolo da
moglie che
non voleva, con un bebè strappatole per mera ingiustizia,
ripiombano nella sua
memoria proprio adesso, ora che ha di fronte a sé un
automobile e un conducente
difficile da dimenticare.
Molto
di quello accaduto sembra trovare
spiegazione oggi!
“Chi
era quel tipo, Nairo?” – chiede Hanna,
mentre, saliti in auto, si accingono a seguire il veicolo.
“Il
suo nome è Jorge… Jorge Gonzales, il mio
patrigno!” – confessa, faticando a pronunciare quel
nome.
“Il
tuo…cosa?” – esclama, spiazzato, Yerevan.
“Sai
qualcosa sul suo conto? Non lo vedevi da
molto, giusto?” – domanda Vienna.
“Sono
andati in galera sia lui che mia madre,
poco dopo la mia cattura per spaccio”
“Pensi
siano qui per vendicarsi?”
“Non
lo so! Sta di fatto che loro mi odiano
per aver preso decisioni sbagliate, per avergli ingarbugliato la vita.
Temo
seriamente che abbiamo perduto lucidità da quando hanno
assaporato l’euforia
del denaro finto”
“Ok,
però cosa c’entra Ginevra in questa
faccenda?” –la finlandese non sa spiegarsi il nesso
tra presunti criminali e un’innocente
bambina.
“Ginny
è esattamente come me e se conosco mia
madre, se è coinvolta anche lei in tutta la storia,
vorrà vendicarsi su mia
figlia facendo con lei ciò che non è riuscita a
fare con me…”
Parole
agghiaccianti che tagliano l’aria e
che mostrano l’ennesima, forse la più grande,
fragilità della Jimenez.
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Capitolo 20 *** 20 Capitolo ***
Seduta
di fianco alla postazione di guida, Nairobi racconta, con fatica, un
pezzo di storia che fa male, una ferita aperta che, a distanza di anni,
sanguina ancora.
"Chi
sa di questa faccenda?" – chiede Emilio, fortemente scosso da
quanto udito.
"Ehm...fratellino,
io ho il microchip ancora attivo...adesso lo avranno scoperto tutti i
Dalì" – commenta Hanna.
"Cazzo!" – esclama Nairobi, volgendo lo sguardo su Vienna e
ordinandole di spegnerlo.
Dall'altro
lato, il Professore cerca di comunicare alla finlandese che il danno
è stato ormai fatto, non si può tornare indietro.
Axel era presente quando Agata rivelò dettagli agghiaccianti
del suo passato, un passato che lo vede protagonista di situazioni
più grandi di lui.
"Inutile
tentare di disattivare i collegamenti con noi! Piuttosto, inviateci la
posizione tramite GoogleMaps!" – interviene
Bogotá, agitato dopo aver ascoltato e ripercorso i momenti
duri di sua moglie.
"Vuoi
andare lì? Non possiamo" – Sergio ha chiaro che
nessuno dovrà fare alcuna mossa per creare caos.
Però il saldatore non vuole sentire ragioni.
"Nairobi
è a due passi da Ginevra, ormai ne sono certo anch'io. E tu
vuoi che io rimanga in casa a girarmi i pollici senza spaccare la
faccia a qualcuno e riprendermi mia figlia? Ti sbagli!"
"Sarebbe
una cazzata agire sconsideratamente" – puntualizza Denver.
"La
cazzata è restare fermi, mentre tre membri della mia
famiglia, sono alla ricerca di uno stronzo che potrebbe aver rapito la
mia bambina.."
"Nairobi,
Yerevan e Vienna non faranno nessuna mossa. È l'ordine che
ho appena dato loro" – Sergio prende nuovamente parola, dopo
aver chiuso i collegamenti con Hanna.
"Non
volete capire?" – con le mani tra i capelli,
Bogotá non sa spiegarsi la codardia dei Dalì
– "Cosa fareste se ci fossero i vostri figli al posto della
mia? Rimarreste inermi, sapendo che c'è una pista da seguire
più plausibile di qualunque altra?"
E
tale riflessione, fa zittire i presenti. Le donne addirittura tremano
al solo pensiero di veder sparire nel nulla i loro tesori.
"Che
cosa ha risposto Nairo?" – Tokyo, preoccupata per la migliore
amica, si rivolge a Marquina sperando di ricevere una notizia positiva.
Eppure conoscendo la gitana, Selene è convinta che non si
fermerà sapendo sua figlia probabilmente nelle mani del
patrigno.
Fortunatamente
l'espressione del Prof sembra rassicurarla – "Ha promesso di
non agire e attendere istruzioni da parte mia!"
"Cosa?" – esclama Bogotá, perplesso –
"Lei che avrebbe smosso mari e monti, stavolta rimane calma?"
"Bogotá,
per favore. Agitarti così non fa bene a nessuno" –
aggiunge Helsinki, adagiando una mano sulla spalla del compagno di
squadra – "Fidati di tua moglie. Lei forse ha capito che
è la cosa giusta da fare"
"La
cosa giusta un corno! Dannazione ma cosa le prende? Da quando in qua
accetta condizioni come questa?"
"Yerevan
ha un buon ascendente su Nairobi. Sicuramente sarà stato lui
ad averla convinta!" – cerca di spiegare Erik, ingenuamente,
non intenzionato a ferire il genitore. Purtroppo accade proprio questo
e il ragazzo viene zittito dalla risata nervosa del padre.
"Perché
ora ridi, papà?" – gli domanda, confuso, Drazen.
"Sono
esterrefatto, ormai ai suoi occhi Emilio ha preso il mio posto"
– trattenendo la rabbia, il saldatore decide di allontanarsi
per evitare parole di cui si sarebbe pentito.
"Bisogna
tenerlo d'occhio. Non vorrei commettesse follie" – precisa
Sergio, chiedendo una mano a tutto il gruppo.
"Adesso,
però, è bene pensare anche ad Axel. Poverino
è rimasto scioccato ed è corso via! Dove
potrà mai essere?" – si preoccupa la Oliveira.
Infatti,
dopo aver ascoltato la gitana raccontare di un vero inferno vissuto
anni addietro, il giovane Jimenez si è isolato, sfogando, in
un pianto incessante, quel malessere nascosto alla perfezione per
troppo tempo, ed ora riemerso a causa di rivelazioni di un passato di
cui non era al corrente.
"Ehi"
– una voce improvvisa, lo fa sobbalzare e lo costringe a
placarsi ed asciugarsi il viso.
"No,
non smettere! Piangere fa bene, sai?" – Ivana, raggiunto il
fratellastro, nascostosi in giardino, dietro un albero di pesco, si
siede di fianco a lui.
"I
bambini lo fanno. E io non lo sono più da un pezzo"
"Cosa dici? Anche i grandi e i più forti piangono. E tu sei
uno di quelli" – sostiene la bionda ucraina.
E
lo sguardo dolce di lei, e la sua vicinanza fisica e morale, solleva
Axel dall'amarezza che nutre. La presenza di una persona tanto genuina
ed empatica è quanto gli serve.
Con
spontaneità e senza malizia, la bionda Varsavia lo invita ad
accoccolarsi al suo petto e Axel, seppure imbarazzato, lo fa e si
lascia coccolare dalla voce premurosa e dalle carezze genuine di una
sorellastra che ha sempre più gli atteggiamenti di una madre.
"Nairobi
non ha avuto tempo e modo di raccontarti nulla di tutto ciò,
ma sono certa che appena Ginevra rientrerà a casa, ti
aprirà il suo cuore"
"Io
non ce l'ho con mia madre!" - confessa Axel, poi prosegue –
"Ma con la vita che sembra si diverta a destabilizzarmi"
Ivana
respira profondamente, preparandosi ad un discorso importante che mette
a nudo parte del suo più intimo Io.
"Ho
sempre pensato la stessa cosa. Credevo che la mia vita fosse uno schifo
assoluto, che il destino mi riservasse soltanto ingiustizie e dolore:
mio padre era sempre assente, mia madre ha cambiato ben tre mariti ed
io ho vissuto sotto il suo stesso tetto condividendo casa con tre
uomini susseguitisi uno dietro l'altro, nel giro di dieci lunghi anni;
uomini che si spacciavano per "papà". Io in cuore mio sapevo
che di padre ne avevo uno solo e soffrivo sapendo che per lui ero un
optional. Ho sofferto gli anni dell'adolescenza in lotta contro me
stessa, contro la vita che conducevo, contro le sfortune amorose di mia
madre, ma soprattutto contro il mio corpo"
"Cazzo"
– commenta Axel, intuendo qualcosa di negativo in tali parole.
"Già!
Sfogavo l'odio sul cibo, lo rigettavo appena possibile. Rifiutavo di
mangiare... furono anni complicati!"
"Ma
adesso...come stai?" – le chiede il gitano, del tutto
sconvolto, riuscendo finalmente a distogliere l'attenzione dai propri
dilemmi.
"Ho
iniziato ad amarmi, ed è la cosa più bella che
potesse accadermi" – spiega, mentre alcune lacrime le
scivolano lente lungo le gote.
"Mi
dispiace per quanto hai patito e soprattutto per averti costretta a
rivelarmi cose private"
"Non farlo, non potevi saperlo! Poi è stata
volontà mia parlarne; nessuno dei miei fratelli sa fin dove
mi sono spinta. Tantomeno papà. È meglio che
rimanga un segreto...per ora! Anche per me arriverà il
momento di parlare e raccontare, proprio com'è stato oggi
per Nairobi. Sappi solo che, se ti ho detto tutto ciò,
è perché capisco quanto tu possa essere abbattuto
dall'ennesima esperienza di vita dolorosa. Però è
bene che sapere che il passato ci forgia e ci rende quello che siamo
oggi. In fondo, adesso sei qui con noi, con Nairobi e con la tua
famiglia allargata. Sei amato e stimato. Dovresti buttarti il passato
alle spalle e puntare solo a costruire il tuo futuro"
Parole
sagge quelle di una giovanissima ventenne che permettono ad Axel di
razionalizzare l'accaduto.
"Grazie
di cuore, Varsavia! Sei una persona speciale"
"Ivana!
Ho accettato il nomignolo per comodità e per la missione,
però io rimango Ivana. Soprattutto per la mia famiglia"
– gli sorride.
E
dopo aver placato la rabbia e le lacrime, nella mente del gitano balza
un pensiero, rapido come un fulmine.
"Mia
madre sarà scioccata. Potrebbe fare qualsiasi pazzia!"
– scatta in piedi, e la nuova amica lo segue a ruota.
"Ho
sentito il Professore dire che è tutto ok; Nairobi ha
promesso di trattenere l'istinto" – spiega la ragazza,
cercando di calmarlo.
"Davvero?"
– esclama, spiazzato il gitano – "Scommetto che non
è propriamente da lei questo frenarsi!"
"Ehm...
in effetti anche mio padre ne è rimasto spiazzato.
Però penso sia merito di Emilio, lui sì che sa
come convincerla"
E
in quell'istante , Axel sente riecheggiargli nelle orecchie alcune
parole di Bogotá e la circostanza sembra convincerlo che
quelle ipotesi sul possibile rapporto di Nairobi con Yerevan siano fin
troppo reali.
*********************************************
Nel
frattempo...
"Grazie,
Emilio" – dice la Jimenez al primogenito di suo marito,
mentre, la loro auto, a debita distanza, da quella della maestra Honey,
continua il pedinamento.
"Per
cosa?"
"Per
essere quello che sei"
Affermazione
che Nairobi sente profondamente ed esprime portando a galla un ricordo
che invade la sua memoria in un battibaleno. Un ricordo che si fa
strada con forza e riesce a risvegliare qualcosa dentro di se.
"Come ti senti?"
"Bene, amore mio! Parlarti di Axel e del mio
passato ha fatto bene al mio cuore"
"Sappi che io ci sarò sempre per te,
perché ti amo!"
"Ti amo anch'io Bogotá" – lo
bacia Nairobi, poi gli sussurra all'orecchio - "Grazie"
"Per cosa?"
"Per essere quello che sei"- e così i
due, a bordo di una nave, sono pronti per dare inizio alla loro nuova
vita. Agata si accoccola al petto del compagno e si addormenta cullata
dalle sue braccia e dalle onde del mare.
Quel
flash pietrifica la donna che, posando lo sguardo su Emilio, sembra
rivedere Bogotá e la cosa la terrorizza.
"Che
succede? Non ti senti bene?" – Hanna si è accorta
per prima del biancore sul volto della matrigna.
"Cazzo,
cazzo, cazzo" – esclama lei, avvertendo una fitta dolorosa al
petto. Probabilmente ha appena preso coscienza che il suo affetto per
Yerevan è dovuto alla mancanza di suo marito, mancanza che
sente ora più che mai pesargli come un macigno.
E'
solo suo marito, in un momento così complicato, la sola
persona che potrebbe capirla...proprio l'uomo a cui rivelò,
dodici anni prima, dettagli importanti di quel dannato passato.
Beh...in
realtà è sempre stato così! Come
Bogotá, non l'ha mai capita nessuno.
"Sto
bene, adesso si che ho tutto chiaro nella mia mente...e nel mio cuore"
– sostiene la gitana, trovando lucidità tra i suoi
pensieri.
Confusi,
i due fratelli non aggiungono altro. Si limitano a constatare che
l'auto che stanno inseguendo si è appena fermata davanti ad
una villetta isolata.
Parcheggiatisi
a debita distanza, i tre osservano la maestra Honey scendere dal mezzo,
tenendo la mano di Betta.
"Maledetti,
cosa vogliono da quella bambina?" – esclama, furiosa,
Nairobi, tornando a concentrare l'attenzione sul dramma della sua
attuale vita.
"Calma,
forse è lì per motivi di scuola" –
ipotizza Hanna.
"Dubito!"
– commenta Agata ed è allora che anche l'autista
scende mostrandosi interamente.
"E'
lui? Sei sicura?" – chiede Emilio alla Jimenez, constatando
che il tizio è anziano – "Avrà
settant'anni. Come può aver orchestrato una rapina?"
– riflette Emilio.
"Quello
è Jorge Gonzales, non ho dubbi. Ha la stessa andatura, lo
stesso colore di pelle, lo stesso stile di vestirsi, è lui"
"Allora
è bene prendere la targa dell'automobile" – dice
Vienna, fotografando in lontananza il veicolo e la cifra identificativa.
"Avviciniamoci"
– propone la Jimenez.
"Se
ci beccano? Non conviene. Hai detto che non avresti agito in modo
sconsiderato" – sostiene Yerevan – "Me l'avevi
promesso!"
"Già!
Però tradirei me stessa. E scommetto che Bogotá
non me lo perdonerebbe" – così dicendo, lascia il
veicolo.
Seguita
dai due complici che le coprono le spalle, rassegnati alla
cocciutaggine della gitana, Agata spia cosa avviene a pochi passi dalla
villa.
E
finalmente ha la prova che cerca.
"Dio
mio" – esclama.
Le
gambe le cedono e il cuore rallenta il suo battito.
"Mamma?!"
– è l'unica parola che pronuncia, prima di perdere
i sensi.
La
signora Carmen Jimenez dai capelli nero corvino, raccolti in una
treccia lunga, dove si scorge qualche ciocca bianca, segno
dell'età avanzata, con gli occhi grandi e scuri fissi su un
libro, è seduta su una panca da giardino.
Accortasi
dell'arrivo del consorte, lo accoglie con un dolce bacio a stampo,
invitandolo, poi, a prendere posto di fianco.
"Allora?
Come procede qui?" – domanda Jorge alla coniuge.
"Tutto alla grande. Stiamo agendo bene, vero?"
"Non
averne mai dubbi, moglie mia" – le sorride l'uomo,
prendendole la mano.
Accoccolati
i due mostrano quanto sia rimasto intatto il loro sentimento, a
distanza di ben trent'anni.
E
quanto a Nairobi... viene caricata in auto dai figliastri ed
è prossima a rincasare.
Ad
accoglierla ci sono i Dalì sconvolti e Axel! Il ventunenne
adesso è sempre più convinto, proprio come
Bogotá, di un presunto tradimento della madre con Emilio.
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Capitolo 21 *** 21 Capitolo ***
“Mamma,
mi racconti la fiaba della
buonanotte?”
“Certo,
mi amor! Quale preferisci?” – la
gitana siede sul letto di sua figlia minore e si accinge a narrare una
delle
tante storie che ha imparato a memoria nel corso degli anni e che
vedono come
protagonista una bellissima zingarella di cinque anni alle prese con il
suo
sogno di diventare cantante.
Rimboccate
le coperte alla bambina, la donna
inizia – “C’era una volta una bellissima
gitana di nome Ginevra…”
Neanche
due secondi ed ecco entrare nella
stanza un maschietto con gli occhiali da vista e i capelli arruffati.
Il
piccolo si strofina gli occhi e avanza nella loro direzione.
“Seba,
tutto bene tesoro?”
“Si,
mammina!” – risponde, sbadigliando
subito dopo. Poi si accomoda sulle gambe della madre e si accoccola al
suo
petto.
“Noto
con piacere che hai fatto il bagno, tuo
padre ha imparato a convincerti a farlo?” - sorride, felice
di appurare che
quella mansione faticosa, vista la cocciutaggine dei gemelli, non
spetta più
unicamente a lei.
“Non
è bravo come te” – sussurra
all’orecchio
dell’adulta che ride di gusto.
“Ehi,
voi, che bisbigliate? Vi divertite a
prendermi in giro, vero?” – a prendere parola
è il capofamiglia, appoggiato
alla porta, per udire i discorsi madre-figli.
“Bogotá,
sai che amo farlo” – ridacchia la
moglie, facendogli l’occhiolino – “E
comunque… ben fatto, papino” – aggiunge,
riprendendo poi la conversazione con Ginevra.
Osservando
Nairobi assieme ai gemelli, che si
perdono nei suoi racconti e nella dolcezza delle sue carezze e dei suoi
baci,
il saldatore si dirige nella camera da letto per riposare, non prima,
però, di
aver controllato che anche Alba fosse già tra le braccia di
Morfeo.
“Tesoro,
sei ancora sveglia? Sai che è tardi,
domani c’è la scuola e se tua madre si arrabbia se
scopre che….” – precisa
Bogotá,
zittendosi una volta accortosi che la bambina sta sfogliando un
raccoglitore
fin troppo familiare.
“Dove
l’hai trovato?” – gli domanda il padre,
inginocchiandosi davanti alla piccola di nove anni, accovacciata sul
tappeto.
“E’
della mamma!”- spiega Alba – “Questo
è
Axel, vero?”
L’uomo
annuisce, emozionato, guardando dei
ritagli di giornale che riportavano cronache e gossip dei media sulla
rapina
alla Banca di Spagna.
“Già”
Scrutando
con attenzione la foto strappata ad
una rivista, la bambina si accorge di un dettaglio di non poco conto.
“Quest’orsetto
è…?” – poi si alza in piedi e
afferra il peluche sul suo letto –
“…è lo stesso?”
Bogotá
conferma, ricordando il momento
tragico patito per colpa di un giocattolo, diventato un vero e proprio
cavallo
di Troia. Un giocattolo utilizzato dalla polizia per colpire il cuore
ferito di
una mamma che desiderava solo riabbracciare un figlio strappatole via.
“Era
di Axel?”
“Adesso
è vostro” – risponde l’uomo,
deviando
la domanda.
“E’
la sola cosa che abbiamo di lui” – si
commuove la bambina, legata ad un’idea di un fratello
maggiore mai visto e che
sognerebbe di incontrare.
Come
fece Nairobi dieci anni prima, la
giovane zingara stringe a se il peluche e si immerge in un profumo che
sa non
esistere più, ma che richiama al suo cuore sentimenti di
amore incondizionato.
Bogotá
le sorride e le accarezza
delicatamente la folta chioma scura. Poi la invita a sedersi sulle sue
gambe,
avvolgendola tra le sue braccia.
E
in quell’attimo di tenerezza, gli occhi del
saldatore si posano su una foto specifica, che giace tra le altre, sul
pavimento, e che inevitabilmente attira la sua attenzione.
Un
fotomontaggio, per la precisione.
Lo
afferra e esamina, spiazzato, quello che
Agata ha costruito e che, a quanto pare, conserva gelosamente in un
raccoglitore, ritrovato a distanza di anni.
“Ma…questa
è Ginny” -
esclama la bambina, riconoscendo,
nell’immagine che suo padre ha tra le mani,
l’accostamento di due volti,
estremamente somiglianti.
“Non
pensavo fossero così simili” – nota Alba
– “E’ una bella cosa, vero?”
“Ehm…certo,
certo” – risponde Bogotà, seppure
piuttosto preoccupato dall’idea bizzarra della moglie.
Sente
in cuor suo che Nairobi potrebbe avere
una sorta di fissazione psicologica legata alla somiglianza tra
fratello e
sorella.
Così,
con un senso di amarezza che schiaccia
il suo sonno, Bogotá, congeda la bambina, e si reca nella
sua camera.
I
minuti seguenti, che trascorre solo con se
stesso, fisso su un pensiero turbolento, gli permettono di analizzare a
modo proprio
le circostanze.
Sono
passate le 23 da pochi minuti quando la
Jimenez raggiunge il marito a letto.
“Ginevra
stasera non voleva proprio cedere” –
dice, liberandosi della camicetta di seta bianca, pronta ad indossare
la
vestaglia.
Ed
è la totale assenza di Bogotá, preso dalle
preoccupazioni che gli attanagliano la mente, a insospettirla.
“Cosa
hai?” – domanda, studiando il viso di
lui che, invece, non lascia trapelare niente di buono.
“Cazzo,
Bogotá! Mi stai agitando, si può
sapere che succede?” -
non ricevendo
risposta, decide di agire nel modo più diretto che conosce,
utile quando vuole
qualcosa dal consorte.
Sedutasi
a cavalcioni sul suo uomo, mostra le
sue chiare intenzioni.
“Mi
degni della tua attenzione o devo
spogliarmi?” – lo provoca, seppure bruscamente
anziché con malizia.
Non
ottenendo la reazione sperata, la gitana
si avvicina al collo di lui, baciandolo voracemente.
Ed
è il contatto di quelle labbra calde che Bogotá
ama follemente, a farlo destare.
“Aspetta”
– la frena, prendendo parola.
“Finalmente
ti sei deciso ad aprire bocca!
Sapevo che servivano le maniere forti per svegliarti.
Insomma…cosa hai? Sei
evidentemente preoccupato. Raccontami tutto”
Sistemandosi
di fianco al coniuge, Nairobi è
pronta all’ascolto.
Però
mai avrebbe pensato di udire questo –
“Perché continui a pensare ad Axel quando guardi
Ginevra?”
“Cosa?
Che intendi dire?”
“Ho
trovato questa, per puro caso” – da un
cassetto del comodino di fianco al letto, tira fuori il fotomontaggio.
Vedere
quell’immagine tocca Nairobi nel profondo
e la sua espressione rilassata e felice, si incupisce.
“E’
difficile dimenticare il sangue del tuo
sangue. Dovresti saperlo bene, sei padre e sapere che sette dei tuoi
figli sono
chissà dove, e tu sei qui, costretto a non uscire dai
confini stabiliti, fa
male…e a me non correre ai Caraibi per trovare Axel mi
uccide”
Una
lacrima cade veloce rigandole una
guancia, però la fortissima Jimenez la nasconde
immediatamente, intenzionata a
non volersi mostrare debole e, così, dopo un respiro
profondo, rivela che la
somiglianza tra due dei suoi quattro figli è la medicina di
cui necessitava da
tanto, troppo tempo.
“Sono
felice che Ginny assomigli ad Axel, lei
è la tua fotocopia. Quindi era più che normale
che ci fossero tratti in comune
con il fratellastro” – spiega Bogotà.
“Fratello”
– lo corregge lei – “Sono
fratelli. Questo dispregiativo non mi piace”
“Hai
ragione! Però quello che volevo dire è
che… non è un bene se Ginevra scopre che tu non
la consideri per ciò che è ma
solo per il ricordo associato ad Axel” – risponde
il saldatore, sfiorandole
quella gota che poco prima si è inumidita di lacrime amare.
“Ma
non è così! Io amo tutti i miei figli.
Ok, è vero..guardo Ginevra e rivedo Axel. È
più forte di me. Non posso fare
altrimenti. È una lotta contro un sentimento che mi tiene
legata al mio primo
figlio! Però, ciò non vuole dire nulla!”
“Però
Ginny non è Axel, tesoro”
“Lo so…” – l’aria
abbattuta con cui pronuncia quel “lo so”,
pietrifica Bogotá.
“Purtroppo….vero?
è questo che volevi dire?”
Il
silenzio di Nairobi dura qualche secondo.
Presa dai suoi pensieri non ha ascoltato quanto pronunciato dal marito
e
commenta con altro - “Parlo spesso di Axel ai bambini, ma non
nel modo giusto”
“Quale
sarebbe il modo giusto?” – chiede,
confuso, il marito.
“Dovranno
sentirlo come parte della famiglia,
come presenza che presto si unirà a noi”
“Nairo…
sai bene che è impossibile”
“Invece
sì! Ho chiesto ai Johnson di
rintracciarlo. Loro hanno un suo contatto. Così…
gli ho scritto”
“Cosa?
Davvero? E quando pensavi di dirmelo?”
– sobbalza Bogotà, entusiasta.
“Spero
sia l’inizio di una conoscenza che lo
porterà da me, da noi, una volta per sempre”
Entrambi
emozionati, i due trascorrono i
minuti seguenti a parlare dell’argomento, fino ad
addormentarsi stretti l’uno
all’altra, esausti dopo ore di chiacchiere, sognando un
futuro roseo e felice,
con una famiglia unita e completa, assieme ad Axel.
Ignorano
quello che accadrà da lì a due anni.
Quella
notte, Ginevra udì la chiacchierata,
svegliatasi per bere un sorso d’acqua e trovatasi ad
origliare i genitori
intenti a discutere sulla fotografia.
E
le parole materne della madre riguardanti
lei e il fratellastro, le distrugge il cuore.
“Non
mi vuole bene, vuole bene solo ad Axel!”
– singhiozzando corre in camera e, nascosta sotto le coperte,
sfoga in un
pianto il suo malessere.
È
da quel momento in poi che la situazione
prenderà una piega sbagliata… è da
quel momento che i problemi cominciano a
sorgere…è da quel momento che la
felicità di avere un fratello maggiore che
vorrebbe incontrare, diventa invece l’incubo che spera di non
vivere mai nella
vita!
********************************************
“Carol,
come mai hai portato quella bambina
qui?” – chiede Carmen Jimenez alla maestra Honey,
approfittando dell’assenza di
Betta.
Le
due sono in cucina, intente a preparare la
merenda alle due bambine.
“Tranquilla,
non hai nulla da temere” –
spiega la Jones, versando del succo all’arancia in due
bicchieri.
“Invece
temo, eccome se temo. Potrebbe
raccontare che Ginny si trova in una casa non sua”
– si allarma l’anziana
zingara.
La
preoccupazione della settantenne fa
sorridere l’insegnante - “Betta sa che la sua
migliore amica è con i nonni,
perché i suoi genitori e Sebastìan sono dovuti
urgentemente partire. Le ho
raccontato che voi badate a lei che non è nel pieno delle
forze, e che vi
conosco perché siamo vicini di casa. Questo ti basta per
rasserenare le tue
ansie?”
L’anziana
scuotendo il capo di fronte alle
assurdità raccontate ad un’ingenua bambina pur di
coprire una storia segreta
riguardante Ginevra, commenta – “Bisogna essere
prudenti, mia cara e forse
noi stiamo superando i limiti
dell’accettabile”
“Sei tu che ti agiti inutilmente! Smettila,
piuttosto… sistema qualche biscotto
sul vassoio. Poi portalo su, in camera! Ti aspetto
lì” – così diceno, la miss
Jones si allontana.
“Ecco
la vostra merenda, bambine” – comunica
loro, una volta raggiunte. E’ piacevolmente colpita dal fatto
che stessero
chiacchierando del nonnulla.
“Posso
rimanere qui con voi?” – domanda
l’adulta, volendo controllare che nulla di scomodo venisse
tirato in ballo.
“Certo”
– risponde Betta, entusiasta,
sorseggiando la sua bevanda fresca.
“Sono
contenta che tu stia bene. Mi sono
preoccupata tanto” - dice poi, e proprio allora fa una
proposta inattesa –
“Posso venire a farti visita più spesso?”
In
quel momento Ginevra e la maestra Honey si
scambiano una strana occhiata complice che la figlia dei banchieri
interpreta a
modo proprio.
“Come
non detto, scusami! Qui, in fondo, è
casa dei tuoi nonni. Io non posso autoinvitarmi!”
“Ehm…
no, no, tranquilla. I nonni sarebbero
felicissimi. Solo che non sono ancora in forze, magari più
in avanti!” – mente
la bambina, riferendosi alla presunta febbre.
Carmen
giunta sull’uscio della porta cede il
vassoio con i biscotti alla signorina Honey; poi osserva sua nipote e
rivede in
lei la sua Agata.
“Vi
porto altro?” – domanda, intromettendosi.
“No,
nonnina grazie”
Sentirsi
chiamare Nonnina, stringe il cuore
di Carmen che, trattenendo l’emozione, va via e si chiude
nella sua stanza.
Si
avvicina ad un cassetto, serrato con una
chiave custodita come ciondolo della sua collana.
Sbloccata
la serratura, tira fuori un diario.
Come
la maestra Honey suggerì a Ginny di
scrivere, allo stesso modo nonna Carmen sfoga in tale maniera i suoi
intimi
dilemmi.
Ma
è tra quelle pagine che è custodita una
fotografia a cui è profondamente legata.
La
sfiora con delicatezza, come se
accarezzasse i soggetti ritratti.
Poi,
preda di un forte senso di colpa,
commenta ad alta voce - “ Sono stata una pessima madre, una
pessima nonna, una
pessima persona… però recupererò, e lo
farò…con Ginevra. Ho perduto Axel, mio
nipote, ho perduto Agata, mia figlia…non perderò
anche quest’ultimo tentativo
per essere migliore”
Adagiando
la foto al suo petto, socchiude gli
occhi e inizia a muoversi lentamente, come se danzasse.
Minuti
che concede alla sua passione più
grande, il ballo, e alla pace con se stessa.
E’
l’arrivo inaspettato di Jorge alla porta
ad interrompere il tutto e riportarla alla triste realtà.
Sistemata,
rapidamente, la fotografia
all’interno del diario, chiude a chiave il cassetto e
raggiunge il marito.
“Cosa
stavi facendo?”
“Nulla, tesoro, nulla”
“Sicura?
Sono sicuro che ti sei di nuovo
sfogata con quell’immagine. Vero?”
Ormai
suo marito la conosce alla perfezione. E
Carmen non può negare con lui. Conferma annuendo con il capo
– “Quello scatto
ritrae me, Agata e Axel. Non potrò mai dimenticare che dopo
quel giorno, loro
andarono via e non li vidi mai più”
Con
una morsa allo stomaco, e il cuore
afflitto, Jorge prende parola – “Il bastardo sono
io che ho combinato solo guai
e ho recato male a un bambino innocente”
“Basta colpevolizzarti. Io ero la nonna, spettava a me
intervenire. Non lo
feci. Sbagliai, però ora posso redimermi. Ginevra
è la mia seconda opportunità”
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Capitolo 22 *** 22 Capitolo ***
Carmen
Jimenez osserva dalla finestra della
sua stanza l’uscita di Betta dalla villa, assieme
a Caroline Jones, la ormai nota
maestra Honey.
Dover
fingere tranquillità davanti agli occhi
di quella bambina le è costato molto; avrebbe voluto dire
tanto ma la
situazione l’ha costretta a tacere.
È
il motore acceso dell’automobile di Jorge, presa
in prestito dalla Jones, a
staccare gli
occhi della gitana dalla scena in giardino.
A
passo lento raggiunge la cucina ma il suo
cammino s’interrompe prima, precisamente davanti la porta
socchiusa della
camera di Ginevra.
La
vocina della bambina canticchia qualcosa e
ciò la incuriosisce.
La
Jimenez la spia, dalla leggera apertura
dell’uscio, e sente il cuore sussultare quando riconosce la
melodia.
“A
la nanita
nana, nanita ella, nanita ella
Mi
niña tiene sueño, bendito sea, bendito sea
A la
nanita nana, nanita ella, nanita ella
Mi
niña tiene sueño, bendito sea, bendito sea”
https://www.youtube.com/watch?v=CO4Zno9L8n0
“Chi
ti ha insegnato questa ninnananna?” – domanda
l’adulta, trattenendo i
singhiozzi.
“Mia
madre me la cantava sempre!” – risponde Ginny, con
un velo di nostalgia.
Carmen
chiude gli occhi per qualche secondo, cercando di nascondere un intenso
dolore.
Poi
li riapre e vede sua nipote a pochi metri dal suo viso.
“Nonna…”
– le dice, intenzionata a farle una richiesta.
“Dimmi,
mi amor”
“La
canteresti per me?”
“Io?”
“Si,
sei stata tu ad insegnarla alla mia mamma, vero?”
La
gitana adulta annuisce, e piacevolmente colpita dalla proposta, accetta.
Si
siede sul letto della piccola e invita la nipote a fare lo stesso.
Le
prende entrambe le mani e le intreccia alle sue.
Occhi
negli occhi, quegli occhi identici, tratto distintivo di famiglia,
così grandi
e profondi, talmente penetranti da stregare chiunque li incroci, intona
il
ritornello di un’antica canzone, a sua volta apprese dalla
madre.
E
Ginevra, cullandosi mentre, felice, ascolta la ninnananna, segue a
ruota sua
nonna.
Le
loro doti canore s’intrecciano, le voci si uniscono in un
flusso vibrante che
placa ogni dramma interiore e che emana con forza un desiderio
d’amore
disperato, quello cercato da Ginny in una consanguinea ormai entratale
nel cuore
e quello voluto da un’anziana zingara pentita che, dopo anni
di galera,
continua a vivere la sua penitenza di vita.
Un
attimo tanto speciale che coinvolge perfino Jorge, seduto in giardino a
fumare.
“La
canzone di Axel” – commenta il Gonzales, ricordando
delle volte che Nairobi la
canticchiava al piccolo per farlo calmare.
E
un violento flash gli balza alla mente: un volto paffuto e dolce,
quello di
Axel, di soli tre anni, a cui versò del liquore…
non una volta, tante volte! Difficile
dimenticare le grida di strazio di Agata quando scoprì che
proprio lui, il suo
patrigno, recava male al bambino causandogli dolori lancinanti alla
pancia.
Amareggiato
da quanto accaduto, rincasa diretto verso le due zingare.
Quando
le raggiunge, le trova abbracciate l’una all’altra.
“Siete
bravissime. Vi ho ascoltate e mi avete emozionato”
– dice, attirando l’attenzione
su di sé. Poi prende posto di fianco alla bambina e,
teneramente, le accarezza
i capelli.
“Sei
uguale a tuo fratello!” – in
quell’istante di nostalgia e di profondo senso di
colpa, Jorge dice qualcosa di catastrofico.
Lo
sguardo allegro e dolce di Ginevra, si irrigidisce. Aggrottando la
fronte, la
piccola si alza bruscamente distanziandosi dai due.
Carmen
lancia un’occhiata di rimprovero al marito, cosciente di
quanto quella
somiglianza ferisse la nipotina.
Solo
allora, il Gonzales si accorge dell’errore e cerca di
riparare – “Non volevo
tesoro, tu sei speciale e nessuno lo è come te”
“Hai
detto che sono uguale a quello”
Il
labbro tremante della piccola dei Dalì anticipa un pianto
isterico.
E
lei non ama mostrarsi in quello stato.
Così,
ignorando i nonni che tentano di calmarla, la bambina pretende di
essere
lasciata da sola.
“Mi
amor, hai capito male” – interviene Carmen.
Inutile
calmarla come vorrebbero. A quel punto sono costretti a uscire dalla
stanza.
“Ma
come ti salta in mente di dire che è identica ad
Axel!” – la Jimenez richiama
il marito, dandogli un colpetto sul braccio.
“Quella
canzone sappiamo entrambi che è di Axel, e lei la stava
cantando…ho ricollegato
le due cose. Quei due sono talmente simili che…”
“Basta,
Jorge! Non dirlo più”
La
loro discussione termina quando torna a casa Carol Jones.
“Qui
tutto ok?” – chiede l’insegnante, mentre
si libera delle scarpe ed indossa
delle ciabatte.
“No,Ginevra
si è arrabbiata!” – comunica Carmen,
ancora alterata con il consorte.
“E
come mai? Cosa le avete detto?” – la maestra Honey
si allarma immediatamente e
si dirige verso la stanza della piccola.
Mentre
percorre quei pochi metri che la separano dalla bambina, ascolta
impassibile il
resoconto della settantenne.
E
quando le viene rivelato il dettaglio che ha scaturito il finimondo, si
immobilizza.
Resta
ferma, pietrificata, a pochi passi dalla meta.
“Ho
sbagliato, non avrei dovuto. Ora non so come rimediare”
– interviene l’uomo.
“Quello
è il suo punto debole, non dovevate ricordarglielo, non
giova a nessuno di noi
farlo. Lei potrebbe sempre decidere di andarsene se continuate a
ricordarle il
fratello. E non possiamo permetterlo”
“Come ne veniamo fuori?” – chiede il
Gonzales.
“Provo
a parlarle io! Deve capire che siamo i soli di cui può
fidarsi, i soli che la
amano come merita!”
Così
dicendo riprende il passo, lasciando i due anziani indietro.
********************************************
Nel
frattempo, i tre Dalì hanno raggiunto la villa.
Hanna
entra in casa per prima. Ad accoglierla c’è
l’agitazione dei restanti compagni.
“Calma,
calma, parlate uno per volta, perché così non vi
capisco” – precisa la giovane,
circondata dai parenti e dagli amici che vogliono notizie.
“Dove
sono Nairobi ed Emilio?” – domanda, sospettoso,
Axel, notando la loro assenza.
“La
situazione è stata alquanto difficile da gestire e Nairobi
ha perso i sensi” –
spiega, dispiaciuta, la finlandese.
“Cosa?
Perché cazzo non l’hai detto prima?”
– la sgrida Bogotá, correndo fuori in
direzione dell’automobile.
È
lì dentro che Yerevan consola Agata.
“Andrà
tutto bene, adesso abbiamo la certezza che i tuoi sono qui a
Perth” – dice il
giovane.
“Lo
so, e rivederli mi ha distrutta! Mi ha lasciata senza
forze…” – spiega la
Jimenez.
Emilio
la osserva in tutta la sua fragilità e in
quell’istante sente di doverle fare
da spalla.
E
quando la donna solleva lo sguardo, mostrando i suoi occhi colmi di
lacrime,
specchio di un’anima distrutta, il ventisettenne agisce senza
più freni.
Non
dà modo ad Agata di pronunciarsi né di tirarsi
indietro.
Le
si avvicina e non esita a baciarla.
Un
contatto di labbra breve, e senza significato per Nairobi, la quale
reagisce
quando metabolizza il fatto, dando uno schiaffo al figliastro.
Incredula
di quel gesto, e delusa da un comportamento sconsiderato, scende dal
mezzo,
pronta per rientrare in casa.
Peccato
che qualcosa la frena. O meglio, qualcuno.
Qualcuno
che ha visto la scena tra lei ed Emilio
“Bogotà!”
– esclama, notando il pallore sul volto dell’uomo.
Ha lo sguardo spento, frutto
di un miscuglio di emozioni che lottano per prevalere.
Rabbia,
odio, amarezza, tristezza, e voglia di mandare tutto a puttane.
“Da
quanto sei qui?” – domanda, preoccupata che potesse
aver visto.
“Il
tempo giusto per avere la prova che cercavo”
“Quale
prova? Amore, non è come pensi” – avanza
verso di lui, cercando di dargli
spiegazioni.
Ed
è il saldatore ad indietreggiare.
“Adesso
mi chiami “amore”? Solo ora ti ricordi che
esisto?” – preda di una sofferenza
acuta, l’uomo pronuncia parole dure e cariche di rancore
– “Ti sei innamorata
di mio figlio. Ammettilo”
“Cosa? E’ una sciocchezza. Non è
così. Io amo solo te, ho sempre e solo amato
te”
“E
perché vi siete baciati?”
“E’
colpa mia, papà” –
s’intromette Yerevan, comparso alle spalle di Nairobi.
I
due uomini si trovano faccia a faccia, per la prima volta mostrando
sentimenti
non tipici del rapporto tra consanguinei.
“Vattene,
non voglio vederti mai più” –
è la sola espressione pronunciata da Bogotà al
suo erede.
Di
fronte al figlio accasciatosi a terra, disperato, per la rottura di un
legame
di sangue che credeva indissolubile, il saldatore rincasa ignorando le
sue
suppliche di perdono.
“Amico,
che faccia! Cosa è accaduto?” – a
chiederglielo è Denver che lo vede salire le
scale e dirigersi verso la camera matrimoniale.
Non
riceve alcuna risposta. Ma basta il rumore di una porta chiusa con
forza a far
intendere il peggio.
E
lo shock dipinto sul volto del saldatore è un brutto segno
che solo Axel, messo
al corrente dei dubbi del patrigno, riesce a cogliere interamente.
Raggiunge,
perciò, sua madre, ancora in giardino assieme a Yerevan e,
nascondendosi per
bene, origlia la lite tra i due.
“Come
hai potuto farlo? Perché?”
“Non
avrei dovuto, mi dispiace. È che mi sono innamorato di te,
che colpa ne ho! Non
si decide chi amare”- confessa il giovane.
“Innamorato?
Ma sei pazzo? Sei il mio figliastro!”
“Farò la cosa giusta, per il bene di tutti! Mio
padre mi ha detto di andar via,
ed è ciò che farò. Spero possiate
chiarire, perché non posso vivere sapendo di
avergli distrutto la vita”
Conclude
la conversazione con Agata, dicendole, a modo suo, addio. Poi entra in
casa,
ignorando le mille domande dei Dalì, e raggiunge la stanza
dove ha la sua roba
ancora sistemata nelle valigie.
Axel,
invece, affronta sua madre rimasta da sola con il suo senso di colpa.
“Cosa
avete combinato voi due? State insieme?”
“No,
tesoro come puoi pensarlo! Io amo solo Bogotà”
“Allora
come mai ho sentito che lui ti ha baciata?”
“Non
io!” – si giustifica la donna.
“Questo
non cambia le cose”
“Lo so, sono stata una stronza. Ho recato dolore a tutti.
però io non posso vivere
senza di lui, ti prego…aiutami” –
affranta, la gitana implora suo figlio, tra
le lacrime che le scorgano e scivolano violente lungo le sue gote.
E
il gitano non riesce ad essere impassibile di fronte a tanta sofferenza.
Sua
madre ha bisogno di lui, ora più che mai.
“Io
ci sono, ci sarò sempre. Non ho esitato a venire fin qui
quando mi hai chiesto
una mano per le ricerche di Ginny, e non esiterò neanche
adesso” – si avvicina
all’adulta e l’abbraccia.
Un
gesto, quello, che serve alla Jimenez come l’aria ed
è ciò di cui necessita
adesso che sembra essersi creata un vuoto attorno.
Il
suo adorato Axel, quel figlio perduto e poi ritrovato, quel figlio che
ricollegava costantemente a Ginevra, adesso è lì
esclusivamente per lei… non
poteva chiedere di meglio.
Il
gitano è cosciente che è necessario che la coppia
si ricongiunga il prima
possibile, soprattutto perché la situazione di Ginevra va
affrontata senza
intoppi sentimentali di mezzo.
E
tutti ignorano che, in questo momento, Ginny è nelle mani di
chi potrebbe
allontanarla per sempre dalla sua vera famiglia.
Infatti,
proprio in quella casa, di proprietà dei Gonzales, la
maestra Honey consola la
sua alunna.
“Tesoro,
i nonni mi hanno detto cosa è successo! Perdonali, non
volevano offenderti” – le
dice, sedendosi di fianco alla piccola.
“Io
non sono Axel e non voglio esserlo. Mi chiamo Ginevra”
– puntualizza, come a voler
ricordare un dato di fatto che però sembra che chi le
è accanto non vuole
accettare.
“Lo so, cara! Ti prometto che non accadrà
più” – poi la prende in braccio e la
stringe a se, sussurrandole – “Ora sono qui, la tua
mamma è qui, e non
permetterò a nessuno di
ferirti…ancora!”
|
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Capitolo 23 *** 23 Capitolo ***
I
Dalì, ignari del motivo della litigata tra
Nairobi e Bogotá, decidono di incentrare la loro attenzione
sul racconto di
Hanna, la quale si appresta a comunicare alla banda tutti i dettagli
dell’inseguimento di miss Honey.
“Ho
qui una foto, è bene che Sebastìan la
veda per confermare o meno che sia l’auto su cui è
salita Ginny” – spiega la
finlandese, tirando fuori dalla sua borsa il cellulare.
Il
bambino, momentaneamente assente, viene
fatto chiamare da uno dei suoi fratelli.
E’
Julian, incaricato dal Professore, a
convocare il piccoletto di casa.
“Seba,
abbiamo bisogno di te!” – gli
comunica, raggiungendolo nella cameretta dove il gemello di Ginevra
è alle
prese con i compiti scolastici.
Non
ha mai amato dover passare le ore sui
libri, eppure, in momenti tanto difficili, rimpiange i rimproveri
materni e le
sue punizioni per le disobbedienze in tema di studio.
“Cosa
fai?” – domanda il maggiore, curioso,
buttando l’occhio sul quaderno del parente.
“Inglese”
– spiega il più piccolo, indicandogli
la traccia del tema da scrivere.
“Credevo
che voi seguiste una scuola
bilingue” – commenta Quito.
“No!
Perché lo pensavi?”
“Beh,
siete spagnoli” – riflette ad alta voce
il maggiore, alleggerendo, con quelle bizzarre domande, la situazione
stressante respirata in casa.
L’osservazione
di Julian fa ridere il suo
fratellino che lo mette alla prova – “Tu parli
inglese?”
“Ehm…non
proprio, io vengo dal Messico”
“E
allora?! Io sono australiano, però parlo
anche lo spagnolo” – la constatazione di
Sebastìan è logica e veritiera ed
spiazza il giovane, che superficialmente non ha mai creduto potesse
essergli
utile comunicare in un altro idioma.
E
il piccolo Seba nota l’imbarazzo del
consanguineo e così gli propone –
“Appena Ginny sarà qui, ti prometto che io e
lei ti daremo una mano ad imparare l’inglese”
“Davvero?”-
il viso di Quito s’illumina
udendo tali parole.
Presi
da quei discorsi, fuori contesto
rispetto all’argomento centrale,divenuto focale da giorni tra
quelle mura, si
dimenticano che il Professore dieci minuti prima aveva incaricato
Julian di
chiamare Sebastìan per verificare la fotografia di Hanna.
E
infatti, Erik bussa alla porta e rimprovera
i due del ritardo – “Insomma, stiamo aspettando
voi. Scendete in salone o no?”
“Uffa,
proprio adesso che stavamo parlando di
una cosa seria?!” – precisa Julian, creando
ilarità e scatenando la risata
buffa e coinvolgente del bambino.
S’incamminano,
seguendo Copenaghen, verso la sala
che ospita tutti i Dalì.
Però
uno strano rumore proveniente dal
corridoio attira l’attenzione proprio del figlio messicano di
Bogotá.
“Ehm…scusatemi
devo scappare in bagno, arrivo
subito!” – dice, congedandosi momentaneamente. La
sua è un’evidente scusa che
Erik coglie al volo, ma sulla quale sorvola.
Mentre
gli altri due scendono le scale,
chiacchierando di quello che a breve sta per accadere, Quito si accinge
ad
origliare tutte le porte delle stanze di quel piano, fino a riconoscere
che uno
strano lamento proviene dalla camera matrimoniale di suo padre.
Preoccupato
dallo stato emotivo del genitore,
non varca l’uscio ma, rimasto immobile di fronte ad esso,
interviene -
“Papà, va tutto bene? Che succede?”
“Torna
dagli altri, Julian!” – risponde il
saldatore, dopo qualche secondo di esitazione. La sua voce manifesta il
suo
stato depressivo, e il tono distaccato, non tipico dell’uomo,
specialmente nei
confronti della sua prole, spiazza il messicano il quale insiste -
“Ti ho visto
entrare in casa poco fa, ed eri fuori di te. Ti prego, raccontami.
Posso
esserti d’aiuto!”
“Mi
passerà, tu piuttosto va’ dai Dalì.
È
bene trovare tua sorella Ginevra quanto prima”
“Sai
che in fatto di testardaggine sono
esattamente come te, non me andrò fino a quando non aprirai
questa porta” – persevera
il ragazzo.
“Cazzo,
non dovete essere come me. Chiaro? Non
è un bene per nessuno di voi” – si
altera Bogotà. Quello sfogo ha delle
fondamenta, che però sono sconosciute a suo figlio.
“Non
capisco, cosa vuoi dire? Credevo fosse
un orgoglio saperci tanto simili a te” – commenta,
perplesso, Julian.
“Lo
era. Mi sono accorto, purtroppo, che rischiamo
di avere idee e gusti identici…su tutto…questo
non deve accadere più”
Quell’affermazione
confonde il messicano – “Io
voglio essere come te. Anche se ti ho vissuto poco, anche se ho
trascorso la
mia infanzia e parte della mia adolescenza soltanto con mia madre, non
ho
smesso di sognare di diventare un uomo forte e deciso come te”
Di
fronte a tale esternazione, Bogotá
sussurra profondamente e, all’improvviso, apre la porta.
Faccia
a faccia i due si confrontano. Basta un
solo sguardo e il venticinquenne ha la prova decisiva dello stato di
malessere
del padre.
Così,
agitato, il messicano gli chiede - “Che
cosa è accaduto per ridurti così?”
– impossibile non preoccuparsi quando si ha
davanti agli occhi un uomo spento emotivamente, un corpo che cammina,
che non
manifesta sentimenti di alcun tipo.
La
voce di Bogotá è rauca e viene emessa a
fatica – “Non pretendere di essere come me. Io sono
stato un pezzo di merda,
per anni. Ho avuto tante donne, tanti figli, tanto denaro, e anche
tante
sfortune!”
“Però
hai poi trovato l’amore, hai costruito
una famiglia vera” – precisa il venticinquenne,
ignaro di aver toccato un
argomento fin troppo delicato, una ferita ancora sanguinante.
“Mi
sbagliavo di grosso. Nulla è per sempre. Neppure
l’amore”
“Eh?
Cosa dici?” – Julian lo guarda,
stranito, ad occhi sgranati.
“Adesso
vai dagli altri”
“E tu?”
“Ho
bisogno di tempo”
“Dobbiamo
trovare Ginny, ricordi? Torna in
te, papà. E’ tua figlia la priorità,
metti da parte i tuoi drammi!” – Quito è
intenzionato a riportarlo con i piedi per terra, risvegliandolo da un
evidente
stato di depressione –
“ Siamo vicini
alla verità, e adesso Sebastìan sta per offrirci
un dettaglio essenziale. Ti prego,
scendi in salone con me!” – gli porge la mano in
attesa che venga afferrata.
Bogotá
sente sulla sua pelle il peso di ogni
singola parola appena pronunciata da suo figlio. Sa benissimo che
Ginevra ha la
precedenza su tutto, eppure al momento sembra faticare addirittura ad
uscire da
quella maledetta camera ed affrontare la realtà.
“Devi
reagire, qualsiasi cosa sia accaduta. Hai
noi qui per te, siamo i tuoi figli, non ti lasceremo solo”
Già…i
suoi figli, la sua prole, i suoi eredi…quel
pezzo di cuore per cui lui venderebbe l’anima, nonostante il
passato,
nonostante la poca vicinanza.
E
invece, il pensiero vola diretto ad Emilio
in auto con Nairobi.
Il
flash del bacio tra i due non gli dà pace.
E istintivamente chiede - “Posso farti una domanda?”
“Certo”
“Tu
tradiresti mai la mia fiducia?”
Quesito
altrettanto bizzarro, così come il
comportamento del saldatore, agli occhi di Julian, che, spiazzato, non
comprende il senso di quell’interrogativo e si limita a
rispondere con una
verità assoluta - “Ovviamente no!
Perché me lo chiedi? È indubbio”
È
la risposta che Bogotá che pietrifica il
messicano – “Non è sempre
così scontato che un figlio sia fedele a suo padre,
sai?”
Seguono
attimi di silenzio che sembrano
durare un’eternità.
È
chiaro che l’adulto è furioso con qualcuno;
Quito se n’è accorto - “Ti riferisci a
qualcuno in particolare? Non riesco a
stare dietro ai tuoi ragionamenti, papà! Dimmi chiaramente
cosa ti è successo. Riguarda
uno di noi?”
In
quel preciso istante, una porta delle
stanze degli ospiti, precisamente quella in fondo al corridoio, si apre
e ne
fuoriesce l’ultima persona che il saldatore ha intenzione di
affrontare.
“Ehi,
ma dove vai?” – lo chiama Julian,
notando Yerevan con una valigia.
E
così il venticinquenne in un battibaleno si
trova di fronte un padre che si richiude nuovamente nella stanza, e un
fratello
la cui partenza inspiegabile alimenta i suoi sospetti.
“Ehi,
fratello ma che cosa cazzo fai?” –
anche Drazen, nota subito il venezuelano con il trolley, prossimo a
raggiungere
il portone.
Nel
giro di alcuni secondi, Emilio è
circondato da tutta la Banda presente.
Alle
mille domande poste, il ventisettenne
non risponde.
Si
limita ad ignorare e a cercare di farsi
strada tra i compagni che ostacolano la sua uscita di scena.
“In
bocca al lupo per tutto” – dice il ragazzo,
riferendosi al Professore, l’unico rimasto in disparte,
silenzioso come suo
solito.
“Non
puoi lasciarci” – singhiozza Sebastìan,
sentitosi tradito da quell’improvviso cambio di rotta del
fratello maggiore.
“Piccolo,
sono certo che ve la caverete anche
senza di me. E appena Ginevra tornerà a casa,
verrò a salutarvi” – saluta tutti
con un cenno di mano, affranto dal doverli lasciare, seppure
promettendo di
riunirsi presto. Promessa che sa benissimo di non rispettare, dati gli
attriti
creatisi con Bogotá e Nairobi.
Prima
di lasciare la villa, però, qualcuno si
aggrappa ad una gamba del venezuelano.
“Seba,
ti prego! Non renderla ancora più
difficile, lasciami andare via!”
“Voglio sapere perché ci abbandoni”
– singhiozza il piccolo, sotto lo sguardo
ferito e impassibile di Alba.
“Non
vi abbandono!”
“Sì
invece” – interviene Yaris, scagliandogli
contro la sua delusione – “Ti stai comportando come
papà; arrivi, resti per un po',
e infine ci dici addio. Credevo fossi diverso”
Amareggiato
dall’atteggiamento di un fratello
che ama immensamente, Mykonos si allontana e nella foga prende con
sé anche i
due più piccini, per evitargli altro dolore.
Udire
quel paragone fa sussultare Yerevan che
ormai ha l’assoluta certezza di essere diventato
ciò che non voleva diventare. Ha
assorbito il modello negativo del padre e ha recato male a chi
più tiene alla
sua persona.
“Ci
vuoi dire come mai hai preso questa
decisione?” – interviene Tokyo.
“E’
giusto così! Vi consiglio di aiutare papà
e Nairobi a chiarire. Solo così potranno collaborare alle
ricerche di Ginevra”
“Dovrebbe
essere la loro priorità, invece
nostro padre è chiuso in camera da ore e Nairobi
è con Axel in giardino” –
commenta, infastidito, Julian.
“Sai
benissimo che è la loro priorità; io
sono stato l’impiccio che ha impedito che si concentrassero
sulla bambina. Adesso
andrò via, in questo modo tutto sarà
più semplice. Addio” – conclude in quel
modo quell’avventura, un’avventura di brevissima
durata, che l’ha visto
piangere di gioia, riabbracciando la sua famiglia, scoprire persone
meravigliose, e soprattutto… arrivare a Perth gli ha
permesso di conoscere una
donna che per la prima volta gli ha dato attenzioni che mai nessuno gli
aveva concesso,
attenzioni che lo hanno illuso e hanno toccato intimamente il suo
cuore.
Con
il magone, lascia la villa, pronto a
raggiungere, in taxi, l’aeroporto.
Non
ha più senso rimanere. E
con i Dalì alle sue spalle, alcuni dei tanti
in lacrime, Emilio saluta quel briciolo di serenità che
aveva creduto di poter vivere
per il resto della vita.
E
così, la Banda dopo aver scoperto, tramite
Sebastìan, che l’auto fotografata è
esattamente quella su cui è salita Ginevra,
cade nuovamente nello sconforto.
“Che
si fa adesso?” – domanda Lisbona a
Sergio.
“La
conferma di Seba ci aiuterà a risvegliare
Nairobi e Bogotà dai loro drammi. Siamo vicini ormai. E
adesso sappiamo anche
dove si trova la bambina!”
***********************************************
Carmen
è in sala da pranzo, intenta a
sistemare i piatti nella credenza, quando l’improvviso arrivo
di Jorge la fa
sussultare.
“Mi
amor, non posso crederci” – esclama,
agitato, il Gonzales.
“Calmati,
per favore. Siediti e raccontami” –
dice la donna, invitandolo a prendere posto al tavolo.
Nel
mentre, gli versa metà della camomilla
che ha appena preparato.
“Sai
bene che io controllo spesso le telecamere
di sicurezza che abbiamo posizionato fuori dalla villetta”
“Certo,
non capisco come mai lo fai. Sarà noioisissimo”
“Ebbene, stavolta direi che non è stato affatto
noioso! Non sai chi ho visto…”
“Chi?”
“Agata!”
“Cosa?”
– esclama la zingara e in un
battibaleno la tazza con la bevanda bollente cade sul pavimento,
frantumandosi.
“Non
può essere”
“Ebbene sì! Era con due ragazzini, non so chi
possano essere”
“Sei
sicuro fosse lei?”
“E’
identica a te. Non ho dubbi. Eccola,
guarda con i tuoi occhi!”
Carmen
Jimenez a distanza di circa vent’anni
ha la possibilità di vedere sua figlia, tramite immagini
registrate, proiettate
adesso tramite un computer.
“Come
mai è venuta sin qui, mi chiedo” –
riflette l’uomo ad alta voce.
La
settantenne non emette suono, fissa lo
schermo senza battere ciglio.
È
la frase di suo marito a restituirle la
parola.
“Mi
amor, dobbiamo dirlo a Carol!”
“No!”
– esclama lei, senza esitazione.
“Perché?
Non dirmi che adesso sei contro di
lei”
“Non sono contro nessuno, però è bene
per quella donna non sapere che mia
figlia si aggirava da queste parti. È assodato che ormai la
mia Agata sospetta
di questo luogo. Se è giunta fin qui, sa che noi abitiamo a
Perth e ha fatto
dei collegamenti”
“Cosa
dobbiamo fare allora?”
“Bisogna restituirle Ginevra!”
“Come?
Non dirai sul serio?” – Jorge è
allibito da tali parole.
“Non
abbiamo altra scelta. La recita è durata
anche troppo, è giunto il momento di rimettere tutto al
proprio posto”
|
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Capitolo 24 *** 24 Capitolo ***
Nairobi,
avvolta dalle esili braccia di suo
figlio, rincasa, cercando di mostrarsi quanto più forte
possibile. Difficile
farlo sapendo che Ginevra è probabilmente assieme alle
persone che la gitana
odia di più al mondo, difficile farlo sapendo di aver
distrutto definitivamente
la relazione con Bogotá, difficile farlo sapendo che anche
Emilio, costruitosi
una storia d’amore degna di Oscar nella sua testa, deve
lasciare la missione
per ordine di suo padre.
Quando
i due Jimenez raggiungono la Banda,
notano una strana tensione nell’aria.
E
quando Agata chiede spiegazioni a Tokyo, l’amica
le dice - “Abbiamo avuto conferma. Eravate sulla pista
giusta. L’auto su cui è
salita Ginny è quella del tuo patrigno, Nairo”
Il
corpo di Axel s’irrigidisce sentendo
tirare in ballo quell’uomo.
“Dobbiamo
portarla via da quell’inferno.
Potrebbero farle del male, magari somministrarle alcool, droghe per
stordirla,
magari hanno intenzione di usarla come merce di scambio con la polizia,
cazzo
dobbiamo agire” – e il panico del gitano non tarda
a mostrarsi.
“Manteniamo
la calma, per favore” –
interviene Sergio – “Abbiamo valutato bene la
faccenda e pensavamo di
indirizzarci su qualcuno in particolare..”
“Chi?”
– domanda Agata.
“Betta”
– risponde Sebastìan.
“Una
bambina? No! Assolutamente no!”
“Pensaci,
è l’unica che può agire per noi
dall’interno” – la fa riflettere Lisbona.
“Ok,
ma se dovessero scoprirla e farle del
male? Non me lo perdonerei”
“Faremo
in modo che nulla di tutto ciò
accada. Fidati” – ribadisce il Professore.
“Vi
giuro che se le succede qualcosa, io sono
disposta anche a costituirmi…”
“Non dire stronzate” – aggiunge Denver
– “Manderesti a puttane tutta la tua
felicità, sai che fine farebbero i tuoi figli?”
È
chiaro il riferimento che Daniel Ramos fa
in quell’istante.
Sì,
Nairobi sa bene cosa potrebbe accadere se
si fosse costituita come penitenza per il male procurato ad
innocenti…lei sa
bene che ciò ricadrebbe su Bogotà, che verrebbe
automaticamente catturato e
sbattuto in galera…e i bambini?...loro
vivrebbero esattamente come
ha vissuto Axel, senza genitori, in case famiglia, affidati ai servizi
sociali.
La
Jimenez rabbrividisce al solo pensiero e
scende a compromessi con il Marquina – “Betta deve
essere protetta ventiquattro
ore su ventiquattro. Nessuno, dico nessuno, dovrà torcerle
un solo capello”
Soddisfatti
di averla convinta, i Dalì le
promettono quanto detto.
“Non
metterò in pericolo nessun altro. Già
voi siete a rischio, non devono essercene altri!” –
aggiunge la gitana, con
voce tremante, prossima a cedere al pianto.
“Adesso è me che devi ascoltare!”
– a quel punto interviene dal fondo della
stanza colui che anni addietro fu salvato dai Dalì
– “Tu non hai esitato a
metterti nella tana del lupo quando mi catturarono, dodici anni fa.
Tutti avete
rischiato, per una mia cazzata. Stavolta non c'è nessuna
cazzata di mezzo,
stavolta si tratta di una bambina…e i bambini, dannazione, i
bambini…no, non si
toccano. Quindi fanculo i sensi di colpa, non devono esistere. Noi
siamo
responsabili per le decisioni che prendiamo. E se abbiamo accettato, lo
facciamo non sotto costrizione, non perché ti dobbiamo un
favore! Cazzo,
Nairobi, si tratta di Ginevra! Io l’ho vista nascere quella
bambina… è per me
una figlia, e i figli sono sacri. Nessuno tocca un figlio di uno dei
Dalì!”
Le
parole di Rio sono l’esatto pensiero di
ogni membro presente che annuendo, spalleggia Cortès.
“Siete
la famiglia migliore del mondo” – si
commuove Nairobi e finalmente, dopo giorni di apatia e totale perdita
di
lucidità, riesce a ringraziare gli amici, come meritano
davvero.
Accolta
dagli abbracci di tutti, inclusi i
figli di Bogotá, Agata sente di aver ripreso a vivere. Il
cuore è tornato a
batterle, nonostante il dolore che ancora preme e le toglie il fiato.
“Adesso
devi risolvere con tuo marito, però!
Noi potremmo anche essere la famiglia migliore del mondo, ma lui
è il tuo
cuore. E sai bene che senza cuore non si può
vivere” – le sussurra Silene
all’orecchio, invitandola a raggiungere il consorte chiuso da
ore in camera.
“Ho
fatto una cazzata, non mi perdonerà mai”
“Immagino
già, ho visto la sua faccia e
quella di Emilio, per di più lui ha lasciato la villa con la
valigia, beh…ho
fatto due più due… però,
l’importante è aver capito i tuoi sentimenti e
cosa
desideri dalla vita”
“Come
sei diventata saggia, Silene Oliveira!
Mi domando cosa ti sia accaduto” – sorride Nairobi,
seppure in lacrime per la
forte emozione.
Emozione
che contagia anche Tokyo – “Ho avuto
una brava insegnante”
Mentre
le due donne vivono un momento loro,
di tenerezza, Axel s’isola, sedendosi sulle scale che
conducono al primo piano
della villa.
“Ehi,
ancora brutti pensieri?”
“Ivana,
sei diventata il mio angelo custode?”
“Eh
che viviamo sotto lo stesso tetto,
inevitabilmente mi accorgo del tuo malessere, sai?”
La
biondina osserva il parente acquisito in
silenzio, studiando le sue espressioni.
“Sei
un’ottima osservatrice, allora” – si
complimenta, seppure mantenendo lo sguardo fisso a terra, torturandosi
le dita
delle mani in segno di nervosismo.
“Cosa
ti agita?”
“Quell’uomo!”
“Quale? Il patrigno di tua madre?”
“Esatto, se facesse del male a Ginevra?”
La preoccupazione da fratello maggiore, nei confronti di una bambina
che,
seppure consanguinea, non ha mai conosciuto, colpisce piacevolmente
Varsavia
che, gli propone.
“Ti
va di conoscere Ginny insieme a me?”
“Eh?”
– esclama lui, confuso.
“Seguimi”
– prendendolo per mano, la ragazza
lo conduce fino alla cameretta dei gemelli.
“Questo
è il suo letto, vedi? C’è la coperta
di Frozen!” – spiega l’ucraina.
“Immaginavo,
in fondo Sebastìan è più un
tipetto da macchinine e supereroi”
“Ecco,
guarda cosa c’è qui!” – dice
Ivana,
mostrando ad Axel il diario della bambina.
“Un
diario segreto!”
“Esatto,
Nairobi l’ha letto, ma non ha
precisato granché sul contenuto. Io però mi sono
incuriosita e l’ho cercato”
“Secondo te questo quaderno può dirci tanto di una
persona?” – domanda,
perplesso, il gitano.
“Provare
non costa nulla!”
Sedutisi
sul morbido tappeto rosso, posto al
centro della stanza, i due si aprono al mondo segreto di Ginevra.
Ma
Axel probabilmente mai avrebbe immaginato
di trovarsi coinvolto tra quelle pagine.
******************************************
Nairobi,
su consiglio di Tokyo, raggiunge la
porta della sua camera da letto.
Sa
bene che Bogotá è lì dentro.
La
tensione alle stelle le fa vibrare il
corpo.
Persino
la ferita, cucitale e ricucitale
dodici anni prima, pulsa con forza, come a volerle ricordare di un
dolore
talmente invasivo da impedirle di respirare.
Con
il cuore in gola e un’indescrivibile
morsa allo stomaco, la gitana dà un paio di colpetti
all’uscio.
Non
riceve alcuna risposta.
Così
riprova.
Nulla.
Bogotá sembra non interessato ad
ascoltare nessun altro.
Che
buffo pensare che proprio dove si trova
oggi,dodici anni prima stava vivendo attimi di gioia sognati da tutta
una vita.
E così, in quell’istante, si mostra chiaro e
dettagliato, l’episodio della sua
prima notte di nozze.
“Che
cosa fai? Guarda che sono pesante!”
“Ti
prendo in braccio! Non si fa così con le
spose?” – precisa Bogotà, afferrando la
sua novella moglie, con ancora indosso
un appariscente ed elegantissimo abito bianco.
Con
estrema attenzione, spaventato di poterle
fare male viste le recenti ferite da battaglia, procuratele dai loro
nemici, il
saldatore oltrepassa l’uscio della camera da letto, con la
sua donna tra le
braccia.
“Mai
nessuno mi aveva trattata come fai tu,
sai?”- sussurra Nairobi al suo orecchio, dandogli, subito
dopo, un bacio tenero
sulla guancia.
“E
tu sei la sola donna che ha saputo rapire
il mio cuore!”
“Ne
avrò cura come tu fai con il mio ogni
giorno”
Scambiatisi
dolci parole, baci delicati e fin
troppo casti per lo standard di Agata, è proprio la gitana a
mettere piede per
terra e dimenticarsi il pudore.
“Questa
prima notte di nozze sarà
indimenticabile” – lo provoca, mordicchiandosi il
labbro inferiore.
Spinge
il marito sul letto, mostrando il suo
lato più nascosto.
Un
lato che Bogotá sospettava Nairobi avesse,
ma di cui non ebbe mai prova fino a quel momento.
Guarda
la sua boss preferita, quella che gli
disse “Non ti toccherei neanche con un palo”,
liberarsi del vestito di pizzo
bianco. La donna canticchia qualcosa mentre, lentamente, si denuda. Man
mano
che indumenti cadono sul pavimento, il saldatore sente il cuore
accelerare
bruscamente. E più la studia in ogni dettaglio,
più se ne innamora …si innamora
della sua pelle, delle sue labbra, dei suoi capelli, di ogni parte del
suo
corpo. E quella notte nessuno poté mai dimenticarla.
Perché
quella fu la prima di tante notti che
regalarono alla coppia dei tasselli di felicità a quel
puzzle creato da
entrambi...un puzzle di famiglia.
“Bogotá,
sono io. Posso parlarti?” – a quel
punto, decide di prendere parola, ormai presa dai ricordi e dal
dispiacere per
il male recato all’uomo a cui aveva promesso amore
incondizionato.
Eppure
la Jimenez conosce il
marito…nonostante ciò non demorde.
Insiste,
piange, grida la sua rabbia, si
abbatte e si rialza… fa tutto ciò senza vergogna
alcuna, senza timore di
mostrarsi fragile, vogliosa soltanto di potersi specchiare di nuovo
negli occhi
del solo uomo che le ha restituito la voglia di amare.
“Vorrei
che mi dicessi ciò che senti, in
faccia. Vorrei mi gridassi quanto ti faccio schifo, perché
lo so che è così...
so di averti fatto molto male, e non ti chiedo di perdonarmi, non me lo
merito.
Chiedo di saperti insieme a me nelle ricerche di Ginevra. Adesso
abbiamo la
conferma che mia madre e il mio patrigno sono coinvolti. Non possiamo
lasciarla
nelle loro mani, ti supplico”
E’ quella comunicazione che sembra finalmente smuovere le
acque.
Il
chiavistello viene girato; niente più
serratura…la porta si spalanca.
Di
fronte a Nairobi c’è un uomo il cui volto
racconta una sofferenza difficile da spiegare a parole. Un uomo preso
in giro
dal destino e devastato da sentimenti contrastanti che lo spingono a
detestare
chi l’ha tradito, e al contempo a detestare se stesso per
aver resto possibile
tutto ciò.
“Amore
mio” – lei avanza verso l’uomo che, al
contrario, indietreggia.
“Cerchiamo
Ginevra!” – senza proferire altre
parole, il saldatore dei Dalì schiva la moglie e raggiunge
il gruppo per gli
aggiornamenti sul caso di sua figlia.
Udire
quella notizia riaccende la speranza di
un padre che per giorni si è sentito escluso, si
è sentito di troppo, si è
sentito messo costantemente da parte, un padre che ha ospitato figli
che non
vedeva da anni con la speranza di accoglierli sotto la sua ala
protettrice, un
padre costretto ad assistere ad un bacio tra due delle persone che
più ama.
“Eccoti,
finalmente! Come stai?” – domanda
Julian, andando incontro al genitore.
“Tranquillo,
figliolo! Adesso voglio sapere
cosa dobbiamo fare…qual è la prossima mossa
Professore?”
Tokyo
nota l’assenza di Nairobi intuendo che
il suo consiglio è servito a poco. E quando la vede
comparire dal fondo del
salone, ha conferma che la crisi è troppo profonda per
essere superata con due
parole di scuse.
Abbracciando
a sé la gitana, Silene le offre
la sua amicizia e la sua presenza: tutto pur di rivedere quella che
è diventata
sua sorella tornare a sorridere.
Chi
invece non sorride è Axel, che ha appena
chiuso il diario di Ginevra dopo una scioccante rivelazione.
“Mi
odia!” – commenta, amareggiato.
“No, non dire così! Abbiamo frainteso,
forse”
“No, no! Ginevra mi detesta. Ma, in fondo, come darle torto.
Sarebbe lo stesso
per chiunque se la propria mamma facesse costanti paragoni”
Lo
shock sul viso del ragazzo testimonia
l’amarezza che prova per una situazione che gli risulta fin
troppo pesante da
sopportare.
“Nairobi
è stata legata al tuo ricordo troppo
a lungo”
“E Ginny ne ha risentito! Bisogna intervenire prima che sia
troppo tardi”
“Dovremmo
ascoltare il piano del professore,
probabilmente la maestra è coinvolta”
“E’
sicuro al cento per cento. E a questo
punto, mi domando…cosa vuole quella donna da mia sorella?
Cosa la lega ai miei
nonni?”
“Probabilmente
loro minacciano l’insegnante
per costringerla ad agire in questo modo…forse
l’hanno costretta a rapire la
piccola!” – ipotizza l’ucraina.
“Dobbiamo
agire, voglio abbracciare mia
sorella e farmi amare da lei. Basta
abbattersi…d’ora in avanti il mio obiettivo
è riportare Ginny qui e dimostrarle quanto la nostra
somiglianza può essere un
bene, e non un male!”
“Così
si parla” - esclama, fiera,
Ivana, notando una insolita determinazione nel parente.
L’atteggiamento
mostrato dimostra esattamente
quanto di Nairobi è stato ereditato da quel giovane gitano.
La
sua tenacia sono la piena conferma.
************************
Nel
frattempo…
“Carmen,
cosa dici? Non possiamo riportare
Ginevra a casa! Sarebbe da folli”
“Invece non lo è. Io con questa miss Jones non
voglio più avere a che fare! Ci
ha soltanto usati per i suoi sporchi comodi”
“Mi amor, non urlare o ti sentirà”
“Me
ne frego. Che capisca pure quanto la
disprezzo. Sono stata zitta e buona fin troppo. Ora basta, ne va della
vita
della mia nipotina”
“Cosa
vorresti fare?” – chiede, preoccupato,
Jorge.
“Approfittare
della mattinata scolastica di
Caroline per prendere Ginny e lasciarla ai genitori”
“Non
mi sembra un’idea fattibile” – precisa
l’uomo.
“Non
m’interessa. Ho deciso. Faremo
così!”
Ma il destino, si sa, ci mette sempre lo zampino…e ad
ascoltare i due anziani è
proprio la diretta interessata.
Donna
calcolatrice, ha premeditato tutto e
sospettava già dal principio di un probabile tradimento. Per
tale ragione ha
nascosto delle telecamere nella cucina e in altre sale.
“Bene,
bene…e bravi i vecchietti! Così
vorrebbero fregarmi? Si sbagliano di grosso”
Chiusa
nella sua stanza, con un pc di fronte
a sé, collegato alle varie spie disposte in casa, la Jones
ascolta e guarda la
conversazione segreta.
“Non
mi lasciate altra scelta”
Consulta
il sito aereo a lei conveniente e
prenota due voli.
“Nessuno
mi separerà da mia figlia…nessuno”
Afferra
due borsoni e li riempie di abiti.
In
dieci minuti li carica sull’auto di Jorge,
parcheggiata nel garage.
Il
tutto le riesce facile, grazie ad un
sottoscala adiacente al vecchio bagno al piano terra.
Prossima
a mettere in atto il piano di fuga,
Caroline Jones si avvicina a Ginevra, sdraiata sul lettino a leggere
uno dei
libri regalatele dalla nonna, e le fa una proposta incredibile.
“Ti
va se lasciamo Perth per qualche giorno?”
Nessuno
avrebbe mai sospettato di lei,
nessuno avrebbe mai pensato che da lì a poche ore le due
sarebbero volate via
da Perth.
Nessuno…
Questo
pensa la signora Honey.
E
invece, stavolta, il suo folle genio
sbaglia mossa.
In
quel preciso aeroporto è presente qualcun
altro, deciso a lasciare l’Australia.
“Mamma,
si sto bene. Torno a casa”
“Cosa
succede Emilio? Scommetto che tuo padre
non ti ha accolto come meriti, vero?”
“No,
anzi. Tutto il contrario. È solo che qui
sento di aver finito la missione”
– il ventisettenne cela la
verità,
perché sarebbe sconvolgente raccontare alla madre di essersi
preso una sbandata
per la matrigna.
“Cosa vuoi dire?”
“Beh ecco….” – Yerevan, a
telefono, spiega le ragioni della sua ripartenza,
inventando storie che hanno poco di credibile.
È
ormai vicino al gate d’imbarco quando,
casualmente, riconosce una coppia appena arrivata nella sua stessa area.
“Ci
sentiamo dopo, devo chiudere” – così
dicendo saluta l’apprensivo genitore e scruta, da lontano, le
persone sospette.
“Cazzo”
– esclama poi.
Impossibile
non riconoscere precisamente di
chi si tratta.
“Puttana,
dove la sta portando!”
- preda del panico, Emilio compone il primo numero
in agenda.
“Ehi,
finalmente ti fai sentire! Dimmi che
hai cambiato idea e che hai intenzione di restare, ti prego”
– dopo alcuni
squilli, la voce della sorella finlandese dà segni di vita.
“Hanna,
ascolta, è molto importante. Devi
dire a papà e Nairobi di venire in aeroporto quanto
prima”
“Perché? Cosa stai dicendo? Non capisco!”
C’è
caos dall’altro lato della cornetta,
segno che i Dalì sono tutti sull’attenti.
“Ho
appena visto la maestra Honey! E non è da
sola… Ginevra è con lei. Ora non ho
più dubbi… la sta portando via”
|
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Capitolo 25 *** 25 Capitolo ***
Panico,
caos, ansia, disordine, confusione.
Si
respira di tutto in casa “Sanchez”.
A
percepire la tensione sono Alba e Sebastìan
che, seduti sul divano, osservano i Dalì mobilitarsi,
muoversi continuamente di
camera in camera, con in mano computer, radio…
Nairobi
è la prima a dirigersi verso l’uscita
quando ascolta Hanna comunicare al gruppo la notizia ricevuta da Emilio.
Lei,
nonostante la poca fiducia verso quel
ragazzo che l’ha baciata, mandando
a
puttane il suo matrimonio, crede fortemente nelle sue parole. Non esita
un solo
istante.
“Dove
vai? Non puoi andare fin lì! E’
rischioso…” – la trattiene Tokyo,
afferrandola per un braccio.
“Io
vado a riprendermi mia figlia! Cazzo,
sapete cosa significa questo per me? Sono giorni che è
lontana, che ho temuto
fosse stata rapita dalla polizia o da qualche maniaco! E adesso che
è si trova
a pochi kilometri da qui, credete davvero che me ne stia in casa a
girarmi i
pollici?” – decisa ad intervenire in prima persona,
la Jimenez si rivolge al
marito – “Andiamo insieme?”
Ma
il saldatore è in silenzio e sembra non
darle sostegno in una decisione che, al contrario, sarebbe dovuta
essere
condivisa da ambo i genitori.
“Aspetta,
Nairo! Non è bene che qualcuno vi
veda lì” – interviene il Professore
– “Se la maestra vi riconoscesse, potrebbe,
a questo punto, smascherarvi”
“Se
Emilio stesse bleffando?” – aggiunge
Bogotá,
intromettendosi con aria alquanto seccata. Solo nominare il
primogenito, lo
irrita terribilmente e gli riporta alla mente una scena disgustosa tra
il
ventisettenne e Agata.
“Cosa
cazzo stai dicendo? Non lo farebbe,
papà” – aggiunge Drazen, spiazzato dalla
considerazione paterna.
“Ehm….
fratello, lascia stare” – Julian, a
sostegno del padre, zittisce il consanguineo.
Sono
poche le possibilità allora: devono
agire i soli sconosciuti, sia alla nota maestrina che alla stessa
Ginevra. I soli
Non Ricercati del gruppo.
“Andiamo
noi” – la voce di Axel attira
l’attenzione.
Il ventunenne è posizionato di fianco a Ivana, vicino la
porta d’ingresso del
salone e ha chiare intenzioni di agire in prima persona.
“Voi
chi?” – chiede la gitana.
“Io
e Varsavia!” – spiega il ragazzo, prendendo
la mano della sorella che gli è accanto.
E
quel gesto, tanto dolce e amorevole,
confonde i Dalì che si guardano tra loro cercando, ciascuno,
risposta nello
sguardo degli altri.
“Ma,
tesoro, non è sicuro che voi…”
“Mamma,
per favore. Direi che è bene che
nessuno sappia né di me né di Ivana, per poter
spiare meglio la situazione” –
puntualizza Avana.
“Emilio
mi tiene aggiornata, man mano! Ha detto
di affrettarsi...” spiega Hanna, sostenendo la proposta dei
due candidati alla
missione.
“Io
qui, ferma, muoio” – commenta Nairobi,
tesa come una corda di violino.
“Tu
devi pensare a Ginevra! Fallo per lei,
ok? Resisti” – con quelle parole, il giovane gitano
abbraccia la madre e le
sussurra – “Riporterò la mia sorellina a
casa”
Ivana,
nel frattempo, si è avvicinata a
Bogotà.
“Papà,
per favore, metti da parte il rancore.
Qualsiasi cosa sia successa, che non vuoi raccontare, fidati di
noi”
“Io di voi mi fido!” – afferma certo il
saldatore, accarezzando con dolcezza i
morbidi capelli biondi della ragazza –
“E’ di tuo fratello maggiore che mi fido
meno”
Pronunciando
quell’affermazione, gli occhi
dell’uomo si posano sulla moglie.
“Perché
dovrebbe raccontare frottole?”
“Nulla,
lascia stare! Qualsiasi cosa, usate i
cellulari” – conclude, per darle poi un bacio sulla
fronte.
Cedute
le chiavi dell’auto di famiglia, i due
salutano i rispettivi figli ricordandogli per l’ennesima
volta prudenza.
E
con il cuore in gola, e la rabbia verso una
situazione di merda che li costringe ad essere chiusi tra quattro mura,
impedendogli di riprendersi ciò che gli appartiene, i
coniugi cercano di
distrarsi con le mosse successive, indicate dal Professore.
“Rio!
C’è bisogno di te adesso” – lo
chiama
Sergio, dopo le raccomandazioni ad Avana e Varsavia.
“Come
si muoviamo?”- domanda
Denver.
E
così Cortés scatta immediatamente e si
posiziona di fronte ad un paio di computer di proprietà del
Marquina.
“Fratello,
guarda cosa combino ai sistemi informatici
dell’aeroporto di Perth” – ridacchia
Anibal. Le dita del compagno di Tokyo si
muovono rapide sulla tastiera.
Concentrato
al massimo, mentre gli amici
cercano di intuire qualcosa, di fronte ad un genio di quella portata,
Rio
riesce nella missione. E lo fa in pochi minuti.
“Ecco
fatto” – comunica, esultando.
“Cosa
avresti fatto? Non mi è chiaro” –
commenta Tokyo, perplessa.
È
Sergio a spiegarlo – “Ha appena creato dei
disagi tecnologici che costeranno ai passeggeri di tutti i voli da
Perth una
perdita di tempo notevole”
“Cazzo,
sei un genio” – solo allora Denver
capisce il ruolo dell’amico.
“Quindi
ci saranno dei ritardi nei voli,
giusto?”
“Giusto,
Stoccolma!”
“Ho
una domanda, però!” – riflette Helsinki – “Come
faceva la maestra ad avere passaporto
di bambina? Deve aver prenotato biglietti… come ha
fatto?”
Dilemma
a cui nessuno aveva pensato, neppure
una mente tanto meticolosa come quella del capobanda.
E’
Nairobi a balzare in piedi, udendo tali
considerazioni.
“Cazzo!”
– esclama, correndo nella camera
dove, in uno dei cassetti dell’armadio, sono di regola
custoditi dei documenti
importanti.
Rovista,
gettando all’aria anche carte e
fogli di vecchi giornali, conservati in ricordo delle rapine svolte.
“Allora?
L’hai trovato?” – domanda Lisbona,
raggiungendo l’amica.
Agata
scuote il capo, ma non demorde.
Si
sposta nella stanza dei gemelli e setaccia
ogni angolo.
Nulla.
Nessun
passaporto.
Niente
di niente.
“Per
caso quella donna è stata qui?” –
chiede,
allora Nairobi a
Bogotá.
L’uomo
alzando gli occhi al cielo,
infastidito da allusioni e apparenti rimproveri, scuote il capo.
“Mi
credi scemo fino a questo punto” –
commenta poi.
La
Jimenez finge di non sentirlo, troppo
presa dal panico per litigare con il consorte.
Così
si sposta sui figli ed interroga loro.
“No,
mamma! Qui non è mai venuto nessuno” –
afferma, convintissima, Alba.
“E
come si spiega che il documento si è
volatilizzato?” – l’umore della donna,
decisamente sottoterra, lascia spazio ad
un nervosismo ingiustificato.
“Non
lo so!”
“Non
avrete mica giocato con delle carte che
vi ho detto di non toccare?”
I
piccoli si guardano l’un l’altro, ed è
il
maschietto a confessare qualcosa – “Ginny una volta
ha rovistato lì dentro!”
A
quel punto, la soluzione è sotto il naso di
tutti. Eppure, in un primo momento, nessuno sembra carpire
l’azione della
bambina nascondesse la motivazione della sparizione del
passaporto….e della sua
stessa scomparsa.
“Lì
dentro, dove?” – anche il saldatore si
pone in allerta.
“Nel
comodino della vostra camera da letto” –
continua Seba.
Marito
e moglie, inconsapevolmente, si
guardano l’un l’altra, condividendo la medesima
ansia.
“Hai
visto cosa ha preso?” – chiede il
capofamiglia, inginocchiandosi di fronte al figlio.
“A
questo punto, direi, il passaporto” –
precisa Alba.
“Cosa
cazzo doveva fare con il passaporto?” –
è il dilemma che Agata non riesce a spiegarsi.
E
la risposta, forte e lacerante, viene
proprio da Bogotá.
“Scappare”
*****************************************************
Invece,
in aeroporto, scoppia la catastrofe
operata da Rio.
Voli
ritardati, sistemi informartici
completamente in tilt.
“Cos’è
questo casino!” – brontola Caroline
Jones notando i passeggeri lamentarsi di qualcosa accaduto a cui non
c’è
immediata soluzione. Sospettosa, chiede spiegazioni, avvicinandosi ad
un uomo
con due valigie.
“Resta
qui, tesoro. Torno subito” –
raccomanda a Ginevra. E così la piccola, seduta in attesa,
stringe tra le mani
un documento importante.
Il
suo passaporto.
La
carta della libertà, come l’ha sempre
chiamato la maestra Honey.
Fissa
quel pezzo di carta e ricorda di
quando, di nascosto, entrò nella stanza dei genitori, e lo
portò via.
Un
colpo degno di una figlia di rapinatori.
Un
colpo messo a segno in un millesimo di
secondo, scoperto solo, casualmente, da Sebastìan.
La
mente della piccina vaga e dilaga, fino a
quando una voce la fa sussultare.
“Ciao,
dove vai di bello?” – le domanda una
persona sconosciuta.
Un
ragazzo moro dalla carnagione altrettanto
scura, si siede accanto a lei.
E
la piccola si ritrae – “La mia mamma mi ha
sempre detto di non dare confidenza agli sconosciuti”
“Anche
la mia diceva sempre questo! E diceva
anche “Non accettare caramelle da chi non
conosci!”!” - ridacchia il tipo,
imitando la voce materna
La
sua imitazione fa sorridere Ginny.
“Non
temere, non ho intenzioni cattive”
“Chi
me lo garantisce?” – chiede la figlia di
Bogotà, mostrandosi cazzuta al pari di sua madre.
“Io
sono Emilio, molto piacere” – le porge la
mano, mostrandosi quanto più solare possibile.
Lo
sguardo di quel tipo tranquillizza Ginevra
che, seppure restia, abbassa le difese.
“Anche
la mia”
“Anche
la tua, cosa?”
“La
mia mamma…anche la mia mamma dice sempre
quella storia delle caramelle”
“Bene.
E’ saggia e ha ragione”
“Io
le ho disobbedito, però”
Emilio,
o meglio Yerevan, finge stupore – “Come
mai?”
“Beh…”
La
parola di Ginevra viene zittita dalla
maestra che, da qualche metro più avanti, nota la presenza
dello straniero e
richiama la bambina.
“Devo
andare” – lo saluta afferrando la sua
piccola valigia rosa.
A
quel punto, il venezuelano, sospettoso,
cerca conferma ai suoi pensieri.
“E’
quella la tua mamma?”
Domanda
geniale.. e infatti Ginny non
risponde immediatamente con un NO secco.
Esita
alcuni secondi, poi annuisce.
Fa
cenno con la mano, in segno di saluto, e
raggiunge Caroline Jones.
“Cazzo,
questa faccenda non mi piace” –
riflette ad alta voce.
Fissa
le due muoversi confusamente nell’aeroporto
e cerca di seguirle il più possibile.
Quando
le sospettate entrano in un bagno per
donne, Emilio riceve la telefonata di Ivana.
“Siamo
in aeroporto. Dove sei?”
“A
pochi passi da Ginny” – spiega lui, precisando la
sua posizione.
“Bene,
tienila d’occhio! Stiamo arrivando”
“Credo
sarà un’impresa difficile” –
commenta il
primogenito di Bogotá.
“Perché?”
“Non
collaborerà mai. Vorrei sbagliarmi, ma…
a me sembra intenzionata a rimanere con la sua rapinatrice. E questo
non è un
buon segno. Forse ci siamo sbagliati su tutto, forse non è
stata portata via di
forza, forse è volutamente scappata!! E se così
fosse, sarebbero inutili piani
ed escamotage. Ginevra l’avremmo perduta per
sempre!”
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Capitolo 26 *** 26 Capitolo ***
Bogotá,
isolatosi in giardino, stanco di
ascoltare la confusione dei Dalì, fuma silenzioso il suo
sigaro, mostrando
chiari ed evidenti segnali di tensione.
“Amico
mio, sai che i tic potrebbero essere
contagiosi?” – la voce di Palermo attira
l’attenzione del saldatore, il quale,
confuso, fa intendere di non aver capito le sue parole.
“Mi
riferisco alla gamba che ti trema” –
puntualizza Berrote, indicando l’arto di Bogotá,
che continua a muoversi
nervosamente senza che l’uomo se ne rende conto.
“Sono
agitato, ok? Sarò libero di avere tutti
i tic di questo cazzo di mondo, no?”
“Certo”
– risponde Martìn, alzando le mani in
segno di resa. Sa bene che il suo compagno di squadra non è
in vena di parlare
di cose irrilevanti.
“Volevo
solo rompere il ghiaccio”
“E
io voglio restare da solo!” – ribadisce
Bogotá.
Ma
Palermo non demorde.
“A
rischio di beccarmi uno dei tuoi micidiali
pugni, voglio insistere…insomma, amico mio, chiuderti in te
stesso non migliora
la situazione”
Il
saldatore espira nuovamente il fumo del
suo sigaro, volgendo lo sguardo altrove, infastidito
- “Se sei venuto qui per rompermi con delle
ramanzine di merda, meglio che torni dentro casa”
“Sei
serio? Dai, fratello, voglio darti una
mano. Mi dispiace vederti così. Non sei più
tu!”
“Beh…quando
toglieranno una figlia anche a
te, e quando la persona che ami non ti vuole più, allora
capirai…”
Le
parole dell’omone grande e grosso della
Banda, spiazzano Palermo che si ammutolisce.
“Se
si tratta di Nairobi, nonostante in
passato abbiamo avuto diverbi, sono stato uno stronzo, e lo riconosco,
ora ho
scoperto la bella persona che è!
Cioè…in fondo l’ho sempre saputo.
Però ero una
testa di cazzo... ecco, con questo volevo dire che, se hai litigato con
lei,
non affliggerti. Vi amate alla follia, e insieme risolverete i
problemi”
Udendo le ultime affermazioni, il saldatore emette una beffarda risata.
“Devo
cominciare a pensare al discorso che
faceva sempre Berlino” – riflette ad alta voce.
“Cioè?” – chiede Berrote.
“Quello
sulle donne!”
Martìn
lo fissa, stranito, e ascolta le
considerazioni folli dell’amico –
“Berlino diceva che le donne una volta
diventate madri si dimenticano di te! Già…
probabilmente aveva ragione”
“Che
cazzo dici?”
“Nairobi
dopo la nascita dei gemelli mi ha
dato poche attenzioni. Forse perché sono più
vecchio di lei, forse perché non
la soddisfo più”
“Mi
fai paura, Bogotà! Perché dici queste
stronzate?”
Eppure
le domande di Palermo non trovano
risposta. Il saldatore continua il suo monologo, infischiandosi di chi
c’è
attorno, lamentando un dolore che come un pugnale affonda la sua lama
in
profondità e lento risale su.
Una
sofferenza che lo stesso Martin coglie
dallo sguardo e dal tono di voce dell’amico.
Impotente
di fronte a tanto strazio, l’argentino
non può far altro che ascoltare e ciò che ode non
è affatto rassicurante.
“Mio
figlio è bello, prestante, intelligente,
e premuroso. E lei ha bisogno di qualcuno che mantenga accesa la
scintilla. Forse
hanno anche scopato alle mie spalle, io non devo essere stato bravo la
scorsa
notte, lei si è consolata
così…”
“Bogotà, porca puttana! Dici sul serio?”
– a quel punto, Palermo intuisce il
malessere dell’amico – “Ti ha tradito? E
con chi?”
Gli
basta poco per capirlo. Martin ricorda
che qualcuno andato via inaspettatamente c’è stato.
“Cazzo…. Emilio?!”
Il
nome del primogenito risveglia Bogotá
dallo stato di sconforto nel quale è momentaneamente caduto.
Si accorge, solo
allora, di aver riferito troppo.
“Torno
dentro”
“Aspetta,
dove vai? Voglio aiutarti”
“Dimentica
quello che hai ascoltato” –
ignorando le invadenze dell’argentino, il saldatore si
incammina verso l’ingresso
di casa.
“So
cosa significa soffrire per amore,
credimi. Però, se c’è una cosa che ho
imparato, è non lasciarti divorare dal
dolore”
“Quando riavrò con me Ginevra, prenderò
le mie decisioni. Adesso voglio
soltanto essere lasciato in pace”
Entra
nella villa, lasciando il compagno di
squadra con un senso di profonda e intensa apatia.
E
pensare che nessuno dei due si è accorto
della presenza di una terza persona, poco distante, rimasta
pietrificata di fronte
ad agghiaccianti confessioni.
***************************************
“Eccovi,
finalmente!”
“Dove
è Ginny?” – domanda Axel ad Emilio.
“Quella
donna l’ha allontanata. Dieci minuti
fa sono entrate in quel bagno laggiù! Ancora non
escono!”
“Forse
sospetta di te?” – ipotizza il gitano.
“Non
so, io ho avuto modo di scambiare due
parole con Ginevra! Non le ho rivelato neppure di essere suo
fratello”
“Bene, meglio così! Non deve
sospettarlo” – precisa Ivana.
“La
faccenda è sempre più sospetta! Nostra sorella
è legatissima a quella sconosciuta!”
“Bisogna
agire quanto prima” – aggiunge il giovane
Jimenez – “Potrebbe minacciarla a dire determinate
cose”
“Aspettatemi
qui” – ordina Varsavia, decisa a
prendere in mano le redini della situazione. Lo fa, raggiungendo
l’esatto luogo
nel quale si erano serrate le due fuggitive.
Con
estrema noncuranza, la ventenne entra
nella Toilette, constatando che molte donne in coda hanno evidentemente
causato
la permanenza della signorina Honey e di Ginevra in quel posto poco
piacevole.
Ivana
riconosce subito Ginny e si emoziona
nel guardarla. Cerca in ogni modo di non destare sospetti, e studia in
silenzio
le espressioni e le mosse della famosa insegnante.
“Possiamo
tornare a casa? io ho sonno” – la bambina
si stropiccia gli occhi, e supplica la tutrice di andare via.
“Dobbiamo
partire, mi amor. L’hai capito
questo, sì?”
“Non
possiamo portare anche i nonni insieme a
noi?” – domanda ingenua e dolce da parte della
piccina.
Caroline
Jones si guarda attorno, ignorando
di avere alle spalle una minaccia alla sua fuga.
E
così le dice – “Loro ci raggiungeranno
presto”
“Io
vorrei salutare almeno mio fratello Seba,
e mia sorella Alba. Mi mancano tanto e sono giorni che non li
vedo”
A
quel punto, l’adulta si vede costretta ad
usare l’arma del rimprovero.
“Sei
stata tu a volere questa cosa, Ginevra!
Ricordi? Adesso ti stai tirando indietro?”
Se c’è una cosa che la maestra Honey sa fare
è schiacciare chi ha davanti a sé con
il fardello del senso di colpa.
“E’
vero, hai ragione” – con quelle parole,
abbassando lo sguardo, Ginny accetta la sconfitta. La sua insegnante ha
ragione, e non le resta che stare a quanto deciso.
“Vedrai
che ci divertiremo noi due insieme. Non
abbiamo bisogno di nessuno” – dopo il tono severo,
la donna si mostra dolce e
tenera.
Una
tattica, quella della dolcezza,
servitale, tempo addietro, per il suo interesse personale.
Ivana,
nel frattempo, cerca di capire le
intenzioni della teacher. Sente di dover giocare la sua mossa quanto
prima! Prima che
sia troppo tardi.
Le
basta scorgere una lacrima sulla guancia
di sua sorella per darle la scossa decisiva e trasformarsi da ragazza
educata e
di buone maniere, in una leonessa pronta a sbranare chiunque si
avvicina ai
suoi cuccioli.
“Maledetta”
– è il primo pensiero della
ragazza, che trattiene la rabbia stringendo con forza i pugni, al punto
di
conficcare le unghie nella sua stessa carne.
Pochi
istanti dopo, la maestra Honey entra
nella toilette ricordando alla bambina di rimanere ferma al suo posto,
accanto
ad uno dei vari lavabi.
“Non
uscire da qui senza di me” – le
ribadisce più volte.
Finalmente
l’occasione che Varsavia aspettava.
“E’
il momento di conoscerci, sorellina del
mio cuore” – pensa la ventenne. Poi si posiziona di
fianco alla bambina,
fingendo di aspettare il turno per utilizzare la toilette.
Con
la coda dell’occhio, Ginevra scruta la
sconosciuta, percependo in lei strane vibrazioni.
“Sei
in coda?” – domanda la maggiore per
rompere il ghiaccio.
“Ehm…no,
sto aspettando la mia…” – Ginny era
prossima a dire “maestra”, poi la voce insistente
di Caroline Jones le rimbomba
nella testa, e si sente costretta a dire – “la mia
mamma”
“La
tua mamma?” – ripete, sbalordita, Ivana.
La
situazione è grave, pensa l’ucraina.
E
udire il rumore dello scarico, significa il
ritorno della Honey sulla scena.
Così
Varsavia ha poche carte da giocare.
Nel
panico più totale opta per la soluzione
più drastica.
“Ginny,
io ti conosco”
“Cosa?”-
si ritrae, terrorizzata, la piccola.
“Mi
chiamo Ivana e sono tua sorella maggiore!
Sono qui per salvarti…”
Gli
occhi lucidi della ventenne sono la prova
per Ginevra della verità.
“Hai
lo stesso neo di papà” – precisa poi la
piccola, indicando il segno sul viso della bionda.
“Vieni
via con me, ti prego” – le porge la
mano, in attesa di scappare.
Eppure
la minore è poco convinta, anzi si
direbbe che non ha alcuna intenzione di farlo.
“Non
voglio” – risponde, correndo via e
disobbedendo agli ordini dell’insegnante.
**************************
“Ehi,
ma quella è Ginny” – esclama Emilio,
riconoscendo la sorellina correre via.
E’
Axel stavolta a non esitare. Si getta tra
la folla di persone che occupano l’aeroporto e segue la
bambina.
Anche
Varsavia, a passo veloce, si
ricongiunge a Yerevan.
“Che
è successo?” - le chiede lui, cercando
spiegazioni.
“Ho
parlato” – confessa, dispiaciuta,
l’ucraina.
“Cazzo,
Ivana! Non dovevi. Sarà difficile
riportarla con noi. Quella donna l’ha plagiata per bene, sono
sicurissimo che
Ginny vuole andare via da Perth perché la maestra
l’ha convinta che è la cosa
giusta da fare”
“Forse
se vedesse Alba e Seba cambierebbe
idea” .- riflette la giovane.
“In
che senso?”
“Prima
ho sentito che chiedeva alla Honey di
vedere i fratellini!”
“Bene,
cosa aspettiamo? Chiama papà, che
qualcuno portasse qui Alba e Sebastìan. Bisogna giocarsi il
tutto per tutto,
adesso!”
***********************************************
I
minuti seguenti sono cruciali.
Ginny
è seguita da Axel e avverte la sua
presenza alle spalle, corrergli dietro.
Non
conosce l’identità di quella persona
eppure il presentimento che possa essere qualcuno legato alla sua
famiglia
inizia a farla temere.
In
lacrime, non trova una via di fuga e nel
giro di qualche secondo viene raggiunta dal gitano.
“Cosa
vuoi da me? Non ho paura di te” – si pone
sulla difensiva, tirando fuori le unghie.
“Aiutarti”
– dice il moro, scrutando la
evidente somiglianza con quella spaventata e, al contempo, grintosa
bambina.
“Voglio
la mia mamma!”
“Nairobi
o la maestra Honey?” – la domanda di
Axel è voluta e insospettisce ancor di più
Ginevra.
In
silenzio fissa i dettagli di quello
sconosciuto e giunge immediatamente alla soluzione.
Con
il cuore accelerato e gli occhi stracolmi
di lacrime, indietreggia – “So chi sei…
e da te non voglio niente”
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Capitolo 27 *** 27 Capitolo ***
“Non
voglio niente da te, hai capito?” –
continua a gridare la bambina, preda di una rabbia ingestibile.
Il
corpo, così esile e delicato, trema mentre
gli occhi le si riempiono di lacrime.
“Voglio
aiutarti” – insiste Axel,
avvicinandosi a Ginevra.
Ma
la minore indietreggia, minacciando di
urlare e chiamare la sicurezza.
“Ascoltami,
ti prego”
“NO”
“Mamma
e Bogotá soffrono come cani”
“E
allora?” – replica la gemella di
Sebastìan, celando il dispiacere per quella situazione.
Pronuncia poi parole
che spiazzano Axel – “Loro non hanno mai capito il
mio di dolore”
“Hai
sette anni eppure sembri ragionare come
un’adulta rancorosa…”
Ginevra
si pone sulla difensiva, assumendo
l’atteggiamento di chi, nel giro di mesi addietro, ha saputo
per bene
condizionare i suoi pensieri e dominare la sua testa.
“Cosa
vuoi da me? Compari dal nulla, mi
insegui, mi rimproveri… io a te non devo spiegare niente. E
poi…dovresti essere
contento. Adesso mamma è tutta tua. Tanto a me non vuole
bene”
Un
tono duro, di chi ha accumulato tanto,
rischiando di implodere.
“Non è così. Lei sta vivendo davvero
male la tua assenza. Sei sua figlia!”
Ignorando
le parole del gitano, la piccola
cerca di allontanarsi e trovare una via di fuga.
Potrebbe
emettere un suono di terrore, e
attirare l’attenzione sulla gente di passaggio, che non
esiterebbe a salvarle
la vita da quello che apparentemente potrebbe essere un maniaco. Ed
è prossima
a farlo, date le circostanze. Sarebbe disposta a tutto pur di liberarsi
dell’accerchiamento
e delle pressioni di un fratello che non è intenzionata a
conoscere.
“Ti
giuro che, se torni a casa, io sparirò
per sempre” – dice il giovane Jimenez, mettendo da
parte la propria felicità,
pur di vedere sua madre sorridere ancora.
Sa
benissimo che allontanarsi, non è la
soluzione risolutiva, però evidentemente ha poche scelte.
“Non
ti credo! Lo dici solo per portarmi via
dalla mia maestra”
“La
tua maestra è una donna senza scrupoli. Come
ha fatto a convincerti che i tuoi genitori non ti amano? Come ha fatto,
spiegami!!”
Ginevra
si zittisce. Fissa gli occhi di Axel,
così simili ai suoi, aggrottando le sopracciglia in uno
sguardo cupo e cruccio
- “Non ti permettere di offendere una persona tanto speciale
per me!”
“Speciale?
Ma ti ha fatto il lavaggio del
cervello. Ti supplico, Ginny, cerca di capire…”
“Mi chiamo Ginevra!” – s’irrita
la bambina, mettendolo a tacere.
Non
accetta affatto che qualcuno che non
conosce e che non ama, utilizzi quel nomignolo affettuoso nei suoi
confronti.
Axel,
a quel punto, si sente demoralizzato. Non
vorrebbe appellarsi alla stessa tecnica adoperata da Caroline Jones,
eppure è
costretto a farlo.
Intuendo
la sensibilità di sua sorella, la
mette al corrente della crisi matrimoniale tra il saldatore e Agata.
“Se
non tornerai a casa, nostra madre e Bogotá,
si lasceranno per sempre”
Un
fulmine a ciel sereno per la piccola Ginny
che, spiazzata, mostra in volto la sua incredulità.
“Cosa
stai dicendo? Loro si vogliono bene”
“La
tua sparizione ha cambiato tutto. E ad oggi
il loro matrimonio è incerto”
Forse non avrebbe dovuto agire sul senso di colpa, ma Axel si
è visto di fronte
ad una situazione ingestibile e quella è parsa
l’unica carta vincente da
giocare.
“Non
ci credo” – ripete più volte la gemella
di Sebastìan, scuotendo il capo come a volersi
autoconvincere di una verità
differente da quella appena udita.
“Abbiamo
riunito i Dalì al completo. Siamo
giunti noi figli da ogni parte del mondo, pur di riportarti a casa! Ti
credevamo in pericolo, abbiamo temuto il peggio. Tutto questo, mentre
la
famiglia amorevole che ricordavi, si frantumasse sotto i nostri
occhi!”
“Io
però sto bene con la maestra Jones” –
ribadisce lei, celando il dispiacere di fronte alla constatazione di un
matrimonio in crisi di cui è pienamente responsabile.
“Intendi
dire la maestra Honey?” – precisa Axel.
La
minore lo guarda, perplessa. Poi ricorda
del diario segreto e precisa – “A quanto pare avete
letto qualcosa di privato”
“Non
potevamo non farlo, sapendoti chissà
dove, con chissà chi”
Ginevra
abbassa lo sguardo, pensierosa.
“Torna
a casa, per favore” – Axel le porge la
mano, in attesa di poterla stringere e poter gridare vittoria di fronte
a un’insegnante
che, nel frattempo, nervosa e furiosa, gira confusamente in aeroporto.
“Maledizione!
Dove cazzo sarà finita!” –
brontola Caroline. A quel punto i suoi piani cambiano. Afferra il
cellulare e
compone un numero.
“Ho
bisogno di voi, dovete raggiungermi
immediatamente”
Quello
che accade in quei secondi è essenziale
per la svolta della vicenda di Ginny.
Il
gitano continua a pregarla di rincasare,
inginocchiandosi addirittura di fronte alla bambina.
Ma
la piccola è restia, fin troppo.
Pensa
e ripensa ai suoi genitori in crisi, ad
una fuga escogitata da mesi, ad un egoismo che l’ha condotta
a livelli estremi,
non tipici per la sua età.
Qualcuno
le ha inculcato un sentimento che
mai avrebbe potuto provare se non sollecitata dall’esterno:
il rancore, la
rabbia, l’odio… e il suo cuore innocente non
avrebbe mai voluto provare
emozioni tanto distruttive.
E’
allora che la mente vaga, mentre i ricordi
si fanno strada con forza.
Flashback
di giorni addietro, mentre canta e
balla con sua madre, di quei giochi e degli scherzi con Alba e
Sebastìan, delle
coccole di suo padre…. e improvvisamente
l’immagine di Caroline Jones e di
Carmen e Jorge Gonzales sembrano schiacciare e prendere il sopravvento.
La
loro presenza si fa sentire come un pugno
nello stomaco, costringendola a non cedere alle pressioni di Axel.
“Non
posso, mi dispiace” – con le lacrime
agli occhi, Ginevra grida la parola “Honey” e
attira su di sé l’attenzione dei
passanti e di alcune guardie di sicurezza.
“Va
tutto bene qui?”
“Ho
perso la mia mamma” – spiega la minore,
sotto lo sguardo esterrefatto di suo fratello maggiore.
“Vieni
con noi, ti aiuteremo a cercarla” –
spiega l’uomo di mezza età in divisa, prendendola
per mano.
A
passo rapido, la bambina si allontana, non
prima di aver osservato per l’ultima volta quel parente che,
ancora piegato a
terra, nasconde il viso tra le mani e lascia che sia il pianto a
dominarlo.
Ginevra
è a pochi passi dalla Jones, quando
si accorge di due figure familiari aggirarsi in aeroporto.
“Non
può essere” – esclama ad alta voce,
pietrificandosi.
“Che
succede, piccola?” – le domanda il tizio
della scorta.
Alba
e Seba sono giunti sin lì e Ginny conosce
bene le ragioni.
Quanto
le sono mancati i suoi fratelli. Forse
vederli e saperli in pena per lei è ciò di cui
necessitava sin dal principio.
Senza
controllo né manipolazioni, lascia
libero il suo cuore e corre verso di loro.
Li
chiama a gran voce, avvertendo la
leggerezza invaderle il petto.
“Ginny”
– urla per primo il gemello.
Alba
è accanto a Drazen quando nota Seba lasciarle
la mano.
Si
voltano tutti nella direzione specifica e
restano di sasso di fronte ad una scena straziante.
I
gemelli si riabbracciano, uniti da un
legame non semplice da spiegare, ma talmente forte da rendere la vita
dell’uno semplice
grazie alla sola presenza dell’altra.
“Mi
sei mancata”
“Anche
tu”
La
primogenita di Nairobi e Bogotá, li
raggiunge alcuni secondi dopo e, con il cuore a mille, e le guance
bagnate dal
pianto, accoglie sua sorella a sé e le sussurra –
“Non lasciarci mai più,
perché fa malissimo”
Anche
Ivana ed Emilio riconoscendo i parenti,
avanzano e tirano un sospiro di sollievo.
“Tutto
è bene quel che finisce bene” –
commenta Erik, giunto assieme a Drazen in aeroporto come accompagnatore
dei
fratellini minori.
“Adesso
tornerai a casa con noi, vero?” –
singhiozza Sebastìan, speranzoso.
Ginevra
stavolta ha pochi dubbi. Nonostante il
bene che nutre per la Miss Honey, si è accorta che non
supererà mai quello che
sente per i suoi fratelli.
Così,
davanti all’ennesima richiesta di
rientro, Ginny annuisce.
Sa
di aver abbandonato in quell’aeroporto una
persona speciale, da cui è scappata minuti addietro,
cosciente di ferirla. E per
tale motivo, fa una richiesta particolare - “Vorrei prima
salutare la maestra”
I
giovani Dalì, invece, non credono sia una
buona idea.
“E’
meglio farlo in un secondo momento” -
puntualizza Yerevan, una volta prossimi a salire in auto.
“Fidati
di loro, sono i nostri fratelloni” –
aggiunge Alba, sorridendo al venezuelano.
“Promettetemi
che domani andremo a salutarla,
non voglio che soffra” - continua Ginevra.
Ivana
interviene, conscia che in fondo
Ginevra vuol bene alla rapinatrice. Così, con estrema
dolcezza le risponde – “Sei
una bambina dal cuore d’oro. Tranquilla, quando tutto
sarà sistemato, ti
porteremo da chi si è preso cura di te in questi
giorni”
“Anche
dai nonni?”
“Chi?
Dai nonni?” – ripete, confuso, Seba.
“Si,
sono dolcissimi. Dovete conoscerli” –
solo pensare a loro, riempie il cuore di Ginevra di gioia. Mai avrebbe
pensato
che Carmen e Jorge sono stati, per mesi, pedine nelle mani di chi crede
sia una
persona speciale.
Pedine
che, appena scoperta la sua assenza da
casa, temendo il peggio, si sono presentate davanti la villa di
Bogotá e
Nairobi.
“E
voi chi siete?” – domanda Tokyo, trovando
sull’uscio due persone sconosciute.
“Salve,
sappiamo chi è lei. Sappiamo che
tutti i Dalì sono qui, abbiamo bisogno di parlare con
Agata!”
“Ehm…
non capisco cosa state dicendo….” –
finge Silene, preoccupata che la copertura della Banda sia stata
svelata.
“Non
temere, sono Carmen Jimenez…la mamma di
quella che voi chiamate Nairobi! Vengo fin qui per Ginevra. Vogliamo
aiutarvi a
salvarla”
“Da
Caroline Jones? Sì, sappiamo di lei!” –
domanda la Oliveira, facendo loro intuire di non essere impreparati sul
da
farsi.
“No”
– risponde l’anziana, lanciando uno
sguardo complice nel consorte.
L’uomo
le dà l’ok… a malincuore, dà
il
consenso per rivelare dettagli rilevanti.
“Perché
dite No? Inutile che coprite la sua
identità, sappiamo chi è” –
controbatte Tokyo.
“Vogliamo
aiutarvi a salvare Ginny sì, ma non
da Caroline Jones…”
“E
da chi allora?” – chiede, sospettosa, la
compagna di Rio.
“Da
Teresa Perez”
*******************************
Tutti
saliti in auto, attendono l’arrivo di
Axel. Solo il giovane gitano è rimasto indietro e non si
appresta a raggiungere
il gruppo.
“Che
fine avrà fatto? Inizio a preoccuparmi”
–
sostiene Varsavia.
“Io
torno lì” – dice Emilio, agitato,
lasciando il veicolo.
In
quel preciso istante, un sms sul cellulare
di Ivana pone tutti in allerta.
“Il
ragazzo è con me. Ho capito che c’eravate di mezzo
voi, maledetti. Non la
passerete liscia. O mi restituite la bambina, o non vedrete mai
più il vostro
amato fratello. Vi dò 2 ore di tempo…. Teresa
Perez”
L’ucraina
legge il messaggio con voce
tremante, mentre gli occhi le si inumidiscono.
“Porca
puttana!” – impreca Drazen, con le
mani tra i capelli.
“Chi
cazzo è questa Teresa Perez?” – chiede,
sconvolto, Erik.
“E
se avessimo fatto un buco nell’acqua? Se
dietro Caroline Jones ci fosse qualcun altro?”- ipotizza
Emilio.
Al
momento tanti dubbi e poche certezze… e un
altro tragico problema in vista…
“Axel,
che piacere rivederti!”
“Chi
sei tu?” – il gitano, caricato con la
forza su un auto, minacciato con una pistola da due tipi inquietanti,
si
accorge della persona seduta alla guida del veicolo.
Una
donna.
La
sconosciuta si libera di una parrucca
bionda e degli occhiali da vista che indossò fino a pochi
istanti prima.
“Tu
non mi conosci, però io sì. Piacere, mio
caro! Io sono Teresa Perez” – gli porge la mano,
ridacchiando, come solo una
persona instabile può pensare di fare di fronte ad un
sequestro di persona.
Adesso
sì che ha inizio il gioco vero e
proprio!
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Capitolo 28 *** 28 Capitolo ***
Nairobi
si è isolata dal gruppo, per fumare.
Non vuole pensare a cosa sta succedendo adesso che i figli di
Bogotá, insieme ad
Axel, sono in aeroporto, per di più con Alba e
Sebastìan.
È
terrorizzata dal pensiero che i suoi
bambini siano a rischio… e, nonostante Stoccolma e Lisbona
siano state le prime
a rassicurarla che nulla ai piccoli sarebbe accaduto, grazie alla
presenza dei
fratelli maggiori, la Jimenez non sembra darsi pace.
E
mentre consuma la sigaretta, offertale da
Denver pochi minuti prima, Agata viene raggiunta da un caro amico. Un
amico che
tiene a lei come fosse sua sorella.
“Hai
ricominciato a fumare?”
La
Jimenez riconosce la voce e annuisce.
Di
fianco a lei si posiziona Helsinki.
Il
serbo, appoggiandosi al balcone che
affaccia sul retro della villa, cerca le parole giuste per parlare al
cuore
ferito della sua compagna di squadra.
“Avevi
promesso che mai più…”
“Lo
so, lo so. E’ che in momenti come questi,
ne sento l’esigenza”
“Nairo,
devi pensare a tua salute. Ti abbiamo
operata ad un polmone, ricordi?”
La
donna rammenta, eccome se rammenta, quella
drammatica esperienza di vita e ringrazia quotidianamente per il
miracolo
ricevuto.
Ravvedendosi,
spegne la sigaretta, per poi
rivolgere all’amico lo sguardo di chi ha ceduto al rimprovero
e ha eseguito
l’ordine impostole.
“Io
voglio solo tuo bene! Non arrabbiarti”
“Sei la mia ragione, ogni volta! E te ne sono grata. Solo che
sono tesa come
mai prima nella vita. I miei quattro figli sono di fronte ad un
pericolo più
grande di loro e io sono la responsabile di tutto”
“Non
dire cazzate” – aggiunge il serbo –
“Tu
sei loro madre. Hai dato loro la vita”
“Probabilmente
non sono degna di essere
chiamata mamma” – le parole di Nairobi arrivano
forti a Helsinki, come un pugno
allo stomaco.
“Sei
una grande donna, una grande madre, non
mettere mai in dubbio questo”
“E
una pessima moglie…” – aggiunge la
gitana,
abbassando lo sguardo.
“Posso
fare a te una domanda scomoda?” –
timidamente, l’uomo pone un quesito all’amica,
desideroso di sapere, per poter
dare una mano, a modo suo.
Agata
non risponde, si limita ad attendere di
udire la curiosa richiesta.
“Prima,
ero in giardino, ho sentito Bogotà
parlare con Palermo.
Tu…ecco…insomma….tu hai…
tradito lui?”
Argomento
che tocca profondamente la donna,
la quale è cosciente di non aver mai anche solo pensato di
poter tradire suo
marito.
“Non
l’avrei mai fatto”
“Bene,
questo mi rasserena Nairobi” -
Helsinki tira un sospiro di sollievo.
Poi
è la precisazione della gitana ad
agitarlo.
“Però…
sono stata baciata… lui ha visto la
scena…e….”
“Cazzo”
– esclama il serbo – “Si tratta di
Emilio,
giusto?”
“Quindi
è di questo che parlavano mio marito
e Palermo, di me ed Emilio?!” – quasi disturbata
dalle confidenze del consorte
con l’uomo del Boom Boom Ciao, Agata cambia tono di voce.
“Non
ti alterare, per favore. Voglio solo
aiutarti” – e il serbo ovviamente tenta di placare
subito quella tensione.
“Questa
situazione diventa ogni giorno sempre
più insostenibile. Non oso immaginare se dovesse accadere
qualcosa di peggio,
cosa dovrei fare…” – puntualizza la
gitana, generalizzando la discussione.
Neanche
a dirlo… i due vengono raggiunti da
una Tokyo con il cuore a mille.
“Che
succede?” - domanda la Jimenez
all’amica, guardando lo shock sul volto di lei.
“C’è
qualcuno per te”
“Per
me?”
“Si,
Nairo” – Silene evita di specificare le
identità, non volendo la chiusura di Agata di fronte ad un
possibile confronto
costruttivo.
Così,
seguita dai suoi due migliori amici, la
zingara raggiunge l’ingresso della villa.
Mette
a fuoco due figure, difficili da non
riconoscere e, non appena incrocia gli occhi neri di sua madre, grandi
e
profondi, esattamente come i suoi, la Jimenez si pietrifica.
“Ciao,
Agata” – la saluta Carmen, con un filo
di voce, mentre cerca di trattenere l’emozione nel rivedere
sua figlia.
Jorge,
di fianco alla consorte, la osserva in
silenzio, fortemente in colpa per il male recatole anni addietro.
“Come
vi permettete di venire fino a qui?” –
la reazione di Nairobi non tarda ad arrivare.
Il
rancore e la rabbia covati per anni e
messi a tacere per questioni di serenità interiore,
riesplodono con
immediatezza.
“Fuori
da casa mia, maledetti” – ordina,
volgendo lo sguardo ai Dalì in cerca di supporto.
Supporto
che, purtroppo, viene meno.
“Noi
siamo qui per aiutare, vogliamo
denunciare la sparizione di Ginevra, raccontarvi ciò che
sappiamo…” – spiega la
settantenne.
“Zitta! Tu mia figlia non la devi neanche nominare hai
capito?” – tuona
Nairobi, dirigendosi verso le scale, pronta ad evitare il confronto.
La
discussione si protrae per alcuni minuti,
durante i quali Bogotá, rincasato dall’ingresso
secondario, intuisce che
qualcosa non va.
Si
unisce al gruppo chiedendo spiegazioni a
Rio.
E
proprio Anibal gli sussurra all’orecchio –
“La mamma di Nairo è qui e dice di sapere cose su
Ginny”
A
quel punto, il viso del saldatore s’illumina.
Vive
un miscuglio di emozioni legate alla
figura di una persona che non conosce e che ha recato, però,
tanto male a sua
moglie. Eppure avverte la necessità di capirne di
più.
“Cosa
volete voi due?” – e così interviene.
“Dare
una mano! Dovete sapere cosa sta
accadendo e quali sono le intenzioni di Teresa”
“Chi
cazzo è
Teresa adesso? Volete depistarci?” –
si infervora la gitana.
“No,
tutto il contrario” – aggiunge Jorge –
“Dimenticate Caroline Jones”
“Ma
per favore…” – Agata alza gli occhi al
cielo, lamentandosi di essere costretta a dover sentire parole
fuoriuscire
dalla bocca dell’uomo che per placare il pianto di un bambino
di tre anni gli
dava del liquore all’anice.
“Fossi
in te, tacerei, signor Gonzales” –
precisa lei, lanciandogli uno sguardo carico di disprezzo.
“Mi
odi, lo so, hai ragione. Ho sbagliato,
erano gli anni in cui vivevo solo di denaro e lavori sporchi.
Però sono
cambiato, mi sono affezionato a Ginny e per me è una
nipote”
La
risata nervosa di Nairobi riecheggia nella
stanza, lì dove tutti i Dalì, in assoluto
silenzio, ascoltano la discussione
tra parenti.
Tokyo
percepisce sulla sua pelle il dolore
della migliore amica e si sente impotente, non potendo agire per
risollevarla
da qualcosa che sta lentamente riaffiorando e che le sta offuscando la
ragione
– “ Dobbiamo intervenire!” –
chiede a Rio, il quale, al contrario, le consiglia
di non intromettersi in faccende di famiglia.
“Da
voi non voglio nulla, ripeto, nulla” –
intanto Agata continua a restare ferma sulla sua posizione.
Finalmente
prende parola il Professore,
stimolato anche da Lisbona, certo di riuscire a placare i comportamenti
della
sua compagna di squadra.
“Nairo..ascoltami…so
che sei arrabbiata…però
potrebbero rivelarci davvero dettagli utili…”
“Prof,
non ci credo! Mi stai dicendo che vuoi
credere a due farabutti?” – chiede, spiazzata, la
Jimenez.
“Agata,
per l’amor del cielo, non immagini
minimamente quanto ci sia costato venire fin qui, con il rischio di
essere
scoperti” – riprende Carmen.
“Da
chi? Dalla maestrina?” – domanda,
perplesso, Helsinki.
“Non
è una semplice maestrina” – precisa
Jorge.
“Io
non mi fido” – sostiene Denver,
schierandosi definitivamente dalla parte di Nairobi.
“Grazie,
ecco un amico che mi sostiene
finalmente” – la gitana lo ringrazia con lo sguardo.
“Io
vorrei ascoltarli, invece. Poi prenderemo
le giuste misure” – comunica Sergio, avvertendo il
peso degli occhi di Nairobi,
delusi e frustrati da tali decisioni.
“Fate
come volete, io non voglio neanche
respirare la stessa aria di questi due pagliacci” –
così dicendo si allontana,
sbattendo con forza la porta.
Ed
è la Oliveira a volerla seguire
prontamente.
“Aspetta,
vado io” – incredula, Tokyo sente
la voce di Bogotá e si trattiene. Guardarli isolarsi, fa ben
sperare - “Chissà
che non sia la volta buona” – pensa Silene,
incrociando le dita.
Poi
Marquina fa accomodare i due sul divano e
si pone in ascolto.
“Allora,
diteci tutto. Parlavate di una certa
Teresa. Di chi si tratta?”
“La
realtà non è quella che voi conoscete, le
cose non sono così come appaiono… e dietro a
tutto questo c’è una mente che
trama, da tempo, ormai. Una mente che sa bene come muovere i
fili…”
“Cazzo,
ho la pelle d’oca. Ma si parla di
Psyco?” – l’esternazione di Denver
sdrammatizza i toni.
Eppure
la serietà dipinta sul viso di Carmen
parla chiaro: ciò che sta rivelando è qualcosa di
estremamente serio e
delicato. E il prof capisce, dal suo volto cupo, quanto le costa
parlare, e che
ciò che racconterà da lì ai prossimi
minuti potrà essere decisiva per la
situazione che stanno vivendo.
*****************************************
Il
saldatore segue Nairobi fino alla cucina
dove la osserva, in silenzio, senza farsi notare.
La
gitana prende da bere.
Apre
una birra e la posiziona sul tavolo.
Nel
farlo, le mani cominciano a tremarle.
Cerca
di placare il nervosismo, respirando
profondamente.
Alza
il capo e sbuffa.
Tenta
di bloccare le lacrime ma queste
scivolano violente sulle sue guance, inumidendole il viso. Su quel
volto, il
pianto è qualcosa di fin troppo abituale…
specialmente negli ultimi giorni.
“Cazzo,
cazzo, cazzo” – improvvisamente
esplode, battendo con forza un pugno sul tavolo.
E
a quel gesto, la birra cade a terra,
frantumando anche la bottiglietta.
E’
solo allora che Bogotá sente di dover
intervenire.
“Aspetta,
fermati, ci penso io” – le dice,
invitandola a sedersi.
Agata,
spiazzata di trovare lì suo marito, si
limita ad eseguire quando ordinatole.
Prende
posto e guarda, impassibile, il
consorte sistemare il casino creatosi.
Solo
qualche minuto dopo, anche l’uomo segue
la moglie e si avvicina a lei con due bicchieri e un’altra
Estrella.
“Faccio
pena!” – commenta Nairobi,
sorseggiando la bevanda.
Bogotá
non replica.
“Queste
persone sono tornate per distruggermi
definitivamente”
“Ne
sei convinta?”
“Gente
così non cambia! Ferendo mio figlio,
hanno ferito me. Mia madre mi ha sempre usata per i suoi comodi. Mi ha
organizzato la vita, rovinandola come meglio ha
potuto…”
“Altrimenti
a quest’ora saresti sposata con
il tuo primo amore, vero?” – chiede
Bogotà, con estrema freddezza. Tra le righe
si legge chiaramente che il saldatore intende dire “Se avessi
sposato il primo
amore, non avresti sposato me. Non ci saremmo mai innamorati. E a te
sta bene
così”. Questa interpretazione di Bogotà
non viene invece letta da Nairobi,
troppo presa dai pensieri cattivi su Carmen e Jorge.
E
infatti, senza cattiveria alcuna, risponde
con fermezza alla constatazione del consorte – “Mai
dire mai! Magari ci saremmo
lasciati due giorni dopo, però sarei stata io a volerlo. Non
lei, per me”
Cade
il silenzio per alcuni minuti.
È
l’uomo, sempre, a riprendere parola - “Io
ascolterei quello che hanno da dire”
“Parli sul serio?” – esclama, spiazzata,
la donna.
“Abbiamo
troppo da perdere…non possiamo
permetterci di sorvolare su nulla!” – aggiunge
l’altro, consumando la birra
lentamente.
Agata
si zittisce, riflettendo su quanto
udito.
Lei
dentro di se, è cosciente di quanto
sarebbe utile raccogliere notizie, però al contempo, non
vuole inganni né doppi
giochi.
“Se
dovessero denunciarci alla polizia?” –
ipotizza la Jimenez.
“Non
gli conviene, e lo sai anche tu! Hanno
troppi lavori sporchi alle spalle. Per di più, sono
minacciati da questa
presunta Teresa”
“Possibile
che adesso sbuchi dal nulla una
Teresa, e guarda caso proprio quando noi abbiamo scoperto che miss
Honey si
chiama Caroline Jones?”
Il
saldatore fa spallucce, poi, terminata la
bibita, si alza dalla sua postazione.
“Metti
da parte il rancore, per il bene di
Ginevra… io ci sto provando…”
Ecco,
nuovamente, Nairobi tornare a colpevolizzarsi
vedendo Bogotà in quello stato emotivo deprimente.
“Mi dispiace, amore! Io non avrei mai dovuto
allontanarmi”
L’appellativo
“amore” alimenta l’amarezza del
capofamiglia – “Prima risolviamo la faccenda, prima
Ginny tornerà a casa, e
prima metteremo in chiaro tutto”
Con
tali parole, zittisce la moglie,
dirigendosi verso la sala dove tutti i Dalì sono alle prese
con rivelazioni
shock.
Prima
di raggiungerli, Bogotá viene spinto
dal cuore a chiedere a Nairobi qualcosa che lo turba enormemente
– “Dimmi solo
se te ne sei innamorata!”
“Cosa?
Che cazzo dici? Tra me ed Emilio non è
successo nulla! Perché ti ostini a crederlo?”
“Sono
quattro giorni che non ti riconosco
più…dimmi tu, a cosa dovrei credere!”
– conclude e si congeda.
Tokyo
lo nota riunirsi alla Banda e spera che
qualcosa possa essere accaduto tra lui e la Jimenez.
Eppure
lo sguardo del saldatore dice poco e
nulla.
A
quel punto è Silene a recarsi in cucina.
La
sua migliore amica è intenta ad asciugarsi
il viso con un tovagliolino di stoffa.
“Ehi,
tesoro, vieni qui” – le dice,
abbracciandola.
Stavolta
niente domande, niente consigli,
niente ramanzine…solo la sua vicinanza!
E
quando la gitana si tranquillizza, prende
la Oliveira per mano e le dice - “Basta fragilità!
Voglio riprendere in mano la
mia vita! E come prima cosa, devo affrontare chi mi ha recato
più male di tutti…mia
madre!” – mano nella mano le due si dirigono verso
la sala principale.
Vedere
seduti sul divano Carmen e Jorge
Gonzales è un tonfo al cuore e un immediato tuffo nel
passato per Nairobi.
“Respira,
stai calma, andrà tutto bene… sii
forte” – le sussurra Tokyo.
“Grazie,
sei la sorella che ho sempre
sognato” – la maggiore le sorride e segue il suo
consiglio.
Forza
e coraggio, e soprattutto, mantenere la
calma!
In
tale istante, il Professore prende parola.
“Nairo,
abbiamo ascoltato queste persone.
Vorremmo ascoltassi anche tu cosa hanno da dirti. È
importante”
“Ok”
– cede Agata, sedendosi di fronte alla
madre.
Alza
lo sguardo, mostrandosi tenace come
sempre – “Sono pronta. Ditemi, chi è
questa Teresa Perez? E soprattutto, cosa
vuole da mia figlia!”
Basta
poco per creare lo scompiglio più
totale.
Una
serie di parole che ti cambiano la vita,
te la stravolgono e ti rendono consapevole che le tue certezze non sono
mai
state certezze.
“Teresa
Perez è … tua sorella, la figlia di
tuo padre!”
“Che
cosa?!”
Ennesimo
colpo al cuore.
Ennesima
sconfitta subita per una donna che
sente il destino
accanirsi contro i suoi
sentimenti e giocarci costantemente.
Battito
accelerato.
Mancanza
di respiro.
Perdita
di coscienza.
Attacco
di panico.
Poi
il buio.
Agata
perde i sensi.
È
bello sapere di aver sconnesso con la
realtà per dei minuti. Tutto si spegne e ti porta in luoghi
distanti…
Chissà
se, una volta riaperti gli occhi, Agata
Jimenez riuscirà a concretizzare quanto appena udito?
Ha
davvero una sorella? Carmen avrà davvero
raccontato il vero?
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Capitolo 29 *** 29 Capitolo ***
“Io
vado a cercarlo. Voi avvertite tutti i
Dalì!” – la decisione improvvisa di
Emilio, spiazza i suoi fratelli.
“Cosa
vorresti fare da solo? E’ pericoloso!”
– lo trattiene Erik.
“Sono
il maggiore, perciò fate come vi dico.
Portate i bambini a casa…subito!” –
ordina Yerevan. Scende in tutta rapidità
dall’automobile e corre, con il cuore in gola, verso
l’ingresso dell’aeroporto,
disposto a setacciare ogni minimo angolo pur di trovare e salvare Axel.
“Dobbiamo
seguirlo, non può mica agire senza
aiuto!?” – esclama, Drazen con le mani tra i
capelli.
“Io
avverto papà” – dice Ivana, tirando
fuori
il cellulare. Le mani le tremano e il telefonino cade sotto il sedile
della
vettura.
La
tensione che si respira e i volti
impalliditi dei giovani figli di Bogotá, viene colta e
assorbita anche dai
bambini. I tre, spaventati a morte, reagiscono ciascuno a proprio modo.
Alba
respira a fatica, impaurendo
immediatamente Ivana e gli altri.
Sebastìan
si copre le orecchie e abbassa lo
sguardo, non volendo né guardare né ascoltare
altro.
Invece
Ginevra fissa, impassibile, delle
persone che considera sconosciute a tutti gli effetti, anche se in
realtà sono suoi
fratelli… già, proprio fratelli, così
come lo sono Alba e Seba.
“Dobbiamo
rincasare! Ha ragione Emilio,
dobbiamo portare in salvo loro tre” – a quel punto
anche la bionda ucraina
comprende che i bambini hanno già visto e assorbito troppo
di quella brutta
storia. E notare il malessere della primogenita di Nairobi e del
saldatore è il
campanello d’allarme.
“Ho
scritto un messaggio a Julian, così
avverte gli altri. Prima ci mobilitiamo, meglio è”
– comunica Erik.
“Hai
detto che Axel è stato rapito tramite un
banale sms?” – il tono di voce di Drazen
è quello di un chiaro rimprovero.
“Sms
o vocale, me ne frega poco, devono
sapere!” – precisa Copenaghen.
“Non
mi pare il caso di discutere di questo.
Piuttosto, bisogna correre il più possibile. Prima
raggiungiamo la villa,
meglio è” -
Varsavia da moderatrice,
invita il fratello ad accendere il motore e accelerare verso la villa.
E’
così che il veicolo si allontana dai
parcheggi, tra il terrore di cosa può essere accaduto e cosa
potrà succedere da
lì in poi… tutto questo mentre Ginevra inizia a
metabolizzare che, a breve,
avrebbe affrontato una situazione complicata, una situazione creata e
voluta
esclusivamente da se stessa….trovarsi a due passi dai
genitori.
Qualcosa
però sembra agitarla.
“Axel
sta bene, vero?” – chiede ad Ivana,
mostrandosi preoccupata per le sorti del consanguineo.
E
la bionda, nascondendo l’ansia che la sta
divorando, la rincuora – “Lo salveremo,
vedrai!”
“Poi
mi porterete a salutare Miss Honey, giusto?
Appena tutto si calmerà!” – ribadisce la
bambina, intenzionata a non rompere il
rapporto con una persona entratale nel cuore.
*********************************************
Nairobi
è distesa sul divano, priva di sensi
da un paio di minuti.
Ha
scoperto una parte di vita che ignorava e
che probabilmente la condurrà alla verità sulla
faccenda legata a Ginny. E’ la
dolce voce di Tokyo a risvegliarla.
“Amica
mia…” – la chiama Silene.
“Ecco,
sta riaprendo gli occhi” – comunica
Stoccolma, pronta con dell’acqua e zucchero da offrire
all’amica.
Quando
Agata mette a fuoco le persone attorno
a sé riconosce nell’immediato le due compagne di
squadra.
Qualcuno
alla sua destra le tiene la mano e
lei riconosce quel contatto.
“Bogotá”
– sussurra la gitana, con un filo di
voce, colpita piacevolmente dalla sua vicinanza fisica.
Il
saldatore, infatti, spaventato dalla
reazione della moglie, è rimasto lì senza
distogliere gli occhi da lei un solo
istante.
E’
come se saperla tanto inerme, schiacciata
da emozioni indomabili, lo avesse spronato a mettere da parte il
rancore.
Adesso
è ancora al suo fianco, avvertendo
sulla sua pelle lo shock provato da Nairobi sapendo di avere una
sorella…una
sorella coinvolta, a detta di Carmen e Jorge, nella sparizione di
Ginevra. La stessa
Teresa che, i Dalì non sanno ancora, ha sequestrato Axel!
Lentamente,
dopo aver sorseggiato dal
bicchiere offertole da Monica, la Jimenez focalizza lo sguardo sulle
due
persone, causa del suo malessere.
Turbata
dalla notizia ricevuta, capisce che,
se vuole saperne di più, deve necessariamente ascoltare e,
nel farlo, mantenere
la più assoluta calma.
“Sono
tutt’orecchi!”
“Sicura?
Vuoi prima riprenderti?” – le sussurra
il marito.
Agata
accenna un timido sorriso, incrocia gli
occhi di lui e per la prima volta dopo giorni né li schiva
né li percepisce
come freddi e distanti.
Poi
ringraziandolo, fa una precisazione…volgendo
poi lo sguardo sulla coppia di anziani - “Ho patito di
peggio. Sapere di avere
una sorella, non è di certo la cosa che mi aspettavo,
però… ho vissuto cose più
sconvolgenti di questa!”
Sistemandosi
comodamente sul divano, si
appresta ad ascoltare nei dettagli tutto ciò che serve per
mettere la parola
fine alla faccenda che le sta devastando la vita da quasi una settimana.
Stavolta
ha accanto Bogotá e non ha
intenzione di scacciarlo e, finalmente, neppure suo marito vuole
distanziarsi. Uniti
per un comune scopo, si aprono alla verità.
“Inizierò
dal principio!” – precisa la gitana
anziana. Dopo un profondo respiro, e un sorso d’acqua fresca,
è pronta a
raccontare quanto già rivelato ai Dalì poco
prima.
Stavolta
la fatica sarà duplicata, sapendo di
dover parlare direttamente al cuore di sua figlia.
“Dimenticati
di Caroline Jones…” – precisa la
zingara.
“Sono
cento volte che lo dici! Perché dovrei
dimenticarmi di chi ha rapito mia figlia?”
“Semplicemente
perché non è chi dice di
essere!”
“Beh…questo
era chiaro!” – commenta Bogotá,
riferendosi al fatto che l’insegnante non mostra affatto i
tratti di una
normale e comune maestra.
“Non
è chi dice di essere perché dietro quel
volto angelico, dietro quegli occhiali da vista da persona tanto
intellettuale
e acculturata, dietro quei capelli biondi che ammorbidiscono i suoi
lineamenti,
si nasconde un’altra persona!”
“Teresa
Perez?” – chiede Nairobi, ormai
sospettosa che l’identità della Honey sia stata
falsata.
E
riceve immediatamente la risposta della
madre – “Esatto, Caroline Jones è Teresa
Perez! E Teresa Perez è la figlia che
tuo padre ha avuto da una relazione successiva al nostro
matrimonio!”
“Cosa
vuole questa donna da me e dalla mia
famiglia?”
“La
situazione risale a ben dieci anni fa.
Noi, come sai bene, siamo stati in galera dopo essere stati scoperti a
trafficare denaro falso. Anni infernali, durante i quali abbiamo
cambiato il
modo di concepire la vita. E una volta ritrovatici fuori da quella
galera
maledetta, ci siamo ripromessi di vivere in serenità. Niente
più soldi sporchi,
né traffici illegali, nulla di tutto ciò. Per di
più, io sapevo che tu avevi
partecipato a due rapine passate alla storia per la loro
spettacolarità…
insomma, chi l’avrebbe mai detto? Dei rapinatori diventano
dei Robin Hood! Però
non volevo destabilizzare la tua vita, né metterti nei
casini sapendoti
nascosta chissà dove…”
“Come
mi avete trovata? Come avete fatto a
sapere che abitavo in Australia?”
“Quella
mattina, quando siamo stati
rilasciati, una donna ci ha offerto alloggio, sicurezza…era
Teresa. Si presentò
dicendomi “Sono figlia di tuo marito, quello stronzo
è morto e non ho altri
parenti”. Io dopo un iniziale shock, ho accettato la sua
presenza nella mia
nuova vita. Dopotutto Teresa ci donò un’abitazione
fuori Madrid, una stabilità
economica. Diceva di essere una tuttofare. Ignoravamo che fosse una
criminale.
Aveva scagnozzi ovunque. Fu Jorge a scoprire i suoi loschi lavori. Le
cadde la
maschera finalmente. La vedemmo per ciò che era in
realtà. Cercammo di
allontanarci per non finire nei casini, di nuovo.
A quel punto, lei ci accusò di averla
abbandonata nonostante i suoi aiuti. Minacciò di eliminarci
se non avessimo
collaborato con lei nelle sue attività. Allora, ci trovammo
costretti a
sottostare. Stavolta non eravamo noi i Boss, ma una donna la cui mente
era ed è
tuttora molto instabile. Una mattina si presentò a casa e
disse “So dove si
trova Agata. Ha tanti soldi, una bella famiglia. Ci trasferiamo a
Perth”. Non
so come abbia fatto a trovarvi, non voglio immaginare quanti alleati
abbia qui
in Australia. So soltanto che scovò la vostra abitazione
solo ventiquattr’ore
dopo il nostro arrivo”
“Cazzo, questa persona è una folle, addirittura
più di Sierra” – commenta,
sbalordito, Bogotá.
La
Jimenez è visibilmente sconcertata da
quanto appena udito. Eppure, un dubbio le resta fisso in mente
– “Cosa cerca da
me, come mai voleva portare via Ginevra?”
“Ecco,
questo è tasto dolente della faccenda”
– sostiene Jorge, intervenendo per dare modo a Carmen di
placare il tremolio
del suo corpo. Dover raccontare di Teresa Perez la agita sempre
oltremisura.
“Desideravamo
tantissimo vederti, sapere
com’eri diventata, come vivevi. Però preferimmo
non scombussolarti. Rimanemmo
in disparte. Fu Teresa che ci comunicò di aver trovato il
modo per farci
conoscere una dei tuoi bambini. Ricordo come fosse oggi lo sguardo di
lei, così
strano, così inquietante, mentre continuava a ripetere
follie su follie”
“Cioè?
Che tipo di follie?” – chiede Nairobi,
stringendo istintivamente la mano del marito, sedutole di fianco.
“Tipo…
“Ginevra capirà chi la ama davvero”;
“Ginevra
sarà apprezzata per quello che è”;
“Ginevra non dovrà più vivere
all’ombra del
fratello che tanto le somiglia”, continuava a convincersi che
era un bene per
Ginny vivere insieme a lei, non con te…”
“E’
stata lei a farle il lavaggio del
cervello! Le ha fatto credere che io, sua madre, non la amassi.
Maledetta!” –
Agata perde la pazienza, alterandosi al solo pensiero della sorellastra
che istiga
la bambina contro chi le vuole bene.
“Calmati,
ti prego. Ascoltiamo cos’altro hanno
da raccontare” – la trattiene Bogotá,
invitandola a sedersi nuovamente.
“Figliola,
è proprio come dici tu! Teresa ha
agito da maestrina dolce e premurosa approfittando di una situazione
che la
piccola stava vivendo e che ingenuamente ha confessato”
“Ha
mai pensato che io non le avrei permesso
di portamela via?” – precisa Nairobi.
“Certo
che sì. Ha elaborato ogni manovra. Ha
immaginato anche che avresti chiamato i Dalì.
“Mossa scontata” diceva Teresa. E
quando ti abbiamo riconosciuta nelle registrazioni delle telecamere
della
nostra villetta, si è organizzata per benino”
“Cazzo,
c’erano le telecamere! Perché non
c’ho pensato” – esclama, ricordando quel
particolare momento.
Dopo
essersi espresso poco, Bogotà interviene
- “Spiegami
la questione del diario…e
anche quella del biglietto. Voleva depistarci?”
“Non
siamo al corrente di ogni sua tattica. Sta
di fatto che è una donna che ha vissuto di assenza
d’amore, prima per un padre
assente, poi per delle persone che non l’hanno mai amata, e
solo quando si è
accorta che esisteva una bambina che invece ha cominciato ad adorarla,
cosa mai
accadutale nella vita, ha deciso di fare suo quel briciolo di
felicità. Temo che
portarla via dalla famiglia, per tenerla sempre al suo fianco, sia solo
un
frammento della sua follia. Non rinuncerà mai alla sola
persona che le vuole
bene. Mai!”
“Sappiamo
che è in aeroporto adesso” –
comunica Jorge.
“Sì,
siamo al corrente. Abbiamo mandato i
nostri a salvarla” – risponde Bogotà.
“Fate
attenzione, non conviene strappargliela
via bruscamente. Non sappiamo che reazione potrebbe avere”
“E
secondo te cosa dovrei fare? Lasciarle mia
figlia così da non farla arrabbiare?” –
replica, infastidita, Nairobi – “Io non
sono una madre sconsiderata come lo sei stata tu” –
le tuona contro.
Una
frecciata dolorosa che colpisce in pieno
petto l’anziana gitana.
Le
rughe su quel volto sono i segni degli
anni passati, anni faticosi, anni dolorosi. Eppure ci sono tagli,
nascosti nell’anima,
segni anche questi di sofferenza, che non può mostrare allo
stesso modo. Tagli scaturiti
dalla separazione dalla sua sola figlia…una figlia che ha
passato la vita ad
odiarla!
“Non
mi perdonerai mai, lo so! Però sappi
solo che quando Ginevra tornerà con te, io mi
farò da parte e non mi vedrai mai
più. Non ti voglio destabilizzare per l’ennesima
volta” – le comunica Carmen,
amareggiata e cosciente delle sue responsabilità.
Cade
il silenzio.
In
un momento tanto angosciante,
improvvisamente, si crea il caos: Julian legge il messaggio inviatogli
dal
fratello ed esplode richiamando l’attenzione su di
sé,
“Cazzo!”
– esclama.
“Cosa
succede?” – domanda il Professore al
ragazzo.
“Penso
che i signori Gonzales abbiamo fatto
una giusta precisazione” – commenta, impallidendo,
Quito.
“Che
intendi dire?” – domanda Denver. E
infastidito da tutte quelle esitazioni, strappa il cellulare delle mani
del
giovanotto.
E
il suo volto si pietrifica sullo schermo.
“Insomma…
volete parlare o no, cazzo?” – Bogotá
s’infuria e agisce così come fece Ramos pochi
attimi prima. Afferrato il
telefonino, ha davanti ai suoi occhi la notizia più
sconcertante che potesse
mai immaginare.
Il
panico si dipinge in un battibaleno sul
suo volto.
Rigido
e con una forte morsa allo stomaco,
punta gli occhi su Nairobi.
“Che
c’è?” – domanda lei, in cerca
di
spiegazioni. Si è accorta dalla strana reazione del marito
che l’sms letto la
riguarda, in qualche modo.
Anche
Carmen e Jorge temono il peggio.
“E’
Teresa?” – chiede, timorosa, la
settantenne.
“I
Gonzales avevano ragione a dire che non è
ideale strapparle ciò che le ama
d’improvviso!” – la risposta giunge
proprio da
Bogotà.
“Perché?”
– interviene Lisbona, confusa.
“Beh,
Nairo, ti prego, non ti agitare però… a
detta di Julian… Teresa Perez adesso ha con se
Axel!” – confessa il saldatore,
cercando di mantenere la calma.
Calma
inesistente di fronte all’ennesima
sconcertante notizia.
“Cosa?”
– esclama Agata, faticando a
comprendere le sue parole. Nella sua mente viaggiano suoni disparati,
privi di
senso, che le rendono impossibile concretizzare l’accaduto.
Poi
le gambe vogliono nuovamente cederle,
costringendola, perciò, a sedersi sul divano. Comincia a
sudare freddo, mentre
il corpo reagisce con scariche elettriche alquanto forti, ovvero
segnali
evidenti della tensione alle stelle.
“Vuole
proporti uno scambio!”
Pochi
istanti dopo vibra il cellulare del
Professore, un dispositivo acquistato solo per urgenze, di cui solo i
Dalì hanno
il contatto.
Fortemente
scosso dall’accaduto, Sergio
risponde e senza aprire bocca, si limita ad udire la voce
dall’altro capo della
cornetta.
“Salve,
sono Teresa Perez. Saprete
sicuramente di me, ormai….” – Marquina
attiva l’altoparlante così da rendere
udibile alla Banda quanto detto dalla sequestratrice.
“Ho
qui con me Axel, bello come un fiore.
Scommetto che Carmen e Jorge sono lì con voi,
traditori…con voi sistemerò la
faccenda dopo! Mi rivolgo a te, cara sorellina, saprai anche questo
dettaglio,
immagino. Ebbene sì, siamo sorelle…ci
assomigliamo lo sai? E papà non smetteva
di ricordarmi quanto gli ricordassi te” – la donna
parla mostrando disgusto al
ricordare del paragone con Nairobi, poi aggiunge –
“Voglio che mi riportiate
Ginevra, in cambio vi darò Axel”
“Puttana!” – esclama la Jimenez, perdendo
la pazienza – “Lascia in pace me e i
miei figli!”
Strappa
il cellulare dalle mani del
Professore e rivolge alla parente frasi forti e rabbiose –
“Non osare sfidarmi.
Non mi conosci, non sai di cosa sono capace se mi toccano i
figli” – insiste la
Jimenez.
“Uh,
che paura, sto tremando!” – ridacchia
Teresa, umiliando Agata più che può –
“Piuttosto che fare la paladina della
salvezza, ti do’ 2 ore, anzi 1.45 minuti. Al parco che Ginny
conosce bene
avverrà lo scambio. Pensaci, cara sorellina, adesso
sì che darai prova a Ginny
di chi ami e chi no! A dopo, mi amor” – con una
malefica risatina, chiude la
chiamata.
“Come
facciamo? La piccola non è con noi!” –
riflette Stoccolma, in lacrime.
“Semmai
Ginevra fosse qui, io non permetterei
mai lo scambio!” – precisa la gitana –
“Come ci muoviamo professore?” - con
inaspettata lucidità, la donna si rivolge al Boss della
squadra per agire
immediatamente.
“Eh…
bisogna organizzarsi per l’incontro..” –
riflette Sergio ad alta voce, piuttosto spiazzato da una circostanza
inattesa.
“Ehi
io sento il rumore dell’auto, è arrivato
qualcuno” – comunica Rio, sbirciando dalla finestra
– “Sono i ragazzi!” –
esclama riconoscendo Drazen scendere dal posto di guida.
Bogotà,
fortemente dispiaciuto per il
malessere di sua moglie, la prende per mano, voglioso di mostrarle la
sua
vicinanza e la trascina con sé all’ingresso della
villa.
Ed
è in quel preciso momento che, dopo un
dolore tanto profondo e giorni di agonia totale, vedono scendere dal
mezzo la
loro adorata figlia.
Spiazzati,
sconvolti, emozionati, le corrono
incontro.
E’
Nairobi la prima a cedere al pianto
“Mi
amor, mi sei mancata da morire” – le dice,
stringendo il corpo esile della bambina al suo petto. Si inebria di
quel profumo
che è aria pura. Assapora il momento del rincontro,
accarezzando i suoi morbidi
capelli nero corvino, ricordandosi delle serate trascorse ad
intrecciare quella
corposa chioma scura.
Ginevra
non avrebbe mai pensato che potesse
provare un senso di serenità al solo tocco con il corpo
materno.
E
quell’immenso calore che solo una mamma sa
donare a sua figlia, le scalda il cuore.
Preda
di un momento di profonda ed evidente
fragilità, Ginny si accoccola alla gitana e respira la sua
presenza.
Chi
l’avrebbe mai detto?! Se fino a qualche ora
prima, preferiva fuggire, ora si è appena resa conto che non
esiste posto più
bello delle braccia della sua mammina.
Proprio
quella mammina che ha avvertito come
una persona distante, non amorevole, e pronta a paragonarla ad Axel.
Che
tale reazione sia solo legata al
rivedersi dopo giorni?
Bogotà,
qualche metro indietro, attende con
trepidazione di poter stringere la piccola a sé.
“Papà”
– esclama la minore, chiamandolo per
avvicinarsi.
Stavolta
non c’è esitazione. Tra le sue
possenti braccia, il saldatore accoglie la moglie e la sua piccina.
Alba
e Sebastìan seguono a ruota il padre,
dando vita ad un quadro di famiglia indimenticabile e commovente.
Sotto
lo sguardo dei Dalì al completo,
emozionati e in lacrime, i cinque sembrano aver ritrovato la loro
completezza...
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Capitolo 30 *** 30 Capitolo ***
Dopo
circa venti minuti di tragitto in auto,
Axel viene condotto dai rapitori in una cascina, distante, qualche
chilometro, dal
centro città.
Una
volta sceso dal veicolo, nota attorno a
sé solo un’ampia zona verde, e poche tracce di
vita umana.
“Dove
mi hai portato?” – chiede, mantenendo
la calma. Intenzionato a nascondere la paura che sta provando, Axel si
mostra
quanto più razionale possibile. Non vuole assolutamente che
Teresa e i suoi
scagnozzi possano avvantaggiarsi del suo stato emotivo debole.
“In
un luogo ben nascosto. Qui nessun Dalì
potrà trovarti” – ridacchia la donna,
mostrandosi a pieno volto, al ragazzo.
“Non
ti conosco, chi sei? Cosa vuoi da me?” –
domanda il gitano, studiando il viso di lei in cerca di risposte.
A
quel punto la Perez ordina ai suoi uomini
di sistemare “l’ospite” su una sedia e
legarlo ad essa con delle corde.
“Perdona
le maniere dei miei tirapiedi, però
è necessario che tu non fugga… altrimenti avrei
potuto anche offrirti del
caffè” – afferma, allegramente, la Boss,
ironizzando su una situazione non
affatto normale.
Come
si può pensare ad una bevanda da
sorseggiare insieme, in una casa dispersa nel mondo, con un ragazzino
rapito
per subdoli scopi?
“Tu
sei pazza” – commenta Axel, ricevendo
immediatamente una sberla.
“Non
mi piace che mi si parli in questi modi,
è bene che impari l’educazione. Che razza di
famiglia adottiva hai avuto? Le
buone maniere non hanno saputo insegnartele?
Non sai neppure come trattare tua zia?!”
Di
fronte a tale parola, il figlio di Nairobi
ne rimane sconcertato.
“Mia
zia?” – ripete, a tratti divertito dal
sentire tali follie.
“Vuoi
un altro scappellotto?”
- Teresa alza già la mano pronta ad usarla e
colpire il nipote.
Però
stavolta decide di indebolirlo
servendosi della verità.
“Questa
forza e questo coraggio mi danno
quasi fastidio. So che Agata è esattamente come lui,
perciò farò in modo di
annientare la sua tenacia” – pensa tra se e se la
criminale.
Così,
accomodandosi sul divano, di fronte
alla sedia a cui è costretto Axel, la Perez inizia il suo
racconto.
Un
racconto di vita che perfino Carmen e
Jorge non conoscono nei minimi dettagli.
Un
racconto che motiva molto della
personalità di questa donna.
“Io
e tua madre siamo sorelle. Sì, credici o
no, è così. Purtroppo per me”
“E
come sareste sorelle? Lei è sempre stata
figlia unica” – precisa il ventunenne.
“Lo
pensava. Nostro padre era uno stronzo.
Abbandonò prima Carmen Jimenez con una bambina piccola da
crescere, poi tentò
di comportarsi alla stessa maniera con mia madre. Però non
sapeva di giocare
con il fuoco. Se ne è accorto presto ed è dovuto
sottostare alle regole…questo
prima che cercasse di separarsi anche da noi!” –
commenta Teresa, sorvolando su
un dettaglio che Axel, però, intuisce e che lo pietrifica.
“Morto
quell’uomo, mia madre si ammalò. Presi
le redini del suo “impero”. Ho sofferto come un
cane la presenza di un padre
che mi ha sempre paragonata alla sua primogenita”
Quella
faccenda suona familiare all’orecchio
del gitano che non può non pensare immediatamente a sua
sorella minore e
all’insicurezza nutrita da una bambina di soli sette anni, di
fronte a costanti
e pesanti paragoni.
Ovviamente
Axel ignora che Teresa Perez sia
Caroline Jones, ed è la donna a renderlo palese,
sconcertandolo – “Come Ginny,
io ho vissuto le medesime emozioni. Per questo siamo così
simili, per questo
siamo destinate, per questo lei DEVE vivere insieme a me! Agata non
è degna di
esserle madre. Motivi più che logici per portarla via da
Perth, non pensi?”
“Aspetta,
aspetta, aspetta…cosa sai tu di
Ginevra? Perché dici che lei…?”
– a quel punto il collegamento tra le due
identità è automatico.
“Cazzo!”
– esclama poi – “Tu sei..?”
La
donna, ridacchiando, commenta – “Ti ci è
voluto così tanto tempo per arrivare alla soluzione? Ti
facevo più sveglio,
nipote”
“Perché
hai usato un’identità diversa.
Dopotutto mamma non sa che siete parenti”
“Io
ovunque mi sposto, creo una nuova me.
Sono stata tante persone, con tanti camuffamenti, tanti falsi
documenti, e ho
girato a lungo. Ho raccolto, grazie a vari contatti, le informazioni
che mi
servivano. Ho volutamente rintracciato, a Perth, la famigliola felice
ed ero
intenzionata a inserirmi nella vita della mia fortunata sorella
maggiore” – la
voce di Teresa è carica di rancore e astio quando pronuncia
la parola che la
unisce a Nairobi. Usa con disprezzo il termine
“sorella”.
Poi,
approfittando del crollo emotivo che
Axel sta lentamente mostrando, la Perez insiste e continua il suo
racconto.
“Ho
saputo che i gemelli frequentavano una
scuola privata. Non è stato complicato spacciarmi per
un’insegnante di grande
fama. Quando si ha potere e tanto denaro, si può fare tutto,
sai?”
“E’
lì che hai conosciuto Ginny” – commenta
il ragazzo, decisamente scosso.
“Mi
ha colpito sin da subito. Capivo dal suo
sguardo che c’era qualcosa che la turbava. Così
durante la mensa, mi sono
avvicinata a lei, sono stata premurosa come mai prima nella vita.
Stranamente,
Ginevra ha reso tutto molto semplice. Ha aperto il suo cuore senza
forzature.
Ed è nell’istante in cui mi ha confessato
“Mamma non mi vuole bene, dice sempre
che somiglio a mio fratello maggiore”… ecco,
proprio allora, è scattato in me
il confronto immediato. Ho sentito quel filo che ci univa. Ho pensato
“E’ lei
la figlia perfetta. È lei la mia degna erede”. A
quel punto, ho mosso le mie
pedine. Ho offerto il mio sostegno. Ho dato dei consigli, sono entrata
nella
sua testa, così come mia madre fece con me anni addietro,
insegnandomi come
diventare fredda e dura come una roccia. Non fa bene lasciarsi andare
alle
emozioni. Bisogna spegnerle perché se ti dominano, sei
perduta. Le ho detto di
sfogarsi con un diario…ovviamente, come avrai capito, a me
serviva per altri
scopi”
“Quali?
Fare in modo che mia madre lo
trovasse per soffrire fino allo sfinimento?”
“Beh…anche!”
- riflette la
donna, poi prosegue – “Le ho
rivelato di conoscere i suoi nonni, le sue radici gitane. Ginevra non
ha
esitato. Tre mesi prima della sua fuga da casa, ho fatto in modo che,
durante
la mensa, incontrasse Carmen e Jorge”
“E
Seba non ha notato l’assenza della sua
gemella?” – domanda, stranito, Axel.
“Durante
il pranzo, i bambini si accorpano
nell’aula più grande della scuola, si dividono in
gruppetti. Sebastìan si è
seduto di fianco ai maschietti e non ha notato che Ginny era venuta via
con me.
Ho studiato tutto, anche questa mossa” – spiega,
fiera delle sue tattiche di
gioco.
Gioco…perché
pare proprio che Teresa Perez
giocasse, peccato che lo facesse con la vita e i sentimenti degli
esseri umani.
“Sta
di fatto che tua sorella si è sentita
amata più che dai suoi genitori. E così, quando
mi ha detto che avrebbe
preferito vivere in questo modo, ho colto al balzo
l’occasione. Le ho
consigliato di seguire il cuore…per la prima volta le ho
detto di riaccendere
le emozioni e spegnere la ragione”
“Hai
usato una sorta di psicologia inversa?
Come diamine hai fatto?”
“Ragazzino,
ho esperienza alle spalle che non
immagini. Non a caso sono diventata un genio del crimine. Non a caso
nessuno mi
ha mai catturata. I Dalì da me possono solo che imparare,
anziché fuggire come
polli e nascondersi dalla vita sociale”
Dopo
aver lusingato la sua stessa personalità
malata, Teresa conclude la storia – “Lei
è voluta fuggire da casa. Abbiamo
orchestrato tutto. Il biglietto lo scrissi io personalmente. Lei
l’ha
posizionato in veranda, sapendo che qualcuno l’avrebbe visto.
E anche il
diario… non era custodito come di solito si fa, per celare i
segreti. Doveva
essere trovato. Tutto doveva condurre a Caroline Jones. Ho previsto
ogni
dettaglio, nipotino! Così come l’arrivo a scuola
di Hanna…”
Quando sente tirare in ballo quella faccenda, una parte del piano del
Prof,
Axel impallidisce.
“Ehm…”
– riesce solo a emettere un suono
senza senso.
E
la Boss ride di gusto sapendo di aver fatto
scacco matto – “Credevate fossi tanto imbecille? Io
in primis ho espressamente
ordinato alla Preside di non assumere gente nuova. Sapevo che avreste
tentato
di intromettervi nel contesto scolastico dei gemelli”
“Cazzo”
– esclama il giovane Jimenez.
In
tale istante, Teresa scruta il volto del
nipote notando in lui una forte demoralizzazione.
Infatti
il ventunenne teme per la sua
incolumità: come avrebbero mai potuto salvarlo, sapendo che
quella pazza poteva
prevedere tutto?
“Tranquillo,
mio caro” – precisa la criminale,
intuendo l’ansia del ragazzino – “Tra
meno di un’ora abbiamo un appuntamento
importante ad un parco poco distante da qui. Rivedrai i tuoi cari
parenti.
Spero per loro che abbiano deciso di agire con coscienza, o temo che la
tua
dolce mammina soffrirà doppiamente senza te e senza
Ginevra”
“Che
cosa ti spinge a farlo? Perché odi così
tanto mia madre? Lei non sapeva della tua esistenza!”
Axel,
di fronte a tanto astio nei confronti
della gitana che gli ha dato la vita, tira fuori le unghie e la grinta
pur di
difenderla. Seppure terrorizzato, continua a tenere sotto controllo il
panico.
La
donna, respirando profondamente come a
voler trattenere qualcosa di grande che cova dentro, precisa
– “Mio padre mi ha
sempre considerata la figlia di serie B. Agata era bellissima, Agata
era quella
che più assomigliava a lui, Agata era perfetta in tutto.
Mentre Teresa era
sempre seconda. L’ho sentito una notte, mentre litigava con
mia madre, dire che
sono stata un errore… questo ferisce, sai?”
In
tale istante, la Perez si volta per non
crollare definitivamente.
Axel
invece nota perfino una lacrima
scenderle lungo la guancia.
“Non
puoi colpevolizzare lei, per l’errore di
vostro padre…” – il gitano cerca di
farla ragionare.
Teresa
risponde ignorando l’argomento
Nairobi, ma centrandosi su Ginevra.
“Ginny
è la sola persona che mi ha voluta
bene e si è fidata di me dal primo istante. Non mi
tradirà mai. Per lei sono la
prima scelta, ne sono convinta. E vedrai che ne avrò la
prova a breve, e la mia
cara sorella constaterà con i suoi stessi occhi che il
sangue del suo sangue non
la ama!”
Inutili
altri interventi di Axel… la Boss non
lo ascolta più. La verità non è
servita a far abbassare la cresta a quel
ragazzino…portarlo lì in campagna, dopo averlo
visto mentre parlava con la bambina
in aeroporto, sperando potesse intimorirsi non ha sortito gli effetti
sperati.
Però,
può ritenersi soddisfatta. Ha scoperto
quanto di Nairobi c’è in Axel. È fin
troppo uguale a lei e questo può tornarle
utile per raggiungere la vittoria finale!
Adesso
ne ha la certezza assoluta! Axel è
come Agata, ma Ginny è la sua esatta fotocopia. Ora
sì che può cambiare la sua
vita: avrà la figlia che merita, l’erede perfetta,
e potrà dare un violento
colpo a colei che, a suo dire, è sempre stata considerata la
migliore.
Teresa
ignora, al contrario, tutto il dolore
patito da Agata Jimenez.
Egoista,
accentratrice, labile mentalmente,
interessata solo a se stessa, la Perez non ha la benché
minima idea di quanto
anche le altre persone possano aver sofferto nella vita.
“Stavolta
il punto della vittoria è il mio!” –
parla da sola, ad alta voce, chiusa in una stanzina con appese al muro
delle
foto.
Con
un pennarello segna una X sul viso di
Agata, ritagliato da un vecchio giornale che parlava della rapina alla
Zecca.
Dopo
una fragorosa risata, riceve una
telefonata attesa e risponde schiarendosi la voce –
“E allora? Hai preso la giusta
decisione?”
Dall’altro
capo della cornetta risponde Sergio
Marquina – “Teresa, sono il Professore”
La
voce del Prof spiazza la Boss che
immaginava il confronto con la sorella maggiore.
“E
Nairobi?” – domanda allora, stranita di
sentire qualcuno che non sia la diretta interessata allo scambio.
“Al
momento sta godendo del ritorno a casa di
sua figlia!” – replica il capo della Banda.
“Maledetti,
dovete restituirmela” – cambia tono
la Perez, ricomponendosi subito dopo.
La
sua bipolarità è fin troppo evidente ed
anche molto pericolosa.
“Se
non vuoi finire in galera, è bene che
rilasci Axel” – la minaccia lui.
“Senti
chi parla. Ti ricordo che tu e i tuoi
amichetti con le maschere carnevalesche siete ricercati da anni. Potrei
rovinarvi
per sempre. Invece, come vedi, sono clemente. Avete ancora 45 minuti di
tempo”
“Noi
abbiamo qualcuno che può denunciare i
tuoi sporchi lavori, Teresa”
“Ah
sì? E chi sarebbero? I Gonzales? Non farmi
ridere, sanno poco e nulla. Poi sono ex detenuti, chi crederebbe alle
loro
testimonianze” – la criminale si burla delle idee
di Marquina.
La
voce di Ginevra di sottofondo attiva
qualcosa nella sorella della gitana che, immediatamente, sobbalza e
cambia voce
– “Mi amor, sono io, la maestra che ti ama tanto.
Dì a questi signori che vuoi
stare con me”
“Non
ascoltarla, Ginny!” – replica Nairobi.
“Vedi
che tua madre ti dà solo degli ordini? Non
ti vuole rendere mai felice”
Ecco
la tattica che ha sempre giovato a
Teresa Perez quando si trattava di mettere la bambina contro i suoi
genitori.
E
stavolta è il Prof a chiudere conversazione
– “Ci troviamo al parco, basta giochetti!”
“Bene,
così mi piaci Professore!”
Dopo
aver concluso la chiamata, il destino
sta per compiersi.
Ognuno
fermo sulla propria posizione, renderà
il tutto più pericoloso e complicato.
Eppure
c’è un dettaglio da non sottovalutare:
l’arguzia del Professore che si è messo in moto,
mediante Rio, per contattare
qualcuno di utile alla loro finale vittoria.
“Allora?
L’hai trovata?” – chiede, trepidante, ad
Anibal.
“Si, e Lisbona sta per telefonarla!” –
comunica, soddisfatto, Cortes.
“Bene…è
la nostra sola ancòra di salvezza!
Teresa Perez ha i minuti contati…”
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Capitolo 31 *** 31 Capitolo ***
E’
quasi mezzanotte quando i Dalì si mettono
in contatto con una persona speciale, utile al piano realizzato dalla
geniale
mente del Professore, in collaborazione con l’ingegnosa dote
informatica di
Rio.
“Come
avete fatto a trovarla in così poco
tempo?” – chiede, sbalordita, Hanna, seduta di
fianco alla postazione del PC
per osservare le mosse dei due uomini.
“Segreto
professionale, mia cara Vienna” –
risponde Anibal, stiracchiandosi, esausto dalle tante ore seduto di
fronte al
computer.
Raquel,
nel frattempo, è alle prese con un’importantissima
telefonata, e utilizza la sua dialettica e le sue abilità da
ex ispettrice per
portare a casa la vittoria.
I
restanti Dalì sono in fibrillazione per ciò
che da lì a qualche minuto sarebbe potuto accadere.
E
mentre Denver e Monica si distraggono,
telefonando Cincinnati, ormai adolescente, rimasto in Indonesia per
badare alla
sorellina minore, Palermo e Helsinki s’isolano in giardino
per concentrarsi
sulle prossime mosse.
Il
serbo è emozionato per la sua Nairobi,
ritrovando nei suoi occhi la luce che da sempre la contraddistingueva.
“Adesso
che Ginny è a casa, sento di esserlo
anche io” – commenta l’omone, spiazzando
il compagno argentino.
“Cosa
intendi dire? Ti ricordo che bisogna
salvare Axel, la missione non è ancora terminata”
– precisa Palermo.
“Lo
salveremo, fosse l’ultima cosa che io
faccio in questa vita” – aggiunge, determinato,
Helsinki.
“Perché
hai detto di sentirti a casa anche
tu?” – domanda, Berrote, pensieroso.
“Perché
sono in famiglia. E’ difficile vivere
senza i Dalì, e ora che li ho rivisti tutti, ho trovato mia
serenità”
“Non
eri sereno con me?” – Martin si pone
immediatamente sulla difensiva, spiazzato da tali considerazioni.
“Certo
che sì, tu sei mio amore di tutta
vita. Io mai trovato persona come te….”
– risponde il serbo, certo, al cento
per cento, della sua prima vera relazione amorosa.
“Allora
non capisco; non vorrai mica
trasferiti qui?”
Helsinki
abbassa lo sguardo, non
pronunciandosi. Il suo cuore gli dice “Sì,
è quello che vuoi davvero”, però la
sua mente e la sua ragione sanno benissimo che, invece, non
è possibile farlo.
“Il
Professore ci ha mandati in parti del
mondo diverse per tutelarci”
“Lo
so bene, Palermo. Però, Tokyo e Rio
abitano qui”
“Sappiamo
il motivo” – precisa l’argentino
–
“L’ultima volta che quei due hanno vissuto da soli,
ci hanno messo nei casini.
Vivere con Nairobi e Bogotá li avrebbe aiutati a non causare
possibili danni”
“Mi
prometti che, verremo spesso a trovare
nostri amici?” – lo prega Helsinki, cosciente di
andare contro il Piano Resistenza.
E
di fronte agli occhi azzurro cielo del
serbo, Martin non può non accettare.
“Promesso!”
Il
tempo, intanto, scorre ed è sempre più
pericoloso per Axel rischiare che nessuno accetti lo scambio e non si
presenti all’incontro
con Teresa Perez.
Nairobi
e Bogotá pensano e ripensano a come
agire, avendo adesso Ginevra a casa.
“Non
ho nessuna intenzione di cedere la mia
bambina a quella folle criminale” – replica Agata
per la centesima volta.
“Ovviamente
non lo faremo. È stata dura
riaverla qui con noi, non permetterò a nessuno di
strapparcela via” – aggiunge
il saldatore.
I
due, rimasti soli nella camera dei gemelli,
tornano finalmente a parlarsi pacificamente.
La
questione riguardante Emilio sembra essere
stata occultata, dal momento in cui la bambina scomparsa ha rimesso
piede nella
sua casa. O probabilmente, Bogotá ha solo messo in standby
quel dolore,
concentrandosi sulla delicata questione di Axel, e soprattutto sul
sentirsi
sollevato di poter riabbracciare la sua piccina.
Il
saldatore, seduto sul letto di Sebastián,
proprio di fronte alla Jimenez che ha preso posto su quello di Ginny,
fissa il
pavimento, con aria preoccupata.
“A
cosa stai pensando?” – domanda Nairobi,
riconoscendo in quello sguardo il suo stesso turbamento.
“Spero
che il Prof riesca in questa impresa!
Altrimenti non ho la benché minima idea di come potremmo
sottrarre Axel a tua
sorella”
“Non
è e non sarà mai mia sorella; quella
persona meriterebbe l’ergastolo” –
commenta la gitana, giocando nervosamente
con i numerosi anelli che le decorano le mani.
La
fede è quello che Nairobi conserva con
premura e che non tocca mai, resta immobile, fisso, nel suo anulare
sinistro, a
simboleggiare l’amore intangibile tra loro.
Avvertendo
su di sé lo sguardo del consorte,
accenna un sorriso timido e compiaciuto. Poi gli dice - “Mi
stai guardando e mi
sto agitando, che strano vero? Mi sembra di ricordare qualcosa di
simile!” – le
sue parole così sincere, senza filtri, imbarazzano anche un
omone tanto grande
e grosso come Bogotá.
Sì,
lui la guarda…la guarda e il cuore torna
a battergli con una forza tale da sembrar volergli esplodere dal petto.
Stranito
da quella sensazione, una sensazione
che rammenta ancora ed è la stessa provata quando conobbe
Nairobi, ben dodici
anni prima, il saldatore respira profondamente come a voler calmare
tale
tensione.
Ma
i sentimenti hanno preso il sopravvento, e
si lascia andare totalmente utilizzando una frase lo riporta indietro
nel
tempo, ad esattamente dodici anni prima.
“Come
si fa a non guardare qualcosa di tanto
bello”
12
ANNI PRIMA….
“Piacere,
io sono Nairobi! Benvenuti nella
Banda dei Dalì” -
si presenta la gitana,
vedendo salire sull’auto guidata da Helsinki due nuovi tipi.
Il
primo è silenzioso, con un paio di baffi
strani e i capelli leggermente lunghi; l’altro, invece, ha
tutta l’aria del
Macho, ma di un Macho con qualche chiletto in più e
l’età avanzata.
Ma
si sa, ad Agata i tipi con la pancetta
sono sempre piaciuti! Non a caso è innamorata di Helsinki,
diventato un peluche
ai suoi occhi.
“Io
mi chiamo….” – il saldatore è
prossimo a
rivelare la sua identità, ed è la Jimenez a
frenarlo.
“Prima
regola del Piano…nessun nome! E’
un’idea bizzarra del prof, però bisogna
rispettarla”
“Ah,
bene! Io ho un’idea sul tuo di nome…”
–
commenta Bogotà.
“Si?
Sono curiosa!” – risponde Nairobi,
intuendo, dal tono di voce e dalle attenzioni dell’uomo, una
tattica di
approccio.
“Per
una donna del tuo livello, penserei a
qualcosa di molto caliente”
Tentativo
1… fallimento totale…. Nairo coglie
in Bogotá solo il desiderio sessuale di chi, a suo dire, non
scopa da anni.
“Ehm…ok,
lasciamo perdere! Piuttosto…siamo
arrivati!” – comunica la zingara, alzando gli occhi
al cielo di fronte a quel
flirt di pessima qualità.
Il
saldatore, imbarazzato per un’evidente
gaffe, si zittisce.
Una
volta giunti a destinazione può guardare
quella appariscente e fighissima donna in tutto il suo splendore.
“Cazzo”
– esclama, trovandosi di fronte ad un
corpo mozzafiato.
Dopotutto,
conoscerla in un’automobile,
seduta nel sedile anteriore, coperta da una pelliccia rossa, non
rendeva
giustizia a cosa effettivamente era Agata Jimenez.
Raggiunto
il Monastero, sedutisi nei classici
banchi di scuola, i Dalì si apprestano ad ascoltare il Piano
di Sergio.
“Allora…
è bene ricordare le regole perché
c’è gente nuova…” –
precisa Marquina.
A
quel punto, il saldatore, membro senza
nessun nome in codice, punta lo sguardo sulla gitana e diventa schiavo
di
pensieri che da quel momento in poi lo avrebbero accompagnato
costantemente.
“Allora…il
nostro saldatore, che nome ha
scelto?” – chiede Agata, al termine della prima
lezione.
“Ti
interessa tanto saperlo?” – domanda Tokyo,
mentre versa della sangria nel bicchiere dell’amica.
Sedute
ad una tavola imbandita, sole tra
donne, si distraggono in chiacchiere, mentre gli uomini si occupano del
pranzo.
“No,
lo dico soltanto perché dovrò lavorare
con lui!” – precisa la Jimenez.
“E’
un bel tipo. Potresti farci un
pensierino, Nairo” – aggiunge Stoccolma.
E
la gitana, inarcando il sopracciglio,
contrariata, replica – “State scherzando, spero!
Quello mi vuole solo portare a
letto, si vede da come mi guarda il culo!”
La
sua costatazione fa ridere le amiche che
si arrendono all’evidenza: Nairobi non è affatto
intenzionata a darla vinta ad
un uomo che, per di più, non vanta una grande fama.
“Non
cambierai mai!” – scuote il capo Monica,
ridacchiando.
“Io
voglio un uomo dolce e premuroso. Questo
qui so già che mi porta a letto e mi molla il giorno
dopo”
E
invece ciò che Agata ignora è che in
realtà
quel playboy, come lo definisce lei, non è ciò
che appare.
“Bogotá!”
– lo chiama Sergio, il secondo
giorno di preparazione.
“Ehi,
amico, sei con noi? Sembri distratto” –
interviene Palermo, notando il compagno di squadra assorto tra i suoi
pensieri.
“Eh?”
– finalmente sembra tornare con i piedi
per terra – “Parlavi con me?”
“No!
Parlava con mia sorella!” – commenta
Agata, con sarcasmo, incrociando le braccia al petto.
“Scusate,
ero sovrappensiero” – nel dirlo, l’uomo
posa subito gli occhi sulla gitana, interessato più a
ricevere il suo perdono
che quello degli altri.
“Volevo
informarti che domattina comincerete
l’allenamento nella cisterna che conosci
già” – spiega Sergio.
“Perfetto,
capo” – risponde il saldatore.
“Nairobi
e Denver saranno in squadra con te!”
– precisa Marquina.
“Ah!”
– commenta il saldatore, già teso come
una corda di violino alla sola idea di dover trascorrere ore e ore di
fianco ad
una donna che lo intriga ogni giorno sempre di più.
Accettando
il destino scelto per lui,
beccatosi anche la ramanzina inattesa, si allontana dal gruppo.
Raggiunge il
giardino, lì dove Berlino si sposò tanto tempo
prima con Tatiana, e accende un
sigaro.
“Sembri
strano, che ti succede amico?” – la voce di
Palermo, che per la prima volta
dopo anni, sembra interessarsi a qualcuno che non sia se stesso,
interrompe la
solitudine che il saldatore stava cercando.
“Nulla,
a te non capita di distrarti?” –
replica il presunto casanova, infastidito, guardando altrove.
“Mi
capita, certo…ma con gli occhi fissi su
una donna direi di no!”
Tali parole spiazzano l’uomo grande e grosso che sposta
lentamente lo sguardo
sul compagno di squadra – “Come?”
“Che
ti fa sangue Nairobi l’ho capito dal
primo secondo che l’hai vista!”
“Fare
sangue? Martin, cioè… - si corregge –
“Palermo,
da quando in qua usi queste espressioni?”
“Da
quando ho capito che è l’espressione
giusta che si addice al momento”
Berrote
sorseggia la sua birra e, dopo aver
reso palese a Bogotá che era fin troppo evidente
l’interesse per Nairobi,
rientra nel Monastero.
Non
prima, però, di avergli detto – “Cazzo,
amico! Tieni a freno l’ormone, siamo qui per
lavorare… poi, semmai ci
riuscirai, potrai anche fare altro! Per adesso c’è
una sola priorità”
Disturbato
da un evidente pregiudizio nei
suoi confronti, Bogotá ignora tali parole e si
autorimprovera. Stavolta lo fa
ad alta voce, certo di non essere udito da nessuno.
“Cazzo,
forse devo piantarla di guardarla! Ma
come cazzo si fa a non guardarla! E’ di una bellezza
disarmante!”
E
invece ad oggi, ben 12 anni dopo, è Nairobi
a renderlo cosciente che quel giorno, fu proprio lei ad udire
chiaramente le
sue affermazioni.
“Come
si fa a non guardarla!!” – ripete
Agata, sorridendo timidamente.
Lenta,
alza lo sguardo e incrocia gli occhi
di suo marito.
“Io
ti ho sentito quella volta, sai?”
“Quando?”
“Quando
hai parlato con Palermo di me, all’esterno
del Monastero. Era solo il secondo giorno che mi
conoscevi…”
“Cazzo!
Pensavo di essere solo…” – arrossisce
il saldatore – “Scusami, ti sarò
sembrato uno in astinenza”
“Ti
ho scoperto pian pianino. Ho capito
quanto sei dolce e premuroso. Non c’è nulla di un
classico playboy in te. Perfino
il primo bacio che mi hai dato, aveva ben poco del Casanova!”
L’uomo
ridacchia, vergognandosi di nuovo.
Subito
dopo segue il silenzio. I due si
fissano e si studiano, lasciando riemergere un sentimento che,
volutamente,
hanno imprigionato e bloccato per giorni.
Ed
è la gitana a fare il primo passo.
Alzandosi
dal letto di Ginevra su cui era
seduta, prende posto di fianco al saldatore.
Bogotà
la guarda intensamente, quando sinuosamente
sposta i capelli all’indietro, scoprendosi il viso.
Poi
la vede intrecciare una mano alla sua e, con
l’altra, accarezzargli una guancia. E lì, si
scioglie definitivamente.
“Ho
il cuore che mi sta esplodendo, non
riesco più a controllarlo. Mi chiede urgentemente di fare
una cosa…” – dice lei.
“Ehm…e
qual è questa cosa?” – domanda
l’uomo,
deglutendo rumorosamente. Il viso si colora di un acceso
rosso…sente le gote in
fiamme.
“Cazzo,
neanche fossimo due adolescenti!” –
aggiunge poi, intimidito dalla sua stessa reazione.
“Se
ti avessi conosciuto da adolescente,
probabilmente buona parte della mia vita sarebbe stata diversa, sarebbe
stata
migliore!”
“Non
te lo assicuro. Sai bene che testa di cazzo
ero!”
“Credi che non lo sia stata anche io?!” –
la zingara gli sorride. Poi, in piena
naturalezza, porta la mano del marito sul suo petto.
“Senti
come batte?”
E
Bogotà, a quel punto, segue sua moglie
permettendole di ascoltare anche il ritmo del suo cuore.
Uno
di fronte all’altra, intenti ad
ascoltarsi, finalmente, come facevano un tempo, riconoscendosi nei
rispettivi
sguardi, Nairobi e Bogotá avvicinano le loro labbra e
rivivono l’emozione della
prima volta.
Stavolta
niente ascensore, niente caccia a
Gandia, niente fucili e paure per il futuro…stavolta sono
solo loro due, liberi
di lasciarsi andare, senza alcuna barriera e decisi a sostenersi ed
esserci
sempre l’uno per l’altra.
“Ti
amo” – sussurra lui, commuovendosi nel
dirlo.
“Ti
amo anche io” – risponde Agata,
accogliendo il marito al suo petto.
La
scena emoziona anche i loro tre bambini
che origliano dalla porta – “Finalmente hanno fatto
pace” – esclama di gioia
Alba.
“Era
ora!” – si pronuncia Seba.
Ginny
continua a fissarli, senza distogliere
lo sguardo e intuisce quanto di grande esiste che lega la sua mamma e
il suo
papà.
“Sono
bellissimi insieme!” – commenta poi.
Soddisfatti
e sereni, i tre piccoli di casa
corrono dai restanti Dalì, decisi a lasciare in pace i loro
genitori, per
godere la ritrovata complicità.
Si
uniscono alla Banda giusto in tempo per
scoprire l’esito della telefonata di Raquel.
“Allora?
Ci sei riuscita?” – domanda,
agitato, il prof alla compagna.
Il
gruppo è radunato nell’ormai solito
salotto, ed è davvero prossimo il momento
dell’incontro con la rapitrice.
Entusiasta,
Lisbona comunica - “Tenetevi
pronti, amici miei! Si va tutti al parco stabilito da Teresa Perez! Non
temete,
a breve quella donna si troverà di fronte qualcuno di
inaspettato e sarà per
lei il colpo di grazia!”
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Capitolo 32 *** 32 Capitolo ***
I
Dalì si apprestano ad andare al parco,
luogo dell’appuntamento, organizzati secondo le indicazioni
del Professore.
“Mi
raccomando, Palermo e Helsinki! Avete un
compito molto importante da portare a termine” –
precisa il capo della squadra,
congedando i due che sono i primi a lasciare la villetta.
Su
decisione di Sergio, il serbo e l’argentino
hanno una "missione nella missione"…ovvero, prelevare la
persona utile ai fini
del Piano e portarla al parco, nel momento opportuno.
E
con il cuore in gola, i due uomini si
apprestano ad agire secondo quanto stabilito.
L’agitazione
si sente forte tra gli adulti,
ma i ragazzi e, soprattutto, i bambini avvertono il peso di una
situazione
tanto angosciante e rischiosa. E la prima ad avvertire una morsa allo
stomaco è
Ginevra, ignara che la rapitrice di Axel sia la sua adorata maestra
Honey.
Mentre
guarda il gruppo muoversi in casa sua,
impassibile di fronte a un movimento a cui non è abituata
tra quelle mura, la
bambina si accuccia sul divano, stringendo forte uno dei cuscini al
petto, usandolo
come fosse la sua personale copertina di Linus.
“Tesoro,
vedrai che andrà tutto bene” –
accanto alla piccola, prende posto la zia Tokyo, avvicinatasi
premurosamente
alla nipote.
Con
dolcezza le sposta un ciuffo di capelli
dal viso, e sorridendole le dice – “Mi sono mancati
tanto questi occhioni
grandi e neri, sai?” – non ricevendo risposta,
Silene aggiunge – “Santiago
chiedeva sempre di te!”
“Davvero?”
– esclama, piacevolmente sorpresa,
Ginevra, mutando espressione in un battibaleno. Sapere di essere il
centro
dell’attenzione per quel batuffolo dai capelli ricci e
castani, che tanto
adora, che considera un fratellino minore, la rende cosciente che,
forse, a
differenza di quanto le ribadiva Caroline Jones, qualcuno le vuole
davvero
bene.
“Certo,
mi amor! Lui ti adora. Come gioca con
te, non gioca con nessun altro” – la Oliveira
riesce a toccare corde intime e profonde
della bambina, ricordandole il posto che occupa nel cuore dei suoi
cari. Così,
continua – “ E Santi non è
l’unico che ti adora! I tuoi genitori hanno chiamato
tutti i Dalì, e i tuoi fratelli maggiori, al completo, pur
di riportarti a
casa. Ti amano così tanto da rischiare perfino di essere
scoperti dopo ben
dodici anni di fuga da ricercati”
“Mi
vogliono bene sul serio? O si sentivano
in colpa?” – la domanda di Ginevra, di soli sette
anni, spiazza totalmente
Tokyo che, in un primo momento, non sa cosa rispondere.
Come
si può avere un’idea del genere a
quell’età?
Poi
riflette sul ruolo di Teresa Perez e sul
lavaggio del cervello causato proprio da quella criminale.
“Maledetta”
– pensa tra se e se.
Poi
riprende il discorso, non rispondendo in
modo diretto alla domanda della nipotina –
“Ascoltami, tesoro! Voglio
raccontarti di me e di come un figlio è diventato la cosa
primaria nella mia vita.
Io ero convinta che mai sarei diventata madre, perché non
ero in grado di amare
me stessa, tantomeno di prendermi cura di un bebè. Poi
arrivò,
inaspettatamente, Santiago. Sono stati tempi duri, complicati, ma
giorno dopo
giorno ho cominciato a sentirlo dentro di me, sentirlo muovere e
scalciare, e
più passava il tempo, più mi innamoravo di lui.
Quando è nato, il colpo di
fulmine è stato inevitabile. Le prime settimane,
fortunatamente, avevo il
sostegno di Nairobi. Lei era sempre al mio fianco, per darmi una mano,
nonostante avesse tre figli piccoli a cui badare. Vi portava sempre con
sé, non
riusciva a staccarsi…” – ricorda,
nostalgica, Silene – “ Abbiamo trascorso
notti intere sul divano di casa mia. Ai miei occhi, tua madre era
instancabile.
Mi domandavo come facesse a crescere tre bambini e contemporaneamente
aiutare
me con un neonato! La risposta me l’ha data lei, quando le
chiesi dove trovasse
tanta forza! E sai cosa mi ha risposto?”
Ginevra
fa spallucce.
“Mi
disse che valeva la pena stancarsi per
ricevere in cambio l’amore dei propri bambini. Lei vi ha
desiderati così tanto,
da non riuscire più a stare lontana da voi. Siete la sua
priorità. Essere una
mamma a tempo pieno era ciò che Nairobi desiderava da tutta
una vita. Per voi
lei è ingrassata, ha visto il suo corpo cambiare, sformarsi,
vi ha messi alla
luce, vi ha allattati, ha trascorso notti insonni tra poppate e
pannolini, e
poi la gioia di vedervi crescere, di insegnarvi a camminare e
parlare…insomma,
siete l’essenza della sua vita!”
La
piccola s’immerge totalmente in quelle
parole, percependo tramite i racconti, l’amore di una madre
verso la sua prole.
“Ecco
perché non devi mai, ripeto, MAI,
pensare che sia per un senso di colpa. Lei ti ama più di
qualsiasi altra cosa
al mondo. Tu sei un pezzo del suo cuore. E prova ad immaginare di
vivere con un
cuore a metà! Secondo te, cosa succede in quel
caso?”
“Si
muore!”
“Esatto,
mi amor! Si muore, il cuore non
batte più come dovrebbe, fino a smettere definitivamente. E
lei si è sentita
morire senza quel pezzo di cuore che rappresenti tu, mia dolce
Ginny!”
Il
discorso di Tokyo sembra funzionare e
cancella dalla mente di Ginevra i cattivi pensieri.
Solo
un dubbio persiste e Ginny lo rende
subito palese.
“Allora,
come mai la maestra Honey mi diceva
quelle cose? Mi ripeteva che la mamma e il papà mi avevano
dato la vita per
sbaglio e che si sentivano forzati a crescermi!”
La
Oliveira la guarda, amareggiata,
manifestando con il suo silenzio, tutto il disprezzo verso quella donna.
“Non
credere agli estranei”
“Ma
lei non è un’estranea…lei mi vuole bene
come me ne vuole la mamma! Mi ha promesso perfino un
cagnolino!”
“Non
metto in dubbio questo. Ma di Nairobi ce
n’è una sola, e solo lei può amarti
come meriti. La tua insegnante tiene a te,
si è affezionata. Però, ricorda, mai nessuno
può sostituirsi a tua madre…nessuno!”
La
chiacchiera tra zia e nipote s’interrompe
con l’arrivo improvviso di Rio.
“Siamo
pronti per partire” – comunica.
Tokyo
si alza dal divano e sposta gli occhi
sulla bambina.
“Fai
la brava, mi raccomando” – le dice,
invitandola ad abbracciarla – “E, vedrai, appena
tutto questo terminerà, il
cagnolino lo prenderemo sicuramente!”
E
Ginny, accennando un timido sorriso, si
mette in piedi e si stringe alle gambe della donna, salutandola a modo
suo.
A
quel punto, accompagna la coppia verso
l’uscita, e nota tutti i Dalì salire su vetture
diverse.
Nairobi
e Bogotà sono gli ultimi a lasciare
la villa. Scendono le scale mano nella mano, lasciando trapelare che il
sentimento è tornato forte come un tempo.
Dietro
di loro ci sono Alba e Sebastian. Ed è
quest’ultimo che, piangendo, supplica -“Mammina,
non puoi lasciarci qui. Vogliamo
venire con voi!”
“Tesoro,
torneremo presto!” – ripete la
gitana, rassicurando il figlio.
Alba,
silenziosa e in disparte, non mostra i
suoi reali sentimenti. Avrebbe bisogno di gridare alla Banda che
metterli da
parte, equivaleva ad abbandonarli. E lei non vuole sentirsi di nuovo
sola di
fronte ai problemi, lei vuole affrontarli assieme agli adulti.
Si
sente una Dalì, e come tale, non può e non
merita di restare a casa a dormire mentre c’è chi
rischia la propria
incolumità.
Assorta
nei suoi pensieri, nascondendo le sue
lacrime, l’undicenne avverte una mano stringere la sua. Quel
gesto, così
premuroso, la distoglie dalla cruda realtà. Sposta lo
sguardo e scorge la
figura di Ginevra, al suo fianco.
“Sorellona,
stai tranquilla! Ci vogliono
bene, non ci lascerebbero mai da soli!”
“E’
pericoloso, e se non dovessimo vederli
più?” – commenta Alba.
“Sono
fortissimi, hanno vinto tante volte. Io
ho fiducia in loro. Mamma non potrebbe mai vivere senza noi
tre!” – forte del
discorso fattole prima da Tokyo, Ginny offre adesso la sua spalla alla
maggiore.
Strette
l’una all’altra, vengono chiamate dai
loro genitori.
Nairobi
e Bogotà li invitano ad unirsi ad un
grande abbraccio di famiglia.
“Tornate
presto, vi prego” – sono le sole
parole che singhiozza Alba.
“Mi
amor, non permetto a nessuno di tenermi
lontana da voi! Promesso” – confessa Agata.
Poi
il suono di un clacson richiama la coppia,
rimasta ancora dentro le mura della villa.
“Buona
fortuna” – dice infine Seba.
Dopo
averli baciati, la gitana li osserva
un’ultima volta, uno ad uno, e con il cuore in gola, sale a
bordo dell’auto che
la condurrà di fronte ad un ostacolo della vita
inimmaginabile…sua sorella!
I
piccoli guardano, inermi, le varie auto
sfrecciare via e, preoccupati di ciò che da lì in
poi sarebbe potuto accadere,
chiudono la porta e si recano in cucina.
Che
strano quel silenzio. Sembra di essere
tornati indietro nel tempo, ad una settimana prima.
Ma
c’è una voce nuova lì con loro.
“Vogliamo
andare a nanna?” – chiede Carmen
Jimenez, che ha ricevuto l’ordine di occuparsi dei nipoti,
assieme a Jorge.
Ginevra
è felice di avere con sé l’adorata
nonna, eppure sente una forte mancanza nel suo cuore. Così,
istintivamente, le
domanda – “Se chiamassimo la maestra Honey? Sarebbe
felice di farci visita!”
I
due Gonzales si osservano, agitati.
Difficile spiegare a una bambina di sette anni che la donna di cui si
fidava e
che ha seguito cecamente è in realtà
l’artefice di tutta quella brutta storia?
“Direi
che è ora di andare a dormire. Quando
domattina vi sveglierete, sarà tutto finito”
– è Jorge a prendere parola,
cercando di gestire la situazione, resasi ancora più
complicata dalle richieste
dell’ignara Ginny.
“Signora
Carmen” – la chiama Alba, alzando la
mano, educatamente.
E
l’appellativo “signora”, spiazza la
settantenne che avrebbe preferito la parola Nonna. Però
cosciente dell’inesistente
relazione con i nipoti, accetta, dispiaciuta, tali parole.
“Dimmi,
tesoro” - le
risponde.
“Vorrei
ci raccontassi della mamma da
bambina!”
Incuriositi
da storie di cui conoscono ben
poco, i tre figli di Nairobi e Bogotá vengono accontentati.
Se
quello è un modo per distrarli da ciò che
sta, contemporaneamente, accadendo a qualche km di distanza, Carmen non
può che
acconsentire.
Sistematisi
nella camera di Agata e di suo
marito, indossati i pigiami e coricatisi nel grande lettone in cui
amavano
intrufolarsi di notte per disturbare il sonno dei loro genitori, Alba,
Sebastian e Ginevra si apprestano ad ascoltare il passato della loro
mamma.
“Ecco,
da dove posso cominciare!”
“Dall’inizio…tanto
non credo che riusciremo a
dormire” – puntualizza il maschietto, con gli occhi
spalancati, e ben attento
ad udire l’intera narrazione.
Sorridendo
di fronte al buffo sguardo del
nipotino, l’anziana gitana racconta della sua figliola dai
capelli nero corvino,
gli occhi scuri e grandi, super
testarda
e dai tanti sogni nel cassetto che, solo ad oggi, hanno trovato piena
realizzazione.
Nel
frattempo, i Dalì giungono nel famoso
luogo dell’incontro.
“Ci
siamo, il posto è questo” – comunica il
Prof, tramite walkietalkie ad altre due vetture.
“Io
non vedo nessuno” – prende parola Denver,
alla guida del mezzo che segue quello di Sergio.
“Spero
per quella donna che non sia un
tranello” – commenta Nairobi, domando la sua
pazienza, essendo giunta ormai al
limite della sopportazione.
“Palermo
e Helsinki, saranno qui a momenti.
Spero arrivino dopo Teresa, altrimenti potrebbe
insospettirsi” – precisa
Marquina.
“Ehi,
guardate, io intravedo qualcosa in
lontananza” – parla Drazen, riferendosi alle luci
di alcune torce.
“Sono
loro…siete pronti? O la va o la
spacca!”- esclama Tokyo, decisa a mettere la parola fine a
quella brutta
storia.
Appurato
che il gruppo che avanzava verso di
loro è quello di Teresa Perez, i Dalì si
apprestano a scendere dalle rispettive
automobili e, compatti, a dirigersi verso il nemico.
“Guarda
guarda, come supponevo…la mia cara
sorella ha portato con se i cagnolini da guardia!”
– ridacchia la rapitrice,
accennando un sorrisetto beffardo, alla vista della Banda riunita che
si muove
nella sua direzione.
Axel,
con le mani legate e stretto tra due
scagnozzi, teme per l’incolumità dei suoi amici e
parenti. Eppure non ha modo
di liberarsi, per rendere il tutto più semplice.
“Non
vedo Ginevra, questo è un brutto
segno…”
– sostiene la Perez, alquanto infastidita.
Passo
dopo passo, i due gruppi contrastanti
si avvicinano fino a trovarsi l’uno di fronte
all’altro.
Il
Professore, affiancato da Nairobi, dà
spazio alla gitana in quanto coinvolta in prima persona.
“Finalmente
ci si conosce, sorellina! Sognavo
da sempre questo momento!” – Teresa, ironica,
ridacchia, prendendosi gioco
della parente, godendo nel vederla soffrire. “Facciamola
finita! Restituiscimi mio figlio!
Adesso” – Agata si mantiene fredda e distante,
seppure la rabbia le ribolle
dentro.
“Povera
stupida zingarella. I patti erano
altri, dove tieni nascosta Ginny?”
“Non
sceglierò mai tra i miei figli! Non
cederò uno al posto dell’altra, chiaro?”
“Ah,
beh… ecco, ma vedi… sei costretta a
farlo. Non hai molte opzioni. Quindi te lo ripeto un’ultima
volta… dov’è
Ginevra?” – la sua voce si fa oscura e inquietante,
dà ordine ai suoi scagnozzi
di avvicinare Axel e mostrarlo ad Agata.
“Niente
Ginevra, niente Axel” – minaccia,
tirando fuori dalla sua giacca una pistola.
Puntandola
verso il ventunenne, si sente invincibile,
sente di avere la vittoria nelle sue mani.
E
a Nairobi invece cedono le gambe alla vista
di una scena straziante.
“Quando
cazzo arrivano Palermo e Helsinki!” –
il Professore si guarda attorno, speranzoso. Eppure quel suo ambiguo
comportamento,
attira l’attenzione di Teresa stessa che, rivolgendosi a lui,
dice – “Aspettiamo
qualcuno?”
“Lascia
andare Axel” – ordina Sergio, mentre
nella sua testa frullano idee alla velocità della luce.
“Che
noia! Sempre le stesse cose, siete
monotoni! Ok, allora, se volete che sia ripetitiva anche
io…” – punta l’arma
sul giovane Jimenez, senza freni – “Datemi Ginny, e
libererò questo meticcio!”
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Capitolo 33 *** 33 Capitolo ***
La
scena che tutti i Dalì hanno di fronte è
familiare e li riporta indietro nel tempo, quando dodici anni prima, ad
essere
minacciata con una pistola, a rischio morte, era Nairobi, vittima della
follia
di Cesar Gandia.
La
stessa Agata rabbrividisce guardando suo
figlio in pericolo di vita, e i ricordi le pulsano su quelle ferite
che,
esteticamente restano cicatrizzate, ma che nell’anima
bruciano intensamente.
La
gitana percepisce il terrore negli occhi
di Axel e si sente impotente di fronte ad un’arma che
potrebbe sputare fuori
una pallottola da un momento all’altro.
Si
sente sola davanti alla follia di una
criminale; eppure non lo è. E quella solitudine che cerca di
divorarla,
svanisce non appena prende parola Bogotà.
“Ci
credi impreparati? Non lo siamo!” –
s’infuria l’uomo, tirando fuori dalla sua tasca,
una Revolver. Gli amici lo
seguono a ruota, non esitando un solo istante.
La
loro presenza risveglia la Jimenez dal suo
incubo più grande.
A
quel punto, Teresa, ridacchiando,
controbatte - “E voi mi pensate talmente cretina da venire
fin qui, con pochi tirapiedi?
Al posto vostro, mi allerterei! Dopotutto, avete lasciato soli soletti
i vostri
mocciosi, scommetto assieme a quei due rimbambiti dei
Gonzales!” – così dicendo
lascia intuire che adesso, ad essere in pericolo, sono anche i tre
bambini e i
due anziani, rimasti in casa da soli.
“Non
faresti mai del male a Ginevra!” –
commenta il Professore, certo di quanto detto.
“Ovviamente!
Sarò anche una criminale, però
vige un codice di tutela verso i minori. I bambini sono
intoccabili” – precisa la
Boss, aggiungendo subito dopo – “…sempre
se, questi minori, non si mettono tra
i piedi ad intralciare i miei affari.”
Sentendo
tali parole, i Dalì al completo
impallidiscono. Solo un demonio può avere idee tanto estreme
nei confronti d’innocenti,
specialmente se di sette e undici anni.
Stoccolma
sente le mani tremarle per via del
panico, e ciò le rende difficoltoso impugnare
l’arma. Immediatamente l’occhio
le cade su Nairobi e avverte la sofferenza di quella madre. Empatica
com’ è,
immagina subito la sua di reazione se, al posto di Alba, Seba e Ginny,
ci fossero
stati i suoi due figli.
Denver,
di fianco a Monica, intuisce subito
la sua preoccupazione e la prega di abbassare la pistola, mantenendosi
dietro
le sue spalle per sicurezza.
“Qualcuno
deve tornare a casa!” – sussurra
poi Rio alla compagna di squadra, posizionata alla sua destra, ovvero
Lisbona.
“Non
sappiamo se sta bleffando” – risponde
Raquel, studiando il volto e le espressioni della rapitrice.
“Ma
non possiamo neanche rischiare che
qualche suo scagnozzo faccia del male ai bambini!”
– replica Tokyo, nera di
rabbia.
L’idea
che balza alla mente della ex
ispettrice è di avvisare i Gonzales e anche i Johnson. Solo
i complici di
Sergio Marquina avrebbero potuto intervenire, in caso di
necessità.
Senza
dare nell’occhio, indietreggia,
nascondendosi dietro i corpi degli amici. Tira fuori il cellulare e
scrive un
rapido sms inviandolo a Helsinki.
E’
convinta di non essere stata notata da
nessuno, e invece è proprio uno dei tirapiedi di Teresa
Perez a comunicare alla
donna dello strano comportamento della Dalì.
Fa
segno allo scagnozzo di agire come
dovrebbe, e l’omone, infatti, si allontana, spiazzando i
presenti.
Nel
frattempo, Nairobi e Bogotà, preoccupati
per i propri figli, decidono di fingere e di stare al gioco della Boss.
“Non
troveranno nulla! Ci siamo attrezzati
bene, immaginavamo che la tua follia ti avrebbe condotta ad
intrufolarti in
casa nostra per vendicarti di uno scambio che, ripeto, non
avverrà MAI!” –
Agata mostra la sua forza e la sua grinta, lasciandosi travolgere da un
sentimento di forte astio nei confronti della sorella a cui non deve
nulla e
che non considera tale.
“Beh,
io avrò la certezza delle tue parole, a
breve! Non appena i miei uomini saranno lì, mi confermeranno
o meno. Sappi solo
che le bugie non mi piacciono”
“Ah
sì? Sbaglio o la tua vita è una menzogna
costante? Celi la tua identità da anni, ormai”
– la punzecchia la Jimenez,
desiderosa di schiacciarla psicologicamente, come Teresa fa adesso con
lei e
come ha fatto da mesi con Ginny.
“Io
ho dovuto nascondermi per proteggermi
dalla Polizia. O credete che siete i soli ricercati in questo mondo?
Scendete dal
piedistallo, cari Dalì. Paragonati a me e a quello che sono
stata in grado di
fare in vent’anni di lavori sporchi, non valete che
zero” – Teresa sminuisce le
rapine della Banda, pavoneggiandosi di quanto invece le sue azioni
losche e i
suoi traffici siano stati fenomenali.
E
dopo aver elencato per bene tutte le
attività svolte, torna al nocciolo della questione
– “Ginevra, con me,
diventerà un Capo eccezionale. Ha la dote da Leader nel
DNA!”
“Certamente
ereditata da Nairobi” –
puntualizza Denver.
Ennesimo
paragone che non va giù alla
criminale.
“E’
a me che quella bambina assomiglia,
fatevene una ragione. Tu, cara sorellina, hai fatto di tutto pur di
metterla
costantemente a confronto con il bel moretto che ho qui con me, e sai
che fa
male sentirsi sempre seconda a qualcuno?” –
è tramite quelle parole che la
sedicente maestra manifesta il rancore per un genitore e per una
sorellastra
che le hanno reso difficile accettarsi.
“Io
amo i miei figli, tutti e quattro, allo
stesso modo”
“A
detta di Ginevra, non è così!”
– Teresa
interviene a zittire Agata in un battibaleno.
“Sei
tu, con il tuo lavaggio del cervello ad
averla convinta di questo!” – replica la gitana.
Una
risata beffarda è la reazione della Boss,
che in tale preciso istante, sposta l’arma da Axel a Nairobi.
Adesso
è la donna il suo bersaglio.
“Cosa
vuoi fare? Mi vuoi sparare? Eccomi,
spara. Poi non avrai più vita, perché questi
Dalì incompetenti, come li
definisci tu, ti trucideranno di colpi! A te la scelta!”
– la Jimenez, si
posiziona, a braccia aperte, davanti Bogotá, come a fare da
scudo umano al
marito e all’intera Banda.
“Che
cazzo fai?” – si allarma Rio.
“Nairo,
smettila! Non provocarla” – le grida
Tokyo.
“Può
essere pericoloso” – singhiozza
Stoccolma.
Gli
occhi di Agata divampano. Tali fiamme,
Teresa le percepisce e sono identiche a quelle che sente ardere dentro
di se.
“Fossi
in te, non azzarderei. Non sai di cosa
sono capace”
“Invece
inizio a sospettarlo!” – sostiene la
maggiore delle due.
“Che
stupida che sei! E tu saresti la grande
falsaria, dalle capacità e dallo spirito battagliero? Ma non
farmi ridere!” –
Teresa cerca di umiliare la gitana, schernendola e sminuendo il
coraggio
mostrato, quello di lasciarsi uccidere per salvare chi ama.
“Cesar
Gandia ha fallito miseramente con te.
Peccato, eppure speravo che almeno lui ti eliminasse”
“Come?”
– ripete, confusa, Nairobi, tremante
al solo ricordo del folle che cercò più volte di
toglierle la vita.
“Vuoi
sapere la verità? Quando Alicia Sierra
cercò un modo per colpirvi e farvi tanto male,
mirò a te, al tuo essere mamma!
E sai chi la aiutò in questo?”
“Non
ci credo” – commenta la Jimenez,
intuendo subito la risposta – “Tu?”
“Avevo
una voglia matta di brindare sulla tua
tomba. E stavo per riuscirci, se non fosse stato per
l’intervento di questi quattro
idioti, e per l’incapacità di Gandia!”
“Maledetta!”
– Agata stringe i pugni con forza,
abbassando lo sguardo per controllare la rabbia che è
prossima ad esplodere. Il
corpo le trema e ciò preoccupa i compagni di squadra. Il
primo è Bogotá, che,
fregandosene dell’arma di Teresa, si pone da barriera davanti
sua moglie.
“Pagherai
per il male che hai fatto” – dice il
saldatore, digrignando i denti. Cova una rabbia animale dentro di se
che ha
voglia di uscire, ma che l’uomo domina come meglio
può.
La
Perez osserva la Banda avanzare e
posizionarsi a difesa di Nairobi.
Questo
la manda in bestia – “Perché amano
tutti te? Perché?”
In
tale istante, lo scagnozzo che Teresa
istruì pochi minuti prima, compare alle spalle di Lisbona e
la strattona,
allontanandola dal gruppo.
“Raquel”
– grida Sergio, spostando la sua
attenzione sulla compagna e sulla sua difesa.
“Un
solo passo e uccido questa figlia di
puttana” – dice il tipo.
“Lasciala
stare, è con me che ce l’hai!”
–
Agata riprende parola dopo aver metabolizzato l’odio di sua
sorella, odio che l’ha
spinta a tramare per la sua morte.
“E’
un conto in sospeso tra parenti” –
ribadisce di nuovo.
“No,
cara mia! Non hai rispettato l’accordo,
niente Ginny, niente Axel…niente famiglia!”
Il
cellulare nella tasca della Murillo vibra
in quel momento e lo scagnozzo della finta maestra, lo tira fuori
nonostante le
resistenze della donna.
Legge
sullo schermo – “Tutto ok, sono al
sicuro. Noi ci siamo quasi…abbiamo la carta
vincente!”
Mostrando
il messaggio alla Boss, il
tirapiedi lascia andare Lisbona che viene subito accolta tra le braccia
del
Professore.
“Carta
vincente? Davvero credete di poter
vincere contro di me? Io vi conosco bene, ho studiato tutte le vostre
mosse in
questi anni. Sappiate solo che sono stata brava a tacere
perché avrei potuto
parlare con chi di dovere e farvi catturare in un battibaleno”
“Stai
fingendo, è impossibile che tu
conoscessi i nostri piani!” – interviene Tokyo.
“Non
avete ancora capito che sono una
camuffatrice in piena regola? Se volete, vi rischiaro la memoria. A
partire da
caro prof… in Tailandia, ti ho venduto una sorta di
talismano, un’idiozia che
rubai anni addietro. Essendo un uomo tanto intellettuale, avresti
acquistato
solo merce di valore, non potevo perciò usare altri
strumenti!”
“C’era
un microchip all’interno?” – domanda,
sospettoso, il Marquina.
“Chiaramente!”
“Quindi non hai degli scagnozzi ovunque? Hai soltanto
utilizzato una spia!” –
commenta Rio.
“Beh,
diciamo che ho potuto ascoltare molto,
anche rumori notturni di cui avrei fatto volentieri a meno”
– precisa, imbarazzando
la coppia lì presente.
“Poi
ovviamente ho raggiunto la mia sorellina
in Argentina. Quante volte ti ho beccata assieme a
quell’omone grande e grosso.
Avrei potuto agire, però pensai che studiarti per poterti
schiacciare al
momento giusto mi avrebbe dato maggiore soddisfazione!”
“Santo
cielo, sei un demonio” – esclama,
rabbrividendo, Stoccolma.
“E
tu riccioli d’oro, tanto dolce e carina,
sei la prima puttana qui. Ti sei fatta mettere incinta dal tuo capo,
per giunta
sposato, e ora fai lezioni di morale a me?”
Denver
scatta subito, sentendo le accuse a
sua moglie.
Eppure
è Monica stessa a frenarlo – “Ci vuole
solo provocare” – sussurra lei, cercando di
sorvolare sulle accuse lanciatele
con cattiveria gratuita.
“Quando
Rio fu catturato, fu perché venne
rilevato il telefonino. Indovinate chi vi ha venduto i
cellulari?” – con un
sorriso malizioso, Teresa conferma il suo totale coinvolgimento in ogni
ultima
sventura vissuta dai Dalì – “Ho fatto in
modo che la squadra si ricongiungesse
per annientarvi uno ad uno. Peccato, quando ero prossima a vedere mia
sorella
morta, si è salvata. Dopo aver conosciuto Ginevra ho pensato
“Cazzo, far
sparire nel nulla una bambina, richiamerà i Dalì
per la terza volta! Potrei
essere io quella che finalmente li farà sparire dalla faccia
della terra!” e
così eccomi qui! Sono partita per l’Australia,
sapendo tramite fonti certe del
trasferimento di Nairobi. Volevo approfittare del suo essere sola e
senza
scorte, per affrontarla. E invece non era sola. Aveva qui altri tre
membri
della Banda. Ho aspettato, ho continuato ad inserirmi nella sua vita.
Ti ho
perfino detto che il tuo secondo bambino era morto per un
aborto!”
“Cosa?
Non può essere” – Agata sente le gambe
cederle e cerca di mettere in ordine pezzi di un passato che potessero
ricollegarsi proprio alla Perez.
“Il
nome Vanessa Bright, non ti dice nulla?” –
domanda la Boss, sistemando l’arma nella tasca. Ormai non le
serve sparare al
cuore di sua sorella, perché la sta annientando con le
parole.
“E’
la dottoressa che mi diede delle pillole
per…!” – quel preciso istante diventa
chiarificatore per Nairobi e non riesce
più a trattenersi.
“Figlia
di puttana!! Sei stata tu…tu hai
ucciso il mio bambino! Mi hai causato l’aborto!”
– grida con tutta la forza che
le resta, schiacciata dalle sue emozioni, distrutta psicologicamente.
“Te
l’ho detto che mi sarei vendicata! Non
sei e non sarai mai superiore a me! Né come figlia,
né come donna, né come Leader,
né…come rapinatrice!”
“Come
madre sì, però” – interviene
Silene,
singhiozzando di fronte ad una notizia che ha pietrificato la Jimenez,
spegnendole cuore e mente.
“Ginny
avrà la madre che merita! Quindi,
anche come mamma sarò superiore a lei” –
replica la Perez.
Poco
le importa dei Dalì che le puntano la
pistola contro, avanza verso di loro e con sorriso beffardo comunica
– “La
polizia sarà qui e vi catturerà tutti quanti! Li
ho messi in allerta del vostro
ritrovo a Perth. Avete i minuti contati!” – poi fa
segno ai tirapiedi di
seguirla.
“Lasciate
il ragazzo” – ordina poi, tra
l’incredulità
dello stesso giovane.
Axel
corre immediatamente da sua madre,
eppure neanche ricontrare il proprio sangue dà ad Agata la
forza per tirarsi
su.
“Cazzo!” – esclama Denver –
“Prof, che facciamo? Dobbiamo scappare!”
Sergio,
fisso con lo sguardo su Agata, inginocchiata
a terra, avvolta tra le braccia di Bogotà, e sostenuta dalle
altre due donne
della Banda che le corrono incontro, prende le redini della situazione
– “Qual
è il tuo vero piano, Teresa? Perché ci hai voluti
tutti qui per poi rilasciare
il ragazzo senza nulla in cambio?”
La
follia della Boss criminale non ha
ovviamente un fine logico: si muove, agisce, inventa e disfa tutto in
maniera
confusa.
“Mandarvi
in galera è il risultato maggiore
che potessi ottenere. Per di più, ho colpito dove avrei
voluto colpire…al cuore
di mia sorella, così come anni addietro fu colpito il mio!
Quanto a Ginevra,
non mi arrenderò mai. Quella bambina è la mia
copia, e come me, non merita di
vivere all’ombra di un fratello maggiore che neppure conosce.
Sarà la figlia
che ho sempre voluto, e io la madre di cui necessita”
– con tali parole, la
Perez si incammina a passo svelto verso un vecchio camper parcheggiato
poco
distante dalle automobili dei Dalì.
I
lamenti di Nairobi toccano il cuore di
tutti i suoi amici che non sanno come calmarla.
“Starà
fingendo di nuovo?” – domanda Lisbona
al compagno.
“Non
lo so, da lei ci si può aspettare di
tutto”
“Però
noi abbiamo ancora una carta da
giocare!” – precisa la donna.
Sergio
annuisce e urla a Teresa qualcosa che
mira a scuotere la criminale – “Se ti dicessi il
nome Anastasia… penseresti
ancora che Ginny sia la figlia mai avuta? O hai dimenticato di averne
già una?”
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Capitolo 34 *** 34 Capitolo ***
“Fossi
in te mi informerei meglio
Professorino dei miei stivali” – replica Teresa,
sentendo Sergio tirare in
ballo Anastasia – “Dovresti fuggire ora che sei in
tempo. Altrimenti sconterai
il resto della tua vita in galera” – ribadisce la
Boss ai Dalì, ricordando loro
che la polizia è prossima ad acciuffarli.
“Come
fai a rimanere impassibile di fronte al
nome di tua figlia, cazzo” – esclama
Bogotá, notando che l’argomento centrale
è
stato declassato dalla criminale.
In
realtà, la donna non è affatto
indifferente al ricordo della figlia, e quello stesso ricordo
l’ha colpita con
irruenza e violenza, con la stessa rapidità di una
pallottola che le affonda
nel cuore, riducendolo in poltiglia.
Trattiene
il respiro per alcuni secondi, poi
si mostra la solita fredda e agghiacciante donna di sempre.
“Salutatemi
il carcere!” – conclude, prima di
incamminarsi verso il suo mezzo.
Da
lontano le sirene sono ben udibili;
segnale che le pattuglie sono sempre più vicine.
La
Banda, preoccupata, opta per la fuga. A
quanto pare la Perez non ha mentito quando ha sostenuto di aver
avvertito chi
di dovere.
“Che
facciamo, Professore? Dobbiamo
andarcene?” – domanda, agitato, Denver.
“Abbiamo
recuperato Axel! E’ ciò che
volevamo, scappiamo subito” – aggiunge Rio.
Eppure
la freddezza di Teresa riguardo
all’argomento Anastasia ha spiazzato Sergio, intenzionato
quindi ad abbattere i
muri di quella criminale, lasciandola in preda al dolore che riemerge.
“Helsinki
e Palermo saranno qui a momenti.
Voi andatevene, io rimango!”
“Cosa?”
“Sei impazzito?”
“Non
ti lasciamo da solo con questi folli”
Il
gruppo, stranito dalla decisione del
Marquina, ha chiara la missione: non bisogna separarsi più,
qualsiasi cosa
accada. Uniti sono più forti.
E’
Nairobi stessa, alzandosi da terra, a
prendere parola – “Non voglio rischiare
più nulla per colpa di questa
maledetta!”
Lo
sussurra all’orecchio del Prof, lasciando
intendere che non vale la pena colpire Teresa perché, a
pagarne le conseguenze,
potrebbero essere solo i Dalì.
“Sono
sicuro che il confronto con chi sai tu,
potrebbe esserci utile” – insiste Sergio.
L’uomo
e la gitana si guardano in silenzio,
riuscendo a capirsi al volo.
E
Lisbona e Bogotà fissano i rispettivi
compagni, confusi.
Solo
allora, Agata annuisce con il capo e si
posiziona di fianco al marito, stringendogli la mano.
“Tutto
bene?” – le domanda, preoccupato.
“Ho
il cuore fracassato, ma con te accanto
posso superare ogni cosa. Non commetterò lo stesso errore di
giorni fa, non mi
allontanerò per patire in solitudine il mio
dolore” – sussurra lei, ricevendo
un rapido bacio sul capo dal consorte.
Il
capo della Banda, intanto, si rivolge
nuovamente alla Perez, seguendola passo passo - “So di
Anastasia, so di te e di
quel poliziotto! So tutto”
Allora,
e soltanto allora, la Perez s’immobilizza,
esattamente a pochi metri dal camper sul quale è prossima a
salire con i suoi
scagnozzi.
Stringe
i pugni, controllando un’emotività
sempre più instabile. E proprio
quell’instabilità la costringe a ricordare
qualcosa che, per anni, ha tentato di cancellare dalla memoria. Anzi,
piuttosto
che qualcosa sarebbe meglio dire… qualcuno! Un qualcuno
divenuto la causa del
sanguinamento di ferite profonde che non si potranno mai ricucire.
Teresa
aveva vent’anni quando s’innamorò di un
giovane madrileno di cui sapeva poco e
nulla. Lei lo definiva un colpo di fulmine, scattato casualmente
durante una
serata in un pub. In quel periodo era solita frequentare luoghi di
svago, per
concedersi una pausa dal “lavoro” ereditato da sua
madre. Quest’ultima, Anabel
Perez, per tutti “la Bella del Barrio”, era venuta
a mancare qualche mese prima
per un tumore che non le diede più respiro e la stessa
Teresa diventò una vera
e propria matriarca nella gestione di loschi affari criminali.
Fu
esattamente durante una notte di alcool e balli sfrenati che il destino
segnò
la sua vita.
“Mi
chiamo Antonio Garcia, piacere di conoscerti” – si
presentò al suo tavolo, un giovane
dai capelli chiari e gli occhi verdi. Non il tipico spagnolo, senza
evidenti
interessi sessuali, e decisamente dal cuore più tenero di
quanto si potesse
pensare.
“Teresa,
per gli amici Tere!” – con una stretta di mano i
due danno inizio ad una
frequentazione, sempre più assidua, che li
porterà ad innamorarsi.
O
almeno, l’innamoramento era reale, però
unilaterale.
“Incinta?
Sono incinta! Com’è possibile, pensavo fossimo
stati attenti” – fu la notte di
Natale di quello stesso anno, a distanza di sei mesi di conoscenza, che
la Boss
scoprì la sua gravidanza. Il momento più
emozionante e contemporaneamente più sconvolgente
mai vissuto.
Dirlo
ad Antonio o non dirlo?! Indipendentemente da ciò, la
ragazza sapeva benissimo
che quella era una sua decisione e di nessun altro: tenere il bambino o
eliminare il problema, era un dilemma che andava affrontato quanto
prima.
Raccolto
il coraggio, Teresa diede appuntamento al suo compagno, al solito Pub.
Studiò
ben benino le parole da utilizzare per dare la notizia bomba.
Preparò un
discorso saggio su quanto fosse inopportuno diventare genitori senza
che se ne
avvertisse il desiderio.
Eppure,
qualcosa accadde che la salvò letteralmente dalla galera. Il
ritardo di alcuni
preziosi minuti, per via del traffico stradale, le permisero di
scampare il
pericolo rappresentato da una pattuglia di poliziotti, pronti ad
arrestarla,
radunati insieme ad Antonio, fuori dal pub.
Preoccupata
per il fidanzato, la ventenne ignorava che, effettivamente, Garcia
fosse uno di
quelli. E quando, con le sue orecchie, sentì il biondino
raccontare ai colleghi
che il suo fu un piano ben studiato per incastrare la figlia di una
grande Boss
criminale, Teresa vide vacillare l’ultimo vessillo di
felicità.
Si
era illusa che potesse esistere al mondo qualcuno che
l’amasse davvero. Dopo un
passato doloroso, che l’ha vista patire per la mancanza
d’affetto di un padre
che prediligeva la figlia maggiore, dalla quale si era separato dopo
aver
tradito la sua prima moglie, con Anabel Perez…dopo aver
sofferto per colpa di una
madre che amava più i suoi loschi affari di sua
figlia…dopo aver pensato che un
uomo potesse nutrire nei suoi confronti un sentimento forte e profondo,
si
accorse che il destino si divertiva a giocare con le sue emozioni ed
era pronto
a sputarle in faccia la triste realtà, ogni qualvolta Teresa
respirava un
briciolo di serenità.
E
mentre il Professore continua a infierire
sulle ferite interiori della Perez, sottolineando che Anastasia non
può essere
dimenticata perché sangue del suo sangue, la sorella di
Nairobi continua ad
essere bombardata dai ricordi più dolorosi di quegli anni.
Arrabbiata
con il mondo intero, decise di abortire. Eppure fu un sogno a bloccare
tale
idea. L’immagine di sua madre che le ordinò di
tenere il bambino, o meglio, la
bambina dato che sarebbe stata una femmina, così come voleva
la dinastia e il
loro matriarcato, perché è a lei che avrebbe
ceduto l’eredità del Clan
criminale.
Mesi
dopo, come previsto, Tere diede alla luce una femminuccia. Difficile
dimenticare il dolore fisico, seppure mai forte quanto quello
psicologico che
per mesi la dominò, e che lei sfogò con azioni
mafiose estreme.
La
piccola fu chiamata Anastasia, un nome imperiale, visto che sarebbe
stata destinata
a grandi cose, tra cui il controllo di un Clan tra i più
ricercati e potenti,
un clan tutto al femminile.
Inizialmente,
Teresa, con la neonata, si mostrò fredda e distaccata. La
affidò alle cure di donne,
vincolate alla Boss per dei debiti di cui si liberarono servendo da
Balie alla
bambina. Finalmente accadde qualcosa che toccò il cuore
della giovane e
inesperta mamma. Una notte Ana non respirava normalmente, pallida e
tremante,
era come in apnea. Ciò spaventò a morte la Perez
che riuscì a salvarla giusto
in tempo e appellandosi esclusivamente ad un istinto materno che
credeva
inesistente.
Fu
quel preciso istante, quando tornò ad ascoltare il pianto
della piccina, che
tirò un sospiro di sollievo e scoprì che qualcuno
che aveva bisogno di lei
esisteva….ed era sua figlia!
“Hai
la benché minima idea di cosa significa
amare? A mio avviso, un mostro come te non sa farlo”
– Nairobi prende parola,
faticando a rivolgersi a sua sorella e a guardarla in faccia. Eppure lo
fa, non
nascondendo rabbia e disprezzo.
“Io
quella figlia non la volevo, non sarebbe
dovuta neanche nascere” – replica la donna,
volgendo lo sguardo altrove,
mentendo sul suo legame intimo e fondamentale con l’unica
persona al mondo che avrebbe
potuto amarla come merita.
E
Agata, schifata da quanto udito e convinta
della crudeltà della sorellastra, le sputa addosso il suo
odio – “Che pena mi
fai! Potremo anche avere gli stessi capelli o lo stesso naso,
però resta poco
altro! Non sono stata la madre che avrei potuto essere per Axel,
avrò sbagliato
a paragonare i miei figli! Però sto recuperando. Tu invece
sei e rimarrai una
merda per tutta la vita!”
I
Dalì sono informati su ogni dettaglio della
vita di Tere, e del suo rapporto con Anastasia e Nairobi non riesce a
zittirsi,
tanto da spiattellarle in faccia quanto sa – “Una
madre non eliminerebbe mai
sua figlia! MAI”
La
Perez capisce, soltanto adesso, che il
Prof e la sua Banda conoscono una parte del suo passato più
fangosa e
deplorevole, che la tormenta da quasi cinque anni.
Ebbene
sì, Tere ha commesso tanti crimini, ma
il più tragico è stato pagato dal sangue del suo
sangue.
Antonio
Garcia scoprì dell’esistenza di Ana, quando la
bambina aveva tre anni e forte
della sua carica istituzionale riuscì a strapparla dalle
braccia di sua madre.
Teresa, infatti, fu costretta dalle circostanze e da un ricatto vero e
proprio
impostole dall’ex, a scegliere tra Anastasia e la galera.
Se
la piccola fosse rimasta al suo fianco, la polizia l’avrebbe
sbattuta in
gattabuia senza darle più alcuna libertà. Nel
secondo caso, se Ana fosse stata
affidata al genitore di sesso maschile, l’uomo stesso avrebbe
garantito alla
Boss un buon avvocato e una pena ridotta.
Ma
Teresa non si abbassò ad alcuna minaccia. Non aveva
intenzione di credere alle
parole di quell’uomo che anni prima la tradì alla
prima occasione.
E,
seppure a malincuore, non avrebbe mai detto addio alla sua
libertà. Neppure se
questa libertà aveva un costo da pagare che consisteva nella
perdita della sua
amata bambina, nel rinunciare al suo DNA.
Prima
di comunicare l’esito della sua decisione al Garcia, la
ventitreenne si
organizzò in anticipo. Nel cuore della notte si
presentò in una chiesa di
Madrid, cedendo la minore ad una suora.
“Mi
raccomando, dovrà vivere con suo padre! Nessun orfanotrofio,
nessuna casa
famiglia… nessuna adozione!” –
precisò.
E
così fu.
Teresa
divenne fredda come il ghiaccio, decisa a dedicarsi solo al suo
“lavoro”,
mettendo un definitivo STOP ad emozioni e sentimenti.
Promise
a se stessa che si sarebbe vendicata al momento opportuno.
L’apice
della sua follia arrivò quando, scoperto che Antonio Garcia
si trovava in
Brasile, lì dove la Perez sostò per qualche mese,
per traffici di droga, la
donna decise di farsi giustizia, riprendendosi ciò che di
diritto le spettava:
sua figlia!
Ignara
che la sedicenne Anastasia era in auto con il genitore, la Perez
ordinò ad
alcuni uomini di provocare un incidente mortale.
Da
brava ed ingegnosa mente diabolica, studiosa di ogni dettaglio prima di
ogni
azione, stavolta non ragionò sulla possibilità
che viaggiassero in due su quel
maledetto mezzo.
E
accadde il disastro che ad oggi grava sulla sua coscienza. Teresa era
sul luogo
del dramma quando giunsero i soccorsi. Vide due corpi uscire
dall’automobile
distrutta, e uno di questi era fin troppo riconoscibile. Quella scena
le
trucidò l’animo. Venne appurato che il conducente,
Antonio Garcia, era in
pessime condizioni, però il cuore batteva ancora. Era
l’adolescente seduta al
lato passeggero ad aver riportato maggiori traumi. 24ore di agonia che
si
conclusero con un “Abbiamo tentato l’impossibile.
La ragazzina non ce l’ha
fatta” – pronunciato, a malincuore, dal direttore
dell’ospedale ai giornali
nazionali.
Una
sofferenza dietro l’altra che resero Teresa Perez
l’automa che oggi, tutti,
riconoscono. Un automa che vivrà da lì in poi di
continui spostamenti, di
camuffamenti, e di emozioni represse. Da allora, Tere non
vivrà, ma sopravvivrà
al dolore.
“Non
si vive alla morte di un figlio. È impossibile”
– continuò a ripetere a se
stessa i giorni successivi al funerale di Anastasia. Un funerale che
commosse
la Spagna, essendo quella ragazza la figlia di uno dei poliziotti
più in vista
e più rispettati della nazione. Colui che riuscì
in molte imprese, a cui mancò
solo una: sbattere in galera la madre di sua figlia, la donna che
tentò di
eliminarlo e che, nel farlo, punì ingiustamente
un’innocente.
La
Boss accettò passivamente la sofferenza e
concentrò la sua mente su un piano
che sembrò essere più soddisfacente di tanti
altri: vendicarsi di Nairobi.
La
pena, troppo forte per permetterle di respirare come ogni normale
essere umano,
mise in stand by i ricordi riguardanti Ana, dandole modo di incentrarsi
su un
obiettivo, appunto Agata Jimenez.
Nel
cuore, però, ciò che nutriva verso la gitana era
paradossalmente inferiore
rispetto al rancore provato nei confronti di Antonio Garcia.
Mossa
dalla convinzione di non meritare l’affetto di nessuno, di
essere detestata da
chiunque, decise di scoprire cosa, al contrario, rendeva amabile sua
sorella
maggiore.
“Cosa
vedono di tanto speciale in lei e in quei Dalì?”
– si chiese, subito dopo aver
saputo della fama raggiunta dalla Banda del Professore.
Quei
tipi con la tuta rossa e la maschera del pittore spagnolo rischiavano
di
rubarle la scena e andavano fermati.
La
sua attenzione, quindi, si spostò sulla guerra contro altri
“criminali” a lei
avversari.
Solo
una volta abbattuto l’avversario, Tere avrebbe puntato il
fucile contro il
nemico numero uno: Antonio Garcia.
Dopotutto,
era ciò che meditò per anni. Punire chi le
recò male.
Suo
padre, beh…era già morto, una morte avvolta nel
mistero! Per molti, causata da
Anabel.
Nairobi,
seconda vittima del piano… sorellastra da sempre considerata
superiore a lei!
Ed
infine lui… il poliziotto che le ha devastato la vita e che
l’ha resa una
ricercata nel mondo. Se
non fosse stato
per Garcia, i servizi segreti non avrebbero scoperto la sua
identità e avrebbe
potuto continuare a lavorare illegalmente in Spagna.
Costruitasi
il suo Piano di vendetta, la Boss spagnola arrivò a Perth,
portando con sé la
prima moglie di suo padre, precisamente Carmen Jimenez, cosciente che
quella
gitana era il punto debole di Agata. Lì scoprì
che, a differenza sua, Nairobi
era felice ed aveva una bella famigliola numerosa. Decise di inserirsi
nella
struttura scolastica privata, frequentata dai tre bambini, a tutti gli
effetti
suoi nipoti, cercando di studiare un modo per entrare nella loro
routine e di
conseguenza in quella della consanguinea. Ma Ginny colpì il
suo cuore ferito e divenne
il secondo colpo di fulmine di cui Tere necessitava. Stavolta non era
Ana il
suo centro nel mondo, ma Ginevra. Quella bambina di sette anni era
l’IO
ritrovato, una creatura bellissima, dai capelli neri come i suoi, con
cui
condivideva una parte di DNA. Tutto sembrò essere
perfetto…tutto sembrò trovare
un senso.
Ginny
sarebbe diventata la sua Ana.
Il
resto fu storia!
Teresa
trema mentre gli occhi s’inumidiscono,
lasciando emergere una profonda agonia,
una
sofferenza che sconta giorno dopo giorno,
e che non l’abbandona da cinque anni.
“Non
ho progettato la morte di mia figlia!” –
commenta poi, correggendo le accuse di sua sorella.
“Però
è morta!” – replica la gitana, mossa
dal solo desiderio di distruggere emotivamente la parente che ha appena
fatto
lo stesso con il suo di cuore, godendo raccontandole di averle
provocato
l’aborto – “Come hai potuto, dopo la
perdita di Anastasia, uccidere anche il
mio di bambino?” – chiede Nairobi, piangendo di
rabbia.
Ormai
è quella sensazione di ira a dominarla;
niente tristezza per una vita crudele, ma un sentimento forte che non
ama
provare perché la rende al pari della criminale che ha
davanti a sé, ma che in
un momento così difficile, dove nel giro di una settimana,
tutto è vacillato, e
ogni certezza si è sgretolata sotto i suoi piedi, Agata
avverte la necessità di
sfogare.
E
mentre le due consanguinee si scontrano
verbalmente, il rumore di un’auto, fermatasi a pochi passi
dal camper verso cui
era diretta la Perez, le costringe a zittirsi.
“La
polizia?”- esclama preoccupato Denver.
“No!”
– a rispondere è la Jimenez, per poi
rivolgersi di nuovo a Teresa, con un sorrisetto compiaciuto. Finalmente
la
palla passa nelle mani dei buoni, così, soddisfatta, le dice
–
“Maledetta! Guarda in faccia il tuo passato,
è proprio lì. Stavolta non hai altra scelta che
pagare per il male che hai
recato.”
Teresa
riconosce subito la persona che,
zoppicando, è scortata da due uomini, e che avanza nella sua
direzione.
E
così, mentre il passato riaffiora con
prepotenza, e la coscienza torna a pesare con violenza, come un macigno
enorme
da cui non può più liberarsi, la donna si ritrova
faccia a faccia con lo scacco
matto del Professore.
“Tu?”
– sbalordita, non avrebbe mai
sospettato che Sergio potesse rischiare così tanto pur di
vincere quella guerra.
“Ciao
Tere, e così ci si rivede!”
“Antonio
Garcia?!…avete chiamato un
poliziotto? Siete dei folli! Come si può pensare, da
ricercati quali siete, di
chiedere aiuto proprio a lui? Sappiate che non
avrà pietà e finirete in galera tutti
quanti! Avete appena firmato un patto con la vostra fine”
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Capitolo 35 *** 35 Capitolo ***
35
CAPITOLO: AHORA QUE TE VAS
Carmen
e Jorge Gonzales sono nella villetta di Nairobi e Bogotà
quando giungono in
loro aiuto i Johnson, da sempre tutori dei Dalì a Perth.
“Chi
dannazione siete voi due? E cosa volete?” –
l’uomo scatta in piedi, dal divano
sul quale era seduto, non appena vede entrare la coppia, per di
più con un
mazzo di chiavi privato.
“Ehi,
amico, calmo. Siamo stati chiamati dal Professore. Dobbiamo portarvi
lontano da
qui” – precisa Adam, alzando le mani in segno di
resa, di fronte alla reazione
poco pacifica dell’anziano.
“Dovremmo
credervi? Chi ci garantisce che non siete alleati di quella folle e che
non ci
farete del male, portando via i bambini?” – anche
la Jimenez non è fiduciosa.
“Signora,
abbiamo anche lo stesso nome, io mi chiamo Carmen. Abitavo a Madrid,
prima di
trasferirmi, in Australia, per amore. Ho conosciuto Agata ben dodici
anni fa, quando
giunsero con una nave fin qui. Il Prof ci incaricò di
vigilare su di lei, di
Bogotà, di Tokyo e Rio. E così abbiamo fatto.
Ecco la prova della nostra
amicizia!” - così dicendo, Carmen Johnson mostra
alcuni scatti dal suo
cellulare.
“Come
hai tutte queste foto?”
“Siamo
amiche. Conservo immagini dei gemelli, e anche di Alba, da
neonati… foto del
matrimonio, foto di vari compleanni. Perciò… si
fidi! E vada a prendere i suoi
nipoti, del resto ci occuperemo io e Adam”
“Del
resto?” – domanda, stranito, Jorge.
“Abbiamo
poco tempo. Teresa potrebbe aver mandato chiunque in questa casa,
perfino la
polizia. Per tale ragione, bisogna scappare quanto prima”
– comunica la donna,
intenta, nel mentre, a caricare quanta più roba possibile in
borsoni e trolley
vari, nascosti in un posto della casa specifico, adibito proprio per le
urgenze
di quel tipo.
Sergio
fu chiaro con i Johnson quando, ore prima, li telefonò,
dando l’ordine di
mettere in salvo chi rimasto nella villa.
Se
c’è una cosa che la Perez ha organizzato per bene
è incastrare i Dalì e
mandarli in galera. Di questo il Marquina è certo al cento
per cento. Quindi è fondamentale
lasciare Perth in vista di una nuova destinazione.
“Dove
andiamo, nonnina?” – chiede Ginevra a Carmen
Jimenez, una volta saliti tutti su
un SUV da sette posti.
C’è
anche Santiago, il piccino di Tokyo e Rio, addormentato nel seggiolino,
posto
di fianco a Carmen Johnson.
“A
casa nostra, per il momento” – risponde Adam, alla
guida del veicolo,
allacciandosi la cintura di sicurezza.
I
piccoli si rilassano, protetti da persone che conoscono e amano,
però non
immaginano di dover salutare una casa e una città divenuta
parte del loro cuore,
e salutando quella casa e quella città dicono addio anche
alle certezze di
sempre.
*********************************************************
“Scacco
matto, figlia di puttana!” – il sorrisetto beffardo
di Nairobi disegna sul suo
viso un senso di soddisfazione immenso, forte di aver colpito la
sorellastra
con l’arma vincente.
Teresa,
dal canto suo, fissa l’ex poliziotto, digrignando i denti,
furiosa come non mai
con i nemici, ma soprattutto con un passato che non ha intenzione di
darle
pace.
“Abbiamo
un conto in sospeso noi due, cara la mia Teresa, o preferisci essere chiamata
maestra Honey?”
La
Perez scuote il capo. Poi fa un cenno, alzando la mano in aria e due
uomini,
vestiti di nero, si pongono come suo scudo.
“Credi
che due tirapiedi possano difenderti? A me le armi servono a poco.
Saranno le
parole a distruggerti… perché ho tanto da dirti,
tanto dolore da sputarti in
faccia. Mi hai distrutto la vita, portandoti via quello che avevo di
più
prezioso, mia figlia. Ad oggi non mi stupisco delle tue azioni, hai
agito da
criminale quale sei. È questo che sei, lo ripeto, una
criminale. Una folle
pronta a tutto, pronta perfino ad eliminare gli innocenti. Non eri e
non sei
degna di essere la madre di Anastasia. Quella ragazza era un tesoro,
aveva un
cuore d’oro” – le affermazioni
dell’uomo sono pugnalate violente che Teresa
Perez riceve senza battere ciglio, cosciente di meritare tanto
disprezzo.
“La
sola cosa su cui non ho potuto intervenire è stata la
somiglianza fisica… era
una gitana in piena regola! Però, ora che vedo tua sorella,
ti assicuro che noto
una certa parentela tra loro, più che con te”
E
di fronte all’ennesimo confronto con Nairobi,
l’ennesima sconfitta, la
sedicente maestra esplode – “Non dire stronzate.
Ana l’ho partorita io, è
sangue del mio sangue, carne della mia carne, non ha nulla a che vedere
con Agata”
“Puoi
dire ciò che vuoi, sta di fatto che io avrei evitato in ogni
modo di farvi
incontrare. Piuttosto, l’avrei lasciata alle cure di tua
sorella…certo che in
quella famiglia avrebbe trovato tanto amore”
Udire
tali parole, alimenta la furia della ex miss Honey, che con
l’ennesimo cenno
agli scagnozzi, dà ordine di allontanarsi. Un miscuglio di
pensieri e di
emozioni attraversano la sua persona. E così, preda di tale
confusione, sceglie
di agire da sola.
“A
che gioco stai giocando? Prima chiami a te i tuoi uomini, adesso te ne
disfi”
“Sta
zitto, bastardo” – tuona la Perez, con occhi
fiammanti, e l’aria di chi non ha voglia
di perdere altro tempo.
Antonio
Garcia, fisso con lo sguardo sulla criminale, cerca di studiarne
ipotetiche mosse.
Eppure,
oltre la ceca rabbia, ben evidente su quel volto e fortemente dominante
su un
corpo in fibrillazione, il poliziotto non scorge altri segnali che
potessero
essergli d’aiuto nel prevenire delle mosse pericolose.
Bogotà,
nel frattempo, nervoso dalla circostanza che sta vivendo, ha timore per
le
sorti dei figli. Spinto dall’istinto paterno, sussurra a
Eric, posto di fianco,
di andare via.
“Ma
papà, cosa stai dicendo? Non vi abbandoneremo qui”
“E
invece sì, cazzo!” – sbotta il
saldatore, lanciando un’occhiata a Palermo e
Helsinki, arrivati da poco con il Garcia.
Difficile
per il serbo capire cosa Bogotà e l’argentino si
stanno comunicando con strani
sguardi, eppure gli basta sentire la mano del compagno stringere la sua
per fidarsi.
“Ragazzi,
dobbiamo raggiungere la villa. I bambini sono lì, e Teresa
può aver mandato gli
scagnozzi a prendere Ginevra”
Davanti
a un timore tanto grande, i giovani della Banda si allertano.
“Andate,
e proteggete i vostri fratellini, mi raccomando” –
dice Bogotà, dando una pacca
sulle spalle ai maschi e un bacio al volo alle due femmine.
Il
tutto accade senza che la Perez si renda conto, troppo presa dai
pensieri e
dalla prossima azione da compiere contro il nemico.
“Cazzo,
la sirena della polizia si fa vicina! Dobbiamo andarcene, Professore.
Siamo rimasti
in pochi, ci acciufferanno in un battibaleno.” – a
parlare è Rio, terrorizzato
all’idea di essere catturato per la seconda volta.
“Adesso
che i miei figli sono andati via con Palermo e Helsinki, siamo in
numero
inferiore, è vero! Ma non è ancora detta
l’ultima parola” – prende parola
Bogotà.
La
mente di Sergio,intanto, studia la situazione e cerca soluzioni per
venirne a capo.
E ciò ha come sottofondo il continuo battibecco tra la Boss
e il polizotto.
“Tu
non conoscevi Anastasia, non sapevi nulla di lei, cosa le piaceva, cosa
sognava
per il futuro…Voglio che tu sappia quanto lei soffrisse la
tua mancanza. Mi
diceva spesso di volerti conoscere, di sapere se almeno eri
felice… hai mai
trovato qualcuno che pensasse con premura a una madre che invece
l’ha
abbandonata? Dubito! In fondo ti circondi solo di pezzi di merda!
Però, tutto
sommato, mi fai pena. Che vita infernale ti aspetta. Alla morte di una
figlia
non si sopravvive, e tu hai smesso di vivere quando il suo cuore ha
smesso di
battere”
L’astio
dell’uomo, mostrato con voce rotta, tocca con violenza
inaudita Teresa Perez,
che continua a rimanere in silenzio, mentre tra i suoi ricordi si fa
strada il
viso di sua figlia.
“Se
io ho fatto ciò che ho fatto, la colpa è anche
tua. Non credere di essere un
santo, agente Garcia. Sbaglio o sei stato tu ad illudermi, a portarmi a
letto,
a mettermi incinta, e a minacciarmi per scegliere tra la galera o una
bambina
che non sarebbe mai nata se tu non mi avessi truffata!”
“Io
ho pagato per questo. E la mia gamba lo dimostra! Forse non hai chiaro
il mio
ruolo, però. Io sono la legge che va rispettata, e tu sei
una boss che andava
fermata! Piuttosto che giudicare me, pensa alla tua coscienza. Fossi in
te,
dopo quanto accaduto con Ana, mi sarei consegnata alla polizia. Tu
invece cosa
fai? Ti ostini a dare la caccia a una donna che, al contrario,
avrà anche
rubato oro e denaro, ma non ha mai ucciso nessuno. Una donna che ha
saputo
andare avanti, e che, diversamente dalla grande e potente Teresa Perez,
si è
ricostruita una vita. Ha dei figli, un marito che la ama, amici che
darebbero
la vita per lei. Agata ha tutto ciò che avresti voluto
tu…e che il tuo cuore di
ghiaccio ti hanno impedito di avere. Ecco perché la odi. Non
mentire a te
stessa, le ragioni sono queste. E strapparle Ginevra sarebbe stata la
soddisfazione
più grande! Ti starai chiedendo come so di quella bambina,
beh…sono stato
informato. Non posso permettere che tu strappi via una figlia a un
genitore…per
la seconda volta!”
Stringendo
i pugni, con il battito accelerato, e la rabbia pronta ad esplodere, la
Perez
prende la pistola.
“Vuoi
uccidermi? Dopo aver eliminato Ana, avrai la tua rivincita su di me. Mi
avrai
cancellato dalla faccia della terra, senza sapere che mi stai facendo
un
favore. Io senza la mia Anastasia non vivo più.
Perciò, spara pure…spara questo
zoppo, inutile, poliziotto che desidera ricongiungersi alla sua dolce
figlia!”
Il
Professore, spiazzato dalla richiesta di Antonio Garcia, cerca di
intervenire
per farlo ragionare. In fondo non era nei piani che l’alleato
si
autoeliminasse.
“Io
sono stanca di tutti voi. Ho cercato l’amore disperatamente
in quella bambina,
in Ginny. In lei ho rivisto me stessa. Volevo soltanto averla con me,
lei era
quella figlia a cui ho dovuto rinunciare. Quella figlia che mi avrebbe
amata
come desideravo”
“Dimenticando
che Ginevra una madre ce l’ha già”
– commenta Bogotà.
Teresa
evita di rispondere, infastidita.
“La
realtà fa male, vero? Sappi che ne hai recato tanto, a
molti. E io ti sto ripagando
con la stessa moneta. Occhio per occhio…”
Davanti
al coraggio di quel padre, rimasto solo e senza prole, Sergio Marquina
intuisce
in lui il desiderio che lo spinge ad agire in tale maniera. E solo
allora, si
accorge che il complice tenta il tutto per tutto pur di salvare loro.
Infatti,
senza esitazione, Garcia fa segno ai Dalì di andare via
quanto prima.
“Avanti,
sparami! Fallo e vedrai che il rimorso ti mangerà per il
resto dei tuoi giorni.
Fallo….ORA!” – grida l’uomo.
Quel
FALLO ORA pronunciato con forza è indirizzato al Professore,
invitato a scappare
adesso che ne ha la possibilità.
“Andiamocene”
– dice allora alla Banda, prendendo per mano Raquel.
“Cosa?
Ma lo lasciamo da solo nelle mani di questa folle? È
pericoloso” – si preoccupa
Stoccolma.
“Sento
che ha un piano, vedrete che è così”
– li convince.
Mentre
Antonio continua a punzecchiare la Perez, i Dalì si
dileguano, raggiungendo i
loro mezzi poco distanti.
Non
c’è scagnozzo che li trattiene, né la
stessa Boss.
Hanno
di fronte a loro la strada per la salvezza.
“Come
mai hai ordinato ai tuoi uomini di lasciarti sola? Dimmelo, stai
tentando di
morire?”
“Stai
zitto!!!” – ripete più volte la Perez.
“Fino
a che punto sei disposta a spingerti pur di vincere? Eh?”
“Adesso
basta!” – dice, caricando il grilletto, pronta a
lanciare un proiettile verso
il nemico numero uno.
E
Teresa sa bene chi è il nemico numero uno.
E
non si tratta di Nairobi.
Probabilmente
neanche di Antonio Garcia.
“Forza,
che aspetti!? Spara…spara ho detto!” –
il poliziotto alza le braccia e si pone
di fronte al suo cecchino.
Nel
frattempo, i Dalì salgono a bordo dei loro mezzi, eppure,
seppure sani e salvi,
non si sentono del tutto sollevati.
“Possiamo
dirci vittoriosi?!” – chiede Tokyo, speranzosa, per
spostare poi lo sguardo su
Nairobi.
La
gitana, infatti, è scura in volto.
“Amica
mia, il peggio è passato. Hai con te Ginny e anche Axel. A
breve saremo via da
qui e ci lasceremo la brutta vicenda alle spalle” –
la conforta.
“Non
credo di farcela. Ho scoperto troppo del mio passato, nel giro di poco
tempo, e
il mio cuore non regge. Sapere che il bambino che aspettavo,
l’ha eliminato
proprio mia sorella, mi ha messa definitivamente fuori gioco”
“Però
tu sei forte, sei una roccia. Andrai avanti, come sempre”
– aggiunge la
Oliveira, accarezzandole il viso.
“E
poi non sei da sola! Ricordalo” – aggiunge
Bogotà, dandole un tenero bacio
sulle labbra.
Proprio
allora, in quel preciso istante, quando i motori delle auto si
accendono, e si
è pronti a fuggire, i Dalì si pietrificano udendo
in lontananza alcuni colpi di
pistola.
“Cazzo!”
– esclama il prof, sbandando nella guida.
“No,
cazzo! E adesso? L’ha ucciso!” – si agita
Raquel.
“Maledetta!”
– esclama Nairobi, decisa ad affrontare di petto la parente.
Tutta la rabbia
che nutre nei suoi confronti la spinge ad agire precipitosamente,
seguendo l’esempio
di Tokyo e della sua impulsività.
Scende
dal veicolo, ignorando i richiami della banda e si dirige, rapida,
verso il
posto da cui ha udito lo sparo. Adesso è la testa che
comanda il suo corpo; il
cuore è spento, e a dominarla è la foga di un
momento di mancata lucidità.
E’
Bogotà, assieme a Denver, a raggiungerla.
E
quando sono a pochi passi dalla gitana, notano che si è
immobilizzata di fronte
a una scena inimmaginabile.
Sull’erba
di quel parco, giacciono due corpi. Due cadaveri.
Il
saldatore, istintivamente, abbraccia la moglie –
“Tesoro, andiamo via! La polizia
sarà qui a momenti! E’ l’attimo giusto
per scappare”
Solo
allora, Denver riceve un messaggio da Sergio.
“Il
Prof ha detto di tornare nelle auto. Ha una comunicazione per
noi”
Seppure
a fatica, i tre si incamminano nella giusta direzione.
Davanti
ai loro occhi c’è il Marquina, con il solito
atteggiamento rigido e riflessivo.
“Dalla
tua faccia si direbbe che sono pessime notizie. Però mai
tragiche come quella
che abbiamo appena appurato…” – afferma
Ramos.
“Antonio
mi ha inviato un sms prima dello sparo” –
così dicendo, il capo della Banda
mostra loro l’oggetto in questione.
È
il saldatore a leggerlo ad alta voce – “La
mia vita mi pesava come un
macigno e non sopportavo più un’esistenza
così. Teresa mi sparerà e se non lo
farà, sarò io a farlo! Addio e grazie per avermi
dato l’opportunità di liberarmi
di un dolore tanto grande…”
“Si
è ucciso?” – chiede, ancora sotto shock,
Nairobi.
“O
l’ha ucciso lei” – ipotizza Denver.
“Ne
dubito. Se lei lo avesse ucciso, sarebbe venuta a cercarci. E
invece..” –
precisa il prof.
“Quindi
abbiamo vinto anche questa battaglia, giusto?” –
l’entusiasmo di Dani Ramos è
fuoriluogo rispetto alla morte di due persone, di cui una fin troppo
buona.
Ed
è Sergio a placare la sua gioia, invitandolo a tacere. La
Jimenez manifesta l’opposto
stato d’animo.
“Come
ti senti, amore mio?” – le sussurra
Bogotà.
“Con
il cuore a pezzi, e l’animo sollevato!”
E
dopo un bacio tra i due, con un ultimo sguardo rivolto a quel parco
isolato, la
Banda sfreccia via.
Quel
luogo, che a breve verrà messo sottosopra dagli
investigatori, dai Ris, dalla Polizia,
è il posto in cui Nairobi dice addio al suo passato e ad una
parte rilevante di
esso.
“Dove
andiamo adesso?” – chiede Rio, tramite radio, agli
amici nell’altro veicolo.
A
rispondere è Lisbona – “Ci aspettano al
porto di Fremantle, da lì ci
imbarcheremo”
“Dovremo
lasciare Perth, mi ero affezionata a questa città”
– confessa Tokyo,
dispiaciuta.
“Lasciamo
passare alcuni anni, poi tornerete qui” – la
rassicura quello che la donna considera
il suo angelo custode.
“Prof,
tu sai qualcosa che ci sfugge?” – domanda
Stoccolma, intendo in tali parole qualche
segreto.
“Saprete
a tempo debito. Adesso preparatevi a salutare l’Australia. Si
naviga, di nuovo,
tutti insieme, alla vista dell’ignoto!”
|
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Capitolo 36 *** 36 Capitolo ***
“Come
mai siamo venuti fino a qui?”
– chiede, confuso, Sebastiàn agli adulti.
I bambini,
infatti, sono spaesati e Santiago, svegliatosi bruscamente a causa di
un
incubo, piange e cerca i genitori, stretto tra le esili braccia di
Alba, la
maggiore tra loro , attenta come fosse una mammina. Un istinto materno,
il suo,
ereditato, evidentemente, da Nairobi e ora messo in mostra in veste di
cugina
premurosa.
Le piace
comportarsi da mamma chioccia, abituata al modo che Agata ha di amare i
suoi
figli e proteggerli dal mondo.
“Anche se
siamo insieme agli adulti, sappiate che vi proteggerò sempre
e comunque!” –
disse Alba ai fratellini durante il tragitto che li conduceva
precisamente al
porto dove si trovano adesso.
Alla domanda
posta da Seba è Carmen Johnson a rispondere, cercando la
maniera adeguata per
informarli sulla imminente partenza - “Tesoro, questa nave,
su cui salirete non
appena arriveranno tutti, vi porterà in un posto nuovo,
bello, dove potrete
vivere per un po' di tempo”
“Dobbiamo
andare via da Perth?” – esclama
Sebastiàn, a occhi sgranati.
“Io non
voglio andarmene! Questa è casa nostra”
– interviene, decisa, Alba – “Io ho le
mie amiche qui. Ho il mio corso di danza, la mia scuola, la mia
camera…”
“E io ho
la
scuola di calcio!” – aggiunge, ancora, il
maschietto.
“Lo so,
però… è necessario lasciare
l’Australia quanto prima! E sicuramente anche in un
altro posto, costruirete nuove amicizie e imparerete tante cose
nuove” – anche
Adam prende parola e lo fa per convincerli che, in fondo, si
può conoscere gente
e scoprire passioni anche altrove.
A quel
punto, Ginevra, rimasta in silenzio per tutto il tempo, guarda i nonni
e, con
il magone, sapendo che partire implica allontanarsi da tutto e,
specialmente,
da tutti, domanda ai Johnson – “Dovrò
dire addio anche a loro?” – e li indica.
I Gonzales
sono consapevoli che purtroppo è ciò che
accadrà: perderanno la nipotina tanto
adorata, e, con lei, anche Alba e Seba, e ovviamente non avranno
più occasione
per recuperare il rapporto con Agata.
“Io
voglio
che vengano con me, altrimenti rimarrò qui e
vivrò con loro” – la proposta di
Ginny sembra quasi un ultimatum. O Carmen e Jorge partono con i
Dalì, o è la
bambina a non avere la minima intenzione di salire a bordo.
E i due
anziani sono piacevolmente colpiti dall’affetto che quella
baby gitana nutre
nei loro riguardi. Eppure sanno che, in un momento tanto rischioso per
l’intera
banda dei Dalì, è prioritaria la fuga, e quella
fuga non li tiene in conto.
Messi da
parte i suoi desideri, la settantenne Jimenez, interviene per
distogliere Ginny
da tale idea - “Potrai scriverci delle lettere, mi amor. Io
le leggerò e ti
risponderò. Rimarremo sempre in contatto. Non devi temere,
non perderai né me
né nonno Jorge”
Con tutta la
fatica possibile ed inimmaginabile, Carmen trattiene le lacrime, e si
mostra
serena dell’addio ai nipoti.
Ginevra,
invece, intuisce subito che la scelta di rimanere a Perth non
è decisione di
sua nonna, ma delle circostanze e soprattutto di sua madre. Percepisce,
guardando la gitana negli occhi, quanto soffre. Così,
accarezzandole il volto,
le chiede - “E’ mamma che non vuole?
Perché non ti vuole bene quanto te ne
voglio io?”
E di fronte
a tale interrogativo, l’anziana apre il suo cuore –
“Le ho fatto tanto male, e
quando è una madre a fartene, difficilmente lo si dimentica.
Perciò, è meglio
per il bene di tutti, che io rimanga qui con Jorge. Ma, te lo ripeto,
mi amor…
ti scriverò ogni giorno”
La bambina
annuisce, dispiaciuta, abbassando poi il capo. A quanto pare, da sola
non può
cambiare decisioni già prese dai grandi.
“Credo
sia
giunto il momento di andare” – dice Adam, notando
alcune auto giungere nella
loro direzione – “Arriva qualcuno dei
nostri”
Quell’improvviso
sopraggiungere di alcuni Dalì, affretta i saluti, rendendo
ancora più doloroso
dirsi addio.
“Prima
che
andiate, vorrei che ciascuno di voi avesse un mio ricordo”
– precisa la
Jimenez, richiamando a sé tutti e tre i bambini, il sangue
del suo sangue, la
sua più grande fonte di orgoglio.
La prima a
cui si rivolge è la maggiore.
“Questo
bracciale mi piacerebbe fosse il simbolo di una relazione che avrei
voluto
instaurare anche con te, mia bellissima Alba. Ti guardo e noto in te
una
dolcezza e una premura che solo la mia Agata ha. Che buffa la vita,
adesso che
vi ho conosciuti e che avrei potuto vivervi e amarvi come meritate,
siamo
costretti a separarci. Ho sentito, poco fa, che segui un corso di
danza.
Quindi, come me, ami ballare. Scommetto che ci saremmo divertite un
mondo, io e
te, con il flamenco”
“Potremmo
sempre farlo, se parti con noi” – anche la
primogenita di Nairobi e Bogotà,
adesso, come Ginevra, sogna di non dividersi da un pezzo di famiglia
che
vorrebbe scoprire.
La speranza
dipinta sui volti dei bambini rende ancora più complicato,
per nonna Jimenez,
doversene separare.
“Sapete
bene
che non è possibile, però, anche se saremo
lontani, mi avrete vicina ogni
giorno!”
“Uffa,
però”
– commenta, cupo, Sebastian – “Non
possiamo lasciare Perth e lasciare voi,
adesso che vi abbiamo conosciuti e che iniziavamo a volervi
bene”
Ed è a
lui
che la gitana si rivolge in quell’istante.
“Vorrei
conservassi questo, tesoro mio” – gli cede un
portachiavi, alla vista alquanto
vecchio, ma fortemente simbolico – “Quando entrerai
nella vostra nuova casa, mi
piacerebbe pensassi a me. E questo che stringi ora tra le mani, che era
di tua
madre, oggi è tuo!”
“E’
un…un
fiore?” – chiede, confuso, il piccino.
“Il
simbolo
della comunità gitana, mi amor! Sii sempre fiero delle tue
radici.”
Incuriosito
dal significato e dalla storia di un gruppo a cui appartiene per sangue
materno, Sebastiàn fissa il suo regalo e lo ammira come
ammirerebbe un pallone
di calcio, il suo sport preferito.
A quel punto
la settantenne si volta verso Ginny.
“A te non
posso non regalare questa collana. La tua forza, la tua intelligenza, e
la tua
dolcezza, ti rendono una bambina unica e speciale”
– sorridendole, con una
tenera carezza sul viso, si priva di una collana e la cede alla nipote.
“Questo
ciondolo custodiva il mio legame con Agata. Adesso custodisce il mio
con te”
Tra le
lacrime, versate a fiumi, e tanti abbracci, nonna e nipoti vivono il
loro primo
momento come famiglia. E Jorge, commosso, attira l’attenzione
dei Johnson.
Carmen prova
tenerezza per quell’uomo, visibilmente poco in forma, le cui
rughe sono il
segno tangibile di un passato fatto di errori, di dolore e di azioni
indicibili. E, adesso, è il viso bagnato dal pianto a
redimerlo e mostrare il
suo reale pentimento, nonché la voglia di ricominciare.
È
proprio la
donna, rivolgendosi ad Adam, a suggerire – “Forse
se anche loro partissero,
potrebbero recuperare gli errori commessi, e vivere gli ultimi anni
circondati
dall’amore. Quei bambini hanno bisogno dei nonni, e i nonni
sono il cuore di
una famiglia. Sono convinta che Alba, Sebastiàn e Ginevra
vivrebbero meglio il
distacco da Perth”
“Non
è me
che devi convincere me, tesoro. Nairobi temo non accetterà
mai sua madre”
Nel
frattempo, il gruppetto viene raggiunto da parte della Banda appena
giunta.
Helsinki e
Palermo, seguiti dai figli di Bogotà, salutano i presenti,
ringraziandoli del
lavoro svolto.
Tra questi
c’è anche Axel, subito notato sia dai Gonzales che
da Ginevra.
Ed è
alla
sua sorellina che il ragazzo dona un sorriso carico di tenerezza.
Alba,
posizionata di fianco alla sorellina minore, la prende per mano.
“Fidati
di
lui” – le sussurra all’orecchio.
Facendosi forza
della presenza di chi le vuole bene, la bambina alza la testa e
incontra gli
occhi di Axel, e dopo un’iniziale titubanza risponde a quel
sorriso con uno,
più timido.
Un inizio
che fa ben sperare nella costruzione di un rapporto fratello-sorella.
“Avete
novità degli altri?” – domanda Adam ai
due storici Dalì.
“Il
professore ha dato comunicazioni. Stanno arrivando, è
questione di minuti” –
comunica Palermo – “Iniziamo a caricare la roba
sulla nave, ok?” – dice il
serbo, indicando ai sei ragazzi il da farsi.
Ai piccoli
non rimane che guardare la triste realtà.
Valigie,
ricordi, oggetti vari, tutto viene condotto sul mezzo con cui diranno
addio
alla loro vita, alla loro identità.
Si tengono
per mano mentre, con la coda dell’occhio, scorgono la
disperazione dei due
anziani alle loro spalle.
“Dobbiamo
convincere la mamma” – decide Alba, non
più intenzionata a rinunciare
all’affetto del suo stesso sangue.
“Sono
d’accordo!” – esclamano in coro i gemelli.
E mentre
complottano, a modo loro, il da farsi, gli adulti si occupano dei
lavori
pesanti.
“Fatto!
Possiamo iniziare a salire!” – dopo qualche minuto
è Drazen a riferire che è
tutto pronto.
“Perfetto,
forza bambini. Venite, vi aiutiamo noi” – dice
Berrote, porgendo la mano ai
figli di Nairobi e Bogotà.
Spiazzato
dalla loro resistenza, si guarda, stranito, con il compagno, postogli
di
fianco.
“Pensaci
tu,
magari sei più dolce di me” – gli
sussurra, occupandosi dei saluti ai Johnson.
Così
Mirko,
con il suo atteggiamento da zio coccolone, si piega sulle ginocchia,
all’esatta
altezza dei minori e, premurosamente, si informa sul loro stato
d’animo.
“Non
abbiate
paura. Vivremo tutti insieme, e ci conosceremo. Vi insegnerò
tanti giochi e
tante canzoni serbe!”
Eppure
neanche la proposta di “stare tutti insieme” rende
felici i minori.
Quindi
Helsinki indaga, domandando, preoccupato - “Cosa succede?
Perché non volete
salire sulla nave?”
“Possiamo
aspettare mamma e papà? Abbiamo una richiesta da
fargli” – a prendere parola è
proprio Ginevra, su accordo con i fratelli. Nessuno più di
lei ha il carattere
per imporsi sui grandi. E lo zio Helsi accetta, seppure sospettoso che
l’idea
dei bambini riguardi i signori Gonzales, dai quali non si separano
neppure
fisicamente.
“Allora?
Che
ti hanno detto?” – gli domanda Palermo, guardandolo
avanzare nella sua
direzione, senza aver concluso nulla.
E il serbo
rivela i suoi dubbi – “Temo che a Nairobi non
farà piacere, però ci troveremo
di fronte a una resistenza in versione baby”
“Eh?”
–
esclama, confuso, Martìn.
Ma in quel
preciso momento il clacson di un’automobile, seguita da
un’altra, li avverte
dell’arrivo della rimanente Banda.
Scesi in
tutta fretta dai mezzi, i Dalì raggiungono il resto della
famiglia.
Agata si
getta, senza esitazione, sui suoi bambini che si avvinghiano a lei.
Bogotà
abbraccia uno ad uno i suoi ragazzi ormai divenuti uomini e donne
fortissimi.
Tokyo e Rio
possono riempire di baci il loro Santiago che trova calma e
serenità tra le
braccia materne.
“Andiamo
via, sbrighiamoci. È rischioso perdere altro tempo, la
polizia è giunta fino
alla villa!” – comunica Sergio agli amici,
invitando le donne a muoversi per
prime.
“Fortuna
che
non troverà più nulla! Ci siamo mossi con
anticipo” – precisa Carmen Johnson.
Salutati i
loro alleati australiani, Stoccolma, Hanna, Ivana, Lisbona, Tokyo, una
sostenuta all’altra, salgono a bordo della nave.
“Nairo,
tocca a te! Cosa aspetti?” – è proprio
Silene a richiamare l’amica.
“Arrivo”
–
risponde, dando priorità alla voce dei suoi figli che, la
supplicano di
esaudire un loro desiderio.
“Vorremmo
i
nonni con noi! Ti prego, non dirci di no” – la
richiesta viene proprio dalla
voce di Ginny, bambina che Agata ha rischiato di perdere per sempre a
causa
della follia di una pazza e delle sue stesse fissazioni psicologiche.
Gli occhi
dei suoi tre tesori la pregano disperatamente, le chiedono di
perdonare, di
dare a Carmen e Jorge una seconda chance.
“Noi non
vogliamo perderli!” – interviene anche Seba.
“Sono
parte
della famiglia” – aggiunge Alba.
Nairobi, in
silenzio, avverte la vicinanza di Bogotà, che prendendola
per mano, offrendosi
da spalla per ogni decisione che prenderà, dice -
“Se non te la senti, non sei
costretta a farlo. Agisci seguendo il tuo cuore”
Sono i
Gonzales, rimasti in disparte, a notare la gitana avvicinarsi,
improvvisamente e
con l’aria sofferta.
“Ci sei
venuta a dire addio?” – domanda Jorge, mentre
avvolge la moglie tra le sue
braccia, pronto a sostenerla da saluti dolorosi.
“Mi amor,
perdonami” – con occhi colmi di lacrime, Carmen
Jimenez mostra i segni di un
pentimento che ha scontato, e che sconta ancora oggi.
Spiazzando
tutti, dopo un lungo e profondo respiro, come a voler buttare fuori la
sua
frustrazione, la falsaria comunica qualcosa di sconvolgente –
“Voglio che
veniate con noi! I miei figli hanno bisogno di
voi…”
“Cosa?
Dici
sul serio?” – esclama, sconvolta, Carmen, con il
cuore a mille.
Cerca di
avvicinarsi a lei per abbracciarla, però è
quest’ultima a tirarsi indietro –
“Non ho parlato di perdono. Diciamo che devo ai miei bambini
un po' di
felicità”
L’euforia
e
i pianti si susseguono tra i Gonzales e i nipotini.
E mentre la
Jimenez osserva la scena di gioia, sale a bordo, retta dalla mano di
suo
marito, ricevendo l’approvazione di molti amici che si
complimentano per la sua
forza e per il coraggio di aver messo da parte il proprio orgoglio e la
propria
sofferenza, per il bnene dei bambini.
“So
quanto
sia duro per te, mamma! Lo sarà anche per me,
però non voglio precludermi
nulla, magari imparerò a perdonarli, con il tempo. Questa
è la seconda
opportunità che meritano” – anche Axel
pare aver messo da parte ogni forma di
rancore.
Sapere di
rischiare la vita, prigioniero di Teresa Perez, l’ha aiutato
a comprendere
quanto le cose possano cambiare nel giro di minuti, di secondi, di
attimi che
non torneranno più.
“A questo
punto, vale la pena vivere il presente, non lasciando che il passato
possa
interferire ancora e ancora, recando solo ed esclusivamente dolore. E
tu sei stata
brava nel prendere la giusta decisione, sono fiero di averti come
madre”
Emozionata
dalle parole del suo primogenito, la Jimenez lo stringe a
sé, scoppiando in un
lungo pianto, accettando, così, delle presenze poco gradite
al suo cuore ma che
forse l’aiuteranno a mettere un punto ai cattivi ricordi.
Bogotà,
di
fianco alla moglie, ascolta il discorso di Axel e ripensa al suo ruolo
di
padre. Sbagliò tanto nella vita, con i suoi sette figli,
eppure loro non hanno
esitato a correre in suo soccorso alla prima occasione.
E il primo
pensiero vola al maggiore, Yerevan, un ventisettenne invaghitosi, senza
volerlo, della donna sbagliata.
“Dovrei
fare
la stessa cosa con Emilio! Meriterebbe la seconda
opportunità...” – sostiene,
con un filo di voce.
Sentire quel
nome fa trabalzare la Jimenez, ancora in colpa per quanto accaduto con
quel
ragazzo.
“Stavo
pensando a lui; mi ha dato una seconda chance come genitore, ed
io…cazzo, io ho
più di cinquant’anni. Dovrei comportarmi da adulto
che riconosce l’errore del
figlio e lo perdona…invece, ho ragionato da adolescente a
cui hanno rubato la
fidanzata”
“Ti sei
sentito tradito, è normale reagire così!
Però è anche vero che quel ragazzo ha
sofferto dell’assenza di amore, e merita di riceverne.
Soprattutto da te che
sei il suo modello di vita!” – aggiunge la gitana,
accoccolandosi al petto del
marito, tentando di intervenire, spezzando una lancia a favore del
figliastro.
Prima che la
nave gettasse l’ancora, il saldatore chiede ai
Dalì un ultimo favore.
Scende
rapidamente, raggiungendo i Johnson, prossimi ad andare via.
“Aspettate!”
– grida, correndogli incontro.
“Cosa
succede?” - domanda preoccupato Adam, appena salito su una
delle automobili
lasciate nei parcheggi dai Dalì.
“Vorrei
mi
faceste un piacere” – e così spiega alla
coppia di amici le sue intenzioni, con
parole brevi e concise.
Sotto lo
sguardo confuso e sospettoso dei compagni di banda, Bogotà
risale a bordo della
nave.
“Ora
possiamo andare!” – comunica, sedendosi di fianco a
Nairobi.
Scruta la
situazione notando le singole coppie appartarsi per godere di minuti di
relax e
di intimità. Poco distante dalla postazione che occupa
assieme a sua moglie,
guarda, fiero la sua numerosa prole e, dando un dolce bacio sul collo
della
gitana, confessa – “Non potevo sognare un futuro
più roseo di questo. E se
accadrà quanto spero, avrò realizzato ogni mio
sogno”
“Ti
riferisci ad Emilio? Cosa hai detto ai Johnson?”
“Rivoglio
mio figlio con me, e loro faranno da tramite”
La partenza
è immediata e la grande squadra del professore si allontana,
in mare, pronta ad
una nuova avventura, una nuova copertura, una nuova speranza di
salvezza.
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Capitolo 37 *** 37 Capitolo ***
Sono
trascorse ore da quando la nave dei Dalì ha preso il largo.
Nessuno
di loro sa cosa li attenderà da adesso in poi, convinti
soltanto che la vita da
fuggitivi continuerà in eterno.
Il
professore, però, ha nelle mani il loro futuro, una carta
vincente che
concederà la libertà a tutti.
“Ricordate
quando vi ho detto che tra qualche anno, sareste potuti tornare a
Perth?”
“Si,
e saperlo mi rincuora, visto che i bambini sono nati e cresciuti
lì, è quella
casa loro” – risponde Rio, riferendosi alla sua
famiglia e a quella di Bogotà e
Nairobi.
“Antonio
Garcia è stato un poliziotto di fama notevole, e mi ha
garantito la nostra
assoluta salvezza. Però, ha precisato che ci saremmo dovuti
allontanare, almeno
per un po'. Al momento giusto, la polizia troverà documenti
importanti e diventeremo,
da ricercati quali siamo da quasi quindici anni, ad alleati dei servizi
segreti
australiani”
“Che?”
– esclama, spiazzato, il saldatore, distogliendo
l’attenzione da Sebastian che,
assonnato, si è accoccolato al suo petto.
“A
tempo debito capirete”
“Credo
che sia questo il momento, professore” – interviene
Tokyo, vogliosa di saperne
di più – “Basta con i segreti, parlate
chiaro una volta per tutte. Allora…? Cosa
è che dobbiamo sapere?”
Di
fronte alla solita mania di Silene di essere al corrente di ogni
dettaglio,
Sergio decide di spiegarsi - “Teresa Perez era una ricercata
da anni e sulla
sua cattura vari potenti mondiali si contendevano la vittoria”
“Più
ricercata di noi Dalì?” – chiede Rio,
spiazzato nello scoprire che esisteva
qualcuno maggiormente a rischio rispetto alla Banda.
“Lei
era un capo dei loschi affari, di traffici illegali, di denaro sporco,
di
droga, di cose di cui è meglio non parlare in presenza di
minori…” – è ciò
che
precisa il Marquina, seguito dall’ennesimo tic agli occhiali.
“E
quindi, il punto della questione qual è? Mi sto
perdendo!” – Helsinki, preso
dall’insegnamento di una canzone serba ad Alba e Ginny, non
segue il discorso
ed interviene senza capire nulla di quanto detto.
“Ecco,
concludo…” – puntualizza il capo dei
Dalì, quasi a volersi scusare del
tergiversare – “Abbiamo aiutato Perth, e lo stato
australiano, a catturare la
donna più pericolosa del mondo”
“Cazzo!
Peccato che abbiamo dato loro un cadavere...” –
commenta Denver.
“Non
preoccuparti. La presenza di Antonio Garcia e la sua morte lasciano
intendere
un confronto tra loro, conclusosi nel peggiore dei modi. E anche se un
cadavere, quella è Teresa Perez, quindi hanno catturato chi
era nei loro
obiettivi”
“Ok,
e noi, se il discorso è questo, cosa c’entriamo?
Cioè, la polizia potrebbe
dedurre che è stato Garcia a catturare la Perez. Non noi.
Cosa ci scagiona
dalla cattiva fama?” – la riflessione di Monica
sorge spontanea.
“Giusto,
ottima osservazione Stoccolma!” – puntualizza il
Prof, aggiungendo – “I
documenti di cui vi ho accennato servono proprio a questo!”
“Quindi,
ci stai dicendo che abbiamo in mano la libertà?”
– l’idea di poter vivere come
un tempo, prima di diventare una criminale agli occhi delle
istituzioni,
accende la speranza di Nairobi, che, alzandosi in piedi, non trattiene
la
gioia.
“Esattamente”
– risponde Sergio, accennando un timido sorriso.
“Ma
qui bisogna brindare, cazzo!” – Denver, euforico,
non si contiene e si
allontana correndo, attirando su di sé gli occhi dei
presenti che, nel mentre
si abbracciano e si commuovono per l’immensa
felicità.
I
figli di Bogotà partecipano a quella allegria, sentendosi
vicini anche ai
Gonzales che intervengono con un applauso per festeggiarli.
“Ecco
qui, amici miei! Brindiamo alla nostra libertà!”
– Daniel Ramos si unisce
nuovamente al gruppo, con in mano una bottiglia di spumante.
“Servono
dei bicchieri!” – puntualizza la Gaztambide,
adoperandosi nell’immediato,
seguita da Hanna ed Ivana.
“E
anche un po' di musica” – aggiunge Rio, motivando i
presenti a ballare e
divertirsi.
“Ci
penso io” – alza la mano Axel.
“Sicuro
che senza rete internet possa funzionare?” –
domanda Raquel al ragazzo,
estasiata nel vederlo all’opera.
“Tranquilla,
cara Lisbona! Ho una playlist memorizzata” – e
così dicendo, il gitano dà il
via alla festa.
Tra
musica, champagne e allegria, i Dalì abbracciano un
imminente futuro, un futuro
dai colori brillanti, un futuro di sogni realizzati e di meritata
felicità.
********************************
“Ehi,
si sono addormentati?” – chiede Bogotà a
Nairobi, raggiungendola nella cabina
dove sono sistemati alcuni letti e dei sacchi su cui i Dalì
avrebbero potuto
riposare.
Agata,
rimboccando la coperta ad Alba, dà conferma al marito.
“Menomale,
pensavo che con tutto quel trambusto, guardando gli zii Denver e Rio
ubriachi
persi, non avrebbero preso sonno. Invece…”
“Invece
sono crollati, tutti e tre. Tu piuttosto? Sarai esausto, è
stata una giornata
infernale” – precisa la Jimenez, avanzando verso di
lui. Si avvinghia al suo
collo, giocando con i suoi capelli.
Bogotà
le avvolge i fianchi, quasi frenato dal toccarla.
“Che
ti prende? Vuoi che sia di nuovo io, come dodici anni fa, a darti il
permesso
di scendere più giù?” –
Nairobi ridacchia, ricordando quel momento, quando
trascinò la mano di Bogotà sul suo sedere,
permettendogli di godere di qualcosa
che lui avrebbe sognato di fare dal primo momento che la vide.
“Credo
di conoscere bene il tuo corpo, adesso” – si
imbarazza, mostrandosi ancora più
innamorato del periodo della loro conoscenza. E con delicatezza, la sua
mano si
adagia, non sul fondoschiena, ma sul viso della donna.
L’accarezza
con una tenerezza tale da far tremare il cuore di Nairobi e ricordarle
la forza
dei sentimenti che nutre per quell’omone grande e grosso e
super sensibile,
quei sentimenti che nessuno potrà mai distruggere.
“Mi
sei mancato da morire” – gli sussurra –
“Perdonami per quanto accaduto”
“Basta,
dimentica le scuse e gli ultimi giorni che abbiamo vissuto. Adesso
siamo noi
due, con i bambini e tutti i nostri figli, non possiamo desiderare di
meglio”
“Sicuro
che non desideri qualcosa di meglio, in questo momento?”
– lo stuzzica la
gitana, affondando le sue dita nella folta barba del marito,
fissandogli le
labbra in attesa di ricevere un bacio da toglierle il fiato.
E
Bogotà afferra subito il doppio senso, arrossendo,
riconoscendo una forte
nostalgia patita per l’assenza di quel modo di fare
passionale di sua moglie.
“Sarà
la prima cosa che faremo appena avremo una casa tutta
nostra…e prega Dio che
non avremo i Dalì sotto il nostro stesso tetto!”
– ridacchia poi – “Perché ci
supplicheranno di smetterla”
La
battuta bollente del saldatore spiazza Agata che, però,
sorride maliziosa.
Da
un attimo di riferimenti agli attimi intimi che li attendono, si passa
invece a
parole di immensa dolcezza. Ed è la gitana a pronunciarle -
“Ti amo” - facendole
seguire da un bacio che, se non fosse stato per la circostanza
limitata,
sarebbe sfociato in altro.
“Anche
io, ti amo da impazzire! E ti sposerei cento, mille volte, per
ricordarti
quanto sei importante per me”
Un
discorso talmente romantico, a tratti erotico, che mostra tutti i lati
amorosi
di una coppia che ha costruito una relazione su basi stabili, vogliosa
di un
futuro roseo e di una famiglia numerosa e forte, una coppia che,
però, con la
sparizione di Ginny, con il crollo di ogni certezza, ha perduto la
propria
stabilità, ritrovandosi solo ad oggi più
innamorata che mai.
Mentre
Bogotà e Nairobi continuano a coccolarsi e regalarsi amore
reciproco, è il sonno
disturbato di Ginevra a riportarli alla realtà.
La
bambina comincia a muoversi e a urlare parole senza senso.
“Amore,
stai calma! Ci siamo noi qui” – le dice la Jimenez,
sedendosi di fianco alla
piccola.
E
il saldatore fa lo stesso, prendendole una mano.
A
quel punto è un nome che spiega lo strano sogno.
“Maestra
Honey! Hai sentito anche tu? È la causa del suo
incubo” – fa notare Agata,
avendo udito l’appellativo della sorellastra, ormai morta,
ormai parentesi di
vita chiuso per sempre.
O
meglio, è ciò che si sperava fino a
quell’istante.
Improvvisamente,
la piccola si sveglia, sudata e con gli occhi spaventati.
La
sua fortuna è trovare vicino i genitori che non esitano a
stringerla e
tranquillizzarla.
“Tesoro,
è stato solo un brutto sogno. Va tutto bene”
– Bogotà le dà un bacio sulla
fronte.
Le
danno dell’acqua, l’abbracciano, le mostrano la
loro presenza. Questo aiuta
Ginevra a superare lo spavento.
“Ho
sognato che la maestra Honey mi portava lontano”
“Tu
non le volevi bene?” – domanda la gitana, spiazzata
che sua figlia, infatti,
avesse un incubo con protagonista una persona di cui si fidava.
“Dopo
che ho saputo che ha rapito Axel l’ho immaginata diversa. Ho
sognato che aveva
una pistola… e poi…” – inizia
a piangere, accoccolandosi al petto della mamma.
“Sappi
che non accadrà niente. La maestra Honey non la vedrai mai
più” – e dopo
essersi distesa di fianco a sua figlia, Nairobi le canta una
ninnananna, così
da aiutarla a riaddormentarsi.
E
proprio quando sente il respiro di sua figlia, ormai caduta tra le
braccia di
Morfeo, la falsaria commenta con suo marito circa la morte di Teresa
Perez.
“Chissà
cosa sarà davvero accaduto tra quei due!”
“Sarà
un mistero che non potremmo mai risolvere!”
“L’importante
è che sia tutto finito, per sempre” –
conclude Nairo, prima di chiudere gli
occhi e seguire le orme dei suoi bambini, cedendo al sonno.
Il
tutto mentre i festeggiamenti dei Dalì continuarono fino
all’ultima goccia
dell’ultima bottiglia di champagne custodite nel frigobar.
********************************
Ma
cosa è davvero accaduto tra Antonio Garcia e Teresa Perez
nei minuti che
precedettero la loro morte?
FLASHBACK
“Come
mai hai ordinato ai tuoi uomini di lasciarti sola? Dimmelo, stai
tentando di
morire?”
“Stai
zitto!!!” – ripete più volte la Perez.
“Fino
a che punto sei disposta a spingerti pur di vincere? Eh?”
“Adesso
basta!” – dice, caricando il grilletto, pronta a
lanciare un proiettile verso
il nemico numero uno.
“Forza,
che aspetti!? Spara…spara ho detto!” –
il poliziotto alza le braccia e si pone
di fronte al suo cecchino.
Teresa
non ha notato l’assenza dei Dalì, fuggiti in quel
preciso momento, corsi verso
la libertà, verso il the end di una storia da cui credevano
di non uscire
vittoriosi.
“Ti
ho detto di spararmi, sono stanco di questa vita!”
– insiste Garcia.
Ma
nella testa di Teresa si affollano tanti pensieri, e una scarsa
lucidità.
Presa
l’arma, cambia direzione di quella pistola, puntandola verso
se stessa.
“Cosa
cazzo stai facendo?” – Antonio, l’aveva
provocata, eppure mai avrebbe scommesso
sul fatto che quella pazza si sarebbe autoeliminata. Per di
più, non era tra i
suoi obiettivi di vita vederla morta; piuttosto mirava a catturarla per
farle
scontare un ergastolo, come meritava.
“Quello
che avrei dovuto fare tempo fa”
Sotto
lo sguardo esterrefatto dell’ex poliziotto, si consuma un
suicidio che mette un
punto a un passato doloroso, e lascia volare via l’anima di
una donna che paga
così il conto con il dolore, con la sua coscienza, con la
gente a cui ha recato
male, e con sua figlia, alla cui ha dato la vita, per poi
strappargliela
ingiustamente.
Scioccato
dall’immagine di una Boss così forte e di
ghiaccio, piegata alla sofferenza e giunta
ad uccidersi, Antonio, con mano tremante, invia un messaggio al
Professore, e
toglie la pistola dalle mani di quello che è ormai un
cadavere.
“Cosa
faccio ancora in questo mondo se non ho più ragioni per
vivere?”
Né
una figlia da vendicare, né una criminale da
acciuffare… per di più una gamba inutile,
un lavoro inesistente. Gli resta la fama e il successo accumulati negli
anni…
certo di lasciare un segno nella storia di molti, e felice di aver
aiutato i
Dalì, punta l’arma contro il suo cuore e saluta il
mondo.
Un
colpo…
Due
colpi…
Corpi
a terra, trovati poco dopo dalla polizia che leggono chiaramente
l’SMS che
Garcia scrisse a Sergio, un contatto numerico di cui ignorano
l’esistenza. Un
contatto di cui Marquina si è disfatto immediatamente,
sapendo la possibile
rintracciabilità.
“Grazie
di cuore, Antonio!” – è la frase che il
Professore rivolge all’amico che ormai
sa essere nell’aldilà, quando legge il suo ultimo
messaggio.
****************************************
Ai
Dalì viene concessa una nuova chance di vita, per merito di
chi ha perso molto negli
anni ma si è guadagnato un posto d’oro in cielo,
un posto accanto a sua figlia
Anastasia, e un posto nel cuore di gente che lo custodiranno per sempre
nei
ricordi grazie al sacrificio ultimo che ha garantito loro la
libertà.
IL
PROSSIMO CAPITOLO SARA’ L’ULTIMO, SONO GIUNTA ORMAI
ALLA CHIUSURA
DI QUESTA STORIA A CUI MI SONO AFFEZIONATA, FORSE PIU’ DI
TANTE ALTRE CHE HO
SCRITTO NEGLI ANNI.
BUONA
LETTURA, E AL PROSSIMO CAPITOLO 😉
PER I SALUTI
FINALI.
BESITOS
A TODOS.
|
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Capitolo 38 *** 38 Capitolo ***
La
traversata in mare è lunga e permette ai Dalì di
approfondire la conoscenza dei
Gonzales, risultati essenziali per la vittoria contro Teresa Perez.
Alle
prime luci del giorno, dopo una nottata di feste e alcool, la Banda si
concede qualche
ora di ristoro.
Ed
è proprio quando i grandi si addormentano, che, al
contrario, i bambini si
risvegliano e cercano attenzioni.
Carmen
Gonzales decide di rendersi utile distraendo i nipotini con dei passi
di danza
che pratica, per i suoi settant’anni e vari acciacchi fisici,
con strabiliante
disinvoltura.
Alba,
amante del ballo, passione di famiglia Jimenez, osserva la nonna,
estasiata da
qualcosa di nuovo e di affascinante.
“Si
chiama flamenco!” – spiega loro l’anziana
gitana, mostrando alcuni movimenti.
In
tale istante, Jorge intona, servendosi solo della sua voce, una melodia
che
accompagna, a ritmo di mani, il dimenarsi della moglie.
Nella
cabina, dove dormono i Dalì, Ivana e Hanna si svegliano per
prime e optano per
raggiungere la zingara e allietarsi guardando la sua danza. Sono
incuriosite e
partecipano subito al momento di svago.
Quei
suoni sono ben noti al mondo intero, data la fama del Flamenco.
Ovviamente questo
vale, soprattutto, per gli spagnoli. Infatti, anche le altre donne non
rinunciano ad una bella lezione e ad apprendere quanto possibile di
quel ballo
affascinante e tipicamente latino.
Così
Lisbona e Stoccolma si uniscono al gruppetto, pronte ad imparare.
Tokyo,
invece, svegliata dal pianto di Santiago, nota immediatamente Nairobi
seduta
sul letto, di fianco al marito, con lo sguardo piuttosto spento.
“Ehi,
che ti prende? Non ti senti bene?”
Agata
scuote il capo, voltando, dal lato opposto, il viso, per non mostrare
alcune
lacrime che insistentemente continuano a bagnarle le guance.
“Amica
mia, credevo fossi felice. Guarda che siamo quasi arrivati alla meta.
Manca
pochissimo ormai”
“Certo
che sono contenta!”
“Come
mai piangi, allora?” – Silene ha dei sospetti,
conosce fin troppo bene quella
che considera una sorella, e ritiene che ad essere responsabile di quel
malumore sia proprio la presenza di Carmen Gonzales –
“E’ per tua madre?”
“Quella
musica, quella danza…cazzo, mi ha riportata indietro negli
anni” – sbotta la
gitana, riferendosi al chiasso udito.
“Vieni,
andiamo in un posto appartato, così mi racconti”
Tokyo
invita Nairobi porgendole una mano, e le due si siedono a pochi passi
dalla
postazione del capitano.
Sole
con la loro intimità, possono finalmente parlare.
“Sfogati,
liberati del peso che ti sta opprimendo! Ti conosco come le mie tasche,
e so
che stai nascondendo, dietro un falso sorriso, la tua
frustrazione!”
“Quella
donna era tra le migliori ballerine del mio quartiere, sai? Incantava
tutti
quando si dimenava a ritmo di musica flamenca. Io ho imparato
ciò che so, solo
guardandola”
“Scommetto
che sei bravissima!”
“Non
ballo più da anni ormai. Ho smesso di farlo quando ho
volutamente rimosso ogni
legame con una famiglia che non mi ha mai amata!”
Guardandola
tanto fragile, la Oliveira le ricorda quanto sia stata in gamba ad
accettare la
richiesta dei bambini.
“Hai
un cuore enorme, amica mia! Hai dato priorità ai tuoi figli,
concedendo loro la
possibilità di conoscere la loro nonna, nonostante ti faccia
più male di quanto
pensassi”
“Da
un lato, vorrei tanto dimenticare e voltare pagina, eppure,
dannazione…faccio
fatica! Sentire la sua voce, e quella di Jorge, tocca corde profonde
che mi
riportano indietro nel tempo” – confessa Nairobi,
amareggiata.
Tokyo
comprende a pieno il sentimento contrastante di Agata, avendo vissuto
anch’essa
una situazione difficile con un genitore che amava ma che era pronta a
“venderla” alla polizia - “Ricordi il
momento in cui ho scoperto della morte di
mia madre? Finsi totale indifferenza”
“Certo
che sì! Poi, però sei esplosa riconoscendo un
dolore che credevi non esistesse.
E questo perché, in fondo, quella era la donna che ti ha
dato la vita, che ti
ha cresciuta, e a cui volevi bene”
“Esattamente.
Guarda la tua situazione da questo punto di vista. Cosa sentiresti
sapendola
perduta per sempre?”
“Il
discorso non è lo stesso, Toky” –
replica Nairobi, cosciente che Carmen
Jimenez, a differenza della signora Oliveira, non agì da
criminale verso sua
figlia.
“Lo
so, dico soltanto di tentare… immagina la scena. Chiudi gli
occhi. Pensa che
qualcuno ti telefoni o ti riferisca della morte di lei. Cosa sente il
tuo cuore
di fronte a ciò? Troveresti risposte importanti, che magari,
ora, credi
impossibili! Io ho finto di fregarmene, ma è durato
poco… non potevo negare chi
fosse mia madre e quanto amore nutrissi nei suoi riguardi, nonostante
tutto!
Sono sicura che per te è lo stesso!”
La
gitana non replica, però decide di seguire il consiglio
dalla compagna di banda.
E lo fa decisa a
confermare la propria
tesi, ovvero che semmai la Gonzales fosse morta, a lei interesserebbe
poco, se
non addirittura nulla.
Appena
serra gli occhi, la prima immagine che focalizza è se
stessa, con delle
valigie, e con Axel, di soli due anni, nel passeggino. La scena
dell’addio ad
un genitore che nascose e coprì i misfatti del marito contro
un bambino
innocente.
“Cosa
vedi?” – le chiede Tokyo, in veste di
psicoterapeuta.
“Qualcosa
che fa male. Malissimo, direi” – commenta Agata,
mentre scene simili scorrono
nella sua testa e si presentano come fulmini a ciel sereno per
ricordarle di un
passato sofferto.
“Basta,
non me la sento di continuare. Vedo solo cose che non dovrei vedere. Le
avevo
cancellate per la mia salute mentale ed emotiva” –
la Jimenez apre gli occhi
proprio allora, scuotendo la testa frastornata dai ricordi.
“Cerca
di fare chiarezza con i tuoi reali sentimenti, amica mia. È
l’unica soluzione
per superare questo tuo disagio” – le dice Silene,
mostrandosi per una volta
più matura di Nairobi, offrendole dei suggerimenti e una
spalla a cui
appoggiarsi in ogni momento.
La
loro chiacchierata intima viene interrotta dall’arrivo di
Stoccolma e Lisbona.
“Che
fate qui, ragazze? Venite, che ci si diverte” –
dice la Gaztambide.
Raquel
appoggia la compagna di squadra. Così, tutte e quattro,
sottobraccio, si
avvicinano al gruppetto femminile, radunato attorno alla gitana che
danza il
flamenco.
E
appena Carmen nota sua figlia, emozionata, le sorride, invitandola ad
unirsi a
lei.
Agata,
combattuta nel darle soddisfazione o porre resistenza, lancia uno
sguardo alle
figlie, che invece sono desiderose di guardarla ballare.
In
pochi secondi, la falsaria si avvicina e comincia a dimenare fianchi,
mani e
piedi, mostrandosi addirittura più brava di sua madre.
Un’esibizione
che incanta tutti.
Sebastiàn,
intento a giocare in disparte con delle macchine telecomandate, si
avvicina
incuriosito e non appena riconosce sua madre e sua nonna danzare, getta
via i
giocattoli e corre verso la cabina dove Bogotà e company
stanno dormendo
profondamente.
“Papi,
vieni a vedere come è bella la mamma che sta
ballando!” – grida, svegliando
bruscamente tutti.
Nairobi,
nel giro di qualche minuto, diventa l’attrattiva della nave.
Nessuno
riesce a distogliere gli occhi dall’arte pura.
E
mentre le due Jimenez seguono una i passi dell’altra,
è la falsaria a lasciare
che la sua mente visualizzi le immagini suggeritele prima da Tokyo.
Tutto
ciò che credeva di non provare verso quella donna, affiora
con prepotenza.
Lei
sta vivendo un momento con una madre, una persona che le ha recato
male, ma che
le ha donato anche attimi di gioia. E i flash di quando trascorrevano
le ore a
danzare, le regalano serenità. Flash che aveva
inconsciamente archiviato.
Immagini
continuano a susseguirsi, e la voce di Jorge e il suo “fare
musica” da
sottofondo, danno a Nairobi la prova che lei è in grado di
chiarire con il
passato.
Avrebbe
impiegato tempo, lo sa…però ad oggi sente di
potercela fare! Può superare il
rancore, ed è decisa a farlo quanto prima!
Sotto
lo sguardo scioccato e piacevolmente colpito dei presenti, al termine
dell’esibizione, madre e figlia si guardano occhi negli occhi
per alcuni
secondi. Poi è la più giovane delle due ad
abbracciare l’altra.
Un
istinto che Carmen sa bene essere frutto della complicità
trovata durante la
danza. Conosce la caparbietà di sua figlia che, giustamente,
non avrebbe
lasciato passare il dolore in un battibaleno. Però quello
è un buon passo in
avanti per sperare in una riconciliazione.
“Grazie
per questo gesto” – le dice la settantenne,
approfittando del casino degli
applausi dei Dalì per esternare la sua riconoscenza.
Nairobi
non risponde con parole e accenna un timido sorriso. Con il cuore
leggero, come
non le capitava da tempo, ormai, la falsaria si allontana dal gruppo,
isolandosi. Presa da un’ingestibile emozione, piange,
sentendosi fortissima, nonostante
le lacrime.
Su
quella nave vuole lasciarsi tutto alle spalle, compreso il rancore
cumulato
negli anni, così da ricominciare da capo la sua vita.
Per
dare inizio a qualcosa di nuovo, sente di dover vivere, per una seconda
volta,
quegli unici attimi felici che ha già vissuto. È
da lì che ha intenzione di
ripartire. E quei momenti di gioia immensa hanno a che fare con
l’amore.
“Devo
ripartire dal SI che ho promesso all’uomo che amo”
– pensa tra sé e sé.
Improvvisamente,
come uno scherzo del destino, è proprio Bogotà a
raggiungerla, cingendole i
fianchi e adagiando il mento sulla sua spalla.
“Amore
mio, sei stata fantastica poco fa. Sappi che da oggi in poi voglio
vederti
ballare il flamenco ogni giorno” – le sussurra,
dandole un dolce bacio sul
collo.
“Da
adesso in avanti vivremo il nostro meritato happy ending”
“Sei
tu il mio happy ending!”
Quell’affermazione
fa arrossire Agata, che avanza, solo allora, la sua proposta -
“Posso chiederti
una cosa?”
“Tutto
quello che desideri” – risponde il saldatore con la
solita smisurata dolcezza.
“Mi
sposeresti per la seconda volta?”
Una
proposta al femminile che spiazza l’uomo, il quale, commosso,
la risponde con
un bacio lungo e caldo, come caldi sono i raggi del sole che si posano
su di
loro e gli ricordano che l’alba è prossima e con
essa è prossima la nuova vita
che li attende.
**************************************
“Siamo
arrivati, Dalì” – comunica il professore
alla sua Banda.
Di
fronte ai loro occhi c’è la terra che li
accoglierà, una realtà, quella della
Thailandia, che ospitò Sergio e Raquel per anni e che i due
dovettero
abbandonare in seguito alla seconda rapina, per ragioni di sicurezza.
Adesso
quella diventa la casa di tutti.
“Chi
sono quelli?” – chiede Ginevra a Tokyo, notando
delle persone ferme a riva, che
sembrano attenderli.
“La
famiglia!” – risponde Silene alla bambina.
Ebbene
sì. Il resto della Banda non presente alla missione di
salvezza a Perth, ha
soggiornato per giorni in quel luogo, in attesa di ricongiungersi con i
parenti.
Impossibile
non notare la presenza di due adulti, appartenenti alla Banda.
“Manila,
Marsiglia! Che gioia rivedervi” – esclama,
entusiasta, Nairobi.
“Finalmente!”
– esclama Stoccolma, riferendosi ai figli a cui corre
incontro. I suoi più
grandi tesori, da cui si è dovuta allontanare giorni prima,
sono una gioia per
gli occhi.
“Siamo
stati lontani poco tempo, però mi è sembrata
un’eternità!”
- singhiozza emozionata, mentre avvolge i due,
tra le sue esili braccia.
Le
presentazioni sono immediate ed è Sergio a identificare la
gente in questione.
“Ora
sì che siamo al completo! Giovani membri, voglio che
conosciate i pezzi ultimi
di questa grande famiglia che è quella dei Dalì!
Partendo da loro …” – i primi
che avanzano, su richiamo di Marquina, sono la prole Ramos.
“Cincinnati?
Sei davvero tu?” – esclama, sconvolto
Bogotà, riconoscendo in un adolescente
quel bambino di soli due anni che al monastero giocava con lui, vestito
e truccato
come un vero membro della Banda.
Lo
abbraccia senza esitare, dandogli una pacca sulla spalla.
“E
questa principessa?” – domanda Nairobi, notando una
bambina all’incirca di sei
anni dai capelli ricci e biondi.
“Lei
è Kiev!” – risponde Denver, fiero della
figlia avuta dalla relazione con la
moglie.
“Non
è difficile immaginare che sia tua figlia. Vi somigliate
tanto” – sostiene Rio,
notando nella solarità della minore il tipico tratto
caratteriale dell’amico.
Infatti,
Kiev non impiega molto a prendere confidenza con persone sconosciute.
Tutto
l’opposto di un altro bambino, nascosto dietro le gambe di
Manila.
“Lui
è Tristan” – spiega Raquel, indicando
suo figlio.
“Ecco
l’esatta fotocopia del Professore” –
commenta Palermo – “Però noto in lui
qualche somiglianza con Andrès!”
“Sempre
il solito nostalgico!” – afferma Helsinki, a tratti
ingelosito dal ricordo di
Berlino e dell’amore del suo fidanzato verso il fratello del
prof.
“Gordo,
io amo solo te! Lo sai già!” – e
così dicendo, Martìn riceve subito il perdono
del serbo.
È
Manila ad intervenire ricordando la fatica di quella settimana, durante
la
quale ha dovuto conquistare la fiducia di Tristan, e gestire Cincinnati
e i
suoi colpi di testa, i pianti di Kiev.
Poi,
però, precisa – “Fortuna che Paula
è stata al mio fianco. Senza di lei, sarebbe
stato complicato”
Paula,
figlia della Murillo, ormai vent’enne è oggetto di
commenti di alcuni figli di
Bogotà che non riescono a non farle complimenti.
E
mamma Raquel, udendo le battutine, interviene ricordando loro -
“Ehi,
ragazzini! Placate l’ormone, vi ricordo che siete in mia
presenza”
“Perdon,
ispettrice” – esclamano in coro Drazen e Yaris, i
diretti interessati dalla
ramanzina.
Tutto
ciò accade mentre Marsiglia, in compagnia del suo labrador
bianco, attira l’attenzione
dei bambini, interessati più al cane che alla sua conoscenza.
“Hai
trovato l’amore, amico?!” – lo prende in
giro Denver, sapendo del legame del
“muto” con il famoso cane rimastogli fedele fino
alla morte.
“Ne
ho trovati tanti!” – risponde l’uomo, non
reagendo allo scherzo, ma mostrandosi
molto più sciolto di anni prima –
“Questo è solo uno dei molti che ho in
casa”
“Mamma,
ne prendiamo uno anche noi?” – chiede Alba alla
falsaria, riferendosi al
cucciolo.
“Ti
piace?” – domanda Marsiglia alla bambina, iniziando
un discorso sull’importanza
di avere un animale domestico e sull’amore che i cani
regalano gratuitamente
agli uomini.
Mentre
ascoltano la conversazione, Sergio torna all’argomento
centrale in seguito alla
domanda posta, curiosamente, da Tokyo.
“Come
mai questo nome, professore? Perché hai scelto
Tristan?”
“Già,
io avrei giurato che avresti dato ad un tuo erede il nome di una
città!” -
riflette Rio, sorpreso.
“E
lo è! Cari i miei Dalì, devo darvi lezioni di
geografia durante la permanenza
qui” – sostiene il capo della banda, spiegando che
quello è l’appellativo di un
arcipelago dell’Oceano Atlantico.
“Per
carità, basta studio, prof! Adesso che siamo liberi,
concediamoci solo
spensieratezza. E direi di iniziare con un bel bagno in mare, chi
è con me?” –
propone Ramos, non intenzionato a dover imparare altre nozioni.
Tra
risate e ritrovata complicità di gruppo, la famiglia
dà inizio alla vita che li
attenderà.
Di
fronte a tanta gioia, Bogotà e Nairobi decidono di
comunicare alla Banda la
lieta notizia.
“Abbiamo
deciso di rinnovare le promesse di matrimonio, quindi…ci
sposeremo, di nuovo,
assieme a voi, con i bambini che faranno i paggetti e le damigelle.
Insomma,
delle nozze da favola” – rivela Agata, emozionata
come fosse la sua prima
volta.
In
quel modo rende partecipe perfino Carmen e Jorge che possono sentirsi
parte di una
grande festa e vivere di un momento speciale a cui, anni addietro, non
parteciparono.
“Io
mi occupo degli addobbi” - dice Stoccolma.
“Io
della musica” – aggiunge Rio.
“No,
ti prego, amico mio! Valuta bene le canzoni, ti supplico”
– commenta Bogotà,
riferendosi ai pessimi gusti di Anibal.
“Io
invece sarò l’addetta al rinfresco”
– afferma, fiera, Raquel, invitando sua
figlia a darle una mano.
E
così, di fronte a un’intera squadra, pronta a
mettersi per l’ennesima volta in
moto, ma per una vicenda finalmente felice, Nairobi e Bogotà
si apprestano a
pronunciare un SI per l’eternità.
IL
PROSSIMO SARA' IL "THE END" CHE SPERO VI PIACERA'!
INTANTO RINGRAZIO CHI HA SEGUITO LA MIA STORIA, CHI HA RECENSITO E
ANCHE CHI HA SOLO LETTO.
UN GRAZIE SPECIALE ALLE MIE DUE AMICHE, SEMPRE PRESENTI, CHE MI HANNO
SOSTENUTA SEMPRE... CHICAS DE MI CORAZON, QUESTA FANFICTION E' STATA
POSSIBILE ANCHE GRAZIE A VOI! VI VOGLIO BENE
A PRESTO
BESITOS A TODOS
IVY
|
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Capitolo 39 *** THE END ***
Un
mese dopo l’arrivo in Thailandia, è tutto pronto
per la cerimonia.
Quel
dì a svegliare Nairobi dal suo sonno sono i bambini,
euforici e chiassosi più
del solito.
Le
donne dei Dalì, invece, si occupano di capelli e make-up,
attente ad ogni
dettaglio, e aiutano la gitana ad indossare un abito color crema,
delicato e
raffinato, cucitole per l’occorrenza da mani esperte di sarte
del luogo. Perfino
Carmen Jimenez partecipò nella realizzazione del vestito,
riconoscendo nei
gusti di sua figlia molte somiglianze con i suoi.
Bella
e radiosa, Agata Jimenez percorre, a piedi nudi, sulla sabbia di quella
immensa
spiaggia, lì dove giunsero con la nave ben trenta giorni
prima, i metri che la
separano dal saldatore.
E
Bogotà, fermo, immobile, fiancheggiato da una lunga schiera
di figli, osserva l’immagine
della felicità: la sfilata dei piccoli, Alba, seguita dai
gemelli, da Kiev e
Tristan, mano nella mano.
Infine,
eccola lì…la sua Nairobi.
Difficile
dimenticare quando le sussurrò, tanto tempo prima, di
immaginarla vestita di bianco
che lo raggiungeva all’altare.
Sembra
ieri quando ciò accadde. Ora la storia si ripete, affiancati
da gente che si
ama partecipe di quella gioia.
La
Jimenez non è sola quando cammina incontro al suo compagno.
Carmen
e Jorge, le persone che non avrebbe mai pensato di poter tollerare
nella vita, l’accompagnano,
in veste di genitori, come normalmente si è soliti fare alle
cerimonie
religiose, con la concessione della propria figlia nelle mani del suo
futuro
sposo. Una sensazione che la settant’enne ha vissuto quando
concesse Agata al marito,
il papà di Axel.
Una
sensazione che non aveva affatto la stessa magia e le stesse sensazioni
di
questa.
Con
il battito accelerato, la falsaria si unisce a Bogotà,
realizzando insieme a
lui il sogno di tutta una vita.
In
presenza delle persone che amano, pronunciano le promesse espresse anni
addietro, quelle di esserci sempre l’uno per
l’altra, di non allontanarsi più,
di viversi giorno dopo giorno.
Eppure,
l’affermazione pronunciata dalla coppia che spiazza i
presenti è che si
sarebbero impegnati ad accogliere anche altri nuovi membri in famiglia.
“Scusate,
intendete dire…altri figli? – Denver è
spiazzato e commenta – “Amico mio, direi
che ne hai abbastanza, no?”
“Nairo,
ci stai dicendo che sei incinta?” – Tokyo,
incredula, è pronta a gettarsi al
collo della gitana per congratularsi.
Però
sono gli sposi stessi a porre un freno all’euforia generale.
“No,
calma, calma. Non intendevamo questo che state pensando!”
– dice la donna, ridendo
di fronte a chi pare la voglia sempre in dolce attesa.
“Direi
che undici eredi sono più che sufficienti”
– spiega il saldatore, includendo
Axel tra i suoi figli di sangue.
“Undici?
Ma siamo in dieci, papino” – riflette Seba.
A
quel punto, Agata invita la persona, isolata e poco notata, ad avanzare.
Nessuno
si accorge di costui fino a quel preciso istante.
E
sono le sorelle, Ivana e Hanna, a esclamare, a gran voce, il suo nome
– “Emilio!”
In
fondo il saldatore promise a se stesso di mettere da parte il rancore e
di recupere
la relazione con il primogenito.
E
così fece.
Accolto
con entusiasmo dall’intero gruppo, il ventisettenne si
riunisce alla famiglia,
abbracciando suo padre in primis e la Jimenez subito dopo.
“Bentornato
in famiglia, tesoro” – conclude Bogotà,
commosso.
Tra
applausi e lacrime di gioia, la coppia viene festeggiata come merita,
convinta
che mai più niente possa distruggere tale
felicità.
La
sola cosa che, a detta dei giovani Dalì, è
ignorata dagli adulti è la nascita
di due coppie amorose tra i membri young della squdra.
“Dite
che conviene rivelarlo? Ci uccidono se lo scoprono”
– sussurra Paula ai tre,
appartati con lei, fuori dalla grande villa che ospita la festa nuziale.
“Penso
che stiamo esagerando, in fondo non facciamo niente di male”
– risponde Ivana.
“Parla
per te, sorellina! Se Raquel scopre di me e sua figlia, come minimo mi
spara” –
Julian si pronuncia con una battuta che fa sorridere la
vent’enne che gli è
accanto e che gli prende la mano.
“Calma
e sangue freddo, famiglia! Sono certo che capiranno”
– interviene Axel,
guardando Varsavia.
“Non
potevamo non innamorarci, giusto?” – le domanda,
regalandole un sorriso che
l’ucraina tanto adora.
Se
c’è una cosa che quei quattro giovani fanciulli
non hanno tenuto in
considerazione, è l’arguzia notevole del
Professore.
Impossibile
non captare la chimica tra le due coppie.
E
a farlo presente qualcuno giunto in tale istante.
“Ehi,
voi quattro che fate qui?” – la voce di Marsiglia,
con a spasso il suo
labrador, fa sobbalzare i ragazzi.
“Ehm,
Marsiglia, da quanto sei qui?” -
domanda, imbarazzato, Julian.
“Sono
uscito per fare una passeggiata con Bernardo”
“Sei
ancora convinto di voler dare quel cane a mamma e
Bogotà?” – chiede Axel,
trovando un modo per cambiare discorso sull’argomento
“Cosa ci fate voi qui”.
“Ovviamente
sì. Alba, Ginevra e Sebastiàn amano Bernardo, e
Bernardo ama loro. Perciò vivrà
bene con loro” – afferma, convinto, l’ex
sicario.
Poi,
però, cogliendo una certa tensione nell’aria,
suggerisce loro di rientrare
perché a breve avrebbero mangiato la torta.
E
quando i giovani sono prossimi alla porta d’ingresso,
sollevati dal non aver alimentato
sospetti, è proprio l’uomo, ridacchiando sotto i
baffi, a commentare –
“Sappiate che abbiamo vissuto l’amore prima di voi,
e abbiamo capito che vi
siete fidanzati!”
“Eh?”
– esclamano in coro, imbarazzati.
“Basta
segreti, credete che il Prof non abbia sospetti? I vostri genitori
sanno tutto.
Non abbiate timore, vi vogliono bene, non potrebbero mai
arrabbiarsi!” – conclude,
preparando i giovani al confronto con i grandi.
Così,
una volta raggiunta la sala dei festeggiamenti, sentendo gli occhi
puntati
addosso, è Axel, da bravo figlio della Puta Ama, a prendere
parola – “Vorremmo
dirvi una cosa importante”
E
quel gesto basta ai Dalì per capire il messaggio, ed
apprezzare il coraggio
nell’affrontarli.
“Tranquilli,
ragazzi! Vi diamo la nostra benedizione” – e chi si
espone in primis è Raquel,
guardando soprattutto Julian e dicendogli –
“Però mi raccomando a non far piangere
la mia Paula” – afferma sorridente e felice per sua
figlia.
Ovviamente
anche Nairobi e Bogotà hanno qualcosa da dire ai rispettivi
figli.
“Certo,
mai avrei pensato che da fratellastro e sorellastra quale siete, vi
sareste
innamorati. Però è pur sempre amore. E se voi
siete felici, lo siamo anche noi”
Con
un abbraccio, la sposa accetta la relazione, per spostare lo sguardo
sul
saldatore, alquanto spiazzato dal fatto.
“Era
inevitabile che ciò accadesse, mi amor”
–
puntualizza, cercando di avere una reazione dal consorte, rimasto
stranamente
in silenzio.
“Perché
dici questo?” -
e infatti, dopo l’osservazione
di Nairobi, Bogotà torna in se, e apre bocca.
“Axel
e Ivana sono esattamente come me e te. Mi piace l’idea che il
legame che ci
unisce supera ogni limite. Non solo io e te ci siamo innamorati, ma si
sono
innamorati anche i nostri rispettivi figli. Non dubitare che tra le
nostre due
famiglie ci sia un filo che non si spezzerà mai,
perché loro sono l’esempio
perfetto di tutto ciò”
“Hai
ragione! Siate felici, figlioli!” – ed è
proprio lo sposo a proporre il brindisi.
“A
cosa brindiamo?” – domanda Nairobi al saldatore.
C’è
tanto per cui vale la pena brindare: si brinda alla libertà,
ai piani estremi
di salvataggio del Professore, alle idee a volte pericolose di Palermo,
alla
leadership di Lisbona e a quella di Nairobi, alla tenerezza di
Stoccolma e alla
sua pazienza nel sopportare Denver, ai colpi di testa di
quest’ultimo, all’impulsività
di Tokyo e Rio e al loro amore, alla forza di Helsinki, alla squadra
dei
giovani Dalì, a Bogotà e alla sua
tenacia…ai bambini, nello specifico a Ginevra,
vittima di una brutta storia, conclusasi nel migliore dei modi, una
piccola di
soli sette anni divenuta la catena che ha unito i Dalì per
la terza volta, e per
sempre!
**************************************************
Ciò
che accadrà da lì in poi, nel giro di ben cinque
anni, segna il finale perfetto
per una Banda, divenuta famiglia, che torna alla libertà di
un tempo.
Cinque
lunghi anni durante i quali alcuni dei figli di Bogotà
tornano nelle loro
città, cominciano carriere lavorative e vivono le loro
esperienze di crescita. Figli
che non esiteranno a tornare, ogni qualvolta ne avranno voglia.
Cinque
anni di amore e amicizia, divenuti giorno dopo giorno, sempre
più forti.
Cinque
anni in Thailandia che culminano con l’arrivo di
un’importante comunicazione.
Quella
che il prof attendeva dal giorno della fuga da Perth.
“Da
oggi potrete tornare in Australia” – comunica,
riferendosi nello specifico alle
coppie che hanno vissuto lì – “Abbiamo
ottenuto il via libera per riprendere le
nostre vite di sempre!”
Seppure
quella è una decisione sofferta, Nairobi e
Bogotà, così come Tokyo e Rio,
decidono di rimettere piede nella città che li ha ospitati
per ben dodici anni.
Perfino
i Gonzales optano per seguire i parenti in Oceania, non intenzionati a
separarsi
mai più. Dopotutto, Carmen ha faticato sodo per
riconquistare la fiducia di Agata
e ora che l’ha ottenuta, non vuole perderla di nuovo.
“Bentornati
a casa!” – comunica Bogotà ai figli,
quando aprono la porta della loro ben
amata villa Sanchez.
Adam
e Carmen Johnson si impegnarono nel tenerla in debita cura e pulizia. E
quando
i Dalì vi rimettono piede, si trovando davanti agli occhi la
stessa identica
situazione lasciata ben cinque anni prima.
“Merito
di mia moglie che ricordava per filo e per segno come era disposto
tutto” –
precisa l’australiano, lusingando la madrilena consorte.
Ma
le sorprese non finiscono qui.
All’indomani
del loro arrivo a Perth, il saldatore e la sua famiglia ricevono la
visita
inaspettata di Axel e Ivana.
I
due convivono, a Madrid, da tempo e hanno una notizia importante da
comunicare
ai genitori.
“La
famiglia si allarga” – rivela l’ucraina,
mostrando un leggero rigonfiamento al
ventre.
Una
notizia che spiazza tutti, e sciocca Agata che dovrà
riuscire ad immaginarsi in
veste di nonna a neanche cinquant’anni. Però una
vita che nasce è sempre fonte
di gioia.
Da
lì a qualche mese, un bebè si aggiunge alla
Banda, e ovviamente, come vale per
ogni membro, anche alla neonata viene dato il nome di una
città.
“Benvenuta
al mondo, Milagro! Sei un vero e proprio miracolo, piccola
mia!” – è così che
la gitana accoglie la sua nipotina, conoscendola per la prima volta.
“Sei
tu il nostro happy ending” – afferma, commossa,
dandole un dolce bacio sulla
fronte.
Oggi
che è madre, moglie, e perfino nonna, sente rimbombare,
nella sua testa, le
parole che pronunciò quando chiese al professore di renderla
madre.
“Sogno
di diventare madre, di avere tanti figli, e un cane... e tutto
ciò che serve”
Lo
sognava disperatamente, ed è esattamente quanto si
è avverato.
********************************************
2
mesi dopo…
“Fermi
così, guardate tutti la fotocamera! Al mio tre. Uno, due
...” -
dice il fotografo, pronto ad incorniciare
la foto-ricordo di famiglia: Bogotà, posto dietro a Nairobi,
con in braccio un
cucciolo di labrador ricevuto in regalo da Marsiglia, in seguito alla
prematura
scomparsa di Bernardo; di fianco a lui ci sono i Gonzales, che, seppure
con
qualche acciacco fisico, sono sempre presenti nella loro
quotidianità; la
matriarca, Agata Jimenez, è seduta al
centro della scena, ed è lei che rappresenta il cuore della
bella e numerosa
famiglia; di fianco alla gitana, ecco sistemati gli undici eredi, tutti
adulti
e realizzati; in primissimo piano la neonata, Milagro, avvolta tra le
braccia
dei tre baby zii…una neonata che è simbolo di
speranza, il miracolo di come
nella vita, se si crede fortemente nella felicità, questa
arriva nel momento
opportuno.
“Gridate
cheese!”
Poi
scatta il flash e la fotocamera immortala e blocca nel tempo,
incorniciata e disposta
alla parete, la vera immagine della felicità.
THE END
PER
LETI E MARI, DEDICO A VOI QUESTA FANFICTION, ALLA VOSTRA PRESENZA CHE
CI TENGO A RIBADIRE ESSERE STATA ESSENZIALE PER LA MIA FANTASIA E LA
MIA PENNA.
CONOSCERVI
GRAZIE A QUESTO SITO E’ STATO UN GRANDE REGALO.
VI
VOGLIO BENE.
ALLA
PROSSIMA STORIA, BESITOS A TODOS
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