The power of the heart

di Charly_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***


The power of the heart
 
 
 
I looked at you and you looked at me
I thought of the past, you thought of what could be
 
 
I
 
Tieni gli occhi puntati sull’orizzonte
Elizabeth non ha fatto altro da allora. Ogni singolo giorno, senza mancarne nemmeno uno.
Giorni di attesa, di speranza mista a malinconia, di struggimento, di pensieri che non ne vogliono sapere di fermarsi, di lancette che non c’è modo di far girare più in fretta. Si affaccia alla finestra e osserva l’orizzonte, non importa ci sia sole, vento, pioggia o tempesta. Respira l’aria salmastra a pieni polmoni, sente la brezza sul viso e il caldo che le batte in testa. 
Chiude gli occhi. Vede una nave imponente, Will con la bandana che la porta su quella spiaggia, che al tramonto le dà l’ultimo bacio d’addio, perché l’Olandese Volante deve avere un Capitano, le porge il forziere con dentro il suo cuore e sussurra: è sempre appartenuto a te.
Viene spesso interrotta dalle risate di un bambino che corre sulla spiaggia, una spada di legno in mano, intento a combattere nemici immaginari: capelli color grano, occhi nocciola, quasi dieci anni d’età e un padre che non ha mai visto: Henry Turner. Lui è troppo piccolo per saperlo, ma Elizabeth ne è sicura: Henry l’ha salvata da tutta quella solitudine, da quell’attesa straziante, dalle lacrime silenziose versate sul cuscino quando la nostalgia si fa troppo forte, da domande che respinge a forza, perché le risposte portano ferite brucianti.
 
“Mamma, quando arriva papà? Quando?”
“Presto piccolo mio, tengo il conto dei giorni, ricordi?”
“Non vedo l’ora di conoscerlo! Ma perché non può restare con noi?”
“è il suo dovere.”
 
Elizabeth riesce a rispondere a quelle domande ormai quasi automaticamente, senza calore, senza emozione, come riesce da sola a lavare i piatti, a apparecchiare senza sbagliare numero, a dormire in un letto matrimoniale occupato solo a metà, a riporre i vestiti del marito intonsi nell’armadio.
Si rianima la sera, quando mette a letto Henry, che non si addormenta senza aver prima avere ascoltato le tanto amate storie di pirati.
Lei sorride, ricorda l’infanzia a Port Royal, senza amici, a rubare libri dalla biblioteca della madre defunta alla sua nascita, romanzi pieni d’avventura, di navi, di mari e posti che cerca minuziosamente sulla cartina geografia, la lampada ad olio accesa e lei sotto le coperte, come ogni rifugio inespugnabile da bambina che si rispetti, a leggere di codici d’onore, di imprese indimenticabili, di tesori incommensurabili, di arrembaggi, ogni tipo di scorribanda, lì sotto alle coperte, dove nessuno può vederla.
 
Ci sono cose che Henry non sa. Conosce le storie a memoria, ma non i veri protagonisti. 
Elizabeth teme che il piccolo corra disperatamente in cerca del padre, di un modo per liberarlo, è caparbio e coraggioso, sa che lo farebbe. Non importa il fato, il destino. E lei rimarrebbe di nuovo sola. Così in quelle storie lei si chiama Emily, il marito Henry, proprio come lui, ma Jack Sparrow, lui no. Lui è rimasto intatto e, manco a dirlo, è il personaggio più amato dal figlio.
La madre le narra dell’ammutinamento a Beckett, del saccheggiamento di Nassau, di una nave con le vele nere, di una bussola che non funziona, solo per chi non sa come usarla, di tartarughe marine legate insieme, poi il tesoro maledetto dell’Isla de Muerta, Davey Jones e il Kraken, la Baia dei Relitti e la leggendaria battaglia nel Maelstrom. Henry sa quelle storie a memoria, eppure non si stanca mai di ascoltarle. Finisce sempre con una ninna nanna, ovviamente in stile piratesco.
Elizabeth la canta con voce dolce, esattamente come una sirena farebbe:
 
Il mio nome è Maria
e il mio è un destino amaro
io volevo farmi amare
ed ho perso il mio denaro.
C'è un audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non so niente di quell'uomo
ma ho bisogno del suo amore...
C'è un'audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non conosco il suo nome
ma ho bisogno del suo amore.
Voi fanciulle innamorate
venite tutte qua
l'allegro audace marinaio
un giorno arriverà.
Solo lui può consolare
questo cuore spezzato a metà
il mio audace marinaio
prima o poi arriverà.
C'è un'audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non conosco il suo nome
ma ho bisogno del suo amore.
 
Elizabeth dà un bacio in fronte al piccolo e si appresta a spegnere la lampada a olio.
“Mamma… La bussola di Sparrow punta verso ciò che più si desidera al mondo, vero?”
“Sì tesoro.”
“Allora… Perché l’ago con Emily puntò verso di lui quella volta sulla Perla Nera?”
“No amore, devi esserti confuso, dormi ora.”
“Ma…”
“Dormi, mamma è molto stanca.”
 
Elizabeth esce dalla porta di casa, si siede sulla sabbia, la lascia scorrere tra le mani.
Davanti a lei solo un mare calmo e il cielo pieno di stelle. E quella stilettata al cuore che la prende ogni volta che meno se l’aspetta. Che la sorprende, proprio come sapeva fare lui.
Stringe forte in mano il suo pezzo da otto che porta sempre con sé, Regina dei Pirati l’aveva nominata, contro il parere di tutti. Guardandola negli occhi, quei maledetti tizzoni ardenti ornati dal kajal, il sorriso sardonico di chi la sa sempre più lunga, la risata piena, le labbra che indugiano sull’ennesima bottiglia di rhum, quelle labbra che lei ha assaggiato. Un sapore di sale, di liquore dolciastro, di libertà. Quella che non le smetteva mai di ricordarle. Quella che più le manca.
Piratessa
 
L’orizzonte non si vede, nessuna nave, nessun verde baleno, Elizabeth nel buio può permettersi che due lacrime calde le righino il volto, mordendosi il labbro perché non ne scendano altre, perché sa che non sono per chi dovrebbe piangere. Sanno di dubbio, di eterna solitudine, di promesse troppo grandi, di castigo, di un fato ingiusto. Soprattutto, e questo la distrugge più di ogni altra cosa, sanno di quel viso cotto dal sole che non vede da quasi dieci anni. Non è mai venuto a trovarmi. Nemmeno una volta. Si ritrova a pensare. Si torce le mani, ringraziando di non poter avere accesso quella maledetta bussola, perché ha paura di dove punterebbe. Verso l’orizzonte probabilmente. Ma non per il motivo giusto.
D’impeto, si alza in piedi, si spoglia completamente dei pochi indumenti che indossa e corre verso quel mare insopportabilmente calmo e piatto. Si tuffa, continua a immergersi e tornare in superficie, scostando i lunghi capelli dagli occhi, sentendo il sale sulla pelle, sperando che quell’acqua porti via quei pensieri tumultuosi, quelle domande che procurano ferite.
Esce solo quando si sente la pelle d’oca addosso e vede le piaghe sulle dita. 
Raccoglie i vestiti, si dirige in casa, si asciuga cercando di togliere il sale come può, indossa la veste da notte e, come ogni volta, si stende su quel letto vuoto a metà, abbraccia forte il cuscino e si addormenta.
Nemmeno i sogni sono clementi con lei: è sulla Perla, di nuovo piratessa, di nuovo libera, perché è questo che si sente e non una casalinga che aspetta a casa il marito e lui lo sa, l’ha sempre saputo, ha anche cercato di farglielo capire. Più volte. 
Lo vede, al timone, a scrutare il mare, gli corre incontro, il cuore che batte come un tamburo, dimenticandosi dei sogni giovanili della sposina che finisce col miglior amico d’infanzia, lui si volta, quel sorriso sornione riconoscibile tra mille. Bentornata Dice soltanto.
La bacia, come l’avesse fatto per una vita intera, come un amante esperto e di lunga data.
Lei sente le guance tingersi di porpora, gli cinge il collo con entrambe le braccia, lo bacia fino a che le manca il respiro, come non ha potuto fare l’ultima volta. L’unica volta.
Lui poi la osserva, ha un’espressione strana, gli occhi ridotti a fessura: 
“Il suo cuore è ancora con te, vero?” Raggelandole il sangue nelle vene.
Elizabeth si sveglia. Si volta e quel che vede è solo un lenzuolo bianco. Lo stridio dei gabbiani fuori e il sole che filtra tra le tende. Henry arriva assonato, la spada inseparabile e l’orsetto di pezza ormai logoro, ma cui è affezionatissimo. Si accoccola vicino a lei. 
“Ho fatto un brutto sogno” mormora con voce tremante. “Papà non tornava”.
Ed Elizabeth non ha cuore di dirle “Anch’io.” Perché Will non c’entra niente.
Lo stringe forte a sé, gli accarezza i capelli, mordendosi forte il labbro, perché di giorno c’è l’orizzonte e le lacrime non possono uscire. Soprattutto per due tizzoni ardenti.

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Capitolo 2
*** II ***


II
 
Oh mannaggia! Sibila piano il Capitano della Perla Nera nelle sue stanze. 
Di nuovo colpa di quella stupida “bussola che non funziona”.
L’ago gira e rigira. Avanti e indietro, incessantemente, procurandogli un moto di stizza e la voglia di gettarla lontano in fondo all’oceano.
Prende l’ennesimo sorso di rhum, lascia che quel liquido dolciastro gli scivoli giù per la gola, a bruciargli nello stomaco, a intorpidirgli i sensi. Ma c’è sempre bisogno di più rhum ultimamente, per il Capitano non è mai abbastanza e non è solo perché il rhum finisce sempre.
Perché la bussola non mente mai. E, quando finalmente l’ago termina la sua corsa, quasi a seguire i turbinosi pensieri di Jack, punta in una direzione precisa.
E il pirata sa che, se seguisse quella rotta, giungerebbe a un piccolo atollo sperduto, apparentemente disabitato, se non per lei.
Lei dai lunghi capelli dorati, i penetranti occhi castani, il fisico minuto e perfettamente scolpito, quel neo sopra l’occhio, tra la palpebra e il sopracciglio, che puntualmente si alza quando è in disaccordo su qualcosa e poi le labbra, Dio, quelle labbra, morbide e piene che le fanno il volto corrucciato, salvo aprirsi in un sorriso dai denti bianchi, non perfetti, ma meravigliosi, perché è il suo sorriso. Elizabeth. La donna che sotto i suoi occhi, con una certa sensazione di orgoglio, ha visto evolversi nel suo vero essere, da ragazzina altolocata a piratessa tenace e combattiva. Egoista, persino. 
Proprio quella volta, l’unica volta, che lei l’ha baciato, un bacio impetuoso e senza traccia d’innocenza, profondo e peccaminoso, così bello da perdonarle persino la sua consegna al Kraken, con lei che fugge con le lacrime agli occhi, incapace di ammettere che lui, sì lui e non Will Turner, ha sempre avuto ragione su di lei.
Più di chiunque altro.
 
Jack non se l’è mai sentita di andare a trovarla. Vigliacco pensa. Altro che brav’uomo come l’ha sempre tenacemente definito lei. Lei che sapeva tirar fuori il suo meglio, come affrontare i guai a testa alta, sacrificarsi per qualcun altro, salvando Will da morte certa, seppur relegandolo a un’immortalità il cui dovere non ha una fine. 
Si fa tante domande su quei quasi dieci anni di lei in completa solitudine. Come sta, se è ancora più bella di come se la ricorda, se si sente sola, se la notte piange nell’oscurità, se le manca l’oceano, la libertà di cui avevano chiacchierato attorno a un falò, soli e abbandonati su quell’isola.
Se ogni tanto, anche solo per sbaglio, nella sua testa parte un guizzo, un lampo, e si ricorda di lui. 
E quel ricordo, magari, le strappa un sorriso. Se lo sogna, come a lui capita a volte.
Quella bussola risponderebbe a ogni sua domanda. Ma Jack non sa se è abbastanza coraggioso, non senza di lei. Allora la ripone, beve altro rhum e si appoggia mollemente nel letto, addormentandosi in un sonno drogato dall’alcool e che non lascia spazio ai sogni.
 
Tortuga. Se ogni città fosse come questa, non ci sarebbe uomo infelice per amore.
Jack, dopo l’esperienza del viaggio alla ricerca della Fonte della Giovinezza, dopo la morte di Barbanera e il suo commiato da Angelica, l’unica fino a quel momento ad avergli procurato una qualche forma di gradimento meno fugace del solito, si è limitato a razzie, arrembaggi, qualche tesoro facile da recuperare, ma tutto ben lontano dalle sue leggendarie imprese di onesta pirateria, quelle folli avventure da far girare di bocca in bocca, magari in diverse versioni, sempre tutte vere.
La ciurma se n’è accorta, ma non ha coraggio di dir nulla. Persino Gibbs non sa trovare le parole, perché quando gli chiede cos’ha, siano sulla nave o in una qualche locanda a scolare rhum, gli occhi di Jack perdono la solita scintilla di lucida follia, guardano verso i suoi stivali e dice solo: “Niente. Serve altro rhum.” E si allontana.
E Gibbs non sa che fare o controbattere, perché è un bel po’ che i guai non sono più alla ricerca del suo Capitano, rendendo alla ciurma una placida tranquillità e un guadagno sicuro. Eppure è così strana la normalità sulla Perla Nera, col Capitano persino svogliato al timone, a dare ordini, quasi sia da un’altra parte. Danno la colpa al sole che batte loro in testa, a tutto il rhum che si scola, a lui che in fondo è sempre sembrato un po’ tocco, strano perlomeno, pur nei suoi innegabili momenti di genialità che li ha salvati tutti più volte da situazioni impossibili.
 
Jack è in uno dei bordelli che è solito frequentare. Vede le stesse facce troppo truccate, gli stessi corpi che ben conosce, i vestiti sgualciti.
Si tasta le monete nella tasca dei pantaloni.
Sta quasi per andarsene, poi la vede, il suo cuore si ferma per un istante, deglutisce rumorosamente.
Non l’ha mai vista lì dentro, di questo ne è certo. Dev’essere alle prime armi per quei posti, se ne sta quasi in disparte, a torcersi le mani impaurita, incapace di offrirsi a quella masnada di uomini ubriachi e allo stesso tempo di arginarli. Ha un trucco più leggero delle altre, i capelli biondo cenere raccolti in una treccia, gli occhi nocciola, le labbra piene truccate di rosso vermiglio che forse normalmente non porterebbe, il corpo esile coperto da un vestito bianco, evanescente come una nuvola, a intravedere le sue piccole forme perfette. Assomiglia così tanto a lei, troppo.
 
Jack le si avvicina, la prende per mano e delicatamente la porta lontano da tutto quel rumore.
Si ferma sulla scalinata che porta alle camere. La guarda e le dice: “Quanto vuoi per tutta la notte?” Lei esita, gli occhi da cerbiatta spaventata.
“Non ti farò del male. E non farò nulla che tu non voglia.” Continua, accarezzandole appena una guancia.
Lei, rassicurata da quell’uomo sgangherato eppure così gentile, gli dice la cifra e, un po’ più sicura, lo porta verso le camere.
“Come ti chiami?” Gli chiede lui, mentre sono seduti sul letto, già semisvestiti.
Lei sobbalza a quella domanda, non è abituata certo a finezze del genere. “Josephine” dice, accennando un sorriso. “Tu?”
“Jack, mi chiamo Jack” risponde lui, sentendosi uno stupido.
Non è lei, sa che non la è, lo sa perfettamente, ma una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco lo colpisce comunque.
E il problema è che vorrebbe così tanto che lo fosse. 
“Che c’è?”
“Nulla, mi ricordi tanto una ragazza. Ma è molto, molto lontana da qui ora.”
“Vuoi che sia lei per una notte?” Dille di sì.
“No, affatto. Voglio te.”
“Mi hai fatto venire in mente una canzone, posso? Dopo giuro che…”
“Non ho fretta dolcezza. Canta per me.”
 
Il mio nome è Maria
e il mio è un destino amaro
io volevo farmi amare
ed ho perso il mio denaro.
C'è un audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non so niente di quell'uomo
ma ho bisogno del suo amore...
C'è un'audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non conosco il suo nome
ma ho bisogno del suo amore.
Voi fanciulle innamorate
venite tutte qua
l'allegro audace marinaio
un giorno arriverà.
Solo lui può consolare
questo cuore spezzato a metà
il mio audace marinaio
prima o poi arriverà.
C'è un'audace marinaio
che attendo dentro al cuore
non conosco il suo nome
ma ho bisogno del suo amore.
 
“Siete per caso una sirena?”
“No, ma tu mi sembri un allegro e audace marinaio.”
Jack sorride, sardonico. “A volte sì tesoro, a volte sì.”
 
Si spogliano definitivamente, lei è davvero bella, dalla pelle candida e fresca, Jack è improvvisamente desideroso e smanioso, lascia libero l’animale che c’è dentro di lui e la tocca, la bacia, la lecca, e lei fa altrettanto, ansiti, gemiti e umori si mescolano tra loro, più di una volta quella notte, in quel letto a baldacchino dalle tende consunte e la fioca luce delle lampade a olio.
“Tutto bene?” Gli chiede, una volta che i loro corpi sono troppo sfiniti per continuare.
“Sì. Se solo tutti i clienti fossero gentili come te.” Mormora con voce triste.
“Hai pagato per tutta la notte, perché?”
“… Perché mi sento solo. Te la senti di dormire con me?” Jack pronuncia quella frase senza guardarla, come se venisse da un altro, un ghigno sul viso, si è ritrovato a confidare i suoi segreti a una prostituta di un qualsiasi bordello di Tortuga e che probabilmente non rivedrà mai più.
Lei, un po’ stupita, acconsente. Si accoccolano sotto le lenzuola, ancora nudi, entrambi su un fianco, ma senza guardarsi negli occhi.
“Come si chiama... Quella donna?”
Dopo un lungo silenzio: “Non me lo ricordo più.” Mormora Jack, senza emozione eppure fermo, come a far chiaramente intendere che la conversazione non avrà un seguito.
“Buonanotte, Jack.”
“Buonanotte, tesoro.” 
Con una punta di vergogna, si rende conto di non ricordare neppure il suo nome.

 

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Capitolo 3
*** III ***


III
 
È una notte placida con il mare calmo e il cielo trapuntato di stelle quella che vede il capitano Jack Sparrow a comando della Perla Nera, unico uomo presente sul ponte. Il pirata accarezza il legno del timone della sua amata nave, l’unica che abbia mai sentito sua da sempre, per cui ha tanto lottato, inseguendone il tortuoso percorso, fino a riconquistarla.
È il momento che in assoluto preferisce: gli uomini a dormire sottocoperta, mentre lui, passero notturno, rimane a osservare le costellazioni e a tagliare come una lama quella distesa d’acqua, in totale silenzio, se non per il suo pensare ad alta voce.
Sì, Jack parla con la Perla, o perlomeno gli piace pensare che sia così, come se la polena prendesse vita e sembianze di una donna tanto misteriosa quanto irresistibile, cui lui è sempre stato devoto e fedele, come mai è capitato per altre in carne e ossa.
Il pirata apre ancora una volta la sua bussola, guarda l’ago impazzire girando vorticosamente, fino a rallentare la sua corsa, indicando un punto al di là dell’orizzonte.
Sospira alzando gli occhi al cielo: mannaggia sibila a denti stretti, soffocando l’istinto di lanciare quell’arnese infernale in fondo all’Oceano.
“Come dici mia cara? Devo seguire la rotta?” Mormora, col tono suadente di un amante.
“Ma è quella rotta” Continua, stringendo più forte le mani sul timone.
Ecco che una voce maliziosa si fa strada nella sua testa: Curiosità.
La sua mente ritorna a quella conversazione avuta con Elizabeth, ventilandole persino la possibilità di sposarla, un giorno, chiaramente tradito dal rhum in corpo.
Perché io e te siamo uguali. Jack lo pensa davvero: se si concentra, riesce a vederla lì a fianco a lui, un sorriso radioso stampato sul volto, i lunghi capelli biondi lasciati sciolti in balia del vento, la pelle che ha odore di sole e salsedine, poi gli occhi: in quegli occhi ha visto fame. Fame di avventura e di libertà, di essere anche lei un passero che solca il mare, senza padroni, senza legami, senza obblighi, senza regole se non quelle dettate dalla propria coscienza.
Elizabeth, dal canto suo, l’ha sempre definito un brav’uomo e, in effetti, con lei vicino ha sempre agito in maniera fastidiosamente altruista per i suoi gusti, per quelli di un qualsiasi pirata degno di nome perlomeno. Eppure, l’approvazione e riconoscenza della ragazza ha scoperto essere per lui più importanti di qualsiasi Codice, etica o morale. Non che lui ne abbia mai avute molte.
“Ah al diavolo!” Finisce per dirsi, riaprendo quella maledetta bussola, con l’intenzione di darle ascolto questa volta.
“E sia! Portami all’orizzonte!” Sussurra alla Perla.
Una visita di cortesia alla signora Turner dopo dieci anni non oltraggerà la sua figura.
Vorrai sapere quale gusto ha
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Jack ha detto alla ciurma che hanno un appuntamento con una vecchia conoscenza, di cui tuttavia non rivela il nome. Scende da solo su quella spiaggia candida e incontaminata, la bussola stretta nella mano destra. Si sta guardando intorno quando intravvede un bambino che indossa un piccolo tricorno e impugna una spada giocattolo.
“Ehi!” Lo richiama facendogli segno con la mano di avvicinarsi, il piccolo non esita ad andargli incontro, affascinato da quello sconosciuto venuto dal mare.
“Buongiorno signore! Chi siete? Un pirata?” Mormora Henry speranzoso con gli occhi spalancati dall’eccitazione.
“Molto perspicace figliolo! Io sono il Capitano Jack Sparrow!” Gli risponde quello, togliendosi il cappello ed esibendosi in uno scenografico inchino.
“CAPITAN JACK SPARROW?” Urla il ragazzino, gli occhi sbarrati.
“Conosci il mio nome?” Mormora il pirata, non senza un certo compiacimento.
“Mia mamma racconta sempre di voi!” Una donna quindi. Il compiacimento è ancora maggiore.
“Qual è il tuo nome ragazzo?”
“Henry Turner!” Turner? Ha sentito bene? Le sopracciglia di Jack spariscono sotto la bandana per lo stupore e la bocca forma una “o” aperta.
“… E quello di tua madre?”
“Elizabeth Swann! Moglie di William Turner!” Mannaggia. Quindi quell’eunuco di Turner ha persino procreato! Notevole…
“…Mi porteresti da lei, di grazia?” Mormora in tono suadente e apparentemente disinteressato.
“Certo! Seguitemi!” Esclama Henry, entusiasta di quella visita e di portare a casa sua un capitano pirata, anzi, il capitano pirata per eccellenza!
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Elizabeth sta facendo le faccende di casa e si sta chiedendo quando Henry tornerà a casa, perché non manca molto prima del buio e lei deve preparare la cena, quando sente la sua voce squillante da dietro la porta accompagnata da un bussare insistente. “Mamma! Mamma! C’è una sorpresa per te! Apri la porta!” Elizabeth sorride tra sé, pensa che Henry abbia di nuovo catturato qualche animale sulla spiaggia o raccolto dei fiori per lei, quindi apre la porta e…
“È il Capitano Jack Sparrow!” Esclama entusiasta il bambino e, dietro di lui, appare una figura dinoccolata dalla postura buffa, l’aria un po’ stralunata, il viso cotto dal sole, gli occhi penetranti e il sorriso sardonico che la guarda e le dice: “Come va Lizzie?”
“Jack…” Esala lei e, per un attimo, crede che sia un sogno o che sverrà come la prima volta che si sono conosciuti, quando lui si era tuffato senza esitazioni per salvarla dall’annegamento e le aveva aperto il corsetto con un coltello, facendole sputare l’acqua accidentalmente inghiottita.
“Jack! Sei proprio tu!” Esclama infine, la bocca che si apre in una risata gioiosa, mentre corre ad abbracciarlo.
Il pirata non si aspettava un gesto così spontaneo e lì per lì sobbalza lievemente al suo tocco e rimane rigido con le braccia penzoloni per poi, alla fine, ricambiare l’abbraccio. Sente il profumo dei suoi capelli. Restano così per un po’, mentre quasi dieci anni di lontananza si sgretolano tutti in quel contatto così raro tra loro eppure familiare.
“Sei sempre uguale… Fonte della giovinezza?” Chiede poi lei ridacchiando, prendendolo vagamente in giro, ma non si stupirebbe se la risposta fosse affermativa.
“Complicazioni sono sopraggiunte, ma non è ancora detto che abbia abbandonato quei piani…”
La prende tra le braccia facendola sobbalzare a sua volta e si esibisce in un casquet da ballerino consumato.
“E tu sei sempre incantevole…”
“… Il solito adulatore.”
Ribatte lei ridacchiando ancora, un po’ imbarazzata da quegli occhi così sfacciatamente piantati nei suoi, il sorriso sghembo così affascinante. Elizabeth sta per chiedergli cosa ci fa da quelle parti – allora non mi ha dimenticata – ma la conversazione viene interrotta da Henry che chiede se Jack possa restare a cena e, senza aspettare una risposta, corre ad apparecchiare la tavola per tre, un numero così insolito per quella casa.
La serata viene monopolizzata dal piccolo, entusiasta per quella visita così inaspettata e che sua madre conosca il vero Capitan Jack Sparrow. Jack dal canto suo non si tira indietro e racconta con il suo solito modo affabulatorio e sgangherato le proprie avventure e si sente ancora più orgoglioso quando scopre che Henry le conosce alla perfezione, complici i racconti di lei.
Il bambino è ancora troppo innocente per notare le occhiate furtive che i due si scambiano, lui più spudorato, irretito dalla sua bellezza rimasta intatta, anzi, con un tocco di maturità datole dagli anni e dall’essere madre che la rendono ancora più affascinante della ragazza acerba che aveva conosciuto, lei più timorosa, perché il suo sguardo la fa sentire nuda e batterle il cuore troppo forte per le circostanze. Il tempo corre veloce ed Elizabeth deve metterci del bello e del buono per convincere Henry ad andare a dormire, non prima di strappare la promessa a Jack di un duello con la sua spada di legno.
Una volta rimasti soli, il pirata la invita ad una passeggiata sulla spiaggia in riva al mare. All’inizio prevale il silenzio, c’è un certo imbarazzo, perché nessuno dei due ricorda l’ultima volta che sono rimasti soli a parlare. Entrambi hanno mille domande che frullano nelle loro teste, ma nessuno dei due trova il coraggio di cominciare.
“… Non ho mai visto Henry così felice, era così entusiasta all’idea di conoscerti! Non ci poteva credere!” Dice infine Elizabeth sorridendo.
“Tu pensa, ti ho conosciuta praticamente in fasce e ti ritrovo non solo sposata, ma anche con un pargolo! Sei una mamma, Elizabeth! Un’avventura decisamente per persone coraggiose e audaci, seconda forse solo al matrimonio!”
“Un’avventura che tu non hai alcuna intenzione di percorrere!”
“Diciamo che preferisco bottini ben più sicuri e meno capricciosi…”
“Sei sempre il solito!”
“Però lo dici come se apprezzassi, o sbaglio?”
Elizabeth china il capo, perché teme che, nonostante l’oscurità, lui noti che è arrossita.
“E William? Quando torna dal suo compito di traghettatore di anime?”
“Questione di mesi, Henry non vede l’ora…”
“E tu?” L’interrompe Jack.
“… Sì. Sì certo!” Elizabeth si maledice per aver esitato in quella risposta.
“Non era questo che immaginavo per te…” Mormora lui, guardando il mare e la Perla in lontananza.
“Cosa intendi dire?”
“Che una piratessa fino al midollo, Regina da me stesso eletta, meritava una sua nave, il mare sconfinato e mille avventure, invece…”
“Credimi Jack, è stata un’avventura anche crescere un figlio da sola per quasi dieci anni su quest’isola senza Will accanto…”
“Non ne dubito, solo… Dura eh?”
“… Sì.” Sospira alla fine lei, senza riuscire a guardarlo. “Mi sono sentita molto sola”.
“Mi dispiace, in fondo ti ho condannato io a questo destino…”
“Non dirlo neanche per scherzo Jack. Hai salvato Will da morte certa, non ti sarò mai riconoscente abbastanza per questo. Sei stato molto coraggioso…”
“O vigliacco… Impressionante quanto spesso questi due tratti coincidano…”
“Se anche fosse, grazie lo stesso, davvero. L’ho sempre sostenuto che sei un brav’uomo…”
“Condannare un uomo a un destino del genere e la sua amata a un’eterna solitudine mi rende un brav’uomo? Hai sempre avuto una strana visione delle cose ragazza…”
“Sei tu che non vuoi vedere la parte migliore di te, ma alla fine sei sempre riuscito a tirarla fuori…”
“E a che prezzo… Intrappolato nello scrigno di Davey Jones!” Ecco. Erano arrivati a un punto di non ritorno. Non ne avevano mai più parlato da quando era successo.
“Jack, lo sai… Era l’unico modo…” Comincia stancamente Elizabeth.
“Oh no gioia, decisamente quel bacio non era l’unico modo!” Risponde piccato lui. ”Tu mi desideravi! L’ho sentito! Volevi provare a fare qualcosa solo per te stessa…”
“Lo sai quanto mi sono sentita in colpa dopo, non ho esitato a venirti a salvare…”
“Non mi hai mai detto cosa ne pensava del nostro tête-à-tête il tuo caro William…”
“Adesso smettila, è acqua passata!”
“La fai facile tu! Hai avuto la botte piena e la moglie ubriaca come si suol dire…”
Lo schiaffo di Elizabeth è così fulmineo che Jack non lo vede nemmeno arrivare, lei barcolla per il contraccolpo, fregandosi la mano dolente, una rabbia crescente in petto.
“Facile? Facile?! Hai il coraggio di dire che la mia vita in questi ultimi anni è stata facile?! Che ne sai, tu, sempre a zonzo a fare razzie con la tua nave e la ciurma a seguito e chissà quante notti passate a Tortuga a divertirti, a ubriacarti di rhum… Che ne sai delle mille ansie di una madre sola, della solitudine sfiancante, degli incubi ogni notte nel terrore che Will non tornasse… Non sai niente di me Jack Sparrow, non sono più la ragazzina che hai conosciuto, perciò taci! Non mi farò certo fare la morale da te per un gesto di dieci anni fa!” Trema da capo a piedi, la voce rotta dalle lacrime che minacciano di uscire, cosa che mai vorrebbe, non davanti a lui, per cui si sfrega violentemente gli occhi per impedirlo, respirando a fondo tra i denti.
Jack ha ancora la mano appoggiata sulla guancia bruciante, gli occhi bassi e un profondo senso di vergogna e rimorso.
Ha decisamente esagerato. Si risente per un bacio come una ragazzina qualsiasi! Eppure sì, anche se non l’ha mai ammesso, quel gesto l’ha ferito… O peggio, gli è dannatamente piaciuto. “Scusa…” Borbotta. “Mi dispiace. Non intendevo farti del male.”
“Che sei venuto a fare Jack Sparrow?” Sbotta lei in risposta, le braccia spalancate e gli occhi al cielo.
“Dimmelo tu, perché io non lo capisco.” Dopo un silenzio che pare interminabile, Jack riprende la parola: “Volevo… Vedere come te la cavavi. E scopro che lo fai egregiamente, non che avessi grandi dubbi… Sei sempre stata più forte di me.”
“E hai ragione… Non sei più la ragazzina petulante, confusa e scostante che ho conosciuto su un’isola come questa davanti a un falò… Sei diventata una donna meravigliosa. E, se posso, sei ancora più bella di come ti ho lasciata.” Mormora poi, guardandosi la punta degli stivali per tutto il tempo, il tricorno ben calato sugli occhi. Non è certo abituato a discorsi del genere, anzi, per i suoi standard è stato dannatamente sincero, cosa che ammorbidisce Elizabeth perché sa quanta fatica gli costi.
“E tu invece sei il solito pirata smargiasso, bugiardo e irritante che mi fa infuriare… Salvo poi saltare fuori con frasi del genere da vero gentiluomo. Sei un bell’enigma, Jack Sparrow.”
“E lo adori.”
“Sembri molto sicuro…”
“Oh sì, non riesci a resistere… Ricorda: siamo molto più simili di quanto pensi…”
“Ecco che ricominci con la solita storia…”
“Ne sono convinto. Due gocce d’acqua, tesoro.”
“Sei incorreggibile!”
“Oh e non hai ancora visto niente…” E così dicendo, prima che Elizabeth se ne renda conto, Jack l’ha presa in braccio e sta correndo verso l’acqua.
“Jack! No! Non… Non oseresti!” Osa invece. Ben presto sono entrambi zuppi, a spintonarsi l’uno con l’altro come due bambini, ridendo e spruzzando tutt’intorno. È bello rivederla sorridere, lo conforta. Si avvicinano sempre di più, finché si ritrovano a pochi respiri l’uno dall’altra, le mani impegnate in una lotta svogliata, mentre la luce della luna illumina il volto di Elizabeth, i capelli bagnati, i vestiti umidi che fanno intravedere le sue piccole forme perfette. Jack sente il respiro mancargli a quella visione e una potente ondata di desiderio impadronirsi di lui, mentre i loro occhi sono come incatenati da una forza invisibile.
“Elizabeth…” Sussurra, con un tono così sensuale che lei non può impedirsi di rabbrividire. Come a rallentatore, porta le dita ingioiellate a toccarle le labbra, avvicinandosi inesorabilmente, e sicuramente la bacerebbe, se non fosse che lei lo respinge con un “No.” secco, uscendo dall’acqua e sedendosi sulla sabbia, scura in volto.
“Dimmi che non lo vuoi anche tu…”
“Non lo voglio.”
“Perché non ti credo?”
“Perché sei obnubilato dal tuo desiderio, ma se sei venuto qui per irretirmi come una ragazzina ingenua bastava che pagassi una qualsiasi a Tortuga…”
“Non è la stessa cosa… Loro non le desidero come mi succede… Ora, con te.”
“Mi sedurresti sapendo che Will è là fuori che attende da dieci anni di rivedermi?”
“Solo perché non ti vedo felice Elizabeth, se mai in trappola.”
“Ti sbagli, ho scelto il mio destino e ne sono felice. Ho fatto la cosa giusta.”
“Ma non sempre la cosa giusta e quella che ci rende felici coincidono! Vieni con me!”
“Ma quanto rhum ti scoli ultimamente? Ti è andato di volta il cervello?”
“Sono serio. Non posso sopportare di saperti qui sola, bloccata su un’isola sperduta. Tu aneli la libertà, il vento tra i capelli, l’odore di salsedine, il ponte di una nave, lo so, non puoi negarlo che ti manca!”
“Sì, mi manca…” sussurra infine Elizabeth, quasi impaurita di dirlo ad alta voce.
“Allora vieni… Un’ultima avventura prima del ritorno del tuo amato William…”
“E Henry?”
“Semplice, verrà con noi! Ne sarà entusiasta e ho giusto bisogno di un mozzo svelto sulle sartie a far da vedetta…” È una proposta così allettante e insperata che Elizabeth non sa come rifiutare. Non vuole rifiutare.
“… Posso pensarci fino a domattina?” Mormora infine.
“Certamente!”
“E mi prometti che non insisterai nello starmi troppo intorno?”
“Diciamo che farò del mio meglio perché il brav’uomo da te tanto decantato prevalga, ma non posso assicurartelo… Pirata!”
“Buonanotte Lizzie.” Mormora poi, dandogli un bacio sulla fronte con le labbra calde, per poi voltarsi e incamminarsi verso la Perla. Lei ringrazia perché non può vedere, con suo sommo compiacimento, che è arrossita per l’ennesima volta.
“Buonanotte Jack.” Mormora infine al mare, stringendosi le braccia attorno al petto rabbrividendo di freddo, incamminandosi verso casa, la testa che è un turbine di pensieri.
 
The Author's corner: rieccomi qua, contro ogni previsione. Semplicemente, non ero convinta che questi due si fossero ancora detti tutto. Non per me, almeno. Non garantisco continuità, ma almeno un tentativo nel costruire una long - la mia prima! - voglio farlo.
E chissà dove ci porterà stavolta il mare... Se qualcuno , in questi mari ormai poco frequentati, passasse e lasciasse una recensione sarebbe di enorme stimolo per me. E comunque scrivere di Jack è tanto difficile quanto stimolante e mi fa accorgere ti come sia innamorata di questo personaggio come il primo giorno. Non che Elizabeth sia da meno. Al prossimo capitolo! Yo oh!
 

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Capitolo 4
*** IV ***


Dopo una notte insonne a pensare al da farsi, Elizabeth sveglia Henry all’alba, proponendogli di salpare insieme a Jack per un po’.
Si è già immaginata dubbi e perplessità, persino paura, da parte del figlio, o forse ci sperava; invece, l’unica frase che lo sente pronunciare è: “Quando si parte? Hai già preparato la mia roba?” Saltando con un balzo giù dal letto, l’entusiasmo infantile di chi sa che sta per partire per un’avventura. Jack, dal canto suo, li accoglie con sincero entusiasmo, presentandoli a tutta la ciurma. Alcuni di loro la riconoscono con grande stupore, salvo poi urlare di gioia e accapigliarsi per salutarla: Gibbs l’abbraccia stretta sussurrandole “Bentornata, Regina” all’orecchio, Cotton le fa un inchino ossequioso e Marty riesce persino a rimediare un bacio sul capo, arrossendo visibilmente. Elizabeth è meravigliata e anche un po’ in imbarazzo per tutto quell’affetto; tuttavia, quel calore burbero e sincero le scalda il cuore, quasi la commuove, dopo tanto tempo in solitudine. Nessuno protesta per la presenza di una donna e di un bambino a bordo, chi naviga col Capitano Sparrow è ormai abituato a ogni stranezza e a non mostrarsi troppo superstizioso.
Jack, decisamente più euforico del solito, non è ben chiaro se per la situazione o per la solita dose giornaliera di rhum, mostra loro la propria cabina, poco distante dalla sua, dove Elizabeth e Henry potranno tranquillamente alloggiare lontano dal chiasso della ciurma. Sul letto, che condivideranno, ci sono già abiti maschili per entrambi, robusti e comodi, anche se lisi dal tempo e dalle intemperie.
La giovane non esita a lasciare il proprio vestito da tutti i giorni per infilarsi pantaloni – da quando non ne porta un paio? – camicia, gilet, stivali e un tricorno, sicuramente appartenuto in passato a Jack. I capelli li ha già comodamente legati in una treccia.
“Mamma, sembri un maschio!” Esclama sorpreso Henry, facendola ridere. Il piccolo ha un aspetto buffo: i vestiti gli stanno larghi e il cappello che indossa con fiero cipiglio gli cade continuamente sugli occhi. Mentre cerca di dargli amorevolmente una sistemata, cercando una cintura, Elizabeth si intravvede in uno specchio impolverato e ha un sussulto. Da quanto tempo non è più abituata a vedersi a quel modo? A pensarsi a quel modo?

- Chissà cosa direbbe Will - Il pensiero le attraversa la mente pungente come uno spillo.

Già, Will. Il marito è stata la postilla dell’accordo con Jack. Qualunque cosa accada, ha fatto solennemente promettere al pirata di riportarli a casa in tempo per il suo ritorno, su questo è stata irremovibile. Lui, d’altro canto, non ha avuto nulla da obiettare e ha solennemente sancito il patto stringendole la mano. Elizabeth sa che mantenere le promesse non è esattamente il punto forte dell’amico, ma si è sempre fidata di lui e non intende smettere ora.  Così, prende il figlio per mano e si prepara a salire sul ponte, dove la loro trasformazione da ospiti a membri della ciurma viene accolta di nuovo con un caloroso applauso. Il più contento, anche se si guarda bene dal mostrarlo, sembra proprio essere Jack, che si limita a scrutarli da un angolo, un sorriso sghembo sotto i baffi.
Vanitoso com’è, ama avere ragione, in ogni circostanza e questa non fa eccezione. Osserva Elizabeth, che nel frattempo ha preso Henry sulle spalle, in una sorta di festoso trionfo, con l’orgoglio tipico di una madre e il piccolo che, entusiasta, batte le mani, il cappello a cadergli inesorabilmente sugli occhi a ogni piccolo sobbalzo. Osserva il suo sorriso che le fa le fossette sulle guance e sa, anche questa volta, di essere quello che conosce la sua intima natura più di tutti, anche se lei non lo ammetterà mai.
 
                                                                                   ____
 
 
Elizabeth è sul ponte, le mani appoggiate al parapetto. Chiude gli occhi, inspira a pieni polmoni l’aria salmastra, ascolta con attenzione lo stridio dei gabbiani e lo sciabordio delle onde, avverte il calore del sole sul viso che ha già assunto un colorito dorato. Sorride. Eccola lì quella sensazione, che la riempie come lava incandescente, che tanto le è mancata, che Jack era riuscito anni addietro a spiegarle così bene a parole quella notte insieme sull’isola: eccola lì, la libertà.
Ricorda bene l’ultima volta che si è sentita libera a quel modo: era la Regina dei Pirati, aveva un’intera flotta davanti a sé, in procinto di entrare in guerra, cui lei aveva fatto un discorso appassionato, ispirata anche dalle parole di Barbossa. Libertà di scegliere la propria bandiera, il proprio destino, vita o morte, non importa, perché quel privilegio valeva più di ogni altra cosa e non aveva alcun prezzo.
Da troppo tempo Elizabeth si sente prigioniera del proprio destino, anziché artefice, destino la cui prima vittima è stata Will ed è per questo che anche il semplice stare di nuovo a bordo della Perla Nera, indossando abiti maschili comodi e confortevoli che la fanno sentire a suo agio e al sicuro, quasi fossero una calda coperta in una notte di gelido inverno, le fa scoppiare il cuore di gioia.
Si volta, vede Jack confabulare con il piccolo Henry, quest’ultimo rapito dal suo interlocutore. Sorride ancora. È rimasta piacevolmente sorpresa da come suo figlio abbia accolto quella sua idea che sa tanto di follia, nonostante l’abbia cresciuto praticamente a pane e pirati , di come si sia fatto immediatamente voler bene da tutta la ciurma, persino dal pappagallo di Cotton che spesso si appollaia sulla sua spalla, di come abbia preso seriamente il suo ruolo all’interno dell’equipaggio, correndo da una parte all’altra del ponte dove c’è bisogno di una mano, anche se la sua cosa preferita è sgattaiolare con agilità e leggerezza sulle sartie andandosi a mettere di vedetta.
È così orgogliosa di lui e vorrebbe che anche Will potesse vederlo, un velo di malinconia che le scende addosso. Jack, proprio in quel momento, interrompe la conversazione con Henry voltandosi a guardarla, le fa l’occhiolino accennando un sorriso complice, cui Elizabeth contraccambia giocosamente. La convivenza a stretto contatto con Jack, cosa che più la preoccupava, sta andando bene, scopre sempre di più in lui un ottimo interlocutore, con o senza rhum di mezzo, ammaliante senza mai tuttavia essere invadente, ciarliero, ma un buon ascoltatore all’occorrenza.
Ciò che però più l’ha sorpresa di lui – finirà mai di farlo? – è l’atteggiamento con Henry. Il pirata, salvo un po’ di fastidio e freddezza iniziali, alla fine ha accolto di buon grado l’atteggiamento petulante del piccolo, spiegandogli orgogliosamente ogni segreto del funzionamento di una nave col suo equipaggio e, soprattutto, raccontandogli come ha conquistato la sua amata Perla Nera.
Racconti che Henry non manca di riferire entusiasta alla madre ogni notte, senza lasciarla dormire finché non ha finito.
“Mi devi delle ore di sonno, Sparrow!” Gli ha scherzosamente detto una mattina, al che il Capitano ha risposto con aria sibillina:
“Anche tu, dolcezza.” Sghignazzando e mostrando i denti d’oro, rimediando una gomitata nello stomaco.
“Oh andiamo! Questo non me lo meritavo!” Ha inveito con voce soffocata, mentre Elizabeth si è voltata per trattenere le risate.
Certo, l’interesse di Jack verso di lei non si è sopito e non manca di ricordarglielo con battute, a volte un po’ grevi, o cercando sempre di accorciare la distanza e tenere un contatto tra i loro corpi, tuttavia senza mai mancarle di rispetto. Elizabeth nota come, non certo senza vergogna e sensi di colpa verso Will, quelle piccole attenzioni e quella corte un po’ sgangherata e semiseria del Capitano la lusinghino, ma è ferma nel non volere andare oltre lo stuzzicarsi a vicenda.
 
“Di nuovo piratessa. Mi sembra che apprezzi.”
Jack si è avvicinato a lei così silenziosamente e lei era così persa nei propri pensieri da sobbalzare al suo arrivo, provocandogli una risata.
“È bellissimo.” Dice poi, sciogliendosi in un sorriso radioso.
“Sai, Henry…”
“Impazzisce per te! Non c’è modo di sottrarsi ai racconti delle tue gesta ogni sera ormai!”
Lo interrompe lei ridendo, prendendolo affettuosamente in giro.
“Beh non poteva essere diversamente e poi ammettilo che ti piace sentir parlare di me!”
Risponde lui per niente offeso, anzi gonfiando il petto con orgoglio.
“Per non dire raccontare tu stessa di me… Emily.”
Elizabeth diventa di ghiaccio a quella frase, lo stomaco che si contorce spiacevolmente.
“Henry mi ha raccontato anche lui una storia…” Continua con sguardo furbo Jack.
“Ma tu… Tu non gli hai detto la verità, giusto?” Esala lei, il cuore in gola.
“Rilassati Lizzie, sai quanto alla verità io preferisca mischiare le carte in tavola… Rende il gioco più interessante…”
La rassicura, facendole tirare un sospiro di sollievo.
“A parte gli scherzi… Perché? Tutta quella messinscena…”
“È troppo piccolo per sapere la verità…”
“A me sembra un tipo parecchio sveglio per la sua età…”
“E lo è, solo… è troppo difficile…”
“Per lui o per te?”
Elizabeth ammutolisce, scura in volto e Jack capisce di essersi spinto troppo in là.
“Scusami, in fondo, non sono affari miei…”
“Questione di mesi e Will tornerà, finalmente. Lascerò a lui il compito di raccontare a Henry della sua missione. Credo sia più giusto così. Ho cercato, negli anni, di trovare le parole, ma… Ingabbiare le nostre avventure in una storia della buonanotte è l’unica soluzione che mi è salita alla mente. Credo che fosse perché… Avevo paura di dimenticare anch’io. Sciocco, vero?”
Gli occhi di Elizabeth ora hanno un velo di lacrime.
“Henry è stata la mia ancora di salvezza in questi dieci anni. Non ce l’avrei mai fatta senza di lui. Quando scoprirà la verità, vorrà trovare un modo per liberare il padre da quell’orrenda maledizione…”
“Non puoi biasimarlo per questo…”
“No, ma… Perderò anche lui, come ho perso Will… Entrambi lontani, entrambi ad assolvere le proprie missioni, mentre io resterò lì, sola, destinata ogni giorno a fissare l’orizzonte in cerca di un segno, di una presenza. Non so se sono abbastanza forte per questo.”
La voce le si spezza, abbassa il volto perché non vuole che Jack, che nessuno, tantomeno Henry, la veda in lacrime. Lui le cinge delicatamente le spalle con un braccio, in silenzio, dirigendosi sotto la scala che porta al timone, al riparo dagli sguardi della ciurma.
La osserva con aria grave, può solo avvertire il peso e la responsabilità che Elizabeth è costretta a portare, quel dolore che le ha segnato i lineamenti, che l’ha tenuta sveglia chissà quante notti e prova una sincera pena per lei. Prende il viso delicatamente tra le sue mani, facendole alzare lo sguardo e asciugandole piano le lacrime.
“Dieci anni fa ti ho nominata Regina dei Pirati Nobili e questo perché, in quella stanza, eri di gran lunga la più forte e coraggiosa di tutti noi.”
Dice soltanto, incapace di proferire altro, ma Elizabeth intuisce che è il suo modo per consolarla.
“Ora… Posso chiederti perché nella storia di Henry io sono l’unico a essere rimasto lo stesso?”
“Perché tu sei già una leggenda Jack.” Risponde lei pronta con un sorriso.
“Ottima risposta dolcezza!” Replica lui con aria gongolante.
 
“Capitano! Nave in vista! Viene verso di noi!”
È Henry a dare la notizia di vedetta. Tutti si precipitano alla svelta sul ponte, Jack mette mano al cannocchiale. L’imbarcazione è ancora lontana, ma si avvicina a vele spiegate.
“Procediamo a velocità di crociera, magari è solo di passaggio.” Ordina cauto.
Presto però è destinato a ricredersi, soprattutto quando Henry annuncia che quella nave porta il vessillo dei pirati e che il suo nome è “La Sanguinaria”. La notizia indurisce il volto di Jack e agita alquanto la ciurma, che inizia a rumoreggiare.
“Di chi si tratta?” Chiede Elizabeth a Gibbs.
“Nulla di buono.” Mormora l’uomo preoccupato. “La nave appartiene al Capitano Morgan Hawkins: non si sa molto di lui nei Caraibi, se non che è un uomo crudele, vile e senza scrupolo alcuno. Delle navi con cui si è scontrato pochi uomini sono sopravvissuti per raccontarla, ma chi c’è riuscito, parla della sua come di una furia cieca, un diavolo assetato di sangue. È litigioso e attaccabrighe senza ragione, trovarlo sulla propria strada non è certo un bene.” Conclude lugubre.
“Cosa vuole da te?” Domanda Elizabeth avvicinandosi a Jack.
“E io che ne so?” Le risponde con una punta di stizza nella voce.
“Fammi indovinare: gli hai rubato la nave.”
“Non c’è nave oltre la Perla che mi interessi.”
“Allora gli hai insidiato la moglie.”
“Fidati che nessuna donna al mondo vorrebbe avere come marito uno del genere.”
“Gli devi dei soldi?”
“Ma tu da che parte stai?” Sbotta arrabbiato.
“Scusa, mi sembra solo strano che per una volta tu non c’entri davvero niente.”
Jack, alza gli occhi al cielo, esasperato.
“E comunque, tu e Henry ve ne andate in cabina. Subito. Vi vengo a chiamare io quando è tutto finito.”
“Cosa? Ma io voglio aiutarvi…”
“Non era una proposta, la mia.” Jack la guarda negli occhi, serio, il tono di voce stentoreo e risoluto. Elizabeth non l’ha mai visto così. La cosa non gli piace per niente. È segno che anche lui teme Hawkins.
“Henry! In cabina! Ora!” Urla al bambino.
“Ma io…”
“È il tuo Capitano che lo ordina!” Tuona Jack.
“Sissignore!” Risponde il piccolo, saltando giù dalle sartie con l’agilità di un gatto.
Elizabeth sbuffa, sentendosi scavalcata nella propria autorità su quella nave; tuttavia, prende per mano il figlio e corre verso la loro stanza.
Ti prego Jack, fa attenzione Pensa fra sé.
 
I due fanno appena in tempo a trovare rifugio chiudendosi a chiave che “La Sanguinaria” arriva a costeggiare la Perla.
Morgan Hawkins è un uomo di statura media, gli abiti da pirata che indossa sono ben più preziosi e meno usurati di quelli di Jack, complici i tanti arrembaggi che l’hanno reso ricco. Porta pantaloni e giacca verde scuro, stivali neri e una camicia di pregevole fattura, in testa un cappello nero, con un’elegante piuma, verde anch’essa. Ha i capelli corti di un nero corvino, il naso dritto, il colorito pallido e due occhi vitrei, di un azzurro così chiaro da sembrare di ghiaccio. Sarebbe anche un uomo affascinante, se non fosse per un’orribile cicatrice a deturpargli tutta la parte destra del viso, la bocca piegata in un ghigno malevolo. Porta una pistola e una spada con sé, si vocifera che sia un ottimo combattente, non soddisfatto fino a che il sangue del nemico non viene versato.
“Sei tu Jack Sparrow, vero?” Comincia con fare canzonatorio.
“È Capitano per te e per tutti gli altri, Hawkins!” Risponde duro Jack, le mani strette a pugno.
 “Desolato Sparrow… È solo che… Ormai qui nei Caraibi si vocifera che siate vicino alla pensione o qualcosa di simile.” Ridacchia, una risata priva di allegria, di scherno, cui fanno eco cauti i membri della sua ciurma.
“Siete informato male.”
“Eppure, non potete negare che sono passati anni dalla vostra ultima impresa di onesta pirateria… La Fonte della Giovinezza, se non sbaglio…
E, sempre se non sbaglio, siete tornato a mani vuote.”
“La Fonte della Giovinezza è andata distrutta, se è questo che vuoi sapere.”
“Non è ciò che mi interessa. Mi risulta, piuttosto, che viaggiate da qualche tempo con una donna e un bambino a bordo. È vero?”
Jack deglutisce nervoso, la ciurma rumoreggia.
“Come puoi vedere…” Riprende Jack, dopo qualche istante di silenzio, i pensieri che corrono incessantemente nella sua testa “Ti hanno ancora una volta informato male.” Non gli interessa per nulla mantenere quella falsa aria di cortesia.
“Ne sono grato. La sorte di noi pirati è già abbastanza avversa senza che gente come te trasformi la propria nave in una casa di tolleranza.” Ride ancora e con lui l’equipaggio. “Ne va del nostro buon nome.”
“Tu in nome di che cosa sei qui oggi Hawkins?”
“Proporti un duello Sparrow: solo io e te. Dimostrami che sei quello che le leggende raccontano.”
Jack non è il tipo di pirata che ama lo scontro diretto, anzi, l’ha sempre evitato accuratamente: sa di non essere il più abile con la spada e preferisce di gran lunga usare tiri mancini e sotterfugi per togliersi dai guai. Eppure, c’è qualcosa in quell’uomo che gli schiude una rabbia cieca e sorda dentro di sé, bruciandogli le viscere e le ossa, senza dimenticare che ci sono Elizabeth e Henry sottocoperta da proteggere e teme che negarsi alla proposta di Hawkins lo renda ancora più smanioso di spargere sangue.
“E sia!” Urla infine. “Ma il campo di battaglia lo scelgo io: sali sulla Perla.”
Sia come vuoi brutto cane bastardo Sibila tra sé, furente, la spada sguainata.
La ciurma rumoreggiante si sposta per fare posto ai due sul ponte. Morgan, in tutta calma, si toglie giacca e cappello, posandoli al timone, ancora una volta per ridicolizzare Jack, come se quella nave fosse sua. “Gibbs, dacci il via!” Esorta Jack senza nemmeno guardare in faccia il compagno, troppo impegnato a incatenare le sue iridi scure a quelle color ghiaccio di Morgan.
“Via!” Grida l’altro, non senza un velo di preoccupazione nella voce. Tutti sulla Perla stanno con il fiato sospeso.
Anche Elizabeth e Henry, chiusi nella propria cabina, cercano di sbirciare dalle piccole finestre, senza grandi risultati.
“Hanno sguainato le spade mamma! Si battono?” Chiede concitato il piccolo.
“Oh no…” Esala lei, portandosi le mani alla bocca.
I duellanti corrono l’uno verso l’altro, sancendo l’inizio di un combattimento senza esclusione di colpi. Nell’aria si sente solo il clangore delle spade che sbattono con forza l’una verso l’altra, con così tanta violenza che paiono essere sul punto di rompersi a ogni stoccata. Entrambi ansimano dalla foga. Jack è forte e veloce, ma Morgan è più aggressivo. È presto chiaro che se il primo combatte per portare a casa la pelle, l’altro mira a ferire, uno sguardo omicida dipinto sul volto. Il primo sangue a scorrere è proprio quello di Jack, quando un colpo particolarmente violento di Morgan gli procura un taglio sul fianco sinistro, facendolo vacillare. Gibbs sta già per segnalare la fine del duello, ma Morgan in tutta risposta gli punta la pistola addosso: “Non dirmi cosa devo fare imbecille, qua non siamo un branco di mammolette impressionabili.”
“È solo una ferita superficiale!” Minimizza Jack, nonostante il bruciore e il sangue che gli macchia la camicia.
“Così mi piaci Sparrow! Riprendiamo!” Il duello ricomincia, ancora più violento di prima.
Poco dopo, tocca a Jack segnare un colpo vincente, squarciando la gamba destra di Hawkins, facendolo ululare di dolore.
“Questo è da mammoletta!” Ghigna di rimando, ma paga a caro prezzo il suo umorismo. Morgan gli si fa contro con ancora più furore e ormai Jack può solo cercare di parare quei colpi violentissimi, senza riuscire a controbattere. Prima viene colpito pesantemente al viso con l’elsa della spada, poi un calcio lo manda a sbattere contro l’albero maestro, dove picchia con forza la testa. La ciurma di Hawkins è in visibilio, mentre la sua è senza fiato per la paura.
 
“Mamma, ha perso?” Mormora Henry preoccupato “Non voglio guardare…”
Per Elizabeth, che fino a quel momento è rimasta con il cuore in gola, torcendosi le mani dall’ansia, è troppo.
“Resta qui. Non guardare. Torno presto.” Intima a Henry. Prima che il bambino possa controbattere, afferra la spada, apre la pesante serratura e corre in direzione del ponte, un terribile presentimento che si fa strada dentro di lei senza lasciarla andare.  
“Ti è passata la voglia di ridere?” Lo schernisce ancora una volta Morgan, ma la sua voce gli arriva come se fosse molto lontano da lui. Jack sente la testa scoppiare, un senso di nausea che lo devasta, la vista annebbiata che fatica a mettere a fuoco, incapace di rispondere a tono.
Avverte una mano ghermirlo al collo con violenza, procurandogli altro dolore, rendendogli difficile anche respirare, alzarlo di peso e scrollarlo sadicamente. “Hai vinto. Mi arrendo.” Esala con uno sforzo sovrumano, disarmato, ferito, umiliato davanti a tutta la ciurma. “È questo che vuoi? Hai vinto.” Ripete, le mani alzate in segno di resa più totale.
“Sei un miserabile codardo.” Risponde con disprezzo Hawkins, lasciandolo cadere a terra come un pupazzo, dandogli le spalle.
Jack riprende aria in rantoli dolorosi, mentre il buon Gibbs e altri accorrono per aiutarlo a rimettersi in piedi.
“Tuttavia hai ragione…” Continua l’altro, senza guardarlo in faccia. “Sei ferito, non mi diverte più e non è mia intenzione eliminarti, non così facilmente perlomeno… Ma perché ti ricordi che abbiamo un conto in sospeso, lascia che ti dia un ultimo regalo.”
È una frazione di secondo. Hawkins mette in carica la pistola, si volta e spara rivolto a Jack, di nuovo in piedi, anche se malconcio.
“NO!” Elizabeth agisce d’istinto, senza pensare. Si para davanti a Jack un attimo prima che riecheggi lo sparo, di cui tuttavia avverte solo il rumore. “Elizabeth…” Mormora lui con un filo di voce.
Lei si volta, un flebile sorriso dipinto sul volto. “Credevi sul serio che gliel’avrei permesso?” Sussurra di rimando, prima che una scarica di dolore la investa. Si porta una mano allo sterno, poco sotto la clavicola, sente il sangue denso e appiccicoso macchiarle la camicia e la pelle.
Guarda Jack, gli occhi strabuzzati, il viso contorto in un misto di sofferenza e paura.
“E così mi hai mentito Sparrow… Porti una donna con te… E lasciamelo dire è anche molto carina…” Echeggia Hawkins, riprendendosi lui stesso dalla sorpresa per la piega che hanno preso gli ultimi eventi.
“Non curarti di me, pensa a lui.” Sussurra la ragazza, facendosi da parte.
“Lasciala fuori.” Sibila Jack furente, i pugni stretti così forte da farsi sbiancare le nocche, l’elsa della spada che gli spacca la pelle del palmo.
“La tua puttana ha ben più fegato di te.” Risponde crudele Morgan.
“Ora basta!” Il dolore e la rabbia fanno sì che Jack si scagli contro l’avversario con una forza e un furore mai dimostrato fino a quel momento, sorprendendo anche il nemico che viene ben presto sopraffatto e disarmato.
“Stai per uccidermi Sparrow?” Sghignazza Hawkins con sguardo da pazzo.
“Il gioco è finito. Vattene.” Sibila l’altro a un centimetro dal suo viso.
“Non ti libererai facilmente di me.” Gli sussurra Morgan prima di dirigersi zoppicando alla propria nave. Solo una volta che “La Sanguinaria” si allontana, la ciurma di Jack si sente abbastanza sollevata da esultare. “Ce l’ha fatta!” Grida Elizabeth, il pugno alzato in segno di vittoria, prima che la vista le si annebbi e, quasi senza rendersene conto, cada a terra con un tonfo sordo.
La camicia zuppa di sangue, il volto terreo. Non c’è molto tempo.

The Author's corner: Ehm ehm! Chi ancora naviga questi lidi avrà capito che la stesura di questa storia è anarchica almeno quanto i suoi protagonisti. Tuttavia, eccomi qui, a presentarvi l'antagonista di quest'avventura: chi conosce il mondo dei pirati non faticherà e ritrovare l'origine del suo nome e cognome. Manco a dirlo, Jack e i suoi sono ancora una volta nei guai... Anche se il perchè è ancora tutto da scoprire.
Confidando - sebbene con promesse da marinaio - di tornare qui sopra prima di un'attesa di mesi (il quinto capitolo è già chiaro nella mia testa, mentre il resto della storia ha un canovaccio, anche se tutto da imbastire), spero che i lettori silenziosi (o
vviamente altre recensioni e pareri sulla storia sono ben accette!) che passano di qua possano apprezzare questa storia, sebbene non necessariamente fan del pairing. E il povero Will? Non preoccupatevi, mi occuperò anche di lui.
A presto, mi auguro! Yo ho!
PS: Grazie in particolare a Fanny Jumping Sparrow e alle sue preziose opinioni. 
Charly  

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Capitolo 5
*** V ***


The Author's corner: ehm ehm. "Complicazioni sono sopraggiunte, ma superate" Direbbe qualcuno. Vi avverto, qua il rating si fa arancione. Buona lettura, ai lettori silenziosi e a chi recensisce! Alla prossima, ciurma! Lavoro permettendo...
 
Jack prende in braccio un’Elizabeth esamine e si muove più velocemente che può verso la propria cabina. “Gibbs! Vieni, qui c’è bisogno di te!” Urla con un tono d’urgenza nella voce, al che il nostromo non esita a seguirlo. È l’unico tra la ciurma ad avere qualche rudimento di medicina, risalente ai tempi, ormai lontani, di quando serviva la Marina Britannica.
I due rovesciano il tavolo da mappe e strumenti per la navigazione, posandovi delicatamente la ragazza, ancora incosciente. A Jack scappa una smorfia di dolore, dovuta alla ferita al fianco infertagli da Hawkins, per non parlare del mal di testa lancinante.
“Jack, sei fer…” Comincia l’amico, ma il Capitano non sente ragioni:
“Lo so benissimo, pensiamo a lei!” Risponde secco, legando stretto un foulard che di solito usa a mo’ di cintura sul taglio, premendo forte perché smetta di sanguinare.
Gibbs, non senza imbarazzo, slaccia la camicia della giovane, per ispezionare meglio la ferita.
L’uomo impreca: “La pallottola è rimasta dentro! Non sarà facile né piacevole levarla… Abbiamo dell’alcool?” Jack lo guarda allibito, per poi replicare: “Prendi il rhum.”
“Ma, Capitano…”
“Il rhum ti ho detto!”
Gibbs si sciacqua le mani col liquido ambrato, per poi cospargere il foro sul petto di Elizabeth.
La ragazza geme e, pian piano, riprende conoscenza.
“Cosa… Dove…” Mormora, il volto terreo e segnato dal dolore.
Intanto, una voce sottile e insistente grida dall’altra parte della porta: “Mamma! Mamma!”
“Henry!” Elizabeth fa per alzarsi, ma una scarica di dolore la riporta sdraiata.
“Ci penso io, tu resta con lei!” Dice Jack, dirigendosi fuori dalla cabina.
Henry è frastornato e ha gli occhi rossi di pianto.
“Cos’è successo alla mia mamma? Fammi entrare!”
  L’uomo si inginocchia, mettendosi alla sua altezza, parlandogli in tono grave:
“Figliolo… Hawkins l’ha ferita accidentalmente… Ma andrà tutto bene, ok? Se ci lasci fare… Ha bisogno che tu sia molto coraggioso ora. Comprendi?”
“Fammi entrare!” Continua Henry, pestando i piedi. “Voglio stare con lei!”
“Non vorrebbe che tu vedessi. Torna alla tua cabina e, appena starà meglio, la vedrai! Abbiamo un accordo?” Gli dice, porgendogli la mano.
“D’accordo.” Mormora Henry, tirando su col naso, ma ricambiando la stretta al pirata.
“Bravo ragazzo! Vai adesso!”
Jack rientra in cabina, dove Elizabeth mugola di dolore. La prende istantaneamente per mano, mentre si blocca dall’accarezzarle i capelli e la fronte pallida e sudata.
“Elizabeth, Gibbs ora deve cercare di estrarre la pallottola… Non ti mentirò, farà male…”
“Quanto male?” Mormora spaventata.
“Tieni, mordi questo.” Replica, dandole un pezzo di stoffa.
Il nostromo infila due dita nel petto della ragazza, che geme e stringe forte la mano che Jack le porge.
“Trovata!”
“Elizabeth, respira forte ora, al tre… Uno, due…”
La giovane avverte una stilettata di dolore lancinante, mordendo con forza la stoffa, mentre inarca la schiena, e sicuramente cadrebbe dal ripiano se i due uomini non la tenessero ferma a forza, poi si sente mancare e perde di nuovo i sensi.
Gibbs preme forte sulla ferita ora, preoccupato per tutto il sangue che ha perso.
“È quasi finita… Stai con noi, ok?” Sussurra Jack al suo orecchio.
La povera ragazza soffre ulteriormente mentre, con ago e filo, Gibbs cerca, il più delicatamente possibile, di unire e chiudere i lembi della ferita.
“Faccio da sola…” Comincia, a lavoro terminato, facendo per alzarsi, ma i due uomini la bloccano risoluti. Jack la prende di nuovo in braccio e lei, quasi automaticamente, le circonda il collo con le braccia e appoggia il viso sul suo petto, stravolta.
Henry è al settimo cielo quando vede, finalmente, di nuovo la madre, molto provata, ma viva.
“Deve riposarsi… La sorvegli tu per me?” Gli dice Jack, facendogli l’occhiolino in segno d’intesa.
“Ai suoi ordini!” Risponde il piccolo, portando una mano alla fronte, per poi sdraiarsi delicatamente vicino a Elizabeth, che lo prende piano tra le sue braccia, baciandolo e accarezzandolo.
“Il mio ometto coraggioso…” Sussurra, mentre si volta verso i due uomini mimando un “grazie” con le labbra.
“Jack… Lascia che pensi a te ora.”  Dice Gibbs, riportandolo alla realtà.
Tanto è rimasto stoico in presenza di Elizabeth, tanto il Capitano si rivela un paziente lamentoso come un neonato non appena l’amico gli disinfetta la ferita al fianco e lo ricuce.
“Cosa può volere da te uno come Hawkins?” Gli chiede l’altro, una volta finito.
“Non lo so.” Risponde Jack dopo un lungo silenzio. “So solo che non mi piace per niente.”.
 
 
 I guai però non sono finiti lì. Un paio di giorni dopo, Jack viene interrotto nei suoi soliloqui solitari al timone con la Perla, nel cuore della notte, dal piccolo Henry.
“Spiacente piccolo, non sono bravo a consolare chi fa incubi. Torna dalla mamma.” Afferma, un po’ stizzito di essere stato colto in flagrante.
“È per lei che ti sono venuto a chiamare. Mamma è strana, vieni subito!” Risponde Henry con tono di voce allarmato, che fa subito salire un senso di inquietudine in Jack, nonostante non sappia ancora di che cosa si tratta. Una volta raggiunta la cabina, trova un’Elizabeth dal viso arrossato e madido di sudore, che si lamenta nel sonno. Le tocca subito la fronte con la mano. Scotta.
“Da quant’è che è così?”
“Non lo so, dormivo, ma si lamentava e mi sono svegliato, poi sono venuto a chiamare te!”
Non c’è tempo da perdere, il capitano corre a chiamare Gibbs, un brutto presentimento che purtroppo trova la sua conferma quando il nostromo toglie le bende: l’alone rosso dell’infezione e la ferita che suppura pus. Elizabeth deve soffrire ancora, quella notte, mentre Gibbs le pulisce il taglio riaperto meglio che può e lo disinfetta di nuovo con l’alcool, ricucendolo, il povero Henry ancora fuori dalla porta. “Io ho fatto tutto il possibile, ma deve vederla un dottore. Se la febbre non scende…”
“Non dirlo neanche per scherzo.” Lo interrompe Jack duro, mentre le sta delicatamente appoggiando una pezza fredda sulla fronte. Manda il piccolo Henry, che protesta ma poi obbedisce a quello che considera il suo capitano, a dormire in cuccetta con Gibbs, mentre lui resta a vegliare Elizabeth.
Se è in quello stato è solo colpa sua: comincia a pensare che sia stata una pazzia portarla a bordo, per cosa? Per rivivere i bei tempi andati? Per sentirsi di nuovo, finalmente, sé stesso?
I suoi pensieri frenetici vengono interrotti da Elizabeth che geme e si lamenta nel sonno, aprendo poi lentamente gli occhi una volta che Jack le umetta le labbra arse dalla febbre con un panno umido.
“Elizabeth, sono qui” Le dice semplicemente, senza pensarci.
“…Will?” La povera ragazza deve avere una temperatura così alta da soffrire di allucinazioni, mentre a sentire quel nome lo stomaco del capitano ha una stretta fastidiosa.
“Sì, sono qui.” Dice infine, nella speranza che cada nell’inganno.
Elizabeth allora, con naturalezza, porta la mano di Jack a una guancia bollente e quest’ultimo si chiede se il freddo metallo degli anelli non le sveli la realtà.
“Resta con me…” Mormora, cadendo di nuovo nell’incoscienza.
“Sì, resto.” Sussurra l’altro, il cuore pesante per tutta la sofferenza dell’amica, fisica, ma soprattutto emotiva. Sono tre giorni eterni, dove Jack si dedica completamente a lei, che non sembra migliorare, dimenticando di mangiare e di dormire, persino del rhum, lasciando addirittura il timone temporaneamente a Gibbs, Henry che a stento trattiene le lacrime quando la va a trovare.
Poi, improvvisamente, la febbre scende, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutta la ciurma, che si è molto affezionata alla ragazza che ha saputo dimostrare coraggio da vendere contro Hawkins.
Quando Elizabeth si risveglia, trova Gibbs in sua compagnia.
“Bentornata, signora Turner.” Sorride.
La giovane si sente spossata, confusa e chiede subito notizie del figlio che, alla notizia della ripresa della mamma, corre subito tra le sue braccia.
“Mamma non lo fare più, promettimelo! Ti difendo io la prossima volta!”
Mormora con voce rotta dal pianto.
“Scusami piccolo mio, perdonami. Non dovrai difendermi, torniamo a casa.”
Henry sussulta a quelle parole: la paura è stata tanta, ma quell’avventura gli sta piacendo così tanto che un po’ ora gli dispiace lasciare tutti quanti, soprattutto Jack, per cui ha una venerazione.
“Ho sognato papà. Torneremo a fare quello che facevamo prima: lo aspetteremo. Ormai il tempo è giunto. Lui ti conoscerà e ti amerà subito tanto quanto ti amo io, perché sei il bambino più bello, dolce e coraggioso del mondo! Sono tanto fiera di te!”
 
Quella stessa sera, Elizabeth bussa alla cabina di Jack. Il capitano la trova, con enorme sollievo, pallida, ma decisamente ristabilita.
“Non dovresti essere in piedi.”
“Nemmeno tu, al timone c’è Gibbs.”
“Stavo guardando alcune mappe… E così ve ne andate, uh?” Jack si guarda improvvisamente la punta degli stivali.
“Vi ammutinate, dovrei esserci abituato.” Mormora poi, scocciato.
“Non essere sciocco.”
“A Henry piace qui.”
“Jack, dove vuoi arrivare?”
“Dico solo che potreste restare ancora un po’, cos’è tutta questa fretta? Calipso mica lo sfratta, tuo marito!”
“Non me la merito questa cattiveria da parte tua! Cos’hai che non va?”
“Non va che tu mi faccia da scudo umano contro Hawkins, per esempio.”
“Mi è andata bene.”
“Sì, ma se per disgrazia non fosse andata così? Volevi rincontrare Will prima del tempo?”
“Se non la smetti giuro che…”
 “Sei stata avventata Elizabeth, Henry poteva restare orfano!”
“Penso io a mio figlio Jack!”
“E allora perché hai agito in modo così sconsiderato?”
“Perché non potevo permetterlo!”
“Cosa?”
“Lo sai benissimo!”
“Invece no!”
I toni dei due si sono fatti sempre più concitati, i loro visi sempre più vicini e le loro voci sempre più alte, fino a quel momento, quando Elizabeth mormora: “Di perdere anche te. Non l’avrei sopportato.”
Jack ammutolisce, la bocca aperta come un pesce lesso.
“Tu non hai perso Will.” Risponde infine.
“A volte è come se lo fosse.”
“E nemmeno me.”
Jack la bacia d’istinto, incapace di trattenersi. Elizabeth inizialmente indietreggia e il pirata è già pronto a schivare uno schiaffo se non che, improvvisamente, lei ricambia. Preme con forza le labbra sulle sue, passando le mani tra le treccine, è un bacio quasi fatto di rabbia, tanta è la foga che ci mette.
I baci proseguono, si fanno più audaci, le loro lingue danzano, i primi ansiti iniziano a riempire l’aria; Jack, senza separarsi da lei, ha premura di chiudere a chiave la porta della cabina, benedicendo l’idea di mandare Henry a dormire in cuccetta con gli altri pirati, sarebbe un bel problema se il moccioso li cogliesse in flagrante. Presto finiscono sdraiati sul letto ed Elizabeth tenta di slacciare la camicia di Jack, ma le sue mani la tradiscono: sta tremando; il pirata, allora, gliele prende tra le sue, articolando a fatica per il fiato corto: “Possiamo ancora fermarci.” anche se la bramosia dei suoi occhi dice tutt’altro. “Non voglio.” Mormora l’altra, con decisione. “Solo per questa notte.” “E sia.”
I due si spogliano vicendevolmente, baciandosi e leccandosi ovunque, ogni centimetro di pelle, pieni di desiderio entrambi. Elizabeth ha un velo d’imbarazzo nel trovarsi nuda davanti a un uomo che non sia Will, l’unico ad averla mai vista fino a quel momento, ma quello che ha davanti non è un uomo qualunque, è Jack e le sue labbra sono ancora più gradevoli di come le ricordava.
Il pirata si dimostra un amante esperto e appassionato, ma anche delicato e premuroso nei suoi confronti: è lento, non ha nessuna fretta, si dedica a lungo ai suoi piccoli seni, succhiandone i capezzoli e mordicchiandoli piano, poi passa a baciarla tra le cosce, proprio lì, ed Elizabeth sente un moto di vergogna e pudore, ma il piacere la fa sciogliere presto, mentre va a cercare con la mano l’erezione di lui. Finalmente si uniscono e la ragazza pensa che Jack fa l’amore come il mare: lento, sinuoso, con ritmo, come il rollìo di una nave, un ritmo che solo verso la fine diventa più concitato e disordinato, fino a che lui, con un rantolo, esce da lei riversando il suo seme sulla pancia piatta di Elziabeth. “Scusa” borbotta. Poi, senza dire nulla, continua a toccare la ragazza usando sapientemente le dita, finché lei non sente invadersi di una sensazione potente, celestiale, di totale abbandono, soffocando un grido. Restano per un po’ senza parlare, lei gioca con i monili tra le sue treccine, lui le accarezza la pelle morbida. Elizabeth aspetta trepidamente quel senso di colpa che la divorerà, quasi ci spera, eppure si sente bene. Bene come non accadeva da tanto tempo. Allora, le tornano in mente le parole di Jack di tanti anni prima: “Curiosità. Non potrai più resistere. Vorrai sapere quale gusto ha.” E sente una punta di stizza, perché quel maledetto pirata ha avuto ragione, ma si sente così placidamente serena in quel momento da perdonarlo volentieri.

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