L'anniversario di coopercroft (/viewuser.php?uid=1146299)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lo zio Rudy ***
Capitolo 3: *** Sherlock ***
Capitolo 4: *** Il passato ***
Capitolo 5: *** Il racconto ***
Capitolo 6: *** Consapevolezza ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Mycroft aprì la porta e
attraversò l'ingresso della sua casa a
Pall Mall. Una sensazione di nausea gli attanagliò lo
stomaco, c'era qualcuno.
Raggiunse il soggiorno, la debole luce della lampada illuminava una
figura
tozza che gli dava di spalle, ai suoi passi si girò.
L'uomo della Governance trattenne
il fiato, aggrottò la fronte, calcolò l'altezza e
il peso, strinse con forza
l'impugnatura del suo fidato ombrello e rifiatò lentamente.
"Non sono un pericolo, signor
Holmes."
Il tizio davanti a lui si
raddrizzò
guadagnando un paio di centimetri, gli occhi scuri sgranati.
Tra le dita una sigaretta di
cattiva qualità.
Il fastidioso odore del fumo gli
raggiunse le narici.
Mycroft inclinò la
testa,
socchiudendo gli occhi e appoggiò il peso del corpo sul
fedele ombrello.
Abbozzò un sorriso tirato mentre lo esaminava.
Regolò la respirazione e,
prudentemente si mantenne a una distanza di circa due metri.
Eleganza raffinata, anche se
acquisita col tempo, ricco certamente, attento alla linea: la giacca
era
leggermente morbida sulle spalle. Segno che era dimagrito da poco,
tuttavia
aveva un aspetto curato, capelli corti e ordinati.
Il vestito era stazzonato, ma non
troppo, doveva aver viaggiato per qualche ora. Era miope e portava le
lenti a
contatto, lo si capiva da come strizzava gli occhi.
"Credo mi conosca, infondo
lei conosce tutti quelli che girano attorno a suo fratello."
La sua voce era piatta, una
leggera inflessione serba, le mani curate lisciarono le tasche della
giacca di
ottima fattura.
"Mister Graham, immagino."
Esordì prudentemente
Holmes,
allentando la presa sulla sua unica arma. Appoggiò con calma
esasperante
l'ombrello alla poltrona.
"Prego si accomodi, non
vorrei sembrarle scortese." Indicò le due poltrone di fronte
al camino. Si
sedette per primo, accavallando le gambe. L'altro fece altrettanto, il
gomito
appoggiato al bracciolo, la sigaretta quasi spenta.
Mycroft odiava le cicche sul
pavimento di legno e gli indicò con la mano il posacenere.
Volutamente, Graham la
lasciò
cadere a terra.
Holmes, accarezzò il
bordo di
pelle scura della poltrona. Non sudava quasi mai, sapeva come
controllare il
suo corpo, ma quando aveva sentito il nome di Sherlock un calore lo
aveva
percorso. Avvertì il collo della camicia farsi
più stretto, si passò due dita
per allargarlo.
"A cosa devo la sua visita,
signor Ernest?"
"Vedo che mi conosce."
Le labbra gli si incresparono, la vena del collo pulsava velocemente.
Holmes era in vantaggio, Graham
sapeva esattamente che lui lo aveva riconosciuto.
Lo attaccò subito, tra
poco la sua
scorta sarebbe arrivata allarmata dall'intrusione.
"Mio fratello l'ha
infastidita?"
Tamburellò con le dita
sul
bracciolo, Sherlock si era immischiato e come sempre facendo danni.
"Temo di sì, signor
Holmes,
dovrebbe avvertirlo di essere più cauto nel fare certe
domande."
Graham sorrise, si
aggiustò i
polsini della camicia. Gli occhi puntati sul suo interlocutore,
aspettava.
"Non sono a conoscenza di
tutte le attività di Sherlock, ma vedrò cosa
posso fare."
Stese la mano sul bracciolo e
allargò le dita avvertendo il freddo della pelle della
poltrona.
Graham distese le gambe,
continuò
serafico. "Non vorrei che gli capitasse qualcosa, a volte essere troppo
curiosi... costa."
Mycroft, socchiuse gli occhi.
Ennesimo mal di testa in arrivo a causa del suo fratellino sconsiderato.
Si appoggiò allo
schienale,
rilassò le spalle, sospirò. Altro nemico da
aggiungere alla lista che lo
avrebbe tediato per un po' di tempo.
"Se dovesse succedere
qualcosa a mio fratello, penso che la cosa potrebbe irritarmi molto,
signor
Graham. Sa, con la mezza età, sono diventato estremamente
protettivo verso la
mia famiglia e decisamente intollerante."
Fissò il bastardo
elegante seduto
di fronte a lui. Si tirò in avanti, le mani strette sulle
ginocchia. Inclinò
appena la testa.
"Non mi costringa a essere
scortese, Ernest, mio fratello fa le sue scelte, io le mie."
Ritornò ad appoggiarsi
alla
poltrona, le sue dita sottili sfiorarono i bottoni del gilè,
e continuò
serafico.
"Ma si sa, Sherlock è un
cane
da punta, quando fiuta l'osso non lo molla più"
La mascella di Graham si strinse
tanto che Mycroft pensò gli saltassero i denti. Una patina
di sudore gli
solcava la fronte, viscida come la persona che gli stava davanti.
Decise che
era ora di mettere fine a quell'imbarazzante rappresentazione teatrale
mal
riuscita.
"Credo non abbiamo altro da
dirci, signor Graham, ha circa tre minuti prima che la mia sicurezza
sia
qui." Mycroft si alzò, svettando sopra l'uomo che aveva
commesso un errore
madornale, non aveva capito che minacciare un Holmes lo infastidiva
profondamente, specie se si trattava di Sherlock.
Rimase immobile, infilò
le mani
nelle tasche dei calzoni con dispiacere, non amava sformarli, ma era
necessario.
"A mai più, signor
Graham."
Sibilò seccamente mentre
l'altro
si alzava grugnendo e spariva veloce nel buio della stanza.
Accese le luci, si versò
due dita
di scotch e si lasciò andare sulla poltrona. Doveva
rafforzare la sicurezza
della sua casa. Sherlock aveva ragione su di una cosa, era troppo
vulnerabile.
Sollevò lo sguardo e
inquadrò la
foto della famiglia Holmes che faceva bella mostra di sé
sulla mensola del
camino. Sherlock ed Eurus avevano un'aria felice, e anche lui prima che
la vita
li dividesse. Tutto quel passato doloroso sembrò
percorrerlo, li aveva protetti
per anni, ma ora sentiva un peso di cui doveva liberarsi.
Sherlock....
Era sempre lui il suo punto
debole, la pressione costante. Mandò giù in un
solo fiato la bevanda ambrata.
Prese il cellulare e
allertò la
scorta. Anche stavolta era andata bene, ma doveva procedere per alzare
il
livello di sicurezza, soprattutto sul suo fratellino sconsiderato.
Chiamò
Anthea e le ordinò di portarla al massimo.
O Sherlock avrebbe gioito nel non
vederlo mai più.
Non era incline all'auto
commiserazione. Ma la mezza età, che regolarmente Sherlock
sottolineava,
cominciava a pesargli. Così come tutte le cose che aveva
nascosto per anni.
Si accorse, con una smorfia di
disappunto, di essere stanco...
Era esausto di mentire e di
litigare.
Forse era il momento che la
verità
venisse alla luce.
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Capitolo 2 *** Lo zio Rudy ***
Mycroft Holmes, l'uomo freddo e
poco propenso ai rapporti umani,
si era risvegliato stranamente già stanco. E con la stessa
stanchezza nelle
ossa era andato in ufficio a tenere le redini del suo prestigioso
lavoro
governativo, ottenuto a caro prezzo: l'ostilità di suo
fratello
Percorse i lunghi corridoi
accecato dalle luci interne, nella testa un solo unico pensiero:
l'anniversario.
Salutò Anthea che
rispose
sollecita, ma non fu molto espansivo si appartò in ufficio
con una scusa. Lei
era sempre così attenta, non voleva che capisse il suo
disagio.
Si buttò nel lavoro ma
durò poco,
sentiva insistente nella testa la voce di suo zio Rudy.
Sbuffò, fece cadere la
relazione a
cui stava cercando di lavorare e appoggiò malamente la penna
sulla costosa
scrivania di ulivo, l'aveva avuta in cambio di un favore poco legale.
Si era già preannunciata
come una
giornata uggiosa e cupa, proprio come si sentiva lui. Si
alzò, le dita sottili
che premevano sulle labbra.
Fece due passi per quello studio
arredato con gusto, dove passava la maggior parte del tempo. Era
sistemato
sottoterra, un bunker soffocante, ma necessario, visto i pericoli che
correva
costantemente. Quelli che gli procurava la sconsideratezza di Sherlock.
Si sentiva già sepolto
sotto metri
di cemento.
Si passò una mano sulla
cravatta
lisciandola e sistemò l'orologio nel taschino. Era inutile
evitare il pensiero
che lo tormentava: era il primo l'anniversario della morte di zio Rudy.
Rudolph Vernet, fratello della
madre, che nascondeva dietro una facciata mite e comprensiva, un
maledetto
demone.
L'artefice di quella che era la
sua attuale vita. Se era diventato il Mycroft che tutti conoscevano,
era
unicamente per come lui lo aveva forgiato.
Strinse in un pugno le mani
sottili, affondandole nelle tasche, rimase immobile al centro della
stanza.
Dondolava il corpo, mentre il risentimento lo agitava.
Era stato lui che lo aveva educato
per quel incarico governativo, lui che lo aveva reso una perfetta
macchina
priva di emozioni. E Mycroft aveva pagato caro quel gioco di potere:
l'allontanamento da casa, la menzogna di Eurus e quel rapporto
complicato con
Sherlock.
Afferrò sgarbato la
ventiquattrore
e chiamò Anthea.
Gli era venuta l'insana voglia di
vedere Sherlock.
Il loro rapporto era basato su
frecciatine velenose e di suonate di violino sgradite. Eppure in fondo
al suo
cuore, quello di ghiaccio, aveva bisogno di lui, l'ultima sua speranza
di
redenzione.
Chiamò Anthea che lo
fissò per
qualche attimo dubbiosa.
"Vuoi passare da Baker Street
Mycroft? Tuo fratello non ti aspetta, sai che non gli piacciono le
sorprese."
"Correrò questo
rischio." Sospirò chinando il capo. "Più di
rimbrottarci a vicenda
non vedo che altro possa accadere."
Era protettiva nei suoi confronti,
a lui piaceva vederla preoccupata, era l'unica che lo ritenesse una
persona...
viva e con un cuore. Forse provava qualcosa di più, ma lui
non aveva mai voluto
capire.
" Anthea, va tutto bene, ho
solo bisogno di aria di famiglia." Sorrise, lei annuì
stringendo le labbra
carnose.
"Contento te Mycroft."
Lo redarguì con gli occhi. Sapeva quanto amava Sherlock e
quanto dolore gli
provocasse vederlo e sentirsi rifiutato, il suo volto sempre attento
era
oscurato da un dolore che non riuscì a interpretare.
Non si dissero più
nulla, salì
nella berlina nera con lei al fianco. Sapeva che lo stava valutando di
nascosto. Quasi sentiva il suo respiro, lei gli dava sicurezza, spesso
le aveva
affidato la sua vita. Ma non era mai andato oltre al rapporto di
lavoro. Non
aveva voluto.
Si girò brevemente a
guardarla, i
capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle, il volto luminoso.
Attenta e
perspicace come poche, si chiese cosa sentisse per lui. Certo non
avrebbe
rischiato di rovinare la loro intesa. Sospirò e
tornò a guardare la strada,
pensando che suo zio Rudy lo stava manipolando anche da morto.
Voleva vedere suo fratello senza
capire bene il perché, certi scheletri non dovevano tornare
in vita, eppure nel
profondo del suo animo aveva bisogno di dire, di parlare: di zio Rudy
soprattutto.
Sherlock viveva con John e la
piccola Rosie, dopo la morte di Mary Watson avevano, per
così dire, raggiunto
una certa stabilità di coppia. Niente più colpi
di testa improvvisi. John era
stato la cura.
Invece il loro rapporto non era
cambiato molto, anche dopo aver sopportato le angherie di Eurus a
Sherrinford
sei mesi prima. Quando lui aveva sperato che sacrificarsi al posto di
John
avrebbe messo fine ai suoi tormenti e gli avrebbe consentito di espiare
finalmente le sue colpe.
Invece il fratello minore lo aveva
salvato dirigendo l'arma contro sé stesso, se era vivo lo
doveva a lui. Per
questo ora era lì, perché Sherlock era cambiato,
aveva fatto spazio ai
sentimenti nella sua mente logica, aveva realizzato quanto le emozioni
valessero la cura.
Mycroft aveva toccato il fondo e
lo zio Rudy lo tormentava ancora. Era vitale e lo stava soffocando.
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Capitolo 3 *** Sherlock ***
Baker Street era stranamente
silenziosa, Anthea stava aspettando i
suoi ordini.
La avvertì che l'avrebbe
chiamata
più tardi. Oppure subito, se Sherlock l'avesse liquidato
senza pietà. Scese
dall'auto e salì i pochi gradini della casa, aggrappandosi
con forza
all'impugnatura del suo fidato ombrello.
Sapeva quello che voleva fare, era
conscio di avere la voglia di chiarirsi.
Gli aprì la signora
Hudson.
"Mycroft, finalmente! È
venuto a trovare Sherlock? Lui è parte della sua famiglia,
non se lo
scordi." Brontolò, sconcertata: poco tempo prima lo aveva
chiamato rettile
e lui non aveva nemmeno reagito.
"È per questo che sono
qui,
come potrei stare lontano dal mio irritante fratellino?" La
provocò,
memore di quella frase poco gradita. Lei arricciò le labbra
e se ne andò
seccata, mormorando poche parole incomprensibili.
Aveva un rapporto un po'
altalenante con quella donna ovviamente la sua fama di uomo senza
sentimenti e
autoritario la infastidiva.
La stanza era, come sempre,
ingombra di ogni oggetto, in più c'erano i giocattoli di
Rosie ovunque. Cercò
di evitarli, anche se era piacevole vedere quella casa piena di vita.
"Se il tuo ordine è
questo,
caro fratello! Si rischia di camminare sui giochi della piccola Watson."
John lo salutò, lo
guardò in
tralice. Lui alzò la mano smorzando la frase poco felice.
"Mycroft, cosa ti porta qui?
Non vieni mai senza un motivo. Abbiamo invaso qualche paese alleato?"
Sherlock non alzò
nemmeno lo
sguardo, lo accolse infastidito come sempre. Seduto sulla sua poltrona
consunta, pizzicava il violino perdendo tempo.
Come erano lontani i tempi quando,
da bambino, gli correva incontro e lui lo sollevava da terra facendolo
volare.
Non era rimasto nulla di quella vicinanza.
Non rispose subito, era arrivato
disarmato.
"Una visita di cortesia, se
me lo consenti. Ma anche un avvertimento visto che ti sei procurato un
altro
nemico."
Mycroft si fermò davanti
a lui,
dritto in tutta la sua statura. L'ombrello al suo fianco.
Il minore scosse i ricci neri,
lasciò il violino e portò le mani unite sotto al
mento. Sembrava
disinteressarsi a lui, ma in realtà lo studiava a distanza.
"Ti hanno fatto visita? Sai
che la tua sicurezza assomiglia sempre di più a un
colabrodo?" Sentenziò
acido
"Lo so, ma cercherò di
porvi
rimedio." Ironizzò, con la stessa tecnica.
Sherlock riassunse tutto in una
sola frase. "Ernest Graham?"
"Bravo, vedo che non perdi un
colpo. E di grazia, dove hai ficcato il naso stavolta per fargli
credere che
fosse una buona idea venire da me?"
"Nei suoi affari che altro! Lo sai
che ricatta mezza Londra? Ah! giusto ma vi serve e quindi chiudete un
occhio,
se non due." Ringhiò Sherlock.
Mycroft non raccolse, non era
lì
per litigare. La sua protezione era già attiva e non correva
pericoli seri.
"Fa pure fratellino, ma bada
che è parecchio pericoloso."
"Lo credo visto che si è
introdotto in casa tua." Fu ironico mentre Mycroft si allontanava.
Gli parve strano che lo lasciasse
a metà. Lo osservò con sospetto mentre appoggiava
l'ombrello e si dirigeva
verso la nipote.
"Rosie cresce bene, John? Mi
sembra molto serena, anche frequentando il mio caro fratellino.
Sherlock è un
buon padrino?"
Si era avvicinato alla piccola,
che allungava le manine vedendo la sua catena dorata. La
lasciò fare. John si
accorse che qualcosa non andava in Mycroft. Non permetteva a sua figlia
di
toccarlo. Lanciò un'occhiata al suo coinquilino che
sollevò le sopracciglia,
gli occhi azzurri intensi e sorpresi.
John fu gentile. "Rosie lo
adora, a modo suo. Tuo fratello è una attrazione per lei,
certo, qualche volta
esce dagli schemi ma lo riporto subito al passo."
Sorrise mentre Rosie cinguettava
dal seggiolone cincischiando la catena dell'orologio di Holmes.
Il British Government,
accettò di
buon grado la compagnia della nipote acquisita, doveva essere proprio
sottotono.
Molte rughe erano comparse sulla
sua fronte.
Era perplesso e curioso da questa
apertura del suo carattere sempre così chiuso.
"Come mai sei passato?
Qualche problema? Sai che tuo fratello freme dalla voglia di vederti,
vero
Sherlock?"
John si voltò verso di
lui, che si
era appartato in cucina a trafficare sul calendario.
"Certamente Mycroft, non
resistevo più dalla voglia di vederti. Cosa vuoi in
realtà? Visto che non ti
interessa di Graham. Fa che sia una cosa seria."
Sbiascicò, senza
guardarlo,
sembrava più interessato al calendario, ma John
percepì una sottile
inclinazione nella sua voce, ebbe la sensazione che fosse preoccupato.
Watson prese in braccio la figlia
e restituì la catena a Mycroft.
"Graham te lo cedo fratello,
è solo uno stupido arricchito che non sa con chi a che fare.
Tu... beh e anche
io."
Rispose sospirando rassegnato,
mentre si rimetteva in ordine.
"Passavo e mi sono fermato a
farvi visita. Nulla di più." Invece tremava dentro, nella
testa la voce
martellante di zio Rudy. Ma fu bravo a mascherare, quando Sherlock gli
si parò
davanti. Le labbra strette, gli occhi attenti.
"Questo è assolutamente
falso, cerca di essere più convincente." Era come al solito
pungente e
incalzante. Mycroft tentennò, forse non era stata una buona
idea scoprirsi
così, sapeva dove poteva arrivare il fratello minore, non
gli mancava l'acume e
la deduzione.
"Basta Sherlock!" Watson
intervenne, vedendo la difficoltà di Mycroft, che non lo
rimbeccò come era
solito fare, rimase stranamente muto.
E se lo notava lui, doveva notarlo
anche Sherlock.
"Non lo ascoltare,
prendiamoci un tè." Cercò di smorzare il buon
Watson.
Ma lui declinò
l'offerta, si
allontanò dallo sguardo del fratello, agitando la mano in
diniego. Si sentì in
dubbio, forse certe cose del passato spettavano solo a lui, e doveva
portarne
il peso. Era stato stupido a credere di potere parlare serenamente con
Sherlock.
Si ritrasse con apparente
noncuranza
ma il cuore andava a mille. Era presto, non era il momento, temeva che
Sherlock
non avrebbe capito.
"No, devo andare. Anthea mi
aspetta." Fu una scusa banale, ma si sentì improvvisamente
stanco. Oggi
aveva vinto ancora una volta lo zio Rudy, andarsene era la cosa
migliore da
fare.
Fece un cenno con il capo,
afferrò
l'ombrello e accarezzò la testolina di Rosie che era in
braccio al padre. Uscì
senza voltarsi, John rimase interdetto.
Quella strana carezza
sbilanciò
Sherlock, rimase pensieroso per pochi attimi, si passò la
mano nei capelli, gli
occhi stretti in una linea sottile.
Afferrò il cappotto.
"Scendo
John, credo che abbia bisogno di me." Watson annuì, entrambi
avevano visto
il disagio di Mycroft Holmes.
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Capitolo 4 *** Il passato ***
Sherlock lo raggiunse che camminava
lento appoggiandosi al suo
ombrello, sembrava portare un peso sulle spalle. Non c'era l'auto che
lo
aspettava, era solo. Questo lo turbò notevolmente.
Lo chiamò, poche parole
taglienti.
"Mycroft, non hai casi da
sottopormi. Eppure vieni a Baker Street a importunarmi, per quale
motivo?"
Lo affiancò con un sorrisetto ironico.
"Centra qualcosa
l'anniversario della morte di zio Rudy? "
Non aveva consultato il calendario
a caso, Mycroft dimenticava raramente le ricorrenze.
Il maggiore rimase silenzioso
camminando pochi metri in più, si voltò,
alzò lo sguardo impassibile. Sapeva
che non poteva nascondere molto a suo fratello. Ma era ancora incerto
su come
approcciarsi a un argomento che lo aveva devastato per anni. Sherlock
era poco
oltre di lui.
"Quindi ti ricordi, del caro
zio Rudy? Ti ritorna la memoria?"
Fu sarcastico, sulla difensiva,
una barriera serrata e invalicabile. Si concesse poche frasi. "Sai
quello
che successe a Eurus. E del perché fu rinchiusa, sai di
Victor." Il minore
socchiuse gli occhi, capì che c'era qualcosa che tormentava
suo fratello.
Accennò un sì con il capo ricciuto.
Mycroft abbassò le
barriere appena
un po'. Prese aria si appoggiò al suo ombrello.
"Zio Rudy non era esattamente
un santo." Abbassò la testa, un sorriso amaro sulla bocca,
gli uscì un
filo di fiato.
Sherlock rimase immobile, mentre
valutava la portata di quello che stava succedendo. Non era facile per
lui
ammettere che il fratello tanto sprezzante e autoritario fosse in
difficoltà.
Perché era evidente che Mycroft cercava aiuto e non lo aveva
mai fatto.
Aveva bisogno di parlargli, voleva
liberarsi di un peso che non voleva più portare.
Abbandonò ogni forma
sarcastica e
fu quasi gentile quando gli rispose. "Lo ricordo, ma vagamente e lo
odiai
quando ti portò a Londra. Non gli piacevo, credo mi
giudicasse un piantagrane.
Eri tu il suo preferito." Avevano ripreso a camminare affiancati, il
Belfast nero di Sherlock che svolazzava, il ticchettio dell'ombrello di
Mycroft.
Il più anziano scosse la
mano come
se scacciasse una mosca fastidiosa.
"Già, è
quella fu la mia
condanna." Sospirò profondamente, guardava la strada che
portava al
Tamigi. Prese forza, ma la voce era incolore. "Non sai nulla di lui
fratello mio. Fu un inferno stare alle sue dipendenze."
Sherlock strinse le labbra, mentre
una nausea inaspettata gli salì dallo stomaco,
sentì il tormento nella sua voce
tanto familiare. Lasciò che prendesse il suo tempo.
Raggiunsero silenziosi il Tamigi,
la giornata nuvolosa lo rendeva grigio e minaccioso. Il maggiore degli
Holmes
si fermò a osservarlo. Indugiò, poi si
appoggiò con i gomiti sul muretto che
delimitava la riva. Portò le mani giunte sotto al mento.
Sherlock invece si
appoggiò di spalle al fiume. Prese due sigarette dal
cappotto e una la offrì al
fratello maggiore.
"Rigorosamente light,"
scandì Mycroft sorridendo, la prese e Sherlock le accese.
"Ce ne vorrà
più di una
fratellino." Con voce bassa, Mycroft aspirò la prima boccata.
Abbassò le barriere, e
si scoprì
come non faceva da anni. Iniziò a parlare con lentezza.
"Eri un ragazzino affettuoso
Sherlock pieno di voglia di conoscere. E pensavo che sarei stato sempre
con
te." Si interruppe aspirò, il fumo fece dei cerchi bizzarri.
"Lo Zio Rudy fece pressione
con i nostri genitori, fu convincente, disse che ero sprecato in quel
posto di
campagna. Mi allontanò dalla famiglia, soprattutto da te.
Aveva convinto nostra
madre che la mia mente brillante sarebbe servita al paese. Aveva un
incarico
prestigioso presso il governo e mi portò a Londra."
Aspirò un altro po' di
fumo senza
voltarsi.
"Eri rimasto sconvolto da
quello che era successo con nostra sorella e non ne avevi memoria. Te
lo
lasciarono credere. Zio Rudy disse che era la cosa migliore che ti
potesse
capitare, non ero d'accordo perché pensai che ti avrebbe
danneggiato. Ma la mia
opinione non contava e dovetti accettare di vederti crescere in quel
modo. Alla
mia partenza ti promisi che sarei tornato a riprenderti, per aiutarti a
crescere, ma..."
Aspirò e
tossì, si fermò fissando
il fiume.
Sherlock sorrise. "Fumi
ancora come un adolescente."
La sua memoria corse a quei giorni
tristi quando suo fratello era partito provocando la prima incrinatura
nel loro
rapporto. Si era sentito abbandonato.
"Non lo facesti, non tornasti
più. Mi chiesi spesso il perché e non ebbi
risposta. Presi a odiarti perché mi
avevi abbandonato. Rimasi solo con quell'intelligenza che non riuscivo
a
gestire e tu non c'eri. Poi sai come finì." Sentiva che
Mycroft era in
pena. Si addolcì. "Te ne andasti senza spiegarmi nulla....."
"Avevo vent'anni
Sherlock..." Sussurrò con un filo di voce.
"E io tredici, uno stupido
adolescente." Brontolò il minore che cominciava a intuire
qualcosa.
Mycroft si ammutolì,
guardò la
punta della sigaretta e riprese.
"Tu non sai quello che era lo
zio Rudy. Stravagante era dir poco, intelligente sì, ma di
una intelligenza
corrotta, malata. Non fu facile Sherlock. Dovetti adattarmi molto al
suo
comportamento. Fui debole, non riuscii a gestirlo. E rimasi anche se
disapprovavo i suoi metodi."
Sherlock cercava di leggere nel
volto del fratello ogni più piccolo cedimento.
"Ricordo che ti sfuggì
una
battuta su certe sue ossessioni per gli abiti femminili. Lo presi per
uno
scherzo. Allora non capii, ero piccolo."
Mycroft improvvisamente si
irrigidì, il corpo sembrava stretto nei vestiti costosi, la
sigaretta gli
tremava nella mano. Era turbato, gli occhi sembravano smorti.
La sensazione di nausea di
Sherlock aumentò, un dolore improvviso lo percorse dalla
testa al cuore.
"Che ti ha fatto, fratello
mio?" Rimarcò quell'appartenenza, quella fratellanza che li
aveva visti
nascere.
Mycroft aspirò altro
fumo, non lo
guardava quasi avesse vergogna, gli occhi sul fiume. La sua bella voce
era
irriconoscibile.
"Io vivevo con lui a Londra
in quella grande casa a Pall Mall, piena di stanze. Sapeva di vecchio
dentro e
fuori. Eppure mi piaceva stare lì, un giorno ti sarei venuto
a prendere,
saresti cresciuto sereno lontano dai ricordi che ti tormentavano. Avevo
convinto zio Rudy, che avevi le capacità, che saresti
diventato equilibrato e
responsabile. Fui quasi felice in quel periodo, pensando di portarti
con
me."
Fece una pausa, un'altra boccata
di fumo.
"Ma ero inesperto, troppo
giovane. Lui decisamente furbo, mi lasciò sempre meno
spazio. Mi stava addosso,
mi persuadeva che lo faceva per me e per voi."
Mycroft si fermò, la
sigaretta con
la cenere arroventata.
"Fu un giorno, che era in
ritardo, mi chiese di consultare il suo portatile. Scoprii l'indirizzo
di
Sherrinford e appuntato sotto, il nome di nostra sorella. Non mi ci
volle molto
a capire che era viva e rinchiusa in un carcere di massima sicurezza.
Rimasi
sbalordito e decisi di parlargliene."
La mano passò rapida
sugli occhi
grigi, li tenne chiusi pochi secondi. "Quella fu la mia condanna."
"Vuoi prendere tempo,
Mio?" Sorrise al nomignolo con cui lo chiamava da piccolo. Sherlock
aveva
rinunciato a qualsiasi ostilità. Mycroft si
rincuorò, riprese il suo racconto.
"Quando si stava per
avvicinare il giorno per portarti con me, mentre passavo di fronte alla
sua
camera vidi la porta socchiusa. Lo scorsi in abiti femminili. Aveva un
paio di
scarpe rosse con tacchi alti e un evidente trucco femminile. E si
compiaceva
davanti allo specchio, ma mi vide, perché ero rimasto
impietrito, totalmente
sconvolto." Mycroft fece un'altra pausa. La sigaretta spenta, la cenere
fra le dita, Sherlock gliela sfilò con gentilezza.
"Mi ordinò di entrare,
aveva
una voce tagliente che mi spaventò, ma varcai la soglia con
la convinzione di
averlo preso in un momento di debolezza e di potergli parlare di Eurus.
Ma lui
aveva preparato la trappola, solo dopo capii che il computer era stata
l'esca,
la porta lasciata socchiusa apposta."
Mycroft rivisse in modo vivido
quei momenti.
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Capitolo 5 *** Il racconto ***
Rudy mi guardò
divertito, quasi volesse prendersi gioco di
me. Si avvicinò ancheggiando.
Io
tremai, terrorizzato, ma per quanto facessi leva sulla mia intelligenza
quella
sembrava sparita. Fui in balia dello spavento.
"Mycroft,
ti ho insegnato tanto, se un uomo ormai, bello e affascinante."
Rudy
si avvicinò pericolosamente. "Io non sapevo..."
Farfugliai
e intanto indietreggiavo.
"Hai
paura mio amato nipote? Paura di una verità scomoda?"
Rudy
mi corteggiò come se fosse una donna, ne fui totalmente
atterrito.
Anni
dopo, con la maturità, avrei padroneggiato la situazione, ma
allora in quel
momento vinse il terrore.
"Vorrei
baciarti, Myc, ti completerei, ti farei conoscere la tua parte
femminile, la
adoreresti nipote. Ne saresti ammaliato."
Era
così vicino da sentire il suo respiro affannoso, la sua mano
finì per
accarezzarmi e infilarsi fra le mie gambe.
Reagii
malamente, gridando. "Lasciami, non voglio."
"Non
essere stupido, ci sei dentro nipote, so che hai visto dove tengo
quella pazza
di tua sorella. Se vuoi che rimanga viva farai quello che ti
ordinerò."
Rise
sguaiato.
Mi
bloccò le braccia, mi ruotò, le mani strette in
una morsa. Mi spinse sul bordo
del letto.
"E
lì che ti voglio, mi restituirai la devozione che mi devi."
Le
lacrime mi offuscarono gli occhi, ero consapevole di quello che mi
aspettava.
"Mi
prenderò anche Sherlock, se non sarai ubbidiente. Gli
farò fare la fine di
Eurus."
Lasciò
la presa e si avvicinò al mio viso, cercando di
baciarmi.
Mi
sottrassi, ma lui urlò.
"Bada
Mycroft, mi devi obbedienza, tu sarai mio, non osare
ribellarti."
Prese
il cellulare.
"Una
sola chiamata e metterò fine alla vita di Eurus."
Piansi,
mi spinse nel letto.
"Smettila
idiota ti prenderò lo stesso! Vuoi che porti Sherlock con
noi? È solo un
ragazzino da domare con lentezza, vuoi che lo sostituisca a te, stupido
ingrato?"
Fu
convincente, aveva l'esperienza dalla sua parte. Io ero smarrito.
"Ti
piacerà vedrai, sarai un uomo con molto potere, dopo questa
lezione."
Singhiozzai
mentre lui chiudeva la porta.
"Perché
mi fai questo? Perché non mi hai detto di mia sorella?
"Quella
pazza? E per quale motivo? Mi è servita per arrivare a te."
Rise.
"Mi
piaci nipote, voglio averti e crescerti secondo le mie regole. Non
sarò
prepotente all'inizio, ma sarai solo mio."
"Zio,
ti prego..." Implorai, sapevo quello che mi aspettava.
Si
avvicinò deciso, senza ascoltarmi, prese a baciarmi. Girai
la testa per lo
schifo.
"Il
patto è fatto Myc, a me la tua dedizione. E a te i tuoi
fratelli. "
Non
reagii, pensando di salvarvi, e trovare un modo per tornare a
casa.
Mi
rifugiai nel mio palazzo mentale, mentre lui si infilò nel
mio corpo.
Subii
tutte le sue attenzioni malate... Fece di me quello che voleva.
Nulla
fu come prima... non dopo quella violenza.
Uscì
dalla stanza, soddisfatto, dopo avermi abusato.
"Non
ne parlerai con nessuno, questo è un patto tra noi.
Aspetterai ubbidiente
finché ti vorrò ancora."
Mi
lasciò stordito sul letto, sporco e coperto di vergogna.
Piansi
e fu l'ultima volta che lo feci.
Ero
solo un ragazzo con poca esperienza che sapeva poco del sesso, rimasi
svestito
sul letto, incapace di alzarmi.
Il
Mycroft che ero stato non c'era più.
Un silenzio irreale avvolgeva i
fratelli Holmes.
"Questo è
quello che
accadde?" Sherlock non respirava, le mani erano strette in due rigidi
pugni, fremeva. Non riusciva a guardare il fratello. Il vecchio Holmes,
la
testa china, le mani aperte sul marmo grigio del muro che delimitava la
riva.
"Sì, quello che successe
a un
giovane e inesperto Mycroft. Così naufragò la
speranza di portarti a Londra con
me. Zio Rudy era troppo pericoloso. Eri un adolescente facilmente
plagiabile. E
lui era un predatore insaziabile. Diradai i nostri incontri, volevo
tenerti al
sicuro e proteggerti, ma non ti abbandonai mai! " Mycroft cercava
comprensione, si sentiva sporco e in colpa per quello che aveva taciuto.
"Non fosti in grado di
proteggerti da quell'animale, per Dio! Come potevi aiutare me?
Perché non
dicesti la verità? Tu cambiasti e io non compresi. Pensavo
che mi avessi
abbandonato."
Si girò verso il
fratello.
"Presi quella via distruttiva che conosci. Cominciai a provare
qualsiasi
tipo di droga mi sballasse. Ora so che la colpa fu anche di quel
bastardo dello
zio."
Sherlock alzò la voce,
adesso
capiva tante cose, come un puzzle che si ricomponeva.
Mycroft mormorò. "Feci
di
tutto per tenerti lontano, quando lui allentava il controllo cercavo di
contattarti e di vederti, venni quella notte a tirarti fuori da quello
schifo
dove eri finito. Eri in overdose, non potevo ignorarlo. Ma fu abile, lo
fiutò e
minacciò di farti rinchiudere come Eurus." Prese del tempo,
le mani
sfioravano la pietra fredda del muretto, la lisciavano.
"Due fratelli avariati, mi
sussurrava continuamente: un drogato e una pazza..." Sospirò
ricordano le
parole ossessive dello zio.
"I nostri genitori non
sapevano niente, mi costrinse a stare zitto, l'uso che facevi della
droga era
la sua chiave per ricattarmi e finii per diventare la sua puttana che
prendeva
quando voleva." Si fermò, osservò il breve
passaggio di due gabbiani.
"E non dissi nulla di nostra sorella."
"Diventai quello per cui mi
aveva addestrato, freddo, calcolatore, manipolatore, dedito solo al
lavoro, con
nessun altro intorno se non lui. Arrivai a un punto di non sentire
più nulla,
nemmeno il dolore che mi provocava. Fino a quando non si
ammalò e cessò le sue
attenzioni malate su di me. Avevo 28 anni e la mia vita emotiva e
sentimentale
era distrutta. E ti avevo perduto."
Mycroft si portò le mani
al volto
come volesse nascondersi per la vergogna. Si riprese e
continuò mesto.
"Passarono gli anni e io mi
abbandoni alla vita che mi era stata imposta. Lui era ammalato, rivolse
le sue
attenzioni ad altre prede, ma teneva salde le mie redini e il mio
silenzio.
Fino a quando l'anno scorso morì."
Sherlock non intervenne, bloccato
dalla disperazione del fratello. Non sapeva come aiutarlo, adesso
capiva il
motivo del suo cambiamento. Aveva davanti un'altra persona, un altro
fratello.
Angosciato provò un misto di dolore e rabbia. Ora
comprendeva il perché della
poca empatia che Myc provava verso gli altri, non amava essere
avvicinato, né toccato.
prese coraggio e cercò di mitigare il suo dolore.
"Mycroft sei la mia famiglia.
Non si finisce mai di essere fratelli, so di poter contare su di te, e
tu sai
che ci sono e ci sarò sempre per te. Questo non scordarlo
mai, non
respingermi."
Sherlock si avvicinò, la
mano
scese per prendere quella pallida del fratello, la tenne stretta,
regalandogli
una carezza che nessuno dei due reclamava da anni. Quella vicinanza
perduta, ma
ancora viva. Sepolta da lunghi periodi d'incomprensioni.
Mycroft era irrigidito, non
riusciva a sciogliersi, chiuso, arroccato dentro sé stesso.
"Avresti dovuto dirmelo
quello che avevi sofferto. Perché tenerlo nascosto?" La voce
di Sherlock
si era addolcita.
"Per la vergogna di quello
che mi aveva fatto. Di come lo aveva fatto. Tu mi respingevi,
arrabbiato dal
mio presunto abbandono, mi aggredivi con la tua rabbia, con il tuo
sarcasmo, mi
ferivi ma l'ho accettato perché era l'unico modo per averti
vicino." La
voce si fece sottile, quasi un soffio.
"Cosa sarei diventato se lui
non si fosse intrufolato nella mia vita e nei miei calzoni? Come
sarebbe stato
ora tra noi? Ho ottenuto il potere ma è stata una magra
consolazione. Morto
lui, mi sono sentito libero e questa libertà mi devasta
perché non so sapevo
che farmene. E tu hai dimostrato di non avere più bisogno di
me."
Sherlock
grugnì.
"Questo non è vero, lo
sai.
Ora sappiamo entrambi il perché del nostro scontrarsi. Come
potrei rinunciare a
te?"
Mycroft sorrise
impercettibilmente, respirò pesantemente, fissava il
fiume, abbassò la
testa, come rassegnato a quello che era diventato. La voce gli
uscì monocorde,
non tradiva nessun dolore.
"Non voglio compassione per
quello che ho fatto. Alla fine ho accettato le sue avance e non mi sono
ribellato. Ho ottenuto la carriera che volevo. Me la sono meritata la
sorte che
mi ha inflitto."
Sherlock lo fece ruotare, la mano
ferma sulla spalla, lui mugugnò, ma non si sottrasse.
"Vedi come ne parli?" Il
minore reagì con forza a quell'atteggiamento di
rinuncia.
"Mio, lo senti quello che
affermi? Sei ancora succube di quella bestia. Eri un fratello amorevole
sia con
me che con Eurus, non c'era nulla di sbagliato in te, eri Myc che ci
consolava.
Su cui io potevo contare."
"Sono sbagliato Lockie.
Avresti dovuto spararmi a Sherrinford." Gli uscì una rabbia
repressa,
covata per anni.
"Questa è la cosa
più stupida
che ti abbia sentito dire."
Sherlock lo scosse con forza, le
mani così strette così forte nelle spalle magre
del fratello che sussultò, ma
il maggiore sembrava non reagire. Sherlock capì che lui non
aveva elaborato il
passato e prese una decisione rapida.
"Vieni con me, saliamo in
auto."
Lo strattonò, Mycroft si
ritrasse
stupito pensando fosse uno dei sui giochetti, ma il minore lo
trascinò
letteralmente alla berlina nera che li aveva raggiunti e li attendeva
più
avanti.
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Capitolo 6 *** Consapevolezza ***
Quando entrarono in auto Sherlock
ordinò all'autista,
"Brompton Cemetery."
Mycroft gemete, scuotendo la
testa. "Perché?" Gli chiese con il volto incupito.
Sherlock non rispose.
Il viaggio fu silenzioso, erano
distanti fisicamente, ma condividevano lo stesso angoscioso passato.
Mycroft
era assente sembrava privo di volontà.
Quando arrivarono, Myc si
sprofondò di più sul sedile, ma Sherlock lo
spinse giù senza tanti complimenti.
"Avanti, vieni con me."
Mycroft lo seguì
brontolando.
Agitava il suo amato ombrello, incapace di sottrarsi alla richiesta del
minore,
ma sapeva dove lo stava portando.
Giunsero alla tomba dello zio
Rudy, morto un anno prima. Sei mesi dopo Eurus li aveva devastati con
le
malvagità di Sherrinford. E lui pagò caro il suo
silenzio a tutta la famiglia
che aveva cercato di proteggere. Si appoggiò al suo
ombrello, sentiva di non
avere altro che lo sostenesse.
"Quando è morto, ho
continuato la sua follia, mamma e papà non me lo hanno
perdonato e forse
nemmeno tu." Mycroft non era stabile. Sherlock lo scrutava con
apprensione.
"Non ti ho accusato di nulla,
ho visto la follia di nostra sorella. I nostri genitori capiranno."
Mormorò con dolcezza. "Ora guardalo Myc la causa di tutto il
male che
abbiamo passato e che ancora ti perseguita."
Gli indicò la lapide con
la mano
ferma. "Rudy Vernet è sepolto lì. Ed è
morto, fratello mio."
Il maggiore degli Holmes tremava,
guardò la tomba di marmo spoglia, senza nemmeno l'ombra di
un fiore. Orrida e
fredda, come era stato in vita zio Rudy. Fremette nauseato,
barcollò e Sherlock
fu rapido a sostenerlo. Lo tenne al suo fianco.
"È morto Mio, non
farà più
del male a nessuno." La voce dolce cullava il suo cuore, lo invitava a
lasciare il passato.
Mycroft sussultò scosso
dal
dolore. Tutti quei disgustosi ricordi gli tornavano vividi in mente,
una luce
oscura lo avvolse e lo fece ritrarre, Sherlock lo tenne stretto
aiutandolo ad
affrontare i ricordi. La foto del vecchio Rudy sembrava fissarlo
impietosa,
rammentandogli tutto lo schifo subito.
"Fallo, lascia andare la
rabbia e allontana il male che ti ha fatto. Seppelliscilo ora e per
sempre
Mycroft. Quel bastardo è morto come si meritava, la malattia
lo ha divorato
pezzo per pezzo."
La voce di Sherlock era affilata
come una lama.
La compassione verso suo fratello
diventò malessere. Perché lo rivide per quello
che era stato: il fratello dolce
e comprensivo che rideva divertito alle sue malefatte nella luce della
sera a
Musgrave. Quando tutto era semplice, e gioioso come la spensieratezza
che si
ricordava riflessa in quegli occhi grigi che tanto ammirava. Occhi
pieni di
aspettative e di sogni.
Quel suo amore sconfinato per lui
ed Eurus, a cui dedicava la sua infinita pazienza di fratello maggiore.
I libri
che gli leggeva a notte fonda per farlo addormentare. Le storie di
pirati che
si inventava per farlo giocare. Come i viaggi in isole misteriose in
cerca di
tesori nascosti, e mai lui si era sottratto portandolo sulle spalle
fino al
fiume che era il loro mondo fantastico. Mentre Eurus trotterellava al
loro
fianco ancora priva della pazzia che l'avrebbe tormentata. La loro
amicizia
fraterna era spendente, piena di sole, difficile da scardinare, ma lo
zio Rudy
c'era riuscito, gli aveva strappato il fratello amorevole che era
stato. Myc
cambiò e divenne il Mycroft che non riusciva ad amare.
Odiò Rudy con tutto
sé stesso. Ora
sentiva di doverlo proteggere, lui era il maggiore, lui l'adulto come
aveva
detto mamma. Lui il suo sostegno.
Mycroft lasciò cadere
l'ombrello
che rimbalzò nella ghiaia, inerte. Le lacrime gli rigavano
il viso, ma non
emetteva nessun lamento.
Sherlock gli accarezzò
la spalla,
fino al collo dove tenne la sua mano ferma calda e rassicurante.
Mycroft
imparava ad accettare il suo contatto. Prese lentamente a singhiozzare.
Urlò la sua
disperazione, maledì
il vecchio Rudy, portò le mani sul volto chiudendo gli
occhi, sussultò scosso
dai gemiti. Un pianto liberatorio, trattenuto da quel giorno, quando
giovane e
impreparato, quelle mani luride lo avevano violato.
Sherlock gli fu vicino, Myc
trasalì rendendosi conto del suo contatto. Nessuno da tempo
lo poteva toccare,
nessuno poteva sfiorarlo. Sherlock lo sapeva, piano lo
attirò a sé, lo strinse
forte.
"Non c'è nulla di sporco
in
te, Myc." Il maggiore si abbandonò al suo affetto, voleva
vivere,
assorbire il calore della sua mano, che non fosse solo tormento e
prevaricazione, o carezze sudice...
Si lasciò abbracciare.
La stretta
del fratello era avvolgente gli scaldò l'anima e il cuore,
quello che tutti
credevano fosse di ghiaccio, che prese a battere regolare.
"Ti voglio bene Myc.
Così
come sei. Rammentalo sempre." Le udì appena, le parole di
quel fratello
che aveva protetto per tutta la vita, e ora gli rendeva l'amore che
desiderava.
Era diventato un fratello premuroso, lo era anche grazie alla sua
costanza che
lo aveva salvato dallo zio.
"Hai la vita davanti,
guardati intorno Mio. Qualcuno che ti vuole bene c'è. Ed
è sempre stata
li." Sussurrò all'orecchio del fratello maggiore.
Lui sollevò le
sopracciglia,
dubbioso.
Sherlock lo sbirciò
sornione, ora
sorrideva. Gli allungò il fazzoletto. E fece un breve elenco.
"Che ti segue costantemente
senza replicare. Che è sempre al tuo fianco silenziosa. Che
ti sostiene quando
sei stanco. Che accetta il tuo umore instabile."
Mycroft allargò le
braccia
sorridendo. Si asciugò gli occhi. "Anthea ha bisogno di un
uomo."
Affermò convinto.
"Lo sei, nonostante gli abusi
che hai subito. Diglielo Mio, digli cosa ti è successo, lei
ti ama da sempre.
Capirà, ma forse ha già intuito tutto, sapendo
del tuo rapporto difficile con
lo zio."
Mycroft scosse la testa. "Non
è così facile." Mormorò.
"Concediti l'amore. Non sei
diverso dagli altri." Sorrise, scuotendo la testa riccia. Ora erano uno
di
fronte all'altro.
Mycroft si chinò a
riprendere il
suo ombrello. Lo puntò nella ghiaia e ci si
appoggiò.
Eccolo che ritornava il Mycroft
che, in fondo, aveva accettato di amare. Quello che era costantemente
al suo
fianco. Sherlock sorrise benevolo.
Il maggiore lo guardò
dritto negli
occhi, inclinando la testa di lato come era solito fare quando lo
canzonava, in
un angolo del suo cuore si era fatto strada il rispetto di Sherlock.
"Tu l'hai sempre saputo di
Anthea, ero io che non vedevo nulla. Hai ragione, non voglio sentirmi
più solo.
Devo recuperare quello che mi è stato tolto."
"È per quello che non ti
ho
sparato a Sherrinford. Come avrei potuto diventare zio?"
"Non stai correndo un po'
troppo fratellino" Risero insieme, come non facevano da tempo.
Mycroft si aggiustò la
giacca, si
strinse la cravatta. Sherlock gli sistemò il colletto della
camicia.
"Non ti allargare troppo,
potrei abituarmi alle tue cure." Sherlock alzò le mani in
segno di resa.
"Ti rendo presentabile, hai
un reputazione da sostenere." Scosse la testa divertito.
Si lasciarono alle spalle quella
pietra tombale squallida, che liquidava per sempre quell'uomo ambiguo
che era
stato l'artefice del loro allontanamento.
La ghiaia scricchiolava sotto i
loro piedi. Il cimitero sembrò improvvisamente meno lugubre.
Mycroft si schiarì
la voce, era sereno. Come non lo era stato da tempo.
Girò la testa per
guardare meglio
il fratello, i capelli ricci, le mani affondate nel Belfast nero, il
volto
luminoso. Sembra sempre lo stesso bambino curioso, anche se ora era
diventato
più responsabile. Pensò all'intrusione della
notte prima. Avrebbe preso dei
provvedimenti seri ed efficaci per tenerlo al sicuro. Infondo lo aveva
sempre
fatto.
"Che dici se la invito fuori
a cena? Pensi che accetterà?"
Fece un largo sorriso malizioso,
tornando a guardare il sentiero. Si stava liberando del fardello
pesante che
aveva portato, mentre una nebbia sottile offuscava per sempre i ricordi
degli
abusi subiti.
"No, fratello, sarà
felice
vedrai." Lo prese sotto braccio e lo portò verso la berlina
nera.
"Ah, lascia che mi occupi io
di Graham, dammi fiducia Myc." L'uomo della governance strinse le
labbra
sottili.
"Va bene, ma tanto sai che ci
sarò. Diciamo che tutelo la tua famiglia acquisita."
Sherlock sorrise consapevole che
Mycroft era Mycroft, sempre e comunque. E stavolta lo
accettò senza ribattere.
Arrivarono verso Baker Street dove
videro Anthea in piedi sulla porta che li aspettava. Il cellulare nelle
mani.
Le aveva mandato dieci sms.
Si guardarono con
complicità e
ridacchiarono.
"Dove poteva essere se non
qui, la tua Anthea?" Sherlock gli batté la mano sul
ginocchio. "Vieni
a trovarci spesso, sai che hai una nipote che ti ama da quando ha
adocchiato il
tuo costoso orologio."
Un luccichio comparve negli occhi
azzurri di Sherlock compiaciuto dalla sua famiglia allargata.
"Lo farò, e tu non
metterti nei
guai. Lasciami portare a cena Antea prima."
Scesero insieme. Mycroft lo
raggiunse dal lato opposto. Si fermò, lì nel
mezzo del marciapiede, lo guardò
dritto in volto. "Posso Lockie? Me lo concedi?"
Sherlock annuì.
Mycroft lo abbracciò
come se non
volesse più lasciarlo, lui lo ricambiò. Rimasero
stretti, con tutto ciò che era
rimasto di loro dopo burrasche e tempeste, due respiri vicini, che
divennero
uno solo.
Anthea li vide e quasi le
sfuggì
il cellulare dalle mani, gli occhi le divennero lucidi. Era da molto
che
desiderava la loro vicinanza. Conosceva il dolore di Myc, per
l'allontanamento
di Sherlock, lo aveva percepito, così come il rapporto
difficile con lo zio
Rudy.
Spesso Mycroft evitava di parlarne
e cambiava in volto. Era accaduto qualcosa, in passato ma lei era
paziente e
aspettava che fosse lui a parlarne.
Ora forse aveva trovato la pace.
Mycroft si allontanò, il
fratello
minore lo osservò camminare con aria leggera.
Ora dovevano solo andare avanti,
la strada era aperta.
Mycroft si voltò,
sollevò la mano
nell'aria fresca della sera, e lo salutò. Si
avviò con passo deciso dondolando
il suo ombrello di marca. Le spalle diritte, lo sguardo sereno.
Raggiunse
Anthea, felice di rivederla, lo stupore che vide sul suo volto lo fece
commuovere.
"Sto bene, non mi hanno
rapito." Ridacchiò, lei si ricompose rapidamente.
Lui si fece coraggio. "Vorrei
rimanere con te stasera. Ho qualcosa da raccontarti, se vuoi
naturalmente."
Anthea annuì incapace di
rispondere era senza parole. Salirono in auto. Lei lo studiava, la
testa appena
abbassata, la mano abbandonata sul sedile. Mycroft allungò
la sua e le sfiorò
le dita.
"Va tutto bene Andrea."
L'aveva chiamata con il suo vero nome. Il suo turbamento fu totale,
anche se
aspettava da tempo quel segno di affetto.
Mycroft tornò a fissare
la strada,
la fronte distesa, un sorriso garbato sulle labbra sottili.
Era morto zio Rudy! Sepolto per
sempre. Non lo avrebbe più toccato.
Non avrebbe più fatto
del male a
nessuno.
Nessuno a cui lui volesse bene.
Mai più.
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