Dog Days [traduzione di T'Jill]

di All_I_Need
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


NdT: ok, lo dico francamente. Questa è la cosa più delirante che abbia mai scelto di tradurre, la trovata pseudoscientifica è francamente ridicola, roba che un pasaggio a Hogwarts al confronto sarebbe stato più plausibile. L'autrice stessa lo riconosce, che la premessa è folle e il sommario assurdo... E niente, non me ne importa un fico secco, mi ha conquistata lo stesso 😂

Quindi, eccoci qui. Si tratta di una long di circa 101.000 parole in 24 capitoli, la traduzione più lunga che abbia mai affrontato. L'originale è indicata come rating rosso, ma visto che per il 90% della storia John è un cane (e assolutamente nessuna bestiality, qui 🤣) per me è sovrastimata e l'ho abbassato ad arancione. Spero tanto che vi piaccia 😊

Titolo: Dog Days
Traduttrice: T'Jill

 Giorni Da Cane 

 
"E tutto questo per un progetto di vent'anni fa?" Il maggiore Barrymore sembrava combattuto tra incredulità e irritazione.

Sherlock annuì. "Quello, e un omicidio. Davvero, Maggiore, le ho appena spiegato tutto, non mi stava ascoltando?"

Il maggiore gli lanciò un'occhiataccia. "Bene, mi scusi per aver faticato ad accettare che uno dei miei scienziati più fidati fosse un assassino, e subito dopo aver appreso che è saltato in aria su una mina! Potrebbe non crederci, ma alcune persone trovano sconvolgenti notizie di questo tipo, signor Holmes."

Sherlock si strinse nelle spalle, supremamente indifferente al comportamento dell'uomo. Non era certo la prima volta che qualcuno l’aveva accusato di essere insensibile. Secondo lui, Frankland si meritava quello che gli era successo. Un bravo scienziato sapeva quando un esperimento era infruttuoso e non avrebbe mai dovuto ricorrere a metodi come drogare casualmente persone in una foresta solo per coprire un omicidio. In effetti, un bravo scienziato sarebbe riuscito a condurre i propri esperimenti senza dover uccidere nessuno.

Accanto a lui, Lestrade spostò il peso da un piede all'altro, chiaramente a disagio in questo posto. Forse la consapevolezza che questo tipo di strutture esistessero senza che il pubblico ne fosse a conoscenza l’aveva turbato. Tuttavia, non c'era niente da fare al riguardo: la presenza di Lestrade oggi era necessaria. L'intera spiegazione del caso sarebbe andata molto meglio e sarebbe stata accettata più facilmente da Barrymore se fosse stato presente un vero ispettore investigativo di Scotland Yard per verificare i fatti. In privato, Sherlock alzò gli occhi al cielo. Burocrazia. Che immensa perdita di tempo.

Mentre Barrymore si rivolgeva a Lestrade per ulteriori spiegazioni sull'omicidio del padre di Henry Knight e sul successivo drogare il figlio per tenerlo in silenzio, Sherlock si voltò e si avvicinò alla vetrata che dava sul laboratorio. Una parte di lui non vedeva l'ora di dare un'occhiata più ravvicinata ad alcuni degli esperimenti condotti lì dentro. Tutti quei dati, scoperte scientifiche di cui nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza... era un peccato vederli andare tutti sprecati, rinchiusi in questa struttura sotterranea dove lui non poteva raggiungerli. Forse avrebbe dovuto provare a convincere Mycroft a concedergli l'accesso illimitato. Respinse l’idea con una piccola torsione della bocca. Improbabile.

Qualcosa non andava, pensò, studiando nel vetro il riflesso della stanza dietro di sé. Mancava qualcosa... no, più che altro mancava qualcuno.

"Dov'è John?"

"Non l'hai sentito quando si è scusato?” chiese Lestrade. "È andato a cercare il gabinetto."

Ah, questo spiegava la sua assenza. Sherlock aggrottò la fronte. Avrebbe dovuto parlare con John del suo consumo di tè. Di certo berne così tanto non poteva essere salutare? La sua vescica riusciva a malapena a svuotarsi prima che lui l’affogasse di nuovo nel tè. Prendendo nota mentale di sollevare l'argomento alla prossima occasione, Sherlock riportò la propria attenzione agli scienziati dall'altra parte del vetro.

Piccoli esperimenti genetici come quello che il dottor Stapleton stava eseguendo sui conigli luminosi non rivestivano per lui alcun interesse: chiunque poteva far brillare un coniglio nell'oscurità, a condizione di avere un coniglio, un laboratorio con l'attrezzatura necessaria e una manciata di geni luminosi. Non era certo una sfida.

Quello che interessava a Sherlock era tutto il resto di ciò che stava succedendo laggiù. La clonazione era affascinante e un giorno avrebbe potuto essere rilevante per il Lavoro, ma le possibilità di una svolta scientifica nella clonazione umana, insieme alle probabilità che il clone umano crescesse fino a diventare un criminale, erano a malapena sopra lo zero. Dubitava che avrebbe dovuto preoccuparsi di una cosa del genere almeno per i prossimi trent'anni e per allora avrebbe potuto essere morto o non essere più interessato alla risoluzione del crimine.

Tuttavia, c'erano altri esperimenti condotti qui, miglioramenti genetici e potenziamenti di medicine, vaccinazioni, farmaci... la lista era infinita. Aveva notato che alcuni degli animali sembravano essere stati alterati in modi che andavano ben oltre la luminosità e sarebbe stato molto interessato a dare un'occhiata più da vicino ad alcuni dei rapporti su quegli esperimenti.

Un movimento all'altro capo del laboratorio attirò la sua attenzione e guardò John varcare la porta, con aria sollevata e ansiosa di tornare a casa. C'era un'espressione diffidente sul suo viso mentre si guardava intorno nel laboratorio e Sherlock si chiese se fosse ancora arrabbiato per l'intera faccenda della droga. Oh be’, tutto ciò sarebbe stato presto dimenticato.

Vedendolo dietro il vetro, John gli sorrise e iniziò a farsi strada attraverso la stanza, schivando scienziati e tavoli da laboratorio mentre procedeva. Aveva appena percorso circa metà della distanza quando uno degli assistenti, immerso nella lettura di un rapporto mentre camminava, trascurò del tutto di guardare dove stava andando e andò a sbattere dritto su di lui.

Sherlock sussultò istintivamente, nonostante sapesse che non c'era nulla che potesse fare per fermare l'inevitabile mentre John perdeva l'equilibrio e veniva sbattuto contro uno dei più piccoli dei tavoli da laboratorio mobili su ruote, che prontamente scivolò via da sotto di lui. John cercò di aggrapparsi al bordo e di evitare una caduta, ma riuscì solo a trascinare il tavolo con sé con uno schianto sonoro.

Il suono di dozzine di strumenti che colpivano il pavimento e diverse fiale di vetro e piatti che si frantumavano sulle piastrelle si aggiunse alle urla inorridite degli scienziati.

Sherlock si rese conto del fatto che aveva lasciato la stanza ed era corso nel laboratorio solo mentre stava già spingendo da parte il primo sfortunato assistente.

"John? John! Stai bene ?! John!"

Un banco da laboratorio gli bloccava la visuale e lui lo scavalcò con un balzo, usando una mano per catapultarsi sulla superficie ingombra e facendo volare dappertutto fogli di carta. Non gli importava niente del disordine, però, tutta la sua attenzione era focalizzata su John e sulle cose terribili che avrebbero potuto accadergli se fosse entrato in contatto con una qualsiasi delle sostanze che erano state nei piattini di vetro e nelle provette. Poteva esserci stato un nuovo virus sconosciuto o un virus molto noto ma pericoloso, per non parlare del pericolo molto reale rappresentato da schegge di vetro e strumenti metallici affilati come i bisturi.

Ci fu un gemito di dolore e poi il silenzio e mentre Sherlock si voltava aspettandosi di vedere sul pavimento la forma priva di sensi del suo migliore amico.

Be’, non aveva completamente torto. Il corpo sul pavimento era certamente privo di sensi.

Mentre tutt'intorno a lui scoppiava il caos mentre altre persone si radunavano intorno alla scena, Sherlock lottò contro la propria totale incredulità per quello che i suoi occhi gli stavano mostrando e fece l'unica cosa che sembrava avere senso. Tirò fuori il telefono e premette la selezione rapida, parlando nel momento stesso in cui qualcuno rispose.

"Puoi trattarmi con condiscendenza più tardi, ora stai solo zitto e ascolta. Questa è un'emergenza. C'è stato un incidente al laboratorio. Ho bisogno al più presto di una delle tue auto a Baskerville, e forse di un veterinario. I tuoi brillanti scienziati hanno appena trasformato John in un cane."



*****



La prima cosa di cui John si rese conto fu la puzza. Quella e il rumore. Gli assalirono spietatamente il naso e le orecchie e lui gemette, trasalendo per quanto il verso suonasse strano. Più come un uggiolio, in qualche modo. Ma dio, il fetore. Qualcuno aveva decisamente esagerato con il disinfettante. Bruciava dal naso fino ai polmoni a ogni respiro che faceva. Come facevano le altre persone a sopportarlo?

E il rumore... c'era almeno una dozzina di persone che parlavano tutte insieme, i toni che spaziavano dall'eccitazione al panico, e lui si chiese vagamente di cosa si trattasse.

Comunque, com’era finito in quella situazione? Aprì gli occhi con cautela, ma li chiuse all’istante quando la luce accecante gli trafisse le retine. Ahia.

Bene, allora era ora di fare il punto e di cercare di ricordare cos’era successo. Lui e Sherlock stavano indagando su un caso, ricordò. Fuori Londra... oh giusto, la struttura militare di Baskerville. Laboratori sotterranei, allucinazioni, Bob Frankland che si fa esplodere. Erano tornati a Baskerville per risolvere alcune questioni in sospeso prima di rientrare a Londra. A giudicare dall'odore e dalla luce, erano ancora nei laboratori. Allora perché era sdraiato sul pavimento?

Ci vollero un paio di secondi ma il ricordo tornò gradualmente. Qualcuno gli aveva sbattuto contro, lui era caduto, c'era stato un tavolo coinvolto in qualche modo e vetro si frantumava.

"Oh, porca miseria."

Doveva essere stato messo fuori combattimento, probabilmente sbattendo la testa da qualche parte. Suppose che ci fosse la possibilità di essere entrato in contatto con qualche tipo di sostanza chimica.

"John? John! Mi senti? John."

"Oddio, qualcuno potrebbe abbassare il volume, per favore?" Strinse gli occhi come se ciò potesse in qualche modo bloccare il suono, e cercò di coprirsi le orecchie con le mani.

Immediatamente, si rese conto che c'era qualcosa di molto, molto sbagliato.

Quelle non sembravano affatto le sue mani. Aveva perso in qualche modo il controllo del proprio corpo? Le sue ferite erano peggiori di quanto pensasse? In realtà era stato in coma e questa era una stanza d'ospedale da qualche parte?

"John!"

E Sherlock, per favore, poteva smettere di gridargli contro?

Ammettendo la sconfitta, John riaprì gli occhi, sbattendo le palpebre più volte mentre la stanza tornava a fuoco. Strano. Il mondo sembrava leggermente distorto, in qualche modo. Forse aveva subito una commozione cerebrale. Ignorando per il momento il disagio, cercò di dare un senso a ciò che vedeva.

Era sdraiato sul pavimento e c'erano diverse paia di piedi che lo circondavano. Uno di essi aveva un’aria familiare e il loro proprietario sembrava indossare un lungo cappotto scuro. Oh, bene, quello era Sherlock. John lasciò che il suo sguardo viaggiasse lungo il corpo dell'uomo finché non raggiunse il suo viso. L'espressione che vi trovò lo fece annaspare all’indietro.

Sherlock sembrava... completamente scioccato.

Forse qualcosa sul suo stesso volto doveva aver rivelato la sua confusione, perché Sherlock si accovacciò di fronte a lui, con gli occhi attenti e penetranti, e pieni di uno strano mix di paura e sorpresa e d’innegabile fascino.

"John?"

Oh dio, perché gridava in quel modo?

"John, ho bisogno che tu resti calmo,” disse Sherlock. "Puoi farlo per me?"

"Sì, qualunque cosa, smettila di parlare a voce così alta," pensò John. Aprì la bocca per rispondere, ma la sua lingua non funzionò e tutto ciò che emerse fu un gemito angosciato.

Sherlock sembrava preoccupato e ora stava addirittura allungando le braccia verso di lui, molto adagio. John osservò con diffidenza il progresso della sua mano. Cosa diavolo stava facendo Sherlock?

"Sei entrato in contatto con uno degli esperimenti durante la tua caduta poco fa," gli disse Sherlock, chiarendo così la questione della loro posizione. Ancora a Baskerville, allora. "Una parte è entrata nel tuo flusso sanguigno. Gli effetti sono abbastanza... notevoli. Ho bisogno che tu rimanga calmo mentre cerchiamo di capire cosa fare. Puoi farlo?"

John avrebbe voluto rispondere, chiedere cosa diavolo stesse succedendo, ma la lingua e la laringe si rifiutavano ancora di obbedirgli.

"No, no, non cercare di parlare, temo che tu non sia in grado di farlo in questo momento."

La voce di Sherlock era incredibilmente gentile, troppo gentile e calma per i gusti di John. Non era mai suonato così. Doveva esserci qualcosa di estremamente sbagliato perché lui adesso assumesse quel tono. La sua angoscia aumentò al solo pensiero. Calmo? Come poteva restare calmo? Perché nessuno gli spiegava cosa stava succedendo?

Proprio in quel momento la mano di Sherlock gli si posò sulla testa e John quasi saltò fuori dalla pelle per la sorpresa. Anche questo sembrava sbagliato. Certo, Sherlock non gli aveva mai messo una mano sulla testa prima, quindi non c'era un vero termine di paragone, ma John conosceva il proprio corpo e questa non era la sensazione che avrebbe dovuto dargli essere toccato da qualcuno. Era come se la mano di Sherlock o la sua testa fossero sbagliate. E poiché Sherlock sembrava a posto, rimaneva solo lui stesso.

Va bene, era abbastanza. Era ora di alzarsi dal pavimento e scoprire cosa diavolo stava succedendo qui.

Si spostò, cercò di mettere le gambe sotto di sé e di spingersi su con le braccia, ma fallì.

Confuso, chinò la testa e abbassò lo sguardo su se stesso, cercando di capire quale fosse il problema. Un gemito gli sfuggì dalla gola quando vide quelle che sembravano due gambe sottili e pelose che terminavano in zampe. Cercò di muovere il braccio destro e la pelosa gamba destra sussultò in risposta. John urlò di nuovo, girando la testa da una parte e dall'altra per assorbire il resto del corpo.

Pelliccia. Quattro zampe e pelo e una coda e nessun accenno a qualcosa che John avrebbe riconosciuto come il proprio corpo. Le sue mani e i suoi piedi - no, le sue zampe! - scivolarono e lui slittò sulle piastrelle mentre cercava di allontanarsi, in qualche modo sicuro che sarebbe andato tutto bene se solo si fosse allontanato da dove si trovava attualmente.

"John! John, fermati!" ordinò Sherlock e lui si bloccò, i suoi pensieri in preda al panico si fermarono momentaneamente mentre fissava il viso di Sherlock. "Ascoltami, John, e cerca di restare calmo."

'Calmo? Non riesco a stare calmo, come potrei restare calmo? Questo non è il mio corpo!!!' avrebbe voluto urlare John, ma tutto quello che gli uscì dalla bocca fu un verso terrorizzato a metà tra un ululato e un guaito e lui si ritrasse, sorpreso dal suono.

"Come stavo solo cercando di spiegarti, sei entrato in contatto con uno degli esperimenti in corso qui," ripeté Sherlock gentilmente. "Sembra che in qualche modo, le persone oh-così-intelligenti che lavorano in questo laboratorio ti abbiano trasformato in un cane. Ora cerca di mantenere la calma così possiamo provare a trovare un modo per farti ritrasformare. Il tuo panico non aiuta."

'Mi piacerebbe vedere te cercare di mantenere la calma quando ti svegli nel cazzo di corpo sbagliato' , pensò John. Poi le parole di Sherlock lo raggiunsero. Un cane. Era stato trasformato in un cane. Questo era folle. Questo era completamente e assolutamente folle. Se questa era un'altra delle battute di Sherlock, se quel pazzo bastardo in qualche modo l’aveva drogato di nuovo...

Il suono di un'altra voce familiare interruppe i suoi pensieri furiosi.

"Sherlock, non credo che servirà a molto." Lestrade. Quello era Lestrade. Greg non gli avrebbe mentito, John lo sapeva. Non avrebbe mai accettato di prendere parte a uno dei folli esperimenti di Sherlock, in particolare non a uno come questo.

Lestrade si mosse per accovacciarsi accanto a Sherlock, che gli lanciò uno sguardo irritato, ma non disse nulla. "Sfortunatamente, Sherlock ha ragione. Maledizione, John, dovresti vederti. Non ci crederei nemmeno io se non fossi stato lì e non l'avessi visto accadere con i miei occhi."

Be ', neanche quello era esattamente d'aiuto. John gli lanciò un'occhiataccia, sentendosi ancora più fuori posto ora. Che diavolo di aspetto aveva?

"Forse dovremmo mostrarglielo?” disse qualcun altro e John girò la testa in quella direzione, notando che un intero gruppo di persone si era raccolto intorno a loro. "Vedere per credere e tutto il resto. Qualcuno ha uno specchio?"

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Idioti."

Tirò fuori il telefono, lo sollevò verso John e scattò una foto, poi girò il dispositivo e glielo mostrò. "Ecco, questo aiuta?"

John lo fissò.



*****



Sherlock era sicuro al 98% di non essere mai stato così sorpreso in tutta la sua vita. Certo, una volta c'era stato quell'incidente con il polpo al London Aquarium e la cosa con l'estintore e le uova bollenti quando era più giovane, ma niente lo aveva mai sorpreso tanto quanto voltarsi con la piena aspettativa di vedere John Watson e trovarsi invece a fissare un cane.

Forse era per quello che la sua prima reazione, dopo aver terminato la telefonata a Mycroft, era stata quella di chiedere con un tono di voce piuttosto strano: "Di che razza è?"

Lestrade, che l’aveva raggiunto proprio in quel momento, lo fissò incredulo. “È davvero questa la domanda più importante qui, Sherlock?"

Lui si strinse nelle spalle. "Una di loro, sì."

"Che ne dici di chiedere ‘Che diavolo è successo a John?’ invece?!" sbottò Lestrade e rivolse lo sguardo furioso a un sfortunato scienziato che aveva appena attirato la sua attenzione.

Sherlock non si preoccupò di distogliere lo sguardo dal corpo accasciato sul pavimento mentre rispondeva. "Pensavo che sarebbe stato abbastanza evidente perfino a te, Lestrade. Come puoi chiaramente vedere, John è stato trasformato in un cane. Senza dubbio il responsabile è uno dei tanti discutibili esperimenti condotti qui. Suppongo che si sia tagliato su un pezzo di vetro e che la sostanza sia entrata in quel modo nel suo flusso sanguigno."

Si avvicinò al corpo con cautela, ma il cane - John - non si mosse. Stava respirando, però, il che mise a tacere almeno alcune delle preoccupazioni di Sherlock. Curioso, prese una delle zampe anteriori, esaminando quella e la zampa corrispondente. "Proprio come sospettavo, c'è un taglio. Sanguina. Portatemi delle bende." L'ultima frase fu abbaiata a uno degli assistenti di laboratorio che si affrettarono a prendere il kit di pronto soccorso.

A quel punto, anche il maggiore Barrymore si era unito al gruppo in continua espansione di spettatori ed era stato informato di ciò che era accaduto. Sherlock ignorò lui e tutti i suoi sproloqui sull'argomento e si concentrò su John, che rimase sia privo di sensi che canide. La donna tornò con il kit di pronto soccorso e Sherlock si ritrovò a disinfettare e tamponare il taglio appena sopra i cuscinetti del piede di John, all'interno della zampa anteriore. Doveva essersi tagliato il polso mentre cadeva, per fortuna mancando l'arteria maggiore che c’era lì. La ferita era lunga circa due centimetri e poco più di un graffio, per quanto Sherlock poteva giudicare. Anche un semplice cerotto sarebbe stato una misura esagerata. Tanto più sorprendente che una ferita così, piuttosto superficiale, fosse bastata a trasformare John in quel modo. Le cose che poteva fare la scienza!

"Be’?" chiese poi, tornando alla sua domanda iniziale. "Di che razza è? Non sostenete di non saperlo, i parametri di qualsiasi esperimento sul DNA richiederebbero un'attenzione assoluta ai dettagli della razza e dell'animale specifico in questione."

La giovane assistente di laboratorio che gli aveva consegnato il kit di pronto soccorso stava già scorrendo i documenti. "Uh... sembra essere un Retriver Nova Scotia Duck Tolling, signore."

Sherlock alzò la testa e la fissò. Lei scrollò le spalle e gli porse le carte. Pinzata su uno di essi c'era l'immagine del cane da cui proveniva il campione di DNA, precisamente lo stesso cane che ora giaceva sul pavimento di fronte a lui. Sherlock sospirò. Bene, almeno un mistero risolto finora.

Proprio in quel momento, il cane emise un gemito sommesso. Dopo un secondo di silenzio, tutti iniziarono subito a chiacchierare, gli scienziati eccitati, Barrymore e Lestrade preoccupati. Sherlock rimase in silenzio, aspettando un paio di secondi e guardando John che si stirava. Quindi, sporgendosi in avanti, diede un colpetto alla spalla del cane. "John? John. Mi senti? John!"

La reazione iniziale di John al ritrovarsi sul pavimento e nel corpo sbagliato non era stata molto promettente, ma Sherlock abbandonò rapidamente tutti i tentativi di distinguere tra ‘John’ e ‘il cane’, soprattutto perché al momento erano la stessa cosa e qualsiasi altra cosa sarebbe stata semplicemente ridicola.

Parlargli come se fosse semplicemente una persona, e Sherlock sperava che lo fosse ancora, sembrava essere la linea d'azione più ovvia, quindi fu esattamente quello che fece. L'interferenza di Lestrade lo infastidì, ma sembrò calmare un po’ John. E l’idea di mostrare a John che aspetto aveva sembrava avere qualche merito, così scattò una foto e gliela mostrò.

"Ecco, questo aiuta?"

John fissò il telefono, apparentemente assimilando la foto. Sherlock si chiese cosa pensasse del proprio aspetto.

"Se ti rende le cose più facili, suppongo che saresti potuto finire molto peggio di questa razza,” sottolineò. "A proposito, il tuo pelo è rosso. I cani sono daltonici, no?" chiese rivolto a uno degli scienziati.

"Sì, signore, ma abbiamo lavorato per risolvere il problema,” disse l'uomo. "C'è la possibilità che non sia affetto da disturbi della vista.”

Sherlock sospirò e si voltò di nuovo verso John. "Ecco, l'hai sentito. Abbaia una volta se riesci a vedere il rosso e il verde."

John lo guardò e fece una specie di piagnucolio, ma annuì.

"Non credo che sappia come funziona l'abbaiare,” intervenne lo scienziato. "Le corde vocali sarebbero state completamente ristrutturate, ci vorrà del tempo per adattarsi a tutti i cambiamenti. Temo che questo includa i suoi sensi e le sue capacità di muoversi."

"Ti stai muovendo come un debole gattino, John. Be’, cagnolino nel tuo caso," gli disse Sherlock, osservando John che si sforzava di lanciargli un’occhiataccia. Com'era affascinante.

Riprese il telefono e cercò su Google informazioni sulla razza in cui si era trasformato il suo migliore, e unico, amico. "Oh, è fantastico, John! Sembra che la tua razza sia stata progettata appositamente per la caccia alle anatre. Anatre, criminali, c’è a malapena differenza. Ora dimmi, come ci si sente?"

Silenzio.

"Oh, giusto, non puoi parlare,” disse, rendendosi conto del proprio errore. "Sai abbaiare in codice Morse?"

John scelse quel momento per scoprire come funzionava il ringhiare... probabilmente gli veniva naturale, considerando quanto del suo tempo umano fino ad allora era stato speso ringhiando per le pagliacciate di Sherlock.

"Tirerò a indovinare e dico che significa 'no',” commentò Lestrade, ridacchiando.

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Sì, grazie per il tuo contributo.”

Proprio in quel momento, il suo telefono squillò con un messaggio di testo. "C'è una macchina che ci aspetta fuori,” disse. "Mio fratello è sorprendentemente veloce, a volte. Probabilmente ha avuto una dannata Unità di Pronto Intervento che ha aspettato dietro l'angolo per tutto il tempo che ho lavorato qui." Si voltò verso Lestrade e lo trafisse con lo sguardo. "Tu dovresti saperlo, naturalmente. Ti ha mandato qui per tenermi d'occhio, dopotutto."

"Ora, lasciami fuori da questo." Lestrade alzò le mani in un gesto difensivo.

"Signore, non può semplicemente portare il cane via con sé," disse uno degli scienziati interrompendo quello che sarebbe stato un commento aspro da parte di Sherlock.

"Oh davvero? E perché no?"

"L'esemplare deve essere studiato attentamente: non abbiamo mai trasformato un essere umano in un animale prima d'ora. Ciò richiede un'osservazione 24 ore su 24 e note dettagliate, nonché esami regolari e valutazioni della reattività.”

Sherlock si alzò e si voltò verso l'uomo, osservando il luccichio bramoso nei suoi occhi. "E dopo? Hai intenzione di sopprimerlo e aprirlo per estrargli anche il cervello?"

Lo scienziato esitò, apparentemente riflettendo sull’idea. Fu un errore.

Sherlock gli si avvicinò e si fermò molto addentro nel suo spazio personale. "Sul mio cadavere. Porterò John con me e lo terrò d'occhio mentre lavorate su un antidoto per invertire questo problema. E se provate a fermarmi...” fece una pausa e guardò l'uomo dalla testa ai piedi, ”... be’, mi piacerebbe vedere in quale animale potrei trasformare te. Un topo da laboratorio, forse?"

Attese che lo scienziato fosse indietreggiato di un passo, poi riportò l’attenzione su John. "Dai, prova ad alzarti. Sai come gattonare, difficilmente questo sarà diverso. Il tuo corpo sa già come muoversi, tutto quello che devi fare è ascoltare cosa ti dice questa forma."

John si guardò intorno con gli occhi spalancati, lo sguardo che passava da una persona all'altra,

"Troppi input," concluse Sherlock, facendo un cenno circolare alle persone raccolte intorno a loro. "Fuori! Tutti, ora! Barrymore, lei vada avanti e si assicuri che ogni porta sia aperta nel momento in cui ci avviciniamo. Lestrade, tu resta qui e aiutami con John."

Si voltò di nuovo verso la creatura confusa ed evidentemente terrorizzata a terra, senza preoccuparsi di alzare lo sguardo e guardare mentre gli altri fuggivano in fretta dal laboratorio. "Va bene, John, proviamo di nuovo. Il tuo cervello è già consapevole delle tue membra, tutto ciò che devi fare è accettare quella conoscenza e usarla. Se vuoi che lo faccia, posso darti una mano, per così dire."

John inclinò la testa di lato e cercò di rialzarsi in piedi, ma coordinare quattro zampe e una coda, che scodinzolava piuttosto senza scopo e da cui sembrava essere confuso, non era così facile come lo faceva sembrare il cane comune.

Sherlock sospirò. "Lo prendo come un segnale che non puoi alzarti da solo. Andiamo, allora. E cerca di non mordermi per riflesso quando ti afferro, va bene?"

John uggiolò, ma interruppe i propri patetici tentativi di rialzarsi, permettendo a Sherlock di avvicinarsi e chinarsi su di lui. Il detective afferrò saldamente il cane intorno al petto e lo sollevò da terra, grugnendo per il peso. Secondo la sua ricerca, un Toller adulto poteva facilmente pesare da 18 a 25 chilogrammi. Immaginò che John fosse sul lato più pesante della scala, il che non era molto sorprendente. Nella maggior parte delle specie i maschi tendevano ad essere più grandi e più pesanti, dopotutto.

"Ecco, adesso tutte e quattro le zampe per terra?” chiese, leggermente senza fiato.

"Sembra a posto da qui," lo informò Lestrade, chinandosi in avanti per vedere meglio le zampe di John.

"Va bene, prova a metterci sopra il peso e tenerti in piedi da solo," lo istruì Sherlock, mantenendo la voce bassa e calma. "Sono qui, a sorreggerti, ma non farò tutto il lavoro e ti lascerò andare una volta che sarai in grado di reggerti per conto tuo."

Ci vollero diversi tentativi, ma alla fine John sembrò aver capito come funzionavano quattro zampe e piedi con i cuscinetti e fu in grado di stare in piedi, ancora un po’ tremante, ma da solo.

Sherlock rimosse lentamente le braccia da intorno il corpo di John, una posizione in cui non pensava si sarebbe mai trovato. Rimase piegato su di lui, comunque, sempre vigile nel caso perdesse l'equilibrio e cadesse di nuovo.

"Pensi di poter camminare? Prova a decidere quale gamba muovere per prima, il resto seguirà."

"È pazzesco," commentò Lestrade dal punto in chi si trovava a diversi metri di distanza. L'incredulità era impressa su tutto il viso, come se non avesse ancora fatto i conti con la situazione. Sherlock si chiese come fosse, impiegare così tanto tempo per adattarsi a una nuova situazione. Oh be’, le persone comuni e le loro menti ordinarie. Trascorse il tempo osservando attentamente John e prendendo nota di ogni minimo dettaglio. Per quanto lo riguardava, quello era un uso molto migliore del suo tempo che passare tutto il giorno a pensare all’idea che il suo migliore amico d’improvviso non fosse più umano. Quello era un dato di fatto e non vedeva motivo per non accettarlo come tale e andare avanti.

Guardò John fare un piccolo passo in avanti, incespicando un po’ mentre tutte e tre le altre zampe tentavano di seguirlo allo stesso tempo.

"Sei ancora nella mentalità di qualcuno che cammina su due gambe," osservò Sherlock, prendendo nota mentalmente di ciò mentre afferrava John nel mezzo per impedirgli di cadere. "Prova a immaginarti di stare gattonando su mani e ginocchia. Come ti muoveresti, allora? La sequenza di movimento dovrebbe essere molto simile."

Fu fatto un altro tentativo e John sembrò riuscire almeno a concentrarsi sulle istruzioni di Sherlock e a cercare di seguirle. Lo stress dell'intera situazione lo faceva ancora tremare dalla testa alle zampe e non osava muoversi velocemente, ma insieme al gentile incoraggiamento di Lestrade che si teneva diversi passi avanti a loro, riuscirono infine ad arrivare all'ascensore. Una volta dentro, le porte si chiusero e la cabina si mise in moto, facendo immediatamente perdere di nuovo l'equilibrio a John.

Emise un suono molto simile a un piagnucolio e si accovacciò, infilando d’istinto la coda tra le gambe e rinculando adagio in uno degli angoli.

Sherlock e Lestrade si scambiarono uno sguardo.

"Spero proprio che tuo fratello abbia una soluzione per questo,” disse burbero il DI, indicando il cane tremante ai loro piedi.

"Se non ce l’ha, ne troverà una abbastanza presto," gli disse Sherlock. "E se lui non lo fa, lo farò io."

L'ascensore si fermò, le porte si aprirono e Lestrade uscì e alzò una mano verso il sensore di movimento per tenerle aperte mentre Sherlock persuadeva John ad uscire nel corridoio.

"Su, andiamo, una delle spregevoli macchine di Mycroft ci sta aspettando. Hai il permesso esplicito di spargere peli su tutti i sedili." Sorrise mentre immaginava l’espressione sul viso di Mycroft nel vedere i peli rossastri del cane su tutta la pelle costosa.

Lestrade si schiarì la gola. "Sherlock..."

"Cosa?"

"Potresti almeno provare a non suonare come se fossi entusiasta di tutto questo? Mostrare un po’ di empatia?"

Sherlock aggrottò la fronte. "Non buono?"

"Assolutamente no, no,” confermò il DI.

Sembrava sbagliato e lui si rese conto che aveva inavvertitamente aspettato un ‘non tanto buono’ da John. Ma ovviamente John in quel momento non poteva parlare.

 

 


NdT: ehm, non posso nascondere che sono un pizzico in ansia. Cosa ne pensate? 😅

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Capitolo 2
*** 2 ***


NdT: Mie gentilissime, adorate commentatrici vi ringrazio tutte, non potevo sognare una rassicurazione maggiore di quella che mi avete dato, e anche l'autrice è eutusiasta dell'accoglienza *getta cuoricini a manciate* 🥰
E per le poche che non avevano ancora googleato la razza, ecco un paio di foto di dog!John.
😊

John1 John2


 Capitolo 2 

Era tutto troppo. Troppo diverso, troppo rumoroso, troppo sconosciuto.

John stava barcollando mentre metteva con cura un piede, no, zampa, davanti all'altro, seguendo Greg e lasciandosi guidare dalle mani di Sherlock ai suoi fianchi. Il detective lo stava seguendo più o meno allo stesso modo in cui un genitore seguiva un bambino mentre muoveva i primi passi, le mani che si libravano su entrambi i lati per prenderlo immediatamente se fosse caduto. La sensazione gli procurava un certo conforto e lo faceva sentire un po’ più sicuro dei movimenti.

Purtroppo, non faceva nulla per ridurre l'input sensoriale.

L'odore del disinfettante nel laboratorio era sopraffacente, gli bruciava nel naso e lo rendeva incapace di fiutare nient'altro, il che era terribilmente disorientante. Non aveva mai fatto affidamento sugli odori, ma questo nuovo corpo era arrivato con i suoi istinti e la mancanza di un adeguato senso dell'olfatto lo aveva lasciato barcollante e insicuro e spaventato senza un motivo che potesse determinare.

Poi c'era il rumore. Tutto risuonava ad un volume troppo alto: le scarpe che strusciavano contro le piastrelle del pavimento, il ronzio di macchinari pesanti in un'altra stanza, il respiro di Sherlock e Lestrade, il suono terribile dell'ascensore unito alla sensazione del terreno che vibrava sotto le sue zampe. Emise un uggiolio involontario quando sentì gemere l'argano di sollevamento mentre l'ascensore si avviava con un sussulto.

Cercò di ignorare tutto, ma aveva un sordo pulsare nelle orecchie che non riusciva a localizzare e il rumore sconosciuto non faceva nulla per farlo sentire a suo agio. Cercò di stare il più vicino possibile a Sherlock, il cappotto scuro, le scarpe nere e le gambe rivestite di pantaloni erano le cose più familiari per lui in quel momento. Sherlock gli stava parlando, qualcosa a proposito di Mycroft, di un'auto e di un capannone, e il tono di Lestrade era ammonitore mentre parlava. Ma le sue parole erano dirette a Sherlock e John era troppo distratto dal suono generale delle loro voci per prestare molta attenzione alle parole.

Alla fine, dopo quella che sembrò un'eternità, oltrepassarono un'altra porta e furono fuori. L'aria fresca e pulita che odorava fortemente della pioggia recente gli assalì il naso e John inspirò con avidità, premendo il naso a terra e fiutando, lasciando che l'odore della pioggia, del fango e dell'asfalto lavasse via il persistente odore di disinfettante.

Il suono di una portiera che si apriva gli fece alzare la testa e vide l'auto nera parcheggiata accanto alla jeep con cui erano arrivati.

Lestrade disse qualcosa a Sherlock, poi si voltò verso John e si accovacciò di fronte a lui. "Ascolta, amico, porterò la jeep alla locanda. Sembra che la gente di Mycroft abbia già ritirato la tua roba, quindi non preoccuparti. Vi raggiungerò alla locanda tra un paio di minuti, va bene? "

John lo fissò, cercando di elaborare il significato del discorsetto. Lestrade aveva notato che non stava davvero prestando attenzione prima? Sherlock l’aveva fatto? Era probabile. Sherlock notava tutto.

Pensando a... John si guardò intorno e trovò il detective proprio accanto a sé, con un'espressione accigliata mentre fissava la macchina come se l’avesse personalmente offeso.

Girò la testa più vicino a Sherlock, sfiorando con il naso la pesante lana del Belstaff. Senza nemmeno pensarci, John trasse un respiro.

L'assalto olfattivo lo fece quasi rinculare barcollando mentre una parte fino ad allora sconosciuta del suo cervello - probabilmente una che non esisteva nemmeno prima d’allora - iniziava immediatamente a sezionare ogni profumo che aveva appena inalato e la sua mente mulinava d’informazioni.

Fango e pioggia, muschio, foglie e legno: profumi della foresta, il che non era una sorpresa considerando che l'avevano attraversata solo la notte prima. L'odore stantio delle sigarette fu una sorpresa, tuttavia, ma svanì e lui si rese presto conto che altro non era che i resti dell'abitudine al fumo a cui Sherlock aveva rinunciato non molto tempo prima. Apparentemente, il profumo era troppo radicato nel tessuto del cappotto per dissiparsi tanto presto, o forse del tutto.

C'era di più, molto di più, e lui voleva avvicinarsi e semplicemente respirare, sezionare e analizzare ogni minima traccia - non aveva ancora nemmeno iniziato con il profumo di Sherlock stesso - ma il detective si stava già muovendo di nuovo, marciando verso la macchina. "Vieni, John. Prima ce ne andiamo di qui, meglio è. Non voglio che nessuno di questi imbecilli provi a condurre esperimenti spietati su di te."

Se fosse stato umano, John avrebbe sbuffato e avrebbe sottolineato l'evidente difetto in quell'affermazione... che Sherlock stesso non avrebbe esitato a sperimentare su di lui per pura curiosità.

Dato che non era umano, tutto ciò che poté fare fu seguire il suo amico. Lo fece lentamente, procedendo con cautela sull'asfalto e verso la macchina in attesa. Sherlock aveva già raggiunto il veicolo e teneva la portiera aperta, guardandolo con aria d’aspettativa. John ignorò lui e la sua palese impazienza, troppo distratto dalla sensazione dell'asfalto ruvido sotto le zampe. Fresco e ruvido e odoroso di catrame umido, creava un sorprendente contrasto con il pavimento piastrellato scivoloso all'interno dell'edificio che avevano appena lasciato. Si sentiva molto più a suo agio là fuori, con l'aria fresca e il sole sul corpo e il terreno solido sotto i piedi.

Alla fine, raggiunse la macchina e fissò l'interno scuro, con il profumo di pelle e gasolio e tessuti costosi che gli assalivano il naso, insieme a troppi altri profumi che lì per lì non riusciva a nominare. Tuttavia, tutti suggerivano a molti soldi e potere.

"Ce la fai ad entrare da solo?” chiese Sherlock, strappandolo con un sobbalzo dai suoi pensieri.

John sbatté le palpebre e inclinò la testa di lato, cercando di capire come sarebbe stato meglio fare per montare. In teoria, sapeva che un cane sarebbe saltato sul sedile, ma non era sicuro di poterlo fare, per nulla certo della propria capacità di gestire questo strano corpo abbastanza bene da evitare lesioni o atterrare in un ammasso poco dignitoso. Sollevò la zampa anteriore sinistra sul pavimento dell'auto, seguita dall'altra e si sollevò, guardando dentro.

Senza che il sole lo accecasse, l'interno divenne visibile e si ritrovò a fissare direttamente Mycroft, che sedeva dall'altra parte del veicolo e lo osservava con uno sguardo di lieve curiosità "Ah, John. Devo dire, non mi aspettavo che c’incontrassimo di nuovo in circostanze come queste.”

John gli sbuffò e rimase bloccato a contemplare come portare nella macchina il resto del corpo.

"Oh, per l'amor del cielo," mormorò Sherlock e un attimo dopo John si sentì afferrato per la vita e sollevato senza tante cerimonie nell’auto e sul sedile. "Nel momento in cui arriviamo a casa, ti inseguirò per tutto l'appartamento finché ogni movimento ti sembrerà naturale come respirare," borbottò Sherlock, salendo in macchina e scivolando oltre John per sedersi di fronte a suo fratello.

Mycroft fece una smorfia alla vista di John sulla pelle costosa, ma prima che potesse aprire la bocca e dire qualcosa al riguardo, colse lo sguardo di Sherlock e si calmò, apparentemente scegliendo di ignorare la questione per il momento.

John si lasciò cadere sul sedile con un altro sbuffo, prendendosi un momento o due per sistemare le gambe e quasi saltando fuori dalla pelle quando l'autista, che stava aspettando accanto alla macchina, sollevò con attenzione l'estremità della sua coda e la spostò da parte in modo da poter chiudere la portiera senza che rimanesse impigliata. Sorpreso, John si allontanò dallo sportello e si avvicinò a Sherlock, l'unica cosa che al momento la sua mente registrava come familiare e sicura. Quando abbassò la testa per appoggiarsi sul sedile, il suo naso fu quasi premuto contro la coscia di Sherlock e il suo respiro si fece istintivamente più profondo.

Sotto gli odori della foresta e il fumo che aveva notato prima, c'era il profumo di Sherlock, un inebriante mix di cuoio, sostanze chimiche, del tè che aveva preso a colazione e qualcosa che gli ricordava l'aria appena prima di un temporale. Era assolutamente inebriante. Odorava di casa.

Sussultò quando la portiera sul lato del guidatore fu aperta e chiusa, e poi di nuovo quando il motore prese vita. Prima di oggi, aveva sempre considerato le auto di Mycroft quasi stranamente silenziose, il motore poco più di un ronzio di sottofondo che poteva essere facilmente ignorato. Ora, si rese conto che erano state le sue stesse orecchie ad averlo ingannato e si chiese distrattamente quanto sarebbe stata dolorosamente rumorosa qualsiasi altra macchina se perfino questa rientrava nella sua collezione di suoni spiacevoli.

Un debole gemito gli salì in gola e lottò per spegnerlo prima che potesse diventare udibile dai due uomini che dividevano il sedile posteriore con lui.

Tutto questo, il rumore, l'input sensoriale, l'intera esperienza contorta di essere nel corpo sbagliato, era troppo. Tenne gli occhi fissi su Sherlock e il naso premuto sulla coscia dell'uomo, usandolo come l'unica ancora che gli impediva di essere spazzato via dalla crescente marea di paura che gli montava nel petto.


*****


"Be’?” disse Sherlock, dopo aver ritenuto che il silenzio tra lui e Mycroft fosse durato abbastanza a lungo.

Suo fratello guardò il mucchio di pelo sul sedile e alzò un sopracciglio. "Affascinante. Davvero molto affascinante."

Sherlock strinse i denti. "È tutto ciò che hai da dire?"

"Di grazia, per favore, cosa vorresti che dicessi?” chiese Mycroft, con un accenno d'acciaio negli occhi.

"Ora, c'è una lunga lista di possibili risposte," ringhiò Sherlock. "Che ne dici d’iniziare spiegando perché pensavi che trasformare gli esseri umani in animali fosse qualcosa su cui dovresti sprecare i soldi delle tasse? O meglio ancora, cosa intendi fare per la pessima sicurezza di questa struttura?"

"Pessima?" Questo sembrò aver catturato l'attenzione di suo fratello.

"Ci sono voluti più di venti minuti per rendersi conto che ero entrato nell'edificio usando un documento d'identità rubato," fece notare Sherlock. "A dispetto del fatto che il documento d'identità contenga la tua fotografia."

Guardò con soddisfazione suo fratello che socchiudeva gli occhi, arrivando vicino ad arrossire per la rabbia e l'imbarazzo. Non che Mycroft si sarebbe mai permesso di reagire in modo così palese, ma fu chiaramente visibile il momento in cui annullò la risposta istintiva del suo corpo. Decise di fare un altro affondo mentre era ancora in vantaggio. "E per restare in argomento, le condizioni di sicurezza all'interno del laboratorio erano praticamente inesistenti. Delle tubazioni che perdevano hanno fatto sì che John fosse accidentalmente drogato durante il mio esperimento che lo aveva drogato di proposito. Ha completamente sconvolto i parametri del mio esperimento e non riesco a immaginare che tu voglia che i tuoi scienziati proseguano il loro lavoro sotto l'influenza di pericolosi allucinogeni."

"Ah sì, il tuo piccolo esperimento," disse Mycroft, alzando l'altro sopracciglio e puntando su John uno sguardo acuto. "Proprio tu parli di comportamenti non etici, caro fratello, considerando che hai rifilato al tuo coinquilino quello che si pensava fosse zucchero contaminato solo per dimostrare la tua teoria."

"Non era stato contaminato, però, e ho fatto in modo che lui fosse esposto in un ambiente controllato. Lo stesso ambiente che in seguito si è rivelato non essere affatto controllato, com’era tua responsabilità garantire. E non sono io quello che ha deciso di dedicarsi alla sperimentazione interspecie.”

John si spostò accanto a lui, muovendo la testa per premere più vicino alla sua gamba e Sherlock si voltò per guardarlo, provando ancora un momento di sorpresa alla vista del pelo rosso e delle orecchie flosce. Era decisamente surreale vedere gli occhi marroni dove si aspettava quelli blu. Indipendentemente dal colore, erano fissi su di lui. Pensava che l'espressione fosse la stessa del solito: tranquilla esasperazione (molto probabilmente perché si parlava di lui come se non fosse lì) e un debole affetto che non mancava mai di sconcertarlo. Al momento, tuttavia, il sentimento più evidente era l'angoscia e Sherlock non poteva certo biasimarlo per questo.

Rivolse la sua attenzione a Mycroft, parlando perfino mentre allungava una mano per appoggiare con delicatezza una mano tra le scapole di John, le dita che affondavano nella pelliccia ruvida nello stesso modo in cui i piedi scomparivano in un tappeto particolarmente peloso. "A dispetto di ciò, voglio che tu li incarichi di riportare indietro John. Mi rendo conto che lo sviluppo di un siero per invertire gli effetti richiederà tempo. Mi rifiuto di tenere John ovunque nelle vicinanze, la tentazione di sperimentare su di lui sarebbe troppo forte per qualcuno di quelli più privi di scrupoli del gruppo.”

Prima che suo fratello potesse formulare una risposta, l'auto si fermò davanti alla locanda e il loro autista scese per aprire la portiera a Lestrade prima di girare intorno all'auto per caricare i loro bagagli nel bagagliaio. Sherlock aveva dato al DI le chiavi della sua stanza e di quella di John con istruzioni di portare giù le loro cose. Avevano già fatto le valigie quella mattina, prevedendo di partire per Londra subito dopo aver finito ​​a Baskerville.

John sussultò quando l'autista richiuse il cofano del bagagliaio e Sherlock strinse per un momento le dita nella sua pelliccia. Naturalmente. Avrebbe dovuto aspettarsi i sensi migliorati. Almeno questo spiegava perché John si fosse spostato così cautamente dal laboratorio all'auto. Aveva pensato che fosse dovuto a una persistente instabilità dei suoi piedi, ma ora divenne palesemente evidente che l'input sensoriale doveva essere abbastanza travolgente.

"Ciao, Mycroft,” disse Lestrade, interrompendo le riflessioni di Sherlock mentre saliva in macchina, prendendo posto accanto all'uomo, il che lo mise sul sedile di fronte a John.

"Ispettore investigativo Lestrade," lo salutò Mycroft con calma, rivolgendo il suo sguardo penetrante all'ignaro DI. "Credo di non dover ribadire che nessuno degli eventi che sono accaduti qui, né nessuna delle parole dette in questa macchina, dovrà mai essere ripetuta a nessuno tranne che alle persone già presenti.”

Lestrade sbatté le palpebre. "Che cosa?" Gli ci volle un momento per tradurre la minaccia sottostante. Emise un sospiro. "Sì, giusto, certo che no. Cosa pensi, che io sia stupido? Se lo dicessi a qualcuno, mi farebbero rinchiudere in un manicomio all’istante. Per non parlare del fatto che probabilmente mi uccideresti tu stesso se solo io pensassi di dirne una parola a qualcuno."

"Oh, non esagerare, ispettore investigativo," lo ammonì Mycroft con calma. "Perché dovrei ucciderti per aver fatto una cosa del genere?" Ci fu una pausa che fu appena sufficiente prima che continuasse. "Ho delle persone che se ne occupano per me."

Lestrade sbiancò e Sherlock sbuffò. "Se hai finito di minacciare, fratello...?"

"In effetti sì. Torniamo al problema in questione." Mycroft fece un gesto verso John. "Sono d'accordo con la tua stima della situazione. Chiaramente, avremo bisogno di una storia di copertura adeguata sia per l'assenza di John che per l'improvvisa presenza di un cane nella tua vita."

"Persino gli imbecilli allo Yard alla fine avrebbero notato la differenza, sì,” disse Sherlock in tono blando, ignorando completamente l'indignato "Ehi!" di Lestrade.

"Bene allora, la sorella di John è entrata di nuovo in riabilitazione e lui è andato in Scozia per starle vicino e offrirle il suo sostegno," suggerì Sherlock. "Lui starà via per un imprecisato periodo di tempo e naturalmente riceverò regolarmente messaggi ed e-mail da lui."

"Farò in modo che uno dei miei uomini si procuri le necessarie prove del viaggio,” concordò Mycroft. "Il che ci lascia ancora metà del problema."

Sherlock si strinse nelle spalle. "È abbastanza facile, non è vero. Mamma."

I fratelli condivisero un lungo sguardo. Alla fine, Mycroft fece un minuscolo sorriso. "Ovviamente dovranno essere informati."

"Sono sicuro che a loro non dispiacerà la bugia bianca. Diciamo che stanno viaggiando o stanno ristrutturando la casa. Un cane si intrometterebbe in entrambe le attività e i tuoi impegni non consentono un animale domestico. Pertanto, il compito di star dietro al loro cane è ricaduto su di me. Chiedi alla mamma di chiamarmi quando sono sulla scena del crimine o allo Yard per chiedere di lui e la berranno abbastanza facilmente.”

Diversi momenti trascorsero in silenzio mentre Mycroft contemplava ogni possibile risultato del loro complotto, controllando le lacune. Sherlock aveva già calcolato il rischio nella sua testa, ovviamente, ma la mente di suo fratello era più orientata alla strategia e quindi più adatta alla politica e alla costruzione di bugie a lungo termine.

Alla fine, Mycroft annuì ed entrambi i fratelli si rilassarono un po’. "Ottimo."

Sherlock si rivolse a Lestrade. "Ovviamente ti verrà richiesto di aiutare in questa impresa,” sottolineò. "Basta stare al gioco e andrà tutto bene."

Lestrade alzò gli occhi al cielo. "Come se ci fosse qualcos'altro da fare per me. John è mio amico, ovviamente vi aiuterò. E lo farò subito sottolineando quello che a quanto pare avete dimenticato."

"Oh?"

"La signora Hudson,” disse il DI. "Lei conosce sia te che John e vorrebbe certamente parlargli se affermassi che starà via per un periodo prolungato. Potreste considerare di dirle la verità."

Rigirando il suggerimento nella mente, Sherlock guardò Mycroft. Suo fratello si strinse nelle spalle. "Se consideri abbastanza affidabile la tua padrona di casa, non vedo come potrebbe diventare un problema."

 

“Lo faccio,” rispose Sherlock con calma.

"In tal caso, per il momento il nostro lavoro è finito. Manderò qualcuno a predisporre l'attrezzatura necessaria che viene fornita con il possesso di un cane, inclusi un collare e una piastrina. Non vorremmo che nessuno prendesse erroneamente John per un feroce cane senza proprietario e lo facesse abbattere. Allo stesso modo, se si perde, ha bisogno di un documento d'identità in modo che possa essere restituito alle tue cure.”

Condivisero un lungo sguardo. Accanto a Sherlock, John emise un gemito sommesso e gli diede un colpetto alla gamba con il naso, la coda che sbatteva contro la tappezzeria. Apparentemente, approvava il piano così com'era.

Il resto del viaggio in macchina trascorse in silenzio.



*****



Arrivarono a Baker Street nel primo pomeriggio, l'auto si fermò senza intoppi sul marciapiede proprio davanti alla porta del 221b. Personalmente, John aveva sempre trovato un po’ sospetto che le auto di Mycroft non avessero mai avuto problemi a trovare un parcheggio: sembrava sempre che ne diventasse magicamente disponibile uno a qualunque destinazione avessero appena raggiunto. Oggi, però, non si sentiva incline a riflettere su quel piccolo mistero. La maggior parte della sua attenzione era catturata da Sherlock e dal fatto che sarebbero finalmente usciti da questa macchina.

Sherlock, essendo stato confinato in auto con suo fratello per diverse ore, non rimase fermo abbastanza a lungo da permettere al guidatore perfino di spegnere il motore, figuriamoci di scendere dalla vettura e aprirgli la portiera. Nel momento in cui il veicolo smise di muoversi, spalancò la portiera e saltò fuori sul marciapiede. John lottò per alzarsi e strisciò in avanti fino a raggiungere il bordo esterno del sedile. La distanza da lì al marciapiede non sembrava molto grande, ma lui esitò ancora, chiedendosi se sarebbe piombato a faccia in giù se ci avesse provato.

"Hai bisogno di assistenza, John?” chiese Mycroft dal suo posto di fronte a lui.

John sbuffò. Be', se questo era ciò che sarebbe accaduto - essere portato fuori da un'auto da Mycroft Holmes - allora avrebbe preferito correre il rischio di un naso sanguinante, grazie mille.

Prima che Mycroft o Sherlock, o forse anche Lestrade, che stava solo prendendo fiato per parlare, potessero fare qualsiasi cosa, John fece il balzo... e fu forse più il sorpreso di tutti nel trovarsi in piedi abbastanza saldamente su tutte e quattro le zampe, come avrebbe dovuto fare un cane.

"Vedi, ti stai già adattando alla situazione!" gli disse Sherlock da dove stava aspettando vicino alla porta, saltellando sulle punte dei piedi e somigliando molto lui stesso a un cane pronto per una passeggiata.

John non poté evitarlo, alzò gli occhi al cielo, sperando che il gesto trasmettesse lo stesso significato che aveva sempre, nonostante il corpo diverso. E sì, ci sarebbe voluto un po’ per abituarsi a tutto questo, ma adesso era chiaramente bloccato nella situazione e non aveva senso lamentarsene. Loro avrebbero trovato una soluzione abbastanza presto. Dovevano farlo.

Sherlock gli sorrise e aprì la bocca per parlare, ma fu interrotto dalla signora Hudson che aprì la porta. "Oh, Sherlock! Pensavo di averti sentito!" esclamò la loro padrona di casa e lo abbracciò. Lui la baciò sulla guancia in segno di saluto, poi fece per superarla. "Vieni, John!"

John si fece avanti, ma arrivò solo alla porta d'ingresso prima che la signora Hudson lo notasse. "E adesso cos'è quello? Un cane? Davvero, Sherlock, non sono sicura che il tuo appartamento sia un ambiente adatto a qualsiasi essere vivente, comprese le persone, e stai portando a casa un cane? E dov'è John?"

"In realtà, questo è qualcosa di cui dovremmo discutere dentro," le disse Sherlock prima di rivolgersi all'autista che aveva appena scaricato i bagagli. "Di sopra, mettili in salotto."

Non diede all'uomo la possibilità di protestare e si limitò a marciare all'interno, guidando la signora Hudson nella sua cucina con una mano ferma sulla schiena. Per mancanza di un'opzione migliore e perché non si sarebbe perso la seguente conversazione per niente al mondo, John li seguì.

"Non sto dicendo che non sono contenta di riaverti, è diventato un po’ noioso senza di voi due ragazzi qui, ma vorrei che mi aveste detto in anticipo che avreste portato a casa un animale domestico,” disse la signora Hudson, iniziando automaticamente a preparare il tè e mettendo insieme un piatto di biscotti e pasta frolla fatti in casa una volta che furono in cucina. Sherlock si sedette sul tavolo e la guardò, aspettando che lei non tenesse in mano il bollitore con l'acqua bollente prima di parlare.

"C'è stato un incidente in una struttura di ricerca militare su cui stavamo indagando,” spiegò con quel tono pratico che sarebbe stato adatto per insegnare in un corso di chimica, ma che difficilmente si adattava alla loro situazione attuale. "Dubito che capiresti la mia spiegazione dei dettagli anche se mi fosse permesso di dirteli, ma la versione breve è che questo cane qui in realtà è John."

La signora Hudson, che si era appena girata verso di lui con il piatto di biscotti in una mano e diversi tovaglioli nell'altra, sussultò e si sventagliò con i tovaglioli. Per la sorpresa, spostò accidentalmente la mano sbagliata, tentando invece di sventagliarsi con il piatto. John, che era in piedi proprio accanto a lei, incerto su dove andare, si trovò sotto un'improvvisa pioggia di prodotti da forno.

Prima che la sua mente umana razionale potesse affrettarsi in avanti e suggerire di aiutarla a rimettere a posto il pasticcio (cosa che Sherlock non avrebbe mai fatto), il suo naso e lo stomaco che brontolava la superarono rapidamente e John si avventò, andando dritto verso i frollini che avevano un odore assolutamente divino.

"Oh!" La signora Hudson rimase senza fiato per il disordine. E poi ancora: "Oh!" quando vide John sgombrare il pavimento, raccogliendo con gusto la pastafrolla. Sherlock, da parte sua, assomigliava in modo sospetto a qualcuno che attutisse le risate nella manica.

Passarono diversi secondi in cui l'unico rumore provenne da John e dai biscotti che gli si sbriciolavano in bocca.

"Bene,” disse debolmente la signora Hudson, spostandosi per sedersi sulla sedia di fronte a Sherlock. "Ha sempre apprezzato soprattutto i miei frollini."

John, con la bocca imbottita dei medesimi, sollevò la testa per lanciarle uno sguardo di scusa, poi cercò di alzare le spalle. Lanciò un'occhiata a Sherlock, che stava fissando la sua padrona di casa come se lei avesse appena confessato di aver ucciso qualcuno e aver nascosto il corpo sotto il pavimento della cucina a sua insaputa.

"Oh, chiudi la bocca, giovanotto," lo ammonì. "Sii un tesoro e prendi quel tè, ti spiace? Temo che le mie mani tremino un po’ in questo momento. Non voglio versare nulla. E cerca di non calpestare i biscotti mentre ti muovi."

Sherlock, apparentemente ancora scioccato per la sua facile e inaspettata accettazione della situazione, fece come gli era stato detto. Quando si fu di nuovo seduto, la signora Hudson allungò un braccio e coprì una delle sue grandi mani con le proprie. "Ora, dovete dirmi come usare questo Internet a cui voi giovani siete così affezionati. La signora Turner ha accennato a qualcosa sulle ricette lì dentro e credo che dovrò cimentarmi con i biscotti per cani."

A quella dichiarazione seguì il silenzio completo, ed era abbastanza difficile dire chi tra Sherlock o John fosse il più sorpreso.

Poi, la signora Hudson ridacchiò. "Oh, tu! Dopo tutte le cose che hai fatto, pensi davvero che trasformare il tuo partner in un cane mi manderà in crisi isterica?"

Sherlock aprì la bocca, la richiuse e non rispose. John notò anche che lui non aveva commentato la cosa del "partner,” ma probabilmente era perché Sherlock semplicemente non capiva che la signora Hudson non lo intendeva in quanto riguardante un rapporto di lavoro.

"Ora, quanto durerà?” chiese la padrona di casa mentre il silenzio stava per diventare imbarazzante.

"Non lo so,” disse Sherlock. "Una cosa del genere non è mai accaduta prima, secondo gli scienziati lì. È improbabile che gli effetti si invertano da soli, quindi dovremo aspettare che sviluppino un antisiero. Non è fantastico?!"

Era raggiante e allargò le braccia in sincera eccitazione. John, che stava per riportare la sua attenzione sui biscotti sul pavimento, gli brontolò contro.

"E quante persone lo sanno? Non vorrei dirlo accidentalmente a nessuno, la gente mi riterrebbe pronta per il manicomio!"

"Lo sanno solo mio fratello e Lestrade," le disse Sherlock. "Per quanto riguarda chiunque altro, John sta visitando sua sorella in riabilitazione e io mi prendo cura del cane dei miei genitori.”

La signora Hudson annuì e gli accarezzò la mano. "In tal caso, farai meglio a portarlo di sopra e sistemarti. Sono sicuro che dopo tutta quell'eccitazione vorrà riposare. Non è vero, John?"

Lo era, così John le uggiolò, sperando che lei prendesse il suono come un assenso.

"Bene,” disse Sherlock e si alzò. "Vieni, John."

 

 


NdT: ding dong, mentre il 221b si prepara ad accogliere un uomo e il suo cane 😄, faccio un piccolo annuncio di servizio: non ho ancora trovato una proposta da alternare a questa, fino a quel momento aggiornerò Dog Days due volte alla settimana, sempre nei soliti giorni. 😘

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Capitolo 3
*** 3 ***


 Capitolo 3 


Visto che John era appena riuscito a saltare da un'auto da solo, salire i diciassette gradini fino al 221b non fu affatto un problema e lui raggiunse la porta prima di Sherlock, solo per rendersi conto che avrebbe dovuto aspettarlo perché gliel’aprisse.

A meno che...

Usando la porta per puntellarsi, John saltò verso l'alto e premette le zampe sulla maniglia, usando tutto il proprio peso per tirarla giù. Ci fu un clic e l’uscio cedette sotto la sua spinta, aprendosi e permettendogli di tornare sulle quattro zampe ed entrare in casa.

"Ben fatto, John,” disse Sherlock dietro di lui, con inequivocabile approvazione nel tono. "Aprire le porte sarà molto utile in futuro, dovremo sperimentare quanto in fretta puoi farlo e quali maniglie funzioneranno meglio.”

John gli sbuffò contro: esperimenti, esperimenti! Non c'era qualcos'altro a cui poteva pensare quel pazzo del suo coinquilino? Forse come riportarlo alla sua forma umana il più rapidamente possibile? La cosa era assurda e scomoda e lui era pronto a farla finita con l'intera faccenda, ora che lo shock iniziale era svanito. Almeno non si sentiva più sull'orlo di un attacco di panico.

Decise di ignorare Sherlock per il momento e di concentrarsi sul percepire la loro casa con tutti i sensi che aveva, prima di tutto con il naso.

L'odore delle sostanze chimiche era pungente, così come il disinfettante che lui e la signora Hudson usavano regolarmente in cucina, ma l'appartamento odorava più che altro di vecchi mobili, legno e polvere, il tutto ricoperto da strati e strati dell’essenza sua e di Sherlock combinata. Fu piuttosto sorprendente, in realtà. Non si era mai reso conto di quanto spazio condividevano lui e Sherlock.

Gli unici mobili che sembravano avere attaccato principalmente il profumo suo o di Sherlock erano le rispettive poltrone. Il divano, che se gli fosse stato chiesto lui avrebbe affermato fosse lo spazio di Sherlock, in realtà odorava fortemente di entrambi, a testimonianza del fatto che John ci passava più tempo di quanto non fosse consapevole.

C'erano chiare tracce di odore che portavano dappertutto, evidenti per lui come lunghi fili di spago che segnavano la strada. Con il naso premuto a terra, John seguì uno di essi attraverso il soggiorno, in cucina, intorno al tavolo della cucina, lungo il corridoio e fino alla camera da letto di Sherlock, dove era interrotto dalla porta. Sentendo che non sarebbe stato giusto intromettersi in quel modo nel territorio di Sherlock, John si voltò e seguì la traccia nel soggiorno, così concentrato sull'odore che quasi andò a sbattere contro Sherlock dove si stava in piedi al centro della stanza.

"Se hai finito?” disse Sherlock, con tono impaziente.

John borbottò, lo superò e saltò sulla sua poltrona senza pensarci due volte. Solo quando sentì il soffice cuscino sotto le zampe si rese conto di aver fatto accidentalmente ciò che era sembrato impossibile ore prima mentre cercava di salire in macchina.

Sherlock sembrò deliziato. "Vedi! Le tue capacità motorie stanno già migliorando man mano che il tuo cervello si adatta ai suoi nuovi compiti. Vorrei poterlo provare anch'io; potremmo cronometrare le nostre reazioni e vedere se mi ci vorrebbe lo stesso lasso di tempo per adattarmi o se io lo gestirei più in fretta a causa della mia mente superiore."

Ormai, John era abituato a esclamazioni sconsiderate del genere, quindi si limitò ad alzare gli occhi al cielo e si lasciò cadere sulla poltrona, appoggiando la testa sul bracciolo e guardando mentre Sherlock si toglieva finalmente il cappotto e la sciarpa e li appendeva vicino alla porta.

"Davvero, John, era necessario?" si lamentò Sherlock, chinandosi in avanti per esaminare il suo cappotto più da vicino. "Hai ladciato peli su tutto il cappotto! Guarda quello! È quasi impossibile non vedere i peli rossi sui vestiti neri. Stai più attento."

John avrebbe voluto sorridere... sembrava che avesse appena scoperto un modo delizioso per punire Sherlock se avesse esagerato con gli esperimenti o qualsiasi altra cosa. C'era davvero un lato positivo in ogni situazione se guardavi abbastanza a lungo e attentamente. E a quanto pare, aveva appena trovato questo.

"A pensarci bene, non farlo." Sherlock attraversò a grandi passi la stanza e si lasciò cadere sulla sua poltrona, osservando John sopra le dita appuntite, gli occhi che brillavano. " Possiamo condurre un esperimento per scoprire quali tessuti sono particolarmente vulnerabili ai peli dei cani e quali sono più resistenti ai peli aderenti."

E così se ne andava l’idea della punizione. John decise che avrebbe dovuto davvero saperlo.

"Ora dimmi, stai provando qualche disagio?” chiese Sherlock. "Nausea, vertigini, disorientamento, confusione, stanchezza, febbre?"

John gli lanciò una lunga occhiata vuota.

"Oh giusto, non puoi parlare. Continuo a cancellarlo,” disse Sherlock, agitando una mano sprezzante. "Annuisci solo se stai sperimentando uno dei sintomi citati."

Lui non si mosse di un centimetro.

"Bene. Che ne dici di battito cardiaco elevato? Difficoltà a respirare?"

John sbuffò, lanciandogli un’occhiataccia. Come se in qualche modo lui non avrebbe trovato una maniera per rendere evidente se fosse stato in difficoltà medica!

"Sembra che tu ti sia calmato da quando siamo arrivati," osservò Sherlock. "Stavi tremando davvero molto quando siamo partiti da Baskerville, e anche la macchina sembrava essere stata un'esperienza piuttosto spiacevole. Il rumore, presumo?"

John emise un debole uggiolio di assenso. Un tale fracasso non avrebbe dovuto essere permesso. Era contento di essere fuori da quella cosa, anche se ovviamente poteva ancora sentire le macchine fuori Baker Street e fino a Marylebone Road. Diavolo, ora che si stava concentrando su di esse, poteva sentire ancora più lontano. Selezionò il motore rumoroso di un autobus dalla cacofonia all'esterno e ne seguì i progressi lungo Marylebone Road finché non fu impossibile distinguerlo dal traffico generale. Al di sotto di quel suono c'era il brontolio della metropolitana quando un treno si fermava alla stazione di Baker Street.

Completamente strabiliato, John si alzò e saltò dalla poltrona, inclinando la testa mentre cercava di decidere un altro suono su cui concentrarsi. C'era un gocciolio umido proveniente da qualche parte di sotto che sembrava interessante, quindi seguì il suono verso la porta.

"John? Dove stai andando?"

Oh, giusto, Sherlock era ancora lì. E santo cielo, la sua voce avrebbe dovuto essere illegale. John si voltò a guardarlo, poi fece un cenno con la testa verso la porta e continuò per la sua strada, le orecchie dritte in avanti mentre riportava l’attenzione al gocciolio.

Scendere le scale era un po’ più complicato del contrario, ma ci riuscì una volta capito che non si sarebbe ribaltato in avanti all'improvviso. Dietro di sé, poteva sentire Sherlock che lo seguiva al piano di sotto, il suo respiro era calmo ma qualcosa in lui diceva a John che il suo coinquilino era curioso. Be’, doveva solo aspettare e vedere.

Senza darsi la briga di aspettare che il suo coinquilino lo raggiungesse, John balzò lungo il corridoio verso la porta della signora Hudson, scoprendo che si apriva abbastanza facilmente sotto le sue zampe.

"Ma che... John!" gridò la padrona di casa, sporgendo la testa dalla cucina per vedere chi era entrato. "Cosa sta succedendo? Sherlock?"

"Credo che abbia sentito qualcosa, signora Hudson, anche se non posso dire cosa," spiegò Sherlock, varcando la porta e osservando John che si fermava nel corridoio e inclinava la testa, cercando di determinare da quale direzione provenisse il rumore. Ah, sì, il bagno. Seguì il rumore del gocciolio all’interno e verso la lavatrice. Il suono veniva da dietro, ne era assolutamente certo.

Uggiolando e girando la testa per controllare se Sherlock fosse ancora lì, zampettò lo spazio tra l’elettrodomestico e il muro.

"Buon Dio, non hai nascosto niente di morto lì dietro, vero Sherlock?” chiese la signora Hudson, saltando subito alla conclusione più probabile.

"Sono sicuro che me lo ricorderei,” disse Sherlock, avvicinandosi. "Andiamo, John, spostati, non posso vedere se tu stai in mezzo.”

John indietreggiò, guardando il suo amico sbirciare nella fessura.

"Il pavimento è bagnato," notò lui in tono blando, infilando il braccio il più possibile dietro la macchina. "Sembra che ci sia una piccola perdita in uno dei tubi. Le consiglio di chiamare un idraulico e di farlo riparare prima che il tubo scoppi e allaghi l'intero bagno."

Ritirando il braccio, si alzò e si voltò verso John. "Hai sentito l'acqua gocciolare dal nostro soggiorno?"

John annuì.

"Impressionante,” disse Sherlock, suonando come se lo intendesse davvero. "E davvero molto interessante. I tuoi sensi molto probabilmente miglioreranno ancora di più man mano che continuerai ad adattarti ad essi. Dovremo sperimentare su questo, vedere fino a che punto si estende il tuo raggio uditivo." All'improvviso, sogghignò. "È fantastico! Puoi spiare Mycroft dall'altra parte della strada!”

"Be’, immagino che avrei dovuto aspettarmelo," pensò John mentre guardava Sherlock prendere appunti sul suo piccolo taccuino. "Posso sembrare un cane, ma in verità sono stato trasformato in una cavia."


*****


Poco tempo dopo, erano tornati di sopra e Sherlock era impegnato a condurre un altro esperimento, che consisteva nel posizionare diversi oggetti sul tavolino da caffè, dicendo a John di rimanere lì e poi andarsene lui stesso, solo per poi nominare uno degli oggetti. Entrò nella sua camera da letto e, a giudicare dai suoni, si coprì la testa prima di parlare. Entrò in bagno e aprì la doccia prima di mormorare una parola. John rimase in soggiorno, le orecchie dritte mentre aspettava che Sherlock parlasse, e poi spinse giù dal tavolo l'oggetto che aveva menzionato.

Un cuscino, la sciarpa di Sherlock, una palla di gomma, il teschio, uno straccio da cucina.

Dopo ogni parola, Sherlock tornava indietro da dove era andato, correva su per le scale dalla porta principale o scendeva dalla stanza di John, guardava l'oggetto sul pavimento ed esclamava "Eccellente, John!" come se John avesse appena vinto l'oro alle Olimpiadi o qualcosa di altrettanto monumentale.

Il loro giochino fu interrotto dall'arrivo di una macchina. A dire il vero, fu interrotto prima dell'arrivo della macchina, perché John riconobbe abbastanza chiaramente il rumore di quel motore: dopo tutto ne era sfuggito solo circa due ore prima. Proprio mentre Sherlock stava per andare a nascondersi nel 221c o in un posto altrettanto ridicolo, John uggiolò e girò la testa verso la finestra.

"Oh, e adesso?” chiese Sherlock.

John saltò sulla sua solita poltrona e volse gli occhi verso la porta con aria d’aspettativa. Fuori, l'elegante macchina nera rallentò fino a fermarsi.

Guardò Sherlock che scostava le tende e guardava fuori, mormorando un'imprecazione. "Mycroft."

Era davvero Mycroft, e ora che si era sistemato nel loro appartamento, circondato dal loro profumo familiare e ragionevolmente al sicuro da un attacco di panico, John fu finalmente in grado di prestare attenzione a ciò che il suo naso gli diceva dell'altro uomo.

Mycroft odorava... be’, aveva l’esatto odore di come appariva: come qualcuno che trascorreva la maggior parte del suo tempo in un ufficio arredato in modo costoso facendo cose molto importanti. Quello, e un forte odore d’autorità e pasticcini. Quest'ultimo fece nascondere a John il viso nel bracciolo della poltrona nel caso in cui la sua espressione in qualche modo lo tradisse.

"Non c'è una sorta di legge che ti proibisca di perseguitarmi due volte in un giorno?" chiese Sherlock dalla sua poltrona dove era seduto, prima che Mycroft potesse persino aprire la bocca per dire "Ciao.”

"E buon pomeriggio anche a te, fratello caro,” disse Mycroft, inoltrandosi nella stanza. Uno dei suoi innumerevoli lacchè lo seguì con una grande scatola, che Mycroft gli fece cenno di appoggiare sul tavolino. L’uomo eseguì e si ritirò di sotto per aspettare davanti alla porta. "Ho preso le disposizioni necessarie, preparato i documenti pertinenti e informato i nostri genitori della situazione.”

John osò alzare di nuovo la testa per osservare ogni sua mossa, sentendosi sospettoso. C'era un'aria di divertimento nel portamento di Mycroft. Non riusciva a spiegare come l'avesse capito, perché il fratello maggiore di Holmes aveva lo stesso aspetto di sempre. Quindi Mycroft aprì la scatola e ne tirò fuori uno degli oggetti assortiti. "E, naturalmente, ho portato tutta l'attrezzatura necessaria."

Teneva sollevato un collare di cuoio marrone, dall'aspetto robusto e adeguatamente consumato, come se avesse già visto la sua giusta dose di utilizzo. Una targhetta rotonda luccicava su un anello che vi era attaccato.

"Questo contiene il nome che avevamo concordato e sul retro c'è il tuo numero di telefono, quindi se John si perde per qualsiasi motivo, tutto ciò che deve fare è trovare qualcuno con un cellulare e un po’ di compassione,” spiegò Mycroft. "Confido che non dovrebbe essere troppo difficile."

John sbatté le palpebre. Avevano concordato un nome per lui? Quando era successo?

Sherlock si alzò e prese il collare da suo fratello, esaminandolo da ogni angolazione. "Suppongo che andrà bene,” ammise. "John?"

John fissò il cuoio con un misto di disprezzo e apprensione. Non gli piaceva l’idea di qualcosa al collo, ma a livello intellettuale sapeva che un collare era necessario. Emise un sospiro e si rassegnò al proprio destino. Almeno sarebbe stato solo per un po’.

Sedendosi dritto, permise a Sherlock di chiudergli il collare intorno al collo e di allacciare la fibbia.

"Dimmi se ti sembra troppo stretto," mormorò Sherlock, facendogli scorrere una mano confortante lungo il collo e sopra la spalla in un gesto che era chiaramente inconscio.

John non aveva modo di dirgli che qualsiasi tipo di restrizione intorno al suo collo sarebbe stata troppo stretta, quindi si limitò a concentrarsi sul respiro e lottò per adattarsi al peso intorno alla gola.

Non andava poi così male come aveva temuto, il che era un vantaggio decisivo, ma la sensazione non gli piaceva molto lo stesso. Non era troppo stretto, però, e non si sentiva in alcun modo limitato nella capacità di respirare. Un po’ più fiducioso grazie a quel fatto, rivolse a Sherlock un secco cenno del capo.

"È tutto?” chiese Sherlock, riportando la sua attenzione su Mycroft. "Sentiti libero di andartene in qualsiasi momento. Sono sicuro che ti stiamo impedendo d’iniziare un'altra guerra da qualche parte."

"Affascinante,” disse suo fratello, non sembrando affatto affascinato. "C'è, in effetti, un'altra questione. Nel caso in cui John dovesse perdere il collare, per qualsiasi circostanza, avremo bisogno di un altro metodo d’identificazione. L'opzione più semplice sarebbe un chip sotto la pelle..."

A questo punto, John snudò le zanne e ringhiò con successo.

Mycroft inarcò un sopracciglio e continuò imperturbabile: ”... e l'altra opzione sarebbe un numero d’identificazione tatuato all'interno dell'orecchio."

Accaddero diverse cose contemporaneamente: John imparò a ringhiare più forte, ad appiattire le orecchie e far rizzare i peli sulla nuca, e Sherlock si inserì tra Mycroft e John con un movimento fluido, i denti scoperti come se fosse lui stesso un cane. "No."

Passarono diversi secondi in cui l'unico suono fu il ringhio continuo di John.

“... o forse possiamo accontentarci del collare e confidare che John troverà la strada per tornare a casa nell'improbabile caso che lo perda,” offrì Mycroft, chiaramente rendendosi conto di essere in grave pericolo di essere azzannato da uno degli abitanti dell'appartamento, quale dei due era ancora in discussione.

Sherlock non rispose, ma John smise di ringhiare, anche se tenne i denti scoperti per indicare che era felice di riprendere a farlo in qualsiasi momento.

"Molto bene,” disse Mycroft. "Vi lascerò per conto vostro, ora. E Sherlock, cerca di ricordare che non essere in grado di parlare non significa che puoi presumere che ti sia stato dato il consenso a fare tutto quello che vuoi. Buona giornata."

In risposta, Sherlock prese un posacenere dalla scrivania con la chiara intenzione di lanciarlo. Per fortunata, Mycroft in realtà non era un suicida e quindi uscì senza pronunciare un'altra parola.


*****


La loro prima sera a casa trascorse in modo piuttosto tranquillo. Sherlock passò un po’ di tempo a esaminare la scatola delle cose che Mycroft aveva lasciato, tirando fuori vari oggetti come una ciotola per cibo e acqua, un grande sacchetto di crocchette per cane che John decise avessero un odore sorprendentemente attraente, diverse palline da tennis, una sorta di aggeggio di plastica chiamato lanciatore di palline, apparentemente usato per lanciarle il più lontano possibile senza slogarsi il braccio durante il processo, e una grande cuccia per cani che Sherlock mise davanti al caminetto tra le loro poltrone per amore delle apparenze.

Infine c'era un guinzaglio, fatto di pelle marrone che si adattava al collare di John e la cui lunghezza poteva essere regolata. John non ne fu molto contento, ma ovviamente sapeva che un guinzaglio era inevitabile se voleva uscire dall'appartamento.

Ora che il caso Baskerville era stato risolto e l'eccitazione dopo l'inaspettata trasformazione di John si era calmata, Sherlock era chiaramente stanco, anche se aveva cercato di nasconderlo. In qualsiasi altro momento, John avrebbe potuto non saperne nulla, ma ora poteva letteralmente annusare la stanchezza che s’irradiava dal suo amico e si chiese quale fosse il modo migliore per ordinargli di andare a letto.

Alla fine, decise che sarebbe dovuta bastare la pantomima, così saltò giù dalla sedia e andò a ispezionare la cuccia grigia incastrata tra la poltrona di Sherlock e il caminetto. L’annusò, ma non riuscì a rilevare nient'altro che il profumo di stoffa nuova e del lacchè di Mycroft che aveva preparato la scatola. John lanciò un gemito sommesso per attirare l'attenzione di Sherlock, poi si lasciò cadere sulla cuccia.

"Sai di avere un vero letto perfettamente adeguato al piano di sopra, vero?” chiese Sherlock.

John scosse la testa, si alzò, si avvicinò al punto in cui Sherlock era ancora in piedi vicino al tavolino da caffè e gli spinse la gamba con la testa in direzione della cuccia.

Al massimo, Sherlock sembrò perplesso, qualcosa che non accadeva spesso. "È un po’ piccola per me, John. Certo, tu ci saresti stato anche nel tuo corpo umano, ma davvero non vedo cosa abbia a che fare con me."

Buon Dio, in quel momento l'uomo si stava comportando in modo straordinariamente ottuso. John decise di incolpare l'esaurimento, naturalmente Sherlock non aveva dormito per niente negli ultimi quattro o cinque giorni. Borbottando per la frustrazione per la sua incapacità di comunicare quel che intendeva, diede di nuovo un colpetto a Sherlock, poi si diresse verso la cucina, dove si voltò e gli lanciò uno sguardo d’attesa. Sherlock inclinò la testa di lato, guardandolo pensieroso. "Quindi non si tratta della cuccia, vero?"

John annuì, poi fece un altro paio di passi in cucina. Quando Sherlock non si mosse, uggiolò di nuovo.

"Dovresti davvero abbaiare in codice Morse," mormorò Sherlock, seguendolo infine. "Questo sarà davvero molto noioso."

John alzò gli occhi al cielo, poi proseguì attraverso la cucina e nell'ingresso, fermandosi davanti alla porta della camera da letto di Sherlock.

Il suo coinquilino lo seguì, aprendo la porta e guardandolo con uno sguardo curioso "Sei già stato qui dentro prima, John, è sempre la stessa stanza."

"Oh, per l'amor di Dio!" pensò John, muovendosi finché non fu dietro Sherlock e premendo la testa contro le sue gambe per spingerlo in avanti e dentro la stanza.

Il detective si bloccò a metà strada verso il letto. "È questo il tuo modo di spedirmi a letto?"

John abbaiò felicemente. Finalmente! C'erano voluti secoli per trasmetterlo. Davvero, cosa stava succedendo nella testa di Sherlock? Doveva essere davvero molto stanco se non poteva fare una semplice deduzione come questa.

Sherlock sbuffò. "I tuoi tentativi di mimica sono nel migliore dei casi pietosi, John. Anche se è bello sapere che hai conservato abbastanza della tua personalità e dei tuoi schemi di pensiero per sentire ancora l'inclinazione a farmi da balia. Non vedo davvero il punto, comunque. Non mi sento molto stanco... per niente."

Quest'ultima affermazione avrebbe potuto suonare più sincera se non fosse stata interrotta da uno sbadiglio. John gli sbuffò contro e lo spinse verso il letto.

"Va bene, va bene, ma solo perché non c'è più niente da fare," borbottò Sherlock. "Sempre così prepotente."

John si limitò ad ansimare allegramente, sperando che ciò trasmettesse in modo adeguato il suo accordo, poi si voltò e lasciò l'amico a se stesso. Se non fosse andato a letto, l'avrebbe sentito e sarebbe semplicemente tornato per rafforzare il punto.

Per fortuna, Sherlock non richiese ulteriori spintarelle. Una volta chiusa la porta alle spalle di John, si udì il fruscio degli abiti mentre si toglieva il completo e lo cambiava con il pigiama (almeno così suonava) e poi ci fu il rumore di un corpo che colpiva il materasso e dopo di che, silenzio. John sospirò tra sé. Quel pazzo segaiolo era chiaramente sul punto di svenire ormai da ore. Se non fosse stato per quello stupido incidente in laboratorio, si sarebbe spento come una lampadina ore prima, questo era certo.

Sbuffando tra sé, John uscì dall'appartamento principale e salì le scale fino alla propria camera da letto. Riuscì ad aprire la porta da solo, saltò sul letto senza preoccuparsi di accendere la luce e scoprì un grande vantaggio di essere un cane: non c'era bisogno di cambiarsi o lavarsi i denti prima di andare a letto. Invece, poteva semplicemente intrufolarsi sotto le coperte e raggomitolarsi in una calda palla di pelo.

Chiuse gli occhi, sperando di addormentarsi alla svelta, ma ovviamente ora che non c'erano distrazioni sotto forma di movimenti di Sherlock, il suo cervello iniziò a concentrarsi su tutti gli altri suoni che le sue orecchie potevano percepire.

C'erano le macchine fuori, meno numerose ora che la maggior parte delle persone era già a casa e nei loro letti, intervallate dagli autobus e dalla metropolitana. C'erano alcuni pedoni che camminavano lungo Baker Street e le voci alzate di una coppia a metà litigio dall'altra parte della strada. E, cosa più fastidiosa di tutte, c'erano quelli sposati della signora Turner della porta accanto, che usavano il loro letto in un modo che aveva poco a che fare con il sonno.

John provò a gemere, ma venne fuori come un misto tra un uggiolio e un ringhio, il che non fu molto sorprendente, davvero. Il suono dei loro vicini che ci davano dentro e se la godevano immensamente, a giudicare dal suono, serviva solo a ricordargli che di certo non si sarebbe fatto una scopata fino a quando l'intera catastrofe non fosse stata sistemata e lui non fosse tornato nel proprio corpo. Non poteva nemmeno farsi una sega, per l'amor del cielo, perché anche se avesse trovato qualcosa di comodo contro cui strofinarsi come aveva visto fare ad alcuni cani, semplicemente non c'era modo in cui sarebbe riuscito a ripulire il casino dopo e Sherlock non l’avrebbe più lasciato vivere, se l’avesse scoperto.

Il pensiero della masturbazione e di Sherlock guidò i suoi pensieri lungo un percorso prevedibile e si chiese se il suo udito nuovo e migliorato gli avrebbe permesso di scoprire se mai il suo coinquilino... 'Oh, fanculo. Non ci penserò!'

Si rannicchiò un po’ più stretto sotto la coperta e cercò di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa, che non fosse Sherlock che si dava piacere. Alla porta accanto, i lavori raggiunsero un crescendo. John decise che il mondo era ingiusto sotto ogni punto di vista.

 

 


NdT: Allora, cosa ne pensate del rientro a Baker Street? 😊

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Capitolo 4
*** 4 ***


 Capitolo 4 

John si svegliò nel momento in cui il sole fece capolino all'orizzonte e la prima luce del giorno entrò nella sua stanza. Tenne gli occhi chiusi e ascoltò qualsiasi suono dal piano di sotto, ma Sherlock stava ancora dormendo... se si concentrava, poteva sentirlo respirare. Incredibile.

Dato che non aveva senso restare a letto ora che era sveglio e poiché in realtà aveva un po’ di fame, John si scrollò di dosso le coperte, saltò giù dal letto con un leggero tonfo, scese le scale ed entrò in cucina . Fu allora che si ricordò di non essere in grado di prepararsi la colazione perché non aveva più i pollici opponibili. Per un momento pensò di tornare a letto, ma il suo stomaco brontolava e ora che era solo un livello sopra di lei e abbastanza sveglio da prestare attenzione, poteva sentire la signora Hudson russare piano nella sua camera da letto al piano di sotto, quindi convincerla ad aiutarlo era non un'opzione.

"Be ', Sherlock mi ha svegliato all'alba abbastanza spesso," decise. "È ora di una piccola vedetta."

Prima di poter cambiare idea, John attraversò la cucina e proseguì lungo il corridoio verso la camera da letto di Sherlock. Aprire la porta non fu affatto un problema, ora che aveva capito come farlo. Fu un po’ sorpreso che Sherlock non svegliasse al suono degli artigli sul legno, ma il detective rimase addormentato come un sasso. Era sepolto sotto le coperte, a malapena visibile ad eccezione dei capelli e della mano sinistra, che penzolava dal bordo del materasso.

John le diede un colpetto con il naso.

Nessuna risposta.

La spinse di nuovo, in modo un po’ più insistente, e uggiolò. Le dita di Sherlock si contrassero, ma lui rimase risolutamente addormentato, il respiro profondo e regolare. Il suono sordo e martellante che aveva sentito il giorno prima era di nuovo udibile e John riuscì finalmente a collocarlo. Era il cuore di Sherlock.

La consapevolezza lo fece bloccare e per circa un minuto tutto ciò che John fece fu restare di fronte al letto e fissare il mucchio di stoffa che nascondeva il suo migliore amico mentre ascoltava il cuore che gli batteva con regolarità nel petto.

"C'è la prova finale, allora," pensò. "Ne ha sicuramente uno ed è anche perfettamente funzionante."

Prima di poter iniziare a diventare poetico sulla propria scoperta, John decise che era giunto il momento di svegliare finalmente il suo coinquilino. Era ora di abbracciare la sua nuova forma e fare quello che avrebbe fatto qualsiasi cane.

Leccò la mano di Sherlock.

Inclinò persino la testa per ottenere un ampio passaggio della lingua sul palmo del detective.

La mano scomparve sotto le coperte con un lamento soffocato mentre Sherlock si svegliava di soprassalto, il battito cardiaco che aumentava per un attimo mentre il suo corpo lottava per rimettersi al passo.

John abbaiò.

"John? Che c'è? È successo qualcosa? Sei ferito?" Mentre parlava, Sherlock si mise a sedere, gli occhi spalancati e già vigili.

John scosse la testa e tornò alla porta, poi si voltò e uggiolò, girando la testa verso la porta.

"Che cos'è?” chiese di nuovo Sherlock, guardando l'orologio. "Sono le cinque e mezza del mattino, John, cosa ci fai sveglio?"

Nonostante le sue domande, fece oscillare le gambe fuori dal letto e si alzò, grattandosi pigramente la nuca mentre seguiva John fuori dalla sua stanza e lungo il corridoio. John notò mentalmente il suono di Sherlock che lo seguiva, i passi strascicati grazie ai suoi pantaloni del pigiama troppo lunghi. Probabilmente non li avrebbe calpestati se si fosse preso la briga di tirarli un po’ più su invece che indossarli in basso sui fianchi.

John accantonò il pensiero e si avvicinò alla scatola degli oggetti che Mycroft aveva portato il giorno prima. La maggior parte delle cose che Sherlock aveva tirato fuori era sparpagliata sul pavimento. Prese una delle ciotole e guardò il suo amico con aria d’aspettativa.

"Cibo?” chiese Sherlock. "Mi hai svegliato alle cinque e mezza del mattino, dopo un caso, perché vuoi la colazione?"

John annuì.

Sherlock gemette, ma allungò la mano verso la ciotola e il sacco di crocchette per cane, lamentandosi sottovoce mentre lo faceva. "Prima vuoi che vada a letto. Faccio quello che vuoi e mi svegli alle prime luci dell'alba. È una specie di vendetta per la faccenda dello zucchero? Ho detto che mi dispiace."

In realtà, non l'aveva fatto, ma ovviamente questo era ciò che aveva inteso esprimere dicendo che non sarebbe successo di nuovo. John alzò gli occhi al cielo e prese la seconda ciotola per dargli anche quella.

"Ah sì. Niente tè per te per un po’, temo,” disse Sherlock, riempiendo la ciotola d'acqua e mettendola sul pavimento vicino all'ingresso della cucina prima di riempire di crocchette la ciotola del cibo. "Ecco qua. Spero che questa sia la quantità corretta, ma date le dimensioni e il peso approssimativo, dovrebbe essere sufficiente."

John ascoltò solo con metà orecchio, troppo impegnato a cercare di capire come bevevano i cani. Provò a leccare l'acqua, ma in qualche modo non funzionò molto bene e gli ci volle un po’ per capire come procedere. Non aveva mai prestato molta attenzione a come i cani facevano certe cose, quindi fu sorpreso di scoprire che poteva arricciare la lingua all'indietro e formare con essa una specie di ciotola per versarsi l'acqua in bocca. Incredibile.

Una volta che ci ebbe preso la mano, andò felicemente avanti a lappare. Aveva malapena notato quanto fosse stato assetato finché Sherlock non gli aveva dato l'acqua. Avrebbe dovuto saperlo: l'ultima volta che aveva bevuto qualcosa era stato il giorno prima a colazione, quella che sembrava un'eternità prima. Nessuna meraviglia che la sua gola fosse secca come il deserto.

Soddisfatta la sete, John rivolse l’attenzione alle palline per cane che la sera prima avevano avuto un odore piuttosto invitante. L’avevano ancora e per quanto il suo cervello umano fosse sconvolto, venne facilmente annullato dai suoi recettori del gusto canini e non si fece scrupoli a mangiarle tutte.

Sherlock ridacchiò. "Ti rendi conto che stai scodinzolando, John?"

Davvero?

John sospese quello che stava facendo per voltare la testa e scoprì che Sherlock aveva assolutamente ragione. Provò a fermarsi, poi iniziò a farlo di nuovo. C'era del cibo, gli era permesso esserne felice, dannazione.

E c'era anche la possibilità che non sapesse bene come smettere di scodinzolare.

Decidendo di ignorare il problema per il momento, John continuò a mangiare con piacere fino a quando la ciotola non fu vuota, poi spinse Sherlock verso il frigorifero. Questo era un netto svantaggio del proprio nuovo corpo: se fosse stato umano, avrebbe preparato la colazione e avrebbe costretto Sherlock a mangiare qualcosa o avrebbe semplicemente aspettato che fosse abbastanza distratto da mangiare per sbaglio quando gli fosse stato messo davanti un piatto pieno. Quel piccolo trucco finora aveva funzionato sorprendentemente bene e John non era molto contento di non essere in grado di usarlo al momento.

Per fortuna, Sherlock intuì che fare qualsiasi cosa senza prima fare colazione non era un'opzione, così si preparò una tazza di tè (con grande stupore di John, non era sicuro che Sherlock sapesse come farlo) e un pezzo di pane tostato, che mangiò con un sottile strato di burro e nient'altro. John pensò che fosse meglio di niente e dato lo sguardo ribelle che il suo amico gli stava rivolgendo, quello era il meglio che avrebbe ottenuto.

"Ecco,” disse Sherlock. "Ho fatto colazione e preso il tè. Posso almeno farmi una doccia e vestirmi prima che tu decida di costringermi a fare qualcos'altro?"

John si sedette di fronte a lui e cercò di sembrare innocente.

"Lo prenderò come un sì," gli disse Sherlock e si voltò verso la propria camera da letto.

John lo guardò allontanarsi, poi si voltò, andò in soggiorno e saltò sulla poltrona. Non fu un problema acciambellarsi sul sedile con la testa appoggiata al bracciolo, e chiuse gli occhi per sonnecchiare un po’. Dopo tutto il lavoro che aveva già fatto quella mattina, pensava di meritarsi un po’ di riposo.


*****


Sembrava fosse passato solo un minuto quando sentì chiamare il suo nome e aprì gli occhi, ma Sherlock si era fatto una doccia e si era vestito per uscire. John non se l'era aspettato, di solito, Sherlock non si prendeva nemmeno la briga di vestirsi, figuriamoci di lasciare l'appartamento a meno che non ci fosse un caso. Per quanto ne sapeva John, non c'erano casi. Sicuramente avrebbe sentito che se un cellulare avesse suonato.

"È ora di una passeggiata," annunciò Sherlock, afferrando il guinzaglio da dove l'aveva messo sul tavolino la sera prima e avvicinandosi a John.

John rimase dov'era e gli lanciò uno sguardo che mostrava chiaro e tondo quanto fosse infelice all’idea di essere portato fuori al guinzaglio.

Con sua sorpresa, il viso di Sherlock si addolcì e lui alzò le spalle. "Non posso farci niente, John. Sai che non possiamo rischiare. Considera solo i vantaggi: di certo non dovrai preoccuparti di non essere in grado di raggiungermi se dovessimo catturare un fuggitivo. In effetti, sono abbastanza sicuro che potresti fare tutto da solo. Il Retriever Nova Scotia Duck Tolling è allevato per la caccia, dopotutto. E cosa sono per me la maggior parte dei piccoli criminali se non bersagli facili?"

John sbuffò: non c'era davvero modo che potesse discutere su quello, anche se avesse avuto una voce.

Permise a Sherlock di allacciargli il guinzaglio al collare e saltò giù dalla poltrona. Mentre si avvicinava alla porta, il peso del guinzaglio era impossibile da ignorare, ma non dava una sensazione tanto restrittiva come aveva temuto. Accelerò, tirandolo in modo sperimentale. Non fece nulla per interrompere la sua fornitura d'aria e si sentì subito meglio.

"Non così in fretta,” disse Sherlock, con tono divertito. "Dammi il tempo di mettermi prima il cappotto."

Con riluttanza, John si fermò vicino alla porta e aspettò finché Sherlock non si fu gettato addosso il cappotto e ebbe preso il telefono dal tavolo.

Alla fine Sherlock annuì e John balzò fuori sul pianerottolo e giù per le scale, trascinando l’amico nel suo entusiasmo di uscire di casa. Se Sherlock aveva qualche lamentela, non la espresse ad alta voce.

John aspettò a malapena che aprisse la porta d'ingresso prima d’infilarsi nella fessura e trotterellare in strada, annusando l'aria eccitato. Oggi tutto sembrava molto più sopportabile. Suppose che ora la sua mente avesse avuto abbastanza tempo per adattarsi, filtrando il rumore e gli odori fino a un livello meno opprimente che poteva essere affrontato. Era ancora un po’ troppo, però, e John desiderava un posto un po' più tranquillo, quindi si protese verso Regent’s Park. Sherlock lo seguì senza protestare e John smise in fretta di sforzarsi contro il guinzaglio e adattò la propria velocità in modo che camminassero fianco a fianco, com’erano abituati.

Avevano appena raggiunto l'ingresso del parco quando il cellulare di Sherlock suonò. Accigliandosi, lui lo tirò fuori dalla tasca del cappotto. "Che cos'è?"

"Ho un caso per te," la voce di Lestrade arrivò dal telefono, ricordando di nuovo quanto l'udito di John fosse migliorato. "È proprio dietro l'angolo di Baker Street. Sarei venuto a prenderti io stesso, ma non posso andarmene adesso."

"Dove, di preciso?” chiese Sherlock.

"Dall'altra parte di Regent's Park, oltre la fontanella della Broad Walk. Non puoi sbagliare."

Sherlock guardò John, che inclinò la testa. Annuì. "Saremo lì tra venti minuti."

Riattaccò proprio mentre Greg diceva: "Cosa intendi con 'noi'...?"

"Bene,” disse Sherlock. "Sembra che i nostri amici dello Yard stiano per avere una sorpresa. Ricordati di comportarti come se non li avessi mai incontrati prima, va bene?"

John alzò gli occhi al cielo... come se potesse dimenticarsene! Prima che Sherlock potesse continuare con i promemoria e gli avvertimenti, John accelerò e lo trascinò oltre Marylebone Green, le orecchie dritte mentre cercava i suoni consueti di una scena del crimine. Le macchine fotografiche che scattano, i passanti che ansimano per lo shock e l'eccitazione, le radio della polizia gracchiano e suonano: niente di tutto ciò doveva essere difficile da distinguere.

Trascinò Sherlock giù per metà della Broad Walk prima che lo raggiungessero i primi suoni di attività insolita, e si voltò prontamente in quella direzione. Sherlock si lasciò trascinare, camminando a grandi passi e apparendo piuttosto divertito dall'entusiasmo di John di entrare in azione.

Raggiunsero la scena del crimine proprio mentre scadevano i venti minuti che Sherlock aveva promesso a Lestrade, e il DI si precipitò a salutarli. "Sherlock! È stato veloce." Lanciò un'occhiata a John. "E vedo che hai portato compagnia." Tese una mano affinché John l’annusasse, ignorando il modo in cui le sopracciglia di Sherlock si sollevarono per la sorpresa per la dimostrazione di abilità recitativa.

Lestrade odorava moltissimo nel modo in cui appariva, decise John. Abbondanti quantità di caffè, carta, stanchezza, nicotina e, sorprendentemente, un pizzico di cannella.

"Bene, andiamo allora,” disse, guidandoli verso il nastro della scena del crimine. "Temo che John dovrà aspettare al limite. Non posso permettere che i peli di cane contaminino la scena del crimine," mormorò, abbastanza basso perché solo Sherlock e John lo sentissero.

Proprio in quel momento, la sergente Donovan sporse la testa fuori dalla tenda che avevano sistemato sul corpo. "Quello è un cane?!"

"No, Donovan, ovviamente questo è un formichiere," le disse Sherlock, alzando gli occhi al cielo. Lestrade attutì la risata dietro il pugno, fingendo di tossire.

"Da quando hai un cane?" domandò sgarbatamente Donovan, marciando verso di loro. "John si è stufato e ti sei trovato un sostituto?"

Sherlock le lanciò uno sguardo altezzoso. "Da ieri. E John è in visita da sua sorella."

"Perché hai un cane? Psicopatici e animali non vanno bene insieme, non l’hai sentito?"

"Oh, davvero? Faresti meglio a chiamare i miei genitori e informarli che non posso assolutamente badare al loro amato cane mentre loro sono fuori per una meritata vacanza," le disse Sherlock, fingendo di tirare fuori il telefono. "La mamma sarà così delusa."

Donovan gli lanciò un'occhiataccia. "E pensi che una scena del crimine sia un buon posto per portarla?"

"Lui," lo corresse Sherlock. "Be’, l'altra opzione è lasciarlo solo a casa. Hai visto lo stato della mia cucina l'ultima volta che sei stata costretta a passare, vero? Pensi che il mio appartamento sia un buon posto dove tenere un cane senza supervisione? "

"Penso che la tua vicinanza sia generalmente un brutto posto per chiunque, compresi gli animali domestici," scattò lei.

“Che bello per tutti coloro che sono coinvolti che la tua opinione non sia di alcun interesse in questa faccenda, allora."

Sally alzò gli occhi al cielo. "I tuoi genitori non avrebbero potuto trovare qualcun altro per giocare al dog-sitter?"

Lui alzò le spalle. "Mio fratello lavora in un ufficio costoso dove permettono di entrare a malapena alle persone, figuriamoci agli animali domestici.”

"Non sapevo nemmeno che avessi un fratello,” disse Sally.

"Le cose che non sai di me potrebbero riempire molti volumi, Donovan. Tieni, tieni questo." Le porse l’estremità del guinzaglio.

"Scusa? Cosa dovrei fare con quello?"

Sherlock le lanciò uno sguardo innocente. "Come hai sottolineato in modo così astuto, non posso portarlo sulla scena del crimine, quindi te lo do da accudire finché non avrò finito di ispezionare il corpo. Spero che tu sia capace di questo, almeno."

"Lestrade!" implorò Sally, voltandosi verso il suo superiore. "Digli che non può farlo."

"Be’, ha ragione,” sottolineò il DI. "Prenditi cura del cane solo per un paio di minuti, va bene? Guardalo, per l'amor di Dio. Non è proprio un lavoraccio, vero?"

Donovan si voltò a guardare John, che ricambiò lo sguardo e scodinzolò, cercando di sembrare particolarmente innocuo e amichevole. Qualcosa nel viso della donna si ammorbidì. "Oh, va bene. Dimmi almeno il suo nome, allora."

Sherlock sorrise. "Johnny."

‘Oh, aspetta finché non arriviamo a casa, ti ammazzerò per questo,’ pensò John.

"Sul serio?!” chiese Donovan, scandalizzata.

"Sì, non è fantastico? Non devo nemmeno preoccuparmi di ricordare un nuovo nome. Si è scoperto che risponde altrettanto bene a 'John'." Sherlock sembrava tanto eccitato quanto John l’aveva mai sentito riguardo a un triplice omicidio.

"I tuoi genitori hanno chiamato il loro cane come il tuo coinquilino?"

Sherlock la guardò accigliato. "No, non essere sciocca. Johnny qui ha tre anni, il che significa che l'hanno preso due interi anni prima che io e John c’incontrassimo. Non essere assurda." Rivolgendosi a Lestrade, continuò: "Possiamo metterci al lavoro adesso o il fatto che io abbia un cane è più importante di un altro dei tanti abitanti di Londra trovato morto?"

"Oh, cazzo, vai avanti," borbottò Sally, accovacciandosi accanto a John. "Nel frattempo, mostrerò al tuo Johnny qui la differenza tra te e le persone normali."

Sherlock non si prese la briga di rispondere, si limitò a dire "Johnny, resta lì,” e marciò verso il corpo precedendo Lestrade, che dovette affrettarsi per stargli dietro.

John lo guardò allontanarsi con parti uguali d’irritazione e delusione. Non voleva restare qui e dover aspettare e detestava di essere chiamato ‘Johnny’, cosa di cui Sherlock era a conoscenza, il bastardo. Inoltre, su uno strano livello fondamentale che non capiva del tutto, sembrava del tutto sbagliato guardare Sherlock allontanarsi e non seguirlo.

Si rese conto di aver mostrato la propria angoscia solo quando sentì Sally tirarlo indietro per il guinzaglio. Non si era nemmeno accorto che lo stava sforzando, cercando di seguire Sherlock nonostante il suo ordine di restare.

"Giù, ragazzo," gli disse Sally. "Non riuscirai a masticare quel corpo, non importa quanto pensi che abbia un buon odore."

Per un momento, John pensò che stesse parlando di Sherlock, che aveva davvero un odore molto gradevole. Poi il suo vero significato divenne chiaro e lui smise prontamente di tirare e invece si sedette.

Sally si pavoneggiò, ovviamente pensando che in qualche modo fosse dovuto al fatto che lei era la voce dell'autorità. John si alzò di nuovo e si avvicinò per annusarle la gamba. Tanto valeva ricavarne qualcosa, come alcune informazioni. E una volta che avesse conosciuto il suo profumo, sarebbe stato in grado di riconoscerla anche se fosse arrivata dietro di lui, se il vento avesse soffiato nella giusta direzione.

Con sua sorpresa, Donovan aveva un odore piuttosto buono, di caffè e gel doccia e una specie di prodotto per capelli. A quanto pareva le piaceva la lozione per le mani e la usava regolarmente. Profumava di miele. La mano che teneva il guinzaglio penzolava appena sopra di lui e lui alzò la testa e la leccò senza stare a pensarci su. Non era come se lei avrebbe mai saputo che era lui, dopotutto, ed era curioso di sapere se la lozione sapeva anche di miele. Lo faceva, un po’.

Sally ritirò la mano e se l'asciugò sui pantaloni, ridendo. "Mi fa il solletico."

Non sembrava troppo scocciata, però, perché un attimo dopo le sue dita trovarono il suo orecchio destro grattando nel modo più delizioso. Lui le appoggiò la testa nella mano e scodinzolò, chiudendo gli occhi in abietto piacere. Ohhh, questo lo faceva sentire bene.

Per un momento, si chiese come sarebbe stato se le lunghe dita di Sherlock... no. Meglio non percorrere quella strada, nemmeno nella sua mente. Cose pericolose giacevano sepolte lì, aspettando solo che lui si avvicinasse, lo sapeva.

"Bravo ragazzo," mormorò lei. "Ti piace, eh? Scommetto che il mostro non si preoccupa affatto di accarezzarti. Probabilmente non ha idea di come funziona il contatto fisico a meno che non stia toccando un cadavere. Mi dispiace un po’ per te, subire quello tutto il tempo. Ma il tuo omonimo umano sopporta la stessa merda tutto il tempo. Deve ricavarci qualcosa, non credi? Be’, tu non puoi saperlo, suppongo. Mi fa davvero saltare i nervi, Sherlock, con la sua maleducazione e il suo atteggiamento da sono-più-forte-di-te. Lo ucciderebbe comportarsi in modo decente, tanto per cambiare?"

John emise un gemito sommesso, sperando di sembrare confortante. Dopotutto, sapeva com'era Sherlock. Meglio di Sally, in effetti. E anche se non poteva essere in disaccordo con lei, sapeva che nel suo amico c'era di più oltre al suo pungente guscio esteriore.


*****


Sherlock si accosciò, con gli occhi distaccati che vagavano sul corpo a terra mentre cercava ulteriori indizi. Finora, il caso era perfettamente semplice, in prima istanza niente che spiegasse perché Lestrade avesse chiesto il suo aiuto, ma non poteva fare a meno di sperare in quel piccolo dettaglio che avrebbe elevato l'omicidio da semplice ad affascinante. A volte accadeva, quando un omicidio assolutamente normale si trasformava nel lavoro di un serial killer o di qualche bizzarra setta, ma quei casi erano pochi e rari, con grande fastidio di Sherlock.

Aprì la bocca per dire tutto a John prima di ricordarsi che lui non era lì per ascoltarlo. Be’, in quanto ad ascoltalo, probabilmente lo faceva, ma non sarebbe arrivata una risposta.

Era un pensiero molto inquietante, a suo modo, e Sherlock alzò la testa e guardò verso il bordo della scena del crimine dove aveva lasciato John con la sergente Donovan. La vista che lo accolse gli fece contrarre qualcosa nello stomaco e lottò per mantenere normale il proprio ritmo respiratorio mentre guardava John tutto appoggiato alla mano di Donovan.

In qualche modo, stupidamente, Sherlock aveva pensato che la nuova condizione di John avrebbe finalmente posto fine alle sue maniere da donnaiolo, ma ora era costretto ad ammettere che, semmai, d’improvviso John era diventato ancora più attraente per la popolazione femminile - e anche per parte di quella maschile, a giudicare dal modo in cui lo stavano fissando due tecnici della scena del crimine.

Naturalmente Sherlock era conscio che nessuno di loro sapeva che stavano guardando John, nessuno di loro vedeva altro che un adorabile cane di taglia media. L'impulso di accarezzarlo sarebbe stato immediato e lo stesso Sherlock si era già trovato a lottare per non affondare le dita nella morbida pelliccia calda, strappando via la mano quasi ogni volta che si accorgeva di allungare il braccio. Anche se era più tattile di lui quando si trattava di persone, sembrava che a John non piacesse così tanto essere toccato, per quanto Sherlock poteva dire, preferendo fare un cenno con la testa alle persone invece di stringere loro la mano. Lui si chiedeva se quello fosse un altro residuo della vita nell'esercito, dove s’imparava che la stretta di mano poteva essere un saluto. ma poteva anche essere usata per tirarti vicino e pugnalarti con il coltello nascosto nell'altra mano del tuo avversario.

Tuttavia, lo strano e sgradito impulso di allungare la mano e lasciare che le sue dita scivolassero attraverso la fitta pelliccia lungo la schiena o il collo di John faceva contrarre le dita di Sherlock. Scosse la testa, irritato. Era chiaro che John era già stato accarezzato abbastanza da Donovan. Avrebbe dovuto scambiare due paroline con lei sul toccare gli animali domestici delle altre persone, anche se aveva la netta sensazione che il proprio abbandonare il guinzaglio nelle sue mani avesse in qualche modo incluso il permesso di accarezzarlo. Uffa. Odiose, inutili norme sociali e sottigliezze. Come si poteva sapere quale gesto aveva quale significato, soprattutto considerando quanto erano fluidi i confini tra i significati in quella lingua senza parole? Sherlock odiava l'imprecisione di tutta la faccenda.

Si alzò dalla posizione accovacciata a terra, stirando i muscoli tesi mentre osservava la scena che circondava il corpo. Non c'era niente che catturasse il suo interesse, niente che indicasse qualcosa tranne ciò che aveva già dedotto fosse accaduto lì. Che peccato. C'era sempre la possibilità di qualcosa di interessante sui morti fuori dalle loro case, ma questa era così evidentemente una lite padre-figlio che non sapeva davvero perché Lestrade si fosse preso la briga di chiamarlo.

"Che cos'è quello?” chiese una voce nasale, facendogli girare la testa per guardare in direzione di chi aveva parlato.

Anderson aveva finalmente afferrato quello che tutti gli altri avevano già notato. "Da dove viene quel bastardino e cosa ci fa sulla mia scena del crimine?"

Sherlock gli fece una smorfia. "Se avessi effettivamente usato gli occhi che hai in testa, non solo avresti notato quel cane molto prima, ma ti saresti anche reso conto che è un cane di razza pura, strigliato e ben curato, Anderson. La razza specifica in questo caso è Retriver Nova Scotia Duck Tolling. "

"E ovviamente tu puoi dire tutto ciò a colpo d'occhio,” disse Anderson, con tono scettico.

"Certo che no," replicò Sherlock, alzando gli occhi al cielo nel modo più plateale possibile. "Lo so perché l'ho portato io con me."

L'altro lo fissò, incrociando le braccia. "Quindi arrivare sulle scene del crimine e curiosare non ti basta più, vero? Adesso devi incasinarle ancora di più contaminandole con false prove?"

Sherlock sbuffò. "Dopo che sei stato tu sulla scena del crimine, non è rimasto quasi nulla da contaminare, Anderson. E come farà il mio cane a farlo da lì, di preciso?"

Ma perfino mentre parlava, poteva vedere il modo in cui Anderson stava guardando John: diffidente, vagamente disgustato, ma soprattutto spaventato. Paura dei cani, allora. Di certo non una sorpresa. Sherlock immaginò che molti animali reagissero male a tipi come Anderson, i sensi più acuti si rendevano immediatamente conto della sua vera natura di essere umano disgustoso. Cosa si diceva, in fondo? ‘Non ci si deve fidare di una persona non amata dagli animali e dai bambini piccoli.’ Un uomo intelligente, quel Carl Hilty. Prese nota mentale di orchestrare un incontro tra Anderson e un bambino di due anni per testare questa teoria.

"Non vedo perché hai dovuto portare un cane sulla scena del crimine, prima di tutto," gli sibilò Anderson, chiaramente a corto di argomenti validi.

Sherlock sospirò. "Perché stavo già passeggiando con lui quando Lestrade mi ha chiamato qui. Vivo proprio dall'altra parte del parco. Di sicuro ne sei consapevole, a meno che il tuo senso dell'orientamento non sia carente quanto le tue capacità professionali."

Prima che Anderson avesse la possibilità di rispondere, si voltò e guardò Lestrade. "Abbiamo finito qui? Ti ho già detto tutto di questo. È stato ucciso da suo figlio, un incidente mentre litigavano, forse per i soldi. Niente d’impegnativo. Sono sicuro che troverai il figlio molto sconvolto e pronto a confessare ora che ha avuto un paio d'ore per superare il primo shock e rendersi pienamente conto di quello che ha fatto.”

"Sì, va bene," sospirò Lestrade, agitando la mano in un movimento per scacciarlo. "Vai a giocare con il tuo, uh, cane."

Sherlock alzò gli occhi al cielo, ma si allontanò a grandi passi verso il punto in cui John era seduto sull'erba accanto a Donovan.

John balzò in piedi alla sua vista, scodinzolando e avanzando per leccargli la mano. Sherlock prese mentalmente nota di lodarlo per la sua recitazione una volta che tutto questo fosse finito.

"È un cane adorabile, te lo concedo,” disse Sally mentre gli restituiva il guinzaglio. "Quanto tempo starà con te?"

Sherlock sbatté le palpebre. Donovan stava facendo conversazione? La guardò con diffidenza, ma sembrava sincera. Alzò le spalle. "Dipende. Almeno un paio di settimane. I miei genitori sono in vacanza e dopo avranno operai in casa per lavori di ristrutturazione; lui si metterebbe solo in mezzo.”

Lei sorrise. "Non sapevo che avessi dei genitori. Ho sempre mezzo sospettato che ti fossi schiantato qui con il tuo disco volante per un incidente."

Lui sbuffò. "È il meglio che puoi inventare, sul serio? Sono deluso, Sally." Si passò pigramente il guinzaglio nell'altra mano. "Andiamo, Johnny. È ora di riprendere la nostra passeggiata."

 

 


NdT: Johnny sta sposando ben bene la propria natura di cane, no? 😊

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Capitolo 5
*** 5 ***


 Capitolo 5 

 

John scodinzolò eccitato mentre Sherlock si riprendeva il guinzaglio da Sally e iniziava ad allontanarsi. Finalmente! Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, ma gli era sembrata un'eternità, costretto a restare indietro e ad aspettare che Sherlock finisse di esaminare il corpo. E per quanto andasse bene farsi grattare le orecchie da Donovan, non era niente in confronto all’avere Sherlock proprio lì e in movimento.

Notò che la sua lingua ciondolava e cercò di ritirarla indietro, ma la sua eccitazione era quasi travolgente. Era questo il modo in cui si sentivano di solito i cani quando i loro proprietari tornavano da loro?

Sbatté le palpebre. Sherlock non era il suo proprietario. Sherlock era suo amico e in quel momento poteva fingere di essere il suo proprietario, ma loro due erano uguali. Bisognava che se ne ricordasse.

Nel momento in cui furono fuori dalla vista della polizia, Sherlock si chinò e rimosse il guinzaglio dal collare di John.

"Ecco qua,” disse. "Corri, ma resta su questo campo. La tua capacità di leggere i segnali è gravemente compromessa e ai cani non è permesso correre liberi in ogni area del parco.”

John abbaiò una volta e se ne andò, eccitato all’idea di sgranchirsi finalmente le gambe. Non aveva ancora avuto la possibilità di correre in quella forma e qualcosa in lui lo stava sollecitando a vedere quanto poteva essere veloce.

Il vento gli sferzava il pelo e lui abbaiò di nuovo mentre lo pervadeva la pura gioia di correre alla massima velocità. Scattò per quasi per tutto il grande prato, sterzando di tanto in tanto per evitare gli occasionali alberi o persone sdraiate su coperte da picnic.

Guardandosi intorno, si rese conto di essere corso molto più lontano di quanto si aspettasse, quindi si voltò e tornò verso il lontano puntino scuro che sapeva essere Sherlock, che aveva continuato a camminare lungo il sentiero, del tutto senza fretta e apparentemente occupato con il suo telefono .

John balzò verso di lui e gli saltellò intorno solo perché poteva. Era stato fantastico! Non sapeva che fosse possibile correre così in fretta, non aveva mai raggiunto questo tipo di velocità nemmeno durante i giorni in cui giocava a rugby.

"Immagino tu stia scorgendo i vantaggi di questa forma?” chiese Sherlock con tono gentile. "Dovrò ricordarmi di portare una palla la prossima volta, per farti avere qualcosa da inseguire."

John pensava che sarebbe stato abbastanza felice d’inseguire Sherlock stesso, ma dovette ammettere che quella avrebbe potuto essere una gara davvero molto breve. Si chiese se inseguire una palla sarebbe stato eccitante come lo era stata la semplice corsa. Forse c'era un modo per testare quella teoria?

Balzò via di nuovo, dirigendosi verso il boschetto di alberi più vicino. Dopo aver annusato un po’, trovò quello che stava cercando. Un bastone. Perfetto!

Lo prese tra i denti e tornò di corsa da Sherlock, che si era avvicinato a una panchina lì accanto e che sollevò un sopracciglio alla vista del bastone.

"Sul serio, John?"

John lasciò cadere il bastone ai piedi di Sherlock, privatamente divertito all’idea di farlo chinare per recuperarlo.

"Ti rendi conto che a casa abbiamo un assortimento perfettamente accettabile di palline da tennis, vero?” chiese Sherlock.

"Sì," avrebbe voluto dirgli John. "Ma non ci son molto utili là quando noi siamo qui."

Dato che non poteva parlare, decise di uggiolare e di dare dei colpetti al bastone con il naso.

Sherlock sospirò. "Molto bene, allora."

Si chinò, raccolse il bastone e si alzò. "Pronto?"

John gli sbuffò.

Sherlock sogghignò. "Piglia!"

E lanciò il bastone più lontano che poteva.

John corse. Con gli occhi fissi sul bastone cercò di calcolare dove avrebbe cominciato a scendere ed estrapolò una probabile zona di atterraggio, poi accelerò per raggiungerla in tempo.

Non riuscì ad arrivare in tempo per afferrarlo a mezz’aria e fece quasi una capriola mentre cercava di fermarsi e raccoglierlo da terra.

Afferrando saldamente lo stecco tra i denti, corse da Sherlock, scodinzolando e con il sangue che gli correva nelle vene. Era stato divertente!

Si fermò di fronte al detective, guardandolo in attesa.

"Cosa, di nuovo?" Suonando sia divertito che leggermente esasperato, Sherlock afferrò il bastone.

John avrebbe sogghignato, con un improvviso pensiero dispettoso in mente, e si rifiutò di allentare la presa. Mentre Sherlock tirava un'estremità del bastone, lui tirò l'altra, del tutto incapace di impedire alla sua coda di scodinzolare mentre si lanciavano in un ostinato tiro alla fune.

"Alla fine dovrai lasciarlo andare se vuoi che te lo tiri di nuovo," gli disse Sherlock, alzando gli occhi al cielo per l'apparente inutilità dell'esercizio. Tuttavia, John notò che il suo amico non allentava nemmeno per un momento la presa sull'estremità del bastone. Gli venne in mente che forse a Sherlock segretamente piaceva giocare con lui.

Dopo un po’ cedette il bastone, desiderando che Sherlock lo lanciasse di nuovo. Questa volta, Sherlock scelse un'altra direzione e John si slanciò da quella parte.

Mentre attraversava il marciapiede sulla via del ritorno, sentì un’acuta trafittura alla zampa anteriore sinistra e guaì, lasciando cadere il bastone per la dolorosa sorpresa.

"John?" chiamò Sherlock dalla panchina. "Che cos'è?"

John uggiolò, in preda al panico. Cos’era stato? Era stato punto da un'ape? Alzò la zampa, cercando di guardarne la parte inferiore, ma la sua coordinazione non era ancora all'altezza del compito.

Dei passi si precipitarono verso di lui e un attimo dopo Sherlock gli si accovacciò accanto. "Ecco, fammi vedere. Stai fermo."

Una mano afferrò la gorgiera di John per rafforzare il messaggio e lui s’immobilizzò obbediente mentre l'altra mano di Sherlock gli afferrava la zampa e la girava con delicatezza in modo da poter dare un'occhiata. L'odore del sangue raggiunse il suo naso sensibile e lui uggiolò di nuovo.

"Sembra che tu abbia calpestato un frammento di vetro," gli disse Sherlock. Stava chiaramente cercando di sembrare calmo, ma John poteva sentire l'odore della preoccupazione e della gelida furia che s’irradiavano da lui. "Le persone di questi tempi! Gettano la loro spazzatura dappertutto come se non ci fosse un bidone perfettamente utilizzabile a meno di un metro di distanza."

John sbuffò. Sebbene potesse essere d'accordo con il sentimento espresso, era più preoccupato per il possibile danno che un pezzo di vetro sudicio avrebbe potuto provocare nel suo corpo, per non parlare di tutta la sporcizia che poteva essere entrata nel suo organismo attraverso il taglio.

"È meglio che ti porti da un veterinario,” disse Sherlock. "Le mie limitate conoscenze mediche non si estendono ai cani e non oso rattopparti io stesso con le risorse che abbiamo a Baker Street. Puoi camminare?"

John ci provò, ma essendosi a malapena adattato a camminare su quattro zampe si trovò del tutto incapace di compensare un arto non disponibile.

Scosse la testa.

"Va bene,” disse Sherlock. "Ti porteremo là in un altro modo, allora. Non divincolarti."

Ficcò il guinzaglio in una delle tasche del cappotto, infilò le braccia sotto il corpo di John che non opponeva resistenza e lo sollevò senza tante cerimonie.

John guaì scioccato e quasi si divincolò dalla sua stretta per pura sorpresa, ma riuscì a mantenere la calma appena in tempo. Sherlock aggiustò un po’ la presa, sospirando. "Sei più pesante di quanto sembri, John. Forse ti porterò più spesso a fare passeggiate per farti dimagrire."

A questo John emise un debole ringhio, ma non ebbe l'energia per protestare mentre Sherlock lo portava in fretta all'uscita del parco più vicina, dove lo fece scendere e chiamò un taxi con un gesto imperioso del braccio.


*****


"Niente animali sul sedile,” disse l'autista mentre Sherlock apriva di scatto la portiera della vettura.

"Non sia ridicolo, il mio cane ha bisogno di essere immediatamente visitato da un veterinario," scattò Sherlock e snocciolò l'indirizzo al veterinario più vicino. A volte, conoscere ogni strada di Londra era terribilmente utile. "Pagherò il doppio della solita tariffa se ci arriva in ​​meno di dieci minuti."

Sollevò John dentro il taxi prima che l'autista potesse protestare ulteriormente. Almeno i taxi di Londra avevano abbastanza spazio sul pavimento perché lui potesse starci comodamente, e questo era più pulito della maggior parte degli altri. Le mattine erano un momento eccellente per prendere taxi puliti, aveva scoperto.

Si appoggiò allo schienale del sedile, prese nota dell'ora e tenne gli occhi su John durante il viaggio. Era assolutamente incapace di resistere all'impulso di allungare il braccio e far scorrere di tanto in tanto la mano attraverso la folta pelliccia della schiena di John e non vedeva motivo di fermarsi. Qualsiasi proprietario di cani preoccupato avrebbe tentato di mantenere calmo il proprio animale domestico in una situazione di stress come questa.

Sherlock, tuttavia, sospettava di essere più stressato lui di John, che sedeva stoicamente tra le sue gambe, rivolto in avanti e mantenendo il peso lontano dalla zampa anteriore ferita.

Si fermarono davanti all'indirizzo richiesto dopo nove minuti e mezzo e Sherlock mantenne la parola, gettando i soldi all'autista e dicendogli di tenere il resto mentre spingeva la portiera e sollevava John fuori dal taxi.

Marciò attraverso le porte automatiche, dritto alla reception, e scattò: "Ho bisogno di un appuntamento immediato. Il mio cane ha subito un infortunio.”

L'addetta alla reception, giovane, con un finto sorriso, un finto accento elegante e finti jeans firmati, ebbe l’ardire di chiedere ulteriori informazioni, quindi lui le sbuffo contro e, con una rapida occhiata al layout della clinica, marciò dritto oltre al banco della reception e verso la sala delle visite.

"Signore, non può semplicemente...!"

Lui la ignorò, abbassò la maniglia della porta con il gomito e spaventò seriamente una veterinaria di mezza età nel bel mezzo delle pratiche di archiviazione irrompendo nella stanza e posando John sul tavolo.

"Si è ferito alla zampa anteriore sinistra,” disse, prima che la donna potesse fare di più che aprire la bocca e prendere fiato. "Lo faccia stare meglio.”

John gli lanciò uno sguardo incredulo, rispecchiato dal veterinario.

Dietro Sherlock, apparve l'addetta alla reception. "Mi dispiace, dottoressa, ha semplicemente fatto irruzione!"

"Ho notato,” disse la veterinaria, alzando gli occhi al cielo. "Va bene, Jenny. Sai come si comportano le persone con i loro animali domestici."

Sorrise educatamente a Sherlock. "Ora, signore, capisco che lei sia preoccupato per il suo amico, ma ci sono alcune regole e una di queste è registrarsi alla reception. È lì per questo."

L'impazienza fece alzare gli occhi al cielo al detective. "Per cosa? Non c'erano altri pazienti, né in sala d'attesa né qui con lei. Non lascerò che il mio cane soffra per un secondo più a lungo del necessario a causa delle scartoffie e mi rifiuto di permettere che lei, come veterinaria iscritta all’albo, faccia qualcosa di diverso. Se avere a che fare con un taglio causato da un pezzo di vetro va oltre le sue capacità, me lo dica subito e troverò un posto con qualcuno che sia davvero competente.”

Vide John alzare gli occhi al cielo prima di accasciarsi sul tavolo con uno sbuffo. Fortunatamente, la veterinaria non poteva scorgere la sua espressione dal punto in cui si trovava, ma per Sherlock il messaggio era fin troppo chiaro: ‘Non fare lo stronzo.’

Trasse un respiro e ingoiò il rospo. "Le porgo le mie scuse. Sto facendo il dog-sitter per mia madre e lei è una donna spaventosa con cui avere a che fare, in particolare per quanto riguarda Johnny, qui."

John girò la testa per fissare la veterinaria con occhi pieni di sentimento. Sherlock non aveva idea di come avesse fatto, ma la donna si sciolse visibilmente.

"Molto bene, allora. Ma mi aspetto che lei paghi immediatamente il conto."

Sherlock agitò una mano sprezzante. "Bene. Adesso lo aggiusti."

Lei gli scoccò un’occhiataccia, ma la sua riluttanza a far soffrire qualsiasi animale venne in suo aiuto e si mise al lavoro.

Sherlock incrociò le braccia e guardò mentre ispezionava con attenzione la ferita.

"Il suo cane si sta comportando molto bene,” disse distrattamente, accarezzando la testa di John con una mano. "Come ha detto che si chiama?"

“Johnny,” disse Sherlock in breve.

"Be’, può essere ben addestrato, ma a nessuno piace il dolore. Può venire qui e tenergli la testa mentre estraggo il vetro? Se cerca di mordere, le cose potrebbero diventare complicate e dovremmo cercare di evitarlo."

“È troppo intelligente per mordere la mano che lo cura," le disse Sherlock. John non era stupido, certo che non l'avrebbe morsa! Stupida donna.

Lei alzò gli occhi al cielo. "Sono sicura che capirà perché non le crederò sulla parola. Ora gli tenga la testa o chiamerò la mia assistente e gli sarà messa la museruola."

"Oh, per l'amor del cielo!" Con uno sbuffo, Sherlock si spostò in avanti e afferrò la testa di John, assicurandosi di mantenere la presa delicata. "Ora fai il bravo ragazzo e non muoverti,” ordinò.

John roteò gli occhi per lanciargli uno sguardo incredulo. Sherlock si chiese fosse un volo di fantasia pensare che significasse 'quanto stupido credi che io sia?'

Sherlock mosse in cerchio il pollice lungo la guancia di John in una risposta senza parole. La pelliccia calda era piacevole al tatto e per quanto sapesse che John aveva subito ferite molto peggiori, voleva comunque distrarlo come meglio poteva.

John rimase perfettamente immobile mentre la veterinaria estraeva con cura il frammento di vetro con un paio di pinzette, ma gli sfuggì comunque un uggiolio interrotto. Sherlock strinse un po’ la presa e si permise di far scorrere due volte le dita attraverso il pelo corto sotto l'orecchio di John.

"Ha fatto le vaccinazioni?" chiese la veterinaria mentre iniziava a pulire la ferita.

Sherlock esitò. Cosa dire? John era meticoloso nel fare tutti i tipi di vaccini al momento opportuno e aveva costretto Sherlock a rinnovare anche i propri. Argomenti come ‘Con il numero di volte in cui ti ferisci in vicoli sudici, non rimanderemo il tuo richiamo per il tetano’ erano stati difficili da ignorare. Ma quanti di questi vaccini avrebbe dovuto avere un cane? Avrebbero danneggiato l'umano intrappolato in questo corpo o addirittura avrebbero impedito agli scienziati di Mycroft di riportarlo alla sua forma corretta?

"Sì,” disse prima che il silenzio potesse protrarsi troppo a lungo. "Siamo molto meticolosi al riguardo."

La dottoressa annuì e procedette a disinfettare la ferita prima di andare alla ricerca delle bende. "È stato castrato?"

Sherlock quasi si strozzò con la sua stessa saliva. “No.”

"Le piacerebbe farlo fare?"

Lui pensò alla sfilata infinita delle ragazze di John. Pensò di guardarlo flirtare con qualunque donna che fosse finita nelle sue vicinanze. Fu dolorosamente tentato.

E poi intercettò lo sguardo di John. "No, grazie. Non sono libero di prendere questo tipo di decisioni."

La dottoressa scrollò le spalle e applicò con cura la benda. "Molto bene. La ferita non era grave come sembrava e ho rimosso tutte le particelle di sporco. Si assicuri che non usi questa zampa per un giorno o due per dargli il tempo sufficiente per guarire. Lui cercherà di camminare nonostante l'infortunio e dovrebbe lasciarglielo fare una volta passato questo periodo di tempo. Se non mostra segni di miglioramento dopo tre giorni, torni e daremo un'altra occhiata. Se la sua zampa è calda al tatto o lui inizia a comportarsi in modo diverso, torni subito."

"Grazie." Sherlock si chiese se avesse fatto un lavoro sufficiente a nascondere il suo sollievo, ma a giudicare dallo sguardo che la donna gli rivolse, lei non si lasciò ingannare.

"Le sue buone maniere richiedono un po’ di lavoro, signore, ma posso rispettare un uomo che fa del suo animale domestico una priorità." Gli porse la mano.

Sherlock, leggermente sorpreso, allungò il braccio e gliela strinse con decisione prima di spostarsi per raccogliere John. "Andiamo, Johnny. Ti portiamo a casa. Dovrò dire a Lestrade che se ha un bel delitto per noi, dovrà trasferire la scena del crimine nel nostro appartamento."

John fece un rumore che suonava come uno sbuffo e in risposta diede un colpetto con la testa al braccio di Sherlock. La veterinaria sembrava semplicemente inorridita, il che poteva essere la causa della sua reazione.

Sherlock tentò un sorriso benevolo. "Le classi criminali non riposano mai, dottoressa. Qualcuno deve fermarle. Ora, aveva detto qualcosa sul pagamento immediato?"

 

 


NdT: Sherlock, Sherlock, di quella castrazione ti saresti pentito! 😂

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Capitolo 6
*** 6 ***


 Capitolo 6 

John odiava essere ferito. Lo odiava.

Aveva pensato di averla fatta finita con lo zoppicare dopo che Sherlock aveva curato la sua ferita psicosomatica alla gamba, ma eccolo di nuovo, incapace di muoversi e scontroso per questo. La sensazione era solo aumentata dal fatto che aveva corso veloce come il vento soltanto per pochi istanti prima dell'incidente. Era estremamente frustrante. Voleva correre di nuovo! Ora che ne aveva avuto un assaggio, ne voleva di più. Doveva esserci qualche vantaggio nell'essere un cane ed era sicuro che fosse questo: sensi più acuti, velocità aumentata.

Essere derubati di uno di questi vantaggi così presto dopo averlo scoperto era semplicemente ingiusto.

Giaceva rannicchiato sulla sua poltrona, dove Sherlock lo aveva depositato al loro ritorno. Quel pazzo si era assolutamente rifiutato di lasciare che lui facesse da solo anche un singolo passo. E poiché non c'era altro modo in cui Sherlock potesse aiutarlo, questo lo aveva portato a trasportare John in giro come un sacco di patate.

Sherlock aveva soffiato e sbuffato e si era lamentato del peso di John e lui era stato in grado di sentire la tensione nella sua voce e l'aumento del battito cardiaco, ma quell'uomo testardo si era rifiutato di metterlo giù.

E ora John era raggomitolato nella sua poltrona e guardava Sherlock che camminava su e giù per la stanza, borbottando tra sé.

Vale a dire, avrebbe borbottato a se stesso, se non fosse stato per l'udito superiore di John.

“... comportamento assolutamente inaccettabile. Farò qualcosa al riguardo, aspetta e vedrai! A cosa servono i bidoni se poi le persone non li usano? A cosa serve il cervello delle persone se non riescono nemmeno a cogliere il semplice concetto di smaltimento dei rifiuti?!"

E così via.

John desiderava essere in grado di parlare in modo da poter sottolineare che Sherlock stesso aveva dei terribili precedenti nel buttare via qualsiasi cosa e chiaramente non si curava della raccolta differenziata. Dal momento che non poteva, rimase semplicemente lì sdraiato, con la testa sul bracciolo della poltrona, la zampa ferita sul bordo del sedile, e guardò Sherlock che camminava e sbraitava.

Era commovente, in un certo senso, quanto fosse arrabbiato Sherlock per la sua ferita. In momenti come questo era facile immaginare che gli importasse, dopotutto. No, non era giusto. John sapeva che gli importava. Adesso era più facile da vedere, però, come se la sua forma mutata avesse in qualche modo dato a Sherlock la libertà di essere più onesto riguardo ai propri sentimenti di quanto non sarebbe stato altrimenti.

O forse quella forma aveva semplicemente messo John in una posizione migliore per capirli.

A parte lo sfogo, lo stesso profumo di Sherlock era stato carico di sfumature di ansia e preoccupazione durante il loro viaggio dal veterinario e l'intero tragitto di ritorno al 221b, solo per essere gradualmente sostituito dalla furia lungo la strada.

Fu distratto dai propri pensieri dal rumore della porta dell'appartamento della signora Hudson, seguito dai suoi passi nel corridoio e poi su per le scale.

"Ehilà!" chiamò la donna, bussando allo stipite della porta prima di entrare. "Buongiorno, ragazzi! Sherlock, sono appena le nove di mattina e stai già scavando un solco nel tappeto! Avete fatto colazione? Sono sicura che a quest'ora John ti avrebbe costretto a farla, se avesse potuto parlare."

"Oh, è riuscito comunque a trasmettere il messaggio in modo abbastanza chiaro," le disse Sherlock con un gesto sprezzante della mano.

"Ecco un bravo ragazzo,” disse la signora Hudson, cadendo automaticamente nella trappola di parlare con John come se lui non fosse in grado di capire frasi complesse.

Si avvicinò per accarezzargli la testa, poi notò la sua zampa fasciata. "Oh mio Dio! Cos'è successo?"

"Solo un piccolo incidente durante la nostra passeggiata, stamattina," ringhiò Sherlock. "Sto contemplando l’opportunità di trovare il colpevole e di farlo camminare su schegge di vetro per vedere quanto gli piace. A piedi nudi, ovviamente."

La signora Hudson tubò, sedendosi sul bracciolo della sedia di John e arruffandogli la pelliccia. "Scempiaggini, Sherlock. Trovare tutte le persone a Londra che gettano i rifiuti per terra. Potresti arrestare metà della popolazione e comunque non fare la differenza."

Sherlock sbuffò e continuò a camminare e borbottare.

"Non badare a lui,” disse la signora Hudson a John, con la mano che correva lungo la sua spina dorsale in un movimento meravigliosamente rilassante, ancora e ancora. "È solo preoccupato per te, caro. Ha il cuore al posto giusto, quello, anche se non si direbbe dal modo in cui si comporta di solito." Fece l'occhiolino e fece un cenno con la testa in direzione di Sherlock. "Non preoccuparti, però. Nonostante le sue molte stranezze, non ha mai mostrato interesse per la bestiality, anche se ho sentito che c'è molto da dire a favore della pecorina."

La bocca di John si spalancò per l'orrore scandalizzato.

Una breve occhiata a Sherlock confermò che anche il suo amico di solito imperturbabile sembrava debitamente spiazzato.

"Signora Hudson!"

"Non c'è bisogno di usare quel tono," lo rimproverò lei. "Stavo solo dicendo...”

"Un sacco di sciocchezze," Sherlock completò la sua frase con fermezza. "Comunque, per che motivo è venuta quassù?"

"Oh, volevo solo assicurarmi che tu avessi qualcosa da mangiare. Dato che John non è in grado di cacciarti a forza un po’ di cibo in gola di tanto in tanto, sono abbastanza preoccupata che deperirai."

"Non sia ridicola, sono perfettamente in grado di badare a me stesso."

La signora Hudson e John gli scoccarono identiche occhiate d’incredulità. Sherlock li ignorò.

"Ragazzo testardo,” disse dolcemente la padrona di casa, grattando l'orecchio destro di John. Lui inclinò la testa all'indietro per la beatitudine. "Assicurati che mangi qualcosa, John, perfino se dovessi trascinarlo al frigo per la manica."

 Lui annuì con vigore, facendola ridere. "Questo è il mio ragazzo. Allora, adesso vi lascio stare. Sherlock, ricorda che John ha bisogno di qualche tipo di esercizio anche se deve tenere la zampa sollevata finché non guarisce. È ora di usare quel grande cervello e trovare un modo per giocare con lui.”

Accarezzò un'ultima volta la testa di John, si alzò dalla poltrona e se ne andò con un'altra pacca sulla schiena di Sherlock.

"Quella donna," mormorò Sherlock una volta che lei ebbe sceso le scale e ebbero sentito chiudersi la sua porta. "Sono quasi contento di non averla mai incontrata quando era ancora giovane; dev’essere stata un’inarrestabile forza della natura."

John abbaiò d'accordo.

"Ma non ha tutti i torti," continuò Sherlock e per un momento John poté sentire il suo cuore fermarsi mentre la sua mente balzava immediatamente all'osservazione scandalosa della loro padrona di casa. "Hai bisogno di qualcosa che ti tenga occupato. Vediamo cosa possiamo escogitare."


*****


Circa un'ora dopo, l'ispettore investigativo Greg Lestrade entrò nel 221b con una sensazione di divertito timore. Certo, aveva visto Sherlock e John solo quella mattina e sembravano entrambi stare bene, ma chi sapeva cosa sarebbe potuto succedere da allora.

Non era quindi neanche lontanamente preparato a trovarli in soggiorno, le loro poltrone accostate più del solito l'una all'altra, ciascuno degli abitanti dell'appartamento sulla propria rispettiva poltrona, impegnati in una gara di tiro alla fune evidentemente molto seria con un vecchio asciugamano logoro.

La sergente Donovan, che entrò nella stanza dietro di lui in uno stato d'animo scontroso a causa della propria presenza forzata qui, soffocò un rantolo.

"Voglio sapere cosa stai facendo?” chiese Lestrade, esasperato.

"Avrei pensato che fosse evidente,” disse Sherlock, senza nemmeno preoccuparsi di alzare lo sguardo. Stava cercando di far abbassare gli occhi a John, la presa sull'asciugamano implacabile. "Sto cercando di capire per quanto tempo Johnny qui può mantenere una pressione costante della mascella. Potrebbe essere utile per abbattere un sospetto e tenerlo fermo finché non arrivate sulla scena."

"E io che pensavo che ti avessimo beccato a comportarti da essere umano, per una volta," sospirò Donovan. "Non puoi semplicemente giocare con lui come una persona normale?"

"Come puoi vedere, sto unendo l'utile al dilettevole," replicò Sherlock. "Questo mi dà una maggiore conoscenza lavorativa dei suoi punti di forza e lo tiene occupato senza muoversi troppo.”

"Sì, cosa è successo al suo piede?"

Sherlock lo guardò accigliato. "È una zampa e lui se l’è tagliata. Per inciso, ho bisogno che trovi il responsabile e lo arresti."

"Per cosa, di preciso?"

"Gettare la spazzatura per terra."

Il DI si pizzicò esasperato il ponte del suo naso. "Sherlock, non posso arrestare qualcuno per abbandono di rifiuti!"

"A cosa servi, allora? Questa persona ha gettato pericolose schegge di vetro non nel cestino della spazzatura, ma invece su un marciapiede a Regent's Park. Ed è per questo che ho dovuto portare Johnny dal veterinario questa mattina."

Sherlock guardò Donovan al di là di Lestrade. "Hai qualcosa da aggiungere?"

"Non guardare me,” disse lei, alzando le mani sulla difensiva. "Sono l'ultima persona che si metterà sulla tua strada se vuoi arrestare le persone per aver sporcato la città. Divertiti a convincere i legislatori a renderlo un reato capitale, però.”

Sherlock la guardò come se le fosse appena cresciuta una seconda testa. "Donovan, sei brillante. Ora andatevene tutti e due, devo chiamare mio fratello."

John emise un guaito e Sherlock diede un forte strattone, tirando l'asciugamano verso di sé. "Ah! Ti ho fregato!"

Lestrade provò l’improvviso impulso di seppellire il viso tra le mani e aspettare finché il mondo non avesse deciso di avere di nuovo un senso. "Per favore, Sherlock. Cerca di essere ragionevole. So che John al momento è via e quindi non è in grado di fare tutto ciò che fa per trasformarti in un adulto funzionante, ma potresti fare lo stesso un tentativo?"

Invece di rispondere, Sherlock gettò di nuovo a John un'estremità dell'asciugamano e aspettò che lui l’afferrasse con i denti. Solo quando ebbero ricominciato a tirare avanti e indietro gli rispose.

"Cosa vuoi?"

"Qualche altra informazione che vorresti condividere sul nostro omicidio di questa mattina?"

Sherlock sospirò. "Ti ho già detto tutto. Suo figlio l’ha ucciso in una discussione sui soldi. Quanto può essere difficile trovarlo e arrestarlo?"

"Oh, l'abbiamo trovato benissimo,” disse Donovan, incrociando le braccia. “È saltato fuori che è morto anche lui."

"Suicidio?"

"Solo se fosse letteralmente riuscito a pugnalarsi alla schiena." Lestrade mostrò un primo piano della ferita.

Sherlock diede uno sguardo alla foto e poi la guardò più a lungo. "Interessante."

Fece cenno con una mano. "Dammela qui, voglio un’occhiata più da vicino."

John diede uno strattone e l'asciugamano scivolò fuori dalla presa di Sherlock.

Sherlock accettò la foto di Lestrade e lanciò a John uno sguardo cupo. "Non è una vittoria quando non sto prestando attenzione.”

John sbuffò.

"Penso che non sia d'accordo,” disse Donovan, sorridendo, e si avvicinò per arruffare la testa di John.

Sherlock trasferì la sua occhiataccia su di lei prima di riportare la propria attenzione sull'immagine. "Penso che possiamo tranquillamente presumere che sia improbabile che si sia pugnalato da solo. Hai un’ora del decesso o anche solo una stimata?"

"In qualche momento delle prime ore del mattino," gli disse Lestrade. "Ho alcuni agenti che stanno esplorando il quartiere. Forse troveremo un testimone."

"Così è morto dopo suo padre. Forse lo ha ucciso ed è tornato a casa per trovare il suo stesso assassino che già lo aspettava."

"Ma quale possibile motivo potrebbe esserci? A meno che quella persona non abbia aiutato anche con lo spostamento del corpo del padre."

Sherlock scosse la testa. "Non c'erano segni di una seconda persona nel sito. No, il padre è stato ucciso proprio lì nel parco. Suppongo sia possibile che qualcuno abbia assistito all'omicidio e abbia affrontato il figlio, o che lui si sia confidato con qualcuno... la madre potrebbe essere un potenziale sospetto, ma di rado le donne uccidono i loro figli adulti. Matrigna?"

"Farò controllare da qualcuno," promise Lestrade. "Ma non è nel tuo stile stare seduto qui e inventare teorie. Quello possiamo farlo noi per conto nostro. Vengo da te quando ho bisogno di prove concrete, Sherlock."

"Be’, non lascio Johnny qui da solo, ovviamente, e lui non può camminare. Quindi o mi porti qui la scena del crimine o impari un po’ di pazienza e aspetti due giorni finché non siamo pronti e disposti a lasciare di nuovo l'appartamento. "

"O forse proveremo il nuovo approccio di risolvere il caso da soli," suggerì bruscamente Sally.

Lui le lanciò uno sguardo di assoluta incredulità, poi scrollò le spalle. "Potete certo provare. Fatemi sapere quando l’avrete fatto, così saprò di non sprecare energie mentali per questo."

Lestrade sospirò. "Potreste almeno provare ad andare d'accordo per una volta?"

"No,” dissero all'unisono i due, facendogli alzare gli occhi al cielo.

"Bene. Donovan, potresti aspettarmi di sotto? C'è qualcos'altro di cui devo parlare con Sherlock. In privato.”

"Volentieri." La donna accarezzò John un'ultima volta e se ne andò.

Lestrade aspettò che la porta d'ingresso si fosse chiusa alle spalle della sua sergente prima di voltarsi di nuovo verso Sherlock e John. "Come state voi due? Tutto bene, John? Ti stai abituando a tutto questo casino?"

John uggiolò verso di lui e inclinò la testa di lato.

"Lo prendo nel senso di 'come ci si può aspettare' ,” disse Lestrade. "Non hai tutti i torti."

"Stiamo bene," borbottò Sherlock. "Davvero, Lestrade, so come prendermi cura di un cane e sono perfettamente in grado di comunicare con John, non importa quanto lui possa essere non verbale."

A quello John fece un suono come uno sbuffo. Sherlock finse di non sentirlo. "L'infortunio è fastidioso, ma possiamo intrattenerci abbastanza bene per conto nostro. Ci sono un sacco di esperimenti non invasivi che posso eseguire che non richiedono che John si muova molto. Non appena sarà di nuovo in piedi, faremo un salto allo Yard per un aggiornamento sul caso."

Lestrade annuì.

"C'era qualcos'altro?"

Il DI esitò. "Be’... mi stavo solo chiedendo... quanto tempo ti aspetti che duri questa situazione?"

"Il veterinario ha detto che sarebbe tornato alla sua normale gamma di movimento..."

"Non quella!" lo interruppe Lestrade. "L'intera faccenda di John-è-un-cane. Cristo."

"Oh." Sherlock ci pensò per un momento. "Non lo so. Mycroft ha messo i suoi migliori scienziati a lavorarci su, ma al momento stanno preparando una serie di lotti di prova. Ovviamente mi rifiuto di far loro usare John come cavia per i sieri improvvisati che sono riusciti a distillare da quando siamo partiti, ieri. A meno che non possano presentarci una soluzione il più possibile priva di rischi date le circostanze, non si troveranno nel raggio di cinque chilometri da lui. Potrebbero volerci un paio di settimane. Sono certo che ci adatteremo."

John uggiolò e lasciò cadere la testa tra le zampe, con aria rassegnata.

Lestrade allungò una mano e gli diede una pacca sulla schiena. "Pazienza, John. Rideremo di questo sopra un paio di birre abbastanza presto, vedrai."


*****


Il resto della giornata trascorse in una serie di sonnellini intervallati da Sherlock che era il solito folle se stesso.

John, da tempo abituato a oziare mentre Sherlock impazziva per la claustrofobia , trascorse molto tempo acciambellato sulla sua poltrona, sul pavimento, sul divano e talvolta anche nella cuccia sorprendentemente comoda. Con propria compiaciuta sorpresa, aveva scoperto che i cani erano maestri nel dormire quando decidevano di essere pigri. Non così bravi come i gatti, ovviamente, ma ci andavano abbastanza vicino.

Sfortunatamente, Sherlock continuava a trascinarlo in un'intera raccolta di esperimenti e giochi.

"No, non mangerai dalla tua ciotola, John! È noioso e troppo veloce. Abbiamo bisogno di qualcosa che ti tenga occupato, così non ti annoierai. Ecco, ho infilato il tuo cibo in questo kong!(1)"

Inutile a dirsi, John non ne fu entusiasta. Per quanto l'ingegnosità dei fabbricanti del kong fosse ammirevole, lui aveva fame e questo gli imponeva di lavorare per il suo cibo, il che non si adattava perfettamente al relax che aveva programmato per la giornata. La parte del suo cervello che era inconfondibilmente canina, d'altra parte, era estatica.

Il risultato fu che John si ritrovò sul pavimento, di cattivo umore, tramando vendetta e sbavando mentre cercava di strappare la propria cena dal kong. E per tutto il tempo la sua coda stava scodinzolando senza consultarlo!

Sherlock, seduto a gambe incrociate sul pavimento di fronte a lui, trovò l'intera cosa divertente. Quel bastardo ebbe persino il coraggio di tenere il tempo con un cronometro.

"Mi rendo conto che dovrò riempirlo più volte per farti ottenere da questo la quantità di nutrimento necessaria, John. Pensi che questo ti terrà impegnato per oltre due ore?"

John gli lanciò un'occhiataccia al di sopra del kong, ma era troppo occupato perfino per provare a rispondere con un suono che non fosse l’ansimare.


*****


Una volta che ebbe finalmente mangiato a sazietà e furono sorprendentemente trascorse due ore e diciotto minuti (e quarantotto secondi, come Sherlock insistette per far notare), John finì per lasciare che Sherlock gli esaminasse i denti, gli occhi, le orecchie, le zampe e gli artigli.

Non c'era niente di male, dopotutto, e il tocco di Sherlock era gentile e attento. Arrivò persino a dargli avvertimenti verbali come "Sto per rovesciare l'orecchio, emetti un suono se fa male" e "Voglio toccarti i canini, non staccarmi il dito con un morso."

Dopodiché arrivò quello che sembrava un intero questionario, progettato specificamente per rispondere con chiare opzioni ‘sì’ o ‘no’, o in questo caso, sbuffo o ringhio.

Sherlock indagò sul suo stato mentale chiedendo "Descriveresti di sentirti..." e poi elencando una serie di emozioni con pause sufficienti in mezzo perché John 'spuntasse la casella' per confermare.

Chiese del dolore alla zampa e disse a John di avvisarlo se qualcosa non andava e anche di fargli sapere quando era il momento di cambiare la medicazione o almeno d’ispezionare la ferita.

"Potrei fare una foto e mostrartela,” suggerì. "Se hai problemi a vederla da solo." Sorrise. "Cane o no, non c'è niente che ti impedisca di essere il dottore di te stesso, dopotutto."

John sbuffò, ma si sentì incline a concordare.

Aspettò che Sherlock si perdesse nei suoi appunti prima di decidere che quello era un ottimo momento per esigere la sua vendetta per il kong. Sgattaiolò fuori dal soggiorno e lungo il corridoio, spalancò la porta della camera da letto di Sherlock e seguì il proprio naso verso il cassettone.

Ci vollero un po’ di manovre, ma alla fine riuscì ad aprire il cassetto giusto. Davanti a lui c'era l'indice dei calzini di Sherlock accuratamente organizzato.

Se John fosse stato in grado di sorridere, l’avrebbe fatto.


*****


Quella notte, Sherlock rimase sveglio fino a tardi. Esaminò gli appunti che aveva preso su John quel giorno, cercando in qualche modo di tenere il cane separato dall'uomo nella propria mente mentre passava al setaccio le informazioni.

Finora, il carattere di John era positivamente e assolutamente il suo, anche se una parte di lui sembrava rispondere agli stimoli in modo simile a quello che i cani avrebbero sperimentato. Sherlock suppose che ce lo si potesse aspettare e che non ci fosse niente di cui preoccuparsi.

In effetti, Sherlock era più preoccupato per il processo di trasformazione di John in un essere umano rispetto alla situazione attuale di John. E, se fosse stato sincero con se stesso, per la propria stessa reazione all'aver improvvisamente acquisito un cane al posto di un coinquilino.

Erano passati anni dall'ultima volta che aveva passato così tanto tempo con un cane, ma non aveva mai dimenticato come ci si sentiva. Compagnia. Fiducia. La consapevolezza che quell'unica creatura lo adorava così com'era, che quest’essere sarebbe sempre stato felice di vederlo, qualunque cosa fosse accaduta. Gli era mancato immensamente e avere John, tra tutte le persone, trasformato in un cane era sia orribile che stranamente piacevole. A Sherlock piacevano i cani.

Ecco perché ora si trovava un po’ in difficoltà. Gli piacevano davvero, davvero tanto i cani. E gli piaceva davvero accarezzarli. E ora eccolo lì, a condividere un appartamento con un cane dal soffice pelo bianco e rosso, con le dita che prudevano dalla voglia di toccare.

Sherlock sapeva che quello era un po’ ‘non buono’.

Questo era John, dopotutto, e accarezzare John non era qualcosa che avrebbe mai considerato.

‘Bugiardo.’ Be’, quindi forse l'aveva fatto. Ma quello non gli aveva mai, be’, raramente, fatto prudere le dita in questo modo, dato il costante bisogno di allungare il braccio e dargli qualche colpetto sulla testa, accarezzargli la schiena, grattargli quel punto dietro le orecchie che sapeva perfettamente che i cani adoravano sentir grattare. Aveva perfino la prova che questo era vero anche per John-il-cane, grazie a Sally Donovan.

Forse avrebbe dovuto davvero iniziare a tenere separati John e John-il-cane. John e Johnny. Sì. Il suo coinquilino e il suo cane.

E mentre Sherlock non vedeva l'ora di accarezzare Johnny finché non gli fossero cadute le dita, sapeva che John non sarebbe stato molto contento di un simile impegno. Semplicemente non si faceva. La semplice idea di una strofinata alla pancia divenne incredibilmente imbarazzante nel momento in cui sostituì mentalmente la forma canina con quella umana.

Quindi avrebbe dovuto accontentarsi di quelle scuse con cui avrebbe potuto farla franca. Accarezzare Johnny in pubblico per non sembrare un proprietario negligente, rubacchiare piccoli tocchi in privato con la scusa di controllarlo per eventuali ferite e...

Sherlock si arrestò, con un'idea che gli veniva in mente.

Toelettatura!

I Retriver Nova Scotia Duck Tolling avevano il pelo di media lunghezza, quindi spazzolarlo era assolutamente necessario. Riesaminò nella memoria gli oggetti che Mycroft aveva fatto consegnare dai suoi galoppini e non fu sorpreso di scoprire che erano stati incluse varie spazzole e pettini.

Va bene, allora. Ma come convincere John? Probabilmente sarebbe meglio presentarglielo come un fatto compiuto .

Sì, avrebbe funzionato. Avrebbe brontolato, si sarebbe lamentato e gli avrebbe lanciato un'occhiataccia e poi avrebbe fatto quello che faceva sempre, che era arrendersi e lasciare che Sherlock facesse a modo suo. Soprattutto perché in questo caso, Sherlock sapeva di avere tutti gli argomenti giusti dalla propria parte.

La toelettatura era importante. Un pelo lucido era importante ed era segno di un cane sano e ben curato.

Sherlock non si sarebbe fatto vedere in pubblico con un cane che potesse in qualche modo indurre le persone a presumere che lui stesse trascurando il suo compagno. Gli Yarder non avrebbero mai più chiuso il becco se avessero pensato che lui non fosse in grado di prendersi cura di un animale domestico. Soprattutto perché anche loro avevano sentito parlare della correlazione tra violenza sugli animali e serial killer.

Bene, questo risolveva tutto.

Aveva la scusa perfetta per accarezzare quanto voleva e John non aveva nemmeno una solida base morale per lamentarsene. Perfetto!

Sherlock lanciò un'occhiata alla cuccia accanto al caminetto. Era vuota.

Accigliandosi, si guardò intorno. Dov'era andato John? E come? Non avrebbe dovuto camminare!

Un rumore in cucina attirò la sua attenzione e il detective si sporse di lato per guardare oltre la poltrona di John.

John era sotto il tavolo della cucina, annusando il terreno e le gambe delle sedie, con la coda che frusciava avanti e indietro in un modo che Sherlock avrebbe classificato come distratto. Non era un movimento veloce simile a uno scodinzolio completo, piuttosto un avanti e indietro costante e pigro, l'equivalente fisico del modo in cui si potrebbe canticchiare sottovoce mentre si completa un compito.

L’idea lo fece sorridere.

"John, cosa stai facendo?"

John lo ignorò, procedendo ad annusare il resto della cucina. Quando emerse da sotto il tavolo, Sherlock vide che non stava affatto usando la sua zampa ferita, zoppicando invece su tre gambe.

"Ah. Vedo che finalmente ti fidi abbastanza del tuo equilibrio da tentare una passeggiata a tre gambe," osservò Sherlock. "Pensi di poter gestire distanze più lunghe come questa?"

In risposta, John tornò in soggiorno e si sedette di fronte a lui, inclinando la testa di lato con aria interrogativa mentre lo guardava. Dopo un momento di contemplazione, annuì.

Sherlock gli fece un cenno col capo in risposta. "Bene. Mi è venuto in mente che dovrai essere in grado di muoverti se voglio portarti a fare delle passeggiate. E a meno che tu non riesca in qualche modo a imparare a usare un gabinetto fatto per adattarsi agli esseri umani, il parco dovrà andare bene."

John gli lanciò un'occhiataccia, chiaramente scontento dell’idea.

Sherlock si chiese come fosse meglio tirarlo su di morale e inevitabilmente la sua mente tornò alla scienza. "Potrei prendere dei campioni, vedere se c'è una differenza tra i normali escrementi di cani e quelli di cani che in precedenza erano umani,” suggerì.

Lo sguardo che John gli rivolse avrebbe potuto essere stato usato come arma del delitto.

"No?”

John riuscì effettivamente a sollevare le sopracciglia, o meglio il punto in cui le sue sopracciglia avrebbero dimorato su un volto umano.

"Non buono?"

Una scossa della testa.

Sherlock sbuffò. "Bene. Ma sarebbe stato estremamente interessante."

John sbuffò e si lasciò cadere sul pavimento, con la testa appoggiata sulla scarpa destra di Sherlock.

Quel peso era un'aggiunta sorprendentemente piacevole, così come il calore che filtrava attraverso il cuoio. Sherlock si pentì solo avere addosso le scarpe e decise di girare più spesso per casa a piedi nudi.

Così com'era, John non sembrava intenzionato a spostarsi tanto presto, così Sherlock mise da parte i propri appunti, prese il giornale scientifico che aveva iniziato a leggere quel giorno e si sistemò per una tranquilla serata a casa.

Quando andò a letto diverse ore dopo, vittima di bullismo da parte di John che gli tirava insistentemente la gamba dei pantaloni, Sherlock decise che per quanto gli mancasse che John gli parlasse, di certo non gli mancava l'effetto calmante della sua compagnia.

 

 

 


(1) Per chi, come me, non aveva la più pallida idea di cosa si trattasse, ecco cos'è un kong. kong

E per quanto sappia che è un innocente giocattolo da masticare per cani, la mia mente sconcia continua a insistere che somiglia a un sex toy 😅

 

 


NdT: Quanto mi piace John quando fa il dispettoso! 😂

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Capitolo 7
*** 7 ***


 Capitolo 7 

La mattina dopo, John scoprì l'ultimo inconveniente dell'essere un cane: la propria incapacità di andare in bagno ogni volta che voleva.

Di conseguenza, applicò le zampe alla porta di Sherlock e poi usò il collaudato metodo di leccargli la mano.

Sherlock borbottò e fece un grintoso tentativo di continuare a dormire tirando la mano sotto le coperte e voltandogli le spalle. John si vendicò saltando sul letto e alitandogli il fiato di cane bollente dritto in faccia.

"Uff."

John abbaiò.

"Cosa c'è questa volta?" mormorò Sherlock, senza nemmeno darsi la briga di aprire gli occhi. "Se c'è un altro rubinetto che gocciola da qualche parte, vai a leccarlo o qualcosa del genere."

John saltò giù dal letto, si diresse in salotto e recuperò il guinzaglio. Lo lasciò cadere intenzionalmente sul viso di Sherlock.

"Di nuovo?!"

John fece uno sbuffo.

Sherlock, finalmente, aprì gli occhi e si guardò intorno in cerca della sveglia. "Non sono nemmeno le cinque e un quarto, John!"

John tirò su il guinzaglio e lo lasciò cadere di nuovo sul viso di Sherlock.

"Ti insegneremo a usare il gabinetto," gemette lui. "Bene. Scendimi di dosso, così posso alzarmi. Stai compromettendo i tuoi sforzi per costringermi con la prepotenza a un normale ciclo del sonno."

A questo punto, a John non importava davvero. Balzò giù dal letto e saltellò sulle zampe, aspettando che Sherlock si tirasse fuori dal letto e si vestisse.

"Immagino che tu non voglia perdere tempo a fare colazione," sospirò il detective. "Bene. Posso almeno vestirmi? Farò in fretta."

John abbaiò ed entrò in soggiorno, contento che la porta del corridoio fosse sempre aperta. Balzò giù per le scale, ascoltò i movimenti di Sherlock e aspettò. Non dovette attendere a lungo perché accadesse.

"JOHN! Cosa ti hanno mai fatto i miei calzini?" gridò Sherlock giù per le scale.

John sbuffò una risata e poi balzò di nuovo su quando decise che quel pigro idiota non si stava muovendo abbastanza in fretta.

"Sto arrivando, sto arrivando," gli brontolò Sherlock, chiudendo l'ultimo bottone della camicia e infilandosi la giacca prima di prendere il cappotto. "Dov'è il tuo guinzaglio?"

John lo trovò sul pavimento della camera da letto di Sherlock e glielo portò. Attese a malapena che fosse fissato al suo collare prima di procedere a trainare Sherlock giù per le scale e fino alla porta d'ingresso.

"Cielo, se siamo impazienti. Come va la tua zampa, oggi?"

Andava bene, per quanto riguardava John. Non ci stava caricando troppo peso e ignorò il poco dolore che provava per la ferita. Una parte di lui si chiedeva se forse i cani guarissero semplicemente più in fretta o se fosse dovuto al fatto che era stato trasformato in uno di essi, ma la maggior parte di lui era concentrata sull'uscita e sulla ricerca di un albero adatto.

Sherlock si lasciò trascinare a Regent's Park e non provò nemmeno a protestare quando John chiese con insistenza di essere rilasciato mordendo il guinzaglio.

"Dovremo fare qualcosa per questo problema di privacy,” fu tutto ciò che disse mentre lo sganciava, ma John non stava prestando attenzione. Era mattina presto, la sua vescica stava scoppiando e c'era un boschetto di alberi convenientemente vicino a lui. Sherlock poteva aspettare.


*****


Sherlock aspettò. Era mattina presto e lui era sorprendentemente stanco e al momento cercava di non addormentarsi su una panchina del parco.

John era scomparso tra alcuni alberi precisamente quattro minuti e diciotto secondi prima, e per quanto Sherlock avrebbe voluto seguirlo e assicurarsi che stesse bene, qualcosa nel comportamento di John quella mattina gli diceva che qualsiasi tentativo in tal senso sarebbe stato accolto con indignazione.

Privacy.

Non era un concetto su cui si aspettava di spendere molto tempo a riflettere. Lui e John non avevano mai rispettato rigidi limiti personali. Be', ammise Sherlock, lui non l'aveva fatto e John l'aveva semplicemente accettato come un dato di fatto. Era entrato e uscito dal bagno anche quando John era lì a fare la doccia, era entrato nella camera da letto di John senza preoccuparsi di bussare a tutte le ore della notte e la lista continuava.

Quindi forse poteva capire perché John non lo voleva intorno in quel momento, quando era già costretto a sopportare l'umiliazione di usare un parco pubblico come propria stanza da bagno.

Sherlock suppose che fosse teoricamente previsto e obbligatorio che lui lo seguisse con un sacchetto di plastica, ma John aveva già chiarito la sua opinione sull'argomento. E infrangere qualche piccola legge insignificante non era qualcosa su cui Sherlock batteva ciglio.

Così, aspettò. Il suo telefono era terribilmente silenzioso e senza messaggi a quell'ora del mattino e gli mancava la ricezione di strani sms da John durante il giorno. Era possibile insegnare a un cane come inviare sms? Avrebbe dovuto indagare sulla possibilità.

Con il telefono che si rifiutava di collaborare e Lestrade che inspiegabilmente non rispondeva ai suoi messaggi, Sherlock si rassegnò a osservare la gente.

Come si scoprì rapidamente, il parco non ospitava molte persone alle 5,30 del mattino.

Sherlock prese nota mentale di addestrare John e la sua vescica a rispettare un programma più adatto al londinese medio.

A proposito di... un puntino fulvo attirò il suo sguardo e là c'era John, che emergeva dagli alberi in un’andatura bizzarra e stranamente divertente, metà correre, metà zoppicare. Orecchie dritte, coda che scodinzolava, il mantello rossiccio che brillava nella luce del primo mattino, sembrava l'immagine stessa di un cane felice.

"Possiamo andare a casa, adesso, e tornare a un'ora civile?” chiese Sherlock mentre John si fermava di fronte a lui.

Potevano. E lo fecero.

Due ore più tardi, dopo che Sherlock ebbe dato a John le sue crocchette mentre lui si faceva la doccia e dopo che John lo ebbe costretto a mangiare qualcosa, tornarono al parco.

Questa volta, Sherlock aveva portato un corto pezzo di corda spessa e annodata e una pallina da tennis.

Ora che non aveva più fretta, John rimase al suo fianco e Sherlock accorciò i passi per adattarsi al suo amico zoppicante.

"Sai, John, dopo aver curato la tua zoppia psicosomatica, non pensavo davvero che saremmo finiti di nuovo in questa situazione,” commentò pigramente, guardando un ciclista diffidente fare una grande deviazione intorno a John, come se tutti i cani avessero solo voglia di buttarsi sotto le ruote delle biciclette in arrivo.

John gli scoccò L'Occhiata.

Sherlock si strinse nelle spalle. "Stavo solo facendo notare che continuiamo a finire in questa situazione. Se dovessi portarti da Angelo stasera, presumo che non vorresti lo stesso una candela sul tavolo?"

L’occhiata divenne un’occhiataccia.

Sherlock alzò le mani e si disse che non era deluso. "Stavo solo controllando."

Proseguirono lungo il sentiero. Ogni tanto si imbattevano in altre persone con cani e Sherlock li guardò con interesse mentre si avvicinavano a John, lo annusavano e se ne andavano, con un'aria leggermente confusa. Sherlock si chiese se c'era qualcosa in John che a loro sembrava sbagliato, se in qualche modo sapevano che non avrebbe dovuto essere un cane.

"Li capisci?” chiese. "Gli altri cani, voglio dire."

John uggiolò e inclinò la testa da un lato all'altro.

"Presumo che non parlino in parole e frasi complete come facciamo noi,” disse Sherlock. "Ma li capisci?"

John ci pensò un po’, poi annuì, poi scrollò le spalle.

Sherlock azzardò un'ipotesi. "Pensi di sì, ma non puoi esserne sicuro per ovvie ragioni?"

John annuì.

Sembrava abbastanza ragionevole. "Be’, sembra abbastanza simile a quello che stiamo facendo noi due in questo momento. E potrebbe tornare utile. Pensi che potresti sviluppare la tua comprensione degli altri cani se passassi più tempo con loro?"

John uggiolò e scrollò di nuovo le spalle.

"No, hai ragione, non credo che avrai occasione di passare molto tempo con altri cani ed è improbabile che uno di essi diventi rilevante in un caso prima che la tua situazione sia stata risolta."

Camminarono in silenzio per un po’. Ogni tanto, John si fermava ad annusare una chiazza d'erba che, per Sherlock, non sembrava diversa dalle chiazze d'erba che la circondavano, ma chiaramente John le trovava affascinanti. Trascorse un tempo particolarmente lungo su una grossa pietra prima di tornare al fianco di Sherlock e scuotere la testa, sbattendo le orecchie. Sherlock prese nota mentale di chiedergliene notizie una volta che fosse di nuovo nel suo corpo umano e in grado di rispondere verbalmente alle domande.

Sherlock tirò fuori la pallina da tennis dalla tasca della giacca. "Va bene, stanchiamoti un po’. Ho studiato la tua razza e sembra che i Toller siano cani da lavoro e adorino andare a prendere le cose. Soprattutto le anatre, motivo per cui sono così utili per la caccia alle anatre, ovviamente. Ora, io la lancerò e tu non ti ferirai di nuovo mentre la vai a prendere. D'accordo?"

John abbaiò, gli occhi fissi sulla pallina da tennis come ipnotizzato.

Sherlock annuì, tirò indietro il braccio e lanciò.

John le corse dietro, ignorando del tutto la sua zampa, anche se non era veloce nemmeno la metà del giorno prima. Sherlock aveva un ricordo molto chiaro di John che sfrecciava attraverso il prato mentre tornavano dalla scena del crimine. Era stato incredibilmente svelto, molto più svelto di quanto Sherlock avesse previsto, e lui si era maledetto per non essere stato pronto a prendere il tempo. Avrebbe dovuto rimediare un'altra volta.

"Che bel cane!"

Sherlock sbatté le palpebre e si voltò a guardare chi aveva parlato. Lì accanto c’erano due donne, con lo sguardo che andava avanti e indietro tra lui e John, che stava trotterellando verso di lui con la palla. Una rapida deduzione gli disse che erano donne d'affari che facevano jogging mattutino prima di andare in ufficio e che nessuna delle due rappresentava una minaccia. Non si diede la briga di saperne di più.

"Grazie,” disse Sherlock, incerto su cosa ci si aspettasse da lui.

"Di che razza è?” chiese la più alta delle due donne.

Lui glielo disse e le osservò mentre annuivano entrambe con evidente incomprensione. Era evidente che nessuna delle due aveva mai sentito parlare dei Toller prima.

John si sedette accanto a lui, lasciò cadere la palla ai suoi piedi e scodinzolò una volta mentre guardava le donne.

"Ed è così ben addestrato!” disse l'altra donna. "Certi cani ti saltano addosso, sai?"

Sherlock non aveva idea di come rispondere a questo, quindi disse semplicemente: "Johnny sa come comportarsi."

"Ohhhh, Johnny ! È questo il suo nome?!"

"Chiaramente,” esclamò secco il detective, sottraendo mentalmente diversi punti dal loro QI.

"Posso accarezzarlo?”

Sherlock esitò e guardò John. John si voltò a guardarlo e scodinzolò. Naturalmente.

"Se volete," sospirò e fece loro un ampio gesto. "Accomodati pure, Johnny."

John si alzò e trotterellò in avanti per annusare le loro mani e permettere loro di accarezzarlo e coccolarlo a fondo, tra le tante esclamazioni sulla sua morbida pelliccia e sul suo bel colore e "non è un amore!" e "accidenti, che tesoro!”

"Vieni qui spesso?” chiese quella più alta, guardando Sherlock e arrotolando una ciocca di capelli castani attorno alle dita.

"È il parco più vicino a casa nostra,” disse lui, disinteressato.

Lei sorrise coraggiosamente. "Be’, noi tendiamo a correre qui su base regolare, se mai ti capitasse di desiderare un po’ di compagnia.”

La frase rimase sospesa tra loro per un po’. Sherlock notò che John lo stava fissando. Gli venne in mente che nell'affermazione della donna ci fosse di più di quanto non apparisse a prima vista.

"Sono sicuro che non accadrà,” disse con fermezza. "Ora, se volete scusarci, abbiamo ancora un po’ di strada da fare oggi."

"Oh, certo. Buona giornata, allora."

Li salutarono e proseguirono per la loro strada, nella direzione opposta. Sherlock le fissò confuso prima di guardare di nuovo John.

John abbaiò una volta e fece un suono sbuffante che suonava in modo sospetto come una risata.

Sherlock lo guardò accigliato. "Cosa c’è? Non ho il tempo né la pazienza di guardare le donne riempirti di moine ogni giorno per l'intera durata della nostra passeggiata."

John scosse la testa, guardò nella direzione in cui erano andate le donne e diede un colpetto alla gamba di Sherlock.

"Io? Cosa c'entra con me?"

John alzò gli occhi al cielo e gli lanciò un’occhiata pungente.

Di certo non poteva voler dire...? Sherlock scosse la testa. "Oh per l'amor di Dio!"

Prese la pallina da tennis e la lanciò con la maggior forza possibile. "Tieni, stai zitto e vai a prendere."

John lo fece.


*****


Finirono la loro passeggiata due ore dopo, venendo ritardati solo quattro volte da persone che volevano interrogare Sherlock sul suo simpatico cane e, con grande divertimento di John, sui programmi di Sherlock.

John si chiese se Sherlock fosse consapevole del fatto che un bell'uomo con un cane avrebbe anche potuto mostrare un enorme cartello che diceva ‘Abbordami per interessanti opportunità di appuntamenti’. Se non l'aveva saputo prima, ora di certo non poteva essergli rimasto alcun dubbio al riguardo.

Eppure Sherlock non sembrava impressionato o particolarmente soddisfatto. Invece, i suoi commenti una volta che le persone che cercavano di chiacchierare con lui se n’erano andate erano sembrati sempre più irritati. John poteva effettivamente sentire l'odore del disagio che s’irradiava dal suo amico. Le donne che cercavano di parlare con Sherlock con il pretesto di accarezzare il suo simpatico cane stavano quasi annegando nei feromoni, ma John non aveva sentito nemmeno un accenno di qualcosa del genere da Sherlock.

"Be', ha sempre detto che non erano la sua zona," pensò John e decise di godersi l'attenzione diretta nei suoi confronti.

Nonostante fosse coccolato e accarezzato da una serie di mani gentili, la sua parte preferita della passeggiata fu, sorprendentemente, rincorrere la pallina da tennis che Sherlock continuava a lanciare per lui. Era molto divertente, anche se non poteva correre veloce come avrebbe voluto. Diverse persone avevano commentato la sua zampa fasciata e la brusca spiegazione di Sherlock sui frammenti di vetro nel parco era stata accolta con compassionevole indignazione.

Ora, dopo due ore trascorse a inseguire una palla e annusare alberi ed erba ogni volta che un profumo interessante attirava la sua attenzione, John fu abbastanza contento di scoprire che Sherlock si era diretto verso Baker Street.

"Dovremo andare a fare la spesa," gli disse Sherlock mentre uscivano dal parco e gli allacciava il guinzaglio al collare. "Ti va una breve deviazione prima di tornare a casa?"

John annuì e permise a Sherlock di far strada fino al più vicino Sainsbury, rassegnandosi mentalmente ad aspettare fuori. Si chiedeva se Sherlock sapesse perfino come funzionava fare la spesa. Di solito, quell'uomo avrebbe costretto lui a farlo o avrebbe semplicemente aspettato che la signora Hudson andasse nei negozi per chiederle di portare alcune cose per loro.

Con sua sorpresa, Sherlock non lo legò fuori dal negozio. "Comincerà a piovere da un momento all'altro," fece notare il detective, facendo un cenno verso il cielo, dove in effetti si stavano formando nuvole scure. "Non ti permetterò di bagnarti, oltre a essere ferito."

John voleva dirgli che lui apprezzava il gesto ma non pensava che la direzione di Sainsbury l'avrebbe fatto, ma non c'era modo di farlo.

"Ora, tu hai un'idea migliore di quello che ci manca,” disse Sherlock, raccattando un cestino. "Quindi lascio che sia tu a decidere."

Dato che era ancora prima di mezzogiorno in un giorno lavorativo e che la maggior parte delle persone in effetti era al lavoro, il Sainsbury era quasi vuoto, il che diede loro un vantaggio. Arrivarono fin quasi alla cassa prima che un impiegato li notasse.

"Signore, non può portare qui il suo cane!"

"Uh-oh," pensò John, ma era già troppo tardi.

Sherlock si voltò e gli lanciò uno sguardo altezzoso. "Come puoi vedere, sicuramente posso."

"Ma i cani non sono ammessi nel nostro negozio."

Lui alzò le spalle. "Forse dovreste riconsiderare la vostra politica. In ogni caso, fuori piove e non c'è un riparo per gli animali domestici. Non lascerò il mio cane fuori sotto la pioggia solo perché a voi non piacciono gli animali."

"È una questione d’igiene, signore."

"Questo è il motivo per cui lui sta vicino a me, non tocca niente a parte il pavimento, ed è perfettamente educato," gli disse con fermezza Sherlock.

L'uomo rimasse inflessibile. "Mi dispiace, ma temo che sia una politica aziendale, signore. Devo chiederle di portare fuori il suo cane."

"Bene." Il suo sguardo catturò qualcosa su uno degli scaffali vicini. "E comunque, perché non racconti la tua storia di politiche aziendali e igiene al gatto laggiù?"

C'era davvero un gatto seduto in cima allo scaffale, che li guardava con un'espressione che poteva essere descritta solo come ‘severamente giudicante.’

John e il dipendente fissarono increduli il gatto. Il gatto ricambiò lo sguardo con noia assoluta.

"Come diavolo è arrivato lassù?" disse il dipendente a nessuno in particolare. John era più interessato a come avrebbe potuto farlo scendere e il pensiero di un ambiente a norma sanitaria non aveva assolutamente nulla a che fare con questo. Lì c'era qualcosa che lo irritava in tutti i modi importanti e lui voleva inseguirlo.

Non ebbe mai la possibilità di approfondire il pensiero perché Sherlock si voltò di scatto e usò la distrazione dell'impiegato del negozio per marciare dritto alla cassa, scaricando i prodotti che intendeva acquistare di fronte a una cassiera confusa.

Alzò un sopracciglio verso la giovane donna. "A meno che lei non voglia che me ne vada senza pagare?"

Lei sorrise e disse a bassa voce: "Personalmente, quella politica non piace nemmeno a me. Ed è un cane molto carino, signore."

Più forte, aggiunse: "Contanti o carta? Fanno 17 e 25, per favore, e dobbiamo chiederle di lasciare il suo cane fuori, la prossima volta.”

Sherlock le porse i soldi, afferrò la borsa con la spesa e si avviò verso la porta, dove l'altro impiegato stava aspettando per assicurarsi che se ne andassero sul serio. John sbuffò la sua irritazione, ma non gliene importava molto. Adesso pioveva davvero e l’idea di aspettare sotto l'acquazzone non gli piaceva affatto.

"Forse dovrei twittare su questo," suggerì Sherlock mentre passavano davanti all'impiegato, chiaramente seccato. "Sainsbury incoraggia la crudeltà sugli animali costringendo il proprietario a lasciare il suo cane ferito sotto la pioggia. Scommetto che Internet lo adorerebbe."

John gli uggiolò e sperò che il suo coinquilino la smettesse di fare lo stronzo così che potessero uscire di lì e tornare a casa.

"Aspetta qui,” ordinò Sherlock mentre si trovavano sotto la tettoia a strapiombo proprio davanti all'ingresso. John lo guardò mentre si faceva avanti e alzava il braccio in un gesto imperioso che sembrava essere assolutamente convincente per i tassisti di tutta Londra, perché uno si fermò quasi all’istante sul marciapiede.

Sherlock aprì la portiera. "Salta su."

John lo fece, facendo del proprio meglio per trascorrere il minor tempo possibile sotto la pioggia.

Sherlock diede istruzioni all'autista, chiuse la portiera e se ne andarono. John tornò nella stessa posizione che avevano adottato durante il loro ultimo viaggio in taxi, seduto tra le gambe di Sherlock in modo da occupare il minor spazio possibile.

Con sua sorpresa, Sherlock iniziò ad accarezzargli la testa in modo quasi distratto, come farebbe qualsiasi proprietario di cane per mantenere calmo il proprio compagno durante un viaggio in macchina.

Il tragitto durò solo una manciata di minuti e quando raggiunsero Baker Street, John si ritrovò stranamente deluso. Si disse che era dovuto al fatto che sarebbe stato di nuovo rinchiuso dentro. Certamente non aveva nulla a che fare con l'improvvisa assenza della mano calda di Sherlock che gli accarezzava la nuca e il collo.


*****


John si sdraiò sul pavimento del soggiorno e guardò Sherlock disfare la spesa per la pura novità dello spettacolo. In tutta onestà, non riusciva a ricordare una sola volta in cui Sherlock fosse volontariamente andato a fare la spesa, tranne quella volta in cui era uscito senza dire una parola ed era tornato tre ore dopo con due dozzine di banane. John non aveva mai scoperto di cosa trattasse quel particolare esperimento. In qualche modo, non era mai sembrato importante. Solo un altro incidente nella convivenza con quel pazzoide che era Sherlock.

Le orecchie gli si rizzarono quando Sherlock si voltò a guardarlo, un'altra dimostrazione della sua straordinaria capacità di sapere quando John stava pensando a lui.

"Mi stai giudicando, John?" Il tono era divertito.

Dopo un momento di riflessione, Sherlock infilò una mano nella scatola che la gente di Mycroft aveva portato e tirò fuori qualcosa di grande e marrone che aveva un odore assolutamente divino per il naso canino di John.

"Ecco, perché non fai qualcosa per i tuoi denti e provi con questo?" suggerì Sherlock e glielo lanciò.

L’oggetto atterrò con un leggero tonfo sul tappeto a circa trenta centimetri da John, che si avvicinò incuriosito. Osso, decisamente. Il profumo era estremamente penetrante. Qualcosa da masticare, probabilmente.

John diede un morso sperimentale e si rese conto che stava sbavando.

Oh, bene. Meglio non guardare in bocca al caval donato.

Si sistemò, scodinzolando in fretta mentre iniziava a mordicchiare.

Dopo un paio di minuti, Sherlock finì di rovistare in cucina e lo raggiunse in salotto, sdraiandosi sul divano nella sua solita posa pensante.

Ora che la maggior parte degli altri rumori erano scomparsi, John trovava molto più facile concentrarsi sul respiro di Sherlock e sul battito regolare del suo cuore. Era un po’ surreale sapere che poteva sentirlo da diversi metri di distanza, ma soprattutto il suono aveva semplicemente messo radici.

Con tutto il pericolo in cui lui e Sherlock si trovavano regolarmente, c'era qualcosa di rassicurante nel suono costante che gli diceva che Sherlock era inconfondibilmente vivo e vegeto. Quello, e nelle vicinanze.

L'esperienza aveva insegnato a John che quando lui e Sherlock erano separati accadevano cose brutte. Finora, era stato rapito e tenuto sotto tiro, era stato rapito e legato a una bomba, Sherlock era stato rapito e quasi costretto a ingoiare del veleno, Sherlock era stato drogato da quella terribile donna Adler mentre lui era in un'altra stanza... Non voleva essere costretto ad allungare la lista.

Sapere che Sherlock era a pochi metri di distanza ed essere in grado di sentirlo e annusarlo tutto il tempo calmava qualcosa dentro di lui e non osava interrogarsi troppo a fondo al riguardo.

Invece, accettò semplicemente di sentirsi più felice e meno teso quando Sherlock era nelle vicinanze. E ora aveva anche tutti quegli impulsi canini che gli facevano desiderare di stargli vicino, che si crogiolavano ad essere toccato e accarezzato da Sherlock, che lo facevano sedere accanto a lui, gli facevano premere il naso sulla sua gamba o appoggiare la testa sui suoi piedi.

Non sapeva come fermarli e scoprì anche che non voleva. A tutti gli effetti, al momento era un cane. E questo era ciò che facevano i cani. Non aveva senso insospettire qualcuno comportandosi in modo strano. E gli piaceva decisamente la scusa per stare vicino a Sherlock. Gli piacevano le sue grandi mani sulla testa e sulla schiena, gli piaceva respirare l'aria che era così piena di Sherlock che sembrava a malapena contenere ossigeno. E avrebbe voluto poterne avere ancora di più.

Quella era decisamente la parte canina, pensò John. Voler essere toccato, accarezzato, lodato e trattato con affetto.

Per di più, a volte Sherlock sembrava farlo quasi automaticamente, come quel momento in taxi all'inizio della giornata. Una mano calda che gli accarezzava la testa, le dita che si curvavano nella sua pelliccia... avrebbe voluto che Sherlock lo facesse più spesso.

Una parte di lui era a disagio al pensiero, ma soprattutto era a disagio per quanto gli piacesse. L'affetto era carino, il tocco era gentile e gli piaceva avere entrambi diretti su di sé, ma non era abituato all’idea che fosse Sherlock la persona che forniva tutto questo.

E cosa diceva di Sherlock il fatto che sembrava sapere come trattare un cane, che non pareva drizzare le sue difese come faceva con le persone? Continuava a trattarlo come aveva sempre fatto, nella maggior parte dei modi, gli parlava ancora alla stessa maniera, lo usava ancora come una cassa di risonanza. Ma ora aveva anche lanciato palline da tennis per ore, si era lasciato tiranneggiare fuori dal letto e costringere a mangiare e trascinare nei parchi e aveva sopportato che sconosciuti flirtassero con lui. Tutto per John.

Era un po’ lusinghiero, quando ci pensava.

E naturalmente c'era quell'altra parte canina di lui, quella che lo aveva fatto lottare contro la propria natura al supermercato oggi. Forse era una parte del cane il cui DNA era stato usato nell'esperimento in cui John era accidentalmente incappato, ma per qualche motivo inspiegabile odiava assolutamente i gatti. E l’idea di inseguirne uno era stata incredibilmente allettante.

"Nota per me stesso: cerca di evitare i gatti a meno che tu non voglia rendere la pariglia a Sherlock per qualcosa," pensò John. Avere Sherlock che lo inseguiva mentre lui inseguiva un gatto era un'immagine mentale molto divertente, tuttavia, e decise di conservare l’idea per il futuro. Non si poteva mai sapere.

 

 



NdT: E finalmente, dopo ben due giorni la vescica di Johnny ha raggiunto il suo limite, non è stato un sollievo per voi? Figuratevi per lui. 😂

NdT 2: Ding dong, avviso di servizio: dopo parecchi giorni di esitazioni che Amleto scansate proprio, ho finalmente deciso la long da alternare a questa. Spero che non vi siate troppo abituate ad affondare solo nel fluff, perché si tratta di una fanfic a rating così rosso che più rosso non si può. È una storia molto famosa, una delle più apprezzate del fandom, ma per qualcuna potebbe essere un po' fuori dalla confort zone. Non lasciatevi scoraggiare, ne vale tantissimo la pena... Preparatevi, iniziamo questo venerdì. 😊

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Capitolo 8
*** 8 ***


 Capitolo 8 

La mattina seguente vide John liberato dalla benda, il taglio superficiale sulla zampa era guarito a sufficienza da non causargli più alcun problema. In retrospettiva, suppose che la propria iniziale incapacità di camminare fosse stata dovuta per lo più allo shock e al fatto che non fosse ancora del tutto abituato a camminare su quattro gambe, tanto meno si era sentito abbastanza a suo agio da passare a usarne solo tre.

In ogni caso, era contento di essersi liberato sia della benda che della ferita, e Sherlock sembrava altrettanto contento di vederlo saldamente di nuovo sui piedi, o sulle zampe, per così dire. Andarono a fare una breve passeggiata nel parco in modo che John potesse occuparsi dei suoi affari e poi si affrettarono a tornare a casa. Sherlock sembrava impaziente di muoversi e John si chiese quanto di ciò fosse dovuto al fatto che il suo amico desiderava evitare altre donne che cercavano di flirtare con lui.

"Allora, visto che sei tornato in azione, che ne dici di andare a vedere cos’ha combinato Lestrade?"

Sherlock stava quasi saltellando sui piedi e John fu felice di accontentarlo. Questo era ciò che facevano, dopotutto, e un cane che accompagnava la polizia non era certo niente di speciale.

Fu felicemente sorpreso quando Sherlock iniziò a preparare una borsa a tracolla che doveva aver dissotterrato dalla scorta semidimenticata in uno degli armadietti della cucina.

"Non ho idea per quanto tempo saremo lì, quindi suppongo che sia meglio che prendiamo alcune cose per te,” disse mentre John lo guardava preparare una grande bottiglia d'acqua, una ciotola, la pallina da tennis e il lanciatore di palline, un altro osso da masticare e - John scodinzolò - una piccola busta di dolcetti per cani.

"Questi li ottieni solo se te li meriti," gli ricordò Sherlock. "Sono sicuro che gli imbecilli allo Yard cercheranno di farti fare ogni sorta di acrobazie. Cerca di ricordare che sei un cane molto ben addestrato."

John annuì e andò a cercare il suo guinzaglio mentre Sherlock s’infilava il cappotto e si metteva sulla spalla la tracolla della borsa.

"Pronto?"

John abbaiò.

Presero un taxi per lo Yard e Sherlock ignorò magistralmente gli sguardi curiosi che ricevettero mentre entravano nell'edificio.

La corsa in ascensore fino al piano di sopra ricordò sgradevolmente a John i suoi primissimi minuti in questo corpo, quando tutto era stato sopraffacente e spaventoso. Anche ora, il macchinario continuava a sbattere e tintinnare troppo forte per i suoi gusti, ma lui rimase calmo,

Quando le porte si aprirono, si ricordò di seguire il detective a mezzo passo di distanza, dato che Johnny il cane non era mai stato prima allo Yard e quindi non conosceva la strada.

Sherlock era una vista familiare su questo piano, quindi la gente gli prestava a malapena attenzione quando arrivava. Oggi molti alzarono lo sguardo al rumore della porta che si apriva e diedero una rapida occhiata per vedere chi fosse solo per finire a fissare John.

Lui si sentì addosso i loro sguardi mentre seguiva Sherlock nell'ufficio di Lestrade e faceva un deciso tentativo di evitarli.

"Ah, Sherlock! Mi chiedevo quando ti saresti fatto vedere," lo salutò Lestrade appena furono entrati. Fece un cenno verso John. "E vedo che hai portato il tuo... uh... amico."

"Non posso lasciarlo solo nell'appartamento tutto il giorno,” disse Sherlock, salutando Donovan, che al momento stava appuntando le stampe del loro ultimo caso sulla bacheca di sughero, con un cenno del capo. "Gli piace masticare le cose e non vorrei che John tornasse a casa e trovasse il nostro tavolo da cucina a corto di una gamba o due."

Lestrade sbuffò. "Pensavo che distruggere l'appartamento fosse il tuo lavoro."

"Anche quello," ammise Sherlock, chinandosi per sganciare il guinzaglio dal collare di John.

John andò a salutare Donovan sfiorandole il ginocchio con il naso, scodinzolando mentre lei si chinava per accarezzargli la testa con un "Ehi, ma ciao!" in tono di lieta sorpresa.

Dopodiché, attraversò l'ufficio verso Lestrade. Nel caos generale della sua improvvisa trasformazione, aveva a malapena prestato attenzione a quell’uomo.

"Ehm, cosa devo fare?” chiese Lestrade.

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Tendi la mano perché lui ti annusi e si rilassi. Non morde. Sembra che gli piaccia essere accarezzato, o forse è solo quando lo fanno le donne, quindi magari provaci."

John girò la testa e gli lanciò un'occhiataccia prima di annusare la mano che Lestrade gli aveva teso. Calore, fermezza, silenziosa competenza, nicotina e stress e troppo caffè: Lestrade aveva esattamente l'odore che John si sarebbe aspettato. Dette una leccata amichevole alla sua mano, desiderando poter ridere del sorpreso "Ehi!" che ottenne, e poi andò a sdraiarsi in una chiazza di sole che filtrava dalla finestra.

"Ora che è fatto,” disse Sherlock, l'impazienza chiara nella voce, "ti andrebbe di dirmi tutto quello che hai riguardo al nostro duplice omidicio?”


*****


John si perse gran parte della conversazione che seguì. Non poteva comunque contribuire, a parte forse rincorrendo attivamente il colpevole una volta che Sherlock gli avesse detto dietro a quale persona andare. Sapendo che Sherlock sarebbe stato impegnato per un bel po’ di tempo, John decise di fare le sue indagini.

Alla prima occasione, seguì Donovan fuori dall'ufficio di Lestrade. Lei tornò alla propria scrivania e si sedette, così lui prese posizione al suo fianco. Non ci voleva un genio per sapere che la sergente era qualcosa di più che solo la donna che si arrabbiava con Sherlock per il semplice fatto di esistere. John sospettava che avrebbe potuto sentirsi allo stesso modo se qualcuno senza una laurea in medicina fosse entrato nella clinica dove lavorava e avesse cercato di dirgli come fare il suo mestiere.

"Ehi, Johnny,” gli disse la donna quando si accorse che aveva deciso di unirsi a lei. "Stai cercando di allontanarti da Sua Altezza per un po’? Non posso biasimarti."

Si chinò e gli accarezzò la testa. "Hai un ottimo aspetto per qualcuno che ha trascorso diversi giorni in sua compagnia. Ti tratta bene?"

John uggiolò in tono affermativo, anche se non aveva idea se lei avrebbe capito.

"Ehi, Donovan, da quando hai un cane?" gridò qualcuno.

"Da quando hai smesso di usare gli occhi, Perkins!" gridò lei in risposta. "Appartiene al mostro. Non li hai visti entrare mezz'ora fa?"

In pochi istanti, furono circondati da quasi tutte le altre persone di quel piano, altri sergenti e poliziotti che si ammassavano per dare una bella occhiata al cane.

A John piaceva essere al centro dell'attenzione, per una volta. Non era il ruolo in cui si trovava di norma, non quando Sherlock era in piedi accanto a lui ed era geniale, e questo andava bene. Non voleva il tipo di attenzione che riceveva Sherlock. Ma non disdegnava lasciare che la gente lo ammirasse.

"Siamo sicuri che non abbia la rabbia?" chiese qualcuno.

Donovan alzò gli occhi al cielo. "Perché non lasci che ti morda e lo scopri?"

Arruffò la pelliccia di John. "Non preoccuparti per questi idioti. Sei perfettamente educato. Non è colpa tua se devi convivere con Holmes, tra tutta la gente."

"È adorabile,” disse una giovane agente bionda, chinandosi in avanti e tendendo una mano a John. Lui la spinse con il naso e lei ridacchiò. "Oh guarda, le sfumature di colore sul suo muso sono perfettamente simmetriche.”

"Sa fare qualche trucco?" domandò qualcun altro.

"Perché non glielo chiedi?” chiese Donovan, esasperate. "Forse ti scriverà una dannata lista."

John avrebbe voluto ridere, ma invece scodinzolò. Se solo Sherlock avesse saputo che Donovan aveva poca pazienza per gli idioti quanto lui. Ma conoscendo Sherlock, probabilmente lo sapeva già.

"Qualcuno ha qualche dolcetto?" chiese il sergente Perkins.

"Perché, sì, certo, tengo sempre una scorta di dolcetti per cani nella mia scrivania nel caso in cui qualcuno porti un cane in ufficio,” disse la giovane poliziotta scuotendo la testa. Non smise di accarezzare John nemmeno per un momento, però, e lui ansimò felicemente.

"Come si chiama, comunque?"

"Johnny,” disse Donovan e John si voltò prontamente a guardarla, le orecchie dritte come avrebbe fatto qualsiasi cane sentendo il suo nome.

"Sul serio? Il mostro ha preso un cane e lo ha chiamato come il suo coinquilino?"

Donovan spiegò la faccenda dei genitori di Sherlock.

John pensava che tutto sembrasse ragionevole, ma si chiedeva perché nessuno pensasse che fosse strano che due persone che avevano chiamato i propri figli Mycroft e Sherlock avessero poi chiamato il loro cane Johnny.

"Possiamo fargli fare qualche trucchetto?"

Qualcuno esclamò: "Johnny! Seduto!"

John si guardò intorno in cerca della persona che cercava di dargli ordini. Perkins, ovviamente.

"Seduto,” disse lui di nuovo.

John non mosse un muscolo. Sherlock gli aveva detto di ricordare che era un cane ben addestrato e i cani ben addestrati non ascoltavano chiunque avesse dato loro degli ordini.

Tra gli agenti serpeggiarono delle risate quando non successe niente.

"Ho detto 'Seduto', stupido cane!" sbottò Perkins, cercando d’imporre alla propria voce il suono dell'autorità.

John fece uno sbadiglio dimostrativo e si voltò altrove.

"Questo cane non è affatto addestrato,” disse Perkins, chiaramente agitato.

Proprio in quel momento, ci fu il suono di una porta che si apriva e poi la voce di Sherlock.

"Johnny! Al piede!"

John si spremette attraverso le gambe di almeno quattro persone prima di spostarsi al fianco di Sherlock.

Sherlock allungò un braccio verso il basso e gli grattò l'orecchio. "Seduto."

John si sedette.

"I cani ascoltano quelli che rispettano e tu non hai fatto nulla per guadagnarti il rispetto di Johnny, Perkins,” disse Sherlock, con aria vagamente divertita. "Donovan, Lestrade ha detto che devi accompagnarci alla Bart. Devo dare un'occhiata più da vicino ai corpi."

Lei sospirò e si alzò, molto meno riluttante del solito, pensò John.

"Vieni, Johnny,” disse Sherlock e si diresse verso l'ascensore. John si tenne vicino al suo fianco, sfiorando di tanto in tanto il Belstaff.

Sherlock aspettò che le porte dell'ascensore si fossero chiuse prima di voltarsi e sorridergli.

"Bravo ragazzo."


*****


Entrarono nell'ospedale della Bart dalla porta sul retro, quella più vicina all'obitorio.

"Non ha senso fargli fare storie,” disse Sherlock. "La gente si agita irragionevolmente per i cani negli ospedali.”

"Sì, quanto è irragionevole non volere peli di cane e chissà cos'altro in un ambiente sterile," tagliò corto Sally, alzando gli occhi al cielo.

Non era esattamente entusiasta di essere bloccata con il mostro in questo viaggio, ma Lestrade aveva voluto che lei accompagnasse Sherlock all'obitorio, argomentando sul fatto che Holmes sarebbe scappato subito dopo un indizio mentre avrebbe dovuto riferire in merito. Di solito, era John a inviare a Lestrade un breve messaggio su quello che stavano facendo o su ciò che Sherlock aveva scoperto se il mostro non poteva darsene la pena, ma John non era lì. Era quindi l'opzione sensata avere qualcuno che lo accompagnasse e avvisasse lo Yard delle sue scoperte. E poiché Lestrade era impegnato in una più lunga conferenza telefonica con il sovrintendente capo su quest’ultimo omicidio, l'ingrato compito toccò a Sally.

Be', non così ingrato come al solito, pensò, guardando il cane accanto a Holmes. Il mostro non si era preoccupato di un guinzaglio e Johnny non sembrava averne bisogno, camminando semplicemente accanto a lui come se non gli venisse in mente di essere altrove.

E davvero, quel cane era ridicolmente adorabile con la sua pelliccia rossastra e il petto bianco, una fiammata bianca e le orecchie flosce. Sembrava un po’ una volpe, pensò, e decise di cercare la razza non appena ne avesse avuto l'opportunità.

Per ora, però, era rimasta bloccata a fare la mostro-sitter.

Holmes spalancò la porta dell'obitorio ed entrò a grandi passi come se fosse il proprietario del posto, con Johnny alle calcagna e Donovan che lo seguiva con riluttanza.

La giovane patologa, una donna timida che Sally aveva visto in giro di tanto in tanto, si voltò quando entrarono e quasi lasciò cadere la sua cartellina per la sorpresa. Armeggiò goffamente per prenderla e arrossì prontamente di un rosa acceso.

"Sherlock! Ciao! Io, uh, non sapevo che saresti arrivato oggi."

S’infilò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, arrossendo ancora un po’.

"Oh mio Dio," pensò Sally.

"Molly," Sherlock salutò la giovane donna. Non diede segno di essere in alcun modo consapevole della sua evidente cotta per lui. "Devo dare un'occhiata ai corpi che sono arrivati due giorni fa. Padre e figlio, assassinati l’uno poco dopo l'altro."

"Uh, certo, aspetta, è un cane?!"

Fissò Johnny, che si era seduto accanto a Sherlock e stava annusando il suo cappotto.

"Questo è Johnny," lo presentò Sherlock.

"Johnny?!" ripeté lei, chiaramente divertita. "Non è il nome del tuo am..."

"John è in Scozia, al momento,” disse Sherlock, con tono infastidito. "Nel frattempo, mi occupo del cane dei miei genitori. Il cui nome è Johnny. Possiamo passare ai cadaveri, adesso?"

"Uh... sì, certo, scusa," balbettò Molly. "Solo... uh... assicurati che non tocchi o lecchi niente. O esca da questa stanza. Non credo che sarebbe il benvenuto in nessun'altra parte di questo edificio."

"Per fortuna, ho solo bisogno di accedere all'obitorio e al laboratorio," le disse Sherlock.

"Stavo per iniziare l'autopsia del figlio, se vuoi vederla,” si offrì Molly. "Siamo stati piuttosto oberati, ultimamente, o l'avrei fatta prima."

"No, ora andrà bene. Non ho nient'altro in ballo al momento."

Sherlock si rivolse a Donovan. "Sally, potresti badare a Johnny per un po’? Non avrò nulla per Lestrade finché non avrò visto entrambi i corpi, quindi non ha davvero senso che tu stia semplicemente qui ad aspettare. Prendi questa borsa." Si tolse la borsa a tracolla dalla spalla e gliela porse. "Qui dentro ci sono dell'acqua e una ciotola, un osso da masticare, il guinzaglio e dei giocattoli. E una manciata di dolcetti per cani, se ti senti generosa. Perché non lo porti a fare una passeggiata al Postman's Park dietro l'angolo?"

Sally sbatté le palpebre. "Cosa, io? E come ti aspetti che lo faccia, visto che lui non sembra ascoltare nessuno che non sia tu?"

"È una questione di addestramento,” disse Sherlock e si voltò verso il cane. "Johnny, questa è Sally. Sally è al comando." La indicò mentre lo diceva.

Il cane uggiolò, spostando lo sguardo da Sherlock a Sally e viceversa.

"Dagli un ordine," suggerì Sherlock.

Sally fissò il cane con aria dubbiosa. Lui la stava di nuovo guardando. "Johnny, al piede."

Immediatamente lui venne al suo fianco.

Sally non riusciva a decidere se fosse contenta o semplicemente sorpresa. Sherlock stava sogghignando. "C'è qualcos'altro? No. Bene. Ama inseguire le palline da tennis. C'è un lanciatore di palline lì dentro così non ti slogherai l braccio. È improbabile che si scontri con altri cani, ma cerca di tenerlo lontano dai gatti. O da donne che fanno jogging. Per qualche motivo, hanno attaccato bottone con noi ad ogni singola passeggiata che abbiamo fatto.”

Sally lo guardò a bocca aperta. Oggettivamente parlando e quando teneva la bocca chiusa, Sherlock Holmes era un uomo attraente in un cappotto costoso con un cane adorabile. E davvero non aveva idea del perché le donne continuassero a parlargli? Oh, ragazzi.

"Bene,” disse, decidendo di girare molto al largo da quella particolare gatta da pelare. "Ma se scappa, non mi prendo nessuna responsabilità."

"Non lo farà," le disse Sherlock con assoluta sicurezza. "Johnny sa a chi appartiene."


*****


Sherlock era in piedi vicino al tavolo dell'autopsia, guardando Molly che estraeva il fegato del paziente.

"Allora, per quanto tempo farai il dog-sitter?” chiese lei mentre metteva l'organo sulla bilancia.

"Finché i miei genitori me lo chiedono."

Lei annuì. "E per quanto tempo John sarà via?"

Sherlock inclinò la testa, cercando di capire se lei avesse un secondo fine per chiederlo. Ma questa era Molly; dubitava che avesse mai avuto un secondo fine in vita sua.

"Non lo so," decise di dire. "Vuole ‘esserci’..." fece una smorfia al termine "per sua sorella mentre è di nuovo in riabilitazione. John crede che la sua presenza sarà un'influenza stabilizzante e che l'aiuterà a mantenere la sobrietà."

"E a te sta bene?”

"Non posso certo affermare che non abbia ragione, dal momento che la sua presenza sta effettivamente influenzando la mia sobrietà."

Molly gli sorrise mentre allungava le braccia per estrarre lo stomaco. "Sei molto più rilassato quando lui è nei paraggi."

"Non sono sicuro che sia una buona cosa," ammise Sherlock. Era strano il modo in cui a volte si trovava ad aprirsi con lei. Forse era perché non c'era pericolo che lei lo dicesse a qualcun altro.

"Tutti gli altri sembrano pensarlo,” disse Molly. "Non c'è da vergognarsi nel godersi la compagnia di qualcuno."

Sherlock scelse di non rispondere a questo. Aveva il forte sospetto di aver ormai superato il godimento e non gli piaceva il pensiero che qualcun altro se ne accorgesse.

Fu salvato da ulteriori conversazioni su John da Lestrade, che fece capolino nella stanza e disse: "Ehi, dov'è andata Donovan?"

"Le ho chiesto di portare Johnny al parco,” disse Sherlock con calma. "Non posso tenere un cane in un ospedale, Lestrade. A quanto pare è contro le regole."

"Giusto." Lestrade si schiarì la gola, facendo del proprio meglio per evitare di guardare il corpo scoperto sulla lastra. "Senti, posso scambiare due parole con te?"

Sherlock sospirò. "Adesso?"

"Non preoccuparti, non arriverò a niente di interessante in questa autopsia ancora per un po’,” lo rassicurò Molly. "Non ti perderai nulla uscendo per un paio di minuti."

Rassegnato a una conversazione che era sicuro di non voler avere, Sherlock lasciò la stanza con Lestrade dietro di sé.

Aspettarono che la porta si chiudesse alle loro spalle e di essere sicuri di avere il corridoio tutto per loro.

"Be’?” chiese Sherlock. "Pensavo fossi impegnato in una telefonata."

Lestrade sembrava imbarazzato, cosa che non era mai quando si trattava del Lavoro, quindi questa sarebbe stata una conversazione personale. E Sherlock non aveva bisogno di nemmeno un quarto del proprio QI per capire di cosa si sarebbe trattato.

"Ho finito presto. Io, uh... John sta bene?"

"Sta perfettamente bene,” disse Sherlock. "Tanto bene quanto chiunque possa stare nel corpo sbagliato. Ho progettato un questionario per lui in modo da poter controllare il suo stato mentale ogni sera."

Lestrade sbatté le palpebre. "L’hai fatto?"

"Sì, certo. Non si sa cosa potrebbe fare questa trasformazione. Forse è solo fisica. Forse influenzerà lentamente il suo cervello e lui perderà la consapevolezza di sé e diventerà sempre più canino."

L’idea sembrò far inorridire Lestrade, anche se Sherlock sospettava fortemente nemmeno la metà di quanto facesse inorridire lui. "Pensi che sia possibile?"

"Non lo so!" scattò Sherlock. "Ecco perché sto cercando di trattarlo come un cane in pubblico, così nessuno s’insospettirà, e come una persona in privato, così non dimenticherà chi è. Sai com'è passare ventiquattrore al giorno con un cane e dover ricordare a te stesso che non dovresti accarezzarlo perché a) il tuo coinquilino non è il tipo affettuoso e b) trattarlo come un cane potrebbe fargli dimenticare che in realtà non dovrebbe essere un cane?"

Lestrade sembrò completamente sorpreso dallo sfogo improvviso. "Io... non ne avevo idea."

"Be’, non è certo una sorpresa," gli ringhiò Sherlock. "Sai quante linee di pensiero seguo in un dato momento? Sono in piedi proprio qui, ho questa noiosa conversazione con te e allo stesso tempo non sono in grado di fare nulla per riportarlo al corpo in cui dovrebbe essere, mentre devo anche risolvere il tuo dannato omicidio e l'unica cosa che posso fare è guardare una fottuta autopsia e inviare John fuori al parco con Donovan. Ed eccoti qui, a chiedermi se lui sta bene!"

Chiuse la bocca con un clic udibile, il petto che si sollevava.

"Ti senti meglio, adesso?” chiese Lestrade e il suo sarcasmo mancò completamente il bersaglio.

"Per niente."

"Lo pensavo."

Condivisero un sorriso ironico.

"Hai già sentito qualcosa da Mycroft?” domandò Lestrade. "Ha almeno una stima?"

Sherlock scosse la testa. "Sorprendentemente, questa è la prima volta nella mia vita in cui desidero davvero che mi chiami. È anche la prima volta che non riesce a farmi pesare le sue connessioni superiori e non riesco nemmeno a godermelo.”

"Mi viene da piangere solo a sentirlo," ringhiò Lestrade. "Ma non hai ancora risposto alla mia domanda. Come sta John?"

"Bene," sospirò Sherlock. "Sta mangiando bene, sta bevendo abbastanza acqua, lo porto a fare una passeggiata almeno due volte al giorno, continua a fare il prepotente per costringermi a mangiare e dormire e so che la signora Hudson gli ha portato dei dolcetti alle mie spalle. Sembra abbastanza felice, ma ovviamente preferirebbe essere di nuovo se stesso.”

"Comprensibile. Starà bene. Ma Sherlock..." Lestrade esitò.

"Sì?"

"Penso che tu stia dimenticando qualcosa."

"Oh?"

Lestrade sospirò. "Guarda... tu e John avete una relazione decisamente unica. Siete intimi. E in gran parte è perché vi parlate tutto il maledetto tempo. Non state zitti, mai, nessuno dei due. Ma ora lui non può rispondere. Senti, da quello che ho visto, voi ragazzi funzionate perché lui ti segue nelle tue folli avventure e tu lo ascolti quando ti dice di essere ragionevole."

Sherlock ci pensò su per un secondo, ma non riuscì a trovare nulla di evidentemente sbagliato in quell'affermazione. "E?"

"E in questo momento quell'equilibrio di potere è seriamente disturbato. Lui dipende da te per dargli cibo, esercizio, intrattenimento. E non può restituire nulla. Quindi ti costringe a mangiare e dormire, ma quello lo fa sempre. E non può fare nessuna delle altre cose che fa di solito. Non può risponderti, non può fare nulla per impedirti di precipitarti a capofitto nel pericolo. L'unica cosa che i cani possono fare è essere affettuosi. E tu gli stai negando quello sfogo."

Sherlock sbatté le palpebre. "Hai incontrato John? Non è un tipo affettuoso."

"Di solito, sorride alle persone e ti mantiene ragionevolmente ragionevole e rattoppa le strane ferite qua e là. Non dirmi che non hai notato che le persone si rilassano quando è nei paraggi. Ha un modo grandioso di trattare coi pazienti. E ora non può farlo, quindi quello che invece fa è lasciare che le persone lo accarezzino e le rende felici. Alla gente piace accarezzare i cani, se per caso in qualche modo hai mancato di notarlo. Ci sono studi e tutto il resto.”

"Così ho sentito,” disse Sherlock, senza prendersi la briga di dire che li aveva letti tutti.

Lestrade si strinse nelle spalle. "Eccoci, allora. John è affettuoso nell'unico modo in cui può esserlo in questo momento. E tu lo stai bloccando rifiutandoti di accarezzarlo più del necessario. Questo vi mette entrambi in agitazione. E che tu lo accarezzi o meno, non farà differenza per la possibilità che la sua mentalità diventi più simile a quella di un cane quando ha già tutti gli altri che lo accarezzano ad ogni possibile opportunità."

Sherlock dovette ammettere che in questo c'era qualcosa di vero.

"Bene. Lo prenderò in considerazione."

Lestrade annuì. "Bene."

"C'era qualcos'altro?” chiese Sherlock con cautela.

"No, tutto qui. Torna alla tua autopsia e dì a Donovan quello che tu e la dottoressa Hooper avete trovato, okay? Non scappare via e basta."

"Se lo facessi, John potrebbe rintracciarmi solo seguendo l’odore," fece notare Sherlock. "Di certo ne ha inalato abbastanza in questi ultimi giorni."

"Comunque, non c'è bisogno di rischiare."

Si salutarono a vicenda con un cenno del capo e Lestrade si voltò e si allontanò, lasciando Sherlock da solo nel corridoio con alcune nuove idee interessanti su cui riflettere. Forse era ora di usare quel pettine e quella spazzola che gli uomini di Mycroft avevano messo nella scatola.


*****


Postman's Park non era molto lontano dall'ospedale del St. Bart. Inoltre non era molto grande, ma Sally sapeva che non c'erano altri parchi nella zona e che sarebbe andato abbastanza bene per far fare esercizio a un cane. Qualsiasi cosa era meglio dell'ospedale, dopotutto.

Sorrise a Johnny, che sembrava abbastanza felice di essere in giro e non sembrava preoccuparsi di averla all'altro capo del suo guinzaglio.

Tuttavia, si fermò a diversi metri nel parco e si voltò per guardarla con aspettativa.

"Volevi qualcosa?” chiese Sally, perplessa. Lo sguardo del cane era fisso sulla borsa che Holmes le aveva dato.

"Non riceverai nessun dolcetto per aver semplicemente camminato,” gli disse.

Le sbatté le palpebre.

Sally aprì la borsa e vi frugò dentro. Non era del tutto sicura riguardo al togliergli il guinzaglio, ma doveva esserci qualcosa che poteva fare per intrattenerlo.

Non ci volle molto perché le sue dita indagatrici si curvassero attorno a un breve pezzo di corda spessa e annodata. Quando lo tirò fuori, Johnny scodinzolò con evidente entusiasmo, le sue orecchie si drizzarono e la lingua ciondolò.

Lei sorrise. "Va bene, allora."

Giocarono al tiro alla fune per un po’, finché le braccia non le fecero male e sentì di non poter tenere la corda per un altro momento.

"Sei instancabile," ansimò, ridendo mentre Johnny scuoteva vigorosamente la testa, la corda ancora stretta tra i denti.

Continuarono per la loro strada,

Sally trovò molto rilassante passeggiare senza meta, con il cane accanto a sé e il sole che le riscaldava la schiena. "E pensare di essere pagata per questo,” commentò, sogghignando. "Comincio a pensare che il mostro non dovrebbe mai darti via, Johnny. Anche se il vero John probabilmente non ti ringrazierà se dovrà ripulire dietro Holmes e te."

Johnny le uggiolò.

La donna si chinò e afferrò di nuovo la corda. "Lascia andare."

Lui lo fece e lei la rimise nella borsa. "Okay, penso che abbiamo bisogno di farti fare più movimento. Holmes mi ha detto di lasciarti giocare, quindi presumo che tornerai quando ti chiamo. Non farmene pentire."

Lui rimase perfettamente immobile mentre lei sganciava il guinzaglio e in seguito rimase al suo fianco, sebbene si allontanasse un po’ di più ogni volta che un profumo interessante attirava la sua attenzione.

Sally si prese il tempo di rovistare nella borsa alla ricerca del lanciatore e della pallina da tennis. Li tirò fuori entrambi in modo piuttosto trionfante.

"Che ne dici di questo, Johnny?" chiese. Immediatamente, tutta l’attenzione del cane fu su di lei e sull'aggeggio che aveva in mano.

Sally gli sorrise. "Prendi!"

La palla volò in aria e il cane partì, correndole dietro a una velocità impressionante.

Sally lo guardò trovare la palla e correre da lei, le orecchie che svolazzavano e la coda scodinzolante, e decise che quella era probabilmente la migliore giornata lavorativa che avesse mai avuto.

 

 



NdT: Grande Greg!!! Vediamo se la spintarella basterà a sbloccare infine il detective? 😉

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Capitolo 9
*** 9 ***


 Capitolo 9 

John era sfinito.

Non in un brutto modo, solo piacevolmente stanco dopo una giornata attiva. Far sì che Sally lo portasse al parco era stata un'idea brillante da parte di Sherlock. Il forte odore di disinfettante era stato piuttosto sgradevole per il suo olfatto acuto e non aveva apprezzato il pensiero di stare seduto per ore nel laboratorio mentre Sherlock era alla porta accanto a guardare un'autopsia.

Invece, era riuscito a passare la maggior parte del pomeriggio al parco con Donovan, che aveva giocato al riporto con lui finché non erano stati entrambi troppo stanchi per continuare e poi aveva trovato una panchina al sole dove lei aveva potuto sedersi mentre John esplorava l’area circostante del parco. Ogni tanto gli aveva dato da mangiare dei dolcetti e si era ricordata persino di riempire la ciotola con la bottiglia d'acqua che Sherlock aveva preparato nella borsa. Era stato davvero piuttosto gradevole.

Tuttavia, questo non gli aveva impedito di sentire la mancanza di Sherlock. Dai tempi di Baskerville, non erano stati separati per più di mezz'ora alla volta, tranne quando dormivano, ed essere così lontano da lui per ore e ore lo aveva reso nervoso. Non era sicuro di quanto di tutto ciò fosse la sua solita riluttanza a essere separato da Sherlock e quanto fosse la parte canina della sua mente che bramava la presenza di quello che probabilmente considerava come il suo alfa.

John sbuffò all’idea. Non c'era niente nella loro amicizia che potesse essere definito così facilmente. Non si trattava di Sherlock che guidava e di lui che seguiva. Abbastanza spesso, Sherlock finiva per dipendere da lui, dopotutto. Avevano più equilibrio nelle loro interazioni. E d’altra parte, un alfa senza un branco non era niente.

E ora era tutto sbagliato. John era gravemente incapacitato nella sua abilità di guidare Sherlock da qualsiasi parte. Era soltanto riuscito a convincerlo a mangiare e dormire, ma non c'era niente che potesse fare quando Sherlock era inutilmente scortese con le persone o in generale si comportava come un idiota. E inoltre non c'era niente che potesse fare quando le persone trattavano male Sherlock, cosa che accadeva troppo spesso. I commenti meschini, gli insulti, i sussurri alle sue spalle.

John voleva offrire conforto, scherzare sugli idioti ordinari che non conoscevano la genialità nemmeno quando li fissava in faccia, e non poteva.

L'unica cosa che poteva fare era comportarsi come un cane e chiedere a Sherlock di giocare con lui e accarezzarlo e in cambio mostrargli affetto. E fino a quel momento Sherlock aveva tracciato una distinzione tra le loro interazioni in pubblico e le loro interazioni in privato. A volte era un po’ sfocata, come il viaggio in taxi con la mano di Sherlock sulla nuca, ma a casa le regole erano abbastanza chiare. Non c’erano tocchi non necessari. Sherlock lo trattava come... be’, come se lui fosse John. Il che era positivo, pensò John. Voleva essere trattato come se stesso. Ma voleva anche comportarsi come se stesso e Sherlock lo rendeva impossibile rifiutando ogni contatto superfluo.

Quando tornarono all'ospedale del St. Bart, John decise quindi di salutare Sherlock il più entusiasticamente possibile, avvolgendosi intorno alle sue gambe e dandogli colpetti con la testa alle mani e le ginocchia.

"Mio Dio, gli piaci davvero!" commentò Donovan, suonando scandalizzata.

Sherlock sbuffò, chinandosi per arruffare la pelliccia di John con entrambe le mani. Quello dava davvero una bella sensazione. "Perché non dovrebbe? Gli do da mangiare, gli offro intrattenimento e riparo, gli presto attenzione tutto il tempo. Non è difficile. E lui tende ad essere amichevole con le persone."

John non ascoltò quello che Sally diceva in risposta, troppo occupato ad annusare le mani di Sherlock e cercare di capire cosa avesse combinato. L'autopsia, ovviamente, ma c'erano altri odori più deboli che erano molto più difficili da analizzare attraverso la nebbia del disinfettante. Alcuni di loro avevano l’olezzo di sostanze chimiche, quindi pensò che Sherlock avesse lavorato di nuovo in laboratorio.

Entrò Molly, portando con sé una nuova nuvola di profumi, e John ascoltò, mezzo divertito e mezzo rattristato, come il suo battito cardiaco aumentasse alla vista di Sherlock. Quella povera ragazza. John conosceva abbastanza bene quella reazione.

"Avrò i risultati degli altri test tra un giorno o due,” Molly disse a Sherlock prima di rivolgersi a John. "Salve, Johnny."

Lui la guardò scodinzolando e andò a salutarla. Altro disinfettante, qualcosa di floreale che doveva essere il suo profumo, eccitazione di basso grado, senza dubbio il risultato di essere stata esposta a Sherlock per ore e ore, e un pizzico di sudore, come ci si poteva aspettare dopo una lunga giornata di lavoro. Oh, e gatti. Debole ma decisamente presente, un profumo persistente che gli diceva che Molly possedeva almeno due gatti. Adesso era quasi contento per il disinfettante.

"Penso che sia ora di riportare Johnny a casa,” disse Sherlock. "Scrivimi i risultati non appena li ricevi. Sally, grazie per esserti presa cura di Johnny oggi."

"Uh... prego, immagino," balbettò lei, chiaramente sorpresa dai suoi sinceri ringraziamenti.

Sherlock si mise la borsa a tracolla sulla spalla. "Andiamo, Johnny. È ora della tua cena."

John inclinò la testa di lato e gli uggiolò.

Sherlock sospirò. "E della mia, se insisti."

John decise che poteva benissimo conviverci e seguì Sherlock fuori dalla porta e dentro un taxi.

Una volta a casa, Sherlock riempì le ciotole di John con acqua e cibo e mangiò persino due fette di pane tostato, il che richiese meno tempo del pasto di John.

Mentre stava ancora felicemente sgranocchiando, lui continuò a lanciare occhiate a Sherlock, che stava frugando nella scatola di prodotti per cani ancora sul tavolo della cucina.

John finì il suo pasto e leccò sperimentalmente la ciotola nel caso si fosse perso qualche briciola.

"Hai finito?” chiese Sherlock. Sembrava essersi spostato in salotto mentre lui non stava prestando attenzione.

John lo seguì e fu sorpreso di trovare Sherlock inginocchiato sul pavimento, con una spazzola in mano.

"Hai corso per il parco per mezza giornata e sei stato accarezzato per l’altra metà," fece notare Sherlock. "Per non parlare di ieri e dell'altroieri. È proprio ora di un po’ di toelettatura."

John cercò di non sembrare troppo desideroso mentre si avvicinava, ma sembrava ridicolo anche solo fingere che l’idea non gli piacesse.

"Siediti,” disse Sherlock. "Inizierò dalla schiena e procederò verso il basso. Dovrai alzarti un po’ più tardi, ma per ora andrà bene."

John fece come gli era stato detto e cercò di non rabbrividire mentre Sherlock passava con cura la spazzola attraverso il ruvido manto di pelliccia sulla sua schiena.

Questo era bello! Meraviglioso, perfino. Gli ricordava un po’ i massaggi al cuoio capelluto che si facevano dal parrucchiere, tranne per il fatto che non si limitava alla sua testa. Se fosse stato un gatto, era sicuro che avrebbe già fatto le fusa.

"Va tutto bene?” chiese Sherlock a bassa voce, facendogli scorrere di nuovo la spazzola lungo la schiena.

John annuì con enfasi.

"Ottimo."

Per un minuto o due, Sherlock lavorò in silenzio e John si crogiolò nella loro vicinanza e nella sensazione rilassante della spazzola sul dorso.

"Lestrade mi ha fatto notare che posso aver sbagliato a tenermi a distanza da te a casa," gli disse Sherlock con quel tono calmo e concreto che usava quando cercava di fingere che non gliene importasse sul serio. "Pensavo che avresti voluto che continuassi a trattarti come ho sempre fatto, ma Lestrade crede che sconvolgerebbe l'equilibrio della nostra... della nostra amicizia, dal momento che sei stato derubato della maggior parte della tua possibilità di agire dalla tua trasformazione."

John fu contento di non poter parlare. Non aveva idea di cosa dire in risposta, quindi si limitò a uggiolare piano e si voltò a guardare Sherlock.

Il suo amico si strinse nelle spalle. "Lestrade nutre la convinzione che essere in grado di esprimere te stesso attraverso il tatto possa aiutare la tua stabilità mentale e farti sentire meno stressato per la tua situazione. Sei d'accordo?"

John sbatté le palpebre. Lo era? Be’, nemmeno due ore prima si era preoccupato per lo squilibrio di potere della loro relazione, e ora ecco Sherlock, che gli diceva esattamente la stessa cosa. E John era assolutamente d'accordo con lui, quindi annuì di nuovo e gli diede un colpetto alla mano con il naso.

Le labbra di Sherlock si contrassero. "Lo prenderò come un sì, allora. Non dovrebbe essere una cosa troppo difficile da fare. Mi piacciono i cani. Mi piace accarezzare i cani. Ti capita di essere un cane in questo momento e sembra che ti piaccia essere accarezzato... sicuramente non ti sei opposto all’avere metà dei migliori di Scotland Yard che ti ronzavano intorno.”

Invece di dare qualsiasi tipo di risposta verbale, John si voltò e premette la fronte contro il petto di Sherlock.


*****


Sherlock dovette ammettere che forse Lestrade aveva avuto ragione.

Il movimento lento e metodico del braccio mentre trascinava la spazzola attraverso la folta pelliccia di John e la sensazione del petto di John che si espandeva e si contraeva a ogni respiro sotto le sue mani lo stavano rilassando in un modo che non aveva previsto.

Lavorò con attenzione, cercando di non tirare i peli, fermandosi di tanto in tanto per districare con cura le ciocche un po’ più lunghe.

John sembrava completamente rilassato, spingendosi contro il suo tocco con assoluta fiducia e palesi segni di godimento. Bene, pensò Sherlock. Essendo un uomo tattile, aveva sempre avuto voglia di passare le mani attraverso quella folta pelliccia, e ora era subito evidente che a John non dispiaceva minimamente. Forse la sua trasformazione aveva anche sradicato i pochi confini personali rimasti tra loro. Si chiese cosa sarebbe successo quando John fosse tornato nel suo corpo reale. Quei confini sarebbero tornati?

Sherlock scosse la testa tra sé. Certo che l’avrebbero fatto. Adesso si permettevano il contatto perché John aveva bisogno di sapere che gli era permesso essere affettuoso con lui nell'unico modo in cui poteva esserlo in quel momento. Era tutto quello che c'era da fare. E una volta che avesse riacquistato la sua forma umana, avrebbe anche riacquistato la sua capacità di parlare, di trascinare fisicamente Sherlock fuori dal pericolo o impedirgli di incappare in esso.

Sarebbero stati bene. Toccare un cane non era in alcun modo paragonabile a toccare un corpo umano, dopotutto, e Sherlock non era così stupido da confondere i due, ma non poteva fare a meno di essere consapevole della persona che risiedeva all'interno di quel corpo.

"Va bene, è ora di alzarsi in modo da poterti sistemare la pancia e le gambe,” disse, soprattutto per distrarsi dai propri confusi pensieri.

John fece come gli era stato ordinato e Sherlock continuò con attenzione il proprio lavoro. Tuttavia, John sussultò al primo tocco della spazzola contro lo stomaco.

"Scusa," mormorò Sherlock, aggiustando un po’ la pressione. "Va meglio?"

John emise un suono complicato.

"Non ho idea di cosa stai cercando di dirmi con quello," confessò Sherlock. "Ti fa male? Ti mette a disagio?" Fece una pausa, riflettendo. "Fa il solletico?"

John emise un basso latrato.

Sherlock sorrise. "Proverò con un po’ più di pressione, vedi se questo aiuterà."

Fece così e continuò, conscio di John che ogni tanto si contorceva, sebbene stesse chiaramente cercando di restare fermo.

"Stai andando molto bene," gli disse Sherlock, soprattutto perché non sapeva cos'altro dire. "E guarda tutti questi peli!"

Sollevò la spazzola in modo che John potesse vedere i peli impigliati in essa. "Li aggiungerò alla mia collezione in bagno."

John girò la testa, alzò gli occhi al cielo e fece scattare le orecchie in un modo che suggeriva un ironico divertimento.

Sherlock sorrise tra sé e iniziò a lavorare sulle gambe di John. "Puoi voltarti? Grazie."

Finì di spazzolare le zampe forti. "Sai, se per caso fosse stato a me dire in quale cane ti saresti trasformato, mi sarei aspettato qualcosa più sulla falsariga di un Corgi."

John gli sbuffò.

"Oh, sii onesto, John. Sappiamo entrambi che un Corgi avrebbe una proporzione gambe-corpo che corrisponderebbe meglio con la tua forma umana rispetto a un Toller."

Lo sguardo che John gli lanciò fu decisamente velenoso.

Sherlock sorrise, felice di essere tornato a stuzzicare il suo amico. "Non c'è bisogno che mi guardi in quel modo. Sto solo dicendo le cose come stanno. E ti farò sapere che i Corgi hanno un carattere eccellente e sono noti per il loro coraggio, implacabilità e indipendenza di pensiero."

Finì di spazzolare la coda di John con un gesto svolazzante. "Ecco. Ora voltati di nuovo e siediti, non ti ho ancora fatto il petto."

John si girò a fronteggiarlo e si sedette, lanciandogli uno sguardo severo mentre lo faceva.

Sherlock si sentì obbligato a offrire qualcosa in cambio di questa violazione della privacy. "Quando torni alla tua forma umana, puoi spazzolarmi i capelli per bilanciarlo."

Il suo amico inclinò la testa come se ci stesse riflettendo su.

"Ma non sarò messo al guinzaglio, non importa quello che dici," continuò Sherlock, segretamente divertito nel vedere John visibilmente colto alla sprovvista. "Sto scherzando. Adesso stai fermo."

Spazzolò la pelliccia bianca sul petto di John, ammirandone la netta forma a diamante. "Molto simmetrico,” osservò. "Sei davvero un cane eccezionalmente bello."

Non ne era del tutto sicuro, ma ebbe l’impressione che John si pavoneggiasse.


*****


Poco dopo, Sherlock si ritrovò seduto sul divano invece che sulla sua solita poltrona, a guardare la televisione con i piedi sul tavolino. Ad essere sinceri, non molta della sua attenzione era concentrata sul programma. In onda c'era una specie di documentario sugli oranghi, ma per lo più aspettava che arrivasse il notiziario.

John era disteso accanto a lui sul divano, la testa appoggiata comodamente sulla sua coscia come se quello fosse il suo solito posto. Sherlock aveva la sensazione che sarebbe potuto diventarlo molto in fretta. Sospettava anche che non gli sarebbe dispiaciuto per niente. E poiché John era stato quello che aveva messo la testa lì in primo luogo, era chiaro che non dispiaceva nemmeno a lui.

Il vantaggio di questa posizione, ovviamente, era che Sherlock poteva lasciare la mano destra su John, con le dita che accarezzavano delicatamente la pelliccia morbida. Il contatto fisico era rilassante, un anello chiuso dalla sua mano sulla parte superiore della schiena di John alla testa di John sulla sua coscia.

Agli occhi di uno sconosciuto, questa sarebbe stata una posizione perfettamente ragionevole per una persona e il suo cane. Sherlock suppose che le persone che sapevano potessero non sentirsi allo stesso modo.

Come se i suoi pensieri l'avessero evocata, sentì la porta della signora Hudson al piano di sotto che si apriva e si chiudeva e un attimo dopo i suoi passi sulle scale.

Sherlock notò due cose: in primo luogo, che John non si degnava nemmeno di contrarre un muscolo e in secondo luogo, che a lui la cosa piaceva più di quanto volesse ammettere.

"Hoo-hoo,” disse la loro padrona di casa mentre entrava. "Ho pensato di dare una controllata a voi ragazzi, per vedere come state."

Gli occhi le s’illuminarono quando vide la loro posizione amichevole sul divano. "Ohh, guardatevi! Che quadretto adorabile che fate!"

"Se lo dice lei,” disse Sherlock con calma, fingendo di essere molto interessato alle abitudini di accoppiamento degli oranghi.

Questo, come si scoprì, fu un errore, perché significò che non si accorse che la signora Hudson aveva portato di sopra la sua macchina fotografica finché non sentì il ‘clic’ sommesso di lei che scattava una foto.

"Signora Hudson!"

"Oh, zitto. John può metterla sul suo blog quando sarà tornato alla sua forma giusta e dire a tutti di come hai badato splendidamente al cane di tua madre, e guardate come siete adorabili insieme!"

Sherlock sbuffò. "Sta cercando di fare la furba. La smetta. Non convince nessuno."

A queste parole John alzò la testa, guardò la signora Hudson, scosse la testa e tornò prontamente alla sua posizione precedente.

"Vedi? John è d'accordo con me."

La signora Hudson sorrise con affetto. "Voi due. Credetemi, mi ringrazierete più tardi."

"Se lo dice lei,” ripeté Sherlock. "C'era qualcosa in particolare che voleva?"

Scosse la testa e si avvicinò un po’. "Oh, niente d’importante, davvero. Ho cucinato questa mattina e ho pensato che forse vi sarebbe piaciuto provare questi biscotti per cani che ho fatto."

Infilò la mano nella tasca del grembiule e ne tirò fuori uno, offrendolo a Sherlock.

"Cosa dovrei farci? Non sono io il cane qui. "

"No, ma in teoria è il tuo cane. Quindi puoi dargli da mangiare."

Sherlock alzò gli occhi al cielo, ma offrì il biscotto a John.

John osservò il dolcetto per un attimo, lo annusò e lo mangiò immediatamente dal palmo di Sherlock. Scodinzolò in segno di approvazione e Sherlock sussultò quando una lingua bagnata gli leccò la mano in cerca di qualche briciola che si sarebbe potuto perdere.

"John!"

La signora Hudson ridacchiò come una scolaretta. "Oh, penso che gli piaccia!" commentò, riuscendo in qualche modo a far sembrare oscena anche quell'osservazione innocente. "Ecco, ne ho portato un intero barattolo. Sono così contenta che voi ragazzi mi abbiate regalato un laptop per Natale, la signora Turner della porta accanto mi ha mostrato questo sito web dove si possono trovare ogni sorta di ricette!"

Accarezzò la testa di John e arruffò i capelli di Sherlock prima che lui avesse la possibilità di schivare con la testa. "Comunque, è meglio che torni giù, volevo solo portarvi questi e vedere come ve la cavavate, ma sembra che stiate proprio bene. Buona notte, ragazzi!"

Posò la latta sul tavolino da caffè e se ne andò.

John girò immediatamente la testa in direzione della latta e tirò rumorosamente su col naso.

Sherlock sospirò e si sporse in avanti per afferrarla. "Va bene, va bene, ho ricevuto il messaggio. Ma puoi scordarti di mangiare tutti questi in una volta. Hai sentito la signora Hudson. Proverà tutte quelle ricette che ha trovato e noi siamo le cavie in questo esperimento, quindi è meglio che risparmi un po’ di spazio per tutto quel cibo."

John guardò Sherlock, poi la latta tra le sue mani, poi di nuovo Sherlock.

Gemendo, Sherlock aprì il coperchio. "Oh, che diavolo. Ma non lamentarti con me quando ti sentirai male."

John non lo fece, ma fu perché nel tempo che ci mise a mangiare una manciata di biscotti, Sherlock si era ripreso dalla sua momentanea debolezza provocata dallo sguardo da cucciolo e aveva spinto via la testa di John in modo da poter chiudere di nuovo la latta.

"Ecco, basta così. Non possiamo permetterti di ingrassare. No, non guardarmi così, oggi non ne avrai più. E non pensare nemmeno di provare ad aprire la lattina per conto tuo, o sarò costretto a chiuderla con un nastro."

John uggiolò ma ovviamente si rassegnò al suo destino. Riportò la testa sulla coscia di Sherlock, sembrando ancora intento a masticare, o almeno facendo movimenti di masticazione con la mascella, il che dava una sensazione decisamente strana.

Sherlock fu contento quando finì il documentario e iniziò la breve introduzione al notiziario. Proprio la distrazione di cui aveva bisogno!


*****


Le news della BBC erano la solita raccolta di affari internazionali e nazionali, i politici erano idioti o stronzi o entrambe le cose, di eventi bizzarri e, alla fine le previsioni del tempo.

"Meno di mezzo minuto di copertura," commentò Sherlock, scuotendo la testa. "Finalmente c'è un noioso omicidio che improvvisamente diventa un omicidio molto interessante e loro a malapena si prendono la briga di parlarne."

John, che aveva smesso di masticare, lo guardò con grandi occhi marroni - il colore sbagliato coglieva sempre Sherlock leggermente alla sprovvista - e sbuffò come per dire 'cosa ti aspettavi?'.

"Sì, lo so, ma dai, John! È troppo aspettarsi almeno qualche notizia interessante dal notiziario per fargli guadagnare il proprio nome? Nulla di tutto questo è effettivamente una novità per me, bada. Mycroft è stato stressato per quell’elezione per settimane.”

John gli rivolse appena un'occhiata.

Sherlock sospirò. "Oh be’. Speravo che potessero menzionare qualcosa sul passato delle vittime o sulle circostanze che non conoscessi già. Non ho ancora avuto il tempo di fare molte ricerche su di loro. Molly non mi ha ancora risposto riguardo allo screening tossicologico risultante dall'autopsia ed è probabile che ci vorrà un altro giorno o giù di lì per farlo. Nel frattempo, ho un figlio che apparentemente ha ucciso suo padre a Regent's Park e poi è andato a casa per essere assassinato da qualcun altro. A meno che sia riuscito in qualche modo a pugnalarsi letteralmente alle spalle, credo che si possa escludere un suicidio.”

John annuì, chiaramente concordando con lui.

"Allora, cosa avrebbe spinto il proprietario di una rinomata, consolidata azienda di medie dimensioni a litigare con il proprio unico figlio a Regent's Park? Viveva a Barnsbury, perché sarebbe venuto a Regent's Park così presto la mattina?"

John non rispose, ma Sherlock non si aspettava che lo facesse comunque.

Sospirò di nuovo. "Dev’esserci qualcosa, qualcosa che mi manca. Se avessero voluto parlare in privato, avrebbero potuto farlo a casa o a Bingfield Park, che si trova proprio accanto a casa loro. Allora cosa stavano facendo a Regent's Park?"

Dopo un momento, boccheggiò. "Oh! John, portami una mappa di Londra!"

John alzò la testa e lo fissò come se fosse uno stupido.

"Oh, giusto, giusto, scusa, è l'abitudine." Sherlock gli spinse delicatamente via la testa e si alzò, marciando verso le loro scrivanie e rovistando finché non portò alla luce una malconcia mappa di Londra.

La stese sul pavimento in modo che anche John potesse guardarla. "Allora, ecco Regent's Park. Qui è dove hanno trovato il corpo,”disse, indicando un punto nella parte orientale del parco, vicino al punto in cui Chester Road incontrava Outer Circle.

Sherlock mosse il dito sulla mappa a nord-est fino a Barnsbury. "E qui è dove vivevano le vittime.”

John annuì in quello che sembrava un modo incoraggiante.

"Allora cosa stavano facendo a Regent's Park? Niente. Il signor Forsythe non aveva una ragione particolare per venire a Regent's Park, per quanto ne sappiamo, a meno che non fosse semplicemente di passaggio. Ora, se tracciamo una linea tra casa sua e la scena del crimine e poi estendiamo quella linea, dove andiamo a finire?"

Pugnalò la mappa con il dito. "Baker Street."

Si guardarono l'un l'altro. John inclinò la testa di lato, le orecchie inclinate in avanti.

Sherlock sorrise cupo. "Il signor Forsythe aveva bisogno di un consulente investigativo." Fece una pausa. "A meno che, naturalmente, non abbia avuto voglia di una visita a Madame Tussauds e volesse battere l'inevitabile coda di fastidiosi turisti presentandosi nelle prime ore del mattino."

Con uno svolazzo, chiuse la mappa e la lanciò nella vaga direzione delle scrivanie. "Mi chiedo perché non abbia usato la macchina, i mezzi pubblici o almeno un taxi.”

Ci pensò un attimo, poi tirò fuori il telefono. "Chiederò a Molly di mandarmi una foto dei suoi piedi."

John inclinò la testa dall'altra parte, chiaramente interrogandosi sul il suo ragionamento.

Ricordando che in questo momento John non era tanto in grado di dare suggerimenti o porre domande, Sherlock elaborò. "Può darsi che gli piacesse semplicemente camminare. L'autopsia ha dimostrato che era abbastanza in forma per la sua età, quindi forse ha semplicemente optato per coprire la distanza a piedi. Se è così, i suoi piedi testimonieranno che camminare frequentemente era un'abitudine."

Molly, ovviamente, per quel giorno era già a casa, ma rispose con un messaggio promettendo di inviargli le foto richieste come prima cosa al mattino.

Il ritardo era intollerabile. "Siamo così vicini a una svolta e Molly sceglie oggi tra tutti i giorni per essere irragionevole!" si lamentò Sherlock.

Gli venne in mente un'altra idea. "Dai, John, andiamo all'obitorio!"

Balzò in piedi, d’improvviso colmato di nuovo da uno scopo. Se Molly non poteva dargli quello che voleva fino al mattino, allora sarebbe andato a prenderselo da solo adesso! Era brillante!

Fece appena due passi prima che John avesse attraversato la stanza con un balzo e si fosse messo per bloccare la porta.

"John..."

Una scossa della testa.

Sherlock aggrottò la fronte. Non si era aspettato del dissenso da John. Non in questo. ”John! Tutto quello che devo fare è dare un'occhiata ai suoi piedi e saprò per certo se camminava molto e quindi confermare la probabilità che venisse da noi a piedi. E poi possiamo interrogare la sua vedova e i suoi conoscenti stretti per confermare ulteriormente l'abitudine."

John scosse di nuovo la testa, voltandosi a guardare l'orologio sul muro e poi dando a Sherlock uno sguardo significativo.

"Cosa? Quindi è sera tardi. Quando mai questo ci ha impedito di uscire?"

John emise un sospiro udibile e guardò Sherlock come se non avesse colto il punto.

"Tutta questa faccenda del non parlare sta diventando davvero molto noiosa," disse Sherlock.

John fece un passo avanti e con molta attenzione afferrò il polso di Sherlock tra i denti. Il suo tocco era gentile, la debole pressione dei suoi denti appena più forte di unghie premute leggermente sulla pelle.

"John?" Sherlock non sapeva bene cosa lui stesse chiedendo. Era chiaro che uscire dalla porta in questo momento era una cattiva idea. Sebbene la presa di John fosse estremamente delicata, la consapevolezza che la forza della mascella di un cane era più che sufficiente per spezzare un polso senza molto sforzo era innegabile. Non che lui pensasse davvero che John avrebbe fatto una cosa del genere, ma questo non significava che avrebbe mai sottovalutato la natura ostinata di John.

John diede un piccolo strattone.

Sherlock, curioso e incuriosito, fece un passo avanti.

John tirò di nuovo e così continuarono, fino alla camera da letto di Sherlock .

"Mi mandi di nuovo a letto? John, non è ancora mezzanotte, davvero non vedo cosa..." Fece una pausa, mentre gli veniva in mente una spiegazione improvvisa. "Oh! Giusto, hai ragione. Non posso interrogare la vedova, starà dormendo. Continuo a dimenticare che le persone noiose insistono su orari regolari del sonno."

Esitò un po’. "Immagino che tu stia cercando di dirmi che, dato che non posso comunque interrogare la vedova fino a domani mattina, non ha senso nemmeno guardare i piedi adesso?"

John gli lasciò andare il polso e annuì.

Le spalle di Sherlock si abbassarono. "Va bene. Ma se continui a rovinare tutto il mio divertimento con la tua logica, io e te dovremo fare una chiacchierata seria." Fece una pausa. "Non appena riacquisterai la capacità di parlare."

Con suo privato sollievo, John si limitò ad alzare gli occhi al cielo e poi gli diede un colpetto con la testa verso il letto.

"Sì, sì, va bene. Sei piuttosto prepotente come cane, John. Implacabile. Come un cane con un osso, si potrebbe dire."

Lo sguardo che ottenne in risposta a ciò fu uno che diceva che John aveva completamente chiuso con le sue stronzate.

Sherlock sogghignò. "Bene. Almeno lasciami cambiare prima di mettermi KO con uno scodinzolio particolarmente violento o qualcosa del genere."

John fece un basso latrato.

"Lo prenderò come un assenso."

Raccattò il pigiama e andò in bagno a cambiarsi, silenziosamente divertito dalla facilità John lo aveva convinto a non precipitarsi alla Bart, e perfino senza pronunciare una singola parola! Era davvero una forza con cui fare i conti, ed essere un cane non aveva cambiato minimamente le cose.

Sherlock si cambiò, si lavò i denti e ritornò in camera sua.

John era ancora lì, seduto in mezzo alla stanza e lo aspettava, probabilmente per assicurarsi che andasse davvero a letto invece di sgattaiolare fuori dalla finestra o qualcosa di altrettanto ridicolo. Sherlock scelse di non ammettere che quell’idea gli era davvero passata per la testa.

 




NdT: Oh, finalmente siamo arrivati alle coccole, era di gran lunga ora! 🥰 E diciamo la verità, adesso quante di noi vorrebbero una copia di quella foto di Johnny con la testa in grembo a Sherlock? 🤣

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Capitolo 10
*** 10 ***


 Capitolo 10 

Sherlock non si era aspettato sul serio di dormire quella notte, ma a quanto pareva l'insistenza di John per orari regolari si stava già ripercuotendo sul suo mezzo di trasporto. Dopo aver ceduto al sonno solo nelle prime ore del mattino la notte precedente, la sera prima si era addormentato ancor prima che John avesse lasciato la sua camera da letto, e uno sguardo all'orologio gli disse che in realtà aveva dormito tutta la notte. Succedeva abbastanza di rado, quindi Sherlock supponeva che fosse il recupero dell’arretrato.

Si chiese quante altre persone si sarebbero riferite a una buona nottata di sonno come a una ‘notte in bianco’, mentre lavorare fino all'alba era semplicemente la norma.

Naturalmente, tutte le sue oziose riflessioni sull'argomento furono sospese in fretta da John che balzava nella sua camera da letto, con la coda che sventolava avanti e indietro come una bandiera nelle mani di un tifoso troppo entusiasta.

"Stavolta sono già sveglio, oggi non c'è bisogno di leccarmi la mano,” disse svelto Sherlock, prima che John potesse avere qualche idea.

John si limitò a sbuffare, tornò verso il corridoio, poi tornò al letto e continuò ad andare avanti e indietro.

"Sì, sì, mi sto alzando, non c'è motivo di essere impaziente. Buon Dio, se ti svegliassi così presto ogni giorno, saresti di umore orribile. Ora va’ a sdraiarti nella tua cuccia e calmati mentre faccio la doccia e mi vesto. Non ti porterò a fare una passeggiata in pigiama.”

Gettò via le coperte ed entrò barcollando in bagno, togliendosi i pantaloni del pigiama e lasciandoli ammucchiare sul pavimento, già dimenticati mentre entrava nella doccia.

Uno spruzzo di acqua fredda lo portò al completo stato di veglia e Sherlock si domandò oziosamente quando fosse stata l'ultima volta che aveva dormito fino a tardi. Di solito non sprecava il proprio tempo impigrendosi a letto, ma pensava che l'ultima volta potesse essere stata il giorno in cui erano stati chiamati a Buckingham Palace da Mycroft. Forse avrebbe dovuto programmare una mattinata a letto nel prossimo futuro, dire a John di andare a farsi la passeggiata per conto suo e godersi lo sguardo sul suo viso peloso.

Sherlock sbuffò tra sé e passò attraverso la routine di insaponarsi il corpo e i capelli, prestando particolare attenzione a questi ultimi.

Quando fu uscito dalla doccia e ebbe indossato vestiti asciutti, era del tutto sveglio e stava considerando quanto tempo avrebbe dovuto aspettare prima che Molly arrivasse all'obitorio in modo da poterlo aggiornare sui piedi del signor Forsythe.

Versò le crocchette nella ciotola di John, riempì l'altra di acqua fresca e distrattamente si preparò una tazza di tè e una fetta di pane tostato con il miele. Si rese conto di aver accidentalmente fatto colazione solo quando mise il piatto vuoto nel lavandino e notò che John gli stava lanciando uno sguardo piuttosto compiaciuto.

"Non guardarmi così," borbottò Sherlock. "È colpa tua se il mio mezzo di trasporto ha deciso di tradirmi e la cosa è del tutto inaccettabile."

Un pensiero sommesso nel profondo della sua mente gli ricordò il piccolo problema con cui era stato alle prese prima che prendessero il caso Baskerville. Sherlock decise di ignorare la faccenda: meglio non svegliare il can che dorme, per così dire. Se era fortunato, il suo mezzo di trasporto aveva ricevuto il messaggio e lo avrebbe lasciato in pace almeno per un altro paio di mesi.

Ignaro dei pensieri di Sherlock, John si limitò ad alzare gli occhi al cielo e andò a raccogliere il suo guinzaglio.

Sherlock sospirò e controllò il telefono per eventuali messaggi di Molly, poi se lo fece scivolare nella tasca interna della giacca. "Va bene, andiamo. Dov'è la tua palla?"

John gli portò la borsa a tracolla e rimase perfettamente immobile mentre Sherlock gli agganciava il guinzaglio al collare e frugava nella borsa per assicurarsi che avessero tutto. "Va bene, ce l’ho. Andiamo, allora."

Non poté fare a meno di sorridere alla vista di John che balzava con entusiasmo giù per le scale davanti a lui. C'erano modi peggiori per iniziare una mattinata.


*****


Un'ora dopo tornarono a casa, John ansimante e Sherlock che si chiedeva fino a che punto fossero arrivati ​​gli scienziati nello sviluppo degli arti robotici. Pensava che gli sarebbe piaciuto investire in un braccio per lanciare palline da tennis.

Aveva appena chiuso la porta d'ingresso dietro di sé quando John s’irrigidì, tutta la sua attenzione sulle scale. I peli sulla nuca gli si erano rizzati.

"Cosa c’è?” chiese Sherlock a bassa voce.

John non si voltò nemmeno a guardarlo, si limitò ad angolare la testa in modo da poter guardare il maggior numero di scalini che poteva, e iniziò a tirare il guinzaglio.

Senza altra scelta, Sherlock lo seguì. Non aveva senso cercare di essere silenziosi; impossibile non notare il suono delle zampe artigliate sul legno.

La porta del soggiorno era aperta. C’era qualcuno nel loro appartamento.

"Cerca di non morderli finché non sappiamo cosa vogliono," mormorò Sherlock. "Stiamo cercando di fare un'impressione favorevole.”

John fece di nuovo quel suono, mezzo grugnito e mezzo sbuffare, che significava che pensava che Sherlock fosse ridicolo e che, in casi come questo, non gli era mai importato del tipo di impressione che faceva.

Salirono il resto delle scale ed entrarono nel loro appartamento come se non avessero nessun pensiero al mondo.

"La gente di solito chiama in anticipo,” disse Sherlock con calma.

L'uomo seduto nella sua poltrona di pelle sorrise con aria benevola. "Così ho sentito, ma non mi aspettavo che lei fosse fuori alle sette del mattino. Mi scuso."

Sherlock lo guardò accigliato. "E il fatto che fossi fuori non le ha fatto prendere in considerazione l'idea di andarsene e tornare più tardi?"

"Sono piuttosto a corto di tempo al momento,” disse l'uomo in tono di scusa.

"E cosa porta un contabile da poco in pensione a casa mia questa mattina presto?" domandò Sherlock, facendosi scivolare la borsa dalla spalla e gettandola con noncuranza sul divano prima di sfilarsi il cappotto. "Vorrei aggiungere che trovo assurdo da parte sua tentare di mentirmi. Nessuno che sia entrato di recente nel proprio tanto atteso pensionamento è in alcun caso a corto di tempo un martedì mattina."

Si piegò e sganciò il guinzaglio dal collare di John.

John si avviò prontamente ad annusare le gambe dei pantaloni dello sconosciuto prima di lanciargli uno sguardo sprezzante e spostarsi per sedersi accanto alla propria poltrona.

Sherlock sorrise e si sistemò sulla poltrona di John,

"Allora? Cosa posso fare per lei?"

L'uomo stava fissando John con lo sguardo teso di qualcuno che non è abituato a stare con i cani. "Mi permetta di assicurarmi di aver capito bene, prima,” disse. "Lei è il signor Sherlock Holmes, non è vero?"

"Sì," confermò Sherlock, sentendosi già annoiato. Fece un gesto verso John. "Questo è John."

L'uomo aggrottò la fronte. "Avevo l'impressione che il nome del suo assistente e blogger fosse John."

"Infatti."

"Ma questo è un cane."

"Che occhio."

"Ma se John è un cane, allora chi scrive il suo blog?"

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Santo cielo, signore! Il cane si chiama Johnny. Il mio coinquilino e blogger, John, al momento è via per affari di famiglia. Di certo non sta suggerendo che questo cane qui sia in grado di digitare qualsiasi post di un blog."

Fu gratificante vedere l'uomo dimenarsi un po’. "Be’... no. Sono stato semplicemente preso alla sprovvista. Chiedo scusa."

Sherlock sospirò. "Allora possiamo tornare alla faccenda in questione, signor...?"

"James," si presentò l'uomo. "Harold James."

"Ebbene, signor James, quale sembrerebbe essere il problema?"

Il signor James si sporse in avanti, con un po’ della sua franchezza che veniva sostituita da un'onesta preoccupazione mentre parlava. "Fino a poco tempo fa lavoravo in un'azienda di tutto rispetto in qualità di contabile, come lei ha correttamente dedotto. Sono molto bravo con i numeri, lo sono sempre stato, ed ero appassionato del mio lavoro, quindi a volte me lo portavo a casa. Dopo il mio pensionamento, ho trovato ancora sulla mia scrivania a casa alcuni file che appartenevano all'azienda, quindi li ho controllati per vedere di cosa si trattava prima di restituirli. È stato allora che ho notato alcune discrepanze.”

"Sospettava una frode?” chiese Sherlock.

"Appropriazione indebita," confermò il signor James. "Non posso esserne sicuro, poiché i file mostravano solo una piccolissima parte dei movimenti di denaro all'interno dell'azienda e non ho avuto la possibilità di guardare nessuno degli altri documenti. Senza dubbio non ero l'unico contabile dell'azienda e la cosa è stata fatta in modo molto sottile, che credo sia il motivo per cui nessuno ha mai notato nulla.”

"E ne ha parlato con il suo precedente datore di lavoro?” chiese Sherlock. L'appropriazione indebita poteva condurre su strade molto interessanti o molto noiose e sperava in un caso interessante, qui.

Il signor James sembrò rattristato. "Ho provato, ma quando ho chiamato il suo ufficio sono stato informato che il signor Forsythe era inaspettatamente deceduto."


*****


Un quarto d'ora dopo che il signor James aveva annunciato in modo così casuale e inconsapevole il proprio collegamento con l'attuale indagine di Lestrade nel salotto del 221b, Sherlock stava camminando su e giù tra le scrivanie e la cucina.

"Omicidio, appropriazione indebita, un altro omicidio... oh, questo si preannuncia davvero molto interessante!" esclamò.

"Mi dica, signor James, è possibile che il suo ex datore di lavoro fosse stato a conoscenza della contabilità creativa in corso nella sua azienda?"

"Potrebbe esserlo stato, sì," rispose il signor James. "Aveva lui stesso un ottimo occhio per i numeri, avendo iniziato l'attività in proprio da giovane e sviluppandola fino a diventare l'azienda che è oggi. All'inizio, ha dovuto fare tutto da solo fino a quando non mi ha assunto per tenergli i conti, in modo che lui potesse concentrarsi su un'ulteriore espansione. In effetti, è per questo che oggi sono qui. Non ho pensato molto alla sua morte quando ne ho sentito parlare per la prima volta, tranne che per la solita tristezza che ci si può aspettare, ma poi ho sentito alla notizia che lui era stato assassinato e che anche suo figlio aveva trovato una fine violenta. Questo mi ha incuriosito e una volta che ho saputo dov’era stato trovato, ho sospettato che potesse essere stato sulla strada per... "

"Per vedere me," finì Sherlock. "Ho pensato la stessa cosa quando è diventato chiaro che non c'era nessun altro motivo possibile per lui per aver camminato fino a Regent's Park da casa sua la mattina così presto."

"Aveva sempre ammirato i suoi talenti e l'avevo visto spesso leggere il suo sito web e il blog del suo collega,” disse il signor James. "Quando ho saputo che era stato trovato a Regent's Park, mi è sembrata l'unica conclusione logica."

Sherlock provò una non piccola fitta di soddisfazione perché la sua deduzione era stata corretta. La sensazione aumentò quando John gli diede un colpetto alla mano con la testa in silenzioso apprezzamento. In risposta, grattò l'orecchio del suo amico.

"La ringrazio molto per aver portato la cosa alla mia attenzione, signor James. Se fosse così gentile da lasciare il suo biglietto per me in modo che io possa contattarla se ho ulteriori domande, le sarei molto grato."

Il signor James, riconoscendo un congedo quando ne sentiva uno, si alzò con prontezza dalla poltrona e porse a Sherlock il proprio biglietto da visita. "Sono lieto di sapere che esaminerà la questione,” disse. "So che Harrison avrebbe apprezzato i suoi sforzi, qualunque cosa lei possa scoprire."

Sherlock annuì, infilando la carta al sicuro nella tasca anteriore della camicia. "Farò del mio meglio. Nel frattempo, posso suggerirle di non entrare in contatto con nessuno dei suoi ex colleghi? Credo, infatti, che potrebbe trarre profitto da una vacanza fuori città, preferibilmente da qualche parte in cui nessuno verrebbe a cercarla."

L'ex contabile sbiancò. "Che dice?"

"Sa cosa sto dicendo. Qualcuno ha sottratto denaro da questa azienda per quelli che potrebbero essere stati anni e ora questo è costato la vita al suo ex datore di lavoro e al suo erede. Come ex capo contabile, lei potrebbe essere un altro bersaglio nella lista di questa persona. Le suggerisco di svignarsela. Non dica a nessuno dove sta andando e tenga il telefono sempre con sé in caso di emergenza da parte sua o ulteriori domande dalla mia."

Pallido e tremante, il signor James strinse la mano di Sherlock, fece un piccolo inchino educato e se ne andò.

Sherlock aspettò che la porta d'ingresso si fosse chiusa dietro l'uomo prima di avvicinarsi alla finestra e guardarlo allontanarsi a piedi. "Se ha un po’ di buon senso, chiamerà un taxi un po' distante da qui,” rifletté.

Poi si voltò di nuovo verso John che lo stava guardando in attesa.

"Bene,” disse Sherlock. "Cosa ne pensi?"

John emise un basso latrato.

"Sì, di certo è stato inaspettato. Quante volte abbiamo avuto indizi preziosi che ci aspettavano proprio a casa nostra?"

Sorridendo, Sherlock continuò a camminare avanti e indietro. "Oh, è fantastico! Così tanti punti di vista! So che il figlio ha ucciso suo padre in una discussione. Ma era anche responsabile dell'appropriazione indebita? Suo padre si limitava a crederlo? Era quella la causa della discussione o stavano litigando per una questione non correlata? E se sì, chi è stato il responsabile della morte del figlio poche ore dopo? Vorrei che Lestrade si affrettasse e mi mostrasse le immagini della scena del crimine in modo da poter eliminare il suicidio dall'elenco delle possibilità."

Vide il modo in cui John inclinò la testa. "Non guardarmi così. Accoltellarsi alle spalle è perfettamente possibile, dipende da quanto disperatamente uno vuole che la cosa non sembri un suicidio e da quanto sia intelligente la persona in questione. Ero disposto ad ammettere che è improbabile la scorsa notte , ma considerando questo sorprendente colpo di scena, ora non darò nulla per scontato. No, dovrò vedere le foto il più presto possibile."

Sherlock tirò fuori il telefono e inviò un breve messaggio a Lestrade. "Forse possiamo chiamare un taxi per lo Yard, così posso dare un'occhiata immediatamente."

John uggiolò e scosse la testa, indicando la finestra con un cenno del capo.

Sherlock si voltò. Aveva cominciato a piovere. "E allora? È un po’ di pioggia, passerà."

La pioggia diventò più forte perfino mentre parlava e lui poté vedere nuvole nere che si avvoltolavano nel cielo. Non era il solito grigio malinconico della pioggia leggera e l’occasionale piovigginare da cui Londra era così spesso inzuppata. Quelle erano il tipo di nuvole che significavano guai.

Sherlock gemette. "Meraviglioso. Con un temporale sulla testa, sarà assolutamente impossibile prendere un taxi."

Come se fosse un segnale, iniziò a grandinare.

Sherlock lanciò un'occhiataccia alla finestra, sperando contro ogni speranza che la sua opinione personale potesse influenzare il tempo. Non poteva.

Con uno sbuffo, si gettò sul divano per tenere il broncio.

"Finalmente sta succedendo qualcosa di divertente, il caso sta facendo progressi meravigliosi, e poi dobbiamo proprio avere uno dei nostri rari temporali,” ringhiò. "È odioso sotto ogni aspetto, John.”

John gli uggiolò e si avvicinò, strofinando il naso sulla mano di Sherlock che penzolava dal divano.

Lui sospirò e girò la mano per accarezzargli il petto, che era la parte più vicina che poteva raggiungere.

"Almeno oggi tu hai già fatto la tua passeggiata," mormorò. "Immagina di uscire con questo tempo. I Toller dovrebbero amare l'acqua, ma penso che anche tu porresti il veto alla grandine."

John rispose scuotendo tutto il corpo con repulsione. Sherlock sentì gli angoli della sua bocca inclinarsi verso l'alto. "Ora, cosa ne faremo di questa orribile giornata?"


*****


Trascorsero la giornata oziando per l'appartamento e giocando a nascondino. Sherlock prendeva una delle palline da tennis di John e la strofinava con varie spezie che aveva dissotterrato da un cassetto in cucina e poi la nascondeva da qualche parte in casa perché John la trovasse solo dall’odore. Altre volte, riempì il kong di dolcetti e spedì John a cercarli, e i dolcetti erano il suo premio per aver trovato il kong.

La signora Hudson venne di sopra nel primo pomeriggio per guardare la televisione con loro e lei e Sherlock trascorsero il tempo a discutere delle persone nello show, una sorta di realtà sceneggiata che a Sherlock faceva perdere la speranza dell'esistenza di vita intelligente in generale e dell'umanità in particolare.

Quando la loro padrona di casa fabbricò una delle sue sigarette all'erba da condividere con Sherlock, John lanciò a entrambi uno sguardo severo.

"Oh, non fare così, John,” disse la signora Hudson, allungando una mano e picchiettandogli il fianco. "Lascia che una vecchia signora si diverta. E sai benissimo che è molto scortese non condividere."

John borbottò in tono basso, trasferendo la sua occhiataccia su Sherlock.

"Non guardare me, è scortese rifiutare qualsiasi cosa offerta dalla tua padrona di casa,” disse con prontezza Sherlock, accettando lo spinello dalla donna in questione con un sorrisetto. "Sarà molto interessante vedere come reagisce un cane al profumo di marijuana nell'aria.”

John appiattì le orecchie verso di lui e trotterellò con ostentazione verso l'altro lato della stanza dove si acciambellò nella sua cuccia, nascondendo il naso sotto la coda. Forse avrebbe potuto semplicemente dormire durante tutta quella faccenda e rivendicare l'ignoranza in merito, se interrogato a posteriori. Di certo adesso non poteva farci niente, a meno di non mangiare quella dannata cosa.

Alla fine, John dovette ritirarsi fino alla sua camera da letto per sfuggire al profumo penetrante dell'erba. Sapeva che la marijuana non era particolarmente dannosa e che le sigarette di Sherlock in realtà erano molto più nocive, ma qualcosa in lui si ribellava contro qualsiasi forma di uso di droghe ricreative. Non poteva certo rimproverare la signora Hudson, che sosteneva che fosse più salutare di qualsiasi farmaco antidolorifico che un medico potesse prescriverle per l'anca, ma si opponeva al fatto che Sherlock annebbiasse con quella roba la sua mente brillante.

Dato che nessuno dei due fece la minima mossa per fermarsi prima che l'intera canna fosse finita, John si ritirò al piano di sopra e si rannicchiò sul letto dove poteva sonnecchiare circondato dal proprio stesso profumo con il naso sepolto sotto un cuscino in modo che lo spinello non gli arrivasse così facilmente. Aveva persino spinto col muso la porta fino ad accostarla il più possibile senza lasciarla realmente chiudere. L'ultima cosa che voleva era essere rinchiuso qui e dover fare affidamento su Sherlock per farlo uscire. Sarebbe sembrato troppo come una punizione per aver protestato contro l'erba e onestamente non aveva idea di quale sarebbe stato il suo effetto su Sherlock. Forse avrebbe dimenticato che John aveva un problema con l'apertura di certe porte, forse si sarebbe del tutto dimenticato di lui e si sarebbe disconnesso, si sarebbe perso nel suo Palazzo Mentale, o avrebbe iniziato un ridicolo esperimento che avrebbe portato alla distruzione di un altro tostapane.

Rabbrividendo, John si raggomitolò un po’ più stretto e ascoltò il rumore della pioggia che cadeva fuori. Sembrava di stare proprio accanto a una cascata ma, guardando fuori dalla finestra, sapeva che in realtà non era altro che un forte acquazzone che si abbatteva sugli edifici e sui marciapiedi, e, in molti casi, sugli sfortunati abitanti della città.

Il rumore era quasi assordante. Dovette prestare molta attenzione per sentire la voce della signora Hudson mentre salutava Sherlock e scendeva le scale per tornare al suo appartamento.

Udì il rumore di una finestra che veniva aperta e aspettò mezz'ora prima di avventurarsi al piano di sotto.

Sherlock aveva spalancato una delle finestre del soggiorno che fortunatamente non era stata colpita dalla pioggia e aveva arieggiato un po’ la stanza. L'odore dell'erba era ancora lì, ma stava venendo rapidamente sommerso dal profumo di aria pulita e fresca, pioggia, pavimentazione bagnata e il solito profumo di gas di scarico delle auto che perfino la pioggia di un giorno intero non avrebbe mai potuto sradicare del tutto.

"Riesci ancora a sentirne l'odore?" strascicò Sherlock.

Era sdraiato sul divano, la vestaglia avvolta intorno a sé come un bozzolo di seta. Ogni suo arto sembrava sciolto e rilassato e John si chiese se questo fosse l'aspetto che aveva avuto Sherlock, nei giorni bui della sua tossicodipendenza.

John annuì, facendo guizzare le orecchie da una parte e dall'altra. Con la finestra aperta, il rumore della pioggia era ancora più forte di quanto non fosse stato al piano di sopra.

Trotterellò verso la finestra e si alzò sulle zampe posteriori, sostenendosi al davanzale con le zampe anteriori in modo da poter guardare fuori. La strada era deserta e c'erano poche macchine in giro, ma era normale per Baker Street. Poteva sentire i rumori delle auto su Marylebone Road, ma anche lì il traffico sembrava smorzato e meno intenso del solito. Le persone che non erano costrette ad andare da qualche parte tendevano a rimanere al coperto in questo tipo di tempo.

Respirò a fondo, godendosi l'aria pulita. Con questo naso, poteva effettivamente annusare la graduale diminuzione della percentuale di fumo d’erba nell'aria ed era glorioso. Sarebbe stato in grado di ritrovarne l'odore ovunque, ora che era stato immagazzinato nella sua mente, ma per ora veniva cancellato dall'appartamento poco a poco.

"Posso chiudere la finestra, adesso, o vuoi che prima mi congeli a morte?” chiese Sherlock dal divano. "Una reazione un po’ eccessiva, come forma di punizione."

Brontolando, John voltò le spalle alla finestra e saltò sul divano. Non avanzava molto spazio, con Sherlock che occupava così tanto della superficie a causa delle sue gambe irragionevolmente lunghe.

John trovò un punto, però, e non riuscì a darsi la briga di preoccuparsi che quel punto fosse giacere in mezzo alle gambe di Sherlock con la testa appoggiata sul suo addome.

"Non sono sicuro se tu stia cercando di tenermi al caldo mentre l’appartamento si arieggia, o se stia cercando di punirmi ancor di più esercitando pressione sulla mia vescica e rifiutandoti di lasciarmi alzare," rifletté Sherlock, allungando il braccio per accarezzare la nuca di John.

In risposta lui emise un lieve mugolio, silenziosamente sorpreso dalla propria capacità di produrre un suono del genere. Vibrò lungo la parte posteriore della sua gola e lui chiuse gli occhi in beatitudine alla sensazione delle dita di Sherlock nella sua pelliccia. Non si sarebbe mai stancato di questo, lo sapeva e basta. E in questa posizione il polso di Sherlock era in stretta prossimità del suo naso, quel suo profumo vicino e rassicurante, il suo battito cardiaco udibile attraverso il sottile strato di pelle.

Sherlock sospirò piano e rimase dov'era, le dita sulla nuca di John l'unica parte di lui che si muoveva, a parte il costante salire e scendere del petto.

Le orecchie di John si voltarono in direzione della finestra quando si rese conto che un'auto stava svoltando in Baker Street. Si fermò proprio davanti al 221b. Rimase dov'era, ascoltando le portiere che si aprivano e si chiudevano.

Un attimo dopo, il suono acuto del campanello infranse l'atmosfera calma.

"Non mi muovo da qui," lo informò Sherlock. "Non mi interessa chi sia, possono benissimo parlarmi mentre sono sdraiato."

La signora Hudson aprì la porta ed entrambi la sentirono salutare qualcuno. Un attimo dopo, la voce di Lestrade fluttuò su per le scale.

Sherlock sospirò. "Riesci ancora a sentire l'odore dell'erba? E, cosa più importante, pensi che lui possa?"

John alzò la testa abbastanza a lungo da scuoterla prima di tornare alla sua posizione precedente.

Immaginava che avrebbe dovuto alzarsi e andarsene, ma era troppo dannatamente a suo agio proprio dove si trovava. Era probabile che Lestrade sarebbe andato a nozze con la loro posizione attuale. Così com'era, li stava praticamente beccando a coccolarsi sul divano. In pieno giorno, niente di meno! Ma se Sherlock non ne era infastidito, perché avrebbe dovuto esserlo lui? Così rimase al suo posto.

Due paia di piedi salirono le scale, ma John sapeva già che Lestrade aveva portato Donovan. Aveva sentito il suo basso saluto alla signora Hudson. Ma dal momento che Donovan non aveva idea che John e il cane Johnny fossero la stessa persona, lei era ancora meno un motivo per alzarsi.

"Sherlock, ci sei?” chiese Lestrade, entrando nel soggiorno seguito da Donovan. "Accidenti, si gela qui dentro."

"A Johnny piace il profumo della pioggia," lo informò Sherlock, attirando la loro attenzione su di lui.

Lestrade diede uno sguardo all'intimo quadretto di loro due sul divano, aprì la bocca con un'espressione gongolante sul viso, lanciò un'occhiata a Donovan e rimase in silenzio.

Sally, d'altra parte, non riuscì tenere la bocca chiusa. "Wow, Holmes, così sembri davvero un essere umano."

"Ah, il mio travestimento funziona,” disse con prontezza Sherlock. "Grazie per la conferma. D'ora in poi farò in modo d’indossare sempre un cane. Che ne dici, Johnny? Camminare è comunque sopravvalutato. Ti trasporterò in giro tutto il giorno. O forse chiederò a due dei tirapiedi di Mycroft di portare questo divano ovunque."

John scodinzolò senza troppa convinzione in risposta.

"Pensavo che saresti stato in piedi a lavorare al caso,” disse Lestrade, apparentemente scegliendo di ignorare l’ambiguo spettacolo di fronte a sé. "Mi aspettavo quasi che tu avessi ricreato la scena del crimine proprio qui nel soggiorno."

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Inutile. Non ho nemmeno dovuto uscire dalla porta per occuparmi del caso. Quando Johnny e io siamo tornati a casa dalla nostra passeggiata questa mattina, il bandolo della matassa ci stava aspettando proprio qui in salotto."

"Che cosa?"

Sherlock sospirò e raccontò loro della visita del signor James e delle cose interessanti che aveva da dire sul signor Forsythe e la sua azienda.

"Quindi abbiamo a che fare con appropriazione indebita, un parricidio, un altro omicidio che è stato probabilmente commesso per coprire l'appropriazione indebita, e con ogni probabilità il nostro assassino non ha ancora finito. Devo dire, Lestrade, questo caso sta superando tutte le mie aspettative. E pensare che sulla scena del crimine l'ho considerata una faccenda noiosa e semplicissima!"

"Sono così felice che tu ti senta divertito da questo casino,” disse Lestrade, con voce grondante di sarcasmo.

"Grazie. Ora, hai portato le foto della scena del crimine del figlio?"

Lestrade lanciò un'occhiata a Donovan, che con riluttanza estrasse la cartella da una grossa borsa. "Ecco qua. Serviti pure."

"Grazie,” disse Sherlock, accettando il fascicolo e aprendolo con un gesto svolazzante.

Il campo visivo di John divenne giallo pallido quando fu costretto a fissare l'esterno della cartellina.

"Huh," mormorò Sherlock, sfogliando le fotografie assortite. "Interessante. Be’, questo di certo lo conferma. Sicuramente un omicidio. Mi stavo chiedendo se fosse possibile un suicidio da questa angolazione, forse nel tentativo d’incastrare qualcuno, ma questa ferita non è stata sicuramente autoinflitta. Ed è stato trovato a giacere a faccia in giù?"

"Sì," confermò Lestrade. "Steso sul pavimento della cucina con il coltello nella schiena in quel modo."

"Quindi non aveva modo di cadere all'indietro su di esso e poi girarsi sul pavimento. Ci sarebbe voluto tutto il suo peso per spingere la lama a quella profondità," notò Sherlock. "Pertanto, deve essere stato attaccato da dietro. Se si fosse lasciato cadere da solo sul coltello, sarebbe stato trovato sulla schiena o forse sul fianco. No, questo è stato sicuramente un omicidio."

"Be ', grazie per questa magistrale deduzione," gli disse con sarcasmo Sally. "Non so davvero come avremmo potuto capirlo da soli."

"Sto solo confermando una teoria," replicò Sherlock, per niente turbato dal suo atteggiamento. "Se fosse stato autoinflitto, voi avreste avuto dei problemi a capirlo."

"C'è qualcos'altro che puoi dirci?"

"Be', di sicuro ha ucciso suo padre, anche se è stata una cosa d’impulso, a giudicare dalla scena del crimine."

"Pensi che volesse impedire a suo padre di scoprire l'appropriazione indebita?” chiese Donovan, accigliandosi.

Sherlock le restituì il fascicolo e scosse la testa. "Se dietro c'era lui, chi lo ha ucciso e perché? No, penso che Forsythe junior avesse qualcos'altro da nascondere che non voleva che io, e per estensione suo padre, scoprissimo. Tutto verrà alla luce abbastanza presto ora, credo."

"Quindi qualunque cosa stesse nascondendo è qualcosa per cui vale la pena uccidere?"

"Agli occhi dell'assassino, certo, a meno che lui non sia stato ucciso dal malfattore."

"Oh bene," gemette Lestrade. "Questo restringerà il campo."

Sherlock si strinse nelle spalle. "Scopriremo di cosa si tratta. Non appena questa deplorevole pioggia cesserà, vorrei che mi portaste sulla seconda scena del crimine. Forse l'appartamento della vittima mi dirà qualcosa di più. Se siamo fortunati, mi basterà per fare almeno un'ipotesi plausibile su ciò che il figlio stava cercando di nascondere.”

"Se lo dici tu. Vedrò cosa posso fare. Ma avvisami, Sherlock. Non posso mollare tutto e portarti in giro ogni volta che ne hai voglia. Ho anche altro lavoro da fare."

Con un sospiro teatrale, Sherlock annuì. "Va bene. Non sarà prima di domani, comunque. È già quasi sera e Johnny qui senza dubbio vorrà la sua cena e presto forse una passeggiata molto breve e bagnata."

John uggiolò in accordo, battendo la coda contro le gambe di Sherlock. Stava diventando affamato e una passeggiata suonava bene, anche se fosse stata una molto molto corta nel cortile sul retro in modo da potersi liberare.

Lestrade sogghignò. "Divertiti a bagnarti. Anche solo percorrere i tre gradini dalla tua porta di casa alla macchina ci farà mezzi inzuppare."

"Allora farai meglio a farla finita il prima possibile," suggerì Sherlock, agitando una mano sprezzante prima di rimetterla al suo posto precedente sulla nuca di John.

John divenne prontamente gelatina, il leggero massaggio di quelle lunghe dita sul collo e sul retro della testa troppo beato per fargli prestare attenzione al loro pubblico.

"Devo concedertelo,” disse a bassa voce Donovan. "Le tue abilità con le persone possono essere schifose, ma ti prendi davvero cura del tuo cane."

Sherlock, avendo chiuso gli occhi in un chiaro congedo, fece un sorrisetto. "Mia madre mi farebbe tagliare la testa se facessi altrimenti. Inoltre, i cani sono persone migliori. Non l'hai notato?"

"Sto iniziando a farlo,” disse lei. "Ci vediamo domani."

"Precedimi, Donovan,” disse Lestrade. "Voglio scambiare due parole con Sherlock in privato."

"Solo se mi dai le chiavi, così posso davvero aspettare in macchina. Non starò sotto la pioggia solo per farti fare due chiacchiere."

Il DI gliele lanciò e lei le acchiappò con una mano. John scoprì che i suoi occhi seguivano la loro traiettoria di volo e fu quasi deluso di vederle atterrare sane e salve nella mano di Donovan. Gli sarebbe piaciuto molto qualcosa da inseguire.

Aspettarono che Donovan se ne fosse andata prima che Lestrade parlasse di nuovo.

"Ascoltate, voi ragazzi state bene?"

"Sì, certo,” disse Sherlock, senza darsi la pena di guardarlo. "Perché non dovremmo star bene?"

"Be’..." Lestrade si dimenò un po’. "Voglio dire... guardatevi! La posizione in cui vi trovate adesso! Non credete di stare, non lo so, oltrepassando un po’ i confini? Incasinando le cose?"

Sherlock aprì un occhio per dargli un’occhiata confusa. "No. Perché dovremmo? Siamo chiaramente un uomo e il suo cane che trascorrono un bel pomeriggio insieme sul divano. Non vedo davvero perché tutto questo dovrebbe preoccuparti."

"Ma voi non siete solo un uomo e il suo cane," sibilò Lestrade a denti stretti. "E comincio a temere che lo stiate dimenticando entrambi. Perché il John che conosco non si farebbe beccare in questa posizione neanche morto." Gesticolò nella loro direzione.

John pensò che fosse un commento piuttosto offensivo sul suo carattere e lanciò un breve ringhio di avvertimento.

"Non credo che John sia d'accordo,” disse Sherlock con calma.

"No, penso che sia molto d'accordo, ma che non gli piaccia che io lo dica," ribatté Lestrade. "Le implicazioni praticamente si scrivono da sole, qui. John, se tu fossi nella tua forma umana, scommetto la mia misera pensione che non saresti in questa posizione in questo momento. Ed eccoti qui."

"Sei tu quello che ha suggerito che avessimo bisogno di più contatto fisico," scattò Sherlock. "E adesso d’improvviso non va più bene? Ti stiamo mettendo a disagio? Perché John può alzarsi in qualunque momento voglia e ha una vasta gamma di opzioni quando si tratta di farmi capire in modo chiaro la sua opinione. Quindi, a meno che non siamo io o lui ad obiettare al modo in cui gestiamo la situazione, andrò avanti e farò qualsiasi cavolo di cosa piaccia a entrambi e tu puoi tenere i tuoi commenti per te. Se questo non è chiedere troppo.”

L'ispettore investigativo alzò le mani in un gesto di difesa. "Bene. Ma penso che vi ritroverete entrambi con una grossa sorpresa una volta che John riacquisterà la sua forma, e sappiamo tutti chi sarà colto nel mezzo delle ripercussioni. Quindi forse pensaci la prossima volta che mi scatti contro perché sono preoccupato per entrambi."

Si scambiarono un’occhiataccia da una parte all'altra del soggiorno.

"Tutto qui?" azzannò Sherlock alla fine.

"No, in realtà,” disse Lestrade, incrociando le braccia e facendo uno sforzo visibile per calmarsi. "Volevo chiederti se hai sentito da Mycroft riguardo a... be’, questo. Ci sono stati progressi?"

Sherlock scosse la testa. "Non ancora. Ci vorranno almeno una o due settimane per trovare un antisiero e poi ci sarà un periodo di test per assicurarsi che non sia dannoso o abbia effetti collaterali indesiderati. Fino ad allora, tutto quello che possiamo fare è aspettare e andare avanti come abbiamo fatto."

Lestrade sospirò. "Va bene, allora." Fece un passo avanti e girò intorno al tavolino, allungò una mano e diede una pacca sulla schiena di John. "Resisti, John. Mi dispiace se sono sembrato un po’ duro poco fa. Sai che sono solo preoccupato per entrambi, anche se questo stronzo allampanato qui non sembra capirlo."

John gli uggiolò e si voltò per leccargli la mano.

"Scuse accettate," tradusse Sherlock, non del tutto in grado di nascondere il suo sorriso mentre Lestrade tirava via la mano con un "Ehi!” disgustato.

"Almeno uno di voi è ragionevole su questo,” disse Lestrade, scrollando le spalle. "Più di quanto avrei potuto sperare, davvero. Buona notte, ragazzi. Ricordati di chiamare in anticipo, Sherlock."

"Chiudi la finestra prima di andare?" chiese Sherlock.

Il DI alzò gli occhi al cielo, ma lo fece, lasciandoli soli nel loro appartamento che si oscurava mentre il vento girava e la pioggia iniziava a martellare contro i vetri delle finestre.


*****

 
Dopo che Lestrade se ne fu andato, trascorsero un'altra mezz'ora sul divano, ascoltando la pioggia che cadeva e senza muoversi oltre lo sbadiglio occasionale.

Dopo circa quindici minuti, Sherlock chiese piano: "Pensi che abbia ragione?"

John fece un verso interrogativo.

"Riguardo a noi che oltrepassiamo i confini," continuò Sherlock, cercando in qualche modo di tradurre in parole la propria confusione. "Non sono abituato a questo contatto fisico con nessuno, ma trovo che non mi dispiaccia affatto toccarti. Pensi che sarà difficile, tornare al modo in cui di solito ci comportiamo l’uno con l’altro una volta che sarai tornato nel tuo corpo umano? Pensi che avremo problemi ad adattarci?"

John sbatté le palpebre e fece quella che Sherlock ormai sapeva essere una scrollata di spalle.

Lui sorrise. "Non lo so neanch’io. Suppongo che lo scopriremo abbastanza presto. Nel frattempo... davvero non ti dispiace, dico bene?"

Invece di rispondere, John premette un po’ più saldamente la testa contro l'addome di Sherlock e chiuse di nuovo gli occhi.

"Lo prendo come un no, allora."

Sherlock si chiese se il sollievo che provava fosse in qualche modo evidente per John, si chiese se quello lo infastidiva. Si chiese anche da dove venisse. Perché avrebbe dovuto essere preoccupato per tutto questo? Erano amici. Al momento, uno di loro era un cane. Il contatto fisico era importante; i cani comunicavano principalmente usando il linguaggio del corpo, dopotutto. E Sherlock aveva sempre apprezzato la compagnia dei cani. Erano sinceri. Non erano nemmeno capaci di mentire. Non importava se gli piacevi o ti odiavano, si sarebbero assicurati che tu lo sapessi in entrambi i casi. Non era complicato e quindi per molti versi era preferibile agli umani, con i loro segnali contrastanti e la loro aspettativa che tu comprendessi le cose che non avevano detto.

Sherlock si rilassò di nuovo. No, questo era bello. Questo era puro, pulito e semplice. Non aveva mai sentito il bisogno di accarezzare John prima di tutto questo casino, dopotutto.

Be’, a volte avrebbe voluto allungare un braccio e afferrargli la mano, solo per aggrapparsi a qualcosa. Ma anche questo era molto semplice, e non aveva mai preso in considerazione di farlo davvero. E John di certo non gliel’avrebbe lasciato fare. Quanto a questo, anche adesso John non gli avrebbe permesso di toccarlo come stava facendo in quel momento, se in qualche modo avesse avuto da obiettare. Lestrade poteva andare a farsi fottere per averlo fatto dubitare di tutto questo.

Un altro quarto d'ora trascorse in tranquilla compagnia prima che Sherlock finalmente sospirasse e si tirasse su. "Va bene, scendi giù. Non so tu, ma io ho passato un intero pomeriggio con la tua testa sulla vescica e potrei trovare utile una visitina in bagno. E a giudicare dal basso livello dell'acqua nella tua ciotola, suppongo che sia lo stesso per te."

John si alzò, si stirò e saltò giù dal divano, avvicinandosi già alla porta.

Sherlock fissò la pioggia. "Visto che non stai prendendo il guinzaglio, suppongo che questo significhi che non hai intenzione di andare a fare una passeggiata, vero?"

John annuì.

Sherlock gli sorrise. "Va bene, dammi un minuto e ti aprirò la porta sul retro."


*****


John trascorse fuori a malapena cinque minuti e anche se aveva cercato di rimanere sotto il misero riparo del tetto a strapiombo, era lo stesso piuttosto bagnato quando superò Sherlock per rientrare in casa.

"Non c'è motivo di bagnarmi tutti i pantaloni," borbottò bonariamente Sherlock. "Aspetta qui."

Si precipitò su per le scale e prese un asciugamano, sapendo che sia John che la signora Hudson avrebbero avuto molto da dire su gocce d'acqua che attraversavano l'intera casa.

Con la salvietta in mano, Sherlock tornò e trovò John esattamente dove l'aveva lasciato, che gocciolava acqua sul tappeto e sembrava infelice.

"Andiamo, prima ti asciughiamo, a meno che tu non sia particolarmente ansioso di attirare l'ira della signora Hudson sulla testa di entrambi."

John gli sbuffò, ma rimase perfettamente immobile mentre Sherlock iniziava ad asciugarlo delicatamente con l'asciugamano, facendo attenzione a non tirargli accidentalmente la pelliccia. "Ecco, dovrebbe bastare. Vai di sopra e sdraiati davanti al fuoco per un po’, questo dovrebbe renderti bello asciutto."

John balzò su per le scale con un basso latrato, lasciando che Sherlock chiudesse la porta e lo seguisse a un passo più tranquillo.

Doveva ammettere che l'intera situazione era ridicolmente domestica. Non avevano litigato, anche se avrebbero potuto trovare infiniti modi per farlo. Non avevano ceduto alla claustrofobia nonostante il forte acquazzone, e in effetti entrambi sembravano essersi goduti appieno il loro pigro pomeriggio sul divano.

Sì, rifletté Sherlock, tutti i segni indicavano decisamente la felicità familiare. Peccato che uno di loro fosse un cane e l'altro un autoproclamato sociopatico.

Entrò nel soggiorno e trovò John sdraiato davanti al fuoco, che sembrava l'immagine stessa della vita domestica. Non era questo quello che chiunque desiderava? Una casa confortevole e un cane davanti al camino?

Sherlock ridacchiò tra sé. E pensare che lui, fra tutte le persone, l'aveva ottenuta senza nemmeno provarci!

Il suo stomaco brontolò e John alzò all’istante la testa e gli lanciò uno sguardo gioioso di trionfo a malapena represso.

"Questa è colpa tua," si lamentò Sherlock. "Non ho mai avuto fame così spesso fino a quando non hai iniziato a costringermi a mangiare per tutto il dannato tempo."

Chiaramente John non fu impressionato da quest'affermazione. Scodinzolo semplicemente contro di lui, il bastardo!

Oh be’, non c'era niente da fare. Non aveva altro da fare oltre a guardare la pioggia e riflettere sui possibili segreti che il signor Forsythe Junior avrebbe voluto nascondere a suo padre, quindi tanto valeva che preparasse qualcosa da mangiare. Almeno ci sarebbe voluto del tempo.

"Prima questa giornata finisce, meglio è," mormorò Sherlock. "Persino una pioggia di questo tipo non può andare avanti un giorno e una notte e poi continuare. Dovrà esaurirsi, prima o poi.”

 




NdT: Un delizioso intermezzo casalingo... e sono sempre più interessanti queste pose da relax sul divano, no? 🤣

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Capitolo 11
*** 11 ***


 Capitolo 11 

Il temporale raggiunse la massima intensità subito dopo la mezzanotte. John giaceva nella cuccia in soggiorno, ascoltando la pioggia martellare sul tetto e sul marciapiede. Il rumore era quasi opprimente persino al primo piano, motivo per cui aveva deciso di stare lontano dalla sua camera da letto dove il tetto era molto più vicino.

Un rombo di tuono lo fece sobbalzare e premette la testa tra le zampe anteriori, sperando in qualche modo di smorzare un po’ il rumore. Non fu d’aiuto.

Il temporale vero e proprio non era nemmeno il problema principale, ammise ironicamente tra sé. No, il vero problema era che con tutto quel rumore non aveva modo di assicurarsi che Sherlock stesse bene senza cercarlo. Di solito, una volta che i rumori del traffico si erano placati per la notte, poteva sentire il battito cardiaco di quell'uomo anche mentre era in camera sua. Ma ora? Niente. Era rimasto in soggiorno nella speranza che l'accresciuta vicinanza lo aiutasse, ma la cacofonia all'esterno copriva ogni altro suono.

John non era rimasto senza sentire il battito del cuore di Sherlock per più di un'ora o due da quando era iniziata l'intera faccenda, un promemoria calmante che Sherlock era vivo e vicino. Il periodo più lungo che aveva passato senza quel suono era stato al parco con Donovan, e perfino allora aveva saputo con precisione dov’era Sherlock e cosa stava probabilmente facendo.

Ora, però... be’. Sherlock era molte cose, ma soprattutto era fissato con il suo lavoro e la finestra della sua camera da letto consentiva l'accesso alla scala antincendio. Nessuna persona sana di mente avrebbe preso in considerazione l’idea di lasciare la casa con questo tipo di tempo, ma Sherlock non aveva mai fatto alcuna rivendicazione di sanità mentale e John poteva facilmente passare ore a elencare tutte le cose tanto pericolose da far rizzare i capelli che il suo amico aveva combinato nel corso della loro amicizia.

Mentre un altro rombo di tuono scuoteva la casa così forte che poteva sentirlo nelle ossa, John si arrese e fece quello che già sapeva che avrebbe fatto. Andò nella camera da letto di Sherlock.

La porta era leggermente socchiusa, le luci spente, le tende tirate. Sherlock aveva spento tutte le luci dell'appartamento prima di andare a letto, ma John non aveva bisogno degli occhi per sapere che il suo amico era ancora lì. Non quando il suo naso poteva fiutarlo in modo così chiaro, il suo profumo familiare come un faro.

"Non riesci a dormire?” chiese Sherlock, la voce bassa e profonda.

John non si era reso conto che fosse ancora sveglio, ma non fu sorpreso di trovarlo così. Anche all'orecchio umano il temporale doveva essere piuttosto fragoroso.

Uggiolò in accordo e saltò sul letto prima di poter pensare di cambiare idea.

"C'è qualcosa che non va?" Persino mentre parlava, Sherlock aveva già allungato le braccia verso di lui, facendo scorrere una mano lungo la sua zampa anteriore destra.

Dato che non riusciva a spiegare quale fosse il problema, John uggiolò di nuovo e si fece strada attraverso il letto, percependo la precisa posizione di Sherlock sotto le coperte e notando felice che era sdraiato sulla schiena, più o meno nello stesso modo in cui sera stato qualche ora prima sul divano. John diede un colpetto con il naso a una gamba del suo amico finché lui non la spostò di lato, poi si lasciò cadere e riprese la comoda posizione in cui erano stati nel pomeriggio.

"Non ho freddo questa volta," lo informò con calma Sherlock, ma non protestò mentre John si trascinava un po’ su finché non riuscì a poggiare il mento sul suo addome.

Ed eccolo lì. Forte e costante, troppo vicino per essere soffocato dalla tempesta che infuriava fuori: il battito del cuore di Sherlock.

John si rilassò.

Una manciata di silenziosi secondi dopo, l'ennesimo fragore di tuono lo fece sussultare.

"Oh." Conosceva quel tono. Quello era il tono ‘Ho capito qualcosa’ di Sherlock. "Non ti piace la tempesta?"

John uggiolò in accordo.

"Suppongo che debba essere molto forte per le tue orecchie," rifletté Sherlock, facendo scorrere la mano dalla testa di John giù per il suo collo e lungo la schiena in modo apparentemente distratto. "Sfortunatamente, non ho tappi per le orecchie adatti da poterti offrire."

Un altro fragore di tuono esplose sopra le loro teste. John sussultò.

"Il tuono suona un po’ come se scoppiassero delle bombe, non è vero?” chiese Sherlock a bassa voce.

John uggiolò il suo assenso.

La mano sulla sua schiena gli si strinse brevemente nella pelliccia prima di riprendere le carezze delicate. "Non sei più in una zona di guerra, John. Se hai bisogno del mio odore per ricordartelo, sono proprio qui."

John scosse la testa. Se si fosse trattato dell’odore, sarebbe potuto restare in salotto. L'intero appartamento era intriso del profumo di Sherlock, non avrebbe potuto sfuggirgli nemmeno se ci avesse provato. Ma il suo amico meritava di sapere perché John stava invadendo il suo letto nel cuore della notte, quindi lui alzò la testa, guardò Sherlock negli occhi, o dove giudicava fossero i suoi occhi, e gli premette la testa sul petto in modo molto intenzionale, con l'orecchio proprio sopra il suo cuore.

La realizzazione sorse. Lo sentì nel modo in cui detto cuore prese velocità per un momento prima di tornare al suo ritmo abituale.

"Oh. Puoi sentirlo? Be’, certo che puoi, il tuo udito è fantastico. Suppongo che di solito tu possa sentirlo dal soggiorno?"

John annuì e alzò una zampa per puntarla verso l'alto.

La mano di Sherlock si fermò. "Anche dalla tua stanza? Incredibile." Ridacchiò. "E pensare che ho pensato che avresti potuto non essere in grado di sentirmi parlare da lassù."

John sbuffò divertito. Gli ci era voluto del tempo per abituarsi ai suoi sensi, ma doveva ammettere che, ripensandoci, era davvero un po’ ridicolo.

Ci fu una pausa riflessiva mentre Sherlock considerava la rivelazione di John. Alla fine disse: "Ti calma, sentire il mio cuore. E non potresti farlo con la tempesta.”

Il tono era di constatazione, un'affermazione piuttosto che una domanda.

John si rilassò nella sensazione. Il tuono successivo lo fece a malapena contrarre.

Passarono molti lunghi minuti in silenzio. Quando Sherlock parlò di nuovo, la sua voce era sommessa.

"Avevo un cane, quand’ero bambino. Un setter irlandese. Si chiamava Barbarossa. Non mi importava molto della compagnia degli altri bambini, ma mi piaceva giocare con lui.” Sospiro. Suonò un po’ tremante. "Ha dovuto essere soppresso quando gli è venuto il cancro. Avevo otto anni."

John fu quasi contento di non poter rispondere a parole, ma si avvicinò lo stesso a Sherlock, offrendo conforto nell'unico modo che poteva. Fu abbastanza.


*****


Al mattino, il temporale era passato e la pallida luce dorata del sole filtrava nella stanza attraverso la fessura nelle tende. John si svegliò adagio, sorpreso di scoprire che si era addormentato.

Si sentiva caldo e comodo e sorprendentemente ben riposato, quindi pensò di aver dormito più del previsto. C'era una mano calda aggrovigliata nella pelliccia dietro il suo collo e il suo cuscino si muoveva dolcemente su e giù.

Sbatté le palpebre.

Non un cuscino. L'addome di Sherlock, che si alzava e si abbassava a ogni respiro che faceva. A giudicare dal suo ritmo respiratorio regolare, dal battito cardiaco lento e dal corpo completamente rilassato, il detective stava ancora dormendo.

John si spostò un po’ nel caso stesse mettendo troppo peso sulla vescica di Sherlock... e si bloccò. Forse non tutto di Sherlock era rilassato come aveva supposto. Attraverso il doppio strato dei pantaloni del pigiama e delle coperte, c'era un'inconfondibile durezza che premeva contro il corpo di John.

Se fosse stato umano, John avrebbe riso. Eccola lì, la prova finale che Sherlock Holmes era solo un altro maschio umano. Lascialo dormire e dagli un po’ di calore e attrito, e il suo corpo risponderà allo stesso modo di tutti gli altri.

John sbuffò e si alzò prima che Sherlock avesse la possibilità di svegliarsi e sentirsi a disagio. Non aveva senso rendere le cose imbarazzanti. Non era tanto sciocco da attribuirgli un significato. L’alzabandiera del mattino capitava, che lo si volesse o no.

Saltò giù dal letto e decise di correre il rischio e annusare la stanza di Sherlock. Il suo coinquilino di certo non aveva scrupoli a esaminare le cose di John, un piccolo contraccambio era giusto.

Con il naso vicino al pavimento, infilò la testa sotto il letto e starnutì alla nuvola di polvere che lo accolse. Era ora che la signora Hudson facesse di nuovo finta di non essere la loro governante.

Con suo grande sollievo, sembrava che non ci fossero cose morte là sotto. Libri, pezzi di carta da lettere, strane biro cadute. Il solito.

John liberò la testa e rivolse la propria attenzione al resto della stanza, annusando il comodino e trattenendo un ringhio all'inconfondibile profumo di tabacco. "Aspetta finché non sarò di nuovo umano,” pensò. "Quelle sigarette sono belle che andate.

Accanto a lui, Sherlock si girò sullo stomaco e emise un gemito sommesso.

John alzò la testa per vedere se il suo amico si sarebbe svegliato, ma quando Sherlock si limitò a sospirare e si riaddormentò, tornò al suo esame.

C'era sorprendentemente poco disordine nella camera da letto di Sherlock. Nonostante il modo in cui aveva spesso trasformato il soggiorno e la cucina in aree devastate da uragani, aveva mantenuto la sua stanza piuttosto ordinata. John trovò un calzino randagio mezzo incuneato sotto il cassettone e un pacchetto mezzo vuoto di fazzoletti sotto una sedia. Non c'erano altre sigarette da annusare da nessuna parte, con suo grande sollievo. Forse avrebbe potuto trovare un modo per aprire il cassetto del comodino e farle sparire senza che Sherlock se ne accorgesse finché non fosse stato troppo tardi.

Lasciò la camera da letto e trotterellò in cucina per lappare un po’ d'acqua dalla sua ciotola. Stava diventando stantia; avrebbe dovuto costringere Sherlock a dargli dell’acqua fresca una volta che si fosse alzato. Dio, gli mancava il tè.

A proposito di... non c'era più nemmeno cibo nella sua ciotola, non sorprendentemente. Il suo stomaco brontolò.

John si voltò e rientrò nella camera da letto di Sherlock, abbaiando una volta nel tentativo di svegliarlo.

Sherlock borbottò nel cuscino.

John abbaiò di nuovo e si appoggiò sul letto in modo da poter raggiungere la schiena di Sherlock e dargli un colpetto con il naso.

"Zitto," gemette Sherlock, cosa che John interpretò come che fosse sveglio e si sarebbe alzato in un minuto. Abbaiò di nuovo solo per chiarire il punto.

"Mi piacevi di più quando eri ancora umano," si lamentò Sherlock e cercò di mettersi a sedere. Apparentemente, questo fu il momento in cui notò il proprio attuale stato fisico. Imprecò. "Fantastico, cazzo."

John tornò con ostentazione in salotto, con l'intenzione di provare almeno a dare a Sherlock un po’ di privacy per affrontare il suo problema, ma a giudicare dal flusso di silenziose imprecazioni e dai suoni provenienti dall'altra parte dell'appartamento, Sherlock si era alzato e aveva marciato. in bagno, a quanto pareva determinato a ignorare la sua erezione fino a quando non se ne fosse andata da sola. John non sapeva se essere sollevato o deluso e poi si ritrovò a chiedersi perché avrebbe dovuto esserlo.

Poté sentire il fruscio della stoffa e il suono della tenda della doccia e poi i tubi che scricchiolavano mentre l'acqua iniziava a scorrere. Seguirono altre maledizioni soffocate e John sussultò per empatia. Doccia fredda, allora. Se Sherlock era come lui, sarebbe stato di umore abbastanza irritabile per un po’.

John decise di dare un po’ di spazio al suo amico e balzò giù per le scale, sentendo i rumori dall'appartamento della signora Hudson. Avevano dormito più a lungo quella mattina e la padrona di casa era già in piedi. John si trovò momentaneamente a disagio per la maniglia della porta, ma la signora Hudson lo sentì e un attimo dopo aprì l’uscio.

"John! Che bella sorpresa. Buongiorno!" Si chinò e gli arruffò la pelliccia del collo con entrambe le mani. Lui scodinzolò e le leccò il polso in segno di saluto.

"Stai aspettando che Sherlock ti dia la colazione?" gli chiese mentre lui la seguiva in cucina. "Devi essere così affamato, di solito ti alzi prima di così. La scorsa settimana eravate già fuori quando mi sono alzata dal letto!"

Lui la guardò con interesse mentre apriva un armadietto ed estraeva un contenitore di plastica. "Ecco, ho ancora alcuni dei nuovi biscotti per cani che ho preparato ieri. Prendine uno."

Gli offrì uno dei dolcetti e John lo sgranocchiò felicemente, soffermandosi a malapena a masticare.

"Buono?"

Lui scodinzolò e abbaiò entusiasticamente.

La signora Hudson ridacchiò. "Be’, non vorremmo che tu morissi di fame, vero?" Gliene diede un altro.

"SIGNORA HUDSON!" urlò Sherlock dal piano di sopra. "La smetta di dare a John dolcetti di nascosto prima di colazione!”

"Oh, non puoi averne un altro oltre a questo, va bene?" sospirò lei, alzando bonariamente gli occhi al cielo prima di gridare in risposta: "Bene, allora è meglio che tu gli dia da mangiare!"

John le guaì, le diede una testata delicata sulla coscia in luogo del saluto, e tornò al piano di sopra dove Sherlock stava già aspettando, con i capelli ancora bagnati.

"Traditore," gli brontolò il detective. "Prima mi svegli e poi vai a prendere il cibo altrove. Cosa devo fare con te?"

John inclinò la testa e cercò di sembrare innocente.

Sherlock sbuffò. "Questo non aiuterà. Tieni, fai colazione. Ho messo anche dell'acqua fresca nella tua ciotola, non preoccuparti di ringraziarmi. E ti dico proprio adesso che oggi useremo la nostra passeggiata per visitare la casa della nostra vittima di omicidio. È ora che risolviamo questo caso.”

John emise un vago mugolio, troppo occupato a mangiare per prestare molta attenzione a Sherlock, che prontamente scomparve di nuovo in bagno per asciugarsi i capelli.

Un quarto d'ora dopo uscirono, prendendo il loro percorso ormai consueto attraverso Regent's Park e godendosi l'aria frizzante. Il terreno era ancora bagnato dalla pioggia, ma l'aria aveva un odore fresco anche per gli standard londinesi e il sole splendeva. Era una bella mattina e John camminava felice al fianco di Sherlock, assimilando le scie fresche di profumo che incontravano. La pioggia aveva spazzato via la maggior parte delle vecchie tracce e non c'erano ancora molte persone in giro a quell'ora del mattino.

Sherlock gli lanciò la pallina da tennis per un po’ e John scoprì che l'erba bagnata lo faceva scivolare e slittare molto più di quanto si sarebbe aspettato. Almeno Sherlock sembrò trovarlo divertente, anche se alla fine ebbe pietà di lui e rimise la palla nella borsa. "Adesso basta. Prenderemo la svolta a destra più avanti. Voglio passare davanti alla scena del crimine del signor Forsythe mentre ci dirigiamo dalla sua vedova."

Continuarono per la loro strada, oltrepassando la svolta a sinistra che di solito prendevano per tornare all'appartamento. John si assicurò di stare attento nel caso ci fossero altri frammenti di vetro per terra e quando Sherlock ridacchiò sommessamente alzò lo sguardo confuso. "Dubito che incapperai in un’altra scheggia, John. Ma è interessante il fatto che tu abbia deciso di farci attenzione ora, quando la possibilità dei cocci di vetro non ti ha preoccupato nella ‘nostra’ parte del parco.”

John scrollò le spalle, ma dovette concedere il punto.

Un rumore attirò la sua attenzione e voltò la testa. Più avanti, il sentiero girava intorno ad alcuni alberi e cespugli e lui poteva sentire il rumore dei passi in avvicinamento. C'era un ritmo familiare in essi, almeno una dozzina di stivali che colpivano il suolo allo stesso tempo. Non fu affatto sorpreso quando un attimo dopo un gruppo di soldati svoltò oltre la curva. Un gruppo di cadetti fuori per la loro corsa mattutina, se avesse dovuto indovinare.

Si spostò sul lato del sentiero per lasciarli passare e accidentalmente andò a sbattere dritto su Sherlock, che non si stava affatto muovendo. Confuso, John lo guardò.

Sherlock stava fissando i soldati, con la testa un po’ inclinata, l’attenzione completamente concentrata su di loro.

E poi si leccò le labbra.

John sbatté le palpebre.

Il profumo lo colpì quasi nello stesso istante del battito cardiaco leggermente elevato di Sherlock. Questo di per sé era una sorpresa, ma il profumo... non aveva modo di descriverlo perché gli umani non avevano modo di percepirlo in modo consapevole, ma lui poté annusare il cambiamento mentre il corpo di Sherlock rilasciava una piccola dose di ormoni.

Testosterone, ossitocina, adrenalina... aveva già fiutato alcuni di questi elementi prima, al laboratorio su Molly.

Eccitazione.

John sentì che la mascella gli cadeva e girò la testa da una parte e dall'altra, spostando lo sguardo da Sherlock ai soldati che si avvicinavano e poi di nuovo indietro. 'Sul serio?'

Diede un colpetto alla gamba di Sherlock e lanciò un basso latrato, finalmente strappando di soprassalto l'investigatore dal suo vero e proprio divorare con gli occhi - buon Dio! - e costringendolo a spostarsi da un lato.

"Non c'è bisogno di fare il bullo, John," lo rimproverò Sherlock, voltando la testa per guardare i soldati che passavano correndo.

Uno di loro gli scoccò una lunga occhiata in risposta e gli fece l'occhiolino. Il respiro di Sherlock s’inceppò leggermente. Un umano non se ne sarebbe accorto, ma il suono non sfuggì alle orecchie sensibili di John.

Fissò Sherlock con scioccato divertimento. Questo era... inaspettato. E una conferma a una domanda a cui John aveva cercato di non pensare. Ma, be’... Sherlock non aveva mai detto che gli uomini non fossero la sua zona, vero? Quella parte di certo non era una gran sorpresa. Ma... soldati?

‘Immagino che questo spieghi perché era così stordito quando siamo entrati a Baskerville,’ pensò John. Allora aveva pensato di aver solo immaginato Sherlock che occhieggiava il caporale Lyons, ma a quanto pareva non era stato così.

"Ritiro quello che ho detto prima," borbottò Sherlock. "Il fatto che tu sia un cane è infinitamente preferibile al tuo essere umano. Non voglio nemmeno sapere a quale tipo di commento sarei sottoposto in questo momento se tu fossi in grado di parlare."

John pensava che ciò fosse piuttosto ingiusto e gli sbuffò contro, ma dovette ammettere che molto probabilmente l’avrebbe preso in giro almeno un po’riguardo a questo.

Soldati, davvero. Era per questo che era stato preso da lui così in fretta? Significava che, in qualche modo, Sherlock lo trovava attraente? Aveva sempre ignorato i commenti della signora Hudson in merito, ma ora gli venne in mente che la padrona di casa conosceva Sherlock da anni prima che lui lo incontrasse, e forse sapeva qualcosa che lui ignorava.

Non c'era, ovviamente, modo di testare quella teoria finché era in questa forma canina e una volta che avesse riavuto il suo vero corpo, se mai l’avesse riavuto, gli sarebbero mancati i sensi per annusarlo, letteralmente. E se non avesse riavuto il suo corpo... be’, allora sarebbe stato irrilevante, no?

Mentre seguiva Sherlock lungo il sentiero, John si permise di immaginarlo. Non uscire mai da questo corpo, rimanere per sempre intrappolato come cane, vivere il resto della vita al fianco di Sherlock in questo modo. Non era del tutto un incubo, ma non era nemmeno un'idea che gli dava gioia. Rivoleva indietro il suo corpo. Voleva camminare e parlare come un essere umano e avere pollici opponibili e cucinare il proprio cibo e non essere così dipendente da Sherlock per tutto.

Ma be’, se si fosse arrivati a questo... c'erano di sicuro cose peggiori che essere il cane di Sherlock. Era chiaro che gli piacevano i cani e per sua stessa ammissione ne aveva anche avuto uno tutto suo, e si prendeva cura di John e lo trattava meravigliosamente. Ma, be’, che dire della sua aspettativa di vita? Era stata ridotta a quella di un cane medio? Tutto quello che poteva sperare erano da otto a dodici anni? O avrebbe mantenuto la durata della sua vita umana e sarebbe rimasto con Sherlock per il resto delle loro vite?

Non suonava così male, ma John aveva il deciso sospetto che perfino Sherlock alla fine avrebbe avuto bisogno della compagnia umana per mantenersi sano di mente. E tenendo conto di quest’ultima rivelazione su di lui, c'erano buone probabilità che prima o poi incontrasse qualcuno che solleticava la sua fantasia e s’imbarcasse in una relazione.

John non voleva nemmeno immaginarlo. Sherlock, che portava un altro uomo nel loro appartamento, nelle loro vite... nel suo letto. E John, le cui orecchie erano abbastanza sensibili da cogliere quello che stavano facendo i vicini a tre case di distanza in fondo alla strada, non avrebbe avuto modo di non conoscerne ogni singolo dettaglio. La sola idea di questo era sufficiente a fargli drizzare il pelo. No, non avrebbe permesso che si arrivasse a quello. Forse era la sua parte canina, forse era che lui era un bastardo egoista, ma Sherlock era suo e non lo avrebbe condiviso con nessun altro.

Ora, se solo fosse stato umano e in grado di fare qualcosa al riguardo!

John sbatté le palpebre, strappato ai propri pensieri mentre il terreno sotto i suoi piedi cambiava dall'asfalto caratteristico del passaggio pedonale del parco alle ruvide lastre di pietra dei marciapiedi londinesi.

Senza accorgersene, aveva seguito Sherlock per tutto il tempo oltre la scena del crimine e fuori dal parco. Un attimo dopo, Sherlock si chinò e gli riallacciò il guinzaglio al collare.

"Mi dispiace, so che preferiresti evitarlo," mormorò solo per le orecchie di John. "Ricorda, quando arriviamo a casa della nostra vittima, voglio che tu raccolga quante più informazioni possibili su ciò che fiuti e senti mentre siamo lì. Avvisami se c'è qualcosa di sospetto. Pensi di poterlo fare?"

John emise un guaito rassicurante e diede un colpetto con la testa alla mano di Sherlock. Sentiva di poter fare qualsiasi cosa.



 




NdT: Ops, Sherlock, mi sa che ti eri dimenticato che il naso sopraffino di Johnny non funziona solo per i casi 🤣

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Capitolo 12
*** 12 ***


 Capitolo 12 

Una camminata veloce di circa quarantacinque minuti li portò nelle immediate vicinanze della casa di Harrison Forsythe a Barnsbury. Sherlock passò un po’ di tempo a guardare le abitazioni e la strada, ma sembrò incapace di trovare alcunché d’interessante, perché non si trattenne tanto a lungo quanto John lo aveva visto fare in altre occasioni e presto si diresse verso la casa in questione.

Suonò il campanello e John si sedette accanto a lui, cercando di sembrare il più carino e innocuo possibile nel caso in cui alla signora Forsythe non piacessero i cani.

Il movimento all'interno lo avvertì che qualcuno era effettivamente a casa, e mezzo minuto dopo la porta fu aperta da una donna tra metà e fine della sessantina che aveva fatto un tentativo affrettato e del tutto infruttuoso di lavarsi il viso per nascondere ogni traccia di lacrime recenti. John sentì subito il suo cuore intenerirsi nei suoi confronti.

"Buongiorno?"

"La signora Forsythe?” chiese Sherlock, assumendo la sua voce più educata. "Mi dispiace disturbarla così presto la mattina. Mi chiamo Sherlock Holmes e sono qui per suo marito."

"Io... Harrison?" balbettò lei. "Non ha sentito la notizia? Mio marito è morto all’improvviso."

Tirò su col naso e sembrò sul punto di ricominciare a piangere.

"Ne sono consapevole. Le mie condoglianze,” disse Sherlock con una gentilezza sorprendente. "Questo è il motivo per cui sono qui. Sono un consulente investigativo e lavoro spesso con Scotland Yard. In questo caso, tuttavia, credo che suo marito stesse già venendo a consultarmi quando è stato assassinato." Guardò in modo intenzionale su e giù per la strada. "Posso entrare?"

"Oh, certo. Mi dispiace, avrei dovuto invitarvi." Aprì di più la porta e Sherlock entrò, con John vicino al suo fianco.

"Spero che non le dispiaccia se porto con me il mio cane,” disse in modo disinvolto. "Stavamo facendo una passeggiata mattutina quando ho deciso di passare."

"Non è affatto un problema. Che bel cane ha!" esclamò la donna. John la guardò scodinzolando e lei in cambio gli grattò le orecchie.

Li condusse in soggiorno e offrì a Sherlock il divano e una tazza di tè, che lui accettò entrambi.

La signora Forsythe si precipitò in cucina e tornò con un vassoio da tè carico di due tazze, una teiera, panna e zucchero, alcuni biscotti e una ciotola d'acqua per John.

"È molto gentile,” le disse Sherlock, mettendo la ciotola sul pavimento per John. La sua voce suonava molto più calda di com’era di solito quando parlava con estranei.

"Oh, non è niente. Harry e io avevamo un cane, quando Benjamin era ancora un ragazzino." Il suo labbro inferiore iniziò a tremare. "E ora se ne sono andati tutti e io sono l'unica rimasta."

La donna scoppiò in lacrime.

John uggiolò e tirò il guinzaglio finché Sherlock non lo lasciò andare, permettendogli di avvicinarsi alla poltrona su cui era seduta la signora Forsythe e appoggiarle la testa sul ginocchio.

Come alla maggior parte delle persone in difficoltà emotiva, la presenza di un cane caldo e coccolone le fornì il conforto tanto necessario e lei gli accarezzò distrattamente la testa mentre cercava di riprendere il controllo dei propri sentimenti.

"Mi dispiace tanto, signor Holmes. Di solito non mi piango addosso in questo modo, ma gli ultimi giorni sono stati un vero incubo."

"Del tutto comprensibile,” disse Sherlock con un tatto sorprendente. John gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma Sherlock finse di non accorgersene.

La signora Forsythe impiegò un paio di minuti per arrestare le lacrime, ma dopo essersi soffiata di nuovo il naso, raddrizzò la spina dorsale e affrontò il problema a testa alta.

"Signor Holmes, se ho capito bene le sue parole di prima, crede che mio marito l’avrebbe consultata su qualche questione?"

"Sì. La sua casa e il luogo in cui è stato scoperto a Regent's Park sono in linea diretta con il mio indirizzo appena a sud-ovest del parco, quindi mi è sembrata la spiegazione più logica. Da allora sono entrato in possesso di ulteriori informazioni riguardanti un potenziale caso di frode nella sua azienda. Gliene ha parlato?"

Lei ci pensò per un momento. "Sembrava infelice per qualcosa al lavoro, ma non mi ha detto di cosa si trattasse. Pensavo che il suo imminente pensionamento gli avesse rovinato l’umore. Ha costruito quella società da zero e ho semplicemente pensato che non riuscisse a sopportare di lasciarla andare, anche se Benjamin era pronto a prendere il suo posto. E ora la polizia dice che Benny l’ha ucciso! Suo padre! Non riesco proprio a crederci, signor Holmes. Mio figlio non è un assassino. Era... avrei dovuto dire, visto che è stato anche lui assassinato!”

Trattenne un singhiozzo e John le diede un colpetto con la testa sulla gamba, rivolgendole il suo sguardo più pieno di sentimento e uggiolando in tono sommesso per commiserazione.

La signora Forsythe gli fece scorrere la mano lungo la schiena e poi gli grattò di nuovo le orecchie mentre si ricomponeva. "Per favore, signor Holmes, se c'è qualcosa che può fare, le sarei molto grata per il suo aiuto. Voglio solo sapere cosa è capitato a mio marito e mio figlio."

"Può stare certa che farò del mio meglio per scoprire cos’è successo esattamente e perché,” disse Sherlock con calma. "Ma non posso prometterle che le piacerà quello che scoprirò."

"Be ', faccio fatica a vedere perché dovrei biasimare lei per qualunque cosa scopra,” disse la donna con fermezza. "Io credo che ambasciator non porti pena, come si suol dire. Ad essere sincera, non credo che qualsiasi cosa lei scopra possa essere peggio di quello che sto già passando." Tirò indietro le spalle. "Mi faccia qualsiasi domanda voglia e farò del mio meglio per cercare di rispondere."

Prendendolo come spunto, John scivolò dolcemente via da lei e, mentre Sherlock la distraeva con domande sulle abitudini di passeggiata e sulla routine quotidiana di suo marito, sgattaiolò silenziosamente fuori dalla stanza per annusare bene il posto.

La casa era una di queste vecchie abitazioni tipicamente inglesi che non erano state molto rimodernate dagli anni Settanta e conservavano ancora motivi floreali o circolari sulla carta da parati, centrini all'uncinetto sui tavolini e soprammobili disseminati su ogni superficie disponibile. C'erano tappeti spessi in cui poteva sentirsi affondare e tende pesanti su entrambi i lati delle finestre. Quasi ogni stanza conteneva una croce di legno da qualche parte su un muro, il che alludeva a forti sentimenti religiosi di almeno un membro della famiglia.

La signora Forsythe, o forse una donna delle pulizie, teneva la casa libera dalla polvere e in generale ben pulita. Su alcuni dei muri erano appese foto di famiglia, ma erano troppo in alto perché John potesse vedere in modo chiaro ed era molto più concentrato su ciò che gli dicevano il naso e le orecchie. Nonostante i suoi vantaggi per quanto riguardava la mancanza di daltonismo, gli occhi di un cane semplicemente non erano buoni quanto quelli di un essere umano, più adatti per tenere traccia degli oggetti in movimento che a concentrarsi su immagini fisse. Il suo naso, d'altra parte, poteva dirgli parecchio.

La casa odorava soprattutto delle persone che vivevano lì, naturalmente, e quindi, sebbene l'odore della signora Forsythe fosse molto forte e chiaro, poteva ancora cogliere con facilità le tracce di un uomo più anziano, di certo suo marito, e di un parente maschio più giovane, probabilmente il figlio . C'era un'aggiunta interessante al profumo del figlio che mantenne l'attenzione di John per un bel po’ mentre cercava invano di capire cosa fosse. Qualcosa di... pulito. Una specie di cipria, forse. Era difficile da descrivere e non aveva idea di come rendere Sherlock consapevole di una cosa del genere, non senza essere in grado di parlare.

Seguì l'odore su per le scale e fino a una porta chiusa che molto probabilmente conduceva nella cameretta da bambino di Benjamin Forsythe. Senza dubbio ne aveva fatto ancora uso quando veniva a trovare i genitori. Quell'odore tuttavia non divenne più forte, portando John a concludere che qualunque cosa ne fosse l’origine non poteva essere trovata all'interno della stanza.

Tornò al piano di sotto e continuò la sua esplorazione, ma non trovò nient'altro di interessante, così tornò in salotto, dove Sherlock si stava alzando dal divano.

John era stato troppo assorbito dal suo naso per concentrarsi sulla conversazione in corso in salotto, quindi non aveva idea di cosa stessero parlando la signora Forsythe e Sherlock, ma la donna più anziana sembrava ragionevolmente composta e quasi sorridente mentre stringeva la mano di Sherlock in segno di saluto e si chinava per grattare di nuovo le orecchie di John.

"Grazie mille per essere passato, signor Holmes. Se c'è che possa fare per aiutarla o se scopre qualcosa di nuovo, per favore me lo faccia sapere."

Sherlock promise di farlo, si chinò per recuperare il guinzaglio di John, e un attimo dopo erano fuori e sulla strada di casa.

"Trovato qualcosa d’interessante?” chiese Sherlock.

John inclinò la testa e uggiolò.

"Giusto, non parli. Non preoccuparti, credo di aver trovato una soluzione per questo. Sarà noioso, ma molto meglio di essere costretto a indovinare quello che stai cercando di dirmi. Te lo mostrerò quando saremo tornati a casa."

Incapace di parlare com'era, John non aveva altra scelta che accettare e tenere il passo mentre Sherlock tornava indietro da dove erano venuti.


*****


Tornarono a casa quasi un'ora dopo, dopo aver bighellonato per un po’ nel parco. John fece finta di non aver notato Sherlock che si guardava intorno in modo un po’ troppo disinvolto, forse nella speranza di poter dare un'altra occhiata ai soldati, ma erano chiaramente scomparsi da tempo.

Una volta tornati all'appartamento, John aspettò a malapena che Sherlock gli togliesse il guinzaglio prima di lasciarsi cadere sulla sua cuccia, ansimando. La lunga passeggiata e la visita a casa della signora Forsythe erano state interessanti e tanto divertenti quanto poteva esserlo andare a trovare il parente in lutto di una vittima d’omicidio, ma adesso era contento di riposare.

Sherlock, nel frattempo, sembrava non essere per niente stanco. In effetti, la gita sembrava avergli dato una carica d’energia. Si tolse il cappotto e la sciarpa e li appese al solito gancio prima di precipitarsi fuori dall'appartamento e scendere le scale per fare un salto dalla signora Hudson. John lo sentì frugare in giro e le domande confuse della signora Hudson che, ovviamente, non ricevettero alcuna risposta, prima che il detective risalisse le scale, portando una scatola dentro la quale gli oggetti scivolavano in giro e sbattevano tra loro con un suono ticchettante.

Seduto a gambe incrociate sul pavimento, Sherlock aprì la scatola e la svuotò davanti a sé.

John fissò con sorpresa deliziata la pila di tessere di Scarabeo che rotolarono fuori dalla scatola.

"Ecco,” disse Sherlock, con aria molto soddisfatta di se stesso. "Questo dovrebbe aiutarci a comunicare in modo molto più efficiente. Posso leggere la maggior parte delle tue opinioni dal tuo atteggiamento e dai vari suoni che fai, ma le prove vere e proprie sono troppo importanti per essere soggette a problemi di comunicazione. Pensi di poter compitare in modo chiaro quello che hai notato nella casa? M’interessano in particolare gli odori."

John pensava che quella delle tessere di Scarabeo potesse essere una delle idee migliori che Sherlock avesse avuto durante tutto l'anno. Ora, se solo avesse saputo cos'era l'odore a casa dei Forsythe!

Iniziò in modo facile, usando il naso per far scorrere le tessere sul tappeto e spingendo di lato la maggior parte in modo da poter formare le parole.

marito moglie figlio

Sherlock aggrottò la fronte. "Nessun altro?"

John si strinse nelle spalle, scosse la testa,

Usando la zampa anteriore, spinse via le tessere relative ai coniugi Forsythe, lasciando la parola "figlio" sul pavimento del loro soggiorno.

"Hai trovato qualcosa di insolito riguardo al figlio?” chiese Sherlock.

John annuì e iniziò a sistemare altre tessere. Un'intera frase era più difficile da fare e richiedeva più tempo, ma non si preoccupò eccessivamente della grammatica corretta, fintanto che riusciva a trasmettere le informazioni.

puzzava strano    polvere pulita    forse cipria    fonte non nella sua stanza

Sherlock aggrottò le sopracciglia guardando le tessere. "Interessante. Mentre eri al parco con Donovan l'altro giorno, Lestrade mi ha chiamato per dirmi che hanno trovato una sostanza bianca sospetta nell'appartamento del figlio. Chissà se i test su quella roba sono già tornati."

Prese il cellulare dalla tasca e inviò a Lestrade un breve messaggio. "Hai trovato qualcos'altro?"

John scosse la testa, poi esitò e riorganizzò le tessere in una fila di croci.

"Sì, l'ho notato anch'io. Molto religiosi, i Forsythe, a quanto pare." Sherlock si picchiettò le labbra spinte in fuori, pensieroso. "Davvero molto interessante. E molto attento da parte tua. Mi aspettavo che fossi più concentrato sugli odori che sulla decorazione murale. Hai sentito qualcosa d’interessante?"

Di nuovo, John poté solo scuotere la testa.

"Va bene, in realtà non mi aspettavo nient’altro. Qual è la tua opinione sulla signora Forsythe. Possibile sospetto?"

John sbuffò e scosse con vigore la testa.

"Sono d'accordo. Quella donna non avrebbe potuto far male a una mosca, tanto meno a suo figlio. Credo che dopo pranzo dovremmo fare una visita alla compagnia del signor Forsythe e dare una bella occhiata ai suoi dipendenti."

Con una mossa apparentemente inconscia, Sherlock allungò la mano e arruffò la testa di John. "Molto ben fatto, davvero. Bravo ragazzo!"

John, del tutto indifeso per il piacere che le parole e l'azione causavano, si ritrovò a scodinzolare e premere la testa contro la mano di Sherlock, girandola da una parte e dall'altra nel tentativo di leccargli il polso.

"Questa cosa del leccare deve davvero finire, John. Cosa c'è di così interessante nei polsi?"

Avendole proprio lì, John utilizzò ancora una volta le tessere dello Scarabeo: forte profumo lì non posso evitarlo

Sherlock sospirò. "Se lo dici tu. Ma cerca di tenere questo piccolo fatto fuori dalla vista di Lestrade, sta cominciando a darmi sui nervi."

Arruffò di nuovo la testa di John e si alzò, lasciando le tessere sul pavimento mentre entrava in cucina e iniziava a preparare il tè.

Con un pensiero improvviso che gli veniva in mente, John aspettò che Sherlock lasciasse la stanza prima di riorganizzare le tessere. Scrisse solo una parola, poi usò alcune delle tessere rimanenti per formare un punto interrogativo dietro di essa. Una volta finito, abbaiò per attirare l'attenzione di Sherlock.

"Cosa c'è? Ti sei ricordato qualcos'altro?” chiese lui, avvicinandosi per vedere cos’aveva scritto.

In allegre e colorate piastrelle di Scarabeo sul pavimento del soggiorno c'era la domanda di una sola parola: soldati?

John ebbe il piacere inaspettato di vedere il grande, inamovibile Sherlock Holmes che arrossiva.

"Oh, stai zitto, John."


*****


John si assopì per un po’, abbastanza soddisfatto di se stesso. Aveva contribuito alle indagini nonostante fosse un cane, anche se non era del tutto sicuro in che modo le sue scoperte avessero contribuito per qualsiasi cosa. Ma Sherlock era sembrato piuttosto soddisfatto dell'informazione.

E ovviamente era finalmente andato in vantaggio di un punto su Sherlock, cosa che valeva sempre la pena festeggiare. Era capitato così di rado e di certo mai nel modo in cui era successo oggi. Ma quella mattina, grazie all’erezione mattutina e all’occhieggiare i soldati, Sherlock era sembrato un comune essere umano più di qualsiasi altra volta che John lo avesse mai visto, ed era stato ipnotizzante. Lui non aveva mai visto questo lato del suo amico prima d’allora e ora che in primo luogo sapeva che un tale lato esisteva, voleva vederne di più.

Naturalmente John sapeva che Sherlock non sarebbe stato collaborativo con le informazioni e non c'era modo di fare domande, quindi avrebbe dovuto semplicemente sperare che si presentasse un'altra opportunità.

Nel frattempo fece un pisolino, ascoltando i suoni rilassanti di Sherlock che arrostiva un'unghia umana con il suo becco Bunsen.

Alla fine, il suo telefono suonò per l‘arrivo di un messaggio di testo e Sherlock abbassò la fiamma per leggerlo. John girò la testa nella sua direzione per indicare che stava prestando attenzione, sebbene si sentisse a malapena mezzo sveglio, preso nella piacevole sfera tra il sogno e la veglia.

"Lestrade dice che i risultati del test antidroga sono stati negativi. La sostanza che hanno trovato nell'appartamento del figlio era una specie di polvere per la pelle. Stanno ancora cercando di capire con precisione di quale tipo."

John sbatté le palpebre. Polvere per la pelle. Era quello che aveva annusato a casa dei Forsythe? Pensò al profumo, cercò di analizzarlo ora che aveva una possibile definizione e fece un esitante cenno del capo.

Sherlock lo aveva osservato. "Sei d'accordo che questo è ciò che hai sentito? Presumo che non ti sia venuto in mente perché di solito non incontri della polvere per la pelle nella tua vita al di fuori del lavoro e non c'erano segni di qualcuno che avesse una malattia cutanea da nessuna parte."

John annuì di nuovo. Posizionare un profumo conosciuto che avevi incontrato in un luogo inaspettato poteva essere abbastanza difficile, ma ora che aveva una parola per descriverlo, era assolutamente certo che fosse quello che aveva fiutato.

"Non ha alcun senso,” disse Sherlock, più a se stesso che a John. "Non c'era traccia di qualcuno che avesse un problema alla pelle, la signora Forsythe non ha accennato a un'eruzione cutanea o qualcosa del genere, e nemmeno Molly non ha scoperto nulla al riguardo. Allora cosa stava facendo il figlio con la cipria?"

John non ne aveva idea, così sbadigliò e mise la testa tra le zampe.

"Grazie," brontolò Sherlock. "Davvero molto utile, John."

John gli mostrò la lingua e cercò di tornare a dormire fino all'ora di pranzo. Lascia che Sherlock lo capisca da solo. Voleva continuare il suo pisolino e poi magari rannicchiarsi sul divano con lui e guardare un film e lasciare che Sherlock si grattasse le orecchie. Forse poteva rimettergli la testa sul petto e ascoltare il suo cuore. Forse poteva sistemare le cose in modo da finire di nuovo a dormire nella stanza di Sherlock, essere abbastanza vicino non solo da sentire ogni suo respiro, ma anche da percepirlo.


*****


Era mezzogiorno appena passato quando Sherlock decise che era ora di fare una visita agli uffici dell'azienda di Harrison Forsythe e interrogare i dipendenti. A quel punto, John era pronto per uscire e vedere qualcosa di nuovo, quindi raccolse allegramente il suo guinzaglio mentre Sherlock si stava ancora mettendo il cappotto.

Presero un taxi e raggiunsero il palazzo degli uffici mezz'ora dopo e Sherlock marciò verso la reception con l'aria di qualcuno che ha degli affari importanti da condurre e non ha tempo per nessuno che faccia domande stupide come ‘Cosa ci fa un cane qui dentro?’

"Sherlock Holmes, per vedere chiunque sia a capo di questo posto," annunciò all'allarmata receptionist. La giovane donna gli scoccò uno sguardo e poi un altro, più lungo, per buona misura prima di sollevare il telefono.

"Un certo signor Sherlock Holmes per vederla, signora,” disse e ascoltò la risposta prima di voltarsi verso di lui. "Può spiegare il motivo della sua visita?"

Sherlock la guardò accigliato e procedette a far balenare uno dei distintivi della polizia rubati a Lestrade, abbastanza in fretta da farle vedere la parola "Polizia" ma non abbastanza a lungo da dare un'occhiata al nome e alla faccia sul documento. "Sto indagando sull'omicidio del signor Forsythe e di suo figlio."

L'addetta alla reception impallidì e trasmise rapidamente le informazioni al telefono. John poté sentire una voce femminile dall'altra parte. Un attimo dopo, riattaccò.

"Prenda l'ascensore fino al sesto piano, giri a destra. La signora Munkeld la sta aspettando."

Sherlock annuì e aggirò l'area della reception diretto verso gli ascensori. John si tenne al suo fianco, cercando di sembrare il più discreto e inoffensivo possibile. Il Regno Unito in generale era un posto molto dog-friendly, ma gli uffici nella City erano una faccenda del tutto diversa.

"Non permetterò che ti buttino fuori," mormorò Sherlock mentre le porte dell'ascensore si aprivano finalmente con un ‘ding’.

Salirono e John si prese un momento per meravigliarsi di quanto fosse diventato disinvolto nell'usare un ascensore. Pochi minuti dopo la sua trasformazione a Baskerville, il breve viaggio fuori dal laboratorio per tornare in superficie lo aveva trasformato in un mucchio di pelo tremante e terrorizzato. E ora eccolo lì, in piedi calmo al fianco di Sherlock e ignorando completamente il rumore degli argani e delle ruote mentre venivano trasportati verso l'alto.

"Chiamiamo la tua serenità un progresso," suggerì Sherlock, dimostrando ancora una volta che il processo di pensiero di John gli era del tutto trasparente, se ci si metteva d’impegno.

John sbuffò e inclinò la testa verso di lui in segno di domanda.

Sherlock si strinse nelle spalle. "Il tuo primo viaggio su un ascensore in questo corpo è stato in circostanze piuttosto traumatizzanti. Ovviamente la tua mente tornerà a quell'esperienza e la paragonerà alla tua situazione attuale. Ti sei adattato in modo impressionante. Spero che mi darai una descrizione molto dettagliata conto di com'era essere un cane una volta tornato nel tuo corpo reale.”

John gli uggiolò e alzò gli occhi al cielo, ma non poté fare a meno di pensare ‘Se riavrò mai il mio corpo.’

Sembrava che non riuscisse a liberarsi di quel pensiero, non importa quanto ci provasse. Più a lungo la cosa andava avanti, meno era convinto che si potesse fare qualcosa per invertire gli effetti del suo incidente in laboratorio.

L'ascensore si fermò e le porte si aprirono. John riportò con fermezza i suoi pensieri al presente e precedette Sherlock nel corridoio.

Come previsto, la signora Munkeld li stava già aspettando. Si rivelò una donna bassa, vestita con eleganza, dalla corporatura leggera e occhi acuti. John poteva sentire su di lei l'odore dello stress nonostante uno strato di profumo appena applicato. La perdita del capo dell'azienda e del suo erede e successore nel giro di poche ore chiaramente non le aveva fatto bene, ma non lui si era aspettato niente di meno.

"Signora Munkeld?” chiese Sherlock, facendosi avanti. "Sherlock Holmes. Lavoro con Scotland Yard."

"Hannah Munkeld," si presentò la donna. "So chi è lei," aggiunse freddamente, allungandosi per stringergli la mano. "Lavora con Scotland Yard, eh? Non è stiracchiare un po’ la verità?"

"Niente affatto," rispose Sherlock. "Se lo desidera, posso chiamare l'ispettore Lestrade e lui potrà confermare che sono stato coinvolto in questa indagine sin da quando è stato trovato il corpo del signor Forsythe senior."

John provò un'ondata di divertimento alla vista di questa piccola donna in piedi di fronte al metro e ottanta di Sherlock. Quello che le mancava in altezza, lo compensava con la personalità.

"E di solito porta con sé un cane per i colloqui?” gli chiese, voltandosi e facendo strada verso il suo ufficio, non dando a Sherlock altra scelta che seguirla. Lui la raggiunse con due falcate e poi dovette accorciare i passi per non sorpassarla.

John li seguì, fermandosi un attimo ad ammirare una donna dai capelli rossi che era in piedi al banco della reception, parlando al telefono in un francese veloce. La lingua suonava così melodiosa che gli sarebbe piaciuto ascoltare ancora un po’. Sfortunatamente, Sherlock tirò il suo guinzaglio e John si concentrò di nuovo sul tenere il passo e prestare attenzione alla conversazione a portata di mano.

"Dato che lei non ha un cane, certo non mi aspetto che capisca perché non è un'opzione praticabile lasciarlo da solo nel mio appartamento per ore e ore," stava dicendo Sherlock. "Così com'è, Johnny qui è perfettamente addestrato e i suoi giocattoli da masticare a casa sono di gran lunga superiori a qualsiasi gamba di tavolo o sedia che lei potrebbe avere nel suo ufficio. L'unica cosa che può devastare è la sua scorta di biscotti, se ne ha una."

Ciò indusse la signora Munkeld a un piccolo sorriso. Quando lei lo guardò, John scodinzolò .

"In tal caso, farò un'eccezione per lui. Di solito non permettiamo animali in ufficio. Tuttavia, non sono disponibili prelibatezze di alcun tipo."

"Non si preoccupi di questo,” disse Sherlock, facendo l'occhiolino a John. "La mia padrona di casa lo vizia così tanto che stavo pensando di metterlo a dieta.”

John gli uggiolò. Dieta, davvero!

Una volta nel suo ufficio, che sembrava essere proprio accanto a quello che aveva occupato il signor Forsythe, la signora Munkeld offrì a Sherlock un posto a sedere e una tazza di tè.

"No grazie, non mi aspetto di restare qui abbastanza a lungo," declinò Sherlock, accomodandosi sulla sedia del visitatore davanti alla sua scrivania con l'aria di un re assettato sul suo trono. John si sedette sul pavimento accanto a lui.

"Be’?” chiese la donna, sporgendosi in avanti sulla sedia. "Cosa posso fare per lei?"

"Sembra che il suo datore di lavoro stesse venendo a consultarmi quando è stato assassinato,” disse Sherlock, senza darsi la briga di perdere tempo in convenevoli. "Da allora ho saputo che sospettava di frode qualcuno all'interno della sua compagnia. Può dirmi qualcosa al riguardo?"

La signora Munkeld sembrava adeguatamente presa alla sprovvista. "Frode? Qui? No. In tutta onestà posso dirle che non ho sentito niente del genere. Di sicuro lui sembrava piuttosto stressato nei giorni precedenti la sua... la sua morte, ma pensavo fossero solo le solite preoccupazioni pre-pensionamento.”

"Ci si aspetterebbe che lei fosse a conoscenza dei suoi sospetti. Come suo capo manager, non dovrebbe essere a conoscenza di tutto ciò che accade in questa azienda?"

"Il mio obiettivo è la gestione dei clienti,” rispose lei. "Sono i contabili ad essere responsabili della parte finanziaria. Semmai, mi sarei aspettata che avvicinasse uno di loro riguardo a questo problema.”

Sherlock annuì. "E pensa che sia possibile che non gliene abbia parlato perché credeva che fosse lei ad esserne responsabile?"

John poté davvero sentire l'odore del suo shock. "Io? No. Come ho detto, sono responsabile della gestione dei clienti. Non so la minima cosa di scienza attuariale."

Si fissarono in silenzio per un minuto.

Annoiato dalla quiete, John si alzò e s’infilò sotto la scrivania per annusare le scarpe della donna prima di farle scorrere il naso fino al ginocchio. Lei sussultò, chiaramente sorpresa che si fosse mosso.

"Oh, mi hai spaventato!"

"Sta di nuovo supplicando di essere accarezzato?” chiese Sherlock, suonando come l'immagine stessa di un proprietario di cane affettuoso ed esasperato. "Gli dia solo una grattata alle orecchie. Non morde."

Lei lo fece, anche se esitante, e John scodinzolò più forte.

"Sembra che lei abbia superato l'ispezione," osservò Sherlock, con tono divertito.

John sperava che il detective avesse ricevuto il messaggio. Se quella donna avesse avuto qualcosa a che fare con gli omicidi o la frode, si sarebbe mangiato la sua cuccia cruda.

Mise la testa sulle ginocchia della donna e lasciò che lei l’accarezzasse mentre rispondeva alle domande di Sherlock su ciò che faceva lei per la compagnia, cosa facevano tutti gli altri, chi erano gli elementi chiave, cosa aveva fatto lo stesso signor Forsythe e quanto ben preparato fosse stato suo figlio per subentrare.

Fu una lunga conversazione e lui poté sentire la sua stanchezza e diffidenza nel modo in cui a volte la mano della donna si muoveva svogliatamente, come se si fosse dimenticata di lui e fosse assorta nei propri pensieri. Le lanciò uno sguardo pieno di sentimento, facendo i migliori occhi da cucciolo di cui era capace, e in risposta sentì il suo umore sollevarsi un po’.

Alla fine, quando la sua mano si fu del tutto fermata sulla sua testa e Sherlock ebbe esaurito le domande, John si sfilò gentilmente e tornò al fianco del suo amico.

"È ora di andare,” disse Sherlock, raccogliendo l'estremità del guinzaglio e alzandosi. "Grazie per il suo aiuto, signora Munkeld. Spero che saremo in grado di arrestare un sospetto entro la settimana. Nel frattempo, tenga d'occhio la contabilità della società. Sono sicuro che lo Yard vorrà che gli esperti ripassino ogni singolo numero e non vorremmo che nessuna di queste informazioni scomparisse all’improvviso in un incidente perché qualcuno l'ha erroneamente passata attraverso il trituratore, no?"

"Farò del mio meglio per mantenere tutto intatto,” disse lei, scoccandogli un'occhiataccia. "Ma vorrei sottolineare che in effetti ho un'azienda da gestire e non ci si può aspettare che passi tutto il giorno a fare da babysitter ai contabili.”

Sherlock si strinse nelle spalle. "Stavo solo dando un suggerimento. Buona giornata, signora Munkeld. Usciremo da soli, grazie. Vieni, Johnny."


John lo fece, e i due lasciarono l'edificio in silenzio.



 




NdT: Quel naso fantastico è utiie per le indagini, e non è brillante la trovata di Sherlock per comunicare? Così anche Johnny ha potuto fare la domanda che gli stava più a cuore... 🤣

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Capitolo 13
*** 13 ***


 Capitolo 13 

Sulla via di casa fecero una deviazione per lo Yard.

Lestrade non aveva risposto al secondo sms di Sherlock riguardo alla polvere, quindi voleva fermarsi e domandare per cosa gli ci fosse voluto così tanto tempo.

John saltò fuori dal taxi con una disinvoltura che suggeriva che era sempre stato un cane e non aveva mai avuto problemi a entrare e uscire dalle auto, e tanto meno in tempi così recenti come una settimana prima.

La velocità con cui si era adeguato alle circostanze era impressionante: Sherlock si chiedeva quanto fosse dovuto all'addestramento dell'esercito di John e quanto alla sua generale abilità di adattarsi in fretta a nuove situazioni. Dopotutto, si era tranquillamente ambientato anche nella loro esistenza condivisa, inserendosi nella vita di Sherlock così facilmente come se ne avesse sempre fatto parte. Ormai, lui non poteva più immaginare niente di diverso.

Era un dato di fatto, dovette riconoscere Sherlock con ironia, che a lui ci stesse volendo molto più tempo per abituarsi al fatto che John fosse un cane. Lo chiamava abbastanza facilmente per nome e prendersi cura di un cane era qualcosa con cui era cresciuto, quindi lì non c'era nulla di nuovo.

A volte, però, si trovava ancora in difficoltà, sorprendendosi a sentire la mancanza di John nei momenti più strani, come quando si ritrovava sdraiato sul divano con John che lo usava come cuscino.

A volte, dimenticava semplicemente che Johnny il cane era anche John l'umano, con tutti i sensi e l'aspetto di un cane, ma la capacità intellettuale e la personalità dell’essere umano. Ecco perché Sherlock non aveva pensato che importasse lasciarsi andare un po’ quella mattina, quando avevano incontrato i soldati nel parco.

Il dominio della mente sulla materia andava benissimo, ma a volte nemmeno lui poteva rinnegare il suo mezzo di trasporto. Considerando lo stato in cui si era svegliato quella mattina, e la vistosa assenza di John, il suo corpo aveva chiaramente deciso che era in ritardo. Forse avrebbe dovuto aspettarselo, visti tutti i segnali di pericolo prima che accettasse il caso Baskerville. C'era un limite al tempo in cui il suo trasporto avrebbe accettato di essere ignorato.

Era imperdonabile, ma gli era del tutto sfuggito di mente che John non solo fosse lì accanto a lui, ma anche perfettamente in grado di cogliere le più piccole fluttuazioni ormonali nel suo organismo grazie a un naso che faceva vergognare qualsiasi essere umano. Di tutti i modi per farsi accidentalmente outing da solo... Sherlock scosse la testa.

No, John aveva sospettato, senza dubbio. Dopotutto, aveva fatto tutto tranne gridarglielo in faccia in più di un'occasione, ma era chiaro che John non si era aspettato quella particolare specifica. Soldati. Non poteva proprio trattenersi. C'era qualcosa negli uomini in uniforme e una certa voce ferma che premeva tutti i suoi pulsanti. Era una benedizione che John non avesse mai avuto occasione di indossare la sua vecchia uniforme perché onestamente Sherlock temeva che avrebbe perso ogni autocontrollo alla vista.

Se non altro, John era sembrato divertito dalla rivelazione, comunque, quindi Sherlock sperava che la cosa non avesse fatto alcun danno duraturo alla loro amicizia. Dopotutto, era una preferenza puramente accademica e non qualcosa che avrebbe mai messo in pratica. Almeno questo era quello che gli piaceva pensare, ma non poteva garantire di attenersi con fermezza a quella decisione se John avesse mai deciso di mettere alla prova i suoi limiti.

"Forse resisterei per cinque secondi senza saltargli addosso, ma solo se avessi l’elettroencefalogramma piatto per lo shock," pensò con sarcasmo, lanciando a John un’occhiata imbarazzata.

Il suo amico era del tutto inconsapevole dei suoi pensieri, con le orecchie dritte e la lingua che ciondolava e la testa che girava da un lato all'altro per assorbire il più possibile. Sherlock si chiese che aspetto avesse, come odorasse e suonasse il mondo per lui. Poteva solo sperare che John sarebbe stato in grado di descrivere la propria esperienza una volta tornato nel corpo umano.

Mentre si avvicinavano alle porte di vetro, Sherlock scorse il loro riflesso e cercò di vederli dalla prospettiva di un estraneo. Un uomo alto e ben vestito con una faccia bizzarra e un cane attento con una pelliccia lucente, orecchie dritte e ogni sembianza della perfetta felicità. Il guinzaglio penzolava tra di loro, allentato. C'era molto spazio, ma il cane non tirava la cinghia né doveva essere trascinato, tenendo alla perfezione il passo con il proprietario e rimanendo a distanza ravvicinata, in segno di fiducia.

Sherlock sbatté le palpebre. Sembravano la rappresentazione stessa di una perfetta unità di cane e padrone.

Aprì la porta e l'immagine scomparve dalla vista quando entrarono nell'edificio e si diressero verso gli ascensori.

A quel punto, quasi nessuno batté ciglio quando lui si presentò con un cane. Chiaramente si era sparsa la voce. In effetti, alcune persone sembravano più felici del solito di vederlo. Sherlock sospettava che avesse poco a che fare con lui personalmente, anche se sembrava esserci una sorta di irresistibile magnetismo verso le persone con cani. Essendo lui stesso un amante dei cani, si era spesso trovato a desiderare di allungare la mano e accarezzarne uno, e altrettanto spesso aveva visto altre persone fare proprio questo e avviare una conversazione con il proprietario.

Sembrava che la normale regola di non parlare con estranei in pubblico venisse automaticamente sospesa quando quell'estraneo aveva un cane. Si chiedeva se fosse questo il motivo per cui la gente al parco gli parlava così spesso.

Si scosse il pensiero di dosso; non era davvero rilevante in questo momento. Forse in seguito ci sarebbe stata l'opportunità di esaminare ulteriormente questo fenomeno, ma in quel momento aveva un duplice omicidio da risolvere e un ispettore investigativo da tormentare per avere ulteriori dati.

Ignorò le teste che si voltarono nella loro direzione mentre lui e John uscivano dall'ascensore e si dirigevano verso l'ufficio di Lestrade; Perkins se ne stava accigliato alla sua scrivania, chiaramente ancora seccato che John non avesse preso ordini da lui. Sherlock prese in considerazione l’idea di fare a John un altro regalo per quel motivo.

Spalancando la porta dell'ufficio di Lestrade, si prese un momento per godersi la vista del DI che sussultava per la sorpresa, una ciambella a metà tra la bocca e la scatola di cartone sulla sua scrivania.

"Ciambelle, Lestrade? Davvero? Non è un po’ troppo un cliché?"

"Ti rendo noto che posso mangiare quello che voglio. E di certo tu non hai voce in capitolo," borbottò Lestrade, poi aggiunse "Ciao John, come va?" quando John, scodinzolando, gli si avvicinò.

Sherlock gli sganciò il guinzaglio e guardò con una fitta di ciò che poteva essere descritta come tenerezza mentre John salutava Lestrade fissando in modo molto intenzionale la sua ciambella.

"Uh...” disse Lestrade.

"Oh, dagliela e basta," sospirò Sherlock. "Se gli viene mal di pancia, sarà colpa sua per essere stato così ingordo."

John gli lanciò un'occhiataccia che non ebbe assolutamente alcun effetto su di lui.

Lestrade rise. "Eccoti qua, John. Quel pazzo ti farebbe seguire una dieta rigorosa se non fosse per noi che ti diamo qualche leccornia. Penso che si dimentichi che dovrebbe scusarsi con te per averti messo in questa situazione, in primo luogo."

Sherlock decise d’ignorare quel commento. "Ho bisogno di accedere all'appartamento di Benjamin Forsythe,” disse al suono di John che sgranocchiava felicemente la ciambella.

"Hai visto le fotografie," protestò Lestrade. "Non posso lasciarti scorrazzare lì dentro, volente o nolente."

"Hai cambiato idea dall'ultima volta che ne abbiamo parlato. Le fotografie non bastano," scattò Sherlock. "Di certo non quelle che ha scattato Anderson. Non si può nemmeno vedere l'intera cucina, figuriamoci le vie di accesso e d’uscita che l'assassino potrebbe aver preso. Ho bisogno di vederla di persona. Vuoi che questo caso venga risolto oppure no?"

Quella, ovviamente, fu la chiave. Lestrade voleva davvero che fosse risolto.


*****

Nel giro di mezz’ora John si trovò ad annusare la porta dell'appartamento della vittima mentre Sherlock tirava indietro con cura il sigillo della polizia e inseriva la chiave. Lestrade era in piedi accanto a loro nel corridoio, a disagio come se stessero accedendo illegalmente alla scena del crimine invece che in compagnia dell'investigatore capo, che era lui stesso.

John sentì il clic della serratura e alzò la testa in attesa, aspettando che Sherlock aprisse la porta.

"Aspetta finché non mi sono guardato bene intorno, poi puoi annusare tutto quello che vuoi," gli disse Sherlock. "Prova a vedere se riesci a trovare lo stesso odore che hai notato a casa dei suoi genitori."

John annuì e gli diede un colpetto alla gamba in quello che sperava fosse un modo rassicurante.

"È così strano,” disse Lestrade alle sue spalle.

"Che cosa?”

"Tu, che parli a un cane come se capisse ogni parola."

"È John, naturale che capisce,” disse Sherlock, con un tono confuso e infastidito.

John scodinzolò verso di lui.

"Sì," concordò Lestrade. "Lo so. Ma è strano lo stesso. Non così strano come il fatto che John sia un cane, ovvio, ma ci va dannatamente vicino."

John girò la testa per alzare gli occhi al cielo e notò che Sherlock stava facendo lo stesso. Sbuffò una risata.

Lestrade sospirò. "Bene. Non badate a me. Solo... fate la vostra cosa. Il Signore sa che non c'è nessuno che potrebbe fermare voi due."

Invece di rispondere, Sherlock entrò nell'appartamento e si diresse immediatamente in cucina.

"Resta nel corridoio o alla porta, se devi, ma non entrare nell'appartamento,” disse al DI da sopra la spalla. "Non vogliamo che il tuo odore contamini la scena del crimine. John dev’essere in grado di annusare davvero qualcosa qui."

"Oh, ma tu non odori di niente, vero?"

"Ormai è abituato al mio profumo, dovrei pensare," puntualizzò Sherlock con una certa logica. "Dopotutto, condividiamo un appartamento che è intriso di entrambi i nostri profumi e abbiamo trascorso molto tempo a stretto contatto fisico dalla sua trasformazione. Mi sorprenderebbe se non potesse filtrarmi, a questo punto.”

John emise un basso latrato di conferma e annuì con la testa. Il profumo di Sherlock era un confortante dettaglio di fondo, parte integrante della sua serenità mentale, ma non qualcosa che travolgeva realmente i suoi sensi al punto da soffocare tutto il resto. Conosceva intimamente il suo odore e quindi era solo questione di separare il profumo di Sherlock da tutti gli odori estranei che l'appartamento aveva da offrire.

Quello che stava cercando, o meglio, respirando, qui era molto evidente.

Aspettò che Sherlock gli facesse un cenno di conferma, poi iniziò a farsi strada attraverso l'appartamento, con il naso premuto a terra mentre seguiva varie scie di profumo attraverso le stanze per vedere dove portava ciascuna di esse.

C'erano sangue, polvere e sostanze chimiche - prodotti per la pulizia e luminol, la roba usata dalla polizia per rendere visibili le macchie di sangue alla luce nera - e vari generi alimentari, un pacchetto mezzo vuoto di patatine dimenticate sotto il divano e un formaggio nel frigorifero che si era ormai evoluto in un suo piccolo ecosistema.

Vestiti nell'armadio che odoravano di detersivo per il bucato e gas di scarico degli autobus londinesi, di marciapiedi bagnati e fumo di sigaretta stantio.

Trovò un calzino spaiato sotto il letto, accanto a un pacchetto di preservativi aperto e un cimitero di fazzoletti a cui John diede un'occhiata e da cui rimase ben alla larga.

E a dominare su tutto questo c'era il profumo secco e pulito di qualcosa che non riusciva a definire del tutto e di cui aveva trovato tracce nell'appartamento della signora Forsythe, che conduceva alla stanza della vittima.

Qui, il profumo era molto più forte, non solo in un modo che suggeriva una scia più fresca, ma in un modo profondo e integrale che diceva che qualunque cosa l’avesse causato era stato nell’appartamento per periodi di tempo lunghi e frequenti.

Lo seguì per tutte le stanze, scoprì che era più rilevante nel bagno e si chiese se fosse davvero una sorta di cipria come Sherlock aveva accennato. Forse qualcosa che una donna usava come parte della propria routine quotidiana di trucco? Una cipria per il corpo dopo la doccia? Non riusciva ad esserne sicuro.

C'era anche un profumo femminile nell'appartamento, ma leggermente più debole dell'altro e meno evidente.

Gli ci volle un po’ per capire che questo era dovuto al fatto che i due profumi erano mescolati. Anche la femmina che era stata lì aveva un forte odore di quella polvere, ma ce n’erano tracce in posti in cui la donna non era stata, il che significava che non era lei la fonte del profumo, o almeno non l'unica fonte.

John seguì la pista per tutto l'appartamento, vagamente consapevole che Sherlock aveva terminato la propria ispezione e ora lo stava osservando con occhi curiosi.

Alla fine, trovò quello che stava cercando. Be ', non esattamente, ma all'improvviso gli scattò in testa dove aveva già odorato quel particolare profumo.

John balzò sul divano e affondò il naso tra i cuscini, fiutando patatine e birra e sudore e l’odore di Forsythe junior e finalmente, finalmente, trovò qualcosa che non era tanto intriso, quanto fortemente connesso al profumo pulito e asciutto. Non riusciva a raggiungerlo, era troppo in profondità sullo fondo del divano.

Per fortuna, le sue azioni non erano passate inosservate.

"Dai, lascia fare a me,” disse Sherlock e una mano guantata spinse delicatamente John da parte mentre il detective appoggiava il braccio sullo schienale del divano e iniziava a tastare in giro per la cosa che cercava.

Portò alla luce alcuni segnalini che sembravano appartenere a un gioco di Battleship a lungo dimenticato.

"Questi?"

John scosse la testa e cercò di infilare il naso tra i cuscini, ringhiando frustrato per la propria incapacità di ottenere ciò che voleva.

"Va bene, va bene, continuerò a cercare. Dammi un po’ di spazio."

Sherlock riprovò e John ascoltò le sue dita che sfioravano il tessuto e rovistavano nello spazio angusto. Notò il preciso istante in cui Sherlock trovò ciò che lui aveva annusato, perché si bloccò nel momento in cui le sue dita lo toccarono.

"Oh."

Tirò indietro la mano, trascinando con sé l'oggetto.

"Non è quello che hai fiutato, vero?” chiese e John scosse la testa, ma gli diede un colpetto alla mano.

"Ma è correlato a quello che hai fiutato," concluse Sherlock e John annuì con vigore.

"Molto interessante. Ben fatto, John."

"Che cos'è?” chiese Lestrade. Chiaramente la pazienza l’aveva abbandonato ed entrò nell'appartamento, curioso di vedere cos’avessero scoperto.

"Credo che John abbia trovato il motivo di almeno uno, se non di entrambi, gli omicidi," annunciò Sherlock.

"L’ha trovato?” chiese Lestrade, come se non sapesse se essere dubbioso o contento. "Ebbene?"

Senza parole, Sherlock aprì la mano.

E lì, sul palmo, giaceva un succhiotto.


*****


"Quindi, un bambino,” disse Lestrade una volta che si trovarono di nuovo nel suo ufficio, raggiunti questa volta dalla sergente Donovan.

"Infatti," confermò Sherlock. "Il suo appartamento aveva ancora un debole profumo di borotalco nell'aria. Mi ci è voluto un po’ per collocare l'odore poiché di solito non ho a che fare con i bambini."

"Grazie a Dio," mormorò Donovan.

Era a causa della sua presenza che Sherlock non osava menzionare chi avesse davvero annusato la polvere, ma era sicuro che perfino Lestrade fosse abbastanza intelligente da capirlo da solo.

" Forsythe junior manteneva l'appartamento molto pulito e faceva del suo meglio per nascondere tutte le prove dell'esistenza del bambino, il che, insieme al fatto che sua madre non ha menzionato nessun bambino, mi fa pensare che non voleva che nessuno lo sapesse.”

"Allora come fai a sapere che ce n'era uno, a parte l'odore?” chiese Donovan. "Il borotalco può essere usato per ogni sorta di altre cose, per non parlare degli adulti con pelle molto sensibile.”

Lestrade si schiarì la gola. "Ha trovato un succhiotto."

"Tra i cuscini del divano," aggiunse Sherlock. "Davvero, avrei dovuto dare immediatamente un'occhiata lì. Le persone possono essere pulite quanto vogliono, ma nessuno pulisce mai in mezzo ai cuscini del divano. Era solo questione di tempo prima che qualcosa che riguardava il bambino scivolasse laggiù e fosse dimenticato. Ogni buon genitore ha sempre più di un succhiotto con sé, quindi non si sarebbe accorto che uno di loro mancava o, se l'avesse fatto, non si sarebbe preso la briga di spendere molto tempo a cercarlo."

"Un po’ come gli elastici per capelli," rifletté Donovan. "Continuo a comprarne di nuovi perché quelli che ho continuano a scomparire.”

Sherlock si strinse nelle spalle. "Un confronto interessante, ma sì, questa è l’idea generale. Ci sono cose che scompaiono senza che nessuno se ne accorga o se ne preoccupi, quindi vengono semplicemente sostituite e si accumulano negli angoli dimenticati del proprio appartamento."

"Non voglio nemmeno sapere cosa potrebbe esserci tra i cuscini del tuo divano,” disse Lestrade.

John scelse quel momento per abbaiare e scodinzolare.

"Penso che non lo sappia nemmeno Johnny," aggiunse Lestrade, sogghignando.

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Non essere ridicolo, Lestrade. È un cane. Non può capirti e se lo facesse, sono sicuro che sarebbe piuttosto ansioso di prendere i biscotti che sono sicuro che potrebbero essere trovati lì."

"Biscotti?" fece eco Donovan mentre Lestrade faceva una smorfia.

Sherlock si strinse nelle spalle. "La signora Hudson continua a provare ricette di biscotti per cani e a imporgliele. Di questo passo, ingrasserà prima che i miei genitori arrivino per riportarlo a casa loro."

"Sì, quando sarà?” chiese Lestrade, incrociando le braccia e lanciando a Sherlock uno sguardo carico di significato.

"Non ne ho la minima idea. Come ti ho detto prima, sono in viaggio e in seguito faranno dei lavori di ristrutturazione per casa. Mi aspetto che chiamino e mi facciano sapere quando avranno un'idea più chiara di quando se lo riprenderanno. Non si può avere un cane in giro con tutti quegli estranei in casa, non gli piacciono molto gli intrusi a casa sua.”

"Ci scommetto," mormorò Lestrade e non era del tutto chiaro se parlasse di Johnny il cane o di John l'umano.

"Sembra perfettamente a suo agio con gli estranei," fece notare Donovan, chinandosi per grattare John dietro le orecchie, cosa che le fece guadagnare una coda furiosamente scodinzolante e una lingua ruvida che le leccava la mano. "Ehi!"

"Questo perché si trova in un posto estraneo," spiegò Sherlock con impazienza. "La casa dei miei genitori è il suo territorio, ovviamente non tollererebbe gli estranei lì come fa in un posto diverso. A questo punto, dovrei pensare che consideri anche Baker Street il suo territorio, ma poiché intratteniamo spesso i visitatori quando i clienti si presentano all'appartamento, lì è abituato agli estranei che vanno e vengono.”

John uggiolò e diede un colpetto con il naso alla mano di Donovan, nella chiara speranza di essere accarezzato ancora un po’.

Sherlock lo guardò con un confuso senso di tradimento, ammettendo almeno a se stesso che non gli piaceva la facile affettuosità che John il cane mostrava verso le altre persone.

Un attimo dopo, dovette lottare per nascondere il sorriso quando John abbandonò Sally a metà coccola per tornare al suo fianco e appoggiarglisi alle gambe, il naso premuto contro la sua coscia e la guancia che gli sfregava lungo il lato della sua gamba.

Sherlock si chinò per accarezzargli il collo. "Sì, andiamo a casa adesso. Hai bisogno di cibo e acqua e un po’ di riposo dopo tutto il duro lavoro che ti ho fatto fare oggi."

John lo guardò e sbatté le palpebre, poi rimase perfettamente immobile mentre Sherlock gli riallacciava il guinzaglio.

"Chiedi in giro tra i suoi amici e familiari se riesci a scoprire qualcosa riguardo a dei bambini,” disse Sherlock a Lestrade mentre si dirigeva alla porta. "Con particolare attenzione alle ex fidanzate, ovvio."

"Non sono davvero stupido!" gli gridò dietro Lestrade.

Sherlock non si prese la briga di rispondere.



 




NdT: Settimana di rivelazioni interessanti, sul caso e su se stessi, ma la prossima settimana ce ne saranno di un po' più personali... 🤣

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Capitolo 14
*** 14 ***


 Capitolo 14 

Tornarono a casa e ripresero quella che era diventata la loro solita routine.

Sherlock diede a John il suo cibo, rinunciando questa volta al kong a favore della ciotola. Mentre John mangiava, Sherlock finì per prendere una tazza di tè con la signora Hudson, che salita al piano di sopra ‘solo per vedere come stavate’ e per puro caso aveva con sé una teglia di pasta al forno.

Aveva un odore paradisiaco e John si ritrovò ad abbandonare la sua ciotola quasi vuota e sedersi accanto a Sherlock con aria d’aspettativa.

"Cosa c’è?” chiese Sherlock quando notò lo sguardo di John su di lui.

John lo fissò e si leccò il naso, gli occhi fissi sulla forchetta carica di pasta al forno e carne macinata che Sherlock stava per mangiare.

Sherlock gli lanciò un'occhiataccia, aprì la bocca e mangiò.

"Ecco, sto mangiando,” disse. "Puoi smettere di farmi da mammina, ora.”

John sbuffò e rimase dov'era, guardando la forchetta andare avanti e indietro tra il piatto e la bocca di Sherlock.

Emise un gemito sommesso, spostando il peso.

"Sul serio, John, cosa..." iniziò Sherlock, poi s’interruppe, afferrando finalmente il concetto. "John, stai mendicando?"

Fu il turno di John di guardarlo male.

Sherlock sogghignò. "Lo stai facendo! Non ho idea se ai cani siano permesse carne tritata e pasta, non guardarmi così."

John non lasciò che l’argomento lo preoccupasse e fece del suo meglio per adottare un'espressione da cucciolo da far sciogliere il cuore.

Il detective non sembrò impressionato. "Non funzionerà con me, John."

John cercò di rendere l'espressione un po’ più intensa, inclinando il più possibile in avanti le orecchie flosce e lasciando che la coda si muovesse avanti e indietro sul pavimento. Poteva sentirsi sul serio sbavare, ma non gliene importava abbastanza da fermarsi. Il cibo aveva un odore celestiale e lui sentiva davvero, davvero la mancanza del cibo umano. Un pasto vero e proprio in quel momento sembrava il paradiso.

"Non te ne darò," lo informò con fermezza Sherlock. "Smettila."

Il suo tono rendeva perfettamente chiaro che non avrebbe cambiato idea, così John emise un sospiro deluso e sgattaiolò sotto il tavolo, sperando che un frammento potesse in qualche modo cadere sul pavimento per poterlo divorare.

Un piede gli diede un colpetto sul fianco e alzò la testa per trovare la signora Hudson che gli offriva di nascosto una manciata di pasta sotto il tavolo.

Avrebbe sogghignato se avesse avuto la capacità di farlo. Invece, si avvicinò e la mangiò con cura dalla sua mano.

"Molto sottile,” disse Sherlock seccamente. "Davvero, signora Hudson, questo cosa dovrebbe insegnargli?"

"Oh, lascia che il povero ragazzo mangi un po’ di pasta, Sherlock," sbuffò lei. "Non ha fatto un pasto decente da quando è iniziato tutto questo pasticcio, abbi un po’ di compassione."

"Il cibo è comunque sopravvalutato," le disse Sherlock in modo secco e non del tutto convincente. John poteva sentire il suo stomaco brontolare e nascose un verso divertito a quel suono.

Continuarono a mangiare e John alla fine rinunciò a qualsiasi tentativo di ottenere altra della meravigliosa pasta e trito, tornando alla ciotola per mangiare i resti della sua cena. Leccò con ostentazione la ciotola fino a pulirla prima di saltare sul divano e rannicchiarsi lì.

Ascoltò mentre la signora Hudson e Sherlock finivano il loro pasto e la signora Hudson che raccontava quello che aveva da dire la signora Turner della porta accanto sui suoi sposati e sulla vacanza in Francia per cui erano partiti quella mattina.

John trovò che quel particolare frammento di notizia fosse un sollievo. Si era un po’ stancato di dover ascoltare quei due che lo facevano ogni notte. Non li biasimava per il loro amore e il loro piacere, ma era un po’ fastidioso doverli ascoltare quando lui era in un periodo di siccità forzata.

Come si era scoperto, anche dormire nella stanza (o nel letto) di Sherlock non era abbastanza lontano perché i suoni svanissero. Dopotutto, poteva sentire fino in fondo alla strada. Il semplice trasferimento nella stessa casa non aveva influito sulla sua capacità di sentire cosa stava succedendo alla porta accanto.

La conversazione si spostò da quell’argomento alla signora Hudson e Sherlock che litigavano su chi avrebbe lavato i piatti. Sherlock, in uno di quei rari momenti di cavalleria che si mostravano solo nei dintorni della sua padrona di casa, insisteva per fare tutto da solo, mentre lei insisteva che fosse compito suo coccolare lui e John al meglio delle proprie capacità e che lui avrebbe dovuto smettere di essere così testardo al riguardo.

Finirono per condividere il lavoro e John guardò divertito mentre Sherlock era delegato ad asciugare e ritirare i piatti che lei gli passava.

Dopodiché, Sherlock si mise a sedere sul divano, spingendo John di lato per sedersi al suo solito posto e appoggiare i piedi sul tavolino da caffè. Si era a malapena sistemato prima che John si spostasse per mettergli la testa sulle cosce, com’era diventata loro abitudine.

"Awww, guardatevi, voi due!" esclamò la signora Hudson. "Che quadretto delizioso che state facendo!"

John uggiolò, puntando il naso verso di lei e poi sullo spazio libero accanto a sé.

"Credo che tu sia stata invitata a unirti a noi," tradusse Sherlock. "Il telegiornale inizierà tra un minuto."

"Oh, molto bene. Volevo guardare le previsioni del tempo,” disse la signora Hudson, cercando senza successo di nascondere il proprio piacere, e si sedette accanto a loro. John agitò la coda contro la sua gamba in segno di benvenuto.

Lei gli diede una pacca sul fianco, poiché quella era la parte di lui che le era più vicina. "Oh, sei una bella fonte di calore, vero? Non sono sorpresa che a Sherlock piaccia così tanto accoccolarsi con te."

Sherlock fece una smorfia. "Io non mi accoccolo."

"Certo che non lo fai, caro,” disse lei con un tono che comunicava in modo palese che non credeva a una parola.

John, determinato a minare ancor di più il terreno traballante su cui si trovava Sherlock, strofinò la testa contro l'osso iliaco e lo stomaco del suo amico prima di riportare la testa nella posizione precedente sulle sue ginocchia.

Sherlock emise un borbottio d’inarticolata irritazione, ma un attimo dopo la sua mano destra si fermò sulla schiena di John e le sue dita gli affondarono nella pelliccia del collo, accarezzandolo dolcemente senza muoversi molto.

John emise un mugolio soddisfatto e si rilassò.

La signora Hudson scovò il telecomando in mezzo alla confusione che era il loro tavolino da caffè e accese il telegiornale della BBC.

Era incredibilmente comodo, pensò John, rannicchiato tra due delle persone più importanti della sua vita, con il dolce sussurro del loro respiro, i suoni gemelli dei loro cuori che battevano, il calore che si irradiava dai loro corpi e la voce familiare della conduttrice che blaterava sugli avvenimenti nel mondo.

Ogni tanto, Sherlock faceva scorrere distrattamente le dita attraverso il pelo di John e gli spediva un piacevole brivido lungo la schiena.

Il notiziario passò al bollettino meteorologico e poi finì, ma in qualche modo nessuno di loro si sentì di muoversi, quindi scorsero i canali finché non trovarono un documentario sul crimine negli Stati Uniti, a cui Sherlock e la signora Hudson erano interessati.

Sherlock continuò a commentare il modo orribilmente pigro in cui erano state condotte le indagini o in cui il reportage aveva fatto le ricerche, aggiungendo dettagli ai casi menzionati mentre passavano e in generale migliorando i contenuti del documentario, aggiungendo almeno due terzi di informazioni in più.

La signora Hudson, nel frattempo, aveva molto da dire sul tema della criminalità nel sud.

"Oh, lo conoscevo,” disse quando in TV apparve il volto di un uomo carnoso. "A volte veniva a trovarci per affari con Frank. Be’, questo è quello per cui pensavo che fosse lì in quel momento, naturalmente, e in un certo senso lo era. Niente di tutto ciò era legale, ovviamente. Penso che gli abbiano sparato per la strada un paio di mesi prima che tu saltassi fuori, Sherlock."

Sherlock mugolò. "Di certo non l'ho mai incontrato, ma penso che sia stato uno dei casi in cui suo marito era il principale sospettato."

La signora Hudson annuì seria. "Oh sì, ma in quel caso non hanno potuto provare nulla e alla fine hanno condannato uno dei soci in affari suo e di Frank per questo. Penso che anche lui sia ancora in prigione. L'intero processo è stato una farsa, ovviamente, ma dovevano mettere qualcuno dietro le sbarre e quel tizio aveva fatto abbastanza cose orribili per conto suo da meritarselo pienamente.”

John ascoltava con interesse mentre parlavano di persone che avevano conosciuto e di eventi accaduti molto prima che lui diventasse parte della loro vita. Né la signora Hudson né Sherlock avevano mai veramente parlato di come si erano incontrati, ma da quel poco che sapeva al riguardo, per qualche motivo dopo di allora erano rimasti in contatto.


Si chiese se forse la signora Hudson avesse dato un'occhiata a Sherlock e avesse deciso all’istante che era qualcuno di cui valeva la pena prendersi cura, un sentimento che di certo comprendeva e che condivideva, anche se per ragioni leggermente diverse.

In una delle interruzioni pubblicitarie, Sherlock si alzò e frugò tra gli scaffali della cucina, scoprendo infine un sacchetto di carta marrone che fece scoppiare nel microonde.

Una serie di sonori schiocchi e un ‘ping’ più tardi, tornò con una ciotola di popcorn appena fatti.

"Dal momento che questa sembra essere diventata ciò che a John piace chiamare 'serata del cinema' e mi è stato detto che questa è la cosa appropriata da mangiare durante un evento del genere... prenda un po’ di popcorn."

La signora Hudson ne fu deliziata.

John ne provò un boccone, ma scoprì che aveva problemi a masticare i popcorn e non gli piacevano molto, quindi i due presto smisero di passarsi la ciotola e la posarono semplicemente sul divano tra loro, piazzata al sicuro tra le zampe e la pancia di John.

Lui si abituò alla mano di Sherlock che lasciava il collo per prendere i popcorn e s’intrattenne con un felice calcolo di tutte le calorie che lui e la signora Hudson avevano fatto in modo che il detective assumesse quel giorno. Se continuava così, avrebbero potuto finalmente indirizzare Sherlock verso qualcosa di simile a normali abitudini alimentari.

Quando la serata finalmente si concluse, era già mezzanotte passata e la signora Hudson aveva sbadigliato per un'ora buona prima di arrendersi.

"Mi dispiace interrompere questa bella serata, ma credo di dover andare a letto o mi addormenterò su questo sofà, e non sono più abbastanza giovane per questo genere di cose."

Sherlock balzò con prontezza in piedi e l'aiutò ad alzarsi dal divano e poi l'accompagnò persino verso le scale.

"Oh, sei un tesoro, Sherlock. Grazie per la meravigliosa serata. Spero che la ripeteremo un giorno, forse quando John sarà tornato alla sua solita forma,” disse, tirando il braccio di Sherlock per farlo piegare in avanti in modo da potergli baciargli la guancia. "Buonanotte, caro ragazzo."

"Buonanotte, signora Hudson,” disse dolcemente lui, restituendole il bacio sulla guancia.

"Buonanotte, John," gridò lei verso il divano.

John le rivolse un allegro abbaiare e scodinzolò, sperando che lei afferrasse il messaggio.

Poteva udirla mormorare sommessamente tra sé mentre scendeva le scale ed entrava nel suo appartamento e sentì qualcosa nel petto palpitare di caldo affetto.

A volte era facile dimenticare che alla signora Hudson non era rimasto nessun altro oltre a sua sorella, che non viveva a Londra e che quindi vedeva solo di rado. E poi, in notti come questa, John si ritrovava a ricordare che mentre lui e Sherlock potevano essere i figli surrogati che lei non aveva mai avuto, anche la signora Hudson era la figura materna di cui entrambi avevano bisogno. Baker Street senza di lei non avrebbe dato la sensazione di casa. Sherlock aveva avuto ragione tutti quei mesi prima. L'Inghilterra sarebbe caduta, lei se avesse lasciato Baker Street.

Ma in notti come quella, era facile credere che l'avrebbero avuto per sempre. In notti come quella, era facile pensare che questo fosse quanto di più vicino alla perfezione una persona potesse mai ottenere. In notti come quella, John pensava di poter trascorrere felicemente il resto della vita in quel modo (esclusa la parte del cane) e non desiderare mai nient'altro.

Sbadigliò e guardò con occhi assonnati mentre Sherlock raccoglieva la ciotola dei popcorn ora vuota e la metteva nel lavandino prima di vagare verso la sua camera da letto.

Il detective si fermò sulla soglia della stanza quando notò che John non l’aveva seguito e chiese: "Allora? Resterai qui fuori, stanotte?"

John saltò giù dal divano e trotterellò verso di lui, scodinzolando. Poteva non essere stato un invito esplicito, ma con Sherlock si doveva leggere tra le righe.

Lo seguì nella sua stanza e saltò sul letto, lasciandosi cadere sulle coperte e chiudendo appagato gli occhi.

La camera era calda e poteva sentire ogni mossa di Sherlock, il battito del cuore e il dolce sussurro del respiro, il fruscio di cotone e stoffa mentre si toglieva i vestiti e si metteva il pigiama.

John s’impegnò a non guardare, in parte per correttezza e in parte per esigenza di autoconservazione.

Pensò che i rumori differissero dai soliti suoni, ma non riuscì a darsi la briga di aprire gli occhi e vedere il perché.

Sherlock si ritirò in bagno per usare il gabinetto e lavarsi i denti. Quando tornò, John ritenne che fosse sicuro aprire gli occhi ed era quindi del tutto impreparato per trovarsi a fissare il petto nudo di Sherlock.

"Fa troppo caldo per preoccuparsi di mettere una maglietta," gli disse Sherlock. "Smettila di guardarmi così, è difficile che mi ammali solo per questo."

John sbatté le palpebre e scosse la testa, chiedendosi quale espressione avesse avuto, se questa era la conclusione a cui Sherlock era saltato. Per un momento, fu incredibilmente lieto di essere un cane e che la sua faccia fosse quindi molto più difficile da leggere, perché se fosse stato umano perfino Sherlock non avrebbe potuto scambiare la sua espressione per nient'altro che per quello che era.

D’altro canto, se fosse stato umano, in primo luogo non sarebbero finiti in quella situazione.

Decise di non commentare nel modo limitato in cui era in grado di farlo e si spostò semplicemente in modo che Sherlock potesse arrampicarsi nel letto e trascinarsi le coperte addosso.

John si raggomitolò sulle coperte accanto a lui, premendogli la schiena contro il fianco e notando felicemente che poteva sentire il petto del detective espandersi e contrarsi ad ogni respiro che faceva.

"Sai, credo che dovremo prendere in considerazione l’idea di prendere un cane, una volta che sarai tornato alla tua forma umana," rifletté Sherlock. "Mi sto abituando ad avere un altro essere vivente nel letto."

John fu molto contento di non poter parlare in quel momento, ma questo non gl’impedì di pensare che, se Sherlock avesse voluto, quello avrebbe potuto averlo anche se non ci fosse stato più nessun cane in giro. Tutto quello che doveva fare era chiedere.


*****


La mattina successiva iniziò più o meno allo stesso modo di quella precedente, tranne per il fatto che la mancanza di una maglietta, unita al fatto che il riscaldamento si era spento durante la notte, aveva fatto sentire a Sherlock un po’ più freddo di quanto gli piaceva e così si era rivolto all'unica fonte di calore disponibile.

Come risultato diretto, John si svegliò e si trovò avvolto nelle coperte calde e con la forma di un investigatore dormiente accoccolato attorno a sé.

Grazie alla loro notevole differenza di dimensioni, Sherlock era effettivamente riuscito a raggomitolarsi intorno a lui in modo tale da formargli un semicerchio attorno, con le coperte sottili come unica barriera tra di loro.

Era comodo e caldo e John pensava che avrebbe trascorso felicemente un altro paio d'ore in questo modo quando Sherlock si spostò nel sonno, rivelando accidentalmente che anche il suo problema della mattina precedente sembrava essersi ripresentato.

Questa volta, non c'era alcuna possibilità di sgattaiolare educatamente via mentre lui dormiva, così John rimase esattamente dov'era e decise di sonnecchiare per un po’.

Quando Sherlock si svegliò alcuni minuti dopo, lo fece lentamente, il che era una rarità, e poi imprecò in tono sommesso quando notò lo stato in cui si trovava.

"Questo sta diventando fastidioso," mormorò nel cuscino. "Come mai il mio mezzo di trasporto continua ad andare in cortocircuito in questo modo inaccettabile?"

John emise un basso lamento di scusa, visto che non poteva rispondere molto bene.

Sherlock borbottò qualcosa d’incomprensibile prima di mettersi a sedere con un gemito.

"Vorrei che questa cosa smettesse di capitare. Non sapresti come raggiungere questo risultato, vero?"

John voltò la testa e sbatté le palpebre. Aveva un paio di suggerimenti, in realtà, ma sospettava decisamente che a Sherlock non sarebbe piaciuto nessuno di loro.

"No, è quello che pensavo," sospirò Sherlock. "Tranne l'ovvio, naturalmente, e davvero non posso darmene la pena."

John si ritrovò a desiderare malinconicamente di trovarsi nella posizione in cui avrebbe potuto prendere una decisione del tutto diversa. Era un cane ormai da circa una settimana e la cosa cominciava a dargli sui nervi.

Non c'era né il tempo né la possibilità di ottenere sollievo e non aveva davvero idea di come avrebbe fatto un cane a farlo, tranne che montando la gamba di qualcuno.

Per un selvaggio, folle momento immaginò di farlo a Sherlock, solo per vedere la sua reazione, ma poi scartò quel pensiero prima di poter iniziare a prendere sul serio l’idea.

C’erano dei limiti, dopo tutto.


*****


Sherlock borbottò durante l'ennesima doccia fredda, vestendosi e facendo colazione, con grande divertimento di John, prima di lasciare che lui lo trascinasse fuori al parco per una passeggiata.

Portò la pallina da tennis e il lanciatore e John fu contento di potersi sgranchire un po’ le gambe.

Mezz'ora dopo l'inizio del loro gioco, emerse da un boschetto di alberi, scodinzolando e con la pallina da tennis ben stretta tra i denti, e si fermò di colpo.

Sherlock era esattamente dove l’aveva lasciato, ma non era più solo.

C'era un uomo con lui e proprio mentre John si concentrava sulla loro conversazione, l'uomo disse "Oh, è tuo?" e lo indicò.

John balzò verso di loro, lasciando cadere la palla ai piedi di Sherlock e voltandosi a guardare con sospetto lo sconosciuto. Gli annusò la gamba per un po’: sudore per la corsa, forte dopobarba e un’intera vagonata di feromoni. Naturalmente, cazzo.

John gli voltò le spalle con uno sbuffo e si mosse per sedersi di fronte a Sherlock, inserendosi efficacemente tra i due uomini.

Purtroppo questa manovra lo avvicinò molto anche al suo amico, e notò con lieve fastidio e nessuna sorpresa di sorta che non tutti i feromoni nell'aria erano dovuti allo sconosciuto.

"Questo è Johnny,” disse Sherlock, indicando John. "Mi dispiace per il suo comportamento. Non gli piacciono gli uomini."

Lo sconosciuto aprì la bocca, senza dubbio per far notare che Sherlock stesso era chiaramente un uomo, ma poi decise diversamente e invece annuì.

"Non sono offeso,” disse allegramente. "Dev’essere difficile avere un appuntamento con lui che non ama gli altri uomini, però."

Sherlock si strinse nelle spalle. "Johnny e io non andiamo ad appuntamenti."

Il che era vero, pensò John, ma suonava anche piuttosto sprezzante.

Se lo pensava anche lo sconosciuto, non lo fece capire.

"Be ', forse ti piacerebbe unirti a me per un caffè quando sarai libero," suggerì. "Non c’è bisogno che porti il tuo cane."

Ora questo, decise John, era decisamente sprezzante. Snudò i denti verso l'uomo, solo un po’, ed emise un ringhio sommesso.

Sherlock gli posò una mano sulla testa. "Shh." E all'uomo disse: "Be’, puoi vedere cosa ne pensa. Quindi è un no, temo. Buona giornata. Vieni, Johnny."

John raccolse la sua pallina da tennis e fu fin troppo felice di seguire Sherlock.

"Davvero, John,” disse il detective non appena furono fuori dalla portata dell'udito dell'altro uomo, "era necessario? Posso assicurarti che non sono così disperato. Di certo non hai pensato che avrei lasciato che qualche estraneo a caso mi adescasse in quello che era un travestimento sottilmente velato per il coito?"

John non l'aveva pensato, ma soprattutto perché ‘coito’ non era la parola che gli era venuta in mente, e in effetti non gli sarebbe mai venuta in mente finché ci fosse stato in giro il buon vecchio ‘scopare’.

Si rifiutò quindi di commentare e toccò semplicemente la mano di Sherlock con il naso, offrendogli la pallina da tennis.

"Oh, molto bene."

Sherlock accettò la palla e continuarono il loro gioco. Ma questa volta, John mantenne parte della propria attenzione su Sherlock e sul sentiero, pronto a intervenire se lo sconosciuto fosse tornato o se qualcun altro avesse fatto un tentativo.

Ormai era diventato evidente che Sherlock o era del tutto ignaro del motivo per cui le donne continuavano ad avvicinarsi a lui nel parco o semplicemente fingeva di non esserne consapevoli per scaricarle più facilmente. Tuttavia, grazie al loro incontro con i soldati la mattina precedente, era altrettanto evidente che il suo disinteresse non si estendeva agli uomini e quindi John cominciava a considerarli come potenziali bracconieri su quello che era decisamente il suo territorio.

Naturalmente né lui né Sherlock avevano mai concordato una cosa del genere, ma eccolo lì, intrappolato nel corpo di un cane e regolarmente sopraffatto dagli istinti da cane. E uno di questi sembrava essere il rifiuto assoluto di tollerare potenziali rivali per l'attenzione di Sherlock.

E, a giudicare dal modo in cui il trasporto di Sherlock lo stava ripetutamente tradendo, era solo una questione di tempo prima che incontrasse qualcuno che facesse colpo o almeno che attirasse la sua attenzione abbastanza a lungo da permettergli di decidere che forse grattarsi il prurito avrebbe aiutato a farlo andare via.

John non aveva intenzione di lasciare che ciò accadesse, e mentre si diceva che ciò era interamente dovuto alla sua riluttanza a doverlo ascoltare, visto che non aveva vie di scampo, sapeva che non era quello il motivo.

Scosse la testa davanti all'infinito carosello di pensieri che gli giravano in mente.

Adesso di certo non era il momento per questo.

Forse quel momento non sarebbe arrivato mai, o forse sarebbe stato più tardi quella settimana.

Ma per ora aveva una pallina da tennis da prendere e un detective scorbutico con cui giocare.

Tutto il resto poteva aspettare.


*****


Tornarono all'appartamento, dove John lappò un po’ d'acqua e poi si lasciò cadere sulla cuccia e guardò Sherlock che camminava su e giù per la stanza.

Ora che erano tornati nell'appartamento dove non esisteva il vento per soffiare via l'odore prima che raggiungesse il suo naso, John scoprì rapidamente che i feromoni non erano ancora diminuiti nell’organismo di Sherlock.

Poteva annusare gli ormoni, il testosterone, i feromoni e la dopamina, tutti intenti a scatenare il caos nel trasporto di Sherlock.

Gli venne in mente che l'irrequietezza del suo amico non aveva assolutamente nulla a che fare con il lento procedere del caso e tutto a che fare con una prolungata frustrazione sessuale.

Fino ad ora, John non aveva pensato che questo fosse un problema che Sherlock aveva mai dovuto affrontare, ma a quanto pareva su quel punto si era sbagliato.

Sherlock camminava su e giù per il soggiorno come un animale in gabbia, spostandosi dalla finestra dietro il divano verso la porta e poi di nuovo indietro, fissando di tanto in tanto il muro o le persone fuori sulla strada prima di voltarsi bruscamente e continuare il proprio irrequieto peregrinare.

Dopo un po’, John sentì un'auto che si fermava fuori, e un attimo dopo si udì il rumore della porta d'ingresso che si apriva e qualcuno che saliva le scale del loro appartamento.

Sapeva chi era molto tempo prima che il loro visitatore entrasse nel loro salotto, e non c’era voluto il suono della punta di un ombrello che picchiettava sul pavimento per dirgli chi era entrato.

"Vedo che sei già in piedi,” disse Mycroft, senza darsi la pena di perdere tempo con un saluto.

Sherlock si voltò di scatto, sul viso un'espressione che suggeriva la sua propensione a sventrare chiunque avesse osato disturbarlo. In qualche modo, riuscì a indicare che tale propensione era doppia se si trattava di Mycroft, solo dal modo in cui lo guardava.

"A cosa dobbiamo il dispiacere della tua visita?" ringhiò. "E non dire che stavi solo passando da queste parti. Baker Street non è neanche lontanamente vicina a nessuno dei tuoi luoghi preferiti o ai percorsi più brevi tra di loro."

"Cosa ti fa pensare che questo indirizzo non sia sulla lista?” chiese con calma Mycroft, esaminandosi le unghie della mano sinistra. "Non mi spingerei a definirlo un indirizzo preferito, ma vengo qui abbastanza spesso."

"E desidererei con tutto il cuore che non lo facessi," l’interruppe Sherlock. "Cosa vuoi? I tuoi scienziati hanno finalmente trovato una soluzione?"

"È passata solo una settimana, fratello mio," lo rimproverò dolcemente Mycroft. "Persino gli scienziati di Baskerville avrebbero difficoltà a sviluppare un antidoto funzionante e sicuro in così poco tempo. Lo sviluppo di qualsiasi farmaco, anche uno semplice come per aiutare a curare il comune raffreddore, richiede fino a sei anni. Di certo non credevi davvero che sarebbero stati così veloci?"

"No, ma ho pensato che potevi essere in grado di terrorizzarli e farli lavorare più in fretta," strascicò Sherlock. "O semplicemente che potevi farti coinvolgere tu stesso, dare al tuo cervello un po’ di quell'esercizio che sarebbe molto più adatto al tuo trasporto. Vedo che hai guadagnato un chilo intero dall'ultima volta che ho avuto il dispiacere della tua compagnia."

John, che si era rianimato alla menzione di una soluzione alla sua condizione, lasciò ricadere la testa sulle zampe. Era chiaro che oggi non era il giorno in cui avrebbe smesso di essere un cane. Be’, fintanto che non ci fossero voluti sei dannati anni...

"Potrebbero essere più veloci se permettessi loro di eseguire alcuni test su..."

"No," l’interruppe Sherlock. "Assolutamente no. Non è una cavia. Non permetterò a nessuno di eseguire alcun tipo di test su di lui. Sono riusciti a trasformarlo in un cane senza fare nessun test, possono anche dannatamente invertire l'effetto senza alcun test."

Mycroft sospirò. "Come vuoi." Si voltò per rivolgersi direttamente a John. "Se non sei d'accordo con mio fratello, sei naturalmente il benvenuto a far conoscere la tua preferenza, John. Spero che tu sappia che verrà presa in considerazione e che sarai adeguatamente compensato per tutti i problemi che questo spiacevole incidente ha già causato e probabilmente ti causerà in futuro."

John rivolse un orecchio verso di lui, ma non reagì in altro modo. Non c'era niente da dire. Sherlock aveva ragione: non voleva diventare una cavia e l’idea di essere esaminato e punzecchiato dalle stesse persone responsabili di tutto questo era assolutamente ripugnante.

Annuendo come se avesse pienamente compreso ciò che John stava esplicitamente non dicendo, Mycroft si voltò di nuovo verso Sherlock. "Sei insolitamente teso per essere così presto,” sottolineò. "Ho ragione a credere che questo sia collegato al tuo incontro al parco di stamattina? Se vuoi, posso far scoprire per te il nome e l'indirizzo di quell'uomo."

Sherlock sbuffò. "E ti aspetti davvero che io creda che non hai già entrambe le cose nel tuo taccuino? È stato quasi un'intera ora fa, dopotutto. Un sacco di tempo per spiare chi vuoi e ricevere i loro dati da uno dei tuoi tirapiedi. Ti ringrazio se starai fuori dalla mia vita."

Suo fratello inarcò un sopracciglio. "Così male, vero? Ti avevo avvertito, Sherlock."

"Sì, e guarda quanto effetto ha avuto," ringhiò Sherlock. "C'era qualcosa in particolare che volevi dirci, o sei qui solo per renderci tutti infelici?"

"Non credo che tu possa diventare più infelice di quanto sei già oggi," osservò freddamente Mycroft. "Volevo semplicemente informarti che, sebbene lo staff di Baskerville non sia ancora arrivato a una svolta, stanno lavorando febbrilmente a una soluzione per il nostro piccolo problema e hanno una serie di teorie potenzialmente funzionanti che testeranno nei prossimi giorni. Si spera, avremo una stima più precisa di quanto tempo ci vorrà entro la fine della settimana.”

"Meraviglioso,” disse Sherlock in un tono che suggeriva che fosse tutto tranne che quello. "Buona giornata, Mycroft."

Mycroft gli rivolse un cenno del capo. "E a te, fratello mio. Ti suggerisco di fare qualcosa per il tuo problemino, e presto. La tensione qui è abbastanza forte da soffocare e sono certo di non voler sapere cosa deve sopportare proprio adesso il povero naso sensibile di John."

Sherlock ringhiò senza parole, il che sembrò più che sufficiente per far capire il suo punto di vista.

Con un’ultima piroetta dell'ombrello, Mycroft se ne andò silenziosamente come era venuto.

Non appena se ne fu andato, Sherlock riprese il proprio marciare rabbioso, borbottando tra sé e sé dei fastidiosi fratelli maggiori che ficcavano il naso dove non c’entravano e nel frattempo innervosivano tutti.

John lo guardò in silenzio per un po’.

Mycroft aveva ragione su una cosa, però. La tensione era davvero abbastanza forte da soffocare. Poteva quasi sentire i muscoli di Sherlock diventare sempre più tesi, e poteva sicuramente sentire l'odore degli ormoni che s’irradiavano da lui. Una loro nuova ondata annebbiava l'aria ogni volta che Sherlock si passava la mano tra i capelli, scompigliandosi completamente i ricci e rendendo del tutto chiaro che una doccia fredda non sarebbe più stata sufficiente.

Alla fine, John ne aveva avuto abbastanza.

Questo li avrebbe mandati entrambi fuori di testa se fosse continuato ancora un po’. Qualunque cosa avesse innescato Sherlock, il suo trasporto aveva chiaramente raggiunto il proprio assoluto limite di resistenza e non gli avrebbe permesso di continuare più a lungo in questo modo.

John decise che era ora di fare qualcosa, e se questo significava sacrificare un pezzo della sua tranquillità, allora così fosse. A questo ritmo, avrebbe finito comunque per perdere tale tranquillità, quindi tanto valeva sacrificarla per il bene più grande di convincere Sherlock a rilasciare parte della sua tensione.


*****


Sherlock si sentiva quasi pronto a strapparsi la pelle di dosso. Aveva sperato di poterlo evitare per un po’ più a lungo, ma a quanto pareva il suo trasporto si era stufato di aspettare.

A volte accadeva, dopo mesi di pace, e lui desiderava che non capitasse. Aveva certo sperato che non succedesse ora, mentre c'era un caso e, cosa più importante, mentre John era un cane e incredibilmente ben equipaggiato per capire lo stato in cui lui si trovava.

"Questa è colpa tua,” disse al cane in questione, facendo un ampio gesto con la mano per includere l'intera situazione.

John inclinò la testa in una chiara espressione di 'Come diavolo è che sarei io biasimare? ' e alzò gli occhi al cielo.

Sherlock sbuffò. "Se non mi avessi fatto aderire a un regime di pasti regolari e a un ciclo del sonno 'normale', il mio mezzo di trasporto non avrebbe insistito per fare tutte queste richieste per le quali non ho tempo. Davvero, cosa c’è con te e la tua ossessione di farmi dormire e mangiare regolarmente?"

John gli uggiolò e fece una complicata scrollata di spalle, che Sherlock interpretò come se avesse una risposta ma nessuna possibilità di esprimerla in modo adeguato in quel momento.

Si guardarono l'un l'altro per un po’, ma Sherlock non era dell'umore giusto per una gara di sguardi, così si voltò e riprese a camminare avanti e indietro. Supponeva di dover essere grato che John fosse un cane in quel momento, perché il John umano si sarebbe dimostrato troppo da sopportare in quel momento.

Nelle poche occasioni precedenti il suo mezzo di trasporto lo aveva deluso in questo modo, era stato in grado di affrontare il problema in modo rapido ed efficiente e senza che John notasse nulla di strano, ma per come stavano le cose ora, semplicemente non c'era modo di nasconderlo.

Si passò una mano tra i capelli per la frustrazione e si morse il labbro per soffocare un gemito. Era come se l'elettricità gli stesse scoppiettando lungo la spina dorsale, i follicoli troppo sensibili per poterlo sopportare con calma.

Ci fu uno sbuffo dietro di sé e si voltò per vedere John che si alzava e prendeva il guinzaglio dal tavolino dove lui l'aveva lanciato circa un'ora prima.

Si accigliò: perché John avrebbe voluto fare un'altra passeggiata?

Ma John si limitò a lasciare cadere il guinzaglio vicino alla porta e poi spinse col naso la scatola di fazzoletti giù dal tavolino e verso Sherlock.

"Cosa dovrei farci con quella?” chiese lui. "Non è affatto utile per una partita a palla e dubito che ti divertirai molto a giocare al tiro alla fune con un fazzoletto."

John alzò gli occhi al cielo e spinse di nuovo la scatola verso di lui.

Sherlock la raccolse di malavoglia, spostando lo sguardo dalla scatola a John e viceversa. "Be’?"

In luogo di una risposta, John si mosse intorno a lui e gli premette la testa contro le ginocchia, spingendolo in avanti.

Sospirando, lui seguì la guida dell'amico e si lasciò condurre fuori dal soggiorno, attraverso la cucina e verso la sua camera da letto.

"John?"

Ma John si limitò a emettere un complicato brontolio nel petto e lo spinse verso il letto prima di voltarsi con aria molto intenzionale. Lasciò la stanza e un attimo dopo Sherlock poté sentirlo saltare giù per le scale, seguito da un latrato soffocato e poi dal saluto sorpreso della signora Hudson.

Meno di un minuto dopo, lei gridò su per le scale: "Porto John a fare una passeggiata, caro!"

Sherlock era in piedi nella sua stanza, con lo sguardo che saettava avanti e indietro tra la porta e la scatola dei fazzoletti in mano, e sentendosi del tutto senza parole.

A volte, pensò, John non era solo incredibilmente percettivo, ma anche straordinariamente orientato alla soluzione.

C'era un limitato numero di cose che John avrebbe potuto aver intenzione di fargli fare, ed era piuttosto certo che soffiarsi il naso non fosse sulla lista.

E ora eccolo lì, con i nervi tesi su una cremagliera costruita di pura frustrazione, e John aveva escogitato una maniera per offrirgli la possibilità di un po’ di sollievo in modo educato e discreto.

Tutto quello che doveva fare era prenderlo.

Non aveva una gran scelta, non con il modo in cui il suo mezzo di trasporto lo aveva tradito continuamente per ben più di due giorni di seguito. Conosceva i segnali e sapeva che non si sarebbe fermato a meno che lui non avesse fatto qualcosa al riguardo.

Rassegnato al proprio destino e non volendo sprecare l'occasione che John gli aveva dato, chiuse la porta della camera da letto e andò a cercare un po’ di sollievo.


#####


La sua camera da letto era sorprendentemente calda, il riscaldamento era finalmente entrato in funzione. Per una volta, non aveva lasciato la finestra aperta per errore e ora ne era lieto. Togliersi i vestiti era molto più comodo quando non dovevi preoccuparti di prendere un raffreddore nella tua stessa camera da letto.

Non esisteva che si sarebbe tenuto i vestiti addosso. Prima di tutto, non voleva che diventassero tutti spiegazzati e sudati, ma in secondo luogo, e più importante, aveva avuto voglia di strapparseli via tutto il giorno, silenziosamente disperato di sentire aria e lenzuola fresche sulla pelle, e forse anche le mani di qualcun altro.

Dato che quell'ultimo dettaglio non sarebbe accaduto oggi, forse mai, avrebbe dovuto arrangiarsi come faceva di solito. L'unica altra persona che poteva anche solo immaginare che lo toccasse al momento non era disponibile.

Si tolse in fretta i vestiti. Era plausibile che John gli avrebbe concesso almeno un'ora, per ogni evenienza, e probabilmente questo includeva il tempo per una doccia successiva. Si prese a malapena il tempo per gettare la camicia e la giacca sullo schienale della sedia accanto al guardaroba prima di togliersi le scarpe e slacciarsi i pantaloni.

Era stato mezzo duro tutto il giorno e il solo pensiero di trovare sollievo, finalmente, finalmente, era più che sufficiente per portarlo fino in fondo. Il battito del cuore stava già accelerando, il respiro era più affannoso.

Sherlock si spinse giù pantaloni e mutande e si lasciò cadere sul letto, annaspando alla cieca nel primo cassetto del comodino alla ricerca della bottiglia di lubrificante che teneva lì per la rarissima occasione in cui poteva averne bisogno. Ne spremette una generosa quantità sulla mano e alla fine - finalmente, cazzo! - avvolse quella mano attorno alla propria erezione dolorante.

Il gemito gli cadde dalla bocca quasi senza la sua approvazione, ma con John e la signora Hudson fuori non c'era bisogno di censurarsi e gemette di nuovo, pompandosi l’uccello due volte prima di iniziare a muovere la mano sul serio.

Il lubrificante lo rese facile, uno scorrere scivoloso di pelle su pelle che gli bandì efficacemente tutti gli altri pensieri dalla mente. Lasciò che il pollice gli scivolasse sul glande a ogni secondo colpo, con nuove scintille di piacere che gli scorrevano ogni volta su e giù per la spina dorsale.

Lasciò passare la mano sinistra libera sul petto, pizzicandosi i capezzoli uno alla volta, così fermamente da essere quasi doloroso, e sentì il suo uccello pulsare in risposta. Questo sarebbe finito presto, grazie a Dio.

Aveva bisogno di venire, ne aveva un disperato bisogno.

Era quasi un peccato che la situazione attuale fosse così com'era. Se John fosse stato umano, non si poteva dire cosa avrebbe fatto. Forse sarebbe diventato ancora più agitato e anche più in fretta. Succedeva di tanto in tanto, dopotutto, e non voleva immaginare cosa sarebbe potuto succedere se fosse stato così eccitato con un John umano nell'appartamento e così presto dopo aver incontrato un'intera truppa di soldati.

Oh Dio.

Gemette, con il pugno che accelerava, il pollice che ora scivolava sulla fessura sulla punta del suo uccello a ogni colpo. Sembrava troppo bello perché fosse permesso.

Naturalmente, non voler immaginare qualcosa e non immaginarlo erano due cose completamente diverse e lui, colpevolmente, disperatamente, si ritrovò a chiedersi... e se?

E se le cose fossero andate in modo diverso, e se John fosse stato umano in questo momento? E se Sherlock avesse osato chiedere ciò che voleva?

La mano sinistra si spostò sul petto, lungo il fianco e lui permise che le sue gambe si aprissero, contento delle proprie lunghe dita che gli permettevano di arrivare in basso e indietro senza fare contorsioni. Trascinò la mano sinistra lungo la destra e oltre l’erezione, raccogliendo lungo la strada un po’ del lubrificante in eccesso, prima di girare intorno al buco con un dito.

Un piagnucolio che sarebbe stato imbarazzante se non fosse stato così perso gli uscì dalla bocca, un quasi singhiozzo gli si strozzò in gola.

"Oh, Dio. Per favore."

E quello che cosa diceva di lui, che ora stava implorando per il sollievo se stesso e qualche divinità inesistente, implorando per le orecchie di nessuno tranne le sue?

E se...?

Gemette, con le cosce che tremavano per lo sforzo. Era così vicino al limite che poteva sentirlo alla base della spina dorsale, in attesa, in attesa...

Immaginò altre dita, non le sue, più corte, più ruvide, infinitamente gentili ma abbastanza decise quando ce n’era bisogno, proprio come l'uomo a cui appartenevano.

Solo per un momento, Sherlock si concesse la fantasia, pensando a luminosi occhi blu mentre agitava il dito e spingeva dentro con cautela.

Riuscì a malapena a superare la prima nocca prima di iniziare a venire, ansimando e gridando mentre l’orgasmo lo attraversava, prendendolo completamente di sorpresa.

La mano destra volò sopra l’uccello, nel disperato tentativo di strappare dal proprio corpo ogni ultimo frammento di piacere, e spinse il dito indice sinistro fino in fondo, sentendo i suoi muscoli palpitare e strizzargli intorno mentre l’orgasmo lo attraversava.

Spesse strisce di seme gli solcavano il petto e lo stomaco e poteva sentire il sudore che gl’imperlava la pelle. ma non gli importava, lo notò a malapena, era troppo perso in una nebbia di piacere e finalmente, finalmente, finalmente.


#####


Mentre giaceva senza fiato, tremante e troppo esausto per considerare anche solo di togliere le mani da dove si trovavano, il primo pensiero che finalmente gli filtrò nella mente cosciente fu che era davvero lieto che John fosse uscito, perché nemmeno lui avrebbe mai potuto fraintendere Sherlock che gridava il suo nome in quel modo.

Gemette, aspettando che il battito e il respiro si calmassero, e infine spostò le mani con molta attenzione. Il movimento gli spedì un altro brivido lungo la schiena, le scosse di assestamento di un orgasmo davvero spettacolare che gli viaggiavano attraverso tutto il corpo come onde sismiche.

Per un po’, Sherlock rimase semplicemente lì, fissando il soffitto ad occhi spalancati.

Erano passati secoli dall'ultima volta che si era preso la briga di venire e anche di più da quando era stato anche solo vicino a questo. Ciò non era di buon auspicio per la sua situazione in generale, ma non riusciva a preoccuparsene, non mentre il suo corpo era inondato di endorfine, dopamina e adrenalina, cavalcando il flusso del sollievo.

"Oh, al diavolo."

Con un gemito sommesso, riuscì finalmente a spostarsi abbastanza da raggiungere la scatola di fazzoletti sul comodino, tirandone fuori un paio e tentando almeno di ripulire il peggio del casino. Quella doccia sembrava incredibilmente allettante in quel momento, non appena qualcuno avesse sostituito la gelatina che aveva nelle gambe con ossa, muscoli e tendini veri.

Gli ci vollero diversi minuti prima che si sentisse in grado di alzarsi e inciampare in bagno con le gambe tremanti.

La doccia calda aiutò a rilassare ulteriormente i suoi muscoli, rimuovendo le tracce di tensione residua. Una generosa applicazione di bagnoschiuma e shampoo fu sufficiente per sopraffare il profumo del sesso e lavargli via lo sperma dalla pelle. Poteva solo sperare che il naso di John non fosse abbastanza buono da individuarli comunque.

E se lo fosse stato? John naturalmente sapeva cos’aveva fatto, questo era il punto centrale del suo lasciare Sherlock da solo nell'appartamento.

Avrebbe dovuto trovare un modo per ringraziarlo per quello.

Forse, una volta che tutta questa faccenda fosse finita e John fosse tornato ad essere se stesso, forse allora avrebbero potuto... lui poteva... loro potrebbero...

Scosse la testa impotente, frustrato con se stesso.

Cosa importava?

John non era interessato e non lo era mai stato, lo aveva già reso abbastanza chiaro. Ora poteva sapere per certo che Sherlock era gay - lui non sarebbe arrivato al punto di dire che 'gli piacevano gli uomini', in quanto la maggior parte del tempo non gli piaceva nessuno del tutto - e anche, imbarazzantemente, che non poteva evitare di essere un po’ eccitato dai soldati, ma questo non significava necessariamente che lui fosse in qualche modo interessato a John. Lo era, però, quello per lui era emerso chiaramente. Ma John era immerso fino alle orecchie nella negazione riguardo a lui, quindi quello sarebbe probabilmente il suo ragionamento.

E se Sherlock desiderava di poter avere di più... be’, quello era un suo dannato problema, no?

In un certo senso, adesso era più facile. Il fatto che John fosse un cane aveva reso molto più facile stargli vicino. Non c'era alcun desiderio che potesse provare per un animale, tranne quello di accarezzarlo e fargli scorrere le dita attraverso la pelliccia calda e lanciare una pallina da tennis per lui finché non sembrava che il braccio gli potesse cadere.

Si godeva le loro tranquille serate sul divano, amava il fatto che John il cane si fidasse abbastanza di lui da mettergli la testa in grembo senza alcuna esitazione. Ora, se solo il vero John umano fosse stato altrettanto accomodante, o almeno avesse permesso a lui...

Sherlock sbatté una porta mentale su quel pensiero.

C'era un limite alle torture che era disposto a infliggersi da solo e desiderare cose che non avrebbero mai potuto essere di certo non era sulla lista.

Era già abbastanza brutto che oggi avesse ceduto e fosse stato spinto a farsi una sega come un adolescente arrapato, non avrebbe peggiorato le cose desiderando di poter assaggiare John, anche solo una volta.

Chiuse risolutamente l'acqua e prese un asciugamano.

Basta pensare a questo.

Per una volta era piacevolmente rilassato, aveva i muscoli caldi, la mente calma e non voleva pensare a nulla o far altro che godersela finché durava.

Tornò in camera da letto, si vestì con abiti puliti e ispezionò il letto. Le lenzuola avevano sicuramente bisogno di una lavata e la stanza di una buona aerazione.

Spalancò la finestra e poi portò le lenzuola al 221c, dove la signora Hudson ora teneva la lavatrice e l'asciugatrice per mancanza di inquilini. Sarebbe stato inutile fare la doccia e arieggiare la stanza se tutto ciò che John doveva fare era annusare le lenzuola e molto probabilmente fare un conteggio degli spermatozoi solo con il senso dell’olfatto.

Sherlock non sapeva quanto fosse sensibile quel naso, ma i cani avevano così tanti milioni di recettori del profumo che decise che fosse meglio non correre rischi.

Era un po’ fastidioso essere così trasparente, e si chiese se questo fosse ciò che le persone provavano tutto il tempo intorno a lui. In effetti, a volte era anche un po’ opprimente sapere tutto, che lo volesse o no.

Dopotutto, se sapeva tutto della vita sessuale di John con le sue amiche solo guardandolo, allora sicuramente era giusto che John sapesse quest’unica cosa su lui stesso, no?

Accese la lavatrice e tornò arrancando al piano di sopra. I suoi capelli erano ancora bagnati, ma uno sguardo all'orologio gli disse che probabilmente John e la signora Hudson sarebbero tornati presto, se la sua ipotesi di un'ora fosse stata corretta, e non voleva che John dovesse sopportare il suono del phon con le sue orecchie sensibili.

Invece, decise di rannicchiarsi nella sua poltrona, tirando fuori un libro dallo scaffale.

Meno di dieci minuti dopo sentì John e la signora Hudson che rientravano, la padrona di casa che chiacchierava con il cane come se fosse in grado di rispondere, più o meno come faceva lui, dovette ammettere.

Sorrise quando sentì John abbaiare in accordo a qualcosa che aveva detto la signora Hudson, seguito dal suo tubare su di lui e poi dal picchiettio e scalpiccio delle zampe sugli scalini di legno.

Un attimo dopo, John balzò nella stanza, scodinzolando e apparendo del tutto troppo soddisfatto di se stesso.

Sherlock sentiva di non poterlo biasimare per questo. Aveva davvero avuto bisogno di quel tempo da solo.

E così, quando John si avvicinò per sdraiarsi accanto a lui e appoggiò casualmente la testa sul suo piede per sonnecchiare, Sherlock mormorò "Grazie" e sperò che John capisse quanto lo stesse davvero ringraziando.


*****


John trascinò la signora Hudson attraverso Regent's Park a un passo molto più lento di quello che tenevano di solito lui e Sherlock. Il tempo era bello e lei sembrava perfettamente felice di andare a fare una passeggiata con lui. E questo aveva l'ulteriore vantaggio di lasciare il 221 di Baker Street del tutto vuoto eccetto che per Sherlock.

Insomma, era la soluzione perfetta.

Sperava solo che Sherlock sarebbe arrivato alla stessa conclusione e avrebbe sfruttato la possibilità che John gli aveva fornito.

Cercò di non pensarci troppo. C'erano alcune immagini che non voleva in testa per il bene della propria pace mentale, ma questo era molto meglio che aspettare fino a quando Sherlock non si fosse spezzato da solo e non avesse ceduto alle richieste del suo trasporto con John proprio lì ad ascoltare e annusare le conseguenze.

Non c'era modo di dire quanto tempo ci sarebbe voluto, ma aggiunse quindici minuti per una doccia.

"Questo è carino," gli disse la signora Hudson mentre camminavano lungo il lago, guardando un padre e i due figli che davano da mangiare alle anatre. E ai piccioni. E ai gabbiani. E a due cigni. E ad alcune oche. John aveva il forte sospetto che l'intero sciame di uccelli vari li avrebbe seguiti fuori dal parco e fino a casa a meno che non fossero scappati a gambe levate e avessero preso la metropolitana per la maggior parte del viaggio.

Questa era l'area in cui i cani dovevano essere tenuti al guinzaglio. John ne era lieto: una parte di lui smaniava per saltare in acqua e catturare una delle anatre.

Dopotutto, lui era un Retriever Duck-Tolling della Nuova Scozia, e il punto centrale di Toller era che erano stati allevati appositamente per la caccia alle anatre. Meglio essere consapevoli del guinzaglio e resistere alla tentazione.

Non avrebbe voluto disturbare la pittoresca tarda mattinata nel parco con uno sciame di uccelli scombussolati che svolazzavano.

La signora Hudson non prestò attenzione al suo interesse per le anatre e si concentrò invece su qualcosa del tutto diverso... sfortunatamente, era proprio l'argomento a cui John si era sforzato tanto duramente di non pensare. Gioco di parole non voluto.

"Il povero Sherlock sembrava un po’ teso oggi,” disse la signora Hudson. "Potevo sentirlo camminare su e giù dal mio appartamento. Va tutto bene? Ho notato che suo fratello è passato poco prima che tu venissi a trovarmi, e sappiamo tutti quanto si irritano a vicenda, ma Sherlock ha camminato su e giù per tutta la mattina."

John le uggiolò e fece guizzare le orecchie incerto. Non era qualcosa che poteva, o voleva, spiegare alla signora Hudson, date le circostanze.

"È stata una buona idea uscire di casa per un po’ e lasciarlo al suo umore,” continuò lei imperturbabile. "Non siete stati separati da quando siete partiti per Dartmoor. Suppongo che dopo un po’ tu voglia il tuo spazio, non importa quanto ami la persona con cui stai. Il Signore sa che ho avuto giorni in cui non volevo vedere neanche l’ombra di mio marito per paura di poterlo strozzare nel momento in cui avesse emesso un suono."

John lasciò che la lingua gli ciondolasse fuori dal lato della bocca, incapace di dare una risposta migliore. La menzione casuale dell'amore lo aveva preso alla sprovvista, così come il fatto che la signora Hudson avesse praticamente paragonato il proprio matrimonio all'amicizia sua e di Sherlock.

Considerando come fosse finito il suo matrimonio, non era sicuro che fosse una buona cosa,

In lontananza, udì il suono delle campane provenienti dalla direzione della chiesa di San John, fra tanti posti, che annunciavano lo scoccare dell’ora.

Cercò di ricordare se c'era stato un momento in cui le aveva sentiti prima durante la loro passeggiata, ma non ne era sicuro.

Per fortuna, la signora Hudson colse quel momento per dare un'occhiata al suo orologio. "Siamo fuori da quasi un'ora! Non credi che sia ora di tornare indietro? O gli vuoi dare un po’ di tempo in più per superare la claustrofobia?"

John si ritrovò ancora una volta lieto di non essere in grado di parlare in quel momento, altrimenti avrebbe potuto far accidentalmente notare che la claustrofobia non era certo la ragione della tensione di Sherlock. 

Un'ora avrebbe dovuto funzionare, però, o almeno lo sperava.

Si guardò intorno e si accertò che si trovassero ancora sull'altra sponda del lago e che, se avessero voluto tornare a casa, avrebbero dovuto girarci intorno oppure tornare indietro e attraversare il ponte. Al ritmo in cui stavano camminando, quella sarebbe stata un'altra mezz'ora circa.

Annuì tra sé. Sarebbe bastata mezz'ora. Poteva solo sperare che Sherlock avesse ancora abbastanza attività cerebrale per fare effettivamente una doccia. Forse avrebbe rimosso almeno alcuni degli odori e reso più facile per entrambi fingere che nulla fosse realmente accaduto.

John seguì docilmente la signora Hudson mentre faceva il lungo giro intorno al lago. Arrivarono ai cancelli giusto in tempo per vedere il padre ei suoi figli tentare di andarsene. Erano effettivamente seguiti da metà degli uccelli nel parco e da alcuni che di sicuro non appartenevano al parco, ma che a quanto pareva avevano deciso di non rifiutare la possibilità di ottenere cibo gratis.

John ebbe pietà di loro e finse di saltare verso gli uccelli con un latrato che li fece disperdere in un turbinio di ali e piume perse.

"Oh John, davvero!" esclamò la signora Hudson, ma non riuscì a nascondere il suo divertimento. Lui agitò la coda verso di lei.

Tornarono a casa e John si fermò un momento nel corridoio, ascoltando eventuali rumori sospetti. Tutto sembrava tranquillo, così aspettò che la signora Hudson lo liberasse e poi riportò il guinzaglio al piano di sopra.

La porta del soggiorno era aperta e Sherlock sedeva rannicchiato sulla sua poltrona, leggendo un libro.

I suoi capelli erano umidi e odorava di shampoo e gel doccia che non riuscivano a nascondere i livelli ormonali ancora piuttosto alti, ma non si poteva negare che sembrava molto più rilassato e che molta della tensione sembrava essersi dissipata. Sembrava comunque di malumore, molto probabilmente a causa del fastidio per essere stato costretto a cedere alle richieste del suo mezzo di trasporto piuttosto che ignorarle fino a quando non se ne fossero andate.

John decise comunque di segnarla come una vittoria e di non pensare troppo ai perché e ai percome.

"Già tornato?” chiese Sherlock mentre John lasciava cadere il guinzaglio e poi collassava sulla sua cuccia ai piedi di Sherlock. "Ti sei divertito a uscire con la signora Hudson?"

John gli lanciò uno sguardo fisso e ansimò, desiderando di poter raccontare a Sherlock delle anatre. L’avrebbe trovato abbastanza spassoso.

Passarono un paio di minuti di silenzio prima che Sherlock dicesse, molto piano: "Grazie."

John gli diede un colpetto affettuoso col naso alla gamba e si raggomitolò per dormire.



 




NdT: John è ancora un cane, ok, ma le cose si sono fatte comunque un po' più intime, come avevo anticipato 😏 Dovremo avere ancora un bel po' di pazienza, però, per uscire dal regno delle fantasie... 🤣

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Capitolo 15
*** 15 ***


 Capitolo 15 

Verso l'ora di pranzo Sherlock decise che John avrebbe dovuto guadagnarsi la cena, il che significava che ancora una volta si ritrovò a estrarre il cibo dal Kong, dovendo masticare la gomma quasi indistruttibile per raggiungere il cibo nascosto all'interno e farlo fuoriuscire attraverso la piccola apertura nell’aggeggio. Ci volevano secoli, ma John aveva scoperto che amava masticare le cose.

A giudicare dall’odore, Sherlock era ancora fatto di dopamina e non ne era felice, una situazione dolorosamente contraddittoria in cui trovarsi. Era chiaro che non voleva davvero parlarne o pensarci. Le prime parole che uscirono dalla sua bocca furono un completo non sequitur.

"Considerando che i Toller sono stati allevati per cacciare prede, pensi che ti piacerebbe dare la caccia a un criminale in questa forma?"

John alzò la testa e lo guardò, riflettendo sulla domanda. Inseguire un criminale per le strade di Londra su quattro zampe invece che su due? Sembrava divertente!

Annuì, chiedendosi se forse Sherlock avesse risolto il caso nella privacy della propria mente e ora stesse inventando un piano folle per arrestare l'assassino.

Erano momenti come quelli che di solito facevano sentire John come se fosse invecchiato di dieci anni in altrettanti minuti, guardare Sherlock affrontare un assassino in un vicolo buio e sezionarlo in modo infallibile da scomodamente vicino, sfuggendo per un pelo alla lama balenante di un coltello o allo sfrecciare di un proiettile.

Una volta avevano inseguito un killer su un treno merci carico di carbone. Non avrebbe mai dimenticato il momento in cui Sherlock si era trovato in equilibrio sul bordo di una delle carrozze, con blocchi di carbone in ogni mano come unica difesa contro un criminale armato di tubo di piombo e desideroso di usarlo.

John considerò la possibilità di avventarsi su un delinquente del genere, saltandogli addosso e affondandogli i denti in un braccio o in una gamba per neutralizzarli fino a quando non fosse arrivato qualcuno con un paio di manette.

Gli suonava decisamente meraviglioso.

Annuì di nuovo, con più vigore.

Sherlock sorrise. "Forse sarai fortunato e presto avremo la possibilità di fare una bella corsa per la città, allora. È troppo presto per fare promesse, però. Lestrade non mi ha ancora risposto sull'origine e l’identità del bambino, quindi dovremo aspettare che gli Yarder facciano il loro lavoro al meglio delle loro limitate capacità.”

John sbuffò.

"Nel frattempo, però..."

Sherlock tirò fuori il telefono e compose un numero.

"Signor James? Sì, sono Sherlock Holmes. Mi chiedevo se potesse inviarmi per e-mail i dettagli della frode che ha scoperto. Sì, invii semplicemente tutto ciò che ha e si senta libero di evidenziare le parti rilevanti. Ha l'indirizzo e-mail? Meraviglioso. Arrivederci."

Riattaccò. "Questo dovrebbe tenermi occupato per un po’. Se qualcuno ha sottratto denaro a quella società, voglio sapere quanto. Forse troveremo qualche attività finanziaria interessante nei conti personali di qualcuno che lavora per l'azienda o vi è in altro modo correlato. Alla fine, ci deve essere qualcosa che ci condurrà dal truffatore.”

John annuì e riportò la propria attenzione sul Kong. Sembrava che fossero scartoffie e le scartoffie non erano qualcosa che era attrezzato per affrontare al momento. E, cosa più importante, aveva del cibo da mangiare.


*****


Sherlock trascorse il resto della giornata stampando i rapporti che il contabile gli aveva inviato e rimuginandovi sopra, confrontando numeri e fatti, valori e conti. Ogni tanto John lo sentiva mormorare che si trattava di un casino, ma non entrò mai nei dettagli, anche quando si sentì abbastanza frustrato da allontanarsi dalla scrivania e ricominciare a camminare su e giù per la stanza.

Questa energia inquieta però era abbastanza diversa da quella che l'aveva avuto in pugno quella mattina. Questa era di un tipo che John conosceva. Questa era il tipo di tensione ‘niente in questo caso ha senso quindi naturalmente mi manca un pezzo del puzzle e voglio sapere cos'è’ che di solito si verificava poco prima che Sherlock facesse una sorta di salto mentale e l'intera faccenda si dipanasse in un percorso stupefacentemente ovvio dalla causa all'effetto.

John si mise a sedere in attesa, aspettando che il momento si verificasse.

Non fu così.

Sherlock aggrottò la fronte e tornò ai file, leggendoli più e più volte, ma chiaramente senza trovare nulla di utile.

Alla fine, tirò fuori il telefono. Dal modo arrabbiato con cui toccò lo schermo, John pensò che stesse mandando un messaggio a Lestrade e chiedendo un aggiornamento.

Ne ottennero uno poco più di un'ora dopo, quando lo stesso Lestrade arrivò a Baker Street, apparendo smunto e stressato e odorando di troppo caffè e non abbastanza sonno.

"Abbiamo trovato la madre. Abbiamo controllato i tabulati telefonici del giovane Forsythe col pettine a denti fini e abbiamo scoperto che aveva ripreso i contatti con una delle sue ex fidanzate diversi mesi dopo la fine della loro relazione. Si telefonavano abbastanza regolarmente e si scambiavano e-mail in modo piuttosto criptico riguardo ad appuntamenti. La ragazza ha dato alla luce un bambino cinque mesi fa."

Si scambiarono una lunga occhiata.

"I suoi genitori non lo sapevano?” chiese Sherlock.

"Secondo la madre del bambino, lui non voleva dirglielo,” disse Lestrade. "Non abbiamo ancora avuto la possibilità di parlare con la signora Forsythe."

"Aspetta un po’ prima d’informarla,” disse Sherlock. "Almeno fino a quando non avremo un test del DNA che provi inconfutabilmente che lui è il padre."

Lestrade annuì. "La povera donna ha appena perso il marito e il figlio. Non ho intenzione di farle penzolare di fronte un potenziale nipote solo per portarglielo via all'ultimo momento."

"Come stava la ragazza?” chiese Sherlock.

"Sconvolta. Secondo lei, si erano riconciliati. Ha detto che avevano parlato che lei si trasferisse da lui, ma lui era stato titubante perché i suoi genitori venivano spesso in visita e non c'era modo che lui potesse nascondere la presenza di una ragazza e di un bambino se entrambi avessero vissuto nel suo appartamento. Ha detto che ne stavano parlando e stavano cercando di escogitare la migliore strategia per dirlo ai suoi genitori.”

"E le hai creduto?” chiese Sherlock.

Lestrade annuì. "Nessun motivo per non farlo. Sembrava sincera. Perfino Donovan le ha creduto e sai che è sospettosa e cinica come pochi.”

Sherlock sbuffò. "Questo è un modo per dirlo, ma sono d'accordo sul fatto che la sergente Donovan abbia un buon istinto per ciò che è la verità e cosa è una bugia, in particolare quando si tratta di persone che fingono emozioni che non provano."

"Peccato che non sia altrettanto brava a capire quando le persone fingono di non avere alcuna emozione," pensò John. "Potrebbe trattarti in modo diverso se lo facesse."

"Attento," stuzzicò Lestrade. "Sembrava quasi un complimento, Sherlock. Vorresti che glielo riportassi?"

"Fanne  quello che vuoi," Sherlock scrollò le spalle. "C'è qualcos'altro che la ragazza potrebbe dirci? Qualche possibilità che sappia qualcosa sul fatto che lui abbia sottratto denaro dai conti della società?"

Lestrade scosse la testa. "Non gliel'ho chiesto, ma ha detto che lui era assolutamente disposto a pagare il mantenimento del bambino e, a quanto pare, aveva persino istituito un fondo fiduciario a nome di suo figlio.”

"Interessante." Sherlock tornò ai fogli sulla scrivania. "Quanti soldi erano, l’ha detto?"

"Non ne ho idea. Dirò a Donovan di controllare." Lestrade tirò fuori il telefono e inviò un breve messaggio.

"Dovrà avere accesso ai conti bancari di Forsythe jr, ma non dovrebbe essere troppo difficile, visto che è una delle nostre vittime di omicidio e lui stesso un sospettato in un'indagine per omicidio."

"Penso che possiamo aggiornarlo da sospetto a colpevole,” disse Sherlock. "Non ho assolutamente dubbi che abbia ucciso suo padre nella foga del momento. Molto probabilmente per impedirgli di avvicinarsi a me per il caso, per non incappare nel fatto che suo figlio stava nascondendo un figlio illegittimo ai propri genitori molto religiosi. Ci sono persone che hanno ucciso per meno.”

L'ispettore investigativo annuì. "È vero. Otterremo i suoi estratti conto e verificheremo. Ho distaccato alcuni dei migliori contabili dello Yard sui fascicoli che mi hai inoltrato, ma ci vorrà un po’ per vagliare tutto ciò che abbiamo confiscato nell'ufficio di Forsythe e confrontare i documenti. Non posso fidarmi che il signor James non abbia omesso intenzionalmente un'informazione che potrebbe coinvolgerlo."


*****


Quando Sherlock ebbe finito con gli aggiornamenti, era scesa la notte e il soggiorno assomigliava a una fabbrica di carta dopo un piccolo uragano.

Sotto gli occhi attenti di John, Sherlock aveva rimuginato sulle stampe, scrivendo appunti ai margini e facendo calcoli complessi a mente o, in alcuni casi speciali, su carta, usando formule di cui John non ricordava di aver mai sentito parlare a scuola.

Diede un colpetto col naso al gomito di Sherlock e inclinò la testa con curiosità, cercando di distinguere gli scarabocchi di numeri e lettere nella calligrafia disordinata di Sherlock.

Sherlock sorrise, apparentemente per niente turbato dal fatto che John avesse spinto la testa sotto il suo braccio per dare un'occhiata più da vicino.

"La mamma era una matematica piuttosto rinomata,” spiegò. "Lo è ancora, in realtà. Pubblica articoli su varie riviste quando è dell’umore e ha anche pubblicato un libro. Questa è una delle sue formule."

John emise un whuff sommesso, desiderando di avere un modo per esprimere la nozione di ‘Be’, questo spiega da dove l'hai preso.’

Si era sempre interrogato sui genitori di Sherlock. Una matematica non lo sorprendeva affatto. Si chiese come fosse il padre di Sherlock. Doveva essere piuttosto spaventoso, essere felicemente sposato con una donna brillante e crescere con lei due figli altrettanto brillanti. John s’interrogò sulla sua professione. Astrofisico? Ma no, Sherlock non sapeva un cazzo del sistema solare. Forse un professore di chimica o qualcosa del genere.

Sherlock si era zittito e quando John girò la testa per scoprirne il motivo, scoprì che il detective lo stava guardando con un'espressione particolare sul viso.

"Vorrei sapere cosa stai pensando," confessò Sherlock in tono sommesso. "Leggere le tue espressioni è estremamente difficile con tutto quel pelo in mezzo."

John sbuffò e gli diede un colpetto scherzoso col muso sulla spalla, poi inclinò di nuovo la testa.

"Sei curioso," concluse Sherlock. "Questa è la tua faccia curiosa. L'inclinazione della testa è davvero molto espressiva. Ma non capisco esattamente quello che vorresti sapere."

John sbuffò sul foglio ancora stretto nella mano di Sherlock, annusando la formula.

"Matematica?"

Lui scosse la testa.

Sherlock annuì. "Capisco. La mamma è davvero brillante. Suppongo che potresti incontrarla prima o poi. È una donna molto ficcanaso e mi tormenta da secoli perché le faccia visita."

John uggiolò, inclinando la testa dall'altra parte.

Il suo amico lo guardò accigliato. "Pensi che dovrei andare? Vuoi venire con me? John?"

John annuì, poi continuò a inclinare la testa da un lato all'altro, frustrato dalla propria incapacità di parlare.

"Io non..." Sherlock si fermò. "Oh. Vuoi sapere di mio padre."

Non gli era chiaro quale sua azione gli avesse fatto capire che si trattava di questo, ma John annuì comunque, sistemandosi sul tappeto accanto a Sherlock, con la testa comodamente schiacciata attraverso il varco tra il braccio destro, il busto e la coscia destra di Sherlock.

Sherlock sbuffò, muovendo leggermente il braccio per grattargli l'orecchio. "Mio padre non è affatto quello che potresti immaginare. Nessuno scienziato pazzo, nessun genio abbagliante. È, e per quanto ne so è sempre stato, un uomo del tutto mediocre, contraddistinto solo da un cuore eccezionalmente gentile e dalla straordinaria capacità di guardare la 'follia assolutamente geniale,' come la chiama lui, nostra e della mamma e vedere solo qualcosa degno del suo amore. I miei genitori sono la coppia più devota che abbia mai visto in vita mia. È abbastanza incomprensibile come qualcuno come Mycroft condivida gli stessi geni, ma non dovrei essere proprio io a giudicare, suppongo."

John emise un gemito sommesso e scosse la testa, strofinando il naso sul ginocchio di Sherlock prima di voltarsi per premergli il naso contro il petto, proprio sopra il suo cuore.

"È questo il tuo modo per ricordarmi che sono pienamente in grado di provare del sentimento?” chiese Sherlock. "Può essere così, ma poche persone valgono la pena che io lo faccia, non credi?"

John scrollò le spalle. Stava cominciando a sospettare che Sherlock fosse molto più emotivo di quanto volesse ammettere. Il calore che aveva nella voce mentre parlava dei suoi genitori, la contentezza quando menzionava suo padre... John aveva sempre immaginato i genitori di Holmes come una sorta di figure distanti e autocratiche, ammantate nell'ombra, che si muovevano nei circoli della società molto al di sopra la sua posizione. Apprendere che sembravano persone perfettamente normali, genio matematico a parte, fu una vera sorpresa. Scoprì di essere lieto di sentire che almeno c'erano altre due persone al mondo a cui Sherlock sembrava pensare bene senza riserve. Era un dono abbastanza raro da far desiderare a John di poterli incontrare e ringraziarli personalmente per aver creato Sherlock Holmes e averlo mandato nel mondo affinché lui lo trovasse.

Sdraiato qui accanto a Sherlock con la testa infilata nel triangolo formato dal fianco, dal braccio destro e dalla coscia di Sherlock, John pensò che nessun ringraziamento avrebbe mai potuto essere sufficiente.



 




NdT: Capitolo di passaggio e un po' cortino, questa settimana, voi non sarete contente, ma io sì (con mattoni come il prececente non ce la potevo fare su base regolare 😅). Come soddisfazione oggi ci facciamo bastare quella degli Europei? 🤣

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Capitolo 16
*** 16 ***


 Capitolo 16 

Quella notte, mentre Sherlock si addormentava con sorprendente facilità, il suo corpo a quanto pareva adattato a un normale programma di sonno, John rimase completamente sveglio.

Giaceva raggomitolato sulle coperte e guardava il suo amico nella luce fioca che filtrava dalle tende. Guardando il salire e scendere del petto di Sherlock e ascoltando il suono del suo cuore, John trovava difficile ricordare che poco più di una settimana fa questo sarebbe stato impensabile.

Eppure eccolo lì, un cane rannicchiato nel letto di Sherlock, e ormai non era nemmeno in grado di dire quale di queste due cose avrebbe considerato meno probabile se qualcuno gliel’avesse chiesto due settimane prima.

Ormai, il suono del cuore di Sherlock era diventato un familiare e rilassante rumore di fondo, il suo profumo - formaldeide, cuoio, prodotti per capelli, fumo di sigaretta (che si affievoliva), l'aria dopo un temporale - una scia che John avrebbe potuto seguire alla cieca.

Dalla sua involontaria trasformazione, aveva imparato di più sul suo migliore amico che in un anno di convivenza con lui. I soldati venivano in mente per primi, essendo forse la rivelazione più sorprendente. Ma c'erano anche altre cose, piccole cose che dipingevano un quadro molto più ampio: il modo in cui Sherlock lo accarezzava, sempre così attento a non tirargli la pelliccia e a trovare infallibilmente i punti che lui amava di più sentire grattare e accarezzare. Il modo in cui Sherlock dava la priorità ai bisogni di John rispetto ai propri, lasciando che lui lo trascinasse fuori dal letto alle prime ore del mattino per andare a fare una passeggiata, lasciandolo rimanere con lui durante quell'orrendo temporale, chiedendo a Sally di portarlo a fare una passeggiata piuttosto che costringerlo a rimanere nel laboratorio con il suo intenso odore di disinfettante che gli aveva bruciato nel naso. Il suo panico quando lui era stato ferito, il suo orgoglio ogni volta che John padroneggiava un'altra cosa che veniva naturale ai cani veri.

In breve, mentre John aveva cessato di essere umano, sembrava che dal canto suo Sherlock fosse diventato più umano. Forse lo era sempre stato e questa era la prima volta che poteva dimostrarlo, ma il risultato finale rimaneva lo stesso.

E John non poteva più fingere di non essere irrimediabilmente innamorato di lui.

Avrebbe dovuto sorprenderlo, questa consapevolezza, ma invece sembrava lampante, come se lui avesse sempre saputo che si sarebbe arrivati ​​a questo. Adorare Sherlock era naturale come respirare e a John non importava più quanto di ciò fosse dovuto all'istinto del cane. Credeva proprio che sarebbe successo in qualunque modo, probabilmente era accaduto per tutto il tempo mentre non stava guardando.

Sherlock si contrasse nel sonno e si spostò, girandosi su un fianco e allungando il braccio finché la sua mano non si fermò sulla schiena di John prima di giacere di nuovo immobile. John poteva sentirlo scivolare in un sonno più profondo e desiderava con tutto il cuore che gli scienziati di Mycroft trovassero presto una cura. Non sapeva quanto tempo avrebbe potuto sopportare di essere così vicino eppure così lontano.


*****


Sherlock si svegliò con la sensazione di essere osservato. Di solito non gli succedeva: non aveva l'abitudine di dormire quando c'era qualcun altro nella stanza. Be’, non fino a poco tempo prima.

Aprì gli occhi, nient’affatto sorpreso di trovare John che lo guardava. Era comunque una sorpresa vedere un cane dove si sarebbe aspettato il suo amico. Tranne che non si sarebbe mai aspettato di vedere la faccia di John al risveglio nel suo letto. Sperato, forse, in un raro momento di sdolcinata autoindulgenza, ma mai previsto.

"Cosa," mormorò, "non mi trascini fuori a fare una passeggiata per prima cosa?"

John si limitò a guardarlo, con la lingua penzoloni, e fece un morbido sbuffo che poteva significare qualsiasi cosa. Sherlock pensava che avrebbe avuto bisogno di un altro paio di mesi per comprendere appieno questo nuovo modo di comunicare, eppure l’idea di non vedere il vero John, il suo John, per così tanto tempo gli lasciava la sensazione di essere abbandonato e turbato. Non aveva mai saputo che fosse possibile sentire la mancanza di qualcuno mentre era proprio lì.

Allontanando lo scomodo pensiero, si mise a sedere, felice di notare che questa volta il suo mezzo di trasporto sembrava stare comportandosi bene. Se avesse continuato a svegliarsi duro e disperato, perfino John alla fine avrebbe tratto la conclusione corretta e avrebbe scoperto che, mentre Sherlock non era affatto interessato alla bestiality, non poteva affermare lo stesso della persona intrappolata nel corpo di una bestia. Avrebbe di gran lunga di gran lunga che John non lo scoprisse mai.

Decidendo che una ritirata strategica sarebbe stata la cosa migliore prima che John, con la sua superiore comprensione dei sentimenti, in qualche modo leggesse le prove schiaccianti nello stesso modo in cui lui stesso poteva leggere una scena del crimine, barcollò nel bagno, lasciando John a crollare di nuovo sul letto, apparentemente non dell’umore per alzarsi e uscire quella mattina.

Eppure se ne andarono, una volta che Sherlock fu uscito dalla doccia e ebbe mangiato con riluttanza una fetta di pane tostato mentre John sgranocchiava la sua colazione.

Fecero la loro solita passeggiata per il parco prima di tornare all'appartamento in modo che Sherlock potesse raccogliere i documenti e le equazioni su cui aveva lavorato la notte precedente e poi si recarono allo Yard.

"Ah, eccoti," li salutò Lestrade, sbadigliando sul caffè mentre entravano nel suo ufficio. "Mi chiedevo quando saresti venuto a perseguitarmi. Salve, John."

John gli diede un colpetto col muso al ginocchio in segno di saluto e lasciò che il DI gli grattasse il collo prima di andare a cercare Sally e il sacchetto di dolci che ora teneva nella sua scrivania. Sherlock lo osservò con uno strano senso di affettuosa indulgenza, essendosi rassegnato al fatto che John l'avrebbe sempre affascinato ovunque andasse, indipendentemente dal corpo che gli capitava di occupare. Una volta che il suo amico ebbe lasciato l'ufficio di Lestrade, Sherlock tornò al DI e tirò fuori i documenti dal cappotto.

"Il contabile della vittima mi ha inviato i fascicoli che avevo richiesto. Ho iniziato a controllare i numeri ieri sera, ma..."

"Cosa, non li hai finiti?” chiese Lestrade, alzando entrambe le sopracciglia. "Di solito stai sveglio tutta la notte con prove come questa da esaminare."

Sherlock gli lanciò un'occhiataccia. "Sono andato a dormire, se devi proprio saperlo."

Lestrade sorrise. "John ti ha costretto ad andare a letto? Chi avrebbe mai pensato che avrebbe dovuto essere trasformato in un cane perché ciò accadesse."

"Cosa dovrebbe significare?” chiese Sherlock, incrociando le braccia.

L'ispettore investigativo si strinse nelle spalle. "Niente. Ma se due settimane fa qualcuno mi avesse chiesto di scommettere su come John avrebbe potuto farti andare volontariamente a letto, che lui fosse trasformato in un cane non è quello su cui avrei scommesso."

Sherlock sbuffò. "Questo dice più sulla tua mancanza d’immaginazione che su me o su John."

"Quindi stai dicendo che ci sono altri modi in cui avrebbe potuto indurti ad andare a letto?" Lestrade fece un sorrisetto furbo. "Sono contento che tu finalmente lo ammetta."

Sherlock alzò gli occhi al cielo e decise di cambiare argomento, acutamente consapevole che molto probabilmente l'udito di John gli avrebbe permesso di cogliere la loro conversazione.

"Come stavo dicendo, prima che tu decidessi di regredire a una mentalità adolescenziale, ieri sera ho esaminato i numeri per vedere se c'erano incongruenze. Li ho fatti passare attraverso diverse formule e sembra che il signor James avesse ragione, qualcuno ha sottratto soldi dall'azienda. Ho fatto solo un calcolo approssimativo e naturalmente il tuo dipartimento antifrode dovrà dare un'occhiata alle cifre, ma sembra che negli ultimi due anni quasi mezzo milione sia svanito senza lasciare traccia.”

Lestrade emise un fischio sommesso. "Sono mezzo milione di motivi per l'omicidio, proprio lì. Farò esaminare i file dai nostri contabili con un pettine a denti fini. Hai idea di chi potrebbe averlo fatto?"

"Non ancora,” ammise Sherlock, accigliandosi. "Sono ragionevolmente certo che non fosse il signor James stesso. C'è una buona probabilità che non avremmo mai scoperto di lui se non si fosse presentato all'appartamento di persona. E naturalmente è stato molto accomodante nel consegnare il file che aveva ancora in suo possesso."

"Ieri ho mandato una squadra in azienda per prelevare gli altri file. I nostri ragazzi dovrebbero iniziare a lavorarci oggi, quindi mi aspetto alcuni risultati preliminari entro domani,” disse Lestrade, controllando i propri appunti. "Ho anche chiesto a Molly di dare la priorità al test del DNA sul bambino. Prima sappiamo se Forsythe junior era davvero il padre, meglio è."

"E se non lo fosse, c'è tutta una nuova strada di inchiesta che ci si apre," fece notare Sherlock. "Avrebbe potuto scoprire che il bambino era un figlio illegittimo e aver affrontato il vero padre. Questo avrebbe dato a entrambi i genitori biologici un motivo per l'omicidio.”

Condividisero uno sguardo cupo: non sarebbe stata la prima volta che una disputa familiare sfuggiva di mano in quel modo.

Lestrade si schiarì la gola e distolse lo sguardo, cercando di sembrare disinvolto mentre parlava di nuovo. "Allora, come vanno le cose con John?"

"Bene,” disse brevemente Sherlock, ancora un po’ teso dopo i precedenti commenti del DI. "Si è adattato in modo impressionante e sembra abbastanza soddisfatto della situazione.”

"Sì, lo vedo. Se non la sapessi più lunga, mi berrei completamente la tua storia. Gli si addice, non credi? Tra tutte le razze possibili che avrebbe potuto diventare, intendo. Ma non era quello che volevo dire."

Inchiodò Sherlock con uno sguardo che gli ricordò che Lestrade non aveva ottenuto il suo lavoro semplicemente perché si affidava a Sherlock Holmes. "Ci sono stati sviluppi per invertire il processo?"

Sherlock scosse la testa. "Niente. Mycroft mi ha detto che c'erano alcune idee promettenti, ma naturalmente non gli permetterò nemmeno di prelevare un campione di sangue finché non saremo sicuri che non gli faranno del male durante il processo"

Lestrade annuì. "Bene. Va bene. Non per la mancanza di progressi, naturalmente, ma... sei un buon amico, Sherlock." Fece una smorfia, chiaramente consapevole di quanto suonasse imbarazzante. "Solo... tieni presente che John ha una mente tutta sua e che può darti la sua opinione."

"Abbiamo usato le tessere dello Scarabeo per comunicare," lo informò Sherlock. "Naturalmente ci vuole un po’ per sistemarle e la sintassi corretta non è in cima alla lista delle priorità, ma funziona alla perfezione."

"E cos’ha comunicato?” chiese Lestrade, visibilmente diviso tra il divertimento e la preoccupazione per il benessere di John.

"Dati sull'odore della casa di Forsythe e sui sentimenti generali della sua vedova," fornì prontamente Sherlock. Esitò, poi aggiunse: "E una battuta."

Lestrade sbuffò una risata. "Che battuta?"

Sherlock tirò su col naso. "Era privata. Davvero non capiresti, anche se te la dicessi."

"Capisco. Quel tipo di battuta, eh? Siete sempre stati così, voi due. Intere conversazioni che lasciavano il resto di noi a chiedersi di cosa diavolo steste parlando voi due pazzi."

"Vi sta bene," gli disse Sherlock. "Non è bello ascoltare le conversazioni altrui.”

"Questo, detto da te!" rise Lestrade. "Scusami se non ti prendo sul serio."

Sherlock gli fece una smorfia. "Se hai finito?"

"Per il momento. Tuo fratello ti ha dato una stima di quanto durerà questa situazione?"

"Quale situazione?” chiese Donovan dalla porta, entrando nella stanza con John che la seguiva da presso. A Sherlock bastò uno sguardo per dire che il suo amico non avrebbe avuto bisogno di cibo per un po’.

"Il continuo affidamento dei miei genitori su di me come dog sitter,” le disse tranquillamente. "Lestrade stava solo chiedendo per quanto tempo ancora sarai in grado di rimpinzare il qui presente Johnny di dolcetti."

Sally alzò le spalle, del tutto impenitente. "Forse se gli dessi da mangiare meglio, non avrebbe ancora fame quando ti presenti qui la mattina."

"Ha svuotato un'intera ciotola, stamattina," la informò Sherlock. "E non devo giustificarmi con te. Johnny è semplicemente un ghiottone. Non è vero, Johnny?"

John gli uggiolò, ma lo sguardo che gli rivolse diceva chiaramente 'Questa te la farò pagare più tardi.’

Sherlock sorrise e si chinò per arruffargli la testa. "Proprio come ho detto."

"Hai notizie per noi, Donovan?” chiese Lestrade, facendo un cenno con il capo ai fascicoli che stava trasportando.

Sally scosse la testa. "Niente di utile. Non abbiamo ancora ricevuto notizie dai laboratori sui risultati del DNA e i nostri contabili hanno appena iniziato a smistare i dati che abbiamo ricevuto dalla società della vittima, senza contare che devono effettivamente esaminare tutto."

"Sherlock mi aveva detto che gli aveva dato un’occhiata ieri sera. Hai detto che hai eseguito alcune formule, Sherlock?” chiese Lestrade.

Lui annuì. "Solo un po’ di aritmetica di base per vedere se c'erano schemi evidenti." Si passò una mano tra i capelli. "Ho un libro sulle equazioni complesse da qualche parte, ma non sono riuscito a cercarlo ieri sera. Dovrò solo fare una telefonata e farli venire da quella via."

"Conosci dei bravi matematici, vero?” chiese Donovan, arricciando scettica le labbra.

"Si dà al caso che sia così."

Tirò fuori il telefono dalla tasca e fece scorrere i suoi contatti, premendo il pulsante di chiamata una volta trovato quello giusto e portandosi il dispositivo all'orecchio.

Quando la connessione fu stabilita, guardò John sedersi con un'espressione curiosa, chiaramente sospettando chi stesse chiamando Sherlock. Sperava che John ricordasse il suo ruolo nel loro stratagemma abbastanza bene da interpretare la parte in modo convincente.

Un attimo dopo, la sua chiamata ricevette risposta.

"Sherlock! Che bella sorpresa! Va tutto bene?"

Lui sospiro. "Va tutto bene, mamma." Vide la bocca di Donovan spalancarsi e alzò gli occhi al cielo. "Mi stavo solo chiedendo se..."

"Ohhh, come sta il mio Johnny?" lo interruppe sua madre, chiaramente ricordando anche la propria parte in questo gioco. "Fammi parlare con lui."

"È un cane, mamma, non sa parlare."

"Sherlock Holmes, non fare il furbo con me! Adesso mettimi in vivavoce. Non parlare, sul serio."

Trent'anni e più gli avevano insegnato che era inutile discutere con sua madre, così Sherlock abbassò il telefono e lo mise in vivavoce, incontrando lo sguardo curioso di John e notando le sue orecchie tese. "Ecco qua. Non dirmi che non ti avevo avvertito."

"Johnny!” disse sua madre, adottando quella voce fastidiosamente alta da ‘Sto parlando con un bambino piccolo’ che le persone tendevano a usare con i loro cani. "Come sta il mio tesoro?"

John, che Dio lo benedicesse, quasi saltò addosso a Sherlock nel tentativo di raggiungere il telefono, abbaiando e uggiolando, scodinzolando così violentemente che Sherlock pensò che più tardi avrebbe potuto avere un paio di lividi da mostrare sulle gambe.

"Come puoi sentire, sta perfettamente bene,” disse, alzando la voce per farsi sentire sopra il clamore generale di John che si comportava come un cane che cercasse il suo padrone in un piccolo dispositivo elettronico.

"Ohhhh, eccoti. Bravo ragazzo!" tubò sua madre. "Seduto!"

John si sedette, uggiolando e allungando il collo il più possibile verso il telefono nella mano di Sherlock.

"Sei contenta, ora?” chiese Sherlock, con un'aria esasperata. Aveva a malapena bisogno di recitare. "Adesso sei convinta che sia vivo e vegeto?"

"Sì, sì, grazie, caro. Mi perdonerai se sento la mancanza del mio cane. Ti direi di venirmi a trovare, ma abbiamo operai in casa tutto il giorno e so quanto sei sempre impegnato. Ma mi aspetto che tu venga una volta che avremo finito di ristrutturare. E ricordati di portare con te il tuo John così..."

"Madre, non è il mio... " Sherlock cercò di interrompere in fretta prima che l'intera conversazione potesse deragliare ancor di più.

"Oh, so che non è lì in questo momento. Sto solo dicendo che, una volta tornato dalla sua visita a sua sorella, dovresti portarlo conta cena e..."

"Non è quello che volevo dire..." iniziò Sherlock, ma avrebbe anche potuto non parlare affatto. Poté sentire Donovan soffocare una risatina.

"E naturalmente dovreste fermarvi per la notte e così potremmo...”

"Madre!" sbottò Sherlock. "Non è questo il punto, adesso!"

"Oh sì, giusto. Per cosa hai chiamato?"

Prese i fascicoli dalla scrivania di Lestrade. "Al momento non ho il tuo libro a portata di mano, altrimenti avrei controllato da solo. Ho qui un mucchio di libri contabili che potrebbero contenere alcune incongruenze. Ora ricordo vagamente che hai inventato un'equazione per qualcosa di simile."

"Be’, non per il falso in bilancio, ma potremmo modificare la formula di conseguenza,” disse. "Fammi prendere carta e penna."

Ci fu una pausa e la sentì muoversi per casa in cerca di materiale per scrivere.

"Tua madre è una matematica?” chiese Lestrade, stupito.

Sherlock sbatté le palpebre. "Sì, certo. È la donna più brillante che abbia mai visto. Ti dirà che si sta solo dilettando, ma ho i suoi libri da qualche parte nell'appartamento. E la minacciano ancora con un premio Nobel."

"Minacciano?" gli fece eco Donovan.

"Hm, sì. Non le piace che la gente faccia tante storie."

Ci fu un fruscio all'altro capo del filo e poi sua madre tornò. "Va bene, Sherlock, dammi i numeri che vuoi esaminare."

Sherlock lo fece, afferrando una penna e un taccuino dalla scrivania di Lestrade e sedendosi senza tante cerimonie sul pavimento. Ci sarebbe voluto del tempo.


*****


Lasciarono lo Yard ore dopo. L'oscurità era già calata e John vide Sherlock sbattere le palpebre mentre uscivano, chiaramente sorpreso da quanto fosse tardi.

Era rimasto seduto nell'ufficio di Lestrade per ore, prima analizzando una serie di complesse equazioni con sua madre e aggiustandole man mano che procedevano in una dimostrazione di genio matematico che aveva lasciato impressionata persino Donovan.

"Immagino che doveva averlo preso da qualche parte," mormorò Lestrade una volta che Sherlock ebbe finalmente riattaccato.

John aveva uggiolato in accordo e poi era andato a sdraiarsi accanto a Sherlock, mettendogli la testa sulla coscia e sistemandosi per un lungo e piacevole sonnecchiare mentre il suo geniale amico applicava le formule appena modificate alle cifre nei file che il signor James aveva inviato.

Sherlock non sembrava notare ciò che lo circondava, perso in una nuvola di numeri e nel proprio stesso cervello, ma ogni tanto la sua mano trovava infallibilmente la testa o la schiena di John e gli dava una carezza gentile, come se stesse ricordando inconsciamente a se stesso che John era ancora lì. Né Lestrade né Donovan osarono commentare, ma John era piuttosto convinto che anche se l'avessero fatto, Sherlock non li avrebbe ascoltati. E a lui non poteva importare di meno.

Erano rimasti lì sul pavimento dell'ufficio di Lestrade mentre la normale quotidianità dello Yard ferveva intorno a loro e teneva occupato Lestrade con scartoffie e colloqui con sospetti o testimoni di altri crimini commessi, agenti di polizia che entravano e uscivano dall’ufficio con fascicoli che richiedevano firme e richieste che necessitavano di essere approvate. Tutti loro girarono con cautela intorno a Sherlock e John al centro della stanza. Il fatto che nessuno si prese la briga di fare domande sulla loro presenza era un segno di quanto tempo loro due trascorrevano lì.

Ora l'aria frizzante della notte colpì i loro volti mentre uscivano dallo Yard e Sherlock fermava un taxi per portarli direttamente all'ingresso dello zoo di Londra in Regent's Park.

"Possiamo fare la nostra passeggiata e poi tornare a casa,” disse. "Qualche obiezione?"

John scosse la testa e saltò in cabina, facendo attenzione a non avvicinarsi troppo al sedile per evitare di lasciare peli ovunque.

Il viaggio in taxi trascorse in silenzio, il loro autista uno dei tassisti meno loquaci. John ne fu lieto... aveva vividi ricordi di quello che era successo quando un tassista loquace aveva dato sui nervi a Sherlock e non era entusiasta di una replica mentre non era in grado di lisciare le piume arruffate.

Scesero all'estremità di Regent's Park, vicino allo zoo di Londra, e fecero il giro più lungo. Tecnicamente, i parchi erano chiusi una volta calata l'oscurità, ma Sherlock conosceva gli orari dei guardiani abbastanza bene da evitare di essere rinchiuso per sbaglio. E, naturalmente, anche se fossero stati rinchiusi, non avrebbe avuto problemi a scassinare le serrature per farli uscire.

Scegliendo l'ampia Broad Walk che rappresentava il percorso più diretto verso l'altra estremità del parco, si avviarono godendosi la quiete di avere il parco quasi tutto per loro, tranne che per alcuni ritardatari che non prestarono loro alcuna attenzione.

Si fermarono alla fontanella di Ready Money per qualche sorso d'acqua. John non riusciva a raggiungere la fontana da solo, quindi Sherlock gli offrì l'acqua nelle mani a coppa. Non era il metodo più dignitoso, ma John scoprì che gli piaceva decisamente l'ulteriore vantaggio di leccare le mani di Sherlock e guardare il suo amico tremare per una risata a malapena repressa. Soffriva il solletico, a quanto pareva. John archiviò quell'informazione per dopo, per ogni evenienza.

Continuarono per la loro strada e ci vollero appena dieci minuti prima che dovessero attraversare Chester Road per seguire la Broad Walk. Tecnicamente, i cani non erano ammessi in questa parte del parco, ma né a Sherlock né a John importava, e in particolare non a tarda sera, senza nessuno in giro a lamentarsi.

Sfortunatamente, presto emerse che non erano così soli come avevano pensato.

John era rimasto indietro per annusare tra alcuni cespugli quando il suono di due battiti cardiaci accelerati - nessuno dei quali appartenente a Sherlock - e di scarpe sull'erba soffice attirarono la sua attenzione.

Sollevò la testa appena in tempo per vedere due ombre più scure staccarsi dalle siepi su entrambi i lati del sentiero e muoversi per bloccare il percorso di Sherlock. Una di loro lo salutò nel tradizionale modo londinese:

"Ehi, amico."

Sherlock si fermò. "Stai parlando con me?"

"Vedi qualcun altro?"

"Be’, c'è il tuo compagno dall’altra parte,” disse Sherlock.

John avrebbe voluto essere umano solo per poter seppellire il viso tra le mani per evitare di dover assistere alla carneficina che sicuramente sarebbe seguita.

"Oh, abbiamo un pagliaccio, Larry."

"Anche un bel pagliaccio elegante,” disse quello di nome Larry.

"Accidenti, il vostro intelletto combinato è davvero abbagliante," disse Sherlock, contribuendo alla catastrofe in erba.

John scosse la testa, ma rimase nell'ombra. Meglio non mettere tutte le loro carte in tavola finché non avesse saputo come si sarebbe evoluta la situazione.

"Smetti di parlare e consegna i soldi"

"Quali soldi?” chiese innocentemente Sherlock. "Non avevi detto niente sui soldi."

"Ascolta, amico, possiamo farlo nel modo più semplice o nel modo più difficile,” ringhiò Larry, che era chiaramente un fan degli stereotipi e dei brutti film.

Sherlock si dondolò sui talloni con l'aria di qualcuno a cui fossero state appena chieste indicazioni stradali in una città in cui aveva trascorso tutta la sua vita e che al momento stesse cercando di ricordare il nome del luogo. John poteva sentire il suo battito cardiaco regolare e persino l respiro e si rilassò un po’. Chiaramente Sherlock non era troppo preoccupato. In effetti, loro avevano regolarmente a che fare con assassini; non valeva la pena di eccitarsi per un paio di aspiranti rapinatori.

"Fammi indovinare,” disse Sherlock. "Il modo più semplice è che io consegni i soldi e poi venga picchiato e il modo più difficile sono io che vengo picchiato prima che tu mi prenda i soldi?"

"Sei un po’ un saputello, non è vero?"

"Semplicemente abituato a una classe di criminali migliore di voi,” disse Sherlock, scrollando le spalle, e arrivando addirittura a infilare con nonchalance le mani in tasca. "Di rado ho visto due criminali con un tale livello d’incompetenza. Vi siete esercitati davanti a uno specchio o vi viene naturale?"

Ci fu una breve pausa mentre i due decifravano quello che intendeva, seguita da un ruggito indignato dal più svelto dei due, e poi attaccarono.

Sherlock si tolse dalla traiettoria di uno dei pugni che volava verso il suo viso e deviò l'altro con il braccio. Tuttavia, la mossa lo lasciò scoperto per il secondo colpo del suo primo avversario. Riuscì a voltare la testa per evitare la maggior parte dell'impatto, ma subì comunque un colpo di striscio sulla guancia.

Quello fu l’attimo in cui John pensò che potesse essere un buon momento per intervenire.

Emerse dall'ombra, con i denti snudati e un ringhio basso e pericoloso che gli usciva dal profondo del petto.

Ci fu un secondo di confusione quando i due rapinatori si fermarono per guardarsi intorno alla ricerca della fonte del suono. Un attimo dopo, ottennero la loro risposta quando John si lanciò contro di loro.

Nessun uomo è in grado di rimanere in piedi quando inaspettatamente colpito da diciotto chili di cane che correva a tutta velocità e la sua vittima inconsapevole, Larry, cadde all'indietro con un grido e - mentre toccava terra - un grugnito.

Trasportato dalla propria stessa velocità, John rotolò su di lui, sbattendo accidentalmente la testa dell'uomo contro il selciato e tramortendolo prima che il suo corpo si fermasse in una pozzanghera fangosa.

Sherlock sfruttò la distrazione, portando abilmente il ginocchio in una regione molto sensibile del corpo dell'altro aggressore, che accartocciò a terra con un gemito di dolore confuso.

John, ancora ringhiando, si alzò da terra, si scrollò dalla pelliccia la maggior parte dell'acqua e si mosse per piazzarsi tra Sherlock e i due uomini a terra, abbassandosi con le zampe divaricate per darsi una posizione più ferma. Tutto quello che sapeva era la furia feroce nel vedere qualcuno cercare di attaccare il suo Sherlock, provare a fare del male al suo branco, provare a ferire ciò che era suo. Si chiese quale dei due mordere per primo se fossero stati così stupidi da alzarsi e riprovare.

Non lo erano.

Dietro di lui, Sherlock stava respirando pesantemente, con il cuore che ora batteva molto più in fretta di prima. John poteva fiutare la forte sfumatura di adrenalina. finalmente Sherlock stava reagendo come avrebbe dovuto.

"Tutto bene?” chiese Sherlock, accovacciandosi per dare a John un'occhiata più ravvicinata.

John si voltò e roteò gli occhi su di lui in un silenzioso ‘Naturalmente '.

"Hai rotolato su uno di loro," fece notare Sherlock. "Non è irragionevole pensare che potevi esserti ferito nel processo."

John sbuffò e scosse la testa, cercando in qualche modo di indicare che stava bene. Sbuffò e diede un colpetto al mento di Sherlock con il naso, attento a evitare la guancia.

"Mi ha colpito a malapena," lo rassicurò Sherlock. "Brucia un po’ e potrebbe lasciare un leggero livido, ma questo è tutto. Ci metterò un po' di ghiaccio una volta che saremo a casa, se insisti."

John annuì, desiderando gridare: ‘Cazzo, certo che insisto, idiota! 'e maledicendo il proprio corpo per la mancanza di corde vocali adeguate.

"Andiamo,” disse Sherlock, alzandosi e dando alle spalle di John un'altra carezza rassicurante. "Torniamo a casa prima che questi due idioti riescano a rimettersi in piedi."

John fece un piccolo balzo per sollevarsi sulle zampe posteriori, con le zampe anteriori premute sulle cosce di Sherlock, e gli diede un colpetto col muso al petto dove il suo telefono era al sicuro nella tasca interna della giacca.

Sherlock scosse la testa. "Chiamare la polizia non servirebbe a nulla. Per quando arrivassero qui, questi due sarebbero ben lontani. Informerò Lestrade domani e gli darò una descrizione dettagliata."

John sospirò e si arrese: non c'era modo di discutere con Sherlock su questo e sapeva che il suo amico aveva ragione. Non potevano restare qui a lungo se volevano uscire dal parco prima che i cancelli venissero chiusi e restare avrebbe significato prima di tutto rispondere alle domande su quello che stavano facendo lì a quest'ora della notte. Poteva già vedere la faccia completamente seria di Sherlock e sentire la sua voce impaziente mentre rispondeva "Essere aggredito da quegli idioti.”

Meglio evitarlo.

Lasciarono i due aspiranti criminali sdraiati sul sentiero e tornarono a casa. Ogni tanto, John si fermava e ascoltava in cerca del suono di qualcuno che li seguiva, ma tutto era tranquillo e gli unici suoni umani che poteva sentire nelle sue vicinanze erano i passi e il battito cardiaco di Sherlock.



 




NdT: Finalmente i due cominciano a dimostrare un po' di sana impazienza per la ritrasformazione? Era ora. E la prossima settimana, ora del bagnetto 🤣

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Capitolo 17
*** 17 ***


Capitolo diciassette

"Ti rendi conto di essere coperto di fango, vero?” chiese oziosamente Sherlock mentre attraversavano i cancelli, facendo un solenne cenno del capo al guardiano che stava tirando fuori le chiavi dalla tasca per chiudere il parco per la notte.

John sbuffò. Certo che lo sapeva, cazzo! Prudeva in modo orribile. Si fermò, aspettando che Sherlock facesse qualche passo avanti prima di scrollarsi di nuovo, questa volta più violentemente. Una parte del fango e delle gocce d'acqua volarono via, ma non era tanto ottimista da credere di essersi sbarazzato di tutto.

Sherlock sbuffò quando John lo raggiunse sotto il lampione successivo. "Sei davvero uno spettacolo desolante. Molto più simile a un bastardo che a un purosangue. Se la mamma potesse vederti, le prenderebbe un colpo."

John uggiolò.

"E naturalmente la signora Hudson avrà molto da ridire sul sudiciume," continuò Sherlock. "Temo che passeremo questa serata a farti un bagno molto meticoloso."

John sospirò e si rassegnò al proprio destino. Almeno sarebbe stato pulito.

Svoltarono in Baker Street e presto raggiunsero la porta di casa. Sherlock l'aprì piano e fece entrare John. Le luci della signora Hudson erano già spente e così anche la TV. "Silenzio adesso, non vogliamo svegliarla."

Facendo attenzione a non fare troppo rumore, salirono di soppiatto le scale e tirarono due sospiri gemelli di sollievo quando Sherlock chiuse la porta dell’appartamento dietro di loro.

"Dritto in bagno, per favore, John," ordinò Sherlock.

John fece come gli era stato detto e andò cautamente in bagno, cercando di non lasciare troppa acqua sporca nella sua scia. La pozzanghera era stata più profonda di quanto avesse pensato all’inizio; la sua folta pelliccia lo aveva protetto dal notarlo in quel momento e forse anche la sua distrazione dovuta ai loro aggressori aveva avuto una parte, ma ora non si poteva negare che aveva assorbito fango e acqua come una spugna e tutto lo scuotersi del mondo non l’avrebbe aiutato a tirarli fuori.

Sherlock lo seguì due minuti dopo, dopo essersi tolto il cappotto, la giacca e le scarpe e aver rimboccato le maniche della camicia per prepararsi.

"Ho dato un'occhiata alla scatola di provviste portata dai tirapiedi di Mycroft e ho trovato dello shampoo per cani. Useremo quello invece della roba per umani, non mi interessa scoprire cosa potrebbe fare alla tua pelle o al tuo pelo. Qualche obiezione?"

John scosse la testa e Sherlock annuì, indicando la vasca. "Bene. Salta dentro, allora, e cerca di non scivolare sulla superficie della vasca."

Più facile a dirsi che a farsi, ma John riuscì ad arrampicarsi oltre il bordo ed entrare nella vasca. Non fu molto dignitoso, ma almeno riuscì a entrare da solo e non cadere sulla faccia.

Sherlock abbassò il soffione della doccia e lo accese, dirigendo il getto lontano da John mentre aspettava che l'acqua si scaldasse un po’. "Uno sbuffo se è troppo calda, un uggiolio se è troppo fredda,” lo istruì.

John gli fece un cenno con la testa e Sherlock aspettò che l'acqua avesse una temperatura che considerava adatta. Gliela puntò con attenzione sulle zampe anteriori. "Com'è?"

La temperatura era quasi giusta e John rimase in silenzio.

"Bene,” disse Sherlock. "Prima ti bagnerò per bene e poi lavorerò con lo shampoo. Sembra che il tuo muso sia stato risparmiato, quindi non dovremo preoccuparci di farti andare lo shampoo negli occhi. Fammi sapere se c'è un problema."

Mentre l'acqua tiepida gli penetrava lentamente nella pelliccia, John emise un sospiro soddisfatto. Erano passati secoli dall'ultima volta che si era goduto un bel bagno caldo e non si era reso conto di quanto gli fosse mancato. Di solito faceva la doccia la mattina, ma naturalmente non aveva fatto né il bagno né la doccia dalla sua involontaria trasformazione.

Abbassò la testa e guardò l'acqua che gorgogliava verso lo scarico, osservando con stupore quello che sembrava essere metà del terreno di un'aiuola di medie dimensioni scorrere oltre le sue zampe.

"Hai davvero troppa pelliccia," commentò Sherlock, usando una mano per dirigere il getto e l'altra per pettinargli accuratamente la pelliccia con le lunghe dita. "Come hai fatto ad assorbire così tanto fango in così poco tempo?"

John emise un brontolio sommesso e cercò di alzare le spalle come meglio poteva.

Sherlock chiuse l'acqua e prese lo shampoo. "Ora, vediamo se questo ti ripulirà. E, come bonus aggiuntivo, sembra che finirai per odorare di... mele. Huh." Guardò scettico il flacone e l'annusò. "Puri prodotti chimici, naturalmente. Sarei sorpreso se qualche mela fosse arrivata a dieci metri da questa roba. Forse a un certo punto le è stata mostrata la foto di una mela."

John sbuffò e prese nota mentale di sfidare Sherlock a creare lui stesso uno shampoo dall'odore migliore non appena avesse potuto parlare di nuovo.

Un attimo dopo il filo dei suoi pensieri deragliò quando entrambe le mani di Sherlock affondarono nella sua pelliccia e iniziarono a massaggiare lo shampoo nel denso mantello esterno.

John pensò che se fosse stato un gatto avrebbe potuto iniziare a fare delle fusa sonore in modo imbarazzante .

Invece, si inarcò semplicemente al tocco, con grande divertimento di Sherlock. "Bello?"

John emise un basso brontolio affermativo e Sherlock sbuffò. "Se il cervello dovesse mai venirmi meno, potrei ancora trovare un lavoro come parrucchiere o massaggiatore, o almeno così piace dire a mia madre quando sono a portata di mano per aiutarla con i suoi mal di testa da tensione.”

John sbuffò una risata all'immagine che gli si presentò, poi emise un ringhio basso che sorprese persino lui mentre le dita di Sherlock lo cardavano lungo la spina dorsale, dal collo all'osso sacro. All'improvviso, fu contento per la propria mancanza di corde vocali umane: se fosse stato umano, quello sarebbe stato un gemito di piacere davvero mortificante.

In realtà, si stava chiedendo con non poco allarme se i cani diventassero mai duri e, in tal caso, quanto ci volesse perché ciò accadesse. Sperava decisamente di non avere motivo di scoprirlo.

"Ho quasi finito con la schiena. Penso che potresti anche aver perso una quantità davvero disgustosa di particolato fine. La metà dell'inquinamento atmosferico di Londra sembra essere rimasto intrappolata nella tua pelliccia, John. Questa è una vergogna."

John guardò l'acqua che gli turbinava oltre le zampe e dovette ammettere che Sherlock poteva avere ragione su quello. L'acqua sotto la schiuma aveva un angosciante colore grigio.

"Ecco, fatto con la schiena, ora mi sto spostando sui fianchi, quindi se senti il ​​solletico ricordati di non mordere la mano che ti pulisce."

John voleva dirgli che questo era ridicolo, ma poi le dita di Sherlock si spostarono lungo la sua cassa toracica e verso i fianchi e lui sussultò alla sensazione.

"Te l'avevo detto," mormorò Sherlock, non abbastanza piano perché John non lo sentisse, e continuò a lavorare lo shampoo sulla sua pelliccia prima di sciacquarla con cura. Tutta l'acqua calda del mondo non poté fermare il brivido che scorreva lungo la schiena di John.

Si concentrò sullo stare fermo, sobbalzando solo un po’ mentre le mani di Sherlock e l'acqua calda si muovevano verso il suo petto e la pancia. Fortunatamente, lì la pelliccia era più corta ed era diventata meno fangosa del lungo mantello esterno sulla schiena e sui fianchi.

"Guarda, la tua pelliccia è davvero rossa sotto tutto quel fango. Ci sono anche delle macchie bianche, chi l'avrebbe mai detto?" lo prese in giro Sherlock. "Davvero, John, si potrebbe pensare che ti fossi rotolato in una pozza di fango per ore, invece di aver fatto la conoscenza di una singola pozzanghera."

John borbottò bonariamente contro di lui, poi guaì e si contorse quando una delle mani di Sherlock lo sfiorò accidentalmente mentre cercava di far uscire il sapone.

"Scusa," mormorò Sherlock e spostò la mano a una distanza di sicurezza. John fece un respiro profondo e ringraziò il cielo per il suo lungo pelo intriso d'acqua e per tutta la schiuma. Dio, come se l'intera faccenda non fosse già stata abbastanza imbarazzante!

"Quasi finito," promise Sherlock e si voltò verso le gambe di John, puntando il getto della doccia contropelo per far uscire più sporco che poteva. "Le tue zampe e i tuoi piedi probabilmente avevano comunque bisogno di un bagno. Cammini per Londra e corri a Regent's Park da più di una settimana e sappiamo entrambi che Londra non è precisamente famosa per la sua pulizia."

Sollevò con cura ciascuna delle zampe di John e lo sciacquò tra le dita dei piedi e sotto le piante delle zampe. "Dovremo anche tagliarti gli artigli, vedo, una volta che sarai asciutto. Non guardarmi così, la signora Hudson ci sgriderà entrambi se lasci dei graffi sul pavimento."

John aveva una risposta perfetta per quello, vale a dire che non era lui quello incline a distruggere il loro appartamento, ma naturalmente non poteva dire niente, così si limitò a sbuffare e a contorcersi un po’.

"Non ti azzardare a scuoterti qui," lo avvertì Sherlock. "Hai abbastanza acqua nella pelliccia da allagare il bagno."

Oh, era una tentazione.

John si tenne sotto controllo, però, e dopo avergli lavato la coda Sherlock chiuse la doccia e prese un asciugamano. "Ecco. Prima ti asciughiamo con la salvietta e poi tiriamo fuori l'asciugacapelli, altrimenti dovrai dormire davanti a un caminetto scoppiettante e credo che tu abbia una tua idea riguardo all’andare a dormire con i capelli bagnati, vero?"

John l’aveva, anche se l’idea del rumoroso asciugacapelli non era una prospettiva molto felice. Ancora una volta non poté fare altro che rassegnarsi al proprio destino e quindi lo fece con un sospiro.

Un attimo dopo, il soffice asciugamano bianco gli oscurò la vista e Sherlock si fece strada dalla testa fino al collo e lungo il suo corpo, lasciando per ultime le gambe mentre lo asciugava con movimenti rapidi ed efficienti, attento a non tirargli la pelliccia.

"Dovresti vederti,” disse Sherlock, ridacchiando. "Sembri un barboncino esploso."

John girò la testa per dargli uno sguardo che diceva chiaramente "Be’, grazie mille."

"In effetti, penso che farò una foto," gli disse Sherlock e tirò fuori il cellulare prima che John potesse offrire qualsiasi tipo di protesta. "Lestrade l’amerà.”

John avrebbe voluto poter gemere.


*****


Quando Sherlock dichiarò che John era asciutto, aveva scattato altre sei o sette foto ed era scoppiato a ridere per il puro livello di morbidezza che la pelliccia di John aveva raggiunto durante l'asciugatura.

"Questa la incorniceremo," annunciò, ridacchiando a un'immagine in cui John sembrava sorprendentemente simile a una nuvola di zucchero filato rosso.

John si lasciò cadere sul tappeto del bagno e si mise entrambe le zampe anteriori sul muso, in una chiara dimostrazione di quello che pensava di quella particolare idea. Sapeva già che non ci sarebbe stato modo di sfuggire a questo. Almeno era riuscito a raccogliere a sua volta del materiale di presa in giro su Sherlock durante l'intera avventura.

Quando finalmente uscirono dal bagno, dopo che Sherlock gli ebbe effettivamente tagliato gli artigli e raccolto alcuni campioni ‘per la scienza’, era già mezzanotte passata. Si fermarono quel tanto che bastava perché John spazzolasse una ciotola di cibo per cani e poi andarono prontamente a letto.

Non appena Sherlock si fu sistemato sotto le coperte, John si rannicchiò al suo posto ormai abituale ed entrambi sospirarono mentre si rilassavano.

"Mmh, odori di mele," mormorò Sherlock e John guardò un angolo della sua bocca alzarsi in quello che probabilmente avrebbe dovuto essere un ghigno, ma non andò a buon fine e si trasformò invece in un sorriso tenero.

John sbuffò e chiuse gli occhi, lasciando che il respiro di Sherlock e il battito familiare del suo battito cardiaco lo cullassero nel sonno.


*****


La mattina dopo, subito dopo la loro passeggiata, Sherlock depositò John con la signora Hudson e le istruzioni di non dargli da mangiare nulla per almeno due ore. Naturalmente, la porta del suo appartamento si era appena chiusa dietro di lui prima che la signora Hudson gli desse un biscotto del nuovo lotto che aveva preparato il giorno prima.

John lo mangiò con blando entusiasmo, ancora un po’ seccato per non aver avuto il permesso di accompagnare Sherlock nel vagabondaggio di quella mattina.

"Cosa ha combinato quel ragazzo oggi? E quel livido sulla faccia, non ce l’aveva ieri. Ha fatto a botte?"

John non poté fare molto di più che sbuffare e annuire.

La signora Hudson schioccò la lingua. "Oh, spero che tu abbia avuto la possibilità di mordere al sedere chiunque sia stato. Attaccare il nostro Sherlock, voglio dire!"

Borbottò tra sé per un po’, lasciando John ad annusare il suo appartamento e usare ogni finestra che si affacciava sulla strada per guardare Sherlock che fermava un taxi e il suo avanzare lungo la strada finché non svoltò fuori dalla vista.

Emise un piagnucolio insoddisfatto e saltò sul divano per rannicchiarsi sui cuscini e osservare con un'espressione triste la stanza orfana di Sherlock.

"Non fare quella faccia, John. Tornerà in men che non si dica, aspetta solo. Il tuo uomo può badare a se stesso per un po’, anche se non ci crederesti solo guardandolo," cercò di consolarlo la signora Hudson, dandogli pacche sulla schiena e arruffandogli le orecchie. "Ora muoviti, stanno trasmettendo Skyfall su Canale 4. Quel Daniel Craig è un bell'esemplare di uomo, lascia che te lo dica."

John le fece un po’ di spazio per sedersi e poi abbassò la testa sulle sue ginocchia. Era una posizione comoda, ma l'odore era tutto sbagliato. Era arrivato ad associare questa posizione all'essere impregnato dal profumo di Sherlock. L'odore di profumo floreale, farina e bicarbonato di sodio della signora Hudson era gradevole, ma non era il profumo che avrebbe preferito. Tuttavia, almeno il film lo avrebbe distratto dal preoccuparsi troppo per Sherlock. Dopotutto, stava semplicemente facendo quello che sapeva fare meglio: curiosare negli affari degli altri.


*****


Era decisamente strano lasciare la casa senza John al fianco. Si erano a malapena separati da Baskerville. In effetti, a parte l'unica volta in cui aveva chiesto a Donovan di portarlo al parco e l’evento particolare in cui John aveva deciso di portare la signora Hudson a fare una passeggiata, non c'era stato un solo episodio in cui fossero andati da nessuna parte l’uno senza l'altro.

Sherlock trascorse la maggior parte del viaggio in taxi a placare la sensazione di aver dimenticato qualcosa di essenziale.

Infastidito con se stesso per essersi trasformato in un sentimentale sdolcinato, Sherlock guardò fuori dal finestrino e cercò di distrarsi deducendo i pedoni, ma non era molto divertente senza John lì a deliziarsi delle sue conclusioni e rimproverarlo per quelle più stravaganti.

Si rese conto che stava di nuovo pensando a John e si richiamò all'ordine. Stava diventando ridicolo!

"Concentrati, amico!" si rimproverò mentalmente. Lo scopo di questo viaggio era entrare nell'edificio, con faccia di bronzo, e dirigersi verso l'ufficio di Forsythe per esaminarlo a fondo. Solo il cielo sapeva quanti indizi gli Yarder avessero mancato di notare durante la loro visita ai locali. Portare con sé un cane avrebbe semplicemente attirato attenzioni indesiderate. Così com’era, era soltanto un altro uomo in giacca e cravatta che andava in ufficio. Aveva perfino portato con sé la borsa del laptop per completare il quadro. C'erano diverse compagnie nell'edificio, all'osservatore casuale sarebbe stato impossibile dire da quale intendeva recarsi.

Il taxi lo lasciò proprio fuori dalla porta e lui diede la mancia all'autista prima di scendere ed entrare nell'edificio come se avesse tutto il diritto di essere lì.

Diversi altri uomini in giacca e cravatta gli fecero un cenno col capo e guardarono il suo Belstaff con un misto di apprezzamento e invidia quando si unì a loro nell'ascensore, ma quella fu tutta l'attenzione che gli dedicarono e tornarono in fretta ai loro pensieri o telefoni o tablet nella veneranda tradizione degli inglesi. Non sembrarono nemmeno notare la sua faccia ammaccata.

L'ascensore raggiunse il piano che voleva e Sherlock scese con un vago borbottio che avrebbe potuto essere ‘Salve’ o ‘Buongiorno’ se si fosse applicata un po’ di fantasia.

Estrasse una carta d'identità elettronica dalla tasca della giacca e la passò alla serratura della porta, soddisfatto di se stesso per essersi ricordato di prenderla in prestito dai beni della vittima al laboratorio. L’avrebbe restituita più tardi senza che nessuno si fosse accorto di niente.

Nel trambusto di una giornata lavorativa che era appena agli inizi e in cui la metà dei dipendenti non aveva ancora preso il caffè, nessuno gli prestò attenzione e lui andò direttamente negli uffici dei dirigenti senza rivolgere una seconda occhiata a nessuno. Forse una volta risolto il caso sarebbe tornato e avrebbe dato loro alcuni consigli su come aumentare la sicurezza nelle loro sedi.

Tirò fuori le chiavi di Forsythe, che aveva sgraffignato insieme alla tessera, e provò ad aprire la porta dell'ufficio. Chiusa a chiave. Bene, questo significava una maggiore probabilità che tutto fosse rimasto indisturbato, per come lo poteva essere dopo che ci erano passati gli Yarder.

Sherlock entrò, chiuse a chiave la porta dietro di sé, e si mise al lavoro.

Iniziò sedendosi alla scrivania della vittima in modo da poter dare un'occhiata in giro per l'ufficio a tutte le cose che Forsythe avrebbe visto ogni giorno al lavoro e farsi un'idea di come l'uomo si fosse organizzato. Iniziò a frugare nei cassetti della scrivania alla ricerca di documenti interessanti che la polizia potesse aver trascurato, ma sembrava che fossero stati molto accurati, tanto per cambiare. Considerando tutti gli sforzi compiuti per venire lì, non era sicuro di approvare quell'improvvisa diligenza.

Gli scaffali sui muri mostravano foto di famiglia con suo figlio al posto d'onore, una Bibbia (perché qualcuno avrebbe avuto bisogno di una Bibbia in un ufficio, Sherlock non ne aveva idea, ma un rapido sfogliare le pagine non rivelò scomparti nascosti o segni sospetti) e troppi libri sulla gestione aziendale. Come minimo l’uomo aveva preso sul serio il suo lavoro e si era impegnato nella sua azienda.

Sherlock rivolse la propria attenzione ai cassetti e agli schedari sul muro dietro la scrivania, ma questi erano stati perlopiù ripuliti dagli Yarder. Tuttavia, lui non si era guadagnato la propria reputazione essendo poco accurato, quindi provò ogni singolo cassetto. Uno di loro fece un po’ di resistenza mentre cercava di aprirlo e gli parve di sentire lo sfregare della carta. Poteva essere un foglio che si era semplicemente bloccato da qualche parte, naturalmente, ma Sherlock non si era guadagnato la sua reputazione nemmeno dando per scontata la soluzione più semplice senza verificarla.

Aprì con cautela il cassetto per metà e allungò una mano all'interno, accarezzando i lati e la parte superiore.

Un attimo dopo, le sue dita si incastrarono in del cartone robusto e lui sorrise soddisfatto, tirando fuori una cartella dal fondo del cassetto di sopra. Parte del nastro adesivo si era staccato, facendo sfregare uno dei bordi lungo il cassetto inferiore e avvisando Sherlock della sua presenza.

"Non così diligenti come avrebbero dovuto essere," mormorò e aprì il fascicolo.

Non riuscì a lanciare più di una rapida occhiata prima che un rumore fuori dall'ufficio attirasse la sua attenzione. Attraverso l'intarsio di vetro su entrambi i lati dell’uscio di legno, vide una donna dai capelli rossi dare un'occhiata furtiva su e giù per il corridoio prima di provare la maniglia. La porta sbatacchiò, ma non si mosse e Sherlock provò un lampo di gratitudine per aver pensato di chiudersela alle spalle.

Qualcosa nella donna gli sembrava familiare. Avrebbe potuto giurare di averla vista prima. Di solito, era John quello che ricordava nomi e volti così lui non sarebbe stato costretto a farlo, ma la vista di lei fece suonare un debole campanello e mentre si chinava dietro la scrivania per evitare di essere visto se lei avesse cercato di sbirciare attraverso il vetro e un buco con le persiane, ripercorse rapidamente la sua precedente visita.

Era stata importante? Si accigliò.

Un attimo dopo, sentì i suoi passi allontanarsi dall'ufficio e decise che qui aveva finito. Infilandosi la cartella nel cappotto, andò ad aprire la porta prima di uscire nel corridoio. Si aggiustò il cappotto, chiuse la porta dietro di sé e percorse i cinque gradini lungo il corridoio fino all'ufficio del braccio destro di Forsythe. Forse questa volta la donna aveva nuove intuizioni da offrire.


*****


"Signor Holmes,” disse la signora Munkeld, chiaramente colta di sorpresa quando lui entrò. "Non mi aspettavo che passasse. Com’è arrivato qui?"

Lui si limitò ad alzare le spalle e si sedette. "Ho la tendenza a riuscire ad entrare nei posti in cui voglio essere. Per inciso, la vostra sicurezza è pessima."

"Mi assicurerò di informarli," mormorò lei. "E vedo che questa volta non hai portato il suo cane."

"Volevo risparmiargli Londra durante l'ora di punta," le disse Sherlock senza problemi.

"Capisco. Ora, posso aiutarla con qualcosa?"

"Qualcuno è entrato o ha tentato di entrare nell'ufficio del suo capo da quando è stato ucciso?"

"A parte la polizia, vuol dire?" lei chiese. "Non per quanto ne so. È stato chiuso a chiave per tutto questo tempo e naturalmente non c'è motivo di entrare lì. La polizia ha portato con sé tutti i fascicoli e il suo computer, non c'è nulla che chiunque avrebbe potuto desiderare di prendere o lasciare lì dentro."

Sherlock annuì a se stesso e si appoggiò all’indietro sulla sedia.

Qualcuno bussò alla porta e un'altra donna entrò portando un vassoio. "Il suo tè, signora... oh." Notò Sherlock e arrossì, spazzandosi una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio. "Mi dispiace, non sapevo che avesse una visita. Vuole che le prenda una seconda tazza?"

Sherlock scosse la testa. "No, grazie. Non ho intenzione di restare a lungo."

"Il signor Holmes sta indagando su cosa è successo al signor Forsythe e suo figlio, Amanda,” spiegò la signora Munkeld alla sua dipendente, i cui occhi si spalancarono.

"Sa già chi l'ha fatto?" gli chiese mentre versava una tazza di tè per il suo capo. Le sue mani tremarono, facendo tintinnare la tazza sul piattino. "Tutti vogliono sapere chi è stato e perché. Abbiamo guardato il notiziario e Carol porta il giornale in ufficio tutti i giorni, ma non ci sono informazioni." Si morse il labbro. "Non pensa che la faranno franca, vero?"

"Non mentre mi occupo io del caso,” disse Sherlock e lanciò alla donna una rapida occhiata. "Lei è stata a lungo con la compagnia, signora...?"

"Conall, Amanda Conall," si presentò lei. "Io lavoro qui da quasi dieci anni.”

“E porta ancora il te,” notò lui.

Lei si strinse nelle spalle. "Non c'è molto da fare nel mio dipartimento in questo momento, la polizia ha portato via tutti i nostri file e computer. Abbiamo dovuto iniziare a costruire interi database nuovi, ma io non ho la testa per tutta questa programmazione. E tutti hanno bisogno di una tazza di tè, a volte. "

Lui annuì. "Quindi direbbe che conosceva bene il signor Forsyth?"

"Il signor Forsythe senior, sì. Era molto gentile, gli piaceva sempre fermarsi a fare due chiacchiere. Era molto impegnato, naturalmente, ma non faceva mai sentire i suoi dipendenti come se stessero perdendo tempo."

" Dal suo tono immagino che non si potesse dire lo stesso di suo figlio?" indagò Sherlock.

La signora Conall esitò. "Be ', nessuno vuole parlare male dei morti, naturalmente..."

"Ma?"

Lanciò un'occhiata a disagio alla signora Munkeld, che le fece cenno di continuare. "Be', era molto... brusco. Penso che fosse lo stress di imparare tutto in modo da poter subentrare una volta che suo padre si fosse ritirato. Sembrava essere peggio in questi ultimi due mesi. L'ho trovato addormentato alla sua scrivania diverse volte e quando si è svegliato è diventato molto secco con me. Penso che fosse imbarazzato.”

"Piuttosto comprensibile, considerando che l'aveva beccato a dormire al lavoro."

"Oh no, signore, non era durante l'orario di lavoro,” disse in fretta lei. "Stavo facendo gli straordinari e fuori era già buio."

Sherlock raccolse queste informazioni con un lento battito di ciglia. Si adattava a ciò che già sapevano sulla vita di Benjamin Forsythe. A quanto pareva, dover nascondere l'esistenza di un bambino piccolo oltre a svolgere un lavoro stressante non aveva giovato ai suoi schemi di sonno. Chiaramente avrebbe dovuto provare a prendere un cane, invece. Di certo quello sembrava aver fatto miracoli per la capacità di Sherlock di dormire una notte intera.

Scosse via il pensiero e si mosse per alzarsi.

"Be ', devo andarmene. Grazie per la collaborazione."

La signora Munkeld accantonò con un cenno i suoi ringraziamenti. "Oh, di nulla. Grazie per essere passato e per averci aggiornato."

Sherlock si chiese se si fossero rese conto che in realtà non aveva detto nulla sull'andamento del caso, ma decise di non attirare la loro attenzione sulla cosa. Invece, sfoggiò il suo miglior sorriso fasullo. “È stato un piacere. No, non si alzi, posso trovare la via d'uscita. Arrivederci."

Lasciò l'ufficio con un passo scattante, sentendosi come se l'intero pasticcio stesse finalmente per avere un senso.

Mentre superava la ridicola sicurezza, digitò un breve messaggio di testo a Lestrade e premette invio proprio mentre arrivava l'ascensore. Era ora di risolvere questo caso una volta per tutte.


*****


Sherlock arrivò a casa meno di tre ore dopo la sua partenza, il che, considerando il famigerato traffico londinese, fu un lasso di tempo sorprendentemente breve. Naturalmente tali considerazioni non lo salvarono dall'essere praticamente travolto nel corridoio da John, che si comportava come un cane più di quanto Sherlock avesse mai visto prima, saltando in piedi e cercando, senza successo, di leccargli il collo.

"Smettila, John,” disse, piegandosi un po’ indietro e usando entrambe le mani per respingerlo. "Cosa ti prende? Sono stato via solo da un paio d'ore!"

“È stato giù di morale da quando te ne sei andato," annunciò la signora Hudson dalla porta del suo appartamento, guardando con un sorriso complice sul viso l'eccitazione di John che rimbalzava e scodinzolava. "Sono riuscita a malapena a farlo interessare a una replica di James Bond e sai quanto gli piacciano i suoi film di James Bond.”

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "È improbabile che lo dimenticherò."

John si calmò un po’, sembrando leggermente perplesso dalla propria stessa reazione. Sherlock decise di attribuire questo comportamento sorprendente a questa loro prima separazione più lunga in cui John non aveva saputo con precisione dove lui fosse, e anche subito dopo l'attacco al parco la scorsa notte!

Suppose che il livido sul suo viso ora dovesse essere di un colore davvero allarmante. Il fatto che nessuno avesse commentato il suo aspetto durante il suo piccolo viaggio nell'ufficio di Forsythe diceva qualcosa sull'apatia del londinese medio.

"Ti sei comportato bene?” chiese a John, che stava annusando il suo cappotto con un tale interesse da far chiedere a Sherlock quali odori fossero rimasti intrappolati nel tessuto. Se solo avesse avuto un naso così! Le cose che avrebbe potuto essere in grado di dedurre allora. Lascia perdere i profumi, probabilmente sarebbe in grado di selezionarli separatamente ed elencare i loro ingredienti in ordine di quantità inclusa nel processo di produzione.

"Quando tornerai ad essere umano, dovrai dirmi precisamente quanto sei stato in grado di annusare,” gli disse. "Voglio i dettagli, John,

John emise un basso brontolio che sembrava rassicurante, anche se Sherlock non riusciva a capire cosa fosse che glielo facesse pensare.

"Perché voi ragazzi non uscite un po’?" suggerì la signora Hudson. "È una bella giornata e sono sicura che un po’ di gioco al parco farebbe del bene a entrambi. E quando tornate possiamo metterti un po' di ghiaccio in faccia, Sherlock caro. Quel livido non ha un bell’aspetto "

Sherlock sospirò. "Bene. John, vai a prendere il guinzaglio e la borsa, sai quale."

John abbaiò e si arrampicò su per le scale, tornando un minuto dopo con entrambi gli oggetti. Dovette fare le scale con maggiore attenzione durante la discesa per evitare di calpestare il guinzaglio o la cinghia della borsa, ma ci riuscì quasi senza sforzo. Sherlock sorrise alla vista.

"Ti sei adattato molto bene, John. Un po’ più di tempo e nessuno crederebbe che tu abbia avuto solo poco più di una settimana per abituarti a questo corpo."

"E spero che nessuno debba mai metterlo in dubbio,” intervenne la signora Hudson. "Perché per quanto mi riguarda, preferirei di gran lunga riavere il nostro John nel corpo a cui appartiene.”

"Lo riavrà," le disse Sherlock, cercando di sembrare il più convincente possibile. Per quanto gli piacesse John il cane, voleva che John l'uomo tornasse. "Avanti, John, andiamo a fare una passeggiata."

Trascorsero due ore a Regent's Park, dove Sherlock lanciò la pallina da tennis finché il braccio non gli fece male e John cadde a terra ai suoi piedi, ansimando pesantemente e rendendo molto chiaro che se Sherlock avesse lanciato di nuovo la palla, sarebbe dannatamente dovuto andare a prenderla lui stesso. Si spostarono alla panchina libera più vicina per riposare e osservare la gente.

"Dico sul serio, sai,” disse Sherlock a John, fissando la grande distesa del prato. "Riprenderai il tuo corpo, anche se dovessi tormentare Mycroft ogni singolo giorno finché non accadrà."

John fece guizzare un orecchio verso di lui e gli diede un colpetto al polpaccio con il naso. Sherlock sorrise. "Potresti defecare sul tappeto nel suo ufficio per farti capire."

La risposta che ottenne fu lo sbuffo e l’ansimo che sapeva avrebbe dovuto essere una risata. Gli mancava la vera risata di John, quella che a volte riusciva a strappargli in momenti particolarmente ridicoli con un'elevata quantità di adrenalina che scorreva attraverso i loro corpi. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che l'aveva sentita.

Il telefono gli ronzò in tasca e lui lo tirò fuori per dare un'occhiata allo schermo. "Avanti, allora. Sembra che Lestrade abbia le informazioni che gli ho chiesto. Andiamo allo Yard e risolviamo questo caso."

Si prese un momento per comporre una risposta per Lestrade mentre John scodinzolava prima di alzarsi e stiracchiarsi. Si voltò verso Sherlock con un'espressione di aspettativa sul muso.

"Sono proprio dietro di te." 


 




NdT: Le prenotazioni per le foto di Johnny sono ancora aperte, non siate timide 🤣

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Capitolo 18
*** 18 ***


Capitolo diciotto

Lestrade li stava già aspettando, con un aspetto troppo stanco per un uomo che non aveva ancora fatto pausa pranzo.

"Be’?” chiese Sherlock.

Il DI gli porse un fascicolo senza una parola. "Questo è tutto ciò che abbiamo trovato. Come facevi a saperlo?"

Sherlock si strinse nelle spalle. "L'ho trovato nel suo ufficio stamattina."

"Abbiamo preso tutto quello che abbiamo potuto trovare da lì. Come hai fatto a trovare qualcosa?"

"Guardando."

Lestrade gli lanciò un'occhiataccia. "Bene. Fai così. Non dir niente a noi poveri mortali."

"Non avevo intenzione di farlo,” disse Sherlock, ignorando volutamente il pungente sarcasmo. "Invece risolverò questo caso, se per te va bene."

Lestrade si appoggiò allo schienale della sedia. "Prego, non sarò certo io a fermarti.”

Invece di rispondere, Sherlock aprì il fascicolo che Lestrade gli aveva consegnato e lo sfogliò, assimilando le informazioni con un cenno soddisfatto prima di tirare fuori dal cappotto quello che aveva scoperto nell'ufficio di Forsythe.

"Questo è quello che ho trovato io,” disse e lo lasciò cadere sulla scrivania di Lestrade. Le informazioni all'interno erano identiche.

"Ma com’è possibile?” chiese Lestrade. "Come faceva a saperlo?"

"Non ne ho idea," gli disse Sherlock. "La mia ipotesi migliore sarebbe che Forsythe abbia notato che suo figlio era un po’ più stressato di quanto avrebbe dovuto essere. O forse ha trovato delle prove per conto suo. Forsythe Junior è stato bravo a nascondere ogni traccia, ma ha comunque commesso degli errori. Viene in mente il ciuccio dietro il divano. E i genitori di solito sanno sui loro figli di più di quanto entrambe le parti vorrebbero ammettere.”

"Così ha istituito un fondo fiduciario a nome di suo nipote,” disse Lestrade, indicando i file che dettagliavano il succitato fondo. "E non l'ha detto a sua moglie?"

"Non credo che l'avesse detto nemmeno a suo figlio,” disse Sherlock. "Sapere che suo padre accettava il bambino avrebbe potuto ridurre il suo stress abbastanza da impedirgli di commettere un altro errore."

"Che tipo di errore sarebbe stato, allora?"

"Il tipo che ti fa ammazzare."

Sherlock si allontanò dalla scrivania e iniziò a camminare su e giù. "Penso che Benjamin Forsythe avesse scoperto che qualcuno stava sottraendo denaro alla società e avesse deciso di scoprire chi era. Suppongo che pensasse che se avesse potuto presentare a suo padre sia le prove della frode che la persona responsabile, suo padre gli sarebbe stato così grato che gli avrebbe perdonato il figlio illegittimo.” Alzò gli occhi al cielo. "Un semplice caso di mancanza di comunicazione che ha provocato la morte di due uomini che avrebbero dovuto avere più buonsenso.”

"Quindi stai dicendo che Benjamin Forsythe non ha ucciso suo padre?” chiese Lestrade, accigliandosi.

"Oh no, l'ha fatto. Trauma da corpo contundente... si sono incontrati nel parco, lui si è schierato contro il piano di suo padre di coinvolgermi, ha spinto il padre che è inciampato all'indietro e ha battuto la testa sul ramo di un albero che giaceva a terra ed è morto. Omicidio colposo accidentale, credo sia come lo chiamate. La tua teoria era che lui lo avesse colpito in testa con il ramo, non è vero?"

"Questa era la spiegazione che all'epoca aveva più senso,” disse il DI difendendo se stesso e la sua squadra.

Sherlock si strinse nelle spalle. "A un cinico, certo."

Lestrade sbuffò. "È ironico, detto da te. Okay, così hai spiegato Forsythe senior. E il figlio?"

"Stava conducendo le proprie indagini sui fondi mancanti ed è stato ucciso dalla persona responsabile della frode,” disse Sherlock. "Avrei potuto risolvere l'intero caso giorni fa, davvero. Sono tornato in azienda questa mattina, ho dato un'occhiata in giro per l'ufficio e ho fatto due chiacchiere con l'amministratore delegato in carica, la signora Munkeld, e un altro membro dell'azienda. Voi avete solo preso i file della contabilità, non è vero?"

"Sì," confermò Lestrade. "Perché?"

"Sto solo assicurandomene. Quella donna ha detto che non c'era molto da fare nel suo dipartimento dato che la polizia aveva preso tutti i file, il che dimostra soltanto la mia teoria. La signora Conall aveva un bel paio di orecchini di diamanti nuovi. Un po’ inappropriati da indossare al lavoro con tutti in lutto per l'amministratore delegato e suo figlio, non è vero? Poi naturalmente c'è il fatto che abbia cercato di entrare nell'ufficio di Forsythe senior mentre ero lì stamattina, anche se doveva sapere che sarebbe stato chiuso a chiave. La prima volta che ho fatto visita alla società, era in piedi davanti alla reception, parlava al telefono con sua madre. Parlava francese e diceva che era già stata trascurata diverse volte per la promozione e pensava che era molto probabile che finalmente ne avrebbe presto ottenuta una. Con i due direttori della società morti, c'è sicuramente una riorganizzazione del personale in arrivo. Temo che lei non se la godrà molto dalla prigione."

Sherlock chiuse la bocca di scatto, un bel contrasto con lo stupore a bocca aperta di Lestrade.

"Dico, questa è proprio tutta la storia. E hai ricavato tutto ciò da una conversazione telefonica origliata e un paio di orecchini di diamanti?"

"Hm, ho anche chiesto al signor James di compilare biografie su tutti i suoi ex dipendenti e lui aveva annotato le eccezionali capacità in matematica della Conall. Riarrangiare le cifre per lei sarebbe stato facile."

"E non hai pensato di menzionare niente di tutto questo prima?” chiese Lestrade, con tono un po’ seccato.

"Come ho appena detto, non avevo alcuna prova fino a stamattina. Avresti dovuto vedere la sua faccia quando mi ha chiesto se avessimo fatto progressi sul caso. Ha quasi versato il tè del suo capo di fianco alla tazza, tanto era nervosa."

Lestrade si arrese. "Va bene. Ti rendi conto che niente di tutto questo è una prova sufficiente per arrestarla, vero?"

"Sì, certo. Ecco perché ho intenzione di metterla a confronto con la mia teoria per vedere come reagirà. Sono passato davanti alla sua postazione mentre uscivo... Come molti impiegati, tiene le scarpe da corsa sotto la scrivania in modo da poterle indossare mentre torna a casa e le sue cose erano in uno di quei begli zainetti che usano i jogger. Immagino che correrà dal lavoro a casa, quindi tutto ciò che dobbiamo fare è trovare il suo indirizzo e aspettarla lì. A seconda della sua reazione, possiamo decidere cosa fare dopo.”

Donovan, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio con un'espressione dubbiosa sul viso, sbuffò. "Bene, dal momento che abbiamo un piano così dettagliato..."

"I piani dettagliati hanno molte più possibilità di fallire," le disse Sherlock. "Non avere un piano rigido ci lascia molto più spazio per adattarci ai cambiamenti improvvisi della situazione e migliora i tempi di reazione, perché nessuno deve prima ignorare i piani stabiliti in precedenza.”

"Sì, va bene, abbiamo capito,” disse Lestrade, alzando una mano per fermarli prima che potessero iniziare a discutere sul serio. "L’affronteremo stasera, questo ci darà il tempo di scoprire il suo indirizzo e metterci in posizione. Potrebbe essere utile farci un'idea della zona in cui vive, bloccare alcune vie di fuga nel caso provi a scappare di corsa. Va abbastanza bene per entrambi?"

Il suo tono metteva in chiaro che non avrebbe accettato altro che un assenso.

Donovan e Sherlock annuirono entrambi.


*****


C'era ancora luce quando arrivarono a Kennington e presero posizione in una comoda area comune dall'altra parte della strada rispetto all'appartamento della sospettata.

John aveva trovato un bel ramo robusto e aveva coinvolto Sherlock in una giocosa gara di tiro alla fune, con grande divertimento degli Yarder, la maggior parte dei quali non sapeva che Sherlock sapesse come giocare o che avrebbe mai voluto desiderato farlo.

Naturalmente, il detective ignorò gli sguardi strani e i commenti sussurrati. Era una strada molto tranquilla, con pochissimo traffico, quindi aveva tolto a John il guinzaglio, sicuro nella certezza che lui non si sarebbe fatto investire: il solo pensiero era assurdo, considerando il suo udito superiore e il suo intelletto umano. Almeno, John sperava che quello fosse il motivo per cui Sherlock lo aveva lasciato girare libero, anche se sospettava che Sherlock avesse un secondo fine. Non era difficile indovinare quale.

John lanciò un'occhiataccia al detective mentre dava al ramo uno strattone particolarmente vigoroso e lo mordeva più forte, trascinando Sherlock in tondo in una danza bizzarra.

"Stai cercando di farmi venire il mal di mare?" gli chiese Sherlock, ansimando leggermente. "Perché se è così, devo dirti che non funziona."

John scosse la testa, sia per negare l'accusa sia per cercare di strappare il ramo dalla sua presa.

Sherlock rise.

"Continuerete ad attirare l'attenzione?” chiese Lestrade da dove era seduto su una panchina, in apparenza intento a leggere l'edizione del quotidiano della sera che qualcuno aveva lasciato lì.

"Sono solo un uomo che gioca con il suo cane,” disse Sherlock a denti stretti, con gli occhi fissi in quelli di John in una silenziosa battaglia di volontà. Nessuno dei due avrebbe lasciato andare. "Nel frattempo la tua squadra sembra un gruppo di uomini usciti per un appuntamento a cui hanno dato buca e che stiano iniziando a rendersi conto che erano tutti lì per incontrare la stessa donna. Difficile dire che non stiano dando nell’occhio, non credi? L'unica che sembra essere entrata nello spirito di fingersi disinvolta è la sergente Donovan, laggiù."

Fece un cenno verso Donovan, che sedeva su una panchina in una chiazza dell'ultimo sole, sorseggiando una tazza di caffè da asporto con l’aria di essere del tutto assorta dal proprio cellulare. Con le sue scarpe pratiche e i jeans, sembrava non avesse mai nemmeno sentito parlare di operazioni di polizia.

John notò che Sherlock era distratto dalla conversazione e diede uno strattone violento, torcendo la testa a sinistra e mettendoci buona parte del suo peso. Il ramo scivolò dalla presa di Sherlock ed entrambi barcollarono. John lanciò un soffocato latrato di trionfo attorno al ramo che aveva in bocca. Si domandò se sembrava soddisfatto la metà di quanto si sentiva.

"Ben fatto," gli disse Sherlock, avanzando e accovacciandosi per arruffargli i lati del collo e la testa con entrambe le mani. "Bravo ragazzo."

John lasciò cadere il ramo per poter in cambio leccare il polso nudo di Sherlock fin dove poteva arrivare, poi si mosse per premergli la fronte contro il petto, godendosi la sensazione delle sue mani che scorrevano attraverso la pelliccia.

Pensò che non gli sarebbe dispiaciuto restare così per sempre, sano e al sicuro e sentendosi... amato.

John sbatté le palpebre. Ora, quello era... era...

"Eccola che arriva,” disse Lestrade sottovoce, voltando una pagina del giornale.

Sherlock aggiustò la posizione in modo da potersi alzare in fretta e John fece mezzo passo indietro e il momento se n’era andato.

Poteva sentire dei rapidi passi in avvicinamento e voltò la testa per vedere una donna sulla trentina che correva lungo la strada verso la casa di fronte a loro.

"Aspetta finché non tira fuori le chiavi,” disse piano Sherlock. "John, sai cosa fare se scappa. E per l'amor di Dio, occhio al traffico."

John emise un brontolio rassicurante e si sporse in avanti per annusare il collo di Sherlock appena sotto l’orecchio. Pensava di poter realmente udire i capelli sottili che c’erano lì che si drizzavano. Questo era di certo qualcosa su cui indagare ulteriormente in seguito.

Ma per ora avevano un potenziale assassino da catturare.

Amanda Conall raggiunse la porta di casa sul lato opposto della strada con appena uno sguardo nella loro direzione e slacciò lo zaino per cercare le chiavi. Mentre era impegnata, Lestrade mise da parte il giornale, si alzò e attraversò la strada.

"La signora Amanda Conall?" le chiese quando l'ebbe quasi raggiunta.

Lei alzò lo sguardo. "Chi vuole saperlo?"

"Ispettore investigativo Greg Lestrade, Scotland Yard. Ho alcune..."

La donna gli lanciò lo zaino addosso e scappò via.

"Prendila, John!" gridò Sherlock.

Non c’era bisogno che glielo dicesse due volte.

Erano passati secoli dall'ultima volta che aveva inseguito un criminale e qui c'era un esemplare eccellente, con i muscoli ancora caldi e sciolti dalla corsa verso casa. Le era rimasta ancora molta energia e non c'erano segni di stanchezza mentre divorava la strada.

Sfortunatamente per la signora Conall, era dotata solo di due gambe e non era stata allevata come cacciatrice.

John quasi volò lungo la strada dietro di lei, sentendo le urla degli Yarder e diverse paia di piedi che correvano, quelli Sherlock facilmente distinguibili come quelli di fronte al gruppo.

Rassicurato dal fatto che il suo amico fosse nelle vicinanze e probabilmente si stesse divertendo molto - Sherlock amava gli inseguimenti - John incrementò la velocità proprio mentre la Conall deviava dalla strada ed entrava in un parco. La terra e l'erba soffici gli diedero la presa di cui aveva bisogno e lui guadagnò in fretta terreno. Poteva sentire il fruscio della coda di cavallo della donna e ogni respiro affannoso che faceva. Adesso lui correva a malapena a pieno ritmo e si stava divertendo un sacco. E poi, finalmente, fu abbastanza vicino.

John le si scagliò contro e la colpì alla schiena, quanto bastava per farla inciampare e cadere. Riuscì a evitare di sbatterle addosso ed eseguì una inversione a U quasi sul posto, rivolgendole un ringhio pericoloso che la indusse a pensarci due volte di alzarsi da dove giaceva a terra, ansimando.

Sherlock li raggiunse mezzo minuto dopo, gli Yarder lo seguirono a distanze variabili. Fu Sally ad arrivare per prima, sorridendo alla vista di John e Sherlock in piedi sopra la sospettata che respirava pesantemente.

"Signora Conall, lei è agli arresti perché sospettata dell'omicidio di Benjamin Forsythe."

John si sedette, con la lingua penzoloni, e scodinzolò a Sherlock mentre il suo amico si chinava e gli accarezzava il petto ansante. "Ben fatto."

"Dovremmo tenerlo," ansimò Lestrade. "Renderebbe molto più facile catturare i criminali."

"Non condivido," lo informò Sherlock con calma. "E devo ricordarti che questo è solo temporaneo? In men che non si dica tornerà al posto a cui appartiene. E inoltre, lo Yard non ha la sua squadra canina? Forse dovresti considerare di chiamarli più spesso."

"Nah, sono usati solo per la roba grossa,” disse Lestrade, prendendo un paio di respiri profondi per riprendersi. "Accidenti, ho bisogno di fare più sport."

"Infatti," mormorò Sherlock. John gli diede una testata alla gamba in segno di ammonimento.

Tirarono su da terra Amanda Conall e la portarono via ammanettata. Ora che la sua fuga era stata interrotta all'improvviso, sembrava che tutta la combattività fosse svanita da lei.

"Credo che potrai ottenere una piena confessione da lei,” disse Sherlock a Lestrade. "Sicuramente ti ho dato più che abbastanza per andare avanti. Fai un paio di supposizioni e lei sarà fin troppo felice di correggerti e fornirti tutta la triste storia. Sospetto che potai trovare i soldi mancanti su un conto bancario in Francia."

Il DI annuì. "Non ho intenzione di lasciarla scivolare via ora che l'abbiamo presa." Fece un sospiro. "E devo ancora informare la signora Forsythe di suo nipote. Forse da tutto questo verrà fuori almeno una cosa buona."

Si separarono con un cenno di riconoscimento. Lestrade tornò dove la sua squadra lo stava aspettando e Sherlock e John andarono dall'altra parte, decidendo per tacito accordo di prendere la scorciatoia attraverso il parco e trovare un taxi per tornare a casa dall'altra parte.


*****


Il taxi li lasciò fuori dal 221b alle nove e mezza, dopo che avevano trascorso un'ora e mezza a muoversi a passo di lumaca attraverso quello che era ironicamente chiamato ‘traffico’ e in modo più appropriato soprannominato ‘una dannata scocciatura’.

Sia Sherlock che John erano del tutto stufi quando uscirono, e anche piuttosto affamati, il che avrebbe potuto aumentare il loro cattivo umore generale.

"Ti invidio quasi," borbottò Sherlock mentre versava il cibo nella ciotola di John e anche sul suo naso quando per l'impazienza lui lo ficcò nella scodella troppo presto . "Non posso prendermi il fastidio cucinare stasera."

John grugnì nella sua ciotola, chiaramente chiedendo se Sherlock avesse sul serio un’idea di come si cucinava.

"Oh, stai zitto e mangia," gli disse Sherlock e chiamò il suo takeaway indiano preferito. Quello di cui aveva bisogno adesso era un Chicken Tikka Masala come si deve e una pila di naan.


*****


Per il momento in cui Sherlock ebbe fatto il suo ordine e si fu accasciato sul divano ad aspettare, John aveva svuotato la sua ciotola e si era leccato il muso per assicurarsi che ogni ultimo frammento fosse sparito.

Non esitò affatto prima di trotterellare in soggiorno e saltare sul divano per reclamare la sua posizione abituale tra le lunghe gambe di Sherlock. Quell’idiota non si era ancora tolto il cappotto!

John annusò la lana spessa e le diede un colpetto con il naso.

"Hmm, lo toglierò quando dovrò alzarmi," mormorò Sherlock. "Potrei anche essere persuaso ad appenderlo al gancio."

Considerando quanto Sherlock fosse meticoloso riguardo ai propri vestiti, John pensò che lui stesse piuttosto esagerando la possibilità che questo non accadesse.

Mugolò in risposta nell’addome di Sherlock e si accoccolò più a fondo sul divano.

Il detective fece un verso soffocato. "John, apprezzerei se tu potessi provare a non muoverti così tanto in questa posizione."

John s’immobilizzò e sentì Sherlock rilassarsi di nuovo. Naturalmente quello fu il momento in cui suonò il campanello della porta.

"Oh, per l'amor di Dio," gemette Sherlock e si alzò, scivolando fuori da sotto la testa di John con un sospiro di fastidio che fu gravemente smentito dal suo stomaco rimbombante.

John ascoltò i suoi progressi giù per le scale e il suo breve scambio di battute con il ragazzo delle consegne ("Ecco il suo ci..." - "Ecco i tuoi soldi. Arrivederci.") e il suono della porta che sbatteva prima che Sherlock tornasse su per le scale.

"È stato sorprendentemente veloce," osservò Sherlock. "Alla fine hanno aggiustato il loro secondo scooter. Suppongo che la signora Patel abbia finalmente fatto sputare i soldi a suo marito.”

Aprì uno dei cassetti della cucina e frugò tra gli abbassalingua, i bisturi, gli scovolini, le strisce reattive per il test del PH e i caricabatteria del telefono finché non trovò una forchetta. Quando tornò sul divano, si era già ficcato in bocca la prima forchettata.

John si tirò a sedere per fargli spazio e poi attese con aria di aspettativa nel caso Sherlock potesse essere disposto a condividere. Dopo un paio di minuti, si arrese e si lasciò cadere di nuovo sul divano. Chiaramente quella sera era una di quelle rare volte in cui Sherlock era sul serio abbastanza affamato da finire il suo pasto.

"Sai, penso che potrei davvero andare a letto,” disse il detective quando ebbe finito di cenare. "Questo normale ciclo del sonno mi sta davvero incasinando, John. Biasimo te per tutto questo, spero che tu ne sia consapevole."

John emise un amabile uggiolio. Era abbastanza certo fra tutte le persone di loro comune conoscenza, nessuna di loro sarebbe stata d'accordo sul fatto che un normale ciclo del sonno fosse una cosa negativa.

Si rannicchiarono sul letto di Sherlock nelle loro solite posizioni e John ascoltò Sherlock che si addormentava e si chiese per quanto tempo questo normale programma avrebbe continuato a reggere.


*****


Sherlock guardò John correre dietro alla palla, le orecchie che sbattevano e il pelo tirato indietro dalla sua stessa velocità, con il sole del primo mattino che scintillava sul suo manto rossastro. Non riusciva a ricordare l'ultima volta che qualcosa gli aveva portato così tanta gioia o l'ultima volta che aveva provato un simile appagamento. Era come se dopo Baskerville lui e John fossero diventati molto più vicini, come se ora si capissero l'un l'altro molto meglio di quanto non avessero mai fatto prima. Forse era vero che le parole confondevano tutto e trasformavano la comunicazione in una possente bestia piena di potenziali malintesi. Certo Sherlock non pensava che lui e John avessero avuto una sola seria discussione dopo la sua trasformazione.

Poteva ammettere che la maggior parte di ciò era probabilmente dovuto al fatto che John non era, alla lettera, in grado di urlargli contro per cose che erano decisamente Non Buone, ma ora aveva altri modi per esprimersi. Di sicuro sapeva come ringhiare o esprimere in altro modo la sua opinione.

John tornò di corsa da lui, la pallina da tennis stretta tra i denti. Sembrava... felice, pensò Sherlock, sentendosi un po’ stupito. Sembrava un cane sano e felice che era entusiasta di giocare con il suo padrone. Eppure, in qualche modo, somigliava anche molto a John, il cui viso a volte si illuminava in questo modo quando lo guardava. Quella era una cosa che gli mancava.

John lasciò cadere la palla nella mano in attesa e Sherlock la mise nel lanciatore e la sparò di nuovo, cercando di farla volare il più lontano possibile. John partì a razzo come un fulmine rosso.

Un altro cane arrivò di corsa da sinistra, un labrador nero che sembrava non essere riuscito a resistere alla vista della palla che volava sul prato.

Sherlock guardò con attenzione, i muscoli tesi nel caso avesse dovuto andare lì e intervenire.

Guardò i due cani che giravano in tondo, annusandosi a vicenda e scodinzolando. E poi... Sherlock guardò sbalordito.

Giocarono.

Si rincorsero per il prato, mordicchiandosi le caviglie e le punte della coda e combattono scherzosamente.

Non aveva saputo che John potesse comunicare con i cani normali. L'unica volta che gliel'aveva chiesto, la sua risposta era stata piuttosto vaga. Forse neanche lui l’aveva saputo, visto che si erano tenuti il più possibile lontani dagli altri cani.

Sherlock si guardò intorno alla ricerca del proprietario del labrador e scambiò un cenno con la donna che gli si stava avvicinando.

"Bello vederli andare d'accordo, non è vero?” disse, fermandosi a un paio di metri da lui. "È una razza meravigliosa quella che hai lì, anche se non credo di riconoscerla."

"Un Retriver Nova Scotia Duck Tolling," le disse Sherlock. "Il suo nome è Johnny."

Lei sorrise. "Sembra che a Snicket piaccia abbastanza." Si voltò per guardare Sherlock con curiosità. "Non ti ho mai visto da queste parti prima d'ora."

"Non siamo frequentatori abituali. Mi prendo cura di lui solo per un po’." E quanto desiderava che quel po’ di tempo finisse presto, e che non finisse mai.

"Non è un lavoraccio, vero?"

"Proprio per nulla," concordò lui, sorridendo mentre John placcava l'altro cane, Snicket, a terra.

Il suo telefono squillò.

"Scusami," mormorò e lo tirò fuori dalla tasca, controllando l’identità del chiamante.

Era Mycroft. Lo stomaco di Sherlock sprofondò.

"Sì?"

"Abbiamo una soluzione. Manderò una macchina a Baker Street per prelevarti e portarti a Baskerville. Prendi John con te e possiamo sperare che tutto sia risolto entro stasera."

Sherlock fissò John dall'altra parte del prato, che si stava rotolando nell'erba con ogni segno di gioia, con tutte e quattro le zampe in aria.

"Sherlock?" Il tono di Mycroft suggeriva che aveva provato e fallito nell’attirare la sua attenzione e che si stava preoccupando.

"Hm? Sì, sì, ci saremo. Siamo al parco. Non che tu abbia bisogno che te lo dica. Dacci un po’ di tempo per tornare a casa e fare le valigie. Immagino che a John potrebbe piacere avere dei vestiti a portata di mano. È stato sorprendentemente veloce."

Poté quasi sentire le dita di suo fratello che tamburellavano sul tavolo, una cattiva abitudine che Mycroft cercava di perdere da anni.

"A quanto pare invertire un processo noto è molto più facile che inventarne uno del tutto nuovo,” disse. "L'hanno testato su alcune cellule isolate con risultati molto buoni, o almeno così mi è stato detto. Ci vediamo lì e se qualcuno ha mentito sui loro progressi, lo sapremo.”

Sherlock annuì. "D’accordo. Ci vediamo tra un paio d'ore."

Riattaccò prima che suo fratello potesse aggiungere altro e fece un fischio acuto.

John si alzò, si scosse l'erba dal pelo e si avvicinò trotterellando.

"Ora di andare?” chiese la donna mentre il suo cane si precipitava verso di lei per un po’ di coccole.

Sherlock annuì. "Sì. Abbiamo altri impegni, oggi. Buona giornata."

"Ciao,” disse lei, accarezzando la schiena di John mentre lui avanzava ad annusarle le gambe.

Si diressero verso casa e Sherlock aspettò finché non furono fuori dalla portata dell'udito prima di parlare. "Ha chiamato Mycroft. A quanto pare, i suoi scienziati hanno avuto successo. Sta mandando un'auto mentre parliamo. Stiamo tornando a Baskerville."

 

 




NdT: E finalmente i cervelloni di Baskerville sono vicini a una svolta. Appena in tempo, devo dire, qualcuno cominciava ad avere dei dubbi... 🤣

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Capitolo 19
*** 19 ***


Capitolo diciannove

John seguì Sherlock a casa, sbalordito dalle notizie di Mycroft, ma ancora cavalcando uno strano sballo per aver giocato con quell'altro cane, che non era sembrato affatto infastidito da lui. Forse si era adattato così bene che adesso anche gli altri cani si lasciavano ingannare.

E proprio mentre l'aveva scoperto e aveva iniziato a divertirsi davvero, era tutto finito. O l’avrebbe fatto, comunque. Non sapeva bene cosa provare al riguardo.

Sollievo, certamente. Non aveva intenzione di passare il resto della vita nel corpo sbagliato. Ma c'era anche una strana sorta di malinconia e si rese conto di quanto fosse stato rilassante essere un cane. Non c'era stato nulla di cui lui si dovesse preoccupare: bollette, tasse, cibo, lavoro, i fastidiosi piccoli compiti della vita quotidiana... tutto sparito. Era stato in grado di fidarsi semplicemente di Sherlock per fare la cosa giusta e fornirgli tutto ciò di cui aveva bisogno, e Sherlock si era fatto avanti assumendo il ruolo senza batter ciglio, facendo tutto il possibile per assicurarsi che John avesse tutto ciò di cui aveva bisogno.

Con la malinconia arrivò la trepidazione: non gli piaceva l’idea di tornare a Baskerville e di certo non gli piaceva il pensiero di essere esaminato e punzecchiato e che gli fosse magari inoculato qualcosa. Essere un cane non era la sua scelta preferita, ma almeno era uno stato dell'essere stabile e non presentava potenziali effetti collaterali. C'erano solo un limitato numero di cose che potevano andare storte nell'essere un cane, ma molte cose che potevano andare storte nell’essere trasformato da cane ad essere umano. Lui avrebbe voluto avere il proprio corpo intatto e la forma corretta, grazie mille.

Rimase vicino a Sherlock mentre camminavano, in modo che le ali del Belstaff gli sfiorassero il fianco a ogni passo che faceva.

"Mycroft ha detto che speriamo di riaverti nella tua forma entro questa sera," gli disse Sherlock. "Sarò lì e terrò d'occhio gli scienziati e se qualcosa sembra fuori posto, interromperemo l'intero processo."

John uggiolò in accordo, sentendosi un pochino rassicurato. Naturalmente a Sherlock non sarebbe sfuggito niente. E Mycroft era troppo orgoglioso per avere qualche umile scienziato che screditasse le sue parole. Se Mycroft aveva detto che sarebbe stato fatto, ciò sarebbe stato quello che sarebbe successo. Forse non gli piaceva molto il fratello maggiore degli Holmes, ma si fidava del suo orgoglio e della sua arroganza.

Una volta tornati al 221b, andarono dritti nella stanza di John e Sherlock trascinò il suo borsone al centro della stanza. "Mi sono del tutto dimenticato di disfarlo,” disse. "Oh be’, sembra che l'abbia fatto la signora Hudson, a un certo punto. C’è qualche indumento particolare che vuoi avere?”

John scosse la testa e si sedette, guardando Sherlock aprire l'armadio e iniziare a tirare fuori i vestiti. Un paio di jeans, una maglietta e un maglione, un pigiama nel caso dovessero pernottare, un paio di calzini e mutande. John supponeva che avrebbe dovuto essere imbarazzato al pensiero di Sherlock che rovistava nella sua biancheria intima, ma il fatto era che l’aveva fatto secoli prima e probabilmente aveva già dedotto quale tipo di indumenti intimi lui stava indossando in base al modo in cui camminava o qualcosa del genere.

"Metteremo in valigia anche la tua giacca e forse una sciarpa. C'è qualcos'altro che vuoi?"

John toccò gli asciugamani con una zampa.

"Giusto. Asciugamani e cose per la doccia. Anche uno spazzolino da denti, suppongo."

John pensò al lavarsi i denti con una brama che in precedenza avrebbe provato solo quando pensava a una buona notte di sonno e forse a una bella, lunga vacanza in un posto caldo e soleggiato. Annuì con decisione.

Sherlock afferrò la sacca e migrarono nel bagno al piano di sotto in modo che Sherlock potesse raccattare da lì le cose di John.

"Qualcos’altro?” chiese Sherlock mentre tornavano in soggiorno e gettava il telefono e il caricatore di John sopra il resto, chiudendo la borsa.

John scosse la testa.

"Bene. Preparerò solo la mia roba. Fammi sapere se ricordi qualcos'altro."

Scomparve nella propria camera da letto e John lo sentì frugare in giro, impacchettando le sue cose.

La signora Hudson uscì dal suo appartamento e salì le scale. "Sherlock, c'è una delle macchine di tuo fratello che attende qui fuori. Lo stavamo aspettando?"

"No, signora Hudson!" gridò in risposta Sherlock. "John e io stiamo tornando a Baskerville. Se tutto va bene, tornerà col suo vero corpo in tempo per la colazione."

"Oh! Che meraviglia!" La signora Hudson batté le mani prima di spostarsi per arruffare la pelliccia di John. "Oh, devi essere così eccitato, John! E preoccupato, scommetto, con queste persone che fanno esperimenti su di te. Non temere, amore, sono sicuro che Sherlock non permetterà che ti succeda niente."

John le uggiolò e le leccò la mano, scodinzolando.

"Sai, penso che mi mancherà molto avere un cane in casa,” disse la signora Hudson. "Almeno uno intelligente come te. Dovremmo fare un'ultima foto... Ora, dov'è la mia macchina fotografica...? Oh sì, sulla mensola del camino. Sherlock, vieni qui!"

"Eh?" Il detective trascinò il suo borsone lungo il corridoio e lo lasciò cadere accanto a quello di John vicino alla porta. "Che cosa si è inventata, adesso?"

"Ho solo pensato che sarebbe stato bello avere un'ultima foto di voi due in questo modo,” disse. "Siete una coppia così adorabile."

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Se deve."

Si accovacciò accanto a John, che si mise a sedere dritto, le orecchie flosce leggermente drizzate, e lo cinse con un braccio.

"Sorridete!" ordinò la signora Hudson, alzando la fotocamera.

Sherlock sorrise e John ansimò con allegria, facendo penzolare la lingua più comicamente che poteva.

"Fantastico! Grazie, ragazzi. Ora andate e tornate tutti interi."

"Faremo sicuramente del nostro meglio," promise Sherlock. "Non si preoccupi, signora Hudson, non lascerò che gli venga fatto del male."

"Sei un bravo ragazzo,” disse lei e gli diede una pacca sulla guancia. "Adesso fuori dai piedi, e buona fortuna!"

Arruffò un'ultima volta la pelliccia di John mentre Sherlock raccoglieva le loro borse e poi erano giù per le scale, fuori dalla porta e stavano salendo in macchina.

John balzò sul sedile accanto a Sherlock e gli mise la testa sulle ginocchia non appena lui si allacciò la cintura di sicurezza, imitando la loro posizione durante il lungo e infernale viaggio di ritorno a casa da Baskerville.

"Be’, devo dire che questa volta il tragitto è già molto migliorato da una considerevole mancanza di Mycroft nella stessa macchina," osservò Sherlock, allungando con un sospiro le gambe sullo spazioso sedile posteriore. "Perfetto. Ti suggerisco di dormire un po’, John. Saremo in viaggio per un pezzo."


*****


John saltò fuori dall'auto con un sospiro di sollievo. Per i suoi gusti, tre ore e mezza in macchina erano semplicemente tre ore di troppo. Il viaggio gli aveva lasciato troppo tempo per pensare e preoccuparsi.

Tuttavia, non gli piaceva molto tornare alla struttura militare di Baskerville. Il profumo dell'asfalto e delle divise, dell'olio, della polvere da sparo e della tela da imballaggio era associato a troppi ricordi spiacevoli.

L'unica cosa che poteva rallegrare il suo umore era...

Sherlock scese dall'auto dietro di lui, si guardò intorno e vide un plotone che marciava verso le baracche. Il suo respiro s’inceppò in modo udibile. Se John fosse stato umano, avrebbe ridacchiato.

Il caporale Lyons, lo stesso uomo che li aveva accolti durante la loro ultima visita, li stava già aspettando e John sbuffò una risata al modo in cui il giovane soldato guardava Sherlock, come un bambino avrebbe fatto con un dolcetto. Sherlock, d'altra parte, sembrava essersi ricordato di se stesso e dei sensi di John e si stava notevolmente dominando mentre il caporale salutava.

"Benvenuto, signor Holmes. Il maggiore Barrymore e il signor, ehm, Holmes la stanno aspettando."

"Vorrei sperarlo,” disse Sherlock. "Ci faccia strada, caporale. Vieni, John."

Fecero come si erano detti, la gerarchia del loro piccolo gruppo stabilita senza problemi.

"È probabile che sia una minaccia?” chiese Lyons, facendo un cenno verso John. Era chiaro che non era abituato ai cani che andavano in giro senza un guinzaglio e magari una museruola.

"Ha l’aspetto di una minaccia?” chiese in cambio Sherlock.

John cercò di sembrare il più adorabile e innocuo che poteva quando Lyons lo guardò. "No, signore. Ma questo è Baskerville. Se giudicassi qualcosa qui dal modo in cui appare, saremmo tutti in un mare di guai."

"Ah. Ottima osservazione," ammise Sherlock. "Non si preoccupi, però. John diventerà letale solo se qualcuno cerca di farci del male."

John pensò che questo fosse un buon momento per sbadigliare ed esibire i suoi denti. Lyons ricevette il messaggio. A quanto pareva, anche Sherlock, che strizzò l'occhio a John dietro la schiena del caporale e sogghignò.

Entrarono nell'edificio e marciarono lungo diversi corridoi prima di entrare nell'ascensore. John si sentiva come se stesse tornando indietro nel tempo. Sperava solo che ne sarebbe uscito nel suo corpo autentico.

Quando le porte dell'ascensore si chiusero, John si sedette accanto a Sherlock e si sentì leggermente meglio quando lui gli posò sulla testa la grande mano, un ricordo tangibile della sua presenza, rassicurante e confortante. Avrebbero superato tutto questo.

Ascoltò l'ascensore che scendeva nel seminterrato, cercando di cogliere qualsiasi suono dai piani che superavano. Non udì niente. Chiunque avesse insonorizzato il posto aveva di sicuro fatto un buon lavoro.

Alla fine, raggiunsero la loro destinazione e le porte si aprirono, permettendo loro di entrare nel laboratorio di un bianco abbagliante.

C’era una schiera di scienziati in fermento e tutti si voltarono e li fissarono mentre passavano. John poteva sentirsi diventare il centro dell'attenzione e lo odiava. Poteva udire le persone borbottare tra loro sulla fluidità del movimento e sull'equilibrio, sulla coordinazione e sui tempi di reazione.

Appiattì le orecchie al cranio e li fissò, sperando che capissero il messaggio.

"Non badare a loro, John," mormorò Sherlock. "Faremo una bella chiacchierata con Mycroft e il maggiore Barrymore e fino ad allora potranno lamentarsi quanto vogliono. A patto che riescano a riportarti nel tuo corpo, tutto questo ne varrà la pena."

John sospirò, ma cedette: Sherlock aveva ragione.

Lyons li condusse lungo un altro paio di corridoi, dentro un altro ascensore, in su di almeno due livelli e poi in una piccola sala conferenze.

La gerarchia divenne chiara nel momento in cui entrarono e trovarono Mycroft seduto al tavolo e il maggiore Barrymore in piedi sull'attenti con l'espressione di un uomo che non è molto felice, ma sa che è meglio non dirlo. John poteva sentire l'odore della paura che s’irradiava da lui. Era un segno di quanto potesse essere terrificante Mycroft Holmes, il fatto che Barrymore si rilassasse un po’ alla vista di Sherlock.

John poteva empatizzare. C'erano pochissime circostanze in cui stare da solo in una stanza con Mycroft era l'alternativa preferibile a... letteralmente qualsiasi altra cosa.

"Ah, Sherlock, John. Che bello da parte vostra unirvi a noi,” disse Mycroft, facendolo in qualche modo suonare come se l’avessero fatto aspettare di proposito.

"Non possiamo arrivare tutti in elicottero," rispose Sherlock. "E sono sicuro che uno dei tuoi tirapiedi abbia monitorato i progressi della nostra macchina. O l'hai fatto davvero tu da solo?"

Mycroft fece un sorriso arrogante. "Non ho proprio il tempo di tenere traccia di ogni tua mossa, fratello mio. Non farei mai nient’altro."

"Eppure ci provi."

John abbaiò prima che potessero davvero iniziare. Se avesse aspettato fino a quando i fratelli Holmes avessero finito di litigare, sarebbero morti tutti di fame.

"Sì, certo. Le mie scuse, John,” disse Mycroft, abbassando lo sguardo su di lui. "Come te la passi?"

John sbuffò, uggiolò e agitò la coda.

"Abbastanza bene, ma preferirebbe essere di nuovo nel proprio corpo," tradusse Sherlock. "Naturalmente."

"È comprensibile. Vedo che mio fratello si è preso cura di te. C'è erba nella tua pelliccia?"

"John pensava che sarebbe stata una buona idea rotolarsi sul prato del parco proprio quando hai chiamato,” disse Sherlock. "Ha fatto il bagno due giorni e mezzo fa."

Mycroft arricciò le labbra, chiaramente turbato dall’idea che qualcuno facesse qualcosa di così deplorevole come rotolarsi sull'erba soffice e divertirsi. "Molto bene. Cercheremo sicuramente di risolvere tutto il prima possibile. Il team ha fatto dei progressi promettenti e ha sperimentato su cellule isolate con ottimi risultati.”

"Quanto è sicuro il processo?” chiese Sherlock. "John è un cane, non una cavia. Non lo farò trattare come tale."

"Non temere, fratello. I miei scienziati mi assicurano che gli esperimenti erano prove sufficienti per sentirsi sicuri delle loro azioni. Riporteranno John nel suo corpo con il minimo di sforzo. Considerando la velocità della sua precedente trasformazione, non dovrebbe nemmeno volerci tutto quel tempo."

"Be’, se falliscono in un modo drammatico e potenzialmente dannoso, li farò soffrire in modi che nemmeno le loro menti perverse avrebbero mai potuto immaginare,” disse Sherlock con calma.

Le labbra di Mycroft si curvarono. "Di fronte a motivazioni come questa, sono certo che troveranno un modo per avere successo.”

John avrebbe voluto avere almeno metà di tutta quella sicurezza.


*****


Sherlock era in piedi con le braccia incrociate, tenendo d'occhio gli scienziati che stavano misurando e pesando John e chiaramente avendo difficoltà ad adattare le loro menti al concetto di un cane che poteva capire alla perfezione ogni loro parola.

"Non devi usare i comandi da cane," scattò Sherlock per la decima volta. "Chiediglielo con gentilezza, per l'amor del cielo."

Il giovane alzò lo sguardo su di lui, poi di nuovo su John, che era seduto su un tavolo al centro del laboratorio con un'espressione estremamente paziente sul muso.

"Le mie scuse. Saresti così gentile da sollevare la zampa anteriore sinistra?"

John lo fece e il giovane esaminò attentamente le dita dei piedi e gli artigli. "Sono stati tagliati di recente?"

"Due giorni fa," fornì Sherlock. "Ho tagliato circa un centimetro. Infatti..." Infilò la mano nella tasca della giacca e tirò fuori un sacchetto delle prove, "... ho i ritagli qui."

John avrebbe voluto fingere di essere sorpreso da questo ulteriore motivo per conservare i suoi ritagli di artigli. Così com'era, lanciò semplicemente a Sherlock uno sguardo esasperato.

"Non preoccuparti," gli disse Sherlock. "Ho anche raccolto alcuni campioni di pelliccia."

John alzò gli occhi al cielo.

Ci furono altre misurazioni e un esame dei denti, che John trovò fastidioso e piuttosto inutile. Perché avrebbero voluto guardargli i denti quando era improbabile che li avesse per molto più tempo?

Era tutto molto strano e aveva la sensazione che metà di questi esami venissero fatti semplicemente per rassicurarlo. Se questo era davvero l'obiettivo, fallirono miseramente.

Sopportò tutto quell’essere rivoltato come un calzino, anche se appiattì le orecchie e ringhiò quando tirarono fuori gli aghi.

"Scusa, John, ma temo che dovrai lasciare che prelevino un po’ di sangue," mormorò Sherlock. "Vogliamo che controllino se la loro procedura funzionerà su tutto il tuo corpo provandola prima su alcune delle tue cellule.”

John sospirò e cedette, privatamente soddisfatto di notare che il giovane scienziato che prelevava il sangue stava facendo molta attenzione con l'ago e cercava anche di stare fuori dalla portata immediata dei suoi denti. Era stranamente lusinghiero essere considerato pericoloso: essere un cane rossiccio di taglia media dalle orecchie flosce che veniva chiamato ‘adorabile’ e ‘carino’ ad ogni occasione da tutti quelli che lo vedevano era stato abbastanza piacevole, ma a volte un ragazzo voleva solo essere considerato una minaccia, perfino quando era un cane.

"Vorrei che mi avessero trasformato in qualcosa di veramente minaccioso," pensò John. "Una tigre sarebbe stata carina."

Ma d’altra parte, un cane era un animale facile per cui trovare una storia di copertura. Spiegare una tigre nel loro salotto avrebbe potuto richiedere un po' più di sospensione dell'incredulità da parte degli Yarder

Troppo presto, tutti gli esami furono completati e tutti i campioni raccolti e inviati nella stanza accanto per ulteriori test.

E poi, molto più in fretta di quanto John, con la sua visione personale del lento ritmo dei test medici per il SSN, si sarebbe aspettato, la scienziata principale tornò con un'espressione soddisfatta e spiacevolmente bramosa sul viso. "Tutti i test sono stati completati con nostra soddisfazione. Ora siamo pronti per la procedura."

‘Voi potete essere pronti,’ pensò John. 'Ma io non lo sono.'

Ma naturalmente quello non aveva importanza.


*****


Sherlock gli rimase vicino mentre lo conducevano in una camera sterile appositamente costruita. A quanto pareva, questa volta avrebbero rinunciato all’intera faccenda dello ’inciampare su un tavolo e schiantarsi sul pavimento con una collezione di provette e costose apparecchiature mediche.’

John respirò il profumo rassicurante di Sherlock e si concentrò sul suo battito cardiaco che era a malapena elevato: chiaramente Sherlock si stava costringendo a rimanere il più calmo possibile, sapendo benissimo che John sarebbe stato in grado di sentire e annusare all’istante qualsiasi segno di disagio proveniente da lui.

Doveva ammirare il suo amico per il ferreo controllo sulle proprie emozioni, anche se non credeva più che fosse in alcun modo dovuto al fatto che Sherlock non ne avesse. No, se gli eventi recenti gli avevano insegnato qualcosa, era che Sherlock stava sovracompensando troppe emozioni piuttosto che una loro mancanza.

Seguì un elenco noioso e lungo di istruzioni, che iniziavano tutte con ‘Non’ e si riducevano a ‘Resta proprio qui e non muoverti.’

John sbadigliò per dimostrare la sua opinione su questo, ma tutto quel clamore cominciava a renderlo nervoso. Poteva sentire lo stomaco contrarsi per il disagio perfino mentre gli scienziati si lamentavano della loro incapacità di collegarlo a qualsiasi dispositivo che misurasse i suoi segni vitali per paura di interrompere il processo del cambiamento.

Ascoltò a malapena la loro spiegazione di ciò che intendevano fare, troppo concentrato sul tentativo di mantenere a livelli normali la respirazione e la frequenza cardiaca.

Sherlock si accovacciò di fronte a lui e gli arruffò la pelliccia un'ultima volta. "Ci vediamo tra un paio di minuti, John. Se aiuta, sei stato un ottimo cane."

John voleva dirgli che lui era stato un ottimo padrone, ma gli mancavano le parole, quindi invece leccò le mani di Sherlock e gli premette il naso contro la gola, respirando una dose piena del suo profumo un'ultima volta. La consapevolezza che non sarebbe più stato in grado di sentire questo profumo e di udire questo cuore dall'altra parte dell'appartamento lo colpì come un pugno allo stomaco.

Anche Sherlock sembrava avere qualche difficoltà a staccarsi da lui, e rimasero così per un momento, una grande mano che prendeva a coppa la nuca di John e lo teneva stretto.

"Se avete finito,” disse Mycroft dalla soglia.

Entrambi si voltarono per guardarlo male, ma Sherlock lasciò andare John, si alzò e fece un passo indietro. "Benissimo. Ci vediamo tra poco, John. Che ne dici di cenare da Angelo sulla via del ritorno per festeggiare?"

John abbaiò in accordo. Cibo come si deve! Avrebbe pregustato con impazienza una buona carbonara fino a quando l'intera ridicola procedura non fosse stata completata.

I due fratelli Holmes indugiarono sulla porta, osservando con occhi da falco lo scienziato che aveva supervisionato la maggior parte dei test iniettare con attenzione la cura nella zampa anteriore di John, esattamente nello stesso punto in cui si era ferito nell'incidente che lo aveva trasformato.

John guardò dubbioso l'ago, ma decise di provare a rimanere ottimista. L'ultima volta era stato un processo molto veloce.

Lo scienziato uscì dalla stanza e chiuse la porta, sigillando John nella camera da solo.

Lui si sedette e aspettò, dolorosamente consapevole che Sherlock era in piedi dall'altra parte, incapace di interferire o persino di vedere cosa stava succedendo.

John aspettò.

E aspettò.

E poi, da un secondo all'altro, tutto divenne nero.


*****


Sherlock pensava di non essersi sentito così impotente nemmeno quando aveva girato il tavolo del laboratorio per scoprire che John era stato trasformato in un cane. Diavolo, non si era sentito così impotente nemmeno quando aveva trovato John alla piscina, legato a una bomba e alla mercé di Moriarty, tra tutte le persone. Almeno allora aveva avuto una pistola ed era stato in grado di fare qualcosa.

Adesso non c'era niente che potesse fare, nient'altro che restare lì ad aspettare, fissando una porta troppo bianca e sperando con fervore che John ne uscisse bene.

"Quanto tempo ci dovrebbe volere?” chiese.

Gli scienziati assortiti in giro gli prestarono a malapena attenzione, borbottando tra loro e scrivendo calcoli e appunti sui loro block-notes, secondo Sherlock un po’ in ritardo.

"Sono sicuro che starà bene,” disse Mycroft, rispondendo alla domanda che Sherlock non aveva osato fare. La sua voce era calma, ma Sherlock poteva vedere il bianco delle nocche del fratello dove le sue mani erano avvolte intorno al manico dell’ombrello.

Mycroft aveva capito quanto dipendeva da questo? Si era reso conto che, per qualche strana ragione che non desiderava esaminare, l'intero essere di Sherlock era connesso e vincolato alla persona dietro quella porta? Aveva compreso che Sherlock non aveva intenzione di tornare alla vita precedente se fosse successo qualcosa a John?

Sperava di no. Mycroft avrebbe potuto tentare di fermarlo. D'altronde, se Mycroft l'avesse saputo avrebbe chiarito al gruppo di Baskerville che il fallimento non era un'opzione.

Sherlock sperò che gli scienziati avessero recepito il messaggio.

Si rese conto che i suoi palmi erano sudati. Peggio ancora, le mani gli tremavano. Poteva ancora sentire l'eco sensoriale della ruvida ma morbida pelliccia di John, poteva sentire il suo respiro caldo sul collo e la pressione fredda e umida del suo naso sulla pelle. Il pensiero di perdere il suo cane era doloroso. Il pensiero di perdere John era insopportabile.

Era in preda al panico, non c'era altra spiegazione per questo, non c’era modo di girarci attorno. Il suo respiro stava arrivando troppo in fretta e il suo battito cardiaco era alle stelle e nelle sue vene c'era abbastanza adrenalina per mantenere un intero plotone vigile e pronto a combattere.

Ci fu un fruscio di vestiti e un attimo dopo Mycroft gli posò una mano sull'avambraccio e diede una leggera stretta. Era un'espressione di preoccupazione fraterna quasi senza precedenti. Proveniendo da Mycroft, era equivalente a un abbraccio schiacciaossa completo.

Sherlock fissò la mano sul proprio braccio come se fosse una strana nuova specie che aveva appena scoperto, cercò di concentrarsi abbastanza da leggere tutta la giornata di Mycroft nelle unghie perfettamente curate e dita leggermente divaricate, e non riuscì a concentrarsi su nient'altro che il crescente terrore nel proprio petto e sulla calda pressione sul braccio che era l'unica cosa che lo teneva fermo.

"Starà bene," ripeté Mycroft.

Sherlock esalò un respiro strozzato, non sicuro se avrebbe dovuto essere una risata o no.

Non si era nemmeno reso conto di quanto fosse stato terrorizzato da quel momento fino a quando non era arrivato.

Sherlock aprì la bocca per dire... qualcosa, ma non riuscì a trovare le parole.

Per fortuna non ce ne fu bisogno, perché un attimo dopo l'aria sibilò quando la chiusura pressurizzata fu sbloccata e poi la porta si aprì e la presa di Mycroft sul suo braccio si trasformò in acciaio.

"Lascia che controllino,” disse piano. "John non vorrà che tu lo veda debole e nudo sul pavimento. Lascia che vedano se è cosciente e gli diano qualcosa da indossare."

Aveva ragione, certo che l’aveva, ma Sherlock si sentì vicino a vibrare fuori dalla presa di suo fratello e precipitarsi in quella stanza.

Lì in piedi, negli interminabili secondi di incertezza, di non sapere, Sherlock si permise di ammettere il motivo della propria paura, la risposta alla domanda sul perché perfino respirare senza John sembrava assurdo, perché avrebbe preferito avere John il cane piuttosto che nessun John del tutto. Almeno qui, nella privacy della propria mente, era libero di ammettere la verità.

Tutta l'aria gli sfuggì di colpo dai polmoni e poté sentirsi barcollare lì dove si trovava.

Quando gli scienziati iniziarono a urlare per l'eccitazione e a precipitarsi in giro tutt’attorno, ne fu solo lontanamente consapevole.

Dopo un interminabile minuto, lo scienziato capo si avvicinò a loro.

"Signor Holmes, signore?"

"Rapporto," ordinò Mycroft.

"La trasformazione è completa, signore. Il soggetto è vivo e risponde agli stimoli. Stiamo aspettando che riprenda piena coscienza e poi gli daremo qualcosa da indossare prima di eseguire altri test per assicurarci che tutto funzioni come dovrebbe."

Sherlock poté di nuovo respirare.

 

 




NdT: Inaspettatamente doloroso salutare Johnny Dog, vero? Eppure avevamo desiderato tanto il ritorno del John umano... Però non c'è niente come la paura per tirare fuori le vere emozioni, c'est ne pas, Sherlock? 😉

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Capitolo 20
*** 20 ***


Capitolo venti

Sherlock aspettò esattamente il tempo necessario perché John fosse abbastanza sveglio da tirarsi su i pantaloni e un camice da laboratorio che qualcuno gli aveva passato prima d’irrompere nella stanza.

"John!"

Ed eccolo lì, seduto per terra, con un'aria stanca e un po’ stordita, ma in pieno possesso di tutte le sue membra nella forma e proporzione corrette.

"Sto bene," mormorò. Le parole suonavano pesanti nella sua bocca, come se fosse ubriaco. “La testa mi fa male da morire, però."

"Probabilmente l’ha sbattuta sul pavimento quando è iniziata la trasformazione,” disse qualcuno ma Sherlock non prestò abbastanza attenzione per capire chi stesse parlando. Mantenne tutta la propria concentrazione su John, mappando i lineamenti familiari del suo viso e cercando eventuali incongruenze.

"Be’?” chiese John, con un angolo della bocca che si alzava in un vago sorriso. "Ho l’aspetto che dovrei avere?"

La voce suonò roca, come se avesse sofferto di un terribile raffreddore. Le sue corde vocali erano chiaramente ancora in fase di adattamento.

"Non sono sicuro dei capelli rossi,” disse Sherlock, con aria impassibile.

Gli occhi di John si spalancarono e la sua mano volò alla testa. "Che cosa?!"

Sherlock scoppiò a ridere, sentendosi quasi isterico per il sollievo. "Va bene. Sembri proprio come prima della trasformazione. Incredibile."

Ora che John era fuori pericolo e tornato nel suo corpo corretto, Sherlock avvertì i primi stimoli di curiosità per il processo.

"Hm, ho ancora le mie cicatrici,” disse John e si schiarì la gola diverse volte finché qualcuno non colse il punto e gli porse un bicchier d'acqua. "Grazie." Bevve qualche sorso e quando parlò di nuovo, la sua voce suonò molto migliorata. "Non pensavo di riaverle indietro, in realtà. In effetti avrei potuto farne a meno."

Sherlock sbuffò. "Ci scommetto. Sono tue, però, e te le sei guadagnate, ciascuna di loro. Non sarebbe né giusto né un favore portartele via."

"Se lo dici tu," borbottò John. "Tuttavia, un uomo può essere vanitoso di tanto in tanto. E levami quella cosa dall'orecchio," scattò rivolto a uno scienziato troppo ansioso che aveva usato la sua distrazione per cercare di misurargli la temperatura. "Solo perché non sono più un cane non significa che io non morda.”

Sherlock sorrise e lasciò che il sollievo gli scorresse attraverso. John stava bene.

Un attimo dopo, entrò Mycroft.

"Ah, John. È bello vederti di nuovo nel tuo corpo giusto. Immagino che la procedura sia andata bene?"

"Meglio di quanto mi aspettassi,” gli disse John. "Grazie per aver reso questa faccenda una priorità."

"Considerala la correzione di un terribile errore,” disse Mycroft. "E naturalmente sarai del tutto risarcito per il disturbo."

Accantonò con un cenno tutte le proteste e continuò semplicemente a parlare. "Ora, so che Sherlock ti ha preparato dei vestiti, ma temo che dovrai aspettare fino a quando non sarai tornato al tuo alloggio temporaneo o almeno fuori in macchina prima di poterli indossare."

"Che cosa?"

"Ti aspetti che indossi questo, invece?” chiese John, pizzicando il bordo del camice da laboratorio che indossava avvolto intorno a sé come una vestaglia molto insolita.

"Naturalmente no." Mycroft agitò una mano e un assistente si fece avanti, portando un fascio di abiti piegati con cura. "Questi sono per te."

Fissarono tutti il fagotto in silenzio per un paio di secondi, pensando ciascuno la stessa cosa.

"Perché?” chiese Sherlock con voce un po’ sforzata.

"Cerca di usare il cervello, Sherlock," sospirò Mycroft. "Le guardie fuori hanno assistito all'ingresso di un civile e un cane nella struttura. Si aspetteranno quindi che un civile se ne vada. Uno, non due. Pertanto, il civile, cioè tu, sarà invece accompagnato da un soldato."

Sherlock poteva quasi sentire il sangue che gli scorreva fuori di botto dal cervello alla sola idea.


*****


La testa di John fischiava, si sentiva mezzo sordo e aveva un po’ di nausea, ma non importava perché tutto quello che riusciva a pensare era che dopo giorni in cui aveva desiderato riavere il proprio corpo, ora si trovava a desiderare di essere di nuovo un cane, o almeno di avere il senso olfattivo di un cane.

L’espressione sul viso di Sherlock alla vista dell'uniforme fu superata solo dall’espressione sul suo viso quando divenne chiaro che John avrebbe dovuto indossarla.

A John non importava molto, ma poteva quasi vedere Sherlock che lottava per rimanere composto.

'Mi chiedo che odore ha adesso,' pensò John e si sorprese ad inspirare profondamente attraverso il naso. Niente. Era come essere diventato cieco, essere privato di colpo di uno dei due sensi su cui aveva fatto affidamento persino più che sulla sua vista vera e propria. Non si era nemmeno reso conto di farlo mentre era un cane, ma ora diventava evidente che aveva sì visto le cose con gli occhi, ma aveva fatto molto più conto sul vederle col naso. Anche il suo udito era ritornato ai livelli umani, e lui si sentiva come si sentivano ogni tanto le persone dopo essere scese da un aereo, con le orecchie stranamente ostruite dopo l'atterraggio per il cambiamento di pressione dell'aria che comportava. Pensò che adesso avrebbe anche potuto essere sordo.

Si rese conto che Mycroft stava attendendo con aria d’aspettativa. "Va bene,” esclamò, perché non c'era nient'altro che potesse dire. "Ma mi cambierò non appena saremo tornati alla locanda. Non sono più un militare da quasi due anni."

Non sembrava che fosse passato tutto questo tempo dal suo congedo, ma allo stesso tempo non poteva credere che non fosse stato in una vita del tutto diversa.

John si alzò finalmente da terra, incespicando un po’ e cercando istintivamente di usare tutti e quattro gli arti prima di ricordare che gli umani erano bipedi. Ci sarebbe voluto un po’ per abituarsi, di nuovo. Almeno non aveva dimenticato come parlare.

Accettò il fagotto di vestiti dell'assistente senza nome di Mycroft, questa volta non Anthea, e si rese conto che Sherlock stava evitando con molta attenzione il suo sguardo. Era appoggiato a un tavolo da laboratorio a diversi metri di distanza, parlando con la scienziata capo e apparentemente interrogandola sul processo utilizzato per riportarlo alla sua forma attuale. Da parte sua, John non era affatto interessato a questo. Rabbrividì al pensiero di quello che aveva passato il suo corpo.

"Non si cambi ancora,” disse uno degli scienziati. John pensava che potesse essere lo stesso che l'aveva esaminato in precedenza, ma senza il suo naso per confermarlo aveva problemi ad esserne certo. Ancora un altro caso in cui aveva prestato più attenzione al suo senso olfattivo che ai suoi veri occhi, anche se all'epoca lo aveva pensato come ‘vedere’. Si sentiva piuttosto come se avesse sorpreso il proprio cervello a mentirgli.

"Fammi indovinare... altri test?"

Il giovane si strinse nelle spalle con l’aria di scusarsi. "Avremo bisogno di controllare la sua pressione sanguigna e la frequenza cardiaca, fare un test della capacità polmonare e forse farle un ecocardiogramma, controllare i suoi riflessi..."

Si interruppe quando vide lo sguardo che gli stava rivolgendo John.

"Bene, in quanto persona che abita questo corpo, posso dirti che la mia frequenza cardiaca e pressione sanguigna vanno proprio bene, ma è improbabile che rimangano così se farai uno di quei test. E se ti avvicini a me con un ago, vedrai quanto sono davvero buoni i miei riflessi."

Nella stanza si diffuse un silenzio imbarazzato quando varie persone all’improvviso trovarono prudente nascondere le mani nelle tasche dei loro camici da laboratorio.

John vide Sherlock sogghignare come un gatto che avesse scoperto come usare un apriscatole. Almeno uno di loro si stava divertendo.

Ci fu una breve pausa prima che Mycroft si schiarisse la voce e parlasse. "John, le tue condizioni non sono del tutto testate, puoi certo capire che noi..."

"No," lo interruppe John. "Sherlock non ha permesso che venissero eseguiti test su di me quando questo gruppo mi ha trasformato in un cane - grazie per questo, a proposito - e sono sopravvissuto alla grande, quindi non vedo perché dovrei lasciarglieli fare adesso. Sono anch'io un medico qualificato, se noto qualcosa che non va chiederò a Sherlock di portarmi in ospedale, ma non diventerò uno dei vostri topi da laboratorio."

Fece un respiro profondo. "Ora levatevi tutti quanti dalle palle, voglio vestirmi senza che la gente mi guardi a bocca aperta."

Uscirono tutti in fila, brontolando e mugugnando e lanciandosi alle spalle sguardi delusi. Mycroft sembrava leggermente scoraggiato, forse perché raramente le persone gli dicevano di ‘levarsi dalle palle’ con quelle precise parole. Be’, altre persone oltre a Sherlock.

Lo stesso detective indugiò, rivolgendo a John un’occhiata cautamente interrogativa.

"Sto bene,” gli assicurò lui. "Usciamo di qui e puoi farmi tutte le domande che vuoi."

Sherlock annuì e un angolo della sua bocca si sollevò. "Potresti pentirti di averlo detto."

"Sopravviverò."

Un rapido cenno del capo e poi John fu benedettamente solo.

Fletté le mani e fece alcuni esercizi con le dita per ricordare al suo cervello come funzionavano le mani, sperando che ciò avrebbe migliorato le sue capacità motorie. Solo quando si sentì meno come se avesse le zampe si scrollò di dosso il camice da laboratorio e iniziò a indossare la mimetica.

Tirare su i vestiti fu abbastanza facile, si trattava solo di infilare gli arti nei buchi, ma per tirar su la cerniera dei pantaloni e i bottoni sia dei pantaloni che della camicia richiesero un po’ di tempo e molte imprecazioni, ma alla fine ce la fece.

Non si prese nemmeno la briga con i lacci degli anfibi e li tirò semplicemente stretti e infilò nei gambali dopo averli indossati. Sarebbero andati bene per la passeggiata fino alla macchina.

Era una strana sensazione, indossare di nuovo l'uniforme. Sorrise quando vi notò sopra le spalline del capitano. Almeno Mycroft era troppo furbo per dargli qualcosa di diverso dal suo rango corretto. I capitani non venivano interrogati. I capitani andavano dove volevano e i soldati comuni li salutavano ed erano contenti di vederli passare senza fermarsi a dare loro ordini o fare un'ispezione in loco.

John si prese un momento per lisciare l’ uniforme, per niente sorpreso che gli calzasse alla perfezione, poi spalancò la porta e tornò nel laboratorio.

"È ora di andare,” disse e guardò Sherlock che si voltava automaticamente, gli dava una singola occhiata e riusciva a fare un'imitazione molto credibile di una statua. Un attimo dopo il suo sguardo scivolò via da lui e si fermò da qualche parte appena oltre il suo orecchio sinistro. John si chiese se Mycroft lo avesse messo in mimetica per fargli un dispetto.

Sherlock si voltò senza una parola per fargli strada fuori dal laboratorio, ma John lo prese per un braccio, facendolo bloccare sul posto. "Probabilmente dovrei camminare io davanti, visto che tu sei il civile qui,” disse.

Sherlock annuì. "Certo, John."

John fu divertito nel notare che il suo amico dovette schiarirsi la gola prima che le parole uscissero giuste.

Lui e Mycroft si tirarono da parte e lasciarono che John andasse per primo.

C'era una strana tensione tra loro mentre tornavano all'ascensore e salivano al piano terra. Mycroft li fece passare con la sua carta d’accesso ed emersero in un altro corridoio prima arrivare finalmente all’esterno. John si sentiva un po’ incerto sui piedi, ma indossava mimetica e stivali dell'esercito e fu facile ritrovarsi nel ritmo della marcia come un soldato.

L'auto con cui erano arrivati ​​li stava già aspettando e l'autista si affrettò ad aprire la portiera, permettendo a tutti di ammucchiarsi sull'ampio sedile posteriore. L'assistente senza nome di Mycroft salì sul sedile del passeggero, già digitando sul telefono. John si chiese se fosse imparentata con Anthea o se la dipendenza dal telefono fosse un requisito del lavoro.

Avevano appena chiuso le portiere quando la macchina iniziò a muoversi e dopo solo un paio di minuti furono oltre i cancelli.

John tirò un sospiro di sollievo. Di certo non gli dispiaceva lasciare quel posto. Se fosse stato fortunato, non ci sarebbe dovuto tornare mai più.

"Dritto alla locanda, per favore,” disse Mycroft all'autista.

"Sì, signore."

Mycroft premette un pulsante e il vetro di separazione si chiuse, dando a loro tre un po’ di privacy.

"Sei sicuro di star bene, John?” indagò Mycroft.

"L'ho già detto, no?" chiese John. "Non dirò di no a qualche blando antidolorifico per la testa e mi sento mezzo sordo e cieco ora che il mio udito e l'olfatto sono tornati agli standard umani. Tutto quello che voglio è un po’ di pace e tranquillità, un bagno bollente e un buon pasto.”

"E li avrai tutti e tre," promise Mycroft. "E il cambio di vestiti che hai richiesto. Sherlock, sei insolitamente taciturno."

Sherlock stava fissando il paesaggio spettacolare fuori dal finestrino e non sembrò prestargli attenzione.

"Credo che mi stia già fornendo la pace e la tranquillità che volevo,” disse con enfasi John.

Mycroft rimase in silenzio per il resto del viaggio e John si appoggiò allo schienale del sedile, chiudendo gli occhi e cercando di concentrarsi sulla sensazione di essere nel proprio corpo.


*****


Raggiunsero la locanda solo un paio di minuti dopo e John si raddrizzò goffamente sul sedile dell'auto e scese.

Aveva supposto che i locandieri non sarebbero stati lieti di vederli dopo che così di recente Sherlock si era trascinato dietro Lestrade per indagare su un cane, ma li salutarono in modo abbastanza cordiale.

"Una stanza per la notte?” chiese Garry, già cercando una chiave.

"No, grazie, dobbiamo essere di ritorno a Londra entro stasera. John richiede una stanza per cambiarsi e forse fare un bagno,” disse Sherlock, riuscendo a indicare John senza guardarlo direttamente.

Due paia d’occhi si voltarono verso di lui e ne registrarono l'aspetto con non poca sorpresa. "Non sapevo che fosse con quel gruppo di Baskerville,” disse Garry.

"Non lo sono,” disse loro John, scrollando le spalle. "Le circostanze mi hanno richiesto di rispolverare la mia vecchia mimetica. Ora, che ne dice di quel bagno? Non dirò di no neanche a un buon pasto."

"Sì, prenda questa e si prenda il ​​suo tempo. Avremo qualcosa da mangiare pronto per lei quando scenderà."

John accettò la chiave dal locandiere e la sua sacca di vestiti da Sherlock e marciò su per le scale.

Quando sprofondò nel bagno caldo, diversi minuti dopo, gli sembrò di rinascere. La sua testa aveva smesso di pulsare così tanto e anche la vertigine di essere troppo in alto stava svanendo. Si sdraiò e scivolò fino a quando anche il suo viso fu coperto d'acqua e per la prima volta la mancanza di suono sembrò normale piuttosto che preoccupante.

Tornò su per prendere aria e dopo un po’ di ammollo iniziò a lavarsi per bene.

Quando uscì dalla vasca, si sentiva di nuovo molto più umano.

Si vestì con i propri abiti, avendo meno problemi con i bottoni e stavolta allacciandosi anche i lacci delle scarpe, e si guardò nello specchio sopra il lavandino.

Occhi azzurri, capelli biondi brizzolati, un po’ di ricrescita di barba che per ora poteva essere lasciata com'era - non si fidava ancora di usare da solo un rasoio - ma di certo la sua faccia.

Incontrando il proprio sguardo nello specchio, John ammise in silenzio a se stesso che non aveva creduto che avrebbe mai più rivisto il proprio viso.

Prese diversi respiri profondi, raccolse il resto delle sue cose e ripiegò con cura la mimetica prima di portare tutto giù per le scale. Consegnò l'uniforme dismessa all'assistente di Mycroft e presto si ritrovò seduto nella sala da pranzo di fronte a uno Sherlock d’improvviso loquace, a spalarsi cibo caldo in bocca come se fosse pura ambrosia. Fu uno dei pochi pasti vegetariani che John avesse mai gustato con tutto il cuore.

Si concentrò sul cibo mentre Sherlock parlava, e non faceva altro che parlare del processo preciso della trasformazione con una luce negli occhi che sembrava familiare in modo inquietante.

"Non pensare nemmeno di provare a replicare niente di tutto questo," gli disse John attraverso un boccone di broccoli. "Non voglio mai più sentire niente su Baskerville e sui loro esperimenti."

Sherlock sbuffò. "Ma immagina il divertimento che potremmo avere!"

"Penso di avere già avuto abbastanza divertimento da durare tutta la vita,” disse John con calma.

La faccia di Sherlock crollò. "Va bene. Ma voglio che sia messo agli atti che sei un guastafeste, John."

"E se tenessimo un registro, sarei felice di scriverlo,” disse John, raschiando gli ultimi bocconi dal piatto con la forchetta. "Ecco fatto. Possiamo andare a casa, per favore, adesso?"

Sherlock balzò in piedi come se stesse solo aspettando che John glielo chiedesse. "Naturalmente."

Uscirono nel sole pomeridiano, lasciando Mycroft, o meglio, la sua assistente, a occuparsi del conto.

"Non andrò in macchina con mio fratello per tre ore," annunciò Sherlock mentre si dirigevano verso il parcheggio.

"Sai, non credo che sarai costretto a farlo,” disse John, indicando un campo vicino dove si trovava un elicottero, che sembrava del tutto fuori posto.

"Oh, bene." Sherlock aprì la portiera dell’auto prima che il loro autista potesse arrivarci. "Torniamo a Baker Street, per favore."

"Sì, signore."

John sorrise, divertito dall’idea che qualcuno chiamasse Sherlock ‘signore,’ e salì sul sedile posteriore, scivolando più in là per fare spazio all’amico.

Chiuse la portiera dietro di sé e con il divisorio di vetro tra loro e l'autista alzato, furono finalmente soli.

Nessuno dei due parlò, ma la tensione tra loro avrebbe potuto essere tagliata con un coltello.

Alla fine, quando ebbero lasciato Grumpton ben dietro di loro, John si schiarì la gola.

"Sherlock?”

"Mmh?" Il detective voltò la testa dal finestrino per fronteggiare John, guardandolo... con aspettativa?

"Grazie,” disse lui. "Per... be’, davvero per tutto. Per esserti preso cura di me."

Sherlock si strinse nelle spalle. "Avresti fatto la stessa cosa per me."

"Non... non... sapevo la minima cosa sui cani. Non avrei fatto un buon lavoro come te."

"Avresti fatto del tuo meglio e avresti comunque eccelso," insistette Sherlock. "Hai un talento naturale nell’accudire, John, e di certo sai come farmi da mamma. Anche da cane sei comunque riuscito a farmi mangiare e dormire a intervalli regolari."

"Così ho fatto,” ammise John. "E continuerò, ora che ti ho finalmente abituato a un programma normale."

Sherlock sbuffò. "Dubito fortemente che ci riuscirai, visto che non mi è più richiesto di alzarmi e darti da mangiare o portarti a fare una passeggiata."

La sua espressione divenne un po’ malinconica. John si chiese se avesse intenzionalmente omesso dalla lista la loro sistemazione per dormire.

"Potremmo andare lo stesso a fare delle passeggiate,” fece notare John. "Regent's Park è esattamente dove l'avevamo lasciato e se ce ne annoiamo possiamo correre dietro ai criminali, invece."

"Avresti comunque difficoltà a impedirmi di farlo,” disse Sherlock.

"Pessima notizia per le classi criminali."

Ridacchiarono un po’ e poi ricaddero nel silenzio teso. Sherlock si voltò di nuovo a guardare fuori dal finestrino e John distolse lo sguardo dal profilo del suo amico e tirò fuori il cellulare. Naturalmente era del tutto carico e pronto per l'uso. I fratelli Holmes non lasciavano mai nulla al caso.

Aprì la cronologia dei messaggi con Sherlock e fece scorrere le ultime due settimane, controllando in fretta le ‘conversazioni’ che avevano avuto. Prima o poi avrebbe dovuto leggerle tutte per vedere di cos’avevano parlato i tirapiedi di Sherlock e Mycroft che fingevano di essere lui, ma per ora voleva semplicemente controllare che fossero lì.

Aveva un messaggio da Harry, di appena due giorni prima, e dal momento che John di solito se la prendeva comoda a rispondere, sempre se una risposta era necessaria, non sarebbe stata insospettita dal silenzio da parte sua. Harry sapeva che John a volte non rispondeva per secoli se lui e Sherlock erano nel bel mezzo di un caso o se il suo telefono era stato ancora una volta distrutto o gli era stato tolto con la forza da qualunque criminale avesse avuto la meglio su di lui. A volte capitava e Mycroft di solito forniva alla svelta un sostituto, che poi passava attraverso il doloroso processo di Sherlock che lo smontava al microscopio per rimuovere tutte le cimici prima che John si sentisse a suo agio nell'usarlo.

John aprì il messaggio di sua sorella con una certa trepidazione, ma fu sollevato di scoprire che era solo un'immagine divertente che aveva trovato online e che pensava che lui avrebbe potuto apprezzare. Spedì una faccina ridente come risposta e mise via il telefono.
 
Il silenzio si trascinò per tutta la strada fino a Londra. Era come se, nei giorni in cui non erano stati in grado di farlo, lui e Sherlock avessero dimenticato come parlarsi.

 

 




NdT: Chi se lo sentiva che questi due zucconi non sarebbero più riusciti a comunicare da umani? Forza, alzate le mani... Tutte, ok 🤣

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Capitolo 21
*** 21 ***


Capitolo ventuno

Raggiunsero Baker Street in prima serata e l'unica volta che Sherlock aveva parlato era stato poco prima del loro arrivo, quando aveva chiamato Angelo per ordinare il loro solito.

Il cibo arrivò mentre stavano aprendo la porta e il trambusto generale avvisò la signora Hudson del loro ritorno.

"Sherlock, John! Oh, è così bello vederti!" La donna venne avanti e lo abbracciò come se non lo vedesse da secoli. "Come stai? Immagino sia andato tutto bene? Povero ragazzo, devi essere completamente esausto. Vedo che avete già la cena per stasera, molto bene."

John aveva a malapena la possibilità di rispondere alle sue domande, quindi la lasciò continuare a parlare e l'abbracciò, contento di godersi la semplice sensazione essere in grado di avvolgere le braccia attorno a un altro essere umano e tenerlo stretto. Non si era reso conto di quanto gli fosse mancato. Da quando lui e Sherlock avevano superato la questione delle coccole, c'erano stati abbastanza contatti per mantenerlo del tutto appagato. Ora che era di nuovo umano, non poteva fare a meno di chiedersi cosa ne avesse fatto Sherlock di tutta la faccenda.

Si staccò dalla signora Hudson e promise di raccontarle tutto la mattina dopo, poi seguì Sherlock su per le scale.

Quando entrò in cucina, Sherlock aveva già diviso il cibo su due piatti e aveva persino fatto saltar fuori due bicchieri di vino.

"Ho pensato che ti sarebbe piaciuto festeggiare,” disse quando John gli lanciò uno sguardo interrogativo. "Finalmente la libertà."

"Buona idea,” esclamò John, sorridendo. "Dio, questo ha un profumo fantastico. Quel cibo secco e i biscotti per cani non erano schifosi per il palato di un cane, ma sarò felice di non vederli mai più."

"Sei comunque riuscito a ottenere abbastanza leccornie e mendicare dagli altri tanto del loro cibo che sono sicuro tu non sia mai stato in pericolo di morire di fame."

"Di certo non correvo il rischio di ingrassare, anche se continuavi a sostenere il contrario," ribatté John.

Si sorrisero l'un l'altro dai lati opposti del tavolo e John provò un'ondata di sollievo. Forse non avevano dimenticato come parlare, dopotutto.


*****


Sherlock sentì che si stava rilassando per la prima volta da quando erano tornati a Baskerville.

Lui e John erano tornati a casa e discutevano di semantica, chiaramente andava tutto bene.

Fece roteare il vino nel bicchiere, ne prese un piccolo sorso e lo mise da parte. Sembrava un po’ come festeggiare. Poteva ancora sentire gli ultimi piccoli fremiti di panico al solo pensiero di tutte le cose che sarebbero potute andare storte quel giorno. Anche il lungo viaggio di ritorno a Londra non era stato sufficiente per aiutarlo a calmarsi completamente, anche se non tutto ciò era dovuto alle cose che avrebbero potuto accadere a John durante il processo di ritrasformazione.

Sherlock chiuse gli occhi per un secondo, cercando di scacciare l'immagine. Non voleva pensare a quella maledetta mimetica in quel momento, o forse mai più. Almeno John non poteva più udire e fiutare ogni dettaglio della risposta del suo mezzo di trasporto.

Poteva solo sperare di essere stato sufficientemente composto e neutrale. Maledetto Mycroft e la sua scusa perfettamente ragionevole per torturarlo!

Sherlock cercò di concentrarsi di nuovo sulla sua cena prima di rompere accidentalmente qualcosa per la frustrazione.

Era strano riavere John nell'appartamento. Naturalmente c’era stato per tutto il tempo, ma era stato diverso, avere un cane lì invece di un essere umano. Anche adesso, Sherlock si ritrovava a guardare su e ad essere sorpreso dalla vista di John seduto di fronte a sé, che mangiava carbonara come se non fosse successo niente di straordinario. Dopo aver pensato per giorni che non avrebbe mai potuto abituarsi al fatto che John fosse un cane, ora Sherlock scopriva di essersi abituato molto più in fretta di quanto avrebbe potuto prevedere. E ora eccolo lì, seduto di fronte al suo migliore amico molto umano e gli mancava il ticchettio degli artigli sul legno duro e la calda presenza di un cane ai piedi.

Prima che se ne rendesse conto, il suo piatto era vuoto e John stava ammucchiando le stoviglie vicino al lavandino e facendo scorrere l'acqua calda per lavarle.

"Non darti la pena di aiutare, hai fatto tutto tu mentre io non potevo. Prenditi una pausa."

Sherlock non aveva idea di come dirgli che l'ultima cosa che voleva era prendersi una pausa.

Invece entrò in soggiorno, ma si bloccò della metà strada verso la sua poltrona quando vide la cuccia vuota con il kong accanto. Le sue spalle si abbassarono e trasse un profondo respiro leggermente tremante.

Dio, gli mancava già.

Le mani gli tremavano per il bisogno di protendersi, di toccare e accarezzare o semplicemente di appoggiarsi casualmente su una schiena pelosa. Il corpo gli doleva per il desiderio di stendersi sul divano con il peso caldo del suo cane tra le gambe e una testa pelosa sul ventre.

Folle sentimento. Non avrebbe mai dovuto lasciarlo entrare, non avrebbe mai dovuto permettere a se stesso di attaccarsi così tanto. Aveva sempre saputo, e sperato, che il cambiamento sarebbe stato temporaneo, ma ora si trovava del tutto impreparato alla dolorosa scomparsa del proprio compagno a quattro zampe. Aveva dimenticato quanto faceva male questo tipo di perdita.

Doveva essere rimasto lì per un bel po’ di tempo, immobile, a fissare il nulla dov’era stato un cane, perché all'improvviso sul suo braccio c'era la mano di John, che gli dava una stretta delicata che non era in alcun modo paragonabile allo stesso gesto proveniente da suo fratello prima quel giorno.

"È strano, no? Non pensavo che mi sarebbe mancato essere un cane, ma ora che è finita ne ho lo stesso nostalgia."

Sherlock cercò di sorridere, ma pensò che potesse non essergli venuto molto bene. "Davvero?"

"Be', non mi mancherà dover ascoltare quelli sposati della signora Turner che si davano da fare," scherzò John. "Ma non era tutto malaccio. Sicuramente mi manca il non dover pagare bollette o tasse e poter sentire l'odore delle persone che mi mentono."

"Ah. Scommetto. Ma davvero, John, stavi ascoltando i nostri vicini che avevano rapporti?"

"Non avevo molta scelta. Sentivo i treni che entravano e uscivano dalla stazione di Baker Street."

Non menzionò tutte le altre cose che aveva udito o annusato. Erano quasi riusciti a evitare la parte imbarazzante e Sherlock era grato che non l’avesse tirata fuori in quel momento.

"Ti abituerai alla pace e alla tranquillità in men che non si dica," promise Sherlock.

John sbuffò una risata. "Cosa, vivendo con te? Non credo. Non c'è mai stata pace e tranquillità in questo appartamento e non vorrei che ci fosse. Darei di matto entro una settimana."

Si sogghignarono l'un l'altro e Sherlock sentì la strana malinconia dissolversi un po’. Il suo cane poteva essere sparito, ma il suo John era decisamente tornato indietro al posto a cui apparteneva.

John fece uno sbadiglio. "Dio, sono distrutto. Penso che andrò a letto. Una buona notte di sonno dovrebbe riportarmi in piena condizione operativa. Di sicuro la prima volta ha funzionato a meraviglia."

Sherlock annuì. "Me lo racconterai domani?"

"Tutto quello che vuoi sapere."

Sherlock pensò che potesse essere piuttosto più una questione di quanto John sarebbe stato pronto a dire, così provò un altro sorriso. Questa volta, sembrò venire meglio. "Cercherò di trattenermi."

John annuì, gli diede un'ultima stretta al braccio e salì al piano di sopra.

Erano appena le otto di sera, quindi Sherlock si tenne occupato con uno dei suoi libri e poi con i suoi appunti. Non era ancora stanco. Invece di dormire, sarebbe rimasto qui e avrebbe letto il suo libro e aggiornato le sue annotazioni e non avrebbe pensato a un'altra notte che aveva trascorso a fare calcoli con John raggomitolato al suo fianco, la sua testa un peso caldo sulla propria coscia.


La notte fuori calò del tutto e quando finalmente decise di provare a dormire, era già mezzanotte passata.

Si cambiò, spense le luci e scivolò sotto le coperte.

La sua stanza era orribilmente, palesemente vuota. Era silenziosa come una tomba. Nessun respiro leggero accanto a lui, nessun corpo caldo a tenere giù le coperte, nessuna presenza a dirgli che non era solo.

Sherlock riuscì a rimanere lì per ben diciotto minuti prima di arrendersi e migrare nel soggiorno.

Non dormì per niente.


*****


Quando John arrancò giù per le scale e si trascinò in cucina la mattina dopo, con gli occhi annebbiati e sbadigliando, Sherlock era seduto al suo microscopio, del tutto sveglio e completamente vestito. Era chiaro che stava lavorando alla cosa già da un po’ di tempo... di qualunque ‘cosa’ si trattasse oggi. John non voleva proprio saperlo.

"Buongiorno," borbottò e andò al bollitore e poi al frigorifero nella sua solita progressione mattutina.

Mentre aspettava che il suo toast fosse pronto e il bollitore caldo, si rivolse a Sherlock. "Qualcosa per oggi?"

"Mmh, Lestrade vuole che ci fermiamo allo Yard. A quanto pare ci sono delle scartoffie e potrebbe avere un piccolo caso da farmi esaminare."

"Vuoi che venga con te?" chiese John.

Questo fece sì che Sherlock alzasse lo sguardo dal suo microscopio con un'espressione perplessa. "Naturalmente, John. Inoltre, Lestrade sarà felice di vederti."

Il tostapane scattò e John depositò il pane caldo nel piatto. "Non gliel'hai ancora detto?"

Sherlock scosse la testa. "Ho pensato che avremmo potuto sorprenderlo in un buon modo, per una volta."

"Va bene, allora. Fammi fare colazione e vestirmi come si deve e possiamo andare."

"Nessuna fretta," mormorò Sherlock. "Non ci aspetterà per almeno un'altra ora, visto che di solito a questa siamo fuori a fare una passeggiata.”

"Oh, giusto." John scosse la testa. Certo che era così, e naturalmente Lestrade avrebbe pensato che era quello che stavano facendo.

Represse un altro sbadiglio. Mentre le sue funzioni motorie erano tornate proprio come avrebbero dovuto essere, aveva dormito in modo terribile. La notte scorsa era stato troppo esausto per pensare davvero a qualcosa e si era addormentato alla svelta, ma poi si era svegliato nel cuore della notte e non aveva più avuto quel lusso. Non aveva chiuso occhio per il resto della notte, si era semplicemente appisolato un po’ e aveva pensato troppo.

Quello lo faceva sentire come circondato da una situazione spiacevole. Almeno Sherlock sembrava vigile e con gli occhi brillanti come al solito, pronto ad affrontare il mondo.

John fece colazione, bevve il tè e tornò su per le scale per cambiarsi e darsi finalmente la rasata di cui aveva bisogno.

Quando tornò al piano di sotto, si sentiva pronto per affrontare la giornata.

Sherlock lo stava già aspettando con il suo cappotto e sciarpa in mano.

"Impaziente, vero?” chiese John sorridendo. "Non vedo l'ora di vedere la faccia di Greg quando mi vedrà."

"Speriamo solo che non tradisca l'intera faccenda con la sua sorpresa,” disse Sherlock mentre John s’infilava la giacca. "Forse avrei dovuto avvertirlo, dopotutto."

"Non pensare nemmeno di mandargli un messaggio adesso,” esclamò John, seguendolo giù per le scale. "Voglio che sia una sorpresa. Sarà bello vedere qualcuno essere semplicemente felice, tanto per cambiare."

Sherlock sussultò. "Io sono felice." La sua voce era sommessa.

"Lo so,” disse John. "Non è così che la intendevo. So che sei felice. Ma hai anche perso un cane. Che è quello che ho perso anch’io. Va benissimo essere felici per una cosa e tristi per un'altra allo stesso tempo.”

Condivisero un leggero sorriso e poi Sherlock si girò per far fermare un taxi.

Il viaggio verso lo Yard trascorse in un silenzio amichevole. John vedeva le labbra di Sherlock contrarsi di tanto in tanto e si chiese se anche lui era impaziente di vedere la reazione di Lestrade. Sentì le proprie labbra curvarsi verso l'alto in risposta.

Scotland Yard aveva l'aspetto di sempre, il solito assortimento di Bobby stanchi che si rannicchiavano nella sua ombra con le loro sigarette e guardavano chiunque con annoiato sospetto.

Sherlock li ignorò tutti, naturalmente, e John non ebbe altra scelta che seguirlo mentre camminava attraverso le porte e verso l'ascensore.

Fu piuttosto divertente vedere ogni testa voltarsi verso Sherlock mentre usciva dall'ascensore, e ancora più divertente vedere gli occhi di tutti muoversi verso il basso all'altezza di un cane prima che la loro aspettativa si trasformasse in una mal celata delusione, seguita rapidamente dalla sorpresa alla vista di John.

"Ehi, Holmes, dove hai lasciato il tuo cane?” chiese Donovan mentre passavano davanti alla sua scrivania.

"Con i miei genitori, a cui appartiene," replicò Sherlock. "Ti ho sempre detto che l'avrei avuto solo per un po’."

"E da quando gliel’ha reso è sempre stato depresso,” disse John. "Piacere di vederti, Sally. Andiamo, Sherlock, è ora di vedere Greg."

"Chi?"

"Lestrade."

"Oh."

Si lasciarono dietro un ufficio pieno di agenti delusi, non pochi dei quali si stavano chiedendo cosa fare con i dolcetti per cani nelle loro scrivanie.

Sherlock fece strada nell'ufficio di Lestrade, irrompendo con la sua solita teatralità. "Dobbiamo fare tutte queste scartoffie?"

"E un buongiorno anche a te,” disse Lestrade senza alzare lo sguardo dal computer. "Sì, sto bene, grazie per avermelo chiesto."

"Buongiorno, Greg,” disse John, sorridendo.

La testa di Lestrade scattò in su. "John!" Fece un sorriso raggiante. "Questa è una sorpresa. Non sapevo che saresti... ehm... tornato così presto."

"Mi sono sembrati secoli," John scrollò le spalle. "Sono tornato ieri pomeriggio, in realtà."

Lestrade annuì, sembrando estremamente sollevato. "Presumo sia andato tutto bene?"

"Meglio del previsto,” disse John. "Ma non lo farò mai più."

"Ci scommetto," mormorò Lestrade. "Comunque, è davvero bello vederti."

Donovan entrò nel suo ufficio e adattò di conseguenza la domanda successiva. "Sherlock ti ha parlato del suo cane?"

"Il cane dei miei genitori," la corresse Sherlock, alzando gli occhi al cielo.

"L’ha fatto," confermò John. "Così ha fatto la signora Hudson. E sembra che metà di Scotland Yard non vedesse l'ora di vederlo oggi. Mi dispiace dire che me lo sono perso, ma ho sentito che era eccezionalmente intelligente."

"Esatto," concordò Sherlock, un luccichio divertito negli occhi. "Faceva tutto quello che gli dicevo di fare."

"Hm, dovremmo prenderlo di nuovo in prestito, così almeno un individuo nel nostro appartamento mi ascolterà," ribatté John.

Con la coda dell'occhio vide Lestrade seppellire il viso tra le mani per nascondere le risate mentre Sherlock emetteva uno sbuffo indignato.

"Be ', è davvero bello riaverti, John,” disse Lestrade. "Voglio dire, di solito lui è insopportabile senza di te, quindi è stata una bella sorpresa vedere Sherlock comportarsi come un essere umano con quel cane, ma non c’è bisogno di metterlo alla prova.”

"Ti rendi conto che sono ancora nella stanza e riesco a sentirti perfettamente, vero?” chiese Sherlock, incrociando le braccia. "Sono venuto qui con il timore che tu avessi un caso e delle noiose scartoffie per noi, ma a quanto pare volevi semplicemente, come si suol dire, prendermi per il culo."

John rise e gli diede una pacca sul braccio. "Sì, è per questo che siamo venuti qui. E Lestrade, con una capacità di premonizione fino ad ora sconosciuta, sapeva che sarei stato lì per aiutarlo a prenderti per il culo."

Si voltò verso la porta. "Vi lascio a voi stessi e vado a prendere una tazza di tè. Ti va di venire con me, Sally? Puoi raccontarmi tutto quello che mi sono perso."

Con piacere,” disse lei e lo accompagnò fuori dall'ufficio di Lestrade e nella sala relax che ospitava la diletta macchina del caffè e bollitore dello Yard.

Si sedettero a un tavolo con le loro tazze e Sally diede a John un rapido riassunto di tutto ciò che lei sapeva fosse successo, mostrandogli le foto di accompagnamento sul suo telefono. "Ecco, questo è Johnny... era davvero adorabile. Non potevo nemmeno immaginare che Holmes avesse qualcosa di così banale come dei genitori, per non parlare del fatto che facesse babysitter al loro cane, ma ha fatto davvero un ottimo lavoro, penso. Quel cane lo adorava."

"Immagino che tu avessi bisogno di vederlo per crederci,” disse John, sentendosi un po’ a disagio all’idea che qualcuno pensasse che lui adorava Sherlock, soprattutto perché era vero.

Sally scrollò le spalle e mescolò dell'altro zucchero nel caffè. "Tu non l’avresti, suppongo."

John si irrigidì. Sally sospettava? "Cosa intendi?"

"Be’, tu vivi con lui,” disse. "Presumo che tu l’abbia visto recitare la parte dell’essere umano.”

"È umano tutto il tempo,” le disse John. "E non ha bisogno di recitare per questo."

"Di certo amava quel cane," mormorò Sally. "Avresti dovuto vederli insieme. Sai che continuava a controllare Johnny tutto il tempo? Non credo che lui se ne accorgesse, ma io lo vedevo. Lo guardava ogni due minuti, solo per vedere se era ancora lì. Lo fa anche con te, ora che ci penso."

John aggrottò la fronte. Non l'aveva mai notato, ma dubitava che Sally avrebbe mentito su un dettaglio del genere. Era certamente una poliziotta abbastanza brava da notare queste cose.

"Comunque," continuò Sally, "non l'ho mai visto così... premuroso, suppongo. Sai che continuava a trascinarsi dietro una borsa piena fino all'orlo di dolcetti e giocattoli per cani e quant'altro? Non una sola cosa che appartenesse a Holmes per uso personale."

"Mhh, tiene il suo kit nel cappotto,” disse distrattamente John, ancora stupito di questa prospettiva esterna di Sherlock, il proprietario di cane. A quel tempo, era sembrato tutto così naturale, in particolare una volta che avevano convenuto che le coccole erano perfettamente accettabili. Non si era sentito come se Sherlock stesse facendo di tutto per soddisfare lui. Al contrario, aveva avuto l'impressione che Sherlock fosse entrato in un ruolo che era semplicemente stato in attesa che lui lo ricoprisse per tutto il tempo.

"John?"

Sbatté le palpebre. "Eh?"

Sally sorrise. "Avevi lo sguardo di chi era a mille miglia da qui. Va tutto bene?"

"Sì, va bene. Grazie. Stavo solo pensando. Dovremmo tornare indietro? Non posso lasciare Sherlock da solo con le scartoffie per troppo tempo o troverà un modo per dargli fuoco o qualcosa del genere."

Si alzarono e misero le loro tazze vuote nel lavandino per essere lavate più tardi prima di tornare nell'ufficio di Lestrade.

Non c’era niente in fiamme, ma John notò che lo sguardo di Sherlock si spostava su di lui per una frazione di secondo prima di volare via di nuovo. Prese mentalmente nota di stare attento a quanto spesso Sherlock lo faceva e in privato si chiese se il motivo per cui i loro occhi s'incontravano e si fissavano così spesso era perché si sorprendevano a vicenda a controllare se l'altro fosse ancora lì senza rendersene conto.

Mentre Sherlock, avendo a quanto pareva finito con le scartoffie che Lestrade aveva ritenuto necessario che firmasse, sfogliava il fascicolo del caso che gli era stato dato, Lestrade prese John da parte per una conversazione privata.

"Tutto bene?"

"Sì, va bene. Davvero, non poteva andare meglio. Voglio dire, se tutto doveva assolutamente accadere, è andato davvero nel miglior modo possibile. Nessun effetto collaterale duraturo, se è questo che intendi."

"Non sono preoccupato per la tua salute fisica,” disse Lestrade, scrollando le spalle. "Sembri stare bene e, a parte te stesso, Sherlock sarebbe il primo a notare se qualcosa non andasse. Ma mentalmente... ascolta, questo tipo di cose di solito non accade alle persone. No, cancellalo. Non succede, punto e basta."

John non poté fare a meno di ridacchiare. "Non preoccuparti, Greg. Di tutte le cose che mi sono capitate, questa è ben lungi dall'essere l'esperienza più traumatizzante che abbia mai avuto."

"Sei stato in una zona di guerra, non confuterò che tu abbia la tua giusta dose di ricordi traumatici tra cui scegliere." Il DI si guardò intorno per assicurarsi che Donovan fosse di nuovo alla sua scrivania e che Sherlock fosse ancora assorbito dal fascicolo dall'altra parte della stanza. "Sono solo... preoccupato per voi due, in realtà. Ci siete andati abbastanza vicino. Tutti quelli dotati d’occhi nella testa potevano vederlo."

Questa non era una direzione che John aveva previsto che la conversazione avrebbe preso, anche se supponeva che avrebbe dovuto indovinarlo. Strinse un po’ la mascella e sporse il mento. "Non sono del tutto sicuro di quello che stai dicendo qui, Greg."

Lestrade sentì di certo l'avvertimento nella sua voce e altrettanto ovviamente scelse di ignorarlo. "Sai esattamente cosa sto dicendo. Gli stavi sdraiato in grembo, per l’amor di Dio,” sibilò.

Non c'era niente che John potesse replicare a questo. Era vero, dopotutto, anche se non sapeva come spiegare a Lestrade che era diverso. Il fatto di essere un cane aveva reso diverse molte cose.

"Solo..." Lestrade esitò e lanciò un'occhiata a Sherlock. "Sii solo sicuro di quello che stai facendo, è quello che voglio dire. Non prenderti gioco dei suoi sentimenti."

John sbatté le palpebre. "Io cosa?"

Ma a quanto pareva Lestrade aveva detto tutto quello che voleva dire sull'argomento ed era tornato alla sua scrivania come se nulla fosse accaduto. "E allora, Sherlock, hai qualche idea in merito?"

"Di sicuro penso che tu sia un idiota,” disse Sherlock senza problemi. "Questo è di certo il tuo uomo, hai capito bene quella parte. Ma è un mistero come possa essere sfuggito alla tua attenzione che ha nascosto la merce nel suo congelatore sotto un falso fondo."

"Ora ascolta qui..." iniziò Lestrade e John smise di prestare attenzione. Era chiaro che tutto era tornato alla normalità e lui era libero di pensare a suo piacimento alle parole del DI.

 




NdT: Ma guarda un po' con cosa se ne viene fuori il nostro Lestrade! 🤣

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Capitolo 22
*** 22 ***


Capitolo ventidue

Tornarono a casa dopo che Sherlock ebbe denigrato Lestrade per un'altra serie di casi minori che avrebbe dovuto risolvere da solo e furono terminate le discussioni che ne erano seguite.

John si era seduto su una sedia e li aveva lasciati andare avanti, grato per la distrazione. Aveva subito scoperto che lo Yard non era il posto giusto per pensare veramente a ciò che aveva detto Lestrade. No, per quello aveva bisogno l'ambiente confortante di casa.

Quando la porta del loro appartamento si chiuse dietro di loro e Sherlock prese il violino per sfogare parte della propria persistente frustrazione abusando senza pietà delle corde, John si preparò una tazza di tè e si sistemò sulla sua poltrona per pensare.

Non si era aspettato questo disagio tra lui e Sherlock dopo la sua trasformazione, anche se forse avrebbe dovuto. E di certo non si era aspettato di essere strigliato da Lestrade per questo, soprattutto non nel modo in cui si era verificato.

Cosa aveva dato a Greg l’idea che John stesse portando in giro Sherlock? Portandolo dove? No, non doveva far finta di essere stupido. Sapeva esattamente quel che aveva detto Lestrade e non sapeva bene cosa fare del suggerimento. Sembrava strano che il DI credesse che fosse lui quello che dava false speranze a Sherlock quando, per quanto ne sapeva John, lui era l'unico che avesse mai sperato che forse...

Sherlock suonò una nota particolarmente stridente, se poteva essere definita nota, strappando John dai suoi pensieri.

Il dottore si accigliò. "Mi rendo conto che non hai suonato per niente mentre ero un cane, cosa di cui sono molto grato, ma non puoi aver dimenticato del tutto come si suona."

Sherlock sbatté le palpebre. "Hm? Oh, scusa. Stavo solo..." Fece una smorfia, chiaramente non riuscendo a trovare le parole per descrivere quello che aveva fatto. "Non importa." Sollevò di nuovo il violino e suonò qualcosa di più gentile, più rilassante. John si chiese se era la sua immaginazione a farlo sembrare una scusa.

Alla fine, la fame spinse John ad avventurarsi in cucina per vedere se avevano qualcosa di diverso dal pane raffermo e dai biscotti per cani avanzati. Con sua sorpresa, trovò nel frigorifero una pentola di stufato.

"Vuoi un po’ di stufato?" gridò a Sherlock.

"Stai cucinando?"

John rise. "No. Pare che la signora Hudson sia venuta su mentre eravamo fuori. Sembra che pensi che potremmo morire di fame senza di lei."

"Io avrei potuto," ammise Sherlock. "Tu non lo faresti."

"Non sono un grande cuoco,” disse John. "Mangerei la pasta per una settimana e poi magari passerei al riso.”

Sherlock ridacchiò. "Sì, be’, volevo piuttosto dire che ti saresti trovato una ragazza che ti nutrisse."

John alzò gli occhi al cielo. "Ti rendi conto che cucinare non è un'abilità geneticamente trasmessa a tutte le donne del pianeta, giusto? Mia sorella è scarsa quanto me."

"Sì, John, lo so bene. Mia madre è ammessa in cucina solo sotto stretta sorveglianza e non è autorizzata a svolgere compiti che vadano oltre la sbucciatura delle patate. Tuttavia, confido pienamente nella tua capacità di trovare nella tua lunga fila di amiche qualcuna in grado di cucinare un pasto decente."

"Non sono sicuro che suoni meno sessista," gli disse John, chiedendosi se stesse immaginando un accenno di amarezza nella voce di Sherlock. "Ma capisco cosa intendi." Fece una smorfia. "Be ', Lucy cucinava."

Sherlock sembrava perplesso. "Chi?"

"Quello con il naso."

"Oh. Brava cuoca?"

"Non lo so. Era tutto vegano."

Sherlock sbuffò. "Va bene. È stata quella che ti ha lasciato perché hai ordinato la bistecca al sangue?"

"Penso che sia stato più a causa della bistecca stessa piuttosto che dello stato di cottura in cui è arrivata, ma sì."

Si scambiarono uno sguardo e iniziarono a ridere.

"Allora,” esclamò John quando si fu ripreso abbastanza per parlare. "Ti va dello stufato?"

"John, attraverserò gli oceani per lo stufato della signora Hudson,” disse Sherlock mentre riponeva il violino. "Onestamente."

Sherlock apparecchiò la tavola mentre John scaldava lo stufato sul fornello e portava alla luce da uno dei loro armadietti una baguette che non era ancora diventata stantia.

"Dio, mi mancava il cibo," sospirò. "Non hai idea."

"Be’, non si sarebbe mai detto," lo prese in giro Sherlock. "Vederti divorare il contenuto della tua ciotola era di per sé educativo."

"Ah. Il palato di un cane non è molto raffinato, devo ammetterlo. Ma ricordavo ancora che gusto avrebbe dovuto avere il cibo, quindi per quanto il cibo per cani non avesse un cattivo sapore, non è qualcosa su cui sarei andato se avessi avuto scelta."

"E non l'hai fatto, considerando quanto spesso hai implorato per gli avanzi," fece notare Sherlock. "Non pensare che non sappia tutte le volte che la signora Hudson ti ha portato di nascosto un pezzo di salsiccia."

John gli lanciò uno sguardo perfettamente vuoto. "Non ho idea di cosa tu stia parlando."

"Certo che no."

In luogo di una risposta, John si concentrò di nuovo sulla propria ciotola di stufato. Ogni tanto lanciava un'occhiata a Sherlock, detestando la distanza tra loro. L'altro lato del tavolo sembrava incredibilmente lontano.

Com'era possibile che una manciata di giorni fosse riuscita a erodere così completamente tutta la distanza tra loro quando un intero anno precedente aveva fallito? Com'era possibile che adesso nessuno dei due sapesse bene come comportarsi con l'altro? Non avrebbe dovuto fare differenza, questo breve intermezzo di John-è-un-cane. Eppure... eppure.

Fin troppo presto sparecchiarono e misero i piatti nel lavandino per essere lavati in qualche momento in futuro.

Guardò Sherlock indietreggiare nel soggiorno, chiaramente incapace di dedicarsi con soddisfazione a nessuna attività.

John guardò l'orologio. "Ti va di fare una passeggiata a Regent's Park?"

Sherlock sbuffò. "Vuoi che porti una pallina da tennis?"

"Hm, potremmo giocare al tiro alla fune con qualsiasi bastone a caso."

Sherlock sorrise, ma scosse la testa. "Un'offerta allettante, ma credo che preferirei restare in casa, se non ti dispiace. Grazie."

"Naturalmente."

John frugò alla ricerca del proprio laptop e si sistemò sulla sua poltrona per aggiornare il blog con un racconto in terza persona di come Sherlock avesse apparentemente avuto un cane da accudire mentre era via e quanto fosse triste di averlo perso, ma che aveva ricevuto alcune foto fantastiche, e vorresti guardare quant’erano adorabili?!

Lo fece seguire da una carrellata generale del caso che Sherlock aveva risolto mentre lui era ‘via’ e concluse dicendo che Johnny il cane era tornato con i genitori di Sherlock e che lui si stava deprimendo e fingeva di non sentire la sua mancanza.

Poteva già quasi sentire l’occhiataccia che era sicuro che Sherlock gli avrebbe spedito non appena avesse letto quel post.

Sbadigliò e fu sorpreso di scoprire che aveva passato ore a cercare di esprimere l'intera storia come se non fosse stato lì per tutto il tempo.

"Credo che andrò a dormire,” disse, spegnendo il laptop.

Sherlock era seduto sul divano, sfogliando una delle sue scatole di schede di solo-Dio-sa-cosa. Non diede segno di averlo sentito parlare.

"Sherlock."

"Mh? Scusa. Cosa?"

"Ho detto che vado a letto. Buona notte."

"Oh." Gli occhi di Sherlock scattarono sull'orologio. Sembrò leggermente sorpreso di vedere quanto fosse tardi. "Buonanotte, John."


*****


John non riusciva a dormire.

Non aveva senso girarci intorno. Si era lavato i denti, era andato di sopra, si era cambiato in un paio di pantaloni del pigiama puliti (con un motivo mimetico, uno regalo scherzoso di Harry), si era infilato nel letto e ora non riusciva assolutamente ad addormentarsi.

La sua mente non smetteva di girare in tondo.

Si girò e rigirò, riaggiustò il cuscino quattro volte, si alzò per aprire la finestra e poi di nuovo per chiuderla quando nella sua stanza diventò troppo freddo. Niente sembrava funzionare.

Sospirando, John si distese e fissò il soffitto, cercando di non pensare a niente. Sherlock avrebbe affermato che questo non avrebbe dovuto rappresentare un grosso problema per lui, ma naturalmente non era così semplice.

E ora stava pensando di nuovo a Sherlock. Grandioso.

Un suono sommesso attirò la sua attenzione. John si bloccò, ascoltando. Quel movimento era stato al piano di sotto?

Lanciò un'occhiata alla sveglia. I numeri luminosi annunciavano che erano già passate le due del mattino. Non aveva chiuso occhio. Grandioso.

Ammettendo la sconfitta, John si alzò. Sarebbe soltanto andato di sotto per un bicchiere d'acqua, si disse mentre scendeva le scale. Questo era tutto.

Sherlock alzò lo sguardo quando John entrò. I suoi capelli erano un disastro e a un certo punto almeno si era cambiato in pigiama, ma era chiaro che era del tutto sveglio e probabilmente non aveva nemmeno provato ad andare a letto. Era seduto al centro della stanza, circondato da libri e pezzi di carta scritti con la sua calligrafia disordinata.

John sospirò. "Non riesci a dormire?"

Sherlock scosse la testa senza aprir bocca.

"Nemmeno io,” disse John, anche se naturalmente questo era evidente. "È terribilmente silenzioso nella mia stanza."

"Non riesci più a sentire i vicini che scopano?” chiese Sherlock, con un angolo della bocca che si sollevava.

John sbuffò. "Non alle due del mattino, grazie a Dio." Si fermò, trasse un profondo respiro e proseguì. "Non riesco nemmeno a sentire te respirare. È un po’ inquietante."

Sherlock sbatté le palpebre.

Diversi momenti trascorsero in silenzio e John era quasi pronto ad entrare in cucina per il bicchiere d'acqua che non voleva quando il suo amico finalmente parlò.

La sua voce era molto sommessa. "All'improvviso il mio letto sembra terribilmente vuoto."

John si fermò sui suoi passi e si voltò. Sherlock stava facendo molta attenzione a non guardarlo.

John espirò.

"Ti andrebbe un po’ di compagnia?"

Sherlock scrollò le spalle e picchiettò il tappeto accanto a sé. "Se ti fa piacere."

"Non proprio quello che volevo dire,” disse John con intenzione. "Non hai più dormito da quando sono stato ritrasformato, vero?"

Un muto scuotimento della testa.

"È quello che pensavo. Andiamo, allora."

Si avvicinò e tese la mano. Sherlock la guardò per un po’ come se non ne avesse mai vista una prima, poi l’afferrò e permise a John di tirarlo su.

Non si mosse per andare da nessuna parte, però, rimase semplicemente dov'era e fissò John.

"Che cosa c’è?"

"John... mi stai di nuovo prendendo per il culo?"

"Io... cosa? No, perché dovrei?"

Sherlock fece un cenno del capo verso il suo pigiama. John seguì il suo sguardo e gemette. Naturalmente, cazzo. Si era dimenticato del motivo mimetico. E Sherlock stava facendo uno sforzo visibile per non lasciare che i suoi occhi indugiassero.

"Erano un regalo di compleanno di Harry. Se qualcuno sta sfottendo, è lei. Posso cambiarmi se vuoi."

"Non essere ridicolo," scattò Sherlock. "Sono stato semplicemente colto alla sprovvista."

Era difficile dirlo nel loro salotto buio, ma John pensò che le creste degli zigomi di Sherlock potessero essere un po’ meno pallide del solito.

John decise di fare un passo indietro. "Okay, va bene. Vieni, allora?"

Sherlock si rilassò. "Naturalmente."


*****


Entrare nel letto non diede la sensazione di essere strano nemmeno la metà di quanto lo fosse stato dormire separati. John si era quasi aspettato di sentirsi anche lui a disagio, ma era chiaro che si trattava della presenza piuttosto che di quale forma avesse quella presenza.

"Questa volta non dormo sopra le coperte,” avvertì. "Non ho più una pelliccia che mi tenga caldo."

"Ti sei rasato le gambe?" scherzò Sherlock mentre tirava indietro le coperte.

John sussultò in finta indignazione. "Solo per questo indosserò la mia vecchia uniforme da combattimento in giro per l'appartamento per una settimana."

Sherlock si bloccò con una gamba sul letto. "Questo è... nell'esercito non ti hanno insegnato a combattere lealmente?"


"Certo che l'hanno fatto,” disse John. "Ci hanno insegnato a combattere lealmente solo se vogliamo perdere.”

Sherlock deglutì e scivolò sotto le coperte. "Hmph. Forse dovrei scambiare due parole con il tuo vecchio istruttore."

"È una scusa sottilmente velata per entrare in un'altra base militare?"

"Jooooohn," uggiolò Sherlock.

"Sto solo chiedendo," rise John mentre si metteva a suo agio. "Sul serio, cosa c'è tra te e i soldati?"

Sherlock sospirò. "Sono solo insopportabilmente eccitanti. Non so perché. Ricordo vagamente che mia madre aveva un calendario di soldati pin-up nel suo ufficio quando ero un ragazzino. Forse l'immagine ha fatto presa."

John cercò di soffocare un'altra risata e ci riuscì a malapena. "Forse qualche volta dovrei portarti a una parata militare."

Sherlock fece un rumore soffocato che avrebbe potuto essere un piagnucolio. "Oh, per l’amor di... Smettila di torturarmi, John.”

John sogghignò verso il soffitto. "Se fai il bravo ragazzo e vai a dormire adesso, domani potrei essere persuaso a mostrarti qualche foto della mia ferma in Afghanistan. Era raro che ci preoccupassimo delle camicie quando eravamo fuori servizio."

Sherlock gemette. "Continua a parlare e non riuscirò mai più a dormire."

Avendo pietà di lui, John decise di fare un passo indietro, per ora. "Va bene. Ma davvero, avresti dovuto annusare te stesso. Perfino quelle povere donne che hanno tentato di flirtare con te nel parco non trasudavano una nuvola di quel genere."

Giurò di poter sentire Sherlock arrossire. "Be’, c'era un solo me e un intero plotone di soldati."

"È vero," ammise John. "Più di uno di te, e saremmo finiti con una tale folla di ammiratori che non saremmo stati in grado di camminare.”

Sherlock era tornato mentalmente indietro alla precedente dichiarazione di John. "Quali donne?"

"Le jogger che si sono fermate a parlarti?" chiese John. "Hai parlato con loro per un paio di minuti. Quelle che pensavano che io fossi adorabile."

"Oh." Sherlock sembrò perplesso.

"Non ti eri reso conto che stavano flirtando?" chiarì John.

"Certo che no. Perché dovrei prestare attenzione se qualche donna sta flirtando con me o no?" Quello nel tono di Sherlock era chiaramente fastidio. "Come ti ho detto per anni, John, le donne non sono la mia zona."

"Va bene. Pensavo che potessi notarlo lo stesso."

"No."

Rimasero in silenzio per un po’. Era meglio che dormire da solo, pensò John, anche se non poté fare a meno di notare che neanche in quel momento si stava verificando una gran quantità di sonno.

Sherlock si agitò accanto a lui e qualcosa - il dorso della mano? - gli sfregò l'avambraccio.

"Scusa," mormorò Sherlock, ma un attimo dopo accadde di nuovo.

John sospirò. "Questo non sta funzionando."

Poté sentire Sherlock trasformarsi in una statua accanto a sé, senza muovere un muscolo.

"Nessuno di noi riuscirà a dormire in questo modo,” continuò. "Fammi..."

Si voltò su un lato e si avvicinò finché non fu premuto contro il fianco di Sherlock.

Sherlock prese un respiro sorpreso e poi si rilassò.

"In questo modo?" chiese John.

Sherlock si voltò per guardarlo in faccia, il suo braccio sinistro si mosse timidamente per curvarsi attorno al fianco di John finché la sua mano non fu premuta contro la sua schiena. "Sì."

John nascose il sorriso nella curva della clavicola di Sherlock. Il suo naso era a mezzo centimetro dalla morbida pelle della gola di Sherlock e da quella distanza perfino il suo inadeguato naso umano poteva percepire il suo profumo, anche se non così ricco di sfumature come prima. Aggiustò la mano destra finché non fu premuta contro il petto di Sherlock, sentendo il battito costante del suo cuore attraverso il tessuto sottile della maglietta.

Entrambi sospirarono e si rilassarono un po’ di più.

"Molto meglio," mormorò Sherlock.

"Mmh," concordò John. "Buonanotte, Sherlock."

"Buonanotte, John."

Dormirono.


*****


Il risveglio avvenne lentamente, dolcemente.

Questa era una novità in sé, poiché Sherlock di solito passava dall'essere addormentato alla piena allerta nel giro di secondi. Non oggi, a quanto pareva. Si ritrovò ad andare alla deriva in una nebbia piacevolmente calda tra il sonno e il risveglio, in quell'angolo calmo e caldo del sonno dove stai sognando, ma ne sei consapevole. Era pacifico e silenzioso e sentiva di poter restare lì per sempre.

Lo faceva sentire letargico e pigro, a suo agio e al sicuro e senza una preoccupazione o un bisogno al mondo. La sua mente sempre in corsa era diventata silenziosa, ancora intrappolata nelle ragnatele del sonno, e non c'era niente che potesse tentarlo fuori da quel posto.

Ci fu un movimento accanto a sé che lo tirò più vicino alla veglia, aumentando la sua consapevolezza di ciò che lo circondava. C'era qualcuno... qualcuno caldo e al sicuro con gli arti rilassati e il respiro caldo che gli scorreva sulla pelle.

Il numero di persone che potevano avvicinarsi così tanto e non far suonare all’istante il campanello d'allarme nella testa di Sherlock era esattamente uno.

Strinse gli occhi, cercando di rimanere un po’ più a lungo in questo stato di sonno caldo e rilassante, ma naturalmente ora che era consapevole del fatto che John era proprio lì, tutte le tracce del sonno stavano svanendo in fretta.

Sherlock non voleva aprire gli occhi. Se l’avesse fatto, John sarebbe stato proprio e Sherlock si sarebbe irrigidito o mosso o John avrebbe percepito il suo sguardo - non s’illudeva pensando che sarebbe riuscito a non fissarlo - e si sarebbe svegliato e le cose sarebbero diventate imbarazzanti con una 'I' maiuscola e John sarebbe scappato di corsa via dal letto con delle scuse e il pretesto della colazione o di qualche altra stupida sciocchezza e avrebbe lasciato Sherlock da solo in un letto che d’improvviso era troppo grande.

Tenne gli occhi ben chiusi.

Solo un altro paio di minuti, era tutto quello che voleva.

John sospirò e si spostò, muovendo un po’ una gamba prima di rimettersi a posto. Il contatto sembrò accendere tutte le terminazioni nervose di Sherlock nello stesso istante, rendendolo molto consapevole del fatto che le sue stesse gambe sembravano essersi spostate per accogliere tra di loro la gamba destra di John. Non osava allontanarle nel caso John si fosse svegliato e poiché non voleva muoversi comunque, decise di usarlo come scusa.

Dopotutto, questo era John raggomitolato accanto a lui, con lui - non proprio intorno a lui, perché era impossibile dire chi di loro fosse raggomitolato addosso a chi - e quella era la gamba di John tra le sue, rivestita solo di sottili pantaloni del pigiama e...

Qui, il filo dei pensieri di Sherlock deragliò mentre ricordava i particolari su quei pantaloni e l’aspetto che avevano avuto sul corpo di John la notte precedente.

All'inizio non li aveva nemmeno registrati e poi era successo proprio nell’istante in cui John lo aveva tirato in piedi e lui gli era quasi inciampato addosso perché... be’.

Come aveva detto a John in risposta alla sua bonaria presa in giro la scorsa notte, non sapeva davvero cosa ci fosse nei soldati. Supponeva che fosse solo una di queste cose, come il modo in cui ad alcune persone piacevano gli occhi verdi o i capelli ricci. Di certo non aveva chiesto di sentirsi così impotentemente eccitato da un paio di pantaloni mimetici, ma eccolo lì e non era davvero colpa sua se venivano avvolti intorno al dannato John Watson come la carta da regalo su un dono particolarmente desiderabile.

Sherlock si rese conto che questo poteva non essere il momento migliore per contemplare la visione di John in uniforme. Era quasi svenuto a Baskerville, grazie al maledetto Mycroft e alla sua incessante ingerenza, e da allora si era sforzato duramente (ah!) di non pensare a nulla di tutto ciò.

C'era un limite al numero di modi in cui un uomo poteva torturarsi senza perdere la testa e lui aveva concluso già una settimana prima che John in uniforme lo avrebbe messo in ginocchio in due secondi netti. Sherlock non aveva idea di come avesse fatto a uscire da Baskerville, entrare in una macchina e arrivare fino alla locanda senza trasformarsi in un inutile fascio di desiderio. Ok, senza lasciar intendere si era trasformato proprio in quello.

E John sapeva, naturalmente doveva saperlo, dopo quella volta al parco. E lo aveva preso in giro al riguardo solo la notte prima, anche!

Sherlock trattenne un gemito. Qualsiasi suono avrebbe potuto svegliare John e questo momento pacifico di beatitudine sarebbe finito e lui non voleva che accadesse. Cercò di rannicchiarsi più a fondo nel letto senza realmente muoversi.

Accanto a lui, John sospirò sommessamente. Per un momento, Sherlock aveva dimenticato quanto fosse vicino John, ma la sensazione del suo respiro caldo sulla propria pelle di non lasciava spazio a errori.

John si mosse un po’ e qualcosa - le sue labbra ?! Sherlock rabbrividì - gli sfiorò la clavicola.

"Mmmh, sei sveglio?" mormorò John.

Alla faccia del non svegliarlo.

Sherlock affidò tristemente alla memoria tutto il tempo tra il raggiungimento della coscienza e quell’istante prima di aprire la bocca per dare una sorta di risposta, ma John si spostò un pochino e tutta l'aria gli abbandonò i polmoni perché, dio, era così vicino!

Fece un basso rumore che sembrò imbarazzante come un piagnucolio. "No."

John ridacchiò e Sherlock poté sentire la vibrazione del suo corpo dalle spalle fino agli stinchi. Oh cielo.

"Non ti trascinerò fuori a fare una passeggiata, oggi," promise John, la voce roca dal sonno.

"Mi piacerebbe vederti provare," mormorò Sherlock, osando finalmente aprire un occhio solo una fessura per fare il punto su ciò che lo circondava.

La sua intera visione era piena di John.

Sbatté le palpebre e aprì entrambi gli occhi, strizzandoli nella luce fioca.

Giacevano l'uno di fronte all'altro, le gambe perdutamente intrecciate, un braccio di John incuneato tra loro e il braccio di Sherlock ancora avvolto intorno alla vita di John come se avesse tutto il diritto di essere lì. E il viso di John era così vicino, il mento premuto contro la spalla di Sherlock e la bocca che gli sfiorava appena la clavicola. Sherlock poteva vedere i suoi capelli, la fronte e la punta del suo naso con la coda dell'occhio destro.

Era una di quelle posizioni che non potevano essere comode se sistemate, ma che sembravano perfette se ti svegliavi con il corpo caldo e rilassato dal sonno. Sapeva che probabilmente il suo braccio destro era addormentato, se lo sentiva piuttosto insensibile, e la sua gamba avrebbe avuto dei crampi se lui fosse rimasto in quella posizione per molto altro tempo, ma non gli sarebbe dispiaciuto restare così per sempre.

"Abbiamo qualcosa in programma oggi?" mormorò John, senza fare nulla per tirarsi fuori.

"No."

"Bene. Quanto è tardi?"

Sherlock girò leggermente la testa per giudicare l'angolazione della luce che filtrava attraverso la finestra della camera da letto. "Circa le otto."

"Troppo presto per alzarsi." E John rimase esattamente dov'era.

Sherlock sbatté le palpebre, poi decise di adeguarsi e si rilassò. "Precisamente."

Spostò la gamba in una posizione leggermente più comoda e chiuse di nuovo gli occhi. Lascia che il mondo aspetti un po’.

 




NdT: Ci stiamo avvicinando alla fine, si vede... Quello dei due che dormono solo insieme non è il momento più morbido e fluffoso che abbiate mai letto? 🥰

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Capitolo 23
*** 23 ***


Capitolo ventitre

John si svegliò circa due ore dopo con una bracciata di caloroso detective consulente e con lo stupore di scoprire che apparentemente a Sherlock Holmes piaceva dormire fino a tardi. E fare qualcosa che poteva essere descritto solo come accoccolarsi.

Sogghignò tra sé.

L'intera nottata era stata leggermente surreale. Era sembrato tutto molto logico la scorsa notte quando aveva semplicemente deciso di autoinvitarsi nel letto di Sherlock e Sherlock si era aggrappato all’idea come se fosse perfettamente normale. E poi aveva avuto perfettamente senso raggomitolarsi insieme come se il letto non fosse stato abbastanza grande perché due adulti vi si potessero sdraiare con una distanza rispettabile tra loro.

E poi prima, quella mattina, erano stati così comodi ed era stato troppo presto per alzarsi dopo l’ora tarda che avevano fatto, quindi perché non restare dov'erano?

Ma adesso era decisamente più tardi e non c'erano scuse per restare a letto più a lungo e di certo nessuna scusa per essere raggomitolati in quel modo.

Non voleva alzarsi.

Alla fin fine quello era il succo, naturalmente. Voleva restare qui con la sua bracciata di Sherlock Holmes e non muoversi.

Be', forse muoversi un po'. Dipendeva decisamente dal tipo di movimento, in realtà.

John provò a richiamarsi all'ordine perché c'erano certe cose a cui non dovresti pensare a meno che non volessi metterti in una situazione imbarazzante.

Naturalmente questo non lo aiutò affatto perché ora il pensiero era lì e a quanto pareva stava pianificando di mettersi a proprio agio nella sua testa.

John pensò che alla fine avrebbe dovuto alzarsi, anche solo per andare in bagno. Se solo fosse riuscito sul serio ad alzarsi e andarsene.

Sherlock sospirò accanto a lui e, contro tutte le leggi della fisica, riuscì ad avvicinarsi ancora di più.

Sembrava che ci fosse un elenco sempre più lungo di ragioni per alzarsi e andarsene finché poteva ancora camminare. Non avrebbe avuto le possibilità di una palla di neve all'inferno se Sherlock si fosse svegliato e...

"Smettila.”

John sbatté le palpebre. "Che cosa?"

"Posso sentirti pensare," mormorò Sherlock. "È fastidioso. Smettila."

"Odi quando le persone non pensano."

"Mmh, di solito. Non tanto quando pensano a come scappare."

"Non stavo..."

"Stavi tendendo i muscoli in modi che suggerivano che ti prepararassi a rotolare e alzarti dal letto. Smettila. È fonte di distrazione."

John alzò gli occhi al cielo. "Posso assicurarti che non ho intenzione di alzarmi dal letto."

"Bene," mormorò Sherlock.

Ci fu silenzio per un momento.

"Davvero non vuoi che mi alzi, vero?"

"Non credo che tu possa,” disse Sherlock e c'era un sorriso nella sua voce. "Almeno, a meno che io non te lo permetta."

"Cosa che non hai intenzione di fare," concluse John. "Come potrò mai usare il bagno?"

"Potrei essere persuaso a essere clemente se ottenessi da parte tua una qualche forma di assicurazione che tornerai. Un pegno, se vuoi."

"Un pegno?” fece eco John, chiedendosi se stesse ancora sognando o se la sua vita fosse davvero diventata d’improvviso così surreale. Non c'era modo al mondo che Sherlock Holmes stesse flirtando con lui mentre entrambi facevano finta che essere rannicchiati a letto insieme fosse perfettamente normale.

"Mmh-hm," mormorò Sherlock in conferma. "Un pegno. Qualcosa che mi darai prima di partire e che io possa restituire quando tornerai."

"Penso che potrei essere in grado di pensare a qualcosa di adatto,” disse in tono sommesso John, sentendosi quasi insopportabilmente felice all’idea di flirtare con Sherlock.

"È così?"

Due occhi iridescenti si aprirono e si concentrarono su di lui con precisione infallibile. C'era qualcosa di audace e luminoso in loro che John pensò potesse essere la speranza.

"Oh, sì."

John inclinò la testa finché i loro nasi quasi non si sfiorarono. "A meno che tu non abbia obiezioni, naturalmente?"

"Per qualche strana ragione, nessuna che mi venga in mente," mormorò Sherlock e ora c'era qualcos'altro in quegli occhi, qualcosa che si accendeva e bruciava.

John sorrise. "Ma mi puoi garantire che me lo restituirai sul serio quando tornerò?"

"Penso di poterlo giurare,” disse Sherlock, le sue labbra a circa un soffio di distanza.

"Lo accetto,” disse John e lo baciò.

Ci furono circa due secondi di labbra su labbra, con dolcezza, e poi Sherlock fece un piccolo rumore e la sua bocca si aprì e tirò John più vicino e le mani di John si annodarono nei capelli di Sherlock e non c’era niente di dolce in quello.

Qualcuno gemette, non era del tutto chiaro chi, forse entrambi, e John ebbe qualche difficoltà a tirarsi indietro.

"Qualcosa che non ho menzionato riguardo a questo pegno," mormorò contro la bocca di Sherlock. "I tassi di interesse sono estremamente alti.”

"Sono sicuro che troverò un modo per ripagarli al doppio del normale," replicò Sherlock, col fiato un po’ corto.

Si sorrisero l'un l'altro e poi John si districò per andare in bagno.

L'aria nel bagno era gelida, come se lui avesse avuto bisogno di un altro incentivo per sbrigarsi, e tornò indietro il più umanamente in fretta possibile.

Sherlock era esattamente dove l'aveva lasciato, disteso su un fianco con la faccia mezza sepolta nel cuscino, i capelli scompigliati dal sonno e il corpo rilassato.

"Mmmh, è stato veloce,” commentò.

John sorrise mentre scivolava di nuovo sotto le coperte per riprendere la sua posizione precedente. "Diciamo solo che non vedevo l'ora di riavere il mio pegno. Con gli interessi."

"Sono decisamente interessato," gli disse Sherlock in tono serio, spostandosi un po’.

John gemette. "Sì, lo sento."

Forse avrebbero dovuto davvero parlarne, ma sembrava molto più facile non farlo, e qual era davvero il punto quando entrambi sapevano o almeno sospettavano la verità, ormai?

John fece scorrere le labbra sulla gola pallida di Sherlock e inspirò felicemente. "Dio, il tuo profumo. Ci stavo annegando tutto il tempo. Devi essere arrapato da secoli."

"Mmmh, ogni anno circa il mio mezzo di trasporto decide che è stato trascurato abbastanza a lungo. È successo poco prima che ottenessimo il caso Baskerville. Il caso e la tua trasformazione mi hanno distratto per un po’, ma una volta che ci siamo sistemati in una sorta di routine non è stato possibile rimandare ancora."

Una delle mani di Sherlock si era insinuata sotto la maglietta di John e stava mappando avidamente la pelle che vi aveva trovato.

John mormorò e si inarcò al tocco, mordicchiando la pelle sensibile appena sotto la mascella di Sherlock in cambio. "Ti ho visto maneggiare quell'arpione. Pensavo volessi infilzare direttamente qualcuno."

Sherlock scosse la testa. "Oh no, l'avrei dato a te. Non sono il tipo da infilzare gli altri."

Questo per quanto riguardava quella domanda, allora, pensò John. "Hmm, immagino che non avremo bisogno di un arpione, dopotutto."

"No, se ho voce in capitolo," concordò Sherlock, spostandosi un po’ più in là finché non si trovò quasi a sfregare contro la coscia di John intrappolata tra le sue.

"Uhn... dio," gemette John. "Sono così felice di sapere che mi preferisci a qualsiasi arpione."

"O persona," aggiunse Sherlock. "Tutti quei soldati non valevano niente rispetto a te."

John ringhiò. "Quell'unico tizio che ha provato a flirtare con te mentre eravamo fuori a camminare e tu odoravi come se stessi morendo dalla voglia di una scopata... Dio, penso che lo avrei morso davvero se avesse cercato di toccarti."

Sherlock sorrise. "Sì, l’avevo capito, anche se non ero convinto che fosse quello il motivo.

"Smettiamola di parlare di altre persone," suggerì John, facendosi strada lungo il collo di Sherlock con la bocca e tirando la sua maglietta con entrambe le mani. "Sono più interessato al qui e ora."

Sherlock gemette. "Sì, avanti."


*****


Le mani e la bocca di John erano sulla sua pelle e Sherlock si sentiva sul punto di implodere. Da quanto tempo stava aspettando, sperando, desiderando questo?

Non aveva idea di dove fosse finita la sua maglietta, ma era determinato a far finire quella di John nello stesso luogo. Il tentativo di rimuoverla fu ostacolato dalla riluttanza di John a lasciarlo andare e ci vollero alcune trattative per convincerlo dei meriti del pelle contro pelle, anche se venivano con l'inconveniente di dover lasciarlo andare per un momento.

Alla fine, la maglietta sparì e Sherlock trascinò John con sé mentre rotolava sulla schiena, gemendo mentre il caldo peso di John si posava sopra di lui, i loro corpi premuti insieme.

"Perfetto," ansimò John. "Dio, sei perfetto."

Non avrebbe dovuto farlo arrossire, quel complimento. Era ben consapevole del proprio aspetto, sapeva che la gente lo trovava stranamente attraente. Ma ascoltarlo da John era diverso, più significativo.

Sherlock gemette e lo baciò di nuovo, le mani che viaggiavano lungo i fianchi di John fino alla cintura dei pantaloni del suo pigiama. Quel maledetto motivo mimetico.

"Via," ansimò contro la bocca di John. "Per favore, possono venire via?"

"Dio, sì."

Fu una gara per vedere chi poteva spogliarsi più in fretta e la mano di Sherlock tremò mentre gettava i pantaloni del pigiama di John in un angolo. "Troppo dannatamente sexy," ringhiò. "Maledetto Mycroft e la sua ingerenza. Mi sono quasi avventato su di te nel bel mezzo del laboratorio."

John fece una risata senza fiato che si trasformò in un ansimo quando la mano di Sherlock gli scese lungo l'addome. "È così? Non mi hai nemmeno guardato."

"Oh, ho guardato," lo rassicurò Sherlock. "Per circa un secondo, che è stato sufficiente per cortocircuitare del tutto il mio cervello. Ho dovuto aggrapparmi a un tavolo da laboratorio per impedirmi di saltarti addosso in quel momento."

John gemette mentre dita intelligenti passavano oltre la cintura dei suoi boxer. "A me non sarebbe dispiaciuto, ma penso che agli scienziati potrebbe potuto. Per non parlare di tuo fratello."

"Sarebbe stata colpa sua,” disse Sherlock, spostando con impazienza i fianchi per ottenere un po’ di attrito.

Entrambi imprecarono mentre i loro uccelli scivolavano l'uno contro l'altro.

"Ugh, togliti le mutande," gemette John, tirando giù le proprie. "E per favore, dimmi che hai roba qui."

"Roba?,” chiese Sherlock,

"Lubrificante," ansimò John. "Preservativi."

"Comodino, primo cassetto," mormorò Sherlock, la bocca attaccata alla pelle calda della spalla di John.

John allungò un braccio e riuscì ad aprire il cassetto, frugandovi alla cieca finché le sue mani non entrarono in contatto con un flacone e un piccolo pacchetto. Aprì gli occhi per confermare di avere in mano gli oggetti corretti. Sherlock approvò, sapendo che poteva esserci dio-sa-cosa in quel cassetto, inclusa una bottiglia di salsa al peperoncino o qualcosa di simile che nessuno dei due avrebbe voluto sui loro uccelli. Probabilmente avrebbe dovuto rimuovere tutti gli oggetti pericolosi da lì per evitare incidenti in futuro.

"Sbrigati,” chiese Sherlock, afferrandogli il lobo dell'orecchio tra i denti. "Oppure potrei iniziare senza di te."

Mosse i fianchi per enfatizzare e imprecò mentre il desiderio gli si sparava come un fulmine lungo la spina dorsale.

John bestemmiò. "Gesù."

Sherlock gli fece un sorrisetto. "Ti sbrighi adess... oh."

Il suo discorso s’interruppe quando una mano scivolosa si intrufolò tra le sue gambe e lui permise che si aprissero di più ancora, rabbrividendo sotto l'assalto della sensazione. "Di più, John, per favore."

"Tutto quello che vuoi," promise John, torcendo le dita in un modo che fece arricciare le dita dei piedi di Sherlock.

"Tutto," ansimò lui. "Voglio tutto."


*****


John si bloccò, sicuro di aver capito male. "Che cosa?"

"Voglio tutto," ripeté Sherlock, sostenendo il suo sguardo perfino mentre i suoi fianchi continuavano il loro irrequieto movimento. "Lo stiamo facendo, sì? Una volta non sarà abbastanza, John. Non sarà mai abbastanza per me."

John lo guardò a bocca aperta, incapace di formare parole o persino pensieri in risposta a quella dichiarazione. Ci provò, però. "Tu..."

"Sì." E Sherlock sembrava così sicuro mentre lo diceva, come se non gli fosse mai venuta in mente alcuna alternativa, come se fosse evidente. Forse per lui lo era.

John pensò, piuttosto istericamente, di non aver mai avuto un amante che volesse avere questa conversazione con due delle sue dita su per il culo. Ma questo era Sherlock, che non aveva mai fatto nulla nel modo convenzionale.

Sherlock, che lo stava ancora guardando e il cui viso diventava sempre più serio ad ogni secondo in cui John non rispondeva. Serio e poi triste.

John non poteva sopportare di guardarlo.

"Davvero?” chiese speranzoso, perché lui doveva essere sicuro e Sherlock doveva esserlo.

Questa volta, Sherlock distolse lo sguardo. "Non sono né disposto né in grado di fare sesso con te e poi tornare allo status quo, John."

John rilasciò un respiro tremante. "Neanch’io."

Lo sguardo di Sherlock tornò di scatto al suo, così continuò a parlare. "Ti ho voluto nel momento in cui ti ho visto. Ma non eri interessato, l'hai detto tu stesso, quindi mi sono detto che non potevo averti e che quello era tutto."

"Ho cambiato idea," gli disse Sherlock, in modo del tutto superfluo considerando la loro posizione attuale. "Ho cambiato idea nel momento in cui mi sono reso conto che avevi sparato al tassista."

John scoppiò in una risata strozzata. "Immagino che siamo entrambi idioti, allora. Avremmo potuto averlo secoli fa."

"Mmmh, non credo che allora l'avremmo apprezzato così tanto,” disse Sherlock. "Ora vuoi continuare quello che stavi facendo?"

John sogghignò. "Impaziente, vero?"

Ma torse le dita e guardò gli occhi di Sherlock chiudersi tremando. Dio, stava succedendo davvero.

"In questo modo?" Avrebbe potuto guardare Sherlock muoversi per secoli, avrebbe potuto trascorrere un'eternità godendosi lo sfregare scivoloso delle sue dita e il modo in cui Sherlock rabbrividiva sotto di lui.

"John?"

"Sì?"

"Sta’ zitto e scopami."

Chi era John per discutere?


*****


Si svegliarono qualche tempo dopo e fecero una doccia dove Sherlock dimostrò che un intero pacchetto di sigarette non era l'unica cosa che gli entrava in bocca e che sì, per lui era possibile dedurre con precisione quando John sarebbe venuto.

"Ti rendi conto che non dobbiamo recuperare il tempo perso tutto in un giorno, sì?,” chiese John una volta che ebbe ripreso fiato.

Sherlock sbuffò. "Possiamo provare, però. Potrei mandare un messaggio a Lestrade, dirgli che siamo impegnati a lavorare su un caso che coinvolge alcune transazioni ambigue."

"Transazioni?” fece eco John.

"Uh-huh. Tassi di interesse molto alti," gli disse Sherlock seriamente. "Posso già dire che occuperà tutta la mia attenzione almeno per un altro giorno."

John gemette. "Oh Dio."

Sherlock sorrise. "Quindi suggerisco di asciugarci e mangiare qualcosa. Ho la sensazione che potremmo aver bisogno di energia.”

"È così?" Ma John stava già prendendo un asciugamano. "Be’, chi sono io per fermarti quando per una volta vuoi davvero mangiare?"


*****


Alla fine riuscirono a migrare sul divano, sazi sotto ogni aspetto e pronti a rilassarsi per un po’.

"Non me l'hai ancora detto,” disse Sherlock dolcemente. Era avvolto intorno a John, la testa appoggiata sul petto, una delle mani di John annodata nei suoi capelli.

"Detto cosa?"

"Com'era essere un cane. Sono curioso."

John sentì un sorriso affettuoso stirargli le labbra. "Certo che lo sei."

Sherlock alzò un po’ la testa per guardarlo. "Me lo racconti?"

Leccandosi le labbra, John pensò a come iniziare al meglio.

"Era... disorientante, all'inizio. Era tutto stridente... troppo rumoroso, odore troppo forte, la prospettiva sbagliata. L'unica cosa che aveva senso eri tu. Odoravi di casa. Era l'unica cosa che mi ha impedito di perdere la testa a Baskerville e durante il viaggio di ritorno. Non ricordo niente di tutto ciò in modo molto chiaro, ero troppo preso dal panico. Ma ricordo di aver premuto il naso sul tuo cappotto e di averti respirato."

"Stavi tremando," mormorò Sherlock. "Tremando per tutta la strada verso casa. Volevo uccidere tutti in quel laboratorio per quello che ti avevano fatto."

John sorrise. "Sono contento che tu non l'abbia fatto. Sono riusciti a trasformarmi di nuovo, dopotutto. Mi sono calmato quando siamo tornati a casa. Avevo una migliore percezione del mio corpo e la reazione tranquilla della signora Hudson mi ha fatto sentire come se forse non fosse una tale catastrofe, dopotutto."

"È brava in questo," confermò Sherlock. "Testa molto lucida nelle crisi. Avresti dovuto vederla in Florida quando ho fatto arrestare suo marito. La sua prima domanda è stata quanto in fretta avrebbe potuto divorziare e tornare in Inghilterra."

John annuì. "Odiavo l’idea di un collare,” disse. "Pensavo che sarebbe stato difficile respirare, che mi avrebbe soffocato se l’avessi indossato, ma invece mi faceva sentire come se appartenessi a qualcuno. Come se fossi tuo. Era un promemoria che non ero solo. Quando me l’hai tolto al laboratorio, ero quasi triste di vederlo sparire."

"Ce l'ho ancora,” disse Sherlock a bassa voce. "Potresti ancora indossarlo."

"Penso che potrebbe non essere l’idea migliore,” disse John. "E dubito che adesso mi andrebbe bene."

Sherlock si strinse nelle spalle. "Lo terrò comunque.”

Ricadde nel silenzio, aspettando altro.

John pensò a cosa dire dopo. "I miei sensi erano molto meglio di quanto tu possa immaginare,” disse alla fine. "Sentivo i treni che entravano e uscivano dalla stazione di Baker Street, sferragliando sotto la città. Sentivo gli annunci ‘Attenti allo scalino’. Sentivo il tuo battito cardiaco dall'alto nella mia stanza di notte, quando tutto il resto era più silenzioso. Potevo sentire ogni respiro che facevi e la signora Hudson che russava e i vicini in strada che litigavano. E il mio naso... dio, gli odori. I livelli d’inquinamento sono terribili, ma il disinfettante a Baskerville e alla Bart era peggio. Ero così felice quando hai chiesto a Donovan di portarmi a fare una passeggiata piuttosto che costringermi a restare lì.”

"Immaginavo che l'odore potesse essere un po’ eccessivo," gli disse Sherlock. "Ho notato che mi premevi il naso contro il cappotto, quindi ho pensato che stavi cercando di soffocare un profumo con un altro."

John annuì. "È stato un sollievo uscire di nuovo, ma odiavo starti lontano. Sally era una buona compagnia, ma avrei preferito di gran lunga restare con te."

"Lestrade mi ha tenuto una ramanzina quando te ne sei andato," gli ricordò Sherlock. "Voleva assicurarsi che tu stessi bene. Aveva detto che entrambi avevamo bisogno che ti coccolassi."

"Sono contento che tu l'abbia ascoltato," mormorò John, accarezzandogli i riccioli. "Ne avevamo bisogno entrambi."

"Penso di aver ottenuto tutto ciò di cui avevo bisogno questa mattina, in realtà,” disse Sherlock. "Ma accarezzarti è stato sicuramente un buon inizio."

John sorrise. "Nessuno può resistere a un cane adorabile. Dovremo stampare le foto che ha scattato la signora Hudson, metterle sulla mensola del camino."

"Finché non insiste per prenderne una di noi in questo modo," mormorò Sherlock, stringendo il braccio intorno alla vita di John.

"Ti dispiacerebbe?"

"No, ma se Lestrade ci mettesse le mani sopra, finirebbe su ogni bacheca di Scotland Yard."

Si scambiarono uno sguardo e scoppiarono a ridere.

"Forse non sarebbe una cattiva idea," ansimò John.

Sherlock ridacchiò. "Forse più tardi."

Rimasero in silenzio per un po’ prima che Sherlock gli desse una colpetto con i gomito. "Dimmi di più."

John gli raccontò tutto.

 




NdT: E finalmente ci siamo arrivati! Non è una lemon molto descrittiva (arancione, anyone 😉), ma non è comunque un capitolo fantastico? 🥰

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Capitolo 24
*** 24 ***


Capitolo ventiquattro

"Ehilà!" gridò la signora Hudson mentre saliva gli ultimi scalini fino al 221b, circa due settimane dopo. "Siete decenti, ragazzi?"

John sollevò lo sguardo dal giornale e roteò gli occhi verso Sherlock. "Sono il solo a pensarlo o sembra sempre un po’ delusa quando non ci sorprende a sbaciucchiarci?"

Sherlock sogghignò. "No, penso che lo sia davvero."

"Non sono sorda, ragazzi," li ammonì la signora Hudson, entrando nel soggiorno e sembrando davvero delusa di vederli seduti ai lati opposti della stanza. "E alcuni di noi stavano aspettando che voi due vi metteste insieme da un bel po’ di tempo."

Sherlock e John si scambiarono uno sguardo, chiedendosi entrambi quanto potesse essere lungo l'elenco dei nomi nascosti dietro ad ‘alcuni di noi.’

"Voleva qualcosa in particolare?” chiese Sherlock.

"Mh?" La signora Hudson fece una pausa per sistemare un cuscino sul divano. "Oh, sì! Le foto sono pronte! La figlia della signora Turner è passata prima ed è andata a farle sviluppare. Sai che non ho la più pallida idea di come far funzionare queste macchine alla 007. Ai miei tempi, dovevamo spedire i rullini e ci volevano settimane per svilupparli e trascorrevamo tutto il tempo sperando che nessuno avesse il pollice sopra l’obiettivo quando erano state scattate le foto.”

"Che foto?” chiese John, confuso.

"Le tue foto!" esclamò lei, sventolando una busta come se questo spiegasse tutto.

Sherlock, naturalmente, fu più veloce ad afferrare. "Sono quelle di Johnny?"

John avrebbe voluto poterlo rimproverare per l'odiato soprannome, ma la luce negli occhi di Sherlock al ricordo del suo ‘cane’ lo privò effettivamente della capacità di parlare.

La signora Hudson annuì. "Non le ho ancora guardate. Pensavo che avremmo potuto esaminarle insieme, se vi fa piacere."

John non aveva bisogno di vedere lo sguardo sul viso di Sherlock per sapere quale sarebbe stata la risposta. Ripiegò il giornale e andò a raggiungerlo sul divano, lasciando un po’ di spazio in modo che la signora Hudson potesse sedersi in mezzo a loro.

"Oh, non essere ridicolo, voi due dovreste sedervi vicini,” disse lei, rifiutandosi di prendere posto finché non si fossero spostati. "Ecco, Sherlock, tieni le foto e cerca di non sfogliarle in un secondo."

"Come no," mormorò Sherlock.

John lo spinse scherzosamente con il gomito. "Dai, muoviti."

La signora Hudson si sedette accanto a Sherlock e consegnò le foto.

John sentì una scintilla di eccitazione quando Sherlock aprì la busta e tirò fuori le fotografie. Si era quasi dimenticato che la signora Hudson aveva scattato delle foto e ora era curioso di vedere che aspetto avevano avuto lui e Sherlock insieme dal punto di vista di un estraneo. Tutte le foto che Donovan gli aveva mostrato sul suo telefono erano state solo di John.

Sherlock voltò la piccola pila e fissarono la prima immagine.

Erano loro due sdraiati insieme sul divano, la forma allungata di Sherlock rilassata, l’espressione leggermente divertita mentre guardava la telecamera. John era disteso tra le gambe del suo amico, la testa appoggiata sull'addome di Sherlock.

Per lo spettatore occasionale, sembrava adorabile, un cane e il suo proprietario accoccolati insieme. Visto dal punto di vista di qualcuno che sapeva che il cane di solito non era un cane, implicava molto.

John sbatté le palpebre. "Huh, immagino che questo spieghi perché Greg mi ha urlato contro."

"Lestrade ti ha urlato contro?” chiese Sherlock, sorpreso. "Quando?"

"Quando siamo passati dallo Yard dopo che sono stato ritrasformato. Si era davvero fissato su questo,” disse John, annuendo alla foto. "Ha detto che non dovevo illuderti." Sogghignò. "Guardando la foto ora, posso capire perché pensava che potessi inviare segnali contrastanti.”

Sherlock ricambiò il sorriso. "Mmh, me l’ero chiesto al tempo in cui hai fatto questo, ma poi ho pensato che poteva essere che tu stessi solo diventando più canino nel comportamento perché essere un cane stava prendendo il sopravvento. Ero abbastanza preoccupato che tu potessi perdere te stesso se non ti avessimo ritrasformato in tempo."

John trattenne il fiato. "Non l'hai mai detto."

"Non volevo farti preoccupare," mormorò Sherlock. "E, a quanto pare, non è successo."

"Penso di preferire questo risultato," concordò John, facendogli l'occhiolino.

"Oh, voi due,” disse la signora Hudson, sorridendo.

Entrambi sbatterono le palpebre, avendola quasi dimenticata, e Sherlock passò alla foto successiva.

Faceva parte di una serie che Sherlock dichiarò immediatamente sarebbe stata chiamata "Il Massacro della Vasca da Bagno.”

"Come ha fatto a svilupparle?" rise John, guardando le foto di se stesso coperto di schiuma o con la pelliccia appena asciugata e vaporosa, proprio come la nuvola di zucchero filato a cui Sherlock aveva detto che assomigliava in quel momento.

"Inserite nella scheda SD della fotocamera della signora Hudson,” disse Sherlock, del tutto privo di rimorsi.

"Be’, sono assolutamente deliziose,” disse la loro padrona di casa. "Sono contenta che tu le abbia messe su carta, Sherlock!"

"Non metteremo questa sulla mensola del camino,” disse John, indicando un'immagine in particolare. "Sembro un roditore taglia forte mezzo annegato."

"Un cosa?” chiese Sherlock.

John sogghignò. "Ohhh, guarderemo La Storia Fantastica1. Ti piacerà."

Sherlock sembrava dubbioso, ma lasciò cadere la questione a favore di esaminare il resto delle immagini.

"Questa mi piace,” disse John un paio di minuti dopo. "Non mi ero nemmeno accorto che la scattasse, signora Hudson!"

"Oh, non sono stata io," protestò lei. "Ma avevo lasciato la macchina a foto nel vostro appartamento. Sherlock deve averla presa."

"Non mi sto scusando,” disse Sherlock in tono cerimonioso.

John sorrise. "Non vorrei che lo facessi. È adorabile."

Era una foto di John disteso in un punto soleggiato sul tappeto del soggiorno, la pelliccia che brillava bronzea al sole. I suoi occhi erano chiusi e sembrava completamente rilassato e pacifico.

"Sembravi così tanto un cane, lì,” disse Sherlock. "La posizione degli arti, l’espressione del viso...” La sia voce si abbassò fino a spegnersi.

John sorrise. "È uno scatto fantastico, Sherlock. Quella foto può sicuramente andare sulla mensola del camino... e anche quella," aggiunse quando Sherlock passò alla stampa successiva.

Era quella che la signora Hudson aveva scattato alla fine, poco prima che partissero per Baskerville. Sherlock stava sorridendo il suo vero sorriso, John sembrava l'immagine stessa di un cane felice, e c'era qualcosa di protettivo nel modo in cui il braccio di Sherlock era avvolto intorno a lui.

"Di quella ne voglio una copia,” esclamò la signora Hudson. "Dirò alla signora Turner se può chiedere a sua figlia di stamparla di nuovo."

"Dovremmo prendere quella di noi due e darla a Lestrade," rifletté John. "Solo così che ogni volta che gli Yarder dimenticano che sei umano, lui può mostrargliela."

"Quale foto di noi sarebbe?” chiese Sherlock. "Perché mi sembra di ricordare che abbiamo deciso che avrebbe messo quella di noi sul divano su ogni bacheca, e ci sono dei limiti."

John aveva scelto un'altra foto che la signora Hudson doveva aver sfilato a un certo punto fuori dal mucchio. Erano lui e Sherlock che tornavano a casa da una passeggiata. Sherlock aveva gli occhi luminosi e la coda di John era sfocata, a indicare che l'aveva scodinzolata troppo veloce perché la telecamera potesse catturarla. Sherlock stava anche guardando John con il sorriso più tenero sul viso.

"Qual è?” chiese Sherlock, avvicinandosi per vedere quale immagine aveva catturato l'attenzione di John. "Oh."

John sorrise, dando un colpetto gentile alla spalla di Sherlock con la propria. "Sai, se non l’avessimo ancora capito, penso che questa foto qui avrebbe fatto sì che ti baciassi.”

Sherlock arrossì e la sua voce era bassa quando rispose. "Potresti ancora."

Sempre sorridendo, John si chinò e gli catturò la bocca in un bacio dolce. "Idea brillante. Cosa sei, un genio o qualcosa del genere?"

"O qualcosa del genere," mormorò Sherlock e si chinò per un altro bacio.

Non si accorsero che la signora Hudson usciva.


*****


Due settimane dopo ancora, Lestrade telefonò a Sherlock con un nuovo caso.

"È giù vicino al Battersea Park," spiegò, snocciolando l'indirizzo. "Trovato il corpo vicino ai binari del treno, ucciso a colpi d’arma da fuoco."

Sherlock sbuffò. "L'assassino ha chiaramente usato un treno di passaggio per camuffare lo sparo della pistola."

"Dev'essere stato un professionista,” convenne Lestrade. "Chiunque sia stato ha tirato fuori il proiettile dal muro in cui è rimasto bloccato."

Sherlock si rianimò. «Un'arma di grosso calibro se è passata attraverso alla vittima. Interessante." Fece un rapido calcolo mentale del traffico a quell'ora del giorno. "Saremo lì tra mezz'ora."

Riattaccò e si alzò dal divano dove era stato a dibattere dei pro e dei contro di unirsi a John sotto la doccia. Sembrava che avrebbe dovuto rimandarlo ad un secondo momento.

Aprì la porta del bagno ed entrò nel caldo muro di umidità che le docce di John generavano sempre.

"Vieni a unirti a me, dopotutto?” chiese John, sogghignando mentre sbirciava da dietro la tenda della doccia. "Mi chiedevo quanto tempo ti ci sarebbe voluto."

"Lo stavo considerando,” disse Sherlock, sentendo il suo battito accelerare in risposta al calore negli occhi di John. “Ma Lestrade ha appena chiamato per un omicidio vicino al Battersea Park. Vuoi venire?"

"Non me lo perderei per niente al mondo,” giurò John. "Sarò fuori tra un minuto."

Sherlock annuì e si appoggiò alla porta del bagno, incrociando le braccia. "Sto prendendo il tempo."

John rise e chiuse la doccia. “Oh no, non lo farai. Aspetterai fuori e metterai insieme il tuo kit per la scena del crimine. L'ultima volta che hai deciso di aspettare in bagno, siamo arrivati sulla scena del crimine un'ora più tardi del previsto.”

"Mmh, e avevo un succhiotto piuttosto spettacolare sulla gola," confermò Sherlock, sorridendo al ricordo. "Proprio sotto la mascella così la sciarpa non l’avrebbe coperto affatto."

"Anderson sembrava un po’ verde,” ricordò allegramente John. "Ora esci prima che finiamo per ripeterlo."

"Non è un grande incentivo per me ad andarmene," fece notare Sherlock, ma fece come gli era stato detto. Avrebbero sempre potuto riprenderlo più tardi.

Si mise le scarpe e il cappotto, si assicurò che il suo ‘kit da scena del crimine’, come amava chiamarlo John, fosse completamente equipaggiato e pronto all’uso, e non fu affatto sorpreso quando John emerse due minuti dopo, vestito da capo a piedi e con i capelli strofinati con un asciugamano. Per quando fossero arrivati sulla scena del crimine, sarebbero stati completamente asciutti.

"Pronto?"

"Sempre."

Scesero le scale, salutarono la signora Hudson passando e Sherlock riuscì a fermare un taxi prima ancora di aver raggiunto il marciapiede.

Ci volle esattamente mezz'ora prima che arrivassero a destinazione, proprio come aveva detto Sherlock al telefono.

"Bel posto per un omicidio,” commentò John mentre scendevano dal taxi. "Nessun testimone, molto rumore dal passaggio dei treni..." Si interruppe e aggrottò la fronte. "Dov'è Lestrade?"

Sherlock si strinse nelle spalle. "Non lo so. Di sicuro questo è il posto giusto."

"Forse sono dietro quell'angolo laggiù,” suggerì John, indicando in avanti.

Iniziarono a camminare, godendosi il sole. Sherlock allungò il braccio e afferrò la mano di John, assaporando la sua libertà di farlo. John sorrise e gli strinse le dita. In lontananza udirono abbaiare.

"Sembrano un sacco di cani,” commentò John.

"Il Rifugio Battersea per Cani e Gatti," gli disse Sherlock, scrollando le spalle. "È proprio qui di fronte."

John represse visibilmente un sorrisetto mentre giravano l'angolo e appariva l'entrata. Non c'era il minimo segno di alcuna attività di polizia.

"Che coincidenza interessante,” disse John con tono leggero. "Si potrebbe quasi pensare che non ci sia motivo per cui nessuno dei migliori di Scotland Yard sia qui."

Sherlock rafforzò la presa sulla sua mano. "John."

“In effetti,” continuò John, incapace di reprimere il proprio ampio sogghigno, “non credo che ci sia stato affatto un omicidio qui. Sembra che Lestrade ti abbia fatto uno scherzo."

"John."

"Forse qualcuno gli ha dato un suggerimento," continuò allegramente lui, trascinando Sherlock avanti con sé. “Ma che ne so io? Sei tu il detective geniale, qui. Cosa ne deduce, signor Holmes?"

Si erano fermati proprio davanti al cancello. Adesso l'abbaiare era impossibile da non notare.

Lo sguardo di Sherlock volò dal viso di John alla porta del rifugio e ritorno. "John..."

Chiaramente non poteva star suggerendo ciò che Sherlock pensava suggerisse.

"Avanti,” disse dolcemente John. "Scegline uno."

Sherlock si dimenticò di respirare, si dimenticò di muoversi, si dimenticò tutto. Tutto quello che poteva fare era fissare il viso di John che stava diventando sfocato in modo sospetto.

Alla fine, riuscì a buttare fuori con voce strozzata: "Scegliere cosa?"

Aveva bisogno di sentirlo, aveva bisogno di sentire John dirlo ad alta voce in modo che fosse vero.

"Vai e prendi un cane,” gli disse John, sorridendo.

“... Perché?"

John scrollò le spalle. “Perché ami i cani. Perché ti manca avere un cane. Perché mi manca vederti con un cane. Perché hai un cuore grande quanto Londra e in questo rifugio c’è un branco di cani adorabili che hanno un disperato bisogno di un po’ di amore.”

Sherlock sbatté in fretta le palpebre e il viso di John divenne un po’ meno sfocato. Sherlock era lontanamente consapevole che le sue guance erano un po’ bagnate.

"Ma... il lavoro..."

John sbuffò. "Se hai dimostrato qualcosa nei dodici giorni in cui sono stato un cane, è che sei perfettamente in grado di combinare le due cose.”

"La signora Hudson..."

“... mentre parliamo sta preparando l'appartamento,” John terminò la sua frase per lui. "Potremmo non essere in grado di portare il cane a casa immediatamente, dipende davvero da ciò che il rifugio pensa sia meglio, ma possiamo entrare e sceglierne uno subito."

Sherlock non sapeva cosa dire. Ecco John, che in qualche modo era riuscito ad attirarlo qui e organizzare tutto questo senza insospettirlo, solo per sorprenderlo. Solo per renderlo felice.

"Io..."

"Una condizione, però,” disse John.

"Qualsiasi cosa." Le parole gli erano uscite di bocca prima ancora che avesse avuto il tempo di elaborarle.

John sorrise. “Non dimenticare di accarezzare me ogni tanto."

Sherlock sentì qualcosa che gli saliva in petto, qualcosa di caldo e leggero, come una bolla d'aria. Pensò che avrebbe potuto prendere il volo.

"Niente cani in camera da letto,” si ritrovò a dire. “E dico sul serio questa volta. Ho già tutto quello che voglio, lì.”

John annuì. “La considero una promessa. Dai, su. È ora di incontrare il nostro nuovo coinquilino."

Afferrò il gomito di Sherlock e fece per guidarlo attraverso il cancello.

Sherlock si rifiutò di muoversi. La sensazione inebriante stava riempiendo ogni poro del suo essere.

"John..."

"Sì?"

Si leccò le labbra e lasciò uscire le parole con un sospiro. "Ti amo."

Il sorriso di John si addolcì. "Ti amo anch'io. Adesso andiamo."

Sorridendo, Sherlock si lasciò condurre attraverso l'ingresso. "Possiamo chiamarlo Johnny?"

"Sul mio cadavere."

"Mycroft? Sarebbe carino se lui seguisse i miei ordini, tanto per cambiare."

"Non credi che sia un bravo ragazzo."

"Non importa. Troverò un altro nome.”

 

 

~ Fine ~



Note al capitolo:

1) La storia fantastica (The Princess Bride in originale) è un famoso film fantasy del 1987, che viene citato piuttosto spesso nelle fanfic di questo fandom e che sia dannata se so il perché 😁

 



NdT: Eccoci all'ultimo capitolo, potevate immaginare una fine più perfetta? Io onestamente no 🥰 però la conclusione di una bellissima long comporta sempre una punta di malinconia... Anyway, tra pochi giorni linkerò i commenti all'autrice, per cui se volete dirle ancora qualcosa è il momento giusto 😉

NdT2: ding dong, avviso di servizio. Purtroppo non ho trovato una candidata da tradurre nel mio solito rating, quindi come prossima proposta del lunedì per un po' ci sarà una cosina semplice, spiritosa e leggera. Mi auguro non rimarrete troppo deluse anche se è una fic un po' fuori dal mio stile. Un grosso bacio a tutte e grazie per avermi seguito fin qui 😘

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