Com'era la Normandia?

di settembre17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nell'ufficio del Comandante ***
Capitolo 2: *** Davanti a un bicchiere di vino ***
Capitolo 3: *** Davanti a una tazza di cioccolata ***



Capitolo 1
*** Nell'ufficio del Comandante ***


La raccolta si compone di tre capitoli indipendenti uno dall’altro, ma tutti accomunati dalla domanda “Com’era la Normandia?”.
In ciascuno si immagina che André ponga la domanda del titolo in uno specifico momento della storia. I tre momenti sono alternativi, non consecutivi, a riprova del fatto che molto spesso il “quando” si chiede è importante quanto il “che cosa” si chiede.

I tre capitoli sono pronti, ma li pubblicherò a qualche giorno di distanza uno dall’altro per mantenere una certa distanza temporale.

Grazie a tutti quelli che leggeranno e perdonate se scrivo poco di me e delle mie storie: sarà la timidezza, sarà che bastano le storie da sole. Un abbraccio a tutti.

Com'era la Normandia?

 
1. Nell’ufficio del Comandante

Antefatto
 
Quella mattina l’avevano chiamato per un incarico che nessun altro voleva: preparare l’ufficio per il nuovo comandante. Il destino talvolta ha una sua ironia. Ancora una volta avrebbe preparato una stanza per il suo arrivo.
Avevano scelto lui, che era l’ultimo arrivato, e un ragazzo mite pieno di lentiggini; c’erano mobili da spostare e da sistemare, dal momento che il precedente comandante si era portato via la scrivania e una cassapanca appartenute alla sua famiglia dal tempo di Luigi XIII, diceva lui. I tendoni alle enormi finestre erano stati fatti pulire per l’occasione e andavano issati su bastoni che non erano alla portata di alcun inserviente.
Lui aveva assolto a tutti quei compiti con lo zelo del soldato e ignorando volutamente per chi in realtà stesse preparando quella stanza, finché. Finché.
Finché era entrata nell’ufficio una ragazza, -è un’aiutante del sarto della caserma- lo aveva informato il ragazzo con le lentiggini, che aveva salutato con un sorriso timido entrambi. Lui fu immediatamente travolto da quello che lei teneva tra le mani: tutta la sua sicurezza crollò, l’impersonalità di cui aveva rivestito il suo incarico svanì e si sentì per un istante disarmato.
La ragazza portava tra le mani un vaso. Un vaso di rose. Rose bianche e rosse.
Un segno di benvenuto per il nuovo comandante, disse.
In un modo che lo colse di sorpresa, a lui venne da ridere, anche se non c’era niente da ridere. Ma era così, gli venne da ridere e rise di una risata aperta e sonora.
La ragazza non capiva, ma rimase a guardarlo affascinata: non aveva mai visto un soldato così bello.
Poi lui fece una cosa che la fece arrossire e che lei ricordò anche nei giorni seguenti più spesso di quanto avrebbe voluto: la guardò negli occhi con ancora quel sorriso sulle labbra, si avvicinò, le prese il vaso dalle mani con dolcezza e poi con una voce così gentile, ma così gentile, le disse:
- Non credo che il nuovo comandante gradirà. Vieni, portiamole nell’ufficio del colonnello.
Poco più tardi, terminato il lavoro, il ragazzo con le lentiggini osservò l’ufficio dalla porta e disse pensieroso:
- Non sarà troppo… spoglio?
Lui, che non aveva più voglia di ridere, rispose che andava benissimo e poi chiuse la porta.
 
Fatto

- E va bene, fai come ti pare.
Era esausta, voleva solo smettere di discutere.
Lui si avviò alla porta, registrando mentalmente quanto quell’ufficio spoglio spoglio non era ora che lei lo occupava tutto con il suo profumo, con la sua voce, con la sua presenza così cara a lui e così rimpianta nell’ultimo mese, quindi mise una mano sulla maniglia e poi.
E poi pronunciò il nome di lei.
Allora lei capì, le ci volle una frazione di tempo talmente minuscola che gli uomini non hanno ancora trovato l’unità di misura per definirla, capì che quell’uomo di spalle non era più il soldato, ma era lui, quello che aveva avuto al suo fianco per tutta la vita. Riconobbe sé stessa e il suo nome, nudo e senza titoli, pronunciato da lui così tante volte, ma mai con quella morbidezza e guardò le sue spalle e si accorse che si alzavano e si abbassavano lentamente.
Lui stava facendo uno sforzo indicibile per farle una domanda, la domanda che da un mese si era stabilmente acquattata in mezzo ai suoi altri pensieri, la domanda che non voleva assolutamente che a lei sembrasse una provocazione, ma che con urgenza sentiva di doverle, volerle, fare.
E così, con lentezza e con dolore, dopo aver pronunciato il suo nome, stringendo un po’ di più la maniglia della porta, chiese:
- Com’era la Normandia? –

E in un istante lei capì perfettamente che quella non era una provocazione, che quella domanda conteneva mille altre domande tipiche di lui, come è andato il viaggio, sei sempre stata bene, i domestici si sono presi cura di te, e tu hai avuto cura di te, hai mangiato a sufficienza, hanno governato bene il camino della tua stanza, chi si è occupato del tuo cavallo, ma anche che conteneva altre domande tipiche di loro due, ti sei fermata alla solita locanda durante il viaggio, come stavano i bambini dell’oste, hai raccolto conchiglie, e quanti croissant sei riuscita a mangiare uno dopo l’altro, io al terzo mi ero arreso l’anno scorso: troppo burro, ti ricordi, e quante albe, quanti tramonti hai visto, e hai corso sulla spiaggia, hai galoppato a briglie sciolte, e hai messo i piedi nell’oceano, ti ricordi che ci erano venuti i crampi ai polpacci un inverno che l’abbiamo fatto, e la birra alla locanda del villaggio, l’hai bevuta, e mentre capiva, in un istante solo tutto questo, a una velocità di elaborazione di pensieri e ricordi che uno scrittore non può riprodurre sulla pagina, insomma mentre capiva tutto questo le salì un groppo in gola violentissimo e sentì le lacrime pungerle le ciglia e così si voltò verso la finestra dandogli le spalle. E in un altro istante vide la sua immagine riflessa e vide sé stessa, con nome, secondo nome e titolo, e con la nuova uniforme blu, era il primo giorno che la indossava quindi quella figura riflessa le era ancora un po’ estranea, e sentì lo sguardo di quell’ufficiale dell’esercito francese che la osservava e si ricordò, in un istante ancora, chi fosse lei ora, chi avesse deciso di essere, con risolutezza e determinazione, e si ricordò anche che piangere, ancora, davanti a lui, o a chiunque altro, era escluso, non poteva accadere e si ricordò dell’ultima volta che aveva pianto davanti a lui e no, non lo odiò perché in Normandia aveva pensato tanto e no, non lo odiava e non lo voleva punire, ma ora lei era chi aveva deciso di essere e cioè un uomo, anzi, un Comandante e non poteva crollare al suo primo giorno in servizio e quindi con uno dei suoi proverbiali sforzi di autocontrollo, ricacciò giù tutto e, a distanza di due secondi dalla domanda di lui, pronunciò scandendo bene:
- Ventosa –
Lui curvò un po’ di più le spalle e uscì chiudendo la porta senza fare rumore.
 

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Capitolo 2
*** Davanti a un bicchiere di vino ***


2. Davanti a un bicchiere di vino
 
Antefatto
 
Saliva le scale a falcate lunghe e febbrili, la testa svuotata e gli occhi fissi alla porta che avrebbe aperto per sapere se là dentro c’era ancora un padre capace di guardare e parlare, di rimproverare ed elogiare la sua figlia soldato.
Poi entrò e prima ancora che qualcuno dicesse qualcosa capì che l’atmosfera non era quella opprimente della morte, ma era quella del sollievo, del pericolo schivato e crollò a terra, seduta in mezzo alle sue ginocchia, incapace di muoversi e finalmente in lacrime.
Poi aveva visto un fazzoletto davanti ai suoi occhi e attaccata a quel fazzoletto una mano e poi un braccio e poi un uomo che la guardava con un amore davvero troppo grande per lei e riuscì solo a dire grazie. Ma era un grazie grande, già pieno di un amore che lei ancora non aveva capito.
 
Fatto
 
Lui le aveva portato il vino che bevevano insieme la sera dopo cena, al tempo in cui erano amici. Era la prima volta che passavano una serata insieme a casa come prima. Prima di quella sera in cui avevano distrutto tutto.
Ora sembravano capaci di parlare di nuovo e lo scampato pericolo del generale aveva sciolto la tensione anche tra loro. Si respirava un’aria di tregua.
 
Allora lei gli chiese di restare e lui restò.
 
Lei guardò nel bicchiere prima di bere e sentì che quel mese che avevano passato lontani aveva creato un prima e un dopo e che non potevano fingere che così non fosse.
Lui guardò nel bicchiere prima di bere e sentì che quel mese che avevano passato lontani aveva creato un prima e un dopo e che non potevano fingere che così non fosse e sentì che se le cose stavano così la responsabilità era sua. E allora, non sopportando l’idea di fingere con lei una normalità che non c’era e non volendo condannarsi da quel momento in poi ad avere con lei un altro argomento da aggirare e da evitare, dato che gli era già successo in passato e non aver parlato con lei di quello svedese e aver sorvolato su altre cose importanti non era stata una bella idea, prese fiato e guardandola negli occhi pronunciò il suo nome.
Poi fece una pausa e lei, dalla morbida intimità con cui lui aveva pronunciato quelle due sillabe, capì che stavano per inoltrarsi in un territorio pericoloso, ma non lo volle evitare, decisa a non evitare più nulla con quell’uomo che una sera di qualche mese prima non aveva avuto paura di mostrarle il suo cuore inerme e allora si addentrò in quel territorio, sorretta solo dalla luce della sincerità e dalla forza del legame che la univa a lui e che lei ancora non aveva capito come si chiamava.
- Dimmi… che cosa c’è? – gli chiese.
- Com’era la Normandia? –
 
Lei smise di guardare dentro al bicchiere e bevve, poi fece un sospiro, guardò verso la finestra aperta alle spalle di lui e poi disse:
 
- La Normandia era ventosa, ma non è questo che tu vuoi sapere.
In Normandia ho cercato di capire chi sono e che cosa voglio. Quando sono partita ero furente, lo sai. Avrei scalato le più alte montagne, mi sarei messa a correre tra i campi, in effetti ho corso, ho corso così tanto un giorno che alla fine della corsa ho quasi strisciato a terra fino a raggiungere casa.
Ma la verità è che non ho ancora trovato quello che sto cercando.
Ho scalato queste mura di città, solo per stare lontano da te.
Poi ho pensato a quello che credevo di volere quando ero qui: quando volevo baciare labbra, le immaginavo di miele, quando pensavo di poter guarire le mie contraddizioni tra le sue dita e quando a volte il mio desiderio bruciava come il fuoco, un desiderio bruciante.
Ma là, in Normandia, faceva caldo la notte ed io ero fredda come una pietra.
E sai perché? Perché non ho ancora trovato quello che sto cercando.
Poi ho anche pensato al nostro popolo così sofferente e credo che il regno della libertà stia per venire, ma prima di allora ho paura che tutti i colori sanguineranno in uno solo e io…
Ma sì, sto ancora correndo.
E poi ho pensato a te, sempre, troppo. Ma tu…
Sei tu che hai rotto i legami e hai sciolto le catene quando hai strappato quella camicia, o forse le ho sciolte io quando ti ho detto che non avevo più bisogno di te? E tu, intanto che ero in Normandia, che facevi? Hai portato la croce della mia vergogna? Sì… della mia vergogna.
Sto parlando in un modo così sconnesso, riesci a capirmi? Vuoi ancora capirmi? No, non devi rispondermi ora, ma è importante che tu sappia che la Normandia mi è stata utile, ho pensato tanto e non credo di vedere ancora con chiarezza dentro di me. Però ti racconto la mia confusione, perché non voglio aspettare di essere una persona risolta per tornare a parlare con te.
Sono felice e orgogliosa del mio nuovo incarico, davvero. Mi sto impegnando per essere un buon Comandante con tutte le mie energie, questa parte della mia nuova vita sta andando bene e finalmente sento di essere fiera di me.
Ma non ho ancora trovato quello che sto cercando. –
 
Lui aveva ascoltato in silenzio: le sue parole gli facevano male, ma anche bene perché mai lei gli aveva parlato così, mai era stata così limpida e diretta nel parlare di sentimenti. E lui considerò la sua sincerità come il dono più grande che potesse fargli. Allora si alzò e le mise una mano sulla spalla mentre si avviava verso la porta e, senza guardarla, le disse:
- Grazie, ho capito.
Ma lei trattenne quella mano prima che lui la staccasse:
- Aspetta, non ho finito. Di una cosa però sono certa: quello che cerco non è in Normandia. E nemmeno a Versailles.
Lui si commosse, le strinse la mano. Poi le augurò la buonanotte e uscendo chiuse dolcemente la porta.
 
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Il monologo di Oscar è una mia traduzione/rivisitazione/parafrasi/ ampliamento della canzone I still haven’t found what I’m looking for (U2)

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Capitolo 3
*** Davanti a una tazza di cioccolata ***


3. Davanti a una tazza di cioccolata
 
Antefatto
 
In un vicolo puzzolente di un quartiere popolare, scampata alla furia omicida di una folla imbestialita, lei aveva urlato il nome di lui; in preda all’angoscia più nera, alla disperazione più grande, con la testa che le batteva per le percosse subite come una campana schiantata da un violento batacchio, con le gambe che non la reggevano per il tremore che si era impossessato di lei, lei aveva urlato il nome di lui.
Solo pochi mesi prima, con calma olimpica gli aveva detto di ritenersi libero, che lei non lo avrebbe più voluto al suo fianco: ora non riusciva a concepire una simile ipotesi. La sua leggerezza nel liberarsi di lui allora si scontrava ora con l’orrore che succedesse davvero. E che succedesse in modo irrecuperabile e violento, e che fosse per sempre.
Lo immaginò cadavere in mezzo alla strada, senza sguardo, senza voce – quella voce! -, le belle mani senza movimento, la bocca senza respiro. Poi provò a immaginare sé stessa viva e lui no e non ci riuscì.
Così comprese la differenza tra ciò che diceva di volere e ciò che davvero voleva.
 
Fatto

- Vuoi un po’ di cioccolata?
- No, ti ringrazio. Vado a riposare.
La delusione fu grande per lei, ma lo lasciò andare perché non voleva più imporgli la sua volontà o la sua presenza, non voleva dirgli che cosa fare o che cosa lei voleva che lui facesse. Voleva che lui si fermasse perché lo desiderava, non per farle un piacere.
Così restò sola con la sua tazza di cioccolata e la tenne tra le mani, pensierosa ma sorridente e in pace.
 
Poi sentì dei passi e lo vide che appoggiava una tazza di cioccolata poco lontano dalla sua:
- Vuoi fare cambio? La tua sarà quasi fredda ormai. –
Lei sorrise e fece segno di no.
- Sei tornato.
- Sì. Sto bene con te, anche se non parliamo.
- Parliamo, invece. Ti prego, parliamo.
Lui si srotolò la benda dalla testa, gli dava fastidio e la ferita non sanguinava più, e poi si alzò per appoggiarla dall’altro lato del tavolo. Mentre tornava a sedersi fece una piccola smorfia di dolore e si toccò con una mano la spalla opposta, poi si sedette e pronunciò il nome di lei.
Lei sussultò di piacere nel sentirsi chiamare come era sicura che lui non avesse mai chiamato nessun’altra.
Poi lui capì, con l’istinto e non con la ragione, che finalmente poteva osare e farle quella domanda, quella che lo tormentava da mesi, quella che riguardava l’unica porzione di vita che non avevano condiviso e che lui viveva come una mutilazione di sé. Così la guardò e, appena prima di portare la tazza alle labbra, chiese:
- Com’era la Normandia?
 
Lei sorrise, ancora:
- Davvero vuoi parlare della Normandia?
- Sì, non trovo un argomento più interessante di questo.
- La Normandia era… ventosa!
E scoppiò a ridere.
- Grazie, proprio questo volevo sapere!
Rise anche lui.
- Ma, seriamente, che cosa facevi tutto il giorno, tutti quei giorni, da sola?
- Per lo più mi crogiolavo nel mio dolore e ti maledicevo!
- Ti prego non ridere, per me è ancora doloroso.
Lei comprese e lo guardò nel suo unico occhio e poi tenne lo sguardo lì per qualche secondo: lui non si era mai sentito guardato così da lei e comprese che una nuova intimità stava nascendo tra loro. Erano vicini, ma ancora non si toccavano.
 
Allora lei cominciò:
- Com’era la Normandia… Sono arrivata a casa di sera, non chiedermi del viaggio di andata perché non ricordo niente. So solo che ho fatto le solite tappe e che ero triste e arrabbiata. Non ho parlato con nessuno, credo.
- Mi dispiace…
- Non devi dispiacerti, davvero. Poi sono arrivata alla villa, ti dicevo, e tutti si sono sorpresi e hanno iniziato a chiedermi di te. Proprio quello che volevo! Non so se te ne accorgi, ma tu lasci una scia di benevolenza dietro di te, quando pronunciano il tuo nome le persone sorridono ed erano tutti così ansiosi di vederti. Pensavano che mi avresti raggiunto. … Hai mai pensato di farlo?
- No, mai. … L’ho desiderato, ma non l’avrei mai fatto.
- Lo so. … Lo sapevo anche allora. Comunque, anche se non c’eri, ti assicuro che ignorarti è stato impossibile. Volevo fingere che tu non esistessi, ma tu eri ovunque. Sai che l’ultima volta che sono stati lì i miei nipoti hanno preso i nostri libri illustrati di quando eravamo bambini? Li ho trovati sul tavolino nel salotto azzurro, in cima c’era il tuo preferito…
- Il libro sui vascelli inglesi!
- Sì, quello. Ha le pagine consumate. Poi ho aspettato giorni prima di entrare nello studio perché non volevo vedere la nostra collezione di conchiglie. E poi un giorno ho ritrovato in cucina, ma che ci facevano lì?, le nostre spade da allenamento. Un altro giorno pioveva e ho preso dall’appendiabiti un mantello prima di uscire. Quando l’ho indossato mi sono accorta che era il tuo…
- Quello rosso scuro… in effetti è simile al tuo…
- Sì, l’ho indossato comunque perché ormai ero già fuori e non volevo rientrare.
- E dove andavi, sola sotto la pioggia?
- Volevo arrivare fino al relitto sulla spiaggia.
Lui bevve ancora un sorso di cioccolata e intanto immaginò lei avvolta nel suo mantello e sorrise con dolcezza. Lei ricambiò il sorriso e bevve un sorso, ma un po’ tremò.
- Hai un po’ di cioccolata qui, disse lui mostrando il punto sul suo viso per non toccarla. Lei si pulì. Poi scavallò le gambe e nel farlo un suo ginocchio si appoggiò a quello di lui. Lo lasciò lì e proseguì:
- Quando sono arrivata al relitto non pioveva più e si era alzato il vento. Mi sono sentita così sola, non fisicamente sola, ma sola nell’anima. Persino un cane randagio mi ha visto e se ne è andato…
Fece un sospiro e poi aggiunse:
- Adesso devo dirti delle cose, ma tu devi promettermi di non interrompermi, perché è difficile.
Lui allontanò la tazza e la mise vicino alla benda che si era tolto, poi appoggiò la mano non fasciata al tavolo e si preparò ad ascoltare. Lei continuò a giocherellare con la sua tazza facendola girare tra le mani. Allora lui le fermò la mano con la sua, non voleva sentire il rumore della porcellana che batteva contro il piattino. Lei ruotò un po’ la mano allungando le dita sul dorso della mano di lui. Lui non si stupì e accarezzò con lo sguardo le loro mani.
Poi lei proseguì:
- So che tu ti incolpi per quella sera, ma il problema vero, per me, non è mai stato quello che hai fatto. Ero furiosa con te per quello che hai detto. Mi hai messo a nudo con le tue parole, non con quello strappo.
Un giorno sono andata alla scogliera e il mare era una furia: io sola là in alto e sotto di me il mare e la nebbia. Allora mi sono messa a guardare il mare e… E ho provato compassione per quel mare: all’improvviso, mi sembrava così… costretto da quella scogliera. Come se volesse trovare spazio e la scogliera glielo impedisse. E il mare mi sembrava che urlasse, che schiaffeggiasse quella maledetta scogliera. E poi ho immaginato che dall’altra parte del mare ci fosse un’altra scogliera e che il mare si scontrasse anche contro quella e mi sono immaginata questo mare immenso che si agita e urla perché non ha spazio, capisci? Forse avevamo letto qualcosa di simile in una poesia, ora che ci penso, ma la poesia non è importante. Il fatto è che io ero quel mare, capisci?
Strinse un po’ di più la sua mano e non la lasciò.
- E quando sono tornata ero ancora quel mare. Ma ero convinta che il mio nuovo incarico e la mia separazione da te mi avrebbero dato lo spazio di cui avevo bisogno.
Lui abbassò lo sguardo, ma le tenne la mano nella sua. Lei si sporse un po’ con il viso verso di lui e la sua voce, più bassa ma sempre chiara, prese un calore che non aveva mai avuto:
- Quello che voglio dirti, quello che voglio che tu sappia, è che oggi sono ancora quel mare, ma io credo di aver trovato una spiaggia da accarezzare, non scogliere contro cui sbattere. … Ho avuto così paura di perderti, oggi.
Le scese una lacrima ma in fretta si asciugò con la mano libera. Poi con un sorriso disse:
- Ecco, ho finito, ma andrei avanti ancora, solo per restare qui così con te.
- Promettimi che torneremo in Normandia insieme.
- Sì, lo desidero così tanto.
- E galopperemo sulla spiaggia…
- Potremmo usare anche solo un cavallo… se vuoi…
- Lo voglio.
E poi lui la baciò.
 
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Grazie, davvero grazie, per il tempo che avete dedicato a queste strane storie.
Un caro saluto a tutti

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