L'anniversario

di coopercroft
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lo zio Rudy ***
Capitolo 3: *** Sherlock ***
Capitolo 4: *** Il passato ***
Capitolo 5: *** Il racconto ***
Capitolo 6: *** Consapevolezza ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mycroft aprì la porta e attraversò l'ingresso della sua casa a Pall Mall. Una sensazione di nausea gli attanagliò lo stomaco, c'era qualcuno. Raggiunse il soggiorno, la debole luce della lampada illuminava una figura tozza che gli dava di spalle, ai suoi passi si girò.

L'uomo della Governance trattenne il fiato, aggrottò la fronte, calcolò l'altezza e il peso, strinse con forza l'impugnatura del suo fidato ombrello e rifiatò lentamente.

"Non sono un pericolo, signor Holmes."

Il tizio davanti a lui si raddrizzò guadagnando un paio di centimetri, gli occhi scuri sgranati.

Tra le dita una sigaretta di cattiva qualità.

Il fastidioso odore del fumo gli raggiunse le narici.

Mycroft inclinò la testa, socchiudendo gli occhi e appoggiò il peso del corpo sul fedele ombrello. Abbozzò un sorriso tirato mentre lo esaminava. Regolò la respirazione e, prudentemente si mantenne a una distanza di circa due metri.

Eleganza raffinata, anche se acquisita col tempo, ricco certamente, attento alla linea: la giacca era leggermente morbida sulle spalle. Segno che era dimagrito da poco, tuttavia aveva un aspetto curato, capelli corti e ordinati.

Il vestito era stazzonato, ma non troppo, doveva aver viaggiato per qualche ora. Era miope e portava le lenti a contatto, lo si capiva da come strizzava gli occhi.

"Credo mi conosca, infondo lei conosce tutti quelli che girano attorno a suo fratello."

La sua voce era piatta, una leggera inflessione serba, le mani curate lisciarono le tasche della giacca di ottima fattura.

"Mister Graham, immagino."

Esordì prudentemente Holmes, allentando la presa sulla sua unica arma. Appoggiò con calma esasperante l'ombrello alla poltrona.

"Prego si accomodi, non vorrei sembrarle scortese." Indicò le due poltrone di fronte al camino. Si sedette per primo, accavallando le gambe. L'altro fece altrettanto, il gomito appoggiato al bracciolo, la sigaretta quasi spenta.

Mycroft odiava le cicche sul pavimento di legno e gli indicò con la mano il posacenere.

Volutamente, Graham la lasciò cadere a terra.

Holmes, accarezzò il bordo di pelle scura della poltrona. Non sudava quasi mai, sapeva come controllare il suo corpo, ma quando aveva sentito il nome di Sherlock un calore lo aveva percorso. Avvertì il collo della camicia farsi più stretto, si passò due dita per allargarlo.

"A cosa devo la sua visita, signor Ernest?"

"Vedo che mi conosce." Le labbra gli si incresparono, la vena del collo pulsava velocemente.

Holmes era in vantaggio, Graham sapeva esattamente che lui lo aveva riconosciuto.

Lo attaccò subito, tra poco la sua scorta sarebbe arrivata allarmata dall'intrusione.

"Mio fratello l'ha infastidita?"

Tamburellò con le dita sul bracciolo, Sherlock si era immischiato e come sempre facendo danni.

"Temo di sì, signor Holmes, dovrebbe avvertirlo di essere più cauto nel fare certe domande."

Graham sorrise, si aggiustò i polsini della camicia. Gli occhi puntati sul suo interlocutore, aspettava.

"Non sono a conoscenza di tutte le attività di Sherlock, ma vedrò cosa posso fare."

Stese la mano sul bracciolo e allargò le dita avvertendo il freddo della pelle della poltrona.

Graham distese le gambe, continuò serafico. "Non vorrei che gli capitasse qualcosa, a volte essere troppo curiosi... costa."

Mycroft, socchiuse gli occhi. Ennesimo mal di testa in arrivo a causa del suo fratellino sconsiderato.

Si appoggiò allo schienale, rilassò le spalle, sospirò. Altro nemico da aggiungere alla lista che lo avrebbe tediato per un po' di tempo.

"Se dovesse succedere qualcosa a mio fratello, penso che la cosa potrebbe irritarmi molto, signor Graham. Sa, con la mezza età, sono diventato estremamente protettivo verso la mia famiglia e decisamente intollerante."

Fissò il bastardo elegante seduto di fronte a lui. Si tirò in avanti, le mani strette sulle ginocchia. Inclinò appena la testa.

"Non mi costringa a essere scortese, Ernest, mio fratello fa le sue scelte, io le mie."

Ritornò ad appoggiarsi alla poltrona, le sue dita sottili sfiorarono i bottoni del gilè, e continuò serafico.

"Ma si sa, Sherlock è un cane da punta, quando fiuta l'osso non lo molla più"

La mascella di Graham si strinse tanto che Mycroft pensò gli saltassero i denti. Una patina di sudore gli solcava la fronte, viscida come la persona che gli stava davanti. Decise che era ora di mettere fine a quell'imbarazzante rappresentazione teatrale mal riuscita.

"Credo non abbiamo altro da dirci, signor Graham, ha circa tre minuti prima che la mia sicurezza sia qui." Mycroft si alzò, svettando sopra l'uomo che aveva commesso un errore madornale, non aveva capito che minacciare un Holmes lo infastidiva profondamente, specie se si trattava di Sherlock.

Rimase immobile, infilò le mani nelle tasche dei calzoni con dispiacere, non amava sformarli, ma era necessario.

"A mai più, signor Graham."

Sibilò seccamente mentre l'altro si alzava grugnendo e spariva veloce nel buio della stanza.

Accese le luci, si versò due dita di scotch e si lasciò andare sulla poltrona. Doveva rafforzare la sicurezza della sua casa. Sherlock aveva ragione su di una cosa, era troppo vulnerabile.

Sollevò lo sguardo e inquadrò la foto della famiglia Holmes che faceva bella mostra di sé sulla mensola del camino. Sherlock ed Eurus avevano un'aria felice, e anche lui prima che la vita li dividesse. Tutto quel passato doloroso sembrò percorrerlo, li aveva protetti per anni, ma ora sentiva un peso di cui doveva liberarsi.

Sherlock....

Era sempre lui il suo punto debole, la pressione costante. Mandò giù in un solo fiato la bevanda ambrata.

Prese il cellulare e allertò la scorta. Anche stavolta era andata bene, ma doveva procedere per alzare il livello di sicurezza, soprattutto sul suo fratellino sconsiderato. Chiamò Anthea e le ordinò di portarla al massimo.

O Sherlock avrebbe gioito nel non vederlo mai più.

Non era incline all'auto commiserazione. Ma la mezza età, che regolarmente Sherlock sottolineava, cominciava a pesargli. Così come tutte le cose che aveva nascosto per anni.

Si accorse, con una smorfia di disappunto, di essere stanco...

Era esausto di mentire e di litigare.

Forse era il momento che la verità venisse alla luce. 

 

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Capitolo 2
*** Lo zio Rudy ***


Mycroft Holmes, l'uomo freddo e poco propenso ai rapporti umani, si era risvegliato stranamente già stanco. E con la stessa stanchezza nelle ossa era andato in ufficio a tenere le redini del suo prestigioso lavoro governativo, ottenuto a caro prezzo: l'ostilità di suo fratello

Percorse i lunghi corridoi accecato dalle luci interne, nella testa un solo unico pensiero: l'anniversario.

Salutò Anthea che rispose sollecita, ma non fu molto espansivo si appartò in ufficio con una scusa. Lei era sempre così attenta, non voleva che capisse il suo disagio.

Si buttò nel lavoro ma durò poco, sentiva insistente nella testa la voce di suo zio Rudy.

Sbuffò, fece cadere la relazione a cui stava cercando di lavorare e appoggiò malamente la penna sulla costosa scrivania di ulivo, l'aveva avuta in cambio di un favore poco legale.

Si era già preannunciata come una giornata uggiosa e cupa, proprio come si sentiva lui. Si alzò, le dita sottili che premevano sulle labbra.

Fece due passi per quello studio arredato con gusto, dove passava la maggior parte del tempo. Era sistemato sottoterra, un bunker soffocante, ma necessario, visto i pericoli che correva costantemente. Quelli che gli procurava la sconsideratezza di Sherlock.

Si sentiva già sepolto sotto metri di cemento.

Si passò una mano sulla cravatta lisciandola e sistemò l'orologio nel taschino. Era inutile evitare il pensiero che lo tormentava: era il primo l'anniversario della morte di zio Rudy.

Rudolph Vernet, fratello della madre, che nascondeva dietro una facciata mite e comprensiva, un maledetto demone.

L'artefice di quella che era la sua attuale vita. Se era diventato il Mycroft che tutti conoscevano, era unicamente per come lui lo aveva forgiato.

Strinse in un pugno le mani sottili, affondandole nelle tasche, rimase immobile al centro della stanza. Dondolava il corpo, mentre il risentimento lo agitava.

Era stato lui che lo aveva educato per quel incarico governativo, lui che lo aveva reso una perfetta macchina priva di emozioni. E Mycroft aveva pagato caro quel gioco di potere: l'allontanamento da casa, la menzogna di Eurus e quel rapporto complicato con Sherlock.

Afferrò sgarbato la ventiquattrore e chiamò Anthea.

Gli era venuta l'insana voglia di vedere Sherlock.

Il loro rapporto era basato su frecciatine velenose e di suonate di violino sgradite. Eppure in fondo al suo cuore, quello di ghiaccio, aveva bisogno di lui, l'ultima sua speranza di redenzione.

Chiamò Anthea che lo fissò per qualche attimo dubbiosa.

"Vuoi passare da Baker Street Mycroft? Tuo fratello non ti aspetta, sai che non gli piacciono le sorprese."

"Correrò questo rischio." Sospirò chinando il capo. "Più di rimbrottarci a vicenda non vedo che altro possa accadere."

Era protettiva nei suoi confronti, a lui piaceva vederla preoccupata, era l'unica che lo ritenesse una persona... viva e con un cuore. Forse provava qualcosa di più, ma lui non aveva mai voluto capire.

" Anthea, va tutto bene, ho solo bisogno di aria di famiglia." Sorrise, lei annuì stringendo le labbra carnose.

"Contento te Mycroft." Lo redarguì con gli occhi. Sapeva quanto amava Sherlock e quanto dolore gli provocasse vederlo e sentirsi rifiutato, il suo volto sempre attento era oscurato da un dolore che non riuscì a interpretare.

Non si dissero più nulla, salì nella berlina nera con lei al fianco. Sapeva che lo stava valutando di nascosto. Quasi sentiva il suo respiro, lei gli dava sicurezza, spesso le aveva affidato la sua vita. Ma non era mai andato oltre al rapporto di lavoro. Non aveva voluto.

Si girò brevemente a guardarla, i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle, il volto luminoso. Attenta e perspicace come poche, si chiese cosa sentisse per lui. Certo non avrebbe rischiato di rovinare la loro intesa. Sospirò e tornò a guardare la strada, pensando che suo zio Rudy lo stava manipolando anche da morto.

Voleva vedere suo fratello senza capire bene il perché, certi scheletri non dovevano tornare in vita, eppure nel profondo del suo animo aveva bisogno di dire, di parlare: di zio Rudy soprattutto.

Sherlock viveva con John e la piccola Rosie, dopo la morte di Mary Watson avevano, per così dire, raggiunto una certa stabilità di coppia. Niente più colpi di testa improvvisi. John era stato la cura.

Invece il loro rapporto non era cambiato molto, anche dopo aver sopportato le angherie di Eurus a Sherrinford sei mesi prima. Quando lui aveva sperato che sacrificarsi al posto di John avrebbe messo fine ai suoi tormenti e gli avrebbe consentito di espiare finalmente le sue colpe.

Invece il fratello minore lo aveva salvato dirigendo l'arma contro sé stesso, se era vivo lo doveva a lui. Per questo ora era lì, perché Sherlock era cambiato, aveva fatto spazio ai sentimenti nella sua mente logica, aveva realizzato quanto le emozioni valessero la cura.

Mycroft aveva toccato il fondo e lo zio Rudy lo tormentava ancora. Era vitale e lo stava soffocando.

 

 

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Capitolo 3
*** Sherlock ***


Baker Street era stranamente silenziosa, Anthea stava aspettando i suoi ordini.

La avvertì che l'avrebbe chiamata più tardi. Oppure subito, se Sherlock l'avesse liquidato senza pietà. Scese dall'auto e salì i pochi gradini della casa, aggrappandosi con forza all'impugnatura del suo fidato ombrello.

Sapeva quello che voleva fare, era conscio di avere la voglia di chiarirsi.

Gli aprì la signora Hudson.

"Mycroft, finalmente! È venuto a trovare Sherlock? Lui è parte della sua famiglia, non se lo scordi." Brontolò, sconcertata: poco tempo prima lo aveva chiamato rettile e lui non aveva nemmeno reagito.

"È per questo che sono qui, come potrei stare lontano dal mio irritante fratellino?" La provocò, memore di quella frase poco gradita. Lei arricciò le labbra e se ne andò seccata, mormorando poche parole incomprensibili.

Aveva un rapporto un po' altalenante con quella donna ovviamente la sua fama di uomo senza sentimenti e autoritario la infastidiva.

La stanza era, come sempre, ingombra di ogni oggetto, in più c'erano i giocattoli di Rosie ovunque. Cercò di evitarli, anche se era piacevole vedere quella casa piena di vita.

"Se il tuo ordine è questo, caro fratello! Si rischia di camminare sui giochi della piccola Watson."

John lo salutò, lo guardò in tralice. Lui alzò la mano smorzando la frase poco felice.

"Mycroft, cosa ti porta qui? Non vieni mai senza un motivo. Abbiamo invaso qualche paese alleato?"

Sherlock non alzò nemmeno lo sguardo, lo accolse infastidito come sempre. Seduto sulla sua poltrona consunta, pizzicava il violino perdendo tempo.

Come erano lontani i tempi quando, da bambino, gli correva incontro e lui lo sollevava da terra facendolo volare. Non era rimasto nulla di quella vicinanza.

Non rispose subito, era arrivato disarmato.

"Una visita di cortesia, se me lo consenti. Ma anche un avvertimento visto che ti sei procurato un altro nemico."

Mycroft si fermò davanti a lui, dritto in tutta la sua statura. L'ombrello al suo fianco.

Il minore scosse i ricci neri, lasciò il violino e portò le mani unite sotto al mento. Sembrava disinteressarsi a lui, ma in realtà lo studiava a distanza.

"Ti hanno fatto visita? Sai che la tua sicurezza assomiglia sempre di più a un colabrodo?" Sentenziò acido

"Lo so, ma cercherò di porvi rimedio." Ironizzò, con la stessa tecnica.

Sherlock riassunse tutto in una sola frase. "Ernest Graham?"

"Bravo, vedo che non perdi un colpo. E di grazia, dove hai ficcato il naso stavolta per fargli credere che fosse una buona idea venire da me?"

"Nei suoi affari che altro! Lo sai che ricatta mezza Londra? Ah! giusto ma vi serve e quindi chiudete un occhio, se non due." Ringhiò Sherlock.

Mycroft non raccolse, non era lì per litigare. La sua protezione era già attiva e non correva pericoli seri.

"Fa pure fratellino, ma bada che è parecchio pericoloso."

"Lo credo visto che si è introdotto in casa tua." Fu ironico mentre Mycroft si allontanava.

Gli parve strano che lo lasciasse a metà. Lo osservò con sospetto mentre appoggiava l'ombrello e si dirigeva verso la nipote.

"Rosie cresce bene, John? Mi sembra molto serena, anche frequentando il mio caro fratellino. Sherlock è un buon padrino?"

Si era avvicinato alla piccola, che allungava le manine vedendo la sua catena dorata. La lasciò fare. John si accorse che qualcosa non andava in Mycroft. Non permetteva a sua figlia di toccarlo. Lanciò un'occhiata al suo coinquilino che sollevò le sopracciglia, gli occhi azzurri intensi e sorpresi.

John fu gentile. "Rosie lo adora, a modo suo. Tuo fratello è una attrazione per lei, certo, qualche volta esce dagli schemi ma lo riporto subito al passo."

Sorrise mentre Rosie cinguettava dal seggiolone cincischiando la catena dell'orologio di Holmes.

Il British Government, accettò di buon grado la compagnia della nipote acquisita, doveva essere proprio sottotono.

Molte rughe erano comparse sulla sua fronte.

Era perplesso e curioso da questa apertura del suo carattere sempre così chiuso.

"Come mai sei passato? Qualche problema? Sai che tuo fratello freme dalla voglia di vederti, vero Sherlock?"

John si voltò verso di lui, che si era appartato in cucina a trafficare sul calendario.

"Certamente Mycroft, non resistevo più dalla voglia di vederti. Cosa vuoi in realtà? Visto che non ti interessa di Graham. Fa che sia una cosa seria."

Sbiascicò, senza guardarlo, sembrava più interessato al calendario, ma John percepì una sottile inclinazione nella sua voce, ebbe la sensazione che fosse preoccupato.

Watson prese in braccio la figlia e restituì la catena a Mycroft.

"Graham te lo cedo fratello, è solo uno stupido arricchito che non sa con chi a che fare. Tu... beh e anche io."

Rispose sospirando rassegnato, mentre si rimetteva in ordine.

"Passavo e mi sono fermato a farvi visita. Nulla di più." Invece tremava dentro, nella testa la voce martellante di zio Rudy. Ma fu bravo a mascherare, quando Sherlock gli si parò davanti. Le labbra strette, gli occhi attenti.

"Questo è assolutamente falso, cerca di essere più convincente." Era come al solito pungente e incalzante. Mycroft tentennò, forse non era stata una buona idea scoprirsi così, sapeva dove poteva arrivare il fratello minore, non gli mancava l'acume e la deduzione.

"Basta Sherlock!" Watson intervenne, vedendo la difficoltà di Mycroft, che non lo rimbeccò come era solito fare, rimase stranamente muto.

E se lo notava lui, doveva notarlo anche Sherlock.

"Non lo ascoltare, prendiamoci un tè." Cercò di smorzare il buon Watson.

Ma lui declinò l'offerta, si allontanò dallo sguardo del fratello, agitando la mano in diniego. Si sentì in dubbio, forse certe cose del passato spettavano solo a lui, e doveva portarne il peso. Era stato stupido a credere di potere parlare serenamente con Sherlock.

Si ritrasse con apparente noncuranza ma il cuore andava a mille. Era presto, non era il momento, temeva che Sherlock non avrebbe capito.

"No, devo andare. Anthea mi aspetta." Fu una scusa banale, ma si sentì improvvisamente stanco. Oggi aveva vinto ancora una volta lo zio Rudy, andarsene era la cosa migliore da fare.

Fece un cenno con il capo, afferrò l'ombrello e accarezzò la testolina di Rosie che era in braccio al padre. Uscì senza voltarsi, John rimase interdetto.

Quella strana carezza sbilanciò Sherlock, rimase pensieroso per pochi attimi, si passò la mano nei capelli, gli occhi stretti in una linea sottile.

Afferrò il cappotto. "Scendo John, credo che abbia bisogno di me." Watson annuì, entrambi avevano visto il disagio di Mycroft Holmes.

 

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Capitolo 4
*** Il passato ***


Sherlock lo raggiunse che camminava lento appoggiandosi al suo ombrello, sembrava portare un peso sulle spalle. Non c'era l'auto che lo aspettava, era solo. Questo lo turbò notevolmente.

Lo chiamò, poche parole taglienti.

"Mycroft, non hai casi da sottopormi. Eppure vieni a Baker Street a importunarmi, per quale motivo?" Lo affiancò con un sorrisetto ironico.

"Centra qualcosa l'anniversario della morte di zio Rudy? "

Non aveva consultato il calendario a caso, Mycroft dimenticava raramente le ricorrenze.

Il maggiore rimase silenzioso camminando pochi metri in più, si voltò, alzò lo sguardo impassibile. Sapeva che non poteva nascondere molto a suo fratello. Ma era ancora incerto su come approcciarsi a un argomento che lo aveva devastato per anni. Sherlock era poco oltre di lui.

"Quindi ti ricordi, del caro zio Rudy? Ti ritorna la memoria?"

Fu sarcastico, sulla difensiva, una barriera serrata e invalicabile. Si concesse poche frasi. "Sai quello che successe a Eurus. E del perché fu rinchiusa, sai di Victor." Il minore socchiuse gli occhi, capì che c'era qualcosa che tormentava suo fratello. Accennò un sì con il capo ricciuto.

Mycroft abbassò le barriere appena un po'. Prese aria si appoggiò al suo ombrello.

"Zio Rudy non era esattamente un santo." Abbassò la testa, un sorriso amaro sulla bocca, gli uscì un filo di fiato.

Sherlock rimase immobile, mentre valutava la portata di quello che stava succedendo. Non era facile per lui ammettere che il fratello tanto sprezzante e autoritario fosse in difficoltà. Perché era evidente che Mycroft cercava aiuto e non lo aveva mai fatto.

Aveva bisogno di parlargli, voleva liberarsi di un peso che non voleva più portare.

Abbandonò ogni forma sarcastica e fu quasi gentile quando gli rispose. "Lo ricordo, ma vagamente e lo odiai quando ti portò a Londra. Non gli piacevo, credo mi giudicasse un piantagrane. Eri tu il suo preferito." Avevano ripreso a camminare affiancati, il Belfast nero di Sherlock che svolazzava, il ticchettio dell'ombrello di Mycroft.

Il più anziano scosse la mano come se scacciasse una mosca fastidiosa.

"Già, è quella fu la mia condanna." Sospirò profondamente, guardava la strada che portava al Tamigi. Prese forza, ma la voce era incolore. "Non sai nulla di lui fratello mio. Fu un inferno stare alle sue dipendenze."

Sherlock strinse le labbra, mentre una nausea inaspettata gli salì dallo stomaco, sentì il tormento nella sua voce tanto familiare. Lasciò che prendesse il suo tempo.

Raggiunsero silenziosi il Tamigi, la giornata nuvolosa lo rendeva grigio e minaccioso. Il maggiore degli Holmes si fermò a osservarlo. Indugiò, poi si appoggiò con i gomiti sul muretto che delimitava la riva. Portò le mani giunte sotto al mento. Sherlock invece si appoggiò di spalle al fiume. Prese due sigarette dal cappotto e una la offrì al fratello maggiore.

"Rigorosamente light," scandì Mycroft sorridendo, la prese e Sherlock le accese.

"Ce ne vorrà più di una fratellino." Con voce bassa, Mycroft aspirò la prima boccata.

Abbassò le barriere, e si scoprì come non faceva da anni. Iniziò a parlare con lentezza.

"Eri un ragazzino affettuoso Sherlock pieno di voglia di conoscere. E pensavo che sarei stato sempre con te." Si interruppe aspirò, il fumo fece dei cerchi bizzarri.

"Lo Zio Rudy fece pressione con i nostri genitori, fu convincente, disse che ero sprecato in quel posto di campagna. Mi allontanò dalla famiglia, soprattutto da te. Aveva convinto nostra madre che la mia mente brillante sarebbe servita al paese. Aveva un incarico prestigioso presso il governo e mi portò a Londra."

Aspirò un altro po' di fumo senza voltarsi.

"Eri rimasto sconvolto da quello che era successo con nostra sorella e non ne avevi memoria. Te lo lasciarono credere. Zio Rudy disse che era la cosa migliore che ti potesse capitare, non ero d'accordo perché pensai che ti avrebbe danneggiato. Ma la mia opinione non contava e dovetti accettare di vederti crescere in quel modo. Alla mia partenza ti promisi che sarei tornato a riprenderti, per aiutarti a crescere, ma..."

Aspirò e tossì, si fermò fissando il fiume.

Sherlock sorrise. "Fumi ancora come un adolescente."

La sua memoria corse a quei giorni tristi quando suo fratello era partito provocando la prima incrinatura nel loro rapporto. Si era sentito abbandonato.

"Non lo facesti, non tornasti più. Mi chiesi spesso il perché e non ebbi risposta. Presi a odiarti perché mi avevi abbandonato. Rimasi solo con quell'intelligenza che non riuscivo a gestire e tu non c'eri. Poi sai come finì." Sentiva che Mycroft era in pena. Si addolcì. "Te ne andasti senza spiegarmi nulla....."

"Avevo vent'anni Sherlock..." Sussurrò con un filo di voce.

"E io tredici, uno stupido adolescente." Brontolò il minore che cominciava a intuire qualcosa.

Mycroft si ammutolì, guardò la punta della sigaretta e riprese.

"Tu non sai quello che era lo zio Rudy. Stravagante era dir poco, intelligente sì, ma di una intelligenza corrotta, malata. Non fu facile Sherlock. Dovetti adattarmi molto al suo comportamento. Fui debole, non riuscii a gestirlo. E rimasi anche se disapprovavo i suoi metodi."

Sherlock cercava di leggere nel volto del fratello ogni più piccolo cedimento.

"Ricordo che ti sfuggì una battuta su certe sue ossessioni per gli abiti femminili. Lo presi per uno scherzo. Allora non capii, ero piccolo."

Mycroft improvvisamente si irrigidì, il corpo sembrava stretto nei vestiti costosi, la sigaretta gli tremava nella mano. Era turbato, gli occhi sembravano smorti.

La sensazione di nausea di Sherlock aumentò, un dolore improvviso lo percorse dalla testa al cuore.

"Che ti ha fatto, fratello mio?" Rimarcò quell'appartenenza, quella fratellanza che li aveva visti nascere.

Mycroft aspirò altro fumo, non lo guardava quasi avesse vergogna, gli occhi sul fiume. La sua bella voce era irriconoscibile.

"Io vivevo con lui a Londra in quella grande casa a Pall Mall, piena di stanze. Sapeva di vecchio dentro e fuori. Eppure mi piaceva stare lì, un giorno ti sarei venuto a prendere, saresti cresciuto sereno lontano dai ricordi che ti tormentavano. Avevo convinto zio Rudy, che avevi le capacità, che saresti diventato equilibrato e responsabile. Fui quasi felice in quel periodo, pensando di portarti con me."

Fece una pausa, un'altra boccata di fumo. 

"Ma ero inesperto, troppo giovane. Lui decisamente furbo, mi lasciò sempre meno spazio. Mi stava addosso, mi persuadeva che lo faceva per me e per voi." 

Mycroft si fermò, la sigaretta con la cenere arroventata.

"Fu un giorno, che era in ritardo, mi chiese di consultare il suo portatile. Scoprii l'indirizzo di Sherrinford e appuntato sotto, il nome di nostra sorella. Non mi ci volle molto a capire che era viva e rinchiusa in un carcere di massima sicurezza. Rimasi sbalordito e decisi di parlargliene." 

La mano passò rapida sugli occhi grigi, li tenne chiusi pochi secondi. "Quella fu la mia condanna."

"Vuoi prendere tempo, Mio?" Sorrise al nomignolo con cui lo chiamava da piccolo. Sherlock aveva rinunciato a qualsiasi ostilità. Mycroft si rincuorò, riprese il suo racconto.

"Quando si stava per avvicinare il giorno per portarti con me, mentre passavo di fronte alla sua camera vidi la porta socchiusa. Lo scorsi in abiti femminili. Aveva un paio di scarpe rosse con tacchi alti e un evidente trucco femminile. E si compiaceva davanti allo specchio, ma mi vide, perché ero rimasto impietrito, totalmente sconvolto." Mycroft fece un'altra pausa. La sigaretta spenta, la cenere fra le dita, Sherlock gliela sfilò con gentilezza.

"Mi ordinò di entrare, aveva una voce tagliente che mi spaventò, ma varcai la soglia con la convinzione di averlo preso in un momento di debolezza e di potergli parlare di Eurus. Ma lui aveva preparato la trappola, solo dopo capii che il computer era stata l'esca, la porta lasciata socchiusa apposta." 

Mycroft rivisse in modo vivido quei momenti. 

 

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Capitolo 5
*** Il racconto ***


 Rudy mi guardò divertito, quasi volesse prendersi gioco di me. Si avvicinò ancheggiando.

Io tremai, terrorizzato, ma per quanto facessi leva sulla mia intelligenza quella sembrava sparita. Fui in balia dello spavento.

"Mycroft, ti ho insegnato tanto, se un uomo ormai, bello e affascinante."

Rudy si avvicinò pericolosamente. "Io non sapevo..." 

Farfugliai e intanto indietreggiavo.

"Hai paura mio amato nipote? Paura di una verità scomoda?"

Rudy mi corteggiò come se fosse una donna, ne fui totalmente atterrito. 

Anni dopo, con la maturità, avrei padroneggiato la situazione, ma allora in quel momento vinse il terrore.

"Vorrei baciarti, Myc, ti completerei, ti farei conoscere la tua parte femminile, la adoreresti nipote. Ne saresti ammaliato."

Era così vicino da sentire il suo respiro affannoso, la sua mano finì per accarezzarmi e infilarsi fra le mie gambe.

Reagii malamente, gridando. "Lasciami, non voglio."

"Non essere stupido, ci sei dentro nipote, so che hai visto dove tengo quella pazza di tua sorella. Se vuoi che rimanga viva farai quello che ti ordinerò." 

Rise sguaiato.

Mi bloccò le braccia, mi ruotò, le mani strette in una morsa. Mi spinse sul bordo del letto. 

"E lì che ti voglio, mi restituirai la devozione che mi devi."

Le lacrime mi offuscarono gli occhi, ero consapevole di quello che mi aspettava.

"Mi prenderò anche Sherlock, se non sarai ubbidiente. Gli farò fare la fine di Eurus."

Lasciò la presa e si avvicinò al mio viso, cercando di baciarmi. 

Mi sottrassi, ma lui urlò.

"Bada Mycroft, mi devi obbedienza, tu sarai mio, non osare ribellarti." 

Prese il cellulare. 

"Una sola chiamata e metterò fine alla vita di Eurus." 

Piansi, mi spinse nel letto.

"Smettila idiota ti prenderò lo stesso! Vuoi che porti Sherlock con noi? È solo un ragazzino da domare con lentezza, vuoi che lo sostituisca a te, stupido ingrato?"

Fu convincente, aveva l'esperienza dalla sua parte. Io ero smarrito.

"Ti piacerà vedrai, sarai un uomo con molto potere, dopo questa lezione." 

Singhiozzai mentre lui chiudeva la porta.

"Perché mi fai questo? Perché non mi hai detto di mia sorella?

"Quella pazza? E per quale motivo? Mi è servita per arrivare a te." Rise. 

"Mi piaci nipote, voglio averti e crescerti secondo le mie regole. Non sarò prepotente all'inizio, ma sarai solo mio."

"Zio, ti prego..." Implorai, sapevo quello che mi aspettava.

Si avvicinò deciso, senza ascoltarmi, prese a baciarmi. Girai la testa per lo schifo. 

"Il patto è fatto Myc, a me la tua dedizione. E a te i tuoi fratelli. "

Non reagii, pensando di salvarvi, e trovare un modo per tornare a casa. 

Mi rifugiai nel mio palazzo mentale, mentre lui si infilò nel mio corpo.

Subii tutte le sue attenzioni malate... Fece di me quello che voleva.

Nulla fu come prima... non dopo quella violenza.

Uscì dalla stanza, soddisfatto, dopo avermi abusato.

"Non ne parlerai con nessuno, questo è un patto tra noi. Aspetterai ubbidiente finché ti vorrò ancora."

Mi lasciò stordito sul letto, sporco e coperto di vergogna.

Piansi e fu l'ultima volta che lo feci.

Ero solo un ragazzo con poca esperienza che sapeva poco del sesso, rimasi svestito sul letto, incapace di alzarmi.

Il Mycroft che ero stato non c'era più.

Un silenzio irreale avvolgeva i fratelli Holmes.

 "Questo è quello che accadde?" Sherlock non respirava, le mani erano strette in due rigidi pugni, fremeva. Non riusciva a guardare il fratello. Il vecchio Holmes, la testa china, le mani aperte sul marmo grigio del muro che delimitava la riva.

"Sì, quello che successe a un giovane e inesperto Mycroft. Così naufragò la speranza di portarti a Londra con me. Zio Rudy era troppo pericoloso. Eri un adolescente facilmente plagiabile. E lui era un predatore insaziabile. Diradai i nostri incontri, volevo tenerti al sicuro e proteggerti, ma non ti abbandonai mai! " Mycroft cercava comprensione, si sentiva sporco e in colpa per quello che aveva taciuto.

"Non fosti in grado di proteggerti da quell'animale, per Dio! Come potevi aiutare me? Perché non dicesti la verità? Tu cambiasti e io non compresi. Pensavo che mi avessi abbandonato."

Si girò verso il fratello. "Presi quella via distruttiva che conosci. Cominciai a provare qualsiasi tipo di droga mi sballasse. Ora so che la colpa fu anche di quel bastardo dello zio."

Sherlock alzò la voce, adesso capiva tante cose, come un puzzle che si ricomponeva.

Mycroft mormorò. "Feci di tutto per tenerti lontano, quando lui allentava il controllo cercavo di contattarti e di vederti, venni quella notte a tirarti fuori da quello schifo dove eri finito. Eri in overdose, non potevo ignorarlo. Ma fu abile, lo fiutò e minacciò di farti rinchiudere come Eurus." Prese del tempo, le mani sfioravano la pietra fredda del muretto, la lisciavano.

"Due fratelli avariati, mi sussurrava continuamente: un drogato e una pazza..." Sospirò ricordano le parole ossessive dello zio.

"I nostri genitori non sapevano niente, mi costrinse a stare zitto, l'uso che facevi della droga era la sua chiave per ricattarmi e finii per diventare la sua puttana che prendeva quando voleva." Si fermò, osservò il breve passaggio di due gabbiani. "E non dissi nulla di nostra sorella."

"Diventai quello per cui mi aveva addestrato, freddo, calcolatore, manipolatore, dedito solo al lavoro, con nessun altro intorno se non lui. Arrivai a un punto di non sentire più nulla, nemmeno il dolore che mi provocava. Fino a quando non si ammalò e cessò le sue attenzioni malate su di me. Avevo 28 anni e la mia vita emotiva e sentimentale era distrutta. E ti avevo perduto."

Mycroft si portò le mani al volto come volesse nascondersi per la vergogna. Si riprese e continuò mesto.

"Passarono gli anni e io mi abbandoni alla vita che mi era stata imposta. Lui era ammalato, rivolse le sue attenzioni ad altre prede, ma teneva salde le mie redini e il mio silenzio. Fino a quando l'anno scorso morì."

Sherlock non intervenne, bloccato dalla disperazione del fratello. Non sapeva come aiutarlo, adesso capiva il motivo del suo cambiamento. Aveva davanti un'altra persona, un altro fratello. Angosciato provò un misto di dolore e rabbia. Ora comprendeva il perché della poca empatia che Myc provava verso gli altri, non amava essere avvicinato, né toccato. prese coraggio e cercò di mitigare il suo dolore.

"Mycroft sei la mia famiglia. Non si finisce mai di essere fratelli, so di poter contare su di te, e tu sai che ci sono e ci sarò sempre per te. Questo non scordarlo mai, non respingermi."

Sherlock si avvicinò, la mano scese per prendere quella pallida del fratello, la tenne stretta, regalandogli una carezza che nessuno dei due reclamava da anni. Quella vicinanza perduta, ma ancora viva. Sepolta da lunghi periodi d'incomprensioni.

Mycroft era irrigidito, non riusciva a sciogliersi, chiuso, arroccato dentro sé stesso.

"Avresti dovuto dirmelo quello che avevi sofferto. Perché tenerlo nascosto?" La voce di Sherlock si era addolcita.

"Per la vergogna di quello che mi aveva fatto. Di come lo aveva fatto. Tu mi respingevi, arrabbiato dal mio presunto abbandono, mi aggredivi con la tua rabbia, con il tuo sarcasmo, mi ferivi ma l'ho accettato perché era l'unico modo per averti vicino." La voce si fece sottile, quasi un soffio.

"Cosa sarei diventato se lui non si fosse intrufolato nella mia vita e nei miei calzoni? Come sarebbe stato ora tra noi? Ho ottenuto il potere ma è stata una magra consolazione. Morto lui, mi sono sentito libero e questa libertà mi devasta perché non so sapevo che farmene. E tu hai dimostrato di non avere più bisogno di me."

Sherlock grugnì.  

"Questo non è vero, lo sai. Ora sappiamo entrambi il perché del nostro scontrarsi. Come potrei rinunciare a te?"

Mycroft sorrise impercettibilmente, respirò pesantemente, fissava il fiume,  abbassò la testa, come rassegnato a quello che era diventato. La voce gli uscì monocorde, non tradiva nessun dolore.

"Non voglio compassione per quello che ho fatto. Alla fine ho accettato le sue avance e non mi sono ribellato. Ho ottenuto la carriera che volevo. Me la sono meritata la sorte che mi ha inflitto."

Sherlock lo fece ruotare, la mano ferma sulla spalla, lui mugugnò, ma non si sottrasse.

"Vedi come ne parli?" Il minore reagì con forza a quell'atteggiamento di rinuncia. 

"Mio, lo senti quello che affermi? Sei ancora succube di quella bestia. Eri un fratello amorevole sia con me che con Eurus, non c'era nulla di sbagliato in te, eri Myc che ci consolava. Su cui io potevo contare."

"Sono sbagliato Lockie. Avresti dovuto spararmi a Sherrinford." Gli uscì una rabbia repressa, covata per anni.

"Questa è la cosa più stupida che ti abbia sentito dire."

Sherlock lo scosse con forza, le mani così strette così forte nelle spalle magre del fratello che sussultò, ma il maggiore sembrava non reagire. Sherlock capì che lui non aveva elaborato il passato e prese una decisione rapida.

"Vieni con me, saliamo in auto." 

Lo strattonò, Mycroft si ritrasse stupito pensando fosse uno dei sui giochetti, ma il minore lo trascinò letteralmente alla berlina nera che li aveva raggiunti e li attendeva più avanti.

 

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Capitolo 6
*** Consapevolezza ***


Quando entrarono in auto Sherlock ordinò all'autista, "Brompton Cemetery."

Mycroft gemete, scuotendo la testa. "Perché?" Gli chiese con il volto incupito.

Sherlock non rispose.

Il viaggio fu silenzioso, erano distanti fisicamente, ma condividevano lo stesso angoscioso passato. Mycroft era assente sembrava privo di volontà.

Quando arrivarono, Myc si sprofondò di più sul sedile, ma Sherlock lo spinse giù senza tanti complimenti.

"Avanti, vieni con me."

Mycroft lo seguì brontolando. Agitava il suo amato ombrello, incapace di sottrarsi alla richiesta del minore, ma sapeva dove lo stava portando.

Giunsero alla tomba dello zio Rudy, morto un anno prima. Sei mesi dopo Eurus li aveva devastati con le malvagità di Sherrinford. E lui pagò caro il suo silenzio a tutta la famiglia che aveva cercato di proteggere. Si appoggiò al suo ombrello, sentiva di non avere altro che lo sostenesse.

"Quando è morto, ho continuato la sua follia, mamma e papà non me lo hanno perdonato e forse nemmeno tu." Mycroft non era stabile. Sherlock lo scrutava con apprensione.

"Non ti ho accusato di nulla, ho visto la follia di nostra sorella. I nostri genitori capiranno." Mormorò con dolcezza. "Ora guardalo Myc la causa di tutto il male che abbiamo passato e che ancora ti perseguita."

Gli indicò la lapide con la mano ferma. "Rudy Vernet è sepolto lì. Ed è morto, fratello mio."

Il maggiore degli Holmes tremava, guardò la tomba di marmo spoglia, senza nemmeno l'ombra di un fiore. Orrida e fredda, come era stato in vita zio Rudy. Fremette nauseato, barcollò e Sherlock fu rapido a sostenerlo. Lo tenne al suo fianco.

"È morto Mio, non farà più del male a nessuno." La voce dolce cullava il suo cuore, lo invitava a lasciare il passato.

Mycroft sussultò scosso dal dolore. Tutti quei disgustosi ricordi gli tornavano vividi in mente, una luce oscura lo avvolse e lo fece ritrarre, Sherlock lo tenne stretto aiutandolo ad affrontare i ricordi. La foto del vecchio Rudy sembrava fissarlo impietosa, rammentandogli tutto lo schifo subito.

"Fallo, lascia andare la rabbia e allontana il male che ti ha fatto. Seppelliscilo ora e per sempre Mycroft. Quel bastardo è morto come si meritava, la malattia lo ha divorato pezzo per pezzo."

La voce di Sherlock era affilata come una lama.

La compassione verso suo fratello diventò malessere. Perché lo rivide per quello che era stato: il fratello dolce e comprensivo che rideva divertito alle sue malefatte nella luce della sera a Musgrave. Quando tutto era semplice, e gioioso come la spensieratezza che si ricordava riflessa in quegli occhi grigi che tanto ammirava. Occhi pieni di aspettative e di sogni.

Quel suo amore sconfinato per lui ed Eurus, a cui dedicava la sua infinita pazienza di fratello maggiore. I libri che gli leggeva a notte fonda per farlo addormentare. Le storie di pirati che si inventava per farlo giocare. Come i viaggi in isole misteriose in cerca di tesori nascosti, e mai lui si era sottratto portandolo sulle spalle fino al fiume che era il loro mondo fantastico. Mentre Eurus trotterellava al loro fianco ancora priva della pazzia che l'avrebbe tormentata. La loro amicizia fraterna era spendente, piena di sole, difficile da scardinare, ma lo zio Rudy c'era riuscito, gli aveva strappato il fratello amorevole che era stato. Myc cambiò e divenne il Mycroft che non riusciva ad amare.

Odiò Rudy con tutto sé stesso. Ora sentiva di doverlo proteggere, lui era il maggiore, lui l'adulto come aveva detto mamma. Lui il suo sostegno.

Mycroft lasciò cadere l'ombrello che rimbalzò nella ghiaia, inerte. Le lacrime gli rigavano il viso, ma non emetteva nessun lamento.

Sherlock gli accarezzò la spalla, fino al collo dove tenne la sua mano ferma calda e rassicurante. Mycroft imparava ad accettare il suo contatto. Prese lentamente a singhiozzare.

Urlò la sua disperazione, maledì il vecchio Rudy, portò le mani sul volto chiudendo gli occhi, sussultò scosso dai gemiti. Un pianto liberatorio, trattenuto da quel giorno, quando giovane e impreparato, quelle mani luride lo avevano violato.

Sherlock gli fu vicino, Myc trasalì rendendosi conto del suo contatto. Nessuno da tempo lo poteva toccare, nessuno poteva sfiorarlo. Sherlock lo sapeva, piano lo attirò a sé, lo strinse forte.

"Non c'è nulla di sporco in te, Myc." Il maggiore si abbandonò al suo affetto, voleva vivere, assorbire il calore della sua mano, che non fosse solo tormento e prevaricazione, o carezze sudice...

Si lasciò abbracciare. La stretta del fratello era avvolgente gli scaldò l'anima e il cuore, quello che tutti credevano fosse di ghiaccio, che prese a battere regolare.

"Ti voglio bene Myc. Così come sei. Rammentalo sempre." Le udì appena, le parole di quel fratello che aveva protetto per tutta la vita, e ora gli rendeva l'amore che desiderava. Era diventato un fratello premuroso, lo era anche grazie alla sua costanza che lo aveva salvato dallo zio.

"Hai la vita davanti, guardati intorno Mio. Qualcuno che ti vuole bene c'è. Ed è sempre stata li." Sussurrò all'orecchio del fratello maggiore.

Lui sollevò le sopracciglia, dubbioso.

Sherlock lo sbirciò sornione, ora sorrideva. Gli allungò il fazzoletto. E fece un breve elenco.

"Che ti segue costantemente senza replicare. Che è sempre al tuo fianco silenziosa. Che ti sostiene quando sei stanco. Che accetta il tuo umore instabile."

Mycroft allargò le braccia sorridendo. Si asciugò gli occhi. "Anthea ha bisogno di un uomo." Affermò convinto.

"Lo sei, nonostante gli abusi che hai subito. Diglielo Mio, digli cosa ti è successo, lei ti ama da sempre. Capirà, ma forse ha già intuito tutto, sapendo del tuo rapporto difficile con lo zio."

Mycroft scosse la testa. "Non è così facile." Mormorò.

"Concediti l'amore. Non sei diverso dagli altri." Sorrise, scuotendo la testa riccia. Ora erano uno di fronte all'altro.

Mycroft si chinò a riprendere il suo ombrello. Lo puntò nella ghiaia e ci si appoggiò.

Eccolo che ritornava il Mycroft che, in fondo, aveva accettato di amare. Quello che era costantemente al suo fianco. Sherlock sorrise benevolo.

Il maggiore lo guardò dritto negli occhi, inclinando la testa di lato come era solito fare quando lo canzonava, in un angolo del suo cuore si era fatto strada il rispetto di Sherlock.

"Tu l'hai sempre saputo di Anthea, ero io che non vedevo nulla. Hai ragione, non voglio sentirmi più solo. Devo recuperare quello che mi è stato tolto."

"È per quello che non ti ho sparato a Sherrinford. Come avrei potuto diventare zio?"

"Non stai correndo un po' troppo fratellino" Risero insieme, come non facevano da tempo.

Mycroft si aggiustò la giacca, si strinse la cravatta. Sherlock gli sistemò il colletto della camicia.

"Non ti allargare troppo, potrei abituarmi alle tue cure." Sherlock alzò le mani in segno di resa.

"Ti rendo presentabile, hai un reputazione da sostenere." Scosse la testa divertito.

Si lasciarono alle spalle quella pietra tombale squallida, che liquidava per sempre quell'uomo ambiguo che era stato l'artefice del loro allontanamento.

La ghiaia scricchiolava sotto i loro piedi. Il cimitero sembrò improvvisamente meno lugubre. Mycroft si schiarì la voce, era sereno. Come non lo era stato da tempo.

Girò la testa per guardare meglio il fratello, i capelli ricci, le mani affondate nel Belfast nero, il volto luminoso. Sembra sempre lo stesso bambino curioso, anche se ora era diventato più responsabile. Pensò all'intrusione della notte prima. Avrebbe preso dei provvedimenti seri ed efficaci per tenerlo al sicuro. Infondo lo aveva sempre fatto.

"Che dici se la invito fuori a cena? Pensi che accetterà?"

Fece un largo sorriso malizioso, tornando a guardare il sentiero. Si stava liberando del fardello pesante che aveva portato, mentre una nebbia sottile offuscava per sempre i ricordi degli abusi subiti.

"No, fratello, sarà felice vedrai." Lo prese sotto braccio e lo portò verso la berlina nera.

"Ah, lascia che mi occupi io di Graham, dammi fiducia Myc." L'uomo della governance strinse le labbra sottili.

"Va bene, ma tanto sai che ci sarò. Diciamo che tutelo la tua famiglia acquisita."

Sherlock sorrise consapevole che Mycroft era Mycroft, sempre e comunque. E stavolta lo accettò senza ribattere.

Arrivarono verso Baker Street dove videro Anthea in piedi sulla porta che li aspettava. Il cellulare nelle mani. Le aveva mandato dieci sms.

Si guardarono con complicità e ridacchiarono.

"Dove poteva essere se non qui, la tua Anthea?" Sherlock gli batté la mano sul ginocchio. "Vieni a trovarci spesso, sai che hai una nipote che ti ama da quando ha adocchiato il tuo costoso orologio."

Un luccichio comparve negli occhi azzurri di Sherlock compiaciuto dalla sua famiglia allargata.

"Lo farò, e tu non metterti nei guai. Lasciami portare a cena Antea prima."

Scesero insieme. Mycroft lo raggiunse dal lato opposto. Si fermò, lì nel mezzo del marciapiede, lo guardò dritto in volto. "Posso Lockie? Me lo concedi?"

Sherlock annuì.

Mycroft lo abbracciò come se non volesse più lasciarlo, lui lo ricambiò. Rimasero stretti, con tutto ciò che era rimasto di loro dopo burrasche e tempeste, due respiri vicini, che divennero uno solo.

Anthea li vide e quasi le sfuggì il cellulare dalle mani, gli occhi le divennero lucidi. Era da molto che desiderava la loro vicinanza. Conosceva il dolore di Myc, per l'allontanamento di Sherlock, lo aveva percepito, così come il rapporto difficile con lo zio Rudy.

Spesso Mycroft evitava di parlarne e cambiava in volto. Era accaduto qualcosa, in passato ma lei era paziente e aspettava che fosse lui a parlarne.

Ora forse aveva trovato la pace.

Mycroft si allontanò, il fratello minore lo osservò camminare con aria leggera.

Ora dovevano solo andare avanti, la strada era aperta.

Mycroft si voltò, sollevò la mano nell'aria fresca della sera, e lo salutò. Si avviò con passo deciso dondolando il suo ombrello di marca. Le spalle diritte, lo sguardo sereno. Raggiunse Anthea, felice di rivederla, lo stupore che vide sul suo volto lo fece commuovere.

"Sto bene, non mi hanno rapito." Ridacchiò, lei si ricompose rapidamente.

Lui si fece coraggio. "Vorrei rimanere con te stasera. Ho qualcosa da raccontarti, se vuoi naturalmente."

Anthea annuì incapace di rispondere era senza parole. Salirono in auto. Lei lo studiava, la testa appena abbassata, la mano abbandonata sul sedile. Mycroft allungò la sua e le sfiorò le dita.

"Va tutto bene Andrea." L'aveva chiamata con il suo vero nome. Il suo turbamento fu totale, anche se aspettava da tempo quel segno di affetto.

Mycroft tornò a fissare la strada, la fronte distesa, un sorriso garbato sulle labbra sottili.

Era morto zio Rudy! Sepolto per sempre. Non lo avrebbe più toccato.

Non avrebbe più fatto del male a nessuno.

Nessuno a cui lui volesse bene.

Mai più.

 

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