Memorie della Casa di Finwë

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Diamanti e Ruggine ***
Capitolo 2: *** Immortale ***
Capitolo 3: *** Ballo in Maschera ***
Capitolo 4: *** Visita a un gioiello ***
Capitolo 5: *** Domare la bestia ***
Capitolo 6: *** Nipote ***
Capitolo 7: *** Memorie lontane ***
Capitolo 8: *** Il suo primogenito, a Finwë ***
Capitolo 9: *** Un testimone ***
Capitolo 10: *** Senza Corona ***



Capitolo 1
*** Diamanti e Ruggine ***


Diamanti e Ruggine
Fëanor - Míriel

Fëanáro difficilmente trovava ispirazione nei sogni. Alcune volte erano troppo scuri e spettrali, altre volte troppo confusi, caotici, in quel modo strano in cui i sogni sono, sovrapponendosi e mescolando esperienze e memorie senza un senso compiuto. La maggior parte delle volte semplicemente ricordava piccoli dettagli, troppo insignificanti per svilupparsi in idee. No, i sogni svanivano o lo facevano svegliare.
E così in fretta.
Era senza fiato, i palmi sulle coperte, le dita strette alla stoffa; Nerdanel giaceva al suo fianco, dandogli la schiena. La sua presenza, addormentata, non poteva cancellare l’immagine vivida della corona a cerchietto che aveva sognato: era quella che aveva forgiato per commemorare il compleanno di sua madre e, d’argento quale era, si era coperta di ruggine.
Si alzò, gettando via le coperte da sé, e attraversò la tenda che divideva la nicchia con il letto dal resto della stanza. La luce di Telperion colpì i suoi occhi mentre raggiungeva la sua scrivania; si sedette, inspirando profondamente.
Qualcuno avrebbe potuto dirgli che nessuna ruggine poteva rovinare il metallo, nel Reame Beato. Falso. Non poteva scrollarsi di dosso il bisogno di correre nella stanza dei gioielli, persino sapendo che l’argento non poteva arrugginirsi, soltanto ossidarsi. Non poteva, al punto che tese le gambe e afferrò un foglio bianco e un carboncino per tenere le mani occupate.
Provò a disegnarla, sua madre, dalla sua memoria dei quadri nel palazzo. Il suo mento, i suoi occhi, ma presto le sue linee divennero geometriche. Un dodecaedro. Un icosaedro. Poi di nuovo gli occhi di sua madre. Poteva aspettare finché le due luci non si fossero mescolate l’una con l’altra prima di andare a controllare la sua corona -- la corona di sua madre --, o finché le sue dita non si fossero annerite per la polvere del carbone.



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Fëanáro è il nome Quenya di Fëanor.
Note sulla raccolta: non saranno tutte one-shot (ad esempio questa è una flash-fic) e non saranno presenti personaggi originali di rilievo, solo alcuni utili a mandare avanti la storia (fabbri, studiosi, altre comparse.) Potrebbero essere presenti o implicati dei pairing non canon (Maedhros/Fingon, Celegorm/Aredhel, per esempio) e nel caso qualcos'altro compaia strada facendo, lo farò presente.
Spero vi sia piaciuta.

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Capitolo 2
*** Immortale ***


Immortale
Fëanor - Finwë

 
Lui e suo padre sono nella stessa stanza; sono passati anni innumerevoli, ere innumerevoli, dall’ultima volta in cui ha potuto dire che era in una stanza. Siedono uno a fianco all’altro e respirano piano, le loro gambe ancora faticano quando cercano di camminare e la luce, una luminosa, chiara luce che brilla attraverso la finestra, colpisce i loro occhi con violenza. La mano di Finwë è appoggiata delicatamente sulla sua. 
     Il corpo di Fëanáro è nuovo, plasmato per accordarsi a uno spirito che è cresciuto più vecchio nella morte, abitando in Mandos mentre guardava altri arrivare e partire, e imparando la storia del mondo attraverso arazzi. Tuttavia l’aria che sta respirando è antica. Porta con sé la polvere di ere passate e un sentimento pesante che gli ricorda la cenere nei polmoni.
     « Infine » dice. È curioso come suoni roca la sua voce. « La fine dei giorni giunge. » Suo padre stringe la presa sulla sua mano, mentre Fëanáro aggiunge: « Combatterò nella battaglia. A parte incontrare di nuovo coloro che lo vogliono, non c’è nient’altro che devo fare prima della fine. »
     Finwë non risponde immediatamente. Hanno condiviso la solitudine della morte così a lungo che alcune cose restano non dette. L’accenno di un sorriso trema nella sua voce: « Non ho udito una singola parola di rimorso dalle tue labbra – solo per alcune cose, non per altre. Non ho sentito da te dell’intenzione di chiedere ai Valar il perdono. Non che me lo aspettassi. Ma ora, bambino mio, quando il tempo giunge… »
Suo padre si zittisce ma Fëanáro non esita; ma neppure si affretta. « Quando il tempo sarà giunto e Arda sarà nell’oscurità, benché il Nemico sconfitto, quando infine le gemme torneranno alle mie mani, allora spaccherò il mio cuore e distruggerò il mio spirito in pezzi. »
     Può vedere suo padre voltare appena la testa, nell’angolo del suo campo visivo. La voce di Finwë è un sussurro. « Lo farai » dichiara, non attonito, ma un intense fremito tradisce quanto significhi quella realizzazione.
     Fëanáro gira lentamente la mano con il palmo all’insù e stringe quella di suo padre. « Lo farò » mormora. « Come ho dovuto essere colui che ha cercato la libertà, che ha guidato la ribellione, che ha portato sia gloria che infamia nel suo nome, allora porterò a compimento quello che ho cominciato. Se questo mondo avrà una nuova alba, se deve accadere attraverso il mio spirito e il lavoro delle mie mani, allora non sarà come il mondo che ho conosciuto. » Gira lo sguardo sul muro di pietra dell’anticamera delle Sale e poi verso la luce del sole che cala.    
      Sarebbe stato lui a scegliere la forma. Avrebbe scelto felicità per coloro della sua famiglia che non la avevano mai avuta. Sarebbe stato un mondo dove la perfezione non era qualcosa di irrimediabilmente perduto e rovinato, ma qualcosa per cui lottare, qualcosa da cercare – e tuttavia mai raggiungere. Qualcuno sarebbe giunto a migliorare ciò che sembrava già perfetto, assoluto e mai rinnovabile.
     « Sarà la mia vittoria. »
     Finwë, invece di parlare, tocca la sua mandibola e lo fa voltare verso di lui. Negli occhi di suo padre c’è una luce di fede e sul suo sorriso un’ombra di dolore. Finwë gli bacia la fronte e, per un po’, riposano prima che cada la notte.



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Alcune spiegazioni sul significato di questa drabble. Personalmente credo che all'interno dei Silmarilli ci sia un pezzo dello spirito di Fëanor e prendo alla lettera la frase che lui pronuncia di fronte ai Valar in consiglio, ovvero che se loro avessero rotto i Silmarilli gli avrebbero spezzato il cuore. Immagino un vero legame spirituale che lo ucciderebbe.
La drabble è ambientata durante il breve periodo prima della Dagor Dagorath (l'ultima battaglia o Battaglia delle Battaglie, a cui accenno nel testo), dato che, secondo la storia, Fëanor non lascerà mai le Sale di Mandos (le aule dove riposano e si curano le anime degli elfi prima di essere reincarnati) fino a poco prima della fine dei giorni, quando Melkor/Morgoth (il Nemico di cui parlo nel testo) si libererà dal Vuoto. I Silmarilli sono detti essere la forza che ridarà vita al mondo (Arda) dopo questa battaglia, una volta rotti, e Fëanor li consegnerà ai Valar perché possano utilizzarli.
Finwë, padre di Fëanor, è con lui fino alla fine dei giorni, per sempre intrappolato in Mandos, in accordo alla versione della storia che c'è in "History of Middle Earth, Morgoth's Ring", volume non pubblicato in italiano. Per dare la possibilità alla sua prima moglie di tornare a vivere, Finwë offre di non essere mai reincarnato.
...La spiegazione è quasi più lunga della storia.
Come sempre, grazie di aver letto!

 

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Capitolo 3
*** Ballo in Maschera ***


Ballo in Maschera
Fëanor - Melkor - Silmaril


 
Fëanáro camminava lentamente, misurando il suo passo e il suo respiro. I corridoi e le sale del palazzo di suo padre, che conosceva così bene, sembravano distorcersi e snodarsi come il sentiero di un sogno. Un bagliore dorato colorava le colonne e il pavimento di marmo si costruiva sotto i suoi piedi. Fluttuava e le ombre si ritiravano davanti a lui. Quelli erano i corridoi che era stato così impaziente di lasciare nella sua giovinezza – e ora brillavano della sua luce riflessa.
     Passò sotto l’arco del salone principale. I Ñoldor si trovavano lì: la corte di suo padre, il seguito del suo fratellastro, gli studiosi e maestri delle tradizioni, gli artigiani, e i loro abiti frusciavano sul pavimento lucido, cadevano dalle loro spalle in panneggi di velluto; i loro gioielli luccicavano di argento, rame, oro, le gemme cucite sui loro manti e gonne erano un trionfo di bellezza.
     E tuttavia i loro occhi si girarono, tutti quanti, verso di lui. Poiché non c’era luce brillante quanto la sua, che raggiungeva le volte, i soffitti, le anime stesse. Fëanáro inspirò lentamente; l’aria sembrava tanto fresca quanto lo era stata durante la primavera del mondo e, come se stesse respirando in cima ad una montagna, con gli occhi abbagliati dal riverbero della neve, si sentì la testa leggera. Camminò avanti, in mezzo ai Ñoldor, e non li fissò di rimando.
      I loro sguardi tuttavia lo nutrivano. Bevve dalla meraviglia nei loro occhi, si vestì della loro ammirazione. I suoi passi lenti gli aprirono la strada mentre loro si spostavano per lasciarlo avanzare e si inchinavano, e alcuni sorridevano, altri rimanevano immobili senza parole, alcuni lo salutavano con occhi spalancati, e tutti fremevano davanti alla luce sulla sua fronte.
     Benvenuto, Alto Principe Fëanáro, dicevano.
     Si fermò solo di fronte al trono, di fronte a suo padre, a Indis, e chiunque altro fosse meritevole di una menzione. Nuovamente si poteva sentire purificato nell’acqua più chiara, innalzato dalle decine di sguardi della folla. « Padre » salutò, e la sua voce non poteva suonare più giusta, più forte di così in quella dichiarazione, poiché lui era figlio di Finwë, e figlio di una madre la cui morte aveva causato ma, con la benedizione della sua luce, aveva anche vendicato.
      Poteva fronteggiare tutti loro, sentendosi intero dopo tanto tempo. Era compreso, riconosciuto. Lodato. Riverito. Poteva salire le scale della salvezza che aveva forgiato con le sue stesse mani e bagnare le sue guance di lacrime, poteva guardare al sorriso di suo padre brillando da dentro.
     Per un momento, un breve, immenso momento tra la sensazione che la luce dei Silmarilli si stave mescolando col suo spirito e uno sguardo da dietro la sua schiena, si sentì infine curato.
Poi si voltò, per guardare in faccia l’estraniante impressione che qualcosa scavasse nel mezzo alle sue scapole e sulla sua nuca e direttamente dentro di lui. Era in mezzo alla corte. Era due occhi tra i Ñoldor. Era un pugno nello stomaco, un improvviso strattone che gli ricordò di nuovo dove fosse e con chi – non intento a volare sopra di loro cavalcando fiamme, cascate, venti, ma dentro al suo corpo, nella sala del trono, con la gente di Tirion. Su solido marmo, dentro ai muri del palazzo.
     Appena tentò di trovare quegli occhi e il loro possessore, che conosceva, questi scomparvero. Il respiro gli grattò nella gola e ogni persona, ognuno di loro, sembrò svestirsi del puro stupore che avevano mostrato inizialmente. Come se la loro pelle fosse stata strappata via e tutta la bellezza dei loro volti si fosse trasformata in invidia.
     La luce sulla sua fronte, la sua luce, era troppo brillante. Fëanáro desiderò che potesse accecarli tutti.
     Desiderò poterla celare nella propria carne e tenerla al sicuro, guardata, ed esserne purificato una volta ancora.



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Grazie alle due fedeli lettrici per i vari commenti e complimenti!
Non credo siano necessarie molte spiegazioni per questa drabble, se non che è ambientata a Tirion quando ancora l'incidente della spada non è accaduto. Ho cercato di interpretare la citazione secondo cui alle volte Fëanor indossava i Silmaril e li sfoggiava e altre volte li chiudeva nelle stanze del tesoro senza mostrarli a nessuno.
(Silmarilli, plurale in Quenya di Silmaril.)


 

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Capitolo 4
*** Visita a un gioiello ***


Visita a un gioiello
Fëanor - Míriel - Irmo

 
Fëanáro fermò il cavallo fuori dai Giardini. Era ancora giovane l’ultima volta che suo padre l’aveva portato a visitare quell luogo; strusciò la criniera dell’animale in un gesto automatico che ritardava il momento dell’incontro, se incontro poteva essere chiamato. Si voltò e aggrottò la fronte, persino davanti alla bellezza che stave ammirando, circondante la casa di Irmo. Non aveva detto a Nerdanel dove avrebbe trascorso il suo tempo: si poteva aspettare, ormai, di vederlo sparire per un giorno, o due, e aveva imparato nell’anno del loro fidanzamento e durante il primo anno di matrimonio appena passato, che tali viaggi sarebbero accaduti, di tanto in tanto.
     Avanzò lentamente e serrò la mascella; la luce di Tyelperion graziava le foglie con una sfumatura d’argento, una canzone distante come lo scorrere di un fiume lo chiamava dentro come una promessa di conforto and e un profumo di fiori notturni riempiva l’aria. L’erba verde sotto I suoi piedi era il pavimento di quel tempio e il suono gentile degli uccellini tra i rami era i suoi muri. Certamente non poteva pensare a uno scrigno di tesori migliore per un gioiello che non poteva marcire, non era così?
     Si fermò, in silenzio, inalò l’aria odorosa e, guardando avanti, i suoi occhi luminosi incontrarono una figura vestita in bianco, con capelli chiari e un viso gentile. Fëanáro strinse leggermente le labbra. « Irmo Lórien. » Non era un saluto, ma un’affermazione.
     Il Vala sorrise leggermente. « Sai dove trovarla. Sono certo che ricordi. »
     Ricordava. Non c’erano dubbi che ricordasse, persino se era passato sì tanto tempo, e tuttavia non avanzò per andare a incontrarla – lo seppe nell’esatto momento in cui guardò negli occhi di Irmo e osservò le sue mani giunte e i suoi piedi nudi, fermo come una statua, ma chiaro e luminoso come una visione. Seppe che non l’avrebbe visitata, né adesso né mai più in futuro, poichè avrebbe trovato solo un’effigie di lutto, un corpo perfetto che non sarebbe stato mai più la casa di uno spirito.
     C’erano abbastanza memorie di una regina morta intorno a lui; alcuni ritratti, il bellissimo lavoro delle sue mani, un nome mal pronunciato, uno Statuto. Rimanenze di un cadavere. Poche cose celebravano ancora i suoi desideri viventi e quasi nessuna il suo spirito, che non era lì, sotto le cure di mani gentili e in mezzo alla serenità dei Giardini. E lui non desiderava onorare un corpo vuoto di bellezza intoccata, ma senza luce all’interno.
     Per un attimo osservò soltanto. « –Non tornerò di nuovo » annunciò schiettamente, con occhi più simili a pietre che a stelle.
     Irmo inclinò la testa ma poi annuì quietamente – e Fëanáro si voltò per andarsene.



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I giardini di Irmo sono il luogo dove la madre di Fëanor (o meglio, il suo corpo) era custodita. Il nome della madre viene dalla radice di "gioiello", da lì il titolo e il paragone. Il nome mal pronunciato è un riferimento alla Shibboleth di Fëanor che si trova nel libro Morgoth's Ring. Grazie a tutti quelli che leggono e commentano. ♥

 

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Capitolo 5
*** Domare la bestia ***


Domare la bestia
Fëanor - Finarfin
 
Fëanáro alzò gli occhi dal libro di calcolo appena udì passi affrettarsi su per le scale; c’era una ragione per cui, le poche volte in cui visitava il palazzo e i suoi giardini, riposava comunque negli angoli più remoti, cercando la solitudine finché l’occasione ufficiale non avesse richiesto la sua presenza nelle sale principali. Nessuno l’avrebbe interrotto nelle sue attività, a meno che non avessero buone ragioni.
La persona che apparì alla fine della scalinata, entrata per il giardino private al piano superiore, era Arafinwë. Forse non aveva alcuna buona ragione, dato il modo in cui i suoi occhi, guardando attorno nell’erba con un certo nervosismo, si spalancarono in sorpresa non appena notarono la reciproca presenza.
« Fratello » salutò, sbattendo le palpebre.
« Arafinwë. »
Il suo fratellastro più giovane stava tenendo una coperta e non sembrava del tutto certo rigaurdo al cosa farsene. Camminando all’interno, di nuovo i suoi occhi vagarono attorno. « Non intendevo interromperti nella lettura. Sto… cercando un coniglio. »
Fëanáro quasi sorrise di divertimento e accennò con il suo mento a una colonna bianca e corta vicino ad alcuni cespugli di un verde brillante: lo scopo della colonna avrebbe dovuto essere quello di supporto per una statua, o forse un vaso, ma ora, sulla sua cima, c’era in effetti un coniglio. « Potrebbe essere quello. »
Arafinwë si voltò e arcuò le sopracciglia, notando la posizione del suo bersaglio. Lentamente, si accostò all’animale, fermo come marmo, ma non appena sollevò le mani e la sua coperta il coniglio saltò giù e corse via nell’erba. Fëanáro guardò il suo fratellastro con una certa attenzione: Arafinwë espirò e abbassò le spalle.
« È di Aikanáro, » spiegò dopo un momento, « lo ha trovato con sua sorella i Valar sanno dove e ha volute tenerlo, ma… » voltandosi, sembrò realizzare all’improvviso che le informazioni non erano state richieste e la sua voce si abbassò. « Ma è alquanto turbolento. »
Fëanáro chiuse il libro definitivamente, con un dito tra le pagine. « Non insubordinato quanto un cane da caccia, in ogni caso. » Avrebbe dovuto dare un po’ di credito ad Huan e all’abilità di suo figlio nell’avere a che fare col suo cane ma, forse, un coniglio che non poteva crescere fino al punto di raggiungere la stazza di un Elda sarebbe stato preferibile. « Benché un mastino di Oromë difficilmente fuggirebbe via all’interno del palazzo col bisogno di inseguirlo e finire senza fiato. »
Arafinwë aprì la bocca e inclinò leggermente il collo; passò un momento prima che sorridesse. « Perdonami, fratello, stai considerando un coniglio più incontrollabile del tuo cane? »
« Non mio, di mio figlio. » E Fëanáro realizzò che la sua frase non era intesa come un’offesa. Così parlò con la sua mente e lo invitò: ti puoi sedere. Non avrebbe spiegato l’ironia che la sua voce non aveva espresso, ma sarebbe stato sufficiente.
La panca era larga abbastanza perché entrambi fossero comodi e il sorriso di Arafinwë sembrava l’effige di una graziosa cortesia.
« Di tuo figlio, sì » corresse il suo fratellastro.
« In ogni caso potresti voler domare la bestia. »
« Oh, quello è il dovere di Aikanáro. Imparerà a non far correre via il suo coniglio, spero. »
« Quantomeno non nel palazzo. »
« Quello… sarebbe preferibile, sì. »
Fëanáro giocò incurante con metà del libro, che teneva tra due dita, e sollevò le sopracciglia con un’espressione alquanto severa. « Potrebbe irrompere nella sala per le cene, invadere il tavolo e distruggere ogni piatto saltandoci dentro. Come spiegheresti quello a nostro padre? »
« …Io non credo che— » Arafinwë esitò e corrugò la fronte. « Stai parlando seriamente, fratello? »
Fëanáro arricciò gli angoli delle labbra. « Certo. Assolutamente. »
Mentre il suo fratellastro lo fissava con una luce scettica negli occhi, il lampo di un movimento catturò l’attenzione di entrambi: una piccola palla di soffice rabbia corse tra l’erba e saltò esattamente in mezzo a loro sulla panchina intagliata. Arafinwë sbatté le palpebre; il momento successive il coniglio era stato catturato sotto la coperta, dove stava venendo gentilmente e cautamente avvolto per placare calci e contorsioni.
« Il pericolo per la cena è stato evitato » Fëanáro commentò con una voce vagamente piatta, aprendo nuovamente il suo libro.
Arafinwë si alzò tenendo il coniglio nella coperta. « Apparentemente è così. Cercherò Aikanáro e gli riporterò la sua bestia feroce. » E aggiunse: « Grazie per il tuo tempo, ci vedremo più tardi. È stato un piacere. »
Fëanáro non era mai stato davvero capace di distinguere, quando il suo fratello più giovane parlava con un sorriso e una tale gentilezza, se si trattava di vero affetto o pura cortesia. Accennò un sorriso a sua volta come saluto.




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Torno alla carica con qualcosa di vagamente fluff e comico. Grazie a tutti coloro che hanno commentato finora e che seguono la raccolta, so di essere un filo lenta ad aggiornare.
Aikanáro è il nome Quenya di Aegnor, terzo figlio di Finarfin (il cui nome in Quenya è Arafinwë) secondo la versione che io seguo (in cui Orodreth è figlio di Angrod e non di Finarfin stesso), la sorella che viene menzionata è Galadriel. Chiaramente il tutto è ambientato prima della faida tra i vari fratelli.

 

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Capitolo 6
*** Nipote ***


Nipote
Fëanor - Curufin

« Tyelperinquar » ripetè, scandendo tutte le sillabe come per dare una forma al nome nella sua testa. Le labbra di Fëanáro si tesero in un sorriso. « È piuttosto eufonico. »
Curufinwë, sedendo dall’altra parte del piccolo tavolo, annuì. Era più immobile di quanto qualcuno si aspetterebbe dopo la nascita di un figlio e un parto relativamente semplice, certamente più immobile del suo solito, ma Fëanáro ricordava parte delle sue reazioni dopo la nascita del suo primo figlio. Non lo commentò.  « Hai già deciso il suo ataressë? », chiese invece.
Suo figlio annuì di nuovo. « Ho scelto quello che credo sia il più onorevole per lui, per te e per la Casata. È Curufinwë. »
Fëanáro sbattè le palpebre, ma il sorriso non sparì. Il suo quinto figlio lo onorava già abbastanza e il sentimento di fronte a quella frase, che aveva il suono strano di una confessione, era più vicino all’orgoglio. « Ne sono lieto. E sarebbe uno sviluppo piacevole se vi prestasse fede, crescendo. »
« Me lo aspetto e lo spero. »
Fëanáro alzò un sopracciglio, divertito. « Mi aspettavo e speravo lo stesso per tutti i tuoi fratelli – comunque, dopotutto ho dato il nome a quello che più se lo meritava. » —E, mentre si voltava per riempire un bicchiere d’acqua per entrambi, Curufinwë lasciò andare il fiato dal naso e le sue spalle rilasciarono un po’ di tensione. La bottiglia era di vetro soffiato e notò una lieve imperfezione nella forma altrimenti armoniosa, ma gli occhi gli furono preso catturati dal gioco della luce rifratta di Laurelin.
Suo figlio raccolse il bicchiere nella mano e strusciò un polpastrello sul bordo prima di sollevarlo e bere un singolo sorso.
Fëanáro si rinfrescò la bocca e lanciò uno sguardo al giardino oltre la terrazza. « Prova a farlo dormire sempre alla stessa ora », aggiunse dopo un momento. « Ti potrebbe evitare di svegliarti nel mezzo delle ore di Tyelperion o interrompere quello che stai facendo per occuparti di lui. Ma potrebbe prendere da te. »
Curufinwë si sporse, bicchiere ancora pieno, e corrugò la fronte, ma parlò solo dopo essere stato incoraggiato da un cenno. « Ero così insubordinato? »
Fëanáro soffiò dal naso, accennando una risata. « No, non lo eri. » Esitò per un attimo, catturato nelle sue stesse memorie, e si rilassò contro la sedia. « Non quanto me, se presto orecchio a quello che mio padre mi ha detto una volta, e non quanto alcuni dei tuoi fratelli. Una volta Canafinwë pianse così forte che dovetti lasciare la forgia e a quest’oggi non so se fosse per via dell’ósanwë con tua madre o davvero lo sentii fin da lì. »
Suo figlio bevve un altro sorso d’acqua e Fëanáro realizzò che stava inutilmente tenendo il bicchiere in mano a sua volta; lo svuotò. keeping. Curufinwë lo stave fissando. « Lasciasti la forgia? »
« Così è. E un’altra volta, ricordo, quando tua madre mi chiamò perché non intendevi dormire affatto. » Quello ditto, si alzò e raddrizzò la schiena, alzando un sopracciglio quando Curufinwë lo guardò quasi mortificato.
« …Perdonami per quello », mormorò presto, come per correggere irrealisticamente il comportamento della sua persona ancora infante. Appoggiando il bicchiere sul tavolo, si spinse in piedi a propria volta.
Fëanáro alzò entrambe le sopracciglia e gli angoli delle sue labbra si arricciarono all’insù. « Difficilmente c’è il bisogno di perdonare un neonato perché piange. In ogni caso, hai smesso quando sono arrivato. » Appoggiò una mano tra le scapole di Curufinwë. « Adesso andiamo dentro, desidero vedere di nuovo il mio primo nipote. »



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Beh, torno alla carica. Un paio di note al testo: Tyelperinquar è la versione in Ñoldorin Quenya del nome Celebrimbor, figlio di Curufin (Curufinwë) e quindi nipote di Fëanor. L'ósanwë è un particolare processo che succede con gli elfi, e si può tradurre come "trasmissione di pensiero" anche se non proprio telepatia. Può anche essere senza parole e far passare soltanto delle emozioni. Viene descritta nel testo manoscritto di Tolkien "Ósanwë-kenta", pubblicato sulla rivista Vinyar Tengwar n°39 (si trovano dei pdf su internet.) Insomma, in conclusione avevo voglia di cose tenere con questa shot. Ho considerato l'usare o non usare il "voi" per le parole di Curufin, ma considerato che è una famiglia reale e visto il periodo, alla fine ho optato per il sì. Ultima annotazione: non è canon che il nome paterno (ataressë) di Celebrimbor sia a sua volta Curufinwë, ma mi sembrava qualcosa che Curufin potrebbe fare.
Spero sia gradita.


 

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Capitolo 7
*** Memorie lontane ***


Memorie lontane
F
ëanor - Maedhros - Nerdanel

 
Dalla nascita di Nelyafinwë, non avevano avuto tempo di viaggiare nelle zone selvagge: i bisogni di un nuovo nato difficilmente potevano essere soddisfatti senza le comodità adatte. Ma suo figlio non era più un infante e la fatica nelle sue braccia, mentre lo sorreggeva, gli ricordava stava crescendo più pesante – e più forte. Fëanáro portava quel peso con piacere.
Erano fermi su una roccia muschiosa e il bagliore d'argento nell'aria era flebile e così distante che ogni colore era adesso più scuro.Davanti a loro c'era il mare; le onde sembravano scaglie di metallo cucite su velluto blu e nero.
Fëanáro lanciò uno sguardo a suo figlio, i cui occhi brillavano, catturati dalla vista dei quella distanza infinita che spariva nell'oscurità. Il profilo della sua fronte e naso gli ricordavano così tanto di quelli di Nerdanel.
« Non c'è assolutamente niente, là fuori? », chiese Nelyafinwë in un mormorio. Il piccolo braccio si strinse attorno al collo di Fëanáro.
« Ci sono terre, oltre il mare. Sono state abitate ed è là che la nostra gente si è svegliata, in tempi da lungo passati. Tuo nonno è nato là e può raccontarti di quei luoghi più accuratamente delle nostre tradizioni e storie. »
« Più dei libri? »
Il sottofondo del mare era musicale, antico e mai a riposo, e Fëanáro si domandò se c'era un modo per scrivere quei suoni su carta. Guardò Nelyafinwë e arricciò le labbra in un sorriso: « Capisci meglio quanto siano alti i Pelóri adesso che li puoi vedere con i tuoi stessi occhi, o prima, quando avevi solo letto a riguardo? »
Suo figlio strinse le piccole labbra e aggrottò lentamente la fronte. « Adesso. Ma il nonno non può farmi vedere niente, giusto? »
« Questo è vero. Ma non abbiamo altro che memorie, adesso. » 
Nelyafinwë lo fissò con occhi brillanti, aspettandosi qualcosa di più, e Fëanáro ricordò le molte storie che aveva sentito direttamente dalle labbra di Finwë.Forse suo padre avrebbe comunque potuto parlare con eloquenza sufficiente ad evocare immagini nella mente di un bambino; sarebbero state immagini di un mondo senza luce, neppure il lieve eco di Tyelperion che ancora li raggiungeva così distanti, ma un mondo ampio e libero. Anche le vecchie storie riguardavano oscurità e notte e la necessità di essere forti abbastanza da combattere i demoni che là strisciavano; le avrebbe narrate a suo figlio - ma non quella notte.
« Fëanáro, cucineresti? »
Voltò la testa verso Nerdanel, che si stava occupando dei cavalli e chiamava da una certa distanza. Banciando i capelli rossi del suo primogenito, si allontanò dal mare.




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Sì, sono sempre viva! Ogni tanto ricompaio con qualcosa di nuovo. Grazie a chi ha letto e recensito il capitolo precedente, i vostri commenti mi fanno sempre venire voglia di scrivere di più.
Poche note riguardo a questo capitolo. Nelyafinwë è il nome paterno di Maedhros in Quenya, i Pelóri sono l'altissima catena montuosa che circonda Aman e la parte sullo "svegliarsi" fa riferimento alla storia di Cuiviénen, dove gli Elfi si sarebbero risvegliati già adulti. Anche questa volta mi sono voluta concentrare su qualcosa di abbastanza carino, anche se penso che nel prossimo capitolo andrò giù un po' più pesante sull'angst. Mi piace quella parte della storia in cui Fëanor ancora viaggiava con la moglie, e ho pensato di inserire il figlio primogenito.

Grazie a chi legge e alla prossima.

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Capitolo 8
*** Il suo primogenito, a Finwë ***


Il suo primogenito, a Finwë
F
ëanor - Finwë

 

Ti ho amato più delle luci oro e argento confuse l’una nell’altra. Riempivi un vuoto doppio, persino nella tua tristezza, ed io sedevo sulle tue spalle come se nessun luogo in Arda fosse più alto o mi permettesse di vedere più lontano. Trovai riposo e calore nelle tue braccia. Anche io fui bambino, anche se il mondo dimentica, e tu eri colui che mi cullava.
Tu eri per me padre e madre, finché non imparai che il posto di lei non poteva essere occupato da nessuno.
Il tradimento non venne da Indis, ma da te. Come è facile dire che ti incantò, che ti stregò, gettando via la memoria della sua amica che era anche mia madre, come è facile odiarla come ci si aspetta da me, essere arrabbiato nei suoi confronti, come giustamente sono. Non altrettanto facile fare lo stesso con te, padre mio.
Mai lo dirò ad alta voce, per amore e per rispetto; ma lasciai la tua casa, infelice e rancoroso, per cercare amici e famiglia in quella di Mahtan. La serenità che io da solo non potevo darti avvelenò i miei giorni e non poté completare i tuoi.
Non riesci a vedere, Principe, che tuo padre ama te più di tutti? — mi dicono. — Non riesci a vedere che ti favorisce, che trascurerà moglie e altri figli per te, che nessuno ti spodesterà mai nel suo cuore?
Affetto dato per senso di colpa ha un sapore amaro nella bocca. Dividi il tuo cuore a metà, padre, se così desideri, ma già facesti la tua scelta il giorno in cui decidesti di segnare il fato di mia madre.
Non sai, Principe, che tua madre scelse ella stessa? — mi chiedono. 
Perchè pensate che io abbia stracciato e bruciato le prime missive che riportavano le parole dei Valar, e le tue, e quelle di mia madre? Ma il suo fato non accetterò, non importa che lei lo abbia fatto, con un volto orgoglioso ma un cuore troppo stanco. Non accetterò la legge che la uccide e tutto ciò che ne venne.
Molte storie sono state raccontate a proposito del mio odio. Ma padre, odiai di più solo perché, con me nella tua casa, dovevi scegliere, e dovevi essere il colpevole (tu stesso ti sei reso colpevole), e dovevi rimpiangere ogni momento che dedicavi a me per il semplice fatto che non potevi salvarlo per gli altri. La colpa pesa sulle spalle di molti. E ancor più desideravo di essere amato, ancor più ti amavo di quell’affetto che, nella mia infanzia, non fu sufficiente a tenerti al mio fianco.
Provo vergogna così raramente.
Sei stato portato via da me due volte; una volta nella vita con la tua stessa benedizione, e una volta nella morte, e nessuna delle due potrò perdonare.



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Sono di ritorno con un monologo di Fëanor che parla a suo padre. Volevo esplorare i sentimenti del personaggio verso la figura paterna, che penso siano molto più complicati di quel che potrebbe sembrare.
Grazie a tutte le anime pie che mi hanno letto e recensito e chiedo venia per il completo silenzio radio.

 

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Capitolo 9
*** Un testimone ***


Un Testimone


« Se avessi chiesto ai seguaci dei figli di Fëanáro nella Prima Era qualcosa riguardo il loro Re, alcuni di loro avrebbero prontamente domandato: che cosa hai bisogno di sapere a proposito del Re?, e segretamente avrebbero anche domandato quale Re tu intendessi. Non ad alta voce, certo. Alcuni di loro non smisero mai di servire soltanto un Re ma non osavano dirlo, per timore di risvegliare problemi che nessuno voleva affrontare. Non a quel tempo. Io posso dirlo, ero uno di loro.

Ma se tu avessi chiesto loro a proposito di Fëanáro Curufinwë stesso, molti avrebbero scosso la testa. Non perché non desiderassero parlare di lui. Alcuni non volevano, a dover dire la verità. Non conosco le loro ragioni, non chiesi mai. La maggioranza scuoteva la testa perché non potevano esprimerlo a parole. Neanche io posso. Non credo di poterlo.

Avresti potuto vedere uno di noi brandire due asce da battaglia e avresti chiamato quell’uno feroce, ma non hai visto qualcuno che è feroce se non hai visto lui, lui combattere per dieci giorni e infine guidare una carica. Non la sopravvisse, è vero, ma vorrei vedere voi combattere così a lungo contro i Valaraucar. Tu vedi che i miei occhi brillano della luce di Valinor ricordandoti da dove vengo, ma non hai visto occhi che brillano se non hai mai guardato in quelli dello spirito del fuoco.
C’era una vibrazione in lui, la provavo ogni volta che gli stavo vicino. Alcune volte aveva solo bisogno di sollevare una mano per farti obbedire, solo uno sguardo per farti sollevare il mento. Non ho mai sentito di nuovo un tale sguardo. Sì, sì, lo sentivo. Tale era la sua intensità. Non posso spiegare. Era come essere trascinati per fare un passo più lungo della tua gamba, e provare, invero, la distanza fra me e lui.

Alle volte dovevo trattenere il fiato. Pensare che un tale spirito ha camminato su questa terra… e neppure le ceneri ne rimangono. Ma ne sono felice, perché non credo che ci sia qualcuno da questa parte del mare che avrebbe potuto scolpire la sua pietra tombale e renderla degna di lui. Ve lo assicuro, la mia lingua non esagera. La sua voce poteva davvero risvegliare in me un fuoco e alcune volte penso che fosse sufficiente udire quella voce per sentire la stessa energia. Irremovibile forza di volontà, quello era.

Suppongo che alcuni potessero provare paura. Alcune cose luminose sono troppo pericolose quando sei molto vicino. Invero, credo che alcuni attirasse e altri allontanasse con la semplice intensità di uno sguardo o un discorso. No, nessuno di noi è altrettanto intenso, e temo che non incontrerai mai uno spirito abbastanza somigliante in Arda. Non brillava semplicemente, bruciava. Queste metafore di fuoco sono abusate, ne sono consapevole.

Ma non posso usare nient’altro per il Principe.  Ti farebbe incespicare con la mera presenza. Ricordo che alcuni di noi piansero la notte della sua morte. »




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Wow, sono stata mediamente veloce questa volta. Mi ha fatto piacere ritrovare qualche fedele lettore, vi ringrazio tutte/i.
Con questa one-shot ho tentato un altro formato ancora, come sicuramente si nota. Il personaggio è chiaramente un originale, uno dei vari lealisti di Fëanor sopravvissuti alle guerre del Beleriand. Valaraucar è il plurale Quenya di Balrog, giusto per chiarire. 
Il capitolo è un po' un esperimento, dal prossimo probabilmente ritornerò al formato normale di narrazione in terza persona. 

Grazie a chi legge e a presto.

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Capitolo 10
*** Senza Corona ***


Senza Corona

Finwë lasciò la sua corte e incontrò il suo figlio primogenito sugli scalini della sua casa in Tirion. Venne senza corona, tenendo scettro alcuno, portando nessun mantello. 

Servitori e amici fedeli di Fëanáro si muovevano attorno, disfacendo l'anima della casa pezzo per pezzo, mano a mano che oggi venivano scelti per essere portati a nord, a Formenos.

« E così vieni con noi », disse Fëanáro, e Finwë fu addolorato nello scoprire la più lieve nota di sorpresa nella voce di suo figlio, seppellita fra la soddisfazione rivendicata. 

E guardò il volto di suo figlio, le piccole rughe che non avrebbero dovuto esserci (un tempo era stato creduto impossibile che un Quendë potesse invecchiare visibilmente: questa certezza era stata da molto confutata); penso come Fëanáro, nonostante tutta la sua padronanza di parole, aveva a malapena provato a difendersi dalla sentenza, e il re se ne domandava intimamente la ragione. Fu un'epifania amara, accorgersi che non conosceva più suo figlio veramente. 

Sempre diviso, sempre spezzato in due metà che tuttavia erano comunque parte entrambe del suo spirito, Finwë chinò la testa. « E così vengo con te. »

Dei due, pensò o sperò, Ñolofinwë avrebbe più facilmente capito.




***

Chi, io? Esisto ancora. Se mi volete trovare attiva, posto abbastanza regolarmente su AO3 di questi tempi. Oppure su discord!

Grazie a chi legge.

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