Believer

di mikimac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First things ***
Capitolo 2: *** Second thing ***
Capitolo 3: *** I was broken from a young age ***
Capitolo 4: *** Third things third ***
Capitolo 5: *** I was choking in the crowd ***
Capitolo 6: *** Last things last ***
Capitolo 7: *** But they never did, ever lived, ebbing and flowing ***
Capitolo 8: *** Pain! ***



Capitolo 1
*** First things ***


First things

Ciao a tutti. Il seguente racconto è un Omegaverse. Si tratta della continuazione di una mia vecchia storia intitolata “Tre Alfa per un Omega”. Non è necessario avere letto la prima parte per leggere la presente.

La storia è scritta senza scopo di lucro e spero che non ne ricordi altre, ma, in questo caso, sarebbe completamente involontario.

 

Il titolo del racconto è preso da una canzone, “Believer” di Imagine Dragons del 2017.

 

Buona lettura.

 

 

 

First things

 

First
I’m say all the words inside my head
I’m fired up and tired of the way that things have been, oh-ooh
The way that things have been, oh-ooh

 

Believer

 

 

Ero solo.

Mi trovavo sicuramente in riva al mare, sulla spiaggia. Sentivo la sabbia rovente sotto i miei piedi nudi. Era la stessa spiaggia in cui era approdato Sherlock, il giorno in cui aveva raggiunto l’Isola.

Un vento caldo mi bruciava la pelle delle braccia e delle gambe, dove non arrivavano i pantaloncini e la maglietta, che indossavo ogni giorno sull’Isola. Mi sembrava di andare a fuoco, ma era solo una sensazione. Spiacevole, certo, ma solo una sensazione. Mi fissai le mani e le braccia. Non stavano bruciando. Non erano nemmeno rosse. Ero abbronzato, come sempre, ma non vedevo nulla che giustificasse il calore intenso che sentivo.

Mi guardai intorno, ma non riuscivo a stabilire da dove arrivasse né da che cosa fosse originata l’aria bollente che mi stava investendo.

Sentivo delle urla. Avevo riconosciuto le voci di coloro che stavano gridando per il dolore, per la paura. Alcuni sembravano in agonia.

I miei figli. Mio padre. Mio fratello. Gli altri Omega, che abitavano sull’Isola.

Non capivo perché stessero urlando. L’aria bollente era fastidiosa, ma non dolorosa.

Che cosa stava accadendo?

Ad ogni secondo che trascorreva, il panico si impadroniva sempre più di me.

Dove era Sherlock? Dove erano i miei figli, la mia famiglia, i miei amici? Perché li sentivo, ma non li vedevo? Eppure, malgrado la giornata fosse buia, come se stesse per scoppiare un temporale, non lo era così tanto da impedirmi di vedere, che cosa mi circondasse.

Il mare era burrascoso. Le onde si infrangevano violente sulla battigia e trascinavano via tanta sabbia, quando tornavano indietro, quasi volessero erodere e distruggere i confini dell’Isola.

Fu guardando verso l’orizzonte che le vidi e rabbrividii per la paura.

Navi.

Centinaia, migliaia di grandi navi e piccole barche, che si stavano dirigendo verso la spiaggia.

Cariche di Alfa.

Ero paralizzato dal panico. Sapevo che dovevo correre ad avvertire tutti che la barriera era stata infranta, che l’Isola era stata scoperta, che eravamo tutti in grave pericolo, ma le gambe non si muovevano. La voce si rifiutava di uscire dalla gola.

Con uno sforzo immenso, mi voltai e le vidi.

Le fiamme. Alte. Ruggenti.

Stavano divorando l’Isola. E i cadaveri di tutti coloro che amavo.

Io ero immobile. Impotente. Inutile.

 

Tutto ebbe inizio da questo incubo.

Mi svegliai urlando, chiamando in modo disperato i nomi dei miei cari. Avevo il cuore in gola. Non sentivo nemmeno la voce di Sherlock e le sue mani su di me. Respiravo affannosamente, non riuscendo a capire quale fosse la realtà.

Quella pacifica e felice che stavo vivendo quando mi ero addormentato nel mio letto la sera prima o quella che avevo vissuto nel peggior incubo mai avuto nella mia vita?

Mi voltai verso Sherlock e mi vidi riflesso nei suoi occhi chiarissimi. L’espressione atterrita del mio viso spaventò persino me.

Finalmente, la sua voce rassicurante fece breccia nel terrore che mi aveva attanagliato l’anima.

“John calmati. È stato solo un sogno,” ripeteva in tono dolce.

Io mi lasciai trasportare fuori dall’incubo da quella voce bassa e calma.

Stavo dormendo. Sognando.

Dio fa che non sia una visione. Pregai.

“Papà stai bene?” Mi voltai di scatto verso la direzione da cui era giunta la domanda.

Mycroft mi fissava, cercando di nascondere la paura, ritto in piedi in mezzo alla porta. Greg faceva capolino dietro di lui, insicuro se essere curioso o spaventato. William stava urlando disperato dalla sua culla.

Mi passai una mano sul viso, costernato: “Sono riuscito a svegliare tutti. Mi dispiace,” mormorai con voce roca.

Sherlock mi fissò per alcuni secondi, per essere sicuro che fossi tornato in me, poi si alzò e andò verso i bambini: “Papà ha fatto solo un brutto sogno, ma sta bene. Andiamo a calmare Will, prima che svegli tutti gli abitanti dell’Isola con le sue urla. Ci manca solo che arrivi il vecchio Severus a sgridarci perché stiamo facendo troppa confusione,” sogghignò, come se fosse stato uno scherzo fra lui e i bambini.

Gli fui grato per quello che stava facendo. Io non riuscivo a smettere di tremare. L’orribile sensazione che qualcosa di sconvolgente avrebbe travolto l’Isola, mettendo tutti in pericolo, non riusciva ad abbandonarmi.

E avevo ragione.

Sto scrivendo questo diario, in questo momento in cui ho ben presente nella mente ogni avvenimento, per non dimenticare. Non è destinato a nessuno. Anzi, questa storia dovrà rimanere un segreto per il resto dell’Umanità o avremo compiuto il nostro sacrificio per nulla. Semmai qualcuno dovesse trovare questo diario, penserà senz’altro che sia un racconto di fantasia. Allegorico. O le fantasticherie di un pazzo.

Credete pure ciò che volete, perché è giusto che sia così.

Io racconterò la mia incredibile storia e sarò di parte, ovviamente. Non può esistere il contradditorio di altri, perché molti non ci sono più. È giusto, comunque, ricordare che cosa sia accaduto, perché dobbiamo essere meglio di come siamo stati.

Per i nostri figli.

Perché questa è la storia di come la nostra vita sia stata cambiata e stravolta, in un modo che non potrà mai più tornare come prima. Di come abbiamo perso alcune delle persone più importanti per noi e di come abbiamo dovuto cominciare una nuova vita, lasciandoci alle spalle il passato.

 

 

 Nota dell’autore

 

Grazie a chi sia arrivato fino a qui.

Il secondo capitolo sarà pubblicato giovedì prossimo.

 

Ciao!

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Capitolo 2
*** Second thing ***


Second Thing

Second thing

 

second
Don’t you tell me what you think that I can be
I’m the one at the sail, I’m the master of my sea, oh-ooh
The master of my sea, oh-ooh

 

Believer

 

 

Erano trascorsi tre anni, da quando Sherlock mi aveva raggiunto sull’Isola. Quando siamo entrati nel villaggio, tenendoci per mano, erano stati tutti increduli e spaventati. Un Alfa era riuscito a superare la Barriera e a raggiungere l’Isola! Era inaudito. Da quando gli Omega si erano nascosti dal Mondo Esterno, si potevano contare sulle dita di una mano gli Alfa che erano riusciti nell’impresa. Pochissimi eletti in un arco di tempo lunghissimo. Millenario.

I maghi della Consulta dell’Accademia sottoposero la Barriera a un esame approfondito per assicurarsi che fosse ancora attiva e che gli incantesimi che la controllavano non avessero perso efficacia o potenza.

Non trovarono nulla di strano. O sbagliato. O manomesso. La Barriera era in ottima salute e gli incantesimi funzionavano in modo perfetto, come avevano sempre fatto dal giorno in cui erano stati lanciati. Sherlock aveva superato la Barriera perché il suo amore per me era superiore alla brama di quell’immenso potere, che aveva acquisito quando si era creato il nostro Legame.

Sherlock accettò di essere esaminato con educata esasperazione. Si vedeva chiaramente che riteneva tutto il procedimento una inutile perdita di tempo e non risparmiò battute taglienti ai maghi della Consulta. Però capì perfettamente che gli Omega erano agitati e preoccupati per la propria incolumità e che volevano essere certi dell’assoluta inviolabilità dell’Isola. Nessuno voleva che gli Alfa arrivassero e ci catturassero, per costringerci a formare un Legame, in modo da aumentare il loro potere magico.

Se i maghi avessero conosciuto Sherlock la metà di quello che lo conoscevo io, non si sarebbero presi il disturbo di sottoporre la Barriera a un esame così approfondito. O di esaminare Sherlock stesso. Se esisteva qualcuno nel Mondo Esterno cui il potere non interessava per nulla, quello era Sherlock Holmes. Gli altri Omega non lo conoscevano. Dovevano essere certi che il nostro segreto rimanesse tale. Per la nostra stessa sicurezza.

Non potevamo sapere che il pericolo stava crescendo sull’Isola stessa, insinuandosi fra di noi, con la subdola illusione che il Mondo Esterno potesse donarci solo amore e parità.

 

Sherlock ed io ci eravamo sposati alcuni mesi dopo il suo arrivo. Mycroft e Greg lo accolsero in modo completamente diverso. Greg riempì Sherlock di domande su suo padre e sulle meraviglie del Mondo Estremo, mentre Mycroft era più riluttante a fare avvicinare lo zio, quasi vedesse in lui un rivale, qualcuno che potesse usurpare il suo posto, strappandogli lo status di fratello maggiore. Per fortuna si trattò solo dei primi giorni. Quando rimasi gravido del figlio di Sherlock, i miei figli avevano accettato mio marito come padre.

William Watson nacque dopo una gravidanza complicata. Il parto rischiò di ucciderci entrambi. I medici furono costretti a rimuovere tutto il mio apparato riproduttivo. Per quanto fui addolorato dalla cosa, mi consolai, pensando che avevo dato un erede a ognuno degli Alfa più importanti della mia vita.

Tutto sembrava scorrere tranquillo.

Sherlock faceva i suoi esperimenti e insegnava chimica nella scuola di magia. Io facevo il medico presso la Consulta dell’Accademia. I miei figli crescevano felici ed equilibrati. Mio padre stava invecchiando serenamente, rassicurato dal fatto che né io né mio fratello Michael saremmo mai stati mandati nel Mondo Esterno.

Tutto era calmo e sereno.

Troppo.

Forse è vero che bisognerebbe avere paura di essere felici, perché solo così si ha qualcosa di importante da perdere.

Le prime avvisaglie che qualcosa non andava si manifestarono durante una seduta del Consiglio Generale, convocato dal Collegio degli Anziani. Alcuni maghi si sentivano troppo stanchi e vecchi, per continuare a governare l’Isola, così si erano dimessi dal Collegio ed era necessario eleggerne i sostituti.

Era una bella giornata di primavera. La temperatura non cambiava molto sull’Isola da una stagione all’altra. Erano i frutti della terra a evidenziare i cambi di stagione. La sala del Consiglio era piena. Tutti gli Omega adulti erano presenti. Persino a Sherlock era stato concesso di presenziare, in via del tutto eccezionale, anche se non aveva diritto di parola o di voto.

Lui era venuto più per curiosità che per interesse. Io pensavo che si sarebbe annoiato e che dopo cinque minuti dall’inizio della riunione si sarebbe alzato e sarebbe uscito, per tornare ai suoi esperimenti.

Non ci fu occasione. L’atmosfera, all’interno della sala, si surriscaldò molto in fretta.

Severus McGranitt, il Presidente del Collegio degli Anziani, si alzò in piedi. Il silenzio calò nella stanza, senza che lui avesse bisogno di alzare una mano. Con la sua voce pacata e profonda, Severus iniziò a parlare: “Cari amici, tutti sappiamo il perché di questa assemblea speciale. Trascorre sempre tanto tempo fra la sostituzione di uno degli Anziani e l’altra, ma eccoci qui. Due nostri colleghi hanno deciso di lasciare il servizio della comunità, per godersi il giusto riposo. Siamo quindi qui…”

“Chiedo la parola!” Nel silenzio della sala, esplose una voce giovane e impaziente.

Tutte le teste si voltarono all’unisono per vedere il volto del giovane Omega che aveva osato interrompere il discorso di Severus. Se anche il Presidente fosse stato infastidito o irritato dall’interruzione, non lo diede a vedere in alcun modo. Alzò appena un sopracciglio: “Non è certo questa la procedura normale, Sebastian. Non puoi attendere la fine delle elezioni per fare il tuo intervento?”

“No, Severus. Non posso. Dopo quello che dirò, le elezioni potrebbero essere inutili,” ribatté Sebastian.

Un feroce mormorio di disapprovazione si levò da diverse parti. Notai il padre di Sebastian che, furibondo, cercava di costringere il figlio a sedersi, tirandolo per un braccio. Il giovane Omega lo ignorava, il suo sguardo fisso su Severus.

Conoscevo Sebastian Moran. Aveva un paio di anni meno di me. Era già stato nel Mondo Esterno due volte e presto vi sarebbe tornato per la terza. Era biondo, più alto della norma, per un Omega. Il fisico era scultoreo e perfetto. Gli occhi erano verdi con pagliuzze dorate.

Un brivido mi attraversò la schiena. Non era freddo. Sembrava che avessi davanti la materializzazione del mio peggior incubo.

Eppure, ero amico di Sebastian. Avevamo sempre scherzato insieme. Stavo facendo il tirocinio come praticante, quando era nato il suo secondo figlio. Io gli ero stato accanto, tenendolo per mano per tutto il tempo del travaglio, dato che suo padre era in pronto soccorso con l’altro bambino, che era caduto e si era procurato un taglio alla fronte.

“Se proprio devi, parla Sebastian. Hai la nostra attenzione,” gli concesse Severus.

“Abbattiamo la Barriera e riveliamoci al Mondo Esterno. Non possiamo rimanere nascosti in eterno. Non possiamo continuare ad andare nelle città degli Alfa e dei Beta come se fossimo dei ladri…”

Un vociare quasi feroce lo costrinse a fermarsi. Gli Omega più anziani si erano alzati in piedi, furiosi e oltraggiati. Non si riusciva a capire che cosa dicessero, ma si poteva intuire.

Io ero allibito. Come si poteva proporre una cosa del genere? Come poteva Sebastian pensare che nel Mondo Esterno non saremmo stati in pericolo? Con un brivido freddo ricordai lo sguardo famelico con cui Charles Augustus Magnussen mi aveva osservato, quando mi aveva fatto prigioniero.

Certo, esistevano Alfa di cui avremmo potuto fidarci, come Sherlock. O come Mycroft Holmes. O come Gregory Lestrade. Però come potevamo mettere in pericolo le vite dei nostri figli, sperando che incontrassero degli Alfa degni di loro?

“SILENZIO!” Intimò Severus.

Le voci si zittirono. L’attenzione di tutti si spostò sul vecchio mago. Il suo viso non tradiva alcuna emozione. Per un attimo, solo per un fuggevole attimo, mi parve di vedere aleggiare una profonda tristezza, in quegli occhi saggi. Come la consapevolezza di qualcosa che non poteva essere evitato. Fu solo un attimo, però. Talmente rapido che non sono nemmeno sicuro di averlo veramente visto.

“Sebastian, sai anche tu che il Mondo Esterno non è ancora pronto per il nostro ritorno. Gli Alfa…”

“Ne abbiamo uno qui. – Moran interruppe subito McGranitt, senza nascondere l’astio che provava – Come tutti potete ben vedere, gli Alfa non sono dei mostri. Anzi. Oppure, solo John Watson merita di essere completo, di avere la propria anima gemella? Solo gli eroi hanno diritto al Legame?”

“O gli stupidi,” intervenne Sherlock, in tono lapidario.

“Mi stai dando dello stupido?” Sebastian si voltò a fissare il mio Alfa con occhi gelidi.

“Sherlock…” Tentai di fermarlo, ma non ebbi molta fortuna.

“Anche un cieco capirebbe che ti sei fatto irretire da un Alfa molto intelligente, che ti ha convinto a ribellarti al buon senso della tua gente.” Rispose Sherlock, sprezzante.

“Tu che cosa saresti? L’eccezione che conferma la regola? L’unico Alfa che ci rispetta come persone e non vuole sfruttarci?” Ribatté Sebastian, con lo stesso tono.

“No. Sicuramente ce ne sono altri. Però il Legame aumenta in modo notevole il potere magico dell’Alfa. Per loro natura, troppi Alfa sono ambiziosi, avidi e affamati di potere. Tu sei mai stato nelle zone in cui si vedono tutt’ora gli effetti delle Guerre del Dominio? La terra è arida e devastata. Non vi nasce né vi cresce nulla. Si creano vortici improvvisi, che feriscono mortalmente chiunque vi si trovi in mezzo. E per fortuna, perché prima quei poveretti impazziscono. I nostri maghi più potenti tentano da millenni di cancellare o mitigare gli effetti di quei potenti incantesimi, ma non sono mai giunti a nulla. Con la tecnologia attuale e il potere del Legame a sorreggerli, basterebbero pochissimi Alfa a scatenare guerre che decimerebbero  la popolazione. O peggio. Vuoi davvero avere questo sulla coscienza? Milioni, miliardi di morti?”

“E, comunque, questa opzione non è inclusa nel nostro ordine del giorno. – intervenne Severus, in tono leggero – Questa discussione ci ha fornito validi elementi su cui riflettere, per decidere del nostro futuro, ma, come dicevo quando ho iniziato a parlare, oggi siamo qui per eleggere i nuovi membri del Consiglio degli Anziani ed è l’unica cosa su cui delibereremo.”

Sebastian capì di essere stato messo a tacere. Con un’espressione torva a oscurare i suoi bellissimi occhi verdi, si sedette accanto al padre, senza più dire una parola.

 

L’elezione procedette come da tradizione. Non ricordo nemmeno chi fu eletto e per chi votai. La mia mente continuava a portarmi all’incubo, che sempre più di frequente visitava le mie notti. Aveva sempre più il sapore di una profezia.

 

Non sapevo ancora che la realtà poteva essere più terribile del mondo dei sogni.

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

Ed ecco introdotto il personaggio che causerà non pochi problemi all’Isola. Naturalmente, se c’è Sebastian Moran, non molto lontano c’è un altro personaggio molto amato della serie. Comunque, lui apparirà un po’ più avanti.

 

Grazie a chi stia leggendo il racconto.

 

A giovedì prossimo.

 

Ciao.

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Capitolo 3
*** I was broken from a young age ***


I was broken from a young age

I was broken from a young age


Taking my sulking to the masses
Writing my poems for the few

That looked at me took to me, shook to me, feeling me
Singing from heart ache from the pain
Take up my message from the veins
Speaking my lesson from the brain
Seeing the beauty through the…

 

Believer

 

 

La vita sull’Isola aveva ripreso a scorrere serena, dopo la riunione del Consiglio Generale. Io ero sempre un po’ timoroso che per Sherlock fosse anche troppo tranquilla, per non dire banale o noiosa. A volte lo sorprendevo a osservare l’orizzonte, quasi cercasse di capire che cosa accadesse al di là della Barriera, che proteggeva l’Isola. Non volevo che rimpiangesse la sua vita nel Mondo Esterno. Capivo che potessero mancargli le grandi città, con le loro luci e i grandi palazzi, il vociare della gente, le attività che vi si svolgevano quotidianamente o la tecnologia. Per non parlare di parenti e amici.

Una notte decisi di affrontare l’argomento. Eravamo sposati. Se lui si sentiva triste o malinconico o se avesse avuto nostalgia della sua vita precedente, doveva sapere che lo capivo. E che avrei fatto di tutto pur di vederlo felice. Anche lasciarlo andare.

La luna splendeva in cielo, enorme e piena. Una leggera brezza faceva muovere le leggere tende bianche della finestra della nostra camera da letto. I bambini si erano addormentati. Potevo percepirne il leggero respiro attraverso il silenzio della casa.

Mi spostai verso mio marito, circondandogli il busto con le braccia e appoggiando la testa vicino al suo cuore. Lo sentii irrigidirsi leggermente, come se avesse compreso che avevo bisogno di parlargli di una cosa importante.

“Che cosa c’è che non va?”

“Volevo chiederlo io a te. Ormai sei sull’Isola da tanto tempo. Posso capire che ti manchi il Mondo Esterno. Soprattutto la tua famiglia.”

Sentii il petto di Sherlock sollevarsi per un paio di volte, mentre ridacchiava divertito: “Se c’è qualcosa che non mi manca è proprio la mia famiglia. Noi non siamo molto uniti. Certo non come lo siete tu e la tua famiglia. Sicuramente non siamo nemmeno una tipica famiglia del Mondo Esterno. I miei genitori potrebbero quasi non essersi accorti del fatto che sono sparito. Sono così impegnati nei loro studi, che non fanno caso al tempo che passa. E Mycroft…”

“Ti vuole bene. Come tu ne vuoi a lui,” affermai, in tono dolce.

Sherlock non ribatté subito. Sentivo che stava riflettendo, che voleva essere onesto con me: “So che Mycroft mi vuole bene, ma lo ammetterò solo qui e ora. Non ripeterò questa frase nemmeno sotto tortura.”

“E anche i tuoi genitori ti amano. Staranno sentendo la tua mancanza.”

Sherlock sospirò: “John, perché vuoi parlare di questo?”

Mi sollevai, per poterlo vedere in viso: “Io so che cosa tu abbia lasciato indietro. Hai rinunciato alla tua vita, per stare con me.”

“Non avevo tutta questa vita, prima di incontrare te. Non mi piace fare il melodrammatico…”

“Davvero?” sogghignai.

“Fin da bambino mi sono sentito respinto dagli altri. Secondo Mycroft, ero troppo intelligente per loro e questo li spaventava, spingendoli a prendermi in giro.”

“Mi dispiace molto. I bambini possono essere crudeli, a volte, ma questo non vuole dire che tu non possa sentire la mancanza del Mondo Esterno.”

“John, io sono felice, qui. Ci sei tu. Ci sono i nostri figli. Nel mondo dal quale provengo, io mi sono sempre sentito incompleto. Fuori posto. Mi mancava qualcosa e nulla riusciva a riempire quel vuoto. Poi, sei arrivato tu e quell’abisso è svanito. Non tornerei alla mia vecchia vita per niente al mondo.”

Gli sorrisi. Ero felice del fatto che lui stesse bene sull’Isola. Che fosse appagato dalla vita che conducevamo insieme: “Semmai dovesse arrivare il giorno in cui sentirai la mancanza del Mondo Esterno, tu me lo dirai, vero?”

“John…”

Gli misi un dito sulle labbra: “Ho capito che ora stai bene, ma non è detto che sarà così per sempre. Siamo sposati, Sherlock. Dobbiamo condividere e affrontare qualsiasi cosa accada insieme. Se ci dovessero essere dei problemi, non voglio che tu ti tenga tutto dentro. Devi promettermi che me ne parlerai. Va bene?”

Sherlock mi sorrise: “Come lei comanda, mio signore.” Sussurrò con voce bassa. Un lampo divertito attraversò i suoi occhi chiarissimi, illuminati da un raggio di luna. Mi girò sul schiena, mettendosi a cavalcioni sopra di me. Sentivo il suo membro già semi duro premere contro il mio. Si abbassò su di me, appropriandosi delle mie labbra. Ogni discorso sul Mondo Esterno fu cancellato dalla mia mente. Non rimase altro che Sherlock. E il suo corpo.

 

La pace, però, non durò a lungo. Trascorsero solo alcune settimane. Un pomeriggio, Sherlock stava facendo i compiti con Mycroft e Greg, mentre io stavo dando la merenda a Will, quando sentimmo bussare alla porta. Sherlock ed io ci scambiammo uno sguardo interrogativo. Non stavamo attendendo nessuno.

“Avanti,” dissi, in direzione della porta.

Con nostra sorpresa, fece il suo ingresso Ron Lovegood, il segretario personale di Severus McGranitt. Basso e magrissimo, con capelli color cenere tagliati cortissimi e piccoli occhi cangianti fra il verde e l’azzurro. Salutò con un cenno del capo Sherlock e si diresse verso me. Il vecchio mago continuava a provare una certa diffidenza nei confronti di mio marito, perché suo figlio era uno degli Omega morti a causa di Charles Augustus Magnussen. Per quanto Sherlock avesse tentato di aiutarmi a fermare Magnussen, Ron associava il suo essere un Alfa con la morte del figlio.

“Benvenuto, Ron. Posso aiutarti in qualche modo?” Chiesi, con un sorriso.

“Siete stati convocati al cospetto del Presidente del Consiglio degli Anziani, il magnifico Severus McGranitt,” rispose Ron, pomposamente.

“Entrambi?” Domandai, senza riuscire a nascondere la sorpresa. Era già insolito che fossi chiamato io, ma la richiesta della presenza di Sherlock poteva essere considerata quasi straordinaria.

“È ciò che ho detto,” ribatté Ron, con un puntiglio leggermente irritato.

“Il tempo di portare i bambini da mio padre e saremo da Severus,” confermai, prima che Sherlock potesse intervenire e offendere il molto suscettibile Ron.

Con un altro cenno del capo, l’uomo se ne andò, chiudendosi dietro la porta. Sherlock ed io ci scambiammo uno sguardo sorpreso e curioso.

 

Nel giro di neanche mezz’ora, eravamo nella sala d’attesa dell’ufficio di Severus. La porta si aprì e ne uscirono Alastor e Cornelius Diggory, con un’espressione addolorata sul viso. I due uomini erano più o meno coetanei di mio padre. Ci salutammo in tono dimesso. Immaginavo che cosa potesse essere accaduto e mi dispiaceva per loro.

“Entrate pure,” ci invitò la voce cordiale di Severus.

Entrammo nello studio dell’anziano mago, che si alzò per stringerci la mano: “Grazie per essere venuti con così poco preavviso,” ci salutò McGranitt, con un sorriso cordiale.

“Siamo molti curiosi di sapere in che cosa possiamo esserti utili. Nella sala d’attesa abbiamo incrociato i Diggory. Horace è morto?”

Severus sospirò: “Sì, si è spendo stanotte. Ora è in pace.”

“Mi dispiace per la perdita dei Diggory. Sono simpatici. Non ricordo di avere conosciuto questo Horace. Era molto anziano?” Intervenne Sherlock.

“Direi proprio di sì. Con i suoi 362 anni, era l’Omega più anziano del’Isola,” rispose Severus.

Sherlock lo fissò a bocca aperta, incredulo: “362… anni?”

McGranitt inclinò la testa canuta, mentre un sorriso divertito gli allungava le labbra: “Lo sai che l’incantesimo che protegge l’Isola ha come effetto collaterale la dilatazione del tempo. Contiamo gli anni  con l’alternarsi delle stagioni, ma quando qui sono passate tutte e quattro, da voi si sono alternate per almeno tre volte.”

“Quanti anni hai?”  Mi domandò Sherlock a bruciapelo.

Io alzai gli occhi al soffitto ed evitai di rispondere: “In che cosa possiamo essere utili?” Chiesi di nuovo, ignorando la domanda di mio marito.

“Vuoi dire che mi sono sposato con un vecchio? – insistette Sherlock – non sei più vecchio di Mycroft, vero?

“Ho bisogno che andiate in missione nel Mondo Esterno,” si intromise Severus.

Le sue parole distolsero Sherlock dal suo interesse sulla mia età. Entrambi fissammo McGranitt sorpresi. Tutto ci saremmo aspettati, tranne che ci chiedesse di lasciare la sicurezza dell’Isola. Un brivido gelido mi percorse la schiena. L’incubo si ripresentò nella mia mente con tutta la sua forza devastante.

“Perché?” Domandò Sherlock, in tono teso.

“Abbiamo perso i contatti con Sebastian Moran.”

“Avete mandato Moran nel Mondo Esterno, dopo quello che è accaduto durante la seduta del Consiglio Generale? Non avete capito che qualcuno, sicuramente un pericoloso Alfa, lo stava manipolando? Siete così incoscienti di vostro o desiderate tanto essere scoperti e imprigionati?” Sbottò Sherlock, furioso.

Io non riuscii a intervenire. Non andava bene che mio marito si rivolgesse all’Omega più importante e potente dell’Isola usando quel tono, ma non potevo dargli tutti i torti. Inoltre, non riuscivo a controllare la paura che mi aveva attanagliato il cuore.

‘Fai che non sia una premonizione,’ pregai silenziosamente.

“Capisco il tuo punto di vista e lo condividerei pure, se avessimo qualche altra possibilità di scelta. Hai notato in quanti siamo, Sherlock? Siamo appena sopra la soglia dell’estinzione. Se rinunciamo ad avere altri bambini, dovremo davvero palesarci al Mondo Esterno. È stato un rischio calcolato.”

“Calcolato male!” Sibilò Sherlock.

Gli afferrai un braccio. Dovevo essere pallidissimo, perché notai subito l’espressione preoccupata con cui mi scrutò: “Ora basta. È tardi per recriminare. L’Isola è in pericolo. Perché hai pensato a noi due?” Domandai, riuscendo controllare la voce, affinché non tremasse.

“Sebastian si dovrebbe trovare a Londra. È un luogo che voi due conoscete molto bene, nel quale potrete muovervi con facilità. Inoltre, potreste contare sull’aiuto dei vostri amici. Dovete trovare Sebastian e riportarlo all’Isola, sperando che non abbia fatto qualcosa di cui dovremo pentirci.”

Annuii. Sherlock aveva ignorato le parole di Severus, troppo preoccupato per me, persino per continuare a insultare il vecchio mago: “Stai bene?”

“Hai avuto un’altra premonizione, vero?” Mi domandò Severus, con dolcezza.

“John non ha delle premonizioni,” ribatté Sherlock, stizzito.

“Di solito no. Ne ho avuta solo una, in vita mia. Riguardava il nostro incontro e lo scontro con Magnussen.”

“Sembra che l’Isola comunichi con te, quando si sente in pericolo,” constatò McGranitt, con un sospiro.

“Andremo…”

“John! Non siamo obbligati…”

“Sì che lo siamo. – interruppi Sherlock con forza – Dobbiamo impedire agli Alfa di trovare l’Isola. Anche se temo che, stavolta, sarà molto più complicato proteggere il nostro segreto. L’altra volta si trattava di un singolo Alfa. Se davvero Sebastian è stato convinto a tradire il nostro segreto, il nostro intervento potrebbe essere del tutto inutile.”

“Speriamo di no, John. – sussurrò Severus, in tono grave – Speriamo di non esserci mossi troppo tardi. Speriamo di riuscire a proteggere i nostri figli dagli Alfa, fino al giorno in cui capiremo che possiamo fidarci di loro.”

Non c’era molto che potessimo aggiungere. Non aveva senso recriminare. Dovevamo di nuovo avventurarci nel Mondo Esterno, sperare di trovare il nostro nemico e di riuscire a sconfiggerlo.

Con un immenso peso sul cuore, Sherlock ed io tornammo a casa, per prepararci alla missione. Non assistemmo alle esequie di Horace Diggory. Il giorno dopo, Londra ci accolse, con la sua umida nebbia, che nascondeva alla vista le persone e gli edifici.

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

Così John e Sherlock lasciano l’Isola, per andare alla ricerca di Sebastian Moran. Nel prossimo capitolo faranno la loro comparsa Mycroft e Greg, gli unici alleati su cui i nostri potranno contare.

 

Grazie a chi stia leggendo il racconto.

 

A giovedì prossimo.

 

Ciao.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Third things third ***


Third things third

Third things third


Send a prayer to the ones up above
All the hate that you’ve heard

has turned your spirit to a dove, oh-ooh
Your spirit up above, oh-ooh

 

Believer

 

 

Eravamo arrivati a Londra di notte. Era una prassi consolidata nei secoli, che gli Omega raggiungessero il Mondo Esterno durante la notte, il momento in cui su ogni luogo regnava la quiete. Persino in una città cosmopolita e piena di vita come Londra, c’era una frazione della notte, durante la quale incontrare qualcun altro era molto difficile. In quel breve periodo, i nottambuli si erano ritirati nelle loro dimore, appena prima che coloro che si erano coricati presto si alzassero, per iniziare la giornata. Londra ci accolse con la sua nebbia e le sue luci soffuse. Sonnolenta, eppure così vitale.

Mi voltai a guardare Sherlock. Aveva occhi chiusi ed era concentrato. Le narici erano leggermente più dilatate del solito, quasi stesse annusando l’aria, per riconoscere ogni componente presente nel suo profumo. Il corpo sembrava teso, in ascolto di ogni più piccolo rumore. Sapevo che la sua brillante mente stava riconoscendo ogni suono, attribuendogli un nome e una origine.

Sherlock si stava riappropriando della sua città. Del suo mondo. Di quell’universo al quale aveva rinunciato per stare con me.

Osservai gli angoli delle sue labbra sollevarsi in modo lievissimo. Un sorriso compiaciuto di riconoscimento per qualcosa che non percepiva da diverso tempo.

Aprì gli occhi, che brillavano allegramente. Avvicinò il viso al mio e mi baciò sulle labbra. Fu un bacio delicato e dolce. Un bentornato a casa.

“Londra non è cambiata molto, in questi anni. Stessi odori e stessi suoni. Sono certo che non avremo problemi a riappropriarci delle sua abitudini.”

“Sono trascorsi comunque quasi sei anni. Per fortuna, essendo uomini adulti, qualunque conoscente dovessimo incontrare non noterà alcuna differenza.”

“Semplicemente, portiamo bene i nostri anni. – sogghignò Sherlock – Pensa a quanto sarà invidioso Mycroft.”

“Oh, Sherlock!” Sbuffai, ma non riuscii a trattenere un sorriso. Il rapporto fra Sherlock e Mycroft era stato sempre molto conflittuale, ma sapevo che i due fratelli si amavano e rispettavano molto, malgrado lo negassero in modo deciso.

“Andiamo a riprendere possesso del 221B di Baker Street? Credo che persino mio fratello sia a letto, a quest’ora, e che possiamo attendere che il sole torni a splendere alto in cielo, prima di incontrarlo.”

“Sei gentile a volere lasciare dormire Mycroft ancora un po’.”

“Non è gentilezza, John. Alla luce del sole, potrò contare meglio ogni ruga che si è aggiunta sul suo viso e rinfacciargliela una a una,” ribatté Sherlock, serafico.

Io ero incredulo, ma scossi solo la testa. Mio marito non sarebbe mai cambiato.

 

Riaprire la porta del 221B di Baker Street, riportò alla mente tanti ricordi. In quel piccolo appartamento avevo portato Sherlock, dopo averlo trovato completamento fatto non lontano dal luogo in cui eravamo comparsi. Lì aveva ritrovato Mycroft e Greg. Lì Sherlock ed io ci eravamo Legati.

La casa era silenziosa. Al 221A viveva la padrona di casa, una simpatica signora dall’età indefinibile, che si prendeva sempre cura di ogni Omega che si presentava nell’appartamento. Per quanto ripetesse in continuazione che lei non era una governante, il suo istinto materno da chioccia la portava sempre a preparare manicaretti per i suoi inquilini e a riordinare l’appartamento, giusto perché “una donna vede sempre meglio di un giovane uomo dove si annidi lo sporco.”

Salimmo silenziosamente le scale, che portavano al piano superiore. Il salotto era ordinato e pulito, illuminato dalla luce dei lampioni, che filtrava dalle finestre, attraverso le tende semiaperte.

Sherlock mi circondò la vita con le braccia, scostando il bavero della giacca dal mio collo. Le sue labbra calde si posarono appena sotto l’orecchio, tracciando un percorso delicato lungo il collo. Chiusi gli occhi, appoggiandomi al suo petto con la schiena. Potevo sentire un certo rigonfiamento premere contro i miei pantaloni.

“Che ne dici di provare quanta confusione facciano le molle del materasso?”

“Non ho nulla in contrario. Speriamo solo di non svegliare tutto il vicinato,” sussurrai, sorridendo.

“Correremo il rischio,” sentii la risatina profonda di Sherlock riverberare dal mio collo fino a raggiungere il mio cuore. Mi mancavano i miei figli, ma mio marito era con me. Potevo pensare a questa come a una vacanza. Forse un po’ movimentata, ma sempre solo un breve distacco dalla mia famiglia.

Potevamo permetterci di divertirci. Di fare l’amore. Nessuno ci avrebbe biasimato.

Continuando a baciarci, toccarci, accarezzarci, trovammo la camera da letto, dove trascorremmo la nostra prima notte nel Mondo Esterno.

 

La mattina dopo, Londra era ancora immersa nella nebbia. Fummo svegliati da un leggero bussare e dall’invitante profumo di tea e pane abbrustolito.

“Yohoo… ragazzi? Posso entrare o siete in condizioni indecenti?” Domandò una maliziosa voce allegra.

Sherlock sbuffò e si coprì la testa con il cuscino, così io mi alzai, infilandomi le prime cose che mi capitarono sotto le mani.

“Signora Hudson, buongiorno. Non avrebbe dovuto disturbarsi a prepararci la colazione. Potevamo fare da soli.”

“Oh, lo so caro, ma ho pensato che, dopo le vostre attività notturne, aveste bisogno di qualcosa di sostanzioso. Dio solo sa, quanto siate sbadati voi uomini, quando fate la spesa. Sono pronta a scommettere che non avete comprato nulla di veramente adatto a ricostruire tutte le energie disperse stanotte,” ridacchiò.

Io arrossii leggermente: “Ehm… grazie… usciremo presto e staremo fuori tutto il giorno… probabilmente…”

“Va bene, caro. Non sono la vostra governante, quindi non è necessario che tu mi metta al corrente dei vostri programmi. Io però, prima mi cambierei. Non mi sembra che quei pantaloni siano della tua misura,” salutò, strizzandomi l’occhio.

Guardai i pantaloni che non ero ancora riuscito ad allacciare e realizzai che erano quelli di Sherlock.

 

Dopo colazione. Decidemmo di mettere in atto il nostro piano.

“Dato che Mycroft non è ancora piombato qui, direi che il vostro incantesimo di dissimulazione funzioni,” constatò Sherlock, mettendosi in bocca un ultimo pezzetto di pane e marmellata.

“Certo che funziona! Lo hanno ideato i nostri maghi migliori proprio per impedire alle telecamere del Mondo Esterno di registrare le immagini degli Omega. È stata una precauzione necessaria, dopo ciò che è accaduto con Magnussen,” ribattei, leccandomi la marmellata da un paio di dita.

Alzai gli occhi su mio marito e lo trovai intento a fissarmi. Ricambiai lo sguardo, un po’ perplesso: “C’è qualcosa che non va?”

“Non leccarti le dita in quel modo o non usciremo da qui per le prossime settimane!” Mi rispose Sherlock, con voce roca e un sorriso beffardo sulla labbra.

Risi di cuore, rasserenato dal fatto che Sherlock fosse così sereno. Lui certamente pensava che sarebbe andato tutto bene e il suo contagioso ottimismo mi aveva messo di buon umore. Gli avevo raccontato il mio incubo. Eravamo arrivati alla conclusione che, trovato Sebastian, tutto si sarebbe risolto per il meglio.

“Raduniamo la squadra?” Proposi.

Sherlock scattò in piedi: “Che il gioco abbia inizio!”

Prendemmo un taxi e ci dirigemmo verso il Diogene’s Club.

 

Mycroft Holmes era sempre stato un uomo abbastanza abitudinario. Ogni mattina andava al Diogene’s a fare colazione e a leggere il giornale, immerso nella pace delle sue altezzose mura silenziose. Un momento di quiete, prima di farsi travolgere dagli impegni della giornata lavorativa.

Non fu difficile entrare. L’incantesimo che impediva alle telecamere di riprenderci, funzionava anche sulle persone. Se lo volevamo, gli altri ci vedevano come ombre fuggevoli, fantasmi passeggeri, di cui non ricordavano i lineamenti e la fisionomia.

Quando entrammo nella stanza, Mycroft era seduto sulla sua solita poltrona, con il carrello della colazione accanto e il giornale spalancato davanti al viso. Mi guardai intorno. La stanza era arredata con mobili severi, dalle linee semplici, decisamente costosi. Su un tavolo, al centro e riparata da una campana di vetro trasparente, si trovava una splendida rosa rossa, non ancora del tutto sbocciata.

Sentii Sherlock trattenere il respiro, sorpreso. Vidi i suoi lineamenti addolcirsi e intenerirsi. Capii che quella era la rosa incantata che aveva lasciato a Mycroft, per fargli sapere che stava bene.

Infilai le dita di una mano fra quelle di Sherlock e le strinsi delicatamente. Lui si ricompose e, con tono canzonatorio, apostrofò il fratello: “Non credi che mangiare quella roba ti faccia ingrassare?”

Vedemmo oscillare lievemente le pagine del giornale, che fu abbassato e piegato con un movimento lento e misurato. Mycroft non era invecchiato. Aveva qualche capello bianco in più. Le rughe sembravano appena più profonde. Forse aveva messo su un paio di chili. Però era sempre lui. Ci osservava con quei suoi profondi e perforanti occhi azzurri. Come il fratello minore, anche lui sezionava e catalogava l’interlocutore, per avere un vantaggio nella eventuale negoziazione. Nel nostro caso, però, stava solo stabilendo se stessimo bene. Soddisfatto del proprio esame, si concesse, alfine, un sorriso ironico: “Veramente, fratello caro, se c’è qualcuno che ha messo su peso, quello sei tu. Non che tu stia male, intendiamoci. Si vede che John voleva qualcosa di più concreto da abbracciare, non solo un mucchietto d’ossa.”

“Può darsi. Tu, invece, fai una vita troppo sedentaria. Dovresti trovare qualcuno che voglia stringere te, così, forse, avrai un incentivo per smettere di abbuffarti di dolci,” ribatté Sherlock, sprezzante, ma con una nota di malinconia nella voce, come se fosse dispiaciuto per la vita solitaria del fratello.

“Siete tornati per trovarmi un fidanzato o per fare una vacanza nel Mondo Esterno?”

“L’Isola è in pericolo. – mi intromisi – Abbiamo perso i contatti con un Omega. Lui ha idee un po’… rivoluzionarie. Vorrebbe che abbattessimo la barriera che protegge l’Isola dal Mondo Esterno e che ci ricongiungessimo con voi.”

“È stato sicuramente plagiato o convinto da un qualche Alfa, che ha un secondo fine. Non escludo che voglia convincere gli Omega a mostrarsi al mondo, solo per sfruttare i loro poteri a suo beneficio,” intervenne Sherlock, in tono secco.

“Farò subito cercare l’Omega scomparso dai miei uomini. E potremmo anche coinvolgere Gregory Lestrade. Come sovrintendente di Scotland Yard, può darci una notevole mano nelle ricerche.”

“Greg ha fatto carriera?” Chiesi, contento per lui.

“Sì. Si sta dimostrando un ottimo capo. Arriverà molto alto. Come si chiama l’uomo che dobbiamo trovare?”

“Sebastian Moran,” risposi.

Una strana espressione comparve sul viso di Mycroft. Era a metà fra la preoccupazione e la paura. Anche Sherlock la aveva notata: “Hai già sentito questo nome?”

Mycroft si alzò dalla poltrona, fece un paio di passi verso di noi e ci porse il giornale, che stava leggendo. La prima pagina era occupata dalla fotografia a colori di due giovani uomini che sorridevano felici all’obbiettivo. Il titolo, che la sovrastava, annunciava a caratteri cubitali il fidanzamento fra il miliardario James Moriarty e il promettente modello Sebastian Moran.

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

Ora tutti i giocatori sono in campo. Che il gioco abbia inizio.

 

Grazie a chi stia leggendo il racconto.

 

A giovedì prossimo.

 

Ciao.

 

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Capitolo 5
*** I was choking in the crowd ***


I was choking in the crowd

I was choking in the crowd


Living my brain up in the cloud
Falling like ashes to the ground
Hoping my feelings, they would drown

 

Believer

 

 

Il silenzio del Diogene’s si infiltrò nella stanza in cui ci trovavamo. Non era, però, quello pacato e sereno, a volte annoiato, caratteristico delle altre sale dell’esclusivo club. Il nostro era carico di tensione e preoccupazione. Potevo quasi sentire le cellule dei cervelli dei fratelli Holmes lavorare alacremente alla ricerca di una spiegazione e di una soluzione alla notizia che avevamo letto sul giornale.

Non che ci fosse nulla di sensazionale in quell’annuncio di matrimonio. Era, senza ombra di dubbio, una notizia di gossip molto appetitosa. Un miliardario che sposava un modello in ascesa attirava la curiosità del pubblico, affascinato da quel mondo così lontano dalla monotona vita quotidiana della maggior parte della gente. Eppure, sentivo chiaramente che Mycroft stava evitando di parlare di qualcosa, che lo preoccupava molto, in attesa che arrivasse il nostro ospite.

Sentii i suoi passi avvicinarsi. Erano rapidi e decisi, come se fosse irritato.

“Signor Holmes, pensavo che avessimo chiarito anni fa che non gradisco questo tipo di convocazioni, nemmeno da parte di uno che si spaccia per un membro minore del governo, mentre è molto più potente di quanto molti pensano!” Anche la sua voce era seccata. Decisamente, non gli era piaciuto il modo perentorio in cui Mycroft gli aveva chiesto (praticamente ordinato) di unirsi a noi.

Mi alzai e fronteggiai la porta. Vidi la sua espressione mutare da indispettita a sorpresa in un batter d’occhio. Gregory Lestrade aveva più capelli grigi dell’ultima volta in cui ci eravamo visti, ma i suoi occhi erano ancora di un nocciola vivace e brillante. Malgrado facesse prevalentemente lavoro l’’ufficio, il suo fisico era ancora perfetto.

Senza dire una parola, fece due rapidi passi verso di me e mi avvolse in un abbraccio caloroso, in cui potei percepire la sua gioia, il suo affetto e il suo rimpianto. Ricambiai l’abbraccio, che si prolungò, fino a quando una voce un po’ seccata ruppe il silenzio della stanza: “Gary, smetti immediatamente di abbracciare mio marito in quel modo o ti dovrò sfidare a singolar tenzone!”

Greg mi lasciò andare, regalandomi un rapido sorriso e afferrò Sherlock, abbracciandolo con forza: “Tu, bastardo! Ce l’hai fatta!”

Riuscii a sopprimere un sorriso, quando notai il viso di mio marito. Era sorpreso e un po’ imbarazzato. Non sapeva bene se ricambiare l’abbraccio o respingere Greg con una spinta. Alla fine, optò per sollevare appena le braccia e picchiettare sulla schiena del poliziotto, sperando che si allontanasse il prima possibile.

A salvare Sherlock, intervenne il fratello: “Sovrintendente, spero che abbia finito con le effusioni, perché non siamo qui per una rimpatriata goliardica. Credo che persino lei abbia capito che John e Sherlock sono tornati a Londra perché c’è un problema, non in gita premio.”

“Che cosa è successo?”

Mycroft non rispose, ma allungò il giornale a Greg, che fissò la foto con sguardo interrogativo.

“Sebastian Moran è un Omega,” risposi alla domanda muta.

“E sta per sposare James Moriarty? – chiese Greg, allibito – Cazzo. Questo sì che è un problema.” Concluse, passandosi la mano libera fra i corti capelli brizzolati.

 

Un brivido gelido mi attraversò la schiena. Che cosa stava combinando Sebastian? Con chi si era messo? Quanto aveva raccontato riguardo all’Isola al suo promesso sposo? E quanto era pericoloso James Moriarty, se Mycroft e Greg erano così preoccupati?

“Come avrete letto dal giornale, Moriarty appartiene a una famiglia molto ricca. – spiegò Greg – Possiedono banche, terre e diverse abitazioni, in giro per il mondo. Il fatto è che nessuno sa bene da dove provenga la ricchezza dei Moriarty. Sono comparsi dal nulla, una ventina di anni fa. Si dice che siano coinvolti con la criminalità organizzata. Anzi, si vocifera che James Moriarty sia la mente che si nasconde dietro a diverse imprese criminale.”

“È un uomo pericoloso, quindi,” sospirai, avvilito.

“Molto. Sono anni che lo teniamo d’occhio, sperando che faccia una mossa falsa – intervenne Mycroft – Purtroppo, è molto intelligente. Se riusciamo a individuare qualcuno che potrebbe incastrarlo o collegarlo a qualche reato, viene eliminato o sparisce nel nulla.”

“Stai perdendo colpi o diventando pigro, fratello. Un tempo, non ti saresti lasciato sfuggire una minaccia alla Corona, in questo modo.” Sogghignò Sherlock.

“Non è facile riuscire a fare condannare qualcuno che sa coprire così bene le proprie tracce. – ribatté Mycroft, in modo piccato – Io ho delle regole da seguire. Uomini come James Moriarty si nascondono nelle zona d’ombra lasciate dalla legge. Di persona non è coinvolto in nessun reato, in nessun atto criminale. Lui è la mente. E intrappolare una mente è un’impresa difficile.”

“Che cosa può volere da Sebastian?” Domandai, temendo la risposta.

“Vuole gli Omega. – rispose Sherlock, in tono deciso – Deve essere stato lui a spingere Sebastian a chiedere di abbattere la barriera. Non oso pensare a che cosa potrebbe fare un uomo come Moriarty, se mettesse le mani sugli Omega.”

Un silenzio opprimente cadde nella stanza. Tutte le idee che mi venivano in mente non portavano a nulla di buono per noi Omega.

 

“Quanto è affidabile questa barriera che protegge l’Isola?” Domandò Mycroft, in tono pratico.

“Molto. I nostri maghi la monitorano in continuazione, in modo da essere sicuri che non possa cadere e rivelare la nostra presenza al Mondo Esterno,” risposi.

“Se, però, venisse sabotata dall’interno…” mormorò Sherlock.

“Nessun Omega metterebbe in pericolo la nostra sicurezza, danneggiando la barriera,” ribattei, in tono deciso.

Sherlock prese in mano il giornale e mi mostrò la foto: “Come fai a esserne così sicuro? Sebastian ha già tentato di farla abbattere. Ora che sa che il Consiglio non voterà mai a suo favore, chi ti dice che non provi a sabotarla dall’interno?”

Non potevo credere che qualcuno potesse tradirci e consegnarci agli Alfa: “Anche lui ha dei figli. Non penso che li voglia vedere mentre vengono messi all’asta e venduti al miglior offerente!” Sbottai, caparbio.

Sherlock si avvicinò a me e mi prese le mani, portandosele alle labbra: “L’amore è una cosa strana. Può portare le persone a fare l’impensabile. Se davvero questo Moriarty è un genio del male, può avere convinto Sebastian che la cosa migliore per gli Omega sia uscire allo scoperto. Una volta abbattuta la barriera e svelata l’Isola al Mondo Esterno, qualsiasi cosa accadesse, Moriarty potrebbe dire a Seb che non è stata colpa sua, che era in buona fede, che pensava che gli Alfa fossero diventati migliori. E, intanto, gli Omega sarebbero indifesi e alla mercé di chiunque voglia sfruttare i loro poteri.”

Sapevo che aveva ragione. Scossi la testa, per allontanare quel terribile pensiero, ma sapevo che l’ipotesi di Sherlock era tutto fuorché infondata. Noi due eravamo la prova vivente di che cosa potesse fare l’amore.

“Ho bisogno di conoscere la posizione dell’Isola, almeno in modo approssimativo. – intervenne Mycroft – Farò controllare la zona dai nostri satelliti e ordinerò che mi avvisino, se dovesse accadere qualcosa di anomalo.”

Ero riluttante a rispondere. Per quanto mi fidassi dei padri dei miei figli, erano pur sempre una minaccia per la sicurezza dell’Isola.

“Tu sai che noi non faremmo mai nulla per mettere in pericolo i nostri figli. – aggiunse Greg – Ti abbiamo aiutato anche quando Magnussen ti ha catturato, per il loro bene. Intanto che escogitiamo un modo per capire che cosa stia succedendo, non farà male a nessuno controllare la zona. Non è necessario che i controllori sappiano che cosa stanno guardando. Lo sapremo solo noi.”

Sherlock mi fissò negli occhi. Dovevo fidarmi. Eravamo lì per quello. Riferii a Mycroft le coordinate dell’Isola.

 

Mentre Mycroft comunicava con la sua assistente, Greg mi sorrise: “Come sta mio figlio?”

Sorrisi al pensiero dei miei figli. Li amavo tutti e tre, come provavo un profondo affetto per i loro padri. Mycroft era il padre del mio primogenito, mentre Greg lo era del secondo. Erano stati concepiti durante le mie missioni nel Mondo Esterno. Dovevo contribuire a salvare la razza degli Omega. Ero stato fortunato. Avevo trovato due partner fantastici. E poi avevo conosciuto Sherlock.

“Sia Mycroft sia Gregory sono bambini svegli e intelligenti. – rispose mio marito – Myc è riservato e portato per le materie scientifiche, mentre Greg è vivace e curioso. Sono dei fratelli maggiori bravissimi per nostro figlio Will.”

“Così vi siete sposati e avete avuto un bambino. – constatò Greg, senza riuscire a nascondere una leggera nota di rammarico nella voce – Sono contento per voi.”

“Grazie, Greg. Sei sempre un caro amico.” Mormorai.

“Anthea organizzerà la sorveglianza. Quale sarà la nostra prossima mossa?” Domandò Mycroft, tornando a unirsi a noi.

“Andrò a parlare con Sebastian. – risposi, in un tono che non ammetteva repliche – Devo capire fino a che punto siamo in pericolo e riferirlo a Severus. Solo allora potremo decidere che cosa fare.”

Sherlock si sfregò le mani: “Bene! Credo che andremo a un ricevimento di fidanzamento. Sarà divertente. Immagino che tu possa procurarci gli inviti, fratello. Oppure non sei così potente come hai cercato di farmi credere per anni?”

“Gli inviti sono in arrivo. Cerca di ricordarti che siamo a caccia di informazioni, fratello caro. Non provocare Moriarty o Moran. Non vogliamo che mettano in atto il loro piano, quando non abbiamo ancora predisposto una contromossa.”

“Non preoccuparti, Myc, so benissimo come ci si comporti a questi noiosissimi eventi sociali. Non avrai motivo per lamentarti di me,” ribatté Sherlock, strizzando l’occhio al fratello in modo sbarazzino.

Era bello osservare i due fratelli Holmes mentre si punzecchiavano. Era il loro modo strano e originale di dimostrare l’affetto che provavano l’uno per l’altro.

In quel momento, mi sentivo bene, circondato da alcune delle persone più importanti della mia vita.

Fu l’ultimo momento sereno, prima dell’inizio della fine.

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

Mycroft e Greg non potevano mancare. Che cosa è una storia di Sherlock senza di loro?

Grazie a chi stia leggendo il racconto.

A giovedì prossimo.

 

Ciao.

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Capitolo 6
*** Last things last ***


Last things last

Last things last


By the grace of the fire and the flames
You’re the face of the future, the blood in my veins, oh-ooh
The blood in my veins, oh-ooh

 

Believer

 

 

La sera avvolse Londra in un abbraccio umido e freddo. La nebbia non era mai salita del tutto e aveva offuscato la giornata. Mi sembrava quasi che il sole non volesse illuminare il nostro mondo. Come se sapesse già che cosa sarebbe accaduto.

Eravamo seduti in una delle auto nere di Mycroft. Tutti e tre indossavamo uno smoking nero, con camicia bianca e cravatta nera, come richiesto dall’invito. Avevamo stabilito che Greg non sarebbe venuto con noi. Non volevamo che i nostri avversari sapessero quali fossero le nostre reali forze. Greg era il nostro asso nella manica, anche se speravamo di non dover ricorrere alla forza.

I Moriarty non vivevano in una semplice villa. Sarebbe stata troppo poco per loro. Il padre di James aveva sposato la figlia di una famiglia nobile decaduta. In cambio del denaro per salvare dalla rovina le loro proprietà, Moriarty aveva ottenuto l’accesso a corte e a tutti i circoli più esclusivi e aristocratici. Così quella sera, la festa di fidanzamento era tenuta in un piccolo, ma grazioso castello, nella campagna che si trovava non molto lontana da Londra.

L’arrivo fu spettacolare. Sulle mura del castello erano stati accesi dei piccoli fuochi, le cui fiamme bucavano la fitta coltre della nebbia, indicando il cammino agli ospiti. Il cortile interno risplendeva di luci soffuse, per esaltare quelle interne, che rendevano la vecchia, ma ben tenuta dimora sfavillante.

Quando entrammo nell’atrio, erano già arrivati molti ospiti. Erano presenti politici importanti, aristocratici prestigiosi, uomini d’affari con patrimoni milionari, gente dello sport, dello spettacolo e della moda. Insomma, chiunque avesse almeno un po’ di fama o potere si trovava a quella festa. I camerieri, in livrea rossa, passavano agilmente in mezzo agli invitati, portando vassoi carichi di cibo e di bicchieri di vino. Una piccola orchestra, composta da una decina di musicisti, suonava una piacevole musica di sottofondo.

I futuri sposi erano in piedi davanti alla porta del grande salone dei ricevimenti, a stringere mani e dare il benvenuto. Osservai Sebastian e rimasi senza fiato. Non solo per la sua indubbia bellezza. Afferrai il polso di Sherlock e lo costrinsi ad abbassarsi, in modo che potessi parlargli all’orecchio: “Sono Legati,” sussurrai.

Sherlock annuì: “Me ne sono accorto. Stai attento. Moriarty e Moran, ora, sono più pericolosi che mai,” mormorò, in tono grave.

Spostai lo sguardo da Sebastian al suo Alfa. Non ne rimasi particolarmente colpito. Visto mentre salutava gli invitati, James Moriarty appariva annoiato e scostante. Non aveva concesso un sorriso a nessuno. Era più basso di ogni altro Alfa presente nella stanza, magro e con folti capelli neri. Anche lui indossava uno smoking nero, come tutti gli altri uomini partecipanti alla festa. Come se si fosse sentito osservato, Moriarty spostò lo sguardo verso la fine della fila delle mani che doveva ancora stringere.

E ci vide.

La sua espressione cambiò completamente e repentinamente. I suoi occhi neri brillarono di una gioia quasi folle. Le sue labbra si stirarono in un sorriso rapace e avido. Affrettò i saluti, accogliendo gli ospiti davanti a noi in modo quasi scortese.

Un brivido gelido mi attraversò tutta la schiena. Lui ci stava aspettando.

“Mycroft Holmes! Che onore averla qui, alla mia festa. Le voci che sussurrano che non partecipa a eventi mondani, non sono quindi vere,” esordì, con voce allegra e suadente.

“Non sempre le voci di corridoio sono fonte di verità. Ogni tanto, anche a me piace divertirmi. – ribatté Mycroft, con un sorriso amichevole, che non raggiunse gli occhi – Soprattutto stasera. Mio fratello Sherlock e suo marito John sono tornati a Londra, dopo una lunga assenza, e portarli a questa festa mi è sembrato un diversivo piacevole.”

James ci studiò come uno scienziato studia un pezzo raro e prezioso della propria materia, appena venuto in suo possesso: “Ho sentito parlare di voi. È un onore avervi fra i miei ospiti. Mi dispiace solo non potervi dedicare il tempo che meritereste, ma sapete com’è… non posso trascurare i miei doveri di padrone di casa. Però, vi posso garantire che presto avremo un piacevole incontro a quattro. Vero, Sebastian?”

Gli occhi verdi di Seb cercarono i miei. Mi sfidavano a biasimarlo o a criticare la sua scelta. Io provavo solo una immensa pena per lui. Ero stato fortunato. Sherlock era un Alfa meraviglioso, con nessuna mira di potere. James era il suo opposto e Sebastian lo avrebbe scoperto molto presto. Speravo solo che non dovesse pagare un prezzo troppo alto, per il suo errore. O che non dovessimo pagarlo tutti.

“Vi conoscete?” Domandò James, in tono malizioso, notando lo sguardo che Seb ed io ci eravamo scambiati.

“John ed io ci conosciamo da molto tempo,” rispose Sebastian, in tono secco.

“Oh, ma che meeeravigliosa coincidenza! – esultò James, sfregandosi le mani – Vai pure a parlare con il tuo amico, caro. Immagino che abbiate molte cose da dirvi. Rimango io qui, a ricevere i nostri invitati.”

 

Sebastian annuì e si voltò verso un corridoio, lungo e stretto, non particolarmente illuminato, che conduceva a un’ala del castello non interessata dalla festa. Io feci un cenno a Sherlock e seguii il mio vecchio amico. Camminammo per alcuni minuti in silenzio, fino a raggiungere una terrazza, che si affacciava sul giardino interno. A differenza dell’ingresso, non una luce illuminava l’esterno. Le piante erano avvolte dalla nebbia, che le rendeva spettrali testimoni del nostro incontro.

Sebastian arrivò al centro della terrazza e si voltò verso di me: “So che cosa tu mi voglia dire, John. Perché lo hai già capito, vero?” Esordì, in tono combattivo.

Sospirai: “Seb, io non sono il nemico…”

“Ti ho fatto una domanda.”

“Sì. So che ti sei Legato a Moriarty…”

“Si chiama James. Anche lui verrà sull’Isola, come Sherlock.”

Scossi la testa: “Credi davvero che la Barriera gli permetterà di passare? Lo hai guardato bene? Ti sei informato sulla sua famiglia?”

“Io lo amo,” sibilò Seb.

“Lo so. Lo spero. Perché stai mettendo in pericolo tutti gli Omega, non solo te o me. Tutti. Compresi i tuoi figli…”

“Non mettere in mezzo i miei figli!” Sbottò Seb, facendo un minaccioso passo verso di me. Io non indietreggiai. Non avevo paura di lui. Ero solo incredulo, incapace di capire come avesse potuto non vedere la vera natura di James Moriarty.

“Non sto parlando di loro per minacciarti o ricattarti. Sto solo cercando di farti comprendere che rendere l’Isola accessibile a tutti gli Alfa metterebbe in pericolo tutti noi Omega, inclusi i tuoi figli.”

“Tu non capisci, John. – sussurrò Seb – Gli Alfa non sono un pericolo per noi. Sono il nostro naturale completamento. Noi non dovremmo vivere in esilio sull’Isola, lontani da tutti. Noi siamo parte integrante di questo mondo e dovremmo godere di tutti i privilegi che avremmo se…”

“Non avremmo privilegi. – lo interruppi, un po’ irritato – Conosci la storia, sai perché siamo stati costretti a isolarci.”

“SONO TRASCORSI MILLENNI, JOHN! – urlò Seb, allargando le braccia, esasperato – Le Guerre del Dominio risalgono alla notte dei tempi. Per Alfa e Beta non sono nemmeno storia, ma leggenda. Non puoi dare il beneficio del dubbio agli Alfa? Perché non possono essere migliorati? Perché non possono semplicemente amarci, senza pensare di sfruttare i nostri poteri per aumentare il loro,” concluse, in tono accorato.

“Perché io ho vissuto abbastanza in questo mondo per vederli all’opera e ti posso assicurare che non sono cambiati. – risposi, in tono pacato – Non parlo solo dello scontro con Magnussen, che sarebbe già abbastanza esemplificativo. Io mi riferisco agli Alfa in generale. Sono prepotenti, dominatori ed egoisti.”

“Solo Sherlock è un Alfa senza ambizioni di potere e affidabile? Hai trovato l’unica mosca bianca in mezzo a tanti Alfa infidi e menzogneri?” Ribatté Seb, con sarcasmo.

“No. So che ce ne sono altri. Però ne basta uno. Ne basta uno, che usi i nostri poteri nel modo sbagliato, e sarà la fine per tutti.”

Ci guardammo negli occhi. Le mie ultime parole galleggiavano fra noi, quasi si stessero combattendo, per stabilire chi di noi avesse ragione. La musica della festa era un lontano sottofondo alla notte nebbiosa e cupa. L’umidità mi stava penetrando sotto la pelle, facendomi sentire gelido e rigido.

“Per fortuna, non tutti gli Omega la pensano come te, John. – riprese Seb, con una voce bassa e profonda – Per fortuna, non tutti gli Omega vogliono ancora seguire la guida di Severus McGranitt. È giunto il tempo del cambiamento, John. Speravo che tu avresti condiviso e approvato il mio operato, proprio perché hai trovato il tuo Alfa. Stando così le cose, dovrai adattarti a ciò che accadrà, come tutti coloro che non condividono il nostro desiderio di progresso.”

“Che… che cosa vuoi dire, Seb? Che cosa hai fatto?” Il terrore si stava impadronendo di me.

“Quello che andava fatto, John. La Barriera è stata abbattuta. James ed io andremo all’Isola e daremo un passaggio verso il Mondo Esterno a chiunque voglia unirsi a noi.”

“Come è stato possibile? La Barriera non può essere abbattuta dagli Alfa! Non con i loro limitati poteri!”

“Infatti, è stata abbattuta dall’interno. Non sono l’unico Omega stanco di questa situazione. Altri Omega vogliono trovare il loro Alfa, Legarsi a lui e vivere come avremmo sempre dovuto fare: liberi e completi.”

Ero incredulo. Esterrefatto. Terrorizzato.

Se la Barriera era davvero caduta, l’Isola era visibile a tutti i satelliti che circondavano la Terra. La nostra non era più una casa sicura. I miei figli erano in pericolo. Dovevo raggiungerli, metterli al sicuro… ma come?

Sentii dei passi dietro di me. Qualcuno stava arrivando di corsa. Mi voltai di scatto e riconobbi Sherlock e Mycroft. Dalle loro espressioni capii che doveva essere successo qualcosa di grave anche alla festa.

“Devo lasciarti, John. Il mio sposo mi attende. Faremo il primo giro dell’Isola tenendoci mano nella mano. Con la nostra presenza, sarà un mondo migliore.”

Mi voltai per ribattere a Seb, ma lui svanì nel nulla. Dove prima si trovava Moran, c’era solo nebbia.

“Anche Moriarty è sparito nello stesso modo,” mi informò Sherlock, appena mi raggiunse.

“La Barriera è stata abbattuta. – mormorai, sconvolto – L’Isola è visibile al mondo intero. Per gli Omega è la fine.”

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

E adesso cominciano i veri guai. Non si può biasimare Sebastian. Lui è veramente innamorato di James e ha piena fiducia in lui. Si potrà dire lo stesso del nostro caro Moriarty? Chissà…

 

Grazie a chi stia leggendo il racconto.

A giovedì prossimo.

 

Ciao.

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Capitolo 7
*** But they never did, ever lived, ebbing and flowing ***


But they never did, ever lived, ebbing and flowing

But they never did, ever lived, ebbing and flowing

Inhibited, limited
Till it broke open and it rained down
It rained down, like…

 

Believer

 

 

 

Il silenzio in macchina era opprimente. Io continuavo a spostare lo sguardo fra Mycroft e il paesaggio che correva accanto all’auto. Sembrava quasi di essere fermi. La nebbia aveva avvolto la notte con il suo fitto abbraccio e non capivo come l’autista potesse percorrere la strada a velocità così con una visibilità tanto ridotta. Quello, però, non era il problema più impellente. Dovevamo scoprire dove fossero andati James e Sebastian e se veramente la Barriera fosse caduta. Ancora non potevo credere che degli Omega avessero deliberatamente messo in pericolo la nostra comunità. Per che cosa, poi? Che cosa aveva promesso loro Sebastian? Potere? Prestigio? Denaro? Libertà? Aveva davvero importanza avere una risposta?

Mycroft sospirò: “I satelliti hanno registrato l’improvvisa comparsa di una grossa isola nell’Oceano Atlantico. La mia assistente è riuscita a distruggere i dati e a disturbare la ricezione degli altri satelliti, ma non abbiamo molto tempo. Gli altri paesi si accorgeranno presto che qualcosa non va e ripristineranno la funzionalità dei loro satelliti.”

“Avrai dei problemi?” Domandai. Non volevo che si scatenasse una guerra, prima ancora di sapere che cosa fosse comparso.

“Oh, no. Questi giochetti che ci divertiamo a fare anche solo per capire quanto siano bravi i reciproci informatici. E ti posso garantire, John, che tutti hanno ottimi esperti.”

“In parole povere, quanto tempo abbiamo?” Intervenne Sherlock.

“Al massimo un paio d’ore.”

“Non arriveremo nemmeno all’Isola!” Sbottò Sherlock.

“Ti sbagli. – mi intromisi, con voce tesa – Unendo i nostri poteri, potremmo teletrasportare una piccola imbarcazione direttamente all’Isola. È sicuramente la stessa cosa che ha fatto Sebastian.”

L’abitacolo si riempì di un silenzio sbigottito. Io scossi la testa: “Non avete proprio idea di che cosa possano fare un Alfa e un Omega Legati. È per questo che gli Anziani ritengono che il nostro ritorno nel Mondo Esterno sia troppo pericoloso. Un potere così grande nelle mani sbagliate può causare danni incalcolabili.”

Mycroft riprese presto il controllo della situazione: “Ho ordinato ad Anthea di mandare una piccola squadra di uomini scelti su uno dei nostri mezzi più piccoli. Saremo pronti a partire in venti minuti. Ho avvisato anche Greg. Mi sembra giusto che anche lui sia presente alla difesa dell’Isola.”

Sapevo molto bene quale fosse il sottinteso, nel discorso di Mycroft. Lui e Greg avrebbero difeso l’Isola, ma volevano conoscere i propri figli. Chi ero io per impedirlo?

 

La piccola imbarcazione ci attendeva in una darsena isolata, nell’insolitamente silenzioso porto di Londra. Al squadra scelta da Anthea era composta da una decina di persone, lei compresa, armati e decisi. Erano tutti Beta. Fui grato a Mycroft per questo. Loro non sarebbero mai stati interessati agli Omega, quindi ero certo che ci avrebbero difesi, senza secondi fini.

Greg era già arrivato. Dalla sua espressione preoccupata, capii che le notizie non erano buone: “Mentre venivo qui, ho sentito alla radio la bizzarra notizia che su internet giri la voce che una grande isola sia comparsa improvvisamente sui satelliti di tutto il mondo, per poi sparire di nuovo. Si chiedono se si tratti di Atlantide, risalita dal fondo dell’Oceano.”

“Sono notizie divulgate dai miei sottoposti per depistare chi abbia visto l’Isola. Spero che questo non le provochi dei rimorsi, sovrintendente,” spiegò Mycroft.

“Assolutamente no. Più teniamo tutti all’oscuro di ciò che sta davvero accadendo, meglio è. Che cosa facciamo qui, comunque? Impiegheremo ore per raggiungere la nostra meta e il vostro depistaggio non avrà senso.”

“Ti sbagli, Greg, non ci vorrà così tanto. – ribattei – Sei pronto, Sherlock?”

“Che cosa devo fare?”

“Nulla. Prendimi le mani. All’incantesimo penserò io. Ho bisogno che tu condivida la tua energia con me. Pronto?”

“Pronto.”

Presi le mani di Sherlock. Erano calde e sicure. Mi infusero tanta forza e fiducia. Gli sorrisi e intrecciai le nostre dita. Chiusi gli occhi e comincia a pronunciare la formula, concentrando la mente sul punto in cui volevo che io, le persone e l’imbarcazione ci trovassimo. Una luce verdognola avvolse il piccolo natante, prima che, con uno schiocco, svanisse nella nebbia.

 

Quando riaprii gli occhi, l’Isola era davanti a me. Vicino alla spiaggia era ancorata una nave, più o meno delle dimensioni della nostra. In lontananza si notavano alcune colonne di fumo.

“Hanno dato fuoco ad alcune delle abitazioni. – sibilai – Dobbiamo avvicinarci senza farci vedere.”

“L’occultamento si è alzato appena siamo apparsi. Dalla nave non ci vedranno arrivare,” mi informò Anthea.

Annuii, ma non riuscii a sorriderle. Pensavo ai miei figli, a mio padre, a mio fratello, ai miei amici. Gli Alfa arrivati sull’Isola si stavano comportando come dei conquistatori. Come aveva potuto Sebastian pensare che sarebbe andata in modo diverso?

“Stanno bene. Ne sono sicuro.” Mi rassicurò Sherlock, stringendomi una mano.

Alzai gli occhi sul suo viso e vidi che stava cercando di tranquillizzare anche se stesso. Lui amava i nostri figli quanto me ed era preoccupato come lo ero io. Ricambiai la stretta di mano, senza riuscire a dire nulla.

Arrivammo velocemente vicino alla nave di Moriarty. A bordo c’erano solo due uomini. Era evidente che James e Sebastian non si aspettavano un attacco dal mare né resistenza a terra. Sopraffatti i due uomini di guardia, sbarcammo e ci inoltrammo nell’Isola, facendo attenzione a non farci vedere.

La natura rigogliosa ci permise di arrivare a ridosso del villaggio senza che nessuno notasse la nostra presenza. Gli Omega adulti erano stati radunati nella piazza principale, sorvegliati da sette Alfa armati. Accanto a loro, riconobbi alcuni Omega, che non facevano parte del gruppo dei prigionieri, ma potevo notare il loro nervosismo e la loro diffidenza. Cercavano di stare lontani dagli Alfa e li guardavano di sottecchi, come se fossero pronti a reagire più a un loro attacco che a una fuga degli Omega prigionieri. Doveva essere accaduto qualcosa che aveva creato dei dubbi sull’alleanza fra loro e gli invasori.

Cercai con lo sguardo il volto di mio padre e di mio fratello. Tirai un sospiro di sollievo, quando li vidi, un po’ acciaccati, ma in ottima salute. Mancavano i bambini. Probabilmente erano rinchiusi da qualche parte, con la minaccia di fare loro del male, se gli adulti osavano ribellarsi. Questo spiegava perché un numero maggiore di Omega non tentasse di sopraffare un numero così esiguo di Alfa e di loro titubanti alleati.

“Quanto è potente un Omega non legato?” Sussurrò Mycroft.

“Abbiamo poteri più forti di via Alfa, ma credo di riuscire a convincere i miei amici a non porre resistenza. Le cose non stanno andando come si aspettavano e non vedono l’ora che qualcuno gli dia la possibilità di porre fine a tutto,” risposi con più convinzione di quella che in realtà provavo.

Mycroft fece un segnale ai propri uomini. Nel giro di pochi minuti, gli Alfa invasori vennero sopraffatti. Gli Omega loro alleati osservarono i nuovi arrivati con gli occhi sbarrati, senza reagire. Noi siamo sempre stati molto pacifici. Vivendo isolati, non provavamo brame di conquista. Sapevamo che cosa fosse la lotta. Potevamo avere reazioni anche violente, ma non sapevamo che cosa volesse dire combattere veramente.

“Non vi preoccupate. Siamo amici. – esordii, facendomi avanti – Il capo di questi uomini è il fratello di Sherlock. Potete fidarvi di loro. Non faranno del male a nessuno che non si opponga.”

“John!” Era la voce di mio padre. Sentii il sollievo, nel suo tono.

Lo raggiunsi e lo abbracciai: “Padre. Dove sono i bambini?”

“Sono nella Sala del Consiglio. Severus si è rinchiuso lì, insieme ai bambini. Li ha riuniti appena ha visto la nave degli invasori. Sebastian e il suo Alfa stanno cercando di convincerlo ad arrendersi. Noi non abbiamo avuto il coraggio di ribellarci, perché quegli uomini ci hanno detto che avevano un’arma capace di fare saltare in aria il palazzo, con dentro i bambini e Severus. Non potevamo essere sicuri che ci stessero mentendo.” 

“Che cos’altro è successo? Gli alleati di Sebastian non sembrano più molto convinti della loro scelta. Non hanno nemmeno tentato di opporre resistenza.”

“Un paio di Alfa hanno tentato di forzare il Legame con alcuni di loro. – rispose mio padre, in tono grave e rabbioso – Ti lascio immaginare come sia finita.”

Non avevo bisogno di sentire altro. Scossi la testa. Quale errore aveva commesso Sebastian! Possibile che fosse ancora convinto di avere fatto la scelta giusta? Non aveva compreso quali danni potevano fare gli Alfa? “Riuscite a tenere sotto controllo questi uomini, mentre noi andiamo ad aiutare Severus?”

“Andate pure. Qui ci pensiamo noi,” garantì mio padre.

 

Ci spostammo verso il Palazzo del Consiglio. Davanti c’erano altri sette uomini, compresi Sebastian e James. Non avevo mai visto in azione lo scudo protettivo del palazzo, ma ogni Omega ne conosceva l’esistenza e l’invulnerabilità. Era stato creato dai primi Omega giunti sull’Isola e pensato per resistere persino al potere congiunto di un Omega e di un Alfa.

“Avanti, Severus. Non farmi arrabbiare. – stava dicendo James in tono annoiato, guardandosi le unghie – Non vuoi avere davvero sulla coscienza la morte dolorosa di qualcuno dei tuoi amici, vero?”

Osservai il viso di Sebastian. Era scuro. Sembrava furioso. Mi chiesi con chi.

“Mio caro signor Moriarty, non credo che farà nulla di così drammatico. – giunse la risposta dall’interno – Se torcerà un capello anche un solo Omega, perderà la fiducia di quelli che hanno creduto nelle sue bugie.”

“Bugie bugie bugie. – cantilenò James, facendo il verso a Severus – Che cosa importa ciò che io ho promesso? Tanto la vostra Barriera è caduta. Se anche non sarò io a sfruttare il vostro potere, lo farà qualcun altro.”

“Noi non siamo qui per sfruttare il potere degli omega! – sbottò Seb – Dobbiamo convincere gli ostinati che il Mondo Esterno non è un pericolo per noi. Che potremmo viverci senza dover temere gli Alfa!”

“Come vedi, Sebastian, non tutti gli Alfa sono sinceri. – intervenne Severus – Non sono cambiati.”

“Non cercare di mettere zizzania fra di noi!” ruggì James.

“Non ho bisogno di fare nulla, signor Moriarty. – ribatté Severus serafico – Bastano le sue azioni e quelle dei suoi uomini.”

Fu a quel punto che gli uomini di Mycroft entrarono in azione. Ciò che seguì, non si poté nemmeno definire uno scontro vero e proprio. I cinque uomini al soldo di James vennero sopraffatti in fretta. Quello che mi stupì, però, fu il sorriso sulle labbra di Moriarty. Lo avevamo sconfitto. Avremmo ripristinato la Barriera, prima che i satelliti potessero tornare in linea. Perché sorrideva, come un gatto che avesse intrappolato un topo?

 

“Guarda guarda chi è arrivato. Il prode John Watson, cavaliere senza macchia e senza paura delle tradizioni Omega, con i suoi impavidi amanti. – ridacchiò Moriarty – Immagino che pensiate che sia tutto finito.”

“È tutto finito.” Ribattei, secco.

“Mi credete molto stupido. – sbottò Moriarty, praticamente offeso – Pensate davvero che io sia venuto qui con solo questi pochi uomini?”

“Che cosa hai fatto, James?” Domandò Seb, sconvolto.

“Ciò che dovevo. Da quando siamo giunti all’Isola, un apparecchio sulla nave invia un segnale di localizzazione ai miei soci, sparsi per tutto il mondo. Avendo più o meno un’idea della posizione dell’Isola, non si sono posizionati troppo lontani. Presto arriveranno qui. E vi conquisteremo. Grazie al Legame che formeremo con voi, diventeremo così potenti, da poter dominare il mondo.”

C’era una luce di folle gioia negli occhi neri di James Moriarty. Sebastian era inorridito. Si era fatto ingannare. Aveva spalancato le porte all’inferno. L’Isola e i suoi abitanti erano a un passo dalla rovina.

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

Mi sa che gli Omega siano nei guai fino al collo. Riusciranno a trovare una soluzione per salvarsi?

 

Grazie a chi stia leggendo il racconto.

A giovedì prossimo, per l’ultimo capitolo.

 

Ciao.

 

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Capitolo 8
*** Pain! ***


Pain

 Pain!


You made me a, you made me a believer, believer
Pain!
You break me down, you built me up, believer, believer
Pain!
I let the bullets fly, oh let them rain
My life, my love, my drive, it came from…
Pain!
You made me a, you made me a believer, believer.

 

Believer

 

 

 

Un silenzio inorridito cadde sul nostro piccolo gruppo. Tanti sacrifici, tanti Omega morti per proteggere il nostro segreto e tutto era stato vanificato da un amore sbagliato. Uno strano suono arrivò alle mie orecchie. Non capivo che cosa fosse, ma ne trovai presto la fonte: era James Moriarty.

Stava ridacchiando.

Lo fissai allibito. La sua risata si fece sempre più rumorosa e piena di scherno.

Mycroft era stato il primo a riprendere il controllo e contattò la sua assistente con un walkie talkie: “Anthea, il radar segnala navi in avvicinamento?”

Ci fu un lungo minuto di silenzio, prima che all’apparecchio gracchiante si sentisse la voce della giovane Alfa. Dal tono grave capimmo subito che non erano buone notizie: “Sì, signore. Ci sono una decina di imbarcazioni, che si stanno dirigendo verso l’Isola. Provengono un po’ da tutte le direzioni. Le prime arriveranno tra meno di un’ora. Signore… se sono tutti complici di Moriarty, non riusciremo a difendere l’Isola da questo attacco.”

“La signorina è molto gentile a preoccuparsi per noi, ma quello che dice non è del tutto vero. – intervenne una voce pacata, dalle nostre spalle – Esiste un modo per mettere in sicurezza gli Omega e l’Isola. Questo, però, comporterà un grande sacrificio da parte di qualcuno.”

Ci voltammo verso il nuovo arrivato. Severus McGranitt ci aveva raggiunto, seguito dai bambini, che si guardavano attorno un po’ spauriti. Quando ci vide, Greg corse verso me e Sherlock, con le braccia spalancate: “Papà! Papà! Sei tornato!”

Mi inginocchiai e lo strinsi a me. Greg mi gettò le braccia al collo e strinse con tutta la forza che aveva. Lo sentivo tremare. Alzai gli occhi e incontrai lo sguardo del mio figlio maggiore. Mycroft teneva in braccio Will, troppo piccolo per capire che cosa stesse accadendo. Allungò le braccia verso me e Sherlock, piagnucolando. Mycroft lo sostenne in modo che non gli cadesse dalle braccia. Il viso del mio figlio maggiore era serio e il portamento rigido. Stava cercando di non apparire spaventato, ma lo sforzo era chiaramente visibile. Sherlock si avvicinò a lui e prese Will, stringendolo a se. Allargai un braccio, facendo segno a Mycroft di raggiungere Greg, fra le mie braccia. Lui lo fece, senza farselo ripetere. Lo sentii rilassarsi.

“Oh che bel quadretto. – canticchiò Moriarty, in modo canzonatorio – Sono bei bambini. Mi faranno guadagnare tanti soldi al mercato degli Omega, ap…”

Non terminò la frase. Lo vidi volare in terra, colpito da un’onda magica.

“Maledetto bastardo. Non avrai i nostri bambini!” Ringhiò Sebastian.

Mi staccai dai miei figli, cercando di raggiungere Seb. Sapevo che era sconvolto, ma attaccare James avrebbe ucciso anche lui, non solo l’Alfa: “Fermati, Seb! Non è così che risolveremo il problema!”

Un’altra onda magica travolse Moriarty, sollevandolo e lanciandolo contro un albero. Sebastian cadde in ginocchio, urlando di dolore: “Sarà l’ultima cosa che farò, ma lui non godrà i frutti del suo tradimento!”

Con un urlo disumano, Sebastian scaricò tutta la propria forza magica sul compagno. Moriarty era troppo stordito per reagire. I due giovani uomini furono avvolti da un alone rosso fuoco e svanirono nel nulla.

Mi bloccai, a pochi passi dal posto in cui si era trovato Seb. Fissavo l’erba, appiattita e leggermente bruciacchiata. I bambini piangevano, ora veramente spaventati. Mi voltai e vidi Greg, Severus, Sherlock, i militari e persino Mycroft, cercare di consolare e calmare i piccoli Omega terrorizzati. Gli altri Omega adulti non tardarono ad arrivare, richiamati dal frastuono provocato da ciò che era accaduto.

La morte di Moriarty, però, non aveva messo in salvo l’Isola.

Le navi dei suoi complici si stavano ancora avvicinando.

 

L’agitazione e il panico stavano travolgendo tutti gli Omega. Nessuno vedeva una via d’uscita. La Barriera era stata abbattuta e ci sarebbe voluto troppo tempo per innalzarla un’altra volta. Inoltre, non sapevamo con quali armi fossero equipaggiate le navi che stavano arrivando. Non avevamo la sicurezza che la Barriera potesse reggere a qualsiasi tipo di attacco. Nel corso dei secoli, era stato il segreto della nostra esistenza a proteggerci, più della Barriera magica che circondava l’Isola.

“Amici, non siate così spaventati. – la voce rassicurante di Severus e il suo sorriso dolce erano quasi assurdi, in quella circostanza – Prendete i bambini e andate alle vostre case. Andrà tutto bene. L’Isola presto sarà di nuovo sicura.”

La calma e la sicurezza, con cui Severus aveva pronunciato quelle parole, risollevarono il morale degli Omega. Qualcuno ebbe il coraggio di fare un timido sorriso. La piccola piazza antistante il Palazzo del Consiglio si svuotò velocemente.

“Che cosa intendeva dicendo che c’è un modo per proteggere l’Isola?” Domandò Mycroft, in modo pratico.

Severus lo fissò per qualche secondo, prima di rispondere: “La Barriera originale è stata creata dagli Omega, quando furono sicuri di essere tutti sull’Isola. Esiste, però, un incantesimo, che può creare una Barriera molto più potente e quasi indistruttibile. Per lanciare questo incantesimo, però, è necessaria l’azione congiunta di tre Alfa e un Omega, che si trovino al di fuori dell’Isola, e dei nostri maghi più potenti.”

Severus parlava guardando me. Il suo sguardo era carico di tristezza e compatimento. Sapevo che cosa sarebbe accaduto, ma avevo bisogno di sentirmelo dire a voce alta. Posi la domanda, già conoscendo la risposta: “Che cosa farà il nuovo incantesimo?”

“Sposterà l’Isola in uno spazio e in tempo sfasati da quelli del Mondo Esterno. Noi saremo qui, ma nessuno potrà più raggiungerci. Lo stesso incantesimo rallenterà ulteriormente lo scorrere del tempo sull’Isola. Per uno dei nostri anni, all’esterno trascorreranno almeno una decina di anni. Questo ci permetterà di non dover mandare più i nostri giovani nel Mondo per essere ingravidati per molto, molto tempo. Forse, per allora, potremo veramente palesarci agli Alfa e formare con loro quel nuovo mondo, cui tutti aneliamo.”

Guardai i miei figli. Le lacrime mi offuscavano la vista. Non li avrei mai più rivisti, ma sarebbero stati al sicuro. Come potevo separarmi da loro per sempre? Come potevo lasciare che cadessero nelle mani degli Alfa? Ero lacerato.

Una mano prese una delle mie e strinse forte: “Non esiste un altro incantesimo? Uno che consenta almeno all’Omega di rimanere sull’Isola?” Era stato Sherlock a porre la domanda. Anche l’idea di separarmi da lui per sempre mi faceva inorridire. Possibile che non esistesse un modo per salvare l’Isola senza che il mio cuore andasse in pezzi?

“Mi dispiace.” Sussurrò Severus.

Strinsi la mano di Sherlock, prima di lasciarla e di andare verso i miei figli. Presi Will dalle braccia di mio padre e strinsi a me Greg e Mycroft con l’altro braccio: “Obbedite al nonno e a zio Michael. Vi voglio bene.” Mormorai, mentre lasciavo un leggero bacio sulla testa di ognuno di loro.

“Non ti preoccupare, baderò io a loro.” Mi rassicurò Mycroft. Io sorrisi.

“Non mi aspetto nulla di meno da te, Myc. – intervenne Sherlock, stringendoci fra le sue braccia – I fratelli maggiori devono sempre prendersi cura dei minori. Io so che sarai eccezionale, perché tuo padre lo è stato con me. Racconta a Will di noi. Lui non potrà ricordarci, ma tramite te, saprà che siamo stati costretti a lasciarvi perché vi amiamo più di ogni altra cosa al mondo.”

Non avrei mai voluto sciogliere quell’abbraccio, ma non avevamo molto tempo. Il calore dei miei figli si impresse sulla mia pelle e io sperai che vi rimanesse per sempre.

 

Tornammo sulla nostra imbarcazione, portando con noi gli uomini di Moriarty come prigionieri. Sulla spiaggia dell’Isola si allinearono una decina di maghi, a distanza di circa un paio di metri l’uno dall’altro. Ci allontanammo, prendendo il largo.

“Tra al massimo venti minuti le prime navi arriveranno in vista dell’Isola.” Ci informò Anthea.

“Grazie. Ordina di fermare i motori e scendete sottocoperta. Che nessuno salga, qualsiasi cosa accada, che nessuno torni sul ponte fino a quando lo dirò io.”

La donna annuì. In pochi minuti sul ponte eravamo rimasti solo Mycroft, Greg, Sherlock ed io.

Mi voltai verso Greg e Mycroft: “Mi dispiace. Non ho nemmeno avuto il tempo di spiegare ai bambini chi foste. Mi sarebbe piaciuto presentarveli, farvi parlare con loro, ma…”

Greg mi mise una mano su una spalla: “Non avevamo tempo. Come non lo abbiamo ora.”

Annuii con un gesto secco. Mi voltai nuovamente verso la spiaggia dell’Isola. Severus ci aveva spiegato che cosa fare. Ci allineammo anche noi. Io davanti. Sherlock, Greg e Mycroft dietro di me a circa un metro l’uno dall’altro. Chiusi gli occhi e allargai le braccia, iniziando a pronunciare le parole dell’incantesimo. Più le ripetevo, più l’aria intorno a me diventava incandescente. Un vento magico mi avvolse e mi sollevò dal ponte, quando la mia energia magica si unì a quella dei tre Alfa, che facevano parte della mia vita. Aprii gli occhi di scatto. Stavo praticamente urlando le parole, con i palmi rivolti verso la spiaggia. Dalle dita partirono dei raggi di energia, che si unirono a quelli provenienti dall’Isola. Un vento sempre più violento e caldo mi investì, ma non mi spostai di un millimetro.

Vidi la Barriera emergere lentamente dal mare e salire sempre più in alto. Alle sue spalle, l’Isola scompariva, pezzo dopo pezzo. Quando fu completamente avvolta dall’energia magica, un bagliore accecante mi costrinse a chiudere gli occhi. Ricaddi pesantemente sul ponte. La braccia di Sherlock mi avvolsero e mi strinsero, ma io sentivo solo gelo, dentro di me. Aprii gli occhi e guardai oltre il parapetto della nave.

L’Isola non c’era più.

 

Sono trascorsi anni, da quel triste giorno. Sherlock ed io ci siamo costruiti una vita qui a Londra. Viviamo ancora al 221B di Baker Street. Il nostro amore ci unisce come non mai. È stato la nostra salvezza. L’ancora che ci ha impedito di impazzire. Io ho trovato lavoro come medico nel pronto soccorso di una piccola clinica, ma faccio anche da assistente a Sherlock nei suoi casi. Sherlock è un consulente investigativo e aiuta la polizia in quei casi complicati o strani che non riuscirebbero a risolvere, senza la mente brillante del mio magnifico marito.

Dell’Isola non abbiamo più saputo nulla.

Questo diario si chiude qui. Come ho scritto all’inizio, lo nasconderemo nella speranza che venga rinvenuto quando finalmente gli Omega potranno ricongiungersi con il resto mondo, per creare una civiltà nuova. Forse migliore. Lo spero molto, perché questo darebbe un senso al dolore che mi accompagna ogni giorno, per la separazione dai miei figli. Ciò che mi consola, è la consapevolezza che loro stiano bene. Le loro rose sono ancora boccioli freschi e dai colori vivi. Non un solo petalo è caduto. Sono sulla mensola del camino, ognuna sotto la propria cupola di cristallo. Quando non siamo impegnati in un caso, Sherlock ed io ci mettiamo sul divano, abbracciati, e le guardiamo, cercando di immaginare che cosa stiano facendo i nostri figli. Sapendoli al sicuro e felici.

 

FINE

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

Ogni storia che arriva a conclusione è una soddisfazione, perché chi la scrive cerca di fare del proprio meglio per intrattenere chi legge, ma è anche un po’ triste, perchèsi tratta pur sempre di una fine.

Come questa.

 

Grazie a chi abbia letto il racconto.

 

Ciao.

 

 

 

 

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