I got you

di Ray Wings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Black sugar, keep it up 'till the dawn
you're a trigger, killer, eye of the storm
but if there's no desire to get back out alive
you're a hero?



La cattedrale di Trost non era mai stata così affollata come quel giorno. Per proteggere le reliquie e gli affreschi non erano mai stati installati camini, o sistemi adatti al riscaldamento dell'ambiente. L'aria era gelida, forse più che all'esterno, e il sole penetrava a malapena dalle vetrate pallide. Nel silenzio della cappella, i singhiozzi risuonavano come rintocchi di campana. Era un luogo come un altro, uno dei molti che aveva trovato modo di ospitare all'interno tutte le persone sopravvissute che avevano oltrepassato il Wall Rose appena il giorno prima. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore dall’evacuazione del Mall Maria, eppure sembrava già un'eternità. Feriti mormoravano nei deliri del dolore, uomini piangevano in silenzio, donne stringevano i figli pregando le divinità delle mura di proteggere almeno coloro che erano sopravvissuti. In molti avevano dovuto lasciare i propri affetti alle spalle, guardandoli morire sotto ai propri occhi. Era una tragedia senza precedenti. 
Prima Shiganshina, e pochi attimi dopo il Wall Maria stesso erano stati abbattuti. Un gruppo esorbitante di giganti era entrato, molti più del previsto, come se fossero stati tutti lì fuori ad aspettare il momento propizio. In pochi erano riusciti a scappare. E quei pochi avevano perso così tanto che non raramente si ritrovavano a pensare che forse sarebbe stato meglio se non fossero stati loro a sopravvivere, se fossero stati mangiati, insieme ai loro cari. Ma per il momento, tutto ciò che gli era concesso era qualche gelida e umida chiesa ad ospitarli, qualche raro tozzo di pane per cibarsi che spesso dovevano litigare per riuscire ad accaparrarsi, non abbastanza da sfamare tutti quanti, e pochi sorsi d'acqua al giorno per recuperare ciò che era stato perso con le lacrime.
Non era passato nemmeno un giorno dall'attacco del gigante corazzato e del colossale, eppure sembrava di essere finiti nell'eternità di un inferno che avrebbe loro dannato per sempre. Inconsapevoli che i colpevoli di tutto quello, nelle loro vesti di ingenui bambini, erano proprio lì, in mezzo a loro, a giudicarli in silenzio. 
Reiner era stato il primo a svegliarsi, di fianco a Bertholdt e Annie. Dei tre lui era quello che  si era stancato meno, era stato facile recuperare le forze. Per Bertholdt era sempre estenuante, il gigante colossale consumava tanta di quell'energia che era incredibile che un bambino come lui riuscisse a tollerarlo così bene. Annie, tra tutti, era sicuramente quella con la resistenza maggiore, il suo gigante era adatto alle sue capacità, ma aveva corso per giorni per sostituire Marcel e il suo gigante mascella, persi all’esterno durante il loro viaggio dal mare alle mura. La ragazzina aveva portato il proprio corpo a un limite quasi definitivo, avrebbe avuto bisogno di riposare probabilmente per giorni. Reiner si guardò attorno, avvicinandosi ai suoi due amici, deciso a vegliare sul loro sonno. Era sicuramente una scena straziante, vedere tutte quelle persone in lacrime avrebbe scosso anche il più duro dei cuori, sapere di esserne la causa non aiutava il suo animo turbato, ma riusciva comunque a mantenere la lucidità e la calma. Aveva fatto una promessa, aveva ben chiaro quale fosse il suo obiettivo, e quelle persone non erano anime innocenti, meritavano ogni crudeltà. Niente l'avrebbe dissuaso dal continuare a procedere. Quelle vittime erano state necessarie, era ciò che si ripeteva per evitare di crollare definitivamente, ed era ciò in cui credeva fortemente. Quelle persone erano demoni, non comuni esseri umani, non avrebbe dovuto provare pietà per loro e avrebbe dovuto concentrare tutte le sue energie sulla missione affidatogli. Lo doveva a tutta la sua gente, a sua madre, ma, adesso, soprattutto a Marcel. E a Porko, a cui aveva praticamente rubato il gigante corazzato. Da quando Reiner l'aveva scoperto non aveva fatto altro che pensarci: lui non era stato la prima scelta. La cosa lo faceva incazzare, lo riempiva di rammarico, e non faceva che rafforzare il suo desiderio di portare a termine con successo quella missione. Avrebbe dimostrato di essere meritevole, che quella era stata la scelta giusta, avrebbe dimostrato di essere un perfetto Guerriero. Anche a costo di uccidere persone. 
Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse di qualcuno che gli corse spaventosamente vicino e lo fece sussultare. Una ragazzina inciampò nel suo giaciglio, calpestandogli i piedi, e nell’incidente per poco non le caddero di mano due tozzi di pane belli tostati che teneva gelosamente serrati al petto. Si ricompose rapidamente e si voltò a guardare Reiner, preoccupata.
«Scusa!» disse. Aveva i capelli castani, molto corti, ma non abbastanza da impedire alle sue ciocche ribelli di ricaderle davanti agli occhi azzurri, come impazziti. Era spettinata come pochi, vestita di un abito ormai ridotto a uno straccio, ma paffuta nelle guance e delicata nei lineamenti. Nonostante l'aspetto trasandato avrebbe portato a pensare a un maschio, il volto delicato era decisamente quello di una ragazza. 
Reiner non ebbe tempo di rispondere, che questa si voltò di nuovo e tornò a correre, evitando di pestare le persone stese a terra. Un compito arduo, che spesso la portavano a saltellare di giaciglio in giaciglio, ma sembrava ben determinata a raggiungere il suo obiettivo quanto prima. 
«Mikasa!» chiamò a un certo punto e un'altra ragazzina dai capelli neri e lunghi si voltò a guardarla. La ragazzina del pane ne sollevò uno, entusiasta, e saltò l'ennesimo giaciglio per arrivare di fianco all'amica, ma questa volta non si salvò dall'ostacolo. Il piede atterrò sulla gamba dell'uomo steso lì a fianco, calpestandolo, e questo la portò a perdere l'equilibrio. Cadde di faccia in avanti, ma ebbe la prontezza di sollevare le braccia per salvare il pane, anche se questo le causò un brutto taglio sul mento. L'uomo steso, che era stato calpestato, si sollevò furioso e iniziò a urlare insulti alla ragazzina ora a terra. Ma durò solo qualche istante. L'altra ragazzina, quella che si chiamava Mikasa, si voltò a fulminarlo con un inquietante sguardo glaciale. Era assurdo, eppure riuscì a zittirlo con poco. Metteva davvero i brividi. 
La ragazzina a terra si alzò in ginocchio, ignorando la ferita sul mento che si era appena provocata. 
«Bea, stai sanguinando» le disse Mikasa, ma lei strofinò sul mento, distrattamente, il braccio, come a volersi pulire rapidamente. Si accorse troppo tardi dell'errore, la ferita le bruciò intensamente nello sfregamento con la manica del suo abito, ma non fiatò. Si corrucciò per un istante, poi tornò a sorridere.
«Ho trovato del pane!» esclamò, felice. Porse a Mikasa una delle due pagnotte e aspettò che questa l'afferrasse.
«Non è molto, ma possiamo farcelo bastare» afferrò con entrambe le mani la seconda pagnotta, che era rimasta a lei, e la divise a metà. Una la tenne per sé, l'altra la diede a Mikasa. «Così tu, Eren e Armin avrete una metà. Questa la porto a mia sorella».
«Ma così non ne resta niente per te» le fece notare Mikasa, guardando la ragazzina che già si rialzava in piedi.
«Non fa niente, non ho fame» e sorrise di un'allegria soprannaturale, visto il terribile luogo in cui si trovava. Salutò rapida con una mano, non diede tempo a Mikasa di rispondere, e corse via saltando di nuovo negli spazi vuoti tra un giaciglio e un altro.
«Rose» chiamò, arrivando di fianco a una bambina più piccola. Non doveva avere più di cinque anni, somigliava molto alla prima, era facile intuire la parentela, anche se questa aveva capelli più sul biondo, lunghi, legati in due treccine ai lati della testa. La ragazzina col pane si inginocchiò di fianco a lei e le porse la mezza pagnotta che aveva portato. «Ho portato del pane. Mangia» disse sorridente. 
La bambina fece molte meno domande di Mikasa, afferrò volentieri la pagnotta e iniziò a mangiarla anche se con lentezza e fiacca. Era pallida in viso e sembrava madida di sudore. La sorella le mise una mano sulla fronte, mentre lei mangiava, e attese qualche secondo prima di sospirare e ammorbidire le spalle. «Ti sta salendo la febbre» constatò. 
«È perché Kitty non è con me» mormorò la bambina.
«Kitty?» inarcò un sopracciglio, confusa, e la bambina annuì. «Lui mi protegge sempre da tutto, anche dalle malattie. È rimasto a casa, non l'abbiamo portato con noi. Così mi ammalerò».
«No, vedrai che non lo farai!» sorrise la sorella, ma era ovvio che stesse solo cercando di infonderle positività. 
«Se Kitty fosse qui mi aiuterebbe a guarire» insisté la bambina.
La sorella la guardò qualche istante, lasciando che mangiasse in silenzio, poi all'improvviso si mise a sedere di fianco a lei e alzò per aria un piede. Si tolse la scarpa, per poi sfilare via il calzino che le arrivava fino al polpaccio. Con un piede ormai nudo, infilò di nuovo la scarpa  e cominciò ad annodare il calzino dandogli strane forme rotondeggianti. Non ne venne fuori niente di bello, ma riuscì a dargli una vaga forma umanoide, con una testa bella gonfia e un paio di gambe. 
«Ecco qua» disse, porgendola alla sorella. «Lei si chiama Marie! Sostituirà Kitty per un po', si prenderà lei cura di te».
Rose guardò per qualche istante il calzino vagamente somigliante a un peluche, masticò l'ultimo boccone di pane, poi allungò entrambe le mani e prese il dono della sorella. Lo guardò in silenzio per un po', respirando affannosamente per la malattia che si stava facendo strada dentro di lei. 
«È una contadina» mormorò infine. «Lavora la terra e il bestiame, per questo puzza ed è sporca, ma è molto gentile. Vero?»
«Marie sarà la tua migliore amica se glielo permetterai» e Rose infine annuì. Se la strinse al petto e tornò a stendersi a terra, dentro le coperte, aiutata dalla sorella. 
«Quando andremo a riprendere Kitty scommetto che diventeranno migliori amici» mormorò la bambina, sistemando la testa sulle ginocchia della sorella. Quest'ultima raccolse una seconda coperta da terra, quella che era stata sua probabilmente, e la sistemò sulle spalle di Rose per proteggerla meglio dal freddo. Sorrise, ma di un sorriso triste.
«Certo» mormorò, e per la prima volta non sembrò essere convincente nemmeno un po'. Accarezzò i capelli di sua sorella e la tenne con sé, mentre questa lentamente richiudeva gli occhi. 
«Sorellona» mormorò, già quasi addormentata. «Mi canti qualcosa come faceva la mamma? Ho paura di fare un altro incubo».
«Io...» balbettò lei, avvilita. Ma scosse la testa e tornò a sorridere, forzatamente. Era ovvio che non fosse naturale tutto quel suo buon umore, cercava solo di essere forte per sua sorella, adesso era più che palese. «Ok. Ci provo».
Prese un'ampia boccata d'aria, socchiuse gli occhi, e infine cominciò a cantare una melodia. Era dolce, morbida nella voce, forse per evitare di disturbare troppo chi avesse intorno, ma era comunque efficace. Tiepida, come una ninna nanna, riusciva a far rilassare le spalle. A riscaldare il cuore. 
«Reiner». Per poco Reiner non sobbalzò, scoprendosi solo in quel momento decisamente troppo assorto. Perché era rimasto tanto incuriosito dai movimenti di quella ragazzina? L'aveva osservata fino a quel momento, e se ne rendeva conto solo in quel momento. Spostò gli occhi su Bertholdt, che adesso si stava rialzando al suo fianco. «Sei già sveglio».
Reiner annuì, ma tentennò. Non sapeva nemmeno lui cosa pensare, sentiva solo di sentirsi profondamente angosciato. Aveva sulle spalle troppe responsabilità, troppi dolori, troppe colpe. Eppure per un istante era riuscito a sentirsi leggero, ascoltando la ragazzina cantare la ninna nanna a sua sorella. Che quella melodia avesse davvero la capacità di scacciare gli incubi?
Spostò gli occhi di nuovo a lei, ma fu solo per un istante. Rose si era ormai addormentata e la sorella aveva smesso di cantare, ma non di accarezzarle i capelli e vegliare su di lei.
Sospirò, lasciando andare le spalle. 
«Credo di aver paura degli incubi».



NDA.


Ciao a tutti! Sono Ray, per chi ancora non mi conosce (tutti xD) ed eccomi qui nel fandom di AOT (o SNK per chi preferisce). Farò solo delle note brevi, presentarmi mi sembrava d’obbligo, ma non mi dilungherò. Come avete letto nel disclaimer iniziale questa storia è piena di spoiler per chi non ha completato la lettura del manga (già nel prologo ce n’è uno enorme, essendo dal punto di vista di Reiner) perciò ribadisco che se non siete in pari non proseguite (e ci vedremo quando lo sarete xD). Anche se Reiner non è tra i personaggi preferiti di tutti (eretici, andate a confessarvi ora!) spero comunque non disdegnerete la lettura di questa ff e di riuscire a farvi emozionare ugualmente.
Il ritmo di pubblicazione prevedo sarà di 1 capitolo a settimana, tranne che per questi primi capitoli che arriveranno tutti insieme così da farvi entrare subito nel mood, ma le cose potrebbero cambiare strada facendo (potrebbe venirmi l’hype cattivo e arrivare anche a 2 o 3 capitoli per settimana, perciò stay tuned!). Non credo di avere molto altro da dire per il momento, vi lascio al proseguimento, facendo solo una piccola specifica: ogni tanto troverete testi di canzoni perché sì u.u io le adoro e ci saranno.
La strofa a inizio capitolo è tratta da Zero Eclipse, una delle colonne sonore di SNK, e la trovo perfetta per descrivere Reiner in questo momento. Per i pigri di mente come me vi lascio anche la traduzione, così non dovrete sforzarvi troppo xD
Zucchero nero, continua così fino all’alba
Tu sei la causa scatenante, l’assassino, l’occhio del ciclone
Ma se non c’è desiderio di tornare indietro vivo,
sei un eroe?”


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


«Tu, dannato!» urlò Shadis Shadis a pochissimi centimetri dal volto di uno dei ragazzi in riga nel cortile esterno del centro di addestramento. Questo sussultò, ma riuscì a restare incredibilmente composto. «Chi sei?»
«Sono Jean Kirschtein, Signore! Vengo dal distretto di Trost!» gridò questo, portandosi il pugno al cuore in segno di saluto. 
«Perché sei venuto qui, dannato?»
«Io...» uno strano sorriso, un misto tra l'imbarazzo e la paura, ma probabilmente Jean poté immaginare che mentire non sarebbe servito a niente. Alla fine la sua ambizione era tra le più comuni nei giovani cadetti, non c’era niente di cui vergognarsi. «Per poter vivere nei territori interni» confessò.
«Capisco» disse Shadis. «E così vorresti vivere nei territori interni?»
«Sì!» esclamò Jean e in tutta risposta si beccò una testata talmente violenta che lo costrinse ad accasciarsi a terra per il dolore. 
«Chi ti ha detto di metterti a cuccia?!» ruggì Shadis. «Pensi davvero che chi si arrende possa entrare nel corpo di Gendarmeria?!» concluse e lasciò Jean a terra, avvicinandosi alla ragazza al suo fianco. Nonostante fosse immobile, gli occhi erano puntati sul ragazzo a terra. Le sopracciglia lievemente inarcate lasciavano ben intuire che fosse preoccupata per quanto appena accaduto, probabilmente, se avesse avuto la possibilità, sarebbe corsa a fianco di Jean per aiutarlo, glielo si leggeva in faccia.
«Ehy, tu, dannata!» la richiamò Shadis e questo la fece sobbalzare. Tornò a guardare davanti a sé, puntò gli occhi a Shadis e scattò come un vero soldatino. Pugno al petto in forma di saluto, spalle rigide e un lieve sorriso sul volto. Sembrava solare... il che era strano, vista la situazione. Shadis non dovette digerire troppo la cosa perché le chiese, torvo in viso: «Che hai da sorridere?»
«Sono felice di poter essere qui e offrire il cuore per il bene dell'umanità, signore!»
Ottima risposta, pronta e ben studiata. Non era una sprovveduta qualunque, ma anche lei andava raddrizzata. «Sorriderai così anche quando verrai divorata da un gigante?»
«Assolutamente sì! Saprò nel mio piccolo di aver dato un contributo!»
«Che cosa ti fa credere che tu possa realmente dare un contributo? Sei solo cibo per giganti, niente di più».
«Meglio io che qualcun altro, Signore! Anche questo è un modo per salvare delle vite».
Faceva venire i brividi pensare che avesse realmente sminuito così la propria vita con una tale leggerezza, ma era sorprendentemente ciò che Shadis voleva sentirsi dire. E forse lei lo sapeva. 
«Hai sempre la risposta pronta per ogni situazione, non è così?» ma non fu assolutamente un complimento. Il volto di Shadis si stava rabbuiando, irritato dal gioco che aveva scoperto, lui come molti altri. La ragazza stava solo recitando un ruolo, il migliore per quella situazione, per compiacere chi aveva davanti. «Credi davvero che le parole e i sorrisi possano salvare la vita a qualcuno? Prova a combattere i giganti a sorrisi e parole, moriresti immediatamente!»
«È probabile, Signore!» rispose lei, pronta e rigida.
«Come ti chiami?»
«Beatris Moreau! Vengo da Shiganshina, Signore!» e non appena terminò le mani del capitano Shadis le si piantarono in viso. Infilò entrambi i pollici ai lati delle sue labbra e le aprì la bocca in un innaturale sorriso che le tirava le labbra tanto che avrebbe potuto spaccargliele. 
«Duecento giri di corsa del campo, e guai a te se chiudi la bocca anche solo per un istante. Che aspetti?! Afferrati le labbra, resta così e corri!» urlò e Beatris saltò dalla paura. Si infilò gli indici ai lati della bocca, tenne le labbra ben tirate come gliele aveva messe Shadis e in quella terribile e scomoda posizione iniziò a correre intorno al campo.
«Ma perchè? Cos'ho sbagliato?» piagnucolò, silenziosa abbastanza da non farsi sentire da Shadis. Cominciò a correre, girando intorno al gruppo più e più volte, guardando il resto della cerimonia di iniziazione da spettatrice esterna. Non fu tanto la corsa a straziarla, quanto il dover tenere fissi gli indici agli angoli delle labbra e tenere la bocca sempre tirata verso le orecchie. I moscerini le entravano in gola, le labbra iniziarono a spaccarsi e soprattutto non riuscì a darsi abbastanza aerodinamicità non potendo usare le braccia per una giusta spinta. Fu a dir poco straziante. 
Guardò Shadis passare oltre Eren e Mikasa, senza degnarli nemmeno di uno sguardo, per poi soffermarsi su una ragazza intenta a mangiare una patata. 
"Loro non li ha neanche calcolati, non è giusto!" pensò, frustrata. Non seguì il resto della chiacchierata con la ragazza patata, ma dopo pochi istanti la trovò di fianco a sé che correva intorno al campo. Non ci fu bisogno di chiedere spiegazioni, mangiare una patata di fronte al capitano Shadis durante l'addestramento era stato decisamente troppo, anche per lei.
«Ma perché ti sei messa a mangiare una patata?» le chiese Beatris, una volta che furono vicine. 
«Nessuno di voi mangia patate? Io non capisco!» lamentò la ragazza che scoprì successivamente chiamarsi Sasha. Un tono di voce decisamente troppo alto, che Shadis captò e non apprezzò.
«Correte più veloce! E se vi sento ancora parlare aggiungerò giri alla vostra punizione!»
Con le lacrime agli occhi e lo strazio nel cuore, le due presero a correre a perdifiato. Avevano appena iniziato l'addestramento, ed era già stato abbastanza. Mai si sarebbero dimenticate di quella lezione... forse.


Quando Beatris poté tornare dal resto dei suoi nuovi compagni, questi si erano già riuniti nella sala comune per la cena. Aveva lasciato Sasha fuori a correre e sapeva avrebbe avuto da stare lì ancora per un po', almeno fino a quando il sole non sarebbe calato. Si massaggiò le guance distrutte e con lo sguardo avvilito si guardò intorno. Avrebbe dovuto imparare col tempo a familiarizzare con quei volti, ma nel frattempo si sarebbe concessa del normale relax insieme alle uniche persone che conosceva. Si avvicinò al tavolo dove mangiavano Eren, Mikasa e Armin e si accasciò al loro fianco. 
«Ci hai messo troppo tempo a finire di fare quei giri» la rimproverò Mikasa, mentre Armin allungava nella sua direzione un piatto con della minestra fumante. «È per questo che Shadis si è arrabbiato e te ne ha aggiunti altri».
«Mi ha preso di mira già dal primo giorno, che strazio» sospirò Beatris. «Eppure pensavo di aver dato le risposte corrette! Mi sono esercitata con Armin così tanto per cercare di fare bella impressione...»
«Credo sia stato proprio questo il tuo errore» le disse Armin. «Eri pronta come una studentella davanti a un test, non sembravi sincera».
«Ma io non ho mentito!» esclamò Beatris, offesa. Prese il cucchiaio dal suo vassoio e iniziò a mangiare, lentamente. Ogni movimento di mascella le faceva un gran male e a ogni boccone seguiva un lamento e uno scuotere di gambe. «Che male».
«È comunque andata meglio a te che alla ragazza patata. Lei dovrà correre fino al calar del sole e dopo non le spetta nemmeno la cena» disse Mikasa. 
«Beh, lei l'ha fatta davvero grossa» prese un'altra cucchiaiata e provò a portarsela alle labbra, ma non appena aprì la bocca la mascella le fece di nuovo un gran male. Lanciò un urlo, senza trattenersi, e si portò una mano alla guancia. «Che male!»
«L'hai già detto» lamentò Mikasa. 
«Tu e quello lì siete fatti della stessa pasta, Mikasa!» ringhiò Beatris, puntandole un dito contro. «Non sopportate la felicità, e ve la rifate verso chi invece riesce a godersi la vita!»
«Cos'hai da essere felice, ancora non riesco a capirlo» mormorò Eren, parlando per la prima volta. 
«Sta' zitto» rimproverò Beatris. «Non fare finta di niente, ho visto come sorridevi durante l'iscrizione. Che hai da prendertela con me?»
Eren alzò gli occhi, pronto a risponderle, ma vennero interrotti. Un ragazzo, Connie, si avvicinò a loro con gli occhi quasi che brillavano. 
«Ehy!» si accostò a Beatris, sporgendosi oltre al tavolo. «Tu hai detto che vieni da Shiganshina, non è così?» 
Alle sue spalle Beatris riuscì a scorgere avvicinarsi sempre più altri cadetti, alcuni curiosi, altri emozionati, altri ancora profondamente preoccupati.
«Sì, è così» rispose Beatris innocentemente. 
«Perciò...» mormorò Connie, mentre altri si avvicinavano. Ormai intorno al loro tavolo c'erano almeno una decina di persone, forse quindici. «Perciò tu l'hai visto? Eri lì?»
«Visto?» mormorò Beatris, cominciando a chiedersi a cosa si riferisse. Non che fosse difficile intuirlo, ma era strano che le chiedessero proprio di quel giorno data la tragedia che aveva comportato. Erano davvero curiosi di sapere, da chi c'era, come fosse stato terribile?
«Il gigante colossale e il corazzato!» esclamò Connie. «Li hai visti con i tuoi occhi? Com'erano?»
Beatris d'istinto voltò gli occhi a Eren e Armin, seduti di fronte a lei. E trovò entrambi i loro sguardi rivolti a lei, con la stessa ombra a sovrastarli. Armin più di Eren, probabilmente più addolorato all'idea di ricordare, non rispose e tornò a mangiare la sua zuppa in silenzio. Le sopracciglia aggrottate, faticava a non trasmettere il dolore che provava in quel momento. Ma Eren, invece, era di tutt'altra pasta... lui aveva trasformato quel dolore in rabbia e determinazione.
«Sì, lo abbiamo visto» rispose quest’ultimo e gli occhi dei presenti si fecero ancora più spalancati.
«Anche voi venite da Shiganshina?» chiesero ed Eren annuì.
«Tutti e quattro eravamo lì. Noi tre...» disse guardando prima Armin e poi Mikasa. «Eravamo insieme, quel giorno. L'abbiamo visto dalla piazza fare capolino oltre il muro e guardarci».
«Ho sentito che il colossale ha superato il muro con un balzo!» esclamò qualcuno e fu ancora Eren a rispondere: «No, non era così alto. Ma sbucava con la testa, ci ha guardati tutti prima di sfondare il cancello con un calcio».
«Bastò il frastuono a rompere le finestre di casa mia» intervenne Beatris. «Ricordo che per il tremore della terra caddi giù dalle scale e finii dritta davanti alla porta di casa. Fu forse questo a salvarmi, dato che poco dopo casa mia venne distrutta quasi totalmente».
«Casa tua è stata distrutta?» chiese Marco, guardando la ragazza con compassione.
Beatris immerse nuovamente il cucchiaio nella zuppa, pronta a portarselo nuovamente alla bocca. Esitò, decisamente troppo a lungo, ma quando rialzò gli occhi su Marco aveva in volto uno spensierato sorriso. Lo stesso sorriso che aveva fatto incazzare Shadis quel pomeriggio. 
Annuì semplicemente: «Anche la loro» disse, indicando Eren.
«Noi abitavamo nella zona più vicina al muro esterno, mentre Beatris era più vicina al Wall Maria, quasi in zona centrale, sulla via principale. Ma entrambe, anche se distanti, non hanno fatto una bella fine» disse Eren, ma nonostante l'argomento fosse delicato non sembrò tentennare nemmeno un po'. Entrambi ne parlavano con naturalezza, apparentemente non turbati dalla cosa, e forse fu questo a solleticare la curiosità dei presenti. 
Una pioggia di domande li travolsero, domande a cui rispondeva principalmente Eren, ma che ogni tanto trovavano sorrisi e conferme da parte di Beatris. Armin e Mikasa invece, cupi, non fecero che mangiare in completo silenzio. 
«Come siete scappati?»
«Quanti giganti c'erano?»
«Come ha risposto il corpo di guarnigione?»
«Quanti ne avete visti in faccia?»
«Che faccia avevano?»
E così, fino a sera tarda. 
«Il colossale era quasi senza pelle, con la bocca enorme» spiegò Eren, all'ennesima domanda. 
«E il corazzato che ha sfondato il Wall Maria?» chiese qualcun altro.
«È così che lo chiamano?» mormorò Eren. Connie annuì, prima di chiedere: «Com'era fatto?»
«Aveva la pelle ricoperta da una specie di armatura» rispose Beatris, attirando su di sé lo sguardo dei curiosi. Li sorprese, fino a quel momento non aveva detto molto, era strano che avesse sentito di dover rispondere proprio lei a quella domanda. «Non gli interessavano le persone, non ha cercato di mangiare nessuno. È corso verso il Wall Maria e l'ha sfondato con una spallata».
Connie, e non solo lui, sbarrò gli occhi e spalancò la bocca per la sorpresa. 
«Era... grosso?» mormorò un altro compagno.
«Non più di un normale gigante, ma era bello robusto».
«E quanto è grosso un normale gigante?» 
Beatris spalancò gli occhi, improvvisamente sorpresa dalla domanda. Sentì il tintinnio del cucchiaio di Eren che cadeva nel piatto e quando alzò lo sguardo si accorse che anche Eren aveva la sua stessa espressione sconvolta. Qualcosa li pugnalò alla bocca dello stomaco, tant'è che Eren dovette portarsi una mano alle labbra, come se fosse in procinto di vomitare. 
«Voi...» mormorò Beatris, voltandosi a guardare una ragazza al suo fianco. «Non ne avete mai visto uno?»
Eppure erano tutti lì, pronti ad addestrarsi per combatterli. Come avrebbero potuto prepararsi a dovere se mai avevano visto in faccia il nemico? Come potevano dirsi pronti a fronteggiarli? Come avrebbero fatto a non farsi prendere dal panico, la prima volta?
«Ragazzi» mormorò Marco. «Forse dovremmo smetterla. Li stiamo costringendo a ricordare cose che magari non vogliono ricordare».
«Vi sbagliate» ringhiò Eren, tremante. Afferrò il tozzo di pane di fianco al proprio piatto e ci tirò un bel morso deciso. «Guardate che anche i giganti si possono sconfiggere, non dobbiamo farci spaventare».
«Io un po' spaventata sono» ammise Beatris, ma di nuovo il candore e la gioia con cui parve ammetterlo confuse totalmente i presenti e li portò a pensare che stesse scherzando. Beatris raccolse le gambe sulla propria sedia, incrociandole tra loro e sedendosi in maniera scomposta cominciò a dondolarsi a destra e sinistra. «Shadis è davvero terrificante» giustificò così la sua affermazione, riuscendo a rubare qualche sghignazzo non troppo convinto. 
«Basterà addestrarsi a dovere col movimento tridimensionale» continuò Eren, ignorando l'intromissione dell'amica. «Allora potremmo fronteggiarli alla pari. Finalmente ho la possibilità di farlo, di addestrarmi come soldato, e allora... allora entrerò nel corpo di ricerca e annienterò tutti i giganti!»
Beatris poggiò un gomito sul tavolo, schiacciò la propria guancia contro il pugno chiuso e con un risolino alzò gli occhi al cielo. Era un discorso che ormai aveva sentito fin troppe volte, da quando erano scappati da Shiganshina Eren non aveva fatto altro che vaneggiare su quel desiderio omicida di vendetta che ormai lo teneva sveglio la notte. Tutte le volte doveva intervenire Mikasa per zittirlo, era pesante, e probabilmente la ragazza nemmeno apprezzava troppo l'idea di vedere Eren nel corpo di ricerca, ma alla fine erano anche esilaranti da guardare. Era diventata una routine, tutte le volte che poteva Eren iniziava a sproloquiare sul suo desiderio di sterminio e Mikasa lo zittiva con qualche cazzotto. Beatris sogghignò, e attese di veder di nuovo intervenire la mora a rendere più divertente quella serata. Ma stranamente non fu lei a fermare Eren.
«Ehy, sei forse pazzo?» a parlare era stato Jean, il ragazzo che quel pomeriggio di fianco a Beatris si era beccato una testata. «Vorresti davvero entrare nel corpo di ricerca?» 
«Sì, è così» rispose Eren raddrizzandosi e lanciando a Jean  un'occhiata di sfida. «So invece che tu vuoi entrare nel corpo di gendarmeria e avere vita facile, non è così?»
«Sì, perché io sono sincero con me stesso, a differenza di chi si atteggia a eroe orgoglioso, quando invece dentro sé trema di paura».
Non sapeva perché Jean, perfetto sconosciuto, gli avesse mandato quella palese frecciatina, ma la cosa comunque divertì Beatris. Ci sarebbe stato qualcun altro, quella sera, a tirare pugni a Eren e zittirlo? Che tipo era quel Jean?
Eren si alzò in piedi, guardando Jean dall'alto al basso. «Stai forse parlando di me?» ringhiò come un animale, pronto a scattare. Beatris si voltò sulla propria sedia e si sporse in avanti, incuriosita e divertita continuava a dondolarsi e sorridere. 
«Che ne pensi di un giro di scommesse?» mormorò a Connie, al suo fianco, e questo strabuzzò gli occhi. «Io dico che Eren finisce al tappeto!» continuò Beatris e Connie sobbalzò: «Ma è tuo amico!»
«Voglio proprio godermi lo spettacolo» ridacchiò Beatris, maligna, e Connie indietreggiò di un passo, cominciando ad aver quasi paura di lei.
Jean si alzò e si avvicinò a Eren, sghignazzando divertito. «Ehy, io dicevo solo così per dire» era ovvio che si sentisse superiore e questo faceva ribollire il sangue nelle vene a Eren. Anche perché lui la gendarmeria non l'aveva mai sopportata, a Shiganshina non facevano altro che bere e perdere tempo in vizi inutili piuttosto che dedicarsi al lavoro. Sapere che tra loro c'era qualcuno che ambiva alla bella vita come quella, lo mandava in bestia. Si guardarono negli occhi per infiniti istanti, Beatris già iniziò a pregustarsi il momento dello scontro, ma questo non avvenne. Suonò la campana di fine giornata, l'ordine di andare in branda e lasciare le zone comuni. 
«Ahhhh» sospirò Beatris, frustrata. «Hanno rovinato tutto». 
«Ma che dici? Davvero vorresti vederli piacchiarsi?» chiese Connie, sconvolto, ma ancora Beatris rispose con un sorriso divertito. Si alzò dal tavolo, portò al proprio posto i piatti sporchi e infine uscì dal casolare per dirigersi verso il dormitorio. Si fermò sul ciglio della porta, si voltò solo per aspettare Eren e Mikasa, seguiti infine anche da Armin, e insieme a loro si allontanò dal resto del gruppo. 
«Come sta la tua mascella?» chiese Armin, di fianco a Beatris. Questo parve ricordarglielo e d'improvviso lei prese di nuovo a urlare e lamentarsi, portandosi le mani alla bocca. «Che male!!! Non voglio mai più sorridere in vita mia!»
«L'hai fatto appena poco fa».
«Oh, già... è vero» e scoppiò a ridere, come se niente fosse. 
«Hai i capelli troppo lunghi» sentì dire da Eren, davanti a sé, rivolto a Mikasa. «Potrebbero intralciarti durante l'addestramento».
«Hai ragione. Li taglierò» mormorò Mikasa, afferrandosi una ciocca.
«Ma che dici?» Beatris saltellò al suo fianco e si appese alle spalle dell'amica. «Basta legarli come faccio io! La vuoi una treccia come la mia? Guarda com'è bella!» e iniziò a lisciarsi la morbida treccia castano chiara dalla cute, fino alla spalla dove ricadeva con morbidezza.
«Siamo soldati adesso, non dovresti pensare troppo al tuo aspetto» l'ammonì Eren.
«Eren ha ragione. Li taglierò, è la scelta migliore».
«Dai, Mikasa... mi piacciono così tanto i tuoi capelli, davvero vuoi farlo per lui?»
Ma Mikasa non rispose, si scrollò Beatris dalle spalle e continuò a seguire Eren, parlottando con lui del più e del meno. Beatris non se la prese per il trattamento, ma tornò a sghignazzare divertita. Rallentò, così da tornare a fiancheggiare Armin.
«Giuro, non la capirò mai» sospirò.
«Eppure non è così difficile» ridacchiò Armin, al suo fianco.
«Difficile cosa?»
«Capire cosa le passa per la testa. Dai, lo sai anche tu che tipo di rapporto c'è con Eren».
«È ossessionata da lui e ripeto che non la capisco».
«A te non è mai capitato?» chiese Armin, sinceramente curioso.
«Perché? A te sì?» chiese lei, sorpresa. 
Armin negò con la testa. «Non ancora, ma chissà... magari un giorno ci ridurremo anche noi come lei e scopriremo che è bellissimo. Mio nonno mi raccontava un sacco di cose sulla nonna, era molto simile a Mikasa nel comportamento e sembrava felice».
«Anche la mamma sembrava felice quando stava con papà» confessò Beatris e un'ombra tornò ad oscurarle il volto. Ricordare quel giorno, quel momento, la sua famiglia... era riuscita a superarlo, erano passati ben due anni, eppure ogni tanto qualcosa tornava a fare male in petto. 
«Chissà come dev'essere. Mi piacerebbe provarlo...» mormorò Armin, altrettanto malinconico. 
«Ma adesso non credo che avremo molte occasioni» e la frase di Beatris rabbuiò ancora di più Armin. «Stiamo diventando soldati, non credo che avremo più tempo nemmeno di pensare a certe cose tanto... normali. E belle».
«Già» sospirò Armin. «Siamo chiamati a fare una scelta, pensare a noi stessi adesso non è più concepibile».
«Però dev'essere stato bello per la mamma sapere che l'ultimo pensiero di papà prima della fine possa essere stata lei. Insomma... sapere di non essere dimenticati, di restare nel cuore di qualcuno per sempre. Non credi?»
«Adesso hai cambiato opinione?» sghignazzò Armin. 
«Sei tu che hai iniziato a fare questi discorsi mielosi! È colpa tua» ed entrambi risero di gusto, divertiti, prima che Beatris, ormai quasi arrivata al dormitorio femminile, non gli saltellò davanti. 
«Armin!» Incrociò le dita dietro la schiena, si sporse un pochino in avanti, e assunse una posa aggraziata come quella di una bambolina. Sapeva essere di una bellezza unica, a volte, soprattutto con quella sua incredibile capacità di sorridere e infondere positiva in qualsiasi momento. «Facciamoci una promessa!»
Armin la guardò curioso e lei alzò un dito, sorridendo ancora più allegra. «Quando moriremo, promettiamo di essere l'uno l'ultimo pensiero dell'altro! Eren e Mikasa fanno già coppia tra loro, noi possiamo fare coppia tra noi».
«Ma che stai dicendo?» chiese Armin, confuso e soprattutto imbarazzato. Non aveva mai considerato Beatris niente di più che una semplice amica, ma quel discorso era così intimo che aveva sfondato qualsiasi barriera. Ed era strano.
Beatris tirò fuori la lingua e ridacchiò. «Sto scherzando! Non preoccuparti, non c'è bisogno di arrossire» rise e si voltò, pronta a correre verso il casolare che le era stato assegnato. «Però» si fermò, e tornò a sorridergli, sincera. «Prometto di non dimenticarti lo stesso. Ok?»
Armin sciolse i muscoli, rilassato. Gli era sembrato strano e imbarazzante, ma si rese conto in quel momento che non c'era stato alcun secondo fine nelle parole di Beatris. Solo dolcezza e calore, i sentimenti che era abituato ad associarle. Da quando avevano lasciato Shiganshina la loro amicizia si era rafforzata molto, forse perché erano riusciti a sopravvivere tutti e quattro, e da allora erano diventati praticamente inseparabili. E ognuno col proprio ruolo. Eren era quello che li scuoteva e li spingeva a cercare un obiettivo, a rincorrere i loro sogni. Mikasa era la guardia del corpo, si occupava di proteggerli tutti, con la sua forza era in grado di contrastare bande intere... o tirare giù Beatris da sopra una grondaia, le volte che per curiosità si andava arrampicando in giro. O tirarla fuori da una botte. O su da un tombino. O... qualsiasi altra cosa, perché quella ragazza non riusciva a stare mai ferma nemmeno per un istante.
Armin... non sapeva bene che ruolo avesse lui nel gruppo, raccontava solo storie e vedeva il volto dei suoi amici illuminarsi ogni volta, ma non era sicuro che quello fosse importante. E infine c'era Beatris, il sole nascente che riusciva a risollevare il morale a tutti in qualsiasi occasione. Era allegra, vivace, ma anche molto dolce, a tratti materna. Era sicuro che avesse sviluppato quell'ultimo lato del carattere a causa di sua sorella, di cui si era dovuta occupare da sola dopo la morte dei suoi genitori a Shiganshina, ma nonostante fosse passato molto tempo aveva radicato quel lato del carattere dentro sé. Ovunque ci fosse una nuvola, Beatris arrivava con la forza di un uragano e provava con qualsiasi arma a scacciarla via. E la maggior parte delle volte, incredibilmente, ci riusciva.
Sorrise, scaldato dal suo candore. 
«Lo prometto anche io» disse e infine la vide correre via.



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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


«Mikasa» sussurrò Beatris, nel buio della stanza. Si sporse oltre il bordo del proprio letto a castello, si affacciò sul letto che aveva sotto e, anche se per l'oscurità non riusciva a vederla, sapeva che l'amica era lì. «Ehy, Mikasa» chiamò ancora, non avendo ricevuto risposta.
«Sh» l'ammonì Mikasa. «Cerca di dormire».
«Non ci riesco» confessò Beatris e si sporse ancora di più, mettendosi letteralmente penzoloni giù dal suo letto. 
«Hai corso tutto il giorno, non hai un minimo di stanchezza?» 
«Sì, ma sono anche tanto agitata! Cosa ci aspetterà domani, secondo te?»
«Lo vedremo domani mattina. Ora prova a chiudere gli occhi, stai disturbando il resto dei compagni».
«Quel Shadis mi mette i brividi, fa davvero una gran paura» insisté Beatris, ignorando il suggerimento di Mikasa.
«Fa paura anche a me» una voce dolce, morbida, provenne dal letto a fianco di quello di Mikasa. Sentirono qualcuno muoversi, coperte che venivano scostate, probabilmente la fonte della voce si stava avvicinando a loro per poter parlare meglio senza alzare troppo la voce. «Ma è il suo compito addestrarci, penso sia normale che sia così severo. È ovvio che il percorso non sarà facile».
«Ed è per questo che sono così agitata» sospirò Beatris, sporgendosi ancora di più. Ormai almeno metà del busto era fuori dal suo letto, riusciva a tenersi su solo puntando le dita dei piedi oltre il bordo opposto. «Ah, a proposito! Mi chiamo Beatris!»
«Io sono Christa. Piacere di conoscervi». 
«Lei è Mikasa» presentò Beatris, sapendo che l'amica non sarebbe stata di troppe parole. 
«Ehy!» una quarta voce si aggiunse, ma fu meno aggraziata, più roca, ma soprattutto più incazzata. «Qui c'è qualcuno che sta cercando di dormire! Fate silenzio!»
«Te l'avevo detto» rimproverò Mikasa, guardando nel buio il punto dove immaginava si dovesse trovare Beatris. La sentì muoversi e agitarsi sopra di lei, sentì il cigolio del letto e infine i suoi piedi che si poggiavano a terra al suo fianco. Non ebbe tempo di chiedersi cosa stesse combinando che sentì l'amica alzarle le coperte di dosso e infilarsi nel suo letto.
«Che stai facendo?» chiese, irritata per l'invasione. 
«Fammi posto, spostati».
«Torna nel tuo!» la riproverò, ma a furia di spingere Beatris riuscì a ritagliarsi un angolino nel letto di Mikasa, anche se col sedere era costretta a sporgersi verso l'esterno. Si raggomitolò al fianco dell'amica, le strinse un braccio intorno al petto e si ammorbidì lì, al suo fianco, abbracciata a lei. 
«Te l'ho detto! Non riesco a dormire!» rispose, cercando di trovare una posizione più comoda. 
«Ehy!» ruggì nuovamente la voce proveniente dal letto sopra di Christa, irritata per il rumore. 
«Ymir, stai facendo più rumore tu di loro, però» disse Christa.
«Chiudete il becco» disse qualcun altro, da un letto adiacente al loro, di fronte a quello di Beatris. E il silenzio calò finalmente nell'istante in cui si resero conto che stavano davvero disturbando più di una persona, ma Beatris si ostinò a voler restare lì, ancorata a Mikasa. Insistere sarebbe stato inutile e avrebbe disturbato ancora, per nessuna vera ragione alla fine. Perciò Mikasa sospirò, rassegnata, e si fece un pochino più piccola contro al muro così da permettere a Beatris di sistemarsi meglio al suo fianco. Si stese e tornò a chiudere gli occhi, stretta nell'abbraccio dell'amica. Era imbarazzante, l'indomani chi si fosse svegliato prima di lei le avrebbe viste teneramente abbracciate, non proprio un bel modo di presentarsi, ma si sorprese di scoprire che alla fine non le importava più di tanto. Beatris era invadente e caotica, a volte difficile da gestire come fosse stata una bambina da rincorrere per impedirle di farsi del male, ma era anche qualcosa che molto si avvicinava a una sorella. Da quando erano scappate da Shiganshina ed erano rimaste sole, spesso la notte si erano ritrovate a dormire insieme, per cercare l'una il conforto dell'altra. Erano state sempre insieme, loro due Eren e Armin, poter affrontare un nuovo percorso così spaventoso come lo era l'addestramento militare incoraggiate dalla loro vicinanza era piacevole. In fondo, quelli sarebbero anche potuti essere i loro ultimi ricordi felici... cosa sarebbe successo, una volta lasciata l'accademia e arruolati nel corpo di ricerca? Quante altre occasioni di dormire insieme avrebbero avuto? Si girò verso Beatris, le poggiò la guancia contro la tempia e ricambiò l'abbraccio, prima di riuscire finalmente a chiudere gli occhi. 
«Cerca di non farti sgridare ancora, domani» le disse, un attimo prima di addormentarsi e sentì Beatris ridacchiare divertita, prima di crollare definitivamente. 


Il giorno dopo il sole splendeva come mai aveva fatto prima. Era una bella giornata e infondeva buonumore. Stare nel letto insieme a Mikasa aveva permesso a entrambe di dormire beatamente come bambine, si sentivano fresche e riposate nonostante la stanchezza del giorno prima avrebbe dovuto abbatterle quasi del tutto. 
Beatris fu la prima a uscire dal casolare e godere di quel sole splendente. Si stiracchiò, a occhi ancora socchiusi, cercando di assorbire quanto più il calore del sole. Davanti a lei gruppi di ragazzi stavano già cominciando ad avviarsi verso la sala comune per la colazione e li guardò passare, allegra. Erano facce che avrebbe dovuto cominciare a ricordare, quelli sarebbero stati i loro compagni per i prossimi anni... beh, almeno quelli che non decidevano di mollare prima troppo spaventati dalla fatica dell'addestramento. Mikasa la raggiunse poco dopo, ma non si fermò al suo fianco. Si incamminò direttamente verso la sala comune, superandola. Beatris fece per seguirla ma al suo fianco arrivò anche Christa, seguita da Ymir, e fu proprio quest'ultima a parlarle per prima: «Buongiorno, principessa. Dormito bene insieme al tuo fidanzatino?» sghignazzò, beccandosi un'occhiataccia da parte di Christa.  
«Mh?» Beatris, ingenua, alzò un sopracciglio senza riuscire a capire. Scese le scale della veranda e camminò a fianco delle due, seguendo Mikasa pochi passi avanti. 
«Non dovreste lasciarvi andare ad atteggiamenti tanto ambigui qui dentro, potrei fare rapporto al capitano Shadis» sghignazzò ancora Ymir.
«Di che parli?» insisté Beatris, non capendo.
«Ymir! Lasciale stare» la rimproverò Christa. 
«Ho sbagliato qualcosa?» indagò Beatris, guardando Christa.
«Eravate così dolci stamattina, teneramente abbracciate come due innamorati» insisté Ymir. «Non penso che Shadis apprezzerebbe, no di certo. Potrebbe decidere di separarvi».
«Eh?!» sussultò Beatris, ora spaventata. «No, per favore!»
«Ymir» sospirò Christa, ma questa continuò: «O forse potrei chiudere un occhio per questa volta».
«Lasciala perdere» continuò Christa. 
«Io e Mikasa siamo abituate a dormire insieme, non è niente di strano».
«Allora è una relazione seria» sghignazzò Ymir.
«Vengono entrambe da Shiganshina, è normale che abbiano legato così tanto, non prenderti gioco di loro» disse Christa, cercando di difenderle. 
«Non è l'unica ad avere un'orribile storia alle spalle. Sai, Christa, forse avrei bisogno di compagnia anche io la notte...» sospirò platealmente e alzò gli occhi al cielo. 
Arrivarono alla sala comune ed entrarono che ancora stavano parlottando di quanto successo quella notte, ma vennero interrotte da un mormorio fin troppo vispo e allarmato. Curiose di capire cosa stesse succedendo, la loro attenzione venne rivolta interamente al centro della sala comune dove infine videro Eren e Jean, intenti a litigare.
«Già di prima mattina?» mormorò Ymir, scocciata.
«Oh no, pensavo avessero risolto ieri sera» disse Christa, allarmata di vedere i compagni ostili tra loro. 
«Eren!» sussultò invece Beatris, prima di correre verso di lui. «Avresti dovuto aspettarmi, avevo detto che avrei scommesso...» iniziò a brontolare, raggiungendoli, ma si bloccò non riuscendo a concludere. Jean, frustrato, aveva preso Eren per il colletto della maglia e l'aveva strattonato indietro, facendolo arrancare un po'. Inciampando, si era trovato Connie alle spalle, distratto in quel momento, non pronto a scansarsi. Connie era caduto indietro, e sarebbe finito a terra, ma Beatris aveva avuto la sfortuna di trovarsi lì dietro proprio in quel momento. In una cascata di spinte, alla fine era stata Beatris stessa a rimetterci, venendo non solo travolta ma addirittura spinta, senza avere la fortuna di Connie di avere qualcuno alle spalle a fermarla e impedirle di cadere. Con un urlo, perse l'equilibrio, cadde da un lato e finì dritta distesa su di un tavolo. L'istinto le portò ad alzare le braccia verso l'alto, a non attutire la caduta, e finì dritta col viso contro il legno. 
«Ehy!» le disse qualcuno, allarmato. Un ragazzo alto, dai capelli scuri, seduto proprio a quel tavolo, si sporse verso di lei. «Stai bene?» le chiese preoccupato.
Beatris rialzò il volto, piantando i gomiti sul tavolo. Guardò il ragazzo davanti a sé, apparentemente disorientata, e in un primo momento non reagì. Guardò prima il ragazzo moro, poi si voltò a guardare l'altro, proprio di fianco a lei, biondo e dalla corporatura massiccia. Cercò rapidamente i nomi nella sua memoria, li aveva sentiti il giorno prima durante le presentazioni: Bertholdt e Reiner. Dovevano essere quelli. Reiner aveva indietreggiato un po' con la schiena, vedendo Beatris atterrare proprio al suo fianco, ma anche lui adesso sembrava preoccupato.
Alle sue spalle, la lite tra Eren e Jean continuò, ancora nel vivo della cosa. 
«Ahi» lamentò Beatris, ma vedendo il volto di entrambi i ragazzi rivolti a lei preoccupati cambiò improvvisamente espressione e cercò di sorridere. 
«Ti esce sangue dal naso» mormorò Reiner. Beatris si mosse come d'istinto, come se non fosse niente a cui non fosse già abituata, e strofinò la manica contro il naso per pulirlo. Capì troppo tardi l'errore, sentendo il bruciore solleticarle tutto il setto nasale fino agli occhi. Si contorse in un'espressione di dolore improvvisa, ma durò solo qualche frazione di secondo. Sembrò sforzarsi, ma tornò presto a sorridere di nuovo con un candore che Bertholdt non credeva di aver mai visto prima. Un candore che invece Reiner ricordò improvvisamente di aver già visto... avevano già fatto le presentazioni, anche se non personalmente, ma aveva già avuto modo di vedere il volto di quella nuova compagna nei due giorni prima, appena arrivati al centro di addestramento. Ma solo ora la riconosceva, in quel gesto che aveva già visto un paio di anni addietro: la caduta senza mani, il sangue pulito con la manica, lo sfregamento, il dolore che le faceva strizzare per un attimo gli occhi e poi il sorriso, splendente, per cercare di non far preoccupare chi aveva davanti. Era cambiata un po' rispetto ad allora, aveva capelli più lunghi e non sembrava più una disperata vestita di stracci, e in realtà fino a quel momento aveva creduto di averla dimenticata. Ma ora poté benissimo riconoscerla. Quella era la ragazza del pane che nella chiesa per l'accoglienza degli sfollati del Wall Maria lo aveva calpestato e poi aveva cantato per la sua sorellina. Che ci faceva lì? I loro genitori erano morti, glielo aveva sentito raccontare la sera prima, perché aveva deciso di arruolarsi invece che occuparsi della sorellina che al tempo era malata?
«Scusate» disse Beatris, poggiando le mani al tavolo e provando a rialzarsi. «Sto b...» ma ancora non terminò la frase che qualcun altro le cadde addosso, spintonato da Eren e Jean intenti ancora a litigare. La pancia le si schiacciò contro il bordo del tavolo, togliendole per un attimo il respiro. Chi era caduto su di lei si tolse immediatamente, ma questo non le permise di riprendersi con immediatezza. 
«Ehy! Adesso basta, cercate di calmarvi» provò a intervenire Reiner, stufo ma soprattutto preoccupato di cosa stessero combinando quei due ragazzi alle loro spalle. Ormai facevano baccano da troppo tempo, Shadis si sarebbe potuto allarmare, e quella poveraccia soprattutto continuava a subirne le conseguenze. 
«Eeeereeeeeennn!!!» il ruggito di Beatris lo fece sobbalzare. Sembrava essere appena stata posseduta dal demonio, probabilmente anche per lei doveva essere stato abbastanza. Si mosse in un attimo, Beatris afferrò il piatto di Reiner che aveva avuto la sfortuna di essere la prima cosa che aveva davanti, lo strinse saldamente e voltandosi di colpo lo sbatté dritto sul volto di Eren. Fortunatamente non si ruppe, ma l'intera colazione di Reiner volò in giro per la stanza e soprattutto Eren accusò in pieno il colpo. Lo tramortì, gli fece perdere l'equilibrio ed Eren cadde seduto a terra. 
«Bea-stupida! Sei impazzita?!» gli urlò contro, massaggiandosi la guancia rossa e dolorante. 
«La devi smettere di litigare con tutti quelli che hai intorno» urlò Beatris e alzò il piatto di Reiner -ormai vuoto- pronto a lanciarglielo addosso. Eren d'istinto si portò un braccio davanti al volto, pronto a difendersi maldestramente da quell'ennesimo attacco, e Christa scattò in avanti, pronta a bloccare il braccio della ragazza. Ma nessun colpo venne lanciato, in quanto la porta della sala comune si spalancò in quel momento con un tonfo. 
Shadis comparve sul ciglio e li squadrò tutti, uno a uno. Ovviamente il suo sguardo si soffermò sui più evidenti, Beatris col piatto in mano, pronta al lancio, e Eren seduto a terra con un braccio alzato per difendersi. 
«Che sta accadendo qua?» ringhiò basso. 
Beatris ebbe palesemente un brivido, tremò per un istante, terrorizzata. Ancora una volta sarebbe finita in punizione, e questa volta non era nemmeno stata troppo colpa sua. Era solo finita al centro del ciclone, per colpa di quell'idiota che non riusciva mai a tenere la bocca chiusa ma doveva fare l'eroe. Esitò, cercando una via di fuga, ma non riuscì a trovarne e restò completamente immobile, in silenzio, quasi avesse sperato che se non si fosse mossa allora Shadis non sarebbe stato in grado di vederla.
«È stata colpa mia» disse improvvisamente Reiner, alzandosi in piedi. «Ho dormito male stanotte, ho un gran mal di testa. Facevano troppo chiasso e ho lanciato il piatto verso Eren, Beatris è riuscita a prenderlo al volo. Chiedo scusa, sono stato impulsivo».
Era una palese bugia, ma talmente ben studiata che persino Shadis si chiese se non fosse il caso di far finta di crederci. 
«Certi comportamenti non sono tollerabili qui dentro» l'ammonì Shadis e Reiner annuì: «Lo so, Signore. Chiedo perdono. Non succederà più».
«Vieni con me, Braun. Dovrai imparare a trattenere i tuoi istinti!»
Non l'avrebbe passata liscia, era ovvio che Shadis non avrebbe potuto chiudere un occhio sulla faccenda. Ma probabilmente, consapevole della bugia detta per proteggere la compagna, non sarebbe stato alla fine troppo severo, apprezzando il gesto di solidarietà. In un esercito come il loro era necessario che si instaurassero rapporti di fiducia e sostegno, era un comportamento apprezzabile. 
Reiner si incamminò senza esitare, seguendo il comandante, e Beatris schiuse le labbra, pronta a parlare e cercare di scagionarlo dicendo la verità. Ma Reiner le mise una mano sulla spalla e la tirò lievemente indietro, un gesto simbolico, che la portò a mettersi alle sue spalle come se avesse voluto proteggerla. Le sorrise, confortante, e cercò con quel semplice gesto di rassicurarla. Si allontanò, seguendo Shadis, pronto a prendersi la punizione che invece sarebbe dovuta andare a Beatris. E lei, sorpresa e paralizzata, non riuscì ad opporsi alla cosa come avrebbe voluto. 
E pensare che gli aveva persino lanciato via la colazione. 


Era ormai mattina inoltrata, quasi ora di pranzo, e non mancava molto alla fine dell'addestramento mattiniero. I capitani avevano passato la prima ora a spiegare per filo e per segno il funzionamento del movimento tridimensionale, cosa che avrebbero approfondito poi nel pomeriggio con qualche lezione in aula, ma intanto avevano introdotto subito alla pratica i cadetti. Avevano concesso loro del riscaldamento e infine erano partite le prime prove, quelle preliminari. Non avrebbero dovuto fare altro che provare a restare in equilibrio in aria, senza muoversi, solo per cominciare ad esercitarsi per cercare il baricentro. Non avevano avuto molto tempo per provare, quella prima lezione sarebbe stata solo di introduzione e di prova, avrebbero sicuramente imparato col tempo a destreggiarsi sempre meglio. Non era stato altro che spiegazioni su spiegazioni, avevano poi insegnato loro ad allacciarsi al congegno e solo nell'ultima ora avevano provato a sollevarsi un po', piano piano. Era una gran fatica, erano in molti a ritrovarsi a terra o tremare impacciati in equilibrio precario. E Beatris era ovviamente tra quelli tremanti e impacciati, come avevano potuto aspettarsi i suoi amici. Se c'era qualcosa su cui Beatris peccava molto era proprio l'equilibrio, erano innumerevoli le volte che finiva a terra e la maggior parte delle volte sempre quando stringeva qualcosa in mano. Per questo aveva iniziato ad avere l'abitudine di atterrare di faccia, alzando le braccia a cielo, sempre più interessata a proteggere il proprio bottino che la propria salute. 
La videro arrancare in continuazione, scuotere le gambe per aria in un inutile e impacciato tentativo di trovare l’equilibrio, e infine cadere sempre verso terra. Era decisamente negata, ma per qualche motivo quella mattina lo sembrava ancora più del solito. Era assorta nei propri pensieri, non riusciva a concentrarsi, e alla prima occasione tornava ad agitarsi, provava ad afferrare i cavi con le mani e cadeva a terra. Era un vero massacro. 
Dopo l'ennesima caduta, provò a rimettersi in piedi poggiando le mani a terra. Era distrutta, aveva lividi e abrasioni ovunque e le mani stesse le facevano male piene di graffi e sassolini. Si ripulì come poté e prima di alzarsi da terra puntò lo sguardo di fronte a sé. Una ventina di metri davanti a lei passò in quel momento Reiner. Aveva sulla schiena un bel carico di legna, ad aumentare il peso trasportabile, e non faceva che eseguire esercizi fisici estenuanti. Scatti, squat, jumping jack, flessioni, e di nuovo a ripetere. Lievemente corrucciato ormai per la stanchezza, aveva i capelli appiccicati al volto per il sudore di cui era madido. Era anche peggio della semplice corsa che aveva dovuto fare lei il giorno prima, forse calibrato alla sua resistenza e prestanza fisica decisamente superiore alla sua, o forse perché gli era toccata una punizione più grande vista la gravità della situazione. Beatris sospirò e abbassò lo sguardo. I sensi di colpa la stavano letteralmente uccidendo, avrebbe dovuto esserci lei al suo posto. Non era riuscita a sorridere nemmeno una volta quella mattina, e non solo per la paura di Shadis. Si rialzò e tornò a provare, inutilmente, il proprio esercizio fino a quando non fu ora di pranzo. 
Entrò di corsa nella sala comune, per la prima volta senza aspettare Mikasa, e si guardò attorno. Andò a prendere la sua porzione al banco e cercando un posto dove sedersi continuò a guardarsi attorno, sconsolata. Riuscì a intercettare Bertholdt solo dopo un po', ma era solo. Gli si avvicinò. «E Reiner?» chiese, non riuscendo a vederlo da nessuna parte.
«Salterà il pranzo» spiegò Bertholdt. Connie si sedette in quel momento davanti a lui, affiancato da Sasha, e fu il primo a spiegare: «Dovrà recuperare ora ciò che non ha fatto stamattina, per restare in pari con noi».
«Non gli permetteranno di mangiare?» chiese Beatris, allarmata. 
«Hai fatto un bel guaio stamattina!» la rimproverò Connie.
«Saltare addirittura il pranzo... sono pazzi!» ruggì Sasha, in preda al panico. Per lei era inconcepibile, sarebbe morta la sera prima se Christa non fosse andata da lei a portarle del pane di nascosto. 
«Non preoccuparti» disse Bertholdt. «Reiner è resistente, non sarà un problema per lui».
«Avrei voluto scusarmi» sospirò, affranta. 
«È il minimo che tu possa fare» disse Connie, sempre in tono di rimprovero.
«Non credo a Reiner interessi, non devi davvero preoccuparti» cercò di rincuorarla Bertholdt. «Anzi, probabilmente avrà visto questa come un'occasione per allenarsi, scommetto che lo sta addirittura apprezzando».
«Sì, ma ha saltato un pasto! Stasera dovrebbe prendersi due porzioni invece che una, cercare di recuperare!» disse Sasha, preoccupata più per il cibo che per la stanchezza che il ragazzo stava sicuramente accusando. «Sempre se sopravviverà alla fame» impallidì.
«Sono certo che lo farà» disse Bertholdt e per poco non sghignazzò, divertito dall'ossessione del cibo della ragazza patata. 
«Non ha neanche fatto colazione stamattina...» mormorò Beatris, ripensando al suo folle gesto di togliergli il piatto da sotto al naso e lanciarlo contro Eren. Era stata impulsiva, mossa dal desiderio di far pagare l'affronto all'amico, non aveva minimamente pensato a tutte le conseguenze. 
«È digiuno da ieri!» quasi urlò Sasha, sentendosi al limite dello svenimento.
«È una bella sfida, ma può farcela» continuò Bertholdt, positivo.
Beatris sospirò ancora. «Avrei dovuto dire la verità stamattina, ma Shadis mi ha paralizzato. Mi terrorizza».
«Evita di combinare pasticci la prossima volta, allora» le disse Mikasa, passandole a fianco. 
«È stata colpa di Eren!» ringhiò Beatris, improvvisamente rinvigorita. «Hai visto cosa ha fatto?! Stava di nuovo litigando! E poi mi ha spinta! i» iniziò a raccontare come fosse stata una bambina che cercava di scaricare le colpe sul fratellino, quasi sperando che Mikasa avesse deciso poi di punirlo. E parlando, infervorata, seguì Mikasa fino al tavolo dove ad aspettarle c'erano Eren, Armin, Christa e Ymir. Non smise di inveire contro Eren nemmeno durante il pranzo, infervorata dalle risposte dell'amico che invece provava a difendersi dando la colpa a Jean e alla sua stupidità. Uno sproloquio di colpe, di rimproveri, e di bisticci al limite dell'infantile, che li portarono al termine dell'ora del pranzo prima di quando avessero potuto rendersene conto. 
Furono chiamati in aula, dove vennero loro spiegate le prime basi teoriche sull'uccisione dei giganti, sulla loro biologia e sulle uscite in esterno. Passarono l'intero pomeriggio a prendere appunti, leggere e studiare, fino a quando infine non venne sera. Beatris era riuscita a vedere Reiner seduto dall'altro lato dell'aula, ma ovviamente avvicinarsi a lui era stato impossibile per tutto il giorno, troppo impegnati. Ebbe occasione di avvicinarlo all'uscita dall'aula, ma venne bloccata da un timore, dei pensieri. Davvero probabilmente a Reiner le scuse non importavano, come aveva detto Bertholdt? Lui aveva detto che non doveva preoccuparsi, che era tutto a posto, ma desiderava davvero poter fare qualcosa per togliersi il senso di colpa di dosso. Ed ebbe un'idea. 
Era ormai sera inoltrata, la sala comune di nuovo cominciava a brulicare di cadetti affamati, pronti per la cena. Non era ancora troppo piena, molti stavano ancora arrivando, quando Reiner riuscì a prendersi finalmente il suo primo pasto della giornata. Era un Guerriero di Marley, temprato e resistente, e non era nemmeno la prima volta che si ritrovava a digiunare anche per giorni. Era stato difficile seguire l'addestramento a stomaco vuoto, ma niente a cui non fosse preparato. Arrivare a sera era stato difficile, ma non impossibile. Ciò non toglieva che adesso aveva davvero una gran voglia di azzannare del pane come fosse stata l'ultima cosa che avrebbe mangiato in vita sua, per questo era arrivato tra i primi e già si era accomodato per cominciare, con o senza compagnia. Azzannò il pane, ne tirò un bel morso e lo masticò voracemente, quando sentì dei passi felpati avvicinarsi a lui. Beatris gli si sedette accanto sulla panca senza che lui ebbe tempo nemmeno di notarla, benché meno di darle il permesso di mettersi al suo fianco. Non lo salutò nemmeno, la ragazza si guardò attorno circospetta, per poi accostarsi di più a lui e far uscire qualcosa da sotto la maglietta. Tenne il tovagliolo tra loro e il tavolo, il più nascosto possibile, e sotto lo sguardo sorpreso -forse anche un po' spaventato- di Reiner lo aprì mostrandogli il contenuto: un bel pezzo di carne fresca, ancora fumante, appena cotta.
Reiner sussultò nel vederla e d'istinto mise le mani sul tavogliolo, ricoprendo la carne e nascondendola. Si guardò attorno anche lui, circospetto, terrorizzato all'idea che qualcuno avesse potuto vederli. Per fortuna la sala non era ancora così piena e loro erano abbastanza soli e in disparte, al sicuro per il momento.
«Che stai combinando? Dove l'hai presa?» le chiese, constata la loro sicurezza.
«Dalle cucine dei superiori. La ragazza patata mi ha aiutato a rubarla, anche se lei si è tenuta il pezzo più grande» spiegò Beatris. 
«Sei impazzita?! Hai rubato dalle cucine dei capitani?!»
«Volevo trovare il modo di scusarmi per stamattina» spiegò Beatris, assumendo un'espressione costernata. 
«Facendomi finire di nuovo nei guai?!» la fulminò Reiner, più agitato che compiaciuto dal regalo. Beatris sobbalzò, come se si fosse resa conto solo in quel momento del tremendo errore commesso, e si strinse il tovagliolo al ventre. Si guardò di nuovo attorno, più agitata che mai, e infine spinse il bottino a Reiner. «Mangialo! Svelto, prima che qualcuno ti veda!»
«È bollente, come pretendi che ci riesca?!»
«Ci soffio un po' sopra» disse Beatris, aprendo il tovagliolo e cominciando a soffiare sulla carne fumante. Ma questa la espose di nuovo all'aria aperta, rischiando di farli scoprire nuovamente. «Ferma!» Reiner afferrò in un colpo carne, tovagliolo e mani di Beatris, strinse il tutto e richiuse il bottino. «Fa un odore incredibile! Lo sentiranno tutti!»
«Tienilo da parte, la mangi non appena si raffredda» e spalancò poco dopo gli occhi, colta da un’idea: «La tengo nascosta per te fino a stasera, te la porto più tardi al dormitorio».
«Credi sia meno sospetto vederti venire nel dormitorio maschile, di questo?!» la rimproverò Reiner. Beatris prese a spingere nuovamente la carne verso di lui, opponendosi alla presa delle sue mani. «E allora mangiala adesso, sbrigati!»
«Non voglio mangiarla! Mi farai finire nei pasticci di nuovo!»
«Non ti ho chiesto io di difendermi, stamattina, smetti di rinfacciarmelo!»
«Non voglio rinfacciartelo, sto solo cercando di farti ragionare».
«E io sto solo cercando di essere carina con te, ti dispiacerebbe accettare e basta?! Hai idea del rischio che ho corso?» lo disse innocentemente, ma per qualche motivo riuscì a zittire Reiner. Una ragazza stava cercando di essere carina con lui e aveva fatto una follia solo per compiacerlo: era qualcosa di assolutamente nuovo e inaspettato. Soprattutto in un posto come quello, soprattutto da chi per anni era stato abituato a chiamare "demone". Beh, forse un po' lo era davvero, visto che non faceva che portare guai, ma non era niente di tremendo... e soprattutto era stato qualcosa di assolutamente apprezzato. La pancia gli brontolava ancora di più, sentendo l'odore delizioso del pezzo di carne nascosto nel tovagliolo, e lei aveva rischiato di finire in guai veramente grossi solo per lui. Non conosceva Beatris, non era abituato ai suoi modi di fare quasi sempre dolci e premurosi, qualcun altro -magari Armin- non si sarebbe sorpreso tanto ma sarebbe riuscito a razionalizzare di più l'accaduto. Capire che lei l'avrebbe forse fatto per chiunque e certo non vedeva Reiner in qualche modo speciale, ma continuava a restare il fatto che sapere che qualcuno aveva fatto qualcosa di tanto spericolato e generoso solo per lui era... in qualche modo piacevole. Decisamente molto piacevole. 
Esitò e arrossì addirittura, ma fu lieve, tanto che Beatris neanche se ne accorse. Rimase a fissarla per qualche istante negli occhi, riuscendo addirittura a scorgere nel suo azzurro le venature verdi che non aveva notato prima. Era un bel colore, magnetico, e riuscì di nuovo a trasportarlo indietro di un paio d'anni, quando l'aveva vista correre sorridente tra i moribondi e i disperati, sprigionando solarità come un angelo sceso in terra. Gli tornò in mente persino la canzone che lei aveva cantato alla sorella, per farla addormentare, e di come fosse riuscita a distendere persino i suoi di muscoli, nonostante la tremenda situazione in cui si trovava. Era riuscita a calmarlo allora, inconsapevole della sua esistenza, ed era riuscita a distenderlo di nuovo con pochissimo, a distanza di anni. 
«Gr...» mormorò, pronto a ringraziarla, ma la voce di Connie li sorprese alle spalle. 
«Che combinate voi due?! Siete sospetti, lo sapete?» 
Entrambi sobbalzarono in preda al terrore e Beatris fu la più veloce dei due nel reagire. Approfittando delle loro spalle che nascondeva a Connie il bottino che lei aveva rubato poco prima, spinse il tovagliolo addosso a Reiner, gli sollevò la maglietta e ce lo infilò sotto, prima che lui avesse potuto reagire e impedirglielo. La rigidità di spalle di Reiner si fece ancora più intensa, così come il rossore sul suo volto, ma questa volta l'imbarazzo e l'emozione c'entravano ben poco. 
«Brucia» sussurrò, sentendosi il ventre andare in fiamme al contatto con la carne ancora bollente. Ma restò immobile, impassibile, a sopportare per il bene della loro copertura. 
«Stavo raccontando a Reiner un segreto» disse Beatris, voltandosi verso Connie. Gli fece un gesto con la mano, per scacciarlo via. «Vai via, non posso certo dirlo a tutti quanti! Fatti gli affari tuoi».
«Come sarebbe a dire?! È qualcosa di losco?» la fulminò, accusatorio, e Beatris iniziò visibilmente ad agitarsi. «No, assolutamente!»
«Che hai combinato adesso, eh?» sghignazzò Connie. La conosceva da veramente troppo poco, eppure sembrava aver capito perfettamente che tipo di persona avesse davanti. O forse Mikasa gli aveva raccontato qualcosa, il che era probabile. «O forse vuoi solo restare sola con lui?» insisté Connie, sogghignando con un'espressione diabolica. 
«Ma che dici?!» arrossì Beatris, e forse quella fu la prima volta in tutta la sua vita. «Gli stavo dicendo un segreto! Vattene, non sei il benvenuto! È un'informazione riservata».
«Che segreto? Dai, voglio saperlo anche io» insisté Connie, avvicinandosi ai due quatto quatto.
«Non posso dirtelo» si agitò ancora di più Beatris ed era ovvio che non sapesse che pesci prendere. Per cercare di salvare la situazione, non aveva fatto in realtà che peggiorarla, e ora non sapeva come uscirne. Era decisamente terribile a inventare scuse, le si leggeva in faccia che stava dicendo una bugia. Era incredibile, qualsiasi cosa facesse sembrava attirare su di sé i guai come fosse ricoperta di miele e buttata dentro un recinto d'animali. Fu naturale per Reiner chiedersi come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento, ma non fu difficile provare a indovinare che se era ancora tutta intera poteva solo essere grazie alla vicinanza di Mikasa. Aveva parlato con Eren e Armin, la sera prima, si erano raccontati un po' di cose e loro non avevano fatto altro che ribadire quanto Mikasa fosse forte e riuscisse così a tirare sempre tutti fuori dai guai, proteggendoli. Era la loro guardia del corpo... e vedendo come Beatris affrontava la vita sembrava essere il tipo di persona che aveva decisamente bisogno di qualcuno che la salvasse.
«Sasha ha rubato della carne dalla cucina dei capitani» disse lui, a voce sostenuta, così da farsi sentire solo da Connie e Beatris.
«Cosa?!» urlò il ragazzo, sconvolto. 
«Non dirlo troppo in giro, o la farai finire nei guai» disse Reiner e Connie iniziò a guardarsi compulsivamente intorno. «Quella ragazza...» disse, cercandola. «Come può fare una cosa simile e non condividere con i suoi compagni!»
E brontolando, infine, si allontanò. 
Beatris tirò un sospiro di sollievo, non appena si sentì al sicuro. «Meno male, sei riuscito a mandarlo via».
«Sei terribile a inventare scuse» le fece notare Reiner. 
«Già» ridacchiò, solare, e si diede un colpetto impacciato sulla testa. «Meno male ci hai pensato tu. Mi hai salvato di nuovo, Reiner».
«Hai avuto bisogno dell'aiuto di Sasha per rubare questa carne, del mio aiuto per uscire dai guai e mi è stato detto che innumerevoli volte Mikasa ti ha salvato da delle brutte situazioni. Dovresti imparare a badare un po' più a te stessa». 
Disse distrattamente, riprendendo a mangiare i legumi all'interno del proprio piatto. Aveva ancora la carne sotto la maglietta, ma probabilmente non l'avrebbe tirata più fuori finché fosse stato a rischio. E non sembrava nemmeno essere più intenzionato a restituirla... non l'aveva detto apertamente, ma alla fine si era rassegnato all'idea di accettare quel dono, per quanto pericoloso. Si accorse della risposta che non arrivò solo quando il silenzio cominciò a essere forse fin troppo imbarazzante. Si voltò a guardarla, chiedendosi cosa stesse combinando, e si sorprese di trovarla ancora sorridente. Assorta nei suoi pensieri, ma sorridente, dello stesso sorriso aveva mandato Shadis in bestia. E ora riusciva a capire il perché: non sembrava reale. Era così dolce, candido, così perfetto da essere sicuro fosse stato costruito ad hoc. Sorrideva per nascondere qualcosa. 
«Hai ragione» disse, infine. «Spero che questo posto possa aiutarmi a imparare. Sai, tra tutti i miei amici sono quella che forse qui dentro ci sta più stretta. Eren ha una volontà di ferro, Armin sogni indistruttibili, Mikasa... beh, Mikasa è Mikasa» ridacchiò. «Io avrei fatto meglio ad andare nei campi».
«Perché sei venuta qui?» chiese, stranamente curioso. Beatris alzò le spalle. «Perché no? Cosa avrei avuto da perdere?»
«Il mestiere del soldato non è qualcosa da prendere alla leggera» quasi la rimproverò, ma non fu duro con lei.
«Lo so» e sembrava sincera, anche se tornò a sorridere di quel confortante sorriso. Ora che lo vedeva meglio, poté scorgere forse le intenzioni che aveva, o una delle sfumature. Era finto, riusciva a riconoscerlo, ma era profondamente scaldante lo stesso. Si ricordò improvvisamente del sorriso che lei aveva rivolto alla sorella, dentro la cattedrale di due anni prima... era esattamente uguale. Era lo stesso identico sorriso che aveva dato alla bambina, mentre le diceva falsamente che tutto sarebbe andato bene. Avevano visto morire i loro genitori, Beatris si era fatta carico della sorellina che oltretutto non stava molto bene allora, ma non era sembrata appartenente a quel luogo di disperazione. In mezzo ai pianti e al dolore, lei aveva sorriso così intensamente che era riuscita a far addormentare con dolcezza la sua sorellina. Quel sorriso era come un abbraccio che dava a chi aveva a fianco, forte abbastanza da nascondere il proprio dolore e quello degli altri.
«Ma tanto questo mondo farebbe schifo in qualunque modo, e allora tanto vale provare a fare qualcosa per cambiarlo, no? Evitare di vivere passivamente...» si strinse nelle spalle con timidezza, diventando come una piccola bambolina. Poi si distese e cambiò di nuovo espressione, tornando a essere più spensierata e serena. «E tu perché sei qui?»
«Io...» mormorò Reiner, tornando a guardare il proprio pasto. «Voglio salvare l'umanità».
«Davvero?!» Beatris si appoggiò al tavolo e si sporse più verso di lui, curiosa di guardarlo in volto. «Incredibile!» disse con sincera ammirazione. 
«Lo trovi così incredibile? Sono in molti qui dentro a dire una cosa simile» ridacchiò Reiner, continuando a mangiare.
«Sì, ma è la prima volta che qualcuno lo pensa davvero».
«Come fai a dire che io lo pensi davvero?»
Ancor Beatris alzò le spalle: «Te lo leggo negli occhi. Hai qualcosa che ti brucia dentro, al contrario di molti che sono qui».
«Non credo di essere così diverso da loro». 
«Sì, invece... la maggior parte qui dentro lo dice solo perché è ciò che ci viene insegnato fin da piccoli, che i soldati hanno il compito di salvare l'umanità. È ciò che ci dicono per spingerci ad arruolarci, ma nessuno lo crede davvero. Tutti, nel loro piccolo, sono mossi solo dall'egoismo di provare a diventare qualcuno ed essere rispettati... o magari sono pazzi psicopatici che credono di poter uccidere tutti i giganti a mani nude» ridacchiò, prima di chiedere: «Hai conosciuto, Eren, no?»
«Ha una bella determinazione, non dovresti denigrarlo».
«Non lo sto denigrando! Ma è pazzo lo stesso... noi abbiamo visto con i nostri occhi ciò che fanno i titani, eppure questo l'ha reso più determinato di prima. Io, sinceramente, ne sono abbastanza terrorizzata».
«Hai paura dei titani?»
«Mi fanno venire gli incubi» e rabbrividì, platealmente.
«Mi chiedo ancora perché tu sia qui...» e, senza volerlo, gli scappò un sorriso. Era tutto una contraddizione, ma non riusciva a leggere in lei nessun tipo di malizia. Sembrava solo una profonda ingenuità, di quelle genuine, di quelle piacevoli. 
«Me lo chiedo anche io, forse sono pazza pure io, chissà» alzò le spalle e scoppiò a ridere, divertita. 
«Per che cosa state ridendo?» chiese Bertholdt, raggiungendo i due in quel momento. Si sedette di fronte a Reiner, e iniziò a mangiare la propria porzione in loro compagnia. 
«Stavamo prendendo in giro Eren» spiegò Beatris, allegra come una bambina.
«E perchè?» chiese Bertholdt, sorpreso. 
«Per le craniate che ha tirato in terra stamattina! L'hai visto?!»
«Ho visto anche le tue di craniate, se è per questo» sogghignò Bertholdt, divertito nel sentirla ridere degli stessi drammi che anche lei aveva vissuto. 
«Oh, dai!» sbuffò lei. «Reiner non c'era, non le ha viste, non farmi passare per un idiota». 
«Le ho viste» disse Reiner, mangiandosi l'ultimo boccone di pane. 
«Cosa?! Come hai fatto? Stavi facendo il percorso di Shadis».
«Posso allenarmi e guardarmi intorno contemporaneamente, sai?»
«Oh, no, che figuraccia...» mormorò lei, inclinando la testa verso il basso.
«Te ne preoccupi solo ora? Di quello che hanno pensato anche il resto dei cadetti, fino a poco fa non sembrava interessarti» disse Bertholdt. 
«Bertholdt invece sembrava a suo agio» sospirò Beatris, cambiando il soggetto delle loro attenzioni. 
«Non è stato facile nemmeno per me».
«Però non sei caduto nemmeno una volta».
«E tu, Reiner? Sei riuscito a restare in equilibrio?» chiese Bertholdt e Reiner semplicemente annuì.
«Anche tu?!» chiese Beatris sorpresa, prima di sospirare e abbattersi. «Sembra che io sia l'unica incompetente qui dentro, insieme a scemo-Eren».
«Non devi abbatterti subito, era solo la prima lezione, hai tempo per esercitarti» provò a rincuorarla Reiner. «L'importante è andare sempre avanti, se ti fermi subito non arriverai mai da nessuna parte. Cerca di imparare da Eren a essere determinata come lui».
«D'accordo! Ci proverò» e ancora sembrò assurdamente sincera. Era davvero bastato così poco a tirarle su il morale? Non si era impegnato nemmeno troppo, erano bastate poche parole. Quanto poteva essere così genuina?
«Hai visto, Beatris? La giornata di digiuno non ha intaccato minimamente Reiner» le fece notare Bertholdt, prima di voltarsi verso il compagno e spiegare: «Era preoccupata per te, oggi».
Reiner non rispose, ma ancora sentì quella piacevole e bizzarra sensazione di calore nascergli dal petto e invaderlo completamente. 
«Il nostro Reiner è una vera roccia, è difficile riuscire a buttarlo giù» disse Bertholdt.
«Incredibile» disse ancora lei, tornando a guardare il ragazzo con una vivace ammirazione. Sobbalzò appena, ricordandosi di qualcosa, poi si sporse verso Reiner e portandosi una mano intorno alla bocca per non farsi leggere il labiale da Bertholdt gli sussurrò vicino a un orecchio: «Ora sarà fredda. Se vuoi distraggo Bertholdt così puoi tirare un morso a quella carne».
Reiner sgranò gli occhi, preoccupato su quale altro pasticcio avrebbe improvvisato, e si voltò a guardarla pronto ad ammonirla. Ma lei non aspettò alcuna risposta. 
«Bertholdt!» disse a gran voce, prima di salire sul tavolo. Gattonò in mezzo ai due ragazzi, in modo da nascondere Reiner dietro la sua schiena, e si sedette lì, sul tavolo, a gambe incrociate. 
«Che fai?!» le chiese Bertholdt allarmato. 
«Ascoltami! Tu hai mai sentito parlare della megera del nord?»
«Di chi?» storse il naso Bertholdt. «Scendi dal tavolo, prima che ti vedano!»
«La megera del nord! Te la racconto io, è una bella storia!» si portò una mano dietro la schiena e mostrò a Reiner il pollice alzato, a dargli l'ok. Puntò lo sguardo in quello di Bertholdt e iniziò a raccontare: «Dunque, c'era una volta...» ci pensò pochi istanti, poi disse decisa: «Una donna dai lunghi capelli corvini e lo sguardo freddo come il ghiaccio».
«Stai parlando di Mikasa?»  chiese Bertholdt, increspando le sopracciglia. Beatris sobbalzò e arrossì lievemente, imbarazzata per essere stata scoperta. Ma doveva prendere tempo, perciò insisté: «No! Ascolta! C'era questa donna dalla bellezza sopraffina a la forza di un titano che un giorno arrivò a casa di un uomo scemo e incoscente. La strega del nord era abituata a fare maledizioni, ma quella volta fu lei ad essere maledetta! Rimase completamente stregata dal fascino dell'uomo scemo, per chissà quale ragione, e da allora iniziò a seguirlo come un'ombra».
«Non so perché tu mi voglia raccontare questa storia, ma dovresti davvero scendere dal tavolo» provò a insistere Bertholdt, preoccupato che Shadis avesse potuto scoprirla e tentare di punirla ancora. 
«Aspetta! Ascoltami attentamente...» 
Bertholdt, sempre più confuso, si sporse oltre Beatris per cercare lo sguardo di Reiner, ma lei fu rapida nel mettersi di nuovo in mezzo, sporgendosi dallo stesso lato. «Lo sai che in realtà le strega del sud era una ragazzina?» insisté.
«Non era la megera del nord?»
«Si spostava!» provò a rispondere lei, arrossendo di nuovo per la gaffe. Sentì del movimento alle sue spalle e Reiner si sollevò dalla panca. Mise una mano sulla testa di Beatris, spingendola più verso il tavolo così da riuscire ad aprirsi una breccia verso Bertholdt, e si sporse in avanti. Allungò l'altro braccio verso di lui e gli posò davanti un tovagliolo che avvolgeva qualcosa. «Sei davvero terribile a inventare scuse» le disse, prima di aggiungere: «Tieni, Bertholdt. È un regalo da parte sua, non farlo vedere a nessuno».
«Ma era un regalo per te!» sobbalzò Beatris, cercando di guardare Reiner da oltre la propria spalla. Bertholdt aprì il tovagliolo e trovò un pezzo di carne ormai tiepido ad aspettarlo. Sobbalzò, richiuse il tutto e se lo nascose al petto. «Dove l'hai presa?» sussurrò preoccupato.
«Dove non doveva prenderla» rispose Reiner, per lei. «Ma ormai metà è già dentro al mio stomaco, tanto vale farla sparire del tutto».
«Ti è piaciuta?» chiese Beatris, illuminandosi nello scoprire che Reiner aveva veramente approfittato del suo diversivo per gustarsi il suo regalo, almeno in parte. 
«Cielo, non mangiavo carne da una vita» sospirò Reiner, tornando a sedersi al suo posto. Non era stata una vera risposta, ma era bastata a far capire a Beatris che aveva decisamente apprezzato. Questo la riempì ancora più di felicità, per quanto fosse potuto essere possibile. «Allora, mi perdoni per questa mattina?»
«Non avevi niente da farti perdonare, è stata una mia scelta quella di proteggerti. Ti eri beccata una punizione già il giorno prima, non sarebbe stato conveniente per te prendertene un'altra».
«Sei davvero molto gentile, Reiner» gli sorrise ancora, ma questa volta non sembrò uno di quei sorrisi finti utili solo a rincuorare chi aveva accanto. Si era raddolcita, gli occhi le splendevano, era veramente grata e sincera. E fu proprio questo a scuotere ancora l'animo di Reiner... lui davvero poteva sembrare una persona gentile? Proprio lui?
«Beh, immagino che non ci sia altra scelta adesso se non farla sparire» commentò Bertholdt, nascondendo il fagottino sotto la propria maglietta.
«Ti conviene mangiarla ora, o dopo sarà troppo fredda» gli suggerì Beatris.
«Ora c'è troppa gente intorno, non voglio cacciarmi nei guai come voi due».
«Ti copro io!» disse ancora Beatris e Bertholdt sussultò: «No! Non importa! Grazie».
«Anche tu pensi che non sia capace di inventare buone scuse?» si rattristì, ma Bertholdt non le rispose, semplicemente ridacchiò imbarazzato. 
«Il tuo pezzo sei già riuscita a mangiarlo?» chiese Reiner, curioso. 
«Ah, no, io non l'ho mangiata» rispose lei. 
«Hai reso me l'unico peccatore?!» sussultò Reiner.
«Possiamo dividerla, te ne do un pezzo di questo» propose Bertholdt ma Beatris lo fermò e gli rivolse uno dei suoi finti sorrisi di conforto. «No, io non la voglio. Tenetela per voi».
Non fa niente, non ho fame.
La stessa identica scusa che aveva rivolto a Mikasa, quando aveva rifiutato il pane per lasciarne il più possibile ai suoi amici. Allora, non aveva dato tempo a Mikasa di aggiungere altro, di rispondere, ed era fuggita via. Si aspettò che lo facesse di nuovo, non sapeva perché, eppure andò proprio così.
«Ora che ci penso non ho ancora cenato! Vado a vedere se è rimasto qualcosa nelle cucine» e saltò giù dal tavolo, rapida, prima di scappare via e non dar tempo a loro di aggiungere altro. Non era capace di inventare scuse, ma sapeva fuggire via prima che qualcuno la spingesse a provare a farlo. Era comunque una buona tattica, anche se lasciava un po' con l'amaro in bocca. Non dava neanche modo di provare a parlarci. 
Reiner incrociò le braccia al petto e tornò nuovamente serio e pensieroso. Bertholdt, di fronte a lui, guardò per un po' Beatris che si allontanava prima di rivolgere uno sguardo preoccupato all'amico di fronte a lui. «Sei sicuro di quello che stai facendo?» gli chiese, restando sul vago, dato il luogo in cui si trovavano. 
Quella Beatris si era aperta un varco tra loro, aveva provato a familiarizzare e Reiner sembrava disposto ad accoglierla a braccia aperte. L'aveva assecondata molto, fin da quella mattina, non era certo che fosse la scelta migliore visto il fardello che si portavano sulle spalle.
«Fare qualche amicizia ci aiuterà a familiarizzare con questo posto. Ci renderà il soggiorno più facile».
Bertholdt sospirò ancora, poi annuì. Sapeva cosa stava cercando di dirgli Reiner: dovevano confondersi con i demoni di Paradis, fingere di essere come loro, fingere di essere due di loro, così da riuscire ad arrivare alle informazioni che cercavano e portare a termine la loro missione. Familiarizzare con quei demoni li avrebbe resi invisibili, avrebbe destato meno sospetti, sapeva che aveva ragione. Ma sarebbe stato comunque molto difficile, un singolo passo falso li avrebbe fatti scoprire subito. Dovevano fare attenzione, anche se quella Beatris sembrava abbastanza ingenua. Probabilmente non sarebbe mai stata un pericolo, non avrebbe scoperto le loro reali identità neanche se ce le avesse avute davanti... forse per quello Reiner l'aveva scelta. Decise perciò di fidarsi. Avrebbe provato anche lui a diventarle amico, così da non destare troppi sospetti. Era la cosa migliore.



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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Allenamento con movimento tridimensionale, esercizi per l'equilibrio, ginnastica per il rinforzo fisico, percorsi di velocità e di resistenza, prove sul campo, studio in aula ed equitazione. Il numero di corsi era anche maggiore di questo e ogni giorno non era mai uguale all'altro. Riuscire a stare al passo era così difficile che a neanche un mese dopo il loro inizio il numero di cadetti si era addirittura quasi dimezzato. Erano in molti a lasciare, rendendosi conto che mai sarebbero riusciti a resistere a tutto quello per ben tre anni. Il lavoro nei campi, per quanto poco dignitoso, era decisamente più allettante. 
«Quali sono i mesi migliori per la semina delle zucche?» chiese Beatris, improvvisamente. Armin, al suo fianco, la guardò sorpreso. Che razza di domanda era quella? Da dove le era venuta? La fissò qualche istante confuso, poi tornò a legare le briglie al cavallo che aveva davanti. 
«Non saprei... primavera forse?» rispose, chiudendo l'ultima fibbia. «Ecco fatto, sei pronta» disse sorridente alla propria cavalla. Ancora non era sua, non erano stati ancora affidati ai cavalli, ma forse un giorno lo sarebbe diventata. Il rapporto tra un soldato e il proprio cavallo era qualcosa da non prendere alla leggera, di fronte a un gigante avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte, andava perciò coltivato e rafforzato col tempo e con l'impegno. Per questo affidavano alle reclute cavalli privi di proprietario per i propri addestramenti e arrivati alla fine dei tre anni di accademia veniva loro lasciato quello con cui aveva stretto un rapporto più empatico. All'inizio li avrebbero cambiati spesso, cercando quello con cui andavano più in sintonia, e poi col tempo avrebbero stretto il loro legame sempre più. 
«Mh, credevo l'inverno» commentò Beatris, pensierosa. Si voltò verso il cavallo che aveva a fianco, tenendolo per le briglie già pronte e legate, e gli fece un paio di carezze sul muso. Questo sembrò apprezzare, reagì con un leggero entusiasmo al tocco. 
«Di solito sono belle mature a ottobre, non credo gli serva un anno intero per crescere. Ma perché ti interessi di zucche, adesso?»
«Una volta con papà, da bambina, siamo andati in un villaggio a sud-ovest del Wall Rose per consegnare delle lozioni a un ospedale. Siamo passati da un campo di zucche e sono rimasta a guardare la gente che era impegnata nella semina. Non ricordo che periodo fosse, ma ricordavo che faceva freddo».
«Forse prima primavera, è possibile che le temperature non fossero troppo alte. Ricordo che ci fu un anno in cui l'estate arrivò molto tardi. Piovette fino a Maggio inoltrato».
«Forse era quell'anno» commentò Beatris, sistemando la sella al proprio cavallo.
«Ehy! Andiamo!» chiamò Eren, voltandosi a guardare i due compagni metri più indietro.
«Arriviamo!» rispose Armin, alzando il braccio per far cenno al compagno. Poi si voltò nuovamente verso Beatris. «Perché ti è tornato in mente?» le chiese, accelerando il passo per raggiungere Eren e Mikasa, che erano già insieme ad altri loro compagni. 
«Uno dei cavalli dentro la stalla somigliava molto al cavallo di papà. Mi permetteva spesso di cavalcarlo, quando non doveva viaggiare per portare medicinali in giro o accompagnare lo zio Grisha in una delle sue visite» spiegò Beatris. «Me l'ha ricordato».
«Perciò tu sai già cavalcare?» chiese Ymir, sentendoli parlare non appena arrivarono. «Chissà che almeno questa volta non arriverai ultima nelle prove».
«Ymir!» lo rimproverò Christa. «Perché l'hai presa così di mira? Lasciala in pace».
«Quando smetterà di tenermi sveglia la notte per chiacchierare con te e Mikasa» rispose Ymir, stizzita.
«Mikasa dorme, non ci ascolta nemmeno» disse Christa e Ymir fulminò Beatris: «E allora perché continui a parlarle?!»
«Magari qualche volta è sveglia anche se non sembra» ridacchiò Beatris, alzando le spalle. 
«Hai il sonno bello pesante se riesci a dormire mentre lei ti parla in continuazione» disse Connie, che riuscì a intercettare la conversazione, a Mikasa al loro fianco. 
«Sono abituata» rispose questa, apatica.
«Beatris è fatta così» ridacchiò Armin. «Fintanto che non prende sonno ha bisogno di compagnia».
«Non mi avete mai detto che la cosa vi disturbava, Armin sembrava sempre felice di parlare con me» mormorò Beatris, dispiaciuta, ed Eren si voltò a fulminarla: «Sì, invece che te lo abbiamo detto! Tutte le notti!»
«A te disturba qualsiasi cosa!» gli rispose a tono Beatris.
«Ma non dire stronzate!» 
«Da quando sei nato non fai altro che ringhiare contro qualsiasi cosa! Sembri un dannato cane rabbioso!» 
«Dannato cane rabbioso io?!»
«Prima Hannes e i gendarmi, poi la guarnigione, e la gente del villaggio, e il figlio del panettiere, e io, e i giganti, persino Mikasa! Non fai che trattarla male!»
«Non tratto male Mikasa!»
«Armin è l'unico che ti sopporta perché è mansueto come un agnellino!»
E proseguirono, a lungo, troppo a lungo, alzando sempre più la voce. Armin sospirò nel sentirli litigare per l'ennesima volta e negando con la testa iniziò ad allontanarsi, per avviarsi al campo d'equitazione dove quella mattina avrebbero avuto la loro prima lezione. 
«Ma... non intervenite?» mormorò Connie, preoccupato nel vedere come la lite tra i due stesse diventando sempre più accesa. Tanto che erano arrivati a mettersi le mani addosso, come due bambini stupidi, si tiravano morsi e cercavano di strapparsi i capelli a vicenda. 
«Sono stati tranquilli fin troppo» disse Mikasa. «Era questione di tempo prima che succedesse di nuovo».
«Non sono mai andati d'accordo nemmeno quando erano neonati. Il Signor Jeager una volta ci ha detto che se non li tenevano lontani iniziavano a tirarsi i pizzicotti e i capelli da una culla all'altra, senza nessuna ragione» rispose Armin e Connie spalancò gli occhi. «Si conoscono da così tanto?!»
«Sono cugini» rispose Mikasa. «Carla e Laurie, le loro madri, erano sorelle».
Un urlo di Beatris attirò la loro attenzione e si voltarono a guardare i due litiganti, allarmati. Eren era in ginocchio, di fianco alla ragazza che chinata a terra si teneva le mani premute sulla faccia, e non faceva che chiederle scusa mortificato.
«Mi hai fatto male! Mikasa! Eren mi ha messo le dita negli occhi!»
«Ohy, ma cosa siete? Due poppanti?» balbettò Connie, imbarazzato lui stesso nel vedere la scena. 
«Eren» disse Mikasa, senza troppo entusiasmo. «Smettila di fare il bambino».
«È stato un incidente!» lamentò Eren, preoccupato. «E poi ha iniziato lei!»
Distratto nel parlare con Mikasa, Eren non si accorse del contrattacco furioso di Beatris. A denti stretti, sguardo omicida, questa tentò di dargli un semplice ma non molto delicato pugno in faccia. Riuscì a colpirlo, prendendolo di sorpresa, ma Eren si riprese alla svelta, e ormai cominciava ad avere dei buoni riflessi nel combattimento corpo a corpo. Approfittò del braccio sporto di Beatris per afferrarglielo e bloccarla, glielo rigirò dietro la schiena e tentò di buttarla a terra. E Beatris ancora urlò, in preda al dolore. 
«Ragazzi... basta» mormorò Armin, preoccupato. Oltre al baccano si stavano già riempiendo di terra e polvere, e nemmeno avevano iniziato l'addestramento. Come si sarebbero giustificati nel presentarsi già sporchi e in disordine?
Ma i due neanche lo sentirono, presi a dimenarsi a terra come due animali. Prese, pugni, graffi e infine Beatris morse addirittura Eren su una mano. L'ennesimo urlo, l'ennesimo contrattacco, fino a quando un'ombra maligna non si posò su di loro. Alzarono lo sguardo sentendo un brivido gelido corrergli dai piedi fino alla punta dei capelli, e infine intercettarono lo sguardo rabbioso di Mikasa. Lei non disse né fece niente, semplicemente li guardò. Beatris approfittò della paralisi di Eren per spintonarlo via con un colpo sotto al mento, lo scaraventò a terra e si alzò rapida. Sudando freddo, come se si trovasse di fronte a un demone piuttosto che una ragazza, si mise persino in posizione di saluto, con un pugno battuto al petto. 
«Prendi il tuo cavallo e raggiungi il resto del gruppo» disse Mikasa, roca nella voce.
«Signorsì!» gridò Beatris e corse via, obbedendo. 
«Mikasa! Avrei potuto gestirla da solo, non c'era bisogno di intervenire» brontolò Eren, rialzandosi da terra. 
«Non è vero. Ti abbassi al suo livello e non c'è modo di fermarvi, a meno che uno dei due non finisca col farsi male davvero».
«Questo non è vero» gracchiò Eren, offeso. Si pulì gli abiti e raggiunse anche lui il proprio cavallo e poi il resto dei compagni. Beatris era già lì e si stava avvicinando al piccolo gruppo formato da Reiner, Bertholdt, Jean, Marco e Sasha, per mettersi in riga e prepararsi ad accogliere gli istruttori. Non era assolutamente in condizioni ottimali, era piena di polvere e terriccio, la divisa tutta sgualcita e i capelli arruffati e pieni d'erba.
«Che ti è successo?» chiese Jean, a occhi spalancati.
«Ho affrontato una bestia selvaggia!» disse Beatris, con uno strano fuoco animato in volto. Poi con orgoglio alzò il bicipite, mostrando il muscolo, e ridacchiò: «E l'ho abbattuta».
«Mikasa vi ha fermati prima che aveste potuto farvi male» l'ammonì Connie, raggiungendola. 
«L'avrei steso senza problemi senza il suo intervento!» brontolò Beatris, offesa per essere stata messa in ridicolo. Lo disse a voce decisamente troppo alta e la frase arrivò anche alle orecchie di Eren, che in quel momento stava passando dietro di lei insieme a Mikasa e Armin. Il cugino si affacciò oltre la spalla di Mikasa e fulminò Beatris con rabbia. Aprì la bocca, pronto a riprendere a brontolare e difendere così il proprio onore, ma Mikasa lo zittì con uno sguardo. 
«Quel disgraziato» ringhiò Beatris, come un animale. «Come osa guardarmi in quel modo» si abbassò con una velocità inaspettata e afferrò un sasso da terra. Si rialzò, si preparò a lanciarglielo contro e l'avrebbe sicuramente fatto davvero, con tutta la sua forza, se Reiner, allarmato, non fosse intervenuto a bloccarle il polso.
«Ferma! Che fai?!» la rimproverò. Beatris iniziò a dimenarsi come un anguilla per cercare di sciogliersi dalla presa di Reiner e questo fu costretto ad afferrarla per le braccia e bloccarla per impedirle di caricare Eren -che intanto sembrava altrettanto pronto a saltare al collo della ragazza, se non ci fosse stata Mikasa a tenerlo-.
«Beatris, calmati» balbettò Bertholdt, cercando di mettersi in mezzo ai due così da impedirgli di guardarsi. Cercò il contatto visivo con la ragazza, provò a sorridere, a calmarla, senza riuscirci. E intanto Reiner fece appello a tutta la sua forza per riuscire a tenerla ferma. Beatris era debole, era l'ultima del corso, era esile e per niente robusta, ma riusciva a contorcersi peggio di un serpente. E cominciò a dubitare che i voti che prendeva fossero reali, perché in quel momento sembrava decisamente più forte di quello che credeva. Rischiò di prendersi un pugno in faccia almeno un paio di volte, e non ebbe altrettanta fortuna con gli stinchi che si presero un paio di calci belli potenti.
«Ma che le è preso?!» disse a denti stretti, per la fatica. 
«Dai, cerchiamo di ragionare». Intervenne Marco. «Per che cosa avete litigato voi due?»
E Beatris si bloccò improvvisamente, abbandonando in una frazione di secondo tutto il suo spirito combattivo. Restò inebetita qualche secondo, fissando Marco con un'aperta espressione sorpresa. Infine scoppiò a ridere a gran voce. «Non me lo ricordo assolutamente» confessò e restò lì, bloccata nella morsa di Reiner, a ridersela a crepapelle con un candore sovrannaturale. Il viso le si distese, le guance si arrossaroso, si illuminò di luce propria e trasmise una dolcezza quasi favolesca. Reiner lasciò andare pian piano la presa su di lei, ma forse fu più il senso di beatitudine a convincerlo ad allentare i muscoli, che la convinzione che non sarebbe partita più alla carica. 
«Beh, comunque Eren è proprio scemo» disse poi lei, iniziando a sistemarsi la divisa e i capelli. «C'è ben poco da capire il motivo che possa avermi spinta a incazzarmi con lui».
«La ragazza ha più che ragione» confermò Jean, sogghignando. «Quell'idiota, si diverte a fare l'eroe ma è solo un imbecille». 
E Beatris annuì convinta, finendo di rassettarsi. 
«Credevo foste amici» commentò Reiner, sorpreso di sentirla così ostile nei confronti di Eren. 
«Lo siamo» rispose Beatris con innocenza. «Non sembra?»
«Credo che abbiamo una visione diversa di amicizia, allora» ridacchiò nervoso Bertholdt.
«Ah!!!» esclamò improvvisamente Beatris, facendo sussultare tutto il gruppo che aveva intorno. «Ora mi ricordo! Mi ha messo le dita negli occhi!» ringhiò, tornando la furiosa psicopatica che era stata un attimo prima. Si voltò verso Eren e gli puntò un dito contro, pronta a riprendere a urlare, ma tutta la sua ira si placò all'istante quando si accorse che lui era in difficoltà. Eren era appena salito a cavallo, pronto a iniziare la lezione, ma per qualche motivo l'animale non sembrava apprezzare la presenza del suo cavaliere. Non era difficile che accadesse, i cavalli erano animali molto empatici, bastava davvero poco per metterli in agitazione. Bastava un po' di titubanza da parte del loro cavaliere, o qualche gesto non proprio calmo e cortese, per mandarli nel panico. 
Eren, in groppa, cercò di tirare le redini per fermarlo mentre questo indietreggiava, muoveva la testa agitato, e iniziava a scalciare per terra.
«Eren, scendi di lì!» gli disse Mikasa, preoccupata, ma avvicinarsi fu impossibile. Verso chiunque provasse ad avvicinarsi il cavallo reagiva agitandosi ancora di più, scalciando e girando in tondo. 
«Buona, bella. Forza!» cercò di dire Eren, ma dal tono di voce chiunque avrebbe potuto percepire il suo nervosismo. E questo non fece che peggiorare la situazione. Il cavallo iniziò a sgambettare, a saltare e scalciare per cercare di disarcionare il proprio cavaliere, e le urla di Eren lo fecero agitare ogni secondo di più.
«Attenti!» disse Reiner, il primo a scattare nella direzione dei compagni in difficoltà. Alcuni lo seguirono, altri corsero a chiamare gli istruttori, in preda al panico. Reiner raggiunse Eren e il cavallo, provò ad avvicinarsi, cauto, e tentò di calmarlo. Ma niente sembrò placare  la cavalla e alla fine questo scalciò con più potenza e saltò in avanti. Eren venne scagliato via e la sua fortuna furono gli spaventosi riflessi di Mikasa che la portarono perfettamente in traiettoria per prenderlo al volo ed evitare che atterrasse sul duro terriccio. Il cavallo poi si rigirò, continuò a scalciare e prese di sorpresa persino Reiner. Vide chiaramente gli zoccoli raggiungerlo con una rapidità spaventosa, ebbe un sussulto rendendosi conto che non avrebbe fatto in tempo a schivarlo, ma qualcosa lo afferrò per la divisa da dietro e lo trascinò via con forza. Cadde all'indietro e atterrò seduto a terra, non fu un morbido atterraggio, ma sempre meglio di una zoccolata di cavallo. Da oltre le sue spalle si sporse Beatris, con un'espressione preoccupata in volto, rivelando così che era stata lei a prenderlo per tempo e tirarlo via. 
«Stai bene?» gli chiese, allarmata. 
Reiner annuì, prima di rispondere: «Grazie».
«Statele lontano» disse Beatris, rivolto a tutti gli altri. «La state circondando, lasciatela sola, si sta spaventando ancora di più».
Un po' preoccupati all'idea di non restare in allerta ma doversi allontanare, lentamente il resto dei cadetti si sparpagliò, facendo spazio alla cavalla imbizzarrita che sentendosi meno braccata cominciava già a stare più tranquilla. Beatris gattonò oltre Reiner, cercò un contatto visivo con la cavalla e lentamente si avvicinò.
«Bea!» chiamò Armin, preoccupato, ma lei gli fece un gesto con la mano per dirgli di stare dov’era. E proseguì. 
«Tranquilla» mormorò con una voce che non sembrava nemmeno la sua. Era dolce, delicata, di una tonalità tanto bassa da sembrare il rumore dell'acqua di lago, mossa dalle onde e dal vento. «Va tutto bene. Quel cattivone ti ha spaventato, vero? Non ci sa proprio fare con le ragazze, non credi?» sorrise e continuò ad avvicinarsi, lenta, delicata. «Ha fatto arrabbiare anche me stamattina, non sei sola. Che ne dici se ci sfoghiamo insieme? Gliene diamo di santa ragione, va bene?»
«Ma che stai dicendo?» grugnì Eren, irritato. Quanti discorsi stava facendo per calmare un semplice cavallo, che nemmeno capiva la loro lingua?
Ma Beatris lo fulminò, gli fece un gesto con la mano per indicargli di fare silenzio e restare immobile e continuò ad avvicinarsi. Il cavallo smise di scalciare, ma indietreggiò un altro po', ancora nervoso. Beatris continuò a parlargli delicata e serena e quando fu a portata di braccio semplicemente allungò una mano verso il suo muso. Riuscì a sfiorarlo, gli si avvicinò ancora, e infine l'accarezzò. Questo parve calmarlo, almeno in parte.
«Ma che brava che sei. Sei proprio brava» le disse, finalmente al fianco dell'animale. Continuò ad accarezzarla e a parlarle delicata, fino a quando questa non si calmò del tutto. 
«Che le hai fatto per farla incazzare tanto?» chiese a Eren, quando finalmente tutto fu tranquillo. Armin si avvicinò a Reiner, ancora seduto a terra, e gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi. Questo parve risvegliarlo da una specie di incanto in cui sembrava essere finito. Era incredibile, mai si sarebbe aspettato di vedere una cosa simile. Beatris Moreau, la ragazza più rumorosa, infantile, caotica, combinaguai e pessima della classe era stata l'unica in grado di calmare quella cavalla imbizzarrita, nonostante non avesse ancora alcun addestramento in fatto di cavalli. Era andata a istinto, era bastata la sua empatia, ma non c’era stato solo questo. Era riuscita a tirarlo indietro. Nelle prove di forza non riusciva a sollevare nemmeno le casse vuote, dimostrava di avere una debolezza muscolare al limite del ridicolo, eppure proprio lei era stata in grado di afferrarlo e tirarlo via con tale forza da farlo persino cadere. Da dove l'aveva tirata fuori quella forza? Possibile che fingesse solamente di non averne? Per quale motivo mentire? Per quale motivo voler essere ultima della classe? Che fosse solo pigrizia?
Si rialzò e la guardò per qualche altro istante, ammaliato adesso dal suo sorriso mentre continuava ad accarezzare la cavalla e parlarle con dolcezza. Non riusciva quasi nemmeno a riconoscerla, tanto sembrava delicata adesso. 
«Armin, dimmi una cosa: Beatris è davvero debole come sembra?»
«Eh?» chiese Armin, non capendo di cosa stesse parlando. 
«Ero ben piantato a terra, avrei provato a schivarlo, avevo i piedi saldi al terreno per provare qualche manovra d'emergenza. Ma è riuscita a buttarmi a terra».
«Ti saresti preso una bella zoccolata in pieno stomaco se non l'avesse fatto» ridacchiò Armin, nervoso. 
«Perché non riesce a concludere niente se in realtà un po' di forza ce l'ha?»
«Non credo che ce l'abbia» sospirò Armin. «È stata presa dall'emergenza, ha tentato qualcosa di disperato. Le sei caduto addosso, non ha fatto niente di speciale, si è solo buttata a terra e a tirato via anche te. Ha sacrificato il suo equilibrio e la sua stabilità, usando tutto il peso del corpo, pur di riuscirci. Non ti sei accorto di averla schiacciata?»
«Cosa? No...» mormorò e Armin gli fece un cenno con la testa per indicarla, prima di sospirare. «Non poggia bene il piede a terra, dev'essersi fatta male»  e senza aspettare risposta, le si avvicinò. «Bea, lasciamo il cavallo a un istruttore. Ti portiamo in infermeria».
«Perché? Sto bene»
«Ti sei fatta male quando hai tirato indietro Reiner» le disse Armin, per niente convinto dalla sua bugia.
«No, non così tanto» ma non appena lo disse, Mikasa la prese per un polso e la trascinò in avanti di qualche passo, costringendola a camminare spedita per non cadere. Beatris fu così costretta a poggiare il piede a terra e una fitta di dolore la contrasse, fino a corrucciarsi. Si accasciò da un lato e Armin fu lì pronto a prenderla, per evitare che cadesse. 
«Ehy! State bene?» arrivò infine uno degli istruttori. Prese la cavalla dalle redini e si avvicinò a Beatris e gli altri. 
«Si è storta la caviglia» comunicò Armin e Beatris disse, rapida: «Non è niente di che! Passerà subito, ho solo messo male un piede».
«Non è vero, è stato perché Reiner ti è caduto addosso» spiegò Armin e Beatris disse, ancora più allarmata: «No, affatto! Non è stata colpa sua! Sono stata io a mettere male il piede, è colpa mia».
La menzogna le si leggeva in faccia, l'imbarazzo la contorceva. Non era davvero capace di inventare scuse, era veramente terribile. Non sapeva perché stesse mentendo in quel modo, ma dallo sguardo dispiaciuto che ogni tanto lanciava a Reiner, tra una bugia ed un'altra, questo ebbe il dubbio che fosse per accollarsi la responsabilità, evitare che lui si sentisse in colpa o in debito. 
«Ackerman, Arlet, portate Moreau in infermeria. Io riporto la cavalla alla stalla. Non era pronta per la sella, ne avevamo il dubbio ma abbiamo voluto fare una prova lo stesso» disse l'istruttore.
«Beatris è riuscita a calmarla» fece notare subito Eren. Non era chiaro il motivo, sembrava che avesse voluto darle qualche merito, difenderla, o forse aiutare l'amica ad emergere in quel poco di buono che sembrava capace di fare. L'istruttore ridacchiò. «Beh, questo è notevole».
«Ce l'ha un nome?» chiese Beatris, puntando gli occhi alla cavalla. Qualcosa di nuovo si stava facendo strada nel suo volto, una malinconia, mista a dolcezza, forse accecata da un pensiero, un ricordo sfumato, che stava schiarendo solo in quel momento. 
«Ancora no, spetta al suo cavaliere sceglierlo e ancora non ne ha uno» rispose l'istruttore. 
«Somiglia molto al cavallo di mio padre» mormorò Beatris e Armin le sorrise, chiedendole: «Allora è questo?».
A occhi lievemente spalancati, Beatris continuò a guardare la cavalla. Il ricordo che aveva cercato sembrava essere finalmente arrivato, chiaro ed emozionante esattamente come si era aspettata. Mantenne il contatto visivo con l'animale per qualche secondo, non sbatté nemmeno le palpebre, infine mormorò assorta: «Era Aprile». 
Armin non rispose, ma le rivolse comunque uno sguardo incuriosito. 
«L'ultimo viaggio fatto con mio padre prima che morisse, quando passammo dai campi di zucche, era Aprile» mormorò Beatris, dando così una risposta agli interrogativi di Armin. Poi sorrise di nuovo di quel suo candido sorriso gioviale e disse: «April è un bel nome per un cavallo, non credi?»


Era passata quasi una settimana dall'accaduto del cavallo. Beatris aveva partecipato alle lezioni in aula, ma aveva saltato tutte le esercitazioni fisiche e alle escursioni per permettere alla caviglia di guarire dall'infortunio. Mai una volta aveva neanche solo accennato a Reiner di quel problema, continuava anzi a sostenere che fosse stata colpa sua e della sua disattenzione, aveva fortemente rifiutato ogni suo tentativo di scusarsi. Questo però non cambiava le cose. Che lo volesse ammettere o meno, che cercasse di proteggerlo o meno, era stata colpa di Reiner se si era fatta male... e in un momento del genere, oltretutto. A pochi mesi dall'inizio dell'addestramento, quello avrebbe potuto essere il peso che avrebbe fatto pendere l'ago della bilancia sul fallimento o sul successo. Certo l'accademia non avrebbe aspettato che si fosse ripresa con i suoi tempi, una volta guarita avrebbe dovuto recuperare ogni cosa e già adesso, per quanto le evitassero di sforzarsi troppo, non le chiedevano il completo riposo ma doveva continuare, per come poteva, ad addestrarsi ed essere produttiva. Era stata una sciocchezza, solo una banale caduta, eppure aveva portato gravi conseguenze anche se a lei non sembrava mai dispiacere molto. Era sempre positiva, sorridente, pronta a darsi da fare qualsiasi cosa le chiedessero. Non voleva essere di peso a nessuno, non voleva che nessuno si preoccupasse per lei, perciò cercava di andare avanti come niente fosse. Reiner aveva avuto poche occasioni di incrociarla, provare a parlarle, perché tutte le volte che provava ad accennare alla questione della caviglia lei tagliava corto, cambiava argomento, oppure si allontanava. Inoltre, non potendo partecipare alla quasi totalità degli allenamenti se non ai teorici, erano anche rare le occasioni in cui potevano incrociarsi. E infine, era passata una settimana.
Era lunedì mattina, e il lunedì, come il mercoledì e il sabato, era in programma il corso di equitazione. Erano stati stabiliti dei turni tra i cadetti, a gruppi di quattro o cinque persone, dovevano prima di ogni lezione arrivare alle stalle per preparare i cavalli alla lezione. Quella mattina era toccato a Reiner, insieme ad altri quattro compagni. Ad ognuno di loro venne affidata una stalla e ad esse si avviarono, pronti a iniziare a lavorare. Ma quando Reiner arrivò alla sua si fermò, sorpreso, senza entrare. Le porte erano aperte e una voce usciva da dentro, allegra e armoniosa, intenta a cantare un motivetto a labbra chiuse. Non conosceva la canzone, ma riconobbe la voce di Beatris. E si bloccò. 
Aveva riconosciuto Beatris quando l'aveva vista cadere sul suo tavolo, un mese addietro, si era ricordato della ragazzina della cattedrale. Il suo modo di sorridere era inequivocabile, mai l'avrebbe dimenticato, ma aveva sempre comunque avuto il sospetto di aver preso un abbaglio. Magari era stata la sua testa ad avergli fatto vedere il volto di quella bambina in una sconosciuta? Non era mai stato certo che fosse veramente lei o meno, anche se nel cuore ci aveva creduto. Ma sentirla cantare dissolse ogni dubbio... quella era la sua voce. La canzone era diversa da quella della cattedrale, ma comunque simile, e riusciva a rilassare i muscoli esattamente come aveva fatto allora. Esitò, prima di entrare, restando nascosto oltre la porta della stalla per ascoltarla un po' di più. Non poteva vederla, ma riuscì a immaginarla: allegra, solare e spensierata come sempre. 
«Ehy!» la sentì ridere. «April, ridammelo. Dai, da brava» parlò con voce melodiosa. «Forza, ridammi quello zoccoletto. Non fare i capricci e ti darò un altro zuccherino. Però non dirlo a nessuno che ce li ho» abbassò la voce, ma Reiner poté sentirla comunque. «Solo gli ufficiali possono avere dello zucchero, l'ho rubato di nascosto mentre pulivo i loro alloggi. Sarà il nostro segreto, ok?» ridacchiò e Reiner sentì poco dopo il rumore di ferro contro ferro, qualcosa che strusciava, e la voce della ragazza che si sforzava in qualcosa. «Ma che brava che sei» aggiunse dopo un po' e solo allora Reiner fece capolino oltre la porta. Aveva ricevuto l'ordine di portare in esterno cavalli e attrezzature prima dell'esercitazione, stava decisamente perdendo troppo tempo.
Beatris quando lo vide entrare interruppe momentaneamente il proprio lavoro e lo guardò curiosa. Seduta su uno sgabello, piegata verso il basso, si stava occupando di pulire gli zoccoli della cavalla che davanti a lei era impegnata ad annusarle i capelli. Non si sorprese di vederlo.
«Oggi tocca a te?» chiese Beatris, prima di tornare al suo lavoro. 
«Già» confermò Reiner. «Devo portare fuori i cavalli».
«Prendili pure, sono già pronti» e indicò con una mano un gruppo di cavalli legati in fondo alla stalla, impegnati a mangiare paglia e bere da un catino d'acqua fresca. Avvicinandosi, Reiner poté notare come fosse tutto pulito e ordinato. 
«Da quanto sei qua dentro?» le chiese, prendendo le redini dei primi due cavalli.
«Due o tre ore, forse. Sai, non posso fare molto nelle mie condizioni, perciò mi hanno affidato compiti leggeri ma che richiedono comunque che io sia produttiva» spiegò con un sorriso. Finì di ripulire lo zoccolo di April e raddrizzò infine la schiena. «Ecco fatto! Sei bella pulita, adesso».
«Ti dai da fare, eh?» 
«Cerco di fare quello che posso per restare almeno al passo» rispose, accarezzando April sul collo. «Sinceramente, però, prendermi cura di loro è il compito che più preferisco. Forse anche meglio dell'addestramento. Sono sempre più convinta di aver fatto un errore ad arruolarmi» e, come se fosse veramente divertita, scoppiò a ridere. Reiner portò fuori i cavalli che aveva preso per le redini, li legò alla staccionata, preparò le selle al loro fianco così che ognuno avrebbe potuto montare la propria, e tornò per ripetere l'operazione con gli altri cavalli.
Quando rientrò, vide Beatris in piedi di fianco ad April che questa volta la spazzolava. Non poté impedire al proprio sguardo di spostarsi sulla caviglia infortunata. La poggiava a terra normalmente, non sembrava le facesse più troppo male. 
«Come va la caviglia?»
«Molto meglio, riesco a camminare. Il dottore ha detto che con un altro paio di giorni dovrebbe rimettersi del tutto, non è stato niente di grave per fortuna. Beh, al massimo avrei sempre potuto ripiegare sul fare lo stalliere, ho appena scoperto che è un lavoro che mi si addice, non credi?» ridacchiò e ancora una volta aveva provato a distogliere l'attenzione su qualcos'altro. Ma questa volta Reiner non abbandonò la propria determinazione e ignorò il tentativo. «Volevo chiederti scusa» le si avvicinò. Beatris parve imbarazzarsi e cominciò ad agitare una mano davanti al volto. «Reiner, non hai nulla di cui chiedere scusa. Davvero, lascia perdere Armin. Dalla sua prospettiva sembrava tu mi fossi caduto addosso ma non è vero».
«Ti ho sentita sotto di me, è solo che al momento non ci ho prestato attenzione. Perché menti?» sembrò quasi rimproverarla: era frustrante non poter avere occasione di chiarire apertamente, e scusarsi. Aveva quel peso nel petto, perché non gli permetteva di toglierselo?
L'imbarazzo di Beatris aumentò, diventando quasi insostenibile. Abbassò lo sguardo, rossa in volto, e si strinse nelle spalle come una bambina. «Mi dispiace» mormorò. «Non voglio mentirti, è che davvero credo che tu non c'entri niente. Sono stata io a tirarti indietro e farti cadere».
«Mi hai salvato, però» le rispose Reiner, prima di sospirare: «Avrei dovuto prestare più attenzione» e in quel momento April si intromise tra loro due, avanzando di un passo, e mosse nervosamente il muso in direzione di Reiner, quasi avesse voluto allontanarlo. D'istinto Reiner indietreggiò, spaventato, e Beatris iniziò a ridere.
«Sì, lo pensa anche lei probabilmente». Si spostò, per riuscire a tornare a guardare Reiner, e infine aggiunse con dolcezza: «Ma non io, su questo sono sincera. Sei stato molto coraggioso a correre per primo in soccorso di Eren, l'ho apprezzato tanto. E in quel momento non ho pensato a niente se non che non volevo che ti facessi del male, perciò...» alzò le spalle. «Niente da perdonare, visto?»
Reiner sospirò, vinto dalla logica della ragazza e sentì il peso nel petto cominciare a farsi più leggero. «L'ultima volta mi sono messo nei guai per te, ma poi tu ti sei fatta perdonare con quella carne rubata dalla dispensa dei superiori, ricordi?»
«Ah, sì! Sono felice che ti sia piaciuta» e gongolò, allegra come una bambina. 
«Permettimi di fare altrettanto».
«Vuoi rubare della carne per me?» chiese innocentemente e Reiner non riuscì a non sghignazzare divertito. «Non sono imprudente come te, non penso che lo farei mai».
Si aspettò una risposta di qualche tipo, ma invece Beatris restò in silenzio, a guardarlo, e sorridere piena di allegria. Non seppe bene cosa della sua frase l'aveva resa così di buon umore all'improvviso, ma decise di lasciar stare e finire ciò che aveva iniziato. «Vorrei potermi sdebitare. La prossima volta che avrai bisogno di una mano e sarai nei guai, conta pure su di me, ok?»
«Ok» sorrise Beatris, felice. «Ti ringrazio».
«È così che si fa tra compagni» disse Reiner, tornando al suo lavoro e prendendo un'altra coppia di cavalli. «Ci si aiuta nel momento del bisogno. E io sono felice di poterlo fare».
«Sei una persona molto rigida, non è così?» la domanda lo spiazzò un attimo. Lo era davvero? Quando l'aveva capito? «Non penso di averti mai visto perdere il controllo. E il tuo senso del morale e della giustizia supera di gran lunga qualsiasi altra emozione. Così la gente intorno a te pensa che tu sia una persona affidabile e seria, trasmetti molta fiducia a chi ti sta attorno, ma credo che la cosa rischi a lungo andare di soffocarti un po'. Dovresti respirare, ogni tanto».
Si conoscevano da appena un mese e non aveva avuto modo di parlare con lei più che con altri, anche se aveva provato a darle qualche attenzione in più per seguire il suo obiettivo di farsela amica. Non avevano avuto grandi occasioni per aprirsi e conoscersi meglio, eppure con così poco lei era riuscita comunque a scavargli dentro e scoprire più cose di quante addirittura fosse mai stato in grado di scoprire lui stesso. Era la verità, seguiva la sua morale, i suoi obiettivi, e soffocava tutto il resto, ma qualche volta sentiva le spalle più pesanti che mai. Da quando si era arruolato tra i Guerrieri, a Marley, non aveva fatto altro che stringere i denti e scalare montagne, senza mai prendere fiato. Il tutto si era intensificato quando avevano raggiunto Paradis, e nel tentativo di acquistare la fiducia dei suoi compagni aveva fatto di tutto per mostrarsi affidabile e altruista. Seguiva schemi, non aveva mai fatto altro, ma dentro di sé il vero Reiner arrancava e non riusciva a respirare come avrebbe voluto. Quando era riuscita a capirlo?
Si voltò a guardarla, senza trovare le parole per dire niente. Non sapeva bene come risponderle, ma la cosa certo non l'aveva lasciato indifferente. Si era sentito per un istante senza la sua fidata e sempre impenetrabile corazza, si era sentito per un istante un misero essere umano e non il gigante corazzato. Si era sentito con le spalle scoperte e la cosa l'aveva un po' turbato. Ma lei gli sorrise con dolcezza quasi materna, come se con quel semplice gesto avesse voluto abbracciarlo e dargli un luogo di conforto dove sentirsi al sicuro. «Sai, non sorridi molto di solito» ed era stato quello il suo errore. Il suo non sorridere molto, troppo impegnato a darsi da fare, aveva incuriosito Beatris e l'aveva portata forse a indagare di più, a seguirlo con lo sguardo, ad analizzarlo meglio. E con un'empatia eccezionale era riuscita a comprendere chi si nascondesse dentro la sua corazza. L'aveva sottovalutata, aveva scelto lei per farsi un amico perché l'aveva creduta ingenua e facilmente ingannabile, ma si era sbagliato. Beatris aveva già scoperto ogni cosa... ma per quanto la cosa lo spaventasse, percepì anche un vago senso di benessere. Il Reiner chiuso dentro di lui era appena riuscito a tirare un'ampia boccata d'aria. Da quanto tempo non lo faceva? E soprattutto perché proprio in quel momento?
Forse l'essere stato scoperto gli aveva permesso di sentirsi libero, e ammorbidire così le spalle? Non sapeva cosa avrebbe comportato tutto quello, ma sentì che doveva cambiare approccio. Non avrebbe dovuto prendere Beatris con leggerezza, non era una sprovveduta qualunque. Con lei forse avrebbe dovuto essere un po' più spontaneo, un po' più sincero, un po' più... libero? 
Non era sicuro fosse la soluzione migliore, se ci fosse stato Bertholdt in quel momento forse gli avrebbe detto di ripensarci, allontanarsi da lei, cercare amicizie in qualcun altro, eppure non sembrava disposto a seguire quella via. Forse non era la soluzione migliore, ma era quella che per qualche motivo lo faceva stare meglio. Non riusciva a sorridere, lì a Paradis, ma in quel momento, per qualche strano motivo, gli venne naturale farlo.





N.D.A.


Sì, lo so, siete entrati in questa ff alla ricerca dell’angst e ancora non ce n’è ombra ma tranquilli (sentite come suona maligno sto “tranquilli”)... sto solo appiannando il terreno. E vi sto dando tempo di conoscere meglio Bea e tutta la situazione, prima della catastrofe. A piccole dosi. Intanto beccatevi un po’ di tranquillità e spensieratezza xD

Vi avevo accennato da subito che mi piacciono le canzoni da associare alla storia, a volte troverete qualche estratto per descrivere il capitolo, ma siccome sono una psicopatica ho fatto di più! Ho cercato canzoni che descrivono ogni singolo capitolo (o elementi importanti di questo) e ve le carico qua sotto! Vi chiedo di ascoltarle perché alcune sono DANNATAMENTE PERFETTE! Vi lascio i video con la traduzione, così non avrete difficoltà a seguire le parole (perché sono le parole ad essere importanti, LEGGETELE!!!! È un ordine! xD).
Prendetele però come extra… gli estratti che metterò ogni tanto sono tutte canzoni prese dalla soundtrack di aot e saranno parte integrante della storia, queste solo un di più per entrare di più nella mente e nel mood dei personaggi, come piccoli bonus. 

Per questo capitolo mi sono concentrata sull’accenno che Bea fa a suo padre. Vive la sua vita serena, anche se inizia a emergere il suo senso di inadeguatezza, si chiede se abbia fatto bene ad arruolarsi, emergono i primi dubbi su se stessa. Però poi, in mezzo a tutti i sorrisi e la quotidianità, emerge improvvisamente un velo di malinconia nel ripensare alla sua famiglia, in particolare a suo padre e l’ultimo viaggio fatto con lui prima che morisse. Perciò eccovi un po’ di sana malinconia e tristezza. 
Enjoy!
E alla prossima!

https://www.youtube.com/watch?v=RPsn_LBbv8M&ab_channel=CristianaPagliettaCristianaPaglietta

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***



Pioveva a dirotto ormai da ore. L'acqua che cadeva dal cielo era talmente fitta che Beatris faticava a vedere persino dove mettesse i piedi e ogni tre passi sprofondava in una pozza di fango, rischiando di cadere. Nonostante i cappucci e la giacca, era fradicia da capo a piedi e i vestiti appesantiti dall'umidità non facilitavano la sua corsa estenuante. A bocca spalancata cercava di prendere quanta più aria possibile, ma non era mai abbastanza e puntualmente la pioggia le finiva in gola, rischiando persino di soffocarla. Piegata in avanti, schiacciata dal peso dello zaino pieno zeppo di roba, arrancava e ansimava, correndo su per un pendio scivoloso e ripido. Davanti a lei, almeno una decina di metri più avanti, i suoi compagni riuscivano a tenere il passo più facilmente, seguendo l'istruttore che a cavallo apriva loro la strada. Annaspò ancora, chinandosi sempre più sotto al peso dello zaino e della fatica. Le gambe le facevano male come mai prima di allora, sentiva che le spalle erano sul punto di staccarsi dal corpo, e non riusciva a pensare ad altro che a quanto facesse male.
Scivolò nell'ennesima pozza e cadde a terra, schiacciata dallo zaino e dal suo senso di inadeguatezza. Era l'ultima dello squadrone, lontana almeno una decina di metri e non faceva che allontanarsi. Ed era stata l'unica tra tutti a cedere in quel modo. 
«Bea!» Armin, davanti a lei di qualche passo, si fermò e tornò immediatamente indietro. La prese per un braccio e cercò di farla rialzare. «Non fermarti! Resteremo indietro!»
«Non ce la faccio più» ansimò Beatris, abbandonata nel fango. «Tutto questo... è impossibile. Come fate voi a resistere?»
«Tieni duro, avanti!» disse Armin, cercando di tirarla. «Se restiamo qui perderemo il resto della squadra».
«Vai con loro» mormorò Beatris, decisa ad arrendersi. Non ce l'avrebbe fatta a muovere un solo passo in più, non in quelle condizioni. Era fradicia, tremava dal freddo, e con la pioggia il suo equipaggiamento era diventato più pesante che mai. Sentiva dolori persino in posti che non credeva fossero in grado di far male. 
«Non ti lascio qui da sola, scordatelo!» insisté Armin. Beatris alzò la testa, dando uno sguardo alla loro squadra. Erano veramente lontani, adesso, e più aspettava più rischiavano di restare soli in quel posto sperduto. Dopo avrebbero fatto il doppio della fatica per riuscire a ritrovare la strada per il centro d'addestramento, rischiavano di perdersi e restare in quella foresta, in quelle condizioni, troppo a lungo. E Armin era deciso a non lasciarla sola... 
A causa sua anche lui avrebbe rischiato la vita. Si corrucciò e piantò un piede a terra, spingendosi in avanti e aggrappandosi ad Armin per rialzarsi. Lentamente, riprese ad avanzare, spingendo i propri muscoli al limite. Armin la tenne ben stretta per la manica e continuò a tirarla, per cercare di trascinarla il più avanti possibile, ma ad ogni passo minacciava di cadere di nuovo a terra, troppo stanca, troppo appesantita. Ormai a occhi socchiusi respirava così affannosamente che sentiva la testa girare. 
«Credo di star per svenire» confessò in un mormorio. 
«Avanti! Cerca di respirare in maniera controllata, cerca di sforzarti! Siamo già a metà del percorso, possiamo farcela» disse, sperando di esserle d'aiuto con una carica d'ottimismo. Non erano così vicini alla meta, ma almeno erano a metà. Potevano farcela! Ma Beatris spalancò gli occhi e si voltò improvvisamente verso di lui, gridando sconvolta: «Siamo solo a metà?!» 
La distrazione le costò cara. Non vide un sasso più sporgente degli altri proprio sotto ai suoi piedi e, fradicio di pioggia e fango, finì col scivolarci sopra. Cadde di lato, verso Armin, e gridò dallo spavento. Allungò le mani in avanti, cercò il primo appiglio disponibile e disgrazia volle che fosse proprio l'amico, che ancora le stava a fianco. Lo trascinò giù insieme a lei e finirono entrambi in ginocchio, nel fango. Ormai disperata, scoppiò a piangere come una bambina. 
«È inutile! Non ce la farò mai, faccio proprio schifo!» gridò. 
«Ahi...» lamentò Armin, cercando di rimettersi in piedi. Si voltò preoccupato verso Beatris, pronto a incoraggiarla ancora, cercare di calmarla, ma vide in quel momento Reiner arrivare al loro fianco. Prese Beatris da sotto le braccia e la rimise in piedi. Bastò la sorpresa di sentirsi sollevare da terra di peso a farle smettere di urlare e piangere, confusa su cosa stesse accadendo. Reiner non diede alcuna spiegazione, ma prese lo zaino di Beatris dalle sue spalle, togliendoglielo prima che avesse potuto anche solo dire qualcosa. E avanzò di qualche passo.
«Armin!» disse, voltandosi appena. «State dietro di me!»
«Ma...» mormorò Beatris, dispiaciuta nel vedere che c'era chi ancora si ostinava ad aiutarla, anche a scapito di se stesso. Quell'addestramento era davvero impossibile, sfiancante al limite delle possibilità umane. Anche se Reiner sicuramente era più forte, portare addirittura due zaini lo avrebbe devastato. E la colpa era ancora una volta la sua... con la sua debolezza, con la sua incapacità, non faceva che creare problemi a tutti quelli che aveva attorno. Armin la prese per mano e riprese a correre, trascinandola lungo il percorso. 
«Andiamo Bea!» disse.
Correre senza il peso dello zaino sulle spalle era sicuramente più facile, perlomeno riuscì a restare in piedi e proseguire, anche se continuava a restare in fondo alla colonna. E così facendo rallentò anche Armin, che cercava di sostenere lei, e Reiner che era deciso ad aprire loro la strada, non lasciarli soli. 
«Se l'istruttore ti vedesse... finiresti nei guai» mormorò lei, arrancando alle spalle di Reiner.
«Non preoccuparti, preferisco una punizione piuttosto che sapervi sperduti tra i boschi. Pensa solo a correre».
Una punizione... si sarebbe preso un'altra punizione a causa sua. Non voleva, ma correre con quello zaino sulle spalle era troppo per lei. Non riusciva neanche a stare in piedi. Era così debole, rispetto al resto dei suoi compagni, mentre Reiner, al contrario, riusciva a tenere il passo persino con due zaini sulle spalle invece che uno solo. Come riusciva a essere così forte? Come riuscivano tutti a essere più forti di lei? E perché c’era sempre chi doveva subire le conseguenze della sua debolezza? Non era giusto. Si era arruolata per un motivo ben preciso, se avesse continuato così non sarebbe mai arrivata da nessuna parte. Doveva diventare più forte. Doveva trovare una soluzione... 
Arrivarono finalmente alla fine del percorso e Reiner le diede indietro il suo zaino un attimo prima che l'istruttore li vedesse. Era palesemente stremato, respirava affannosamente e Beatris era convinta che ciò che gli bagnava il volto non fosse solo pioggia. 
«Grazie...» mormorò, avvilita. 
«L'addestramento non è un gioco, non è da prendere sotto gamba» l'ammonì Reiner. «Se credi di non essere in grado, allora dovresti mollare e basta».
Beatris si strinse nelle spalle, sentendo quelle accuse premere come massi sulla sua già indebolita coscienza. Gli aveva dato davvero un sacco di problemi, eppure nonostante fosse stata un palese peso per lui e per Armin, era stato comunque disposto ad aiutarla. Era davvero una persona di buon cuore, non poteva essere altrimenti, e la gratitudine per il suo sacrificio peggiorarono ancora di più il suo senso di colpa. Forse avrebbe davvero dovuto mollare...
«Ma...» proseguì Reiner, sgranchendosi la schiena indolenzita. «Se credi invece che questa sia la tua strada e sei convinta di voler arrivare in fondo, allora non fermarti. Indipendentemente da dove arriverai, da come ti ridurrai, tu continua ad andare avanti. Mettersi a piangere e lamentarsi di fare schifo non ti aiuterà in nessun modo. Cerca sempre di proseguire, ok?»
E Beatris alzò gli occhi su di lui, sentendosi improvvisamente più leggera. Non aveva cercato di rimproverarla, le aveva solo messo davanti la realtà e spinta a prendere una decisione, a prendere consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto fare. Arrivare in fondo all'addestramento era davvero ciò che voleva, potersi arruolare nel corpo di ricerca insieme ai suoi amici era tutto ciò a cui anelava. Reiner non l'aveva rimproverata, l'aveva aiutata... ancora una volta. Lei non avrebbe dovuto fermarsi mai più. Doveva muoversi. Anche a costo di andare in pezzi, doveva muoversi. 
«Ok...» mormorò, colpita dalle parole di Reiner. E lo guardò allontanarsi, per raggiungere il resto della squadra che ora entrava dentro una baita per concedersi finalmente riposo e calore. 
«Andiamo» le disse Armin. «Dobbiamo riposare anche noi».
E la guidò all'interno della baita, dove ad attenderli c'erano un camino acceso e un pasto caldo. 
La sera stessa tornarono al centro d'addestramento, ma Shadis era assolutamente deciso a non dar loro tregua. La mattina dopo li aspettò nel cortile con l'attrezzatura d'addestramento per il movimento tridimensionale. Erano ancora nella fase di allenamento per l'equilibrio, ma di lì a una settimana ci sarebbe stata la verifica finale, ed erano in pochi a non aver ancora preso destrezza con l'attrezzatura. La maggior parte di loro riusciva a restare perfettamente in equilibrio, sospeso per aria, senza il minimo sforzo. Beatris guardò la struttura in ferro a cui sarebbe stata legata da lì a pochi minuti come il peggior mostro che avesse mai dovuto affrontare. Era ancora indolenzita per il giorno prima e questo non l'avrebbe aiutata, ma non aveva fatto che ripensare alle parole di Reiner. Piangersi addosso e dire che faceva schifo non l'avrebbe aiutata in nessun modo, lei doveva andare avanti. Continuare a muoversi. Si avvicinò all'impalcatura a lei destinata e si concentrò scrupolosamente sull'allacciamento, che ormai lasciavano che facessero da soli, per imparare a conoscere al meglio la propria imbracatura. Diede l'ok all'istruttore e infine questo la sollevò da terra, tenendola alzata almeno un paio di metri sopra al suolo. Si corrucciò, si concentrò e sforzò ogni muscolo possibile, anche se dolorante. Ciondolò per un po', sentendosi cadere ora in avanti ora indietro, ma cercò sempre di riequilibrare il peso e tentare di restare dritta. Ma più si sforzava nel ridistribuire il peso, più sembrava sbagliare e darne sempre troppo da un lato o dall’altro, e le oscillazioni aumentarono invece che diminuire. Infine guardò il mondo ribaltarsi davanti ai suoi occhi. Cadde in avanti, lanciando un urlo terrorizzato, e finì col penzolare come un salame a testa in giù.
«Merda» digrignò i denti, frustrata. Si diede un paio di spinte con le gambe, cercò di rialzarsi e tornare dritta, ma questo non causò altro se non ulteriori oscillazioni che la fecero ciondolare avanti e indietro come su un'altalena. Non riuscì più a trattenersi e lanciò un urlo nervoso, troppo accecata dalla rabbia. Perché non ci riusciva? Perché doveva essere così negata veramente in ogni cosa?! Sgambettò, con i piedi per aria, furiosa. 
«Fatemi scendere da questa macchina infernale!» ruggì, non trovando modo di rimettersi dritta da sola. Con un sospiro rassegnato l'istruttore si avvicinò a lei, pronto a tirarla giù, ma ormai era rimasta troppo tempo con la testa penzoloni verso il basso. Beatris sentì il sangue confluire al cervello fin troppo e lo stomaco cominciare a rovesciarsi. Si sentì sempre peggio, mentre aspettava di essere rimessa a terra, e infine si accasciò lasciando cadere le braccia verso terra e le gambe distese. 
«Sto per vomitare...» confessò, pallida. Quando infine toccò terra, restò distesa lì dov'era, moribonda. 
«Andiamo Moreau, ti porto in infermeria» le disse l'istruttore, avvicinandosi per prenderla e costringerla ad alzarsi. Beatris piantò le mani a terra e si sollevò di colpo, puntando lo sguardo all'istruttore davanti a lei. «No! Sto bene! Posso riprovarci!» gridò, determinata, ma il movimento improvviso fu fatale per il suo stomaco già disastrato. Divenne verde improvvisamente e prima che potesse anche solo accorgersene stava già rimettendo la colazione, dritta sulle scarpe dell'istruttore che aveva davanti. 
«Oh no...» sibilò, riaprendo gli occhi e accorgendosi del disastro. «Gliele pulisco subito! Mi dispiace!» disse, in preda al panico. Si tolse la giacca dalle spalle e la usò come un fazzoletto, per pulire le scarpe dell'istruttore, ma questo l'afferrò immediatamente per i capelli e la sollevò da terra. «Ma che stai facendo?!» le ruggì contro. Non seppe mai se a farlo incazzare di più fosse stato il suo fallimento, la vomitata o l'aver usato la propria divisa per pulirlo. Forse una combinazione di tutte le cose, ma qualsiasi fosse il motivo, neanche dieci minuti dopo si trovò nell'ufficio di Shadis. A testa china, la vergogna sul volto, la rabbia nel cuore, Beatris ascoltò il comandante urlare e brontolare per i successivi venti minuti. E infine Shadis la mandò via, piena di rammarico e di sensi di colpa. Perché non riusciva proprio a non essere così debole? Era decisa ad andare avanti, il discorso del giorno di prima di Reiner glielo aveva fatto capire, l'aveva riempita di determinazione, eppure niente andava per il verso giusto. E come se non fosse stato abbastanza, ora aveva un ultimatum sulla testa. Shadis l'aveva redarguita: se non fosse riuscita a superare l'esame della settimana dopo, con l'attrezzatura per il mantenimento dell'equilibrio in aria, sarebbe stata cacciata fuori dall’esercito. Con o senza la sua volontà. 
Restò pensierosa per tutto il resto della mattinata, seduta su un lettino in infermeria dove le era stato ordinato di restare, per cercare di riprendersi. Fino a che non fu ora di pranzo e le venne dato il via libera. Entrò nella sala comune, dove i suoi compagni erano già impegnati a mangiare e rifocillarsi. Mosse gli occhi su ciascuno di loro e trovò, in chi riuscì a vederla, solo denigrazione o compassione. Era terribile, sempre peggio. Doveva assolutamente risolvere quel problema e c'era solo una cosa a cui riusciva a pensare. 
Reiner era seduto al proprio tavolo, concentrato sul proprio piatto, quando con la coda dell'occhio vide un'ombra muoversi al suo fianco. Si voltò a guardarla e sobbalzò, dapprima terrorizzato, quando vide Beatris sbucare solo con gli occhi da sotto al suo tavolo. Inginocchiata di fianco a lui, lo fissava quasi con ostilità e non diceva niente. Sembrava un mostriciattolo sbucato da sotto al letto di un bambino, faceva quasi venire i brividi. 
«Che stai facendo?» le chiese, turbato. 
«Come fai a essere così forte?» gli chiese Beatris, decisa. 
«Eh?» mormorò, confuso. 
«Qual è il tuo segreto? Ce l'hai nel sangue? Ti viene naturale? Sei nato così?» insisté.
«Non... ho nessun segreto» rispose, sempre più confuso. «Mi sono solo allenato molto».
E solo allora Beatris si alzò in piedi. Quasi sbatté le mani sul tavolo e si sporse verso di lui, improvvisamente animata da un nuovo fuoco. «Perciò esiste un modo per diventare più forti?! Tu lo conosci!»
«Certo che esiste ma non credo sia un segreto».
«Tu mi devi un favore per averti salvato dalla zoccolata di April!» gli disse improvvisamente, puntandogli un dito contro, minacciosa. «Perciò insegnami!»
«Mi stai ricattando?» storse il naso, lievemente irritato. «E poi mi sembra di essermi già sdebitato abbastanza, ieri nel bosco».
Beatris fece un lungo sospiro, arrendevole, e si spostò dal bordo del tavolo, mettendosi a sedere sulla panca al fianco di Reiner. «Hai ragione, non dovrei crearti altri problemi. Ma... non so davvero a chi altro provare a rivolgermi» confessò, avvilita.
«Non hai degli amici?» le chiese, retoricamente. Armin, Mikasa e Eren erano ovviamente molto legati a lei, l'avrebbero aiutata volentieri. 
«Armin non è messo molto meglio rispetto a me, Eren mi urlerebbe contro e basta e per Mikasa sarebbe impossibile spiegarmi come fare. A lei viene naturale, non lo fa seguendo una logica, mi direbbe solo di continuare a provarci. Ma è ovvio, ormai, che io stia sbagliando qualcosa... tu invece sei arrivato a tanto perché ti sei allenato, sai come si fa, e...» arrossì lievemente, imbarazzata per quanto stava per dire. «E sei sempre molto gentile con tutti, anche con me, mentre gli altri non fanno che prendermi in giro».
«Hai vomitato sulle scarpe di un istruttore, sfiderei chiunque a non prenderti in giro» disse Reiner, tornando a mangiare il suo pasto. Beatris si voltò verso di lui e si portò le mani davanti al volto, unite in forma di preghiera. «Te lo chiedo per favore, Reiner! Giuro che non ti infastidirò, sarò disciplinata e ascolterò tutto quello che mi dirai! Ti prego, aiutami».
Reiner sondò per qualche istante la sua espressione contrita. Stretta in se stessa, con gli occhi serrati e la mani unite davanti alla sua faccia. Era davvero disperata e per qualche ragione sentiva che avrebbe davvero voluto fare qualcosa per rispondere a quella sua sincera e sviscerata richiesta. 
«Perché vuoi diplomarti all'accademia?» le chiese, tornando a mangiare. 
«Eh?» mormorò Beatris, abbandonando la sua postura. «Perché me lo chiedi?»
«Voglio capire fin dove arriva la tua determinazione. Quanto sei disposta a sacrificare».
«Io...» mormorò, distogliendo lo sguardo e puntandolo al tavolo. Si portò le mani sulle gambe e tornò a stringersi in se stessa. «Credo tutto. Sono disposta a sacrificare tutto» rispose. «Dopo Shiganshina non mi è rimasto niente se non Armin, Mikasa e Eren. Non voglio perdere anche loro...»
Non le era rimasto niente? E quella sorellina che aveva visto alla cattedrale?
«Non... hai una famiglia da cui tornare?» azzardò, senza scendere troppo nei dettagli. Sarebbe stato imbarazzante anche per lui confessare che l'aveva osservata così a lungo, quella volta, preferì non farglielo capire. 
«Sono loro la mia famiglia» rispose Beatris e gli sembrò una risposta più che convincente. Non aveva che loro, era davvero disposta a tutto pur di non perderli, anche ridursi a essere lo zimbello dell'intero corpo cadetti. Anche arrivare a implorare aiuto così esplicitamente. 
Reiner sospirò, vinto. «Dopo l'allenamento del pomeriggio, prima di cena, dovremmo avere un paio d'ore libere. Ti aspetto al terzo cortile».
«Evviva!» Beatris esplose improvvisamente di gioia. Si lanciò addosso a Reiner, avvolgendogli le braccia intorno al busto, e lo strinse in un goffo abbraccio. «Grazie Reiner!» esclamò, felice come una bambina. Lo lasciò pochi istanti dopo, senza accorgersi dell'improvvisa paralisi in cui Reiner sembrava essere appena caduto. Con la bocca ancora aperta, il cucchiaio a pochi centimetri dal suo volto, gli occhi sgranati, non si muoveva di un solo centimetro. Lei si alzò e si allontanò con un rapido: «A dopo, allora!» lasciandolo solo nel suo mondo improvvisamente gelido e caldo allo stesso tempo. Era stata la cosa più dolce che gli fosse mai successa in tutta la sua vita. Mai prima di allora qualcuno lo aveva apprezzato tanto, mai prima di allora qualcuno gli aveva rivolto così tanta stima e... era mai successo che qualcuno che non fosse sua madre lo abbracciasse? Beatris se n'era andata già da un paio di minuti abbondanti eppure riusciva ancora a sentire il calore delle sue braccia intorno al petto. 
"È un demone... è solo un dannato demone... nient'altro che un demone" si ripeté, ma si accorse presto che lo faceva solo per autoconvincersene. Sentiva il cuore pulsargli in petto più forte del normale e uno strano calore prendere sempre più possesso del suo volto. Stava per caso... arrossendo? Per una cosa come quella?! 
Posò finalmente il cucchiaio nel suo piatto, con la zuppa lasciata a metà, e lentamente la spinse di qualche centimetro lontano. 
«Non ho più fame...» mormorò tra sé e sé, irritato. Se non si fosse trovato in mezzo a tutto il resto dei suoi compagni probabilmente avrebbe ceduto a quell'improvviso desiderio che adesso aveva di ribaltare completamente il tavolo. E cominciare a tirargli testate solo per togliersi dalla mente simili stupidaggini. 


Era quasi il tramonto quando finalmente, fermo al centro del cortile, Reiner vide arrivare anche Beatris, puntuale. Lei gli corse incontro, alzando una mano per salutarlo, e allegra e pimpante gli si fermò davanti. «Eccomi! Sono pronta. Che facciamo?» chiese, euforica. 
Reiner la guardò torvo, con le braccia incrociate al petto. Era rimasto nervoso tutto il giorno dopo l'ora di pranzo, arrabbiato con se stesso per aver apprezzato così tanto il suo gesto. Ma per quanto l'istinto gli dicesse di allontanarsi quanto prima, lasciarla perdere, non riusciva a rifiutare totalmente il desiderio che adesso aveva di aiutarla davvero. E poi mostrarsi gentile con gli altri faceva parte della sua missione, non avrebbe potuto rifiutarsi.  Doveva farlo, doveva riuscire a diventarle amico senza perdere il controllo di se stesso. 
La scrutò da capo a piedi con severità e infine disse: «In punta di piedi».
«Eh?» mormorò Beatris, confusa. Ma fissò il suo sguardo forte e deciso e infine eseguì. «Così?»
«Allarga le braccia» continuò Reiner, e per quanto Beatris non capisse dove stesse cercando di arrivare obbedì. In fondo aveva promesso che avrebbe fatto tutto quello che le diceva. 
«Adesso alza un piede» ordinò Reiner e Beatris ancora eseguì, ma spalancò gli occhi spaventata quando si sentì immediatamente sbilanciare da un lato. Cercò di restare in equilibrio, muovendo un po' le braccia, ma come per l'attrezzatura di addestramento al movimento tridimensionale più si muoveva più si sentiva sbilanciare. E infine cadde da un lato. Piantò in tempo il piede a terra e si evitò così di sfracellarsi al suolo. 
Reiner aggrottò le sopracciglia, contrariato, e disse: «Hai un pessimo equilibrio».
«Grazie, lo sapevo anche io!» ruggì lei, frustrata. 
«Riprova» le ordinò, facendo un passo indietro per darle spazio. «Finché non riuscirai a restare ferma».
«Ma che razza di addestramento è questo?» lamentò lei, contrariata. Ma non si oppose all'ordine e tentò nuovamente. 
«È quello che ti serve per superare l'esame della prossima settimana. Hai bisogno di allenare il tuo equilibrio, abbiamo solo una settimana a disposizione ma cercherò di farmela bastare».
«Eh? Vuoi... aiutarmi per tutta la settimana?» mormorò Beatris, oscillando sul suo singolo piede. Reiner la guardò quasi cadere di nuovo, e tentare ancora. 
«Non è quello che mi hai chiesto?» 
«Certo...» mormorò lei, arrossendo lievemente. «Ma pensavo che ti saresti limitato a darmi qualche dritta, non credevo che avessi intenzione di seguirmi per tutta la settimana...» confessò. «Non vorrei recarti troppo disturbo».
«È troppo tardi ora per pensare di disturbarmi, e comunque non sarei qui se non volessi farlo».
«Grazie...» disse lei prima di lanciare un gridolino per aver di nuovo perso l'equilibrio. 
«Concentrati su un punto fermo» le suggerì. «E fai movimenti minimi per stabilizzarti, se ti agiti finirai solo col peggiorare la situazione».
«Va bene!» disse, determinata. «Punto fisso! Movimenti minimi!» mormorò concentrata e cercò di eseguire, muovendosi il minimo indispensabile e fissando un punto davanti a sé con tale forza che sembrava avesse voluto incendiarlo con la forza del pensiero. Ma spalancò improvvisamente gli occhi quando si rese conto di essere di nuovo eccessivamente inclinata su di un lato, mossa questa volta lentamente non si era accorta dell'eccessivo sbilanciamento fino a quando non aveva sentito la gravità trascinarla a terra. Gridò, in preda al panico, e d'istinto alzò le braccia al cielo mentre vedeva il terreno avvicinarsi pericolosamente al volto. 
«Ma che...» sibilò Reiner, sconvolto, e si mosse rapido in avanti. Riuscì a prenderla in tempo, prima di vederla sfracellarsi al suolo, e Beatris restò appesa al suo braccio come priva di vita per qualche istante. Poi si voltò a guardarlo con le lacrime agli occhi: «Non ci riesco...»
«Ti stai di nuovo mettendo a frignare?» le chiese, raddolcito dalla sua espressione avvilita. 
«Non sto piangendo» tirò su col naso. Reiner sospirò affranto e riuscì a sentire improvvisamente tutto il nervoso provato fino a quel momento scivolare via dalle sue spalle. Quella ragazza aveva decisamente bisogno di aiuto e glielo voleva dare. Glielo voleva dare assolutamente. Ma perché? Perché sentiva quell'assurda sensazione di tranquillità e leggerezza tutte le volte che incrociava il suo sguardo? Era così genuina, così innocente, così pura... come poteva essere un demone?
«È naturale non riuscirci le prime volte, non abbatterti subito» le disse con dolcezza. «È per questo che si chiama allenamento. Devi provarci continuamente e solo provando alla fine riuscirai a farlo».
«Va bene» annuì lei, ancora appesa al suo braccio.
«Hai intenzione di rialzarti da sola o dovrò tirarti di nuovo su io?» le chiese, sentendo gli angoli della bocca allungarsi in un vago sorriso. Come se l'avesse trattenuto, come se non avesse voluto farlo uscire, ma alla fine questo avesse vinto contro tutte le sue convinzioni. Beatris si aggrappò al suo braccio e si rimise finalmente in piedi.
«Fai un gran sospiro, cerca prima di tutto di calmarti» le suggerì, restandole questa volta di fronte. Beatris chiuse gli occhi e prese un'ampia boccata d'aria, allargando il petto il più possibile, trattenendola nei polmoni e poi lasciandola uscire lentamente. 
«Sono calma» decretò infine. 
«Bene. Riproviamoci finché non ci riuscirai».
«Va bene» annuì lei e tornò ad allargare le braccia. Riaprì gli occhi, cercò il suo punto fisso che questa volta fu proprio il volto di Reiner, l'unica cosa che avesse davanti, e tornò ad alzarsi sulla punta di un singolo piede. Lui le restò di fronte e le appoggiò le mani sotto le braccia, aiutandola prima a trovare una posizione più dritta. Poi lentamente la lasciò andare ma restò comunque davanti a lei, pronto a sorreggerla se fosse di nuovo caduta. E proseguirono, tentativo dopo tentativo, fino all'ora di cena. In quelle due ore non avevano fatto molti progressi, Beatris risultava ancora instabile, ma perlomeno riuscì a non cadere più anche senza l'aiuto di Reiner. Nei giorni successivi, ogni buco libero lo riempirono di quegli esercizi che Reiner studiava appositamente per lei, aumentando sempre più il grado di difficoltà. Sporgersi in avanti, muovere la gamba, fare qualche affondo, provare a restare in equilibrio su qualche oggetto sottile. Non era mai eccezionale nell'esecuzione, ma i miglioramenti si vedevano ed erano rapidi, anche se qualche volta era finito col rimetterci anche lui. Aveva perso il conto del numero di volte che lei, cadendo, l'aveva trascinato a terra con sè mentre cercava di sostenerla. Ma il più delle volte il tutto si concludeva con qualche risata e qualche livido che tanto sarebbe sparito nel giro di un paio di giorni. Al contrario di quella sensazione di benessere sempre crescente che aumentava, giorno dopo giorno, nel passare la maggior parte del loro tempo libero insieme. Imparò a conoscerla e più lo faceva più sentiva la determinazione ad aiutarla crescere sempre più dentro sé. Senza accorgersene, cominciò a provare ogni giorno sempre più una certa impazienza, nell'attesa del primo momento libero in cui avrebbe potuto tornare a passare del tempo in sua compagnia. Era distensivo, era risollevante... gli dava un buon umore che non credeva sarebbe mai stato capace di provare, soprattutto in un luogo come quell'isola. Era... assurdamente divertente. Il più delle volte, quando ormai lei aveva cominciato a padroneggiare meglio il proprio equilibrio tanto da permettersi di chiacchierare mentre faceva i suoi esercizi, quelle ore divennero qualcosa di simile a un incontro tra amici che parlavano del più e del meno, per distrarre la mente. Sentirsi più leggeri. 
E infine arrivò il giorno dell'esame. 
Reiner uscì nel cortile insieme al resto dei suoi compagni, con l'imbracatura già pronta e una lieve tensione a irrigidirgli i muscoli. Ci era sempre riuscito, sapeva che quell’esame non sarebbe stato difficile per lui, ma era pur sempre un esame e l'ansia giocava sempre brutti scherzi se non propriamente preparati. Seguì il suo gruppo, avvicinandosi alle attrezzature installate per testare il loro equilibrio in sospensione, ma non si avvicinò totalmente, attirato da una voce disperata. 
«Reineeeeeer!!!» sentì gridare Beatris, in preda al panico. Si voltò allarmato a guardarla, chiedendosi cosa stesse accadendo, e se la vide correre incontro in lacrime. «Non mi lascia in pace!» gridò piombandogli addosso. Lo afferrò, se lo trascinò contro e cercò di nascondersi dietro di lui. «È posseduto! È un demone dell'inferno! Fermalo!» gridò, continuando a muoversi in preda al panico intorno a lui, tirandolo a strattonandolo per cercare di usarlo come scudo. 
«Ma che...» mormorò confuso e turbato per il trattamento che lo portava quasi ad arrancare sui suoi stessi piedi. E solo in quel momento vide l'oggetto del terrore: un insetto, grande almeno tre centimetri, nero e spaventosamente rumoroso nel suo volargli intorno. Sventolò una mano, cercò di scacciarlo, ma l'insetto gli volò attorno senza arrendersi nel suo feroce attacco. 
«Ma da dove arriva?!» lamentò, continuando ad indietreggiare e provare a scacciarlo. 
«Non lo so» piagnucolò Beatris, strattonando Reiner da un lato e facendolo quasi cadere a terra. «Mi sono appoggiata a una ringhiera e lui ha iniziato a inseguirmi da allora! Mi sa che l'ho quasi schiacciato senza volerlo e si è arrabbiato».
L'insetto volò spedito verso il volto di Reiner e lui ancora indietreggiò e sventolò una mano per scacciarlo via. Riuscì a colpirlo, lo lanciò da un lato, ma Beatris era proprio in traiettoria e se lo vide piombare addosso. Urlò terrorizzata, tirò Reiner da un lato per provare ancora a usarlo come scudo, ma fu il gesto decisivo. Inclinato all'indietro, strattonato da un lato, si trovò a incespicare sui piedi di Beatris dietro di lui. E caddero infine entrambi a terra. 
«Ma perché devo sempre finire a terra tutte le volte che mi stai intorno?» lamentò Reiner, steso, immobile. Troppo affranto per quella ridicola situazione per trovare subito le forze di rialzarsi. Non finì la frase che l'insetto, moribondo per la botta di poco prima, gli volò su una guancia trovando lì il suo appoggio per cercare di riprendersi. Reiner impallidì, ma non ebbe il tempo di pensare a come reagire che Beatris lo fece prima di lui. Lanciando un grido spaventato, caricò la mano in direzione dell'insetto... e colpì Reiner in pieno viso con uno schiaffo. Lui non ebbe neanche la forza di reagire. Spalancò gli occhi, allucinato, e con la guancia dolorante si alzò a sedere puntando uno sguardo severo, al limite del furioso, a Beatris. 
«Ahia» disse deciso, come fosse stato un insulto. Ma lei non lo considerò minimamente, concentrata a osservarsi ora la mano con cui l'aveva colpito. Infine gliela mostrò, con innocenza, dicendo candidamente: «L'ho preso».
Sul suo palmo ora giaceva una poltiglia di ali frantumati, liquido viscido ed esoscheletro a brandelli. 
«Non ti ha punta, vero?!» le chiese allarmato, ma non fece nemmeno in tempo a finire la frase che la vide corrucciare le sopracciglia e contorcersi in un'espressione quasi sofferente. «Oh no...» mormorò, sventolandosi la mano pulita davanti al volto. «Polvere nel nas...» e starnutì. Portandosi istintivamente la mano destra davanti alla bocca, per coprirsi: la stessa mano su cui giaceva ancora il cadavere dell'insetto. Si accorse troppo tardi dell'errore, razionalizzando ciò che era successo solo quando sentì la viscosità dell'insetto quasi sfiorarle le labbra e il terribile fetore che emanava arrivarle dritto nelle narici. Si allontanò la mano dal volto con uno scatto, indietreggiò con la testa e gridò nauseata: «Che schifo!!!»
Reiner restò paralizzato, a guardarla interdetto e sconvolto. Tutto quello... era al limite dell'assurdo. Era troppo anche per riuscire a pensare a qualcosa, porsi delle domande. Non riusciva proprio a credere a ciò che aveva appena assistito, ciò che era appena successo anche a lui. Era stata un'escalation di disastri stupidi e ridicoli, che aveva per la maggior parte causato lei. Per stupidità, forse solo per sfortuna, non seppe dirlo. Ma era davvero ridicolo. La cosa più inverosimile che avesse mai potuto anche solo immaginare. Ed era incredibilmente esilarante. 
Una risata gli sfuggì dalle labbra in uno sbuffo e si portò subito una mano alle labbra, cercando di nascondercela dentro. Ma più ci pensava e più non riusciva a trattenersi. Quella ragazza si stava addestrando per abbattere giganti e alla fine era stata completamente distrutta da un ridicolo insetto. Come se non fosse stato abbastanza, con quel suo ultimo gesto, aveva concluso l'opera nel peggiore dei modi. Ed era stata colpa sua, della sua ingenuità che a volte non la facevano pensare alle conseguenze e che la portavano ad agire solo d'istinto. Sghignazzò, stringendosi la mano sulla bocca nel tentativo di nasconderlo, inutilmente. E più la sentiva lamentarsi, più la vedeva sventolare la mano nel tentativo di liberarsi del cadavere e dei suoi residui, sempre più disperata e disgustata, più sentiva l'ilarità accecarlo completamente. 
«Non ridere delle mie disgrazie!» ruggì infine Beatris, irritata nel vederlo deriderla. E lui reagì altrettanto velocemente rinfacciandole: «Tu sei una disgrazia!»
«Ti ho salvato la vita! Poteva pungerti! Dovresti ringraziarmi!»
«Mi hai tirato uno schiaffo!» e Beatris parve notare la sua guancia colpita solo in quel momento. L'osservò per qualche istante, curiosa, poi scoppiò a ridere anche lei. 
«Hai il segno delle dita in faccia!» rise sganasciatamente e Reiner spalancò gli occhi sconvolto. Si portò una mano alla guancia e si accorse solo in quel momento che gli faceva veramente male. Sospirò, vinto, ma ancora divertito. «Ribadisco, sei una disgrazia».
Ma restò ad ascoltarla, a lungo, mentre rideva tanto forte da farsi quasi venire le lacrime agli occhi. Era rasserenante. Era veramente incredibile come fosse in grado con poco di distendergli davvero ogni muscolo. 
«Beatris Moreau!» la chiamò Shadis e fu quello a fermare il suo moto di ilarità. Beatris scattò in piedi, si ripulì velocemente la mano sulla giacca sotto lo sguardo contrariato di Reiner, e si avvicinò all'impalcatura. Pronta a sostenere la sua prova definitiva. Shadis le si piazzò davanti, con una cartelletta tra le mani, e restò ad osservarla. Attento. Beatris fece un profondo sospiro, cercò la calma, poi iniziò a legarsi. Diede infine l'ok per essere sollevata e sentì essere travolta da quel senso di instabilità che conosceva ormai fin troppo bene. Mosse un po' i piedi, allargò lievemente le braccia, cercò con tutta se stessa di non perdere l'equilibrio. Ma si sentiva vacillare, per quanto si sforzasse oscillava fin troppo e sapeva che se avesse continuato ad agitarsi avrebbe solo fatto peggio. Doveva trovare il suo centro... il suo punto fisso. E puntò gli occhi a Reiner, ora in piedi insieme al resto dei suoi compagni, che la osservava apprensivo. Reiner le fece un cenno d'assenso, cercando di trasmetterle con quel semplice gesto sicurezza e concentrazione. Si erano esercitati tanto, poteva farcela, per quanto fosse difficile. Sapeva che poteva farcela... desiderava che potesse farcela! Se avesse fallito sarebbe stata cacciata e allora chi l'avrebbe travolto portandosi dietro insetti dalla dubbia docilità? Chi sarebbe riuscito ad alleggerirlo tanto da farlo ridere, persino su quell'isola di demoni, con una missione imponente sulle spalle? Si tese, nervoso, ma non perse il contatto visivo con lei. Come se fosse capace di parlarle solo con quello, dirle cosa doveva fare. La vide, rigida, ammorbidirsi lentamente ma non abbandonare il suo sguardo concentrato. E infine restò immobile dov'era, perfettamente in equilibrio, anche se con qualche oscillazione di troppo di cui però riprendeva subito il controllo. Restò così secondi, minuti, e infine Shadis decretò: «Va bene, tiratela giù. Esame superato».
Beatris spalancò improvvisamente il volto in un luminoso sorriso, pieno di felicità ed emozione. E lo destinò tutto a Reiner, investendolo con quel suo mare di gratitudine che parve avere la potenza di un'ondata. Lo travolse con la sua allegria, lo ricoprì totalmente e infine lui si sentì tirare a picco, trascinato dalla corrente. Neanche si accorse di starle sorridendo a sua volta, disteso, felice.




NDA.


Continuiamo con l’approfondimento del carattere e soprattutto della loro relazione :3  Beatris è un piccolo uragano, piena di euforia, rumorosa e forse proprio per questo rasserenante. Reiner sente il peso della missione sulle spalle, vede nemici ovunque si giri, ma lei col suo modo di fare solare e infantile riesce a distenderlo. E non ne capisce il motivo… no, nemmeno voi lo capite, ve lo dico io xD C’È il motivo dietro, non è solo “aaaww è simpatica”, e presto verrà a galla. Lui non la conosce, eppure qualcosa dentro di lui lo spinge a volerle stare vicino… chissà cosa. Lo saprete presto :P
Nel frattempo si lascia coinvolgere e finisce con l’iniziare a provare reale simpatia e affetto per questo sgorbietto rumoroso e impertinente. 

Vi lascio la canzone del “giorno” :P eheheh
Anche se cantata da una voce femminile, è riferita a Reiner. Si sente sperduto in quel posto “oscuro”, aspettando di poter tornare a casa, è tutto ciò che desidera. E mentre è lì che ragiona sul senso della sua vita compare Bea e quasi le chiede di prenderlo per mano, portarlo in posti nuovi (metaforicamente… intesi come momenti nuovi, cose che non credeva possibili, perché quando è con lei riesce persino a essere… felice?), non sa chi lei sia effettivamente… ma “i’m with you”.

https://www.youtube.com/watch?v=Q_ItzTJfNV8


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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


La vita al centro d'addestramento era faticosa, estenuante, ma alla fine non era nemmeno troppo male. Per qualche strana ragione, ogni mattina, Beatris si svegliava col cuore pieno di calore. Forse era la vicinanza con Mikasa, il loro dormire sempre insieme, a metterle il buon umore, o forse la quantità innumerevole di nuove amicizie che stava stringendo. Tutte quelle persone, tutte le loro particolarità, la rallegravano, la divertivano, la distraevano. E poco importava se non era un granché negli esercizi, se faceva sempre più fatica rispetto agli altri, durante le pause lei aveva sempre qualcosa e qualcuno con cui sorridere. 
Quella mattina si vestì con la divisa il più velocemente possibile, affamata come poche volte lo era stata. Si infilò una canottiera più pesante sotto la camicia, quella notte aveva spolverato un po' di neve le temperature erano particolarmente rigide. 
«Dai, Mikasa!» gridò, uscendo fuori dal dormitorio. Non l'aspettò e corse fuori.
Dietro di lei, pochi istanti dopo, sentì l'urlo euforico di Sasha mentre correva per raggiungerla. «Ha nevicato!» gridò, rossa in volto forse per l'emozione o forse per il freddo. Beatris alzò gli occhi al cielo, ancora plumbeo. 
«Forse ne farà ancora in giornata» mormorò, affascinata dal colore opaco delle nuvole. Una palla di neve, piccola e ben compattata, tanto da sembrare più ghiaccio vivo, le volò incontro e la prese in piena nuca. Con un lamento per poco non cadde a terra.
«Che male!» gridò, voltandosi a cercare l'artefice di quell'affronto. Sasha era china per terra e stava già cercando di formarne un'altra con la poca neve che riusciva a raccogliere in giro. Christa si inginocchiò di fianco a lei, preoccupata. «Sasha, ferma! Non è neve morbida, stai creando dei proiettili non delle palle! Rischi di fare male a qualcuno» ma la ragazza patata la ignorò e scavò per terra cercando di prendere quanta più neve possibile. Non appena pronta, puntò gli occhi infuocati a Beatris e sghignazzò, pronta a colpirla ancora.
«Ferma!» gridò Beatris e si voltò, per scappare il più lontano possibile. Sasha iniziò a urlare carica di determinazione e sprintò tanto rapidamente che se fosse stato un altro degli esami di Shadis probabilmente sarebbe arrivata prima nella valutazione. Brandendo la palla di ghiaccio, più che di neve, come fosse un'arma, rincorse Beatris per tutto il campo, che cercava come poteva di allontanarsi il più possibile. Troppo lenta, venne raggiunta e infine colpita. Il colpo alla schiena le tolse quasi il fiato, mentre Sasha dietro di lei rideva a pieni polmoni come un cacciatore sadico che aveva appena abbattuto la preda. Per il colpo, ma soprattutto per il terreno umido e ghiacciato, Beatris perse stabilità nei propri piedi. Cadde in avanti con un urlo e, ancora per il suo stupido istinto, alzò le mani al cielo piuttosto che provare ad attutire la caduta. L'abrasione che si fece al mento l'avrebbe accompagnata per almeno una settimana, ma come tutte le sue ferite nemmeno quella la sentì troppo, probabilmente abituata. Ma lo scivolone in avanti fece penetrare neve e ghiaccio dentro al colletto, tra i bottoni della camicia, e non ci fu canottiera di lana abbastanza calda da proteggerla. Urlò, in preda alle convulsioni per il freddo mentre sentiva il ghiaccio scivolarle nel petto e sul ventre, e d'istinto si sollevò in ginocchio e cominciò a spogliarsi. 
«Bea!» gridò Christa in preda al panico e le saltò addosso. «Non puoi spogliarti in mezzo al cortile» e lanciò occhiate preoccupate in giro, dove ora non solo passavano le ragazze uscite dal dormitorio femminile, ma anche i ragazzi usciti da quello maschile che si trovava esattamente a pochi metri da loro. 
«Ho il ghiaccio dentro la divisa!» urlò Beatris, cercando di strapparsi i bottoni della camicia per togliersela. 
«No! Non qui!» gridò Christa e lottò contro di lei per impedirle di spogliarsi. «Mikasa!» chiamò, in cerca di aiuto, ma la ragazza passò loro a fianco con la sua solita apatia, senza preoccuparsi molto della situazione. «Lasciaglielo fare, si accorgerà da sola dell'errore» e si allontanò. La distrazione di Christa fu fatale, Beatris la spintonò a terra riuscendo così ad allontanarsela, e infine aprì tutto, restando solo con la canottiera smanicata e aderente. L'alzò, scoprendo il ventre, e fece gocciolare giù acqua e ghiaccio, riuscendo a liberarsene. Ebbe qualche secondo di tempo per riuscire a riprendersi dallo shock, ora che era libera, prima di accorgersi di aver solo peggiorato la situazione. Quasi del tutto scoperta, il freddo dell'aria esterna a contatto con la sua pelle ora bagnata, le diede il colpo di grazia. Christa, a terra, d'istinto si guardò attorno preoccupata ed esattamente come si era aspettata un buon numero di spettatori si era fermato a fissarle. E nessuno di loro aveva espressione neutra. Jean, forse più di tutti, sembrava essere andato in black out. Occhi vitrei, espressione paralizzata e volto rosso come un pomodoro, non riusciva a togliere gli occhi di dosso dal ventre e le spalle scoperte di Beatris. E nonostante il seno fosse ancora coperto, la maglietta era così aderente e ora bagnata per via della neve, che era quasi come se non l'avesse. Christa scattò verso l'amica, si tolse di dosso la propria giacca e la propria sciarpa, e ce l'avvolse dentro. 
«Non c'è tempo di tornare a cambiarti, salteremo la colazione così. Andiamo nella sala comune, ti metti vicino al camino e provi a scaldarti» le disse, ma Beatris era come paralizzata, completamente congelata non riusciva più neanche a pensare. 
«Sto per morire» sibilò appena.
«Ehy!» Reiner le chiamò e corse verso di loro, seguito da Marco e Bertholdt. «Che succede? State bene, ragazze?» 
«Sasha l'ha colpita con una palla di neve troppo fredda e indurita, l’ha buttata a terra e tutto il ghiaccio le è entrato dentro la divisa. Penso sia in shock termico» spiegò Christa, preoccupata.
«Dobbiamo portarla al caldo» disse Marco, mentre Reiner si inginocchiava di fronte a Beatris. Le mise una mano sulla spalla, una sul volto per costringerla a voltarsi e guardarlo, e cercò di esaminare la situazione. Aveva le guance completamente rosse e non c'entrava né l'imbarazzo né nessun tipo di emozioni. Alcuni capillari erano scoppiati, poteva vederne le macchioline sugli zigomi. L'iride eccessivamente ristretto gli suggeriva inoltre che fosse in preda a un qualche tipo di confusione, per questo era paralizzata e non reagiva. Sarebbe potuta svenire da un momento a un altro, non era certo che fosse ancora lì con loro, a capire chi avesse attorno.
«Va scaldata gradualmente. Andate a prendere una coperta» disse, voltandosi verso Marco, ma non appena terminò Beatris finalmente si mosse. Camminando con le ginocchia si avvicinò rapida a Reiner e si aprì un varco tra le sue braccia. Reiner non ebbe tempo nemmeno di capire cosa stesse accadendo, che si trovò improvvisamente Beatris avvinghiata addosso. Aveva infilato le braccia all'interno della sua giacca, si era accasciata per riuscire ad arrivare col volto al suo petto -e data la differenza d'altezza non era nemmeno stato difficile- e si era stretta contro di lui. Le braccia avvolte intorno al ventre, sotto la giacca, il volto schiacciato sulla spalla e il resto del busto il più schiacciato possibile contro quello del ragazzo. 
«Sei caldo» la sentì mormorare contro la propria spalla. E Reiner restò paralizzato, completamente inerme. Persino lo sguardo era ancora fisso davanti a sé, come una statua, incapace di muoversi o di pensare a qualsiasi cosa. Sentiva solo che stupidamente il proprio cuore nel petto aveva deciso di esplodere più e più colpi, tanto da arrivargli nelle orecchie e assordarlo. Forse sarebbe stato lui quello che sarebbe svenuto, sopraffatto dalla vergogna, privato di qualsiasi pensiero. Se avesse avuto un qualche senso attivo, avrebbe percepito il gelo intorno a sé e non solo della giornata di neve. Christa, Marco e Bertholdt erano altrettanto paralizzati per l'incredibile scena che stavano assistendo. 
Reiner cominciò a riprendere coscienza di sé, a riattivare i sensi, ormai troppo tardi.   A destarlo furono le mani di Beatris che si muovevano dietro la sua schiena e che in un solo gesto avevano afferrato il retro della sua camicia e lo stava sollevando per sfilarla dai pantaloni. Preso dal panico, portò indietro le mani e provò a fermarla, ma era tardi... troppo tardi. Beatris infilò le mani sotto la sua camicia, direttamente a contatto con la pelle nuda della schiena, all'altezza dei reni. E tutto l'imbarazzo di Reiner, che l'aveva fatto accaldare spaventosamente, calò d'improvviso sotto al gelo di quelle dita di ghiaccio contro i propri reni. 
«Sei congelata!» gridò, in preda al dolore di quel contatto. 
«Adesso va un po' meglio» mormorò invece Beatris, beata del calore del corpo di Reiner contro le sue dita di cui cominciava a riavere sensibilità solo in quel momento. Reiner si dimenò, provò a scacciarla, ma lei gli si era avvinghiata peggio che un animale, e riusciva a sgusciare via dalla sua presa per infilare di nuovo le mani di ghiaccio sotto la sua camicia. 
«Vado a prendere una coperta» riuscì finalmente a dire Marco, sbloccandosi dalla sua paralisi non appena vide Reiner che cominciava a dimenarsi come un’anguilla e a ruggire. Corse dentro il dormitorio e sparì per qualche secondo, il tempo di trovare ciò che gli serviva, e quando uscì nuovamente vide che le acque parevano essersi calmate. Reiner si era arreso, vinto anche dalla priorità di cercare di tenere al caldo la ragazza, e aveva smesso di ribellarsi. L'espressione non era delle più felici, anzi sembrava veramente incazzato, ma lasciava che Beatris gli restasse avvinghiata, con le mani poggiate alla pelle della sua schiena. Aveva afferrato i lembi della propria giacca e li aveva tirati in avanti, per avvolgerla meglio al suo interno e cercare di scaldarla. Il suo buon cuore aveva avuto la meglio sul proprio istinto di autoconservazione, e aveva dato priorità al benessere dell'amica piuttosto che al suo. Marco li raggiunse, appoggiò la coperta sulle spalle di Beatris, e infine riuscì a tirarla via da Reiner e liberare l'amico. 
«Se mettiamo i suoi vestiti vicino al camino si asciugheranno prima dell'inizio dell'addestramento, e intanto potrà fare colazione» propose Christa, prendendo Beatris per le spalle e iniziando a guidarla verso la sala comune. Marco le fu accanto, parlò con loro, mentre Reiner e Bertholdt rimasero pochi passi indietro. Bertholdt aiutò l'amico a rialzarsi, offrendogli una mano, e seguirono il resto del gruppo. La faccia di Reiner era quella di un animale pronto a saltare al collo di una preda e sgozzarla.
«Forse te l'ho già chiesto...» disse Bertholdt, ma si lasciò scappare un sorriso divertito. «Sei sicuro di aver fatto la scelta giusta?»
Non specificò l'argomento, ma Reiner sapeva che si riferiva al fatto di voler diventare amico di Beatris così da essere meglio accettato da quelle persone. Grugnì, frustrato. «Probabilmente lo è...» disse. «Ma sarà una bella sfida».
«Niente che un Guerriero come te non possa sostenere».
«Non prenderti gioco di me» borbottò Reiner, frustrato, e Bertholdt non riuscì a non trattenersi dallo sghignazzare. 
Entrarono nella sala comune e Christa corse ad appendere subito gli abiti di Beatris vicino al camino così da permettere loro di asciugarsi. La ragazza venne invece accompagnata da Marco a uno dei tavoli, sempre lì vicino, e la fece sedere mentre lui andava a prendere la colazione per entrambi. Le diedero del té caldo, per aiutarla a riprendersi, e Beatris si fece accudire come una bambina. Mangiò, bevette e restò tranquilla, avvolta nella coperta, fintanto che il freddo non cominciò finalmente a lasciarla libera. Non ci volle molto, che l'accaduto con la neve venne completamente dimenticato, e tutti presero a parlare vivacemente come al solito. Solo Christa restò l'unica a preoccuparsi delle condizioni di Beatris ancora a lungo, chiedendole di volta in volta se stesse bene, se avesse bisogno di qualcosa, e portandole altro té caldo quando lo finiva. 
Terminarono la loro colazione, i vestiti di Beatris per fortuna si asciugarono in tempo e lei poté ricomporsi prima dell'inizio dell'addestramento. Ad aspettarli nel cortile c'erano dei carri e dei cavalli, con gli istruttori già pronti a partire. Seguirono le loro indicazioni, caricando zaini e attrezzature sui carri, e infine salirono anche loro, diretti verso le montagne. Lassù la neve non solo non stava cominciando a sciogliersi, come invece stava facendo in pianura, ma era addirittura caduta più fitta che mai. Non appena misero piede fuori dal carro, i loro stivali affondarono fino al polpaccio. 
«Altra neve» sospirò Beatris, chiudendosi all'interno di una giacca pesante e un mantello. «Speravo di non vederne più per un po'».
«Bea! Guarda!» esclamò Sasha, intenta a fare un pupazzo di neve al loro fianco. Non troppo grande, non ne avrebbe avuto il tempo, ma con l'aiuto di Connie riuscì a completarlo prima di partire. Con legni e aghi di pino avevano dato un'espressione corrucciata e malvagia al pupazzo.
«È Shadis» esclamò Sasha, prima di ridacchiare. Al suo fianco Connie si mise le mani davanti alla bocca per attutire, se non l'avesse fatto sarebbe scoppiato in risate sganasciate decisamente troppo forti. Cosa che invece non fece Beatris, che scoppiò a ridere a crepapelle, attirando così sguardi e occhiatacce da parte di compagni e soprattutto istruttori. Provò a raggiungere i due, voleva dare il suo contributo, ma una mano ferrea l'afferrò e iniziò a trascinarla via. 
«Mikasa!» esclamò, frustrata. 
«Stiamo partendo. Non perdere tempo» l'ammonì l'amica, trascinandola via dai guai prima che avesse potuto finirci. Infatti Shadis arrivò di lì a poco e punì sia Connie che Sasha, schiacciando loro le teste nella neve. 
Passarono davanti a Reiner e Bertholdt, non li considerarono, troppo impegnate a bisticciare tra loro, ma il primo dei due si ritrovò a sospirare nervosamente. Quella ragazza era un'attira guai naturale, se non ci fosse sempre stato qualcuno a badare a lei non sarebbe durata così tanto lì fuori. Gli istruttori partirono a cavallo e anticiparono il plotone lungo la strada, dopo aver dato loro mappe e istruzioni. Avrebbero dovuto cavarsela da soli su quelle montagne gelate, trovare la via, e arrivare alla base istituita prima che fosse calata la notte. Non avevano molto tempo, era già ora di pranzo quando erano arrivati, ma proprio per questo si trattava di una sfida. A peggiorare la situazione c'erano gli zaini ricolmi di attrezzature e pesi, per dare loro un grado di difficoltà adeguato.
«Cercate di non perdere il sentiero, tra non molto riprenderà a nevicare, rischiate di perdervi» suggerirono, e infine partirono, sparendo tra la vegetazione. 
«Ci conviene mangiare adesso un boccone, dopo non ne avremo il tempo e dovremmo pensare solo a camminare» suggerì Armin e fu ascoltato. Era sicuramente la scelta migliore, anche perché gli istruttori avevano detto loro di aspettare di vederli sparire prima di iniziare il percorso, così sarebbero stati soli. Mangiarono, bevettero, cercarono di rifocillarsi e infine cominciarono la traversata. Restarono in gruppo, assolutamente poco propensi all'idea di separarsi, quelle erano montagne inospitali, piene di pericoli, ma soprattutto ricoperte di neve. Un'ora dopo la loro partenza, i primi fiocchi cominciarono a cadere raggiungendoli. 
«Ha già iniziato» mormorò Armin. «Speravo avesse retto un pochino di più, così sarà difficile continuare a seguire il sentiero. Copriranno le tracce degli istruttori». 
«Non fa niente» ansimò Beatris al suo fianco, già distrutta ma non per questo meno determinata. «Abbiamo Sasha con noi, lei è cresciuta sulle montagne. Può seguire le tracce anche con la neve, vero Sasha?»
E si voltò a guardarla, trovandola intenta a cercare qualcosa in una siepe. Ne uscì poco dopo con delle bacche tra le mani. «Guardate!» esclamò, felice. «Assaggiatene una, sono buone».
«Sasha... le tracce» mormorò Armin, affranto. 
«Fidiamoci del suo intuito. Anche se distratta, immagino non voglia comunque morire qui... se costretta saprà condurci lungo la via» suggerì Reiner, passando avanti a continuando a camminare. «Non fermiamoci, comunque! Tra poco la neve si farà più fitta». 
Beatris annuì, decisa, e provò a corrergli dietro per raggiungerlo. Fu un'impresa decisamente ardua, molto più di quanto si sarebbe aspettata. Reiner davanti a lei camminava spedito, nonostante l'ingombro, sembrava risentire poco del peso trasportato e delle neve che gli cadeva addosso e gli impediva il cammino, bloccandogli gli stivali. Lei invece già ansimava, era sudata fradicia, e doveva fare molta più forza con le gambe per riuscire a contrastare la neve. Ma proseguì, determinata. 
«Forza, Bea» l'affiancò Eren. «Possiamo farcela, continua a camminare».
Lei annuì, strinse i denti e proseguì. Un'ora, forse due, forse addirittura tre. Ormai la neve aveva ricoperto completamente il sentiero, appesantiva i loro abiti e gli zaini con tutta la sua umidità ed era penetrata attraverso i vestiti raggelandogli i muscoli. Beatris iniziò a rallentare, sempre più stremata, restando infine in fondo al gruppo. Armin non era troppo lontano da lei, ma al suo contrario, anche se rosso in volto per la fatica, non mollava e continuava a sforzarsi più che poteva. Cercò di imitarlo e per un po' ci riuscì, quando alla fine non crollò definitivamente a terra. Il gruppo si voltò a guardarla, preoccupato, e le si avvicinarono. 
«Sto bene» ansimò. «Ho solo bisogno di riprendere un attimo fiato».
«Se ti fermi raffredderai i muscoli, sarà peggio» le disse Mikasa, offrendole una mano. «Ti aiuto io, andiamo». 
«Ma... vi rallenterò» mormorò lei, guardando il suo gruppo fermo ad aspettarla. 
«Ci rallenterai di più se resti qui ad aspettare di congelarti». 
Eppure, tra tutti, lei era stata l'unica a crollare a terra. Era frustrante, persino Armin era riuscito a tenere il passo, nonostante si equivalessero in quanto a forza e resistenza. Era così frustrante. 
Era entrata in accademia con le migliori intenzioni, anche se non considerava la sua motivazione eroica e valorosa come quella di tutti gli altri, ma era comunque decisa ad arrivare in fondo, a rafforzarsi, a tenere il passo dei suoi amici, e arrivare al suo obiettivo. Aveva giurato a se stessa che avrebbe fatto di tutto per proteggere le persone, per evitare che altri fossero potuti morire a causa dei giganti. Aveva giurato che quello che era successo a loro avrebbe impedito con tutte le sue forze che succedesse di nuovo. Ma se i giganti avessero di nuovo sfondato il muro, se il colossale e il corazzato fossero tornati, lei, in quelle condizioni, cosa avrebbe potuto fare? Era ancora quella bambina che era scappata, aiutata da tutti quelli che aveva attorno, e che non era riuscita a fare niente. Non seppe nemmeno lei il perché, ma cercò lo sguardo di Reiner, in cima alla colonna. Lui era forte, lo aveva dimostrato fin dall'inizio e continuava a farlo. Niente sembrava abbatterlo, lo ammirava così tanto. Ripensò al loro allenamento intensivo di una settimana per insegnarle a restare in equilibrio. Lei si era impegnata tanto, Reiner l’aveva aiutata veramente molto, e non avrebbe mai dimenticato le sue parole. Piangere e dire di far schifo non le sarebbe servito a niente. L’importante era continuare ad avanzare, in qualunque situazione. Non avrebbe gettato al vento quegli insegnamenti tanto preziosi.
Strinse i denti, si corrucciò, e infine si rialzò.
«Ce la faccio!» disse, più a se stessa che agli altri. E riprese a camminare, sotto lo sguardo sorpreso di Mikasa, che presto tramutò in uno orgoglioso. Era la prima volta che Beatris rifiutava l'aiuto di qualcuno e provava a farcela da sola. Che quel posto la stesse realmente migliorando?
«Andiamo» incitò gli altri e a pugni e denti stretti continuò a camminare. Ogni passo era faticoso come spostare una montagna e questo la portava ad ansimare rumorosamente, gorgogliare a volte per la fatica. Ma riuscì a stare al passo, riuscì a camminare, tanto concentrata, tanto determinata, che nemmeno si accorse che Reiner le si era messo davanti abbandonando la postazione in prima linea, lasciando che fosse Jean a guidare il gruppo, così da aprirle un po' la neve davanti alle caviglie e aiutarla. Non glielo fece notare, voleva che pensasse di riuscirci da sola, perché era quello di cui aveva bisogno. Doveva farcela da sola, così da sentirsi meglio e cominciare ad avanzare. 
Proseguirono per un'altra ora, arrivando infine ad accostare uno piccolo precipizio, lungo una via più stretta e difficoltosa. 
«Restate vicini alle pareti» suggerì Jean, cercando di stare il più lontano possibile dallo strapiombo. Era una discesa ripida, ricoperta di neve e alberi, una vegetazione abbastanza fitta. Nonostante fosse piena di ostacoli contro cui aggrapparsi in caso di caduta, la neve rendeva tutto scivoloso e lo strapiombo era così ripido che probabilmente gli alberi sarebbero serviti a poco per salvarsi. Oltre questo, solo oscurità. Non era ancora notte, ma doveva essere circa il tramonto e le nuvole nere in cielo non aiutavano la loro visibilità. Furono costretti ad accendere delle torce per riuscire a proseguire. E avanzarono, distrutti, spostando neve che volta volta scivolava giù dal pendio  al loro fianco, in fila indiana per riuscire a passare senza pericoli. O almeno, così credevano.
Armin, alle spalle di Beatris, inciampò trovando sotto ai piedi un lieve dislivello. Provò a spingersi verso la parete alla sua destra per evitare di cadere, ma il piede scivolò verso sinistra e sarebbe caduto giù, rotolando lungo la parete, se Beatris non avesse svelato di avere dei riflessi spaventosamente pronti. Il che era strano, per una come lei. Riuscì ad afferrarlo, lo tirò indietro, ma questo provocò la sua di scivolata e senza neanche che i compagni avessero tempo di riuscire a capire cosa stesse accadendo, lei era sparita nell'oscurità. 
«Bea!» gridò Eren, prima di lanciarsi verso il vuoto. Piantò i piedi davanti a sé, cercò di frenare la scivolata per impedire di perdere il controllo, ma andò a ruota libera verso il primo albero che incontrò. 
«Eren!» chiamò Mikasa, in preda al terrore. Reiner, poco avanti, fu il secondo a buttarsi nel vuoto e cercare di raggiungere Beatris, ovunque fosse finita. Mikasa non aspettò altro tempo e seguì i due, pronta a dare il suo contributo.
«Piantate dei paletti, cercate di fissare le corde a qualcosa!» suggerì Jean, cominciando a rovistare tra le cose del suo zaino qualcosa che avesse potuto aiutarli. Il resto del gruppo lo imitò immediatamente, e sotto le sue direttive iniziarono a montare picchetti, a legare corde, e cercare di creare un sistema di salvataggio d'emergenza. 
Davanti a loro, intanto, Reiner, Mikasa e Eren erano spariti del tutto nell'oscurità della foresta, giù per la gola. 
La discesa non era così lunga e ripida come poteva sembrare, senza farsi troppo male, aggrappandosi di volta in volta agli alberi, Reiner riuscì a raggiungerne il fondo dopo pochi istanti, tornando su terreno pianeggiante. L'oscurità aveva loro tratto in inganno, facendogli credere che chissà quanto fosse profondo, ma restava comunque una bella caduta, se non si fosse tenuto fermo agli alberi e non avesse fatto ben leva con le gambe, sarebbe arrivato in fondo rotolando e rischiando di colpire rocce e alberi. Cosa che sicuramente Beatris aveva fatto e per questo andava ritrovata immediatamente. 
«Beatris!» provò a chiamarla. Non riusciva a vedere nemmeno più Eren né Mikasa e non sapeva se era colpa del buio o se magari loro fossero arrivati in qualche altra zona di quel bosco. 
«Reiner!» qualcuno lo chiamò, sopra la gola. Riuscì a riconoscere la voce di Jean, anche se molto ovattata dal vento. 
«Sto bene! Preparate la corda, io intanto la cerco» gridò verso l'alto. 
«Reiner!» Eren finalmente lo raggiunse. 
«Non può essere molto lontano, anche se fosse rotolata non sarebbe finita troppo più avanti di così» disse Reiner, guardandosi attorno.
«È troppo buio e lei non risponde» disse Mikasa.
«Deve aver perso i sensi. Dividiamoci, setacceremo meglio la zona» e si voltò, prendendo la direzione alle sue spalle. Camminò per qualche secondo, quando cominciò già a sentire le voci dei suoi compagni, alle sue spalle, che la chiamavano. Da sopra lo strapiombo, o Mikasa e Eren alle sue spalle, ovunque era un risuonare di voci che chiamavano Beatris. Reiner camminò in lungo e in largo, ma senza allontanarsi troppo dalla zona di caduta, trovando improbabile che fosse finita chissà dove. Eppure non riusciva a trovarla. Tornò sui suoi passi, ripercorse la solita via, avanti a indietro, puntando gli occhi a qualsiasi cosa si muovesse. Fu il caso a fargliela trovare: era finita sotto un cumulo di neve, contro un albero. Nel sbatterci contro doveva aver fatto cadere la neve dai rami e questo doveva averla seppellita in parte. Le corse incontro, si tolse rapido lo zaino dalle spalle e cominciò a scavare a mani nude per riuscire a tirarla fuori dalla neve. Si assicurò immediatamente del suo stato di salute, prima di chiamare aiuto, preoccupato che fosse ancora viva. Si avvicinò al suo volto e riuscì a sentirne il respiro. Debole, ma c'era. Scostandole il cappuccio dalla testa vide un rivolo di sangue macchiarle i capelli e cadere lungo la guancia. Aveva i vestiti zuppi, sapeva che avrebbe dovuto come prima cosa trovare il modo di scaldarla. 
«Oggi non è la tua giornata, eh?» mormorò, cominciando a togliersi il giaccone di dosso per poterla avvolgere al suo interno. Si voltò poi, pronto a chiamare aiuto, ma sbiancò quando sentì il terreno tremare e nessun altro rumore se non quello di un boato.
«Una valanga! Reiner!» sentì urlare da sopra la via, ma non ebbe tempo di reagire in nessun modo. Prese Beatris, se la strinse al petto e si spinse dietro degli alberi per cercare riparo mentre l'enorme cumulo di neve cadeva nella loro direzione. Non riuscì a puntare bene i piedi, a trovare un riparo decente, o forse la slavina era stata semplicemente troppo forte. Venne travolto e trascinato via, giù, lungo la discesa della montagna. Rotolò nella neve, preoccupandosi solo di tenere Beatris stretta a sé, di non perderla. Durò pochi istanti, ma sembrò un'eternità all'interno del quale Reiner venne trascinato quasi fino a valle, chissà per quanti metri. Sentì la neve sovrastarlo, ribaltarlo, il boato rombargli nelle orecchie, il fiato mancargli. E alla fine capì che poteva esserci solo un modo per salvarsi. Pregò solo che il rumore della slavina fosse più forte... e si morse una mano. 
Come gigante corazzato, riuscì a riemergere dalla neve della valanga, a contrastarla, fintanto che questa infine non cessò del tutto di cadere nella sua direzione. Dentro la propria mano, stretta al petto, nella zona più sicura, Beatris ancora non riprendeva conoscenza e lui ringraziò che il coma dentro cui sembrava essere caduta fosse così intenso. Ebbe tutto il tempo di rimproverarsi dell'imprudenza solo successivamente, ormai a mente fredda. Se Beatris si fosse svegliata in quel momento, se qualcuno dei suoi compagni l'avesse visto o sentito, come si sarebbe giustificato? In che modo sarebbe riuscito a tornare a casa vincitore? Aveva davvero messo tutto in pericolo per così poco? 
Posò Beatris sulla neve non appena la valanga si fu calmata e infine uscì dalla nuca del suo gigante, lasciando che questo si dissolvesse lentamente nel vapore. Scese dal suo corpo, si avvicinò alla ragazza e se la caricò in spalla. Si preoccupò solo di allontanarsi il prima possibile, così da permettere al suo gigante di dissolversi senza che nessuno lo vedesse, senza preoccuparsi della direzione da prendere. Anche perché non era sicuro di saperlo adesso. 
Poggiò Beatris a terra quando finalmente si sentì al sicuro e si preoccupò solo in quel momento di constatare la terribile situazione in cui si trovava. Erano soli nel bosco, con una bufera in corso, quasi al calar del sole e avevano perso zaini e soprattutto la direzione da seguire. Con il cielo coperto dalle nuvole non avrebbe nemmeno potuto contare sulle stelle per riuscire ad orientarsi. Per di più lei era ferita, forse anche gravemente. Non aveva molte possibilità di salvarsi, anzi forse erano rasenti allo zero, e ancora pensò a tutte le sue possibilità. L'unica soluzione che riuscì a trovare era quella di trasformarsi ancora e sfruttare le capacità del suo gigante per uscire indenne dal bosco, ma se Beatris si fosse svegliata nel mentre per il suo segreto sarebbe stata la fine. Non poteva portarsela dietro, non poteva mettere a rischio la sua missione, nemmeno per lei. Se avesse proseguito da normale essere umano sarebbero morti entrambi per il freddo, non avrebbero ritrovato la strada. Non c'era soluzione, almeno lui doveva salvarsi, ma avrebbe significato lasciare Beatris lì... a congelare. Questo per preservare il suo segreto. Per riuscire a portare a termine la sua missione. Le si avvicinò e le tolse la giacca di dosso. Avrebbe così potuto dire di non essere stato in grado di trovarla e dare la colpa alla valanga. 
Si voltò, pronto ad allontanarsi, ma esitò. La testa glielo diceva chiaramente, doveva farlo, ma allora perché il suo corpo si rifiutava di muoversi? Cercò di pensare a casa sua, a Marley, al desiderio di tornarci ricoperto di onore e orgoglio, ma per qualche strano scherzo del suo subconscio tutti quei pensieri erano accompagnati dalla voce scaldante e vivace di Beatris che rideva, che lo chiamava, come uno spettro che non faceva che sussurrargli nelle orecchie, incessantemente. Chiuse gli occhi e serrò i pugni, combattuto e frustrato, cercando di focalizzarsi sul pensiero di casa sua, sulla via principale che aveva percorso anche all’andata, con i coriandoli e la folla ad acclamarlo. Ma non appena lo fece, tutto ciò che vide fu Shiganshina devastata e un sussulto terrorizzato lo colse costringendolo a tornare alla realtà. Si accorse solo in quel momento che il suo improvviso palpitio era risuonato all’unisono con la voce moribonda di Beatris, alle sue spalle, che lo aveva chiamato.
«Reiner». 
Si voltò a guardarla. Era ancora stesa lì dove l'aveva lasciata, ancora moribonda, tanto che non aveva nemmeno gli occhi completamente aperti. La vide voltare la testa nella sua direzione, ma fu difficile capire se lo stesse guardando realmente o meno.
«Come sta Armin?»
Il suo primo pensiero, non appena ripresa conoscenza, era stato rivolto all'amico che aveva salvato dalla caduta. L'amico di cui aveva preso il posto, scivolando giù al posto suo. Chissà perché gli tornò in mente ancora una volta il ricordo del loro primo incontro, nella cattedrale, quando disse di non avere fame e volette lasciare tutto il pane agli altri. 
«Sta bene» le rispose, sforzandosi di risultare calmo. «Sei riuscita a salvarlo».
Beatris spalancò gli occhi e per quanto fosse moribonda riuscì comunque a farli brillare di una luce tutta loro. Si distese in un luminoso sorriso e tornando a socchiudere gli occhi sospirò, felice: «Meno male».
La sentì respirare affannosamente per qualche secondo e restò lì, ad ascoltarla, immobile nella sua posizione. Avrebbe dovuto lasciarla lì, sapeva che era la scelta migliore, salvarsi col suo gigante corazzato e mantenere intatto il proprio segreto. Ma non era riuscito a farlo e ora che era sveglia sarebbe stato impossibile trovare una scusa adeguata.
«Reiner, non aspettatemi. Continuate a camminare, io vi raggiungo tra un attimo. Mi riposo solo un pochino» ansimò lei, lanciando uno sguardo a Reiner. Neanche si era accorta che erano soli, neanche si era accorta della situazione in cui si trovava, ma si preoccupò solo -ancora una volta- di salvare prima gli altri. Di pensare prima agli altri. 
«Beatris» sospirò Reiner, turbato da un pensiero. Era consapevole che sarebbe morta? Perché sembrava non interessarle? «Perché ti comporti così? Perché fingi che non ti interessi nulla di te?»
«Io... non fingo» mormorò lei, corrucciata. 
«Mi stai dicendo che davvero non t'importa di morire?» 
Beatris tornò a riaprire gli occhi e li puntò in quelli di Reiner, a pochi passi da lei. E per la prima volta da quando la conosceva, vide sul suo volto farsi strada una gravante tristezza. 
«Io… non….» mormorò, ma non riuscì a dire altro.
«Cosa credi che succederà se ti lasciamo qui e procediamo da soli? Cosa credevi sarebbe successo sacrificandoti per salvare Armin?»
«Non lo so... forse mi aspettavo che Mikasa fosse venuta a prendermi. Forse mi aspetto ancora che Mikasa venga a prendermi» si chinò, il cappuccio le coprì in parte il volto e Reiner non riuscì più a scorgerle gli occhi, ma la vide dopo pochi istanti tremare. E un singhiozzo le strozzò la voce. Stava piangendo. «Mi dispiace».
Lasciarla lì, procedere da solo, l'avrebbe salvato. Era l'unica scelta che aveva davanti. Eppure tornò indietro. Si tolse nuovamente la giacca dalle spalle e la mise addosso a Beatris, esattamente dov'era poco prima. Sospirò. «Credo che ci siamo persi. Mentre eri svenuta una valanga ci ha travolti e ci ha portati lontano dal resto del gruppo».
Ma lei non rispose e continuò a singhiozzare silenziosamente.
«Proverò a trovare un modo per uscirne, non preoccuparti» disse ancora, sedendosi al suo fianco. 
«Sei stato travolto per venire a cercare me?» biascicò Beatris, cercando di non far risuonare troppo il suo pianto che aveva tutta l'intenzione di tenere nascosto il più possibile.
«Saremmo stati travolti comunque» mormorò Reiner, sovrappensiero.
«Sei di nuovo finito nei guai a causa mia».
«È stata una mia scelta».
«Lo so» rispose repentina, prima di aggiungere: «Se sopravviveremo, penso che domani me ne andrò».
«Mh?» si corrucciò Reiner. 
«Sono mesi che provo invano a dare un senso a tutto quanto. Sono arrivata ultima in un sacco di esami, ho superato quello del movimento tridimensionale per un pelo e solo grazie al tuo aiuto, e in più non faccio che causare problemi a te o a Mikasa. Credo di aver fatto un errore ad iscrivermi. Ora ti ho persino messo in pericolo... ho decisamente superato il limite».
«Adesso poteva esserci Armin al tuo posto, ma tu lo hai impedito. Hai fatto un buon lavoro, non autocommiserarti».
«E a cosa è servito? Tu sei qui, hai rischiato la vita. Non era ciò che volevo» singhiozzò.
«Volevi morire?» chiese Reiner, distrattamente.
«Io… volevo solo proteggere le persone» rispose debolmente Beatris, come se lei stessa non ne fosse totalmente convinta. «Mi sono iscritta pensando che sarei stata in grado di imparare a proteggere qualcuno... almeno una volta. Ma sono sempre io quella che deve essere protetta. Non funziona» pianse più rumorosamente. «Non funziona mai niente di quello che vorrei fare».
«Provare a proteggere le persone è un'ottima motivazione, perché non provi a crederci di più? Armin sei riuscita a proteggerlo».
«Non sono abbastanza forte...»
«Puoi diventarlo, io l’ho visto. Se ti impegni in qualcosa sei in grado di migliorare molto rapidamente» si voltò a guardarla, anche se non riusciva a scorgere il suo volto sotto al cappuccio. «Posso aiutarti».
Beatris parve immobilizzarsi e per un attimo Reiner si chiese se non fosse svenuta di nuovo. Ma poi la vide poggiare una mano a terra, alzarsi su di un gomito e puntare lo sguardo a lui. Forse a causa delle lacrime che le inumidivano gli occhi, ma ebbe come l'impressione che fosse più luminosa che mai. 
«Dici sul serio?» chiese, speranzosa. 
Diventare il gigante corazzato, lasciarla lì e proseguire da solo era sicuramente la via che gli avrebbe permesso di sopravvivere. Era la scelta migliore. Eppure in quel momento sorrise, sincero. «Certo. Ti aiuterò io, te lo prometto».
La prima volta era stata lei a chiederglielo esplicitamente e aveva accettato un po’ forzatamente. Si era convinto che lo avesse fatto solo per mostrarsi amichevole, per ingannare il nemico e fingersi come loro, ma se il suo intento era solo quello di sembrare gentile… perché quella volta era stato lui a proporglielo? Perché aveva quasi sentito il desiderio di farlo davvero? Quella settimana che avevano passato ad esercitarsi insieme era assurdamente tra i ricordi più dolci che aveva conservato, in mezzo a tutti quelli di una vita intera. Si sentì come se avesse finalmente avuto un’occasione, una scusa, per replicare senza sentirsi sciocco e potersi aggrappare a qualche altra motivazione. Non lo faceva per sé, era questo che voleva pensare, lo faceva solo per finta gentilezza. Quei sentimenti che stava provando non potevano essere reali. Convincersi di questo, lo aiutò ad accettarli.
Aspettarono pochi minuti, il tempo necessario a permettere di Beatris di riprendersi un po'. Non appena fu in grado di muoversi, Reiner la fece salire sulle sue spalle. Nella caduta aveva preso una brutta storta alla caviglia, riuscire a muoversi da sola era praticamente impossibile. Non fece in realtà troppa fatica, Beatris non era poi più pesante che lo zaino che gli istruttori l'avevano costretto a portarsi in spalla. Inoltre, in quel modo, il suo giaccone poteva coprire sia lei che lui stesso, evitando entrambi di finire in ipotermia. Non fu facile ritrovare la strada, dovettero vagare per ore, ma stranamente fu molto meno faticoso del percorso fatto fino a quel momento insieme al resto del gruppo. Ormai Beatris era bella sveglia, anche se non riusciva a muoversi a causa della caviglia, ma era di ottima compagnia. Superato il momento depressione, per aver tirato Reiner di nuovo nei guai, era tornata la solita solare, allegra Beatris. Appesa la suo collo, non aveva fatto che parlargli vicino all'orecchio, tenergli compagnia e ogni tanto era persino riuscita a strappargli una risata. Scherzando su Connie e Sasha, su Shadis, o raccontandogli qualche bizzarra avventura della sua infanzia, non era stata zitta nemmeno per un istante ma Reiner sentì suo malgrado che era proprio quello di cui aveva avuto bisogno. Sì, decisamente trasformarsi in gigante l'avrebbe aiutato a salvarsi più facilmente, ma che cosa avrebbe lasciato dietro di sé? Sarebbe davvero riuscito a dormire ancora, senza il suono della voce di Beatris nei suoi ricordi che cantava quella splendida canzone a sua sorella? 


NDA.


Messaggio importante: EFP mi dice che ho 2 messaggi in casella di posta ma non riesco a vedere niente, non so se è EFP che è impazzito e da i numeri o qualcuno di voi ha cercato di dirmi qualcosa e non posso vederlo... nel caso, se non rispondo è per questo e vi chiedo di riprovarci, o in caso potete scrivermi anche su Wattpad (sto mettendo la storia anche lì) o su FB (La pagina si chiama "La Deny", trovate il link in bio), o su instagram ("ladeny_deny"). Grazie e scusate xD
Torniamo alla storia...

Quanti traumi si è risparmiata Beatris, restando svenuta durante la slavina, secondo voi? xD Non ho molto da dire in queste NDA, anche perché qui ci sono stati dei primissimi elementi particolarmente importanti e non voglio spoilerarvi niente. Perciò vi lascio qui, con semplicemente la canzone del giorno :P
Può sembrare banale ma in realtà nasconde molte cose, a me ha fatto emozionare molto pensare a Bea in queste parole (capirete meglio più avanti, probabilmente, sempre se non avete già intuito qualcosa). È tutta di Bea, come ho detto, ma la parte del “you’re not alone in all this” mi immagino sia di Reiner che quasi si intromette nei suoi pensieri per ripeterglielo. 
Come sempre enjoy e alla prossima :3

https://www.youtube.com/watch?v=4kb3-dzPrhA&ab_channel=Sounterapp-ImparaL%E2%80%99IngleseconlaMusica

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Il cortile era più vivo che mai. Erano passati mesi dal loro ingresso in accademia e ormai le loro conoscenze in fatto di combattimento corpo a corpo cominciavano a prendere forma, non serviva altro che esercitazione, esercitazione e ancora esercitazione. Così, nel calendario accademico, era previsto che almeno tre pomeriggi a settimana li passassero nell'esercitare l'arte del combattimento corpo a corpo. A mani nude, con armi, erano step sempre successivi. Ciò che contava era la prestanza fisica e lo sviluppo della tecnica, lottando a coppia tra di loro. Ognuno stava sviluppando una propria capacità, sfruttando le proprie abilità innate. Sasha era molto agile e con ottimi riflessi, Annie era più portata per le prese e l’uso dei calci, Reiner era mera forza fisica, Jean sfruttava sempre la situazione a suo vantaggio, Mikasa... Mikasa decimava tutti senza esclusione di colpi. Sembrava non avere alcun punto debole, era strepitosa e a tratti terrificante. Connie non era ancora granché bravo, si affidava troppo nel rendere spettacolari le sue mosse e finiva con l'essere poco funzionale. E infine c'erano Armin e Beatris... che spesso sgattaiolavano da un compagno a un altro, pregando di non essere intercettati e non venir coinvolti.
Quel pomeriggio erano riusciti con una scusa a fermarsi in un angolo, uno di fianco all'altro, seduti a terra, guardavano passivamente il resto dei loro compagni schivare colpi e tentare di stendere l'altro. 
«Oggi fa particolarmente caldo» mormorò Beatris, stretta nelle sue ginocchia.
«Già... forse è per questo che non siamo molto in forma».
«Già, dev'essere colpa del caldo».
Ed entrambi, dopo infiniti secondi di riflessione, sospirarono affranti. Erano veramente pessimi a inventare scuse, persino a loro stessi. La verità era solo che, chiunque provassero a sfidare, finivano sempre con il venir stesi e ogni volta era un livido in più da aggiungere alla lista. Negati, assolutamente negati. 
«Armin...» mormorò Beatris. «Secondo te riusciremo mai a diplomarci?»
«Chissà» sospirò Armin, immobile al suo fianco.
«Certo non riuscirai mai a farlo se resti lì a battere la fiacca» la voce di Reiner la costrinse ad alzare gli occhi. Lo guardò, mentre si avvicinava con un finto coltello di legno in mano, e d'improvviso cominciò a sudare freddo. Si contrasse, allungò le gambe davanti a sé, si strinse la spalla destra e lanciò un plateale urlo dolorante: «Il mio strappo muscolare oggi non mi da tregua!»
«Gli strappi muscolari vengono ai muscoli, non alle articolazioni!» la rimproverò Reiner, ormai di fronte a lei. 
«Ci sono muscoli anche nella spalla, lo sai!» lo rimproverò Beatris, ma Reiner restò inflessibile. Fece volteggiare il coltello di legno per aria, lo afferrò dalla punta e porse il manico a lei. «Dai, non costringermi a usare la forza».
«Oggi non mi sento molto bene» mormorò lei, sperando di essere convincente. 
«Sei terribile a inventare scuse, lo sai! Alzati».
E ormai arresa, sapendo che non avrebbe ottenuta alcuna compassione né comprensione, si alzò in piedi. Prese il coltello dalla parte del manico e si voltò verso Armin. Gli fece un cenno del capo: «Andiamo, Armin» disse arrendevole.
L'amico aveva già cominciato ad alzarsi quando Reiner disse: «Non questa volta! Siete alla pari, voi due, questo non vi porterà alcun miglioramento. Oggi si va con il livello avanzato».
«Eh?!» sussultò Beatris, vedendo Reiner già mettersi in posizione per riceverla. 
«Non contro di te, spero!» disse lei, ma Reiner restò immobile nella sua posizione. 
«Non farti aspettare troppo, o farò io la prima mossa».
«Reiner...» mormorò lei, afferrando il coltello con entrambe le mani. Stava visibilmente tremando. «Per favore, vacci piano, ok? Sei troppo forte per me...»
«Non voglio farti del male, Tris. Prometto non ti farò niente, se non deviare i tuoi colpi» e le fece cenno con la mano di procedere. Beatris tirò un lungo sospiro raccoglitore e infine impugnò l'arma decisa. Armin si alzò da terra, di fianco a loro, e come colto da un brutto presentimento si spostò cercando un altro luogo dove andare a rifugiarsi. Beatris, alle sue spalle, iniziò il suo assalto. Urlando per darsi carica, cercò di colpire Reiner in pieno ventre con la punta del coltello, ma fu troppo lenta e troppo fiacca. Reiner la schivò e la colpì dietro la schiena per farle perdere l'equilibrio e buttarla a terra. 
Beatris lanciò un urlo dolorante, mentre inarcava la schiena e cadeva a terra.
«Avevi detto che non mi avresti fatto male!»
«Ci sono andato piano, cerca di sopportare. Sono doloretti minuscoli».
«Tu non ti rendi conto della forza che hai, invece» mormorò lei, irritata. «E comunque hai visto? È stato inutile».
«No, che non lo è stato. Intanto ti sei alzata da terra» le sorrise Reiner e le porse una mano, per aiutarsi a rialzarsi. Beatris, per quanto si sentisse offesa e tradita, accettò comunque l'aiuto dell'amico e si rimise in piedi.
«Quante altre botte dovrai darmi prima che io possa riuscire a combinare qualcosa di buono?»
«Quando smetterai di piangerti addosso e inizierai a fare sul serio».
«Ci ho provato Reiner, davvero» sospirò Beatris e si accasciò su se stessa. Si voltò e cercò con lo sguardo Mikasa, in mezzo alla mischia di combattenti. Come gli altri giorni, continuava a mietere vittime senza sosta e non sembrava nemmeno troppo affaticata. 
«A lei viene praticamente naturale».
«Mikasa è un mostro fuori portata, non puoi certo paragonarti a lei».
Beatris spostò gli occhi ancora lungo il campo, fino a trovare Annie che in quel momento si allontanava dopo aver steso Eren. 
«E lei? Anche lei sembra perfettamente a suo agio» mormorò.
«Sì, anche Annie fa venire abbastanza i brividi» e stranamente persino lui si ritrovò a tremare di fronte all'idea di doversi fronteggiare con Annie. 
«Anche tu, e Jean, Bertholdt, persino Sasha e Connie. Io non sono cresciuta sulle strade, ho avuto una vita abbastanza facile prima della distruzione di Shiganshina... e dopo c'è sempre stata Mikasa ad aiutarmi. Non so fare niente» sospirò, abbattuta.
«Io so qual è il tuo problema, Tris» Reiner le si avvicinò e si appoggiò alla staccionata alle sue spalle, guardando il gruppo di persone che avevano davanti. 
«E qual è?» chiese lei, curiosa, come se saperlo da lui avrebbe davvero risolto tutti i suoi problemi. Reiner ci rifletté qualche istante, poi improvvisamente si voltò verso di lei e fece per attaccarla con il coltello finto che ancora teneva in mano. Un attacco improvviso, inaspettato, che portarono Reiner a sovrastare totalmente Beatris. Ma lei restò immobile, paralizzata, rigida come un tronco d'albero. Si limitò a lasciar uscire un lamento dalla gola e spalancare gli occhi, terrorizzata, ma non fece un solo movimento. Reiner non la colpì veramente, ma si fermò un istante prima di farle del male e rimase qualche secondo a guardarla, in silenzio. Infine, la colpì delicatamente in fronte con la punta del coltello di legno. 
«È la paura» le disse, allontanandosi di un passo. «Ti paralizzi di fronte alle cose che ti spaventano. Lo stai facendo anche adesso. Quando hai cominciato l'addestramento, mesi fa, eri carica di aspettative e piena di energie. Hai sorriso a Shadis, il primo giorno, ricordi?»
«La cosa non gli è piaciuta molto» sospirò lei.
«Sì, ma hai continuato a farlo. Tutte le mattine. Non hai mai smesso di correre in giro, entusiasta, da un esercizio a un altro».
«Che fallivo miseramente» sospirò ancora.
«E la sera rientravi nel dormitorio con la coda tra le gambe, ma ho sentito Ymir brontolare che non riesce mai a dormire perché non fai che parlare con Mikasa e Christa fino a notte fonda. O almeno, questo succedeva fino a poco tempo. Io stesso faticavo a starti dietro, mi facevi arrivare a sera distrutto».
«Non dare la colpa a me per i tuoi esercizi, cerchi sempre di fare di più di ciò che ti chiedono gli istruttori, non è colpa mia se ti stanchi» si imbronciò.
«Non parlo della stanchezza fisica, lo sai» e le diede un altro colpetto con la punta del coltello alla fronte, anche se molto leggero, tanto da essere quasi un tocco affettuoso. Sospirò, platealmente. «Ho perso il conto delle volte che sono finito nei guai a causa tua».
«Io... non c'entro» mormorò lei, rossa in volto. Sapeva di essere colpevole, aveva perso il conto delle volte che aveva avuto qualche folle idea e Reiner era stato costretto a correre in suo soccorso. Ma aveva sempre chiesto scusa, non bastava quello ad espiare le sue colpe?
Reiner sogghignò. «Vogliamo parlare dell'alveare?»
Beatris sussultò e, se possibile, arrossì ancora di più. «Pensavo fosse disabitato! Sasha sarebbe impazzita di felicità se le avessi portato quel miele, volevo solo fare qualcosa di carino per lei».
«Durante un esercitazione col movimento tridimensionale?»
«Quando avrei avuto occasione di tornarci, altrimenti?»
«Sei stata disposta a lasciar perdere il tuo addestramento per fare un regalo a un'amica?»
«Avrei... recuperato dopo» mormorò.
«Meno male sono riuscito a vederti prima che facessi follie, altrimenti quelle api ti avrebbero massacrata».
«E invece hanno massacrato te» si abbatté lei, prima di aggiungere, speranzosa: «Però poi sono venuta ad aiutarti a curare le punture, per scusarmi».
«Santo cielo, Tris» sospirò Reiner, ma non riuscì a trattenersi dal sorridere divertito da quel ricordo. «Sei entrata nel dormitorio maschile dopo il suono della campana e non hai nemmeno bussato! Jean era praticamente in mutande e hai rischiato di prenderti un'altra strigliata da Shadis, se solo ti avesse scoperto».
«Non mi sono accorta di Jean» confessò lei candidamente e ancora Reiner sospirò, rassegnato ma divertito. «Lo so, eri troppo concentrata a togliermi i pungiglioni dalla schiena».
«Volevo scusarmi» mormorò, sempre più rattristata sentendosi spiattellare davanti tutte quelle colpe. Lei lo faceva sempre con innocenza, le balenava in mente qualcosa, lo faceva e puntualmente finiva nei guai o metteva nei guai gli altri. Anche prima dell'accademia era stato così, Mikasa non aveva mai fatto altro che rincorrerla ed evitare che si facesse del male. Ora la responsabilità della sua salute se l'era indirettamente divisa con Reiner, che chissà per quale motivo l'aveva presa sotto la sua ala, e Mikasa poteva concentrarsi un po' più su se stessa e su Eren. Ma Reiner non era bravo come Mikasa ad evitare i guai, ne veniva anzi trascinato a fondo insieme a Beatris, e puntualmente se ne prendeva la responsabilità. Si sentiva come una bambina che aveva bisogno della balia, era così triste... eppure non aveva voluto mai altro, nella vita, che imparare ad essere migliore. «Sei stato persino costretto a dover chiedere tu scusa a Shadis per entrambi, quando ci ha sgridati, e sei finito in punizione insieme a me... un'altra volta».
«Perché non fai che paralizzarti. Di fronte a Shadis smetti persino di respirare, non sai mai cosa inventarti. Faccio solo quello che credo giusto».
Beatris sospirò e si appoggiò alla staccionata di fianco a lui. «Ti sei sempre fatto carico delle mie responsabilità, da quando siamo qui dentro, perché io non sono mai riuscita a farlo. Qualcun altro avrebbe pensato che sono davvero stupida».
«Ma io lo penso» disse repentino Reiner e Beatris sussultò, fulminandolo: «Cosa?! E perché sei mio amico, allora?!»
«Perché...» e qualcosa di strano e invisibile sembrò disegnarsi di fronte agli occhi di Reiner. Era come se avesse appena catturato un ricordo o un pensiero, come una farfalla, a mani nude, e non era intenzionato a lasciarlo andare tanto facilmente. C'era qualcosa di caldo, di felice, nel suo sguardo. Una malinconia avvolgente e infine decise di confessare quel crimine che da mesi aveva tenuto per sé. 
«Perché ti ho sentita cantare» disse sorridendo dolcemente. 
«Eh?» mormorò Beatris, arrossendo lievemente. Quando l'aveva sentita? Di cosa parlava?
«Alla cattedrale per gli sfollati, nel distretto di Trost, pochi giorni dopo l'abbattimento del Wall Maria» e Beatris spalancò gli occhi, prima di chiedere: «Tu eri lì?»
Reiner si ritrovò a sghignazzare, divertito. Lui se l'era ricordata molto bene, aveva ricordato persino il particolare del suo calzino trasformato a pupazzo, il nome di sua sorella, e il colore delle sue scarpe. Se l'era ricordata come fosse stata una fotografia, mentre lei, che l'aveva calpestato, neanche ricordava di averlo incrociato. 
«Hai portato del pane ai tuoi amici, un pezzo anche a tua sorella, e tu non hai voluto mangiare. Poi hai cantato una canzone per la piccola Rose, sei riuscita a farla addormentare, e in mezzo a tutta quella disperazione e quel gelo sei riuscita a riscaldare più di un cuore».
«Rose...» mormorò Beatris, prima di corrucciarsi e tirare un pugno sul fianco di Reiner. «Che cazzo sei? Un cazzo di stalker? Maniaco psicopatico!» gli ruggì contro.
«Non ti ho stalkerata!» Sobbalzò Reiner, più per l’imbarazzo dell’accusa che per il dolore del colpo al fianco.
«Ricordi persino il nome di mia sorella! Dove l'hai sentito? Eh?!» e gli tirò un altro cazzotto, questa volta abbastanza potente da fargli persino male. «Ti ho sentito che la chiamavi, hai una voce bella squillante! Credimi, è stata una bella sorpresa anche per me quando ti ho rivista qui qualche mese fa».
«Perché non mi hai detto subito che mi conoscevi? Adesso mi sento stupida!»
«Mai quanto mi sarei sentito io nel dirti che mi ricordavo di te e della tua canzone. E comunque mi ricordavo di te perché mi calpestasti, tu e la tua imbranata coordinazione!»
«Ti ho calpestato?!» sussultò Beatris, spalancando gli occhi. Poi sospirò ancora, abbattuta: «Non faccio che crearti problemi da persino prima che ci conoscessimo, che disgrazia che sono».
«Ehy!» gridò uno dei capitani dall'altro lato del campo. «Vi siete riposati abbastanza voi due. Forza, riprendete!»
«Forse è così, sei stata una disgrazia» mormorò Reiner sollevandosi dalla staccionata e cominciando a far volteggiare il coltello davanti alla faccia. «O forse sei stata la persona giusta arrivata al momento giusto, questo non possiamo saperlo».
«La persona giusta per cosa? Per cantare una canzone?» disse, sarcastica e abbattuta. 
In verità, era certo che lei fosse la persona giusta ad essere sua amica lì dentro, vista la sua precaria situazione. Era perfetta: genuina, ingenua, e non troppo curiosa e impicciona. Reiner riusciva a portare avanti la sua vita da Guerriero in incognito senza problemi, e intanto, durante il giorno, vedendolo girare insieme a lei faceva anche una buona impressione nel resto dei suoi compag... no, non compagni. Nel resto di quelle persone. 
Ma non poteva dirglielo. Non poteva dirle la verità, non poteva dirle quanto lui avesse avuto bisogno di quella canzone quel giorno di quasi tre anni addietro. La ricordava ancora, ogni tanto ripensava alla sua voce prima di addormentarsi, e come un incantesimo questo gli permetteva di non fare incubi. Di non sognare tutte quelle persone morte a Shiganshina, di non sognare Beatris in mezzo a loro mentre lui e Bertholdt uccidevano tutti, compresi i suoi genitori, di non sognare Marcel, di non sognare Marley e Liberio. 
Se si addormentava pensando alla sua canzone, lui riusciva incredibilmente a riposare con serenità. Non poteva dirglielo, non era riuscito a dirlo nemmeno a Bertholdt. Era qualcosa di suo, un segreto che avrebbe portato per sempre con sé, una vergogna forse, ma di cui si beava con dolcezza. Un Guerriero di Marley era stato ammansito dalla melodia di un demone, che con una semplicità disarmante era riuscita a penetrare oltre la corazza del suo gigante e colpire dritto al petto. Sarebbe stata una vergogna incurabile se fosse venuto allo scoperto.
«Chissà, magari è proprio di una canzone che qualcuno può aver bisogno ogni tanto» sorrise, mettendosi in posizione per provare ad attaccarla. «Il punto è un altro: io sono assolutamente certo, Tris, che tu sia forte come desideri esserlo e forse anche di più. La carica con cui sei partita all'inizio ne è una prova, tu non sei debole neanche un po', e quando vuoi riesci a tirarla fuori. Hai salvato me da April quando impazzì la prima volta e hai salvato Armin sulle montagne. Dentro te c'è quella forza, ne sono certo, devi solo smettere di avere paura e iniziare a muoverti».
Attaccò. Fu rapido, ma neanche troppo, per cercare di darle il tempo di reagire. Sapeva che il suo discorso avrebbe dovuto scuoterla un po', lei era genuina, più volte erano bastate poche parole per spronarla in qualcosa. Era certo che un minimo d'effetto le avesse fatto, eppure ancora lei non si mosse. Paralizzata. 
Strizzò gli occhi e si rannicchiò nelle spalle, come una bambina di fronte al più temibile degli incubi, e si sarebbe fatta colpire in pieno se Reiner non si fosse fermato prima. Sospirò, rattristato, e le diede un altro colpetto con la punta del coltello di legno sulla fronte, per destarla. 
«Come si fa a sconfiggere la paura, Reiner?» mormorò lei, riaprendo lentamente gli occhi. «Io non riesco a farlo. È possibile? Tu ci sei riuscito? Tu... hai paura di qualcosa?»
«Sì» sospirò Reiner. «Ho paura di tante cose, e anche io a volte temo di paralizzarmi per questo».
«E come l'hai sconfitta?»
«Non l'ho sconfitta» disse e Beatris spalancò gli occhi, se possibile, ancora di più. «È sempre lì, in ogni istante. Io... credo solo di aver trovato qualcosa di più forte a cui aggrapparmi e che possa trascinarmi in avanti».
«Qualcosa di più forte?» mormorò Beatris, inarcando le sopracciglia e cercando di riflettere sulla cosa. Reiner annuì e sorrise, dolcemente. «La troveremo insieme. Ti ho promesso che ti avrei aiutata, ricordi? Troveremo insieme il modo di tirare fuori la tua forza da dentro di te, va bene?»
E Beatris si illuminò come una bambina di fronte a un bellissimo giocattolo. Annuì vigorosamente e restò a fissare Reiner, come incantata, come se avesse potuto in quel preciso istante tirare fuori una bacchetta magica e compiere il miracolo. 
«Lasciamo perdere il combattimento con l'arma e facciamo qualche esercizio di tecnica?» propose lui e Beatris sospirò, sollevata. «Sì, ti prego, buttiamoci sulla teoria per un po'. Vederti scattare verso di me con quell'espressione omicida mi terrorizza, per oggi basta per favore».
«Espressione... omicida?» mormorò Reiner, sentendo un moto di tristezza farsi strada nel petto. Era stata solo una battuta, ne era consapevole, ma davvero aveva l'espressione omicida quando si lanciava in combattimento? Lui... era davvero un omicida?


Il tramonto ormai era quasi alla sua conclusione, presto avrebbe lasciato spazio alla luna e alle stelle. Anche quella giornata, come tutte quelle dei mesi precedenti, era stata stremante ma soddisfacente. Giorno dopo giorno, chi decideva di restare e non mollare, diventava sempre più forte, sempre più capace e questo bastava a dare la forza di sopportare la stanchezza. Erano tornati da un'esercitazione nei boschi, test di sopravvivenza, e non desideravano niente se non un pasto caldo e il morbido letto a confortare i muscoli distrutti. Sgranchendosi le spalle indolenzite, Reiner camminava di fianco a Bertholdt e Connie e si stava dirigendo alla sala comune per la cena. Era stata una buona giornata, era riuscito a eseguire il test senza troppe difficoltà, arrivando ancora una volta tra i primi nella valutazione, e soprattutto Beatris sembrava essere stata più determinata del solito. Era arrivata ultima, subito dopo Armin, ma perlomeno ce l'aveva messa tutta e aveva smesso di autocommiserarsi. Il suo aiuto a qualcosa sembrava stesse servendo, da quando avevano parlato e soprattutto da quando aveva iniziato a dedicarle più tempo, costringendola ad allenamenti extra insieme a lui tutte le mattine, sembrava stesse migliorando sia di capacità ma soprattutto d'umore. Si stava rafforzando e questo riusciva a notarlo anche lei, anche se con tempi più lunghi rispetto ai loro compagni, ma l'aiutava a mettersi in testa che avrebbe potuto farcela anche lei. Si impegnava, e questo era abbastanza. Non era sempre felice quando lui mandava Mikasa a svegliarla prima la mattina, e il più delle volte si lamentava per il sonno e la stanchezza, ma non rifiutava mai di presentarsi o di non fare quello che lui le ordinava. Era come una bambina, andava tenuta per mano, era confusionaria e rumorosa, ma sembrava felice di provarci. O almeno, questo da quando lui aveva cominciato ad occuparsene personalmente. Forse lo faceva, ancora una volta, solo per compiacerlo e non perché ci credeva davvero, ma poco importava. Prima o poi lei avrebbe trovato la motivazione che stava cercando, e nel frattempo lui si sarebbe occupato di prepararla fisicamente. Era quello che gli riusciva di più. 
«Quanto ti invidio!» sentì esclamare Connie, di fianco a lui. E questo lo strappò via dai suoi pensieri. «Mh?» mormorò solamente, non riuscendo a capire di cosa stesse parlando.
«Sembra che niente possa abbatterti! Sei una roccia, non capisco come tu faccia» spiegò l'amico. «Anche oggi sei arrivato secondo, subito dopo Mikasa. Io sono arrivato ventiduesimo, che schiappa! E guardati ora! Tra i due sono io il più stanco, nonostante stamattina abbia dormito anche di più».
«È solo questione di resistenza, con un buon allenamento anche tu puoi riuscirci».
«Sembra che non ti fermi mai, mi chiedo quanto ancora durerai prima di crollare».
«Perché dovrei crollare?» sorrise di un sorriso imbarazzato. Credevano che stesse esagerando? 
«Magari trascinato a picco da qualche peso morto»  la voce di Annie anticipò il suo passaggio. Costrinse il gruppo a rallentare, per voltarsi e guardarla, attirati dalle sue parole. Annie gli passò davanti senza fermarsi, ma non passò oltre senza prima aver lanciato un'occhiataccia a Reiner. Non ci fu bisogno di aggiungere altro, lui riuscì a cogliere perfettamente il significato di quelle parole. Bertholdt aveva accettato di buon grado la sua idea di farsi degli amici tra quelle persone, così da non destare sospetti e infiltrarsi meglio, ma Annie invece non solo l'aveva rifiutata ma sembrava proprio ripudiarla. Si rifiutava di stringere legami con quelle persone, non parlava con nessuno, a malapena aveva accettato di scambiare un paio di parole con Eren per insegnargli alcune delle sue mosse, solo perché  si era sentita in qualche modo costretta. Insisteva nel volersene stare isolata, ma questo sembrava non bastarle. Le volte che loro due e Bertholdt avevano avuto modo di parlare da soli, confrontarsi sul procedimento della missione, Annie aveva espresso chiaramente il suo disaccordo riguardo al loro modo di fare. Non sopportava che si esponessero così tanto, trovava stupido provare a legarsi al nemico, col rischio addirittura di affezionarsi a loro... trovava stupido dedicare così tante energie per gente come quella. Per gente come Beatris. Avevano avuto una discussione accesa proprio poche sere prima, su quella faccenda. Annie era irritata dal fatto che la ragazza gironzolasse così tanto intorno a lui e Bertholdt, era decisamente troppo attaccata a loro, soprattutto a Reiner, c'era il rischio che prima o poi la loro copertura saltasse a causa sua. Ma soprattutto trovava inconcepibile il fatto che Reiner si esponesse così tanto, tutte le volte, solo per proteggerla e aiutarla. L'attacco dell'alveare, il furto della carne, le punizioni di Shadis e tutte le volte che per aiutarla aveva finito lui stesso con il rallentare. Aveva calato un po' i suoi voti, ultimamente, solo per restare al passo con Beatris e non lasciarla sola. Se non fosse arrivato tra i primi dieci, come si sarebbero potuti unire alla gendarmeria e indagare sul Re e il Gigante Fondatore?
Reiner aveva provato a dirle che non si sarebbe mai fatto rallentare da nessuno, nemmeno da Beatris, aveva provato a rincuorarla del fatto che aveva perfettamente tutto sotto controllo, e infatti quel pomeriggio stesso era arrivato per l'ennesima volta secondo alle prove. Ma Annie non pareva volersi fidare e quel suo atteggiamento ostile nei confronti del rapporto che Reiner stava coltivando con la ragazza era peggiorato smisuratamente quando lui era stato costretto a confessare che sulle montagne si era trasformato per riuscire a proteggere entrambi dalla valanga. E poi non lo aveva fatto quando avrebbe dovuto, per tornare indietro, lasciandola a morire. Aveva messo a rischio la missione, a rischio la sua stessa vita, per che cosa? No, Annie non riusciva proprio a tollerare quell'accanimento di Reiner per quella ragazzetta. Non che fosse l'unica, sia lui che Bertholdt non facevano che essere gentili e amichevoli con tutti, e lei non sopportava vederli così affiatati con tutti quei ragazzi. Una sera li aveva persino sentiti scherzare con Jean, promettersi a vicenda che sarebbero invecchiati insieme all'interno delle mura, era qualcosa che le faceva accapponare la pelle. Come riuscivano a essere così falsi? Senza alcun senso di colpa? Come potevano comportarsi come se fuori Paradis non esistesse niente? Come se fossero realmente felici di essere lì...
«Se ci si vuol rafforzare bisogna aumentare lo sforzo da sottoporre ai muscoli» le rispose Reiner, cupo in volto. «I pesi sono il miglior alleato di un guerriero in addestramento».
«Tch» sibilò Annie tra i denti, prima di voltarsi e allontanarsi.
«Eh?» gracchiò Connie. «Ma di che parlavate?»
«Lasciala perdere» mormorò Reiner. «È arrabbiata perché sono migliore di lei nelle prove fisiche».
«Però ti fa a pezzettini quando si tratta del combattimento corpo a corpo» sghignazzò Connie e Reiner si irrigidì in un'espressione frustrata e nervosa. 
«È incredibile, ha ragione» concordò Bertholdt «Ci vuole grande abilità ad abbattere una montagna come te».
«Non infierire!» ruggì Reiner e Connie, al suo fianco, scoppiò in una fragorosa risata. Entrarono in quel momento nella sala comune, già brulicante di gente, e si avviarono verso la cucina per prendere i loro vassoi. Cercarono poi un posto libero dove sedersi e ne trovarono un paio proprio allo stesso tavolo di Eren. Quando li raggiunsero, Armin era in pieno vigore mentre raccontava ai suoi compagni chissà quale grande storia.
«Ho letto che succede una volta ogni cinquant'anni!» esclamò, euforico. Eren, davanti a lui, lo ascoltò incuriosito ma senza dimostrare troppo entusiasmo. Mikasa al suo fianco era particolarmente passiva, ma sembrava essere interessata anche lei. Beatris, invece, aveva l'espressione spalancata e lo ascoltava assorta. Neanche si accorse di Bertholdt che le si sedette a fianco e di Reiner davanti a lui. 
«Che cosa succede una volta ogni cinquant'anni?» chiese quest'ultimo, curioso. 
«La luna che diventa rosa» spiegò Beatris, distrattamente.
«I raggi del sole sono inclinati in maniera del tutto particolare e con le giuste condizioni climatiche si può vedere la luna tingersi di rosa. L'ho letto su uno dei libri del nonno! Oltretutto stanotte c'è la luna piena, sarà uno spettacolo unico» spiegò Armin.
«Ma da qui non possiamo vederla, è nascosta dietro ai boschi» disse Mikasa e Armin sospirò: «Già, è un gran peccato».
«Possiamo andare al lago, da lì si vede bene» propose Beatris e Armin sussultò: «Non si può uscire dal campo la notte!»
«Ma...» iniziò a dire Beatris, ma intercettò lo sguardo di Mikasa proprio in quel momento. Le fece venire i brividi, sembrava essere pronta a saltarle al collo. Non doveva nemmeno azzardarsi a pensarci, sarebbe stata l'ennesima pazzia a cui poi qualcun altro avrebbe dovuto porre rimedio per lei. Beatris sospirò, affranta. «Avrei tanto voluto vederla».
«Tra cinquant'anni accadrà di nuovo, immagino che da vecchi non avremo troppi impegni» disse Armin, cercando di essere positivo, anche se era palese che quella semplice frase nascondesse più di un milione di interrogativi. Sarebbero arrivati ai loro sessant'anni? O sarebbero morti prima?
«Ah!» si illuminò Beatris, e batté le mani tra loro. «Diamoci appuntamento!»
«Eh?» mormorò Eren, confuso. 
«Qualsiasi cosa accadrà a ciascuno di noi, promettiamo tra cinquant'anni di andare al lago dietro il bosco per vedere la luna rosa insieme. Che ne dite?» Una frase banale, una proposta assurda, una vera sciocchezza... che riuscì a scaldare i cuori di chiunque fosse seduto a quel tavolo con una magia a dir poco unica. Di fronte a loro non c'erano che ostacoli, ne erano consapevoli, compresa Beatris. Uscire indenni dall'addestramento era già molto difficile, ma dopo sarebbe stato ancora più impossibile riuscire a sopravvivere. Dentro, o fuori le mura, tutti loro avevano davanti missioni che quasi sicuramente li avrebbe visti morti nel futuro più prossimo. Eren mirava alla legione esplorativa, con lui anche Mikasa, Armin e Beatris e solo questo bastava a renderli consapevoli di quanto poco avrebbero vissuto. Combattendo, non si sarebbero fermati, ma c'era ben poco da sperare di arrivare a un'età troppo avanzata dovendo ogni giorno giocare d'azzardo col destino. Bertholdt e Reiner, che puntavano alla gendarmeria, avrebbero anche potuto dire con sicurezza che sarebbero arrivati vivi fino ad allora... se solo non fossero stati guerrieri di Marley. L'orologio della morte, per loro, aveva già iniziato a ticchettare due anni prima, quando erano stati tramandati loro il gigante colossale e il corazzato. Non più di tredici anni di vita era quello che li aspettava, mai sarebbero arrivati ad allora... ma anche se non ci fosse stata la clausola del tredici anni, loro miravano a ribaltare quella nazione. Presto o tardi, sarebbero stati avversari, avrebbero forse loro stessi ucciso quelle persone... no, mai nessuno si sarebbe potuto presentare a quell'appuntamento. Ma sperarci, provare anche solo a immaginarlo, li riempiva per qualche motivo di una gioia incontenibile. 
Sorrisero, sentendo un profondo calore invadergli il corpo intero, e silenziosamente annuirono. 
«Ci rivediamo tra cinquant'anni, allora» si illuminò Beatris. Un semplice sorriso, era solo un sorriso, eppure scaldava il cuore più del sole stesso. Era di una bellezza mai vista prima. 
Reiner avrebbe davvero voluto esserci, quel giorno, tra cinquant'anni. Lo avrebbe voluto davvero tanto.


NDA.


Non ho molto da dire in queste NDA. È stato un capitolo abbastanza leggero se non per la confessione di Reiner, nel dirle che già l’aveva vista alla cattedrale, e l’ultima nota amara… e che nota amara! Preparatevi perché il prossimo sarà un capitolo col botto :P Ci saranno un po’ di feels (spero >_>)
Intanto vi lascio la canzone del capitolo e come sempre ci sentiamo alla prossima :3



È una dedica che mi immagino Reiner faccia a Beatris (avete notato che ha iniziato a chiamarla Tris? E che è l’unico a farlo? Non dimenticatelo, è importante eheheh) in questo momento, mentre cerca di spronarla ad abbandonare la sua paura e dare il meglio. A voi :3

https://www.youtube.com/watch?v=7Xi8RQRT4EI&ab_channel=BruceWayne

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***



La cena era proseguita allegra e fin troppo veloce, come ultimamente succedeva sempre. Gli argomenti affrontati erano dei più variegati, si andava dai dubbi sugli esami, lo stress da addestramento, i desideri futuri, le storie del passato e gli scherzi tra loro. Era ormai abitudine che almeno una volta a sera Eren e Jean litigassero, ed era sempre anche quello un ottimo modo per riempire la testa di bei ricordi e il petto di splendide emozioni. Il più delle volte finivano a terra tra di loro, Beatris non aveva mai smesso di provare a scommettere sul vincitore e si sbracciava a volte in un tifo decisamente troppo esagerato, ma non era raro che alla fine l'unico vincitore fosse sempre e solo Mikasa, che irritata interveniva per bloccare entrambi. Gli insulti che i due compagni d'arme si rivolgevano non appena ce n'era l'occasione erano sempre molto fantasiosi e a tratti infantili, ottimi per solleticare un po' l'ilarità. L'unica preoccupazione che avevano era che Shadis avesse potuto sentirli, prima o poi, e metterli in punizione. Era qualcosa di talmente tanto sottile, superficiale, leggero come una piuma che persino una cosa come quella risultava piacevole, alla fine. 
Lì a Paradis non c'erano guerre, ritorsioni, odio razziale, indottrinamenti assurdi, non c'erano violenze gratuite contro persone che avevano solo avuto la colpa di nascere. Quelle persone erano demoni, era vero, ma la promessa di pace fatta dal Re sembrava comunque essere mantenuta. Anche con la piaga dei giganti, lì, dentro quelle mura, era un vero Paradiso dove a chiunque era concesso sorridere ed essere addirittura felice. Era una quotidianità a cui Reiner non era abituato e che sentiva, ora che aveva possibilità di goderne, che forse era ciò che aveva realmente sempre desiderato. Quanto era triste pensare che invece, presto o tardi, tutto sarebbe stato spazzato via. 
Ma anche in quella meravigliosa quotidianità, non c'era pace per uno come lui. Era un sentimento egoista, quella gioia che provava sempre più intensamente, perché sapeva che fuori dalle mura, oltre al mare, c'era chi aspettava il suo ritorno e pregava sulla riuscita della loro missione. La missione che avrebbe avuto come epilogo lo sterminio di tutto quello...
Erano pensieri come quelli che certe notti non gli permettevano di dormire e anche se si sforzava di ricordare la canzone di Beatris, che aveva scoperto avere un effetto magico sul suo stato d'animo, a volte non era così forte da riuscire a vincere il dolore. Erano passati anni, in fondo, da quando l'aveva ascoltata... cominciava persino a dimenticarsene. Inoltre più passava il tempo e più sentiva la propria determinazione vacillare, quando poteva scherzare con Connie, guardare Eren e Jean litigare, ascoltare le storie di Armin, fare insieme al resto dei ragazzi le previsioni del tempo in base a come Bertholdt si addormentava. Sentiva la propria determinazione vacillare tutte le volte che riusciva a intercettare il sorriso scaldante di Beatris, o quando lei arrivava al suo fianco potente come un uragano, a riempirgli le orecchie di parole, a saltellargli intorno con allegria, o quando nel tentativo di proteggerla finiva nei guai insieme a lei. Si era legato a lei con l'unico scopo di usarla a suo vantaggio, risultare amichevole e affidabile agli occhi del nemico, prendendosi cura di una ragazza che sembrava avere decisamente bisogno di qualcuno che si occupasse di lei. Era quello che aveva detto a Bertholdt e Annie, ed era quello che aveva creduto fin dall'inizio, ma ultimamente quando pensava che prima o poi avrebbe dovuto uccidere anche lei... vacillava. Vacillava spaventosamente. E doveva alzarsi dal letto, prendere aria, riflettere, sforzarsi di ricordare i volti dei suoi amici a Marley, di sua madre, dei suoi zii, o dei suoi compagni d'arme. Si sforzava di ripensare a Marcel, che si era sacrificato per salvarlo e aveva lasciato così indirettamente a lui la responsabilità di quella missione. Doveva ritrovare qualcosa a cui appigliarsi per salvare l'intera umanità, di cui si era fatto carico fin da bambino. E allora usciva a prendere aria, da solo, senza neanche Bertholdt al suo fianco, perché aveva bisogno solo di un po' di solitudine per dare pace al proprio animo. Non voleva essere Reiner il Guerriero, ma neanche Reiner il soldato, in quei momenti aveva solo bisogno di essere Reiner... e basta. Solo Reiner, senza dover dimostrare niente a nessuno, senza alcuna responsabilità da portare sulle spalle. In quei momenti aveva solo bisogno di abbassare la guardia, e sentirsi comunque al sicuro.
Si appoggiò alla ringhiera della veranda del proprio dormitorio con i gomiti e alzò gli occhi al cielo puntinato di stelle. Le fiaccole del centro di addestramento erano abbastanza intense da contrastarle, molte le nascondeva, ma non tutte. Era comunque un bello spettacolo, anche da lì.
Peccato solo non si vedesse la luna, nascosta dietro gli alberi della foresta alle spalle del centro. Quella sera ci sarebbe stata la luna piena, e secondo Armin sarebbe stata addirittura tinta di rosa. 
Ci rivediamo tra cinquant'anni, allora.
Il sorriso gli morì sul volto. Lui non ci sarebbe stato. Anche se la missione di Marley fosse fallita, anche se quelle persone avessero vissuto in piena serenità per altri cinquant'anni, anche se niente avesse intaccato quella quotidianità in quei cinquant'anni, lui non ci sarebbe stato. Non l'avrebbe mai vista, quella meravigliosa luna rosa di cui parlava il libro del nonno di Armin. Sapere che era lì, oltre gli alberi, e lui la stava perdendo per sempre, gli faceva attorcigliare le budella nello stomaco. Non sapeva perché ci tenesse tanto, forse si stava facendo decisamente troppo influenzare dallo stato d'animo sereno e pacifico di Paradis, tanto da spingerlo a desiderare di vivere anche situazioni banali come quelle. Non era qualcosa di cui andava fiero, ma sentiva che c'era. Quel desiderio di vivere appieno la vita, almeno una volta prima di morire, sentiva che era lì nel petto e urlava tanto forte da sovrastare addirittura il ricordo della voce di Beatris che cantava la sua ninna nanna. 
E un pensiero lo fece vibrare. 
Perché no? Perché non avrebbe dovuto andare al lago dietro la foresta? Perché non poteva provarci? Cosa temeva? Shadis e le sue punizioni? Sciocchezze. Quanto potevano essere pericolose delle punizioni, in confronto all'idea che la morte lo aspettava a scadenza ben decisa. In confronto all'evidenza che quello che si stava perdendo in quel momento non l'avrebbe riavuto mai più indietro. Al diavolo Shadis, era un vecchio come un altro, e certo non poteva spaventare uno come lui. 
Scese gli scalini della veranda e si avviò deciso attraverso il cortile, superando i dormitori maschili, passando a fianco di quelli femminili. 
Ci rivediamo tra cinquant'anni.
Si fermò a guardare l'ingresso del casolare dove sapeva in quel momento si trovava Beatris. Se avesse saputo, l'indomani, che era andato da solo a vedere la luna rosa non gliel'avrebbe mai perdonata. Sorrise, pensando divertito a quanto l'avrebbe insultato e quanto avrebbe addirittura provato a colpirlo, come una bambina intenta a fare capricci. Le avrebbe davvero fatto una cosa simile? Lasciarla sola, ignorando il suo desiderio, per poi tradirla cinquant'anni dopo non presentandosi all'appuntamento che lei gli aveva dato. Era troppo, persino per uno come lui. Si guardò attorno, preoccupato che ci fosse qualcuno a vederlo, ma non appena constatò la sicurezza del luogo si nascose dietro al casolare, all'ombra. Sgattaiolò per tutto il fianco, fino ad arrivare alla finestra sul retro. Avrebbe voluto sporgersi, guardare all'interno per vedere se riusciva a trovarla, ma sapeva che sarebbe stato meschino persino per uno come lui sbirciare dentro il dormitorio femminile. Era da pervertiti. 
Alzò un braccio, restando con la schiena poggiata al lato della finestra, e si limitò a bussare un paio di colpi, senza guardarne l'interno. Attese qualche secondo, nessuna risposta, perciò pregando di non rovinare tutto provò ancora. E attese altri infiniti secondi, fino a quando finalmente la finestra non si spalancò. 
«Che stai facendo?» sussurrò Annie, fulminandolo. «Che razza di scherzo è questo? Sei impazzito a venire direttamente qui in piena notte?»
«Calmati, non sono qui per te» le disse, irritato. Tra tutti, proprio lei doveva aprirgli?
«Che cosa vuoi?» chiese Annie.
«Chiamami Beatris» le ordinò. Se glielo avesse semplicemente chiesto lei si sarebbe rifiutata, sperava che facendo appello al suo lato autoritario avrebbe ascoltato senza troppe storie.
«Scordatelo. Non sarò complice di questa stronzata» e senza dargli tempo di replicare richiuse la finestra. 
«Annie! Aspetta!» lamentò Reiner e, senza quasi nemmeno accorgersene, si sporse e guardò all'interno della finestra per cercare l'amica e provare a convincerla ancora. Si accorse dell'errore troppo tardi, quando notò alcune ragazze stese nei loro letti non troppo lontano dalla finestra, e imbarazzato tornò a poggiare le spalle al legno del casolare. Sospirò e si chiese se fosse stato il caso di insistere, bussare ancora, sperando che Annie non l'avesse messo nei guai raccontando qualche cazzata solo per toglierselo dai piedi. Forse non sarebbe riuscito a coinvolgere Beatris, ma improvvisamente l'idea di andare a vedere la luna rosa da solo non lo entusiasmava più così tanto. Restò qualche secondo immobile dov'era, a valutare tutte le possibilità, quando infine la finestra si aprì di nuovo. Si voltò, speranzoso di avere una seconda possibilità, e si trovò davanti il volto sarcastico di Ymir. 
«Che stai facendo da queste parti, principino?» lo denigrò, sogghignando, e Reiner già sapeva che per quanto stava per fare lei lo avrebbe preso in giro per il resto della sua vita.
Beh, solo dieci anni, in fondo... non così tanti. 
«Sveglia Beatris per me e ti ripagherò». Ormai conosceva abbastanza bene Ymir da sapere che l'unico modo di convincerla a fare qualcosa era puntare al suo egoismo. Darle qualcosa in cambio, e allora avrebbe accettato qualsiasi cosa. 
«Oh, senti senti... allora sono vere le voci che corrono su voi due».
«Di che voci parli?!» sussultò Reiner, rosso in volto. 
«Te la sveglio» tagliò corto Ymir, appoggiandosi col mento sulle braccia incrociate, sopra il davanzale della finestra. «Ma in cambio dovrai dirmi cosa state andando a fare, piccioncini».
«Che ti interessa?» ringhiò Reiner, irritato e sempre più imbarazzato. Forse era stata decisamente una pessima idea. 
«Christa impazzirà quando glielo racconterò, e se conosci un luogo romantico che io non conosco potrebbe farmi comodo saperlo».
«Piantala con le allusioni! Non c'è niente di romantico, né nessun piccioncino».
«E perché vuoi che sveglio Beatris? Sta dormendo come un angioletto stretta a Mikasa, sapevi che quelle due dormono sempre insieme?»
«No...» mormorò Reiner, talmente tanto confuso e imbarazzato da non riuscire nemmeno più a capirci niente. «Non lo sapevo».
«Invidioso, eh?!»
«Ma che stai dicendo?! Valla a svegliare e non rompere!»
«Dove la porti?»
«Al lago, oltre la foresta» rispose senza pensarci e Ymir spalancò gli occhi. «Volete uscire dal campo in piena notte?!»
«Non azzardarti a fare la spia, o dirò a Christa quanto sei infame!»
«Calmati, non c'è bisogno di agitarsi tanto» sospirò Ymir, sollevandosi dal davanzale della finestra. Fece per rientrare, ma prima di sparire del tutto oltre la finestra sogghignò ancora, maliziosa, e disse: «Christa impazzirà quando le dirò che c'è una nuova coppia nel centro».
Reiner non ci vide più e d'istinto cercò di colpire Ymir con un pugno. Ma la ragazza fu rapida abbastanza da indietreggiare, evitare il colpo, e sparì all'interno del casolare sghignazzando divertita. 
«Stupida» ringhiò Reiner tra sé e sé. «Stupida senza cervello».
Ymir intanto, silenziosa come un gatto, si avvicinò al letto di Mikasa. Si inginocchiò e ringraziò l'apatia di Mikasa che accettava sempre passivamente la compagnia di Beatris nel letto, perché come le altre notti le aveva lasciato un posto abbastanza minuscolo e questo aveva portato Beatris ad avere un po' le spalle sporgenti verso l'esterno. La toccò delicatamente, la scosse appena e Beatris aprì gli occhi. Si voltò a guardare chi la stesse chiamando e Ymir, subito, si portò un dito alla punta del naso per dirle di fare silenzio. Con un gesto, poi la invitò a seguirla e le indicò la finestra aperta. 
Beatris non capì assolutamente niente di quanto stava accadendo, ma la curiosità la invase comunque. Era strano che proprio Ymir la svegliasse in piena notte ed era altrettanto strano che la finestra fosse aperta. Scivolò via dall'abbraccio di Mikasa con lentezza, seguì Ymir in punta di piedi e una volta alla finestra si affacciò, riuscendo a scorgere immediatamente Reiner appena sotto di essa.
«Reiner» sussurrò sorpresa. «Cosa fai qui?»
Non appena Reiner sentì la voce di Beatris tutto il fastidio accumulato fino a quel momento parve scomparire come per magia. Le sorrise, si portò la punta del dito alle labbra suggerendogli anche lui di fare silenzio. Poi le fece un occhiolino: «Ti va di vederla quella luna?»
Beatris spalancò gli occhi e parve iniziare a brillare di luce propria. L'idea la eccitava come mai prima d'ora. Si voltò d'istinto a guardare Mikasa, pensando che avrebbe dovuto chiamare anche lei, ma si bloccò. Mikasa non avrebbe mai accettato di infrangere le regole del campo per una cosa come quella e probabilmente anche Eren, Armin e Bertholdt avrebbero volentieri evitato di fare quella pazzia. In realtà, era certa che anche Reiner fosse assolutamente contrario e vederlo lì, a proporle di evadere, fu una vera sorpresa. Di solito era lei l'unica che faceva follie, Mikasa glielo impediva, Reiner ci provava ma finiva inevitabilmente coinvolto contro la sua volontà. Era strano, al limite dell'assurdo, e per questo non avrebbe mai rifiutato per niente al mondo. Tornò a guardare Reiner con gli occhi che brillavano dall'emozione e annuì vigorosamente. 
«Andiamo. Cerca di non farti sentire» le disse, facendole un gesto con la mano per invitarla a seguirlo. Beatris corse all'interno del dormitorio, prese tra le braccia calze e scarpe, e tornò infine alla finestra. Lanciò tutto fuori e per ultimo saltò giù anche lei. Si infilò velocemente le scarpe, senza preoccuparsi di essere ancora in pigiama, e infine seguì Reiner attraverso il campo d'addestramento. Passarono di ombra in ombra, cercando di non farsi vedere, restando nascosti dietro a casolari e strutture di ogni genere, approfittando anche della presenza dei carri e pregando che i cavalli non si fossero imbizzariti nel vederli. Infine uscirono, passando oltre il recinto spinato, e si inoltrarono nella foresta. Ormai tranquilli, camminarono più velocemente lungo il sentiero, sentendo la fretta spingerli a sbrigarsi, come se da un momento a un altro la luna fosse potuta sparire del tutto. Reiner apriva la strada, Beatris gli stava dietro arrancando un po', ma l'entusiasmo del momento riusciva a darle la forza necessaria a proseguire con velocità. Riuscì persino a non inciampare nemmeno una volta. E infine, arrivarono al lago. 
Laggiù, dove le fiaccole del campo non arrivavano, dove regnava solo il buio più completo, le stelle erano padrone assolute del mondo. Brillavano, scintillavano come gioielli, rendendo tutto il mondo intorno a loro etereo come quello di un sogno. Il lago, davanti a loro, rifletteva tutta quella meraviglia e sembrava che sul fondo fosse cosparso di diamanti. La vegetazione era fresca e silenziosa, si sentiva qualche grillo, qualche gufo in lontananza, ma poi altro se non il tenero rumore del vento tra le foglie. Era come trovarsi in un sogno. 
«È bellissimo» mormorò Beatris, avvicinandosi alla riva. 
«Già» rispose Reiner alle sue spalle, meno plateale nel mostrare la propria meraviglia ma non per questo meno affascinato da quello spettacolo. Nemmeno a Marley c'erano posti come quelli, o se c'erano agli Eldiani era proibito andarci, e a Liberio le luci erano sempre troppo forti per permettere alle stelle di raggiungerli decentemente. Era un posto magico, uno spettacolo incredibile, e ringraziò il suo coraggio per averlo spinto fino a lì quella sera perché sarebbe stato sicuramente un ricordo che si sarebbe portato dietro per il resto dei pochi anni che gli restava da vivere. 
Incantati dalla luce soffusa delle stelle sul lago, si erano persino dimenticati del motivo che li aveva spinti fino a lì, e se ne ricordarono solo pochi minuti dopo. Beatris alzò gli occhi al cielo, bramosa di aggiungere meraviglia ad altra meraviglia, e riuscì a intercettare la luna piena, padrona del cielo assoluto. Ma la delusione la portò ad abbassare le spalle. 
«È normale» mormorò, triste nell'accorgersi che non c'era alcuna sfumatura rosa.
«Magari l'episodio raccontato dal libro del nonno di Armin è stato solo un eccezione, non è vero che succede ogni cinquant'anni» ipotizzò Reiner. 
«Che peccato... abbiamo rotto l'incantesimo, adesso saremo gli unici che tra cinquant'anni verranno qui senza aspettarsi niente» commentò Beatris e Reiner rispose con un sospiro affranto. Si avvicinò alla riva, di fianco a lei, e si mise a sedere per terra. 
«Tris» mormorò con una voce improvvisamente triste e afflitta. «Credi davvero che ci saremo, tra cinquant'anni?»
«Tu e Bertholdt andrete nella gendarmeria, giusto? Voi sarete al sicuro, potrete tornare qui senza nessun problema» disse Beatris e gli si sedette a fianco, raccogliendo le ginocchia tra le braccia. «Ma sono felice che sei venuto a chiamarmi stasera, perché non credo che io invece avrei avuto un'altra occasione».
«Avresti davvero rinunciato sapendo di non avere un'altra occasione?» perché lui non c'era riuscito. Lei non avrebbe davvero fatto altrettanto?
«Avrei rotto l'incantesimo» mormorò, poggiando il mento sulle ginocchia. Avvolta così in se stessa, con addosso quel semplice pigiama e i capelli sciolti sulle spalle, sembrava quasi una bambolina. «Avrei reso reale il terrore di morire prima di allora, confessando a me stessa che stavo accettando il mio destino. Ho preferito restare aggrappata alla mia stupida speranza che sarei sopravvissuta, solo per non abbattermi».
«E allora perché hai accettato di venire? È quello che è appena successo».
Beatris si voltò a guardarlo e gli rivolse un luminoso sorriso, non uno di quelli precostruiti, ma un sincero e dolce sorriso. «Ero emozionata all'idea di venire qui con te» confessò e Reiner sentì un'altra volta nel petto il cuore tirare un paio di colpi più potenti del solito. Distolse lo sguardo, portandolo al lago davanti a sé e pregò che fosse buio abbastanza da nascondere il fatto che fosse arrossito. 
«Ne stiamo combinando un bel po', io e te» proseguì Beatris, tornando a guardare il lago. «Quando mi sono arruolata non credevo che avrei mai trovato un amico così, sto cercando di collezionare quanti più bei ricordi possibili. Quando morirò vorrei potermene andare sapendo di essere stata felice».
«È per questo che ti lanci sempre incontro a qualche pazzia senza pensarci troppo?»
Beatris affossò il volto tra le ginocchia e quella volta fu il suo turno di provare a nascondere il rossore dal volto. «Può darsi» mormorò, palesemente imbarazzata. 
«Tris, dimmi una cosa» sospirò Reiner. Aveva sempre avuto un dubbio su Beatris, ma i suoi sorrisi, il suo modo di fare sempre gioviale ed euforico, il suo comportarsi sempre come se fosse felice anche di fronte alla più grande delle avversità, l'avevano dissuaso dall'indagare. Era sempre stato convinto che fosse solo una sua impressione, ma ogni tanto lei ritirava fuori quel tipo di argomenti e allora il dubbio tornava a corroderlo dentro. E a rattristarlo. «Vuoi entrare nel corpo di ricerca perché stai cercando una scusa per morire?»
Un'altra persona sarebbe scattata, offesa probabilmente, invece Beatris esitò. Esitò fin troppo. «Cosa te lo fa pensare?» chiese, ma era palese quanto si vergognasse di essere uscita allo scoperto. 
«I tuoi sorrisi ingannano, fanno credere che tu sia la persona più felice di questo mondo... lo fai apposta, non è vero? Cerchi di ingannarci».
E Beatris affossò ancora di più il volto tra le ginocchia, nascondendosi completamente al loro interno. Non rispose e Reiner continuò, sapendo ora di essere sulla strada giusta: «Shadis l'ha scoperto subito, per questo ti ha punita e si è irritato tanto. Il corpo soldati non accetta membri suicida, ma cerca eroi. Noi eravamo troppo concentrati su noi stessi e a fare bella impressione per accorgercene, ma è stato evidente fin da subito. "Meglio io che qualcun altro". È questo che hai detto» ricordò e Beatris ancora non rispose, nascosta tra le propria ginocchia. 
«Vuoi morire sacrificandoti per qualcun altro... perché?»
«Che cos'ho da perdere?» la sentì mormorare con un filo di voce. Era nascosta nel suo guscio, non poteva vederla in volto, ma era certo che anche quello fosse un modo per proteggersi come i suoi finti sorrisi felici. Non voleva mostrare il proprio dolore, a nessuno e forse benché meno a se stessa.
«I tuoi amici. Perderesti loro» le rispose Reiner.
«Appunto. Eren, Mikasa e Armin vogliono entrare nel corpo di ricerca, perderò anche loro... così non mi resterà più niente».
«Sai di non essere all'altezza, a cose normali non ti saresti mai arruolata, lo hai fatto solo per restare insieme a loro. Ma consapevole della tua debolezza, sai che non durerai un minuto di più là fuori, o almeno questo è quello che credi».
«Non sono in grado di fare il soldato, io non sono come voi. Se resto dentro le mura morirò di dolore, se vado fuori morirò per mano dei giganti, ma se riesco a farmi mangiare al posto di uno di voi... quello sarebbe un bel modo per andarmene» alzò gli occhi, ma solo un po', il giusto per riuscire a tornare a guardare il lago. «Meglio io che qualcun altro» ripeté.
«Qui dentro nessuno ti prende sul serio, eppure hai di questi terribili pensieri» sospirò Reiner. «Sei riuscita a ingannare persino Mikasa».
«No, non è vero» nonostante Reiner potesse vedere di Beatris solo gli occhi, riuscì a scorgere in loro qualcosa di simile a un sorriso. «Lei lo sa, anche Armin e Eren lo sanno. È per questo che insistono tanto sul fatto che devo darmi da fare. Eren non fa che sgridarmi, Mikasa cerca di proteggermi e Armin fa di tutto per rassicurarmi e convincermi a provarci. Li sto stremando. Penso stiano cominciando a odiarmi».
«Non ti odiano» disse Reiner con sicurezza, e Beatris non riuscì a trattenere un risolino. «Come fai a dirlo?»
«Perché io ti conosco da molto meno di loro, ultimamente sono quello che si preoccupa maggiormente per te, eppure non ti odio. Perciò è improbabile che lo facciano loro» era stata una frase pensata e detta contemporaneamente, senza darsi tempo di rifletterci sopra, ed era risultata nuova persino per lui. Se ne sorprese, tanto che si ritrovò lui stesso a tentennare di fronte a quanto appena scoperto. Lui non la odiava. Beatris era un demone di Paradis, uno di quelli che fin da bambino gli avevano detto che incarnavano il male, una di quelle persone che fin da bambino aveva imparato a odiare ed era stato addestrato solo con l'obiettivo di ucciderli. Beatris era una di loro, eppure non la odiava. Non la odiava nemmeno un po', ma anzi... sapere che sarebbe morta, sapere che lei voleva morire o che lui avrebbe dovuto ucciderla un giorno, lo feriva. Ripensare a Annie fu inevitabile, lei glielo aveva detto che avrebbe rischiato di affezionarsi e lui le aveva assicurato che non sarebbe mai successo. Beatris doveva essere solo uno strumento, da usare e poi gettare via. L'aveva protetta, all'inizio, solo perché così aveva potuto dimostrare di essere gentile e altruista, solo per conquistarsi la fiducia degli altri ma ora... desiderava proteggerla. Desiderava proteggerla davvero. 
Quando aveva iniziato a provare quei sentimenti? 
«Io un po' ti odio, invece» mormorò Beatris e aggiungendo sorpresa alla sorpresa Reiner sentì una freccia trafiggergli il cuore. La cosa davvero lo feriva? Ma cosa gli stava succedendo?! 
Si voltò a guardare Beatris e si sorprese di vederla totalmente a volto scoperto, uscita dal suo guscio, che guardava il lago di fronte a sé con un'espressione raddolcita. Era tirata in un lieve sorriso, dolce, come se si trovasse di fronte a qualcosa che amava con tutta se stessa.
«Perché?» mormorò Reiner, confuso più per ciò che stava provando in quel momento che per la frase in sé. Per quanto lei cercasse di nasconderlo, questa volta riuscì a vedergliele le guance che lievemente andavano colorandosi di rosso. 
«Perché adesso non sono più tanto sicura che non avrei niente da perdere».
Lui. Se fosse morta alla prima occasione, avrebbe perso lui, e questo la affliggeva talmente tanto che solo ora, ormai a cose fatte, stava cominciando a porsi il dubbio se avesse veramente voluto morire. Ormai si era arruolata, ormai aveva iniziato a percorrere la strada che l'avrebbe portata ad affrontare i giganti faccia a faccia, e con voti pessimi come i suoi non poteva nemmeno sperare di riuscire a finire nella gendarmeria al sicuro e magari al fianco di Reiner. E non era nemmeno sicura di volerlo fare. Era in preda alla confusione, fino a poco tempo prima non aveva avuto dubbi su quale sarebbe stato il suo destino, ma ora cominciava a farlo. Era tutto così confuso che negli ultimi tempi era andata avanti quasi meccanicamente, senza più riuscire a mettere emozione in quello che faceva. Da quando erano tornati dalle montagne, Beatris si era rabbuiata sempre più, aveva perso ogni spirito combattivo. Reiner aveva pensato che fosse colpa della sua autocommiserazione, della depressione che la inghiottiva nel vedersi sempre ultima della classe, dei sensi di colpa perché aveva sempre bisogno di essere salvata, ma si era sbagliato... Beatris aveva perso ogni motivazione a causa sua. Ciò che l'aveva spinta a dare il massimo all'inizio, il suo desiderio di arruolarsi per morire in cambio della vita di uno dei suoi amici, l'aveva perso completamente perché adesso non era più sicura di voler morire. Lei non voleva farlo, per questo aveva cominciato a blaterare di lasciare l'accademia. 
«Resta con me» mormorò Reiner sovrappensiero. Beatris sussultò tanto che un singhiozzo le risuonò in gola. Si voltò a guardare Reiner con gli occhi spalancati e il volto talmente rosso per la vergogna che avrebbe potuto prendere fuoco a momenti. 
«Eh?!» chiese, spingendo il busto il più distante possibile da lui, terrorizzata da chissà che cosa. Ma Reiner sorrise entusiasta, si lanciò in avanti e afferrò la mano di Beatris. 
«È la tua forza, Tris! L'ho trovata!»
«Cosa...?» mormorò lei, ancora in preda alla confusione. 
«La forza che ti serve per riuscire a superare la paura, per smettere di paralizzarti. Non vuoi morire, giusto? Vuoi continuare a vivere, per passare insieme momenti come questi, per poter continuare a essere mia amica, non è così? Pensa a questo, allora! Pensa che vuoi restare con me».
Beatris sentì il respiro restarle bloccato in gola, incapace di uscire, le fece dopo un po' girare la testa. Tremò e sentì il cuore nel petto essere ben intenzionato a uscirle dalla cassa toracica, talmente tanto stava colpendo contro le costole. Un'emozione come quella era mai riuscita a provarla prima? Era qualcosa di assolutamente nuovo e assolutamente distruttivo, riusciva ad abbattere qualsiasi cosa... persino la paura.
«Può funzionare?» chiese Reiner, abbandonando pian piano l'entusiasmo dell'idea. Ma non la convinzione che fosse la via giusta da percorrere.
Lasciò andare la mano di Beatris e lei sentì improvvisamente freddo. Avere la mani nelle sue era qualcosa di cui, solo ora se ne rendeva conto, sentiva quasi di aver bisogno per poter stare bene. Il cuore non sembrò essere intenziono a rallentare, ma il respiro pian piano tornò a scorrergli in gola e portare ossigeno al cervello. Esitò, a lungo, forse fin troppo, facendo preoccupare Reiner. Forse aveva detto un'idiozia?
A ripensarci, era sicuramente un’idiozia. Cosa gli era saltato in mente? Essere lui la sua ragione di vita... con quale naturalezza glielo aveva proposto? Era ridicolo, e imbarazzante come niente prima d'ora. Più ci pensava e più si rendeva conto di quanto fosse ambiguo, di quanto fosse inappropriato, e cominciò a odiarsi per averlo anche solo pensato. 
Ma poi Beatris sorrise di uno dei suoi sorrisi più sinceri e con le guance ancora colorate di rosso, infine, disse: «Sì, credo possa funzionare».
Reiner la guardò per qualche istante, cogliendo ogni sfumatura, cercando di memorizzare ogni dettaglio di quel volto e di quello sguardo palesemente emozionato. Si raddrizzò e tornò infine a guardare il lago davanti a sé, pensieroso, e incapace di smettere di arrossire. Era stato stupido, più che in situazioni normali, perché continuava a dimenticarsene. Continuava a dimenticarsi che lui era stato mandato lì per ucciderli... per uccidere persino lei. Non faceva che ripeterselo, cercare di ridare una direzione alla sua vita, ma ormai, per quanto avesse provato a ignorare il problema, ora non poté che schiantarcisi contro. 
«Tris» mormorò dopo qualche minuto. «Io vorrei che tu viva il più a lungo possibile» ed era dannatamente vero. Avrebbe accettatto di uccidere chiunque, avrebbe accettato di uccidere persino Eren, così come aveva accettato di sterminare tutta la popolazione di Shiganshina e condannare a morte la maggior parte del popolo del Wall Maria. Aveva le mani sporche di sangue ed era pronto a farlo ancora, era un guerriero di Marley, il migliore, e la sua fede verso la patria superava qualsiasi sentimento e senso di colpa. Li aveva schiacciati come formiche, non gli era interessato, e non gli sarebbe importato di farlo ancora.
Ma non lei. Per qualche assurdo motivo, avrebbe voluto davvero che lei avesse vissuto il più a lungo possibile. Non per forza al suo fianco, ovunque in quel mondo, ma in pace, felice, senza nessuno a minacciarla. Avrebbe davvero voluto proteggerla da qualsiasi cosa... persino da se stesso. Forse soprattutto da se stesso. 
«Va bene» la sentì rispondere e quasi se ne sorprese. Non avrebbe mai pensato che lei prendesse così sul serio la sua frase. Ma la vide improvvisamente carica di una nuova determinazione. «Cercherò di vivere il più possibile. Te lo prometto» e sorrise di quel suo sorriso candido che tanto rapiva il cuore. Gli fu impossibile trattenersi dal ricambiare, una nuova e bizzarra felicità gli solleticava il petto. Distolse lo sguardo dopo qualche istante, puntandolo di nuovo al cielo, con la consapevolezza che Beatris invece ancora lo stava guardando. E per qualche motivo la cosa gli piaceva. Avere i suoi occhi addosso, era come se ne venisse accarezzato. Gli distendeva i muscoli, gli rilassava l'anima, riusciva a scacciare via qualsiasi ombra... qualsiasi incubo. 
Era veramente qualcosa di magico.
«Me la ricanteresti quella canzone?» chiese sovrappensiero. Erano passati anni, la ricordava a malapena, ma sapeva quanto fosse stata capace di dargli sogni tranquilli. Lo aveva fatto a lungo, per giorni, settimane, aveva continuato a sentirla nella sua testa.
«Eh?» chiese Beatris, tornando ad arrossire per la vergogna. Non aveva mai cantato per nessuno se non per sua sorella, e anche in quell'occasione l'aveva fatto solo perché lei glielo chiedeva. Non si sentiva a suo agio a cantare, si vergognava spaventosamente e rievocava terribili sensazioni. Sua madre cantava sempre, quando era piccola.
«Quella che cantasti a tua sorella nella cattedrale. Mi era piaciuta molto».
«Ti era... piaciuto sentirmi cantare?» balbettò lei, in preda all'imbarazzo. 
«Beh, sai...» mormorò Reiner e si grattò il mento nervosamente con un dito. «Dormivano o piangevano tutti, lì dentro. Si riusciva a sentire solo te, è normale che ti abbia sentito» cercò di giustificarsi, ancora troppo imbarazzato nell'ammettere che era rimasto per qualche strano motivo molto colpito da lei fin da quel primo incontro. 
«Mi dispiace» disse Beatris con un filo di voce. «Purtroppo non riesco a ricordarmela». E lo sguardo tornò ad abbassarsi, fino a raggiungere la punta dei propri piedi, ignorando stelle, cielo e tutto ciò che di bello aveva attorno. Un'ombra sembrava stesse per inglobarla. Non fu difficile capirne il motivo... non aveva fatto altro che ripetere che non avesse niente, se non Mikasa, Eren e Armin. Non si sarebbe mai arruolata, se avesse avuto ancora Rose da proteggere.
«Mi dispiace molto per tua sorella» confessò Reiner. Avrebbe preferito continuare a ignorare la cosa, fingere di non aver capito che Rose era morta per non ferirla, per non costringerla a parlarne ad alta voce, ma sentiva di doverlo fare. Chiedere scusa. Lui, soprattutto lui, doveva farlo. «E mi dispiace molto per i tuoi genitori». Una morsa gli chiuse lo stomaco e fu lancinante, molto più del previsto. Il dolore gli arrivò fino al cervello, offuscandoglielo addirittura per qualche istante. Si irrigidì e tirò indietro le gambe, incrociandole tra loro, raddrizzando la schiena. 
«È stata colpa mia» confessò Beatris. Riuscì a farlo, per la prima volta dopo anni riuscì a parlarne e confessare ciò che aveva dentro. Con Reiner era più facile di quanto si aspettasse. «Mamma è morta per proteggere me, perché di fronte ai giganti io mi ero paralizzata dalla paura. Mia sorella è rimasta gravemente ferita dall'assalto a Shiganshina e io non sono poi stata abbastanza forte da proteggere lei. Le cure sono molto costose, soprattutto quando sei una bambina orfana in una terra che non conosci. Rimpiango solo di non essere riuscita a riavere indietro il suo pupazzo preferito, Kitty, prima che morisse. Mi disse che se lui fosse stato vicino a lei, allora sarebbe guarita... sono stupida a pensarlo, ma forse aveva ragione. Avrei dovuto trovare il modo di...» si interruppe sentendo un singulto provenire da Reiner. Si voltò a guardarlo e lo trovò improvvisamente strano: era rigido, teso come una corda di violino, i muscoli contratti tanto da far risaltare le venature sul braccio, l'espressione corrucciata in una che sembrava mista tra la rabbia e il dolore, gli occhi puntati davanti a sé, spalancati, ed era madido di sudore. 
«Reiner» mormorò, avvicinandosi a lui, preoccupata. Gli posò una mano sulla spalla e quello parve destarlo, ma non aiutarlo a sciogliersi. «Che hai?» gli chiese, sporgendosi per cercare il suo volto. Reiner si voltò dall'altro lato, negandogli il contatto visivo. 
«Niente» disse, meno teso, ma non meno nervoso. «Odio i giganti e ciò che hanno fatto».
Suonava più come una scusa, ma Beatris riuscì a crederci comunque. Era giustificabile, ai suoi occhi, visto che anche lui aveva perso la sua casa a causa dei giganti. O almeno questo era ciò che aveva raccontato. 
«Già» mormorò. «Li odio anche io» e non poté vedere l'espressione di Reiner che ancora una volta si corrucciava tanto da costringerlo a chiudere gli occhi e sentire i denti scricchiolare dentro la bocca. Non poté vederlo, ma riuscì ancora a sentire la rigidità dei suoi muscoli sotto al tocco della sua mano, e poté percepirlo tremare. Inoltre, non sembrava essere intenzionato né a guardarla più né a rivolgerle la parola. Qualsiasi cosa fosse successo, era qualcosa che lo stava portando a soffrire molto e lei sentì il bisogno di fare qualcosa per aiutarlo. Abbassò lo sguardo, triste nel vederlo in quelle condizioni, e imbarazzata per l'idea che le stava balenando in testa. Quando Rose stava male, sentirla cantare l'aiutava a stare meglio. Reiner aveva detto inoltre che gli era piaciuto sentirla cantare... non poteva andare male. Anche se odiava doverlo fare, anche se moriva dalla vergogna, ma poteva essere una buona idea. Con voce strozzata, flebile, cominciò a cantilenare una melodia senza parole. Si sentì stupida, ma riuscì a percepire sotto al tocco della sua mano i muscoli di Reiner che piano piano si rilassavano e si distendevano. Le diede il coraggio di proseguire. Aggiunse le parole e provò ad alzare un pochino la voce. Cantò delicata come una pioggerella di primavera su delle foglie. Non era la stessa canzone che aveva cantato a sua sorella, ma riuscì ad avere lo stesso effetto incredibile. Forse, addirittura, riuscì a distenderlo ancora di più, consapevole che quello non sarebbe stato un ricordo rubato. Quella canzone era per lui, solo per lui, per curare il suo dolore. 
Reiner tirò un sospiro e si distese. Chinò la testa, si rilassò per quanto potesse rilassarsi seduto per terra, e arrivò persino a socchiudere gli occhi. Avrebbe voluto addormentarsi lì. In quel preciso istante. Sapeva che se l'avesse fatto, non avrebbe avuto incubi. 
Invece furono costretti a rientrare, a tornare ognuno nel proprio letto, e solo, nell'oscurità, non bastò il ricordo della voce di Beatris a dargli pace. Sognò un gigante corazzato che non era lui corrergli incontro. Sognò di non riuscire a muoversi. Sognò di venirne schiacciato, e per tutta la notte non fece che risvegliarsi, più e più volte, in preda al terrore.


Nda.


Resta con me *-* 
Quanta dolcezza! E Tris che è arrossita anche fin troppo! Eheheh Vabbé, non ho molto altro da dire su questo capitolo. Sono stati amici fino a questo momento, con qualche strano motivo che li spingeva a legarsi, ma questa è stata la prima volta che si accenna a un eventuale romanticismo. Con l’angst finale su un Reiner addolorato per ciò che ha fatto… e proprio su questo sentimento vi lascio la canzone di oggi!


Questa più delle altre mi è piaciuta da impazzire, ogni frase sembra parlare di Reiner, dei suoi sentimenti contrastanti su ciò che sa che deve fare e i suoi primi dubbi, il desiderio di tornare a casa, i sensi di colpa che iniziano a farsi strada in lui (soprattutto verso Beatris, consapevole che è lui la causa della morte della sua famiglia), e con quel ritmo arrabbiato e amaro... VI PREGO ASCOLTATELA! È eccezionale! A me sono venuti i brividi e ho quasi pianto T_T
Dura 8 minuti, è vero, ma cercate di arrivare alla fine perché soprattutto le ultime parole sono da lacrime T___T (per aiutarvi vi dico che dal minuto 4.30 circa fino a al 7.20 c’è una parte solo strumentale che se non avete voglia potete saltare)


Vi do appuntamento alla prossima :3
Ciao!

https://www.youtube.com/watch?v=YjAA531LlyM&ab_channel=WithYouImFeelinGood


EFP non mi fa mettere altro che un link che oltretutto non è cliccabile, perciò se non avete modo di fare copia e incolla su google vi do direttamente il titolo: M.I.A. degli Avenged Sevenfold. Su youtube trovate anche il video con la traduzione a schermo, se vi serve. Ascoltatela, davvero :P

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Beatris crollò a terra, ansimante. Non cercò di trattenersi, si accasciò come un peso morto e si stese a terra. Il sudore sulla faccia fece da collante per la polvere e i sassi del cortile, nel mischione avrebbe lasciato una bella strisciata scura sulla pelle. Ma era troppo stanca persino per preoccuparsi della sua pulizia, tanto si sarebbe lavata prima di andare a letto... sempre se avesse avuto le forze di rialzarsi da lì. Un paio di stivali arrivarono nel suo campo visivo e, anche se non alzò lo sguardo a guardare il volto di chi aveva davanti, seppe perfettamente a chi appartenevano.
«Lasciami morire qui» mormorò, socchiudendo gli occhi. «Ormai per me è finita».
«Non mi abituerò mai al tuo modo di fare così drammatico» ridacchiò Reiner, inginocchiandosi davanti a lei. 
«Ultimamente mi distruggi, stai esagerando» disse lei senza muoversi.
«È perché sei migliorata», e Beatris d'istinto spalancò gli occhi. Non riuscì a muoversi, ma ebbe almeno la forza di portare lo sguardo al volto di Reiner. «Dici sul serio?»
Reiner annuì e le porse una mano. «Andiamo, un'alimentazione regolare fa parte dell'allenamento».
«Non riesco a muovermi. Per me è finita» mormorò e tornò a chiudere gli occhi, senza muoversi di un centimetro. 
«Stai cercando una scusa per farti portare in spalla?» le chiese e non poté far a meno di notare il sorrisino che lei provò invano a trattenere. «Camminare a volte è così faticoso» disse, ma non riuscì ad essere convincente nemmeno per se stessa. 
«Non ti porterò in spalla» le disse, risoluto. 
«Vuoi lasciarmi qui a morire?»
«Non posso portarti sempre io, dopo gli allenamenti. Devi vincere la tua pigrizia, Tris».
«La mia non è pigrizia» disse, aprendo lievemente un occhio per guardare il compagno. Il nero della polvere sulle guance nascose il lieve rossore che cominciava già a nascerle sul volto, questo la salvò dal dover spiegare che aveva scoperto dal giorno della montagna, quando lui l'aveva presa in spalla la prima volta, che era qualcosa che le piaceva molto. Non sapeva perché, ma sentiva che quelle spalle erano perfette da stringere, il suo collo si incastrava perfettamente tra i suoi gomiti, e poggiando la testa sulla sua spalla poteva sentire il suo odore che aveva scoperto avere il bisogno di sentire almeno una volta al giorno. Persino a fine allenamento, quando era sudato e aveva i capelli umidi appicciati al collo, il suo acre odore di stanchezza e fatica riusciva a solleticarle il petto. Non era pigrizia, era dipendenza. 
«E allora perché fai così? Pensavo avessi deciso di impegnarti».
«Mi alleno ogni giorno, accetto di fare tutto quello che dici, mi sveglio presto la mattina e non faccio tardi nemmeno una volta. Non ti sembra abbastanza?»
«Che diamine» sospirò Reiner. «Certe volte sei più capricciosa di una bambina».
«Sono stanca davvero, Reiner. Oggi ci sei andato giù pesante!»
«Domani abbiamo l'esame in campo con il movimento tridimensionale, devi essere pronta».
«Non fa parte dell'allenamento anche il riposo? Stancarmi così il giorno prima dell'esame non è controproducente?»
«Fidati, starai bene. So cosa faccio e da ora fino a domani mattina hai tutto il tempo per riposarti. Non ti chiederò altro, potrai dormire quanto vuoi domani, salteremo il nostro incontro pre-colazione».
«Domani potrò dormire?!» strabuzzò gli occhi Beatris, emozionata all'idea di potersi finalmente riposare un po'. «Sì, ma adesso alzati e andiamo a mangiare. Non azzardarti ad andare a letto a stomaco vuoto».
E Beatris tornò a richiudere gli occhi, sorridendo sotto ai baffi. «Non credo riuscirò ad alzarmi da sola in nessun modo. Accidenti, spero proprio di non morire di fame da qui a domani mattina».
Reiner sospirò ancora, stufo di insistere. Si alzò in piedi e si allontanò di un paio di passi. Beatris aprì gli occhi, sentendolo allontanarsi, chiedendosi se davvero avesse deciso di lasciarla lì. Affamata e insoddisfatta. Ma non ebbe modo di capire che stesse accadendo che si sentì afferrare per una caviglia e venne trascinata sul selciato. 
«Ho promesso a Mikasa che ti avrei tenuta in vita, se non lo faccio quella mi ammazza».
D'istinto Beatris iniziò a urlare e dimenarsi, in preda al dolore per i sassetti del cortile che così facendo le sfregavano addosso e le si infilavano addirittura nei vestiti. 
«Che significa che lo hai promesso a lei? Quando è successo?!» chiese sorpresa, ma data la scomoda situazione le uscì un tono che più sembrava arrabbiato.
«Qualche giorno dopo l'accaduto della carne. Quando mi hai fatto finire in punizione la prima volta» rispose Reiner con una strana apatia, come se non ci fosse stato niente di strano.
«Che?! Me lo hai tenuto nascosto fino ad'ora?!» 
«Non te l'ho tenuto nascosto, non me l'hai mai chiesto».
«Aspetta... stai facendo tutto questo per quella promessa?» chiese e Reiner si fermò, smettendo di trascinarla, un attimo prima di arrivare alla sala comune. Sembrò rifletterci qualche istante, prima di voltarsi e sorriderle. «Non me l'ha chiesto lei di prometterglielo. Anzi, non sembrava essere molto d'accordo, a dire il vero».
«Eh?» mormorò lei, non riuscendo a capire. Mikasa non voleva che Beatris restasse in vita? Non voleva che qualcuno la tenesse in vita? Che stava dicendo?
«È venuta a scusarsi per conto tuo di ciò che mi avevi combinato, non sapeva che ci avevi già pensato tu con quel pezzo di carne rubato. Quando gliel'ho raccontato sembrava essere pronta per venire a cercarti e tirarti due pugni» sghignazzò e Beatris sussultò all'idea di Mikasa furiosa con lei. «Mi ha redarguito e mi ha avvisato del pericolo che avrei corso se ti avessi dato corda. Mi ha avvertito che saresti stata impegnativa e soprattutto invadente, ha cercato di promettermi che ti avrebbe tenuta lontano da me la prossima volta, ma anche lei è sotto addestramento e in più è molto impegnata ad occuparsi di Eren che sembra avere il tuo stesso istinto autodistruttivo... anche se con intenzioni ben diverse. È difficile per lei occuparsi di tutti da sola. Anche Armin, benché non sia incosciente come voi due, è più debole e ha bisogno di essere sostenuto. State portando quella ragazza all'esasperazione» ridacchiò, divertito. 
«Mikasa... ti ha detto che mi avrebbe tenuta lontano da te?» mormorò Beatris, dispiaciuta che l'amica si fosse presa così a carico la responsabilità delle sue azioni. Non parlava molto, era sempre taciturna e pacata, e per questo era difficile accorgersi delle volte che come un angelo custode proteggeva e si occupava di tutti senza mostrarsi troppo apertamente. Non era offesa per quello che l'amica aveva detto di lei, sapeva che era vero, ma era colpita dall'istinto quasi materno che aveva mosso Mikasa ad avvicinarsi a uno sconosciuto per scusarsi delle azioni della figlia scapestrata. Avrebbe dovuto darle più considerazione, mai aveva pensato quanto fosse presente e fondamentale per tutti loro, abituata a non notare le sue azioni se non quelle in direzione di Eren. 
«Le ho detto di non preoccuparsi, che certo non mi spaventavi e avrei saputo cavarmela. Sarei stato in grado di gestirti anche da solo. Non sembrava essere d'accordo, ma credo in realtà fosse preoccupata più per te che per me. Aveva paura che non avendoti sotto pieno controllo avrebbe potuto perdere presa su di te, perciò le ho promesso che me ne sarei occupato io. Avrei diviso con lei questo fardello».
«Mi... consideri un fardello?!» mormorò, adesso realmente ferita e offesa. Reiner semplicemente la indicò con una mano, senza aggiungere altro, e per lei fu sufficiente. Si stava facendo trascinare come fosse stata un peso morto, certo che era un fardello! Soprattutto in un momento come quello. 
«Le ho detto di lasciarti andare e che ci avrei pensato io a tenerti in vita, quando lei non guardava» aggiunse Reiner, prima di sospirare imbarazzato. «E poi lei mi ha detto che se ti fosse successo qualcosa a causa mia mi avrebbe ammazzato».
E ancora un tenero sentimento cominciò a pompare in petto a Beatris. Mikasa non era mai stata tanto plateale nelle sue dimostrazioni d'affetto, a volte aveva persino pensato che non la sopportasse perché il più delle volte era lei che le correva dietro, e Mikasa invece era sempre costretta a intervenire per proteggerla e tirarla fuori dai guai. Sapere che teneva a lei così tanto da minacciare qualcuno di morte fu una piacevole sorpresa. Avrebbe dovuto dare più attenzioni a Mikasa, glielo doveva. Ultimamente la stava trascurando molto, convinta che fosse troppo impegnata col suo addestramento e in quello di Eren.
«Sinceramente ci tengo alla mia pelle, perciò ti terrò in vita» concluse Reiner, prima di voltarsi per riprendere a camminare. Ma Beatris lo interruppe, chiedendogli repentina: «Perché? Non mi conoscevi nemmeno, allora, perché ti sei voluto caricare di questa responsabilità? Perché... non hai fatto che provare a proteggermi fin dal primo momento?»
Reiner era ora voltato di spalle, riuscire a leggergli l'espressione era impossibile. Ma esitò a lungo prima di rispondere, forse immerso nei suoi pensieri. «Chissà...» mormorò infine, e sembrò stranamente sincero. Qualsiasi cosa fosse che l'aveva spinto a prendere Beatris sotto la propria ala, non riusciva a identificarlo nemmeno lui. L'aveva vista in quella cattedrale e l'aveva guardata attentamente, fino alla fine della sua canzone, stranamente attratto da quella figura. Non sapeva cos'era, non era stato interesse, non era stato niente che fosse in grado di identificare. Era stato come se si fosse accorto di essersi dimenticato di qualcosa di importante, era stato come se qualcosa nella sua mente cercasse di dirgli che lei non andava persa di vista, era come se qualcosa, nel petto, gli avesse urlato a squarciagola che era sua responsabilità. Che avrebbe dovuto occuparsene perché era la cosa giusta da fare, e che spettava a lui farlo e a nessun altro. Forse non era stato altro che un latente desiderio di redenzione, per essere stato la causa di tutti i suoi mali. Forse aveva scorto oltre quel sorriso la morte che aveva iniziato a inghiottirla e tutto il suo dolore, ma mai se n'era accorto realmente. L'aveva solo percepita e aveva sentito che spettava a lui dover rimediare a ogni cosa. Ma non riusciva a capirne il motivo. Si era impuntato da subito, non appena aveva riconosciuto la bambina della cattedrale nel volto della ragazza che era atterrata sul suo tavolo il giorno del litigio tra Eren e Jean. Non appena aveva scoperto che lei era quella bambina, qualcosa gli aveva detto che avrebbe dovuto occuparsene personalmente. Era una sua responsabilità. E aveva trovato il modo di convincere Bertholdt a lasciarglielo fare, con una scusa che aveva usato per ingannare anche se stesso. Aveva davvero creduto che fosse solo convenienza, lo aveva creduto fino al giorno della montagna e della valanga, quando non era stato in grado di abbandonarla... quando era stato pronto a morire pur di riportarla viva indietro. 
Sospirò ancora una volta, arrendevole, e infine lasciò andare la caviglia di Beatris. Si voltò, le si affiancò e infine si inginocchiò, dandole le spalle. 
«Avanti» le disse. «Non darmi tempo di ripensarci». 
Beatris si sollevò seduta e lo guardò, mentre aspettava che lei gli salisse in spalla, ma non si mosse. Qualcosa l'affliggeva, Reiner riusciva a scorgerglielo sul volto abbattuto. 
«Mh?» mormorò, cercando di capire cosa avesse. Beatris abbassò lo sguardo e parve stringersi nelle spalle, prima di confessare con tristezza: «Non voglio essere il tuo fardello».
Sapere di essere per lui solo una responsabilità da portare sulle spalle, nient'altro che promesse, era triste e frustrante. A lei piaceva poter passare un po' di tempo insieme, gli piacevano persino quegli allenamenti extra distruttivi che lui continuava a proporle per migliorarsi, solo perché la maggior parte delle volte poi si concludevano con una risata, uno scherzo, delle chiacchiere e la vicinanza di qualcuno a cui sentiva di voler ormai un gran bene. Avrebbe voluto fare qualcosa per lui, per non essere solo un peso, ma cosa avrebbe potuto fare una ragazzetta debole come lei? Non faceva che richiedere attenzioni, senza nulla in cambio, perché ne sentiva il bisogno. Persino con Mikasa... non era mai stata altro che un fardello da portare sulle spalle. 
«Credi che le persone si impegnerebbero tanto per aiutarti se tu fossi solo un fardello?»
«Eh?» mormorò, sorpresa. Reiner si voltò, ma restò inginocchiato al suo fianco.
«All'inizio puoi sembrarlo, ma se qualcuno si fermasse a darti una possibilità...» e si sporse verso di lei, infilandole un braccio sotto le ginocchia e poggiandole l'altro dietro la schiena. «Scoprirebbe che in realtà sei come un'attrezzatura delle nostre. Pesante da indossare, ingombrante, ma necessaria se si vuole provare l'ebbrezza di volare» e con una naturalezza fuori dal comune la sollevò da terra, prendendola in braccio. Beatris si irrigidì e d'istinti si aggrappò alla camicia di Reiner, sentendosi il terreno mancare da sotto le gambe. 
«Che fai?!» sussultò. «Mettimi giù». 
«Dicevi di essere stanca, ti porto a mangiare» e cominciò a salire i gradini della veranda che avrebbero portato alla sala comune. Beatris avvampò e in preda al panico schiacciò il volto tra i suoi vestiti, come se avesse voluto nascondercisi dentro e sparire. 
«Ti prego, è imbarazzante!»
«La prossima volta cammina da sola, allora» la provocò, entrando nella sala. «E comunque, Tris...» sentendosi chiamare, Beatris alzò appena lo sguardo sul suo volto, restando comunque nascosta il più possibile. Bastò per riuscire a vederlo sorridere con dolcezza. «Non sei poi così pesante».
«È perché sei molto forte» rispose lei, fraintendendo, convinta che stesse realmente parlando della sua pesantezza fisica, forse troppo imbarazzata per essere portata a cena in quel modo per riuscire a ragionare lucidamente. Reiner sghignazzò divertito e si avvicinò al tavolo di Eren. La mise sulla panca vicino ad Armin sotto lo sguardo inebetito dei compagni, tanto inebetito che la zucchina che Eren aveva raccolto con il cucchiaio ricadde nel piatto e lui nemmeno se ne accorse. Reiner lasciò Beatris seduta vicino ad Armin e le fece una vivace scompigliata di capelli, prima di spiegare: «Si è fatta male, non riusciva a camminare».
Non vide lo sguardo omicida di Mikasa arrivargli direttamente, ma riuscì comunque a percepirlo attraverso la pelle e ne rabbrividì. «È solo un crampo, passerà tra poco» specificò rapido, intimorito dalle intenzioni di Miasa.
Col volto ancora in fiamme e le spalle strette tanto da risultare minuscola, Beatris semplicemente annuì. «È già quasi passato».
«Vado a prenderti qualcosa da mangiare, non azzardarti ad andare a letto digiuna» l'ammonì Reiner e si voltò, diretto verso le cucine. «Va bene» sibilò ancora Beatris, completamente passiva a quella situazione.
«Stai bene?» le chiese Armin, preoccupato. E chissà perché, invece di rassicurarli, Beatris seguì l'istinto e negò tanto vistosamente che le ciocche di capelli le volarono ovunque. No, non stava affatto bene. Aveva lo stomaco spappolato dall'agitazione, avrebbe voluto scavare una buca a terra e seppellircisi dentro. Probabilmente non era vero, ma sentiva di avere tutti gli sguardi dei suoi compagni addosso. Cosa stavano pensando in quel momento, avendola vista tenuta in braccio da Reiner in quel modo. 
«Quel bastardo sta esagerando con questa storia degli allenamenti extra» disse Mikasa, lanciando uno sguardo furioso nella direzione dove aveva visto sparire Reiner. «Appena torna gliene dico quattro».
«No, tranquilla!» sussultò Beatris e riuscì finalmente a sorridere, a tornare lentamente in sé. «Lui non c'entra, è colpa mia».
«No, non è vero. Non inventare scuse, non sei capace» l'ammonì Mikasa e Beatris sentì qualcosa tra la rassegnazione e la frustrazione portarla ad accasciarsi. A volte quella storia che non era in grado di inventare scuse era davvero pesante. «Dico sul serio» cercò di insistere. «Voleva che mi fermassi ma ho esagerato, non prendertela con lui. Non... ammazzarlo» ridacchiò nervosa, ripensando a ciò che Reiner le aveva raccontato della sua promessa fatta a Mikasa. Anche se Reiner era grande e grosso, sapeva che contro Mikasa persino uno come lui avrebbe avuto dei problemi. In fondo, a volte, nel combattimento corpo a corpo, Reiner si faceva abbattere persino da Eren. Mikasa la fulminò, probabilmente intuì che lei sapesse della minaccia che aveva fatto a Reiner circa un anno addietro, ma non aggiunse altro perché Armin fu rapido nel riuscire a cambiare discorso: «Secondo voi cosa ci aspetta all'esame di domani?»
«Non lo so» parlò finalmente Eren, tornando a puntare la zucchina che gli era sfuggita la prima volta. «Ma sono deciso, questa volta, a non restare indietro. Ce la metterò tutta e riuscirò ad arrivare primo, questa volta».
«Non dirlo troppo a voce alta o Mikasa potrebbe decidere di farti passare avanti a lei di proposito» lo ammonì Beatris ed Eren scattò a fulminare la mora al suo fianco: «Non azzardarti! Devo batterti con le mie forze!»
«Eren, non esagerare o finirai col farti male come è successo a Bea» gli rispose semplicemente Mikasa e Beatris tornò ad arrossire, sentendosi di nuovo in imbarazzo per quella scusa che non riusciva a reggere troppo. «Sto bene, davvero» mormorò.
Reiner tornò indietro con due piatti in mano e uno lo lasciò davanti a Beatris, prima di voltarsi e andarsene, intenzionato a cenare insieme a Bertholdt al tavolo vicino.
«Potevo... andarci da sola» mormorò Beatris, sempre più in imbarazzo per tutte quelle attenzioni.
«Pensa a farti passare quel crampo» le disse Reiner, sicuramente più bravo di lei nel mentire, e le fece un semplice gesto con la mano prima di sedersi di fronte a Bertholdt. 
«Io e Bea continuiamo a essere ultimi, spero che questa volta ci vada meglio» ridacchiò Armin nervoso, tornando sul discorso esame. «Forse dovresti allenarti di più anche tu come fa lei» le suggerì Eren. «Possiamo unirci anche noi a lei e Reiner per gli allenamenti extra».
E Beatris sussultò, senza neanche capirne appieno il motivo. Sentì una confusione muoversi dentro lei, un misto tra l'entusiasmo di poter avere i suoi amici a fianco, e il rammarico di non poter più sentire come suo personale quel momento che si ritagliava insieme a Reiner. Era sia felice che triste all'idea di averli con sé, e non riusciva a capire quale delle due emozioni fosse predominante.
«Mi sembra una buona idea» confermò Mikasa, ma sapeva che probabilmente il suo era solo un modo per riuscire a controllare che Reiner non le facesse del male. Forse la scusa del crampo non era stata una buona idea, lei non sembrava averla presa bene. 
«Dovremo sentire cosa ne pensa Reiner, non possiamo semplicemente imbucarci» disse Armin, timoroso, e Eren si voltò immediatamente verso il biondo. Alzò un braccio e chiamò a gran voce: «Ehy, Reiner! Possiamo allenarci anche noi con voi?»
Reiner restò per un attimo perplesso, forse confuso dall'essere chiamato così, senza un contesto, e per la domanda improvvisa. In fondo, dopo mesi, ci pensavano solo ora che volevano unirsi a loro? Esitò, ma più per la confusione che per un vero dubbio in proposito, anche se sapeva che probabilmente, se fossero stati tutti insieme, quei momenti non sarebbero più stati gli stessi. Ma forse era meglio così, forse avrebbe dovuto mollare un po' la presa sul senso di attaccamento che stava sviluppando con Beatris. Se fosse peggiorato, sarebbe stato un pasticcio per tutti quanti.
Ymir passò loro in mezzo in quel momento e lanciò uno sguardo malizioso a Eren, prima di dire a Christa: «Questo è quello che succede quando gli idioti non riescono a leggere tra le righe, rovinano le coppie». 
Una provocazione che fece arrossire di colpo sia Reiner che Beatris, ma entrambi reagirono violentemente alla cosa. Era talmente tanto, da essere irritante. 
E all'unisono risposero a Eren, quasi con furia: «Certo che sì!»


Quando Reiner uscì dal suo dormitorio, la mattina seguente, e raggiunse il cortile insieme a un gruppo di compagni per andare a fare colazione, rimase sorpreso nel vedere Beatris intenta a correre lungo tutto il perimetro del campo. Era sola, già in divisa, e correva ormai da così tanto tempo che poté vederle la stanchezza sul volto. Considerato che le aveva concesso di dormire quella mattina e di riposare, era decisamente strano. Non c'era altro che gli venisse in mente se non che avesse combinato qualcosa e Shadis l'avesse di nuovo messa in punizione. Sospirò e si voltò, pronta ad andare a fare colazione e lasciarla stare, ma lei riuscì a vederlo e gli corse incontro. Gli si affiancò, rallentò, ma non smise di alzare le ginocchia ritmicamente, correndo sul posto.
«Buongiorno, Reiner!»
«Che hai combinato?» le chiese, senza neanche salutarla. Nonostante tutto, sembrava di buon umore, era allegra e solare, e l'idea che avesse combinato qualcosa già di prima mattina lo divertiva. Perciò non riuscì a restare serio e sorrise, divertito. 
«Eh?! Che intendi, scusa?» chiese lei, corrucciandosi.
«Sei in punizione?»
«No!»
«E allora che fai?» 
«Riscaldamento in preparazione dell'esame per oggi» spiegò e aumentò la frequenza dei passi sul posto, caricando di più la muscolatura.
«Riscaldamento?» mormorò Reiner, fermandosi del tutto per guardarla. Lei non si fermò nemmeno in quel caso e continuò a saltellare, correre sul posto, fare stretching e alternare una serie di esercizi senza prendere fiato nemmeno un attimo. «Tris, ti avevo detto di riposare» la rimproverò.
«Sono riposata» esclamò lei, allegra, abbassandosi a fare un paio di squat. Non aveva nessuna logica, saltava da un esercizio all'altro nel giro di cinque secondi, non seguiva serie, né un ordine. Faceva quello che voleva quando voleva, finendo solo con lo stancarsi senza nessun tipo di beneficio. Reiner le mise le mani sulle spalle e questo la costrinse a bloccarsi. «Ferma!» le ordinò e per i primi due secondi parve funzionare, Beatris riuscì a fermarsi e smettere quell'assurdo allenamento che non avrebbe allenato nessuno. Ma al terzo secondo iniziò a battere un piede per terra, a sollevare una gamba, e riprese a saltellare sul posto. Reiner fece forza sulle sue spalle, spingendola verso il basso, costringendola a fermarsi se non avesse voluto cadere.
«Ho detto fermati!» la rimproverò. «Hai l'adrenalina a mille, devi fare un paio di respiri profondi. Così ti stanchi solamente e non è utile all'esame che dovremo fare tra un paio d'ore».
«Ma no, sto solo scaricando un po' la tensione, non sto facendo niente di che» spiegò lei e facendo forza contro la sua presa provò a muovere le braccia per stirare i muscoli e sciogliere le articolazioni. 
«Da quanto sei qui fuori?» indagò, preoccupato.
«Era da poco l'alba credo» rispose lei innocentemente e riuscì a scivolare dalla sua presa per tornare a muoversi con esercizi improvvisati e scoordinati.
«Stai scherzando?» Reiner spalancò gli occhi. «Tris! Adesso devi calmarti!» 
«Sono calma».
«No, affatto! Adesso vieni a fare colazione e resti seduta a riposarti per un po', anche se a questo punto non so quanto possa aiutare. Hai dormito stanotte?»
«Ho dormito... un poco».
«Mikasa non ti ha detto niente, quando ti ha visto venire qui fuori?»
«Non mi ha vista! Ma non ha visto nemmeno te, avrà pensato che eravamo insieme» alzò le spalle Beatris, prima di iniziare a correre in cerchio intorno a Reiner.
«Ma che ti prende? Non è da te stare così in ansia per un esame» le chiese lui, provando a seguirla con lo sguardo. Iniziava a essere irritante, doveva trovare il modo di fermarla o sarebbe impazzito. 
«Aaahh» lamentò Beatris fermandosi di fronte a Reiner, ma continuando a saltellare compulsivamente, come se avesse dovuto andare in bagno. «È colpa tua».
«Mia?!» sussultò lui, offeso.
«Hai troppe aspettative su di me, non riuscirò mai a farcela!» e saltellò più velocemente. «Allenamento! Mi serve altro allenamento!» disse e si voltò, pronta a riprendere a correre lungo tutto il cortile. Ma Reiner fu rapido, la prese per i fianchi e la sollevò infine da terra. Beatris iniziò a dimenarsi come un gatto afferrato e a scalciare in giro, in preda all'agitazione. «Lasciami andare!» disse, provando ad afferrare le braccia di Reiner intorno alla sua vita che la tenevano sollevata da terra. «Mettimi giù».
«No, non lo farò fintanto che non chiariamo questa cosa».
«Come facciamo a parlare se mi tieni ferma così? Non posso nemmeno guardarti in faccia!»
«Ti metto giù ma tu prometti di stare ferma immobile?»
«Va bene, va bene» disse, provando in quel momento a sgusciare via dalla sua presa spingendosi verso l'alto. Non ce ne fu bisogno, Reiner la mise finalmente con i piedi per terra e lei si voltò a guardarlo, riuscendo miracolosamente a restare ferma. Ma lo sguardo abbattuto e imbarazzato fissava la punta delle sue scarpe. 
«Non dovrei essere io il motivo della tua agitazione, non devi pensare di farlo per compiacere me, devi farlo per te stessa. Per raggiungere il tuo obiettivo» le disse, severo.
«Ma... avevamo detto al lago che la mia forza...» mormorò lei, arrossendo. Anche solo ricordarlo le faceva salire il batticuore, era imbarazzante. 
«Quella deve servirti a tenerti in vita» sorrise Reiner. «Vuoi restare insieme a me, a Mikasa, Eren, Armin e tutti gli altri, giusto? Ti piace stare con noi».
Non era esattamente quello di cui avevano parlato, o forse semplicemente era stata lei a comprendere male. Non avevano mai messo in mezzo anche gli altri, loro avevano parlato solo di loro due... ed era quello a cui si era aggrappata.Voleva restare con Reiner. Certo, anche con Mikasa e gli altri, ma soprattutto con Reiner. Da quando avevano iniziato a parlare di più, da quando lui si era mostrato gentile le prime volte, da quando si era dimostrato protettivo nei suoi confronti, qualcosa era scattato nel petto di Beatris. Le piaceva stare insieme agli altri, ma niente reggeva il confronto con uno dei loro momenti insieme. Reiner era sempre così carino e premuroso, e lei aveva scoperto che le piaceva da impazzire vederlo sorridere. Non lo faceva quasi mai... 
«Sì, vorrei restare insieme... a voi» disse, assecondandolo, troppo in imbarazzo per ammettere tutto quello. 
«E allora devi tenerti viva, e la tua forza deve servire a quello. Ma restare in vita e migliorare nei voti sono due cose molto diverse, per restare in vita ti basterebbe lasciare l'accademia».
«Questo mi ucciderebbe!» sussultò lei.
«O magari potresti unirti a un corpo diverso da quello di ricerca. La guarnigione, o se punti in alto addirittura la gendarmeria. Così potremmo continuare a vederci una volta finito l'addestramento, magari lavorare insieme qualche volta. Sarebbe più sicuro».
«Sì...» mormorò lei, e non poteva negare che ci aveva pensato. Sapeva che Reiner si sarebbe unito alla gendarmeria, era quello che voleva, e a lungo aveva riflettuto sul provare a seguirlo. Ma lei non sarebbe mai entrata tra i primi dieci, poteva al massimo puntare alla guarnigione. Ci aveva pensato... ma non avrebbe mai trovato il coraggio di lasciar uscire all'esterno Eren, Mikasa e Armin e restare a guardare nella speranza di vederli tornare. Non sarebbe più rimasta paralizzata di fronte al terrore, lei avrebbe imparato a combattere e così avrebbe protetto chi amava. «Ma non posso lasciare i miei amici da soli. Mikasa, Eren e Armin... vorrei imparare a proteggerli».
«E allora vedi che io non c'entro niente?»
«Sì, ma ti sei impegnato così tanto in questi mesi...» sospirò ma non terminò la frase che Reiner le diede un colpetto sulla fronte con un nocca. «Tu ti sei impegnata tanto» la corresse. «Per me non era altro che normale routine, non ho fatto nessuna fatica. E non ho nessuna aspettativa».
«Perciò...» mormorò. «Se non dovessi superarlo...»
«Lo supererai» le disse sicuro, ma lei continuò a mormorare, sempre più in agitazione: «Sì, ma se non dovessi riuscirci...»
E Reiner sospirò ancora, affranto. Quanto tempo e impegno avrebbe dovuto ancora impiegare per riuscire a sistemare la sua autostima e farla sembrare vagamente decente?
«Facciamo una scommessa» le propose, colto da una vaga idea. Non era sicuro che fosse potuta funzionare, ma tanto valeva provare. «Se supererai questo esame, come sono sicuro che farai, allora...» ci rifletté un istante, chiedendosi cosa avrebbe potuto proporle di allettante per stimolarla a provarci. Non sapeva bene cosa le piacesse, in quell'anno gli aveva dato talmente tante informazioni, ma mai aveva espresso apertamente un desiderio o una volontà. Era bravissima nelle chiacchiere di circostanza, ad ascoltare gli altri, ma quando si trattava di aprirsi, parlare di sé, era sempre così vaga e sfumata. Perciò non restava che la via del generico: «Ti darò... qualsiasi cosa tu voglia. Chiedi pure, qualunque cosa. Anzi, ti dirò di più, il prossimo giorno libero che ci concederanno faremo tutto quello che vorrai tu. Se vuoi qualcosa te lo comprerò, se vuoi andare da qualche parte ti ci porterò, tutto quello che vuoi. Che ne dici?»
Beatris l'ascolto con gli occhi spalancati e il rossore sulle guance si fece sempre più acceso man mano che ci rifletteva. Un'intera giornata libera con lui, in giro, a fare qualsiasi cosa avesse voluto... come fosse stata una sorta di appuntamento. Si immaginò in giro per le strade, al suo fianco, a mangiare qualcosa insieme, a camminare sulle rive del fiume, o magari in qualche fattoria a vedere gli animali, una passeggiata nel bosco, e se qualcosa le fosse piaciuto lui gliel'avrebbe presa. Magari avrebbero trovato dei fiori. Avvampò, vedendolo mentre le allungava una margherita. E annuì vigorosamente.
«Se invece non lo supererai allora...» tornò pensieroso, cercando una punizione adeguata. Era difficile trovare qualcosa che facesse malvolentieri, aveva persino accettato di seguirlo nei suoi allenamenti extra. Si lamentava spesso, questo era vero, ma alla fine era molto accondiscendente su tutto, mai riusciva a far imporre la propria volontà. Ma l'idea che cercava gli arrivò, fortunatamente, e non gli dispiacque nemmeno. «Allora canterai per me, tutte le sere».
«Eh?!» urlò Beatris, sentendosi morire dalla vergogna. Per qualche motivo non le piaceva cantare, nonostante sapesse farlo benissimo, probabilmente imbarazzata all'idea di essere al centro dell'attenzione. Ma qualunque fosse il motivo, Reiner ormai sapeva che lei avrebbe volentieri declinato. Non aveva mai cantato se non nella cattedrale per sua sorella morente e per lui, la sera al lago, quando l'aveva visto turbato. In altre occasioni, anche se glielo si chiedeva, scappava via sempre con qualche scusa. Il che era un peccato... sentirla cantare gli alleviava il dolore all'animo. Quasi quasi si ritrovò a sperare che davvero non lo superasse quell'esame, sarebbe stato fantastico potersene andare a letto tutte le sere dopo averla sentita.
«Non voglio farlo!» si ribellò, infatti. 
«Scommetto non ce ne sarà bisogno, perché andrai benissimo» e le allungò una mano, per stringerla come d'accordo.
«Se scommetti sulla mia riuscita allora avresti dovuto mettere i vantaggi per te in quel caso. Questa scommessa non ha alcun senso, se vinci tu praticamente il premio me lo prendo io e viceversa» borbottò Beatris, turbata all'idea di dover rischiare così tanto. Non avrebbe mai accettato di cantare tutte le sere, sarebbe fuggita dall'accademia piuttosto.
Reiner ridacchiò. «Sì, hai ragione» ammise, ma subito aggiunse: «Allora? Ci stai?»
Non gli importava del premio, aveva solo voluto trovare qualcosa con cui spronare Beatris a non arrendersi e provarci con tutte le sue forze. Qualcosa in cui credere, perché era davvero certo che questa volta non avrebbe fallito. Se lo sentiva. 
Beatris esitò, turbata dalla punizione che avrebbe dovuto subire se mai non fosse andata bene. Ma l'idea di poter passare il giorno libero con Reiner da normali amici, senza doversi allenare per forza o parlare solo di addestramento, era qualcosa a cui non avrebbe mai rinunciato al mondo. Allungò la mano e gliela strinse, timida. «Va bene». 
«Dai» sorrise Reiner e si voltò verso la sala comune. Non lasciò andare la mano di Beatris, semplicemente cambiò mano, ma la tenne ben salda a sé intenzionato a tirarla via da quella follia mattutina. «Adesso vieni a fare colazione» le disse e camminò spedito, un passo davanti a Beatris, tenendola per mano per costringerla a seguirlo. E il batticuore di Beatris arrivò a chiuderle la gola. Avrebbero camminato mano nella mano anche il loro prossimo giorno libero insieme?
Entrarono nella sala comune, si presero la loro porzione dalla cucina e raggiunsero il resto dei compagni. C'era un'aria tesa, ma esaltata. Ovunque era vociare, ovunque c'era entusiasmo e ardore. Promesse si alzavano in aria, nessuno era intenzionato a essere lasciato indietro quel giorno. E per la prima volta anche Beatris aveva qualcosa per cui combattere. Non avrebbe accettato mai l'ultimo posto, non quella volta! Avrebbe fatto di tutto per vincere quella sfida. Finirono di mangiare e si avviarono prima in aula, dove avrebbero valutato la loro velocità nell'attrezzarsi. Montare l'attrezzatura, vestirsi, e infine avrebbero dovuto correre fuori, prendere i cavalli e correre verso la foresta alle spalle del centro di addestramento. Era una gara di velocità e precisione, perché quegli stessi movimenti tridimensionali che loro si erano agganciati li avrebbero poi sostenuti per il resto dell'esame. Quella prima parte fu un vero disastro. Beatris aveva le mani sudate e tremolanti, riuscire a essere precisa fu letteralmente impossibile. Ci provò, ci provò con tutta se stessa, ma fu inevitabilmente l'ultima a uscire dall'aula. Riuscì a recuperare un po' di terreno grazie ad April, che le permise di raggiungere il resto dei compagni ed entrare nella foresta insieme a loro, lasciandosi i ritardatari alle spalle. Tra questi aveva persino visto Reiner: era bravo in molte cose, ma nell'equitazione non aveva mai brillato eccezionalmente. Arrivati nella foresta dovettero legare i cavalli e partire infine all'attacco, cercando le solite sagome dei giganti e abbatterne il maggior numero possibile. E nonostante il vantaggi di April, per Beatris quella fu veramente una bella sfida. Era più veloce rispetto che ai primi tempi, e riusciva bene a muoversi tra i rami, ma era sempre comunque un passo indietro rispetto agli altri. Non appena scorgeva un gigante, qualcuno arrivava prima di lei e le rubava l'uccisione. Finì inoltre il gas più velocemente rispetto che ai compagni e questo la costrinse ad andarsi a rifornire per prima. Tornò a svolazzare tra i rami, riuscì a colpire qualche gigante, ma non erano altro che miseri tre metri. 
Sentì un moto di sconforto abbatterla, man mano che passava il tempo e lei non riusciva a fare molto più rispetto al solito. Era già pronta ad arrendersi, ormai abbandonata su un ramo, ma infine si rialzò in piedi. Non le importava distinguersi, non le importava arrivare tra i primi, le sarebbe bastato non essere l'ultima. Ebbe un'idea, pazza, ma che forse avrebbe potuto funzionare. Doveva riuscire a essere più veloce e ora come ora la sua prestanza fisica non le permetteva di caricare troppo con tutto quel peso addosso. Non aveva potenza di fuoco, non aveva forza, e aveva dei riflessi nella norma, niente che avrebbe potuto farla distinguere. Ma aveva la carica, l'energia e soprattutto era spericolata. Si tolse di dosso la giacca e gli stivali e li lasciò sul ramo. Si tolse poi dalla fondina le lame per le spade, lasciandone solo due di riserva, una per mano. Scaricò le bombole di riserva, tenendone anche quella solo lo stretto necessario. Si liberò di tutto il peso inutile, comprese le cinghie ornamentali, fibbie che non sarebbero servite, qualsiasi cosa. Non era eccezionale, ma si sentiva già meglio, più leggera. Fermò tutto sul ramo dove si trovava, legandolo con le maniche della giacca e infine saltò giù. Arrivò a sfiorare il suolo, si diede spinta aereodinamica usando la posizione del corpo, ignorò le rigide regole di posizione per manovrare al meglio il dispositivo. Non le interessava essere precisa, doveva essere veloce. Salì fin sopra i rami degli alberi, volò più in alto del previsto e per poco non mancò la presa. Sentì il panico chiuderle la gola mano mano che prendeva velocità, ma infine riuscì a intercettare un classe sette metri prima degli altri. Tagliò la strada a Jean e tagliò la nuca al gigante prima di lui, andando a finire oltre, praticamente fuori controllo, incapace di rallentare. 
«Scusa, Jean!» la sentì urlare solamente, prima di vederla sparire nella foresta. E proseguì, verso il secondo gigante. Faceva una gran paura, quella velocità non le permetteva di avere pieno controllo, ma dopo un po' ci prese persino gusto. Cominciò a contare qualche uccisione in più, e a ogni avanzamento era un urlo di gioia. Due, tre, quattro... arrivò persino a perdere il conto. Si trasformò in una scheggia priva di schemi che volava ovunque potesse, tuffandosi da un anfratto a un altro, arrivando però al suo obiettivo prima di altri. Perse il conto delle volte che si ritrovò a piroettare in preda al panico o a sgambettare per il troppo slancio, ma ciò che contava era riuscire ad andare avanti. Ma prima che potesse accorgersene il gas terminò, prima che potesse tornare a riprendere le scorte dove le aveva lasciate, e con un ultimo urlo terrorizzato cadde verso terra. Riuscì a non schiantarsi al suolo grazie a una prontezza di riflessi che le permisero di agganciarsi a un ramo con il rampino e restare così appesa, come un salame, a cinque metri da terra in attesa di aiuto. Fu Shadis in persona a raggiungerla e vedendola priva di alcune parti di equipaggiamento, appesa, senza gas, e avendo visto cosa aveva fatto... semplicemente negò con la testa e si appuntò qualcosa. Ci aveva provato. Ci aveva provato davvero... ma non era andata nemmeno quella volta. E Beatris si accasciò, in preda allo sconforto.
Quella sera, al ritorno dall'esame, non ebbe nemmeno il coraggio di andare a guardare il tabellone dove avevano appeso i risultati. Non ne aveva bisogno, aveva combinato di nuovo un gran casino. E non sapeva se a demoralizzarla era più l'idea di aver fallito di nuovo o la scommessa fatta con Reiner: avrebbe perso il suo appuntamento e sarebbe stata costretta a cantare tutte le sere. Valutò l'ipotesi di andarsene per sempre e sparire, magari a nord. Era la volta buona che l’avesse fatto davvero. Si fermò di fronte a Christa e Ymir, le sentì parlare, ma non ascoltò molto di ciò che avevano da dire. Erano impegnate a commentare l'esame appena passato, e lei non voleva più sentirne parlare per un po'.
«A te com'è andata, Bea?» le chiese Christa e Beatris sghignazzò nervosa: «Lasciamo perdere».
«Sei già andata a vedere i risultati?» 
«No, ma non importa. Lo sguardo di Shadis è bastato a farmi capire tutto» disse Beatris e in quel momento vide l'amica sussultare e sbiancare. Shadis metteva i brividi, ma addirittura così tanto che bastava pensarlo? «Spaventa così tanto anche a...» iniziò a chiedere, curiosa di sapere cosa ne pensava Christa, ma non ebbe tempo di concludere la frase. Christa fece un paio di balzi indietro, terrorizzata, e Ymir si impegnò nel tirarla via e metterla in salvo dalla furia che era appena arrivata in scivolata da loro. Reiner le era corso dietro con tale enfasi che quando era arrivato al suo fianco era stato costretto a puntare un piede a terra e frenare, alzando un gran polverone. Si era girato, neanche l'aveva salutata, si era chinato e l'aveva presa in spalla. Infine era corso via, con Beatris in preda al panico appesa alla sua spalla come un sacco di patate. Questa allungò una mano invano verso Christa, urlando per cercare aiuto, ma non ottenne niente se non sguardi perplessi e spaventati. Reiner corse fino al tabellone nel cortile, dove esposti vi erano voti e valutazioni, senza dire una sola parola. Arrivò di fronte a questo e si voltò di colpo, così da permettere a Beatris di vederlo, e disse solo: «Tris, guarda!»
Beatris poggiò i palmi delle mani sulla sua schiena così da riuscire a rialzarsi e per qualche motivo il suo sguardo andò a posarsi subito sui primi classificati. Mikasa era al numero uno, senza nessun tipo di eccezione, e poco più in basso, sesto, vi era anche Reiner. Nella valutazione personale, scritta da Shadis, si accennava al suo problema con la lentezza nella corsa col cavallo, ma niente che avesse potuto penalizzarlo così profondamente. Infine, senza leggere il resto dei duecento e più nomi, arrivò fino all'ultimo, consapevole di ciò che avrebbe letto. Ma si sbagliò. 
«Abrham Gerbod» mormorò lei. Salì rapidamente i nomi prima dell'ultimo, chiedendosi dove fosse il suo, ma non lo trovò. Salì, ancora, e ancora, tant'è che fu costretta a sollevarsi e poggiare le mani sulle spalle di Reiner per raddrizzarsi completamente con la schiena e arrivare a leggere i nomi scritti più in alto. 
E finalmente trovò il suo.
«Beatris Moreau» sibilò, a occhi spalancati. «Sono... centosettesima».
«Hai scalato ben metà classifica solo con questo esame! E siamo solo alla fine del primo anno!» esclamò Reiner, alzando gli occhi per riuscire a guardarla in viso, e le fece un enorme sorriso, felice di quel risultato forse anche più di quanto non lo fosse lei. 
Beatris si portò le mani alle labbra e mormorò, incredula. «Ce l'ho fatta».
«Già!» 
E l'euforia le esplose in corpo. Non era più ultima. Ce l'aveva fatta, non era più la peggiore. Gli allenamenti di Reiner erano serviti, il trovare una motivazione, tutte quelle attenzioni, quell'impegno, finalmente iniziava a vederne i frutti. Alzò le braccia verso il cielo, si slanciò verso l'alto e urlò euforica: «Ce l'ho fatta!»
Reiner venne travolto completamente da tutta quella gioia, si fece coinvolgere nel festeggiamento, e avendo ancora Beatris sollevata dalle gambe iniziò a girare un po' su se stesso e a saltellare per come poteva. Fu divertente per qualche secondo e avrebbe volentieri continuato, ma Beatris abbassò gli occhi su di lui.
«Grazie, Reiner» disse emozionata e gli fece un enorme sorriso, uno dei suoi soliti sorrisi angelici che tanto lo facevano restare incantato. Infine avvolse le braccia intorno alla sua nuca. Se lo strinse al petto, poggiò una guancia sulla sua testa e lo abbracciò lì dov'era, sollevata, tenuta ancora in braccio, in mezzo ad altre persone che li guardavano chi sghignazzando e chi scocciato per il troppo baccano. Non gli diede nemmeno uno spiraglio per respirare, lo avvolse completamente schiacciandoselo al petto, e Reiner si rese conto troppo tardi dei risvolti di quella situazione. Oltre che l'imbarazzo di avere compagni cadetti a fissarli, si sentì soffocare schiacciato al petto di Beatris, con gli occhi premuti esattamente sul seno. Si sentì travolgere dal panico, tentò di arretrare con la testa ma Beatris lo teneva come un serpente tra le sue spire. 
«Tris...» sibilò con quel poco di lucidità che aveva. «Lasciami!» e per fortuna non dovette insistere tanto per riuscire a tornare libero... anche se mai avrebbe dimenticato la vergogna di quel momento.


Nda.


Ma come sono carini sti due *-* qui la romance è forte e selvaggia! xD Soprattutto per Tris, che ormai palesemente sta iniziando a provare qualcosa per lui. E se questo capitolo vi ha fatto sorridere, non perdetevi il prossimo dove ci saranno tanto sole, cuore e amore <3 Reiner ha una promessa da mantenere ehehe :P


E su questa scia di pace e ammmmore, vi lascio la canzone del giorno, molto soft ma caruccia :3
Enjoy! 

E alla prossima!

https://www.youtube.com/watch?v=lQFgkLrtJ0M&ab_channel=NihalCry09






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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


«Mikasa!» Beatris si lanciò sul letto dell'amica con tale foga che prese male le misure per la fretta e finì con lo sbattere la testa sul letto sopra, quello che in realtà era suo. Cadde all'indietro e finì sul pavimento. «Che male!» gridò, premendosi la fronte con entrambe le mani.
«Bea» si allarmò Mikasa, affacciandosi. «Che stavi facendo?» le chiese.
«Beatris! Stai bene?» chiese Christa, saltando giù dal proprio letto e inginocchiandosi vicino alla ragazza a terra. Beatris la ignorò e si sollevò a sedere rapidamente, puntando gli occhi infuocati a Mikasa: «Devi aiutarmi!» ruggì.
«Che succede?» chiese Mikasa, preoccupata, e voltandosi verso di lei cominciò a scendere dal letto. Beatris le diede una rapida occhiata: era spettinata, con una vestaglia da notte larga, sterile, di un giallino orripilante e senza alcun tratto distintivo. Era sempre molto bella, bastavano i suoi tratti a renderla lucente, ma era solo dote naturale, non faceva niente attivamente per migliorare il suo aspetto... e questo fece capire a Beatris che non poteva aiutarla. Sospirò pesantemente e si abbatté, rannicchiandosi in se stessa. «Non fa niente, torna pure a dormire».
Mikasa ignorò il suo improvviso cambio d'umore, le si avvicinò e la costrinse ad alzare la testa sollevandole il mento. Puntò lo sguardo alla fronte arrossata per il colpo e la guardò glaciale. «Ti sei fatta un bernoccolo e ora mi dici che non succede niente?»
«Oh no!» urlò Beatris in preda al panico e si toccò la fronte dolorante. Riusciva effettivamente a sentire un po' di gonfiore e il rischio che aumentasse era abbastanza consistente. «Ho rovinato tutto» disse tanto disperata che sembrò sul punto di scoppiare a piangere. 
Sembrava quasi una bambina, e Mikasa sapeva che in quei momenti bisognava occuparsi di lei con maggiore cura che altre volte.  Erano i suoi momenti di fragilità, esprimeva il disagio che provava comportandosi come una bambina, con Eren succedeva almeno nove volte su dieci. Sospirò, la prese per mano e la costrinse ad alzarsi da terra. La portò sul proprio letto e ce la fece sedere sopra.
«Vado a prendere dell'acqua fredda!» disse Christa, alzandosi e correndo via. 
«Grazie» le rispose Mikasa, per poi tornare a guardare Beatris. Le sollevò i capelli dalla fronte e guardò con più attenzione il danno, cercando di esaminarlo. Lo sfiorò, provando a vedere se Beatris provasse dolore, e per fortuna non sembrò reagire.
«Non sembra messo malissimo, forse ti passerà presto».
«Credi che domani si vedrà?» mormorò Beatris, abbattuta.
«È probabile» confermò Mikasa e Beatris tornò a piagnucolare come una bambina in preda a dei capricci. 
«Qual è il problema?» le chiese, secca. Era stufa di sentirla piagnucolare, se aveva qualcosa da chiederle che lo facesse e basta. «È che...» mormorò Beatris, stringendosi timidamente nelle spalle. Cominciò ad arrossire e si portò una mano dietro la testa a grattarsi imbarazzata la nuca. «Domani abbiamo il giorno libero» disse e non aggiunse altro.
«Devi andare da qualche parte?» le chiese Mikasa e in quel momento tornò Christa con un catino d'acqua fredda. Mikasa ci immerse un panno, lo strizzò dell'acqua in eccesso e infine lo premette contro la fronte di Beatris. 
«Da nessuna parte in particolare... faccio solo un giro». 
«Nessuno ti chiederà come te lo sei fatto, non devi per forza dire che sei stupida» le disse Mikasa, tornando a immergere il panno per raffreddarlo e premendolo nuovamente contro la fronte di Beatris.
«E anche se te lo chiedono, sei un soldato! Vedranno la divisa! Puoi sempre dire che è stato un incidente durante l'addestramento» aggiunse Christa, sedendosi a terra di fronte a loro. 
«In verità  non avrei voluto girare in divisa» confessò, sempre più imbarazzata. «Insomma, ci stiamo tutta la vita in divisa... mi sarebbe piaciuto mettere qualcosa di... carino» quasi sibilò l'ultima parola, a voce talmente bassa che persino Mikasa faticò a sentirla. «Ti vuoi mettere qualcosa di carino?» ripeté, convinta di non aver capito bene. 
«E perché?» gracchiò Ymir, affacciandosi oltre il bordo del proprio letto. «Devi vederti con qualcuno?» Per quanto mostrasse sempre indifferenza, quasi irritazione nei confronti degli altri, compresa Beatris, quando c’era odore di pettegolezzo per qualche motivo Ymir spuntava sempre e cercava di intromettersi. Era a suo modo divertente, e questo l’aveva portata a essere considerata un’amica benché l’apparente disinteresse verso chiunque non fosse Christa.
«Hai un appuntamento?» sussultò Christa, arrossendo e portandosi le mani al volto.
«No!» sobbalzò Beatris. Si portò nervosamente delle ciocche di capelli dietro l'orecchio e aggiunse, rapida: «È solo una passeggiata».
«È così che funzionano gli appuntamenti, non lo sai?» la stuzzicò Ymir.
«Chi è? Possiamo saperlo?» chiese Christa, curiosa. 
«Davvero non lo sai?!» le chiese Ymir, stralunata. Sbuffò, improvvisamente non più interessata, e tornò a stendersi sul suo letto. Tanto, se avessero parlato a voce più alta, le avrebbe sentite comunque. 
«Beh, comunque sia, il tuo bernoccolo verrà con te» le disse Mikasa e Beatris tornò a sospirare affranta. Mikasa le smosse i capelli, le spostò la frangia davanti al viso e aggiunse: «Se ci tieni i capelli davanti non si nota troppo».
«Proviamo a pettinarli in maniera diversa» propose Christa e salì in ginocchio sul letto di Mikasa, mettendosi alle spalle di Beatris. Le afferrò i capelli e cominciò a intrecciarglieli sulla nuca. 
«Non voglio sembrare strana» disse Beatris, ma si lasciò comunque intrecciare i capelli da Christa. Aveva il tocco delicato, era gentile, e quelle banali chiacchiere tra ragazze comunque le riempivano il cuore. Ultimamente non parlavano d'altro se non di addestramento, esami ed esercito. Un po' le mancava la normalità, quei momenti erano come miele. 
«Non sarai strana, sarai più carina e basta».
«Hai già scelto cosa metterti?» le chiese Mikasa, che stranamente aveva deciso di assecondarla e non dirle, come al solito, di non perdere tempo in sciocchezze. 
«Avevo pensato di chiedere qualcosa a te, ma poi ci ho ripensato» disse candidamente Beatris, godendosi il trattamento ai capelli. 
«E perchè?» 
«Mi sono ricordata che non dai molto interesse all'aspetto fisico, non penso tu abbia niente da prestarmi» confessò Beatris. «Anche a Eren non importa niente, per questo non te ne sei mai preoccupata».
«Ecco qua!» esclamò Christa, chiudendo la treccia di Beatris con un fiocco. «Io ho qualcosa di carino, ma non penso che ti stiano. Sei più alta di me» aggiunse, dispiaciuta. «Annie sembra che porti la tua taglia!» disse infine.
«Annie non mi sembra il tipo da indossare gonne e bluse» ridacchiò Beatris, nervosa. Era la verità, Annie non era per niente femminile, ma ciò che la dissuadeva più di tutti dall'andare a chiedere a lei era il terrore che le faceva venire tutte le volte. Non sapeva cosa le avesse fatto, forse questa la considerava solo antipatica a pelle, ma nonostante avessero interagito molto poco Annie non faceva che lanciarle occhiate gelide. Sembrava detestarla. No, non avrebbe mai osato chiederle niente. 
«Anche Ymir veste molto mascolina, non credo abbia niente da prestarti» sospirò Christa. 
«Beh, pare che debba arrangiarmi con quello che ho. Non è un problema, tanto è solo una passeggiata» tornò a ridacchiare nervosa. 
«Possiamo dare un'occhiata? Ti diamo una mano, che ne dici Mikasa?» si propose Christa, stranamente felice per una cosa come quella. Probabilmente il momento ragazze era qualcosa che era mancato tanto anche a lei, e che forse anzi non aveva mai nemmeno avuto. Mikasa annuì e Beatris si spinse sotto al letto, per cercare e tirare fuori la sua valigia, di fianco a quella di Mikasa. L'aprì e ne tirò fuori qualcosa, un paio di gonne, degli stivali, e tre camicette diverse. Non era troppo ed era tutto estremamente semplice. Ma Christa ebbe un'altra idea e si avvicinò a Sasha, per chiedere a lei se poteva prendere in prestito il suo corsetto e una delle sue bluse. Ne discussero per tutta la sera, come normalissime ragazze di campagna, e a un certo punto si dimenticarono persino il motivo che le aveva portate a parlare di vestiti, fiori o libri. Non scelsero nemmeno cosa Beatris avrebbe indossato il giorno dopo, si persero in chiacchiere e infine ognuno si mise nel proprio letto, pronte ad abbandonarsi al sonno. Beatris salì sul suo letto e per la prima volta non andò a infilarsi in quello di Mikasa. Era stato bello passare la serata come normali ragazze, quelle chiacchiere le avrebbe ricordate per sempre, ma non appena era rimasta sola le era tornato in mente cosa l'aspettava il giorno dopo. Era stata lei a sceglierlo, era il suo premio per la buona riuscita dell'esame, Reiner le aveva dato carta bianca e lei non ci aveva pensato su nemmeno per un istante: voleva stare con lui tutto il giorno, senza fare niente di particolare. Avrebbe potuto scegliere qualsiasi cosa, qualsiasi altra cosa, ma l'idea di passeggiare insieme per la città, dimenticandosi almeno per quel giorno di essere soldati, godendosi la loro presenza solo come persone, le faceva palpitare il cuore nel petto. Quando era successo che iniziasse a provare sentimenti come quelli? Sapeva cosa significavano, anche se era la prima volta che li provava personalmente, non era una ragazzetta stupida e aveva vissuto abbastanza a lungo con Mikasa e Eren per riuscire a imparare perfettamente quali sguardi avesse l'amore. Non che fossero uguali, certamente Mikasa la batteva alla grande in fatto di ossessione, ma riusciva a trovare delle somiglianze. Arrossiva, sentiva il cuore palpitare, non faceva che cercarlo, che pensare a lui, non desiderava altro che potersi svegliare la mattina e correre nel cortile a dargli il buongiorno. Stava davvero cominciando a innamorarsi? Erano quelle le sensazioni che Mikasa provava quando stava vicino a Eren? Come aveva fatto a sopravvivere così a lungo?
«Toglie il respiro» mormorò tra sé e sé. Seduta sul letto, immersa nel buio, teneva le ginocchia avvolte tra le braccia e ci affondava il volto dentro. Erano belle sensazioni, stare in compagnia di Reiner sembrava essere davvero tutto ciò che era in grado di darle felicità, tutto ciò che poteva permetterle di vivere appieno, ma a lungo andare la sensazione di vuoto nello stomaco diventava dolore. E il cuore si stancava di colpire così forte nel petto. 
Sospirò, agitata. «Non riesco a dormire» mormorò, abbattuta. 
Avrebbero davvero passato tutta la giornata insieme l'indomani? Cosa avrebbe pensato Reiner? Era sempre così carino, così dolce, ma non faceva che ribadire che fossero solo amici. Anche lei lo faceva, mai avrebbe ammesso ad alta voce la sua cotta, ma a lui sembrava venire così naturale. Come quella mattina stessa, che aveva distrutto il bel ricordo che aveva avuto del lago, quando lui le aveva detto di restare al suo fianco. "Resta con me", era impazzita nel sentirglielo dire. Forse era stato quello il momento in cui aveva iniziato a sentire l'apnea nello stomaco. Era stato così bello... e lui quella mattina aveva invece trasformato quella magia in un banale "resta con noi, i tuoi amici".
Sospirò ancora. Stava davvero facendo congetture sui sentimenti di Reiner? Stava davvero sperando di essere ricambiata? Quando era arrivata a quel punto? Non se n'era nemmeno accorta, era frustrante. Non voleva farlo, non voleva preoccuparsi, non voleva avere paura di ciò che lui avrebbe pensato di lei e dell'uscita del giorno dopo. Non era un appuntamento, non doveva esserlo e lei non doveva vederlo come tale o avrebbe finito col farsi delle illusioni. Non era un appuntamento, Reiner aveva accettato di farlo solo per quella stupida scommessa sull’esame, perché glielo doveva. Era questa la verità.
Sentì il letto muoversi e il peso di qualcuno che si arrampica e saliva vicino a lei. Alzò la testa dalle ginocchia e lo puntò all'oscurità, al suo fianco. Riuscì a malapena a vederla, ma bastò a riconoscere Mikasa. 
«Perché non sei venuta a dormire con me?» le chiese.
«Non voglio disturbarti sempre, per stanotte ti avrei lasciata in pace».
«Non l'hai mai fatto da quando abbiamo lasciato Shiganshina. Che succede?» 
Beatris esitò, sapendo che inventare scuse non sarebbe servito a niente. E poi sentiva di avere davvero bisogno di parlare con lei. Sospirò, per l'ennesima volta. «Non riesco a dormire. Se fossi rimasta giù ti avrei svegliata».
«Se stai seduta non dormirai mai» le disse Mikasa e la spinse sul letto, per una spalla. Le si stese a fianco e le poggiò una guancia sulla fronte, pronta a prendere sonno al suo fianco. «Prova a chiudere gli occhi».
«So come ci si addormenta, non sono idiota» borbottò Beatris, frustrata. 
«E allora provaci. Se passerai la notte in bianco aggiungerai le occhiaie al bernoccolo, domani, non penso che farai bella figura».
E questo bastò a convincere Beatris. Sussultò e si rannicchiò poi a fianco dell’amica. Cercò di seguire il suo consiglio provando a dormire, senza ovviamente riuscirci, ma almeno ci stava provando.
«Mikasa» mormorò dopo qualche minuto di silenzio.
«Mh?» rispose lei, e Beatris si sorprese nel sentirla ancora sveglia. Stava vegliando su di lei? Mikasa a volte era davvero un angelo silenzioso, si occupava con affetto dei suoi amici e nemmeno si faceva notare. 
«Come fai a sopravvivere al vuoto alla bocca dello stomaco?» le chiese improvvisamente, col tono di voce affranto e abbattuto.
«Di che parli?»
«Di Eren. Lui non dimostra mai di ricambiare i tuoi sentimenti, non ti da mai soddisfazione, anzi a volte ti tratta persino male... come fai a sopravvivere? Il mal di pancia non ti acceca?»
«A te lo sta facendo?» e la domanda spiazzò Beatris. Mikasa la sentì rannicchiarsi maggiormente, infilare la testa dentro la sua spalla e fare un altro sospiro. Nel buio, Mikasa sorrise raddolcita: Beatris era come un cucciolo terrorizzato. Si voltò verso di lei e le avvolse le spalle in un abbraccio, prima di dire: «Fa un male accecante, è vero. Non è facile a volte».
«Non ti senti morire?» 
Mikasa annuì. «Ma se morissi non potrei più stare a fianco di Eren. Perderei qualcosa di inestimabile. Chi non prova certe cose non può comprenderlo, ma mi basta davvero potergli solo stare vicino. Basta-» ma a concludere la frase fu Beatris, meravigliata lei stessa: «Basta stare insieme a lui per sentirsi avvolti da una felicità soprannaturale. Mette voglia di vivere appieno la vita, di non lasciar andare via nemmeno un istante». 
Era esattamente quello e Mikasa sorrise ancora, intenerita. Stava provando esattamente le stesse cose, se ne stava rendendo conto solo ora forse e per questo sembrava tanto spaventata. Era qualcosa di nuovo, ma anche lei aveva trovato qualcuno di tanto speciale da fargli desiderare di restare viva per sempre. 
«È come riprendere a respirare dopo essere rimaste in apnea troppo a lungo» confermò Mikasa, prima di farle una carezza dietro la nuca. «Reiner ti piace tanto, vero?»
E la sentì sussultare, spaventata forse all'idea che qualcuno avesse capito, forse anche prima di quando l'avesse capito lei. Ma poi si rilassò. Quella era Mikasa, sapeva che poteva fidarsi, e poi alla fine, forse, era davvero così ovvio. 
«È sempre stato così gentile con me» mormorò, prima di aggiungere imbarazzata: «Non che basti essere gentili! Ovvio! Però...» tornò a rannicchiarsi vicino a Mikasa. «Non lo so, non saprei dire perché, come e quando sia successo. So solo che da qualche tempo io... non ho davvero più nessuna voglia di morire. Credevo che non avrei avuto niente da perdere, che seguirvi all'esterno sapendo che non sarei sopravvissuta un giorno di più non mi sarebbe importato perché eravate tutto ciò che mi era rimasto e volevo passare con voi i miei ultimi momenti, provando magari a fare qualcosa per aiutarvi. Ero disposta a morire, non appena varcata quella soglia. Ho avuto la sensazione, fin dal primo istante, che lui cercasse qualcosa in me... delle risposte? Non lo so, mi è sembrato che per qualche motivo si sentisse costretto a tenermi d'occhio. E all'inizio non mi piaceva, perché non faceva che trovarsi nei guai per colpa mia. Ha persino rischiato la vita...» Mikasa le fece un'altra carezza e restò in silenzio, ad ascoltarla. «Non lo so cosa sta succedendo, Mikasa. Ma... mi ha dato qualcosa, quando credevo che non avrei mai più potuto avere niente. Mi ha resa migliore. E ci ha messo tutto se stesso per riuscirci» si sollevò, anche se non poteva vederla sentiva che doveva puntare lo sguardo nel suo. Nel buio, riusciva a percepirlo, e sorrise. «Io voglio vivere, Mikasa. Voglio vivere... il più a lungo possibile!»
Vorrei che tu vivessi il più a lungo possibile.
Glielo aveva promesso, ed era quello che voleva. 
«Sono felice di sentirtelo finalmente dire» le rispose Mikasa e anche se non poteva vederla sapeva che stava sorridendo. Tornò a stendersi al suo fianco.
«Mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto. Non ho mai voluto abbandonarvi, solo che era troppo accecata per riuscire a capirlo. Pensavo sarebbe stato giusto... morire per voi».
«Non l'abbiamo mai voluto. E non lo vogliamo nemmeno adesso» disse e Beatris ridacchiò. «Non mi dissuaderai dallo scegliere il corpo di ricerca. Non vi abbandonerei mai, non ce la farei. E poi... vorrei andare a riprendere Kitty. A Shiganshina».
«Ci andremo. Te lo prometto» sospirò Mikasa, abbandonandosi ormai al sonno. «Se quell'idiota di Reiner ti fa soffrire giuro che lo ammazzo» bofonchiò e infine si addormentò.
Beatris sorrise divertita, si ammorbidì vicino alla sua amica e anche lei, senza aspettare troppo, finalmente libera di pensieri, riuscì ad addormentarsi. Fece uno strano sogno, un incubo, ma che si trasformò in qualcosa di diverso. Era da tempo che non sognava Shiganshina, ma quella notte, forse per aver parlato di Kitty, se ne ricordò. Era pochi metri da casa sua, ormai distrutta. La terra tremava, sentiva urla ovunque, e la voce di sua madre che la chiamava alla sua sinistra. Davanti a lei un gigante stava correndo nella sua direzione. Non uno qualunque, ma proprio lui, il gigante corazzato. Il più terrificante di tutti. L'avrebbe schiacciata nella sua corsa da lì a poco, lo sapeva, succedeva ogni notte. Lo sentì urlare furioso, probabilmente era la sua immaginazione, ma ebbe come l'impressione che avesse urlato a lei. E lei rimase lì, paralizzata, a fissarlo mentre lui correva nella sua direzione. L'avrebbe schiacciata, se non fosse comparso Reiner. 
«Devi muoverti, adesso!» le aveva detto, prendendola per mano, ma lei aveva i piedi incollati al suolo. Muoversi era impossibile. 
«Tris» l’aveva chiamata con dolcezza. «Resta con me».
Un istante prima di essere schiacciata era riuscita ad azionare il meccanismo di movimento tridimensionale, che aveva scoperto avere addosso solo in quel momento. Era volata via, saltata appena in tempo, e Reiner con lei. Aggrappata alle sue spalle, era riuscita a vedere sotto di sé il corazzato che sprofondava al suolo, in un'enorme voragine. Non avrebbe fatto più del male a nessuno, era stato inghiottito dal terreno  e loro erano rimasti lì, sollevati in aria, a guardarlo sparire per sempre. Aveva appena avuto il tempo di voltarsi, guardare Reiner in volto e sorridergli, prima di svegliarsi. 
Con la luce del sole dritta negli occhi, Beatris si sollevò a sedere sul letto, ora sola, e restò immobile a fissare il vuoto per un lungo istante. Confusa, ma soprattutto assonnata. La treccia che le aveva fatto Christa la sera prima le si era tutta intrecciata sulla nuca e sentiva sulla fronte, sotto la frangia, pulsare il bernoccolo ora gonfio. 
«Buongiorno principessa!» gridò Christa, appendendosi al letto di Beatris e affacciandosi oltre. «Sei l'ultima ad essersi svegliata, eri distrutta, eh?!»
«L'ultima...» borbottò con la voce impastata. E infine sussultò, in preda al panico. 
«Perché nessuno mi ha svegliato?» saltò giù dal letto, corse a prendere alcuni vestiti tra quelli visti la sera prima, e cominciò a vestirsi rapidamente. «Non lo so... dovevamo farlo? Non ci hai detto niente ieri» le disse Christa, aiutandola ad allacciarsi il corpetto. 
«Ti abbiamo visto tranquilla» continuò Christa, passando ora a pettinarle i capelli e provare a risistemarle la treccia. Fu in quel momento che Mikasa entrò, quasi sbattendo la porta. Raggiunse le due ragazze, passò loro a fianco e si abbassò a prendere le scarpe di Christa da sotto al letto.
«Vestiti» le disse, passandogliele. «Andiamo anche noi».
«Cosa?!» sussultarono sia Christa che Beatris. 
«Reiner ha detto a Connie e Bertholdt che andava a fare un giro in città e loro si sono uniti a lui» spiegò e la cosa era ovvio che non le andasse a genio. Beatris era stata emozionatissima il giorno prima all'idea di uscire con Reiner e quei due dovevano rovinare tutto, era intollerabile. Sarebbe andata anche lei e avrebbe impedito a quei due di mettersi troppo in mezzo, Christa era perfetta per darle una mano. 
«Era con Reiner che aveva appuntamento?» sussurrò Christa, rossa in volto.
«Davvero non lo avevi capito?» le chiese Beatris stupita, prima di aggiungere allarmata: «Non è un appuntamento! Andiamo solo a fare una passeggiata, sono contenta se vengono anche Bertholdt e Connie! Più siamo e meglio è, no?»
Mikasa si avvicinò a Beatris e le mise una mano sulla spalla, prima di guardarla da oltre la sua sciarpa rossa con uno sguardo colmo di istinto omicida: «Li uccido entrambi così non saranno d'impiccio».
«Mikasa!» abbaiò Beatris, terrorizzata all'idea che avesse potuto farlo sul serio. 
«Ecco, fatto! Finito!» esclamò Christa, bloccando i capelli di Beatris con un fiocco.
«Forse avrei dovuto mettermi qualcosa di più sobrio» sospirò quest’ultima, guardandosi. Era a dire il vero molto sobria, a parte la treccia col fiocco che le aveva fatto Christa non aveva niente di particolare addosso, ma era così abituata ad avere su la divisa militare che anche quel poco le sembrava troppo. E aveva il terrore che Reiner avesse potuto intuire che l'aveva fatto di proposito: sarebbe morta di vergogna. 
«Stai benissimo. Andiamo!» disse Christa e la prese per mano, trascinandola fuori. Nel cortile, davanti al dormitorio, c'erano già pronti Reiner, Bertholdt e Connie, ma nell'attesa che le tre uscissero fuori si erano uniti persino Armin, Sasha e Eren.
«Sono sempre di più» sibilò Christa, contando i nuovi intrusi. Mikasa si tirò su una manica e fece un passo avanti, pronta ad andare e seminare distruzione, ma Beatris fu rapida nell'afferrarla e bloccarla. «Non... attirare troppo l'attenzione, per favore». 
Mikasa evitò di partire come un cane rabbioso, ma questo non le impedì di lanciare sguardi glaciali a Reiner che, senza capirne il motivo, iniziò a sudare freddo. 
«Bene» disse poi lui, cercando di ricomporsi. Incrociò le braccia al petto, sorrise e guardò Beatris. «Dove andiamo?» In fondo quella era la sua giornata, il suo premio, e lui aveva promesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avesse chiesto. 
«C'è il mercato, oggi, in piazza!» si esaltò Sasha. «Portano specialità da tutta la nazione».
«Sembra interessante!» sorrise Beatris, trovandola una bella idea. 
«Al mercato!» Si esaltò Connie e iniziò a camminare, insieme a Sasha. 
«È da tanto che non ci facciamo una passeggiata da comuni esseri umani» commentò Eren, affiancando Armin. «Eren» mormorò Mikasa, raggiungendolo. «Avresti dovuto restare e riposarti. Ieri ti sei sforzato molto».
«Mikasa! Lasciami stare, non trattarmi sempre come un bambino. È solo una passeggiata».
«Gli farà bene prendere un po' d'aria» gli diede corda Armin. 
«Possiamo andare al fiume, lì puoi prendere aria» propose Mikasa.
«Andiamo prima al mercato, voglio andare anche io lì».
Beatris e Christa si scambiarono uno sguardo vacuo. Sapevano che quello era il tentativo di Mikasa di ristabilire l'ordine delle cose, ma era veramente pessima. Su Eren non aveva proprio presa, eppure ci provava sempre. Christa sussultò, come se si fosse appena ricordata di qualcosa, e corse avanti. 
«Bertholdt!» chiamò. «Da dove hai detto che venivi?» chiese e iniziò a fargli domande sul suo villaggio, saltando di palo in frasca, arrampicandosi sugli specchi, solo per riuscire a portare avanti il ragazzo e costringere così Reiner a restare solo con Beatris. Non che potessero restare proprio soli, ma almeno avrebbero potuto chiudere la fila insieme. In qualche modo avrebbero aiutato a sistemare la situazione. Ma Beatris trovò la cosa addirittura divertente. Vedere le sue amiche affaccendarsi tanto in quel compito così banale e superficiale la fece sorridere. Si sentiva circondata da qualcosa che non provava da tempo. Una gioia che mai avrebbe scordato. 
Avrebbe voluto fare una passeggiata sola con Reiner, assaporare un po' di quella gioia di vivere di cui aveva parlato con Mikasa la notte prima, ma davvero avrebbe rinunciato a una giornata così vivace e piena? Non le importava se il suo "non appuntamento" era stato rovinato, era bello anche così. Corse avanti, superò Reiner, e si infilò tra Bertholdt e Christa come un cane che si infila tra le gambe del padrone. 
«Cosa facevate nel vostro villaggio?» chiese, inserendosi nella conversazione. 
«Allevavamo bestiame» rispose Bertholdt. Christa provò a spingere via l'amica e le disse un allarmato: «Bea!» ma lei si voltò e le fece un luminoso sorriso. Li superò, corse in avanti come una ragazzina, e si voltò, camminando e saltellando all'indietro, così da poter vedere la coppia lasciata indietro e Reiner a chiudere la fila. «Ho sentito dire che a volte ci sono dei menestrelli in piazza, durante il mercato. Non sarebbe bellissimo poterli ascoltare?»
«Menestrelli?» mormorò Reiner. 
«Sì! Si guadagnano da vivere con la musica. Li ho visti una volta, tanto tempo fa...» saltellò allegra, prima di esclamare: «Trombe e tamburi, festini e festoni. Spero tanto che ci siano!»
Continuò a camminare all'indietro, a saltellare allegra, e non si accorse di un ciottolo scheggiato contro cui inciampò. Cadde all'indietro e nel farlo travolse Eren, che aveva proprio dietro di sé. Il ragazzo non la prese bene, la spintonò via e ringhiò: «Bea-stupida! Guarda dove metti i piedi!». Ma lei lo ignorò, puntando lo sguardo ai suoi capelli sciolti che le pendevano oltre le spalle. Sussultò allarmata. 
«Oh no! Mi hai sfatto i capelli!» 
«Io te li ho sfatti?! E poi che ti importa, scusa?» si irritò Eren.
«Me li ha fatti Christa, ci ha messo un sacco questa mattina» gli disse, correndo vicino a Christa e le diede la schiena. «Me li rifaresti, per favore?» 
«Ci fermiamo già?» chiese Connie, guardando il resto dei compagni che era rallentato. 
«Noi andiamo avanti! Ci vediamo al mercato!» disse invece Sasha e prendendo Connie per un braccio iniziò a correre, allegra e affamata come un bue. 
«Potremmo cominciare ad avviarci anche noi» propose Mikasa, voltandosi a guardare Armin e Eren, ancora speranzosa di poter eliminare quanti più ficcanaso possibili. Ma Armin alzò le spalle e indicò Eren che ora era impegnato a litigare con Beatris. Sarebbero sicuramente passati alle mani come al solito, se solo Beatris non fosse stata immobile, seduta su una staccionata, che si faceva sistemare i capelli da Christa. Bertholdt, nel mezzo, provava invano a calmarli ma lui -povero stolto- non sapeva che una volta partiti c'era solo un modo di far ragionare quei due: essere più feroce di loro.
«Ecco fatto!» sorrise Christa, felice. Beatris si illuminò e si guardò la treccia. «Grazie, Christa. È veramente bellissima».
«Quei capelli ti saranno d'impiccio nel corpo militare, dovresti fare come ha fatto Mikasa» la rimproverò Eren.
«Non sono scema quanto lei! Non lo farò solo perché me l'hai detto tu» gli fece una linguaccia.
«È la verità! Vuoi o non vuoi diventare un soldato? Devi pensare alla funzionalità, non all'estetica».
«Vogliamo parlare della tua funzionalità?!» si alzò Beatris, fissando Eren come se avesse voluto divorarlo da un momento a un altro.
«Adesso basta, ragazzi» provò a intervenire Reiner, ma non ci fu bisogno di aggiungere altro. Mikasa si avvicinò silenziosa ai due, si piegò su un lato e diede un potente calcio in pieno stomaco a Eren, che lo portò ad accasciarsi. Poi se lo caricò in spalla e iniziò a portarlo via. 
«Perché solo io?» sibilò Eren, in fin di vita. 
«Solo per questa volta» disse Mikasa, voltandosi a fulminare Beatris. L'aveva graziata solo per quella volta, solo perché il suo obiettivo per quel giorno era riuscire a darle possibilità di passare del tempo con Reiner. Ma non avrebbe dovuto tirare troppo la corda, o avrebbe lasciato perdere tutti i buoni propositi. Armin la seguì, sospirando affranto, e Christa sussultando ancora -ricordandosi dell'impegno che aveva- tornò a puntare Bertholdt. Ma Beatris le mise una mano sul braccio, la fermò e negò semplicemente. Poi la prese per mano e iniziò a tirarla per la strada. «Andiamo, Christa! Venderanno dei dolcetti secondo te?»
«Può darsi» mormorò Christa. «Ho sentito che c'è un forno in centro città che fa delle torte di frutta indimenticabili» aggiunse poi, ricordandosi di quel dettaglio, e Beatris tornò a illuminarsi. Si voltò istintivamente a cercare Reiner con lo sguardo e quando lo incrociò non ebbe nemmeno da chiedere. 
«Va bene» le sorrise lui, leggendole nel pensiero. «Se lo troviamo te ne prenderò un pezzo». Aveva promesso che per quel giorno avrebbe fatto qualsiasi cosa lei avesse voluto, sapeva che avrebbe dovuto pagare lui per quelle torte, ma era felice di farlo. 
«Evviva!» esultò Beatris, prima di prendere di nuovo Christa per mano e iniziare a correre per raggiungere gli altri. Fece solo qualche passo, poi si voltò a guardare Reiner e Bertholdt più indietro, e alzò un braccio. «Sbrigatevi! Siete troppo lenti!»
«Arriviamo!» rispose Bertholdt e si preparò ad accelerare il passo e raggiungerle, ma prima di farlo Reiner lo fermò con un flebile: «Bertholdt». Dalla loro posizione sapeva avrebbe potuto mormorare senza essere sentito, perciò aggiunse in un sospiro: «Grazie per essere venuto con me».
«Perché le hai promesso che avresti passato la giornata con lei se non avevi intenzione di farlo» gli chiese Bertholdt, preoccupato.
«Lo volevo fare» sospirò ancora Reiner. «È proprio per questo che ti ho chiesto di venire con me. Ultimamente... sono un po' annebbiato» confessò. «Questo posto mi confonde. Fatico a... focalizzarmi su ciò che voglio davvero. Ho bisogno di distaccarmi un po' da tutto questo, di non farmi coinvolgere troppo. Annie aveva ragione, sto quasi per affezionarmi. È tutto così complicato» e d'istinto portò di nuovo gli occhi a Beatris. Di spalle, la sua treccia saltellava ovunque. Quel fiocco le stava veramente bene, era quasi ipnotico. Era la prima volta che la vedeva vestita con abiti comuni e se n'era lasciato abbagliare, anche se non l'aveva dato a vedere. Aveva dovuto controllarsi, la vicinanza di Bertholdt gli aveva dato la giusta motivazione, era riuscito a distogliere lo sguardo da lei con gran fatica quando l'aveva vista uscire dal dormitorio. Ma ora che gli camminava davanti, ora che gli occhi si erano fissati su quel fiocco che stringeva delicatamente le ultime ciocche dei suoi capelli e le cadeva morbido tra le scapole, non fu altrettanto semplice. La blusa che aveva indossato le lasciava scoperte le spalle, riusciva quasi a intravederle l'inizio delle scapole. Per qualche ragione, rimase a fissare quel piccolo lembo di pelle scoperta per infiniti secondi.
E la sua espressione parve mutare lentamente. Le sopracciglia si distesero, le spalle si ammorbidirono e l'espressione si rese più beata e meno pensierosa, man mano che procedevano. Bertholdt lo notò: Reiner sembrò essere diventato una persona completamente diversa in pochi istanti. L'amico tornò a guardarlo e gli fece un amichevole sorriso. «Forza» gli diede una pacca sul braccio. «Non facciamoci lasciare indietro!» e aumentò il passo, quasi si mise a correre, fino a raggiungere Beatris e affiancarla. Iniziò a parlare con lei, le sorrise, le stette vicino quando fino a poche ore prima gli aveva esplicitamente chiesto di aiutarlo e non lasciarlo solo con lei. C'era qualcosa di strano, ma Bertholdt si convinse che forse stava solo esagerando. Reiner stava recitando, mantenendo il suo ruolo, era solo straordinariamente bravo... non poteva essere altro che questo.
Arrivarono in piazza e trovarono allestito un mercato abbondante e pieno di allegria. Non solo vi erano banchi di frutta e verdura, di carne fresca di cacciagione, di tessuti e utensili vari, ma come sperato da Beatris, al centro della piazza, c'era un gruppo di menestrelli a dar allegria alla giornata. Si fecero catturare dalla musica, restarono in zona a guardarli per un po', fino a quando Beatris allegra non prese Christa per mano e improvvisarono un ballo. Provò poco dopo a coinvolgere anche Mikasa, ma si rivelò un tronco d'albero e a malapena muoveva i piedi nel tentativo di non cadere mentre veniva trascinata a destra e a sinistra. Connie e Sasha iniziarono a ballare in autonomia, e Beatris li guardò, rise, poi tornò a volteggiare insieme a Christa e continuò, a ripetizione. Riuscì a trascinare anche Armin, a coinvolgerlo in qualche modo, e fu divertente vederlo concentratissimo mentre provava a seguire i passi improvvisati di Beatris. Troppo tecnico, poco cuore, sembrava una marionetta e questo fece ridere i suoi compagni. Non coinvolse Bertholdt e Reiner, trovandoli forse meno inclini e troppo seri per quel genere di spettacoli, ma arrivò al loro fianco nello slancio di una piroetta e si sorprese quando fu Reiner stesso a prenderla per mano, farle fare una giravolta, e slanciarla nuovamente verso il resto dei suoi compagni, come fosse stata una trottola da intercettare e rimandare via. Ballare certo non faceva per lui, ma aveva volentieri approfittato della situazione per vederla volteggiare un po' tra le sue mani. La sua gonna a balze ruotava come un fiore ad ogni giravolta, era di una bellezza incredibile e restò a lungo incantato, a guardarla, fintanto che i suoi amici non tornarono al loro fianco ormai stremati. Lasciarono perdere i menestrelli, girarono per il mercato e si comprarono qualcosa giusto per fare colazione. Non trovarono però la pasticceria di cui aveva parlato Christa, e questo rattristò un po' Beatris. Avrebbe tanto voluto mangiare qualche dolcetto, sarebbe stato perfetto per quell'incredibile giornata. E Reiner aveva promesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, quel giorno... perciò a un certo punto sparì per un po', e quando tornò porse a Beatris un sacchetto con dentro dei pasticcini al miele. 
«Non sono le torte alla frutta di quella pasticceria, ma dovrebbero essere buoni lo stesso» le disse. Beatris reagì con una gioia divampante, lo ringraziò con gli occhi lucidi per l'emozione, e gli saltò al collo, abbracciandolo distrattamente prima di iniziare a distribuire pasticcini a tutti i suoi amici. E a Bertholdt non sfuggì il sorriso inebetito di Reiner dopo quell’intimo e affettuoso gesto. Sembrava apprezzare veramente troppo tutte quelle attenzione, era come rapito da lei, e ora riusciva a capire le preoccupazioni di cui Reiner gli aveva parlato la sera prima. Non aveva controllo su di sé, si comportava come fosse veramente un normale ragazzo di Paradis che faceva amicizie e si divertiva con loro. Beatris doveva avere un ruolo determinante in quella sua incapacità di mantenere la concentrazione, perché lui non faceva che cercarla con lo sguardo e sorridere tutte le volte che riusciva a interagire con lei. Era un veleno, che stava lentamente uccidendo il guerriero di Marley, riusciva a rendersene conto... ma allora perché non faceva niente per distaccarsene?
Proseguirono a passeggiare per tutta la città, esplorando zone che non sapevano nemmeno che esistessero, facendo semplicemente un po' di sano turismo. Parlarono, passeggiarono e pranzarono seduti su di un prato con panini e focacce comprate a un forno trovato in un viottolo quasi nascosto. Non era proprio centrale, era stata una fortuna averlo trovato, ma il profumo che emanava arrivava persino sulla via principale. Risero e parlarono tutti insieme, restando lì. Dopo pranzo Eren si appisolò e Mikasa restò al suo fianco a vegliare su di lui. Connie e Sasha iniziarono a inseguire scoiattoli, Bertholdt e Reiner li guardavano divertiti, mentre al loro fianco Armin e Beatris parlavano con emozione su ciò che avrebbero trovato fuori dalle mura. Oceani, deserti, Armin raccontò di aver letto libri dove era possibile scoprire dell'esistenza di tutte quelle meraviglie e lui non desiderava altro che poterle vedere. Erano nel pieno della chiacchierata quando un urlo di Connie attirò la loro attenzione. Uno degli scoiattoli, in preda al panico, gli si era infilato nella maglia. Sasha al suo fianco cercò di colpirlo con un bastone, per farlo uscire, ma ovviamente non ottenne niente se fargli ancora più del male.
«Ehy!» chiamò Reiner, alzandosi e correndo in soccorso dell'amico. «Resisti, Connie!»
Provò a prendere lo scoiattolo sotto la maglia, ma era impossibile riuscire a capire dove si trovasse all'interno dei vestiti. Inoltre Connie non stava fermo un solo istante e continuava a urlare e dimenarsi, rendendo il salvataggio ancora più difficile. 
«Provate ad attirarlo fuori con del cibo» propose Beatris, alzandosi e raggiungendoli. Ma non ebbero nemmeno tempo di provare qualche altra alternativa, che lo scoiattolo uscì dalla maglia di Connie, saltò in faccia a Reiner e fuggì via, arrampicandosi sul suo naso e poi i capelli. Connie fu il primo a urlare. Si alzò la maglia disperato, mostrando così sotto di essa graffi e lividi -i secondi sicuramente causati dalle bastonate di Sasha. Ma poco dopo di lui arrivò anche il lamento a denti stretti di Reiner: nello scappare e aggrapparsi, lo scoiattolo aveva usato le unghie e aveva lasciato dei graffi belli profondi. 
«Reiner!» esclamò Beatris, allarmata. 
«Maledetta bestiaccia!» urlò Connie, guardandosi il ventre completamente ricoperto di graffi. 
«Al fiume! Puliamo tutto!» propose Sasha, prendendo Connie e tirandolo verso l'acqua. 
«Andiamo!» disse anche Beatris e puntando le mani sulla schiena di Reiner iniziò a spingerlo verso il fiume. Arrivata, costrinse Reiner a sedersi a terra, andò a inumidire un fazzoletto e tornò da lui. Gli si inginocchiò di fronte e iniziò a tamponare le ferite sul viso.
«Ci vorrebbe del disinfettante» commentò, concentrata.
«Non ne abbiamo con noi» disse Sasha, usando il suo panno umido con molta meno grazia e delicatezza sul ventre di Connie. 
«Intanto cerchiamo di dare una ripulita. Aveva le zampe sporche, il bastardello» ridacchiò Beatris. Scostò un ciuffo di capelli dalla fronte di Reiner e si sporse un po' più avanti, levando terriccio da intorno alla ferita. «Perché hanno dovuto importunarlo? Non sarebbe mai successo, se l'avessero lasciato in pace» disse poi, ma concentrata com'era nel suo lavoro neanche si accorse che parlava da sola. Reiner, a pochi centimetri dal suo volto, sembrava essere diventato una statua persino incapace di respirare. 
«Alcol!» esclamò Sasha, improvvisamente. «Ho visto qui dietro un rivenditore. Vado a chiederne un po', torno subito» e scappò via, come se fosse rincorsa dallo stesso scoiattolo di poco prima. «Sasha, aspetta! Non possiamo comprare l'alcol!» le disse Connie e le corse dietro.
Beatris terminò di ripulire la terra da intorno alle ferite sul volto di Reiner, e si accasciò, inginocchiata sui talloni. Solo in quel momento Reiner riuscì a riprendere a respirare, ma trovò ancora impossibile toglierle gli occhi di dosso. 
«Alla fine ci hai di nuovo rimesso tu» gli disse. «Comincio a pensare che io ti porti sfortuna» ridacchiò.
«Non sarebbe successo se non ci fossero stati Connie e Sasha» disse Reiner. «Non darti la colpa».
«Non mi sto dando la colpa, sto solo dicendo che trovo divertente che alla fine ti va sempre male. Qualsiasi cosa io programmi di fare» e si sporse nuovamente verso il suo viso, a pulire una goccia di sangue che era scivolata via da una ferita più profonda. «Sapevi che gli scoiattoli possono essere così pericolosi?»
«A volte le creature più impensabili sono le più letali» commentò Reiner, e non era sicuro che si stesse riferendo solo allo scoiattolo. Quella ragazza... cosa gli stava facendo? Si sentiva ogni giorno più vulnerabile, più debole. Beatris sussultò: «Cielo, spero di no! Morirei se venissi a sapere che sei stato ucciso da uno scoiattolo».
«Moriresti dal ridere per quanto possa essere ridicolo» ridacchiò Reiner e Beatris rise insieme a lui, divertita. «Che diamine» sospirò Reiner. Abbassò lo sguardo, ma qualcosa parve brillargli negli occhi, una tenerezza e una compassione simile alla felicità. «Un Guerriero grande e grosso come me messo KO da una cosetta tanto insulsa», e questa volta ebbe l'assoluta certezza che non stava parlando solo dello scoiattolo. Ma questo Beatris non poté capirlo. 
«Mai fidarsi delle cosette insulse» commentò lei, divertita, pulendogli dell'altro sangue da uno zigomo. E sussultò quando vide Reiner allungare una mano verso il suo viso. «Già» le disse lui, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte. Fu delicato, dolce, ma fatto con una naturalezza tale che fu difficile intuirne le intenzioni. E Beatris si paralizzò improvvisamente come una statua, diversa da queste solo per il colore bordeaux che le infiammò le guance. «Cosa ti è successo alla fronte?» le chiese e solo allora lei capì che il gesto non aveva niente di romantico, solo la curiosità di vedere il suo bitorzolo sulla fronte.
Puntò lo sguardo altrove, imbarazzata. «Ho sbattuto sul letto mentre cercavo di infilarmi in quello di Mikasa».
«È una bella botta».
«Già» sospirò, affranta. «Ha rovinato ogni mia speranza di essere più carina, oggi» disse senza rifletterci troppo. Arrossì solo successivamente, sempre più, man mano che si rendeva conto di essersi scoperta troppo e sentiva che Reiner aveva risposto con un mutismo di roccia e gli occhi lievemente spalancati fissi su di lei.
Aveva voluto essere carina per quell'uscita?
«Cioè...» mormorò Beatris, imbarazzata. «È perché era da tanto che non uscivo, come una persona normale» e si sistemò i capelli dietro l'orecchio, non perché realmente in disordine ma perché aveva bisogno di sfogare quell'imbarazzo su qualcosa. 
«Non si nota nemmeno» le disse finalmente Reiner. Beatris se lo coprì con un rapido gesto della mano, pettinandoci sopra la frangia che lui le aveva scostato. «Sei... uhm...» mormorò Reiner e si portò una mano dietro la nuca, grattandosela nervosamente. Distolse lo sguardo, sentendo l'imbarazzo avvampargli le guance, ma alla fine si convinse a parlare. Si era impegnata tanto, nonostante il bernoccolo, di riuscire a essere più carina, era giusto che le dicesse qualcosa. Era giusto che le rivolgesse un complimento.
«Sei molto carina oggi» le disse, sforzandosi di credere che l'avesse fatto solo per educazione. Il volto di Beatris raggiunse tonalità di rosso che non credeva nemmeno un umano fosse capace di ricreare. E restò paralizzata, a guardare il suo punto fisso sull'erba, con lo straccio umido d'acqua di fiume tra le mani che veniva torturato da delle dita nervose e agitate. «Grazie» sibilò con un filo di voce. 
Reiner si sporse dopo un po' su di un lato, si stese sull'erba e si raddrizzò dopo poco. Beatris non ebbe idea di cosa avesse fatto, troppo imbarazzata per rivolgergli lo sguardo, ma si sentì dopo un po' di nuovo toccare la fronte. Si accorse solo un attimo dopo, che Reiner le stava infilando un fiore tra i capelli, incastrandolo con cura tra le ciocche. 
«Così quel bernoccolo si vedrà ancora meno» le sorrise e quello fu uno dei ricordi che Beatris stampò a fuoco nella memoria e decise che mai e poi mai avrebbe voluto dimenticare. Si sfiorò il fiore con la punta delle dita, emozionata, e tornò poi a guardare Reiner. Quel momento valeva certamente tutte le apnee di stomaco della sua vita, esattamente come le aveva detto Mikasa. Toglieva il respiro, ma era un sacrificio che avrebbe fatto volentieri altre mille volte se poi la ricompensa era un benessere e un'emozione come quella. Quel fiore non lo avrebbe tolto dai capelli, fino a quando non fosse andata a dormire. E per quanto ormai appassito, lo mise comunque sul cuscino, al suo fianco e si addormentò quella sera, inebriata dal suo quasi del tutto scomparso profumo. 


Nda.


Io l’ho già capito! Ma loro ancora nooooo…. si stanno innaaaamoraaaaando il nostro trio diventerà un duo…
Scusate, l’indole Disney ha avuto la meglio xD Troppo miele in sto capitolo? Forse, ma a volte se ne ha bisogno <3 crogioliamoci un po’ nel doki doki, fintanto che ce n’è. Perché… beh… voi sapete… tutto molto bello, tutto molto dolce, ma chi è Reiner in realtà? Lo sentite anche voi quanto poco dolce sia in realtà questo miele, vero? Quanto sia in realtà… quasi amaro. 
Maaaaa non fasciamoci la testa prima di rompercela, magari in verità ci saranno solo uccellini e unicorni nel loro futuro, perché no?! (PERCHé NO!)
Vi riporto alla modalità miele con sta canzone molto caruccia.


https://www.youtube.com/watch?v=Nws_0pDFh0E&ab_channel=Tay



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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Poche volte uscivano dall'accademia e quando accadeva era sempre una grande emozione. Il solo potersi mostrare in giro con addosso la divisa delle reclute era fonte di orgoglio, passando in mezzo alla gente erano in molti a puntar loro gli occhi addosso, con venerazione e curiosità. Per quel giorno e il successivo Trost li avrebbe ospitati e avrebbe fatto loro da campo di battaglia, per permettere di svolgere il loro esame su un terreno che non fosse sempre una foresta. Avrebbero dovuto usare le loro conoscenze tecniche e capacità militari in piena città, con una finta evacuazione in corso, così da valutare le loro capacità sul campo. Una simulazione, a cui persino il corpo di Guarnigione si sarebbe unito per dare loro supporto. Sarebbe servito da esercitazione alla popolazione in caso di vero attacco da parte dei giganti, come in passato, e ai cadetti per verificare le conoscenze apprese fino a quel momento. Vennero divisi in gruppi, vennero affidate loro varie zone da difendere e vennero infine installati cartonati di giganti da attaccare e a cui recidere le nuche. Avrebbe fatto numero la quantità di giganti abbattuti ma anche la loro capacità di collaborazione, la tecnica, la capacità di eseguire gli ordini e l'attenzione nell'insieme. Era un esame di una consistenza massiccia, ma era l'esame di fine secondo anno, era giusto che fosse così. La Guarnigione iniziò la finta evacuazione, gli istruttori iniziarono a innalzare i cartonati e i cadetti si prepararono sui tetti, pronti a entrare in azione.
«Fanno le cose in grande» commentò Beatris, guardando un gruppo di persone correre verso il Wall Rose, seguendo le istruzioni di evacuazione di alcuni soldati della guarnigione.
«È da apprezzare l'impegno, non badano a trattenersi per addestrarci» commentò Armin.
«Ehy, Jean!» chiamò Marco. «Casa tua non era da queste parti?»
«Davvero vivi qui?» chiese Beatris, curiosa.
«Perché non sei andato a trovare tua madre?» insisté Marco e l'unica cosa che fece Jean fu voltarsi, irritato, e urlargli contro: «Chiudete il becco! Abbiamo un esame da fare!»
«Ha ragione» sussurrò Armin, imbarazzato. Si avvicinò a Beatris e  le sorrise amichevole. «Cerchiamo di concentrarci anche noi».
Ma lei sospirò, affranta. «Ci hanno separati sia da Mikasa che da Eren che da Reiner. Sono un po' nervosa. Non so se ce la farò da sola».
«Almeno noi due siamo stati messi insieme, possiamo farcela» provò a incoraggiarla Armin, anche se faticò a nascondere un po' la tristezza di non essere considerato qualcuno a cui affidarsi. Sapeva che la colpa era sua, avrebbe dovuto dimostrare di essere degno di fiducia e non ci riusciva, ma questo genere di cose non facevano che rigirare il coltello nella piaga. 
«Non preoccupatevi» disse Jean, ancora nervoso, ma comunque determinato. «Siete affiancati dal migliore, ce la faremo sicuramente!»
Ma i due amici si lanciarono uno sguardo sconfortato. Jean era sicuramente tra i migliori, ma il suo egocentrismo a volte lo tradiva e vederlo nervoso non aiutava. Non erano certi che non si sarebbe lasciato sopraffare dalle emozioni. Sospirarono, abbattuti.
«Almeno con noi c'è anche Annie» commentò infine Armin e lei li guardò con freddezza prima di dire: «Non aspettatevi che vi faccia da balia come fanno i vostri amichetti. Arrangiatevi da soli».
«Ha ragione!» esclamò Beatris, improvvisamente determinata. «Reiner si è impegnato tantissimo in questi due anni per aiutarmi a migliorare, glielo devo!»
E per quanto Armin non condividesse con lei il senso di dovere che aveva nei confronti degli altri, sapeva che non poteva essere da meno. Aveva un sogno da raggiungere, avrebbe dovuto dare il massimo e credere di più in se stesso. Annuì, perciò, convinto.
«Avete finito di blaterare? Ci siamo!» ringhiò Jean e non appena terminò la frase i capitani diedero infine il via alla prova. 
Saltarono giù dai tetti e iniziarono a volare in giro, usando il loro movimento tridimensionale. Si mossero in squadra e raggiunto il primo svincolo si prepararono a dividersi e setacciare la propria zona, ma Jean li bloccò, urlando: «Seguite me! Andiamo a fronteggiare i giganti nelle retrovie!»
«Eh? Ma quella è zona del gruppo sette!» disse Beatris.
«Il nostro compito era di occuparci della prima linea» disse Armin.
«Non siate così rigidi! Dobbiamo uccidere i giganti, in quella zona ce ne sono molti di più. Il compito di un soldato è abbatterne il più possibile!»
«Tu vuoi solo metterti in mostra» mormorò Annie, per niente convinta, ma per qualche ragione decisero di seguirlo. Non tanto per la fiducia nei suoi confronti, quanto per senso di collaborazione. Erano una squadra, dovevano muoversi da squadra, non avrebbero lasciato Jean da solo. 
«Jean, fai strada! Ti seguiamo!» gli disse Beatris e questo animò Jean di un nuovo fuoco. Abbandonarono la zona a loro assegnata, lasciando i giganti della prima linea al resto dei cadetti, e volarono verso la zona più indietro. Beatris riuscì a darsi il giusto slancio, si spinse un po' più in alto e affinò lo sguardo, cercando oltre i tetti. Con il tempo si era rafforzata e aveva capito che il suo punto di forza non era la prestanza fisica, ma l'agilità. Aveva perso mesi per addestrarsi su quello, imparare a prendere velocità e muoversi correttamente tra gli ostacoli, ormai era diventata decisamente molto capace. Il suo essere spericolata, inoltre, le permetteva di improvvisare manovre folli, ma spesso efficaci. Riusciva così a volare più alto degli altri.
«Avvistamento! A nord-ovest, un isolato da qui» gridò, intercettando il nemico.
«Andiamo!» gridò Jean, deviando all'interno di un vicolo. Venne seguito dal suo gruppo, ma solo pochi secondi dopo Armin, guardandosi attorno, si accorse di una stranezza.
«Dov'è finita Beatris?» mormorò, non vedendola più. 
«Avrà trovato un altro alveare da raccogliere» rispose Annie, stizzita, e lo superò per raggiungere Jean. Arrivarono nella via principale, dove finalmente alla loro destra videro la sagoma di un gigante di cinque metri, ma purtroppo per loro era già stato preso di mira da un'altra squadra. Reiner e Sasha erano già in dirittura di arrivo, il primo dall'alto, la seconda da destra e avrebbero colpito in pochi secondi, sempre prima rispetto a Jean e i due compagni. Ma dalla finestra di una casa a fianco comparve all'improvviso un rampino che costrinse sia Reiner che Sasha a deviare per non essere presi in pieno. Beatris uscì pochi istanti dopo da quella stessa finestra, trascinandosi dietro una tenda ormai lacerata e un paio di vasi di fiori. Sicuramente avrebbero poi chiesto i danni, ma in quel momento la sua priorità era un'altra. Passò davanti a Reiner e Sasha, che la guardavano a bocca aperta per la sorpresa, e in pochissimi istanti tagliò la nuca al gigante che aveva preso di mira. Si fermò sul tetto di fianco, si scosse per togliersi di dosso i resti della tenda che aveva strappato nella foga di usare quella scorciatoia improvvisata e sembrò accorgersi del risultato della sua azione solo in quel momento. Guardò il gigante con la nuca recisa perfettamente e ansimando per la stanchezza alzò le braccia al cielo.
«L'ho preso!!!» gridò euforica. 
«Ma... cosa...?» balbettò Jean, perplesso.
«Beatris... è passata davanti a tutti?» si unì Armin, altrettanto sconvolto dalla novità.
«Quella ragazzetta ha iniziato a fare sul serio» commentò Annie, lievemente sollevata nel constatare che stava smettendo di fare il peso morto e basta.
«Mi... mi hai rubato l'uccisione?!» chiese Reiner a bocca spalancata e Beatris parve accorgersi di lui solo in quel momento. Sussultò, arrossì e in preda al panico disse: «Mi dispiace!»
La reazione di Reiner non fu assolutamente quella aspettata, ma solo perché come al solito a dominarla era sempre e solo il senso di colpa. Aveva pensato che lui si sarebbe arrabbiato, invece Reiner sorrise incendiato improvvisamente di un'eccitazione che non credeva di avergli mai visto in volto. «Così mi piaci, Tris. Fammi mangiare la tua polvere, se ci riesci!» e fece scattare il proprio meccanismo, volando verso un'altra zona della città, pronto a dar la caccia ai giganti. Beatris sussultò e ancora rossa in volto, ora per almeno mille motivi, non esitò a partire all'inseguimento di Reiner, pronta ad accettare la sfida. 
«Ehy! La squadra!» le gridò contro Jean, frustrato nel vedere l'amica tradirlo sul più bello.
«L'hanno presa sul personale» commentò Armin, ridacchiando nervoso. Tutti i buoni propositi erano andati in fumo, avevano abbandonato la formazione, si stavano sgretolando come squadra, stava andando tutto a rotoli. Anche se avessero abbattuto il maggior numero di giganti, quelli erano errori abbastanza gravi da farli cadere tutti in fondo alla classifica dei voti senza nessun tipo di esitazione. Per quanto si fossero impegnato, d'ora in avanti, Armin sapeva che era destinato ad arrivare ultimo anche quella volta.
«Imbecilli» disse Annie, voltandosi. «Non perdiamo tempo, proseguiamo. Cerchiamo di salvare la situazione».
«Che cazzo!» ruggì Jean e fu il primo a partire, riprendendo la loro sfida al maggior numero di giganti abbattuti, seguito da chi gli rimaneva a fianco. 
Reiner tenne d'occhio Beatris dietro di sé per i primi trenta secondi, poi la vide improvvisamente sparire. Si corrucciò, chiedendosi dove fosse finita, e dovette aspettare altri trenta secondi prima di vederla sfiorare il selciato davanti a lui. Tagliando per chissà dove, aumentando l'aerodinamicità con una manovra folle, era riuscita a superarlo, e la vide slanciarsi ora verso l'alto. Arrivò almeno un paio di metri sopra i tetti, la vide guardarsi attorno rapidamente e poi lanciare il rampino verso una direzione precisa. 
"Quando ha imparato ad alzarsi così in alto?" si chiese, sorpreso di vederla così agile nel movimento. Si era esercitata molto, era vero, ma mai aveva dimostrato quelle capacità... che fosse finalmente riuscita a trovare la motivazione giusta? Che avesse iniziato a capire come sfruttare le sue qualità? Era leggera e piccola, era più facile per lei puntare sulla velocità e l'agilità di movimento anziché sulla forza, come aveva sempre fatto. Lui, per quanto si fosse impegnato, con la sua massa non sarebbe mai riuscito a raggiungere quote del genere o passare da anfratti tanto piccoli come le finestre in cui ogni tanto si infilava. Sfruttava al meglio l'ambiente intorno a lei, sembrava aver finalmente cominciato a capire come muoversi. Fu difficile ammetterlo, ma non poté che esserne orgoglioso sentendo di essere parte di quel merito. Diede gas e decise di non farsi battere. Quando la raggiunse la vide abbattere il suo secondo gigante e voltarsi, pronta a raggiungere il terzo esattamente tre metri più avanti. Ma questa volta fu Reiner a volarle incontro, taglierle la strada e rubarle l'uccisione. Nel volare via, soddisfatto, le rivolse uno sguardo compiaciuto. Beatris conosceva Reiner ormai da due anni, ma mai l'aveva visto sorridere con una tale eccitazione. Quel gioco, sempre se poteva chiamarsi così, lo stava infervorando decisamente molto. Mai avrebbe immaginato che un addestramento avrebbe potuto emozionarla tanto. Voleva farlo, voleva continuare a farlo sorridere in quel modo, voleva continuare a sfidarlo, a inseguirlo, perché, diamine, era la cosa più divertente che le fosse mai capitata negli ultimi tempi. Si sentì dentro un fuoco che non credeva fosse nemmeno possibile poter provare. 
E diede gas. 
Si incrociarono in continuazione, provarono più volte a tagliarsi la strada, saltavano e volavano. Sempre più sotto sforzo, sempre più concentrati, sempre più in preda alla foga. E persero il conto delle volte che erano riusciti a rubarsi gli abbattimenti a vicenda, degli sguardi di sfida lanciati e quelli frustrati per essersi fatti sgraffignare l'abbattimento. Passarono ore, talmente presi dalla loro personale sfida che avevano persino dimenticato la ragione per cui erano realmente lì. Neanche si preoccupavano più del mantenimento delle strategie, di intralciare compagni, della formazione o del lavoro di squadra. Ogni tanto era persino possibile sentirli ridere a gran voce, mentre volavano via da un nuovo gigante abbattuto, e lanciarsi insulti, o minacce, o frasi di sfida. Erano come due ragazzini in preda ai giochi e non furono poche le volte che vennero persino ripresi dai loro stessi compagni, vedendoli comparire fuori programma dal nulla e litigare tra loro per raggiungere per primi i giganti. 
Continuarono, talmente presi, che nemmeno si accorsero dello scadere del tempo della prova. O almeno, Reiner non se ne accorse. 
Di fronte all'ennesimo gigante, ormai sapeva che era suo. Aveva già alzato le lame, pronto a recidere la nuca della sua nuova vittima, quando vide Beatris aumentare la velocità e puntare dritto verso di lui. Non contro il gigante, ma contro Reiner stesso. Sgranò gli occhi, colto dal panico, e tirò indietro le lame, dando la schiena alla compagna, terrorizzato all'idea di poterla ferire accidentalmente. Beatris lo colpì in pieno, gli ci si schiantò contro proprio quando ormai erano sopra la nuca del gigante e con un ultimo sforzo riuscì ad abbatterlo al posto di Reiner proprio un istante prima di sentire le campane di fine esame suonare. Lo sentì lanciare un lamento, dolorante per il colpo, ma ciò che avvenne dopo fu anche peggio. I loro cavi si intrecciarono, si incastrarono per via delle traiettorie discordanti, e nello schiantarsi l'uno contro l'altro non fecero che peggiorare la cosa. Persero l'equilibrio dell'attrezzatura, persero il senso dell'orientamento e con un urlo finirono entrambi col cadere a terra. 
«Tris!» urlò Reiner in un misto tra la collera e il terrorizzato. 
Atterrarono con un tonfo sul selciato, un colpo che non li avrebbe lasciati immuni e sicuramente avrebbero dovuto fare un giro in infermeria non appena fossero tornati. L'istinto gli disse di tenere gli occhi aperti e fu una fortuna, perché vide una delle loro lame, volata via dalle mani di Beatris probabilmente, volare dritto verso il suo volto. Non sentì nemmeno il cuore pulsare, si mosse tanto rapidamente che forse aveva fatto prima lui del proprio cuore a battere il suo colpo: si voltò da un lato, afferrò Beatris per le spalle e la trascinò indietro, tirandosela addosso appena in tempo per evitare di essere colpita dalla lama affilata. Una volta appurata la relativa sicurezza in cui si trovavano si accasciò a terra e si concesse di riprendere fiato.
«Sei... impazzita?» ansimò, senza riuscire a muoversi. Non sapeva se era per la stanchezza, la paura, o il dolore che sentiva alle costole per quell'ultimo scontro. Restò steso a terra, a braccia e gambe spalancate, ancora attorcigliato nei cavi che non si erano ritratti del tutto e avvolto dai rampini delle loro attrezzatura e qualche lama volata in giro nello scontro. Sopra il suo petto, anche Beatris sembrava non essere messa meglio. Non si muoveva se non per il profondo respirare, per riuscire a prendere fiato.
«Così... sono arrivata a metà» riuscì a mormorare, dopo qualche secondo.
«Eh?» si corrucciò lui.
«Quando ci alleniamo insieme non riesco mai ad arrivare a metà, rispetto a quello che fai tu» deglutì per inumidire la gola e tirò un altro paio di boccate d'aria. «Se tu fai cinquanta flessioni, io ne faccio sempre meno di venticinque. Non riesco ad arrivare mai nemmeno a metà rispetto a te».
«Quello... era la mia metà?» le chiese, sorpreso. 
Beatris annuì e alzandosi tremolante su un gomito riuscì a guardarlo in volto e sorridergli. «Era il tredicesimo... tu ne hai abbattuti ventisei».
Reiner la guardò sorpreso per qualche istante e pian piano tutta la rabbia per l'imprudenza della manovra che aveva messo in pericolo entrambi svanì, lasciando spazio a divertimento e soprattutto tanto orgoglio. Aveva ragione: era migliorata veramente molto. Ed era anche merito suo. 
«Sei davvero incredibile» ridacchiò, accasciandosi di nuovo a terra per riprendere fiato. 


«Stavate giocando sporco, bastardi?» l'urlo di Jean li raggiunse prima che fossero riusciti a svoltare l'angolo e vederlo. Reiner e Beatris si scambiarono uno sguardo interrogativo e si avvicinarono al gruppo in lite. Jean era in piedi, a pugni stretti, dietro di lui Armin stava cercando di calmarlo, ma niente lo dissuadeva dall'urlare furioso contro Connie e Sasha seduti a terra. 
«Non avete fatto che seguirci e rubarceli a noi!»
«Eri troppo lento, Jean» biascicò Connie, masticando una patata al vapore.
«Giocare sporco? A volte te ne esci con certe sciocchezze, Jean» lo canzonò Sasha, brandendo una seconda patata. «Quando si caccia non ci sono etichette da rispettare».
«Non sciorinarmi sciocchezze sulla caccia, ragazza patata!» la rimproverò Jean.
«Ragazza patata?!» sussultò Sasha. «Pensavo ve lo foste dimenticato!!!» ruggì, prima di alzarsi e urlare contro Jean: «Non darmi nomignoli!»
«Giusto! Chiedile scusa!» ruggì anche Connie, affiancando l'amica.
«E comunque quella zona era sotto la nostra sorveglianza, Jean, siete voi ad aver imbrogliato invadendo la nostra area» si intromise Reiner, ormai vicino abbastanza da poter partecipare. Jean si voltò, sentendo la voce dell'amico, e incrociò così anche lo sguardo con Beatris. «E tu dove diavolo eri sparita?!» urlò, furioso. «Ci hai piantati in asso di punto in bianco per una delle tue solite sciocchezze, come hai fatto con l'alveare!»
«Oh, insomma, basta con questa storia dell'alveare!» sospirò Beatris, abbattuta.
«Adesso calmati, Jean» gli disse Reiner e Connie lo sostenne con: «Sì, calmati! Sei proprio strano oggi, stai urlando contro tutti. Cosa c'è?! Ti manca la mammina?» lo canzonò.
«È così?» chiese Sasha innocentemente e Jean alzò un pugno pronto a colpirla, ma si fermò e la minacciò solamente con uno sterile: «Chiudete quella boccaccia!»
Sasha e Connie reagirono come due animali, si misero in posizione da combattimento e iniziarono a ringhiare come due bestie feroci. Niente di spaventoso però, solo tanto ridicolo.
«Datevi una calmata, ragazzi. Basta» si avvicinò Reiner, pronto a intervenire nel caso avessero iniziato a picchiarsi. «Jean, non arriverai mai alla polizia militare con questo atteggiamento. Controllati».
E questo sembrò dissuadere Jean dal picchiare i due compagni lì seduta stante. Fece un passo indietro, ma continuò a fulminarli, furioso. «La prossima volta vedremo chi abbatterà più bersagli!»
«Potete fare una sfida come abbiamo fatto io e Reiner» squittì Beatris, allegra. «È stato divertente, vero?» e si voltò a sorridere al compagno, ancora divertita da quella specie di gioco e follia che avevano fatto poco prima. Era stato da incoscienti giocarsi un esame per una cosa come quella, ma non gli era importato. Lei aveva raggiunto il suo obiettivo di arrivare a metà di Reiner e si era impegnata come mai prima d'ora, dei voti poi se ne sarebbero preoccupati. Reiner esitò per un istante, pensieroso: non poté far a meno di riflettere su quella semplice frase. Era stato divertente. Lo era stato davvero! Da quant'era che non faceva qualcosa di divertente? In vita sua, anzi, aveva mai avuto momenti in cui divertirsi? Era incredibile, al limite dell'assurdo, che iniziasse a provare tutto quello proprio in un posto come Paradis. Mai ci avrebbe creduto, ma quel soggiorno che doveva essere una semplice missione sotto copertura gli stava lasciando molto più del previsto. Non era buono, non lo era affatto, ma non poteva negare che sì, si era davvero divertito. E avrebbe voluto rifarlo altre cento volte.
«Sì» sorrise finalmente in risposta. «È vero».
«Era un esame, non un gioco!» ruggì ancora Jean, furioso. 
«Esattamente» la voce del comandante Pixis attirò la loro attenzione. Seguito da alcuni suoi sottoposti si stava avvicinando a loro, rigido nella sua ferrea posizione da comandante, ma con lo sguardo inebetito e il volto arrossato. Sembrava ubriaco, ma non erano certi che fosse così. «Non approvo che certe controversie vengano risolte durante un addestramento ufficiale».
Reiner e Beatris si irrigidirono e cominciarono a sudare freddo. Forse il loro piccolo gioco non era poi passato tanto in sordina, forse era stato decisamente più grave del previsto. Ma lo sguardo di Pixis si posò su Jean e continuò: «Ma il vostro spirito combattivo è veramente lodevole, sono deciso ad assecondarlo» e già solo questo cominciò a sollevare una serie di primi dubbi in proposito. Pixis si sfilò una fiaschetta da sotto la giacca e bevette un sorso, prima di riporla nuovamente. 
«Ma è ubriaco?» sussurrò Beatris verso Reiner e questo l'ammonì con un rapido: «Sh!».
«Vi sfiderete in cucina» decretò il comandante, lasciando che il gelo calasse tra le persone presenti.
«Eh?» sussultò Jean, chiedendosi se non avesse capito male. 
«Una gara di cucina!» ripeté Pixis e Sasha si illuminò: «Cucinare?!»
«Davvero insegnano anche queste cose in accademia?» mormorò Beatris, voltandosi nuovamente verso Reiner che rispose con un perplesso e imbarazzato: «Non credo fosse previsto dal programma».
«Così è deciso! Stasera della cena vi occuperete voi, sarà una gara all'ultima pietanza!»
Jean fece un passo avanti. «Con tutto il rispetto, comandante, ma...» ma si interruppe quando Sasha gli si mise davanti e gli puntò contro la propria patata al vapore: «Jean! Ti insegnerò l'arte culinaria, vedrai di cosa sono capace!»
«Scommetto che a casa cucinava sempre tua madre!» rise Connie, schernendolo.
Jean puntò lo sguardo furioso prima a Connie, poi a Sasha. La ragazza masticava la sua patata al vapore con lo sguardo di chi stava progettando di uccidere qualcuno, era agguerritissima e certo Jean non si sarebbe tirato indietro. Non per così poco.
«Va bene! Chiedetemi quello che volete, cucinare o pulire, farò qualsiasi cosa e se vinco non mi intralcerete mai più!»
«Dovrei organizzare un nuovo giro di scommesse» ridacchiò Beatris tra sé e sé, divertita all'idea di vedere un'altra sfida tra compagni. Aveva usato un tono di voce sufficientemente basso, ma incredibilmente Jean riuscì comunque a sentirla e si voltò di colpo, puntandole un dito contro: «Tu verrai con me e Armin!» le gridò contro.
«Eh?!» sussultò lei.
«Io?» mormorò Armin, indicandosi spaventato. Perché avevano dovuto coinvolgerlo?
«Non azzardarti a tradirmi mai più, è chiaro?!» la rimproverò Jean. 
«Tradirti?» balbettò Beatris, non riuscendo a capire cosa avesse fatto di sbagliato. Ma il fatto che qualcuno fosse arrabbiato con lei la metteva a disagio e la faceva quasi sembrare un cagnolino intimorito. «È chiaro?!» gridò Jean più forte e lei, per quanto fosse stupido, reagì mettendosi in posizione di saluto e gridò: «Signorsì, Signore!»
«Non devi trattarlo come un superiore solo perché ha alzato un po' la voce, Tris» le disse Reiner, cercando di ristabilire un po' il suo pudore, ma Sasha ringhiò immediatamente: «Reiner! Non familiarizzare col nemico!»
«Cosa?!» sussultò Reiner, confuso. Stavano tirando in mezzo anche lui? Perché?!
«Giusto!» strinse i pugni Connie, entusiasta. «Sarà una sfida tre contro tre! Vincerà il cuoco migliore!»
«Devi farti perdonare per quello che ci hai fatto oggi» disse Jean a Beatris che rispose, ancora diligente come un vero soldatino: «Ok!»
«Giochi sporco, Jean, hai imparato come addomesticarla» sospirò Reiner, vedendo abbattuto come bastasse far leva sui sensi di colpa di Beatris e sul suo senso di inferiorità per convincerla a fare quello che volevano.
«Reiner! Allontanati dal nemico, adesso!» ruggì Connie, infervorato come non mai. Reiner sospirò abbattuto, per niente intenzionato a farsi coinvolgere in quella situazione, ma non ebbe tempo di dire niente che Beatris cambiò nuovamente volto. Si girò a guardarlo, gli sorrise allegra e gli disse: «Sarà divertente, dai!»
Un altro gioco, il secondo in una sola giornata, e per quanto non fosse entusiasta all'idea di prendere parte a quella ridicola sfida, l'idea di competere di nuovo con lei, stimolare il suo desiderio di dare il massimo, lo stuzzicava abbastanza. Sospirò di nuovo, alzò gli occhi al cielo e infine si affiancò a Connie. 
«La sfida avrà luogo stasera, allora!» annunciò Pixis, ufficialmente. «Cucinate e portate a tavola il vostro piatto migliore!»


«Jean!» gridò Beatris, alle spalle del compagno. Avevano persino avuto il permesso di sellare i cavalli e portarli fuori città, il comandante Pixis aveva preso la cosa molto seriamente, forse anche troppo. In groppa ad April, Beatris tentò di raggiungere Jean in testa al piccolo gruppo. «Che intenzioni hai? Perché stiamo entrando nella foresta?»
«Da piccolo giocavo in questa foresta, la conosco come le mie tasche» sghignazzò Jean. «Qui nei dintorni c'è un Cinghiale Colossale, se riuscissimo a cacciarlo e servirne la carne la vittoria sarebbe sicuramente nostra».
«Un Cinghiale Colossale!» sussultò Beatris. «Sembra terrificante».
«Non preoccuparti, lo prenderemo sicuramente».
«Ehy, voi!» la voce di Sasha li fece voltare tutti dalla sorpresa. «Non è una bella coincidenza che siamo tutti qui?»
«Voi qui?!» sussultò Jean. 
«Il naso di Sasha ha fiutato la carne di prima qualità in questa zona» spiegò Reiner.
«Non lascerò che la prenda tu! Hya!» gridò Sasha e spronò maggiormente il cavallo, fino a superare il trio. 
«Andiamo, Jean! Questo posto è come casa tua, no?» chiese Armin. «Non possiamo farci battere su questo terreno».
«Ci serve un piano» mormorò Beatris, pensierosa. 
«Ci basterà seguire l'istinto!» disse Jean, sterzando e inoltrandosi nella foresta prima degli altri tre, così da separarsi da loro. Corsero nei boschi a lungo, fino a quando non trovarono un punto dove legare i cavalli così da poter procedere a piedi e seguire meglio le tracce. Jean, a passi pesanti, si guardava intorno e intanto avanzava spedito.
«Dico sul serio, Jean» disse Beatris, raggiungendolo. 
«Zitta, mi farai scappare la preda» l'ammonì lui, sempre più furioso. 
«Non possiamo farcela contro di loro! Reiner è troppo forte, non possiamo batterlo, e Sasha ha un fiuto impeccabile, troverà il cinghiale sicuramente prima di noi, mentre Connie... beh, Connie non so quale qualità abbia, ma riesce lo stesso ad arrivare sempre prima di me!»
«Tutti riescono ad arrivare prima di te, Beatris» le disse Jean, frustrato dal suo animo arrendevole. Forse portarla era stato un errore, gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote. 
«Beatris ha ragione» mormorò improvvisamente Armin, facendo scattare Jean. «Armin!» lamentò. «Non ti ci mettere anche tu, basta una pessimista tra noi!»
«Non sono pessimista, sto solo cercando di farti capire che dobbiamo pensare a una strategia!» sbraitò Beatris e Armin annuì. «Esatto! Loro hanno molte più qualità dalla loro parte, ma noi possiamo lo stesso trovare il modo di fregarli. Pensa a Connie! Lui ti supera sempre perché ti segue, aspetta che sia tu a fare il lavoro sporco, e poi ti ruba la preda da sotto al naso. Possiamo usare la stessa strategia, non se lo aspetteranno».
«Non ruberò niente a nessuno, voglio guadagnarmi da solo la mia preda!»
«Ma è innegabile che Sasha abbia un fiuto migliore del nostro, non si tratta di rubare ma di volgere la situazione a nostro favore» e gli occhi di Armin si andarono a posare su Beatris, bruciando di una strana intensità, prima di aggiungere: «E usare le loro debolezze a nostro vantaggio».
«Eh?» sbiancò Beatris, non riuscendo a capire perché adesso guardasse proprio lei. Ma quando si voltò verso Jean vide che anche lui la guardava con uno strano sogghigno sulla faccia. Avevano in mente qualcosa, non sapeva cosa, ma sapeva che avrebbe finito con l'andarci di mezzo lei. Sperava solo che non fosse niente di troppo spaventoso.


Era ormai un'ora che girovagavano senza meta e Reiner aveva assoluta certezza che non avrebbero cavato mai un ragno dal buco, in quella situazione. Sasha aveva ottimo fiuto, ma era anche tanto stupida a volte ed era difficile capire quando potevano fidarsi o meno. La vicinanza di Connie non l'aiutava a essere più seria. Ma, contro ogni previsione, e lasciandolo assurdamente sorpreso, riuscirono a trovare delle prime tracce. Feci, che Connie e Sasha esaminarono anche fin troppo attentamente. «È bella grossa» commentò Connie.
«Ed è fresca. Il cinghiale dev'essere qui da queste parti» disse Sasha, stuzzicando le feci con un bastoncino. 
«Non sarà comunque facile trovarlo, potrebbe essere ovun...» provò a intervenire Reiner, ma Sasha sussurrò, improvvisamente sporta oltre un masso: «Eccolo!»
«Impossibile...» balbettò Reiner, stralunato. Era stato sicuramente solo un grandissimo colpo di fortuna, non poteva essere altrimenti. 
«È davvero enorme» disse Connie, guardandolo mentre stava dormendo. Ed aveva ragione, era il cinghiale più grosso che avesse mai visto in vita sua, grande quasi quanto un titano. Quale follia demoniaca aveva partorito una cosa come quella?! 
«Come pensate di prenderlo?» chiese.
«Gli tirerò una freccia» rispose Sasha, estraendo il suo arco. 
«Non basterà!» sussultò Reiner. «È gigantesco, dobbiamo organizzare un piano d'attacco. Preparare una trappola».
«Siamo armati, andiamo alla carica» disse Connie, voltandosi per parlare con i due compagni. Chiacchiere fatte a bassa voce, ma che bastarono. Il cinghiale si svegliò dal suo sonno e si sollevò, fulminandoli con una tale ferocia che fecero venire per un attimo la pelle d'oca a tutti e tre. Reiner compreso. 
Grugnì e questo sembrò destarli. 
«Sasha! Vai, attacca per prima!» ordinò Reiner, riprendendosi dal panico. 
«Sì!» gridò lei e urlando caricò la prima freccia. Il cinghiale si voltò, scalciò terriccio e sassi e iniziò a scappare. La freccia di Sasha si conficcò nella coscia di questo ma la pelle fu talmente dura e resistente che lui parve non accorgerse nemmeno.
«Inseguiamolo!» gridò Reiner e Connie partì per primo, ruggendo un carico: «Sì!»
Sasha sparò il proprio rampino dell'attrezzatura per il movimento tridimensionale direttamente contro la pelle dell'animale e riuscì così ad appigliarsi a lui. Rimase aggrappata al cinghiale e riuscì a non perderlo. Connie e Reiner le furono dietro, muovendosi sempre con il dispositivo per il movimento tridimensionale, e insieme cominciarono a correre e inseguire il cinghiale per tutta la foresta. 
«Sasha! Non lasciarlo!» gridò Reiner, cercando di restarle dietro. 
«Carneee» gridò questa, in preda ad un'isteria affammata. No, non c'era bisogno di dirglielo, non l'avrebbe mai perso di vista. Era quasi riuscita a raggiungerlo, usando il proprio rampino come corda per avvicinarsi, quando da intorno a loro sbucarono Jean e Armin, sorprendendoli in un'imboscata.
«Grazie, Connie» ridacchiò Jean. «Sapevo che seguirvi sarebbe servito».
«Ehy! Quella è la mia battuta!» ruggì il pelato, furioso nel constatare che Jean aveva alla fine usato la sua stessa strategia per fregarlo. Armin si affiancò a Sasha, ormai aggrappata al pelo dell'animale, e sfilò da dentro la maglia un mazzo di patate dolci.
«Sasha! Guarda qua! Patate deliziose per te» provò a chiamarla, ma niente distreva la ragazza dal suo delirio della carne. «Salsicce, braciole, arrosto» continuava a ripetere come un mantra.
«Non funziona» commentò Armin, preoccupato.
«Piano B! Ora, Bea!» gridò Jean e solo allora Reiner, guardandosi attorno, si rese conto che effettivamente la ragazza mancava all'appello. La vide comparire all'improvviso da in mezzo ai rami, davanti a loro, tagliando loro la strada. Li aveva seguiti forse in parallelo, nascosta tra gli alberi, ed era stata strepitosa nel non farsi scorgere. Come un proiettile volò davanti al cinghiale, con le lame tra le mani, pronta a colpire e lacerare. Ma qualcosa scattò nel suo meccanismo, il rampino si staccò dall'albero e Beatris perse il controllo della propria attrezzatura. Urlando, in preda al terrore, finì nuovamente in mezzo agli alberi dall'altro lato del sentiero. 
«Bea!» gridò Armin, in preda al panico. Sentirono rumore di rami che si spezzavano, alberi che si incrinavano e infine la voce di Beatris che gridava in preda al terrore: «Reiner! Aiuto!»
Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Reiner, sentendosi chiamare, lasciò immediatamente perdere il cinghiale e si tuffò in mezzo agli alberi, per andare a cercarla. E non notò perciò il sorriso di Jean, nel vederlo. «Come previsto» sussurrò quest’ultimo, un istante prima di vedere anche Connie venir scalciato via da Armin, distratto da quanto successo a Reiner. 
«Vai, Jean! Prendila, è tua!» gridò Armin, riuscendo a fermare Connie. Non restava che lui, solo contro Sasha, il suo vero nemico, e quell'enorme cinghiale che aveva deciso di fare suo. 
Reiner, alle loro spalle, sparì nel bosco ignaro di quanto appena successo e di essere in realtà caduto in una trappola. Si guardò attorno, atterrò poco dopo, e con il volto pieno di panico chiamò: «Tris!» 
Non riuscì a vederla da nessuna parte e questo non fece che aumentare il suo terrore e il senso di impotenza. Cos'era successo? Beatris finiva sempre nei guai, ma raramente chiamava aiuto esplicitamente, di solito cercava di risolverla da sola o quantomeno essere l'unica vittima, senza coinvolgere nessun altro. Se l'aveva chiamato, allora doveva essere qualcosa di davvero grave.
«Tris!» chiamò ancora, terrorizzato. Sentì un frusciare alle sue spalle, ma si voltò lo stesso troppo tardi. Con un urlo, Beatris gli arrivò addosso, volando appesa alla sua attrezzatura, e lo scaraventò a terra. La ragazza scoppiò a ridere e sollevò il busto, restando seduta a cavalcioni sopra di lui, ormai atterrato.
«Ti ho preso, Reiner!» esclamò, divertita come una bambina.
«Che...» balbettò Reiner, confuso, forse in realtà più agitato per averla seduta a cavalcioni sopra di sé, che per quanto appena successo. Beatris continuò a ridere, divertita, ma senza avere l'intenzione di alzarsi da sopra di lui. «Non avrei mai creduto che il piano di Armin avrebbe funzionato, avrei giurato che mi avresti lasciato perdere e non saresti caduto nella trappola».
«Trappola...» riuscì a realizzarlo solo in quel momento, era stato sciocco, ma la verità era che si era fatto coinvolgere troppo emotivamente in tutta quella storia. Quella giornata piena di emozioni non avevano fatto che farlo vibrare per tutto il tempo come una corda di chitarra ed era stato impossibile per lui ragionare razionalmente. Si era fatto trascinare da quella situazione.
Beatris annuì, allegra. «Io non ci credevo, ma loro hanno insistito. Mi hanno detto di attirarti da una parte, facendoti credere di essere in pericolo, e poi immobilizzarti. Dicevano che ci saresti cascato sicuramente. Assurdo» scoppiò a ridere divertita. «Avevano ragione! Ti ho preso, Reiner!»
Reiner rilassò i muscoli e riuscì pian piano a riemergere dalla sua confusione mentale. Si sentì uno stupido per essere caduto in una trappola così ovvia, ma non se ne rimproverò. Aveva reagito esattamente come i suoi compagni avevano previsto, e sapeva che quella volta, per quanto provasse a negarlo a se stesso, la sua reazione non era stata dettata da niente di calcolato o razionale. L'aveva sentita chiamare aiuto e l'istinto l'aveva portato a scattare nella sua direzione. Aveva anche potuto provare a ingannare se stesso all'inizio dicendo che si era avvicinato a lei perché l'aveva creduta una preda facile, qualcuno che avrebbe potuto usare a suo vantaggio senza problemi, ma negare che le cose col tempo si erano evolute spaventosamente non sarebbe servito a niente. L'aveva appena dimostrato persino a se stesso... lui era corso a salvarla. E forse lo avrebbe fatto ancora. Beatris rideva sopra di lui, divertita da quella situazione, e più lo faceva più Reiner sentiva il desiderio di alzarsi e stringerla tra le braccia. Era come una magia, un sortilegio in cui era caduto, come uno stolto si era lasciato intrappolare con una facilità distruttiva. Forse non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, forse avrebbe tenuto quel segreto per sé, ma Beatris aveva davvero appena catturato e intrappolato tutto ciò che lui possedeva e avrebbe mai potuto possedere. Restò qualche istante a guardarla ammaliato e infine mormorò: «Già. Mi hai proprio preso». E lei non poteva nemmeno immaginare quanto fosse vero.


«Jean» finalmente Beatris riuscì a trovarlo. Era seduto da solo, nel cortile della caserma, in un angolo all'ombra, lontano da qualsiasi tipo di sguardo. Gli si avvicinò, guardandosi attorno curiosa. Era strano per lui isolarsi, nonostante non fosse tra i più popolari del loro corpo cadetti cercava sempre comunque compagnia, anche solo per vantarsi delle sue incredibile doti. «Che fai qui? Non dovremmo andare a cucinare per stasera?»
Jean sospirò, affranto. «Sei sparita per mezz'ora» le disse.
«Mi avete detto di tenere Reiner impegnato, l'ho trattenuto per un po', ma quando siamo tornati sul sentiero non c'eravate più» si giustificò lei. Da quella mattina Jean non faceva che accusarla di ogni cosa, persino di aver eseguito gli ordini che lui stesso le aveva detto. Era davvero intrattabile, cominciava a non sopportarlo più.
«Lo so... lascia stare» sospirò ancora Jean.
«Che significa?! Che sta dicendo?»
«Sasha ha preso il cinghiale» spiegò infine e Beatris sussultò. «Te lo sei fatto rubare da sotto al naso!»
«Già» rispose Jean affranto e questo fece allarmare ancora di più Beatris. Si era arreso? Dov'era finita la sua carica combattiva? Quello non era Jean, cosa gli stava succedendo? «Mi sono fatto fregare dalla ragazza patata, è assurdo. Sono davvero un caso disperato...»
«Non puoi arrenderti!» gridò Beatris e gli si lanciò a fianco, inginocchiandosi vicino a lui. «Non tu!»
Jean alzò gli occhi al cielo «Senti da che pulpito viene la predica».
«Senti...» disse Beatris, e lo guardò severa. «Io davvero non ti sopporto!»
Fu di una sincerità improvvisa e disarmante, tanto che Jean, per quanto potesse immaginarselo, si ritrovò lo stesso a sorprendersene e sentirsi persino un po' ferito. «Ma questo non significa che debba abbandonarti al tuo destino! Perciò adesso smetti di fare lo stronzo e accetta il mio aiuto, chiaro?» e gli porse un fagottino, rettangolare, con un fiocco a chiuderlo. 
«Che razza di incoraggiamento sarebbe questo?» la rimproverò.
«Quello che ti meriti!» gli rispose a tono e spinse il fagottino tra le sue mani, costringendo così a prenderlo. «Te lo ha portato tua madre» gli spiegò infine.
«Che?! È venuta qua?» urlò Jean e la collera tornò a incendiargli gli occhi. «Maledetta, mi deve sempre mettere in imbarazzo! Quella stregaccia...» non finì di insultarla che venne colpito all'istante da uno schiaffo da parte di Beatris. Fece male, ma non tanto quanto la ferita nell'orgoglio. Beatris era tra le più scarse del corpo cadetti, la più debole, e si comportava sempre come una bambina ingenua e timorosa. Mai si sarebbe aspettato un gesto simile da parte sua, mai si sarebbe aspettato che lui, proprio lui, venisse preso a schiaffi da qualcuno di tanto insignificante. 
«Mi hai fatto male!» le urlò contro, una volta che si fu ripreso dallo shock.
«Esattamente come hai fatto tu!» e Jean sentì aprirsi una finestra davanti a lui, tanto improvvisamente che il tonfo delle persiane contro le pareti lo fecero sussultare. Spalancò gli occhi e li puntò in quelli di Beatris. Erano strani, era quasi spaventosa: aveva appena detto che lui l'aveva ferita, eppure non c'era alcuna traccia di dolore al loro interno, né di rabbia. Solo... una strana forza. Come se avesse davanti a sé un'ardua sfida che era ben intenzionata a superare. Non l'aveva mai vista così. Aveva sempre pensato che fosse ridicolo che una persona come Reiner, quasi al suo livello, perdesse tempo dietro ad una nullità come quella, ma iniziò a chiedersi se non fosse stato lui a sbagliarsi... se Reiner non avesse visto qualcosa di completamente diverso, che Jean invece non aveva notato. Beatris era fuoco vivo.
«Jean» gli disse lei, approfittando del mutismo in cui lui sembrava essere caduto. «Io mi sono iscritta all'accademia con l'intenzione di arruolarmi al corpo di ricerca, fin dall'inizio sapevo che non avrei dovuto dare niente di più che la mia vita. Non c'era bisogno di essere forti, di essere decisi, non avevo nessuno obiettivo se non quello di sacrificarmi per la causa. Ed è il motivo che mi spingeva a non provarci nemmeno».
«Ma che stai dicendo? Perché vuoi farti uccidere?» mormorò Jean.
«Ho capito che mi sbagliavo» rispose lei repentina. «Il mio desiderio è quello di proteggere le persone e non posso farlo da morta, questo l'ho capito solo adesso. Reiner mi ha aiutata molto, non credo che sarei mai riuscita a fare niente se lui non si fosse intestardito tanto nel volermi aiutare, nonostante io fossi la persona più rompipalle e problematica del mondo».
«Ma questo cosa...» mormorò Jean, intenzionato a chiederle cosa c'entrasse con lui, ma Beatris lo interruppe e proseguì, puntandogli un dito contro. «Perciò io adesso farò altrettanto!» quasi ruggì. «Mi intestardirò e aiuterò una delle persone più problematiche e rompipalle di questo mondo a cambiare!»
«Eh?!» continuò Jean, non riuscendo a capire se dovesse sentirsi offeso o lusingato. 
«Ascolta» si ammorbidì lei. «Non mi importa se mi farai del male, sono un soldato, sono abituata a farmi male. Ma è importante che tu comunque capisca quando lo fai a qualcuno perché desideri entrare nella polizia militare, e un poliziotto deve essere il primo a capire quando qualcuno ha bisogno di aiuto. Devi imparare a sviluppare un po' di empatia o non riuscirai mai ad arrivare dove desideri arrivare».
«Io sono empatico» disse lui, offeso, e lei accasciò le spalle scoraggiata prima di dirgli sghemba: «Seh, come il gigante corazzato. Ma per favore!»
«Non paragonarmi a quei mostri!» gli disse, offeso, e Beatris d'istinto gli fece una linguaccia: «Brutto gigante sghembo!» 
«Piantala!» abbaiò Jean e Beatris mollò la presa, vinta. Si rilassò, inginocchiata sui talloni, e gli sorrise per qualche secondo, prima di indicare il fagotto che lui teneva ancora tra le mani. «Da quanto tempo non vedi tua madre?»
Inutile. L'argomento madre ancora gli dava sui nervi. E nonostante tutti i buoni propositi, tornò a innervosirsi. «Non lo so e non mi interessa» ringhiò ma all'improvviso si accorse di qualcosa. Ebbe come una sensazione, un piccolo fremito, che lo spinse a guardare nuovamente il sorriso armonioso di Beatris. Era così dolce, da essere quasi innaturale. E si sentì improvvisamente stupido nel non essersene accorto prima... lui non aveva fatto che inveire contro sua madre, infastidito dalla sua presenza, di fronte a una persona che aveva perso la propria nel peggiore dei modi. Eppure, nonostante questo, Beatris non sembrava volerlo rendere partecipe del proprio dolore. Abbassò le spalle, rattristato, e con un po' di imbarazzo disse infine: «Mi dispiace».
Se possibile, il sorriso di Beatris parve allargarsi ancora di più, felice di chissà cosa. 
«Visto?» disse. «Stai già imparando...» e si alzò in piedi, pronta ad allontanarsi.
«Imparando...?» mormorò Jean, non riuscendo a capire subito di cosa parlasse. 
«Mangiati quel pasto, prima che si freddi. Poi vieni in cucina e vediamo di inventarci qualcosa per stasera, mi rifiuto di vederti sconfitto dalla ragazza patata!» e si voltò, come se stesse cercando di fuggire. Jean si stupì di riuscire a comprenderla così a fondo, se ne stupì soprattutto perché in quei due anni che avevano praticamente vissuto assieme non aveva mai nemmeno pensato che ne avesse uno di fondo. L’aveva sempre creduta solo una stupida ingenua. Si sorprese di scoprire solo ora che dietro quella maschera c’era molto di più. Non aveva mai fatto altro che guardare se stesso, mai si era soffermato su chi avesse attorno, soprattutto su chi credeva essere una nullità come lo era lei. E cominciò a comprendere molte cose.
"Empatia" rifletté, capendo solo in quel momento a cosa si riferisse Beatris con la sua ultima frase. Avrebbe dovuto imparare a essere più empatico, anche con sua madre. In fondo, lei non aveva mai fatto altro che volergli un gran bene. 
«Tris» la chiamò. Beatris si fermò e si voltò a guardarlo con una strana espressione sorpresa. «Grazie» disse Jean infine, con un rasserenato sorriso sul volto. Aveva capito, si sentiva già meglio, più completo, meno vuoto. Ora sapeva cosa doveva fare. 
«Prego» gli rispose lei, ma per qualche motivo sembrava esserci qualcosa che non la convinceva. 
«Comincia pure ad andare, ti raggiungo tra poco» le disse, non capendo perché ora lo stesse guardando in quel modo. Beatris annuì e fece per voltarsi di nuovo, per andarsene, ma esitò. «Jean» mormorò infine, titubante. «Non chiamarmi Tris, per favore» disse guardando altrove, rossa in volto, e con un tono di voce che palesemente era imbarazzato.
«Eh?!» sgranò gli occhi lui, non capendo quale problema ci fosse. 
«Bea può andare benissimo!» gli sorrise, ma quel sorriso sembrava più finto di qualsiasi altro sorriso che mai avesse fatto. Era palese e addirittura fastidioso.
«Ma che dici? Reiner ti chiama sempre così, qual è tuo problema, adesso?» chiese Jean, inarcando un sopracciglio per l'incredulità. 
«No, ti sbagli, non mi ha mai chiamata così» disse lei e si voltò dall'altro lato, cercando di non farsi vedere in volto. 
«Bugiarda!» 
«Beh nessuno mi ha mai chiamata Tris in vita mia, mi hanno sempre chiamata tutti Bea, perciò usa Bea anche tu!» gli disse, di nuovo in preda alla furia. Tutti i buoni propositi di andare d'accordo, tutte quelle dolci sensazioni di vicinanza e affetto, erano andate in un fumo in un attimo. «Che problema ti causa, scusa?» aggiunse lei, infastidita.
«Figurati se è un problema! Voglio solo capire che ti è preso, adesso?»
«Non ho assolutamente niente, solo mi infastidisce».
«E allora dillo anche a Reiner, scusa!»
«Oh, insomma! Che ti importa a te di come mi piace farmi chiamare da lui!» e arrossì. Di colpo. Senza preavviso alcuno. Solo perché ormai era troppo tardi per riuscire a rimangiarsi tutto, a riformulare la frase e farla sembrare meno palese di quanto lo fosse in realtà. Sentì il gelo calare nell'intero cortile, ebbe come la sensazione che qualcosa fosse uscita dal suo corpo -magari la sua anima- e fosse sparita così, nel nulla, mentre Jean non faceva che fissarla con sguardo inebetito e occhi spalancati. Ormai consapevole di quale fosse la verità.
«Sei gelosa del nomignolo che ti ha dato?» disse infine, sviscerando così il mistero. Non la vide neppure arrivare, sentì solo il tallone di Beatris colpirlo in piena nuca e sbatterlo a terra con un tonfo. 
«Idiota!!!» la sentì ruggire come un animale, e dopo averlo fisicamente punito con una forza che nemmeno le apparteneva, se ne andò lasciando Jean lì, dolorante col viso schiacciato a terra... ma il fagottino fortunatamente intatto. 


Nda.


Sta follia culinaria non è merito della mia psiche malata, ma si tratta di un OAV che ho preso “in prestito” xD Non ricordo il titolo o il numero, ma è incentrato su Jean e sul suo rapporto con la madre. Era simpatico, volevo approfondire un po’ di cose in serenità, perciò eccolo qua! Sono molti gli elementi usciti fuori da questo, a partire dal rapporto Jean-Tris, che si detestano particolarmente (lui la crede una nullità stupida, lei uno spocchioso antipatico). Ma soprattutto Reiner che comincia ad accettare i suoi sentimenti, ad arrendersi in realtà più che accettare. E quella frase, che come potete intuire, è molto importante visto che è anche il titolo della storia…
Ti ho preso, Reiner” :3
Nel prossimo… ci sarà una svolta importante! Vi aspetto numerosi!


La canzone di oggi è dedicata a Tris, alla sua forza che inizia a emergere, a lei che inizia ad avere i primi successi (e non solo nell’esame, ma anche mostrando il suo vero carisma anche a un antipatico come Jean, fino a scuoterlo un po’). Non è nulla di che, ma essendo un capitolo così leggero e pieno di allegria cercavo qualcosa che facesse da “sottofondo musicale”. Il mood è quello giusto :3
Enjoy!

https://www.youtube.com/watch?v=iZ3JYsc3yyY&ab_channel=LittleRockstar97

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Jean spalancò la porta della cucina con tale furia che questa sbatté contro la credenza a fianco e fece tintinnare tutti i bicchieri.
«Ho trovato!» urlò, senza neanche guardare chi ci fosse dentro quella cucina. 
Beatris, appoggiata a un bancone, sussultò dallo spavento e urtò una pila di pentole, bicchieri, padelle e piatti che erano state messe l'una sopra l'altra a formare una torre. Una posizione insolita, che ne causò il crollo definitivo non appena lei lo toccò, nello spavento. Cercò di salvare il possibile, si dimenò come un pesce fuor d'acqua, afferrò un bicchiere, tirò per sbaglio un calcio a una padella, provò a prendere una pentola, ma perse infine l'equilibrio e il resto delle cose finì col caderle addirittura addosso. 
Dall'altro lato della cucina, Sasha, Connie e Reiner alzarono solamente gli occhi per controllare cosa fosse appena successo, ma non intervennero per salvare l'amica dalla disgrazia. Si assicurarono dalla loro posizione che fosse tutto a posto, e appurata la sanità di Beatris tornarono a cucinare, troppo immersi e impegnati per preoccuparsi d'altro. Armin, di fianco a Beatris, sussultò e le si inginocchiò vicino. Le tolse una pentola da sopra la testa che le copriva il volto e le chiese, spaventato: «Stai bene?»
«Mi hai fatto prendere un colpo, Jean!» rimproverò questa, puntando un dito contro il ragazzo sul ciglio della porta.
«Che stavi combinando?!» chiese Jean, guardando ciò che restava della torre di stoviglie e pentole. 
«Mi annoiavo! Ti stavamo aspettando» gli ruggì contro, arrabbiata con lui come fosse stata colpa sua. Armin si alzò in piedi e cominciò a sistemare silenzioso, e da solo, tutto il disastro che era appena stato causato.
«Potevi evitare di usare anche la ceramica, però» sospirò, prendendo una scopa e iniziando a spazzare via i cocci da terra. Ma Beatris nemmeno lo ascoltò, troppo impegnata ora a litigare con Jean. Passava da un insulto a un altro senza alcuna logica, accusandolo di qualsiasi cosa le passasse per la testa. Probabilmente c'era qualcosa nel sangue della famiglia di Eren che li portava a non andare d'accordo con Jean, sembrava così assurdamente simile a lui ora. E proseguirono, rumorosi, come due bambini, fino a quando non intervenne Connie, dall'altro lato della cucina.
«Smettetela voi due, qui stiamo cercando di lavorare!» gridò, infastidito.
Il bisticcio tra Beatris e Jean era così senza senso e così superficiale, che bastò veramente quel misero rimprovero a zittirli. 
«Ho trovato cosa cucinare» disse Jean, tornando improvvisamente sereno. «Sul serio?!» chiese Beatris, assurdamente anche lei più serena, anzi addirittura entusiasta. Jean annuì, deciso, e poggiò un cartone di uova sul banco con determinazione, mostrandole così a Beatris e Armin. Non disse niente, aspettò la loro reazione, che non tardò ad arrivare.
Confusi, ma curiosi: «Un pasticcio?» chiese Armin.
«Una torta?»
«Forse qualche ricetta particolare con le uova? Un modo nuovo di cucinarle?» ipotizzò Armin, guardando Jean che con orgoglio negava tutte quelle proposte. E infine disse: «Faremo un’omelette». 
Nessuna reazione. Da parte dei due compagni non vi fu alcuna reazione, alcuna parola, se non uno sguardo vacuo colmo di confusione. Persino gli avversari, dall'altro lato della cucina, si fermarono per un istante a guardare Jean sorpresi. Era forse impazzito?
«Jean, perché hai deciso di perdere?» gli chiese infine Beatris, sconsolata.
«Non voglio perdere!» ringhiò lui e strinse un pugno, determinato. «Fidatevi di me! Vinceremo con questo piatto!»
«Loro però hanno della carne...» mormorò Armin, preoccupato.
«Bea!» chiamò Jean e lei si drizzò come un soldatino. «Hai detto che volevi aiutarmi, giusto?!»
«Sì!» rispose, come avrebbe risposto a un capitano.
«E allora aiutami a rendere questo semplice piatto indimenticabile!»
«Possiamo farlo?» chiese Armin, improvvisamente interessato.
«Non sono gli ingredienti a fare la differenza, non lo capite?» Jean iniziò ad animarsi, a riempirsi d'eccitazione, come se si fosse trovato di fronte a un esame o, ancora peggio, a un'intera orda di giganti e fosse lì a dover motivare i propri soldati. Strinse i pugni, puntò gli occhi in quelli dei due compagni e irrigidì le spalle. «È facile essere i più forti della squadra quando si ha una prestanza fisica robusta per natura» e indicò Reiner, intento a girare delle verdure all'interno di una padella. Questo si voltò a guardarli, sorpreso di sentirsi preso in causa. «È facile essere i più forti quando ce l'hai nel sangue, il migliore quando sei nato con una predisposizione innata, è facile essere buoni cacciatori quando sei nata tra i lupi».
«Ehy» lamentò Sasha, sentendo che quel commento in particolare era rivolto a lei. «O essere considerato imprevedibile quando sei scemo dalla nascita».
«Dacci un taglio, Jean!» ringhiò Connie, capendo per chissà quale connessione che quello invece era rivolto a lui. «È facile quando nasci già perfetto, non c'è alcuna sfida, nessun tipo di competizione. Ma noi... ragazzi, noi siamo polvere! Veniamo dalla miseria, siamo nati senza nessuna dote particolare, ed è per questo che saremo fantastici più di chiunque altro perché la nostra forza ce la siamo guadagnata!»
«Ma non stava parlando delle uova?» mormorò Reiner, alzando un sopracciglio. 
«I nostri successi saranno più incredibili di chiunque altro perché noi, solo noi, possiamo dire di avercela davvero messa tutta!» continuò Jean, sempre più infervorato. «Ragazzi! Noi siamo quelle uova, riuscite a capirlo? Spetta a noi e a nessun altro renderle uniche e perciò migliori di qualsiasi filetto di carne che esista al mondo! Siete con me?!»
«Daremo il massimo, Jean!» quasi gridò Armin, battendosi addirittura un pugno al petto in segno di saluto militare. 
«Quel ragazzo ha delle doti da leader da non sottovalutare» commentò Reiner, guardando sorpreso come fosse riuscito a far emozionare entrambi con così poco. In fondo, erano solo uova... 
«Bea!» scattò Jean e  le mise entrambe le mani sulle spalle, guardandola dritta negli occhi. Non aveva ancora detto niente, ma riusciva a leggerle nelle pupille che aveva fatto centro. Il suo discorso era riuscito ad emozionarla abbastanza, ora doveva solo darle la carica giusta. «Ti fidi di me?» e le sorrise, riuscendo a infonderle una sicurezza incredibile. Beatris restò come paralizzata per qualche secondo, senza riuscire neanche a battere le palpebre, a fissarlo con lo sguardo che le brillava dall'emozione. Talmente rapita, da tenere le labbra dischiuse e non essere nemmeno in grado di chiuderle. Lei era solo un uovo. Come aveva fatto a non pensarci mai prima? Sarebbe diventata l'omelette perfetta.
«Sì» mormorò infine, come rapita in un incanto. «Mi fido di te, Jean».
«Reiner!» urlò improvvisamente Sasha, allarmata. «La salsa! La stai bruciando!»
Reiner urlò allarmato e d'istinto prese la padella per toglierla dal fuoco, ma la prese troppo vicina al bordo, senza usare le presine, troppo spaventato per il danno da riuscire a ragiornarci su. La sollevò dal fuoco, ma si ustionò e lasciò cadere infine la padella a terra rovesciandone tutto il contenuto. 
Sasha lanciò un grido allarmato, si portò le mani ai capelli e guardò il disastro a terra. «La mia salsa!» disse, ormai in lacrime. «Oh no, che disastro» si disperò Connie, al suo fianco, mentre Reiner in preda alla confusione si teneva la mano ustionata stretta nell'altra.
«Mettila sotto l'acqua fredda!» disse Beatris, improvvisamente vicino a lui. Gli comparve alle spalle e lo spinse vicino al lavandino, trascinando la mano sotto il getto dell'acqua. Alle loro spalle Armin fiancheggiò Sasha, inginocchiata a terra, e le accarezzò affettuosamente la schiena mentre questa singhiozzava davanti alla sua salsa rovesciata.
«Avete tempo, ne preparerete dell'altra» provò a consolarla. Jean arrivò pochi istanti dopo, con due stracci e un secchio pieno d'acqua. Ne passò uno a Connie e prese lui per primo a chinarsi per iniziare a pulire. «Non sarà certo una cosa del genere a distruggere la competizione» disse, prima di puntare lo straccio pieno di salsa a Sasha e dirle: «Ricominciate a capo! Preparate la salsa migliore che sapete fare, batterò qualsiasi cosa! Anche la più fantastica!»
«Non abbiamo più prezzemolo, né carote!» esclamò Connie, rovistando nella busta dove avevano messo tutti gli ingredienti. E Sasha urlò, più disperata che mai. 
«Avevate comprato gli ingredienti contati?!» sussultò Armin, sorpreso. 
«Li abbiamo usati tutti per rendere la salsa più gustosa che mai».
«Potremmo dargliene un po' dei nostri, Jean ne ha comprati molti» propose Beatris, tenendo ancora la mano di Reiner sotto il getto d'acqua fredda. Jean la fulminò, furioso, e disse: «Non se ne parla!» 
E Sasha urlò ancora più forte, in preda alla disperazione.
«Mi... Mi dispiace» balbettò Reiner, che fino a quel momento era rimasto come paralizzato. Lo sguardo truce, lacerato dai sensi di colpa, e soprattutto da una profonda vergogna. Si era lasciato distrarre dai discorsi di Jean, e soprattutto quando aveva visto lui e Beatris in atteggiamenti così intimi. Inizialmente curioso, si era chiesto quando quei due fossero diventati amici, ma poi qualcos'altro aveva iniziato a muoversi nel suo stomaco, l'aveva fatto irrigidire, e non era riuscito a schiodare lo sguardo da quei due. Era stato stupido, il suo nervoso ingiustificato l'aveva portato a quel disastro. 
«A che ti serve tutta quella roba, dobbiamo preparare solo un'omelette?» insisté Beatris e Jean rispose deciso: «Non è solo un'omelette! È l'omelette! L'omelette suprema! Si chiamerà l'omelette corazzata!»
Reiner ebbe un sussulto e d'istinto tolse la mano da sotto al getto dell'acqua fredda, per ritrarsi, per indietreggiare, improvvisamente allarmato. Ma Beatris gliel'afferrò, contrariata, e la riportò al suo posto, senza chiedersi il motivo di un tale allarme. 
«Ma che stai dicendo?! Che razza di nome sarebbe?» continuò a ruggire contro Jean.
«È la mia omelette, Beatris! Sarà l'omelette che risveglierà i sensi, dal guscio croccante e il cuore morbido, sarà l'omelette che mi riscatterà! Trasmetterò il mio saper essere empatico attraverso quel piatto, dimostrerò di essere migliore di chiunque altro con la mia omelette corazzata!» era puro delirio per chiunque non fosse Beatris, ma anche per lei in realtà fu non proprio del tutto chiara. 
«Ma... di che state parlando?» provò a balbettare Reiner, più nervoso che mai. 
«Voi mi credete empatico quanto il gigante corazzato, non è così?» chiese Jean, corrucciato.
«Non... sappiamo se... come fate a dire che il corazzato...» balbettò ancora Reiner, ma non riuscì neanche a formulare un pensiero. Parlavano del corazzato come se lo conoscessero, come se sapessero la verità. Si sentì in pericolo, iniziò persino a sudare freddo. 
«Ma che stai sparando?!» ruggì Connie. «Il corazzato è un dannato gigante, come fa ad avere emozioni, spiegamelo?!»
«Esattamente! Beatris ha detto che ho l'empatia del gigante corazzato, e io dimostrerò che non è vero con la mia omelette corazzata dal cuore tenero!» rispose Jean euforico, per poi tornare a dannarsi con: «Argh! Vi ho svelato fin troppo!»
Ma a quel punto nemmeno Beatris lo ascoltava più. Tenendo fermo il polso di Reiner, per tenergli la mano sotto l'acqua, aveva iniziato a sentirlo tremare. C'era qualcosa che non andava. Stava fissando un punto in silenzio, come vuoto, vacuo, con mascella e muscoli tesi e la pelle della fronte aveva cominciato a inumidirsi appena di sudore. Lasciò Connie e Jean dietro di lei bisticciare sulla teoria del corazzato empatico, con Connie che non riusciva a comprendere quella metafora che invece per Jean era a dir poco perfetta, ma si concentrò su Reiner al suo fianco. Gli si accostò di più, così da riuscire a parlargli senza dare troppo nell'occhio, e mormorò semplicemente: «Reiner».
Reiner sobbalzò come se fosse appena stato toccato da uno spettro, tanto forte che persino Beatris si spaventò. Si sporse poi in avanti, cercando preoccupata il suo sguardo. Era pallido, madido di sudore, c'era ovviamente qualcosa che non andava. Allungò una mano verso il suo volto, intenzionata a scostargli dagli occhi una ciocca di capelli per riuscire a vederlo meglio e provare inoltre a toccargli la fronte, chiedendosi se non gli stesse salendo la febbre o qualche tipo di malanno. «Stai bene?» gli chiese preoccupata, nel gesto, ma Reiner con una rapidità inaspettata tirò via la mano ustionata dalla sua presa, indietreggiò e scacciò via con l'altro braccio la mano che Beatris aveva provato ad allungare verso il suo volto.
«Sto bene» disse, glaciale come l'inverno. Si voltò, prese uno straccio da sopra il mobile e lo usò per avvolgersi la mano ferita. Una reazione non solo inaspettata, ma del tutto nuova. Mai l'aveva trattata con tale freddezza, nemmeno quando si erano conosciuti. La preoccupazione di Beatris salì alle stelle, rapida come un razzo, e non solo ignorò il continuo blaterare tra Jean, Armin, Connie e Sasha alle sue spalle, ma iniziò persino a trovarlo fastidioso. 
«Reiner, che ti prende?» gli chiese, allarmata, e provò ancora ad avvicinarsi. Gli poggiò una mano sulla spalla, chiedendogli con quel gesto di voltarsi e guardarla, ma sentì i suoi muscoli irrigidirsi ancora di più al tocco. Reiner si voltò di scatto, le colpì la mano così da scacciarla e le ringhiò, contro, improvvisamente furioso: «Insomma, la smetti di gironzolarmi sempre attorno?!» Il resto dei loro compagni si zittì improvvisamente. «Lasciami in pace, ogni tanto, Beatris!»
Neanche un'ora prima lei aveva realizzato quanto amasse essere chiamata Tris solo da Reiner, tanto da essere gelosa di quel nomignolo, tanto da voler impedire a chiunque altro di usarlo, e ora lui non solo la trattava improvvisamente come una nemica ma aveva anche scelto di smettere di usarlo. Beatris restò come paralizzata. Si portò la mano colpita al petto, se la strinse tra le dita dell'altra mano, e restò lì, pallida, a fissarlo in silenzio mentre lui la guardava come se avesse avuto davanti un demone. L'aveva colpita forte, Beatris sentiva le dita pulsare, non era stato solo un gesto. Sembrava che improvvisamente qualcosa in Reiner gli avesse detto che doveva non solo allontanarla, ma attaccarla... come se fossero improvvisamente nemici. 
E lo sguardo che le stava rivolgendo in quel momento pareva confermare quella teoria. Da dove aveva tirato fuori tutto quell'odio, all'improvviso? Mai, prima di allora, l'aveva visto in quelle condizioni.
Reiner si voltò, si strinse la mano ferita nello straccio, e si allontanò a passi pesanti, diretto alla porta. «Vado in infermeria» comunicò.
«Ehy!» Connie saltò in piedi, prima che Reiner potesse uscire. «Che diamine ti è preso? Sei impazzito?»
Ma Reiner lo ignorò e se ne andò. 
Camminò a passo spedito lungo i corridoi del centro d'addestramento, ma non si diresse in infermeria. Si allontanò, non seppe bene nemmeno lui dove era diretto, ma voleva andare il più lontano possibile da lì. Uscì fuori, si allontanò lungo la via, per le strade, e senza accorgersene si ritrovò nella stessa foresta dove avevano cacciato il cinghiale quel pomeriggio. Ormai era sera inoltrata, presto avrebbe fatto buio, ma non gli importava. Aveva bisogno di allontanarsi da tutto, il più velocemente possibile. Tutto quello era decisamente troppo per lui. Si era autoproclamato a capo della spedizione contro Paradis quando Marcel era morto, si era sentito in grado, voleva essere in grado di farlo e si era rafforzato nel corpo e nella mente per anni per riuscirci. Era diventato sempre più una macchina da guerra, ma in tutto quello c'era stata una falla, che era diventata enorme prima che potesse accorgersene. No, in realtà non era così, in realtà se n'era accorto subito, semplicemente aveva deciso di ignorarla. Era partita da Beatris, ma presto si era allargata anche a tutto il resto dei ragazzi lì dentro. Connie, Sasha, Armin, Marco e Jean... e poi Eren, Mikasa, persino Ymir, Christa... nessuno escluso. Aveva iniziato a provare dei veri sentimenti per tutti loro, senza proteggersi, credendosi forte abbastanza da potersene poi liberare con una scrollata di spalle. Non sapeva quando fosse successo, non sapeva come fosse iniziato, aveva creduto di avere il controllo fino all'ultimo. Si era sentito forte abbastanza fino all'ultimo, fino a quando ormai non era stato più nemmeno in grado di rialzarsi, schiacciato dal suo stesso gigante corazzato come in quegli incubi che ogni tanto lo tormentavano. Aveva creduto di essere forte abbastanza, ma si era sbagliato. Si era affezionato, si era affezionato profondamente a tutti loro, e aveva provato gioia, tristezza, euforia, rabbia, e molto altro ancora. Emozioni, sentimenti, ricordi che per sempre lo avrebbero tormentato perché lui lì stava cominciando a starci veramente bene. A sentirsi a casa. Lui lì era in pace... e ingannando se stesso, vi si era crogiolato dentro, a quel benessere, convinto che non avrebbe poi potuto nuocerlo se ne fosse approfittato solo un po'. Ci era annegato dentro, ed era stato comunque così bello e piacevole che non gli era importato. Troppo concentrato sul presente, aveva dimenticato il passato e cercava di non pensare al futuro, solo godersi quei meravigliosi momenti insieme. Ma non poteva dimenticare, non avrebbe mai potuto.
Lui era il gigante corazzato.
E loro, tutti loro, compresa Beatris... lo odiavano. 
Si accasciò vicino a un albero, accecato da una fitta alla testa intollerabile. Si portò una mano alle tempie e si strinse tanto che quasi si fece male. Quando cominciò a riprendersi spostò la mano da davanti agli occhi e vide che ancora era coperta dallo straccio rubato dalla cucina del centro. Se lo tolse appena in tempo per vedere l'ultimo accenno del rossore dell'ustione svanire, emettendo un lieve vapore. Il potere del gigante aveva appena finito di guarirlo e di ricordargli di quale tremendo fardello e maledizione fosse portatore. Poteva ingannare se stesso, convincersi che poteva stare lì dentro come niente fosse, provando emozioni, affezionandosi a loro, ma non avrebbe mai potuto cancellare la verità. Lui era quel gigante, lo sarebbe stato per altri dieci anni, che l'avesse voluto o meno. Se solo non fosse nato a Marley...
Un peso gli cadde pesantemente sulle spalle, spingendolo in avanti, facendogli quasi male. Si lamentò, cercò di tirarsi su, e riuscì solo in quel momento a riconoscere nel peso che gli era atterrato sulla schiena un corpo. Delle braccia gli cinsero il collo delicatamente e un volto si affacciò oltre la sua spalla.
«Ti ho preso, Reiner» mormorò Beatris vicino al suo orecchio, allegra, come se niente fosse appena successo. Un contatto che per un istante gli fece battere il cuore più del dovuto. E l'odiò.
«Tris...» balbettò Reiner, ricoprendosi rapidamente la mano prima che lei avesse potuto vederla. «Cosa... mi hai seguito?»
«Hai il passo bello spedito, non è stato facile» sospirò lei, lasciandolo andare e mettendosi a sedere al suo fianco. «Come stai?» gli chiese poi.
«Dovrei... essere io a chiederlo a te» mormorò lui, confuso per la reazione di Beatris, ma soprattutto rammaricato. Lei l'aveva guardato con uno sguardo che mai le aveva visto in volto, una tristezza profonda che non avrebbe mai voluto vederle addosso. Solo ripensarci gli faceva attorcigliare le budella nello stomaco. Beatris sospirò e puntò lo sguardo triste alla punta dei propri piedi, ma aspettò un po' a rispondere, pensierosa. «Mi dispiace non essermene accorta prima...» disse infine e Reiner ebbe un altro fremito. Accorgersi di cosa? Lo aveva scoperto? Sentì di nuovo la paura accecarlo, ma ciò che più lo fece innervosire fu rendersi conto che quella era paura di perdere ogni cosa lì dentro, paura di far finire quell'incredibile sogno, invece che paura di fallire la propria missione. Aveva seriamente iniziato a voltare le spalle a Marley?
«Tutte le volte che abbiamo accennato al gigante corazzato hai sempre reagito molto male, non gli ho mai dato peso ma avrei dovuto» mormorò e Reiner iniziò a tremare come una foglia. Di nuovo una fitta alla testa sembrò squarciargli l'anima. Indietreggiò appena col busto, provò a trascinarsi via, e balbettò: «Tris... ascoltami, per favore...» ma non ebbe la forza mentale di proseguire. Cosa avrebbe mai potuto dirle? In che modo avrebbe potuto uscire da quell'orrenda situazione? Ormai aveva perduto ogni cosa, ormai aveva fallito, forse avevano addirittura già dato l'allarme e Bertholdt e Annie erano già stati presi. E la colpa era solo sua. 
«Reiner, io posso capire la tua paura» gli disse Beatris, voltandosi e poggiandogli una mano su un ginocchio. «E la tua rabbia. Posso comprenderla e condividerla».
«Comprendere...?» mormorò Reiner, in preda alla confusione. Che non stessero parlando della stessa cosa? Che avesse frainteso?
«Anche io mi agito molto quando si parla del gigante corazzato, per questo mi odio per non averlo visto prima. Provavamo esattamente le stesse cose, ma non ti ho mai dato peso. Mi dispiace, Reiner. Lo dirò anche agli altri, non parleremo mai più di lui. Ma se mai un giorno ti sentissi scoppiare e sentissi il bisogno di sfogare tutta quella tua rabbia, puoi contare su di me» gli sorrise, dolce come solo lei sembrava essere in grado di fare. «Fidati, so cosa significhi perdere ogni cosa per colpa sua. Io condivido il tuo stesso dolore».
Una fitta lacerò il petto di Reiner, tanto potente, tanto violenta che per un lungo istante gli tolse la coscienza di sé. E senza accorgersene tornò a tremare e sudare, in preda alla follia. I muscoli tanto tesi che iniziarono a fargli un gran male, ogni cosa era doloroso, ogni cosa lo portava lentamente verso la pazzia. Si sentiva come affogare, come morire. 
«È stato lui... a...» balbettò, ma non riuscì a proseguire a causa di una morsa al collo che gli tolse non solo la parola ma proprio la capacità di respirare. Beatris annuì e lo sguardo che teneva fisso ai propri piedi si riempì di un dolore intenso, insostenibile, ma di cui si fece carico e forza per poter condividere tutto quello con Reiner. Sapeva, pensava, che se fosse stata forte abbastanza da parlarne, allora anche lui si sarebbe sentito più leggero perché meno solo in tutto quel mare di follia. Ma si sbagliava, quanto si sbagliava! 
Non poteva saperlo... che tutto quello avrebbe solo cancellato ciò che restava del guerriero marleyano, rendendo Reiner ancora più vittima della sua follia. 
«Quando il gigante corazzato è corso lungo la via centrale per raggiungere il Wall Maria, ha sfondato tutto ciò che trovava. Tra quelle case, c'era anche la mia. Mio padre si trovava ancora all'interno, ci aveva mandate via, me, mia madre e mia sorella, per raggiungere la barca che ci avrebbe portato in salvo dentro le mura, ma lui si era trattenuto per cercare di portare via quanti più medicinali possibili. Era un farmacista, lavorava spesso con il padre di Eren, e sapeva che una volta al sicuro ci sarebbe stato bisogno del suo aiuto. Ci disse che sarebbe passato poi a prendere Carla, la madre di Eren, e ci avrebbe raggiunti, ma una volta in strada abbiamo visto il corazzato travolgere casa nostra. Sono certa che papà fosse ancora dentro, lo avevamo lasciato da poco, e dopo non sono più riuscita a ritrovarlo. Non l'ho visto morire con i miei occhi, ma non può essere sopravvissuto... anche perché altrimenti ci avrebbe cercate, una volta al sicuro. Invece non l'ho più visto» si fermò per qualche secondo, prendendo un paio di boccate d'aria, cercando di alleviare il dolore al petto che la stava inghiottendo nel dover ricordare e raccontare quei particolari. Non si sarebbe aspettata alcuna risposta di Reiner, probabilmente la cosa faceva male anche a lui, che da come aveva falsamente intuito aveva vissuto qualche tragedia simile alla sua. Ma si voltò comunque a guardarlo, chiedendosi come stesse, e lo trovò ancora paralizzato. Immobile, se non per l'intenso tremore che ancora lo scuoteva da capo a piedi. Sospirò, in cerca di coraggio, e proseguì. «Noi ci trovavamo su quella stessa via, qualche metro più avanti, ma dopo aver sentito il fragore ci siamo voltate a guardare cosa stesse accadendo. Abbiamo visto casa nostra andare in pezzi e il gigante corazzato che correva nella nostra direzione, puntando il Wall Maria alle nostre spalle. Mia madre aveva in braccio Rose e io correvo al suo fianco, aggrappata al suo vestito. Siamo scappate in una via perpendicolare, mamma è riuscita a trascinarmi via, ma nella foga Rose si è fatta sfuggire di mano il suo coniglietto di peluche, Kitty. Sapevo quanto significava per lei, e al tempo ero solo una bambina che poco capiva cos'era il pericolo, perciò sono tornata indietro per riprenderlo, per terra, su quella via che stava andando in pezzi metro dopo metro. Non mi sono mai chinata a raccogliere il pupazzo, ho guardato il gigante che mi correva incontro, e lì sono rimasta...» un sorriso sarcastico le storpiò per un istante il viso. Quello era il suo difetto più grande, Reiner stesso glielo aveva fatto notare, ed era la verità. Era tutto nato quel giorno. «Mi sono paralizzata. Di fronte al terrore, mi sono paralizzata… come sempre» ebbe un fremito e si chiuse per un attimo in se stessa, pronta a nascondere il volto tra le ginocchia. Ma si fermò. Fece un altro sospiro profondo e cercò di distendersi. «Ho ancora nei miei incubi quel mostro che mi corre incontro, a passi pesanti, schiacciando e sfondando tutto ciò che incontra».
L'incubo che in quegli anni aveva tormentato Reiner, scoprì in quel momento non essere il suo. Era l'incubo di Beatris. Lui tutte le notti sognava di essere lei, e si vedeva mentre furioso gli correva incontro, pronto a schiacciarla. Non si chiese nemmeno come facesse a conoscere quel particolare, perché in un improvviso flashback riuscì a ricordarlo. E nemmeno ascoltò il resto del racconto di Beatris, avendolo finalmente ben chiaro in testa.
Ecco cosa il suo cervello aveva provato a dirgli, quando aveva visto Beatris la prima volta nella cattedrale: quella bambina lui l'aveva già vista. Si era incuriosito tanto a lei, si era sentito attratto, l'aveva seguita con lo sguardo perché lui l'aveva già vista. E si era da sempre sentito responsabile per lei, come se le dovesse qualcosa, come se fosse sua responsabilità... e lo era davvero. Era tutta colpa sua, e solo ora lo ricordava. Nel caos di Shiganshina, stremato dal viaggio, mentre lui stesso cercava di scappare dai titani che cercavano di mangiarlo, con Annie e Bertholdt protetti dentro le proprie mani, il suo sguardo si era puntato improvvisamente su quel punto. Davanti ai suoi piedi, unica figura immobile mentre il resto delle persone si disperdeva come uno sciame, lei era rimasta lì. Vestita di una vestaglia logora, la stessa della cattedrale, con un pupazzo abbandonato ai propri piedi. L'aveva guardato con lo sguardo vacuo, terrorizzato, e solo ora si accorse che era lo stesso identico sguardo che lei gli aveva rivolto poco prima nella cucina. Un terrore in grado di paralizzarla, un terrore che la inghiottiva completamente. Non c'era stato che caos, quel giorno, aveva ucciso centinaia di persone e nemmeno se n'era accorto troppo concentrato a correre e lottare con la fatica. Ma lei l'aveva vista. E le aveva pregato di scappare... 
Spostati, stupida!
Aveva urlato, ma ovviamente il suo titano non poteva ripetere ciò che lui diceva, non sapeva parlare, e quella frase disperata si era tradotta in un ruggito che probabilmente aveva solo peggiorato la sua paura. Non poteva fermarsi, non l'avrebbe fatto, e non poteva nemmeno preoccuparsi di provare a schivarla o avrebbe perso lo slancio della corsa. E lei era rimasta lì, immobile, a guardarlo come avrebbe guardato il peggiore dei mostri. Reiner aveva chiuso gli occhi e aveva continuato a correre, costringendosi a non preoccuparsene. Aveva percepito il corpo che veniva schiacciato sotto al piede, l'aveva sentito chiaramente, più di qualsiasi altro corpo, ed era stata una sensazione orribile. Era stato convinto di averla uccisa e probabilmente per quel motivo il suo cervello aveva cancellato quel ricordo, dicendogli di aggiungere quella vittima alla lista delle vittime di cui si sarebbe dovuto fare carico. Un volto ignoto in mezzo a mille altri volti ignoti, l’aveva rimossa per difendere se stesso dalla follia. Quando l'aveva rivista nella cattedrale probabilmente una parte remota del suo cervello l'aveva riconosciuta, ma con la convinzione di averla uccisa non era riuscito a ricollegarla a quella bambina, a ricordarsene. Anche perché lo sguardo che aveva avuto Beatris in quela cattedrale era decisamente diverso da quello che aveva avuto a Shiganshina. Ma il suo istinto aveva stimolato tutte le emozioni e i sensi di colpa che avrebbe dovuto stimolare, così lui era rimasto rapito da lei, curioso, senza saperne il perché. Senza sapere che il suo cuore aveva silenziosamente iniziato a sperare di avere un modo per potersi redimere, proteggendo quella ragazzina, come se fosse stata mandata lì apposta per lui, per dargli un’opportunità. Tutte quelle morti erano troppe da sostenere per un bambino, indipendentemente dall’addestramento ricevuto, indipendentemente dalla sua ideologia e convinzione. Proteggere Beatris lo faceva sentire meglio… e ora cominciò a capire il perché. Lui le stava chiedendo perdono.
«Mi avrebbe preso» sentì raccontare Beatris. «Se mia madre non fosse uscita all'ultimo dal viottolo dove era scappata. Mi ha presa per un braccio ed è riuscita a lanciare via sia me che mia sorella, un istante prima che quel mostro la schiacciasse nella sua corsa. Ho... visto chiaramente mia madre mentre...» tremò ancora e questa volta faticò a trattenere una lacrima, che si affrettò a cacciar via, ripulirsi. Sfoderò la sua arma migliore, quel sorriso falso quanto delicato che tanto la faceva sembrare un angelo ma che serviva a nascondere il proprio dolore. «Il piede del gigante corazzato mi ha sfiorato, prendendo invece mia madre, e nel passare ha travolto altre case e provocato altre macerie. È così che mia sorella è rimasta ferita, le è caduta addosso una grata di ferro che le ha lacerato una gamba. Pochi istanti dopo è arrivato un membro della guarnigione a raccoglierci, ci ha portate via e ci ha fatte arrivare sane e salve fino a qui, a Trost. Dopodiché, poche settimane dopo, anche Rose è morta a causa dell'infezione e io... io...» iniziò a tremare. «Non ho potuto... per colpa mia, prima mia madre, poi...» deglutì e scosse la testa, frustrata. Era riuscita a essere forte, a raccontare tutto con tranquillità fino a quel momento. Erano passati anni, sapeva di averla superata, aveva superato quel terrore e quel senso di impotenza, era riuscita a ritrovare la forza e il desiderio di continuare a vivere, una motivazione. Era riuscita a tornare a vivere grazie a Reiner, poteva farcela, poteva confessare quel crimine. 
«Sono morte perché non sono stata in grado di proteggerle. Ho sempre pensato che sarebbe stato meglio se fossi morta io, invece che mia madre, perché così avrebbe saputo curare Rose e allora almeno loro sarebbero sopravvissute. Così invece non sono che rimasta io, sola con i miei sensi di colpa... e fino a l'anno scorso era convinta di non avere nessuna motivazione per continuare a restare qui, che non mi restasse niente, perché anche Mikasa, Eren e Armin si sarebbero fatti uccidere volontariamente da quei mostri unendosi al corpo di ricerca. E io sarei rimasta ancora una volta a guardare, paralizzata dalla paura. Ho pensato che dovevo reagire, che dovevo prendere il loro posto, come avrei dovuto fare con mia madre, e ho iniziato a camminare volontariamente verso la mia distruzione. A rincorrere il modo più giusto per uccidermi. Ma poi tu...» e si voltò finalmente a guardarlo, sorridendogli solare, pronta a rivelargli quanto lui fosse stato importante per lei, ma si paralizzò. Reiner, immobile come una statua, con una mano a coprirgli occhi, stava piangendo silenzioso. Per quanto si sforzasse di premere la mano sugli occhi, non poté fare niente per impedire alle lacrime di lavargli completamente il viso. Serrava i denti, strozzava i singhiozzi, ma non poteva impedirsi di tremare tanto che l'altra mano, serrata tra i capelli, per poco non pareva che potesse strappaglieli. 
Beatris si spinse vicino a lui e riuscì a mettergli una mano sulla spalla, in segno d'affetto.
«Immagino che la tua storia non sia molto diversa dalla mia» mormorò, interpretando erroneamente quella reazione. «Non voglio che me la racconti per forza, ma vorrei che sapessi che posso offrirti la mia spalla per piangere tutte le volte che vuoi. Così come... tu hai fatto con me. Tante volte». 
Attese un qualche tipo di reazione, ma non ce ne fu alcuna. Solo altre lacrime, tremori e singhiozzi strozzati... e un vago mormorio, che solo dopo un po' riuscì a distinguere: «Mi dispiace».
«Reiner» mormorò Beatris, chinandosi verso di lui e poggiandogli una mano sulla guancia umida di lacrime. «Non mi importa quale dolore e quale rabbia tu ti possa ritrovare a esprimere, anche se come è successo prima finisco con l'esserne colpita io. Non  devi preoccuparti, lo so che non vuoi davvero ferirmi. Tu non lo faresti mai, ormai ti conosco. Sono venuta a cercarti, hai visto? Non mi importava di ciò che mi hai detto, non mi hai fatto niente».
«Non è vero» lo sentì quasi ringhiare. «È tutta una bugia... Tris...» 
Era davvero sul punto di confessare? Rivelarle la menzogna in cui l'aveva coinvolta fin dall'inizio, le colpe di cui si era macchiato, così da poter smettere almeno di ferirla a sua insaputa? Così da darle il rispetto che in realtà meritava.
«Io... sono un dannato bastardo...» si scosse, la voce gli morì in gola, e infine riuscì solo a dire: «Tu dovresti odiarmi».
Le aveva rovinato la vita, era tutta colpa sua, e poi, sempre mosso solo dall'egoismo, l'aveva legata a sé solo per alleviare un po' i propri sensi di colpa. L'aveva ingannata, l'aveva tradita, e mai una sola volta aveva realmente pensato a lei. Non aveva fatto altro che essere egoista, fin da subito, tenerla al proprio fianco per riuscire a sentirsi meglio senza preoccuparsi di cosa fosse realmente giusto per lei. Era proprio un bastardo. E non riusciva più a tollerarlo.
«Reiner» sospirò Beatris, ammorbidendosi nell'espressione. I sentimenti che provava per lui erano talmente intensi che non sarebbe riuscita a odiarlo nemmeno se l'avesse voluto. Non ce l'avrebbe mai fatta. «Non potrei mai odiarti» disse e in risposta, con foga, Reiner colpì nuovamente la mano di Beatris così da allontanarla da sé. Con quel gesto si tolse però la mano dal volto, scoprendo così la sua espressione e Beatris per un istante si sentì vacillare. Non era disperato, come aveva creduto... era arrabbiato. Arrabbiato come mai l'aveva visto prima. Ma non appena quello sguardo colmo di furia e follia incrociò quello di Beatris, dolci e ricolmi d'amore, Reiner si sentì crollare. Lui… possibile che lui non provasse solo rammarico? Possibile che ci fosse qualcosa nel suo petto di molto più intenso? Qualcosa di travolgente, di profondo… di simile all’amore? Per lei? Per un demone dell’isola, per la ragazza a cui aveva rovinato l’esistenza, per la persona… che era riuscita a renderlo felice, davvero, forse per la prima volta in tutta una vita? Accasciò le spalle e si corrucciò in un'espressione disperata. Come aveva potuto fare una cosa simile proprio a lei?
«Mi dispiace» singhiozzò ancora. 
E Beatris sorrise piena di dolcezza. Si sollevò in ginocchio e si voltò, così da essere perfettamente di fronte a lui, e infine gattonò vicino al suo fianco. 
«Puoi scacciarmi tutte le volte che vuoi» gli disse, amorevole. Gli avvolse le braccia intorno alla testa e Reiner provò invano a indietreggiare, ma la sua forza di volontà non era poi così forte, mentre quella di Beatris pareva indistruttibile. Lo strinse a sé, portandogli il volto al petto, poggiò una guancia tra i suoi capelli e lo abbracciò. Lo abbracciò come aveva da tempo desiderato fare, chiudendolo totalmente all'interno del suo amore. «Non smetterò mai di prenderti, Reiner» sorrise di un sorriso dolce che riuscì a trasmettere alla propria voce. Reiner poteva sfogare la sua rabbia e il suo dolore come voleva, lei sarebbe stata sempre in grado di amarlo, qualsiasi cosa avesse fatto.
«Non riuscirei mai ad odiarti. Mai, in nessuna occasione, per nessuna ragione. Sei...» lo strinse e affondò il naso tra i suoi capelli. Lo sentì ancora tremare e il pianto si sciolse in uno meno teso, più libero e perciò anche più disperato. Sentì le mani di Reiner afferrare i suoi vestiti dietro la sua schiena, stringerli tra le dita, con disperazione. La tirò a sé, forse non era ciò che avrebbe voluto fare, ma era ciò di cui aveva bisogno. Morire dentro quell'abbraccio. Forse era davvero l'unica cosa felice che avesse mai potuto avere. Si schiacciò contro il suo petto, la strinse contro il proprio volto, e tra i suoi abiti, contro la propria pelle, riversò tutto quel dolore in un pianto disperato. Forse davvero all’inizio si era legato a lei per quel latente senso di colpa di cui sentiva il bisogno di liberarsi, forse davvero all’inizio non aveva desiderato altro se non chiederle perdono, ma le cose erano cambiate… degenerate… e ciò che provava in quel momento era molto di più. E lei non lo meritava. Non meritava di amare, di essere amata, da un mostro come lui.
Sentì le labbra di Beatris sfiorargli le tempie in qualcosa di molto simile a un bacio.
«Sei tu la mia forza, Reiner». Lo sentì rabbrividire se possibile ancora di più, ebbe un tremore come se qualcuno lo avesse appena colpito alla base della colonna vertebrale con una scarica elettrica. Reiner la strinse con una forza tale che quasi le fece male, ma subito dopo allentò la presa. E smise persino di singhiozzare. Si staccò dal suo petto, ma restò comunque avvinghiato a lei, prendendosi solo lo spazio necessario per riprendere a respirare. 
«Gliela farò pagare» mormorò con la voce ancora gracchiante per lo sforzo a cui era stata sottoposta poco prima. «Al corazzato e a tutti i giganti. Gliela farò pagare cara per averti fatto questo».
«Che stai dicendo?» gli sorrise con dolcezza. «Io non desidero vendetta e non voglio che lo faccia nemmeno tu. Ti esporresti a un rischio inutile, non potrei sopportarlo».
«Non unirti alla legione esplorativa» le disse improvvisamente e alzò gli occhi, puntandoli in quelli di Beatris. Sembravano animati di un nuovo fuoco, intenso e deciso. «Non andare all'esterno».
«Io...» mormorò Beatris, riappoggiandosi sui suoi talloni. Raggiunse l'altezza del volto di Reiner, ma abbassò lo sguardo rammaricata. «Non posso farlo... Non posso lasciarli. Non posso di nuovo restare a guardare mentre le persone più importanti della mia vita vengono uccise. Questa volta devo combattere, Reiner. Mi stai allenando per questo, no?»
«Ti sto allenando perché non voglio che tu muoia».
«Beh, stai facendo un ottimo lavoro» sorrise, imbarazzata. Era ridicolo, ma quella banalità, sapere di essere qualcuno a cui lui teneva, le faceva venire il batticuore. «E poi con me ci sarà Mikasa, non mi accadrà niente di male. Sapremo proteggerci a vicenda».
«Non è abbastanza!» disse, risoluto. «Non posso lasciarti andare così... non posso restare solo a pregare di vederti tornare tutte le volte». Tirò un profondo sospiro e sembrò accasciarsi sulle sue stesse spalle. Chiuse gli occhi e si abbandonò in avanti, come se fosse sul punto di crollare. Beatris sussultò e d'istinto indietreggiò appena, arrossendo nel vedere il suo volto avvicinarsi al proprio. Si irrigidì nelle spalle e si paralizzò quando Reiner raggiunse la sua fronte, su cui appoggiò la propria. Erano così vicini, ora, che poteva sentirlo respirare contro la propria pelle. «Voglio essere io a proteggerti» mormorò, come addormentato. 
«Non farlo» sussultò Beatris, improvvisamente allarmata. Questo spinse Reiner ad aprire gli occhi, puntarli nei suoi, curioso di scoprire quali sentimenti vi fossero all'interno. E vi trovò gioia, mista a panico, mista a tante altre cose che non riusciva nemmeno a identificare. «Non unirti alla legione esplorativa solo per me».
«Voglio...» tentò di dire ma Beatris lo interruppe con un disperato: «No!» 
Gli posò una mano sul viso, gli accarezzò la guancia e tornò poi a sorridere. Era lusingata, era felice di vederlo così legato a lei tanto da rinunciare a ogni cosa, ma non glielo avrebbe mai permesso. «Reiner» gli sorrise, dolce, ma questa volta fu lui a interromperla. «Resta con me» e la fece ancora una volta sussultare. «Non... andartene. Resta con me, Tris, resta al mio fianco». 
Beatris tornò a sorridere, colma di una gioia che non avrebbe mai immaginato avrebbe potuto provare. Si sentiva completa, ora che sapeva di appartenergli, ora che non aveva più dubbi. Glielo leggeva negli occhi, lo stesso identico sentimento divampante che bruciava anche in lei. «Tu mi aspetteresti?» gli chiese con dolcezza. «Dopo il diploma io mi unirò alla legione esplorativa e tu hai sempre voluto andare nella gendarmeria. Le volte che io uscirò in esplorazione... tu davvero mi aspetteresti?»
Mancava solo un anno alla fine dell'addestramento, ormai erano quasi alla conclusione di tutto quello, il tempo era volato così velocemente. Sapeva che non avrebbe potuto godere di quella gioia per sempre, che prima o poi le loro strade si sarebbero separate, e da qualche tempo aveva iniziato a logorarsi nel tormento che una volta usciti di lì non l'avrebbe mai più rivisto. Sapere che non sarebbe andata così era qualcosa che la scaldava nel profondo. 
«Ti verrei a cercare» le rispose lui, tremando all'idea di vederla oltrepassare le mura.
«Ma non ce ne sarebbe bisogno» gli sorrise, confortante. «Reiner» e strofinando leggera il pollice contro il suo zigomo lo liberò di una lacrima che era rimasta lì da prima e non se n'era ancora andata. «Io ti prenderò sempre, te l'ho già detto. Non importa quello che succederà... tu devi solo aspettarmi, ok?»
Vide l'espressione di Reiner contrarsi nuovamente, in un nuovo dolore che faticava a tenere sotto controllo. Era difficile da credere che proprio lui, il compagno più controllato e serio del corpo cadetti, fosse in realtà così emotivo. Beatris l'aveva sempre creduto una montagna, indistruttibile. Non si era mai fatto abbattere da niente, nemmeno dagli allenamenti più duri ed estenuanti, nemmeno da quelli che portavano la mente a rompersi prima che il corpo, e l'aveva ammirato per questo. Ma ora che poteva vederlo realmente, ora che finalmente era riuscita a penetrare dentro quel guscio, riuscì a scoprire qualcosa di completamente nuovo... e meraviglioso. Si era da sempre affidata totalmente a lui e alla sua forza, si era aggrappata alle sue spalle, provando un'ammirazione tale da essere simile all'amore. I suoi batticuore, l'emozione nell'averlo vicino, erano sempre dati dalla sensazione di trovarsi di fianco a una sorta di divinità. Ma ora che poteva vederlo, fragile e reale, aggrappato ai suoi vestiti come se avesse avuto il terrore di crollare da un momento a un altro, qualcos'altro le esplose nel petto. E scoprì di sentirsi pronta a qualsiasi cosa, pur di proteggerlo. Una nuova forza, una nuova determinazione, e fu quello l'inizio della sua vera ascesa. Sarebbe diventata forte abbastanza da poter dare a Reiner sempre un paio di braccia dentro cui piangere liberamente, e sentirsi al sicuro. 
Gli accarezzò la guancia. Corrucciandosi, Reiner si schiacciò contro la sua mano, ci si strofinò contro, desideroso di averne sempre più. E lei sorrise, intenerita.
«Dopo averti trattato in quel modo... avresti dovuto lasciarmi perdere. Perché sei venuta a cercarmi? Perché sei qui adesso?» gracchiò, e sembrò che quelle domande se le ponesse davvero. Tutta quella dolcezza e quella comprensione nei suoi confronti erano qualcosa che non riusciva proprio a comprendere. La risposta di Beatris tardò ad arrivare, timorosa, ma alla fine riuscì a sussurrare: «Davvero non lo sai?»
Le voci sul loro conto, tra i compagni cadetti, erano numerose e sempre più frequenti. Non erano stupidi, le avevano sentite anche loro eppure non erano mai riusciti a smentirle. Le ignoravano e continuavano a comportarsi come sempre, a cercarsi, a stare sempre insieme, a rincorrersi in ogni occasione. Si comportavano come due innamorati, era ovvio, anche se avevano sempre fatto di tutto per ignorare l'etichetta che avrebbero dovuto dare a tutto quello. Fuggendo dall'evidenza... ma era passato più di un anno, e tutto ciò che mancava a quel rapporto era un nome. Non c'era niente che potesse smentirlo, lo sapevano, fingevano solo di no, forse per pudore, forse per proteggere loro stessi e basta. Ma era quella la verità. Il loro legame non era solo mera amicizia. Avevano messo l'uno la vita nelle mani dell'altro, vi si erano abbandonati, e lì avevano trovato il loro posto. Beatris lo amava, non c'era niente che potesse smentirlo, e lo stesso valeva per Reiner. Avevano bisogno l'uno dell'altro. E adesso lo sapevano con certezza. 
Per quanto lui avesse provato a fuggirne, a non ascoltare tutto quello... lui lo sapeva. Sapeva perfettamente perché lei era lì. E sapeva anche perché fosse così felice di questo.
Socchiuse gli occhi, ma volle continuare a guardarla, mentre lei gli si avvicinava a occhi ora serrati. Incontrò le sue labbra, ci affondò dentro, e sentì una scossa percorrerlo da capo a piedi. La mano di Beatris si spostò dietro la sua nuca, si sentì per un istante debole e terrorizzato nel percepire quel contatto proprio nel suo punto più vulnerabile, ma sentì una bizzarra fiducia nascergli nel petto. Le avrebbe sempre permesso di raggiungere la sua parte più fragile, sapeva che poteva lasciarglielo fare. Sentì le sue dita accarezzarlo e immergersi infine tra i suoi capelli. Gli fece venire i brividi lungo tutta la spina dorsale e qualcosa ustionarlo interamente. Chiuse gli occhi ed ebbe come la sensazione di prendere letteralmente fuoco. Faceva quasi male, ma era un dolore perversamente piacevole. Con un profondo sospiro, facendo tremolare l'aria che gli uscì dalle narici, si spinse in avanti e prese il volto di Beatris tra le mani. Schiuse le labbra e non si limitò a toccare quelle della ragazza, ma le intrappolò tra le proprie, le accarezzò, bramoso, come se avesse voluto divorargliele. Riaprì gli occhi e si staccò da lei, solo di pochi centimetri. La sentì prendere fiato, affaticata: era rimasta in apnea fino a quel momento, e il fiato corto gli suggerì anche che doveva avere il battito cardiaco eccessivamente accelerato.
«Ti aspetterei» mormorò e questo portò Beatris a riaprire gli occhi. «So che mi prenderesti, riesci sempre a prendermi» sorrise. «Se mai le nostre strade dovessero dividersi, verrei a cercarti, ma se non dovessi trovarti... allora ti aspetterò».
Beatris sorrise, emozionata e felice, inconsapevole di quanto quelle promesse che si stavano scambiando in quel momento avessero per sempre cambiato le loro vite. E infine, scelse così quale sarebbe stata la strada da seguire d'ora in avanti: quella che l'avrebbe sempre portata da Reiner.
«Riuscirò sempre a trovarti. Riuscirò sempre a prenderti, Reiner».
«È una promessa?»
«È una promessa». 


Nda.


Siete mentalmente pronti alla valanga di eventi che ci saranno da ora in poi? XD Il “segreto” (intuibile, dai ahahah) è venuto a galla… a uccidere la famiglia di Tris, durante l’attacco a Shiganshina, non è stato un gigante qualunque. È stato proprio Reiner. E lui, in un meccanismo di difesa per proteggersi dall’enorme senso di colpa, aveva rimosso ogni cosa, ma quando ha visto Beatris la prima volta qualcosa dentro lui è scattato. Lo “strano motivo” che lo spingeva a tenerle gli occhi addosso era proprio quello, quella sensazione da “io questa l’ho già vista” mescolato a un forte senso di colpa. Ma non ricordava, non riusciva a spiegarselo, e le è rimasto troppo vicino per troppo tempo… la verità è venuta a galla, ma ormai è troppo tardi. Il danno è fatto, i sentimenti hanno preso il sopravvento. Verrà mai a galla la verità? (Vabbé, conoscete il manga, sapete che Sì! VERRà A GALLA! E SARà UNA TRAGGGGEDIA)... come la prenderà Tris? Quali saranno le conseguenze?


Vi lascio a questa BELLISSIMA canzone, che questa volta vorrei davvero che ascoltaste più di altre perché è molto struggente e da i feels perfetti. La voce che la canta è femminile, ma in realtà il POV è di Reiner, sono parole che escono dalla sua mente. Alla fine ricordatevi che Tris… è pur sempre un “demone dell’isola”.

https://www.youtube.com/watch?v=LoB5i0w5gso&ab_channel=Aegrnox 





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