I got you di Ray Wings (/viewuser.php?uid=60366)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Black
sugar, keep it up 'till the dawn
you're
a trigger, killer, eye of
the storm
but
if there's no desire to get back out alive
you're
a hero?
La
cattedrale di Trost non era mai stata così affollata come
quel
giorno. Per proteggere le reliquie e gli affreschi non erano mai
stati installati camini, o sistemi adatti al riscaldamento
dell'ambiente. L'aria era gelida, forse più che all'esterno,
e il
sole penetrava a malapena dalle vetrate pallide. Nel silenzio della
cappella, i singhiozzi risuonavano come rintocchi di campana. Era un
luogo come un altro, uno dei molti che aveva trovato modo di ospitare
all'interno tutte le persone sopravvissute che avevano oltrepassato
il Wall Rose appena il giorno prima. Non erano passate nemmeno
ventiquattro ore dall’evacuazione del Mall Maria, eppure
sembrava
già un'eternità. Feriti mormoravano nei deliri
del dolore, uomini
piangevano in silenzio, donne stringevano i figli pregando le
divinità delle mura di proteggere almeno coloro che erano
sopravvissuti. In molti avevano dovuto lasciare i propri affetti alle
spalle, guardandoli morire sotto ai propri occhi. Era una tragedia
senza precedenti.
Prima
Shiganshina, e pochi attimi dopo il Wall Maria stesso erano stati
abbattuti. Un gruppo esorbitante di giganti era entrato, molti
più
del previsto, come se fossero stati tutti lì fuori ad
aspettare il
momento propizio. In pochi erano riusciti a scappare. E quei pochi
avevano perso così tanto che non raramente si ritrovavano a
pensare
che forse sarebbe stato meglio se non fossero stati loro a
sopravvivere, se fossero stati mangiati, insieme ai loro cari. Ma per
il momento, tutto ciò che gli era concesso era qualche
gelida e
umida chiesa ad ospitarli, qualche raro tozzo di pane per cibarsi che
spesso dovevano litigare per riuscire ad accaparrarsi, non abbastanza
da sfamare tutti quanti, e pochi sorsi d'acqua al giorno per
recuperare ciò che era stato perso con le lacrime.
Non
era passato nemmeno un giorno dall'attacco del gigante corazzato e
del colossale, eppure sembrava di essere finiti
nell'eternità di un
inferno che avrebbe loro dannato per sempre. Inconsapevoli che i
colpevoli di tutto quello, nelle loro vesti di ingenui bambini, erano
proprio lì, in mezzo a loro, a giudicarli in
silenzio.
Reiner
era stato il primo a svegliarsi, di fianco a Bertholdt e Annie. Dei
tre lui era quello che si era stancato meno, era stato facile
recuperare le forze. Per Bertholdt era sempre estenuante, il gigante
colossale consumava tanta di quell'energia che era incredibile che un
bambino come lui riuscisse a tollerarlo così bene. Annie,
tra tutti,
era sicuramente quella con la resistenza maggiore, il suo gigante era
adatto alle sue capacità, ma aveva corso per giorni per
sostituire
Marcel e il suo gigante mascella, persi all’esterno durante
il loro
viaggio dal mare alle mura. La ragazzina aveva portato il proprio
corpo a un limite quasi definitivo, avrebbe avuto bisogno di riposare
probabilmente per giorni. Reiner si guardò attorno,
avvicinandosi ai
suoi due amici, deciso a vegliare sul loro sonno. Era sicuramente una
scena straziante, vedere tutte quelle persone in lacrime avrebbe
scosso anche il più duro dei cuori, sapere di esserne la
causa non
aiutava il suo animo turbato, ma riusciva comunque a mantenere la
lucidità e la calma. Aveva fatto una promessa, aveva ben
chiaro
quale fosse il suo obiettivo, e quelle persone non erano anime
innocenti, meritavano ogni crudeltà. Niente l'avrebbe
dissuaso dal
continuare a procedere. Quelle vittime erano state necessarie, era
ciò che si ripeteva per evitare di crollare definitivamente,
ed era
ciò in cui credeva fortemente. Quelle persone erano demoni,
non
comuni esseri umani, non avrebbe dovuto provare pietà per
loro e
avrebbe dovuto concentrare tutte le sue energie sulla missione
affidatogli. Lo doveva a tutta la sua gente, a sua madre, ma, adesso,
soprattutto a Marcel. E a Porko, a cui aveva praticamente rubato il
gigante corazzato. Da quando Reiner l'aveva scoperto non aveva fatto
altro che pensarci: lui non era stato la prima scelta. La cosa lo
faceva incazzare, lo riempiva di rammarico, e non faceva che
rafforzare il suo desiderio di portare a termine con successo quella
missione. Avrebbe dimostrato di essere meritevole, che quella era
stata la scelta giusta, avrebbe dimostrato di essere un perfetto
Guerriero. Anche a costo di uccidere persone.
Era
così immerso nei suoi pensieri che non si accorse di
qualcuno che
gli corse spaventosamente vicino e lo fece sussultare. Una ragazzina
inciampò nel suo giaciglio, calpestandogli i piedi, e
nell’incidente
per poco non le caddero di mano due tozzi di pane belli tostati che
teneva gelosamente serrati al petto. Si ricompose rapidamente e si
voltò a guardare Reiner, preoccupata.
«Scusa!»
disse. Aveva i capelli castani, molto corti, ma non abbastanza da
impedire alle sue ciocche ribelli di ricaderle davanti agli occhi
azzurri, come impazziti. Era spettinata come pochi, vestita di un
abito ormai ridotto a uno straccio, ma paffuta nelle guance e
delicata nei lineamenti. Nonostante l'aspetto trasandato avrebbe
portato a pensare a un maschio, il volto delicato era decisamente
quello di una ragazza.
Reiner
non ebbe tempo di rispondere, che questa si voltò di nuovo e
tornò
a correre, evitando di pestare le persone stese a terra. Un compito
arduo, che spesso la portavano a saltellare di giaciglio in
giaciglio, ma sembrava ben determinata a raggiungere il suo obiettivo
quanto prima.
«Mikasa!»
chiamò a un certo punto e un'altra ragazzina dai capelli
neri e
lunghi si voltò a guardarla. La ragazzina del pane ne
sollevò uno,
entusiasta, e saltò l'ennesimo giaciglio per arrivare di
fianco
all'amica, ma questa volta non si salvò dall'ostacolo. Il
piede
atterrò sulla gamba dell'uomo steso lì a fianco,
calpestandolo, e
questo la portò a perdere l'equilibrio. Cadde di faccia in
avanti,
ma ebbe la prontezza di sollevare le braccia per salvare il pane,
anche se questo le causò un brutto taglio sul mento. L'uomo
steso,
che era stato calpestato, si sollevò furioso e
iniziò a urlare
insulti alla ragazzina ora a terra. Ma durò solo qualche
istante.
L'altra ragazzina, quella che si chiamava Mikasa, si voltò a
fulminarlo con un inquietante sguardo glaciale. Era assurdo, eppure
riuscì a zittirlo con poco. Metteva davvero i
brividi.
La
ragazzina a terra si alzò in ginocchio, ignorando la ferita
sul
mento che si era appena provocata.
«Bea,
stai sanguinando» le disse Mikasa, ma lei strofinò
sul mento,
distrattamente, il braccio, come a volersi pulire rapidamente. Si
accorse troppo tardi dell'errore, la ferita le bruciò
intensamente
nello sfregamento con la manica del suo abito, ma non fiatò.
Si
corrucciò per un istante, poi tornò a sorridere.
«Ho
trovato del pane!» esclamò, felice. Porse a Mikasa
una delle due
pagnotte e aspettò che questa l'afferrasse.
«Non
è molto, ma possiamo farcelo bastare»
afferrò con entrambe le mani
la seconda pagnotta, che era rimasta a lei, e la divise a
metà. Una
la tenne per sé, l'altra la diede a Mikasa.
«Così tu, Eren e Armin
avrete una metà. Questa la porto a mia sorella».
«Ma
così non ne resta niente per te» le fece notare
Mikasa, guardando
la ragazzina che già si rialzava in piedi.
«Non
fa niente, non ho fame» e sorrise di un'allegria
soprannaturale,
visto il terribile luogo in cui si trovava. Salutò rapida
con una
mano, non diede tempo a Mikasa di rispondere, e corse via saltando di
nuovo negli spazi vuoti tra un giaciglio e un altro.
«Rose»
chiamò, arrivando di fianco a una bambina più
piccola. Non doveva
avere più di cinque anni, somigliava molto alla prima, era
facile
intuire la parentela, anche se questa aveva capelli più sul
biondo,
lunghi, legati in due treccine ai lati della testa. La ragazzina col
pane si inginocchiò di fianco a lei e le porse la mezza
pagnotta che
aveva portato. «Ho portato del pane. Mangia» disse
sorridente.
La
bambina fece molte meno domande di Mikasa, afferrò
volentieri la
pagnotta e iniziò a mangiarla anche se con lentezza e
fiacca. Era
pallida in viso e sembrava madida di sudore. La sorella le mise una
mano sulla fronte, mentre lei mangiava, e attese qualche secondo
prima di sospirare e ammorbidire le spalle. «Ti sta salendo
la
febbre» constatò.
«È
perché Kitty non è con me»
mormorò la bambina.
«Kitty?»
inarcò un sopracciglio, confusa, e la bambina
annuì. «Lui mi
protegge sempre da tutto, anche dalle malattie. È rimasto a
casa,
non l'abbiamo portato con noi. Così mi
ammalerò».
«No,
vedrai che non lo farai!» sorrise la sorella, ma era ovvio
che
stesse solo cercando di infonderle positività.
«Se
Kitty fosse qui mi aiuterebbe a guarire» insisté
la bambina.
La
sorella la guardò qualche istante, lasciando che mangiasse
in
silenzio, poi all'improvviso si mise a sedere di fianco a lei e
alzò
per aria un piede. Si tolse la scarpa, per poi sfilare via il calzino
che le arrivava fino al polpaccio. Con un piede ormai nudo,
infilò
di nuovo la scarpa e cominciò ad annodare il
calzino dandogli
strane forme rotondeggianti. Non ne venne fuori niente di bello, ma
riuscì a dargli una vaga forma umanoide, con una testa bella
gonfia
e un paio di gambe.
«Ecco
qua» disse, porgendola alla sorella. «Lei si chiama
Marie!
Sostituirà Kitty per un po', si prenderà lei cura
di te».
Rose
guardò per qualche istante il calzino vagamente somigliante
a un
peluche, masticò l'ultimo boccone di pane, poi
allungò entrambe le
mani e prese il dono della sorella. Lo guardò in silenzio
per un
po', respirando affannosamente per la malattia che si stava facendo
strada dentro di lei.
«È
una contadina» mormorò infine. «Lavora
la terra e il bestiame, per
questo puzza ed è sporca, ma è molto gentile.
Vero?»
«Marie
sarà la tua migliore amica se glielo permetterai»
e Rose infine
annuì. Se la strinse al petto e tornò a stendersi
a terra, dentro
le coperte, aiutata dalla sorella.
«Quando
andremo a riprendere Kitty scommetto che diventeranno migliori
amici»
mormorò la bambina, sistemando la testa sulle ginocchia
della
sorella. Quest'ultima raccolse una seconda coperta da terra, quella
che era stata sua probabilmente, e la sistemò sulle spalle
di Rose
per proteggerla meglio dal freddo. Sorrise, ma di un sorriso triste.
«Certo»
mormorò, e per la prima volta non sembrò essere
convincente nemmeno
un po'. Accarezzò i capelli di sua sorella e la tenne con
sé,
mentre questa lentamente richiudeva gli occhi.
«Sorellona»
mormorò, già quasi addormentata. «Mi
canti qualcosa come faceva la
mamma? Ho paura di fare un altro incubo».
«Io...»
balbettò lei, avvilita. Ma scosse la testa e
tornò a sorridere,
forzatamente. Era ovvio che non fosse naturale tutto quel suo buon
umore, cercava solo di essere forte per sua sorella, adesso era
più
che palese. «Ok. Ci provo».
Prese
un'ampia boccata d'aria, socchiuse gli occhi, e infine
cominciò a
cantare una melodia. Era dolce, morbida nella voce, forse per evitare
di disturbare troppo chi avesse intorno, ma era comunque efficace.
Tiepida, come una ninna nanna, riusciva a far rilassare le spalle. A
riscaldare il cuore.
«Reiner».
Per poco Reiner non sobbalzò, scoprendosi solo in quel
momento
decisamente troppo assorto. Perché era rimasto tanto
incuriosito dai
movimenti di quella ragazzina? L'aveva osservata fino a quel momento,
e se ne rendeva conto solo in quel momento. Spostò gli occhi
su
Bertholdt, che adesso si stava rialzando al suo fianco. «Sei
già
sveglio».
Reiner
annuì, ma tentennò. Non sapeva nemmeno lui cosa
pensare, sentiva
solo di sentirsi profondamente angosciato. Aveva sulle spalle troppe
responsabilità, troppi dolori, troppe colpe. Eppure per un
istante
era riuscito a sentirsi leggero, ascoltando la ragazzina cantare la
ninna nanna a sua sorella. Che quella melodia avesse davvero la
capacità di scacciare gli incubi?
Spostò
gli occhi di nuovo a lei, ma fu solo per un istante. Rose si era
ormai addormentata e la sorella aveva smesso di cantare, ma non di
accarezzarle i capelli e vegliare su di lei.
Sospirò,
lasciando andare le spalle.
«Credo
di aver paura degli incubi».
NDA.
Ciao
a tutti! Sono Ray, per chi ancora non mi conosce (tutti xD) ed eccomi
qui nel fandom di AOT (o SNK per chi preferisce). Farò solo
delle
note brevi, presentarmi mi sembrava d’obbligo, ma non mi
dilungherò. Come avete letto nel disclaimer iniziale questa
storia è
piena di spoiler per chi non ha completato la lettura del manga
(già
nel prologo ce n’è uno enorme, essendo dal punto
di vista di
Reiner) perciò ribadisco che se non siete in pari non
proseguite (e
ci vedremo quando lo sarete xD). Anche se Reiner non è tra i
personaggi preferiti di tutti (eretici, andate a confessarvi ora!)
spero comunque non disdegnerete la lettura di questa ff e di riuscire
a farvi emozionare ugualmente.
Il ritmo di pubblicazione prevedo
sarà di 1 capitolo a settimana, tranne che per questi primi
capitoli
che arriveranno tutti insieme così da farvi entrare subito
nel mood,
ma le cose potrebbero cambiare strada facendo (potrebbe venirmi
l’hype cattivo e arrivare anche a 2 o 3 capitoli per
settimana,
perciò stay tuned!). Non credo di avere molto altro da dire
per il
momento, vi lascio al proseguimento, facendo solo una piccola
specifica: ogni tanto troverete testi di canzoni perché
sì u.u io
le adoro e ci saranno.
La strofa a inizio capitolo è tratta da
Zero Eclipse, una delle colonne sonore di SNK, e la trovo perfetta
per descrivere Reiner in questo momento. Per i pigri di mente come me
vi lascio anche la traduzione, così non dovrete sforzarvi
troppo
xD
“Zucchero
nero, continua così fino all’alba
Tu
sei la causa scatenante, l’assassino, l’occhio del
ciclone
Ma
se non c’è desiderio di tornare indietro vivo,
sei
un eroe?”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
«Tu,
dannato!» urlò Shadis Shadis a pochissimi
centimetri dal volto di
uno dei ragazzi in riga nel cortile esterno del centro di
addestramento. Questo sussultò, ma riuscì a
restare incredibilmente
composto. «Chi sei?»
«Sono
Jean Kirschtein, Signore! Vengo dal distretto di Trost!»
gridò
questo, portandosi il pugno al cuore in segno di saluto.
«Perché
sei venuto qui, dannato?»
«Io...»
uno strano sorriso, un misto tra l'imbarazzo e la paura, ma
probabilmente Jean poté immaginare che mentire non sarebbe
servito a
niente. Alla fine la sua ambizione era tra le più comuni nei
giovani
cadetti, non c’era niente di cui vergognarsi. «Per
poter vivere
nei territori interni» confessò.
«Capisco»
disse Shadis. «E così vorresti vivere nei
territori interni?»
«Sì!»
esclamò Jean e in tutta risposta si beccò una
testata talmente
violenta che lo costrinse ad accasciarsi a terra per il
dolore.
«Chi
ti ha detto di metterti a cuccia?!» ruggì Shadis.
«Pensi davvero
che chi si arrende possa entrare nel corpo di Gendarmeria?!»
concluse e lasciò Jean a terra, avvicinandosi alla ragazza
al suo
fianco. Nonostante fosse immobile, gli occhi erano puntati sul
ragazzo a terra. Le sopracciglia lievemente inarcate lasciavano ben
intuire che fosse preoccupata per quanto appena accaduto,
probabilmente, se avesse avuto la possibilità, sarebbe corsa
a
fianco di Jean per aiutarlo, glielo si leggeva in faccia.
«Ehy,
tu, dannata!» la richiamò Shadis e questo la fece
sobbalzare. Tornò
a guardare davanti a sé, puntò gli occhi a Shadis
e scattò come un
vero soldatino. Pugno al petto in forma di saluto, spalle rigide e un
lieve sorriso sul volto. Sembrava solare... il che era strano, vista
la situazione. Shadis non dovette digerire troppo la cosa
perché le
chiese, torvo in viso: «Che hai da sorridere?»
«Sono
felice di poter essere qui e offrire il cuore per il bene
dell'umanità, signore!»
Ottima
risposta, pronta e ben studiata. Non era una sprovveduta qualunque,
ma anche lei andava raddrizzata. «Sorriderai così
anche quando
verrai divorata da un gigante?»
«Assolutamente
sì! Saprò nel mio piccolo di aver dato un
contributo!»
«Che
cosa ti fa credere che tu possa realmente dare un contributo? Sei
solo cibo per giganti, niente di più».
«Meglio
io che qualcun altro, Signore! Anche questo è un modo per
salvare
delle vite».
Faceva
venire i brividi pensare che avesse realmente sminuito così
la
propria vita con una tale leggerezza, ma era sorprendentemente
ciò
che Shadis voleva sentirsi dire. E forse lei lo sapeva.
«Hai
sempre la risposta pronta per ogni situazione, non è
così?» ma non
fu assolutamente un complimento. Il volto di Shadis si stava
rabbuiando, irritato dal gioco che aveva scoperto, lui come molti
altri. La ragazza stava solo recitando un ruolo, il migliore per
quella situazione, per compiacere chi aveva davanti. «Credi
davvero
che le parole e i sorrisi possano salvare la vita a qualcuno? Prova a
combattere i giganti a sorrisi e parole, moriresti
immediatamente!»
«È
probabile, Signore!» rispose lei, pronta e rigida.
«Come
ti chiami?»
«Beatris
Moreau! Vengo da Shiganshina, Signore!» e non appena
terminò le
mani del capitano Shadis le si piantarono in viso. Infilò
entrambi i
pollici ai lati delle sue labbra e le aprì la bocca in un
innaturale
sorriso che le tirava le labbra tanto che avrebbe potuto
spaccargliele.
«Duecento
giri di corsa del campo, e guai a te se chiudi la bocca anche solo
per un istante. Che aspetti?! Afferrati le labbra, resta
così e
corri!» urlò e Beatris saltò dalla
paura. Si infilò gli indici ai
lati della bocca, tenne le labbra ben tirate come gliele aveva messe
Shadis e in quella terribile e scomoda posizione iniziò a
correre
intorno al campo.
«Ma
perchè? Cos'ho sbagliato?» piagnucolò,
silenziosa abbastanza da
non farsi sentire da Shadis. Cominciò a correre, girando
intorno al
gruppo più e più volte, guardando il resto della
cerimonia di
iniziazione da spettatrice esterna. Non fu tanto la corsa a
straziarla, quanto il dover tenere fissi gli indici agli angoli delle
labbra e tenere la bocca sempre tirata verso le orecchie. I moscerini
le entravano in gola, le labbra iniziarono a spaccarsi e soprattutto
non riuscì a darsi abbastanza aerodinamicità non
potendo usare le
braccia per una giusta spinta. Fu a dir poco straziante.
Guardò
Shadis passare oltre Eren e Mikasa, senza degnarli nemmeno di uno
sguardo, per poi soffermarsi su una ragazza intenta a mangiare una
patata.
"Loro
non li ha neanche calcolati, non è giusto!"
pensò, frustrata.
Non seguì il resto della chiacchierata con la ragazza
patata, ma
dopo pochi istanti la trovò di fianco a sé che
correva intorno al
campo. Non ci fu bisogno di chiedere spiegazioni, mangiare una patata
di fronte al capitano Shadis durante l'addestramento era stato
decisamente troppo, anche per lei.
«Ma
perché ti sei messa a mangiare una patata?» le
chiese Beatris, una
volta che furono vicine.
«Nessuno
di voi mangia patate? Io non capisco!» lamentò la
ragazza che
scoprì successivamente chiamarsi Sasha. Un tono di voce
decisamente
troppo alto, che Shadis captò e non apprezzò.
«Correte
più veloce! E se vi sento ancora parlare
aggiungerò giri alla
vostra punizione!»
Con
le lacrime agli occhi e lo strazio nel cuore, le due presero a
correre a perdifiato. Avevano appena iniziato l'addestramento, ed era
già stato abbastanza. Mai si sarebbero dimenticate di quella
lezione... forse.
Quando
Beatris poté tornare dal resto dei suoi nuovi compagni,
questi si
erano già riuniti nella sala comune per la cena. Aveva
lasciato
Sasha fuori a correre e sapeva avrebbe avuto da stare lì
ancora per
un po', almeno fino a quando il sole non sarebbe calato. Si
massaggiò
le guance distrutte e con lo sguardo avvilito si guardò
intorno.
Avrebbe dovuto imparare col tempo a familiarizzare con quei volti, ma
nel frattempo si sarebbe concessa del normale relax insieme alle
uniche persone che conosceva. Si avvicinò al tavolo dove
mangiavano
Eren, Mikasa e Armin e si accasciò al loro fianco.
«Ci
hai messo troppo tempo a finire di fare quei giri» la
rimproverò
Mikasa, mentre Armin allungava nella sua direzione un piatto con
della minestra fumante. «È per questo che Shadis
si è arrabbiato e
te ne ha aggiunti altri».
«Mi
ha preso di mira già dal primo giorno, che
strazio» sospirò
Beatris. «Eppure pensavo di aver dato le risposte corrette!
Mi sono
esercitata con Armin così tanto per cercare di fare bella
impressione...»
«Credo
sia stato proprio questo il tuo errore» le disse Armin.
«Eri pronta
come una studentella davanti a un test, non sembravi sincera».
«Ma
io non ho mentito!» esclamò Beatris, offesa. Prese
il cucchiaio dal
suo vassoio e iniziò a mangiare, lentamente. Ogni movimento
di
mascella le faceva un gran male e a ogni boccone seguiva un lamento e
uno scuotere di gambe. «Che male».
«È
comunque andata meglio a te che alla ragazza patata. Lei
dovrà
correre fino al calar del sole e dopo non le spetta nemmeno la
cena»
disse Mikasa.
«Beh,
lei l'ha fatta davvero grossa» prese un'altra cucchiaiata e
provò a
portarsela alle labbra, ma non appena aprì la bocca la
mascella le
fece di nuovo un gran male. Lanciò un urlo, senza
trattenersi, e si
portò una mano alla guancia. «Che male!»
«L'hai
già detto» lamentò Mikasa.
«Tu
e quello lì siete fatti della stessa pasta,
Mikasa!» ringhiò
Beatris, puntandole un dito contro. «Non sopportate la
felicità, e
ve la rifate verso chi invece riesce a godersi la vita!»
«Cos'hai
da essere felice, ancora non riesco a capirlo»
mormorò Eren,
parlando per la prima volta.
«Sta'
zitto» rimproverò Beatris. «Non fare
finta di niente, ho visto
come sorridevi durante l'iscrizione. Che hai da prendertela con
me?»
Eren
alzò gli occhi, pronto a risponderle, ma vennero interrotti.
Un
ragazzo, Connie, si avvicinò a loro con gli occhi quasi che
brillavano.
«Ehy!»
si accostò a Beatris, sporgendosi oltre al tavolo.
«Tu hai detto
che vieni da Shiganshina, non è
così?»
Alle
sue spalle Beatris riuscì a scorgere avvicinarsi sempre
più altri
cadetti, alcuni curiosi, altri emozionati, altri ancora profondamente
preoccupati.
«Sì,
è così» rispose Beatris
innocentemente.
«Perciò...»
mormorò Connie, mentre altri si avvicinavano. Ormai intorno
al loro
tavolo c'erano almeno una decina di persone, forse quindici.
«Perciò
tu l'hai visto? Eri lì?»
«Visto?»
mormorò Beatris, cominciando a chiedersi a cosa si
riferisse. Non
che fosse difficile intuirlo, ma era strano che le chiedessero
proprio di quel giorno data la tragedia che aveva comportato. Erano
davvero curiosi di sapere, da chi c'era, come fosse stato terribile?
«Il
gigante colossale e il corazzato!» esclamò Connie.
«Li hai visti
con i tuoi occhi? Com'erano?»
Beatris
d'istinto voltò gli occhi a Eren e Armin, seduti di fronte a
lei. E
trovò entrambi i loro sguardi rivolti a lei, con la stessa
ombra a
sovrastarli. Armin più di Eren, probabilmente più
addolorato
all'idea di ricordare, non rispose e tornò a mangiare la sua
zuppa
in silenzio. Le sopracciglia aggrottate, faticava a non trasmettere
il dolore che provava in quel momento. Ma Eren, invece, era di
tutt'altra pasta... lui aveva trasformato quel dolore in rabbia e
determinazione.
«Sì,
lo abbiamo visto» rispose quest’ultimo e gli occhi
dei presenti si
fecero ancora più spalancati.
«Anche
voi venite da Shiganshina?» chiesero ed Eren annuì.
«Tutti
e quattro eravamo lì. Noi tre...» disse guardando
prima Armin e poi
Mikasa. «Eravamo insieme, quel giorno. L'abbiamo visto dalla
piazza
fare capolino oltre il muro e guardarci».
«Ho
sentito che il colossale ha superato il muro con un balzo!»
esclamò
qualcuno e fu ancora Eren a rispondere: «No, non era
così alto. Ma
sbucava con la testa, ci ha guardati tutti prima di sfondare il
cancello con un calcio».
«Bastò
il frastuono a rompere le finestre di casa mia» intervenne
Beatris.
«Ricordo che per il tremore della terra caddi giù
dalle scale e
finii dritta davanti alla porta di casa. Fu forse questo a salvarmi,
dato che poco dopo casa mia venne distrutta quasi totalmente».
«Casa
tua è stata distrutta?» chiese Marco, guardando la
ragazza con
compassione.
Beatris
immerse nuovamente il cucchiaio nella zuppa, pronta a portarselo
nuovamente alla bocca. Esitò, decisamente troppo a lungo, ma
quando
rialzò gli occhi su Marco aveva in volto uno spensierato
sorriso. Lo
stesso sorriso che aveva fatto incazzare Shadis quel
pomeriggio.
Annuì
semplicemente: «Anche la loro» disse, indicando
Eren.
«Noi
abitavamo nella zona più vicina al muro esterno, mentre
Beatris era
più vicina al Wall Maria, quasi in zona centrale, sulla via
principale. Ma entrambe, anche se distanti, non hanno fatto una bella
fine» disse Eren, ma nonostante l'argomento fosse delicato
non
sembrò tentennare nemmeno un po'. Entrambi ne parlavano con
naturalezza, apparentemente non turbati dalla cosa, e forse fu questo
a solleticare la curiosità dei presenti.
Una
pioggia di domande li travolsero, domande a cui rispondeva
principalmente Eren, ma che ogni tanto trovavano sorrisi e conferme
da parte di Beatris. Armin e Mikasa invece, cupi, non fecero che
mangiare in completo silenzio.
«Come
siete scappati?»
«Quanti
giganti c'erano?»
«Come
ha risposto il corpo di guarnigione?»
«Quanti
ne avete visti in faccia?»
«Che
faccia avevano?»
E
così, fino a sera tarda.
«Il
colossale era quasi senza pelle, con la bocca enorme»
spiegò Eren,
all'ennesima domanda.
«E
il corazzato che ha sfondato il Wall Maria?» chiese qualcun
altro.
«È
così che lo chiamano?» mormorò Eren.
Connie annuì, prima di
chiedere: «Com'era fatto?»
«Aveva
la pelle ricoperta da una specie di armatura» rispose
Beatris,
attirando su di sé lo sguardo dei curiosi. Li sorprese, fino
a quel
momento non aveva detto molto, era strano che avesse sentito di dover
rispondere proprio lei a quella domanda. «Non gli
interessavano le
persone, non ha cercato di mangiare nessuno. È corso verso
il Wall
Maria e l'ha sfondato con una spallata».
Connie,
e non solo lui, sbarrò gli occhi e spalancò la
bocca per la
sorpresa.
«Era...
grosso?» mormorò un altro compagno.
«Non
più di un normale gigante, ma era bello robusto».
«E
quanto è grosso un normale gigante?»
Beatris
spalancò gli occhi, improvvisamente sorpresa dalla domanda.
Sentì
il tintinnio del cucchiaio di Eren che cadeva nel piatto e quando
alzò lo sguardo si accorse che anche Eren aveva la sua
stessa
espressione sconvolta. Qualcosa li pugnalò alla bocca dello
stomaco,
tant'è che Eren dovette portarsi una mano alle labbra, come
se fosse
in procinto di vomitare.
«Voi...»
mormorò Beatris, voltandosi a guardare una ragazza al suo
fianco.
«Non ne avete mai visto uno?»
Eppure
erano tutti lì, pronti ad addestrarsi per combatterli. Come
avrebbero potuto prepararsi a dovere se mai avevano visto in faccia
il nemico? Come potevano dirsi pronti a fronteggiarli? Come avrebbero
fatto a non farsi prendere dal panico, la prima volta?
«Ragazzi»
mormorò Marco. «Forse dovremmo smetterla. Li
stiamo costringendo a
ricordare cose che magari non vogliono ricordare».
«Vi
sbagliate» ringhiò Eren, tremante.
Afferrò il tozzo di pane di
fianco al proprio piatto e ci tirò un bel morso deciso.
«Guardate
che anche i giganti si possono sconfiggere, non dobbiamo farci
spaventare».
«Io
un po' spaventata sono» ammise Beatris, ma di nuovo il
candore e la
gioia con cui parve ammetterlo confuse totalmente i presenti e li
portò a pensare che stesse scherzando. Beatris raccolse le
gambe
sulla propria sedia, incrociandole tra loro e sedendosi in maniera
scomposta cominciò a dondolarsi a destra e sinistra.
«Shadis è
davvero terrificante» giustificò così
la sua affermazione,
riuscendo a rubare qualche sghignazzo non troppo convinto.
«Basterà
addestrarsi a dovere col movimento tridimensionale»
continuò Eren,
ignorando l'intromissione dell'amica. «Allora potremmo
fronteggiarli
alla pari. Finalmente ho la possibilità di farlo, di
addestrarmi
come soldato, e allora... allora entrerò nel corpo di
ricerca e
annienterò tutti i giganti!»
Beatris
poggiò un gomito sul tavolo, schiacciò la propria
guancia contro il
pugno chiuso e con un risolino alzò gli occhi al cielo. Era
un
discorso che ormai aveva sentito fin troppe volte, da quando erano
scappati da Shiganshina Eren non aveva fatto altro che vaneggiare su
quel desiderio omicida di vendetta che ormai lo teneva sveglio la
notte. Tutte le volte doveva intervenire Mikasa per zittirlo, era
pesante, e probabilmente la ragazza nemmeno apprezzava troppo l'idea
di vedere Eren nel corpo di ricerca, ma alla fine erano anche
esilaranti da guardare. Era diventata una routine, tutte le volte che
poteva Eren iniziava a sproloquiare sul suo desiderio di sterminio e
Mikasa lo zittiva con qualche cazzotto. Beatris sogghignò, e
attese
di veder di nuovo intervenire la mora a rendere più
divertente
quella serata. Ma stranamente non fu lei a fermare Eren.
«Ehy,
sei forse pazzo?» a parlare era stato Jean, il ragazzo che
quel
pomeriggio di fianco a Beatris si era beccato una testata.
«Vorresti
davvero entrare nel corpo di ricerca?»
«Sì,
è così» rispose Eren raddrizzandosi e
lanciando a Jean
un'occhiata di sfida. «So invece che tu vuoi entrare nel
corpo di
gendarmeria e avere vita facile, non è
così?»
«Sì,
perché io sono sincero con me stesso, a differenza di chi si
atteggia a eroe orgoglioso, quando invece dentro sé trema di
paura».
Non
sapeva perché Jean, perfetto sconosciuto, gli avesse mandato
quella
palese frecciatina, ma la cosa comunque divertì Beatris. Ci
sarebbe
stato qualcun altro, quella sera, a tirare pugni a Eren e zittirlo?
Che tipo era quel Jean?
Eren
si alzò in piedi, guardando Jean dall'alto al basso.
«Stai forse
parlando di me?» ringhiò come un animale, pronto a
scattare.
Beatris si voltò sulla propria sedia e si sporse in avanti,
incuriosita e divertita continuava a dondolarsi e sorridere.
«Che
ne pensi di un giro di scommesse?» mormorò a
Connie, al suo fianco,
e questo strabuzzò gli occhi. «Io dico che Eren
finisce al
tappeto!» continuò Beatris e Connie
sobbalzò: «Ma è tuo amico!»
«Voglio
proprio godermi lo spettacolo» ridacchiò Beatris,
maligna, e Connie
indietreggiò di un passo, cominciando ad aver quasi paura di
lei.
Jean
si alzò e si avvicinò a Eren, sghignazzando
divertito. «Ehy, io
dicevo solo così per dire» era ovvio che si
sentisse superiore e
questo faceva ribollire il sangue nelle vene a Eren. Anche
perché
lui la gendarmeria non l'aveva mai sopportata, a Shiganshina non
facevano altro che bere e perdere tempo in vizi inutili piuttosto che
dedicarsi al lavoro. Sapere che tra loro c'era qualcuno che ambiva
alla bella vita come quella, lo mandava in bestia. Si guardarono
negli occhi per infiniti istanti, Beatris già
iniziò a pregustarsi
il momento dello scontro, ma questo non avvenne. Suonò la
campana di
fine giornata, l'ordine di andare in branda e lasciare le zone
comuni.
«Ahhhh»
sospirò Beatris, frustrata. «Hanno rovinato
tutto».
«Ma
che dici? Davvero vorresti vederli piacchiarsi?» chiese
Connie,
sconvolto, ma ancora Beatris rispose con un sorriso divertito. Si
alzò dal tavolo, portò al proprio posto i piatti
sporchi e infine
uscì dal casolare per dirigersi verso il dormitorio. Si
fermò sul
ciglio della porta, si voltò solo per aspettare Eren e
Mikasa,
seguiti infine anche da Armin, e insieme a loro si allontanò
dal
resto del gruppo.
«Come
sta la tua mascella?» chiese Armin, di fianco a Beatris.
Questo
parve ricordarglielo e d'improvviso lei prese di nuovo a urlare e
lamentarsi, portandosi le mani alla bocca. «Che male!!! Non
voglio
mai più sorridere in vita mia!»
«L'hai
fatto appena poco fa».
«Oh,
già... è vero» e scoppiò a
ridere, come se niente fosse.
«Hai
i capelli troppo lunghi» sentì dire da Eren,
davanti a sé, rivolto
a Mikasa. «Potrebbero intralciarti durante
l'addestramento».
«Hai
ragione. Li taglierò» mormorò Mikasa,
afferrandosi una ciocca.
«Ma
che dici?» Beatris saltellò al suo fianco e si
appese alle spalle
dell'amica. «Basta legarli come faccio io! La vuoi una
treccia come
la mia? Guarda com'è bella!» e iniziò a
lisciarsi la morbida
treccia castano chiara dalla cute, fino alla spalla dove ricadeva con
morbidezza.
«Siamo
soldati adesso, non dovresti pensare troppo al tuo aspetto»
l'ammonì
Eren.
«Eren
ha ragione. Li taglierò, è la scelta
migliore».
«Dai,
Mikasa... mi piacciono così tanto i tuoi capelli, davvero
vuoi farlo
per lui?»
Ma
Mikasa non rispose, si scrollò Beatris dalle spalle e
continuò a
seguire Eren, parlottando con lui del più e del meno.
Beatris non se
la prese per il trattamento, ma tornò a sghignazzare
divertita.
Rallentò, così da tornare a fiancheggiare Armin.
«Giuro,
non la capirò mai» sospirò.
«Eppure
non è così difficile»
ridacchiò Armin, al suo fianco.
«Difficile
cosa?»
«Capire
cosa le passa per la testa. Dai, lo sai anche tu che tipo di rapporto
c'è con Eren».
«È
ossessionata da lui e ripeto che non la capisco».
«A
te non è mai capitato?» chiese Armin, sinceramente
curioso.
«Perché?
A te sì?» chiese lei, sorpresa.
Armin
negò con la testa. «Non ancora, ma
chissà... magari un giorno ci
ridurremo anche noi come lei e scopriremo che è bellissimo.
Mio
nonno mi raccontava un sacco di cose sulla nonna, era molto simile a
Mikasa nel comportamento e sembrava felice».
«Anche
la mamma sembrava felice quando stava con papà»
confessò Beatris e
un'ombra tornò ad oscurarle il volto. Ricordare quel giorno,
quel
momento, la sua famiglia... era riuscita a superarlo, erano passati
ben due anni, eppure ogni tanto qualcosa tornava a fare male in
petto.
«Chissà
come dev'essere. Mi piacerebbe provarlo...»
mormorò Armin,
altrettanto malinconico.
«Ma
adesso non credo che avremo molte occasioni» e la frase di
Beatris
rabbuiò ancora di più Armin. «Stiamo
diventando soldati, non credo
che avremo più tempo nemmeno di pensare a certe cose
tanto...
normali. E belle».
«Già»
sospirò Armin. «Siamo chiamati a fare una scelta,
pensare a noi
stessi adesso non è più concepibile».
«Però
dev'essere stato bello per la mamma sapere che l'ultimo pensiero di
papà prima della fine possa essere stata lei. Insomma...
sapere di
non essere dimenticati, di restare nel cuore di qualcuno per sempre.
Non credi?»
«Adesso
hai cambiato opinione?» sghignazzò Armin.
«Sei
tu che hai iniziato a fare questi discorsi mielosi! È colpa
tua» ed
entrambi risero di gusto, divertiti, prima che Beatris, ormai quasi
arrivata al dormitorio femminile, non gli saltellò
davanti.
«Armin!»
Incrociò le dita dietro la schiena, si sporse un pochino in
avanti,
e assunse una posa aggraziata come quella di una bambolina. Sapeva
essere di una bellezza unica, a volte, soprattutto con quella sua
incredibile capacità di sorridere e infondere positiva in
qualsiasi
momento. «Facciamoci una promessa!»
Armin
la guardò curioso e lei alzò un dito, sorridendo
ancora più
allegra. «Quando moriremo, promettiamo di essere l'uno
l'ultimo
pensiero dell'altro! Eren e Mikasa fanno già coppia tra
loro, noi
possiamo fare coppia tra noi».
«Ma
che stai dicendo?» chiese Armin, confuso e soprattutto
imbarazzato.
Non aveva mai considerato Beatris niente di più che una
semplice
amica, ma quel discorso era così intimo che aveva sfondato
qualsiasi
barriera. Ed era strano.
Beatris
tirò fuori la lingua e ridacchiò. «Sto
scherzando! Non
preoccuparti, non c'è bisogno di arrossire» rise e
si voltò,
pronta a correre verso il casolare che le era stato assegnato.
«Però»
si fermò, e tornò a sorridergli, sincera.
«Prometto di non
dimenticarti lo stesso. Ok?»
Armin
sciolse i muscoli, rilassato. Gli era sembrato strano e imbarazzante,
ma si rese conto in quel momento che non c'era stato alcun secondo
fine nelle parole di Beatris. Solo dolcezza e calore, i sentimenti
che era abituato ad associarle. Da quando avevano lasciato
Shiganshina la loro amicizia si era rafforzata molto, forse
perché
erano riusciti a sopravvivere tutti e quattro, e da allora erano
diventati praticamente inseparabili. E ognuno col proprio ruolo. Eren
era quello che li scuoteva e li spingeva a cercare un obiettivo, a
rincorrere i loro sogni. Mikasa era la guardia del corpo, si occupava
di proteggerli tutti, con la sua forza era in grado di contrastare
bande intere... o tirare giù Beatris da sopra una grondaia,
le volte
che per curiosità si andava arrampicando in giro. O tirarla
fuori da
una botte. O su da un tombino. O... qualsiasi altra cosa,
perché
quella ragazza non riusciva a stare mai ferma nemmeno per un istante.
Armin...
non sapeva bene che ruolo avesse lui nel gruppo, raccontava solo
storie e vedeva il volto dei suoi amici illuminarsi ogni volta, ma
non era sicuro che quello fosse importante. E infine c'era Beatris,
il sole nascente che riusciva a risollevare il morale a tutti in
qualsiasi occasione. Era allegra, vivace, ma anche molto dolce, a
tratti materna. Era sicuro che avesse sviluppato quell'ultimo lato
del carattere a causa di sua sorella, di cui si era dovuta occupare
da sola dopo la morte dei suoi genitori a Shiganshina, ma nonostante
fosse passato molto tempo aveva radicato quel lato del carattere
dentro sé. Ovunque ci fosse una nuvola, Beatris arrivava con
la
forza di un uragano e provava con qualsiasi arma a scacciarla via. E
la maggior parte delle volte, incredibilmente, ci riusciva.
Sorrise,
scaldato dal suo candore.
«Lo
prometto anche io» disse e infine la vide correre via.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
«Mikasa»
sussurrò Beatris, nel buio della stanza. Si sporse oltre il
bordo
del proprio letto a castello, si affacciò sul letto che
aveva sotto
e, anche se per l'oscurità non riusciva a vederla, sapeva
che
l'amica era lì. «Ehy, Mikasa»
chiamò ancora, non avendo ricevuto
risposta.
«Sh»
l'ammonì Mikasa. «Cerca di dormire».
«Non
ci riesco» confessò Beatris e si sporse ancora di
più, mettendosi
letteralmente penzoloni giù dal suo letto.
«Hai
corso tutto il giorno, non hai un minimo di
stanchezza?»
«Sì,
ma sono anche tanto agitata! Cosa ci aspetterà domani,
secondo te?»
«Lo
vedremo domani mattina. Ora prova a chiudere gli occhi, stai
disturbando il resto dei compagni».
«Quel
Shadis mi mette i brividi, fa davvero una gran paura»
insisté
Beatris, ignorando il suggerimento di Mikasa.
«Fa
paura anche a me» una voce dolce, morbida, provenne dal letto
a
fianco di quello di Mikasa. Sentirono qualcuno muoversi, coperte che
venivano scostate, probabilmente la fonte della voce si stava
avvicinando a loro per poter parlare meglio senza alzare troppo la
voce. «Ma è il suo compito addestrarci, penso sia
normale che sia
così severo. È ovvio che il percorso non
sarà facile».
«Ed
è per questo che sono così agitata»
sospirò Beatris, sporgendosi
ancora di più. Ormai almeno metà del busto era
fuori dal suo letto,
riusciva a tenersi su solo puntando le dita dei piedi oltre il bordo
opposto. «Ah, a proposito! Mi chiamo Beatris!»
«Io
sono Christa. Piacere di conoscervi».
«Lei
è Mikasa» presentò Beatris, sapendo che
l'amica non sarebbe stata
di troppe parole.
«Ehy!»
una quarta voce si aggiunse, ma fu meno aggraziata, più
roca, ma
soprattutto più incazzata. «Qui c'è
qualcuno che sta cercando di
dormire! Fate silenzio!»
«Te
l'avevo detto» rimproverò Mikasa, guardando nel
buio il punto dove
immaginava si dovesse trovare Beatris. La sentì muoversi e
agitarsi
sopra di lei, sentì il cigolio del letto e infine i suoi
piedi che
si poggiavano a terra al suo fianco. Non ebbe tempo di chiedersi cosa
stesse combinando che sentì l'amica alzarle le coperte di
dosso e
infilarsi nel suo letto.
«Che
stai facendo?» chiese, irritata per l'invasione.
«Fammi
posto, spostati».
«Torna
nel tuo!» la riproverò, ma a furia di spingere
Beatris riuscì a
ritagliarsi un angolino nel letto di Mikasa, anche se col sedere era
costretta a sporgersi verso l'esterno. Si raggomitolò al
fianco
dell'amica, le strinse un braccio intorno al petto e si
ammorbidì
lì, al suo fianco, abbracciata a lei.
«Te
l'ho detto! Non riesco a dormire!» rispose, cercando di
trovare una
posizione più comoda.
«Ehy!»
ruggì nuovamente la voce proveniente dal letto sopra di
Christa,
irritata per il rumore.
«Ymir,
stai facendo più rumore tu di loro,
però» disse Christa.
«Chiudete
il becco» disse qualcun altro, da un letto adiacente al loro,
di
fronte a quello di Beatris. E il silenzio calò finalmente
nell'istante in cui si resero conto che stavano davvero disturbando
più di una persona, ma Beatris si ostinò a voler
restare lì,
ancorata a Mikasa. Insistere sarebbe stato inutile e avrebbe
disturbato ancora, per nessuna vera ragione alla fine.
Perciò Mikasa
sospirò, rassegnata, e si fece un pochino più
piccola contro al
muro così da permettere a Beatris di sistemarsi meglio al
suo
fianco. Si stese e tornò a chiudere gli occhi, stretta
nell'abbraccio dell'amica. Era imbarazzante, l'indomani chi si fosse
svegliato prima di lei le avrebbe viste teneramente abbracciate, non
proprio un bel modo di presentarsi, ma si sorprese di scoprire che
alla fine non le importava più di tanto. Beatris era
invadente e
caotica, a volte difficile da gestire come fosse stata una bambina da
rincorrere per impedirle di farsi del male, ma era anche qualcosa che
molto si avvicinava a una sorella. Da quando erano scappate da
Shiganshina ed erano rimaste sole, spesso la notte si erano ritrovate
a dormire insieme, per cercare l'una il conforto dell'altra. Erano
state sempre insieme, loro due Eren e Armin, poter affrontare un
nuovo percorso così spaventoso come lo era l'addestramento
militare
incoraggiate dalla loro vicinanza era piacevole. In fondo, quelli
sarebbero anche potuti essere i loro ultimi ricordi felici... cosa
sarebbe successo, una volta lasciata l'accademia e arruolati nel
corpo di ricerca? Quante altre occasioni di dormire insieme avrebbero
avuto? Si girò verso Beatris, le poggiò la
guancia contro la tempia
e ricambiò l'abbraccio, prima di riuscire finalmente a
chiudere gli
occhi.
«Cerca
di non farti sgridare ancora, domani» le disse, un attimo
prima di
addormentarsi e sentì Beatris ridacchiare divertita, prima
di
crollare definitivamente.
Il
giorno dopo il sole splendeva come mai aveva fatto prima. Era una
bella giornata e infondeva buonumore. Stare nel letto insieme a
Mikasa aveva permesso a entrambe di dormire beatamente come bambine,
si sentivano fresche e riposate nonostante la stanchezza del giorno
prima avrebbe dovuto abbatterle quasi del tutto.
Beatris
fu la prima a uscire dal casolare e godere di quel sole splendente.
Si stiracchiò, a occhi ancora socchiusi, cercando di
assorbire
quanto più il calore del sole. Davanti a lei gruppi di
ragazzi
stavano già cominciando ad avviarsi verso la sala comune per
la
colazione e li guardò passare, allegra. Erano facce che
avrebbe
dovuto cominciare a ricordare, quelli sarebbero stati i loro compagni
per i prossimi anni... beh, almeno quelli che non decidevano di
mollare prima troppo spaventati dalla fatica dell'addestramento.
Mikasa la raggiunse poco dopo, ma non si fermò al suo
fianco. Si
incamminò direttamente verso la sala comune, superandola.
Beatris
fece per seguirla ma al suo fianco arrivò anche Christa,
seguita da
Ymir, e fu proprio quest'ultima a parlarle per prima:
«Buongiorno,
principessa. Dormito bene insieme al tuo fidanzatino?»
sghignazzò,
beccandosi un'occhiataccia da parte di Christa.
«Mh?»
Beatris, ingenua, alzò un sopracciglio senza riuscire a
capire.
Scese le scale della veranda e camminò a fianco delle due,
seguendo
Mikasa pochi passi avanti.
«Non
dovreste lasciarvi andare ad atteggiamenti tanto ambigui qui dentro,
potrei fare rapporto al capitano Shadis»
sghignazzò ancora Ymir.
«Di
che parli?» insisté Beatris, non capendo.
«Ymir!
Lasciale stare» la rimproverò Christa.
«Ho
sbagliato qualcosa?» indagò Beatris, guardando
Christa.
«Eravate
così dolci stamattina, teneramente abbracciate come due
innamorati»
insisté Ymir. «Non penso che Shadis apprezzerebbe,
no di certo.
Potrebbe decidere di separarvi».
«Eh?!»
sussultò Beatris, ora spaventata. «No, per
favore!»
«Ymir»
sospirò Christa, ma questa continuò: «O
forse potrei chiudere un
occhio per questa volta».
«Lasciala
perdere» continuò Christa.
«Io
e Mikasa siamo abituate a dormire insieme, non è niente di
strano».
«Allora
è una relazione seria» sghignazzò Ymir.
«Vengono
entrambe da Shiganshina, è normale che abbiano legato
così tanto,
non prenderti gioco di loro» disse Christa, cercando di
difenderle.
«Non
è l'unica ad avere un'orribile storia alle spalle. Sai,
Christa,
forse avrei bisogno di compagnia anche io la notte...»
sospirò
platealmente e alzò gli occhi al cielo.
Arrivarono
alla sala comune ed entrarono che ancora stavano parlottando di
quanto successo quella notte, ma vennero interrotte da un mormorio
fin troppo vispo e allarmato. Curiose di capire cosa stesse
succedendo, la loro attenzione venne rivolta interamente al centro
della sala comune dove infine videro Eren e Jean, intenti a litigare.
«Già
di prima mattina?» mormorò Ymir, scocciata.
«Oh
no, pensavo avessero risolto ieri sera» disse Christa,
allarmata di
vedere i compagni ostili tra loro.
«Eren!»
sussultò invece Beatris, prima di correre verso di lui.
«Avresti
dovuto aspettarmi, avevo detto che avrei scommesso...»
iniziò a
brontolare, raggiungendoli, ma si bloccò non riuscendo a
concludere.
Jean, frustrato, aveva preso Eren per il colletto della maglia e
l'aveva strattonato indietro, facendolo arrancare un po'.
Inciampando, si era trovato Connie alle spalle, distratto in quel
momento, non pronto a scansarsi. Connie era caduto indietro, e
sarebbe finito a terra, ma Beatris aveva avuto la sfortuna di
trovarsi lì dietro proprio in quel momento. In una cascata
di
spinte, alla fine era stata Beatris stessa a rimetterci, venendo non
solo travolta ma addirittura spinta, senza avere la fortuna di Connie
di avere qualcuno alle spalle a fermarla e impedirle di cadere. Con
un urlo, perse l'equilibrio, cadde da un lato e finì dritta
distesa
su di un tavolo. L'istinto le portò ad alzare le braccia
verso
l'alto, a non attutire la caduta, e finì dritta col viso
contro il
legno.
«Ehy!»
le disse qualcuno, allarmato. Un ragazzo alto, dai capelli scuri,
seduto proprio a quel tavolo, si sporse verso di lei. «Stai
bene?»
le chiese preoccupato.
Beatris
rialzò il volto, piantando i gomiti sul tavolo.
Guardò il ragazzo
davanti a sé, apparentemente disorientata, e in un primo
momento non
reagì. Guardò prima il ragazzo moro, poi si
voltò a guardare
l'altro, proprio di fianco a lei, biondo e dalla corporatura
massiccia. Cercò rapidamente i nomi nella sua memoria, li
aveva
sentiti il giorno prima durante le presentazioni: Bertholdt e Reiner.
Dovevano essere quelli. Reiner aveva indietreggiato un po' con la
schiena, vedendo Beatris atterrare proprio al suo fianco, ma anche
lui adesso sembrava preoccupato.
Alle
sue spalle, la lite tra Eren e Jean continuò, ancora nel
vivo della
cosa.
«Ahi»
lamentò Beatris, ma vedendo il volto di entrambi i ragazzi
rivolti a
lei preoccupati cambiò improvvisamente espressione e
cercò di
sorridere.
«Ti
esce sangue dal naso» mormorò Reiner. Beatris si
mosse come
d'istinto, come se non fosse niente a cui non fosse già
abituata, e
strofinò la manica contro il naso per pulirlo.
Capì troppo tardi
l'errore, sentendo il bruciore solleticarle tutto il setto nasale
fino agli occhi. Si contorse in un'espressione di dolore improvvisa,
ma durò solo qualche frazione di secondo. Sembrò
sforzarsi, ma
tornò presto a sorridere di nuovo con un candore che
Bertholdt non
credeva di aver mai visto prima. Un candore che invece Reiner
ricordò
improvvisamente di aver già visto... avevano già
fatto le
presentazioni, anche se non personalmente, ma aveva già
avuto modo
di vedere il volto di quella nuova compagna nei due giorni prima,
appena arrivati al centro di addestramento. Ma solo ora la
riconosceva, in quel gesto che aveva già visto un paio di
anni
addietro: la caduta senza mani, il sangue pulito con la manica, lo
sfregamento, il dolore che le faceva strizzare per un attimo gli
occhi e poi il sorriso, splendente, per cercare di non far
preoccupare chi aveva davanti. Era cambiata un po' rispetto ad
allora, aveva capelli più lunghi e non sembrava
più una disperata
vestita di stracci, e in realtà fino a quel momento aveva
creduto di
averla dimenticata. Ma ora poté benissimo riconoscerla.
Quella era
la ragazza del pane che nella chiesa per l'accoglienza degli sfollati
del Wall Maria lo aveva calpestato e poi aveva cantato per la sua
sorellina. Che ci faceva lì? I loro genitori erano morti,
glielo
aveva sentito raccontare la sera prima, perché aveva deciso
di
arruolarsi invece che occuparsi della sorellina che al tempo era
malata?
«Scusate»
disse Beatris, poggiando le mani al tavolo e provando a rialzarsi.
«Sto b...» ma ancora non terminò la
frase che qualcun altro le
cadde addosso, spintonato da Eren e Jean intenti ancora a litigare.
La pancia le si schiacciò contro il bordo del tavolo,
togliendole
per un attimo il respiro. Chi era caduto su di lei si tolse
immediatamente, ma questo non le permise di riprendersi con
immediatezza.
«Ehy!
Adesso basta, cercate di calmarvi» provò a
intervenire Reiner,
stufo ma soprattutto preoccupato di cosa stessero combinando quei due
ragazzi alle loro spalle. Ormai facevano baccano da troppo tempo,
Shadis si sarebbe potuto allarmare, e quella poveraccia soprattutto
continuava a subirne le conseguenze.
«Eeeereeeeeennn!!!»
il ruggito di Beatris lo fece sobbalzare. Sembrava essere appena
stata posseduta dal demonio, probabilmente anche per lei doveva
essere stato abbastanza. Si mosse in un attimo, Beatris
afferrò il
piatto di Reiner che aveva avuto la sfortuna di essere la prima cosa
che aveva davanti, lo strinse saldamente e voltandosi di colpo lo
sbatté dritto sul volto di Eren. Fortunatamente non si
ruppe, ma
l'intera colazione di Reiner volò in giro per la stanza e
soprattutto Eren accusò in pieno il colpo. Lo
tramortì, gli fece
perdere l'equilibrio ed Eren cadde seduto a terra.
«Bea-stupida!
Sei impazzita?!» gli urlò contro, massaggiandosi
la guancia rossa e
dolorante.
«La
devi smettere di litigare con tutti quelli che hai intorno»
urlò
Beatris e alzò il piatto di Reiner -ormai vuoto- pronto a
lanciarglielo addosso. Eren d'istinto si portò un braccio
davanti al
volto, pronto a difendersi maldestramente da quell'ennesimo attacco,
e Christa scattò in avanti, pronta a bloccare il braccio
della
ragazza. Ma nessun colpo venne lanciato, in quanto la porta della
sala comune si spalancò in quel momento con un
tonfo.
Shadis
comparve sul ciglio e li squadrò tutti, uno a uno.
Ovviamente il suo
sguardo si soffermò sui più evidenti, Beatris col
piatto in mano,
pronta al lancio, e Eren seduto a terra con un braccio alzato per
difendersi.
«Che
sta accadendo qua?» ringhiò basso.
Beatris
ebbe palesemente un brivido, tremò per un istante,
terrorizzata.
Ancora una volta sarebbe finita in punizione, e questa volta non era
nemmeno stata troppo colpa sua. Era solo finita al centro del
ciclone, per colpa di quell'idiota che non riusciva mai a tenere la
bocca chiusa ma doveva fare l'eroe. Esitò, cercando una via
di fuga,
ma non riuscì a trovarne e restò completamente
immobile, in
silenzio, quasi avesse sperato che se non si fosse mossa allora
Shadis non sarebbe stato in grado di vederla.
«È
stata colpa mia» disse improvvisamente Reiner, alzandosi in
piedi.
«Ho dormito male stanotte, ho un gran mal di testa. Facevano
troppo
chiasso e ho lanciato il piatto verso Eren, Beatris è
riuscita a
prenderlo al volo. Chiedo scusa, sono stato impulsivo».
Era
una palese bugia, ma talmente ben studiata che persino Shadis si
chiese se non fosse il caso di far finta di crederci.
«Certi
comportamenti non sono tollerabili qui dentro»
l'ammonì Shadis e
Reiner annuì: «Lo so, Signore. Chiedo perdono. Non
succederà più».
«Vieni
con me, Braun. Dovrai imparare a trattenere i tuoi istinti!»
Non
l'avrebbe passata liscia, era ovvio che Shadis non avrebbe potuto
chiudere un occhio sulla faccenda. Ma probabilmente, consapevole
della bugia detta per proteggere la compagna, non sarebbe stato alla
fine troppo severo, apprezzando il gesto di solidarietà. In
un
esercito come il loro era necessario che si instaurassero rapporti di
fiducia e sostegno, era un comportamento apprezzabile.
Reiner
si incamminò senza esitare, seguendo il comandante, e
Beatris
schiuse le labbra, pronta a parlare e cercare di scagionarlo dicendo
la verità. Ma Reiner le mise una mano sulla spalla e la
tirò
lievemente indietro, un gesto simbolico, che la portò a
mettersi
alle sue spalle come se avesse voluto proteggerla. Le sorrise,
confortante, e cercò con quel semplice gesto di
rassicurarla. Si
allontanò, seguendo Shadis, pronto a prendersi la punizione
che
invece sarebbe dovuta andare a Beatris. E lei, sorpresa e
paralizzata, non riuscì ad opporsi alla cosa come avrebbe
voluto.
E
pensare che gli aveva persino lanciato via la colazione.
Era
ormai mattina inoltrata, quasi ora di pranzo, e non mancava molto
alla fine dell'addestramento mattiniero. I capitani avevano passato
la prima ora a spiegare per filo e per segno il funzionamento del
movimento tridimensionale, cosa che avrebbero approfondito poi nel
pomeriggio con qualche lezione in aula, ma intanto avevano introdotto
subito alla pratica i cadetti. Avevano concesso loro del
riscaldamento e infine erano partite le prime prove, quelle
preliminari. Non avrebbero dovuto fare altro che provare a restare in
equilibrio in aria, senza muoversi, solo per cominciare ad
esercitarsi per cercare il baricentro. Non avevano avuto molto tempo
per provare, quella prima lezione sarebbe stata solo di introduzione
e di prova, avrebbero sicuramente imparato col tempo a destreggiarsi
sempre meglio. Non era stato altro che spiegazioni su spiegazioni,
avevano poi insegnato loro ad allacciarsi al congegno e solo
nell'ultima ora avevano provato a sollevarsi un po', piano piano. Era
una gran fatica, erano in molti a ritrovarsi a terra o tremare
impacciati in equilibrio precario. E Beatris era ovviamente tra
quelli tremanti e impacciati, come avevano potuto aspettarsi i suoi
amici. Se c'era qualcosa su cui Beatris peccava molto era proprio
l'equilibrio, erano innumerevoli le volte che finiva a terra e la
maggior parte delle volte sempre quando stringeva qualcosa in mano.
Per questo aveva iniziato ad avere l'abitudine di atterrare di
faccia, alzando le braccia a cielo, sempre più interessata a
proteggere il proprio bottino che la propria salute.
La
videro arrancare in continuazione, scuotere le gambe per aria in un
inutile e impacciato tentativo di trovare l’equilibrio, e
infine
cadere sempre verso terra. Era decisamente negata, ma per qualche
motivo quella mattina lo sembrava ancora più del solito. Era
assorta
nei propri pensieri, non riusciva a concentrarsi, e alla prima
occasione tornava ad agitarsi, provava ad afferrare i cavi con le
mani e cadeva a terra. Era un vero massacro.
Dopo
l'ennesima caduta, provò a rimettersi in piedi poggiando le
mani a
terra. Era distrutta, aveva lividi e abrasioni ovunque e le mani
stesse le facevano male piene di graffi e sassolini. Si
ripulì come
poté e prima di alzarsi da terra puntò lo sguardo
di fronte a sé.
Una ventina di metri davanti a lei passò in quel momento
Reiner.
Aveva sulla schiena un bel carico di legna, ad aumentare il peso
trasportabile, e non faceva che eseguire esercizi fisici estenuanti.
Scatti, squat, jumping jack, flessioni, e di nuovo a ripetere.
Lievemente corrucciato ormai per la stanchezza, aveva i capelli
appiccicati al volto per il sudore di cui era madido. Era anche
peggio della semplice corsa che aveva dovuto fare lei il giorno
prima, forse calibrato alla sua resistenza e prestanza fisica
decisamente superiore alla sua, o forse perché gli era
toccata una
punizione più grande vista la gravità della
situazione. Beatris
sospirò e abbassò lo sguardo. I sensi di colpa la
stavano
letteralmente uccidendo, avrebbe dovuto esserci lei al suo posto. Non
era riuscita a sorridere nemmeno una volta quella mattina, e non solo
per la paura di Shadis. Si rialzò e tornò a
provare, inutilmente,
il proprio esercizio fino a quando non fu ora di pranzo.
Entrò
di corsa nella sala comune, per la prima volta senza aspettare
Mikasa, e si guardò attorno. Andò a prendere la
sua porzione al
banco e cercando un posto dove sedersi continuò a guardarsi
attorno,
sconsolata. Riuscì a intercettare Bertholdt solo dopo un
po', ma era
solo. Gli si avvicinò. «E Reiner?»
chiese, non riuscendo a vederlo
da nessuna parte.
«Salterà
il pranzo» spiegò Bertholdt. Connie si sedette in
quel momento
davanti a lui, affiancato da Sasha, e fu il primo a spiegare:
«Dovrà
recuperare ora ciò che non ha fatto stamattina, per restare
in pari
con noi».
«Non
gli permetteranno di mangiare?» chiese Beatris,
allarmata.
«Hai
fatto un bel guaio stamattina!» la rimproverò
Connie.
«Saltare
addirittura il pranzo... sono pazzi!» ruggì Sasha,
in preda al
panico. Per lei era inconcepibile, sarebbe morta la sera prima se
Christa non fosse andata da lei a portarle del pane di
nascosto.
«Non
preoccuparti» disse Bertholdt. «Reiner è
resistente, non sarà un
problema per lui».
«Avrei
voluto scusarmi» sospirò, affranta.
«È
il minimo che tu possa fare» disse Connie, sempre in tono di
rimprovero.
«Non
credo a Reiner interessi, non devi davvero preoccuparti»
cercò di
rincuorarla Bertholdt. «Anzi, probabilmente avrà
visto questa come
un'occasione per allenarsi, scommetto che lo sta addirittura
apprezzando».
«Sì,
ma ha saltato un pasto! Stasera dovrebbe prendersi due porzioni
invece che una, cercare di recuperare!» disse Sasha,
preoccupata più
per il cibo che per la stanchezza che il ragazzo stava sicuramente
accusando. «Sempre se sopravviverà alla
fame» impallidì.
«Sono
certo che lo farà» disse Bertholdt e per poco non
sghignazzò,
divertito dall'ossessione del cibo della ragazza patata.
«Non
ha neanche fatto colazione stamattina...» mormorò
Beatris,
ripensando al suo folle gesto di togliergli il piatto da sotto al
naso e lanciarlo contro Eren. Era stata impulsiva, mossa dal
desiderio di far pagare l'affronto all'amico, non aveva minimamente
pensato a tutte le conseguenze.
«È
digiuno da ieri!» quasi urlò Sasha, sentendosi al
limite dello
svenimento.
«È
una bella sfida, ma può farcela»
continuò Bertholdt, positivo.
Beatris
sospirò ancora. «Avrei dovuto dire la
verità stamattina, ma Shadis
mi ha paralizzato. Mi terrorizza».
«Evita
di combinare pasticci la prossima volta, allora» le disse
Mikasa,
passandole a fianco.
«È
stata colpa di Eren!» ringhiò Beatris,
improvvisamente rinvigorita.
«Hai visto cosa ha fatto?! Stava di nuovo litigando! E poi mi
ha
spinta! i» iniziò a raccontare come fosse stata
una bambina che
cercava di scaricare le colpe sul fratellino, quasi sperando che
Mikasa avesse deciso poi di punirlo. E parlando, infervorata,
seguì
Mikasa fino al tavolo dove ad aspettarle c'erano Eren, Armin, Christa
e Ymir. Non smise di inveire contro Eren nemmeno durante il pranzo,
infervorata dalle risposte dell'amico che invece provava a difendersi
dando la colpa a Jean e alla sua stupidità. Uno sproloquio
di colpe,
di rimproveri, e di bisticci al limite dell'infantile, che li
portarono al termine dell'ora del pranzo prima di quando avessero
potuto rendersene conto.
Furono
chiamati in aula, dove vennero loro spiegate le prime basi teoriche
sull'uccisione dei giganti, sulla loro biologia e sulle uscite in
esterno. Passarono l'intero pomeriggio a prendere appunti, leggere e
studiare, fino a quando infine non venne sera. Beatris era riuscita a
vedere Reiner seduto dall'altro lato dell'aula, ma ovviamente
avvicinarsi a lui era stato impossibile per tutto il giorno, troppo
impegnati. Ebbe occasione di avvicinarlo all'uscita dall'aula, ma
venne bloccata da un timore, dei pensieri. Davvero probabilmente a
Reiner le scuse non importavano, come aveva detto Bertholdt? Lui
aveva detto che non doveva preoccuparsi, che era tutto a posto, ma
desiderava davvero poter fare qualcosa per togliersi il senso di
colpa di dosso. Ed ebbe un'idea.
Era
ormai sera inoltrata, la sala comune di nuovo cominciava a brulicare
di cadetti affamati, pronti per la cena. Non era ancora troppo piena,
molti stavano ancora arrivando, quando Reiner riuscì a
prendersi
finalmente il suo primo pasto della giornata. Era un Guerriero di
Marley, temprato e resistente, e non era nemmeno la prima volta che
si ritrovava a digiunare anche per giorni. Era stato difficile
seguire l'addestramento a stomaco vuoto, ma niente a cui non fosse
preparato. Arrivare a sera era stato difficile, ma non impossibile.
Ciò non toglieva che adesso aveva davvero una gran voglia di
azzannare del pane come fosse stata l'ultima cosa che avrebbe
mangiato in vita sua, per questo era arrivato tra i primi e
già si
era accomodato per cominciare, con o senza compagnia.
Azzannò il
pane, ne tirò un bel morso e lo masticò
voracemente, quando sentì
dei passi felpati avvicinarsi a lui. Beatris gli si sedette accanto
sulla panca senza che lui ebbe tempo nemmeno di notarla,
benché meno
di darle il permesso di mettersi al suo fianco. Non lo
salutò
nemmeno, la ragazza si guardò attorno circospetta, per poi
accostarsi di più a lui e far uscire qualcosa da sotto la
maglietta.
Tenne il tovagliolo tra loro e il tavolo, il più nascosto
possibile,
e sotto lo sguardo sorpreso -forse anche un po' spaventato- di Reiner
lo aprì mostrandogli il contenuto: un bel pezzo di carne
fresca,
ancora fumante, appena cotta.
Reiner
sussultò nel vederla e d'istinto mise le mani sul
tavogliolo,
ricoprendo la carne e nascondendola. Si guardò attorno anche
lui,
circospetto, terrorizzato all'idea che qualcuno avesse potuto
vederli. Per fortuna la sala non era ancora così piena e
loro erano
abbastanza soli e in disparte, al sicuro per il momento.
«Che
stai combinando? Dove l'hai presa?» le chiese, constata la
loro
sicurezza.
«Dalle
cucine dei superiori. La ragazza patata mi ha aiutato a rubarla,
anche se lei si è tenuta il pezzo più
grande» spiegò Beatris.
«Sei
impazzita?! Hai rubato dalle cucine dei capitani?!»
«Volevo
trovare il modo di scusarmi per stamattina» spiegò
Beatris,
assumendo un'espressione costernata.
«Facendomi
finire di nuovo nei guai?!» la fulminò Reiner,
più agitato che
compiaciuto dal regalo. Beatris sobbalzò, come se si fosse
resa
conto solo in quel momento del tremendo errore commesso, e si strinse
il tovagliolo al ventre. Si guardò di nuovo attorno,
più agitata
che mai, e infine spinse il bottino a Reiner. «Mangialo!
Svelto,
prima che qualcuno ti veda!»
«È
bollente, come pretendi che ci riesca?!»
«Ci
soffio un po' sopra» disse Beatris, aprendo il tovagliolo e
cominciando a soffiare sulla carne fumante. Ma questa la espose di
nuovo all'aria aperta, rischiando di farli scoprire nuovamente.
«Ferma!» Reiner afferrò in un colpo
carne, tovagliolo e mani di
Beatris, strinse il tutto e richiuse il bottino. «Fa un odore
incredibile! Lo sentiranno tutti!»
«Tienilo
da parte, la mangi non appena si raffredda» e
spalancò poco dopo
gli occhi, colta da un’idea: «La tengo nascosta per
te fino a
stasera, te la porto più tardi al dormitorio».
«Credi
sia meno sospetto vederti venire nel dormitorio maschile, di
questo?!» la rimproverò Reiner. Beatris prese a
spingere nuovamente
la carne verso di lui, opponendosi alla presa delle sue mani.
«E
allora mangiala adesso, sbrigati!»
«Non
voglio mangiarla! Mi farai finire nei pasticci di nuovo!»
«Non
ti ho chiesto io di difendermi, stamattina, smetti di
rinfacciarmelo!»
«Non
voglio rinfacciartelo, sto solo cercando di farti ragionare».
«E
io sto solo cercando di essere carina con te, ti dispiacerebbe
accettare e basta?! Hai idea del rischio che ho corso?» lo
disse
innocentemente, ma per qualche motivo riuscì a zittire
Reiner. Una
ragazza stava cercando di essere carina con lui e aveva fatto una
follia solo per compiacerlo: era qualcosa di assolutamente nuovo e
inaspettato. Soprattutto in un posto come quello, soprattutto da chi
per anni era stato abituato a chiamare "demone". Beh, forse
un po' lo era davvero, visto che non faceva che portare guai, ma non
era niente di tremendo... e soprattutto era stato qualcosa di
assolutamente apprezzato. La pancia gli brontolava ancora di
più,
sentendo l'odore delizioso del pezzo di carne nascosto nel
tovagliolo, e lei aveva rischiato di finire in guai veramente grossi
solo per lui. Non conosceva Beatris, non era abituato ai suoi modi di
fare quasi sempre dolci e premurosi, qualcun altro -magari Armin- non
si sarebbe sorpreso tanto ma sarebbe riuscito a razionalizzare di
più
l'accaduto. Capire che lei l'avrebbe forse fatto per chiunque e certo
non vedeva Reiner in qualche modo speciale, ma continuava a restare
il fatto che sapere che qualcuno aveva fatto qualcosa di tanto
spericolato e generoso solo per lui era... in qualche modo piacevole.
Decisamente molto piacevole.
Esitò
e arrossì addirittura, ma fu lieve, tanto che Beatris
neanche se ne
accorse. Rimase a fissarla per qualche istante negli occhi, riuscendo
addirittura a scorgere nel suo azzurro le venature verdi che non
aveva notato prima. Era un bel colore, magnetico, e riuscì
di nuovo
a trasportarlo indietro di un paio d'anni, quando l'aveva vista
correre sorridente tra i moribondi e i disperati, sprigionando
solarità come un angelo sceso in terra. Gli tornò
in mente persino
la canzone che lei aveva cantato alla sorella, per farla
addormentare, e di come fosse riuscita a distendere persino i suoi di
muscoli, nonostante la tremenda situazione in cui si trovava. Era
riuscita a calmarlo allora, inconsapevole della sua esistenza, ed era
riuscita a distenderlo di nuovo con pochissimo, a distanza di
anni.
«Gr...»
mormorò, pronto a ringraziarla, ma la voce di Connie li
sorprese
alle spalle.
«Che
combinate voi due?! Siete sospetti, lo sapete?»
Entrambi
sobbalzarono in preda al terrore e Beatris fu la più veloce
dei due
nel reagire. Approfittando delle loro spalle che nascondeva a Connie
il bottino che lei aveva rubato poco prima, spinse il tovagliolo
addosso a Reiner, gli sollevò la maglietta e ce lo
infilò sotto,
prima che lui avesse potuto reagire e impedirglielo. La
rigidità di
spalle di Reiner si fece ancora più intensa, così
come il rossore
sul suo volto, ma questa volta l'imbarazzo e l'emozione c'entravano
ben poco.
«Brucia»
sussurrò, sentendosi il ventre andare in fiamme al contatto
con la
carne ancora bollente. Ma restò immobile, impassibile, a
sopportare
per il bene della loro copertura.
«Stavo
raccontando a Reiner un segreto» disse Beatris, voltandosi
verso
Connie. Gli fece un gesto con la mano, per scacciarlo via.
«Vai via,
non posso certo dirlo a tutti quanti! Fatti gli affari tuoi».
«Come
sarebbe a dire?! È qualcosa di losco?» la
fulminò, accusatorio, e
Beatris iniziò visibilmente ad agitarsi. «No,
assolutamente!»
«Che
hai combinato adesso, eh?» sghignazzò Connie. La
conosceva da
veramente troppo poco, eppure sembrava aver capito perfettamente che
tipo di persona avesse davanti. O forse Mikasa gli aveva raccontato
qualcosa, il che era probabile. «O forse vuoi solo restare
sola con
lui?» insisté Connie, sogghignando con
un'espressione diabolica.
«Ma
che dici?!» arrossì Beatris, e forse quella fu la
prima volta in
tutta la sua vita. «Gli stavo dicendo un segreto! Vattene,
non sei
il benvenuto! È un'informazione riservata».
«Che
segreto? Dai, voglio saperlo anche io» insisté
Connie,
avvicinandosi ai due quatto quatto.
«Non
posso dirtelo» si agitò ancora di più
Beatris ed era ovvio che non
sapesse che pesci prendere. Per cercare di salvare la situazione, non
aveva fatto in realtà che peggiorarla, e ora non sapeva come
uscirne. Era decisamente terribile a inventare scuse, le si leggeva
in faccia che stava dicendo una bugia. Era incredibile, qualsiasi
cosa facesse sembrava attirare su di sé i guai come fosse
ricoperta
di miele e buttata dentro un recinto d'animali. Fu naturale per
Reiner chiedersi come avesse fatto a sopravvivere fino a quel
momento, ma non fu difficile provare a indovinare che se era ancora
tutta intera poteva solo essere grazie alla vicinanza di Mikasa.
Aveva parlato con Eren e Armin, la sera prima, si erano raccontati un
po' di cose e loro non avevano fatto altro che ribadire quanto Mikasa
fosse forte e riuscisse così a tirare sempre tutti fuori dai
guai,
proteggendoli. Era la loro guardia del corpo... e vedendo come
Beatris affrontava la vita sembrava essere il tipo di persona che
aveva decisamente bisogno di qualcuno che la salvasse.
«Sasha
ha rubato della carne dalla cucina dei capitani» disse lui, a
voce
sostenuta, così da farsi sentire solo da Connie e Beatris.
«Cosa?!»
urlò il ragazzo, sconvolto.
«Non
dirlo troppo in giro, o la farai finire nei guai» disse
Reiner e
Connie iniziò a guardarsi compulsivamente intorno.
«Quella
ragazza...» disse, cercandola. «Come può
fare una cosa simile e
non condividere con i suoi compagni!»
E
brontolando, infine, si allontanò.
Beatris
tirò un sospiro di sollievo, non appena si sentì
al sicuro. «Meno
male, sei riuscito a mandarlo via».
«Sei
terribile a inventare scuse» le fece notare Reiner.
«Già»
ridacchiò, solare, e si diede un colpetto impacciato sulla
testa.
«Meno male ci hai pensato tu. Mi hai salvato di nuovo,
Reiner».
«Hai
avuto bisogno dell'aiuto di Sasha per rubare questa carne, del mio
aiuto per uscire dai guai e mi è stato detto che
innumerevoli volte
Mikasa ti ha salvato da delle brutte situazioni. Dovresti imparare a
badare un po' più a te stessa».
Disse
distrattamente, riprendendo a mangiare i legumi all'interno del
proprio piatto. Aveva ancora la carne sotto la maglietta, ma
probabilmente non l'avrebbe tirata più fuori
finché fosse stato a
rischio. E non sembrava nemmeno essere più intenzionato a
restituirla... non l'aveva detto apertamente, ma alla fine si era
rassegnato all'idea di accettare quel dono, per quanto pericoloso. Si
accorse della risposta che non arrivò solo quando il
silenzio
cominciò a essere forse fin troppo imbarazzante. Si
voltò a
guardarla, chiedendosi cosa stesse combinando, e si sorprese di
trovarla ancora sorridente. Assorta nei suoi pensieri, ma sorridente,
dello stesso sorriso aveva mandato Shadis in bestia. E ora riusciva a
capire il perché: non sembrava reale. Era così
dolce, candido, così
perfetto da essere sicuro fosse stato costruito ad hoc. Sorrideva per
nascondere qualcosa.
«Hai
ragione» disse, infine. «Spero che questo posto
possa aiutarmi a
imparare. Sai, tra tutti i miei amici sono quella che forse qui
dentro ci sta più stretta. Eren ha una volontà di
ferro, Armin
sogni indistruttibili, Mikasa... beh, Mikasa è
Mikasa» ridacchiò.
«Io avrei fatto meglio ad andare nei campi».
«Perché
sei venuta qui?» chiese, stranamente curioso. Beatris
alzò le
spalle. «Perché no? Cosa avrei avuto da
perdere?»
«Il
mestiere del soldato non è qualcosa da prendere alla
leggera» quasi
la rimproverò, ma non fu duro con lei.
«Lo
so» e sembrava sincera, anche se tornò a sorridere
di quel
confortante sorriso. Ora che lo vedeva meglio, poté scorgere
forse
le intenzioni che aveva, o una delle sfumature. Era finto, riusciva a
riconoscerlo, ma era profondamente scaldante lo stesso. Si
ricordò
improvvisamente del sorriso che lei aveva rivolto alla sorella,
dentro la cattedrale di due anni prima... era esattamente uguale. Era
lo stesso identico sorriso che aveva dato alla bambina, mentre le
diceva falsamente che tutto sarebbe andato bene. Avevano visto morire
i loro genitori, Beatris si era fatta carico della sorellina che
oltretutto non stava molto bene allora, ma non era sembrata
appartenente a quel luogo di disperazione. In mezzo ai pianti e al
dolore, lei aveva sorriso così intensamente che era riuscita
a far
addormentare con dolcezza la sua sorellina. Quel sorriso era come un
abbraccio che dava a chi aveva a fianco, forte abbastanza da
nascondere il proprio dolore e quello degli altri.
«Ma
tanto questo mondo farebbe schifo in qualunque modo, e allora tanto
vale provare a fare qualcosa per cambiarlo, no? Evitare di vivere
passivamente...» si strinse nelle spalle con timidezza,
diventando
come una piccola bambolina. Poi si distese e cambiò di nuovo
espressione, tornando a essere più spensierata e serena.
«E tu
perché sei qui?»
«Io...»
mormorò Reiner, tornando a guardare il proprio pasto.
«Voglio
salvare l'umanità».
«Davvero?!»
Beatris si appoggiò al tavolo e si sporse più
verso di lui, curiosa
di guardarlo in volto. «Incredibile!» disse con
sincera
ammirazione.
«Lo
trovi così incredibile? Sono in molti qui dentro a dire una
cosa
simile» ridacchiò Reiner, continuando a mangiare.
«Sì,
ma è la prima volta che qualcuno lo pensa davvero».
«Come
fai a dire che io lo pensi davvero?»
Ancor
Beatris alzò le spalle: «Te lo leggo negli occhi.
Hai qualcosa che
ti brucia dentro, al contrario di molti che sono qui».
«Non
credo di essere così diverso da loro».
«Sì,
invece... la maggior parte qui dentro lo dice solo perché
è ciò
che ci viene insegnato fin da piccoli, che i soldati hanno il compito
di salvare l'umanità. È ciò che ci
dicono per spingerci ad
arruolarci, ma nessuno lo crede davvero. Tutti, nel loro piccolo,
sono mossi solo dall'egoismo di provare a diventare qualcuno ed
essere rispettati... o magari sono pazzi psicopatici che credono di
poter uccidere tutti i giganti a mani nude»
ridacchiò, prima di
chiedere: «Hai conosciuto, Eren, no?»
«Ha
una bella determinazione, non dovresti denigrarlo».
«Non
lo sto denigrando! Ma è pazzo lo stesso... noi abbiamo visto
con i
nostri occhi ciò che fanno i titani, eppure questo l'ha reso
più
determinato di prima. Io, sinceramente, ne sono abbastanza
terrorizzata».
«Hai
paura dei titani?»
«Mi
fanno venire gli incubi» e rabbrividì,
platealmente.
«Mi
chiedo ancora perché tu sia qui...» e, senza
volerlo, gli scappò
un sorriso. Era tutto una contraddizione, ma non riusciva a leggere
in lei nessun tipo di malizia. Sembrava solo una profonda
ingenuità,
di quelle genuine, di quelle piacevoli.
«Me
lo chiedo anche io, forse sono pazza pure io,
chissà» alzò le
spalle e scoppiò a ridere, divertita.
«Per
che cosa state ridendo?» chiese Bertholdt, raggiungendo i due
in
quel momento. Si sedette di fronte a Reiner, e iniziò a
mangiare la
propria porzione in loro compagnia.
«Stavamo
prendendo in giro Eren» spiegò Beatris, allegra
come una bambina.
«E
perchè?» chiese Bertholdt, sorpreso.
«Per
le craniate che ha tirato in terra stamattina! L'hai visto?!»
«Ho
visto anche le tue di craniate, se è per questo»
sogghignò
Bertholdt, divertito nel sentirla ridere degli stessi drammi che
anche lei aveva vissuto.
«Oh,
dai!» sbuffò lei. «Reiner non c'era, non
le ha viste, non farmi
passare per un idiota».
«Le
ho viste» disse Reiner, mangiandosi l'ultimo boccone di
pane.
«Cosa?!
Come hai fatto? Stavi facendo il percorso di Shadis».
«Posso
allenarmi e guardarmi intorno contemporaneamente, sai?»
«Oh,
no, che figuraccia...» mormorò lei, inclinando la
testa verso il
basso.
«Te
ne preoccupi solo ora? Di quello che hanno pensato anche il resto dei
cadetti, fino a poco fa non sembrava interessarti» disse
Bertholdt.
«Bertholdt
invece sembrava a suo agio» sospirò Beatris,
cambiando il soggetto
delle loro attenzioni.
«Non
è stato facile nemmeno per me».
«Però
non sei caduto nemmeno una volta».
«E
tu, Reiner? Sei riuscito a restare in equilibrio?» chiese
Bertholdt
e Reiner semplicemente annuì.
«Anche
tu?!» chiese Beatris sorpresa, prima di sospirare e
abbattersi.
«Sembra che io sia l'unica incompetente qui dentro, insieme a
scemo-Eren».
«Non
devi abbatterti subito, era solo la prima lezione, hai tempo per
esercitarti» provò a rincuorarla Reiner.
«L'importante è andare
sempre avanti, se ti fermi subito non arriverai mai da nessuna parte.
Cerca di imparare da Eren a essere determinata come lui».
«D'accordo!
Ci proverò» e ancora sembrò
assurdamente sincera. Era davvero
bastato così poco a tirarle su il morale? Non si era
impegnato
nemmeno troppo, erano bastate poche parole. Quanto poteva essere
così
genuina?
«Hai
visto, Beatris? La giornata di digiuno non ha intaccato minimamente
Reiner» le fece notare Bertholdt, prima di voltarsi verso il
compagno e spiegare: «Era preoccupata per te, oggi».
Reiner
non rispose, ma ancora sentì quella piacevole e bizzarra
sensazione
di calore nascergli dal petto e invaderlo completamente.
«Il
nostro Reiner è una vera roccia, è difficile
riuscire a buttarlo
giù» disse Bertholdt.
«Incredibile»
disse ancora lei, tornando a guardare il ragazzo con una vivace
ammirazione. Sobbalzò appena, ricordandosi di qualcosa, poi
si
sporse verso Reiner e portandosi una mano intorno alla bocca per non
farsi leggere il labiale da Bertholdt gli sussurrò vicino a
un
orecchio: «Ora sarà fredda. Se vuoi distraggo
Bertholdt così puoi
tirare un morso a quella carne».
Reiner
sgranò gli occhi, preoccupato su quale altro pasticcio
avrebbe
improvvisato, e si voltò a guardarla pronto ad ammonirla. Ma
lei non
aspettò alcuna risposta.
«Bertholdt!»
disse a gran voce, prima di salire sul tavolo. Gattonò in
mezzo ai
due ragazzi, in modo da nascondere Reiner dietro la sua schiena, e si
sedette lì, sul tavolo, a gambe incrociate.
«Che
fai?!» le chiese Bertholdt allarmato.
«Ascoltami!
Tu hai mai sentito parlare della megera del nord?»
«Di
chi?» storse il naso Bertholdt. «Scendi dal tavolo,
prima che ti
vedano!»
«La
megera del nord! Te la racconto io, è una bella
storia!» si portò
una mano dietro la schiena e mostrò a Reiner il pollice
alzato, a
dargli l'ok. Puntò lo sguardo in quello di Bertholdt e
iniziò a
raccontare: «Dunque, c'era una volta...» ci
pensò pochi istanti,
poi disse decisa: «Una donna dai lunghi capelli corvini e lo
sguardo
freddo come il ghiaccio».
«Stai
parlando di Mikasa?» chiese Bertholdt, increspando
le
sopracciglia. Beatris sobbalzò e arrossì
lievemente, imbarazzata
per essere stata scoperta. Ma doveva prendere tempo, perciò
insisté:
«No! Ascolta! C'era questa donna dalla bellezza sopraffina a
la
forza di un titano che un giorno arrivò a casa di un uomo
scemo e
incoscente. La strega del nord era abituata a fare maledizioni, ma
quella volta fu lei ad essere maledetta! Rimase completamente
stregata dal fascino dell'uomo scemo, per chissà quale
ragione, e da
allora iniziò a seguirlo come un'ombra».
«Non
so perché tu mi voglia raccontare questa storia, ma dovresti
davvero
scendere dal tavolo» provò a insistere Bertholdt,
preoccupato che
Shadis avesse potuto scoprirla e tentare di punirla ancora.
«Aspetta!
Ascoltami attentamente...»
Bertholdt,
sempre più confuso, si sporse oltre Beatris per cercare lo
sguardo
di Reiner, ma lei fu rapida nel mettersi di nuovo in mezzo,
sporgendosi dallo stesso lato. «Lo sai che in
realtà le strega del
sud era una ragazzina?» insisté.
«Non
era la megera del nord?»
«Si
spostava!» provò a rispondere lei, arrossendo di
nuovo per la
gaffe. Sentì del movimento alle sue spalle e Reiner si
sollevò
dalla panca. Mise una mano sulla testa di Beatris, spingendola
più
verso il tavolo così da riuscire ad aprirsi una breccia
verso
Bertholdt, e si sporse in avanti. Allungò l'altro braccio
verso di
lui e gli posò davanti un tovagliolo che avvolgeva qualcosa.
«Sei
davvero terribile a inventare scuse» le disse, prima di
aggiungere:
«Tieni, Bertholdt. È un regalo da parte sua, non
farlo vedere a
nessuno».
«Ma
era un regalo per te!» sobbalzò Beatris, cercando
di guardare
Reiner da oltre la propria spalla. Bertholdt aprì il
tovagliolo e
trovò un pezzo di carne ormai tiepido ad aspettarlo.
Sobbalzò,
richiuse il tutto e se lo nascose al petto. «Dove l'hai
presa?»
sussurrò preoccupato.
«Dove
non doveva prenderla» rispose Reiner, per lei. «Ma
ormai metà è
già dentro al mio stomaco, tanto vale farla sparire del
tutto».
«Ti
è piaciuta?» chiese Beatris, illuminandosi nello
scoprire che
Reiner aveva veramente approfittato del suo diversivo per gustarsi il
suo regalo, almeno in parte.
«Cielo,
non mangiavo carne da una vita» sospirò Reiner,
tornando a sedersi
al suo posto. Non era stata una vera risposta, ma era bastata a far
capire a Beatris che aveva decisamente apprezzato. Questo la
riempì
ancora più di felicità, per quanto fosse potuto
essere possibile.
«Allora, mi perdoni per questa mattina?»
«Non
avevi niente da farti perdonare, è stata una mia scelta
quella di
proteggerti. Ti eri beccata una punizione già il giorno
prima, non
sarebbe stato conveniente per te prendertene un'altra».
«Sei
davvero molto gentile, Reiner» gli sorrise ancora, ma questa
volta
non sembrò uno di quei sorrisi finti utili solo a rincuorare
chi
aveva accanto. Si era raddolcita, gli occhi le splendevano, era
veramente grata e sincera. E fu proprio questo a scuotere ancora
l'animo di Reiner... lui davvero poteva sembrare una persona gentile?
Proprio lui?
«Beh,
immagino che non ci sia altra scelta adesso se non farla
sparire»
commentò Bertholdt, nascondendo il fagottino sotto la
propria
maglietta.
«Ti
conviene mangiarla ora, o dopo sarà troppo fredda»
gli suggerì
Beatris.
«Ora
c'è troppa gente intorno, non voglio cacciarmi nei guai come
voi
due».
«Ti
copro io!» disse ancora Beatris e Bertholdt
sussultò: «No! Non
importa! Grazie».
«Anche
tu pensi che non sia capace di inventare buone scuse?» si
rattristì,
ma Bertholdt non le rispose, semplicemente ridacchiò
imbarazzato.
«Il
tuo pezzo sei già riuscita a mangiarlo?» chiese
Reiner, curioso.
«Ah,
no, io non l'ho mangiata» rispose lei.
«Hai
reso me l'unico peccatore?!» sussultò Reiner.
«Possiamo
dividerla, te ne do un pezzo di questo» propose Bertholdt ma
Beatris
lo fermò e gli rivolse uno dei suoi finti sorrisi di
conforto. «No,
io non la voglio. Tenetela per voi».
Non
fa niente, non ho fame.
La
stessa identica scusa che aveva rivolto a Mikasa, quando aveva
rifiutato il pane per lasciarne il più possibile ai suoi
amici.
Allora, non aveva dato tempo a Mikasa di aggiungere altro, di
rispondere, ed era fuggita via. Si aspettò che lo facesse di
nuovo,
non sapeva perché, eppure andò proprio
così.
«Ora
che ci penso non ho ancora cenato! Vado a vedere se è
rimasto
qualcosa nelle cucine» e saltò giù dal
tavolo, rapida, prima di
scappare via e non dar tempo a loro di aggiungere altro. Non era
capace di inventare scuse, ma sapeva fuggire via prima che qualcuno
la spingesse a provare a farlo. Era comunque una buona tattica, anche
se lasciava un po' con l'amaro in bocca. Non dava neanche modo di
provare a parlarci.
Reiner
incrociò le braccia al petto e tornò nuovamente
serio e pensieroso.
Bertholdt, di fronte a lui, guardò per un po' Beatris che si
allontanava prima di rivolgere uno sguardo preoccupato all'amico di
fronte a lui. «Sei sicuro di quello che stai
facendo?» gli chiese,
restando sul vago, dato il luogo in cui si trovavano.
Quella
Beatris si era aperta un varco tra loro, aveva provato a
familiarizzare e Reiner sembrava disposto ad accoglierla a braccia
aperte. L'aveva assecondata molto, fin da quella mattina, non era
certo che fosse la scelta migliore visto il fardello che si portavano
sulle spalle.
«Fare
qualche amicizia ci aiuterà a familiarizzare con questo
posto. Ci
renderà il soggiorno più facile».
Bertholdt
sospirò ancora, poi annuì. Sapeva cosa stava
cercando di dirgli
Reiner: dovevano confondersi con i demoni di Paradis, fingere di
essere come loro, fingere di essere due di loro, così da
riuscire ad
arrivare alle informazioni che cercavano e portare a termine la loro
missione. Familiarizzare con quei demoni li avrebbe resi invisibili,
avrebbe destato meno sospetti, sapeva che aveva ragione. Ma sarebbe
stato comunque molto difficile, un singolo passo falso li avrebbe
fatti scoprire subito. Dovevano fare attenzione, anche se quella
Beatris sembrava abbastanza ingenua. Probabilmente non sarebbe mai
stata un pericolo, non avrebbe scoperto le loro reali
identità
neanche se ce le avesse avute davanti... forse per quello Reiner
l'aveva scelta. Decise perciò di fidarsi. Avrebbe provato
anche lui
a diventarle amico, così da non destare troppi sospetti. Era
la cosa
migliore.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Allenamento
con movimento tridimensionale, esercizi per l'equilibrio, ginnastica
per il rinforzo fisico, percorsi di velocità e di
resistenza, prove
sul campo, studio in aula ed equitazione. Il numero di corsi era
anche maggiore di questo e ogni giorno non era mai uguale all'altro.
Riuscire a stare al passo era così difficile che a neanche
un mese
dopo il loro inizio il numero di cadetti si era addirittura quasi
dimezzato. Erano in molti a lasciare, rendendosi conto che mai
sarebbero riusciti a resistere a tutto quello per ben tre anni. Il
lavoro nei campi, per quanto poco dignitoso, era decisamente
più
allettante.
«Quali
sono i mesi migliori per la semina delle zucche?» chiese
Beatris,
improvvisamente. Armin, al suo fianco, la guardò sorpreso.
Che razza
di domanda era quella? Da dove le era venuta? La fissò
qualche
istante confuso, poi tornò a legare le briglie al cavallo
che aveva
davanti.
«Non
saprei... primavera forse?» rispose, chiudendo l'ultima
fibbia.
«Ecco fatto, sei pronta» disse sorridente alla
propria cavalla.
Ancora non era sua, non erano stati ancora affidati ai cavalli, ma
forse un giorno lo sarebbe diventata. Il rapporto tra un soldato e il
proprio cavallo era qualcosa da non prendere alla leggera, di fronte
a un gigante avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte,
andava perciò coltivato e rafforzato col tempo e con
l'impegno. Per
questo affidavano alle reclute cavalli privi di proprietario per i
propri addestramenti e arrivati alla fine dei tre anni di accademia
veniva loro lasciato quello con cui aveva stretto un rapporto
più
empatico. All'inizio li avrebbero cambiati spesso, cercando quello
con cui andavano più in sintonia, e poi col tempo avrebbero
stretto
il loro legame sempre più.
«Mh,
credevo l'inverno» commentò Beatris, pensierosa.
Si voltò verso il
cavallo che aveva a fianco, tenendolo per le briglie già
pronte e
legate, e gli fece un paio di carezze sul muso. Questo
sembrò
apprezzare, reagì con un leggero entusiasmo al
tocco.
«Di
solito sono belle mature a ottobre, non credo gli serva un anno
intero per crescere. Ma perché ti interessi di zucche,
adesso?»
«Una
volta con papà, da bambina, siamo andati in un villaggio a
sud-ovest
del Wall Rose per consegnare delle lozioni a un ospedale. Siamo
passati da un campo di zucche e sono rimasta a guardare la gente che
era impegnata nella semina. Non ricordo che periodo fosse, ma
ricordavo che faceva freddo».
«Forse
prima primavera, è possibile che le temperature non fossero
troppo
alte. Ricordo che ci fu un anno in cui l'estate arrivò molto
tardi.
Piovette fino a Maggio inoltrato».
«Forse
era quell'anno» commentò Beatris, sistemando la
sella al proprio
cavallo.
«Ehy!
Andiamo!» chiamò Eren, voltandosi a guardare i due
compagni metri
più indietro.
«Arriviamo!»
rispose Armin, alzando il braccio per far cenno al compagno. Poi si
voltò nuovamente verso Beatris. «Perché
ti è tornato in mente?»
le chiese, accelerando il passo per raggiungere Eren e Mikasa, che
erano già insieme ad altri loro compagni.
«Uno
dei cavalli dentro la stalla somigliava molto al cavallo di
papà. Mi
permetteva spesso di cavalcarlo, quando non doveva viaggiare per
portare medicinali in giro o accompagnare lo zio Grisha in una delle
sue visite» spiegò Beatris. «Me l'ha
ricordato».
«Perciò
tu sai già cavalcare?» chiese Ymir, sentendoli
parlare non appena
arrivarono. «Chissà che almeno questa volta non
arriverai ultima
nelle prove».
«Ymir!»
lo rimproverò Christa. «Perché l'hai
presa così di mira? Lasciala
in pace».
«Quando
smetterà di tenermi sveglia la notte per chiacchierare con
te e
Mikasa» rispose Ymir, stizzita.
«Mikasa
dorme, non ci ascolta nemmeno» disse Christa e Ymir
fulminò
Beatris: «E allora perché continui a
parlarle?!»
«Magari
qualche volta è sveglia anche se non sembra»
ridacchiò Beatris,
alzando le spalle.
«Hai
il sonno bello pesante se riesci a dormire mentre lei ti parla in
continuazione» disse Connie, che riuscì a
intercettare la
conversazione, a Mikasa al loro fianco.
«Sono
abituata» rispose questa, apatica.
«Beatris
è fatta così» ridacchiò
Armin. «Fintanto che non prende sonno ha
bisogno di compagnia».
«Non
mi avete mai detto che la cosa vi disturbava, Armin sembrava sempre
felice di parlare con me» mormorò Beatris,
dispiaciuta, ed Eren si
voltò a fulminarla: «Sì, invece che te
lo abbiamo detto! Tutte le
notti!»
«A
te disturba qualsiasi cosa!» gli rispose a tono Beatris.
«Ma
non dire stronzate!»
«Da
quando sei nato non fai altro che ringhiare contro qualsiasi cosa!
Sembri un dannato cane rabbioso!»
«Dannato
cane rabbioso io?!»
«Prima
Hannes e i gendarmi, poi la guarnigione, e la gente del villaggio, e
il figlio del panettiere, e io, e i giganti, persino Mikasa! Non fai
che trattarla male!»
«Non
tratto male Mikasa!»
«Armin
è l'unico che ti sopporta perché è
mansueto come un agnellino!»
E
proseguirono, a lungo, troppo a lungo, alzando sempre più la
voce.
Armin sospirò nel sentirli litigare per l'ennesima volta e
negando
con la testa iniziò ad allontanarsi, per avviarsi al campo
d'equitazione dove quella mattina avrebbero avuto la loro prima
lezione.
«Ma...
non intervenite?» mormorò Connie, preoccupato nel
vedere come la
lite tra i due stesse diventando sempre più accesa. Tanto
che erano
arrivati a mettersi le mani addosso, come due bambini stupidi, si
tiravano morsi e cercavano di strapparsi i capelli a vicenda.
«Sono
stati tranquilli fin troppo» disse Mikasa. «Era
questione di tempo
prima che succedesse di nuovo».
«Non
sono mai andati d'accordo nemmeno quando erano neonati. Il Signor
Jeager una volta ci ha detto che se non li tenevano lontani
iniziavano a tirarsi i pizzicotti e i capelli da una culla all'altra,
senza nessuna ragione» rispose Armin e Connie
spalancò gli occhi.
«Si conoscono da così tanto?!»
«Sono
cugini» rispose Mikasa. «Carla e Laurie, le loro
madri, erano
sorelle».
Un
urlo di Beatris attirò la loro attenzione e si voltarono a
guardare
i due litiganti, allarmati. Eren era in ginocchio, di fianco alla
ragazza che chinata a terra si teneva le mani premute sulla faccia, e
non faceva che chiederle scusa mortificato.
«Mi
hai fatto male! Mikasa! Eren mi ha messo le dita negli occhi!»
«Ohy,
ma cosa siete? Due poppanti?» balbettò Connie,
imbarazzato lui
stesso nel vedere la scena.
«Eren»
disse Mikasa, senza troppo entusiasmo. «Smettila di fare il
bambino».
«È
stato un incidente!» lamentò Eren, preoccupato.
«E poi ha iniziato
lei!»
Distratto
nel parlare con Mikasa, Eren non si accorse del contrattacco furioso
di Beatris. A denti stretti, sguardo omicida, questa tentò
di dargli
un semplice ma non molto delicato pugno in faccia. Riuscì a
colpirlo, prendendolo di sorpresa, ma Eren si riprese alla svelta, e
ormai cominciava ad avere dei buoni riflessi nel combattimento corpo
a corpo. Approfittò del braccio sporto di Beatris per
afferrarglielo
e bloccarla, glielo rigirò dietro la schiena e
tentò di buttarla a
terra. E Beatris ancora urlò, in preda al dolore.
«Ragazzi...
basta» mormorò Armin, preoccupato. Oltre al
baccano si stavano già
riempiendo di terra e polvere, e nemmeno avevano iniziato
l'addestramento. Come si sarebbero giustificati nel presentarsi
già
sporchi e in disordine?
Ma
i due neanche lo sentirono, presi a dimenarsi a terra come due
animali. Prese, pugni, graffi e infine Beatris morse addirittura Eren
su una mano. L'ennesimo urlo, l'ennesimo contrattacco, fino a quando
un'ombra maligna non si posò su di loro. Alzarono lo sguardo
sentendo un brivido gelido corrergli dai piedi fino alla punta dei
capelli, e infine intercettarono lo sguardo rabbioso di Mikasa. Lei
non disse né fece niente, semplicemente li
guardò. Beatris
approfittò della paralisi di Eren per spintonarlo via con un
colpo
sotto al mento, lo scaraventò a terra e si alzò
rapida. Sudando
freddo, come se si trovasse di fronte a un demone piuttosto che una
ragazza, si mise persino in posizione di saluto, con un pugno battuto
al petto.
«Prendi
il tuo cavallo e raggiungi il resto del gruppo» disse Mikasa,
roca
nella voce.
«Signorsì!»
gridò Beatris e corse via, obbedendo.
«Mikasa!
Avrei potuto gestirla da solo, non c'era bisogno di
intervenire»
brontolò Eren, rialzandosi da terra.
«Non
è vero. Ti abbassi al suo livello e non c'è modo
di fermarvi, a
meno che uno dei due non finisca col farsi male davvero».
«Questo
non è vero» gracchiò Eren, offeso. Si
pulì gli abiti e raggiunse
anche lui il proprio cavallo e poi il resto dei compagni. Beatris era
già lì e si stava avvicinando al piccolo gruppo
formato da Reiner,
Bertholdt, Jean, Marco e Sasha, per mettersi in riga e prepararsi ad
accogliere gli istruttori. Non era assolutamente in condizioni
ottimali, era piena di polvere e terriccio, la divisa tutta sgualcita
e i capelli arruffati e pieni d'erba.
«Che
ti è successo?» chiese Jean, a occhi spalancati.
«Ho
affrontato una bestia selvaggia!» disse Beatris, con uno
strano
fuoco animato in volto. Poi con orgoglio alzò il bicipite,
mostrando
il muscolo, e ridacchiò: «E l'ho
abbattuta».
«Mikasa
vi ha fermati prima che aveste potuto farvi male»
l'ammonì Connie,
raggiungendola.
«L'avrei
steso senza problemi senza il suo intervento!»
brontolò Beatris,
offesa per essere stata messa in ridicolo. Lo disse a voce
decisamente troppo alta e la frase arrivò anche alle
orecchie di
Eren, che in quel momento stava passando dietro di lei insieme a
Mikasa e Armin. Il cugino si affacciò oltre la spalla di
Mikasa e
fulminò Beatris con rabbia. Aprì la bocca, pronto
a riprendere a
brontolare e difendere così il proprio onore, ma Mikasa lo
zittì
con uno sguardo.
«Quel
disgraziato» ringhiò Beatris, come un animale.
«Come osa guardarmi
in quel modo» si abbassò con una
velocità inaspettata e afferrò
un sasso da terra. Si rialzò, si preparò a
lanciarglielo contro e
l'avrebbe sicuramente fatto davvero, con tutta la sua forza, se
Reiner, allarmato, non fosse intervenuto a bloccarle il polso.
«Ferma!
Che fai?!» la rimproverò. Beatris
iniziò a dimenarsi come un
anguilla per cercare di sciogliersi dalla presa di Reiner e questo fu
costretto ad afferrarla per le braccia e bloccarla per impedirle di
caricare Eren -che intanto sembrava altrettanto pronto a saltare al
collo della ragazza, se non ci fosse stata Mikasa a tenerlo-.
«Beatris,
calmati» balbettò Bertholdt, cercando di mettersi
in mezzo ai due
così da impedirgli di guardarsi. Cercò il
contatto visivo con la
ragazza, provò a sorridere, a calmarla, senza riuscirci. E
intanto
Reiner fece appello a tutta la sua forza per riuscire a tenerla
ferma. Beatris era debole, era l'ultima del corso, era esile e per
niente robusta, ma riusciva a contorcersi peggio di un serpente. E
cominciò a dubitare che i voti che prendeva fossero reali,
perché
in quel momento sembrava decisamente più forte di quello che
credeva. Rischiò di prendersi un pugno in faccia almeno un
paio di
volte, e non ebbe altrettanta fortuna con gli stinchi che si presero
un paio di calci belli potenti.
«Ma
che le è preso?!» disse a denti stretti, per la
fatica.
«Dai,
cerchiamo di ragionare». Intervenne Marco. «Per che
cosa avete
litigato voi due?»
E
Beatris si bloccò improvvisamente, abbandonando in una
frazione di
secondo tutto il suo spirito combattivo. Restò inebetita
qualche
secondo, fissando Marco con un'aperta espressione sorpresa. Infine
scoppiò a ridere a gran voce. «Non me lo ricordo
assolutamente»
confessò e restò lì, bloccata nella
morsa di Reiner, a ridersela a
crepapelle con un candore sovrannaturale. Il viso le si distese, le
guance si arrossaroso, si illuminò di luce propria e
trasmise una
dolcezza quasi favolesca. Reiner lasciò andare pian piano la
presa
su di lei, ma forse fu più il senso di beatitudine a
convincerlo ad
allentare i muscoli, che la convinzione che non sarebbe partita
più
alla carica.
«Beh,
comunque Eren è proprio scemo» disse poi lei,
iniziando a
sistemarsi la divisa e i capelli. «C'è ben poco da
capire il motivo
che possa avermi spinta a incazzarmi con lui».
«La
ragazza ha più che ragione» confermò
Jean, sogghignando.
«Quell'idiota, si diverte a fare l'eroe ma è solo
un imbecille».
E
Beatris annuì convinta, finendo di rassettarsi.
«Credevo
foste amici» commentò Reiner, sorpreso di sentirla
così ostile nei
confronti di Eren.
«Lo
siamo» rispose Beatris con innocenza. «Non
sembra?»
«Credo
che abbiamo una visione diversa di amicizia, allora»
ridacchiò
nervoso Bertholdt.
«Ah!!!»
esclamò improvvisamente Beatris, facendo sussultare tutto il
gruppo
che aveva intorno. «Ora mi ricordo! Mi ha messo le dita negli
occhi!» ringhiò, tornando la furiosa psicopatica
che era stata un
attimo prima. Si voltò verso Eren e gli puntò un
dito contro,
pronta a riprendere a urlare, ma tutta la sua ira si placò
all'istante quando si accorse che lui era in difficoltà.
Eren era
appena salito a cavallo, pronto a iniziare la lezione, ma per qualche
motivo l'animale non sembrava apprezzare la presenza del suo
cavaliere. Non era difficile che accadesse, i cavalli erano animali
molto empatici, bastava davvero poco per metterli in agitazione.
Bastava un po' di titubanza da parte del loro cavaliere, o qualche
gesto non proprio calmo e cortese, per mandarli nel panico.
Eren,
in groppa, cercò di tirare le redini per fermarlo mentre
questo
indietreggiava, muoveva la testa agitato, e iniziava a scalciare per
terra.
«Eren,
scendi di lì!» gli disse Mikasa, preoccupata, ma
avvicinarsi fu
impossibile. Verso chiunque provasse ad avvicinarsi il cavallo
reagiva agitandosi ancora di più, scalciando e girando in
tondo.
«Buona,
bella. Forza!» cercò di dire Eren, ma dal tono di
voce chiunque
avrebbe potuto percepire il suo nervosismo. E questo non fece che
peggiorare la situazione. Il cavallo iniziò a sgambettare, a
saltare
e scalciare per cercare di disarcionare il proprio cavaliere, e le
urla di Eren lo fecero agitare ogni secondo di più.
«Attenti!»
disse Reiner, il primo a scattare nella direzione dei compagni in
difficoltà. Alcuni lo seguirono, altri corsero a chiamare
gli
istruttori, in preda al panico. Reiner raggiunse Eren e il cavallo,
provò ad avvicinarsi, cauto, e tentò di calmarlo.
Ma niente sembrò
placare la cavalla e alla fine questo scalciò con
più potenza
e saltò in avanti. Eren venne scagliato via e la sua fortuna
furono
gli spaventosi riflessi di Mikasa che la portarono perfettamente in
traiettoria per prenderlo al volo ed evitare che atterrasse sul duro
terriccio. Il cavallo poi si rigirò, continuò a
scalciare e prese
di sorpresa persino Reiner. Vide chiaramente gli zoccoli raggiungerlo
con una rapidità spaventosa, ebbe un sussulto rendendosi
conto che
non avrebbe fatto in tempo a schivarlo, ma qualcosa lo
afferrò per
la divisa da dietro e lo trascinò via con forza. Cadde
all'indietro
e atterrò seduto a terra, non fu un morbido atterraggio, ma
sempre
meglio di una zoccolata di cavallo. Da oltre le sue spalle si sporse
Beatris, con un'espressione preoccupata in volto, rivelando
così che
era stata lei a prenderlo per tempo e tirarlo via.
«Stai
bene?» gli chiese, allarmata.
Reiner
annuì, prima di rispondere: «Grazie».
«Statele
lontano» disse Beatris, rivolto a tutti gli altri.
«La state
circondando, lasciatela sola, si sta spaventando ancora di
più».
Un
po' preoccupati all'idea di non restare in allerta ma doversi
allontanare, lentamente il resto dei cadetti si sparpagliò,
facendo
spazio alla cavalla imbizzarrita che sentendosi meno braccata
cominciava già a stare più tranquilla. Beatris
gattonò oltre
Reiner, cercò un contatto visivo con la cavalla e lentamente
si
avvicinò.
«Bea!»
chiamò Armin, preoccupato, ma lei gli fece un gesto con la
mano per
dirgli di stare dov’era. E proseguì.
«Tranquilla»
mormorò con una voce che non sembrava nemmeno la sua. Era
dolce,
delicata, di una tonalità tanto bassa da sembrare il rumore
dell'acqua di lago, mossa dalle onde e dal vento. «Va tutto
bene.
Quel cattivone ti ha spaventato, vero? Non ci sa proprio fare con le
ragazze, non credi?» sorrise e continuò ad
avvicinarsi, lenta,
delicata. «Ha fatto arrabbiare anche me stamattina, non sei
sola.
Che ne dici se ci sfoghiamo insieme? Gliene diamo di santa ragione,
va bene?»
«Ma
che stai dicendo?» grugnì Eren, irritato. Quanti
discorsi stava
facendo per calmare un semplice cavallo, che nemmeno capiva la loro
lingua?
Ma
Beatris lo fulminò, gli fece un gesto con la mano per
indicargli di
fare silenzio e restare immobile e continuò ad avvicinarsi.
Il
cavallo smise di scalciare, ma indietreggiò un altro po',
ancora
nervoso. Beatris continuò a parlargli delicata e serena e
quando fu
a portata di braccio semplicemente allungò una mano verso il
suo
muso. Riuscì a sfiorarlo, gli si avvicinò ancora,
e infine
l'accarezzò. Questo parve calmarlo, almeno in parte.
«Ma
che brava che sei. Sei proprio brava» le disse, finalmente al
fianco
dell'animale. Continuò ad accarezzarla e a parlarle
delicata, fino a
quando questa non si calmò del tutto.
«Che
le hai fatto per farla incazzare tanto?» chiese a Eren,
quando
finalmente tutto fu tranquillo. Armin si avvicinò a Reiner,
ancora
seduto a terra, e gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi. Questo
parve risvegliarlo da una specie di incanto in cui sembrava essere
finito. Era incredibile, mai si sarebbe aspettato di vedere una cosa
simile. Beatris Moreau, la ragazza più rumorosa, infantile,
caotica,
combinaguai e pessima della classe era stata l'unica in grado di
calmare quella cavalla imbizzarrita, nonostante non avesse ancora
alcun addestramento in fatto di cavalli. Era andata a istinto, era
bastata la sua empatia, ma non c’era stato solo questo. Era
riuscita a tirarlo indietro. Nelle prove di forza non riusciva a
sollevare nemmeno le casse vuote, dimostrava di avere una debolezza
muscolare al limite del ridicolo, eppure proprio lei era stata in
grado di afferrarlo e tirarlo via con tale forza da farlo persino
cadere. Da dove l'aveva tirata fuori quella forza? Possibile che
fingesse solamente di non averne? Per quale motivo mentire? Per quale
motivo voler essere ultima della classe? Che fosse solo pigrizia?
Si
rialzò e la guardò per qualche altro istante,
ammaliato adesso dal
suo sorriso mentre continuava ad accarezzare la cavalla e parlarle
con dolcezza. Non riusciva quasi nemmeno a riconoscerla, tanto
sembrava delicata adesso.
«Armin,
dimmi una cosa: Beatris è davvero debole come
sembra?»
«Eh?»
chiese Armin, non capendo di cosa stesse parlando.
«Ero
ben piantato a terra, avrei provato a schivarlo, avevo i piedi saldi
al terreno per provare qualche manovra d'emergenza. Ma è
riuscita a
buttarmi a terra».
«Ti
saresti preso una bella zoccolata in pieno stomaco se non l'avesse
fatto» ridacchiò Armin, nervoso.
«Perché
non riesce a concludere niente se in realtà un po' di forza
ce
l'ha?»
«Non
credo che ce l'abbia» sospirò Armin.
«È stata presa
dall'emergenza, ha tentato qualcosa di disperato. Le sei caduto
addosso, non ha fatto niente di speciale, si è solo buttata
a terra
e a tirato via anche te. Ha sacrificato il suo equilibrio e la sua
stabilità, usando tutto il peso del corpo, pur di riuscirci.
Non ti
sei accorto di averla schiacciata?»
«Cosa?
No...» mormorò e Armin gli fece un cenno con la
testa per
indicarla, prima di sospirare. «Non poggia bene il piede a
terra,
dev'essersi fatta male» e senza aspettare risposta,
le si
avvicinò. «Bea, lasciamo il cavallo a un
istruttore. Ti portiamo in
infermeria».
«Perché?
Sto bene»
«Ti
sei fatta male quando hai tirato indietro Reiner» le disse
Armin,
per niente convinto dalla sua bugia.
«No,
non così tanto» ma non appena lo disse, Mikasa la
prese per un
polso e la trascinò in avanti di qualche passo,
costringendola a
camminare spedita per non cadere. Beatris fu così costretta
a
poggiare il piede a terra e una fitta di dolore la contrasse, fino a
corrucciarsi. Si accasciò da un lato e Armin fu
lì pronto a
prenderla, per evitare che cadesse.
«Ehy!
State bene?» arrivò infine uno degli istruttori.
Prese la cavalla
dalle redini e si avvicinò a Beatris e gli altri.
«Si
è storta la caviglia» comunicò Armin e
Beatris disse, rapida: «Non
è niente di che! Passerà subito, ho solo messo
male un piede».
«Non
è vero, è stato perché Reiner ti
è caduto addosso» spiegò Armin
e Beatris disse, ancora più allarmata: «No,
affatto! Non è stata
colpa sua! Sono stata io a mettere male il piede, è colpa
mia».
La
menzogna le si leggeva in faccia, l'imbarazzo la contorceva. Non era
davvero capace di inventare scuse, era veramente terribile. Non
sapeva perché stesse mentendo in quel modo, ma dallo sguardo
dispiaciuto che ogni tanto lanciava a Reiner, tra una bugia ed
un'altra, questo ebbe il dubbio che fosse per accollarsi la
responsabilità, evitare che lui si sentisse in colpa o in
debito.
«Ackerman,
Arlet, portate Moreau in infermeria. Io riporto la cavalla alla
stalla. Non era pronta per la sella, ne avevamo il dubbio ma abbiamo
voluto fare una prova lo stesso» disse l'istruttore.
«Beatris
è riuscita a calmarla» fece notare subito Eren.
Non era chiaro il
motivo, sembrava che avesse voluto darle qualche merito, difenderla,
o forse aiutare l'amica ad emergere in quel poco di buono che
sembrava capace di fare. L'istruttore ridacchiò.
«Beh, questo è
notevole».
«Ce
l'ha un nome?» chiese Beatris, puntando gli occhi alla
cavalla.
Qualcosa di nuovo si stava facendo strada nel suo volto, una
malinconia, mista a dolcezza, forse accecata da un pensiero, un
ricordo sfumato, che stava schiarendo solo in quel momento.
«Ancora
no, spetta al suo cavaliere sceglierlo e ancora non ne ha
uno»
rispose l'istruttore.
«Somiglia
molto al cavallo di mio padre» mormorò Beatris e
Armin le sorrise,
chiedendole: «Allora è questo?».
A
occhi lievemente spalancati, Beatris continuò a guardare la
cavalla.
Il ricordo che aveva cercato sembrava essere finalmente arrivato,
chiaro ed emozionante esattamente come si era aspettata. Mantenne il
contatto visivo con l'animale per qualche secondo, non
sbatté
nemmeno le palpebre, infine mormorò assorta: «Era
Aprile».
Armin
non rispose, ma le rivolse comunque uno sguardo incuriosito.
«L'ultimo
viaggio fatto con mio padre prima che morisse, quando passammo dai
campi di zucche, era Aprile» mormorò Beatris,
dando così una
risposta agli interrogativi di Armin. Poi sorrise di nuovo di quel
suo candido sorriso gioviale e disse: «April è un
bel nome per un
cavallo, non credi?»
Era
passata quasi una settimana dall'accaduto del cavallo. Beatris aveva
partecipato alle lezioni in aula, ma aveva saltato tutte le
esercitazioni fisiche e alle escursioni per permettere alla caviglia
di guarire dall'infortunio. Mai una volta aveva neanche solo
accennato a Reiner di quel problema, continuava anzi a sostenere che
fosse stata colpa sua e della sua disattenzione, aveva fortemente
rifiutato ogni suo tentativo di scusarsi. Questo però non
cambiava
le cose. Che lo volesse ammettere o meno, che cercasse di proteggerlo
o meno, era stata colpa di Reiner se si era fatta male... e in un
momento del genere, oltretutto. A pochi mesi dall'inizio
dell'addestramento, quello avrebbe potuto essere il peso che avrebbe
fatto pendere l'ago della bilancia sul fallimento o sul successo.
Certo l'accademia non avrebbe aspettato che si fosse ripresa con i
suoi tempi, una volta guarita avrebbe dovuto recuperare ogni cosa e
già adesso, per quanto le evitassero di sforzarsi troppo,
non le
chiedevano il completo riposo ma doveva continuare, per come poteva,
ad addestrarsi ed essere produttiva. Era stata una sciocchezza, solo
una banale caduta, eppure aveva portato gravi conseguenze anche se a
lei non sembrava mai dispiacere molto. Era sempre positiva,
sorridente, pronta a darsi da fare qualsiasi cosa le chiedessero. Non
voleva essere di peso a nessuno, non voleva che nessuno si
preoccupasse per lei, perciò cercava di andare avanti come
niente
fosse. Reiner aveva avuto poche occasioni di incrociarla, provare a
parlarle, perché tutte le volte che provava ad accennare
alla
questione della caviglia lei tagliava corto, cambiava argomento,
oppure si allontanava. Inoltre, non potendo partecipare alla quasi
totalità degli allenamenti se non ai teorici, erano anche
rare le
occasioni in cui potevano incrociarsi. E infine, era passata una
settimana.
Era
lunedì mattina, e il lunedì, come il
mercoledì e il sabato, era in
programma il corso di equitazione. Erano stati stabiliti dei turni
tra i cadetti, a gruppi di quattro o cinque persone, dovevano prima
di ogni lezione arrivare alle stalle per preparare i cavalli alla
lezione. Quella mattina era toccato a Reiner, insieme ad altri
quattro compagni. Ad ognuno di loro venne affidata una stalla e ad
esse si avviarono, pronti a iniziare a lavorare. Ma quando Reiner
arrivò alla sua si fermò, sorpreso, senza
entrare. Le porte erano
aperte e una voce usciva da dentro, allegra e armoniosa, intenta a
cantare un motivetto a labbra chiuse. Non conosceva la canzone, ma
riconobbe la voce di Beatris. E si bloccò.
Aveva
riconosciuto Beatris quando l'aveva vista cadere sul suo tavolo, un
mese addietro, si era ricordato della ragazzina della cattedrale. Il
suo modo di sorridere era inequivocabile, mai l'avrebbe dimenticato,
ma aveva sempre comunque avuto il sospetto di aver preso un abbaglio.
Magari era stata la sua testa ad avergli fatto vedere il volto di
quella bambina in una sconosciuta? Non era mai stato certo che fosse
veramente lei o meno, anche se nel cuore ci aveva creduto. Ma
sentirla cantare dissolse ogni dubbio... quella era la sua voce. La
canzone era diversa da quella della cattedrale, ma comunque simile, e
riusciva a rilassare i muscoli esattamente come aveva fatto allora.
Esitò, prima di entrare, restando nascosto oltre la porta
della
stalla per ascoltarla un po' di più. Non poteva vederla, ma
riuscì
a immaginarla: allegra, solare e spensierata come sempre.
«Ehy!»
la sentì ridere. «April, ridammelo. Dai, da
brava» parlò con voce
melodiosa. «Forza, ridammi quello zoccoletto. Non fare i
capricci e
ti darò un altro zuccherino. Però non dirlo a
nessuno che ce li ho»
abbassò la voce, ma Reiner poté sentirla
comunque. «Solo gli
ufficiali possono avere dello zucchero, l'ho rubato di nascosto
mentre pulivo i loro alloggi. Sarà il nostro segreto,
ok?»
ridacchiò e Reiner sentì poco dopo il rumore di
ferro contro ferro,
qualcosa che strusciava, e la voce della ragazza che si sforzava in
qualcosa. «Ma che brava che sei» aggiunse dopo un
po' e solo allora
Reiner fece capolino oltre la porta. Aveva ricevuto l'ordine di
portare in esterno cavalli e attrezzature prima dell'esercitazione,
stava decisamente perdendo troppo tempo.
Beatris
quando lo vide entrare interruppe momentaneamente il proprio lavoro e
lo guardò curiosa. Seduta su uno sgabello, piegata verso il
basso,
si stava occupando di pulire gli zoccoli della cavalla che davanti a
lei era impegnata ad annusarle i capelli. Non si sorprese di vederlo.
«Oggi
tocca a te?» chiese Beatris, prima di tornare al suo
lavoro.
«Già»
confermò Reiner. «Devo portare fuori i
cavalli».
«Prendili
pure, sono già pronti» e indicò con una
mano un gruppo di cavalli
legati in fondo alla stalla, impegnati a mangiare paglia e bere da un
catino d'acqua fresca. Avvicinandosi, Reiner poté notare
come fosse
tutto pulito e ordinato.
«Da
quanto sei qua dentro?» le chiese, prendendo le redini dei
primi due
cavalli.
«Due
o tre ore, forse. Sai, non posso fare molto nelle mie condizioni,
perciò mi hanno affidato compiti leggeri ma che richiedono
comunque
che io sia produttiva» spiegò con un sorriso.
Finì di ripulire lo
zoccolo di April e raddrizzò infine la schiena.
«Ecco fatto! Sei
bella pulita, adesso».
«Ti
dai da fare, eh?»
«Cerco
di fare quello che posso per restare almeno al passo»
rispose,
accarezzando April sul collo. «Sinceramente, però,
prendermi cura
di loro è il compito che più preferisco. Forse
anche meglio
dell'addestramento. Sono sempre più convinta di aver fatto
un errore
ad arruolarmi» e, come se fosse veramente divertita,
scoppiò a
ridere. Reiner portò fuori i cavalli che aveva preso per le
redini,
li legò alla staccionata, preparò le selle al
loro fianco così che
ognuno avrebbe potuto montare la propria, e tornò per
ripetere
l'operazione con gli altri cavalli.
Quando
rientrò, vide Beatris in piedi di fianco ad April che questa
volta
la spazzolava. Non poté impedire al proprio sguardo di
spostarsi
sulla caviglia infortunata. La poggiava a terra normalmente, non
sembrava le facesse più troppo male.
«Come
va la caviglia?»
«Molto
meglio, riesco a camminare. Il dottore ha detto che con un altro paio
di giorni dovrebbe rimettersi del tutto, non è stato niente
di grave
per fortuna. Beh, al massimo avrei sempre potuto ripiegare sul fare
lo stalliere, ho appena scoperto che è un lavoro che mi si
addice,
non credi?» ridacchiò e ancora una volta aveva
provato a
distogliere l'attenzione su qualcos'altro. Ma questa volta Reiner non
abbandonò la propria determinazione e ignorò il
tentativo. «Volevo
chiederti scusa» le si avvicinò. Beatris parve
imbarazzarsi e
cominciò ad agitare una mano davanti al volto.
«Reiner, non hai
nulla di cui chiedere scusa. Davvero, lascia perdere Armin. Dalla sua
prospettiva sembrava tu mi fossi caduto addosso ma non è
vero».
«Ti
ho sentita sotto di me, è solo che al momento non ci ho
prestato
attenzione. Perché menti?» sembrò quasi
rimproverarla: era
frustrante non poter avere occasione di chiarire apertamente, e
scusarsi. Aveva quel peso nel petto, perché non gli
permetteva di
toglierselo?
L'imbarazzo
di Beatris aumentò, diventando quasi insostenibile.
Abbassò lo
sguardo, rossa in volto, e si strinse nelle spalle come una bambina.
«Mi dispiace» mormorò. «Non
voglio mentirti, è che davvero credo
che tu non c'entri niente. Sono stata io a tirarti indietro e farti
cadere».
«Mi
hai salvato, però» le rispose Reiner, prima di
sospirare: «Avrei
dovuto prestare più attenzione» e in quel momento
April si
intromise tra loro due, avanzando di un passo, e mosse nervosamente
il muso in direzione di Reiner, quasi avesse voluto allontanarlo.
D'istinto Reiner indietreggiò, spaventato, e Beatris
iniziò a
ridere.
«Sì,
lo pensa anche lei probabilmente». Si spostò, per
riuscire a
tornare a guardare Reiner, e infine aggiunse con dolcezza:
«Ma non
io, su questo sono sincera. Sei stato molto coraggioso a correre per
primo in soccorso di Eren, l'ho apprezzato tanto. E in quel momento
non ho pensato a niente se non che non volevo che ti facessi del
male, perciò...» alzò le spalle.
«Niente da perdonare, visto?»
Reiner
sospirò, vinto dalla logica della ragazza e sentì
il peso nel petto
cominciare a farsi più leggero. «L'ultima volta mi
sono messo nei
guai per te, ma poi tu ti sei fatta perdonare con quella carne rubata
dalla dispensa dei superiori, ricordi?»
«Ah,
sì! Sono felice che ti sia piaciuta» e
gongolò, allegra come una
bambina.
«Permettimi
di fare altrettanto».
«Vuoi
rubare della carne per me?» chiese innocentemente e Reiner
non
riuscì a non sghignazzare divertito. «Non sono
imprudente come te,
non penso che lo farei mai».
Si
aspettò una risposta di qualche tipo, ma invece Beatris
restò in
silenzio, a guardarlo, e sorridere piena di allegria. Non seppe bene
cosa della sua frase l'aveva resa così di buon umore
all'improvviso,
ma decise di lasciar stare e finire ciò che aveva iniziato.
«Vorrei
potermi sdebitare. La prossima volta che avrai bisogno di una mano e
sarai nei guai, conta pure su di me, ok?»
«Ok»
sorrise Beatris, felice. «Ti ringrazio».
«È
così che si fa tra compagni» disse Reiner,
tornando al suo lavoro e
prendendo un'altra coppia di cavalli. «Ci si aiuta nel
momento del
bisogno. E io sono felice di poterlo fare».
«Sei
una persona molto rigida, non è così?»
la domanda lo spiazzò un
attimo. Lo era davvero? Quando l'aveva capito? «Non penso di
averti
mai visto perdere il controllo. E il tuo senso del morale e della
giustizia supera di gran lunga qualsiasi altra emozione.
Così la
gente intorno a te pensa che tu sia una persona affidabile e seria,
trasmetti molta fiducia a chi ti sta attorno, ma credo che la cosa
rischi a lungo andare di soffocarti un po'. Dovresti respirare, ogni
tanto».
Si
conoscevano da appena un mese e non aveva avuto modo di parlare con
lei più che con altri, anche se aveva provato a darle
qualche
attenzione in più per seguire il suo obiettivo di farsela
amica. Non
avevano avuto grandi occasioni per aprirsi e conoscersi meglio,
eppure con così poco lei era riuscita comunque a scavargli
dentro e
scoprire più cose di quante addirittura fosse mai stato in
grado di
scoprire lui stesso. Era la verità, seguiva la sua morale, i
suoi
obiettivi, e soffocava tutto il resto, ma qualche volta sentiva le
spalle più pesanti che mai. Da quando si era arruolato tra i
Guerrieri, a Marley, non aveva fatto altro che stringere i denti e
scalare montagne, senza mai prendere fiato. Il tutto si era
intensificato quando avevano raggiunto Paradis, e nel tentativo di
acquistare la fiducia dei suoi compagni aveva fatto di tutto per
mostrarsi affidabile e altruista. Seguiva schemi, non aveva mai fatto
altro, ma dentro di sé il vero Reiner arrancava e non
riusciva a
respirare come avrebbe voluto. Quando era riuscita a capirlo?
Si
voltò a guardarla, senza trovare le parole per dire niente.
Non
sapeva bene come risponderle, ma la cosa certo non l'aveva lasciato
indifferente. Si era sentito per un istante senza la sua fidata e
sempre impenetrabile corazza, si era sentito per un istante un misero
essere umano e non il gigante corazzato. Si era sentito con le spalle
scoperte e la cosa l'aveva un po' turbato. Ma lei gli sorrise con
dolcezza quasi materna, come se con quel semplice gesto avesse voluto
abbracciarlo e dargli un luogo di conforto dove sentirsi al sicuro.
«Sai, non sorridi molto di solito» ed era stato
quello il suo
errore. Il suo non sorridere molto, troppo impegnato a darsi da fare,
aveva incuriosito Beatris e l'aveva portata forse a indagare di
più,
a seguirlo con lo sguardo, ad analizzarlo meglio. E con un'empatia
eccezionale era riuscita a comprendere chi si nascondesse dentro la
sua corazza. L'aveva sottovalutata, aveva scelto lei per farsi un
amico perché l'aveva creduta ingenua e facilmente
ingannabile, ma si
era sbagliato. Beatris aveva già scoperto ogni cosa... ma
per quanto
la cosa lo spaventasse, percepì anche un vago senso di
benessere. Il
Reiner chiuso dentro di lui era appena riuscito a tirare un'ampia
boccata d'aria. Da quanto tempo non lo faceva? E soprattutto
perché
proprio in quel momento?
Forse
l'essere stato scoperto gli aveva permesso di sentirsi libero, e
ammorbidire così le spalle? Non sapeva cosa avrebbe
comportato tutto
quello, ma sentì che doveva cambiare approccio. Non avrebbe
dovuto
prendere Beatris con leggerezza, non era una sprovveduta qualunque.
Con lei forse avrebbe dovuto essere un po' più spontaneo, un
po' più
sincero, un po' più... libero?
Non
era sicuro fosse la soluzione migliore, se ci fosse stato Bertholdt
in quel momento forse gli avrebbe detto di ripensarci, allontanarsi
da lei, cercare amicizie in qualcun altro, eppure non sembrava
disposto a seguire quella via. Forse non era la soluzione migliore,
ma era quella che per qualche motivo lo faceva stare meglio. Non
riusciva a sorridere, lì a Paradis, ma in quel momento, per
qualche
strano motivo, gli venne naturale farlo.
N.D.A.
Sì,
lo so, siete entrati in questa ff alla ricerca dell’angst e
ancora
non ce n’è ombra ma tranquilli (sentite come suona
maligno sto
“tranquilli”)... sto solo appiannando il terreno. E
vi sto dando
tempo di conoscere meglio Bea e tutta la situazione, prima della
catastrofe. A piccole dosi. Intanto beccatevi un po’ di
tranquillità e spensieratezza xD
Vi
avevo accennato da subito che mi piacciono le canzoni da associare
alla storia, a volte troverete qualche estratto per descrivere il
capitolo, ma siccome sono una psicopatica ho fatto di più!
Ho
cercato canzoni che descrivono ogni singolo capitolo (o elementi
importanti di questo) e ve le carico qua sotto! Vi chiedo di
ascoltarle perché alcune sono DANNATAMENTE PERFETTE! Vi
lascio i
video con la traduzione, così non avrete
difficoltà a seguire le
parole (perché sono le parole ad essere importanti,
LEGGETELE!!!! È
un ordine! xD).
Prendetele però come extra… gli estratti che
metterò ogni tanto sono tutte canzoni prese dalla soundtrack
di aot
e saranno parte integrante della storia, queste solo un di
più per
entrare di più nella mente e nel mood dei personaggi, come
piccoli
bonus.
Per
questo capitolo mi sono concentrata sull’accenno che Bea fa a
suo
padre. Vive la sua vita serena, anche se inizia a emergere il suo
senso di inadeguatezza, si chiede se abbia fatto bene ad arruolarsi,
emergono i primi dubbi su se stessa. Però poi, in mezzo a
tutti i
sorrisi e la quotidianità, emerge improvvisamente un velo di
malinconia nel ripensare alla sua famiglia, in particolare a suo
padre e l’ultimo viaggio fatto con lui prima che morisse.
Perciò
eccovi un po’ di sana malinconia e tristezza.
Enjoy!
E
alla prossima!
https://www.youtube.com/watch?v=RPsn_LBbv8M&ab_channel=CristianaPagliettaCristianaPaglietta
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Pioveva
a dirotto ormai da ore. L'acqua che cadeva dal cielo era talmente
fitta che Beatris faticava a vedere persino dove mettesse i piedi e
ogni tre passi sprofondava in una pozza di fango, rischiando di
cadere. Nonostante i cappucci e la giacca, era fradicia da capo a
piedi e i vestiti appesantiti dall'umidità non facilitavano
la sua
corsa estenuante. A bocca spalancata cercava di prendere quanta
più
aria possibile, ma non era mai abbastanza e puntualmente la pioggia
le finiva in gola, rischiando persino di soffocarla. Piegata in
avanti, schiacciata dal peso dello zaino pieno zeppo di roba,
arrancava e ansimava, correndo su per un pendio scivoloso e ripido.
Davanti a lei, almeno una decina di metri più avanti, i suoi
compagni riuscivano a tenere il passo più facilmente,
seguendo
l'istruttore che a cavallo apriva loro la strada. Annaspò
ancora,
chinandosi sempre più sotto al peso dello zaino e della
fatica. Le
gambe le facevano male come mai prima di allora, sentiva che le
spalle erano sul punto di staccarsi dal corpo, e non riusciva a
pensare ad altro che a quanto facesse male.
Scivolò
nell'ennesima pozza e cadde a terra, schiacciata dallo zaino e dal
suo senso di inadeguatezza. Era l'ultima dello squadrone, lontana
almeno una decina di metri e non faceva che allontanarsi. Ed era
stata l'unica tra tutti a cedere in quel modo.
«Bea!»
Armin, davanti a lei di qualche passo, si fermò e
tornò
immediatamente indietro. La prese per un braccio e cercò di
farla
rialzare. «Non fermarti! Resteremo indietro!»
«Non
ce la faccio più» ansimò Beatris,
abbandonata nel fango. «Tutto
questo... è impossibile. Come fate voi a
resistere?»
«Tieni
duro, avanti!» disse Armin, cercando di tirarla.
«Se restiamo qui
perderemo il resto della squadra».
«Vai
con loro» mormorò Beatris, decisa ad arrendersi.
Non ce l'avrebbe
fatta a muovere un solo passo in più, non in quelle
condizioni. Era
fradicia, tremava dal freddo, e con la pioggia il suo equipaggiamento
era diventato più pesante che mai. Sentiva dolori persino in
posti
che non credeva fossero in grado di far male.
«Non
ti lascio qui da sola, scordatelo!» insisté Armin.
Beatris alzò la
testa, dando uno sguardo alla loro squadra. Erano veramente lontani,
adesso, e più aspettava più rischiavano di
restare soli in quel
posto sperduto. Dopo avrebbero fatto il doppio della fatica per
riuscire a ritrovare la strada per il centro d'addestramento,
rischiavano di perdersi e restare in quella foresta, in quelle
condizioni, troppo a lungo. E Armin era deciso a non lasciarla
sola...
A
causa sua anche lui avrebbe rischiato la vita. Si corrucciò
e piantò
un piede a terra, spingendosi in avanti e aggrappandosi ad Armin per
rialzarsi. Lentamente, riprese ad avanzare, spingendo i propri
muscoli al limite. Armin la tenne ben stretta per la manica e
continuò a tirarla, per cercare di trascinarla il
più avanti
possibile, ma ad ogni passo minacciava di cadere di nuovo a terra,
troppo stanca, troppo appesantita. Ormai a occhi socchiusi respirava
così affannosamente che sentiva la testa girare.
«Credo
di star per svenire» confessò in un
mormorio.
«Avanti!
Cerca di respirare in maniera controllata, cerca di sforzarti! Siamo
già a metà del percorso, possiamo
farcela» disse, sperando di
esserle d'aiuto con una carica d'ottimismo. Non erano così
vicini
alla meta, ma almeno erano a metà. Potevano farcela! Ma
Beatris
spalancò gli occhi e si voltò improvvisamente
verso di lui,
gridando sconvolta: «Siamo solo a
metà?!»
La
distrazione le costò cara. Non vide un sasso più
sporgente degli
altri proprio sotto ai suoi piedi e, fradicio di pioggia e fango,
finì col scivolarci sopra. Cadde di lato, verso Armin, e
gridò
dallo spavento. Allungò le mani in avanti, cercò
il primo appiglio
disponibile e disgrazia volle che fosse proprio l'amico, che ancora
le stava a fianco. Lo trascinò giù insieme a lei
e finirono
entrambi in ginocchio, nel fango. Ormai disperata, scoppiò a
piangere come una bambina.
«È
inutile! Non ce la farò mai, faccio proprio
schifo!» gridò.
«Ahi...»
lamentò Armin, cercando di rimettersi in piedi. Si
voltò
preoccupato verso Beatris, pronto a incoraggiarla ancora, cercare di
calmarla, ma vide in quel momento Reiner arrivare al loro fianco.
Prese Beatris da sotto le braccia e la rimise in piedi.
Bastò la
sorpresa di sentirsi sollevare da terra di peso a farle smettere di
urlare e piangere, confusa su cosa stesse accadendo. Reiner non diede
alcuna spiegazione, ma prese lo zaino di Beatris dalle sue spalle,
togliendoglielo prima che avesse potuto anche solo dire qualcosa. E
avanzò di qualche passo.
«Armin!»
disse, voltandosi appena. «State dietro di me!»
«Ma...»
mormorò Beatris, dispiaciuta nel vedere che c'era chi ancora
si
ostinava ad aiutarla, anche a scapito di se stesso.
Quell'addestramento era davvero impossibile, sfiancante al limite
delle possibilità umane. Anche se Reiner sicuramente era
più forte,
portare addirittura due zaini lo avrebbe devastato. E la colpa era
ancora una volta la sua... con la sua debolezza, con la sua
incapacità, non faceva che creare problemi a tutti quelli
che aveva
attorno. Armin la prese per mano e riprese a correre, trascinandola
lungo il percorso.
«Andiamo
Bea!» disse.
Correre
senza il peso dello zaino sulle spalle era sicuramente più
facile,
perlomeno riuscì a restare in piedi e proseguire, anche se
continuava a restare in fondo alla colonna. E così facendo
rallentò
anche Armin, che cercava di sostenere lei, e Reiner che era deciso ad
aprire loro la strada, non lasciarli soli.
«Se
l'istruttore ti vedesse... finiresti nei guai»
mormorò lei,
arrancando alle spalle di Reiner.
«Non
preoccuparti, preferisco una punizione piuttosto che sapervi sperduti
tra i boschi. Pensa solo a correre».
Una
punizione... si sarebbe preso un'altra punizione a causa sua. Non
voleva, ma correre con quello zaino sulle spalle era troppo per lei.
Non riusciva neanche a stare in piedi. Era così debole,
rispetto al
resto dei suoi compagni, mentre Reiner, al contrario, riusciva a
tenere il passo persino con due zaini sulle spalle invece che uno
solo. Come riusciva a essere così forte? Come riuscivano
tutti a
essere più forti di lei? E perché c’era
sempre chi doveva subire
le conseguenze della sua debolezza? Non era giusto. Si era arruolata
per un motivo ben preciso, se avesse continuato così non
sarebbe mai
arrivata da nessuna parte. Doveva diventare più forte.
Doveva
trovare una soluzione...
Arrivarono
finalmente alla fine del percorso e Reiner le diede indietro il suo
zaino un attimo prima che l'istruttore li vedesse. Era palesemente
stremato, respirava affannosamente e Beatris era convinta che
ciò
che gli bagnava il volto non fosse solo pioggia.
«Grazie...»
mormorò, avvilita.
«L'addestramento
non è un gioco, non è da prendere sotto
gamba» l'ammonì Reiner.
«Se credi di non essere in grado, allora dovresti mollare e
basta».
Beatris
si strinse nelle spalle, sentendo quelle accuse premere come massi
sulla sua già indebolita coscienza. Gli aveva dato davvero
un sacco
di problemi, eppure nonostante fosse stata un palese peso per lui e
per Armin, era stato comunque disposto ad aiutarla. Era davvero una
persona di buon cuore, non poteva essere altrimenti, e la gratitudine
per il suo sacrificio peggiorarono ancora di più il suo
senso di
colpa. Forse avrebbe davvero dovuto mollare...
«Ma...»
proseguì Reiner, sgranchendosi la schiena indolenzita.
«Se credi
invece che questa sia la tua strada e sei convinta di voler arrivare
in fondo, allora non fermarti. Indipendentemente da dove arriverai,
da come ti ridurrai, tu continua ad andare avanti. Mettersi a
piangere e lamentarsi di fare schifo non ti aiuterà in
nessun modo.
Cerca sempre di proseguire, ok?»
E
Beatris alzò gli occhi su di lui, sentendosi improvvisamente
più
leggera. Non aveva cercato di rimproverarla, le aveva solo messo
davanti la realtà e spinta a prendere una decisione, a
prendere
consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto fare. Arrivare in
fondo
all'addestramento era davvero ciò che voleva, potersi
arruolare nel
corpo di ricerca insieme ai suoi amici era tutto ciò a cui
anelava.
Reiner non l'aveva rimproverata, l'aveva aiutata... ancora una volta.
Lei non avrebbe dovuto fermarsi mai più. Doveva muoversi.
Anche a
costo di andare in pezzi, doveva muoversi.
«Ok...»
mormorò, colpita dalle parole di Reiner. E lo
guardò allontanarsi,
per raggiungere il resto della squadra che ora entrava dentro una
baita per concedersi finalmente riposo e calore.
«Andiamo»
le disse Armin. «Dobbiamo riposare anche noi».
E
la guidò all'interno della baita, dove ad attenderli c'erano
un
camino acceso e un pasto caldo.
La
sera stessa tornarono al centro d'addestramento, ma Shadis era
assolutamente deciso a non dar loro tregua. La mattina dopo li
aspettò nel cortile con l'attrezzatura d'addestramento per
il
movimento tridimensionale. Erano ancora nella fase di allenamento per
l'equilibrio, ma di lì a una settimana ci sarebbe stata la
verifica
finale, ed erano in pochi a non aver ancora preso destrezza con
l'attrezzatura. La maggior parte di loro riusciva a restare
perfettamente in equilibrio, sospeso per aria, senza il minimo
sforzo. Beatris guardò la struttura in ferro a cui sarebbe
stata
legata da lì a pochi minuti come il peggior mostro che
avesse mai
dovuto affrontare. Era ancora indolenzita per il giorno prima e
questo non l'avrebbe aiutata, ma non aveva fatto che ripensare alle
parole di Reiner. Piangersi addosso e dire che faceva schifo non
l'avrebbe aiutata in nessun modo, lei doveva andare avanti.
Continuare a muoversi. Si avvicinò all'impalcatura a lei
destinata e
si concentrò scrupolosamente sull'allacciamento, che ormai
lasciavano che facessero da soli, per imparare a conoscere al meglio
la propria imbracatura. Diede l'ok all'istruttore e infine questo la
sollevò da terra, tenendola alzata almeno un paio di metri
sopra al
suolo. Si corrucciò, si concentrò e
sforzò ogni muscolo possibile,
anche se dolorante. Ciondolò per un po', sentendosi cadere
ora in
avanti ora indietro, ma cercò sempre di riequilibrare il
peso e
tentare di restare dritta. Ma più si sforzava nel
ridistribuire il
peso, più sembrava sbagliare e darne sempre troppo da un
lato o
dall’altro, e le oscillazioni aumentarono invece che
diminuire.
Infine guardò il mondo ribaltarsi davanti ai suoi occhi.
Cadde in
avanti, lanciando un urlo terrorizzato, e finì col penzolare
come un
salame a testa in giù.
«Merda»
digrignò i denti, frustrata. Si diede un paio di spinte con
le
gambe, cercò di rialzarsi e tornare dritta, ma questo non
causò
altro se non ulteriori oscillazioni che la fecero ciondolare avanti e
indietro come su un'altalena. Non riuscì più a
trattenersi e lanciò
un urlo nervoso, troppo accecata dalla rabbia. Perché non ci
riusciva? Perché doveva essere così negata
veramente in ogni cosa?!
Sgambettò, con i piedi per aria, furiosa.
«Fatemi
scendere da questa macchina infernale!» ruggì, non
trovando modo di
rimettersi dritta da sola. Con un sospiro rassegnato l'istruttore si
avvicinò a lei, pronto a tirarla giù, ma ormai
era rimasta troppo
tempo con la testa penzoloni verso il basso. Beatris sentì
il sangue
confluire al cervello fin troppo e lo stomaco cominciare a
rovesciarsi. Si sentì sempre peggio, mentre aspettava di
essere
rimessa a terra, e infine si accasciò lasciando cadere le
braccia
verso terra e le gambe distese.
«Sto
per vomitare...» confessò, pallida. Quando infine
toccò terra,
restò distesa lì dov'era, moribonda.
«Andiamo
Moreau, ti porto in infermeria» le disse l'istruttore,
avvicinandosi
per prenderla e costringerla ad alzarsi. Beatris piantò le
mani a
terra e si sollevò di colpo, puntando lo sguardo
all'istruttore
davanti a lei. «No! Sto bene! Posso riprovarci!»
gridò,
determinata, ma il movimento improvviso fu fatale per il suo stomaco
già disastrato. Divenne verde improvvisamente e prima che
potesse
anche solo accorgersene stava già rimettendo la colazione,
dritta
sulle scarpe dell'istruttore che aveva davanti.
«Oh
no...» sibilò, riaprendo gli occhi e accorgendosi
del disastro.
«Gliele pulisco subito! Mi dispiace!» disse, in
preda al panico. Si
tolse la giacca dalle spalle e la usò come un fazzoletto,
per pulire
le scarpe dell'istruttore, ma questo l'afferrò
immediatamente per i
capelli e la sollevò da terra. «Ma che stai
facendo?!» le ruggì
contro. Non seppe mai se a farlo incazzare di più fosse
stato il suo
fallimento, la vomitata o l'aver usato la propria divisa per pulirlo.
Forse una combinazione di tutte le cose, ma qualsiasi fosse il
motivo, neanche dieci minuti dopo si trovò nell'ufficio di
Shadis. A
testa china, la vergogna sul volto, la rabbia nel cuore, Beatris
ascoltò il comandante urlare e brontolare per i successivi
venti
minuti. E infine Shadis la mandò via, piena di rammarico e
di sensi
di colpa. Perché non riusciva proprio a non essere
così debole? Era
decisa ad andare avanti, il discorso del giorno di prima di Reiner
glielo aveva fatto capire, l'aveva riempita di determinazione, eppure
niente andava per il verso giusto. E come se non fosse stato
abbastanza, ora aveva un ultimatum sulla testa. Shadis l'aveva
redarguita: se non fosse riuscita a superare l'esame della settimana
dopo, con l'attrezzatura per il mantenimento dell'equilibrio in aria,
sarebbe stata cacciata fuori dall’esercito. Con o senza la
sua
volontà.
Restò
pensierosa per tutto il resto della mattinata, seduta su un lettino
in infermeria dove le era stato ordinato di restare, per cercare di
riprendersi. Fino a che non fu ora di pranzo e le venne dato il via
libera. Entrò nella sala comune, dove i suoi compagni erano
già
impegnati a mangiare e rifocillarsi. Mosse gli occhi su ciascuno di
loro e trovò, in chi riuscì a vederla, solo
denigrazione o
compassione. Era terribile, sempre peggio. Doveva assolutamente
risolvere quel problema e c'era solo una cosa a cui riusciva a
pensare.
Reiner
era seduto al proprio tavolo, concentrato sul proprio piatto, quando
con la coda dell'occhio vide un'ombra muoversi al suo fianco. Si
voltò a guardarla e sobbalzò, dapprima
terrorizzato, quando vide
Beatris sbucare solo con gli occhi da sotto al suo tavolo.
Inginocchiata di fianco a lui, lo fissava quasi con ostilità
e non
diceva niente. Sembrava un mostriciattolo sbucato da sotto al letto
di un bambino, faceva quasi venire i brividi.
«Che
stai facendo?» le chiese, turbato.
«Come
fai a essere così forte?» gli chiese Beatris,
decisa.
«Eh?»
mormorò, confuso.
«Qual
è il tuo segreto? Ce l'hai nel sangue? Ti viene naturale?
Sei nato
così?» insisté.
«Non...
ho nessun segreto» rispose, sempre più confuso.
«Mi sono solo
allenato molto».
E
solo allora Beatris si alzò in piedi. Quasi
sbatté le mani sul
tavolo e si sporse verso di lui, improvvisamente animata da un nuovo
fuoco. «Perciò esiste un modo per diventare
più forti?! Tu lo
conosci!»
«Certo
che esiste ma non credo sia un segreto».
«Tu
mi devi un favore per averti salvato dalla zoccolata di
April!» gli
disse improvvisamente, puntandogli un dito contro, minacciosa.
«Perciò insegnami!»
«Mi
stai ricattando?» storse il naso, lievemente irritato.
«E poi mi
sembra di essermi già sdebitato abbastanza, ieri nel
bosco».
Beatris
fece un lungo sospiro, arrendevole, e si spostò dal bordo
del
tavolo, mettendosi a sedere sulla panca al fianco di Reiner.
«Hai
ragione, non dovrei crearti altri problemi. Ma... non so davvero a
chi altro provare a rivolgermi» confessò, avvilita.
«Non
hai degli amici?» le chiese, retoricamente. Armin, Mikasa e
Eren
erano ovviamente molto legati a lei, l'avrebbero aiutata
volentieri.
«Armin
non è messo molto meglio rispetto a me, Eren mi urlerebbe
contro e
basta e per Mikasa sarebbe impossibile spiegarmi come fare. A lei
viene naturale, non lo fa seguendo una logica, mi direbbe solo di
continuare a provarci. Ma è ovvio, ormai, che io stia
sbagliando
qualcosa... tu invece sei arrivato a tanto perché ti sei
allenato,
sai come si fa, e...» arrossì lievemente,
imbarazzata per quanto
stava per dire. «E sei sempre molto gentile con tutti, anche
con me,
mentre gli altri non fanno che prendermi in giro».
«Hai
vomitato sulle scarpe di un istruttore, sfiderei chiunque a non
prenderti in giro» disse Reiner, tornando a mangiare il suo
pasto.
Beatris si voltò verso di lui e si portò le mani
davanti al volto,
unite in forma di preghiera. «Te lo chiedo per favore,
Reiner! Giuro
che non ti infastidirò, sarò disciplinata e
ascolterò tutto quello
che mi dirai! Ti prego, aiutami».
Reiner
sondò per qualche istante la sua espressione contrita.
Stretta in se
stessa, con gli occhi serrati e la mani unite davanti alla sua
faccia. Era davvero disperata e per qualche ragione sentiva che
avrebbe davvero voluto fare qualcosa per rispondere a quella sua
sincera e sviscerata richiesta.
«Perché
vuoi diplomarti all'accademia?» le chiese, tornando a
mangiare.
«Eh?»
mormorò Beatris, abbandonando la sua postura.
«Perché me lo
chiedi?»
«Voglio
capire fin dove arriva la tua determinazione. Quanto sei disposta a
sacrificare».
«Io...»
mormorò, distogliendo lo sguardo e puntandolo al tavolo. Si
portò
le mani sulle gambe e tornò a stringersi in se stessa.
«Credo
tutto. Sono disposta a sacrificare tutto» rispose.
«Dopo
Shiganshina non mi è rimasto niente se non Armin, Mikasa e
Eren. Non
voglio perdere anche loro...»
Non
le era rimasto niente? E quella sorellina che aveva visto alla
cattedrale?
«Non...
hai una famiglia da cui tornare?» azzardò, senza
scendere troppo
nei dettagli. Sarebbe stato imbarazzante anche per lui confessare che
l'aveva osservata così a lungo, quella volta,
preferì non farglielo
capire.
«Sono
loro la mia famiglia» rispose Beatris e gli sembrò
una risposta più
che convincente. Non aveva che loro, era davvero disposta a tutto pur
di non perderli, anche ridursi a essere lo zimbello dell'intero corpo
cadetti. Anche arrivare a implorare aiuto così
esplicitamente.
Reiner
sospirò, vinto. «Dopo l'allenamento del
pomeriggio, prima di cena,
dovremmo avere un paio d'ore libere. Ti aspetto al terzo
cortile».
«Evviva!»
Beatris esplose improvvisamente di gioia. Si lanciò addosso
a
Reiner, avvolgendogli le braccia intorno al busto, e lo strinse in un
goffo abbraccio. «Grazie Reiner!»
esclamò, felice come una
bambina. Lo lasciò pochi istanti dopo, senza accorgersi
dell'improvvisa paralisi in cui Reiner sembrava essere appena caduto.
Con la bocca ancora aperta, il cucchiaio a pochi centimetri dal suo
volto, gli occhi sgranati, non si muoveva di un solo centimetro. Lei
si alzò e si allontanò con un rapido:
«A dopo, allora!»
lasciandolo solo nel suo mondo improvvisamente gelido e caldo allo
stesso tempo. Era stata la cosa più dolce che gli fosse mai
successa
in tutta la sua vita. Mai prima di allora qualcuno lo aveva
apprezzato tanto, mai prima di allora qualcuno gli aveva rivolto
così
tanta stima e... era mai successo che qualcuno che non fosse sua
madre lo abbracciasse? Beatris se n'era andata già da un
paio di
minuti abbondanti eppure riusciva ancora a sentire il calore delle
sue braccia intorno al petto.
"È
un demone... è solo un dannato demone... nient'altro che un
demone"
si ripeté, ma si accorse presto che lo faceva solo per
autoconvincersene. Sentiva il cuore pulsargli in petto più
forte del
normale e uno strano calore prendere sempre più possesso del
suo
volto. Stava per caso... arrossendo? Per una cosa come
quella?!
Posò
finalmente il cucchiaio nel suo piatto, con la zuppa lasciata a
metà,
e lentamente la spinse di qualche centimetro lontano.
«Non
ho più fame...» mormorò tra
sé e sé, irritato. Se non si fosse
trovato in mezzo a tutto il resto dei suoi compagni probabilmente
avrebbe ceduto a quell'improvviso desiderio che adesso aveva di
ribaltare completamente il tavolo. E cominciare a tirargli testate
solo per togliersi dalla mente simili stupidaggini.
Era
quasi il tramonto quando finalmente, fermo al centro del cortile,
Reiner vide arrivare anche Beatris, puntuale. Lei gli corse incontro,
alzando una mano per salutarlo, e allegra e pimpante gli si
fermò
davanti. «Eccomi! Sono pronta. Che facciamo?»
chiese, euforica.
Reiner
la guardò torvo, con le braccia incrociate al petto. Era
rimasto
nervoso tutto il giorno dopo l'ora di pranzo, arrabbiato con se
stesso per aver apprezzato così tanto il suo gesto. Ma per
quanto
l'istinto gli dicesse di allontanarsi quanto prima, lasciarla
perdere, non riusciva a rifiutare totalmente il desiderio che adesso
aveva di aiutarla davvero. E poi mostrarsi gentile con gli altri
faceva parte della sua missione, non avrebbe potuto
rifiutarsi.
Doveva farlo, doveva riuscire a diventarle amico senza perdere il
controllo di se stesso.
La
scrutò da capo a piedi con severità e infine
disse: «In punta di
piedi».
«Eh?»
mormorò Beatris, confusa. Ma fissò il suo sguardo
forte e deciso e
infine eseguì. «Così?»
«Allarga
le braccia» continuò Reiner, e per quanto Beatris
non capisse dove
stesse cercando di arrivare obbedì. In fondo aveva promesso
che
avrebbe fatto tutto quello che le diceva.
«Adesso
alza un piede» ordinò Reiner e Beatris ancora
eseguì, ma spalancò
gli occhi spaventata quando si sentì immediatamente
sbilanciare da
un lato. Cercò di restare in equilibrio, muovendo un po' le
braccia,
ma come per l'attrezzatura di addestramento al movimento
tridimensionale più si muoveva più si sentiva
sbilanciare. E infine
cadde da un lato. Piantò in tempo il piede a terra e si
evitò così
di sfracellarsi al suolo.
Reiner
aggrottò le sopracciglia, contrariato, e disse:
«Hai un pessimo
equilibrio».
«Grazie,
lo sapevo anche io!» ruggì lei,
frustrata.
«Riprova»
le ordinò, facendo un passo indietro per darle spazio.
«Finché non
riuscirai a restare ferma».
«Ma
che razza di addestramento è questo?»
lamentò lei, contrariata. Ma
non si oppose all'ordine e tentò nuovamente.
«È
quello che ti serve per superare l'esame della prossima settimana.
Hai bisogno di allenare il tuo equilibrio, abbiamo solo una settimana
a disposizione ma cercherò di farmela bastare».
«Eh?
Vuoi... aiutarmi per tutta la settimana?» mormorò
Beatris,
oscillando sul suo singolo piede. Reiner la guardò quasi
cadere di
nuovo, e tentare ancora.
«Non
è quello che mi hai chiesto?»
«Certo...»
mormorò lei, arrossendo lievemente. «Ma pensavo
che ti saresti
limitato a darmi qualche dritta, non credevo che avessi intenzione di
seguirmi per tutta la settimana...» confessò.
«Non vorrei recarti
troppo disturbo».
«È
troppo tardi ora per pensare di disturbarmi, e comunque non sarei qui
se non volessi farlo».
«Grazie...»
disse lei prima di lanciare un gridolino per aver di nuovo perso
l'equilibrio.
«Concentrati
su un punto fermo» le suggerì. «E fai
movimenti minimi per
stabilizzarti, se ti agiti finirai solo col peggiorare la
situazione».
«Va
bene!» disse, determinata. «Punto fisso! Movimenti
minimi!»
mormorò concentrata e cercò di eseguire,
muovendosi il minimo
indispensabile e fissando un punto davanti a sé con tale
forza che
sembrava avesse voluto incendiarlo con la forza del pensiero. Ma
spalancò improvvisamente gli occhi quando si rese conto di
essere di
nuovo eccessivamente inclinata su di un lato, mossa questa volta
lentamente non si era accorta dell'eccessivo sbilanciamento fino a
quando non aveva sentito la gravità trascinarla a terra.
Gridò, in
preda al panico, e d'istinto alzò le braccia al cielo mentre
vedeva
il terreno avvicinarsi pericolosamente al volto.
«Ma
che...» sibilò Reiner, sconvolto, e si mosse
rapido in avanti.
Riuscì a prenderla in tempo, prima di vederla sfracellarsi
al suolo,
e Beatris restò appesa al suo braccio come priva di vita per
qualche
istante. Poi si voltò a guardarlo con le lacrime agli occhi:
«Non
ci riesco...»
«Ti
stai di nuovo mettendo a frignare?» le chiese, raddolcito
dalla sua
espressione avvilita.
«Non
sto piangendo» tirò su col naso. Reiner
sospirò affranto e riuscì
a sentire improvvisamente tutto il nervoso provato fino a quel
momento scivolare via dalle sue spalle. Quella ragazza aveva
decisamente bisogno di aiuto e glielo voleva dare. Glielo voleva dare
assolutamente. Ma perché? Perché sentiva
quell'assurda sensazione
di tranquillità e leggerezza tutte le volte che incrociava
il suo
sguardo? Era così genuina, così innocente,
così pura... come
poteva essere un demone?
«È
naturale non riuscirci le prime volte, non abbatterti subito»
le
disse con dolcezza. «È per questo che si chiama
allenamento. Devi
provarci continuamente e solo provando alla fine riuscirai a
farlo».
«Va
bene» annuì lei, ancora appesa al suo braccio.
«Hai
intenzione di rialzarti da sola o dovrò tirarti di nuovo su
io?» le
chiese, sentendo gli angoli della bocca allungarsi in un vago
sorriso. Come se l'avesse trattenuto, come se non avesse voluto farlo
uscire, ma alla fine questo avesse vinto contro tutte le sue
convinzioni. Beatris si aggrappò al suo braccio e si rimise
finalmente in piedi.
«Fai
un gran sospiro, cerca prima di tutto di calmarti» le
suggerì,
restandole questa volta di fronte. Beatris chiuse gli occhi e prese
un'ampia boccata d'aria, allargando il petto il più
possibile,
trattenendola nei polmoni e poi lasciandola uscire lentamente.
«Sono
calma» decretò infine.
«Bene.
Riproviamoci finché non ci riuscirai».
«Va
bene» annuì lei e tornò ad allargare le
braccia. Riaprì gli
occhi, cercò il suo punto fisso che questa volta fu proprio
il volto
di Reiner, l'unica cosa che avesse davanti, e tornò ad
alzarsi sulla
punta di un singolo piede. Lui le restò di fronte e le
appoggiò le
mani sotto le braccia, aiutandola prima a trovare una posizione
più
dritta. Poi lentamente la lasciò andare ma restò
comunque davanti a
lei, pronto a sorreggerla se fosse di nuovo caduta. E proseguirono,
tentativo dopo tentativo, fino all'ora di cena. In quelle due ore non
avevano fatto molti progressi, Beatris risultava ancora instabile, ma
perlomeno riuscì a non cadere più anche senza
l'aiuto di Reiner.
Nei giorni successivi, ogni buco libero lo riempirono di quegli
esercizi che Reiner studiava appositamente per lei, aumentando sempre
più il grado di difficoltà. Sporgersi in avanti,
muovere la gamba,
fare qualche affondo, provare a restare in equilibrio su qualche
oggetto sottile. Non era mai eccezionale nell'esecuzione, ma i
miglioramenti si vedevano ed erano rapidi, anche se qualche volta era
finito col rimetterci anche lui. Aveva perso il conto del numero di
volte che lei, cadendo, l'aveva trascinato a terra con sè
mentre
cercava di sostenerla. Ma il più delle volte il tutto si
concludeva
con qualche risata e qualche livido che tanto sarebbe sparito nel
giro di un paio di giorni. Al contrario di quella sensazione di
benessere sempre crescente che aumentava, giorno dopo giorno, nel
passare la maggior parte del loro tempo libero insieme.
Imparò a
conoscerla e più lo faceva più sentiva la
determinazione ad
aiutarla crescere sempre più dentro sé. Senza
accorgersene,
cominciò a provare ogni giorno sempre più una
certa impazienza,
nell'attesa del primo momento libero in cui avrebbe potuto tornare a
passare del tempo in sua compagnia. Era distensivo, era
risollevante... gli dava un buon umore che non credeva sarebbe mai
stato capace di provare, soprattutto in un luogo come quell'isola.
Era... assurdamente divertente. Il più delle volte, quando
ormai lei
aveva cominciato a padroneggiare meglio il proprio equilibrio tanto
da permettersi di chiacchierare mentre faceva i suoi esercizi, quelle
ore divennero qualcosa di simile a un incontro tra amici che
parlavano del più e del meno, per distrarre la mente.
Sentirsi più
leggeri.
E
infine arrivò il giorno dell'esame.
Reiner
uscì nel cortile insieme al resto dei suoi compagni, con
l'imbracatura già pronta e una lieve tensione a irrigidirgli
i
muscoli. Ci era sempre riuscito, sapeva che quell’esame non
sarebbe
stato difficile per lui, ma era pur sempre un esame e l'ansia giocava
sempre brutti scherzi se non propriamente preparati. Seguì
il suo
gruppo, avvicinandosi alle attrezzature installate per testare il
loro equilibrio in sospensione, ma non si avvicinò
totalmente,
attirato da una voce disperata.
«Reineeeeeer!!!»
sentì gridare Beatris, in preda al panico. Si
voltò allarmato a
guardarla, chiedendosi cosa stesse accadendo, e se la vide correre
incontro in lacrime. «Non mi lascia in pace!»
gridò piombandogli
addosso. Lo afferrò, se lo trascinò contro e
cercò di nascondersi
dietro di lui. «È posseduto! È un
demone dell'inferno! Fermalo!»
gridò, continuando a muoversi in preda al panico intorno a
lui,
tirandolo a strattonandolo per cercare di usarlo come scudo.
«Ma
che...» mormorò confuso e turbato per il
trattamento che lo portava
quasi ad arrancare sui suoi stessi piedi. E solo in quel momento vide
l'oggetto del terrore: un insetto, grande almeno tre centimetri, nero
e spaventosamente rumoroso nel suo volargli intorno.
Sventolò una
mano, cercò di scacciarlo, ma l'insetto gli volò
attorno senza
arrendersi nel suo feroce attacco.
«Ma
da dove arriva?!» lamentò, continuando ad
indietreggiare e provare
a scacciarlo.
«Non
lo so» piagnucolò Beatris, strattonando Reiner da
un lato e
facendolo quasi cadere a terra. «Mi sono appoggiata a una
ringhiera
e lui ha iniziato a inseguirmi da allora! Mi sa che l'ho quasi
schiacciato senza volerlo e si è arrabbiato».
L'insetto
volò spedito verso il volto di Reiner e lui ancora
indietreggiò e
sventolò una mano per scacciarlo via. Riuscì a
colpirlo, lo lanciò
da un lato, ma Beatris era proprio in traiettoria e se lo vide
piombare addosso. Urlò terrorizzata, tirò Reiner
da un lato per
provare ancora a usarlo come scudo, ma fu il gesto decisivo.
Inclinato all'indietro, strattonato da un lato, si trovò a
incespicare sui piedi di Beatris dietro di lui. E caddero infine
entrambi a terra.
«Ma
perché devo sempre finire a terra tutte le volte che mi stai
intorno?» lamentò Reiner, steso, immobile. Troppo
affranto per
quella ridicola situazione per trovare subito le forze di rialzarsi.
Non finì la frase che l'insetto, moribondo per la botta di
poco
prima, gli volò su una guancia trovando lì il suo
appoggio per
cercare di riprendersi. Reiner impallidì, ma non ebbe il
tempo di
pensare a come reagire che Beatris lo fece prima di lui. Lanciando un
grido spaventato, caricò la mano in direzione
dell'insetto... e
colpì Reiner in pieno viso con uno schiaffo. Lui non ebbe
neanche la
forza di reagire. Spalancò gli occhi, allucinato, e con la
guancia
dolorante si alzò a sedere puntando uno sguardo severo, al
limite
del furioso, a Beatris.
«Ahia»
disse deciso, come fosse stato un insulto. Ma lei non lo
considerò
minimamente, concentrata a osservarsi ora la mano con cui l'aveva
colpito. Infine gliela mostrò, con innocenza, dicendo
candidamente:
«L'ho preso».
Sul
suo palmo ora giaceva una poltiglia di ali frantumati, liquido
viscido ed esoscheletro a brandelli.
«Non
ti ha punta, vero?!» le chiese allarmato, ma non fece nemmeno
in
tempo a finire la frase che la vide corrucciare le sopracciglia e
contorcersi in un'espressione quasi sofferente. «Oh
no...» mormorò,
sventolandosi la mano pulita davanti al volto. «Polvere nel
nas...»
e starnutì. Portandosi istintivamente la mano destra davanti
alla
bocca, per coprirsi: la stessa mano su cui giaceva ancora il cadavere
dell'insetto. Si accorse troppo tardi dell'errore, razionalizzando
ciò che era successo solo quando sentì la
viscosità dell'insetto
quasi sfiorarle le labbra e il terribile fetore che emanava arrivarle
dritto nelle narici. Si allontanò la mano dal volto con uno
scatto,
indietreggiò con la testa e gridò nauseata:
«Che schifo!!!»
Reiner
restò paralizzato, a guardarla interdetto e sconvolto. Tutto
quello... era al limite dell'assurdo. Era troppo anche per riuscire a
pensare a qualcosa, porsi delle domande. Non riusciva proprio a
credere a ciò che aveva appena assistito, ciò che
era appena
successo anche a lui. Era stata un'escalation di disastri stupidi e
ridicoli, che aveva per la maggior parte causato lei. Per
stupidità,
forse solo per sfortuna, non seppe dirlo. Ma era davvero ridicolo. La
cosa più inverosimile che avesse mai potuto anche solo
immaginare.
Ed era incredibilmente esilarante.
Una
risata gli sfuggì dalle labbra in uno sbuffo e si
portò subito una
mano alle labbra, cercando di nascondercela dentro. Ma più
ci
pensava e più non riusciva a trattenersi. Quella ragazza si
stava
addestrando per abbattere giganti e alla fine era stata completamente
distrutta da un ridicolo insetto. Come se non fosse stato abbastanza,
con quel suo ultimo gesto, aveva concluso l'opera nel peggiore dei
modi. Ed era stata colpa sua, della sua ingenuità che a
volte non la
facevano pensare alle conseguenze e che la portavano ad agire solo
d'istinto. Sghignazzò, stringendosi la mano sulla bocca nel
tentativo di nasconderlo, inutilmente. E più la sentiva
lamentarsi,
più la vedeva sventolare la mano nel tentativo di liberarsi
del
cadavere e dei suoi residui, sempre più disperata e
disgustata, più
sentiva l'ilarità accecarlo completamente.
«Non
ridere delle mie disgrazie!» ruggì infine Beatris,
irritata nel
vederlo deriderla. E lui reagì altrettanto velocemente
rinfacciandole: «Tu sei una disgrazia!»
«Ti
ho salvato la vita! Poteva pungerti! Dovresti ringraziarmi!»
«Mi
hai tirato uno schiaffo!» e Beatris parve notare la sua
guancia
colpita solo in quel momento. L'osservò per qualche istante,
curiosa, poi scoppiò a ridere anche lei.
«Hai
il segno delle dita in faccia!» rise sganasciatamente e
Reiner
spalancò gli occhi sconvolto. Si portò una mano
alla guancia e si
accorse solo in quel momento che gli faceva veramente male.
Sospirò,
vinto, ma ancora divertito. «Ribadisco, sei una
disgrazia».
Ma
restò ad ascoltarla, a lungo, mentre rideva tanto forte da
farsi
quasi venire le lacrime agli occhi. Era rasserenante. Era veramente
incredibile come fosse in grado con poco di distendergli davvero ogni
muscolo.
«Beatris
Moreau!» la chiamò Shadis e fu quello a fermare il
suo moto di
ilarità. Beatris scattò in piedi, si
ripulì velocemente la mano
sulla giacca sotto lo sguardo contrariato di Reiner, e si
avvicinò
all'impalcatura. Pronta a sostenere la sua prova definitiva. Shadis
le si piazzò davanti, con una cartelletta tra le mani, e
restò ad
osservarla. Attento. Beatris fece un profondo sospiro, cercò
la
calma, poi iniziò a legarsi. Diede infine l'ok per essere
sollevata
e sentì essere travolta da quel senso di
instabilità che conosceva
ormai fin troppo bene. Mosse un po' i piedi, allargò
lievemente le
braccia, cercò con tutta se stessa di non perdere
l'equilibrio. Ma
si sentiva vacillare, per quanto si sforzasse oscillava fin troppo e
sapeva che se avesse continuato ad agitarsi avrebbe solo fatto
peggio. Doveva trovare il suo centro... il suo punto fisso. E
puntò
gli occhi a Reiner, ora in piedi insieme al resto dei suoi compagni,
che la osservava apprensivo. Reiner le fece un cenno d'assenso,
cercando di trasmetterle con quel semplice gesto sicurezza e
concentrazione. Si erano esercitati tanto, poteva farcela, per quanto
fosse difficile. Sapeva che poteva farcela... desiderava che potesse
farcela! Se avesse fallito sarebbe stata cacciata e allora chi
l'avrebbe travolto portandosi dietro insetti dalla dubbia
docilità?
Chi sarebbe riuscito ad alleggerirlo tanto da farlo ridere, persino
su quell'isola di demoni, con una missione imponente sulle spalle? Si
tese, nervoso, ma non perse il contatto visivo con lei. Come se fosse
capace di parlarle solo con quello, dirle cosa doveva fare. La vide,
rigida, ammorbidirsi lentamente ma non abbandonare il suo sguardo
concentrato. E infine restò immobile dov'era, perfettamente
in
equilibrio, anche se con qualche oscillazione di troppo di cui
però
riprendeva subito il controllo. Restò così
secondi, minuti, e
infine Shadis decretò: «Va bene, tiratela
giù. Esame superato».
Beatris
spalancò improvvisamente il volto in un luminoso sorriso,
pieno di
felicità ed emozione. E lo destinò tutto a
Reiner, investendolo con
quel suo mare di gratitudine che parve avere la potenza di un'ondata.
Lo travolse con la sua allegria, lo ricoprì totalmente e
infine lui
si sentì tirare a picco, trascinato dalla corrente. Neanche
si
accorse di starle sorridendo a sua volta, disteso, felice.
NDA.
Continuiamo
con l’approfondimento del carattere e soprattutto della loro
relazione :3 Beatris è un piccolo uragano, piena
di euforia,
rumorosa e forse proprio per questo rasserenante. Reiner sente il
peso della missione sulle spalle, vede nemici ovunque si giri, ma lei
col suo modo di fare solare e infantile riesce a distenderlo. E non
ne capisce il motivo… no, nemmeno voi lo capite, ve lo dico
io xD
C’È il motivo dietro, non è solo
“aaaww è simpatica”, e
presto verrà a galla. Lui non la conosce, eppure qualcosa
dentro di
lui lo spinge a volerle stare vicino… chissà
cosa. Lo saprete
presto :P
Nel frattempo si lascia coinvolgere e finisce con
l’iniziare a provare reale simpatia e affetto per questo
sgorbietto
rumoroso e impertinente.
Vi
lascio la canzone del “giorno” :P eheheh
Anche
se cantata da una voce femminile, è riferita a Reiner. Si
sente
sperduto in quel posto “oscuro”, aspettando di
poter tornare a
casa, è tutto ciò che desidera. E mentre
è lì che ragiona sul
senso della sua vita compare Bea e quasi le chiede di prenderlo per
mano, portarlo in posti nuovi (metaforicamente… intesi come
momenti
nuovi, cose che non credeva possibili, perché quando
è con lei
riesce persino a essere… felice?), non sa chi lei sia
effettivamente… ma “i’m with
you”.
https://www.youtube.com/watch?v=Q_ItzTJfNV8
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
La
vita al centro d'addestramento era faticosa, estenuante, ma alla fine
non era nemmeno troppo male. Per qualche strana ragione, ogni
mattina, Beatris si svegliava col cuore pieno di calore. Forse era la
vicinanza con Mikasa, il loro dormire sempre insieme, a metterle il
buon umore, o forse la quantità innumerevole di nuove
amicizie che
stava stringendo. Tutte quelle persone, tutte le loro
particolarità,
la rallegravano, la divertivano, la distraevano. E poco importava se
non era un granché negli esercizi, se faceva sempre
più fatica
rispetto agli altri, durante le pause lei aveva sempre qualcosa e
qualcuno con cui sorridere.
Quella
mattina si vestì con la divisa il più velocemente
possibile,
affamata come poche volte lo era stata. Si infilò una
canottiera più
pesante sotto la camicia, quella notte aveva spolverato un po' di
neve le temperature erano particolarmente rigide.
«Dai,
Mikasa!» gridò, uscendo fuori dal dormitorio. Non
l'aspettò e
corse fuori.
Dietro
di lei, pochi istanti dopo, sentì l'urlo euforico di Sasha
mentre
correva per raggiungerla. «Ha nevicato!»
gridò, rossa in volto
forse per l'emozione o forse per il freddo. Beatris alzò gli
occhi
al cielo, ancora plumbeo.
«Forse
ne farà ancora in giornata» mormorò,
affascinata dal colore opaco
delle nuvole. Una palla di neve, piccola e ben compattata, tanto da
sembrare più ghiaccio vivo, le volò incontro e la
prese in piena
nuca. Con un lamento per poco non cadde a terra.
«Che
male!» gridò, voltandosi a cercare l'artefice di
quell'affronto.
Sasha era china per terra e stava già cercando di formarne
un'altra
con la poca neve che riusciva a raccogliere in giro. Christa si
inginocchiò di fianco a lei, preoccupata. «Sasha,
ferma! Non è
neve morbida, stai creando dei proiettili non delle palle! Rischi di
fare male a qualcuno» ma la ragazza patata la
ignorò e scavò per
terra cercando di prendere quanta più neve possibile. Non
appena
pronta, puntò gli occhi infuocati a Beatris e
sghignazzò, pronta a
colpirla ancora.
«Ferma!»
gridò Beatris e si voltò, per scappare il
più lontano possibile.
Sasha iniziò a urlare carica di determinazione e
sprintò tanto
rapidamente che se fosse stato un altro degli esami di Shadis
probabilmente sarebbe arrivata prima nella valutazione. Brandendo la
palla di ghiaccio, più che di neve, come fosse un'arma,
rincorse
Beatris per tutto il campo, che cercava come poteva di allontanarsi
il più possibile. Troppo lenta, venne raggiunta e infine
colpita. Il
colpo alla schiena le tolse quasi il fiato, mentre Sasha dietro di
lei rideva a pieni polmoni come un cacciatore sadico che aveva appena
abbattuto la preda. Per il colpo, ma soprattutto per il terreno umido
e ghiacciato, Beatris perse stabilità nei propri piedi.
Cadde in
avanti con un urlo e, ancora per il suo stupido istinto,
alzò le
mani al cielo piuttosto che provare ad attutire la caduta.
L'abrasione che si fece al mento l'avrebbe accompagnata per almeno
una settimana, ma come tutte le sue ferite nemmeno quella la
sentì
troppo, probabilmente abituata. Ma lo scivolone in avanti fece
penetrare neve e ghiaccio dentro al colletto, tra i bottoni della
camicia, e non ci fu canottiera di lana abbastanza calda da
proteggerla. Urlò, in preda alle convulsioni per il freddo
mentre
sentiva il ghiaccio scivolarle nel petto e sul ventre, e d'istinto si
sollevò in ginocchio e cominciò a
spogliarsi.
«Bea!»
gridò Christa in preda al panico e le saltò
addosso. «Non puoi
spogliarti in mezzo al cortile» e lanciò occhiate
preoccupate in
giro, dove ora non solo passavano le ragazze uscite dal dormitorio
femminile, ma anche i ragazzi usciti da quello maschile che si
trovava esattamente a pochi metri da loro.
«Ho
il ghiaccio dentro la divisa!» urlò Beatris,
cercando di strapparsi
i bottoni della camicia per togliersela.
«No!
Non qui!» gridò Christa e lottò contro
di lei per impedirle di
spogliarsi. «Mikasa!» chiamò, in cerca
di aiuto, ma la ragazza
passò loro a fianco con la sua solita apatia, senza
preoccuparsi
molto della situazione. «Lasciaglielo fare, si
accorgerà da sola
dell'errore» e si allontanò. La distrazione di
Christa fu fatale,
Beatris la spintonò a terra riuscendo così ad
allontanarsela, e
infine aprì tutto, restando solo con la canottiera smanicata
e
aderente. L'alzò, scoprendo il ventre, e fece gocciolare
giù acqua
e ghiaccio, riuscendo a liberarsene. Ebbe qualche secondo di tempo
per riuscire a riprendersi dallo shock, ora che era libera, prima di
accorgersi di aver solo peggiorato la situazione. Quasi del tutto
scoperta, il freddo dell'aria esterna a contatto con la sua pelle ora
bagnata, le diede il colpo di grazia. Christa, a terra, d'istinto si
guardò attorno preoccupata ed esattamente come si era
aspettata un
buon numero di spettatori si era fermato a fissarle. E nessuno di
loro aveva espressione neutra. Jean, forse più di tutti,
sembrava
essere andato in black out. Occhi vitrei, espressione paralizzata e
volto rosso come un pomodoro, non riusciva a togliere gli occhi di
dosso dal ventre e le spalle scoperte di Beatris. E nonostante il
seno fosse ancora coperto, la maglietta era così aderente e
ora
bagnata per via della neve, che era quasi come se non l'avesse.
Christa scattò verso l'amica, si tolse di dosso la propria
giacca e
la propria sciarpa, e ce l'avvolse dentro.
«Non
c'è tempo di tornare a cambiarti, salteremo la colazione
così.
Andiamo nella sala comune, ti metti vicino al camino e provi a
scaldarti» le disse, ma Beatris era come paralizzata,
completamente
congelata non riusciva più neanche a pensare.
«Sto
per morire» sibilò appena.
«Ehy!»
Reiner le chiamò e corse verso di loro, seguito da Marco e
Bertholdt. «Che succede? State bene,
ragazze?»
«Sasha
l'ha colpita con una palla di neve troppo fredda e indurita,
l’ha
buttata a terra e tutto il ghiaccio le è entrato dentro la
divisa.
Penso sia in shock termico» spiegò Christa,
preoccupata.
«Dobbiamo
portarla al caldo» disse Marco, mentre Reiner si
inginocchiava di
fronte a Beatris. Le mise una mano sulla spalla, una sul volto per
costringerla a voltarsi e guardarlo, e cercò di esaminare la
situazione. Aveva le guance completamente rosse e non c'entrava
né
l'imbarazzo né nessun tipo di emozioni. Alcuni capillari
erano
scoppiati, poteva vederne le macchioline sugli zigomi. L'iride
eccessivamente ristretto gli suggeriva inoltre che fosse in preda a
un qualche tipo di confusione, per questo era paralizzata e non
reagiva. Sarebbe potuta svenire da un momento a un altro, non era
certo che fosse ancora lì con loro, a capire chi avesse
attorno.
«Va
scaldata gradualmente. Andate a prendere una coperta» disse,
voltandosi verso Marco, ma non appena terminò Beatris
finalmente si
mosse. Camminando con le ginocchia si avvicinò rapida a
Reiner e si
aprì un varco tra le sue braccia. Reiner non ebbe tempo
nemmeno di
capire cosa stesse accadendo, che si trovò improvvisamente
Beatris
avvinghiata addosso. Aveva infilato le braccia all'interno della sua
giacca, si era accasciata per riuscire ad arrivare col volto al suo
petto -e data la differenza d'altezza non era nemmeno stato
difficile- e si era stretta contro di lui. Le braccia avvolte intorno
al ventre, sotto la giacca, il volto schiacciato sulla spalla e il
resto del busto il più schiacciato possibile contro quello
del
ragazzo.
«Sei
caldo» la sentì mormorare contro la propria
spalla. E Reiner restò
paralizzato, completamente inerme. Persino lo sguardo era ancora
fisso davanti a sé, come una statua, incapace di muoversi o
di
pensare a qualsiasi cosa. Sentiva solo che stupidamente il proprio
cuore nel petto aveva deciso di esplodere più e
più colpi, tanto da
arrivargli nelle orecchie e assordarlo. Forse sarebbe stato lui
quello che sarebbe svenuto, sopraffatto dalla vergogna, privato di
qualsiasi pensiero. Se avesse avuto un qualche senso attivo, avrebbe
percepito il gelo intorno a sé e non solo della giornata di
neve.
Christa, Marco e Bertholdt erano altrettanto paralizzati per
l'incredibile scena che stavano assistendo.
Reiner
cominciò a riprendere coscienza di sé, a
riattivare i sensi, ormai
troppo tardi. A destarlo furono le mani di Beatris che si
muovevano dietro la sua schiena e che in un solo gesto avevano
afferrato il retro della sua camicia e lo stava sollevando per
sfilarla dai pantaloni. Preso dal panico, portò indietro le
mani e
provò a fermarla, ma era tardi... troppo tardi. Beatris
infilò le
mani sotto la sua camicia, direttamente a contatto con la pelle nuda
della schiena, all'altezza dei reni. E tutto l'imbarazzo di Reiner,
che l'aveva fatto accaldare spaventosamente, calò
d'improvviso sotto
al gelo di quelle dita di ghiaccio contro i propri reni.
«Sei
congelata!» gridò, in preda al dolore di quel
contatto.
«Adesso
va un po' meglio» mormorò invece Beatris, beata
del calore del
corpo di Reiner contro le sue dita di cui cominciava a riavere
sensibilità solo in quel momento. Reiner si
dimenò, provò a
scacciarla, ma lei gli si era avvinghiata peggio che un animale, e
riusciva a sgusciare via dalla sua presa per infilare di nuovo le
mani di ghiaccio sotto la sua camicia.
«Vado
a prendere una coperta» riuscì finalmente a dire
Marco,
sbloccandosi dalla sua paralisi non appena vide Reiner che cominciava
a dimenarsi come un’anguilla e a ruggire. Corse dentro il
dormitorio e sparì per qualche secondo, il tempo di trovare
ciò che
gli serviva, e quando uscì nuovamente vide che le acque
parevano
essersi calmate. Reiner si era arreso, vinto anche dalla
priorità di
cercare di tenere al caldo la ragazza, e aveva smesso di ribellarsi.
L'espressione non era delle più felici, anzi sembrava
veramente
incazzato, ma lasciava che Beatris gli restasse avvinghiata, con le
mani poggiate alla pelle della sua schiena. Aveva afferrato i lembi
della propria giacca e li aveva tirati in avanti, per avvolgerla
meglio al suo interno e cercare di scaldarla. Il suo buon cuore aveva
avuto la meglio sul proprio istinto di autoconservazione, e aveva
dato priorità al benessere dell'amica piuttosto che al suo.
Marco li
raggiunse, appoggiò la coperta sulle spalle di Beatris, e
infine
riuscì a tirarla via da Reiner e liberare l'amico.
«Se
mettiamo i suoi vestiti vicino al camino si asciugheranno prima
dell'inizio dell'addestramento, e intanto potrà fare
colazione»
propose Christa, prendendo Beatris per le spalle e iniziando a
guidarla verso la sala comune. Marco le fu accanto, parlò
con loro,
mentre Reiner e Bertholdt rimasero pochi passi indietro. Bertholdt
aiutò l'amico a rialzarsi, offrendogli una mano, e seguirono
il
resto del gruppo. La faccia di Reiner era quella di un animale pronto
a saltare al collo di una preda e sgozzarla.
«Forse
te l'ho già chiesto...» disse Bertholdt, ma si
lasciò scappare un
sorriso divertito. «Sei sicuro di aver fatto la scelta
giusta?»
Non
specificò l'argomento, ma Reiner sapeva che si riferiva al
fatto di
voler diventare amico di Beatris così da essere meglio
accettato da
quelle persone. Grugnì, frustrato. «Probabilmente
lo è...» disse.
«Ma sarà una bella sfida».
«Niente
che un Guerriero come te non possa sostenere».
«Non
prenderti gioco di me» borbottò Reiner, frustrato,
e Bertholdt non
riuscì a non trattenersi dallo sghignazzare.
Entrarono
nella sala comune e Christa corse ad appendere subito gli abiti di
Beatris vicino al camino così da permettere loro di
asciugarsi. La
ragazza venne invece accompagnata da Marco a uno dei tavoli, sempre
lì vicino, e la fece sedere mentre lui andava a prendere la
colazione per entrambi. Le diedero del té caldo, per
aiutarla a
riprendersi, e Beatris si fece accudire come una bambina.
Mangiò,
bevette e restò tranquilla, avvolta nella coperta, fintanto
che il
freddo non cominciò finalmente a lasciarla libera. Non ci
volle
molto, che l'accaduto con la neve venne completamente dimenticato, e
tutti presero a parlare vivacemente come al solito. Solo Christa
restò l'unica a preoccuparsi delle condizioni di Beatris
ancora a
lungo, chiedendole di volta in volta se stesse bene, se avesse
bisogno di qualcosa, e portandole altro té caldo quando lo
finiva.
Terminarono
la loro colazione, i vestiti di Beatris per fortuna si asciugarono in
tempo e lei poté ricomporsi prima dell'inizio
dell'addestramento. Ad
aspettarli nel cortile c'erano dei carri e dei cavalli, con gli
istruttori già pronti a partire. Seguirono le loro
indicazioni,
caricando zaini e attrezzature sui carri, e infine salirono anche
loro, diretti verso le montagne. Lassù la neve non solo non
stava
cominciando a sciogliersi, come invece stava facendo in pianura, ma
era addirittura caduta più fitta che mai. Non appena misero
piede
fuori dal carro, i loro stivali affondarono fino al polpaccio.
«Altra
neve» sospirò Beatris, chiudendosi all'interno di
una giacca
pesante e un mantello. «Speravo di non vederne più
per un po'».
«Bea!
Guarda!» esclamò Sasha, intenta a fare un pupazzo
di neve al loro
fianco. Non troppo grande, non ne avrebbe avuto il tempo, ma con
l'aiuto di Connie riuscì a completarlo prima di partire. Con
legni e
aghi di pino avevano dato un'espressione corrucciata e malvagia al
pupazzo.
«È
Shadis» esclamò Sasha, prima di ridacchiare. Al
suo fianco Connie
si mise le mani davanti alla bocca per attutire, se non l'avesse
fatto sarebbe scoppiato in risate sganasciate decisamente troppo
forti. Cosa che invece non fece Beatris, che scoppiò a
ridere a
crepapelle, attirando così sguardi e occhiatacce da parte di
compagni e soprattutto istruttori. Provò a raggiungere i
due, voleva
dare il suo contributo, ma una mano ferrea l'afferrò e
iniziò a
trascinarla via.
«Mikasa!»
esclamò, frustrata.
«Stiamo
partendo. Non perdere tempo» l'ammonì l'amica,
trascinandola via
dai guai prima che avesse potuto finirci. Infatti Shadis
arrivò di
lì a poco e punì sia Connie che Sasha,
schiacciando loro le teste
nella neve.
Passarono
davanti a Reiner e Bertholdt, non li considerarono, troppo impegnate
a bisticciare tra loro, ma il primo dei due si ritrovò a
sospirare
nervosamente. Quella ragazza era un'attira guai naturale, se non ci
fosse sempre stato qualcuno a badare a lei non sarebbe durata
così
tanto lì fuori. Gli istruttori partirono a cavallo e
anticiparono il
plotone lungo la strada, dopo aver dato loro mappe e istruzioni.
Avrebbero dovuto cavarsela da soli su quelle montagne gelate, trovare
la via, e arrivare alla base istituita prima che fosse calata la
notte. Non avevano molto tempo, era già ora di pranzo quando
erano
arrivati, ma proprio per questo si trattava di una sfida. A
peggiorare la situazione c'erano gli zaini ricolmi di attrezzature e
pesi, per dare loro un grado di difficoltà adeguato.
«Cercate
di non perdere il sentiero, tra non molto riprenderà a
nevicare,
rischiate di perdervi» suggerirono, e infine partirono,
sparendo tra
la vegetazione.
«Ci
conviene mangiare adesso un boccone, dopo non ne avremo il tempo e
dovremmo pensare solo a camminare» suggerì Armin e
fu ascoltato.
Era sicuramente la scelta migliore, anche perché gli
istruttori
avevano detto loro di aspettare di vederli sparire prima di iniziare
il percorso, così sarebbero stati soli. Mangiarono,
bevettero,
cercarono di rifocillarsi e infine cominciarono la traversata.
Restarono in gruppo, assolutamente poco propensi all'idea di
separarsi, quelle erano montagne inospitali, piene di pericoli, ma
soprattutto ricoperte di neve. Un'ora dopo la loro partenza, i primi
fiocchi cominciarono a cadere raggiungendoli.
«Ha
già iniziato» mormorò Armin.
«Speravo avesse retto un pochino di
più, così sarà difficile continuare a
seguire il sentiero.
Copriranno le tracce degli istruttori».
«Non
fa niente» ansimò Beatris al suo fianco,
già distrutta ma non per
questo meno determinata. «Abbiamo Sasha con noi, lei
è cresciuta
sulle montagne. Può seguire le tracce anche con la neve,
vero
Sasha?»
E
si voltò a guardarla, trovandola intenta a cercare qualcosa
in una
siepe. Ne uscì poco dopo con delle bacche tra le mani.
«Guardate!»
esclamò, felice. «Assaggiatene una, sono
buone».
«Sasha...
le tracce» mormorò Armin, affranto.
«Fidiamoci
del suo intuito. Anche se distratta, immagino non voglia comunque
morire qui... se costretta saprà condurci lungo la
via» suggerì
Reiner, passando avanti a continuando a camminare. «Non
fermiamoci,
comunque! Tra poco la neve si farà più
fitta».
Beatris
annuì, decisa, e provò a corrergli dietro per
raggiungerlo. Fu
un'impresa decisamente ardua, molto più di quanto si sarebbe
aspettata. Reiner davanti a lei camminava spedito, nonostante
l'ingombro, sembrava risentire poco del peso trasportato e delle neve
che gli cadeva addosso e gli impediva il cammino, bloccandogli gli
stivali. Lei invece già ansimava, era sudata fradicia, e
doveva fare
molta più forza con le gambe per riuscire a contrastare la
neve. Ma
proseguì, determinata.
«Forza,
Bea» l'affiancò Eren. «Possiamo farcela,
continua a camminare».
Lei
annuì, strinse i denti e proseguì. Un'ora, forse
due, forse
addirittura tre. Ormai la neve aveva ricoperto completamente il
sentiero, appesantiva i loro abiti e gli zaini con tutta la sua
umidità ed era penetrata attraverso i vestiti raggelandogli
i
muscoli. Beatris iniziò a rallentare, sempre più
stremata, restando
infine in fondo al gruppo. Armin non era troppo lontano da lei, ma al
suo contrario, anche se rosso in volto per la fatica, non mollava e
continuava a sforzarsi più che poteva. Cercò di
imitarlo e per un
po' ci riuscì, quando alla fine non crollò
definitivamente a terra.
Il gruppo si voltò a guardarla, preoccupato, e le si
avvicinarono.
«Sto
bene» ansimò. «Ho solo bisogno di
riprendere un attimo fiato».
«Se
ti fermi raffredderai i muscoli, sarà peggio» le
disse Mikasa,
offrendole una mano. «Ti aiuto io,
andiamo».
«Ma...
vi rallenterò» mormorò lei, guardando
il suo gruppo fermo ad
aspettarla.
«Ci
rallenterai di più se resti qui ad aspettare di
congelarti».
Eppure,
tra tutti, lei era stata l'unica a crollare a terra. Era frustrante,
persino Armin era riuscito a tenere il passo, nonostante si
equivalessero in quanto a forza e resistenza. Era così
frustrante.
Era
entrata in accademia con le migliori intenzioni, anche se non
considerava la sua motivazione eroica e valorosa come quella di tutti
gli altri, ma era comunque decisa ad arrivare in fondo, a
rafforzarsi, a tenere il passo dei suoi amici, e arrivare al suo
obiettivo. Aveva giurato a se stessa che avrebbe fatto di tutto per
proteggere le persone, per evitare che altri fossero potuti morire a
causa dei giganti. Aveva giurato che quello che era successo a loro
avrebbe impedito con tutte le sue forze che succedesse di nuovo. Ma
se i giganti avessero di nuovo sfondato il muro, se il colossale e il
corazzato fossero tornati, lei, in quelle condizioni, cosa avrebbe
potuto fare? Era ancora quella bambina che era scappata, aiutata da
tutti quelli che aveva attorno, e che non era riuscita a fare niente.
Non seppe nemmeno lei il perché, ma cercò lo
sguardo di Reiner, in
cima alla colonna. Lui era forte, lo aveva dimostrato fin dall'inizio
e continuava a farlo. Niente sembrava abbatterlo, lo ammirava
così
tanto. Ripensò al loro allenamento intensivo di una
settimana per
insegnarle a restare in equilibrio. Lei si era impegnata tanto,
Reiner l’aveva aiutata veramente molto, e non avrebbe mai
dimenticato le sue parole. Piangere e dire di far schifo non le
sarebbe servito a niente. L’importante era continuare ad
avanzare,
in qualunque situazione. Non avrebbe gettato al vento quegli
insegnamenti tanto preziosi.
Strinse
i denti, si corrucciò, e infine si rialzò.
«Ce
la faccio!» disse, più a se stessa che agli altri.
E riprese a
camminare, sotto lo sguardo sorpreso di Mikasa, che presto
tramutò
in uno orgoglioso. Era la prima volta che Beatris rifiutava l'aiuto
di qualcuno e provava a farcela da sola. Che quel posto la stesse
realmente migliorando?
«Andiamo»
incitò gli altri e a pugni e denti stretti
continuò a camminare.
Ogni passo era faticoso come spostare una montagna e questo la
portava ad ansimare rumorosamente, gorgogliare a volte per la fatica.
Ma riuscì a stare al passo, riuscì a camminare,
tanto concentrata,
tanto determinata, che nemmeno si accorse che Reiner le si era messo
davanti abbandonando la postazione in prima linea, lasciando che
fosse Jean a guidare il gruppo, così da aprirle un po' la
neve
davanti alle caviglie e aiutarla. Non glielo fece notare, voleva che
pensasse di riuscirci da sola, perché era quello di cui
aveva
bisogno. Doveva farcela da sola, così da sentirsi meglio e
cominciare ad avanzare.
Proseguirono
per un'altra ora, arrivando infine ad accostare uno piccolo
precipizio, lungo una via più stretta e
difficoltosa.
«Restate
vicini alle pareti» suggerì Jean, cercando di
stare il più lontano
possibile dallo strapiombo. Era una discesa ripida, ricoperta di neve
e alberi, una vegetazione abbastanza fitta. Nonostante fosse piena di
ostacoli contro cui aggrapparsi in caso di caduta, la neve rendeva
tutto scivoloso e lo strapiombo era così ripido che
probabilmente
gli alberi sarebbero serviti a poco per salvarsi. Oltre questo, solo
oscurità. Non era ancora notte, ma doveva essere circa il
tramonto e
le nuvole nere in cielo non aiutavano la loro visibilità.
Furono
costretti ad accendere delle torce per riuscire a proseguire. E
avanzarono, distrutti, spostando neve che volta volta scivolava
giù
dal pendio al loro fianco, in fila indiana per riuscire a
passare senza pericoli. O almeno, così credevano.
Armin,
alle spalle di Beatris, inciampò trovando sotto ai piedi un
lieve
dislivello. Provò a spingersi verso la parete alla sua
destra per
evitare di cadere, ma il piede scivolò verso sinistra e
sarebbe
caduto giù, rotolando lungo la parete, se Beatris non avesse
svelato
di avere dei riflessi spaventosamente pronti. Il che era strano, per
una come lei. Riuscì ad afferrarlo, lo tirò
indietro, ma questo
provocò la sua di scivolata e senza neanche che i compagni
avessero
tempo di riuscire a capire cosa stesse accadendo, lei era sparita
nell'oscurità.
«Bea!»
gridò Eren, prima di lanciarsi verso il vuoto.
Piantò i piedi
davanti a sé, cercò di frenare la scivolata per
impedire di perdere
il controllo, ma andò a ruota libera verso il primo albero
che
incontrò.
«Eren!»
chiamò Mikasa, in preda al terrore. Reiner, poco avanti, fu
il
secondo a buttarsi nel vuoto e cercare di raggiungere Beatris,
ovunque fosse finita. Mikasa non aspettò altro tempo e
seguì i due,
pronta a dare il suo contributo.
«Piantate
dei paletti, cercate di fissare le corde a qualcosa!»
suggerì Jean,
cominciando a rovistare tra le cose del suo zaino qualcosa che avesse
potuto aiutarli. Il resto del gruppo lo imitò
immediatamente, e
sotto le sue direttive iniziarono a montare picchetti, a legare
corde, e cercare di creare un sistema di salvataggio
d'emergenza.
Davanti
a loro, intanto, Reiner, Mikasa e Eren erano spariti del tutto
nell'oscurità della foresta, giù per la
gola.
La
discesa non era così lunga e ripida come poteva sembrare,
senza
farsi troppo male, aggrappandosi di volta in volta agli alberi,
Reiner riuscì a raggiungerne il fondo dopo pochi istanti,
tornando
su terreno pianeggiante. L'oscurità aveva loro tratto in
inganno,
facendogli credere che chissà quanto fosse profondo, ma
restava
comunque una bella caduta, se non si fosse tenuto fermo agli alberi e
non avesse fatto ben leva con le gambe, sarebbe arrivato in fondo
rotolando e rischiando di colpire rocce e alberi. Cosa che
sicuramente Beatris aveva fatto e per questo andava ritrovata
immediatamente.
«Beatris!»
provò a chiamarla. Non riusciva a vedere nemmeno
più Eren né
Mikasa e non sapeva se era colpa del buio o se magari loro fossero
arrivati in qualche altra zona di quel bosco.
«Reiner!»
qualcuno lo chiamò, sopra la gola. Riuscì a
riconoscere la voce di
Jean, anche se molto ovattata dal vento.
«Sto
bene! Preparate la corda, io intanto la cerco»
gridò verso l'alto.
«Reiner!»
Eren finalmente lo raggiunse.
«Non
può essere molto lontano, anche se fosse rotolata non
sarebbe finita
troppo più avanti di così» disse
Reiner, guardandosi attorno.
«È
troppo buio e lei non risponde» disse Mikasa.
«Deve
aver perso i sensi. Dividiamoci, setacceremo meglio la zona»
e si
voltò, prendendo la direzione alle sue spalle.
Camminò per qualche
secondo, quando cominciò già a sentire le voci
dei suoi compagni,
alle sue spalle, che la chiamavano. Da sopra lo strapiombo, o Mikasa
e Eren alle sue spalle, ovunque era un risuonare di voci che
chiamavano Beatris. Reiner camminò in lungo e in largo, ma
senza
allontanarsi troppo dalla zona di caduta, trovando improbabile che
fosse finita chissà dove. Eppure non riusciva a trovarla.
Tornò sui
suoi passi, ripercorse la solita via, avanti a indietro, puntando gli
occhi a qualsiasi cosa si muovesse. Fu il caso a fargliela trovare:
era finita sotto un cumulo di neve, contro un albero. Nel sbatterci
contro doveva aver fatto cadere la neve dai rami e questo doveva
averla seppellita in parte. Le corse incontro, si tolse rapido lo
zaino dalle spalle e cominciò a scavare a mani nude per
riuscire a
tirarla fuori dalla neve. Si assicurò immediatamente del suo
stato
di salute, prima di chiamare aiuto, preoccupato che fosse ancora
viva. Si avvicinò al suo volto e riuscì a
sentirne il respiro.
Debole, ma c'era. Scostandole il cappuccio dalla testa vide un rivolo
di sangue macchiarle i capelli e cadere lungo la guancia. Aveva i
vestiti zuppi, sapeva che avrebbe dovuto come prima cosa trovare il
modo di scaldarla.
«Oggi
non è la tua giornata, eh?» mormorò,
cominciando a togliersi il
giaccone di dosso per poterla avvolgere al suo interno. Si
voltò
poi, pronto a chiamare aiuto, ma sbiancò quando
sentì il terreno
tremare e nessun altro rumore se non quello di un boato.
«Una
valanga! Reiner!» sentì urlare da sopra la via, ma
non ebbe tempo
di reagire in nessun modo. Prese Beatris, se la strinse al petto e si
spinse dietro degli alberi per cercare riparo mentre l'enorme cumulo
di neve cadeva nella loro direzione. Non riuscì a puntare
bene i
piedi, a trovare un riparo decente, o forse la slavina era stata
semplicemente troppo forte. Venne travolto e trascinato via,
giù,
lungo la discesa della montagna. Rotolò nella neve,
preoccupandosi
solo di tenere Beatris stretta a sé, di non perderla.
Durò pochi
istanti, ma sembrò un'eternità all'interno del
quale Reiner venne
trascinato quasi fino a valle, chissà per quanti metri.
Sentì la
neve sovrastarlo, ribaltarlo, il boato rombargli nelle orecchie, il
fiato mancargli. E alla fine capì che poteva esserci solo un
modo
per salvarsi. Pregò solo che il rumore della slavina fosse
più
forte... e si morse una mano.
Come
gigante corazzato, riuscì a riemergere dalla neve della
valanga, a
contrastarla, fintanto che questa infine non cessò del tutto
di
cadere nella sua direzione. Dentro la propria mano, stretta al petto,
nella zona più sicura, Beatris ancora non riprendeva
conoscenza e
lui ringraziò che il coma dentro cui sembrava essere caduta
fosse
così intenso. Ebbe tutto il tempo di rimproverarsi
dell'imprudenza
solo successivamente, ormai a mente fredda. Se Beatris si fosse
svegliata in quel momento, se qualcuno dei suoi compagni l'avesse
visto o sentito, come si sarebbe giustificato? In che modo sarebbe
riuscito a tornare a casa vincitore? Aveva davvero messo tutto in
pericolo per così poco?
Posò
Beatris sulla neve non appena la valanga si fu calmata e infine
uscì
dalla nuca del suo gigante, lasciando che questo si dissolvesse
lentamente nel vapore. Scese dal suo corpo, si avvicinò alla
ragazza
e se la caricò in spalla. Si preoccupò solo di
allontanarsi il
prima possibile, così da permettere al suo gigante di
dissolversi
senza che nessuno lo vedesse, senza preoccuparsi della direzione da
prendere. Anche perché non era sicuro di saperlo
adesso.
Poggiò
Beatris a terra quando finalmente si sentì al sicuro e si
preoccupò
solo in quel momento di constatare la terribile situazione in cui si
trovava. Erano soli nel bosco, con una bufera in corso, quasi al
calar del sole e avevano perso zaini e soprattutto la direzione da
seguire. Con il cielo coperto dalle nuvole non avrebbe nemmeno potuto
contare sulle stelle per riuscire ad orientarsi. Per di più
lei era
ferita, forse anche gravemente. Non aveva molte possibilità
di
salvarsi, anzi forse erano rasenti allo zero, e ancora pensò
a tutte
le sue possibilità. L'unica soluzione che riuscì
a trovare era
quella di trasformarsi ancora e sfruttare le capacità del
suo
gigante per uscire indenne dal bosco, ma se Beatris si fosse
svegliata nel mentre per il suo segreto sarebbe stata la fine. Non
poteva portarsela dietro, non poteva mettere a rischio la sua
missione, nemmeno per lei. Se avesse proseguito da normale essere
umano sarebbero morti entrambi per il freddo, non avrebbero ritrovato
la strada. Non c'era soluzione, almeno lui doveva salvarsi, ma
avrebbe significato lasciare Beatris lì... a congelare.
Questo per
preservare il suo segreto. Per riuscire a portare a termine la sua
missione. Le si avvicinò e le tolse la giacca di dosso.
Avrebbe così
potuto dire di non essere stato in grado di trovarla e dare la colpa
alla valanga.
Si
voltò, pronto ad allontanarsi, ma esitò. La testa
glielo diceva
chiaramente, doveva farlo, ma allora perché il suo corpo si
rifiutava di muoversi? Cercò di pensare a casa sua, a
Marley, al
desiderio di tornarci ricoperto di onore e orgoglio, ma per qualche
strano scherzo del suo subconscio tutti quei pensieri erano
accompagnati dalla voce scaldante e vivace di Beatris che rideva, che
lo chiamava, come uno spettro che non faceva che sussurrargli nelle
orecchie, incessantemente. Chiuse gli occhi e serrò i pugni,
combattuto e frustrato, cercando di focalizzarsi sul pensiero di casa
sua, sulla via principale che aveva percorso anche
all’andata, con
i coriandoli e la folla ad acclamarlo. Ma non appena lo fece, tutto
ciò che vide fu Shiganshina devastata e un sussulto
terrorizzato lo
colse costringendolo a tornare alla realtà. Si accorse solo
in quel
momento che il suo improvviso palpitio era risuonato
all’unisono
con la voce moribonda di Beatris, alle sue spalle, che lo aveva
chiamato.
«Reiner».
Si
voltò a guardarla. Era ancora stesa lì dove
l'aveva lasciata,
ancora moribonda, tanto che non aveva nemmeno gli occhi completamente
aperti. La vide voltare la testa nella sua direzione, ma fu difficile
capire se lo stesse guardando realmente o meno.
«Come
sta Armin?»
Il
suo primo pensiero, non appena ripresa conoscenza, era stato rivolto
all'amico che aveva salvato dalla caduta. L'amico di cui aveva preso
il posto, scivolando giù al posto suo. Chissà
perché gli tornò in
mente ancora una volta il ricordo del loro primo incontro, nella
cattedrale, quando disse di non avere fame e volette lasciare tutto
il pane agli altri.
«Sta
bene» le rispose, sforzandosi di risultare calmo.
«Sei riuscita a
salvarlo».
Beatris
spalancò gli occhi e per quanto fosse moribonda
riuscì comunque a
farli brillare di una luce tutta loro. Si distese in un luminoso
sorriso e tornando a socchiudere gli occhi sospirò, felice:
«Meno
male».
La
sentì respirare affannosamente per qualche secondo e
restò lì, ad
ascoltarla, immobile nella sua posizione. Avrebbe dovuto lasciarla
lì, sapeva che era la scelta migliore, salvarsi col suo
gigante
corazzato e mantenere intatto il proprio segreto. Ma non era riuscito
a farlo e ora che era sveglia sarebbe stato impossibile trovare una
scusa adeguata.
«Reiner,
non aspettatemi. Continuate a camminare, io vi raggiungo tra un
attimo. Mi riposo solo un pochino» ansimò lei,
lanciando uno
sguardo a Reiner. Neanche si era accorta che erano soli, neanche si
era accorta della situazione in cui si trovava, ma si
preoccupò solo
-ancora una volta- di salvare prima gli altri. Di pensare prima agli
altri.
«Beatris»
sospirò Reiner, turbato da un pensiero. Era consapevole che
sarebbe
morta? Perché sembrava non interessarle?
«Perché ti comporti così?
Perché fingi che non ti interessi nulla di te?»
«Io...
non fingo» mormorò lei, corrucciata.
«Mi
stai dicendo che davvero non t'importa di morire?»
Beatris
tornò a riaprire gli occhi e li puntò in quelli
di Reiner, a pochi
passi da lei. E per la prima volta da quando la conosceva, vide sul
suo volto farsi strada una gravante tristezza.
«Io…
non….» mormorò, ma non
riuscì a dire altro.
«Cosa
credi che succederà se ti lasciamo qui e procediamo da soli?
Cosa
credevi sarebbe successo sacrificandoti per salvare Armin?»
«Non
lo so... forse mi aspettavo che Mikasa fosse venuta a prendermi.
Forse mi aspetto ancora che Mikasa venga a prendermi» si
chinò, il
cappuccio le coprì in parte il volto e Reiner non
riuscì più a
scorgerle gli occhi, ma la vide dopo pochi istanti tremare. E un
singhiozzo le strozzò la voce. Stava piangendo.
«Mi dispiace».
Lasciarla
lì, procedere da solo, l'avrebbe salvato. Era l'unica scelta
che
aveva davanti. Eppure tornò indietro. Si tolse nuovamente la
giacca
dalle spalle e la mise addosso a Beatris, esattamente dov'era poco
prima. Sospirò. «Credo che ci siamo persi. Mentre
eri svenuta una
valanga ci ha travolti e ci ha portati lontano dal resto del
gruppo».
Ma
lei non rispose e continuò a singhiozzare silenziosamente.
«Proverò
a trovare un modo per uscirne, non preoccuparti» disse
ancora,
sedendosi al suo fianco.
«Sei
stato travolto per venire a cercare me?» biascicò
Beatris, cercando
di non far risuonare troppo il suo pianto che aveva tutta
l'intenzione di tenere nascosto il più possibile.
«Saremmo
stati travolti comunque» mormorò Reiner,
sovrappensiero.
«Sei
di nuovo finito nei guai a causa mia».
«È
stata una mia scelta».
«Lo
so» rispose repentina, prima di aggiungere: «Se
sopravviveremo,
penso che domani me ne andrò».
«Mh?»
si corrucciò Reiner.
«Sono
mesi che provo invano a dare un senso a tutto quanto. Sono arrivata
ultima in un sacco di esami, ho superato quello del movimento
tridimensionale per un pelo e solo grazie al tuo aiuto, e in
più non
faccio che causare problemi a te o a Mikasa. Credo di aver fatto un
errore ad iscrivermi. Ora ti ho persino messo in pericolo... ho
decisamente superato il limite».
«Adesso
poteva esserci Armin al tuo posto, ma tu lo hai impedito. Hai fatto
un buon lavoro, non autocommiserarti».
«E
a cosa è servito? Tu sei qui, hai rischiato la vita. Non era
ciò
che volevo» singhiozzò.
«Volevi
morire?» chiese Reiner, distrattamente.
«Io…
volevo solo proteggere le persone» rispose debolmente
Beatris, come
se lei stessa non ne fosse totalmente convinta. «Mi sono
iscritta
pensando che sarei stata in grado di imparare a proteggere
qualcuno... almeno una volta. Ma sono sempre io quella che deve
essere protetta. Non funziona» pianse più
rumorosamente. «Non
funziona mai niente di quello che vorrei fare».
«Provare
a proteggere le persone è un'ottima motivazione,
perché non provi a
crederci di più? Armin sei riuscita a proteggerlo».
«Non
sono abbastanza forte...»
«Puoi
diventarlo, io l’ho visto. Se ti impegni in qualcosa sei in
grado
di migliorare molto rapidamente» si voltò a
guardarla, anche se non
riusciva a scorgere il suo volto sotto al cappuccio. «Posso
aiutarti».
Beatris
parve immobilizzarsi e per un attimo Reiner si chiese se non fosse
svenuta di nuovo. Ma poi la vide poggiare una mano a terra, alzarsi
su di un gomito e puntare lo sguardo a lui. Forse a causa delle
lacrime che le inumidivano gli occhi, ma ebbe come l'impressione che
fosse più luminosa che mai.
«Dici
sul serio?» chiese, speranzosa.
Diventare
il gigante corazzato, lasciarla lì e proseguire da solo era
sicuramente la via che gli avrebbe permesso di sopravvivere. Era la
scelta migliore. Eppure in quel momento sorrise, sincero.
«Certo. Ti
aiuterò io, te lo prometto».
La
prima volta era stata lei a chiederglielo esplicitamente e aveva
accettato un po’ forzatamente. Si era convinto che lo avesse
fatto
solo per mostrarsi amichevole, per ingannare il nemico e fingersi
come loro, ma se il suo intento era solo quello di sembrare
gentile…
perché quella volta era stato lui a proporglielo?
Perché aveva
quasi sentito il desiderio di farlo davvero? Quella settimana che
avevano passato ad esercitarsi insieme era assurdamente tra i ricordi
più dolci che aveva conservato, in mezzo a tutti quelli di
una vita
intera. Si sentì come se avesse finalmente avuto
un’occasione, una
scusa, per replicare senza sentirsi sciocco e potersi aggrappare a
qualche altra motivazione. Non lo faceva per sé, era questo
che
voleva pensare, lo faceva solo per finta gentilezza. Quei sentimenti
che stava provando non potevano essere reali. Convincersi di questo,
lo aiutò ad accettarli.
Aspettarono
pochi minuti, il tempo necessario a permettere di Beatris di
riprendersi un po'. Non appena fu in grado di muoversi, Reiner la
fece salire sulle sue spalle. Nella caduta aveva preso una brutta
storta alla caviglia, riuscire a muoversi da sola era praticamente
impossibile. Non fece in realtà troppa fatica, Beatris non
era poi
più pesante che lo zaino che gli istruttori l'avevano
costretto a
portarsi in spalla. Inoltre, in quel modo, il suo giaccone poteva
coprire sia lei che lui stesso, evitando entrambi di finire in
ipotermia. Non fu facile ritrovare la strada, dovettero vagare per
ore, ma stranamente fu molto meno faticoso del percorso fatto fino a
quel momento insieme al resto del gruppo. Ormai Beatris era bella
sveglia, anche se non riusciva a muoversi a causa della caviglia, ma
era di ottima compagnia. Superato il momento depressione, per aver
tirato Reiner di nuovo nei guai, era tornata la solita solare,
allegra Beatris. Appesa la suo collo, non aveva fatto che parlargli
vicino all'orecchio, tenergli compagnia e ogni tanto era persino
riuscita a strappargli una risata. Scherzando su Connie e Sasha, su
Shadis, o raccontandogli qualche bizzarra avventura della sua
infanzia, non era stata zitta nemmeno per un istante ma Reiner
sentì
suo malgrado che era proprio quello di cui aveva avuto bisogno.
Sì,
decisamente trasformarsi in gigante l'avrebbe aiutato a salvarsi
più
facilmente, ma che cosa avrebbe lasciato dietro di sé?
Sarebbe
davvero riuscito a dormire ancora, senza il suono della voce di
Beatris nei suoi ricordi che cantava quella splendida canzone a sua
sorella?
NDA.
Messaggio
importante: EFP mi dice che ho 2 messaggi in casella di
posta ma non
riesco a vedere niente, non so se è EFP che è
impazzito e da i
numeri o qualcuno di voi ha cercato di dirmi qualcosa e non posso
vederlo... nel caso, se non rispondo è per questo e vi
chiedo di
riprovarci, o in caso potete scrivermi anche su Wattpad (sto mettendo
la storia anche lì) o su FB (La pagina si chiama "La Deny",
trovate il link in bio), o su instagram ("ladeny_deny").
Grazie e scusate xD
Torniamo
alla storia...
Quanti
traumi si è risparmiata Beatris, restando svenuta durante la
slavina, secondo voi? xD Non ho molto da dire in queste NDA, anche
perché qui ci sono stati dei primissimi elementi
particolarmente
importanti e non voglio spoilerarvi niente. Perciò vi lascio
qui,
con semplicemente la canzone del giorno :P
Può
sembrare banale ma in realtà nasconde molte cose, a me ha
fatto
emozionare molto pensare a Bea in queste parole (capirete meglio
più
avanti, probabilmente, sempre se non avete già intuito
qualcosa). È
tutta di Bea, come ho detto, ma la parte del
“you’re not alone in
all this” mi immagino sia di Reiner che quasi si intromette
nei
suoi pensieri per ripeterglielo.
Come
sempre enjoy e alla prossima :3
https://www.youtube.com/watch?v=4kb3-dzPrhA&ab_channel=Sounterapp-ImparaL%E2%80%99IngleseconlaMusica
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Il
cortile era più vivo che mai. Erano passati mesi dal loro
ingresso
in accademia e ormai le loro conoscenze in fatto di combattimento
corpo a corpo cominciavano a prendere forma, non serviva altro che
esercitazione, esercitazione e ancora esercitazione. Così,
nel
calendario accademico, era previsto che almeno tre pomeriggi a
settimana li passassero nell'esercitare l'arte del combattimento
corpo a corpo. A mani nude, con armi, erano step sempre successivi.
Ciò che contava era la prestanza fisica e lo sviluppo della
tecnica,
lottando a coppia tra di loro. Ognuno stava sviluppando una propria
capacità, sfruttando le proprie abilità innate.
Sasha era molto
agile e con ottimi riflessi, Annie era più portata per le
prese e
l’uso dei calci, Reiner era mera forza fisica, Jean sfruttava
sempre la situazione a suo vantaggio, Mikasa... Mikasa decimava tutti
senza esclusione di colpi. Sembrava non avere alcun punto debole, era
strepitosa e a tratti terrificante. Connie non era ancora
granché
bravo, si affidava troppo nel rendere spettacolari le sue mosse e
finiva con l'essere poco funzionale. E infine c'erano Armin e
Beatris... che spesso sgattaiolavano da un compagno a un altro,
pregando di non essere intercettati e non venir coinvolti.
Quel
pomeriggio erano riusciti con una scusa a fermarsi in un angolo, uno
di fianco all'altro, seduti a terra, guardavano passivamente il resto
dei loro compagni schivare colpi e tentare di stendere
l'altro.
«Oggi
fa particolarmente caldo» mormorò Beatris, stretta
nelle sue
ginocchia.
«Già...
forse è per questo che non siamo molto in forma».
«Già,
dev'essere colpa del caldo».
Ed
entrambi, dopo infiniti secondi di riflessione, sospirarono affranti.
Erano veramente pessimi a inventare scuse, persino a loro stessi. La
verità era solo che, chiunque provassero a sfidare, finivano
sempre
con il venir stesi e ogni volta era un livido in più da
aggiungere
alla lista. Negati, assolutamente negati.
«Armin...»
mormorò Beatris. «Secondo te riusciremo mai a
diplomarci?»
«Chissà»
sospirò Armin, immobile al suo fianco.
«Certo
non riuscirai mai a farlo se resti lì a battere la
fiacca» la voce
di Reiner la costrinse ad alzare gli occhi. Lo guardò,
mentre si
avvicinava con un finto coltello di legno in mano, e d'improvviso
cominciò a sudare freddo. Si contrasse, allungò
le gambe davanti a
sé, si strinse la spalla destra e lanciò un
plateale urlo
dolorante: «Il mio strappo muscolare oggi non mi da
tregua!»
«Gli
strappi muscolari vengono ai muscoli, non alle
articolazioni!» la
rimproverò Reiner, ormai di fronte a lei.
«Ci
sono muscoli anche nella spalla, lo sai!» lo
rimproverò Beatris, ma
Reiner restò inflessibile. Fece volteggiare il coltello di
legno per
aria, lo afferrò dalla punta e porse il manico a lei.
«Dai, non
costringermi a usare la forza».
«Oggi
non mi sento molto bene» mormorò lei, sperando di
essere
convincente.
«Sei
terribile a inventare scuse, lo sai! Alzati».
E
ormai arresa, sapendo che non avrebbe ottenuta alcuna compassione
né
comprensione, si alzò in piedi. Prese il coltello dalla
parte del
manico e si voltò verso Armin. Gli fece un cenno del capo:
«Andiamo,
Armin» disse arrendevole.
L'amico
aveva già cominciato ad alzarsi quando Reiner disse:
«Non questa
volta! Siete alla pari, voi due, questo non vi porterà alcun
miglioramento. Oggi si va con il livello avanzato».
«Eh?!»
sussultò Beatris, vedendo Reiner già mettersi in
posizione per
riceverla.
«Non
contro di te, spero!» disse lei, ma Reiner restò
immobile nella sua
posizione.
«Non
farti aspettare troppo, o farò io la prima mossa».
«Reiner...»
mormorò lei, afferrando il coltello con entrambe le mani.
Stava
visibilmente tremando. «Per favore, vacci piano, ok? Sei
troppo
forte per me...»
«Non
voglio farti del male, Tris. Prometto non ti farò niente, se
non
deviare i tuoi colpi» e le fece cenno con la mano di
procedere.
Beatris tirò un lungo sospiro raccoglitore e infine
impugnò l'arma
decisa. Armin si alzò da terra, di fianco a loro, e come
colto da un
brutto presentimento si spostò cercando un altro luogo dove
andare a
rifugiarsi. Beatris, alle sue spalle, iniziò il suo assalto.
Urlando
per darsi carica, cercò di colpire Reiner in pieno ventre
con la
punta del coltello, ma fu troppo lenta e troppo fiacca. Reiner la
schivò e la colpì dietro la schiena per farle
perdere l'equilibrio
e buttarla a terra.
Beatris
lanciò un urlo dolorante, mentre inarcava la schiena e
cadeva a
terra.
«Avevi
detto che non mi avresti fatto male!»
«Ci
sono andato piano, cerca di sopportare. Sono doloretti
minuscoli».
«Tu
non ti rendi conto della forza che hai, invece»
mormorò lei,
irritata. «E comunque hai visto? È stato
inutile».
«No,
che non lo è stato. Intanto ti sei alzata da
terra» le sorrise
Reiner e le porse una mano, per aiutarsi a rialzarsi. Beatris, per
quanto si sentisse offesa e tradita, accettò comunque
l'aiuto
dell'amico e si rimise in piedi.
«Quante
altre botte dovrai darmi prima che io possa riuscire a combinare
qualcosa di buono?»
«Quando
smetterai di piangerti addosso e inizierai a fare sul serio».
«Ci
ho provato Reiner, davvero» sospirò Beatris e si
accasciò su se
stessa. Si voltò e cercò con lo sguardo Mikasa,
in mezzo alla
mischia di combattenti. Come gli altri giorni, continuava a mietere
vittime senza sosta e non sembrava nemmeno troppo affaticata.
«A
lei viene praticamente naturale».
«Mikasa
è un mostro fuori portata, non puoi certo paragonarti a
lei».
Beatris
spostò gli occhi ancora lungo il campo, fino a trovare Annie
che in
quel momento si allontanava dopo aver steso Eren.
«E
lei? Anche lei sembra perfettamente a suo agio»
mormorò.
«Sì,
anche Annie fa venire abbastanza i brividi» e stranamente
persino
lui si ritrovò a tremare di fronte all'idea di doversi
fronteggiare
con Annie.
«Anche
tu, e Jean, Bertholdt, persino Sasha e Connie. Io non sono cresciuta
sulle strade, ho avuto una vita abbastanza facile prima della
distruzione di Shiganshina... e dopo c'è sempre stata Mikasa
ad
aiutarmi. Non so fare niente» sospirò, abbattuta.
«Io
so qual è il tuo problema, Tris» Reiner le si
avvicinò e si
appoggiò alla staccionata alle sue spalle, guardando il
gruppo di
persone che avevano davanti.
«E
qual è?» chiese lei, curiosa, come se saperlo da
lui avrebbe
davvero risolto tutti i suoi problemi. Reiner ci rifletté
qualche
istante, poi improvvisamente si voltò verso di lei e fece
per
attaccarla con il coltello finto che ancora teneva in mano. Un
attacco improvviso, inaspettato, che portarono Reiner a sovrastare
totalmente Beatris. Ma lei restò immobile, paralizzata,
rigida come
un tronco d'albero. Si limitò a lasciar uscire un lamento
dalla gola
e spalancare gli occhi, terrorizzata, ma non fece un solo movimento.
Reiner non la colpì veramente, ma si fermò un
istante prima di
farle del male e rimase qualche secondo a guardarla, in silenzio.
Infine, la colpì delicatamente in fronte con la punta del
coltello
di legno.
«È
la paura» le disse, allontanandosi di un passo. «Ti
paralizzi di
fronte alle cose che ti spaventano. Lo stai facendo anche adesso.
Quando hai cominciato l'addestramento, mesi fa, eri carica di
aspettative e piena di energie. Hai sorriso a Shadis, il primo
giorno, ricordi?»
«La
cosa non gli è piaciuta molto» sospirò
lei.
«Sì,
ma hai continuato a farlo. Tutte le mattine. Non hai mai smesso di
correre in giro, entusiasta, da un esercizio a un altro».
«Che
fallivo miseramente» sospirò ancora.
«E
la sera rientravi nel dormitorio con la coda tra le gambe, ma ho
sentito Ymir brontolare che non riesce mai a dormire perché
non fai
che parlare con Mikasa e Christa fino a notte fonda. O almeno, questo
succedeva fino a poco tempo. Io stesso faticavo a starti dietro, mi
facevi arrivare a sera distrutto».
«Non
dare la colpa a me per i tuoi esercizi, cerchi sempre di fare di
più
di ciò che ti chiedono gli istruttori, non è
colpa mia se ti
stanchi» si imbronciò.
«Non
parlo della stanchezza fisica, lo sai» e le diede un altro
colpetto
con la punta del coltello alla fronte, anche se molto leggero, tanto
da essere quasi un tocco affettuoso. Sospirò, platealmente.
«Ho
perso il conto delle volte che sono finito nei guai a causa
tua».
«Io...
non c'entro» mormorò lei, rossa in volto. Sapeva
di essere
colpevole, aveva perso il conto delle volte che aveva avuto qualche
folle idea e Reiner era stato costretto a correre in suo soccorso. Ma
aveva sempre chiesto scusa, non bastava quello ad espiare le sue
colpe?
Reiner
sogghignò. «Vogliamo parlare
dell'alveare?»
Beatris
sussultò e, se possibile, arrossì ancora di
più. «Pensavo fosse
disabitato! Sasha sarebbe impazzita di felicità se le avessi
portato
quel miele, volevo solo fare qualcosa di carino per lei».
«Durante
un esercitazione col movimento tridimensionale?»
«Quando
avrei avuto occasione di tornarci, altrimenti?»
«Sei
stata disposta a lasciar perdere il tuo addestramento per fare un
regalo a un'amica?»
«Avrei...
recuperato dopo» mormorò.
«Meno
male sono riuscito a vederti prima che facessi follie, altrimenti
quelle api ti avrebbero massacrata».
«E
invece hanno massacrato te» si abbatté lei, prima
di aggiungere,
speranzosa: «Però poi sono venuta ad aiutarti a
curare le punture,
per scusarmi».
«Santo
cielo, Tris» sospirò Reiner, ma non
riuscì a trattenersi dal
sorridere divertito da quel ricordo. «Sei entrata nel
dormitorio
maschile dopo il suono della campana e non hai nemmeno bussato! Jean
era praticamente in mutande e hai rischiato di prenderti un'altra
strigliata da Shadis, se solo ti avesse scoperto».
«Non
mi sono accorta di Jean» confessò lei candidamente
e ancora Reiner
sospirò, rassegnato ma divertito. «Lo so, eri
troppo concentrata a
togliermi i pungiglioni dalla schiena».
«Volevo
scusarmi» mormorò, sempre più
rattristata sentendosi spiattellare
davanti tutte quelle colpe. Lei lo faceva sempre con innocenza, le
balenava in mente qualcosa, lo faceva e puntualmente finiva nei guai
o metteva nei guai gli altri. Anche prima dell'accademia era stato
così, Mikasa non aveva mai fatto altro che rincorrerla ed
evitare
che si facesse del male. Ora la responsabilità della sua
salute se
l'era indirettamente divisa con Reiner, che chissà per quale
motivo
l'aveva presa sotto la sua ala, e Mikasa poteva concentrarsi un po'
più su se stessa e su Eren. Ma Reiner non era bravo come
Mikasa ad
evitare i guai, ne veniva anzi trascinato a fondo insieme a Beatris,
e puntualmente se ne prendeva la responsabilità. Si sentiva
come una
bambina che aveva bisogno della balia, era così triste...
eppure non
aveva voluto mai altro, nella vita, che imparare ad essere migliore.
«Sei stato persino costretto a dover chiedere tu scusa a
Shadis per
entrambi, quando ci ha sgridati, e sei finito in punizione insieme a
me... un'altra volta».
«Perché
non fai che paralizzarti. Di fronte a Shadis smetti persino di
respirare, non sai mai cosa inventarti. Faccio solo quello che credo
giusto».
Beatris
sospirò e si appoggiò alla staccionata di fianco
a lui. «Ti sei
sempre fatto carico delle mie responsabilità, da quando
siamo qui
dentro, perché io non sono mai riuscita a farlo. Qualcun
altro
avrebbe pensato che sono davvero stupida».
«Ma
io lo penso» disse repentino Reiner e Beatris
sussultò,
fulminandolo: «Cosa?! E perché sei mio amico,
allora?!»
«Perché...»
e qualcosa di strano e invisibile sembrò disegnarsi di
fronte agli
occhi di Reiner. Era come se avesse appena catturato un ricordo o un
pensiero, come una farfalla, a mani nude, e non era intenzionato a
lasciarlo andare tanto facilmente. C'era qualcosa di caldo, di
felice, nel suo sguardo. Una malinconia avvolgente e infine decise di
confessare quel crimine che da mesi aveva tenuto per
sé.
«Perché
ti ho sentita cantare» disse sorridendo dolcemente.
«Eh?»
mormorò Beatris, arrossendo lievemente. Quando l'aveva
sentita? Di
cosa parlava?
«Alla
cattedrale per gli sfollati, nel distretto di Trost, pochi giorni
dopo l'abbattimento del Wall Maria» e Beatris
spalancò gli occhi,
prima di chiedere: «Tu eri lì?»
Reiner
si ritrovò a sghignazzare, divertito. Lui se l'era ricordata
molto
bene, aveva ricordato persino il particolare del suo calzino
trasformato a pupazzo, il nome di sua sorella, e il colore delle sue
scarpe. Se l'era ricordata come fosse stata una fotografia, mentre
lei, che l'aveva calpestato, neanche ricordava di averlo
incrociato.
«Hai
portato del pane ai tuoi amici, un pezzo anche a tua sorella, e tu
non hai voluto mangiare. Poi hai cantato una canzone per la piccola
Rose, sei riuscita a farla addormentare, e in mezzo a tutta quella
disperazione e quel gelo sei riuscita a riscaldare più di un
cuore».
«Rose...»
mormorò Beatris, prima di corrucciarsi e tirare un pugno sul
fianco
di Reiner. «Che cazzo sei? Un cazzo di stalker? Maniaco
psicopatico!» gli ruggì contro.
«Non
ti ho stalkerata!» Sobbalzò Reiner, più
per l’imbarazzo
dell’accusa che per il dolore del colpo al fianco.
«Ricordi
persino il nome di mia sorella! Dove l'hai sentito? Eh?!» e
gli tirò
un altro cazzotto, questa volta abbastanza potente da fargli persino
male. «Ti ho sentito che la chiamavi, hai una voce bella
squillante!
Credimi, è stata una bella sorpresa anche per me quando ti
ho
rivista qui qualche mese fa».
«Perché
non mi hai detto subito che mi conoscevi? Adesso mi sento
stupida!»
«Mai
quanto mi sarei sentito io nel dirti che mi ricordavo di te e della
tua canzone. E comunque mi ricordavo di te perché mi
calpestasti, tu
e la tua imbranata coordinazione!»
«Ti
ho calpestato?!» sussultò Beatris, spalancando gli
occhi. Poi
sospirò ancora, abbattuta: «Non faccio che crearti
problemi da
persino prima che ci conoscessimo, che disgrazia che sono».
«Ehy!»
gridò uno dei capitani dall'altro lato del campo.
«Vi siete
riposati abbastanza voi due. Forza, riprendete!»
«Forse
è così, sei stata una disgrazia»
mormorò Reiner sollevandosi
dalla staccionata e cominciando a far volteggiare il coltello davanti
alla faccia. «O forse sei stata la persona giusta arrivata al
momento giusto, questo non possiamo saperlo».
«La
persona giusta per cosa? Per cantare una canzone?» disse,
sarcastica
e abbattuta.
In
verità, era certo che lei fosse la persona giusta ad essere
sua
amica lì dentro, vista la sua precaria situazione. Era
perfetta:
genuina, ingenua, e non troppo curiosa e impicciona. Reiner riusciva
a portare avanti la sua vita da Guerriero in incognito senza
problemi, e intanto, durante il giorno, vedendolo girare insieme a
lei faceva anche una buona impressione nel resto dei suoi compag...
no, non compagni. Nel resto di quelle persone.
Ma
non poteva dirglielo. Non poteva dirle la verità, non poteva
dirle
quanto lui avesse avuto bisogno di quella canzone quel giorno di
quasi tre anni addietro. La ricordava ancora, ogni tanto ripensava
alla sua voce prima di addormentarsi, e come un incantesimo questo
gli permetteva di non fare incubi. Di non sognare tutte quelle
persone morte a Shiganshina, di non sognare Beatris in mezzo a loro
mentre lui e Bertholdt uccidevano tutti, compresi i suoi genitori, di
non sognare Marcel, di non sognare Marley e Liberio.
Se
si addormentava pensando alla sua canzone, lui riusciva
incredibilmente a riposare con serenità. Non poteva
dirglielo, non
era riuscito a dirlo nemmeno a Bertholdt. Era qualcosa di suo, un
segreto che avrebbe portato per sempre con sé, una vergogna
forse,
ma di cui si beava con dolcezza. Un Guerriero di Marley era stato
ammansito dalla melodia di un demone, che con una semplicità
disarmante era riuscita a penetrare oltre la corazza del suo gigante
e colpire dritto al petto. Sarebbe stata una vergogna incurabile se
fosse venuto allo scoperto.
«Chissà,
magari è proprio di una canzone che qualcuno può
aver bisogno ogni
tanto» sorrise, mettendosi in posizione per provare ad
attaccarla.
«Il punto è un altro: io sono assolutamente certo,
Tris, che tu sia
forte come desideri esserlo e forse anche di più. La carica
con cui
sei partita all'inizio ne è una prova, tu non sei debole
neanche un
po', e quando vuoi riesci a tirarla fuori. Hai salvato me da April
quando impazzì la prima volta e hai salvato Armin sulle
montagne.
Dentro te c'è quella forza, ne sono certo, devi solo
smettere di
avere paura e iniziare a muoverti».
Attaccò.
Fu rapido, ma neanche troppo, per cercare di darle il tempo di
reagire. Sapeva che il suo discorso avrebbe dovuto scuoterla un po',
lei era genuina, più volte erano bastate poche parole per
spronarla
in qualcosa. Era certo che un minimo d'effetto le avesse fatto,
eppure ancora lei non si mosse. Paralizzata.
Strizzò
gli occhi e si rannicchiò nelle spalle, come una bambina di
fronte
al più temibile degli incubi, e si sarebbe fatta colpire in
pieno se
Reiner non si fosse fermato prima. Sospirò, rattristato, e
le diede
un altro colpetto con la punta del coltello di legno sulla fronte,
per destarla.
«Come
si fa a sconfiggere la paura, Reiner?» mormorò
lei, riaprendo
lentamente gli occhi. «Io non riesco a farlo. È
possibile? Tu ci
sei riuscito? Tu... hai paura di qualcosa?»
«Sì»
sospirò Reiner. «Ho paura di tante cose, e anche
io a volte temo di
paralizzarmi per questo».
«E
come l'hai sconfitta?»
«Non
l'ho sconfitta» disse e Beatris spalancò gli
occhi, se possibile,
ancora di più. «È sempre lì,
in ogni istante. Io... credo solo di
aver trovato qualcosa di più forte a cui aggrapparmi e che
possa
trascinarmi in avanti».
«Qualcosa
di più forte?» mormorò Beatris,
inarcando le sopracciglia e
cercando di riflettere sulla cosa. Reiner annuì e sorrise,
dolcemente. «La troveremo insieme. Ti ho promesso che ti
avrei
aiutata, ricordi? Troveremo insieme il modo di tirare fuori la tua
forza da dentro di te, va bene?»
E
Beatris si illuminò come una bambina di fronte a un
bellissimo
giocattolo. Annuì vigorosamente e restò a fissare
Reiner, come
incantata, come se avesse potuto in quel preciso istante tirare fuori
una bacchetta magica e compiere il miracolo.
«Lasciamo
perdere il combattimento con l'arma e facciamo qualche esercizio di
tecnica?» propose lui e Beatris sospirò,
sollevata. «Sì, ti
prego, buttiamoci sulla teoria per un po'. Vederti scattare verso di
me con quell'espressione omicida mi terrorizza, per oggi basta per
favore».
«Espressione...
omicida?» mormorò Reiner, sentendo un moto di
tristezza farsi
strada nel petto. Era stata solo una battuta, ne era consapevole, ma
davvero aveva l'espressione omicida quando si lanciava in
combattimento? Lui... era davvero un omicida?
Il
tramonto ormai era quasi alla sua conclusione, presto avrebbe
lasciato spazio alla luna e alle stelle. Anche quella giornata, come
tutte quelle dei mesi precedenti, era stata stremante ma
soddisfacente. Giorno dopo giorno, chi decideva di restare e non
mollare, diventava sempre più forte, sempre più
capace e questo
bastava a dare la forza di sopportare la stanchezza. Erano tornati da
un'esercitazione nei boschi, test di sopravvivenza, e non
desideravano niente se non un pasto caldo e il morbido letto a
confortare i muscoli distrutti. Sgranchendosi le spalle indolenzite,
Reiner camminava di fianco a Bertholdt e Connie e si stava dirigendo
alla sala comune per la cena. Era stata una buona giornata, era
riuscito a eseguire il test senza troppe difficoltà,
arrivando
ancora una volta tra i primi nella valutazione, e soprattutto Beatris
sembrava essere stata più determinata del solito. Era
arrivata
ultima, subito dopo Armin, ma perlomeno ce l'aveva messa tutta e
aveva smesso di autocommiserarsi. Il suo aiuto a qualcosa sembrava
stesse servendo, da quando avevano parlato e soprattutto da quando
aveva iniziato a dedicarle più tempo, costringendola ad
allenamenti
extra insieme a lui tutte le mattine, sembrava stesse migliorando sia
di capacità ma soprattutto d'umore. Si stava rafforzando e
questo
riusciva a notarlo anche lei, anche se con tempi più lunghi
rispetto
ai loro compagni, ma l'aiutava a mettersi in testa che avrebbe potuto
farcela anche lei. Si impegnava, e questo era abbastanza. Non era
sempre felice quando lui mandava Mikasa a svegliarla prima la
mattina, e il più delle volte si lamentava per il sonno e la
stanchezza, ma non rifiutava mai di presentarsi o di non fare quello
che lui le ordinava. Era come una bambina, andava tenuta per mano,
era confusionaria e rumorosa, ma sembrava felice di provarci. O
almeno, questo da quando lui aveva cominciato ad occuparsene
personalmente. Forse lo faceva, ancora una volta, solo per
compiacerlo e non perché ci credeva davvero, ma poco
importava.
Prima o poi lei avrebbe trovato la motivazione che stava cercando, e
nel frattempo lui si sarebbe occupato di prepararla fisicamente. Era
quello che gli riusciva di più.
«Quanto
ti invidio!» sentì esclamare Connie, di fianco a
lui. E questo lo
strappò via dai suoi pensieri. «Mh?»
mormorò solamente, non
riuscendo a capire di cosa stesse parlando.
«Sembra
che niente possa abbatterti! Sei una roccia, non capisco come tu
faccia» spiegò l'amico. «Anche oggi sei
arrivato secondo, subito
dopo Mikasa. Io sono arrivato ventiduesimo, che schiappa! E guardati
ora! Tra i due sono io il più stanco, nonostante stamattina
abbia
dormito anche di più».
«È
solo questione di resistenza, con un buon allenamento anche tu puoi
riuscirci».
«Sembra
che non ti fermi mai, mi chiedo quanto ancora durerai prima di
crollare».
«Perché
dovrei crollare?» sorrise di un sorriso imbarazzato.
Credevano che
stesse esagerando?
«Magari
trascinato a picco da qualche peso morto» la voce
di Annie
anticipò il suo passaggio. Costrinse il gruppo a rallentare,
per
voltarsi e guardarla, attirati dalle sue parole. Annie gli
passò
davanti senza fermarsi, ma non passò oltre senza prima aver
lanciato
un'occhiataccia a Reiner. Non ci fu bisogno di aggiungere altro, lui
riuscì a cogliere perfettamente il significato di quelle
parole.
Bertholdt aveva accettato di buon grado la sua idea di farsi degli
amici tra quelle persone, così da non destare sospetti e
infiltrarsi
meglio, ma Annie invece non solo l'aveva rifiutata ma sembrava
proprio ripudiarla. Si rifiutava di stringere legami con quelle
persone, non parlava con nessuno, a malapena aveva accettato di
scambiare un paio di parole con Eren per insegnargli alcune delle sue
mosse, solo perché si era sentita in qualche modo
costretta.
Insisteva nel volersene stare isolata, ma questo sembrava non
bastarle. Le volte che loro due e Bertholdt avevano avuto modo di
parlare da soli, confrontarsi sul procedimento della missione, Annie
aveva espresso chiaramente il suo disaccordo riguardo al loro modo di
fare. Non sopportava che si esponessero così tanto, trovava
stupido
provare a legarsi al nemico, col rischio addirittura di affezionarsi
a loro... trovava stupido dedicare così tante energie per
gente come
quella. Per gente come Beatris. Avevano avuto una discussione accesa
proprio poche sere prima, su quella faccenda. Annie era irritata dal
fatto che la ragazza gironzolasse così tanto intorno a lui e
Bertholdt, era decisamente troppo attaccata a loro, soprattutto a
Reiner, c'era il rischio che prima o poi la loro copertura saltasse a
causa sua. Ma soprattutto trovava inconcepibile il fatto che Reiner
si esponesse così tanto, tutte le volte, solo per
proteggerla e
aiutarla. L'attacco dell'alveare, il furto della carne, le punizioni
di Shadis e tutte le volte che per aiutarla aveva finito lui stesso
con il rallentare. Aveva calato un po' i suoi voti, ultimamente, solo
per restare al passo con Beatris e non lasciarla sola. Se non fosse
arrivato tra i primi dieci, come si sarebbero potuti unire alla
gendarmeria e indagare sul Re e il Gigante Fondatore?
Reiner
aveva provato a dirle che non si sarebbe mai fatto rallentare da
nessuno, nemmeno da Beatris, aveva provato a rincuorarla del fatto
che aveva perfettamente tutto sotto controllo, e infatti quel
pomeriggio stesso era arrivato per l'ennesima volta secondo alle
prove. Ma Annie non pareva volersi fidare e quel suo atteggiamento
ostile nei confronti del rapporto che Reiner stava coltivando con la
ragazza era peggiorato smisuratamente quando lui era stato costretto
a confessare che sulle montagne si era trasformato per riuscire a
proteggere entrambi dalla valanga. E poi non lo aveva fatto quando
avrebbe dovuto, per tornare indietro, lasciandola a morire. Aveva
messo a rischio la missione, a rischio la sua stessa vita, per che
cosa? No, Annie non riusciva proprio a tollerare quell'accanimento di
Reiner per quella ragazzetta. Non che fosse l'unica, sia lui che
Bertholdt non facevano che essere gentili e amichevoli con tutti, e
lei non sopportava vederli così affiatati con tutti quei
ragazzi.
Una sera li aveva persino sentiti scherzare con Jean, promettersi a
vicenda che sarebbero invecchiati insieme all'interno delle mura, era
qualcosa che le faceva accapponare la pelle. Come riuscivano a essere
così falsi? Senza alcun senso di colpa? Come potevano
comportarsi
come se fuori Paradis non esistesse niente? Come se fossero realmente
felici di essere lì...
«Se
ci si vuol rafforzare bisogna aumentare lo sforzo da sottoporre ai
muscoli» le rispose Reiner, cupo in volto. «I pesi
sono il miglior
alleato di un guerriero in addestramento».
«Tch»
sibilò Annie tra i denti, prima di voltarsi e allontanarsi.
«Eh?»
gracchiò Connie. «Ma di che parlavate?»
«Lasciala
perdere» mormorò Reiner. «È
arrabbiata perché sono migliore di
lei nelle prove fisiche».
«Però
ti fa a pezzettini quando si tratta del combattimento corpo a
corpo»
sghignazzò Connie e Reiner si irrigidì in
un'espressione frustrata
e nervosa.
«È
incredibile, ha ragione» concordò Bertholdt
«Ci vuole grande
abilità ad abbattere una montagna come te».
«Non
infierire!» ruggì Reiner e Connie, al suo fianco,
scoppiò in una
fragorosa risata. Entrarono in quel momento nella sala comune,
già
brulicante di gente, e si avviarono verso la cucina per prendere i
loro vassoi. Cercarono poi un posto libero dove sedersi e ne
trovarono un paio proprio allo stesso tavolo di Eren. Quando li
raggiunsero, Armin era in pieno vigore mentre raccontava ai suoi
compagni chissà quale grande storia.
«Ho
letto che succede una volta ogni cinquant'anni!»
esclamò, euforico.
Eren, davanti a lui, lo ascoltò incuriosito ma senza
dimostrare
troppo entusiasmo. Mikasa al suo fianco era particolarmente passiva,
ma sembrava essere interessata anche lei. Beatris, invece, aveva
l'espressione spalancata e lo ascoltava assorta. Neanche si accorse
di Bertholdt che le si sedette a fianco e di Reiner davanti a
lui.
«Che
cosa succede una volta ogni cinquant'anni?» chiese
quest'ultimo,
curioso.
«La
luna che diventa rosa» spiegò Beatris,
distrattamente.
«I
raggi del sole sono inclinati in maniera del tutto particolare e con
le giuste condizioni climatiche si può vedere la luna
tingersi di
rosa. L'ho letto su uno dei libri del nonno! Oltretutto stanotte
c'è
la luna piena, sarà uno spettacolo unico»
spiegò Armin.
«Ma
da qui non possiamo vederla, è nascosta dietro ai
boschi» disse
Mikasa e Armin sospirò: «Già,
è un gran peccato».
«Possiamo
andare al lago, da lì si vede bene» propose
Beatris e Armin
sussultò: «Non si può uscire dal campo
la notte!»
«Ma...»
iniziò a dire Beatris, ma intercettò lo sguardo
di Mikasa proprio
in quel momento. Le fece venire i brividi, sembrava essere pronta a
saltarle al collo. Non doveva nemmeno azzardarsi a pensarci, sarebbe
stata l'ennesima pazzia a cui poi qualcun altro avrebbe dovuto porre
rimedio per lei. Beatris sospirò, affranta. «Avrei
tanto voluto
vederla».
«Tra
cinquant'anni accadrà di nuovo, immagino che da vecchi non
avremo
troppi impegni» disse Armin, cercando di essere positivo,
anche se
era palese che quella semplice frase nascondesse più di un
milione
di interrogativi. Sarebbero arrivati ai loro sessant'anni? O
sarebbero morti prima?
«Ah!»
si illuminò Beatris, e batté le mani tra loro.
«Diamoci
appuntamento!»
«Eh?»
mormorò Eren, confuso.
«Qualsiasi
cosa accadrà a ciascuno di noi, promettiamo tra
cinquant'anni di
andare al lago dietro il bosco per vedere la luna rosa insieme. Che
ne dite?» Una frase banale, una proposta assurda, una vera
sciocchezza... che riuscì a scaldare i cuori di chiunque
fosse
seduto a quel tavolo con una magia a dir poco unica. Di fronte a loro
non c'erano che ostacoli, ne erano consapevoli, compresa Beatris.
Uscire indenni dall'addestramento era già molto difficile,
ma dopo
sarebbe stato ancora più impossibile riuscire a
sopravvivere.
Dentro, o fuori le mura, tutti loro avevano davanti missioni che
quasi sicuramente li avrebbe visti morti nel futuro più
prossimo.
Eren mirava alla legione esplorativa, con lui anche Mikasa, Armin e
Beatris e solo questo bastava a renderli consapevoli di quanto poco
avrebbero vissuto. Combattendo, non si sarebbero fermati, ma c'era
ben poco da sperare di arrivare a un'età troppo avanzata
dovendo
ogni giorno giocare d'azzardo col destino. Bertholdt e Reiner, che
puntavano alla gendarmeria, avrebbero anche potuto dire con sicurezza
che sarebbero arrivati vivi fino ad allora... se solo non fossero
stati guerrieri di Marley. L'orologio della morte, per loro, aveva
già iniziato a ticchettare due anni prima, quando erano
stati
tramandati loro il gigante colossale e il corazzato. Non più
di
tredici anni di vita era quello che li aspettava, mai sarebbero
arrivati ad allora... ma anche se non ci fosse stata la clausola del
tredici anni, loro miravano a ribaltare quella nazione. Presto o
tardi, sarebbero stati avversari, avrebbero forse loro stessi ucciso
quelle persone... no, mai nessuno si sarebbe potuto presentare a
quell'appuntamento. Ma sperarci, provare anche solo a immaginarlo, li
riempiva per qualche motivo di una gioia incontenibile.
Sorrisero,
sentendo un profondo calore invadergli il corpo intero, e
silenziosamente annuirono.
«Ci
rivediamo tra cinquant'anni, allora» si illuminò
Beatris. Un
semplice sorriso, era solo un sorriso, eppure scaldava il cuore
più
del sole stesso. Era di una bellezza mai vista prima.
Reiner
avrebbe davvero voluto esserci, quel giorno, tra cinquant'anni. Lo
avrebbe voluto davvero tanto.
NDA.
Non
ho molto da dire in queste NDA. È stato un capitolo
abbastanza
leggero se non per la confessione di Reiner, nel dirle che
già
l’aveva vista alla cattedrale, e l’ultima nota
amara… e che
nota amara! Preparatevi perché il prossimo sarà
un capitolo col
botto :P Ci saranno un po’ di feels (spero >_>)
Intanto vi
lascio la canzone del capitolo e come sempre ci sentiamo alla
prossima :3
È
una dedica che mi immagino Reiner faccia a Beatris (avete notato che
ha iniziato a chiamarla Tris? E che è l’unico a
farlo? Non
dimenticatelo, è importante eheheh) in questo momento,
mentre cerca
di spronarla ad abbandonare la sua paura e dare il meglio. A voi :3
https://www.youtube.com/watch?v=7Xi8RQRT4EI&ab_channel=BruceWayne
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
La
cena era proseguita allegra e fin troppo veloce, come ultimamente
succedeva sempre. Gli argomenti affrontati erano dei più
variegati,
si andava dai dubbi sugli esami, lo stress da addestramento, i
desideri futuri, le storie del passato e gli scherzi tra loro. Era
ormai abitudine che almeno una volta a sera Eren e Jean litigassero,
ed era sempre anche quello un ottimo modo per riempire la testa di
bei ricordi e il petto di splendide emozioni. Il più delle
volte
finivano a terra tra di loro, Beatris non aveva mai smesso di provare
a scommettere sul vincitore e si sbracciava a volte in un tifo
decisamente troppo esagerato, ma non era raro che alla fine l'unico
vincitore fosse sempre e solo Mikasa, che irritata interveniva per
bloccare entrambi. Gli insulti che i due compagni d'arme si
rivolgevano non appena ce n'era l'occasione erano sempre molto
fantasiosi e a tratti infantili, ottimi per solleticare un po'
l'ilarità. L'unica preoccupazione che avevano era che Shadis
avesse
potuto sentirli, prima o poi, e metterli in punizione. Era qualcosa
di talmente tanto sottile, superficiale, leggero come una piuma che
persino una cosa come quella risultava piacevole, alla fine.
Lì
a Paradis non c'erano guerre, ritorsioni, odio razziale,
indottrinamenti assurdi, non c'erano violenze gratuite contro persone
che avevano solo avuto la colpa di nascere. Quelle persone erano
demoni, era vero, ma la promessa di pace fatta dal Re sembrava
comunque essere mantenuta. Anche con la piaga dei giganti,
lì,
dentro quelle mura, era un vero Paradiso dove a chiunque era concesso
sorridere ed essere addirittura felice. Era una quotidianità
a cui
Reiner non era abituato e che sentiva, ora che aveva
possibilità di
goderne, che forse era ciò che aveva realmente sempre
desiderato.
Quanto era triste pensare che invece, presto o tardi, tutto sarebbe
stato spazzato via.
Ma
anche in quella meravigliosa quotidianità, non c'era pace
per uno
come lui. Era un sentimento egoista, quella gioia che provava sempre
più intensamente, perché sapeva che fuori dalle
mura, oltre al
mare, c'era chi aspettava il suo ritorno e pregava sulla riuscita
della loro missione. La missione che avrebbe avuto come epilogo lo
sterminio di tutto quello...
Erano
pensieri come quelli che certe notti non gli permettevano di dormire
e anche se si sforzava di ricordare la canzone di Beatris, che aveva
scoperto avere un effetto magico sul suo stato d'animo, a volte non
era così forte da riuscire a vincere il dolore. Erano
passati anni,
in fondo, da quando l'aveva ascoltata... cominciava persino a
dimenticarsene. Inoltre più passava il tempo e
più sentiva la
propria determinazione vacillare, quando poteva scherzare con Connie,
guardare Eren e Jean litigare, ascoltare le storie di Armin, fare
insieme al resto dei ragazzi le previsioni del tempo in base a come
Bertholdt si addormentava. Sentiva la propria determinazione
vacillare tutte le volte che riusciva a intercettare il sorriso
scaldante di Beatris, o quando lei arrivava al suo fianco potente
come un uragano, a riempirgli le orecchie di parole, a saltellargli
intorno con allegria, o quando nel tentativo di proteggerla finiva
nei guai insieme a lei. Si era legato a lei con l'unico scopo di
usarla a suo vantaggio, risultare amichevole e affidabile agli occhi
del nemico, prendendosi cura di una ragazza che sembrava avere
decisamente bisogno di qualcuno che si occupasse di lei. Era quello
che aveva detto a Bertholdt e Annie, ed era quello che aveva creduto
fin dall'inizio, ma ultimamente quando pensava che prima o poi
avrebbe dovuto uccidere anche lei... vacillava. Vacillava
spaventosamente. E doveva alzarsi dal letto, prendere aria,
riflettere, sforzarsi di ricordare i volti dei suoi amici a Marley,
di sua madre, dei suoi zii, o dei suoi compagni d'arme. Si sforzava
di ripensare a Marcel, che si era sacrificato per salvarlo e aveva
lasciato così indirettamente a lui la
responsabilità di quella
missione. Doveva ritrovare qualcosa a cui appigliarsi per salvare
l'intera umanità, di cui si era fatto carico fin da bambino.
E
allora usciva a prendere aria, da solo, senza neanche Bertholdt al
suo fianco, perché aveva bisogno solo di un po' di
solitudine per
dare pace al proprio animo. Non voleva essere Reiner il Guerriero, ma
neanche Reiner il soldato, in quei momenti aveva solo bisogno di
essere Reiner... e basta. Solo Reiner, senza dover dimostrare niente
a nessuno, senza alcuna responsabilità da portare sulle
spalle. In
quei momenti aveva solo bisogno di abbassare la guardia, e sentirsi
comunque al sicuro.
Si
appoggiò alla ringhiera della veranda del proprio dormitorio
con i
gomiti e alzò gli occhi al cielo puntinato di stelle. Le
fiaccole
del centro di addestramento erano abbastanza intense da contrastarle,
molte le nascondeva, ma non tutte. Era comunque un bello spettacolo,
anche da lì.
Peccato
solo non si vedesse la luna, nascosta dietro gli alberi della foresta
alle spalle del centro. Quella sera ci sarebbe stata la luna piena, e
secondo Armin sarebbe stata addirittura tinta di rosa.
Ci
rivediamo tra cinquant'anni, allora.
Il
sorriso gli morì sul volto. Lui non ci sarebbe stato. Anche
se la
missione di Marley fosse fallita, anche se quelle persone avessero
vissuto in piena serenità per altri cinquant'anni, anche se
niente
avesse intaccato quella quotidianità in quei cinquant'anni,
lui non
ci sarebbe stato. Non l'avrebbe mai vista, quella meravigliosa luna
rosa di cui parlava il libro del nonno di Armin. Sapere che era
lì,
oltre gli alberi, e lui la stava perdendo per sempre, gli faceva
attorcigliare le budella nello stomaco. Non sapeva perché ci
tenesse
tanto, forse si stava facendo decisamente troppo influenzare dallo
stato d'animo sereno e pacifico di Paradis, tanto da spingerlo a
desiderare di vivere anche situazioni banali come quelle. Non era
qualcosa di cui andava fiero, ma sentiva che c'era. Quel desiderio di
vivere appieno la vita, almeno una volta prima di morire, sentiva che
era lì nel petto e urlava tanto forte da sovrastare
addirittura il
ricordo della voce di Beatris che cantava la sua ninna nanna.
E
un pensiero lo fece vibrare.
Perché
no? Perché non avrebbe dovuto andare al lago dietro la
foresta?
Perché non poteva provarci? Cosa temeva? Shadis e le sue
punizioni?
Sciocchezze. Quanto potevano essere pericolose delle punizioni, in
confronto all'idea che la morte lo aspettava a scadenza ben decisa.
In confronto all'evidenza che quello che si stava perdendo in quel
momento non l'avrebbe riavuto mai più indietro. Al diavolo
Shadis,
era un vecchio come un altro, e certo non poteva spaventare uno come
lui.
Scese
gli scalini della veranda e si avviò deciso attraverso il
cortile,
superando i dormitori maschili, passando a fianco di quelli
femminili.
Ci
rivediamo tra cinquant'anni.
Si
fermò a guardare l'ingresso del casolare dove sapeva in quel
momento
si trovava Beatris. Se avesse saputo, l'indomani, che era andato da
solo a vedere la luna rosa non gliel'avrebbe mai perdonata. Sorrise,
pensando divertito a quanto l'avrebbe insultato e quanto avrebbe
addirittura provato a colpirlo, come una bambina intenta a fare
capricci. Le avrebbe davvero fatto una cosa simile? Lasciarla sola,
ignorando il suo desiderio, per poi tradirla cinquant'anni dopo non
presentandosi all'appuntamento che lei gli aveva dato. Era troppo,
persino per uno come lui. Si guardò attorno, preoccupato che
ci
fosse qualcuno a vederlo, ma non appena constatò la
sicurezza del
luogo si nascose dietro al casolare, all'ombra. Sgattaiolò
per tutto
il fianco, fino ad arrivare alla finestra sul retro. Avrebbe voluto
sporgersi, guardare all'interno per vedere se riusciva a trovarla, ma
sapeva che sarebbe stato meschino persino per uno come lui sbirciare
dentro il dormitorio femminile. Era da pervertiti.
Alzò
un braccio, restando con la schiena poggiata al lato della finestra,
e si limitò a bussare un paio di colpi, senza guardarne
l'interno.
Attese qualche secondo, nessuna risposta, perciò pregando di
non
rovinare tutto provò ancora. E attese altri infiniti
secondi, fino a
quando finalmente la finestra non si spalancò.
«Che
stai facendo?» sussurrò Annie, fulminandolo.
«Che razza di scherzo
è questo? Sei impazzito a venire direttamente qui in piena
notte?»
«Calmati,
non sono qui per te» le disse, irritato. Tra tutti, proprio
lei
doveva aprirgli?
«Che
cosa vuoi?» chiese Annie.
«Chiamami
Beatris» le ordinò. Se glielo avesse semplicemente
chiesto lei si
sarebbe rifiutata, sperava che facendo appello al suo lato
autoritario avrebbe ascoltato senza troppe storie.
«Scordatelo.
Non sarò complice di questa stronzata» e senza
dargli tempo di
replicare richiuse la finestra.
«Annie!
Aspetta!» lamentò Reiner e, senza quasi nemmeno
accorgersene, si
sporse e guardò all'interno della finestra per cercare
l'amica e
provare a convincerla ancora. Si accorse dell'errore troppo tardi,
quando notò alcune ragazze stese nei loro letti non troppo
lontano
dalla finestra, e imbarazzato tornò a poggiare le spalle al
legno
del casolare. Sospirò e si chiese se fosse stato il caso di
insistere, bussare ancora, sperando che Annie non l'avesse messo nei
guai raccontando qualche cazzata solo per toglierselo dai piedi.
Forse non sarebbe riuscito a coinvolgere Beatris, ma improvvisamente
l'idea di andare a vedere la luna rosa da solo non lo entusiasmava
più così tanto. Restò qualche secondo
immobile dov'era, a valutare
tutte le possibilità, quando infine la finestra si
aprì di nuovo.
Si voltò, speranzoso di avere una seconda
possibilità, e si trovò
davanti il volto sarcastico di Ymir.
«Che
stai facendo da queste parti, principino?» lo
denigrò,
sogghignando, e Reiner già sapeva che per quanto stava per
fare lei
lo avrebbe preso in giro per il resto della sua vita.
Beh,
solo dieci anni, in fondo... non così tanti.
«Sveglia
Beatris per me e ti ripagherò». Ormai conosceva
abbastanza bene
Ymir da sapere che l'unico modo di convincerla a fare qualcosa era
puntare al suo egoismo. Darle qualcosa in cambio, e allora avrebbe
accettato qualsiasi cosa.
«Oh,
senti senti... allora sono vere le voci che corrono su voi
due».
«Di
che voci parli?!» sussultò Reiner, rosso in
volto.
«Te
la sveglio» tagliò corto Ymir, appoggiandosi col
mento sulle
braccia incrociate, sopra il davanzale della finestra. «Ma in
cambio
dovrai dirmi cosa state andando a fare, piccioncini».
«Che
ti interessa?» ringhiò Reiner, irritato e sempre
più imbarazzato.
Forse era stata decisamente una pessima idea.
«Christa
impazzirà quando glielo racconterò, e se conosci
un luogo romantico
che io non conosco potrebbe farmi comodo saperlo».
«Piantala
con le allusioni! Non c'è niente di romantico, né
nessun
piccioncino».
«E
perché vuoi che sveglio Beatris? Sta dormendo come un
angioletto
stretta a Mikasa, sapevi che quelle due dormono sempre
insieme?»
«No...»
mormorò Reiner, talmente tanto confuso e imbarazzato da non
riuscire
nemmeno più a capirci niente. «Non lo
sapevo».
«Invidioso,
eh?!»
«Ma
che stai dicendo?! Valla a svegliare e non rompere!»
«Dove
la porti?»
«Al
lago, oltre la foresta» rispose senza pensarci e Ymir
spalancò gli
occhi. «Volete uscire dal campo in piena notte?!»
«Non
azzardarti a fare la spia, o dirò a Christa quanto sei
infame!»
«Calmati,
non c'è bisogno di agitarsi tanto»
sospirò Ymir, sollevandosi dal
davanzale della finestra. Fece per rientrare, ma prima di sparire del
tutto oltre la finestra sogghignò ancora, maliziosa, e
disse:
«Christa impazzirà quando le dirò che
c'è una nuova coppia nel
centro».
Reiner
non ci vide più e d'istinto cercò di colpire Ymir
con un pugno. Ma
la ragazza fu rapida abbastanza da indietreggiare, evitare il colpo,
e sparì all'interno del casolare sghignazzando
divertita.
«Stupida»
ringhiò Reiner tra sé e sé.
«Stupida senza cervello».
Ymir
intanto, silenziosa come un gatto, si avvicinò al letto di
Mikasa.
Si inginocchiò e ringraziò l'apatia di Mikasa che
accettava sempre
passivamente la compagnia di Beatris nel letto, perché come
le altre
notti le aveva lasciato un posto abbastanza minuscolo e questo aveva
portato Beatris ad avere un po' le spalle sporgenti verso l'esterno.
La toccò delicatamente, la scosse appena e Beatris
aprì gli occhi.
Si voltò a guardare chi la stesse chiamando e Ymir, subito,
si portò
un dito alla punta del naso per dirle di fare silenzio. Con un gesto,
poi la invitò a seguirla e le indicò la finestra
aperta.
Beatris
non capì assolutamente niente di quanto stava accadendo, ma
la
curiosità la invase comunque. Era strano che proprio Ymir la
svegliasse in piena notte ed era altrettanto strano che la finestra
fosse aperta. Scivolò via dall'abbraccio di Mikasa con
lentezza,
seguì Ymir in punta di piedi e una volta alla finestra si
affacciò,
riuscendo a scorgere immediatamente Reiner appena sotto di essa.
«Reiner»
sussurrò sorpresa. «Cosa fai qui?»
Non
appena Reiner sentì la voce di Beatris tutto il fastidio
accumulato
fino a quel momento parve scomparire come per magia. Le sorrise, si
portò la punta del dito alle labbra suggerendogli anche lui
di fare
silenzio. Poi le fece un occhiolino: «Ti va di vederla quella
luna?»
Beatris
spalancò gli occhi e parve iniziare a brillare di luce
propria.
L'idea la eccitava come mai prima d'ora. Si voltò d'istinto
a
guardare Mikasa, pensando che avrebbe dovuto chiamare anche lei, ma
si bloccò. Mikasa non avrebbe mai accettato di infrangere le
regole
del campo per una cosa come quella e probabilmente anche Eren, Armin
e Bertholdt avrebbero volentieri evitato di fare quella pazzia. In
realtà, era certa che anche Reiner fosse assolutamente
contrario e
vederlo lì, a proporle di evadere, fu una vera sorpresa. Di
solito
era lei l'unica che faceva follie, Mikasa glielo impediva, Reiner ci
provava ma finiva inevitabilmente coinvolto contro la sua
volontà.
Era strano, al limite dell'assurdo, e per questo non avrebbe mai
rifiutato per niente al mondo. Tornò a guardare Reiner con
gli occhi
che brillavano dall'emozione e annuì vigorosamente.
«Andiamo.
Cerca di non farti sentire» le disse, facendole un gesto con
la mano
per invitarla a seguirlo. Beatris corse all'interno del dormitorio,
prese tra le braccia calze e scarpe, e tornò infine alla
finestra.
Lanciò tutto fuori e per ultimo saltò
giù anche lei. Si infilò
velocemente le scarpe, senza preoccuparsi di essere ancora in
pigiama, e infine seguì Reiner attraverso il campo
d'addestramento.
Passarono di ombra in ombra, cercando di non farsi vedere, restando
nascosti dietro a casolari e strutture di ogni genere, approfittando
anche della presenza dei carri e pregando che i cavalli non si
fossero imbizzariti nel vederli. Infine uscirono, passando oltre il
recinto spinato, e si inoltrarono nella foresta. Ormai tranquilli,
camminarono più velocemente lungo il sentiero, sentendo la
fretta
spingerli a sbrigarsi, come se da un momento a un altro la luna fosse
potuta sparire del tutto. Reiner apriva la strada, Beatris gli stava
dietro arrancando un po', ma l'entusiasmo del momento riusciva a
darle la forza necessaria a proseguire con velocità.
Riuscì persino
a non inciampare nemmeno una volta. E infine, arrivarono al
lago.
Laggiù,
dove le fiaccole del campo non arrivavano, dove regnava solo il buio
più completo, le stelle erano padrone assolute del mondo.
Brillavano, scintillavano come gioielli, rendendo tutto il mondo
intorno a loro etereo come quello di un sogno. Il lago, davanti a
loro, rifletteva tutta quella meraviglia e sembrava che sul fondo
fosse cosparso di diamanti. La vegetazione era fresca e silenziosa,
si sentiva qualche grillo, qualche gufo in lontananza, ma poi altro
se non il tenero rumore del vento tra le foglie. Era come trovarsi in
un sogno.
«È
bellissimo» mormorò Beatris, avvicinandosi alla
riva.
«Già»
rispose Reiner alle sue spalle, meno plateale nel mostrare la propria
meraviglia ma non per questo meno affascinato da quello spettacolo.
Nemmeno a Marley c'erano posti come quelli, o se c'erano agli Eldiani
era proibito andarci, e a Liberio le luci erano sempre troppo forti
per permettere alle stelle di raggiungerli decentemente. Era un posto
magico, uno spettacolo incredibile, e ringraziò il suo
coraggio per
averlo spinto fino a lì quella sera perché
sarebbe stato
sicuramente un ricordo che si sarebbe portato dietro per il resto dei
pochi anni che gli restava da vivere.
Incantati
dalla luce soffusa delle stelle sul lago, si erano persino
dimenticati del motivo che li aveva spinti fino a lì, e se
ne
ricordarono solo pochi minuti dopo. Beatris alzò gli occhi
al cielo,
bramosa di aggiungere meraviglia ad altra meraviglia, e
riuscì a
intercettare la luna piena, padrona del cielo assoluto. Ma la
delusione la portò ad abbassare le spalle.
«È
normale» mormorò, triste nell'accorgersi che non
c'era alcuna
sfumatura rosa.
«Magari
l'episodio raccontato dal libro del nonno di Armin è stato
solo un
eccezione, non è vero che succede ogni
cinquant'anni» ipotizzò
Reiner.
«Che
peccato... abbiamo rotto l'incantesimo, adesso saremo gli unici che
tra cinquant'anni verranno qui senza aspettarsi niente»
commentò
Beatris e Reiner rispose con un sospiro affranto. Si
avvicinò alla
riva, di fianco a lei, e si mise a sedere per terra.
«Tris»
mormorò con una voce improvvisamente triste e afflitta.
«Credi
davvero che ci saremo, tra cinquant'anni?»
«Tu
e Bertholdt andrete nella gendarmeria, giusto? Voi sarete al sicuro,
potrete tornare qui senza nessun problema» disse Beatris e
gli si
sedette a fianco, raccogliendo le ginocchia tra le braccia.
«Ma sono
felice che sei venuto a chiamarmi stasera, perché non credo
che io
invece avrei avuto un'altra occasione».
«Avresti
davvero rinunciato sapendo di non avere un'altra occasione?»
perché
lui non c'era riuscito. Lei non avrebbe davvero fatto altrettanto?
«Avrei
rotto l'incantesimo» mormorò, poggiando il mento
sulle ginocchia.
Avvolta così in se stessa, con addosso quel semplice pigiama
e i
capelli sciolti sulle spalle, sembrava quasi una bambolina.
«Avrei
reso reale il terrore di morire prima di allora, confessando a me
stessa che stavo accettando il mio destino. Ho preferito restare
aggrappata alla mia stupida speranza che sarei sopravvissuta, solo
per non abbattermi».
«E
allora perché hai accettato di venire? È quello
che è appena
successo».
Beatris
si voltò a guardarlo e gli rivolse un luminoso sorriso, non
uno di
quelli precostruiti, ma un sincero e dolce sorriso. «Ero
emozionata
all'idea di venire qui con te» confessò e Reiner
sentì un'altra
volta nel petto il cuore tirare un paio di colpi più potenti
del
solito. Distolse lo sguardo, portandolo al lago davanti a sé
e pregò
che fosse buio abbastanza da nascondere il fatto che fosse
arrossito.
«Ne
stiamo combinando un bel po', io e te» proseguì
Beatris, tornando a
guardare il lago. «Quando mi sono arruolata non credevo che
avrei
mai trovato un amico così, sto cercando di collezionare
quanti più
bei ricordi possibili. Quando morirò vorrei potermene andare
sapendo
di essere stata felice».
«È
per questo che ti lanci sempre incontro a qualche pazzia senza
pensarci troppo?»
Beatris
affossò il volto tra le ginocchia e quella volta fu il suo
turno di
provare a nascondere il rossore dal volto. «Può
darsi» mormorò,
palesemente imbarazzata.
«Tris,
dimmi una cosa» sospirò Reiner. Aveva sempre avuto
un dubbio su
Beatris, ma i suoi sorrisi, il suo modo di fare sempre gioviale ed
euforico, il suo comportarsi sempre come se fosse felice anche di
fronte alla più grande delle avversità, l'avevano
dissuaso
dall'indagare. Era sempre stato convinto che fosse solo una sua
impressione, ma ogni tanto lei ritirava fuori quel tipo di argomenti
e allora il dubbio tornava a corroderlo dentro. E a rattristarlo.
«Vuoi entrare nel corpo di ricerca perché stai
cercando una scusa
per morire?»
Un'altra
persona sarebbe scattata, offesa probabilmente, invece Beatris
esitò.
Esitò fin troppo. «Cosa te lo fa
pensare?» chiese, ma era palese
quanto si vergognasse di essere uscita allo scoperto.
«I
tuoi sorrisi ingannano, fanno credere che tu sia la persona
più
felice di questo mondo... lo fai apposta, non è vero? Cerchi
di
ingannarci».
E
Beatris affossò ancora di più il volto tra le
ginocchia,
nascondendosi completamente al loro interno. Non rispose e Reiner
continuò, sapendo ora di essere sulla strada giusta:
«Shadis l'ha
scoperto subito, per questo ti ha punita e si è irritato
tanto. Il
corpo soldati non accetta membri suicida, ma cerca eroi. Noi eravamo
troppo concentrati su noi stessi e a fare bella impressione per
accorgercene, ma è stato evidente fin da subito. "Meglio io
che
qualcun altro". È questo che hai detto»
ricordò e Beatris
ancora non rispose, nascosta tra le propria ginocchia.
«Vuoi
morire sacrificandoti per qualcun altro... perché?»
«Che
cos'ho da perdere?» la sentì mormorare con un filo
di voce. Era
nascosta nel suo guscio, non poteva vederla in volto, ma era certo
che anche quello fosse un modo per proteggersi come i suoi finti
sorrisi felici. Non voleva mostrare il proprio dolore, a nessuno e
forse benché meno a se stessa.
«I
tuoi amici. Perderesti loro» le rispose Reiner.
«Appunto.
Eren, Mikasa e Armin vogliono entrare nel corpo di ricerca,
perderò
anche loro... così non mi resterà più
niente».
«Sai
di non essere all'altezza, a cose normali non ti saresti mai
arruolata, lo hai fatto solo per restare insieme a loro. Ma
consapevole della tua debolezza, sai che non durerai un minuto di
più
là fuori, o almeno questo è quello che
credi».
«Non
sono in grado di fare il soldato, io non sono come voi. Se resto
dentro le mura morirò di dolore, se vado fuori
morirò per mano dei
giganti, ma se riesco a farmi mangiare al posto di uno di voi...
quello sarebbe un bel modo per andarmene» alzò gli
occhi, ma solo
un po', il giusto per riuscire a tornare a guardare il lago.
«Meglio
io che qualcun altro» ripeté.
«Qui
dentro nessuno ti prende sul serio, eppure hai di questi terribili
pensieri» sospirò Reiner. «Sei riuscita
a ingannare persino
Mikasa».
«No,
non è vero» nonostante Reiner potesse vedere di
Beatris solo gli
occhi, riuscì a scorgere in loro qualcosa di simile a un
sorriso.
«Lei lo sa, anche Armin e Eren lo sanno. È per
questo che insistono
tanto sul fatto che devo darmi da fare. Eren non fa che sgridarmi,
Mikasa cerca di proteggermi e Armin fa di tutto per rassicurarmi e
convincermi a provarci. Li sto stremando. Penso stiano cominciando a
odiarmi».
«Non
ti odiano» disse Reiner con sicurezza, e Beatris non
riuscì a
trattenere un risolino. «Come fai a dirlo?»
«Perché
io ti conosco da molto meno di loro, ultimamente sono quello che si
preoccupa maggiormente per te, eppure non ti odio. Perciò
è
improbabile che lo facciano loro» era stata una frase pensata
e
detta contemporaneamente, senza darsi tempo di rifletterci sopra, ed
era risultata nuova persino per lui. Se ne sorprese, tanto che si
ritrovò lui stesso a tentennare di fronte a quanto appena
scoperto.
Lui non la odiava. Beatris era un demone di Paradis, uno di quelli
che fin da bambino gli avevano detto che incarnavano il male, una di
quelle persone che fin da bambino aveva imparato a odiare ed era
stato addestrato solo con l'obiettivo di ucciderli. Beatris era una
di loro, eppure non la odiava. Non la odiava nemmeno un po', ma
anzi... sapere che sarebbe morta, sapere che lei voleva morire o che
lui avrebbe dovuto ucciderla un giorno, lo feriva. Ripensare a Annie
fu inevitabile, lei glielo aveva detto che avrebbe rischiato di
affezionarsi e lui le aveva assicurato che non sarebbe mai successo.
Beatris doveva essere solo uno strumento, da usare e poi gettare via.
L'aveva protetta, all'inizio, solo perché così
aveva potuto
dimostrare di essere gentile e altruista, solo per conquistarsi la
fiducia degli altri ma ora... desiderava proteggerla. Desiderava
proteggerla davvero.
Quando
aveva iniziato a provare quei sentimenti?
«Io
un po' ti odio, invece» mormorò Beatris e
aggiungendo sorpresa alla
sorpresa Reiner sentì una freccia trafiggergli il cuore. La
cosa
davvero lo feriva? Ma cosa gli stava succedendo?!
Si
voltò a guardare Beatris e si sorprese di vederla totalmente
a volto
scoperto, uscita dal suo guscio, che guardava il lago di fronte a
sé
con un'espressione raddolcita. Era tirata in un lieve sorriso, dolce,
come se si trovasse di fronte a qualcosa che amava con tutta se
stessa.
«Perché?»
mormorò Reiner, confuso più per ciò
che stava provando in quel
momento che per la frase in sé. Per quanto lei cercasse di
nasconderlo, questa volta riuscì a vedergliele le guance che
lievemente andavano colorandosi di rosso.
«Perché
adesso non sono più tanto sicura che non avrei niente da
perdere».
Lui.
Se fosse morta alla prima occasione, avrebbe perso lui, e questo la
affliggeva talmente tanto che solo ora, ormai a cose fatte, stava
cominciando a porsi il dubbio se avesse veramente voluto morire.
Ormai si era arruolata, ormai aveva iniziato a percorrere la strada
che l'avrebbe portata ad affrontare i giganti faccia a faccia, e con
voti pessimi come i suoi non poteva nemmeno sperare di riuscire a
finire nella gendarmeria al sicuro e magari al fianco di Reiner. E
non era nemmeno sicura di volerlo fare. Era in preda alla confusione,
fino a poco tempo prima non aveva avuto dubbi su quale sarebbe stato
il suo destino, ma ora cominciava a farlo. Era tutto così
confuso
che negli ultimi tempi era andata avanti quasi meccanicamente, senza
più riuscire a mettere emozione in quello che faceva. Da
quando
erano tornati dalle montagne, Beatris si era rabbuiata sempre
più,
aveva perso ogni spirito combattivo. Reiner aveva pensato che fosse
colpa della sua autocommiserazione, della depressione che la
inghiottiva nel vedersi sempre ultima della classe, dei sensi di
colpa perché aveva sempre bisogno di essere salvata, ma si
era
sbagliato... Beatris aveva perso ogni motivazione a causa sua.
Ciò
che l'aveva spinta a dare il massimo all'inizio, il suo desiderio di
arruolarsi per morire in cambio della vita di uno dei suoi amici,
l'aveva perso completamente perché adesso non era
più sicura di
voler morire. Lei non voleva farlo, per questo aveva cominciato a
blaterare di lasciare l'accademia.
«Resta
con me» mormorò Reiner sovrappensiero. Beatris
sussultò tanto che
un singhiozzo le risuonò in gola. Si voltò a
guardare Reiner con
gli occhi spalancati e il volto talmente rosso per la vergogna che
avrebbe potuto prendere fuoco a momenti.
«Eh?!»
chiese, spingendo il busto il più distante possibile da lui,
terrorizzata da chissà che cosa. Ma Reiner sorrise
entusiasta, si
lanciò in avanti e afferrò la mano di
Beatris.
«È
la tua forza, Tris! L'ho trovata!»
«Cosa...?»
mormorò lei, ancora in preda alla confusione.
«La
forza che ti serve per riuscire a superare la paura, per smettere di
paralizzarti. Non vuoi morire, giusto? Vuoi continuare a vivere, per
passare insieme momenti come questi, per poter continuare a essere
mia amica, non è così? Pensa a questo, allora!
Pensa che vuoi
restare con me».
Beatris
sentì il respiro restarle bloccato in gola, incapace di
uscire, le
fece dopo un po' girare la testa. Tremò e sentì
il cuore nel petto
essere ben intenzionato a uscirle dalla cassa toracica, talmente
tanto stava colpendo contro le costole. Un'emozione come quella era
mai riuscita a provarla prima? Era qualcosa di assolutamente nuovo e
assolutamente distruttivo, riusciva ad abbattere qualsiasi cosa...
persino la paura.
«Può
funzionare?» chiese Reiner, abbandonando pian piano
l'entusiasmo
dell'idea. Ma non la convinzione che fosse la via giusta da
percorrere.
Lasciò
andare la mano di Beatris e lei sentì improvvisamente
freddo. Avere
la mani nelle sue era qualcosa di cui, solo ora se ne rendeva conto,
sentiva quasi di aver bisogno per poter stare bene. Il cuore non
sembrò essere intenziono a rallentare, ma il respiro pian
piano
tornò a scorrergli in gola e portare ossigeno al cervello.
Esitò, a
lungo, forse fin troppo, facendo preoccupare Reiner. Forse aveva
detto un'idiozia?
A
ripensarci, era sicuramente un’idiozia. Cosa gli era saltato
in
mente? Essere lui la sua ragione di vita... con quale naturalezza
glielo aveva proposto? Era ridicolo, e imbarazzante come niente prima
d'ora. Più ci pensava e più si rendeva conto di
quanto fosse
ambiguo, di quanto fosse inappropriato, e cominciò a odiarsi
per
averlo anche solo pensato.
Ma
poi Beatris sorrise di uno dei suoi sorrisi più sinceri e
con le
guance ancora colorate di rosso, infine, disse:
«Sì, credo possa
funzionare».
Reiner
la guardò per qualche istante, cogliendo ogni sfumatura,
cercando di
memorizzare ogni dettaglio di quel volto e di quello sguardo
palesemente emozionato. Si raddrizzò e tornò
infine a guardare il
lago davanti a sé, pensieroso, e incapace di smettere di
arrossire.
Era stato stupido, più che in situazioni normali,
perché continuava
a dimenticarsene. Continuava a dimenticarsi che lui era stato mandato
lì per ucciderli... per uccidere persino lei. Non faceva che
ripeterselo, cercare di ridare una direzione alla sua vita, ma ormai,
per quanto avesse provato a ignorare il problema, ora non
poté che
schiantarcisi contro.
«Tris»
mormorò dopo qualche minuto. «Io vorrei che tu
viva il più a lungo
possibile» ed era dannatamente vero. Avrebbe accettatto di
uccidere
chiunque, avrebbe accettato di uccidere persino Eren, così
come
aveva accettato di sterminare tutta la popolazione di Shiganshina e
condannare a morte la maggior parte del popolo del Wall Maria. Aveva
le mani sporche di sangue ed era pronto a farlo ancora, era un
guerriero di Marley, il migliore, e la sua fede verso la patria
superava qualsiasi sentimento e senso di colpa. Li aveva schiacciati
come formiche, non gli era interessato, e non gli sarebbe importato
di farlo ancora.
Ma
non lei. Per qualche assurdo motivo, avrebbe voluto davvero che lei
avesse vissuto il più a lungo possibile. Non per forza al
suo
fianco, ovunque in quel mondo, ma in pace, felice, senza nessuno a
minacciarla. Avrebbe davvero voluto proteggerla da qualsiasi cosa...
persino da se stesso. Forse soprattutto da se stesso.
«Va
bene» la sentì rispondere e quasi se ne sorprese.
Non avrebbe mai
pensato che lei prendesse così sul serio la sua frase. Ma la
vide
improvvisamente carica di una nuova determinazione.
«Cercherò di
vivere il più possibile. Te lo prometto» e sorrise
di quel suo
sorriso candido che tanto rapiva il cuore. Gli fu impossibile
trattenersi dal ricambiare, una nuova e bizzarra felicità
gli
solleticava il petto. Distolse lo sguardo dopo qualche istante,
puntandolo di nuovo al cielo, con la consapevolezza che Beatris
invece ancora lo stava guardando. E per qualche motivo la cosa gli
piaceva. Avere i suoi occhi addosso, era come se ne venisse
accarezzato. Gli distendeva i muscoli, gli rilassava l'anima,
riusciva a scacciare via qualsiasi ombra... qualsiasi incubo.
Era
veramente qualcosa di magico.
«Me
la ricanteresti quella canzone?» chiese sovrappensiero. Erano
passati anni, la ricordava a malapena, ma sapeva quanto fosse stata
capace di dargli sogni tranquilli. Lo aveva fatto a lungo, per
giorni, settimane, aveva continuato a sentirla nella sua testa.
«Eh?»
chiese Beatris, tornando ad arrossire per la vergogna. Non aveva mai
cantato per nessuno se non per sua sorella, e anche in
quell'occasione l'aveva fatto solo perché lei glielo
chiedeva. Non
si sentiva a suo agio a cantare, si vergognava spaventosamente e
rievocava terribili sensazioni. Sua madre cantava sempre, quando era
piccola.
«Quella
che cantasti a tua sorella nella cattedrale. Mi era piaciuta
molto».
«Ti
era... piaciuto sentirmi cantare?» balbettò lei,
in preda
all'imbarazzo.
«Beh,
sai...» mormorò Reiner e si grattò il
mento nervosamente con un
dito. «Dormivano o piangevano tutti, lì dentro. Si
riusciva a
sentire solo te, è normale che ti abbia sentito»
cercò di
giustificarsi, ancora troppo imbarazzato nell'ammettere che era
rimasto per qualche strano motivo molto colpito da lei fin da quel
primo incontro.
«Mi
dispiace» disse Beatris con un filo di voce.
«Purtroppo non riesco
a ricordarmela». E lo sguardo tornò ad abbassarsi,
fino a
raggiungere la punta dei propri piedi, ignorando stelle, cielo e
tutto ciò che di bello aveva attorno. Un'ombra sembrava
stesse per
inglobarla. Non fu difficile capirne il motivo... non aveva fatto
altro che ripetere che non avesse niente, se non Mikasa, Eren e
Armin. Non si sarebbe mai arruolata, se avesse avuto ancora Rose da
proteggere.
«Mi
dispiace molto per tua sorella» confessò Reiner.
Avrebbe preferito
continuare a ignorare la cosa, fingere di non aver capito che Rose
era morta per non ferirla, per non costringerla a parlarne ad alta
voce, ma sentiva di doverlo fare. Chiedere scusa. Lui, soprattutto
lui, doveva farlo. «E mi dispiace molto per i tuoi
genitori». Una
morsa gli chiuse lo stomaco e fu lancinante, molto più del
previsto.
Il dolore gli arrivò fino al cervello, offuscandoglielo
addirittura
per qualche istante. Si irrigidì e tirò indietro
le gambe,
incrociandole tra loro, raddrizzando la schiena.
«È
stata colpa mia» confessò Beatris.
Riuscì a farlo, per la prima
volta dopo anni riuscì a parlarne e confessare
ciò che aveva
dentro. Con Reiner era più facile di quanto si aspettasse.
«Mamma è
morta per proteggere me, perché di fronte ai giganti io mi
ero
paralizzata dalla paura. Mia sorella è rimasta gravemente
ferita
dall'assalto a Shiganshina e io non sono poi stata abbastanza forte
da proteggere lei. Le cure sono molto costose, soprattutto quando sei
una bambina orfana in una terra che non conosci. Rimpiango solo di
non essere riuscita a riavere indietro il suo pupazzo preferito,
Kitty, prima che morisse. Mi disse che se lui fosse stato vicino a
lei, allora sarebbe guarita... sono stupida a pensarlo, ma forse
aveva ragione. Avrei dovuto trovare il modo di...» si
interruppe
sentendo un singulto provenire da Reiner. Si voltò a
guardarlo e lo
trovò improvvisamente strano: era rigido, teso come una
corda di
violino, i muscoli contratti tanto da far risaltare le venature sul
braccio, l'espressione corrucciata in una che sembrava mista tra la
rabbia e il dolore, gli occhi puntati davanti a sé,
spalancati, ed
era madido di sudore.
«Reiner»
mormorò, avvicinandosi a lui, preoccupata. Gli
posò una mano sulla
spalla e quello parve destarlo, ma non aiutarlo a sciogliersi.
«Che
hai?» gli chiese, sporgendosi per cercare il suo volto.
Reiner si
voltò dall'altro lato, negandogli il contatto
visivo.
«Niente»
disse, meno teso, ma non meno nervoso. «Odio i giganti e
ciò che
hanno fatto».
Suonava
più come una scusa, ma Beatris riuscì a crederci
comunque. Era
giustificabile, ai suoi occhi, visto che anche lui aveva perso la sua
casa a causa dei giganti. O almeno questo era ciò che aveva
raccontato.
«Già»
mormorò. «Li odio anche io» e non
poté vedere l'espressione di
Reiner che ancora una volta si corrucciava tanto da costringerlo a
chiudere gli occhi e sentire i denti scricchiolare dentro la bocca.
Non poté vederlo, ma riuscì ancora a sentire la
rigidità dei suoi
muscoli sotto al tocco della sua mano, e poté percepirlo
tremare.
Inoltre, non sembrava essere intenzionato né a guardarla
più né a
rivolgerle la parola. Qualsiasi cosa fosse successo, era qualcosa che
lo stava portando a soffrire molto e lei sentì il bisogno di
fare
qualcosa per aiutarlo. Abbassò lo sguardo, triste nel
vederlo in
quelle condizioni, e imbarazzata per l'idea che le stava balenando in
testa. Quando Rose stava male, sentirla cantare l'aiutava a stare
meglio. Reiner aveva detto inoltre che gli era piaciuto sentirla
cantare... non poteva andare male. Anche se odiava doverlo fare,
anche se moriva dalla vergogna, ma poteva essere una buona idea. Con
voce strozzata, flebile, cominciò a cantilenare una melodia
senza
parole. Si sentì stupida, ma riuscì a percepire
sotto al tocco
della sua mano i muscoli di Reiner che piano piano si rilassavano e
si distendevano. Le diede il coraggio di proseguire. Aggiunse le
parole e provò ad alzare un pochino la voce.
Cantò delicata come
una pioggerella di primavera su delle foglie. Non era la stessa
canzone che aveva cantato a sua sorella, ma riuscì ad avere
lo
stesso effetto incredibile. Forse, addirittura, riuscì a
distenderlo
ancora di più, consapevole che quello non sarebbe stato un
ricordo
rubato. Quella canzone era per lui, solo per lui, per curare il suo
dolore.
Reiner
tirò un sospiro e si distese. Chinò la testa, si
rilassò per
quanto potesse rilassarsi seduto per terra, e arrivò persino
a
socchiudere gli occhi. Avrebbe voluto addormentarsi lì. In
quel
preciso istante. Sapeva che se l'avesse fatto, non avrebbe avuto
incubi.
Invece
furono costretti a rientrare, a tornare ognuno nel proprio letto, e
solo, nell'oscurità, non bastò il ricordo della
voce di Beatris a
dargli pace. Sognò un gigante corazzato che non era lui
corrergli
incontro. Sognò di non riuscire a muoversi. Sognò
di venirne
schiacciato, e per tutta la notte non fece che risvegliarsi,
più e
più volte, in preda al terrore.
Nda.
Resta
con me *-*
Quanta
dolcezza! E Tris che è arrossita anche fin
troppo!
Eheheh
Vabbé, non ho molto altro da dire su questo capitolo. Sono
stati
amici fino a questo momento, con qualche strano
motivo
che li spingeva a legarsi, ma questa è stata la prima volta
che si
accenna a un eventuale romanticismo. Con l’angst finale su un
Reiner addolorato per ciò che ha fatto… e proprio
su questo
sentimento vi lascio la canzone di oggi!
Questa
più delle altre mi è piaciuta da impazzire, ogni
frase sembra
parlare di Reiner, dei suoi sentimenti contrastanti su ciò
che sa
che deve fare e i suoi primi dubbi, il desiderio di tornare a casa, i
sensi di colpa che iniziano a farsi strada in lui (soprattutto verso
Beatris, consapevole che è lui la causa della morte della
sua
famiglia), e con quel ritmo arrabbiato e amaro... VI PREGO
ASCOLTATELA! È eccezionale! A me sono venuti i brividi e ho
quasi
pianto T_T
Dura
8 minuti, è vero, ma cercate di arrivare alla fine
perché
soprattutto le ultime parole sono da lacrime T___T (per aiutarvi vi
dico che dal minuto 4.30 circa fino a al 7.20 c’è
una parte solo
strumentale che se non avete voglia potete saltare)
Vi
do appuntamento alla prossima :3
Ciao!
https://www.youtube.com/watch?v=YjAA531LlyM&ab_channel=WithYouImFeelinGood
EFP non mi fa mettere altro
che un
link che oltretutto non è cliccabile, perciò se
non avete modo di
fare copia e incolla su google vi do direttamente il titolo: M.I.A.
degli Avenged Sevenfold. Su youtube trovate anche il video con la
traduzione a schermo, se vi serve. Ascoltatela, davvero :P
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
Beatris
crollò a terra, ansimante. Non cercò di
trattenersi, si accasciò
come un peso morto e si stese a terra. Il sudore sulla faccia fece da
collante per la polvere e i sassi del cortile, nel mischione avrebbe
lasciato una bella strisciata scura sulla pelle. Ma era troppo stanca
persino per preoccuparsi della sua pulizia, tanto si sarebbe lavata
prima di andare a letto... sempre se avesse avuto le forze di
rialzarsi da lì. Un paio di stivali arrivarono nel suo campo
visivo
e, anche se non alzò lo sguardo a guardare il volto di chi
aveva
davanti, seppe perfettamente a chi appartenevano.
«Lasciami
morire qui» mormorò, socchiudendo gli occhi.
«Ormai per me è
finita».
«Non
mi abituerò mai al tuo modo di fare così
drammatico» ridacchiò
Reiner, inginocchiandosi davanti a lei.
«Ultimamente
mi distruggi, stai esagerando» disse lei senza muoversi.
«È
perché sei migliorata», e Beatris d'istinto
spalancò gli occhi.
Non riuscì a muoversi, ma ebbe almeno la forza di portare lo
sguardo
al volto di Reiner. «Dici sul serio?»
Reiner
annuì e le porse una mano. «Andiamo,
un'alimentazione regolare fa
parte dell'allenamento».
«Non
riesco a muovermi. Per me è finita»
mormorò e tornò a chiudere
gli occhi, senza muoversi di un centimetro.
«Stai
cercando una scusa per farti portare in spalla?» le chiese e
non
poté far a meno di notare il sorrisino che lei
provò invano a
trattenere. «Camminare a volte è così
faticoso» disse, ma non
riuscì ad essere convincente nemmeno per se stessa.
«Non
ti porterò in spalla» le disse, risoluto.
«Vuoi
lasciarmi qui a morire?»
«Non
posso portarti sempre io, dopo gli allenamenti. Devi vincere la tua
pigrizia, Tris».
«La
mia non è pigrizia» disse, aprendo lievemente un
occhio per
guardare il compagno. Il nero della polvere sulle guance nascose il
lieve rossore che cominciava già a nascerle sul volto,
questo la
salvò dal dover spiegare che aveva scoperto dal giorno della
montagna, quando lui l'aveva presa in spalla la prima volta, che era
qualcosa che le piaceva molto. Non sapeva perché, ma sentiva
che
quelle spalle erano perfette da stringere, il suo collo si incastrava
perfettamente tra i suoi gomiti, e poggiando la testa sulla sua
spalla poteva sentire il suo odore che aveva scoperto avere il
bisogno di sentire almeno una volta al giorno. Persino a fine
allenamento, quando era sudato e aveva i capelli umidi appicciati al
collo, il suo acre odore di stanchezza e fatica riusciva a
solleticarle il petto. Non era pigrizia, era dipendenza.
«E
allora perché fai così? Pensavo avessi deciso di
impegnarti».
«Mi
alleno ogni giorno, accetto di fare tutto quello che dici, mi sveglio
presto la mattina e non faccio tardi nemmeno una volta. Non ti sembra
abbastanza?»
«Che
diamine» sospirò Reiner. «Certe volte
sei più capricciosa di una
bambina».
«Sono
stanca davvero, Reiner. Oggi ci sei andato giù
pesante!»
«Domani
abbiamo l'esame in campo con il movimento tridimensionale, devi
essere pronta».
«Non
fa parte dell'allenamento anche il riposo? Stancarmi così il
giorno
prima dell'esame non è controproducente?»
«Fidati,
starai bene. So cosa faccio e da ora fino a domani mattina hai tutto
il tempo per riposarti. Non ti chiederò altro, potrai
dormire quanto
vuoi domani, salteremo il nostro incontro pre-colazione».
«Domani
potrò dormire?!» strabuzzò gli occhi
Beatris, emozionata all'idea
di potersi finalmente riposare un po'. «Sì, ma
adesso alzati e
andiamo a mangiare. Non azzardarti ad andare a letto a stomaco
vuoto».
E
Beatris tornò a richiudere gli occhi, sorridendo sotto ai
baffi.
«Non credo riuscirò ad alzarmi da sola in nessun
modo. Accidenti,
spero proprio di non morire di fame da qui a domani mattina».
Reiner
sospirò ancora, stufo di insistere. Si alzò in
piedi e si allontanò
di un paio di passi. Beatris aprì gli occhi, sentendolo
allontanarsi, chiedendosi se davvero avesse deciso di lasciarla
lì.
Affamata e insoddisfatta. Ma non ebbe modo di capire che stesse
accadendo che si sentì afferrare per una caviglia e venne
trascinata
sul selciato.
«Ho
promesso a Mikasa che ti avrei tenuta in vita, se non lo faccio
quella mi ammazza».
D'istinto
Beatris iniziò a urlare e dimenarsi, in preda al dolore per
i
sassetti del cortile che così facendo le sfregavano addosso
e le si
infilavano addirittura nei vestiti.
«Che
significa che lo hai promesso a lei? Quando è
successo?!» chiese
sorpresa, ma data la scomoda situazione le uscì un tono che
più
sembrava arrabbiato.
«Qualche
giorno dopo l'accaduto della carne. Quando mi hai fatto finire in
punizione la prima volta» rispose Reiner con una strana
apatia, come
se non ci fosse stato niente di strano.
«Che?!
Me lo hai tenuto nascosto fino ad'ora?!»
«Non
te l'ho tenuto nascosto, non me l'hai mai chiesto».
«Aspetta...
stai facendo tutto questo per quella promessa?» chiese e
Reiner si
fermò, smettendo di trascinarla, un attimo prima di arrivare
alla
sala comune. Sembrò rifletterci qualche istante, prima di
voltarsi e
sorriderle. «Non me l'ha chiesto lei di prometterglielo.
Anzi, non
sembrava essere molto d'accordo, a dire il vero».
«Eh?»
mormorò lei, non riuscendo a capire. Mikasa non voleva che
Beatris
restasse in vita? Non voleva che qualcuno la tenesse in vita? Che
stava dicendo?
«È
venuta a scusarsi per conto tuo di ciò che mi avevi
combinato, non
sapeva che ci avevi già pensato tu con quel pezzo di carne
rubato.
Quando gliel'ho raccontato sembrava essere pronta per venire a
cercarti e tirarti due pugni» sghignazzò e Beatris
sussultò
all'idea di Mikasa furiosa con lei. «Mi ha redarguito e mi ha
avvisato del pericolo che avrei corso se ti avessi dato corda. Mi ha
avvertito che saresti stata impegnativa e soprattutto invadente, ha
cercato di promettermi che ti avrebbe tenuta lontano da me la
prossima volta, ma anche lei è sotto addestramento e in
più è
molto impegnata ad occuparsi di Eren che sembra avere il tuo stesso
istinto autodistruttivo... anche se con intenzioni ben diverse.
È
difficile per lei occuparsi di tutti da sola. Anche Armin,
benché
non sia incosciente come voi due, è più debole e
ha bisogno di
essere sostenuto. State portando quella ragazza
all'esasperazione»
ridacchiò, divertito.
«Mikasa...
ti ha detto che mi avrebbe tenuta lontano da te?»
mormorò Beatris,
dispiaciuta che l'amica si fosse presa così a carico la
responsabilità delle sue azioni. Non parlava molto, era
sempre
taciturna e pacata, e per questo era difficile accorgersi delle volte
che come un angelo custode proteggeva e si occupava di tutti senza
mostrarsi troppo apertamente. Non era offesa per quello che l'amica
aveva detto di lei, sapeva che era vero, ma era colpita dall'istinto
quasi materno che aveva mosso Mikasa ad avvicinarsi a uno sconosciuto
per scusarsi delle azioni della figlia scapestrata. Avrebbe dovuto
darle più considerazione, mai aveva pensato quanto fosse
presente e
fondamentale per tutti loro, abituata a non notare le sue azioni se
non quelle in direzione di Eren.
«Le
ho detto di non preoccuparsi, che certo non mi spaventavi e avrei
saputo cavarmela. Sarei stato in grado di gestirti anche da solo. Non
sembrava essere d'accordo, ma credo in realtà fosse
preoccupata più
per te che per me. Aveva paura che non avendoti sotto pieno controllo
avrebbe potuto perdere presa su di te, perciò le ho promesso
che me
ne sarei occupato io. Avrei diviso con lei questo fardello».
«Mi...
consideri un fardello?!» mormorò, adesso realmente
ferita e offesa.
Reiner semplicemente la indicò con una mano, senza
aggiungere altro,
e per lei fu sufficiente. Si stava facendo trascinare come fosse
stata un peso morto, certo che era un fardello! Soprattutto in un
momento come quello.
«Le
ho detto di lasciarti andare e che ci avrei pensato io a tenerti in
vita, quando lei non guardava» aggiunse Reiner, prima di
sospirare
imbarazzato. «E poi lei mi ha detto che se ti fosse successo
qualcosa a causa mia mi avrebbe ammazzato».
E
ancora un tenero sentimento cominciò a pompare in petto a
Beatris.
Mikasa non era mai stata tanto plateale nelle sue dimostrazioni
d'affetto, a volte aveva persino pensato che non la sopportasse
perché il più delle volte era lei che le correva
dietro, e Mikasa
invece era sempre costretta a intervenire per proteggerla e tirarla
fuori dai guai. Sapere che teneva a lei così tanto da
minacciare
qualcuno di morte fu una piacevole sorpresa. Avrebbe dovuto dare
più
attenzioni a Mikasa, glielo doveva. Ultimamente la stava trascurando
molto, convinta che fosse troppo impegnata col suo addestramento e in
quello di Eren.
«Sinceramente
ci tengo alla mia pelle, perciò ti terrò in
vita» concluse Reiner,
prima di voltarsi per riprendere a camminare. Ma Beatris lo
interruppe, chiedendogli repentina: «Perché? Non
mi conoscevi
nemmeno, allora, perché ti sei voluto caricare di questa
responsabilità? Perché... non hai fatto che
provare a proteggermi
fin dal primo momento?»
Reiner
era ora voltato di spalle, riuscire a leggergli l'espressione era
impossibile. Ma esitò a lungo prima di rispondere, forse
immerso nei
suoi pensieri. «Chissà...»
mormorò infine, e sembrò stranamente
sincero. Qualsiasi cosa fosse che l'aveva spinto a prendere Beatris
sotto la propria ala, non riusciva a identificarlo nemmeno lui.
L'aveva vista in quella cattedrale e l'aveva guardata attentamente,
fino alla fine della sua canzone, stranamente attratto da quella
figura. Non sapeva cos'era, non era stato interesse, non era stato
niente che fosse in grado di identificare. Era stato come se si fosse
accorto di essersi dimenticato di qualcosa di importante, era stato
come se qualcosa nella sua mente cercasse di dirgli che lei non
andava persa di vista, era come se qualcosa, nel petto, gli avesse
urlato a squarciagola che era sua responsabilità. Che
avrebbe dovuto
occuparsene perché era la cosa giusta da fare, e che
spettava a lui
farlo e a nessun altro. Forse non era stato altro che un latente
desiderio di redenzione, per essere stato la causa di tutti i suoi
mali. Forse aveva scorto oltre quel sorriso la morte che aveva
iniziato a inghiottirla e tutto il suo dolore, ma mai se n'era
accorto realmente. L'aveva solo percepita e aveva sentito che
spettava a lui dover rimediare a ogni cosa. Ma non riusciva a capirne
il motivo. Si era impuntato da subito, non appena aveva riconosciuto
la bambina della cattedrale nel volto della ragazza che era atterrata
sul suo tavolo il giorno del litigio tra Eren e Jean. Non appena
aveva scoperto che lei era quella bambina, qualcosa gli aveva detto
che avrebbe dovuto occuparsene personalmente. Era una sua
responsabilità. E aveva trovato il modo di convincere
Bertholdt a
lasciarglielo fare, con una scusa che aveva usato per ingannare anche
se stesso. Aveva davvero creduto che fosse solo convenienza, lo aveva
creduto fino al giorno della montagna e della valanga, quando non era
stato in grado di abbandonarla... quando era stato pronto a morire
pur di riportarla viva indietro.
Sospirò
ancora una volta, arrendevole, e infine lasciò andare la
caviglia di
Beatris. Si voltò, le si affiancò e infine si
inginocchiò, dandole
le spalle.
«Avanti»
le disse. «Non darmi tempo di ripensarci».
Beatris
si sollevò seduta e lo guardò, mentre aspettava
che lei gli salisse
in spalla, ma non si mosse. Qualcosa l'affliggeva, Reiner riusciva a
scorgerglielo sul volto abbattuto.
«Mh?»
mormorò, cercando di capire cosa avesse. Beatris
abbassò lo sguardo
e parve stringersi nelle spalle, prima di confessare con tristezza:
«Non voglio essere il tuo fardello».
Sapere
di essere per lui solo una responsabilità da portare sulle
spalle,
nient'altro che promesse, era triste e frustrante. A lei piaceva
poter passare un po' di tempo insieme, gli piacevano persino quegli
allenamenti extra distruttivi che lui continuava a proporle per
migliorarsi, solo perché la maggior parte delle volte poi si
concludevano con una risata, uno scherzo, delle chiacchiere e la
vicinanza di qualcuno a cui sentiva di voler ormai un gran bene.
Avrebbe voluto fare qualcosa per lui, per non essere solo un peso, ma
cosa avrebbe potuto fare una ragazzetta debole come lei? Non faceva
che richiedere attenzioni, senza nulla in cambio, perché ne
sentiva
il bisogno. Persino con Mikasa... non era mai stata altro che un
fardello da portare sulle spalle.
«Credi
che le persone si impegnerebbero tanto per aiutarti se tu fossi solo
un fardello?»
«Eh?»
mormorò, sorpresa. Reiner si voltò, ma
restò inginocchiato al suo
fianco.
«All'inizio
puoi sembrarlo, ma se qualcuno si fermasse a darti una
possibilità...» e si sporse verso di lei,
infilandole un braccio
sotto le ginocchia e poggiandole l'altro dietro la schiena.
«Scoprirebbe che in realtà sei come
un'attrezzatura delle nostre.
Pesante da indossare, ingombrante, ma necessaria se si vuole provare
l'ebbrezza di volare» e con una naturalezza fuori dal comune
la
sollevò da terra, prendendola in braccio. Beatris si
irrigidì e
d'istinti si aggrappò alla camicia di Reiner, sentendosi il
terreno
mancare da sotto le gambe.
«Che
fai?!» sussultò. «Mettimi
giù».
«Dicevi
di essere stanca, ti porto a mangiare» e cominciò
a salire i
gradini della veranda che avrebbero portato alla sala comune. Beatris
avvampò e in preda al panico schiacciò il volto
tra i suoi vestiti,
come se avesse voluto nascondercisi dentro e sparire.
«Ti
prego, è imbarazzante!»
«La
prossima volta cammina da sola, allora» la
provocò, entrando nella
sala. «E comunque, Tris...» sentendosi chiamare,
Beatris alzò
appena lo sguardo sul suo volto, restando comunque nascosta il
più
possibile. Bastò per riuscire a vederlo sorridere con
dolcezza. «Non
sei poi così pesante».
«È
perché sei molto forte» rispose lei,
fraintendendo, convinta che
stesse realmente parlando della sua pesantezza fisica, forse troppo
imbarazzata per essere portata a cena in quel modo per riuscire a
ragionare lucidamente. Reiner sghignazzò divertito e si
avvicinò al
tavolo di Eren. La mise sulla panca vicino ad Armin sotto lo sguardo
inebetito dei compagni, tanto inebetito che la zucchina che Eren
aveva raccolto con il cucchiaio ricadde nel piatto e lui nemmeno se
ne accorse. Reiner lasciò Beatris seduta vicino ad Armin e
le fece
una vivace scompigliata di capelli, prima di spiegare: «Si
è fatta
male, non riusciva a camminare».
Non
vide lo sguardo omicida di Mikasa arrivargli direttamente, ma
riuscì
comunque a percepirlo attraverso la pelle e ne rabbrividì.
«È solo
un crampo, passerà tra poco» specificò
rapido, intimorito dalle
intenzioni di Miasa.
Col
volto ancora in fiamme e le spalle strette tanto da risultare
minuscola, Beatris semplicemente annuì.
«È già quasi passato».
«Vado
a prenderti qualcosa da mangiare, non azzardarti ad andare a letto
digiuna» l'ammonì Reiner e si voltò,
diretto verso le cucine. «Va
bene» sibilò ancora Beatris, completamente passiva
a quella
situazione.
«Stai
bene?» le chiese Armin, preoccupato. E chissà
perché, invece di
rassicurarli, Beatris seguì l'istinto e negò
tanto vistosamente che
le ciocche di capelli le volarono ovunque. No, non stava affatto
bene. Aveva lo stomaco spappolato dall'agitazione, avrebbe voluto
scavare una buca a terra e seppellircisi dentro. Probabilmente non
era vero, ma sentiva di avere tutti gli sguardi dei suoi compagni
addosso. Cosa stavano pensando in quel momento, avendola vista tenuta
in braccio da Reiner in quel modo.
«Quel
bastardo sta esagerando con questa storia degli allenamenti
extra»
disse Mikasa, lanciando uno sguardo furioso nella direzione dove
aveva visto sparire Reiner. «Appena torna gliene dico
quattro».
«No,
tranquilla!» sussultò Beatris e riuscì
finalmente a sorridere, a
tornare lentamente in sé. «Lui non c'entra,
è colpa mia».
«No,
non è vero. Non inventare scuse, non sei capace»
l'ammonì Mikasa e
Beatris sentì qualcosa tra la rassegnazione e la
frustrazione
portarla ad accasciarsi. A volte quella storia che non era in grado
di inventare scuse era davvero pesante. «Dico sul
serio» cercò di
insistere. «Voleva che mi fermassi ma ho esagerato, non
prendertela
con lui. Non... ammazzarlo» ridacchiò nervosa,
ripensando a ciò
che Reiner le aveva raccontato della sua promessa fatta a Mikasa.
Anche se Reiner era grande e grosso, sapeva che contro Mikasa persino
uno come lui avrebbe avuto dei problemi. In fondo, a volte, nel
combattimento corpo a corpo, Reiner si faceva abbattere persino da
Eren. Mikasa la fulminò, probabilmente intuì che
lei sapesse della
minaccia che aveva fatto a Reiner circa un anno addietro, ma non
aggiunse altro perché Armin fu rapido nel riuscire a
cambiare
discorso: «Secondo voi cosa ci aspetta all'esame di
domani?»
«Non
lo so» parlò finalmente Eren, tornando a puntare
la zucchina che
gli era sfuggita la prima volta. «Ma sono deciso, questa
volta, a
non restare indietro. Ce la metterò tutta e
riuscirò ad arrivare
primo, questa volta».
«Non
dirlo troppo a voce alta o Mikasa potrebbe decidere di farti passare
avanti a lei di proposito» lo ammonì Beatris ed
Eren scattò a
fulminare la mora al suo fianco: «Non azzardarti! Devo
batterti con
le mie forze!»
«Eren,
non esagerare o finirai col farti male come è successo a
Bea» gli
rispose semplicemente Mikasa e Beatris tornò ad arrossire,
sentendosi di nuovo in imbarazzo per quella scusa che non riusciva a
reggere troppo. «Sto bene, davvero»
mormorò.
Reiner
tornò indietro con due piatti in mano e uno lo
lasciò davanti a
Beatris, prima di voltarsi e andarsene, intenzionato a cenare insieme
a Bertholdt al tavolo vicino.
«Potevo...
andarci da sola» mormorò Beatris, sempre
più in imbarazzo per
tutte quelle attenzioni.
«Pensa
a farti passare quel crampo» le disse Reiner, sicuramente
più bravo
di lei nel mentire, e le fece un semplice gesto con la mano prima di
sedersi di fronte a Bertholdt.
«Io
e Bea continuiamo a essere ultimi, spero che questa volta ci vada
meglio» ridacchiò Armin nervoso, tornando sul
discorso esame.
«Forse dovresti allenarti di più anche tu come fa
lei» le suggerì
Eren. «Possiamo unirci anche noi a lei e Reiner per gli
allenamenti
extra».
E
Beatris sussultò, senza neanche capirne appieno il motivo.
Sentì
una confusione muoversi dentro lei, un misto tra l'entusiasmo di
poter avere i suoi amici a fianco, e il rammarico di non poter
più
sentire come suo personale quel momento che si ritagliava insieme a
Reiner. Era sia felice che triste all'idea di averli con sé,
e non
riusciva a capire quale delle due emozioni fosse predominante.
«Mi
sembra una buona idea» confermò Mikasa, ma sapeva
che probabilmente
il suo era solo un modo per riuscire a controllare che Reiner non le
facesse del male. Forse la scusa del crampo non era stata una buona
idea, lei non sembrava averla presa bene.
«Dovremo
sentire cosa ne pensa Reiner, non possiamo semplicemente
imbucarci»
disse Armin, timoroso, e Eren si voltò immediatamente verso
il
biondo. Alzò un braccio e chiamò a gran voce:
«Ehy, Reiner!
Possiamo allenarci anche noi con voi?»
Reiner
restò per un attimo perplesso, forse confuso dall'essere
chiamato
così, senza un contesto, e per la domanda improvvisa. In
fondo, dopo
mesi, ci pensavano solo ora che volevano unirsi a loro?
Esitò, ma
più per la confusione che per un vero dubbio in proposito,
anche se
sapeva che probabilmente, se fossero stati tutti insieme, quei
momenti non sarebbero più stati gli stessi. Ma forse era
meglio
così, forse avrebbe dovuto mollare un po' la presa sul senso
di
attaccamento che stava sviluppando con Beatris. Se fosse peggiorato,
sarebbe stato un pasticcio per tutti quanti.
Ymir
passò loro in mezzo in quel momento e lanciò uno
sguardo malizioso
a Eren, prima di dire a Christa: «Questo è quello
che succede
quando gli idioti non riescono a leggere tra le righe, rovinano le
coppie».
Una
provocazione che fece arrossire di colpo sia Reiner che Beatris, ma
entrambi reagirono violentemente alla cosa. Era talmente tanto, da
essere irritante.
E
all'unisono risposero a Eren, quasi con furia: «Certo che
sì!»
Quando
Reiner uscì dal suo dormitorio, la mattina seguente, e
raggiunse il
cortile insieme a un gruppo di compagni per andare a fare colazione,
rimase sorpreso nel vedere Beatris intenta a correre lungo tutto il
perimetro del campo. Era sola, già in divisa, e correva
ormai da
così tanto tempo che poté vederle la stanchezza
sul volto.
Considerato che le aveva concesso di dormire quella mattina e di
riposare, era decisamente strano. Non c'era altro che gli venisse in
mente se non che avesse combinato qualcosa e Shadis l'avesse di nuovo
messa in punizione. Sospirò e si voltò, pronta ad
andare a fare
colazione e lasciarla stare, ma lei riuscì a vederlo e gli
corse
incontro. Gli si affiancò, rallentò, ma non smise
di alzare le
ginocchia ritmicamente, correndo sul posto.
«Buongiorno,
Reiner!»
«Che
hai combinato?» le chiese, senza neanche salutarla.
Nonostante
tutto, sembrava di buon umore, era allegra e solare, e l'idea che
avesse combinato qualcosa già di prima mattina lo divertiva.
Perciò
non riuscì a restare serio e sorrise, divertito.
«Eh?!
Che intendi, scusa?» chiese lei, corrucciandosi.
«Sei
in punizione?»
«No!»
«E
allora che fai?»
«Riscaldamento
in preparazione dell'esame per oggi» spiegò e
aumentò la frequenza
dei passi sul posto, caricando di più la muscolatura.
«Riscaldamento?»
mormorò Reiner, fermandosi del tutto per guardarla. Lei non
si fermò
nemmeno in quel caso e continuò a saltellare, correre sul
posto,
fare stretching e alternare una serie di esercizi senza prendere
fiato nemmeno un attimo. «Tris, ti avevo detto di
riposare» la
rimproverò.
«Sono
riposata» esclamò lei, allegra, abbassandosi a
fare un paio di
squat. Non aveva nessuna logica, saltava da un esercizio all'altro
nel giro di cinque secondi, non seguiva serie, né un ordine.
Faceva
quello che voleva quando voleva, finendo solo con lo stancarsi senza
nessun tipo di beneficio. Reiner le mise le mani sulle spalle e
questo la costrinse a bloccarsi. «Ferma!» le
ordinò e per i primi
due secondi parve funzionare, Beatris riuscì a fermarsi e
smettere
quell'assurdo allenamento che non avrebbe allenato nessuno. Ma al
terzo secondo iniziò a battere un piede per terra, a
sollevare una
gamba, e riprese a saltellare sul posto. Reiner fece forza sulle sue
spalle, spingendola verso il basso, costringendola a fermarsi se non
avesse voluto cadere.
«Ho
detto fermati!» la rimproverò. «Hai
l'adrenalina a mille, devi
fare un paio di respiri profondi. Così ti stanchi solamente
e non è
utile all'esame che dovremo fare tra un paio d'ore».
«Ma
no, sto solo scaricando un po' la tensione, non sto facendo niente di
che» spiegò lei e facendo forza contro la sua
presa provò a
muovere le braccia per stirare i muscoli e sciogliere le
articolazioni.
«Da
quanto sei qui fuori?» indagò, preoccupato.
«Era
da poco l'alba credo» rispose lei innocentemente e
riuscì a
scivolare dalla sua presa per tornare a muoversi con esercizi
improvvisati e scoordinati.
«Stai
scherzando?» Reiner spalancò gli occhi.
«Tris! Adesso devi
calmarti!»
«Sono
calma».
«No,
affatto! Adesso vieni a fare colazione e resti seduta a riposarti per
un po', anche se a questo punto non so quanto possa aiutare. Hai
dormito stanotte?»
«Ho
dormito... un poco».
«Mikasa
non ti ha detto niente, quando ti ha visto venire qui fuori?»
«Non
mi ha vista! Ma non ha visto nemmeno te, avrà pensato che
eravamo
insieme» alzò le spalle Beatris, prima di iniziare
a correre in
cerchio intorno a Reiner.
«Ma
che ti prende? Non è da te stare così in ansia
per un esame» le
chiese lui, provando a seguirla con lo sguardo. Iniziava a essere
irritante, doveva trovare il modo di fermarla o sarebbe
impazzito.
«Aaahh»
lamentò Beatris fermandosi di fronte a Reiner, ma
continuando a
saltellare compulsivamente, come se avesse dovuto andare in bagno.
«È
colpa tua».
«Mia?!»
sussultò lui, offeso.
«Hai
troppe aspettative su di me, non riuscirò mai a
farcela!» e
saltellò più velocemente. «Allenamento!
Mi serve altro
allenamento!» disse e si voltò, pronta a
riprendere a correre lungo
tutto il cortile. Ma Reiner fu rapido, la prese per i fianchi e la
sollevò infine da terra. Beatris iniziò a
dimenarsi come un gatto
afferrato e a scalciare in giro, in preda all'agitazione.
«Lasciami
andare!» disse, provando ad afferrare le braccia di Reiner
intorno
alla sua vita che la tenevano sollevata da terra. «Mettimi
giù».
«No,
non lo farò fintanto che non chiariamo questa
cosa».
«Come
facciamo a parlare se mi tieni ferma così? Non posso nemmeno
guardarti in faccia!»
«Ti
metto giù ma tu prometti di stare ferma immobile?»
«Va
bene, va bene» disse, provando in quel momento a sgusciare
via dalla
sua presa spingendosi verso l'alto. Non ce ne fu bisogno, Reiner la
mise finalmente con i piedi per terra e lei si voltò a
guardarlo,
riuscendo miracolosamente a restare ferma. Ma lo sguardo abbattuto e
imbarazzato fissava la punta delle sue scarpe.
«Non
dovrei essere io il motivo della tua agitazione, non devi pensare di
farlo per compiacere me, devi farlo per te stessa. Per raggiungere il
tuo obiettivo» le disse, severo.
«Ma...
avevamo detto al lago che la mia forza...» mormorò
lei, arrossendo.
Anche solo ricordarlo le faceva salire il batticuore, era
imbarazzante.
«Quella
deve servirti a tenerti in vita» sorrise Reiner.
«Vuoi restare
insieme a me, a Mikasa, Eren, Armin e tutti gli altri, giusto? Ti
piace stare con noi».
Non
era esattamente quello di cui avevano parlato, o forse semplicemente
era stata lei a comprendere male. Non avevano mai messo in mezzo
anche gli altri, loro avevano parlato solo di loro due... ed era
quello a cui si era aggrappata.Voleva restare con Reiner. Certo,
anche con Mikasa e gli altri, ma soprattutto con Reiner. Da quando
avevano iniziato a parlare di più, da quando lui si era
mostrato
gentile le prime volte, da quando si era dimostrato protettivo nei
suoi confronti, qualcosa era scattato nel petto di Beatris. Le
piaceva stare insieme agli altri, ma niente reggeva il confronto con
uno dei loro momenti insieme. Reiner era sempre così carino
e
premuroso, e lei aveva scoperto che le piaceva da impazzire vederlo
sorridere. Non lo faceva quasi mai...
«Sì,
vorrei restare insieme... a voi» disse, assecondandolo,
troppo in
imbarazzo per ammettere tutto quello.
«E
allora devi tenerti viva, e la tua forza deve servire a quello. Ma
restare in vita e migliorare nei voti sono due cose molto diverse,
per restare in vita ti basterebbe lasciare l'accademia».
«Questo
mi ucciderebbe!» sussultò lei.
«O
magari potresti unirti a un corpo diverso da quello di ricerca. La
guarnigione, o se punti in alto addirittura la gendarmeria.
Così
potremmo continuare a vederci una volta finito l'addestramento,
magari lavorare insieme qualche volta. Sarebbe più
sicuro».
«Sì...»
mormorò lei, e non poteva negare che ci aveva pensato.
Sapeva che
Reiner si sarebbe unito alla gendarmeria, era quello che voleva, e a
lungo aveva riflettuto sul provare a seguirlo. Ma lei non sarebbe mai
entrata tra i primi dieci, poteva al massimo puntare alla
guarnigione. Ci aveva pensato... ma non avrebbe mai trovato il
coraggio di lasciar uscire all'esterno Eren, Mikasa e Armin e restare
a guardare nella speranza di vederli tornare. Non sarebbe
più
rimasta paralizzata di fronte al terrore, lei avrebbe imparato a
combattere e così avrebbe protetto chi amava. «Ma
non posso
lasciare i miei amici da soli. Mikasa, Eren e Armin... vorrei
imparare a proteggerli».
«E
allora vedi che io non c'entro niente?»
«Sì,
ma ti sei impegnato così tanto in questi mesi...»
sospirò ma non
terminò la frase che Reiner le diede un colpetto sulla
fronte con un
nocca. «Tu
ti
sei impegnata tanto» la corresse. «Per me non era
altro che normale
routine, non ho fatto nessuna fatica. E non ho nessuna
aspettativa».
«Perciò...»
mormorò. «Se non dovessi superarlo...»
«Lo
supererai» le disse sicuro, ma lei continuò a
mormorare, sempre più
in agitazione: «Sì, ma se non dovessi
riuscirci...»
E
Reiner sospirò ancora, affranto. Quanto tempo e impegno
avrebbe
dovuto ancora impiegare per riuscire a sistemare la sua autostima e
farla sembrare vagamente decente?
«Facciamo
una scommessa» le propose, colto da una vaga idea. Non era
sicuro
che fosse potuta funzionare, ma tanto valeva provare. «Se
supererai
questo esame, come sono sicuro che farai, allora...» ci
rifletté un
istante, chiedendosi cosa avrebbe potuto proporle di allettante per
stimolarla a provarci. Non sapeva bene cosa le piacesse, in
quell'anno gli aveva dato talmente tante informazioni, ma mai aveva
espresso apertamente un desiderio o una volontà. Era
bravissima
nelle chiacchiere di circostanza, ad ascoltare gli altri, ma quando
si trattava di aprirsi, parlare di sé, era sempre
così vaga e
sfumata. Perciò non restava che la via del generico:
«Ti darò...
qualsiasi cosa tu voglia. Chiedi pure, qualunque cosa. Anzi, ti
dirò
di più, il prossimo giorno libero che ci concederanno faremo
tutto
quello che vorrai tu. Se vuoi qualcosa te lo comprerò, se
vuoi
andare da qualche parte ti ci porterò, tutto quello che
vuoi. Che ne
dici?»
Beatris
l'ascolto con gli occhi spalancati e il rossore sulle guance si fece
sempre più acceso man mano che ci rifletteva. Un'intera
giornata
libera con lui, in giro, a fare qualsiasi cosa avesse voluto... come
fosse stata una sorta di appuntamento. Si immaginò in giro
per le
strade, al suo fianco, a mangiare qualcosa insieme, a camminare sulle
rive del fiume, o magari in qualche fattoria a vedere gli animali,
una passeggiata nel bosco, e se qualcosa le fosse piaciuto lui
gliel'avrebbe presa. Magari avrebbero trovato dei fiori.
Avvampò,
vedendolo mentre le allungava una margherita. E annuì
vigorosamente.
«Se
invece non lo supererai allora...» tornò
pensieroso, cercando una
punizione adeguata. Era difficile trovare qualcosa che facesse
malvolentieri, aveva persino accettato di seguirlo nei suoi
allenamenti extra. Si lamentava spesso, questo era vero, ma alla fine
era molto accondiscendente su tutto, mai riusciva a far imporre la
propria volontà. Ma l'idea che cercava gli
arrivò, fortunatamente,
e non gli dispiacque nemmeno. «Allora canterai per me, tutte
le
sere».
«Eh?!»
urlò Beatris, sentendosi morire dalla vergogna. Per qualche
motivo
non le piaceva cantare, nonostante sapesse farlo benissimo,
probabilmente imbarazzata all'idea di essere al centro
dell'attenzione. Ma qualunque fosse il motivo, Reiner ormai sapeva
che lei avrebbe volentieri declinato. Non aveva mai cantato se non
nella cattedrale per sua sorella morente e per lui, la sera al lago,
quando l'aveva visto turbato. In altre occasioni, anche se glielo si
chiedeva, scappava via sempre con qualche scusa. Il che era un
peccato... sentirla cantare gli alleviava il dolore all'animo. Quasi
quasi si ritrovò a sperare che davvero non lo superasse
quell'esame,
sarebbe stato fantastico potersene andare a letto tutte le sere dopo
averla sentita.
«Non
voglio farlo!» si ribellò, infatti.
«Scommetto
non ce ne sarà bisogno, perché andrai
benissimo» e le allungò una
mano, per stringerla come d'accordo.
«Se
scommetti sulla mia riuscita allora avresti dovuto mettere i vantaggi
per te in quel caso. Questa scommessa non ha alcun senso, se vinci tu
praticamente il premio me lo prendo io e viceversa»
borbottò
Beatris, turbata all'idea di dover rischiare così tanto. Non
avrebbe
mai accettato di cantare tutte le sere, sarebbe fuggita
dall'accademia piuttosto.
Reiner
ridacchiò. «Sì, hai ragione»
ammise, ma subito aggiunse: «Allora?
Ci stai?»
Non
gli importava del premio, aveva solo voluto trovare qualcosa con cui
spronare Beatris a non arrendersi e provarci con tutte le sue forze.
Qualcosa in cui credere, perché era davvero certo che questa
volta
non avrebbe fallito. Se lo sentiva.
Beatris
esitò, turbata dalla punizione che avrebbe dovuto subire se
mai non
fosse andata bene. Ma l'idea di poter passare il giorno libero con
Reiner da normali amici, senza doversi allenare per forza o parlare
solo di addestramento, era qualcosa a cui non avrebbe mai rinunciato
al mondo. Allungò la mano e gliela strinse, timida.
«Va bene».
«Dai»
sorrise Reiner e si voltò verso la sala comune. Non
lasciò andare
la mano di Beatris, semplicemente cambiò mano, ma la tenne
ben salda
a sé intenzionato a tirarla via da quella follia mattutina.
«Adesso
vieni a fare colazione» le disse e camminò
spedito, un passo
davanti a Beatris, tenendola per mano per costringerla a seguirlo. E
il batticuore di Beatris arrivò a chiuderle la gola.
Avrebbero
camminato mano nella mano anche il loro prossimo giorno libero
insieme?
Entrarono
nella sala comune, si presero la loro porzione dalla cucina e
raggiunsero il resto dei compagni. C'era un'aria tesa, ma esaltata.
Ovunque era vociare, ovunque c'era entusiasmo e ardore. Promesse si
alzavano in aria, nessuno era intenzionato a essere lasciato indietro
quel giorno. E per la prima volta anche Beatris aveva qualcosa per
cui combattere. Non avrebbe accettato mai l'ultimo posto, non quella
volta! Avrebbe fatto di tutto per vincere quella sfida. Finirono di
mangiare e si avviarono prima in aula, dove avrebbero valutato la
loro velocità nell'attrezzarsi. Montare l'attrezzatura,
vestirsi, e
infine avrebbero dovuto correre fuori, prendere i cavalli e correre
verso la foresta alle spalle del centro di addestramento. Era una
gara di velocità e precisione, perché quegli
stessi movimenti
tridimensionali che loro si erano agganciati li avrebbero poi
sostenuti per il resto dell'esame. Quella prima parte fu un vero
disastro. Beatris aveva le mani sudate e tremolanti, riuscire a
essere precisa fu letteralmente impossibile. Ci provò, ci
provò con
tutta se stessa, ma fu inevitabilmente l'ultima a uscire dall'aula.
Riuscì a recuperare un po' di terreno grazie ad April, che
le
permise di raggiungere il resto dei compagni ed entrare nella foresta
insieme a loro, lasciandosi i ritardatari alle spalle. Tra questi
aveva persino visto Reiner: era bravo in molte cose, ma
nell'equitazione non aveva mai brillato eccezionalmente. Arrivati
nella foresta dovettero legare i cavalli e partire infine
all'attacco, cercando le solite sagome dei giganti e abbatterne il
maggior numero possibile. E nonostante il vantaggi di April, per
Beatris quella fu veramente una bella sfida. Era più veloce
rispetto
che ai primi tempi, e riusciva bene a muoversi tra i rami, ma era
sempre comunque un passo indietro rispetto agli altri. Non appena
scorgeva un gigante, qualcuno arrivava prima di lei e le rubava
l'uccisione. Finì inoltre il gas più velocemente
rispetto che ai
compagni e questo la costrinse ad andarsi a rifornire per prima.
Tornò a svolazzare tra i rami, riuscì a colpire
qualche gigante, ma
non erano altro che miseri tre metri.
Sentì
un moto di sconforto abbatterla, man mano che passava il tempo e lei
non riusciva a fare molto più rispetto al solito. Era
già pronta ad
arrendersi, ormai abbandonata su un ramo, ma infine si
rialzò in
piedi. Non le importava distinguersi, non le importava arrivare tra i
primi, le sarebbe bastato non essere l'ultima. Ebbe un'idea, pazza,
ma che forse avrebbe potuto funzionare. Doveva riuscire a essere
più
veloce e ora come ora la sua prestanza fisica non le permetteva di
caricare troppo con tutto quel peso addosso. Non aveva potenza di
fuoco, non aveva forza, e aveva dei riflessi nella norma, niente che
avrebbe potuto farla distinguere. Ma aveva la carica, l'energia e
soprattutto era spericolata. Si tolse di dosso la giacca e gli
stivali e li lasciò sul ramo. Si tolse poi dalla fondina le
lame per
le spade, lasciandone solo due di riserva, una per mano.
Scaricò le
bombole di riserva, tenendone anche quella solo lo stretto
necessario. Si liberò di tutto il peso inutile, comprese le
cinghie
ornamentali, fibbie che non sarebbero servite, qualsiasi cosa. Non
era eccezionale, ma si sentiva già meglio, più
leggera. Fermò
tutto sul ramo dove si trovava, legandolo con le maniche della giacca
e infine saltò giù. Arrivò a sfiorare
il suolo, si diede spinta
aereodinamica usando la posizione del corpo, ignorò le
rigide regole
di posizione per manovrare al meglio il dispositivo. Non le
interessava essere precisa, doveva essere veloce. Salì fin
sopra i
rami degli alberi, volò più in alto del previsto
e per poco non
mancò la presa. Sentì il panico chiuderle la gola
mano mano che
prendeva velocità, ma infine riuscì a
intercettare un classe sette
metri prima degli altri. Tagliò la strada a Jean e
tagliò la nuca
al gigante prima di lui, andando a finire oltre, praticamente fuori
controllo, incapace di rallentare.
«Scusa,
Jean!» la sentì urlare solamente, prima di vederla
sparire nella
foresta. E proseguì, verso il secondo gigante. Faceva una
gran
paura, quella velocità non le permetteva di avere pieno
controllo,
ma dopo un po' ci prese persino gusto. Cominciò a contare
qualche
uccisione in più, e a ogni avanzamento era un urlo di gioia.
Due,
tre, quattro... arrivò persino a perdere il conto. Si
trasformò in
una scheggia priva di schemi che volava ovunque potesse, tuffandosi
da un anfratto a un altro, arrivando però al suo obiettivo
prima di
altri. Perse il conto delle volte che si ritrovò a
piroettare in
preda al panico o a sgambettare per il troppo slancio, ma
ciò che
contava era riuscire ad andare avanti. Ma prima che potesse
accorgersene il gas terminò, prima che potesse tornare a
riprendere
le scorte dove le aveva lasciate, e con un ultimo urlo terrorizzato
cadde verso terra. Riuscì a non schiantarsi al suolo grazie
a una
prontezza di riflessi che le permisero di agganciarsi a un ramo con
il rampino e restare così appesa, come un salame, a cinque
metri da
terra in attesa di aiuto. Fu Shadis in persona a raggiungerla e
vedendola priva di alcune parti di equipaggiamento, appesa, senza
gas, e avendo visto cosa aveva fatto... semplicemente negò
con la
testa e si appuntò qualcosa. Ci aveva provato. Ci aveva
provato
davvero... ma non era andata nemmeno quella volta. E Beatris si
accasciò, in preda allo sconforto.
Quella
sera, al ritorno dall'esame, non ebbe nemmeno il coraggio di andare a
guardare il tabellone dove avevano appeso i risultati. Non ne aveva
bisogno, aveva combinato di nuovo un gran casino. E non sapeva se a
demoralizzarla era più l'idea di aver fallito di nuovo o la
scommessa fatta con Reiner: avrebbe perso il suo appuntamento e
sarebbe stata costretta a cantare tutte le sere. Valutò
l'ipotesi di
andarsene per sempre e sparire, magari a nord. Era la volta buona che
l’avesse fatto davvero. Si fermò di fronte a
Christa e Ymir, le
sentì parlare, ma non ascoltò molto di
ciò che avevano da dire.
Erano impegnate a commentare l'esame appena passato, e lei non voleva
più sentirne parlare per un po'.
«A
te com'è andata, Bea?» le chiese Christa e Beatris
sghignazzò
nervosa: «Lasciamo perdere».
«Sei
già andata a vedere i risultati?»
«No,
ma non importa. Lo sguardo di Shadis è bastato a farmi
capire tutto»
disse Beatris e in quel momento vide l'amica sussultare e sbiancare.
Shadis metteva i brividi, ma addirittura così tanto che
bastava
pensarlo? «Spaventa così tanto anche
a...» iniziò a chiedere,
curiosa di sapere cosa ne pensava Christa, ma non ebbe tempo di
concludere la frase. Christa fece un paio di balzi indietro,
terrorizzata, e Ymir si impegnò nel tirarla via e metterla
in salvo
dalla furia che era appena arrivata in scivolata da loro. Reiner le
era corso dietro con tale enfasi che quando era arrivato al suo
fianco era stato costretto a puntare un piede a terra e frenare,
alzando un gran polverone. Si era girato, neanche l'aveva salutata,
si era chinato e l'aveva presa in spalla. Infine era corso via, con
Beatris in preda al panico appesa alla sua spalla come un sacco di
patate. Questa allungò una mano invano verso Christa,
urlando per
cercare aiuto, ma non ottenne niente se non sguardi perplessi e
spaventati. Reiner corse fino al tabellone nel cortile, dove esposti
vi erano voti e valutazioni, senza dire una sola parola.
Arrivò di
fronte a questo e si voltò di colpo, così da
permettere a Beatris
di vederlo, e disse solo: «Tris, guarda!»
Beatris
poggiò i palmi delle mani sulla sua schiena così
da riuscire a
rialzarsi e per qualche motivo il suo sguardo andò a posarsi
subito
sui primi classificati. Mikasa era al numero uno, senza nessun tipo
di eccezione, e poco più in basso, sesto, vi era anche
Reiner. Nella
valutazione personale, scritta da Shadis, si accennava al suo
problema con la lentezza nella corsa col cavallo, ma niente che
avesse potuto penalizzarlo così profondamente. Infine, senza
leggere
il resto dei duecento e più nomi, arrivò fino
all'ultimo,
consapevole di ciò che avrebbe letto. Ma si
sbagliò.
«Abrham
Gerbod» mormorò lei. Salì rapidamente i
nomi prima dell'ultimo,
chiedendosi dove fosse il suo, ma non lo trovò.
Salì, ancora, e
ancora, tant'è che fu costretta a sollevarsi e poggiare le
mani
sulle spalle di Reiner per raddrizzarsi completamente con la schiena
e arrivare a leggere i nomi scritti più in alto.
E
finalmente trovò il suo.
«Beatris
Moreau» sibilò, a occhi spalancati.
«Sono... centosettesima».
«Hai
scalato ben metà classifica solo con questo esame! E siamo
solo alla
fine del primo anno!» esclamò Reiner, alzando gli
occhi per
riuscire a guardarla in viso, e le fece un enorme sorriso, felice di
quel risultato forse anche più di quanto non lo fosse
lei.
Beatris
si portò le mani alle labbra e mormorò,
incredula. «Ce l'ho
fatta».
«Già!»
E
l'euforia le esplose in corpo. Non era più ultima. Ce
l'aveva fatta,
non era più la peggiore. Gli allenamenti di Reiner erano
serviti, il
trovare una motivazione, tutte quelle attenzioni, quell'impegno,
finalmente iniziava a vederne i frutti. Alzò le braccia
verso il
cielo, si slanciò verso l'alto e urlò euforica:
«Ce l'ho fatta!»
Reiner
venne travolto completamente da tutta quella gioia, si fece
coinvolgere nel festeggiamento, e avendo ancora Beatris sollevata
dalle gambe iniziò a girare un po' su se stesso e a
saltellare per
come poteva. Fu divertente per qualche secondo e avrebbe volentieri
continuato, ma Beatris abbassò gli occhi su di lui.
«Grazie,
Reiner» disse emozionata e gli fece un enorme sorriso, uno
dei suoi
soliti sorrisi angelici che tanto lo facevano restare incantato.
Infine avvolse le braccia intorno alla sua nuca. Se lo strinse al
petto, poggiò una guancia sulla sua testa e lo
abbracciò lì
dov'era, sollevata, tenuta ancora in braccio, in mezzo ad altre
persone che li guardavano chi sghignazzando e chi scocciato per il
troppo baccano. Non gli diede nemmeno uno spiraglio per respirare, lo
avvolse completamente schiacciandoselo al petto, e Reiner si rese
conto troppo tardi dei risvolti di quella situazione. Oltre che
l'imbarazzo di avere compagni cadetti a fissarli, si sentì
soffocare
schiacciato al petto di Beatris, con gli occhi premuti esattamente
sul seno. Si sentì travolgere dal panico, tentò
di arretrare con la
testa ma Beatris lo teneva come un serpente tra le sue spire.
«Tris...»
sibilò con quel poco di lucidità che aveva.
«Lasciami!» e per
fortuna non dovette insistere tanto per riuscire a tornare libero...
anche se mai avrebbe dimenticato la vergogna di quel momento.
Nda.
Ma
come sono carini sti due *-* qui la romance è forte e
selvaggia! xD
Soprattutto per Tris, che ormai palesemente sta iniziando a provare
qualcosa per lui. E se questo capitolo vi ha fatto sorridere, non
perdetevi il prossimo dove ci saranno tanto sole, cuore e amore
<3
Reiner ha una promessa da mantenere ehehe :P
E
su questa scia di pace e ammmmore, vi lascio la canzone del giorno,
molto soft ma caruccia :3
Enjoy!
E
alla prossima!
https://www.youtube.com/watch?v=lQFgkLrtJ0M&ab_channel=NihalCry09
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
«Mikasa!»
Beatris si lanciò sul letto dell'amica con tale foga che
prese male
le misure per la fretta e finì con lo sbattere la testa sul
letto
sopra, quello che in realtà era suo. Cadde all'indietro e
finì sul
pavimento. «Che male!» gridò, premendosi
la fronte con entrambe le
mani.
«Bea»
si allarmò Mikasa, affacciandosi. «Che stavi
facendo?» le chiese.
«Beatris!
Stai bene?» chiese Christa, saltando giù dal
proprio letto e
inginocchiandosi vicino alla ragazza a terra. Beatris la
ignorò e si
sollevò a sedere rapidamente, puntando gli occhi infuocati a
Mikasa:
«Devi aiutarmi!» ruggì.
«Che
succede?» chiese Mikasa, preoccupata, e voltandosi verso di
lei
cominciò a scendere dal letto. Beatris le diede una rapida
occhiata:
era spettinata, con una vestaglia da notte larga, sterile, di un
giallino orripilante e senza alcun tratto distintivo. Era sempre
molto bella, bastavano i suoi tratti a renderla lucente, ma era solo
dote naturale, non faceva niente attivamente per migliorare il suo
aspetto... e questo fece capire a Beatris che non poteva aiutarla.
Sospirò pesantemente e si abbatté,
rannicchiandosi in se stessa.
«Non fa niente, torna pure a dormire».
Mikasa
ignorò il suo improvviso cambio d'umore, le si
avvicinò e la
costrinse ad alzare la testa sollevandole il mento. Puntò lo
sguardo
alla fronte arrossata per il colpo e la guardò glaciale.
«Ti sei
fatta un bernoccolo e ora mi dici che non succede niente?»
«Oh
no!» urlò Beatris in preda al panico e si
toccò la fronte
dolorante. Riusciva effettivamente a sentire un po' di gonfiore e il
rischio che aumentasse era abbastanza consistente. «Ho
rovinato
tutto» disse tanto disperata che sembrò sul punto
di scoppiare a
piangere.
Sembrava
quasi una bambina, e Mikasa sapeva che in quei momenti bisognava
occuparsi di lei con maggiore cura che altre volte. Erano i
suoi momenti di fragilità, esprimeva il disagio che provava
comportandosi come una bambina, con Eren succedeva almeno nove volte
su dieci. Sospirò, la prese per mano e la costrinse ad
alzarsi da
terra. La portò sul proprio letto e ce la fece sedere sopra.
«Vado
a prendere dell'acqua fredda!» disse Christa, alzandosi e
correndo
via.
«Grazie»
le rispose Mikasa, per poi tornare a guardare Beatris. Le
sollevò i
capelli dalla fronte e guardò con più attenzione
il danno, cercando
di esaminarlo. Lo sfiorò, provando a vedere se Beatris
provasse
dolore, e per fortuna non sembrò reagire.
«Non
sembra messo malissimo, forse ti passerà presto».
«Credi
che domani si vedrà?» mormorò Beatris,
abbattuta.
«È
probabile» confermò Mikasa e Beatris
tornò a piagnucolare come una
bambina in preda a dei capricci.
«Qual
è il problema?» le chiese, secca. Era stufa di
sentirla
piagnucolare, se aveva qualcosa da chiederle che lo facesse e basta.
«È che...» mormorò Beatris,
stringendosi timidamente nelle
spalle. Cominciò ad arrossire e si portò una mano
dietro la testa a
grattarsi imbarazzata la nuca. «Domani abbiamo il giorno
libero»
disse e non aggiunse altro.
«Devi
andare da qualche parte?» le chiese Mikasa e in quel momento
tornò
Christa con un catino d'acqua fredda. Mikasa ci immerse un panno, lo
strizzò dell'acqua in eccesso e infine lo premette contro la
fronte
di Beatris.
«Da
nessuna parte in particolare... faccio solo un
giro».
«Nessuno
ti chiederà come te lo sei fatto, non devi per forza dire
che sei
stupida» le disse Mikasa, tornando a immergere il panno per
raffreddarlo e premendolo nuovamente contro la fronte di Beatris.
«E
anche se te lo chiedono, sei un soldato! Vedranno la divisa! Puoi
sempre dire che è stato un incidente durante
l'addestramento»
aggiunse Christa, sedendosi a terra di fronte a loro.
«In
verità non avrei voluto girare in
divisa» confessò, sempre
più imbarazzata. «Insomma, ci stiamo tutta la vita
in divisa... mi
sarebbe piaciuto mettere qualcosa di... carino» quasi
sibilò
l'ultima parola, a voce talmente bassa che persino Mikasa
faticò a
sentirla. «Ti vuoi mettere qualcosa di carino?»
ripeté, convinta
di non aver capito bene.
«E
perché?» gracchiò Ymir, affacciandosi
oltre il bordo del proprio
letto. «Devi vederti con qualcuno?» Per quanto
mostrasse sempre
indifferenza, quasi irritazione nei confronti degli altri, compresa
Beatris, quando c’era odore di pettegolezzo per qualche
motivo Ymir
spuntava sempre e cercava di intromettersi. Era a suo modo
divertente, e questo l’aveva portata a essere considerata
un’amica
benché l’apparente disinteresse verso chiunque non
fosse Christa.
«Hai
un appuntamento?» sussultò Christa, arrossendo e
portandosi le mani
al volto.
«No!»
sobbalzò Beatris. Si portò nervosamente delle
ciocche di capelli
dietro l'orecchio e aggiunse, rapida: «È solo una
passeggiata».
«È
così che funzionano gli appuntamenti, non lo sai?»
la stuzzicò
Ymir.
«Chi
è? Possiamo saperlo?» chiese Christa,
curiosa.
«Davvero
non lo sai?!» le chiese Ymir, stralunata. Sbuffò,
improvvisamente
non più interessata, e tornò a stendersi sul suo
letto. Tanto, se
avessero parlato a voce più alta, le avrebbe sentite
comunque.
«Beh,
comunque sia, il tuo bernoccolo verrà con te» le
disse Mikasa e
Beatris tornò a sospirare affranta. Mikasa le smosse i
capelli, le
spostò la frangia davanti al viso e aggiunse: «Se
ci tieni i
capelli davanti non si nota troppo».
«Proviamo
a pettinarli in maniera diversa» propose Christa e
salì in
ginocchio sul letto di Mikasa, mettendosi alle spalle di Beatris. Le
afferrò i capelli e cominciò a intrecciarglieli
sulla nuca.
«Non
voglio sembrare strana» disse Beatris, ma si
lasciò comunque
intrecciare i capelli da Christa. Aveva il tocco delicato, era
gentile, e quelle banali chiacchiere tra ragazze comunque le
riempivano il cuore. Ultimamente non parlavano d'altro se non di
addestramento, esami ed esercito. Un po' le mancava la
normalità,
quei momenti erano come miele.
«Non
sarai strana, sarai più carina e basta».
«Hai
già scelto cosa metterti?» le chiese Mikasa, che
stranamente aveva
deciso di assecondarla e non dirle, come al solito, di non perdere
tempo in sciocchezze.
«Avevo
pensato di chiedere qualcosa a te, ma poi ci ho ripensato»
disse
candidamente Beatris, godendosi il trattamento ai capelli.
«E
perchè?»
«Mi
sono ricordata che non dai molto interesse all'aspetto fisico, non
penso tu abbia niente da prestarmi» confessò
Beatris. «Anche a
Eren non importa niente, per questo non te ne sei mai
preoccupata».
«Ecco
qua!» esclamò Christa, chiudendo la treccia di
Beatris con un
fiocco. «Io ho qualcosa di carino, ma non penso che ti
stiano. Sei
più alta di me» aggiunse, dispiaciuta.
«Annie sembra che porti la
tua taglia!» disse infine.
«Annie
non mi sembra il tipo da indossare gonne e bluse»
ridacchiò
Beatris, nervosa. Era la verità, Annie non era per niente
femminile,
ma ciò che la dissuadeva più di tutti dall'andare
a chiedere a lei
era il terrore che le faceva venire tutte le volte. Non sapeva cosa
le avesse fatto, forse questa la considerava solo antipatica a pelle,
ma nonostante avessero interagito molto poco Annie non faceva che
lanciarle occhiate gelide. Sembrava detestarla. No, non avrebbe mai
osato chiederle niente.
«Anche
Ymir veste molto mascolina, non credo abbia niente da
prestarti»
sospirò Christa.
«Beh,
pare che debba arrangiarmi con quello che ho. Non è un
problema,
tanto è solo una passeggiata» tornò a
ridacchiare nervosa.
«Possiamo
dare un'occhiata? Ti diamo una mano, che ne dici Mikasa?» si
propose
Christa, stranamente felice per una cosa come quella. Probabilmente
il momento ragazze era qualcosa che era mancato tanto anche a lei, e
che forse anzi non aveva mai nemmeno avuto. Mikasa annuì e
Beatris
si spinse sotto al letto, per cercare e tirare fuori la sua valigia,
di fianco a quella di Mikasa. L'aprì e ne tirò
fuori qualcosa, un
paio di gonne, degli stivali, e tre camicette diverse. Non era troppo
ed era tutto estremamente semplice. Ma Christa ebbe un'altra idea e
si avvicinò a Sasha, per chiedere a lei se poteva prendere
in
prestito il suo corsetto e una delle sue bluse. Ne discussero per
tutta la sera, come normalissime ragazze di campagna, e a un certo
punto si dimenticarono persino il motivo che le aveva portate a
parlare di vestiti, fiori o libri. Non scelsero nemmeno cosa Beatris
avrebbe indossato il giorno dopo, si persero in chiacchiere e infine
ognuno si mise nel proprio letto, pronte ad abbandonarsi al sonno.
Beatris salì sul suo letto e per la prima volta non
andò a
infilarsi in quello di Mikasa. Era stato bello passare la serata come
normali ragazze, quelle chiacchiere le avrebbe ricordate per sempre,
ma non appena era rimasta sola le era tornato in mente cosa
l'aspettava il giorno dopo. Era stata lei a sceglierlo, era il suo
premio per la buona riuscita dell'esame, Reiner le aveva dato carta
bianca e lei non ci aveva pensato su nemmeno per un istante: voleva
stare con lui tutto il giorno, senza fare niente di particolare.
Avrebbe potuto scegliere qualsiasi cosa, qualsiasi altra cosa, ma
l'idea di passeggiare insieme per la città, dimenticandosi
almeno
per quel giorno di essere soldati, godendosi la loro presenza solo
come persone, le faceva palpitare il cuore nel petto. Quando era
successo che iniziasse a provare sentimenti come quelli? Sapeva cosa
significavano, anche se era la prima volta che li provava
personalmente, non era una ragazzetta stupida e aveva vissuto
abbastanza a lungo con Mikasa e Eren per riuscire a imparare
perfettamente quali sguardi avesse l'amore. Non che fossero uguali,
certamente Mikasa la batteva alla grande in fatto di ossessione, ma
riusciva a trovare delle somiglianze. Arrossiva, sentiva il cuore
palpitare, non faceva che cercarlo, che pensare a lui, non desiderava
altro che potersi svegliare la mattina e correre nel cortile a dargli
il buongiorno. Stava davvero cominciando a innamorarsi? Erano quelle
le sensazioni che Mikasa provava quando stava vicino a Eren? Come
aveva fatto a sopravvivere così a lungo?
«Toglie
il respiro» mormorò tra sé e
sé. Seduta sul letto, immersa nel
buio, teneva le ginocchia avvolte tra le braccia e ci affondava il
volto dentro. Erano belle sensazioni, stare in compagnia di Reiner
sembrava essere davvero tutto ciò che era in grado di darle
felicità, tutto ciò che poteva permetterle di
vivere appieno, ma a
lungo andare la sensazione di vuoto nello stomaco diventava dolore. E
il cuore si stancava di colpire così forte nel
petto.
Sospirò,
agitata. «Non riesco a dormire» mormorò,
abbattuta.
Avrebbero
davvero passato tutta la giornata insieme l'indomani? Cosa avrebbe
pensato Reiner? Era sempre così carino, così
dolce, ma non faceva
che ribadire che fossero solo amici. Anche lei lo faceva, mai avrebbe
ammesso ad alta voce la sua cotta, ma a lui sembrava venire
così
naturale. Come quella mattina stessa, che aveva distrutto il bel
ricordo che aveva avuto del lago, quando lui le aveva detto di
restare al suo fianco. "Resta con me", era impazzita nel
sentirglielo dire. Forse era stato quello il momento in cui aveva
iniziato a sentire l'apnea nello stomaco. Era stato così
bello... e
lui quella mattina aveva invece trasformato quella magia in un banale
"resta con noi, i tuoi amici".
Sospirò
ancora. Stava davvero facendo congetture sui sentimenti di Reiner?
Stava davvero sperando di essere ricambiata? Quando era arrivata a
quel punto? Non se n'era nemmeno accorta, era frustrante. Non voleva
farlo, non voleva preoccuparsi, non voleva avere paura di
ciò che
lui avrebbe pensato di lei e dell'uscita del giorno dopo. Non era un
appuntamento, non doveva esserlo e lei non doveva vederlo come tale o
avrebbe finito col farsi delle illusioni. Non era un appuntamento,
Reiner aveva accettato di farlo solo per quella stupida scommessa
sull’esame, perché glielo doveva. Era questa la
verità.
Sentì
il letto muoversi e il peso di qualcuno che si arrampica e saliva
vicino a lei. Alzò la testa dalle ginocchia e lo
puntò
all'oscurità, al suo fianco. Riuscì a malapena a
vederla, ma bastò
a riconoscere Mikasa.
«Perché
non sei venuta a dormire con me?» le chiese.
«Non
voglio disturbarti sempre, per stanotte ti avrei lasciata in
pace».
«Non
l'hai mai fatto da quando abbiamo lasciato Shiganshina. Che
succede?»
Beatris
esitò, sapendo che inventare scuse non sarebbe servito a
niente. E
poi sentiva di avere davvero bisogno di parlare con lei.
Sospirò,
per l'ennesima volta. «Non riesco a dormire. Se fossi rimasta
giù
ti avrei svegliata».
«Se
stai seduta non dormirai mai» le disse Mikasa e la spinse sul
letto,
per una spalla. Le si stese a fianco e le poggiò una guancia
sulla
fronte, pronta a prendere sonno al suo fianco. «Prova a
chiudere gli
occhi».
«So
come ci si addormenta, non sono idiota» borbottò
Beatris,
frustrata.
«E
allora provaci. Se passerai la notte in bianco aggiungerai le
occhiaie al bernoccolo, domani, non penso che farai bella
figura».
E
questo bastò a convincere Beatris. Sussultò e si
rannicchiò poi a
fianco dell’amica. Cercò di seguire il suo
consiglio provando a
dormire, senza ovviamente riuscirci, ma almeno ci stava provando.
«Mikasa»
mormorò dopo qualche minuto di silenzio.
«Mh?»
rispose lei, e Beatris si sorprese nel sentirla ancora sveglia. Stava
vegliando su di lei? Mikasa a volte era davvero un angelo silenzioso,
si occupava con affetto dei suoi amici e nemmeno si faceva
notare.
«Come
fai a sopravvivere al vuoto alla bocca dello stomaco?» le
chiese
improvvisamente, col tono di voce affranto e abbattuto.
«Di
che parli?»
«Di
Eren. Lui non dimostra mai di ricambiare i tuoi sentimenti, non ti da
mai soddisfazione, anzi a volte ti tratta persino male... come fai a
sopravvivere? Il mal di pancia non ti acceca?»
«A
te lo sta facendo?» e la domanda spiazzò Beatris.
Mikasa la sentì
rannicchiarsi maggiormente, infilare la testa dentro la sua spalla e
fare un altro sospiro. Nel buio, Mikasa sorrise raddolcita: Beatris
era come un cucciolo terrorizzato. Si voltò verso di lei e
le
avvolse le spalle in un abbraccio, prima di dire: «Fa un male
accecante, è vero. Non è facile a
volte».
«Non
ti senti morire?»
Mikasa
annuì. «Ma se morissi non potrei più
stare a fianco di Eren.
Perderei qualcosa di inestimabile. Chi non prova certe cose non
può
comprenderlo, ma mi basta davvero potergli solo stare vicino.
Basta-»
ma a concludere la frase fu Beatris, meravigliata lei stessa:
«Basta
stare insieme a lui per sentirsi avvolti da una felicità
soprannaturale. Mette voglia di vivere appieno la vita, di non
lasciar andare via nemmeno un istante».
Era
esattamente quello e Mikasa sorrise ancora, intenerita. Stava
provando esattamente le stesse cose, se ne stava rendendo conto solo
ora forse e per questo sembrava tanto spaventata. Era qualcosa di
nuovo, ma anche lei aveva trovato qualcuno di tanto speciale da
fargli desiderare di restare viva per sempre.
«È
come riprendere a respirare dopo essere rimaste in apnea troppo a
lungo» confermò Mikasa, prima di farle una carezza
dietro la nuca.
«Reiner ti piace tanto, vero?»
E
la sentì sussultare, spaventata forse all'idea che qualcuno
avesse
capito, forse anche prima di quando l'avesse capito lei. Ma poi si
rilassò. Quella era Mikasa, sapeva che poteva fidarsi, e poi
alla
fine, forse, era davvero così ovvio.
«È
sempre stato così gentile con me»
mormorò, prima di aggiungere
imbarazzata: «Non che basti essere gentili! Ovvio!
Però...» tornò
a rannicchiarsi vicino a Mikasa. «Non lo so, non saprei dire
perché,
come e quando sia successo. So solo che da qualche tempo io... non ho
davvero più nessuna voglia di morire. Credevo che non avrei
avuto
niente da perdere, che seguirvi all'esterno sapendo che non sarei
sopravvissuta un giorno di più non mi sarebbe importato
perché
eravate tutto ciò che mi era rimasto e volevo passare con
voi i miei
ultimi momenti, provando magari a fare qualcosa per aiutarvi. Ero
disposta a morire, non appena varcata quella soglia. Ho avuto la
sensazione, fin dal primo istante, che lui cercasse qualcosa in me...
delle risposte? Non lo so, mi è sembrato che per qualche
motivo si
sentisse costretto a tenermi d'occhio. E all'inizio non mi piaceva,
perché non faceva che trovarsi nei guai per colpa mia. Ha
persino
rischiato la vita...» Mikasa le fece un'altra carezza e
restò in
silenzio, ad ascoltarla. «Non lo so cosa sta succedendo,
Mikasa.
Ma... mi ha dato qualcosa, quando credevo che non avrei mai
più
potuto avere niente. Mi ha resa migliore. E ci ha messo tutto se
stesso per riuscirci» si sollevò, anche se non
poteva vederla
sentiva che doveva puntare lo sguardo nel suo. Nel buio, riusciva a
percepirlo, e sorrise. «Io voglio vivere, Mikasa. Voglio
vivere...
il più a lungo possibile!»
Vorrei
che tu vivessi il più a lungo possibile.
Glielo
aveva promesso, ed era quello che voleva.
«Sono
felice di sentirtelo finalmente dire» le rispose Mikasa e
anche se
non poteva vederla sapeva che stava sorridendo. Tornò a
stendersi al
suo fianco.
«Mi
dispiace avervi fatto aspettare così tanto. Non ho mai
voluto
abbandonarvi, solo che era troppo accecata per riuscire a capirlo.
Pensavo sarebbe stato giusto... morire per voi».
«Non
l'abbiamo mai voluto. E non lo vogliamo nemmeno adesso» disse
e
Beatris ridacchiò. «Non mi dissuaderai dallo
scegliere il corpo di
ricerca. Non vi abbandonerei mai, non ce la farei. E poi... vorrei
andare a riprendere Kitty. A Shiganshina».
«Ci
andremo. Te lo prometto» sospirò Mikasa,
abbandonandosi ormai al
sonno. «Se quell'idiota di Reiner ti fa soffrire giuro che lo
ammazzo» bofonchiò e infine si
addormentò.
Beatris
sorrise divertita, si ammorbidì vicino alla sua amica e
anche lei,
senza aspettare troppo, finalmente libera di pensieri,
riuscì ad
addormentarsi. Fece uno strano sogno, un incubo, ma che si
trasformò
in qualcosa di diverso. Era da tempo che non sognava Shiganshina, ma
quella notte, forse per aver parlato di Kitty, se ne
ricordò. Era
pochi metri da casa sua, ormai distrutta. La terra tremava, sentiva
urla ovunque, e la voce di sua madre che la chiamava alla sua
sinistra. Davanti a lei un gigante stava correndo nella sua
direzione. Non uno qualunque, ma proprio lui,
il gigante corazzato. Il più terrificante di tutti.
L'avrebbe
schiacciata nella sua corsa da lì a poco, lo sapeva,
succedeva ogni
notte. Lo sentì urlare furioso, probabilmente era la sua
immaginazione, ma ebbe come l'impressione che avesse urlato a lei. E
lei rimase lì, paralizzata, a fissarlo mentre lui correva
nella sua
direzione. L'avrebbe schiacciata, se non fosse comparso
Reiner.
«Devi
muoverti, adesso!» le aveva detto, prendendola per mano, ma
lei
aveva i piedi incollati al suolo. Muoversi era impossibile.
«Tris»
l’aveva chiamata con dolcezza. «Resta con
me».
Un
istante prima di essere schiacciata era riuscita ad azionare il
meccanismo di movimento tridimensionale, che aveva scoperto avere
addosso solo in quel momento. Era volata via, saltata appena in
tempo, e Reiner con lei. Aggrappata alle sue spalle, era riuscita a
vedere sotto di sé il corazzato che sprofondava al suolo, in
un'enorme voragine. Non avrebbe fatto più del male a
nessuno, era
stato inghiottito dal terreno e loro erano rimasti
lì,
sollevati in aria, a guardarlo sparire per sempre. Aveva appena avuto
il tempo di voltarsi, guardare Reiner in volto e sorridergli, prima
di svegliarsi.
Con
la luce del sole dritta negli occhi, Beatris si sollevò a
sedere sul
letto, ora sola, e restò immobile a fissare il vuoto per un
lungo
istante. Confusa, ma soprattutto assonnata. La treccia che le aveva
fatto Christa la sera prima le si era tutta intrecciata sulla nuca e
sentiva sulla fronte, sotto la frangia, pulsare il bernoccolo ora
gonfio.
«Buongiorno
principessa!» gridò Christa, appendendosi al letto
di Beatris e
affacciandosi oltre. «Sei l'ultima ad essersi svegliata, eri
distrutta, eh?!»
«L'ultima...»
borbottò con la voce impastata. E infine
sussultò, in preda al
panico.
«Perché
nessuno mi ha svegliato?» saltò giù dal
letto, corse a prendere
alcuni vestiti tra quelli visti la sera prima, e cominciò a
vestirsi
rapidamente. «Non lo so... dovevamo farlo? Non ci hai detto
niente
ieri» le disse Christa, aiutandola ad allacciarsi il
corpetto.
«Ti
abbiamo visto tranquilla» continuò Christa,
passando ora a
pettinarle i capelli e provare a risistemarle la treccia. Fu in quel
momento che Mikasa entrò, quasi sbattendo la porta.
Raggiunse le due
ragazze, passò loro a fianco e si abbassò a
prendere le scarpe di
Christa da sotto al letto.
«Vestiti»
le disse, passandogliele. «Andiamo anche noi».
«Cosa?!»
sussultarono sia Christa che Beatris.
«Reiner
ha detto a Connie e Bertholdt che andava a fare un giro in
città e
loro si sono uniti a lui» spiegò e la cosa era
ovvio che non le
andasse a genio. Beatris era stata emozionatissima il giorno prima
all'idea di uscire con Reiner e quei due dovevano rovinare tutto, era
intollerabile. Sarebbe andata anche lei e avrebbe impedito a quei due
di mettersi troppo in mezzo, Christa era perfetta per darle una
mano.
«Era
con Reiner che aveva appuntamento?» sussurrò
Christa, rossa in
volto.
«Davvero
non lo avevi capito?» le chiese Beatris stupita, prima di
aggiungere
allarmata: «Non è un appuntamento! Andiamo solo a
fare una
passeggiata, sono contenta se vengono anche Bertholdt e Connie!
Più
siamo e meglio è, no?»
Mikasa
si avvicinò a Beatris e le mise una mano sulla spalla, prima
di
guardarla da oltre la sua sciarpa rossa con uno sguardo colmo di
istinto omicida: «Li uccido entrambi così non
saranno d'impiccio».
«Mikasa!»
abbaiò Beatris, terrorizzata all'idea che avesse potuto
farlo sul
serio.
«Ecco,
fatto! Finito!» esclamò Christa, bloccando i
capelli di Beatris con
un fiocco.
«Forse
avrei dovuto mettermi qualcosa di più sobrio»
sospirò
quest’ultima, guardandosi. Era a dire il vero molto sobria, a
parte
la treccia col fiocco che le aveva fatto Christa non aveva niente di
particolare addosso, ma era così abituata ad avere su la
divisa
militare che anche quel poco le sembrava troppo. E aveva il terrore
che Reiner avesse potuto intuire che l'aveva fatto di proposito:
sarebbe morta di vergogna.
«Stai
benissimo. Andiamo!» disse Christa e la prese per mano,
trascinandola fuori. Nel cortile, davanti al dormitorio, c'erano
già
pronti Reiner, Bertholdt e Connie, ma nell'attesa che le tre
uscissero fuori si erano uniti persino Armin, Sasha e Eren.
«Sono
sempre di più» sibilò Christa, contando
i nuovi intrusi. Mikasa si
tirò su una manica e fece un passo avanti, pronta ad andare
e
seminare distruzione, ma Beatris fu rapida nell'afferrarla e
bloccarla. «Non... attirare troppo l'attenzione, per
favore».
Mikasa
evitò di partire come un cane rabbioso, ma questo non le
impedì di
lanciare sguardi glaciali a Reiner che, senza capirne il motivo,
iniziò a sudare freddo.
«Bene»
disse poi lui, cercando di ricomporsi. Incrociò le braccia
al petto,
sorrise e guardò Beatris. «Dove
andiamo?» In fondo quella era la
sua giornata, il suo premio, e lui aveva promesso che avrebbe fatto
qualsiasi cosa gli avesse chiesto.
«C'è
il mercato, oggi, in piazza!» si esaltò Sasha.
«Portano specialità
da tutta la nazione».
«Sembra
interessante!» sorrise Beatris, trovandola una bella
idea.
«Al
mercato!» Si esaltò Connie e iniziò a
camminare, insieme a Sasha.
«È
da tanto che non ci facciamo una passeggiata da comuni esseri
umani»
commentò Eren, affiancando Armin. «Eren»
mormorò Mikasa,
raggiungendolo. «Avresti dovuto restare e riposarti. Ieri ti
sei
sforzato molto».
«Mikasa!
Lasciami stare, non trattarmi sempre come un bambino. È solo
una
passeggiata».
«Gli
farà bene prendere un po' d'aria» gli diede corda
Armin.
«Possiamo
andare al fiume, lì puoi prendere aria» propose
Mikasa.
«Andiamo
prima al mercato, voglio andare anche io lì».
Beatris
e Christa si scambiarono uno sguardo vacuo. Sapevano che quello era
il tentativo di Mikasa di ristabilire l'ordine delle cose, ma era
veramente pessima. Su Eren non aveva proprio presa, eppure ci provava
sempre. Christa sussultò, come se si fosse appena ricordata
di
qualcosa, e corse avanti.
«Bertholdt!»
chiamò. «Da dove hai detto che venivi?»
chiese e iniziò a fargli
domande sul suo villaggio, saltando di palo in frasca, arrampicandosi
sugli specchi, solo per riuscire a portare avanti il ragazzo e
costringere così Reiner a restare solo con Beatris. Non che
potessero restare proprio soli, ma almeno avrebbero potuto chiudere
la fila insieme. In qualche modo avrebbero aiutato a sistemare la
situazione. Ma Beatris trovò la cosa addirittura divertente.
Vedere
le sue amiche affaccendarsi tanto in quel compito così
banale e
superficiale la fece sorridere. Si sentiva circondata da qualcosa che
non provava da tempo. Una gioia che mai avrebbe scordato.
Avrebbe
voluto fare una passeggiata sola con Reiner, assaporare un po' di
quella gioia di vivere di cui aveva parlato con Mikasa la notte
prima, ma davvero avrebbe rinunciato a una giornata così
vivace e
piena? Non le importava se il suo "non appuntamento" era
stato rovinato, era bello anche così. Corse avanti,
superò Reiner,
e si infilò tra Bertholdt e Christa come un cane che si
infila tra
le gambe del padrone.
«Cosa
facevate nel vostro villaggio?» chiese, inserendosi nella
conversazione.
«Allevavamo
bestiame» rispose Bertholdt. Christa provò a
spingere via l'amica e
le disse un allarmato: «Bea!» ma lei si
voltò e le fece un
luminoso sorriso. Li superò, corse in avanti come una
ragazzina, e
si voltò, camminando e saltellando all'indietro,
così da poter
vedere la coppia lasciata indietro e Reiner a chiudere la fila.
«Ho
sentito dire che a volte ci sono dei menestrelli in piazza, durante
il mercato. Non sarebbe bellissimo poterli ascoltare?»
«Menestrelli?»
mormorò Reiner.
«Sì!
Si guadagnano da vivere con la musica. Li ho visti una volta, tanto
tempo fa...» saltellò allegra, prima di esclamare:
«Trombe e
tamburi, festini e festoni. Spero tanto che ci siano!»
Continuò
a camminare all'indietro, a saltellare allegra, e non si accorse di
un ciottolo scheggiato contro cui inciampò. Cadde
all'indietro e nel
farlo travolse Eren, che aveva proprio dietro di sé. Il
ragazzo non
la prese bene, la spintonò via e ringhiò:
«Bea-stupida! Guarda
dove metti i piedi!». Ma lei lo ignorò, puntando
lo sguardo ai suoi
capelli sciolti che le pendevano oltre le spalle. Sussultò
allarmata.
«Oh
no! Mi hai sfatto i capelli!»
«Io
te li ho sfatti?! E poi che ti importa, scusa?» si
irritò Eren.
«Me
li ha fatti Christa, ci ha messo un sacco questa mattina» gli
disse,
correndo vicino a Christa e le diede la schiena. «Me li
rifaresti,
per favore?»
«Ci
fermiamo già?» chiese Connie, guardando il resto
dei compagni che
era rallentato.
«Noi
andiamo avanti! Ci vediamo al mercato!» disse invece Sasha e
prendendo Connie per un braccio iniziò a correre, allegra e
affamata
come un bue.
«Potremmo
cominciare ad avviarci anche noi» propose Mikasa, voltandosi
a
guardare Armin e Eren, ancora speranzosa di poter eliminare quanti
più ficcanaso possibili. Ma Armin alzò le spalle
e indicò Eren che
ora era impegnato a litigare con Beatris. Sarebbero sicuramente
passati alle mani come al solito, se solo Beatris non fosse stata
immobile, seduta su una staccionata, che si faceva sistemare i
capelli da Christa. Bertholdt, nel mezzo, provava invano a calmarli
ma lui -povero stolto- non sapeva che una volta partiti c'era solo un
modo di far ragionare quei due: essere più feroce di loro.
«Ecco
fatto!» sorrise Christa, felice. Beatris si
illuminò e si guardò
la treccia. «Grazie, Christa. È veramente
bellissima».
«Quei
capelli ti saranno d'impiccio nel corpo militare, dovresti fare come
ha fatto Mikasa» la rimproverò Eren.
«Non
sono scema quanto lei! Non lo farò solo perché me
l'hai detto tu»
gli fece una linguaccia.
«È
la verità! Vuoi o non vuoi diventare un soldato? Devi
pensare alla
funzionalità, non all'estetica».
«Vogliamo
parlare della tua funzionalità?!» si
alzò Beatris, fissando Eren
come se avesse voluto divorarlo da un momento a un altro.
«Adesso
basta, ragazzi» provò a intervenire Reiner, ma non
ci fu bisogno di
aggiungere altro. Mikasa si avvicinò silenziosa ai due, si
piegò su
un lato e diede un potente calcio in pieno stomaco a Eren, che lo
portò ad accasciarsi. Poi se lo caricò in spalla
e iniziò a
portarlo via.
«Perché
solo io?» sibilò Eren, in fin di vita.
«Solo
per questa volta» disse Mikasa, voltandosi a fulminare
Beatris.
L'aveva graziata solo per quella volta, solo perché il suo
obiettivo
per quel giorno era riuscire a darle possibilità di passare
del
tempo con Reiner. Ma non avrebbe dovuto tirare troppo la corda, o
avrebbe lasciato perdere tutti i buoni propositi. Armin la
seguì,
sospirando affranto, e Christa sussultando ancora -ricordandosi
dell'impegno che aveva- tornò a puntare Bertholdt. Ma
Beatris le
mise una mano sul braccio, la fermò e negò
semplicemente. Poi la
prese per mano e iniziò a tirarla per la strada.
«Andiamo, Christa!
Venderanno dei dolcetti secondo te?»
«Può
darsi» mormorò Christa. «Ho sentito che
c'è un forno in centro
città che fa delle torte di frutta
indimenticabili» aggiunse poi,
ricordandosi di quel dettaglio, e Beatris tornò a
illuminarsi. Si
voltò istintivamente a cercare Reiner con lo sguardo e
quando lo
incrociò non ebbe nemmeno da chiedere.
«Va
bene» le sorrise lui, leggendole nel pensiero. «Se
lo troviamo te
ne prenderò un pezzo». Aveva promesso che per quel
giorno avrebbe
fatto qualsiasi cosa lei avesse voluto, sapeva che avrebbe dovuto
pagare lui per quelle torte, ma era felice di farlo.
«Evviva!»
esultò Beatris, prima di prendere di nuovo Christa per mano
e
iniziare a correre per raggiungere gli altri. Fece solo qualche
passo, poi si voltò a guardare Reiner e Bertholdt
più indietro, e
alzò un braccio. «Sbrigatevi! Siete troppo
lenti!»
«Arriviamo!»
rispose Bertholdt e si preparò ad accelerare il passo e
raggiungerle, ma prima di farlo Reiner lo fermò con un
flebile:
«Bertholdt». Dalla loro posizione sapeva avrebbe
potuto mormorare
senza essere sentito, perciò aggiunse in un sospiro:
«Grazie per
essere venuto con me».
«Perché
le hai promesso che avresti passato la giornata con lei se non avevi
intenzione di farlo» gli chiese Bertholdt, preoccupato.
«Lo
volevo fare» sospirò ancora Reiner.
«È proprio per questo che ti
ho chiesto di venire con me. Ultimamente... sono un po'
annebbiato»
confessò. «Questo posto mi confonde. Fatico a...
focalizzarmi su
ciò che voglio davvero. Ho bisogno di distaccarmi un po' da
tutto
questo, di non farmi coinvolgere troppo. Annie aveva ragione, sto
quasi per affezionarmi. È tutto così
complicato» e d'istinto portò
di nuovo gli occhi a Beatris. Di spalle, la sua treccia saltellava
ovunque. Quel fiocco le stava veramente bene, era quasi ipnotico. Era
la prima volta che la vedeva vestita con abiti comuni e se n'era
lasciato abbagliare, anche se non l'aveva dato a vedere. Aveva dovuto
controllarsi, la vicinanza di Bertholdt gli aveva dato la giusta
motivazione, era riuscito a distogliere lo sguardo da lei con gran
fatica quando l'aveva vista uscire dal dormitorio. Ma ora che gli
camminava davanti, ora che gli occhi si erano fissati su quel fiocco
che stringeva delicatamente le ultime ciocche dei suoi capelli e le
cadeva morbido tra le scapole, non fu altrettanto semplice. La blusa
che aveva indossato le lasciava scoperte le spalle, riusciva quasi a
intravederle l'inizio delle scapole. Per qualche ragione, rimase a
fissare quel piccolo lembo di pelle scoperta per infiniti secondi.
E
la sua espressione parve mutare lentamente. Le sopracciglia si
distesero, le spalle si ammorbidirono e l'espressione si rese
più
beata e meno pensierosa, man mano che procedevano. Bertholdt lo
notò:
Reiner sembrò essere diventato una persona completamente
diversa in
pochi istanti. L'amico tornò a guardarlo e gli fece un
amichevole
sorriso. «Forza» gli diede una pacca sul braccio.
«Non facciamoci
lasciare indietro!» e aumentò il passo, quasi si
mise a correre,
fino a raggiungere Beatris e affiancarla. Iniziò a parlare
con lei,
le sorrise, le stette vicino quando fino a poche ore prima gli aveva
esplicitamente chiesto di aiutarlo e non lasciarlo solo con lei.
C'era qualcosa di strano, ma Bertholdt si convinse che forse stava
solo esagerando. Reiner stava recitando, mantenendo il suo ruolo, era
solo straordinariamente bravo... non poteva essere altro che questo.
Arrivarono
in piazza e trovarono allestito un mercato abbondante e pieno di
allegria. Non solo vi erano banchi di frutta e verdura, di carne
fresca di cacciagione, di tessuti e utensili vari, ma come sperato da
Beatris, al centro della piazza, c'era un gruppo di menestrelli a dar
allegria alla giornata. Si fecero catturare dalla musica, restarono
in zona a guardarli per un po', fino a quando Beatris allegra non
prese Christa per mano e improvvisarono un ballo. Provò poco
dopo a
coinvolgere anche Mikasa, ma si rivelò un tronco d'albero e
a
malapena muoveva i piedi nel tentativo di non cadere mentre veniva
trascinata a destra e a sinistra. Connie e Sasha iniziarono a ballare
in autonomia, e Beatris li guardò, rise, poi
tornò a volteggiare
insieme a Christa e continuò, a ripetizione.
Riuscì a trascinare
anche Armin, a coinvolgerlo in qualche modo, e fu divertente vederlo
concentratissimo mentre provava a seguire i passi improvvisati di
Beatris. Troppo tecnico, poco cuore, sembrava una marionetta e questo
fece ridere i suoi compagni. Non coinvolse Bertholdt e Reiner,
trovandoli forse meno inclini e troppo seri per quel genere di
spettacoli, ma arrivò al loro fianco nello slancio di una
piroetta e
si sorprese quando fu Reiner stesso a prenderla per mano, farle fare
una giravolta, e slanciarla nuovamente verso il resto dei suoi
compagni, come fosse stata una trottola da intercettare e rimandare
via. Ballare certo non faceva per lui, ma aveva volentieri
approfittato della situazione per vederla volteggiare un po' tra le
sue mani. La sua gonna a balze ruotava come un fiore ad ogni
giravolta, era di una bellezza incredibile e restò a lungo
incantato, a guardarla, fintanto che i suoi amici non tornarono al
loro fianco ormai stremati. Lasciarono perdere i menestrelli,
girarono per il mercato e si comprarono qualcosa giusto per fare
colazione. Non trovarono però la pasticceria di cui aveva
parlato
Christa, e questo rattristò un po' Beatris. Avrebbe tanto
voluto
mangiare qualche dolcetto, sarebbe stato perfetto per
quell'incredibile giornata. E Reiner aveva promesso che avrebbe fatto
qualsiasi cosa per lei, quel giorno... perciò a un certo
punto sparì
per un po', e quando tornò porse a Beatris un sacchetto con
dentro
dei pasticcini al miele.
«Non
sono le torte alla frutta di quella pasticceria, ma dovrebbero essere
buoni lo stesso» le disse. Beatris reagì con una
gioia divampante,
lo ringraziò con gli occhi lucidi per l'emozione, e gli
saltò al
collo, abbracciandolo distrattamente prima di iniziare a distribuire
pasticcini a tutti i suoi amici. E a Bertholdt non sfuggì il
sorriso
inebetito di Reiner dopo quell’intimo e affettuoso gesto.
Sembrava
apprezzare veramente troppo tutte quelle attenzione, era come rapito
da lei, e ora riusciva a capire le preoccupazioni di cui Reiner gli
aveva parlato la sera prima. Non aveva controllo su di sé,
si
comportava come fosse veramente un normale ragazzo di Paradis che
faceva amicizie e si divertiva con loro. Beatris doveva avere un
ruolo determinante in quella sua incapacità di mantenere la
concentrazione, perché lui non faceva che cercarla con lo
sguardo e
sorridere tutte le volte che riusciva a interagire con lei. Era un
veleno, che stava lentamente uccidendo il guerriero di Marley,
riusciva a rendersene conto... ma allora perché non faceva
niente
per distaccarsene?
Proseguirono
a passeggiare per tutta la città, esplorando zone che non
sapevano
nemmeno che esistessero, facendo semplicemente un po' di sano
turismo. Parlarono, passeggiarono e pranzarono seduti su di un prato
con panini e focacce comprate a un forno trovato in un viottolo quasi
nascosto. Non era proprio centrale, era stata una fortuna averlo
trovato, ma il profumo che emanava arrivava persino sulla via
principale. Risero e parlarono tutti insieme, restando lì.
Dopo
pranzo Eren si appisolò e Mikasa restò al suo
fianco a vegliare su
di lui. Connie e Sasha iniziarono a inseguire scoiattoli, Bertholdt e
Reiner li guardavano divertiti, mentre al loro fianco Armin e Beatris
parlavano con emozione su ciò che avrebbero trovato fuori
dalle
mura. Oceani, deserti, Armin raccontò di aver letto libri
dove era
possibile scoprire dell'esistenza di tutte quelle meraviglie e lui
non desiderava altro che poterle vedere. Erano nel pieno della
chiacchierata quando un urlo di Connie attirò la loro
attenzione.
Uno degli scoiattoli, in preda al panico, gli si era infilato nella
maglia. Sasha al suo fianco cercò di colpirlo con un
bastone, per
farlo uscire, ma ovviamente non ottenne niente se fargli ancora
più
del male.
«Ehy!»
chiamò Reiner, alzandosi e correndo in soccorso dell'amico.
«Resisti, Connie!»
Provò
a prendere lo scoiattolo sotto la maglia, ma era impossibile riuscire
a capire dove si trovasse all'interno dei vestiti. Inoltre Connie non
stava fermo un solo istante e continuava a urlare e dimenarsi,
rendendo il salvataggio ancora più difficile.
«Provate
ad attirarlo fuori con del cibo» propose Beatris, alzandosi e
raggiungendoli. Ma non ebbero nemmeno tempo di provare qualche altra
alternativa, che lo scoiattolo uscì dalla maglia di Connie,
saltò
in faccia a Reiner e fuggì via, arrampicandosi sul suo naso
e poi i
capelli. Connie fu il primo a urlare. Si alzò la maglia
disperato,
mostrando così sotto di essa graffi e lividi -i secondi
sicuramente
causati dalle bastonate di Sasha. Ma poco dopo di lui arrivò
anche
il lamento a denti stretti di Reiner: nello scappare e aggrapparsi,
lo scoiattolo aveva usato le unghie e aveva lasciato dei graffi belli
profondi.
«Reiner!»
esclamò Beatris, allarmata.
«Maledetta
bestiaccia!» urlò Connie, guardandosi il ventre
completamente
ricoperto di graffi.
«Al
fiume! Puliamo tutto!» propose Sasha, prendendo Connie e
tirandolo
verso l'acqua.
«Andiamo!»
disse anche Beatris e puntando le mani sulla schiena di Reiner
iniziò
a spingerlo verso il fiume. Arrivata, costrinse Reiner a sedersi a
terra, andò a inumidire un fazzoletto e tornò da
lui. Gli si
inginocchiò di fronte e iniziò a tamponare le
ferite sul viso.
«Ci
vorrebbe del disinfettante» commentò, concentrata.
«Non
ne abbiamo con noi» disse Sasha, usando il suo panno umido
con molta
meno grazia e delicatezza sul ventre di Connie.
«Intanto
cerchiamo di dare una ripulita. Aveva le zampe sporche, il
bastardello» ridacchiò Beatris. Scostò
un ciuffo di capelli dalla
fronte di Reiner e si sporse un po' più avanti, levando
terriccio da
intorno alla ferita. «Perché hanno dovuto
importunarlo? Non sarebbe
mai successo, se l'avessero lasciato in pace» disse poi, ma
concentrata com'era nel suo lavoro neanche si accorse che parlava da
sola. Reiner, a pochi centimetri dal suo volto, sembrava essere
diventato una statua persino incapace di respirare.
«Alcol!»
esclamò Sasha, improvvisamente. «Ho visto qui
dietro un
rivenditore. Vado a chiederne un po', torno subito» e
scappò via,
come se fosse rincorsa dallo stesso scoiattolo di poco prima.
«Sasha,
aspetta! Non possiamo comprare l'alcol!» le disse Connie e le
corse
dietro.
Beatris
terminò di ripulire la terra da intorno alle ferite sul
volto di
Reiner, e si accasciò, inginocchiata sui talloni. Solo in
quel
momento Reiner riuscì a riprendere a respirare, ma
trovò ancora
impossibile toglierle gli occhi di dosso.
«Alla
fine ci hai di nuovo rimesso tu» gli disse.
«Comincio a pensare che
io ti porti sfortuna» ridacchiò.
«Non
sarebbe successo se non ci fossero stati Connie e Sasha»
disse
Reiner. «Non darti la colpa».
«Non
mi sto dando la colpa, sto solo dicendo che trovo divertente che alla
fine ti va sempre male. Qualsiasi cosa io programmi di fare»
e si
sporse nuovamente verso il suo viso, a pulire una goccia di sangue
che era scivolata via da una ferita più profonda.
«Sapevi che gli
scoiattoli possono essere così pericolosi?»
«A
volte le creature più impensabili sono le più
letali» commentò
Reiner, e non era sicuro che si stesse riferendo solo allo
scoiattolo. Quella ragazza... cosa gli stava facendo? Si sentiva ogni
giorno più vulnerabile, più debole. Beatris
sussultò: «Cielo,
spero di no! Morirei se venissi a sapere che sei stato ucciso da uno
scoiattolo».
«Moriresti
dal ridere per quanto possa essere ridicolo»
ridacchiò Reiner e
Beatris rise insieme a lui, divertita. «Che
diamine» sospirò
Reiner. Abbassò lo sguardo, ma qualcosa parve brillargli
negli
occhi, una tenerezza e una compassione simile alla felicità.
«Un
Guerriero grande e grosso come me messo KO da una cosetta tanto
insulsa», e questa volta ebbe l'assoluta certezza che non
stava
parlando solo dello scoiattolo. Ma questo Beatris non poté
capirlo.
«Mai
fidarsi delle cosette insulse» commentò lei,
divertita, pulendogli
dell'altro sangue da uno zigomo. E sussultò quando vide
Reiner
allungare una mano verso il suo viso.
«Già» le disse lui,
scostandole una ciocca di capelli dalla fronte. Fu delicato, dolce,
ma fatto con una naturalezza tale che fu difficile intuirne le
intenzioni. E Beatris si paralizzò improvvisamente come una
statua,
diversa da queste solo per il colore bordeaux che le
infiammò le
guance. «Cosa ti è successo alla
fronte?» le chiese e solo allora
lei capì che il gesto non aveva niente di romantico, solo la
curiosità di vedere il suo bitorzolo sulla fronte.
Puntò
lo sguardo altrove, imbarazzata. «Ho sbattuto sul letto
mentre
cercavo di infilarmi in quello di Mikasa».
«È
una bella botta».
«Già»
sospirò, affranta. «Ha rovinato ogni mia speranza
di essere più
carina, oggi» disse senza rifletterci troppo.
Arrossì solo
successivamente, sempre più, man mano che si rendeva conto
di
essersi scoperta troppo e sentiva che Reiner aveva risposto con un
mutismo di roccia e gli occhi lievemente spalancati fissi su di lei.
Aveva
voluto essere carina per quell'uscita?
«Cioè...»
mormorò Beatris, imbarazzata. «È
perché era da tanto che non
uscivo, come una persona normale» e si sistemò i
capelli dietro
l'orecchio, non perché realmente in disordine ma
perché aveva
bisogno di sfogare quell'imbarazzo su qualcosa.
«Non
si nota nemmeno» le disse finalmente Reiner. Beatris se lo
coprì
con un rapido gesto della mano, pettinandoci sopra la frangia che lui
le aveva scostato. «Sei... uhm...»
mormorò Reiner e si portò una
mano dietro la nuca, grattandosela nervosamente. Distolse lo sguardo,
sentendo l'imbarazzo avvampargli le guance, ma alla fine si convinse
a parlare. Si era impegnata tanto, nonostante il bernoccolo, di
riuscire a essere più carina, era giusto che le dicesse
qualcosa.
Era giusto che le rivolgesse un complimento.
«Sei
molto carina oggi» le disse, sforzandosi di credere che
l'avesse
fatto solo per educazione. Il volto di Beatris raggiunse
tonalità di
rosso che non credeva nemmeno un umano fosse capace di ricreare. E
restò paralizzata, a guardare il suo punto fisso sull'erba,
con lo
straccio umido d'acqua di fiume tra le mani che veniva torturato da
delle dita nervose e agitate. «Grazie»
sibilò con un filo di
voce.
Reiner
si sporse dopo un po' su di un lato, si stese sull'erba e si
raddrizzò dopo poco. Beatris non ebbe idea di cosa avesse
fatto,
troppo imbarazzata per rivolgergli lo sguardo, ma si sentì
dopo un
po' di nuovo toccare la fronte. Si accorse solo un attimo dopo, che
Reiner le stava infilando un fiore tra i capelli, incastrandolo con
cura tra le ciocche.
«Così
quel bernoccolo si vedrà ancora meno» le sorrise e
quello fu uno
dei ricordi che Beatris stampò a fuoco nella memoria e
decise che
mai e poi mai avrebbe voluto dimenticare. Si sfiorò il fiore
con la
punta delle dita, emozionata, e tornò poi a guardare Reiner.
Quel
momento valeva certamente tutte le apnee di stomaco della sua vita,
esattamente come le aveva detto Mikasa. Toglieva il respiro, ma era
un sacrificio che avrebbe fatto volentieri altre mille volte se poi
la ricompensa era un benessere e un'emozione come quella. Quel fiore
non lo avrebbe tolto dai capelli, fino a quando non fosse andata a
dormire. E per quanto ormai appassito, lo mise comunque sul cuscino,
al suo fianco e si addormentò quella sera, inebriata dal suo
quasi
del tutto scomparso profumo.
Nda.
Io
l’ho già capito! Ma loro ancora
nooooo…. si stanno
innaaaamoraaaaando il nostro trio diventerà un
duo…
Scusate,
l’indole Disney ha avuto la meglio xD Troppo miele in sto
capitolo?
Forse, ma a volte se ne ha bisogno <3 crogioliamoci un
po’ nel
doki doki, fintanto che ce n’è.
Perché… beh… voi sapete…
tutto molto bello, tutto molto dolce, ma chi è Reiner in
realtà? Lo
sentite anche voi quanto poco dolce sia in realtà questo
miele,
vero? Quanto sia in realtà… quasi amaro.
Maaaaa
non fasciamoci la testa prima di rompercela, magari in
verità ci
saranno solo uccellini e unicorni nel loro futuro, perché
no?!
(PERCHé NO!)
Vi
riporto alla modalità miele con sta canzone molto caruccia.
https://www.youtube.com/watch?v=Nws_0pDFh0E&ab_channel=Tay
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
Poche
volte uscivano dall'accademia e quando accadeva era sempre una grande
emozione. Il solo potersi mostrare in giro con addosso la divisa
delle reclute era fonte di orgoglio, passando in mezzo alla gente
erano in molti a puntar loro gli occhi addosso, con venerazione e
curiosità. Per quel giorno e il successivo Trost li avrebbe
ospitati
e avrebbe fatto loro da campo di battaglia, per permettere di
svolgere il loro esame su un terreno che non fosse sempre una
foresta. Avrebbero dovuto usare le loro conoscenze tecniche e
capacità militari in piena città, con una finta
evacuazione in
corso, così da valutare le loro capacità sul
campo. Una
simulazione, a cui persino il corpo di Guarnigione si sarebbe unito
per dare loro supporto. Sarebbe servito da esercitazione alla
popolazione in caso di vero attacco da parte dei giganti, come in
passato, e ai cadetti per verificare le conoscenze apprese fino a
quel momento. Vennero divisi in gruppi, vennero affidate loro varie
zone da difendere e vennero infine installati cartonati di giganti da
attaccare e a cui recidere le nuche. Avrebbe fatto numero la
quantità
di giganti abbattuti ma anche la loro capacità di
collaborazione, la
tecnica, la capacità di eseguire gli ordini e l'attenzione
nell'insieme. Era un esame di una consistenza massiccia, ma era
l'esame di fine secondo anno, era giusto che fosse così. La
Guarnigione iniziò la finta evacuazione, gli istruttori
iniziarono a
innalzare i cartonati e i cadetti si prepararono sui tetti, pronti a
entrare in azione.
«Fanno
le cose in grande» commentò Beatris, guardando un
gruppo di persone
correre verso il Wall Rose, seguendo le istruzioni di evacuazione di
alcuni soldati della guarnigione.
«È
da apprezzare l'impegno, non badano a trattenersi per
addestrarci»
commentò Armin.
«Ehy,
Jean!» chiamò Marco. «Casa tua non era
da queste parti?»
«Davvero
vivi qui?» chiese Beatris, curiosa.
«Perché
non sei andato a trovare tua madre?» insisté Marco
e l'unica cosa
che fece Jean fu voltarsi, irritato, e urlargli contro:
«Chiudete il
becco! Abbiamo un esame da fare!»
«Ha
ragione» sussurrò Armin, imbarazzato. Si
avvicinò a Beatris e
le sorrise amichevole. «Cerchiamo di concentrarci anche
noi».
Ma
lei sospirò, affranta. «Ci hanno separati sia da
Mikasa che da Eren
che da Reiner. Sono un po' nervosa. Non so se ce la farò da
sola».
«Almeno
noi due siamo stati messi insieme, possiamo farcela»
provò a
incoraggiarla Armin, anche se faticò a nascondere un po' la
tristezza di non essere considerato qualcuno a cui affidarsi. Sapeva
che la colpa era sua, avrebbe dovuto dimostrare di essere degno di
fiducia e non ci riusciva, ma questo genere di cose non facevano che
rigirare il coltello nella piaga.
«Non
preoccupatevi» disse Jean, ancora nervoso, ma comunque
determinato.
«Siete affiancati dal migliore, ce la faremo
sicuramente!»
Ma
i due amici si lanciarono uno sguardo sconfortato. Jean era
sicuramente tra i migliori, ma il suo egocentrismo a volte lo tradiva
e vederlo nervoso non aiutava. Non erano certi che non si sarebbe
lasciato sopraffare dalle emozioni. Sospirarono, abbattuti.
«Almeno
con noi c'è anche Annie» commentò
infine Armin e lei li guardò
con freddezza prima di dire: «Non aspettatevi che vi faccia
da balia
come fanno i vostri amichetti. Arrangiatevi da soli».
«Ha
ragione!» esclamò Beatris, improvvisamente
determinata. «Reiner si
è impegnato tantissimo in questi due anni per aiutarmi a
migliorare,
glielo devo!»
E
per quanto Armin non condividesse con lei il senso di dovere che
aveva nei confronti degli altri, sapeva che non poteva essere da
meno. Aveva un sogno da raggiungere, avrebbe dovuto dare il massimo e
credere di più in se stesso. Annuì,
perciò, convinto.
«Avete
finito di blaterare? Ci siamo!» ringhiò Jean e non
appena terminò
la frase i capitani diedero infine il via alla prova.
Saltarono
giù dai tetti e iniziarono a volare in giro, usando il loro
movimento tridimensionale. Si mossero in squadra e raggiunto il primo
svincolo si prepararono a dividersi e setacciare la propria zona, ma
Jean li bloccò, urlando: «Seguite me! Andiamo a
fronteggiare i
giganti nelle retrovie!»
«Eh?
Ma quella è zona del gruppo sette!» disse Beatris.
«Il
nostro compito era di occuparci della prima linea» disse
Armin.
«Non
siate così rigidi! Dobbiamo uccidere i giganti, in quella
zona ce ne
sono molti di più. Il compito di un soldato è
abbatterne il più
possibile!»
«Tu
vuoi solo metterti in mostra» mormorò Annie, per
niente convinta,
ma per qualche ragione decisero di seguirlo. Non tanto per la fiducia
nei suoi confronti, quanto per senso di collaborazione. Erano una
squadra, dovevano muoversi da squadra, non avrebbero lasciato Jean da
solo.
«Jean,
fai strada! Ti seguiamo!» gli disse Beatris e questo
animò Jean di
un nuovo fuoco. Abbandonarono la zona a loro assegnata, lasciando i
giganti della prima linea al resto dei cadetti, e volarono verso la
zona più indietro. Beatris riuscì a darsi il
giusto slancio, si
spinse un po' più in alto e affinò lo sguardo,
cercando oltre i
tetti. Con il tempo si era rafforzata e aveva capito che il suo punto
di forza non era la prestanza fisica, ma l'agilità. Aveva
perso mesi
per addestrarsi su quello, imparare a prendere velocità e
muoversi
correttamente tra gli ostacoli, ormai era diventata decisamente molto
capace. Il suo essere spericolata, inoltre, le permetteva di
improvvisare manovre folli, ma spesso efficaci. Riusciva
così a
volare più alto degli altri.
«Avvistamento!
A nord-ovest, un isolato da qui» gridò,
intercettando il nemico.
«Andiamo!»
gridò Jean, deviando all'interno di un vicolo. Venne seguito
dal suo
gruppo, ma solo pochi secondi dopo Armin, guardandosi attorno, si
accorse di una stranezza.
«Dov'è
finita Beatris?» mormorò, non vedendola
più.
«Avrà
trovato un altro alveare da raccogliere» rispose Annie,
stizzita, e
lo superò per raggiungere Jean. Arrivarono nella via
principale,
dove finalmente alla loro destra videro la sagoma di un gigante di
cinque metri, ma purtroppo per loro era già stato preso di
mira da
un'altra squadra. Reiner e Sasha erano già in dirittura di
arrivo,
il primo dall'alto, la seconda da destra e avrebbero colpito in pochi
secondi, sempre prima rispetto a Jean e i due compagni. Ma dalla
finestra di una casa a fianco comparve all'improvviso un rampino che
costrinse sia Reiner che Sasha a deviare per non essere presi in
pieno. Beatris uscì pochi istanti dopo da quella stessa
finestra,
trascinandosi dietro una tenda ormai lacerata e un paio di vasi di
fiori. Sicuramente avrebbero poi chiesto i danni, ma in quel momento
la sua priorità era un'altra. Passò davanti a
Reiner e Sasha, che
la guardavano a bocca aperta per la sorpresa, e in pochissimi istanti
tagliò la nuca al gigante che aveva preso di mira. Si
fermò sul
tetto di fianco, si scosse per togliersi di dosso i resti della tenda
che aveva strappato nella foga di usare quella scorciatoia
improvvisata e sembrò accorgersi del risultato della sua
azione solo
in quel momento. Guardò il gigante con la nuca recisa
perfettamente
e ansimando per la stanchezza alzò le braccia al cielo.
«L'ho
preso!!!» gridò euforica.
«Ma...
cosa...?» balbettò Jean, perplesso.
«Beatris...
è passata davanti a tutti?» si unì
Armin, altrettanto sconvolto
dalla novità.
«Quella
ragazzetta ha iniziato a fare sul serio» commentò
Annie, lievemente
sollevata nel constatare che stava smettendo di fare il peso morto e
basta.
«Mi...
mi hai rubato l'uccisione?!» chiese Reiner a bocca spalancata
e
Beatris parve accorgersi di lui solo in quel momento.
Sussultò,
arrossì e in preda al panico disse: «Mi
dispiace!»
La
reazione di Reiner non fu assolutamente quella aspettata, ma solo
perché come al solito a dominarla era sempre e solo il senso
di
colpa. Aveva pensato che lui si sarebbe arrabbiato, invece Reiner
sorrise incendiato improvvisamente di un'eccitazione che non credeva
di avergli mai visto in volto. «Così mi piaci,
Tris. Fammi mangiare
la tua polvere, se ci riesci!» e fece scattare il proprio
meccanismo, volando verso un'altra zona della città, pronto
a dar la
caccia ai giganti. Beatris sussultò e ancora rossa in volto,
ora per
almeno mille motivi, non esitò a partire all'inseguimento di
Reiner,
pronta ad accettare la sfida.
«Ehy!
La squadra!» le gridò contro Jean, frustrato nel
vedere l'amica
tradirlo sul più bello.
«L'hanno
presa sul personale» commentò Armin, ridacchiando
nervoso. Tutti i
buoni propositi erano andati in fumo, avevano abbandonato la
formazione, si stavano sgretolando come squadra, stava andando tutto
a rotoli. Anche se avessero abbattuto il maggior numero di giganti,
quelli erano errori abbastanza gravi da farli cadere tutti in fondo
alla classifica dei voti senza nessun tipo di esitazione. Per quanto
si fossero impegnato, d'ora in avanti, Armin sapeva che era destinato
ad arrivare ultimo anche quella volta.
«Imbecilli»
disse Annie, voltandosi. «Non perdiamo tempo, proseguiamo.
Cerchiamo
di salvare la situazione».
«Che
cazzo!» ruggì Jean e fu il primo a partire,
riprendendo la loro
sfida al maggior numero di giganti abbattuti, seguito da chi gli
rimaneva a fianco.
Reiner
tenne d'occhio Beatris dietro di sé per i primi trenta
secondi, poi
la vide improvvisamente sparire. Si corrucciò, chiedendosi
dove
fosse finita, e dovette aspettare altri trenta secondi prima di
vederla sfiorare il selciato davanti a lui. Tagliando per
chissà
dove, aumentando l'aerodinamicità con una manovra folle, era
riuscita a superarlo, e la vide slanciarsi ora verso l'alto.
Arrivò
almeno un paio di metri sopra i tetti, la vide guardarsi attorno
rapidamente e poi lanciare il rampino verso una direzione
precisa.
"Quando
ha imparato ad alzarsi così in alto?" si chiese, sorpreso di
vederla così agile nel movimento. Si era esercitata molto,
era vero,
ma mai aveva dimostrato quelle capacità... che fosse
finalmente
riuscita a trovare la motivazione giusta? Che avesse iniziato a
capire come sfruttare le sue qualità? Era leggera e piccola,
era più
facile per lei puntare sulla velocità e l'agilità
di movimento
anziché sulla forza, come aveva sempre fatto. Lui, per
quanto si
fosse impegnato, con la sua massa non sarebbe mai riuscito a
raggiungere quote del genere o passare da anfratti tanto piccoli come
le finestre in cui ogni tanto si infilava. Sfruttava al meglio
l'ambiente intorno a lei, sembrava aver finalmente cominciato a
capire come muoversi. Fu difficile ammetterlo, ma non poté
che
esserne orgoglioso sentendo di essere parte di quel merito. Diede gas
e decise di non farsi battere. Quando la raggiunse la vide abbattere
il suo secondo gigante e voltarsi, pronta a raggiungere il terzo
esattamente tre metri più avanti. Ma questa volta fu Reiner
a
volarle incontro, taglierle la strada e rubarle l'uccisione. Nel
volare via, soddisfatto, le rivolse uno sguardo compiaciuto. Beatris
conosceva Reiner ormai da due anni, ma mai l'aveva visto sorridere
con una tale eccitazione. Quel gioco, sempre se poteva chiamarsi
così, lo stava infervorando decisamente molto. Mai avrebbe
immaginato che un addestramento avrebbe potuto emozionarla tanto.
Voleva farlo, voleva continuare a farlo sorridere in quel modo,
voleva continuare a sfidarlo, a inseguirlo, perché, diamine,
era la
cosa più divertente che le fosse mai capitata negli ultimi
tempi. Si
sentì dentro un fuoco che non credeva fosse nemmeno
possibile poter
provare.
E
diede gas.
Si
incrociarono in continuazione, provarono più volte a
tagliarsi la
strada, saltavano e volavano. Sempre più sotto sforzo,
sempre più
concentrati, sempre più in preda alla foga. E persero il
conto delle
volte che erano riusciti a rubarsi gli abbattimenti a vicenda, degli
sguardi di sfida lanciati e quelli frustrati per essersi fatti
sgraffignare l'abbattimento. Passarono ore, talmente presi dalla loro
personale sfida che avevano persino dimenticato la ragione per cui
erano realmente lì. Neanche si preoccupavano più
del mantenimento
delle strategie, di intralciare compagni, della formazione o del
lavoro di squadra. Ogni tanto era persino possibile sentirli ridere a
gran voce, mentre volavano via da un nuovo gigante abbattuto, e
lanciarsi insulti, o minacce, o frasi di sfida. Erano come due
ragazzini in preda ai giochi e non furono poche le volte che vennero
persino ripresi dai loro stessi compagni, vedendoli comparire fuori
programma dal nulla e litigare tra loro per raggiungere per primi i
giganti.
Continuarono,
talmente presi, che nemmeno si accorsero dello scadere del tempo
della prova. O almeno, Reiner non se ne accorse.
Di
fronte all'ennesimo gigante, ormai sapeva che era suo. Aveva
già
alzato le lame, pronto a recidere la nuca della sua nuova vittima,
quando vide Beatris aumentare la velocità e puntare dritto
verso di
lui. Non contro il gigante, ma contro Reiner stesso. Sgranò
gli
occhi, colto dal panico, e tirò indietro le lame, dando la
schiena
alla compagna, terrorizzato all'idea di poterla ferire
accidentalmente. Beatris lo colpì in pieno, gli ci si
schiantò
contro proprio quando ormai erano sopra la nuca del gigante e con un
ultimo sforzo riuscì ad abbatterlo al posto di Reiner
proprio un
istante prima di sentire le campane di fine esame suonare. Lo
sentì
lanciare un lamento, dolorante per il colpo, ma ciò che
avvenne dopo
fu anche peggio. I loro cavi si intrecciarono, si incastrarono per
via delle traiettorie discordanti, e nello schiantarsi l'uno contro
l'altro non fecero che peggiorare la cosa. Persero l'equilibrio
dell'attrezzatura, persero il senso dell'orientamento e con un urlo
finirono entrambi col cadere a terra.
«Tris!»
urlò Reiner in un misto tra la collera e il
terrorizzato.
Atterrarono
con un tonfo sul selciato, un colpo che non li avrebbe lasciati
immuni e sicuramente avrebbero dovuto fare un giro in infermeria non
appena fossero tornati. L'istinto gli disse di tenere gli occhi
aperti e fu una fortuna, perché vide una delle loro lame,
volata via
dalle mani di Beatris probabilmente, volare dritto verso il suo
volto. Non sentì nemmeno il cuore pulsare, si mosse tanto
rapidamente che forse aveva fatto prima lui del proprio cuore a
battere il suo colpo: si voltò da un lato,
afferrò Beatris per le
spalle e la trascinò indietro, tirandosela addosso appena in
tempo
per evitare di essere colpita dalla lama affilata. Una volta appurata
la relativa sicurezza in cui si trovavano si accasciò a
terra e si
concesse di riprendere fiato.
«Sei...
impazzita?» ansimò, senza riuscire a muoversi. Non
sapeva se era
per la stanchezza, la paura, o il dolore che sentiva alle costole per
quell'ultimo scontro. Restò steso a terra, a braccia e gambe
spalancate, ancora attorcigliato nei cavi che non si erano ritratti
del tutto e avvolto dai rampini delle loro attrezzatura e qualche
lama volata in giro nello scontro. Sopra il suo petto, anche Beatris
sembrava non essere messa meglio. Non si muoveva se non per il
profondo respirare, per riuscire a prendere fiato.
«Così...
sono arrivata a metà» riuscì a
mormorare, dopo qualche secondo.
«Eh?»
si corrucciò lui.
«Quando
ci alleniamo insieme non riesco mai ad arrivare a metà,
rispetto a
quello che fai tu» deglutì per inumidire la gola e
tirò un altro
paio di boccate d'aria. «Se tu fai cinquanta flessioni, io ne
faccio
sempre meno di venticinque. Non riesco ad arrivare mai nemmeno a
metà
rispetto a te».
«Quello...
era la mia metà?» le chiese, sorpreso.
Beatris
annuì e alzandosi tremolante su un gomito riuscì
a guardarlo in
volto e sorridergli. «Era il tredicesimo... tu ne hai
abbattuti
ventisei».
Reiner
la guardò sorpreso per qualche istante e pian piano tutta la
rabbia
per l'imprudenza della manovra che aveva messo in pericolo entrambi
svanì, lasciando spazio a divertimento e soprattutto tanto
orgoglio.
Aveva ragione: era migliorata veramente molto. Ed era anche merito
suo.
«Sei
davvero incredibile» ridacchiò, accasciandosi di
nuovo a terra per
riprendere fiato.
«Stavate
giocando sporco, bastardi?» l'urlo di Jean li raggiunse prima
che
fossero riusciti a svoltare l'angolo e vederlo. Reiner e Beatris si
scambiarono uno sguardo interrogativo e si avvicinarono al gruppo in
lite. Jean era in piedi, a pugni stretti, dietro di lui Armin stava
cercando di calmarlo, ma niente lo dissuadeva dall'urlare furioso
contro Connie e Sasha seduti a terra.
«Non
avete fatto che seguirci e rubarceli a noi!»
«Eri
troppo lento, Jean» biascicò Connie, masticando
una patata al
vapore.
«Giocare
sporco? A volte te ne esci con certe sciocchezze, Jean» lo
canzonò
Sasha, brandendo una seconda patata. «Quando si caccia non ci
sono
etichette da rispettare».
«Non
sciorinarmi sciocchezze sulla caccia, ragazza patata!» la
rimproverò
Jean.
«Ragazza
patata?!» sussultò Sasha. «Pensavo ve lo
foste dimenticato!!!»
ruggì, prima di alzarsi e urlare contro Jean: «Non
darmi
nomignoli!»
«Giusto!
Chiedile scusa!» ruggì anche Connie, affiancando
l'amica.
«E
comunque quella zona era sotto la nostra sorveglianza, Jean, siete
voi ad aver imbrogliato invadendo la nostra area» si
intromise
Reiner, ormai vicino abbastanza da poter partecipare. Jean si
voltò,
sentendo la voce dell'amico, e incrociò così
anche lo sguardo con
Beatris. «E tu dove diavolo eri sparita?!»
urlò, furioso. «Ci hai
piantati in asso di punto in bianco per una delle tue solite
sciocchezze, come hai fatto con l'alveare!»
«Oh,
insomma, basta con questa storia dell'alveare!»
sospirò Beatris,
abbattuta.
«Adesso
calmati, Jean» gli disse Reiner e Connie lo sostenne con:
«Sì,
calmati! Sei proprio strano oggi, stai urlando contro tutti. Cosa
c'è?! Ti manca la mammina?» lo canzonò.
«È
così?» chiese Sasha innocentemente e Jean
alzò un pugno pronto a
colpirla, ma si fermò e la minacciò solamente con
uno sterile:
«Chiudete quella boccaccia!»
Sasha
e Connie reagirono come due animali, si misero in posizione da
combattimento e iniziarono a ringhiare come due bestie feroci. Niente
di spaventoso però, solo tanto ridicolo.
«Datevi
una calmata, ragazzi. Basta» si avvicinò Reiner,
pronto a
intervenire nel caso avessero iniziato a picchiarsi. «Jean,
non
arriverai mai alla polizia militare con questo atteggiamento.
Controllati».
E
questo sembrò dissuadere Jean dal picchiare i due compagni
lì
seduta stante. Fece un passo indietro, ma continuò a
fulminarli,
furioso. «La prossima volta vedremo chi abbatterà
più bersagli!»
«Potete
fare una sfida come abbiamo fatto io e Reiner»
squittì Beatris,
allegra. «È stato divertente, vero?» e
si voltò a sorridere al
compagno, ancora divertita da quella specie di gioco e follia che
avevano fatto poco prima. Era stato da incoscienti giocarsi un esame
per una cosa come quella, ma non gli era importato. Lei aveva
raggiunto il suo obiettivo di arrivare a metà di Reiner e si
era
impegnata come mai prima d'ora, dei voti poi se ne sarebbero
preoccupati. Reiner esitò per un istante, pensieroso: non
poté far
a meno di riflettere su quella semplice frase. Era stato divertente.
Lo era stato davvero! Da quant'era che non faceva qualcosa di
divertente? In vita sua, anzi, aveva mai avuto momenti in cui
divertirsi? Era incredibile, al limite dell'assurdo, che iniziasse a
provare tutto quello proprio in un posto come Paradis. Mai ci avrebbe
creduto, ma quel soggiorno che doveva essere una semplice missione
sotto copertura gli stava lasciando molto più del previsto.
Non era
buono, non lo era affatto, ma non poteva negare che sì, si
era
davvero divertito. E avrebbe voluto rifarlo altre cento volte.
«Sì»
sorrise finalmente in risposta. «È vero».
«Era
un esame, non un gioco!» ruggì ancora Jean,
furioso.
«Esattamente»
la voce del comandante Pixis attirò la loro attenzione.
Seguito da
alcuni suoi sottoposti si stava avvicinando a loro, rigido nella sua
ferrea posizione da comandante, ma con lo sguardo inebetito e il
volto arrossato. Sembrava ubriaco, ma non erano certi che fosse
così.
«Non approvo che certe controversie vengano risolte durante
un
addestramento ufficiale».
Reiner
e Beatris si irrigidirono e cominciarono a sudare freddo. Forse il
loro piccolo gioco non era poi passato tanto in sordina, forse era
stato decisamente più grave del previsto. Ma lo sguardo di
Pixis si
posò su Jean e continuò: «Ma il vostro
spirito combattivo è
veramente lodevole, sono deciso ad assecondarlo» e
già solo questo
cominciò a sollevare una serie di primi dubbi in proposito.
Pixis si
sfilò una fiaschetta da sotto la giacca e bevette un sorso,
prima di
riporla nuovamente.
«Ma
è ubriaco?» sussurrò Beatris verso
Reiner e questo l'ammonì con
un rapido: «Sh!».
«Vi
sfiderete in cucina» decretò il comandante,
lasciando che il gelo
calasse tra le persone presenti.
«Eh?»
sussultò Jean, chiedendosi se non avesse capito
male.
«Una
gara di cucina!» ripeté Pixis e Sasha si
illuminò: «Cucinare?!»
«Davvero
insegnano anche queste cose in accademia?» mormorò
Beatris,
voltandosi nuovamente verso Reiner che rispose con un perplesso e
imbarazzato: «Non credo fosse previsto dal
programma».
«Così
è deciso! Stasera della cena vi occuperete voi,
sarà una gara
all'ultima pietanza!»
Jean
fece un passo avanti. «Con tutto il rispetto, comandante,
ma...» ma
si interruppe quando Sasha gli si mise davanti e gli puntò
contro la
propria patata al vapore: «Jean! Ti insegnerò
l'arte culinaria,
vedrai di cosa sono capace!»
«Scommetto
che a casa cucinava sempre tua madre!» rise Connie,
schernendolo.
Jean
puntò lo sguardo furioso prima a Connie, poi a Sasha. La
ragazza
masticava la sua patata al vapore con lo sguardo di chi stava
progettando di uccidere qualcuno, era agguerritissima e certo Jean
non si sarebbe tirato indietro. Non per così poco.
«Va
bene! Chiedetemi quello che volete, cucinare o pulire, farò
qualsiasi cosa e se vinco non mi intralcerete mai
più!»
«Dovrei
organizzare un nuovo giro di scommesse» ridacchiò
Beatris tra sé e
sé, divertita all'idea di vedere un'altra sfida tra
compagni. Aveva
usato un tono di voce sufficientemente basso, ma incredibilmente Jean
riuscì comunque a sentirla e si voltò di colpo,
puntandole un dito
contro: «Tu verrai con me e Armin!» le
gridò contro.
«Eh?!»
sussultò lei.
«Io?»
mormorò Armin, indicandosi spaventato. Perché
avevano dovuto
coinvolgerlo?
«Non
azzardarti a tradirmi mai più, è
chiaro?!» la rimproverò Jean.
«Tradirti?»
balbettò Beatris, non riuscendo a capire cosa avesse fatto
di
sbagliato. Ma il fatto che qualcuno fosse arrabbiato con lei la
metteva a disagio e la faceva quasi sembrare un cagnolino intimorito.
«È chiaro?!» gridò Jean
più forte e lei, per quanto fosse
stupido, reagì mettendosi in posizione di saluto e
gridò:
«Signorsì, Signore!»
«Non
devi trattarlo come un superiore solo perché ha alzato un
po' la
voce, Tris» le disse Reiner, cercando di ristabilire un po'
il suo
pudore, ma Sasha ringhiò immediatamente: «Reiner!
Non
familiarizzare col nemico!»
«Cosa?!»
sussultò Reiner, confuso. Stavano tirando in mezzo anche
lui?
Perché?!
«Giusto!»
strinse i pugni Connie, entusiasta. «Sarà una
sfida tre contro tre!
Vincerà il cuoco migliore!»
«Devi
farti perdonare per quello che ci hai fatto oggi» disse Jean
a
Beatris che rispose, ancora diligente come un vero soldatino:
«Ok!»
«Giochi
sporco, Jean, hai imparato come addomesticarla»
sospirò Reiner,
vedendo abbattuto come bastasse far leva sui sensi di colpa di
Beatris e sul suo senso di inferiorità per convincerla a
fare quello
che volevano.
«Reiner!
Allontanati dal nemico, adesso!» ruggì Connie,
infervorato come non
mai. Reiner sospirò abbattuto, per niente intenzionato a
farsi
coinvolgere in quella situazione, ma non ebbe tempo di dire niente
che Beatris cambiò nuovamente volto. Si girò a
guardarlo, gli
sorrise allegra e gli disse: «Sarà divertente,
dai!»
Un
altro gioco, il secondo in una sola giornata, e per quanto non fosse
entusiasta all'idea di prendere parte a quella ridicola sfida, l'idea
di competere di nuovo con lei, stimolare il suo desiderio di dare il
massimo, lo stuzzicava abbastanza. Sospirò di nuovo,
alzò gli occhi
al cielo e infine si affiancò a Connie.
«La
sfida avrà luogo stasera, allora!»
annunciò Pixis, ufficialmente.
«Cucinate e portate a tavola il vostro piatto
migliore!»
«Jean!»
gridò Beatris, alle spalle del compagno. Avevano persino
avuto il
permesso di sellare i cavalli e portarli fuori città, il
comandante
Pixis aveva preso la cosa molto seriamente, forse anche troppo. In
groppa ad April, Beatris tentò di raggiungere Jean in testa
al
piccolo gruppo. «Che intenzioni hai? Perché stiamo
entrando nella
foresta?»
«Da
piccolo giocavo in questa foresta, la conosco come le mie
tasche»
sghignazzò Jean. «Qui nei dintorni c'è
un Cinghiale Colossale, se
riuscissimo a cacciarlo e servirne la carne la vittoria sarebbe
sicuramente nostra».
«Un
Cinghiale Colossale!» sussultò Beatris.
«Sembra terrificante».
«Non
preoccuparti, lo prenderemo sicuramente».
«Ehy,
voi!» la voce di Sasha li fece voltare tutti dalla sorpresa.
«Non è
una bella coincidenza che siamo tutti qui?»
«Voi
qui?!» sussultò Jean.
«Il
naso di Sasha ha fiutato la carne di prima qualità in questa
zona»
spiegò Reiner.
«Non
lascerò che la prenda tu! Hya!» gridò
Sasha e spronò maggiormente
il cavallo, fino a superare il trio.
«Andiamo,
Jean! Questo posto è come casa tua, no?» chiese
Armin. «Non
possiamo farci battere su questo terreno».
«Ci
serve un piano» mormorò Beatris,
pensierosa.
«Ci
basterà seguire l'istinto!» disse Jean, sterzando
e inoltrandosi
nella foresta prima degli altri tre, così da separarsi da
loro.
Corsero nei boschi a lungo, fino a quando non trovarono un punto dove
legare i cavalli così da poter procedere a piedi e seguire
meglio le
tracce. Jean, a passi pesanti, si guardava intorno e intanto avanzava
spedito.
«Dico
sul serio, Jean» disse Beatris, raggiungendolo.
«Zitta,
mi farai scappare la preda» l'ammonì lui, sempre
più furioso.
«Non
possiamo farcela contro di loro! Reiner è troppo forte, non
possiamo
batterlo, e Sasha ha un fiuto impeccabile, troverà il
cinghiale
sicuramente prima di noi, mentre Connie... beh, Connie non so quale
qualità abbia, ma riesce lo stesso ad arrivare sempre prima
di me!»
«Tutti
riescono ad arrivare prima di te, Beatris» le disse Jean,
frustrato
dal suo animo arrendevole. Forse portarla era stato un errore, gli
avrebbe messo i bastoni tra le ruote.
«Beatris
ha ragione» mormorò improvvisamente Armin, facendo
scattare Jean.
«Armin!» lamentò. «Non ti ci
mettere anche tu, basta una
pessimista tra noi!»
«Non
sono pessimista, sto solo cercando di farti capire che dobbiamo
pensare a una strategia!» sbraitò Beatris e Armin
annuì. «Esatto!
Loro hanno molte più qualità dalla loro parte, ma
noi possiamo lo
stesso trovare il modo di fregarli. Pensa a Connie! Lui ti supera
sempre perché ti segue, aspetta che sia tu a fare il lavoro
sporco,
e poi ti ruba la preda da sotto al naso. Possiamo usare la stessa
strategia, non se lo aspetteranno».
«Non
ruberò niente a nessuno, voglio guadagnarmi da solo la mia
preda!»
«Ma
è innegabile che Sasha abbia un fiuto migliore del nostro,
non si
tratta di rubare ma di volgere la situazione a nostro favore»
e gli
occhi di Armin si andarono a posare su Beatris, bruciando di una
strana intensità, prima di aggiungere: «E usare le
loro debolezze a
nostro vantaggio».
«Eh?»
sbiancò Beatris, non riuscendo a capire perché
adesso guardasse
proprio lei. Ma quando si voltò verso Jean vide che anche
lui la
guardava con uno strano sogghigno sulla faccia. Avevano in mente
qualcosa, non sapeva cosa, ma sapeva che avrebbe finito con l'andarci
di mezzo lei. Sperava solo che non fosse niente di troppo spaventoso.
Era
ormai un'ora che girovagavano senza meta e Reiner aveva assoluta
certezza che non avrebbero cavato mai un ragno dal buco, in quella
situazione. Sasha aveva ottimo fiuto, ma era anche tanto stupida a
volte ed era difficile capire quando potevano fidarsi o meno. La
vicinanza di Connie non l'aiutava a essere più seria. Ma,
contro
ogni previsione, e lasciandolo assurdamente sorpreso, riuscirono a
trovare delle prime tracce. Feci, che Connie e Sasha esaminarono
anche fin troppo attentamente. «È bella
grossa» commentò Connie.
«Ed
è fresca. Il cinghiale dev'essere qui da queste
parti» disse Sasha,
stuzzicando le feci con un bastoncino.
«Non
sarà comunque facile trovarlo, potrebbe essere
ovun...» provò a
intervenire Reiner, ma Sasha sussurrò, improvvisamente
sporta oltre
un masso: «Eccolo!»
«Impossibile...»
balbettò Reiner, stralunato. Era stato sicuramente solo un
grandissimo colpo di fortuna, non poteva essere altrimenti.
«È
davvero enorme» disse Connie, guardandolo mentre stava
dormendo. Ed
aveva ragione, era il cinghiale più grosso che avesse mai
visto in
vita sua, grande quasi quanto un titano. Quale follia demoniaca aveva
partorito una cosa come quella?!
«Come
pensate di prenderlo?» chiese.
«Gli
tirerò una freccia» rispose Sasha, estraendo il
suo arco.
«Non
basterà!» sussultò Reiner.
«È gigantesco, dobbiamo organizzare
un piano d'attacco. Preparare una trappola».
«Siamo
armati, andiamo alla carica» disse Connie, voltandosi per
parlare
con i due compagni. Chiacchiere fatte a bassa voce, ma che bastarono.
Il cinghiale si svegliò dal suo sonno e si
sollevò, fulminandoli
con una tale ferocia che fecero venire per un attimo la pelle d'oca a
tutti e tre. Reiner compreso.
Grugnì
e questo sembrò destarli.
«Sasha!
Vai, attacca per prima!» ordinò Reiner,
riprendendosi dal panico.
«Sì!»
gridò lei e urlando caricò la prima freccia. Il
cinghiale si voltò,
scalciò terriccio e sassi e iniziò a scappare. La
freccia di Sasha
si conficcò nella coscia di questo ma la pelle fu talmente
dura e
resistente che lui parve non accorgerse nemmeno.
«Inseguiamolo!»
gridò Reiner e Connie partì per primo, ruggendo
un carico: «Sì!»
Sasha
sparò il proprio rampino dell'attrezzatura per il movimento
tridimensionale direttamente contro la pelle dell'animale e
riuscì
così ad appigliarsi a lui. Rimase aggrappata al cinghiale e
riuscì
a non perderlo. Connie e Reiner le furono dietro, muovendosi sempre
con il dispositivo per il movimento tridimensionale, e insieme
cominciarono a correre e inseguire il cinghiale per tutta la
foresta.
«Sasha!
Non lasciarlo!» gridò Reiner, cercando di restarle
dietro.
«Carneee»
gridò questa, in preda ad un'isteria affammata. No, non
c'era
bisogno di dirglielo, non l'avrebbe mai perso di vista. Era quasi
riuscita a raggiungerlo, usando il proprio rampino come corda per
avvicinarsi, quando da intorno a loro sbucarono Jean e Armin,
sorprendendoli in un'imboscata.
«Grazie,
Connie» ridacchiò Jean. «Sapevo che
seguirvi sarebbe servito».
«Ehy!
Quella è la mia battuta!» ruggì il
pelato, furioso nel constatare
che Jean aveva alla fine usato la sua stessa strategia per fregarlo.
Armin si affiancò a Sasha, ormai aggrappata al pelo
dell'animale, e
sfilò da dentro la maglia un mazzo di patate dolci.
«Sasha!
Guarda qua! Patate deliziose per te» provò a
chiamarla, ma niente
distreva la ragazza dal suo delirio della carne. «Salsicce,
braciole, arrosto» continuava a ripetere come un mantra.
«Non
funziona» commentò Armin, preoccupato.
«Piano
B! Ora, Bea!» gridò Jean e solo allora Reiner,
guardandosi attorno,
si rese conto che effettivamente la ragazza mancava all'appello. La
vide comparire all'improvviso da in mezzo ai rami, davanti a loro,
tagliando loro la strada. Li aveva seguiti forse in parallelo,
nascosta tra gli alberi, ed era stata strepitosa nel non farsi
scorgere. Come un proiettile volò davanti al cinghiale, con
le lame
tra le mani, pronta a colpire e lacerare. Ma qualcosa scattò
nel suo
meccanismo, il rampino si staccò dall'albero e Beatris perse
il
controllo della propria attrezzatura. Urlando, in preda al terrore,
finì nuovamente in mezzo agli alberi dall'altro lato del
sentiero.
«Bea!»
gridò Armin, in preda al panico. Sentirono rumore di rami
che si
spezzavano, alberi che si incrinavano e infine la voce di Beatris che
gridava in preda al terrore: «Reiner! Aiuto!»
Non
ci fu bisogno di aggiungere altro. Reiner, sentendosi chiamare,
lasciò immediatamente perdere il cinghiale e si
tuffò in mezzo agli
alberi, per andare a cercarla. E non notò perciò
il sorriso di
Jean, nel vederlo. «Come previsto»
sussurrò quest’ultimo, un
istante prima di vedere anche Connie venir scalciato via da Armin,
distratto da quanto successo a Reiner.
«Vai,
Jean! Prendila, è tua!» gridò Armin,
riuscendo a fermare Connie.
Non restava che lui, solo contro Sasha, il suo vero nemico, e
quell'enorme cinghiale che aveva deciso di fare suo.
Reiner,
alle loro spalle, sparì nel bosco ignaro di quanto appena
successo e
di essere in realtà caduto in una trappola. Si
guardò attorno,
atterrò poco dopo, e con il volto pieno di panico
chiamò: «Tris!»
Non
riuscì a vederla da nessuna parte e questo non fece che
aumentare il
suo terrore e il senso di impotenza. Cos'era successo? Beatris finiva
sempre nei guai, ma raramente chiamava aiuto esplicitamente, di
solito cercava di risolverla da sola o quantomeno essere l'unica
vittima, senza coinvolgere nessun altro. Se l'aveva chiamato, allora
doveva essere qualcosa di davvero grave.
«Tris!»
chiamò ancora, terrorizzato. Sentì un frusciare
alle sue spalle, ma
si voltò lo stesso troppo tardi. Con un urlo, Beatris gli
arrivò
addosso, volando appesa alla sua attrezzatura, e lo
scaraventò a
terra. La ragazza scoppiò a ridere e sollevò il
busto, restando
seduta a cavalcioni sopra di lui, ormai atterrato.
«Ti
ho preso, Reiner!» esclamò, divertita come una
bambina.
«Che...»
balbettò Reiner, confuso, forse in realtà
più agitato per averla
seduta a cavalcioni sopra di sé, che per quanto appena
successo.
Beatris continuò a ridere, divertita, ma senza avere
l'intenzione di
alzarsi da sopra di lui. «Non avrei mai creduto che il piano
di
Armin avrebbe funzionato, avrei giurato che mi avresti lasciato
perdere e non saresti caduto nella trappola».
«Trappola...»
riuscì a realizzarlo solo in quel momento, era stato
sciocco, ma la
verità era che si era fatto coinvolgere troppo emotivamente
in tutta
quella storia. Quella giornata piena di emozioni non avevano fatto
che farlo vibrare per tutto il tempo come una corda di chitarra ed
era stato impossibile per lui ragionare razionalmente. Si era fatto
trascinare da quella situazione.
Beatris
annuì, allegra. «Io non ci credevo, ma loro hanno
insistito. Mi
hanno detto di attirarti da una parte, facendoti credere di essere in
pericolo, e poi immobilizzarti. Dicevano che ci saresti cascato
sicuramente. Assurdo» scoppiò a ridere divertita.
«Avevano
ragione! Ti ho preso, Reiner!»
Reiner
rilassò i muscoli e riuscì pian piano a
riemergere dalla sua
confusione mentale. Si sentì uno stupido per essere caduto
in una
trappola così ovvia, ma non se ne rimproverò.
Aveva reagito
esattamente come i suoi compagni avevano previsto, e sapeva che
quella volta, per quanto provasse a negarlo a se stesso, la sua
reazione non era stata dettata da niente di calcolato o razionale.
L'aveva sentita chiamare aiuto e l'istinto l'aveva portato a scattare
nella sua direzione. Aveva anche potuto provare a ingannare se stesso
all'inizio dicendo che si era avvicinato a lei perché
l'aveva
creduta una preda facile, qualcuno che avrebbe potuto usare a suo
vantaggio senza problemi, ma negare che le cose col tempo si erano
evolute spaventosamente non sarebbe servito a niente. L'aveva appena
dimostrato persino a se stesso... lui era corso a salvarla. E forse
lo avrebbe fatto ancora. Beatris rideva sopra di lui, divertita da
quella situazione, e più lo faceva più Reiner
sentiva il desiderio
di alzarsi e stringerla tra le braccia. Era come una magia, un
sortilegio in cui era caduto, come uno stolto si era lasciato
intrappolare con una facilità distruttiva. Forse non lo
avrebbe mai
ammesso ad alta voce, forse avrebbe tenuto quel segreto per
sé, ma
Beatris aveva davvero appena catturato e intrappolato tutto
ciò che
lui possedeva e avrebbe mai potuto possedere. Restò qualche
istante
a guardarla ammaliato e infine mormorò:
«Già. Mi hai proprio
preso». E lei non poteva nemmeno immaginare quanto fosse vero.
«Jean»
finalmente Beatris riuscì a trovarlo. Era seduto da solo,
nel
cortile della caserma, in un angolo all'ombra, lontano da qualsiasi
tipo di sguardo. Gli si avvicinò, guardandosi attorno
curiosa. Era
strano per lui isolarsi, nonostante non fosse tra i più
popolari del
loro corpo cadetti cercava sempre comunque compagnia, anche solo per
vantarsi delle sue incredibile doti. «Che fai qui? Non
dovremmo
andare a cucinare per stasera?»
Jean
sospirò, affranto. «Sei sparita per
mezz'ora» le disse.
«Mi
avete detto di tenere Reiner impegnato, l'ho trattenuto per un po',
ma quando siamo tornati sul sentiero non c'eravate
più» si
giustificò lei. Da quella mattina Jean non faceva che
accusarla di
ogni cosa, persino di aver eseguito gli ordini che lui stesso le
aveva detto. Era davvero intrattabile, cominciava a non sopportarlo
più.
«Lo
so... lascia stare» sospirò ancora Jean.
«Che
significa?! Che sta dicendo?»
«Sasha
ha preso il cinghiale» spiegò infine e Beatris
sussultò. «Te lo
sei fatto rubare da sotto al naso!»
«Già»
rispose Jean affranto e questo fece allarmare ancora di più
Beatris.
Si era arreso? Dov'era finita la sua carica combattiva? Quello non
era Jean, cosa gli stava succedendo? «Mi sono fatto fregare
dalla
ragazza patata, è assurdo. Sono davvero un caso
disperato...»
«Non
puoi arrenderti!» gridò Beatris e gli si
lanciò a fianco,
inginocchiandosi vicino a lui. «Non tu!»
Jean
alzò gli occhi al cielo «Senti da che pulpito
viene la predica».
«Senti...»
disse Beatris, e lo guardò severa. «Io davvero non
ti sopporto!»
Fu
di una sincerità improvvisa e disarmante, tanto che Jean,
per quanto
potesse immaginarselo, si ritrovò lo stesso a sorprendersene
e
sentirsi persino un po' ferito. «Ma questo non significa che
debba
abbandonarti al tuo destino! Perciò adesso smetti di fare lo
stronzo
e accetta il mio aiuto, chiaro?» e gli porse un fagottino,
rettangolare, con un fiocco a chiuderlo.
«Che
razza di incoraggiamento sarebbe questo?» la
rimproverò.
«Quello
che ti meriti!» gli rispose a tono e spinse il fagottino tra
le sue
mani, costringendo così a prenderlo. «Te lo ha
portato tua madre»
gli spiegò infine.
«Che?!
È venuta qua?» urlò Jean e la collera
tornò a incendiargli gli
occhi. «Maledetta, mi deve sempre mettere in imbarazzo!
Quella
stregaccia...» non finì di insultarla che venne
colpito all'istante
da uno schiaffo da parte di Beatris. Fece male, ma non tanto quanto
la ferita nell'orgoglio. Beatris era tra le più scarse del
corpo
cadetti, la più debole, e si comportava sempre come una
bambina
ingenua e timorosa. Mai si sarebbe aspettato un gesto simile da parte
sua, mai si sarebbe aspettato che lui, proprio lui, venisse preso a
schiaffi da qualcuno di tanto insignificante.
«Mi
hai fatto male!» le urlò contro, una volta che si
fu ripreso dallo
shock.
«Esattamente
come hai fatto tu!» e Jean sentì aprirsi una
finestra davanti a
lui, tanto improvvisamente che il tonfo delle persiane contro le
pareti lo fecero sussultare. Spalancò gli occhi e li
puntò in
quelli di Beatris. Erano strani, era quasi spaventosa: aveva appena
detto che lui l'aveva ferita, eppure non c'era alcuna traccia di
dolore al loro interno, né di rabbia. Solo... una strana
forza. Come
se avesse davanti a sé un'ardua sfida che era ben
intenzionata a
superare. Non l'aveva mai vista così. Aveva sempre pensato
che fosse
ridicolo che una persona come Reiner, quasi al suo livello, perdesse
tempo dietro ad una nullità come quella, ma
iniziò a chiedersi se
non fosse stato lui a sbagliarsi... se Reiner non avesse visto
qualcosa di completamente diverso, che Jean invece non aveva notato.
Beatris era fuoco vivo.
«Jean»
gli disse lei, approfittando del mutismo in cui lui sembrava essere
caduto. «Io mi sono iscritta all'accademia con l'intenzione
di
arruolarmi al corpo di ricerca, fin dall'inizio sapevo che non avrei
dovuto dare niente di più che la mia vita. Non c'era bisogno
di
essere forti, di essere decisi, non avevo nessuno obiettivo se non
quello di sacrificarmi per la causa. Ed è il motivo che mi
spingeva
a non provarci nemmeno».
«Ma
che stai dicendo? Perché vuoi farti uccidere?»
mormorò Jean.
«Ho
capito che mi sbagliavo» rispose lei repentina. «Il
mio desiderio è
quello di proteggere le persone e non posso farlo da morta, questo
l'ho capito solo adesso. Reiner mi ha aiutata molto, non credo che
sarei mai riuscita a fare niente se lui non si fosse intestardito
tanto nel volermi aiutare, nonostante io fossi la persona
più
rompipalle e problematica del mondo».
«Ma
questo cosa...» mormorò Jean, intenzionato a
chiederle cosa
c'entrasse con lui, ma Beatris lo interruppe e proseguì,
puntandogli
un dito contro. «Perciò io adesso farò
altrettanto!» quasi ruggì.
«Mi intestardirò e aiuterò una delle
persone più problematiche e
rompipalle di questo mondo a cambiare!»
«Eh?!»
continuò Jean, non riuscendo a capire se dovesse sentirsi
offeso o
lusingato.
«Ascolta»
si ammorbidì lei. «Non mi importa se mi farai del
male, sono un
soldato, sono abituata a farmi male. Ma è importante che tu
comunque
capisca quando lo fai a qualcuno perché desideri entrare
nella
polizia militare, e un poliziotto deve essere il primo a capire
quando qualcuno ha bisogno di aiuto. Devi imparare a sviluppare un
po' di empatia o non riuscirai mai ad arrivare dove desideri
arrivare».
«Io
sono empatico» disse lui, offeso, e lei accasciò
le spalle
scoraggiata prima di dirgli sghemba: «Seh, come il gigante
corazzato. Ma per favore!»
«Non
paragonarmi a quei mostri!» gli disse, offeso, e Beatris
d'istinto
gli fece una linguaccia: «Brutto gigante
sghembo!»
«Piantala!»
abbaiò Jean e Beatris mollò la presa, vinta. Si
rilassò,
inginocchiata sui talloni, e gli sorrise per qualche secondo, prima
di indicare il fagotto che lui teneva ancora tra le mani. «Da
quanto
tempo non vedi tua madre?»
Inutile.
L'argomento madre ancora gli dava sui nervi. E nonostante tutti i
buoni propositi, tornò a innervosirsi. «Non lo so
e non mi
interessa» ringhiò ma all'improvviso si accorse di
qualcosa. Ebbe
come una sensazione, un piccolo fremito, che lo spinse a guardare
nuovamente il sorriso armonioso di Beatris. Era così dolce,
da
essere quasi innaturale. E si sentì improvvisamente stupido
nel non
essersene accorto prima... lui non aveva fatto che inveire contro sua
madre, infastidito dalla sua presenza, di fronte a una persona che
aveva perso la propria nel peggiore dei modi. Eppure, nonostante
questo, Beatris non sembrava volerlo rendere partecipe del proprio
dolore. Abbassò le spalle, rattristato, e con un po' di
imbarazzo
disse infine: «Mi dispiace».
Se
possibile, il sorriso di Beatris parve allargarsi ancora di
più,
felice di chissà cosa.
«Visto?»
disse. «Stai già imparando...» e si
alzò in piedi, pronta ad
allontanarsi.
«Imparando...?»
mormorò Jean, non riuscendo a capire subito di cosa
parlasse.
«Mangiati
quel pasto, prima che si freddi. Poi vieni in cucina e vediamo di
inventarci qualcosa per stasera, mi rifiuto di vederti sconfitto
dalla ragazza patata!» e si voltò, come se stesse
cercando di
fuggire. Jean si stupì di riuscire a comprenderla
così a fondo, se
ne stupì soprattutto perché in quei due anni che
avevano
praticamente vissuto assieme non aveva mai nemmeno pensato che ne
avesse uno di fondo. L’aveva sempre creduta solo una stupida
ingenua. Si sorprese di scoprire solo ora che dietro quella maschera
c’era molto di più. Non aveva mai fatto altro che
guardare se
stesso, mai si era soffermato su chi avesse attorno, soprattutto su
chi credeva essere una nullità come lo era lei. E
cominciò a
comprendere molte cose.
"Empatia"
rifletté, capendo solo in quel momento a cosa si riferisse
Beatris
con la sua ultima frase. Avrebbe dovuto imparare a essere
più
empatico, anche con sua madre. In fondo, lei non aveva mai fatto
altro che volergli un gran bene.
«Tris»
la chiamò. Beatris si fermò e si voltò
a guardarlo con una strana
espressione sorpresa. «Grazie» disse Jean infine,
con un
rasserenato sorriso sul volto. Aveva capito, si sentiva già
meglio,
più completo, meno vuoto. Ora sapeva cosa doveva
fare.
«Prego»
gli rispose lei, ma per qualche motivo sembrava esserci qualcosa che
non la convinceva.
«Comincia
pure ad andare, ti raggiungo tra poco» le disse, non capendo
perché
ora lo stesse guardando in quel modo. Beatris annuì e fece
per
voltarsi di nuovo, per andarsene, ma esitò.
«Jean» mormorò
infine, titubante. «Non chiamarmi Tris, per favore»
disse guardando
altrove, rossa in volto, e con un tono di voce che palesemente era
imbarazzato.
«Eh?!»
sgranò gli occhi lui, non capendo quale problema ci
fosse.
«Bea
può andare benissimo!» gli sorrise, ma quel
sorriso sembrava più
finto di qualsiasi altro sorriso che mai avesse fatto. Era palese e
addirittura fastidioso.
«Ma
che dici? Reiner ti chiama sempre così, qual è
tuo problema,
adesso?» chiese Jean, inarcando un sopracciglio per
l'incredulità.
«No,
ti sbagli, non mi ha mai chiamata così» disse lei
e si voltò
dall'altro lato, cercando di non farsi vedere in volto.
«Bugiarda!»
«Beh
nessuno mi ha mai chiamata Tris in vita mia, mi hanno sempre chiamata
tutti Bea, perciò usa Bea anche tu!» gli disse, di
nuovo in preda
alla furia. Tutti i buoni propositi di andare d'accordo, tutte quelle
dolci sensazioni di vicinanza e affetto, erano andate in un fumo in
un attimo. «Che problema ti causa, scusa?» aggiunse
lei,
infastidita.
«Figurati
se è un problema! Voglio solo capire che ti è
preso, adesso?»
«Non
ho assolutamente niente, solo mi infastidisce».
«E
allora dillo anche a Reiner, scusa!»
«Oh,
insomma! Che ti importa a te di come mi piace farmi chiamare da
lui!»
e arrossì. Di colpo. Senza preavviso alcuno. Solo
perché ormai era
troppo tardi per riuscire a rimangiarsi tutto, a riformulare la frase
e farla sembrare meno palese di quanto lo fosse in realtà.
Sentì il
gelo calare nell'intero cortile, ebbe come la sensazione che qualcosa
fosse uscita dal suo corpo -magari la sua anima- e fosse sparita
così, nel nulla, mentre Jean non faceva che fissarla con
sguardo
inebetito e occhi spalancati. Ormai consapevole di quale fosse la
verità.
«Sei
gelosa del nomignolo che ti ha dato?» disse infine,
sviscerando così
il mistero. Non la vide neppure arrivare, sentì solo il
tallone di
Beatris colpirlo in piena nuca e sbatterlo a terra con un
tonfo.
«Idiota!!!»
la sentì ruggire come un animale, e dopo averlo fisicamente
punito
con una forza che nemmeno le apparteneva, se ne andò
lasciando Jean
lì, dolorante col viso schiacciato a terra... ma il
fagottino
fortunatamente intatto.
Nda.
Sta
follia culinaria non è merito della mia psiche malata, ma si
tratta
di un OAV che ho preso “in prestito” xD Non ricordo
il titolo o
il numero, ma è incentrato su Jean e sul suo rapporto con la
madre.
Era simpatico, volevo approfondire un po’ di cose in
serenità,
perciò eccolo qua! Sono molti gli elementi usciti fuori da
questo, a
partire dal rapporto Jean-Tris, che si detestano particolarmente (lui
la crede una nullità stupida, lei uno spocchioso
antipatico). Ma
soprattutto Reiner che comincia ad accettare i suoi sentimenti, ad
arrendersi in realtà più che accettare. E quella
frase, che come
potete intuire, è molto importante visto che è
anche il titolo
della storia…
“Ti
ho preso, Reiner” :3
Nel
prossimo… ci sarà una svolta importante! Vi
aspetto numerosi!
La
canzone di oggi è dedicata a Tris, alla sua forza che inizia
a
emergere, a lei che inizia ad avere i primi successi (e non solo
nell’esame, ma anche mostrando il suo vero carisma anche a un
antipatico come Jean, fino a scuoterlo un po’). Non
è nulla di
che, ma essendo un capitolo così leggero e pieno di allegria
cercavo
qualcosa che facesse da “sottofondo musicale”. Il
mood è quello
giusto :3
Enjoy!
https://www.youtube.com/watch?v=iZ3JYsc3yyY&ab_channel=LittleRockstar97
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
Jean
spalancò la porta della cucina con tale furia che questa
sbatté
contro la credenza a fianco e fece tintinnare tutti i bicchieri.
«Ho
trovato!» urlò, senza neanche guardare chi ci
fosse dentro quella
cucina.
Beatris,
appoggiata a un bancone, sussultò dallo spavento e
urtò una pila di
pentole, bicchieri, padelle e piatti che erano state messe l'una
sopra l'altra a formare una torre. Una posizione insolita, che ne
causò il crollo definitivo non appena lei lo
toccò, nello spavento.
Cercò di salvare il possibile, si dimenò come un
pesce fuor
d'acqua, afferrò un bicchiere, tirò per sbaglio
un calcio a una
padella, provò a prendere una pentola, ma perse infine
l'equilibrio
e il resto delle cose finì col caderle addirittura
addosso.
Dall'altro
lato della cucina, Sasha, Connie e Reiner alzarono solamente gli
occhi per controllare cosa fosse appena successo, ma non intervennero
per salvare l'amica dalla disgrazia. Si assicurarono dalla loro
posizione che fosse tutto a posto, e appurata la sanità di
Beatris
tornarono a cucinare, troppo immersi e impegnati per preoccuparsi
d'altro. Armin, di fianco a Beatris, sussultò e le si
inginocchiò
vicino. Le tolse una pentola da sopra la testa che le copriva il
volto e le chiese, spaventato: «Stai bene?»
«Mi
hai fatto prendere un colpo, Jean!» rimproverò
questa, puntando un
dito contro il ragazzo sul ciglio della porta.
«Che
stavi combinando?!» chiese Jean, guardando ciò che
restava della
torre di stoviglie e pentole.
«Mi
annoiavo! Ti stavamo aspettando» gli ruggì contro,
arrabbiata con
lui come fosse stata colpa sua. Armin si alzò in piedi e
cominciò a
sistemare silenzioso, e da solo, tutto il disastro che era appena
stato causato.
«Potevi
evitare di usare anche la ceramica, però»
sospirò, prendendo una
scopa e iniziando a spazzare via i cocci da terra. Ma Beatris nemmeno
lo ascoltò, troppo impegnata ora a litigare con Jean.
Passava da un
insulto a un altro senza alcuna logica, accusandolo di qualsiasi cosa
le passasse per la testa. Probabilmente c'era qualcosa nel sangue
della famiglia di Eren che li portava a non andare d'accordo con
Jean, sembrava così assurdamente simile a lui ora. E
proseguirono,
rumorosi, come due bambini, fino a quando non intervenne Connie,
dall'altro lato della cucina.
«Smettetela
voi due, qui stiamo cercando di lavorare!» gridò,
infastidito.
Il
bisticcio tra Beatris e Jean era così senza senso e
così
superficiale, che bastò veramente quel misero rimprovero a
zittirli.
«Ho
trovato cosa cucinare» disse Jean, tornando improvvisamente
sereno.
«Sul serio?!» chiese Beatris, assurdamente anche
lei più serena,
anzi addirittura entusiasta. Jean annuì, deciso, e
poggiò un
cartone di uova sul banco con determinazione, mostrandole
così a
Beatris e Armin. Non disse niente, aspettò la loro reazione,
che non
tardò ad arrivare.
Confusi,
ma curiosi: «Un pasticcio?» chiese Armin.
«Una
torta?»
«Forse
qualche ricetta particolare con le uova? Un modo nuovo di
cucinarle?»
ipotizzò Armin, guardando Jean che con orgoglio negava tutte
quelle
proposte. E infine disse: «Faremo
un’omelette».
Nessuna
reazione. Da parte dei due compagni non vi fu alcuna reazione, alcuna
parola, se non uno sguardo vacuo colmo di confusione. Persino gli
avversari, dall'altro lato della cucina, si fermarono per un istante
a guardare Jean sorpresi. Era forse impazzito?
«Jean,
perché hai deciso di perdere?» gli chiese infine
Beatris,
sconsolata.
«Non
voglio perdere!» ringhiò lui e strinse un pugno,
determinato.
«Fidatevi di me! Vinceremo con questo piatto!»
«Loro
però hanno della carne...» mormorò
Armin, preoccupato.
«Bea!»
chiamò Jean e lei si drizzò come un soldatino.
«Hai detto che
volevi aiutarmi, giusto?!»
«Sì!»
rispose, come avrebbe risposto a un capitano.
«E
allora aiutami a rendere questo semplice piatto
indimenticabile!»
«Possiamo
farlo?» chiese Armin, improvvisamente interessato.
«Non
sono gli ingredienti a fare la differenza, non lo capite?»
Jean
iniziò ad animarsi, a riempirsi d'eccitazione, come se si
fosse
trovato di fronte a un esame o, ancora peggio, a un'intera orda di
giganti e fosse lì a dover motivare i propri soldati.
Strinse i
pugni, puntò gli occhi in quelli dei due compagni e
irrigidì le
spalle. «È facile essere i più forti
della squadra quando si ha
una prestanza fisica robusta per natura» e indicò
Reiner, intento a
girare delle verdure all'interno di una padella. Questo si
voltò a
guardarli, sorpreso di sentirsi preso in causa. «È
facile essere i
più forti quando ce l'hai nel sangue, il migliore quando sei
nato
con una predisposizione innata, è facile essere buoni
cacciatori
quando sei nata tra i lupi».
«Ehy»
lamentò Sasha, sentendo che quel commento in particolare era
rivolto
a lei. «O essere considerato imprevedibile quando sei scemo
dalla
nascita».
«Dacci
un taglio, Jean!» ringhiò Connie, capendo per
chissà quale
connessione che quello invece era rivolto a lui.
«È facile quando
nasci già perfetto, non c'è alcuna sfida, nessun
tipo di
competizione. Ma noi... ragazzi, noi siamo polvere! Veniamo dalla
miseria, siamo nati senza nessuna dote particolare, ed è per
questo
che saremo fantastici più di chiunque altro
perché la nostra forza
ce la siamo guadagnata!»
«Ma
non stava parlando delle uova?» mormorò Reiner,
alzando un
sopracciglio.
«I
nostri successi saranno più incredibili di chiunque altro
perché
noi, solo noi, possiamo dire di avercela davvero messa
tutta!»
continuò Jean, sempre più infervorato.
«Ragazzi! Noi siamo quelle
uova, riuscite a capirlo? Spetta a noi e a nessun altro renderle
uniche e perciò migliori di qualsiasi filetto di carne che
esista al
mondo! Siete con me?!»
«Daremo
il massimo, Jean!» quasi gridò Armin, battendosi
addirittura un
pugno al petto in segno di saluto militare.
«Quel
ragazzo ha delle doti da leader da non sottovalutare»
commentò
Reiner, guardando sorpreso come fosse riuscito a far emozionare
entrambi con così poco. In fondo, erano solo
uova...
«Bea!»
scattò Jean e le mise entrambe le mani sulle
spalle,
guardandola dritta negli occhi. Non aveva ancora detto niente, ma
riusciva a leggerle nelle pupille che aveva fatto centro. Il suo
discorso era riuscito ad emozionarla abbastanza, ora doveva solo
darle la carica giusta. «Ti fidi di me?» e le
sorrise, riuscendo a
infonderle una sicurezza incredibile. Beatris restò come
paralizzata
per qualche secondo, senza riuscire neanche a battere le palpebre, a
fissarlo con lo sguardo che le brillava dall'emozione. Talmente
rapita, da tenere le labbra dischiuse e non essere nemmeno in grado
di chiuderle. Lei era solo un uovo. Come aveva fatto a non pensarci
mai prima? Sarebbe diventata l'omelette perfetta.
«Sì»
mormorò infine, come rapita in un incanto. «Mi
fido di te, Jean».
«Reiner!»
urlò improvvisamente Sasha, allarmata. «La salsa!
La stai
bruciando!»
Reiner
urlò allarmato e d'istinto prese la padella per toglierla
dal fuoco,
ma la prese troppo vicina al bordo, senza usare le presine, troppo
spaventato per il danno da riuscire a ragiornarci su. La
sollevò dal
fuoco, ma si ustionò e lasciò cadere infine la
padella a terra
rovesciandone tutto il contenuto.
Sasha
lanciò un grido allarmato, si portò le mani ai
capelli e guardò il
disastro a terra. «La mia salsa!» disse, ormai in
lacrime. «Oh no,
che disastro» si disperò Connie, al suo fianco,
mentre Reiner in
preda alla confusione si teneva la mano ustionata stretta nell'altra.
«Mettila
sotto l'acqua fredda!» disse Beatris, improvvisamente vicino
a lui.
Gli comparve alle spalle e lo spinse vicino al lavandino, trascinando
la mano sotto il getto dell'acqua. Alle loro spalle Armin
fiancheggiò
Sasha, inginocchiata a terra, e le accarezzò affettuosamente
la
schiena mentre questa singhiozzava davanti alla sua salsa rovesciata.
«Avete
tempo, ne preparerete dell'altra» provò a
consolarla. Jean arrivò
pochi istanti dopo, con due stracci e un secchio pieno d'acqua. Ne
passò uno a Connie e prese lui per primo a chinarsi per
iniziare a
pulire. «Non sarà certo una cosa del genere a
distruggere la
competizione» disse, prima di puntare lo straccio pieno di
salsa a
Sasha e dirle: «Ricominciate a capo! Preparate la salsa
migliore che
sapete fare, batterò qualsiasi cosa! Anche la più
fantastica!»
«Non
abbiamo più prezzemolo, né carote!»
esclamò Connie, rovistando
nella busta dove avevano messo tutti gli ingredienti. E Sasha
urlò,
più disperata che mai.
«Avevate
comprato gli ingredienti contati?!» sussultò
Armin, sorpreso.
«Li
abbiamo usati tutti per rendere la salsa più gustosa che
mai».
«Potremmo
dargliene un po' dei nostri, Jean ne ha comprati molti»
propose
Beatris, tenendo ancora la mano di Reiner sotto il getto d'acqua
fredda. Jean la fulminò, furioso, e disse: «Non se
ne parla!»
E
Sasha urlò ancora più forte, in preda alla
disperazione.
«Mi...
Mi dispiace» balbettò Reiner, che fino a quel
momento era rimasto
come paralizzato. Lo sguardo truce, lacerato dai sensi di colpa, e
soprattutto da una profonda vergogna. Si era lasciato distrarre dai
discorsi di Jean, e soprattutto quando aveva visto lui e Beatris in
atteggiamenti così intimi. Inizialmente curioso, si era
chiesto
quando quei due fossero diventati amici, ma poi qualcos'altro aveva
iniziato a muoversi nel suo stomaco, l'aveva fatto irrigidire, e non
era riuscito a schiodare lo sguardo da quei due. Era stato stupido,
il suo nervoso ingiustificato l'aveva portato a quel disastro.
«A
che ti serve tutta quella roba, dobbiamo preparare solo
un'omelette?»
insisté Beatris e Jean rispose deciso: «Non
è solo un'omelette! È
l'omelette! L'omelette suprema! Si chiamerà l'omelette
corazzata!»
Reiner
ebbe un sussulto e d'istinto tolse la mano da sotto al getto
dell'acqua fredda, per ritrarsi, per indietreggiare, improvvisamente
allarmato. Ma Beatris gliel'afferrò, contrariata, e la
riportò al
suo posto, senza chiedersi il motivo di un tale allarme.
«Ma
che stai dicendo?! Che razza di nome sarebbe?»
continuò a ruggire
contro Jean.
«È
la mia omelette, Beatris! Sarà l'omelette che
risveglierà i sensi,
dal guscio croccante e il cuore morbido, sarà l'omelette che
mi
riscatterà! Trasmetterò il mio saper essere
empatico attraverso
quel piatto, dimostrerò di essere migliore di chiunque altro
con la
mia omelette corazzata!» era puro delirio per chiunque non
fosse
Beatris, ma anche per lei in realtà fu non proprio del tutto
chiara.
«Ma...
di che state parlando?» provò a balbettare Reiner,
più nervoso che
mai.
«Voi
mi credete empatico quanto il gigante corazzato, non è
così?»
chiese Jean, corrucciato.
«Non...
sappiamo se... come fate a dire che il corazzato...»
balbettò
ancora Reiner, ma non riuscì neanche a formulare un
pensiero.
Parlavano del corazzato come se lo conoscessero, come se sapessero la
verità. Si sentì in pericolo, iniziò
persino a sudare freddo.
«Ma
che stai sparando?!» ruggì Connie. «Il
corazzato è un dannato
gigante, come fa ad avere emozioni, spiegamelo?!»
«Esattamente!
Beatris ha detto che ho l'empatia del gigante corazzato, e io
dimostrerò che non è vero con la mia omelette
corazzata dal cuore
tenero!» rispose Jean euforico, per poi tornare a dannarsi
con:
«Argh! Vi ho svelato fin troppo!»
Ma
a quel punto nemmeno Beatris lo ascoltava più. Tenendo fermo
il
polso di Reiner, per tenergli la mano sotto l'acqua, aveva iniziato a
sentirlo tremare. C'era qualcosa che non andava. Stava fissando un
punto in silenzio, come vuoto, vacuo, con mascella e muscoli tesi e
la pelle della fronte aveva cominciato a inumidirsi appena di sudore.
Lasciò Connie e Jean dietro di lei bisticciare sulla teoria
del
corazzato empatico, con Connie che non riusciva a comprendere quella
metafora che invece per Jean era a dir poco perfetta, ma si
concentrò
su Reiner al suo fianco. Gli si accostò di più,
così da riuscire a
parlargli senza dare troppo nell'occhio, e mormorò
semplicemente:
«Reiner».
Reiner
sobbalzò come se fosse appena stato toccato da uno spettro,
tanto
forte che persino Beatris si spaventò. Si sporse poi in
avanti,
cercando preoccupata il suo sguardo. Era pallido, madido di sudore,
c'era ovviamente qualcosa che non andava. Allungò una mano
verso il
suo volto, intenzionata a scostargli dagli occhi una ciocca di
capelli per riuscire a vederlo meglio e provare inoltre a toccargli
la fronte, chiedendosi se non gli stesse salendo la febbre o qualche
tipo di malanno. «Stai bene?» gli chiese
preoccupata, nel gesto, ma
Reiner con una rapidità inaspettata tirò via la
mano ustionata
dalla sua presa, indietreggiò e scacciò via con
l'altro braccio la
mano che Beatris aveva provato ad allungare verso il suo volto.
«Sto
bene» disse, glaciale come l'inverno. Si voltò,
prese uno straccio
da sopra il mobile e lo usò per avvolgersi la mano ferita.
Una
reazione non solo inaspettata, ma del tutto nuova. Mai l'aveva
trattata con tale freddezza, nemmeno quando si erano conosciuti. La
preoccupazione di Beatris salì alle stelle, rapida come un
razzo, e
non solo ignorò il continuo blaterare tra Jean, Armin,
Connie e
Sasha alle sue spalle, ma iniziò persino a trovarlo
fastidioso.
«Reiner,
che ti prende?» gli chiese, allarmata, e provò
ancora ad
avvicinarsi. Gli poggiò una mano sulla spalla, chiedendogli
con quel
gesto di voltarsi e guardarla, ma sentì i suoi muscoli
irrigidirsi
ancora di più al tocco. Reiner si voltò di
scatto, le colpì la
mano così da scacciarla e le ringhiò, contro,
improvvisamente
furioso: «Insomma, la smetti di gironzolarmi sempre
attorno?!» Il
resto dei loro compagni si zittì improvvisamente.
«Lasciami in
pace, ogni tanto, Beatris!»
Neanche
un'ora prima lei aveva realizzato quanto amasse essere chiamata Tris
solo da Reiner, tanto da essere gelosa di quel nomignolo, tanto da
voler impedire a chiunque altro di usarlo, e ora lui non solo la
trattava improvvisamente come una nemica ma aveva anche scelto di
smettere di usarlo. Beatris restò come paralizzata. Si
portò la
mano colpita al petto, se la strinse tra le dita dell'altra mano, e
restò lì, pallida, a fissarlo in silenzio mentre
lui la guardava
come se avesse avuto davanti un demone. L'aveva colpita forte,
Beatris sentiva le dita pulsare, non era stato solo un gesto.
Sembrava che improvvisamente qualcosa in Reiner gli avesse detto che
doveva non solo allontanarla, ma attaccarla... come se fossero
improvvisamente nemici.
E
lo sguardo che le stava rivolgendo in quel momento pareva confermare
quella teoria. Da dove aveva tirato fuori tutto quell'odio,
all'improvviso? Mai, prima di allora, l'aveva visto in quelle
condizioni.
Reiner
si voltò, si strinse la mano ferita nello straccio, e si
allontanò
a passi pesanti, diretto alla porta. «Vado in
infermeria» comunicò.
«Ehy!»
Connie saltò in piedi, prima che Reiner potesse uscire.
«Che
diamine ti è preso? Sei impazzito?»
Ma
Reiner lo ignorò e se ne andò.
Camminò
a passo spedito lungo i corridoi del centro d'addestramento, ma non
si diresse in infermeria. Si allontanò, non seppe bene
nemmeno lui
dove era diretto, ma voleva andare il più lontano possibile
da lì.
Uscì fuori, si allontanò lungo la via, per le
strade, e senza
accorgersene si ritrovò nella stessa foresta dove avevano
cacciato
il cinghiale quel pomeriggio. Ormai era sera inoltrata, presto
avrebbe fatto buio, ma non gli importava. Aveva bisogno di
allontanarsi da tutto, il più velocemente possibile. Tutto
quello
era decisamente troppo per lui. Si era autoproclamato a capo della
spedizione contro Paradis quando Marcel era morto, si era sentito in
grado, voleva essere in grado di farlo e si era rafforzato nel corpo
e nella mente per anni per riuscirci. Era diventato sempre
più una
macchina da guerra, ma in tutto quello c'era stata una falla, che era
diventata enorme prima che potesse accorgersene. No, in
realtà non
era così, in realtà se n'era accorto subito,
semplicemente aveva
deciso di ignorarla. Era partita da Beatris, ma presto si era
allargata anche a tutto il resto dei ragazzi lì dentro.
Connie,
Sasha, Armin, Marco e Jean... e poi Eren, Mikasa, persino Ymir,
Christa... nessuno escluso. Aveva iniziato a provare dei veri
sentimenti per tutti loro, senza proteggersi, credendosi forte
abbastanza da potersene poi liberare con una scrollata di spalle. Non
sapeva quando fosse successo, non sapeva come fosse iniziato, aveva
creduto di avere il controllo fino all'ultimo. Si era sentito forte
abbastanza fino all'ultimo, fino a quando ormai non era stato
più
nemmeno in grado di rialzarsi, schiacciato dal suo stesso gigante
corazzato come in quegli incubi che ogni tanto lo tormentavano. Aveva
creduto di essere forte abbastanza, ma si era sbagliato. Si era
affezionato, si era affezionato profondamente a tutti loro, e aveva
provato gioia, tristezza, euforia, rabbia, e molto altro ancora.
Emozioni, sentimenti, ricordi che per sempre lo avrebbero tormentato
perché lui lì stava cominciando a starci
veramente bene. A sentirsi
a casa. Lui lì era in pace... e ingannando se stesso, vi si
era
crogiolato dentro, a quel benessere, convinto che non avrebbe poi
potuto nuocerlo se ne fosse approfittato solo un po'. Ci era annegato
dentro, ed era stato comunque così bello e piacevole che non
gli era
importato. Troppo concentrato sul presente, aveva dimenticato il
passato e cercava di non pensare al futuro, solo godersi quei
meravigliosi momenti insieme. Ma non poteva dimenticare, non avrebbe
mai potuto.
Lui
era il gigante corazzato.
E
loro, tutti loro, compresa Beatris... lo odiavano.
Si
accasciò vicino a un albero, accecato da una fitta alla
testa
intollerabile. Si portò una mano alle tempie e si strinse
tanto che
quasi si fece male. Quando cominciò a riprendersi
spostò la mano da
davanti agli occhi e vide che ancora era coperta dallo straccio
rubato dalla cucina del centro. Se lo tolse appena in tempo per
vedere l'ultimo accenno del rossore dell'ustione svanire, emettendo
un lieve vapore. Il potere del gigante aveva appena finito di
guarirlo e di ricordargli di quale tremendo fardello e maledizione
fosse portatore. Poteva ingannare se stesso, convincersi che poteva
stare lì dentro come niente fosse, provando emozioni,
affezionandosi
a loro, ma non avrebbe mai potuto cancellare la verità. Lui
era quel
gigante, lo sarebbe stato per altri dieci anni, che l'avesse voluto o
meno. Se solo non fosse nato a Marley...
Un
peso gli cadde pesantemente sulle spalle, spingendolo in avanti,
facendogli quasi male. Si lamentò, cercò di
tirarsi su, e riuscì
solo in quel momento a riconoscere nel peso che gli era atterrato
sulla schiena un corpo. Delle braccia gli cinsero il collo
delicatamente e un volto si affacciò oltre la sua spalla.
«Ti
ho preso, Reiner» mormorò Beatris vicino al suo
orecchio, allegra,
come se niente fosse appena successo. Un contatto che per un istante
gli fece battere il cuore più del dovuto. E
l'odiò.
«Tris...»
balbettò Reiner, ricoprendosi rapidamente la mano prima che
lei
avesse potuto vederla. «Cosa... mi hai seguito?»
«Hai
il passo bello spedito, non è stato facile»
sospirò lei,
lasciandolo andare e mettendosi a sedere al suo fianco. «Come
stai?»
gli chiese poi.
«Dovrei...
essere io a chiederlo a te» mormorò lui, confuso
per la reazione di
Beatris, ma soprattutto rammaricato. Lei l'aveva guardato con uno
sguardo che mai le aveva visto in volto, una tristezza profonda che
non avrebbe mai voluto vederle addosso. Solo ripensarci gli faceva
attorcigliare le budella nello stomaco. Beatris sospirò e
puntò lo
sguardo triste alla punta dei propri piedi, ma aspettò un
po' a
rispondere, pensierosa. «Mi dispiace non essermene accorta
prima...»
disse infine e Reiner ebbe un altro fremito. Accorgersi di cosa? Lo
aveva scoperto? Sentì di nuovo la paura accecarlo, ma
ciò che più
lo fece innervosire fu rendersi conto che quella era paura di perdere
ogni cosa lì dentro, paura di far finire quell'incredibile
sogno,
invece che paura di fallire la propria missione. Aveva seriamente
iniziato a voltare le spalle a Marley?
«Tutte
le volte che abbiamo accennato al gigante corazzato hai sempre
reagito molto male, non gli ho mai dato peso ma avrei dovuto»
mormorò e Reiner iniziò a tremare come una
foglia. Di nuovo una
fitta alla testa sembrò squarciargli l'anima.
Indietreggiò appena
col busto, provò a trascinarsi via, e balbettò:
«Tris...
ascoltami, per favore...» ma non ebbe la forza mentale di
proseguire. Cosa avrebbe mai potuto dirle? In che modo avrebbe potuto
uscire da quell'orrenda situazione? Ormai aveva perduto ogni cosa,
ormai aveva fallito, forse avevano addirittura già dato
l'allarme e
Bertholdt e Annie erano già stati presi. E la colpa era solo
sua.
«Reiner,
io posso capire la tua paura» gli disse Beatris, voltandosi e
poggiandogli una mano su un ginocchio. «E la tua rabbia.
Posso
comprenderla e condividerla».
«Comprendere...?»
mormorò Reiner, in preda alla confusione. Che non stessero
parlando
della stessa cosa? Che avesse frainteso?
«Anche
io mi agito molto quando si parla del gigante corazzato, per questo
mi odio per non averlo visto prima. Provavamo esattamente le stesse
cose, ma non ti ho mai dato peso. Mi dispiace, Reiner. Lo
dirò anche
agli altri, non parleremo mai più di lui. Ma se mai un
giorno ti
sentissi scoppiare e sentissi il bisogno di sfogare tutta quella tua
rabbia, puoi contare su di me» gli sorrise, dolce come solo
lei
sembrava essere in grado di fare. «Fidati, so cosa significhi
perdere ogni cosa per colpa sua. Io condivido il tuo stesso
dolore».
Una
fitta lacerò il petto di Reiner, tanto potente, tanto
violenta che
per un lungo istante gli tolse la coscienza di sé. E senza
accorgersene tornò a tremare e sudare, in preda alla follia.
I
muscoli tanto tesi che iniziarono a fargli un gran male, ogni cosa
era doloroso, ogni cosa lo portava lentamente verso la pazzia. Si
sentiva come affogare, come morire.
«È
stato lui... a...» balbettò, ma non
riuscì a proseguire a causa di
una morsa al collo che gli tolse non solo la parola ma proprio la
capacità di respirare. Beatris annuì e lo sguardo
che teneva fisso
ai propri piedi si riempì di un dolore intenso,
insostenibile, ma di
cui si fece carico e forza per poter condividere tutto quello con
Reiner. Sapeva, pensava, che se fosse stata forte abbastanza da
parlarne, allora anche lui si sarebbe sentito più leggero
perché
meno solo in tutto quel mare di follia. Ma si sbagliava, quanto si
sbagliava!
Non
poteva saperlo... che tutto quello avrebbe solo cancellato
ciò che
restava del guerriero marleyano, rendendo Reiner ancora più
vittima
della sua follia.
«Quando
il gigante corazzato è corso lungo la via centrale per
raggiungere
il Wall Maria, ha sfondato tutto ciò che trovava. Tra quelle
case,
c'era anche la mia. Mio padre si trovava ancora all'interno, ci aveva
mandate via, me, mia madre e mia sorella, per raggiungere la barca
che ci avrebbe portato in salvo dentro le mura, ma lui si era
trattenuto per cercare di portare via quanti più medicinali
possibili. Era un farmacista, lavorava spesso con il padre di Eren, e
sapeva che una volta al sicuro ci sarebbe stato bisogno del suo
aiuto. Ci disse che sarebbe passato poi a prendere Carla, la madre di
Eren, e ci avrebbe raggiunti, ma una volta in strada abbiamo visto il
corazzato travolgere casa nostra. Sono certa che papà fosse
ancora
dentro, lo avevamo lasciato da poco, e dopo non sono più
riuscita a
ritrovarlo. Non l'ho visto morire con i miei occhi, ma non
può
essere sopravvissuto... anche perché altrimenti ci avrebbe
cercate,
una volta al sicuro. Invece non l'ho più visto» si
fermò per
qualche secondo, prendendo un paio di boccate d'aria, cercando di
alleviare il dolore al petto che la stava inghiottendo nel dover
ricordare e raccontare quei particolari. Non si sarebbe aspettata
alcuna risposta di Reiner, probabilmente la cosa faceva male anche a
lui, che da come aveva falsamente intuito aveva vissuto qualche
tragedia simile alla sua. Ma si voltò comunque a guardarlo,
chiedendosi come stesse, e lo trovò ancora paralizzato.
Immobile, se
non per l'intenso tremore che ancora lo scuoteva da capo a piedi.
Sospirò, in cerca di coraggio, e proseguì.
«Noi ci trovavamo su
quella stessa via, qualche metro più avanti, ma dopo aver
sentito il
fragore ci siamo voltate a guardare cosa stesse accadendo. Abbiamo
visto casa nostra andare in pezzi e il gigante corazzato che correva
nella nostra direzione, puntando il Wall Maria alle nostre spalle.
Mia madre aveva in braccio Rose e io correvo al suo fianco,
aggrappata al suo vestito. Siamo scappate in una via perpendicolare,
mamma è riuscita a trascinarmi via, ma nella foga Rose si
è fatta
sfuggire di mano il suo coniglietto di peluche, Kitty. Sapevo quanto
significava per lei, e al tempo ero solo una bambina che poco capiva
cos'era il pericolo, perciò sono tornata indietro per
riprenderlo,
per terra, su quella via che stava andando in pezzi metro dopo metro.
Non mi sono mai chinata a raccogliere il pupazzo, ho guardato il
gigante che mi correva incontro, e lì sono
rimasta...» un sorriso
sarcastico le storpiò per un istante il viso. Quello era il
suo
difetto più grande, Reiner stesso glielo aveva fatto notare,
ed era
la verità. Era tutto nato quel giorno. «Mi sono
paralizzata. Di
fronte al terrore, mi sono paralizzata… come
sempre» ebbe un
fremito e si chiuse per un attimo in se stessa, pronta a nascondere
il volto tra le ginocchia. Ma si fermò. Fece un altro
sospiro
profondo e cercò di distendersi. «Ho ancora nei
miei incubi quel
mostro che mi corre incontro, a passi pesanti, schiacciando e
sfondando tutto ciò che incontra».
L'incubo
che in quegli anni aveva tormentato Reiner, scoprì in quel
momento
non essere il suo. Era l'incubo di Beatris. Lui tutte le notti
sognava di essere lei, e si vedeva mentre furioso gli correva
incontro, pronto a schiacciarla. Non si chiese nemmeno come facesse a
conoscere quel particolare, perché in un improvviso
flashback riuscì
a ricordarlo. E nemmeno ascoltò il resto del racconto di
Beatris,
avendolo finalmente ben chiaro in testa.
Ecco
cosa il suo cervello aveva provato a dirgli, quando aveva visto
Beatris la prima volta nella cattedrale: quella bambina lui l'aveva
già vista. Si era incuriosito tanto a lei, si era sentito
attratto,
l'aveva seguita con lo sguardo perché lui l'aveva
già vista. E si
era da sempre sentito responsabile per lei, come se le dovesse
qualcosa, come se fosse sua responsabilità... e lo era
davvero. Era
tutta colpa sua, e solo ora lo ricordava. Nel caos di Shiganshina,
stremato dal viaggio, mentre lui stesso cercava di scappare dai
titani che cercavano di mangiarlo, con Annie e Bertholdt protetti
dentro le proprie mani, il suo sguardo si era puntato improvvisamente
su quel punto. Davanti ai suoi piedi, unica figura immobile mentre il
resto delle persone si disperdeva come uno sciame, lei era rimasta
lì. Vestita di una vestaglia logora, la stessa della
cattedrale, con
un pupazzo abbandonato ai propri piedi. L'aveva guardato con lo
sguardo vacuo, terrorizzato, e solo ora si accorse che era lo stesso
identico sguardo che lei gli aveva rivolto poco prima nella cucina.
Un terrore in grado di paralizzarla, un terrore che la inghiottiva
completamente. Non c'era stato che caos, quel giorno, aveva ucciso
centinaia di persone e nemmeno se n'era accorto troppo concentrato a
correre e lottare con la fatica. Ma lei l'aveva vista. E le aveva
pregato di scappare...
Spostati,
stupida!
Aveva
urlato, ma ovviamente il suo titano non poteva ripetere ciò
che lui
diceva, non sapeva parlare, e quella frase disperata si era tradotta
in un ruggito che probabilmente aveva solo peggiorato la sua paura.
Non poteva fermarsi, non l'avrebbe fatto, e non poteva nemmeno
preoccuparsi di provare a schivarla o avrebbe perso lo slancio della
corsa. E lei era rimasta lì, immobile, a guardarlo come
avrebbe
guardato il peggiore dei mostri. Reiner aveva chiuso gli occhi e
aveva continuato a correre, costringendosi a non preoccuparsene.
Aveva percepito il corpo che veniva schiacciato sotto al piede,
l'aveva sentito chiaramente, più di qualsiasi altro corpo,
ed era
stata una sensazione orribile. Era stato convinto di averla uccisa e
probabilmente per quel motivo il suo cervello aveva cancellato quel
ricordo, dicendogli di aggiungere quella vittima alla lista delle
vittime di cui si sarebbe dovuto fare carico. Un volto ignoto in
mezzo a mille altri volti ignoti, l’aveva rimossa per
difendere se
stesso dalla follia. Quando l'aveva rivista nella cattedrale
probabilmente una parte remota del suo cervello l'aveva riconosciuta,
ma con la convinzione di averla uccisa non era riuscito a
ricollegarla a quella bambina, a ricordarsene. Anche perché
lo
sguardo che aveva avuto Beatris in quela cattedrale era decisamente
diverso da quello che aveva avuto a Shiganshina. Ma il suo istinto
aveva stimolato tutte le emozioni e i sensi di colpa che avrebbe
dovuto stimolare, così lui era rimasto rapito da lei,
curioso, senza
saperne il perché. Senza sapere che il suo cuore aveva
silenziosamente iniziato a sperare di avere un modo per potersi
redimere, proteggendo quella ragazzina, come se fosse stata mandata
lì apposta per lui, per dargli
un’opportunità. Tutte quelle morti
erano troppe da sostenere per un bambino, indipendentemente
dall’addestramento ricevuto, indipendentemente dalla sua
ideologia
e convinzione. Proteggere Beatris lo faceva sentire meglio…
e ora
cominciò a capire il perché. Lui le stava
chiedendo perdono.
«Mi
avrebbe preso» sentì raccontare Beatris.
«Se mia madre non fosse
uscita all'ultimo dal viottolo dove era scappata. Mi ha presa per un
braccio ed è riuscita a lanciare via sia me che mia sorella,
un
istante prima che quel mostro la schiacciasse nella sua corsa. Ho...
visto chiaramente mia madre mentre...» tremò
ancora e questa volta
faticò a trattenere una lacrima, che si affrettò
a cacciar via,
ripulirsi. Sfoderò la sua arma migliore, quel sorriso falso
quanto
delicato che tanto la faceva sembrare un angelo ma che serviva a
nascondere il proprio dolore. «Il piede del gigante corazzato
mi ha
sfiorato, prendendo invece mia madre, e nel passare ha travolto altre
case e provocato altre macerie. È così che mia
sorella è rimasta
ferita, le è caduta addosso una grata di ferro che le ha
lacerato
una gamba. Pochi istanti dopo è arrivato un membro della
guarnigione
a raccoglierci, ci ha portate via e ci ha fatte arrivare sane e salve
fino a qui, a Trost. Dopodiché, poche settimane dopo, anche
Rose è
morta a causa dell'infezione e io... io...» iniziò
a tremare. «Non
ho potuto... per colpa mia, prima mia madre, poi...»
deglutì e
scosse la testa, frustrata. Era riuscita a essere forte, a raccontare
tutto con tranquillità fino a quel momento. Erano passati
anni,
sapeva di averla superata, aveva superato quel terrore e quel senso
di impotenza, era riuscita a ritrovare la forza e il desiderio di
continuare a vivere, una motivazione. Era riuscita a tornare a vivere
grazie a Reiner, poteva farcela, poteva confessare quel
crimine.
«Sono
morte perché non sono stata in grado di proteggerle. Ho
sempre
pensato che sarebbe stato meglio se fossi morta io, invece che mia
madre, perché così avrebbe saputo curare Rose e
allora almeno loro
sarebbero sopravvissute. Così invece non sono che rimasta
io, sola
con i miei sensi di colpa... e fino a l'anno scorso era convinta di
non avere nessuna motivazione per continuare a restare qui, che non
mi restasse niente, perché anche Mikasa, Eren e Armin si
sarebbero
fatti uccidere volontariamente da quei mostri unendosi al corpo di
ricerca. E io sarei rimasta ancora una volta a guardare, paralizzata
dalla paura. Ho pensato che dovevo reagire, che dovevo prendere il
loro posto, come avrei dovuto fare con mia madre, e ho iniziato a
camminare volontariamente verso la mia distruzione. A rincorrere il
modo più giusto per uccidermi. Ma poi tu...» e si
voltò finalmente
a guardarlo, sorridendogli solare, pronta a rivelargli quanto lui
fosse stato importante per lei, ma si paralizzò. Reiner,
immobile
come una statua, con una mano a coprirgli occhi, stava piangendo
silenzioso. Per quanto si sforzasse di premere la mano sugli occhi,
non poté fare niente per impedire alle lacrime di lavargli
completamente il viso. Serrava i denti, strozzava i singhiozzi, ma
non poteva impedirsi di tremare tanto che l'altra mano, serrata tra i
capelli, per poco non pareva che potesse strappaglieli.
Beatris
si spinse vicino a lui e riuscì a mettergli una mano sulla
spalla,
in segno d'affetto.
«Immagino
che la tua storia non sia molto diversa dalla mia»
mormorò,
interpretando erroneamente quella reazione. «Non voglio che
me la
racconti per forza, ma vorrei che sapessi che posso offrirti la mia
spalla per piangere tutte le volte che vuoi. Così come... tu
hai
fatto con me. Tante volte».
Attese
un qualche tipo di reazione, ma non ce ne fu alcuna. Solo altre
lacrime, tremori e singhiozzi strozzati... e un vago mormorio, che
solo dopo un po' riuscì a distinguere: «Mi
dispiace».
«Reiner»
mormorò Beatris, chinandosi verso di lui e poggiandogli una
mano
sulla guancia umida di lacrime. «Non mi importa quale dolore
e quale
rabbia tu ti possa ritrovare a esprimere, anche se come è
successo
prima finisco con l'esserne colpita io. Non devi
preoccuparti,
lo so che non vuoi davvero ferirmi. Tu non lo faresti mai, ormai ti
conosco. Sono venuta a cercarti, hai visto? Non mi importava di
ciò
che mi hai detto, non mi hai fatto niente».
«Non
è vero» lo sentì quasi ringhiare.
«È tutta una bugia...
Tris...»
Era
davvero sul punto di confessare? Rivelarle la menzogna in cui l'aveva
coinvolta fin dall'inizio, le colpe di cui si era macchiato,
così da
poter smettere almeno di ferirla a sua insaputa? Così da
darle il
rispetto che in realtà meritava.
«Io...
sono un dannato bastardo...» si scosse, la voce gli
morì in gola, e
infine riuscì solo a dire: «Tu dovresti
odiarmi».
Le
aveva rovinato la vita, era tutta colpa sua, e poi, sempre mosso solo
dall'egoismo, l'aveva legata a sé solo per alleviare un po'
i propri
sensi di colpa. L'aveva ingannata, l'aveva tradita, e mai una sola
volta aveva realmente pensato a lei. Non aveva fatto altro che essere
egoista, fin da subito, tenerla al proprio fianco per riuscire a
sentirsi meglio senza preoccuparsi di cosa fosse realmente giusto per
lei. Era proprio un bastardo. E non riusciva più a
tollerarlo.
«Reiner»
sospirò Beatris, ammorbidendosi nell'espressione. I
sentimenti che
provava per lui erano talmente intensi che non sarebbe riuscita a
odiarlo nemmeno se l'avesse voluto. Non ce l'avrebbe mai fatta.
«Non
potrei mai odiarti» disse e in risposta, con foga, Reiner
colpì
nuovamente la mano di Beatris così da allontanarla da
sé. Con quel
gesto si tolse però la mano dal volto, scoprendo
così la sua
espressione e Beatris per un istante si sentì vacillare. Non
era
disperato, come aveva creduto... era arrabbiato. Arrabbiato come mai
l'aveva visto prima. Ma non appena quello sguardo colmo di furia e
follia incrociò quello di Beatris, dolci e ricolmi d'amore,
Reiner
si sentì crollare. Lui… possibile che lui non
provasse solo
rammarico? Possibile che ci fosse qualcosa nel suo petto di molto
più
intenso? Qualcosa di travolgente, di profondo… di simile
all’amore?
Per lei? Per un demone dell’isola, per la ragazza a cui aveva
rovinato l’esistenza, per la persona… che era
riuscita a renderlo
felice, davvero, forse per la prima volta in tutta una vita?
Accasciò
le spalle e si corrucciò in un'espressione disperata. Come
aveva
potuto fare una cosa simile proprio a lei?
«Mi
dispiace» singhiozzò ancora.
E
Beatris sorrise piena di dolcezza. Si sollevò in ginocchio e
si
voltò, così da essere perfettamente di fronte a
lui, e infine
gattonò vicino al suo fianco.
«Puoi
scacciarmi tutte le volte che vuoi» gli disse, amorevole. Gli
avvolse le braccia intorno alla testa e Reiner provò invano
a
indietreggiare, ma la sua forza di volontà non era poi
così forte,
mentre quella di Beatris pareva indistruttibile. Lo strinse a
sé,
portandogli il volto al petto, poggiò una guancia tra i suoi
capelli
e lo abbracciò. Lo abbracciò come aveva da tempo
desiderato fare,
chiudendolo totalmente all'interno del suo amore. «Non
smetterò mai
di prenderti, Reiner» sorrise di un sorriso dolce che
riuscì a
trasmettere alla propria voce. Reiner poteva sfogare la sua rabbia e
il suo dolore come voleva, lei sarebbe stata sempre in grado di
amarlo, qualsiasi cosa avesse fatto.
«Non
riuscirei mai ad odiarti. Mai, in nessuna occasione, per nessuna
ragione. Sei...» lo strinse e affondò il naso tra
i suoi capelli.
Lo sentì ancora tremare e il pianto si sciolse in uno meno
teso, più
libero e perciò anche più disperato.
Sentì le mani di Reiner
afferrare i suoi vestiti dietro la sua schiena, stringerli tra le
dita, con disperazione. La tirò a sé, forse non
era ciò che
avrebbe voluto fare, ma era ciò di cui aveva bisogno. Morire
dentro
quell'abbraccio. Forse era davvero l'unica cosa felice che avesse mai
potuto avere. Si schiacciò contro il suo petto, la strinse
contro il
proprio volto, e tra i suoi abiti, contro la propria pelle,
riversò
tutto quel dolore in un pianto disperato. Forse davvero
all’inizio
si era legato a lei per quel latente senso di colpa di cui sentiva il
bisogno di liberarsi, forse davvero all’inizio non aveva
desiderato
altro se non chiederle perdono, ma le cose erano cambiate…
degenerate… e ciò che provava in quel momento era
molto di più. E
lei non lo meritava. Non meritava di amare, di essere amata, da un
mostro come lui.
Sentì
le labbra di Beatris sfiorargli le tempie in qualcosa di molto simile
a un bacio.
«Sei
tu la mia forza, Reiner». Lo sentì rabbrividire se
possibile ancora
di più, ebbe un tremore come se qualcuno lo avesse appena
colpito
alla base della colonna vertebrale con una scarica elettrica. Reiner
la strinse con una forza tale che quasi le fece male, ma subito dopo
allentò la presa. E smise persino di singhiozzare. Si
staccò dal
suo petto, ma restò comunque avvinghiato a lei, prendendosi
solo lo
spazio necessario per riprendere a respirare.
«Gliela
farò pagare» mormorò con la voce ancora
gracchiante per lo sforzo
a cui era stata sottoposta poco prima. «Al corazzato e a
tutti i
giganti. Gliela farò pagare cara per averti fatto
questo».
«Che
stai dicendo?» gli sorrise con dolcezza. «Io non
desidero vendetta
e non voglio che lo faccia nemmeno tu. Ti esporresti a un rischio
inutile, non potrei sopportarlo».
«Non
unirti alla legione esplorativa» le disse improvvisamente e
alzò
gli occhi, puntandoli in quelli di Beatris. Sembravano animati di un
nuovo fuoco, intenso e deciso. «Non andare
all'esterno».
«Io...»
mormorò Beatris, riappoggiandosi sui suoi talloni. Raggiunse
l'altezza del volto di Reiner, ma abbassò lo sguardo
rammaricata.
«Non posso farlo... Non posso lasciarli. Non posso di nuovo
restare
a guardare mentre le persone più importanti della mia vita
vengono
uccise. Questa volta devo combattere, Reiner. Mi stai allenando per
questo, no?»
«Ti
sto allenando perché non voglio che tu muoia».
«Beh,
stai facendo un ottimo lavoro» sorrise, imbarazzata. Era
ridicolo,
ma quella banalità, sapere di essere qualcuno a cui lui
teneva, le
faceva venire il batticuore. «E poi con me ci sarà
Mikasa, non mi
accadrà niente di male. Sapremo proteggerci a
vicenda».
«Non
è abbastanza!» disse, risoluto. «Non
posso lasciarti andare
così... non posso restare solo a pregare di vederti tornare
tutte le
volte». Tirò un profondo sospiro e
sembrò accasciarsi sulle sue
stesse spalle. Chiuse gli occhi e si abbandonò in avanti,
come se
fosse sul punto di crollare. Beatris sussultò e d'istinto
indietreggiò appena, arrossendo nel vedere il suo volto
avvicinarsi
al proprio. Si irrigidì nelle spalle e si
paralizzò quando Reiner
raggiunse la sua fronte, su cui appoggiò la propria. Erano
così
vicini, ora, che poteva sentirlo respirare contro la propria pelle.
«Voglio essere io a proteggerti»
mormorò, come addormentato.
«Non
farlo» sussultò Beatris, improvvisamente
allarmata. Questo spinse
Reiner ad aprire gli occhi, puntarli nei suoi, curioso di scoprire
quali sentimenti vi fossero all'interno. E vi trovò gioia,
mista a
panico, mista a tante altre cose che non riusciva nemmeno a
identificare. «Non unirti alla legione esplorativa solo per
me».
«Voglio...»
tentò di dire ma Beatris lo interruppe con un disperato:
«No!»
Gli
posò una mano sul viso, gli accarezzò la guancia
e tornò poi a
sorridere. Era lusingata, era felice di vederlo così legato
a lei
tanto da rinunciare a ogni cosa, ma non glielo avrebbe mai permesso.
«Reiner» gli sorrise, dolce, ma questa volta fu lui
a
interromperla. «Resta con me» e la fece ancora una
volta
sussultare. «Non... andartene. Resta con me, Tris, resta al
mio
fianco».
Beatris
tornò a sorridere, colma di una gioia che non avrebbe mai
immaginato
avrebbe potuto provare. Si sentiva completa, ora che sapeva di
appartenergli, ora che non aveva più dubbi. Glielo leggeva
negli
occhi, lo stesso identico sentimento divampante che bruciava anche in
lei. «Tu mi aspetteresti?» gli chiese con dolcezza.
«Dopo il
diploma io mi unirò alla legione esplorativa e tu hai sempre
voluto
andare nella gendarmeria. Le volte che io uscirò in
esplorazione...
tu davvero mi aspetteresti?»
Mancava
solo un anno alla fine dell'addestramento, ormai erano quasi alla
conclusione di tutto quello, il tempo era volato così
velocemente.
Sapeva che non avrebbe potuto godere di quella gioia per sempre, che
prima o poi le loro strade si sarebbero separate, e da qualche tempo
aveva iniziato a logorarsi nel tormento che una volta usciti di
lì
non l'avrebbe mai più rivisto. Sapere che non sarebbe andata
così
era qualcosa che la scaldava nel profondo.
«Ti
verrei a cercare» le rispose lui, tremando all'idea di
vederla
oltrepassare le mura.
«Ma
non ce ne sarebbe bisogno» gli sorrise, confortante.
«Reiner» e
strofinando leggera il pollice contro il suo zigomo lo
liberò di una
lacrima che era rimasta lì da prima e non se n'era ancora
andata.
«Io ti prenderò sempre, te l'ho già
detto. Non importa quello che
succederà... tu devi solo aspettarmi, ok?»
Vide
l'espressione di Reiner contrarsi nuovamente, in un nuovo dolore che
faticava a tenere sotto controllo. Era difficile da credere che
proprio lui, il compagno più controllato e serio del corpo
cadetti,
fosse in realtà così emotivo. Beatris l'aveva
sempre creduto una
montagna, indistruttibile. Non si era mai fatto abbattere da niente,
nemmeno dagli allenamenti più duri ed estenuanti, nemmeno da
quelli
che portavano la mente a rompersi prima che il corpo, e l'aveva
ammirato per questo. Ma ora che poteva vederlo realmente, ora che
finalmente era riuscita a penetrare dentro quel guscio,
riuscì a
scoprire qualcosa di completamente nuovo... e meraviglioso. Si era da
sempre affidata totalmente a lui e alla sua forza, si era aggrappata
alle sue spalle, provando un'ammirazione tale da essere simile
all'amore. I suoi batticuore, l'emozione nell'averlo vicino, erano
sempre dati dalla sensazione di trovarsi di fianco a una sorta di
divinità. Ma ora che poteva vederlo, fragile e reale,
aggrappato ai
suoi vestiti come se avesse avuto il terrore di crollare da un
momento a un altro, qualcos'altro le esplose nel petto. E
scoprì di
sentirsi pronta a qualsiasi cosa, pur di proteggerlo. Una nuova
forza, una nuova determinazione, e fu quello l'inizio della sua vera
ascesa. Sarebbe diventata forte abbastanza da poter dare a Reiner
sempre un paio di braccia dentro cui piangere liberamente, e sentirsi
al sicuro.
Gli
accarezzò la guancia. Corrucciandosi, Reiner si
schiacciò contro la
sua mano, ci si strofinò contro, desideroso di averne sempre
più. E
lei sorrise, intenerita.
«Dopo
averti trattato in quel modo... avresti dovuto lasciarmi perdere.
Perché sei venuta a cercarmi? Perché sei qui
adesso?» gracchiò, e
sembrò che quelle domande se le ponesse davvero. Tutta
quella
dolcezza e quella comprensione nei suoi confronti erano qualcosa che
non riusciva proprio a comprendere. La risposta di Beatris
tardò ad
arrivare, timorosa, ma alla fine riuscì a sussurrare:
«Davvero non
lo sai?»
Le
voci sul loro conto, tra i compagni cadetti, erano numerose e sempre
più frequenti. Non erano stupidi, le avevano sentite anche
loro
eppure non erano mai riusciti a smentirle. Le ignoravano e
continuavano a comportarsi come sempre, a cercarsi, a stare sempre
insieme, a rincorrersi in ogni occasione. Si comportavano come due
innamorati, era ovvio, anche se avevano sempre fatto di tutto per
ignorare l'etichetta che avrebbero dovuto dare a tutto quello.
Fuggendo dall'evidenza... ma era passato più di un anno, e
tutto ciò
che mancava a quel rapporto era un nome. Non c'era niente che potesse
smentirlo, lo sapevano, fingevano solo di no, forse per pudore, forse
per proteggere loro stessi e basta. Ma era quella la verità.
Il loro
legame non era solo mera amicizia. Avevano messo l'uno la vita nelle
mani dell'altro, vi si erano abbandonati, e lì avevano
trovato il
loro posto. Beatris lo amava, non c'era niente che potesse smentirlo,
e lo stesso valeva per Reiner. Avevano bisogno l'uno dell'altro. E
adesso lo sapevano con certezza.
Per
quanto lui avesse provato a fuggirne, a non ascoltare tutto quello...
lui lo sapeva. Sapeva perfettamente perché lei era
lì. E sapeva
anche perché fosse così felice di questo.
Socchiuse
gli occhi, ma volle continuare a guardarla, mentre lei gli si
avvicinava a occhi ora serrati. Incontrò le sue labbra, ci
affondò
dentro, e sentì una scossa percorrerlo da capo a piedi. La
mano di
Beatris si spostò dietro la sua nuca, si sentì
per un istante
debole e terrorizzato nel percepire quel contatto proprio nel suo
punto più vulnerabile, ma sentì una bizzarra
fiducia nascergli nel
petto. Le avrebbe sempre permesso di raggiungere la sua parte
più
fragile, sapeva che poteva lasciarglielo fare. Sentì le sue
dita
accarezzarlo e immergersi infine tra i suoi capelli. Gli fece venire
i brividi lungo tutta la spina dorsale e qualcosa ustionarlo
interamente. Chiuse gli occhi ed ebbe come la sensazione di prendere
letteralmente fuoco. Faceva quasi male, ma era un dolore
perversamente piacevole. Con un profondo sospiro, facendo tremolare
l'aria che gli uscì dalle narici, si spinse in avanti e
prese il
volto di Beatris tra le mani. Schiuse le labbra e non si
limitò a
toccare quelle della ragazza, ma le intrappolò tra le
proprie, le
accarezzò, bramoso, come se avesse voluto divorargliele.
Riaprì gli
occhi e si staccò da lei, solo di pochi centimetri. La
sentì
prendere fiato, affaticata: era rimasta in apnea fino a quel momento,
e il fiato corto gli suggerì anche che doveva avere il
battito
cardiaco eccessivamente accelerato.
«Ti
aspetterei» mormorò e questo portò
Beatris a riaprire gli occhi.
«So che mi prenderesti, riesci sempre a prendermi»
sorrise. «Se
mai le nostre strade dovessero dividersi, verrei a cercarti, ma se
non dovessi trovarti... allora ti aspetterò».
Beatris
sorrise, emozionata e felice, inconsapevole di quanto quelle promesse
che si stavano scambiando in quel momento avessero per sempre
cambiato le loro vite. E infine, scelse così quale sarebbe
stata la
strada da seguire d'ora in avanti: quella che l'avrebbe sempre
portata da Reiner.
«Riuscirò
sempre a trovarti. Riuscirò sempre a prenderti,
Reiner».
«È
una promessa?»
«È
una promessa».
Nda.
Siete
mentalmente pronti alla valanga di eventi che ci saranno da ora in
poi? XD Il “segreto” (intuibile, dai ahahah)
è venuto a galla…
a uccidere la famiglia di Tris, durante l’attacco a
Shiganshina,
non è stato un gigante qualunque. È stato proprio
Reiner. E lui, in
un meccanismo di difesa per proteggersi dall’enorme senso di
colpa,
aveva rimosso ogni cosa, ma quando ha visto Beatris la prima volta
qualcosa dentro lui è scattato. Lo “strano
motivo” che lo
spingeva a tenerle gli occhi addosso era proprio quello, quella
sensazione da “io questa l’ho già
vista” mescolato a un forte
senso di colpa. Ma non ricordava, non riusciva a spiegarselo, e le
è
rimasto troppo vicino per troppo tempo… la verità
è venuta a
galla, ma ormai è troppo tardi. Il danno è fatto,
i sentimenti
hanno preso il sopravvento. Verrà mai a galla la
verità? (Vabbé,
conoscete il manga, sapete che Sì! VERRà A GALLA!
E SARà UNA
TRAGGGGEDIA)... come la prenderà Tris? Quali saranno le
conseguenze?
Vi
lascio a questa BELLISSIMA canzone, che questa volta vorrei davvero
che ascoltaste più di altre perché è
molto struggente e da i feels
perfetti. La voce che la canta è femminile, ma in
realtà il POV è
di Reiner, sono parole che escono dalla sua mente. Alla fine
ricordatevi che Tris… è pur sempre un
“demone dell’isola”.
https://www.youtube.com/watch?v=LoB5i0w5gso&ab_channel=Aegrnox
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3980069
|