Giustizia mosse il mio alto Fattore di RLandH (/viewuser.php?uid=330024)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** AB OVO ***
Capitolo 2: *** La Somma Appendice di Brooklyn ***
Capitolo 3: *** No, ma in azzurro ***
Capitolo 4: *** L’Olanda … è così in basso che saranno salvati soltanto con l’essere dannati ***
Capitolo 5: *** Oh Santa Madre Russia ***
Capitolo 6: *** Puoi essere e smettere di essere qualsiasi cosa, tranne un genitore ***
Capitolo 7: *** Non è il verde che ti aspetti ***
Capitolo 8: *** Il Galateo per (e su)gli Stregoni ***
Capitolo 9: *** Qualcosa di grosso – e sfacciatamente attraente ***
Capitolo 1 *** AB OVO ***
Salve
benvenuti qui, o
lettori impavidi, che avete avuto coraggio di aprire questa storia
sgangherata,
che spero potrete apprezzare in qualche oscuro modo.
Prima però, cono un paio di fastidiosissime premesse
(verrà il giorno in cui
inizierò una storia senza premesse, ma quel giorno non
è oggi). La prima: a
dispetto del titolo (parecchio pretenzioso), questa storia vuole essere
una
storia divertente, non comica, ma divertente (con qualche momento di
riflessione qua e là, sfortunatamente per me ho la
profondità emotiva di una pozzanghera).
Seconda: La storia è piena di OC, so che a molte persone
potrebbero non
piacere, però ci sono (per lo più Shadowhunter e
Stregoni, perché mi piacciono
tanto) ed in realtà questa storia è nata
dall’idea di avere una Ragnor/OC.
Terza(Riguarda spoiler): tecnicamente la storia si
svolge tempo dopo La
Regina dell’Aria e delle Tenebre (che confesso, shame on me,
non ho letto) quindi
potrebbe contenere spoiler di questo libro (mi sono
documentata un po’),
però contiene sfacciati spoiler de Il Libro Perduto del
Bianco (e tecnicamente
ho deciso di ignorare ogni sorta di ipotesi futura su il Libro Nero dei
Morti).
Quarta (sono pessima): con Magnus mi sono presa un paio di
libertà con la sua
storia passata (incluso il suo nome) e con la timeline degli
shadowhunter (un
po’), infondo è una fanfiction.
Okay, fine premesse, oltre ciò, sì la storia ha
una certa componente Malec(principalmente perchè sono una
ship B E L L A), ma io non so scrivere
robe romantiche e questa non è una storia molto romantica,
tutto sommato. Insomma, è un'avventura.
Buona Lettura,
RLandH
Ps
– Il titolo vuol dire
letteralmente: Dall’Uovo, che
è una locuzione latina per intendere “Dalle
più remote origini”
Giustizia
mosse il mio alto fattore
Ab
Ovo
“Eri
mai stato qui?”
aveva domandato il giovane, mentre osservava il suo amico ed il suo
maestro nascondere
il viso sotto un cappuccio scuro, “No” aveva
confessato onesta mentre si destreggiava
tra le vie intricate della città.
Costantinopoli.
Istanbul.
Antica e potente.
Era bastato che si avvicinassero appena alla Capitale de facto
dell’impero ottomano perché lui, che era ancora
ignorante di tutto, potesse
riconoscerne il vibrante potere; da esserne investito. Ogni mattone,
ogni
ciottolo, ogni cosa di quella città risultava intriso di
magia. Una antica e
potente.
Fratello Zebulon gli aveva raccontato che il Mercato delle Ombre di
Parigi
fosse il più antico – e lui non vedeva
l’ora di vederlo – ma
quello di Istanbul era sicuramente il più
grande e il più spettacolare.
L’altro aveva detto di non essere mai
stato lì, né nella città,
né
all’interno del mercato, ma dalla sicurezza che aveva
mostrato nel seguire nel percorso,
senza dover chiedere informazioni o un minimo di esitazione,
così come la
certezza dei suoi movimenti, pareva evidente, a lui, che il suo amico
gli
avesse mentito.
A quella stessa maniera, era ovvio che non volesse farsi riconoscere;
questo
però non lo stupiva affatto, si era accorto che il suo
maestro era una persona
a volte troppo sospetta e, giustamente, paranoica.
Nel corso del tempo aveva visto il suo mentore spesso ricorrere al
glamour o
alle maschere per nascondere il viso verdissimo agli occhi dei mondani,
era
ovvio che non fosse quello scopo, il mercato delle ombre di Istambul
pullulava
a destra e manca di ogni creatura. Però il suo amico aveva
il cappuccio scuro
sceso sul viso ed un foulard legato sul volto, che ne copriva la punta
del naso
e le labbra, dandoli l’aspetto di uno spettro avviluppato nel
nero, lasciando visibile
solo una porzione di verde della pelle, da cui spiccavano gli occhi
scuri.
“È qui che si trova il Sommo Stregone di
Istanbul?” aveva domandato lui poi,
sapeva che fossero andati lì per incontrare tale soggetto.
“No” aveva risposto
Ragnor senza fermare la sua camminata scivolando, attento tra la gente,
mentre
lui di rimando cercava di evitare la spallate degli abitanti che
popolavano la
strada del mercato e gli occhi intriganti rivolti verso di loro.
“Ragazzino” aveva sussurrato una voce, si era
voltato, sentendosi chiamare,
“Vuoi provare degli ottimi falafel?” aveva chiesto
una giovane fata con la
pelle scura come le foglie di tek, gli occhi blu intensi che coprivano
l’intera
sclera e capelli d’oro, vestita di foglie d’edera e
tralci. Bellissima.
Aveva voltato il capo per cercare il suo compagno, “No,
giovane Fey” aveva risposto
proprio quest’ultimo, posando una mano sulla sua spalla, per
trascinarlo
nuovamente verso la sua rotta. “Cosa ti ha insegnato Fratello
Juan?” aveva
domandato retorico il suo maestro, guardandolo con uno sguardo di
disappunto.
“Compra dalla fate non accettare le loro offerte”
aveva ripetuto placido, “Non
sei più un ragazzino, devi cominciare a fare
attenzione” lo aveva rimproverato,
prima di infilarsi in un vicolo, dove altra gente ancora più
discutibile aveva
cercato di vederle l’oro oggetti, ma la loro camminata non
aveva avuto
ulteriori interruzioni.
Dopo una serie di svolte a sinistra, di cui non aveva tenuto il conto,
intervallate
da due a destra ed un licantropo assolutamente certo di aver creato il
filtro
del vero amore, il suo compagno aveva arrestato la sua frettolosa
camminata.
“Ho mentito a Fratello Zebulon” aveva confidato
guardandolo di sottecchi, “Non
siamo venuti ad Istanbul per conoscere Solyman Ibn” aveva
ammesso colpevole,
bussando poi contro la porta.
Questa era di un legno nero lucido, massiccio, con i cardini in ferro, sulla sommità di
essa era stata appesa una
maschera, con un sorriso raccapricciante e largo. Le aveva studiate,
sapeva servissero
per scacciare il male da quella soglia.
L’uomo a cui aveva fatto riferimento il suo maestro, Solyman
Ibn, era il Sommo
Stregone della città di Istambul, la persona che erano
venuti a trovare, o
almeno così avrebbe dovuto essere. “Siamo qui per
incontrare Iusta” aveva spiegato
pratico il suo mentore. Uno spioncino tondo che scavava la porta, si
era aperto;
era di un metallo dorato ed un occhio aveva fatto capolino. Ci aveva
impiegato qualche
momento, ma aveva realizzato che la frase pronunciata dal suo
accompagnatore
non era per lui, ma per l’occhio. Dopo un secondo di
esitazione da dietro la
porta, l’altro aveva ceduto ed aveva abbassato il fazzolo che
ne oscurava la
faccia, rivelando la parte inferiore del suo viso.
“Ragnor Fell” era stata la bassa risposta che
avevano ricevuto, poi la porta si
era aperta, così quello definitivamente aveva fatto
scivolare fuori anche il
cappuccio, lasciando liberi i capelli bianchissimi e le corna.
Dietro la porta c’era semplicemente un uomo, sembrava
mondano, se non fosse
stato per gli occhi curiosi e scintillanti.
“Non
accettare nulla da
qui” si era raccomandato poi Ragnor, “Altre
fate?” aveva chiesto sogghignante
lui, “Anche” aveva confidato
secco, “Ma per lo più non voglio occuparmi
di uno stregone ragazzino in estasi” lo aveva rimproverato.
Ecco, sì, quello sembrava sinceramente
divertente – e da fare, doveva
appuntarselo da qualche parte.
Ragnor lo aveva guidato all’interno del giardino di un
cortile porticato. Il palazzo
moresco riverberava di colori vibranti, così come i fiori
che adornavano il
giardino.
Il corridoio porticato, composto da pilastri rossi, si affacciava su
stanze, i
cui usci erano nascosti da tende chiare.
Dalle ombre proiettate dalle tende e dai rumori che udiva, specie
quando si
erano lasciati alle spalle il giardino per entrare in un corridoio
riccamente
decorato, avrebbe immaginato quello fosse un bordello – i
fratelli avrebbero
potuto risentirsi molto – ma poi era passato davanti una
sala, dove aveva osservato
tre figure mano nella mano attorno ad un cerchio. Praticavano
incantesimi.
Così alla fine aveva chiesto: “Chi è
Iusta? Che posto è questo?”
“La stregona che siamo venuti ad incontrare” aveva
raccontato poi il mentore, “Che
non è la Somma Stregona di Istanbul” aveva
considerato il più giovane, tra sé e
sé, ma sapeva che Ragnor lo aveva sentito ugualmente,
“Solamente per sua
volontà” aveva risposto di fatti, fermandosi
davanti una tenda da un intenso
colore rosso.
Aveva rivolto verso di lui uno sguardo piuttosto teso,
“Questa è una Domus
Magicae,
un luogo che dovrai evitare di raccontare ai Fratelli di aver
visitato” lo aveva
avvertito. Lui aveva annuito, mentre osservava Ragnor scostare una
tenda di
raso rosso, per entrare in una stanza.
“Due
giovani stregoni”
aveva cinguettato una voce in greco, allora lui
l’aveva vista, su un’ottomana
c’era una donna, stesa, indossava una lunga veste crema,
sopra un peplo
porpora, non
mancavano attorno ai polsi
sottili ed il collo di cigno collane tempestate di gemme lucenti e file
di
perle bianche.
Però sembrava mondana, in tutto, l’incarnato
olivastro, gli occhi scuri ed i
capelli corvini raccolti in una treccia spessa che scivolava da una
spalla sul
petto florido.
Mangiava dell’uva con un certo gusto.
“Ragnor Fell, sei diventato un uomo mentre ero
distratta” aveva commentato lei,
tirandosi su, facendo inavvertitamente cadere la ciotola dal suo
ventre, ma
invece che crollare rovinosamente a terra, essa si era posata
delicatamente.
“Sono passati molti anni, Iusta” aveva sussurrato
lui, chinandosi su un
ginocchio e baciando le
dita della mano
sinistra della donna, con un tono amorevole.
Si era accorto come Ragnor fosse sempre cedevole al gentil sesso, ma
che la
voce stucchevole che aveva utilizzato con la donna non sembrava
rispettare la
sua usuale verve romantica, non riusciva a capire se fosse
più sincero o meno,
era come se la sua voce fosse tinta di
un’intensità diversa.
“Ho sentito che ora sei in terra iberica,
che insegni ai nephilim” aveva
valutato, “Londinium ti è
venuta a noia?” aveva indagato Iusta tirandosi
su.
Ragnor aveva riportato fosse una stregona, però non lo
sembrava affatto, forse
aveva un ottimo glamour. “Insegna ai bambini,
insegnerai agli uomini”
aveva detto lo stregone dalla pelle verde, con un viso granitico.
“Sì” aveva
considerato Iusta, prima di continuare: “Anche mia madre
aveva questi bislacchi
pensieri” aveva commentato, puntando gli occhi su di lui in
quel momento, con
le braccia alla vita, interessata, accorgendosi della sua presenza.
“Ma con mio
fratello ha ottenuto lo stesso effetto che ho avuto io quando ho
provato ad
insegnare gli scacchi ad una gallina” aveva ridacchiato con
una punta di
cattiveria, tornando a guardare nuovamente verso Ragnor.
C’era qualcosa di predatorio in lei.
E di potente.
Fratello Zabulon aveva detto loro che gli stregoni potevano percepirne
altri,
la loro potenza, in base alla loro genealogia.
Iusta era sicuramente una stregona, una davvero potente, nonostante il
suo
aspetto.
“Non ho particolare amore per i figli degli Angeli, ma i
fratelli Silenti di
Toledo e di Madrid si sono dimostrati visionari” aveva
concesso Ragnor, aveva
rivolto un’occhiata verso di lui, che era stato raccolto da
quella branchia dei
cacciatori ed era stato educato da loro.
Ragnor aveva cominciato con lui e poi con i bambini nephilim,
affinché non
temessero e diffidassero dei nascosti, come loro.
“Non lo so” aveva confidato
Iusta, “Non riesco ancora ad
abituarmi a loro” aveva ammesso cupa.
“Lei esisteva prima degli Shadowhunters?” aveva
domandato confuso e sconvolto
lui, allora Iusta aveva rivolto lo sguardo verso di lui, “Si,
gattino” aveva
detto solamente, dandoli un buffetto con un dito sul naso.
Era più bassa di lui, aveva delle spalle larghe e nonostante
avesse un viso
giovane, senza una ruga, immortale, forse una giovane donna nella
metà della
ventina, i suoi occhi erano quelli di una vecchia e non aveva dubbi,
dopo
quell’ultima notizia che Iusta fosse antica.
“L’ultima volta che sei stato qui, Ragnor hai
guadagnato il perpetuo odio della
verdula Hurrem” aveva ghignato Iusta, “Ha offerto
il proprio peso in scaglie di
drakon a chiunque gli avesse portato la tua
testa” aveva raccontato, con
un sorriso maligno che le serpeggiava il viso. “Ma tu non hai
bisogno di
scaglie di drakon” aveva risposto con estrema calma Ragnor,
dal tono non pareva
minimamente turbato dal commento di Iusta.
“No, hai ragione non mi servono ma non mi dispiacerebbero,
però, ammetto di
preferire avere il tuo faccino intorno” aveva ghignato
divertita, “Ed io adoro esserti
intorno” aveva risposto Ragnor, c’era una certa
sincerità nelle sue parole.
Iusta aveva non aveva perso il sorriso maligno, ma aveva continuato:
“Eppure,
per quanto io sia sicura di me, e lo sono, abbastanza da scatenare una
guerra
per vendicarmi di un solo uomo; so per certo che non è della
mia compagnia che sei
venuto in cerca” aveva sussurrato dedicando un famelico bacio
a Ragnor, che ne
era rimasto incantato per un istante, poi la donna aveva voltato lo
sguardo verso
di lui, con occhi neri e brillanti.
“Hai
degli occhi
splendidi” aveva valutato, “Come i
cancelli dell’averno – fidati: ci ho
dato un occhio lungo” aveva considerato, allungando una mano
verso di lui per
portarla sulla sua guancia.
Lui era rimasto fermo, immobile, per quel commento.
Come i cancelli dell’inferno, anche sua
madre un giorno lo aveva detto.
“Sei venuto qui per lui, vero?” aveva domandato
retorica Iusta, lo aveva detto
guardando lui, ma la domanda era chiaramente rivolta per Ragnor,
“Si” aveva
risposto l’altro, anche se sembrava in quel momento inutile.
“Come ti chiami?” aveva chiesto questa volta Iusta,
con un tono caldo ed
accomodante, “Nicolao Diostelevante”
aveva risposto lui.
“Questo è un nome da orfano” aveva
considerato la stregona, “Il genere che ti
danno in un brefotrofio” aveva aggiunto, “Quindi:
come ti chiami veramente?”
aveva domandato nuovamente la stregona.
Doveva riconoscere che era così, erano stati i Fratelli
Silenti a chiamarlo
così, era un nome momentaneo, perché potesse
allontanarsi da quel nome che sua
madre gli aveva dato e che non sentiva più suo, dopo il
fuoco.
“Harta Dijikastra”
aveva pronunciato quel nome come se fosse stato ardente sulla sua
lingua, Tesoro,
come sua madre ed il suo patrigno lo avevano considerato
all’inizio, prima che
i suoi occhi e le sue dita scintillassero.
Era un nome ormai dimenticato e perduto, che faceva male sulla sua
lingua, così
come nel suo cuore.
“Questo immagino sia il nome che tua madre ti ha
dato” aveva valutato Iusta, “Ma
non è il tuo nome” aveva considerato,
“Il nome di uno stregone” aveva
aggiunto, lasciando la sua guancia, aveva la mano fredda e umida, come
quella
di un corpo in ammollo, “Ragnor Fell, Anubis Syme, Hypathia
Vyx” aveva ripetuto
quei titoli con calma, “Un nome che puoi … anzi
devi sceglierti” aveva
rivelato, aveva una voce profonda, oscura.
Iusta aveva preso la sua mano e lo aveva guidato a sedersi
sull’ottomana e lui
l’aveva seguita senza resistenza “Quanti anni hai,
Nicolao?” aveva domandato
poi, pronunciando quel nome con denti strettissimi, “Molti”
aveva
risposto lui, recuperando coscienza, “Una buona
risposta” aveva riso Iusta,
“Non sei poi un insegnante così mediocre, allora,
Ragnor” aveva valutato.
Anche il suo amico si era accomodato, su una canapè che
aveva fatto apparire
dal nulla, “Allora perché siete qui?”
aveva domandato, mentre faceva
volteggiare di nuovo il piatto con l’uva sotto i loro nasi,
lui l’aveva
evitata, mentre lo stregone più maturo non aveva avuto
reticenze.
“Voglio sapere di chi sono figlio” aveva sussurrato
Harta.
“Ah” aveva mormorato Iusta, “Di
un demone, no?” aveva proposto, ma il
silenzio dei due era quanto mai stato eloquente, “Un giorno
capirò perché tutti
sono così ossessionati da voler conoscere quale essere gli
ha messi in questo
mondo” aveva mormorato affranta Iusta, “Io non ci
tenevo molto” aveva
soppesato, “Neanche a me importa” aveva ammesso
candido Ragnor, “Ma a lui si,
conta questo” aveva valutato, “Sei una delle
stregone più antiche che conosco e
probabilmente la più talentuosa” aveva aggiunto.
“Tu vizi il mio ego, Ragnor, ti prego non smettere
mai” aveva riso, voltando
nuovamente il viso verso Harta, “Non troverai le risposte che
cerchi in quella
scoperta, voglio che tu ne sia consapevole” lo aveva
avvertito, c’era un che di
materno nella sua voce.
“Voglio” aveva insistito Harta.
Iusta aveva scosso il volta sconsolato, prima di
posare l’indice sotto il mento del ragazzo,
per studiarlo appena, “Occhi gialli come quelli di un
felino” aveva sussurrato,
“Bellissimi” aveva mormorato, “Di tratti
demoniaci ne ho visti, ma sono rari
così belli ed eleganti” aveva rivelato.
E discreti.
Questo non lo aveva detto, ma Harta lo aveva letto nella sua voce.
Eppure tanto erano bastati per condannarlo la sua fragile fanciullezza
al
marcire.
“Tu non ne hai” aveva commentato alla fine,
“Non si chiedono mai i tratti
demoniaci ad una signora” lo aveva rimproverato, prima di
voltarsi verso
Ragnor, “Questo è colpa tua, pistacchio”
lo aveva rimproverato.
Iusta era tornata a guardare Harta poi, “Ho solo un glamour
incredibilmente
raffinato; l’età da molte conoscenze”
aveva risposto Iusta, tirando le mani via
dal viso del ragazzo per portarle al suo stesso collo e sfilare la
lunga
collana arrotolata di perle, per liberare il collo nudo aggraziato da
cigno.
Improvvisamente la carnagione olivastra di Iusta aveva assunto una
gradazione diversa,
un grigiolino lucido, con dei riflessi azzurri, era come guardare il
viso d’una
statua. Marmoreo, letteralmente.
Il corvino dei capelli aveva perso lucentezza, si era fatto
più opaco, però
erano ancora capelli. Tutto quello che non era cambiato per nulla di
lei, erano
gli occhi carbone.
“Oh” aveva commentato Harta, “Questa
è la prima volta che ti vedo senza protezione
nella tua magia” aveva considerato Ragnor, “Sembri
una statua …” aveva provato
Harta, “Si, ho fatto valutare la mia pelle, marmor
carystium”
aveva confidato frettolosamente Iusta, “Conosco qualche
collezionista che mi
vorrebbe immobile nell’androne del suo palazzo”
aveva ridacchiato con un certo
nervosismo.
Probabilmente, nonostante i lunghi secoli sulle sue spalle, Iusta per
prima non
si sentiva ancora a suo agio con il suo medesimo viso.
Harta si chiese se un giorno almeno lui si sarebbe abituato.
Iusta aveva
allungato nuovamente la mano
verso il viso di Nicolao per toccarlo ancora, non era cambiato al
tatto, la sua
pelle era sempre fredda, “Nonostante la mia pelle sembri
fatta di marmo, non
sono una statua, sono ancora una cosa viva, sotto”
aveva confermato la
sua impressione.
“Quando ero più giovane … avevo forse
cinquecento anni o giù di lì” aveva
parlato Iusta, “Conobbi uno stregone a Rus’ di
Kiev” aveva confessato, “I suoi
occhi erano come i tuoi, felini e feraci” aveva confidato,
“Diceva di essere
una Antica Maledizione” aveva aggiunto poi.
“Iusta” era stato il muto
rimprovero di Ragnor, “Solo che non visse a lungo
per dimostrarlo, aveva un potere tale che lo condusse
all’oblio” aveva
mormorato, “Sapere cosa fosse lo aveva guidato ad un eterno
stato di dolore e
questo lo ha consumato” aveva commentato.
“Cos’è una Antica
Maledizione?” aveva domandato Harta, “Sono i figli
dei
Principi Infernali, degli Angeli Caduti” aveva confidato,
“I più potenti e
pericolosi tra noi, anche e soprattutto per loro stessi”
aveva confidato.
“Mio padre è un Principe Infernale?”
aveva domandato confuso Harta, “Uno di
quegli angeli caduti nella perdizione per seguire la stella del
mattino, sì,
Nicolao” aveva confermato Iusta.
Nel suo tono, nel suo viso, c’era più
consapevolezza e dolore di quanto fosse
stato fino a quel momento, tutto quel divertimento e gioco che era
esistito
fino a quel momento s’era completamente assopito, lasciando
una cruda consapevolezza.
“Anche tu” era stato l’unico sussurro di
Ragnor, “Non cercare tuo padre,
Nicolao” aveva sussurrato Iusta, “Incontrare il
proprio demoniaco padre è
orribile” aveva raccontato, “I demoni sono creature
di solo male, non possano
che istillare dubbi in te, nella tua vita, nelle tue scelte”
aveva confidato, “Perché
essere buono, se la mia stessa natura non me lo permette?”
aveva chiesto
retorica.
“Ma incontrare un principe dell’inferno
è peggio. Un demone nasce maligno, ma
un angelo caduto è una creatura di sommo bene che ha scelto
il male” aveva
aggiunto, “Un male inesplicabile in lingua mortale”
aveva aggiunto, c’era
dolore nelle sue parole, descriveva un sentimento che doveva esserle
rimasto
bruciante nel petto.
“Hai incontrato tuo padre?” aveva domandato Harta,
“Una volta” aveva confidato
Iusta, “Una creatura splendida, come io non lo ero, quasi
abbagliate, che non poté
far altro che istigarmi un unico dubbio” aveva confidato.
“Quale?” aveva chiesto Harta.
“Come sarebbe stato se non avesse scelto di seguire
Lucifero?” aveva domandato
retorica, “E come sarei stata io?” aveva chiesto,
spostando le mani fredde dal
viso di Harta per guardarsele. Una pelle dura rigida, sfumata, come
quella di
una scultura.
“Nicolao, non cercare di scoprire chi è tuo padre,
te lo dice una vecchia
signora che ha rubato molti anni a questa vita” aveva
aggiunto.
Ma sia Harta sia Iusta erano consapevoli di quanto quella preghiera
sarebbe
rimasta inascoltata.
Prima
che uno dei due
rompesse quel sinistro silenzio che si era venuto a creare, un fuoco
brillante
aveva illuminato la stanza. Nicolao sapeva cosa fossero: messaggi di
fuoco, non
ne aveva mai ricevuto uno, però.
Iusta aveva raccolto il foglietto con discreto interesse, schiudendolo
e
leggendolo attentamente. Ragnor aveva posato una mano sulla spalla di
Nicolao in
un gesto paterno. La strega aveva bruciato il resto del messaggio con
una
fiammella che aveva acceso con le sue mani, la scintilla dei poteri
sprigionata
dalle sue dita era di un argento sottile appena percettibili.
“Cattive notizie?” aveva chiesto Ragnor,
“Non so, può darsi” aveva risposto Iusta
con un sorriso cristallino sulle labbra, come se la
possibilità non la toccasse
per nulla, però si era chinata per raccogliere nuovamente la
collana di perle
che aveva fatto cadere per terra ed indossarla di nuovo.
Il glamour l’aveva avvolta di nuovo, facendola apparire
nuovamente come una
splendida donna mondana priva di imperfezioni. “Antonius Vir
mi ha chiesto di
raggiungerlo nel Labirinto Spirale e non lo ha fatto in vece
privata” aveva
ammesso poi con un po’ più di cupezza. “Oh”
si era lasciato sfuggire Ragnor, “Allora non ti tratterremo,
ci sentiremo prossimamente,
se vorrai aiutarci” aveva detto pratico il suo maestro. Gli
occhi neri di Iusta
non lo avevano lasciato però, “O potreste venire
con me, non c’era scritto che non
dovessi avere compagnia” aveva annunciato, “Il
Consiglio mi rende sempre
nervosa” aveva aggiunto Iusta, ma Harta era abbastanza
sveglio da riconoscere
che stesse mentendo sfacciatamente.
Nicolao aveva guardato Ragnor con occhi pieni d’aspettativa,
non poteva vedere sé
stesso, ma era certo che la sua espressione tradisse a pieno il suo
interesse. Improvviso.
Prima che il suo maestro potesse rispondere Iusta aveva ripreso a
parlare, “Sono
sicura che tu non abbia ancora portato questo piccolo tesoretto
al luogo
a cui appartiene” aveva aggiunto.
“Cos’è il Labirinto a
Spirale?” aveva indagato subito sfacciato Harta,
“Il
luogo cui ogni stregone può fare ritorno, non è
proprio come avere una casa, ma
ci si avvicina” aveva buttato fuori, “Ed
è sicuramente un luogo più carino
rispetto un istituto di nephilim o le loro tetre Città
Silenti” aveva
scherzato.
Nicolao aveva guardato Ragnor aspettando la sua risposta,
“C’è una bella
biblioteca che potrai visitare” aveva concesso.
“Oh, San Giovanni, Alberello mio, non
poteremo un bambino in una
biblioteca, ci sono un sacco di posti molto più
stimolanti” era stato rimproverato
Iusta.
Nicolao decise che quella strega gli piaceva, specie perché
sembrava essere così
pungente con Ragnor.
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Capitolo 2 *** La Somma Appendice di Brooklyn ***
Prima di tutto, sto
facendo un trasloco, quindi ho poco tempo per scrivere, per ora, quindi
bho,
non ho idea di quando riuscirò ad aggiornare di nuovo
– speriamo a breve.
Seconda cosa: pesanti spoiler per TDA (Come avevo detto) fino ad un
certo punto
perché non lo ho letto (shame on me). Bene, oltre questo,
avevo pensato di
usare un altro titolo in latino per darmi un tono, ma alla fine ho
già messo un
titolo pretenzioso che ho pensato di abbassare il tono.
Comunque ringranzio chiunque abbia letto/seguito/ricordato, grazie
<3
Buona Lettura
RLandH
Ps – Appena mi sarò arresa che il disegno
è venuto bene, uploderò un’immagine
di Iusta.
Giustizia mosse
il mio alto fattore
La
Somma Appendice di Brooklyn
“A
volte non ti manca la nostra intimità” aveva
chiesto Alec buttandosi sul letto,
era rimasto lì fermo, senza battere ciglio. Suo marito aveva
appena sistemato a
dormire Max, che era ancora un vibrante bambino stregone che esplodeva
di
potere, che aveva fatto vivere ai suoi genitori una ruggente notte in
bianco.
Magnus invece era appena rientrato, di prima lena, esausto (dalla notte
insonne) ed aveva accompagnato loro figlio maggiore alla colonia
estiva. Lo avevano
fatto sotto consiglio spassionato di Jocelyn Garroway, cosa che non
era dispiaciuto neanche a Magnus, meno dover fare tutti i diorami,
specie
perché Alec aveva vietato l’utilizzo della magia.
Magnus aveva ancora le dita sporche di colla e brillanti dalla notte
prima – e
per la prima volta questo non era esattamente di suo gusto.
“Lo abbiamo ora?”
aveva proposto poi lo stregone, accarezzando la testa del compagno,
“Se non …
aspettassi alcuni ambasciatori di diversi istituti” aveva
risposto Alec.“Come
è dura la vita da First Lord dei
Nephilim” aveva risposto Magnus
rovesciandosi nuovamente all’indietro, ma Alec ne approfitto
per stendersi su
di lui e stamparli un bacio sulle labbra, prima dolce, poi famelico,
“Forse …
abbiamo del tempo. Jace può fare gli onori di
casa” aveva ridacchiato.
Al
momento avevano dovuto attrezzare l’Istituto di New York come
sede del Consiglio
e del Conclave, dopo aver perso Idris, ma non tutti erano
così felici di
doversi spostare fin lì ed allo stesso modo
l’Istituto di New York era quel che
era, non era la casa del Console.
Magnus valutava però che poter ricevere così
tanti ospiti ed illustri nel suo
soggiorno non fosse auspicabili. A meno che non fosse stato per una
festa, ma
non era sicura che tutti i cacciatori filo-Alec fossero pronti ad una
festa-alla-Bane. “Stai pensando a me, si?” aveva
domandato Alec, allontanandosi
dalle sue labbra, mentre cominciava a far scorrere i bottoni nelle
asole per
liberarlo dalla sua camicia, “Si, non nel mondo in cui avrei
dovuto, ma si” lo
aveva rassicurato Magnus, puntando i gomiti sul letto, per potersi
sollevare e
raggiungere le labbra di suo marito.
Alec gli era venuto in contro, famelico, prima che il campanello
arrestasse il
loro piacevole diversivo.
“Era troppo bello” aveva detto spento Alec,
“Abbiamo avuto ben due minuti solo
per noi, Console. Sono vittorie” aveva
detto Magnus, sentendo il peso di
suo marito sottrarsi da lui, “Ricordami perché il
bene superiore è così
necessario” aveva detto forzatamente Alec, mentre si dava una
sistemata per
ricevere gli ospiti. Dubitava fossero per lui, c’erano alcuni
nephilim che
sapeva di dover cercare il loro console in quella casa, ma la maggior
parte di loro
tendeva a rivolgersi all’Istituto – era probabile,
dunque, che alla porta fosse
per lui.
Un tempo, il più visitato dei due, era proprio Magnus.
“Magnus,
c’è Tessa!”
aveva sentito strillare Alec dal soggiorno, lui si era alzato, finendo
di
riallacciare la camicia ed aveva recuperato il suo gilet con i lustrini
che
aveva abbandonato sullo schienale della sedia, quando era rientrato in
camera.
“Che piacere” aveva detto, quando dal corridoio
aveva osservato la sua amica,
seduta sul divano, “Ho suonato questa volta e porto da
mangiare” aveva detto
Tessa, facendo oscillare una bustina di carta bianca.
Indossava un poncho fatto con l’uncinetto di un colore crema,
che lasciava
intravedere una camicia chiara ed una gonna pastello. I capelli scuri
erano
sistemati su un lato, dandole un aspetto rilassato, nonostante gli
occhi grigi
fossero pieni di tensione.
Magnus si era lasciato cadere sul divano, mentre Tessa priva il suo
sacchetto
per passare un cornetto ad Alec ed uno a Magnus, “O stai
ancora cercando di
eliminare i carboidrati?” aveva domandato lei, con una punta
di divertimento.
“Si vive una volta sola” aveva replicato Magnus,
raccogliendo il cornetto.
Tessa aveva riso in una maniera gioviale e bella, le faceva piacere
vederla
così rilassata, così felice. “Jem e i
bambini stanno bene?” aveva chiesto Alec,
“Si, molto” aveva cinguettato lei, “Mina
ha scoperto cosa succede quando
pennarelli e muri entrano in contatto. Kit ha scoperto TikTok e spero
per voi
che i vostri figli non lo facciano mai” aveva raccontando,
sorridendo, “Loro
come stanno a proposito?” aveva chiesto.
“Sono vivaci” aveva detto Magnus con un
po’ di stanchezza nella voce, dando un
sonoro morso al cornetto, “Oh, sono di Pain de Sucre”
aveva detto languido,
riconoscendo il favore, Tessa aveva annuito, “Solo per
te” aveva specificato.
“Se vuoi viziarmi così e perché hai
cattive notizie” aveva realizzato poi
Magnus.
Tessa aveva scosso la mano, “No, non proprio
almeno” aveva ceduto.
Alec si era seduto vicino a lui, con sguardo serio, ma Tessa si era
morsa le
labbra, “Non posso sentire?” aveva chiesto con
leggera preoccupazione.
La sua amica ci aveva riflettuto un secondo, “No, credo che
saperlo ti servirà”
aveva stabilito poi con voce un po’ greve,
“Antonius Vir ha deciso di
dimettersi” aveva confessato.
Alec aveva battuto le ciglia, “È un membro del
Consiglio a Spirale, giusto?”
aveva chiesto retorico, “Credo di aver letto il suo nome
nella lista che mi ha
dato … la strega” aveva
aggiunto cotto leggermente di imbarazzo, perché
non doveva aver raccolto il nome di quella. “Non ti
preoccupare se non te lo
ricordi. Tutti e due, il Consiglio a Spirale, è
così impegnato da
dimenticare completamente le formalità, tipo presentarsi.
Antonius Vir per
eccellenza, senza dimenticare che è rinomato per non apprezzare molto gli
Shadowhunters, vive
fingendo che non esistiate, se devo essere onesto” aveva
confessato Magnus.
Probabilmente l’ultimo Console con cui Antonius Vir si era
incontrato era stata
Charlotte Fairchild nel 1901, ai funerali della Regina Vittoria, ma non
ne
poteva essere sicuro.
“Si” aveva confermato Tessa, “Questo
è anche il motivo per cui si ritira, oltre
a suo dire la stanchezza” aveva spiegato lei, con un certo
nervosismo.
“Antonius non è un semplice membro del Consiglio,
comunque, lui è il Cancelliere.
Non è proprio come un Console, il Consiglio Spirale prende
la decisione
assieme, sempre. Ma il Cancelliere ha diritto di veto su qualsiasi
cosa” aveva
spiegato poi. “In pratica è quello che
può decidere se il Labirinto aiuterà o
meno gli Shadowhunters” aveva valutato Alec, che aveva smesso
i panni
dell’epico e meraviglioso guerriero, per indossare quelli
molto più scomodi di
Console.
“Oh, anche solo consultarli, su molte faccende”
aveva specificato Magnus, “Come
con la faccenda della Mano Rossa” aveva ricordato Alec.
Tessa aveva annuito di nuovo, “Quando un membro del consiglio
si ritira o viene
a mancare, si organizzano delle elezioni. Si presentano le candidature,
i
membri restanti del consiglio scelgono se accettarle o meno, poi si
procede
alla votazione; ogni stregone al mondo è chiamato a votare,
anche se, be …” la
spiegazione di Tessa aveva fatto una pausa lunga, “Tendiamo a
farci gli affari
nostri” aveva proseguito per lei Magnus, “Di fatto
credo di essermi presentato
ad una votazione su tre a cui sono stato convocato” aveva
richiamato lo
stregone.
“Grazie ancora per averlo fatto, comunque” aveva
detto Tessa con un certo
imbarazzo, sventolandosi con una mano.
Dopo la morte di Lucy e James, Tessa aveva avuto bisogno di impegnarsi
in
qualcosa che la tenesse a galla, che non la facesse sprofondare nella
terribile
realizzazione che ambedue i suoi bambini erano morti, che non la
rendesse
vulnerabile e alla mercè di Belial, così si era
gettata a capofitto nel
labirinto che era stata casa sua, il suo rifugio, fino a che il fuoco
celeste
non aveva curato Jem e lo stato di vita a metà in cui
entrambi si erano chiusi,
si era dissipato. “Il mio sostituto è molto
nervoso e mi riempie continuamente
di missive” aveva confidato proprio la strega,
“Balthamos Roiz” aveva aggiunto.
“Ha dato fuoco ad una carrozza a Parigi, nel 1779, in cui io
ero dentro” aveva
ricordato Magnus, era buffo perché non ricordava molto di
quella serata,
ricordava di essere stato a Versailles. Nonostante la patinata bellezza
della
Corte Reale e tutta la sfavillante lussuria trovabile in quelle stanze,
Magnus
doveva ammettere di aver sempre preferito Parigi, con la sua moda, con
la sua
storia ed anche la sua corte dei Miracoli. Era stato nella dimora dei
Re, più
ai tempi del Re Sole e a quelli del suo pronipote, rispetto quegli
ultimi anni,
ma forse la notte in cui Balthamos aveva cercato di dargli fuoco era
stata una
delle ultime occasioni in cui aveva visto la reggia.
Alec lo stava guardando con discreta preoccupazione in viso, ma Tessa
lo aveva
ignorato continuando dritta come una spada, “Si, ecco,
è stato lui ha scrivermi
dell’intenzione di ritirarsi del Cancelliere Vir”
aveva detto, voltandosi verso
la sua borsetta, era piccola, di pelle, con un lungo laccio fatto a
catenella
di colore dorato. La forma della borsa ricordava un D, con la pancia
verso il
basso; Tessa l’aveva aperta ed aveva porto loro il messaggio.
“Abbissale, sul serio?” aveva
detto Magnus nauseato, che quella lingua
la trovava fastidiosissima, Alec lo aveva raccolto con una certa
perplessità
guardando i caratteri, “Credo che questa lingua mi
manchi” aveva ammesso poi,
“Enochiano si ed Abbissale, no?” lo aveva
stuzzicato Magnus raccogliendo il
foglietto.
Gli aveva dato una letta veloce, cercando di non confondersi troppo tra
le
parole.
Tessa
abbiamo un
problema.
Oggi, Antonius ha deciso di ritirarsi, dice che è vecchio e
stanco.
Lo annuncerà a Lammas.
Cosa devo fare?
Aiuto.
Balth
“Me
lo ha scritto ieri
sera” aveva spiegato subito Tessa,
“L’annuncio sarà tra una
settimana” aveva
valutato lei, “Si, Lammas quest’anno cade il 31 di
Luglio” aveva spiegato
Magnus brevemente il messaggio a suo marito.
“Immagino di dover chiedere un incontro con questo
cancelliere” aveva valutato
Alec, aggrottando le sopracciglia, Magnus era certo di vederlo spostare
impegni
ed incontri nella sua mente, per collocare quello da qualche parte.
“Dubito
verrebbe” aveva ammesso Tessa spenta.
“Si. Più o meno e dal 1900 che Antonius evita di
confrontarsi con qualsivoglia
console, mandando le sue scimmie-volanti” aveva esplicato
Magnus.
In realtà non usciva molto neanche dal Labirito in generale,
Tessa aveva giusto
detto quello un attimo dopo.
“Antonius ha retto il titolo di Cancelliere per cinquecento
anni” aveva
spiegato la stregona, “Il più lungo mai
registrato. Siamo esseri eterni, ma
tendiamo a non occupare mai troppo tempo la medesima
posizione” aveva ammesso
lei colma di imbarazzo.
“Comunque Antonius si è stufato dei Nephilm entro
i primi duecento anni del suo
servizio e non si è sprecato a presentarsi neanche agli
Accordi” aveva detto
didascalico Magnus, “Perfino io lo ho incontrato solo un paio
di volte” aveva
raccontato.
La prima volta aveva quattordici anni, era stato durante il
diciassettesimo
secolo, quando ancora Antonius Vir sembrava coinvolto nel suo ruolo;
era
assieme a Ragnor e la strana Iusta.
Tessa aveva battuto i tacchi delle scarpe sul parquet con un certo
nervosismo,
questo non aveva impedito al Presidente Mao di fare un agguato alle sue
gambe
per acciambellarsi sul suo bacino. Dopo un primo momento di spaesamento
della
strega, questa aveva preso a grattare la bestiola tra le orecchie,
mentre tra
loro si diffondeva il silenzio.
“Stai per chiedere il mio voto, Tessa? Perché se
così fosse, sai che per te mi
presenterei ad ogni elezione” aveva dichiarato Magnus.
Sperava davvero che Tessa volesse quello e non proporre il suo nome.
Lei aveva sorriso serafica, “Ci sono due problemi: Jem ha
deciso di non avere
un ruolo attivo nel mondo dei Nascosti, per almeno un po’ ti
tempo, ed io ho
concordato con lui” aveva spiegato pratica, “Per
questo ho declinato anche il
ruolo di Somma Stregona di Los Angeles” aveva detto,
“Anche se cederei, forse,
per il ruolo di Cancelliera in questo singolare momento, con la Coorte
barricata dentro Idris e gli Shadowhunters senza patria”
aveva ripreso, “Il
mondo non è mai stato così sul filo del rasoio
per ritrovarsi o in un baratro
senza fine o per cambiare per sempre” aveva detto calmo.
“Nascosti per tutta la vita hanno lavorato perché
il giorno che potrebbe essere
domani si avveri; per questo, credo, che Antonius si ritiri,
perché sa che non
potrebbe essere lui, tutte le acredini che ha collezionato contro i
nephilim,
ma anche gli altri nascosti, non lo rendono idoneo.
Obbiettivo” aveva fatto una
pausa, “Quindi si, forse, per avere un Cancelliere che nel
momento del bisogno
ponga il veto o ancora più importante non lo faccia, che sia
disposto a
lasciarsi alle spalle anni … di … anni”
aveva sussurrato, “Lo farei” aveva dichiarato
con sicurezza nei suoi occhi, “Ma non posso.
C’è questa stupidissima regola che
vuole che un cancelliere debba avere minimo duecento-tre
anni” aveva vuotato.
“Bene, prima che Antonius si ritiri sarà il caso
che cambino questa regola”
aveva dichiarato Magnus, perché non voleva davvero, ma per
nulla, sapere dove
stava andando a finire quella conversazione, perché aveva un
terribile sospetto.
“Magnus” la voce che Tessa aveva avuto nel
pronunciare il suo nome era la
stessa, e lui ne era schifosamente certo, perché
l’aveva sentita, che prendeva
quando doveva cominciare un discorso serio con i suoi figli, un tono
accondiscendente ed un po’ imperioso, “Questa
proposta è stata avanzata
nell’ultimo secolo almeno dieci volte” aveva
rivelato.
“Sempre rifiutata” aveva constatato Alec.
“Il mondo è dei giovani, ma non per gli
stregoni” aveva detto affranta Tessa,
“Siamo creature strane, noi, per certi versi non riusciamo ad
arroccarci a
nulla e per altri siamo inamovibili. Per il Labirinto pochi anni
simboleggiano
poca esperienza, non importa con quanta intensità tu abbia
vissuto la tua vita”
aveva raccontato lei leggermente risentita.
“Tipo sono trecento anni che Antonius Vir non lascia la
Spirale, non credo sia
neanche consapevole di che anno sia oggi e quello che è
successo negli ultimi
tempi” aveva sentenziato lui. Il mondo dei Nascosti non era
mai tranquillo,
come non lo era mai quello dei mondani, ma nell’ultimo
ventennio c’erano state
una serie di degni avvenimenti a breve distanza l’uno
dall’altro e quasi nessuno
particolarmente felice.
Guerre.
Guerre.
Morti.
“Comunque” aveva ripreso Tessa
l’attenzione, “Ora, noi, non possiamo
permetterci un altro Antonius Vir, abbiamo bisogno di un Cancelliere
consapevole del mondo fuori, pronto a mettersi in discussione e alla
conversazione” aveva ripreso Tessa, “Negli ultimi
tempi, l’alleanza e il
comitato, è stato possibile perché Antonius aveva
perso ogni interesse. Era
come non averlo un cancelliere” aveva ripagato.
“Però il prossimo, sicuramente, vorrà
avere un ruolo più attivo” aveva valutato
Alec.
Sì, Magnus ora poteva dire di percepire il terrore per il
futuro della
conversazione, “Si, Alec” aveva concordato Tessa,
“E questo è un momento
delicato con due clavi Shadowhunters e l’incertezza in cui
verte il mondo”
aveva insistito.
Molti avevano votato per Alec, ma era prima di vederlo lasciare la loro
città
natia e forse chi era stato incerto ed aveva votato spinto da altrui
mani, in
quei momenti poteva star covando dubbi, destinati a tramutarsi in
scismi.
“Sei qui per chiedermi di candidarmi, vero?” aveva
chiesto Magnus con la stessa
angoscia che avrebbe avuto un condannato.
Non aveva mai pensato di essere parte attiva del Consiglio, del
Labirinto in
generale, non gli dispiaceva di tanto in tanto ficcanasare nellla loro
biblioteca,
o nei giardini, o anche consumare te in certe stanze. Però
non si era mai visto
in quel ruolo, lui era il sommo stregone di Brooklyn, marito di uno
Shadowhunter – no, del console – e
risolvi-problemi-freelance.
Tessa
lo aveva guardato
mortalmente seria, come non lo aveva guardato da molto tempo,
“Magnus” aveva
detto calma, “Per quanto saresti il più fantastico
Cancelliere della storia del
Consiglio Spirale e daresti sicuramente una ventata di
novità a tutto l’organo
di governo, ma anche al posto in generale …”
Magnus aveva ascoltato il discorso
a metà tra l’ammirato e l’indignato,
percependo chiaramente quel Ma in arrivo.
“Ma?”
era stato Alec a parlare, “Ed hai un’ottima
reputazione tra tutti e sei
sinonimo di sì, caos, ma anche
affidabilità e sicurezza, sei il marito
del Console degli Shadowhunter” aveva terminato Tessa.
Alec
aveva alzato un sopracciglio. Bello, gentile ed onesto Alec.
“Ah”
aveva accettato Magnus con leggera indignazione, “Sarei
percepito solo
così?” aveva chiesto risentito, “Sono
uno stregone di quattrocento anni con una
carriera rinomata, tra cui, vorrei ricordare, la fuga su una
mongolfiera con
Maria Antonietta e la stesura degli Accordi” aveva aggiunto,
suo marito lo
aveva guardato con estremo stupore, “Ma sarei considerato
solo come il marito
di Alec? Cioè non fraintendetemi, adoro essere considerato
il marito-di-Alec.
Tipo mi piace così tanto che potrebbe essere il mio secondo
nome, il Grande
Magnus Marito-di-Alec Bane, suona benissimo, ma ecco, una persona si
aspetta un
po’ più di riconoscimento. Ho anche formato una
setta che è diventata
problematica ad un certo punto” aveva detto. Voleva che il
discorso fosse
serio, ma non c’era riuscito e dal sorriso teso di Tessa, per
nascondere la
risata gli sembrava evidente.
Alla
fine la stregona aveva riso ed anche sul marito, che aveva posato la
fronte sulla sua spalla.
“Si,
Magnus è ingiustissimo” aveva accettato Tessa,
“Sei uno degli stregoni più
talentuosi che il mondo abbia mai visto, probabilmente da …
sempre?” aveva
provato lei, “E metà degli stregoni ti
percepirebbe solo come un appendice del
Console degli Shadowhunter e questo è un motivo per cui ci
serve un Cancelliere
che riesca ad avere una visione un po’ meno miope, anche su
questa cosa” aveva
dichiarato lei.
“Quindi:
io no, perché sono praticamente il
First-Lord-in-Esilio” aveva detto
Magnus, ancora una volta la serietà era volata via dalla
finestra, “Tu sei troppo
giovane. Ho l’impressione che non avessi in mente
Ragnor” aveva provato.
“Ti
ha aiutato a fondare la Mano Rossa, ha collaborato con Samael
– lo so, era
costretto – e si è finto morto per un paio
d’anni; non ha il curriculum più
fidato in circolazione” aveva dichiarato Tessa.
“Dannata
Zucchina che trova sempre il modo di spuntarsi le situazioni
peggiori”
aveva detto a denti stretti Magnus, poi aveva guardato Tessa.
Lei
aveva sorriso con l’angolo della bocca.
Ambedue
avevano avuto la stessa idea, però era stato Alec a
pronunciare il
nome.
“Catarina
Loss?”
“Catarina
Loss”
|
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Capitolo 3 *** No, ma in azzurro ***
Sto
ancora cercando di venir
fuori dal trasloco e temo fallirò; però sono
riuscita ad andare un po’ avanti,
come stavo dicendo questa storia è piena di OC ed ora
cominciamo un po’ a
sentirne parlare.
Comunque, se riesco in fondo vi allego un disegno di Iusta (Brutterrimo
perché ho
fallito la mano) – ho cercato di imitare lo stile di
Cassandra Jean, almeno per
la colorazione, ma #BigNope.
Oltre questo vorrei ringraziare chi legge/ricorda/segue e ArwenFenice
per
la recensione <3
Buona
Lettura,
RLandH
Giustizia mosse
il mio alto fattore
No,
ma in azzurro
“Assolutamente
no” era
stata la precisa e chiara risposta di Catarina, mentre li guardava
entrambi –
lui e Tessa – con uno sguardo tranquillo.
La sua carnagione non era azzurrina ma era di un colore bruno, grazie
al
glamour, i suoi capelli erano del solito colore tradizionale,
accettabili e
spacciabili per una tinta, mentre se ne stava con il suo look
borghese-mondano,
una tazza di carta di caffè fumate e l’uniforme da
infermiera del New
Amsterdam. L’Ospedale pubblico di New York.
“Cat” aveva provato Tessa con tono gentile,
“Sono onorata che tu, che voi,
abbiate pensato a me. Sul serio” aveva ammesso con voce
calma, sorseggiando un
po’ del suo caffè della macchinetta, ne aveva
offerto un paio anche loro, non
era buono ma sicuramente non era il peggiore che Magnus avesse bevuto.
“Ma lavoro dodici ore al giorno ed anche se avevo detto che
non lo avrei più
fatto, sto dando una mano come insegnante alla nuova accademia e alla
scholomance” aveva spiegato Catarina. “Nel senso:
adoro il labirinto, sono
stata un suo agente durante il diciottesimo secolo, credo, non ricordo
precisamente. Ma sto già collaborando con loro, sto
amministrando le visite dei
Nephilim alla nostra biblioteca, che credo ne siate consapevoli
è la più grande
concessione che sia mai stata fatta dalla storia della
Spirale” aveva spiegato
lei.
“Si. Antonius voleva porre il suo veto, ma Balth e Saphira
sono riusciti a
persuaderlo ad ignorare anche questo fatto. Il prossimo Cancelliere
potrebbe
non mantenere una linea così disponibile” aveva
provato Tessa.
“Non ti ricordavo così manipolativa,
Theresa” aveva valutato Catarina, “Sono
solo preoccupata. Sono una stregona, ho sposato un cacciatore in
pensione, sono
madre due ib…bambini” aveva ammesso lei.
“Magnus perché non lo fai tu?” aveva
proposto Catarina poi, non sembrava molto
sicura neanche lei della sua idea, specie perché negli
ultimi secoli la
stregona aveva indossato più volte il ruolo di sua figura
materna, nonostante
più volte Magnus avesse spergiurato di non averne bisogno.
“Sono una splendida appendice a quanto pare” aveva
detto leggermente risentito,
bevendo un po’ di caffè. Ritirava tutto: faceva
schifo.
Caterina si era morsa il labbro, prima che potesse parlare
però il cercapersone
che portava attaccato alla vita aveva cominciato a suonare,
“Pausa finita. Mi
aspettate per dopo? Possiamo cenare assieme – tipo vero
mezzanotte” aveva
buttato fuori quella.
“Conosco un ristorante cinese gestito da vampiri fa consegne
a qualsiasi
orario” aveva replicato Magnus.
“Sei un padre sai che non puoi avere più questi
orari sregolati, si?” aveva
domandato retorica Tessa, “Lo so” aveva risposto
tetro Magnus, “Ma oggi i miei
cognati e consorti scopriranno la bellissima ebrezza del fare i
genitori” aveva
scherzato lui.
“Simon ed Isabelle hanno Rafael e gli hanno promesso
un’intensa giornata
mondana, mentre Biscottino ed il suo biondissimo fidanzato avranno Max
con
loro, in istituto, dove probabilmente sarà anche Maryse ed
Alec, che starà
cercando di evitare un incidente diplomatico come sempre”
aveva spiegato.
E dove sarebbe dovuto essere anche lui, al suo fianco, se doveva essere
un
appendice sarebbe stata la più fantastica delle appendici,
perché il mondo si
ricordasse che era il Grandioso e Scintillante Magnus Bane, non che gli
dispiacesse oscurarsi un po’ per far scintillare Alec.
Certo il suo adorabile marito non glielo avrebbe mai chiesto, non aveva
bisogno
che gli altri si oscurassero per stare bene, anzi apprezzava molto
dividere le
luci della ribalta, anzi no, sparirci proprio lo preferiva, anche in
quel
momento come console.
“Scrivo un messaggio a Ragnor” aveva dichiarato poi
Magnus, “Così ci occuperemo
noi di circuire Catarina e poi tu potrai tornare in Inghilterra dalla
tua
chiassosa famiglia” le aveva detto.
Tessa gli aveva tirato un buffetto scherzoso con il gomito, prima di
sorriderli, “Anche tu sei parte della mia chiassosa famiglia,
spero tu ne sia
consapevole” lo aveva avvertito.
Magnus lo sapeva e sapeva anche quando sarebbe toccato a lui entrare in
scena
prepotentemente ancora, anche
se
dubitava sarebbe stato poi in condizioni migliori.
Forse lui e Tessa si sarebbero limitati a sostenersi nel dolore che gli
avrebbe
impregnati, ma Magnus decise che non avrebbe indugiato allungo in quei
pensieri, non più, avrebbe vissuto la sua vita come un
mondano, con la stessa
violenta intensità.
“Comunque scrivi a Ragnor – magari potrebbe tirare
fuori un candidato dal
cilindro, ha comunque molte più conoscenze di noi,
“Sicuramente non possiamo
chiedere a Barnabas Hale” aveva proposto Magnus, “O
al Cacciatore Errante o
alla Reliqua Baba” aveva concordato Tessa con sguardo cupo.
“Hypatia Vax” aveva proposto Magnus, “Lei
disprezza gli Shadowhunters” aveva
valutato Tessa, “Non tutti e non tutti è
abbastanza in questa situazione” aveva
provato Magnus, ma lo sguardo della sua amica non sembrava condividere
il suo
stesso ottimismo.
Avevano
aspettato Ragnor
ad un bar non distante dall’ospedale, sommersi da fogli in
cui avevano
appuntato tutti i nomi degli stregoni che avevano potuto racimolare,
scavando
nei meandri della loro memoria – stavano diventando
sorprendentemente vecchi –
per valutare chi fosse idoneo alla carica, chi no e … chi si
sarebbe presentato
certamente.
“Credo che Amir, il sommo stregone di Theran si
presenterà, si faceva i baffi
alla carica da almeno un secolo” stava dicendo Tessa,
“Che brutto gioco di
parole” l’aveva rimproverata bonariamente Magnus.
Amir Khan aveva come segno
demoniaco una
serie di appuntiti baffi rigidi da gatti.
Lei aveva ridacchiato, “Lo riconosco” aveva ammesso
lei, prima di sciorinare
altri nomi, di cui Magnus non era sicuro di averli mai sentiti, alcuni
di loro
non erano Grandi Stregoni, ma medi o addirittura poco noti.
Sì, negli ultimi
anni si era impigrito un po’, differentemente da Tessa. Aveva
adagiato sugli
allori la sua rete di contatti.
“Ed ovviamente stiamo dimenticato i membri stessi del
Concilio” aveva dichiarato
lei, “Nove, giusto?” aveva valutato Magnus, non si
era mai preso la briga di
contarli personalmente, ma ricordava il numero, non credeva fosse una
casualità, ma erano tanti quanti lo erano i principi degli
inferi.
Otto membri ed un cancelliere.
“Balth dubito che si candiderà. Ha
l’età, ma manca della verve e degli appoggi,
anche solo per avere il mio lavoro ho dovuto raccomandarlo ed io ero
l’ultima
ruota del carro, per farla breve” aveva raccontato Tessa.
“Anzai?” aveva chiesto Magnus.
Gli era simpatico Anzai Ken, non era mai stato sommo stregone di alcun
luogo,
era uno stregone giramondo (non abbastanza da beccarsi il soprannome di
Errante, ovviamente), più o meno coetaneo di Magnus. Avevano
viaggiato assieme
per un breve periodo e Magnus lo aveva aiutato a superare la prima
morte di suo
amante, ancora reduce del dolore della perdita che affliggeva lui.
Per il resto non si erano beccati poi molti, di persona, ma si erano
tenuti in
contato. Circa ogni quarto di secolo si inviavano messaggi di fuoco per
aggiornarsi sulle loro vite.
“Anche a me, è un tale amore” aveva
cinguettato Tessa, “Ma non si candiderà.
Durante la Battaglia di Idris ha conosciuto questa vampira slovacca ed
ora
hanno una relazione molto adorabile. Però Anzai non si
candiderebbe mai, lui
dice di mancare di carisma” aveva raccontato lei.
Si, uhm, Magnus non lo avrebbe mai ammesso, ma poteva sembrare un
po’ noioso a
volte.
“Sicuramente Eleonora Pera si candiderà. Da quello
che so lo aveva fatto anche
cinquecento anni fa” aveva ipotizzato Tessa, scrivendo il
nome e cerchiandolo.
“La terribile somma stregona di Venezia ed un’altra
serie di città che ora non
ricordo” aveva borbottato Magnus, sentendo un senso di
angoscia, momentaneo,
pervaderlo al pensiero della donna in questione.
L’ultima volta che Magnus l’aveva vista –
o almeno ci aveva parlato – era stato
durante la Rivolta di Valentine agli Accordi. Da quel che aveva visto
Magnus,
Eleonora non aveva nutrito particolare amore per i cacciatori prima e
non
sembrava fosse migliorato molto dopo.
Complici anche le irrisorie punizioni che il Clave aveva dato ai membri
del
circolo pentiti.
“Lei è come noi, me e te, lo sapevi?”
aveva interrotto il flusso di pensieri
Tessa.
“Un’antica maledizione? Si” aveva ammesso.
Non lo sapeva perché un giorno lui ed Eleonora si erano
simpaticamente seduti a
bere tè e mangiare pasticcini conversando dei loro demoniaci
genitori, ma come
i fratelli silenti gli avevano insegnato da ragazzino, gli stregoni si
riconoscevano tra loro.
La somma stregona di Venezia era stata permeata da un potere oscuro,
forte,
come il suo.
“Non sei in buoni rapporti con Eleonora, vedo”
aveva detto con una certa
tensione Tessa, “Non credo che si possa essere in buoni
rapporti con lei,
probabilmente non lo è neanche lei stessa” aveva
risposto Magnus.
Non era del tutto vero, ma neanche falso.
Certo Eleonora non era cattiva, Magnus aveva scoperto per vie traverse
che
aveva partecipato ad entrambe le guerre, sia contro Valentine, sia
quella
contro il di lui figlio.
Tessa si era lasciata sfuggire una risata, “Quando mi hanno
ammesso nel
Consiglio, mi ha chiamato per i primi, uhm, vent’anni,
‘La Signora
Cacciatore’” aveva raccontato. Il sorriso
che le era germogliato sul viso,
si era cristallizzato con una curva di malinconia al ricordo del suo
primo
marito, un dolore che non l’aveva mai abbandonata del tutto.
“Immagino che ora ti chiamerebbe ‘La
Signora Cacciatore Bis’” aveva
proposto Magnus, sperando di farla ridere, “O ‘La
Signora Cacciatore Silente’”
lo aveva seguito Tessa; poi entrambi si erano dedicati ad una risata
allegra,
affiatata.
Avevano ripreso il loro elenco di nomi e quando l’orario del
pranzo, consumato
con panini di dubbio gusto, era passato, Ragnor Fell in tutto il suo
splendore
si era manifestato nel locale.
“Ma come sei vestito” si era lasciato sfuggire
Magnus, “Certamente meglio di
te” aveva risposto quello. Ragnor indossava un cappello
incredibilmente
colorato, a più clavi, a loro volta decorati, per nascondere
le corna ricurve.
La pelle era del solito verde brillante, ma sembrava lui stesso esserne
incurate, specie dalle occhiate perplesse e incuriosite dei mondani che
avevano
poi perso interesse imputando probabilmente quel colorito a qualche
cosmetico,
in combo al terribile abbigliamento che sfoggiava. Il sempre sobrio
Ragnor Fell
era più colorato di quanto fosse mai stato Magnus nei suoi
momenti migliori – e
gli anni Ottanta erano stati qualcosa di sublime – sfoggiando
un poncho a
bottoni, che somigliava ad una mantella, essendo più lunga
dietro di quanto non
fosse davanti. Il colore che predominava era il rosso, ma era
interamente
attraversata da bande e ghirigori di ogni tonalità, dal
celeste vibrante, per
il verde, fino al rossa e il giallo paglierino, come se una tavolozza
intera
gli fosse finito addosso.
E l’odore.
“Tu infame, eri in Perù!” si era
lasciato sfuggire Magnus con un accusa.
“Fammi causa!” aveva risposto risentito Ragnor
occupando una sedia ed ordinando
un caffè nero, “Come la sua anima” aveva
sottolineato il suo amico.
“Eri in Perù, pur sapendo quando amo quel
posto” aveva detto Magnus,
incrociando le braccia al petto.
Ragnor aveva tirato fuori da una tasca extra dimensionale, fingendo di
prenderlo da sotto il colorato poncho, il peluche di un llama,
anch’esso tutto
colorato.
“Oh, mi hai fatto un regalo” aveva detto Magnus
pieno di gioia, “No, è per tuo
figlio, quello piccolo e blu, ho preso qualcosa anche per
l’altro, poi te lo
do” aveva risposto stoico Ragnor.
Magnus aveva comunque guardato con amore il llama.
“Ciao, Tessa, sono felice di vederti” aveva detto
Ragnor guardando la ragazza,
“Anche io” aveva risposto quest’ultima,
allungando una mano per posarla sulla
spalla del nuovo venuto, “Mi dispiace di aver interrotto la
tua vacanza” si era
scusata.
L’altro
aveva scosso il
capo, “Fortunatamente non era una gita di piacere, e si
Magnus, non sempre il
Perù porta gioia” aveva risposto Ragnor,
“Che affari avevi in Perù?” aveva
inquisito lui.
Gli stregoni peruviani si erano riuniti per bandire Magnus da quella
terra
meravigliosa vita natural-durante, lui d’altronde, sperava
ancora cambiassero
idea – o gli sarebbe dovuto toccare, in tempi di pace, modi
variegati per fare
ritorno alla sua splendida Lima. “Niente di importante,
legato per lo più alla
Scholomance, la signora Penhallow mi aveva mandato, ma ditemi,
perché sono
qui?” aveva chiesto Ragnor, mentre una giovane cameriera
serviva lui il suo
caffè, lo stregone, usualmente verde, aveva rivolto uno
sguardo attento a tutti
i fogli sparsi per il tavolino tondo, ricco di nomi. “Ci
siamo dati alla
politica” aveva cominciato Magnus prima di spiegare tutta la
situazione.
“Il Medio Stregone di Budapest?” aveva dato il suo
contributo Ragnor, “So che è
uno molto disponibile verso gli Shadowhunters” aveva ripreso,
prima di
raccontare loro che lo aveva visto ad Idris più volte di
quanto avesse visto il
sommo stregone di tale città.
Magnus lo aveva guardato con un filo di disagio, “Si, uhm,
è morto” aveva
confessato poi, sotto anche lo sguardo molto rattristato di Tessa,
“Ottembrati”
aveva spiegato.
L’orribile parentesi degli Shadowhunters oscuri, che Ragnor
aveva saltato a pie
pari, essendo prigioniero della volontà di una spina ed in
compagnia di una
certa stregona poco gentile.
L’altro aveva annuito, con un’espressione di
tristezza ad impregnarli il viso,
Magnus e Tessa avevano dato lui il tempo di metabolizzare la notizia,
con del
silenzio.
Ormai Ragnor era tornato nel giro, si poteva dire, proprio come Ragnor
Fell,
dopo essere stato Shade, ma non era riuscito ancora ad aggiornarsi in
tutto,
specie perché era una terribile conseguenza
dell’immortalità dar per scontata
che la fine non sopraggiungesse mai.
Ragnor era scomparso per relativo poco tempo e non credeva che amici
importanti, immortali, come lui scomparissero.
Ma il destino era infame.
E Ragnor Fell viveva in un mondo senza Raphael Santiago,
perché Magnus lo
sospettava che tra tutte le morti, quella del vampiro fosse quella che
più
pesava sul suo cuore.
L’altro aveva riaperto gli occhi, bevendo un po’
del caffè, ancora in silenzio,
“Catarina resta quindi la migliore
possibilità?” aveva chiesto poi, loro due
avevano annuito, “Ma non solo non accetterà mai;
accettiamolo non lo farà, sta
facendo qualcosa come due lavori a tempo pieno” aveva
valutato Ragnor, prima di
posare la tazza, “Io credo che Cat non raccoglierebbe mai
abbastanza voti,
specie contro un Eleonora Pera o un Amir Khan” aveva detto.
Magnus aveva aggrottato le sopracciglia, “Catarina ama i
mondani, più di quanto
ami qualsiasi altra specie, è devota a loro più
di quanto lo sia agli stregoni.
Non fraintendete, amo Catarina, perché è buona
come il pane. Ho bisogno di una
persona così buona nella mia vita” aveva spiegato
Ragnor. “Ma il Labirinto a
Spirale potrebbe scambiare la sua bontà per
mollezza” questo lo aveva detto
Magnus frustrato.
Non perché in questa maniera perdevano l’unico
candidato serio, ma perché non
poteva sopportare che della bontà d’animo di
Catarina si potesse fare così
scempio. Magnus aveva sbuffato. “Il labirinto vuole qualcuno
che sia
ineccepibile” aveva sottolineato Tessa, chiudendo le mani sul
viso.
“Ragnor se non avessi … be lo sai, saresti stato
perfetto” aveva ammesso
Magnus, “Sai essere serioso, sai mantenere comportamenti
civili, hai provato ad
educare generazioni intere di Shadowhunter alla tolleranza”
aveva valutato Magnus.
“E ci sei riuscito tu, seducendone uno, quindi si, un punto
per me proprio”
aveva replicato Ragnor, con una smorfia sul viso verdino. “In
realtà non so se
mi piacerebbe essere Cancelliere, non ci ho mai pensato, ma se Antonius
avesse
deciso di ritirarsi tra mezzo-secolo, forse mi sarei
candidato” aveva ammesso.
O se lo stregone avesse deciso di farlo qualche tempo prima.
“Dobbiamo scoprire
chi si candiderà per certo e scegliere il più
… meno peggio” aveva stabilito,
“Magari avremmo delle sorprese” aveva provato Tessa
incerta, cercando di essere
positiva.
Quando
la porta si era
aperta, Magnus aveva sollevato lo sguardo dal suo pollo per osservare
il suo
adorabile marito sulla porta, con in imbraccio il loro piccolo mirtillo
addormentato. “Ciao Tesoro!”, “Ciao
Alec”, “Buona sera Alexander”
“Salve Signor
Console” si erano rovesciati tutti contemporaneamente dalle
loro bocche. Alec
aveva risposto sollevando una mano, facendo attenzione a non svegliare
sul
figlio, facendosi poi da parte per cedere il passo a Clary,
inaspettatamente
senza compagno.
Anche per la giovane donna non erano mancati cinguetti felici di
benvenuto,
“Stante ancora cercando un candidato?” aveva
domandato quello, con passo
svelto, mentre Clary si chiudeva la porta alle spalle facendo
attenzione a non
svegliare Max.
“Lo porto a dormire” aveva detto suo marito e
Magnus aveva abbandonato il suo
pollo take away sul tavolino basso, alla mercè del
Presidente, aveva lasciato
anche il posto sul divano prontamente occupato da Clary abbastanza
interessata
a ciò che stava accadendo.
“Rafi
dorme già” aveva
detto Magnus, ammiccando alla stanza del loro figlio maggiore,
“Spero che anche
lui continui” aveva sussurrato Alec, che pareva parecchio
stanco e sciupato.
Magnus lo aveva seguito placido, mentre occupavano la piccola stanzina
di Max,
dove aveva osservato tenero suo marito rimettere a posto nel lettino il
piccolo.
“Cavato un demone shax dal muro?” aveva chiesto
Alec a bassa voce. “In realtà
non molto, non credo ci sia molto che possiamo fare. Tecnicamente
stiamo
cenando, abbiamo aspettato che Catarina finisse in ospedale. Ho
ordinato anche
per te, non sapevo se avessi mangiato o meno” aveva confidato
con dolcezza,
“Sei adorabile” aveva risposto Alec, dandoli un
bacio sulle labbra, “Ho cenato
in istituto tipo quattro o cinque ore fa” aveva ammesso suo
marito, “Comunque
adesso mi preparo un bel caffè e vi ascolto, anche
perché credici o meno, uno
stregone ha chiesto di incontrarmi a breve” aveva detto Alec,
sfilandosi la
maglia di cuoio rinforzato da cacciatore, per sistemarsi in una maglia
larga e
sformata, che lasciava la vista del suo collo e delle sue clavicole.
“Non che mi lamenti, come mai il Biscottino è
qui?” aveva chiesto.
“Le ho detto che c’era Tessa ed ha deciso di venire
a trovarla” aveva spiegato
Alec, pareva una spiegazione sbilenca, ma la giovane Clary era
imprevedibile
spesso.
Quando
erano tornati in
soggiorno gli altri stavano ancora mangiando, Clary aveva giusto
ingurgitato un
raviolo al vapore. “Quindi signorina Fairchild le sue
conoscenze in stregoni?”
la stava stuzzicando un po’ Ragnor, senza molto successo.
Il suo amico poteva essere definito quasi lo stregone-di-famiglia dei
Fairchild
per generazioni, aveva aiutato molto Jocelyn, ma non aveva avuto modo
di
conoscere bene Clary.
Quando la donna era venuta a cercare riparo, con la sua piccola
bambina, Ragnor
lo aveva raccomandato alle due, ma lui non era rimasto abbastanza in
giro per
dare una mano; aveva preferito tornare ad Idris a cercare di sistemare
le cose
con i nephilm, dopo la Fallita Rivolta, ma era un po’ come
cercare di riparare
una diga con dello scotch.
Clary aveva ridacchiato, “Ne conosco già quattro.
Direi che è un buon numero”
aveva detto lei, ridacchiando. Era bella, il suo biscottino, e per sua
fortuna
aveva ereditato la bellezza morbida e delicata di sua madre. Oh
sì, anche se
qualcosa, poco smussato di suo padre lo aveva ereditato, poco, qualche
lineamento, che il tempo, nelle generazioni non si sarebbe tramandata.
Magnus aveva ripreso il suo posto sul divano, con uno schiocco di dita
e
scintillate magia azzurra, aveva sistemato una cialda nella macchinetta.
Alec gli aveva sorriso affiancandosi a lui sul divano;
“Quindi quale stregone
vuole incontrarti?” aveva chiesto subito Magnus,
“Neumar Huge” aveva risposto
Alec, mentre con gli occhi azzurrissimi studiava la reazione di tutti i
presenti. “È un membro del Consiglio”
aveva rivalto Magnus, “Si, viene chiamato
il Dattilografo” aveva spiegato subito Tessa, “Si
occupa di scrivere il verbale
di tutte le riunioni, è un tipo molto scrupoloso”
aveva aggiunto.
“Immagino vorrà informarti della decisione di
Antonius, per buona creanza, e
per l’Alleanza” aveva valutato Ragnor.
“Il cambio del Cancelliere è un evento piuttosto
importante, mi pare di capire”
aveva commentato Clary, che doveva aver saputo le cose da Alec quel
giorno,
“Più che altro è un evento
raro” aveva detto Magnus mogio, “Che
scandirà un po’
tutta la linea politica del Consiglio a Spirale” lo aveva
pungolato Tessa.
Catarina aveva inghiottito un po’ dei suoi germogli di
soglia, prima di
richiamare l’attenzione su di lei, rischiando di strozzarsi
con essi.
Tessa le aveva tirato dei buffetti sulla schiena, mentre lei aveva
ingurgitato
dell’acqua per liberarsi delle briciole, “Ho il
candidato” aveva commentato
quella, posando il bicchiere sul tavolino.
Tutti avevano gli occhi rivolti verso di lei, “Allora; ho
pensato a quello che
avete detto sta mattina, anche se io non sono sicuramente la persona
adatta –
ancora grazie per avermi pensato – però ho capito
che non potevo lavarmene le
mani” aveva cominciato a spiegare lei, spostando i capelli
bianchissimi, come
la neve, dietro un orecchio, con grazia.
“La somma stregona di Leiden” aveva buttato fuori
Catarina, Magnus aveva
aggrottato le sopracciglia, “Devo dichiarare la mia
ignoranza” aveva dichiarato
spento.
Si era tenuto tutta la vita lontano dall’Olanda, in ogni modo
possibile.
Per lui l’Olanda esisteva soltanto negli stentati ed ormai
opachi, nella sua
memoria, racconti del suo patrigno e quel poco che sua madre gli aveva
detto,
saputo a sua volta da suo padre. Magnus era olandese, almeno la
metà umana di
lui lo era, ma quella terra per lui era sempre stata estranea, come una
vita
che non aveva mai vissuto e di cui non aveva voluto sapere nulla.
In quattrocento anni della sua vita, in tutti i suoi innumerevoli
viaggi, non
era mai stato nei paesi bassi, mai, neanche una volta e non conosceva i
suoi
stregoni.
“Si, lei non è male” aveva detto Tessa
con incertezza, “Nel senso è una persona
che ha sempre cercato di tenersi defilata, però ecco, non
credo abbia mai avuto
guai con gli Shadowhunter” aveva stabilito, “Forse
una volta nel novanta con il
Circolo che non si è tramuto in nulla di troppo …
pericoloso” aveva aggiunto.
“Però ha sempre svolto ottimi servigi per il
Labirinto a Spirale, molti
stregoni la tengono in buona considerazione, lavora per lo
più con i Mondani,
se non ricordo male …ed anche se non è sempre
stata troppo fedele alla legge,
non si è mai fatta beccare” aveva raccontato
Catarina, strizzando l’occhio verso
Alec, “Tu non lo hai sentito” aveva cinguettato.
“Sentito cosa?” aveva risposto suo marito
tranquillo.
Ragnor non aveva detto nulla, il suo viso era ieratico. “Cosa
pensi, zucchino
mio?” aveva chiesto Magnus sfacciato.
“Justine Vale” aveva detto quel nome come se fosse
pesato sulla sua lingua,
come se non volesse uscire fuori. Aveva pronunciato il nome alla
maniera latina
classica, pronunciando tutte le lettere e con la u al
posto della v.
Come si pronunciava l’Addio.
“Indovino non le hai detto che sei tornato in vita”
aveva provato Magnus, visto
che quel problema sembrava riproporsi continuamente in lui di quei
tempi.
“No, io non sono neanche sicuro abbia saputo della mia morte
in precedenza. Non
la sento dai tempi della Reggenza” aveva
ammesso Ragnor con un tono un
po’ rigido, “Justine, io credo che non
sarà interessata” aveva considerato, “Ma
sarebbe sì, un’ottima candidata, credo”
aveva terminato. Catarina lo aveva
guardato, “Sono sicuro che il tuo charm la
conquisterà di nuovo” lo
aveva preso in giro lei.
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Capitolo 4 *** L’Olanda … è così in basso che saranno salvati soltanto con l’essere dannati ***
Ed
indovinate chi non è
ancora uscita fuori dal caos di un trasloco? Inoltre, nelle prossime
settimane
sarò stra-presa, quindi non ho idea di quando
riuscirò ad aggiornare di nuovo.
Spero presto, comunque.
Ne “Il Libro Perduto del Bianco”, Magnus ha un
legame molto potente con l’Indonesia,
ma non così stretto con l’Olanda – ma
ei, questa è una ff.
Comunque vorrei ringrazia chiunque abbia
letto/seguito/preferito/ricordato e
chi ha recensito (Arwen Fenice <3). Grazie ancora.
Un bacio e Buona Lettura
RLandH
Ps – Ho inserito dei link per i disegni di altri oc
(Isolde/Willem e Henrich) infondo,
cercando di seguire lo stile della C. Jean.
Giustizia mosse il mio alto Fattore
L’Olanda … è così in basso che saranno salvati soltanto con l’essere dannati
Il portale lo aveva aperto Ragnor, per un paio di motivi: i portali erano la sua specialità, nonostante di solito prevedessero passaggi tetradimensionali, era stato in Olanda e non aveva le mani strette su quelle di un bambino. Raefael stava guardando Magnus con i suoi grandi occhi scuri, senza dire nulla.
Max faceva comparire piccole bolle con la sua magia, ma era sotto l’attenta osservazione di sua nonna Maryse. “Cerca di non morire” aveva sentito Izzy dirlo al suo fidanzato, che l’aveva lanciato uno sguardo al vetriolo, che era durato comunque poco. Simon si era sporto per dare alla donna un bacio a fior di labbra.
Rafael aveva allungato una mano per prendere anche quella di Alec, che si era appena allontanato da Max. “Sono contento” aveva detto con sicurezza il bambino, in un inglese che risentiva molto poco dell’accento portoghese. Normalmente non era d’uopo portare un ragazzino in queste occasioni, non uno piccolo come Rafe, ma la loro non era una missione, non ufficialmente. Andava bene portare Rafael, si ripeté Magnus.
Alec stava estendendo il suo diritto di Console-in-Esilio per visitare l’Istituto di Amsterdam. La famiglia che lo gestiva, i Zwartekust, che durante la votazione delle Coorte contro la Guardia di Livia, avevano dato il loro favore ad Alex.
Erano shadowhunters rispettati, sebbene poco influenti, da quello che Magnus aveva capito dalle chiacchiere di Jace ed Isabelle. I Zwartekust avevano gestito l’istituto da quando King Billy era ancora Willem Van Oranje e non erano mai molto stati interessati agli affari di Idris. Avevano risposto alla chiamata quando era stato necessario ed avevano combattuto, il patriarca della famiglia era morto nella Guerra Mortale – a quanto pareva – ma per il resto si erano sempre considerati un fulcro a parte.
Però i Zwartekust erano da sempre in competizione con l’altro grande istituto d’Olanda, paese noto per non essere evidentemente molto poco spazioso, quello dell’Aia.
Quest’ultima era gestito da un ramo della famiglia Pangborn, a cui non era stata imputata nessuna collaborazione con il Circolo in passato, nonostante due suoi membri ne fossero stati parte. Inoltre, i Pangborn avevano favoreggiato per la Coorte durante l’ultima votazione, quella che aveva scisso il mondo degli Shadowhunters.
Però, come gli aveva detto Alec, alcuni membri della famiglia Pangborn, non erano stati presenti ad Idris durante la votazione, rimasti probabilmente all’Istituto per ‘presenziare il forte’ e si erano così ritrovati tagliati fuori dall’isolamento in cui il resto si era chiuso ad Idris. Così adesso, almeno due Pangborn occupavano impropriamente – Magnus, e a quanto pare Alec, non ne era troppo sicuro – l’Istituto.
Così il suo viaggio con Ragnor in Olanda si era trasformata in una scusa per Alec per conoscere chi lo aveva sostenuto e capire cosa fare con chi non l’aveva fatto e Rafael era capitato dritto nel mezzo. Alec contava di stare qualche giorno, che avevano valutato il loro bambino potesse perdere dalla Colonia estiva.
‘L’esilio dei miei genitori da bambino mi ha confinato praticamente dentro New York’ si era giustificato Alec, anche se lo aveva detto con una certa rigidezza.
Isabelle veniva per fare la guardia del corpo praticamente, assieme ad un altro giovane cacciatore fresco di Scholomance, non che Alec ne avesse bisogno.
“Tranquillo, fratellino” aveva sentito sussurrare proprio Isabelle ad Alec, prima di arruffare i capelli riccioli del suo nipotino. “Se abbiamo finito i saluti rituali” aveva detto spazientito Ragnor, attirando l’attenzione su di loro e sul portale scintillante davanti loro.
In realtà non era necessario che andasse Magnus, ma Catarina aveva chiesto di tenere d’occhio il loro amico, non aveva ancora accettato l’idea di lasciare da solo il loro verde amico, spaventata che potesse …be, ritrovarsi con un demone maggiore pronto a sfruttarlo. Inoltre, anche Magnus aveva sentito il suo comportamento cambiare quando aveva vagliato l’idea di dover incontrare Justine Vale.
E poi Magnus non era mai stato in Olanda – e ne era vagamente spaventato.
Aveva
seguito il suo
amico dentro il portale, affiancato al loro bambino e da suo marito,
pronti ad
apparire scintillanti ed assolutamente uniti, simbolo del futuro e di
unione.
Isabelle ed il giovane Danny Graymark – mondano fresco di
ascensione, qualche
classe indietro rispetto al buon Simon.
Erano sbucati sull’ansa mattonata di un fiume, davanti quella
che pareva una
barchetta piuttosto diroccata, fissata con una catena di adamas
scintillante alla
banchina.
C’era scritto qualcosa sulla barca, una sorta di insegna: Gutta
Cavat Lapidem.
“Piuttosto deludente” si era lasciato sfuggire
Danny Graymark, prima di essere
richiamato da Izzi, “Su, giovanotto traduci” lo
aveva invitato.
“La Gotta scava la lapide?”
aveva provato quello, guadagnandosi
un buffetto di rimprovero da parte di Isabel, “La
Goccia. Daniel.
Goccia. Non farmi pentire di averti promosso. La goccia scava
la pietra”
si era lamentato Ragnor.
“Comunque è un illusione” aveva
stabilito Alec, aveva fatto qualche passo,
scivolando dalla presa del suo bambino e tirando fuori lo stilo, che
era
scintillato nella sua mano quando aveva disegnato nell’aria
la runa della
rivelazione.
Al posto della barchetta, di cui era rimasta solo l’insegna,
si era palesato
davanti a loro un mostro, che sembrava somigliare ad una versione del
famoso
Catello Errante di Howl del film d’animazione, in versione
barca e con tetti
spioventi e pareti curve, tipiche dell’architettura
Middle-europea.
Scintillava anche delle
blasonature da una finestra, in campo nero, cucito in bianco appariva
un
fiumiciattolo ondulato, su un’ansa erano state cucite piccole
goccioline. “Ogni
volta che lo vedo è sempre più brutto”
era stato l’aspro commento di Ragnor,
mentre cedeva il passo ad Alec e la sua famiglia per proseguire sulla
passerella.
Ad aspettarli sul ponte di legno lucidissimo c’erano tre
persone.
Due erano una coppia di fratello-sorella, non potevano essere
altrimenti, aveva
pensato, erano ambedue sulla trentina, alti, affilati come coltelli,
con occhi
chiarissimi, pelli bianche seppellite da efelidi rosse sulle guance e
capelli
biondi.
Lei li portava ordinati in una crocchia severissima, indossava un abito
nero,
compreso da una maglia aderente e pantaloni in cuoi, i resti di un runa
si
intravedevano spuntare dal colletto a v. L’unico tocco di
colore era dato da
una giacca oro, che stonava molto con l’uniforme standard da
cacciatrice;
troppo elegante e forse inadatta ad una calda giornata di luglio. Suo
fratello,
con i capelli lunghi, raccolti in una mezza coda, indossava un
abbigliamento
più mondano, con una maglietta a righe e dei jeans a
ginocchio, ciò che
attirava di lui erano i calzettoni blu accesso, che arrivano a
metà polpaccio,
che spuntavano dalle scarpe di tele.
La terza della fila era una ragazzina sulla quindicina, che non aveva
nulla a
che fare con loro. Aveva occhi grandi e carini ed una zazzera di
capelli rossi,
non come quelli di Clary, ma più intensi e finti, di un
rosso ciliegia, anche
lei era pronta alla caccia, scintillava un pugnale angelico legato alla
cinghia
di una coscia.
“Oh, vi stavamo aspettando” aveva esclamato subito
l’uomo in un inglese,
ottimo, andando loro incontro, “È un piacere
averla qui, Console” aveva detto
rispettabile la donna. Prima che loro si presentassero per bene.
“Io sono Willem Zwartekust, il capo
dell’Istituto” aveva detto subito, “La
mia
sorella Magriet” aveva presentato la bionda di ferro,
“Mia cugina Ej
Townsend” aveva spiegato, “Benvenuti
nell’Istituto di Amsterdam, speriamo lo
possiate apprezzare” aveva detto Willem pieno di gioia,
“Ne sono certo” aveva
detto Alec, prima di presentare loro, non era necessario in fin dei
conti, come
aveva convenuto Magriet, tutti loro erano estremamente famosi.
Tranne il povero Danny Graymark che era stato comunque molto
interessato alla
conoscenza della giovane Ej. E Rafe ovviamente.
Willem li aveva invitati a seguirlo all’interno del mostro di
pietra, mentre
sua sorella aveva sciolto la catena di adamas per poter permettere alla
barca
di riprendere il fiume. “La gente pensa che siamo sempre
fissi, ma in realtà
siamo in continuo movimento. I canali di Amsterdam cambiano
continuamente”
aveva spiegato Willem con tranquillità, “Come
le scale” aveva detto
Danny, non ricevendo però nessun appiglio alla sua battuta,
povero mondano di
nascita, circondato da terribili Shadowhunter, Magnus aveva fatto verso
di lui
un sorriso di incoraggiamento. Ej aveva ridacchiato, stupendo non poco
le stregone.
Varcato
le soglie della
barca era stato evidente che nonostante l’aspetto immenso che
si vedeva da
fuori l’interno era molto più grande,
“Opera di un eccelso stregone” aveva valutato
Ragnor. Lo spazio all’interno dell’istituto
sembrava come un foglio di carta
ripiegato, che da un momento all’altro dava l’idea
di aprirsi in una tasca
dimensionale creata apposta.
“Si. Credo si chiamasse Vaymar Houst, ma non ne sono sicuro,
lo ha rimodernato
ai tempi del matrimonio di Willem II ed Harriet Mary. Comunque stiamo
organizzando un ottimo pranzo per voi, tutto l’istituto
è andato in fermento”
aveva spiegato Willem, “Quante persone lo abitano?”
aveva chiesto Alec, “In
totale siamo undici, otto Shadowhunter, due modani con la vista, che
stavano
valutando di ascendere, e mia moglie” aveva rivelato,
“Lei è un’ondina” aveva
aggiunto, facendo l’occhiolino sfacciato ad Alec.
Aveva avuto un tono caldo e Magnus aveva potuto percepire
l’implicita riconoscenza
nelle sue parole, Alec aveva sorriso. “Alla faccia della
presunta penuria di
nephilm” aveva commentato Izzy, “Amsterdam
può essere impegnativa” aveva
provato Magriet. Magnus probabilmente immaginava costa stesse balenando
nella
mente della sua cara cognata, a New York dopo la rivolta
nell’Istituto erano
praticamente in tre ed uno non poteva neanche uscire.
“Console Lightwood, vuole tutti i convenevoli del caso o
desidera accomodarsi
nello studio?” aveva chiesto Willem, Alec lo aveva guardato,
per prima cosa
aveva rivelato al capo dell’Istituto che poteva esser
chiamato per nome.
“Inoltre: vorrei visitare l’Istituto, mi ha sempre
incuriosito molto”
aveva detto professionale
e serioso, sebbene Izzy alle sue spalle aveva ghignazzato con un certo
divertimento;
“Be, fratellino, lascio a te la Biblioteca, io credo di voler
vedere l’armeria”
aveva sorriso spigliata Izzy, Magriet aveva ricambiato lo sguardo,
“Ne sarei
onorata” le aveva risposto rigida. “Anche io prendo
la biblioteca” aveva ceduto
Magnus, Izzy si era chinata per prendere la mano di Rafael,
“Ci scommetto che
tu vuoi venire in armeria con me? Magari troviamo un bello stiletto per
te”
aveva detto con una punta di divertimento, “Si!”
aveva detto suo figlio
trionfante.
Magnus
aveva mangiato all’istituto
di New York, nelle cene importanti sì, anche in quello meno
ma ormai erano i
membri della sua famiglia, terribilmente chiassosa. Anche in quello di
Londra
era stato così, quando lo avevano retto Will e Tessa.
Ma l’ultima volta che aveva pranzato in un istituto che non
era gestito da uno
stretto amico, era stato un occasione ufficiale – e molto
più popoloso di gente
– la
Regina Vittoria era ancora Regina e
gli Accordi erano appena abbozzati, Josiah Wayland comandava su Londra
e un Morgenstern
era Console.
Lui gli aveva invitati a cena e poi aveva buttato i piatti in cui
avevano
mangiato – ma aveva combatto al loro fianco e aveva voluto
gli accordi, o
almeno ci aveva provato.
Quel pranzo, in Olanda, però era completamente diverso, per
quanto fosse
affollata la sala principale. Intorno ad una lunga tavolata erano
sistemati in
sedici, la tavola era imbandita di stuzzichini e piatti tipici della
cucina
olandese – e qualcosa di più cosmopolita.
Alec era stato completamente assorbito da Willem che continuava ad
illustrare
proposte e difese contro la situazione della Coorte e di tanto in tanto
faceva
scivolare il nome Pangborn nel discorso. Rafael stava versando un
po’ della sua
zuppa, nel bicchiere di una deliziosa bambina sua coetanea, con cui
aveva fatto
amicizia – era la figlia di Magriat. Ragnor stava facendo lo
splendido con la
donna mondana, sulla quarantina, piacente e con una risata fresca. Izzy
si
intratteneva un po’ con Magriet, ancora tutta rigida e con la
giacca d’oro ed
un po’ con Isolde, l’Odina, che era svestita,
coperta, parzialmente, solo della
pelle della sua foca, ma che pareva del tutto indifferente alla sua
nudità. Ma sarebbe
stato più corretto dire che tutta la tavolata fosse avvolta
in fitte
conversazioni.
Magnus
sedeva accanto a
suo marito, troppo lontano da suo figlio e vicino ad una vecchia
signora tutta ingrigita,
ma con un sorriso ancora dolce, con il collo calante e le mani
macchiate dalla
vecchiaia, su cui si vedevano ancora i segni delle rune. Capelli canuti
raccolti in una treccia pesante, che scendeva sulla sua spalla.
La chiamavano tutti Grootmoeder, nonna, compreso il
ragazzo mondano che
sedeva dal lato opposto rispetto Magnus. “Prendi dei Rijistaffel!”
lo
aveva invitato Grootmoeder, indicando una pietanza che lo stregone
conosceva
bene e che non mangiava da secoli, senza eufemismo “Fidati di
me è molto buono”
aveva detto imperiosa, in un ottimo inglese.
“Grootmoeder credo che lui lo sappia” il ragazzo
mondano, che poteva essere
sulla ventina scarsa, per essere buoni, lo aveva detto a denti stretti
verso
l’anziana. Aveva parlato in olandese, ma Magnus si era
trovato sorpreso nel
constatare che la ricordava ancora come lingua, nonostante tutto.
“Si, signora,
sono originario di Jakarta, quando ancora si chiamava
Batavia” aveva
raccontato.
I Rijistaffel erano un piatto indonesiano che l’Olanda aveva
fatto piatto
tipico durante gli anni del colonialismo – e che
paradossalmente in quei tempi
non si faceva più in Indonesia. “Mia madre lo
preparava” aveva detto languido
lasciandosi coccolare da quei pochi ricordi felici annegati
dall’angoscia di
ciò che era venuto. “Capisci
l’Olandese” aveva esclamato il mondano,
“Lo sono,
tecnicamente” aveva provato Magnus, “Come stregone
non è che abbia esattamente
una patria, ho vissuto in lungo ed in largo ed in certi posti molto
più di
quanto io abbia vissuto in Indonesia”
aveva raccontato. “Quando
sei nato però l’Indonesia era olandese!”
aveva valutato il ragazzo – Magnus
l’aveva praticamente ammesso prima, “Se vai a
guardare bene, l’indipendenza è
avvenuta meno di cento anni fa” aveva detto
dall’altro lato del tavolo un altro
shadowhunter, prima di riprendere interesse in quello che stava dicendo
Magriet.
“Comunque i Rijistaffel olandesi sono diversi da quelli
indonesiano, per via
degli ingredienti” aveva spiegato il ragazzo; “Non
essere fastidioso, Heinrich”
lo aveva rimproverato Grootmoeder, “Mangia lo
Zuurkool” aveva impartito la
donna, passandoli sotto il naso un bel panino croccante con crauti,
carne e
salse di dubbio gusto. Magnus aveva preso sia quel piatto, sia i
rijistaffel,
una serie di piatti che aveva il riso alla sua base, combinato con
altre
pietanze. Aveva preso pollo, le uova, le verdure saltate, quelle con la
salsa,
godendosi per un momento il desiderio di ritrovare gusto della sua
infanzia,
prima dei suoi occhi, prima di scoprire la sua natura.
Aveva scoperto con orrore che Heinrich aveva ragione: non avevano lo
stesso
sapore.
In
mattinata avevano visitato
la biblioteca, era davvero la più vasta
all’interno di un istituto, non superava
quella di Idris, o dei Fratelli Silenti – o qualsiasi del
Labirinto a Spirale –
ma era sicuramente notevole, sia per essere su una barca, sia per
essere un
istituto. Più grande e fornita di quella di New York, Londra
e Los Angeles. Nel
pomeriggio dopo il pranzo avevano visto l’armeria di cui Izzy
aveva tessuto
abbastanza lodi, la stanza dell’allenamento, le camerate,
anche l’infermeria,
prima che Willem li conducesse nello studio del capo
dell’istituto.
Magnus non aveva idea in che punto fossero della struttura, ma
dall’ufficio di Zwartekust,
piccolo ed affollato di chincaglierie (riconosceva anche più
di una scatola per
demoni impilate a fortuna) – appariva una finestrella che
dava sul canale e su
una riva attraversata da studenti e casette a punta, degna immagine di
un
pittore delle fiandre.
Nella stanza erano stati presenti in sei, Willem, la sua rigida
sorella, la sua
moglie ancora nuda, con gli occhi allungati e la carnagione di rame,
lui, Alec
ed Izzy.
“Prima
di parlare di
Pangborn, mio marito avrebbe una richiesta” aveva ammesso
Alec con un tono
austero, distinto. “Certamente” aveva risposto
Willem sulla fiducia, mentre
intrecciava le dita sul suo scrittoio, era di legno pregiato ed era
opera
d’antiquariato. “Avrei necessità di
parlare con la somma stregona di Leiden,
Justine Vale” aveva riportato, onestamente non aveva bisogno
del permesso degli
Shadowhunters per parlare con lei, ma visto quanto criptico era stato
Ragnor
riferendosi alla donna e non sapendo che rapporti intercorressero tra
essa e
l’istituto di Amsterdam, non era saggio che il marito del
Console andasse ad
incontrare una strega problematica. Pensò che Alec volesse
anche saggiare
l’idea che avevano i cacciatori di lei, per vedere se davvero
fosse una buona
candidata.
Willem aveva annuito, “Certo, Justine non è la
persona più disponibile del
mondo, però non dovrebbe essere un problema” aveva
aggiunto, “Il problema è che
sembra terribilmente indaffarata sempre” aveva detto Magriet,
“Leiden non ha un
istituto, ma in compenso, ha un mucchio di studentelli universitari
pronti a
fare cose stupide con la magia nera” aveva aggiunto con una
dose di fastidio.
Isolde aveva allungato una mano, aveva unghia smaltate color perla, ed
aveva
posato la mano sull’avambraccio di suo marito,
sull’anulare scintillava un
anello d’oro su cui era incisa la runa del matrimonio;
“Avverti Bo, potrebbe
fargli avere un appuntamento anche domani. Stiamo parlando del
meraviglioso
Magnus Bane” aveva detto. Come gran parte delle fey la voce
di Isolde era
incredibilmente musicale e dopo tutto il tempo speso negli ultimi
giorni ad
esser definito Appendice, era contento di avere un po’ di
riconoscimento.
“Mando subito un messaggio di fuoco” aveva
implicitamente concordato Willem,
prima di spiegare loro che Bo era il suo stregone di fiducia.
“Adesso parliamo di Gerjen ed Ibe Pangborn” aveva
detto inflessibile Magrit,
“Si, ditemi di loro, la vostra impressione” aveva
concordato Alec. “Tipo se somigliano
ai cari cugini” aveva aggiunto Izzy, con un tono un
po’ caustico, ricordando i
due alleati di Valentine.
“Ibe ha solo quattordici anni”
aveva rimarcato Isolde, “Poco più piccolo
di Ej” aveva aggiunto. “Sì”
aveva concordato spento Willem, “A
quell’età
qualcuno non è irreprensibilmente rovinato, lo so. Ibe non
è un problema, ma suo
cugino Gerjen si, che di anni ne ha venticinque” aveva
spiegato, “Solo una
settimana fa ha trucidato un gruppo di vampiri, asserendo che avevano
infranto
il codice, a Leiden. Ho avuto missive di nascosti che spergiuravano il
contrario, perfino Lupi Mannari che sono venuti a difendere i
vampiri” aveva
raccontato, “Mi hanno detto che la capo clan è
stata legata ad un palo, poco
prima dell’alba e lasciata bruciare” aveva detto
carico di rabbia.
Anche Magnus l’aveva percepita dentro di sé, quel
disgusto bruciante.
“Il mondo dei cacciatori sta affrontando una crisi senza
precedenti nella loro
storia, la Coorte ne ha approfittato per diffondere la paura, i
Pangborn per
dare sfogo alle loro ideologie distorte” aveva spiegato
Magriet. “Il Console
forse avrebbe dovuto essere aggiornato un po’ prima. Alec non
è come tutti gli
altri, lui ci tiene, ci tiene davvero” era intervenuta
Isabelle, prima che
Magnus potesse parlare.
I Zwartekust avevano fatto passare la diatriba con i Pangborn solo
legale,
questo sembrava molto più grave. “Non volevamo
allarmare la situazione ora,
visto lo stato precario delle cose” aveva provato Willem, ma
era stato
scavalcato da sua sorella, “Pensavamo di risolvere il
problema noi, in vero.
Avremmo raccolto tutte le prove e messo Gerjen in una cella nella
Città Silente
e rimesso alla giustizia. Riguardo ad Ike …” aveva
fatto una pausa.
“Ma senza prove non avremmo mai agito” aveva
confermato Willem.
In
un pomeriggio Magnus,
suo marito e suo figlio avevano girato il museo di Van Gog, la
città ed anche
il Rijikmuseum, il cuore e la memoria dell’Olanda intera,
racconto del secolo
d’oro. Una parte della storia che gli era ignota e di cui ora
cercava conferme.
Suo figlio, nonostante la giovane età ne era stato
entusiasta. Purtroppo, la
contentezza di quest’ultimo era stata smorzata
dall’espressione cupe dei suoi
genitori.
Sia Alec sia Magnus avevano la mente occupata dal medesimo pensiero: i
Pangborn.
Anche la stupida missione di ricerca del candidato per il ruolo di
Cancelliere
sembrava insulso a confronto.
Rafael si era fermato davanti al famoso dipinto: La Pesca delle Anime
di Adrian
van de Venne, lo aveva rimirato con l’innocenza di cui solo
un bambino poteva
fregiarsi, perso nei colori accesi e nella morbidezza delle figure,
assolutamente ignorante dei messaggi politici e sociali nascosti
nell’opera.
“Mi piace” aveva sentenziato con
l’assoluta certezza che poteva appartenere
solo ad un ragazzino, “Vogli imparare a dipingere. La
signorina Vera dice che
non sono portato, ma non mi interessa” aveva aggiunto con
sicurezza.
Magnus aveva sorriso verso di lui, “Sei un Lightwood-Bane,
puoi fare tutto
quello che vuoi, senza che nessuno ti limiti” aveva detto
Alec, mettendoli le
mani sulle spalle.
“Clary e Jocelyn possono darti ottime dritte” aveva
aggiunto Magnus. “Posso
dipingere ed essere un cacciatore?” aveva chiesto con
innocenza, “Tutto quello
che vuoi” aveva ripetuto Alec.
Rafael li aveva guardati, poi aveva sorriso fiducioso delle parole dei
suoi
padri.
Avevano
incontrato Izzy
per la cena, alterata e ridente, appesa al braccio di un Danny
piuttosto
imbarazzato ed in compagnia anche di Ej ed Henrich, più in
disparte e
tranquilli.
La giovane Shadowhunter gli aveva portati a cenare in un localino
gestito da
una compagnia piuttosto pittoresca di Fey.
Uno di questi, un giovane satiro sfacciato, che si era mangiato gli
occhi
entrambi i fratelli Lightwood, che non aveva tubato poi molto Magnus,
sicuro
senza ombra di dubbio dell’amore di suo marito per lui
– ed un po’ più
preoccupato per il povero Simon Lovelace, distante.
Comunque tutte le attenzioni del giovane cameriere fey erano state
attirate da
Rafael che aveva cominciato a fargli un mucchio di domande. Quando lo
avevano
preso con loro, era un ragazzino taciturno, segnato dalla guerra, ma in
poco
tempo aveva schiuso il suo cuore in favore di una certa
loquacità adorabile.
“Anche
qui fanno i
Rijistaffel, ne hanno almeno quaranta versioni” aveva detto
Henrich, “Si, ma
fanno meglio i bagel; in particolare quello con il salmone
crudo” aveva
dichiarato Ej, “Sono sicura ci mettano dentro della magia
nera per indurre
dipendenza – tipo quel vampiro a Los Angeles” aveva
aggiunto.
Magnus aveva preso i bagel, con il pane aromatizzato al pomodoro,
insalata,
maionese, crauti e carne, per non rimanere ancora una volta deluso dai
rijistaffel, ancora, suo figlio e suo marito non lo avevano imitato.
“Adoro questo cibo” aveva dichiarato Rafael con
assoluta certezza, mentre
inghiottiva una generosa manciata di riso con del maiale, grondante di
salsa.
Magnus si era trattenuto dal fare commenti, specie perché
Alec sembrava
condividere la sua opinione, “Sì, si dovremmo
trovare un posto che li fa anche
a New York” aveva constatato. “Quindi Henrich,
vorresti ascendere?” aveva
domandato Izzy, rivolgendosi al mondano con la vista, con riccioli
carini e le
fossette.
“Be, in realtà sono un po’ spaventato
dall’idea di bere nella coppa mortale,
dicono che può ucciderti e che il primo marchio
può essere dolorosissimo” aveva
confessato lui, cotto un po’ di imbarazzo. Magnus, Alec ed
Izzy avevano avuto
un momento di silenzio, avendo entrambi conosciuto e visto situazioni
descritte
dal giovane mondano.
“Sciocchezze. Henrich sarebbe un cacciatore
perfetto!” aveva dichiarato Ej con
sicurezza, ridendo, mentre prendeva un generoso sorso di birra.
“Ma sai come
sono: non mi piace l’idea di avere qualcosa permanentemente
addosso, rune o
tatuaggi” aveva dichiarato quello, mentre mangiava delle
patatine fritte; “Però
è ormai un anno e mezzo che Willem, Magrit e Dave mi
addestrano come se dovessi
diventare un cacciatore e Grootmoder mi sta insegnando tutte le regole
e la
storia. Quindi sì, sono terrorizzato ma vorrei essere un
cacciatore” aveva raccontato
Henrich.
“Come mondano la mia vita faceva piuttosto schifo,
metà del tempo la passavo
cercando di convincere la gente che non ero pazzo” aveva
aggiunto.
“Alla coorte è rimasto solo uno degli strumenti
mortali, quindi se vorrai, a
New York, c’è una coppa che ti aspetta”
aveva confermato Alec con assoluta
tranquillità.
Henrich
aveva sorriso.
La
stanza in cui Rafael
era stato sistemato era diversa dalla loro ma era comunicante tramite
una
porta. Non erano male i loro alloggi, piccini, pieni di cianfrusaglie e
quadri
di barche.
“Non ho un inquisitore” aveva valutato Alec,
“Avevo pensato di offrire la
posizione a Julian Blackthorne, ma è ancora troppo
giovane” aveva detto suo
marito, sfilandosi gli stivaletti ed accomodandosi sul letto a due
piazze che
avevano avuto.
Dalla loro stanza non avevano finestre, ma avevano, appunto,
innumerevoli
quadri di barche e rune dipinte d’oro sulle pareti.
“Cosa dobbiamo fare con i Pangborn, portarli entrambi con noi
a New York?”
aveva chiesto poi calmo, “Perché ora come ora solo
pensare a loro mi monta la
rabbia” aveva dichiarato.
“Giustizia Alec. Ti occuperai di questo” aveva
detto Magnus, accomodandosi al
suo fianco e posando la fronte su quella del marito, “Ho
intenzione di darti
una mano” aveva aggiunto.
“No, occupati della stregona di Leiden; la fine di luglio
è vicina. Ho parlato
con lo stenografo del Consiglio, Antonius Vir annuncerà le
sue dimissioni e già
due membri del Consiglio sono intenzionati a presentarsi” gli
aveva ripetuto.
Magnus aveva annuito, “I candidati comunque sono Filipe Mar
ed Eleonora Pera”
aveva confessato Alec, “Non ero sicuro di avertelo
detto” aveva aggiunto Alec.
“No, sono solo sorpreso non sia Amir Khan” aveva
ponderato alla fine.
“Non mi piace Filipe” aveva detto poi Magnus,
“Nonostante fosse uno stregone,
per un secolo buono si è finito un inquisitore. Lui diceva
per spiare quei
mondani esaltati, ma secondo me lo faceva per tenersi al
sicuro” aveva
dichiarato.
Il tempo in cui essere nascosto aveva più problemi con gli
umani che con gli
shadowhunters quasi. Per tutta la vita avevano cercato di far sentire
Magnus di
troppo, non che ci fossero mai riusciti, per davvero, ma era bello
avere un posto
dove non lo era, per nessuna ragione. Anche se era una piccola stanzina
in una
barca improbabile.
“Ed Eleonora Pera?” aveva chiesto Alec.
“A nessuno piace Eleonora, incluso sé stessa. Non
è cattiva, anzi, è venuta al
rinnovo della firma degli accordi per sette volte. Ma …
è arrabbiata” aveva
confidato, “Lei è sempre adirata, come se si fosse
dimenticata come essere
felice” aveva raccontato, con un certo disagio, non sapendo
spiegarlo neanche
bene. “In realtà non credo che lei sarebbe una
cattiva Cancelliera, se le cose
non stessero cambiando” aveva detto, “Ma qui, il
mondo, la stessa concezione
del mondo, sta mutando e lo farà per sempre e noi
… stregoni siamo abbastanza
imperituri” aveva aggiunto.
“A me tu sembri molto favorevole ai mutamenti”
aveva considerato Alec, “Be,
dopo tutto questo tempo Alexander, dovrei sentirmi offeso, dal fatto
che tu non
abbia capito che non c’è nessuno come
me” aveva scherzato, dando un poderoso
bacio a suo marito.
“Posso assicurarti di esserne assolutamente
consapevole” aveva concesso Alec,
sporgendosi di nuovo per unire le loro labbra.
Magnus aveva guardato suo marito, accarezzando il suo viso, sfiorando
con il
pollice le labbra dell’uomo, “Alexander, quando
torneremo a casa ti preparerò
dei Rijistaffel veri, indonesiani, come non se ne fanno più
oggi” aveva
dichiarato.
Quello aveva battuto gli occhi blu con una certa
perplessità, “Ammetto che non
era l’uscita che mi aspettavo” aveva valutato.
“Averli mangiati oggi mi ha
ricordato quelli che preparava mia madre, erano quattro cento anni che
… Non
tutto di quel periodo è per me doloroso, nel senso, lo
è, ma alcune cose sono
anche ricche di nostalgia” aveva fatto una pausa,
“E sentire Rafael apprezzarli
così tanto” aveva aggiunto.
Alec aveva annuito, “Allora non vedo l’ora di
essere a casa per mangiarli.
Possiamo prepararli insieme” aveva ammesso, dandoli un altro
bacio, “E se vuoi
quando ci saremo sbarazzati della Coorte o almeno riorganizzato bene
questo
folle mondo potremmo fare anche un giro all’Istituto di
Jakarta” aveva proposto.
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(Enrich)
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(Isolde/Willem)
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Capitolo 5 *** Oh Santa Madre Russia ***
Indovinate
chi non ha
ancora risolto con il proprio trasloco? Esatto io.
Ed indovinate a chi è saltato un esame per colpa della
connessione ballerina? Sempre
io.
Quindi
il mio umore è
NERO come il carbone, ma scrivere mi ha aiutato un sacco.
Questo capitolo ha un nuovo oc (You don’t say RLandH?) che
inizialmente doveva
avere un ruolo molto – MOOOLTO – più
esteso ma è stato ritagliato pesantemente,
ho deciso di lasciarlo per due motivi precisi:
Il primo: volevo comunque esplicitare il punto di vista
dell’Altra Squadra. Il
secondo: questo personaggio mi ha divertito tantissimo e ci tenevo
molto ad
inserirlo.
(Prima o poi avrete i disegni suo – che non ho fatto
– e di EJ, che non è finito)
Ringrazio di cuore Arwen Fenice per i commenti <3
Un
bacio, spero possiate
gradire!
Buona Lettura
RLandH
Oh
Santa Madre Russia
“Potevamo
aprire un portale” aveva detto insofferente Ragnor, mentre
guardava il mondo
dietro il vetro del finestrino del treno, che tagliava in maniera
elegante, un
campo di papaveri gialli e rossi. “Non sono mai stato in
Olanda, volevo
vederla, anche le campagne” si era lamentato Magnus, anche se
capiva il disagio
del suo amico, costretto a ricorrere al glamour per nascondere il suo
aspetto,
qualcosa che detestava fortemente.
“I
treni sono veloci e puntuali, sono solo mezz’ora”
aveva parlato Ej, attirando
l’attenzione su di lei. Era la loro guardia del corpo non
esattamente ben
voluta. Entrambi gli stregoni erano certi di potersela cavare senza una
cacciatrice quindicenne, ma Magnus a quanto risultava non riusciva
più a
passare per il Sommo Stregone di Brooklyn, cosa che lo frustrava un
poco.
Sebbene, immaginava che forse proprio la nephilm avesse approfittato
della
palla al balzo per infilarsi in quell’avventura. Oh
i giovani!
Il suo buon compagno mondano Henrich, invece, era stato costretto a
rimanere ad
Amsterdam – anche se Magnus non si era poi così
informato bene sul perché.
Magnus e Ragnor occupavano due sedili vicini, mentre la giovane
shadowhunter
era affrontata a loro; indossava l’uniforme da letale
cacciatrice, ma era
coperta appena da una gonna con gli strass ed una camiciola sottile
semitrasparente. Nessuno sembrava troppo coinvolto da tale orrore nel
vestiario.
Sì, la prima cosa che aveva capito Magnus quando aveva
girato le vie di
Amsterdam il giorno prima era stata che in Olanda la gente era
assolutamente
priva di ogni buon gusto e ne era consapevole. Era una cosa che lo
aveva
scioccato e deliziato assieme. Da un lato, Magnus era fedele alla moda,
al suo
concetto di Moda, per poter tollerare tutta
quell’indifferenza e allo stesso
modo amava come ogni improbabile stravaganza passasse in sordina senza
sguardi
indagatori, giudicanti ed indignati.
Per questo quel giorno aveva messo la sua migliore miss, una canottiera
un po’ slabbrata,
con sopra un chiodo di pelle verde bottiglia, con due file di borchie
argentate
sulla linea delle spalle e lungo i bordi e dei pantaloni aderenti, con
gli
stivaletti sotto al ginocchio. Faceva caldo ma ne valeva la pena. Aveva
indossato l’ombretto verde scuro e la tinta delle punte dei
capelli in
coordinato.
Rangor, che di solito appariva sempre posato ed elegante, specie quando
doveva
confrontarsi con gli shadowhunters, in quel momento, però,
sembrava un turista,
mancavano solo i calzini nei sandali.
“Sei
mai stata a Leiden?” aveva chiesto Magnus alla giovane Ej.
“Si, alcune volte.
Mi piacerebbe venirci a studiare, confesso” aveva detto
quella, “Non fai
l’Accademia? Non vorresti fare la Scholomance?”
aveva chiesto Magnus,
abbassando gli occhiali da sole con le lenti gialle, anche Ragnor si
era tirato
su, interessato. Ej aveva ridacchio colta da un leggero imbarazzo,
“Si,
frequento l’Accademia e mi piacerebbe essere ammessa alla
scholomace – anche se
immagino di non essere materiale adatto, a livello pratico. Mi
piacerebbe frequentarla,
ma perché ammetto che mi piacerebbe tutto, anche il mondo
mondano” aveva detto
colma di imbarazzo quella.
“I
miei genitori erano entrambi Shadowhunters, almeno
formalmente” aveva
dichiarato Ej, facendo le virgolette. “Mio padre: Christopher
Townsand, be, lui
era uno shadowhunter archetipo: forte, coraggioso, pronto alla
battaglia” aveva
raccontato lei, un po’ trasognante.
A Ragnor non sembrava interessare, non in maniera attiva, ma Magnus
poteva
riconoscere stesse ascoltando. Lui di rimando aveva anche intrecciato
le dita
sotto al mento. “Poi è venuto ad Amsterdam per
quella cosa del: viaggia,
conosci altri modi di fare la vita da cacciatore. Credo abbia scelto la
città
perché nephilim, nascosto o mondano, Amsterdam è
Amsterdam” aveva aggiunto con
una punta di imbarazzo. “Mia madre, be tecnicamente, era
lei la cugina
di Willy e Magrie” aveva aggiunto, “Be, lei era
marchiata, addestrata e tutte
quelle cose lì, ma non le piaceva, non davvero. Aveva anche
studiato
all’Accademia” aveva fatto una pausa.
“Juliana Zwartekust” si era lasciato
scivolare dalle labbra Ragnor, fosse ricordo dei suoi tempi di
insegnante. Ej
lo aveva guardato, poi aveva sorriso piena di vita,
“Si” aveva concordato, “Mi
piaceva. Era un giardino, apprendeva velocemente
qualsiasi cosa, come
una spugna, aveva una curiosità così genuina e
sembrava apprezzare davvero il
tempo che sprecavo nell’educarla, ma i Nephilm volevano un
deserto” si era
lasciato andare ai sentimentalismi Ragnor.
“Sì” aveva ammesso ancora Ej,
“Praticamente viveva come una mondana e mio padre la ha
conosciuta, si sono
innamorati … e la storia va come deve andare”
aveva ridacchiato.
Negli undici abitanti dell’Istituto di Amsterdam, Magnus
però non aveva
conosciuto nessun Signor Townsand e nessuna Emma come un Giardino,
perciò ebbe
l’accortezza di non chiedere.
Anche Ragnor lo aveva imitato ed Ej aveva riempito l’aria con
le sue
chiacchiere frizzanti; “Quindi be, sì io sono
cresciuta così, sono una
shadowhunter ma il mondo mondano è sempre esistito per me,
non sono cresciuta
in una magica bolla ed anche quello ha il suo fascino … E
sono sempre stata
curiosa di tutto!” aveva ammesso divertita.
“Questa
cosa mi rincuora molto” aveva ammesso Ragnor, distendendo le
labbra in un
sorriso, “È quello che permette agli esseri umani
di progredire, ho sempre
trovato gli shadowhunter manchevoli di questo” aveva detto,
“Tranne qualche
eccezione, tipo, Christopher Lightwood e sarebbe stato meglio per tutti
se lui
fosse stato assolutamente nella norma” aveva sottolineato.
“Sei ingiusto” aveva difeso Magnus il buon nome dei
cacciatori, sapeva bene
cosa guidava l’aspro giudizio di Ragnor, i nephilim erano
restii a rinnovarsi,
lo erano sempre stati, però non tutti, non di quei tempi. Ej
non era sembrata
offesa, “Volevo chiedervi una cosa” aveva detto poi.
“Non farti problemi, zuccherino” le aveva detto
Magnus, Ej sembrava aver
gradito abbastanza il nomignolo da non fare commenti. Lo stregone si
era
immaginato una domanda relativa alla loro natura, ma la giovane
cacciatrice lo
aveva stupito non poco, “Quando sono stata ad Idris,
l’ultima volta, volevo
parlare con Emma Cairstairs ma non ci sono riuscita, di nuovo, che tipo
è?”
aveva chiesto poi. Magnus le aveva sorriso, “Quanto mai
esplosiva; una donna
forte e dinamica” le aveva detto, “Con i nervi
d’acciaio ed uno splendido senso
dell’umorismo” aveva dichiarato poi, con un
sorriso, “Ma anche amorevole e
materna, i giovani Blackthorne gli ha praticamente cresciuti lei
assieme a
Julian” aveva raccontato.
“Come
mai questa domanda?” aveva chiesto invece Rangor.
“Oh!” aveva risposto Ej, “Sua
madre era la cugina di mio padre. Entrambe portiamo il nome della
stessa
bisnonna: Emma” aveva enunciato Ej, “Quindi,
tecnicamente, lei è l’unica
parente che conosco dal lato dei Townsand e non ci ho mai
parlato” aveva detto,
con leggero disagio. “Scrivile una lettera” aveva
proposto Ragnor, “Emma ne
sarà contenta probabilmente, ma credo che potrebbe prendere
un po’ di tempo per
rispondere. Non sta mai con le mani in mano” aveva aggiunto
Magnus.
“Isolde
ha detto che l’appuntamento è per l’ora
di pranzo” aveva raccontato Ej, “Il
posto non è lontano dalla Chiesa di S. Pietro; vicino
l’orto Botanico, potremmo
andare a vederlo. È molto bello” aveva raccontato
subito la giovane, carica di
gioia. Ragnor le aveva sorriso, Magnus si chiese se stesse rivedendo in
quel
momento Juliana, prima quando aveva parlato della madre di Ej aveva
preso un
tono un po’ melanconico, doveva essere stata una studentessa
che le era
piaciuta molto.
“Si, è una buona idea” aveva ripreso poi
Ragnor, il sorriso che aveva adornato
il suo viso, si era appassito, anche Magnus aveva concordato.
Ej
aveva fatto loro strada, conducendoli verso le vie.
Leiden
era una bella cittadina, era piccola, composta da canali paralleli,
inframezzati da strati, con ponti ortogonale. Le case erano un
po’ storte,
deformate dal tessuto territoriale. Era colorata e neanche nel pieno
dell’estate non mancavano giovani ridenti. Rispetto Amsterdam
l’aveva trovata
con meno turisti, non che la fauna della popolazione non fosse mista,
ma
sembrava tutti più a loro agio, tutti integrati
perfettamente nell’ambiente.
Erano
passati davanti un edificio piuttosto vivace, proprio di fronte, un
gruppo di
ragazze aveva messo un divano sul bordo dell’ansa che dava su
un canale, tre di
loro erano sedute su di esso.
Altre due erano invece sistemate in una barchetta a remi ormeggiata
lì vicina. I
canali di Leiden erano alti, quasi da raggiungere il marciapiede.
Magnus aveva
notato come certi bar fagocitavano il tratto stradale e si estendevano
su
barche ormeggiate.
“Sono
una sorellanza” aveva spiegato Ej con un sorriso allegro,
ammiccando alle
ragazze. Tutte con carnagioni bianche scottate dal sole e capelli
biondi. Gli
occhi di Ej erano luccicanti e Magnus non faticava a teorizzare che
anche la
cacciatrice si stesse probabilmente immaginandosi in un certo futuro
anche lei,
in pantaloncini e maglietta, fumare sigarette su un divano al bordo di
un
fiume, rispetto a cacciare demoni.
“Il
mercato delle ombre di Leiden è molto carino, anche se
quello di Amsterdam è
più bello” aveva raccontato Ej, abbandonando con
gli occhi le ragazze, sebbene
una di quelle avesse continuato a guardare verso di loro. Ragnor le
aveva
sorriso e la mondana si era fatta paonazza sulle guance ed aveva poi
distolto
lo sguardo con un po’ di imbarazzo. Ej non aveva notato
niente di tutto quello,
o non ci aveva dato importanza, continuando a riempire l’aria
del suo
chiacchiericcio spontaneo.
“Quello di qui, si, tiene a De Burcht, una cinta muraria del
XIII secolo – di
giorno si può vedere tutta la città da
lì – e lungo la collina artificiale.
Mentre quello di Amsterdam si tiene lungo uno dei canali, tutte le
chiatte
vengono sistemate per creare un vero e proprio percorso pedonabile sul
fiume.
Si fa una volta a settimana ed ogni volta cambiano canale”
aveva raccontato
divertita.
“Considerando che Leiden non ha un istituto i Nascosti qui
sono un po’ più …
liberi” la shadowhunter fece una pausa nel dire quella
parola, “Quindi il
mercato c’è ogni sera, se saremo ancora qui,
possiamo andare” aveva proposto,
“I tuoi cugini non ti danno il permesso ad andarci
vero?” aveva chiesto Magnus.
Ej aveva riso con un certo imbarazzo.
Beccata.
Avevano
usato la giovane cacciatrice come guida lungo le vie della
città per
raggiungere il famoso orto botanico, “Hai mai parlato con
Justine Vale?” aveva
chiesto Ragnor, il suo viso travestito dal glamour aveva cominciato a
farsi
scuro ogni passo che facevano più vicino all’orto.
“Una volta, credo” aveva risposto Ej, “Un
anno fa, è venuta all’Istituto con
Bo, chiedendo di poter dare un occhio ai libri della
biblioteca” aveva raccontato
la ragazza.
Magnus
moriva dal chiedere a Ragnor qualcosa in più sulla stregona,
da che Catarina
aveva tirato fuori il suo nome ed il suo vecchio amico aveva cominciato
a
mostrare gli stessi comportamenti insofferenti del Presidente Mao,
quando Magnus
comprava la scatola dei croccantini sbagliati, così come la
sua reazione. Ma se
l’avesse fatto, Ragnor lo avrebbe tacciato di assoluta impiccioneria,
non che lo stesso si fosse mai fatto scrupoli nell’infilarsi
nei suoi affari, e
quel pensiero era bastato.
“Come ti è sembrata?” aveva domandato il
suo verdissimo amico, cauto, Ej si era
morsa un labbro, “Ecco” aveva soppesato le parole,
di proposito, notando la
lieve tensione che albergava in Ragnor, sembrava dolce e carina, ma non
lo era
poi molto la cacciatrice. “Molto bella” aveva
esclamato, Ragnor si era fatto
paonazzo nella sua pelle incantata. Ej aveva ridacchiato, poi aveva
ricominciato, “Però anche molto banale, se non
avessi saputo fosse una stregona
non lo avrei mai detto, non aveva nessun segno ben evidente o altro,
forse
sfigurava affianco a Bo, lui è alto due metri ed ha la pelle
come quella di un
alligatore” aveva raccontato Ej, “E girà
sempre così, non gli importa un fico
secco, neanche quando la gente cerca di spellarlo, anzi si diverte ad
ingannare
i mondani con racconti sui rettiliani” aveva raccontato
divertita.
Mentre
Justine Vale nascondeva probabilmente il suo aspetto o come nel suo
caso aveva
tratti piccoli e discreti. “Tu, invece, hai detto che non la
vedevi dalla
Reggenza?” aveva chiesto sfacciato Magnus al suo amico. Era
stato amico di
Ragnor per quattro lunghissimi secoli e quasi tutta la sua vita e non
ricordava
di averlo mai sentito parlare di questa stregona, certo differentemente
da
Magnus che aveva confidato al suo amico tutti i suoi amori ed amanti,
passeggeri e duratori che fossero, l’altro era sempre stato
più riservato.
Non
lo aveva mai interpretata come una mancanza di fiducia, quanto un
bisogno
personale, Ragnor era sempre stata una persona serbata, per amanti,
disavventure
ed oscuri incantesimi.
“Si” aveva ammesso Ragnor, con un tono docile;
“Ti ricordi che ero andato in
America, si?” aveva cercato di farlo rammentare il suo amico.
Il suo amico era
stato sommo stregone di Londra per secoli, aveva lasciato la sua
posizione,
escluse le vacanze o le gite di-poco-piacere solo un paio di volte: per
insegnare ai Nephilm in Spagna, l’anno sabatico dopo la fine
della relazione
con Georgiana Spencer, per la guerra-angloamericana e agli inizi del
novecento
quando aveva ammesso di essersi stufato di Londra.
“Quando gli inglesi hanno dato fuoco alla Casa Bianca, si,
sì ricordo” ricordò
Magnus, “La guerra è durata sono due anni, ma tu
ti sei riaffacciato in tempo
per lo scandalo di Lady Flora”
aveva rimembrato. “Ero
con Justine, prima a Washington, poi in
giro”
Quando
passarono il cancello dell’orto, si ritrovarono accolti in
giardini
dall’aspetto carino, Ej però non permise a loro il
tempo di adattarsi,
conducendoli verso la serra tropicale, che lei riteneva decisamente
più bella. “I
primi semi di quel genere sono stati portati dalla Compagnia Olandese
delle
Indie Orientali” aveva detto allusiva, prima di staccarsi un
po’ da loro, per
dare un po’ di privacy.
Magnus aveva afferrato il significato di quelle parole ma non lo aveva
realizzato
a pieno fino a che non era stato accolto dalle temperature calde della
serra.
Le
piante, l’odore.
Fu
come uno schiaffo nel pieno del suo viso.
Probabilmente
avrebbe lacrimato senza controllo, ripensando a
quell’infanzia che aveva
superato tanto tempo fa, che però riusciva ancora a ferirlo
dopo tutto quel
tempo.
Si era voltato verso Ragnor, “Quindi” gli aveva
detto, “Parlami un po’ del tuo ‘in
giro’ con Justine” aveva detto. Il suo amico si era
fatto teso, “Ho conosciuto
Justine alla Corte di Frañzes II di Bretagna”
confidò Ragnor. “Perché ho
l’impressione che questo sia antecedente alla guerra del
1813” aveva domandato
retorico Magnus. Aveva una memoria splendida, era necessario se
iniziavi ad
accumulare ricordi per secoli, ma non poteva ricordarsi tutti i nobili
di tutti
i luoghi del mondo, nessuno era così bravo. “Direi
di sì” aveva concordato
Magnus, “Riccardo III era ancora Re di Inghilterra”
aveva spiegato poi pratico.
“Mi piaceva frequentare le corti a quei tempi, si
c’era quel simpatico problema
della stregoneria, ma i re erano molto più intrigati dal
mondo occulto,
l’esistenza dei nascosti somigliava più ad un
sogno offuscato che alla
mitologia” aveva raccontato Ragnor con un certo divertimento,
ricordando
qualcosa che doveva essere bello. “Noi stregoni di tanto in
tanto ci infilavamo
con la giusta discrezione nel mondo dei mondani, agli Shadowhunters le
cose
interessavano relativamente – per loro era sempre
più importanti i loro intrighetti
da conclave che scongiurare guerre” aveva raccontato,
“Nonostante i demoni
siano avvezzi a banchettare di queste cose” aveva fatto una
pausa.
“Si,
credo che mio padre sia stato coinvolto nella guerra delle due
rose” aveva
cercato di ricordare Magnus, glielo aveva detto Fratello Zebulon, prima
ancora
che Magnus stesso sapesse chi era suo padre – Asmodeo era un
principe infernale
come un altro.
“Cent’anni” lo aveva
corretto Ragnor, “Quella delle due rose
fu
l’epico litigio tra Belilal e Belphagor” aveva
spiegato, poi, scuotendo il
capo. “Comunque, come dicevo: noi stregoni avevamo il nostro
ruolo, così io,
fui mandato ad incontrare Narcisse Croix, sommo stregone di Parigi, in
campo
neutro, con la Bretagna, per quanto la Bretagna potesse esserlo. Il
Pretendente
Tudor era stato … Non importa” aveva raccontato,
fece una pausa piuttosto lunga
e misurata, prima di riprendere, “A mandarmi fu Antonius
Vir” enunciò, “A quei
tempi era lui il sommo stregone di Londra ed io ero il suo uhm
… recalcitrante
aiutante?” aveva detto. “È una
domanda?” aveva chiesto Magnus confuso, “No, nel
senso, ero il suo apprendista, quasi tutti gli stregoni cercano
maestri” aveva
dichiarato.
“Guarda noi” aveva replicato allora lui, ricordando
che c’era un tempo in cui
Ragnor Fell era suo maestro prima di essere suo amico, “Solo
che, ecco, andavo
per la sessantina d’anni e come tutti i giovani mi ero
convinto di avere capito
tutto dalla vita e tutte le soluzioni nelle mie mani” aveva
dichiarato.
“Ah, la crisi dei sessant’anni” aveva
dichiarato Magnus, “Ricordo che sei
dovuto venirmi a ripescare in una casa dell’Oppio ad Hong
Kong” aveva ricordato
lui, non era particolarmente fiero di quella parte della sua vita.
Aveva
appena perso il suo primo amore, poi scoperto
l’identità del suo infernale
padre ed altre cose, in un lasso di tempo che poteva considerarsi
appena un
decennio, che per gli stregoni era un tempo infinitamente breve
… ed anche in
quel momento, di quei momenti, ricordava molta confusione ed ovviamente
Ragnor
Fell, verde come la luce di un faro che segna la rotta per la terra,
alle navi,
nel buio della notte.
Una
luce incredibilmente verde ed appariscente.
“Si. Esatto, incredibile a dirsi ma ero demente anche
io” aveva ripreso il suo
amico, “E lei, Ius-Justine era
lì, fingeva di essere un’indovina alla
corte del Signore di Bretagna, ma in realtà stava facendo
delle investigazioni
per il Labirinto a Spirale – su non ricordo quale manufatto
demoniaco” Ragnor
aveva fatto una pausa. “L’amore non è
roba per me” c’era stato un discreto
momento di pausa tra i due, mentre Magnus osservava il suo amico
aspettando il
resto della storia. Ej li guardava dall’alto, da
un’impalcatura di ferro, che
permetteva di accedere ad un soppalco di ferro, che permetteva di
vedere le
piante anche dall’alto e più vicino.
“Non lo è mai stato, sul serio; non come
era per te, o Catarina, o gli altri” aveva raccontato,
“O almeno lo è ora,
allora, be, allora ero giovane e devo essere onesto: lei mi piacque
come poche realtà
mi erano piaciute” aveva asserito.
Magnus aveva riso con un leggero divertimento, “Credo che
questa sia la prima
volta che parliamo di qualcosa del genere, da parte tua, si intende, io
ti
racconto sempre tutto” aveva dichiarato Magnus,
“Anche troppo” era stata la
pigra risposta di Ragnor, “E quella volta che ti sei
presentato nella mia bella
casa Londinese, dando fondo a tutte le mie scorte di
liquore?” aveva ricordato
comunque Magnus.
“Quello era dopo Justine” aveva
detto Ragnor, “Giusto, non … avevo
ricollegato” aveva dichiarato Magnus. Victoria era
già Regina, era stata
un’incoronazione divina ed onestamente Magnus aveva proprio
pensato quanto
fosse stato divertente e che era un peccato Ragnor lo avesse perso.
“Volete rimanere lì? Ci sono altre cose carine da
vedere, il giardino
giapponese, le carpe, le figure, le piante velenosissime ed anche una
sezione
apposta per Nascosti” aveva detto la giovane cacciatrice.
“La morale della favola è che tra me e Justine non
è finita nel modo migliore”
aveva dichiarato Ragnor, mentre imboccava anche lui la scala di ferro,
seguito
a ruota da Magnus.
Il
giardino giapponese era stato piuttosto carino, avevano ascoltato la
spiegazione dettagliata su quanto fosse stato fondato e chi fosse stato
dedicato, da perfetta guida. Magnus doveva appuntarsi di dirle che
sicuramente
aveva una strada da guida turistica se lo desiderava. Ma le parole
della
ragazza erano morte sull’erba verde, quando indicando il
tempietto di legno
alle cui spalle avrebbero potuto ammirare il mezzo busto di un signore,
avevano
trovato altro.
Uno stregone stava fumando quella che aveva tutta l’aria di
essere una canna,
con le spalle posate alle pareti di legno ed un sorriso piuttosto
divertito sul
viso.
Magnus
era stato in grado di comprendere a pieno la natura del nuovo venuto,
per il
suo pittoresco aspetto: non aveva capelli, ma ispidi, aguzzi e lunghi
aculei,
come quelli di un istrice, di un colore scuro, maculato di avorio. Dava
l’idea
di una testa spinosa, sì, ma leggera; nessun incantesimo a
nascondere i suoi
segni da stregoni. Il resto dell’aspetto era piuttosto
comune, mondano, se non
fosse che indossava una giacca di pelle imbottita, jeans spessi pesanti
ed
anfibi a ginocchio, in pieno luglio, ma Magnus era un profondo
estimatore della
moda prima della comodità.
“Uno stregone” aveva valutato Ej,
“No” aveva dichiarato Magnus, che avrebbe
riconosciuto quella testa spinata tra molte, “Boris Vanka,
l’ex-sommo stregone
di Lenningrado” aveva dichiarato.
Uno che ne lui, ne Tessa, avevano inserito nella papabile lista dei
candidati.
“Quello che ha complottato nella caduta di
Rasputin?” aveva domandato Ragnor,
con una certa nota di perplessità, “Volevo il
titolo di Sommo Stregone di San
Pietroburgo, ma lui non voleva mollarlo” si era difeso Boris,
prima di puntare
lo sguardo su di lui. “Il Magnifico Magnus Bane! E tanto che
non ci vediamo”
aveva esclamato. “Non così tanto, era appena
crollato il muro di Berlino, roba
dell’altro-ieri” aveva dichiarato Magnus.
Ragnor
ed Ej lo stavano guardando con discreta attenzione, “Ho
saputo del povero
Malcom Fade e della sua uscita di testa” aveva ripreso Boris,
“A perder tempo
con i nephilm si finisce sempre male” aveva aggiunto,
stoccando un’occhiata al
vetriolo dritto ad Ej.
Magnus non aveva mai avuto nulla contro Boris, anzi, doveva ammettere
che per
certi aspetti lo aveva anche apprezzato, in tempi limitati ed in
situazioni più
da intrattenimento. Certo non avevano mai avuto tempo né
particolare voglia di
disquisire di politica mondana o nascosta, a Magnus era bastato sapere
che
nonostante la sua fedina non immacolata, Boris non fosse il genere di
stregone
da evocare demoni pericolosi e sguinzagliarli in giro, ma doveva
ammettere che
lo sguardo rivolto ad Ej non lo tranquillizzava molto.
“Perché
non …” aveva cominciato, “Andiamo a
vedere il laghetto delle carpe?” aveva
proposto la cacciatrice, svelta, “Sicuro?” aveva
chiesto Ragnor, “Solo una
chiacchierata tra ex-amici con Benefici” aveva liquidato la
questione Magnus. “Spero
ancora amici” si era inserito Boris, di rimando lui stava
ricevendo uno sguardo
piuttosto steccato da Ragnor; sul genere: Hai dimenticato di
dirmi che hai
avuto una sordida sveltina con l’uomo che ha rovesciato
l’Impero Russo?
Magnus aveva risposto con un sopracciglio alzato, che doveva essere
tradotto
in: Stiamo per incontrare l’amore della tua vita di
cui non mi hai mai detto
nulla. Almeno sperava di averlo detto, le sue conversazioni
occhio-sopraccigliari avevano ottenuto una certa battuta di arresto nel
corso degli
anni, principalmente era colpa di Alec, amava suo marito, ma da quel
punto di
vista era una persona estremamente densa, ma Magnus
adorava essere
esplicito in ogni modo possibile.
“Ti precediamo” aveva accordato Ragnor, poi lo
aveva guardato intensamente,
Magnus aveva interpretato lo sguardo chiaramente, avrebbe mandato la
cavalleria
– probabilmente se stesso, se non si fosse fatto vivo in
tempo breve. “Dieci
minuti?” aveva proposto Magnus a Boris, “Anche
meno” aveva concesso lo stregone
russo. Poi Ragnor si era allontanato con Ej, entrambi avevano comunque
tenuto
tutto il tempo gli occhi su Magnus, rischiando di inciampare sui propri
piedi e
imballando anche un turista.
“Sono
contento di rivederti, Magnus” aveva detto Boris, nonostante
la sua provenienza
russa, sia l’accento sia la dizione era di un inglese
perfetto, in fin dei
conti era anche americano.
Era nato a Fort Rus, la parte più orientale – o
occidentale, immaginava dai
punti di vista – dell’Impero Russo; in California.
“Posso dire lo stesso?”
aveva chiesto Magnus circospetto.
Boris aveva allungato verso di lui, la canna, ma Magnus lo aveva
rifiutato,
“Ricordo cose divertenti da giovani” aveva
sottolineato quello, “Ma ci sta, da
quello che so era sei un padre, di ben due marmocchietti”
aveva sottolineato
quello. Magnus non aveva mai fatto mistero della sua vita, ma ora
trovava
fastidioso che Borsi ne sapesse così tanto,
“Si” aveva confermato Magnus,
sedendosi dall’altra parte del piccolo tempietto, guardando
di sottecchi lo
stregone.
“Personalmente non
sono molto favorevole, se
non possiamo avere figli ci sarà un motivo” aveva
detto Boris, “Forse non siamo
fatti per essere genitori” aveva sottolineato. Magnus aveva
emesso uno sbuffo,
“Ci sono molte persone che possono fare figli e non
dovrebbero, perché non è
valido il contrario?” aveva replicato, “E poi, i
pinguini hanno le ali e non
volano, la vita è piena di stranezze” aveva detto.
Boris aveva scosso il capo
spinato, “Cosa vuoi Boris, per davvero?” aveva
chiesto Magnus, “Perché sei
qui?” aveva insistito. “Be, Magnus, non prenderla a
male, non stavo monitorando
te, ma tuo marito, congratulazioni a proposito, avrei voluto esserci,
ma
immagino sarebbe stato strano la presenza di uno che ha visto nudo uno
degli
sposi – non apprezzo particolarmente gli shadowhunter ma
sicuramente avrei
gradito vedere anche l’altro” aveva ridacchiato.
Magnus non aveva potuto trattenere un sorriso per
l’irriverenza di Boris,
“Certo, il Console itinerante che arriva in Olanda
è qualcosa di accettabile,
visto le turbe provocate dai Pangborn” aveva fatto una pausa
lunghissima, “In
compagnia del suo novello sposino, un marmocchietto, la sorellina e
perché no
pure Ragnor Fell” aveva dichiarato,
“Però poi, qualche licantropo di mia
conoscenza mi ha fatto sapere che Bo DeWit aveva fissato un
appuntamento tra
Justin Vale e Magnus Bane” aveva raccontato Boris con un
sorriso amichevole,
pieno di brio e divertimento.
“In
realtà è per Ragnor, erano amanti”
aveva defilato lui.
“Magnus
sono stato a letto con te, conosco la tua faccia quando
menti” aveva replicato
Boris, “Chiediti perché la conosci così
bene” aveva replicato Magnus con
un tono bruciante.
L’altro aveva riso con un crudo divertimento;
“Siete qui per la questione del
Cancelliere” aveva dichiarato.
“La voce del ritiro di Antonius si è sparsa,
vedo” aveva dichiarato Magnus,
cercando di mantenere un tono neutro, disinteressato. “Lo sai
noi stregoni
siamo più pettegoli di un gruppo di liceali” aveva
scherzato Boris.
Magnus aveva scosso il capo, “Non hai ancora risposto alla
mia domanda” aveva
sottolineato, “E prima di tirare fuori qualcosa sulla mia
normale attitudine ai
preliminari, quel tempo tra noi è decisamente
concluso” aveva stabilito. Boris
aveva riso, “Sarebbe stato bello se avesse funzionato tra
noi, ci capiamo al
volo, ma capisco di impallidire un po’ a confronto di Camille
e il Console
degli Shadowhunters” aveva aggiunto piccato, Magnus aveva
dedicato uno sguardo
al vetriolo al giovane stregone. “La tua avversione alla
monogamia potrebbe
aver influito” aveva valutato Magnus.
Non c’era mai stato niente di serio tra lui e Boris, si erano
solo divertiti
insieme, qualcosa come un ventennio prima, poco dopo lo scioglimento
del
circolo, la presunta morte di Valentine ed il salvataggio degli
Accordi. Le
cose tra gli Shadowhunters e i Nascosti non erano le migliori, ma il
mondo
poteva bearsi di un momento di pace.
“Magnus
questo è un momento eccezionale” aveva dichiarato
Boris, “Per la prima volta
gli Shadowhunters, fronte comune, sono davvero spaccati, in
due” aveva
aggiunto, “Un terzo ficcato nelle mura di Idris, per la prima
volta prendibile,
come Giulio Cesare, ed il resto, spaiati ed esuli, nelle mani di un
ragazzino”
aveva fatto una pausa, forse vedendo l’espressione contrita
di Magnus, che
invece negli occhi chiari di Boris vedeva scintille,
“Completamente dipendente
da uno stregone” aveva lanciato uno sguardo allusivo a Magnus.
“Non
far di me la Giulia Domna della vicenda. Alec non
è uomo manipolabile,
né io ho alcuna intenzione di farlo, siamo innamorati e tra
noi vige rispetto e
lealtà. Inoltre, Alexander potrà essere giovane
ma è esperto, saggio e buono”
aveva dichiarato ferreo, non sopportando quella così
bruciante mancanza di
fiducia. “L’innamoramento che hai per i cacciatori
non ti restituirà mai
niente, sono creature avide, superbe e razziste” aveva detto
Boris, “Dimentica
Justine Vale, fa per gli stregoni quello che è
giusto” aveva aggiunto lo
stregone russo, “Siamo al vergere di una nuova epoca, di una
rivoluzione. Ho
esperienza in questo” aveva dichiarato, “Dovremmo
accettare che le cose cambino”.
“Vuoi sostituire i cacciatori con i gli stregoni”
aveva dichiarato Magnus, “Be,
siamo molto più permanenti di loro, disponibili e
sì anche illuminati” aveva
ammesso Boris; “Forse anche un po’
stantii” aveva commentato offeso Magnus,
prima di sorridere, “Su una cosa hai ragione però:
siamo prossimi ad una
rivoluzione ed Alec la guiderà. Perché
è buono e pieno d’amore, ha creduto in
questa unione più di chiunque altro io abbia mai conosciuto,
perfino me” aveva
dichiarato.
Aveva ricordato quel passionale bacio, dato all’assemblea del
Conclave, prima
dell’Alleanza.
Stavano andando verso il futuro ed Alec ne era lo sfolgorante simbolo.
“Non
ti farò cambiare idea, immagino, l’amore ti ha
offuscato la mente” aveva
dichiarato Boris con un tono divertito, “Infondo sei anche
padre di uno
shadowhunter” aveva aggiunto più piccato.
“Mi hai beccato” aveva detto Magnus,
“L’amore mi rende sempre più
morbido”
aveva detto con finta accondiscendenza, celando il fastidio, pensando
al suo
piccolo Rafael, ad Amsterdam.
Doveva mandare un messaggio di fuoco ad Alec ed Isabelle,
immediatamente.
“Toglimi
un dubbio: di chi sei l’araldo?” aveva chiesto poi.
L’infame Felipe o l’astiosa
Eleonora?
“Per il futuro Cancelliere del Consiglio a Spirale,
Magnus” aveva dichiarato
Boris con innocenza, “E per ogni giovane stregone a questo
mondo” aveva
aggiunto.
“Sembra
che tu ti sia seduto su istrice” lo aveva acconto Ej,
“Buona battuta” aveva
detto Magnus con una certa irrequietezza, mentre osservava i suoi due
compagni.
Ej era rigida come una spada, Ragnor lanciava verso di lui sguardi
obliqui,
mentre se ne stava chinato, con i talloni, alzati al bordo di un lago
artificiale per guardare carpe grosse come maialini, nuotare felici.
“Problemi?” aveva chiesto.
“E quando mai non ne abbiamo?” era stata la pigra
risposta di Magnus. “Lo avevo
detto a Catarina che era stata un’idea stupida quella di
trasferirmi ad Idris e
lasciarti da solo, prima un radicale come Boris Vanka e poi
…” aveva fatto una
pausa. “Possiamo appurare che Alec è una persona
fantastica di cui
innamorarsi?” aveva chiesto retorico Magnus.
“Ammetto il mio torto, ma il
radicale…” aveva ricordato Ragnor. Magnus avrebbe
voluto dire fosse Solo
Sesso, ma per quanto Magnus fosse un libertino, per lui non
lo era mai
davvero solo una questione fisica, “Il nostro è
solo un farci compagnia
reciprocata, erano gli anni Novanta, c’erano le Spice Girls,
i Backstreet-boys
e i pantaloni a vita bassa” si era giustificato Magnus.
“Preistoria” aveva
scherzato Ej, con un sorriso divertito.
Ragnor aveva stoccato uno sguardo piuttosto ferreo al suo amico,
“Sì, se te lo
starai chiedendo, ci saranno problemi, ma non ho idea se sia colpa di
Eleonora
o Felipe” aveva dichiarato.
“Non nominarmi quell’infame hijio de bruja”
aveva stroncato Ragnor, in
uno spagnolo aspro, che si sviluppava sempre quando parlava di Felipe.
Retaggio
di quella loro permanenza con i fratelli Silenti – in cui
avevano conosciuto
proprio Felipe, il finto inquisitore. “Chi sono?”
aveva chiesto Ej con una
punta di vistoso interesse, “Due malefici stregoni,
circa” aveva declinato
Magnus brevemente, “Eleonora è solo una persona difficile”
aveva
replicato Ragnor, “Non ti ricordi la meravigliosa sbronza che
ci siamo presi alla
festa di Compleanno di Madame Pompadour?” aveva detto con una
punta di
divertimento il suo amico. La splendida e fulgente amante di Luigi XV,
non
aveva frequentato molto Parigi, o la Francia di quei tempi –
aveva finito per
vivere lì durante la rivoluzione, il solito fortunato
– ma ricordava di aver
partecipato a certe pittoresche feste.
“Si, me lo ricordo” aveva concesso Magnus,
probabilmente ricordando l’unica
sera in cui aveva visto l’infelice Eleonora Pera ridere.
“Vediamo il resto del
Giardino? Ci sono delle sculture fatte con le piante, un vero orto ed
anche la
riva del fiume dove si può prendere la barca e quella parte
speciale per
nascosti” aveva ripreso Ej, “Infondo, per
l’appuntamento ci manca ancora una
buona ora” aveva detto.
“Ma si dai, ho bisogno di liberare la testa” aveva
risposto schietto Magnus.
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Capitolo 6 *** Puoi essere e smettere di essere qualsiasi cosa, tranne un genitore ***
E
niente narratore d’eccezione
(Ma come mi piace allungare il brodo?).
Spero potrete gradire questo capitolo!
Vorrei ringraziare chi legge/ricorda/segue ed ovviamente chi recensisce
(Grazie
Arwen Fenice <3);
Buona Lettura
RLandH
Puoi
essere e smettere di essere qualsiasi cosa, tranne un genitore
Alec
aveva dato un bacio a suo marito sulle labbra, si era allontanato
lentamente, poi, ma Magnus lo aveva inseguito con la bocca, rubandone
un altro, poi aveva sorriso con delicatezza, dopo avergli accarezzato
una guancia con gentilezza.
Si
era chinato all’altezza di Rafael ed aveva sussurrato
qualcosa in spagnolo a suo figlio.
All’inizio
loro figlio non parlava altra lingua che quella, ma era stato molto
abile nell’apprendere l’inglese, però
lui e Magnus ogni tanto la parlavano comunque, infondo era la lingua di
nascita di Rafael ed era una delle prime che suo marito aveva imparato.
Anche Alec la stava studiando, ma non era particolarmente ecclettico in
quello studio.
Di
quello che aveva detto suo marito aveva compreso alcune cose.
“Proteggi” e “Papà”
ed immaginava che fosse più sul genere ‘Proteggi
papà per me’ che ‘Papà ti
proteggerà’.
“Lo
farò!” aveva sinceramente giurato Rafael, in
inglese, prima di farsi abbracciare – e strapazzare
– da Magnus.
Non
era stato un addio particolarmente lungo ne sofferto, probabilmente si
sarebbero rivisti in giornata, ma Alec aveva comunque un certo senso di
magone. Era la prima volta che lui e Magnus erano ambedue lontani dal
loro piccolo mirtillo, dalla parentesi di Shangai, ed ora si stavano di
nuovo separando.
Magnus
aveva baciato loro figlio sulla fronte e poi aveva baciato di nuovo
lui, prima di seguire Ragnor verso il treno, accompagnati da una
divertita Ej.
“Spero
non combini niente di pericoloso” Alec aveva sentito la voce
di Magriet cristallina alle sue spalle, ammiccando a sua nipote, che si
era accodata a Ragnor – funereo – e Magnus.
“Puoi provare a proteggerli dal mondo, ma sei destinata a
fallire” aveva dichiarato poi, mesa.
“So
cosa provi” aveva dichiarato Magnus, lanciando uno sguardo a
Rafael, che era lì, nella sua mano ma aveva gli occhi
luminosi rivolti verso i treni.
“Ho
tirato su io, Ej da quando aveva sette anni, praticamente è
mia figlia” aveva dichiarato Magriet, incrociando le braccia
sotto il seno, “Come Deidre” aveva aggiunto.
Alec
poteva comprendere quel sentimento bene, Jace prima di essere il suo
parabatai era suo fratello, come Izzy e come era stato Max ed i suoi
figli erano i suoi figli anche se non condividevano neanche una goccia
di sangue, Alec non gli amava meno che se l’avessero avuta.
“Tranquilla
Magnus la proteggerà” aveva detto alla donna con
sicurezza.
Magriet
aveva sorriso, era una persona spigolosa in tutto anche nel sorriso,
“Me lo auguro. Spero non sia il sommo stregone di Brooklyn
solo per simpatia, lo dico perché Bo lo
è” aveva detto con una punta di cattiveria, che
aveva fatto scuotere il capo scuro di Alec.
“Sono
felice comunque che tu sia divenuto console, ho votato per te
d’altronde” aveva confessato Magriet,
“Certo se un decennio fa me l’avessero detto non ci
avrei mai creduto” aveva dichiarato.
Alec
le aveva rivolto uno sguardo piuttosto confuso, aggrottando le
sopracciglia, “Pregiudizi e cose insulse come figli ombre dei
propri padri. O almeno diceva sempre così il mio”
aveva raccontato con voce spenta.
“Gisbert
Ipke Zwartekust” aveva detto Magriet imitando un tono
pomposo, come se si stesse rivolgendo al Re di Olanda in persona,
“In realtà era un buono terribilmente borioso,
presuntuoso ed in alcuni momenti anche terribilmente bigotto ma era il
mio paus e io ero la sua prinses”
aveva dichiarato lei.
Alec
le aveva sorriso di rimando, poi aveva scompigliato i capelli di suo
figlio, che osservava i due con interesse. Doveva ammettere di
ritrovarsi anche su quegli ultimi pensieri, sebbene facesse male, ancora
male, pensare a suo padre.
“Cos’è Paus?” aveva chiesto
Rafael con i suoi occhi miele, “Papà”
aveva dichiarato Magriet, “E Bigotto?” aveva
chiesto poi suo figlio scambiando forse anche quella parola per una
olandese.
Rafael
era una spugna per quanto imparava in fretta l’inglese, ma
alcune cose restavano per lui ostiche; “Qualcuno che spero
vivamente tu non debba mai incontrare” aveva dichiarato poi
Magriet materna, dolce, qualcosa che si sposava male con la sua
rigidità, accarezzando con le nocche la guancia del bambino.
“Tuo
padre votò perché i miei genitori fossero
rinchiusi nella Città di Ossa” aveva ricordato
Alec, in qualche meandro della sua testa, nella sua memoria, non sapeva
esattamente da dove l’avesse tirata fuori.
Magriet
aveva annuito, un leggero colorito rosato di imbarazzo,
“Colpevole” aveva riconosciuto lei,
“Nonostante abbia vissuto tutta la vita senza mai riconoscere
un nascosto o un mondano come suo pari, mio padre credeva ciecamente
nell’Istituzione e nel sacro ruolo dei Cacciatori –
e non riusciva a tollerare che chi ne aveva fatto un tale sprezzo ne
uscisse impunito” aveva dichiarato.
Alec
non credeva che i suoi genitori ne fossero usciti in quella maniera, ma
forse, ad occhio esterno la loro punizione poteva risultare lieve, un
esilio a New York, a capo di un istituto, rispetto ad altri.
“Mia
madre era solo preoccupata di come ti avrebbero cresciuto”
aveva aggiunto calma, poi, “Sono felice di sapere che
entrambi avevano torto” aveva aggiunto, con un sorriso un
po’ più sofista sulle labbra.
“Anche
io” aveva concordato Alec, mentre suo figlio osservava quello
scambio di battute confuso.
“Rafael
ti andrebbe di comprare della cioccolata?” aveva chiesto
Magriet poi, rivolgendosi a suo figlio, “Ne, volevo prendere
per Deidre” aveva dichiarato.
“Non
hai mai avuto
problemi con le barche” aveva valutato Alec, osservando sua
sorella con un
cipiglio preoccupato.
“Non ho mai vissuto così tanto su una
barca” si era difesa sua sorella,
sollevandosi, lanciando uno sguardo nauseato alla bacinella, prima di
roteare
gli occhi.
Il ponte dell’istituto di Amsterdam, continuava a mostrare la
pittoresca città
dai suoi canali. Alec era ammirato da quanto suo figlio Rafael ne fosse
entusiasta, meno erano Izzy che aveva cominciato ad accusare i sintomi
di un
paio di giorni in barca ed il povero Danny, continuamente distratto
dalle
nudità evidenti di Isolde ed un certo interesse di Magriet
per lui – che
sembrava ricambiare.
Rafael in quel momento aveva perso di vista il panorama della
città per
girovagare attorno al mondano Henrich, che approfittava del bel tempo,
per
stare all’aperto e leggere il suo libro, con ancora le
macchie di cioccolata
sulle labbra.
Il mondano doveva dare un esame, perché era un universitario
a quanto pareva.
Era strano come pensiero: uno studente.
Ne Alec ne Izzy ne Jace avevano mai sentito il bisogno di esserlo, universitari,
ma aveva notato nel corso degli anni come quello avesse frustrato
ambedue i
suoi futuri cognati, Simon più di Clary e più di
quanto avesse sofferto
rinunciare alla sua band con gli amici mondani.
Alec non si era mai sentito così sfacciato da voler chiedere
bene,
differentemente da Izzy – e Jace – ma forse
perché in effetti per loro quello
poteva essere un problema.
Erano stati educati così, Clary era nata Shadowhunters e
Simon lo era
diventato, ma erano cresciuti come Mondani ed un certo senso una parte
di loro
lo era rimasta per sempre, avevano avuto un percorso prima …
e sarebbe stato
come se Alec improvvisamente non fosse più stato un
cacciatore.
Suo figlio Rafael sembrava apprezzare il frequentare anche le
attività mondane,
come la colonia estiva e Jocelyn li aveva invitati a provare anche con
una vera
scuola, ma per Alec sembrava difficile dividersi tra
l’addestramento e
l’educazione da cacciatore e il mondo scolastico.
Quanto era fattibile studiare l’enochiano, il latino, la
geometria, allenarsi
come cacciatore e partecipare alle partite di calcio?
“Quando andiamo all’Aia?” aveva chiesto
sua sorella, risvegliandolo dal suo
stato perso, “In giornata, chiamo la mamma ora”
aveva stabilito.
Era anche preoccupato per Magnus, domandandosi come sarebbe andato a
fine il
suo incontro con la Stregona di Leiden, chiedendosi quanto ancora del
mondo di
Magnus li fosse ignoto.
Aveva letto il suo diario, aveva saputo dei suoi amori ed amanti, aveva
conosciuto i suoi amici ed aveva sentito le sue storie, ma ancora tanto
della
vita del suo compagno, di suo marito erano per lui ignoti.
Sapeva che sarebbe stato così anche se Magnus non fosse
stato uno stregone
vecchio di quattrocento anni, ma quello pesava ancora di più.
Certi momenti Alec lo aveva superato, certi altri no, come in quei
giorni, in
cui Alec aveva sentito il suo compagno vomitare nomi e nomi di illustri
sconosciuti, come se fossero stati i suoi buoni amici che incontrava
ogni sera al
pub.
“Guarda,
Mirtillo, è
papà” aveva sentito la voce di Jace bella
melodiosa dall’altra parte della
videocamera del cellulare, aveva chiamato Maryse, ma era stato il suo
parabatai
a rispondere, con un sorriso raggiante e Max, festoso, sulle gambe.
“Ciao Mirtillo” aveva detto subito Alec, sentendo
una fitta nel suo petto a non
poter stringere suo figlio in quel momento e alla mancanza che sentiva
nel
cuore in quel momento.
Alec lo aveva saputo, dal primo momento che lo aveva preso in braccio e
lo
aveva chiamato suo, che nulla sarebbe stato più lo stesso,
che la sua vita non
sarebbe potuta essere più quella di Alec Lightwood
cacciatore, ma sarebbe stato
prima un padre, che tutta la sua vita sarebbe stata devota a Max e poi
Rafael.
Anche in quel momento che era il Console, nella crisi più
profonda mai vissuta
dal mondo Nascosto dall’apertura del Sentiero da parte di
Samael, Alec si
sentiva prima un padre.
Max lo aveva salutato a gran voce e gran gioia, con gli occhi luminosi,
facendo
scintillare le sue dita di magia.
“Ti stai comportando bene, non stai facendo impazzire lo zio
Jace?” aveva
domandato subito Alec.
“No!” aveva risposto risoluto suo figlio.
“No a quale dei due?” aveva chiesto Alec, godendosi
un espressione confusa di
suo figlio per un secondo, “Sono un bravo bambino”
aveva stabilito perentorio,
“E zia Clary lo dirà a babbo natale”
aveva aggiunto.
Alec aveva guardato Jace, che aveva mimato con le labbra un ‘te
lo spiego
dopo’.
Aveva continuato ad interrogare il suo piccolo Mirtillo, evitando
accuratamente
ogni parola relativa a Magnus e perché non fosse
lì, sapeva che aveva provato a
chiamare quella mattina, prima di prendere il treno per Leiden, ma il
Mirtillo
dormiva ancora.
“Rafeeeee! Vieni a salutare tuo fratello!” aveva
esclamato con vigore Alec
attirando l’attenzione di suo figlio, perché
smettesse di cercare di leggere a
tutti i costi il libro di Henrich, nonostante fosse in olandese.
Rafael era arrivato subito, con un sorriso bello pieno, “Oh!
Puffo!” gli aveva
detto chiaro, Max aveva fatto una smorfia a suo fratello,
“Zio Jace! Questo
posto è fantastico ed amo la cucina” aveva
esclamato subito, riconoscendo
immediatamente il biondo, “Rafeee” aveva dichiarato
Max, “Voglio mangiare anche
io” aveva aggiunto poi, con sicurezza, “Papino ha
promesso di farlo!” aveva
dichiarato subito Rafael “Proprio oggi!” aveva
ricordato le parole che il padre
gli aveva detto alla stazione.
Gli occhi di Max si erano illuminati come stelle, “Oh, che
bello! Dove è
papino?” aveva chiesto subito.
Alec aveva avuto una certa prontezza di riflessi – merito di
anni di caccia ai
demoni e che da quando era diventato padre si era fatto crescere gli
occhi
anche dietro la testa – ed aveva urlato immediatamente:
“Izzy vuoi venire a
parlare con tuo nipote?”
L’attimo dopo Isabelle ancora grigia in viso era venuta verso
di loro per
salutare.
“Oh, sembra che ti abbia preso un mostro shax in
faccia” aveva commentato Jace,
guardando sua sorella, “Sono su una barca, Jace, tu che scusa
hai?” aveva
risposto schietta quella, incrociando le braccia sotto il seno.
Poi davanti il faccino blu di suo nipote si era sciolto terribilmente,
“Oh, la
prossima volta verrai con noi, Mirtillo, portiamo anche Simon
– Jace no che è
cattivo” aveva replicato Izzy.
“Niente Babbo Natale per zio Jace” aveva confermato
Max con un tono
terribilmente sicuro.
Era sicuramente il bambino più fermo di sempre, buono, gli
sarebbe stato utile
nella vita, “E neanche per Papà e Papino che mi
hanno lasciato qui” aveva
aggiunto perentorio.
Il resto delle chiacchiere si era esaurito in fretta, per quanto Alec
avrebbe
voluto rimanere a parlare ancora con suo figlio, avevano un mestiere da
fare.
“Devo
rimanere di guardia
con il bambino?” aveva domandato Danny Graymark con
espressione contrita, “Si,
con Henrich, Grootmoder e … Zieg, mi pare” aveva
spiegato subito Izzy, “Non
possiamo lasciare Amsterdam senza valenti Shadowhunters, oltre che mio
nipote
ovviamente” aveva sottolineato, “Ed io non conosco
questi olandesi, ma conosco
te, mi hai spaccato il naso più di una volta, mi
fido” aveva stabilito tassativa
Isabelle, prima di sistemarsi con sicurezza il guanto di pelle dura
sulle mani.
Indossava i pantaloni di pelle nera resistente, gli anfibi ed una
maglietta
aderente, lo stilo legato alla coscia ed il frustino nella forma di
serpente
brillante al polso.
Aveva ancora una carnagione grigiolina sul viso, ma si stava dando un
certo
tono. Magriet al suo fianco indossava lo stesso abbigliamento, solo che
aveva
legato delle protezioni alle ginocchia e i gomiti.
La piccola bambina, coetanea di Rafael, Deidre, la guardava piena di
aspettativa e preoccupazione, somigliava molto alla donna, stesso viso
chiaro
come una perla ed i capelli biondissimi.
Dagli sguardi che Alec aveva visto lanciare Magriet a Danny, poteva
indovinare
non ci fosse nessun compagno della donna. Non erano fatti suoi ed aveva
preferito non indagare in alcuna maniera, sarebbe sembrato indelicato
fare
domande, si conoscevano da troppo poco. Una volta Alec aveva preteso, a
Shangai, di conoscere tutti i segreti di uno shadowhunter, in quel
momento, più
maturo, riconosceva di poter chiedere e pretendere solo quelli inerenti
alla
caccia e alla sacralità della loro missione.
Magriet si era apposta chinata per accarezzare la testa della bambina e
sussurrandole
parole di conforto in quella che immaginava dovesse essere olandese, le
aveva
anche accarezzato il viso, gioviale. Deidre aveva sorriso dando poi un
bacio
sulla guancia di sua madre e saltellando poi per raggiungere Rafael ed
Henrich.
Suo figlio aveva accolto la bambina con un sorriso allegro e pieno di
gioia.
All’infuori di suo fratello Max, Rafael non aveva altri
amici, coetanei con cui
stare, fino a che non avevano seguito il consiglio di Jocelyn e
l’avevano
iscritto alla colonia estiva – sebbene lì dovesse
sempre mentire. Doveva essere
bello per suo figlio avere una coetanea che conosceva il mondo nascosto.
Per
la loro visita non
esattamente di piacere all’Istituto dell’Aia,
Willem aveva selezionato sé stesso,
la sua rigida sorella ed uno Shadowhunters dall’espressione
cupa, l’incarnato
olivastro ed un pizzetto nero e riccioluto. che Alec ricordava non
avesse
spiccicato neanche una parola durante il pranzo del giorno prima.
Anche sua moglie Isolde, che per l’occasione aveva dismesso
la pelle di foca ed
indossava una cotta di maglia di un griglio lucente, che Alec
sospettava non
fosse ferro, sopra pantaloni neri di pelle. “Alcuni miei
amici potrebbero
aggiungersi ed altri nascosti” aveva rivelato subito la
selkie con estrema
sicurezza, “Questa è una guerra di tutti,
infondo” aveva ammesso, strizzando
gli occhi verso di lui, sfacciata.
Willem si era allungato per baciare sua moglie sulle labbra, con un
tocco
veloce, ma rassicurante, “Mi piace vederti
così” aveva detto, ammiccando al
vestiario che la faceva apparire terribilmente simile ad una
cacciatrice,
“L’unico uomo che può preferire sua
moglie vestita che no” aveva risposto
Isolde fingendosi offesa.
“Non è pericoloso per te lasciare la
pelliccia?” aveva domandato Isabelle
avvicinandosi alla donna, “Grazie per
l’interessamento” aveva risposto
prontamente quella, con una certa dolcezza, “Ma ho lasciato
tutto a Grootmoder
… Credo che Satana in persona abbia paura di quella
donna” aveva ammesso
sfacciata, guadagnando una gomitata da suo marito, “Inoltre
durante la Pace
Fredda l’Istituto di Amsterdam ha difeso strenuamente il mio
tesoro” aveva
dichiarato, “Non avrei mai pensato a luogo più
sicuro”.
“Poi sono curiosa di sapere come è andata tra voi,
adoro il gossip nascosto”
aveva ridacchio Isabelle con un certo divertimento, “Oh, si
è una storia
tremendamente bagnata” aveva risposto
Isolde.
“Non è un eufemismo” aveva chiarito
Willem.
Alec non sapeva molto dei rituali di corteggiamento delle ondine,
immaginava
che di quei tempi, come quasi tutti i fey, le cose non fossero troppo
diverse
dal resto dell’universo, ma una volta ricordava di aver letto
in un libro che
era coinvolta la pelle di foca.
“Stiamo aspettando Bo, sarà qui in fretta,
Alec” aveva detto subito Willem,
guardando Alec, per giustificare perché stessero ancora
temporeggiando.
Il capo dell’Istituto di Amsterdam si era rivolto a lui con
titoli formali solo
nelle prime due ore, che si erano conosciuti, preferendo di gran lunga
l’informalità.
Anche Alec la preferiva, si sentiva sempre un po’ stordito,
quando la gente lo
appellava ‘Console Lightwood’ come se stessero
parlando di qualcun altro.
A volte pensava si riferissero a suo padre, anche se non era mai stato
Console
… e non era più lì. Era strano essere
il Console.
Lo aveva desiderato sì, così come aveva
desiderato cambiare il mondo, ma la
cosa lo disorientava ugualmente.
Magriet li aveva raggiunti, aveva un’espressione tesa sul
viso, sfoggiava una
lama bastarda, che teneva legata con una cinta che attraversava il
busto di
traverso.
“Spero che Ej e i vostri amici stiano bene” aveva
detto alla fine con ancora
una punta di preoccupazione, “Stiamo andando noi a
combattere” aveva valutato
Izzy, “Sì, ma mia sorella non può
smettere di preoccuparsi” aveva dichiarato
Willem con un sorriso bonario, dando una pacca sulle spalle della
sorella. “Iemand
zal het moeten doen”
aveva replicato Magriet.
Bo
DeWit era arrivato con
un certo ritardo.
Non ci volle molto né per Alec, né per Izzy,
stabilire fosse un personaggio
piuttosto pittoresco. Era piuttosto alto, anche per gli standard degli
uomini
del nord. La sua pelle era coriacea e squamata come quella di un
rettile, di un
bianco perlaceo, con sfumature grigiastre. Gli occhi erano gialli e con
la
pupilla verticale.
Tutto di lui urlava: Rettile! Nonostante avesse la corporatura di un
uomo ed
anche cinque dita per mano.
“Audace!” si era lasciata incantare Izzy,
ammiccando probabilmente alla camicia
lasciata aperta sul busto, che esibiva una serie di palme in campo
azzurro.
“Bo, ho l’onore di presentarti il Console Alexander
Lightwood e sua sorella
Isabelle Lightwood” aveva dichiarato immediatamente Willem,
presentendoli per
bene. Aveva usato un inglese fluente, forse per avvertire Bo su quale
lingua
usare.
Bo aveva sorriso, scoprendo una serie di denti aguzzi, un po’
inquietanti, ma
tutto sommato nel complesso risultava un po’ buffo. Lo
stregone aveva
cominciato a dire qualcosa che sembrava l’inizio di un
‘Sono onorato di
…’ ma era stato sopraffatto da Magriet e la sua
voce imperiosa.
“Sai di essere in ritardo?” aveva domandato
schietta quella.
“Maggie, non ci sono i manifesti, ma al momento la
comunità degli Stregoni sta
passando quello che si chiamerebbe un brutto quarto
d’ora” aveva risposto
sagace quello.
“Per la questione di Antonius Vir?” aveva indagato
Alec, senza molta
sottigliezza, probabilmente lo stesso stregone si era fatto la sua idea
dall’improvviso desiderio del Famoso Magnus Bane, marito del
Console dei
Nephilim, e del suo altrettanto noto amico Ragnor Fell, volevano
incontrare la
somma stregona di Leiden – a quanto pare molto indaffarata.
“Sì, sua altezza” aveva risposto
immediatamente Bo.
Alec si era lasciato scivolare quel titolo addosso, “Alec, va
bene” aveva
aggiunto poi; “Non conosco Antonius, ci ho parlato, credo,
una volta” aveva
raccontato Bo, cercando di liquidare la faccenda,
“Però tu cosa stavi facendo?”
aveva chiesto Isolde sfacciata, battendo le ciglia scure.
“Io non ti faccio tutte queste domande quando vai alla Coorte
Unseelie” aveva
risposto Bo, senza alcuna incertezza. “Ma perché
io sono stata l’ultima
improbabile Dama di Palazzo della Venticinquesima Principessa”
aveva sminuito la
questione Isolde.
“Ed io ho sempre ignorato piacevolmente il Consiglio a
Spirale” aveva ribattuto
Bo, prima di rivolgersi verso Alec ed Izzy.
“Come dicevo per me è un onore incontrarvi
… Alec ” aveva dichiarato poi con
una certa eleganza, portando una mano sul petto e chinando il capo con
eleganza
e rispetto.
Isabelle aveva rivolto uno sguardo divertito verso di lui, consapevole
di
quanto tutto quel formalismo rendeva parecchio rigido Alec.
“Anche per noi lo è” aveva squittito
Izzy squillante, pareva incredibilmente
divertita dalla situazione. Alec le aveva lanciato uno sguardo
leggermente
indispettito, “Credo dobbiamo, adesso, arrivare
all’Aia ed occuparci dei
Pangborn – non permetterò che il morbo che sono
questi cacciatori rovinino gli
Shadowhunters” aveva dichiarato ferreo.
Credeva in ogni parola.
“Perfetto, mi mancavano queste cose” aveva
canticchiato Isabelle, smorzando la
tensione che si era venuta a creare dopo l’intervento di Alec.
Willem aveva annuito, dicendo qualcosa al suo stregone di fiducia in
quello che
doveva essere olandese.
“Bene, aprirò il portale, conosco un posticino
dove apparire che non dovrebbe
destare troppo sospetto – sapete, l’Aia tende ad
essere sempre brulicante di
gente … e non possiamo apparire all’Istituto,
immagino” aveva rivelato poi Bo,
facendo schioccare le dita, piccole scintille di fuoco verde ne erano
fuori
uscite, poi senza la minima esitazione aveva imposto le mani e dopo un
forte
brivido di vento, nell’aria si era aperto un vortice verde
ribollente e
ventoso, che si era poi rischiarato, fino a che non era diventata una
finestra
su un bugigattolo, nascosto dietro un’ovale perfetto, il cui
bordo scintillava
di verde brillante.
“Una
domanda veloce”
aveva detto poi Alec, attirando l’attenzione di Bo,
“Come era parsa la Somma
Stregona di Leiden all’idea di incontrare Magnus?”
aveva domandato Alec,
cercando di mantenere l’espressione più granitica
che potesse esibire.
Quello aveva cruciato le labbra, o almeno il taglio sul viso squamato,
che
somigliava ad una bocca, “Oh, sembrava entusiasta di rivedere
il Grande Magnus
Bane – a proposito, dispiace a me di averlo mancato
– meno per Ragnor Fell, ha
sciorinato una serie di epiteti molto poco carini in greco
antico” aveva
raccontato.
Alec aveva annuito, rincuorato, prima di ascoltare bene le parole dello
stregone: “Rivedere?” aveva chiesto.
Magnus non conosceva Justine Vale o così aveva detto ad Alec.
“Basta chiacchiere, ci penserai più
avanti” lo aveva richiamato Izzy, “Magnus
se la sa cavare e a noi spetta un assedio” aveva dichiarato.
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Capitolo 7 *** Non è il verde che ti aspetti ***
Ho
passato l’esame,
gloria e giubileo, perciò mi sono impegnata nello scrivere
un capitolo nuovo
(non questo, il prossimo) ma non sono riuscita a concluderlo, ho
pensato che
fosse comunque carino pubblicare quello nuovo, perché oggi
è una buona
giornata.
Il capitolo è abbastanza filler, ma credeteci o meno, ci
sono cose importanti.
Un grazie a chi segue/ricorda/preferisce e a chi legge solamente, un
bacio
invece ad Arwen Fenice per le recensioni <3
Buona Lettura,
RLandH
Non
è il verde che ti aspetti
“Be,
è qui. Ci siamo”
aveva dichiarato Ej con un certo scetticismo ed una punta di delusione,
che
Magnus sembrava condividere.
L’ingresso della Somma Stregona di Leiden, era una porta in
legno, ben curata,
sì, ma di dimensioni modeste, quelle che si aspetterebbe di
trovare in una casa
e non come portone d’accesso per la dimora di … un
palazzo.
D’altronde l’intero edificio era una perfetta
casetta, alta tre piani, stretta,
un po’ sbilenca per via del terreno, di un bianco inteso ed
adornata da un
tetto a capanna molto spiovente.
Era affiancata da due case molto più ingombrati e si
affacciava proprio davanti
ad uno dei canali principali.
A Magnus dava l’idea che fosse un edificio appiattito con la
magia, scoordinato
e fin troppo allungato, regolato ad hoc perché potesse
essere sistemato in uno
spazio dove non sarebbe stato possibile altrimenti.
Accanto alla porta in legno, ben curata, c’era un citofono,
c’erano quattro
targhette, in corrispondenza dei piani, ma tutte vuote tranne
l’ultima in cima.
Vale.
Addio.
“Quando dici che tra voi non è finita bene, quanto
è grave?” aveva chiesto
Magnus, infilando le mani nelle tasche microscopi dei pantaloni skinny
rivolto al
suo vecchio amico di merende.
“Non so, Justine ha un metro molto variabile per il rancore.
Ha scatenato un
invasione barbarica su Roma per vendicarsi del suo fratellastro una
volta, per
averle ucciso un amate, ma ad un ex-fidanzato ha solo tenuto il muso
per
qualche secolo e lui aveva cercato di uccidere lei
…” Ragnor aveva fatto una
pausa, come se avesse voluto dire altro, poi aveva ripreso a parlare,
“L’ultima
volta che avevamo litigato nel seic-”, ma era stato
interrotto sia da Magnus
sia da Ej.
“Invasione barbarica?” aveva
chiesto la giovane Cacciatrice, “Roma?”
aveva domandato Magnus.
Esistevano stregoni che avevano vissuto ai tempi di Roma, o almeno
erano
esistiti, uno degli ultimi si era spento quasi un secolo prima, ma
erano rari,
mosche bianche.
Era un tempo lunghissimo anche per quelli come loro.
Immaginava che Ej non fosse stupita dalla probabilità di una
stregona così
vecchia per via dell’abitudine a mentire di gran parte di
loro per darsi più
lustro.
Alla sola età di ottant’anni Magnus aveva convinto
Carlos II e Marie Luise
d’Orléans che era uno stregone così
vecchio da aver condiviso il desco con
Platone – quel pensiero gli diede un brivido,
perché con la mente lo portò ad altri
ricordi, tremendamente belli e tremendamente dolorosi.
“Si!” aveva risposto Ragnor
sterile, prima di pigiare il tasto del citofono.
Avevano ricevuto una risposta dall’interfono, in Olandese,
chiedeva
semplicemente chi fossero.
“Il magnifico Magnus Bane” era intervenuto lui, in
inglese, prima che Ej
potesse rispondere, “Oh! Che bello” aveva squittito
la voce femminile, prima
che sentissero il suono della porta che veniva aperta,
“Ultimo piano!” aveva
esclamato quella, in un ottimo inglese.
Magnus
nella vita aveva
vissuto un certo numero di orrori, alcuni più grandi
– immensamente – di altri,
aveva deciso, comunque, di includere nella lista le scale che portavano
al
piano di Justine Vale.
Erano strette, degne della tomba di un faraone, ripidissime, lo spazio
era
poco, ma invece di essere organizzate in una chiocciola, erano tutte
addossate
da un lato, come se qualcuno avesse scalfito perfettamente i gradini
nel muro.
Lo spazio per i piedi, era a malapena calpestabile solo per un numero
di piedi
degni di Cenerentola, quindi tra loro, solo Ej sembrava sicura.
E dulcis in fundo: i gradini erano di una spaventosa altezza, da
rendere la
salita oltremodo scomoda.
Ed erano quattro piani.
“Strano” aveva detto solamente Ragnor,
“Justine non è mai stata donna da certe
fatiche” aveva valutato, cosa che Magnus in quel momento
dissentiva.
La scalinata sembrava fatta a posta per scoraggiare la salita;
“Mi sento come
in quella scena del Castello Errante di Howl” si era
lamentata Ej, che era la
più agile di loro, in quella circostanza, Magnus attribuiva
il merito ad un
eccellente forma fisica, modellata da duri anni di allenamento
Shadowhunters e,
scommetteva, anche una combo tra una runa di Resistenza e
Agilità.
“Non ho idea di cosa stai parlando” aveva
dichiarato Ragnor.
“Oh be ci sono queste due signore di una certa età
che per incontrare la Strega
di Corte sono costrette a faticare lungo questa mortale
scalinata” aveva raccontato
la cacciatrice.
“Calzante” aveva commentato Ragnor, mentre seguiva
Ej lungo le scale.
Lui d’altronde doveva trovare calzante come più
volte l’Olanda lo avesse spinto
a pensare a quel film, forse avrebbe dovuto farlo vedere ai suoi figli
tornato
a casa, anche ad Alec, chi sa perché sospettava che suo
marito non lo
conoscesse.
Una giovane fata, viste le orecchie appunta e delle ali da libellula,
si era
affacciata dalla balconata interna del secondo piano, per osservarli
con un
certo interesse, ma anche una guardinga consapevolezza, almeno quando
gli occhi
si erano posati sull’atletica figura di Ej.
Non aveva fatto nulla però, restandosene in pantaloncini
della tuta, pantofole
e canotta a bere il suo smoothie da una cannuccia colorata.
Nonostante sul campanello non ci fossero stati altri nomi, era evidente
che
ogni piano che si lasciavano alle spalle fosse brulicante di persone e
pregnante di potere magico.
Magnus aveva contato almeno tre fey al secondo piano, due vampiri al
primo ed
un cucciolo di licantropo che spiava
dalla ringhiera del terzo piano.
Qualcuno da qualche parte stava anche praticando un incantesimo,
nessuno
particolarmente potente, ma abbastanza perché Magnus lo
percepisce, era
sicuramente opera di qualche stregone. “Ragnor”
aveva chiamato lui, ottenendo
uno sguardo di traverso dal suo amico, che lo aveva staccato di qualche
metro.
Si stava decisamente chiedendo perché Ragnor fosse
più allenato di lui, non era
una cosa plausibile. “Non credi sia una Domus
Magicae?” aveva chiesto
alla fine, “Lo è sicuramente” aveva
dichiarato il suo amico, “Justine le adora”
aveva dichiarato.
Ej, ormai lontana anni luce – sì, quella scala era
maledetta, lo percepiva
chiaramente – si era fermata, “Una cosa?”
aveva chiesto incuriosità. “Una Casa
di Magia, sono luogo costruiti lungo i nodi delle vie telluriche,
insomma si
come dire … convergenze” aveva spiegato
didascalico l’altro.
Come quella che Malcom aveva utilizzato per riportare in vita la sua
bella
sposa svitata, aveva pensato Magnus, con rammarico e dolore.
“Per molti secoli gli stregoni costruivano case sugli snodi
per sfruttarne l’energia
e praticare incantesimi potenti, con il tempo hanno cominciano ad
attirare altri
nascosti come fari con le navi” era intervenuto Magnus.
“Gli Shadowhunters non ne sono molto fan, di questi tempi, ma
se non ci sono violenze
su mondani o evocazioni di demoni maggiori tendono a chiudere
un’occhio. In
alcuni tempi le bruciavano con tutti quelli che ci vivevano
dentro” aveva detto
lapidario Ragnor, ricordando forse qualcosa del suo passato.
Anche Magnus aveva ricordato qualcosa, il loro viaggio ad Istanbul,
quando il
suo amico gli aveva fatto spergiurare di non raccontare ai fratelli
silenti che
era stato lì, al posto che nella casa del rispettoso Alto
Stregone di Costantinopoli.
Fratello Zebulon aveva detto a Magnus – dopo – che
erano luoghi di perdizione.
Magnus molti anni in seguito, dopo aver viaggiato e veduto cose umane e
demoniache, indicibili, avrebbe dissentito.
Erano molto peggio di qualsiasi cosa il Fratello Zebulon avrebbe mai
potuto
descrivere – o meglio, questione di punti di vista.
“Sono sicuro che il nuovo Console non tornerà ai
vecchi metodi” aveva
dichiarato Magnus, “Speriamo che il nuovo Cancelliere sia
disposto a dargli il
beneficio del dubbio” aveva replicato Ragnor, prima di
riprendere la salita.
La sua voce era sembrata terribilmente raschiata.
Nel frattempo il loro vociare doveva aver allarmato la palazzina,
perché il flusso
di magia che criptava nell’aria era venuto ad esaurirsi
bruscamente, interrompendo
il rituale.
“Immaginavo
più alto il
Sommo Stregone di Brooklyn!” la voce, femminile, era arrivata
dalla cima della
lunghissima scala, quando Magnus aveva sollevato gli occhi, aveva visto
chi
c’era.
Si era dovuto dichiarare piuttosto confuso da ciò che lo
attendeva. Era una
ragazzina, non aveva più di una dozzina di anni, con le
ginocchia nodose, nude,
esposte grazie ad una salopette di jeans, con il pantaloncino corto.
Aveva anche una chioma grano ardente, stretta in due trecce che
scendevano sul
petto ancora imberbe.
Magnus Bane doveva dichiararsi piuttosto stupito, non era
così che immaginava
la Somma Stregona di Leiden, amante on-off per secoli di Ragnor Fell e
… istigatrice
di barbari.
“Io più adulta” aveva dichiarato Magnus.
“Non è lei” era intervenuto Ragnor,
facendo ridacchiare Ej, “Decisamente no”
aveva confermato poi la shadowhunters.
La ragazzina aveva riso cotta con un certo divertimento, “No,
no!” aveva detto
poi, mentre gli accoglieva gentili sul pianerottolo del quarto piano.
“Che oro stupendo!” aveva
dichiarato la ragazzina senza indugio, fissando
il viso di Magnus sfacciata, probabilmente ammiccando agli occhi da
gatto,
“Anche tu hai dei begli occhi” aveva risposto
galante lo stregone.
La giovane aveva occhi verdi come foglie primaverili, non molto grandi,
ma
incredibilmente espressivi. Lei aveva aggrottato le sopracciglia
bionde, come
se il complimento di Magnus l’avesse confusa,
“Grazie” aveva ammesso incerta,
prima di riprendersi.
“Tu non sei del colore che
immaginavo” aveva dichiarato la ragazzina,
ammiccando al buon Ragnor, che aveva schioccato le dita, permettendo al
suo naturale
colorito pisello di tornare vivace sul suo viso.
“Più così?” aveva chiesto,
poi, la ragazzina si era morsa il labbro, come se improvvisamente si
ritrovasse
in una situazione tesa e nervosa, come se camminasse in equilibrio
precario, “No”
aveva dichiarato alla fine, con un sospiro – stupendo tutti i
presenti – prima
di sorridere.
Il suo viso sembrava quasi iridescente quando indugiava in
quell’azione, “Ma è
decisamente molto meglio di quello che immaginavo” aveva
dichiarato sicura,
prima di volgere lo sguardo su Ej.
La shadowhunter aveva osservato la scena con interesse. La ragazzina
aveva
inclinato il capo, facendo ondulare le trecce bionde, “Non so
chi tu sia, ma
sei sicuro impetuosa nello spirito” aveva
dichiarato.
Ej aveva riso con un certo gusto, “Be, grazie, tu sei un
po’ secca” le aveva
risposto, prima di presentarsi. “Io sono Sunflower Vale,
la figlia di Justine,
è un piacere conoscervi” aveva dichiarato,
ricambiando la stretta la ragazzina
e poi conducendoli all’interno dell’appartamento.
“Figlia?” aveva domandato con
una certa confusione Ragnor.
Lei aveva annuito piena di vita.
Probabilmente Sunflower – che nome esoso – era una
di quelle bambine umane che
venivano adottate dagli stregoni; anche Magnus lo aveva fatto,
tecnicamente,
certo lui non aveva mai avuto bambini umani.
Sunflower si era poi sporta dalla ringhiera, facendo oscillare le
trecce bionde
al vuoto, allarmando per un secondo Magnus ed immaginava anche i suoi
compari,
aveva strillato qualcosa in olandese che somigliava ad un
“Michael, rientra a
casa o tua nonna si preoccuperà” e
nell’attimo che aveva parlato, il cucciolo
di licantropo che stava guardando loro, ben nascosto dal piano
inferiore, era
evaporato alla velocità della luce.
“Entriamo?” aveva proposto poi la ragazzina,
ammiccando all’unica porta di quel
piano, che era aperta ed offriva uno spiraglio alla casa della Somma
Stregona
di Leiden.
La
casa di Justine era
spaziosa, esibiva un salotto bello invitante, in cui appariva un
tavolinetto
basso, con un divano ad elle che lo circondava. Il soggiorno era
collegato ad
una cucina senza muro, c’era anche una porta chiusa ed una
scala che portava
verso un eventuale quinto piano.
La casa era piena di piante floreali e foto. A Magnus piaceva
sicuramente, ma
poteva notare sul viso di un verde cetriolo,
leggermente più pallido
rispetto al solito, un’espressione vagamente più
confusa e spaesata.
Conosceva quell’espressione, Magnus sapeva di averla avuta in
vita sua, almeno
una volta; era la consapevolezza di essere un estraneo in un mondo che
un tempo
era suo e di cui si conosceva ogni dettaglio; Camille Belacourt tendeva
a farlo
sentire così.
La casa di Justine sembrava piena di vita, assolutamente vissuta in
ogni suo
aspetto. Era anche piena di chincaglierie varie ed eventuali.
“Volete acqua, menta e limone?” aveva domandato
subito Sunflower,
“Assolutamente sì!” aveva risposto
immediatamente Ej, mentre si accomodava sul
divano ad L, di un pittoresco color cobalto, che faceva una buona
cromia con le
pareti tinte di giallo paglierino ma non si sposava bene con il
pavimento
parquet di legno scuro.
“Non ho il permesso di offrire alcolici” aveva
aggiunto Sunflower con un tono
allegro.
Ragnor aveva tossicchiato per attirare l’attenzione,
“Dove è tua madre?” aveva
chiesto poi, con un tono piuttosto stranito nell’utilizzare
quel nome per
simboleggiare la parentela tra le due.
“In effetti avevamo un appuntamento” aveva
dichiarato Ej, mentre accavallava le
gambe, ma non sembrava troppo nervosa.
“Si, l’appuntamento prima di voi si sta trattenendo
un po’ più del previsto”
aveva dichiarato Sunflower con una punta di nervosismo evidente nella
voce, “Però
si accomodatevi” gli aveva invitati di nuovo.
Magnus aveva imitato Ej, cercando di rilassarsi, Ragnor era rimasto
stoico in
piedi nel mezzo del soggiorno.
“Quindi quante acque menta e limone?” aveva chiesto
ancora la ragazzina.
Aveva una dizione perfetta in inglese, ma l’accento duro
olandese strisciava
molto, pesando sulle parole, Ej aveva sollevato una mano, come una
ragazzina
alle elementari, “Facciamo anche per me” aveva
dichiarato Magnus.
Sì, normalmente fidarsi era bene e diffidarsi era meglio, ma
se fosse accaduto
qualcosa a Magnus, somma Appendice – a quanto pareva
– del Console degli
Shadowhunter, sarebbe stato impossibile per Justine scamparsela, a meno
che …
Sunflower
aveva
schioccato le dita, un lampo sottile di luce rosa vibrante era
schioccato
nell’aria esaurendosi in una pioggia di scintille luminose ed
un lampo sia
Magnus, sia Ej tenevano nelle loro mani un bicchiere di vetro colmo
fino
all’orlo di acqua, in cui erano immerse foglie di menta ed
una bella fetta di limone.
“Sei una strega!” aveva esclamato Ej, ammirata, con
gli occhi illuminati.
“Aye!” aveva replicato
Sunflower, aveva fatto comparire un bel bicchiere
anche per lei, e si era lasciata cadere sul divano.
“Questo ha molto più senso” aveva
dichiarato allora Ragnor, “Trovo molto più
credibile che Justine abbia adottato una stregona” aveva
valutato.
“Oppure potresti starci ingannando” aveva proposto
Magnus, “Non sono uno a cui
piace pensar male” aveva ammesso.
Ej allora aveva guardato il suo bicchiere con una certa
criticità. Lei aveva
ridacchiato, “Non lo ho fatto, anche volendo, dubito avrei il
potere di
sopraffare la mamma” aveva dichiarato Sunflower, prendendo un
bel sorso della
sua acqua.
“E che non ho mai pensato a Justine come una persona
particolarmente materna”
aveva valutato nuovamente Ragnor.
“Diciamo che non ha proprio scelto di adottarmi, ma
la vita va come deve
andare, no?” aveva chiesto con un tono retorico la
ragazzina, con un
sorriso gioviale e luminoso sul viso.
Ragnor
non era sembrato
poi molto convinto della spiegazione, Magnus inoltre non aveva la
minima idea
di quanto la cosa dovesse o meno sembrare strana, non la conosceva bene
questa
Justine, però non era esattamente una cosa abitudinaria che
gli stregoni
prendessero dei giovani bambini come figli. Boris non aveva poi molti
torti, da
quel punto di vista, ma immaginava che se Magnus avesse messo la testa
apposto,
allora forse, poteva averlo fatto anche a Justine.
Uno spiraglio luminoso era apparso nel soggiorno, una luce brillante
bianca, si
era aperta, accompagnata da un forte vento.
L’attimo dopo sul tavolo basso del soggiorno era piombato
qualcuno, un giovane
uomo, ferito, che si teneva una mano sulla spalla, sanguinante.
“Oh!” aveva strillato Sunflower, “Erwin!”;
l’attimo
dopo Ej era già saltata in piedi con una
lama angelica – e l’urlo Amenadiel
in combo – sguainata pronta al
combattimento; la giovane strega aveva detto qualcosa in olandese,
troppo
veloce perché Magnus la comprendesse e si era chinata su di
lui per
sorreggerlo.
Dallo squarcio era spuntata anche una donna, dietro cui il portale si
era
rinchiuso. La prima cosa che Magnus aveva veduto della nuova arrivata
era stato
un collo sottile attorno da un lunghissimo filo di perle con
più stringhe, così
di classe, che si abbinava male ai jeans chiari ed il cardigan rosa
confetto.
“Scusate il ritardo, ci sono stati dei problemi”
aveva stabilito quella,
atterrando nel suo soggiorno, voltandosi verso i presenti.
“Pensavo si sarebbe gelata qualche dimensione infernale prima
di rivedere la
tua brutta faccia da zucchina” aveva detto quella con un tono
infuocato, prima
di rivolgersi verso gli altri.
“Fanciulla cara, puoi abbassare la lama, questa è
una zona libera da armi
letali” aveva detto subito ad Ej con un tono calmo.
La donna, che doveva essere ovviamente una strega, non si confaceva
molto all’aspetto
che aveva visto tipicamente negli olandesi. Non era molto alta, ma
aveva un
corpo voluttuoso, l’incarnato era olivastro, con un naso
leggermente importante
ed una voluminosa chioma di capelli corvini e serpentini.
E soprattutto, realizzò Magnus, Justine non era
un’estranea.
Da qualche parte nella sua lunga vita, lui l’aveva
già incontrata.
“Oh, il Magnifico Magnus Bane” aveva detto quella,
rivolta verso di lei, con un
sorriso rilassato sul viso, pieno di vita, “Mi piace proprio
il nome che hai scelto,
Tesoro” aveva enunciato.
Dall’ultima volta che Magnus Bane aveva incontrato Justina
Vale erano passati
quattrocento anni, anno più anno meno.
Al Mercato delle Ombre di Costantinopoli.
Una sola volta.
Prima di entrare per la prima volta nel Labirinto a Spilare; quando la
donna
rispondeva al nome di Iusta.
Oh, che scemo che era stato.
Comunque, aveva pensato Magnus, c’era un ché di
poetico.
“E ti sei fatto proprio un bell’ometto!”
aveva detto smaliziata Justine,
giocando con il suo filo di perle.
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Capitolo 8 *** Il Galateo per (e su)gli Stregoni ***
Eccoci,
chiedo scusa se ci
ho messo una vita, ma sto attraversano un momento nerissimo e sono
bloccata con
un capitolo.
Comunque, si, finalmente mandiamo avanti la trama.
Vorrei sempre ringraziare Arwen Fenice per la
recensione.
Buona Lettura,
RLandH
Il
Galateo per (e su)gli Stregoni
“Siamo
stati proprio sfortunati, mio signore” aveva detto il giovane
servan umano.
Era di statura piccola,
con un viso appuntito, un naso piccolo ed i capelli bronzei, aveva un
sorriso
smaliziato che gli dava un aspetto squisitamente fey, nonostante fosse
solo
formalmente un membro della coorte seelie. Nonostante il sorriso
beffardo che
sfoggiava con impudenza, il tono del servan era stato calmo o atono.
Era un bambino scambiato, uno vero, non come Ragnor,
il servan era nato umano
ma cresciuto dalle fate.
“E perché mai?” aveva domandato Ragnor,
annoiato, mentre con un colpo di dita,
sfasciava i suoi bauli, perché quella stanza estranea
apparisse meno ostica e
straniera.
Aveva deciso che la Bretagna non era di suo gusto, “Avrei
voluto vedere il
Pretendente” aveva dichiarato il suo servo. “Se
Henry Tudor fosse rimasto qui,
Charlie, noi saremmo potuti rimanere a Londra” aveva detto
annoiato e
frustrato.
Antonius lo aveva mandato lì, oltre la manica, proprio per
evitare che la
situazione già precaria in Inghilterra si aggravasse con il
coinvolgimento
della Francia in quel conflitto fratricida. La Guerra dei Cento Anni
era ancora
un ricordo vivido nella memoria di Ragnor. Come giovane e stupido si
era
sentito di andare, non ancora certo e sicuro dei suoi poteri, poi
Antonius Nyx
lo aveva raccolto.
‘Sei uno stregone, non un mondano, questa non
è la nostra guerra’ aveva
detto.
Neanche quella tra York e Lancaster lo era, ma nessuno voleva vedere
sanguinare
ancora il mondo.
“Lord Narcisse è arrivato” lo aveva
informato Charles, “Lo ho veduto quando
siamo entrati, ci spiava da una imposta certo di non esser
visto” aveva
raccontato.
“Nulla sfugge agli occhi di una fata” aveva
dichiarato, Charles aveva sorriso
con la stessa malizia di una fata.
Ragnor era stato contrario all’inizio, ad assumere un mezzo-fey,
ma
Antonius, il sommo stregone di Londra, aveva dissentito e non aveva
voluto
sentir ragioni, cosa che non stupiva troppo lui, in fin dei conti lui
era solo
il suo attendente, schiavo occasionalmente, che non aveva mai molta
voce in
capitolo nelle grandi scelte.
Cosa che frustrava Ragnor non poco, così castrato nel suo
incarico, nel suo
ruolo, aveva bisogno di altro, sapeva che la sua testardaggine stava
tendendo
anche Antonius per questo lo aveva spedito in Bretagna, ma lo aveva
fatto anche
perché si fidava delle sue capacità.
“Ci sono anche dei Figli degli Angeli qui”
aveva aggiunto con un tono
più lugubre Charles, “Ne ho visto uno alle stalle,
quando ho sistemato Smirne”
aveva dichiarato Charles, “Non indossava la runa della trasparenza
quindi non era interessato a nascondersi agli occhi dei mondani, ma ha
cercato
di nascondere le rune, quindi era da noi che stava
nascondendo” aveva chiarito.
“Altro che Charles Figlio delle Fate,
dovresti essere Charles Occhio di Falco” aveva sottolineato
Ragnor, colpito da
tanta precisione.
Quello aveva abbassato lo sguardo, ma si era lasciato sfuggire un
sorriso
soddisfatto, “Probabilmente ve ne sono altri. Sono come le
locuste, non vengono
mai da soli” aveva dichiarato Ragnor.
L’Enclave di Londra, anzi dell’Inghilterra intera
– Yorkshire e Newcastle,
compresa – aveva
interesse solo in sé stesso e nei suoi piccoli giochi di
potere, che
includevano probabilmente anche tutta Alicante. Ai Nephilim
importava solo
dei Nephilim e della loro fanatica missione assegnata dal
Cielo, o certo i
loro doveri giovavano a tutto il mondo, ma la loro attitudine tendeva
ad essere
delirante; ciò non toglieva che alle possibilità
di una guerra forse anche loro
dovevano essersi allarmati.
O forse erano guidati dalla curiosità – o il
timore – di Ragnor Fell,
attendente di Lord Anotnius Nyx, Sommo stregone di Londra, fosse giunto
alla
corte di Frañzes di Bretagna per incontrare Narcisse Croix,
lo stregone di
corte di Carlo VIII.
Erano più infidi dei topi, quei figli dell’angelo.
Due
tocchi sulla porta lo avevano distratto da quei pensieri, con suo sommo
dispiacere era stato costretto a ricorrere agli incantesimi per
nascondere il
suo colorito di pelle e le sue corna, così come aveva dovuto
scurire i suoi
capelli, per apparire quanto più banale possibile.
Charles aveva aperto la porta, perfettamente rigido e educato,
spalancando
l’ingresso ad una giovane donna.
“Bonjour Madame” aveva
dichiarato, subito, con voce cortese.
Ragnor aveva sollevato uno sguardo oltre la testa biondo-ramato del suo
servitore per osservare la sconosciuta.
Quello che aveva trovato era stato un sorriso cattivo, di quelli che
Ragnor
adorava vedere sul viso di una donna attraente.
“Il
tuo amico starà bene”
aveva dichiarato Magnus, osservando il giovane licantropo che riposava
nel
grande letto di Justine, “Si, il veleno di un Vatak non ha
mai ucciso nessuno,
circa” aveva dichiarato quella con un tono lugubre mentre lo
osservava.
Il giovane era un ragazzo, Magnus era bravo nel riconoscere
l’età delle
persone, aveva occhio, quello non doveva aver raggiunto neanche la
maggiore
età. “Devo dire a Sun di mandare un Messaggio di
Fuoco al padre, sarà
preoccupato” aveva commentato quella, incrociando il suo
sguardo, mentre
giocherellava con un certo nervosismo con la sua collana di perle, che
teneva
in piedi la sua illusione.
Magnus aveva annuito, mentre le chiudeva la porta per lasciarlo
riposare, “Cosa
è successo?” aveva indagato lui, “Un
demone a spasso per la città ed il pranzo
a Bocconi da asporto che avevo prenotato è saltato. Insieme
al locale” aveva
detto con un tono leggermente offeso Justine, “Un locale
italiano molto buono,
gestito da una russa, roba strana, ma ottima lasagna” aveva
dichiarato, mentre
imboccavano le scale per tornare al pian terreno, dove avevano lasciato
gli
altri tre. Se avessero servito altro rijistaffel, probabilmente Magnus
avrebbe
avuto un crollo nervoso.
“Non
sembri comunque molto tranquilla” aveva notato Magnus,
“Nessuno lo sarebbe con
un demone a spasso per Leiden” aveva aggiunto,
“Questa città è pingue di
giovani mondani ed è un’isola felice per ogni
Nascosto del mondo” aveva
spiegato Justine, “Assolutamente nephilm-free, circa, visto
che ora ne ho una seduta
sul divano”.
Ej aveva sorriso per nulla turbata.
Justine
aveva fatto
schioccare le dita delle mani, facendo scintillare i brillantini
bianchi,
l’attimo dopo un
bicchiere era apparso
nelle sue mani, così come in quelle di Magnus.
“Scusa non posso affrontare Ragnor Fell da sobria”
aveva dichiarato ammiccando
al suo amico, con un tono al vetriolo.
“Grazie per il drink, allora” aveva detto Magnus,
“La bambina la vedo già
servita” aveva chiarito subito indicando Ej, con la sua acqua
e menta, “Ei”
aveva detto piccata quest’ultima. Justine l’aveva
ignorata, per posare
nuovamente lo sguardo su Ragnor, “Non ho più nulla
da offrire a te” aveva
affermato, ricordando probabilmente qualcosa di brutto.
“Iusta” Ragnor l’aveva
rimproverata con la voce, pronunciando solo il
nome, ricordando a Magnus quando lo faceva con lui, quando era un
bambino e
faticava a concentrarsi, per richiamarlo all’attenzione e a i
suoi studi.
Justine si era morsa il labbro, Magnus aveva potuto vedere la rigidezza
del suo
portamento risentito da quel breve rimprovero, ma non aveva detto
nulla,
tornando a concentrare l’attenzione su Ej , “Sei la
copia sputata di tuo padre,
Christopher, giusto? Mi era simpatico” aveva dichiarato.
Se la giovane cacciatrice fosse stata sul punto di dire qualcosa e lo
era, gli
occhi erano accesi come stelle filanti, era stata preceduta dalla
giovane
Sunflower.
Magnus si era quasi dimenticato della bambina, così
silenziosa, fino a quel
momento. “Posso andare da Erwin?” aveva chiesto
perentoria lei tirandosi in
piedi dal divano, con ancora il bicchiere di acqua e menta in mano,
“Manda un
messaggio di fuoco ad Artas per dirgli che il figlio è qui.
Poi puoi andare da
lui ma non svegliarlo” aveva detto Justine calma, con una
voce intrisa di
dolcezza.
Sunflower si era defila sulle scale come una freccia.
“Così una figlia” aveva valutato Ragnor
con un tono teso.
“Così un invasione barbarica” aveva
detto Ej invece, facendo scappare una
risata alla stessa Justine. Doveva aver deciso di non voler indagare
oltre su
come Justine Vale e Christopher Townsend si conoscessero.
“Così un nome nuovo” aveva considerato
Magnus, più che altro perché non avrebbe
sopportato di non avere l’ultima parola, prima di prendersi
un bel sorso dal
suo bicchiere.
Era wisky, dritto infuocato sulla lingua.
“Sei troppo giovane per sapere che Attila non ha invaso
solo i territori
dell’Impero” aveva ghignato Justine.
“Attila? Attila? Re degli Unni? Flagello di Dio?”
aveva esclamato Ej, sul viso
di Justine si era aperto un sorriso piuttosto divertito e pieno di
leziosità, “Non
lo chiamavano Paparino senza ragione;
mi son sempre piaciuti
gli uomini audaci, non so come Ragnor sia finito nel mio
carnet” aveva detto
sfacciata, guardando di traverso il suo vecchio amante, poi si era
voltata di nuovo
verso Magnus.
“Tu ti sei fatto incredibilmente bello e se ciò
che ho sentito in giro anche
terribilmente potente ed inventivo” aveva aggiunto, con una
certa ammirazione,
“Tutti parlano di Magnus Bane, l’Eroe, il Sommo
Stregone di Brooklyn.”
Oh,
be, dopo una settimana trattato come Appendice del Console o First Lord
degli Shadowhunters, Magnus doveva dirsi piuttosto contento di essere
riconosciuto come, be, Magnus Bane.
Ed era riconosciuto da Iusta, una delle stregone più antiche
in circolazione.
“Sei l’uomo che ha salvato il mondo e che ha
portato i nephilm ad un nuovo
livello di consapevolezza. Sei così stimato che nessuno
associa più il tuo nome
al Perù” aveva dichiarato quella.
Una ferita ancora tristemente sanguinante.
“Sbaglio o ci sta provando con Magnus” aveva
sussurrato Ej a Ragnor, “No, mi
sta solo dando fastidio” aveva dichiarato il suo amico.
“Non lo so, ma continua
pure” aveva dichiarato Magnus sfacciatamente.
“Se avessi voluto darti fastidio ti avrei venduto ad Hurrem e
mi sarei fatta
una bella scorta di scaglie di drago” aveva risposto piccata
Justine, “Peccato
è morta” aveva risposto Ragnor.
“Questi nephilm” aveva aggiunto
la somma stregona di Leiden con una
punta di rancore, “Anche tu dovresti esserlo, se non
accoppato dagli sgherri di
quello spostato di Valentine, almeno Samael poteva farti secco. Ed
invece,
eccoti, qui” aveva ringhiato, “Ma ovviamente l’erba
cattiva non muore mai”.
“Avevi saputo che ero morto” aveva considerato
Ragnor, “Mi hai pianto?” aveva
chiesto sfacciato, “Ho partecipato a riti orgiastici tutta la
notte, più felice
lo sono stata solo quando hanno ucciso mio fratello” aveva
replicato collerica.
Magnus non era sicuro di crederle.
“Okay,
voi due, smettete
questa perversa danza di accoppiamento” aveva richiamato
l’attenzione su di sè
Magnus.
Justine aveva bevuto un po’ del suo wiskey, accomodandosi sul
suo divano, “Non
stavamo facendo nessuna danza” aveva detto Ragnor
infastidito. Justine aveva
roteato gli occhi al cielo, prima di concederli:
“Sì. Immagino che prima
parleremo di cose serie, prima daremo un taglio a questa
storia” aveva detto,
“Chiaramente parlo di Ragnor, tu, Tesoretto puoi restare
quando vuoi e tu,
fanciulla, ammetto che ultimamente potrei aver cominciato a rivalutare
voi
cacciatori” aveva dichiarato.
“L’anzianità ti ha reso
saggia” aveva detto Ragnor piccato, “Quando avrai
la
metà dei miei anni potrai constatarlo, per ora sei ancora un
moccioso con il
viso sporco di latte” aveva risposto Justine senza sforzarsi
di guardarlo,
studiando Magnus invece con i suoi occhi neri.
Aveva incontra Iusta, Justine Vale, solo una volta prima di quel
momento e la
ricordava come una strega terribile ed affascinante allo stesso modo,
dopo
quattrocento anni, provava la stessa identica sensazione.
“Certo che guardati proprio, quanta strada da quel gattino
spelacchiato che
sapeva a malapena il suo nome” lo aveva letto dentro quella,
ma Magnus si era
sentito uguale a quella maniera, “In qualcosa Ragnor non
è un completo
fallimento” aveva mormorato.
“E per rispondere alla tua domanda, Magnus, perché
noi stregoni dobbiamo
rinnovarci sempre. Iusta sembrava così antiquato”
aveva detto con onestà, “Lo
ho detto anche un sacco di volte ad Antonius, ma quella vecchia
cariatide non
mi da retta” aveva stabilito.
“Hai sentito che va in pensione?” aveva detto
casualmente Magnus.
“No, non va in pensione, vuole tornare a Londra e riprendere
il suo ruolo, la
sede è leggermente vacante” aveva risposto subito
Justine, dando una steccata a
Ragnor.
“Non sei mai venuta a trovarmi a Londra” aveva
replicato il suo verdissimo
amico, Justine aveva ripreso la sua invettiva: “Solo la morte
farà riposare,
Antonius” aveva detto con una punta d’orgoglio,
“Certo ormai si tiene insieme
con lo sputo ed a un passo dalla disgregazione, come il povero Nix, ma
non è
ancora successo” aveva detto.
Sunflower si era affaccia dal soppalco del piano superiore,
“Ho mandato il
messaggio” aveva dichiarato poi in olandese, “Resto
con lui, ancora un po’”
aveva aggiunto la ragazzina, “Sei molto dolce tesoro, ma
ricordati che alle
quattro hai lezione di violoncello e sarebbe il caso per te di
mangiare” aveva
dichiarato Justine, prima di sollevare la mano e schioccare le dita,
che erano
scintillate di bianco.
Dalla cucina – unico ambiente con la sala – si era
sentito un certo rumore, si
erano aperte le imposte e le pentole avevano cominciato a muoversi, una
pentola
si era riempita d’acqua e si era messa da sola sul fornello
accesso,
affiancando una padella con un soffritto, della pancetta e della
passata di
pomodoro. “Non era più facile far apparire
direttamente il cibo?” aveva
domandato Ej, “Non mi da lo stesso gusto” aveva
dichiarato, “Pasta lunga per
me” aveva detto Sunflower, prima di rientrare nella stanza
dove riposava il suo
amico, “E metti il sale questa volta” aveva
strillato.
“Spero che della pasta al sugo vi vada bene. Volevo le
lasagne, ma ecco,
appunto, demone malefico rovina piani” si era giustificata
quella.
Magnus
era tornato a guardare Justine, notando come, nonostante avesse
predisposto tutto per la cucina, quella avesse tenuto ancora un
po’ gli occhi
sul punto dove prima era stata sua figlia.
Poteva ammettere, Magnus, di conoscerla bene quella sensazione, quando
anche il
solo perdere di vista il proprio figlio, anche solo un momento, poteva
lasciarti estraniato.
Magnus era stato tante cose nel corso della sua vita e molte di questo
era
costretto ad esserle per l’eternità, eppure,
ricordava quando una volta Tessa,
neanche un ventennio fa, di ritorno dal suo usuale incontro con
– all’ora –
Fratello Zaccariah, in lacrime gli aveva fatto una confessione.
Sono una madre e sarò sempre una madre, anche se non ho
più figli.
Tessa era rispettosa del suo dolore e cercava di non esser mai troppo
invadente, ma in quel momento, era stata una fontana; ma Magnus non lo
aveva
capito, non per bene e non per intero, aveva l’esempio dei
suoi genitori, tutti
i suoi genitori, un patrigno che aveva cercato di ucciderlo, un padre
demoniaco
ed una madre che si era tolta la vita pur di fuggire da lui.
Quindi sì, Magnus non aveva capito le parole di Tessa, ma,
in quel momento, lo
faceva. Sarebbe sempre stato Magnus Bane, padre di Rafael e Max, e nel
labbro
appena un po’ vibrante di Justine, con gli occhi rivolti ad
un punto ormai
vuoto, capiva una cosa, per lei era uguale.
L’amore genitoriale era viscerale, più forte di
qualsiasi amore Magnus avesse
provato.
Questa era la prima volta, da quando erano andati a Shangai, che sia
lui sia
suo marito avevano dovuto lasciare il loro piccolo mirtillo. Per tutti
gli
angeli del paradiso Magnus lo sentiva viscerale la mancanza dei suoi
figli, non
solo Max che non vedeva da un giorno, ma anche Rafael che aveva
salutato quella
mattina e che avrebbe rivisto a breve, quella stessa sera.
“Quindi, sì, la bambina” aveva
dichiarato Ragnor, con un tono un po’ basso,
mentre spiava con attenzione e curiosità Justine.
Come se non la riconoscesse.
“Sì” aveva detto lapidaria la strega,
“Non ti facevo una tipa materna” aveva
provato il suo verde amico, senza molta grazia, l’antica
stregona aveva
inclinato il capo, facendo oscillare i ricci serpentini, mentre aveva
rivolto
uno sguardo tagliente a Ragnor.
Non era vero che gli stregoni erano imperituri, non invecchiavano, no,
non
nella maniera convenzionali in cui i mondani e le altre creature lo
intendevano, ma lo facevano comunque, era qualcosa che invecchiava
negli occhi,
nell’espressione, nel portamento.
Justine non era la stessa Iusta che Magnus aveva conosciuto
quattrocento anni e
se all’ora la sua età gli era sembrata vaga, ma
giovane, in quel momento pareva
adulta, matura.
“Questo,
mio caro asparago, è perché non hai mai capito
niente di me, ho sempre
voluto essere madre” aveva detto secca, prima di tornare a
posare lo sguardo su
Magnus.
“Certo ammetto che mi ero rassegnata qualcosa come mille anni
fa, non che io
non abbia cercato un modo di manipolare questo mio corpo”
aveva dichiarato
Justine, “Ma la vita va come deve andare no?” aveva
domandato retorica, “Non ho
chiesto Sun, ma ciò non vuol dire che io non
l’abbia voluta.”
“Neanche io avevo mai pensato seriamente alla
paternità, ora ho due piccole
pesti che mi aspettano” aveva dichiarato, con un sorriso
rilassato, aveva
ottenuto dalla strega la stessa curva comprensiva.
Ragnor
aveva scosso il
capo, “Tagliamo la testa al toro” aveva dichiarato
poi, prima che potesse
parlare, Magnus lo aveva anticipato, era meglio non far parlare il suo
amico,
non credeva che avrebbe aiutato la loro causa.
“Sì, per quanto rivederti faccia piacere me e
Ragnor, sì anche lui, non siamo
qui per una visita di piacere” aveva cominciato, forse non
molto diplomatico
Magnus, “Apprezzo l’onestà”
aveva dichiarato Justine, “Sono vissuta alla corte
di Ravenna e Costantinopoli, in una corte di intrighi, dopo
millecinquecento
anni posso dire di apprezzare un po’ di
schiettezza” aveva dichiarato.
Magnus aveva ricambiato il sorriso, “Il titolo di Cancelliere
sta per essere
vagante e noi ci chiedevamo se tu volessi prendere quel
posto” aveva detto,
“Infondo sei una strega ben inserita, potente, nota ed
antica” aveva ricordato.
Justine era esistita prima degli Shadowhunters.
La strega aveva sputato il wisky senza molta classe, “Oh
santi numi” aveva
ammesso, “Mi sento un po’ delusa ammetto, Magnus
Bane, sommo stregone di
Brooklyn, lo stregone che ha cambiato la mentalità degli
shadowhunters, insomma
mi aspetto qualcosa di più incredibile che una candidatura
per il titolo di
cancelliere. Bastava una telefona per quello” aveva
dichiarato poi Justine,
“Insomma, Eleonora ha fatto così” aveva
raccontato.
“Ah” nel dirlo Magnus si era sentito molto stupido.
“Eleonora ti ha chiesto di non candidarti” aveva
stabilito Ragnor, “In realtà
mi ha chiesto di sostenerla, cosa che ho accettato senza alcuna
esitazione,
conosco El da quando era Somma Stregona di Costantinopoli ai tempi
dell’Impero
Latino” aveva dichiarato, accavallando le gambe.
“Sosterrai Eleonora?” aveva domandato Ragnor.
Justine aveva sollevato le spalle, “Preferisco decisamente
lei a quella cariatide
di Antonius, o Baffi-da-gatto o il Prete” aveva statuito lei.
C’era stato un momento di silenzio, “Eleonora
è una persona terribilmente
astiosa e non ama molto i cacciatori” aveva provato Ragnor.
“Neanche tu” aveva replicato Justine, “E
neanche io, senza offesa Zuccherino”
aveva detto, ammiccando a Ej. “Ma qui non si tratta di amare
o meno i figli
degli angeli, ma quelli di Lilith. Eleonora ama gli stregoni”
aveva replicato,
“E se permetti è argilla non cotta, ancora capace
di modellarsi. Riguardo ai Nephilm,
vero, non prova amore per loro, alcuno, ma è riuscita a
convivere con loro
senza farsi mai nemica ed è venuta a firmare gli accordi per
quattordici volte
di fila, se non ricordo male” aveva dichiarato Justine.
Magnus
era rimasto in silenzio, realizzando che erano passati quasi
vent’anni
dall’ultima volta in cui aveva parlato con la stregona
italiana.
“Comunque potresti candidarti tu” aveva replicato
Justine attirando la sua
attenzione, “Sei Magnus Bane, sei ben inserito, i nascosti ti
amano ed anche i
cacciatori” aveva dichiarato.
“Oh no, sono la somma appendice di Alec. Tutti mi vedrebbero
come un burattino
di mio marito” aveva replicato demotivato Magnus.
Justine aveva bevuto un po’ del suo wisky, “Tutti
chi? Gli stregoni?” aveva
chiesto, “Il labirinto?” aveva aggiunto retorica.
“Hai ragione” aveva concesso Magnus,
“Tendiamo ad essere ognuno per conto
nostro e non facciamo fronte comune mai” aveva dichiarato;
bastava ricordarsi della
questione di Filippo Finto Inquisitore, che quasi aveva fatto bruciare
sul rogo
Catarina, in suolo imperiale...
“Oh l’acqua sta bollendo! Pranziamo così
ne discutiamo meglio” aveva detto
Iustine, mentre buttava nella pasta all’interno della pentola
e si preoccupasse
di chiamare la figlia.
Sunflower era uscita dalla stanza ed era scesa cauta dalla scalinata
del
soppalco, aveva un’espressione bianca sul viso e la
preoccupazione cucita sul
volto.
Per il suo amico.
“Apparecchia la tavola, tesoro” le aveva detto
subito, mentre Justine si
avvicinava al piano cottura.
Magnus si era sollevato dalla poltrona, finendo di bere il wisky, non
era
saggio farlo a stomaco vuoto, ma il suo metabolismo da stregone aiutava
molto.
“Il nostro piano finisce tragicamente
così?” aveva domandato Magnus con una
certa preoccupazione a Ragnor.
“Se speri che io abbia fascino da svendere, quando ti ho
detto che tra me e
Iusta non è finita bene, intendo che non è finita
per niente bene” aveva
dichiarato lugubre Ragnor.
“Sono tentato di chiederti tutto bene, ma non è
questa la sede” aveva aggiunto
Magnus, lanciando uno sguardo alle due streghe in cucina.
Sunflower
aveva steso una
tovaglia verde menta sull’isola del lato della cucina,
posando poi anche dei
piatti molto colorati. La ragazzina aveva sospirato verso di loro,
abbozzando un
sorriso gentile, sebbene non si sentisse ancora molto rassicurata. “Mia madre non
è stata cattiva, vero?” aveva
chiesto la ragazzina, sistemando dei bicchieri, avevano delle stampe di
papaveri – cliché.
“Non più del solito” aveva detto Ragnor,
cercando di sorridere verso la
ragazzina. Il suo amico era sempre stato bravo con i ragazzi, anche se
non lo
avrebbe mai ammesso, era un insegnate e provava piacere
nell’esserlo,
nell’educare e nel prendersi cura, eppure Magnus aveva
l’impressione che Ragnor
stesse cercando di apparire meglio possibile, come mai aveva fatto
– neanche
davanti agli Shadowhunters nei tempi tesi. “Be, mamma era
molto nervosa per la
voistra visita” nel dirlo Sunflower aveva guardato Ragnor.
“Be, è pronto!” aveva detto imperiosa
Justine attirando l’attenzione, con un
tono quasi isterico.
La
pasta era buona, meno
dei beagle della sera prima. “Adesso mi è rimasta
voglia di lasagna” si era
lamentata la somma stregona di Leiden; “Faccio un piatto per
Erwin; magari
quando si sveglia avrà fame” aveva dichiarato
Sunflower, riferendosi
probabilmente al licantropo dormiente, prima di far sfrecciare un
piatto dalla
dispensa per sistemarla sul tavolo vicino a lei, per mettere da parte
della
pasta.
“Posso fare una domanda sfacciata?” aveva chiesto
Ej, mentre arrotolava degli
spaghetti sulla forchetta, “Vai tranquilla, Cacciatrice, ci
piacciono le
persone sfacciate” aveva dichiarato Justine, con un sorriso
divertito sulle
labbra, “Anche se sono nephilm” aveva detto.
“I vostri marchi da stregone” aveva detto quella.
“Non c’era tipo un protocollo di buone maniere per
shadowhunters per non
chiedere questo?” aveva chiesto con una punta di divertimento
Sunflower, mentre
metteva da parte la pasta salvata, “Oh no, dolcezza, le
abbiamo dato il
permesso” aveva dichiarato Justine, “Solo molto e
raffinato glamour” aveva
detto poi.
Ej aveva sorriso, dopo aver inghiottito della pasta, prima di
ricominciare a
parlare, “No, in realtà è una cosa
piuttosto scema, ma stavo facendo una
ricerca; una cosa stupida” aveva detto.
“Non
esistono cose stupide” le aveva detto delicato Magnus,
incuriosito,
cercando di motivarla, “Non sono molto
d’accordo” aveva commentato Ragnor, “O
metà delle scelte che hai compiuto dovrebbero essere
riviste” aveva dichiarato,
“Anche io: o questo cetriolo qui non avrebbe
spiegazioni” si era inserita
Justine, indicando Ragnor con la forchetta.
Il suo amico aveva inclinato il capo, “Mi aspettavo
indifferenza, lo confesso,
ed un po’ di acredine” aveva dichiarato,
“Ma tutto questo risentimento …” aveva
aggiunto elusivo, facendo inviperire Justine.
Avevano riso.
Magnus era ancora convinto che quello che ci fosse tra Ragnor e Justine
dovesse
essere una spaventosa danza dell’amore mortale come quella di
due scorpioni.
Ej si era spostata un ciuffo di capelli rosso vibrante dietro
l’orecchio, “Oh
be, stavo conducendo una ricerca, una specie circa, sulla correlazione
tra i
segni demoniaci degli scrittore ed il loro genitore
infernale” aveva detto,
“Una cosa scema” aveva aggiunto.
Magnus aveva aggrottato le sopracciglia, “Ne parlavo con
Bo” aveva ripreso lei,
interpretando le parole facce confuse dei commensali come un invito per
continuare, “Lui è figlio di un demone dragonidae
– no, non chiedete,
non è voluto entrare nel merito – quindi un demone
minore, ed ha un’aspetto
abbastanza pittoresco ed evidente” aveva fatto una pausa,
“Così tra libri e
varie raccolte, ho iniziato a notare come più la discendenza
è elevata, o ehm
in questo caso calata i tratti demoniaci tendono ad essere
più discreti”
aveva dichiarato.
“Uhm, tipo i suoi occhi da gatto?” aveva chiesto
Sunflower, indicando Magnus,
“… che è un noto figlio di un principe
infernale” si era lasciata sfuggire Ej,
con un tono cauto, timoroso di indispettirla.
Magnus aveva storto le labbra, consapevole di non averci mai pensato
veramente.
“Devo dire che è una cosa interessante”
aveva dichiarato Justine, “Nel senso,
io sono figlia di un principe infernale” aveva dichiarato con
la stessa
scioltezza con cui si sarebbe comunicato di aver comprato delle nuove
Jimmy-Chu;
era sceso un certo e teso silenzio nella tavola, ma la somma stregona
di Leiden
aveva continuato a parlare, “Ed ho effettivamente un solo
segno demoniaco, ma
diciamo che è tutt’altro che discreto”
aveva detto.
Magnus la ricordava la sua pelle, bianco opaco con sfumature bluastre,
come il
marmo.
“Però
potresti essere l’eccezione” aveva considerato
Ragnor, “Se consideriamo
il punto di vista evidenza, ma da quello numerico” aveva
ripreso a parlare,
stranamente interessato.
Oh, Ragnor aveva una fascinazione per il demoniaco, che lo volesse
ammettere o
no. “Probabilmente non sei la prima a pensare ciò.
Probabilmente negli archivi
del Labirinto c’è qualcosa; potrei darci
un’occhiata, sempre se il nuovo
Cancelliere ci darà il permesso” aveva dichiarato
quello; “Non hai mai
rispettato mezza-regola, Fell” aveva replicato Justine.
Ej aveva sorriso, soddisfatta.
Magnus era rimasto abbastanza confuso da quelle parole, ma erano poi
scivolate
addosso senza colpo ferire, non aveva mai avuto bisogno di una guida al
riconoscimento di stregoni potenti, aveva imparato a percepirli fin da
giovane.
Però aveva sollevato lo sguardo su Sunflower che guardava
con teso nervosismo
il suo piatto di pasta, anche Justine aveva guardato sua figlia.
Alla luce del commento di Ej, probabilmente dovevano entrambe star
valutando i
segni demoniaci, cautamente nascosti, di Sunflower.
Poi
la momentanea calma
del pranzo era stata interrotta dallo squillo del telefono di Justine,
la
strega lo aveva preso di malavoglia, rispondendo in olandese,
l’attimo dopo il
viso calmo si era tramutato in una smorfia di spavento, ma aveva subito
ripreso
compostezza, specie davanti le domande allarmate di sua figlia.
“Aspetta … aspetta, dimmi dove? Cosa? Ne sei
sicuro? Ma dove?” aveva chiesto
ancora, recuperando la calma, “Okay! Okay! Ho capito.
Arriviamo subito” aveva
dichiarato quella.
Anche Magnus aveva capito: erano appena cominciati i guai.
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Capitolo 9 *** Qualcosa di grosso – e sfacciatamente attraente ***
POST
FATA RESURGO.
E niente, non mi aspettavo di aggiornare, però è
successo. Perdonatemi per aver
inserito la scena più gialla della storia e non averla data
ai Male. Sono
cattiverrima.
Grazie a chiunque segua questo delirio,
Un bacio
RLandH
Qualcosa
di grosso – e sfacciatamente attraente
“Ci
scommetto che è colpa
di qualche studente di antropologia strafatto d’erba che ha
pensato di
giocherellare con le forze occulte perché lo ha letto in un
libro trovato in
biblioteca” era l’ultima cosa che Magnus aveva
sentito, riconoscendo la rabbia
di Justine, che aveva appena aperto il portale nel suo soggiorno, dopo
aver
sigillato casa sua, per proteggere la sua bambina.
Ej si era data un forte slancio, Magnus l’aveva identificata
come una macchia
rossa, che era scivolata al suo fianco, con il rilevatore di
attività demoniaca
in una mano ed una luminosa spada angelica in un’altra.
“Provo un certo brivido nel sapere che combatterò
al fianco di Magnus Bane”
aveva esclamato la ragazzina piena di vigore, “Hai
l’età per farlo si?” aveva
domandato lui di rimando.
Era abbastanza ipocrita da parte sua, visto che aveva aiutato
Biscottino ed
Alexander più e più volte quando avevano circa
l’età di quella ragazza.
“Magriet mi ha portato alla mia prima caccia quando avevo
dodici anni, ha detto
che ero una Shadowhunters e non aveva senso fingere che non lo
fossi” aveva
replicato con un certo divertimento, arricciando le labbra in un
sorriso
soddisfatto.
Non era stato necessario dicesse altro perché davanti a loro
in tutta fretta
comparvero un paio di mondani urlanti.
“Mi occupo io di sistemarli” aveva detto Justine,
anche lei insieme a Ragnor
avevano passato il portale, “Sono più brava con il
glamour e la difesa” aveva
spiegato, dando un’occhiata al suo ex-amante con un tono
spento, “Tu sei
l’esperto di portali e voi due i combattenti” aveva
dichiarato.
“Tuo fratello e molte altre persone potrebbero
dissentire” aveva dichiarato
Ragnor, “C’è un demone vermiforme che
sta avanzando verso di noi, meno
chiacchiere” aveva risposto secca Justine, piccata, prima di
cominciare a
rumoreggiare una formula in greco antico, con i palmi aperti, mentre
bolle
d’energia bianche si stavano sorvegliando sopra la testa dei
mondani urlanti.
Ej aveva sorriso, “Io ed Amenadiel possiamo farcela contro di
lui” aveva
dichiarato con tranquillità, lanciandosi verso il demone con
l’alabarda
angelica luminosa, sotto i raggi del sole, sembrava sapesse rifulgere
ancora di
più.
“Sento una grossa attività demoniaca”
aveva valutato Magnus, “Vedo altri demoni
in arrivo” aveva riconosciuto Magnus, giusto prima che un
lupo mannaro in forma
trasformata venisse sbattuto via da un demone drago di dimensione
notevole.
Ragnor si era occupato di quello, mentre Magnus si era lanciato sul
demone,
pronto a respingerlo con la sua magia.
Quello era il momento in cui rimpiangeva l’assenza degli
shadowhunters,
rimpiangeva l’assenza di Alec sempre, molto spesso e per i
motivi più assurdi,
ma in quel preciso momento pensava di sentir la mancanza dei guerrieri
angelici
e della loro missione.
Una
giovane Doxie era
corsa verso di loro, con l’abito strappato che continuava a
strillare in
olandese cose, che Magnus riusciva a comprendere poco.
L’attimo dopo le vie di Leiden si erano aperte in fiamme
infernali, niente di
troppo pericoloso in realtà realizzava.
Magnus aveva affrontato demoni molto più pericolosi, ma
quella situazione
sembrava un gran caos.
Si
era ritrovato Ej al
fianco ed un giovane nascosto, sospettava fosse fey. “Sai che
sta succedendo?”
aveva chiesto EJ proprio a quell’ultimo, “Stavo
litigando con la mia ragazza,
Anya, è un vampiro, ora è nascosta da qualche
parte” aveva chiarito subito
quello, “Che boom, ci esplode la sinistra e un demone corax
era nel nostro
soggiorno” aveva raccontato impellente.
“Demoni minori ovunque” aveva dichiarato Ej con un
sorriso rigido, aveva perso
la gonna di lustrini e la maglietta, rimanendo solo nella tenuta nera,
oleata
di icore malsano, anche la lama di Amenadiel era insozzata di sangue
demoniaco.
“Senti, cacciatrice” aveva dichiarato quello,
“Quando ero a Idris per
combattere contro l’orda demoniaca di Valentine Morgerstern
in un cacciatore
poco sorridente mi ha fatto una runa della condivisione, alleanza, non
ricordo”
aveva dichiarato quello, ammiccando allo stilo allacciato alla coscia
di Ej.
Lei lo aveva guardato, “Ficata, si, la runa
dell’alleanza. Ne ho sentito
parlare!” aveva ammesso Ej squillante, “Willem e
Isolde se la fanno spesso!”
aveva aggiunto, “Però ecco, non ricordo come si
faccia” aveva ammesso con una
punta di imbarazzo. “Per tua fortuna la conosco io”
si era intromesso Magnus,
afferrando il braccio di Ej “Segui il disegno”
aveva detto, tracciando con una
sottile riga blu, come il tratto di una matita per occhi il disegno
sull’avambraccio
della ragazza.
Lo stregone aveva allungato il suo braccio a sua volta.
Magnus
aveva preso il
telefono, per chiamare suo marito, ma aveva scoperto che il telefono
era andato
a vuoto, non aveva di che scrivere un messaggio di fuoco ed era esausto.
Aveva sistemato la bellezza di diversi demoni, tutti minori, senza
particolare
importanza, i mondani sembravano decisamente scomparsi, con
l’eccezione di un
ragazzo particolarmente spigliato con una pistola armata di proiettili
sicuramente non standard ed i nascosti si erano organizzati bene.
“Una di queste bestiacce ha attaccato il mio ragazzo
oggi” si stava lamentando
un uomo grande come un armadio a due ante, con espressione cattiva
mentre
teneva il piede sulla testa di un moribondo demone valtak. Magnus non
aveva mai
provato particolarmente empatia per i demoni, ma doveva dire che
l’orribile
creatura paludosa ed anguiforme in quel momento li procurava un filino
di pena.
“Magnus!” era stato chiamato a gran voce da
Justine, che stava venendo verso di
lui piuttosto infervorata, “C’è una
fottuta porta infernale nella mia città”
aveva dichiarato, “Più di uno, troppi demoni
differenti” aveva dichiarato poi
Magnus.
“Non vedevo un casino del genere da quando Maometto II ha
deciso di prendere
Constantinopoli” aveva dichiarato Justine, “Be,
almeno non è come la volta che
Lilith e Samael hanno aperto la via” aveva scherzato Magnus.
L’amante di Magnus
aveva lanciato verso di lui uno sguardo al vetriolo, “Oh se
scopro chi è lo
stregone che c’è dietro, lo anniento”
aveva detto poi lei infastidita, le dita
erano scintillate di magia bianca, densa, sfrigolante.
Poi si era rivoltata diverso un gruppo chiassoso lì di
là, “Atras smetti di
pavoneggiare e ammazza quel demone!” aveva strillato Justine,
riferendosi al
gruppetto con il demone valtak, prima di prendere Magnus senza
particolare
grazia.
“Dovevo saperlo che sarebbe andato tutto storto appena Bo mi
ha chiesto di
incontrare te e Ragnor. Non potevi venire da solo?” si era
lamentata, “Ma che
dico è stato da quando quella stronza di Ele che mi ha
chiamato che sapevo
sarebbe successo qualcosa. Antonius, infame, ha duemila anni che
sarà mai? Non
è il caso di parlare di pensionamento, ai miei tempi
c’erano certi stregoni
Hittiti molto più vecchi” aveva vomitato fuori,
mentre seguivano il frusciante
flusso di energia demoniaco.
Più potente rispetto quello emanato dai demoni.
“Ragnor ha insistito per venire” le aveva confidato
Magnus, “Fingeva non fosse
così, ma lo ha davvero fatto” aveva aggiunto.
Era stata Catarina a suggerirlo, Ragnor era stato poco inclino ad
andare
inizialmente, timoroso della reazione della stregonesca, ma poi
…
Justine si era lasciata sfuggire un sorriso, “Non lo avrei
mai detto dopo
l’ultima volta” aveva dichiarato lei,
“Sì, mi ha detto che non è finita
proprio
bene” aveva rammentato Magnus, “Direi che
è un eufemismo” aveva dichiarato lei.
Prima che Justine potesse aggiungere altro, lei e Magnus erano stati
costretti
ad arrestarsi, l’avevano percepita forte e chiaro, come una
secchiata d’acqua
gelata sulla schiena. Energia demoniaca di quelle oscure, profonde e
spaventose.
Feroce.
Qualcosa di diverso.
“Cosa
è stato?” aveva
chiesto lo stregone, “Qualcosa è passato. Qualcosa
di grosso. E questo
mi ricorda il tempo in cui le grandi bestie demoniache camminavano in
questo
mondo” aveva risposto Justine.
Magnus ne aveva sentito parlare.
Contro quelle che i Nephilm Giganti, grossi e infiammati, servivano,
per
combattere contro quelle bestie, che di quei tempi non riuscivano
più a
valicare le dimensioni. Tutti i portali e gli strappi che si erano
aperti erano
come crune d’ago per loro.
Magnus si chiese se per caso non avessero a portata di mano un paio di
parabatai innamorati da impiegare in quel momento – sarebbe
stato utile.
Il viso di Justine si era fatto livido, letteralmente, come la pietra,
aveva
perso per qualche secondo la compostezza sulla sua illusione, prima di
riprendere con furia la sua camminata.
“Hai parlato con tuo marito?” aveva chiesto subito
Justine, “Ho provato, ma non
risponde” aveva spiegato Magnus, “Spero che la
vegliarda di Amsterdam ci
riesca. Ho fatto informare l’istituto di Amsterdam,
Rotterdam, Haarlam ed anche
l’Aia, non che credo che i Pangborn si
presenteranno” aveva spiegato subito la
stregona.
Prima che Magnus potesse o meno lanciarsi in illazioni, decisamente
stupefatto
dalla prontezza di Justine, visto come sia lei, sia Ragnor, avevano
più volte
sottolineato l’insofferenza ai Nephilm della strega, ma tutto
il suo sarcasmo
era stato inghiottito via.
“Demoni infernali” aveva detto Magnus, invece,
quando l’aveva vista.
La cosa.
“Ma … quella …” si era
lasciata sfuggire Justine strozzata.
Bella in una maniera quasi disarmante, una bestia, ed era tutto dire
perché lui
non aveva mai trovato esattamente carini i demoni.
Ma quello era notevole.
Aveva il corpo snello di una pantera dal manto sabbia, ma ben
più enorme, aveva
le zampe massicce come quelle d’un orso, con unghia nere e
spesse. Dal busto si
diramavano sette lunghi colli squamati ed altrettanti famelici musi
bestiali.
Tre erano leonine, con fauci d’avorio, tre di pantera e tre
di leone, ed una
quarta informe, d’una bestia che non era nulla
d’umano comprensibile, ma
spaventosa, più spessa e grossa delle altre. Tutte avevano
denti aguzzi e occhi
carmini. leonini, con zanne arcuate ed occhi rosso carminio. Ogni testa
svettava una criniera di grano ardente, da cui sulla sommità
del capo
spuntavano corna dorate. Alcune teste ne avevano una, ritte ed
acuminate come
quelli d’un unicorno ed altre due arricciate come quelle
d’un caprone.
“Ma quelle sono corone. Il demone indossa corone!”
aveva esclamato Ej,
confusa e – be, anche strabiliata –
perché sì, aveva ragione, ogni testa aveva
il proprio diadema, degno di una vincitrice di un concorso di bellezza.
Magnus non si era decisamente accorto del fatto che la giovane
cacciatrice
fosse arrivata, era insozzata di icore dalla testa ai piedi, ma aveva
gli occhi
luminosi, sfrigolati, con la lama ruggente in mano.
Al suo fianco c’era un fey su di giri, su cui scintillava la
runa dell’alleanza.
“Cosa è quello?” aveva esclamato proprio
quell’ultimo con la voce sottile come
un miagolio. “Direi la Bestia a sette testa e dieci corna,
dritta fuori
dall’Apocalisse di San Giovanni. Una versione in miniatura,
grazie a San
Giuseppe” aveva risposto Justine.
“L’ultima volta che è stata sulla terra,
ci sono voluti tre shadowhunters,
alcuni infuocati e molto grandi, due lupi mannari
ed uno stregone per
buttarla giù” aveva raccontato.
C’era un brivido di soddisfazione in quel racconto.
“Siamo uno shadowhunters alleato ad un fey e due stregoni
molto potenti” aveva
dichiarato Ej, usando la sua maglia per togliere via l’icore
fangoso.
“Come si uccide?” aveva chiesto solamente il
ragazzo fey, “È tipo come quella
storia dell’Idra che se tagli una testa ricrescono
doppie?” aveva domandato.
“No, bisogna tagliare le teste, tutte le
teste. Se potete raccogliete le
corone” aveva risposto Justine.
Magnus immaginava fossero pregne di potere.
“Però c’è
qualcos’altro” aveva valutato Justine,
“Ma non riesco a ricordare
cosa” aveva ammesso poi, colpevole e frustrata, prima di
ricordare loro – e
nessuno le stava dicendo nulla – che erano passati quasi
novecento anni.
Ej aveva annuito, “Sento che avrei dovuto ascoltare meglio la
lezione di
Grootmoder sull’apocalisse. Henrich saprebbe sicuramente
tutto” aveva aggiunto.
Allora speravano tutti nella buona creanza della matriarca
dell’Istituto di
Amsterdam, che mandasse loro la cavalleria.
Da
lì a poco Magnus
avrebbe scoperto cosa Justine avesse dimenticato sulla Bestia a Sette
Testa e
Dieci Corna – ed era proprio un bel mistero come avesse
dimenticato un fattore
così importante.
“Tu non vuoi ferirmi Magnus Bane”
aveva sentito.
Era certo che ad aver parlato fosse stata la testa centrale, quella
mefitica,
ma quando dallo squarcio zannuto non era uscito il roborare di un
ruggito,
Magnus aveva capito di essere incappato in un problema. La voce della
bestia
era la stesa calda voce di Alec, in certe notti che Magnus conservava
nei suoi
ricordi e che era certo di essere stato l’unico ad udire.
“Tu vuoi solo adorarmi, Magnus Bane, come hai sempre
fatto” lo aveva invitato
la voce.
In un secondo Magnus non era più in una caotica strada di
Leiden, di fronte una
bestia biblica – in miniatura – ma nel vecchio
appartamento parigino in cui
aveva abitato negli anni in prossimità della Rivoluzione
Francese.
E c’era anche Alec, bello come il sole, l’innocenza
che ancora dopo tutto quel
tempo albergava nei suoi occhi, completamente assopita in contrasto con
occhi
blu scintillanti di pura malizia ed un sorriso lezioso ad adornarli il
viso.
“Mio Magnus, mio bellissimo Magnus” aveva insistito
Alec, prendendolo per mano,
era bollente, guidandolo verso quell’improbabile letto,
alcova di amanti ed
amori, dimenticati nel tempo. Ma non Alec, che Magnus lo sapeva,
sarebbe
rimasto in eterno, sepolto sotto la pelle, ramificato nel profondo a
stringere
presa sul suo cuore.”
“Alexander” era riuscito a
sospirare solamente Magnus, prima di sentire
le mani bollenti, quasi brucianti sulla sua pelle, sul suo collo, il
suo viso.
“Mi adorerai Magnus, vero? Ci venererai
come se fossi il tuo
unico dio?” aveva chiesto Alec, smaliziato, ad un centimetro
dal suo orecchio,
sfiorando il suo lobo con le labbra morbide, baciandolo poì,
lì, sulla guancia,
sulla mascella.
Magnus sentiva sulla pelle scintille di fuoco.
Brucianti e dolorose, eppure elettrizzanti.
Non era necessario che lo chiedesse, ovviamente, Magnus avrebbe sempre
adorato,
venerato e vezzeggiato Alexander, in quel momento e probabilmente per
sempre.
Alec lo aveva baciato, a distrarlo da quel bacio – passionale
e sbagliato, era
stato la mano di suo marito che aveva infilato la mano entro il bordo
dei suoi
pantaloni di pelle.
“Mi adori vero Magnus Bane, sono
l’unica cosa che conta? Sei nostro,
vero? Nostro e solo?” aveva insistito
Alec.
La sua mano era infiammata e, be, Magnus trovava estremamente difficile
concentrarsi. Per un solo secondo si era lasciato balenare da quella
situazione, un secondo di troppo. Divorato dalla bestia, guidato verso
un letto
di spine ed inganni, avvolto dal calore dell’inferno, mai
stato così seducente.
“Oh ma questo è scontato” aveva
risposto, con fatica, allontanandosi dalle
labbra fameliche di quell’Alec, “Io ho
dedicato già la mia fedeltà ad Alec
Lightwood” aveva dichiarato.
La bestia aveva sorriso.
“Quello vero, però. Lo splendido figlio
dell’angelo, con il sorriso più
luminoso del sole stesso” aveva detto Magnus, calmo, mentre
osservava il viso
dell’Alec infernale scomporsi, “Ed anche se
decisamente più disinibito, ancora
fin troppo pudico per questo scenario e quella maglietta di rete, ma
tranquillo
fiorellino, conserverò quest’illusione per
l’avvenire” aveva scherzato.
Alec aveva riso, di gusto, con una punta di crudezza, accomodandosi sul
letto a
baldacchino, incrociando le gambe.
“Non dovremmo essere stupiti d’altronde, sei un asmodeide”
aveva
dichiarato.
Magnus aveva inclinato il capo, “Sono anche uno stregone di
quattrocento anni,
con un bel po’ di esperienza alle spalle, questo ha
contribuito” aveva
dichiarato, che non aveva alcuna voglia di dare meriti a suo padre di
nulla.
Alec aveva riso, “L’età regala a voi
stregoni molti doni e conoscenze, ma il
sangue prescinde da essa” aveva raccontato. “Tu sai
chi sono io, ma io non so
chi sei tu” aveva ammesso Magnus. “Il
nostro nome è Yam, siamo il figlio
di Leviatano, la Bestia del Mare, o almeno una sua pallida ombra,
lo stregone che ci ha
evocato non aveva così tanto potere a disposizione per
evocarmi come si deve”
aveva raccontato, “O
anche solo per controllarci. Lui si è inginocchiato a noi e
lo ho marchiato
come nostro” aveva dichiarato, “Come
farò con tutto questo mondo, vi asservirò
a noi e banchetteremo con le vostre anime” aveva esclamato,
“Anche con la tua
Magnus Bane, Asmodeide, che forse pensi di esserti sottratto alla
nostra
lussuria ma sei ancora ancorato alla nostra
volontà” aveva dichiarato, facendo
roteare un dito per indicare l’illusione di cui era ancora
prigioniero.
Magnus aveva riso, “Fin da che sono bambino Ragnor Fell ha
evocato demoni che
mi tentassero” aveva dichiarato con orgoglio, ripensando come
lui stesso avesse
compiuto tale azione sul suo mirtillo. Per prepararlo.
“Non sei che una versione più grossa e –
riconosco – sfacciatamente più
attraente di quello” aveva stabilito inflessibile.
Yam aveva riso, cristallino, per un secondo era apparso veramente come
il suo
Alexander, “Mi piaci Magnus Bane, i principi avevano detto
fossi divertente, in
particolare Samael, ma non credevo fino a questo punto” aveva
concesso il
demone, “Forse hai ragione, non posso tentare la tua anima,
sei già così oscuro
da non aver bisogno di essere tentato, saresti probabilmente anche
indigesto, i
figli di Lilith lo sono sempre, troppo simili a noi … ma il
tuo corpo, o sono
sicuro quello me lo gusterò pezzettino per
pezzettino” aveva dichiarato.
Magnus doveva dichiararsi davvero teso da quella situazione, Yam era
brutalmente seducente, anche se stava sfruttando la faccia
d’angelo di suo
marito, cosa che cominciava anche ad irritarlo.
“Ho evocato demoni maggiori, ho evocato …angeli,
e sono ancora qui per
raccontarlo, non sarai tu Yam a terminare la mia vita” aveva
dichiarato.
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