Rin

di robyzn7d
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quel profumo ***
Capitolo 2: *** Sincerità ereditata ***
Capitolo 3: *** Leggerezza impulsiva ***
Capitolo 4: *** Ondata tropicale ***
Capitolo 5: *** Debolezze ***
Capitolo 6: *** Vulnerabile ***
Capitolo 7: *** Identità quasi svelata ***
Capitolo 8: *** Sbalzi d’umore ***
Capitolo 9: *** Il filo rosso del destino ***
Capitolo 10: *** Quei maledetti dubbi ***
Capitolo 11: *** Sentimento radicato ***
Capitolo 12: *** Parole amare ***
Capitolo 13: *** Una dolce sconfitta ***
Capitolo 14: *** Legami indissolubili ***
Capitolo 15: *** Il rumore del presente ***
Capitolo 16: *** Accorgimenti ***
Capitolo 17: *** Il sofferente codice di uno spadaccino ***
Capitolo 18: *** Paura di sé ***
Capitolo 19: *** Perseveranza ***
Capitolo 20: *** Confessioni ***
Capitolo 21: *** Passato, presente, futuro ***
Capitolo 22: *** Nel silenzio della notte. O quasi. ***
Capitolo 23: *** Gesto d’amore ***
Capitolo 24: *** Qualcuno da proteggere ***
Capitolo 25: *** Guarire ***
Capitolo 26: *** Orgoglio fino alla fine ***
Capitolo 27: *** Il passato del futuro – parte prima ***
Capitolo 28: *** Il passato del futuro - parte seconda ***
Capitolo 29: *** Il passato del futuro - parte terza ***
Capitolo 30: *** Seducenti contraddizioni ***
Capitolo 31: *** Il potere di un nome ***



Capitolo 1
*** Quel profumo ***


Capitolo I 
Quel profumo

 

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Piccola premessa aggiunta dopo averla finita: 

Ho fatto una piccola revisione, cancellando obbrobri di distrazione e gli errori più gravi. Ho finalmente dedicato del tempo anche a scegliere dimensioni e carattere del testo, e questo cambia davvero la modalità di lettura!, rendendola più morbida come quando scrivo su Word. I primi capitoli sono un po’ più semplici, ma con un po’ di pazienza il gioco si fa più interessante, con tanta introspezione e tanto, tanto ZoNamismo.
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Correva, correva a perfidiato il povero Chopper nella sua forma a quattro zampe, oltrepassando rapido il netto rumore di acciaio contro acciaio, scansando il vento che alzava la terra e la trasformava in polvere accecante, schivando anche un numero spropositato di proiettili vaganti. Erano finiti in un campo di battaglia: c’era odore di sangue, c’era odore di morte. 
Stava appoggiandosi al suo olfatto, in modo da riuscire a trovare il resto della ciurma che sperava di raggiungere al più presto e, soprattutto, la sperava fuori dai guai. Diviso in gruppo con Sanji, entrambi incaricati di badare alle spese comuni quella mattina, era poi rimasto solo, o meglio, il cuoco come suo solito era corso dietro alle donzelle che incontrava quando girava per mercati. 
Qualcosa si era scatenata all’improvviso, distruggendo quella rilassante giornata di sole e serenità, interrompendo bruscamente un’avventura positiva e felice, con uno sparo che aveva dato il via ad un combattimento che sembrava sempre più coinvolgere ogni zona del paese. Forse erano stati scoperti dai Marines, o forse erano gli stessi pirati che avevano iniziato a saccheggiare l’isola. 
Il battito cardiaco dell’alce accelerava ad ogni boato. Sperava di sentire l’odore di Nami o di Robin che, senza scorta maschile, erano andate allegre a fare compere personali. O Usop che si era avventurato in solitaria, poiché tranquillo di sostare su un’isola innocua. O di ritrovare almeno Sanji. 
Non riusciva a ricordare il nome di quel posto, eppure, Nami lo aveva ripetuto almeno un paio di volte, scandendo bene le parole, ma nella sua mente si erano materializzati solo ricordi olfattivi: dallo stesso porto aveva potuto sentire fin da subito gli odori del paese, le sue narici erano rimaste infastidite da quel forte aroma speziato, e da quel momento non aveva pensato ad altro che a quello. Sarebbe volentieri voluto rimanere sulla Sunny, se non fosse stato per quel rifornimento di medicinali di cui solo lui poteva occuparsi. 
E poi, eccolo, l’odore che cercava. 
I suoi pensieri vennero interrotti da un profumo che conosceva molto bene - poiché lo detestava - la fragranza diabolica di Nami, quella che si spruzzava sempre addosso prima di sbarcare su un’isola sconosciuta. Alleggiava nell’aria, e dunque non sembrava provenire da troppo lontano. Accelerò così il passo, affidandosi totalmente al suo olfatto impareggiabile, stando attento ad annusare verso ogni direzione. Imboccò una stradina lunga e fitta alla sua destra. Quell’odore era diverso, non era più solo profumo, era stato contaminato da qualcosa…dal sangue!, ne era più che certo. Sgranò gli occhi e proseguì per quella strada nascosta fino alla sua fine. Destra e sinistra. Ancora destra. Poi sinistra. Quell’odore era sempre più forte, ed era contaminato anche da un altro profumo familiare: la renna captò la presenza di Robin. Fece un sospiro di sollievo. 
Nami non è sola. 
Non riusciva però a scorgerle davanti e lui, eppure dovevano essere lì, e mentre incominciava ad agitarsi, ecco che lo annusò, un altro odore, un nuovo profumo a lui sconosciuto, nonostante le sfumature sembrassero familiari. Abbandonò la vista, e si lasciò trasportare solo dall’olfatto: non poteva perdere tempo. 
Arrivò in un altro vicolo, sempre piuttosto stretto e buio, e le vide, finalmente, le sue due fidate compagne. Scorse nel viso di Robin un’espressione seria e piuttosto preoccupata. Nami era al suo fianco, poggiata al muro, con addosso due mani, di Robin ovviamente, che le tamponavano la spalla da cui vedeva scorrere un filo di sangue. Ebbe un sussulto. 
“Robin! Nami!”
Il piccolo medico cambiò forma, riprendendo la sua solita, e si precipitò davanti alla compagna ferita. 
"NAMI! Sei stata colpita?“
La sua voce era agitata, la situazione confusa. Si apprestò immediatamente a verificare di cosa si trattasse senza aspettare risposte chiare e delucidazioni. Posò delicatamente le sue zampette sulla pelle diafana delle compagna, spostandole prima i capelli che le ricadevano addosso, e poi le mani magiche di Robin che, capita l’antifona, fece sparire direttamente. 
“Chopper, che bello che sei qui!” 
L’archeologa poté liberarsi da un peso indescrivibile e sospirare sollevata. 
Nami, labbra socchiuse, un solo occhio aperto, ansimava leggermente per il dolore, ma cercava in tutti i modi di trattenerlo. “Chopper, devi sbrigarti…”
Stava seduta a terra con una gamba distesa su quelle mattonelle sporche e fredde e l’altra piegata in avanti su sé stessa, su cui poggiava il braccio sano. La renna aveva ben focalizzato l’attenzione sulla ferita alla spalla, “tranquilla, ora ci penso io.” 
“No, non per me”, la navigatrice era sempre piuttosto brava a nascondere il dolore che provava, anche se ormai aveva perso l’abitudine dal momento che non necessitava mai di ricorrere a simili tecniche di sopravvivenza nel suo posto sicuro, “...devi curare quella bambina!” 
Ma il medico non stava dando importanza a quelle parole, talmente era preoccupato per la ferita che osservava con sguardo disperato. “Nami, ti hanno sparato! Devo togliere il proiettile!” Cercava di mantenere la lucidità, voleva medicarla immediatamente ed evitare ogni rischio possibile di infezione. Le zampette un po’ tremavano, sentiva su di sé il peso di quella situazione; doveva agire, essere un buon medico, il migliore anzi. 
“Devi curare quella bambina.” 
Nami, che sapeva senz’altro essere insistente, con la serietà dipinta sul volto, e con lo sguardo fisso sulle gambe di Robin, che stava aspettando che il dottore si accorgesse di ogni cosa per poter proferire parola, cercava di farsi capire. 
Solo in quel momento, allora, la renna seguì quello sguardo deciso della rossa e notò una ragazzina stesa a terra con la testa sopra le gambe della mora: si era talmente concentrato sulla ferita, che aveva scordato di quel profumo nuovo, lo stesso che aveva sentito mentre correva, nonostante scorgesse ancora quelle sfumature che erano così familiari mischiate ad esso. Lo giustificò pensando che quel profumo potesse essere stato influenzato dalla presenza delle amiche. 
Una bambina di almeno 10 anni coi capelli neri legati in una coda di cavallo, e che stringeva in mano un’arma indefinita - forse era un bastone, forse una spada, non si capiva poiché coperta da un rivestimento nero che ne impediva il riconoscimento - aveva perso i sensi ed era adagiata sopra Robin con il volto rivolto verso l’alto. Il piccolo medico per un attimo ebbe una strana sensazione, come se quel volto fosse conosciuto, ma, capendo l’importanza del tempismo in simili situazioni, si precipitò su di lei per sentirne immediatamente il battito: respirava ancora. Le sue ferite non sembravano gravi, erano per lo più graffi superficiali sul corpo, e un piccolo taglio di una lama sul fianco destro, da dove fuoriusciva del sangue, ma a piccoli fiotti - motivo per cui sicuramente aveva perso i sensi. 
“Nami…l’ha protetta da un proiettile.” 
Robin, che aveva ripreso a tamponare la ferita della compagna di viaggio, avvertì il dottore facendo segno con il capo verso la bambina; ma Chopper, di riposta, la osservò per accertarsi che anche Robin non fosse ferita.
“Sto bene” lo anticipò. 
Alla velocità della luce, il medico prese il disinfettante dal suo zainetto rosa, e lo gettò, senza dosarlo, sulla ferita della nuova comparsa. Aveva dei normali jeans neri e una maglietta corta a top dello stesso colore che le lasciava la pancia scoperta, e perciò si poteva facilmente notare la ferita in superficie. Sempre con attenta cura ma anche estrema velocità, la ricoprì con le bende. Finito, ritornò su Nami, per cui era decisamente più spaventato, non prima però di tremare per un ulteriore boato proveniente da non molto lontano da lì, provocando una reazione allarmata a tutte le presenti. 
“Speriamo che gli altri scemi non si siano cacciati nei pasticci!” 
Nami tossì, buttando fuori un po’ di sangue. 
Chopper era serissimo, adesso, e la guardava con apprensione, quella solita, in cui sembrava sempre farsi prendere dal panico. “Nami è grave, dobbiamo tornare sulla nave adesso.” 
Robin aiutò l’amica a rimettersi dritta con la schiena sul muro. Fissando più Chopper con estrema serietà, trasmettendogli tutte le sue sensazioni. 
"Non possiamo né aspettare qui, ma nemmeno buttarci nella mischia, in queste condizioni.” 
I due vennero distratti dalla voce flebile ma sempre autoritaria di Nami che, immediatamente, aveva pensato ad un piano che mentalmente la soddisfaceva abbastanza, illustrando al medico e all’archeologa quelle che erano le sue priorità, e senza porsi troppi problemi, sapendo che seppur qualcuno avesse obiettato, avrebbe comunque vinto lei. “Porta la bambina sulla nave” il suo respiro si stava facendo più leggero “…e, nel frattempo, cerca qualcuno che venga a prenderci.” La navigatrice decretò il verdetto finale, infocando la via e sorridendo in modo quasi raccapricciante per farsi ubbidire in fretta ed evitare di alimentare esagerate reazioni contrarie che avrebbero solo che fatto perder tempo. 
 


 
                            


 
Ancora una volta a quattro zampe, il dottore correva tra i vicoli bui del paese, cercando di evitare le strade aperte e gli scontri che vi si volgevano. Erano pirati contro marines. Essendo un’isola di passaggio nel nuovo mondo tante imbarcazioni pirata si fermavano per fare rifornimento, e i marines, ogni tanto, si preparavano all’assalto per catturare qualche fuorilegge pezzo grosso. Proprio adesso che c’erano capitati loro! 
Sulla sua groppa c’era ben fissata quella bambina, con legata a se quell’arma indefinibile. 
Non era per nulla d’accordo, Chopper, della decisione di Nami. Ma non poteva nemmeno perdere tempo a contrattare con quella sua compagna testarda. D’altronde, i bambini avevano sempre la priorità. Doveva fare in fretta, prima avrebbe trovato qualcuno e portato la bambina al sicuro, e prima avrebbe potuto curare Nami. 
Nuovamente si concentrò sull’olfatto, dimenticandosi quasi della vista; pensava alla via per il porto, dove sapeva che erano rimasti Zoro e Franky, quella mattina, a proteggere la nave. Sentiva l’odore della salsedine, mischiata alla polvere da sparo. E sentiva ancora quell’odore su di sé, di quella strana ragazzina; come poteva essere nuovo ma allo stesso tempo anche così familiare? Accelerò. Non poteva farsi distrarre da simili dubbi inutili. 
Ancora a destra. Poi l’ultima svolta a sinistra. Non ricordava di aver fatto tutta quella strada la prima volta. 
Lo sentiva l’odore di Zoro, ma non riusciva a vederlo da nessuna parte. Marines contro pirati ovunque. Qualcuno aveva avuto la sua stessa idea di usare le viuzze per scappare, ma non erano così in tanti a farlo, per fortuna. Sentiva l’odore di Zoro così forte che sarebbe dovuto essere lì, vicino a lui, ma non c’era, non era li. Non riusciva proprio a spiegarselo. D’istinto, si voltava il più possibile verso la sua groppa, verso quella creatura misteriosa ancora priva di sensi che emanava quell’odore così familiare. Non poteva essere suo quest’odore. Non doveva assolutamente farsi confondere da se stesso. 
Ecco, era arrivato al porto, e lo vide finalmente Zoro, e c’era anche Franky con lui, proprio come aveva calcolato in precedenza. Sorrise, facendo un’ultimo sforzo e arrivando accanto ai due, che a suon di colpi di spada e laser fiammanti, allontanavano i marines dalla nave. 
Eccolo, anche Brook, arrivato fluttuante e saltellante, sbandierando la sua arma leggera come lui e silenziosa come la notte: si era appena sbarazzato di un intero gruppo di soldati. 
“Brook! Devi portare questa bambina al sicuro sulla nave!” 
Il medico raggiunse il suo compagno, nascondendosi dietro Zoro e Franky che continuavano a sbaragliare uomini e lasciare dietro di sé una scia di feriti ovunque capitassero. 
“Ma chi sarebbe?” 
Lo scheletro si ritrovò in un baleno quella giovane ragazzina tra le braccia, senza avere il tempo di porre dei leciti dubbi, poiché quel gesto venne immediatamente accompagnato dalle parole pericolose di Chopper: “È un ordine di Nami!” 
Brook sudò freddo, pensando a come lo avrebbe ridotto se non avesse obbedito a quella richiesta. “V-va bene Chopper, ci penso io.” 
Guardando il compagno di schiena, e vedendolo sparire di fretta sull’imbarcazione, il medico poté aiutare i due compagni a scacciare i soldati e cercare, nel frattempo, di farsi sentire. 
“Chi è quella bambina?” 
Zoro non aveva perso nemmeno un movimento, leggermente curioso, ma soprattutto scocciato di non essersi potuto godere la mattinata a poltrire sul ponte, nel momento che più preferiva: durante l’assenza di caos. 
“Non c’è tempo” con una feroce cornata, la renna si sbarazzò di un secondo ufficiale. “Mi serve il vostro aiuto” avvertì, sbarazzandosi di altri due marine, respingendoli all’indietro “è successa una cosa.” 
Lo spadaccino non poteva girarsi a guardarlo o avrebbe rischiato di farsi ferire. “E non riesci a risolverla da solo? Come vedi qua siamo un po’ occupati.” 
Con un affondo di spada si liberò di un altro comandante di livello superiore. Stava sudando, e quel caldo tropicale non aiutava affatto. 
“Nami…” non riuscì a finire la frase poiché venne attaccato alle spalle. 
“CHOPPER.” 
Franky, nonostante fosse stato preso alla sprovvista, riuscì ad intervenire, togliendogli di dosso prima un marine armato, e dopo salvandolo da un altro agguato, liberandolo una corda che non lo stava facendo respirare. 
“Tutto bene?”
“S-si” tossì la renna, “grazie.” Si rimise in piedi velocemente, nonostante avessero quasi tentato di ucciderlo in modo brutale. 
“Allora, che diavolo stavi dicendo prima?” 
Ancora con gli occhi concentrati sui nemici, lo spadaccino sembrava profondamente irritato e poco incline alle perdite di tempo. 
“Nami ha protetto quella bambina da un proiettile. Ora, ho bisogno di uno di voi che venga con me, perché se dovessi venire circondato mentre la riporto qua, non potrei aiutarla e combattere allo stesso tempo.” 
Spiegò, fermandosi a riprendere fiato dietro Franky, che aveva appena catapultato un’intera fazione di soldati in mare. 
Vide Zoro guardarlo di sottecchi mentre parava un attacco mortale; stava sudando, era stanco. Aveva una strana espressione sul suo viso, come fosse contrariato. 
“É non può tornarci con le sue gambe alla nave?” 
“Zoro!” lo ammonì, “…le hanno sparato!” 
Lo spadaccino si era voltato a guardare Chopper in viso, cogliendone tutta la sua preoccupazione. Una distrazione rapida che gli costò immediatamente cara: un marine lo aveva ferito al braccio con una strana lama di dimensioni spropositate e un fendente deciso che parò per il rotto della cuffia. 
“ZORO!” 
Urlarono i due compagni sconvolti da quella disattenzione così poco incline allo spadaccino. 
Qualche goccia di sangue stava cadendo sul terriccio in un ritmo lento. Il ragazzo dai capelli verdi mise sul volto un ghigno divertito. Aveva appena capito su cui sfogare tutti i suoi sentimenti di rabbia e apprensione. 
“Andate” prese l’elsa della spada e la portò tra i denti. 
Franky lo osservò non capendo cosa intendesse. 
“Vai!”
Lo spadaccino non lo guardò in volto. E il suo era appena diventato un ordine
“Valla a prendere”. 
 
 




Chopper e compagno erano arrivati al vicolo nascosto. Il cyborg aveva preso Nami tra le braccia cercando di essere delicato, e nonostante quella gli e lo rendesse davvero impossibile, poiché lo colpiva continuamente sulla nuca con il braccio sano, non si lamentava neanche troppo.
“E stai più attento!”  
Ma il robot alla fine s’innervosì lo stesso, nonostante tutti i buoni propositi di stare in pace, senza sorvolare più su niente, nemmeno sul fatto che “quella” fosse ferita. 
“Piantala di dimenarti o ti lascio qua.”  
Chopper gli condusse ancora una volta per quelle stradine buie e strette che aveva percorso già due volte memorizzando ormai la strada, finché, arrivati all’ultimo vicolo sulla destra, non vi trovarono anche Usop che, intelligentemente, aveva avuto la sua stessa intuizione per scampare allo scontro sanguinolento. 
“Com’è successo?” chiese subito a Nami, appena notata la ferita alla spalla e l’incarnato diventato pallido. 
“Non c’è tempo adesso!” il medico, naturalmente, morso dalla fretta, rispondeva a tutti che dovevano pensare solo a correre e a salpare il prima possibile per evitare una grave infezione alla spalla di Nami. Il cecchino, però, si offrì volontario per far fuori chiunque osasse fermare la loro “traversata” - avrebbe protetto l’amica a qualunque costo. 
E poi lo videro, anzi, sentirono, Rufy, correre e catapultare a terra tutti quelli che trovava davanti al suo cammino: pirati, marines, non faceva differenza, sembrava come impazzito.
“Il suo ristoro al pub è stato sicuramente interrotto nel momento peggiore.” 
Usop si grattò la fronte sudata con la mano destra, ma era anche sollevato di non essere dovuto intervenire lui in prima persona, pronto a gettarsi tra la mischia per fare strada. 
“Seguiamolo, sta tracciando il cammino facendo piazza pulita come al suo solito.” 
Nami si riferì a tutti, dando ordini da quella nuova altezza da cui poteva vedere tutto e avere il controllo della situazione. 
“Se non ha mangiato adeguatamente in città, chissà quanto sarà difficile da sopportare!” Il cecchino era veramente affranto, tutta quella serenità andata perduta in un solo maledetto istante. 
 
 


                                   
Allungò il braccio verso l’orizzonte, Franky, pronto a salpare quando vide atterrare sul ponte anche l’ultimo membro della ciurma. Sanji, che nonostante la situazione non aveva abbandonato le provviste per strada, irruppe con un salto, appoggiando i sacchi contenenti le cibarie sul pavimento d’erba. “Volevate lasciarmi qua?” urlò, drammaticamente irritato. 
Nel frastuono, lo spadaccino si lasciò cadere a terra afferrando la bandana nera dalla testa e trascinandola sul pavimento stretta in quella presa.
“Che occasione sprecata” disse sogghignando, tra un ansimo e un altro, esausto. 
“Bastardo.”
Il cuoco si accese una sigaretta, sudaticcio. 
“Che diavolo é successo a Nami-San???” Chiese poi, guardandosi intorno. 


 
                                
 
 
“Posso entrare?” 
Robin fece il suo ingresso in infermeria, richiudendosi la porta alle spalle. 
“Ti serve aiuto, Chopper?” Aveva immediatamente chiesto, proponendosi come infermiera.
Nami era stesa sul lettino e mordeva con tenacia, ma forse più per la paura di soffrire, qualcosa di colorato, una stoffa, per impedirsi di urlare e farsi sentire da tutti là fuori, preoccupandoli inutilmente.
“Grazie Robin…” risose felice il medico, mentre rimaneva lo stesso concentratissimo “ma ho già fatto, non c’è stato molto tempo per l’anestesia.” 
Robin guardava la compagna con la faccia rossa dal dolore, le gocce di sudore che le scivolavano dalla fronte e si perdevano in essa confondendosi con la pelle; con uno sguardo addosso che davvero bisognava temere in altre situazioni. 
La renna, al suo fianco, che aveva estratto il proiettile con cura e mano ferma, non staccava gli occhi dalla ferita che stava ricucendo minuziosamente.
L’archeologa, che raramente vedeva qualcuno con una così stabile concentrazione, si avvicinò al letto sedendosi accanto a Nami, le tenne stretta la mano in una presa atta ad urlarle tutto il suo sostegno. 
“Tranquilla, non ho fatto entrare nessuno. Rufy scalpita. E Sanji si é calmato.” 
La rossa provò a muovere la testa, ringraziandola col capo. Un movimento quasi impercettibile che però diede fastidio a Chopper, il quale impiegò almeno un minuto per ritrovare la stessa concentrazione di un secondo prima. 
Nami allora sputò via quella stoffa che teneva in bocca e che la stava soffocando.
“Vuoi dell’acqua?” le chiese la mora, preoccupata. 
Alla risposta della navigatrice, che annuì debolmente con il capo, le avvicinò il bicchiere alle labbra, facendone cadere alcune gocce sul collo. Ma seppur con qualche difficoltà riuscì a berne quasi tutto il contenuto. Chopper stavolta non era contrariato dal momento che aveva appena terminato di ricucirla. 
“Nami. Ti darò qualcosa di forte per attenuare il dolore”
S’incamminò all’armadietto con fare mortificato, volendo rimediare il più in fretta possibile a quel supplizio che la compagna stava sicuramente vivendo.
“La ferita va tenuta sotto controllo, non vorrei si infettasse. Quel proiettile non era uno comune, era più grande del normale. Avrebbe potuto ucciderla quella ragazzina.” 
Nami tossì, un po’ d’acqua le era andata di traverso. La voce ancora attanagliata dal dolore. Era davvero incredibile come uno stupido foro potesse ridurla in quel modo. 
Robin le strinse ancora più forte la mano, sorridendole “Sei stata una vera eroina.” 
“Avrebbero ucciso una ragazzina indifesa senza motivo.”
Strinse i denti dalla rabbia. Però non si sentiva affatto un’eroina, pensava che quelle di solito non finiscono su un letto doloranti per una stupidaggine. 
Il medico mise sul volto un’espressione furiosa, mentre pensava a quella cattiveria immane di uccidere brutalmente dei liberi innocenti, mentre iniettava un’antidolorifico in vena alla compagna ferita. 
“Dove l’hanno portata?” 
Nami sentiva già cedere i muscoli e finalmente il dolore allontanarsi prima dalla mente e poi dal corpo. 
“É nella nostra camera che dorme. Sta bene.”
Robin le lasciò la stretta sulla mano non appena la vide che rilassava tutto il corpo quasi anestetizzato. Nami le sorrise, sollevata, socchiudendo gli occhi. 
“Per ora è meglio che rimani in infermeria, poi domani vedremo.”
Chopper, che stava ripulendo e disinfettando i suoi attrezzi, aveva alzato il capo per vedere se Nami aveva sentito, ma si era già bella che addormentata. 
Robin le tirò il lenzuolo fino al petto, coperto da una sottile canottiera con le spalline scese, lasciando all’aria la ferita appena ricucita, e dopo aver fatto i complimenti al medico, uscì fuori, lasciandolo riordinare. 
Quando si trovò all’esterno dell’infermeria, e dopo essersi accertata di aver richiuso bene la porta alle sue spalle, notò uno strano silenzio, quasi inquietante, e non che le dispiacesse, soprattutto dopo tutta la fatica che aveva fatto per quietare Sanji e Luffy. E, infatti, adesso era sicura che qualcuno li avesse fatti allontanare da lì. Fece per uscire sul ponte, quando sentì, nel buio, una voce. 
“Come sta?” 
Il tono era duro ma tremendamente familiare - si rassicurò all’istante. 
“Zoro…” 
Lo spadaccino aveva lo sguardo sul pavimento, in quel posto in cui regnava ora un silenzio ancora più tombale di quello di prima, come se la sua voce avesse gelato il tempo. 
“Sta bene.”
Si voltò a guardarlo con difficoltà, cercando il suo sguardo nascosto. “Puoi entrare se vuoi, ma si é appena addormentata.” 
Vide la forma della testa verde alzarsi, risorgere dal basso, incrociando gli occhi con i suoi. 
“Non importa” le rispose distaccato, alzandosi e allontanandosi. 
“Ho il turno di guardia stanotte.” 
"Piuttosto fatti medicare anche tu. Goccioli sangue."
Così impossibile da non notare per nessuno, figurarsi per lei. 
"Non é importante."
Aveva ripetuto lui con durezza, fermandosi per un solo secondo quando sentì la compagna parlare. 
“È stata molto coraggiosa oggi!” 
Aveva trovato un modo per bloccare quella sua veloce uscita di scena così drammatica e fintamente poco interessata, avvertendo un strana sensazione. 
“O solo molto stupida.” 
Decretò lui, scomparendo all’esterno. 
 
 
 
 
 

Note dell'autrice: _____________________

Eh, sì, cari lettori/lettrici, ho iniziato una nuova Long (anche se non ho idea di QUANTO LONG). So bene che la salsa è sempre la stessa, e anche questa mia idea non sarà affatto originale, ma spero di riuscire ad imprimerci il mio tocco personale e mostrarne una versione con sfumature diverse. 

Prometto che cercherò di rendere al massimo i personaggi, lasciandoli loro stessi il più possibile - per quanto posso almeno - e scriverla il meglio che posso, dal momento che stavolta ho un po' più di tempo da dedicarci. 
 
Spero mi accompagnerete in questo nuovo viaggio. 
L’importante é divertirsi ed emozionarsi. Questa la mia unica chiave di lettura. 

 

RobyZN

 

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Capitolo 2
*** Sincerità ereditata ***


Capitolo II 
Sincerità ereditata 
 
 
 
 
 
 
 
“AAAAAAAAAAAAAAAH!”
 
Non era poi così insolito, su quella nave, abbracciare una nuova giornata con un urlo capace di sfondare pareti intere. 
La bambina sconosciuta, risvegliatasi bruscamente, e, soprattutto, presa da un senso ingombrante di panico, era rotolata giù dal letto della stanza delle ragazze, dove era assopita fino a pochi minuti prima accanto a una Robin ancora dormiente, facendo un capitombolo alquanto rumoroso. 
“Robin?” 
L’archeologa, risvegliata abbastanza in fretta a causa del suo sonno leggero, la stava guardando stralunata, ancora assonnata e un po’ confusa da quel trambusto che non approvava certamente. Ma, si chiedeva, quella bambina…l’aveva forse appena chiamata per nome? 
“Ma sei davvero tu, Robin?” La stessa che ora si guardava attorno nella stanza metà tra l’essere curiosa e l’essere stranita. Si grattava la nuca dolorante, dal momento che l’aveva sbattuta contro il piede della specchiera, procurandosi un dolore lancinante ma che gestiva benissimo. 
In quel preciso istante Sanji, Brook, Usop e Franky fecero irruzione nella medesima stanza, facendo sonori capitomboli, uno addosso all’altro. Certo che se Robin fosse stata davvero in pericolo, stavano dimostrando che sarebbero almeno arrivati per tempo! 
“Che diavolo urli demonio!?”
Robin lo guardò accigliata. 
Il cyborg mise le mani in avanti scuotendole compulsivamente a causa della possibile incomprensione.
“Mi riferisco a quella mocciosetta che ci ha svegliati tutti!” 
Fu il primo ad entrare nel luogo proibito, in mutande naturalmente, oscurando per metà la vista agli altri compagni che ancora si rimettevano in piedi e si scannavano dietro di lui. 
“Da quando mi chiami mocciosetta?” 
La bambina indispettita si stava rimettendo in piedi senza però perdere il controllo visivo con i membri dell’equipaggio, e, una volta stabile, puntò il piede in avanti con sul volto un’espressione affatto rassicurante, fissando primo tra tutti il cyborg con sguardo truce e irritato. Con una mano spinse i capelli, legati in una coda di cavallo - dal momento che si erano appiccicati sulla sua spalla destra - bene all’indietro, e con l’altra si era allungata sul letto per recuperare il suo ‘giocattolo’ ancora bene imbavagliato. 
Usop, facendo due passi in avanti, inghiottì della saliva - o meglio - si strozzò.
“Tu…hai…un’aria così...familiare…”.
Robin, spinta da quelle parole, la scrutò attentamente “…é così? Ti abbiamo già vista da qualche parte? Sei su qualche manifesto di taglia? Sul giornale?”
La ragazzina, che stava stringendo quella sua fidata e stramba arma nella mano indietreggiò improvvisamente.
“Quindi voi non sapete chi sono? Non mi riconoscete?” strinse quell’accessorio con più forza, "ora che vi guardo meglio…siete così diversi”, iniziò a sudare, finendo in uno stato assoluto di confusione. 
 
Vuol dire che ci sono riuscita davvero?
 
Sanji aveva spintonato Usop e Franky per farsi spazio all’interno della stanza delle compagne, con inizialmente gli occhi a forma di cuore, salutando prima Robin con rispetto, e perdendo anche la sua cospicua dose di sangue dal naso già di prima mattina. Il suo sguardo venne catturato poi dalla bambina, facendosi piuttosto serio. 
“Nei tuoi occhi…c’è qualcosa di così…” scosse la testa come a voler scacciare via un bruttissimo pensiero “no, no, non può essere.” 
Usop avanzò, superandolo, volto a guardarlo realmente interessato. “Cosa? Parla!” 
“Fastidioso!” aggiunse il cuoco, inclinando un po’ il capo a destra, confuso. 
I tre caddero sul pavimento, sconvolti e allucinati. “Hai detto davvero questo di una donna?” 
“È ancora una bambina!” Puntualizzò lui in sua difesa, indicandola indignato con la mano aperta. Che poteva fregare a lui di una mocciosa, si domandava, sconcertato.
“Bambina a chi?” 
Ma quella non si faceva certamente insultare, mostrando fin da subito un importante caratterino…e, con tutta la sua sicurezza, si prostrò davanti a loro mettendo in risalto la sua figura. “Sono una guerriera io! E ho dieci anni e mezzo.” 
Sguardo orgoglioso, piena (più o meno) consapevolezza di sé, e per nulla impaurita: questo era il ritratto di quella peste alta un metro e qualche centimetro, per lo più di presunzione. 
Brook rise, facendosi spazio tra i compagni spingendoli alle estremità, e passando in mezzo a loro, contento di riuscire ad essere entrato in quel mondo che era tanto proibito per lui. “Quanta vanità e arroganza tutta insieme! Yo-hohoho.”
“Ve l’ho detto, è dannatamente familiare!” 
Usop era il primo della fila adesso, aveva quasi raggiunto Robin che, nel frattempo, aveva preso posto sulla sedia, seduta più composta, coprendosi le spalle con la sua coperta. 
“Si, dannatamente familiare!” concordarono tutti.  
 
L’archeologa aveva optato per mantenere calma la situazione, proponendo alla ragazzina di fare un veloce bagno ristoratore e poi parlare con serenità davanti ad una tazza fumante di tè caldo, per ragionare meglio a stomaco pieno. La bambina aveva accettato, ma con la sola condizione di fare il bagno da sola, senza nemmeno Robin in mezzo ai piedi. 
Quando li raggiunse in cucina, trovando la strada con facilità in un’azione abitudinaria, trovò davanti a sé quasi l’intera ciurma, compreso Chopper, arrivato dopo aver controllato la situazione di salute di Nami, e l’ultimo arrivato, Zoro, che appena finito il suo turno di vedetta era andato a sedersi al suo solito posto per sfamarsi. 
Riacquistò la sua fierezza e compostezza, e, indossando gli stessi vestiti del giorno prima, con sempre una bella e alta coda di cavallo alle sue spalle, e la sua arma a tracolla, si sedette al tavolo insieme a tutti. 
“Ma guarda quanto sei carina adesso.” 
Sanji le porse la tazza di tè con un piattino colmo di biscotti, in attesa che fosse pronta la mega abbonante colazione della mattina; il primo giorno dopo che erano state fatte le provviste era sempre quello con le porzioni più varie e abbondanti. 
“Piantala subito!” aveva appena sbattuto un pugno sul tavolo, “non m’importa di essere carina, io sono una guerriera.” 
Zoro sorrise, mentre già impugnava il boccale nella mano. Chiunque zittiva il cuoco a quel modo meritava il suo rispetto. 
“La cosa ti diverte, eh?” Sanji ovviamente lo aveva notato, “allora scordati di mangiare stamattina!” 
“Cuoco maledetto! È il tuo dovere sfamarmi!” Con i denti aguzzi, finirono nel solito giro furente di sguardi irritati e insulti rabbiosi, regalando alla ciurma il vero inizio giornata. 
La ragazzina si mise una mano sul viso, come se fosse abituata e non sconvolta da una simile diatriba.
“Non ci credo”, aveva gli occhi arresi, “allora é vero che è sempre stato così tra loro.” 
I restanti membri della ciurma si voltarono a guardarla. Ma proprio in quel momento, la sentirono, la voce di Rufy. I due smisero all’istante di litigare, sbuffando. Usop aveva iniziato a sospirare demoralizzato, mentre Franky, con una mano alzata in aria con il pollice all’insù, era divertito. 
“Ci siamo…” elargì con tono moderato tra l’euforico e l’arreso. 
” Sanjiii, ho fameeeeeee!!!” 
Il cuoco, paratosi immediato sulla porta bloccò tempestivamente la sua corsa, assestandolo con un colpo secco sulla schiena - stava per metà ancora nel mondo dei dormienti - per poi lasciarlo lì, a terra, stordito, per ritornarsene come se niente fosse dietro al bancone della cucina.
“Prendi posto come le persone civili! Abbiamo ospiti!” 
Aveva già entrambe le mani occupate: con una scuoteva una pentola sul fornello acceso e con l’altra tagliava velocissimo gli agrumi per farcire esternamente la torta già pronta. Un buon odorino era già arrivato alle narici di tutti. 
“Che fame, fame, strafame!” Rufy aveva obbedito, dimostrandolo con la testa sul piatto e la lingua di fuori. “Ieri mi sono addormentato sognando il pranzo.” Un tono infuriato s’impossessò di lui per qualche secondo, nel ricordo dell’incidente del giorno prima. Un fastidio però che non gli apparteneva e che infatti venne subito dimenticato. “Oh ciao bambina”, disse, ormai del tutto sveglio, alzando il capo dal piatto. 
“Non sono una bambina!” lo guardò male. “Ma insomma, quante altre volte dovrò ancora dirtelo che non devi più vedermi così?!” Puntualizzò di nuovo, per poi portarsi le mani sulla bocca e sperare di non essere stata sentita.  
Rufy la guardò stranito, con la nuca sorvolata da innumerevoli punti di domanda “Non credo di aver compreso”, disse mentre si grattava sopra il naso estremamente confuso. 
“INSOMMA!” 
Usop, in piedi sul suo posto, puntava le dita sul tavolo pensando di intimorire, “non credi che a questo punto devi darci un sacco di spiegazioni, tu?” 
La piccola, sempre con sul viso quella strana espressione seria e arrogante, aveva ora tutti gli sguardi puntati addosso. 
“Chi diavolo sei? E perché credi di conoscerci?”, continuava indagatore il cecchino, prendendo le veci dell’investigatore di turno della Sunny, l’unico in grado di fare le domande giuste, insieme a Robin naturalmente. 
La nuova arrivata guardò uno alla volta i membri della ciurma, muniti di punti interrogativi che li accompagnavano, e quando si scontrò con Zoro, per un attimo sussultò. Lui ricambiò lo sguardo curioso di quell’attimo, ma senza darlo a vedere, imperscrutabile come sempre; lei invece, in quel momento, aveva un po’ perso parte di quella sicurezza, almeno, finché non cambiò direzione di sguardi, concentrandosi altrove. 
“Ecco…” iniziava davvero a sentirsi in trappola, “quanta percentuale di verità vi é sufficiente?” 
“Cento per cento! Mi sembra anche abbastanza ovvio, non ti pare?” Usop stava ancora in piedi, e nell’attesa di avere informazioni sbatteva le mani sul tavolo in legno, creando un boato irritante per le orecchie di molti. 
“Ma proprio tu lo dici?” Ribatté la minore, “rivedi un po’ le tue percentuali prima di decretare verdetti…” La morettina si concentrò poi sul tavolo, su un punto preciso, ignorando però l’ansia che le stava mettendo addosso il cecchino, dal momento che si rendeva conto di stare continuando a dir loro di conoscerli in qualche modo ambiguo; ma lei aveva ben altre “gatte” da pelare e non aveva voglia di rispondere a tutte quelle domande. Più pensava e più muoveva la nuca, mettendoci le mani ai lati, in movimenti continui, inclinandola da destra a sinistra. “IN CHE CASINO MI SONO CACCIATA STAVOLTA! A CASA MI UCCIDERANNO. COME NE ESCO!?” 
Parlava più da sola che con la ciurma, ovviamente. Ma l’abitudine era dura a morire, e nascondere segreti non le veniva particolarmente con facilità.
“Di chi parli? Intendi i tuoi genitori? Sei scappata di casa, per caso?” Chopper, seduto accanto a lei, si mise in mezzo, con una voce dolcissima e rincuorante. Ma quella non si rese nemmeno conto di quella tenerezza e, senza pensarci troppo, lo strattonò ferocemente.
“SI, SONO DUE PIUTTOSTO DIFFICILI.” 
Chopper aveva un forte capogiro e gli occhi a forma di girandola, non riusciva più a capire sé stesse sognando o se fosse ancora sveglio. 
“Anche tu sembri un po’ pazza, però” Rufy rise a crepapelle, “mi piaci, lo sai?!” 
“Zio Rufy! Ma ti pare il momento di scherzare? Non capisci la gravità della cosa?”
Si portò le mani alla bocca, totalmente nel panico. 
“ZIO COSA?” 
Ora le aveva messe in avanti, facendo segno a tutti di calmarsi, circondata dallo stupore generale che le ricadeva sulla testa come un macigno. 
“Ok, ok, fatemi ragionare…devo trovare il modo migliore per farvi indorare la pillola…senza rivelare informazioni pericolose!” 
“MA TU RIVELI INFORMAZIONI DANNATAMENTE AMBIGUE!” Venne attaccata ancora una volta da Usop, ormai talmente curioso – o spaventato -  da essere esausto di non ricevere spiegazioni soddisfacenti, ovvero che lo facessero sentire al sicuro.
“Hei Rufy, che tu sappia, Ace ha avuto una figlia dieci anni fa?” 
Il capitano cadde dalle nuvole alla domanda dello spadaccino. “Io non ne so niente” continuò a grattarsi sul naso, sempre confuso, ma stavolta come tutti. 
“Aspetta…ma tu ci parli come se ci conoscessi…! Come è possibile?” Robin aveva capito che non poteva essere semplice la riposta a quel quesito, oppure la ragazzina stava solo che mentendo. 
Quella in risposta sudò freddo. Stringeva i denti, non sapendo se azzardare a rivelare il suo segreto oppure no. 
“Che viso familiare…e che temperamento… “ Usop si era rimesso a sedere, con sguardo indagatore, “se non fosse per i capelli direi che…”
La ragazza si avventò sopra il mal capitato tappandogli la bocca. “Stai zitto, zitto, zitto!!!” 
“Ma non ho detto niente” cercò di levarsela di dosso ma senza riuscirci, dal momento che si era fiondata sopra la testa e la copriva con le braccia, dimenandosi come un’isterica. “Non so nemmeno cosa stessi per dire!” 
“Sentite, che dite di gustare prima una buona e dolce colazione, e poi continuare a discuterne calmando i toni? Eh, che ne dici?” Sanji si rivolse alla bambina, regalandole un sorriso gentile e meraviglioso. 
“Grazie infinite, zio Sanji.” 
“E MA ALLORA TE LE CERCHI EH!" 
Gridarono tutti insieme anche stavolta. 
Come gesto ormai ripetitivo, la nuova ospite si portò ancora le mani alla bocca, coprendole, con gli occhi del tutto fuori dalle orbite. “Maledizione!” le uscì un'imprecazione, ormai impossibilità a calmare il suo cuore pulsante. E tutto questo mentre il mondo di Sanji si era fermato. “Z-zio?” 
L’ospite sospirò arresa da sé stessa. “Scusate” così provata e affranta, “ho ereditato la sincerità da mio padre…e non riesco a mentire.” 
“La scusa più stravagante che abbia mai sentito, yo-hohoho.” Brook, che sorseggiava finalmente il suo primo intruglio della giornata, posato e a suo agio, aveva sputato metà contenuto fuori rischiando di soffocare. 
La ragazza riacquistò la sua postazione fiera e, facendo scena, allungò il braccio in avanti. “Mia madre me di dice sempre che sono senza speranza come mio padre!” La sua era una specie di caricatura del genitore, imitando il suo tono contrariato. “…e tutto questo solo perché non riesco a dire le bugie.”
Sospirò. 
“Siete una famiglia di pazzi…” Usop, si pronunciò, arreso dal non capirci più niente, mentre incrociava le braccia al petto e continuava a guardare la bambina con sfiducia e terrore. 
“Una famiglia che a quanto pare... è la nostra famiglia…?! Non sto capendo proprio niente…” Sanji, non aveva scordato quell’appellativo. “Comunque io non mi ci vedo proprio a fare lo zio.” 
“Certo, una nipote non te la potresti filare.” 
Zoro non perse occasione per punzecchiarlo, mentre con fare rozzo consumava la sua colazione, quasi facendo a gara con Rufy, che non respirava nemmeno. Sanji ringhiò infastidito dal vederlo così tranquillo a punzecchiare come se lui non c'entrasse niente. 
“Senti un po’…” il capitano aveva già terminato due porzioni enormi di cibo che equivalevano alla colazione di tutta la ciurma “quando, e se vorrai rivelarci la verità, lo farai. Non sarai obbligata da nessuno a farlo adesso.” Le sorrise felice, grosso come una palla per via dello stomaco sazio e soddisfatto. 
Quella rispose annuendo, ancora più entusiasta di lui, a quella gentilezza, regalandogli un sorriso a sua volta. Le aveva appena tolto un grosso macigno dal petto. “Papà lo dice sempre, che posso contare sulla tua stupidità.” 
“Hei!” Allungò il braccio e le tirò uno scappellotto sulla spalla. Ma poi tornò a ridere. “Che spasso tuo padre! Allora deve proprio conoscermi bene.” 
Non direi proprio “uno spasso". 
“Allora posso stare qua con voi? Finché non trovo il modo per tornare a casa?”
Stringeva i denti in preda all’ansia più curiosa. Sembrava priva di paura ma negli occhi un’ombra che necessitava di essere rassicurata. 
Rufy annuì. 
“È così ti chiami Rin?” a Chopper questo dettaglio non era sfuggito, e riprese parola dopo essersi ripreso dal mal di testa diventato immediatamente cronico dopo tutto quell’essere strattonato. 
La moretta fece sì con il capo, un po’ imbarazzata, assaporando finalmente del cibo e illuminandosi di felicità dopo averlo ingurgitato. “Che bontà. Questa è la mia preferita.” Indicò la torta agli agrumi con crema pasticciera al limone. 
Sanji sorrise. “Ne conservo anche un po’ per Nami-San.” Tagliò con cura una porzione gigantesca del dolce e la mise da parte con attenzione. “Chopper, non c’è da preoccuparsi per quella ferita, vero?” 
Il medico fece “no” con il capo, finendo indirettamente lui sotto lo sguardo insistente di tutti gli altri compagni. 
“Non deve sforzarsi finché non si rimargina onde evitare spiacevoli conseguenze. Ma starà bene.”  
Rin aveva seguito la conversazione e gli sguardi di tutti, capendo perfettamente a chi si stessero riferendo in quello scambio di battute, ma non conoscendo il contesto. 
“Quale ferita?” chiese, sbranandosi la torta, ancora piuttosto affamatissima. 
“Non ricordi niente?” 
Robin la osservò, cercando di capire se mentisse o se fosse davvero sincera come diceva, mentre aveva appena poggiato la tazza di tè sul tavolo, guardandola dritta negli occhi.  
“Ricordo di aver perso i sensi.” 
E in quel momento sfiorò la sua ferita all’addome con il dito, constatando che si era già richiusa, trovandoci solo un segno sulla sua pelle candida. “Mi hai medicata tu Chopperino?” Si era ricordata che durante il bagno caldo aveva tolto delle bende che non sapeva di avere; gli occhi le erano appena diventati scintillanti e pieni di dolcezza, mentre osservava il piccolo dottore.
Quest’ultimo annuì, rosso in viso. “É una ferita superficiale” le disse, imbarazzato da quello strano ed eccessivamente affettuoso sguardo. Uno sguardo che da estremamente amorevole divenne quasi truce, quando si concentrò ancora sull’archeologa. 
“Allora, che è successo?”
Usop, che non aveva mai smesso di tenere sott’occhio quel visino, tremò. “Ma come fa a cambiare così repentinamente? Ora fa quasi spavento.” Ancora che continuava a studiarne l’espressione, beccandosi di conseguenza un’occhiataccia veramente incattivita dalla suddetta interessata. “Ecco per l’appunto!” rabbrividì ancora. 
Robin riprese parola, ignorando l’amico fifone, “ti abbiamo trovata coinvolta nello scontro, eri già ferita”, la indicò, “sembravi smarrita e senza forza. Un uomo, non so dirti se pirata o marine, ti ha puntato la pistola contro, ti avrebbe potuta uccidere se non fosse stato per Nami che ti si è parata davanti.” Si fermò per respirare, incuriosita da quel repentino cambio di emozione. Ora Rin sembrava quasi terrorizzata. Stava ricordando qualcosa, ma non voleva dirlo a loro. L’espressione sconvolta, quasi imbevuta di un dolore appena arrivato d’improvviso che la stava lacerando. 
“In ogni caso, hai perso i sensi per la ferita all’addome che già avevi” ci tenne a precisare. 
“Capisco…” Aveva le mani tremanti, “mi dispiace…”, si alzò in piedi molto frettolosamente cercando di nascondere un’agitazione palpabile, “N-N- Nami, quindi, sta bene?” 
“Certo” le sorrise Robin, “non sentirti in colpa, Nami è fatta così: se qualcuno tocca un bambino si arrabbia molto...” 
Lo so. 
“Ma sì, non prenderla a male adesso…ha la pellaccia dura.” Franky ingurgitò l’ultimo pezzo di torta poco educatamente. 
So anche questo. 
Sorrise fintamente a tutti la piccola, con le mani pronte a tremare da un momento all’altro. 
“Vado a riposare un po’, se non vi dispiace.” 
Si alzò svelta, e senza chiedere molte informazioni sulla disposizione della nave o, soprattutto, aspettare risposta alcuna, si diresse in camera delle ragazze senza più incrociare lo sguardo di nessuno. 
 
“Quel modo di fare…” Usop non aveva smesso di indagare su di lei, continuando a scavare in quegli zigomi, mentre si massaggiava il mento pensieroso. 
“Eh già…” 
Robin sorrise d’improvviso, senza attirare però l’attenzione degli altri ancora piuttosto confusi. Non era affatto sicura di aver capito qualcosa in particolare, i suoi erano dei pensieri del tutto impossibili e inusuali, e qualunque teoria facesse le sembrava veramente irrealizzabile, però, c’era qualcosa in quella bambina, una vibrazione, un sentimento, un lineamento familiare, che non poteva proprio evitare di prendere in considerazione e di non farci teorie strampalate sopra. 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Leggerezza impulsiva ***


Capitolo III
Leggerezza impulsiva 

 
 
 
 
“Quante assurdità in questa storia.” 
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite. 
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare”, strinse i pugni innalzandoli verso l’aria davanti al suo viso, “io voglio sapere tutto, invece.” 
Robin rise, notando poi, accanto al letto, il piatto con i resti della torta di Sanji. 
“Sono passati tutti a trovarti?” 
“Si, tutti. Anzi no, tutti tranne quel maleducato di Zoro” fece l'indifferente, come se fosse un dettaglio banale su cui non soffermarsi troppo “che starà sonnecchiando da qualche parte, disinteressato come al suo solito.” 
Robin alzò un sopracciglio incuriosita da quella puntualizzazione, senza però rendere noto il suo non essere d’accordo, dal momento che ricordava molto bene come la sera prima lo spadaccino fosse rimasto in attesa di ricevere notizie sullo stato di salute di lei proprio fuori dall’infermeria. Decise di preservare l’orgoglio del compagno, e tenersi il segreto per sé. 
Vide Nami rigettare le braccia sul letto, accanto ai fianchi, senza più fare parola sull’argomento, constatando che quella puntualizzazione fosse solo per punzecchiare il verde, seppur assente, in ogni modo possibile, o, per lo meno, tirarlo sempre in ballo. 
“Comunque mi sento ancora così debole” aggiunse, mentre rialzava il braccio e si toccava la fronte accaldata con il dorso della mano. 
“Chopper ha detto che più dormirai e più sarà facile la convalescenza.” 
L’archeologa le mise accanto un libro, per ogni precauzione, non che Nami avrebbe avuto poi molto tempo per dedicarsi alla lettura; e dell’acqua in una bottiglia di vetro con a fianco due pastiglie dal colore giallo limone che avrebbe dovuto assumere al prossimo risveglio, ma non senza prima avvisarla delle precauzioni.
“Sono antidolorifici forti questi, se riesci a sopportare il dolore, puoi dosarli, perché potresti andare un po’, come dire, su di giri…”
“Ma che strazio. È solo una stupida ferita!” 
Nami ignorò l’avvertimento sadico della compagna, continuando a lamentarsi, mentre quella, estremamente paziente, faceva il possibile per renderle quella convalescenza più veloce. Le sistemò le coperte, gentilmente, sopportando quelle lamentele con la sua solita normale serenità.
“Se dovesse infettarsi rischieresti di perdere il braccio!” 
Secondo la mora quello era un modo diretto di tranquillizzarla! E infatti la rossa la fissò sconsolata e inquietata, per poi sospirare arresa, cambiando discorso. “Là fuori” se ne accertò prima di richiudere gli occhi, “è sicuro che vada tutto bene?”
“Puoi stare tranquilla. Siamo nascosti e ci resteremo. Non viaggeremo senza di te.” 
Ancora una volta, la navigatrice, s’addormentò seduta stante, dopo aver udito le ultime parole di Robin, che erano state rassicuranti. 
 
 
 
 
 
 
La testa le scoppiava anche nel sonno, questo perché, e ne era sicura, stava dormendo veramente in modo eccessivo. Dal cambio di illuminazione poteva ipotizzare che fosse ormai notte, con la consapevolezza di aver davvero sprecato tutta un’altra serata della sua vita a dormire. 
Aprì gli occhi lentamente, aspettando di abituarsi alla luce fiocca e gialla della stanza. Con un verso un po’ dolorante cercò di mettersi seduta, probabilmente facendo uno sforzo che avrebbe dovuto evitare. L’antidolorifico aveva già smesso di fare il suo lavoro, lo sapeva…era forte, si, ma quell’effetto durava veramente troppo poco per i suoi gusti, oppure aveva davvero dormito un’infinità di ore, più di quelle che pensava, e l’effetto aveva semplicemente fatto il suo corso. 
“Ti fa male?” 
Una voce troppo vicina la fece sussultare. Una voce che poteva distinguere senza problemi tra un centinaio, con quel tono sempre troppo severo. 
Trovò l’energia per mettersi seduta, poggiando la schiena alla spalliera del letto, guardando nella direzione da dove era provenuto quel suono: dal suo fianco. Magari la stava solo immaginando, magari era solo delirio dal dolore. 
“Zoro?” 
Era allibita di vederlo lì, seduto rozzamente sulla sedia di Chopper - veramente un po’ troppo scomoda per lui - con le gambe stravaccate. 
“Allora?” Continuò a chiederle lui, indifferente al suo tono fintamente stupito. 
Ma quella fitta dolorosa alla spalla, che poi scendeva su tutto il corpo, la prese nuovamente alla sprovvista. Provò a nasconderla, ma senza il minimo successo. 
Fece in tempo a scorgere Zoro scomodarsi dalla sua posizione, avvicinandosi di più al letto. “Chiamo Chopper!” 
Ma lei fu decisa nella sua risposta visibile dalla sua espressione facciale contrariata e con la mano gli indicò il barile avvicinato appositamente per lei al letto “devo solo prendere quelle. Dammele entrambe.” 
Con un gesto impacciato lui le passò le due pillole gialle - quelle lasciate con cura da Robin - e versò l’acqua nel bicchiere, assicurandosi di riempirlo tutto, passandole poi anche quello. 
“Due faranno effetto immediato” lo rassicurò, restituendogli il bicchiere e lasciandosi scivolare nuovamente di schiena sulla spalliera, ansimante e con gli occhi chiusi. 
“Ti serve altro?” le chiese ancora, non perdendosi nessun suo movimento. 
“Se devi andare via, vai pure, Zoro. Non ti obbligo a stare qua a farmi da balia.” 
“Ma cosa hai capito, stupida.” 
Ringhiò immediatamente, molto infastidito, incrociando le braccia al petto e ritornando seduto nella postazione precedente facendo dondolare la sedia con il suo corpo. 
Rimasero in silenzio, non sapevano nemmeno loro per quanto tempo esattamente. Nami sentiva finalmente il dolore abbandonarla, potendo finalmente riprendere a respirare e pretendere più lucidità da sé stessa. 
“Allora, ti fa male o no?” ci riprovò un’altra volta lui, ammorbidendo di più il tono, ma senza riuscirci troppo bene. 
Sospirò pesantemente, facendosi volutamente sentire dal compagno che voleva tremendamente avere una risposta. 
“Adesso non più.” 
 
Aprì nuovamente gli occhi, scontrandosi con quello di lui fisso sopra il suo volto.
“Sei ancora qua?” 
Zoro lo sapeva bene che lei era proprio testarda quando si impuntava nelle sue ragioni. 
“Smettila!” Ringhiò ancora una volta, offeso, sempre tenendo le braccia incrociate. “Sono qua, e qua rimango!” 
E in quella risposta data in un grugnito che risiedeva il sorriso di Nami, mentre stringeva il lenzuolo tra le dita di una mano, consapevole di provare un sentimento simile alla gioia, senza nemmeno capirlo, tanto l’aveva stupita quella puntualizzazione. 
“Sei sicura avresti dovuto assumerle entrambe nello stesso momento?” Con una mano si stava grattando dietro alla testa, confuso e assolutamente impacciato. 
“In effetti penso che Robin mi abbia detto di dosarle per evitare mi stordiscano…” tentò di rammentare la conversazione con poco successo, “ma il dolore era troppo forte per resisterlo.” 
L’ascoltò attento, ma senza più proferire parola. 
 
 
 
Sentì qualcosa di umido sulla fronte, delle goccioline d’acqua fredda stavano scivolando sulla sua guancia, in un contatto che sicuramente l’aveva risvegliata. 
“C-che è successo?” 
Aprì gli occhi di scatto e vide Zoro vicinissimo al suo viso. Una sorpresa improvvisa che la stranì parecchio, se avesse avuto più forza forse avrebbe sicuramente indietreggiato. 
“Ti sei addormentata” disse lui, togliendo un panno fradicio dalla sua fronte “…e poi hai iniziato a sudare.” 
Si guardò intorno muovendo solo le pupille scure, e, proprio come pensava, constatò che fosse ancora notte, quella stessa notte, e infatti ora ricordava: si era davvero riaddormentata dopo aver preso i due farmaci insieme, per poi essersi risvegliata dopo davvero troppo poco tempo. 
Zoro stava nuovamente inzuppando il panno sotto l’acqua fredda; lei lo notò tardi, ed ebbe una stranissima sensazione allo stomaco nel pensare a quella mano che le avrebbe nuovamente sfiorato la pelle. 
“Sarà per questo caldo insopportabile che non ci lascia da giorni.” 
Forse era febbricitante, o forse stordita, o forse era davvero solo il caldo, ma perché quel tocco doveva farla sentire così strana? 
Ecco, infatti, che quel pensiero l’aveva distratta, rendendosi conto che era troppo tardi per fermare quel contatto dal momento che il panno freddo le si era nuovamente posato sulla fronte. Nel togliere la mano da esso, le dita di lui le avevano sfiorato una guancia e lei non era riuscita a trattenere un brivido, che era così dannatamente inspiegabile. 
“Non è solo il caldo” lui era piuttosto sicuro e imperscrutabile come sempre “…é il tuo corpo che cerca di difendersi.” 
Lei sospirò rassegnata, sapeva che lui aveva dannatamente ragione, e dunque quei brividi potevano essere benissimo legati alla febbre. 
Quanto si sentiva debole. Doveva pensarlo anche lui, era ovvio che era così, vista quella preoccupazione eccessiva nei suoi confronti. 
“Va meglio adesso?” 
A sentirlo leggermente più calmo e vederlo appena interessato le aveva fatto aumentare il respiro, e sicuramente lui lo stava notando già da un po’, da qui quella sua continua apprensione. Provò a rispondergli, biascicando qualcosa d’incomprensibile, perciò risultando ancora più accaldata e fragile. 
Lui le si avvicinò ancora, riprese il panno e lo fece scivolare leggermente sulla guancia destra e poi quella sinistra. Lei aveva sempre gli occhi chiusi e il respiro affannato. Cercava di immaginarne quel volto mentre compiva quei gesti gentili. Le veniva naturale pensare a quanto potesse essere serio in viso.  
Zoro era ignaro che quei sintomi si erano amplificati anche per un altro motivo, che era proprio quel suo tocco e vicinanza inconsueta. 
Nami alzò d’istinto la sua mano appoggiandola sul panno umido, tra acqua fredda e contatti così intimi, non poteva più resistere; ma facendolo, aveva sfiorando quella dello spadaccino, che le stava ancora tamponando il viso. 
Aprì gli occhi che aveva chiuso solo per un istante e finalmente lo guardò dritta in volto. Era il suo sguardo di sempre, concentrato, con sfumature tra la rabbia e la preoccupazione, due sentimenti che in Zoro si gemellavano. Però c’era anche qualcosa di più, aveva scorto una certa apprensione in lui. 
“Chopper ha detto di fare così in questi casi.” 
Era un po’ imbarazzato, e giustificandosi, lasciò cadere immediatamente il panno che finì sopra la mano di Nami, ritornando a sedersi sulla sedia senza più guardarla in viso. 
“Grazie”
riuscì a dirgli, tenendo quella stoffa preziosa stretta tra le dita. 
Lui fece spallucce. 
“Torna a dormire.” 
 
 
 
E si era addormentata davvero, Nami, senza farselo ripetere due volte. Si sentiva così inutile in questi momenti. Forse erano quelli stessi antidolorifici potenti, sedativi per cavallo, a stenderla. O forse era davvero così debole da crollare per una ferita così banale. 
Si era risvegliata confusa, ma con la testa un po’ più leggera. Sentiva sotto di sé tutto strano, il lenzuolo che toccava con le dita aveva una diversa consistenza, la stanza attorno la vedeva quasi girare, i suoi pensieri erano così stupidi ad un certo punto. Poi ebbe una strana sensazione, una brutta sensazione anzi, che le arrivava tramite una stretta nel torace. 
“Zoro?” 
Sicuramente era andato via e lei si era addormentata, perdendo quell’occasione rara di quella sua premura nei suoi confronti. 
lo aveva urlato di soprassalto, pur sapendo benissimo che non era lì. Fu come una pressione interiore, sapeva che era troppo tardi, che lui si era già liberato di lei. 
“Sta calma” lo sentì poi avvicinarsi al letto - no al suo viso - “che ti prende?” 
Era così sorpresa. Lui era ancora lì. Lei non faceva che addormentarsi, e lui aspettava silenzioso.
“Pensavo fossi andato via.” 
Nami lo guardava con occhi spaventati. Ma perché stava provando questa sensazione di panico? Aveva forse fatto un brutto sogno che non riusciva a ricordare? Domande che però non trovavano risposta nella mente della rossa. 
“Che cosa ti prende adesso?” continuava lui, insistente e confuso, facendosi più avanti spingendo il torace e arrivando così con la testa sopra al viso di lei. 
Ma è dannatamente vicino. 
“Pensavo fossi andato via” 
Ma lo aveva ripetuto davvero? 
“Tutto qua?”
Allontanò appena il viso da lei, stralunato. 
“È tutto così strano.” 
Nami si guardò le mani allungandole sopra il suo viso, le sembrava quasi di vederci attraverso; allungò un braccio e le cinque dita si posarono sulla faccia di Zoro. Nami rise. Era passata dal panico alla risata in un batter di ciglia. 
Zoro si allontanò svelto, liberandosi da quel contatto, ma qualcosa si era appena aggrappata alla manica del suo yukata, che venne tirato delicatamente. Ora era ampiamente confuso: prima voleva mandarlo via, ora voleva che fosse lì. 
“Sei ancora in balia dei farmaci che hai preso.” 
Cercava di allontanarsi, ma lei lo tirava ancora insistente. 
“Può darsi” continuò a ridacchiare, ma senza mollare quella presa che divenne più forte. 
Sospirò quello, costretto a sedersi sul letto, cancellando ogni distanza tra loro. “Ma insomma, cosa c’è?” 
Sorrise ancora lei, improvvisamente divertita, girandosi di fianco verso di lui con la mano stretta ancora allo yukata: era piuttosto su di giri. Proprio come le aveva detto Robin, in effetti. 
“Non pensavo che saresti venuto a trovarmi.” 
Lui sospirò.
“Sono i farmaci che ti fanno farneticare” fu costretto a ripeterle, senza però allontanarle il braccio “…te l’ho già detto.” 
Zoro si era dovuto appoggiare per metà allo schienale del letto, dal momento che era davvero piccolo per entrambi. Non riusciva a liberarsi da quella stretta, e non tanto fisicamente, quanto che si sentiva di tradire la sua fiducia, se ora si fosse allontanato. 
Perciò, si mise comodo, più che poté almeno, rimanendo lì, sul letto, al suo fianco. Mentre lei, sempre aggrappata al suo polso, era caduta nuovamente in un sonno profondo. 
Anche lui poteva riuscire a sonnecchiare un po’, senza però addormentarsi per davvero: mai veramente distratto e sempre costantemente vigile. Sentì la compagna muoversi appena, aggrappata del tutto al suo braccio, poggiandoci la testa sopra, estremamente rilassata. 
 
 
 
 
Nami stava iniziando a muoversi un po’ troppo, forse si stava svegliando per l’ennesima volta. Aveva dormito così tanto che stava riacquistando energia, finché, pian piano, riacquistò anche la lucidità necessaria con l’effetto del farmaco che svaniva. 
Aprì gli occhi, riabituandosi faticosamente alla luce: era già mattina, lo vedeva da come filtrava all’interno. Mosse appena la testa, vide davanti ai suoi occhi lo yukata verde di Zoro e si rese conto che si era sdraiata su di lui, con una stretta sul suo polso, e il tutto senza farsi troppi problemi. Sentiva il cuore batterle veloce, ma non ne capiva davvero il motivo. Forse aveva esagerato, oppure era solo soggiogata da ricordi falsati. Le aveva fatto così tanto piacere quella premura, tanto da permettere alle emozioni di colpirla.
Si mise seduta e, per uscire da quella situazione, decise di giocare la sua unica carta di salvataggio, guardandolo confusa. “Ma che ci fai qua sul letto?” 
Zoro, che aveva l’occhio chiuso ma era sveglio, sudò freddo; lo aprì e la guardò immediatamente in cagnesco. “Sei diventata matta? Mi ci hai trascinato tu!” 
Osservò tutta la situazione intorno: ma lui era davvero rimasto così appiccicato a lei? E perché non si era staccato mai, nemmeno quando si era addormentata? 
Una strana stretta nostalgica le stava avvolgendo il cuore. 
“Sarei io che ti ho fatto sdraiare qua di fianco a me?” 
In realtà lo ricordava molto bene questo dettaglio, ma non voleva ammetterlo per nessun motivo al mondo. I farmaci l’avevano resa più leggera, ma non priva di ricordi. 
“Piantala subito con i tuoi giochetti!” 
Ringhiava, ma comunque sempre senza schiodarsi da lì. 
Lei mosse le mani verso il cielo, facendo la sua scenata drammatica, avvicinando poi il viso a quello di lui senza far trapelare debolezza. “In questa stanza ci siamo solo noi due, la parola tua contro la mia!” 
“É da un po’ che non siamo più soli, in realtà!” 
Tornò ad incrociare le braccia e stendersi meglio sulla spalliera. 
“Ehm?” Nami era confusa. 
“Hai visite”, con lo sguardo indicò il pavimento di fronte a lei, in cui vi trovò seduta la bambina che aveva salvato il giorno prima. 
“L’ho sentita fuori dalla porta che origliava.” 
La rossa guardò in direzione della ragazzina, che si era appena alzata in piedi e stava guardando verso di loro. 
Zoro continuò severo, “lo sai che origliare é per i codardi?”
“Mi spiace.” 
Era un poco imbarazzata, ma non sembrava affatto ammutolita dal tono dello spadaccino e nemmeno da lui.
“Ma piantala!” 
Nami tirò uno scappellotto in testa al compagno.
“Parla lui che ascolta sempre ogni cosa senza farsi notare da nessuno!” Sorrise alla ragazzina e indicò Zoro, che a sua volta la guardò malissimo. 
“Pensavo… ecco…che voi”
“Cosa pensavi?” le chiese Nami con fare dolce, incuriosita da quel volto così familiare, sotto lo sguardo sempre severo dello spadaccino che rimaneva in silenzio. 
“Beh, pensavo che steste facendo le vostre cose.” 
Distolse immediatamente lo sguardo, cercando un punto qualunque nella stanza su cui soffermarsi. 
“Quali cose?” Nami proprio non capiva, e il compagno la pensava allo stesso modo, poiché la sua espressione mostrava solo un punto interrogativo.
“Ma si dai, le VOSTRE COSE.” 
Accompagnò le parole con le mani, aveva la faccia tutta rossa. 
Quelli si guardarono, non la stavano davvero seguendo nel suo discorso molto strano. 
“Ma di che parla?” 
Nami cercò risposta in Zoro, alzando la testa e guardandolo, sperando che magari ne sapesse qualcosa di più. Ma lui fece spallucce, ricambiando l’occhiata confusa. 
“Oh, andiamo!!! Quelle losche faccende…” La ragazzina stava puntando il piede in avanti muovendolo ossessivamente, le guance accaldate, lo sguardo imbarazzato. 
“Ancora niente…” Zoro, scuoteva la testa. 
“MA INSOMMA! SESSO!” 
Ora aveva raggiunto un tono rossastro davvero non indifferente ai due, ed era allibita che non riuscissero a capire certe allusioni. 
Allo spadaccino rimase la saliva incastrata in gola per non sapeva dire quanti secondi. La navigatrice era sbiancata, per poi farsi possedere da una risata isterica che non lasciava presagire nulla di buono. “Che diavolo ne sa una bambinetta del sesso?” 
“Ho dieci anni e mezzo, diavolo! Perché è così difficile da imparare!”
Nami poté constatare che quella aveva proprio un caratterino appena irascibile. “Si, si certo!” mosse una mano in aria per sdrammatizzare quell’improvviso senso di claustrofobia e ansia. Diede un’occhiata rapida a Zoro, che, ancora non proprio ripreso, aveva sul viso un’espressione difficile da ignorare. In un attimo si era messo seduto, e aveva bevuto tutta l’acqua lasciata da Robin la sera prima bella bottiglia di vetro. 
“Tutto bene?” Nami lo schernì, ridendo del suo imbarazzo. 
“Umh”, mugugnò quello, in risposta, evitando di guardarla in faccia. 
La navigatrice ritornò a concentrarsi sulla bambina osservandola da capo a piedi, che a sua volta stava ricambiando l’occhiata in un modo strano, come se stesse fremendo. “Ti chiami Rin, giusto?” 
Quella asserì con il capo. “Sai che é davvero un bel nome?” 
Si sì. Lo so. 
“Allora, perché sei qui?” Continuò l’adulta, altra investigatrice della nave subito dopo o alla pari di Usop. 
“Rufy ha detto che posso restare e…” si scaldò subito, in preda all’agitazione più nera.
“Intendo qui in questa stanza, stolta!” 
Nami la fermò prima che esplodesse di emozioni, con il lenzuolo che le scivolava via mentre con un dito indicava l’infermeria tutt’intorno.
“Aaaah” in risposta la bambina gonfiò le guance per un attimo, per poi riacquistare immediatamente la sua fierezza facendo un inchino rispettoso. “Sono qui per ringraziarti di avermi salvata.”
“Di nulla.” 
A Nami parve di vedere gli occhi di quella ragazzina brillare mentre la guardava a sua volta, provocandole un senso di pace. 
Fu così veloce, con un salto la vide gettarsi su di lei e abbracciarla, scacciando in un attimo tutta quella sua compostezza e fierezza. La rossa non se l’aspettava questo ringraziamento speciale e così affettuoso, e anche se inizialmente rimase immobile, senza sapere cosa fare, poi cedette e come gesto involontario le mise una mano sulla testa, lasciandole una leggera carezza sui capelli. Sgranò gli occhi, quando sentì il suo profumo invaderla. Lo conosceva? 
Ma quell’abbraccio era così dolce, sembrava così importante, che lo dimenticò. 
“Va tutto bene, piccola” le disse quasi all’orecchio quando la sentì piangere. “Non é successo niente.” 
Rin si staccò subito, e senza guardare più nessuno dei due, volò via dalla stanza. 
“Vado…tornate pure a fare le vostre cose!”
Corse via alla velocità della luce, chiudendo - anzi, sbattendo - la porta alle sue spalle. 
Zoro strinse i denti, quell’insinuazione lo destabilizzava, aveva mandato in tilt il suo cervello in pochissimo tempo. Ancora un po’ imbarazzato - un imbarazzo che cercava di nascondere con il fastidio - guardò Nami di sottecchi, non sapendo che reazione avesse scaturito in lei. Ma la sentì invece ridacchiare allegramente, leggera di tutto, mentre si gettava nuovamente sul letto con la schiena. 
“Che caratterino…mi ricorda qualcuno.”
Sorrise, pensierosa, tra sé. 
“Sai Zoro” stiracchiò le braccia verso l’alto “quella bambina nasconde qualcosa d’importante, l’ho capito subito.” 
Lui abbassò l’occhio su di lei, enigmatico nel pensiero, ma rimanendo in ascolto. 
“E ti dico che dobbiamo assolutamente scoprirla.” Si voltò, mettendosi di fianco e socchiudendo gli occhi. 
“Però, sento di potermi fidare.” 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Ondata tropicale ***


Capitolo IV
Ondata tropicale 

 
 
 
 
 
“Va bene Nami, ma promettimi di non esagerare con gli sforzi, evita di usare il braccio quando non é necessario.” 
Sul ponte, Chopper dava i suoi avvertimenti alla navigatrice che, sollevata, stava nuovamente respirando aria fresca. 
“Promesso. Mi farò assistere da ognuno di loro.” 
Indicò i suoi compagni, passandosi poi una mano tra i capelli, contenta di essere tornata alla vita, ma anche un pelo dispiaciuta, ricordando le attenzioni che aveva ricevuto straordinariamente da una certa persona che in quel momento se la stava dormendo beatamente, appoggiato alla balaustra della nave, proprio davanti a lei. 
Vide Sanji avvicinarsi e colpire il legno con un calcio. “Ma guarda questo idiota che non fa altro che poltrire!” 
Era ovvio che nessuno, o almeno sicuramente non Sanji, sapeva che era rimasto a badare a lei tutta la notte. 
“Lascialo dormire” diede allora ordine al cuoco, che, di reazione, la osservò stupito e dispiaciuto.
“Ma mia adorata…” si avvicinò a lei quasi disperato, “perché ti prodighi per difenderlo?” 
In quel momento vennero raggiunti da una Rin sbadigliante. Aveva indosso una maglietta nera di Robin che le faceva da vestito, e sempre quella dannata e immancabile strana arma in mano. “Buongiorno” bofonchiò, divorando un cornetto farcito di marmellata che aveva sgraffignato dalla cucina. 
“Bisogna trovarti dei vestiti adatti” le disse Nami, ignorando Sanji, e osservandola attenta, catturata del tutto da lei. 
Quella alzò le spalle disinteressata “che c’è che non va in questa maglietta?”
Nami alzò un sopracciglio, si sentiva sconcertata, ricordando che a lei la moda interessava anche da bambina. 
“Questo tuo disinteresse é così…” stava per dire “familiare” quando venne interrotta dall’intervento del capitano che si era intromesso come suo solito senza aspettare. 
“Hei, ma perché tieni sempre quell’affare in mano?” Rufy, parato davanti alla bambina, si stava piegando sui polpacci per arrivare alla sua statura “…é  la tua arma?” 
“L’ho rubata in realtà.” 
“Sei davvero sincera!”
In quei modi bizzarri aveva sicuramente catturato l’attenzione di Rufy, che sorrideva interessato e colpito. “C’è una spada là dentro, vero?” 
Sanji lo ammonì con un colpo in testa - aveva i denti aguzzi, ancora irritato per la storia di Zoro. “Ma una bambina così piccola non può usare una spada, idiota!” 
“Ancora con questa storia della bambina?” 
Rin era nuovamente adirata per quell’etichetta antipatica che pensava la sminuisse. “Certo che so combattere con la spada!”aveva sospirato, ma non si sentiva per nulla arresa dal doverlo ripetere ancora più volte “Io sono una guerriera, volete capirlo sì o no?” 
Con ‘quella cosa’ sempre coperta da un sacchetto che faceva da rivestimento, colpì sulle gambe sia Sanji, che Rufy, che Usop che passava lì per caso, che ovviamente si lamentò. “HEII!!!”
Nami rise di gusto, le piaceva davvero tanto quel modo di fare che le ricordava assolutamente il suo caraterrino acceso e un po’ violento. 
“Hai imparato in fretta come gestire questi tipi qua.” Indicò nuovamente gli amici, accompagnando la voce con un tono arreso, sapendo perfettamente che era necessario avere polso e autorità per mandare avanti quella baracca fatta per la maggioranza di uomini, ma soprattutto bambini.
“Non complimentarti con questa teppista, Nami! Io che cosa C’ENTRO, ME LO SPIEGHI!” Per il cecchino non c’era mai giustizia, soprattutto quando veniva anche ignorato. Aveva infatti avuto un pessimo inizio mattinata, ancora assonnato per il turno di vedetta, e sazio per la colazione che aveva appena divorato, ora doveva pure farsi colpire da una mocciosetta armata di uno sguardo truce e accettarlo. 
“Ho imparato da mia madre a gestire gli uomini.” 
Rispose ad Usop, facendo la linguaccia. E si poteva avvertire una certa fierezza, mentre lo diceva. 
“Dev’essere una donna in gamba!” Nami le sorrise con le stelle agli occhi. 
“Ne dubito!”
Il loro entusiasmo venne ancora una volta spento dal cecchino, che continuava a infierire col suo essere pessimista.
“Una che insegna a una bambina a comportarsi così non dev’essere proprio un buon esempio di genitore!” 
Incrociò le braccia al petto, sicuro di sé, sedendosi sulla scalinata che dava sul ponte. 
“Scommetto che è una tipa focosa…” Sanji aveva la bava alla bocca, mentre si avvicinava di più a Nami e Rin “dimmi, che tipo è tua madre? È bella?” Aveva gli occhi a forma di cuore con lo spirito che aveva già oltrepassato i confini della decenza. 
Le due mossero la testa, arrese, almeno finché la bimba non venne catturata da un profondo senso di orgoglio, “certo! Mia mamma è una tra le donne più belle del mondo.” Era fiera, sì, ma mentre il suo tono era sicuro, deciso, orgoglioso, nel suo sguardo c’era anche un’accennata lontanissima tristezza. 
“Lo dicono tutti dei propri genitori.” 
Spense ancora l’entusiasmo un Usop doppiamente cinico. 
“Ma è vero!” i suoi denti diventarono aguzzi come quegli umidi uno squalo! “Non sto affatto mentendo.” 
Dopo aver gonfiato le guance gonfie e paffute, sopraffatta da quelle accuse per lei del tutto infauste, aggiunge un ulteriore dettaglio. “Lei è piuttosto famosa!”
Con lo sguardo puntato all’orizzonte, sembrava ricordare qualcosa d’importante e complicato. 
“E faccela vedere allora! Sta sul giornale? Hai una foto? Chi è?” Sanji si strofinava le mani in attesa, eccitatissimo, mentre saltellava. 
“Non posso dirtelo, diamine!” Puntava il piede sul pavimento nervosa e agitata. “Non posso dirvi questo per niente al mondo.” Aveva ingurgitato l’ultimo pezzo di cornetto e non curante stava ripulendosi sulla maglietta dallo zucchero a velo. 
“Lasciatela in pace, adesso.” 
Nami intervenne in sua difesa, non aveva più voglia di stare a sentire le chiacchiere degli amici, voleva indagare meglio per conto suo. 
“Aiutami ad innaffiare i mandarini. Ti va?” 
Senza aver bisogno di una riposta, despota come al solito, la prese per il polso e la trascinò al piano di su, sotto lo sguardo confuso dei compagni, uno dei quali rimasto a bocca asciutta. 
 
 
“Ehi, ma lo sai che ci metti proprio la giusta cura?” Si complimentò con lei. 
Quella arrossì. “Beh si, so farlo.” 
“Sei proprio piena di sorprese.”
Nami era seduta sul pavimento in legno e la guardava fare, così manteneva la promessa fatta a Chopper, di non sforzarsi e non lavorare. 
“Da chi hai preso questi capelli corvini?” 
Le chiese d’improvviso. Era chiaro che quella ragazzina avesse incuriosito Nami a tal punto da proteggerla e volerla conoscere meglio. 
La bambina sbiancò. 
La rossa sembrava ci stesse macinando sopra un po’ troppo.
“Sono belli, eh, però scuriscono il tuo bel viso.”
Sorrise, portandosi la mano sotto al mento come per reggerlo, pensosa. “Ah, giusto, non puoi dirmi niente. Nemmeno questo.” 
Finito di innaffiare, Rin andò a sedersi accanto a lei. Una vicinanza che sembrava così abituale per la morettina. Nessun indugio, nessuna paura, nessuna esitazione, eppure di trattava pur sempre di pirati. 
“Vorrei dirvi tutto, davvero.” Muoveva i piedini, e solo quella corta statura ricordava alla navigatrice che era solo una bambina di dieci anni (…e mezzo). “Mi renderebbe le cose molto più semplici parlarvene. Ma non posso proprio farlo, non é ancora tempo.” 
Nami l’ascoltava attenta e, non sapeva come e perché, sentiva che nonostante tutti quei misteri poteva fidarsi. Anche se questa cosa ‘del tempo’ era difficile da digerire e comprendere. 
“Posso chiederti solo una cosa? Vorrei che mi rispondessi.” Tolse la mano dal mento, portandosi poi i capelli dietro alle spalle come gesto preparatorio a una domanda probabilmente scabrosa. “Perché ti sei rattristata quando parlavi della tua mamma?” 
A Rin mancò un battito. 
Si è accorta di questo? 
“È piuttosto semplice…” allontanò dal viso i ciuffi che le solleticavano la guancia “perché io…non sarò mai bella e forte quanto lei. E quando ci penso…mi sento sopraffatta, a volte un po’ triste.” 
Continuava a guardarsi i piedini scalzi. 
Nami era accigliata è tanto incuriosita. 
“Ma sei ancora una bam…” si fermò in tempo, “una ragazzina…hai tempo di crescere. E sei già così carina.” 
Le sorrise gentile. 
Rin ricambiò lo sguardo con quei suoi occhi grandi e ramati, ma era comunque un po’ incerta. “Io sono una guerriera, come il mio papà. E penso di aver preso tutto da lui. Lo dice sempre anche la mamma.” 
Nami non poté fare a meno di farsi sfuggire una risatina sincera. 
“Allora vedi che sei forte!? Che altro vuoi?”
Ma Rin aveva di nuovo lo sguardo abbassato, concentrata nel fissare il pavimento in legno sotto ai suoi piedi scalzi. “Non intendevo forza fisica.” 
Quegli occhi le ricordavano tanto i suoi, se non fosse che erano leggermente più scuri. 
La navigatrice continuava a guardarla seria. Il loro temporaneo silenzio era accompagnato dal rumore dei piedi di Rin che sbattevano sul legno. 
Finché Nami le sorrise ancora.
“Secondo me sei una bambina molto fortunata.”
Le mise una mano sulla testa in un’altra carezza che le nasceva dal cuore, in maniera naturale e sentita. “È chiaro che i tuoi genitori ti insegnano a sopravvivere, e visto come sei, hanno fatto un ottimo lavoro. Sei da sola su una nave pirata, dopotutto.” 
Rin continuava a guardarla, con gli occhi colmi di uno strano luccichio, con la bramosia di ascoltarla parlarle.
“Davvero?” 
“Certamente. Sei intelligente, coraggiosa, affettuosa, sincera.” Le puntò il dito contro la fronte “…ribelle!” Non riusciva a fermarsi dal sorridere, compiaciuta. “E ancora nemmeno ti conosco.” 
Gli occhi di Rin brillavano ancora, e anche stavolta non riusciva a trattenere le sue emozioni interiori che le uscivano dal petto come a voler esplodere e scappare da una prigione, e l’abbracciò ancora, dal fianco. Era già la seconda volta che la navigatrice si trovava in quella situazione così strana per lei. Stava ricambiando certamente quell’affetto, ma era lo stesso sorpresa da quella dolcezza che arrivava a ondate, prendendola sempre in contropiede. 
“Anche tu sei bella. Come la mia mamma.” 
Le sue manine erano capaci di donarle una sensazione di pace e dolcezza che non aveva mai avuto veramente. Nami era stupita di sé stessa, nel provare piacere al sentirsi così coccolata da quella ingenuità. 
“L’ho detto io, che sei intelligente.” 
 
 
                                                        
 
 
 
Ora che Nami stava meglio, la normale navigazione aveva ripreso. Avevano provato a chiedere a Rin di dir loro su che isola fare rotta per riaccompagnarla a casa, ma lei dava sempre la stessa risposta, “nessuna”, oppure, “non è ancora tempo”, perciò lasciarono perdere e proseguirono il viaggio secondo le loro esigenze. 
Sanji stava servendo la merenda all’esterno, torta gelato e succhi alla frutta, per combattere quel caldo, in quella morsa tropicale, su un tratto di mare spento e deserto. L’acqua era così calma, sembrava olio, e la Sunny l’intruso che stava disturbando la quiete col suo passaggio. 
“Dovremmo gettare l’ancora e fare un bagno al mare.”
Propose Usop, con la lingua di fuori, mentre si sventolava con la mano. 
“Non è giusto!” Furono le risposte immediate di Rufy, Chopper e Brook che, saltati in piedi, protestarono sonoramente. “E NOI?” 
“E devo risolvervi io questo problema?” Ma Usop non aveva la forza di urlare, era troppo abbattuto dal caldo. 
“Dopo la merenda posso mettere in piedi una piscina gonfiabile sull’acqua e ancorarla alla Sunny! Che ne dite?” Naturalmente il cyborg aveva sempre un’idea pronta. E naturalmente era palese che i tre seguaci avessero le stelline negli occhi e urlassero già di gioia, incoronando Franky re dell’estate. 
Nami tirò giù una bretella della sua canotta provocando una certa reazione nel cuoco, a cui non era sfuggito nulla. 
“Chopper queste bende mi fanno sudare. Dici che posso toglierle per fare il bagno?” 
“Puoi togliere tutto Nami-Swaaaaaaaaan…” mentre parlava, perdeva sangue dal naso, come al suo solito in queste “delicate” circostanze.
“Ma non ti stanchi mai di essere un pervertito?!” Zoro, che nonostante il caldo aveva comunque optato per il sakè al posto del succo di frutta, non perse occasione per attaccarlo. E mentre iniziarono a litigare, Chopper pensò alla risposta. “Puoi toglierle, ma la ferita in acqua salata ti brucerà moltissimo, Nami.” 
Quella ci pensò su, poco convinta. 
Robin stava sorseggiando il suo succo alla frutta con eleganza e portamento, e affianco a lei c’era seduta Rin, che diventava così calma e composta quando stava con lei. 
“Come hai passato la nottata?” chiese poi a Nami, dal momento che ancora non aveva avuto con lei un confronto privato. 
La navigatrice ebbe un brivido, ogni volta che pensava alla notte passata, e a quello strano avvicinamento con Zoro, si sentiva così…diversa. 
“È passata” le disse solo. 
Rin diventò subito rossa in volto, qualcosa che Nami notò subito, sgranando gli occhi di conseguenza. 
“RIN!” 
L’ammonì sconvolta. Mentre si chiedeva se una bambina avesse il consenso di immaginare certe cose.
“Non penserai ancora a quello!” 
Mentre Zoro e Sanji stavano ancora insultandosi, gli altri compagni si erano appena interessati alla nuova conversazione.
“Quello cosa? Che é successo?” Chiese Franky immediatamente interessato. 
La rossa si era appena resa conto che quella era diventata improvvisamente una conversazione pubblica. “Niente, niente.” Incrociò le braccia terrorizzata dalla strada che stava prendendo quella semplice puntualizzazione. 
“Beh, ma quando due adulti sono soli in camera, sul letto, è normale pensare a…”
Usop aveva appena sputato tutto il succo di frutta all’albicocca sul pavimento. 
“Piantala!” 
Ora era Nami ad essere diventata bordeaux. Non era successo niente quella sera ma ogni dettaglio di quella notte doveva appartenere solo a lei. Gli altri non avrebbero capito ma solo che frainteso. 
“Yo-ho…di cosa sta parlando, Nami cara?” Brook era ovviamente stato catturato dal discorso che si rivelava essere abbastanza peccaminoso. 
“Chi c’era con te ieri notte?” Usop, ripreso dallo shock, era tornato il solito indagatore di sempre. 
Ma non aveva caldo? 
“Smettetela subito. Sono solo fantasie di una bambina.” 
Doveva già sopportare abbastanza problemi, tra il caldo e l'esser ferita, ci mancavano anche le insinuazioni sessuali. 
Rin mise il broncio. Aveva gli sguardi di tutti addosso, ma fece capire che non avrebbe detto niente al riguardo. 
“Hai detto che non sai mentire!” 
Usop la indicò con il dito imitandola in una voce da bambina. “Era quindi una bugia?” 
Quella non poteva sopportare un’accusa simile, scattando in piedi in un movimento impacciato ma rapido, regalando al cecchino la sua peggiore espressione. “NON STO MENTENDO.” Diede fiato ai polmoni. “Sto solo rispettando il volere altrui non spiattellando gli affari di altri!” 
“Si, si…ma che onorevole…” 
 
 
 
La piscina promessa da Franky con acqua dolce era stata piazzata con successo sul mare, accontentando i pirati “bambini”, ma tra questi non era compresa Rin. 
I tre compañeros incapaci di nuotare ci si erano fiondati immediatamente dentro, non sentendosi più esclusi. 
Robin era rimasta direttamente sul ponte, in costume, a prendere il sole sulla sdraio, con tanto di cappello nero, crema solare, libro e drink.
“Tu non lo fai il bagno?” chiese a Rin, seduta accanto a lei. 
“Non posso” rispose, portando le ginocchia al petto “però mi piacerebbe tanto.” 
Sembrava così abbattuta che a Robin dispiacque particolarmente. “Capisco. È legato a quello che non puoi dirci...” 
La bambina annuì. 
Franky e Usop avevano appena fatto una gara a chi riusciva a fare il tuffo migliore, con i tre della piscina che davano i voti. Sanji era già in mare e chiamava Nami che, affacciata al parapetto, era ancora poco sicura di voler sopportare quell'ulteriore dolore. 
“Buttati mia dea. Ti prendo io!” Teneva le braccia lunghe fuori dall’acqua verso la nave. 
Per sfregio, Zoro, ancora sul ponte, anziché usare la scaletta optò per fare un tuffo, buttandosi proprio sopra il cuoco, che lo schivò per un pelo. 
“Ha quasi preso in pieno Sanji. Voto dieci!” Biascicò Rufy entusiasta. 
“Ma era privo di stile. Io direi 7 e mezzo!” Brook dava peso a tutto nei suoi voti. 
Sanji tirò fuori la testa dall’acqua riprendendo a respirare.“MALEDETTO!”, aveva ricaricato i polmoni, “Volevi forse affogarmi?”. 
“Fosse facile.” 
Zoro si allontanò, facendo una nuotata in solitaria. 
 
“Hei, sei sicura Rin?” Nami ci riprovò, allontanandosi dal parapetto e raggiungendola. “Se non puoi fare il bagno, allora rimango qua con voi.” 
Ma la bambina, alzata in piedi, la spinse fino alla scaletta che portava alla piscina gonfiabile. “No-no…tu vai.”
Era così determinata e testarda. Nami pensava a quale potesse essere questa verità così difficile che teneva nascosta. Era il suo pensiero fisso ormai. E più vedeva questi limiti e più voleva sapere. Ma torturare una bambina per avere informazioni non le sembrava la scelta più giusta da prendere. 
“Ok, ok! Se sei così sicura.” 
Si tolse il copricostume e scese per la scala. Rin la osservò, per poi tornare da Robin con il broncio. 
“Vuoi fare qualcosa?” 
Le chiese allora l’archeologa alzando la testa dal suo libro prezioso. 
“Non importa.” 
Poco elegantemente quella si era seduta sul pavimento con le gambe incrociate. 
“Farò un po’ di sana meditazione.” 
 
 
Nami era arrivata nella piscina improvvisata e si era seduta su quel bordo che non sembrava così stabile. Proprio in quel momento, Sanji era tornato a galla da una esplorazione subacquea e appena la vide, in costume, sorridente, con una mano tra i capelli, svenne perdendo fiumi di sangue. 
“I miei occhi non reggono a cotanta bellezza…” 
“FRANKY RECUPERA SANJI O AFFOGHERÀ!” 
Chopper, affacciato al bordo della piscina, si preoccupava disperato per la sorte del cuoco che non era riuscito a sopravvivere a quella visione. “Deve rifare terapia con le foto.”  
“Beh capisco la sua reazione…” Brook si era avvicinato a Nami con nonchalance “gioisco anche io, per una volta posso vedere le tue mutandine…anche se è un bikini.” Brook era piuttosto stordito, ma si dovette riprendere al volo quando il pugno della navigatrice lo spedì dritto in acqua…nel mare. 
“FRANKY RECUPERA BROOK O AFFOGHERÀ!” 
Ancora una volta, Chopper perdeva preziosi anni di vita. 
“Ma insomma Nami, ne hai già stesi due e sei appena arrivata!” Franky li aveva entrambi sulle spalle, e lì gettò in piscina. Rufy se la rideva a crepapelle, schizzando Usop, salito sulla piscina per la paura dell’acqua del mare troppo scura, facendo finta di buttarlo fuori bordo, con lui che urlava terrorizzato rispondendo con la forza e cercando di affogare lui, in risposta tragica a quell’agguato, sott’acqua. 
“La colpa non è certo mia!” 
Aveva immerso i piedi nell’acqua di mare, Nami. Doveva prendere coraggio, buttarsi, soffrire per un po’, ma poi sarebbe passato tutto. Ma decise di aspettare ancora e bagnarsi per gradi. 
Sentì qualcosa sfiorarle i piedi sotto di sé e si terrorizzò a morte. “Aiutoooo!” li tolse immediatamente dal mare, spostandosi e piegando le gambe sul bordo. Ma in quel momento Zoro sbucò dall’acqua sogghignando. 
“Maledetto!” Nami recuperò i dieci anni di vita che aveva appena perso. “MI VUOI FAR VENIRE UN INFARTO?!” 
Lo vide buttarsi nuovamente di sotto e rispuntare fuori qualche metro più in là. “Appena ti prendo ti affogo, hai capito?” 
“Fallo nero, Nami-San.” Sanji era ancora stravolto dalle troppe emozioni, stravaccato sul bordo piscina mentre cercava di riprendersi, con il medico che gli mostrava fotografie varie di Nami e Robin vestite. 
La rossa continuava a guardare l’acqua invitante, ma proprio non se la sentiva di soffrire. “Credo che rimarrò qua con voi.” Indicò la piscina d’acqua dolce.
Sanji perse ancora sangue quando il suo sguardo si posò sulle sue forme. 
“Ma sei proprio una fifona.” 
Zoro, era tornato nei paraggi, lasciandosi trasportare dall’acqua dell’oceano. “Guarda qua”, alzò il suo braccio, “questa ferita si è già cicatrizzata.” 
Lei sbuffò contrariata. “Non abbiamo la stessa soglia di sopportazione del dolore, Zoro!” 
Sanji, sentite quelle parole, si riprese in fretta dalla batosta, rituffato svelto in mare per ‘cantarne quattro’ allo spadaccino rozzo e incivile. “Razza di idiota!”aveva tolto la testa fuori dall’acqua e, voltandosi, si focalizzò sul compagno, “ma è così difficile per te capire che il corpo di Nami-san è delicato come un fiorellino…non di certo come il tuo!” 
Lo spadaccino l’avrebbe volentieri affogato adesso.
 “Ma sta zitto!” 
“Stai zitto, tu!” Lo beccò, muovendo le gambe a mo di attacco, schizzandogli l’acqua addosso in un movimento troppo irruente. 
Zoro, naturalmente, non se ne stava certo fermo, rispondendo all’attacco usando però le braccia. Peccato che quella guerra di schizzi (o meglio cicloni) d’acqua, era arrivata a coinvolgere anche Nami. 
“AAH” era praticamente fradicia ormai, “vi ammazzo entrambi, dannazione!” 
I due gelarono, fermandosi all’istante. 
La ragazza aveva portato la mano sulla ferita riuscendo quasi del tutto a proteggersi. 
“Ma dai Nami, tanto ti devi fare il bagno, no?” Rufy stava per gettarle addosso anche l’acqua dolce, ma lei lo fulminò appena in tempo, con quello sguardo indiavolato che li terrorizzava tutti. Quello sguardo truce che lo fece sudare seduta stante. 
“Fossi in te non lo farei, Rufy.” 
Gli suggerì Chopper, dietro di lui, terrorizzato da quell’aurea nera. 
“Scusaci Nami-san!” Sanji era rammaricato! "É sempre colpa di questo idiota!" Indicò Zoro che stava già ringhiando come un cane. 
“Siete idioti tutte due!” L’altra mano chiusa in un pugno che stringeva forte. “Siete fortunati che non posso colpirvi!” 
 Ci fu una strana situazione a un certo punto, poiché la piscina gonfiabile di Franky aveva emesso uno stranissimo rumore simile a uno scoppio. Ci fu solo il tempo di rispecchiarsi ognuno nello sguardo dell'altro, prima di realizzare che si era appena bucata per il troppo peso o forse per colpa di un pesce con le spine. Lo ricordarono tutti lo sguardo di Franky, con i suoi occhi fuori dalle orbite, così, all’improvviso. “Oh No” aveva urlato Nami, o almeno, ci aveva provato, con la voce che le moriva in gola. Ci fu uno spostamento d’aria, in cui ognuno di loro sembrava aver pensato cosa fare e dove andare. Tutti tranne lei, che aveva in mente solo il dolore che avrebbe provato da lì a qualche secondo. Si era fossilizzata come una statua, senza sapere come cavarsela. 
E quella fu l’ultima cosa a cui Nami stava pensando, il dolore, prima di sentirsi cadere in acqua…o quasi, per metà…la sua testa non era immersa in mare...stava respirando ancora, si era aggrappata a qualcosa di duro…ma era pelle, erano spalle…due spalle solide. Zoro l’aveva raggiunta per tempo, evitandole di finire immersa fino alla testa. Appena appoggiata sulla sua schiena, si era aggrappata al suo collo istintivamente, e con tutta la forza che aveva. 
Lo sentiva afferrarla saldamente sotto l’acqua, per le gambe. Con una spinta la tenne il più possibile in superficie, per non farle immergere la ferita alla spalla nell’acqua. 
“Stai bene? L’acqua ti é arrivata lì?”. 
Era sconvolta dalla sua prontezza ma anche da quel pensiero. Era chiaro che con 'lì’ intendeva la ferita. Altrimenti mai si sarebbe premurato di non farla cadere in acqua. E lui lo sapeva molto bene dalla notte prima quanto le facesse male. 
“S-sto bene." 
Era riuscita a rispondere, stringendo ancora più la presa al suo collo senza farci caso. Con la testa poco sopra a quella verde. Quella posizione non era nuova, la ricordava bene…l’aveva già vissuta anni prima. 
Lo vide controllare gli altri e appurare sollevato che Sanji aveva salvato Rufy, e Franky aveva acciuffato Chopper e Brook. 
Il cuoco non aveva perso di vista però quel salvataggio dell’amico, contradetto dal volerlo ringraziare o trucidare. I due, comunque, dopo l’urlo del cyborg, affranto per quel piccolo fallimento, e svenimenti vari, riportarono tutti i membri sul ponte, seguiti da Usop che ancora urlava, per la paura dell’acqua scura. 
Nami era così grata al compagno, ma non riusciva a dirgli niente, nemmeno ‘un grazie per esserti preoccupato per me’, poiché nemmeno riusciva a realizzarlo per davvero. Era scossa. E sempre lui riusciva a farle provare questo tipo di sensazione.
 “Questa Franky dovrà spiegarcela.” 
Aveva detto lei, a bassa voce per smorzare lo spavento.
Lui non aveva ribattuto su nulla, talmente era concentrato per non cadere all’indietro. La rossa sentì però nuovamente uno sfioramento al suo piede, e si gelò all’istante.
“Sei stato di nuovo tu?”
“A fare cosa?” 
“Zoro, sono seria. Mi hai toccato il piede?” 
“No!” disse a denti stretti, “se noti mi è impossibile.” 
S’imbarazzò per un attimo lei, sentendo le mani di lui quasi sulle sue natiche, ma poi sgranò gli occhi pensando immediatamente ai feroci mostri marini che abitano il mare. “AAAAH che schifo” svelta e terrorizzata si aggrappò a lui ancora di più. “Torniamo subito sul ponte.” 
“Ma sei davvero una piantagrane”. 
“Zoro, ti giuro che ho sentito qualcosa.” 
“Sarà stato un pesce, stupida!” 
“Questo dannato caldo mi ha fatto dimenticare i pericoli dell’oceano.” 
Stava tremando come una foglia sotto la tempesta. 
“Ma quali pericoli!” Sbuffò scocciato, "EH NON TIRARMI COSÌ FORTE!" 
Si accorse solo in quel momento di quanto era azzardata quella posizione. Le goccioline le scendevano dai capelli e andavano a finire sul viso del compagno. Lo aveva stretto così tanto, che il petto era schiacciato alla sua schiena, le mani gli sfioravano la pelle, e la bocca era quasi appoggiata sulla sua tempia. Per non parlare delle gambe, attorcigliate a lui, senza un minimo di indugio. Si, si era resa conto di essere finita in una strana situazione e non sapeva davvero come uscirne. Nemmeno lui, probabilmente, dal momento che era diventato così silenzioso d'improvviso. Provò a muovere le labbra per parlare, ma fu stupido, poiché gli solleticò la pelle. 
“Sono davvero spaventata” provò a giustificarsi. Non sapendo se lo fosse davvero per i mostri marini o per quello che stava provando. 
“Ti isso sulla scaletta” le disse solo, in risposta. 
Aveva spostato un po’ il viso dai suoi capelli per poter parlare. Sembrava abbastanza calmo, ma nascondeva ancora quell'accenno di stranezza nella voce. 
“Ok” rispose Nami, ringraziandolo con la mente. 
 
 
 
E così aveva fatto. 
L’aveva accompagnata e issata sulla scaletta, per poi tornare a immergersi da solo nell’acqua dell’oceano. Nami si era appena sporta, guardandolo allontanarsi. 
Perché si stava sentendo così? 
Era agitata. 
Quella vicinanza era stata davvero sconveniente. In qualche modo era riuscita a scombussolare pure lui, che aveva preferito continuare a nuotare piuttosto che tornare sulla Sunny con lei. Lui, sempre così maestoso e fiero, che non si agitava certo per stupidaggini simili. 
Eppure, quando le sue mani l’avevano toccata, sotto l’acqua, aveva nuovamente provato quella stessa sensazione della sera prima. Con nessuno aveva mai provato un brivido come quello. Era la prima volta nella vita e, dunque, non aveva idea cosa significasse. 
E lui? Era stato ancora una volta il numero uno in prontezza. E anche contraddittorio, però. Insintesi, prima le aveva detto di cicatrizzare la ferita nell’acqua di mare, e poi l’aveva ascoltata veramente nella sua pura, fino ad evitare che si bagnasse seguendo la sua volontà? Era una persona così semplice a volte, ma allo stesso tempo così enigmatica altrettante.
Si allontanò dal parapetto e si diresse al centro del ponte per prendere un asciugamano. 
 
“Ho sentito che urlavi prima.” 
Robin si posò il libro aperto sul petto. “Ti hanno fatta dannare anche oggi?” 
Nami vide che tutti i suoi compagni fruttati stavano recuperando le forze, seduti a terra esausti. 
“Tutto bene.” Sentiva di essere vaga. “Ma lei che fa?”
Si accorse di Rin e la indicò con un cenno della testa. 
“Ah.” Robin sorrise. “Sta meditando.” 
 
 
La navigatrice si era seduta sull’erba, con l’asciugamano che la copriva solo a metà, aspettando di asciugarsi al sole. Era diventata all’improvviso così pensierosa, con un’ombra che le era come caduta addosso. 
Era tutto come sempre: lo cercava, ci litigava, ci passava del tempo. Forse era questo il problema, il tempo. Forse ne avevano passato così tanto insieme ormai da diventare tutto così monotono, e quindi qualcosa di diverso o strano si stava scatenando, qualcosa che non poteva rimanere nel fondo di un barile per sempre. 
 
Vide Sanji davanti a Robin, la stava riempiendo di moine. Mentre Franky era tornato in acqua per recuperare il resto della sua ‘opera’ finita male. 
Dopo un po’, lo adocchiò, Zoro, salire anche lui per la scaletta e sgocciolare tutto sul pavimento. Silenzioso e imponente. Era salito con un gesto deciso, stringendo con forza i manici della scala in legno, facendole provare un’altra strana sensazione che l’aveva ipnotizzata. 
Era stupita di sé, per essersi soffermata su qualcosa di così piccolo e stupido. Soprattutto quando lo sguardo le cadde su quel torace, che aveva stretto e toccato con le mani poco prima. 
Ci stava riflettendo così attentamente solo adesso: era duro, e dava una bella sensazione di protezione. Lei aveva sempre apprezzato gli uomini muscolosi, ma non aveva fatto caso che Zoro potesse essere uno di quelli che avrebbero potuto affascinarla. O forse sì. 
In quel momento lui si voltò nella sua direzione, si guardarono negli occhi per svariati secondi, finché lei non spezzò il contatto, voltandosi nuovamente verso l’oceano. 
I colori nel cielo stavano cambiando, non si era resa conto che era passato così tanto tempo da quando si era seduta lì ad asciugarsi. 
Prima aveva slacciato il pezzo di sopra del costume, che teneva infatti nella mano sinistra. L’asciugamano era ben stretto sotto le braccia, e la ferita stava prendendo aria. Avrebbe dovuto farsi fare un nuovo bendaggio. 
“Non sarai ancora spaventata?” la schernì, avvicinandosi per prendere un asciugamano pulito. 
“Piantala.” 
Rispose lei, continuando a non guardarlo. 
 
Lui andò a sciacquarsi con l’acqua dolce della pompa che Franky aveva messo fuori sul prato. Nami sentiva ogni passo volutamente pesante di lui. Tese l’orecchio, aspettò il momento in cui azionava il rubinetto e faceva fuoriuscire l’acqua. 
Fu più forte di lei, ad un certo punto, si voltò a guardarlo. 
No. No. No. 
Con tutto l’autocontrollo che poteva accumulare riuscì a voltarsi nuovamente dall’altra parte. Era agitata. 
Quel tocco, quel torace, quel gesto a modo suo premuroso. 
Doveva smetterla. Si stava comportando come una ragazzina con gli ormoni in subbuglio. Con la coda dell’occhio lo vedeva, e scorgeva l’acqua cadere dai suoi capelli corti al corpo scolpito. Quei gesti veloci, decisi, controllati. Come era lui. 
Concentrati sull’oceano, Nami. 
Si era così tanto oppressa di non fissarlo, che non l’aveva nemmeno sentito chiudere l’acqua. Se ne accorse che era ormai troppo tardi, quando le si era seduto accanto, bagnato, con l’asciugamano in vita e le spade in mano, appena recuperate dalla parete vicina alla scala. 
Perché é venuto qua? 
Si sente in colpa per la questione degli schizzi? 
Il sole stava iniziando a calare, e Nami non voleva perderselo, godendosi gli ultimi respiri di quella strana, ma in fondo, bella giornata. Anche se stava iniziando a calar di molto pure la temperatura. 
“Dovresti coprirti, stai tremando.” 
Ma perché nota sempre tutto?
"Voglio veder tramontare."
Lui era abbastanza calmo, non doveva essergli troppo difficile evidentemente. Non sapendo che lei aveva dei forti dubbi sul motivo per cui avesse iniziato a tremare. 
 
Così come Nami non sapeva che, per lo spadaccino, quella posizione compromettente di poco prima era stata un severo ostacolo da superare. Il mondo lo aveva messo tremendamente alla prova. 
 
E seppur era coperta dall’asciugamano, il sapere che aveva tolto il costume lì fuori, lo aveva condotto a pensare solo a quello. Questo perché lo aveva avuto un incontro prima col suo petto abbondante, ne aveva potuto cogliere una morbidezza che lo aveva mandato in tilt. E una volta assaggiato quell’incontro, era difficile smettere di pensarci. 
Era stupito da sé stesso. C’era voluta una bella nuotata per farlo tornare alla realtà. 
Perché mi sono seduto qui?
Era rimasto in silenzio. Come lei. 
E si, i colori del cielo stavano davvero cambiando. Oppure erano sempre gli stessi, con diverse sfumature ogni giorno che si aggiungevano o si sottraevano. 
 
Nessuno dei due aveva proferito più parola. 
 
 

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Capitolo 5
*** Debolezze ***


Capitolo V 
Debolezze
  
 
 
 
 
Quell’ondata di calore - e tutto ciò che aveva scaturito - l’avevano superata indenni, o quasi, dal momento che certe emozioni sono indimenticabili. Ma anche certi spaventi, come quelli provati da alcuni membri della ciurma che erano caduti in mare rischiando di rimetterci le penne. Ma, finalmente, come sempre succedeva, dopo una tempesta arriva il clima più mite, più sopportabile, a raffreddare gli affanni. Quella serata di navigazione stava infatti procedendo più ventilata. Oppure, come altre volte succedeva, ne arrivava addirittura un’altra, di tempesta. 
 
I mugiwara, piuttosto rilassati adesso, stavano consumando la cena per la gioia di molti, soprattutto del capitano che sembrava in procinto di voler svuotare la dispensa. Quella caduta in acqua lo aveva destabilizzato e per rimettersi in forze poteva far affidamento solo sul cibo. Un dettaglio che stava mandando Sanji su tutte le furie. “La prossima volta scordati qualsiasi tipo di bagno rilassante!” Lo aveva colpito con un calcio sulla testa quando lo vide rubare la porzione di Robin allungando il braccio nel suo piatto abbondante. “Non puoi farmi consumare tutte le provviste! Ho fatto spesa solo qualche giorno fa!” 
Quello in risposta gonfiò talmente la faccia mettendo su un broncio da bambino monello “ma non é stata colpa mia, stavolta.” Ciononostante, non perdeva il vizio di allungare comunque le braccia sui piatti degli altri. 
“NON M’IMPORTA!” 
Sanji lo colpì ancora, più furioso.
 
Franky, che quella sera era stranamente abbattuto - un’emozione che non gli apparteneva affatto – fece interessi in cucina entusiasta! 
“Heeeei ciurma!” Aveva tra le mani un pezzo del gonfiabile che aveva piazzato quella sera “ho trovato finalmente la causa dell’incidente!” 
Usop, che nel frattempo si stava coprendo il piatto con le mani, lo avvertì rapido “guarda che se non ti muovi, Rufy non ti lascia niente per cena!” Ma il cyborg sembrava più interessato alla sua scoperta che al cibo, con gli occhi invasi da una luce abbagliante e il sorriso perverso. 
Robin, sempre con la sua calma, dopo aver riconquistato il suo piatto grazie al pronto intervento del cuoco, lo guardava stranita. “Goccioli sul pavimento, Franky!” 
“L’ho trovato!” quel sorriso si fece ancora più a forma di luna. “quel bastardo che mi ha distrutto la piscina!” 
Aveva appena attirato l’attenzione di tutti, adesso. Anche se quel momento di distrazione fu il via per Rufy per sgraffignare roba dalla tavola imbandita (o quasi imbandita, adesso). 
Il robot si avvicinò alla porta, e inchinandosi, prese qualcosa in braccio, che però era ancora celato agli amici di viaggio. Si voltò di pancia soddisfatto di sé stesso mostrando un pesce giallo e grande quanto lui, tutto pieno di spine. Lo stava tenendo stretto con le mani protette da un materiale speciale, così non poteva farsi pungere. “Pesa tantissimo questo maledetto bestione.” Ah, e naturalmente lo aveva fatto fuori dalla rabbia. 
Nello stupore generale, Nami sbiancò; era diventata pallida in un batter ciglio. La prima cosa che le venne in mente fu di guardare davanti a sé, dove c’era Zoro, e presentargli uno sguardo truce. Ma lui l’aveva già anticipata, visto che lo trovò già sull’attenti nella linea degli sguardi, sapendo benissimo che lei lo stava mentalmente maledicendo in ogni modo possibile per il solo fatto di aver avuto ragione che c’era un mostro marino pericoloso sotto l’acqua. Ma a Zoro sembrava solo un normalissimo pesce. Fu inquietante, perché ognuno aveva solo pensato al rispettivo punto di vista, ma era come se entrambi sentissero anche il pensiero dell’altro senza bisogno di esternarlo. 
“E quel pesciolino vi ha causato tutti quei problemi?” disse Rin, schernendoli indifferente, allontanata dal tavolo e seduta sul divano appena dietro, per non farsi fregare il cibo dal capitano. 
Usop era accigliato. Stava trattenendo il panico in ogni modo possibile, cercando di non sudare per non mostrare la sua paura. Aveva avuto ragione il suo sesto senso pessimista, come sempre d’altronde, che di quell’acqua bisognava fidarsi molto poco. “Pesciolino?” Sbuffò, rinunciandoci. “Certo che sei proprio fastidiosa!” Rin per lui era una causa persa. 
“Come ti pare” quella tutt’altro si curava molto del pensiero del cecchino, addentando le polpette di riso a morsi grandi, come fosse abituata a quegli sbalzi d’umore. “Che dite posso bere un po’ di quello?” Ci provò, indicando il vino sul tavolo. 
Chopper la osservò curioso. Ogni giorno continuava a sentire quel suo profumo arrivargli alle narici, soprattutto quando le si avvicinava. Era ancora un gran mistero per lui. Mangiava piano con quelle zampette, con fare dolce e pensieroso. Non aveva ancora condiviso quel segreto che si stava portando dietro, sicuro che solo lui poteva veramente sentire certe sfumature, grazie al suo olfatto delicato. 
Franky aveva lasciato il pesce fuori dalla porta della cucina come trofeo, ignorando le urla di Nami che gli diceva di ributtarlo in acqua, e aveva preso posto sul divano accanto alla bambina avvicinandole fintamente di nascosto il suo bicchiere, che però conteneva cola!
“Ci hai provato ancora a fregarmi!” Ma nonostante la protesta, Rin la consumò lo stesso. 
Il loro momento ricreativo venne però interrotto bruscamente da un'oscillazione importante della nave che costrinse tutti a mettersi in piedi e reggersi da qualche parte per non cadere a terra. Dal ponte arrivò il suono di un tonfo assordante. 
 
“CHE DIAVOLO SUCCEDE?”
 
Fu immediata la reazione del Monster trio, che si catapultò fuori velocemente, seguiti dal restante della ciurma, con dietro i soliti membri un po’ più titubanti. 
Nami d’istinto aveva tirato Rin verso di sé, schiacciandola sul suo corpo. La bambina aveva alzato lo sguardo osservandola, costatando quanto il suo fosse davvero un senso di protezione naturale. Erano uscite fuori anche loro, affacciate verso il ponte che era stato invaso da una manciata di individui. 
“Piratucoli da quattro soldi.” 
Così aveva sbottato la rossa, con un tono schifato, gettando un’occhiata di sotto. Già a un primo sguardo le sembravano la feccia della feccia. Pirati poco raccomandabili, che però non sembravano chissà quanto pericolosi. Ma non c’era mai da abbassare la guardia nel nuovo mondo. 
“Che ti prende rossa, non ti piaccio?” 
Un omone dai capelli viola, con un eccentrico mantello sulle spalle, alto 10 metri, con la spada già sguainata, ricambiava lo sguardo disgustato di Nami con uno più languido e la lingua a bagnarsi le labbra - l’aveva sentita eccome esternare quel commento.
I tre intrusi ignorarono Rufy e Sanji, che chiedevano informazioni su chi fossero e cosa volessero, e quello che sembrava il capo stava fissando ancora Nami, che di conseguenza cercava in ogni modo di coprire la bambina da loro. 
“Facciamo così. Voi mi date tutto ciò che avete”, minacciò l’eccentrico pirata, “compresa lei” indicò la navigatrice con la punta della sua spada, “e noi, in cambio, non vi sbudelliamo.” 
Sempre d’istinto, la cartografa coprì le orecchie di Rin, non facendole sentire niente di tutte quelle parole viscide che quello stava continuando a rivolgerle anche dopo. 
“Ma che paura” Franky incrociò le braccia al petto, avvicinandosi ai tre in prima fila. 
“Ti ammazzerò per primo, per aver osato dire quelle cose a Nami-san!” Sanji era pronto a sferrare il suo peggiore calcio, ma il tipo viscido più grosso lo aveva già puntato Zoro, preparando un affondo pieno di fastidio da sbollire. 
Non aveva perso tempo perché, secondo lui, quei tizi avevano avuto anche fin troppo spazio, perdendosi in inutili chiacchiere. 
 “Maledizione, perché sempre tu in mezzo ai piedi!” Ringhiò, ancora più incazzato, il cuoco, mentre fu costretto a fiondarsi sull’altro omaccione accanto, armato fino ai denti di fucili, che sembrava saper usare particolarmente bene. 
Quello però fu il via, per quei pirati nemici, di far andare all’arrembaggio gran parte della loro ciurma, invadendo immediatamente tutta la Sunny dalla sua destra. 
“Merda. Ma quanti sono?” Nami continuava a tenere ferma una Rin scalpitante. 
“Posso combattere!” continuava a dire lei guardando la battaglia davanti a sé in modo strano, tenuta ferma solo dalle braccia di Nami. 
Ma sta davvero fremendo per lottare? 
La navigatrice era spaventata da questo atteggiamento pericoloso insito in una bambina così piccola. Com’è che in lei c’era tutta quella voglia di fiondarsi nello scontro e nessuna traccia di paura? 
“Smettila di farneticare. Ho io la responsabilità di te.” 
Non avrebbe ceduto tanto facilmente, l’avrebbe protetta ad ogni costo, anche da sé stessa. Sapeva che spesso nei giovani potesse esserci un'assenza di paura più che negli adulti. 
Robin e Usop, fiondati a proteggerle, schivavano attacchi minori. Ed era bravo a fare il suo lavoro, il cecchino, prendendo bene la mira e gettando in mare molti uomini che stavano ancora cercando di salire a bordo. “Tranquille, vi proteggo io!” disse fiero, scaturendo una reazione divertita in Rin. 
Ora si che ti riconosco, capitano Usop. 
“Bene, pensaci tu, io vado di sotto.” L’archeologa sapeva che il grosso da sconfiggere ai trovava sul ponte, così si unì agli altri compagni per far finire prima la stupida battaglia ed evitare che salissero troppe persone negli altri piani. 
 
Rufy, che fronteggiava un nemico davvero fastidioso, anch’esso possessore di frutto del diavolo - aveva il potere di scomparire e ricomparire sopra di lui ad intermittenza - veniva ripetutamente schiacciato al pavimento, non riuscendo a liberarsi facilmente.
“Non ti lascerò mai libero cappellaccio di paglia.” 
Per la seconda volta in pochi giorni era stato interrotto all’ora dei pasti: e questo, oltre a renderlo più debole, non gli andava giù. Ancora una volta quell’uomo era sopra il suo stomaco, trattenendolo a terra il più possibile. Quelli sapevano che Rufy era il pezzo grosso da tenere impegnato per poter assaltare la nave. 
 
Zoro, nel frattempo, aveva avuto successo nel ferire il viscido che stava affrontando, governato da una rabbia insolita. Non era da lui buttarsi così ferocemente già dal primo attacco senza valutare prima il tipo di scontro. Ma poi aveva dovuto arretrare, poiché anche quello lì, altro possessore di un frutto, si era dissolto sul pavimento in una strana gelatina nera. Cercò di schivarla, pensando a come e se ci fossero modi efficienti per attaccare. Una gelatina che però lo stava categoricamente ignorando, abbandonando lo scontro per raggiungere il piano di sopra.
Si voltò di scatto verso l’alto, capendo immediato le intenzioni del nemico, voltando l’attenzione ai compagni “ENTRATE DENTRO.” 
Vide Usop che ancora sbaragliava uomini con la fionda, e Nami che pensava solo a proteggere Rin, quasi dimenticandosi di sé stessa, avvolgendola con le braccia; le copriva gli occhi, le orecchie, la stringeva per non farle raggiungere lo scontro. 
Tolse la spada dalla bocca pensando di farsi capire meglio “MI HAI SENTITO O NO?” 
La fissava serio, ma quella di conseguenza lo stava ricambiando solo in quel momento, talmente era distratta dalla bambina che si dimenava sopra di lei. 
Capita l’antifona, con un salto rapido che gli costò una dose maggiore di energia, Zoro salì al piano di sopra, anticipando quella viscida gelatina – in ogni senso, per spingere veloce all’interno della cabina sia Nami e Rin, che Usop. 
“Ma cosa fai?” Si sentì dire da due voci ben distinte, prima di chiudere la porta svelto e lasciarli perdere, non aveva molto tempo per distrarsi. 
Si voltò rapido riprendendo la spada tra i denti. 
“Allora? Perché non vieni fuori!”
Fu in quel momento che il tizio si materializzò alla fine delle scale, riprendendo la sua forma umana. 
“Ah!” Esclamò contento, il pirata invasore. “Pensi che proteggerai per molto da me i tuoi amici con questa stupida e inutile tattica?” Lo indicò con la spada. “Stanotte, quella…” si stava passando la lingua sulle labbra…
“Ma stai un po' zitto” sapeva già come avrebbe continuato quella frase e volle evitarlo “sai solo che parlare.” 
L’omaccione si avventò irritato su Zoro, che parò il suo attacco senza troppe difficoltà.  Lo spadaccino sentiva che poteva batterlo senza problemi quel ‘marciume’, ma era anche consapevole che ancora una volta si stava lasciando troppo scombussolare dalle sue emozioni di rabbia, e questo era un brutto segno per lui, perché significava perdere il controllo dello scontro. Ricordava la battaglia sott’acqua con Hody, quando si era lasciato ferire come uno stupido. O qualche giorno prima, da quel marine. 
Doveva stare più attento. Doveva calmarsi. 
Altri due affondi di spada erano andati bene per lui, forse stava riacquistando la sua lucidità, almeno finché quello non parlò ancora, con l’intenzione di provocarlo. 
“Sei un impiccio” lo aveva innervosito “da quando sono salito su questa nave non faccio altro che pensare a quei capelli rossi” si preparò per un attacco nuovo, lanciando la spada a terra e trasformando le sue mani in gelatina “a quel…” aveva assunto una posizione animalesca, come se stesse per cacciare la sua preda. 
“Vuoi stare zitto e combattere?” 
E fu in quel momento che di fatti attaccò, di sorpresa, poiché non sembrava si stesse muovendo, rapido nonostante la sua stazza, viscido proprio come quel materiale di cui erano fatte le sue mani. Zoro aveva perso nuovamente il controllo, lo stava respingendo senza fare i suoi calcoli di distanza e pesantezza, il suo cervello era andato in tilt, sentiva solo di essere invaso da quella voglia di ucciderlo. 
Nonostante fosse riuscito a respingerlo, accecato dalla rabbia, si era lasciato distrarre, parando troppo tardi l’ultimo fendente. Quello aveva trasformato le sue mani di gelatina in gelatina appuntita, con le dita che diventavano all’improvviso cinque lame per mano. Aveva colpito Zoro con tutta la sua forza bruta, lasciandogli sul collo cinque strisciate. 
“Gelatina solida” aveva detto trionfante il nemico. 
In un attimo di tregua Zoro aveva portato la mano sulla ferita, intravedendone il sangue - ma non si preoccupò di questo, si sentiva solo uno stupido per essersi fatto colpire. 
“I buoni hanno sempre un maledetto punto debole!” Decretò ancora l’altro, gettandosi nuovamente addosso allo spadaccino con forza. 
“Ti sbagli, invece.” 
Zoro respinse ancora una volta il suo attacco, contrattaccando di conseguenza. “Sono i cattivi che hanno sempre un punto debole.” 
Il tizio, che per proteggersi era diventato gelatina, si stava ricomponendo. “E quale sarebbe?” 
“Sta proprio nella parola stessa: sono deboli.” 
Aveva tolto la spada dalla bocca deciso ad usare solo la wado, rinfoderando le altre. Lo spadaccino non esitò più di tanto, passando subito al contrattacco. Con un gesto deciso sprigionò il suo fendente micidiale “cannone da 360 Passioni Demoniache!” 
L’omaccione finì tagliato in due, cadendo in mare a peso morto. 
 
Udendo quel tonfo, i tre che erano stati segregati contro la loro volontà, uscirono dalla porta della cucina. 
“Stai bene?” 
Usop si preoccupò immediato dell’amico, vedendolo piegato in due mentre respirava affannato; ma poi non perse altro tempo, proteggendo il piano in cui si trovavano solo loro dall’arrembaggio, rimettendosi sul cornicione e mirando a vista ai più deboli, abbattendoli. 
Vide Brook e Chopper che stavano impedendo ad altri sottoposti di abbordare la nave, combattendo ai lati. Franky e Robin dall’altra parte, fronteggiavano insieme due elementi gemelli che combattevano in simultanea con lame affilate. 
 
“Sei impazzito?” Nami uscì al volo con i denti aguzzi pronta a fargliela pagare guardando Zoro con un accenno di dissenso. “Perché diamine l’hai fatto?” Alludeva ad averli spinti e chiusi dentro senza alcuna spiegazione e con fare poco gentile. 
“Sta’zitta!” Lui si voltò aggressivo e nervoso contro di lei. Respirava male. “Hai dimenticato che non puoi combattere?” Alludeva alla ferita e al fatto che le era stato severamente vietato di fare alcun tipo di sforzo. 
Nami rimase stupita, lei si, l’aveva dimenticato eccome, in effetti. Ma poi sgranò gli occhi portandosi una mano sulla bocca. Dal momento che si era voltato, la ferita sul suo collo la si era potuta scorgere, e Nami lo stava vedendo bene, il sangue scivolare lungo il solco fino alla maglia blu che si stava tingendo di quel colore rossastro. 
“Zoro…” 
“Che c’è adesso?” Lo spadaccino era ancora molto nervoso, non riusciva a sbollire la rabbia che lo aveva assalito così d’improvviso, anche se però stava riprendendo fiato per riprendere a combattere ancora.
“Sei ferito!” Le parole le morirono in gola. 
Fece spallucce, impavido come sempre. “Non è niente!” 
Ma fu un attimo, che Nami lasciò Rin dalla sua presa, per la prima volta, avvicinandosi a lui. Lo sguardo sul collo - il panico, la paura. Ci posò una mano per capire la profondità dei tagli e lui fece un verso appena dolorante. “Smettila!” La fermò subito prendendole la mano. “Cosa fai? Siamo in pieno attacco.” 
Lei lo fulminò, fuggendo da quella sua presa - era così arrabbiata! “Non m'importa un ficco secco!” Era in preda all’ira per quel menefreghismo incontrollabile. “Non puoi sminuire sempre questi dannati tagli, idiota!” 
Ma fu questione di un secondo, che un altro pirata, partito all’attacco, era pronto a colpirli tutti e due insieme. Zoro, sempre immediato, spinse Nami a terra, e con uno scatto fulmineo era già davanti a lei con la spada sguainata. 
Una spada che all’improvviso diventarono due spade. Nel trambusto e distrazione di Nami, Rin aveva sfoderato la sua arma da quel sacchetto nero che portava sempre dietro, e in simultanea con Zoro, si era lanciata in aria attaccando il nemico con due fendenti potenti e decisivi. 
Il pirata ricadde sul ponte privo di sensi. 
A loro volta, Zoro e Rin erano caduti in piedi sullo stesso ponte, poggiando la spada sulla spalla nello stesso momento e allo stesso identico modo. 
Si guardarono. 
“RIN” aveva urlato Nami, affacciata alla ringhiera con uno sguardo meravigliato ma anche sinceramente spaventato per lei. 
 
Sanji, che nel frattempo aveva dovuto schivare una serie infinita di proiettili, e ovviamente aveva perso la pazienza - tutto quello scontro era diventato un ‘fuggi e schiva’ che non sopportava più. Facendo un salto in cielo, evitandone degli altri per tutta la sua salita, era poi ricaduto alla velocità della luce sul malcapitato pirata, con un calcio infuocato, scaraventandolo in mare dal basso, sfondando, a malincuore, un pezzo del ponte della nave. “Scusa Sunny, ma mi stava dando sui nervi.” 
 Anche Rufy si era ormai stancato, non faceva altro che pensare alla cena che non aveva finito, a quei piatti ancora in tavola con gli avanzi lasciati soli, che avrebbe volentieri spazzolato via…fu quella la forza interiore più grande che lo fece reagire impedendo prima al nemico di smaterializzarsi grazie all’haki, per poi presentargli il conto, con un attacco definitivo. 
“Puoi usare questo buco sul ponte per gettarlo in pasto ai pesci.” Gli disse Sanji, buttando in mare i sottoposti più deboli. 
“Preferisco” caricò il braccio per lanciarlo via, “che voli oltre l’orizzonte…Gom Gom Rifle!” 
 
I pezzi grossi erano stati sterminati, e i pirati più deboli se la stavano dando a gambe da soli, facendo dietrofront. 
“Perché non guardate bene il Jolly Roger prima di attaccare, idioti!” Fece eco Usop dall’alto, diventato ancora più spavaldo a pericolo scampato.  
“Ma come avete fatto a non accorgervi che siamo i Mugiwara?” Ridacchiò Franky mentre li osservava fuggire con la loro nave, cercando prima di recuperare tutti i dispersi in mare. “Robin ma sei ferita?” 
Si accorse poi delle gocce di sangue cadere sul ponte in legno, mentre la compagna riprendeva a respirare. Si inchinò davanti a lei osservandone il taglio fatto da una lama “CHOPPER” lo chiamò immediatamente preoccupato. 
“Ma no, sto bene!” era tremendamente imbarazzata. 
La renna accorse veloce, capendo subito il problema. Così, prendendo la mano dell’archeologa, la osservò attento nel taglio. “È superficiale!” dichiarò, “Siediti che la medico subito.” Ma dovette prima fare un’altra corsa sottocoperta per prendere la cassetta dei medicinali. 
 
“Franky c’è da riparare sto buco nel ponte.” Sanji si stava avvicinando a loro fumando tranquillo.
“Certo…” era sarcastico, “L’HAI DISTRUTTO TU!” 
Ma lo sguardo di Sanji era appena diventato di fuoco. La sigaretta cadde dalla sua bocca e accelerò il passo, mosso da un sentimento e preoccupazione più forti di quello per la nave. “ROBIN-CHAN!”, quella tranquillità era durata davvero poco, “quei maledetti hanno osato toccarti!” 
L’archeologa sorrise, quella ferita non era niente per lei, ma poteva affermare di sentire le forze mancarle. “Sto bene Sanji.” Ma lui non era convinto, rimanendo li, accanto a lei, in attesa di Chopper. 
 
Nessuno di loro però, aveva notato la tensione che si era creata al centro del ponte. 
Zoro era serissimo, confuso, sentiva una strana sensazione che non riusciva a controllare. Forse era ancora estremamente arrabbiato per via di quel pirata. Fatto sta che aveva appena alzato la lama della sua spada contro una bambina di dieci anni. 
 “ZORO!” Nami aveva portato una mano alla bocca. E lo chiamava e chiamava invitandolo a smetterla o darle per lo meno immediate spiegazioni. “MA SEI USCITO FUORI DI SENNO?” 
Ma lui la ignorava completamente, concentrandosi ancora e solamente su Rin. Si trattava di qualcosa di cui Nami non sapeva niente; qualcosa d’importante per lui cui lei non avrebbe potuto capire e perciò doveva starne fuori. 
“Ora mi dirai dove hai preso quella spada!” 
Furono le urla di Nami a catturare l’attenzione di Sanji, Franky e Robin, che si voltarono in quella direzione cercando di capire. Anche Rufy, che si stava dirigendo in cucina per finire la sua “opera” nel rubare il cibo, aveva dovuto fermare la sua corsa. 
La bambina, poco lontano da Zoro, con ancora la sua arma in mano, sospirò, come già preparata a sentire quello che stava per sentire. “Non te l’ho rubata, se è questo che pensi” provò a spiegare con un tono tranquillo, ma più che altro era già sulla difensiva “per lo meno…non a te.” 
Lui strinse l’occhio, non era stata affatto convincente. 
“Ma insomma Zoro!”  Ma sopra Nami non s’arrendeva, e continuava a dimenarsi per attirare la sua attenzione e fargli abbassare quella spada maledetta. Voleva scendere di persona giù e picchiarlo, ma Usop la teneva ferma in ogni modo. “Aspetta” le diceva, “non penserai davvero che Zoro possa farle del male!?” 
Un dubbio che non poteva avere, e che dunque la faceva stare al sicuro, ciononostante avesse lo stesso paura di una delusione, immotivatamente.
 
Rin, nel frattempo, affatto spaventata come Nami, sosteneva quello sguardo severo, come se ci fosse abituata da tutta la vita.
 “La tua preziosa Wado c’è l’hai in mano”, gli disse convinta. Manteneva la calma, quasi modulando dei gesti per quietarlo, come si fa di solito quando si trova un animale selvatico sulla propria strada. 
“Lo so benissimo” rispose lui, fermo ma quasi pronto ad attaccare. 
 
Ora si che erano tutti stati catturati da quella scenetta, senza però intervenire. 
Si fidavano di Zoro, no? 
Chopper era tornato fuori pronto a medicare Robin, ma vide che stavano facendo tutti gli spettatori di turno e lo diventò così anche lui. 
 
“Dove l’hai rubata?” continuava indagatore, avvicinandosi a lei “e non mentire! Non possono essercene due nel mondo.”
Teneva ben stretta quella spada bianca, era sicuro che lui in mano avesse la sua, la riconosceva dal peso, dall’abitudine, dall’energia.
“Volevi scambiarla con la mia una volta distratto?”
La bambina sbiancò. Si aspettava tante congetture, ma quella! Anche se in realtà conoscendosi poteva anche essere stata una buona tecnica.
“Ma cosa ti salta in testa?” Scuoteva il piccolo capo ma senza perdere la concentrazione, sapeva che non poteva permetterselo contro di lui. Infatti, con un movimento leggero di spada, lui l’attaccò, provocando automaticamente un infarto a Nami che voleva scendere subito e farlo a pezzi con le sue stesse mani, anche col braccio malandato, se necessario. 
Ma quella ragazzina sembrava saperne una più del diavolo, poiché con maestria, aveva facilmente parato l’attacco. Un attacco di Zoro. Una bambina di 10 anni aveva appena parato un attacco di Zoro con una spada. 
Il sorriso di lui si era curvato in un ghigno. “Sei davvero una spadaccina!” 
“Lo avevo detto.” Rispose seria e concentratissima. 
Ma anziché smettere, lui continuò ad attaccare senza tregua; non stava però esagerando, anche se quegli attacchi non erano gentili, ma forse avrebbe anche potuto farlo, visto che lei riusciva ad anticipare ogni sua mossa e parare ogni colpo semplice. Era incredibile, ma lei conosceva ogni attacco di Zoro. 
Lui avrebbe senz’altro vinto, era nettamente più forte fisicamente, in quanto lei era una bambinetta, ma in fatto di abilità era davvero straordinaria. Il portamento, il controllo dello spazio, l’arma ben bilanciata: Zoro stesso dovette ammettere a sé stesso che lui non era mai stato così forte e così acuto alla sua età. 
“Alla fine vincerai tu.” 
Rin stava iniziando ad avere il fiatone. Ma sempre con sguardo concentrato che non prevedeva distrazioni. “Quindi cosa vuoi ottenere da me?” 
Stava parando l’ennesimo affondo con una prontezza, non solo coraggiosa, ma anche determinata. 
“Sai il fatto tuo” Allontanò la spada da lei “e ho voluto solo metterti alla prova.” 
“Non avevo dubbi” Rin gli regalò un sorriso, non tanto di gioia quanto più un giugno. 
Nami riuscì a calmare il suo cuore, con Usop che le lasciava pacche sulla schiena per farla respirare. 
Ma in quell’istante, che sembrava una tregua, Zoro tornò invece ad attaccare, velocissimo, senza indugio. Rin, ancora una volta, praticamente volata sul pavimento per l’energia e l’aria che quello aveva sprigionato, parò l’attacco con assoluta precisione anche da sdraiata a terra.  
“Wow…Ma sei fantastica!!!” Rufy era al settimo cielo! Battendo le mani entusiasta. 
Anche Usop, Chopper e Brook applaudirono meravigliati, seguendo il capitano. “Aveva ragione a dire che è una guerriera!” Le stelline agli occhi nei tre illuminavano praticamente la notte. 
Zoro era soddisfatto adesso, rinfoderando definitivamente la spada al fianco e allungando una mano verso Rin, aiutandola ad alzarsi. 
“Niente male” si era complimentato, più sereno. “Hai combattuto da vera spadaccina.” 
Una volta alzata da terra dove era caduta, lui le voltò le spalle per andarsene via. 
E a lei brillarono gli occhi. Come fosse un momento importante che nessuno poteva capire. 
“È questo il tuo giudizio, quindi?” gli corse dietro. 
“Certo.” 
La bambina si era fermata proprio dietro di lui, in preda a mille emozioni. Stava tremando? Era felice? Era triste? Si potevano provare tutte insieme? 
 
Nami scese giù per le scale e la raggiunse, non prima di aver lanciato un’occhiata maligna al compagno di sotto. Lui la ignorò. 
“Stai bene?” S’inchinò di fianco a lei. 
Rin annuì. Ma era chiaro che stava trattenendo dei sentimenti forti. 
“Sei stata in gamba.” Le sorrise.
Nami era così preoccupata, ma soprattutto riusciva a sentire il peso di tante emozioni diverse dentro Rin. Riusciva a leggerla, in qualche modo. La navigatrice le posò una mano appena sotto l’occhio, asciugando una piccola e quasi inesistente lacrima.
 “Se senti il bisogno di piangere, non è un problema.”
“Sono una guerriera” strinse i pugni “non piangerò.” 
Alzò la testa fissando nuovamente le spalle di Zoro. 
“Lasci sospesa la questione della spada?” 
Probabilmente, lui, più che la bambina, evitava la rabbia di Nami. “Non so cosa significhi“sorrise in penombra “ma so per certo che ne sei degna.” 
 
Quella lacrima calda ora stava prendendo veramente una forma esistente sul suo viso, diventando più grande. Aveva provato a trattenersi ma non era riuscita a farlo fino alla fine. 
E Nami lo aveva capito benissimo, perché dentro quella ragazzina ci vedeva molto di sé, in tutti quei momenti in cui voleva fare la forte e dimostrarlo agli altri, ma anche a sé stessa, di esserlo, testarda e paurosa delle emozioni o di rivelarle. 
Rin si aggrappò alle spalle di Nami, sorprendendola di nuovo con quel calore e quel suo profumo. 
Affondò le mani stanche, e anche bollenti per via della continua presa salda sulla spada, nei capelli della navigatrice, trasmettendole quella meravigliosa sensazione di una bambina che aveva estremamente bisogno di lei. 
“Posso stringerti?” le sussurrò la piccola all’orecchio. 
Era chiaro che non voleva far sentire a nessuno altro di questa sua vergognosa ‘debolezza’. 
La rossa, comprendendola, l’abbracciò così forte fino a farla crollare esausta su di sé. 
 
“Sei al sicuro.” 
 

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Capitolo 6
*** Vulnerabile ***


Capitolo VI 
Vulnerabile  
 
 
 
 
 
 
 
 
Nami aveva portato tra le braccia una Rin insonnolita all’interno della sua camera. La bambina aveva ceduto dentro quell’abbraccio con ancora gli occhi lucidi. 
Una spadaccina combattiva lo era stata di sicuro, ma rimaneva pur sempre una bambina di dieci anni, e come tale aveva i suoi limiti dovuti all‘età. É vero, saper combattere a quel modo già da bambini si poteva considerarla una grande fortuna in un mondo come quello, e Nami lo sapeva molto bene che le sarebbe stato senz’altro utile per non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, però, sentiva che doveva anche respirare, perché questa dedizione costante avrebbe potuto influenzarla in modo definitivo finendo per sottostare a una condizione oppressa in cui non avrebbe potuto vivere liberamente le emozioni. 
Nami lo aveva capito che dentro Rin c’erano due anime che si scontravano continuamente, da un lato voleva essere forte a tutti i costi, e lo era stata, una guerriera che dimenticava di essere una bambina; dall’altro lato c’era un bisogno costante di vivere la sua fragilità ed essere/diventare sé stessa. 
Una volta messa a letto le sciolse i capelli corvini e la ricoprì fino alle spalle con il lenzuolo. 
“Se la sposti un po’ più al centro ci stai anche tu, Nami!” 
Robin, che stava rientrando dal bagno, dopo aver fatto una doccia riabilitativa, si stava per riappropriare del letto, stanca e un po’ provata per lo scontro, sdraiandosi accanto a Rin. 
“Non importa. Posso dormire in infermeria anche stanotte.” 
Lasciò una carezza sulla testa della piccola che respirava affannosamente, sicuramente scombussolata dagli eventi, e da qualcosa che adesso loro non potevano capire, completamente rimasta priva di energie. 
“È così stanca che è meglio lasciarle il suo spazio.”  
Robin annuì, guardandola anche lei, mentre poggiava bene la testa sul cuscino morbido. 
“È davvero una bambina particolare.” 
“Robin, ma tu stai bene? Non è che ti serve aiuto?” 
Lo sguardo della navigatrice si concentrò nel suo cassetto della biancheria, prendendo le prime cose che trovava da indossare per la notte, e nella sua premura si stava riferendo alla ferita alla mano medicata accuratamente da Chopper. 
Robin fece ‘no’ con il capo.
“Grazie. Ma devo solo dormire un po’!” 
 
 
 
 
                            
 
 
 
 
Quella notte, di vedetta ci sarebbe rimasto Franky, ma non da solo, a causa dell’arrembaggio di quella sera anche Chopper si era offerto di rimanere di guardia, una volta gettata l’ancora. 
Nami, uscita anche lei dal bagno, come la compagna prima, stava dirigendosi in infermeria per riposare, e, una volta arrivata alla porta, la aprì senza farsi troppi problemi, dal momento che sapeva per certo che il medico si trovava all’esterno.
Fu sorpresa di scoprire che l’amico aveva lasciato una luce accesa, l’aveva intravista dal buco della serratura, infatti a primo impatto si inquietò, temendo di trovarci qualcuno. Ma poi si convinse che fosse solo una dimenticanza del dottore. 
Richiuse al volo la porta, non voleva incontrare nessuno e andare dritta a letto. Era così distratta col pensiero fisso del riposo, che non aveva nemmeno dato un'occhiata all’interno, togliendosi la felpa che la ricopriva, come gesto automatico, rivelando un abbigliamento un po’ troppo osé: una canottiera nera che le arrivava alle cosce - e fin qui come al solito - ma con una profonda scollatura. In effetti non era un abbigliamento così comodo, e la navigatrice stava pensando che era stata proprio stupida a non aver indossato qualcos’altro, ma Robin era così esausta che non voleva disturbarla eccessivamente, perdendo altro tempo nel suo frugare - aveva tirato fuori dal cassetto il primo indumento capitato. 
“Adesso te ne vai in giro di notte per la nave?!” 
Sussultò così tanto che la felpa bianca le cadde dalle mani scivolando sul pavimento. Si voltò di scatto, quasi allucinata per lo spavento, trovandosi davanti immediatamente la figura dell’abitante della stanza. 
“Che diavolo ci fai qua, tu?” 
Raccolse la felpa da terra e facendo dei successivi passi avanti ebbe Zoro davanti a sé, seduto sul letto, a petto nudo e scalzo, con indosso solo dei pantaloni. Ma la particolarità più strana era ciò che aveva tra le mani, due oggetti che solitamente non era avvezzo tenere: uno specchio e del cotone. 
“Sono entrato prima io” rispose facendo il vago - come sapeva farlo bene lui, nessuno. Il tono di voce era contaminato da una nota di fastidio e una d’imbarazzo che si gemellavano poco perfettamente insieme.
“Sono venuta qua per dormire, Zoro, ma non mi aspettavo certamente di trovarci te.” 
Si avvicinò a lui, cercando di capire che cosa stesse combinando, guardandolo male e in modo molto confuso. 
Lui accennò un sorriso enigmatico, appoggiando distrattamente sul barile che aveva accanto uno specchio che teneva nella mano sinistra, e anche del cotone, tentando di nascondere tutto. Incrociò le braccia al petto poi, guardando oltre lei, soffermandosi su un punto a caso della parete. 
Ignorandolo spudoratamente e rinfilando la felpa addosso, ma dimenticando di tirare del tutto su la zip, Nami stava iniziando a rendersi conto del motivo che lo aveva spinto ad andare in infermeria quella sera: quel cretino si stava medicando da solo! 
“Mi prendi in giro? Ti prego dimmi che mi stai prendendo in giro?”
“In che modo?” Zoro sentiva di subire una certa dose di invadenza. 
Ma a Nami non interessava, sentendosi lei quella che era stata disturbata per prima. E, totalmente davanti a lui adesso, con le mani sopra i fianchi, scalza, la felpa aperta e i capelli che le ricadevano ai lati del viso, lo guardava imperscrutabile. La luce della lampada che illuminava la stanza accentuava le parti più intime della sua figura rimaste nude. “Vuoi davvero dirmi che non hai chiesto a Chopper di medicarti?” Stava cercando di concentrarsi sempre su di lui, mentre lo vedeva restate concentrato verso un punto fermo della parete dietro di lei, ignorandola. “Sei davvero così idiota?” Il suo tono era arrabbiato, e anche tanto, ma la sua voce tradiva una certa preoccupazione. 
Fu in quel momento che Zoro allora posò lo sguardo su di lei, captando che il suo rimprovero racchiudeva più di una sfumatura, più di un senso. L’aveva vista indossare di nuovo la felpa, e le fu mentalmente grato. 
“Allora?” Nami schioccò le dita davanti a lui. “Capisci che Chopper è un dottore? Do-tto-re.” Prese la sedia dalla scrivania del medico e la avvicinò al letto. “Sai che fanno i dottori, Zoro? Curano gli altri!” Prese posto su quella stessa sedia poi, trovandosi faccia a faccia con lo spadaccino. 
La luce della lampada, posizionata in basso, ora illuminava perfettamente il suo seno. Lo poteva vedere benissimo, lui, uscire dalla felpa, con quello strato inutile di stoffa che lo copriva. Avrebbe dovuto tirare su anche la zip, dannazione a lei. Cercò di concentrarsi ancora, guardando nuovamente la parete dietro di lei, senza abbassare più lo sguardo. 
“Te l’ho già detto, sono entrato prima io.”
Le stava forse suggerendo di andarsene? 
Stupido. Arrogante. Fastidioso. 
Nami lo fissò sul viso, anche se sembrava fingere che lei non fosse lì. Lo aveva intuito che lui non fosse capace di disinfettarsi una ferita. Si vedeva che ci stava provando in più tentativi ma che non aveva praticamente risolto un granché. E, ovviamente, nemmeno lo avrebbe mai ammesso, lo stupido
 
Si portò i capelli all’indietro, cercando di tenerli fermi sulla testa con una specie di chignon improvvisato che tentò di fissare con una forcina che aveva recuperato in tasca della felpa. Ma non era affatto stabile, dal momento che già i primi due ciuffi le erano ricaduti accanto al viso. 
“Sei un caso irrecuperabile!” disse, mentre si adoperò per separare il cotone usato da quello ancora nuovo. Prese la parte inutilizzata e iniziò ad immergerlo di disinfettante, avvicinando la sedia al letto, che si incastonava perfettamente tra le gambe aperte di lui. 
In quel momento di pericolosa vicinanza lo spadaccino si rese conto delle sue intenzioni e ringhiò inferocito. 
“Non ti ho chiesto nessun aiuto!”  
Lei lo ignorò, naturalmente, continuando ad immergere dei pezzi grandi di cotone nel disinfettante. 
“Mi hai sentito?” si era impuntato a fare il cane rabbioso, orgoglioso, spaventato dalle emozioni. 
Nami tenne ancora il cotone nella mano e alzò la testa su quel viso squadrato, prendendolo per la mascella con la mano libera. Fece uno sguardo così rabbioso lei, che lui forse non l’aveva nemmeno mai visto con quelle sfumature che non era sicuro di capire.
“Adesso tu la pianti subito di fare il bambino capriccioso.”
Strinse la mascella ancora con più forza. “Ho sonno, sono venuta a riposare e invece devo medicare te perché sei un idiota che non usa il cervello!” 
“Non te l’ho mica ch-“ 
“Sta’ zitto!” strinse ancora più forte la presa impedendogli di parlare. “Ora mi fai disinfettare questa ferita malridotta e smetti di fiatare all’instante!”
Lasciò la presa sul suo viso e lo vide chiaro e tondo quanto era contrariato, ma allo stesso modo capì che non avrebbe più obiettato.
Era abbastanza vicina adesso, dal momento che la sedia era più alta del letto, le bastava solo allungare un po’ il collo in avanti e poteva lavorare. Con la stessa mano che prima teneva stretta la mascella, inclinò il viso di Zoro più in basso e poi verso destra, in modo da avere una vista migliore sui tagli. 
Lui l’aveva finalmente lasciata fare. 
 
“Maledizione Zoro!” con le mani aveva iniziato a disinfettarlo con minuziosa attenzione “Non capisci che devi prendere sul serio ogni ferita…”. 
Merda. 
Da quella posizione era ormai impossibile per lui evitare di guardare nella sua scollatura. Chiuse direttamente gli occhi, non senza prima fare uno strano rumore con la gola. 
“Ti brucia?” 
Lei aveva notato degli strani gesti, e si stupì che lui potesse soffrire per così poco.
“No” le rispose seccato.
Delicatamente continuò a disinfettare, controllando però che non fosse esageratamente profonda, in quel caso lei non avrebbe saputo cosa fare. 
“Guarda che siamo ancora in tempo per chiamare Chopper…” scrutava seria la ferita continuando a pulirla. 
“Non c’è bisogno. Deve pensare a stare di vedetta.” 
Come sempre, ostinatamente sicuro.
 
Zoro, categorico nel tenere l’occhio chiuso, sentiva le mani di lei ispezionarlo sulla pelle: era un tocco delicato che lo solleticava e gli faceva dimenticare il motivo per cui era lì, ma anche tante altre cose. Non stava pensando più a niente. Si stava lasciando andare solo ai sensi, perché se avesse aperto gli occhi e l’avesse anche guardata in tutta la sua forma, chissà che il suo corpo non si sarebbe ammaccato, o peggio…
Nonostante la stanchezza, lei, ci stava mettendo davvero tanto impegno, stando attenta a non fargli male. 
Non sembrava una ferita profonda, ma nemmeno così superficiale, e il collo era un punto tanto delicato che era impossibile non soffrisse almeno un po’…
“Io faccio quel che posso, ma Chopper sarebbe stato meglio per te.” 
Stava sospirando, arresa. Anche se un istante dopo la sentiva ringhiare arrabbiata, per poi sospirare un’ennesima volta. “Sicuro che non ti sto facendo male?”
Ecco la parte di lei che si preoccupa.
Mugugnò qualcosa in risposta, e Nami capì che andava bene così. “Contento tu”, decretò arrabbiata, facendo più forza con il cotone. 
Ed ecco la parte irascibile. 
 
Si era staccata da lui, giusto il tempo di gettare nella spazzatura il cotone usato e prenderne del nuovo, inzuppandolo di disinfettante con un gesto calmo, quasi avesse paura di sbagliare qualcosa, nonostante fosse in realtà un gesto così semplice e automatico. 
 
Dai, continua. 
 
Zoro, che era attento nel captare ogni movimento di lei, non vedeva l’ora di risentire quel tocco sulla sua pelle. Le sue mani fredde sul suo collo. Con quel misto di dolcezza e odore di disinfettante che gli trasmettevano un brivido contorto. Stava fremendo. Voleva ancora sentirsi accarezzare da…lei. 
Tra l’altro non aspettava certamente che sarebbe stata così altruista da essere così scrupolosa. Lo sapeva, si, che Nami si dava da fare quando poteva farlo, in fondo, aveva sempre sostituito le figure mancanti, come cuoca o dottoressa improvvisata, ai tempi. E sapeva anche che era stata davvero preoccupata per lui, ma ora anziché fare in fretta e levarselo da torno, o chiamare Chopper contro la sua volontà, stava dedicandosi a lui e basta. Forse l’aveva fatta davvero preoccupare quella sera. 
 
La sentì finalmente tornare a toccarlo. Le mani ancora sulla pelle in piccoli gesti attenti e prevedibili, quasi meccanici. Ma ogni tanto una mano sfuggiva e si appoggiava nella parte non ferita, appena sotto il suo orecchio, sfiorandone il lobo - gesto che stava scombussolando i suoi nervi, mettendoli dannatamente alla prova. 
 
Perdonami Chopper, ma questo è molto meglio. 
 
Fuori era spesso impassibile, ma adesso, interiormente, stava gioendo. Sentiva il suo interno festeggiare, aveva i fuochi d’artificio nello stomaco che esplodevano ad ogni sfioramento. Per non parlare delle gambe, che ogni volta che lei si muoveva si scontravano con le sue - e aveva perso il conto di quante volte senza accorgersene lei gli aveva poggiato il ginocchio nella sua parte più bassa. Era una sensazione così difficile da capire. Era infatti combattuto, voleva che continuasse a toccarlo, ma anche che smettesse subito. 
Ma poi la sentì avvicinarsi di più alla ferita, oltre le mani aveva avvicinato il viso, per controllare meglio, per cercare di capire se l’aveva ripulita tutta, mentre applicava le prime bende. 
In pratica ora aveva incastonato il collo in quello di Zoro, e lui ormai era finito per spiaccicare il volto nell’incavo di quello di Nami. Altri ciuffi continuavano a caderle, quella piega che non era affatto stabile, e così anche le sue narici poterono festeggiare. 
Ci stava fiondando davvero il viso, in quella pelle candida?
Sentiva il profumo salire all’interno del suo naso, era un’aroma che creava dipendenza. Era grato del fatto che quella posizione l’aveva creata lei, e lui così non doveva giustificarsi di niente. E si stava prendendo tutto, ogni cosa che poteva - tranne la vista.
 
Ma alla fine Nami lo fece, finita la medicazione, compresa di cerotto grande come un mattone sopra le bende, si era rimessa eretta sulla sedia.
“Ho fatto quello che ho potuto. Dovrai accontentarti.” 
Lo stava ancora guardando scrupolosamente però, quel bendaggio “Dai, non è così male!” era fiera di sé, dopotutto. 
Lui aprì gli occhi una volta che ebbe risollevato il collo, ma la vide alzarsi e dirigesi all’armadietto di Chopper, rendendolo confuso di quell’azione. “Ti do qualcosa per il dolore?” Chiedeva mentre cercava. 
“Non mi fa male” rispose, guardandosi la medicazione allo specchio. “Sembra a posto.” 
Era un complimento? 
Nami tornò da lui, rimettendosi a sedere.
“E invece devi prendere qualcosa lo stesso; Chopper dice che questa pastiglia serve anche per evitare il propagarsi di un’infezione.” 
Lui osservò la mano di Nami con al centro una pillola. La riconobbe, era una di quelle dell’altra sera. Incrociò le braccia al petto “Mi farà quell’effetto strano?” 
Nami sorrise pensando a lui succube di quell’effetto che aveva colpito anche lei. 
“Beh si, ti farà stare un po’ su di giri ma niente di più.” 
Lui ripensò al modo in cui lei la sera prima lo aveva cercato, chiamato, annusato. Lui che cavolo avrebbe fatto se avesse perso anche solo un po’ di autocontrollo? 
“No” Rispose deciso. “Non la voglio.” 
Non poteva rischiare così tanto di mettersi in una strana situazione compromettente. 
“Andiamo!” Nami alzò gli occhi al cielo. 
Perché deve fare sempre il difficile? 
“Guarda che non puoi rifiutarti!” Riempì il bicchiere d’acqua, intanto, segno che se ne stava fregando altamente di ciò che voleva lui, “ma che diavolo ti cambia assumerla o no!” 
“Ho detto no” stava per tirarsi fuori da quella trappola e svignarsela, quando lei lo acciuffò per il viso - due volte quella sera - aspettò che lui si lamentasse aprendo così la bocca, e solo allora facendogli ingurgitare a forza la pillola, buttandoci dentro anche l’acqua. 
“Sei proprio come un bambino!” 
Lui quasi soffocò, certamente non se lo sarebbe aspettato. “MA INSOMMA NAMI” continuò a tossire “MALEDETTA!”
Lei era soddisfatta di sé stessa, incrociando le gambe e le braccia. 
“Su su.” Lo prese in giro. “Nemmeno Rin farebbe tante storie.” 
Ma lui era così furioso che, appena ebbe finito con quella tosse spropositata, si voltò di scatto tornando a guardarla in volto con gli occhi stralunati “DANNATA!” 
Ma lei si sentiva così soddisfatta del suo operato che per un attimo aveva scordato la stanchezza e anche tutte le emozioni di quella sera. “Non m’importa se te la prendi con me. L’importante è che quella ferita non s’infetti.”
Lui ancora ansimava e ringhiava contemporaneamente, sempre contrariato e ostile. 
Fu in quel momento che però Nami rammentò tutto, ogni cosa che aveva provato quell’oggi, e si rabbuiò all’istante. 
Lui, seppur ancora arrabbiato e con la voglia di scappare da lì onde evitare situazioni compromettenti, si voltò lo stesso a guardarla, non sentendola più blaterare.
 “Che diavolo ti prende adesso?” 
Lei si alzò dalla sedia, ricacciandola sotto alla scrivania di Chopper con un gesto per nulla delicato.
“Per un attimo ho scordato di essere arrabbiata con te.” 
“Sei sempre arrabbiata con me!” a lui non sembrava ci fosse niente di strano in fin dei conti, pensando però che quello furioso sarebbe dovuto essere lui per quel tranello. 
La vedeva riordinare il macello che avevano fatto, gettando tutto nella spazzatura. Era circondata da una strana aurea che non rivelava niente di buono.
Lui si alzò in piedi seguendola nei movimenti esasperato da quei continui cambi d’umore. “Dai faccio io, tu vai a dormire.” 
Ma in quello stesso momento uno schiaffo si depositò sulla sua guancia, facendogli girare la testa di qualche millimetro. 
Rimase in silenzio. 
“Questo é per avermi spaventata a morte, oggi.” 
Non la stava guardando. Era lì confuso, con il segno delle cinque dita sulla guancia.
“Hai fatto una bella cosa con Rin, ma mi hai anche spaventata. Mi hai fatta dubitare di te. Non farlo mai più.” 
Voleva andare a dormire adesso, e avrebbe trovato volentieri un altro posto. 
“Tu avresti dubitato di me?” 
Finalmente mosse il volto, ritornando normale. 
“Si!” Le tremava un po’ la voce. 
Si strinse nella felpa e senza nemmeno salutarlo e allungò la mano verso la maniglia della porta. 
“Dove credi di andare?” L’anticipò, fermandola prima che arrivasse all’uscita, trascinandola sul letto e spinta a sedere. 
Era confusa da tutti quei movimenti premeditati.
“Ma cosa ti salta in mente?”
Lui aveva invertito i ruoli, riprendendo la sedia dalla scrivania e sedendosi di fronte a lei. In un gesto avventato le aveva poggiato le mani sulle cosce scoperte tenendola bloccata. “Troppo facile fuggire quando piace a te.” 
La stava braccando? 
Lo vedeva bene il compagno piegato in avanti verso di lei. Sentiva le sue mani calde sconvolgerle la pelle.
“Stupida” le diceva, guardandola fisso negli occhi, con la luce della candela che accentuava la sua iride nera. 
“Zoro, voglio andare.” 
Non ci vide più. Per lei era normale lanciare certe accuse e poi andarsene “a dormire” come se niente fosse? 
“Ti ho appena lasciato fare ciò che volevi sul mio collo”, il suo respiro era pesante ma non affaticato, “in un momento di grande vulnerabilità per me…” sentiva la sua presa sulle gambe stringersi, segno che era arrabbiato. “E tu? non ti fidi di me?” 
Stava respirando faticosamente, sconvolta da quella reazione che certamente non si aspettava. Soprattutto sorpresa da quello che le aveva appena confessato. 
 
Vulnerabilità? Da quando è vulnerabile? 
 
“Solo ieri ti ho vegliato una notte intera, e tu…” era davvero arrabbiato che non riusciva a terminare le frasi. “Per non parlare di…” stava ricordando dello spavento quando aveva saputo che le avevano sparato, stava ricordando che nel giro di pochi giorni si era fatto ferire ben due volte come un allocco per via della preoccupazione che nutriva per lei. Quella stessa ferita sul collo era accaduta a causa sua, in un certo senso. Come poteva lei non rendersi conto dei dettagli di una tale portata? 
Ma Nami, per quanto volesse fare la dura, e ignorarlo per mantenere alte le sue ragioni, non vi riuscì, stavolta. Era sempre arrabbiata ma anche tremendamente dispiaciuta per ciò che gli aveva fatto credere. Lui era in difficoltà, sembrava in procinto di dire tante cose ma si sforzava per tenersele tutte dentro. 
Con un gesto spontaneo posò la sua mano sulla bocca di Zoro, tappandola.
“Zitto…stai zitto. Non dire niente” stava respirando più veloce del normale. Sentiva anche tutta una strana ‘turbolenza’ arrivare direttamente da lui, da quel corpo rigido con lo sguardo adirato, ferito. Forse aveva troppa paura di cos’altro avrebbe potuto dire lui. Forse aveva paura di tante verità, ma per ora ne aveva in mente solo una, che più di una verità era un presagio. 
“Mi fido ciecamente di te”
Un respiro profondo, seguito da un altro respiro più quieto “Lo sai anche tu.” Gli tolse la mano dalla bocca. “Forse più di tutti qua dentro…” aveva appoggiato le mani sulle sue, che a sua volta erano ancora ferme sulle sue gambe. La stretta su quelle mani era diventata forte, coraggiosa, intrepida.
“Oggi c’è stato un momento in cui ho creduto che quella spada sarebbe stata più importante per te, di tutto il resto, pure della ragione.” 
Labbra leggermente aperte, occhi decisi che sorreggevano il suo sguardo ancora serio. Il respiro di lei che saliva e scendeva. “Sappi, che se io, o anche chiunque altro su questa nave, venisse dopo la tua maledetta spada, non te lo perdonerò mai.” 
Fu un attimo, un attimo incontrollabile per lui. Le sue mani salirono dalle cosce alla vita e con un solo gesto deciso, e la spinsero all’indietro sul letto. Aveva appena azzardato così tanto, continuando a guardarla severo e respirando male. Era salito sopra di lei, allontanando la sedia all’indietro con un calcio. Il viso sopra il suo, i loro sguardi che viaggiavano dagli occhi alle labbra, dalle labbra agli occhi. La saliva bloccata in gola, il respiro agitato.
Che stava succedendo? 
 
“Il modo in cui hai detto ‘se io o chiunque altro’ su questa nave”, quei corpi si stavano muovendo, le sfiorava le gambe con le sue, i fianchi con la vita…
…e come la stava guardando, era intenso e saturo di sentimenti, tanti sentimenti. 
“…ti mette in una posizione diversa dagli altri.” 
Lo guardò stralunata in risposta, tutte quelle emozioni non stavano aiutando nessuno dei due a risolvere il caso. 
“Eh allora?”
Stava osservando le labbra di lui incurvarsi in un ghigno. Non era affatto spaventata da quella trappola o da lui. Quasi che iniziava a sembrarle tutto normale adesso. 
“Ti sei separata dagli altri…stai alludendo che tu sei più speciale per me?” 
Lei strizzò l’occhio turbata. “Non farmi questi strani indovinelli che non capisco.” 
Ancora quel ghigno che s’insediava in lui, spavaldo e quasi diabolico. 
“E invece stai capendo benissimo” la mano sul suo fianco rotondo, in un tocco che da delicato si tramutava in una morsa stretta “non fare l’ingenua con me.” 
“Mi stai addosso.” 
Ma lei sapeva sempre come tentare di evitare un argomento, o come frenarlo.
“Eh allora?” decise di essere più furbo, per una volta. 
E lei strinse i denti in un sorriso malandrino. “Devi dirmelo tu se sono speciale per te.” 
Continuava a guardare le sue labbra, erano così invitanti. Lei lo sapeva molto bene, così le dischiudeva appositamente, facendo sentire chiaro il suo respiro sotto di lui, tentandolo per metterlo alla prova. Ma la sua resistenza e il suo autocontrollo erano veramente efficienti. Ci sarebbe riuscito anche quella volta, a resisterle. Era piuttosto avventato quella sera, in cui non si stava del tutto trattenendo, anche se era per un motivo ben preciso. 
 
“Zoro…” interruppe i suoi pensieri portando le sue mani su quelle di lui che continuavano a toccarla e sfiorarla sulla pelle. “Smettila adesso…” le allontanò dal suo corpo in un gesto gentile, capendo in prima persona che quei gesti amplificati non dipendevano da lui “Non capisci?” gli puntò prima un dito sulla fronte “sei su di giri.” 
Per quanto avesse voluto usare quella circostanza contro lui, sapeva che non era in sé, e voleva preservare anche il suo orgoglio. O forse era troppo spaventata da cosa sarebbe potuto succedere se non avesse messo un freno.
Mise le mani sul suo torace, allontanandolo del tutto.
“Umh?”
“Il farmaco che hai assunto, idiota.” 
Era riuscita ad uscire da quella trappola, spingendolo e facendolo cadere di schiena sul letto. 
Lui aveva il viso che guardava il soffitto, provato da una serie infinita di sensazioni, combattuto da sé stesso. 
Non si mosse più, non fiatò più.
Erano entrambi stralunati da tutto quello che era appena successo. 
O forse non era successo niente.
 
“É meglio dormire.” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice__________________________________________
Regalo di buon Ferragosto per tutti voi che seguite la storia. Fatemi sapere se è stato gradito, seppur finito senza i fuochi d’artificio. 
Roby 
 
 

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Capitolo 7
*** Identità quasi svelata ***


Capitolo VII
Identità quasi svelata

 
 
 
 
 
 
 
Concluso il turno di vedetta e sostituito da Brook, il piccolo dottore, rientrava quatto quatto nella sua infermeria, e aprendo la porta senza far troppo caso alla luce del sole che iniziava a filtrare, si era subito avvicinato alla scrivania per posarci sopra libro che aveva tenuto con sé per tutta la notte. Solo in un secondo momento, quando si era voltato per andare a letto, vi aveva scorto sopra due figure addormentate. I suoi occhi si dilatarono dalla sorpresa nel vederli insieme in quel modo, e su quello spazio ristretto che difficilmente riusciva a contenerli entrambi. Sembravano così in pace, niente avrebbe potuto disturbare quella quietudine. 
Il piccolo medico decise di tenersi questo segreto per sé, e, prendendo il suo zainetto, si avvicinò alla porta lentamente. Aveva strabuzzato gli occhietti, ripulendosi con le zampette più volte, cercando di imprimere quell’immagine nella sua mente e accertandosi che non fosse tutto frutto della sua immaginazione. Arrossì senza capirlo e, sorridente, richiuse piano la porta dietro di sé, dirigendosi in camera dei ragazzi, alla sua branda. 
 
 
 
                                 
 
 
 
 
Aveva prurito al naso, ed era dannatamente fastidioso. Sentiva che doveva grattarsi o almeno strofinarsi per un attimo una mano sopra. Ma perché non lo stava facendo? Era come immobile, fermo su se stesso. Eppure, quel prurito continuava incessante e lui non stava facendo niente per porvi rimedio. 
Aprì l’occhio e si scontrò con il soffitto sopra; non era tanto infastidito, quanto confuso. Si accorse di essere ancora in infermeria, e infatti ricordava solo di essersi addormentato. Stranamente, e in automatico, si strofinò la punta del naso con la mano destra, dal momento che sentiva una pressione sul suo altro braccio e un peso caldo sopra il torace. Roteò gli occhi stranito, trovandosi davanti una folta chioma rossa distesa su di lui che dormiva appena sotto al suo collo con la testa poggiata tra il braccio sinistro e il petto. Ecco perché non era riuscito a sollevare quell’altro braccio: non era libero. 
Lo aveva sentito quel buon profumo risvegliarlo, ma era così insolito che pensava di sognare…solitamente erano altri gli odori in cui si imbatteva quando riprendeva coscienza la mattina nella sua branda. O le sorprese, come quando si trovava Rufy addosso, capace di perdere l’equilibrio mentre era ancora incosciente e invadeva il suo spazio di sotto. Ma stavolta era diverso: niente caos, niente scontri doloranti, niente odori dei compagni che si mischiavano tra loro creando un’atmosfera non proprio suggestiva, niente suoni fastidiosi, nessuna conversazione nel sonno di Usop; si era ritrovato, per una volta, in un’altra realtà che non conosceva affatto. 
Forse è per tutto questo che quel pervertito del cuoco parla sempre di voler assopirsi nella stanza delle donne.
 
La mano di lei aperta sul torace, il respiro leggero che sentiva appena accanto all’orecchio, il calore insolito che emanavano i loro corpi così vicini: era tutto così amplificato. Non ricordava come era capitato in quella situazione, ma sentiva di non voler infrangere quell’armonia che era abituato a non vivere mai. 
I ricordi della sera prima stavano riaffiorando uno dopo l’altro, compresa quella strana situazione che lo aveva visto più audace e sfrontato del solito, ripensando alla presunzione che aveva avuto nel toccarla in quel modo: quelle cosce morbide lo avevano annebbiato, e gli era piaciuto afferrarle tra le mani, mandarlo su di giri..ma ciò nonostante era sicuro di essersi addormentato da solo. 
Istintivamente, quel braccio sinistro disteso, lo piegò verso se stesso, chiudendovi dentro quella stretta l’ospite che aveva accanto. Aveva poggiato le dita della mano appena sotto il petto di lei, chiudendola in un abbraccio ricambiato. Continuava a guardare il soffitto e a bearsi di ogni impressione e percezione che quella condizione gli stava regalando. Ed era comunque piuttosto stranito, poiché Nami non regalava mai nulla a nessuno. Forse, quella di addormentata era l’unica circostanza in cui era davvero così silenziosa, rilassata e pacifica. Non poteva dunque non approfittarne. 
 
Ad un certo punto però, quella pace sembrava dover finire. Sentì la mano di lei muoversi sopra di lui, accompagnata da alcuni suoni che indicavano una sua soddisfazione o compiacimento a quella comodità. Si era strofinata ancora sulla sua pelle nuda, segnale che probabilmente non si era resa conto di niente, confricando il viso sotto al suo mento. 
Ancora quel gemito modulato. 
Arrossì, Zoro, non essendo sicuro del motivo; aveva però una leggera paura del suo risveglio, per l’imbarazzo di quella situazione cui stava vivendo una seconda volta, e alla quale ancora non aveva avuto il coraggio di sottrarsi - maledicendosi da solo per essere diventato così instabile.
Quelle carezze però le avrebbe accettate volentieri, ogni giorno. 
 
“Lo sai che russi davvero tanto?” 
La voce  impastata, ma quieta, rilassata, quasi ancora intrappolata nel mondo del sogno.
“Umh!” Mugugnò lui, facendo finta di niente, ancora piuttosto smarrito. 
La mano di lei aveva ripreso a muoversi, quasi impercettibile, leggiadra, accarezzandolo per tutto il petto con le dita.
“Ero troppo stanca per andare a cercarmi un letto”, confessò, sempre tenendo gli occhi chiusi. Ogni volta che parlava le labbra si strofinavano sulla sua pelle, mandandolo in ebollizione dall’interno. 
“Ma la colpa é tua che ti sei addormentato occupandomi questo…”. 
Perché gli stava dando quelle spiegazioni? 
O stava facendo… le fusa?
Perché diavolo… Non c’è affatto bisogno.
“Ti dispiace se sono rimasta?” chiese, totalmente non curante della situazione inusuale in cui si trovavano. 
Per Zoro sembrava proprio una trappola, una delle sue. Sapeva, qualunque risposta avesse dato, lei avrebbe trovato modo per incolparlo lo stesso di qualcosa. 
Era distratto dai suoi pensieri finché non sentì quella stessa mano andar giù, in fondo al suo petto, senza perdere affatto il movimento armonioso di poco prima. Era arrivata al confine con i suoi pantaloni neri. 
A che gioco vuoi giocare?
“H-ho dor-dormito lo stesso.” 
Lo spadaccino decise di uscirne con le sue risposte vaghe che spesso lo salvavano da più di un problema con Nami.
Il suo battito cardiaco aveva appena accelerato e non poteva fare niente per evitarlo, e lei questo lo sapeva benissimo perché ci stava posata sopra, al quel suo cuore pulsante. 
Sembrava quasi lo stesse mettendo alla prova di qualcosa di così privato che solo lei poteva sapere. 
Ed era ancora lì, quella mano, pertinace e incrollabile, in quel confine di pelle così rischioso. Le dita che disegnavano su di lui lo avevano condotto a richiudere l’occhio istintivamente, tendere i nervi, stringere la mano destra in un pugno. 
Nami? 
Voleva chiamarla, voleva dirle qualcosa, urlarle ‘ma che diavolo fai’?’ ma non uscì nulla dalla sua bocca, era diventato inerme. Ma poi, delicatamente, la sentì ritrarsi, e risalire verso l’alto.
 
Doveva calmarsi. Doveva respirare. 
Era impossibile tentare di nasconderle quel cuore bruciante. E lui non poteva che domandarsi se le avrebbe davvero permesso di andare fino in fondo; se le avrebbe davvero permesso di toccarlo in quel modo. Trovandoci solamente risposte molto scomode per lui. 
Alla fine, l’armonia in un modo o nell’altro lei la doveva scombussolare a prescindere. 
Si sentì pure uno stupido per aver pensato alle ossessioni del sopracciglioglione strambo; a cosa si era ridotto seguendo quelle pulsioni.
La mano di Nami si era però fermata, e lui non sapeva se esserne contento o dispiaciuto. 
Lei non aveva più parlato, e Zoro cercava di capire se fosse ancora un gioco, una trappola, un sogno. Ma poi sentì il suo respiro riprendere a un ritmo controllato come poco prima, segnale che stesse nuovamente dormendo. 
Fu quasi sollevato. 
Per quanto difficile, doveva trovare la volontà per uscire da quella trappola letale. 
 
 
 
 
 
                                      
 
 
 
 
 
Una volta risvegliata del tutto, si era ritrovata sul letto e in infermeria completamente sola. Fu falotico e totalmente inconcepibile per lei, ma sentiva di essere delusa, quasi offesa. Ma da Zoro doveva aspettarselo che non sarebbe rimasto lì. E poi perché doveva sentirsi così giù, era rimasta con lui solo perché non aveva voglia di trovare altro posto dove dormire. 
Giusto? Giusto, Nami?
Ebbe un momento di brutale lucidità in cui era sicura di non aver sognato di essersi presa certe libertà con lui. Non era nemmeno fittizio quel suo abbraccio: lui l’aveva stretta; ed era successo per davvero. 
Perché non ti fai un bagno? Hai bisogno di svegliarti di nuovo in te stessa. 
Ormai stava cercando di chiamare il sé interiore da fuori il suo corpo e riportarlo tra i vivi, nella sua comfort zone, al sicuro dai sentimenti. 
Ma forse lui le aveva fatto un grande favore togliendosi di mezzo nel momento giusto. Forse sarebbe stato troppo imbarazzante per entrambi risvegliarsi insieme e dover trovare scuse per giustificare emozioni, quelle che c’erano sempre state ma che venivano nascoste continuamente. Come sempre, lui rendeva le cose più facili tagliando la corda nelle circostanze sentimentalmente più difficili. In questo modo almeno poteva essere sembrato ad entrambi tutto uno strano sogno al confine col reale privo di reciproca responsabilità. 
Eppure, quella sensazione di benessere non riusciva proprio a capirla. Quando presa dalla stanchezza aveva deciso di accovacciarsi accanto (sopra) a lui, non aveva pensato, non aveva usato la testa, aveva semplicemente agito. Era la seconda volta che si addormentava e risvegliava coccolata da quel calore…non riusciva a capire come e perché potesse piacerle. Doveva staccarsene prima di diventarne dipendente. 
E doveva anche sbrigarsi ad alzarsi, arrivare al bagno, lavarsi e tornare in camera a prendere dei vestiti più sobri. C’era una rotta da seguire e doveva concentrarsi su quella! 
 
 
 
Aveva notato che sia Robin che Rin erano già alzate, trovando la camera vuota e un poco disordinata, probabilmente a causa della bambina che faceva un gran caos. Forse, tranne i due che avevano fatto la guardia di vedetta che sicuramente ora dormivano, gli altri erano già tutti in piedi. 
Incredibile, lei sempre mattiniera, in quanto navigatrice impegnata nel controllo della rotta, anche oggi aveva poltrito fino alle dieci della mattina. Doveva smetterla di dare retta a Zoro, o avrebbe smesso di compiere il suo compito al meglio. E lui in realtà era capacissimo di svegliarsi all’alba, ma solo per fare il suo amato allenamento. 
Aveva infilato i jeans e un top nero, intrappolato i capelli in un’alta coda di cavallo che le oscillava dietro alla testa - dimenticando però di acciuffare anche le due ciocche di davanti - e senza soffermarsi troppo sul look, per la voglia di spicciarsi e vedere come procedeva tutto, corse in cucina. 
 
“Buongiorno”
Robin, che seduta al tavolo con un libro aperto proprio sotto ai suoi occhi, e che sorseggiava il caffè con accanto un piatto di dolciumi evidentemente preparato con cura, le diede un caloroso saluto. 
Nami ricambiò e constatò che era l’unica abitante della stanza. La rossa non poteva non essere stranita, si aspettava il caos e invece sembrava tutto calmo. 
“Sanji ha impiegato Rufy nella pesca. Così lo ha distratto dalla rotta da seguire e dal fatto che tu stessi ancora a letto.” 
La navigatrice sospirò, rincuorata, prendendo posto al tavolo e facendo così compagnia all’archeologa. 
“Beh, meno male abbiamo Sanji dalla nostra parte.” 
Robin non poteva che essere d’accordo, annuendo in segno di approvazione. “Ti ha lasciato la colazione, come sempre.” Con un cenno della mano la invitò a quel banchetto delizioso, organizzato proprio nel punto dove Nami sedeva di solito, e che aveva notato solo in quel momento. Le si illuminarono gli occhi nel notare sempre quella minuziosa attenzione per i dettagli, trovandoci tutte le sue prelibatezze preferite. “Che gentile!” elargì, leccandosi le labbra pronta a soddisfare il suo palato. “Non so come avremo fatto senza di lui.” Continuò ad elogiare l’amico ad ogni morso. 
“Sei davvero affamata!” Robin aveva finito il caffè, e con la mano stava voltando pagina di quel suo libro eccentrico. Era molto concentrata, ma soprattutto interessata. 
“Dov’é Rin?” 
Nami aveva guardato intorno a sé ancora una volta non trovandone traccia. 
“È con lo spadaccino.” 
Le mancò un battito. “Eh?” Le era appena andata di traverso la spremuta di mandarini. “E per quale motivo?” Le sopracciglia avevano assunto una strana forma sul suo viso. 
“Lei gli ha chiesto un allenamento e lui ha acconsentito.” 
Sbruffone egocentrico.
Aveva la faccia così contrariata che non riusciva proprio a nascondere i suoi pensieri. 
“Hai detto qualcosa?” 
Robin sorrideva in modo strano quella mattina, nascondeva senz’altro un segreto, che però non impiegò molto a rivelare. “L’ho visto uscire dall’infermeria all’alba.” 
Ancora quel sorriso compiaciuto.  
Non riusciva proprio a finire di berla quella dannata spremuta che qualcosa la faceva andare di traverso nella sua gola. 
“Non è successo niente!” Eccole le emozioni sopraffarla. “Non farti strane idee.” Stringeva i denti, più imbarazzata che spaventata. 
Robin rise divertita, mentre piegava in due una pagina del libro, e girava quella successiva. “Cosa sarebbe dovuto succedere, perché?”
Quasi sempre era confacente avere accanto una persona così intelligente come Robin, una spalla su cui contare, un supporto a cui affidarsi in quel circo; ma in situazioni come quelle malediceva il suo comprendonio, era sempre un passo avanti a tutti. 
Ma poi la vide, sgranare gli occhi ed emettere un suono strano con la bocca davanti a una pagina di quel libro. 
“Robin?” si allarmò la rossa alzandosi in piedi come reazione. “Che ti prende?” 
L’archeologa aveva fatto un’altra piega sul testo, continuando a guardarlo e innervosendo Nami che la fissava. Fu improvviso, chiuse il libro, facendo in simultanea un bel respiro.
“Senti” finalmente guardò Nami negli occhi. “Tu che idea ti sei fatta della storia di Rin?” 
La rossa non si aspettava di certo una simile domanda. Si rimise a sedere più tranquilla, riflettendoci su. “Non so.” Fece spallucce. “C’è qualcosa che mi martella nella testa ma non ha nessun senso logico.” 
“L’assomigli a qualcuno, vero?” Fu schietta, si vedeva che aveva bisogno di bruciare le tappe. 
Quella domanda per Nami significava tantissimo, ma sentire l’amica esternarla, l’idea che quel pensiero potesse diventare reale, la tormentava e non voleva che ciò accedesse. Annuì con la testa, ma senza rispondere. 
“Mi sono fatta prestare questo libro da Sanji-kun.” Lo indicò, mostrandole la copertina. “Ci sono elencati tutti i frutti del diavolo esistenti nel mondo.” 
Nami non trovava niente di strano in quelle parole, ma non capiva cosa c’entrassero con Rin. 
“Non lo so se sei pronta per scoprire la verità, Nami!” 
Quella di risposta era ancora più disorientata. “In che senso, scusa?” Si alzò nuovamente in piedi. “Io che c’entro con lei?” Sentiva le sue parole come eco nella sua testa. Aveva evitato ogni giorno quel pensiero che le balenava dentro, quell’odore familiare che sentiva ogni volta che l’aveva vicina, quel volto, quella testardaggine, quel menefreghismo, e tutto quel pacchetto insicurezze che doveva essere colmato con delle regole rigide.  
“È Zoro. È con lui che c’entra qualcosa.” Disse a una Robin accigliata. 
L’archeologa era stupita di quanto Nami potesse essere cieca. Strinse il libro tra le mani, stava per risponderle quando la cucina venne invasa di punto in bianco dai compagni: Rufy, Usop e Brook erano spuntati dalla porta. 
“Non è colpa mia se non abbiamo catturato quel pesce!” 
Usop tirò uno scappellotto a Rufy, colpendolo forte. “Hai sempre gli occhi più grandi dello stomaco…sempre questa tua dannata ingordigia.” 
Brook rise, prendendo posto al tavolo con le ragazze. “In realtà, Usop, il suo stomaco è davvero grande! Yohohoho.” Si era voltato in direzione della compagna, che non aveva ancora avuto modo di incontrare quella mattina. 
“Buongiorno Nami, posso vedere le tue mutandine stamattina?” 
Ovviamente non finì bene. “Ma perché ci provi tutte le volte?” Con un pugno lo aveva fatto schiantare sul pavimento, una caduta più dolorosa del solito, poiché quella di Nami era una rabbia anche carica di ansia adesso, rispetto al solito che invece era solo rabbia. 
La rossa non capiva le parole di Robin, non capiva che verità assurda avrebbe potuto pioverle addosso da un momento all’altro. 
“Mi spiace…” si stava rimettendo un osso a posto “è più forte di me…”.
 
 “C’è qualcosa che devo dirvi.” 
La mora aveva catturato l’attenzione di tutti sbattendo il libro sul tavolo. I presenti la guardarono sorpresi, compresa Nami che sentiva il cuore batterle forte in petto. E Rufy che si stava grattando il naso con la sua solita espressione ‘di testa tra le nuvole’.  
“Sono abbastanza sicura che Rin sia da considerare tra i fruttati.” 
Spalancarono le bocche fino a terra gli ultimi arrivati. Ma tagliando corto alle immediate domande sul ‘che tipo di potere ha?’ o ‘come fai a saperlo?’, rimase impassibile e interruppe il chiasso che si era già creato.
“E perché ieri ha evitato di fare il bagno?”
Robin annuì, stupita di quei sensi acuti di Nami di notare simili dettagli. 
“Ma perché voler nascondere un potere, vi starete chiedendo.” Nel dirlo osservò sempre più Nami che gli altri, che sicuramente non si erano nemmeno posti quel quesito. “Forse perché quel potere rivelerebbe una verità inesplicabile.” 
In quel momento Sanji stava mettendo piede in cucina accompagnato da Chopper e Franky che avevano recuperato qualche ora di sonno. 
“Dobbiamo iniziare ad abbracciare l’ipotesi che Rin non appartenga ai nostri giorni”. 
Nello stupore generale, che aveva coinvolto anche gli ultimi tre arrivati, Robin decise di spiattellarne solo una parte delle sue supposizioni, reputando le altre troppo rischiose. 
“Calmi!” disse, mettendo le mani in aria e facendo intendere a tutti di abbassare il tono per non farsi sentire fino a fuori. “É possibile che Rin, grazie al suo potere, sia venuta qua dalla nostra vita futura…”
Vide nei loro volti delle espressioni confuse, spaventate, irrequiete, sconvolte.
“…ed è per questo che ci conosce tutti.”  
Terminò così di raccontare la sua ipotesi, che sembrava avere sempre più sostanza. 
 
“EEEEEHHH???” 
 
Un incontro di lame aveva però catturato la loro attenzione. Da distante si era fatto sempre più audace, continuo, frenetico. Si voltarono tutti verso la porta della cucina poiché il rumore veniva da fuori. Guardarono in quella direzione per svariati secondi per poi tornare a concentrarsi su Robin. 
Era chiaro, ora volevano certamente saperne di più. 
Ma, nuovamente, quel rumore di lame che si incontravano in un suono melodioso aveva fatto irruzione come eco nella stanza. 
“Oh, ma insomma!” Nami si era alzata dal suo posto innervosita, dirigendosi fuori, non prima di sbattere furiosamente la porta. Venne raggiunta però da tutti, che la seguirono. 
Una volta affacciata alla ringhiera del piano di sopra, li vide: Zoro e Rin avevano finito per combattere sul ponte. 
Era così rapido il cervello a riportarla indietro e farle ricordare che qualche ora fa stava sdraiata su di lui. Sembrava tutto così illogico, insensato, irragionevole. 
Si era rivestito, e le bende al collo si scorgevano distrattamente. In effetti, l’agitava la reazione di Chopper, magari avrebbe chiesto spiegazioni su chi lo avesse medicato al suo posto…ma poi ritornò a concentrarsi sullo scontro, catturata da un dettaglio alquanto bizzarro. La bambina aveva il fiatone, si vedeva che era esausta da un allenamento impegnativo che poi era finito per concludersi in uno scontro all’aperto. 
“Ma cosa si è messa addosso? Quella é la mia vestaglia.” Nami si riferiva a come Rin si era costruita un kimono fai da te, mentre le si formò una gocciolina dietro alla testa. 
“Quel cretino ci ha preso gusto a misurarsi con una bambina?” Sanji, accanto a Nami, guardava la scena con le mani in tasca, spostando ogni tanto lo sguardo su di lei, dal momento che le aveva scorto una strana espressione sul viso, in balia di tante emozioni diverse. 
Usop dietro di loro, era riflessivo. “Perciò, Rin verrebbe dal futuro, stai dicendo questo Robin? È una cosa realmente possibile?” Era così sconvolto, ma allo stesso tempo sorprendentemente incuriosito. Chopper condivideva tutte le emozioni del cecchino, elettrizzato di saperne di più. Il cyborg, che però aveva perso metà del racconto di Robin, non era sicuro di aver appreso bene. “Se così fosse, perché sarebbe tornata indietro?” 
 
Ancora le due spade bianche che battevano una contro l’altra. 
“Stai dritta.” 
Come maestro era decisamente inattivo dal punto di vista lessicale: non diceva niente su cosa fare, non la istruiva a dovere, non le parlava mai, un ordine ogni tanto e molto combattimento. 
Una delle lame volò sul ponte. Rin aveva fatto un capitombolo esausta sul pavimento, con la sua spada persa dalla presa e finita lontana da lei. 
“Basta per oggi!” Lo spadaccino aveva appena rinfoderato la sua “Va bene così.” 
Ma quella, nonostante fosse evidentemente fuori gioco, si mosse strisciando verso la sua arma, impugnandola e cercando la forza per rimettersi in piedi. “No a-a-asp-“, si era alzata ma con la schiena piegata che riprendeva fiato, “a-aspetta…posso ancora farcela.” 
Zoro, che però aveva voltato le spalle dirigendosi a prendere le altre due spade che aveva poggiato a terra, si stupì di trovare al piano di sopra tutta la ciurma per intero che li osservava, stava per arrabbiarsi e chiedere spiegazioni quando incrociò lo sguardo con quello di Nami, smettendo di fare quello che stava per fare. Qualche secondo che parve durare un’eternità, soprattutto, quando, nel mentre, entrava in contatto con i ricordi della mattina, con quel risveglio quasi immacolato. Era dura sostenere quello sguardo, in quel momento. Era dura affrontare ciò che stava provando, in quel momento. 
Distolse lo sguardo quando sentì la bambina parlare, dando nuovamente le spalle alla rossa.
“Ho detto che abbiamo finito, Rin.” 
“Ancora!” 
Lui digrignò i denti. 
“NO!” 
“Ancora!!!” 
Lei aveva afferrato la spada tra le mani e stretta l’elsa così forte fino a farsi del male. 
“Adesso basta ragazzina!” 
Si avvicinò prendendola per la collottola e alzandola in aria. Quella continuava a sfoderare fendenti che andavano a vuoto, talmente era stanca. “Piantala subito!” 
 
“Tutto bene Nami-San?” 
Il cuoco non aveva smesso di guardarla, mentre lei non si perdeva nemmeno un dettaglio di quelle scene che le si svolgevano davanti agli occhi. 
“Quella determinazione…” aveva la bocca semiaperta, e ormai era quasi certa di quel pensiero che stava per rivelare. Sanji non riusciva a capire cosa intendesse, ma anche lui aveva iniziato a mettere in moto il cervello e ragionare su quei dettagli che aveva accumulato. 
“RIN” 
La bambina e Zoro furono così costretti a guardare di sopra, chiamati all’attenzione da una Nami agitata. 
“Lo sappiamo!” 
Respirò per far prendere aria ai polmoni. “Sappiamo il tuo segreto!” 
 
Quel corpicino ancora a penzoloni per aria s’irrigidì tutto insieme, dalla sorpresa di quelle parole le cadde anche la spada a terra con le mani rosse e piene di bolle per la fatica di usare un’arma più grande e più pesante di lei.
 “Co-cosa?” non sapeva che altro dire, così come il volto di Zoro, che non aveva certo messo su un’espressione intelligente, talmente stava cadendo dalle nuvole. 
“Quale segreto?” chiese, non mollando la presa e portandosi la mano libera tra i capelli. 
Nami guardava fissa la bambina, era difficile capire chi tra le due fosse più nel panico. Rin aveva iniziato a tremare, poiché non sapeva se lo avessero scoperto davvero e cosa esattamente avessero capito. 
“Allora?” Usop continuò il discorso. “Ormai puoi dircelo, siamo preparati.” 
Ma Rin si era come sigillata la bocca. 
 “Ma quindi tu vieni dal futuro?” Il capitano si era catapultato di sotto sorridendo entusiasta. “È vero o no?” 
Tra i versi più acuti di tutta la ciurma per il fatto che il capitano avesse spiattellato le loro considerazioni come niente fosse senza stare al gioco, una Nami che stringeva la ringhiera con la voglia di tirarla via, uno Zoro che aveva urlato un “CHE COSA?” ma che era anche stato ignorato dai più, Rin aveva sgranato gli occhi, sconvolta, diventando quasi una statua immobile. 
Almeno, finché, anche quando lo spadaccino si era voltato a guardarla - era il più vicino d’altronde - e allora non poteva più passarla liscia. “Quindi?” Con quel suo sguardo severo e indagatore. “É vero quello che dicono?” 
La bambina aveva un nodo alla gola grande quanto una casa. Stava ricambiando quello sguardo e si era rassegnata al fatto che ormai non sarebbe potuta uscire da quella situazione senza cedere alla verità. 
Fu così che annuì con la testa. 
Zoro ne rimase un po’ scompigliato, il suo occhio era più aperto di prima e l’espressione era quasi colpita. 
Quel cedimento comunque non era rimasto inosservato a nessuno. Ora tutti avevano avuto la loro conferma, che fu ancora più sconvolgente, poiché un’ipotesi poteva ancora essere distrutta, ma adesso quella idea si era fatta reale.
“E quindi quella spada l’hai rubata al Zoro del futuro?” Continuava Rufy a chiedere, ridendosela. Non lo spaventava mai niente e anche questa situazione lo divertiva e sconvolgeva allo stesso tempo, ma rimanendo sempre lo stesso. 
“Esatto.”
Rin annuì, per un attimo scordò tutto e rise anche lei, ma la cosa durò veramente poco, per via dello sguardo del diretto interessato su di sé: era furioso. 
“Hei…ti spiegherò tutto, lo giuro…” mise le mani avanti sul suo volto mentre ancora oscillava per aria. 
 
Gli altri ormai erano quasi tutti sul ponte, avevano raggiunto Rufy, seduto a terra sul prato. Tutti tranne le due ragazze rimaste al piano di sopra. Robin non aveva voluto lasciare Nami, dal momento che era davvero sconvolta. 
Zoro si avvicinò agli altri, raccogliendo prima la spada di Rin da terra e lasciandola sul prato insieme alla bambina, adagiata delicatamente sullo stesso. 
Usop le si avvicinò squadrandola per bene, più di come già aveva fatto nei giorni precedenti. “Ma scusa, Zoro chi sarebbe allora nella tua vita?” puntava il piede verso lei in attesa di risposta. 
Rufy si voltò verso Usop accigliato “ma come non l’hai ancora capito?”
Nami perse il respiro, mentre ascoltava. Se anche Rufy era arrivato alla soluzione…significava che…
“Perché tu lo sai?” chiedeva Usop curioso, ma stranito del fatto che proprio Rufy poteva saperlo. 
 “Ma il suo maestro, no?” 
“Aaah, è vero!” Il cecchino sgranò gli occhi, sorpreso di non averci pensato prima. Anche se sentiva che in quell’equazione c’era qualcosa che non gli tornava. 
“Non c’è altra spiegazione al fatto che combatti come lui.” Anche Brook era della stessa idea del capitano. 
Ah. Che idioti! Pensava Nami, che per un attimo ci aveva pure creduto. 
“Ma non spiegherebbe tutto” Sanji stava fumando, quale momento migliore per sconfiggere lo stress, “Zio Sanji, Zio Rufy…” e mentre Zoro continuava a grattarsi il capo confuso e pensieroso, Sanji continuò “Come possiamo essere una famiglia? Cosa ci lega?”
 
“Ma possibile che non abbiate ancora capito un tubo!” Nami sbottò d’improvviso. Non era calma proprio per niente, si stava facendo logorare da qualcosa che non voleva dire a nessuno. 
 
“Vuoi dire che tu l’hai capito?” Franky si voltò a guardarla. 
Chopper era distratto, poiché stava ripensando a quell’odore che ora sentiva fortissimo, mischiato a quello di Zoro. I due si somigliavano così tanto. 
Fu il primo a gelarsi. 
“È da un po’ che penso di averlo capito…”
In quel momento anche Usop si raggelò. 
“Anche tu?” Continuò Franky indagatore. Dalla reazione del cecchino, sembrava proprio di sì. 
“Umh?” Fecero tutti gli altri, tranne Robin che stava sorridendo. 
“É tale e quale a te! La tua copia spiaccicata!” 
La rossa indicò Zoro, che aveva alzato la testa a guardarla, senza però arrivarci lo stesso alla soluzione. “Umh?” 
Anche Sanji ormai aveva capito, poggiato al parapetto e consumando la sigaretta sconvolto. 
Nami era tutta un fascio di nervi ormai e nessuno di loro aveva idea del perché, nessuno avrebbe potuto capire quello sconforto che la stava assalendo poco a poco, e forse nemmeno lei stessa. 
Però ebbe coraggio di dirlo ad alta voce, alzò il braccio e indicò il compagno. 
 
“Quella non è altri che tua figlia!” 
 
Impossibile definire quante bocche caddero a terra, anche quelle di chi già lo aveva intuito, e anche quella del diretto interessato, traumatizzato da quella informazione che probabilmente non doveva nemmeno sapere. Si voltarono verso Rin chiedendole immediata conferma, che lei fu costretta a dare senza più desistere, annuendo titubante con la testa. 
 
Zoro continuava però a fissare Nami, aveva intravisto il suo viso afflitto da continue emozioni, anche le più disparate, e aveva intuito che c’era qualcosa che non andava, ma capire cosa esattamente era impossibile. Ma lui cosa aveva fatto per beccarsi quello sguardo ferito? Perché quegli occhi che lo guardavano erano sofferenti? Cosa era cambiato dalla mattina? Da quella assurda mattina…
Per quanto incredibile quell’informazione potesse essere, cosa centrava con loro due nel presente, così tanto da dividerli? 
 
Rin era spettatrice a quel pericoloso gioco di sguardi, e sapeva che era appena accaduto il caos più nero. Non avrebbero dovuto scoprirlo, non avrebbero dovuto saperlo adesso. Lei aveva provato a nascondersi dal mostrare troppo sé stessa, ma evidentemente aveva fallito, e pensava che aver mostrato la wado era stato il suo primo sgarro… 
Ma Rin non poteva sapere che proprio quel dettaglio era stato palesemente ignorato, non essendo davvero conscia che le somiglianze con il padre erano ben altre.
I suoi occhi poi si posarono solo su di lui, lo fissò, aspettando una sua reazione, di qualunque tipo. 
Ma dopo un leggero trauma iniziale, Zoro, grattandosi la testa con una mano, e il braccio posato sull’elsa delle spade al suo fianco, non sembrava nemmeno più tanto sconvolto. 
“Non è una cosa così strana, dopotutto” aveva solo detto, voltandosi a guardare Rin per la prima volta da quella rivelazione. 
“SI CHE LO È!” 
Avevano urlato i compagni maschi in coro, tranne Rufy che continuava a dire ‘wooo’ stupito, ma più che altro divertito. Chopper saltellava accanto a una Rin nel panico, abbracciandola e tirandola per il braccio; Usop, con braccia incrociate, stava facendo una domanda dopo l’altra sul futuro senza però essere ascoltato dalla diretta interessata, che non aveva occhi che per Zoro.
Sulla bambina comparve un sorriso a mezzaluna, cancellando l’angoscia e la disperazione di poco prima. 
 
 
“Che cosa ti ha fatta essere così sicura?”
Robin si era accostata a Nami, che a sua volta si era voltata appoggiandosi di spalle alla ringhiera. 
Sul suo viso un’ombra scura. 
“Ci sono tante ragioni che mi hanno portato a pensarlo.” 
Stava guardando un punto fisso davanti alla parete della Sunny.
“Ma c’è una cosa che ho notato in Rin che vale più di tutto il resto: il suo istinto protettivo nei miei confronti.” 
Robin l’ascoltava coinvolta, cercando di ignorare il chiasso che arrivava da sotto, con tutta la ciurma che rideva o era ancora traumatizzata dalla notizia. 
Ricordava il giorno in cui avevano subito l’assalto. E ricordava come teneva ferma una Rin scalpitante, con la smania di buttarsi nello scontro.
“Quel giorno non voleva buttarsi nella mischia solo per stupidità.” 
Cercava di spiegarsi al meglio. 
“Lei voleva proteggermi. Era spinta da questo sentimento così forte…quasi violento”
Nami guardò Robin dritta negli occhi con un sorriso malinconico sul volto. 
 
“Ho sentito in Rin, il cuore di Zoro.” 
 
 

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Capitolo 8
*** Sbalzi d’umore ***


Capitolo VIII
Sbalzi d’umore 

 
 
 
 
 
 
 
La protagonista di quella particolare notizia era stata assalita da un via vai di domande che partivano dal ‘come mai sei tornata indietro?’, fino al ‘raccontaci di Zoro in veste di genitore’; ma venne salvata giusto in tempo dal suddetto padre che, conscio delle ferite di lei alle mani causate dalla spada, aveva chiesto a Chopper di medicarle. Così, i tre, insieme a una Robin curiosa, trasferiti - o scappati - in cucina, si ritrovarono in un ambiente più quieto atto ad incanalare quella verità. 
 
“Non c’è bisogno.” 
Rin, seduta sulla sedia, si opponeva solo a parole alla medicazione, lasciando però le sue mani all’ispezione del medico se opporsi.
Zoro, braccia incrociate e seduto sul divanetto dietro, osservava la scena attento ma con sempre quella sua solita espressione enigmatica, senza aggiungervi nulla di nuovo. 
Era disarmato davanti a quella realtà, ma sembrava non darci troppo peso. D’altronde, lui stava vivendo il presente e solo su quello voleva e doveva concentrarsi. 
Il dottore aveva usato una crema speciale per alleviare il rossore e le aveva fasciate con le bende, per evitare il contatto tra le altre superfici e le bolle formatesi sulla sua pelle candida. Con una cura e attenzione maggiori per via della sua giovane età, stava attento a non farle male. “Queste ferite sono eccessive per una della tua età.” 
Era sempre così cauto e appassionato nello svolgere il suo lavoro, ma quella bambina lo rendeva uno ‘Zio’ a tutti gli effetti, almeno così voleva sentirsi; anche se lei continuava a chiamarlo solo ‘Chopperino’, ignara di non stare regalandogli questa gioia che lui invece avrebbe tanto apprezzato. Ma non importava, nel tono della piccola c’era tanto affetto e a lui questo bastava, la sentiva veramente parte della famiglia, da quel primo giorno in cui ne riconobbe l’odore. 
 
“Quella spada è troppo grande per te!” 
 
C’era voluto un po’, ma poi Zoro aveva proferito parola, non cambiando espressione ma con lo sguardo concentrato su di lei, forse per la prima volta la stava studiando. “Dovresti fare pratica con quelle più semplici.” 
Rin aveva sussultato nel sentirlo, era rimasta contenta della sua reazione, ma avrebbe tanto voluto sapere che cosa gli stava passando per la testa. Aveva voltato il capo guardandolo con un bel broncio piazzato sul volto, mentre ancora Chopper la medicava, “mi annoiano quelle.” 
Robin, seduta dall’altro lato del tavolo, scrutava ogni azione e stava attenta ad ogni parola che veniva pronunciata. Lei non voleva perdersi niente di loro, di quella inusuale circostanza. Era attratta da quel potere, ma ancora di più da quell’idillio familiare. “Eppure, hai detto che quella l’hai rubata a tuo padre, no? Dunque, lui non ti ha concesso di usarla.” Puntualizzò, cercando di capire a fondo certe dinamiche. 
Zoro tese l’orecchio, era sempre un po’ lento, ma quello lo voleva proprio sapere. 
La bambina aveva assunto una posizione immobile, come se volesse far finta di non essere lì, poiché colta con le mani nel sacco.  
“Rispondi!” Lo spadaccino allora la esortò, voleva saperne di più sul furto della sua spada, ma il suo tono non era così severo come ci si poteva immaginare. “Hai giurato che avresti spiattellato tutto” e per lui un giuramento è da prendere con serietà anche se a farlo è stata solo una bambina di dieci anni. 
Ma Zoro non poteva sapere che dentro di sé, Rin, avrebbe voluto sentirsi libera di mentire, di disonorare una promessa, cui non riusciva anche volendo. Fu così costretta ad accennare un ‘si’ con il capo, sospirando, vittima di sé stessa. 
“Mi è categoricamente vietato usare questa spada.” 
“E perché diavolo l’hai rubata?” Non riusciva proprio ad accettarlo lui un simil gesto. 
“Volevo dimostrare di essere capace di usarla. Tutto qua.”  
Chopper aveva finito con la medicazione, rimettendo l’occorrente nella cassetta e liberandole le mani dalle sue attenzioni. 
“Tutto qua un bel niente!” Aveva replicato il verde, innervosendosi. “Non si deve rubare!” 
Era abituata a quel tipo di precetti, lui le aveva insegnato il senso di un giuramento e l’importanza dell’onestà, due pesi che soggiornavano sulle sue spalle di bambina, due concetti ponderosi da interpretare a quell’età, che erano grandi come un macigno per lei, ma un macigno che però riusciva lo stesso a portare con orgoglio. Ma sul rubare, lì Roronoa aveva clamorosamente fallito, o forse era subentrato troppo tardi.  “Se aspettassi te non me la faresti mai usare. E poi, anche tu l’hai avuta da bambino! Maschilista.” Quella scese dalla sedia e si fiondò davanti a lui facendo la linguaccia.
“ABBASSA QUEL TONO” mise i denti aguzzi per svariati secondi, per la prima volta disturbato dal fatto che lei sapeva questi suoi dettagli personali; per poi calmarsi in fretta evitando di dare troppo nell’occhio. “Quando ho detto che è pesante per te intendevo per la tua statura. Sei troppo mingherlina e bassottina. Devi farti i muscoli prima.”
La stava per caso sfottendo?
“Maledetto maschilista!” 
“PIANTALA!” 
 
“Hei Robin, stai ancora leggendo quel libro?” 
Chiese Chopper prendendo posto su una delle sedie. 
“Si, sto aspettando Nami per consultarmi su una parte che é riportata qua, ma non so dove sia finita.” 
Zoro e Rin avevano fermato il loro battibecco, soffermandosi ad ascoltare quelle ultime parole. 
“A quella ogni tanto le girano male senza motivo.”
Lo aveva più grugnito che detto con parole vere. Zoro sembrava quasi scocciato di non sapere cosa le passasse per la testa. 
Chopper lo aveva fissato per una manciata di secondi, avendo ben chiara in mente l’immagine della mattina che gli aveva visti coinvolti. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo tra loro, e ora ancora di più il fatto che dicevano delle cose a parole ma poi ne facessero altre a fatti. Quel momento in cui li aveva visti insieme doveva pure significare qualcosa; il piccolo medico, per quanto non capisse certe connessioni tra gli esseri umani, sapeva che l’amore è universale e il bisogno di un’altra persona affianco era uguale per ognuno. Era stupito che tra tutti quanti, alla fine, era proprio Zoro quello che aveva più bisogno di Nami. Non sapeva spiegarselo, ma sentiva che era così, lo leggeva anche ora, sul suo volto. Per non parlare del suo odore che cambiava sfumature quando era nervoso. 
 
Rin prese posto vicino allo spadaccino, sul divano, come fosse per lei la normalità. Uno spadaccino che non faceva altro che voltarsi verso la porta della cucina ogni volta che sentiva un rumore. 
“Perché non provi a parlarle?” 
Chiese intimorita, guardandolo dritto negli occhi. 
“A chi?” 
Cadde dalle nuvole lui, guardandola a sua volta e notando quel modo agitato che aveva di esternare certi pensieri. 
“A Nami!” 
Era nervosa, facile all'emozione, ma faceva di tutto per non darlo a vedere.
 
Ma in quel momento la cucina fu occupata da due figure, una di queste era piuttosto irrequieta. Sanji e Franky, reduci da una concitata conversazione, si stavano spingevano uno sull’altro per arrivare per primi. Rumore che portò nuovamente lo sguardo del verde dritto sulla porta. 
“Senti tu” Sanji indicò la morettina con fare quasi spaventato “L’altro giorno mi hai detto che la tua mamma é una delle donne più belle al mondo!” quasi non respirava dalla foga di scoprire quella verità. 
“Si, l’ho detto.” 
Il biondo era a dir poco alterato, tanto che gli cadde la sigaretta spenta dalla bocca che finì spiaccicata sul pavimento. “E perché mi hai mentito su una cosa del genere?”
Rin si alzò in piedi con le mani fasciate chiuse in due pugni in posizione di difesa: ci voleva veramente poco per farle perdere la pazienza! “Ti ho detto che io non mento mai!”  
“BUGIARDA!” 
“Hei tu, sopracciglio strano, se ha detto che non mente, sarà vero.” Zoro aveva parlato in sua difesa, cercando di mantenere la sua solita tranquillità. 
Robin era sempre più incuriosita, osservando la scena sorridente, consapevole di essere l’unica tra loro a sapere di un’altra verità, forse quella più eclatante, che avrebbe davvero scombussolato gli equilibri. 
Sanji era piuttosto agitato e per nulla convinto. “Non è possibile che tu “indicò Zoro, “sia sposato con una donna di un tale calibro.” 
Lo spadaccino aveva messo su i famosi denti aguzzi “Io non sono sposato, idiota!” 
“Certo, non tu adesso, ma tu domani.” 
“Ma che ne posso sapere allora!” 
“Certo che lo sai!” 
Per un attimo riuscì a calmare i nervi, mentre nel frattempo la cucina venne invasa anche dagli altri tranne Nami, che era scomparsa dai radar. 
“É quel bocconcino della marina, non é vero?” 
“Chi?” 
Zoro non riusciva proprio a capire di che diavolo stesse blaterando, guardando ancora una volta la porta che si apriva, con il cuore in gola. 
Il cuoco fece poi memoria, ricordando la donna a Punk Hazard “Si, la dolce Thashigi!”
“CHE COSA?” 
Sbottarono Zoro e Rin contemporaneamente, frustrati. La bambina aveva gli occhi fuori dalle orbite, segno che la conosceva sicuramente. 
“Tu sei un dannato pervertito che non sa pensare ad altro.” Voleva chiudere quel discorso il più velocemente possibile, lo spadaccino.
“Da chi altri avrebbe preso questi capelli scuri? E sa anche tirar di spada. Non nascondere il tuo amore segreto per lei.” 
Zoro era furioso, si era alzato in piedi dalla foga con ancora i denti aguzzi e il fumo che usciva dalle orecchie. 
Ma Franky lo anticipò, salvandolo in extremis. “Ehi aspetta Sanji. Sarà anche carina, ma quella non è una SUPER.” 
Rin sospirò sollevata. Sembrava non volerci avere proprio nulla a che fare con Tashigi, calmando i suoi bollenti spiriti. 
“Ma non è possibile, non ci sono altre opzioni!” 
Sanji era piuttosto convinto mentre cercava di fare mente locale. “Che bellezza divina potrebbe mai prendersi uno come te?” Il cuoco aveva raccolto la sigaretta da terra gettandola poi nella spazzatura e prendendo posto accanto a Robin, ma sempre con quel ticchettio alle mani e ai piedi, segnale che era ancora nervosissimo. 
Ma proprio in quel momento notò che sia Rufy che Brook avevano una strana espressione sul volto e stavano guardando proprio nella sua direzione in cui si era seduto, con fare pericolosamente pensieroso. 
“E voi che volete adesso? Non ho ancora cucinato il pranzo!”decretò. 
Ma i due indicarono la compagna seduta accanto a lui. “Robin ha i capelli neri!” 
Sull‘archeologa spuntò dietro la testa una goccia d’acqua per il disagio, sforzandosi di sorridere. 
Ma non durò a lungo, dal momento che avevano davvero provocato il cuoco nel modo peggiore, facendolo diventare prima nero e poi rosso fuoco dalla rabbia. La temperatura nella stanza era appena salita di molti gradi tutti assieme. “AAAAAA NON OSATE IDIOTI!” 
I due poveretti vennero scaraventati all’indietro, e andarono a sbattere contro alla porta della cucina ricadendo di pancia sul pavimento. 
Rin aveva sospirato arresa, cercava di farsi notare richiamando l’attenzione, ma nessuno di ‘quei cretini’ voleva ascoltarla. Va bene non sapere, ma non accettava che le assegnassero una mamma che non era la sua. Così aveva preso posizione, raggiungendolo e mettendosi tra Sanji e i due malcapitati a terra.
 “Questa cosa non posso dirvela, chiaro?” 
“Mi prometti almeno che la tua mamma non si trova qua in questo momento?” Sanji aveva quasi le lacrime agli occhi se pensava a Robin come moglie di testa d’alga’. 
“Promesso!” 
 
 
Grazie a quel piccolo giuramento, in cucina tornò la quiete, e nonostante tutti volessero sapere la verità sulla misteriosa futura compagna di Zoro, dovettero per forza rassegnarsi, vista l’ostinazione di Rin sull’argomento. Anche se ogni tanto qualcuno ci riprovava con frasi come ‘forse non l’ha ancora conosciuta’, oppure, ‘ma siamo sicuri che sia veramente sposato?’. 
Quando Sanji era tornato ai fornelli per preparare il pranzo, Rin aveva detto solo un’ultima cosa a riguardo, stabilendo che non avrebbe più fiatato dopo
 “La mia mamma è sempre stata l’unica per il mio papà.” 
Una confessione che aveva fatto prima attorcigliare lo stomaco a Sanji, poi l’esternare di un sacco di esclamazioni stupite agli altri, e infine imbarazzato notevolmente Zoro. 
“Non dire queste sciocchezze!” L’aveva rimproverata, rosso in viso. 
“Ma è vero!” 
La sincerità della bambina poteva essere sia fastidiosa che estremamente dolce. Ma lui cercava lo stesso di tapparle la bocca, mentre quella si dimenava contrariata. 
“NON RIVELARE INFORMAZIONI SUPERFLUE.” 
Robin rideva, con una mano poggiata sotto al mento, ma nonostante non volesse interrompere quel siparietto interessante, decise di correre in aiuto dell’amico spadaccino, notevolmente in difficoltà. 
“Perché sei tornata indietro, Rin? Siamo per caso capitati in un bel guaio mortale?” 
“ROBIN SMETTILA SUBITO!” 
Usop iniziava a raggiornare solo adesso sulla questione, e tremò. “É COSI? SIAMO IN PERICOLO?” 
Alla bambina mancò il respiro, in effetti aveva dimenticato quale fosse la situazione nella sua vita reale. 
Si raggelò d’improvviso. 
Zoro la osservava preoccupato, riconoscendo quel modo di rispondere perentorio, quel vizio di paralizzarsi di fronte alle verità che non si volevano accettare - era chiaro che ne aveva combinato una grossa, o le era capitato qualcosa di spiacevole. 
“Questo puoi dircelo? Ormai abbiamo saputo informazioni molto più grosse” chiese Franky, sedendosi al tavolo e alludendo a Zoro, senza aspettare che il cecchino si calmasse dalla paura per il futuro. 
“Io non voglio sapere niente!” 
Il capitano si mise le mani nelle orecchie come un bambino capriccioso. 
 
Rin fece dei passi indietro, era di fronte al divano dove stava seduto Zoro; accanto a lui c’era la sua wado del futuro e vi estrasse la spada dal fodero. 
In quel frammento di secondo tutti ebbero un attimo di confusione, non capendo bene le intenzioni della bambina. Ma lei appoggiò con cura la spada sul divano, concentrandosi invece sulla custodia, rovesciandola e facendovi cadere due foglietti piegati ripetutamente su se stessi. 
“Questa è la mia vivrecard. I miei genitori hanno l’altra metà, quindi sanno che sto bene.” 
Fece l’occhiolino a Zoro, che ricambiò uno sguardo accigliato. “E questo” lo aprì, diventando da un quadratino un foglio intero di carta “É il mio avviso di taglia.” 
Lo mise sul tavolo in modo da farlo vedere bene a tutti. Il foglio lo poterono riconoscere subito, con al centro una foto di una bambina che somigliava a Rin ma molto più piccola, di età di circa sei anni, coperta in testa da un enorme cappello nero molto più grande di lei, con scritto sotto RORONOA RIN - 300 milioni di denari.
Franky s’ingelosì subito, quella era addirittura più alta della sua. “UNA TAGLIA COSÌ PER UNA MOCCIOSA?” Stava ricontando gli zeri, sconvolto. 
Chopper aveva preso il foglio tra le mani, scrutandolo, attirato fa un dettaglio. “Perché porti quel cappello? Quasi non ti si riconosce.” 
“Una poppante con una taglia del genere?” Anche Usop, da sempre soddisfatto della sua, iniziava a cedere all’invidia, rubando a sua volta il foglietto al medico. 
“State buoni tutti.” Allargò le braccia. “Ho quella taglia a causa dei miei genitori, come potete immaginare.” Indicò Zoro affianco a lei. Fece un respiro profondo, cercando ancora di quietare gli animi. 
“La marina mi sta addosso da quando sono nata. La mia mamma cerca sempre di camuffarmi un po’; e infatti, grazie a lei, questa è l’unica foto che sono riusciti ad avere.” 
Il manifesto stava passando di mano in mano, allo spadaccino suonò così strano leggere il suo cognome sotto quella foto, una volta avuto tre le mani. 
“Zia Robin” si voltò a guardarla, ma poi rammentò che non l’aveva ancora mai chiamata così e si imbarazzò vedendo lo guardo un po’ sognante ma sorpreso dell’archeologa. “Scusa” bofonchiò. 
“Non importa” le sorrise. “Continua pure.” 
“Oh zia Robin” Sanji aveva lasciato temporaneamente i fornelli, iniziando a volteggiare come una piroetta impazzita “che dolce suono dell’amore e della responsabilità.” In un batter di ciglio era nuovamente accanto alla compagna. “Possiamo pensare ai doveri familiari insieme?” 
Zoro aveva il voltastomaco. 
Rin rise divertita, ma una volta passato il momento di euforia la bambina riprese a parlare, cancellando quella leggerezza temporanea che le aveva preso in prestito il volto, per ritrovare quell’ombra che la perseguitava.  
“Robin, nonostante il tenermi lontana dalla scena sia stato un tuo suggerimento, mi hanno piazzato una taglia spropositata comunque. E da allora non hanno fatto altro che darmi la caccia…e sapendo di cercare un pesce piccolo, anche i cacciatori di taglie mi stanno alle calcagna.” 
 “La marina ha giocato bene questa carta. Che vigliacchi!” Franky era sinceramente nauseato.
Persino Rufy aveva smesso di tapparsi le orecchie con le mani, rapito dal discorso. 
Rin annuì.
 “Non mi lasciano mai in pace.” Rinfoderò la spada nella sua custodia, sempre con una cura spropositata. “Ma io voglio essere libera!” 
“Beh, sei una pirata no?” Rufy stava finalmente facendo il serio. “Di che ti lamenti.” 
“Ma non è stata una mia scelta.” 
Prese la spada tra le mani, ora al sicuro nel suo fodero, e si sedette ancora una volta accanto al ‘padre’. 
“Nessuno di voi, tranne Robin, aveva una taglia sulla testa da bambino.” 
Era un po’ adirata, ma sapeva che esagerare con loro non avrebbe avuto senso. “Io vorrei solo sbarcare su un’isola senza dovermi camuffare o essere protetta continuamente dalla balia di turno.”
“Ma hai dieci anni” puntualizzò Usop. “Dovresti avere la balia in ogni caso!” 
Si alzò di nuovo dal divano. “Non capisci!” Strinse le mani in due pugni. “Non posso nemmeno stare con altri della mia età, o persone al di fuori della ciurma, senza avere almeno due o tre di voi attorno.” Gli indicò tutti con il dito. “Senza nemmeno poter avere un momento tutto mio in un qualsiasi posto nel mondo.” 
Le sue emozioni erano lì, sotto lo sguardo di tutti, anche se contenute - ma non tutto era facile da nascondere o alleggerire. 
“È comunque una fortuna che qualcuno si prenda cura di te.” Nelle parole di Robin si nascondeva la sua sofferenza, ricordando che lei era rimasta completamente sola. 
“Lo so.” Abbassò il volto sentendosi dannatamente in colpa. Altro sentimento esplicato alla luce del sole dalla mimica facciale. “Ma allo stesso modo é una rottura anche per me.”  
“E com’è che hai deciso di fuggire?” Le domande di Usop arrivavano sempre al momento più giusto. 
“Beh…” tornò a quietarsi, trattenendo dentro tutto ciò che poteva. “ho sentito come il bisogno di dimostrare di sapere usare questa spada.” La indicò, “…e di poter vivere un’esperienza da sola. Così l’ho presa mentre tu -“indicò poi Zoro “dormivi.” 
L’ammonì severo con lo sguardo, ma lei lo ignorò, talmente abbattuta a riceverne. 
“Abbiamo approdato su un’isola solita” specificò “…dove solitamente ci nascondiamo per fare una pausa e rifornimenti. Volevo fare un giro per andare a trovare un mio amico, con cui combatto spesso e con cui volevo provare la spada.” Sospirò. “Sono riuscita ad arrivare da sola al paese, ma ho avuto solo un momento di normalità…finché poi sono stata accerchiata.” Mentre si metteva più comoda con la postura, si era avvicinata maggiormente a Zoro - era sicuramente abitudine rifugiarsi accanto a lui quando era agitata. 
“Qualcuno mi ha fotografata, così adesso ci sarà già sicuramente una nuova taglia…” tremò. “La mamma sarà furiosa al quadrato.” Scosse la testa a destra e sinistra, agitata, come a voler scacciare via quel pensiero che la rendeva irrequieta. “Ho combattuto con la wado finché ho potuto…poi sono scappata per la paura di dire ai miei della foto…” sbuffò sentendosi una codarda, una bambinetta impaurita, “ma poi ho visto…”
Tutti erano rapiti dal racconto, a tratti dimenticavamo che si trattasse di qualcosa che nella loro vita non era ancora accaduta. 
“Akainu.” 
Strinse le mani in due pugni, in una rabbia che celava un dolore profondo, più profondo di quello che stava raccontando. 
Il sangue di Rufy si gelò continuando a fissarla, seduto a gambe incrociate sul pavimento. 
“È stato lì che sono riusciti a ferirmi.” Si passò una mano sull’addome perdendosi nei suoi pensieri. 
“E poi che è successo?” Chopper era in prima fila, voleva sapere tutto. 
“Mi ricordo di aver avuto paura.” 
Era quasi imbarazzata nel doverlo ammettere, mettendo su un broncio ferito nell’orgoglio “E sono capitata qua, nel passato. Non so nemmeno come ho fatto…io non sono in grado di usare questo potere.” 
Era rassegnata ma contemporaneamente viveva un sentimento di accettazione. 
“NON SAI USARLO? E COME CI TORNI A CASA?” 
Sbottarono i componenti maschili. 
Ma Rin fece spallucce, destabilizzandoli ulteriormente. “Non ne ho idea.” 
“Ma che razza di menefreghismo è il tuo?” Franky era sconvolto da quella tranquillità. 
“Beh, tu non immagini cosa dovrò affrontare al mio ritorno…” Rin continuò a tremare pensando al suo re incontro con la madre e alla sua vigliaccheria nel doverla affrontare. O con il padre, dopo il furto della sua preziosissima spada.
“Saranno furiosi come mai lo sono stati prima.”  
Robin si fece una sincera risata. “Beh saranno preoccupati, no?” 
Rin annuì. 
“Estremamente. Non possono cercarmi, e se anche lo facessero non potrebbero trovarmi. Spero ci arrivino da soli. In ogni caso, loro sanno che sto bene.” 
Zoro era stranamente pensieroso. 
Più di una volta, durante il racconto, il suo sguardo era volto alla porta, una porta che non era stata più valicata da nessuno. Non riusciva a capire perché non facesse altro che aspettare che si aprisse. Era un grattacapo fisso, senza nemmeno accorgersi si ritrovava ad osservare quell’entrata, in silenzio. 
Poi per fortuna si distraeva, si concentrava sul discorso di Rin, pensava alla famiglia che avrebbe costruito in futuro e non sapeva perché ma si sentiva tranquillo, per quanto la cosa lo destabilizzasse un pochino, si fidava di sé stesso. 
 
“È come con l’arte della spada” si concentrò nuovamente su di lei “devi fare allenamento.” Suggerì alla bambina che adesso stava annuendo consapevolmente - probabilmente una frase che aveva già sentito dire dallo stesso. 
 
 
 
 
 
La porta della cucina si spalancò catapultando fuori Rufy, che dal colpo aveva aperto la porta ed era finito fuori rotolando. Dal momento che cercava di rubare il cibo del pranzo già pronto, mentre il cuoco che, ancora ai fornelli stava finendo le altre pietanze, aveva pensato bene di sbatterlo lontano dalla stanza. 
Il capitano, testa in giù e gambe all’aria, si era appena accorto di qualcuno seduto per terra con le gambe al petto e il volto pensieroso, appena fuori dalla porta della cucina. 
“Oh, ciao Nami.” 
L’aveva salutata sorpreso di trovarla li. “Perché stai qua fuori da sola?” 
La navigatrice, affatto preparata a quell’invasione dello spazio così perentoria, sussultò, ma riuscendo a monitorare lo stesso lo spavento.
“Controllo la rotta!” 
Alzò il braccio mostrando il suo LogPose con tre aghi. “Qualcuno dovrà pur farlo. Entro quest’oggi potremmo arrivare su un’isola.” Lo informò. 
“Davvero?” Si mise a sedere davanti a lei, sempre sul pavimento. Era elettrizzato ed entusiasta, sentimenti che però vennero meno quando si accorse di qualcosa. “Stai bene?” Le chiese preoccupato. 
Quella cadde dalle nuvole. “Io?” 
Rufy annuì col capo. “Sei strana.” 
In quel momento anche Rin uscì fuori dalla cucina, fuggendo dalle continue domande di Usop, sollevata di scamparle. Giusto il tempo di vedere Rufy poggiare la mano sulla fronte di Nami, assicurandosi che non avesse la febbre, e l’irritazione della rossa come risposta a quella gentilezza.
“Mi spieghi cosa stai facendo?” 
“Hai qualcosa che non va. Hai di nuovo la febbre?”
“Ma quale febbre!” Gli allontanò la mano con poca delicatezza. 
La porta si aprì, ma quella che uscì da lì fu Robin. E posando le mani sulle spalle di Rin, avvicinandola a sé, come gesto affettivo, si rivolse a Nami. “Come va?” 
“Entro quest’oggi potremmo arrivare su un’isola.” Ripetè come poco prima, accennando un sorriso. 
“Hai sentito tutto?” Aggiunse poi, riferendosi alla conversazione avvenuta in cucina. 
Nami annuì con la testa, concentrandosi poi nel guardare Rin. “Sei proprio uguale a lui.” 
Lei arrossì appena, ma lo sguardo era coperto da un velo di tristezza, lo specchio di quello di Nami in quel momento, che non riusciva a nascondere in nessun modo. 
Rin voleva abbracciarla, ma non poteva cadere sempre in questi sentimentalismi inspiegabili. Perciò si trattenne. 
Ma ecco che qualcosa aveva catturato l’attenzione della navigatrice che, guardando il Log Pose si alzò in piedi svelta. “Ci siamo” disse, scendendo gli scalini e andando a cercare il cannocchiale, seguita da Rin e Robin. “Rufy va lassù e dimmi cosa vedi.” 
Il capitano accorse sopra la sua amata polena, felicissimo di iniziare l’avventura più presto del previsto. Al suono di ‘isola in vista’ tutti erano corsi fuori, tranne Sanji, che non aveva abbandonato i suoi fornelli. 
 
 
 
 
 
 
Avevano attraccato, ma non nel porto normale di un qualsiasi villaggio, dal momento che non potevano rischiare di essere rintracciati, ma avevano fatto il giro della costa, trovando la giusta posizione dove nascondere la nave. 
“Finalmente!” 
Rin era sbarcata per seconda - dopo il capitano già partito alla ricerca di una locanda, dal momento che stava morendo di fame. Toccava la sabbia fresca con i piedini scalzi, sempre con la sua immancabile spada in mano.
“Qua non mi riconosce nessuno…” aveva sillabato illuminata da una nuova luce. Entusiasta e libera, saltellava e affondava per bene tutte le gambe nel bagnasciuga. 
“Non per questo puoi andartene in giro da sola.” L’ammonì subito, Nami, prendendola per la mano. “Andiamo a comprarti dei vestiti.” 
E s’incamminarono verso la via che conduceva al paese, senza pensarci troppo, seguite da Robin. 
Sanji, che aveva lasciato il cibo in caldo per la notte, aveva spento tutti i fornelli ed era sbarcato anche lui. Sulla nave erano rimasti così Brook, Usop e Chopper, quest’ultimo moriva dal caldo per riuscire a muoversi, mentre Franky, già andato via per conto suo, aveva delle compere urgenti da fare, anche se tutti lo sapevano che aveva bisogno di mutande nuove. 
“Vengo con voi.”
 Sanji seguì le compagne e la bambina con una sfilza di cuori al seguito. “Avrete bisogno di un bodyguard.” 
Zoro guardò la scena demoralizzato. Non sapeva se era il caso di seguirli oppure starsene a dormire. Anche se con tutto quello che gli passava per la testa non ci sarebbe mai riuscito quella volta a sonnecchiare come se niente fosse. 
“Dovresti andare.” 
Gli indicò la strada Usop, affacciato al cornicione della nave. 
“Comodo detto da te!” Rispose lo spadaccino con i denti aguzzi, poco incline ad essere giudicato. 
“Bè, ma quella è tua figlia dopotutto. Se ne prende più cura Nami di te.” 
Di solito non gli importava, ma Usop era riuscito a colpirlo nel punto giusto del suo orgoglio. Così, senza più replicare, s’incamminò anche lui dietro ai quattro, sbuffando.
 
 
 
Una volta in paese, Zoro seguiva il gruppo stando un po’ più in disparte. Sanji davanti a lui volteggiava, passando dalle due compagne alle donne che incrociava per strada, proponendo le sue solite moine. Nei momenti in cui spariva a fare una corte spietata alle sconosciute l’aveva davanti a sé l’immagine di Nami che prendeva Rin per mano, con una tale attenzione e affetto che lo avevano colpito; ci teneva davvero tanto a quella bambina. Che era “la sua bambina”. 
Era preso alla sprovvista da sé stesso, ultimamente non faceva altro che cedere alle pulsioni e al suo lato più emotivo, che forse si stava lasciando andare alla corrente che aveva preso una direzione piuttosto chiara. E lui non faceva altro che pesare allo sguardo ferito di Nami e alla sua freddezza, che però non aveva intenzione di sopportare. 
 
Passarono davanti a una locanda, e visto il casino che stava facendo, sentirono che Rufy era entrato proprio lì. 
“Se volete andare a tenerlo a bada, andate” Nami, ovviamente riferita ai compagni maschi, che avvisava senza voltarsi, metteva piede dentro al negozio di abbigliamento capitato per primo. 
“Noi compriamo un paio di vestiti qua e poi vi raggiungiamo.” Aveva allora provveduto Robin a rimediare a quella freddezza, seguendo Nami e Rin all’interno. 
Ma Sanji stava continuando a volteggiare tra le donne del posto - in effetti l‘ultima volta non aveva potuto sbizzarrirsi a causa dell’attacco improvviso in città - e nonostante la presenza delle sue due compagne, aveva veramente bisogno di calore femminile, così né stava cercando un po’, scomparendo tra la folla. Zoro lo aveva guardato come sempre, inorridito e rassegnato a quell’atteggiamento. 
Meno male doveva essere il fidato bodyguard. 
Aveva capito che quello di Nami era un regalo, sapeva che a loro non interessava entrare nel negozio di abbigliamento, e gli stava lasciando liberi, ma quella freddezza proprio non riusciva a comprenderla, e lo stava infastidendo non poco. Si guardò intorno, non sapeva se accettare il consiglio e raggiungere Rufy o aspettare fuori. Forse in un’altra occasione avrebbe raggiunto l’amico, ma stavolta sentiva di avere un peso maggiore sopra, così, per sicurezza, si sedette nelle scale di fuori al negozio, in attesa. 
 
 
Nami fu la prima ad uscire e, distrattamente, stava finendo per sbattersi alla schiena di Zoro, convinta di non trovarci nessuno.
“Sei rimasto qua!” 
Aveva solo detto, stupita ma gelida. Era sicura che sarebbe senz’altro andato - o meglio, fuggito, da Rufy. Ma lui non le aveva risposto, era troppo infastidito da quel tono che gli stava riservando. 
Robin fu la seconda ad uscire con in mano due buste, ugualmente sorpresa di trovarci ancora Zoro, seguita da Rin che era indifferente al nuovo capo d’abbigliamento che stava indossando. 
“Sei carina” le diceva l’archeologa. 
“Ma come l’avete conciata?” Sbottò Zoro alzandosi in piedi e guardandola stranito. 
“È solo un vestito.” 
Nami lo sistemò un poco. Era bianco con le bretelle sottili, con al centro una cintura argentata a cui agganciare la spada. Alla bambina avevano anche sciolto i capelli, fermati sul lato da un piccolo fermaglio dello stesso colore. 
“Sono abituata” disse, indifferente. “Almeno non è così scomodo come sembra. Ne ho indossati di peggiori.” 
“Abbiamo preso anche i jeans e pantaloni per allenamento.” Precisò Nami, abbattuta. “Ho capito che la moda non ti interessa.” Era demoralizzata, ma comunque felice che, nonostante la sua avversione, la bambina era stata partecipe anche solo per accontentarla senza mai lamentarsi e senza fingere.
“Ma sono contenta di questo”, Rin si riferiva al poter allacciare la spada al fianco, emozionata, anche se quella fu la causa del suo quasi capitombolo, evitato grazie a Zoro che l’acciuffò per tempo. 
“È troppo pesante, te l’ho detto.” 
Ma lei non ascoltò, scese le scale e si ritrovò sulla strada. 
Era libera. 
Poteva godersi il momento, cercare un attimo tutto suo da vivere. Non le sarebbe accaduto niente stavolta. Anche se aveva tre sguardi puntati sopra. Tremò. 
“Dai…” disse, mentre stava indietreggiando. “Ora posso fare un giro sola soletta?” 
“NO” sbottarono i due, mentre Robin accennava un’espressione di dissenso. 
Zoro stava guardando la situazione attorno, sembrava un semplice ed innocuo villaggio, ma doveva stare all’erta come sempre. 
“La signora del negozio ha detto che è un posto innocuo” anticipò Nami, capendo subito il sesto senso del compagno, ma sempre con quel tono distaccato. Era ovvio che avesse chiesto informazioni, sicuramente mentre litigava per lo sconto.
Ma poi lo guardò lo stesso, sentendosi il suo occhio addosso. Fu doloroso per lei. Così bruciante per lui. 
“Mi spiace interrompervi “ 
Robin col suo sarcasmo si riferiva a quel gioco di sguardi impossibile da non notare “ma Rin se né andata.” 
I due si voltarono scattanti, trovandosi davanti agli occhi una strada vuota. 
“Quella ragazzina!” Zoro si era alzato in piedi all’istante, pronto per mettersi a cercarla. Sentendosi immediatamente un blocco sul petto, una responsabilità che non aveva mai avuto prima. 
“Aspetta!” Anche Nami era scesa in strada abbandonando di corsa gli scalini. 
 
 
 
 
“Aspetta, ho detto” lo raggiunse tirandolo per il braccio. “Tu sei l’ultimo che può andare a cercare qualcuno!”
“Non seguirmi!” le rispose acido, guardando a destra e sinistra tra i vicoli scuri del paese, scrollandosi la presa di lei di dosso e superandola in velocità. 
Nami lo guardò di spalle, colpita nel sentirlo così innervosito. “Gira a destra” gli disse, ma lui era troppo tutto d’un pezzo per ascoltarla, imboccando il viale dalla parte opposta. “Ti ho detto a destra, stupido! Così torni alla nave!” 
Si maledisse per averla addosso a giudicarlo. Girò a destra poi, ascoltandola nelle indicazioni, ma ignorandola comunque il più possibile nel resto. 
“Mi dici che cosa ti prende?” 
La lasciò perdere, riprendendo il cammino e continuando a guardarsi intorno. 
“Spero che la bambina non abbia ereditato il tuo senso dell’orientamento.” Lei continuò però ad infierire, indisponendolo, spaventata da questo importante dettaglio. 
“Vuoi star zitta!” Era giusto un po’ furioso, offeso, ma anche continuamente colpito nei suoi punti deboli. “Mi ritrovo a dover vagare per la città a cercare quella peste, ci mancano solo i tuoi sbalzi d’umore.” 
“Quali sbalzi d’umore, scusa?” 
Lo aggredì alzando il tono della voce per fargli sentire quanto era contrariata. 
Si fermò ancora e la guardò, stava per dire qualcosa e poi lasciò perdere. “Non importa.” 
Nami strinse i pugni sui fianchi. Perché era tutto dannatamente difficile con lui? Lo seguì senza rispondere, guardandosi intorno. 
 
“Ma dove diavolo si è cacciata.” 
Nami era colpita dal fatto che se la fosse svignata in così poco tempo in un posto sconosciuto. “È brava però.” Si complimentò. 
“Quella voglia di libertà non la si può fermare.” 
Lui aveva risposto dopo svariati secondi, seguendo più che altro il suo istinto mentre camminava, forse diventato quasi più calmo.
 
Avevano sbirciato nelle locande, nei negozi di armi, nelle piazze, ma non si vedeva da nessuna parte. Ora stavano imboccando, silenziosi, una stradina nuova che lasciava il paese alle spalle ma che non sapevano dove portasse, finché non videro alla sua fine un vecchio parco malmesso, con dei bambini che probabilmente andavano lì, di nascosto dagli adulti. 
Zoro si fermò all’improvviso. 
“Che ti prende adesso?” 
Lei lo guardò titubante. Ma lui la fermò, allungando il braccio e impedendole di andare oltre quel muro. 
“È lì!” indicò quel parco davanti a loro, dietro le rovine di case crollate “Rin.” 
Nami si sporse per vedere meglio ma lui la fermò ancora una volta. “Non sembra in pericolo.” 
Anche la rossa ne convenne, sospirando, e sorprendendosi di quel gesto premuroso e altruista. Erano sempre questi dettagli di Zoro che sapevano colpirla dritta al cuore.
La bambina stava giocando con due ragazzetti, chiaramente più grandi di lei, ma che sapeva tenere a bada. 
Sorrise Nami, sbirciando da dietro il muretto dove si trovavano loro. Zoro invece adesso guardava lei. Lei che sorrideva nel vedere la ragazzina felice. 
“Che c’è?” Si voltò, dopo, cogliendolo in fallo. Ma lui non rispose spostando lo sguardo altrove. 
Ma Nami non era famosa per lasciare perdere le questioni, così, si avvicinò di più a lui, puntandogli il dito sulla fronte. “Allora? Perché mi guardi in quel modo strano.” 
Lui si accigliò. “Ti sbagli.” 
Quel contatto ravvicinato lo aveva riportato a quella mattina. Sentiva i muscoli in tensione.
Ma come si poteva passare da una situazione del genere alla normalità? Come poteva tornare alla vita di tutti i giorni, adesso? 
 
Nami, seppur poco convinta della risposta, tolse la mano da lui e andò a sedersi su un gradino cadente, portandosi le gambe al petto. Quella brutta sensazione che la tormentava era tornata preponderante nel suo petto. Ma cosa le stava succedendo? 
 
 
 
“Che effetto ti ha fatto sapere che avrai una figlia?” 
Chiese, rompendo quel silenzio diventato improvvisamente fastidioso. “Veramente, intendo.” 
Lui fece spallucce.
“Non trovo così strana l’idea di metter su famiglia.” 
“No?” Lei era spazientita. Non si sarebbe aspettata da lui una simil risposta. Ancora. Più pensava di conoscerlo e più lui riusciva a sorprenderla.
“Tu lo trovi strano?” 
“Si.” Sospirò. “Io non mi ci vedo a fare la madre.” 
Zoro la osservò. 
Ma Nami non aveva continuato, lasciando al tempo altro spazio per riflettere, instaurando in lui una strana malinconia per quella dichiarazione. 
 
 
 
“É davvero lei?” 
“Umh?” 
“La marine…”
Quel silenzio, ancora una volta disturbato, venne invaso da una domanda che in qualche modo voleva venir fuori. Non vedeva l’ora di essere pronunciata, di prendere forma, e di avere una risposta soddisfacente. 
Era uscita. Nami l’aveva fatta uscire. 
Per poco, al verde non venne un infarto dall’ imbarazzo, ma un imbarazzo legato per lo più a qualcosa di fastidioso che lui non avrebbe nemmeno mai potuto immaginare. 
“Anche tu con questa storia?” 
Non ci poteva credere a quelle insinuazioni. Ma che cosa c'entrava lui con quella? Non solo non provava interesse ma nemmeno aveva mai dato segni di divertimento, non aveva subito altro che noie da quella donna. 
“É una in gamba. Col suo onore e tutto il resto…”
Zoro non rispose subito. E mentre cercava la reazione più adatta, si chiedeva come mai adesso lei sembrasse…triste? 
“Io non provo niente per quella.” 
Era imbarazzato di dover giustificarsi così, di dover dire una cosa del genere. A lei poi. 
“Ma non pensi che potrebbe essere successo qualcosa nel futuro? Con lei?” 
Ancora. 
Zoro non poteva crederci. Doveva affrontare davvero quel tipo di conversazione? Ma poi lui che ne sapeva del futuro? E come poteva farle capire che ‘quella la’ non gli faceva venire i brividi al solo contatto di pelle contro pelle, come riusciva invece a fare lei? E poi perché doveva darle queste spiegazioni? 
“Io penso che tu la stimi molto, in realtà…e da questo può nascere qualcosa.” 
“Piantala con queste stupidaggini da ragazzina.” Zoro ringhiò, trasformando la sua espressione seria in una furiosa. 
“Non sono stupidaggini da ragazzina. Si tratta di amore. Di famiglia. Non c’è niente più importante della famiglia!”
Nami alzò la testa, con lo sguardo accigliato e nuovamente…ferito. 
Si guardarono in quel momento lungo un'eternità. 
Lui non capiva perché lei se la stesse prendendo tanto per qualcosa che lui stesso non avrebbe potuto spiegarle, non ne aveva conoscenza del futuro. E le insinuazioni lo mandavano in bestia, perché sembrava che lei non credesse a ciò che le stava dicendo dei suoi sentimenti al riguardo.
E lei, invece, sentiva solo questo dolore invaderla. La paura di qualcosa che non era in grado di afferrare. Il bisogno di insistere sull’argomento pur sapendo che una risposta non avrebbe potuta averla. Se non che, Zoro, ammettesse già del suo amore per Tashigi, per quella spadaccina dall’onore solido come il suo. Quella con cui lei non avrebbe potuto competere. 
Nami sospirò, non riuscendo a reggere quel ringhio infastidito del verde, pensando che il vederlo così aggressivo sull’argomento fosse la riposta che voleva; anzi, che non voleva.
“Lei é adatta a te, probabilmente.”
L’espressione di Zoro, che sarebbe voluta peggiorare in un fastidioso ringhio rabbioso, cambiò improvvisamente in una più divertita, decidendo di cambiare tono. 
“Forse sarà così allora.” 
Incrociò le braccia al petto non distogliendo lo sguardo da lei, e assistendo al cambiamento di quegli occhi grandi, che ormai tristi, erano diventati allucinati e furibondi. Non poteva non godersi quello spettacolo senza senso. Di una strana - che fosse gelosia? - paranoia da donna, che non si sarebbe certo aspettato di ricevere da Nami. 
“Ma hai detto che…hai detto che non provi niente!”
Si era agitata come una stupida. Non riusciva più a contenersi, tanto da iniziare a vergognarsi per tutto ciò che quella scoperta della mattina le stava suscitando nel corpo. Perché erano dovuti finire in quella situazione? Perché l’idea di Zoro con una figlia meravigliosa la stava tormentando a quel modo? 
Forse…forse perché non era lei…la madre? 
Si portò una mano a reggersi il petto. Che stupida. Si sentiva una stupida. Doveva smetterla di scoprirsi, o lui chissà che cosa ne avrebbe colto. 
“Allora se mi hai creduto alla prima risposta che ti ho dato, perché continui sulla questione?”
Aveva ribattuto, spostando ogni tanto lo sguardo su Rin al parco. 
“Beh, comunque qualcuna l’hai trovata.” 
Gli occhi rivolti al terriccio, un broncio che aveva già visto più volte e anche di recente sul viso di qualcun’altra. 
Perché voleva tornare sull’argomento?
La osservò attentamente lui, e vedendola in quelle condizioni, provò quasi uno slancio di tenerezza, ma si contenne. 
“Mi spieghi qual è il problema?” 
Ovviamente non arrivò nessuna risposta, e lui non volle insistere onde evitare che il tutto si girasse contro di lui. 
 
Frattanto non poco lontano da lì, si udivano le voci dei ragazzini che facevano da sfondo, e Rin non sembrava essere in pericolo. 
“Ti sbagli, comunque” riempì lui quel silenzio, stavolta “non è vero che non fa per te prenderti cura di qualcuno, chiunque sia. Non c’è bisogno di essere una madre di fatto…” era da tanto che non componeva una frase così importante. E così importante per Nami.
Non la stava guardando in volto, era conscio che le stesse facendo un complimento, ma era così dannatamente difficile esternare qualcosa del genere a voce. 
Soprattutto a lei. 
Nami alzò la testa da quel vuoto nero in cui era sprofondata. Era così sorpresa. Davvero lei era così come la descriveva lui? Perché lei sapeva invece di non riuscire a vedersi in quel modo.
Lui abbozzò un magro sorriso. 
“Hai salvato la vita di mia figlia senza nemmeno saperlo, dopotutto.” 
 
“Zoro?” 
Stavolta si voltò a guardarla, coraggioso, senza ripensamenti alcuni. 
“Tu credi alle coincidenze?” 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Il filo rosso del destino ***


Capitolo IX 
Il filo rosso del destino 
 
 
 
 
 
 
“Se qualcosa deve succedere, succederà.” 
Aveva risposto, dopo averci pensato poco. 
“Quindi se io ho incontrato Rin significa che doveva succedere proprio questo?” 
“È probabile.” 
 
Lui aveva sempre creduto nel caso, facendosi assolutamente trasportare da quell’onda che chiamava la sua fortuna, e si divertiva nel metterla costantemente alla prova. 
 
Quello sguardo tormentato che fremeva impaziente lo sapeva leggere meglio adesso, Zoro, perché riusciva a farle capire che anche quello che provava lei allora era regolare, non era sbagliato, non era fantasia. 
“Ora mi dici che diavolo ti prende.” 
Nami alzò gli occhi dal terriccio poiché un’ombra scura era apparsa sopra, invadendo il suo spazio vitale. Sussultò nel trovarlo davanti a lei con ancora una volta quell’espressione enigmatica sul volto. 
All’improvviso le sentì tutte le sensazioni di quella mattina, quelle stramaledette pulsioni, quei maledetti sentimenti. Questo coinvolgimento emotivo doveva cessare di esistere al più presto o si sarebbe solo che fatta del male. Sentiva che si sarebbe potuta gettare sopra di lui da un momento all’altro; prenderlo, imprigionarlo, non lasciarlo più andare. Cambiare egoisticamente quel futuro che si era ingiustamente presentato davanti ai loro occhi. 
E aveva dormito così dannatamente bene quella notte, che non poteva rinunciarci per colpa di un’altra donna che si sarebbe intromessa, che avrebbe rovinato tutto. 
Ma come poteva essere così stupida e sognante. Lei…con un uomo poi. Doveva aver perso la testa.
Ma si sentì avvolgere nuovamente da quel calore. Bastava semplicemente la sua vicinanza, bastava semplicemente quello sguardo posato su di lei, per scaldare tutto. Non c’era bisogno di altro, e tutto andava alle fiamme, compreso il suo autocontrollo. Sentiva il bisogno di picchiarlo perché era diventato troppo invasivo dentro lei, non riusciva ad accettarlo tutto questo. Quando gli aveva dato questo permesso? 
 
Ma un rumore di spade che si scontravano era capitato al momento giusto, distogliendo l’attenzione di lui che fu costretto a voltarsi, dandole la possibilità di andare via. 
Aveva chiamato la bambina, dopo averla adocchiata a sguainare la wado in lontananza, preoccupandolo. Ma quando si rivoltò veloce vide solo una chioma rossa che andava via in silenzio. 
Era sconcertato. 
Dopo averla guardata sparire dalla stradina a cocci, scese giù per i gradini che portavano a quel parco abbandonato dove capì che altri ragazzi ancora più grandi si erano intrufolati e volevano rubare la spada dalla custodia bianca. Ma bastarono lo sguardo e le tre spade al fianco per ricordare a quelli chi c’era di fronte a loro, dandosela a gambe. Prese la bambina sottobraccio e corse via di fretta.
“EHI” si lamentò quella a testa in giù. “Ma che fai!” 
Ma lui aveva lo sguardo concentrato, era così serio, come se avesse appena perso qualcosa di estremamente importante. 
“Stai bene?” Le chiese comunque. “Non ti hanno fatto del male quelli?” 
“Macché! Non avrebbero mai vinto!” 
Sorrise, continuando a correre. 
“Che sta succedendo?” 
“Sto cercando quella pazza!” 
“Allora gira a destra se vuoi la strada principale.” 
“Sai orientarti?” 
“Certo.” 
Era così sollevato. 
Su quella strada videro Robin con Rufy e Sanji, uscire proprio in quel momento dalla famosa locanda; il capitano si teneva la pancia enorme tra le mani, sintomo del fatto che si era appena ingozzato per bene. 
Probabilmente Nami non l’avevano vista passare. 
Arrivando di sorpresa, lasciò la bambina tra le braccia di Sanji. “Riportala sulla nave” aveva detto, incamminandosi velocemente senza voltarsi. 
“Ma dove diavolo va?” 
“Chi li capisce è bravo!” sorrise Rin, aggrappata amabilmente al collo del cuoco. 
 
 
 
 
 
Sapeva che era una guerra persa in partenza se era lui quello che doveva cercare Nami. Si sarebbe perso sicuramente appena uscito dalla strada principale, mentre lei sapeva persino tornare alla nave in un batter di ciglia, e avrebbe fatto più in fretta di lui, se solo avesse voluto. Ma non se ne curò più di tanto, lui aveva sempre quella dannata fortuna. Se fosse dovuto succedere, sarebbe accaduto. 
Continuava a correre a perdifiato senza nemmeno sapere il perché. Ma poi cosa avrebbe fatto quando l’avrebbe avuta davanti? Cosa le avrebbe detto? 
Quell’esplosione emotiva non la sapeva gestire, ma non poteva negare che riguardava anche lui, che c’era dentro fino al collo. 
Ecco, infatti, si era perso. 
Aveva superato quasi tutto il paese, trovandosi davanti il solito maledetto bivio - il bivio della vita - ma dove doveva svoltare ora? 
Perché queste cose sentimentalmente complesse gli stavano capitando tutte insieme? 
Scelse la strada che portava a sinistra, quella del cuore, imbucando la via con orgoglio. 
È vero, non sapeva orientarsi, ma c’era qualcosa di assai più forte che pendeva sulle loro teste: il loro destino. Doveva solo seguire l’istinto, come sempre, e tutto avrebbe funzionato.
Ci credeva davvero in sé stesso. 
E quando sentì il petto implodere per l’agitazione, la vide, davanti a sé, Nami, che camminava sul ciglio della stradina bianca, a passo lento, persa, convinta che non sarebbe stata trovata da nessuno. 
Sorrise pensando al paradosso della vita - lei perduta seguendo il cammino giusto, lui l’aveva ritrovata seguendo solo sé stesso. 
Credi alle coincidenze? 
Quella domanda gli risuonava nella testa come un colpo di cannone. 
“No” aveva detto dietro di lei, facendola spaventare e voltare insieme, trovandoselo li. “Io non credo affatto alle coincidenze!”
Lei aveva l’espressione così ferita, ma anche totalmente sbalordita di vederlo. Nami era tutta lì, nel suo viso, non sapeva nascondere più niente a lui. 
 
Era iniziato tutto quando lei si era risvegliata durante la notte, trovandolo al suo capezzale, quando invece avrebbe dovuto dormire. Era iniziato per sbaglio. Era successo perché doveva succedere, in una notte dovunque, di un momento qualunque. Almeno era quello che si raccontava, in realtà era successo molto prima, da sempre, dal primo giorno in cui lo aveva incontrato e l’aveva dannatamente sconvolta. 
Per l'ennesima volta da quando lo aveva visto raggiungerla, si lasciò sfuggire dalla bocca un importante respiro. Aveva i nervi a fior di pelle ed era nervosa, eccessivamente nervosa. Le capitava spesso di provare quella sensazione solo se, come il più delle volte le era capitato, gli altri stavano per commettere idiozie, ma stavolta era lei, lo stava facendo lei il danno. Dentro aveva un’emozione che la metteva in guardia, le diceva di lasciarlo perdere. 
Ma lui adesso era lì, davanti a lei che, con sfacciataggine, le metteva le mani addosso, di nuovo. Lei, quella che nessun uomo può toccarmi non riusciva a dirgli di no, non a lui. A nulla era servito il suo sguardo sorpreso, lui non si era fermato. L’aveva appena afferrata per le spalle, scuotendola leggermente come per risvegliarla. 
Un contatto che però le stava togliendo tutto, le stava portando via ogni certezza. Era orfana di sé stessa. Se le avessero chiesto il nome in quel momento, non avrebbe saputo rispondere a nessuno. 
“Si può sapere perché diavolo sei così strana, direi quasi ferita. Che ti avrei fatto?” 
Di nuovo guardava quel torace e sentiva di volercisi adagiare. Qualunque cosa facesse o dicesse, é lì che finiva sempre col pensiero. 
“Non ha senso” riuscì a dire, cercando di liberarsi - la lotta era solo contro sé stessa e la sua volontà - o contro la verità. 
Non sono io. Non sono io. Non sono io, lei. 
Nella sua mente continuava a vedere un’unica strada. Ovvero che non sarebbe stata lei la sua compagna della vita. Ora che lo aveva bene chiaro in mente quale fosse il suo problema, quale fosse il suo sentimento, sentì le gambe cedere, le lacrime fermarsi negli occhi. 
Stava male. E lui lo stava vedendo chiarissimo ma senza capirlo affatto. 
Perché aveva compreso solo adesso cosa voleva da Zoro? Perché solo adesso che sapeva che era una guerra persa? 
“Non ha senso.” Continuava a dire. “Non sono io.” Ancora quella stana sensazione che causava dolore. 
“Mi devi dire cosa c’è che non va.”
Ma lei lo colpì sul torace due volte. 
“Ma come fai a non capirlo?” 
“Mi devi dire cosa ti ho fatto.” 
Le aveva urlato quasi all’orecchio. 
Non riusciva a muoversi, non riusciva ad allontanarlo, era troppo confortante quella sua vicinanza - così rara, così unica. 
Le respirò sui capelli, lui - la stretta sulla pelle, l’alito addosso.
Naturalmente non disse nulla, Nami, affondando il viso in quel petto possente, in cui poteva rifugiarsi ma da cui doveva scappare, stringendo stretti i lembi del suo yukata verde in balia del caos. 
Aveva ancora addosso quella sensazione in cui tutto sembrava impossibile, surreale, illogico, insensato. 
Cosa doveva fare, quindi? Che anche se in futuro la sua compagna sarebbe stata un’altra, ora dovevano vivere il momento? 
No. Lei non ci stava. O tutto o niente avrebbe preteso da lui. Non avrebbe potuto sopportare altrimenti. 
Ma lei stava davvero provando dolore per una cosa così assurda? Per una cosa come questa? 
 
“Non puoi essere così egoista” gli aveva detto, stringendo sempre più quei lembi. 
“Sei una stupida. Stai perdendo fiducia nel tuo istinto.”   
Si liberò da lui.
“Che me ne faccio dell’istinto se so già la verità.”
Nami non riusciva a guardarlo, l’imbarazzo di quel contatto e di quella scoperta la portava ad abbassare il capo verso il basso, le labbra sigillate, le mani tremanti. Era in cerca di qualcosa da dire, rapita dalla rabbia traditrice che si impossessava sempre di lei prendendo il sopravvento sul resto. 
Lui ora era immobile, non stava più cercando un contatto fisico seppur lo volesse, con lo sguardo fisso ed impenetrabile come sempre. 
 
C’era qualcosa che andava ben oltre la semplice comprensione dell’altro in quella tortura; i movimenti del corpo, gli occhi brucianti, il caos, il risentimento, la paura; una tesa atmosfera di due corpi che non facevano altro che entrare in contatto per poi perderlo allo step successivo, rivelando un'intensa attrazione che non veniva mai soddisfatta. 
L’ansia, gli ammonimenti, i ricordi. 
La realtà era una bella mattonata nel viso. Un colpo di pistola diretto al cuore.
Lui la percepiva la tensione e il dolore in lei, e sentiva il suo battito accelerato seppur avesse smesso di correre da un pezzo.
 
Nami aveva paura. Paura di lasciarlo andare, di dire addio a quel groviglio di emozioni, pulsioni…sentimenti. Ma che altro poteva fare? Nemmeno riusciva a capire cosa significasse tutto quel caos in lei. 
 
E Zoro, seppur difficile da ammettere, aveva bisogno di contatto con lei, aveva bisogno di toccarla ancora, solo così poteva capire meglio, metterla alla prova, sapere se andava in ebollizione come succedeva anche a lui negli ultimi tempi. Ma lei non voleva più. Era testarda, era un muro. 
 
“Quando avrai capito che cosa vuoi davvero, fammelo sapere.” 
 
Lui non avrebbe mai insistito. Non sarebbe mai stato lì a chiederle continuamente spiegazioni. 
Si era già mostrato fin troppo vulnerabile ai suoi occhi. E lei non voleva proprio capirlo cosa questo gli costasse. 
 
Fu l’ultima cosa che sentì, la Nami inerme, prima di vederlo proseguire da solo, ferito e nervoso, su quel sentiero.
 
 
 
 
Aveva proseguito tutto il tratto di quella stradina che probabilmente lo avrebbe condotto dove avevano sbarcato. La vedeva in lontananza infatti, ormeggiata, la nave, ma per una volta non riusciva a provare niente a quella visione: né sollievo, né pace, né soddisfazione per esserci arrivato. 
Era così deluso da lei, dal fatto che non riuscisse a dare ascolto al suo istinto, a ciò che provava davvero. Ma perché era sempre così con Nami? 
Era sicura di sé solo quando compiaceva a lei. Per il restante delle volte non riusciva a lasciarsi andare, a gettarsi nel vuoto senza prima fare i suoi dannati calcoli. In decisioni come quelle - per lui - solo sul proprio istinto si doveva contare, e il suo gli diceva che era lei, l’unica, quella di cui parlava Rin. 
Ma no, Nami non ci credeva. 
Orgogliosa.
Perché non ascoltava quella fisicità? I loro corpi parlavano come parlavano le loro teste. Ma no, lei no. Lei aveva le sue dannate priorità. 
Perché non si rendeva conto di come bruciavano le sue mani quando la toccava? Veramente pensava che fosse uguale per tutti? Pensava che lui, Zoro, potesse provarlo con chiunque? 
Stolta
Lo faceva incavolare che non lo vedesse quel sentimento unico, raro, che percorre una sola strada, la accende, la ingrandisce, la rende impareggiabile. 
 
 Il cielo si stava facendo scuro, e lui non poteva che sentirsi proprio come quel colore. Quando arrivò alla spiaggia, notò che erano tutti lì, con anche Franky rientrato dalla sua importante spesa. Lo stavano guardando con aria sinistra. Forse perché era riuscito a tornare da solo.
I tre di guardia ancora affacciati al parapetto della nave, e gli altri, invece, si erano riuniti di sotto, ancora sulla spiaggia. 
“Ma sei solo?” 
Gli chiedeva Rin, contrariatissima, ancora tra le braccia di Sanji. 
“Ma dove eri andato a cacciarti?” 
Il cuoco era più che altro preoccupato di non trovarci Nami con lui, guardando dietro e ai lati della strada, sperando di scorgerla tornare, con la bimba che gli metteva le mani sugli occhi rendendogliela più difficile. 
Zoro non rispose a nessuno, incrociando le braccia al petto, nervoso. 
“Oh no” aveva esternato Rin, capendo che non era andata bene con la rossa. 
“Che ti prende?” 
Gli chiese Sanji, tenendola salda nella sua presa.  
“Il mio papà è un fannullone.” 
Ma non aveva spiccicato parola, il diretto interessato, troppo arrabbiato di non sapere cosa passasse per la testa alla compagna, anche se sapeva benissimo che lui non c'entrava niente. 
“Hai ragione piccola”
Sanji non poteva certo perdersi questa occasione di provocazione servita su un piatto d’argento. “É proprio un fannullone.” Beccandosi così un’occhiataccia non solo nera, ma incattivita di lui. Era proprio di pessimo umore, dettaglio che non passò inosservato a nessuno. 
 
“OH NO!” 
Rin, terrorizzata, impiegò pochi secondi per creare allarmismo. “Fammi scendere, fammi scendere.” Iniziò a colpirlo ripetutamente sul volto, sulle spalle. “PRESTO!” 
Il cuoco la mise a terra con dolcezza e sguardo preoccupato. 
“Che ti é preso adesso?” 
Le chiesero in coro. 
La bimba si guardava attorno, portandosi le mani come a coprirsi i capelli. “Presto!” Cercava, e cercava, ma niente poteva esserle utile. 
“Datemi qualcosa!” Si avvicinò a Zoro tirando il suo Haramaki “prestamelo!” 
“MA SEI MATTA?” 
Ma non avrebbe fatto in tempo ad aspettare. 
“Chopperino lanciami il tuo cappello, SBRIGATI!” 
“COSA?” 
Robin si avvicinò a lei, la fermò sulle braccia, inchinandosi e scuotendola. “Calmati, adesso. Che c’è?”
Il respiro accelerato, gli occhi confusi, le mani che tremavano. 
Una prima goccia d’acqua cadde dal cielo finendo sul suo viso. “É troppo tardi.” Disse.
“Mi dici che significa.” Robin la scuoteva ma otteneva in cambio solo paura dal suo volto, ansia dalla sua postura. “Ho appena fatto un danno irremovibile.” 
“Così mi spaventi!” Le urlò Usop dalla nave. 
“Ora lo scoprirete tutti.” 
“Ma che cosa, Rin!” 
Zoro aveva per un attimo messo da parte il suo orgoglio ferito, concentrandosi sulla bambina che nascondeva qualcosa di così grosso da ridurla in quello stato. Ringraziò Robin di essere lì, perché lui non avrebbe saputo cosa fare. 
“Una tempesta sta per infrangersi sulla costa…” disse, guardando il cielo dietro Robin, trasformando poi quell’espressione disperata in un piccolo mezzo sorriso. 
“Puoi capire questo?” Chiese Rufy, ingenuamente sconvolto. 
Rin aveva annuito con il capo, in risposta al capitano, ma il suo sguardo sognante, anche un po’ malinconico, andò a scontrarsi con quello dello spadaccino che da dietro Robin, in parallelo a Sanji e Rufy, braccia in conserte, aveva appena sfoggiato uno dei sorrisi più grandi della sua vita, mentre la fissava soddisfatto. 
“Che c’è?” Sanji iniziava a sentirsi isterico dopo quella strana rivelazione. 
Franky e Robin seguirono quella linea immaginaria, arrivando fino a Zoro e osservandolo in volto. Robin rise, sapendo benissimo di cosa si trattasse. Lei lo aveva sempre saputo. Ma gli altri erano a dir poco confusi, tranne Usop che, sempre sopra alla caravella, si era portato la mano alla bocca sconvolto. 
“Credo di saperlo anche io” aveva rivelato il piccolo medico, sorridente, scontrandosi con il volto smarrito di Brook, ma felice e sereno.
“Che razza di déjà-vu é questo!” Franky era così imbarazzato consapevole di non riuscire ad arrivarci mai da solo a quelle risposte. 
 
Un’altra goccia d’acqua cadde sul volto della bambina e, ormai arresa a quella circostanza, aveva alzato il capo al cielo, chiudendo gli occhi e lasciandosi bagnare dalla pioggia. Tre, quattro, cinque, trenta, cento goccioline d’acqua che stavano sciacquando via tutto quel nero pece dei suoi capelli, facendo man mano apparire la sua chioma rossa. 
 
Ora sorrideva al cielo, stanca di doverlo nascondere al mondo. Questo peso, se lo aveva tolto di dosso. Allungava le braccia sotto quella pioggia incessante che stava bagnando tutti. Robin era ancora inchinata accanto a lei, che condivideva quella voglia di sorridere, di leggerezza, di verità. 
“É uno scherzo, vero?” Furono le parole del povero biondino, che aveva appena perso la sua sigaretta sulla spiaggia, talmente teneva la bocca spalancata. 
Una bocca che Rufy cercava di richiudere, ma che ricadeva a terra. “Ora assomigli proprio a Nami.” Aveva poi detto a Rin, dimostrazione che ancora non aveva capito niente, beccandosi un calcio da Sanji. “NON FIATARE.” 
Ma la bambina prese a ridere indicando Sanji e guardando Zoro. “Non lo accetterà mai.” 
Zoro, che sembrava così felice in quel momento. Quante altre volte era capitato di vederlo così? Di vedergli addosso quell’estasi. Tutta quella rabbia di poco prima sembrava svanita, quell’aurea nera cancellata, il broncio sostituito da un sorriso sincero. Non era da lui sentirsi così, eppure non riusciva a farne a meno. Stava esternando quello che provava davanti a tutti. 
“Ma guardate come sorride! TU” il cuoco lo indicò. “TRADITORE BASTARDO.” 
Ma Rufy e Franky lo fermarono, poiché avevano visto una figura arrivare dal fondo alla strada. 
“Non ditele niente, ok?” 
Inconsapevole di ciò, Rin, voleva tentare l’ultima strada, ma l’espressione di Robin che la guardava con affetto, era abbastanza esplicita. Il suo cuore smise di battere. 
“Penso sia tardi ormai” le disse guardando quella figura che si avvicinava da dietro le sue spalle. Anche il sorriso di Zoro si spense, preso da un tempestivo tormento. 
Trovando il coraggio si voltò, Rin, trovandovi Nami, dietro, alla fine di quella strada. Fradicia, sottosopra, stravolta. Gli occhi gonfi, in segno che aveva versato qualche lacrima. Era disorientata. 
Cadde a terra in ginocchio, in preda ad una serrante commozione che non sapeva spiegarsi.
 
Si era persa. Nami si era persa. 
 
“Ciao, Mamma” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_____________________________________________
Inizialmente avevo pensato che questi ultimi due capitoli sarebbero stati uno, ma essendo lungo ho tagliato in due ma ho pubblicato lo stesso tutto adesso. Spero apprezzerete! 
È stato particolarmente difficile scegliere come smascherare questa verità. 
Fatemi sapere. 
Roby 
 
 

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Capitolo 10
*** Quei maledetti dubbi ***


Capitolo X 
Quei maledetti dubbi 

   
 
 
 

Dopo quella rivelazione che aveva cambiato tutto, nessuno, fra gli uomini di cappello di paglia, era andato a dormire, e non appena il sole era spuntato all’orizzonte, con la pioggia che continuava a cadere incessante, tutti erano tornati sulla nave sottocoperta al caldo, a gustare una cena silenziosa. Una cena diversa dal solito, arrangiata, che gli aveva divisi, poiché non tutti erano presenti. 
Robin aveva portato Rin a fare un bagno caldo e dopo sarebbero tornate in cucina per mangiare qualcosa con meno apprensione addosso. Sanji, infatti, aveva lasciato la tavola imbandita per tutti loro, ma lui non era in sé quella sera, scomparendo dalla scena. Anche se aveva fatto il pieno alla locanda sarebbe senz’altro sceso a mangiare più tardi, ma ora, persino Rufy, si trovava sulla sua polena, sotto la pioggia, in silenzio. 
 
In quel momento la cucina era abitata solo da Usop, Chopper e Brook, che nonostante fossero piuttosto taciturni, ognuno di loro voleva parlare, dire qualcosa, affrontare la questione. Usop rigirava continuamente il cucchiaio nel piatto, il braccio a tenersi la testa, gli occhi bassi sul cibo davanti a lui. 
Brook stava tagliuzzando una fetta di pane in tanti pezzi, che a sua volta affettava di nuovo in altri pezzettini. Entrambi erano sotto il mirino confuso del piccolo medico, che aveva appena consumato il suo cibo con gusto. 
“Io non capisco” appoggiò il piatto sul tavolo “ma che vi prende?” 
Ma i due non fiatarono, talmente erano concentrati nelle loro azioni. 
“Non siete contenti?” La renna si riempì il bicchiere col latte caldo, che sembrava più grande di lui. “Vi assicuro che si vogliono bene.” 
Lo scheletro smise di tagliuzzare, ricordandosi che non era da solo nella stanza, riprendo così un po’ di quella sua solita vitalità. 
“Non è questo il problema” guardò Chopper in volto con il massimo della sua serietà, affatto solita “Hai notato la reazione di Sanji che in automatico ha portato ad una reazione di Rufy, yohoho?”  
Usop lasciò cadere il cucchiaio sul piatto continuando a fissarlo con un broncio sul viso e creando apposta un rumore confuso per disturbare quel troppo silenzio a cui non erano abituati. 
“Questa cosa…potrebbe aver rovinato gli equilibri della ciurma per sempre. Rufy potrebbe aver paura che Sanji adesso voglia andarsene.” 
“USOP!”
Chopper stava colpendo forte il tavolo con le zampette. Il suo tono era alterato, ma la sua voce ben decisa e ferma.
“Non dire cose come queste!” 
Brook si trovò ad essere quello al centro, che doveva quietare le anime dei due, non riuscendo a prendere una vera posizione sulla questione sollevata, poiché egli stesso era rimasto colpito dalle gesta enigmatiche del capitano. 
“Perché due persone che si vogliono bene dovrebbero sconvolgere gli equilibri della ciurma?”
Chopper non demordeva. E il cecchino fu così costretto a prenderlo sul serio, guardandolo dritto negli occhi stupito e concedendo alla questione il beneficio del dubbio. 
“Hai ragione, ma…” 
“Niente ‘ma’!” 
C’era fermezza nella sua idea di amore. E per Chopper non c’era niente di sbagliato in tutto ciò che aveva avuto modo di vedere con i suoi stessi occhi.
“Il dottore non sta sbagliando.” 
La porta di cucina si era aperta, rivelando all’entrata Franky che, tremando dal freddo, era in cerca di riparo da quel forte vento. “Vedrete che tutti si calmeranno. Compresi quei due.” 
Si riferiva certamente ai due membri più irrequieti della ciurma che con una scusa si erano dileguati senza proferir parola, lasciando tutti nello sconforto. 
“… ricordiamoci che si tratta del futuro, non possiamo far loro una colpa per qualcosa che deve ancora accadere.” 
Usop stava ascoltando il suo sé interiore con più attenzione adesso, e stava diventando man mano più leggero nello spirito, riprendendo a consumare il suo pasto con meno senso di colpa, ritrovando un minimo del suo entusiasmo.
“In realtà io ne sarei anche felice.” 
“oh oh…sei uno spirito romantico anche tu, proprio come me!” 
Lo scheletro era già pronto mentalmente a suonare una nuova melodia, lasciandosi ispirare dalla situazione, riuscendo a farsi convincere facilmente dalle parole dei compagni, lasciandosi così alle spalle tutte le ipotesi negative. 
“Ma i diretti interessati sono ancora là fuori, Franky?” 
Il cyborg annuì.
Sospirarono tutti quanti all’unisono. 
“Certo che è stata una bella botta per lei. Lui invece fin dall’inizio è sembrato…come se…fosse tutto plausibile. Ma avete visto poi come ha sorriso ad un certo punto?” 
Usop e Chopper annuirono, il primo ancora stupito, il secondo in preda ad un attacco di tenerezza, con dei ricordi che riuscivano a spiegare quella reazione.
“Bastardo di uno spadaccino. Anche se ammetto che ci vuole un bel coraggio a fare la corte a Nami…”
Usop guardò di sottecchi il cyborg, per via di ciò che aveva appena detto, mentre si gustava la zuppa sentendone finalmente il sapore. “Non guardarlo così, quei due sono problematici allo stesso modo. Hai visto come è venuta su Rin?” Il cecchino stava puntando il cucchiaio verso Franky, creando dei disegni immaginari nell’aria. Ma una ciabattina gli era appena arrivata dritta sulla faccia. 
“Come cavolo ti permetti!”
Rin, in accappatoio, aveva appena fatto il suo ingresso in cucina tra le braccia di Robin, mentre le si stringeva al collo in un segno che sapeva di fiducia e agio, in un momento dal sapore di casa e famiglia.
Usop si era lasciato sfuggire così un “ecco, appunto”, che fu abbastanza per ricevere in testa anche la seconda ciabattina. 
“Calmati signorina, lui sta scherzando…vero Usop? Yohoho?”
Quello urlava al dolore facendo finta di annuire, ma quando alzò la testa e la vide, quella bambina dalla chioma arancione, quasi non si strozzò.
“Aaaaa!” 
Non era certamente abituato a vederla sotto questa ‘nuova’ veste. 
Brook non aveva perso il suo spirito da gentiluomo, spostando la sedia dal tavolo per far accomodare la bambina accanto a lui, emozionato per tutta quella curiosità che adesso lei scaturiva ancora più di prima. 
“Forza creaturina, mangiucchia un po’ che hai bisogno di forze per crescere.” 
“Ma che gli prende adesso!?” 
Rin accettò l’invito dello scheletro, scendendo dalle braccia di Robin e raggiungendo la nuova postazione, come fosse abituata a quel tipo di calore, mentre indicava Usop che teneva gli occhi sgranati. 
“Beh…è uno shock per noi vederti così…yo-ohohoh. Sembri una mini Nami…ma con lo sguardo tenebroso di Zoro.” 
“Non mi ci abituerò mai…” diceva il cecchino con tono strozzato, guardandola ancora meglio in viso. “Sei carina però. Per fortuna non hai preso solo il carattere da Nami.” 
Le aveva fatto un complimento? 
“Uffa! Non m’interessa essere carina!” 
Ma non poté lo stesso guardare Usop con un leggero imbarazzo, reduce di quel complimento che comunque non le era così indifferente come voleva far credere. Tanto da guardarlo con un sorriso un po’ civettuolo, ad un certo punto, trasmettendogli un sentimento che aveva intenerito il nasuto per un attimo. Aveva infatti gli occhi spalancati per lo stupore di quell’affetto improvviso per lui, ma poi le labbra si incurvarono in un ghigno contrariato: lei sapeva manipolare il prossimo proprio come la mamma! 
 
 
“Novità su Sanji?” 
Anche Robin stava prendendo posto al tavolo, sempre servita educatamente da Brook che si comportava da gentleman in mancanza del cuoco. 
“Immagino che per lui sia stata una sorpresa sufficiente da creare un trauma.” 
“Vedrete che ci farà l’abitudine.”
“Gli uomini sono davvero creature poco flessibili.” 
Aveva puntualizzato l’archeologa, riempendosi la tazza di latte ancora caldo, mentre Brook la riempiva anche per la bambina. 
 
 
 
 
 
Nami era sul ponte, sotto la pioggia che scendeva inderogabile. 
Vedeva Rufy in fondo sulla polena e non capiva, non sapeva come mai il suo capitano avesse avuto quella strana reazione. Ma forse lo sapeva. Forse aveva reagito così perché aveva prima assistito alla reazione drammatica di Sanji e alla sua fuga silenziosa. E quest’ultima rientrava nell’indole del cuoco. O forse, e questo sarebbe stato anche peggio, Rufy era contrario a questa loro unione futura, più intima e personale. 
Ma, in realtà, nemmeno questo non rientrava nelle corde del capitano. 
 
E lei, invece, qual è stata davvero la sua reazione? 
La verità è che non solo Rufy era enigmatico quella sera. 
Nami fissava anche l’orizzonte, il mare, il mondo, la vita. Ancora non riusciva a capacitarsene. Aveva ragione quel cretino a dirle che aveva sbalzi d’umore repentini: prima era infelice del motivo opposto, ora non era contenta nemmeno così. 
Quel cretino. Quel cretino sarebbe il padre di mia figlia. 
Le mancò un battito.
Anzi, non ne aveva più di battiti, gli aveva tutti esauriti. 
Una figlia? Lei sarebbe diventata madre? Ma come poteva lei esserlo. Non era adatta, e non sarebbe mai stata come Bellmer, che aveva dato tutta sé stessa per lei, sacrificando ogni cosa.
Ma perché non era capace di reagire come Zoro? La sua vita sarebbe stata sempre dannatamente più semplice. 
 
‘Era caduta sulla sabbia, sommersa da una verità che non avrebbe dovuto sapere. Era lacerata dentro da emozioni inspiegabili, ingestibili. 
Rin le era corsa incontro, l’aveva abbracciata. Aveva immerso quel faccino sul suo petto, le aveva stretto le braccia al collo. Quella bambina voleva farle sentire tutto l’amore che provava per lei. Voleva infonderle sicurezza.’
 
 
Ma adesso, mentre tutti - o quasi tutti - erano andati sottocoperta, lei era rimasta fuori, sul ponte – con la pioggia che nemmeno sentiva.
Ma c’era qualcos’altro che sentiva, o meglio qualcun altro: Zoro. 
Poco distante da lei, appoggiato al cornicione della Sunny, era rimasto immobile, e non se ne sarebbe mai andato; freddo, caldo, vento, uragano, sarebbe rimasto lì, ad aspettare - ad aspettarla. Ma c’era da chiedersi cosa pretendesse da lei - sempre se le avesse avute davvero, delle pretese. 
Ora che aveva capito che quella verità che tanto voleva era reale, lui si aspettava che lei gli saltasse al collo? Ma lo capiva che lei aveva comunque bisogno di tempo?
Si ritrovava ora a fare i conti con una Nami del futuro che non conosceva: madre e con un uomo a fianco. Si, la vita le aveva già dimostrato che niente va come si calcola, era diventata una pirata e, nonostante l‘assurdità della cosa, lo aveva superato, ci aveva fatto i conti, si era abituata ed era stata felice. E adesso doveva affrontare altri cambiamenti, che non erano una tragedia, non erano qualcosa di brutto, anzi, erano un sintomo di felicità, di una vita che avrebbe continuato a vivere all’avventura, con loro - con lui - con Rin. 
 
Le coincidenze non esistono, le aveva detto convinto. 
Lui già sapeva, allora. Lui, fidandosi di quel suo istinto inalienabile, e incrollabile, sapeva già tutto.  
La mia mamma è sempre stata l’unica per il mio papà, aveva detto Rin. 
Ma quando e come poteva essere diventata così importante per Zoro? 
Questo forse la sconvolgeva maggiormente. 
Eppure, lo aveva sempre saputo che, in un certo senso, lei aveva, in ogni occasione, potuto approfittare di lui, perché - in effetti - sapeva che poteva farlo. Come poteva farlo con Sanji, con Rufy, con Usop; ma mentre questi ultimi si lasciavano comandare e usare anche da altri, Zoro no, cedeva solo a lei. Nonostante fosse quello che più se ne lamentava. 
E lei lo sapeva, diavolo se lo sapeva, e se ne compiaceva da sempre di questo. 
Era più vulnerabile con lei. E lei sola, l’unica, che sapeva di ciò che c’è davvero dietro quella scorza dura. 
Solo gli altri lo prendono troppo sul serio. 
E perché come compagno di vita aveva scelto Zoro, la Nami del futuro? Vittima di quel filo rosso infrangibile? Ma lui sapeva tagliare tutto, avrebbe tagliato anche quello? Doveva quindi cedere al destino? Come era arrivata quella Nami a unirsi a lui? 
Eppure, lei lo sapeva, l’aveva già sfiorata quella possibilità. Si era già beata di lui, di quel contatto, del suo profumo, approfittando del suo corpo per quietarsi, per sentirsi protetta.  
Quello lì dietro non è un uomo qualunque. É Zoro.
 
 
“Avete lasciato in caldo la mia cena?”
aveva esclamato d’improvviso la voce riconoscibile del loro amico di gomma, che, balzando dalla polena sulla quale era seduto fino ad un attimo prima con sguardo pensieroso, era corso in cucina. Con la saliva che sgorgava rigogliosa dalla bocca, era volato in cucina con la sua pazza e frenetica andatura. 
 
Nami aveva sospirato sollevata, Rufy era quello di sempre e tutto era nuovamente bello. Anche se, per un attimo, l’aveva davvero spaventata. 
E Zoro, ancora dietro di lei, capo abbassato, braccia incrociate sul petto, era sicuro del fatto che Rufy necessitava solo di un momento e che anche questa sarebbe passata in fretta. 
Ma lei guardava ancora il mare, ancora persa in sé stessa seppur consapevole di una verità che, in fin dei conti, era bella. 
 
“Sanji non è ancora tornato...” 
 
Nami, alla fine, aveva parlato. Era la prima cosa che avevano detto le sue labbra dopo un tempo che pareva infinito. C’era tanto tormento racchiuso in quell’affermazione, ma soprattutto altrettanta confusione. Era chiaro come il sole che sapesse della presenza di Zoro dietro di sé, dimostrandolo anche al compagno.
 
“Lascialo perdere.” 
 
Perché era così insensibile? 
Era risaputo che litigassero sempre, e spesso non si sopportassero perché ognuno di loro doveva fare il maschio alpha della situazione, il polletto migliore dell’altro, più forte, più uomo. Ma addirittura questo? Non gli dispiaceva che Sanji potesse soffrirne? 
 
“Smettila di usare gli altri per non affrontare le tue cose.” 
 
Quando faceva così lo detestava. 
Avrebbe tanto voluto girarsi e prenderlo a pugni. Ma aveva paura proprio di quello, di vederlo, di incrociare il suo sguardo, di toccarlo. 
 
 
 
 
 
Franky aveva sbirciato fuori, sul ponte, per ritornare al volo in cucina. 
“Si, sono ancora là fuori.” 
“Così si ammaleranno però!” 
Il dottore era corso alla porta ma venne acciuffato per la pelliccia giusto in tempo da Brook. 
“È tutto inutile, non ti ascolteranno mai, adesso, Chopper.” 
Quegli occhietti gentili che guardavano la porta chiusa erano davvero preoccupati.
Ma Rufy che stava spazzolando via le sue porzioni funziona per risollevare gli animi, e far tornare un po’ di positività. “Vedr-vedr-vedrete che Saah-n-ji tonerbaaà.” 
 
Rin era distratta. 
Si chiedeva se ora avesse cambiato tutto.  Se non sarebbe dovuto succedere in questo modo così burrascoso. In fondo nemmeno la sapeva tutta la verità sui suoi: in che modo era accaduto, in che modo lo avevano detto alla ciurma?Lei era nata già nella loro abitudine. 
Rufy le sorrise, un ghigno pieno di briciole e salse varie che scivolavano dai lati delle labbra. 
“Sanji tornerà!” 
Allungò il braccio e le accarezzò la nuca aranciata. “…non preoccuparti, piccola Nami.” 
“EHI!” 
“Ma spiegami, invece…” Franky si mise in mezzo. “Cos’è sta storia dei capelli? Fa sempre parte del tuo travestimento per la marina?” 
Rin annuì. “Spesso porto i capelli neri per volere della mamma…non vuole che nessuno abbia una mia foto dove sono riconoscibile.” 
“E questo ti pesa?” 
Fece spallucce. 
“All’inizio era divertente” girava tra le mani il bicchiere di latte, colmo solo per metà adesso “ma ora non più…”. 
 
 
 
 
Avevano passato ore, ormai, sotto la pioggia che non aveva mai preso un attimo di respiro. Ma il vento che l’accompagnava era a dir poco più freddo e difficile. Ma Nami sembrava non sentirlo, non sentiva più il suo corpo, aveva perso la sensibilità. E Zoro, lui poteva anche patirlo, in ogni caso sarebbe comunque rimasto lì, come sempre imperturbabile, con quel corpo in grado di sopportare le peggio condizioni. 
La rossa ormai aveva i vestiti fradici, incollati alla pelle in quel modo fastidioso che solo il tessuto dei jeans può dare; così come i capelli, appiccicati alla testa, che continuavano ad assorbire acqua e perderla allo stesso tempo, con il vento che cercava di smuoverli nonostante quella pesantezza. 
 
 
E poi parlò ancora, Nami. Il tono inquieto, flebile, stava quasi cercando un motivo per litigare.
“Perché sei ancora qua fuori? Perché sopporti…questo?” 
Era nuovamente nervosa, il che era molto meglio del suo essere inerte. Era più da lei. Stava muovendo le mani adesso, stringendole sui fianchi intorno alla stoffa dei suoi jeans fradici. Si stava muovendo e si era rivolta a lui, di nuovo, e questo non poteva che essere positivo per Zoro, che, aveva alzato la testa da terra, sentendosi meglio dopo quei piccoli accorgimenti. 
“Dovevo fare una doccia, così ho fatto prima.” 
“Non é il momento per scherzare, Zoro!” 
 
Forse per il nervosismo, forse per il turbamento, forse per la commozione, Nami si era finalmente voltata. 
Era più di un sollievo, era più di un sospiro, era tutto. 
Due sguardi che si ritrovano nel buio. 
Zoro sapeva che non era motivo di festeggiare, nei suoi occhi ancora tanto trambusto, ma forse iniziava a scorgerci un barlume di quella consapevolezza che stava acquisendo. 
Un passo davanti all’altro e con coraggio gli arrivò davanti, anche se la distanza che li separava non era poi così tanta. Occupò lo spazio accanto a lui, poggiandosi anch’ella sul medesimo pezzo di cornicione della nave. 
Spalle che si sfioravano, mani tremanti, occhi lucidi. 
Lui sciolse le sue braccia da quella continua e solita posizione che le vedeva perennemente incrociate e, senza guardarla, con la sua mano ora libera, andò a cercare la sua. La trovò stesa sul fianco, e la strinse, intrappolando e confondendo la mano con la sua. 
Le dita che si toccavano. Gli occhi che si cercavano nelle tenebre. Si avvertivano. E poi si trovavano di nuovo. Il mondo si era appena squarciato in due davanti a loro.
Da parte di Nami c’era tanta voglia di fermare il tempo. Mentre lui avrebbe invece voluto andare avanti e basta, senza più voltarsi indietro. Ciò nonostante, lei lasciò che quell'istante si depositasse sulla sua mano, non temendo affatto quella stretta, che racchiudeva tutto il loro futuro, l’eternità.
Non c’era più il mondo lì fuori, adesso. C’era solo il dentro, c’erano solo loro. Aveva spento le luci per un attimo, e si era abbandonata a quella piacevole sensazione di vittoria mista all’emozione di un qualcosa che doveva ancora ben capire. 
L’esterno era addormentato. Il tempo si era ritirato. Non sapeva cosa significasse, non sapeva se fosse la cosa giusta da fare, ma sapeva che quella stretta con la mano, quella possente sicurezza, quella calda presa nella tempesta fredda era l’unica cosa di cui aveva bisogno. 
 
 
“Sei impazzito?” 
Una voce che disturbava l’imperfetto suono del vento ruppe quell’idillio, riportando i due protagonisti alla realtà. 
“Come puoi permettere che Nami-San stia così sotto la pioggia!”
Erano rimasti ancora troppo di fuori, stralunati e persi in quel contatto, per rendersi conto che Sanji era ritornato a bordo e stava fisso su di loro. 
“Sanji!” 
Aveva ritrovato la luce, lei, seppur aveva scemato la sua euforia per paura di ferirlo. Fu come un fuoco d’artificio esploso d’improvviso, prima lo spavento poi la gioia di vedere quel colore.  
Il cuoco non poteva darle la sua giacca poiché era fradicia come tutto il resto là fuori, ma continuò a fissare Zoro negli occhi, con la sigaretta spenta tra le labbra. “È così che uno spadaccino si comporta con le donne? Le fa morire di freddo?” 
Nami riuscì ad accennare un sorriso, mentre Zoro grugniva al fianco. 
“Sanji, stai bene?” Gli chiese poi. Proposito che spinse il biondo a volteggiarle intorno. “Eri preoccupata per me?”
“Si!” Annuì anche con il capo, ritrovando un po’ di rossore nelle sue guance, mandandolo però in estasi. 
“Ti avevo detto che stava benissimo…” proferì a bassa voce, l’altro. 
Nami lo abbracciò comunque, facendogli perdere tutte le sue facoltà mentali, per poi colpirlo in testa con un pugno ben assestato, scaraventandolo a terra a faccia in giù. “Questo è perché sei scomparso senza avvisare!” 
“Ma Nami….perdonami l’averti fatta preoccupare.” 
Aveva ribattuto prima di affogare nello strato d’acqua che si era formato sul ponte. 
Zoro notò per l’ennesima volta la faccia di Franky sbucare dalla porta della cucina, con l’intenzione di controllare la situazione fuori, probabilmente avendo sentito dei movimenti sospetti, e così ne approfittò.
“Anziché farti gli affari degli altri, perché non vieni a prendere questo idiota?” 
“Umh?”
Trovato con la testa dentro il sacco, il cyborg dovette uscire del tutto allo scoperto, con una mano dietro alla nuca per grattarla imbarazzato, e notando il cuoco a terra scese le scale per recuperarlo e portarlo dentro al caldo, lasciandoli nuovamente soli. 
 
 
 
 
 
“Va meglio adesso che quei cretini si sono ripresi?” 
L’aveva cercata ancora, avvicinandosi a lei al centro del ponte.  
Nami annuì, lasciandosi trasportare da quella vicinanza, ispirando quel suo profumo.  
“Rientriamo allora.” 
Decretò lui stavolta l’ordine decisivo, più che altro preoccupato per lo stato di salute di lei, stando fuori al freddo così svestita.
 
Ma in realtà non stavano pensando nemmeno a dove andare, cosa fare, si stavano lasciando trasportare dai loro piedi e da quella voglia di calore, di scaldarsi, di stare insieme. Ora che qualcosa stava prendendo forma, Nami iniziava a sentirlo davvero il freddo. Le sembrava di non averlo più un corpo, ma un pezzo di ghiaccio al suo posto. 
Avevano raggiunto il bagno, cercavano asciugamani come gli ubriachi alla ricerca dell’alcol, scivolati a sedere sul pavimento.  
“Ci sono altri modi per scaldarsi velocemente.” 
Aveva detto lui, avvolgendola dalle spalle in un asciugamano bianco della doccia, con tono serio e pacato. 
Sconvolta, Nami lo fulminò immediatamente con lo sguardo. Nonostante non ci fosse stato nessun ammiccamento o tono peccaminoso. 
“Intendevo il bere, stupida.” 
“In effetti rientra di più nelle tue corde…e quindi so che non lo dici per scherzare.” 
Lui però accennò un sorriso divertito
Si stava togliendo lo yukata verde, fradicio come lui, sotto gli occhi corrucciati di lei, facendo lo spavaldo e l’indifferente, lasciandolo cadere sul pavimento. Stessa cosa fece poi con le scarpe. Si voltò, prendendo un altro asciugamano pulito per passarlo sulla testa, quando incontrò due occhi grandi sulla sua linea retta. 
“Che c’è?” 
Lei lo indicò con una mano piegata verso il basso. 
“Fa pure con comodo.” 
Lui iniziò a strofinare il telo anche sulla testa.
“Non ha senso tenere i vestiti bagnati addosso.” 
La indicò, suggerendole di fare la stessa cosa. 
“Di certo non con te qua!” 
Rispose. 
“Abbiamo una figlia e ti preoccupi di questo?” 
Lo scalciò via, colpendolo con il tacco delle scarpe. “Maledetto e a questo che pensi, non é vero?” 
“Non é assolutamente così!!!” 
Ma lui sorrise lo stesso, avvicinandosi un po’ di più a lei e passandole sui capelli quello stesso asciugamano che aveva usato lui, in un movimento impacciato ma gentile, cercando di scaldarle un po’ la testa. 
Lo stava guardando in quel preciso momento, scrutando nel suo viso un’espressione assorta. Si lasciò asciugare la nuca, sorridendo interiormente e osservandolo fino a che non smise, riprendendo ad asciugarsi lui.
Si tolse allora le scarpe anche lei, facendosele scivolare dai piedi con gli stessi; per poi slanciarsi un po’ con il busto, mettendosi in ginocchio, in un movimento che le fece scivolare l’asciugamano dalle spalle al pavimento. Le mani svelte sui bottoni dei jeans, che vennero slacciati a uno a uno. 
“Che stai facendo?” 
Ora era lui a chiedere, sentendosi in ‘pericolo’. 
Lei sorrise disonesta, sentendone arrivare l’agitazione.
Sbottonati tutti e tre, lasciò scivolare i jeans con le mani dalle sue gambe, mostrando le sue mutandine nere, e risedendosi sul pavimento, li aveva allontanati via col piede. 
Prese quello stesso asciugamano caduto poco prima, per passarlo sulle gambe nude, asciugandole una alla volta. 
“Oh andiamo” lo stuzzicò “sono più coperta adesso del solito” gli disse, dal momento che lui l’aveva fissata in modo strano, per poi distogliere lo sguardo rapidamente da lei.
Quando anche quell’asciugamano le cadde dalle mani, scivolando sulle gambe, i loro sguardi furono costretti a scontrarsi ancora, in quel modo avvolgente ma soprattutto invasivo. 
Era tutto lì. 
Solo loro due. 
Insieme. 
E sarebbe stato così, probabilmente, ancora e ancora. 
 
 
La voce di Usop, comunque, aveva riportato tutti alla realtà, interrompendo quella magia, quel loro idillio, che, da sottocoperta, era arrivato nella zona notte alzando un po’ troppo la voce mentre parlava alla bambina. 
“Io ne ho tante di favole della buonanotte.” 
“Di solito non ne ho bisogno…” la voce di Rin che lo accompagnava “mi addormento in fretta.” 
 
 
 
“Mi sembra ancora così assurdo che io e te…”
Nami continuò a strofinarsi l’asciugamano sulle gambe. Come poteva spiegargli che quando pensava a Rin le scoppiava il cuore dal petto con la forza pari a quella di un fiume in piena che dilaga. Come poteva spiegargli che quello sconvolgimento negativo non riguardava lui ma lei? Come poteva dirgli in parole semplici che in quella bambina vedeva tutti i lati più belli di lui?
“Ti dispiace così tanto?” 
Uno strano vittimismo improvviso, quello di Zoro, o forse nascondeva la paura di non essere stato apprezzato come compagno di vita. 
Lei gli lanciò l’asciugamano, colpendolo dritto in pancia. Quell’uomo non capiva mai niente. Era inutile. Precipitoso come sempre. 
“Non intendevo questo.” 
Lui prese quello stesso telo e si asciugò meglio dietro al collo, come se tutto fosse normale. Ma non capiva la rabbia di Nami nel non riuscire a spiegargli i suoi sentimenti. 
“E allora cosa intendevi?” 
Lei strisciò verso di lui, che interruppe immediatamente l’azione.
Magari se non riusciva a parole…
Nami intrappolò le gambe insieme alle sue tenendosi ai suoi avambracci. Si avvicinò ancora di più con tutta una mano aperta sul viso come una carezza. Lo fissò, cercando di scrutare qualcosa, un motivo forse per accusarlo. Ma non lo trovava. Non c’era quel motivo. 
“E se fosse stata solo la passione di una notte?” gli strinse la guancia ma rimanendo gentile. “Ci avevi pensato?” 
E invece no, non era riuscita nemmeno così. Apriva la bocca e diceva la cosa sbagliata. La paura. Quella dannata paura! 
Lui le allontanò la mano dal suo volto, inarcando il torace e facendosi più alto. E stavolta fu proprio Zoro a prenderle il viso tra le mani. Ma era severo il suo sguardo, ma forse anche un po’ arreso. 
“Questa tua sfiducia continua è insopportabile.” 
Anche lei fece cadere quella presa liberandosi il viso e scivolando su di lui con il capo sotto il suo collo caldo.
Strinse i pugni su quel petto duro. Era così difficile non dubitare di tutto, per lei. Era così difficile accettare di essere amata in quel modo. Continuava a risuonarle in testa la voce di Rin, la mia mamma è sempre stata l’unica per il mio papà. 
Come poteva crederci davvero?  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_________________________________________________
 
Sapete, 
in realtà è inusuale per me ‘quest’idea’ (naturalmente ben poco originale) della figlia. Almeno, non é mai stata una mia ricorrente fantasia, ecco. Anche perché mi piace sempre immaginarli giovani e spensierati, a darci dentro giorno e notte. 
Però ammetto che é davvero una bella serenità immaginarli crescere insieme qualcuno in un modo un po’ particolare, dentro una famiglia di matti, in mare aperto, dentro una vita spericolata ma allegra. Un esserino che è un excursus di tutti i loro pregi e difetti con un'aggiunta di una personalità nuova, e che soprattutto, è qualcuno da proteggere, una mascotte che aiuta tutti a riscrivere il proprio passato, ricreando una nuova famiglia piena di sfumature e dolcezza - anche se esiste già comunque (ma non può essere sempre Chopper il cucciolo di turno). 
Una figlia/o sarebbe qualcuno che ricorderebbe a Zoro di mettersi le scarpe, ecco. 
Secondo me lo spadaccino sarebbe il tipo che andrebbe a comprare alla bambina lo zucchero filato…ma senza soldi in tasca, naturalmente. Anche se nel mondo di One Piece i bambini vengono costantemente abbandonati a casa, tranne forse il figlio di Bege. 
Comunque, siccome siamo nell’epoca della next generation, ma soprattutto sono anni che Oda mi disegna Nami con bambini tra le braccia (Momo, O-Tama), questo ha un po’ inquinato la mia recente immaginazione. 
 
Ma perché scegliere una figlia che viene dal futuro e non il futuro stesso direttamente? Sarebbe stato divertentissimo da descrivere, è vero, sarebbe davvero stimolante (magari…uno spin off più avanti…), ma quello che è stato veramente la mia ispirazione è la perversione nel vedere come ai nostri paladini del presente, con ancora tutti quei tabù, quegli obblighi, quelle paure… possa cadere addosso una verità come quella - che, naturalmente per raggiungerla, ci vuole un percorso, del tempo -  e vederli un attimo in difficoltà, costretti così ad esternare certi pensieri e voleri è stimolante. 
L’input è stato proprio questo, l’ho trovato assai divertente, anche se poi ho dovuto abbandonare la via comica per quella più sentimentale, introspettiva, reale. 
Come scrivere di un Zoro che si rivela propenso a metter su famiglia…per niente indispettito. Non so, ma io lo immagino così. 
Pure lui, come Nami, si ritrova spesso con marmocchi tra i piedi, specie bambine. 
Ma soprattutto - e qui la perversione più grande - è vedere questi due che si ritrovano a sapere di aver una figlia senza aver ancora mai consumato…cioè per entrambi é una specie di preludio, di anticipo, di spoiler… e immagino i campanelli di festa in entrambi che realizzano che alla fine ci daranno dentro, che inciamperanno sicuramente in quella intimità. 
PRONTO OSPEDALE
Rinchiudetemi. 
 
Questo é tutto per oggi. 
Roby 
 
 

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Capitolo 11
*** Sentimento radicato ***


Capitolo XI 
Sentimento radicato
 

 
 




“Hei, posso entrare?” 
Davanti alla stanza delle ragazze, Zoro, aspettava che la compagna dai capelli corvini si alzasse, dal momento che le sue mani erano occupate da non arrivare nemmeno alla maniglia della porta lui stesso. Aveva chiamato la mora più di una volta ma non aveva ottenuto nessuna risposta, così, parecchio incerto sul da farsi stava pensando che, come possibilità, c’era pur sempre la stanza dell’acquario con un divano abbastanza spazioso dove poter dirigersi, o anche l’infermeria, seppur arrivarci in entrambi i posti in quel momento era davvero difficoltoso. 
Non sentiva schiamazzi dalla cucina, ma questo perché ogni suono veniva coperto dalla pioggia che ancora batteva copiosa sul ponte della Sunny. 
Zoro pensava a quanto sarebbe stato impegnativo fare il turno di guardia quella notte, per fortuna che i compagni lo avevano risparmiato, sostituendolo. Sentiva che aveva davvero bisogno di riposare, e non perché fosse stanco, ma doveva ammettere che tutto quel recente scombussolamento lo aveva comunque provato e non poteva ignorare le ripercussioni sul suo stato mentale. E poi, dopo il freddo che il suo corpo aveva assimilato, ora non avrebbe tollerato lo stare all’aperto per tutta la notte. 
“Robin?” 
Bussò con il gomito, provando a chiamarla un’ultima volta. Ma, arreso alla prossima fatica, fece per andarsene, se non che, prima di voltarsi completamente, vide, con la coda dell’occhio, la maniglia muoversi lentamente e la porta aprirsi incerta. Una bambina, che si stava stropicciando l’occhio destro, apparve da dietro il legno. 
“Ah, Rin.” 
La creatura lo guardava confusa, cercando di metterlo bene a fuoco.  “Credo d’essermi addormentata.” La sua voce era totalmente impiastrata dal sonno mentre cercava di tornare lucida e vigile. 
“Mi fai entrare?” le chiese Zoro, stanco di restare fuori, provato da quella infinita serata. 
Lei lo stava riconoscendo solo ora, capendo di aver davanti lo spadaccino, suo padre, con in braccio nientemeno che una Nami addormentata, sua madre, avvolta in un asciugamano bianco della doccia. Aprì di più la porta per lasciarlo passare, seguendolo come un cagnolino una volta all’interno. 
Il ragazzo aveva notato immediatamente Usop addormentato sulla poltrona, scuotendo la testa avvilito - e hanno mandato lui a fare il babysitter; per poi ignorarlo. 
Una volta arrivato al letto vi adagiò la compagna esausta, caduta in un sonno più che profondo sopra il suo torace, con il respiro piuttosto pesante. Probabilmente aveva preso l’influenza o la febbre, perché la sentiva calda sotto alle sue mani. In più, sapeva quanto il sapere di tutte quelle informazioni l’avesse martoriata dall’interno. 
Si premurò di sistemarle il cuscino sotto la nuca ma sopratutto le coperte, dal momento che non aveva indosso nemmeno dei vestiti e che aveva preso tutto quel freddo là fuori. 
Istintivamente, in quell’attimo in cui la stava guardando, sentì dentro di sé come un accenno di nostalgia invaderlo. Forse per via della sua stanchezza o per la preoccupazione per le giornate che sarebbero seguite piene di emozioni da chiarire e quantificare. In ogni caso, quello strano calore era aumentato dentro lui, fino al cervello, fino alle mani, fino dritto al cuore. Era strano, l’aveva avuta in braccio sino ad un secondo prima, ma era stato così concentrato sulle azioni, sul da farsi, sul potarla a dormire, che non aveva pensato che avrebbe potuto sentire la mancanza di quel calore sulle sue mani. Ora, che quel corpo aveva lasciato la sua presa, né sentiva addirittura il bisogno di riprenderlo. 
Perché a me? 
Si chiedeva Zoro, non capendo molto di quel tipo di contraddizioni. 
Osservandola dormire ci vedeva sempre quella calma che altrimenti era rara, nonostante quel respiro molto agitato. La fragilità di Nami, quella vera, quella che l’aveva fatta a pezzi, l’aveva vista solo una volta in tutta la sua vita, e non avrebbe più voluto si ripresentasse.Nonostante loro fossero già una famiglia consolidata - in quanto ciurma, in quanto amici che si appoggiano uno sull’altro - era diverso dal concetto di famiglia inteso in senso di sangue, che era più difficile per Nami da affrontare. Era sconvolto di sé stesso per essere stato in grado di capirlo. 
 
Prima di andare via dal suo capezzale, il volto della ragazza, da supino si lasciò cadere al fianco, più rilassato, portando con sé una ciocca di capelli che scivolò sul suo viso. Fu in quel momento che il suo occhio venne catturato dalla cicatrice della ferita alla spalla. Era strano, ma sinora non aveva più fatto caso a come si fosse rimpicciolita, anche se non era scomparsa del tutto. 
Quel maledetto foro di proiettile. 
Nami aveva salvato la vita alla loro futura figlia senza nemmeno sapere che lo fosse. Se avesse continuato ad ascoltare il suo istinto allo stesso modo di come aveva fatto quella volta, ora sarebbe più facile per lei risolvere le situazioni del destino senza farsi arrovellare dai dubbi. Senza accorgersi, ci aveva poggiato sopra un dito, sfiorandole la cicatrice con tocco calmo e gentile e provando una fastidiosa sensazione di impotenza. 
Si chiedeva perché quel dannato giorno Rin non era capitata nel suo raggio d’azione. L’avrebbe salvata sicuramente lui, evitando alla compagna una ferita così rischiosa. 
Ma gli venne un dubbio, se Rin fosse davvero capitata dove si trovava lui, quel giorno, l’avrebbe salvata allo stesso modo portandola sulla Sunny? 
Probabilmente no. 
Strinse i denti. Il destino lo sa, lo sa. Sa tutto. E lei doveva prendersi un dannato proiettile come sacrificio per poter trarre Rin in salvo sulla nave. 
Iniziava a odiarlo questo gioco. 
I suoi pensieri si scomposero quando la suddetta bambina riprese posto nel letto affianco a Nami, senza smettere di osservarlo curiosa, cosa che lo fece sentire immediatamente a disagio, obbligandolo a ricomporsi. 
 
“Di solito dormi con lei?” 
Le chiese, allontanandosi dal letto. Lei si imbarazzò un po’, grattandosi la testa.
Anche in questo erano molto simili. 
“Beh, si, capita, quando faccio brutti sogni…ma il più delle volte dormo con te sul ponte.” 
Lui sbiancò, preso da un imbarazzo fulmineo, da un qualcosa che non si sarebbe aspettato di sentire. 
“Ah, s-si?” Riuscì a biascicare, facendo l’indifferente. 
Lei lo guardò un po’ malinconica, con il visino tra l’abbandonando e l’assonnato. “E questo mi manca.” 
Fortemente imbarazzato da quella situazione, si sentì costretto a sedersi sul letto, dalla parte della bambina. Nami avrebbe agito senz’altro così. E iniziò ad imitare la compagna, cercando di trattenere il suo impulso di andarsene. 
Certo che ora che la guardava meglio, con quella ‘testa arancione’, era incredibile quella somiglianza. Finché il suo aspetto aveva solo una familiarità lontana, era più semplice reagire, ma adesso, ogni volta che la guardava, ad ogni sguardo, il fatto che sua figlia avrebbe avuto le fattezze di Nami, iniziava a metterlo a disagio. Stava diventando tutto molto più chiaro, più giusto, ma anche più difficile. 
“Rimango qua finché non ti addormenti.” 
Aveva smesso di guardarla, seduto alla fine del letto. Non sentendo risposta, pensò di averla offesa, o che si fosse già addormentata, ma in quello stesso momento sentì due piccole mani tirarlo per il braccio, quello che sfiorava il materasso. 
Rin si era adagiata con il capo dalla parte opposta del letto, avvinghiata a quel braccio per lei così familiare. 
Zoro non si poteva certo definire la persona più affettiva del mondo, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine: non si staccava da chi cercava di prendersi il suo calore. Forse era il suo modo indiretto per esserlo, almeno un po’, affettivo. 
Fu in quel momento che pensò a quanto potesse essere difficile per quella bambina trovarsi in un momento sbagliatissimo per lei, con persone che dovrebbero amarla incondizionatamente ma che invece ora non sapevano quasi niente della sua persona. Quella bambina era una perfetta estranea per lui, ok, forse non più così estranea, ma comunque l’aveva appena conosciuta, e lei aveva bisogno di qualcosa che sicuramente lui non poteva darle adesso, non in quel modo. Ma in quell’istante sembrava renderla felice anche solo un braccio, e allora poteva anche concederlo. 
Era stupito, avrebbe scommesso sul fatto che lei stesse di più tra le braccia di Nami, mai avrebbe pensato che sarebbe stato lui quello coi cui dormiva. 
Che persona sarebbe stato nel futuro? Più amorevole? 
Da come lo stringeva, sembrava suggerirgli qualcosa; Rin aveva bisogno del padre, un padre che amava a tutti gli effetti. 
Doveva anche ammettere che adesso, ora che le fattezze di Nami erano alla luce del sole, l’idea di poter amare quella bambina iniziava ad essere molto più comprensibile. 
Abbassò il capo per guardarla e vide che teneva ancora gli occhi aperti. Si ricordò però della complicità che già gli aveva visti uniti, e fu oltremodo sconvolgente per lui, provare quella fiducia per qualcuno conosciuto da poco. 
Forse poteva farle una domanda sul futuro, indagare un po’. Ma seppur l’avesse la curiosità su certi argomenti, non voleva comunque chiedere e sapere niente di più. A lui bastava il presente. 
“Rin” 
“Umh” si stropicciò l’occhio con la mano libera “che c’è?” 
“Mi dici perché vuoi essere una spadaccina?”
Aggrottò un po’ la fronte per la sorpresa di quella curiosità. Tra tutte le domande che poteva farle, aveva chiesto questo. Due occhi assonnati fissavano le sue iridi nere. Riconosceva adesso un po’ di se stesso in lei, in quella sicurezza che le aveva plasmato lo sguardo. 
“Non c’è niente di più forte del desiderio di proteggere. E io voglio farlo come si deve.”
Le sfuggì un piccolo sbadiglio involontario. 
Non fu né interrotta e né risposta dal giovane pirata rimasto a suo modo colpito da quella sincerità, che, anzi, l’ascoltò con estrema attenzione, con lo sguardo appena corrucciato che però non pareva in disaccordo, quanto colpito per la bambina che sarebbe stata poi sua figlia.
Le allungò la coperta con una mano per avvolgerla tutta. 
“Dormi ora.” 
Stava pensando e ripensando a quella frase, a quella ingenuità, ma sopratutto a quella determinazione. Quella ragazzina somigliava a lui, come diceva Nami - era vero - ma quel fuoco, quel fuoco che bruciava dentro, era tutto della madre. Lui non aveva praticato l’arte della spada per proteggere. Mentre lei, lei si era sacrificata per un intero villaggio, per proteggere gli altri. 
Era incredibile che loro due avrebbero messo al mondo quella bambina, in futuro, che racchiudeva tutti i loro aspetti più problematici, ma anche migliori, e che plasmava a suo modo. Era chiaro come il sole che vivesse secondo i loro insegnamenti - almeno i suoi - e ‘regole’, e quindi avesse appreso anche ciò che non può dare il semplice DNA. 
 
Rin aveva già il viso affondato contro quel braccio muscoloso, aveva smesso di parlare, di muoversi, era già in caduta libera per raggiungere Morfeo. 
Non si era mai sentito così sensibile, nemmeno quando era un bambino piagnucolone, poiché i sentimenti erano di altro tipo. E non si trattava del fatto di essersi fatto addolcire o abbindolare da quei faccini, non si trattava di intenerirsi per piccole azioni che potevano dire o fare “quelle due”, ma c’era qualcosa di diverso dentro di lui adesso. Era un sentimento che poteva fargli esplodere il cuore, e con la tenerezza non c'entrava nulla. 
 Aspettò di sentirla profondamente assopita prima di andare via, portandosi dietro un Usop addormentato sulla spalla. 
 
 
 
 
Erano bastate che poche notti con Nami per notare la differenza nel dormire al suo posto letto in camera dei ragazzi. Si era addormentato solo, e solo si era risvegliato; nessun profumo ad addolcire il mattino, nessun gesto adrenalinico a fargli drizzare i nervi, nessun tocco amorevole a fargli provare un brivido. O almeno, quasi solo: in quella stanza c’erano ben sei presenze maschili, contando la sua, dal momento che Brook era di vedetta; e tra il russare, il parlare nel sonno, e altri rumori alquanto spiacevoli, era filato via, rimpiangendo quel risveglio in infermeria della mattina precedente. 
Per lui era necessario fare allenamento mattutino, nonostante non avesse proprio riposato una notte piena, e nonostante si sentisse così debole. Ma ora più che mai era necessario ristabilire il suo equilibrio facendo meditazione, tendendo i muscoli, indurendo lo spirito, poiché, inconsciamente, sapeva che se non per lui doveva farlo per lei. Seppur volle scacciare via quel pensiero sciocco il più in fretta possibile. 
Stava ignorando però il suo corpo, quella spossatezza fisica cronica che lo aveva colpito dal risveglio. 
A metà allenamento riconobbe di non avere energia, dovendo farei i conti con la verità, seppur dannatamente infastidito da ciò. Smise di allenarsi, smise di entrare in contatto con il suo sé interiore poiché stramazzò a terra senza più forze. 
Con il respiro pesante e un cerchio alla testa, dopo un paio di minuti, riuscì a mettersi in piedi, scendendo quelle stupide scale con difficoltà e arrivando in cucina con non pochi sforzi. 
Forse aveva bisogno di mettere qualcosa nello stomaco, in effetti la sera prima non aveva mangiato niente. E fu lì che lo sentì brontolare, probabilmente lo aveva ignorato per la smania di volersi allenare a tutti i costi. Perché era la sua difesa ai problemi o dai sentimenti più complessi. Lui aveva passato l’infanzia ad allenarsi, ad essere il più forte, il più onorevole, il più determinato. Che altro aveva imparato oltre la disciplina e la volontà di accrescere la sua forza? Lui era così, era questo. Aveva un cuore, era perfettamente conscio di provare pietà per il nemico, e attaccamento per gli amici, e amore… ma tutto il resto, i contorni, non era capace di gestirli o comprenderli. 
 
 
“Oh, ciao Zoro.” 
Erano lì, quei due, Sanji e Rufy, in cucina, svegli. E lui non aveva nessuna forza per affrontarli proprio in quel momento. 
Salutò con l’alzata della mano e si sistemò sul divano, cercando di nascondere il suo stato fisico che invece al cuoco non passò inosservato.
“Che diavolo ti prende stamattina?” 
“Sto bene.” 
Con una risposta discutibile, stava cercando di trattenere il respiro, contenere il sudore, essere vigile. “Devo solo mangiare qualcosa.” 
Sanji, che era dietro ai fornelli, lanciò a Rufy, che stava seduto al tavolo, un piatto con la colazione. “Tò, daglielo.” 
Il capitano con un allungamento del braccio gli diede il cibo, sorridendogli curioso. 
Zoro constatò che aveva risolto da solo i suoi problemi, non sembrava offeso o adirato, evidentemente la reazione di quella sera era qualcosa che riguardava solo lui. Non sembrava essere in collera o detestarlo. Allora accettò il piatto più che volentieri. 
Al contrario, l’altro, sembrava più irritabile del solito dalla sua presenza. Ma Zoro se ne fregò altamente. Sapeva benissimo il motivo, ma comunque non riusciva a prenderlo seriamente, seppur consapevole che tra tutte le donne, per Nami aveva un attaccamento maggiore. Forse questo il motivo principale per cui litigava con lui, un astio iniziato dalla prima volta che lo aveva visto sbavare per lei. Ci rifletteva mentre divorava la colazione senza fermarsi un attimo per prendere respiro, attutendo il suo brontolare di stomaco ma non il mal di testa. 
“Certo che ne hai di coraggio.” 
Rufy riprese parola osservandolo sorridente mentre si riempiva la tazza di latte. Zoro alzò la testa dal piatto per guardarlo fisso negli occhi seduto dinnanzi a lui. “Per sposare Nami, intendo.”
Quel sorriso, che si elargì divertito mentre lo diceva, si rimpicciolì all’istante, quando si scontrò con lo guardo truce dello spadaccino.  
Il cuoco, proprio in quel momento, stava affettando la frutta con un coltellone da cucina la metà della spada di Zoro. Sentendo quelle parole affettò anche il tagliere e il coltello rimase impigliato nel mobile sotto. 
Rufy strinse i denti quando lo sentì estrarlo con forza dal legno e tradusse poi ogni tagliuzzata per un insulto. 
“Se hai qualcosa da dire, dilla adesso.” 
Zoro non aveva energia a sufficienza per combatterlo, ma tanto valeva togliersi al volo questo granello di sabbia fastidioso, anche se era consapevole che non sarebbe stato così semplice.  Era distratto, ma, nonostante lo stato di salute, per fortuna i suoi sensi ancora funzionavano bene, poiché dovette spostare agile la testa verso destra, dal momento che ‘quello stramaledetto di un cuoco’ gli aveva lanciato quel coltello da cucina dritto addosso, che ora si trovava conficcato sul muro. 
“SEI IMPAZZITO?” Lo spadaccino, messo in piedi di scatto, aveva l’occhio sgranato e fisso sul cuoco. “SE PRENDO LA SPADA TI AFFETTO IN DUE.” 
Chopper, Usop e Franky fecero il loro ingresso proprio in quel momento, notando immediatamente un coltellaccio conficcato nella parete proprio dietro Zoro. 
“Oh-no” Usop scosse la testa. 
Ma in quello stesso momento ne volò un altro, che finì ugualmente sulla parete. 
“ANCORA?”
Ma il verde fu costretto a lasciare quel combattimento visivo, ricadendo sul divano, stremato, portandosi automaticamente una mano sulla fronte ad asciugare il sudore e non riuscendo a trattenere un respiro affannoso. 
“Zoro, ma tu…stai male!?” 
Immediata fu la renna ad avvicinarsi a lui per controllare il suo stato di salute. 
“Tsk. Comoda come scusa per evitare di assumerti le tue responsabilità.” 
“Ma di che diavolo blateri?” Riuscì a dire a denti stretti, con un tono infastidito, alzando la testa per guardarlo, mentre Chopper gli toccava la fronte, il collo, e notava per la prima volta le sue ferite, dal momento che le bende si erano sciolte con la pioggia.  
“Tu” lo indicò il cuoco. “Maledetto Bastardo…hai messo incinta Nami! Non te lo perdonerò mai!” 
Quello quasi ebbe un attacco di cuore, allontanando Chopper da sé con una mano sul suo muso, tenendolo a distanza mentre lui continuava ad agitare le zampette per aria tentando di toccarlo per visitarlo. 
“Io non ho messo incinta nessuna, idiota di un maniaco.” 
“E Rin come la spieghi, testa di muschio?” 
“Ma non é mai accaduto in quest’epoca, maledetto sopracciglio.” 
“Ma accadrà, spadaccino molestatore.” 
“COSA?” 
Chopper era riuscito a sfuggire alla presa del verde rimettendosi in piedi. “Zoro, sei febbricitante.” 
“Sto bene!” 
“Non stai bene, hai la febbre!” lo ammonì. 
Usop stava prendendo posto al tavolo, e chissà come nessuno stava ascoltando il medico, l’altro argomento era veramente molto più interessante. 
“Sanji non puoi prendertela con Zoro per qualcosa che chissà quando avverrà.”
Il cuoco frugava agitato nei cassetti, stava cercando altri coltelli, facendo sudare freddo il cecchino.
“Quanto sei ingenuo.” Lo guardarono tutti con un punto di domanda sulla testa, mentre era ancora inchinato tra i mobili. “Non è possibile che qualcosa del genere accada dal niente, all’improvviso.” 
“Cosa vuoi dire?” 
“Che un sentimento come quello ha già messo radici.” 
Rufy si voltò verso Zoro curioso di vederne una reazione. 
Sanji ignorò tutto il resto, riprendendo a tagliuzzare, per poi alzare la testa verso lo spadaccino e guardarlo serio. “Puoi giurare con assoluta certezza che ora non provi niente per la nostra Nami?” 
Sghignazzò poi, non ricevendo risposta ma sapendo di aver colpito nel segno. “Non sei capace a giurare il falso.” 
“Sanji, non è il momento. Zoro non sta bene.” Intervenì ancora Chopper in difesa dello spadaccino malaticcio, prendendo il termometro e ficcandoglielo in bocca, nonostante le continue proteste.
Ma il cuoco sapeva il fatto suo, sapeva quel che diceva, e voleva che quella verità - per lui devastante - venisse affrontata senza nascondersi nella scusa del ‘deve ancora accadere.’ 
Lo spadaccino si tolse il termometro dalla bocca, infuriato, lo stesso che Chopper prese al volo sperando che quel tempo fosse stato sufficiente per segnare la temperatura. Lo agitò. 
 “Zoro! Hai la febbre a quaranta.” 
Ma quello ignorò la cosa guardando il cuoco in una nota di fastidio, poiché con quell’insinuazione voleva darlo in pasto a tutti. 
“L’abbiamo visto quel tuo maledetto sorriso, ieri.” 
Il verde capì di avere lo sguardo di ognuno addosso. E il cuoco aveva fatto il suo gioco, mettendolo appositamente al centro dell’attenzione. Voleva farlo uscire allo scoperto. Erano tutte lì, o quasi almeno, le facce dei suoi compagni che volevano sapere se fosse innamorato. Di come sarebbe passato dall’essere il Zoro di sempre, al diventare il Zoro di Nami. 
Se la controparte femminile fosse stata un’altra persona, se si fosse trattato di un’altra donna, nessuno di loro avrebbe osato tanto intromettersi - almeno tutti tranne Sanji. Ma era Nami, era lei. E non poteva passare inosservato se lui si era infatuato della loro compagna. 
Maledizione a quel damerino. 
E ovviamente era lui a doverci fare i conti, perché mai avrebbero osato fare quel muto interrogatorio a Nami. 
Ma sebbene quel sorriso fosse stata una reazione spontanea, nemmeno lui non era in grado di capire fino in fondo il suo sentimento. Era stato solo qualcosa che semplicemente non aveva potuto controllare. Forse aveva sorriso perché quella scoperta aveva solo confermato i suoi sospetti. O semplicemente - e lo sapeva - perché voleva che fosse Nami quella donna. Certo che lo voleva.
E poi la risposta gli uscì a perfidiato, stupendo tutti i presenti. 
“Quale sarebbe il problema” fissò il cuoco dritto negli occhi “se anche fosse così.” 
Stavolta fu Sanji a non rispondere, interdetto da quella forma di ammissione che non si sarebbe certamente aspettato sarebbe arrivata così presto. Era sicuro che lo avrebbe visto lottare e negare fino alla fine. 
Ma poi fu il capitano che spiazzò tutti sorridendo a trentadue denti. “Ora basta Sanji.”
Ma Zoro sapeva difendersi anche da solo, e infatti un ghigno sadico o apparve sul suo volto. 
“Nami… È a lei che dovete chiederlo. È lei che decide tutto.”
Annunciò, prima di stramazzare nuovamente sul divano privo di sensi. 
 
 
 
 
 
                                                
 
 
 
 
 
Nami, proprio in quel momento fece uno starnuto, accompagnato da un mal di testa ergonomico e il respiro che avrebbe fatto drizzare il più bestiale dei pirati. 
“Quei cretini stanno parlando di me.” 
Disse all’aria, ad occhi chiusi, ancora adagiata in un letto che non avrebbe più voluto lasciare. Un’affermazione che si era rivelata una certezza quando le fischiarono anche le orecchie. “Se vengo a sapere che hanno detto qualcosa di troppo, li faccio fuori uno per uno.” 
Sentì due risate risuonare nella stanza, e le riconobbe entrambe. 
“Tutto bene stamattina, Nami?” 
Avvertì subito immediata una mano sulla fronte, quella di Robin, magicamente comparsa dal niente. “Purtroppo, penso che tu abbia la febbre.” 
L’archeologa, che aveva raggiunto le due rosse durante la tarda notte, si stava alzando dal letto proprio in quel momento, andando subito a prendere dei vestiti puliti. 
“Vado a chiamare il medico.” 
“Ma che rottura.” 
La rossa era tremendamente contrariata al pensiero di dover stare a letto per chissà quanto tempo, ma in quel momento di sconforto, sentì un’altra mano, più piccola, toccarla sulle guance. Aprì gli occhi e si scontrò con lo sguardo di Rin.
“Si, sei calda!” 
La bambina confermò la diagnosi dell’archeologa. 
Nami fece poi un respiro profondo, passandosi anch’ella una mano sulla fronte, ma con gli occhi sempre puntati sulla bambina. Un conflitto il suo, che combatteva con tutte le forze rimaste per ignorare il calore e la debolezza del suo corpo. C’era sua figlia lì, e lei non era riuscita ancora a dirle una parola da quando lo aveva scoperto. 
Non alimentava di certo le fantasie di madre perfetta o di famiglia felice. 
“Non fa niente.” 
Sentì mormorare da quelle piccole labbra e da un tono delicato. “So che non é facile per te, ecco perché volevo non lo sapessi.” 
Nami sapeva di avere nuovamente il proprio respiro mozzato in quell’istante. Le era bastato sentire quella risposta per avere il cuore gelido. Chiuse gli occhi per vedere nitida nella mente l'immagine di Zoro che l’ammonisce per via delle sue insicurezze. “Sono una madre tremenda, vero?” Sul suo viso in ghigno, un mezzo sorriso, che però voleva urlare. “Da che mondo è mondo è concesso che quello scemo sia un padre contento d’esserlo e io…” ma non finì la frase per paura di offendere Rin, stava per dire qualcosa di terribilmente crudele.
Era già calda di suo, ma qualcosa di ancora più caldo le stava cadendo sul volto. Aprì gli occhi un’altra volta, spaventata di scoprirlo, e vide quel viso innocente che si tappava la bocca con due lacrimoni enormi all’estremo degli occhi. 
Con uno sforzo che le costò caro riuscì a mettersi seduta e avvicinare a sé quell’esserino, facendo presa su quella cute minuscola. “Non volevo, scusami.” 
La bambina ne approfittò per accucciarsi sotto il mento della rossa, per trovare riparo, confortarsi in quell’odore in cui era cresciuta. 
“Non sono arrabbiata” le disse in un singhiozzo che però stava cercando di frenare. Rin si stava sgridando da sola nella mente, poiché doveva smetterla di piangere per così poco.“Sono più forte di così…è solo che non sono mai stata tanto lontana da casa.” 
Nami sgranò gli occhi. E le mancava la sua mamma? Le mancava, lei? Quindi non era una madre terribile? 
“Non dev’essere facile, lo capisco. Ti trovi in una situazione paradossale, piccola.” Le accarezzò i capelli rossi decidendo di cambiare argomento per risollevarle il morale. “Lo sapevo che quelli neri non ti rendevano giustizia.”
Rin sciolse l’abbraccio e sorrise, scostandosi da Nami, e ricomponendosi velocemente. A volte non sembrava affatto una bambina, proprio come diceva lei. 
“Tu sei l’unica madre che voglio, chiaro?” le si sedette però accanto, stringendosi le gambe al viso. “È Zoro, l’unico per te, devi fidarti di più di lui e andrà tutto bene.” 
Rendendosi conto di quanto le facesse male tutta quella assurda rivelazione, lei si dimenticò di ogni cosa quando sentì un ulteriore schiaffo colpirle l’anima.
“Ma io mi fido di lui.” 
“È dei suoi sentimenti nei tuoi confronti che dubiti costantemente.” 
Nami si coprì il volto con le mani, desiderando di poter avere una prova maggiore, tangibile, di tutte quelle parole. La testa che scoppiava, la temperatura alle stelle. Era ragionevole affrontare simili discorsi in quello stato? 
L’immagine, ma più la sensazione di lui che le cercava la mano e la stringeva, stava ora annebbiando del tutto la sua mente. Avvertì il cuore in subbuglio e un groviglio di emozioni sul punto di esplodere. 
“Zoro mi ha salvato la vita così tante volte che non pensi sia sciocco provare qualcosa per una semplice presa di mano?” 
Le confidò, sconcertata di sé stessa ma accennando ad un sorriso. 
“No, se è qualcosa che non farebbe mai.” 
“Lo conosci proprio bene tuo padre.” 
Rin annuì orgogliosa. “È la nostra roccia.” 
In quel momento, la voce del capitano arrivò da dietro alla porta di legno andando ad interrompere un momento di importanti confidenze.
“Hei Nami, possiamo entrare?” 
“Che volete?” 
Chopper e Rufy sbucarono nella stanza, svelti come cavallette agitate.
“Che fate qua?” 
La renna accorse per prima al suo capezzale, col termometro alla mano e lo sguardo di chi non ammetteva obiezioni. E il capitano le consegnò il giornale della mattina. “Tó. L’ha comprato Robin.” 
Un sospiro fu l’unica ribellione che il medico ottenne da Nami, già abbattuta al suo nuovo stato, poiché capace di percepirlo anche da sola che non aveva energia nemmeno per tirar loro un pugno. Ma prima ringraziò con un mezzo sorriso per il cartaceo che tenne stretto nella mano. 
“Stavamo portando Zoro a riposare in infermeria.” 
Il capitano la informò, sedendosi sul letto accanto ai piedi di lei avvolti nel lenzuolo. 
Con uno slancio del torace si mise seduta stritolando il quotidiano “che diavolo ha combinato, perché?” Il battito accelerato, il respiro di nuovo mozzato, il termometro volato sul letto. Lo stesso che Chopper si affrettò a raccogliere. “Nami hai anche tu la febbre alta.” 
Non si poteva certo non notare il suo lato sorpreso. “Anche lui ha la febbre?” 
Rufy annuì. 
“Maledizione. Non si ammala mai per così poco.” 
Continuava a fissare il capitano in una sorta di trance, persa del tutto in sé stessa, con la mano del ragazzo di gomma che si muoveva in segno di saluto, come a volerla risvegliare da quello stato comatoso. 
“Nami?”
“Ci sono.” Si ricompose un poco. “Be, tanto dobbiamo stare approdati qua ancora per altri due giorni, Rufy.” Iniziò a sfogliare il giornale. “Vedi di non fare danni in nessun modo o ti farò rimpiangere il giorno in cui mi hai chiesto di unirmi alla tua ciurma.” 
“Va bene.” Le promise a denti stretti. 
“Di che avete parlato stamattina?” 
Chopper sudò freddo. 
“Lo so che stavate parlando di me.” 
Anche il capitano iniziò a grondare cercando una via di uscita dal discorso, dalla stanza, dalla nave, dall’isola. 
“Parlate! Non vorrete farmi stancare nelle mie condizioni!” Aveva accartocciato una pagina che ritraeva il suo manifesto di taglia. E Nonostante la febbre alta quel pugno nell’altra mano sembrava comunque abbastanza minaccioso. “Allora?” 
Il capitano tolse il cappello dalla testa facendo finta di spolverarlo, fischiettando leggero. “Ma niente.” Lo girò sulle dita come una trottola. Alla vista del pugno diventare quasi rosso dalla rabbia e dalla temperatura alta, spiattellò tutto come un canarino. 
 
“INCINTA? Ma che razza di discorsi fate alle mie spalle, pervertiti?!” 
“No, no aspetta. Zoro ha detto di no.”
“E VORREI BEN VEDERE!” 
“Calmati Nami, o peggiorerai le tue condizioni!” 
Il piccolo medico prese una salvietta impregnata d’acqua e la mise sulla fronte della ragazza. “Stai giù, sdraiati, per favore.” 
Quella alla fine obbedì, esausta, più stanca di come si sentiva al risveglio, cambiando appena tono di voce, più arreso che rilassato. 
“Ripeti un po’, cosa avrebbe detto quello scemo?” 
Era rivolta ancora al suo capitano. 
“Di chiedere a te. Ma non ho ben capito cosa, in realtà.” Si rimise il cappello sulla testa. “Ha detto che sei tu quella che decide tutto.” 
“La nostra roccia un corno!” 
Si voltò a fissare una Rin tremante. 
 
 
 
 
 
 
Rimaste sole, Nami si rese conto che la bambina al suo fianco aveva in mano quel foglietto che lei aveva accartocciato, aperto tra le sue mani, nonostante ormai in balia di tutte quelle pieghe. La osservò guardarlo con il luccichio agli occhi, come fosse la bambina più fiera del mondo della sua mamma. Ma in un batter di ciglia, le venne anche in mente quel discorso che le aveva viste coinvolte e si sentì mancare il fiato. 
‘perché io…non sarò mai bella e forte quanto lei. E quando ci penso…mi sento sopraffatta, a volte triste.’ 
Istintivamente avvicinò la mano a quel foglio, posandola sopra quella di Rin. “Perché l’hai preso?” 
‘Io sono come il mio papà, ho preso tutto da lui. Lo dice anche la mamma.” 
Fece spallucce. 
“Rin…” 
Mormorò quasi con la voce mozzata e gli occhi immobili. “Se ti ho trasmesso insicurezze dicendo che sei uguale a tuo padre, mi dispiace.” 
La bambina continuò a guardare quel manifesto, come ipnotizzata dalla foto.
"Ma devi capire che quello è per me il più bel complimento che si possa fare a qualcuno.” 
Automaticamente posò una mano sulla bocca, come se avesse detto qualcosa di severamente proibito. Era tesa e imbarazzata, si sentiva persino goffa a dover cercare di spiegare qualcosa che nemmeno lei capiva o addirittura poteva sapere, dal momento che non era ancora mai successo. Le mancava l’aria e non soltanto per aver rivelato qualcosa che solo adesso si spiegava, ma anche per la paura di commettere errori così grandi che potessero minare all’autostima della figlia. 
Ma la bambina le regalò un sorriso gigantesco. “Grazie di avermelo detto.” 
 
 
Rin e Nami avevano passato tanto tempo assieme quella giornata. Non era certamente uno dei momenti migliori, dal momento che la rossa senior crollava spesso nel sonno a causa della febbre, ma le alternative erano comunque inesistenti, dal momento che la navigatrice aveva previsto pioggia incessante e vento per almeno altri due giorni. 
Passarono parte della mattinata a leggere insieme a Robin il libro di Sanji, quello che indicava tutte le caratteristiche del frutto che la bambina aveva ingerito, ignorando più volte tutte le avance del cuoco che entrava in stanza continuamente per fare il filo alle due compagne, andando via poi forzatamente insieme alla stessa Robin che, ad un certo punto, se lo portò in cucina, forse per lasciare a madre e figlia un po’ di privacy. I tre, senza contare Rin, avevano comunque stabilito che la priorità su cui si trovavano d’accordo, fu quella di insegnare alla bambina ad usare il suo potere per poter tornare a casa bella sua epoca; la seconda era cercare di studiare il frutto, e di ridimensionare i danni fatti da quell’intrusione, ristabilendo al più presto un’equilibrio cosmico - la scusa per Sanji di proporre un’immediata variazione di quel futuro correggendo il passato. Beccandosi un pugno in testa da parte della mini-rossa furente, offesa da quell’idea assurda di voler cancellare la sua nascita. 
 
 
 
Nami era poi stramazzata del tutto sul letto senza più riuscire a trovare la forza per parlare, e, quando si risvegliò, constatò di essere in piena notte vedendo Rin e Robin dormire vicino a lei. Fu in quel momento che pensò al fatto che le due avessero due nomi così forti, uniti dalla stessa iniziale. Sarebbe stata contenta Nami, se Rin avesse preso la forza interiore della compagna, imparando oltremodo da lei ad esserlo. 
 
 
Si era rivoltata più volte nel letto quella sera: seduta, sdraiata, di fianco a destra di fianco a sinistra, a pancia in giù. Ci aveva provato in tutti i modi a trovare una posizione di sollievo, ma la febbre non dava scampo, non lo rendeva possibile. Fin quando riusciva ad addormentarsi era accettabile, ma stare sveglia era insostenibile. Ma non era solo la febbre, era anche la preoccupazione per il compagno che sentiva accesa sulla sua pancia, mentre cercava di ignorare la sensazione di calore che accresceva. Sapeva che aveva ricevuto visite anche lui, da Rufy, Brook, Franky e Chopper, ma poi non aveva più ricevuto altre notizie che lo riguardavano e questo era ineccepibile per lei. 
Nami avrebbe desiderato il poter soffocare i propri pensieri e le proprie preoccupazioni, avrebbe addirittura preferito essere succube della febbre se questa le avesse evitato di dover tornare a macinare sopra continuamente sulle stesse paure. 
Decise che avrebbe dovuto mettere a tacere quelle dannose preoccupazioni che l’avevano tormentata più del dovuto, andando ad indagare lei stessa. 
Nonostante il fidatissimo cerchio alla testa, aveva comunque avuto modo di entrare in contatto con diverse informazioni quel giorno, dopo le multiple ma brevi, a causa del suo addormentarsi, chiacchierate con Rin. E, in un certo qual modo, il protagonista di quei discorsi finiva sempre per essere lui. 
 
 
 
 
 
 
Lui, Zoro, dallo sguardo annebbiato a causa della febbre e dell’oscurità del luogo, fece un sorriso una volta sveglio, sentendosi impacciato, soprattutto perché non aveva idea di cosa dire o di cosa fare. Non che quella specifica compagnia gli fosse sgradita, anzi. Ma avrebbe voluto essere il solito sé stesso e fare il contrariato sulla situazione - quella gli aveva pur sempre invaso il territorio, di nuovo.  
Nami era lì che, andata nel cuore della notte, alzandosi dal letto silenziosa e affrontando quel tragitto che in quel momento era stato così difficoltoso, talvolta appoggiandosi alla parete per sostenersi. Non avendo energia per avvicinare nemmeno la sedia, si era presa direttamente il letto, facendosi posto. 
La ragazza aveva reclinato il capo, poggiandolo poi contro la spalliera del letto in cui erano sdraiati insieme. 
Il giovane, che aperto l’occhio se l’era trovata addosso - i sensi ancora gli funzionavano - non volle insistere sul perché fosse andata a trovarlo, nonostante le sue condizioni di salute altrettanto instabili. 
“In salute e in malattia.” 
Elargì, stranamente spiritoso, richiudendo l’occhio e non aggiungendo altro alla sua battuta ironica. 
Nami riuscì a sorridere, captando nella sua voce un tono semplice, da un Zoro che non era oscurato da quella sua voglia di respingere ogni cosa sentimentalmente incomprensibile.
Ciò nonostante, a dispetto di tutte le paure, lei riuscì a stargli accanto senza grossi ostacoli quella sera, persino riuscendo a scherzare, facendolo finanche ridere. 
“Sappi che in ricchezza e in povertà non verrà annunciato al nostro matrimonio.” 
Senza darle il tempo di capire, si diede una piccola spinta all’insù, portando il capo sotto al suo petto, abbracciandola in vita. Febbricitante e istintivo, le sue mosse non erano mai calcolate. 
Lei troppo rigida per opporsi, troppo sconvolta per crederci, e lo lasciò fare, con il cuore che batteva forte in petto e la mente che continuava a domandarsi per quale dannata ragione il destino continuasse a torturarla in quel modo. Anche se stavolta era andata lei a cercarselo il problema. 
Rabbrividì quando le dita di Zoro le sfiorarono la pelle e il suo respiro acuto e malaticcio le arrivava addosso come un fiume in piena. 
Nami non riusciva a muoversi, era pietrificata, ma ciò nonostante faceva di tutto per cercare di riscuotersi dalla rigidità dovuta a quella vicinanza. 
Loro in realtà erano sempre stati così fisici, lui la salvava mettendo il suo corpo in prima linea di difesa  - d’altronde è così che si erano conosciuti - e lei lo riempiva di botte quando la faceva esasperare. Il loro rapporto era sempre stato questione di fisicità, oltre che di totale fiducia nel sapere perfettamente le qualità, le ossessioni, e le lacune dell’altro. 
Ma quei contatti recenti che stavano vivendo erano diversi, da far scoppiare l’intera zona dello stomaco e un offuscare i sensi - ma quello era senz’altro per via della febbre. Senz’altro. 
 
Zoro pensava solo al fatto che ogni parte del corpo di Nami gli sembrava soffice, ancora di più con quella debolezza in corpo. Aveva appena scacciato la freddezza della solitudine che lo aveva colpito in pieno dopo aver provato quel tocco, quello scambio di attenzioni reciproco. Anche per lui si era rivelato difficile tornare indietro, dimenticare.  
“Allora ti sei decisa. L’hai accettato.” 
“No, mai.” 
“Allora perché sei qua?” 
“E tu perché fai tutto così facile, invece?” 
“Mi sono già rassegnato da tempo che saresti stata un problema nella mia vita, cosa cambia aggiungere un rito qualunque per celebrarlo.” 
Gli tirò l’orecchino. 
“AHIO” 
“Cosa cambia? Cambia che si tratta di prendere un impegno serio con una persona con cui condividere tutto. Onorarla e rispettarla, dandole i propri soldi.” 
“E non lo faccio già ogni giorno?” Sospirò rassegnato al suo destino. “EHI LA PARTE DEI SOLDI NON ESISTE.” 
“E tu sei invece uno squattrinato! Non puoi certo occuparti di me!” 
“Ti ripeto che questa parte non c’è!” 
 
Più facevano quei grossi respiri, più si ricordava che tutto quello era reale. Entrambi sudaticci, febbricitanti, appiccicosi, doloranti ai muscoli, deboli, pervasi dai brividi - difficile poi distinguere quali per la febbre e quali per il contatto dei corpi. Due corpi che si alzavano e riabbassavano ad ogni fiato o sospiro. Due affanni che si univano a ritmo, occupando l’ambiente e cercando di non svenire. 
La rossa gli accarezzò la nuca verde, passandogli una mano tra i capelli, appena più lunghi del solito - un gesto che fu ampliamento gradito. Le risposte del corpo erano sempre piuttosto chiare rispetto a quelle della mente. 
“Anche il temibile Roronoa ha bisogno di attenzioni.” 
Sussurrava, per non disturbare l’abbraccio, sentendolo prima contrariato e poi arreso alla verità che non poteva negare, affondando sempre più il volto in lei, come a nascondere quella sua piccola e innocente vergogna. La febbre non aiutava, proprio come era successo con la pillola della volta precedente; c’era sempre qualcosa che lo rendeva più audace o arrendevole. In entrambi i casi, cedeva alla voglia umana di calore dell’altra. 
Nami sapeva che lui era suscettibile a questo comportamento che sicuramente nei giorni successivi, da lucido, si sarebbe dannato da solo per aver agito in questo modo poco virile, e adorava stuzzicarlo ricordandoglielo lei stessa. Si divertiva quindi, ma allo stesso tempo, le sue stesse tenebre si stavano intensificando, lontane gli occhi, lontane dal cuore. In una parte più cupa, dove racchiudeva tutto il suo passato. 
Zoro era una luce diventata troppo abbagliante. Non era una questione di amore, né di profondità, poiché erano sentimenti che già li univano da sempre, come univano tutti loro; quindi, non c’era da stupirsi così tanto per questo. Ma si trattava di estensione. Lui poteva essere la sua? 
Una parte di lei procedeva a tentoni nell'oscurità, in cui cadeva costantemente, dove c’erano tutte le paure e i dubbi, e un'altra, nello stesso istante, procedeva rapida, senza indugio, come in quel momento in cui aveva seguito solo la sua volontà, raggiungendolo senza vergogna. 
Poteva sentirsi completa solamente quando le due parti si sarebbero ricongiunte e affrontate. E lei si sarebbe sentita in grado di ricongiungerle?  
 
“Perché hai detto loro che devo decidere io sul nostro futuro?” 
 
Nami stava incontrando numerosi specchi immaginari in quel momento, specchi rotti che la vedevano riflessa in pezzi e con cui doveva confrontarsi uno per uno. Sentiva dei sussurri, vedeva immagini distorte. Che razza di responsabilità le voleva appioppare? 
Era ovvio che nonostante il futuro che si era presentato alla porta e nonostante il destino le parlasse, sapeva che loro dovevano decidere insieme su cosa fare veramente. Aspettare o muoversi? Lasciare tutto immutabile? 
 
Ma poi lui era lì, nitido e reale.  
“Io ho già fatto la mia scelta.” 
Sembrava quasi una promessa, vera, autentica, motivata. 
La voce pastosa ma ferma. 
 
Ma che diavolo ha deciso? 
Nonostante fosse piuttosto ovvio. 
 
La sentì rabbrividire sotto le sue mani. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_________________________________________
Salve ciurma, 
Stavolta ho aggiornato tardi. È vero sono stati gli impegni, ma ammetto che c’è stata anche una forte crisi di panico - ovvero, mancanza di fiducia nelle proprie capacità. Eh, lo so, non si deve cedere per così poco, ma è più forte di me, forse ci ho creduto troppo ma non sn capace. Ehehe. 
Ad un certo punto ho avuto la sensazione di essere uscita fuori strada, e di odiare tutti i capitoli precedenti. Vabbè, cose che capitano, ordinaria amministrazione, probabilmente.
Non so, ditemi voi. 
Spero la prossima volta meglio. 
Vi saluto,
Roby 
 

 

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Capitolo 12
*** Parole amare ***


Capitolo XII 
Parole amare 

 
 
 
 
 
 
“Stare insieme é più importante di come stare insieme.”
 
 
 
Tra spossatezza, il sentirsi fiacca ed essere gracile, in quella intimità che non si sarebbe mai aspettata avrebbe vissuto con nessuno, figurarsi con lui, non era capace di rendersi conto della realtà, le sembrava di essere dentro un sogno chimerico, quasi inopinabile, se non fosse per quel respiro affaticato che si schiantava sul suo corpo. Si era addormentato, Zoro, su di lei. Ne aveva sentito la fronte ancora calda, pensando quindi che i suoi discorsi e i suoi gesti potessero anche essere legati al suo stato delirante. 
Conosce i suoi lati più vulnerabili, Nami. E in quel momento, in cui riusciva a scorgerlo leggermente in viso, poiché la vista era coperta dalla cupezza della stanza e dal suo petto prosperoso, lo vedeva per la prima volta fragile. Respirava con la bocca, stremato dalla febbre, le guance appena arrossate, il sudore ai lati del capo, la pelle scottante e spesso veniva pervaso da un brivido di freddo che gli attraversava il corpo. 
Nami, anche se ridotta come lui, era più lucida, probabilmente aveva una o due linee in meno di febbre adesso e, mentre continuava a passargli la mano sulla testa, pensava a come fosse stato possibile quell’essersi ammalato per così poco. 
Era riuscita a tirar su la coperta per avvolgerli entrambi, sentendolo muoversi appena. Chissà se quel suo essere così avventato e stranamente bramoso di un contatto, rientrava in quel suo stato più vulnerabile. 
Nami ricordava bene di quando le aveva detto di essersi sentito così davanti a lei, e solo per delle stupide ferite che non voleva farle medicare. 
Ma quanto poteva essere orgoglioso? 
E invece, adesso, l’abbracciava. Si stava nuovamente lasciando andare a lei. 
Cosa nascondi Zoro? Che sentimenti? Quali bisogni? 
 

Lei voleva sapere la verità insita dentro di lui - tutta la verità; mentre voleva eludere la sua. 
Zoro é quella persona che si teme d’incontrare, di trovare sul proprio cammino, poiché riesce a guardarti dentro, a sapere tutto di te, a spingerti a dare tutta te stessa. Quella che fa battere il cuore al sol pensiero, al sol sfioramento. Che fa perdere i sensi. Quella che ti può ferire davvero, dando alla vita l'opportunità di colpirti forte, se dovesse andare male. E non ci sono mani con cui difendersi in quella camera interna di spettrali torture. 
Nami sa questo. 
Ed entrambi sono consapevoli che l’amore e il rispetto reciproco non sono mai mancati; quindi, non è questo che stanno realmente scoprendo, un sentimento radicato da tempo, che li avrebbe uniti comunque a prescindere.
'Stare insieme é più importante di come stare insieme.' 
E Zoro questo lo sapeva. Quella testa vuota poteva sbagliarne tre su quattro, ma quando ne azzeccava una, lo faceva bene. Così le aveva detto prima di crollare sul suo addome, quando l’aveva sentita tremare alla sua precedente affermazione.
Certo è che nelle parole di Zoro non c’è mai stato nessun accenno di romanticismo, ma sapeva arrivare dritto al punto, in qualche modo. 
Si, Nami ne era sicura, Zoro era quella persona che si teme d'incontrare, perché capace di cambiarti la vita. 
E lei, nonostante sentisse che in fondo erano sempre loro e lei era ancora sé stessa, tanto era comunque cambiato, come il bisogno di non riuscire più a rinunciare a quei contatti, per esempio. La preoccupazione per lui era uguale. La voglia di criticarlo c’era ancora. Di comandarlo pure. Era tutto dannatamente uguale. Ma quando si prova il cioccolato, e si scopre che questo piace, diventa difficile lasciarlo. E non importa per quanto tempo lo si ha evitato. Tutti quei sacrifici o pulsioni trattenute a lungo diventano futili, solo una grande e dolorosa perdita di tempo che scema con un solo piccolo e innocuo assaggio. 
 
Lui aveva scelto di vivere alla luce del sole e affrontare tutto della vita, uscire dal guscio e vivere il loro rapporto presente e futuro. Lei voleva l’opposto, scavare sempre più in fondo, scendere a patti con il fantasma del demone che le vive dentro e cercare in tutti i modi di sfuggire al possibile dolore dell’illusione. Nami, cercava di aggrapparsi in tutti i modi con stoicismo alla realtà, pur di non cedere. E per vivere la realtà serve coraggio, braccia e gambe per combattere, così che la guerra possa essere vinta. Ma era stranita poiché, nonostante tutto, anche Zoro era uno così, come lei, anche se si affidava sempre e totalmente al suo istinto e allo stesso fato. 
 
Quella specie di proposta che le aveva avanzato era stata priva di malizia o qualsiasi tipo di smanceria, ed ebbe comunque il potere di farla tremare. E lui aveva sentito. Questo probabilmente la imbarazzava più di ogni altra cosa poiché l’aveva messa in una posizione in cui si sentiva troppo scoperta.
Lei era sempre stata sicura di sé stessa, ma non appena lui l’aveva toccata, toccata veramente, con quello sguardo severo, sicuro, protettivo, capace di penetrare la pelle fino a sentirlo trafiggere, lei aveva avvampato, per la prima volta nella vita, e per un uomo. 
Sentirsi abbracciare in quel modo così semplice da lui era straniante ma al contempo piacevole ed elettrizzante. 
 
 
Lo sentì muoversi ancora più di prima, agitato. 
“Zoro?” 
Scese con la mano sulla sua fronte, scoprendo con piacere che forse era un po’ meno calda. 
“Uhm” 
Lui mormorava solo, un po’ confuso, solleticandole l’addome un’altra volta. Ma poi lo vide reagire svelto, resosi probabilmente conto della sua sfrontatezza, staccandosi dall’abbraccio e mettendosi seduto. Le coperte scivolarono via seguendo lo spostarsi del suo busto, e Nami rimase con una mano per aria. 
“Che ti prende?” 
Il respiro pesante non era cambiato poi molto, e mentre lui fissava il vuoto che aveva davanti, lei aveva intuito che si era sentito a disagio. 
“Sei ancora qua?” 
Zoro aveva perso quel tono semplice e leggero, e il suo parlare impulsivo era dovuto all’agitazione. 
“Ti sto controllando, scemo.” 
Ora che aveva riacquistato un po’ di lucidità, forse era stata la sorpresa di risvegliarsi all’improvviso in quell’abbraccio a farlo rizzare come un animale selvatico spaventato. 
Nami si mise seduta raggiungendolo alla stessa metà del letto, due mani sulla testa che lo sorpresero ancora. 
“Smettila!” Si oppose. Stava reagendo in modo irruente, ma solo a parole.
“Sta’ zitto!” Due mani che dalla fronte scesero alle guance, e poi una al collo, constatando sollevata che Chopper aveva fatto una nuova medicazione - prima non si era resa conto. “Sei ancora caldo, scordati di alzarti!” 
Lo sentì grugnire nervoso. Solo lei sapeva renderlo così suscettibile. Si vedeva che non era proprio abituato a stare male, sentendosi così debole e fragile, e a trovarsi poi avvinghiato a una donna, a lei, all’improvviso. 
“Sdraiati!” 
Era Nami che aveva acquisito il tono severo, adesso, lo stesso che rammentava che non avrebbe accettato disobbedienza. 
“Non darmi ordini!” 
“Ma come, qualche ora fa eri gentile e disponibile e adesso fai l’antipatico?”
“Succede quando qualcuno ti occupa tutto lo spazio.” 
Si era voltato per metà e lei le aveva viste subito le gote arrossate. Allora era vero che si era sentito in imbarazzo per averla abbracciata e per essersi addormentato in quel modo. Era nuovamente vulnerabile, e quello era il suo modo per reagire. 
Così decise di stuzzicarlo un po’. 
“Vuoi sposarmi ma non condividere il letto?”
“Smettila di farneticare.” 
“L’hai detto tu.” 
“È stato per la febbre.” 
“Sanji ha ragione, non ti prendi mai le tue responsabilità.” 
“Lascia fuori quello lì da questo discorso!” 
“ ‘Io ho già fatto la mia scelta…’ “ lo schernì, imitandolo nella voce. 
Lo vide quasi contorcersi. 
“Hai davvero deciso di farmi impazzire?” 
Ma aver alzato quei toni lo aveva costretto ad abbassare il capo e chiudere gli occhi per un forte mal di testa. 
La rossa lo notò subito e, preoccupata, lo tenne per un fianco, evitandogli di cadere a faccia in giù nel letto. “Insomma, vuoi sdraiarti?” 
Non sembrava più un ordine ma una seria preoccupazione. 
Lui non ripose ma si fece guidare lo stesso da lei che, indietreggiando e appoggiandosi allo schienale, lo fece appoggiare con la testa alla sua coscia destra, non dimenticando di tirare nuovamente la coperta fino al collo di lui. Preso dal mal di testa cronico, che ora sicuramente stava anche influenzando il suo umore più del dovuto, l’aveva lasciata fare, non avendo molti mezzi e forze per contrattaccare. 
Lei gli massaggiava le tempie e i cappelli, sperando che fosse il modo giusto per allietare quel fastidio. 
“Arrenditi…” gli disse vittoriosa. 
E allora non lo sentì più lamentarsi. 
 
 
Era sveglio però. E Lo sapeva bene anche lei, poiché il modo di respirare era differente. Però aveva ceduto, si stava facendo viziare in silenzio. Poteva essere quella una sua piccola vittoria?
 
 
 
 
 
Scoprirsi innamorato di una donna era per Zoro straniante quanto inebriante. Che bizzarra era la sorte! Che tiri balordi che poteva giocare, anche se da un certo punto di vista, potevano anche mozzare il fiato.  
Mai si sarebbe aspettato una simil situazione. E mai si sarebbe aspettato di discutere con Nami di cose come quelle: matrimonio, bambini, carezze. Le sue gote divennero più rosse, almeno quello che pensava stesse accadendo dentro di sé. 
Si imbarazzava per così poco, nonostante riuscisse a mantenere lucidità su tutta la questione. 
Lei, era la stessa Nami che lo aveva fatto impazzire un giorno sì e l’altro pure. Quella donna violenta, opportunista, fifona, che pensava sempre al vil denaro. 
Ma che c'entrava con lui? Quante volte l’avrebbe voluta mandare al diavolo? 
Eppure, quella chimica che vedeva i loro corpi ballare al minimo contatto, o quei cuori che battevano e si fermavano all’unisono, era molto più importante di tutto il resto, che in confronto erano solo piccolezze. 
Ma risvegliarsi così, scoprire che ogni debolezza lo rendeva cascante, un allocco in preda agli ormoni e sentimentalismi, lo aveva a dir poco agitato. Da che mondo e mondo avrebbe permesso a sé stesso di diventare un babbeo bisognoso di attenzioni e cure. E non che gli fosse dispiaciuto, affatto. Ma in quel momento, già provato per essersi mostrato debilitato, stava incolpandosi per aver anche perso le sue facoltà mentali da guerriero e il suo autocontrollo, che ormai, da giorni, era andato a farsi fottere. 
Il contatto con la pelle soffice di Nami lo aveva mandato in tilt, ancora più di tutte le altre volte. Stavolta aveva superato il segno, poiché non era del tutto cosciente. Anzi lo era in realtà, poiché era stato sé stesso ma senza troppe inibizioni, mostrando ciò che voleva fare e pensare. 
E ora ne pagava le conseguenze, togliendo fuori le unghie, per nascondere quella vergogna.  
 
“Allora? Mi dici che cos’è che avresti deciso?” 
E dal momento che lui aveva scelto il silenzio, Nami aveva optato per incrociare le dita in quei capelli, stringendoli un po’ in una presa e tirandoglieli appena a mo di incoraggiamento alquanto violento. 
“Lo hai già capito.” 
“Tu vuoi sposarmi.”
“Umh.” 
Nami recuperò il proprio coraggio, affacciandosi con la testa sopra la sua, fissandolo timidamente proprio mentre lo faceva anche lui. Per Nami non aveva senso rimandare a oltranza quella inderogabile conversazione e, nonostante la paura di quello che avrebbe scoperto andando in fondo, non poté fare a meno di affrontare la realtà dei fatti. 
Zoro lo aveva intuito dal solo sguardo e, sospirando arreso, capì che, anche se sotto il delirio della febbre, di doverla affrontare, e questa era probabilmente la sua più difficile battaglia. 
L’uomo distese le labbra, senza aspettare che lei aprisse bocca, incupendo all’improvviso lo sguardo. 
“Quel che è fatto é fatto, ormai. Dobbiamo accettarlo.” 
Lei mutò l’espressione sul suo volto, che da timido si contorse in qualcosa di intraducibile. 
“Io continuo a non capirti! Perché vuoi essere così enigmatico?” 
“Rin!” Le urlò dritto in faccia. “Vuoi impedirle di nascere?” 
Aveva stretto le mascelle, alzandosi allo stesso tempo dal suo grembo e mettendosi anche lui seduto, con il capo appoggiato alla spalliera. “Non comportarti da sciocca ignorando ciò che conta davvero.” 
La riprese bruscamente, senza più dedicarle attenzione o alleggerire il tono. Aveva smesso di avere tutti quei riguardi di quella stessa sera. Si era sentito troppo scoperto e troppo in fretta. 
Era stata solo la febbre a renderlo più docile? E quando era rimasto fuori sotto la pioggia con lei, non significava niente? E quando le aveva stretto la mano? 
“Quindi è questo che hai deciso. Sposarmi per permettere a Rin di nascere?” 
“Tu non vuoi che nasca?” 
Ancora brusco e antipatico. 
 
Nami si era già arresa. È come se in quel momento avesse confermato tutti i suoi dubbi e paure, come se in quelle parole fosse racchiuso un obbiettivo e non un sentimento. 
Stringeva i pugni forte, sentiva tutto il suo interno voler scoppiare. L’aveva ferita senza nemmeno rendersi conto. L’aveva squarciata. Il dolore che tanto avrebbe dovuto evitare si era già presentato, e anche prima del previsto. 
Lo captava che la stava osservando con la coda dell’occhio, ma non c’era modo per lei di trattenere le sue emozioni. 
“Perché ti arrabbi?” 
“Perché sei un idiota.” 
 
Era questa la migliore dichiarazione d’amore che meritava? Era questo il massimo a cui ambire per il suo futuro? 
Lui non aveva fatto altro che dirle di avere fiducia, di non avere dubbi, di lasciarsi guidare dal suo istinto, che infatti si era appena rivelato dannatamente vero. Lui non provava niente più dei sentimenti che già c’erano tra loro. Tutta quella sicurezza che aveva era legata solo al suo onore, al suo modo di essere così “giusto”. Non avrebbe mai impedito a quella bambina di nascere. Lui era così. E avrebbe sacrificato tutto per farlo. Era dannatamente buono. Ma anche dannatamente stupido e involontariamente crudele. 
“Non sappiamo nemmeno cosa significa la nascita di Rin.” Continuava a stringere i pugni arrabbiata e ferita. “E se nel futuro la sua esistenza rimanesse invariata, cosa faresti?” 
Il silenzio era diventato tensione, la tensione era diventata ansia, l’ansia era diventata rabbia. 
“Ma io che diavolo ne so.” 
Denti serrati, sguardo furioso, una nota di imbarazzo nascosta sotto quegli strati di pelle. “Allora non saresti costretta a sposarmi, se questo ti preoccupa tanto.” Aveva messo le braccia incrociate, segno che stava riprendendo a muovere meglio la muscolatura. 
Già da un po’ si era allontanata da quella spalliera e, adesso, era voltata per guardarlo dritto in volto, in quella sua solita posa arrogante.  
‘Stare insieme é più importante di come stare insieme.’” 
Ancora una volta riportava in aria una frase sua che le aveva fatto battere il cuore. “Sbaglio o sei stato tu a dirlo?” 
Ingurgitò qualcosa lui, probabilmente era saliva. “Eh allora?” Nervoso e imbarazzato, ma non si lasciò scomporre di più. 
“Eh allora devo averla proprio fraintesa!” 
Uscì dalla trappola della coperta, tirando fuori le gambe, pronta per scendere dal letto e fuggire da quella stanza, delusa e amareggiata. 
Lui lo aveva capito subito che stava andando via, scappando come al suo solito da quella piccola battaglia confusa, senza vincitori ma solo vinti. 
E ancora una volta si trovava combattuto: voleva stare solo, ma sapeva anche che ne avrebbe risentito di quell’assenza, dopo. “Non dovevi controllarmi?” 
“Mi pare che stai bene.” 
Stava infilando le ciabatte ai piedi. La posa rigida, il viso contratto, i segni delle unghie conficcate nella pelle delle mani rimasti visibili. 
Aveva superato il letto sotto il suo attento e silenzioso sguardo.
“Zoro” una volta arrivata alla porta, immersa nella cupezza della stanza con un solo lumino acceso, che era lo stesso buio che ora viveva dentro di lei, lo aveva chiamato senza però guardarlo in volto. 
“Io non ho alcuna intenzione di sposarti. Nè ora, né mai.”  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice________________________________
Eh. 
Capitoli medi, capitoli lunghissimi e capitoli corti come questo. 
Insomma, non riesco proprio a fare una migliore suddivisione in capitoli, ma mi lascio trasportare dal sentimento che voglio tramettere all’interno dello stesso.  
 
Che dite, c’è troppa glassa? 
 
Zoro, Zoro, Zoro, stavi andando bene. E adesso perché hai rovinato tutto? 
 
A presto,
Roby 
 
 

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Capitolo 13
*** Una dolce sconfitta ***


Capitolo XIII
Una dolce sconfitta 

 
 
 
 
 
 
 
Se lo avesse capito prima che era di certe conferme che il suo ego aveva bisogno, avrebbe potuto anche dargliele.
O forse non ci sarebbe riuscito lo stesso.  
Amore.
Da quando lei ha bisogno di sentirsi dire certe sciocchezze? Non c’era già abbastanza amore su quella nave? Da quando aveva iniziato ad essere così bisognosa di conferme più esplicite? 
A questo pensava Zoro, fuori, sul ponte, mentre il suo corpo riprendeva a bagnarsi ancora una volta dalla pioggia incessante come eterna tortura. Era servita la lezione della sera prima, ma l’aria dentro era diventata così irrespirabile che lo stare fuori sotto alla pioggia era quasi preferibile, mentre continuava a vagare con la mente, come bloccato sul posto, con le mani sulla ringhiera del secondo piano della nave. 
 
Freddo. 
Un brivido di gelo lo aveva attraversato dalla punta della testa fino alla schiena, procurandogli una fitta lancinante al petto quando lei aveva lasciato la stanza. Tutta la calma che era riuscito a raccogliere era sparita in un lampo, ripiombandolo in uno stato di agitazione immediata, un’emozione che non era abituato a dover gestire. Combattere un dolore, un insulto, una delusione, un tradimento reali, poteva essere infinitamente meno difficile che passare una notte a lottare coi fantasmi di quelle parole uscite direttamente dalla sua bocca. Erano state piuttosto semplici ma, a Zoro, non erano piaciute. Pungenti e fredde come quella stessa notte, come lei quando si metteva in posizione di difesa. 
Lontano dalle sue mani, dalla sua voce, dai suoi occhi, dal suo collo, dal suo profumo, l’aria era sembrata più fresca e la sua mente aveva ripreso lucidità. 
L’aveva guardata voltarsi, seguita con l’occhio mentre scendeva dal letto e, mesta, andava via; nel freddo di quella notte lunghissima, con la pioggia che faceva rumore e con i bollori della sua pelle ancora provata. Avrebbe potuto fermarla, avrebbe potuto chiederle un chiarimento. Ma rimase lì, fermo, nella consapevolezza di aver deciso per la cosa più giusta, e di aver bisogno di spazio da lei per poter respirare. 
 
Le nubi cariche di pioggia oscuravano il cielo, riversando al suolo, senza sosta, in enormi pozze d’acqua. Acqua non pulita che, confondendosi con lo sporco del ponte, diventava ancora più scura. 
Zoro era proprio lì, ripresosi dalla febbre, ma ferito dentro, intento a raggiungere la palestra all’oscuro del medico. 
Sentiva il puzzo acre dell'acqua invadergli le narici con prepotenza, al punto che, paradossalmente, più respirava e più si irritava. A lui non piaceva sentirsi così, soprattutto se quel fastidio nasceva come effetto provocato da altri. O qualcun’altra. 
Fu impossibile evitare di riportare la mente a qualche minuto prima. 
 
 
“Qual è il problema, me lo spieghi?” s’incaponì lui, cercando di farle comprendere il proprio punto di vista quando l’aveva incontrava in cucina quella mattina, sotto lo sguardo preoccupato di Rin, e incuriosito di Robin, Rufy e Usop, che ringraziavano per l’assenza di Sanji. 
S’impose di respirare lentamente, per riprendere pieno controllo dei suoi pensieri. Zoro se ne era stato a rimuginare su chissà cosa per molto tempo quella notte, nel letto, decidendo che avrebbe dovuto mettere più distanza tra lui e Nami, in modo da lasciarle spazio senza nemmeno capirne il motivo; ma era difficile quando vivevano sulla stessa nave, soprattutto se incontrandola, con quello sguardo furioso nei suoi confronti, gli si drizzavano i nervi. 
 
Quella specie di lite sembrava particolarmente strana agli altri membri della ciurma, perché era chiaro a tutti ormai che lui sembrava si stesse pian piano avvicinando a Nami e lei, nonostante le sue reazioni esagerate, sembrava felice che lui ci provasse. 
 
Sbuffò, la rossa, accavallando le gambe, seduta sul divano mentre lui, pronto per andare ad allenarsi, vicino alla porta, si era voltato a guardarla con le rughe della fronte parecchio evidenti. 
“Allora? Sto aspettando una spiegazione per questa tua dannata rabbia! E che sia sincera!” 
“Perché non lo dici a loro” la ragazza indicò gli amici con la mano, senza mai distogliere lo sguardo da lui “…quello che mi hai proposto.” 
Lo spadaccino diventò bordeaux, imprecando silenzioso per il fatto che quella stupida stava spifferando le loro cose private a tutti. 
Calò il silenzio. 
 
“Insomma! Volete parlare?!” 
Sbottò Usop alzandosi in piedi e sbattendo le mani sul tavolo. “Possibile che non riusciate a stare in sintonia per più di un giorno?” 
 
Nami vide Zoro irrigidirsi, come sempre accadeva quando lui si rendeva conto che i suoi pensieri potessero essere sbandierati pubblicamente a causa della vena sadica di lei nel volerlo mettere costantemente in imbarazzo. 
 
Stava piovendo talmente tanto che tutto quel mondo si era come sgretolato ad un certo punto, lentamente, impercettibilmente. Lei poteva diventare un uragano vero e proprio, e avrebbe dovuto aspettarselo, lui, che avrebbe potuto ricadergli addosso proprio fin da subito. 
Invece stava solo attendendo, serrando i denti, osservandola negli occhi e udendo il cielo rabbioso da dietro le sue spalle. Non riusciva a smettere di fissarla, dalla rabbia, dal nervoso, ma soprattutto dalla confusione. Perché non la capiva? Cosa voleva insinuare? Lui le aveva fatto la proposta più giusta, cos’altro voleva di più? Cos’altro ancora poteva darle? Le stava dando tutto, pure la sua libertà. Cos’altro c’era che non si era presa da lui?
Poi, un fruscio.
 
“Zoro mi ha proposto il matrimonio.” 
 
Gli abitanti della cucina sgranarono gli occhi all’unisono, in reazioni divertite e sconvolte.
'Possibile che siano già a questo punto?’ Pensava Usop, mentre cercava di smettere di muovere gli occhi come uno squilibrato.
Che coraggio.’ A Rufy era perfino volato il cappello sul pavimento, e aveva impiegato molto più tempo del solito per andarlo a recuperare.
Robin sorrise come al solito, poco sbalordita m colpita da quell’avventatezza. 
Ma la ladra aveva tenuto ben calda e in serbo per dopo alla platea la sua frase ad effetto, accennando quel suo mezzo sorriso furbo e monello, come fosse una bambina capricciosa che stava per spararla grossa. 
 
“Ma lo ha fatto per far nascere Rin. Non per un gesto d’amore nei miei confronti.” 
 
Eccolo, quel dolore uscire allo scoperto. Quel tono pungente. 
Era questo allora, per questo motivo quel cielo colorato era diventato grigio. Era semplicemente per questo. Lui non poteva fermarlo, quello scoppio di dolore. 
Nami non stava nemmeno sperando che fosse finalmente arrivato il momento di confessare i suoi veri sentimenti - se ne aveva di nuovi per lei da dichiarare - voleva solo sfogarsi, voleva solo pungerlo nel suo orgoglio e fargliela pagare. 
“E questo che sono gli uomini d’onore? E il mio di orgoglio, allora? Come dovrei sentirmi? Come un oggetto usato per uno scopo?” 
Le bocche spalancate di Usop e Rin cadere a terra si potevano sentire senza bisogno di vederle. Robin aveva sospirato, rimangiandosi la serenità di poco prima, e Rufy, beh, era Rufy, probabilmente non aveva capito più il senso del discorso, visto come continuava ad ascoltare con un punto di domanda schiaffato sulla faccia, mentre raccoglieva il cappello da terra. 
Tacque per un po’, Zoro, indisponendola. Ma prima che Nami potesse insultarlo malamente, il ragazzo si decise a controbattere. 
“Smettila di raccontare bugie o quella che tu pensi sia la verità.” 
Sollevando gli occhi al cielo, la ragazza stava per lasciar andare un verso insofferente, ma lui non aveva finito, seppur stanco e arrendevole. “Un po’ più di fiducia non ti farebbe male, sai?” 
 “Fiducia un corno!” 
L’irritazione di Nami era alle stelle.
Si tolse la scarpa e la lanciò verso il verde che, però, svelto, era fuggito dalla porta, richiudendola alle sue spalle prima che potesse colpirlo, ricadendo così a terra.  
 
 
 
 
 
Quella notte, la navigatrice, ritornata silenziosa nel suo letto con una morsa che le stringeva lo stomaco, soprappensiero, aveva mosso una mano in aria, sfiorando il vuoto, il buio. Non era riuscita a dormire, proprio no, riposare tranquillamente sembrava oramai un’utopia, perciò, aveva quelle occhiaie e lo sguardo pesante che tutti potevano sentire. 
Prima o poi tutto sarebbe tornato normale? No, niente sarebbe più potuto tornare normale. Lei non sarebbe tornata normale. Perché ciò che stava vivendo la stava cambiando, le stava facendo scoprire verità che non poteva nemmeno immaginare.
Se avesse accettato di fare anche lei la cosa giusta, avrebbe probabilmente sofferto tutti i giorni, avrebbe perso il suo di orgoglio ad accettare una vita con Zoro sapendo che lui non l’avrebbe mai voluta altrimenti, vivendo senza quella scintilla che lei invece sentiva dentro voler accendere e bruciare all’infinito. E se, scegliendo la sua dignità di donna, avesse rinunciato a fare la “cosa giusta”, allora sarebbe stata una persona orribile agli occhi di tutti. Anche a quelli di lui. Anche ai suoi. 
Aveva stretto in un pugno quella mano che aveva osservato volteggiare per ore sugli occhi. La stessa mano che lui aveva stretto qualche sera prima. 
 
Nami non avrebbe mai potuto dimenticare. Non avrebbe dimenticato della figlia che avrebbero potuto avere, cui si era ritrovata ad amare, non avrebbe dimenticato che quella linea temporale esisteva, ed esisteva tutto ciò che aveva provato. I ricordi non sarebbero mai svaniti. 
Ma il ricordo più vivido, quello che mai in assoluto l’avrebbe abbandonata, era nero come l’oscurità e verde come la speranza. Si, verde come la speranza, come quel verde assurdo dei suoi capelli. Lui era la speranza, la sua, l’unica. 
Ormai finiva sempre a pensare con le iridi spalancate a ricordi e momenti in cui gli vedevano così vicini, eppure ora erano così lontani. 
 
Ma la sua mano era stata sulla sua quella sera in un gesto così inequivocabile di sicurezza e sintonia, tanto che ne aveva sentito il cuore vicino, quasi come a poterlo toccare… perché era lì, lo aveva nella mano, in quella stretta che non aveva lasciato spazio al farlo battere. 
Aveva i brividi in tutto il corpo, seguendo la linea immaginaria che racchiudeva i loro ultimi contatti fisici. 
L’aveva afferrata, lui, qualche sera prima, e anche se solo per un secondo, anche se solo per una stupida pillola, aveva creduto di sentirlo quell’ardore, quella eccitazione per lei. Si erano incontrati per un breve attimo e poi si erano separati. Come sempre accadeva ormai da un tempo infinito. 
Sentì una strana sensazione nel corpo, allungando le gambe e contorcendosi, in preda a lascivi pensieri. Aveva dimenticato come in quell’episodio le aveva sfiorato la pelle, afferrata per le gambe con sicurezza, in tutto il suo vigore, con uno sguardo intenso quasi spaventoso ma abbastanza caldo da mandarla in ebollizione. Non ci aveva mai veramente riflettuto a quell’incontro, talmente era stata presa dalle sue paure e dalla storia di Rin. 
Chissà se lui lo ricordava, chissà cosa aveva provato. 
“Stai alludendo che tu sei più speciale per me?” 
Le aveva detto in preda a quel gioco elettrizzante, con un ghigno sfrontato sulla bocca. E quella bocca…se la ricordava bene a due centimetri dalla sua. Sicuramente, Zoro, non lo aveva mai visto così, sotto quella veste di amante. Ma fu inebriante ricordare e stuzzicante risentire. Si era spinto oltre quella sera, ed era da lui farlo, ma solo in un combattimento. Anche se quella volta la ricordava così, come una specie di scontro tra loro. Eppure, lei sapeva che quella dannata pillola non spingeva a commettere azioni non volute, poiché l’aveva assunta lei stessa, e quella volta non aveva fatto altro che cercare una sua carezza, perché la voleva. 
Sgranò gli occhi nel buio. Perché non ci aveva pensato prima? Vabbè, in fondo è anche un uomo, con gli occhi e le mani e…si sentì bruciare a quel pensiero. E lei non poteva essergli davvero indifferente come invece lui faceva credere. Anzi, lo sapeva, perché lo aveva sentito più volte da quel corpo. Il corpo è più sincero della mente, si ripeteva. 
Si era portata quella stessa mano sulla fronte a sentire se stesse ancora bollendo per la febbre o per altro, dal momento che si era ritrovata a pensare alla parte più intima di Zoro…e non si trattava dei sentimenti. 
D’altronde, per mettere al mondo Rin non serviva certo il matrimonio. Non serviva farsi chissà quale promessa ufficiale in un qualsiasi rito. 
Ancora le gambe che si stringevano e contorcevano, mentre pensava a lei con Zoro in un altro rito, decisamente meno adatto ad un pubblico. Era forse impazzita? Perché lui era nudo sopra di lei e la guardava come aveva fatto quella sera? 
Chiuse gli occhi in preda ai brividi. Non era da sola in quel letto e si stava decisamente muovendo un po’ troppo, rischiando di svegliare Robin e farsi scoprire eccitata come non lo era mai stata prima. 
Ma quello sguardo. Non aveva nemmeno bisogno di soffermarsi sul corpo di lui poiché quel ghigno che le aveva presentato quella sera, con quegli occhi accesi e impazziti, bastava e avanzava per non sentirsi più con i piedi per terra. Aveva spinto la sua mente a non pensarci più per troppo tempo. 
Si ricordava di quell’autocontrollo che lo avrebbe fatto fermare seppur in balia di un farmaco, anche se per prima era stata lei a levarselo di dosso. 
Perché lo aveva fatto? 
Perché sapeva che Zoro si sarebbe sentito tremendamente in colpa se avesse finito per toccarla ancora di più. Ma anche perché aveva avuto paura. Paura di quello che aveva provato. 
Zoro non era certo quello che può definirsi un gentiluomo, ma non l’avrebbe mai messa in imbarazzo tirando fuori il discorso su quella sera. Avevano entrambi fatto finita di niente, come se non fosse mai successo. 
 
Ancora nel buio, si strinse al cuscino freddo, provando sollievo dal momento che ancora un po’ scottava.
Era sempre quella la sua sfida: ragione contro cuore. Nami non sapeva a chi dar retta. 
Ma a cosa sarebbe servito dar spazio ai suoi sentimenti se tanto Zoro era quello che era?
A cosa sarebbe servito avere rimpianti, chiedersi ‘cosa sarebbe successo se…’ se tanto la verità era sotto ai suoi occhi?
Nulla, poiché lui era così testardo e non avrebbe mai aggiunto altro, non avrebbe mai esposto veramente sé stesso più di così. L’unico tormentone, il suo, era questa dannata fiducia. Per lui, Nami, doveva fidarsi, doveva lasciarlo fare. Ma come poteva lei accettare un simil rischio? Fosse stato un combattimento, gli avrebbe dato carta bianca, ma in altre questioni come poteva lasciare davvero tutta quella responsabilità a lui? Uno che non capiva la differenza tra amicizia ed essere sposati. 
Ma poi, nonostante la rabbia dovuta al fatto che lui le avesse fatto quella proposta senza prendere in considerazione i suoi sentimenti, si addolcì, pensando a quanto però era stato buono, mettendo la bambina al primo posto, arrivando addirittura a proporle il matrimonio. E dal momento che non era necessario sposarsi per mettere al mondo un bambino, lo era stato, a suo modo, un gentiluomo. 
Ancora un brivido dietro alla schiena che la costrinse a tirare i piedi verso il bordo del letto e attorcigliare le dita, con ancora quell‘immagine di lui che la guardava con quello sguardo che aveva rivelato tante cose, compreso un lato peccaminoso. 
Questo almeno fino alla mattina, quando se l’era ritrovato per caso in cucina, entrato solo a prendere una rapida colazione da consumare direttamente in palestra. 
Si erano fissati entrambi, senza dirsi niente ma rendendo d’improvviso l’atmosfera della stanza tesa. Fu involontaria la sua rabbia, se fino alla notte si era eccitata ad immaginarlo fare tentativi con lei per mettere al mondo un bambino, e in quel momento erano prevalsi i sentimenti che pensava non avrebbero mai trovato riscontro, fulminandolo a vista, e riservandogli sguardi acidi e velenosi, che lo mandavano fuori di testa. 
Lo aveva messo in imbarazzo anche in quell’occasione. Ma ben gli stava. Doveva sforzarsi di più a capire la questione se voleva che lei stesse più rilassata. 
 
 
 
 
 
“Vi sta sfuggendo un particolare estremamente importante” 
Annunciò, Robin, dopo la fuga di Zoro, mentre finiva di consumare la sua colazione, guardando in direzione della compagna. 
“E quale sarebbe?” 
Nami aveva lasciato il divano per andare a riacciuffare la sua scarpa da vicino alla porta. 
“Vi state dimenticando che se Rin è nata, c’è un motivo.” 
Nami a primo impatto non capì, come del resto anche gli altri abitanti della stanza, tranne la bambina, che sospirava affranta ma consapevole, girando il cucchiaio nel latte con i cereali. 
Il capitano si stava spazzolando anche le colazioni degli altri assenti, coraggioso e consapevole che si sarebbe poi imbattuto nelle ire del cuoco. “Ma Nami qual è il problema” disse tra un morso e l’altro “Zoro ti vuole bene.” Sorrise con tutti i suoi denti in vista, ingenuo, e mostrando anche i residui di cibo alla cartografa che intanto aveva una vena che le scoppiava in fronte. 
“Ho capito!” Usop batté un pugno sull’altra sua mano. “Robin ha ragione!” Si alzò in piedi. “Voi ora state affrontando in anticipo una scelta che i voi stessi del futuro hanno preso.” 
“Fin qua ci sono arrivata anche io.” La rossa era indecisa se prendere posto al tavolo o raggiungere quel cretino e suonargliele. 
“Sì, ma state dimenticando che se Rin è nata c’è un motivo, e state dimenticando il motivo, è cioè proprio l’amore.”
 Il cecchino era soddisfatto. Una soddisfazione che morì subito, dal momento che l’espressione di Nami non era cambiata di una virgola. 
“Hai ragione Usopuccio.” Rin lo indicò con il cucchiaio, che però dalla fretta e dalla forza usata, gli aveva lanciato anche il latte con tanto di cereali a seguito. “Ops” 
“Ma sei scema?” le urlò, ripulendosi con un fazzoletto, per poi continuare a parlare con Nami. “Stolta, non capisci? Non saresti mai stata con Zoro senza che ci fosse amore tra voi. Anche perché lo sappiamo tutti che non ha un briciolo di un quattrino…perciò non potresti starci insieme per un secondo fine dedito al denaro! Quei due del futuro siete voi, agite e pensate le stesse cose allo stesso modo di quelli che siete.” 
Sentiva le gambe tremare sotto di lei, presa all‘improvviso da una brutta vergogna che le si leggeva tutta in faccia. In un attimo aveva pensato ai sogni di quella notte, all’eccitazione, al suo lato sorprendentemente sconcio, che in molti avrebbero considerato immorale. Se lei aveva avuto questi pensieri su Zoro, allora gli aveva avuti anche la Nami del futuro, e forse erano finiti insieme proprio per questo. Si portò una mano a coprire tutta faccia, era diventata viola, con la paura di essere scoperta quando sentì Robin cadere in una risata folgorante. 
“Che succede?” Chiese Usop confuso. 
La rossa avrebbe tanto voluto sparire da lì e buttarsi in mare. “Niente, niente.” Muoveva le mani in aria come una pazza furiosa. 
“Sta pensando al sesso” disse Rin senza peli sulla lingua, scuotendo la testa. 
Usop cadde dalla sedia e Rufy sputò fuori tutto il latte. 
“BRUTTA SCIAGURATA” il colore violaceo della sua pelle era appena diventato rosso peperone. “CHI DIAVOLO TI INSEGNA CERTE COSE.” 
“Ho imparato tutto da voi.”
Finì di bere il contenuto con tranquillità, mentre Nami aveva un infarto in atto. 
“Sentì un po’, tu” Usop si avvicinò alla bambina, cercando di parlare a bassa voce “visto che sai già tutto di questa roba, si daranno molto da fare quei due?” Con la mano indicò Nami che capì al volo quale fosse il suo interesse. In mano aveva ancora la scarpa, e sul volto comparve un ghigno di vendetta. 
“Quando non vogliono essere disturbati, si chiudono sempre in camera con la chiave…e mi lasciano con voi.” 
Ma prima che il cecchino potesse replicare era finito steso a terra con il tacco conficcato così bene in fronte da lasciargli il segno. 
La rossa era a pezzi, affaticata per quelle sensazioni, eccitata per quella rivelazione, imbarazzata per la presenza di un pubblico a quella vergogna. Stressata, si appoggiò nuovamente al divano dietro al tavolo nascondendo il viso nelle sue braccia. 
“Dai Nami.” L’archeologa richiamò la sua attenzione. “Hai sentito, no? Vi divertirete parecchio.” 
Nami alzò la testa per fulminarla col suo sguardo peggiore. 
“Quello fa tutto il samurai ligio al dovere e poi…” Usop si stava ricomponendo. “Meno male Sanji non è qua o sarebbe morto sul colpo.” 
“Beh, ligio al dovere lo è…no? Ai doveri matrimoniali.” Franky era appena entrato in cucina ridendo a per di fiato, divertito parecchio da tutto quel discorso che aveva certamente catturato la sua attenzione anche da lontano. 
“Hai sentito tutto anche tu?” Nami si rimise composta, ma sempre più profondata nella vergogna. 
“Si sente tutto qua fuori.” Rispose il cyborg, sghignazzando come un pervertito. 
Ecco, ora poteva buttarsi in mare, pensava, mentre sperava che quel selvaggio dalla testa verde non avesse sentito nulla. 
L’archeologa le andò vicino, sedendosi accanto a lei e passandole una mano sul braccio a mo di carezza. 
“Senti” incominciò. “Tu hai ragione, non é una valida richiesta di matrimonio. Dovete prima chiarirvi e capire cosa provate.” Le sorrise, capendo da quello sguardo inferocito che sotto c’era anche una bella dose di confusione e paura persistenti. “Però”, aveva catturato l’attenzione di Nami che, sentita quella nota di dissenso, non poteva che storcere il naso. “Anche lo spadaccino ha ragione. Rin esiste, perché esistete voi, insieme. Non scordarti di questo.” 
La rossa alzò il capo guardando i volti dei presenti, uno ad uno, tutti profondamente concordi con l’archeologa. 
“Io mi fido di Zoro.” Rufy aveva finalmente finito di mangiare. “Non dovresti mai dubitare di lui, Nami. Qualsiasi argomento si tratta.” 
Si rinfilò il cappello sulla testa. 
Eh insomma. 
Pensava la rossa, escludendo già molti argomenti dalla lista mentale immaginaria che stava facendo. 
“Quelli che contano.” 
Aggiunse Robin, anticipandone il pensiero e finendo la frase del suo capitano, con cui si scambiò poi un sorriso. 
“Sei d’accordo anche tu, Rin?” 
Nami la stava guardando, si era accorta che presa dalla sua emotività, le aveva dedicato poche attenzioni quella mattina. La bambina fece spallucce. “È inutile combattere con te.” Stava svuotando il cesto dei biscotti sul tavolo in attesa di trovarne uno, ma Rufy aveva fatto piazza pulita. “Io posso dirti che sono venuta al mondo per amore e non per sbaglio, ma tanto tu troverai sempre il pelo nell’uovo.” 
“Potesti non saperlo” dissero entrambe, la rossa come risposta alla sua constatazione e la bambina prevedendola nella sua logica, imitandola teatralmente nella voce. 
Nami si portò una mano al collo come reazione, rendendosi conto che la figlia la conosceva proprio bene e che soprattutto era diventata prevedibile. 
“Visto?” Rin la indicò, mentre Franky le stava porgendo due biscotti che aveva preso dallo scaffale in alto, per lei. La bimba lo ringraziò con sguardo illuminato. 
“Arrangiatevi.” Aggiunse poi, azzannando il biscotto. “Basta che mi facciate nascere!” 
 
 
 
 
Aveva fatto un respiro profondo, mentre si trovava sul ponte, bagnandosi ancora una volta sotto quell’acqua piovana. Si maledì per non essere tornata in camera a recuperare prima l’impermeabile, ma quel coraggio che stava cercando di acquisire sarebbe durato poco, perciò avrebbe dovuto approfittarne subito. E così, mentre Robin, Rufy e Rin avevano iniziato a studiare e fare esercizio per imparare a usare il frutto, cercando di prendere qualcosa anche dall’esperienza di bambino fruttato del capitano e non solo dell’archeologa, Nami si stava dirigendo a passo svelto in palestra. Non era ancora sicura sul da farsi, se picchiarlo, urlargli contro, parlarci serenamente o…
E la vide ancora quell’immagine di loro due sul letto, lui con quella sua espressione da assatanato che le stringe le cosce. 
Ma che diavolo mi prende.
Avanzava coraggiosa.
  
È un destino crudele il nostro. I sentimenti di Zoro esistono, ed esistono anche i miei, ed esiste Rin, per quanto ci lasciamo cadere nelle allodole pensando che non riguarda noi, non ci riguarda adesso. Ciò che è stato e cioè che sarà poi, quanto è reale per noi? 
 
Aveva aperto la porta con sicurezza, senza nemmeno bussare, talmente era arrogante e piena di sé. 
 
Immersa nei suoi pensieri, non si era resa conto che Zoro, lasciando cadere a terra due pesi il triplo più grandi di lui che teneva in mano, stava raggiungendola. Probabilmente aveva avvertito della sua presenza prima ancora che varcasse quella soglia privata.  
“Che cavolo fai qua?” 
Il suo tono non tranquillo era parecchio alterato.
Nami non sapeva che lui aveva bisogno di spazio, lo stesso che lei gli stava togliendo ancora una volta. 
“Non hai nessun altro da torturare? Fammi il piacere, trovati un altro passatempo.” 
“Ho qualcosa da proporti.” 
Sospirò già scocciato, mentre lei, esausta, aveva tagliato corto ogni possibile immediata diatriba, non prima però di essersi guardata un attimo intorno, pensando a come dirglielo. 
“Allora?” 
La esortò nervoso, riprendendo a guardarla. Ma lei adesso si era ossessionata a fissarlo sul torace nudo, grondante di sudore. 
Riprenditi. 
“Se è ancora per la questione del matrimonio, mettici pure una pietra sopra.”
Ma lei non parlava più, era rimasta imbambolata, perdendo di vista tutti i suoi buoni propositi. 
Ma lui era impaziente, voleva sapere oppure voleva starsene solo. 
“Non posso leggerti nella mente, vuota il sacco.” 
Tremò, risvegliandosi da quello stato comatoso. Da quando aveva risvegliato le immagini di quella notte, stava torturando mente e corpo, iniziando a sentirsi un po’ depravata. 
Forse è colpa dei residui di febbre.
Si autoconvinceva.
Doveva richiuderle dentro un cassetto col lucchetto o avrebbe dato di matto. 
“Non c’è bisogno del matrimonio per far nascere Rin.” 
Svelta si tappò la bocca con una mano. L’aveva detto a voce alta. Aveva detto quello che non doveva assolutamente dire. Ma era proprio diventata scema? 
Iniziò a tremare, scossa da sé stessa. 
Vide sul viso di Zoro un’espressione confusa, quasi incredula, che poi trasformò in un ghigno, quasi simile a quello di quella sera. 
“È questo che sei venuta a propormi?” 
 
Nami era sconvolta, e lui proprio questo non riusciva a capirlo. Ma perché l’aveva detto se la imbarazzava tanto? 
Però per lui era così bella in quel momento, imbarazzata oltre ogni limite, che avrebbe voluto infierire su di lei ancora per un po’. 
Ingoiando tutta la saliva che si era bloccata nella sua cavità orale, Nami riuscì a riprendere la sua dignità, cercando di uscire da quella figuraccia. 
“Voglio dire” distese un braccio verso di lui. “Che senza amore io non mi sposo. Ho il mio orgoglio, non ti pare?” 
Lui sbuffò contrariato, ma soprattutto esasperato, spegnando velocemente quello stato di ebollizione che si stava già impadronendo di lui. Però, decise di assecondarla, era troppo uno spasso per privarsi di quel teatrino. 
“Ma non sono così orribile da negare a Rin l’esistenza, perciò…” 
“Perciò…” ripeté Zoro con una strana voce in gola. Eccolo di nuovo, faceva in fretta a tornare effervescente ammiccando in quel modo eccitante. 
“Hai capito!” 
Puntualizzò, distogliendo lo sguardo rossa in volto, maledicendosi per essere finita da sola come un’allocca in quella stupida trappola. Si auto sabotava da sola, senza bisogno di altrettanti nemici. 
Ma nonostante l’idea che lei gli stava proponendo gli fece ribollire il sangue, lui cercò di mantenere un contegno, decidendo di affrontare comunque quella pecca nel discorso. 
 
“Mi spieghi cos’è questa storia dell’amore di cui continui a blaterare tanto?” 
Lei cadde dalle nuvole. Si voltò a guardarlo con stupore dimenticando l’imbarazzo in cui si era cacciata da sola. 
“Come sarebbe?” mormorò con la voce spezzata dalla sorpresa di sentire lui così caldo, quasi volenteroso di avvicinarsi.
Vide giusto in tempo quella mano allungarsi verso lei ma fermandosi all’altezza del cuore senza arrivare mai a toccarla. “Non ti basta quello che c’è già? Cosa credi che sia, secondo te?” 
Le sarebbe servita una seduta di rianimazione, dal momento che era andata nel panico come una stupida per non essere riuscita a cogliere quel movimento. 
Che fosse bisognoso anche lui di un contatto fisico? E allora come sempre si era saputo controllare perfettamente. Mentre lei…
Comunque, era così ingenuo. Ma come faceva a non capire? 
“Zoro...”
Richiamò la sua attenzione, socchiudendo appena gli occhi per riaprigli subito. “Lo so anche io che ci vogliamo bene.”
Lo vide incrociare le braccia e guardare altrove imbronciato e serio. Sicuramente pensava a tutto quel marasma che gli era caduto addosso. A lui. Proprio a lui. Era sinceramente a disagio. E lei non era da meno. Eppure, adesso stavano lì, sotto lo stesso tetto, l’uno di fronte all’altra, impacciati. 
Chiusa la parentesi del matrimonio e della futura figlia, avrebbero continuato a parlare come i due amici di una volta senza responsabilità o sarebbero tornati alla freddezza della della sera prima? 
Non lo sapevano bene neanche loro. O almeno, lei non lo sapeva. Per lui la reazione di Nami era stata oltremodo eccessiva. 
“Mi hai messa a disagio con le tua stupida proposta!” sbottò improvvisamente lei, dando un pugno alla spalla del futuro partner, in cerca di contatto. “Potevi stare zitto?” 
Lui si voltò a guardarla nero inviso, con le venature della fronte pronte a scoppiare. 
“TI HO PROPOSTO LA COSA PIÙ GIUSTA DA FARE!” 
“Non m’importa della cosa giusta!” ribatteva lei convinta. “Io voglio di più, lo capisci?” 
Zoro, fattosi serio, la scrutò. Cercava di dimenticare quanto si sentisse caldo affondando nei suoi profondi occhi ramati, quelli che aveva visto per la prima volta molti anni prima. Forse era l’istinto di protezione che provava verso di lei a farlo parlare, ma sentiva di non aver ancora colmato quel suo dubbio incessante. 
“Ma cos’é di più?” 
Le chiese, senza smettere di fissarla. Voleva capire. Voleva approfondire stavolta o non se ne toglieva piede. Ma alzò un sopracciglio quando vide la reazione di Nami a quella domanda, spaesata. Ma lei lo sapeva cosa voleva o gli stava solo facendo perdere tempo? 
“B-e i-io, ecco…io”
Si era inceppata per un attimo prima di ritrovare il motivo principale che l’aveva condotta li, a risolvere, a capire. 
"Facciamo così” si era mossa verso di lui, lasciandolo subito interdetto, ma, ancor di più, preoccupato di scoprire in che altra situazione imbarazzante avrebbe voluto ficcarcelo. Si era fatta notevolmente più vicina, poggiando le mani tra le sue spalle e il torace costringendo a sciogliere le sue braccia incrociate al petto e facendolo sempre più grugnire per quel contatto improvviso. 
La guardò senza capire, aspettando il peggio, finché lei non smorzò la tensione…, o meglio, l’aumentò. 
“Penso che dovresti” la sentì ispirare silenziosa, dettaglio che gli fece alzare il sopracciglio verso l’alto, timoroso “…baciarmi.” 
Zoro inizialmente sembrò non sentire, ma poi il suo sguardo si fece sorpreso, ma senza perdere quella nota di severità che da sempre caratterizzava il suo viso. 
“Ma come ti viene in mente...”
“Non fare troppe storie!” 
Non era una supplica, ma un po’ ne aveva le sembianze. Nami riprovò ad afferrarlo, ma stavolta per il collo. 
“Dobbiamo toglierci questo pensiero… per capire cosa significa tutto questo…e dopo ci lasceremo questa storia alle spalle una volta per tutte.”
Nami era quasi spaventata da sé stessa, e dal coraggio che aveva avuto nel chiederlo. 
E lui nemmeno era riuscito a controllare il suo stupore, rimanendo esterrefatto tutto il tempo. In altra occasione avrebbe urlato, si sarebbe lamentato, ma adesso non riusciva ad alterarsi del tutto, talmente rimasto senza parole da una simile richiesta.
Affogavano però uno negli occhi dell’altra, vicini e vulnerabili come altre poche volte erano stati. 
“É fuori discussione!” Aveva però ribattuto dopo, con una strana apprensione addosso che non avrebbe voluto avere e l’occhio più grande del solito che esprimeva tutta la sua contrarietà. “Ma che razza di proposte fai!”
Un lamento che lei aveva già immaginato sarebbe successo, mentre lo vedeva tentar di uscire da quella trappola anche fisicamente. Ma Nami lo aveva ben arpionato al collo, preparata alla sua fuga, alla sua contrarietà. 
“Siamo i genitori di Rin! Ciò significa che dovremmo pur baciarci, no?”
“Ma io che ne so…sicuramente non così, non in questo modo!”
“E quale sarebbe il modo giusto?” 
Nami puntava il piede sul pavimento, battendolo nervosa in modo compulsivo, mentre lui muoveva le braccia cercando di difendersi da quel suo modo di fare frettoloso e arrogante. 
“Ed io che ne so!” 
“Fifone!”
“Che cosa?”
Nami sussultò quando lo vide cambiare espressione e farsi più serio, perdendo forse un briciolo di quel controllo che normalmente riusciva a gestire. Sentì due braccia afferrarla da dietro la schiena, diminuendo ancora di più quella distanza che li separava.
E lei non fece nessuna pressione per allontanarlo.
Entrambi non poterono non subire le conseguenze che quel contatto di corpi provocava. Lei ad un certo punto pensava di aver esagerato, di essersi spinta troppo in là, dal momento che lo aveva sottovalutato, visto che non pensava che lui lo avrebbe fatto per davvero, che avrebbe ceduto per così poco, che avrebbe acconsentito in qualche modo. 
“Allora forza…baciami!” 
Ciononostante, continuava a provocarlo, ad insistere, a vedere se entrambi avrebbero superato quello strano test del destino. 
“Piantala di ordinarmelo!” 
Quasi lo urlò nel suo orecchio quel lamento, sentendosi d’improvviso così tanto sotto pressione come se quel gesto pesasse tutto sulle sue spalle. 
Aveva smesso di guardarla, nervoso per quella ulteriore prova che doveva superare.
Nami pure aveva distolto lo sguardo, agitata, in preda ai brividi nel punto dove la stava toccando con le mani sulla sua pelle ancora un po’ umida per via della pioggia.
 
Perché era così testarda? Ma non sentiva i loro corpi fremere al solo contatto? Di quante altre sicurezze aveva bisogno? 
 
Zoro si chinò su di lei, che fu costretta a voltarsi nuovamente per guardarlo dritto in faccia. 
Era arrivato il momento. 
Ma quella tensione non faceva per lei, incapace di aspettare, ansiosa di un’attesa del genere…
“É necessario farlo, Zoro. Ci aiuterà a capire. E vedrai che ho ragion...” 
E in un attimo, dopo aver avvicinato la propria guancia sulla sua in una carezza, lo sentì piombare su di lei, sulle sue labbra, non dandole nemmeno il tempo di terminare la frase. Nami si aggrappò al suo collo con tutte le sue forze, andando a ghermirlo per la nuca, totalmente meravigliata da quella presa di posizione che non si sarebbe aspettata. 
Stavano ambedue trattenendo il respiro, forse nella speranza che insieme ad esso si sarebbe fermato anche il tempo. 
Lo sentì affondare con la lingua dentro di lei, che lo lasciò fare, che non aveva opposto nessuna resistenza, totalmente sconvolta di quel contatto morbido e bagnato. Sconvolta dalla piega degli eventi. Sconvolta da lui che aveva dimostrato di avere del coraggio in ogni campo. Anche in quello.
Zoro aveva agito. Lo aveva fatto per davvero! E non la stava solo baciando, come da richiesta. Lui la stava…assaggiando? Amando? Attirato dalle sue labbra, dal suo sapore, da quel richiamo che era un suono melodico acuto e dal ritmo impazzito. Non riusciva a staccarsene, non riusciva ad interromperlo. 
Le mani di lui si stringevano dietro alla sua schiena, tenendole poi ferme sulla vita di Nami, mentre cercava di ritrovare l’aria respirandole sulla bocca ora semiaperta, mentre usciva da lei. 
Servì qualche secondo perché in entrambi si affermasse la consapevolezza di ciò che si stava compiendo. 
“Stavi parlando trop…”
Stava per dire flebilmente, guardandola negli occhi che si stavano aprendo, per smorzare quell’atmosfera e darsi un contegno che sentiva di stare perdendo. Ma Nami, che non aveva smesso di guardarlo sulle labbra da quando aveva aperto gli occhi, incapace di sostenerne lo sguardo, si era, d’impulso, rigettata sulle labbra di lui, attirata da quel fuoco, da quel desiderio che non si poteva più nascondere. 
Zoro l’aveva lasciata fare, perché in realtà lo aveva solo che anticipato. La stava divorando, non sembrando mai sazio, muovendo le labbra frenetico in quella risposta; lei si stringeva al suo collo, impaurita che qualcuno potesse mettere fine a quella unione che aveva tanto voluto provare. Un’unione indescrivibile che sembrava potesse porre fine a ogni suo tormento.
 
Ma fu proprio Nami, ad un certo punto, in un momento in cui aveva realizzato di non sapersi controllare, la prima a divincolarsi, anche se era ancora dentro l’abbraccio di Zoro.
 
"È troppo così...” 
Il suo tono non era convinto, anzi, sembrava quasi tremante, rifletteva la paura che l’aveva accompagnata sinora. “Non possiamo permettere alle emozioni di sopraffarci...” 
“Mi pare sia tardi per questo.” 
Lo spadaccino, con il tono assuefatto da quel bellissimo scambio di saliva, aveva dovuto allontanare la bocca dalla sua, in uno stato di confusione che non aveva mai provato…si era improvvisamente ritrovato partecipe di quel gesto che gli era piaciuto, che lo aveva quasi risvegliato da qualcosa che aveva sempre oppresso, ed era stupito del fatto di non volerci mettere la parola fine. 
“Zoro…” 
Il tono di Nami era supplichevole con gli occhi da cerbiatta impaurita. E solo allora lui la lasciò libera dalla sua presa sulla schiena senza insistere, ritrovando una fetta di autocontrollo. 
I lineamenti tondi del viso di Nami mutarono, e anche i suoi occhi, che non si staccarono da quelli di lui, erano diventati enigmatici.
Era spaventata? Era eccitata? Era entrambe le cose? 
“Devo andare…a controllare la situazione fuori…” disse con pochissima fermezza e credibilità. 
Stava scappando. 
E lui lo sapeva. 
 
La giovane non era riuscita a resistere; appena uscita dalla palestra si era appoggiata alla balaustra, tenendo gli occhi chiusi e tirando lunghi e affannati respiri che prima si era obbligata di trattenere.
Non sapeva che Zoro era rimasto lì, immobile, a guardare quella porta chiusa, totalmente sconvolto. 
 
Una sensazione orribile li aggredì entrambi nello stesso momento; la sensazione di aver toccato quel picco di estasi e di aver intrapreso subito una scomoda discesa verso il baratro avendo appena complicato le cose; come fosse stata una fine e non un inizio. 
 
Nami era fuggita rapida come una ladra, come solo lei sapeva fare. E sì, lo aveva ripulito. Era diventato una sua vittima. Gli aveva fatto assaggiare quell’Amore di cui tanto parlava e poi era fuggita. 
Le spiegazioni per Zoro potevano essere due: o lui non era abbastanza per lei, come aveva creduto giorni prima, o lei aveva avuto semplicemente paura di scoprire che invece lo fosse anche più di quel che aveva immaginato di volere. 
E lui era davvero più convinto della seconda opzione, poiché lui stesso la condivideva, dopo quello che avevano appena condiviso e sentito divamparli dentro. 
Quell’oblio, quel doloroso oblio dell’attesa sarebbe però rimasto privato, chiuso, finché lei non avrebbe deciso di affrontarlo.
 

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Capitolo 14
*** Legami indissolubili ***


Capitolo XIV 
Legami indissolubili 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Stringendosi le pieghe della gonna corta che insistenti si alzavano per il vento, si chiedeva che tipo di espressione e sguardo trapelasse dal suo viso. Perché lei non lo sapeva più, chi fosse. Con lo sguardo che puntava in alto, verso il cielo, vide nuovamente un volto. Era come fosse ancora in palestra, come se non fosse mai andata via. Movimenti, increspature, le sembrava ci fosse una presenza accanto a lei, in qualche modo invisibile ai suoi occhi ma non alla sua mente. Stava rivivendo ogni attimo, non poteva farne a meno. Un istante rimasto eterno, fermo nel tempo, mentre sentiva il calore aumentare sulla sua carne. 
 
Mi ha preso le labbra in un gesto inaspettato nonostante lo avessi chiesto io. Mi ha divorata, ma in un modo così rassicurante che sapeva di casa. 
 
Chiuse gli occhi. 
 
La sua lingua, le sue labbra, il suo sapore…
 
Non si aspettava che sarebbe stato così buono. 
L’eccitazione la travolse su questi ultimi pensieri, costringendola ad aprire la bocca ed emettere un suono basso, quasi di piacere. Ma mentre quei brividi lasciavano il suo corpo, il sangue tornò a circolarle normalmente, e il respiro affannoso riprese ad essere regolare. 
 
Per Nami era incredibile come le cose rimaste ben ancorate alla mente fossero più che altro dei piccoli dettagli. Sentiva il tocco della pelle di quel collo sudato e pulsante sotto i palmi delle mani: le era piaciuto aggrapparcisi. Quel respiro caldo che l’aveva accarezzata sul naso e sulle guance, finendo dritto su tutta la sua pelle del viso, amplificandole le percezioni. E di come aveva sentito le pieghette delle labbra diventare umide al contatto con quelle più sottili di lui. 
 
Quel ragazzo, si, quel giovane dai capelli verdi, che ora era suo amico, il suo compagno di equipaggio, che un tempo era stato il suo salvatore, subentrato sul suo cammino in un giorno qualunque sconvolgendole il punto di vista, se non che anche la vita stessa, ora l’aveva fatto di nuovo.
 
Se inizialmente poteva sentire il presentimento che ci fosse qualcosa o qualcuno nelle vicinanze, ora era arrivata persino a distinguere i lineamenti di quel viso che la sua mente aveva bene impresso. Ancora un altro brivido percorse la sua schiena e la sua mano destra strinse più forte il bordo della gonna come gesto involontario. 
 
Lo vedeva davanti a lei, con i tre orecchini sul lobo dell’orecchio e le immancabili tre spade al fianco. Dal carattere prevalentemente solitario ma con un senso di amicizia, giustizia e lealtà che raramente si vedono in un uomo qualunque. Per lei, quasi totalmente senza speranza per quanto riguardava l’ordinarietà della vita, ma che l’affrontava con un’imponenza ineguagliabile, una virilità e un orgoglio senza pari, ma soprattutto con un coraggio e una determinazione da sconquassare gli animi. 
Se fosse rimasta in quella stanza sarebbe sprofondata ancora di più in quelle labbra, in quell’abbraccio, e non sarebbe più riuscita a uscirne. 
Era stato troppo. 
 
Non si sentiva più come prima. Era diversa. L’aveva cambiata ancora una volta. Era stato tanto dolce quanto elettrizzante. Tanto potente quanto pericoloso. 
Era stata una stupida nel pensare di capire il suo rapporto con Zoro da un bacio. Un bacio che non era stato semplice, che non poteva certo catalogare come una leggerezza. 
Si era fatta del male.
Poiché quell’unione coraggiosa, alla quale lui non si era sottratto - possibile che facesse davvero tutto per lei? - l’aveva intrappolata ancor di più in qualcosa che non sapeva leggere. Era diventato tutto man mano sempre più surreale. Dall’apparizione di Rin, alla realtà della sua storia, alla scoperta che fosse figlia loro, a questo bacio che altrimenti non sarebbe capitato - almeno non adesso. Avevano evidentemente anticipato dei tempi che altrimenti si sarebbero svolti diversamente. 
Perché Rin è nata? In che momento è stata concepita?
Tra tutti gli uomini, suoi compagni e no, perché lei aveva scelto Zoro? Era il più anaffettivo di tutti. Non le avrebbe mai potuto dare quello che voleva. 
Era tutto sbagliato. 
Uno sbaglio che però non era nel sentimento. Quello era sincero. Lo provava davvero. Lo stesso sentimento che Zoro cercava di spiegarle era proprio questo: loro erano già così tanto legati da così tanto tempo che per lui non sarebbe cambiato nulla perché c’era già tutto quello di cui avevano bisogno. E aveva ragione. Ma Zoro anche si sbagliava, perché quel bacio - quello stupido, incredibile, potente bacio tra loro - aveva appena aperto un varco ancora più grande che non poteva più essere ignorato.
Non aveva più controllo dei suoi sensi, del suo corpo, della sua mente. Era successo qualcosa per cui tornare indietro era impossibile. Aveva appena provato qualcosa che se avesse precluso avrebbe solo che sofferto.  
Questo doveva decidere adesso: lei voleva uscire o voleva rimanere?
 
Dal momento che la pioggia stava finalmente calmandosi, alcuni di loro, scesi a terra per sgranchire un pò le gambe, si aggiravano tra le strade del villaggio. Avevano ancora un giorno di immobilità prima di terminare la registrazione e ripartire. Nami camminava assieme ad Usop che portava Rin sulle spalle, e Rufy che li seguiva annoiato. Il cecchino continuava a voltarsi verso la compagna dai capelli rossi, turbato dal suo stato comatoso. Non spiaccicava parola, lo sguardo vitreo, il corpo rigido. Era certo che fosse successa qualcosa e che lei sicuramente non ne avrebbe parlato con nessuno. 
Avevano deciso di accompagnare Rufy alla taverna, la stessa del primo giorno, sennò avrebbe continuato a lamentarsi per quella poca avventura di quei giorni fermi. 
“Nami? Sentì la voce di Usop chiamarla. “Siamo arrivati!”
La navigatrice, che in quel momento poco poteva esserlo, dovette fermarsi all’istante, dal momento che stava continuando ad avanzare senza accorgersi. Voltandosi vide tre sguardi puntarla preoccupati ma, ignorandoli, fece dietrofront e li superò, facendo strada lei. 
 
Una volta dentro alla taverna, i tre scoprirono che il locale era pieno zeppo di individui problematici che facevano un gran baccano, con i tavoli già tutti occupati, trovandone solo uno vuoto non troppo lontano dal bancone. 
Dei pirati avevano sbarcato sull’isola proprio come avevano fatto loro giorni prima, ma al contrario che starsene buoni e aspettare la registrazione della rotta, si apparecchiavano come i soliti pezzenti privi di galanteria e rispetto, diventando i padroni della taverna e, probabilmente, anche del villaggio. 
Ma tutto questo per Nami era obsoleto in quel momento, non aveva posto nella testa per pensare a quella feccia. Recuperato il tavolo, e preso posto insieme ai compagni e Rin, si era messa le mani sulle tempie, poggiando i gomiti sul tavolo, e lasciandosi andare a un sospiro pesante. 
“Mi dici che ti succede?” 
Usop, accanto a lei, la guardava ancora preoccupato, vedendo dall’altro lato del tavolo Rufy fare spallucce. Rin era piuttosto silenziosa e guardava il tavolo vuoto, con lo stomaco brontolante. Si sentiva tremendamente in colpa per quello che la mamma stava passando a causa sua, e non riusciva a non mettere su nient’altro che un’espressione triste. 
“Una bella mangiata di carne e vi tornerà il sorriso.” 
Il capitano cercò di rasserenare il gruppo.
Sentite quelle parole, la cartografa non se la prese stranamente con Rufy e voltandosi verso Rin, dal momento che il compagno aveva usato il plurale, la osservò preoccupata. Era davvero abbattuta quella bambina, e Nami non impiegò poi molto a capire che quelli che leggeva sul suo volto erano sensi di colpa. Le venne naturale passarle una mano sul braccio in segno di carezza e accennare un sorriso quando lei d’istinto la osservò con quegli occhi ramati grandi come i suoi. Ci si poteva perdere là dentro, tante cose raccontava quello sguardo innocente. 
“Va tutto bene.” 
Ma Rin non ci cascava, e nonostante la sua giovane età, in quel momento c’era tutto Zoro nel suo viso, con l’espressione di chi non se la beveva certamente. 
“Davvero.” 
Precisò la rossa capendolo immediatamente. Ma rise poi, quando sentì quel piccolo stomaco brontolare. “Hai proprio fame, eh?” 
La bambina annuì, toccandosi la pancia istintivamente. Nami si guardò intorno e solo in quel momento si rese effettivamente conto delle persone che abitavano quella taverna, sbuffando quando si vide puntata come una preda da diversi occhi indiscreti. 
“Non verrà mai l’oste qua con tutte queste persone.” Esclamò, ignorando i pirati che le stavano attorno. “Che ne dici di andare al bancone per ordinare?” 
Rin annuì, mettendosi immediatamente in piedi, euforica per quell’incarico importante. 
“Rufy vai con lei.” 
Il capitano, con anche lui lo stomaco brontolante, sorrise, mettendosi la mano sul cappello e seguendo la bambina. 
“Che c’è?” 
Chiese poi la rossa ad Usop, sentendosi osservata. 
“Niente. Sei proprio una mammina premurosa.” 
“Piantala o te le suono!” Inconsciamente si voltò verso il bancone, seguendoli con lo sguardo, permettendo così al moro di continuare a sghignazzare.
“È meglio tenerla d’occhio, non voglio che qualcuno le si avvicini.” Scostava uno dei ciuffi rossi e lo portava dietro l’orecchio, per evitare desse ulteriore noia. 
“Lo sai che io ti conosco bene, vero?” 
Usop non smetteva di sorridere. 
“E questo che significa?” 
“Sei tesa. Dall’umore più incasinato del solito e…direi anche…quasi amorevole.” 
La rossa guardava il suo amico in modo torvo, evitando schiamazzi che sentiva come in lontananza, riferiti a lei. 
“Sai dove ti ho già vista così? Al tuo villaggio.” 
“Ma che c’entra adesso?” Lei era sempre più nervosa, fosse stata davvero un felino gli avrebbe sicuramente ‘soffiato’ in faccia. 
“Quanto ti è stato difficile accettare i tuoi sentimenti per noi? Ti sei dovuta mettere in gioco per salvarci. Ma non riuscivi comunque a capire che quello che provavi non fosse una debolezza.”
Nami continuava a fissarlo con gli occhi stretti, pronta a urlagliene quattro, ma Usop non aveva ancora cessato di parlare. 
“Sei innamorata. Io lo vedo. E ti rifiuti di accettarlo.”
La navigatrice sbiancò, confermando al cecchino la sua teoria. La sala era diventata improvvisamente così silenziosa nella sua testa, senza più schiamazzi. Mentre nello sguardo del moro c’era tanta luce, stupore anche, ma era per lo più una strana gioia che scaldava l’animo. 
“Di Zoro. Sei innamorata di Zoro!” Un sorriso a mezza luna sul viso lo rese quasi accecante da guardare nel suo compiacimento “ed io ne sono contento, sai?” 
“Ma che ne sai tu dell’essere innamorati?” 
Nami era sempre sulla difensiva, ma per fortuna Usop lo sapeva molto bene che l’amica poteva reagire in diversi modi bruschi, dalla violenza fisica alla rabbia effervescente, fino all’autodifesa che reprimeva i sentimenti. La rossa lo guardò con sufficienza, ma anche incuriosita dalle sue parole. 
Le tirò uno scappellotto sul braccio in risposta a quella offesa.
"Hei! Ti ricordo che io ho una ragazza che mi aspetta a casa!” 
La rossa, che voleva solo nascondere la testa da qualche parte in un secchio qualunque ed evitare di farsi leggere in faccia la più difficile delle verità, non riuscì a non sorridere a quella rivelazione. “Ah, sì, la povera Kaya.” 
Sospirò poi, affranta per non avere abbastanza forze per prenderlo in giro in un momento come quello. 
“Io, innamorata?” doveva essere solo un pensiero che invece si era trasformato in parole. “Sai, dubito che Zoro farebbe mai per me tutto quello che tu hai fatto per Kaya.” 
Usop rimase inizialmente colpito da quella constatazione malinconica, commosso anche, per il fatto che l’amica gli stava facendo indirettamente un complimento, ma poi capì perfettamente che quelle parole racchiudevano solo paure, tante paure, legate probabilmente al carattere di Zoro, poco incline ai sentimentalismi o alle romanticherie, o qualsivoglia gesto plateale per amore. 
“Lo sai meglio di me cosa è capace di fare Zoro.”
Ti darebbe direttamente la sua vita, Nami.’ 
Così avrebbe voluto dirle, ma era riuscito a trattenersi. Il suo guardo era cambiato adesso, la stava ammonendo, nonostante sapesse che era sempre la sua autodifesa a parlare - trovare i punti deboli degli altri così da usarli per non affrontare la realtà. 
“Se sono i difetti di Zoro che vuoi tirar fuori per non amarlo, ne troverai a bizzeffe” si mise una mano sul volto coprendo l’occhio destro “é un totale disastro!” 
Ma a quell’affermazione sentì Nami ridere di gioia, avrebbe detto ridere d’amore se fosse un’espressione comune, trovando anche lui nuovamente la leggerezza. 
“Lo conosci, dà il massimo in ciò che sa fare e quello che non sa fare…beh, lo fa a modo suo.” 
Vide la luce negli occhi di Nami, quella che lei cercava continuamente di spegnere ma che poi veniva fuori lo stesso, e sorrise. Era inutile insistere, toccava solamente a lei lasciarsi andare. E vista l’esistenza di Rin sarebbe successo senz’altro. 
 
Nami fu costretta a voltarsi per monitorare la figlia, dal momento che sentiva delle voci fastidiose anche dal bancone, almeno, fintanto che un pirata dalla stazza non proprio minuta, si avvicinò al loro tavolo con un sorriso per nulla rassicurante. 
“E tu che cavolo vuoi?” 
Usop richiamò l’attenzione dell’amica, che fu costretta a voltarsi ancora, trovandosi quell’energumeno vicino che la guardava in modo viscido. 
“Dolcezza” la fissava con i suoi occhi chiari, la mano sulla spada legata al fianco e la lingua sulle labbra “quanto prendi?” 
Sul volto di Nami comparve un’espressione schifata, alquanto infastidita, più dal pirata che dalla richiesta, ma rimase in silenzio quando sentì l’amico anticiparla. 
“Che cosa?” Usop si alzò in piedi battendo le mani sul legno. “Vattene subito di qua e lasciaci in pace.” 
“Non sto parlando con te, naso lungo!” 
Si alzò uno schiamazzo dai tavoli accanto, tra urla e risa. 
“Ragazzino, non ti conviene sfidare il nostro capitano.” 
Nami vide l’amico stringere i denti, arrabbiatissimo. Essendoci solo lui si sentiva carico di quella responsabilità di proteggerla. 
Intanto, dietro di sé, sentiva anche il vociare dalla parte del bancone, qualcuno sbraitava contro Rin, compreso l’oste che ora litigava con Rufy. 
“La ragazzina non può stare qua.” 
Ma prima ancora di reagire si sentì strattonata per un braccio. “Ti ho fatto una domanda.” 
Nami, che non riusciva a seguire la situazione al bancone, iniziava ad innervosirsi veramente. “E lasciami.” 
Con una scossa fece cadere la presa che quello aveva su di lei e continuò a guardare dalla parte opposta. 
Vide l’oste prendere Rin per un braccio e trascinarla verso la porta, facendole salire il sangue al cervello in meno di un secondo, almeno fin quando Rufy non afferrò l’uomo per il bavero, facendo cadere la presa sulla bambina. “Lasciala in pace” lo sentì urlargli in faccia. 
“Lo sto dicendo per il suo bene” fece l’oste; nel suo viso non c’era cattiveria ma preoccupazione e Rufy lo rimise a terra all’istante. L’uomo col grembiule e i capelli bianchi legati in una coda, tossì, per poi riprendere fiato. 
“Qua dentro c’è la peggiore feccia dei mari, che non si preoccuperebbe di fare del male a una bambina.” Parlò a bassa voce, cercando di avvisare Rufy ma senza dare troppo nell’occhio. Il ragazzo di gomma aveva gli occhi sbarrati e le iridi strette dalla rabbia. “Non lo permetterò mai.” 
Ma in quell’esatto istante, Rin aveva estratto la spada, poiché si vide minacciata dai pirati che aveva intorno. 
“Sai che sei carina? Quanti anni hai?”
Nami si alzò veloce dalla sedia, non riusciva più ad avere controllo di sé, raggiungendola. Ma venne seguita anche dall’uomo al suo tavolo. Arrivata al centro della taverna mise le mani sulle spalle di Rin, avvicinandola a sé con forza. “È solo una bambina!” 
Ora iniziava a capire che tipo di persone abitavano quel posto e la seria preoccupazione dell’oste. 
“Tranquilla, ora ti porto via da qua” le sussurrò all’orecchio, guardandosi intorno per capire come fare ad andarsene il più facilmente possibile. 
“Non mi fanno paura.” 
Sillabava Rin a denti stretti, stringendo la spada tra le mani e brandendola davanti a un tizio che allungava la mano verso di lei. 
Degli schiamazzi si fecero ancora più forti quando Nami arrivò al centro della taverna, con tanto di fischi e parole volgari poco velate.
“Allora forza, vieni tu al nostro tavolo a sederti con noi.” 
Con tutti gli occhi puntati addosso, stringeva i denti dalla rabbia, se non fosse stato per la sicurezza di sua figlia, l’avrebbero sentita eccome. 
L’omaccione, quello che prima era andato a far visita al loro tavolo, le aveva raggiunte, provocando in entrambe una reazione di disgusto. E la stava nuovamente per afferrare, Nami, se non che Rufy, più svelto, lo mise a terra con uno dei suoi pugni più famosi, scaraventandolo con forza sulla parete della locanda. 
“Perché non combatti con me?”
Era così infastidito che aveva persino dimenticato del pranzo e della fame ingombrante. 
“Ma quello non è cappello di paglia?” 
Si sentì vociare nella sala. Una scoperta che aveva provocato il caos, tra alcuni spaventi, pirati curiosi e diversi elementi che volevano incassarne immediatamente la taglia. 
“Vale mezzo miliardo.” 
“Quel moccioso?”
“Ma è un ragazzino…” 
Usop gli raggiunse, mettendosi tra Nami e Rufy. “Conviene andarcene da qua.” 
 “Tsk.” Ma alcuni uomini si alzarono immediatamente in piedi. “Non così veloce.” 
“Quella è la gatta ladra.” 
Uno dei pirati che stavano in piedi alzò in aria il manifesto di taglia di Nami. “Questa qua sei proprio tu!”
Provocando altrettante simil reazioni da bava alla bocca dei pirati che non avevano ancora collegato la pirata a quel manifesto. 
Un altro uomo del tavolo accanto si mise in piedi, togliendosi la giacca e facendo vedere la sua spada enorme legata al fianco, mettendoci la mano sopra. “Scordatelo, lei la prendo io.” Tirò un calcio alla sedia che volò fino a due tavoli più lontani. Gesto che portò Nami a coprire la bambina con le sue braccia, per paura le arrivasse qualcosa addosso. “La testa di cappello di paglia e il premio per festeggiare dopo.” 
E ancora una volta si ritrovò a coprirle pure le orecchie, disgustata, quasi in preda ad un conato di vomito al sol pensiero di finire tra le mani di uno di quelli. Anche se sapeva che non sarebbe mai accaduto con i suoi amici accanto. 
“Usop!” 
Rufy era pronto a farla pagare cara a tutti, con uno sguardo che aveva quelle poche volte in cui era incazzato. “Portale via da qua.” 
“Si” il cecchino preparò la sua fionda nel minor tempo possibile, pronto a sbaragliare i nemici davanti all’entrata ed elaborare il più veloce piano di fuga mai visto. Usando un diversivo, tra la nebbia e una piccola finta esplosione che fece solo rumore, facendo spostare gli uomini davanti alla porta, spinse al volo le due, riuscendo ad uscire. Ma non senza intoppi, dal momento che qualcuno aveva lo stesso cercato di afferrarle, infatti erano arrivate all’esterno ma inciampando su sé stesse, arrivandoci così stese a terra. 
“State bene? Svelte dobbiamo svignarcela.” 
Si sentì la voce di Usop in mezzo alla nebbia che stava iniziando a svanire. 
Mentre Rufy combatteva con due capitani che volevano fargli la testa nella taverna, altri avevano approfittato per saltare la battaglia più problematica e prendere direttamente il premio che volevano. 
Nami, appena aveva aperto gli occhi, si era ritrovata immediatamente schiacciata a terra da quell’uomo, quello che aveva visto tenere stretto il suo manifesto di taglia in mano. “Sta buona!” diceva, mentre l’afferrava per le braccia e la stringeva con le gambe. “Faremo in fretta!” Lo vide ridere eccitato mentre con una mano aveva già sfilato la cintura e ora cercava di abbassare la cerniera dei pantaloni. 
“Se pensi che te lo permetta ti sbagli di grosso!” 
Gli tirò una ginocchiata tra le gambe proprio in quel momento, che gli fece vedere le stelle, facendolo ricadere su di lei. “Maledetta” biascicò. 
Riuscì a liberarsi e con la mano andò dritta a prendere il suo nuovo Clima Takt dalla gamba, montandolo al volo in quella distrazione e spostandosi all’indietro riuscì a sferrare un attacco sul posto prima che quello potesse rialzarsi dalla botta. L’aveva steso. 
Soddisfatta di sé stessa si guardò intorno, riprendendo fiato, un fiato che però le morì in gola quando vide l’amico preso per il collo da un altro energumeno. “USOP!”
Doveva agire, doveva salvarlo. Si guardò intorno per cercare Rin, e la vide proprio in quel momento andare verso l’amico con la spada tra le mani. Ma anche lei venne bloccata da dietro da un pirata alto tre metri che con un gesto delle dita sul collo le fece perdere i sensi in un baleno. 
La Wado cadde a terra. 
“COSA LE HAI FATTO?” 
Nami corse verso di lui con la sua arma in mano pronta a scatenarla, ma dovette fermare la sua corsa quando si rese conto che non poteva attaccarlo poiché quello teneva ancora Rin con una mano e la usava come scudo. Sentì dei rumori e si rese conto che dietro di lei c’erano altri pirati della stessa stazza di quello. Cercò di capire la situazione e, mentre pensava a come poter attaccare per metterli al tappeto tutti insieme, sentì una voce. 
“Se tieni a questa bambina devi gettare l’arma a terra.” 
Iniziò a tremare. Se le toglievano il Clima Takt come avrebbe fatto poi a difendersi da tutti quelli? 
Vide quel pirata portare la sua lurida mano sul piccolo e candido collo di Rin e stringere. E tanto bastò per farle vedere tutto nero.
“NO! FERMO!” 
Lasciò cadere il bastone a terra senza esitare più, consapevole che nemmeno la sua incolumità stavolta aveva valore quanto la salvezza di quella bambina. La Nami del futuro non le avrebbe mai perdonato un simile sgarro; il che la stupì. Solitamente niente aveva più importanza della sua incolumità. 
“Calcialo via col piede, adesso. Lo so bene cosa puoi fare con quello.” Continuò quell’uomo alto spaventoso con dei capelli neri lunghi in una coda dietro le spalle, dal viso spigoloso e con indosso una brutta e vecchia giacca scura lunga fino ai piedi. Sembrava pericoloso. 
Ma lei non voleva vedere quelle mani sulla pelle di Rin per nessun motivo al mondo. Era una ferita troppo grande che si riapriva tutta insieme nel suo corpo. 
“Non la devi toccare!” 
Nami poi lo fece, allontanò con un calcio la sua unica ancora di salvezza da sé stessa, con una collera che montava un po’ alla volta, guardando il tizio nera in viso con il sangue che le ribolliva dentro. 
Ma si sentì improvvisamente strattonata da dietro e gettata a terra da quello che doveva essere un altro membro di quella schifosissima ciurma. 
“Hai messo al tappeto uno dei nostri. Ma che brava.” 
Le sussurrò all’orecchio. Era schiacciata contro il terriccio e le faceva male avere quel peso addosso. 
Le aveva preso e unito le mani tenendole strette dietro alla sua schiena con una sola e salda presa. Una gamba inginocchiata sopra di lei fino a farle venire la nausea. “N-Non respiro.” 
“La situazione é questa…” iniziò a parlare l’uomo che le stava addosso. “Se stai buona e vieni con noi sulla nostra nave, non faremo del male né alla bambina e né al tuo amico.” 
Sentì un conato di vomito invaderla per il corpo, soprattutto quando quello iniziò a toccarla sotto la gonna. 
“Ti sono chiare le condizioni? Rispondi!” 
Annuì, totalmente disgustata, con una rabbia cieca in viso, pensando ai modi in cui poi gli avrebbe malmenati tutti. Trovò comunque la forza per alzare la testa e guardare quell’altro pirata dal basso. 
“Togli quelle schifose manacce da lei!” 
Il pirata di fronte, alla fine, lo fece, facendo cadere Rin sul terriccio da quella stessa altezza, senza nessun minimo riguardo, facendola schiantare sul terreno accanto alla sua spada.
“Bastardo!” 
Urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo, Nami. Ma il pirata con la giacca ignorò le sue lamentele continuando a sorridere compiaciuto del suo affare. 
“Sei famosa sai, tra i pirati. E non solo perché abbrustolisci la gente!” le disse, avvicinandosi pericolosamente a lei. 
Era in piedi, sempre tenuta stretta con le mani dietro alla schiena, e una sulla bocca per non farla urlare e chiamare l’amico di gomma. Vedeva quel tipo spaventoso avvicinarsi e non voleva assolutamente sentirsi toccata ancora un minuto di più.
“Le voci sulla tua bellezza sono arrivate anche a me.” 
Sentì un vociare da dietro di lei, il resto della ciurma che grugniva e faceva il tifo, tutti schifosamente su di giri all’idea di averla tra le mani. 
“Ed erano vere.” 
Le passò una mano sul braccio sfiorandole la pelle, scendendo poi fino al suo seno sinistro e stringendolo con forza nella mano. Si dimenò contrariata sillabando insulti che non poteva urlare. 
“È ancora meglio di quello che immaginavo.” 
Urlò ai suoi uomini, che da rientro continuavano a fare il tifo elettrizzati. 
“Adesso però farai un bel sonnellino anche tu.” 
Continuò a stringerla sulla pelle, spaventandola. 
Non poteva permettersi di perdere i sensi come era successo a Rin. Doveva stare vigile. Si dimenò nervosa cercando di evitarlo. Era in trappola. Se non fosse che ne andava di mezzo la sicurezza della bambina, avrebbe fatto tutto il possibile per buttarsi a terra prendere la sua arma ed incenerire chiunque dei presenti. Non avrebbe però fatto mai in tempo a recuperare entrambe le cose, loro erano in molti, ed erano troppo vicini. 
Con lo sguardo cercò Usop, che a sua volta provava a liberarsi da quella presa, furioso e impotente. Ma era stato privato di tutte le sue armi e quel pirata lo batteva in forza fisica. Un pirata che evidentemente stava aspettando solo un ordine per metterlo definitivamente k.o. 
Poi un movimento quasi impercettibile catturò la sua attenzione, o almeno, catturò i suoi sensi. 
Vide il pirata che teneva Usop per il collo cadere a terra sanguinante senza fare nessun rumore, lasciando quindi la presa sul cecchino, che rotolò sul terriccio, alzando la sabbia in aria. 
Stava muovendo gli occhi talmente in fretta per avere una conferma di quella gioia, in preda ai fremiti. Una gioia che confermò quando sentì d’improvviso il suo cuore esplodere. Aveva riconosciuto il suo odore, le era appena entrato dritto nei polmoni. 
Era lui. 
La polvere si era alzata da terra, il tempo si era fermato. 
Nami poteva sentirsi libera di sospirare attirando pure l’attenzione confusa del capitano di quella banda. 
Il tizio che la teneva stretta cadde in ginocchio in quell’esatto istante, con gli occhi sbarrati per la sorpresa, perdendo sangue a fiotti dalla spalla. 
La rossa non perse tempo a divincolarsi e tornare a respirare, almeno fin quando poi non vide davanti a lei, a separarla dal pirata con la giacca scura, due spalle larghe e un calore che conosceva così bene. 
Due lacrime di improvvisa consapevolezza le scivolarono lungo le guance, e poi sparirono, insieme alla sua paura. 
Si era sbagliata: il nuovo Clima Takt non era la sua unica ancora di salvezza! Si voltò titubante dietro di lei e vide che il compagno aveva già fatto piazza pulita abbattendo tutta la ciurma. Erano tutti riversi a terra, impossibilitati a rialzarsi. 
Zoro, due spade in mano, una in bocca, bandana sulla testa e sguardo nero come la stessa: era furioso. Talmente calmo da inquietare, talmente accanito da far accapponare la pelle. 
Il cecchino aveva approfittato a recuperare Rin e portarla più lontano possibile da lì, probabilmente sulla nave, venendo ringraziato mentalmente dalla rossa che, sconvolta, non riusciva più a muoversi. 
L’ultimo uomo rimasto, il capitano di quella ciurma villana, si trovava dunque ad affrontare una bestia nel suo impeto peggiore. 
 
 
“Sai, è a me che non sono proprio chiare le vostre condizioni, perciò ho fatto di testa mia.” 
La sua voce rocca e profonda aveva appena echeggiato nell’aria. 
 
 
 
La rossa era rimasta inerme per tutta la durata del duello. 
Non lo vedeva da quella mattina in cui tutto era cambiato per sempre dentro di lei. In cui era cambiata lei. 
Non sentiva più niente. Nè il cuore, né il corpo. Non pensava nemmeno. Stava solo subendo tutto lo spavento che aveva  preso. Era degradante essere attaccata da nemici così vili che andavano a minare alla sua femminilità, mettendola in una situazione così antipatica e da voltastomaco, che l’aveva bloccata, rallentata, impedito di dare il massimo. 
Ma era stato ancora più difficile sopportare di vedere quel viscido pirata toccare Rin, farle perdere i sensi, stringerle il collo; non le era importato più di sé stessa in quel frangente. Nessuno doveva toccare la sua bambina! 
Era così fuori di sé. Una collera che stava prendendo il sopravvento dall’interno con una violenza che stava trovando radici facili da impiantare. Era così immobile fuori, quanto agitata dentro. Non stava nemmeno seguendo lo scontro. Sapeva bene come sarebbe finito. E lei non era nemmeno riuscita a sprecare urla o parole per Zoro, talmente era rimasta bloccata, sottosopra, anche quando lo vide venire ferito su una guancia. Le capitava di rado di non saper reagire. 
 
Sentiva il rumore delle spade che si scontravano. Sentiva il suono della pelle quando veniva lesionata. 
La rabbia di Zoro le arrivava addosso, dandole i brividi. 
La paura di quel pirata si avvertiva ormai nell’aria. Sarebbe morto. O almeno, l’avrebbe conciato così male che riprendersi sarebbe stata una strada tortuosa, tutta bella che in salita.
Sentiva tutto, e non le importava di niente. Quelle mani schifose, quelle violenze sui bambini. Non era riuscita a proteggerla da quella mano. Non aveva potuto risparmiargliela. I ricordi del passato che riaffioravano nella sua mente avevano la stessa consistenza di proiettili. 
 
Ma tutto però stava anche cominciando ad avere sempre più un senso, quando quei lineamenti che solo la sua mente vedeva ora si erano tramutati in una presenza reale; tutto stava avendo sempre più senso quando quel ragazzo dai capelli verdi con il suo yukata addosso, stringente due spade tra le mani e una nella bocca, si era parato ancora una volta tra lei e ai suoi mostri. 
 
 
 
“Stai bene?”
Sentì una presa calda stringerla per le spalle, un volto che conosceva così bene guardarla preoccupato. 
“Nami?” 
Il duello doveva essere finito. 
Non riusciva a parlare. Non riusciva a vedere niente nonostante avesse gli occhi aperti. Era tutto così bianco. Così lontano. Così statico.
“Mi spieghi perché ti sei bloccata? Avresti dovuto essere più veloce di loro e...” 
La stava forse sgridando? Quel cretino aveva il coraggio di ammonirla con quel tono autoritario?
Che insensibile. 
Trovò la forza di alzare le braccia e colpirlo con un pugno sul torace. Non le importava se fosse stato ferito. Non le importava se grazie a lui non era finita in pasto a quei vermi. Non doveva azzardarsi a sgridarla per essere stata debole. Si menava già fin troppo da sola per questo, in quell’occasione. 
Che Stupido.
Ma non capiva in che situazione scomoda era finita? 
Aveva tanta rabbia da sfogare che lui sarebbe stato un ottimo pungiball. Possibile non sapesse essere delicato? Ma perché non ci provava mai ad esserlo? Appena avrebbe trovato la forza gli avrebbe dato una bella lezione. L’avrebbe sentita inveire contro di lui mattina e sera. O si, l’avrebbe sentita eccome. Almeno, finché non capì che qualcosa l’aveva avvolta. All’improvviso era finita dentro un luogo caldo e sicuro che profumava di buono e di sicurezza. 
Mai. Non lo aveva mai fatto. Le aveva salvato la vita tante volte, ma si era sempre limitato a stare lì, accanto a lei, senza aggiungere altro. 
Era un abbraccio. Un abbraccio confortevole e protettivo. 
Non voleva ammetterlo ma ne aveva davvero bisogno. Ci volle rimanere dentro, con gli occhi ancora sbarrati e le energie venirle meno. Se lui non l’avesse retta sarebbe sicuramente caduta a terra. 
Sentì quella voce profonda - rassicurante per lei, meno per i suoi nemici - parlarle all’orecchio. 
“Volevo intervenire prima ed evitarti quel…” sentì dei brividi allarmanti e per nulla rasserenanti venire da quel corpo che la teneva in piedi. La stava sentendo quell’angoscia violenta che era dentro di lui, in riferimento ai tizi disgustosi che l’avevano palpeggiata “ho dovuto aspettare che quello lasciasse Rin.” 
Nami lo colpì sul petto con il pugno chiuso, come a volerlo punire per aver permesso che venisse toccata. E in quel momento lo sentì chiudere l’occhio e comprimerla ancora di più al suo corpo. Era davvero rammaricato. 
In altre occasioni forse le avrebbe fatto pesare il fatto di averla dovuta salvare. Ma in realtà, non lo faceva mai davvero.
Stava sicuramente facendo una fatica del diavolo per essere “le sue spalle” in quel momento, quando lui per primo era cieco alla pace e pregno di smania di morte. 
Qualcosa nel modo in cui aveva detto quelle parole, però, le fece salire un brivido lungo la schiena. Tutto il suo corpo era teso sotto al suo, immobile soprattutto. Un corpo protettivo che era come un macigno che le faceva sentire tutta la sua pesantezza. Smise subito di punirlo, affranta da quella emozione così pura, per qualcosa che non poteva essere in nessun modo colpa sua. 
“Hai fatto la cosa giusta.” 
La sua voce era bassa ma sincera, tanto da far sgranare l’occhio a Zoro, il quale sicuramente non si aspettava una simil reazione da parte sua, ma probabilmente una sfuriata bella e buona. Così, di rimando, continuò a stringerla più forte a sé. Come se per lui quel tocco caldo d’affetto potesse alleviare la pena di quei gesti disgustosi. 
In fondo, stavolta si trattava anche di Rin, non avevano pensato ancora a “una figlia in pericolo”, e le reazioni erano automaticamente cambiate. 
Gli faceva male, comunque, averla lì, così vicina.
Ma dopo il risvolto disgustoso della giornata, aveva bisogno di proteggerla. La stringeva con le sue braccia forti, ma niente di più. Voleva solo che stesse bene, che potesse in un certo modo rimediare al male fatto da qualcun altro. 
Sentendo quel calore che scivolava sul corpo, sulla pelle, sulla sua schiena, Nami iniziò a sentirsi bene, troppo per non lasciarsi andare in quel senso unico al mondo di protezione. Ed era strano, perché fino a due secondi prima era in preda alla rabbia più nera. 
Bastò un niente e furono persi entrambi, accecati da quel sentimento forte che gli aveva colpiti al petto.
 
Ma poi, Nami, seppur ancora sconvolta per quelle vicende, e con i piedi lontani da terra per via di quell’abbraccio, stava iniziando a ragionare, ritrovando un po’ di lucidità. E questo grazie a lui. E anche alla sua illimitata forza di volontà, doveva prenderne atto. 
“Se stringi così forte non respiro.” 
Sorrise innamorata, con gli occhi lucidi e i piedi che tremavano, prendendolo un po’ in giro per smorzare quella tensione insostenibile. Le piaceva quell’abbraccio, ma se non si fosse staccata, non sarebbe più riuscita ad uscirne. Era sempre tutto ‘troppo’ quando si trattava di effusioni con Zoro. 
E lui, come risvegliandosi da un sonno profondo, reagì sciogliendo l’abbraccio, imbarazzato e con un broncio spiaccicato sulla faccia, quasi offeso. 
Trovandoselo finalmente davanti agli occhi, gli posò una mano sulla guancia in un gesto gentile e involontario, anche se lui stava evitando in tutti i modi di guardarla. 
“Sei ferito!” 
“Sto bene.” 
Quel tocco sembrava comunque averlo calmato, come se attraverso di esso un flusso positivo avesse disteso le sue membra e placato molta della sua collera.
In quel momento però la navigatrice si accorse di qualcuno che li stava osservando proprio dietro Zoro, con le braccia incrociate e un sorriso malandrino sul viso. 
“R-rrufy?” 
Era diventata rossa come la camicia del suo capitano, provocando in lui sonore risate. Si allontanò subito da Zoro ritraendo la mano. “D-d-da quanto s-sei qua?” 
Anche lo spadaccino, con i denti stretti, e il sudore freddo sulla fronte, si era dovuto voltare, maledicendosi per essersi distratto, dal momento che non lo aveva sentito arrivare. 
“Da un po’ “ripose, continuando a sorridere con dei pensieri inequivocabili espressi dal suo viso. 
Zoro si era quasi paralizzato per essersi fatto beccare in un atteggiamento che non gli apparteneva. Un atteggiamento che stupiva anche lui. 
 “Torniamo alla nave.” 
Decretò, facendo finta di nulla e rimettendosi in cammino per primo, superandoli entrambi.  
 
Nami sbuffò. 
“Guarda che il porto é dall’altra parte.” 
 
 

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Capitolo 15
*** Il rumore del presente ***


Capitolo XV
Il rumore del presente

 
 
 
 
 
 
 
Un gesto delicato le sfiorava la guancia, e poi dalla cute fino ai capelli. Partiva dalla fronte fin dietro alla testa, dopodiché faceva una piccola pausa per riprendere da capo. Un movimento ritmico costante che la rilassava incredibilmente. 
Era coccolata. 
Ma si sentiva come se fosse finita sotto lo scafo di una nave. Aveva dolore alla testa, ma soprattutto le faceva male dietro al collo e al braccio destro. Un braccio destro che non riusciva nemmeno più a muovere.
Stava aprendo piano gli occhi, che sentiva così pesanti, e la vide subito la proprietaria di quella mano che la faceva sentire così al sicuro, seduta accanto a lei nel letto con con sguardo estremamente triste e gli occhi stanchi, che fissava il logpose ben legato al suo braccio. 
“Ehi.” 
Quella voce calda e dolce le diede subito il ben svegliata quando vide i suoi occhi aperti scrutare tutto, distogliendo immediatamente lo sguardo dall’accessorio nautico. 
“Che é successo?” chiese allarmata a Nami, cercando di riportare la mente allo scontro del pomeriggio, senza riuscire a fare memoria “ricordo di aver visto… e...” si alzò troppo bruscamente con il busto facendosi male. 
“USOP! LA WADO!” quasi si strozzò “Non posso permettermi di perderla!” 
Vide la madre sorriderle e nello stesso momento riempire un bicchiere d’acqua, e così si rese immediatamente conto di avere la gola secchissima. 
“Non preoccuparti di questo. È stato proprio Usop a portarti al sicuro sulla Sunny.” 
Nami le mise una mano dietro alla testa per aiutarla a bere, ma senza sfiorarle il collo dolorante. Rin però non riusciva proprio a capire il perché non potesse farlo da sola. 
“La tua spada è proprio qua, con te.” 
Le indicò la parete di fianco, dove si posò immediato il suo occhio, notando, oltre che la sua Wado, la presenza di altre tre spade ben poggiate al muro. Faceva un certo effetto vedere le due Wado una accanto all’altra. Il suo cuore tornò nel petto e lo sguardo più sereno sulla sua mamma. “Ho perso i sensi… e dopo…dopo che è successo?” 
La rossa annuì, appoggiando il bicchiere nuovamente sul mobile accanto al letto. La fece stendere meglio con il capo sul cuscino sistemandolo più comodamente alla spalliera per farla appoggiare ma senza sdraiarsi del tutto, in modo da rimanere quasi seduta. La guardò con gli occhi lucidi facendole un’altra carezza sulla guancia.
“E dopo è arrivato tuo padre.” 
La bambina sorrise, estremamente fiera, scambiando con Nami uno sguardo di intesa, per poi farsi distrarre proprio da un rumore familiare: qualcuno al suo fianco stava beatamente russando. Alzò un sopracciglio facendo sorridere la rossa. In effetti se ci ci stavano le spade, ci stava il proprietario. Zoro, infatti, seduto sull’altro letto attaccato al suo, con le braccia dietro alla testa e le gambe incrociate, dormiva senza farsi troppi problemi. 
“Era preoccupato anche lui”
Nami non impiegò molto tempo a capire i sentimenti della figlia “ma poi si è addormentato come al suo solito.” 
Rin aveva notato lo sguardo della madre quando si era posato su Zoro: racchiudeva emozioni diverse, ma sembrava soprattutto sopraffatta dall’ansia. Ma fu proprio in quel momento, guardando alla sua destra, che si rese conto del suo braccio completamente ingessato, spalancò occhi e bocca in preda all’agitazione. 
“Ma che…” 
Nami cercò di essere forte per lei, provando a non metterle addosso ulteriore malumore, ma se pur si sforzasse non riusciva a nascondere quella nota triste dal suo volto.
“È solo per poco tempo, passerà in fretta, vedrai.” Provò sbadatamente a riparare al danno prima che Rin potesse farsi prendere dallo sconforto, ma la bambina non sembrava affatto preoccupata per sé stessa, anzi si ricompose in fretta, era dotata di grande autocontrollo. 
“Non posso allenarmi, però!” 
Il suo tono leggermente triste raggelò Nami, che non sapeva come consolarla. 
“Una brava spadaccina approfitterebbe per allenare solo il braccio sinistro.”  
Zoro, ancora con l’occhio chiuso, si svegliava sempre nei momenti che più catturavano il suo interesse. Tanto che Nami non riusciva mai a capire se dormisse per davvero o se facesse finta a volte. 
Rin annuì determinata, fissandolo orgogliosa. “Farò così!” 
Nami fulminò il compagno, contrariata, con una vena che le pulsava in fronte “Una brava spadaccina che capisce quando deve riposare non esiste nel manuale?” 
Lui però la ignorò subito, staccandosi dalla spalliera che lo aveva sostenuto fino a quel momento e, mettendosi seduto di sbieco, aprì l’occhio concentrandosi solo sulla bambina che già rideva. “Tutto bene?” 
Si addolcì un po’, toccandole il piede avvolto dal lenzuolo con la mano destra facendole il solletico e provocandole un gridolino di divertimento. 
“Si”rispose guardandolo a sua volta, completamente persa in lui. Nami scosse la testa divertita ma sorpresa dal fatto che lei era così a suo agio con Zoro. Non era proprio una cosa così usuale da vedere, e la colpì dritta al cuore. 
“Sanji ti ha preparato qualcosa da mangiare.” 
Li distrasse con molto rammarico da quel gioco bello da guardare, ma consapevole che Rin avesse urgente bisogno di energie. Prese così il vassoio lasciato dal cuoco contenente un piatto ricco di cibarie prelibate e nutrienti con al fianco una forchetta. “Mi ricordo che avevi una fame da lupi. Ti aiuto?” 
Le si illuminarono gli occhi, dato che in effetti il suo stomaco non aveva mai smesso di brontolare. 
“Userò solo il sinistro.” 
Nami si batté una mano sul viso, al contrario della reazione dello spadaccino, che invece sembrava così orgoglioso, ridendosela. 
“È chiaro che è tutta colpa tua!”  
Gli disse a bassa voce la compagna, guardandolo di sbieco. 
“Semmai dovresti ringraziarmi!” 
“Per averla resa come te?”
“Certo!” 
“E questi?”
 Rin prese in mano un pezzo di carota tagliata a forma di coniglietto. Dietro la testa di Zoro si formò una gocciolina di imbarazzo, oscurata dalle risatine di Nami. 
“Sanji ci tiene.” 
La bambina, in evidente stato di difficoltà, continuava a cercare di mangiare usando solo il braccio sinistro, riuscendo a prendere un boccone ogni tre che le cadevano sul vassoio. Nami la indicò con le mani, arresa, facendo capire a Zoro quanto fosse irritata di quella ottusità che avevano in comune. Ma lui non era affatto preoccupato. Anzi, era così fiero di quella determinazione e forza di volontà. 
 
“Siamo ripartiti?” chiese a Nami, ad un certo punto, mentre cercava di mangiare non distogliendo mai lo sguardo dal piatto.
La rossa, che aveva ripreso a fissare il logpose con un accenno di preoccupazione sul volto che non si poteva non notare, sembrava non averla proprio sentita.
“C’è qualcosa che non va?” 
La navigatrice in quel momento si riprese e le regalò un sorriso, quello più falso che sapeva fare, e che tutti in quella stanza conoscevano bene. “Va tutto bene.”  
 
Restituito il vassoio a Nami, avendone consumato solo una parte di quel cibo, Rin si lasciò cadere sul letto, era troppo esausta per combattere il genitore, in quel momento. 
“Credo proprio che farò un sonnellino!” e, aderendo perfettamente al cuscino, chiuse gli occhi e si addormentò due secondi dopo averlo annunciato, senza perdere troppo tempo. 
 
La cartografa le stava rimboccando le coperte in un tocco nervoso, e senza perdere quel velo di preoccupazione che aveva spiaccicato sulla faccia, facendo però attenzione a non colpirle il braccio ingessato, sistemandole meglio il cuscino su cui era poggiato. Rin era visibilmente sprofondata nel sonno, lo si percepiva anche da quel piccolo respiro che accompagnava il silenzio calato d’improvviso nella stanza. 
Zoro fissava Nami con occhio vigile, quasi invadente, senza lasciarle spazio. 
“Sta bene.” le disse pacato, incrociando le braccia al petto. “Tu invece dovresti uscire a prendere un po’ d’aria.” 
Ma lei non lo guardò nemmeno, talmente era concentrata sulle sue azioni. Se si fosse fermata a pensare a lui, in quel momento, sarebbe esplosa. E per quanto lo volesse al suo fianco, allo stesso tempo aveva bisogno di stare sola. Erano troppe da reggere tutte quelle emozioni. Non sapeva nemmeno più a che cavolo di soluzione erano arrivati. A che tipo di accordo. Al fatto che non sapesse nemmeno il suo parere di quel bacio. Anche se quell’abbraccio di qualche ora prima era stato ugualmente chiarissimo e allo stesso tempo per niente. 
“Non mi muovo di qui” le uscì durezza nella voce, determinata a non dargli ascolto. 
“Vuoi vegliarla anche tutta la notte?” 
Sul viso di Zoro si leggeva quanto non appoggiasse la sua eccessiva apprensione. “Sei così cocciuta!” 
Era spesso contrariato ai suoi modi di fare e agire davanti ai problemi. Ma Nami non lo rispondeva, concentrata nel volerlo ignorare a tutti i costi, e lui la vide stringere i lembi delle coperte con la mano sinistra, in preda al nervosismo. Lui la stava rendendo più agitata di quanto già non fosse. 
Quando non esternava le sue emozioni a parole, lo faceva con i gesti.
“Guarda che se n’è accorta anche lei...” 
Scoprì Nami guardarlo con la coda dell’occhio, mentre allentava la presa sulle coperte, sempre senza proferir parola. 
“Rin. Si é resa conto che non stai bene.” 
 
Era impazzita quando tornata sulla Sunny aveva scoperto che la sua miniatura aveva riportato delle ferite dovute alla caduta, facendosi male al braccio nel momento in cui, cadendo da quell’altezza, aveva portato tutto il suo peso su di esso. Chopper, che aveva agito tempestivamente, gli aveva tutti rassicurati dicendo loro che, anche se lo sembrava, non era grave, che quella frattura sarebbe guarita in fretta. 
E la stessa Rin non sembrava né dolorante e né arrabbiata per il fatto che lei non fosse riuscita a proteggerla. 
Ma ciononostante, Nami era demoralizzata lo stesso, affranta da quella sua impotenza. Si vergognava anche agli occhi di Zoro, per non essere riuscita a proteggere la figlia, come invece lui avrebbe fatto senza causarle dolori o danni collaterali. 
Quando erano rientrati dopo quella brutta disavventura, Chopper aveva già fatto l’ingessatura, e lei aveva perso la testa inveendo contro tutti. Tanto che poi la maggior parte di loro si era dileguata, lasciandola a sbollire. Con lei erano rimasti solo Zoro e Sanji, quest’ultimo andato via solo a fine serata per preparare la cena. Si sentiva così demoralizzata che aveva voglia solo di sprofondare in un letto al buio e non alzarsi più per un po’. 
“Te l’avevo detto che è tutto sbagliato.”
Le uscì così spontaneo, che se ne pentì subito; non avrebbe voluto dirlo, non avrebbe voluto esporsi più, non avrebbe voluto parlare. 
E la paura di far venire i sensi di colpa alla bambina era pure peggiore di quel suo modo di agire avventato. 
Ma lo sguardo di lui era severo, non più accondiscendente. Lo faceva arrabbiare come pochi quando faceva la vittima. 
“Se pensi che perderò tempo a consolarti per qualcosa che tu non vuoi vedere, ti sbagli di grosso.” 
Nami alzò il pugno in aria minacciando di volerlo colpire, ma si arrese nello stesso istante. Quando non aveva parole poteva usare solo la violenza. Ma quella volta lui non l’avrebbe risparmiata; era nervoso, fissandola in quel modo rigido che solo lui sapeva dedicarle quando non era contento di lei.
“Scalcia quanto ti pare.”   
 
Rimasero in silenzio per un po’ a vegliare quella bambina che nella loro vita futura sarebbe stata la loro figlia a tutti gli effetti. Come potevano essere spesso così in disaccordo e vivere allo stesso tempo momenti che facevano battere il cuore in quel modo irregolare? 
Come poteva lui essere sempre così rude e poi dedicarle un’attenzione così importante che andava ben oltre la sua immaginazione?
Zoro non distoglieva lo sguardo su Nami nemmeno per un attimo. Stava aspettando di vederla crollare da un momento all’altro. Perché lo sapeva che stava rivivendo un brutto momento. Più di uno, forse. Ma era così testarda da pensare solo a Rin, al non averle risparmiato quell’incidente, da dimenticare pure sé stessa. Si stava facendo divorare dall’inutile senso di colpa. 
Nami lo sentiva eccome quell’occhio addosso e la stava facendo impazzire. Si distraeva continuando a rimboccare le coperte, che erano pure eccessive, o ad accarezzare i capelli di Rin - tutto per evitare lui, di guardarlo, di parlarci, di affrontare i suoi sentimenti. 
“Standole continuamente addosso non cambierai le cose. Quel braccio rimarrà ingessato comunque.” 
Zoro vide quegli occhi grandi sbarrarsi. L’aveva provocata. Istintivamente Nami avanzò verso di lui alzando la mano in aria, pronta per schiaffeggiarlo con violenza - per davvero stavolta - con tutta la collera che aveva in corpo, andando in escandescenza. 
Ma perché le aveva detto così? Non capiva che quel ‘gesso’ le faceva male? Era la testimonianza della sua debolezza come donna, come madre, come pirata, come compagna. 
Ma quella era una delle poche volte in cui lui la fermava, in cui non le concedeva di picchiarlo, di essere il suo sfogo, bloccandole le braccia in modo deciso. 
“Non è stata colpa tua!” Zoro sentiva con la mano quel suo esile braccio che teneva ben stretto tremare “mettitelo bene in testa.” 
“STAI ZITTO!” 
Prevedendo che avrebbe svegliato Rin, si alzò in piedi caricandosela di peso sulla spalla. 
“Lasciami subito!” 
“Hai bisogno d’aria.” 
“Non voglio lasciarla sola! ZORO!” 
Lo colpì sulla schiena ripetutamente, mordendolo anche sul collo. Quello imprecò ma resistette, non mollando la presa. 
“Nessuno le farà del male! Sta bene!”
 
 
Una volta all’esterno, sul ponte, la rimise in piedi sbarrandole però l’entrata per non farla passare, consapevole che si sarebbe probabilmente preso tutta la sua furia. 
Nami strinse i denti, muovendo entrambe le braccia in modo minaccioso per cercare di impaurirlo. Ma lui non aveva intenzione di cedere. “Rin sta bene!” C’era solo fermezza nel suo sguardo, nessun ripensamento, nessuna voglia di darle ragione.
“Zoro!” Ma un’aria di prepotenza volteggiava su Nami, sempre più ingombrante, in risposta al suo essere così risoluto. “Fammi passare subito!”
“No!” 
“ZORO!!!”
Ma appena arrivata sull’orlo del precipizio, l’aria fresca le era entrata dentro ai polmoni e L’aveva accarezzata dalla testa ai piedi, risvegliandole la pelle. Fu anche un sollievo per quegli occhi stanchi, dandole finalmente una tregua. Aveva il fiato corto e la voce bloccata, strozzata nella gola. 
Anche lui ansimava appena, ma non per la fatica, non per la situazione, ma per aver avuto un altro contatto fisico con lei. Un’altra vicinanza col suo corpo. 
Si portò una mano al collo toccandosi il punto dolente: lo aveva morso per davvero quella scema! 
 
“Sei stanca!” 
Aveva quietato di poco il tono, guardandosi la mano con un po’ di sangue sopra. “È stata una dura giornata per tutti.” 
Nami si arrese, e, sospirando sconsolata, lo lasciò perdere. Gli dava le spalle per non guardarlo in faccia, troppe paure avrebbe potuto scorgerci. Però sapeva che lui aveva ragione, era stata una giornata dura, impegnativa, e non solo fisicamente. 
Partita con quel bacio che le aveva rovinato la vita fino alla perdita di sé stessa, il risvolto disgustoso con quei pirati della malora e la rabbia per non aver impedito a Rin quell’incidente. 
E senza contare tutto il peso che aveva addosso ogni volta che lui la guardava o la toccava. Si era più agitata per le sue mani sopra la pelle che per l’azione di per sé. Quel continuo corpo a corpo erano solo preliminari per qualcosa di più che sarebbe senz’altro accaduta. Questa verità la mandava completamente ai matti. 
“Mi dispiace per il morso.” 
Aveva poi ceduto, facendosi cullare dall’aria fresca che un po’ era riuscita indirettamente a calmarla. Ma ancora evitava di guardarlo, anche se si sentiva un po’ in colpa per tutto quello che gli faceva sempre passare. 
 
Erano in viaggio già da un po’, si erano lasciati dietro quella gentaglia, che uomini non si potevano certo chiamare. Ora dovevano essere solo un ricordo lontano, ma in realtà non era proprio così. Tutto il male rimaneva sempre bene impresso nel cuore. 
Lui faceva il duro ma era lì con lei, come sempre. Scontroso ma presente. Severo ma preoccupato. Rude ma attento.
Era un’ombra. 
La sua ombra. 
Anche se non aveva alcuna intenzione di fare il babysitter. E anche lui aveva bisogno di riposare mentre lei continuava a succhiargli tutte le energie. Ne ebbe la certezza quando la vide stringere il cornicione della nave dentro i suoi palmi piccoli e stanchi.
 
“Mi hai strappato la pelle!” 
Si stava ancora tamponando il collo con la mano. 
“Ti ho detto che mi dispiace!” 
Finalmente si era voltata a guardarlo, con quegli occhi grandi e dispiaciuti, che rubavano tutto lo spazio che c’era tra loro. 
 
Nella mente dello spadaccino si ripresentarono le immagini della mattina in palestra. In quel momento in cui aveva perso il controllo e approfittato della situazione. Lui aveva un autocontrollo saldo, ma non così saldo come credeva; con lei, in un modo o nell’altro, cedeva. 
 
Avrei dovuto andarmene. Avrei dovuto rifiutarmi di baciarla. 
 
Perché ora quel ricordo era una tortura. E rendeva una tortura anche tutto il resto, tutti gli scontri e incontri che stavano avendo. Ma dopo aver dato sfogo alle sue pulsioni in quel combattimento, poteva ammettere dentro di sé qualcosa che né alla luce del sole e né al calar della notte avrebbe mai potuto rivelare: se ce ne fosse stata l’occasione, voleva farlo ancora. Anche adesso. 
Il ricordo della morbidezza delle labbra di Nami gli strappò un sussultò involontario che a lei ovviamente non sfuggì. 
 
Ho davvero perso il controllo stamattina, come uno stupido. 
 
Rimuginò tra sé, avendo una strana sensazione di quel momento che stava vivendo, di lui che si lasciava andare agli impulsi, e con lei in agguato che voleva mettere una fine o trovare l’inizio tra loro. 
Lui aveva paura si fosse spezzato qualcosa in Nami, magari anche lui stesso l’aveva spaventata in qualche modo con quel bacio avventato e indecente, che fremeva di esistere, iniziando a credere di non essere più colui che poteva ripararla.
Tutto il proprio autocontrollo, però, venne meno quando scorse in lei due occhi accesi, carichi di amore incondizionato. Eh si, l’aveva letta dentro anche quella mattina. L’aveva sentita fremere per lui. 
Ma ricordando che Nami aveva detto categoricamente che non l’avrebbe sposato mai, si sentì nuovamente confuso. Che significava quello sguardo? Era sicuro che ogni tassello sarebbe poi tornato al posto giusto da solo. Nami era testarda, ma Rin esisteva. Era un dato di fatto. E lui non avrebbe dovuto preoccuparsene eccessivamente.  
 
 
Naturalmente, le loro voci avevano attirato i compagni, il che li costrinse a rallentare. A fermare quegli sguardi carichi di troppi sentimenti compressi in uno. Sanji e Robin erano accorsi sul ponte, e notando quella tensione, quella strana calma, insieme alla contraddittorietà delle urla di prima, si resero conto che si trattava delle loro questioni personali cui non avrebbero dovuto proferir parola. Anche Franky era presente, testimone di quello scontro quasi invisibile che, di vedetta, osservava tutto con il cannocchiale, restando silenzioso. 
 
 
Nami era scivolata a terra, sedendosi vicino alla ringhiera, ma senza appoggiarsi. Faceva di tutto per non crollare. Non poteva farlo di nuovo. Non doveva approfittare di lui e richiamare la sua pietà per farsi abbracciare come quella sera. Anche se doveva ammettere che le era piaciuto essere intrappolata in quel calore. Rin aveva ragione, non erano azioni abituali per Zoro, e dunque sapeva renderle uniche.
Lo avrebbe portato allo sfinimento però, se lo sentiva. D’altra parte, non poteva nemmeno frenare le sue emozioni solo perché lui era fatto così.
Per un attimo vide il volto di Rin davanti a lei, e pensò alle sue debolezze, a quel bisogno di esprimere le sue emozioni, ma a quel modo severo con cui le sapeva ben reprimere. Sgranò gli occhi. Era davvero figlia loro, e se non la smettevano di giocare l’avrebbero rovinata, le avrebbero fatto indirettamente del male. 
“Che ti prende?” 
Ovviamente notava tutto, e quando non riusciva a capirlo da solo, chiedeva. 
“È colpa nostra se Rin ha paura di rivelare cosa prova.” 
Lui non disse nulla. Ma quelle parole lo avevano colpito. 
“È colpa nostra…” continuò a ripetere. Per una volta stava ammettendo apertamente che Rin era figlia loro, non solo di Zoro. 
“Allora ti sei finalmente rivista in lei!” 
La vide portarsi i capelli su un lato, riunirli tutti in una sola spalla.
Era agitata. 
La voce era diventata così bassa che sembrava stesse parlando più con se stessa che con lui. Come se ogni parola detta troppo velocemente rischiasse di scoprirla ai suoi occhi. 
Nami ora aveva la fronte corrucciata e le labbra serrate che trasudavano una dura amarezza.
E una domanda le sorse spontanea. 
“Tu sei riuscito a trovare punti di contatto con lo Zoro del futuro?” azzardò.
Il verde si ritrovò presto confuso, come se lei fosse ammattita di colpo. Era una domanda scomoda, molto scomoda, a trabocchetto anche, ma lei sentiva di avere il diritto di sapere anche di questo. 
Lo aveva messo alle strette. L’unica cosa che per ora lo legava al sé stesso del futuro era lei. Ma come poteva spiegarle questo? 
“Non so.” Gli uscì d’impulso. “Non ci ho pensato molto.” 
Bugiardo
Ed era vero in realtà, non ci aveva pensato molto. Però la risposta la sapeva. 
Quella che, a quanto pareva, era ormai la sua innamorata, lo fulminò incerta ma senza dubitare eccessivamente di lui. 
“Capisco.” 
Ma allora Zoro non aveva sentito per niente quello che lei aveva detto prima? Non sapeva leggere tra le righe? Dovevamo smetterla di giocare, anche per il bene di Rin. 
“E tu?” 
Sussultò.
Non credeva che le avrebbe chiesto lo stesso. 
Dannazione
“Nemmeno io.” 
Mentì. E si morse la lingua. Perché non ci riusciva?
Era come lui. 
Ma Zoro aveva appena sorriso senza farsi notare. Lo stava sottovalutando, ma lui l’aveva capita bene. Lei voleva sapere se sapesse il motivo del perché nel futuro sarebbero stati insieme. Voleva sapere ancora di quell’amore di cui tanto farneticava. Quindi capire quanto lui l’amasse adesso. Non le bastava vederlo? Continuò a sorridere interiormente lasciandola cuocere nel suo brodo. Doveva capirlo da sola, dall’istinto, dalle azioni, da quello che avevano, perché per lui era già abbastanza. 
 
“È meglio rientrare.” 
Finalmente si mosse, sbrigativo, con l’intenzione di andare a mangiare e magari farsi una dormita o anche starsene un po’ da solo. Anche lui era stanco. Anche lui voleva staccare da quei sentimenti caduti sopra la sua testa irrompendo con forza nella sua sfera protettiva fatta di sacrificio e rinunce.
Le porse però la mano per aiutarla ad alzarsi, una mano che lei accettò volentieri. Ma, un piccolo grido che le uscì dalla bocca, li fece preoccupare tutti e due, mandando a monte l’idea del riposo.
 
 
 
 
“Ma io non sono ferita!” 
Stava scrutandola meglio con l’occhio attento, dentro l’infermeria, adesso. “Ne sei certa?”
“Smettila di guardarmi, non ho nulla ti dico.” 
Ma lui non sembrava affatto convinto. Per fortuna che la renna stava entrando proprio in quel momento o quegli sguardi di fuoco avrebbero ustionato la stanza. 
Nami sospirò. 
“Io sto bene, davvero!” fu costretta a ribadire quando captò lo sguardo indagatore di Chopper sul suo corpo, mentre lei prendeva posto sulla sedia. 
“Zoro ha detto che sei stata aggredita.” 
Nami lo fulminò con lo sguardo ma lui continuava ad essere serio e per nulla ammutolito. Lei non voleva che nessuno di loro sapesse quello che le era successo, tranne lui e Usop, che ovviamente erano stati presenti.
In quel momento entrarono anche Sanji e Robin, preoccupati, assistendo alla visita e mettendola ulteriormente in agitazione, per la paura che quell’incidente avesse anche una sola possibilità venir fuori. 
“Toccale la schiena.” 
Lo spadaccino, sempre serio, si era rivolto direttamente al dottorino che, immediato, le passò una zampa sopra, beccandosi sempre uno sguardo furibondo da lei, che in tutti i modi cercava di farlo tacere senza proferir parola. Ma lui sembrava proprio non sentire. 
Non appena la zampa di Chopper scese verso il fondoschiena, le uscì un gridolino di dolore, allarmando i presenti. 
“Scusami Nami, posso controllare sotto la maglietta?” 
La navigatrice annuì, ormai arresa all’evidenza che forse qualche malanno se l’era preso. 
La renna alzò leggermente la maglia da dietro e vide - tutti videro, tranne la diretta interessata - un’ematoma violaceo che stava iniziando a formarsi sulla sua pelle. 
“Oh.” 
Chopper ci passò nuovamente la zampa appena più verso il fianco, provocandole un alto verso trattenuto che non era riuscita proprio ad evitare. 
Maledizione
“Che cosa è?”
Vide Zoro irrigidirsi, si stava facendo divorare di nuovo dall’ira più violenta. Lui lo aveva visto quel pirata inginocchiarsi sopra di lei con la forza.
“Hai preso un colpo forte alla schiena. Dovrò fare una visita più approfondita. Ma non ci sono danni interni.” 
Guardò il compagno spadaccino, voleva calmarlo con lo sguardo, voleva trasmettergli le sue emozioni, voleva dirgli che non era più così importante. Rin era al sicuro. Usop stava bene. Loro stavano lì, insieme. Non le importava più ormai. 
Ma lui sembrava non vederci e non sentirci. 
“Chopper, non é meglio farla subito questa visita?”
L’irascibilità di Sanji accompagnava la rabbia di Zoro, rendendo quella stanza un covo di emozioni negative trattenute. Nami le sentiva tutte attorno a lei. 
“Adesso le causerebbe solo altro dolore. Ma posso assicurare che é solo un danno esterno.” Rispose prima al cuoco per poi tornare da Nami, “posso darti questi antidolorifici per adesso.” 
Chopper la distolse dalla sua missione di quietare Zoro con lo sguardo, triste per non poterla guarire lì su due piedi. “Prendine subito uno, vedrai che almeno riuscirai a dormire.” 
“Va bene” gli regalò un sorriso “ma non sento niente se non mi appoggio.” 
Che fosse stata l’apprensione per la bambina a distrarla? Ora che era più calma avrebbe sentito il dolore? 
Mentre rifletteva, vide Zoro uscire dalla stanza con la coda dell’occhio. Si morse un labbro. Possibile che facesse tutto il tranquillo e poi si lasciasse governare dalle sue emozioni anche lui? 
“Ora ti spalmo una pomata speciale fatta da me. Aiuterà a velocizzare il suo corso.” 
“Grazie Chopper.” 
 
Zoro aveva tirato un pugno alla parete appena fuori dall’infermeria, talmente forte da lasciarci un segno. 
Se non ci fosse stata la minaccia per la vita di Rin non lo avrebbe mai permesso tutto quello. 
Ma Sanji lo aveva seguito fuori. 
“Allora?” Era dietro di lui, lo aveva colto in fallo. “Mi spieghi quel livido?” 
“Non devo spiegarti proprio niente!” 
“Non sai nemmeno proteggerla!” 
Gli sputò addosso tanto di quel veleno che lui sgranò gli occhi, guardandolo impazzito.
“Dove diavolo eri tu?” 
“Levati di torno!”
“Maledetto spadaccino inutile!” 
“Basta Sanji!” 
Nami li aveva raggiunti fuori dall’infermeria nel minor tempo possibile, non dando a Chopper nemmeno il tempo di abbassarle la maglietta sulla schiena che si stava appiccicando alla pomata. La abbassò lei con forza, superando Robin dopo averci scambiato uno sguardo d’intesa rassegnato, come a dirle ‘gli uomini sono stupidi’. 
“Zoro non c’entra nulla.” 
“Non devi difendermi!” la guardò malissimo. 
“Diamine quanto sei orgoglioso!” 
“Mi dite che diavolo é successo in quella taverna?” 
Il cuoco sentiva che non gli avevano detto tutta la verità. Si preparò ad accendere la sigaretta che curava il solito nervosismo. 
Nami si avvicinò a lui tirandolo per un braccio in segno di affetto.
“Sono solo scivolata sulla strada!” gli sorrise calorosa, ma lui non ci credeva affatto, continuando a fissare Zoro che invece non riusciva a nascondere niente. Lo stesso che, ricomponendosi, se ne andò, lasciandoli soli. 
 
“Nami, cara” 
Lei che stava ancora fissando il solco lasciato sulla parete dal quel pugno, sconvolta, si riconcentrò sull’amico alzando la testa, dal momento che ancora era attorcigliata al suo braccio senza accorgersi. “Umh?” 
“È furioso.” Ispirò il fumo, “quel cretino.” Ispirò ancora. “Se non vuoi dirmi cosa è successo, va bene. Ma quella rabbia non guarirà se non l’affronta.” 
“Guarire?” 
“Hai visto che ha fatto?” Indicò il solco che Nami aveva però già ben che notato. 
“Un animo ferito da sé stesso.” 
La rossa conosceva le motivazioni, sapeva cosa era accaduto. Ma non era chiaro, era stato così calmo tutto il tempo, come poteva essere esploso all’improvviso? 
“Ma non capisco…” si sentiva confusa, “prima non era così.” 
“Mi dispiace contraddirti Nami-san.” La guardò sinceramente negli occhi. “Lui ha quella ferita addosso da quando siete tornati.” 
Le mancò un battito. 
Era troppo presa da sé stessa per notarlo? 
Aveva allora fatto il forte per lei? Si era trattenuto per farle da sostegno senza esprimere le sue di emozioni al riguardo? 
‘È stata una giornata dura per tutti’, le aveva detto. 
Strinse i pugni. 
Il cuoco sentiva la necessità di volerla rassicurare, e non poteva nemmeno negare di essere un po’ in pena per quel cretino. Così decise di agire. “Vado a parlarci.” 
Ma Nami lo fermò all’istante con totale sicurezza.
“Grazie Sanji. Stavolta spetta a me.” 
 
 
Lo aveva seguito accelerando il passo, trovandolo così sul ponte, fermandolo in tempo prima che potesse chiudersi nel suo posto privato. 
“Mi hai detto di non sentirmi in colpa per Rin. Allora perché tu ti ci senti per me?” 
“Non è così.” 
Si fermò all’istante ma senza voltarsi. 
“Si è così, invece” era arrabbiata ma con la voce mozzata anche dall’agitazione. “Perché non mi dici mai cosa provi?” Lui continuò a stare in silenzio, dandole le spalle, ancora convinto di voler andare avanti e lasciarla perdere. “Sai quanti pugni vorrei tirare anch’io?”
Zoro la sentì quella sua voce piena di dolore. Lui lo aveva anticipato che sarebbe crollata, ma forse non era nemmeno così preparato a tutta quella rabbia che racchiudeva quel tono ferito. Si voltò a guardarla. Era rigida nel corpo, con le mani chiuse in due pugni lungo i fianchi. Ma a questo era abituato. Ciò che lo preoccupava era il suo sguardo, così pieno di sconforto. Allora prima si era trattenuta anche lei? 
“Quella lurida mano sul collo di Rin…io non potevo fermarlo…” era accecata dal fastidio, e più stringeva i pugni e più vedeva quella scena davanti ai suoi occhi. E la mente vagava, tornava a quando Arlong la costringeva a disegnare con la violenza. Non riusciva a placare quella rabbia, non riusciva a fermare quel ricordo, non riusciva a non sentirsi così impaurita da questo. Non poteva permettere che sua figlia vivesse lo stesso incubo finendo in mano di qualche pessimo pirata. 
“Sei stato tu a salvarci. A salvare Rin. Non io.” 
Sentì le gambe di Zoro muoversi lentamente e avvicinarsi a lei.
“Quello che ti hanno fatto…” lo sentì gelido, ancora in preda all‘ira, ogni suo muscolo ne era pervaso, anche se cercava di nasconderlo e non darlo a vedere “è da vigliacchi e da deboli.” 
I suoi occhi erano stretti in due fessure, in uno sguardo ancora troppo duro, il corpo intirizzito, quasi paralizzato. Almeno finché non lo vide sfiorarla sul braccio dove aveva la cicatrice più antica sotto al suo tatuaggio, e poi quella più fresca, dovuta al proiettile che aveva salvato Rin. 
Ma nonostante si lasciasse toccare, il suo sguardo non era cambiato. Stava soffrendo veramente. Era piena di collera. Aveva capito cosa con quel gesto, una carezza, stesse cercando di dirle, ma lei era così testarda. 
“Chiunque voglia approfittare di me mi minaccia sempre con la paura di fare del male alle persone a cui tengo. È perché sanno che non posso salvare nessuno.” 
Riuscì a rivelare quel macigno che si portava addosso, gridandolo al vento, perdendo una lacrima che finì sulla mano di Zoro, e che lei prontamente ripulì svelta credendo di cancellarla. “Maledizione.” 
“Ti sbagli.” 
Quella voce le arrivò dritta al cuore. L’aveva quasi urlato. Era stato così immediato nel risponderle che l’aveva spaventata. 
“Vedono la tua forza e la usano contro di te, stupida!” 
Nami voleva crederci con tutta se stessa, e nonostante quelle parole le avessero fatto piacere - sentirle da quella voce, poi - non era così convinta. Quasi che avrebbe piuttosto litigato con lui pur di avere ulteriori ragioni per sfogarsi. 
Vide il volto di Zoro curvarsi in una espressione davvero allarmata e contraria. “È proprio questa tua forza che gli spaventa. Tutti quanti loro là fuori.” Aveva preso una pausa per respirare, per imprimere quelle parole nell’aria una volta per tutte. “Hai pensato a Rin tutto il tempo senza accorgerti della tua ferita. Ti sei fatta sparare...” strinse la mano in un pugno. “Per lei ti sei lasciata toccare da quello schif…” 
Ma non riuscì mai a finire la frase. Nami aveva inconsciamente alzato i piedi e chiuso le sue labbra su quelle di lui. 
Forse per tutta quella tensione, forse perché per loro quelle chiacchiere erano il modo di dichiararsi amore, mettendo a nudo le paure e le debolezze. Forse perché quelle parole erano meglio di qualunque dichiarazione. Così, Nami aveva perso l’ultimo barlume di lucidità mentale che fino a quel momento le aveva impedito di abbandonarsi ai sensi. Tant’è che quando vide Zoro ritrarsi, per non spingerla a continuare, forse pensando che avesse preso un’abbaglio, lo agguantò per il bavero, strattonandolo e costringendolo a lasciarsi andare in un nuovo bacio, ancora più carico dei precedenti. 
E lui non si oppose più, anzi, dopo una iniziale sorpresa, affondò le dita della mano libera sul suo fianco, approfondendo quel contatto a lungo desiderato da entrambi. Stava rispondendo con una ferocia di cui poi, in seguito, di certo, si sarebbe vergognato. 
Le loro bocche non smisero un secondo di incontrarsi. Lui, che non era affatto idiota come spesso si credeva, ne approfittò per ghermirle le labbra con le proprie il più a lungo possibile. Fu un contatto lungo, infinito, difficile dopotutto quantificarne la reale durata, poiché staccarsi richiedeva uno sforzo che ormai non avevano più. 
Si baciarono con furore, non con dolcezza. 
Lui invase la sua bocca con la lingua lasciandola senza respiro, come volesse assaporare tutto il suo sapore e tenerselo per se per sempre, mordendola fino a che non la sentì gemere di piacere. O forse era dolore? Non lo sapeva. La razionalità era sparita per lasciare il posto all’istinto. 
Si erano urlati troppe parole quel giorno, si erano messi quasi a nudo, seppur involontariamente, poiché loro non ne avevano nessuna intenzione. Troppi contatti stretti. Troppa tensione. Troppa violenza. Zoro sentiva solo che la bocca di Nami era calda, le labbra che erano rosa e delicate all’inizio, adesso erano rosse e gonfie per via dei suoi continui affondi. 
 
“Zoro…” la voce bassa, resa roca dal piacere, di Nami, fu come una doccia fredda. Stava baciando una donna. La donna della sua vita; almeno, l’unica che avrebbe potuto diventarlo. 
E lei non era certo stata lì a lasciarlo fare. Lo aveva spinto contro alla parete, stringendolo forte con una mano, conficcandogli le unghie nell’avambraccio. Era tutta tensione che i loro corpi e la loro mente dovevano scaricare.  
Entrambi non poterono far altro che ammettere la realtà dei fatti: nulla sarebbe più stato come prima.
 
Trovata la forza per tornare a respirare, Nami si vergognò di sé stessa. Aveva immediatamente abbassato il viso, sfuggendo allo sguardo del verde e concentrandosi invece sul suo collo, puntando lì tutta l’attenzione. 
Lui che non le toccava la schiena ferita. Lui che stava ansimando, mettendo il collo pulsante in mostra, il torace che si vedeva sotto lo yukata e che alzava e abbassava ad un ritmo irregolare. Anche Zoro perdeva il controllo in quel modo. Anche lui poteva essere feroce con lei. Quei visi nascondevano tante, troppe, emozioni diverse. 
Rimasero così, mantenendo quella distanza per un po’, immobili. Lei ancora la mano conficcata nella sua pelle. Lui che ancora le stringeva un fianco. 
Anche il vento sembrava essersi fermato. 
 
Lo sentiva però leggermente più quieto adesso, sotto di sé. Aveva sbollito parte della rabbia. Nami aveva aperto la sua mano, quella ancora rimasta chiusa in un pugno, permettendo alle dita di Zoro di intrecciarsi alle sue. Stava cercando quella stessa emozione di quella sera di pioggia sul ponte, che adesso sembrava così lontana. E lui ricambiò, stringendole le dita. Era sicuramente meglio che parlare. 
Gli sparuti frammenti d’amore che l’avevano inizialmente spaventata, ora le apparivano come necessari. Era trepidante per questa sua avventatezza. Si sentiva coraggiosa. 
Quella mattina si erano uniti in una strana danza inaspettata che adesso si era ripetuta ancora più forte. Provando emozioni che avrebbero mai creduto esistessero. 
Ci sarebbe stato futuro per loro quindi? Era amore quello che aveva sentito? 
Forse. Probabilmente. Era certamente così. 
L’immaginarsi un futuro che non ci sarebbe mai stato era una ferita troppo grande da sopportare. Non c’era più tempo per rivangare quello che avrebbe potuto essere. O quello che avrebbe dovuto essere. Dovevano solo pensare al momento, al presente, a loro. A quel sentimento condiviso che però nessuno dei due voleva ammettere apertamente all’altro. 
 
Come una stupida lo guardava sul collo e rimuginava, era rimasta ancora bloccata lì a fissare quella sua pelle, ad ascoltare il suo respiro, ad annusare il suo odore, a pensare a quel calore sulla sua mano, alle sue dita che accarezzavano le sue, al tono severo ma caldo che le parlava e che si rivolgeva a lei nei suoi modi rozzi ma carichi di preoccupazione. 
Lei aveva sentito qualcosa. Eccome se l’aveva sentita. Era stato proprio quello che aveva sentito a farla cadere, a farla vacillare.
Il singolo momento in cui aveva sperato di avere ragione, cioè di non provare niente, e di non essere ricambiata, quel bacio aveva cambiato tutto. Forse mai completamente sarebbe tornata quella di prima. Perché lui sarebbe stato sempre lì, nella sua mente, nel suo cuore. Erano stati insieme per più che un istante adesso. Ed era bastato per sconvolgerle la vita, come aveva sempre fatto lui in ogni azione che era stata di impatto. 
 
Si era rilassata, Nami, e stava pian piano abbandonando i sensi di colpa, le paure e quella che pensava fosse una debolezza - lui aveva questo potere su di lei. Ma sembrava comunque voler mantenere il silenzio su quell’argomento. Anche se ormai chi voleva crederci al silenzio? Chi ci credeva più alle parole dopo quel bacio?
 
 
 
“…lo sai che la vita che abbiamo scelto comprende più che dei semplici rischi.” Le disse dopo un tempo che era sembrato più che infinto. “Ma Rin è forte, si vede. Non le succederà niente di quello che hai vissuto tu.” 
Il respiro le morì in gola. Come aveva fatto a capire le sue paure così fino in fondo? Sentiva la sua mano stringere la sua. 
Lui era lì.
“Io non lo permetterò.” 
Quasi che quella promessa volò via con il vento, ma questo non la rendeva meno reale. 
 
 
 
 
 
Un cyborg curioso, e con il cannocchiale in mano, sghignazzava. . .
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Accorgimenti ***


Capitolo XVI 
Accorgimenti  

 
 
 
 
 
Ripensare a quel bacio gli provocò un formicolio intenso verso l’inguine. Eppure, lui si stava proibendo di avere determinati pensieri o di rispondere a certe pulsioni. 
Scacciare pensieri mondani d’altronde era il suo forte. Saper rimanere lucido anche nei momenti più disparati era una sua qualità. Ma, evidentemente, ciò non era abbastanza per scacciare via certe immagini “impure” che gli obnubilavano il cervello.
Zoro non aveva avuto chissà quali fantasie, non arrivava mai troppo lontano con la mente, poiché era solo su Nami che si fermava tutta la sua immaginazione, e quindi non mi ne aveva proprio bisogno di allontanarsi. Quella testarda testa rossa era capace di provocargli emozioni senza sforzarsi troppo. Ma era proprio questo il problema adesso: nel momento di tregua, in cui lei era lì, a due centimetri dal suo corpo, nella sua mente era appena apparsa un’immagine fresca di quella piccola mano leggera che gli ispezionava il torace fino ad arrivare all’attaccatura dei suoi pantaloni, nel ricordo di quella splendida e pericolosa mattina che gli aveva visti dormire insieme. 
Perché proprio adesso?
Nessuno allora sapeva ancora la verità su Rin. Eppure, lei lo aveva messo alla prova già in quel momento. Lo aveva stuzzicato per poi lasciarlo solo ad annaspare. 
Annusava il suo profumo senza farsi scoprire, ma, nel frattempo, si stava impegnando davvero tanto per indirizzare la concentrazione verso qualcos’altro, qualcosa di più lontano, nella speranza di potersi distrarre. 
Sentiva di essere appena diventato una bomba ad orologeria, e sostenere tutte le provocazioni di lei iniziava a costargli qualche fatica. 
 
Nami, d’altro canto, nonostante fosse ancora sconvolta di sé stessa, continuava a fissare le loro dita incrociate, sembrandole tutto a dir poco surreale. Anche se ormai doveva averci fatto l’abitudine a loro due che si scontravano: quante volte si era guadagnata la confidenza di toccarlo, e lui la libertà di abbracciarla? Ciononostante, continuava a fare un certo effetto quell’avvicinamento di corpi e carezze, così insolito, quasi esoterico. 
Anche se quest’ultimo bacio tutto poteva essere stato tranne che una carezza. Le loro effusioni erano da considerarsi tra le più diversificate.
Nemmeno nelle sue ultime fantasie lui aveva reagito così, anche se a lei bastava solo quello sguardo impazzito per sentire il corpo fremere. 
Ora però erano quelle dita unite che l’attiravano, seppur consapevole del fatto che lui stava ribollendo, poiché lo sentiva troppo teso e molto meno fermo di prima. E non poteva negare quanto la divertisse metterlo in quelle situazioni. 
Continuava ad accarezzarlo sulle dita delicatamente, fissando quella strana unione e consapevole di farlo rilassare ma anche irrigidire nello stesso momento. 
Non c’era stata gentilezza, non c’era stato romanticismo tra loro, eppure doveva ammettere che le era piaciuto lo stesso. Non lo aveva mai immaginato così, ma forse non lo aveva mai immaginato e basta. Ormai per lei era chiaro questo bisogno fisiologico che riguardava entrambi, e si stupiva di lui, soprattutto. Lui che fremeva, e che fremeva per lei. 
Avevano dovuto affrontare discorsi impegnativi tra figli, matrimonio e amore, lasciando in un angolo la passione, quella che normalmente invece, viene prima. 
Stavano vivendo tutto al contrario. 
E un po’ le dispiaceva per Zoro, non doveva essere facile per lui. Ma non si lamentava mai, almeno non più del dovuto. Ed era pur sempre un uomo, e le aveva le sue pulsioni, come lei era una donna, e aveva le sue. Eppure, erano così bravi a sopprimere le intenzioni, avevano imparato così bene a sotterrarle, che lo avevano fatto anche con gli impulsi. Anche se ogni tanto qualcosa veniva fuori lo stesso…
La dolcezza tra loro era dura, la soavità trasformata in ruvidezza, ma non le importava. Lei lo aveva assalito, e lui, per la prima volta aveva ricambiato con lo stesso affondo. Era andato giù pesante insieme a lei. 
 
Le facevano male le labbra, erano gonfie. Lui l’aveva morsa, ma lo aveva fatto per prima lei, facendogli sicuramente male afferrandolo forte per il labbro inferiore senza dargli un attimo di tregua. Dovette lottare lui per riconquistarlo. E non si era nemmeno lamentato. 
Lei voleva essere più dolce, ma come poteva esserlo se era stata invasa prima dalla rabbia e poi dal tormento di volerlo assaggiare ancora una volta? 
Però la voleva, la dolcezza, la meritava, la meritavano entrambi, e sapeva che, ripensando a tutte quelle carezze gentili, sporadiche e casuali capitate, sarebbero riusciti a tirarla fuori, prima o poi, in qualche modo. 
 
Ma quel flusso di pensieri era destinato a finire in fretta. Quel silenzio che lei aveva chiesto non sarebbe poi potuto durare in eterno. 
 
“Nami”
lo sentì sospirare forte, “rientriamo.” 
Lei aveva rubato un altro minuto per vivere ancora quella stretta, come spaventata dal pericolo che non ci sarebbe più stato alcun altro contatto simile. Ma era ridicolo pensarlo, loro sarebbero stati genitori, sarebbero stati sempre insieme.
Come poteva pensare che quello sarebbe stato l’ultimo tra quegli scambi che viveva con lui? Quegli spiragli d’amore non si sarebbero esauriti - o almeno così sperava. 
Dovevano mettere al mondo una bambina, dopotutto. 
Non poteva accertarsene, ma era sicura di avere il viso bollente, ma forse anche le mani si erano accaldate, vista la reazione di lui, che aveva mosso le dita proprio in quel momento. Così le abbandonò per non farsi scoprire, ma era come se avesse appena abbandonato un cospicuo sacchetto d’oro per sempre. Riuscì a voltarsi senza guardarlo in volto, troppo imbarazzata, cercando di non trovarsi faccia a faccia con lui.
Ora era lei a sentirsi profondamente a disagio, e aveva fatto tutto da sola.
“V-va bene.” 
Rispose sbrigativa, in un tono di voce impacciato e quasi rauco, come se si stesse tappando il naso o stesse trattenendo il respiro. 
 
Lo spadaccino alzò un sopracciglio, guardandola, prima incerto ma poi divertito, mentre la vedeva salire le scale all’esterno dirigendosi nella stanza delle ragazze. 
Illuminati dalla luna e dalle luci interne che arrivavano dagli oblò, vide i capelli scivolarle dalla spalla e ricaderle dietro alla schiena, mentre con quella mano che prima stava stringendo lui ora era aggrappata con forza alla ringhiera, come se si stesse reggendo stretta per non cadere. 
La osservava salire un gradino alla volta, con fare silenzioso e furbesco. Appena vide il piede superare l’ultimo scalino, si mobilitò per raggiungerla.
“Aspetta” 
La navigatrice non sapeva spiegarsi come mai si sentiva così immobile, era completamente spaesata, da sé stessa, ma anche da lui e quel suo sguardo sempre intenso che ora non voleva sostenere. Non voleva avere un confronto adesso, non dopo quello che aveva fatto prima, baciandolo in quel modo vergognoso. Perché la stava fermando? Non era lui quello che voleva rientrare? 
Scosse la testa, scacciando via i pensieri e riprendendo un po’ di coraggio “mi dici che ti pre…” ma non terminò più la frase quando vide la serietà nello sguardo di Zoro, che divenne indirettamente gentile, ma anche sensuale.
“Mi dispiace” aveva mormorato, non smettendo di fissarla, abbassando l’occhio sulle sue labbra.
La rossa aveva portato il suo pollice a tastarsi le labbra gonfie e “ferite” in modo inconscio. Capendo subito a cosa lui si stesse riferendo. Aveva così sbarrato gli occhi per la sorpresa
ma era diventato scemo tutt’insieme? 
Ma era stata lei ad agire in quel modo violento. 
Ora erano nuovamente uno di fronte all’altra, lei rovente, lui preoccupato. 
“Ma è stata la mia rabbia a…tu non”
Si sentiva una stupida, perché stava andando in iperventilazione?
Per cercare di calmarsi allora aveva iniziato a vagare con la mente, soffermandosi sul pensiero di quanto fossero d’oro i suoi compagni, che erano anche i suoi amici e la sua famiglia, quando sapevano dimostrare amore con determinate azioni insolite, soprattutto nella difesa in combattimento, nelle piccolezze, come preparare ad ognuno le pietanze preferite con cura e attenzione, o quando si era ritrovata più volte la mano di Rufy sulla fronte per misurarle la febbre, seppur non sapesse nemmeno intuirlo. E lei lo aveva sempre quasi sgridato. Se ne pentiva di essere stata spesso così irascibile rispondendo male a quelle tenerezze sporadiche, non godendosele mai. Il problema è che gli amici avevano anche un pessimo tempismo.
E adesso, Zoro. 
Le sue tenerezze le racchiudeva nei suoi accorgimenti e niente di più, e ora era lì, ad osservarle le labbra, con quello sguardo ruvido. Anche lui ebbe la reazione di portarsi il dito sulla sua di bocca e toccarla, sentendo una piccola insenatura incrostata sul labbro inferiore. Lei lo aveva morso, ma preso dalla foga di quel bacio non ci aveva dato peso. Non che gli facesse male. 
In quell’istante vide gli occhi di Nami aprirsi di più. Era stata lei a provocargli quella ferita. 
“È per questo quindi che sei agitata?” 
 
Certo per la tua ferita, “mica per quel bacio esplosivo”, cretino. 
 
Il viso di Nami prese un evidente colorito purpureo. 
“Ti dà fastidio?”chiese con un broncio da bambina imbarazzata sul volto, riferendosi alla cicatrice creata dalla sua enfasi. 
In realtà in quel momento si vergognava così tanto di quel suo modo di fare perentorio, e le loro labbra le ricordavano proprio il suo atteggiamento. La sua era una irascibilità che si trasformava e cambiava forma a seconda delle situazioni.  
Divertito, smise di ispezionarsi, guardandola tra il serio e l’ironico.
“É una ferita di guerra.” 
“Scemo.” 
Rise divertita anche lei, seguendolo in quel momento di rilassamento e intesa.
 
E ancora una volta le loro memorie vennero invase a tradimento da immagini dei ricordi del bacio che avevano appena vissuto, da quel labbro tirato, dall’enfasi dell’attimo, dalla tensione crollata, dal caldo di quelle morbidezze. 
Fece solo in tempo a vederlo abbassarsi su di lei e chiudersi ancora in un altro, ma più semplice, contatto delle labbra, lasciando perdere qualsiasi attorcigliamento con la lingua. Voleva solo darle sollievo. 
Quello prima era stato intenso, ma questo richiedeva maggior cura e gentilezza. E Zoro lo aveva capito. Sentiva che ne doveva superare tante di prove con Nami, per starle dietro, e come dimostrava il tremolio delle gambe di lei, l’aveva sconvolta un’altra volta. 
Non si aspettava che sapesse essere così morbido? 
Nami restò ammaliata da quel bacio piccolo e caldo; tanto che non oppose alcuna resistenza, lasciandolo agire. 
La delicatezza con cui le posò le labbra sulle proprie le fece dimenticare di ogni vergogna, tuttavia, non riuscì a rispondere, si faceva solo baciare, troppo impaurita di sé stessa, di rompere quella magia che non voleva spezzare. Non voleva rispondere e magari rischiare di diventare nuovamente aggressiva. Era lui quello che aveva più controllo tra i due, era lui quello che riusciva a fermarsi e a fermarla. Quindi lo lasciò fare, facendosi accarezzare le labbra provate e alleviando così la sensazione di bruciore. Si lasciò leccare sulle impercettibili ferite che lui le aveva provocato poco prima, lasciandosi andare e appoggiando una mano su quel collo caldo. 
Il suo era come un sussurro del vento, le labbra ancora unite, i respiri che si muovevano in sincrono. 
“È meglio?” 
 
Non è per niente facile farsi attraversare da un’energia potente come quella dell’amore, pensava Nami con gli occhi grandi ancora un po’ sorpresi. È dunque questo, quell’amore? 
 
Sembrava tutto perfetto tra loro, in quel momento, almeno, finché non lo sentì irrigidirsi all’improvviso. “Dannazione” aveva sussurrato ancora sopra le sue labbra, lasciandola confusa. 
 
“È questo che dobbiamo aspettarci d’ora in avanti?”
 
S’irrigidì anche lei. 
Non avevano sentito la porta aprirsi - due stupidi. 
Vide Zoro inghiottire; sentiva sotto la sua mano le venature del collo farsi più grosse. Il respiro di entrambi mozzato. Si voltarono lentamente, colti in fragrante. 
Usop e Brook erano davanti alla porta dall’esterno, fissi su di loro. Brook sghignazzava farfugliando parole romantiche, e Usop aveva incrociato le braccia al petto, soddisfatto. Finalmente si sono intesi, aveva pensato. 
“Dobbiamo inventare un segnale ogni volta che apriamo una porta?” continuò, con gli occhi stupiti ma luminosi, allegro nel suo modo civettuolo. 
Ma quando vide gli sguardi degli amici diventare pieni d’ombre si apprestò ad agitare le mani davanti a loro. “Scherzo, scherzo, è uno scherzo…”  
“Ma come sei dolce Zoro-San.” 
“DACCI UN TAGLIO.” 
Il diretto interessato aveva aggredito verbalmente lo scheletro, e il suo sguardo era molto lontano dall’essere, per il poverino, rassicurante. Nami continuava a guardarlo reagire, iniziando a sorridere a quella vista che era tutt’al più diventate. Era decisamente meglio quando erano gli altri ad imbarazzarsi, e non lei. 
Lei, che ancora non aveva discostato la mano dal collo di lui, lo sentì tutto rigido, fino alla punta dei capelli. 
L’essersi fatta beccare dagli amici non la sconvolgeva così tanto adesso, non come qualche secondo prima, ma probabilmente ciò che aveva fatto scattare Zoro era che era stato beccato nel suo momento più dolce -vulnerabile, come avrebbe detto lui. 
 
Nami mollò la presa sul suo collo, lasciandolo libero, voltandosi del tutto verso i due curiosoni, che continuavano a guardarli guardinghi e su di giri. 
“Guardate cosa mi ha fatto!” 
Indicò le sue labbra con il dito, dando agli amici una dimostrazione della “virilità” del compagno. 
“SEI IMPAZZITA?” 
Era tremendamente a disagio, Zoro, dimenticando tutto quell’essere morbido in un posto lontano e sostituendolo con i denti da squalo e il fumo fuori dalle orecchie mentre la guardava esterrefatto.
Solo lei poteva agitarlo in quel modo.
“Me le ha consumate!” 
Continuò ad infierire, Nami. 
Lo vide subito contrariato, mentre le lanciava l’ennesimo sguardo furibondo. Ancora una volta scoperto in quel modo che non si addiceva a uno come lui, davanti ai compagni. 
Ma la reazione cambiò poco dopo, quando le intenzioni di Nami divennero a lui più chiare. Nonostante la crisi di nervi, il suo sguardo lasciava anche trasparire una bramosia crescente e quasi incontrollata di rigettarsi ancora sopra di lei, che entrambi gli amici avevano ben colto. 
“Zoro - San fa sul serio, yohohoh, è proprio un duro.” 
“Per un attimo ci avevo creduto! Sei sempre il solito animale!” Grugnì Usop, ma mantenendo lo stesso gli occhi luccicanti, mentre veniva trascinato via da Brook, lasciandoli soli a continuare, con una punta di gelosia nelle ossa per quello che stava facendo a Nami, o anzi, che lei si stava lasciando fare.
“Che uomo! Yohoho”
“Rin dorme…noi buttiamo l’ancora…e la cena è pronta!” Urlava di fretta Usop, mentre impauriti dalla possibile rabbia dello spadaccino, scendevano le scale quattro gradini alla volta, scappando.
“Zoro, però vedi di darti un contegno…sii più gentiluomoooooooo!” 
Concluse il cecchino sbattendo la testa sui gradini mentre veniva trasportato in malo modo da uno scheletro elettrizzato. 
 
Una volta andati via, si sbollì appena, digerendo quel senso di disagio improvviso. 
Sentì Nami ridacchiare lì accanto a lui, costringendolo a guardarla, ancora infastidito della situazione creatasi, ma anche impacciato e nervoso. 
A lei non incuteva nessun timore e, anzi, lo prese persino in giro, guardandolo con quegli occhi profondi ma così ingenui, che ricordavano che voleva sembrare sempre più grande di ciò che era in realtà, una ragazza cresciuta troppo in fretta. Esattamente come era lui, un ragazzo che voleva passare per un uomo maturo e integro. 
“Ora puoi tornare ad essere dolce.” 
“FALLA FINITA.” 
La superò, dirigendosi verso la porta. 
Ma col cuore più leggero, ringraziandola silenzioso. 
 
 
 
 
Dentro la stanza delle ragazze, Rin dormiva beata, proprio come avevano detto quei due, che gentili erano sicuramente rimasti con lei a vegliarla per qualche ora. Ma non era sola, a farle ancora compagnia era rimasto Rufy, che vedendoli entrare insieme gli accolse con un grande sorriso. 
“Zoro! Nami”
prese il cappello che aveva poggiato sul letto, rimettendolo sulla testa. “Tutto bene?” 
“Rufy” la rossa era colpita da quel calore, ricordandosi i pensieri avuti prima sulle piccole attenzioni. “Hai pensato anche tu a Rin?” 
Il capitano annuì. “Usop mi ha detto di non svegliarla e non l’ho fatto.” 
La rossa lo aveva raggiunto e gli aveva stretto la mandibola nella mano, scuotendola. “Bravissimo.” 
Quello guardò Zoro col viso spaventato, e invocando aiuto, ma lo spadaccino fece spallucce impotente. Finché la navigatrice non sentì quel suono conosciuto dello stomaco del suo capitano, che costantemente brontolava. 
“Sù, fila a mangiare. Qua ci penso io.” 
Al ragazzo di gomma si illuminarono gli occhi, era evidente che quei due compagni avessero usato una scusa per incastrarlo e filare via loro prima di lui, sapendo che se fosse accaduto il contrario Rufy avrebbe spazzolato via tutta la cena. 
“Davvero? Posso andare?” 
“Certo, te lo sei meritato.” 
Non se lo fece certo ripetere due volte, lasciando la sedia e correndo alla porta. 
“Zoro, tu che fai?”
Prima di uscire guardò l’amico. 
Lo spadaccino, ancora in piedi, prima di rispondere soffermò lo sguardo su Rin, sapendo che quella bambina era anche una sua responsabilità, e poi su Nami, che sembrava così stanca. Non poteva non adempiere ai suoi doveri. Sarebbe rimasto lì, con loro. 
Stava per avanzare con la gamba quando la ragazza lo fissò dritto nell’occhio. “Vai anche tu. Qua basto io.” 
Rimase un attimo immobile, sentendo addosso tutta l’impazienza del capitano. 
Ricambiò quello sguardo tra il contrariato e l’infastidito.
Perché diavolo doveva sempre dare ordini a tutti, ma anche a lui, e dopo quella serata, poi. 
Ma osservando meglio, non era sicuro al cento per cento che quello fosse un ordine, cioè lo era,
ma forse era anche un regalo.
Stava pensando a lui, dicendo così?
Magari era tornata ad essere brusca visto che c’era anche Rufy. Oppure no, lei era semplicemente così. 
Sentì il capitano tirarlo per un braccio, “dai Zoro, ho fame.” 
Riuscendo a distogliere lo sguardo da Nami, lo seguì fuori. 
“Fatemi portare qualcosa più tardi.” 
La sentirono, prima di chiudere la porta alle loro spalle. 
 
 
 
 
 
 
 
“Se vuoi rimanere, vado a dormire altrove.” 
Zoro e Robin stavano dirigendosi insieme nella stanza delle ragazze, uno di fianco all’altra, silenziosi e un po’ a disagio. Non tanto per la compagnia, quanto per la situazione. 
L’archeologa poi, che non aveva problemi ad esternare i suoi dubbi, guardava uno Zoro che, davanti a lei, teneva ben saldo un vassoio in mano, ricco di cibo ben preparato da Sanji - quest’ultimo aveva insistito per andare da Nami con loro di persona, ma poi convinto dall’archeologa a rinunciare per via della stanchezza della rossa. Un vassoio che aveva improvvisamente tremato, facendo sì che un po’ di spremuta di mandarino si rovesciasse appena sul piattino bianco che stava sotto. 
“Ma che stai dicendo!?” 
Le rispose nervoso, non capendo cosa volesse insinuare, ma ritrovando in fretta la concentrazione, continuando ad avanzare rapido. 
“Magari ti andava di restare…per Rin. O avere un po’ di intimità in famiglia.” 
Quella strega mora giocava con i suoi nervi, in quel momento ancora più di Nami, perché lei lo faceva in modo calmo e pulito, senza trattenere ciò che pensava davvero. Giocava pulito, ma diventava sporco quando la sua vita e relativi sentimenti venivano messi su un tavolo operatorio. 
“Guarda che non siamo davvero una famiglia. Non siamo sposati, non viviamo quelle cose…” 
Robin si lasciò sfuggire una risatina, curiosa di sapere quali azioni Zoro ci avesse incluso tra quelle cose, mentre faceva gli scalini che portavano alla sua stanza, superandolo con eleganza e tranquillità. 
“Non ancora.” 
Ci tenne a precisare quella, notando come lo aveva reso subito agitato. Gli aprì però la porta per farlo entrare - voleva aiutarlo dopotutto. 
“Forse tu non sai cosa ha rivelato Rin, l’altra mattina.” 
Lui la guardava con la coda dell’occhio, un po’ irrequieto per via di quella risatina - non voleva proprio finire su quel tavolo operatorio dove tutti loro stavano a guardare ridendo. 
“Non voglio saperlo.” 
Superò la porta ed entrò nella stanza. 
“Come vuoi” 
Robin continuò a sghignazzare, seguendolo all’interno.
 
La prima cosa che fu evidente per entrambi fu trovare Nami assopita, seduta sulla sedia con le braccia curvate sul letto sopra alla bambina. 
Aveva detto fatemi portare qualcosa, e non portami qualcosa, perché non voleva crollare davanti a lui.
 Che stupida. 
“Ti conviene svegliarla e farle mangiare qualcosa. È tutto il giorno che non tocca cibo. E deve prendere anche il medicinale di Chopper o si sveglierà dal dolore.” 
Zoro aveva appoggiato il vassoio sul letto libero e voltandosi, “perché tu non puoi far…” vide solo la porta richiudersi veloce. 
Ma guarda un po’. 
Con l’occhio scorse anche un cassetto aperto. Quella aveva davvero preso il cambio ed era filata via. Che razza di amici si ritrovava. Volevano a tutti i costi lasciarlo solo con Nami, e non certo per badare a Rin, che dormiva al sicuro, ignara di tutto. 
Ma che si aspettavano? 
Ora avrebbero usato questi giochetti per farli rimanere soli la sera per…non volle nemmeno pensarci. 
Sospirò arreso. 
Ora doveva solo svegliarla, ed era già una gran cosa se riusciva a uscire vivo da quell’imprevisto. 
 
 
“Nami?” 
Si avvicinò alzandola per le spalle. “Svegliati!” 
La sentì mugugnare qualcosa, segno che non era sprofondata del tutto nel sonno. “Dai, forza”, la tirò per le spalle, andandole davanti e portandosela addosso, sul petto, “devi mangiare.” 
“Nnn on posso”” biascicò, accoccolandosi su di lui non appena si rese conto che era più comodo della sedia. “So-sono st sta” sbadigliò “ncaaa.” 
La prese del tutto in braccio stando attendo al punto ferito in fondo alla sua schiena, e la condusse sul letto libero, accanto a quello di Rin. Si era seduto prima lui, cercando di tenerla dritta sopra di sé e avvicinando il vassoio con l’altra mano. Prese la forchetta con conficcato un pezzo di una verdura a caso e lo avvicinò al suo naso, cercando di risvegliarla con l’odore. “Forza.” 
La vide muovere i muscoli del viso e aprire la bocca e, nonostante tenesse gli occhi chiusi e fosse aggrappata a lui, prese il boccone dalla forchetta. 
“Ma guarda che cosa mi tocca fare!”
La vide masticare lentissima, mentre lo accarezzava con le mani sul petto, trovando una nuova comodità per riprendere a dormire. “No- no! Scordatelo! Svegliati!” 
La spinse dalle spalle, un po’, per metterla dritta, incastrando la forchetta nella sua mano. 
“Z-Zoro ma che vuoi?”  
“Devi mangiare.” 
Maledetta Robin che mi ha lasciato solo. 
Riuscì ad aprire un’occhio. Assonata e con la vista totalmente offuscata. 
“Sono troppo stanca…” ripeteva, con una vocina flebile che cercava compassione. E si sbatteva una mano sulla faccia lui, maledicendosi per finire in queste situazioni più disparate. 
Riprese la forchetta nella sua mano e le diede un altro boccone che lei mandò giù. Ancora un altro, ripetendo le stesse identiche azioni in una maniacale concentrazione. Fece la stessa cosa con la spremuta, assicurandosi che ne bevesse almeno un po’. C’era anche l’antidolorifico di Chopper, che si era ben assicurato di farlo arrivare doppio, dal momento che Nami aveva lasciato i suoi in infermeria dalla fretta di uscire.
“Ora butta giù questo.” 
Sul vassoio era già pronto anche il bicchiere con l’acqua, per aiutarla a far scendere la pastiglia. Medicinale che lei aveva già scordato di dover prendere. 
 
E anche per quel giorno aveva fatto l’infermiere, balia e babysitter. E lui era uno spadaccino, un guerriero. Come poteva finire in queste situazioni? 
 
“Va bene, va bene…” tossì la rossa per aver bevuto male. “Sono sveglia.” Prese lei il bicchiere, rubandolo dalla mano di lui, per un atro sorso d’acqua urgente. 
Dal momento che stava riacquistando le sue facoltà mentali, lui si discostò da lei, sedendosi al suo fianco, appoggiando la testa alla spalliera, sollevato dell’essersi liberato dell’impegno. Chiudendo gli occhi, aveva un solo desiderio, solo uno, ed era solamente sprofondare nel sonno.
Sentiva Nami che lentamente finiva la sua porzione senza parlare e si sentì sempre più quieto e pronto ad abbracciare Morfeo. 
Chissà come sarebbe stata la vita matrimoniale - si chiedeva mentre il letto iniziava a prendere la sua forma - se si trattava solo di questo, avrebbe potuto pure sopravvivere. Poteva anche farci l’abitudine, basta che ogni cosa sarebbe poi venuta sempre dopo i suoi allenamenti, ovviamente. 
Ora iniziava a vedere bene anche il consiglio di Robin di rimanere a dormire lì. Ma senza alcuna malizia, anche solo avere il profumo di Nami vicino era sufficiente. Una semplice e innocua dormita, coccolato dai profumi della stanza e della compagna, non sarebbe poi stato così male. Poi però si rese conto di una cosa, che lo fece quasi soffocare. 
Affiancò Nami e le prese il bicchiere formato gigante dalla mano con l’acqua che non aveva finito e la buttò giù tutta d’un colpo. 
“Che diavolo ti prende?” lo guardò preoccupata. 
Continuava a strozzarsi, finché lei non gli porse anche ciò che era rimasto della spremuta. “Ma insomma?” 
“So-sono” aveva ripreso a respirare, portandosi una mano al petto “troppo giovane per sposarmi.” 
“ED IO NON HO MICA l’ETÀ DELLA PENSIONE!” 
Lo guardò malissimo, con una vena pulsante in fronte. Un modo per risvegliarla l’aveva trovato alla fine. 
“Stupido, ma allora non pensi davvero alle cose che dici?” Scosse la testa contrariata. “Puoi riprendere colore, di certo non ci saremmo sposati ora! E poi ti ho detto che non ho intenzione di sposarti!” 
Lui mise un broncio che non poteva trattenere. “Sei cocciuta!” 
“Ma non dovresti esserne sollevato?” 
“È comunque questione di orgoglio.” 
Smise di mangiare, allontanando il vassoio da lei e mettendolo alla fine del letto in cui dormiva Rin, lei era così corta che non ci sarebbe mai arrivata a sfiorarlo con i piedi. 
“Allora è così?” si voltò verso di lui, sghignazzando. “Non ti piacciono i rifiuti?” 
“Uhm” chiuse gli occhi, lasciandosi nuovamente trascinare dalla spalliera del letto e riprendendo a respirare, appoggiandovisi e togliendosi gli stivali con gli stessi piedi, che caddero dal letto. 
“Sei un tonto.” 
Nami soffiò sulle candele vicine, diminuendo drasticamente l’illuminazione, dando prima un’ultima occhiata a Rin, che dormiva ricordando lui, ma con un russare più leggero adesso, quasi inesistente. 
La navigatrice si lasciò cadere supina con la testa sul cuscino, era troppo stanca per combattere in quella conversazione, anche se sotto sotto stava ridendo felice. Per fortuna l’antidolorifico aveva fatto in tempo ad agire, così poteva sdraiarsi in pace. 
 
 
 
 
“Ti senti ancora il colpa per quello che è successo oggi?” 
“…” 
Con espressione tra il preoccupato e il curioso, si voltò a guardarlo. “Non vuoi rispondere?” 
Aprì l’occhio e abbassò lo sguardo su di lei. 
Sbuffò. 
“Perché devi rovinare la mia pace proprio ora?” 
Nami si voltò del tutto sul corpo, ignorando quel suo tono lamentoso; voleva guardarlo bene in viso seppur le luci della candela ne facessero scorgere solo i contorni. 
“Voglio che condividi con me le tue emozioni e paure.” 
“Quali paure?” 
Zoro lo prese come un insulto e lei incurvò automaticamente le labbra. 
“Sbruffone.” 
“Quali paure, Nami?” 
Arresa, si rivoltò nel letto dandogli le spalle, accovacciandosi leggermente con un occhio che nemmeno si apriva più, talmente era assonata. “È impossibile parlare con te se dici queste sciocchezze da superuomo.” 
“Sono serio.” 
 Dopo averci pensato per una manciata di secondi, gli stessi che erano già bastati a Zoro per sognare il silenzio e il riposo, Nami si convinse a parlare ancora. 
“Non sono mai capace di notare cosa ti affligge. E questo non mi piace.” 
Sbadigliò per l’ennesima volta, con espressione impossibile da vedere. “È da quando ti conosco che per tirarti fuori le cose devo sempre portarti allo stremo; parlarmene direttamente tu, ti prego.” 
“Ma quale portarmi allo stremo. Tu mi hai sempre bacchettato e preso a botte. Non mi pare tu mi abbia mai chiesto qualcosa.” 
Non si erano resi conto davvero di quello che stava succedendo, con naturalezza si stavano preparando a dormire insieme, nello stesso letto, senza che sembrasse strano. 
“Sono un uomo semplice io.” 
Zoro stiracchiò le braccia diventate peste dietro alla sua nuca. “Posso risolvere i problemi solo per quello che sono, lo sai anche tu. Tutto il resto sono chiacchiere inutili.” 
 “Si si…”
 
 
Si muoveva nel letto continuamente, Nami, quasi agitata, nonostante cercasse di prendere sonno, un sonno che certo non mancava. Sentiva lui così vicino, che mugugnava qualcosa ogni volta che lei girava il cuscino sotto alla testa. Eppure, non era lui a renderla così, nemmeno ci stava facendo troppo caso a quella presenza nel letto, ma solo perché era stanca, e perché iniziava a sembrarle abituale quella presenza costante. Nonostante quella specie di conversazione non l’avesse affatto soddisfatta. E forse era proprio questo il suo problema. 
“Zoro?” 
“Umh?” Biascicò di nuovo, mezzo assonnato. 
“Noi avremo una figlia...proprio noi…,noi due…”  
“…” 
“Non ti sembra ancora così surreale?” 
“Può darsi.” 
“Una figlia che metteremo nei guai.” 
“Se la caverà.” 
“Perché sempre questa sicurezza? Hai sentito le sue storie, no?”
“Guarda che è già più forte di me di quando avevo la sua età.” 
“…”
“Sa orientarsi. Prevede le tempeste.” 
“…” 
“È uguale a una persona che conosco, quindi se la caverà senz’altro.” 
“Ma se è tale e quale a te.”
“Guarda meglio.” 
 
 
 
“Zoro?” 
“Che c’è…” 
“Quindi noi…”
“…” 
“siamo come amanti?”
Si strozzò per la seconda volta in una giornata. “Ma che vai blaterando?!” 
“Siamo innamorati?” 
“…”
“Rin c’entra in questo?” 
“…” 
“…”
“…”
“Rin non c’entra, vero?” 
“Non c’entra.” 
 
 
 
 
“Zoro?” 
“Perché non cerchi di dormire?” 
 Ma più nessuna parola arrivò alle sue orecchie in quella stanza diventata ormai buia.
Nami si era finalmente abbandonata al sonno. 
Zoro, sollevato, tirò su le coperte, avvolgendo entrambi e crollando stremato al suo fianco. 
 
 

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Capitolo 17
*** Il sofferente codice di uno spadaccino ***


Capitolo XVII
Il sofferente codice di uno spadaccino 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le sue dita sfioravano impazienti i vetri del logpose. 
Nemmeno lo sapeva il motivo preciso per cui non vedesse l’ora di sbarcare. Forse sentiva la necessità di fare spazio, di mettere una distanza tra lei e quei sentimenti che ora avevano preso la forma di un volto. 
Seduta sugli scalini che conducevano al ponte, Nami era sicura che si trovassero in prossimità di un’isola che tutt’al più avrebbero raggiunto il giorno seguente. Aveva avvertito immediata il capitano che, più impaziente di lei, già fremeva e, nella sua immaginazione, banchettava. 
 
Aveva la bocca ancora indolenzita per la violenza passionale di quel bacio. E pensava di essere ripetitiva verso sé stessa se si sentiva ancora stupita di avere perso il controllo in quel modo; testarda di rivivere quegli attimi in continuazione nella sua testa, quasi analizzandoli in ogni dettaglio, e questo fin da quando si era risvegliata quella mattina con il profumo di Zoro nelle lenzuola. 
Si chiedeva se tutto quello fosse giusto, agire di impulso, stare così tanto a contatto con lui. In fondo il futuro riguardava il futuro, quindi era davvero così necessario affrettare i tempi? 
Non era da biasimare comunque, i dubbi che aveva avuto e che, in parte, ancora aveva, erano leciti. Ma almeno stava iniziando ad abbracciare l’idea che non doveva vederci nessuna connotazione negativa in quel presente e, se ci fosse riuscita, anche in quel futuro. 
 
Quel bocciolo che stava nascendo, anzi crescendo, sarebbe diventato Amore, o lo era già? 
Lei conosceva l’Amore, quello che provava tutti i giorni. Ma con quel bacio - quei baci -  si stava aprendo una porta nuova, non per forza che significasse più amore di quello che viveva per i compagni, per sua sorella, per sua madre, ma racchiudeva qualcosa, non solo di irrinunciabile ma anche inestimabile. Per lei, che capiva subito quando aveva tra le mani qualcosa di unico, un pezzo grosso di enorme valore. 
Più lo guardava, adesso, sul ponte che allenava Rin, e più ci vedeva la chiave per la sua stabilità, in lui, in lei con lui, in loro.
Nami non avrebbe mai potuto immaginare di trovarsi in quel genere di situazione proprio con Zoro. Soprattuto per quanto sentisse la cosa imbarazzante, ripensando a quel loro avvicinamento a cui lei aveva reagito come non si sarebbe mai aspettata di reagire. Aveva sentito così tante esplosioni dentro di sé, che ora non riusciva nemmeno a farci i conti. Ma finire a sbaciucchiarlo così, come una forsennata dagli ormoni e umore impazziti, era qualcosa su cui non avrebbe mai puntato. 
Ma la sorpresa più grande era stata lui, che non aveva saputo dirle no. Non si era rifiutato quell’effusione. Non si era privato di lei. 
Gli altri compagni avrebbero potuto dirle che era testarda, che ancora non capiva, ma erano loro a non capire. Zoro, il più inconquistabile dei guerrieri, il più indomabile, il più fiero, il più risoluto nel tenersi lontano dalle donne, non le aveva detto no. 
Lui che odiava prendere ordini da lei, e che invece poi faceva sempre tutto quello che gli comandava. 
Lei aveva un carattere forte, e riusciva a surclassarlo, è vero. Ma la verità suggeriva che in parte lui lo permetteva. Non poteva essere altrimenti. Un uomo tutto d’un pezzo, così forte com’era che si lasciava bacchettare. O c’era del masochismo in lui, o un significato legato a qualcosa di più profondo. 
Negli ultimi tempi poi, anche fin troppo permissivo, forse a causa dell’inaspettata questione Rin, la loro bambina capitata così tra capo e collo. 
Lo dimostrava il fatto che quella prima mattina libera l’aveva immediatamente passata ad allenarsi in palestra, facendo esercizi estremamente intensivi, nel suo privato, creando perciò una distanza evidente con tutti, e soprattutto con lei. 
Tutta quella faccenda lo aveva distratto dalla sua strada, dalla sua scelta di non avere una vita, poiché doveva dedicare ogni suo sforzo alla realizzazione di una promessa. 
Anche se il futuro suggeriva che in fin dei conti, una vita l’aveva pur sempre costruita. Chissà se questo lo aveva destabilizzato. 
Ma lei non poteva sapere tutto questo, perché ovviamente lui non le parlava di queste cose; “chiacchiere inutili” , così le avrebbe chiamate. 
 
Una folata di vento la raggiunse e fu fin troppo violenta per i suoi gusti. 
Quei due, per fortificarsi, stavano certamente esagerando con i movimenti. Erano delle tigri che prima aspettavano il momento giusto per attaccare, e quando lo facevano però, tutto si muoveva attorno a loro in maniera serrata, e quasi sfibrante. Anche lei veniva smossa, facendo parte di quel raggio d’azione. 
Sbuffò. 
È così che avrebbe passato il suo futuro: nel mondo delle spade? 
Perché sua figlia non era potuta essere invece una eccellente cartografa? Ma l’aveva vista Rin disegnare, ed era davvero negata.
Sbuffò di nuovo e poco velatamente, facendosi sentire di proposito. 
“SMETTILA DI DISTRARCI.” 
Sentì il verde lamentarsi mentre stavano danzando a colpi di spada a pochi centimetri da lei.
 
Zoro, si era occupato di Rin e aveva lasciato lei dormire quella mattina. Al suo risveglio, si era ritrovata sola nella stanza, ma ben avvolta in una coperta che non ricordava di aver usato. Ed era un miracolo, perché quando dormiva profondamente lui non sentiva nemmeno le cannonate o le tempeste abbattersi sulla nave in mare aperto. 
E avevano dormito insieme come fosse stata un’azione naturale. Non era successo niente tra loro quella notte, lui era sicuramente rimasto dove lo aveva lasciato. Non c’era altro uomo su cui ricacciasse in quel modo tutta la sua fiducia. Ogni giorno sembrava farsi sempre più calcata e nitida quella certezza. Stava prendendo la vaga forma di quella che sarebbe stata la sua vita. Non c’erano più da tempo i suoi mostri, non c’era più una maschera da indossare, c’era solo la bellezza da vivere, adesso. 
Nonostante fosse combattuta, e in preda ancora alle sue solite paranoie, il ricordo dell’altro bacio, quello più dolce, era riuscita a quietarla e a farla risplendere di umore migliore. 
Lui era stato volenteroso di essere gentile con lei in quel brevissimo istante. Quindi, se voleva, in qualche modo ne era capace. 
In ogni caso, Nami non distaccava gli occhi dal punto in cui quelle due due ombre si muovevano, agili e veloci, determinate e combattive. 
Lui era palesemente uscito dal caos di lei per un po’, e ora stava godendosi il suo habitat naturale. 
Quell’aria che sventolavano assomigliava ad un’onda d’urto che la investiva in pieno, e in quel frangente le piaceva farne parte. 
Eppure sembrava l’unica a riuscire a vedere o anche solo a percepire ogni cosa di quella bellezza. Nessuno sembrava veramente interessato da loro e al sentimento che sprigionavano nel suo cuore, e questo rese tutto ancora più unico. 
Usop pensava ai suoi esperimenti, trafficando con le sue amate boccette proprio lì accanto, lamentandosi ogni tanto perché padre e figlia facevano cadere a terra una delle provette; di vedetta invece c’era Rufy, anche se chissà quanto ci si poteva fidare della sua attenzione, visto che passava più tempo a seguire l’allenamento o disturbare il cecchino piuttosto che osservare l’orizzonte; e poi Brook che pescando canticchiava, accompagnando quel sottofondo monodico. 
 
“Sei distratta!” 
Si sentì vociare su tutto il ponte con tono severissimo. I due avevano lasciato le spade vere favorendo quelle di addestramento, costruite dal cecchino con la canna di bambù. Tutto per via del braccio ingessato di Rin, che stava sicuramente facendo una fatica del diavolo a muovere anche già quella con il solo sinistro.
Nami la vedeva affaticava mente sudava in continuazione sulla fronte, ma aveva già provato a mettersi in mezzo e impedirle di allenarsi, ma entrambi le avevano detto di non impicciarsi. Erano fatti della stessa pasta. 
E come avrebbe fatto lei, da sola, contro quei due, per tutta la vita? 
Sono stata debole ieri, fuori da quella taverna…’ le aveva detto la sua miniatura prima di iniziare l’addestramento, ‘una guerriera non sviene così facilmente’. 
Quelle parole l’avevano distrutta, perché lei si era sentita debole esattamente allo stesso modo. 
Aveva ragione allora Zoro, quando diceva che in Rin rivedeva lei. 
Parlava però come se fosse un’adulta. 
E parlava anche come il padre. 
 
“Sono questi capelli.” 
La sentì brontolare, mentre con la mano cercava di portarli lontano dal viso, ma fastidiosi le ricadevano addosso con velocità. 
Lo spadaccino fermò il nuovo attacco riversando la spada al pavimento e rimanendo immobile a qualche centimetro di distanza da lei.   
“Dovresti tagliarli!” 
Ma la sua postura da duro rimase in piedi per circa un secondo e mezzo, quando un pugno ben ponderato lo sbatté sul pavimento. 
“IDIOTA!” 
Aveva involontariamente provocato e fatto indemoniare la rossa. 
“PERCHÈ DIAVOLO L’HAI FATTO!” si lamentò, toccandosi il bernoccolo enorme sulla sua nuca con entrambe le mani. 
“Io non m’impiccio nel vostro mondo di spade, ma tu non t’azzardare ad impicciarti in tutto il resto!”  
Gli urlò, allungando il braccio verso Rin, per portarla via, “vieni con me tu.”
“MA CHE HO DETTO” 
Le ringhiò contro non capendola, esasperato da quei modi di fare violenti. “Anche tu portavi i capelli corti prima, qual é il problema?” 
La rossa si fermò immediata, squadrandolo malissimo, prima ancora di afferrare la bambina per il braccio. “Io non avevo altra scelta. Mi serviva comodità, non potevo certo dedicarmi a me. Rin invece si.” 
“Se vuole diventare forte non deve avere questi punti deboli.” 
“I capelli lunghi non sono certo punti deboli, idiota.” 
“Ma se l’hai appena detto anche tu che gli tagliavi per comodità.” 
Sbuffò, guardandola, toccandosi ancora la testa dolorante, ma senza più aver voglia di obbiettare. 
Ma entrambi furono costretti a voltarsi quando sentirono il rumore sordo del bambù sbattere sul pavimento, scorgendo veloci l’immagine della bambina sugli scalini, affrontati a salti, che andava a rifugiarsi nella stanza delle ragazze. 
“Ma che è successo?” 
Nami la seguì con gli occhi fino a che sentì la porta sbattere, girandosi poi verso Zoro, con lo sguardo preoccupato. 
“Questo l’ha preso da te.” 
Fu l’unica cosa che riuscì invece a dire lui, riferendosi a quell’atteggiamento capriccioso. Rimediandosi però un altro bernoccolo sulla testa a far compagnia al primo. 
Rufy, di vedetta, poggiato al legno, si era affacciato incrociando le braccia e guardando di sotto con espressione confusa. 
“Ma perché è corsa via?” 
“Tu pensa a seguire la rotta, imbecille.” 
 
Un sospiro contrariato accanto a loro si fece sentire di proposito, attirando subito l’ira furente della rossa. 
“Siete due pessimi genitori.” 
Usop, che stava riempendo una nuova boccetta con non si sapeva bene cosa, aveva ascoltato tutto - civettuolo com’era - e beccandosi adesso lui quell’occhiata incattivita, stava sentenziando da bravo moralista qual era. 
“Ha avuto una reazione quando hai parlato dei tuoi capelli corti.” 
Nami lo guardò confusa, gesticolando davanti a lui. “E che ho detto di così strano?” 
“Siete troppo presi da voi stessi per notare certe cose.” 
Il cecchino versò nella boccetta un’altra sostanza che portò ad una piccola esplosione. Aveva quell’aria di supponenza che metteva su quando gli altri non sapevano qualcosa e lui, per puro caso, invece si. “Hai indirettamente accennato al tuo passato. Forse la fa star male.” 
 
A Nami si fermò il cuore. 
Tutte le sue paure erano lì, in quella frase, in quella situazione. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo. I suoi occhi diventarono quasi vitrei, e il corpo immobile, trafitta sulla pelle da diverse lame che però non erano fatte di bambù. 
 
“Dovresti parlarle.” 
Continuò il cecchino, soddisfatto della sua perspicacia e dell’esperimento riuscito. 
Ma la rossa non si mosse di un centimetro, sentiva la voce di Usop in lontananza ma non riusciva a dargli ascolto. Cosa avrebbe dovuto fare secondo lui? Parlare del suo passato a una bambina, per poi farla stare male? Lei aveva il dovere di proteggerla da quell’orrore, non farle venire gli incubi la notte. 
Usop, non ricevendo risposta e vedendola in quello stato catatonico, scambiò un’occhiata incerta con Zoro. Anche lui non sembrava il tipo che sarebbe corso a parlarle. Non era qualcosa che lo riguardava in prima persona, e sicuramente non sarebbe stato per niente bravo con le parole o figurarsi il tatto. Sospirò affranto, accettando quel ruolo di intermediario. Si alzò in piedi, scuotendosi i pantaloni. “Va bene, ho capito, ci vado io.” 
 
Una volta rimasti soli, lo spadaccino, che attendeva silenzioso che la compagna si riprendesse, pensava a recuperare la finta spada di Rin ancora a terra. 
Lei, nel frattempo, stava riprendendo a muoversi, con gli occhi così spenti, e fuori di sé per quella ferita che doveva portarsi sempre dietro. 
In attesa di sapere, riprese posto sugli scalini, piegando le gambe al petto e nascondendoci la testa sopra. 
Era in silenzio. 
Non sapeva proprio come affrontarla una situazione come quella. Non era già abbastanza ciò che le stava capitando così in anticipo coi tempi, doveva pure immergersi in un colpo basso come quello?
L’unica certezza che aveva, era sapere che il compagno era lì, davanti a lei, che l’aspettava. 
Dopo un tempo lunghissimo, alzò leggermente il capo, imbattendosi subito in quell’occhio attento che la scrutava. Nonostante se lo immaginasse, sentì un sobbalzo dall’interno, una strana energia pulsante salirle fino alla gola. 
Lui non aveva detto niente, ma non c’era bisogno che lo facesse. Non si aspettava nemmeno che la coccolasse, sarebbe stato egualmente troppo insolito e inverosimile da sopportare. 
 
“Non voglio che sappia niente.” 
Mormorò, più a sé stessa, forse. 
 
 
 
 
Dei passi fecero sussultare Nami e far alzare lo sguardo a Zoro. Ma erano di Usop, che stava tornando da loro. 
Nami lo seguì con gli occhi, fino a vederlo sedersi accanto a lei, aspettando impaziente che dicesse qualcosa. 
“Sta bene” sospirò, mettendosi più comodo, con le gambe spalancate e le braccia poggiate sopra a penzoloni. “Non conosce la verità su quello che ti è successo” guardò prima Zoro, in piedi davanti a loro, e poi lei “ha sentito per caso alcune cose, ma non sa metterle insieme, e questo la fa sentire…” la indicò con il dito, nel suo fare giudizioso “è qualcosa che le tieni costantemente nascosto, e lei ci soffre.” 
  Nami sospirò leggera, sentendosi molto meglio, quasi sollevata. Come se avesse appena scacciato via un peso grande quanto la Sunny da sopra il suo cuore. Forse aveva paura della vergogna che quella ferita sprigionava.
Ma Usop la riportò alla realtà nuda e cruda, posandole un dito sulla fronte. “Guarda che è un male, non un bene!” 
“E per quale motivo?” con la mano aperta lo colpì sul braccio facendo cadere il suo dito. Aveva le palpitazioni. 
“Perché questo la allontana da te.” 
Spalancò gli occhi per lo stupore, quando capì cosa esattamente stava dicendo e cosa significasse. 
Aveva tutto più senso adesso. Forse anche per questo la vedeva più libera e felice con Zoro, piuttosto che con lei. 
Una morsa stretta attorno a quella ferita la fece sanguinare copiosamente dall’interno delle viscere. Il suo passato avrebbe sempre influenzato il suo futuro. 
E nonostante questo, la Nami del futuro, aveva comunque scelto di avere questo rapporto con la figlia ma di non rivelarle niente? 
Ma anche lei avrebbe agito così. Lo sentiva. 
Maledizione.
Nami, infatti, non aveva preso per niente in considerazione l’idea di parlarle, era troppo importante per lei tenerla all’oscuro da quel male. Un male che non avrebbe voluto conoscesse. 
E poi non era ancora realmente sua figlia, non spettava certamente a lei farle questo discorso. Ma visto che la Nami del futuro e quella del presente pensavano allo stesso modo, era chiaro perché Rin si trovasse in quella situazione emotivamente instabile. 
“Non posso”, disse in un sussurro, arresa a sé stessa. 
“MA NAMI” 
E vedere sulla faccia di Usop tutto quel suo essere contrariato le faceva ancora più male, pur sapendo che in parte aveva ragione. 
“Capisco che sia doloroso per te, ma tu devi…” 
“Non voglio!” 
Era come caduta dentro una bolla nera fatta di immagini sbiadite e vecchi dolori. Ma ciò che era peggiore era il sapere di venire giudicata per questo.
“NAMI.” 
L’amico cecchino ebbe la reazione di alzarsi in piedi, avendo visto e sentito il cuore Rin, forse era l’unico a capire davvero il suo dolore sull’argomento. E dunque reagiva di conseguenza 
“BASTA USOP, STÀ ZITTO!”
Stavolta fu Zoro a intervenire, uscendo dal silenzio in cui era caduto e alzando di più il tono della sua voce. Lo vide dedicargli un’occhiata veloce, per poi soffermarsi solo su Nami. 
Si offese.
“Siete due testardi!” 
Ma poi rimase allibito quando sul quel volto implacabile dell’amico ci leggeva un velo di preoccupazione e complicità per la compagna che non si sarebbe mai aspettato di scorgere. Quel volto era così imperscrutabile ma allo stesso tempo era come se stesse proteggendo la cosa più bella del mondo.
Usop fu testimone di una strana verità che lo stava sconvolgendo. Dovette riprendere il controllo del suo respiro, e lasciarsi andare più rilassato sopra quello scalino di legno; si accasciò, più precisamente, perché le gambe non lo avrebbero retto a quella sensazione che gli stava arrivando dritta in petto. 
La realtà più brutale era che secondo lui, Nami non si era resa conto di nulla. Ed era un peccato. Troppo presa da se stessa per guardare dentro Zoro in quel momento - e in altri momenti. E se lo avesse fatto chissà come avrebbe reagito. Forse questa cosa succedeva da troppo tempo; quante volte lei non lo vedeva? 
Come quando a Fishman Island, Zoro aveva affrontato Hody Jones con una glaciale rabbia interiore -“immotivata” direbbero occhi disinformati - col il sangue che ribolliva nel corpo di una bestia assetata dopo aver sentito il nome di Arlong - ancora! - provenire da da quella bocca insulsa; ma lei era andata via, non aveva potuto vederlo, non aveva potuto capirlo. E lui era stato così sollevato di quella sua assenza. Un’anima così pura che voleva proteggerla senza prendersi alcun merito, lasciandolo poi in pasto al suo capitano. 
E quella non era l’unica occasione che si era persa da quando viaggiavano insieme. E nemmeno l’unico sguardo. 
 
Ma i suoi pensieri vennero interrotti dal rumore della porta dietro che si chiudeva e dai passi di Rin che indicavano gli stesse raggiungendo. 
“Possiamo tornare all’allenamento?” 
Chiese, una volta arrivata in cima agli scalini. Postura rigida, sguardo fiero, carattere presuntuoso. 
Zoro le sorrise, anche secondo lui quella era un’ottima idea. 
 
In qualche modo, la navigatrice, recuperò il proprio coraggio e, con lo stomaco contratto e il rumore del battito cardiaco che vorticava nelle sue orecchie, cercò di quietarsi all’istante, ripulendosi gli occhi con le dita e rispolverando il suo migliore sorriso, voltandosi verso di lei e porgendole il braccio. 
“Vieni qui che ti sistemo prima i capelli.” 
Rin annuì, facendosi trasportare da quella presa che la condusse davanti alla rossa.  
“Se vuoi tagliarli perché ti piacciono corti, va bene. Ma se non vuoi, non c’è bisogno.” 
La bambina, seduta sullo scalino davanti a Nami, ci pensò su per qualche secondo. In fin dei conti non erano lunghissimi, le arrivavano alle spalle, però le piacevano, e la facevano sentire più vicina alla madre. Alzava gli occhi in aria, guardando il cielo, doveva far contenta sé stessa e nessun altro. Era importante questa lezione, e Nami voleva ben imparatigliela. 
Nel futuro non era ancora mai avvenuto, poiché i capelli le erano cresciuti solo di recente, e nell’ultimo tempo a casa, nella sua epoca, aveva fatto meno allenamento  del solito poiché il padre aveva anche altre responsabilità da portare avanti, come scontri quotidiani con persone che volevano soffiarli il titolo di miglior spadaccino. 
“Mi piacciono così.” 
Ammise, un po’ imbarazzata. 
La rossa sorrise felice, accarezzandole la nuca rossa. 
“Ci penso io.” 
Sciolse i suoi capelli incastrati in una coda di cavallo e tolse le forcine con cui aveva tenuto legati i suoi dannati ciuffi ribelli. 
Per fortuna i capelli di Rin erano più lisci dei suoi, più facili da domare. 
Le fece uno chignon ben stretto sotto la testa, resistente pure al vento più forte. 
“Ti insegnerò a farlo da sola”, con una carezza leggera sulla spalla la salutò, spingendola leggermente in avanti “vai adesso.” 
Un “Grazie mamma” le sfuggì, senza nemmeno accorgersene, mentre scendeva le scale per raggiungere Zoro di sotto, che aspettava seduto, appoggiato all’albero maestro.
Nami aveva sbarrato gli occhi. 
Era così surreale. 
Lo spadaccino aveva le braccia incrociate e la guardava in viso, attento a non perdersi la reazione di lei in quel momento così difficile, cercando di trasmetterle sicurezza e calore da quella distanza. Quei loro sguardi che s’incrociavano, quella complicità invisibile, quelle parole non dette. Mai si sarebbero aspettati di trovare tutto quello in qualcuno oltre se stessi. 
Lei sembrò quasi quietarsi. 
 
Mise su un ghigno, quando vide Rin davanti a lui 
“stai bene.” Le diede la sua spada che lei afferrò in una presa salda. Sorrise di rimando, senza nessun dubbio nella sua scelta. 
“Sei pronta?” 
“Si.” 
 
Il suono rassicurante e ritmico del bambù riprese ad echeggiare nell’aria. In effetti era più rilassante delle spade vere.  Zoro teneva la sua arma al minimo, capendo probabilmente il fragile stato psicofisico della bambina, che era già provata di suo - in più combattevano da un sacco di tempo. Rin dava sempre il massimo, e stava cercando di affinare più tecniche possibili. Era così determinata, così severa con sé stessa. 
Quel suono melodico era anche accompagnato dal rumore di tessuto che si spostava nel vento. 
E tutto questo però lasciava un solco nell’animo di Nami. 
Ma quei suoni che cominciò a sentire in modo diverso, iniziarono anche a rilassarla. 
“Stai meglio allora?”
Le chiese Usop, ancora accanto a lei. 
Quella annuì con il capo, accennando un sorriso, senza però distogliere gli occhi dai due. 
Ma Usop non aveva smesso di scrutarla di sottecchi, cercando di scorgere altre emozioni in lei, o di capire ancora più a fondo di quel legame. 
“Hai visto che quello scemo mi ha urlato contro?” 
La vide ridere di gusto mentre posava una delle sue mani sotto al collo, con il gomito che la reggeva da sopra il ginocchio.
 “Che vuoi che ti dica, ha un caratteraccio.” 
Solo lui? 
Usop continuò a fissarla, cercando di analizzare quella serenità arrivata d’improvviso. Nami era sempre stata così lunatica, fin da quando l’aveva conosciuta. Starle dietro a volte era facile, altre invece, soprattutto per loro in quanto uomini, era incomprensibile. Certo, con delle zucche vuote come compagni non poteva essere comodo per lei, ne prendeva atto, ma più che volentieri anche lei si rivelava spesso della loro stessa pasta, combinando spesso eguali cretinate. Ma mai, vedeva Nami scombussolata così tanto se non quando si trattava di sentimenti, di amici, di amore. Era dura per lei, tutte le volte. Nonostante fosse da anni ormai leggera e libera di essere sé stessa. 
“In queste condizioni non possiamo cambiare troppo le cose. Rin deve chiarire questo problema nella sua epoca.” 
L’aveva distolto involontariamente dal suo stato pensieroso. Nami aveva appena trovato la scusa per evitare il problema, continuando a parlare senza avere la minima idea dei grattacapi dell’amico di fianco. “Ma grazie, Usop, per quello che hai fatto per noi.” 
Ha detto davvero “per noi”? 
 
 
 
Il rumore di un movimento ritmico, inizialmente accompagnato in sincrono al bambù che sbatteva, ma che a poco a poco era cresciuto di velocità ed era segnato da un aumento di ansiti, era diventata la colonna sonora di quella giornata. Una giornata in cui lei non riusciva proprio a separarsi da lui. O forse da Rin. O da loro insieme. 
Aveva bisogno di liberarsi dei tanti pensieri che le occupavano la mente, e per farlo voleva sbarcare, fare un giro in una bella isola abitata da persone comuni. Fare un bagno, magari. Comprare occorrente da disegno, fare shopping, mangiare fuori. Insomma, un po’ di normalità non solo rispetto alla sua vita piratesca di tutti i giorni, ma anche da quella situazione surreale nella quale si era imbattuta.
In ogni caso, si sentiva meglio per il fatto che Zoro era stato dalla sua parte. O magari non lo era affatto, ma in quel caso lo aveva tenuto per sé. Una volta ogni tanto era bello sentirsi difesi anche con quel senso d’intesa, e non solo in un combattimento fisico. 
Anche quella era dimostrazione d’amore, no? Di amicizia? Che poi sarebbe stato comunque amore. 
Le andava bene. 
 
 
 
 
Fu quando ebbe deciso di andare sottocoperta, per riprendere a respirare, e mettere una distanza significativa tra lei e Zoro, che sentì una presenza sederle accanto. Eppure, Usop era tornato a fare i suoi amati esperimenti che per fortuna quel giorno non davano molte noie a nessuno. 
“Nami - san, una spremuta alla frutta per i tuoi pensieri.” 
Con gli occhi a forma di cuore e un sorriso a trentadue denti, Sanji le porse il bicchiere, con i suoi soliti modi eleganti e gentili. 
“Accetto volentieri.” 
Ricambiò il sorriso, felice, mandandolo in estasi. 
“Se mi guardi così non resisto però…” iniziò a perdere un po’ di sangue dal naso “hai sciolto pure i capelli.” 
“Grazie Sanji. Ma ora, ti prego, stai buono.” 
“Tutto per te!” Cercò di trattenersi. “Ti ho osservata, sembri così assorta… “gli occhi a cuore che avevano ormai preso il sopravvento si placarono non appena vide cosa rubava l’attenzione di Nami “che fai, guardi quei due?” Si voltò anche lui, poggiando i gomiti all’indietro sulle scale, sbuffando annoiato, accendendo il fiammifero da sotto la suola della sua scarpa. “Che noiosi.” 
La rossa aveva davvero bisogno di vitamina C. E ringraziava mentalmente il suo compagno che si premurava sempre di quelle attenzioni nei suoi confronti. 
“Non ti piacciono i combattimenti, Sanji-Kun?”
Lui, d’altro canto, accese la sigaretta con quello stesso fiammifero. “Preferisco altri piaceri.” 
Nami lo guardò per un attimo, attenta, per poi tornare a fissare i due davanti “Sai? Anche io.” 
Una risposta che (poco) inaspettatamente lo mandò ancora più in visibilio, riaccendendo quella luce che per un attimo aveva attenuato. “Se avessimo noi una bambina, sarebbe sicuramente una principessa elegante e posata.” 
Fu proprio sulla base di queste considerazioni che il giovane cuoco decise di prenderle la mano nella propria mente sognava ad occhi aperti, facendo però sospirare la rossa rassegnata. 
“Forse il futuro ci si è presentato davanti per dirti di rivalutare la tua scelta. Perché quella testa d’alga non mi sembra affidabile come padre.” 
 
“Cosa ha detto quel cretino?”
 
Sentirono entrambi la voce arrabbiata dell’amico venire da poco vicino a loro. Ma il tempo di distrarsi per guardare male il cuoco che Rin lo colpì al braccio. 
“Ah-ah” si portò la spada dietro al collo, in posizione statuaria, fierissima di sé stessa “un punto per me!” 
“Mai perdere il ritmo, ragazzina!”  
Con uno scatto si avvicinò a lei con la spada in aria in meno di un secondo “hai solo avuto fortuna” sghignazzò lui. 
“Tu hai perso il ritmo per colpa di zio Sanji.” 
La piccola parò l’attacco giusto in tempo allontanandosi da lui.
“TI SBAGLI” le ringhiò, colpito nell’orgoglio. “E non indietreggiare!”la riprese subito “una spadaccina non indietreggia.” Lei era finita in una buffa posizione di piccolo ma aggressivo animale selvatico, quasi scocciata di essere stata ripresa. 
 
Nami continuò a bere la spremuta, perdendosi ad un certo punto nei suoi pensieri più intimi, mentre davanti agli occhi aveva quei due che continuavano a combattere da ore, e di fianco il suo vicino continuava con il suo pessimo tentativo di farle cambiare idea sul partner scelto, e senza premurarsi di abbassare la voce.
“Dobbiamo vagliare tutte le possibilità, dolce Nami.” 
Continuava a sognare, elettrizzato alla sola idea di adempiere alla sua missione di prossima figura paterna, mentre le sbirciava nella scollatura e perdeva sangue a fiotti per via delle fantasie che stava avendo. “Io e te, che ci diamo da fare nel presente per fare la nostra bambina” il sangue stava triplicando in modo esponenziale “Nami, amore, è forse troppo per il mio cuore? Potrò mai desiderare altro?” 
Di nuovo, Zoro si distrasse, voltandosi verso i due sulle scale “CHE COSA?”
“Due punti per Rin.” 
La ragazzina lo colpì nuovamente, ma sulla spalla stavolta, con la sua fiera spada di bambù. “Ah - ah - ah.” Continuava a ridere, guardandolo soddisfatta. 
“Fossi in te non canterei vittoria così presto.” 
Si ricompose, andandole contro furioso - estremamente furioso. Quella sudò freddo visto come lo aveva provocato, anche se in realtà non era lei il problema, e l’idea di prendersi l’ira di Zoro, per colpa di Sanji, non le piaceva affatto. 
“Scherzavooo.” 
Si rimise in posa al volo, ritrovando velocissima la concentrazione per affrontarlo. 
 
Nami non stava veramente più ascoltando il cuoco, ma alcune sue parole le erano rimaste impresse. 
Lei aveva dunque scelto Zoro? 
Effettivamente era così che erano andate le cose nel passato del futuro, e così che stavano andando anche adesso. 
Si era più volte sorpresa nel ritrovarsi a osservarlo quel giorno. Era capitato altre volte in modo sporadico, ma stavolta non riusciva proprio a staccargli gli occhi di dosso, desiderosa di scorgerci tutto ciò che lui non diceva in quei lineamenti ed espressioni facciali, ma anche in quei piccoli cambiamenti avvenuti nella sua persona, curiosa di scoprire quanto potesse essere davvero cambiato da quando aveva scoperto che la madre di sua figlia era lei. 
Quasi che ebbe un mancamento improvviso a causa di quella consapevolezza, che però non passò inosservato al cuoco, che tempestivo ne approfittava. 
“Ti sei resa conto anche tu che è impossibile aver scelto quel bifolco?”
 
“Ora lo ammazzo.” 
 
Lo spadaccino aveva parlato a denti stretti, proprio quando aveva morso un’altra spada di bambù, riprendendo la sua tecnica a tre spade anche con quelle di addestramento. 
“È tutto inutile.” 
Rin lo leggeva bene nel labiale, facendogli capire con lo sguardo che niente l’avrebbe mai cambiato, nemmeno nel futuro. Tutto ciò mentre perdeva la spada sul pavimento per via di un crampo alla mano, che gli costrinse entrambi a fermarsi. 
“Ce la fai?” 
Lasciò cadere a terra le altre due spade, scegliendo di usarne solo una per non far diventare troppo impegnativo lo scontro. 
Lei annuì “posso continuare.” 
Ma a sentire ancora la voce del cuoco gli venne un attacco di rabbia dei suoi, di quelli impossibili da controllare. 
“Solo un attimo”
le disse, mentre quella era già rassegnata alla cosa, abbandonandosi a terra sul pavimento per riposare, consapevole che sarebbe andata per le lunghe. 
 
“Hai finito di dire idiozie?” 
Zoro, era davanti agli scalini, ansimante e sudato. Ne aveva abbastanza di sentirlo blaterare, gli stava facendo esplodere il cervello in tanti minuscoli pezzi che non sapeva proprio ricomporre senza prima insultarlo. 
Sanji allora riprese immediatamente colore, alzandosi in piedi e indicando la spada di bambù “Vuoi menarmi con quella?”il suo tono era ironico e tendente alla provocazione. 
Di gesto spontaneo quello se la posizionò sulle spalle, con tanto di sorriso sghembo ad accompagnarlo. “Perché no. Vincerei lo stesso.” 
“Illuso.” 
Nami ancora persa nelle sue riflessioni, sentiva il loro battibecco in lontananza; aveva visto Zoro avvicinarsi, ma lasciò perdere, sbuffando, ancora persa in quella riflessione impossibile che le stava martoriando la testa. 
“Che c’è, pensi che Nami non possa cambiare idea? Hai paura?”Gli disse scendendo gli scalini e rimanendo sull’ultimo, per essere più alto di lui. 
“Hai visto o no chi c’è alle mie spalle?” 
Un ghigno pazzo invase il viso dello spadaccino, vendicandosi per tutte quelle insinuazioni nei suoi confronti. Di solito evitava di cascarci, ma stavolta ne andava del suo orgoglio. 
Lo fece infatti infuriare, con il fumo che gli usciva dalle orecchie. 
Scese anche l’ultimo scalino, il cuoco, preso dal fastidio che gli invadeva l’interno. “Un figlio non significa un bel niente.” 
A Zoro per poco non s’incrinarono le costole dalla rabbia che gli si montava dentro e risputava fuori.  
“CHE COSA?”
“PUÒ AVERNE UNO CON ME LO STESSO.” 
“PERVERTITO SENZA SPERANZA.” 
“Uno zotico come te non si merita una simile bellezza.” 
“Rin dovrebbe tornare indietro nel tempo e impedire la tua di nascita. Vivremo tutti più sereni.”
“Se invece tu morissi in uno scontro avrei Nami tutta per me.”  
“Sei un depravato!” 
“Lo dici perché non capisci niente dei piaceri della vita” 
“Perché non sono un pervertito disgustoso?” 
 
Nami e Rin stavano sospirando in sincrono adesso, seppur sedute lontane, erano entrambe abituate e a quelle liti. Ma forse la piccola aveva assistito pure a scenette ben peggiori di quelle, talmente non se ne curava. 
Nami si concentrò su quest’ultima, la vide guardarsi il polso dolorante, sconsolata del fatto che si fosse nuovamente fatta male. Quanto ancora avrebbe sofferto per quelle spade? E stavolta erano solo di bambù. 
Una spadaccina avanza e combatte, a qualsiasi costo, le aveva detto quell’oggi, quando lei le aveva fatto notare che avere un gesso al braccio avrebbe potuto evitarle l’allenamento. 
Era contenta che condividesse questa passione con Zoro, ma le faceva anche male vederla soffrire e faticare così. 
Che in effetti era una brutta sensazione che anche lui le aveva fatto provare più volte, quando era rimasta guardarlo fare allenamenti estenuanti. E mai che potesse dirgli di fermarsi. Mai che potesse intromettersi. 
Che diamine, lui non capiva per nulla che quando lei s’intrometteva era perché si preoccupava per lui. Come quando voleva tagliarsi i piedi a Little Garden. 
E invece, quello scemo, le diceva pure di stare zitta; le montava su una rabbia quando pensava a questi dettagli.
E le aveva pure reso la figlia così, come lui. 
Ma lei come e perché lo aveva permesso? 
Vide Rin guardare i due litigare e sbattersi la mano sulla faccia, ma era quella del gesso, e quindi si fece automaticamente male. 
Tutto perché i due malcapitati avevano anche iniziato a darsele di sana pianta, questo non appena Sanji aveva insinuato con leggerezza che l’esistenza di Rin poteva era legata al fatto che Zoro aveva sicuramente obbligato Nami con la forza in prestazioni sessuali. 
La rossa, risvegliata dal suo stato di trance, poiché disturbata nei pensieri fino all’ultimo angolo più privato della sua mente dalle loro voci e scazzotate boriose, e per la mano ferita di Rin, si mise in piedi nevrotica. 
“MI AVETE STANCATA!” 
Aveva perso più energie del solito nel metterli a terra, ma quei nuovi pugni che stava testando stavano funzionando molto bene. 
“Nami – San…io ti amo lo stesso.” 
“Falla finita, idiota.” 
I due stesi a terra supini avevano ancora di che ribattere, doloranti e feriti nell‘orgoglio, almeno per Zoro, mentre sentivano Rufy ridacchiare dall’alto. Lo guardarono minacciosi e neri in viso, nonostante fossero pieni di bernoccoli in una scena imbarazzante. 
“Non è giusto…” piagnucolava il cuoco, mettendosi seduto, afflitto nell’animo, “tu sei così noioso.” 
Anche lo spadaccino si stava rimettendo in piedi, “ma senti chi parla.” 
“Io sono un uomo passionale, un perfetto amante, colmo di diverse tonalità, tu pensi solo alle tue dannate spade. Nami merita di più.” 
Zoro sbuffò ignorandolo e recuperando la sua spada d’allenamento, pronto per rimettersi al lavoro. 
“La tua taglia non è nemmeno così alta!” Continuava invece Sanji a brontolare con insistenza. 
“STAI ZITTO!” Si voltò a guardarlo con i denti aguzzi. “È comunque più alta della tua!”
“EHI, se avessi io Nami tutta per me la mia taglia salirebbe a dismisura!” Si alzò anche lui. 
“E CHE DIAVOLO CENTRA!” 
“Per la forza dell’amore, idiota! Ma tu cosa vuoi capirne?”
Sarebbe sicuramente iniziato il secondo round se Rin non fosse intervenuta a placare quello scontro verbale. 
“BASTA!” 
Mise la spada sotto il braccio sano e mostrò il pugno. “Sapete chi mi ha allenato a dare questi?” 
I due quasi si strozzarono, sospirando. 
“L’avete fatta andare via, comunque.” 
“Colpa della sua stupida gelosia e depravazione!” 
Zoro indicò Sanji, con una faccia indemoniata. 
“Ah, la mia di gelosia?” rispose quello contrariato, stringendo gli occhi in due piccole fessure, scuotendo la testa a destra e sinistra “non sai quando mi fa incavolare che tu sia geloso.” 
Rin mostrò di nuovo il pugno sano “ne avete ancora per molto?” 
Ma Zoro si alzò in silenzio, andandole incontro. 
 
“Riprendiamo!” 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                       
 
 
 
 
“Nami” 
Cominciò la mora, con la sua voce fredda. Gli occhi di lei indugiarono un attimo, dal momento che un foglio appeso sulla parete, con la lista della spesa e uno strano disegno sopra, aveva catturato la sua attenzione, ma poi si alzarono su quelli della compagna “Umh?” 
“C’è una cosa che vorrei chiederti” continuò Robin, quando la vide avvicinarsi al tavolo della cucina “com’è andata ieri notte?” 
Nami fissò l’amica con disattenzione, senza ben riflettere a ciò che le stava chiedendo, “com’è andata cosa?” Che cos’era quella strana, allarmante sensazione di smarrimento? Ma poi capì, e quando si rese conto che non erano sole, ebbe un mancamento “ROBIN!” 
L’archeologa sorrise, curiosa, scambiandosi uno sguardo divertito con Franky, seduto a tavola a consumare la sua porzione di cibo, poiché svegliato da poco per via del turno di guardia della notte passata. 
Nami s’irrigidì.  
“Ma voi veramente state aspettando che io e Zoro…?” 
Esplose, rossa in viso, sbattendo le mani sul tavolo. Reazione che fece sbellicare ancora di più il cyborg. 
Si stava chiedendo quando fosse diventata così timida, lei, che era sempre stata audace, maliziosa, inopportuna e spesso peccaminosa.
Era Zoro, era per lui che si sentiva così in imbarazzo tutte le volte che qualcuno accennava alla loro ‘unione’. 
“Non fare tanto la pudica…vi ho visti ieri sera, sul ponte.” 
“EH!?” lo guardò seria “sei un guardone?” 
“Ma sei stata Super, sorella!” 
Quella voleva sbattere la testa sul tavolo più volte, oppure sbattere direttamente quella di lui con la sua sola forza. Ma con Franky era più difficile, rischiava di farsi male lei se lo colpiva nei punti metallici. 
Sbuffò arresa, prendendo posto al tavolo insieme a loro.
Ci fu un momento d’inquietante silenzio, in cui i tre si guardarono, immergendo Nami nella più profonda vergogna; la stessa che poi capì che quei due stavano davvero aspettando un responso sulla sua serata “MA FATE SUL SERIO?”
Robin si limitò a sorriderle, dal suo sguardo non riusciva però a comprendere se fosse seria o se stesse scherzando. 
“Avresti dovuto vederli come ci davano dentro” Franky stava sgraffignando il suo amato hamburger, perdendo tutta la salsa sul piatto, con le labbra circondate dalle briciole. Guardava Robin, tutto eccitato, allungando poi il braccio verso il bicchiere con la cola, scolandosela senza fare troppi complimenti. 
Si voltò allora verso Nami malizioso e curioso di saperne di più, pentendosi però all’istante di quel suo atteggiamento avventato e troppo leggero, dal momento che aveva scordato di chi stava parlando “non mi piace affatto quel tuo sguardo, giovanotta.”  
Pronta a colpirlo, con il volto diventato improvvisamente oscuro, venne però interrotta dalla semplice e pacata voce di Nico Robin, composta e sempre sicura del suo tono.  
“Avete dormito insieme, no?” 
Nami dimenticò l’agguato a Franky, che sospirò sollevato, e fissò l’amica negli occhi perdendo tutta la sua durezza “in effetti si.” 
Ripensò alla facilità con cui quello scemo le era rimasto accanto, e la normalità con la quale lei lo aveva permesso. Spalancò la bocca che le cadde fino al tavolo. “Me l’ha fatta sotto il naso!”
I due la guardarono confusi, non capendo di quell’improvvisa nota drammatica. 
Perché ora Nami si sentiva seccata? 
Forse aveva paura di ammettere che era stata bene? Che le era piaciuto quel profumo sulle lenzuola? Quell’essere stata così a suo agio con lui?
Strinse le piccole mani sottili sul bordo del tavolo, abbassando leggermente lo sguardo sulla tovaglia; non era davvero sicura che quello che provava fosse fastidio, quanto più una sensazione di disagio, causata da quegli occhi indagatori e dallo sguardo incuriosito e fin troppo acceso dei due che sembravano sapere già tutto. Era diventata il pettegolezzo della Sunny. 
“É davvero innamorato di te, non si tratta solo di Rin. L’hai capito, no?” Robin interruppe quella che stava per essere una nuova provocazione da parte dell’amico, arrivando dritta al sodo. 
Nami strinse i denti, in trappola. 
Zoro innamorato di lei. 
Non nel futuro, ma nel presente. Una verità che si è rifiutata di vedere troppe volte, insistendo per giustificare ogni stranezza, ogni sguardo, ogni parola. 
Se ci avesse pensato ancora e ancora le sarebbero venuti i brividi, e sapeva che non c’era modo di ragionare in quelle condizioni. 
“Quindi Sanji aveva ragione? C’è già quel sentimento.” Concluse il robot. “Ma tu lo ami, Nami?” 
La rossa, testa alta e spalle dritte, lo sguardo fisso davanti agli amici, e le braccia piegate improvvisamente sotto al petto. 
“Non sono affari che vi riguardano.” 
Forse qualche giorno prima avrebbe continuato a condividere tutte quelle informazioni con gli amici di viaggio, soprattutto per imbarazzare Zoro, ma oggi non poteva più farlo. Non poteva più schernirlo. Quel tempo sembrava così lontano che nemmeno se lo ricordava più; ora era tutto diverso, ogni piccola cosa stava cambiando. 
“Lo ama.”  
Confermò il cyborg a Robin, beccandosi un ceffone sulla testa. 
“Vuoi prenderle?” 
Le gote le stavano per scoppiare da quanto erano diventate rosse e bollenti. 
Ormai tutto quello sarebbe dovuto essere normale? 
Non ci doveva pensare, dopo tutto non erano nemmeno problemi loro. Eppure, qualcosa le scoppiava in petto. Qualcosa che voleva uscire. 
“Nami?” 
L’archeologa volle attirare la sua attenzione, cercando di dedicarle l’occhiata più rassicurante che poteva. “Ci dici cosa c’è che non va?” 
Il robot si alzò, andando al bancone della cucina dove era rimasta una bottiglia di rum che il cuoco aveva usato per cucinare, la prese e la portò al tavolo. Non prima di dedicare anche lui l’occhiata al foglio che stava guardando prima Nami, quello appeso sulla parete: una lista della spesa stilata dal cuoco, ma in fondo c’era un disegno un po’ grottesco, fatto da lui, che lo ritraeva chiaramente mentre vinceva uno scontro con lo spadaccino, disegnato morto stecchito a terra. 
È a questo che pensa quando fa la spesa?
Versò quel rum fresco in un bicchiere, avvicinandolo alla rossa. “Tò, bevine un po’.” 
Stupita da quella premura, accettò, pur sapendo che dopo la spremuta d’arancia non era certamente la bevanda più salutare da assumere in pieno giorno. 
Dopo aver bevuto si portò le mani alle tempie, lasciandosi andare. “In un certo senso, Sanji mi ha fatta riflettere.” 
“Ah, andiamo bene…” Franky esternò il suo pensiero non proprio concorde. 
“Lui non mi dice mai niente di quel che prova…” scosse la testa “e non capisco, ma perché ho scelto lui? Con quelle dannate spade…ogni giorno, per sempre. Ha trasformato mia figlia in una spadaccina!” batté una mano sul tavolo. 
Il cyborg le riempì un’altra tazza di rum, che lei accettò, scolandosela immediata.  
“Rin mi farà soffrire per colpa sua, sua e basta.” 
L’archeologa aveva poggiato una mano sotto al mento, col suo charme pacifico e un tono di voce quieto. “Ma proprio tu dicevi che in Rin c’era il cuore di Zoro.” 
Sentì il suo petto implodere, accelerare la sua corsa. 
É vero, lo aveva detto. 
“Perché ora lo stai dimenticando?” 
“Lo penso davvero” sospirò rammaricata per averlo messo in dubbio, “solo non avevo pensato potesse trasmettergli anche i suoi lati peggiori.” 
“E lo sono davvero, peggiori?” 
Continuò la mora, sempre con sguardo sereno, complice di ciò che diceva, convinta di stare proponendo le soluzioni più giuste per aiutarla. 
“Io non lo so.” 
Scosse la testa in segno di negazione, mentre Franky le ricordava che non si sceglie chi amare. 
Forse anche lei era imbevuta di un simil potere su di lui e per questo non riusciva a dirle mai di no?
Ebbe un sussulto. 
Se hai bisogno di scuse per non amarlo, ne troverai a bizzeffe. 
La voce di Usop le ritornò in mente come una critica, per aver dubitato ancora dell’amore di Zoro. 
“Solo, non capisco, perché proprio lui…fa tutte le cose che mi fanno più arrabbiare.” 
Sentì Robin ridere davanti a lei “ma che stai dicendo?” 
La rossa indugiò ancora un po’ prima di parlare “Usop mi ha detto che se cerco scuse per non amarlo ne troverò a bizzeffe.” 
“Ha ragione.” Sottolineò l’ovvietà Franky. “Penso che questo valga anche per lui, non credi?” 
Si beccò un altro bel ceffone sulla testa. 
“MA NAMI!” 
Incrociò le braccia al petto, altezzosa “io sono fin troppo perfetta per lui.” 
La guardò contrariato con una gocciolina dietro alla testa. “Non sviare il discorso e prenditi le tue responsabilità sulla crescita di Rin!” 
L’aveva colpita nel segno. 
Senza nemmeno saperlo, Franky aveva capito che c’era qualcosa in quei lati più difficili della bambina che veniva direttamente da lei. 
Distolse con fare precipitoso gli occhi dal compagno cyborg, portandosi, impacciata, la mano destra al petto, la sinistra che ancora stringeva il boccale con il rum. 
Aveva ragione. Lei aveva metà della colpa.
Accortosi di questa reazione, Franky si massaggiò la nuca dolorante con una mano, sospirando: non sapeva cosa provasse la ragazza, ma poteva provare a capirlo. 
“Forse dovresti farti meno problemi e lasciarti andare.” Robin arrivava sempre dritta al punto. 
 
Schiuse le labbra tremule, Nami, e infine acconsentì a quelle parole, quasi come se fosse una verità da confessare, fra la vergogna che provava per essere stata così avventata con lui, e il fatto che stavolta era lei a sentirsi stranamente vulnerabile. Pensare a lei e Zoro insieme, così la faceva sentire. 
Se quello era un destino da cui non si poteva sfuggire, tanto valeva farsene una ragione. Zoro era diventato il suo privato enigma da risolvere. Seppur fosse tutto tranne che complicato. 
“Basta, m’è venuto mal di testa” sospirò la navigatrice esausta, con una mano alla fronte “ho bisogno di un po’ d’aria.” Intenta a fuggire dalla conversazione, si era ricordata che aveva un appuntamento in infermeria. 
 
 
 
 
 
 
Nami non dubitava di Zoro come persona, pensava di conoscerlo abbastanza bene, seppur il fatto che provava dei forti sentimenti per lei, tanto da sentirsi a suo agio a dormirci insieme e baciarla, mostrandosi vulnerabile, fosse ancora scioccante. Non così tanto come pensava, ma comunque lo era abbastanza. Semplicemente, non era sicura di riuscire a sopportare il peso delle sue scelte, prese di corsa per via della situazione. Terrorizzata dalle possibili implicazioni future, da quello che quelle decisioni avrebbero comportato sul suo futuro, di loro, di Rin. 
Non per questo, tuttavia, aveva intenzione di prendere in considerazione la possibilità di non scegliere Zoro. In realtà questo era fuori discussione, indirettamente lo era sempre stato. 
Aveva sulle spalle il peso del suo passato e adesso anche quello del futuro. Seppur lo avesse visto litigare con Sanji, allenarsi con Rin, allenarsi solo, era chiaro avesse tracciato una linea di demarcazione con lei. Dopo quei giorni pieni di contatti e scambi tra loro, quella giornata, in un certo senso, senza un loro personale momento, era stata difficile e liberatoria allo stesso tempo. 
Era a questo a cui aveva pensato Nami durante la visita a cui Chopper l’aveva sottoposta. 
Il medico aveva confermato l’assenza di danni interni; ma quel livido sulla schiena era diventato viola pesto, e vederlo dava un senso di inquietudine. 
Ti fa davvero molto male, vero Nami? 
La rossa aveva annuito, ammettendolo per la prima volta. Tanto era praticamente impossibile imbrogliare il suo dottore. 
Non dirlo agli altri, non dirlo a Zoro. 
In altre occasioni non l’avrebbe protetto, anzi, si sarebbe fatta vedere brutalmente ammalata, magari per farlo sentire pure in colpa, ma, stavolta, non se la sentiva. 
 
E, quando all’uscita dall’infermeria se l’era trovato inaspettatamente davanti, si era sentita nuovamente bloccata in sé stessa, stupita sì, ma anche gelata. 
“Non dirlo a Zoro, cosa?” 
Petto nudo, asciugamano bianco dietro al collo, braccia conserte, tipica posizione da arrogante. Aveva probabilmente appena fatto la doccia e non trovandola, l’aveva forse cercata? 
“Allora?” 
“Zoro…che fai qui?” 
Si sentiva strana quella sera, e per nulla pronta ad affrontarlo. Neanche avesse dovuto lottarci veramente a suon di pugni. 
“Ti ho fatto una domanda!”   
Anche lei incrociò le braccia al petto per sostenere quella sua iniziale posa arrogante, prima con i movimenti del corpo e poi a parole. 
“Non ho niente da risponderti. Dove hai lasciato Rin?” 
Lui l’aveva guardata male, e con tanto di grugnito ad accompagnarlo, cambiando svelto il suo umore; per poi rispondere comunque alla sua domanda. 
“Con Rufy.”  
Lo vide massaggiarsi la nuca con una mano, sospirando pesantemente. Nami sapeva che lui era a disagio, ma pensando più a sé stessa, strinse gli occhi per un solo secondo per poi trovare la forza di andarsene e lasciarlo “vado da loro!” 
Zoro la sentì irrigidirsi da quella distanza, quasi si fosse appena scottata da quello sguardo pesante che continuava ad indagare su di lei.
“Mi dici che ti prende?” 
Lo affrontava fiera, ma i suoi occhi non reggevano a cotanta sincerità, e allora rifuggivano lontani. 
“È da questo pomeriggio che sei più nervosa e sfuggente del solito.” 
Zoro voleva capire, ma desiderava anche farle sapere che con lui poteva confidarsi; ecco perché aveva aspettato di rimanere da solo con lei per parlarle. “È per la storia di oggi, riguardo al tuo passato?” 
Non reggendo più l’imponente figura dello spadaccino, e la sua preoccupazione per lei, la rossa cercò di rispolverare un bel sorriso, ma con ben scarso successo; anche perché quell’espressione era più agitata che felice, più spaesata che solare. 
“Nami…” la guardò sconsolato scuotendo leggermente la testa contrariato dal suo atteggiamento “pensi veramente che io sia così idiota?”
Lei lasciò cadere immediata quel sorriso dal suo volto, non aveva nemmeno la forza per portarlo avanti “mi serve solo un po’ di tempo!” gli rivelò senza guardarlo. 
“Mi spieghi cosa é cambiato da ieri?” 
Il povero spadaccino non riusciva proprio a starle dietro. Aveva dei cambiamenti troppo repentini, seppur sapesse con certezza che era sempre lei, la solita Nami. E quello era semplicemente il suo carattere, il suo modo di affrontare le cose - molto diverso dal suo. 
Venne risvegliato da un doloroso pizzico sulla guancia, “oh, e lo dice proprio quello che ha passato la giornata intera ad allenarsi per tenerci tutti a distanza?”
“Ma che diavolo stai farneticando?” 
“Se pensi che passerò le mie giornate a vederti tirare di spada, scordatelo!” 
“Ma chi cavolo te l’ha chiesto!” 
Cadde dalle nuvole, digrignando ancora i denti, agitato. 
“Tu non fai altro!” 
“IO MI ALLENO SEMPRE, PER ME, PER IL MIO OBIETTIVO…SCIOCCA! Non ho di certo secondi fini!” Sospirò arrabbiato. “È quel cuoco, non é vero? Ti ha messo quest’idea in testa?”
“Non c’è bisogno che qualcuno me lo faccia notare.” 
“Hai sempre saputo qual è la mia strada da compiere, e proprio ora questo ti mette in crisi?” 
“Si tratta di Rin! Mi farete soffrire entrambi con il vostro codice di samurai del cavolo.” 
Lo spinse via, uscendo da quella trappola, prima di sentire il cuore scoppiarle nel petto, o peggio, farlo sentire a lui. 
“Torna qui!” 
Zoro l’afferrò tempestivo, trascinandola contro di sé con la stessa facilità con cui avrebbe preso una sua spada dal fodero. La sua mano scivolò lungo la guancia di Nami, allargando le dita e facendo una leggera pressione, come se bastasse per fermarla, per calmarla, per entrare dentro alla sua testa. 
L’aveva attratta a sé. 
 
Nami aveva usato per la prima volta la parole soffrire. Soffriva per lui? 
 
Perché tutt’a un tratto le pareva che la troppa vicinanza con Zoro potesse farla svenire? 
Le mancò l’aria, le gambe le tremarono e la cosa peggiore era che lei desiderava una cosa soltanto in quel momento…sentendosi così inopportuna e fuori controllo. 
 
L’Amore che risvegliava le paure più antiche. L’amore che vuole perdonarsi delle proprie fragilità per aver perso (o vinto) la battaglia con esso - una verità fondamentale per entrambi da accettare. 
 
Quel contatto fisico inaspettato era come una secchiata d’acqua bollente dritta in testa. Nami sgranò le orbite, non si aspettava che lui l’avrebbe presa in quel modo; tutto mentre le gambe le diventarono improvvisamente pesanti come piombo. Il colorito di Zoro era diverso. Qualcosa era cambiato in lui. 
Nessuna distanza c’era tra i loro volti, tra i loro corpi. Lui se la teneva stretta addosso, non l’avrebbe lasciata andare facilmente, a meno che lei non lo avesse voluto. 
Con l'animo fremente e una pazienza e una tranquillità, difficile da mantenere in momenti come quello, probabilmente grazie ai suoi estenuanti esercizi di meditazione, le sue mani avevano iniziato a sfiorarla, con una eccitazione fin troppo crescente. Scendevano dalla guancia, alle braccia, alla vita, ai fianchi, ma si erano bloccate per il sentito nervosismo di Nami.
“Stai cercando un modo facile per scappare dalle parole, Zoro?” 
Quella che però stava mentalmente scappando dai quei contatti, era lei. Eppure lo voleva come nient’altro al mondo in quel momento. 
“Uno spadaccino non scappa mai!” 
La fissava cercando di ottenere una reazione comprensibile in quegli occhi. Era rimasto lì, in attesa, guardandola con uno sguardo così famelico. 
“Che intenzioni hai?” gli chiese in preda all’ansia, quando lo vide scendere ancora di più su di lei, sulle sue labbra. 
“Non ci starai facendo l’abitudine?” Continuava a parlare e a chiedere, Nami, capendo bene le sue intenzioni e cercando di distrarsi col suono della sua voce per la paura di dover vivere ancora quella strana intimità. “Guarda che il tuo conto sta iniziando ad essere alquanto salato…ti costerà caro e…”  
“Vuoi star zitta?” 
Aveva osato. Aveva appena appoggiato le sue labbra calde a quelle ora fredde di lei. Al tocco delle loro bocche era quasi impazzito per il cuore che gli batteva in petto. 
Un altro bacio ancora. 
Era irrinunciabile. 
Una sofferenza per lui, che doveva restare a digiuno di lei. E invece, ci aveva pensato per tutta la giornata a volerla baciare, nonostante l’allenamento era stato propizio. 
Ma ora era lui, quello da reazione feroce. Muovendosi così rapidamente che non le aveva lasciato il tempo di prendere il controllo, stavolta. 
La pressione che Nami sentiva nel petto si era liberata e le aveva avvolto tutto il corpo, rendendolo instabile, e persino la mente, rendendola completamente vuota, se non per il pensiero delle loro bocche che si fondevano ancora una volta. Era questo allora, il modo per scacciare via i pensieri. L’unico funzionante. 
 
Zoro aveva dovuto staccarsi un momento per riprendere fiato, o sarebbe imploso dal troppo piacere. La consapevolezza razionale di quello che era appena successo lo fece innervosire violentemente e serrare forte l’occhio, come per fermare quella sensazione dal lasciargli il corpo. Si sentiva sempre così nei confronti di Nami, quando gli era accanto in quel modo e, solo di recente, quando finiva in queste situazioni che lui non poteva permettersi di vivere.
“Hai bevuto rum senza di me?” La guardò poi, spazientito. 
“Solo un po’ “, rispose lei, perdendosi in lui e cercando di riprendere il controllo, poggiando prima una mano delicata sul suo torace e poi anche la testa. 
“Zoro…” 
Una voce spezzata, che quasi lo impietosì. La guardò, poggiata su di lui, avvertendo quel calore innaturale bruciargli anche i muscoli che non si potevano vedere. Era esplosivo sentirla lì sopra, ne doveva avere di autocontrollo per non portare a galla tutto quel sentimento e pulsione a lungo repressi. 
“per questo bacio fanno 800 mila berry, più altri 600 mila aver dormito nel mio letto ieri notte.” 
“EEEEHHHH?” 
Quella espressione quasi addolcita, per quanto lui riuscisse ad averla, si trasformò in un volto pieno di denti da squalo. “E POI, MA NON TI SEMBRA TROPPO?” 
 
Come si poteva non cadere nella trappola della vita nonostante tutte le paure, regole, maschere autoimposte? 
 
Nami però era al settimo cielo. Felice del suo affare, felice di potersi appoggiare su di lui, chiudendo gli occhi e beandosi di quel posto caldo. Era davvero surreale avere quella libertà su Zoro. Si sarebbe senz’altro vergognata poi, ma non in quel momento, perché non c’era alcuna fretta. 
 
Ma la voce di Rufy, che stava ‘combattendo amorevolmente’ con Rin, spezzò quel loro idillio. Lo spadaccino borbottò un’imprecazione volgare per via della della preoccupazione che aveva avuto per lei, facendosi ingannare come un babbeo… quella magia che li stava tenendo assieme si era frantumata.
 
“Non dirmi che ha chiesto a Rufy di allenarla, adesso?” 
Nami era ancora su di lui, con lo sguardo di chi non avrebbe mai capito quell’atteggiamento masochista e pieno di orgoglio.
“È così.”
Ma Zoro sorrideva, per nulla preoccupato sulla questione, lasciandola ancora appoggiata a lui. “Gli ho detto che salterà un pasto per ogni piccolo graffio che Rin ripoterà sul corpo.” 
 
“Sei diventato un perfetto ricattatore.”
 
 
Di una cosa Nami era certa, e lo era sempre stata, in realtà. La comprendeva davvero la Nami del futuro. 
E del perché avesse scelto proprio Zoro. 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Paura di sé ***


Capitolo XVIII
Paura di sé  

 
 
 
 
 
 
 
“Nami sei ancora qua fuo…” 
La voce del piccolo medico si smorzò di colpo quando, sbucando da dietro alla parete, vide che la compagna che cercava non era più sola. Insieme a Zoro, quasi pressati in un angolo, una nell’abbraccio dell’altro, erano persi in un momento tutto loro.
Fu come quella mattina in infermeria, quando aveva provato un gran bel calore dentro di sé solamente ad osservarli nelle loro espressioni beate. 
Chissà perché lui riusciva a captare tutta quella calda energia che rilasciavano nell’aria. Quanto avrebbe voluto che anche gli altri la vedessero allo stesso modo, come anche i diretti interessati. 
Sentiva di avere gli occhi lucidi, forse emozionato, forse stranito anche, ma comunque contento di vedere quanto due persone così difficili come Nami e Zoro cedevano, abbassavano la guardia, aprivano le braccia all’amore. 
Chissà se anche a lui sarebbe successo, se anche lui si sarebbe ritrovato con quell’aurea rara tra le mani che prendeva vita solo in presenza di un’altra persona. Certo, si poteva ritenere abbastanza fortunato, aveva già una famiglia che lo amava incondizionatamente, ma se fosse riuscito a prendersi anche quella fetta di intimità in più, di condivisione con una persona che non prendeva il nome di Usop, non gli sarebbe certo dispiaciuto. 
Perso tra i suoi pensieri, ma con un sollievo nel cuore, decise di lasciar loro il privato e andare via, sentendosi come un occhio di troppo che inquinava quell’idillio. 
 
 
 
Ma se Chopper era capace di captare l’amore col fiuto, non poteva però sapere che cosa nel frattempo aleggiava all’interno di quelle teste così impegnative.  
 
Nami ne stava avendo di consapevolezze particolari. Innanzitutto, non si era mai sentita così vicina a qualcuno; e ancora più sconcertate per lei erano la voglia e paura crescenti di dover condividere quella intimità con lo stesso. Lui che poteva attanagliarle la bocca dello stomaco, anche solo così, guardandola e respirandole vicino. 
Tutte quelle difese che l’avevano sempre protetta stavano iniziando a crollare una ad una, e anche se provava a contrattaccare come era suo solito fare, iniziava a sentirsi inerme, ma non con lui, con sé stessa. 
 
Zoro, d’altra parte, si rendeva conto solo adesso, dentro quell’abbraccio, che quella storia metteva a dura prova tutto il suo lavoro e relative fatiche, sentendosi per primo incapace di controllarsi come avrebbe voluto, e, soprattutto, come avrebbe dovuto.
Era sicuro di non essere la persona più adatta per quel genere di cose, e dover dare delle dimostrazioni senza l’uso della spada era tremendamente difficile. 
Ma standole così vicino non riusciva più a reprimere il desiderio di lei. La stessa persona che ora era appoggiata sul suo petto, quella che non stava più esitando, non lo stava rifiutando, seppur ogni tanto provasse a fare la dura davanti si suoi occhi. Sapeva bene che Nami aveva bisogno di certe rassicurazioni e, anche se lui non aveva questa necessità di dargliele, avrebbe comunque potuto provarci. 
In quella complicata famiglia il suo ruolo era solo quello di combattere, proteggere e vincere. Non sapeva fare altro. E nient’altro aveva da offrirle. 
E lei invece aveva un ruolo molto più complesso, che brillava di sfumature e colori. Lei rappresentava tutto il resto: era le parole, era il caldo e il freddo, la tempesta e il sole, le lacrime e il sorriso, la paura e il coraggio, l’affetto e il distacco, la sofferenza e la superficialità. Non era la sua Nami se non provava un’emozione e allo stesso tempo anche il suo contrario. 
Era dannatamente difficile starle dietro, per lui poi, che aveva spesso più cose da rimproverarle che altro. Ma era anche l’unica donna che riuscisse a farlo agitare, ingelosire, fargli bruciare la pelle come se lei fosse il sole e lui un vampiro. Il suo corpo reagiva a lei, a lei e basta, in quella sensazione incontrollabile che nemmeno sapeva spiegarsi in un modo nuovo e quasi inesplorato. 
 
 
Nami continuava a muovere la sua mano su quel petto allenato a cui era sempre più affezionata. Stava ardentemente accarezzandolo, in silenzio, beandosi del momento. 
Attorno non sentiva nulla, non c’era più nulla. 
Facendo appena pressione sulle spalle di Zoro, in un gesto delicato, lo aveva spinto alla parete dietro di lui, e, per via di un impeto che aveva preso il sopravvento su di lei, aveva iniziato a baciarlo in modo strano sulla pelle, dall’attaccatura del collo verso insenature ruvide e scultoree. Si sentiva un’altra persona mentre lo faceva, ma all’improvviso non poteva farne a meno.
Lui non fu immediato nel reagire a quel tipo di attenzione, dal momento che non si sarebbe certamente aspettato un agguato del genere da parte di Nami, chinandosi sorpreso su di lei con il viso, respirandole piano tra i capelli. 
La rossa non aveva fatto nemmeno caso alla sua dolce e rassicurante reazione, talmente su di giri e, con cautela, come una ladra in una stanza piena di tesori, aveva fatto scivolare silenziosa e delicata la sua piccola e liscia mano destra, che dalla spalla ora scendeva su di lui, percorrendo lentamente tutto quel petto immobile in un movimento armonioso e quasi impercettibile. Un contatto accompagnato sorprendentemente da baci diventati gentili che bruciavano la pelle nuda, che iniziò a prendere fuoco, soprattutto, quando quella mano, ormai insidiata in lui, era scesa così tanto sul suo corpo da arrivare all’apertura dei pantaloni neri, indugiando sul tessuto e giocando con il bottone principale, fino a pigiarlo e liberarlo dalla chiusura.
Lo sentì diventare immediatamente rigido - fin troppo rigido - ma soprattutto agitato. Nami sotto le sue mani riusciva a captare ogni variazione dell’emozione di Zoro, da come contraeva i muscoli in un modo molto specifico e delineato. 
Ma Zoro non era poi colto così impreparato, dal momento che aveva già vissuto tutto quello, oltre che nelle sue migliori fantasie anche nella realtà, in quella mattina da cui difficilmente si era ripreso, scorgendo in sé stesso uno squilibrio che stava diventando inequivocabilmente costante. 
Alzò un attimo lo sguardo su di lui, Nami, coraggiosa, trovandolo in balia di uno strano sentimento, forse ansia, forse tormento, o forse entrambi. 
Lui ricambiò lo sguardo, affrontandola, mentre una consapevolezza devastante prendeva il controllo al suo interno. 
La voleva. E la voleva subito. 
 
Entrambi l’avevano capito il significato di tutto quel muoversi dal suono silenzioso ma pieno di ansiti, e dove si sarebbero potuti spingere in quell’esatto istante, se avessero tolto immediatamente il freno. 
La guardò dritto in quegli occhi che sembravano ancora più profondi, gli stessi che sprigionavano un desiderio che non aveva mai scorto in lei; poi le guardò le labbra, che immaginò di prenderle subito, per poi scendere con gli occhi ancora più in basso; e mentre cercava quella mano, in tutto quel trambusto si rese conto che la camicetta, già abbondantemente scollata di Nami, nel loro muoversi avventato, si era aperta maggiormente perdendo un altro bottone, lasciandogli una vista più ampia sul suo corpo. 
“N-non va bene.” 
Riuscì ad esternare a voce alta, trovando la forza di prenderle la mano, intrappolandola nella sua, per toglierla da sopra alla sua pelle, che era ormai alla brace, pensando di dover uscire subito da quella trappola che lui stesso aveva creato. Non che non le avesse mai viste, ma da quella posizione, mentre le schiacciava di proposito su di lui, era tutto un altro bel paio di maniche. 
Per fortuna la mente riusciva ancora a controllarlo, a dargli un contegno. 
“Non va bene?” 
La voce svenevole di Nami lo risvegliò da quei pensieri. E come la sapeva interpretare bene lei quella parte...
La rossa sentiva solo il corpo fremere, e voleva dare ascolto solo a quello, lasciandosi finalmente andare a quel suo lato famelico che non aveva mai conosciuto prima d’ora, prima di quei giorni. Aveva voglia di lui, in una spirale che cresceva e portava verso l’alto, ogni giorno un pò di più; ormai non riusciva a fermare più né il cuore né la mente; perciò, non era sicura stesse ragionando come al suo solito, così come non era sicura si trattasse di amore o se fosse solo in bisogno che il corpo aveva necessità di soddisfare. 
Il suo ghigno era carnalmente lascivo mentre si lasciava divorare dalla passione che le partiva direttamente dall’interno. Era stato lui a cercare la fisicità, era stato lui a toccarla per primo. E aveva acceso un tasto in lei che adesso non riusciva più a silenziare. 
Lo guardò in viso rossa di vergogna per un solo attimo, ma era anche rossa per via di quel calore che saliva e si approfittava del suo stato emotivo. Lui era in difficoltà, ma a lei non importava in quel momento, contava solo una cosa: soddisfare quel suo bisogno diventato ingestibile per il suo corpo. Voleva ascoltare la dritta di Robin, le aveva detto di lasciarsi andare, e sapeva che doveva darle ragione. 
Ma lui le aveva allontanato la mano, e quindi che cosa significava per lei? 
Lasciò perdere, fiondandosi nuovamente su quel collo invitante come se fosse stata una vampira in giorno di festa, addentandolo e leccandolo senza contegno: lo stava facendo letteralmente impazzire. E lo sapeva, lo sentiva caldo e contratto, mentre cercava di contenersi.
Lui aveva chiuso l’occhio, lasciandosi andare, seppur immobilizzava ancora la mano pericolosa di Nami, quella che minacciava di provocargli troppo piacere in una presa decisa tra le sue gambe; e poi le prese anche l’altra, imprigionandola, per preservare la sua incolumità. 
E quei baci non erano da meno, lo stavano mandando in visibilio. Non avrebbe mai pensato di meritarli, di viverli, di riceverli da Nami stessa. 
Per un attimo ricambiò, strofinando il viso su quella guancia appena sotto di lui, annaspando e facendo respiri lunghi, come un malato che stava per perdere tutto il suo ossigeno e ne faceva una scorta per il futuro. 
Nami lo sentiva ispirare contro di lei, annusarla, strofinarla, mentre quella presa sulle mani diventava sempre più forte, sintomo dell’eccitazione di lui che aumentava. 
Quella reazione l’incendiava, raggiungendo la consapevolezza che non sarebbe riuscita a fermarsi da sola. 
Seguendo l’istinto e abbandonando la ragione, e quindi tutti i suoi più buoni propositi, lui, per il piacere che il suo corpo stava vivendo, l’aveva afferrata con la mano aperta da dietro alla schiena, avvinghiandola a sé, come per trattenere tutte le sensazioni che stava provando. Nel farlo, aveva dimenticato, per un solo istante di ardore, di quell’ematoma prorompente e doloroso, sprigionando un brutto ricordo che prese spazio nella sua mente nel momento in cui la sentì gemere di dolore vicino al suo orecchio. 
Tolse subito la mano, cercando quella lucidità che stava perdendo. “Mi dispiace.” 
Ma a Nami non sembrava importare, visto che aveva ripreso immediata a baciarlo, “e di cosa?” gli disse svelta, cercando di essere convincente. Non voleva si fermasse tutto per colpa di uno stupido livido. Ormai erano lì, in quel confine che, se superato, avrebbe potuto condurre in quella direzione che gli tormentava entrambi da molto tempo. “Togliamoci il pensiero, Zoro” aveva aggiunto, dando aria alla bocca e facendo uscire la sua parte caratteriale più problematica; quella sì, istintiva, ma anche avventata e piena di paure e contraddizioni. 
“Sciocca.” 
Allo spadaccino non piacquero affatto quelle parole. 
Era ferita, certo, e sicuramente già solo per questo lui non l’avrebbe più toccata. 
Che diavolo voleva dire, poi, quel togliamoci il pensiero?  
Allontanarla e distanziarsi era così difficile anche per lui, ma sentiva di doverlo fare, doveva provarci, doveva fare lui l’adulto della situazione…lei stava rovinando tutta quella giornata di duro allenamento, di meditazione, con la liberazione dai piaceri carnali che continuavano ad obnubilare la sua mente e il suo corpo. 
“Nami…” 
Quelle bellissime labbra carnose sulla sua pelle erano ciò che più doveva evitare. C’era stato un bacio tra loro, un abbraccio, un toccarsi reciproco, quella sera…erano stati contatti più che sufficienti per lui, per dimostrarle le tracce di un amore che lei aveva bisogno di sentire e toccare con mano… anzi dovevano bastare, o non avrebbe più risposto di sé. 
Ma lei non riusciva a capire quanto fosse difficile per lui non ascoltare sé stesso, il suo codice di spadaccino e le sue regole autoimposte. E perché non ci provava nemmeno? 
“Ab…abbiamo detto un passo alla volta.” 
Quei baci caldi erano la morte del suo dovere. 
Nonostante le mani di Nami fossero al sicuro nella sua trappola, la percepì comunque scendere su di lui con la bocca. 
Era diventato troppo da sopportare a quelle condizioni.
Ma la durezza che sentiva in mezzo alle gambe continuava a tradirlo, rendendo futili tutti i suoi tentativi nel cercare di placarla. 
 
“Quando l’abbiamo detto?” 
Nami aprì la bocca solo per rispondere mentre era ancora immersa sui suoi addominali, in preda ai bollori e agli istinti più primitivi. 
La ragazza lo sentiva forte e chiaro, che cercava di resisterle in tutti i modi concepibili, ma decise di ignorarlo ancora. 
 
Quel briciolo di lucidità rimasta viva in lui però riuscì alla fine a staccarla e capovolgere la situazione, poggiandola delicatamente alla parete, la stessa che prima accoglieva le sue spalle, stando però attento a non farle colpire la schiena sul muro. Naturalmente era anche un modo per tenerla abbastanza lontana dalla sua pelle per un secondo. 
La guardò negli occhi con intensità, ma vederla ansimare, con le labbra gonfie e umide, lo stava mandando ancora più in estasi di prima. Si chiedeva se questo fosse davvero possibile. 
“S-e- s-ei impazzita?” 
La voce era mozzata dal piacere, però cercava il suo tono più appropriato. E mentre provava a nascondere quanto tutti quei gesti fossero enormemente piaciuti al suo corpo, la rimproverava con lo sguardo. “Togliamoci il pensiero?” , le ripeté quella frase che gli torturava la mente e che non gli andava proprio a genio. Ma lei non voleva ascoltare, non voleva che tutto finisse così, non lo stava provocando a vuoto, aveva appena iniziato a lasciarsi andare e voleva andare fino in fondo senza continuare a rimuginare, pensare, mandare in pappa il cervello; né andava della sua sanità mentale e fisica. 
“Hai così tanta paura di una donna, Zoro?” 
Decise di utilizzare la sua tecnica psicologica più micidiale, riversandogli addosso quel suo tono di sfida, che usava quando voleva manipolarlo e stuzzicarlo nel modo peggiore, più infimo, mentre cercava comunque di allungare le mani per sfiorarlo. 
Ma quelle parole agirono in lui come un insulto, come al solito, facendogli digrignare i denti e rendere più salda quella distanza tra loro.
“Non dire idiozie” 
Lo stesso Zoro, per quanto cercasse di essere serio, sentiva il bisogno di respirare, doveva riuscire a tornare normale e spegnere quel bruciore che stava divampando prima che fosse tardi e prima che lei riuscisse davvero a far di lui ciò che voleva.
Ma era più facile pensarlo che metterlo in atto, era dannatamente difficile rinunciare a lei. 
 
“Ma perché sei così duro con te stesso?” Gli urlò in tono graffiante ma anche liberatorio, quasi ferita di sentirsi rifiutata. “Scegli volontariamente di farti del male!” 
Nami, nel frattempo, cercava di fuggire da quella presa in cui lui la teneva prigioniera, e, nonostante tutto, non stava affatto perdendo quella voglia di lui che era diventata ormai così visibile. 
 
 
Era stato così tempestivo nel fermare quell’impulso perentorio, ma adesso ci stava facendo i conti. Solo ora sentiva quanto lei lo desiderasse, e anche se avrebbe dovuto - voluto - essere in estasi per questo, la cosa lo spaventava. Sapeva che aprire quella porta lo avrebbe distratto per sempre e forse in modo definitivo da tutto il suo dovere.
Nami era la sua spina nel fianco a tutti gli effetti. 
 
“Non mi vuoi?” balbettò lei con un sorriso impacciato ma furbo sulle labbra, con la voce che sembrava di qualcun’altra. 
Lui si arrestò all’istante, tornando a guardarla quasi con timore. I loro occhi si incrociarono per alcuni, interminabili istanti, e ciò che Zoro lesse in quelli di lei ebbe il potere di mutare il suo stato d’animo. Lo stava come implorando con lo sguardo di non lasciarla sola in quel momento. 
Mentre, invece, ogni esitazione da parte sua stava sconvolgendo Nami sempre più in modo negativo. Lui avvertiva il suo desiderio, si, e questo dettaglio continuava a farlo eccitare come un ragazzino alla sua prima festa con gli amici, ma avvertiva anche la paura e la confusione in lei. Sarebbe stato da vero incosciente buttarsi in qualcosa che avrebbe potuto spezzarli, solo per soddisfare un desiderio o allontanare una paura temporanea. Non avrebbe mai acconsentito a prendere parte a qualcosa che poi le avrebbe forse fatto male dentro per via di un tempismo completamente sbagliato e arrivato probabilmente con troppo anticipo. 
 
Senza pensarci oltre, Zoro provò ad abbozzare un sorriso. Sperava che la voce non troppo ferma e la sua eccitazione non lo tradissero. “Non dobbiamo farlo adesso, Nami.” 
Nel frattempo, aveva allentato la presa sulle mani di lei, quelle che ancora teneva intrappolate, preparato a quell’atteggiamento imprevedibile. 
Era bastato un attimo come quello per dimostrare quanto a lungo tempo avevano possessivamente messo a tacere i loro istinti, le loro emozioni più intime, i loro desideri carnali mai confessati. 
 Ma in quel momento però gli sembrava anche di aver percepito l'esatto istante in cui il respiro di Nami si era spezzato, per via di un senso di disperazione. 
Come al solito, lei aveva frainteso tutte le sue azioni e tutte le sue parole; come al solito non aveva notato niente, guardandolo solo con superficialità, come sempre temeva facesse. 
Rese la presa più morbida, avvicinandosi pericolosamente a lei, poggiando la fronte sulla sua tempia. Zoro sembrava quasi come volesse ricordarle del suo amore persistente. 
Ma lei era troppo spiazzata per farci caso. 
Nami, che non riusciva a spegnere il fuoco che era imploso dentro di lei, dal petto allo stomaco al basso ventre, sentiva quel respiro pesante sulla pelle, e non capiva niente di quei suoi gesti contraddittori. 
Ovviamente era lui l’unico uomo sulla terra che avrebbe messo un freno alla sua passione, chiunque altro ne avrebbe probabilmente approfittato subito di lei, di quel suo stato stranamente sincero e vulnerabile. 
 
Ignorava però che le emozioni che Zoro aveva provato in quel frangente lo avevano travolto come una tempesta, sconquassando il suo cuore e mandandolo in estasi. 
Dirle no era sicuramente il suo esercizio più duro, difficile, rigido, e quasi impossibile da superare tra tutti quelli che aveva affrontato. 
Portare pietre sulle spalle fin da ragazzino sembrava così facile adesso; e fare bagni in acqua ghiacciata non era nulla in confronto a quello. E probabilmente non avrebbe saputo rifarlo più, stava al limite di sé stesso. 
 
Ma in un impeto di rabbia la rossa riuscì a scivolare via dalla presa che lui aveva su di lei, non facendosi intenerire da quel gesto gentile, spingendolo sul petto e allontanandolo furiosa. “Vai al diavolo!” Con passò felpato lo superò, recuperando tutta la sua dignità, alzando la testa in modo fiero, e rimettendo i capelli in ordine. 
“Ma dove vai stupida!?”
Lo sentì grugnire, dietro di lei, infastidito. Ma lo lasciò perdere, senza più degnarlo di uno sguardo o attenzione. 
 
“Nami!” 
 
 
 
 
Aveva bisogno d’aria per spegnersi. Quasi che si sarebbe pure gettata nell’acqua gelida dell’oceano, se solo avesse avuto la sicurezza che avrebbe funzionato.
Ecco, proprio come faceva lui, per scacciare via i pensieri del cavolo. 
Era così furiosa - e ora il calore delle sue gote era dovuto anche a questo. Solo lui era in grado di farla ribollire in quel modo. E niente tranne lui in quel momento avrebbe potuto spegnere l’incendio che ancora le ardeva dentro. 
Che stupida era stata.
E che stupida ancora adesso a pensare a quel corpo nudo del compagno sotto alle sue labbra. 
Scosse la testa.
Ma come era finita così? Da quando la sua mente ragionava come quella di un uomo?*
Non faceva altro che esporsi ormai.
E si preoccupava di essere lui quello vulnerabile. 
Come no…
 
Ma quanto è bravo a controllarsi quell’idiota. 
 
 
Ormai aveva rinunciato a comprenderlo.
Era chiaro come il sole, Nami gli uomini proprio non riusciva a capirli, e seppur avesse sempre saputo di riuscire a manipolarli, né aveva incontrati almeno due che erano fuori da ogni schema esistente, almeno, sotto certi punti di vista. E quell’altro era proprio lì fuori in quel momento, al piano inferiore, seduto sul pavimento del ponte, sotto le stelle, mentre parlava animatamente con Rin. 
Forse qualcuno in grado di rincuorarla, e qualcosa che poteva farle tornare il sorriso, alla fine, c’era sempre su quella nave. 
 
 
“Ed é stato questo Buggy a far del male alla mamma?” 
Chiedeva la bambina, agitata, che venuta a sapere delle avventure del pirata Buggy il clown approfittava per porre domande personali; mentre stava seduta accanto a lui, e con le mani tremanti scioglieva i capelli e gli accarezzava, stanca e sudata dal duro allenamento della giornata. 
“Chi? Buggy? Ma se è proprio Nami che l’ha fregato!” 
Rin Rise di gusto, contagiando il capitando che si fece prendere dai ricordi, toccandosi la pancia dal dolore delle troppe risate. 
La bambina si fece forza di tutto il suo coraggio, smettendo di manifestare quel sentimento allegro, e guardando Rufy sicura in viso. “Ma quindi…è su quell’isola che si sono conosciuti?” 
Il capitano gommoso smise di sbellicarsi, fermando ogni movimento corporeo all’istante. La guardò, accennando un mezzo sorriso, per poi annuire, convinto che le bastasse quello per essere felice. “Ma come, non te ne hanno mai parlato?”
Rin gonfiò le guance. “Valla a capire tu qual è la verità…” continuava a districare i capelli, facendoli svolazzare poi al vento, “papà dice sempre che se non fosse stato per lui, che le ha salvato le chiappe, la mamma non avrebbe avuto oggi nessuna possibilità di disegnare nemmeno un’isola sulla sua cartina…”, vide Rufy illuminarsi e sogghignare, “e la mamma dice, ovviamente, che senza di lei sareste sicuramente naufragati entrambi, e quindi che è stata lei a salvarvi.”
Il capitano si fece impossessare da risa sincere che si sentivano su tutti i piani del ponte della Sunny. “Bè ma sono entrambe la verità. Non ti sta bene?” continuava a ridere, proteggendo il cappello da una folata di vento. 
“Ecco, dici sempre la stessa cosa pure tu!” mise il broncio lei “mai nessuno che sappia raccontare con chiarezza…solo Usop lo fa, ma racconta questa storia piena di dettagli nonostante lui nemmeno l’abbia vissuta, così ho capito che non può essere vera la sua versione…! Uffa!” 
Sentiva lo sguardo di Rufy su di lei, con quegli occhi così sorridenti e pieni di vita che la scrutavano, facendola sentire a disagio. “Che c’è?” Si sentiva così scoperta se osservata in quel modo da lui. Ma quello continuava a ridere a crepapelle. 
“Si vede così tanto che sei figlia loro…ora sembri proprio Nami…”, spalancò la bocca meravigliato, sfiorandole una ciocca di capelli rossi con il dito. 
Incrociò le braccia al petto come risposta, sbuffando infastidita da quei sentimentalismi. 
“Ecco, ora sei Zoro!” 
“E piantala! Io sono Rin! Rin e basta!” 
Il capitano aveva le lacrime agli occhi, era così buffa a vederla, così piccola ma così uguale ai suoi migliori amici. 
“Va bene, va bene!” 
 
La vide assaporare l’aria fresca, appoggiandosi ancora più al parapetto e portandosi le gambe corte al petto. Quanta gioia e allo stesso tempo quanto dolore racchiudeva il cuore di quella bambina? 
 
La voce più calma e sincera del ragazzo però le assicurò un nuovo sorriso, cullandola in quello stato emotivo problematico, forse pieno di mancanze. 
“Nami ha spento con le mani una miccia di cannone…la cui bomba era destinata a me.” Rin alzò la testa immediata, guardandolo curiosa. “Ma mentre pensava a salvarmi…i pirati di Buggy sono accorsi per aggredirla alle spalle.” 
Sentiva il respiro della bambina trattenuto, come se stesse raccontando una storia dell’orrore, talmente piena di suspence da tenerla col fiato sospeso. 
E Rin fu sollevata di scorgere su quella faccia di gomma un sorriso grande quanto una mezza luna, anticipando mentalmente il risvolto quasi scontato di quell’accenno di storia. “È stato lì che è arrivato Zoro…mettendo al tappeto i pirati di Buggy.” 
Una lacrima scese sulla guancia di Rin, depositandosi sul braccio col gesso. Chiuse gli occhi, ispirando un frammento di una storia che nessuno sembrava mai volerle raccontare per davvero. Come se quei genitori non avessero mai smesso di avere paura dei loro sentimenti. 
 
Un’identica lacrima calda scivolava ora sulla guancia di Nami, seduta in terra al piano di sopra, ma nascosta dal legno. Una lacrima che asciugò svelta con il palmo della mano, poiché consapevole di una presenza costante che la osservava, Zoro, con indosso la maglietta, che le stava seduto davanti, poco lontano da lei. 
Anche lui aveva sentito tutto, nonostante pensasse che origliare non era certo la cosa più giusta da fare. 
Ancora una volta scoperta davanti a lui. 
Che maledizione.  
Aveva girato il viso dall’altra parte per non farsi vedere, non prima di avergli fatto un cenno con la testa che era più un ordine silenzioso dal sapore scontroso che voleva dire qualcosa come “trovati un altro posto”; ma lui non parlava e non si muoveva, rimaneva lì seduto in silenzio ad ascoltare quella storia che conosceva così bene. 
 
 
“…io e Zoro eravamo persi senza Nami.” 
Ancora Rufy che faceva da drammaturgo, rubando il posto ad Usop, che se lo avesse saputo, sarebbe sicuramente intervenuto riprendendosi la scena per raccontare tutte le sue di storie. “Sai? Credo che sia stato davvero un incontro fortunato…” 
Due piccole mani lo avvolsero sul collo, ritrovandosi dentro un abbraccio sincero. Rufy sorrise di gioia, avvertendo quanto l’avesse fatta felice con quelle parole. “Attenta a quel gesso…se ti fai male quei due mi uccideranno.” 
Ma Rin rideva e piangeva, non le importava nulla del suo braccio, non sentiva nessun dolore e anche se l’avesse sentito non le sarebbe importato. “Grazie, Rufy.” 
“Ehi, non è da te piagnucolare.” 
La prese in giro lui, beccandosi però un pugno in testa dalla mano sana.
“E sta’ zitto!” 
 
I due protagonisti di quella breve storia, erano immobili, in silenzio. 
No, non era davvero una passeggiata per loro affrontare tutto quello. 
Gli altri potevano ridere, luccicare di gioia, stupirsi, fare battutine ammiccanti, ma nessuno dei compagni poteva capire cosa c’era veramente dentro di loro. Non facevano altro che lacerarsi e ricucirsi, per poi lacerarsi di nuovo. 
Come poteva il destino aver messo insieme proprio loro. 
Se entrambi avessero scelto altre persone, si sarebbero sicuramente resi la vita più facile. Erano forse due masochisti? 
Lo sentiva, Nami, che lui ogni tanto apriva l’occhio e la guardava di sottecchi. Ma lei aveva la sua dignità, e nessuna voglia di dargliela vinta. Continuava ad ignorarlo, facendo finta che lui non fosse lì. 
Voleva alzarsi e fuggire, ma se lo avesse fatto avrebbe rischiato di farsi scoprire da Rin e Rufy. 
E la avvertiva, Zoro, quella confusa emozione che provava lei, tradita dalle lacrime. Ma nonostante quel ritorno al passato avesse stranito anche lui, non si sarebbe certo lasciato andare al facile sentimentalismo. 
Loro erano questo, dunque. 
Lui una presenza costante, un’ombra che le stava intorno, che la proteggeva, che la osservava, ma era interiormente così chiuso e così distante, tanto da non capirlo quanto male le facesse a lei il suo silenzio. 
E lei, che invece voleva analizzare ogni dettaglio che li riguardava per bene, si preoccupava per lui in altro modo, occupandosi di tutte le cose che lo tenevano in vita, evitando che si perdesse, ma senza rendersi mai conto della profondità dei sentimenti forti di Zoro, in grado di poterli trasmettere anche solo con lo sguardo. 
 
“Rufy?” 
“Umh?” 
“Secondo te, c’è stato qualcosa tra loro fin dall’inizio?” 
 
Il cuore di Nami sussultò. 
Zoro aprì l’occhio di scatto. 
 
Ma una voce che conoscevano bene distrasse tutti da quella tortura psicologica. 
 
“Basta farneticare!” 
Sanji aveva fatto capolino sul ponte d’improvviso, con tanto di mestolo in mano. 
“Per i bambini è già orario di dormire.” 
“EHI!” Rin lo guardò malissimo, gonfiando le guance. 
“Hai sentito?” Rufy indicò la rossa junior “dice a te!” 
“Veramente dico anche a te!” il cuoco gli tirò un calcio sulla testa, per poi inchinarsi appena su Rin e concentrare solo su di lei le attenzioni. 
“La dolce Robin dice che devi fare il bagno!” le sorrise “…ma che carina con i capelli sciolti! Ora per fortuna mi ricordi solo Nami…” si alzò, guardandosi intorno sul ponte “che non vedo da ore…sapete dov’è finita la mia adorata?” 
“Guarda che non é la TUA adorata…” sottolineò la piccola, sempre imbronciata, beccandosi però una pacca dolce sulla testa dal cuoco che le scompigliò i capelli rossi. “Fila dentro, da brava. La cena é quasi pronta!” 
Parole che ovviamente fecero perdere la testa al capitano che si fiondò sottocoperta, trascinando con sé Rin, dopo averla alzata per le braccia. 
“RUUUUUUUUUUFYYYYYY MALEDETTOOOO.” 
Sanji lanciò un’altra occhiata intorno, sperando di scorgere l’altra chioma rossa, ritornando poi in cucina nervoso. Mancava anche testa d’alga all’appello, e dunque qualcosa lo insospettiva. 
 
 
Sentita la porta chiudersi, Nami versò un’altra lacrima, commossa da come tutti i suoi amici si occupassero di sua figlia, allo stesso modo di come si erano presi cura di lei tanti anni fa, salvandola e confortandola con la sola presenza e poi con la premura di aiutarla a farla stare bene. Approfittò immediata della situazione, alzandosi frettolosamente, lasciando però da solo lo spadaccino, senza dirgli una parola. 
Si sentiva davvero male, perché lo sapeva che lui ci stava provando a modo suo a trovare un contatto. Ma l’aveva ferita davvero, anche se non sapeva spiegarsi in che modo esattamente. 
Quella specie di rifiuto poteva significare tutto o niente, si sentiva così ferita e derubata del suo orgoglio che adesso non riusciva a pensare ad altro, sebbene quel tuffo nel passato le aveva appena risvegliato una strana nostalgia che ora le stava lasciando anche dei sensi di colpa per come lo stava trattando. Non che lui facesse molto di più, stando in silenzio, senza dirle niente. 
Batté un pugno sulla ringhiera, facendosi volutamente sentire, prima di rientrare sottocoperta. 
 
 
 
 
Sapeva che Robin sarebbe andata a fare il bagno con Rin, così avrebbe avuto qualche minuto per stendersi da sola sul suo letto a riposare e riprendersi da tutte quelle forti emozioni.
I vestiti che aveva addosso avevano come l’odore di Zoro, forse era anche quello che la stava deconcentrando. E quando si tolse la maglietta, capì che anche quelle lenzuola dove si stava per adagiare erano impegnate del suo profumo. 
D’improvviso le tolse tutte dai letti, gettandole a terra in un gesto collerico. Ma fu proprio in quel momento inaspettato che sentì la porta sbattere, facendola sussultare, poiché in un sol attimo aveva pensato di venire sorpresa dalla intuitiva compagna, che avrebbe sicuramente capito tutto il suo malessere e avrebbe chiesto delucidazioni. Ma quando si voltò, invece, vide lui, arrogante, dentro alla sua stanza, che girava la chiave nella serratura in un gesto preoccupante. Gesto che, non solo non era passato inosservato, ma le aveva provocato una dose massiccia di ansia. 
“Cosa vuoi?!” di reazione si coprì il petto, inutilmente, dal momento che era consapevole del fatto che si sentiva scoperta non tanto fisicamente quanto a livello emotivo “non puoi entrare così in camera mia.” 
Ma lui si stava avvicinando in silenzio, con un’espressione ben poco rassicurante, spostando le lenzuola che stavano in terra con un calcio. 
Forse in quel momento si stava spaventando, in quel momento lui era diventato imprevedibile.
“Che ti prende si può sap…” 
“Adesso parliamo un attimo io e te!” 
Era lì, davanti a lei, e sembrava così strano, tra l’arrabbiato e il ferito. Ma a lei poco importava delle sue stupide emozioni da uomo frustrato in quel momento delicato in cui maggiormente doveva pensare a sé stessa. 
“L’ultima cosa che voglio fare é parlare con te!” 
“Stupida, cocciuta e testarda!”
 
Si, ora poteva dirlo di sentirsi davvero nuda davanti a lui come non lo era mai stata prima. Aveva avuto voglia di lui, e lui l’aveva frenata. Aveva versato una lacrima nel sentire una storia così sciocca che non avrebbe di certo dovuto sconvolgerla - A lei? Ma andiamo… -, e lui era stato lì a osservarla cadere. Era in prenda alla vergogna di sé stessa per essere stata così scoperta, e ora che stava racimolando i pezzi, lui era di nuovo lì a guardare. 
No, era troppo. 
 
“Non voglio parlare con te!”
Stava prendendo una felpa dal cassetto, che indossò svelta, evitando di guardarlo. 
Ma lui, d’altro canto, si era seduto sul letto, non molto lontano da lei, inarcando un sopracciglio nel sentire quel suo tono troppo duro per la situazione, ma spostando lo sguardo altrove, in attesa di vederla con indosso qualcosa di più coprente. 
“Dobbiamo parlare di quella cosa.” 
“Quella cosa?”, annaspò, tornando a respirare, quando si rese conto che Zoro si era quietato, abbassando così per un attimo anche le sue difese. 
“Si, quella cosa…” continuò lui, riuscendo a guardarla negli occhi solo per un attimo, appena lei si era voltata verso di lui. 
 
Si vergognò Nami, di quello sguardo, scivolando a terra accanto alla parete, guardando solo il pavimento. “Non voglio parlarne.” 
Lui si sentiva in dovere di fare il responsabile; quando si trattava di lei doveva sempre andarci piano…Ma vide Nami scivolargli via dallo sguardo, mentre si oscurava minuto dopo minuto. 
Forse il motivo di tanto nervosismo da parte sua, quel giorno, era dovuto al sesso, a loro due e il sesso, oppure ai sentimenti, oppure a tutto l’insieme. E ora entrambi si trovavano a voler chiarire una situazione che non volevano chiarire. 
“Tu” iniziò lui prendendo le redini del discorso, “è come se volessi anche toglierti una paura o un peso di dosso.” 
Zoro spostò la propria attenzione sulle lenzuola a terra, aspettando di ricevere una risposta concreta. 
“Ma che ne sai di cosa voglio io! Secondo te è questo che mi ha fatto aver voglia di…”, voleva dire amarti ma non ci riuscì. Si sentiva nuovamente calda sulle gote, ma per via della collera che prendeva il sopravvento quando lui faceva così il saccente. 
“Non ho mai detto che è stato solo per questo, ‘ma anche per questo’, certo che quando vuoi diventi proprio sorda a quelle orecchie!" 
“Anche se fosse, che male c’è?”
Continuava a tenere la testa sopra le gambe mentre guardava il legno del pavimento della nave e scorgeva gli stivali di Zoro nel suo raggio d’azione - il massimo che riusciva ad affrontare in quel momento. Quello non era proprio un discorso adatto a loro!
“Senti”, aveva ritrovato il suo tono fermo, ignorando quella momentanea chiusura e paura di Nami di affrontarlo, sapendo che poteva comunque sfuggire all’ascoltare quello che aveva da dire “abbiamo già incasinato tutto per via di quello che è piombato sulle nostre teste da un giorno all’altro. Tu non sei emotivamente stabile e di certo non approfitterò di te. Mai.” 
“Maledetto!” 
Di risposta ‘matura’, la rossa aveva iniziato a lanciargli contro tutto ciò che gli capitava a tiro, dalle le sue scarpe a un libro di Robin, da un reggiseno a una spazzola, fino addirittura la sua amata Wado, nonostante quella appartenesse all’epoca di Rin, enfatizzando proprio su quest’ultimo oggetto “e tieniti pure la tua dannata spada.” 
Lui riuscì ad afferrarla in tempo, frignando indemoniato per la poca cura che ogni volta riservava a quell’accessorio così importante per lui. “Sei egoista e cieca come sempre!” Aveva sbottato senza risparmiarselo, per poi togliersi il reggiseno da sopra alla spalla, “spero almeno sia tuo!”, pensando a quanto potesse essere inappropriato toccare la biancheria di Robin, consapevole che quel pensiero l’avrebbe poi tormentato a lungo. 
“Il primo e unico che toccherai mai!” Gli urlò sofferente e pungente allo stesso tempo mostrando tutto il suo status emozionale, irascibile e sputa veleno come al solito. “Che razza di scuse usi? Non sono emotivamente stabile? Perché non dici la verità e basta?” 
“E quale sarebbe?” 
Strinse le mani sulle sue ginocchia scoperte “…hai così tanta paura di cosa potrebbe cambiare nella tua vita se ti avvicini troppo a me che mi respingi. E la cosa peggiore é che non vuoi ammetterlo, usando le mie emozioni come scusa per proteggerti!” 
“Stupida, sciocca, testarda, cieca…” ringhiava, toccato forse in un punto dolente “e tu vuoi solo usarmi per toglierti un peso di dosso. Hai pensato alle conseguenze? A cosa potrebbe succederci se tu non fossi ancora pronta ad accettarmi?” 
I toni si fecero improvvisamente più accesi. Zoro si era alzato in piedi, con il viso di un colorito lontanamente violaceo, come fosse in preda ad un conato di vomito, mentre Nami continuava a stringere le mani sulle ginocchia, graffiandosi la pelle con le unghie. 
“Che diavolo stai dicendo?" 
La rossa non smetteva di guardarlo ora, e anche se si era alzato, manteneva la testa sollevata in un gesto di arroganza e di superiorità. “Come osi” strinse più forte le mani “come ti azzardi a decidere tu per me…dicendo che non sono pronta…per te? E di questo che stai parlando?” aveva stretto anche i denti, e il corpo in una morsa contratta, in una pressione che le stava per far implodere il petto, “sei proprio un arrogante, stupido e supponente uomo che non capisce niente!” 
“Se io non capisco niente allora tu non vedi niente!” 
Aveva sgranato l’occhio. “Quando si tratta di noi” la indicò con il dito, “pensi sempre e solo a te stessa.” 
Entrambi incapaci di tenere a freno la lingua, continuavano a farsi del male. 
Lei sentiva il suo petto alzarsi e abbassarsi, si stava controllando per non esplodere. Voleva picchiarlo quasi, per via di quel tono supponente, per averla giudicata in quel modo avventato, per aver giudicato in quel modo quella passione che aveva sprigionato solo per lui. Ferita del fatto che lui non vedesse che lei voleva amarlo davvero. Non era un gioco. Non voleva usarlo. 
“Sei davvero un uomo arrogante e fastidioso!” Le era uscito in quel modo così leggero, anche se in realtà racchiudeva una pesantezza legata al suo sentirsi ferita dentro, in quanto donna, in quanto donna che lo amava, che lo voleva, e in quanto era stata davvero vulnerabile davanti a lui.
Dove era finita la passione di quei baci passati? 
Dove erano finite la dolcezza, la naturalezza e la genuina voglia di contatto dei giorni precedenti? 
In qualche modo doveva aver minato a qualche sua severa imposizione da samurai, vista quella reazione così dura. 
Non sapeva se piangere o urlare dentro di lei, non sapeva come mostrare quella sua delusione che aveva preso la forma di un buco nero. Impaurita dal fatto che non riuscisse a trasmettergli i suoi sentimenti; impaurita dal fatto che lui la vedeva sempre la solita fredda donna calcolatrice.  
“Se pensi che non valiamo lo sforzo di aspettare, di prenderci il nostro tempo, allora forse non ne vale la pena, non credi?” Era così sincero, ma anche graffiante come sapeva essere quando era veramente arrabbiato. Ferito a suo modo dal sentirsi un peso a cui lei voleva mettere fine. Ferito dal fatto che lei non si accorgesse minimamente dei suoi sforzi, dei suoi sacrifici, delle difficoltà che un uomo come lui aveva nell’affrontare una simile situazione, un simile amore, quando sulle spalle portava l’ombra di una promessa che era un macigno da mantenere, e di cui lei non se ne curava e preoccupava affatto. 
 
 
Zoro si stava dirigendo convinto verso la porta. 
Stavolta aveva deciso lui di mettere fine a quella conversazione. 
Se ne sarebbe andato così? Senza risolvere? 
 
 
“Hai sentito anche tu la conversazione tra Rufy e Rin. No?” 
Prima di vederlo lasciare la sua stanza lo fermò con una domanda. 
Lui non disse niente, ma era una risposta sottintesa. 
“Che persone siamo se non abbiamo nemmeno raccontato chiaramente di come ci siamo conosciuti a nostra figlia?” 
Lui non capiva il punto, ma lei non aveva finito di parlare. “C’è qualcosa che non va in noi. E queste paure ci saranno anche domani!” 
“È per questo che hai pianto?”  
“È perché ho pianto che mi giudichi instabile?” 
Non rispose, allungando la mano sulla maniglia della porta, girando prima la chiave dall’altra parte della serratura. 
 
“Esprimere emozioni non è segno di instabilità, Zoro.”
“No. Ma non si tratta solo questo, e lo sai.” 
“Perché non butti giù quel codice da samurai del cavolo?”Non stava più guardando nella sua direzione, scorgendo sotto i suoi occhi nuovamente il marrone del legno, ma quando sentì la porta chiudersi, seppe con certezza che aveva lasciato la stanza, anche senza alzare la testa. Lasciandola sola come lei aveva chiesto. 
 
“Perché sei così…difficile.” 
Batté la mano sul legno del pavimento, lasciandosi andare ad uno strano senso di disperazione. Come se da un momento all’altro, avesse perso tutto. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note dell’autrice____________________________________
 
Salve ciurma, 
non sono scomparsa – anche se, visti i miei soliti aggiornamenti, questo arriva dopo un secolo - ma “la mia agenda” è sempre più fitta ultimamente. 
Ci siamo lasciati nell’ultimo capitolo con un bel finale, e adesso ho rovinato tutto, è vero, anzi l’hanno rovinato loro. 
L’ho scritto in un tempo brevissimo, e spero di non pentirmene. Un po’ di tristezza settimanale ci voleva, insomma. Fatemi sapere se non vi ha troppo rattristati. 
Che stupidini. 
 
 
*” come un uomo” 
perché spesso nel manga ragionano facendo queste differenze. Alla prossima, 
Roby 
 

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Capitolo 19
*** Perseveranza ***


Capitolo XIX
Perseveranza 
 

 
 
 
 
Si erano proprio trovati, Nami e Zoro, e avevano visto l’una nell’altro un solido appiglio, anche se ancora erano restii a comprenderne il potenziale. Capitati in una situazione in cui si erano prima persi e poi ritrovati, e poi persi di nuovo, la comparsa di Rin aveva cambiato tutto il loro mondo fino ad allora conosciuto, facendolo girare troppo in fretta. Il suo arrivo aveva fatto crollare un castello di carte che fino a quel momento era riuscito a reggersi su una gamba sola. 
 
Forse, se tutto fosse andato diversamente quella sera, il distacco sarebbe stato più facile. 
 
 
Nami non era riuscita un granché bene a riposarsi, oscillando tra rivelazioni del futuro, ricordi del passato, e decisioni del presente. Così, era stata la prima a sbarcare sull’isola, dopo aver ormeggiato alle prime luci dell’alba. E senza alcuna paura, dal momento che si vedeva bene essere un luogo abitato con un centro luminoso e appariscente che si poteva scorgere già dalla costa. 
Con lei, il capitano e Chopper, che avevano anticipato il cuoco impedendogli di seguirla; non essendo il solo, comunque, ad essere lasciato sulla nave, ricevendo il compito di aspettare il risveglio di tutti per poi organizzarsi a modo loro - “fate come vi pare” aveva detto la navigatrice, desiderosa di scendere al più presto, pensando solo a questo suo bisogno. Per la fretta era stata anche piuttosto generosa, lasciando un gruzzolo a Sanji per la spesa, e uno agli altri da dividersi per qualunque altra necessità. 
Prima di sbarcare aveva notato la presenza di Zoro che sonnecchiava, ancora seduto sul ponte nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato la sera prima, due bottiglie in vetro accanto a lui e i vestiti fradici per l’umidità caduta nella notte - non si era svegliato nemmeno quando avevano attraccato. 
Nami, mentre passava proprio accanto a lui, era convinta che, dal momento che dormiva con estrema tranquillità, Zoro non avesse i suoi stessi grattacapi per la testa o difficoltà nell’affrontarli. 
 
La cena della sera prima era stata allegra come sempre, ma nonostante entrambi si fossero comportati come al solito, quel briciolo di freddezza persistente non era certamente passato inosservato ai compagni di viaggio. Loro tutt’al più si erano ignorati, e lei era stata sicuramente più brava nel farlo, eternamente esperta in quel ruolo da donna superficiale e indifferente, mentre lui ogni tanto era caduto nella trappola di cedere e dedicarle un paio di sguardi. Non era chiaro il motivo, se per preoccupazione o senso di colpa, o, forse, per nessuno dei due. 
 
Zoro é quella persona che si teme d’incontrare. 
 
Arrivati al centro della città, naturalmente dopo aver nascosto per bene la Sunny, i tre avevano scoperto il pianeta delle meraviglie, una strada infinita di bancarelle, locali, taverne a non finire, negozi di ogni genere e, per la gioia di Nami, un centro di bellezza dove poter fare dei lunghi bagni ristoratori. Dando un’occhiata svelta a qualche negozio, aveva comprato del vestiario nuovo per poi correre immediata al suo relax meritato, approfittando dell’orario mattiniero, che prevedeva il disperdersi di meno persone per le strade. 
Quello era il suo modo per sciogliere la tensione accumulata e per togliersi di dosso, oltre tutti i germi che sentiva proliferare sulla sua pelle, anche quella sensazione di abbandono che ad un certo punto le opprimeva lo stomaco. 
Così, immersa in una vasca d’acqua bollente e avvolta in tanta schiuma, iniziò a sentirsi meglio. Nell’assoluto piacere, tra il calore e i vapori dei sali che si scioglievano, si soffermò a pensare a quei confronti, ai ricordi ed alle emozioni. 
D’improvviso, senza che potesse evitarlo, le tornò alla mente il fine serata. 
 
 
 
Durante tutta la cena, e nonostante fosse riuscita ad essere lontana dagli eventi appena precedenti, si era ritrovata a scoprire quanto fosse stato difficile scemare le sue emozioni, era tempo che ormai non seguiva quella strada, ed era stato duro fingere di non stare male, reprimere quel forte desiderio che aveva di amarlo, e farsi amare da lui. Forse il fatto che Zoro era il più improbabile degli amanti era una sfida che l’accendeva. Nonostante ultimamente fosse una che amava ricevere complimenti, aveva sempre evitato i depravati, o le ossessioni degli uomini che nemmeno riusciva a capire, e invece si era sempre sentita al sicuro con lui. 
 
Aveva riesaminato quello scambio di battute, e soprattutto quel contatto fisico che c’era stato tra loro ancora prima, scoprendo di quanto era stata impulsiva, quanto spaventata e, a suo modo, scoperta. 
Nami si chiedeva se Zoro fosse mai riuscito a sorreggerla anche in altro modo che non pretendesse l’uso delle mani. Senza trovarci risposta. 
Non la lasciava entrare davvero in lui. Di questo era certa. Ma perché era fatto così, non era capace a dimostrare in altro modo il suo affetto e il suo esserle vicino. 

Aveva preso così una decisione importante a cena, matura e razionale, proprio mentre consumava quelle deliziose prelibatezze di Sanji, in cui per la prima volta aveva sentito un sapore amaro accompagnarle. 
Sapeva che l’orgoglio di Zoro quella volta non gli avrebbe mai permesso di parlarle di nuovo, di avvicinarla, di cambiare opinione. Così, aveva deciso di farlo lei, di cadere, di mettere il suo orgoglio da parte, sacrificarlo per lui. Era qualcosa che non faceva sicuramente parte di lei, e questo l’aveva anche sconvolta. Ma l’idea di sentirlo ferito nel cuore non la faceva sentire tranquilla, nonostante fino a pochi minuti prima ricordava che non le interessavano affatto quelle frustrazioni da superuomo.

Ma quella conversazione tra Rufy e Rin, che aveva origliato come una ladra che ruba anche i momenti intimi altrui, era stata propizia per farla scendere di qualche gradino dalla sua altezza fatta di orgoglio e ragione. Era stata come un’immersione in qualcosa di così puro e profondo che le aveva sciolto quel cuore difficile, grande quanto una casa, e allo stesso tempo chiuso come uno scrigno nei suoi momenti più superficiali. 
 
Approfittando della sua conoscenza della combinazione del frigo, aveva sgraffignato due bottiglie di rum fresco e di ottima qualità - comprato da Sanji qualche isola indietro e tenuto ben custodito in attesa di essere rivelato nelle occasioni speciali. La rossa sapeva che il cuoco non le avrebbe mai fatto una scenata, soprattutto se avesse saputo cosa avrebbe dovuto affrontare con una certa persona. 
Si era diretta sul ponte, sapendo di trovarlo lì, solo, in silenzio, a bearsi dell’atmosfera notturna fatta di suggestioni meravigliose, con danze al chiarore di luna, poiché quelle piccole onde avrebbero cullato la Sunny per ore. 

Lo adocchiò subito, seduto a terra con le braccia incrociate, imbronciato, e, probabilmente, pensieroso, dal momento che no, non stava sicuramente dormendo. 
Lo vide aprire l’occhio solo quando le si era parata davanti. Anche se l’aveva sentita camminare verso lui fin da subito. 
Non disse niente.

E Nami lo sapeva benissimo che non avrebbe ceduto nemmeno di una parola o gesto gentile nei suoi confronti. Avrebbe dovuto fare tutto lei quella sera, né era consapevole fin da quando aveva deciso di affrontarlo. 
Lui aveva faticato così tanto, in diverse occasioni, per proteggerla, che poteva scendere ancora di altri due gradini e aiutarlo, andargli incontro. E quella sarebbe stata la prima e ultima volta per lei. 
Almeno così le piaceva pensare. 

 
Allungò il braccio porgendogli la bottiglia di liquore. 
Lo vide titubante, ma come c’era da aspettarselo, non avrebbe mai rinunciato a farsi una bevuta. 
Ma continuò a non dire niente, rimanendo imbronciato. 

 
Nami aveva preso posto accanto a lui, mantenendo quella distanza necessaria, tanto da evitare quel calore che avrebbe potuto impossessarsi facilmente di lei. 
Quando stappò la sua bottiglia di rum, lui aveva già iniziato a bere la sua. Probabilmente quella bottiglia lo aveva davvero tirato un po’ su, ma per la prima volta non sembrava fare miracoli. 
Nami buttò in gola il primo sorso, lasciandosi cullare dal mare, diventando appena più rilassata mentre si appoggiava al cornicione liberando un sospiro alquanto udibile. Lui non aveva smesso di avere quello sguardo strano, probabilmente confuso, perché non aspettava sicuramente che sarebbe stata Nami a cedere per prima, o a cedere e basta. Era stranito, mentre muoveva l’occhio per scrutarla appena, senza però muovere il viso di un millimetro. 

Lei, nell’avvicinarsi a lui, aveva urtato le spade che Zoro teneva al fianco, come a ricordarle di quel limite invisibile e invalicabile che c’era e ci sarebbe sempre stato tra loro. Quel rumore sembrò distrarre anche lui, che improvvisamente parve essere presente. 
Poi calò il silenzio. 
Solo il mite mormorio delle onde che accarezzavano lo scafo, e nient'altro. 

 

“Mostrare emozioni è normale, Zoro.” 
 
Aveva sbottato così, dritta al punto, continuando a bruciarsi la gola con quella meravigliosa sostanza che aveva tra le mani. Era serissima mentre gli parlava. Ma, quando non lo sentì rispondere, seppe di dover proseguire con coraggio. “Tu vuoi evitare di mostrarti” 
Mentre lei parlava lui aveva come alzato maggiormente le orecchie, curioso di sentire qualsivoglia parola, in quello stato quasi arrendevole, privo dei soliti impeti di rabbia. 
“Perciò io penso che nemmeno tu sei pronto per andare avanti in questa storia. Perciò..ho deciso, che voglio toglierti il peso.” 

 Ovviamente non era affatto d’accordo, Zoro, ma il suo orgoglio era talmente radicato in lui, che nemmeno a quelle parole era capace di rispondere per evitare di mettersi in gioco.  
 
“Il tuo cuore è grande, ed è caldo, io l’ho sentito dal primo giorno che ti ho conosciuto, ma tu…, tu sei anche un tipo freddo. Ogni muscolo del tuo corpo me l’ha detto. Ogni tuo sguardo lo dice ancora adesso.” Aveva bisogno di fare dei piccoli step, respirare, frenarsi, ricominciare da capo. “Sei un guerriero, giusto? E per questo hai addosso un’armatura. E a causa di quella che non mi fai entrare lì dentro…almeno, non come dovresti.” 
 
Era riuscita a dirgli qualcosa che inizialmente sembrava impossibile anche solo da pensare. Ma, soprattutto, era riuscita a non arrabbiarsi mentre la diceva. Aveva mantenuto un tono pacato evitando così di provocarlo, senza finire per distrarli entrambi dall’affrontare quelle verità. 
Ma lui, prima di parlare era rimasto in silenzio per un tempo molto lungo, almeno, così sembrava alla cognizione di Nami, presa dall’agitazione che stava tenendo a bada con ogni fibra del suo corpo. 

 
“Non mi stupisco, come al solito stai scappando…”. 
Aveva parlato, arrivato in fretta a metà bottiglia, usando il suo solito tono saccente. 
Nami aveva poggiato la bottiglia nello spazio che faceva da distanza tra loro, guardandolo insistente su quel profilo che era lì davanti a lei, mentre lui invece continuava a non distogliere lo sguardo dal cielo. “É per te! Lo sto dicendo solo per te!” E continuò, ormai convinta di voler andare fino in fondo alla sua decisione.”Non sarò più egoista verso di te, non andrò contro le tue regole.” Prese un bel respiro permettendo all’aria fresca di invaderle i bronchi. “Dobbiamo alleggerire la tensione accantonando il futuro. Lasciamo andare tutto e vediamo come va senza la pressione addosso.” 

Era riuscita ad essere leggera nel tono di voce, nonostante tutta l’angoscia che stava provando in quel momento in modo inaspettato, sentendosi quasi morire poiché sembrava lo stesse davvero lasciando andare per sempre. “Ci stai?” 
 
Poggiò anche lui la bottiglia accanto alla sua, facendo scivolare il braccio al suo fianco, ma al contrario, senza smettere di tenerla stretta nella mano. 
“Ormai hai deciso di testa tua. Da quando ti serve la mia approvazione.” 
Lo vide cambiare espressione per la prima volta da quando era seduta lì, stava sogghignando, ma in modo molto diverso dal solito, quasi stancamente, controvoglia. 

“Stavolta è diverso! Non ti costringerò a fare quello che non vuoi.”
Perché era diventato tutto così lontano da quel momento in cui le aveva regalato un bacio? 
“E lo dici solo adesso? Non hai fatto altro che costringermi a farmi fare quello che vuoi tu.” 
“E ora non lo farò più. Hai la mia parola.” 
“che vale quanto…?”
“Sono seria!” 
“…” 
Lo guardò, seppur consapevole che quella sera non le avrebbe dato possibilità di incrociare il suo sguardo. 

 
Riprese in mano la bottiglia. 
 
“Sai…è stata bella per un attimo…l’idea...Ma così non funziona. Dobbiamo smetterla di controllare le cose… lasciamo che gli eventi capitino da soli.” 

“…”
“segui la tua strada, Zoro. Va bene.” 
“…” 
“Non dici niente? Perché fai quella faccia? Perché non sei sollevato?” 

 Aveva quasi finito la sua bottiglia lui, da cui dovette staccarsi solo per rispondere a quell’insistenza invasiva che lo costringeva a diventare complice di quella decisione. 
“stai decidendo per me, non mi dai opzione di scelta. Questo non mi fa sentire libero.” 
“cos’altro vuoi che faccia? Che opzioni vuoi? “ 
“so solo che questa è un’idea da codarda.” 
“Ma insomma! Sei un idiota! Ma come fai a non capire nemmeno questo? Lo faccio per te! Non capisci quanto è stata dura per me decidere di non obbligarti?
Sei libero! Sei libero da ogni peso! Sei libero da me!” 
“…”

“Dovresti essere al settimo cielo. Non era certo questa la reazione che mi aspettavo.”
La rossa, alzata in piedi d’improvviso, si sentiva come affranta, era certa di poter perdere il controllo, lo stesso che stava riuscendo a mantenere con tanto sacrificio. 

“Vuoi vedermi festeggiare? Sto brindando, non vedi?” 
Alzò la bottiglia al cielo, Zoro, di cui era rimasto solo il fondo, ancora sogghignando in quel modo fastidioso, così finto. 
Non la guardava. Non girava la testa. Non sembrava felice. Non era al settimo cielo. Fu però per merito di quella sua vaga risposta, che di colpo si rese conto di sentirsi quasi spiazzato. 
La vedeva lui, chiara come il sole, e la sentiva, anche, prepotente, la tempesta che Nami stava spudoratamente evitando. Si stava mettendo al riparo da essa, e voleva mettere al sicuro anche lui, in un certo senso contorto. 

Non riusciva proprio a capire perché ne stava uscendo così devastato da quella ‘conversazione’. 
Eppure, avrebbe dovuto rimproverarsi per quella mancanza di sensibilità, perché non aveva preso in considerazione l’ipotesi di fare qualcosa per fermarla, nonostante non si trovasse d’accordo con lei. Ma trattare con Nami significava partecipare ad una maratona infinita senza aver ossigeno a disposizione. 
La rossa, allo stesso tempo, che era convinta di fare qualcosa di buono per lui, le sbagliava tutte. Che altro doveva fare? 
La sua era sembrata un ordine anziché una proposta? 
Ma lo stava facendo per lui, per non impedirgli di realizzare quella promessa che solo la morte gli avrebbe impedito di mantenere. E non lei. 
Aspettava ancora al suo fianco. Non sapeva il motivo di tale convinzione, ma sapeva che Zoro ci sarebbe stato per lei. Anche nonostante quella decisione, presa su due piedi, ma pur sempre con determinazione. Lui, che con i suoi modi da superuomo lo rendevano serio nelle situazioni importanti, ma sorprendentemente anche di facile imbarazzo, particolare che lo faceva essere involontariamente comico. 
Non avrebbe interferito in alcun modo con i suoi obiettivi.

“Quindi, ci stai?” 
 “…” 
“Zoro!”
“Fai come vuoi.” 

 
  
 
 
 
Maledizione a lui!
Nami aveva appena sbattuto un pugno nei concentrati di schiuma che le arrivavano al petto, disintegrandoli e disperdendoli nell’acqua. 
Era possibile che lui le fosse sembrato quasi dispiaciuto di quella sua scelta? 
Ma allora perché non parlava chiaro? Perché non giocava sul tavolo a carte scoperte? Non era da lui, in fin dei conti, voler nascondere le intenzioni. Eppure, aveva solo giocato seguendo le regole di lei, senza obbiettare eccessivamente, senza fare una controproposta. 
 Ritornò nuovamente indietro con la mente, ripensando a quei minuti successivi quando aveva lasciato il ponte con una stretta al cuore. 
 
Per lei non furono facili quelle parole e quella scelta. E chissà se lui l’avrebbe capito o l’avrebbe sempre e solo vista come una fifona che scappava da ogni cosa mirasse alla sua incolumità. Lui compreso. 
Ma quella stessa sera aveva superato anche quella struggente sensazione di abbandono che le era entrata fin nella profondità delle sue ossa, la stessa che aveva preso ad attanagliarle la bocca dello stomaco ogni volta che pensava di essere riuscita, dopo tutte quelle emozioni e prese di coscienza che aveva avuto sui suoi sentimenti, a lasciarlo libero, a lasciarlo andare. 
Almeno - si era detta quella sera, guardando la bambina che stava prendendo posto nel suo letto accanto a lei - non sarebbe stata sola ad affrontare la notte. 
 
Mentre era rimasta fuori con Zoro, sia Robin che Rin avevano pensato a riordinare la stanza, affrettandosi anche a sistemare i letti con lenzuola pulite, poiché l’archeologa aveva notato quelle sporche sul pavimento con l’intenzione di portarle via prima dell’arrivo di Nami. 
Non aveva fatto domande, avendo già capito a cena che qualcosa era successa tra quei due, prendendole lei stessa e portandole via dalla camera nel momento stesso in cui con un libro tra le mani stava dirigendosi nella stanza con l’acquario, a leggere in un posto suggestivo. 

La navigatrice, che stava rientrando proprio in quel momento, l’aveva ringraziata mentalmente, salutandola con un cenno del viso. 
Una volta in stanza, aveva messo a letto la bambina, spegnendo le luci, con il solo intento di rilassarsi e riposare veramente. 

 
“…Usop, Chopper e Brook stanno giocando a carte”, disse la piccola testa rossa, mentre sbadigliava sonoramente e allungava la coperta a mezzo busto. 
“Scordatelo” le disse Nami mentre le si sdraiava accanto, capendo perfettamente l’allusione della bimba di volerli raggiungere. “Ma poi non vedi che hai sonno?” 
“Uffa…” sbadigliò ancora quello scricciolo. “Ma poi…è normale che abbia già così sonno?!”
“Si! Perché sei figlia di tuo padre.” 

Aveva messo su un’espressione imbronciata quando Nami la trascinò più vicina a sé, intrappolandola tra le sue braccia, adagiando la sua piccola schiena sul suo petto, e poggiandole la testa sopra la sua. “Ti sei allenata tanto oggi, è normale sentire il bisogno di ricaricarsi quando si perdono così tante energie.” 
Rin aveva ancora il musone “hei…così mi strozzi.”

“Shh” le disse la rossa, ignorando le sue proteste. “Non aver paura di un abbraccio, Rin.” 
“Non ho paura di un abbraccio io!” 
Nami sorrise, sapendo bene che la verità era un’altra, sentendola brontolare tra sé mentre gonfiava le guanciotte. 
Era la prima volta che Nami prendeva una simile iniziativa nei confronti della bambina, era la prima volta che le teneva così stretta tra le braccia, lasciandosi cullare dal suo profumo così familiare e da quella strana sensazione di affetto e protezione che provava nei suoi confronti. Era così delicata, così importante, così fragile, che quel contatto riusciva a creare tra loro una sorta di magia, qualcosa di così surreale. Come se potessero sentire, nonostante la distanza di un’epoca, quella connessione che c’era tra loro. 

Nami continuava a stringerla, inspiegabilmente vogliosa di sapere cosa si provasse ad essere la madre di quella creatura così unica. E in quel momento più che in altri, iniziava a capire, a vederla, a sentirla, a credere ancora, con maggiore conferma, che quella piccola era il frutto di un'unione tanto importante quanto d’affetto. C’era tanto di Zoro in lei, lo sentiva anche adesso, ma iniziava a vederci finalmente anche sé stessa. Quei suoi capelli identici, quegli occhi, quel profumo. 
Pian piano la sentì cedere tra le sue braccia, mentre si lasciava cullare da quel tocco gentile. Rin ora non aveva più uno sguardo imbronciato ma rilassato, sentendosi al sicuro. La piccola era però ignara del sorriso che invece era apparso sul viso di Nami, contenta del fatto che non era tardi, la sua bambina poteva ancora sentirsi libera di provare e accogliere i sentimenti. 
 
“È successo qualcosa con papà oggi?” 
Le chiese, intuendo il bisogno di conforto della rossa, senza uscire da quell’abbraccio. 
“Tu non devi preoccuparti di questo.” 
 
La bambina teneva lo sguardo in avanti, fisso verso un futuro che poteva vedere solo lei. 
“Sai, una volta mi hai detto che i tipi come lui vanno incastrati appena ne si ha l’occasione.” 
Nami rise. “e perché ti avrei detto questo?” 
“Volevi farlo arrabbiare.” 

Si accoccolò di più sul suo petto, ricordandosi di quel calore irrinunciabile, e ritrovando in lei il profumo della madre che la quietava da quando ne aveva memoria. 
“Hai detto: quando vuoi un uomo non aspettare che sia lui a decidere, ma incastralo per bene! Mentre dorme, mentre è distratto…lo devi mettere nel sacco in qualche modo!”  ricordò quelle parole con un sorriso divertito mentre si mise a giocare con una ciocca di capelli di Nami scivolatale addosso. “Sapevi che papà era in ascolto…non sai quanto si è infuriato…” 
“Oh, lo posso immaginare!” 

Nami sghignazzava più serena, mentre la bambina se la rideva in balia dei suoi ricordi più preziosi.
“Mi ha preso per allontanarmi da te mentre inveiva contro la tua pessima educazione.” 
“E che é successo dopo?” 
Rin si voltò a guardarla con gli occhi felici. “Tu gli hai giocato proprio un brutto tiro.”
“Ma davvero?” 

“Hai detto: ‘Rin, pensi che tuo padre abbia preso una qualche decisione? Ho fatto tutto io. Lui è qui con te adesso perché è semplicemente caduto nella mia trappola come un babbeo. Ho giostrato io i fili fin dall’inizio.’ 
Ricordo che lui non ci ha visto più così è tornato indietro da te e dalla rabbia ha detto qualcosa come ‘scema! Non puoi dare a tua figlia questi insegnamenti basati su delle bugie ‘ e bla bla bla “lo schernì, gesticolando con la mano del braccio ingessato, “se io ti amo non l’hai deciso certo tu!’ 
In quel momento hai sorriso e lui si è accorto di essere finito davvero nella tua trappola. Così, rosso in viso e imbronciato è andato via lagnandosi tutto il tempo e incolpandoti di essere una despota senza ritegno. 
In realtà io lo sapevo che era agitato per aver usato involontariamente quella parola davanti a me, e davanti a zio Rufy e Zio Usop…” 

Si stava reggendo la pancia dalle risate con quella stessa mano, sotto lo sguardo sorridente di Nami che non riusciva proprio a trattenersi. 
“Ma io quella volta sono stata così felice…perché l’avevo capito, avevo capito tutto, mamma.” 
Nami la strinse forte a sé. 
“È proprio un brontolone scemo.” 
Sentì una lacrima scivolarle lungo la guancia ad accompagnare quelle risate, con la voce tremante per quei ricordi che ancora non aveva vissuto, per quegli sprazzi d’amore che avrebbero fatto parte della sua vita. 
Se io ti amo. Se io ti amo. Se io ti amo.

Quelle parole le stavano già crescendo dentro come una radice che non poteva essere più sradicata. 
 

“Sai Rin, in realtà penso di aver fatto uno sbaglio…l’ho lasciato libero. Ho fatto il contrario di quello che ti ho insegnato! Che stupida sono! Non si deve mai aspettare un uomo!“ lo diceva, mentre le tremava la voce. 
Sentì la bambina ricambiare il suo affetto, stringerla lungo le braccia che già l’avvolgevano e nascondere la testa sulla sua pelle. 
“Mamma…”, dalla voce flebile e le gote un po’ accaldate, decise di darle una garanzia. “Ti assicuro che quando lui tornerà da te, non andrà mai più via…” 

  
Quella fu la sera in cui capì, seppure con sofferenza, che lasciare andare qualcuno non voleva significare essere insensibili. E che quella persona non era stata abbandonata né messa da parte. 
Così come non voleva dire che il freddo di Zoro significasse indifferenza nei suoi confronti. 
Quella fu la sera in cui capì di averlo sempre amato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Andrò a fare un giro” avvertì, oramai stufo di aspettare che gli altri si organizzassero, “Voi fate quello che dovete.” 
Zoro, risvegliatosi dopo un tempo lunghissimo in cui non solo non aveva sentito la Sunny venire ormeggiata, ma nemmeno il caos arrivare dal porto della città o i compagni di viaggio creare scompiglio sul ponte. 
“Proprio tu non dovresti andare solo!” 
Lo riprese Usop. 
“E poi stai andando via senza tua figlia! Proprio come ha fatto Nami!” Lo rimproverò il cecchino mentre lo guardava con le mani sui fianchi nel suo modo giudizioso. “Siete due irresponsabili!” 
Zoro però, quella mattina, non aveva intenzione di sorbirsi nessuna predica, alzando la mano in segno di saluto e scendendo dalla nave con un salto, ignorando ogni protesta. 
“Penso io a lei.” 
La voce di Robin lo aveva raggiunto fino alle orecchie. “Sono state le indicazioni che Nami ha lasciato scritte, dopotutto!” 
Una sua mano comparve sulla guancia di Zoro, attaccandogli un post it. Lo spadaccino si fermò un attimo per staccarselo di dosso, e lo guardò confuso, non capendo il senso di quell’azione fin quando non vi lesse il testo riportato sopra…
 
“Sono sull’isola. Zoro si occuperà di Rin, ma se non dovesse farlo, ti prego pensaci tu per me.
Con voi starà più al sicuro.
Nami”
 
 
Stropicciò la carta in un pugno, gettandola nella tasca dei pantaloni. 
“Quella stupida pensa di non riuscire a proteggerla.” 
Si voltò verso la nave, scontrandosi con i due occhi profondi di Robin che lo guardava dall’alto, mentre accennava un sorriso.
La ringraziò con il capo, scomparendo per le vie che conducevano al paese. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice___________________________________
Lo so, ultimamente vi faccio leggere capitoli che sono testamenti biblici. Stavolta è più corto perché non volevo rovinarne la struttura. 
Spero che sia stato comunque apprezzato. 
Robi 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Confessioni ***


Capitolo XX
Confessioni  
 

 
 
 
“D’accordo, io prendo lei.” 
I cappello di paglia restanti a bordo della Sunny erano riuniti per un incontro segreto prima di sbarcare sulla nuova isola e perdersi tra le vie del paese, coscienti del fatto che un grosso problema si fosse intromesso a dividere ancora una volta i due futuri genitori di Rin, protagonisti di quello strambo idillio, sconvolgendo velatamente l’atmosfera della nave. 
“Sono i più bravi a fare finta di niente”, aveva detto Usop massaggiandosi il mento, “e ovviamente poi tocca a noi raccogliere i pezzi”. 
Pensando a quale strategia mettere in atto per tentare una riconciliazione, i cinque rimasti si davano man forte per dividersi i compiti e le ramanzine da fare ad entrambi. 
Il cuoco, naturalmente, non si era lasciato sfuggire l’ennesima occasione per intromettersi in quella “surreale” (per lui) relazione, proponendosi immediato nel parlare con la sua bella compagna dai capelli ramati. 
“Non se ne parla!” 
Aveva sbottato ancora Usop, guardandolo male. “Figurarsi se i tuoi principi sono onesti.” 
Sanji aveva addosso tanti sguardi contrariati, riuniti attorno al tavolo della sala da pranzo, e stava maledicendo il cecchino che voleva togliergli un’occasione unica, sia di passare tempo prezioso con Nami, che tentare ancora una volta la strada del farle cambiare idea sullo stare con “l’idiota dalla testa verde”. 
Grugniva infastidito guardando il compagno, che invece non si faceva affatto incantare.
“Non vi fidate di me?” 
“Non in questo caso.” 
Stavolta fu il cyborg a rispondere con tono deciso, incrociando le braccia al petto e supportando il suo amico cecchino sedutogli di fianco. “Ma se proprio vuoi aiutare, perché non prendi lui?” il suo timbro di voce aveva velocemente mutato, diventando leggermente impregnato di ironia. 
Sul volto del biondo comparve una strana espressione a metà tra l’essere disgustato ed essere gelato da quella trappola che lo aveva preso in contropiede riuscendo a zittirlo. 
“Allora, chi parla con chi?” 
Brook aveva esteso la domanda a tutti i compagni, mettendo una certa fretta. Ma il problema è che nessuno sembrava convinto di fare una scelta tra la navigatrice e lo spadaccino, nessuno dei due rappresentava una scappatoia facile. 
“Posso prendere Chopper?” Aveva esordito un Usop tremante alla sola idea di dover sgridare Zoro sui suoi comportamenti o riprendere Nami sulle sue emozioni. “Sarebbe una chiacchierata molto più facile.” 
La mano di Nico Robin comparve sulle spalle del cecchino in una pacca sentita, complice di aver probabilmente avuto lo stesso pensiero, “mi spiace, ma Chopper non è compreso.” 
Lasciandosi andare ad un sonoro sbuffo, accompagnato da qualche tentennamento nella voce, il cecchino poi si decise “d’accordo, prendo lei. Mi rifiuto di parlare con Zoro di sentimenti.” 
“Parlo io con lui.” 
Una voce arrivata direttamente dalla porta, aveva costretto i cinque a voltarsi nello stesso momento, scoprendo una piccola testa rossa che faceva capolinea nella sala. “Se necessario, ho qualcosa da dirgli.” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nami, più rilassata e fresca, con il suo corpo che beneficiava degli effetti di quel bagno terapeutico, sentendo, oltre la pelle rinvigorita, una migliore presa su sé stessa, si stava lasciando trasportare dalle vie del paese adornate di manifesti che avvertivano della festa pubblica che ci sarebbe stata quella sera, pronta a farsi piacevolmente guidare dagli odori delle cibarie che si mischiavano ai profumi dolci di essenze di ogni genere in vendita ai marcati che stavano man mano condizionando l’aria intorno imbrogliandola, rendendola quasi serena. 
Mentre comprava il giornale, si rendeva conto che non riusciva a concentrarsi appieno su quella nuova avventura, poiché nonostante facesse di tutto per essere normale, di nuovo lei, la sua testa era altrove. E ci provava a ignorare i pensieri, ignorare il suo corpo, il suo cuore, ma le bastava un attimo, e si distraeva nuovamente dalla realtà. 
Faceva male. Faceva male quel pensiero fisso nella testa. 
Con la stessa velocità di quel proiettile che l’aveva colpita qualche settimana fa, la mente cambiava direzione, perdendo di vista il paese e ciò che aveva da offrirle, per concentrarsi a tempo pieno su quell’idiota suo compagno.
Lei era stata - in un certo senso - preoccupata per lui, per il suo orgoglio, per il suo stile di vita, per le sue regole…e come poteva non accorgersi, quell’uomo impossibile, di questa sua inusuale generosità? Ma non la conosceva almeno un po’? 
Lei che per una volta voleva solo essere altruista e gentile e allo tesso tempo amabile e libera di amarlo. 
Invece lui, con quella faccia strafottente e all’apparenza indifferente, era sembrato quasi arrabbiato, anzi no, contrariato. 
Non che fosse inusuale che Zoro fosse infastidito per qualcosa, ma c’era una nota diversa nel tono e nel modo in cui aveva affrontato la conversazione: era sembrato come arreso…addirittura, triste.
Ma Nami proprio non lo capiva, convinta di avergli dato ciò che voleva. 
“Signorina, lo vuole o no il giornale?” 
Ferma a riflettere per l’ennesima volta sulle sue confusionarie azioni, ma soprattutto quelle del verde, si era dimenticata di essere entrata nel negozio per un acquisto importante.
“C-come?” Strabuzzò gli occhi, ritornando nel mondo reale.
“Il giornale…allora, lo compra?” 
“S-si.” Allungò una moneta al commerciante, prendendo tra le mani quella carta ruvida dall’odore d’inchiostro fresco, aprendolo immediatamente e fiondandosi dentro a quelle pagine, bramosa di avere il prima possibile delle distrazioni; soprattutto certe immagini e relative sensazioni che le si palesavano puntualmente in testa, dal tocco di quella mano calda su di lei, allo sguardo serafico, ai loro corpi che si strusciavano uno sull’altro. 
“Grazie.” 
Con la testa ancora immersa nelle pagine del quotidiano, che aperte la coprivano del tutto, sentì troppo tardi che sotto al piede mancava il pavimento, dimenticandosi degli scalini dell’entrata. Fu rapida a rendersene conto, cercando di rimediare al fattaccio ed evitare una caduta, mantenendo, si, l’equilibrio rimanendo in piedi, ma andando comunque a sbattere su qualcosa di duro, perdendo ogni senso di realtà per una manciata di secondi. 
“Umh?”
Qualunque cosa fosse aveva appena  emesso un suono. Nami, frastornata e con il giornale ancora spiaccicato sulla faccia, aveva iniziato a realizzare su chi fosse inciampata dal quel suo forte profumo arrivatole nei polmoni come una droga, prima ancora di vederlo in faccia. Alzò la testa incredula, spiegazzando il quotidiano nella mano con violenza.
“Nami?” 
Aveva sbottato prima lui, riconoscendola. 
Poggiata ancora al suo torace con una sola mano, ci mise un tempo che sembrava infinito a togliersi da sopra, talmente non si aspettava un simile incontro già di prima mattina.
“E tu che diavolo fai qua?” 
Dopo tutti gli sforzi che aveva fatto per calmare i suoi bollenti spiriti, per allontanarlo fisicamente da lei, ora era lì, in piedi, statuario come sempre, con il sakè in mano. 
Lo stava ancora toccando, con le mani immerse nel sul petto che la riportarono immediatamente alla sera prima. 
Ora ne era sicura. Aveva perso la testa. 
Si guardarono negli occhi per un manciata di secondi, finché non fu lui a distogliere lo sguardo, ancora con quella sua ultima espressione triste fissa in volto. Con in più un crescente nervosismo, che la rossa non poteva capire, perché non si rendeva conto che era circondata da continui occhi indiscreti che l’assalivano per la leggerezza dei suoi vestiti nuovi. 
“Si può sapere perché sei così distratta?” 
Chiese, spostandosi appena da lei, così che la presa su di lui cadde definitivamente. 
Si riprese. Non seppe come, ma si riprese, Nami. 
“E tu perché stai già bevendo di prima mattina?” 
“Non sono affari tuoi.” 
“Nè sei dipendente!” 
“Ti sbagli!” la guardò nuovamente nelle iridi nere, “c’è fermezza in questo corpo. Se voglio so resistere a qualsiasi cosa.” 
“Ah, questo è sicuro.” 
L’allusione di lei era così palese tanto quanto la stupidità di Zoro di non coglierla. 
Quei baci. Dove erano finiti quei baci? 
Lo spadaccino infilò la mano nella tasca e prese il foglietto che ci aveva gettato qualche momento prima. Senza nemmeno liberarlo dallo stropicciamento, lo mise sulla mano di lei. “Toh”, la guardò confusa, mentre lo apriva, “fifona.” 
“Perché l’hai tenuto nella tasca?” gli chiese non appena capito cosa fosse. “Non c’era bisogno di portarlo appresso.” 
Lo vide grugnire scorbutico. “Tu!” la indicò, “mi vuoi far diventare matto? È questo il tuo obiettivo?” 
“E perché mai vorrei questo?” 
“Perché sei fatta così! Gli uomini sono le tue vittime!” 
“Ah si?” Gettò il foglietto nella spazzatura fuori dal negozio, incrociando le braccia. “Erano semplici istruzioni, Zoro. E come dimostra il fatto che Rin non è con te, avevo ragione a lasciarle scritte.” 
“Volevi mettermi alla prova come padre?”
“Certamente! E sei terribile!” 
“Ma se nemmeno tu l’hai portata con te! Tu sei la madre! È tuo compi…” 
Ma lo sguardo nero dell’amica fermò il suo fare arrogante all’istante. “Che c’è?”
“Zoro…” vide le sue mani avvicinarsi al suo collo, presagio di qualcosa di temibile. “SEI SERIO? È FIGLIA MIA QUANTO TUA! NON CI SONO COMPITI CHE IO DEVO FARE PIÙ DI TE.” 
“D’ac…acc…d’accordo..ho c-apito…sof-foco.” 
La navigatrice lasciò quella presa su di lui risparmiandolo, non poteva più toccarlo, nemmeno per picchiarlo, perché questo si rivoltava poi contro di lei e, sentendolo tossire, approfittò per allontanarlo, spostandosi sulla strada, pronta ad andarsene, sotto lo sguardo attonito dei commercianti e cittadini, sconvolti dal fatto che una ragazza tanto bella quanto mingherlina, potesse strattonare con quella violenza un uomo grande e grosso come quello, armato di spade per giunta. 
Ripresosi dal colpo, e dopo aver poggiato la bottiglia sulle sue labbra, la scrutò per bene. Era incredibile che entrambi, lei e lui, avessero vissuto dei momenti tanto surreali come quei baci, quelle carezze particolari, quei contatti strambi, e adesso erano lì, in un’amalgama di enigmatici complessi. 
“Perché diavolo devi essere sempre così violenta?” 
Quelle mani su di lui non funzionavano più come prima. Non lo minacciavano allo stesso modo. Era stata quasi gentile non soffocandolo esageratamente. 
Che succede Nami? 
“Almeno ora l’hai capito, voglio sperare.” 
Aveva le braccia sotto al seno, accentuandolo sotto ai suoi occhi, mentre teneva il giornale stretto in una mano. 
Era stravolta. Non era riuscita ad andare fino in fondo con lui. Avrebbe dovuto prenderne molte di più di botte per quello che le aveva detto. Invece era lì, in piedi, davanti a lei, già ripreso dal suo agguato non riuscito. Aveva fatto tutto il possibile per accentature la sua voce e mantenere il solito tono duro. 
Il ragazzo dalla testa verde continuò a osservarla, divorando la bevanda che aveva tra le mani - scacciando via probabilmente un pensiero “sporco”. 
“Smettila di essere così spaventata. L’ho capito sai, che pensi di non riuscire a proteggerla.” 
“E tu smettila di essere così distante. È anche tua figlia dopotutto!” 
Parliamo di Rin o di noi stessi?
Un uomo su un carretto a ruote passò proprio in mezzo a loro, dividendoli per qualche secondo, intento nel distribuire i volantini della festa che ci sarebbe stata quella sera. Uno di questi venne afferrato da Zoro stesso, ancora ignaro dell’evento. “Cosa sarebbe?” 
“Ma come, sono affissi ovunque in paese! Poi sono io quella distratta!” 
“Si beve gratis” sorrise euforico. 
“È Solo questo che ci leggi?” Sbuffò quella, sconsolata. “Fai come ti pare! Basta che non fai casino e che non ti perdi chissà dove!” 
“Io so badare benissimo a me stesso!” 
“Certo…senti, io devo andare a fare cose mie, sei capace di trovare la strada per la Sunny?” 
“Tks…ma se sono appena arrivato!” Continuò a tracannare finendo la bottiglia. “La vedi quella locanda? È lì che sono diretto.” 
La rossa sospirò rassegnata guardandolo di sbieco. 
Lui però aveva tutt’altra espressione sul volto, quasi raccapricciante, talmente non vedeva l’ora di scolarsi le sue amatissime bevande. 
“Di un po’” Nami lo indicò con fare arrogante e altamente scocciato, “il codice severo di uno spadaccino non dovrebbe proibirti anche di bere così tanto?” 
Lo vide scuotere la bottiglia ormai vuota al pari del suo viso, scoprendo di aver finito tutto il contenuto, così la gettò nella spazzatura, raggiungendo poi lei sulla strada. 
“Guarda che non è l’alcol che controlla me, sono io che controllo lui.”
 

 
“Sparisci di qua, prima che ti torco il collo!” 
“Non darmi ordini!” 
 
Nami gli voltò le spalle, decisa ad imboccare nuovamente la strada di prima per ritornare in quel posto meraviglioso in cui farsi ancora coccolare. Lui le aveva nuovamente distrutto i nervi e si sentiva così sporca per l’ennesima volta e per via dei pensieri che aveva avuto quando gli era caduta addosso.
“Dove staresti andando così di fretta?” 
Domanda a bruciapelo che certamente non si sarebbe mai aspettata. Da quando a Zoro fregava dei suoi posti consolatori, o dei suoi meri vizi e interessi?
Era così arrabbiata che le uscirono solo parole spontanee, “lontana da te!” 
La guardò svoltare l’angolo della stradina con una espressione totalmente interdetta sul volto, per poi ritornare concentrato e riprendere la sua meta. 
Chi la capisce è un santo. 
 
A testa alta, senza perdere di vista l’entrata di quella taverna con l’insegna luminosa che si poteva scorgere da lontano, Zoro tormentava l’elsa della spada con il pollice, quasi con la mente altrove. 
Perché era così repentina nell’umore, lei? 
Non riusciva a capire nessuna delle sue azioni ormai, le sembrano solo atti di fifoneria gratuita. E poi aveva pure il coraggio di incolpare lui di essere distante. Oppure di preoccuparsi per lui, come se si potesse ficcare nei guai. Era lei quella che ci finiva sempre, nei pasticci, mica lui. 
Lui che sapeva badare benissimo a sé stesso. E l’unico motivo per cui non aveva preso Rin con se quella mattina è che non ci aveva proprio pensato…era troppo sottosopra per occuparsi di una bambina, senza contare che nella sua testa pensava solo al voler andare a bere. E poi, era disabituato per cui un pensiero del genere potesse attraversarlo. 
Dopo combattimenti, ferite, allenamenti duri, anche lui meritava il suo angolo di pace e rilassamento senza pregiudizio, e quello era l’unico modo che aveva per rilassare i muscoli e liberare la mente - oltre la meditazione, naturalmente. 
Arrivato davanti a quel posto tanto agonizzato, valicò la porta a saloon, spingendola con entrambe le mani, lasciandosi la luce del giorno alle spalle e ritrovandosi in un posto scarsamente illuminato. 
Sorrise e si lasciò andare a sé stesso. 
 
 
 
 
 
Nami non aveva più nessuna intenzione di rientrare sulla Sunny ormai, e dopo aver comperato e speso l’occhio della testa in svariati negozi, litigando per lo sconto fino all’esaurimento dei commercianti, si riconcentrò sul suo obiettivo: un altro bagno ristoratore. 
Anche se le dispiaceva non aver aspettato Robin per andare insieme in quel luogo meraviglioso dove era stata a farsi coccolare, era convinta che l’amica l’avrebbe capita se solo avesse saputo quello che stava passando. 
La decisione così divenne più facile del previsto.
Decisa della sua scelta, corse via dalle strade prima di essere vista proprio da un Sanji capitato improvvisamente sulla strada opposta, che vedeva avanzare in lontananza e, senza dar troppo peso nel controllare con chi fosse e dove stesse andando, se la svignò bisognosa di tregua, osservando con attenzione tutto ciò che aveva da offrirle il paese per aiutarla a risolvere il suo prurito. 
 
 
 
 
“Non è possibile che io debba passare tutta la mia mattinata libera a cercare quell’idiota anziché fare la corte a delle bellissime donne…” sbuffò, rigettando via il fumo della sigaretta e ficcando entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni. “Che strazio.” 
“È per una buona causa!”, lo riprese la bambina che camminava tra lui e la mora, contenta per lo più di poter starsene in giro senza rischiare di essere riconosciuta da nessuno. 
“Ma quale buona causa…quella testa d’alga non si accorgerà mai di che fortuna ha tre le mani. Ed io devo pure stare a guardare, anzi, convincerlo? Ho dei compagni fuori di testa”, ispirò il fumo e lo rigettò ancora una volta fuori, “…se si aspettano che davvero faccia una cosa del genere!” 
Continuò a fumare fino a finire la cicca, gettandola poi a terra e schiacciandola con il piede. “Certo che ci parlo con lui, a suon di calci sulle palle!” 
“Sanji-Kun!” Lo riprese pacatamente l’archeologa. 
“Scusami mia adorata e celestiale Robin-chaaaaaaaan…non volevo essere scortese davanti a te!” 
“Io mi riferivo alla bambina...” 
“Una bambina che è nata in qualche modo, non ti pare?”, lo stuzzicò la rossa junior. “Quindi papà si è accorto di quella fortuna alla fine.” 
“SMETTILA DI RICORDARMELO!” 
“Ma basta guardarla in faccia per ricordarlo…” fece notare la mora, sospirando divertita. 
“Guardate” la piccola indicò una taverna con un insegna grande e luminosa. “Laggiù.” 
 
 
 
 
 
 
“Scusi, sa se per caso questa ragazza si trova qua?”
Usop stava mostrando l’avviso di taglia di Nami all’uomo dietro al bancone del centro di bellezza che continuava a guardare il manifesto con le gote arrossate. 
“Mi spiace non posso rivelare queste informazioni.” 
“La prego!” insistette il cecchino. “Vede…é nostra sorella e dobbiamo parlarle subito!” Usop indicò sé stesso e Brook, il quale cercava di camuffarsi il più possibile per non mostrare il suo vero aspetto. 
L’uomo, con un codino dietro alla cute spelacchiata, di bassa statura e con una testa piuttosto grande rispetto al corpo minuto, che stava in alto grazie a uno sgabello che arrivava fino al bancone di una stanza piena d’incensi, continuava ad arrossire e sognare davanti a quel manifesto, confermando al cecchino che Nami l’aveva vista eccome. 
“Alta più o meno così, capelli lunghi…bella ragazza?” non avendo riscontro, dal momento che quello continuava ad ignorarlo, decise di metterlo alla prova, “seno piccolo.” 
A quelle parole l’uomo scattò in piedi, “e quello sarebbe un seno piccolo?” 
“AH, TI HO BECCATO BRUTTO PERVERTITO!” 
L’uomo si gelò all’istante, per poi imbronciarsi biascicando un ‘maledetto nasuto’; restituito loro il manifesto di taglia, si concentrò nell’accendere poi una nuova stecca d’incenso in sostituzione di quella ormai consumata. 
“E va bene, si la ragazza si trova qui. Sta facendo il bagno nella stanza numero tre. Comunque non credo che tu possa essere suo fratello…” lo indicò. “In ogni caso, se volete entrare dovete farlo come clienti.” 
I due pirati si scambiarono un’occhiata complice e poi annuirono. 
“Non mi dispiacerebbe un po’ di relax”, ammise lo scheletro. “E poi…diventa più intrigante parlare con Nami mentre fa il bagno." 
Usop prese il suo sacchetto dei soldi dalla tasca, iniziando a contare qualche spicciolo. "Va bene, accettiamo. Quanto é?" 
Il commesso consegnò ad Usop una specie di ricevuta in cui c’era scritto il prezzo del soggiorno, insieme ai pass per entrare, con tanto di asciugamani puliti e ciabatte nuove. “Queste poi dovrete restituirle!” 
“COSÌ TANTO PER UN BAGNO?”
Perse la ragione il cecchino, pensando che poi gli sarebbe rimasto poco per comprare le sue cose personali. “Mi pare assurdo che Nami abbia speso tutti questi soldi!” 
“Ah, per lei è tutto gratis!” Disse quello con lo sguardo annebbiato, ricordando come la rossa si era sporta sul bancone mostrando l’abbondante scollatura, dicendo lui di essere al verde e che avrebbe voluto tanto ripulirsi. 
‘Ma guarda questo allocco!’ pensò il cecchino, portandosi una mano a colpirsi duro la fronte, totalmente provo di insulti e parole. Lo indicò, giudicandolo male col pensiero e provando la tattica del senso di colpa da incutere solo con lo sguardo. 
“Facci almeno lo sconto! Non siamo ricchi!” 
“Scordatevelo!” ritornò alla cruda realtà quello, per nulla affascinato dai due uomini che aveva davanti agli occhi, allungando la mano verso il ragazzo dal naso lungo aspettando l’equivalente in denaro del prezzo pieno. 
 
“Sai Brook” 
I due stavano salendo le scale che conducevano agli spogliatoi maschili, “mi pentirò di questo ma, a volte, penso che se avessi due tette anche io, sarebbe più facile anche per me qualche volta…” 
Lo scheletro, in un nano secondo, ebbe in mente l’immagine di Usop con un seno prosperoso e si batté violentemente la testa al muro. 
“Ti prego…non dirlo mai più.” 
 
 
 
 
 
“Te lo ripeto, cosa diamine ci fai al mio tavolo?” 
Il verde aveva già scolato tre bottiglie all’arrivo di Sanji nella taverna, grugnendo come un cane randagio minacciato, già da quando lo aveva intravisto varcare la soglia. 
“Te l’ho già detto, sono qua per Nami-san, non certo per te!” 
Con il suo fare elegante allungò la mano sulla sedia tirandola fuori da sotto il tavolo per sedersi, scoprendo poi che qualcosa la teneva bloccata da sotto. Vide sul volto di Zoro un ghigno dispettoso, capendo che era il suo piede a bloccarla. 
“Ma quanto sei immaturo, muschio idiota!” 
“Sparisci da qui!”
“Solo tu puoi preferire un locale del genere, scarsamente illuminato, volgare e squallido. Ma cosa potrebbe offrire a Nami, uno come te?” 
“Mi stai dando sui nervi, se vuoi stare qua devi bere e chiudere quella fogna.” 
I due si guardarono a mo’ di sfida. Zoro sapeva perfettamente che il cuoco non reggeva l’alcol, e Sanji sapeva che quando lo spadaccino s’impuntava, faceva sul serio e non ci sarebbe stato modo per fermarlo.
Il cuoco tirò con forza la sedia dal tavolo sedendosi con il suo fare serio ed elegante. Si sbottonò le maniche della camicia, alzandole sulle sue braccia esili ma forti, con tutta calma, facendo ruotare l’occhio del verde al soffitto, scocciato dalla sua presenza e dalla scena che stava mettendo in risalto. 
“Beviamo allora!” 
Lo spadaccino non impiegò molto ad alzare la mano in aria per farsi portare altre bottiglie dall’oste. 
 
“Se vinco io” iniziò il biondo, “togli le tue luride zampe da Nami per sempre.” 
Batté sul tavolo il bicchiere vuotato con forza. Vide Zoro finire il suo secondo, poggiandolo sul tavolo con altrettanta forza, mentre grugniva contrariato.
“Lei non é in gioco.” 
“Hai paura di perdere?” 
“Mai” 
“Hai accettato, allora?”
“Sei un bastardo!”, riempì il secondo bicchiere, “d’accordo” aveva il volto illuminato da una pericolosa luce, e con un nuovo ghigno divertito, gettò il suo amo. “quando questa sfida inutile finirà, tu dovrai smettere per sempre di fare il cascamorto.” 
“Bastardo!” Prese il secondo bicchiere mandandolo giù. “Non hai usato il ‘se’!” 
“Niente se! Vincerò.” 
Buttò giù il secondo anche lui. 
 
 
 
 
 
 
“Puoi ripetere? Non credo di essere sicuro di aver capito…”
Il cecchino e lo scheletro erano seduti all’interno della sauna della stanza tre, da cui conversavano con la rossa, la stessa la quale aveva concesso loro il permesso di restare, a patto che sarebbero rimasti lì anche a costo di bruciare finché lei non sarebbe uscita dalla vasca con tanto di asciugamano addosso. 
Sentirono Nami emettere uno strano verso, mentre non potevano sapere che aveva il volto rosso dalla vergogna. 
“Non fatemi urlare!”, batté una mano nella schiuma immergendosi poi fino al volto.
“Fammi capire…questo che fai è il terzo bagno da quando sei arrivata in paese, perché ogni volta che esci di qui ti senti sporca?” 
Il cecchino cercava di fare i conti, mettendo insieme tutti i pezzi di quel discorso confusionario. “Ma sporca per cosa?”
“Uffa…non farmelo ripetere Usop!” 
Continuava ad immergersi nell’acqua della vasca fino a profondarci completamente, per risalire in superficie due secondi dopo completamente fradicia e piena di schiuma fino alla testa. 
“Ma non capisco! Che diavolo significa che ti senti sporca per colpa di Zoro?” 
“Yohohoho, ti ha lanciato addosso qualcosa?” 
Anche lo scheletro, con indosso un fazzoletto bianco a coprire le “parti intime”, si stava sciogliendo all’alto calore della stanza, per lui era pur sempre migliore dell’acqua. 
“Forse le ha rovesciato addosso dell’alcol…” si voltò verso il cecchino, respirando piano per non consumarsi, “ah, che piacevole sensazione…non mi sarei aspettato questo relax di prima mattina.” 
“Non penso che Nami sia riferita a qualcosa del genere.” Lo rispose a bassa voce il compagno, per urlare dopo. “Insomma, vuoi essere più chiara?” 
La sentirono sospirare infastidita. 
“Non faccio altro che pensare a lui, va bene? Ora non fatemi più domande!” 
I due, seduti con le gambe allungate e la braccia stese ai lati del corpo, sospirarono confusi, non capendo quale fosse il problema reale tra i due. 
“Avrà esagerato Zoro con quei baci? Forse le ha sbavato addosso…”
“Potrebbe essere”
Il cecchino stava riflettendo ma il calore della stanza lo stava rincitrullendo lentamente, perdendo piano piano i sensi e soprattutto l’obbiettivo primario di quella missione segretissima. 
“MA COSA STATE DICENDO?” 
La rossa era uscita dall’acqua e, avvolta dall’asciugamano bianco, si era palesata alla loro porta, aprendola del tutto. 
“Fatemi spazio!” 
“Sto forse sognando?” 
Lo scheletro la vide sedersi davanti a loro, ammaliato e convinto di stare immaginandola.
“No, é Nami, in una visione o in un sogno non avrebbe quel volto così nero” gli rispose il cecchino, accentuando maggiormente l’ira della rossa che non solo era bordeaux per le sue confessioni che loro nemmeno riuscivano a capire, ma anche per il calore di quella stanza infernale. 
“Non dovrei nemmeno dirvi queste cose, non so davvero perché parlo con voi…” iniziò lei, sciogliendo il pugno che aveva già preparato. 
“Beh veramente siamo venuti noi a parlare con te…ma poi questo rilassamento ha preso il sopravvento.”
“Parlare con me? E per quale motivo?” 
L’affermazione di Usop aveva certamente catturato il suo interesse. 
“Di te e Zoro. Dopo ieri sera siamo tutti preoccupati.” 
Usop teneva gli occhi chiusi, totalmente leggero e in pace con sé stesso. Stava pensando che per una volta poteva vivere solo gli aspetti piacevoli di un’isola senza mostri o battaglie sanguinolente. 
“Bè” sospirò lei, “non c’è bisogno che vi preoccupiate. E poi semmai dovreste parlare con lui, non con me.” 
“Da lui è andato Sanji.” 
“Ora si che mi sento molto meglio!” 
“Sta tranquilla e rilassati…”
Ma se solo il cecchino avesse aperto gli occhi la visione sarebbe stata tutt’altro che rilassante, visto le vene che pulsavano sulle tempie della rossa, pronta a trovare qualcuno su cui sfogarsi, visto che non poteva farlo col protagonista dei suoi pensieri. 
“Nami cara” intervenne allora Brook, “é andata così? Zoro ti ha sbavato addosso?” 
Bastò un secondo per i due di finire al tappeto in quel pavimento bollente. 
“Sono una scema a confidarmi con voi!” aveva detto riprendendo posto e tenendo ben stretta l’asciugamano con la mano sinistra. “Ma come fate a non capire? Siete uomini no? Non provate niente quando vi piace qualcuno? Ebbene succede anche alle donne di provare certe cose…e…io…” 
Ad Usop si azionò finalmente il cervello, riprendendo posto pure lui e guardando Nami con una strana espressione sorpresa. “Ti senti sporca perché pensi a Zoro in modo sconcio?” quasi che urlò sorpreso di quell’ammissione, con la bocca che toccava il pavimento. “Sei una pervertita anche tu!” 
Brook quasi pianse per l’invidia. “Spadaccino fortunato.” 
“Ma quale pervertita!” Si alzò in piedi lei tirandogli un altro pugno sulla nuca. “È una cosa normale…penso…” guardò il pavimento imbarazzata. “D’altronde provo qualcosa per lui…”
Usop scattò in piedi felicissimo di quell’ammissione. “Ma allora diglielo!” Esultava con le stelline agli occhi gesticolando compulsivamente. “Fammi capire, stai qua a consumarti la pelle per reprimere questo desiderio carnale? Ma vai da lui e consuma lui!” 
“Non ti facevo così sconcio…” gli disse Brook. “Yohohohoho…desiderio carnale, vorrei provarlo anche io, ma non ho la pelle…” 
“Beh ma loro devono farlo, hanno la responsabilità della nascita di Rin! E come tu sai, per far nascere un bambino…”
“Piantatela! Rin non c’entra niente.” 
“Ma allora perché sei qua da sola?” 
Nami continuava a guardare il pavimento con un broncio imbarazzato sul viso, e la gamba tremante che non riusciva a frenare da quel movimento compulsivo. 
“Non ci credo…” dalla bocca dello scheletro uscì un tono più che sorpreso…”Zoro-san, non ha voluto vedere le tue mutandine?” 
“COSA?” Si alzò ancora una volta in piedi il cecchino. “Lo so che é uno difficile, ma questo…”
“Ma che idiota” dissero entrambi all’unisono. 
Nami sbuffò. 
“Lui e quelle sue dannate e ipocrite regole.” 
“Il problema è più grave di quanto pensassi…” ammise il naso lungo, incrociando le braccia al petto. “Servirà un miracolo.” 
 
 
 
 
 
Sul tavolo le bottiglie erano passate da tre a dieci. Dei bicchieri, due erano spaccati e altri due ancora integri. Il tavolo circondato del pubblico che aumentava ad ogni giro. 
“Le hai fatto qualcosa”
“Perché non te ne vai?” 
Giro undicesimo. 
“Le hai messo le mani addosso, non è vero? 
“Non impicciarti!” 
Giro dodicesimo. 
“Lo so che è così…” si riempì il bicchiere da solo. “Per quale motivo avreste litigato? Appena l’hai vista fragile hai approfittato di lei…sei un selvaggio.” 
“NON SAI NEMMENO DI COSA STAI PARLANDO”
“AMMETTILO!” 
“MA COSA DOVREI AMMETTERE!” 
Altri due bicchieri che sbattevano sul tavolo in un eco che si era ampliato in tutta la sala. 
Giro tredicesimo. 
Sanji sospirò forte, prendendosi un attimo per sé, cercando di calmare i suoi nervi caldi, pronti a scoppiare, per poi continuare a provocarlo. 
“Che te la sei presa!” Lo indicò, allentando la cravatta dal collo. “Tu” la tolse del tutto, facendola scivolare sul tavolo. “Hai preso quel fiore e l’hai deturpato!” 
“MA QUALE FIORE?” 
Giro quattordicesimo. 
“L’HAI PRESA!” 
“GUARDA CHE IO E LEI STIAMO INSIEME.” 
Giro quindicesimo. 
“Se stai insieme a qualcuno ci stai insieme cretino testa d’alga! Ignorarsi non è stare insieme!” 
“Non stiamo insieme adesso!” 
Giro sedicesimo. 
“Non state insieme e basta!” 
“MA TU COSA VUOI DA ME?” 
Giro diciassettesimo. 
“Che non le fai del male con il tuo stupido orgoglio!” 
“Non le ho fatto niente!” 
“BUGIARDO!” 
“TI AFFETTO!” 
Giro diciottesimo. 
“Dimmi la verità…” stava iniziando a singhiozzare alticcio, mentre riempiva l’ennesimo bicchiere con la vista appannata, buttando la sostanza alcolica più fuori che dentro. “Ci sei andato a letto?” 
Stringeva quel bicchiere con tutta la forza che aveva, rompendolo in due con ancora la sostanza al suo interno. 
“Non vedevi l’ora, non è così? Non aspettavi altro che vederla cadere tra le tue braccia…” 
Allungò la mano in alto, segno che indicava l’oste di aver bisogno di un altro bicchiere, in un ordine che venne immediatamente soddisfatto. 
Ormai metà taverna gli aveva circondati; facendo il tifo prima a uno poi all’altro a seconda di come apparivano dopo ogni giro. 
Lo sguardo di Zoro era oltre l’essere infastidito. Altrettanto alticcio, dal momento che aveva iniziato a bere molto prima del cuoco, continuava a guardarlo in malo modo, odiando ogni sua provocazione e parola.
“Non sono come te.” 
Aveva lasciato il bicchiere, finendo direttamente la bottiglia. “Non penso alle donne tutto il mio tempo.” Alzò il braccio in aria, segno per l’oste che c’era bisogno di rifornimento. “E questo valeva per due giri, sono in vantaggio.” 
Giro diciannovesimo e ventesimo. 
“Cosa vuol dire che non sei come me?” Grugnì furibondo il cuoco sporgendosi al tavolo verso lui. “Non importa che non corri dietro a gentil sesso, ma con Nami, sei esattamente come me. Solo che non lo esterni, tieni tutto dentro!” 
“Balle!” 
“Ah, vuoi dire che non ti senti esplodere quanto ti sfiora o ti tocca? Vuoi davvero dire che non senti niente quando la guardi?” 
“Questa conversazione mi ha stufato! Dovevi bere e stare zitto!” 
Giro ventunesimo. 
 
 
 
 
 
 “Adesso piantatela!” 
Nami uscì dalla sauna, totalmente accaldata, stare là dentro l’aveva fatta stare ancora peggio. “Se questa conversazione esce di qua vi massacro. Chiaro?” 
Riprese posto al bordo della vasca, immergendoci solamente i piedi dentro per trovare sollievo da quel caldo innaturale. Si strinse nell’asciugamano pensierosa. 
“Mi chiedo” sospirò, ormai il peggio l’aveva vuotato, “se questo prurito che sento necessità di vivere, sia legato al fatto che lo ami, o se sia solo fisico…come si capisce?” 
Usop, ugualmente uscito dalla sauna, con asciugamano avvolto alla vita, l’aveva raggiunta, sedendosi dall’altro lato della vasca.
“Non lo so Nami.” La guardò più serio con altrettanta sincerità. “L’unico modo per saperlo é viverlo.” 
“Chissà quanto dovrò aspettare allora…” 
Il cecchino si mise una mano sul mento riflettendo sulle dinamiche. Poi ripensò a quando gli aveva beccati sul ponte, e al desidero impellente che aveva letto nello sguardo dell’amico. A tutte quelle volte che si era rifiutato di vederla nuda. 
“Nami, io non penso che lui non voglia te…l’ho visto con i miei occhi come ti guarda…é solo che è un uomo estremamente rispettoso, non farebbe mai qualcosa che possa ferirti.” 
“Lo so di per certo che mi vuole!” 
Lo stupì lei, furba, anticipando il suo discorso. Dialogo che fece uscir fuori dalla sauna anche Brook, che gli raggiunse entrambi velocemente saltellando leggiadro come nel suo stile.
“L’ho sentito eccome, sai?” 
Nami si stava rotolando un ciuffo ribelle tra le dita, perdendo improvvisamente tutta la vergogna provata nei giorni passati, e confidandosi ingenua e maliziosa allo stesso tempo. 
“Da cosa?” Chiese stupidamente Usop, scorgendo poi un sorriso che non prometteva niente di buono sul volto di Nami. 
“Dal suo corpo, no?”
“Aaaaaaaaah” urlarono sconvolti i due, con le bocche che cadevano sul pavimento. 
“Vi sciocca così tanto?” chiese con fare innocente nell’espressione. “L’ho sentito su di me. Dite che non è una cosa normale?” 
I due s’inchinarono in segno di ringraziamento. “Se succede anche a Zoro, allora siamo tutti normali.” 
“Idioti!” 
 
 
 
 
 
 
“ESTERNALO UNA BUONA VOLTA.” 
Con foga, Sanji aveva spaccato in due il tavolo, gettando a terra tutti i bicchieri che si spaccarono a loro volta in altri pezzettini. 
“ADESSO BASTA!” 
Zoro era schizzato in piedi, estraendo la spada e gettandosi a capofitto sull’amico biondo, il quale non perse tempo a difendersi, parandosi con un altro calcio che rimase fermo a mezz’aria. I due, presi da impeti di rabbia alquanto differenti, si sfogarono uno contro l’altro, iniziando una rissa che avrebbe poi convolto le persone della taverna, che iniziarono a loro volta a scontrarsi con altri. 
“Come al solito non sai affrontare una discussione senza usare la violenza.” 
“MA SENTI CHI PARLA!” 
 
Calci e fendenti, rabbia e insulti, alcol e lotta. 
Sanji, in fin dei conti, lo sapeva bene che non c’era altro modo per aiutare “quel cretino orgoglioso” a sbollire un po’. E Zoro lo sapeva che “quello scemo biondo” non sarebbe stato in grado né di rispettare una promessa e né di sostenere una sfida alcolica. 
Non poteva negare però che quel combattimento lo stava aiutando a gettare via tutto lo stress che aveva accumulato in quei giorni pieni di pressione emotiva. 
 
La rissa si era fatta così dirompente, in cui gli ospiti della taverna, impazziti, spronati dai due pirati, stavano rompendosi addosso le sedie, i tavoli, le bottiglie, rotolando come ossessi sul pavimento, finendo per portare tutto quel casino all’esterno. 
Resosi conto della situazione, Sanji ebbe un attimo di tremito, parando un altro attacco di Zoro e cercando di avere la sua attenzione. “Rin e Robin sono fuori.” 
Ma quello non lo ascoltò del tutto, gettandosi sopra di lui e spalancando le porte ormai rotte della taverna rotolando insieme all’esterno anche loro. 
 
Appena fuori capirono entrambi del macello che avevano scatenato, vedendo la rissa prorogata per tutta la strada. Robin che, parata dinnanzi a Rin, provava a gestire più persone insieme, allontanandole una dall’altra, vide immediatamente i suoi due compagni, percependo in loro la causa di tutto quel trambusto. Non che quelle altre persone eran forti per lei, ma sicuramente era uno scenario imprevedibile. 
La bambina era però intervenuta, corsa in soccorso della zia, sfoderando la spada in posizione di difesa da chiunque avesse provato a colpirle o avesse lanciato loro qualcosa. 
Delle bottiglie infatti volavano ovunque, con tanto di parti in legno del mobilio ormai andato in pezzi e anche gli stessi uomini. Un tavolo intero sarebbe finito senz’altro nella posizione delle due donne pirata, se non fosse che Sanji lo fece in due con un calcio; o due bottiglie sarebbero finite loro in testa se non fosse per Zoro che le ruppe con le spade, formando la loro corsa e parandosi davanti alla bambina. E quattro uomini volanti stavano per precipitare sulle teste dei due pirati abbondantemente alticci e dalla vista e i sensi alterati, se non fosse stato per Robin e Rin, che con due attacchi ponderati, gli avevano sbattuti via lontano. 
 
“Ma che diavolo avete combinato?” 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Nami” 
Il cecchino, che si stava guardando intorno per vedere se nella stanza c’era anche una doccia, sorrise a una navigatrice abbattuta, richiamando la sua attenzione. 
La vide alzare il capo e guardarlo, bramosa di sapere qualcosa in più che potesse servirle a stare meglio. 
“Ci hai pensato che per uno come lui non dev’essere facile accettare di avere delle debolezze?” 
“Io sarei una debolezza?” 
Sospirò agitata e offesa, con il respiro bloccato in gola, e il caldo divamparle nuovamente su per il corpo. 
“No”, la interruppe svelto, “non tu, ma l’idea di perdere il controllo su qualcosa di così irrazionale per lui. Ci hai pensato che non si aspettasse di provare qualcosa di così, deduco, intenso che non fosse un combattimento? 
Lui, così poderoso, dotato di un notevole autocontrollo, magari si sente spiazzato…da sé stesso…” 
Sciolse le braccia dal petto. “Ma questa è solo un’idea, magari sto farneticando…” 
“No” Nami lo fermò con la voce, in un tono quasi sorpreso. “Non hai detto stupidaggini…” 
Era davvero incuriosita di quelle parole, ma ancora di più, iniziava a pensare di quanto forse lei avesse esagerato quella sera fuori dall’infermeria.
“Certo è che se lui parlasse sarebbe tutto più facile.” 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Più voi uomini cercate di aggiustare qualcosa e più la rompete…” 
Aveva detto Nico Robin, guardando sconsolata i due seduti a terra: il primo preso dai conati di vomito, sporco e pieno di tagli, con un rivolo di sangue che scendeva da un lato della bocca; il secondo, in silenzio, con la vista annebbiata, la testa scoppiettante, sporco, con la maglia strappata e dei brutti lividi sull’addome. 
 
“Ma chi lo ripaga tutto questo?” 
Sentirono l’oste all’esterno, con le lacrime agli occhi, mentre vedeva quegli uomini ubriachi alzarsi malridotti e andare via. 
Sanji alzò una mano in aria, leggermente imbarazzato, “la rimborsiamo, promesso…”
Robin, che in ogni situazione manteneva la sua parvenza posata, s’incamminò verso l’uomo disperato.  
“Vengo con lei a fare una stima dei danni.” 
Decretò quindi, superando entrambi gli amici colpevoli, seguendo l’uomo all’interno. 
 
“Non vi si può lasciare soli un secondo...” 
Rin era davanti ai due, con le braccia ai fianchi, piegata un po’ in avanti con fare minaccioso. “Tu! Dovevi soltanto parlaci!” 
Vide il biondo alzare leggermente il capo e guardarla confuso. “Nami Swaan?” 
“Ma quale Nami e Nami!” 
Gli tirò uno scappellotto che lo fece del tutto vomitare sul terriccio. 
“Ma guarda…come sei ridotto.” 
Sentirono entrambi lo spadaccino ridere di fianco, mentre cercava di alzarsi ma senza alcun successo. 
“Ora hai finito di fare il cascamorto!” continuò a sghignazzare, mentre ricadeva a terra supino. 
“Un momento!” Si riprese veloce il cuoco, ripulendosi la bocca con il polso. “La nostra sfida non é finita.” 
“È finita! Ho vinto io!” 
“Ma sei hai tirato fuori le spade!” 
“Ero in vantaggio e tu stai vomitando!” 
“Chiunque direbbe che non è valida a questo punto!” 
“Che cosa hai detto?” 
 
 
“Ma che è successo qua?” 
Un ragazzo con le sembianze di una palla tonda - ma familiari- comparve davanti a loro, confuso e sazio.
“C’è stato un combattimento e me lo sono perso?” 
 
 
 
 
 
 
Nami, Usop e Brook, stavano perseguendo la via del ritorno, fintanto che la rossa decise di passare per la strada di quella taverna per controllare se il verde fosse ancora seduto lì a tracannare.  
“Voglio solo dare un’occhiata prima che possa combinare un guaio”. 
“Sei sicura? Non è che poi ti viene voglia di…” ma il cecchino fu costretto a fermarsi con gli occhi sgranati, e non per l‘ira funesta di Nami che fermata sul posto aveva i denti a squalino pronta ad assalire l’amico a causa del fatto che non voleva certo essere presa in giro per i suoi ormoni in subbuglio, ma per la vista che gli si era palesata di fronte. 
“Oh no…cosa dicevi sul non combinare un guaio?” 
La navigatrice fu costretta ad accantonare l’idea di assalire Usop, per voltarsi, e quando riconobbe le figure a terra, quelle in piedi e un locale distrutto le cui fondamenta erano sparse per la strada, ebbe quasi un infarto.
 
 
“TU” afferrò il capitano per il bavero e iniziò a scuoterlo energicamente. “COSA MI AVEVI PROMESSO QUESTA MATTINA?” 
“N-on sono sta aa to io” provò a difendersi il moro, che con tutta quella movenza riprese la sua solita forma fisica. 
“Cosa significa che non sei stato tu?” 
La rossa si fermò, sentendo attorno un silenzio fin troppo inquietante. Vide i due a terra supini, e altri uomini che ancora cercavano di alzarsi e andare via zoppicando. Vide Robin uscire con il suo sacchetto dei denari in mano. Vide soprattutto bottiglie di alcolici sparse in terra…
Quando sentì da alcuni uomini intorno le parole “duello” e “sfida alcolica”, capì. Lasciò immediata Rufy dalla sua presa - quello che stava vedendo era peggiore persino di quello che aveva pensato -  per avvicinarsi svelta alla sua bambina. “Tu stai bene?” si premurò, controllandola sul viso e sul corpo, cercando nuovi tagli o ferite. “Non sei stata coinvolta, vero?”
“Sto bene- sto bene!” 
Tenendola vicina a sé, diede un’occhiata severa ai due che, anche se supini a terra, erano come pronti a ricevere la punizione che meritavano. Una punizione che però non arrivò. Nami stessa sapeva che non poteva picchiarne solo uno, sarebbe stato un atteggiamento forse malvisto, che avrebbe sollevato domande. Anche se avrebbe voluto alzare le mani su di loro, non poteva toccare Zoro, non poteva proprio caderci.
“Quale stupida scommessa avete fatto?”
Mentre lo spadaccino rimase quasi impassibile, senza muovere un muscolo, Sanji ebbe un attimo di tentennamento, motivo per cui la rossa capì di essere stata probabilmente lei il centro di quella, che immaginava essere, una stupidaggine. 
“Non voglio sapere. No, davvero, non lo voglio sapere.” 
I due sentirono qualcosa che per loro era sconvolgente. Nami se ne tirava fuori?
E perché non gli stava ancora picchiando?
La sentirono invece fare dietro front e andare via. 
 
 
 
 
 
“Sei ancora in te stupido spadaccino?” 
“Qui di stupido ci sei solo tu.” 
Zoro, che era ancora rimasto sdraiato a terra, in quel momento riuscì a mettersi seduto con molta difficoltà. “In effetti mi sento meglio.” 
“Potrei dirti che mi fa piacere ma non è così.” 
Anche Sanji era nuovamente seduto, mentre cercava di tirar fuori le sigarette dalla giacca, dal momento che, rimasti lì fuori da soli, non poteva aiutarlo nessuno. 
“È ancora sconvolta…Nami. Lo leggo nei suoi occhi quando la guardo.”
Stava cercando di accendere il fiammifero sotto alla suola della scarpa ma non riusciva proprio ad arrivarci. Il verde, d’altro canto, stava provando a mettersi in piedi, ma con la stessa velocità ricadde a terra. Arreso, chiuse l’occhio, se necessario a riprendersi avrebbe dormito persino lì. 
“Lo so anch’io, cosa credi!” 
“Perché non le parli, invece?” 
“Se dicessi le mie cose a Nami le userebbe contro di me…e comunque, non l’ho toccata” gli uscì con voce flebile, mentre tossiva e portava una mano sull’addome. 
“Meglio così” senza demordere, cercava ancora di accendere la sigaretta l’altro, sperando che lo aiutasse con quella orribile e veloce sensazione da sbornia e il saporaccio che sentiva avere in bocca.
“Allora?” 
Sbuffava Sanji in attesa di sapere qualcosa in più. 
“Non so niente sulle scelte fatte dallo Zoro del futuro…ma io, io non perdo mai il controllo di me stesso.” 
 
“Sei un idiota come sempre. Adesso cosa hai appena fatto secondo te?”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice__________________________________
Pensavo di riuscire a caricare questo capitolo prima del tempo, e invece è stato più complicato del previsto. Ho continuato a rivederlo, modificarlo e quant’altro…ma c’è qualcosa che non mi ha convinta. È vero, solitamente il mio punto forte sono i papiri introspettivi…e stavolta avevo paura del troppo dialogo a copione…che mi risulta più difficile da gestire. Volevo inserire un po’ di quella comicità che stava scomparendo, e la leggerezza impressa in quei bellissimi personaggi del sensei Oda senza tradire troppo la storia o il suo tono. 
Ha funzionato? Non ne ho idea. 
Questo potrete dirmelo voi, oppure il tempo. 
So bene che stavolta non spuntano fuori emozioni forti, ed è più un capitolo di transizione, ma è necessario al continuo. 
Come avrete capito non ho immaginato i nostri due begnamini esperti di sesso, e in realtà è così che gli immagino, ingenui, con poca conoscenza sulla materia. E voi, invece? 
 
Grazie a tutti che mi sostenete. 
Vi abbraccio. 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Passato, presente, futuro ***


 
Capitolo XXI 
Passato, presente, futuro  
 
 
 



Seduta sulla sua comoda sdraio adagiata sul ponte della Sunny, Nami sfogliava il giornale con una espressione impassibile sul viso. Le notizie riportate erano come al solito terrificanti, gli scontri tra i pirati della nuova generazione e la Marina si moltiplicavano a vista d’occhio e diventavano ogni giorno più cruenti: il governo stava portando avanti una vera e propria caccia alle streghe. E anche se ormai a quelle notizie era abituata, girava una pagina dopo l’altra del quotidiano con un nervosismo palpabile. Un’agitazione datale però anche da altri fattori consistenti, come ad esempio i suoi due stupidi compagni che ora giacevano privi di sensi sul prato della Sunny, portati in spalla da Chopper che, ritornato a bordo nella sua versione più umana, aveva rovesciato a terra. 
“Ho visto la taverna distrutta”, diceva preoccupato, sotto lo guardo sbieco della navigatrice che osservava fingendo disinteresse. 
“Ma sono vivi?” chiedeva Usop impensierito, mentre stava annaffiando proprio quell’erba medesima con un distributore di sua invenzione che trasformava l’acqua salata del mare in acqua dolce. “E bravo Chopper, hai eseguito perfettamente i miei ordini…” 
 
“Zoro dorme. Sanji è ubriaco.” 
La diagnosi del piccolo dottore, rapida e decisa, lo convinse a lasciarsi alle spalle quella sua iniziale e continua apprensione per i due, convincendosi, non senza adeguato controllo, della non gravità delle loro condizioni. 
Il cecchino, invece, sapendo che i compagni erano in buone mani del medico, preferiva concentrarsi sullo sguardo ambiguo della compagna seduta poco distante da lì, alzando appositamente la voce quando esternava un commento, per farsi sentire anche da lei, che seria, fingeva noncuranza.  
“Hai sentito? Stanno bene.” 
Il viso della rossa sbucava ogni tanto per una sola frazione di secondo da dietro al quotidiano, dettaglio che andava a rivelare che non era certamente così disinteressata alla cosa. 
“Sai che me ne importa.” 
La sentì gracchiare e insultare da dietro alla sua muraglia protettiva fatta di carta e inchiostro, facendogli alzare gli occhi al cielo, sentendosi continuo spettatore di quei giochi infantili. 
“Anzi” la rossa sorprendentemente aveva ancora qualcosa da dire, abbassando quella carta che stringeva tra le mani come fosse una banconota, e da cui si faceva proteggere, in quel modo inquietante quanto morboso, che fece rabbrividire prima Usop, poi Chopper, “perché non giri quel coso di dieci gradi dietro di te?”
Come avevano previsto, i poveretti iniziarono a tremare per quella proposta che sarebbe sicuramente diventata un ricatto da lì a pochi secondi e che sarebbe caduta direttamente sulle loro teste. 
“Ma Nami…” cercò di essere ragionevole il cecchino, mentre Chopper si nascondeva dietro alla colonna portante, cercando di non finire invischiato in quello che sarebbe diventato un problema a tutti gli effetti, “sii ragionevole…poi se la prenderanno di sicuro con me…” 
“Spero che sia fredda!” 
Puntualizzò, con gli occhi assettati di sangue, smettendo volontariamente di ascoltarlo e ignorando il tremare della renna. 
“Namiiii, ti prego…” quasi pianse, supplicando l’amica di risparmiarlo mentre subiva quello sguardo così spaventoso, che faceva dubitare il cecchino sul fatto che fosse lei la meno pericolosa della ciurma. Ma, ignaro del fatto che in quello stesso momento un Rufy super eccitato, che provava un nuova invenzione di Franky, la quale però non era riuscito a gestire premendo tutto il pedale dell’acceleratore e perdendo il controllo della ‘macchina da bordo’, che dal piano superiore scese sul ponte investendolo in pieno, il povero malcapitato pessimista perse il controllo della pompa dalle mani il cui getto dirompente si riversò comunque sulle due vittime ignare di tutto e prive di sensi, che si risvegliarono immediati a contatto con quell’acqua gelida. 
“Perché sempre io…” si lagnò il nasuto, scrollandosi quella macchinetta di dosso, mentre alla sue spalle sentiva dei rumori ambigui, tra cui Franky che si gettava in mare per recuperare il capitano cadutoci dopo lo scontro. 
 
Non c’era posto però per le lamentele del nasuto, dal momento che uno spadaccino brutalmente risvegliato dal suo sonno, e un cuoco, confuso e fastidiosamente irritato, avevano appena iniziato a urlarne di cotte e di crude per quell’acqua così fredda, che unita alla sbornia, stava loro facendo salire i brividi in ogni muscolo del corpo. “Ma dico siete impazziti? Perché sono bagnato?” 
I due avevano urlato sincronizzati, guardandosi poi malamente “Sei stato tu?” 
Soddisfatta, Nami riaprì il giornale, e, ignorandoli, riprese a leggere più leggera, scuotendo quella carta con un gesto deciso che provocò un voluto rumore echeggiante nell’aria. 
“Lascia perdere” Zoro fermò Sanji, il quale stava cercando di interrogare il piccolo e innocente Chopper, per metà nascosto dall’albero maestro, per sapere la verità dietro quell’agguato di cui si sarebbe vendicato, “so bene chi è stato”, disse, mentre aveva lo sguardo puntato dritto sulla navigatrice, seppur coperta sul volto dalla carta, “anzi, chi è stata.” 
“Cosa?” gracchiò il biondo, seguendo lo sguardo del verde e capendo della sua allusione. “Smettila subito…Nami cara non farebbe certe cose!” lo sgridò abbassando la voce, digrignando i denti furioso di quell’orribile pensiero. 
“Farebbe questo e altro…” continuò serissimo Zoro, mentre non distoglieva gli occhi dal giornale, aspettando di vederla sbucare fuori dal un momento all’altro. 
“Ripetilo se hai il coraggio!”
“Ma sei proprio un allocco incurabile!” 
Ma i due dovettero interrompere il loro solito siparietto a causa del freddo che entrava dritto nelle loro ossa, provocando ulteriori crampi e freddure in entrambi i loro corpi. 
“Sto gelando” 
Si lamentò il cuoco, in preda a un malore, il quale non aveva mai raggiunto certi livelli di alcolismo. 
Il verde avrebbe anche voluto concordare ma per orgoglio rimase in silenzio, ugualmente in preda ai brividi. 
“Questo sarebbe il momento adatto per essere scaldato da una delle mie due dee…” espresse a voce alta il biondo con fare sognante, mentre cercava di scaldarsi con il pensiero dell’amore, iniziando a sfilarsi la camicia fradicia di dosso; il tutto sotto però lo sguardo infastidito del compagno seduto a fianco a lui che non aveva intenzione di reggere altre delle sue moine.  
 
Entrambi vennero piacevolmente sorpresi proprio da Nico Robin che, soddisfacendo i loro sogni, almeno quasi, fece comparire delle mani davanti a loro che arrivavano dalla stanza al primo piano reggendo due coperte pulite, regalando loro un momento di tregua e salvandoli dall’imbarazzo a cui Nami li voleva sottoporre, anche se poi era accaduto tutto per uno stupido incidente del capitano.
Il cuoco non poteva certo sperare in qualcosa di migliore, esplodendo di gioia alla vista e al tocco di quel tessuto morbido che gli ricordava di tutta la generosità e bontà della donna. “Roooobin chaaaan….ma che gentileee” vibrò immediato al settimo cielo “…lo sapevo che ti saresti preoccupata per me…” 
Si avvolse immediatamente nella coperta calda, circondato da un alone di cuori rosa che avvolgevano sia lui che la mora, per poi ingelosirsi e guardare malamente Zoro che aveva iniziato a scaldarsi anche lui dopo essersi velocemente denudato. “A te ha dato la coperta solo per pietà”, lo aveva detto cambiando naturalmente tono di voce. 
 
Ritrovata un po’ di forza fisica, Sanji era poi riuscito a rialzarsi, anche se era chiaro come il sole che il suo stato psicofisico era un po’ provato. Con l’aiuto di Robin, che si stava prendendo volentieri cura di lui, cosa che lo mandava, a suo dire, direttamente in paradiso, arrivò in cucina per prepararsi una bevanda adatta a smaltire tutto l’alcol assunto in quella stupida mattina e poter godere di quelle preziose attenzioni con più lucidità. Il medico, anche se non stranamente preoccupato per Sanji, non impiegò poi molto a seguirli sottocoperta. 
Zoro invece era rimasto lì, nella stessa posizione, riuscendo a scorgere il viso di Nami non appena quella voltava la pagina del giornale, cogliendo quella punta di nervosismo che la rossa aveva ancora addosso da che l’aveva vista fuori dalla taverna. 
 
Usop, rimasto l’unico sul ponte insieme a loro, dal momento che anche Franky aveva portato Rufy in cucina, e captando gli sguardi dei due, ne approfittò per avvicinarsi quatto quatto a Nami e, usando come copertura il riordino di tutti i suoi attrezzi da giardino, persi per il ponte, nascondeva anche lui il volto dietro a quella barriera fatta di carta. 
“Nami, questo è il momento giusto…non vedi che aspetta solo te, magari per farsi scalare un po’?”
Le parlò all’orecchio in un filo di voce, sicuro di ciò che diceva. 
“Ma sei scemo?” 
Stupita dell’improvvisata dell’amico e di quelle sue parole, non riuscì a mantenere il controllo sul tono e sull’acuto della sua voce, così da farsi sentire anche da Zoro, che alzò un sopracciglio incuriosito. 
“Shh! Parla piano!”, si avvicinò maggiormente, “é palese che il problema nel vostro rapporto è che non sai cogliere le occasioni, almeno, quando non si tratta di soldi!” 
Le parlò ancora a bassa voce, convinto che fosse quello il modo per spronarla o avvicinarli, ma capendo di aver miseramente fallito quando percepì la imminente sfuriata che la rossa aveva in programma per lui, in meno di un secondo spaccato; ritornando così, in un tempo brevissimo, a prendere pompa e annaffiatoio e filarsela il più lontano possibile da lì. 
Quella, d’altro canto, dovette chiudere il quotidiano, stritolarlo e appallottolarlo nelle mani, immaginando fosse la testa di Usop, che con quelle parole le aveva nuovamente mandato in tilt gli ormoni. Fu in quel momento che si scontrò con l’altro, che non smetteva di toglierle lo sguardo da dosso, da un tempo che Nami nemmeno poteva sapere. Notò i vestiti sparpagliati accanto a lui e la coperta ad avvolgerlo, e le parole di Usop divennero improvvisamente chiare, così come anche la sua agitazione palpabile. Sostenne il suo sguardo, conscia di non avere più tra le mani la sua muraglia protettiva, dal momento che l’aveva totalmente disintegrata, e pure senza aver finito di leggerla!
“Che cosa vuoi?” 
Sbottò isterica cercando di rimanere impassibile, non riuscendo a respirare con quell’occhio così invadente su di lei. 
“Si può sapere che ti prende?” 
Lui era così calmo, nonostante lo scherzo dell’acqua e nonostante la sbornia, cosa che faceva imbestialire Nami ancora di più, poiché lei era incapace di controllare le sue arrabbiature. Cosa poteva rispondere, comunque, per evitare quella domanda, se non cambiare l’argomento? 
“Se tu mi dici in cosa consisteva la scommessa!” 
Un silenzio che sentivano solo loro, s’impossessò dello spazio, inghiottendo ogni rumore e respiro. 
“Ecco appunto” ci tenne a precisare la rossa, distogliendo lo sguardo, sapendo che uno come lui non avrebbe risposto a una domanda simile. 
“Hai detto di non volerlo sapere…”
“Bè, ho cambiato idea, si può?” 
Un broncio scocciato s’infilò preponderante sul viso di Zoro, che però fu costretto a durare ben poco, dal momento che un giramento alla testa lo costrinse a piegarsi a mezzo busto. 
Nami fu obbligata a quel punto a guardarlo ancora, soprattutto quando lo sentì emettere uno strano mugolio di dolore. Rimase immobile e sconvolta, voleva fare l’indifferente ma non era così facile in quella situazione. 
“Stai davvero così male?”
Accennò a chiedere con la voce che voleva essere sicura di sé ma era quasi smorzata da una strana apprensione. 
“Sto bene.” 
Da lui però non si poteva certo aspettare parole differenti da quelle. Le ripeteva in continuazione quando qualcuno si preoccupava per lui. Ma nonostante quella risposta sicura e arrogante come al solito, ancora non aveva rialzato il capo, rimanendo in quella strana posizione, dettaglio che fece allarmare la rossa, che guardandosi intorno, costatava dell’assenza dell’equipaggio dal ponte. Così, insicura se prenderlo o no sul serio, si alzò in piedi, arrivandogli davanti ma continuando ad essere titubante nei suoi movimenti. 
“Vado a cercare Chopper.” 
Ma la sua missione non durò poi tanto, dal momento che, sentendosi strattonata per le pieghe della gonna, fu costretta a fermarsi sul posto. 
“Non essere sciocca…non sto male, deve solo passare…” 
Con sguardo contrariato s’inchinò, arrivando alla sua altezza, e dopo averlo scrutato un po’ decise, seppur consapevole di non poterlo toccare - era fin troppo rischioso - di rimanere accanto a lui. 
“Ma non sei tu quello che ha controllo su tutto? Come è possibile?” 
“Ho solo esagerato.” 
Dubbiosa, fu costretta comunque a toccarlo, posando una mano delicata sulla sua fronte per sentire che la temperatura era solo un po’ più calda dello standard,’ ma quella era la sua normale, dopotutto. 
“Bè, ben ti sta…” decretò, pensando al macello che aveva combinato alla taverna. “Ma chi me lo fa fare ogni volta, dico io?” ringhiava, consapevole di essersi preoccupata per nulla, senza però togliere la mano dalla sua fronte. 
Lo spadaccino alzò la testa, dedicandole un sorriso sghembo che la costrinse a togliere la mano. Ma Nami certamente non poteva capirlo, rimanendo sempre più confusa da lui. 
“Che cosa c’è?” 
“Se ti ho fatto preoccupare, potresti allora occuparti meglio di me…”
Rimase sconvolta da quelle parole, che in parte la ferirono, poiché andavano ad insinuare che lei non si fosse mai preoccupata per lui. Perciò, con quella stessa mano con cui aveva sentito la temperatura, aveva lasciato immediata anche un non indifferente scappellotto sulla stessa testa calda, facendolo bestemmiare in tre lingue diverse. 
“Idiota! Non sono mica tua moglie!” 
Si alzò, allontanandosi in fretta da lui, e da tutto quel calore che, lo sentiva, avrebbe potuto nuovamente nuocerle, farla cadere in quella trappola d’amore in pochissimi secondi. 
“Riposati piuttosto.” 
Continuava a sorridere in quel modo strano, Zoro, mentre la vedeva sparire dalla sua vista. 
Scappare, anzi. 
Era fuggita via da lui come il vento, ed era sempre più difficile affrontarla con gli stessi vestiti addosso, con lo stesso andamento. Occorreva essere agili e intuitivi per adeguarsi alla situazione per poterne uscirne indenni e, soprattutto, vincitori. 
Che ti succede Nami? Non sei poi così ferma e sicura come quella sera? 
Calda e gelida allo stesso tempo, come il giorno e la notte nel deserto mescolati insieme. 
Lei era così. 
 
 
 
 
 
 
 
All’arrivo della sera la situazione sembrava leggermente cambiata, con le varie agitazioni quasi placate: i due uomini erano quasi rinsaviti, la navigatrice più rilassata e il capitano ripreso dall’ennesimo tentativo di annegamento.
Però, mentre il sole stava portando via con sé tutta la confusione generale di quella giornata, la luna faceva ritorno riportando inquieti pensieri e infinte emozioni, quelle più personali, più segrete. 
Mentre il sole stava tramontando, una piccola testa rossa perdeva l’entusiasmo insieme a quei magnifici colori, come se lei stessa potesse scivolare in basso insieme a lui, trascinandosi nel lato più buio e profondo del mondo. 
Nami, pronta per la serata in paese, alla quale parte della ciurma era già partecipe, usciva da sottocoperta, salutando sia Robin che Sanji, che alla vista della rossa lasciavano il ponte per andare alla festa. 
Fermandosi a guardare Rin, che le dava le spalle, con una strana preoccupazione addosso che non poteva spiegarsi, sapeva che c’era qualcosa che solo lei poteva provare ad aggiustare. Avvertì una strana sensazione di inquietudine, come una pietra spezzata, una ventata gelida o una goccia d’acqua che continuava a scendere lentamente dal rubinetto. 
La mente iniziò a riempirsi di emozioni e informazioni tutte insieme per poi vuotarsi del tutto non appena aveva iniziato a muoversi verso la bambina, senza prima avere avuto modo di riflettere, di pensare a cosa dirle in caso di problema insormontabile. 
Rin, in piedi sul cornicione bianco della Sunny, si reggeva alla fune della vela maestra con il suo braccio ancora ingessato. Capelli rossi di cui solo le punte, che le accarezzavano le spalle, prendevano a svolazzare in quella leggera brezza, un paio di jeans scuri con un top nero che le lasciava la pancia scoperta e la sua immancabile Wado Ichimonji ben ancorata al suo fianco destro - amica inseparabile che custodiva come il tesoro più prezioso. Quello era il suo migliore vestiario, diceva lei, che la faceva sentire più a suo agio. Mai veramente sola, poiché tenuta a stretto controllo da più membri della ciurma, la bambina passava però un momento di grande solitudine e tristezza, dal momento che si trovava anni e anni lontana da casa, ancora prima della sua effettiva nascita, in cui tutto era così vicino ma anche così distante da lei. 
Quando anche Rin si accorse della sua presenza, voltandosi nella sua direzione con la testa, Nami accennò un sorriso. 
“Sei arrabbiata perché non ti ho accompagnata a prendere il gelato?” Scherzò, capendo benissimo che i suoi problemi non potessero certo essere così leggeri, appoggiandosi con le spalle al parapetto, potendola così guardare in volto. “Non sei stata bene con Chopper, Rufy e Brook?” 
La bambina annuì. Ma i suoi occhi erano lontani e la sua espressione indicava che si trovava sulla soglia di un pianto. 
“Eh allora? Mi dici cosa non va?”
Rin continuava a guardare l’orizzonte, puntando sicura il sole che giaceva sulla linea e che le colorava di giallo, accentuando quel loro bellissimo aranciato dei capelli. 
“Con me puoi parlare, no? Oppure è qualcosa che non devo sapere?” 
La bambina la fissava negli occhi con quel luccichio che solo l’amore e l’ammirazione potevano rendere così importante.  
“Quando sono andata via dalla Sunny…” iniziò finalmente a confidarsi dopo l’interrogatorio amichevole ma insistente di Nami, stringendo la fune nella sua mano “quel giorno…” riportò lo sguardo all’orizzonte facendo un respiro profondo e iniziando ad inquietare Nami che ora la fissava realmente preoccupata, con un’attenzione tale da metterle ansia “era papà che aveva la maggiore responsabilità per me…” 
Una lacrima cadde dal suo occhio sinistro, scivolando su tutta la sua calda e piccola guancia rosea mente ricordava di come era scappata dall’imbarcazione, rubato la spada e imbrogliato il genitore. “Sono passati tantissimi giorni da che non sto a casa…” un’altra lacrima, più decisa, più densa, più lenta, andò a posarsi dritta sul parapetto della nave. 
“Rin…” Nami non sapeva proprio cosa fare o cosa dire. Comprendeva la situazione, e concordava con lei sulla gravità di quel gesto irresponsabile e avventato. S’immaginava nel futuro subire uno spavento del genere e, sorprendentemente, nonostante il suo essere madre fosse ancora così lontano da lei, era certa che avrebbe dato di matto. Sua figlia aveva certamente scompigliato le loro vite nel futuro e, innocentemente, creato tanto dolore quanto tanta apprensione con quella sparizione, con quel richiamo di libertà. Ciononostante, non riusciva a comprendere come mai la bambina né stesse risentendo adesso. 
“Vedervi così separati uno dall’altra mi ha fatto pensare che…” tirò su col naso “per colpa mia…papà, starà senz’altro subendo le pene dell’inferno…” le uscì poi tutto d’un fiato.
A Nami si fermò il cuore. Ora era più chiaro. Ora aveva un senso. 
“Mi dispiace così tanto…” si passò il braccio sugli occhi asciugandosi le nuove copiose lacrime. “E se…e se è finita male tra voi per questo mio gesto?” 
Nami era rimasta immobile con gli occhi sgranati. Com’era possibile che si stava ribaltando tutto in così poco tempo? Dove erano finite tutte le sicurezze di Rin su di loro? Lei in quell’ultimo giorno a quelle si era saldamente ancorata per stare bene. E come poteva confortarla proprio lei, dopo che con Zoro era tutto così complicato? Come poteva tirarle su il morale?
Non riuscì a dire nulla, ma quel silenzio freddo non rimase comunque a lungo una distanza. 
“…se è successo qualcosa a causa mia, se ora stanno litigando tutto il tempo per quello che ho fatto, la colpa non è di papà…ma se la prenderà sicuramente tutta, da te.” Rin, che non la guardava per la vergogna di quelle parole, non sembrava cercasse conforto, quanto le interessava solamente sfogare le sue insicurezze, tirarle fuori, affogarle in quella paura, senza badare troppo a ciò che veniva a galla. 
Una paura in cui Nami era sprofondata come il sole sull’acqua. Era colpa sua se litigavano nel presente. Era colpa sua se litigavano nel futuro. 
Era rimasta ammutolita. E, non riuscendo a parlare, a ribattere, si era voltata, aggrappandosi alla balaustra e abbassando il volto su di essa. La luce del tramonto ancora accesa le illuminava i capelli, ma non più lo sguardo che, nascosto dall’ombra di sé stessa, stava cambiando aspetto, era più buio, era come rimasto freddato da una verità difficile da accettare e da capire. 
“Mi dispiace…” continuò a piangere la sua piccola miniatura resasi conto di cosa aveva appena scatenato, “so che…non è colpa tua, mamma!”
“Si, invece…” sospirò piano la rossa, guardando sempre verso il basso con un vuoto che iniziava a diventare sempre più grande nel suo stomaco, riuscendo a vederne addirittura una forma, “è proprio quello che mi stai dicendo, Rin…” 
La piccola continuò a tirare su col naso, conscia del fatto di aver davvero ferito Nami, di averle innestato altre insicurezze su sé stessa o sulla relazione con Zoro. Si punì, cercando di trattenere dentro sé tutte le altre lacrime che spingevano per voler uscire fuori a tutti i costi. 
“No invece!” 
Era riuscita a farlo, era riuscita a fermarle, per lei, per la sua mamma. Doveva rincuorarla e invece si era fatta sopraffare dalla debolezza. Se lo avesse saputo suo padre si sarebbe sicuramente arrabbiato. 
“Sono una stupida!” Strinse maggiormente la fune nella sua manina ferendosi la pelle, ritornando con lo sguardo a fissare preoccupata Nami che, ancora con il capo abbassato, non riusciva a riemergere da una brutta sensazione.
Rin lasciò la presa e scese dalla balaustra, ancorandosi alla madre con le braccia, cercando il suo calore, il suo spirito, e di riportarla indietro, “sono una stupida!” ripeteva. 
La abbracciava così tanto che non aveva intenzione di arrendersi, doveva rimediare. Amava i suoi genitori a tal punto da farsi risucchiare fin troppo da quelle due energie indomabili, enigmatiche e forti. 
“È perché tu sei così protettiva con me…fa parte di te…, per la paura potresti aver detto le cose peggiori…, ma è solo colpa mia se voi due soffrirete e vi ferirete a vicenda. Solo colpa mia…”
“Ho capito…” sospirò Nami, riuscendo a vedere meglio il problema cadutole sulla testa ma non trovando nessuna soluzione ad esso. Lei che aveva bisogno di garanzie, come poteva darle agli altri? Finalmente alzò il capo, rinsavendo da quella orribile sensazione di paura e incertezza paralizzante. Lei sarebbe stata una madre protettiva? Era quindi riuscita Bellemere a lasciarle la sua parte migliore? 
In ogni caso era lei l’adulta in quel momento. Era lei che doveva consolare sua figlia, non il contrario.
“Rin…” si concentrò su quegli occhi tanto simili ai suoi “fai un bel respiro…” 
“Cosa?” 
“Respira.” 
Ricambiò l’abbraccio stringendola a sé dal fianco, per poi riuscire a rimediare un sorriso felice. “Non alleggerire la verità per proteggermi…sono sicurissima che l’ho spedito all’inferno per essersi distratto.” 
Accanto alla zona polena, Nami teneva ora lo sguardo sul ponte, vedendo sbucare da sottocoperta il protagonista della loro conversazione, osservandolo pararsi il viso dall’ultimo raggio di sole con la mano destra, mentre, dopo essersi guardato intorno e aver lanciato loro un rapido sguardo, si era seduto, aspettandole in silenzio. 
Le braccia di Nami stringevano quelle spalle minute e sottili ma solide, che iniziavano a mettere su una piccola massa che la rendeva stabile e forte da destreggiare spade per adulti. 
“Non c’è soluzione al tuo problema, voglio essere sincera…ma ti prometto che ora cercheremo il più in fretta possibile di rimandarti a casa…” provò a rincuorarla mentre la sentiva annuire, senza vergognarsi di aver bisogno della mamma, del suo profumo e di quel tipo di protezione.  
Lo sguardo della navigatrice era ancora posato sul compagno, e le vedeva ancora più chiare quelle sfumature: era la sua salvezza e la sua disgrazia, l’amicizia e l’amore, la protezione, la durezza ma anche il calore, tanto, tanto calore; un pacchetto pieno zeppo di pregi e difetti che lei avrebbe accettato così com’era. 
Titubante sul da farsi, la bambina decise di quietarsi, calmare i nervi; in effetti lo aveva dimenticato, ma questo lo sapeva fare bene. Poteva controllarsi, poteva respirare. 
“Se può consolarti, comunque, sai quante volte l’ho fatto arrabbiare, sentire in colpa o raggirato a mio piacimento? È rimasto al mio fianco lo stesso. Vedrai che supereremo anche questo evento…” 
“Ma sei tu che mi preoccupi e…”
“Un po’ più di fiducia in tua madre, no?” la sorprese con un sorriso raggiante, mentre sghignazzava, stupendo Rin di quella sicurezza che improvvisamente Nami aveva acquisito “sai, ho avuto un’idea!” 
L’abbraccio si sciolse, e la bambina iniziò a fissarla alzando un sopracciglio, in quel modo così identico a Zoro. 
“Hai presente la foto della mia famiglia che c’è nella mia camera? Scommetto che si trova sempre con me anche nel futuro…”
Rin annuì. 
“Scrivi un biglietto alla me della tua epoca, dicendo dove ti trovi e che sei al sicuro, e infilalo dietro alla cornice…non so se funzionerà, non ho idea se siamo collegati in qualche modo, e in questo modo, ma che male fa provarci? Nei momenti più di sconforto io prendo sempre in mano quella foto…tentar non nuoce…”
“lo faccio subito…” 
Alla bambina si illuminarono gli occhi, quando capì di trovarsi davanti un piccolo barlume di speranza… 
Nami sorrise ancora, lieta che un modo per tirarla sù, nonostante la difficoltà dell’impresa, alla fine lo aveva trovato. Non aveva certamente idea se questo avesse o no un senso, ma solamente il fatto di regalarle un briciolo di quel pò di speranza che aveva perduto e che l’aveva immediatamente resa felice, per lei aveva appena significato qualcosa di molto importante. 
“Ah Rin, aspetta…” la fermò con la parola “ti prometto che proverò ad andarci un po’ più piano con lui…per quanto mi è possibile…lo merita un tentativo…e tu meriti di avere meno preoccupazioni per noi…” 
Continuò ad osservarlo seduto sul ponte come suo solito, come in attesa, sapendo che sulla Sunny erano rimaste solo loro due. 
“Lo merita davvero…” biascicò a bassa voce la cartografa, osservandolo gentile mentre si cingeva ad aspettarle un po’ impacciato; seguendo poi Rin che correva serena verso la stanza delle ragazze. 
 
 
 
 
 
Nami, percorrendo la strada dalla zona polena fino alla parte del ponte col prato, con indosso il vestito nuovo - nero, corto con le maniche a tre quarti, perfettamente aderente al suo corpo con la solita scollatura portata con orgoglio e i capelli lasciati liberi - aveva affiancato Zoro che, seduto a terra, occhio chiuso e yukata nero, già l’aveva adocchiata, non riuscendo a reprimere un imprecazione silenziosa che aveva preso vita solo nella sua testa. 
“Smettila di fingere di non guardarmi, Zoro.” 
Nami ora iniziava ad accorgersi di più di quelle invisibili osservazioni del compagno su di sé, che normalmente perdeva per strada - forse perché iniziava a concentrarsi su di lui alla pari di sé stessa. 
Lo vide sorridere, seppur con ancora l’occhio perfettamente chiuso. “Perché mai dovrei guardarti?” 
La rossa incrociava le braccia sotto il petto, fingendo di essere offesa, mentre la brezza leggera le scompigliava appena la frangia sulla fronte. 
“Come se fosse la prima volta…” 
Nami non cambiò espressione, mantenendo visibili tutte le sue sfumature insieme nello stesso momento. E di rimando, lui continuava a sorridere, contento di quel piccolo duello che pensava gli fosse precluso. Aprì l’occhio, voltandosi verso di lei, dovendo nuovamente trattenere un groppo in gola - per quanto cercasse di allontanare i pensieri, il suo corpo reagiva costantemente a quella visione imbronciata, altezzosa e dolce allo stesso tempo, scompigliandogli tutti gli ormoni. Ma non si trattava solo di quel corpo formoso, era Nami stessa a scombussolarlo. Poteva pure indossare una busta della spazzatura, ormai il suo corpo reagiva a lei, al suo profumo, alla sua voce, a quelle espressioni variopinte, dal suo tono freddo, alla sua gioia calda, e, anche, a quel modo particolare che aveva di proteggere Rin. 
“Così”, indicò il vestito con una mossa del mento, tenendo lo sguardo incollato al suo “il cuoco rischia di rimanerci.” 
Nami sorrise sorniona, arrossendo interiormente per evitare di dargli chissà quale soddisfazione. Sapeva benissimo che non era il cuoco il solo che rischiava un malore, però volle andarci piano…e, nonostante volesse mantenere un portamento distaccato, i suoi occhi brillavano da soli. 
“Che è successo con Rin?” 
Zoro non riusciva a capire il motivo per cui si sentiva senza fiato per così poco. Forse gli sembrava che fosse passato fin troppo tempo da quando si erano uniti in un bacio. Così aveva deciso di cambiare argomento prima di finire in una strana conversazione pericolosa. 
“Inizia a sentirsi lontana da casa… noi non ci stiamo impegnando abbastanza per lei, Zoro! Non siamo nemmeno lontanamente vicini ai suoi genitori!” 
Non era ancora la stessa Nami di sempre per lui, tanto ancora la turbava di quella situazione surreale, ma almeno emanava un po’ di quella luce che aveva perduto negli ultimi giorni, e che, ultimamente troppo spesso, dimenticava di avere. E reprimendo ancora ogni suo suo istinto, la lasciò libera dal suo sguardo. 
“Perché non siamo ancora genitori…” 
Nelle loro espressioni indecifrabili si celava in realtà una forte apprensione, dovuta principalmente a quanto accaduto la notte precedente tra loro, ma tutt’al più era anche bello poter comunque andare avanti, in qualche modo, senza doversi per forza affrontare.  
Era stato sul punto di dirle qualcosa che sembrava essere importante, per poi cambiare idea, non riuscendo a farsi avanti per primo e lasciando all’aria quella frase severa, che ricordava sempre la realtà dei fatti e della situazione. 
E Nami lo aveva capito, ma evitò di esprimerlo ad alta voce, sapeva per esperienza che la cocciutaggine e l’orgoglio di Zoro gli avrebbero impedito di parlarne e che quel suo modo così severo era il suo modo di affrontare la verità. Ma tanto non le importava in quel momento che fosse lui a parlare, aveva lei delle domande da fare e una situazione da chiarire. 
“Perché hai esagerato in quel modo oggi?” 
Fu costretto a guardarla ancora. Non era difficile trattenersi, lui non era un pervertito, e non era impossibile nemmeno mantenere saldi i suoi principi, quanto piuttosto decidere di amarla da lontano, senza poter esprimere tutti i suoi sentimenti per non aggravare la situazione. “Umh? Siamo pirati, noi esageriamo…”
“No, perché l’hai fatto proprio oggi, mi chiedo!”
“Perché oggi è un giorno particolare?” 
“Il giorno dopo ieri…dopo ieri notte…dopo la nostra conversazione. Vuoi farmi credere che sia stato casuale?” Ora le braccia le aveva spostate sui fianchi. 
“La tua conversazione vorrai dire…”
“E non fare il bambino!”
“E tu non decidere per me.”
“Se mi dicessi che cosa vuoi…”
“Potrei aver esagerato…ma per colpa tua!”
“Che cosa?”
“Si, diamine, per colpa tua”
“Ma sei scemo?”
Nami si volse a fissarlo con gli occhi spalancati, certa di non aver udito bene ciò che lui le aveva appena detto. Lo vide portarsi una mano dietro la nuca, come faceva sempre quand’era in imbarazzo. 
“Da quando bevi con Sanji, poi?” 
“Ehi “ la indicò con la mano, subito sulla difensiva “è stato lui a disturbarmi…” si alzò in piedi, trovandosi ora faccia a faccia con lei, “lo scemo si era messo in testa di…”
“Di?” 
Lo incitò la rossa avvicinandosi ancora a lui “parla!”
“Aaah…ma lascia stare…quello lì nemmeno lo regge l’alcol poi…” sogghignò come un bambino immaturo, contento di ‘batterlo’ a quella sfida, come se quello fosse motivo di orgoglio. 
Nami alzò gli occhi al cielo, accettando di trovarsi sempre in mezzo a due fuochi fatti di testosterone, per poi però rendersi conto di quanto erano nuovamente vicini; lui con ancora sul viso quella espressione di chi vuole dire qualcosa d’importante ma senza però riuscirci. 
Sospirò, arresa, sapeva che non avrebbe ottenuto ciò che voleva, che non avrebbe avuto il lui totalmente aperto a lei così facilmente. Continuava a non lasciarsi andare, ad essere poco espansivo in fatto di sentimenti, che poi era tutto quello che invece lei stava cercando di insegnare a Rin, ma che certamente non avrebbe potuto insegnarlo anche a Zoro, non era suo compito, e nemmeno sapeva se sarebbe mai stato possibile. Doveva continuare ad essere forte, a lasciare il tempo e lo spazio necessari al compagno per parlare quando avrebbe sentito di farlo, e ne frattempo sperare in un risvolto positivo. Anche se a chi voleva darla a bere, quando mai lei era stata una tipa così paziente? 
Fin quando ci fu un attimo, in lui, nel suo sguardo su di lei, in cui lo vide ancora, nonostante tutto, nonostante la rabbia e la delusione di quei giorni, quel luccichio nel suo occhio in cui nella pupilla si vedeva riflessa lei, in tutto il suo essere. 
Era così dannatamente vicino che sentiva il respiro di lui addosso, troppo controllato, quasi come fosse finto. L’aveva già vissuta quella vicinanza. E aveva già assaggiato quello che poteva offrirle. E come le mancavano quei primi e ultimi baci, che ancora non pensava fossero reali, che aveva condiviso proprio con Zoro. Lui sembrava provare lo stesso, nonostante quel modo imposto di trattenersi fosse così complesso, inscalfibile. 
“Zoro…” 
Quando capì che le loro labbra erano davvero troppo vicine, e sapendo che lei fisicamente non era in grado di avere lo stesso autocontrollo di lui, provò a salvarsi, “non ho cambiato idea, credo ancora in quello che ti ho detto ieri…” 
Lui fu come risvegliato da uno strano effetto ipnotico. Quei baci erano ancora così assurdi, ma allo stesso tempo ora gli era quasi venuto naturale pensare di poter solo chinare la testa su di lei e baciarla come aveva fatto il giorno prima dopo gli allenamenti. Era stato per lui un momento tanto eccitante quanto spaventoso, in quella frazione di tempo in cui, dopo essersi esercitato con la spada per tutta la sera e seguito i suoi rigidi allenamenti, era poi crollato come un ragazzino, cercando Nami per tutta la nave, aspettando indirettamente di baciarla. Ma ora, quel diritto che pensava di aver ottenuto, non esisteva più. Lei aveva messo un fermo, sicura e irremovibile sulla sua scelta. Almeno, così voleva far credere. 
Allontanò il volto dal suo, guardando da un’altra parte e incamminandosi da solo verso la scaletta della Sunny, pronto a sbarcare. 
Dietro di lui, Nami si sentì sofferente e sicura della sua scelta allo stesso tempo, solo che, al contrario di Zoro, lei non riusciva e non provava nemmeno a rassicurarlo, a fargli sapere che era lì, che lo stava solo aspettando. 
Uno sguardo triste si impossessò nuovamente del suo volto, che venne riportato alla realtà solamente dalla mano di Rin che la scuoteva per il fianco, con un accenno di preoccupazione. 
 
 
 
I tre percorsero insieme, inizialmente in silenzio, la strada che li separava dalla festa e dagli amici. Rin, al centro tra loro, faceva da paciere, mentre sentiva entrambi i cuori dei suoi prematuri genitori in tumulto. 
Pieni di un groviglio di emozioni in petto che non riuscivano del tutto a decifrare, i due continuavano a camminare, lui guardando avanti sulla strada senza mai distogliere lo sguardo da essa, e lei che ogni tanto gli dedicava un’occhiata preoccupata. Non avrebbe voluto vederlo nuovamente in preda all’alcol come quella mattina, non per colpa sua soprattutto. Anche se sapeva che in realtà era la conseguenza dell’atteggiamento confuso di entrambi, ma soprattutto di lui, che faticava ad aprisi con lei. 
“Sapete…” 
Iniziò, appena più serena la bambina che, vista la missione speranzosa compiuta poco prima, decise che se non poteva aggiustare le cose nel futuro, poteva provarci nel presente.
“Al mio quarto compleanno, ho conosciuto zia Nojiko…” 
Nami ebbe un mancamento, che Zoro riuscì ad avvertire senza il bisogno di voltarsi. 
“Sei stata a Coco?” 
Annuì. 
“Con tutta la ciurma?” 
“No, solo noi” rispose fiera e felice di rivelare qualcosa di così privato ma che non avrebbe causato oramai danni peggiori di quelli che aveva già fatto. “Quella volta, ricordo che abbiamo navigato fino al mare orientale, siamo rimasti lì per un anno circa, ma a sbarcare a Coco siamo stati solo noi, e siamo rimasti a vivere lì per dei mesi. Non ricordo quanto tempo di preciso…ma è stato così strano sbarcare lì, rammento il come siamo stati accolti! Persino papà è stato abbracciato…anche se non si trattava della sua isola natale…e mi sono sempre chiesta il come mai fossero così gentili con lui. Solitamente la gente scappa a gambe levate quando lo vede…” lo indicò con il dito “per chi non lo conosce ha sempre quest’aria minacciosa…” lo imitò nello sguardo in un gesto che le riusciva così facile. 
Zoro sorrise leggermente, sentendo la verità in quella descrizione, come fosse un vanto dare quella impressione agli altri. Ma un sorriso che durò quanto il tempo di un battito, poiché la ragione lo condusse a smettere subito, consapevole che la compagna non avrebbe risposto a Rin con la verità, e che forse questa cosa l’avrebbe turbata. 
Nami, infatti, era rimasta stranita, e anche un po’ messa alle strette, nel dover affrontare questioni private senza avere il controllo pieno delle informazioni. 
“Sono ospitali a Coco…” aveva biascicato, sorridente, ma sempre con quell’aurea di tristezza a contornarle la frase, senza però insospettire la bambina, che, felice, accennava un ingenuo ‘sì’ con la testa. 
“Ma perché siamo sbarcati solo noi?” 
La cartografa non era riuscita a trattenersi dal chiedere, curiosa, seppur conscia del fatto che avrebbe dovuto continuare a non sapere; doveva smetterla di avere ricordi che nemmeno aveva vissuto. La curiosità era lecita, ma forse le informazioni le impedivano di vivere il presente come avrebbe dovuto. 
Pur sapendolo però, la voglia di conoscere era sempre più grande di lei e non riuscì a frenare la sua domanda. 
Zoro, invece, se né stava in silenzio, non si lamentava ma nemmeno partecipava attivamente al racconto, nonostante l’evidente agitazione dei suoi movimenti - le sue mani erano infossate nelle tasche dello yukata, concentrato sulla strada da percorrere. 
Ma invece la bambina fece spallucce, sorprendendoli entrambi. “Non so…per stare un po’ soli, forse? 
Non importa comunque il motivo, ma ricordo che siamo stati insieme senza gli altri per la prima volta da quando sono nata, ed eravamo lo stesso molto felici.” 
Per distrazione, gli sguardi dei due entrarono in contatto per una manciata di secondi, distogliendoli poi svelti. 
Rin ne sapeva una più del diavolo, con quel suo fare ingenuo del padre ma furbo della madre. 
In effetti, avevano sempre fatto i conti con la loro vita sulla nave, con gli amici, con tutta la routine che conoscevano; questo in un certo modo garantiva una certa comfort zone, in cui non sarebbero mai stati veramente soli. Ma realizzare che loro tre sarebbero stati in effetti un’altra piccola famiglia dentro una famiglia più grande, e che come tale aveva dei bisogni, e viveva di personali momenti speciali, era tutto un altro bel paio di maniche. Significava che loro sarebbero stati soli anche senza gli altri. Perciò il fatto di bastarsi a vicenda all’improvviso era diventato così importante. 
In entrambi vigeva quello stesso pensiero, del come si sarebbe evoluto il loro rapporto, che gli avrebbe condotti in modo definitivo a trovare nell’altro il proprio porto sicuro, che avrebbe retto anche in mancanza della ciurma. 
Loro due insieme, così uniti, come un piccolo nucleo che si separava da una cellula maggiore e si muoveva in simultanea. 
Mentre Zoro realizzava che probabilmente non sarebbe mai più stato solo nella sua vita, pensiero che, per quanto strano, lo faceva sentire bene, Nami capiva che con Zoro al suo fianco, anche in quei momenti così personali come il ritorno a casa, si sentiva al sicuro, dettaglio che non le dispiaceva affatto. 
“Ho capito…” Nami sorrise sincera sotto lo sguardo sbieco dello spadaccino, perdendo quel tono di tristezza che si era per un attimo impossessato di lei “non importa il motivo.” 
Rin ricambiò il sorriso “è stato zio Yosaku a dirmelo…” disse, mentre correva verso Robin e Sanji, avvistati davanti una bancarella, lasciandosi dietro i due poveri malcapitati, che avevano appena sbiancato. 
“Zio…Yosaku?” 
Sgranarono entrambi gli occhi, senza capire. 
 
 
 
La festa di paese che gli abitanti della zona avevano organizzato per quella sera era diventata motivo di baldoria per tutti i mugiwara, miracolosamente non ancora stati banditi in quanto pirati che, stranamente lontani dai guai, ne approfittavano, prima di dover affrontare la prossima situazione problematica. Le intenzioni erano chiare: abbuffarsi e divertirsi insieme come sempre. Liberi in mezzo alla folla e impossibilitati di darsi un freno, soprattutto il capitano e conseguenti elementi chiassosi che prendevano il nome di Franky, Usop e Brook. Tra musica, luci e odori che vorticavano nelle narici di tutti i presenti, Rufy cappello di paglia gioiva allegro, facendo nuove conoscenze, ma con lo sguardo che più si illuminava quando incrociava quello dei suoi amici. 
 
 
“Pensi mai che non sia giusto tutto questo?” domandò improvvisamente Nami a Zoro nel momento in cui avevano cessato di camminare, spostando lo sguardo verso i vari banchetti e bancarelle, fermandolo prima che potesse svignarsela. 
“Penso sia solo un altro scherzo della vita che va affrontato, lo sai” rispose lui, guardandosi ugualmente attorno. “Piuttosto, sei sicura di star bene? Non è che quello che ha raccontato Rin ti ha turbata?” 
Zoro sapeva che quelle continue domande, quei dubbi, che arrivavano nei momenti più delicati, rappresentavano tutta l’incertezza e le paure costanti di Nami. E lui oltre che essere sé stesso, rispondendo ciò che pensava fosse più giusto dire, non sapeva proprio in che altro modo aiutarla. 
Nami aveva distolto lo guardo dalla festa per dedicarlo a Zoro, ma era intenso e sorpreso, stavolta. Si stava domandando con insistenza se il compagno non avesse proseguito verso il banchetto a bere perché in pena per lei. 
“Non so se essere commossa dalla tua preoccupazione o più turbata dal fatto che tu abbia dei sentimenti di questo tipo…” 
Nami scoppiò a ridere di gusto; non lo sapeva ancora, ma era stato per la felicità che quelle parole le avevano scaturito in meno di un secondo. 
Ma lui sbuffò, offeso.
“Lo scemo sono io che ci casco sempre…” 
Fece per andarsene, quando lei lo prese per il braccio, tirandolo forte e decisa verso di sé. 
“Umh? Che vuoi adesso!” 
Avvicinandoselo, e mandando al diavolo tutti i suoi buoni propositi di non toccarlo, gli passò una mano sulla cute, accarezzandogli i capelli con una improbabile delicatezza. 
“Grazie di averlo detto. Adesso sto bene.” 
Lo guardò con un’attenzione delicata, mentre lui continuava ad avere quell’aspetto imbronciato, nonostante quel tocco prezioso avesse sempre l’abilità di quietarlo e irrigidirlo allo stesso tempo. La mano di Nami, come avesse una volontà propria, scivolò sulla guancia e poi sulle labbra, tastandole con il pollice. Avrebbe voluto provarle ancora, in quello stesso istante, ma oltre ad essere così maledettamente strano avere questo fisso desiderio nella testa, era anche fuori luogo, dopo quello che aveva deciso la sera prima. 
“Non posso…” le uscì, quasi rammaricata, come se stesse parlando con sé stessa. 
“Namiii! Zoro!!” 
Una voce e un braccio alzato avevano interrotto quel contatto diventato in fretta troppo intimo. Ormai qualunque cosa succedesse, andava a finire così, non si poteva pensare di evitarlo a lungo. 
La navigatrice, rompendo tristemente quel tocco e facendo scivolare via la mano dal compagno, si voltò nuovamente sulla strada, incrociando lo sguardo di Rufy che, seduto a uno dei tanti folli banchetti, stava divorando cibo a non finire. 
 
“Forza venite!” 
 
 
 
 
La serata era passata a suon di abbuffate, liti chiassose e corteggiamenti ambigui, non solo da parte del cuoco, ma anche dagli abitanti del posto, soprattutto uomini, che non solo avevano innervosito il cuoco stesso, ma anche altri membri della ciurma. 
“Se non la smettono di guardarle, farò una strage…” 
Un cyborg guardingo sospirava a intermittenza, dopo essersi messo in mostra per gran parte della serata, “guarda che fanno proprio quello che fai tu!” lo punzecchiò, alzando un sopracciglio irritato, mentre vedeva il compagno dare lo zucchero filato a Robin. 
La mora, seduta proprio accanto al cyborg, aveva preso il bastoncino tra le mani, ringraziando di cuore Sanji per quell’attenzione sentita, ridacchiando però per il fatto che non l’avrebbe mai mangiato a quell’ora tarda. 
“Non è un po’ fuori luogo adesso?” disse, beccandosi un ‘non è mai fuori luogo la dolcezza dell’amore’ che la fece comunque ridere di gusto e indiavolare Franky, che continuava a storcere il naso. 
Aspettando di vedere il biondino distratto, Robin avvicinò la stecca, piena di soffice zucchero rosa, alla renna che, avendola già adocchiata dall’inizio, fu subito entusiasta della generosità della compagna, gustando il dolce seduto sul suo grembo, in estasi. 
“Dov’è Nami san?” urlava gamba nera come un mentecatto, mentre volteggiava a destra e sinistra con in mano un’altra stecca dello stesso colore e contenuto, destinata all’amica. 
“È andata di là…” gli fece notare Brook, indicando un tavolo poco distante da lì, in cui quella partecipava a una gara di bevute per soldi e non stava certo pensando a lui.
Il capitano, preso da un’improvvisa illuminazione, si accese in viso, “Ah! Ma ho dimenticato di chiedere a Nami quanto dovremmo restare su quest’isola…” bofonchiò per-nulla-ancora-sazio, “io rimarrei per un altro banchetto domani, per poi ripartire all’avventura…”
“Sei il capitano, avresti dovuto informarti subito di queste cose!” 
Rin sbuffò, avvicinandosi a quella tavolata, poggiando le braccia conserte sul legno del tavolo che le tenevano il mento. 
“Che ti prende?” le chiese Robin, in un tono paziente. 
“Mi annoio…” sbuffò ancora “qua nessun ragazzo vuole combattere…sono tutti fifoni. Ah, ma posso assaggiare quello?” indicò il liquore al centro della tavola, che venne però preso al volo da una mano comparsa all’improvviso da dietro e sopra di lei. 
“Questa è mia, ragazzina.” 
Zoro aveva sequestrato la bottiglia svelto, per poi allontanarsi da lì e sedersi su una panca poco dietro. La bambina lo seguì strizzando gli occhi, imbronciata da quell’affronto, “e dai, fammene assaggiare solo un po’…” 
“Fammi capire, hai rubato la mia spada ma non hai mai pensato di rubare una po’ d’alcol, se volevi tanto assaggiarlo?” 
“Ma che razza di insegnamenti dà a sua figlia?”
Mugugnò Usop, passando accanto a loro mentre raggiungeva il tavolo che raggruppava più membri della ciurma insieme, superando così padre e figlia. 
“Non ho la combinazione del frigo…” 
Incrociò le braccia al petto sbuffando, la piccola, cercando attenzioni, mentre notava il verde lanciare uno sguardo furtivo nella direzione di Nami e tornando poi veloce su di lei. 
“D’accordo. Ma solo un po’.” 
Le passò la bottiglia appena stappata, vedendo in lei quella curiosità che era difficile da abbattere. Non appena la sentì tossire le riprese svelto il liquore dalle mani.
“Ti è passata l’idea, adesso?” 
La rossa junior annuì, prendendo posto accanto a lui. “Perché vi piace così tanto questo schifo?” 
Zoro sorrise, riportandosi la bottiglia all’altezza del viso, per poi fermarla che era quasi sulle sue labbra “vi piace?” 
“A te e alla mamma.” 
Anche la piccola si concentrò sulla donna che sembrava essere in testa alla gara, conscia del fatto che avrebbe vinto sicuramente. “Non dovresti proteggerla anziché stare qua a bere solo?” 
“Tsk…” poggiò la bottiglia in terra affianco a lui, incrociando le braccia dietro alla testa “credimi, si sa proteggere benissimo da sola…tu piuttosto, che fai qua, in disparte?” 
Rimasero in silenzio per un po’, un silenzio che entrambi condividevano allo stesso modo, sentendosi comunque a loro agio. 
“Sto bene con te.” 
Zoro le dedicò uno sguardo per poi chiudere l’occhio. 
Stava bene anche lui. 
 
 
 
Nami aveva naturalmente vinto la gara di bevute del paese, dalla quale aveva categoricamente evitato di far partecipare Zoro, che tra l’altro non ne aveva avuto intenzione, per via di tutto l’alcol che aveva ingurgitato la mattina. 
Arrivata alla tavolata dove i membri della sua ciurma si erano riuniti, aveva sbattuto sul legno, e con forza, il sacchetto dei denari che aveva vinto, soddisfatta e felice, ma anche barcollante e completamente in preda ad un forte stato di ebbrezza.
“Ben fatto mio amor…”
Sanji, che mentre la guardava con quel vestito scollato, aveva colto l’occasione per aiutarla a sedersi e coprirla con la sua giacca, non faceva altro che sgocciolare sangue dal naso “come posso lasciarvi?” disse, mentre salutava le donne dall’altra parte della strada e guardava, girando la testa compulsivamente, le sue due compagne, indeciso da chi andare. 
“Vai pure” fu lapidario Franky nel rispondere, spingendolo a buttarsi tra le donne del paese e farsi coccolare da loro. Tutto pur di far sì che togliesse le sue infinite attenzioni da Robin. 
Abbandonato Sanji, Chopper si concentrò preoccupato su Nami “hai esagerato anche tu, oggi…” le prese il polso per controllarlo “la testa come va?” 
La rossa scosse il capo in segno di negazione, con tanto di guance arrossate e occhi a forma di berry. “Sssto  bene …soldi…vvvvinto” 
“Hei, Nami parla come un robot, proprio come Franky, ehhehe” rise il capitano, agguantando l’ennesimo cosciotto. 
Il cyborg, di risposta, lo colpì, rubandogli poi il contorno dal piatto “io non parlo certo come un ubriaco!” 
“Quei soldi mi farebbero comodo visto che ho speso tutto per quel bagno stama…” 
Il cecchino non finì la frase poiché vide la mano Nami prendere il sacchetto e nasconderlo nella tasca della giacca di Sanji che aveva indosso, seppur poggiata al tavolo sconvolta e fiacca. 
“Qu-quali ssssol-di” biascicò, furba. 
 
 
 
 
 
 
 
“Sei arrabbiato con lei?” 
Chiese Rin, mentre cercava di scacciare via la nausea dallo stomaco per via di quella schifosissima bevanda che le aveva sconvolto il palato. 
“Non sono arrabbiato…” teneva ancora l’occhio chiuso. 
“Eh allora, mi dici che cosa non va tra voi?” 
Zoro prese qualche minuto per sé prima di rispondere, non sapeva cosa avrebbe dovuto dirle di preciso, forse perché nemmeno a lui la situazione era così chiara e limpida in cui poter evidenziare il problema dalla superficie. Ma una cosa era sicura per lui, una cosa era certa come la loro stessa esistenza. “Lei…deve credere di più in sé stessa.” 
Rin ci pensò su, non capendo esattamente il significato di quelle parole. Iniziava a sentire freddo, e la nausea non accennava a scomparire. Ma fece di tutto per concentrarsi.  
“Ma lei è straordinaria, è sarà anche più forte nel futuro!”
La bambina si avvicinò di più a lui, cercando di rubare quel calore che, se fosse stata ‘a casa’, avrebbe ottenuto subito, senza problemi. 
Era pensierosa. Non riusciva ad afferrare del tutto la situazione, perché nonostante lei conoscesse il futuro, non sapeva niente del passato. Aveva un potere con un punto debole considerevole. Fintanto che Zoro improvvisamente l’anticipò. 
“Oggi non ti ha accompagnata a prendere il gelato perché ha paura di non riuscire a proteggerti. È stupido!” sospirò, riprendendo la bottiglia di rum da terra “…e di queste decisioni simili, per paura, ne prende a bizzeffe!” riprese a tracannare, aprendo però l’occhio, dal momento che aveva sentito Rin vibrare accanto a lui - d’improvviso alla bambina era venuta come la pelle d’oca. Stava tremando. 
“Stai bene?” le chiese preoccupato, osservandola di sottecchi. Mai come in quel momento rivide Nami in lei, da quella durezza esteriore, alla fragilità di quel corpo gracile, al portarsi sulle spalle un carico pesante di sofferenza che non poteva evidentemente condividere. “Qualcosa che succede nel futuro e che non puoi dire?” 
Rin annuì, con ancora quegli occhi che nascondevano una ferita che aveva intravisto fin da quando era salita a bordo, ma che era impossibile da decifrare. 
“Riguarda Nami, non è così?”
Annuì di nuovo. 
“E il suo istinto protettivo…”
Sgranò gli occhi, voltandosi verso di lui stupefatta di quella constatazione che aveva fatto con tanta tranquillità e sicurezza “come hai fatto a…”
Prima di risponderle decise che era meglio ingurgitare tutto l’alcol rimasto nell’ultima bottiglia che aveva fatto giusto in tempo a rifilare ai compagni. 
“La ferita sulla spalla, il proiettile che ha preso per difenderti… E ho visto come la cosa ti aveva turbata!”
“Non ti sfugge mai niente…” annuì con il capo, “ma come hai detto anche tu, non posso dirti questo…” 
“Lo capisco.” 
 
 
 
 
 
 
“Tran-tranquilli…state trqnu-qui-mmm-lli ora mi riprendooo.” 
Nami era al settimo cielo per aver vinto quella cospicua somma di denaro, pavoneggiandosi ubriaca al tavolo degli amici sostenendo di essere la migliore di tutti loro a reggere l’alcol, rinfacciando la sua bravura anche nei confronti di Sanji e Zoro, che quella mattina erano svenuti come allocchi. 
“Secondo me hai bevuto per dimenticare qualcosa…” Usop approfittò per stuzzicarla mentre non era del tutto sé stessa, mettendola così alla prova. 
“E che cosa?” chiese Rufy divertito, amplificando però la risata del cecchino, che ridendo da solo si reggeva lo stomaco. “è meglio che tu non lo sappia.”
Il moro ricciuto fu però costretto a smettere di ridere quando sentì la compagna grugnire, senza avere però la capacità di alzarsi e menarlo. “S-se ti prendooo” 
“Stai bevendo per non pensare a quel tuo problema, ammettilo!” 
“Ti ammmmmazzoo Ussssop” 
“Mi dite quale problema?” la curiosità di Rufy continuava a non essere soddisfatta, ma tutt’al più non se ne preoccupava molto, contento comunque di festeggiare con gli amici. 
“È un problemino che si chiama…Zoro…” continuò il nasuto imperterrito. 
“Allora non penso che si tratti di un problemino…” s’intromise il cyborg facendo gioco di squadra.
Il cecchino annuì, anche lui un po’ alticcio, soddisfatto di aver catturato l’attenzione.
Dal momento che la tavolata comprendeva non solo la ciurma ma anche gente del posto che gli ascoltava incuriosita da loro, una delle ragazze si intromise. 
“Zoro è quel ragazzo muscoloso che sta con voi?” 
“Si è proprio lui…muscoloso, vero, Nami?” 
“P-p-iantala subito!”  
“A Nami piacciono tanto i muscoli di Zoro, yohohoh…per quello che a me non mi guarda nemmeno, sono fatto di ossa…” 
Per la prima volta la battuta di Brook, mista all’imbarazzo della rossa, aveva suscitato grasse risate ai membri della ciurma presenti, tranne che a quest’ultima.
 
 
 
 
“È ubriaca!” 
La voce di Rin, che osservava la mamma dalla distanza di qualche metro, lo risvegliò dalla sua pace. Aprì l’occhio anche lui, osservandola e vedendola instabile, mentre non riusciva né a stare seduta decentemente, né a stare in piedi, poiché quando provava ad alzarsi barcollava. 
“E ha avuto la faccia tosta di fare la morale a me per stamattina…”
“Lo sai che avete un problema, vero?” lo fulminò la figlia, incrociando le braccia al petto, “durante gli allenamenti non mi fai distrarre con niente. Quindi nemmeno tu dovresti bere.” 
“Io sono l’adulto. Dico io cosa fare!”
“Ma quale adulto…ti ricordo che in questo momento hai appena più di me.” 
“Non esagerare” l’ammonì, ma non era infastidito, richiudendo l’occhio. “Quando sono stato allenato io, non ho bevuto un goccio.” 
“Lo so, da Mihawk.” 
Quello stesso occhio chiuso fu costretto a riaprirsi rapidamente. “Sai tutto, eh?” 
“Non proprio” puntualizzò la piccola, ripensando a tutto quello che invece non sapeva, come il passato della madre “questa parte non è a me che l’hai raccontata, ma ad un’altra persona di cui non posso proprio parlarti, nel modo più assoluto…” sospirò, continuando ad immergersi nei ricordi della sua vita, quelli più cari, quelli più importanti, quelli più pericolosi “c’è una cosa che hai detto a questa persona, una volta, e se ora te la riportassi, potrebbe aiutarti…”
“No” la risposta di Zoro fu fulminea e totalmente inaspettata, “è meglio non sapere nient’altro del futuro.” 
“Ma questa non è esattamente del futuro” lo guardò con fare curioso, attingendo alla sua memoria per cercare di ricordarla per intero, “viene dal passato.” 
 
 
 
 
“Sempre  la solita taccagna…ma dove è andata se non si reggeva in piedi?” tuonò il cecchino, mentre si rialzava dal tavolo, dal momento che i racconti delle sue gesta erano ora reclamati dagli abitanti della tavolata situata dall’altra parte della strada “arrivo subito!” 
“Non riesco più a vederla…in effetti” precisò l’archeologa che si guardava intorno. “Chopper riesci a sentire il suo profumo?” 
La renna chiuse gli occhi e iniziò a concentrare il suo potente olfatto, annuendo subito dopo. 
“È laggiù!” 
 
 
 
 
 
“Ti ho sentito raccontare del tuo primo scontro con Mihawk…e di ciò che ti disse per spronarti a essere più forte. Forse, lo hai dimenticato?” 
“Come potrei” 
Rin continuò a frugare nei suoi ricordi, era difficile ripescare ogni parola di quel discorso che da bambina di soli quattro anni aveva origliato, nascosta nell’agrumeto di Cocoyasi Village. 
“Devi conoscere il mondo. Devi scoprire il vero te stesso.” Le disse Zoro, anticipandola. 
Rin si avvicinò a lui, poggiando la testa al suo braccio, sicura di trovare un appoggio saldo. “Hai però dimenticato la parte più importante…” si lasciò scappare uno sbadiglio “‘per diventare più forte, devi allenare il tuo cuore.’” Quella piccola manina lo strinse forte, facendosi spazio in lui, in entrambi i sensi. Le mancava tanto accoccolarsi al papà la sera dopo cena. 
Esternamente rimase impassibile, Zoro, ma dentro era rimasto colpito. Non aveva dimenticato quelle parole, le aveva solo evitate. E secondo Rin erano il segreto che lo avrebbero poi cambiato nel futuro, o, per lo meno, lo avrebbero reso un padre e un marito amato. Quelle frasi gli avrebbero permesso di vivere una vita a cui lui invece aveva rinunciato per diventare il miglior spadaccino del mondo. 
Non disse niente. 
Ma il suo braccio, in un gesto istintivo, aveva circondando la spalle della bambina. Era strano per lui, ma allo stesso tempo lei lo rendeva così naturale. Quello scricciolo che sentiva fragile sotto di sé, era così simile a Nami, così forte e intelligente, ma al contrario di lei, anche più ingenua e leale, come lui. 
“Ti consiglio però di non fartela soffiare da sotto al naso.” 
Sentì la vocina assonata di Rin vicina al suo orecchio. Confuso da quelle parole si guardò intorno cercando una risposta, dal momento che la bambina era crollata su di lui un secondo dopo aver parlato. 
 
 
 
 
“Un’altra gara dici? C’è un premio?” 
Una rossa barcollante si girava tra le dita il suo solito ciuffo ribelle, mentre si impegnava a mantenere l’equilibrio. 
“No”, rispose l’uomo davanti a lei, “ti ho invitata a bere qualcosa…” 
“Dal momento che è tutto gratis, perché no!” rispose su di giri, prendendo posto a quel piccolo tavolino fuori dal locale, accompagnata da un giovane alto e snello e dalla folta capigliatura nera; occhi verdi come le banconote, per Nami, e un viso piuttosto spigoloso, ma tutt’al più affascinante e galante, almeno per quanto riusciva a vedere con quella sua lucidità fuggevole nella testa che le girava vorticosamente. 
Le era rimasto impresso il viso di quel ragazzo da quella mattina al negozietto che vendeva oggetti di valore, in cui il suo sguardo attento aveva anche avvistato delle pietre preziose che erano state prese per essere mostrate ad una cliente per poi essere nuovamente custodite in cassaforte. E se lei fosse riuscita a colpirlo in qualche modo, magari avrebbe potuto guadagnarci qualcosa. 
“Così ti chiami Nami?” le chiedeva curioso, affascinato da quella figura femminile che aveva davanti, così eccitante, seppur dal comportamento spigliato e mascolino a causa dell’alcol.
 
 
 
 
Zoro, mentre si alzava dalla panca con Rin addormentata tra le braccia, notò i compagni abbandonare il tavolo e raggiungerlo. Robin, con addosso il piccolo dottore, che da sazio non aveva nessuna intenzione di trasformarsi e di camminare, gli era arrivata davanti con un sopracciglio alzato per lo stupore di vederlo in quella veste così premurosa. 
“Ti serve aiuto con la bambina?” chiese, sorridente, accertandosi che fosse addormentata. 
“Si” rispose lo spadaccino, con lo sguardo posato sull’altro lato della strada. 
“Vuoi darla a me?” l’archeologa era così affezionata a Rin che le veniva spontaneo prendersene cura, preoccupando però il piccolo Chopper che non aveva intenzione di scendere dalle sue braccia. La mora aveva però notato che lo sguardo del ragazzo era focalizzato altrove, capendo immediatamente la situazione pochi secondi dopo. 
“Non mi riferivo a Rin” specificò infastidito, ma più che altro sarcastico.  
Zoro si sistemò meglio la piccola addosso, con le gambe a penzoloni sul suo busto. Sentì quelle braccine muoversi appena e abbracciarlo sul collo con il respiro profondo e la pelle che tremava. “Per le bambine è ora di andare a dormire. E intendo tutte...” 
 
 
 
Il verde si incamminò svelto preso da un’azione spontanea, verso quel tavolo che aveva adocchiato, palesandosi con fare minaccioso davanti ai due che lo abitavano. 
Quando Nami aveva poggiato il bicchiere sul tavolo, l’uomo sedutole davanti aveva approfittato per posarle la mano sopra la sua con fare romantico, fingendo uno sfioramento involontario. 
“Oh” aveva esclamato, convinto di trovarsi davanti una persona comune che poteva cascarci. La rossa, che nonostante l’ubriachezza era ancora in grado di capire certe dinamiche, fece finta di credergli, assecondandolo, vedendo solo una gigantesca pietra luccicante al posto del viso dell’uomo che aveva davanti, sentendo però grugnire lo spadaccino arrivato proprio in quell’istante. 
I due rimasero a fissare quella presenza ingombrante, vedendolo immobile davanti al tavolo. Nami stava in silenzio, ma difficilmente stava riuscendo a contenere il divertimento, non vedendolo né andarsene e né reagire. D’altra parte, quell’uomo estraneo era così inquietato dallo sguardo e dal mutismo dello spadaccino, ma soprattutto dalle tre spade che portava al fianco, che si fece intimorire senza alcunché di più di quello. 
La rossa scostò appena la testa e vide che dietro il compagno c’erano sia Franky che Robin con Chopper in braccio, capendo che era arrivata la fine dei giochi ed era ora di rientrare. 
“Zoro…che vuoi?” finse di essere sorpresa, seppur la sua espressione diceva tutt’altro. Ma prima che lo spadaccino potesse rispondere, l’uomo di cui Nami non ricordava nemmeno il nome, era balzato in piedi come per volerla difendere, facendola divertire ancora di più sotto lo sguardo arreso di Zoro, che già aveva capito lo scherzo. 
“Diglielo!” 
Il verde indicò l’uomo, fermando le stupide e inutili parole cavalleresche che avrebbe probabilmente tirato fuori a vuoto mettendosi in ridicolo. “Forza!” 
Ora era Nami a guardarlo stranita, non capendo a cosa alludesse, rimasta in silenzio con un sopracciglio alzato. Fu così che vide quel fastidioso sorriso che conosceva bene sul volto del compagno, quello che tirava fuori quando sapeva di averla vinta, non aspettandosi nulla di buono. “Questa è nostra figlia.” 
Distolse immediato l’occhio da Nami per dedicarlo all’uomo al tavolo con quello sguardo minaccioso che aveva solo lui quando voleva spaventare malamente qualcuno. L’uomo aveva immediatamente sgranato i suoi, spaventato di averci provato con la donna sbagliata, nel momento sbagliato, facendo un torto all’uomo sbagliato. “V-vo-vostra figlia?”, le parole tremanti nella bocca e lo sguardo che continuava a focalizzarsi sulle tre spade, sapendo benissimo chi aveva davanti. “Sei sposata…con lui?” guardò Nami un solo attimo con fare allarmante, probabilmente insultandola in silenzio per averlo messo in quella situazione, a confrontarsi con un pirata di quel calibro, vedendola sospirare fintamente scocciata. 
“Mi dispiace…” biascicò, ritornando a fissare Zoro, per poi allontanarsi veloce dal tavolo in una camminata all’indietro per paura di essere attaccato alle spalle, correndo via il più velocemente possibile. 
Si sentirono le risatine dei compagni dietro di loro, insieme a un “poverino!” di Robin, e un “c’era bisogno di essere così crudele?”di Franky, ma soprattutto seguito da un chiarissimo “Zoro sei un idiota! Stavo concludendo un affare!” 
Nami prese il bicchiere e lo buttò giù, infastidita ma anche estremamente divertita da ciò a cui aveva appena assistito, seppur con una nota di dispiacere per non poterselo godere da sobria. 
“Hai finito di bere e fare la smorfiosa?” 
“Sei geloso?” 
 
 
 
L’alcol le andò dritto alla testa tutto insieme nel momento stesso in cui fece per scendere dalla sedia e, presa da un capogiro, riuscì a fermare per tempo una caduta certa. 
“Sposata con te…quando mai!”, nonostante il suo stato psicofisico allarmante, trovava lo stesso la voglia per stuzzicarlo. “Quindi è così, se qualcuno proverà ad avvicinarsi a me lo spaventerai con la tua pessima fama basata sulla finzione?” 
“Stai farneticando! Riesci, piuttosto, a camminare?” 
“C-erto… c-he no” 
“Beh, fallo lo stesso!” 
“Eccolo…l’ava-avaro maritinoo…e questo sarebbe un matrimonio?”
“Vuoi piantarla?!” 
La rossa aveva fatto capolinea davanti a tutti loro con un braccio sulla testa e uno sul fianco, pronta a cantarne altre quattro, ma la visione di Zoro con Rin tra le braccia, in quella dolce posizione, la investì in pieno, non riuscendo più a punzecchiarlo come avrebbe dovuto.  
“Finalmente ti prendi cura di tua figlia!” 
“Se non la smetti di fare casino starnazzando come al tuo solito, la sveglierai” lo spadaccino indicò la bambina addormentata su di lui con in volto un broncio impacciato. 
La cartografa si tolse, non senza un notevole sforzo, la giacca di Sanji dalle spalle, posandola su quelle della minore. Seppur con gesti instabili e col passo incerto, riusciva ancora ad avere un leggero barlume di lucidità, dedicandole anche una carezza sulla nuca. 
“Dovresti tenerla tu, anche se è del cuoco” digrignò i denti infastidito, senza nemmeno cercare di nasconderlo. 
La rossa fece spallucce provando a camminare in avanti, superandolo, ma una volta lasciato alle spalle l’ingresso del paese fu costretta ad inchinarsi presa da un conato di vomito che però non arrivò mai. 
Lui la squadrò sospirando, capendo che anche lei quella volta aveva superato il limite - sapendo però che il problema era anche l’abbassamento delle temperature. 
Franky avanzò rapido, arrivando davanti a Zoro e, adocchiando la rossa ancora inchinata e incapace di alzarsi, si propose “Dalla a me. La porto al caldo.” 
I due si scambiarono un’occhiata complice e, con un gesto delicato, attento nel non svegliarla, Zoro passò la figlia dalle sue alle braccia del cyborg che, senza necessariamente proferir parola, intimò a Robin di continuare la strada verso la Sunny con lui, lasciandoli soli.  
 
 
 
 
“Se rimani così immobile continuerai a prendere freddo.” 
Nami sentì uno strano calore avvolgerla, e sapeva perfettamente che non dipendeva solamente dall’alcol. Riuscì ad alzarsi, sotto lo sguardo dello spadaccino, che oltre lei, osservava anche i movimenti di Rufy, Usop e Brook, in lontananza. 
“Solo un attimo” la cartografa cercava di riacquistare il controllo della propria mente e del corpo, con una dose massiccia di difficoltà, dal momento che appena chiudeva l’occhio vedeva tutto instabile e confuso. “Mi serve il ba-bagno. Aspett a mi qui…” 
Approfittando di quella che credeva essere la distrazione di Zoro, entrò nella taverna più vicina, scomparendo dalla sua vista e dal suo sguardo costante su di lei che in quella specifica condizione la metteva maggiormente in crisi. 
 
Dopo aver osservato i compagni di viaggio ancora perfettamente in balia della festa, osservato quanto la natura circostante fosse silenziosa rispetto a loro, letto le insegne dei negozi più vicini, il verde iniziò a scocciarsi e a sentire freddo. 
Ma dov’è finita quella? 
Che fosse svenuta nel bagno? In un bagno in cui ovviamente non sarebbe potuto entrare… 
Seccato, avvicinò l’orecchio all’entrata del locale, dal momento che se si fosse sentita male qualcuna l’avrebbe sicuramente trovata. Ma nessun urlo e nessuno schiamazzo allarmante arrivò al suo orecchio. Fintanto che, avvicinandosi ancora un po’, iniziò a sentire delle voci alticce che festeggiavano, e in mezzo a quelle, poté distinguere chiaramente anche quella della compagna. 
Ma non è che…
Impostando la peggiore espressione che poteva regalarle, s’avviò all’interno, valicando la porta di entrata con passo spedito. La trovò a brindare con perfetti sconosciuti che ancora la coprivano di complimenti per aver vinto la gara di bevute, con il boccale nella mano riverso verso l’alto. 
 
 
 
Con un passo avanti all’altro, lo spadaccino avanzava nervoso per il sentiero che portava alla Sunny, con dietro Nami che lo seguiva a stento, barcollando ogni tanto a destra e sinistra, ma divertita dalla scena. Lo aveva fatto proprio arrabbiare con quell’atteggiamento sconclusionato, lasciandolo fuori al freddo ad aspettarla mentre lei era solo fuggita da quella pericolosa vicinanza, continuando a bere. 
Avrei potuto bere anche io“ aveva replicato infastidito mentre la spingeva verso l’uscita. Ma fermarsi ancora lì non era stato più possibile, dal momento che il proprietario stava mandando via tutti per poter chiudere i battenti per quella sera e andare finalmente a dormire. “E piantala di ridere o ti lascio da sola” lamentava continuamente parole poco credibili lo spadaccino, almeno, lo erano per Nami, che continuava a ridacchiare infischiandosene altamente delle sue proteste. 
“Non è successo niente, Zoro!” 
Ma quello non rispondeva nemmeno più, con il viso sprofondato nell’indignazione per averlo lasciato fuori come un cane da guardia. Almeno, fintanto che, quando la compagna, fermandosi d’improvviso aveva ammesso una strana verità, riuscendo a fermare per un attimo la sua arrabbiatura.
“…ho voluto allontanarmi da te…” 
Parole che non lo sconvolgevano tanto per il contenuto, quanto piuttosto per quell’ammissione, e che lo costrinsero a fermare quella falcata senza però voltarsi a guardarla. 
“Quel tuo sguardo costantemente addosso…io…smettila di cercare di guardarmi dentro! Se vuoi sapere qualcosa chiedimela direttamente!” 
Ancora senza voltarsi, sentì i passi barcollanti di Nami spostarsi, avvicinarsi alla parete di una casa, non troppo lontana dal punto in cui avevano ormeggiato la nave; la sentiva muoversi, la sentiva ansimante mentre si reggeva ad essa, con un pugno che aveva battuto per due volte sul muro frastagliato. 
Che stava succedendo d’improvviso? 
 
La motivazione con cui s’era giustificata non era stata accettabile per lui, però quel tono, affatto falso, era servito a quietarlo, almeno nella rabbia di quel momento, anche se non nelle emozioni. E, consapevole della risposta di circostanza, Zoro non replicò, lasciando morire il battibecco prima ancora di iniziarlo, nella notte fredda che li circondava.
Nami aveva però immediatamente già rimpianto quella scelta che più avrebbe dovuto spiegare, ma ancora di più l’aver ceduto all’alcol così tanto quella sera: la testa le girava vorticosamente e non era sicura che sarebbe riuscita a reggersi in piedi ancora a lungo. 
Aveva esaurito ogni forma di energia, anche quelle che non aveva mai avuto, usandole per farsi da scudo a lui, per qualsiasi cosa la tenesse lontana da Zoro. Ormai ogni vicinanza con lo spadaccino era diventata insostenibile, ma soprattutto era lui, con quel fare enigmatico, che non faceva altro che scrutarla quando la sentiva instabile, mandandola fuori di testa. Non voleva che ogni sua debolezza, fragilità, forte emozione fosse analizzata costantemente da quel suo occhio, arrivando a chissà quali conclusioni su di lei. Ma non fece in tempo a rifletterci che, quando sentì il suo corpo cedere, stare per cadere a terra, lasciarsi andare senza più un briciolo di forza nei polsi, sentì una presa afferrarla saldamente per la vita, tenendola inchiodata alla parete che stava per lasciare. 
Spaventata, Nami aprì gli occhi, lasciandosi scappare un gemito accorgendosi che si trattava di Zoro stesso. Un suono che però venne subito soffocato quando sentì la sua bocca sulla propria. 
La rossa si aggrappò a lui in un gesto spontaneo e lo seguì in quel bacio all’istante, senza remore, impossibilitata al combatterlo, dal trattenersi. Al diavolo le luci, il cibo, gli odori invitanti che si stavano lasciando alle spalle. Al diavolo i buoni propositi. Al diavolo la pazienza. Al diavolo la rabbia, perché il suo desiderio di amarlo era appena ritornato preponderante ad impossessarsi di lei. Era troppo stordita per rendersi conto che ci stava ricascando. 
 
Il bacio si sciolse, con tanto di sensazione della loro saliva ancora sulle labbra, guardandosi in quel modo penetrante e concentrato che ormai gli aveva messi nudi uno di fronte all’altra già da tempo, dettaglio che loro ignoravano continuamente. 
“Sei troppo presuntuoso!” 
“E tu sai di alcol!” 
Aveva risposto, entusiasta, passandosi la lingua sulle labbra, per via di quel sapore di liquore mischiato a quello di Nami, mentre lei nascondeva il viso in quel collo maestoso, reggendosi a lui, e cercando da qualche parte una coerenza che aveva perduto. 
Sentì Zoro cercare la sua pelle rosea e calda, costantemente attento però a ciò che sfiorava.  
La strinse a sé con più foga, quasi volesse affondarci in lei, respirandole la pelle, assaggiandola, in un contatto altamente ricambiato, poiché la rossa non era spettatrice o ‘vittima’, ma partecipava famelica, ricambiando i baci sulla pelle, il tocco delle mani che lo stringevano ovunque potevano. 
“Anche tu sai di alcol!”
Lei premeva forte il suo corpo contro quello di lui, voleva sentire ogni suo muscolo su di lei, mentre il pensiero che non doveva permetterlo iniziò ad innestarsi nella sua memoria. 
E Zoro l’abbracciava tutta quella provocante e prorompente femminilità, mentre una voce gli urlava di smetterla, di separarsi da lei, di fermarsi subito. 
Poi, per un attimo, si fissarono in silenzio, con i volti un po’ imbronciati. Sembrava che entrambi avessero vinto l’orgoglio, e quello che avevano ottenuto era infatti già un risultato per loro, ma, nonostante quei continui contatti o sguardi o parole, non avevano del tutto quella certezza, quella sensazione di esserci davvero riusciti. Non ne parlavano, perché in quei momenti andava bene così. L’importante era esser consapevoli di provare quel sentimento reciproco e potersi lasciare andare, pur con la paura o l’imbarazzo che questo comportava. 
Il cuore di Nami aveva tremato forte nel petto quando aveva sentito per un attimo quelle mani forti sulle sue cosce, una ad alzarle leggermente il vestito, e l’altra insidiata più verso l’interno, il tutto per una frazione di secondo, riprendendo a respirare quando aveva capito che Zoro si era tirato indietro.
Nonostante avesse tremato con un groppo rimasto bloccato in gola per la paura, la stessa che Zoro aveva sentito forte e chiara, si avvicinò lo stesso a lui, testarda di voler andare fino in fondo, ancorandosi ancora più saldamente a quel corpo, schiudendo appena le labbra al fianco del suo orecchio, pronta a rassicurarlo “è normale…non devi impedirlo…” 
Ma lui aveva smesso di guardarla, recuperando la lucidità mentre fissava un punto imprecisato sul muro. Ma lei continuava a torturarlo.
“È chiaro che non possiamo più evitarci…” gli baciò una guancia, tirandogli volontariamente la pelle, mentre poggiava le mani all’altezza dei suoi fianchi, “ed evitarlo…” 
Non fu mai interrotta dallo spadaccino che, anzi, l’aveva ascoltata con estrema attenzione. Anche fin troppo in fondo. Aveva lo sguardo stupito e l’espressione imbronciata, però non pareva assolutamente essere dispiaciuto o arrabbiato, quanto in apprensione per la paura di aver appena commesso un errore imperdonabile. 
“Ti prometto che non succederà più.” 
“Ma io non voglio che prometti questo, razza di idiota.” 
“Non sei stata tu a dire di lasciare perdere il futuro e concentrarci sul presente? Io le tue decisioni le rispetto…” 
“Ed è proprio questo il presente, stupido!” 
Ma lui si allontanò da lei, lasciandola scivolare a terra, e, respirando aria fresca, buttava giù per la gola un sentimento e una eccitazione che lo confondevano, scindendo fin troppo le due cose e non riuscendo ad amalgamarle insieme. 
“Rimango sulla mia idea!” 
“E quale sarebbe la tua idea, lo vuoi spiegare?”
“Non ti farò del male…”
“E secondo te questo che c’è tra noi mi farebbe del male?” 
Continuò a proseguire per la stradina, cercando di svignarsela da quella brutta piega che aveva preso la serata.
“Zoro! Maledizione!” 
Ma lui continuò imperterrito ad avanzare, nonostante non gli piacesse lasciare le battaglie a metà. 
“Il nostro sentimento non dipende da Rin, me l’hai detto anche tu..”
È vero, l’aveva detto. E ci credeva effettivamente in tale condizione. Non era stata Rin ad avvicinarlo a Nami, al suo arrivo loro erano già così consolidati, seppur troppo orgogliosi e stupidi per rendersene conto. 
“È così…” disse solo. 
“Allora in che modo dovresti farmi del male?” 
Lui fece un respiro profondo, allo stesso modo di Rin, cercava di quietare i suoi nervi e le sue emozioni all’istante. Spesso perdeva le staffe, ma sapeva comunque gestirsi. 
“Nami…” sentire il suo nome con quella sua voce rassicurante, le rincuorò per un attimo l’anima e improvvisamente si riscoprì essere più tranquilla, “aspettiamo che questa situazione si risolva…” 
“Zoro!” 
“È questo che ho deciso!” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice________________________________
 
Il capitolo più lungo di tutti. 
Non sono stata capace di dividerlo in due. . . non odiatemi per questo! 
Come sempre vi aspetto. 
Un abbraccio. 
 
Robi
 

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Capitolo 22
*** Nel silenzio della notte. O quasi. ***


Capitolo XXII  
Nel silenzio della notte. 
O quasi. 
 
 
 
 
 
 
 
Avvolta nell’oscurità, Nami stava iniziando a recuperare le sue facoltà mentali e, quando riaprì gli occhi, dopo un lasso di tempo che era impossibilitata a conoscere, si ritrovò a fissare il cielo stellato che faceva da sfondo alla polena della Sunny, il luogo preferito del capitano. 
L’illuminazione era appropriata a quella situazione, non dava fastidio agli occhi e si approcciava perfettamente a quel profumo che sentiva sotto al suo naso. 
Era notte, ma non sembrava ancora indirizzata verso l’alba e, senza pensare troppo alla cosa, al come fosse finita lì sul ponte e il perché, la cartografa risollevò di scatto la testa, poggiata sopra una spalla dura, tossendo piano, come per non voler fare troppo rumore. La coperta che aveva addosso le scivolò appena giù dal corpo e qualche strano ricordo iniziò a ritornarle in mente, soprattutto quando vide che quella non era la sua unica fonte di calore, e che non era per il freddo quel brivido che la stava attraversando da testa a piedi. Un brivido amplificato poiché resasi conto che due braccia forti la tenevano stretta in vita, generato da quel risveglio improvviso e dalla sensazione di una presenza accanto a lei. Una presenza che, non solo il suo inconscio aveva riconosciuto dal profumo ancora prima di vederla, ma dal fatto che la stava osservando da lungo tempo, probabilmente anche mentre dormiva, e che, nonostante tutto, rimaneva immobile. 
Voleva chiamarlo, dire il suo nome, chiedere spiegazioni mentre la testa le si riempiva piano dei ricordi della serata, ma la sua bocca era così impastata da non riuscire ad emettere nessun suono. 
“Continua a dormire…” 
Quelle parole sembravano un rimprovero, e provenivano da quelle labbra che erano spaventosamente troppo vicine alle sue. 
Diede un’occhiata svelta alla situazione, all’ambiente, all’atmosfera. Il verde, sotto il suo prosperoso e leggiadro corpo, era seduto come suo solito sul ponte della Sunny, con la schiena poggiata alla balaustra, ma le braccia, che solitamente posizionava dietro alla testa per farsi da cuscino, stavolta cingevano lei, che, a quanto pare, si era completamente assopita su di lui. 
“Non riesco a ricordare granché…”
Ancora un po’ in imbarazzo, era riuscita finalmente a pronunciare qualche parola, dopo vari tentativi, liberando la bocca e potendo dar fiato alla sua indispensabile voce, seppur priva della solita tonalità aggressiva e della sua alta gradazione. La testa era pesante e il respiro poco moderato, ma nonostante queste problematiche non aveva mosso un dito per separarsi da quel bellissimo calore, seppur si rendesse conto di non stare mantenendo i suoi buoni e necessari propositi. E nemmeno quelli di Zoro. 
Ma come erano finiti così? 
Iniziava ad aver paura dei suoi stessi ricordi che prendevano posto nella testa. Dentro c’erano baci irruenti, carezze inaspettate, sensazioni spaventose che la inebriavano, e quella vicinanza con lui di certo non l’aiutava, seppur di staccarsene non ne voleva sapere. Era successo senz’altro qualcosa d’importante che doveva riuscire a ricordare meglio. 
Lo vide girare la pupilla altrove, scocciato come sempre di recente, e nonostante il buio, capace di nascondere le sue emozioni, e nonostante la sua solita riluttanza nel trovarsi in situazioni simili, era sicura di scorgerci un leggero imbarazzo sulle sue gote maschili, anche se, e Nami non aveva bisogno di essere completamente lucida per capirlo, la presa che aveva con le braccia su di lei, rimaneva ben salda e sicura. 
 
Quando posò la pupilla nuovamente su di lei, Zoro guardava intensamente Nami che lo fissava a sua volta, in uno sguardo estremamente teso, più che rilassato, forse leggermente preoccupato, duro anche, ma soprattutto protettivo.  
Era certo che si trovava in quella situazione per colpa di Franky, e anche per un capriccio della rossa, naturalmente, ma quello che si domandava, e che Nami non poteva certo immaginare, era se quella situazione fosse anche un po’ colpa sua, dopotutto. 
Se lui era lì, a farle da materasso, da cuscino, da coperta, da spalla, completamente alla sua mercé, era perché lo aveva voluto anche lui o si faceva davvero manipolare come un babbeo? 
Non ebbe risposta immediata e si rassegnò a sé stesso e alle richieste lunatiche della sua compagna. Lui, comunque, aveva preso una decisione che avrebbe mantenuto, ma che non comportava necessariamente smettere di starle accanto, in fin dei conti.
“Continua a dormire, Nami” 
Sapeva che era assonata, lo poteva scorgere da quel suo sguardo perennemente confuso e stanco. E fu sollevato quando la sentì poggiare nuovamente la testa rossa sulla sua spalla e stringerlo in una presa delicata sui bordi dello yukata nero all’altezza del petto. 
Sospirò rilassato, chiudendo il suo di occhio, ma senza però dormire veramente – perennemente in guardia. 
La serata per lui non era finita, aveva ancora un bel da fare per proteggere ciò che aveva di più caro al mondo: i suoi compagni.  
 
 
 

Sanji non aveva messo la sveglia presto come al suo solito quella mattina, ma nessuno probabilmente si sarebbe reso conto di tale mancanza, dal momento che tutta la ciurma doveva affrontare i postumi della serata passata insieme in paese. Infatti, nonostante ciò, fu comunque il primo a trovarsi in cucina, sospirando allegro e soddisfatto della sua, rivelatasi accurata, previsione. 
Approdato dietro ai suoi amati fornelli, aveva avuto la brillante idea di preparare direttamente pranzo e colazione insieme, cucinando tutto il cibo che avevano a disposizione, poiché tanto avrebbe fatto rifornimento quello stesso giorno. 
Un sorriso strano però il suo, se gli altri avessero potuto vederlo si sarebbero potuti preoccupare. Sorrideva, felice di tagliuzzare mandarini, arance, limoni, tutti aromi che ricordavano Nami, e preparare il caffè per la dolcissima mora. Ma quando poi aveva preso ad occuparsi del cibo dei ragazzi, il suo sorriso riusciva a mutare energicamente. Niente di strano, in realtà, se non fosse che non era un'espressione arrabbiata, quanto rassegnata. 
Quella mattina c’era qualcosa di diverso nel cuoco; che stava forse iniziando ad affrontare una verità che non poteva più evitare? 
Con i preparativi avviati, i primi profumi iniziarono a spandersi su tutta la Sunny, richiamando uno alla volta, ognuno con i suoi tempi, tutti i componenti che l’abitavano. 
 
 
 

Non si sarebbe aspettata di passare un’intera nottata da sola con lui. Ciò nonostante, a dispetto di tutte le paure, aveva come la sensazione di essere stata audace, sciolta nel suo prendere in mano la situazione, essendosi pure divertita. 
Nami sapeva di essersi sentita felice per un certo momento, almeno, più felice di prima. Sentiva che Zoro, nonostante tutto, stava davvero facendo progressi e forse, prima di unirsi a lei, non sarebbe poi passato così tanto tempo come aveva creduto. 
Si svegliò con le membra martoriate e con quel forte pensiero che pulsava nella testa.
Il sole in quel momento era alto e filtrava da sotto la porta insieme a d’un gradevole odore di cibo. 
Aspetta, la porta? Ma sono in camera mia? E come e quando ci sono arrivata? 
In un gesto involontario si passò una mano sul volto arrossato - Nami non avrebbe saputo dire se per l’imbarazzo per certe immagini che le stavano obnubilavano la mente o per i postumi dell’ubriachezza molesta della sera passata - stropicciandosi gli occhi gonfi. Si alzò lentamente col busto, esausta, ancora oscillando, seppur seduta. 
Rimase piegata in due sul letto ancora per qualche secondo, stordita e senza sapere perché si sentisse così agitata a partire proprio da un male che saliva dallo stomaco. Aveva come una brutta sensazione di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire. Allungò il braccio per cercare di raggiungere qualsiasi cosa assomigliasse a un bicchiere d’acqua, talmente iniziava a sentirsi disidratata, ma riuscendo però a toccare solo l’aria. 
Poi, una porta bruscamente spalancata l’aveva distratta dalla sua azione, oltre che farle venire un mal di testa ancora più acuto. 
“Ah, sei sveglia!” 
Rin si era fiondata come un animale senza controllo nella stanza, per recuperare la preziosa sua spada dimenticata sul tavolo. “Colazione, colazione, colazione” gridava entusiasta, dal momento che non riusciva più a trattenere un evidente stomaco brontolante. 
“Rin!” l’ammonì severamente la madre con i denti a squalino “dacci subito un taglio!” 
“Ok” s’imbronciò per due secondi la piccola per poi tornare a sorridere di tutta fretta. Ma la rossa riuscì ad afferrarle il braccio prima di vederla scomparire dalla porta. “Sai per caso come sono finita in questa stanza?” 
La rossa junior ancorò saldamente la Wado al suo fianco nella cintura dei pantaloni, guardando poi la mamma con un sopracciglio alzato. “Ti ha riportata Brook quasi all’alba. Non ricordi niente?” 
 
Nami si alzò goffamente cercando di afferrare il primo cambio che le capitava a tiro e raggiungere la cucina, e, sbadigliando sonoramente, uscì dalla stanza con uno strano umore infastidito addosso. 
Vi trovò i suoi compagni tutti già riuniti - lei a quanto pare era stata l’ultima a svegliarsi - intenti in una discussione poco amichevole che lei aveva interrotto con la sola presenza, dal momento che la sala si era ammutolita all’improvviso. 
“Che diavolo vi prende?” 
La sua voce seccata risuonò nella cucina, silenziando ogni rumore. Allungò subito il braccio per togliere la sedia da sotto al tavolo e sedersi, per usare lo stesso per reggersi la testa dolorante. Nel sedersi, non aveva comunque perso la sua compostezza, accavallando le gambe involontariamente in maniera sensuale, mentre si concentrava nel mettere a fuoco tutte le persone presenti in quella stanza. 
La rossa scoprì Zoro guardarla in modo criptico, terribilmente agitato. Ebbe un sussulto impossibile da non notare, quando quello scambio di sguardi la riportò all’improvviso nuovamente di molte ore addietro con la mente.  
 
 
Le loro labbra unite ancora una volta. Divoratrici di sensazioni. Ma non in strada, non in paese, questo era un’altro ricordo, nuovo, mai visto prima. Loro erano su quel ponte in cui si era svegliata tra le braccia di Zoro, in quella notte tentatrice, affamati uno dell’altra; scomposti, ubriachi, con i corpi ancora caldi, e con lo sguardo colpevole, come chi a parole dice qualcosa ma a fatti ne fa un’altra. 
Due corpi irrequieti, ma pieni di un’amore che aveva bisogno di essere consumato, si strofinavano senza osare troppo, con una volontà di ferro, quella di Zoro, e un senso di colpa verso sé stessa, quello di Nami. 
La stessa che in quel momento si aggrappava a quelle spalle grandi rovesciando la testa di lato lasciandogli campo libero sul suo collo candido, in cui i canini di quell’altro, in un momento di totale debolezza, si fiondarono a violarle per la prima volta la pelle del corpo, in quel modo violento, lasciandogli sopra un segno violaceo. Come era stato inebriante sentire quelle labbra di lui sulla sua pelle, così tanto efficaci che il dolore per la violenza di quell’agguato era passato in secondo piano. 
 
 

Involontariamente Nami si portò la mano proprio in quel punto sulla sua pelle, rivivendo quel momento nello stesso modo di come lo stava ricordando. Le doleva leggermente, ma non le preoccupava affatto questo dettaglio in particolare, quanto le interessava aver visto come la stessa passione che aveva lei, che ormai condizionava le sue emozioni, poteva accecare anche Zoro. 
Lo notò guardarla con insistenza, e forse aveva capito anche lui cosa esattamente stesse ricordando, visto dove si era portata la mano. Era diventato ancora più agitato. E Nami adesso ne aveva intuito il motivo principale di quel suo stato. 
 
Aveva un presentimento, Nami, sentiva che quella giornata aveva di che peggiorare, soprattutto, quando era diventato chiaro che Zoro aveva deciso di punto in bianco di ignorarla volontariamente, guardando altrove. 
Che fosse imbarazzato per quel livido? O per ciò che avevano fatto la notte? Che si sentisse in colpa? 
Il silenzio comunque in sala era rimasto, e Nami era certa che non centrasse affatto il suo livido, d’altronde nessuno poteva realmente farci caso tranne lui. Lasciato perdere Zoro, aveva osservato tutti uno per uno, a partire da Usop, che mangiava la sua zuppa guardando solo il piatto; e poi il piccolo Chopper, distratto con un libro, in cui ci nascondeva dietro la faccia; e Robin, che sorseggiava il caffè, mentre tagliuzzava qualcosa nel piatto di Rin con tutte quelle sue mani; Rufy, con davanti agli occhi una montagna di cibo che lo teneva occupato; Franky e Brook, che si tiravano continue gomitate, con le delle facce colpevoli sui loro volti; e infine Sanji, che la guardava in modo strano, con aria forse fintamente serena, il che non era da lui, e solo quando tutti si calmarono dopo la scenetta sconcia, le servì la colazione barra pranzo davanti agli occhi. 
Era come se tutti avessero fatto un tacito accordo, di non parlare assolutamente della serata e delle sue conseguenze. Ma poi, quali conseguenze, se non provare un devastante mal di testa? Per Nami era come se tutti fossero coscienti di quell’accordo tranne lei, esclusa per qualche stupida ragione dal contratto. 
Quella mattina tutto stava andando nella direzione sbagliata. Dal giramento di testa, alla nudità servita per pranzo, ai suoi capelli lunghi che non riuscivano ad essere ordinati che facevano da contorno di un aspetto poco riposato. E, come se non bastasse, aveva perso il sacchetto coi denari vinti la sera prima, non riuscendo a ricordare dove lo aveva riposto; perduto metà dei ricordi della serata di cui sentiva certe emozioni che non riusciva a catalogare come sogno o verità, che le rendevano difficile ragionare; e, tanto per aggiungere la beffa al danno, i compagni si comportavano in quel modo bizzarro che non riusciva a decifrare. 
Stringeva i pugni stizzita, nervosa com’era, e pessimista anche, seppur non quanto Usop o Robin, aveva già compreso che la sua giornata sarebbe stata una lunghissima giornata, e se è vero che quelli non avrebbero parlato ci avrebbe pensato lei a far sputare la verità ad ognuno!
 
 
 
Dal momento che Franky aveva occupato il suo letto, sdraiato accanto a Robin, che di conseguenza dormiva con Rin tra le braccia, Nami era ritornata rapida sul ponte, in quel buio pesto ma magico, con la testa che vorticava in quella sensazione tra sogno e realtà, sotto un cielo di stelle luminose in una cornice estremamente scura, seguendo la bellezza di quella condivisa solitudine e la sagoma distesa a terra, in quel modo che avrebbe detto “da selvaggio” ma anche estremamente eccitante, di Zoro. 
‘Col cavolo che dormo sola’, aveva pensato la rossa mentre ferma sulle scale lo guardava. Doveva ammettere che lui aveva il suo fascino. A guardarlo in penombra, seppur con quel suo fare rozzo e scomposto, non riusciva a pensare ad altro. Ma certo era che lui si compiaceva già abbastanza di sé stesso da solo, non c’era bisogno che lei alimentasse il suo ego. 
Nella testa di Nami, quella sera, scomparirono già per la seconda volta tutti i limiti che si era autoimposta, tutto quel ‘non devo toccarlo’ andò a farsi benedire da qualche parte lontano da lei. 
Avvicinandosi di soppiatto, si sedette a cavalcioni rapida sulle sue gambe incrociate, gettandogli le braccia al collo e trascinandogli il volto sopra il suo. 
“Nami!” la rimproverò severo, “non stavi andando in camera a riposare?” 
Grugniva Zoro, grugniva come un animale selvatico che perdeva la testa quando si imbatteva in qualcosa di sconosciuto cui era incapace di controllare. 
Nami annuì, mordendogli l’orecchio destro e toccandogli l’altro con le dita, facendo tintinnare i tre orecchini che rimbombavano in eco in quel silenzio notturno. “Si, sono andata fino in camera, in effetti” gli respirò addosso, alzando la testa improvvisamente su di lui e fermando quell’amorevole viso tra le mani, guardandolo attentamente. “Sei così bello stasera!” 
“Sei ancora ubriaca, vedo.” Le fermò i polsi, ricambiando il suo sguardo serio. “Ne abbiamo già parlato!” 
“Ma come…fai il geloso, e poi non ti prendi nemmeno quello per cui hai lottato?” 
“Quel ragazzino? Non era certo una battaglia quella…” 
Sghignazzò orgoglioso, convinto di sé stesso come al suo solito. Le abbassò le braccia sui fianchi, senza però smettere di tenerla buona, mentre sosteneva il suo sguardo. 
Zoro vide affiorare sul volto di Nami un sorriso traditore, rendendo le sue labbra ancora più invitanti. 
“Pompato spadaccino! Vorrà dire che cercherò un avversario più adatto, la prossima volta!” 
Nami sentì il corpo sotto si sé indurirsi e la voce che arrivò subito dopo alle sue orecchie, inasprirsi. “Smettila di giocare con me!” 
“Oh” esclamò sorpresa quando quelle due forti mani lasciarono i suoi piccoli polsi immediatamente per correre sulla sua schiena e stringerla in una reazione involontaria, minacciato da qualcosa che nemmeno esisteva.
 “Che intenzioni hai?” Per la rossa era troppo facile farlo smuovere. Lui non si rendeva minimamente conto, ma era un allocco, poiché bastava una frase, due parole di troppo, e la sua gelosia prendeva il sopravvento. 
L’aveva trovata, quindi, la chiave per farlo scattare in quel tipo di situazione. Sinora le aveva trovate tutte le sue chiavi, tutte tranne che quella, poiché non aveva certamente mai creduto che potesse provare questo forte sentimento nei suoi riguardi. Contro di lui, per manipolarlo, aveva sempre usato l’onore, il criticarlo per non sapere mantenere le promesse, mettere Sanji su un piedistallo, e ora quella, la gelosia per lei. 
Bingo. 
Nami quella sera aveva fatto bingo.  
 
 
 

Zoro avrebbe dovuto prestare più attenzione ai compagni, al cibo, agli odori, ai suoi allenamenti da riprendere con effetto immediato, eppure, ogni suo singolo pensiero, in quel momento, era orientato verso quell’ultima figura entrata nella cucina, che gli aveva appena fatto perdere un’accidenti con quella scollatura sbandierata ai quattro venti, evento che aveva cancellato in pochi secondi l’aspetto devastato dagli effetti della sbornia stampato sulla faccia, lasciando in bella vista quel livido sul collo che lui le aveva stampato involontariamente nel momento in cui pensava di non riuscire a trattenersi più. 
E l’altro pensiero era fossilizzato sul fatto che da lì a poco ci sarebbe stata senz’altro una catastrofe a causa di quel cuoco della malora, che nel frattempo cercava di lisciarsela per bene.  
Non poteva farne a meno, era stato esplosivo per lui lasciarsi un po’ andare quella sera, e, per ora, poteva anche saziarsi così. Per ora. 
Mentre aspettava l’apocalisse scatenarsi, anche la sua mente venne invasa da ricordi e pensieri su alcuni eventi accaduti in quella notte, uno tra questi era estremamente importante per lui: quando aveva fatto un passo indietro. 
 
 
Era tornato per lei, per accertarsi che stesse bene e che riuscisse a camminare, accantonando l’orgoglio da parte per una sola serata. E, nonostante fosse convinto che quella sua sicura e decisa uscita di scena era stata appropriata, poi si era subito pentito, resosi conto che non poteva certo lasciare Nami così indietro da sola, in preda ai deliri dell’alcol, barcollante ed emotivamente provata. 
E sebbene fosse ben consapevole che lei ne sapesse una più del diavolo, e che probabilmente sarebbe comunque riuscita a tornare alla nave lo stesso senza il suo aiuto, si disse che il suo cuore non avrebbe sopportato una simile noncuranza, seppur lui interveniva solo in casi seri di pericolo. 
“Forza, ti aiuto ad arrivare alla Sunny”
“E chi ti ha chiesto niente…” 
“Ma sentila…” 
 
 
 
 
 

In fondo, i festeggiamenti dopo il tramonto erano stati divertenti, soprattutto trovandosi al largo per tanti giorni senza toccare mai la terra di un'isola così accogliente. 
C’era il profumo dell’estate che se ne andava, di un’atmosfera che si preparava rapida all’inverno, saltando l’autunno. Il sole, non caldo, era già alto, risplendendo sull'acqua bluastra rendendola così invitante, seppur fosse sicuramente ghiacciata. 
Cercò di non perdersi d’animo, Nami, pensando a come avrebbe potuto sfogarsi sui suoi compagni, in qualche modo.
Ma, mentre ci rifletteva sù, uscita dalla cucina per prendere un po’ d’aria fresca e pensare a come far parlare la ciurma, affacciandosi sul parapetto che dava sul ponte principale, la sua giornata peggiorò ancora di più. 
“CHE DIAVOLO È SUCCESSO QUA?” 
I compagni continuarono nel loro stato di mutismo assoluto, rimanendo ancora immobili sul posto attorno al tavolo in cucina, mentre sudavano freddo.
 
 
 
 
“Hai sentito cosa ha detto Sanji stasera?”
La sentì ridacchiare, distraendolo dalla concentrazione che aveva mentre le sfiorava le spalle con le dita, in un gesto quasi impercettibile. 
“Ne dice tante di sciocchezze quello.”
Non rispose subito Nami, annusandogli la tempia, strofinandole la sua contro. Ormai ci stava così bene sopra di lui, sotto il cielo a fare da testimone a quegli scambi di strane effusioni, che se Franky non le avesse occupato il letto non avrebbe vissuto. 
Le loro labbra incollate una sull’altra in un baleno, poiché anche sentire il nome del cuoco in un momento delicato come quello, lo faceva ingelosire indirettamente, riappropriandosi di quelli che considerava adesso i suoi luoghi sicuri. Le labbra di Nami erano sempre così morbide, e sapevano di buono, proprio come lo ricordava, anche se poi non è che fosse passato poi molto dal bacio al porto, mentre si lasciavano alle spalle il paese. 
“Secondo te, come è successo, tra noi, senza l’improvvisata di Rin?” 
Vederla sorridere così felice, lo contagiò, provocando un sorriso divertito anche in quel viso quasi sempre imbronciato, regalando a sua volta un’espressione vagamente curiosa alla rossa, che si divertiva a sua volta. Sentiva qualcosa di forte solleticarle lo stomaco e anche il cervello. Che cosa le stava succedendo? 
“Mi avrai ricattato senz’altro.” 
“Ah! Vuoi dire che ti dispiace?” 
“Voglio dire, che una sera hai approfittato del mio essere alticcio per diventare la donna del miglior spadaccino del mondo!” 
“Ma sei serio?” 
“Quindi, che ha detto quel cretino?” 
“Che io ho scelto te quando potevo avere lui.”  
 
 
 
 
Zoro aveva aperto l’occhio a causa di movimenti sospetti nella zona adiacente alla nave, la mano svelta era scivolata sull’elsa delle spade lasciando per un attimo la schiena della compagna che, di reazione nel sonno, mosse appena la testa; ritornando a rilassarsi però in fretta quando vide comparire una testa bionda, un cappello di paglia e un afro, sul ponte, che facevano ritorno dalla festa. 
Scapestrati e su di giri, i tre stavano urlando e cantando canzoncine idiote che intonava Brook, con Usop caricato sulla sua spalla che mimava le parole esausto e applaudiva a singhiozzo, mentre gli altri inventavano dei testi sconclusionati. 
Masticando improperi contro di loro, lo spadaccino grugnì indemoniato.
“E fatela finita!” Gettò immediato un occhio sulla compagna che per fortuna non si era risvegliata. 
“Eccolo, nemmeno arrivati che testa d’alga rompe già” bofonchiò spegnendo la sigaretta e gettandola via dal ponte. “Non ti sai proprio divertire!” 
“Stai zitto, non sai di che parli, idiota!” 
Il capitano aveva superato Sanji, raggiungendo euforico lo spadaccino, seppur sembrasse crollare da un momento all’altro. “Ohi, Zoro! Ho visto un uomo che ti somigliava” 
“Ah sì?” 
“Non trovava la strada per tornare a casa!ehehe” 
Dietro alla testa dello spadaccino si formò una goccia d’acqua, che diventarono due quando il capitano esclamò “ma c’è Nami lì con te” e diventarono tre, quando un po’ più indietro il cuoco implose con un
 “COSAAA?”  
 
 
 
Ad un certo punto si percepiva un'aria malinconica tra loro. Per quanto l'alcol traboccasse ancora nei loro corpi, e la musica da violino del paese era cessata da tempo. 
Ancora una volta così, dopo aver respinto la reciproca eccitazione e voglia di unirsi in un unico amore.
Quella notte, mentre Zoro aveva cercato il più possibile di stare lontano fisicamente da Nami per l’ennesima volta, convinto di poterle fare del male a causa delle sue emozioni che la rendevano instabile ai suoi occhi di samurai abituato ad essere sempre controllato, quindi ad un altro tipo di educazione che gli rendeva difficile capire le altre, e una Nami che invece si allontanava mentalmente per l’ennesima volta da lui, poiché impossibilitata ad accettare di essere esclusa da quella mente e dal quel cuore, poiché lei nata sotto l’idea di amore e condivisione familiare, non riuscendo a capire il perché del precludere l’amato dai propri pensieri, i due riuscirono comunque a fare progressi più maturi.
“Zoro?”
“…”
“Ecco…ormai l’ho capito sai…, anche se ne vuoi stare fuori, tu ormai sei dentro di me comunque.” 
La rossa aveva aperto leggermente la bocca per parlare, per qualcosa che sentiva da molto tempo ma che non riusciva mai a prendere una forma né sotto sembianza di parola né di sentimento. 
Quella cosa che aveva appena detto sconvolse Zoro. Lo stupore nei suoi occhi era chiaro, solo un cieco avrebbe potuto non notarlo e questo le impedì di parlare ancora. 
Non sapeva se far finta di niente, se continuare a guardarlo, se spiegarlo o se dare merito che fosse la stanchezza e l’alcol a giocarle brutti scherzi. 
Ormai la ragazza riusciva a interpretare bene commenti severi del compagno nei loro battibecchi, mentre non si era mai del tutto abituata ai suoi silenzi, che avevano iniziato ad essere sempre più frequenti da quando si erano ritrovati dopo i due anni di lontananza. 
Era sempre stato così tra loro: dialoghi mascherati da diversi significati, quando espliciti, irruenti, quando muti, solidali.
Ma adesso? 
Lei aveva sentito l’urgenza di dire qualcosa in più, di coprire quel silenzio con una verità che stupiva anche lei.
Lo spadaccino si voltò, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi, grattandosi la nuca a disagio, in quel dettaglio che lo riguardava e che lei conosceva così bene. 
Si sentiva fuori posto se si trattasse di esternare a parole qualcosa che non sentiva il bisogno di dire. Lui che era un guerriero, un samurai, uno spadaccino. Ripensò alla frase di Rin, quella di Mihawk, sull’allenare il suo cuore. . .Era davvero così debole da non poter affrontare ciò che provava per Nami?
Quello che sentiva per lei era così primitivo, in un certo senso, ma anche talmente importante da renderlo una persona che migliorava costantemente, che imparava a scendere a compromessi, dalla quale aveva imparato che spesso l’apparenza inganna e che, soprattutto, lo aveva riportato ad essere più sereno con le amicizie femminili, di cui lei, dopo tanti anni, era stata la prima amica dopo Kuina, e che adesso aveva quel potere di riuscire a spaventarlo anche più di ogni avversario che avesse mai affrontato, perché non era allenato per questo, non sapeva come difendersi da questo.  
 
 
 
Quando gli altri erano ritornati alla Sunny, lui aveva una Nami profondamente addormentata poggiata contro il petto, la testa sulla spalla e le gambe sopra le sue nascoste dalla coperta che quella mattina Robin gli aveva dato per asciugarsi.  
Per il cuoco era una bellissima visione, assopita, indifesa, così piccola e delicata se paragonata a quel corpo invece ingombrante del compagno che ne inquinava la vista col suo solo essere. Soprattutto, quando notò, su quel collo scoperto, una chiazza violacea informe, che bastò per incendiarlo. 
“Bastardo!”  
Zoro aveva perso il conto di quanti insulti, squittii, imprecazioni gli aveva già sentito esternare, facendolo innervosire più del dovuto. 
Brook ridacchiava e Rufy si toccava la pancia piena, con le sopracciglia alzate e l’espressione curiosa, dal momento che era la seconda volta in cui lo trovava in situazioni “strane” con Nami. 
“Volete piantarla e andarvene da qua?”
Gracchiò, leggermente imbarazzato ma più che altro nervoso per via del cuoco, che sapeva punzecchiarlo al punto giusto e che non aveva intenzione di sopportare in quella fase da cavalier pedante…
“Certo, così puoi rimanere solo con Nami a farle chissà che cosa, dico bene?” 
“EEEEH?”
“Cosa le hai fatto? Guarda che lo so che non era in sé!” 
Furioso per tali insinuazioni, affatto originali tra l’altro, Zoro scattò in piedi lasciando Nami avvolta nella coperta, tra le braccia di un sorpreso Brook. 
“A parte che non sono affari tuoi, ma Nami non è semplicemente potuta rientrare in camera perché Franky si è addormentato lì!” 
“Cosaaa? Franky dorme in camera con Robin??? AAAAAAAA ma che diavolo sta succedendo su questa nave? FRANKYYYY!!! Maledetto cyborg maniaco approfittatore vieni fuori!!!”  
 
 
 
 

Il ponte della Sunny era letteralmente distrutto: con il prato stracciato, falciato e bruciato; con la balaustra del secondo piano sfondata; la vela praticamente scomparsa.  
Nami lo aveva intuito che quella giornata sarebbe stata un buco nero nella sua vita, e non avrebbe potuto sicuramente migliorare, soprattutto quando vide la sua sdraio disintegrata. 
Rientrò in cucina, trovando i protagonisti di quella scenetta intenti a fare finta di niente, mentre però sudavano freddo allo stesso modo di prima. 
“Tranquilli” decretò convincente, “per il mio bene non ho nessuna intenzione di prendermela a male…” 
Vide gli occhi di Rufy sgranarsi e un sorriso comparire sul suo volto “ah, no?”
“No”rispose decisa e calma, avvicinandosi però in modo troppo sospetto a quelle che sarebbero state le sue vittime. 
Rufy, Zoro, Sanji e Franky finirono a terra tutti allo stesso modo, mandati k.o da quello che aveva appena ribattezzato ‘pugno killer post sbornia’. 
“Ripeto: non lo voglio proprio sapere cosa diavolo vi passa per la testa ultimamente…perché sicuramente se ve lo chiedessi, me ne pentirei amaramente! Non mi frega nulla delle vostre stupide questioni da maschi frustrati…rimettete tutto a posto e aggiustate ogni diavolo di danno che avete fatto…e con i vostri soldi per giunta… mi sono spiegata?” 
“SI” risposero svelti i quattro ancora schiacciati a terra. 
Il cyborg era un eccezione quella volta, mai preso di mira in quel modo dalla rossa come di solito capitava a quei tre.
“Allora è così che vi fa sentire ogni volta…” puntualizzò, pieno di senso di colpa. 
 
 
Franky si era presentato sul ponte, visto che aveva sentito chiaro e tondo il cuoco chiamarlo e insultarlo. 
“Che diavolo vuoi, Sanji?” 
“Chi ti ha dato il diritto di dormire in camera delle donne?” 
“È per questo che mi hai svegliato???” 
Zoro aveva sguainato la spada già da prima, d’altronde era l’unico modo che conosceva che lo aiutava a scaricarsi. 
“Brook porta dentro Nami!” 
“Ma Sanji che succede? 
Aveva chiesto un Rufy confuso, mentre si grattava la testa. 
Vide il biondo voltarsi e indicare lo spadaccino “hai visto quel segno sul collo di Nami? È stato lui a farle del male”
“Zoro?” lo guardò furioso. “Hai fatto del male a Nami?” 
Non sentendo risposta, ma solo vedendo come lo spadaccino inghiottiva un magone bloccato in gola, il capitano scattò rapido infuriato, preparando un pugno e colpendo lo spadaccino dritto nello stomaco, scaraventandolo sulla sdraio della cartografa che venne distrutta in un colpo solo. 
“Ho un capitano deficiente!” Aveva brontolato mentre veniva sbalzato sulla plastica. 
Franky aveva risposto con un raggio laser verso il cuoco, incendiando però parte del prato, dal momento che Sanji, per schivare l’attacco, aveva saltato verso l’alto, ma era talmente brillo, che perse la stabilità in volo, arrampicatosi così alla vela, tirandola giù con tutta la sua forza mentre precipitava a terra. 
“Suuu ragazzi ma siete dei bam umh bambini…che stateeee Uhhg facendo” il povero cecchino era stato abbandonato alticcio sul pavimento a coprirsi la testa ogni volta che vedeva qualcuno venire scaraventato da qualche parte. 
“Stai facendo tutto questo caos per gelosia” aveva ribattuto il robot nervoso di essere stato svegliato. “Mi sono solo appisolato per proteggere Rin”  
“Che scusa patetica” 
“Rufy maledetto…smettila di farti rifilare cretinate dal sopracciglione…non vedi che è solo invidioso”
“Ripetilo” 
“Ma insomma” il ragazzo di gomma finì sul cornicione del secondo piano lanciato da Zoro. “Chi dei due ha ragione?” 
“Stanno minando l’equilibrio della ciurma questi due egoisti ingrati” 
Aveva ribattuto il cuoco, con lo sguardo accecato da quella immagine che gli si proponeva nella testa di quel segno violaceo sul collo della navigatrice. “E solo un selvaggio come te profanerebbe quella pelle diafana, maledetto” 
“Devi smetterla di intrometterti, hai capito?” 
“Zoro hai fatto o non hai fatto del male a Nami?”
“NO! IDIOTA!”
“Ma come hai fatto a non vedere quel livido, stupido capitano inconcludente! Devi proteggere la tua navigatrice da individui come lui” 
Rufy girava la testa tra Sanji e Zoro, confuso.  
“Adesso bastaaaa” Franky aveva preso la rincorsa gettandosi a capofitto sopra Sanji che, cadendo a terra aveva anche coinvolto Rufy e Zoro, finendo tutti spiaccicati sui resti del prato, che era stato stracciato anche con le mani nell’intento di rallentare la scivolata.  
 
Il capitano aveva iniziato a ridersela allegramente, con la schiena sul pavimento in legno e lo sguardo al cielo. “Ci voleva un po’ di esercizio!” 
Anche Zoro si lasciò cadere di spalle alla ringhiera, stressato, ma anche legato alle parole del capitano in modo profondo, concordando con lui. “Zoro che fa del male a Nami che assurdità”, continuava a ridere a crepapelle cappello di paglia “lo sapete, vero, che domani ci ucciderà lei?” concluse, facendo scivolare il cappello sullo stomaco e addormentandosi lì, seduta stante.
“I miei laser si stavano arrugginendo, in effetti” anche Franky era a terra a pancia in giù, mentre singhiozzava come un idiota. 
“Andate al diavolo” 
Decretò Sanji, girandosi su un fianco, esausto per quella serata lunghissima e addormentandosi di conseguenza accanto ad Usop già svenuto.  
 
 
 
 
 
 
“Nami” 
“Umh”
“È lo stesso” 
“Zoro”
“È lo stesso per me”  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice__________________________
Ok. Linea temporale che si capisce, facile da ricostruire, oppure per niente? 
Ho scritto questo capitolo in pochissimo tempo, avendo voglia di sperimentare questa ispirazione di una sera. 
L’ho caricato in fretta (continuo a commettere gli stessi errori, eheheh) per regalarlo ai lettori appassionati che seguono RIN e la commentano entusiasti, ma anche a chi legge ed è preso da questa storia a cui tengo. 
Mi fa piacere leggere recensioni in cui mi fate sapere che amate le stesse scene che amo io, sebbene sia perfettamente consapevole che di strada da fare ne abbia ancora tantissima e che potrei scrivere molto, molto meglio di così. Invece, come al mio solito, mi faccio assorbire completamente dalla trama senza prendermi il dovuto tempo per apportare migliorie di composizione del testo. Come avrete letto anche all’inizio.  
Quindi, si, magari non è perfetta, non è scritta benissimo, ma magari anche con tutti i suoi difetti si riesce a prenderla per quella che è, analizzando le sue piccole parti che la caratterizzano. Non siamo tutti scrittori eccelsi, dopotutto. E questo non deve privare i tentativi che insegnano a migliorare. Ed è così, dunque, spero di riuscire a trasmettere a chiunque di voi che segue la storia, anche solo dei piccoli pezzetti di gioia che possano far sognare, emozionare e quando intristire (positivamente, ovvio). 
 
L’idea di lasciare una storia incompleta troppo a lungo, o pubblicare troppo tardi, non mi fa impazzire, perché essendo sempre stata dalla parte del lettore, so bene cosa significa aspettare. E aspettare tempi infiniti, seppur leciti, spesso fa decadere l’attenzione. In Rin cerco di giocare con i dettagli, perciò se aspetto tanto a pubblicare certe sfumature si perdono e si dimenticano; perciò, che faccio questa scelta di pubblicare rapida e correggere pian piano, in secondo luogo, gli errori di cui mi accorgo. 
Mi piacerebbe tanto sapere da chi segue Rin, se questa ff così semplice, e con tanti difetti migliorabili (soprattutto nei primi capitoli), stia comunque appassionando, anche se lo fa in modo mediocre, e se in qualche modo riesce ad interessare, nonostante, davvero, certi elementi non siano affatto nuovi. 
Io ci provo ragazz* car*, faccio ciò che posso per tirare fuori qualcosa che valga la pena leggere, ma come succede a tanti, un giorno sono entusiasta e il giorno seguente affatto, e mi prende la voglia di chiuderla al più presto possibile per non dover più convivere con questi dubbi. Sono certa che molti tra di voi avete vissuto queste sensazioni. 
Chiudo questa precisazione (pietà), sperando davvero, con tutto il cuore, di riuscire, si, di non violentare troppo i personaggi originali ma, soprattutto, a trasmettervi emozioni ZoNamiste forti e di casa. 
Vi abbraccio. 
 
 

 

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Capitolo 23
*** Gesto d’amore ***


 
Capitolo XXIII
Gesto d’amore 

 
 
 
 
 
 
 
 
Passeggiava a piedi nudi sulla sabbia bianca e sottile, Nami; i sandali lasciati accanto al falò poco lontano da lei a cui stava dando le spalle, lo stesso che avevano acceso quella sera per festeggiare le migliorie sulla Sunny e i progressi di Rin nell’imparare ad utilizzare il suo potere. Ogni scusa era buona per il capitano e fedeli seguaci per piazzare una pira di legno nel minor tempo possibile e dare inizio ai soliti festeggiamenti poco sobri. 
Il lontano profumo della brace mischiato a quella della salsedine le arrivava nelle narici, il rumore del mare nelle orecchie, la pelle era bollente per via dell’alcol che le scorreva nuovamente nelle vene, seppur in minor quantità rispetto alla serata precedente, e il cuore che le pulsava nel petto ad ogni ricordo di ogni sguardo di Zoro.
Dopo la sfuriata in cucina della mattina, con cui aveva steso a terra spadaccino, cuoco, capitano e carpentiere, aveva smesso di avere con lui dei confronti, di qualunque tipo, dal parlarci al litigarci, dallo schernirlo al farsi coccolare. 
A mente più lucida, il ricordo di quello che aveva confessato in quella notte passata le faceva provare una strana sensazione simile alla vergogna, come avesse rivelato qualcosa di così ridicolo, detto alla persona meno adatta di tutte nel riceverlo. 
Si soffermava, di tanto in tanto, sulla riva, senza proseguire, osservando l’orizzonte con sguardo imbarazzato, per via delle sue debolezze palesatesi davanti come a una resa dei conti. 
La paura del cambiamento scalpitava dentro di lei, la sentiva chiaramente crescere di volume. 
 
Tu sei dentro di me. 
L'ho detto per davvero? 
Che stupida!
E che imbarazzo. 
 
Era stato persino più vergognoso di quei baci irruenti e animati che le avevano rubato la pace. 
In quella lunga giornata passata a riflettere su questa confessione, recuperare le memorie di una sbornia e affrontare la verità di Rin, aveva avuto ancora bisogno di fuggire da lui. 
Era davvero così difficile per lei sorreggere quella verità? Era davvero così grande l’attrazione che aveva per Zoro? 
E lui?
Ogni suo spostamento di quella giornata si poteva ricollegare a uno sguardo intenso di Zoro, che lei aveva fatto finta di non notare. E ognuno di questi si collegava a un’emozione. 
Da quanto andava avanti questa premura nei suoi confronti? Da quanto tempo la sorvegliava attento mentre lei non si accorgeva nemmeno? 
Era chiaro che si volessero bene. Ma non era chiara la mole di quell’amore…la proporzione, il volume…e fin dove sarebbe potuto arrivare.
Per Nami amare significava la possibilità di perdere e soffrire. Ma amare era anche tutta l’eredità che Bellemere le aveva lasciato, sacrificandosi per lei, per la sua vita, per l’orgoglio e il vanto di avere una famiglia da proteggere, dimostrando che non c’é vergogna nell’amare qualcuno e ammetterlo. 
Eppure, questa lezione era così chiara nella sua testa, e allora perché metterla in pratica con Zoro e Rin sembrava più dura del previsto? 
Rin…, la sua bambina, la dimostrazione di quell’amore concreto dal poterlo quasi toccare. La sua bambina che a breve sarebbe tornata a casa lasciandole dentro un vuoto che solo quel giorno aveva iniziato a sentire. 
Era riuscita a tornare indietro di due giorni nel passato, e nel momento stesso in cui si era volatilizzata davanti ai suoi occhi aveva perso un battito e le si era gelato lo sguardo. Aveva gioito per la riuscita della prova, aveva festeggiato insieme alla bambina della riuscita della sua piccola impresa, ma dopo si era sentita esplodere, mancare, quasi come scomparire. 
La sua bambina del futuro aveva intrapreso la difficile strada della spada, ingerito un frutto del diavolo così pericoloso per la sua età, ed era ricercata dagli ammiragli della marina. Quanta calma doveva mantenere per far finta che fosse davvero tutto così accettabile? Come poteva digerire il fatto di averla messa in pericolo in quel modo? Come poteva fare i conti con scelte che lei non aveva ancora preso?
 
 
“Non hai mangiato niente!”
 
Roronoa era comparso alle sue spalle, servendole sul piatto la sua ennesima osservazione; mentre lei, in piedi, rimasta immobile per un tempo che non aveva conteggiato, osservava il cielo incantata cercando di scrutare la luna fastidiosamente coperta dalle nuvole per aggrapparsi a quel pensiero e nient’altro, con il cuore che aveva iniziato a batterle forte in petto per quella presenza che si aspettava sarebbe comparsa prima o poi, e che ora stava interrompendo i suoi pensieri. 
Aveva sussultato. 
Ma ormai era diventata consuetudine, non faceva altro che sussultare, soprattutto in quella lunga e interminabile giornata che la stava facendo a pezzi poco alla volta. 
Perché era tutto così dannatamente emotivo? 
Eppure, aveva il dubbio che Zoro, quella notte passata, le avesse dato una risposta, anche se non era proprio in sé per averne la certezza. Aveva forse ricambiato la sua confessione? 
No, era stata solo una illusione.
 
“Mi controlli?”
 
Nami rispose senza esitazione, sforzandosi di non avere un tono sorpreso che però presagiva il contrario. Ma per quanto provasse a nascondere le sue emozioni davanti a lui, era consapevole che imbrogliarlo su questo fronte era praticamente impossibile. Non voleva saperne, infatti, di voltarsi e incrociare quello sguardo, nonostante quell’invadenza non sarebbe cessata così facilmente. 
Zoro non poteva vederla in faccia in quel momento, ma la sua alzata di spalle, in quanto colta alla sprovvista, suggeriva che quell’osservazione l’aveva colpita. 
 
“Sei sicura di star bene?” 
 
Eccola di nuovo, quella premura. 
Come un piccolo flash, l’immagine di loro due avvinghiati sul ponte ritornò fulminea nella sua mente, era così vivida e bulicante di emozioni conturbanti da non poterlo sopportare. Un’immagine che la fece sobbalzare per istinto, senza nemmeno accorgersi e poterlo controllare o nascondere in tempo.
 
“Non dovrei?”
 
Dietro di lei, lo spadaccino rimaneva immobile in attesa di qualcosa che nemmeno lui era in grado di definire. Vedeva quel vestito bianco svolazzare e ricadere addosso alla compagna leggero, conferendole un’aurea di serenità, seppur sapesse per certo che ogni qualvolta avanzavano di nuove emozioni lei cadeva giù, sempre più a fondo. Non sapeva come evitarlo, non sapeva come aiutarla. 
Tra lei e lui, non avrebbe saputo dire chi dei due sembrasse più fuori posto in quella situazione: se una testa rossa scoperta prima donna e poi mamma troppo presto, dallo sguardo spaventato ma fiero, o uno come lui, diventato un uomo che con le sue regole ferree aveva rinunciato alla vita fin da bambino. 
Ma nonostante tutto era certo che quel “sto bene” non lo convinceva affatto. 
Lui l’aveva guardata male dietro alle sue spalle, riluttante del dover sempre accettare questo suo modo di fare, di queste sue piccole bugie che dovevano nasconderla. Zoro era sempre stato sicuro che quello fosse il suo atteggiamento di consuetudine ma per la prima volta iniziò a chiedersi se la sua severità avesse influito in quella scelta di non condividere con lui le sue paure. Forse era stato così inflessibile con lei che non le aveva dato modo di condividere le sue maledette insicurezze per paura di un suo giudizio. 
In effetti, Zoro sapeva di aver fatto fin troppa leva sulle emozioni di Nami, incolpandola indirettamente di averle provate, di aver esagerato nel provarle. Ma lui non riusciva proprio a capirlo un atteggiamento come quello, non era perciò naturale per lui elargire certe concessioni. 
Aveva anche grugnito mentre ci pensava, per poi riprendere a respirare normalmente, come se nulla fosse accaduto nella sua mente, come se non avesse mai avuto un simil pensiero. 
 
Dal canto suo, Nami non poteva certo sapere cosa passasse per la testa del compagno, ma sorridente, aveva udito perfettamente il suo lamento silenzioso, immaginandone l’espressione imbronciata spiaccicata su quel viso brontolone. Un grugnito che, a dispetto della continua reazione lamentosa di lui, a lei faceva ridere, la faceva sentire nuovamente in un posto sicuro, dove tutto aveva sapore di casa, di conforto, di sicurezza. 
Distolse con fare precipitoso gli occhi dall’orizzonte, troppo presa dall’essere elettrizzata per essere riuscita a farlo esasperare ancora una volta, e senza nemmeno impegnarsi. Si portò un po’ impacciata una mano tra i capelli per tirarli all’indietro, pronta a voltarsi per volerlo guardare in viso. Non voleva perdersene nemmeno una di quelle sfumature di quel viso in quel momento, immaginando le vene che gli scoppiavamo in fronte quando non riusciva a capire cosa lei stesse pensando, e i lati della bocca serrati dalla rabbia trattenuta. Sapeva bene che lui detestava essere ingannato, raggirato, e per la maggiore quando lei non era sincera, ma per Nami era impossibile non fare altrimenti, e questo, a suo modo, la rallegrava, perché fin da quando lo aveva conosciuto, aveva sempre significato che lui teneva a lei, nonostante non facesse altro che maledirla o criticarla. Ma le sue parole erano sempre il contrario delle sue azioni, per lo meno, con lei era così. E questo dettaglio la faceva sentire al sicuro. Era incredibile come qualcosa di così apparentemente irrilevante potesse essere invece una sicurezza. 
Ma nel momento stesso in cui si voltò, scontrò il suo volto con il collo del verde che, silenzioso, si era avvicinato abbastanza a lei da coprire qualsiasi distanza ci fosse tra i loro corpi. 
Sobbalzò per l’ennesima volta, Nami, quando sentì quelle due braccia voluminose avvolgerla sotto al petto, in una presa tanto attesa e voluta quanto stretta e sicura, che aveva voglia di dare conforto. 
D’istinto, e come per coprire il disagio, le sue stesse mani andarono a depositarsi su quelle del compagno che l’avevano avvolta, seppur ancora impacciata e sorpresa dal gesto audace e improvviso che non si sarebbe certo aspettata di ricevere. 
Lo spadaccino aveva poggiato la testa accanto alla sua, il cui sospiro arrivava dritto sulla spalla di Nami, non smettendo però di grugnire, come fosse comunque infastidito dalla sua stessa azione, dalla sua stessa volontà. Reazione che ebbe il potere di alleggerire lo scenario quasi romantico, che richiedeva un eccessivo quantitativo di aspettativa e scomodità, trasformandolo in un momento più adatto a loro, che fece riprendere Nami a respirare, sghignazzando appena, entusiasta per quella situazione. 
“Mi spieghi che cosa c’è da ridere?”
Sentì ancora più forte il suo brontolare, con quell’alito caldo arrivarle dritto sulla sua pelle. Nami poteva giurarlo anche senza vederlo, era sicuramente diventato rosso in volto per quello che stava facendo, andando quasi contro la sua ferrea immagine di uomo burbero e indelicato. Continuò a sghignazzare lei, non riuscendo a trattenersi. 
“Allora?” 
Continuò imperterrito a chiedere imbarazzato, staccandosi da lei per quasi un secondo, prima che Nami, bloccandolo all’istante, e trattenendo così quelle braccia muscolose su di lei, rese nullo il suo tentativo di tirarsi indietro, rendendo chiare le sue intenzioni di volerlo così, in quella esatta posizione. “Continua pure a lamentarti, ma rimani”, aggiunse, senza spiegarsi meglio, dato che lui aveva già capito, non discostandosi più da quella posizione, cingendole il busto con la stessa sicurezza di poco prima. 
Era quasi stordito. Combattuto con sé stesso, non riusciva nemmeno a trovare risposte ai suoi quesiti. Si domandava se tutto ciò fosse un gesto da lui, visto come aveva agito seguendo l’istinto. O se fosse lei ad aver bisogno di questi gesti, di questa vicinanza, di sapere che lui era lì, e dunque stava solo facendo quello che lei voleva, trovandosi in una trappola in cui era stato manipolato senza essersene reso conto. In ogni caso, non erano certamente prove che poteva permettersi di fallire adesso, visto che lei aveva bisogno di rassicurazioni. Ma poi a chi voleva raccontarla, era chiaro come il sole che non si trattava del sol bisogno di Nami. 
Rimase avvinghiato a lei, a quel calore fortissimo che emanava, partendo dal suo profumo di agrumi mischiato alla delicatezza del fresco bagnoschiuma alla vaniglia, uniti alla morbidezza della sua pelle che risaltava ancor di più al contatto con le sue mani. Zoro pensava che in fin dei conti poteva concedersi qualche minuto di tregua e bearsi di quel momento, mentre umettandosi le labbra, strofinava il suo naso sulla spalla scoperta di lei continuando volontariamente a provocarle dei brividi sulla pelle che rispondeva a lui in quel modo che gli piaceva sentire. 
La rossa, percossa dalla testa ai piedi da sensazioni inspiegabili iniziava a pentirsi di quel gesto spontaneo; era stata lei a dirgli di rimanere lì, di non andare via, e poteva essere più stupida di così? 
Ma era stato l’istinto a parlare, la volontà inconscia del suo essere che lo voleva lì, ad abbracciarla così, regalandole forti emozioni in quel modo particolare che solo quella specifica persona riusciva a suscitare in lei. Era stranita, poiché non aveva mai sentito il bisogno di ricevere tali attenzioni, a lei bastava solo che gli altri le obedissero quando aveva dei bisogni particolari, quando si trattava di cose che lei non poteva sbrigare da sola, quasi sempre si trattava di missioni che vedevano una ricompensa in denaro. L’idea di farsi abbracciare da un uomo non era mai stata in alto alla sua lista, forse nemmeno ci rientrava. E stavolta non si trattava nemmeno di un abbraccio di uomo, ma di quell’uomo, di un solo uomo in particolare, capace di suscitarle sensazioni ed emozioni e voglie a cui non aveva mai pensato prima, e nemmeno conosciuto. 
Stava immobile, poiché consapevole che se si fosse voltata, se avesse risposto all’abbraccio e fosse finita con il viso su quel petto confortante si sarebbe persa. Era lui quello dell’autocontrollo, quindi era a lui che lasciava la responsabilità delle loro azioni. Era lui quello a cui lasciva le mansioni pesanti, come sempre. 
Erano come due bombe ad orologeria, almeno, lei sicuramente lo era, e dovevano stare più immobili possibili perché un movimento sbagliato avrebbe fatto un danno da cui sarebbe stato impossibile tornare indietro. 
 
 
Impazzito per le reazioni che quei piccoli gesti, insoliti per lui, provocavano alla compagna, unita a quelle seppur impercettibili emozioni che aveva scorto prima, Zoro rimase immobile sospirando pesantemente: sapeva bene cosa provasse la ragazza, lo sapeva fin troppo bene perché lo provava anche lui. Risoluto a parlarne però, preferiva il silenzio, il non detto, l’archiviare i ricordi della sera prima e non affrontarli. Anche se una cosa era sempre più chiara: lui non riusciva più a dominare l’impulso di avvinghiarsi a lei, in un modo o nell’altro. E questa particolare situazione era il risultato della nottata precedente e di come si era lasciato fin troppo andare mandando al diavolo tutte le sue importanti decisioni. Aveva appena capito che continuare a ripetersi “solo per un po’” era stato dannoso oltre ogni limite. 
Si chiedeva se fosse questo che si provava a stare con una donna. O se solo con Nami…che gli causava questa dipendenza. 
Senza pensarci la tirò appena, quasi impercettibilmente, a lui, il tutto mentre faceva una smorfia e mugugnava qualcosa di incomprensibile. 
Nami stavolta non rise, limitandosi a spiaccicare un sorriso sghembo e silenzioso sulla faccia; aveva capito in quel momento quanto fosse difficile per lui, forse anche più difficile che per lei. Mentre dubitava di sé stessa, di lei come madre, o aveva paura di quel tipo di amore, Zoro, aveva altri tipi di affronti davanti a lui, e riguardavano tutti il suo sé interiore, come il non accettare di cedere alle pulsioni, di non poterle controllare e, chissà, se anche il non poter controllare i sentimenti lo facesse vacillare. 
Nami lo sapeva, che lui era l’unico tra tutti che non avrebbe voluto portare sulle spalle questo amore. Proprio lui che “rubava” alla ciurma la propria navigatrice - o almeno, il suo cuore. Questa cosa doveva spezzarlo. E nonostante la sua rigidezza e severità d’animo, a quanto pare lei continuava ad essere qualcosa di troppo potente per potervi rinunciare. 
Lui non la poteva più respingere, e allora si metteva a respingere sé stesso. Non doveva essere affatto facile per lui questa dipendenza.
E solo ora, Nami, iniziava a sentirlo chiaramente. 
 
“Guarda che va bene se non stai bene!” 
 
Aveva detto lui, continuando a strofinare il naso su quella pelle candida, portandola a chiudere gli occhi e bearsi di quel contatto. 
 
“Mi dai il permesso di provare emozioni, Zoro?” 
 
Lo prese in giro, stringendo però la presa sulle sue mani come a voler suggerire qualcosa di sentito tramite il corpo. 
Ma lui era diventato improvvisamente più infastidito, come se si fosse scoperto e lei lo avesse deriso ancora una volta. “Ma perché diavolo ci provo a parlare con te…”, rispose alzando la testa dalla sua spalla. 
“Ehi hei, stai fermo qua…” Nami continuava a stringere quelle braccia fino a pizzicarlo sul dorso della mano. “Sei troppo incostante lo sai? Prima ti preoccupi, poi ti offendi…” 
“Che cosa?” quasi le urlò nell’orecchio “sei l’ultima che può lamentarsi di questo!” 
Quell’istante avrebbe potuto essere anche magico in un certo senso, ma era chiedere troppo ai due protagonisti incostanti. 
“Vuoi piantarla di pizzicarmi la mano…sono qua, non sto andando via!” 
Nami sorrise, aspettando il suo quietarsi e il ritornare a quelle carezze che le scivolavano sulla sua pelle nuda e che si era scoperta di aver bisogno. 
 
Scese il silenzio. 
Lei aveva voltato leggermente la faccia cercando di sbirciare nella direzione di Zoro, come se avesse necessità di vedere il suo viso. Ma le loro guance erano praticamente una accanto all’altra e non riusciva a scorgerne bene l’espressione. Girarsi del tutto era fuori discussione, non poteva permettersi di lasciarsi andare a quel petto forte, ma riuscire a resistere al desiderio di sentirsi al sicuro e protetta da lui era dannatamente difficile. Fortunatamente, il ricordo di quelle parole rivelate la sera prima le fecero provare nuovamente vergogna per sé stessa, così da non andare più a fondo a quello che stava pensando di fare. Ma quella quiete l’aveva disturbata lo stesso, poiché quando si agitava, anche se impercettibilmente, lui lo capiva, e svelto come al suo solito, aveva alzato la testa dalla sua spalla e aperto l’occhio. 
“Parla…”
Attese una risposta che non arrivava, cosicché, facendo particolare attenzione, la fece voltare, ma assicurandosi di non perdere la presa sulla sua vita. Zoro la sospinse ancora verso di lui, come se quella nulla distanza non fosse mai abbastanza per scrutarla, per sentirla. 
Nel momento in cui Nami incrociò finalmente quello sguardo, quel viso, quella espressione seria e profonda che per tutta la sera aveva solo che immaginato, perse nuovamente l’equilibrio, barcollando appena, ma retta saldamente in piedi da lui. 
Bastò un niente come quello e fu persa. 
“Nami?” 
Lo sguardo di Zoro era sempre così duro, che sembrava non darle spazio per soffrire, per amare, per qualsiasi dannata cosa avesse voglia di provare. Eppure, le sue azioni erano così contraddittorie: a lui non sfuggiva niente di lei, e sapeva anche essere delicato mentre la rassicurava con quei gesti che erano senz’altro d’amore, anche se non l’avrebbe mai ammesso. 
“Mi dici che ti prende? Mi hai detto tu di non lascia…”
Non terminò la frase che la rossa aveva appena ricambiato il suo abbraccio, affondando in quel suo petto mastodontico, e firmando definitivamente la sua condanna a morte. 
 
“Ora lo dici cosa c’è che non va? È per Rin? Lo sapevi che sarebbe andata via…era questo il nostro dovere…” si limitò a stringerle le mani sulle sue braccia, come a rafforzare quelle parole, e poiché Nami, pur rabbrividendo, non si oppose, le sfiorò anche la tempia con la bocca. 
Lei assaporò quella carezza così bella quanto così rara, cercando di memorizzarla nella mente. Era stato carino quel bacio. Carino e ingenuo come quando Rufy le aveva misurato la temperatura con la mano. Ma si differenziava in qualcosa. Qualcosa che ancora non riusciva a capire del tutto. Sopraffatta da ogni cosa sentisse dentro, perse la concentrazione, staccandosi bruscamente da lui, e sotto il suo sguardo confuso, iniziò a tirarlo via per un braccio. 
“NAMI!” 
“Andiamo!”
“Ma andiamo dove??? Che ti salta in testa adesso?” 
Nervoso per essere stato interrotto durante un momento di tenerezza sentito, lo spadaccino, costretto a seguirla, aveva i denti a squalino bene impiantati nella sua espressione furiosa e non tanto insolita. 
“NAMI!” 
La chiamava, mentre lei lo trascinava ancora, convinta e rapida, verso quella destinazione ignota che adesso sembrava essere la Sunny. 
“Facciamolo Zoro! Basta rimandare!” 
Lo spadaccino, che stava inquadrando il lontano falò, dall’altra parte della nave, con attorno i pochi compagni rimasti, Franky, Rufy e Brook che cantavano a squarciagola ignari di tutto, ricordando che tutti gli altri erano andati in paese portando con loro la figlia, per poco non venne colto da un malore.
“Facciamo cosa?” 
“Hai capito!  fermò la sua corsa la rossa, appena arrivata all’estremità della scaletta della nave senza però mollare la presa sulla mano di Zoro, mentre riprendeva a respirare.
“Facciamo l’amore! Ora!” 
Quello quasi sbiancò, per poi però colorarsi di mille tonalità che spaziavano dal verde, al giallo, al viola. Spiazzato dalla testa ai piedi da quella stupida, non sapendo se esplodere dalla rabbia, inveire su di lei, insultarla, buttarla a terra col suo peso e prenderla lì su due piedi, o se stare zitto e trattenere ogni cosa gli passasse per la testa. 
“Allora?” continuava imperterrita, senza dar segno di voler mollare facilmente quell’idea, avvicinandosi scaltra e tirandoselo addosso impugnando la stoffa della maglietta blu tra le mani strette. Sguardo languido il suo; guance rosate, per via dell’alcol e del calore naturale del suo corpo quando si agitava o era sovraesposta ai sentimenti; quelle labbra dischiuse al punto giusto e rosee il necessario a rivelare un desiderio più che smanioso per lui. Per lui, Zoro. 
Era fuori di sé più di prima adesso. Come poteva rifiutare ancora tutto quello. Solo un pazzo masochista poteva farlo. Come lui. Proprio come lo era lui. 
Lo spadaccino aveva socchiuso un occhio, per aspettare qualche secondo e respirare, per poi riaprirlo. Era esterrefatto quanto meravigliato, quanto arrabbiato. 
“Solo tu! Dannata donna…solo tu!” non riusciva a comporre più una frase sensata. Non era capace di reagire davanti a lei, a quella proposta. Nami era l’unica che lo aveva annientato, sconfitto, fatto a pezzi. “Ti pare il caso che si debbano dare ordini di questo tipo?” 
La tonalità violacea aveva ripreso il sopravvento sul suo viso. “Non funziona così, stupida!” 
“E come funziona allora, dimmelo tu!” come una gattina che faceva le fusa, continuava ad ignorare il suo sproloquio pieno di agitazione, avvicinandosi a lui e al suo collo, annusandolo. 
“Non così!” 
Quelle labbra le vedeva ancora, non le aveva mai tirate verso l’alto in quel modo verso di lui. Furba Nami. Era maledettamente furba. 
La vide risalire fino al suo mento, pronta a concedergli un bacio. 
Per Zoro era ancora più chiaro come la rossa ignorasse tutte le sue decisioni, alla fine decideva lei, voleva sempre e solo decidere lei. 
“Non solo non rispetti le mie decisioni, ma nemmeno le tue!” 
“Si, si” 
Le sue labbra erano lì, di nuovo sulle sue, a zittirlo, a sigillare quelle promesse che lei non sapeva mantenere, a far tacere quel troppo essere così duro e onorevole con tutti e per tutto. 
Il loro respiro si confuse divenendo un tutt’uno, insieme agli ansiti, alla rabbia di Zoro, al dolore di Nami, al desiderio di entrambi. 
 
“Non mi sembra che ti sia dispiaciuto l'ultima volta che ci siamo andati vicino…” gli disse Nami all’orecchio, mentre la sua mano scendeva ancora una volta verso il basso del suo petto. “Me lo ricordo sai? Quel tuo coso…su di me…”
Bloccandole le mani ancora una volta, Zoro, di tonalità ormai diventata sconosciuta, spalancò occhio e bocca, grugnendo parole incomprensibili tra cui “scema, non chiamarlo coso” e riuscendo ad allontanare le sue labbra da lei. 
“Questa me la paghi, Nami. Giuro che questa me la paghi!” borbottava, lanciando un'occhiata in tralice alla compagna che rideva come una squinternata che aveva esagerato con la bottiglia anche quella sera. 
 
Riuscito ad allontanarsi abbastanza da lei per riprendersi dalla piega della serata, provava a recuperare prima la sua dignità di guerriero inscalfibile, poi la dignità di uomo, visto come quella continuava a dare strani nomignoli al suo arnese, e poi a ritrovare il respiro per quietare il suo bollente spirito che nemmeno riusciva a riunire per intero, mentre si appoggiava a una roccia. 
Una volta calmato, alzò la testa e guardò l’amica di fianco che continuava a ridere di lui, o forse di lei, o di loro, dal momento che quella risata aveva assunto un tono parecchio nervoso. 
“Rin! Lei deve tornare a casa. Lo sai.” 
Allungò il braccio, tirandola per il bordo del vestito bianco che le arrivava alle cosce, portandola nuovamente più vicina a lui, riuscendo in quel modo a zittirla. “Andrà bene, hai capito?” 
Ma Nami, che ancora non aveva proferito altra parola, rimaneva immobile, gelata. Si era fatta trascinare, ma non voleva parlare di Rin in quel momento, voleva solo distrarsi, voleva non dover pensare a quell’imminente e doloroso distacco. 
“Guarda che quando lei andrà via io non smetterò di…” ma lo spadaccino non riuscì a terminare la frase, poiché incapace di utilizzare la parola che ne conseguiva. Sapeva dimostrarla con le azioni, ma non aveva idea di come pronunciarla. “Insomma, lei tornerà…no?”
Nami si risvegliò dal suo stato catatonico, non volendo perdere occasione per stuzzicarlo. “E come potrebbe tornare se tu non ti dai da fare, eh?” 
“MA SEI UNA MALEDETTA STREGA!” 
Riprese a ridere, seppur una risata sempre più flebile, più debole. Troppo difficile riprendersi dal dolore, seppur tormentare Zoro fosse così divertente. 
“La prossima volta brucia all’inferno anziché piangere sulle mie spalle!” 
Avvicinandosi a lui con fare stizzito, la navigatrice dei cappello di paglia poggiò il dito sulla fronte del compagno, guardandolo male. “Ehi! Io non ho pianto sulla spalla di nessuno! Sei venuto tu da me!” 
Spostando il volto a destra, sul mare, lo spadaccino la ignorò, maledicendola mentalmente, e maledicendo sé stesso per essersi preoccupato fin troppo. 
Almeno, fin quando non sentì due esili braccia conficcarsi sotto le sue. 
“Lo so che stai pensando che ti sono piombata addosso per rovinarti la vita, non è vero? Lo so che fai questi pensieri!”  
La voce di Nami era appena incrinata da una strana sfumatura, quasi avesse paura della risposta o di ammettere un altro momento di debolezza. “Qualunque cosa dirai, comunque, sappi che non m’importa…” ammise, arrossendo e strofinando il volto su quel petto che amava, “arrabbiati pure, ma io sono contenta che sia successo…tutto questo, anche se sei l’idiota che sei.”  
Stavolta fu il giovane pirata a sussultare, riportando il capo dove era prima, ma riuscì a non darlo a vedere a lei o ne avrebbe approfittato. 
Era una sensazione straniante quella che lo stava assalendo in quel momento. 
Un sorriso spontaneo gli comparve sul volto, in quel volto che era quasi sempre assopito o severo, o ambiguo. Cosa avrebbe dovuto dirle se non “certo che mi sei piombata addosso per rovinarmi la vita, chi altri è investito di un simile potere?” 
 
Nami si stava beando di quella ben ritrovata vicinanza con lui, che da parte sua non era da meno. 
Entrambi, senza bisogno di eccessive parole, riuscivano a starsi vicini, a proteggersi dal dolore, dai brutti momenti, poiché era sufficiente essere lì, esserci uno per l’altra, a loro modo. La rossa era in pensiero per Rin, era terrorizzata dal non aver fatto abbastanza per lei; persino in quel momento erano Robin, Sanji e Usop ad occuparsi della sua bambina, mentre lei era così distante, presa dalla paura di non sapere prendere con lei le decisioni giuste. Non voleva far capire a Rin che stava male perché aveva realizzato che da lì a poco sarebbe riuscita a tornare a casa. Era stata in grado di tornare due giorni nel passato, due giorni nel passato, diamine! e dopo lo spavento preso, era anche riuscita a ritornare nel loro presente…non sarebbe passato molto a quando sarebbe tornata nel futuro, lasciandosi dietro la scia del suo passaggio. 
 
“É tutta questione di decidere dove vuoi essere…” le aveva insegnato Robin, con i suoi consigli preziosi e le sue attenzioni costanti che l’avevano bene istruita. “È un fattore istintivo, prima agisci e poi rifletti”, anche Rufy, nel suo modo un po’ grottesco ma gentile, aveva contribuito nel formarla. “È fondamentale la costanza e la forza di pensiero!” persino il suo idiota brontolone era stato d’aiuto. E lei? Lei non aveva fatto nulla, se non gelarsi, quando era scomparsa, perdendosi nel silenzio, nel buio, nel vuoto delle sue paure più profonde. 
Rin era la costante più grande in quel momento, secondo la testardaggine di Nami, che la vedeva come unico collante tra lei e Zoro in maniera concreta. Quei baci, quelle carezze, sarebbero potute svanire da un momento all’altro e non ripresentarsi mai più. 
E si sentiva vigliacca per avere questi pensieri, pensando fin troppo a sé stessa anche stavolta. 
 
Zoro, dall’altro lato dell’abbraccio, invece, aveva tutt’altri pensieri in testa. 
Le rivelazioni della compagna della sera precedente avevano influito su di lui, avevano inaspettatamente attecchito come neve fresca sul suolo asciutto. Non sapeva nemmeno spiegarsi come, ma seppur certi sentimenti possano arrivare comunque, sentirlo a parole da quella persona che non è così predisposta ad elargirli, con quella voce e sguardo che racchiudevano sincerità, era tutto un altro bel paio di maniche. Per lui che era un tipo di persona che preferiva i gesti, le azioni, questa era stata una grossa scoperta, e diceva qualcosa in più su di lui. Gli era piaciuto sentire dalla bocca di Nami, a suo modo, dell’amore che provava per lui. Se lui si era radicato in lei, lei si era radicata in lui. Era una sensazione altamente ricambiata…chissà se l’aveva ricordato, Nami, in quello stato di ebbrezza, che anche lui provava lo stesso. 
Ci aveva provato ad ammazzarle quelle pulsioni, ma da dopo quella serata in cui lei si era confidata, aveva detto quelle parole, non riusciva più a privarsi di starle vicino. E non come faceva prima, seduto sempre in prossimità di dove stava lei, quando schiacciava un pisolino proprio dove lei leggeva il giornale, o come l’affiancava in genere standole vicino ma non troppo, e non come cane da guardia, ma come compagno fidato. Gesti che tutt’ora facevano parte di quel legame intenso, ma solo diventati ancora più intimi, e non c’era modo di frenarlo. 
Per lui era già tanto mettere insieme questi pensieri complessi, che già si sentiva stanco e spossato. 
E nonostante volesse darsi un contegno, non riusciva a non preoccuparsi per lei. Aveva capito, se non tutto, almeno una gran parte di ciò che affliggeva Nami. Ma come aveva già pensato, non sapeva in che altro modo aiutarla poiché erano i suoi demoni, e doveva affrontare da sola le sue paure. Zoro sapeva che solo gli eventi sarebbero stati in grado di farle aprire gli occhi. Lui avrebbe potuto solo rassicurarla, farle sapere che lui c’era, era lì accanto a lei, e prima o poi Nami lo avrebbe visto per davvero. 
Stupida quando si ostinava a voler credere che solo concretizzando fisicamente la loro unione, lui sarebbe rimasto con lei anche senza Rin. Oppure, che pensava che quello fosse il modo per mettere un cerotto sulle sue insicurezze. 
Magari lo sarebbe anche stato, fino ad un certo punto, magari avrebbero sprigionato solamente la loro passione. Ma lui l’amava troppo per rischiare con lei, senza avere la certezza che non si sarebbe spezzata di più. Ma Nami era forte, e insieme avrebbero superato anche questa distanza e avrebbero consumato il loro amore in un momento in cui tutto sarebbe stato più chiaro, più confortante. 
 
 
 
Un boato enorme echeggiò nell’aria. 
Tra lo sfrusciare degli alberi, e le onde che si infrangevano con più irruenza, i due piccioncini furono costretti a rompere quell’abbraccio guardandosi in occhi allarmati. 
 
Qualcuno urlò qualcosa che non riuscirono a sentire bene, una voce conosciuta e non molto lontana da lì. Una voce che stava come muovendosi, arrivando ansimante davanti a loro. Era Franky. Era agitato. 
Nami si staccò da Zoro, che a sua volta era già scattato in piedi, con il cuore che senza ancora capire il perché aveva iniziato a battere forte. 
“Sanji ha chiamato col lumacofonino” gli serviva tempo per un respiro ma vedendo l’ansia comparire sul volto di Nami, continuò “la Marina è arrivata nella notte su quest’isola. Qualcuno deve aver parlato di noi…c’è… c’è…Akainu…” 
Gli occhi della rossa divennero sgranati della grandezza di due palle di Natale, il tutto amplificato dalla presenza del capitano dietro le spalle del cyborg, con sguardo perso nel vuoto dalla rabbia che quel nome gli procurava. 
“Dov’è, lei?” ringhiò la rossa, incapace di gestire le emozioni, “dov’è Rin?” disse, pur sapendo benissimo che stava con il gruppo di amici in paese, rivelando una voce spezzata.
“Sanji ha detto di preparare la Sunny alla partenza!”  
D’istinto, il capitano, senza dire una parola mosse le gambe, quasi pronto a correre come un forsennato verso il paese. Gesto che venne prontamente fermato da Zoro, che risoluto e con la mente più lucida, captò l’intento rabbioso del capitano e il terrore della campagna. “Stiamo calmi!” Tenne Rufy più forte che poté, con l’aiuto di Franky che, notando la difficoltà nel tenerlo a bada, contribuì con la sua forza. 
“Lei è al sicuro, non la riconosceranno certamente!” diceva invece a Nami, caduta nuovamente in uno stato catatonico. 
La navigatrice, si sentiva perduta. Stavolta non sarebbe stata a guardare gli altri salvare sua figlia. Stavolta l’avrebbe protetta lei, lei, con tutta sé stessa. Si sentiva messa con le spalle al muro, ma soprattutto in preda alla paura più nera. Se le fosse capitato qualcosa, avrebbe distrutto per sempre sé stessa, ma anche i Nami e Zoro del futuro. E non poteva permetterlo. Era un peso grande quanto un pianeta quello che le era caduto addosso. Ma soprattutto, l’amava così tanto quella bambina, che fin dalla prima volta che l’aveva vista, il suo cuore si era come unito al suo. 
Poteva aspettare l’aiuto di Zoro, certo, ma avrebbe fatto in tempo, prima che quel mostro di un marine sanguinario avesse potuto farle del male? 
Nel momento in cui Zoro si voltò nuovamente su Rufy, la navigatrice, accecata dalla paura, ma ancora di più, governata dal suo istinto materno, iniziò una corsa che nessuno dei suoi compagni in quel momento avrebbe fatto in tempo a far cessare. 
Non vide nemmeno l’espressione sulla faccia di Zoro, perché se si fosse voltata, forse avrebbe frenato, forse avrebbe riflettuto, forse avrebbe cessato di correre e farsi governare dai suoi istinti. Se avesse guardato il volto di Zoro in quel momento, costretto a scegliere, in un certo senso, tra lei e il suo capitano, si sarebbe senz’altro spaventata, poiché sul volto di Zoro, un’espressione così, dilaniata dal terrore, non c’era mai stata. 
 
 
“NAMI! 
MALEDIZIONE A TE!” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_______________________________
Ciao carissim*, vi sono mancata? O meglio, vi è mancata Rin? A me un po’ si, in effetti. Avevo proprio voglia di scrivere un nuovo capitolo. 
Mi dispiace che, dopo avervi detto che volevo aggiornare velocemente poiché so cosa si prova a dover aspettare, ho invece fatto il record (il mio almeno) di ritardo aggiornamento! Ma purtroppo sono stata sommersa di impegni inderogabili, e nemmeno a dire che ne ho scritto un pezzo al giorno così da caricare un capitolo ben lavorato…no, anche questo viene tutto dall’ispirazione di oggi, tutto in una sera, anche per questo non è lungo come i soliti, credo. 
Inizio già col preannunciavi che ci siamo, ci stiamo dirigendo verso la conclusione della storia, anche se non saprei fare un pronostico esatto dei capitoli rimanenti, forse cinque, forse sei, compreso questo. 
 
Ps: ho forse fatto sembrare Zoro un po’ uno stalker, ma no, poverino, non lo è. Difetti ne ha tanti, ma questo no..., si preoccupa veramente, ma Nami poi lo fa pentire subito. :P 
 
Spero vi sia piaciuto 
&
prometto che aggiornerò presto con le vacanze alle porte. 
Un abbraccio a tutt*
Roby 
 

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Capitolo 24
*** Qualcuno da proteggere ***


Capitolo XXIV 
Qualcuno da proteggere 

 
 
 
 
 
 
Era paralizzata.
Riusciva a stento a respirare, figurarsi parlare o muovere il corpo. Assalita dalla rabbia per via di quell’agguato vigliacco indirizzato a una delle persone a lei più care, e senza nemmeno rifletterci a lungo sopra, era corsa contro l’assalitore della mora senza porsi deboli quesiti sul fatto che poi sarebbe potuta crollare al suolo esausta. Non aveva riflettuto abbastanza, non aveva coordinato i movimenti, poggiando per troppo tempo tutto il peso della spada sul braccio sano, portandosi da sola allo sfinimento. E questo, lo sapeva, era senza dubbio un tratto che irreparabilmente condivideva con i genitori. 
Infatti, la sua avventatezza, l’aveva da subito incastrata in una trappola: dopo aver abbattuto l’uomo, un soldato di livello superiore, si era trovata in un faccia a faccia con un’altro nemico, l’unico che non avrebbe potuto sconfiggere, nemmeno se non fosse stata così ammaccata com’era, Akainu.
L’uomo freddo e dallo sguardo calcolatore fece un movimento sospetto allarmando i presenti, ma, con sorpresa, aveva invece preso per il colletto della camicia un suo sottoposto, alzandolo all’altezza del suo volto.
“Vuoi farmi credere che questa mocciosa ha messo k.o il mio plotone?” 
L’uomo spaventato stringeva i denti tremanti, annuendo sicuro di ciò che aveva visto, venendo però scaraventato a terra dallo stesso, per non aver saputo difendersi da una pulce. 
“Allora?” disse il marine riguardando quella bambina negli occhi “Tu chi diavolo saresti?” 
 
 
 
Parte dei cittadini che abitavano il paese si lasciarono andare a grida di spavento e altri si rifugiarono sotto ai tetti delle case, temendo per la battaglia imminente. Diversi calcinacci si trovavano ora a terra, caduti dalle pareti poiché qualcosa stava creando un certo scompiglio in prossimità del porto.
I resti di alcune mura avevano rivelato la forza di una figura minuta che con una spada sguainata aveva affrontato numerosi soldati della Marina, uomini più grandi di età e di stazza, che venivano abbattuti con una destrezza e facilità impressionabili. Non era alta, e nemmeno imponente, ma grazie alla sua determinazione e spirito combattivo era capace di rubare la scena e tenere testa a intere divisioni nemiche. 
C’era stata una differenza sostanziale nelle reazioni di quegli uomini: i primi sottoposti avevano naturalmente sottovalutato e screditato quella mocciosa alta un cecio, dalle braccia e gambe esili; i secondi si erano irrigiditi e dato fiato alla rabbia per via di quell’affronto umiliante, vedendo come la stessa era riuscita ad abbattere più uomini insieme; e gli ultimi avevano iniziato ad averne timore, capendo di non poter più ridere di lei e di non stare così tanto al sicuro. 

Ma, nonostante la prestanza e la resistenza fisica, rimaneva pur sempre una bambina, che, in mancanza di aiuto, iniziava a stancare il fisico, a perdere lucidità, tra l’altro con quel braccio ancora ingessato che supplicava pietà. Ne aveva abbattuti così tanti di soldati, che il sudore iniziava a scenderle copiosamente dalla fronte, con le mani diventate scivolose che perdevano aderenza sull’impugnatura della spada. “Accidenti!” Aveva sibilato dalle sue labbra aperte. “Perché non sono più forte?” 
Una persona urlò, quando un fendente di un’arma appuntita sembrava stesse per trafiggere la bambina guerriera nell’addome, proprio nel momento in cui aveva abbassato la guardia, ma grazie alla prontezza e all’intervento di una donna dai capelli neri paratale al fianco, pronta a difenderla con la vita, si evitò il peggio, si evitò il peso di una ferita che le avrebbe impedito di difendersi, o che l’avrebbe fatta crollare definitivamente al suolo. 
Robin e Rin scattarono immediatamente sull’attenti, decise ad aprirsi un varco e tornare alla Sunny immediatamente, ma qualcosa, o meglio, qualcuno, lo aveva loro impedito, colpendo la mora alle spalle e facendola cadere a terra col sangue che le sgorgava a fiotti lungo tutto il braccio destro. 

 
 
 
 
 
 
 
Si portò una mano al petto, Nami, proprio dove aveva il cuore, come fosse divenuto una pietra così pensante, che, non solo le affaticava il respiro, ma pareva volerla del tutto calpestare. 
L’atmosfera del paese s’era fatta cupa e buia, da cui provenivano, arrivando alle sue orecchie, grida e boati spaventosi e ben poco rassicuranti; lo stesso paese ove la sera prima s’era fatta festa e dove adesso si presentava uno scenario ben diverso, un campo di battaglia, in cui aveva fatto capolinea dopo una corsa forsennata. 
Era stata precipitosa e stupida, forse si, lo pensava lei stessa, ma l’istinto aveva preso il sopravvento nel suo essere, non lasciandole poi molta altra scelta. 
Una volta arrivata in porto la situazione era diventata immediatamente chiara ai suoi occhi. Parte degli abitanti se l’erano data a gambe nelle proprie case, naturalmente, lasciando le strade libere per il probabile scontro. 
Robin era a terra, ferita e arrabbiata per il fatto di aver fallito nel suo intento di proteggere Rin ad ogni costo. 
Sanji si era appena parato davanti a lei, con il viso che gridava rabbia da ogni poro, fuori di testa col Marine che l’aveva colpita, e arrabbiato con sé stesso per non essere riuscito ad arrivare in tempo, dal momento che al palesarsi dei nuovi ‘ospiti’, che avevano attraccato al porto principale, senza ancora saperlo, si era allontanato per vuotare la vescica. Non aveva potuto perciò risparmiarle quella ignobile ferita, infuriandosi nell’istante in cui aveva capito cosa era capitato in sua assenza, ma anche allertato per la vicinanza del Grandammiraglio alla bambina. L’unica nota positiva di quella situazione era aver avuto la possibilità di contattare gli altri compagni sulla spiaggia e preparare la Sunny alla partenza. 
Rin aveva difeso e vendicato la zia prima ancora dell’arrivo del cuoco, ricevendo da lui un segno di assenso e gratitudine. Aveva scaraventato numerosi soldati semplici e ufficiali, facendo il lavoro sporco da sola, fintanto che anche Chopper e Usop si erano uniti a loro, rimasti troppo a lungo in una locanda poiché ignari di ciò che stava succedendo al di fuori. 
Nonostante la facilità iniziale, anche la fatica era accresciuta in lei, e aveva iniziato a risentirne man mano che erano aumentati i nemici di livello combattivo superiore. E nonostante questo, era comunque riuscita a tenere a bada la situazione, con l’unico obiettivo di salvaguardare Robin, la sua stessa vita, ed evitare di mettere in mezzo Nami. Sperava di riuscire a fuggire prima ancora del suo arrivo, di cui non aveva bisogno di conferme per sapere che sarebbe arrivata come una furia. 
Ma ora davanti aveva Akainu. Proprio lui. Il suo incubo fin da quando ne aveva memoria. E contro quell’uomo, lo sapeva, niente poteva fare. Anche uno come suo padre, in questo frangente del passato, non era ancora pronto per lui, lo sapeva molto bene. 
Usop e Chopper, fortunatamente vicini, non la perdevano di vista un secondo, pronti a buttarsi tra le fiamme se lui avesse alzato un dito contro di lei. 
Sanji aveva fatto dei passi avanti cercando di mantenere la concentrazione e il sangue freddo, nonostante stesse ribollendo fino ai piedi, riservando al Marine la sua stessa freddezza. 
“Concentrati su quelli del tuo calibro!” 
Facendo roteare solamente le pupille senza muovere nemmeno una parte del corpo, l’uomo scrutò il biondo mugiwara dalla testa ai piedi, senza proferire parola, con la certezza che gli sarebbe bastato un solo colpo e lo avrebbe steso a terra; per poi tornare a concentrarsi su Rin.
“Che ci fa una bambina con i cappello di paglia?” Aveva chiesto con quella voce grossa e l’espressione truce. “Ti hanno rapita? E perché hai attaccato la Marina e ora punti la spada contro di me?” 
 
 
 
 
C’era una sola minuscola possibilità che loro avrebbero potuto vincere contro Akainu? Lo stesso che alla guerra di Marineford aveva tolto la vita Ace e distrutto Rufy? 
Nami lo sapeva che erano appena finiti nel girone dell’inferno, ma in quel momento pensava solo ai Nami e Zoro del futuro e a quanto sarebbe stato grande il loro dolore se lei non avesse salvato la loro bambina. Era una sensazione così orribile quella che quel pensiero le lasciava addosso, e non poteva in nessun modo fallire in questa prova, probabilmente anche a costo della sua vita. Non avrebbe mai rovinato quelle loro vite future, anche se sarebbero state felici solo lì, in quel futuro che adesso sembrava così lontano. 
Quando era arrivata in paese, e aveva sentito quelle parole, il suo cuore era imploso, si era sentita come in uno spazio chiuso senza ricambio d’aria; anzi, più respirava, più stava peggio. 
L’ansia l’aveva colta immediata, provocandole paura, ma anche disgusto, e non solo per la brutale situazione in cui aveva deciso di cacciarsi. 
D’istinto, era arrivata fino a Rin, attirandola prima a sé con entrambe le mani e poi parandosi davanti a lei del tutto, ma promettendosi di tenerla ferma. 
Chiamarla ‘scelta’, a dirla tutta, era osare troppo. Ma poteva rifiutarsi? No. Non l’avrebbe fatto anche se in pericolo ci sarebbe finita lei per prima. Stavolta non si poteva nascondere, non poteva trovare un escamotage per svignarsela. Quella bambina era la sua responsabilità, era la sua vita del futuro, un messaggio di speranza di una bella esistenza a cui mai avrebbe rinunciato. 
Nami era così finita catapultata per sua volontà in un tu per tu con quell’uomo violento e pericoloso, che minacciava, e avrebbe minacciato in futuro, la sua felicità.
Non lo aveva mai visto se non sui quotidiani che leggeva regolarmente. Quella faccia non le aveva mai sprizzato simpatia. E non sopportava il suo modo imponente di parlare di giustizia e prodigarsi paladino della legge. E odiava ciò che aveva fatto a Rufy; già solo per questo l’avrebbe odiato per sempre. 
Nami era davanti a lui, all’incubo di Rin, all’incubo del suo capitano, improvvisamente senza paura, senza un briciolo di remora, con uno sguardo di sfida che nient’altro poteva fare se non irritarlo ulteriormente. 
Talmente concentrata sull’uomo da non sentire la voce di Robin che le diceva di andare via, da non vedere l’espressione terrorizzata di Rin alle sue spalle, e a non sentire il cuore di Sanji, che si era fermato. 
Quella era una faccia che non sorrideva mai. Un volto truce, diabolico; dalla personalità stravagante e cattiva. Un uomo che non faceva altro che parlare di giustizia ma che la metteva in pratica nei modi più vergognosi. 
E anche adesso, con gli occhi fissi su quella scena che aveva attirato la sua attenzione, con la sicurezza che con un solo colpo avrebbe ucciso chiunque dei presenti davanti a lui. E la strafottenza che lo avrebbe fatto senz’altro. 
“Tieni giù le tue sanguinose mani da lei!” Aveva sbottato Nami, attirando di più la curiosità del marine sulla questione. 
Ringhiosa, la navigatrice dei cappello di paglia guardava l’ammiraglio fisso negli occhi senza distogliere mai lo sguardo dalle sue pupille nere. Affatto rassicuranti come quando scontrava il suo sguardo con Zoro, e affatto imperscrutabili, poiché sprigionavano solamente un sentimento riconoscibile, l’odio. Quella non era casa, non era sicurezza, non era protezione, e, soprattutto, non era giustizia in cui credere per avere un leale confronto. 
“Da quando i pirati proteggono i bambini dalla Marina?” 
La situazione diventava più tesa ogni volta che quell’uomo spaventoso apriva bocca. “Che cosa vi lega?” 
Ma nel momento stesso in cui lo aveva chiesto, l’ammiraglio iniziò a constatare della somiglianza tra la Gatta ladra e la bambina misteriosa, portando la questione ad ancora un più alto tasso d’interesse. “Non può essere…”, qualcosa era pur riuscita a fargli cambiare quell’espressione truce, anche se di poco. “Quanti anni hai? 17?18?20? Come è possibile che tu…” 
Vedendo come la rossa stava sfoderando gli artigli in quella posa inequivocabile di protezione, per l’ammiraglio c’erano pochi dubbi. “Che cosa vi lega, ho detto !?” Aveva alzato la voce, nervoso, in attesa di scoprire qualcosa di più.
“Maledetti pirati…” 
L’incurvatura delle labbra di Nami diventava sempre più rigida, provocandole persino un dolore al muscolo facciale, ma senza nemmeno sentirlo. “Pirati e il vostro sangue schifoso” continuava ad insultarli sempre più infastidito.
“Basta!” Rin era riuscita a liberarsi in parte della sua paralisi, affiancando Nami con le mani tremanti e la spada a mezz’aria, con cui purtroppo aveva perduto la sua aria minacciosa “Combatti contro di me!”
Le sopracciglia della navigatrice si alzarono all’insù, gli occhi si inasprirono, la bocca tramutò il suo broncio arrabbiato in una espressione di sorpresa e panico. Quella bambina poteva farla impazzire proprio come sapeva fare Zoro in queste situazioni. Completamente frastornata, decise di intervenire e provare a far cadere ogni traccia di indizio sul legame tra loro. 
“Lei non é nessuno per noi! É una civile. Lasciala andare!” 
Rin inspirò a pieni polmoni, preferendo tornare a fissare avanti a sé piuttosto che far intendere alla madre che quelle parole l'avevano irrimediabilmente ferita.
“Bene” sillabò in tono deciso l’ex ammiraglio, facendo capire di voler chiudere lì la questione - o facendo finta. “Allora perché mi sta puntando una spada contro?” 
Provando un raccapricciante brivido percorrerle la schiena, Nami cominciò a fare una veloce analisi dell'ultimo scambio di battute e arrivò alla conclusione che Akainu non era scemo, aveva già intuito tutto, e, se non ancora tutta la verità, c’era quasi. L’idea che quella bambina potesse essere sua figlia aveva attirato la sua attenzione più di quanto avrebbe mai immaginato; e la paura più grande adesso si costruiva tutt’attorno all’arrivo di Zoro, che avrebbe sicuramente confermato quei dubbi e, allora, in quel momento, lui avrebbe sicuramente voluto fare del male a Rin quasi per certo. 
Inghiottì un magone pieno di dolore, capendo perfettamente i sentimenti di sua madre quando dovette negare di avere una famiglia per poter salvare le sue figlie e iniziando a capire del perché poi non era riuscita a portare a termine la missione fino in fondo. Faceva male, faceva dannatamente male. 
Rin aveva indirettamente acconsentito al gioco, appoggiandola in quella finzione per proteggerla, seppur inaspettatamente le facesse male fino in fondo alle viscere. 
“Ti sto dicendo la verità!” 
Sentiva la gola bruciare, le mani sudare, i piedi reggere sempre meno quella posizione da guerriera sulla difensiva. “Lasciala semplicemente andare! È una civile senza colpa! Ha solo paura. Non può essere mia figlia, fai due conti tu stesso.” 
Il cuore di Rin si era fermato, ma la posizione di difesa era rimasta lo stesso intatta. 
Non sperava di convincerlo così, anzi, non credeva neanche lei in quello che diceva, però, Nami sapeva che era sempre meglio provare di tutto con le parole per evitare uno scontro fisico.
Le mani strette in due pugni, che ogni tanto trasudavano angoscia, e tremavano leggermente, seppur riuscisse a rimanere salda e fiera per la maggior parte del tempo. 
“Vedete” un sorriso macabro che richiamava il sangue, approdava ora su quel volto odioso, “non posso fare finta di niente dopo che ha attaccato il mio plotone. É stato un affronto alla Marina, perciò è in arresto proprio come voi!” 
La figura possente davanti a lei si guardò attorno solo un attimo, pronto ad attaccare, e quando il suo sguardo catturò l’obiettivo che si era prefissato, ovvero togliere di mezzo prima Nami, scattò come un animale feroce: “Ma inizio proprio da te, Gatta Ladra!” 
Nami sbiancò. “Io? Perché io?!” esclamò incredula, non aspettandosi minimamente quel risvolto. “Che diavolo vuoi da me!”
Ma nonostante le sue parole urlassero paura da ogni parte del suo corpo, con tanto di lacrimoni che andavano a formarsi sotto ai suoi occhi, il suo fisico suggeriva tutt’altro, dal momento che aveva aperto le braccia in segno di protezione per la bambina, superandola, e che dietro di lei aveva iniziato a scalpitare e ad urlare il suo dissenso. Nami viveva dell’unica certezza che la rincuorava, Akainu sarebbe prima dovuto passare sul suo corpo per prenderla. 
Pronta a ricevere un attacco mortale, la navigatrice aveva chiuso gli occhi, e, immaginando una figura nitida davanti a sé, prima un ragazzo col cappello di paglia, e poi un altro uomo più muscoloso e dalla capigliatura verde, sospirò qualcosa che le uscì flebile dalle labbra semiaperte
 “perdonami”
Ma Rin non era rimasta con le mani in mano a farsi proteggere senza venir prima interpellata, superano la madre e parandosi davanti a lei con la spada puntata verso Akainu, in una presa sicura e decisa. Non avrebbe mai permesso a Nami di sacrificarsi. 
Pronto a colpirle entrambe con il suo corpo diventato magma in alcune parti, Akainu aveva certamente sbagliato a fare i suoi conti, ritrovandosi invece a scontrarsi con una gamba nera. 
Nami rinsavì, ma non smettendo di essere in panico, dal momento che aveva visto cosa sua figlia aveva cercato di fare, e ringraziando il cielo di essere ancora vive, ma anche e soprattutto ringraziando il suo angelo custode, come sempre pronto a salvarla da ogni pericolo, tirò un sospiro di sollievo. 
“Sanji - Kun…” le uscì, con la voce tremante e lo sguardo che brillava. Si sentì stretta sul braccio da Rin, che l’aveva affiancata facendo un passo indietro. 
Una difesa eccellente, una prontezza unica, un sacrificio che era d’obbligo per lui; il cuoco dallo sguardo nero come la sua gamba, ora affrontava a tu per tu l’ammiraglio più pericoloso. 
“Ti è sfuggito qualcosa, feccia della Marina”. 
L’aveva respinto, Sanji era riuscito a respingere l’attacco con la sola forza del suo calcio. “Hai pensato davvero che ti avrei permesso di toccarle?” 
 
 
 
 
 
 
 
 
Correva. Correva come uno scemo impazzito. La strada era facile, era solo un sentiero lungo e rettilineo, lo ricordava bene - dannazione al suo senso dell’orientamento - ma era riuscito a perdersi lo stesso. 
Perché adesso!?
Aveva dovuto fare una scelta, una scelta di cui nemmeno si capacitava. Anche se non era poi così sicuro che quella era stata una scelta vera o una strategia di difesa. Aveva dovuto seguire il suo istinto, o forse il suo cuore, disubbidendo al suo ruolo di vice capitano. Era lui che faceva le veci di Rufy quando non era in sé, o quando non era presente. E adesso aveva fallito? Aveva fallito come compagno, come secondo, come…amico? 
Lo aveva lasciato con Franky, sapendo comunque che il povero cyborg non sarebbe riuscito a tenerlo fermo a lungo. Ma aver preso del vantaggio per portare via Rin, e tenere così buona Nami, era tutto ciò che il suo cuore gli aveva suggerito di fare. Un vantaggio, naturalmente, che stava perdendo come uno stupido. E solo lui poteva darsi dello stupido, perciò quella volta lo era davvero. 
Brook era sulla Sunny, che iniziava a preparare per la partenza mentre aspettava Franky, e loro avevano davvero pochissimo tempo per cercare di resistere all’ex ammiraglio e scappare. 
Si sentiva così arrabbiato. E la sua rabbia era tutta indirizzata alla rossa, la fonte di ogni suo problema di questo tipo. Come aveva potuto fargli questo? Come aveva potuto farlo preoccupare così in quel modo che detestava provare? Non era da lui agitarsi, pensare al peggio…aver paura. Ma lei era riuscita anche in questo, laddove ben molteplici nemici avevano fallito: gli aveva fatto provare un sentimento che cercava sempre di evitare!
La sola idea che quella scema avesse potuto mettersi nei guai per testardaggine o per un’azione insensata, messa a punto senza riflettere, lo mandava in bestia. Sentiva tutti i muscoli del corpo contrarsi, duri come pietra, con le venature ingrossate. La gola era secca, la mano stringeva già l’elsa della Wado, iniziando a sentire una certa pressione sulle dita. Voleva estrarla, voleva estrarla subito! 
Eppure, sapeva che Nami era una che scappava, che sapeva fuggire nei modi più bizzarri, capace di trovare sempre un modo per svignarsela. Ma stavolta aveva fatto il contrario, stavolta era corsa incontro al pericolo, stavolta era lei che aveva imboccato la direzione sbagliata.  
Ma poi perché non lo aveva aspettato? 
Perché non lo si era deciso insieme il da farsi? 
Che tu sia dannata!
Un boato spaventoso, e soprattutto luminoso, interruppe bruscamente nei suoi pensieri, facendogli provare un brivido lungo alla schiena ma anche ritrovare la strada verso lo scontro. 
Non te lo perdonerò mai! Hai capito? Non te la perdonerò mai questa maledetta paura che mi hai riversato addosso!
 
 
 
 
 
 
Chopper e Usop erano riusciti ad avvicinarsi a Robin, e il cecchino a caricarla poi sulla groppa del medico tramutato in forma d’alce. Sotto le parole di dissenso di un’archeologa contrariata, Usop cercava di spingere l’amico a tornare sulla Sunny, mentre lui avrebbe protetto la loro fuga, guardando loro le spalle. “Usop non puoi gestirli tutti…” 
Ma il cecchino, che cercava di farsi forza e non dar a vedere il suo terrore persistente, non voleva sentir ragioni, allontanano con la fionda i marines che cercavano di avvicinarsi al loro punto coperto, mentre la mora dissentiva con un “ voglio rimanere qui e aiutare”. 
Tre sguardi terrorizzati erano puntati verso Sanji, che per la terza volta veniva scaraventato a terra e colpito di striscio dal magma che riusciva a schivare, e poi su Nami e Rin, che cercavano di fuggire dal magma che le aveva accerchiate, come dentro una trappola ideata per non farle uscire, in una lotta continua per la sopravvivenza contro alcuni soldati intrappolati insieme a loro. Videro Nami estrarre lentamente il bastone dalla fascia che portava stretta attorno alla coscia e puntarlo prima davanti ai nemici e poi verso il cielo, con le mani salde sull’impugnatura. 
“Gigantesco mano!” urlò la mora anticipandola, abbattendo i soldati, schiacciandoli sul pavimento, e aprendo un varco d’uscita alle due chiuse dentro il cerchio di fuoco, in un attacco troppo debole per far sì che il suo effetto potesse rimanere a lungo. 
“Robin tu sei ferita…” Usop continuava ad eliminare i soldati con la fionda, cercando di non far scoprire la sua posizione. “Devi tornare alla Sunny…e Chopper, è meglio che tu non venga ferito…non so se ne usciremo interi!”
 
 
 
 
 
Sanji era a terra. La gamba piena di magna di Akainu era a due centimetri dal suo volto. 
L’espressione truce che continuava a sghignazzare la sua vittoria anticipata. “Congratulazioni, allora sei tu il primo!” gli diceva, vedendolo impossibilitato a muoversi. Ma quando quello si accese la sigaretta sfruttando il suo potere, si irritò infastidito, peggiorando solamente la situazione. 
“Sanj!!!…” Urlava il suo nome, Nami, con la voce smorzata, che riuscendo ad uscire dalla trappola di magma grazie all’intervento di Robin, aveva per un attimo lasciato la presa sulla bambina, alla quale per tutto il tempo, aveva fatto scudo con il suo corpo, tenendola ancorata e stretta tra le sue braccia, nonostante il dolore per via delle bruciature fresche sulla pelle. 
Provò ad alzarsi, dolorosamente, incitando la bambina a fare lo stesso. 
“Lascialo!!!”
Ancora quella voce smorzata, accompagnata dal ringhio nervoso di Usop che avanzava arrabbiato in direzione dell’ex ammiraglio puntando verso la sua testa la fionda. 
Rise diabolico, alla richiesta coraggiosa e, per lui umiliante, della rossa. “Sei ridicola a chiedermi questo!” 
Nami strinse i polsi dal nervoso, sentendosi totalmente impotente. Ma sapeva di non potersi arrendere, e anche se i suoi colpi sarebbero bastati anche solo a prendere tempo, ne sarebbe valsa la pena. Puntando il Clima Tact sul Marine, Nami assunse una posizione di attacco, seppur le forze le sentisse già mancare. E Usop, che provava gli stessi sentimenti, era già pronto ad affondarla, e le avrebbe provate tutte per cercare di salvare Sanji da un attacco mortale. 
“Pensate davvero di potermi battere? Non vi ha raccontato di me il vostro capitano? Al tal proposito, dove si trova adesso? Avrei voluto vedere la sua faccia mentre uccido gamba nera!”
Ma né le uova per accecarlo, né il Flash Dial, il Breath Dial e le sue migliori stelle Verdi, riuscirono a fare niente, fintanto che con un Impact Wolf e il Gust Sword di Nami, riuscirono a distrarlo abbastanza per far catapultate il cecchino nella sua direzione e tirare via Sanji da sotto alla sua gamba, mentre la navigatrice continuava poi imperterrita ad attaccarlo con delle Black Ball. 
“Thundercloud Rod” aveva urlato nel momento in cui Usop aveva malamente afferrato Sanji, facendolo urlare dal dolore mentre lo trascinava via. 
Per aver abbassato la guardia, ed essere stato imbrogliato, dal momento che l’intenzione dei due - in questo caso i più talentosi della ciurma - era stata solo quella di allontanare il compagno, e non di tentare a sconfiggere lui, il Grandammiraglio perse davvero la pazienza, attaccando entrambi i mugiwara, in distanze differenti, con il Ryusei Kazan, permettendo un incessante pioggia di magma su di loro e per tutto il campo di battaglia. 
Usop fece scudo con il suo corpo a quello ferito e indebolito di Sanji, e Nami con gli occhi sbarrati si era accovacciata sopra Rin che, invece, da contrariata si dimenava sotto di lei urlandole di lasciarla. 
“Andrà tutto bene”, le sussurrava in risposta mentre le prime tracce di magma le sfioravano la pelle. Il suo respiro era corto e affannato, il dolore la stordiva, su quella pelle, ora in carne viva, lacerata sulle cosce e le braccia, e con la paura di non riuscire a proteggere quella creatura che non le rendeva certamente le cose facili. 
“Smettila di proteggermi!” La colpiva piano, Rin, con i pugnetti chiusi. “Non farlo! Non devi sacrificarti per me. Io posso combattere!” Aveva sotto gli occhi due lacrimoni che cercava di trattenere, ma che diventavano sempre più grandi quando sentiva Nami emettere un mugolio di dolore. “Basta! Fammi combattere!”
Ma liberarsi da quella protezione e correre verso Akainu con la wado stretta in mano, era la sfida più ardua e difficile della sua vita. Avrebbe dovuto fare del male alla sua mamma del presente, interferendo maggiormente nel suo dolore anche psicologico, non pronta a vedere sua figlia prodigarsi per lei. 
“Devi lasciarmi andare!” ma stavolta il suo lamento era diventato più flebile, quasi arrendevole, consapevole della sua debolezza contro quell’uomo imponente. Si strinse a Nami, facendo esplodere quelle lacrime, aggrappandosi sotto di lei al suo petto, e poggiandoci il volto per nascondere quella paura. Ne assorbiva il calore e l’odore, con l’angoscia e il panico di perdere sua madre, sperando, come sempre, nell’intervento salvavita di suo padre. 
 
Dove diavolo sono finiti quei deficienti?
Pensava la rossa mente aveva in testa un solo e unico obiettivo. 
“Rin” chiamò, ormai arresa agli eventi. La sentiva fremere e tremare insieme sotto di sé, e si maledì per la sua impotenza, per non essere riuscita a fare di più. “Adesso ti devi impegnare... Devi fare uno sforzo…e andare nel passato o nel futuro… tu devi salvarti…e non ci rimane molto tempo!”
La sentiva dissentire con la testa “no…”, continuava a muoverla sotto di lei aggrappandosi al suo vestito con rabbia e nervosismo, “no…no…no” continuava a rifiutare l’opzione di abbandonare lì sua madre. “Io devo proteggerti!”
“Hai sentito cosa ho detto, Rin?”  
La pioggia di magma, che aveva formato delle pozze ormai su quasi tutta la superficie, avrebbe dovuto continuare ancora per molto tempo, visto come Akainu non aveva addosso nessun danno, e non risentiva di nessuna fatica. Ma anziché sentirla cadere scrosciante sulla sua pelle come prima, Nami dovette rendersi conto di non sentire più bruciori, oltre quelli già presenti sulla sua carne, e, dal momento che a un certo punto anche il silenzio era caduto loro tutt’intorno, alzò la testa di scatto, sentendosi coperta da qualcosa, come da un’ombra, e, con sorpresa, uscendo da quel nido d’amore che aveva costruito usando solo il suo corpo ferito, aveva sgranato gli occhi esterrefatta. 
Il fiato corto era cessato per dare spazio alla totale mancanza d’aria. In fondo lo sapeva che sarebbe arrivato prima o poi, lo aveva sempre saputo. Ma quando vide che il suo compagno di vita, arrivato stranamente in modo alquanto silenzioso, stava impegnandosi a deviare il magma che cadeva sulle loro teste usando le sue tre spade, e rimanendo lui stesso scoperto e vittima della materia derivata dal frutto rogia, ebbe un mancamento, e rilasciò un mugolio che non riuscì a reprimere, portandosi una mano alla bocca. 
Da quanto era lì? Nami non lo sapeva con certezza, ma notando quanto la sua pelle fosse già piena zeppa di ferite, si sentì male per lui. 
“…Zoro, tu…” 
Era, quello del magma che cadeva dal cielo e baciava il suolo, l’unico rumore che si udiva intorno a loro. 
Lo spadaccino guardava fisso verso il marine con quella voglia di sangue che solo lui era capace di far notare senza cambiare troppo espressione. Non le rispose, accecato da fin troppe emozioni che non gli appartenevano. Nami lo sapeva, che Zoro avrebbe sicuramente affrontato Akainu, e iniziava ad averne paura. 
“Spostatevi da qui!” 
Non la guardava, era arrabbiato. E Nami, lo sapeva, lo poteva sentire con il cuore, che non lo era solo con Akainu. 
La voce di quest’ultimo risuonò per tutto il porto. “Il cacciatore di pirati si fa vivo!” Osservando attentamente l’espressione sul viso e come proteggeva le due femmine dietro di lui, che si stavano rialzando, fu propizio per il Marine notare come Zoro e la bambina avessero lo stesso identico fodero della spada, legato al fianco, facendo così due più due con il dato di fatto che quella pulce era anche stata una abile spadaccina. 
“Fammi indovinare…é arrivato papino?”
Nami sgranò gli occhi, confermandogli la teoria, impaurita dall’odio di quell’uomo per i figli di pirati. 
“Rin devi fare subito quello che ti ho detto!” Le sussurrò, con la bocca socchiusa e parandosi davanti a lei, quasi al fianco di Zoro. Ma lui, che continuava a gettar loro occhiate, accertandosi che fossero abbastanza lontane dal magma, si gettò a capofitto verso l’uomo, cercando di tenerlo occupato sotto gli occhi di Nami, ancora sbarrati per l’angoscia che le aveva incusso. 
 
 
Ciò che le faceva male, ora, ciò che le faceva mancare l’ossigeno, ciò che le opprimeva il cuore e le dava un senso di schiacciamento su tutto il corpo, era proprio quella: la paura di non riuscire a proteggere. L’idea di perdere Rin le aveva annebbiato il cervello, ma se avesse perso un suo compagno? E se avesse perso proprio Zoro? 
Eppure, lei aveva già deciso, da egoista, di salvaguardare la felicità dei loro due del futuro, decidendo di mettere a repentaglio anche la loro vita nel presente. Ma ora si domandava, Nami, mentre vedeva Zoro a terra, avvolto dal magma, lei ne aveva il diritto? Aveva il diritto di prendere questa decisione? Aveva il diritto di lasciarsi morire per non sopportare il dolore di perderlo?   
La sola cosa di cui poteva esser certa, era che il suo cuore doveva smetterla di battere per lui in quel modo quasi inquietante, sembrava uscirle dal petto con una propria volontà, e concentrarsi invece solo sulla salvezza di Rin. Ma per quanto ci provasse, per quanto se lo imponesse, non ci riusciva.  
Aveva mollato la presa sulla bambina per un solo attimo, urlandole contro di fare quello che le aveva detto, riprendendo il clima tack in mano e attaccando il marine, ancora una volta per prendere tempo e fare da esca per distrarlo. Ma la tecnica che aveva funzionato una volta, non avrebbe funzionato anche la seconda, trovando un Akainu preparato nel colpire Nami in pieno sull’addome e scaraventarla a terra incastrandola in una trappola di magma, che però teneva Rin all’esterno. 
“Ma guarda un po’, tra i cappello di paglia c’è una patetica famigliola che non fa altro che sacrificarsi l’uno per l’altro…” ignorando Zoro, che cercava ancora di liberarsi del magma, e ignorando Nami, bloccata in una trappola che l’avrebbe soffocata, si velocizzò su Rin, stravolta a terra, che prendeva la spada in mano pronta a difendersi, con però le mani che tremavano sull’elsa. 
“Nessun legame, eh?” Puntualizzò ironico, arrivato a un metro da lei. “I figli di pirati del genere non posso proprio permettermi di lasciarli in vita…”
 
Non riesco più… a muovermi…non riesco più…a respirare…maledizione!
A conferma dei suoi timori, Nami si ritrovò a lasciare la presa sul bastone diventato bollente, che cadde a terra con un tonfo. Riprovò a prenderlo, con la gola secca e il naso quasi chiuso, sopportando il dolore, mentre il magma intorno a lei prendeva terreno, e il vestitino bianco iniziava a liquefarsi. 
Gli occhi erano gonfi sia a causa della situazione in cui si trovava; quindi, dell’ambiente che aveva cambiato l’atmosfera tutta intorno, e sia per il panico subentrato in ogni parte di lei; per Rin, rimasta sola ad affrontare il Marine; e per Zoro, che lei non era riuscita ad aiutare; e per Usop e Sanji, che vedeva stesi a terra. 
Cercando di usare il suo potere per raffreddarsi, mentre tossiva ripetutamente, si ritrovò a darsi della stupida. Aveva fallito. Aveva fallito come madre e come compagna, e non era la prima volta che succedeva. L’unica cosa che era ancora in grado di muovere, erano gli occhi, così li abbassò e rincarò la dose di insulti contro se stessa. E anche contro quel dannato del suo compagno che normalmente era più forte di così, più resistente, più invincibile. 
“Perché non ti alzi, Zoro? Perché diavolo non ti alzi?”
Senza rendersene nemmeno conto lo aveva urlato ai quattro venti, con le lacrime agli occhi che le inondavano il volto.
Stava davvero piangendo in quel modo?
Aveva fatto così tanto la dura per tutto quel tempo che nemmeno si era resa conto dei suoi veri sentimenti, dell’amore che provava per lui, e che nonostante fosse cosciente della sua forza, non voleva vedere a terra ridotto in quel modo. 
 
Ma senza aspettarlo, presa da un ulteriore mole di coraggio, decise di gettarsi in mezzo al magma, uscire di lì, e portare via Rin in una corsa corposa che sarebbe stata quasi impossibile da mettere in atto. Ma in fondo, lei si era allenata tanto per fuggire dai nemici, e questa era la sua unica rassicurazione. Non guardò più in direzione di Zoro, ormai aveva solo un’ultima carta, per non buttare via tutti quei sacrifici, e doveva giocarla! 
Ma proprio mentre il Grandammiraglio aveva gettato la wado della bambina dall’altra parte del terreno, pronto ad afferrarla per i capelli, e proprio mentre Nami stava per buttarsi sul magma che la circondava, una voce acuta irrompe sulla battaglia, urlando il nome del Marine con una rabbia e furia senza precedenti. 
Ciò che si sentì dopo era il tonfo di un uomo dalla stazza non indifferenze che strisciava sul terreno. 
Un “Era ora!” uscì dalle labbra di Nami, Zoro, Usop e Sanji; contenti di poter sospirare un attimo di tregua, ma al contempo in ansia per ciò che avrebbe potuto combinare…
 
Rufy colpì Akainu con violenza, con una cattiveria che usava di rado, riuscendo a ferirlo e a fermare per un po’ parte della continua fuoriuscita di magma. Non lo aveva certo sconfitto o steso per davvero, ma la rabbia era stata tanta da indurlo a ferirlo. 
Il capitano dei cappelli di paglia riprovò con un secondo agguato, senza volergli dare nemmeno il tempo di alzarsi, ma con quello gli sfuggì, mancandolo, e finendo catapultato, per colpa della eccessiva forza utilizzata, dietro la parete di una struttura portuale che era già distrutta, ma rimettendosi immediatamente in piedi fuori dai resti della parete principale dell’edificio. 
Udì dei movimenti alle sue spalle, ma sapendo che si trattava degli amici e che sarebbero riusciti a proteggersi a vicenda, non si volse, preferendo piuttosto continuare a correre verso il Grandammiraglio. Doveva colpirlo ancora, e doveva farlo subito. E non solo per non mettere a repentaglio l’incolumità dei suoi compagni e la sua, bensì per vendicare suo fratello, almeno un colpo letale soltanto, almeno un affronto, una ferita, anche se non sarebbe mai stata grande quando la sua. 
L’uomo, però, aveva un enorme vantaggio su di lui, ancora, nonostante tutto il tempo di allenamento. 
Fu per questo che la sua corsa durò appena una manciata di secondi, cioè fino a quando il Marine non gli tagliò la strada. 
Quel dannato di Akainu era stato in grado di batterlo, una volta, era vero, di ferirlo, di rovinargli la vita, ma si era preso la sua rivincita in un certo modo salvandosi la pelle e dimostrando di essere degno di essere in vita, e più forte e combattivo di prima, coraggioso di affrontarlo. 
“Devi riconoscere la mia superiorità e forza fisica rispetto alla tua” aveva ribadito, nonostante i colpi incassati, guardando Rufy di sbieco. “E che inutile perdita di tempo mi stai facendo subire”
Akainu sbuffò e tornò a fissare il suo sguardo verso il cielo, “lo sai benissimo chi avrà la meglio!” 
Come se non fosse già abbastanza seccante uno scontro con la Marina, e gli ammiragli già di per sé, la situazione in cui si era, suo malgrado, ritrovato, lo portava a dover faticare più del previsto, dal momento che quello non era un nemico qualunque, non era un Marine che semplicemente svolgeva il suo lavoro, era l’assassino di suo fratello.
“Questo combattimento non è fatto per dimostrare chi è il più forte.”
Gli rispose serio in volto, Rufy, come lo era raramente e nei momenti più difficili. 
 
 
Nami provò a sviare nuovamente il magma, sollevata dell’essere stata in un certo modo salvata, ma costatando che era lo stesso in trappola, dal momento che l’aria stava terminando, e anche lo spazio sicuro sotto ai suoi piedi, iniziando così a voltarsi da una parte all’altra per cercare di fuggire. 
Ma la situazione si rendeva ancora più chiara adesso, era incresciosa, tutte le sue vie di fuga erano chiuse, e lei era bloccata in un angolo con il magma che colava ovunque sulla strada, sui muri. Poteva provare a spegnerne un po’, ma non era sicura che avrebbe funzionato per davvero, anche perché non aveva più aria, le faceva male il corpo, sentiva i polmoni schiacciati, le bruciava la pelle. Messa con le spalle al muro, la ragazza si sentì perduta. Almeno, finché qualcosa non fendette l’aria sulla sua testa. 
Nami non riuscì a realizzarlo nemmeno quando accadde, poiché anche solo l’idea che Zoro fosse riuscito ad alzarsi in piedi e avere energia sufficiente per sfoderare un attacco come quello e tagliare il magma in due le faceva pensare che lo stava solo immaginando. 
Nel suo panico interiore, restò con gli occhi chiusi e il respiro assente, pronta a lasciarsi cadere sul campo di battaglia, con una forza di volontà improvvisamente venutale a mancare, probabilmente per il fatto di aver pensato che Zoro non si fosse salvato. Ma mentre perdeva l’ambizione e il senso di sopravvivenza, si sentì afferrata per il busto, sollevata da terra e portata via con un salto e conseguente caduta, come fosse stata ben agganciata da due braccia e due gambe. 
“Ti porto via” disse quella voce ferma e rassicurante che conosceva così bene, insieme a quel profumo che stava indistintamente arrivandole alle narici, ma soprattutto la consistenza di quel corpo caldo e solido, che le dava conforto, tanto da farle appena aprire la bocca. 
 “Zoro…sei davvero tu…” balbettò la ragazza, sorpresa e felice, poiché aveva avuto paura che non lo sarebbe stata mai più. 
Ma anche senza vederlo bene, percepiva che lui era freddo, con il viso rigido, la mascella aperta ma immobile, i denti uniti. Non le rivolse nessun sorriso poiché ciò che aveva prevalso in lui più di tutte le altre volte era stata la paura, il terrore di perderla.
“Zoro…?” 
Quello fu l'affondo che il giovane pirata diede al cuore di Nami, già tanto provato, che subito perse il ritmo del respiro che stava riacquistando a rilento a contatto con l’aria, rendendolo più lieve. 
“Tieniti forte a me!” 
Preso lo slancio, si librò in aria con l’ausilio delle sue spade, allontanandosi dal cerchio mortale di magma e anche dallo scontro di Rufy. 
Quando ritenne di aver messo sufficiente distanza fra loro e quella che aveva tutta l’aria di essere una guerra, Zoro si lasciò cadere sul terreno sicuro, fatto di erba e pietre, ergendosi come cuscino salvavita per Nami, che senza forze, era totalmente in balia di lui, con le braccia strette al suo collo. 
 
Per Nami, Zoro non voleva proprio saperne di tentare a salvaguardarsi, doveva fare sempre e solo il superuomo. 
Sollevata per essere stata salvata ma allo stesso tempo in preda alla preoccupazione più devastante quando, al tocco delle dita sulla pelle bollente e bronzea di lui, sentiva i segni freschi di ferite molteplici.  Le sopracciglia le ricaddero sugli occhi stanchi e la mascella era moscia, con le labbra leggermente aperte con cui cercava di parlare, ma era davvero difficile farlo senza prima riprendere a respirare aria pulita. 
Erano sul terriccio, lei spalmata per intero sul compagno che le aveva fatto prima da scudo e poi da materasso per l’atterraggio, raschiando tutta la schiena su di esso, dopo la brutale e poco curata discesa.   
 
“Sei impazzita? Volevi fare l’eroina?”
 
Nami dovette trovare la lucidità e la forza per contrattaccare, dal momento che non poteva continuare a stare zitta dal momento che l’aveva già fatta imbestialire per aver usato quel tono antipatico.  
“Senti da chi viene la predica!” Tossì forte, aggrappandosi inconsciamente più a lui, che di risposta mugugnò sofferente. “Zoro…le tue ferite…! Come al solito non sei capace di pensare anche a proteggerti!” Diceva la sua voce stanca che voleva però essere forte e sicura di se. 
“Pensa alle tue!” Lui si lamentò ostinato nella sua severità, lanciando un’occhiata sbieca alla compagna che, ancora intontita, sembrava non avere intenzione di rimettersi in piedi tanto presto. La strinse con le mani sulla cute, respirandole i capelli senza però nascondere il gesto, ma mantenendo comunque un’espressione seria con tanto di mascella serrata e sopracciglia incurvate all’ingiù. “Sei una dannata irresponsabile!”
“Tu perché diavolo ci hai messo così tanto? Non ti sarai mica perso?!” 
Lo sentì allontanarsi dai suoi capelli in un gesto rapido e scocciato, colto in fragrante nei suoi punti deboli. Anche senza vederlo in faccia, Nami, con un sorriso che esprimeva sollievo per il fatto che era vivo, seppur malconcio, era sicura che era irritato, perdendo anche quel minimo di gentilezza che le aveva riservato per un attimo. 
“Sta’ zitta!” 
Era certa che non gli sarebbe passata poi tanto presto.  
 
“Come Scusa?” s’indispettì la ragazza, puntando il dito sulla fronte di Zoro. “Non dire stupidaggini, dovevo pensare a Rin!”
Quando si accorse del suo sguardo omicida, si indispettì un poco, notando una serietà che aveva visto solo in momenti molto delicati che li riguardavano da vicino, fin da quando si erano imbarcati per mare insieme.  
Nami alzò comunque gli occhi al cielo, preferendo lasciar cadere il discorso che non accennava a terminare da un tempo infinito. Ma fu costretta a rivalutare la sua posizione, quando sentì le due mani del compagno sulle sue guance che, con un gesto secco, le riportavano il viso faccia a faccia con il suo. 
Lo sentì stringere la presa, ed era davvero raro che uno come lui la forzasse in quel modo, cosa che la preoccupò. 
La fissò negli occhi in modo intenso, ma al contrario delle altre volte quello sguardo adesso rivelava qualcosa di profondo, qualcosa che prima non c’era ma che adesso si era insediata in lui. 
“Zoro…” 
Era strano per Nami riuscire a leggerci finalmente qualcosa, oltre alla sicurezza di quegli occhi sempre enigmatici. 
“É colpa tua!” lo sentì acido, con quel tono di disappunto nella voce. 
Benché fosse conscia di non avere alcuna colpa per ciò che era accaduto, si sentiva lo stesso in qualche modo responsabile di quel dolore che scorgeva nello sguardo di lui. 
Sapeva di essere importante per Zoro, tuttavia sperava che non lo fosse fino a questo punto da fargli perdere il controllo.
“Hai avuto…paura?” gli chiese indugiando con titubanza “per me?” Voleva sapere, avere una conferma, anche se, accortasi del suo strano umore, avrebbe dovuto tentare in qualche modo di tirarlo su anziché infierire. 
Ma lui non rispose più, avvicinando, sempre con quel gesto secco, le sue labbra alle sue, baciandole violento, sotto gli occhi interdetti della rossa. 
Quella era la sua risposta, dunque? 
Lei allora, per ripicca, non ricambiò quel bacio, rifiutandosi di quell’attacco pieno di rabbia e guardandolo male, ma vedendo che invece lui non accennava a piantarla di fare il capriccioso. 
“Non fare così!” 
Ma di risposta, lui fece nuovamente la stessa cosa, andandoci giù ancora più pesante, stringendo la mano sulla sua mandibola, e divorandole nuovamente le labbra, appropriandosi di esse con veemenza. Con una spinta si era alzato dal terreno senza però perdere la presa, continuando a riversarsi in lei e in quel contatto pieno di desiderio. 
A questo giro però Nami aveva riposto con la stessa moneta, sfogandosi come aveva bisogno di fare da giorni, ma soprattutto dopo quel momento, dopo averlo visto riverso a terra, inondato dal magma su tutta la sua pelle. E mentre lei riversava in quel bacio audace e aggressivo la sua angoscia, lui ci buttava dentro tutta la paura che aveva vissuto, che gli era entrata fin dentro al cuore, quello che aveva sempre tenuto lontano da sentimenti così ‘inutili’ come quelli. 
Nami lo aveva stretto sulle spalle, spingendo involontariamente le mani sulle sue ferite fresche, provocandogli dolore. Lo stesso che provava lei adesso alla mandibola, dal momento che ancora la teneva stretta in un pugno. Quella rude avventatezza le donò un brivido lungo tutto il corpo e istintivamente schiuse le labbra con ferocia sopra quelle del compagno. 
Era questo di cui aveva bisogno? Di un Zoro così predominante e rude? 
Lui non esitò a far forza e infilare la lingua attraverso di esse, con prepotenza, scivolando sopra di lei e imprigionandola tra le sue braccia. 
Continuava a baciarla avidamente mentre i loro corpi ricoperti di ferite, quando sanguinanti, quando solo superficiali, si attorcigliavano uno con l’altro. 
“Sei…” ansimò sofferente, lasciandosi però trasportare da quel piacevole dolore, sopraffatto dalla sua sensualità “sei stata una stupida…” senza nemmeno accorgersi le aveva allargato le cosce, insinuandosi col suo corpo al loro interno, “…irresponsabile…testarda…pericolosa!” 
Si lasciò sfuggire uno strano ruggito a vederla chiudere gli occhi e gemere silenziosamente per un secondo, al contatto con quelle mani così vicine alla sua intimità, apparentemente incurante del suo dolore, ma in realtà accorto più di quanto la stessa Nami potesse esserlo per sé stessa. 
“Smettila di frignare, Zoro…” gli sussurrò con voce stranamente lieve all’orecchio, stringendo le gambe attorno a lui. “Siamo…vivi…” un altro gemito prese forma dalle sue labbra proprio in quel momento, ricalcando la sua ultima parola pronunciata. Questo a causa dello spadaccino irruente, che preso dalla foga della rabbia e del desiderio, aveva rafforzato la presa sulle gambe di lei, stringendone i lembi di pelle più carnosi e accarezzando senza dolcezza il suo interno coscia. 
Nami riaprì gli occhi e lo guardò in viso, notando che era catturato da diverse emozioni che si mischiavano insieme.
“Sei proprio arrabbiato, eh?” le uscì spontaneo, ma il suo tono diventò ben presto ironico, “eppure ti ho sempre fatto arrabbiare, ma non ho mai ottenuto un risultato come questo!” 
Stringendole con ancora più forza la pelle, ma senza provocarle dolore, Zoro, anziché rispondere, la baciò ancora, fiondandosi però sul collo libero, e leccandole una ferita superficiale in cui si era imbattuto nel suo percorso, provocandole una strana sensazione tra il piacere e lo strano, seppur non fosse per la ferita in sé, quanto per il contatto con la saliva calda. Iniziò a rabbrividire, contorcendosi, e, istintivamente allontanandolo dal punto preso di mira e guardandolo in faccia rossa in viso per ciò che si era messo a farle. Ma il suo sguardo era diverso da prima, iniziava a scorgerci altre emozioni, tra le ferite inferte e subite, la battaglia ancora in corso, un nemico terrificante poco distante da loro e la rabbia per aver provato emozioni forti che tutto quell’insieme aveva scaturito in lui, Zoro era eccitato come non lo era mai stato.
La guardava ancora serio, mentre si umidiva le labbra, seppur i suoi occhi avessero ormai tradito l’enorme piacere che stava provando, ma di questo, ora, non gli importava. 
“Sei arrabbiato perché ti sei preoccupato…” gli aveva sussurrato all’orecchio. 
“Vuoi ancora fare dell’ironia sulla questione?” Poggiò le sue labbra su quelle di lei ancora una volta, guardandola però dritta negli occhi in un accenno di incomprensibile sfida. Lei aveva risposto al gioco tenendoli aperti anch’ella e guardandolo mentre si muoveva dentro la sua bocca. Sorrise, lui, trasformando quel contatto in un ghigno. 
Non aveva ancora perso ogni tipo di razionalità, ma c’era vicino. Come se fosse finito catapultato in un sogno, e l’aver provato ultimamente emozioni sempre più forti, aveva rivelato davanti ai suoi occhi, la verità. Voleva combattere, voleva vincere, e voleva non provare più quella dannata paura.
Baciarla, morderla, intrappolarla, era sembrato l’unico modo per incanalare tutta la rabbia e preoccupazione che aveva provato, e che non poteva riversare in altro modo su di lei. La pressione del sangue gli rimbombava nelle orecchie come non gli era gli mai successo prima, nemmeno durante il faccia a faccia con l’ex ammiraglio. Lui era avvezzo a combattere, era abituato al sangue, al dolore fisico, e anche alla perdita…ma non alla sua. Non a rinunciare a lei. Non avrebbe mai potuto vederla sacrificarsi, nemmeno per la loro figlia. Non sarebbe sopravvissuto stavolta al dolore di perdere un’amica, la sua prima amica dopo Kuina, e che ora era diventata anche qualcosa di molto più prezioso. 
Non avrebbe mai rinunciato a lei. 
E non le avrebbe mai permesso andarsene per prima. 
Staccandosi per l’ennesima volta da quelle labbra morbide e calde, alzò il volto a tre centimetri dal suo, in modo da incrociarne gli occhi, che divampavano di piacere ed esprimevano confusione.
“…avremmo dovuto agire insieme, come compagni…come coppia…” 
“Come coppia?” 
Lo prese in giro lei, incurvando la bocca. 
Ma lui era impassibile e serio, nonostante le sue intenzioni diventate chiare. “Ci deve essere fiducia…Nami!” 
Le iridi nere erano ridotte a due fessure. Il busto lo aveva innalzato maggiormente verso l’alto, mettendo più distanza tra i loro visi provati. “Non puoi più decidere per te in questi casi di pericolo! Mi hai sentito?” 
In risposta, lei aveva stretto le braccia di Zoro, i cui palmi erano impiantati sul terreno, alle estremità delle sue spalle adagiate a terra. “Tu sei l’ultimo che può avanzare simili pretese!” Riusciva sempre e comunque a spiazzarla. 
“Io posso permettermi di affrontare quello smidollato di un Marine!” Le aveva urlato in faccia, nervoso, convinto che il suo discorso valesse solo per Nami, dal momento che nella vita lui era ufficialmente un guerriero, prendendosi sempre quei pesi e quelle responsabilità senza dividerle mai con nessuno altro. 
“Come le proteggi le persone che vuoi proteggere, se muori in modo stupido?” Nami lo guardò, in un misto tra l’essere arrabbiata, un pizzico di essere furiosa e uno spicchio di nervosismo. Era sempre il solito superuomo che faceva la morale quando era l’ultimo con il diritto di farla. 
Sapeva che in parte aveva ragione, ma la infastidiva questa sua sagacia e arroganza che toglieva fuori in quei momenti in cui lei si lasciava più andare all’emozione senza riuscire a manipolare la situazione, o le persone. Ma l’entità di quell’unione, di quello sguardo, la portata di quel dispetto e disappunto, rendevano lo stesso tutto così estremamente eccitante. 
Stavolta fu lei a tirarlo per il colletto e immergersi nuovamente in lui, svogliata ma determinata nelle sue azioni, assaggiandolo ancora come fosse la prima volta; poiché la sua veste dolce e calda le piaceva assai, ma anche quel lato impetuoso ed energico, ai confini del violento - poiché vigeva una fiducia senza pari - non le dispiaceva per niente. 
 
“Ma dico! Siete impazziti? Il magma vi è entrato dalle orecchie fino nel cervello? Ma dico io, vi pare normale? Ma che diavolo state facendo!!! Siete due irresponsabili senza speranza! Pronto? C’è una guerra qua, siamo ancora in pericolo di vita! Siamo circondati dal magma, dalle urla, dai botti dello scontro e voi…e voi…ma che cavolo avete nella testa? Eh???” 
Rin aveva dato inizio ad una ballata nevrotica, muovendosi scoordinata prima a destra e poi a sinistra, colpendo la schiena del padre con la sua Wado recuperata e messa nel fodero bianco. L’espressione allibita, le gote bordeaux, l’atteggiamento da bambina imbarazzata ma arrabbiata allo stesso tempo. 
“Smettetela subito di fare certe cose adesso! Ma vi pare il caso?” 
Continuava a colpire il genitore, che staccato dalle labbra di Nami, emetteva gridolini di dolore, poiché la bimba andava a infierire sulle sue ferite. 
“Siete due zombie che camminano, ridotti male come siete, e vi mettete a fare queste zozzerie? Ma perché? Ma cosa fate, si può sapere?!” 
Annunciò voltandosi dall’altra parte indemoniata, mentre dava il tempo ai due di rimettersi in piedi. 
I due protagonisti si guardarono ansimanti, forse uscendo dalla bolla in cui erano entrati da soli; resuscitando da uno stato di shock che realizzavano solo in quel momento. Senza perdere il contatto con gli occhi di Nami, Zoro si alzò da sopra lei, mettendosi seduto e allungandole una mano per incitarla a fare lo stesso. Lo seguì a ruota, accettando l’aiuto e rendendosi effettivamente conto che erano ridotti davvero male. Il contatto visivo durò ancora un po’, quella volta fu la più difficile, la più pericolosa, la più irrinunciabile unione mancata. Fin quando i rumori della realtà tornarono a far ronzio nelle loro orecchie, evidentemente rimaste sorde per un bel pezzo. 
Videro il magma occupare gran parte del porto, e Akainu finalmente provato dallo scontro. Ma la soddisfazione ebbe durata breve, dal momento che il loro capitano era ora nelle peggiori condizioni.
“Sta cercando di farlo cadere in mare” Rin riassunse loro la situazione mentre in piedi osservava la battaglia, “basta anche una cospicua quantità d’acqua per indebolirlo efficacemente…” 
Un rumore alle loro spalle gli fece voltare allarmati, portando Zoro a mettersi definitivamente in piedi in posizione di difesa davanti a Nami e Rin, con la spada già estratta. 
Ma i tre sospirano, quando videro sbucare da un cespuglio il nasuto che trascinava a peso morto il corpo di Sanji, ancora intontito e incapace di muoversi. 
“Sono io!”
Tossì, riprendendosi solo ora dall’attacco di prima.
“Stai bene?” 
Gli chiese Zoro, vedendo lo stato in cui erano stati ridotti, con altrettante ferite e bruciature sulla pelle. 
“Si…per lo meno, sto meglio di Sanji.” 
“Sanji kun!” Nami si avvicinò a lui, provando a risvegliarlo con piccole pacche sul volto. “…se non fosse stato per lui, ora…” si strinse nelle spalle, alzando la testa e guardando Zoro negli occhi, voleva fargli capire del gesto importante di Sanji, ma anche non far del tutto intendere che l’aveva salvata da una morte certa. 
Ma una mano si posò sulla guancia della rossa accarezzandole il viso. “Oh…come esplode di gioia questo cuore a sentire queste parole d’amore… è una dichiarazione, Nami-San?” 
Ma il povero cuoco fu costretto a bestemmiare interiormente, quando il pugno della compagna infierì sulla sua ferita al petto. 
“Stai bene! Eccome se stai bene!”
Non finì di dirlo che qualcosa di molto bollente e pericoloso sfiorò la testa di Zoro, rischiando di prenderlo in pieno, se Rin non gli avesse urlato di abbassarsi. 
Il giovane si voltò appena in tempo per vedere Akainu contrattaccare con Rufy ma nel frattempo puntare su di loro. Così, parandosi accanto alla figlia, si mi se in posizione di difesa con due spade in mano, ritrovando la lucidità che aveva perso. 
 “Vi distruggerò uno per uno!” Aveva urlato il Marine, convinto di essere comunque in vantaggio.
Ma Zoro si gettò su di lui prima di vederlo avvicinarsi a loro; ora che erano arrivati a questo punto dello scontro, non avrebbe rischiato più che la compagna potesse finire invischiata in qualche attacco mortale, riuscendo a scansarsi dalla traiettoria dell’avversario e, al contempo, preparare l’attacco contro di lui dando tempo a Rufy di riprendersi. 
“TECNICA A DUE SPADE, NIGIRI: TORO SAMON!” 
 
Vedendolo lanciarsi in quel modo avventato, Nami si alzò in piedi lanciando un grido silenzioso e disperato, soffocato nel momento stesso in cui lo vide affrontare l’ex ammiraglio alla pari, senza cadere. 
Tutt’intorno si levò un’esclamazione di stupore, infatti, ma Zoro non vi fece caso e continuò a spingere e imprimere più forza nell’attacco, poiché proteggere i suoi amici, e ora anche la sua altra famiglia, era tutto ciò che per prima cosa doveva tutelare, e impedire alla sua compagna di commettere sciocchezze era la seconda. 
Quando Akainu arretrò, rimasto fastidiosamente colpito da quella forza di volontà e dallo sguardo e l’aurea nera che Zoro aveva ed emanava, iniziò a capire il perché della sua fama tanto temuta, ritrovando verità in quelle numerose parole che non erano solo servite per dare aria alle bocche. 
 
“Zoro!!!” 
Nami lo aveva chiamato, approfittando di quel momento di confusione e realizzazione. 
“Non puoi morire prima che concludiamo il nostro…affare…!” 
 
Quella é diventata tutta scema! 
 
Il giovane non poteva voltarsi, non poteva abbassare la guardia in quel momento, ma con gli occhi sbarrati per tale affermazione, rispose, completamente allibito, sentendo il sangue affluire al viso. L’aveva fatto arrossire in piena battaglia!
 “Sei proprio una sciagurata!!!” 
Ma sentendola ridere alle sue spalle, una risata che celava una forte preoccupazione per lui che stava nascondendo con quell’aria da dura, recuperò la sua dignità e compostezza, sorridendo anche lui sornione, mentre si preparava a sferrare anche un secondo attacco, ritrovando prima il respiro. 
 
“Allora non morirò!” 
 
 
 
Mentre la Sunny era poco lontana dal porto, pronta alla partenza fulminea, i mugiwara assistevano alla battaglia come spettatori pieni d’angoscia, di un’opera di cui naturalmente non conoscevano il finale, seppur potessero fare delle ipotesi realistiche. 
Mentre Rufy aveva avuto necessità di alcuni minuti per riprendersi e tornare in forma normale, Zoro era l’unico in grado di poter ‘intrattenere’ il Marine; con sulle spalle una inimmaginabile responsabilità.
Era caduto a terra più volte, ma era successo allo stesso Akainu, cosa che gli aumentava il fastidio. 
I suoi uomini non erano tutti fuggiti, ma quasi tutti al tappeto o nascosti, troppo mal ridotti per combattere. E lui era rimasto solo. 
Zoro iniziava a prendere consapevolezza che non avrebbe resistito ancora a lungo, cercando di prendere più tempo possibile, schivando alla fine solo gli attacchi, esausto. 
“Pensi di fregarmi così?” Akainu era pronto a mettere fine a quel gioco, rivelando la sua potenza. “Dai Funka” 
E mentre quel pugno diventava un enorme arto di magma, più grande di lui, mettendo in mostra la sua imponenza, lo spadaccino, senza distogliere gli occhi, rinfoderò la seconda spada, tentando la sua ultima e ormai debole difesa. 
Aveva sentito la voce stridula di Nami venire dalle sue spalle, e il cuore si era chiuso in una morsa. Le aveva promesso che non sarebbe morto. 
Come aveva promesso a Kuina di diventare il migliore spadaccino. 
Iniziava a chiedersi se forse non stesse esagerando con promesse impossibili. 
La stessa scena si ripeteva per la terza volta, una volta con Ace, in cui era andata a segno, e due volte in quella lunga nottata. Seppur gli altri non l’avessero vista con i loro occhi, quella volta, sapevano come era morto pugno di fuoco. 
No, lui non sarebbe morto. Aveva una promessa da mantenere e un “affare” da suggellare.
Sorrise. 
“TECNICA A UNA SPADA, DAISHINKAN!” 
Tra Zoro che cercava di disabilitare il rogia con la sua forza di volontà, anche se, troppo debole per affrontare anche un avversario minore, in  quel momento, e Akainu che voleva spingere il suo pugno in quell’addome martoriato, il campo di battaglia diventò confusionario, alzando polvere e sabbia, in mezzo al vortice che si era creato in prossimità del porto. 
Con una mano sulla bocca, Nami cercava di nascondere ogni gemito di paura, e gridolino che le veniva fuori incontrollato. Non riusciva a correre verso di lui, non poteva venire nuovamente meno a quella fiducia. Nonostante l’iniziale riluttanza a quelle parole, Nami, l’aveva ascoltato e l’aveva preso sul serio, anche se non lo avrebbe ammesso. 
No, no, la morte di Zoro, che ad un certo punto realizzava per davvero, non era affatto più contemplata. 
Non sarebbe rimasta incolume ad essa. 
Era stata stupida e superficiale anche solo per averlo pensato. 
Sarebbe sopravvissuta, si, ma non avrebbe voluto farlo. 
 
“Questa battaglia non serve per dimostrare chi dei due è più forte”, Rufy era in piedi tra quel pugno di magma e Zoro, fermandolo con il suo gear second. “Ma per dimostrarti la vera forza che sta nell’atto di proteggere chi si ama!” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice___________________
Ok, che non so descrivere gli scontri s’è capito, no? 
Lo dimostra il come ho saltato alcuni affronti, anche per alleggerire il racconto, e da come ho scritto banali escamotage di salvezza. Che dirvi? Quando non scrivo esclusivamente di Zoro e Nami, io mi annoio e mi sembra di non riuscire a trovare la voglia di terminare quel capitolo che vede loro non del tutto in primo piano. 
Questo me lo stavo portando dietro da Natale, non finiva più. Non trovavo mai la voglia per concluderlo. Mi annoiava…fintanto che finalmente poi sono arrivata alla parte ZoNami ovviamente, e allora ho ritrovato l’entusiasmo. 
Rileggendolo adesso, infatti, sembra anche più scorrevole e meno noioso, nonostante la lunghezza e i movimenti intricati, e la mia pessima capacità di scrivere di scontri. Vi giuro che mentre lo buttavo giù,  all’inizio, già mi pentivo di essermi ficcata in una situazione di battaglia. 
Spero più che altro di non essere stata eccessivamente cringe. 
Come sempre, 
vi aspetto! 
Roby
 

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Capitolo 25
*** Guarire ***


Capitolo XXV
Guarire 

 
 
 
 
 
  
L’uomo della Marina aveva sferrato un altro attacco di maggiore portata, dal momento che la situazione era uscita di mano, sia a lui, che ai suoi incompetenti sottoposti, sconfitti da una sola ragazzina con una sola spada. 
Rin era proprio lì, davanti a lui, a guardarlo con supponenza. Con un fendente della sua wado ichimoji aveva protetto il padre, che, esausto, era finito con le spalle a terra e stava per ricevere “la giustizia di Akainu”, sferrando una tecnica che nemmeno lo stesso Zoro ancora conosceva, e che aveva funzionato con successo nel farlo indietreggiare abbastanza da allontanarlo da lui. Ma poi incespicò, e piegò un ginocchio a terra, impossibilità a reggere quel confronto a lungo. Aveva sbilanciato all’indietro, il tanto da proteggere
abbastanza il verde dal magma che avanzava, allo stesso tempo pronta per tentare di sferrare il colpo di grazia. Akainu era già abbastanza provato per gli innumerevoli attacchi di Rufy, oltre che alcuni di Zoro ben assestati, e se fosse riuscita a rimettersi in piedi e alzarsi al volo, avrebbe anche potuto essere davvero lei quella che lo avrebbe messo al tappeto, prendendolo per stanchezza. 
Ma la fortuna le aveva voltato le spalle subito. Avrebbe voluto essere più agile e  calare la spada dritta sulla gola scoperta dell’uomo, ma lui invece era più furbo oltre che più veloce, e al suo colpo violento non resse la sua spada bianca, finendo scaraventata a terra insieme ad essa in un volo di qualche metro.

Non aveva sentito nessun grido di dolore da parte della sua compagna, il che preoccupava estremamente uno Zoro ancora steso a terra, che stringeva i denti per le fitte al torace e imprecava arrabbiato contro l’uomo per avergli colpito la figlia, trovando però la forza immane per mettersi seduto quando il rumore sulla strada dei passi di Nami gli arrivò fino alle orecchie. Un rumore che non avrebbe voluto sentire. 
“Lascia in pace la mia famiglia!” 
Quella voce si era insinuata in lui come il dolore inflittogli dalla ferita al torace da cui, come al solito, sgorgava sangue, tanto sangue. Si sentiva così privo di forze, tanto da non riuscire ad impugnare nemmeno la Shusui. 

“Dark Cloud Tempo” 
 
No. No. Non farlo. 

 
Il rumore dei fulmini lo inquietò, lo sapeva, lo sapeva cosa stava succedendo, anzi, cosa stava per succedere. 
Nami non aveva rallentato la sua corsa, nemmeno per un attimo aveva avuto tentennamenti, o forse gli aveva solo ignorati imponendosi che quello non era il momento per essere codarda, prendendo il posto di Rin, tra Akainu e Zoro. Non poteva restare a guardare, mentre veniva ridotto in fin di vita, ancora una volta.

 
Lui é forte. Lui é più forte di tutti noi. 
 
No, stavolta non poteva lasciarsi andare a questa rassicurazione che si ripeteva spesso per preoccuparsi meno delle sue condizioni. No, doveva agire, doveva dimostrargli che poteva proteggerlo. O dimostrarlo a se stessa, per lo meno. 
Accorgendosi dello stato critico della situazione, Zoro pensava di stare urlando come un forsennato, di chiamare il nome della rossa con tutte le energie rimastigli, ma, nel momento di lucidità, si era reso conto che non solo dalla sua gola non veniva fuori nemmeno un sibilo, ma non era nemmeno riuscito a mettersi seduto come aveva immaginato di fare. 
Poteva essere così malridotto? Così tanto da non riuscire ad intervenire? 

Zoro sapeva che, seppur Rin fosse solo una bambina, era forte e capace di una discreta resistenza, aveva avuto modo di appurarlo in diverse occasioni, ma, soprattutto, teneva a bada le emozioni, senza perdere subito le staffe, non lasciandosi governare dagli impulsi. Ecco, su questo Rin era più come lui. Ma Nami, la sua spina nel fianco, avrebbe fatto tutto il contrario di quello che loro affrontavano negli addestramenti. Nami avrebbe seguito l’impulso, i sentimenti, senza ponderare niente, né la portata del suo attacco, né bilanciarlo alla forza dell’avversario. 
 
Scappa, stupida! Scappa! 
 

“Thunder Lance Tempo”
Nami non rallentò la sua corsa e, anzi, ne approfittò per mettere maggior distanza fra loro e quel mostro inumano di un Marine - almeno così pensava. Nessuno avrebbe potuto negare che per qualche motivo, il suo attacco aveva sorto qualche effetto, almeno, lo aveva fatto contro il magma, riuscendo a placarlo e liberando il compagno da quella materia che stava nuovamente arrivando da lui, dal momento che si prendeva sempre più spazio sul terreno. 

Un sospiro di sollievo l’aveva colta, quando si era voltata ad osservare il corpo esanime di Zoro, perché almeno, così,  l’aveva protetto dal magma. Almeno da quello. Solo da quello. 
Ma quell’attimo di distrazione l’aveva condannata.
Silenzioso, con il suo pugno magmatico grande quanto la testa a forma di leone della Sunny, Akainu, che aveva appena dimostrato che il colpo della rossa, che si, aveva spento il suo magma a causa del suo essere ormai provato dallo scontro, ma no, non aveva scalfito lui in nessun punto vitale, stava puntando dritto sulla pancia di Nami.

Attimi di ambiguo terrore negli occhi della rossa, che aveva distolto l’attenzione da Zoro rendendosi conto solo in quel momento del guaio in cui si era andata a cacciare. Un colpo. Sarebbe bastato un colpo e Akainu avrebbe potuto squarciarla in due…un solo colpo…uno.
Il ragazzo dai capelli verdi si era mosso, pervaso da un senso di nausea e dalla sensazione delle braccia tremanti, ma che in realtà erano immobili, finalmente riuscito a rimettersi in piedi a stento, senza sapere nemmeno come riuscisse a camminare, con l’occhio sbarrato e la gola secca, per guardare in faccia l’uomo che stava per sferrare un attacco che sarebbe stato senz’altro mortale, vedendo quella mano muoversi e conficcarsi in quell’addome della compagna, sentendola sibilare terrorizzata. 

Il tonfo però che si era udito per primo, erano state le sue spade cadere sul terreno umido. 
 
“Se la risparmi, puoi prendere la mia vita, e il tuo onore non ne subirà nessun affronto.” 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
24 ore dopo lo scontro. 
Camera delle donne.
Ore 22:00 
 
 
Un occhio sbarrato all’improvviso, nel tepore della sera, all’interno di una stanza calorosa e stranamente silenziosa. Respiro affannoso. La pelle bollente come se stesse friggendo in una sauna; e sudato, come se ci fosse dentro da ore. Si era svegliato e messo seduto nello stesso momento con una velocità che poteva solo che essere controproducente, poiché il suo corpo non era pronto ad una simile ripresa. Infatti, il proprietario di quel corpo iniziò a grugnire dal dolore, inveendo contro qualunque epiteto gli venisse alla mente per cercare di dare un nome a quel patimento che partiva da una fitta e si trasformava in uno squarcio che immaginava avere la forma di una montagna all’interno del suo torace, che lo lacerava ad ogni movimento. Non riusciva a formulare una parola completa, tanto il dolore di quella lacerazione, e non sapeva come altro difendersi se non che aumentare il respiro e il battito cardiaco. E aspettando di trovare anche solo un minimo di sollievo si guardò intorno irrequieto, in cerca di aiuto: era sulla Sunny, questo lo aveva capito inconsciamente dagli odori e l’ondeggiare sul mare, ed era in camera delle ragazze, sul letto, e anche questo lo aveva capito per tempo, per via del profumo familiare sulle lenzuola che l’avvolgevano. 
“Hai fatto di nuovo quel sogno…” 
Sentì una voce accanto a lui e nello stesso momento avvertì un gesto dietro alla sua schiena, di un braccio che si tirava con fatica e andava a premere su qualcosa che aveva creato uno scatto, come un pulsante, che, infatti, appena azionato aveva emesso un rumore secco ma quasi impercettibile. 
Si voltò ancora, provando un’interminabile fitta lacerante, per cercare di capire che cosa stesse succedendo, seguendo quegli strani movimenti. 
“Stai giù…sdraiati, papà!” 
Aveva obbedito; seppur confuso, febbricitante e dolorante, poteva tranquillamente fidarsi di quella creatura che aveva l’aria di sapere cosa stesse facendo, sdraiandosi nuovamente sul letto con la schiena e appoggiando il capo al cuscino soffice. 
Era sul letto di Nami. Lo sapeva, c’era il suo odore lì, e lui ci aveva già dormito. Coccolandocisi un attimo, iniziò a provare immediato sollievo, la gola si stava liberando, la fitta stava andando via, i dolori quasi scomparendo. Era davvero possibile? Solo per aver poggiato la schiena sul letto? O quell’odore lo stava cullando così tanto da avere poteri miracolosi? 
Ma nel momento stesso in cui ebbe avuto quel pensiero così stupido, si rese conto che sopra alla sua testa c’era una boccia in vetro trasparente, appesa tramite uno strano carrello alto, costruito di recente, collegata al suo braccio tramite un filo piuttosto spesso, stesso trasparente, in cui vedeva passare del liquido incolore. 
“Umh?” ancora doveva ben schiarirsi la gola, gli sembrava di non parlare da giorni. 
“È solo antidolorifico…ti arriva in vena così fa più fretta!” 
Rin, sdraiata accanto a lui, sul letto di Robin, era ora voltata su un fianco, verso lui e lo  guardava con estrema attenzione. Eccome se lo guardava, senza perderne nemmeno un movimento. 
“Scricciolo…tu stai bene?” 
Fu la pronta risposta del verde, che più l’antidolorifico faceva effetto e più si sentiva nuovamente se stesso. 
Rin si teneva al caldo sotto una coperta ingombrante, una bianca fascia medica attorno al capo e una duplice espressione sul viso che voleva incutere pace ma che non poteva farlo del tutto. Annuì però con sincerità, rispondendo alla domanda, ma continuando a fissarlo dritto negli occhi.
Lo vide allungare il braccio verso il suo volto e posarvi la mano sopra, accarezzandole la guancia che stava esposta al freddo. 
“É la verità?” 
Sorrise a quella carezza, chiudendo gli occhi per un attimo e godendosela tutta. Così era sempre più simile al suo papà, quello che l’aveva cresciuta e che si prendeva cura di lei fin da quando era nata senza perderla mai di vista un momento, e che di tanto in tanto, quando nessuno guardava, la coccolava con affetto. 
“É la verità…” 
Una volta riaperti gli occhi scoprì che quella mano era ancora lì, immobile, sulla sua pelle. La sentiva tutta la sua apprensione. 
“Dai chiedimelo!” 
“Che cosa devo chiederti?”
La bambina fece un sospiro lungo, arresa a quell’orgoglio intramontabile. 
“Sta bene…” chiuse gli occhi e gli riaprì in un attimo, ritrovando immediato collegamento con quelli immobili e inflessibili di Zoro. “Lei sta bene!” 
Si guardarono ancora per un po’, senza distogliere lo sguardo uno dall’altra: per Zoro era così surreale ritrovare gli occhi di Nami in qualcun’altra, motivo per cui amare quella miniatura era sempre più tremendamente facile; e per Rin era tutto ciò che la riportava a casa, quello sguardo che conosceva così bene e la faceva sentire al sicuro.
Quando poi lui accennò una strana smorfia intraducibile e le scompigliò i capelli arancioni, togliendo poi la mano e riprendendo a guardare il soffitto, lei gonfiò le guance offesa.
“Hei, non sono più una bambina!” 
E mentre si risistemava la capigliatura disfatta, era sicura di averlo sentito ridere. 
 
 
 
Ore 00:30 
 
“Non puoi alzarti per nessuno motivo al mondo! Chopper l’ha severamente proibito!” 
Rin lo stringeva per il braccio e lo tirava verso il letto, mentre lui pian piano si era messo nuovamente seduto e già tirava i piedi fuori dalle coperte. 
“Con l’antidolorifico non sento niente…” 
“Ti sbagli! Le ferite si apriranno e poi, a detta di Chopper, non ci sarà antidolorifico che tenga per non farti gridare come un bambino!’ “lo imitò nella voce, enfatizzando l’uso di quell’ultima parola. 
“Che cosa?” 
Si offese immediatamente, voltandosi verso di lei con i denti stretti. 
“Proprio così! Hai urlato come un bambino quando sei stato ricucito!” 
“Ero febbricitante!” 
“Come un Bambino!”
“Non puoi parlarmi così! Sono tuo padre!”
“Un padre bambino!”
“Sei proprio come Nami adesso…”
“É per lei che ti stai alzando? Sei impaziente di vederla?” 
“Accidenti a te! Certo che no!” 
 
 
 
 
Ore 02:10
 
 
“Mi hai detto davvero la verità prima? Se stai bene perché sei qua a farmi da balia? Non dovrebbe esserci qualcuno di “più adulto”? 
Convinto con le cattive e peggiori minacce a stare a letto, Zoro, non riusciva però a dormire, guardando il soffitto e ponendosi più di un qualche interrogativo. 
Perché non era ancora entrato nessuno? Conoscendo il medico e compagni apprensivi, non era certo una cosa così normale su quella nave, non venire disturbati nemmeno in momenti del genere. C’era troppo silenzio. Troppa calma. Senza contare che continuava a ripercorrere gli eventi della battaglia senza ricordarsi della fine. 
“Ti dico che sto bene!” 
Rin, che aveva chiuso gli occhi da poco per cercare di riposare, ma senza assopirsi profondamente per la paura che quel testardo del padre potesse alzarsi o commettere qualche imprudenza, aveva alzato solo un sopracciglio. 
“Dal momento che non ho più un briciolo di energia mi sono offerta io di rimanere qua e tenerti a bada…” sospirò teatralmente. 
Questo l’ha preso da Nami. 
“Anche le mie ferite devono guarire…é meglio che rimango a letto…per non farla preoccupare…ed é meglio che non lo faccia anche tu!”
Un pelo più sincera, almeno. 
In quel momento aprì leggermente la palpebra per guardarne la reazione, era come aver appena innescato una bomba, si era freddato d’improvviso. 
 
 
 
Ore 3:45 
 
 
Aprì l’occhio, poiché i suoi sensi erano appena stati disturbati da qualcosa, vedendo davanti a lei la vaga forma di un corpo che si muoveva e cercava di mettersi seduto. Preoccupata, riacquistò nitidezza, capendo che quel pazzo febbricitante cercava ancora di rimettersi in piedi. E sembrava pure piuttosto sofferente, poiché nel tentativo di alzarsi, mordeva il cuscino tra i denti. 
“Santo cielo!”
Esclamò, liberandosi svelta dalla trappola della coperta e allungando nuovamente il braccio verso quel tastino che faceva scorrere l’antidolorifico fino al braccio. “Quando senti forte il dolore ripresentarsi devi solo premere qua e startene buono e tranquillo, non devi certo scendere dal letto…”
Aspettarono un paio di minuti nell’attesa di sentirne i benefici, e quando lo vide non più in prenda alle convulsioni, ma tornato calmo a sdraiarsi sul letto, Rin poté sospirare, togliendogli il cuscino da dosso. “Sei la solita testa dura!” 
Voltandosi verso la bambina, con ancora però il respiro pesante, e il sudore scendere copioso dalla fronte, Zoro, vide che quel corpo, sinora rimasto avvolto dalla coperta, non era proprio rimasto incolume, scoprendolo ricoperto di bende, a loro volta mezzo nascoste da un vestitino. 
Strinse forte i denti, e poi i pugni, senza nascondere il suo fastidio, mentre scrutava ogni bendaggio medico di troppo. 
Rin non impiegò molto per capirlo, riportandosi la coperta addosso ma rimanendo seduta. “Sto bene!” Precisò, anticipandolo, e lasciando andare un paio di sospiri. “Sono superficiali!” 
“Perché…” gli uscì immediatamente dalla bocca serrata, sentendosi sopraffatto dalla rabbia e dalla confusione “perché diavolo quella pazza non é qui ad occuparsi di te…”
La bambina si portò teatralmente la mano sulla fronte, dandosi un colpetto sopra. 
“Ma allora lo vedi che ho ragione? Tu vuoi solo che venga qua da te!” 
“Rin! Maledizione! Sono serio!” 
Iniziò a ridacchiare lei, coprendosi la bocca con la mano come a nasconderne l’azione, augurandosi di passare inosservata. 
“Ci vedo e ci sento, sono malridotto ma non sono mica un vecchio rimbambito!” 
“Ma dai…” si avvicinò a lui, invadendo il suo letto trascinandosi la coperta dietro. 
“Guarda che è rimasta al tuo capezzale per tanto tempo…”
“Io ti sto chiedendo perché non si occupa di te! Cosa diavolo ha di più importante da fare che essere qua?” 
Rin riprese a ridere, sonoramente stavolta, felice come una pasqua. “Sei proprio uno spasso…usarmi come scusa! Altro che tonto, tu sei un vero furbetto, papà!” 
“Sei in punizione! Mi hai sentito? Punizione!” 
“Ma non puoi punirmi! Sono ferita!”, gli disse guardandolo spalancando gli occhi grandi, e facendo le fusa accanto a lui. 
Lo sentì rabbrividire all’instante, mentre la guardava sconcertato e furibondo, imprecando una qualche maledizione silenziosa. 
Non fare come lei. 
Non farai come lei. 

“Non mi piace affatto questa cosa qui!” Sentenziò, “appena mi rimetto in piedi di corsa ad allenarti! Hai passato troppo tempo con Nami!” 
 
 
Ore 08:45
 
 
Venne risvegliato da un respiro molto vicino, che sentiva farsi pesante quando saliva col petto per ispirare, e più leggero quando scendeva ed espirava. 
Iniziò a schiarire la vista e tornare nel mondo reale, anche da febbricitante i suoi sensi erano acuti, o quasi.
Quando aprì l’occhio, se la trovò difronte, la faccia di Rin addormentata pesantemente sul suo petto, sempre avvolta nella coperta e con le mani a stringergli il collo. 
Tale madre, tale figlia.  
Riuscì ad accendere il tastino dell’antidolorifico per un’altra mandata, dal momento che sentiva la fitta lacerante stare per tornare a squarciargli il petto. 
Poteva accettare di stare ancora a letto, ma non accettava di non avere notizie. Tra l’altro sarebbe dovuto andare anche al bagno, come avrebbe fatto secondo loro, a resistere per tutto quel tempo? 
Distese le braccia verso la bambina, riprendendo ad abbracciarla sulla schiena. Non aveva fatto caso al suo profumo, almeno non intenzionalmente, e adesso che lo sentiva arrivargli dritto alle narici, aveva come riflettuto per la prima volta che quella testolina era il frutto suo e di Nami. L’avevano fatta loro, o almeno, l’avrebbero fatta loro, tra degli anni, probabilmente. Il suo profumo era simile a quello della compagna, ma si differenziava su tanti aspetti. Ed era un conforto, poiché questo gli dava una sensazione di casa, di serenità, di certezza; quello di Nami gli obnubilava la mente. 
Ricordava dello scontro, del delirio causato da Akainu al porto, i marines sconfitti, i salvataggi, gli attacchi, la furia di Rufy, il dolore lancinante provato dal suo corpo, sua figlia a terra e Nami…la sua irruenza, stupidità, testardaggine…e la paura e disperazione per lei…come un costante e irrefrenabile supplizio. 
Ma perché non ricordava la fine? Come era arrivato sulla Sunny? Cosa era successo dopo? 
E di nuovo lo sentì, quel senso di nausea invaderlo, quasi a dover vomitare. E lo vide, il pugno di Akainu sulla pancia di Nami, pronto a squarciarla come fosse stata il nulla. Un momento talmente delicato che tra resa e disperazione c’era una linea talmente sottile da mischiare le due cose in una sola possibile reazione. 
“Se la risparmi, puoi prendere la mia vita e il tuo onore non ne subirà nessun affronto.” 
Ancora la sua voce che parlava senza riflettere. Era successo davvero? O era solo un patetico sogno che voleva torturarlo? 
La voce leggera e impiastrata dal sonno di Rin lo risvegliò da quello stato confusionario. 
“Hai fatto ancora il sogno?” La sentì tirare sul col naso. “Mi dispiace…” 
Zoro sgranò l’occhio e si concentrò nuovamente su di lei, guardandola stropicciarsi gli occhi a metà tra essere incredulo e confuso, accertandosi che fosse davvero sveglia e che non stesse parlando nel sonno.
“Umh?”
“Continui a sognare lo scontro…” 
“E perché ti scusi per questo?” 
Quella frase lo aveva un po’ scombussolato. 
Quindi era tutto reale? 
Gli occhi della bambina erano diventati improvvisamente tristi e colpevoli. Non voleva sentirsi così, e, sapeva, che tanto meno lo voleva Zoro che lei si sentisse così, ma Rin sapeva che in parte era colpa sua, lo sapeva, e si sentiva ancora peggio quando vedeva il padre febbricitante urlare il nome di sua madre nel sonno, pensando di vederla morire davanti ai suoi occhi. Ecco perché ad un certo punto lo aveva stretto, per calmarlo, destarlo da quell’incubo, sperando di averne il potere. 
Decise di spiegargli tutto, non potendo sopportare il senso di colpa.
“Sono stata debole…non sono stata all’altezza della situazione. A causa mia, Nami ha rischiato di morire, e tu di seguirla a ruota.” 
Lo vide guardarla in silenzio, serio e come sempre indecifrabile. Rin sgranò gli occhi, quando sentì ancora quella mano calda carezzarle la fronte aggrottata. 
“Lo so cosa significa avere il peso di se stessi sulle spalle…” 
Il colorito pallido più del solito, e gli occhi grandi ancora sconfitti dal sonno, Rin aveva bisogno di conforto più che mai in quel momento faticoso. Ma come avrebbe fatto a spiegargli la verità? Come avrebbe fatto a dirgli che se si sentiva sempre in colpa era anche per via di Zoro stesso?
“Mi dispiace…” mormorò con fare mortificato, a lui che ancora la guardava con aria ambigua tanto da farle abbassare lo sguardo. “Sto creando dei problemi a tutti da quando sono arrivata.“ 
“Pensi che senza di te noi saremmo liberi dai problemi?” Sorrise, Zoro, cercando di trasmetterle una verità evidente, “non ti sei mai arresa, hai dato il massimo di te stessa con le tue sole forze…solo questo conta, hai capito?” 
Sentiva i lacrimoni formarsi negli occhi, ma tirò su col naso e si trattenne. Doveva resistere. Doveva avere autocontrollo. 
Non voleva essere più la causa del loro dolore, mai più.
Si mise seduta al fianco di Zoro, lasciando scivolare la coperta di dosso. 
“Ne andrò fiera…porterò queste ferite con orgoglio!” 
 
 
 
Ore 11:00
 
 
“Guarda che potevo camminare benissimo da solo!” 
Il cyborg già per la seconda volta si faceva carico di Zoro e lo portava al bagno di peso sulla sua spalla, trattandolo un po’ come uno straccio vecchio.
“É umiliante! Dannazione!” 
Riposto nuovamente sul letto, con la cura un po’ rozza e rude di Franky, lo spadaccino imprecò altri nuovi insulti che aveva appena inventato durante il tragitto, maledicendo tutta quella stupida situazione senza risparmiarsi niente. 
“Non fare come i marmocchi, dov’é finita la tua resistenza da superuomo?” 
Zoro stringeva la mascella con la faccia scura e la voglia di prendere le spade e tagliare qualche parte del corpo metallico dell’amico. “L’avrò persa nella strada per il bagno!” 
Nella stanza scoprì immediatamente l’assenza di Rin, sostituita da Chopper, indaffarato a riempire la boccia di vetro di nuovo antidolorifico, con modi distratti rispetto al solito in cui invece regalava estrema apprensione. 
“Oh Zoro! Sei qua! Come va il dolore?” 
“Mi dite che sta succedendo?” 
Si dimenò, rimanendo però seduto sul letto. 
“Che vuoi dire?”
“Mi state nascondendo qualcosa! Che sta succedendo la fuori? Come stanno gli altri veramente?” 
Mentre Chopper s’irrigidiva, incapace di nascondere la verità, soprattutto ad uno come Zoro, Franky prese una sedia con un gesto indelicato e ci si sedette sopra. 
“E’ solo una sciocchezza, ma se proprio ci tieni a saperlo… “ sospirò, come per prendere aria, prima di rivelare qualcosa d’importante. 
“Parla!” 
Il cyborg sembrava sforzassi di acquisire immediata sicurezza, senza far trapelare la sua ansia, la stessa che Zoro aveva invece già captato. 
“Allora?” 
“Rufy non si é ancora svegliato…” confessò. Una frase secca, uscita di getto, quasi interminabile da dire e sentire. 
“E questa sarebbe una sciocchezza?”, deluso e arrabbiato che nessuno gli avesse parlato delle condizioni dell’amico, Zoro scese immediatamente dal letto senza pensarci per più di due secondi. 
“Ecco, lo sapevo che avresti fatto così!” 
Chopper, rapido, trasformato improvvisamente in adulto, bloccò lo spadaccino prima che potesse alzarsi del tutto e staccare via dal braccio il filo che lo collegava all’ampolla medica, che aveva appena ripristinato. 
“É per questo che non ti é stato detto niente! Perché avresti messo la tua vita in secondo piano, ancora una volta! Tanto non puoi fare niente per lui, hai capito? Dobbiamo solo aspettare che si risvegli! É chiaro?” 
Per il suo orgoglio questa era una cosa inaccettabile. Ma allo stesso tempo era abbastanza lucido da capire che se si fosse trattato di qualcun altro della ciurma al suo posto, avrebbe usato le stesse identiche parole. 
 
“Nami é con lui?” 
 
Franky annuì. 
 
 
 
Ore 18:30
 
 
Rin aveva avvertito il cuore del verde stringersi in una morsa: davvero non poteva fare nulla, per evitare che lui si sentisse così impotente solo per il fatto di dover stare a letto? E, d’altronde, anche a parti invertite sarebbe stata la medesima cosa: che al suo posto ci fosse stata Nami, o lei, o lui ancora in coma al posto di Rufy, la sensazione di panico generale sarebbe stata la stessa. Eppure lui era rimasto comunque serio come sempre, non aveva detto una parola su niente. Non era riuscito a mangiare, aveva sonnecchiato un po’ e, per di più, guardava il soffitto in silenzio.
“Rin!” 
Lo sentì chiamarla, seppur segnali di essere attento non ne avesse dato molti. “Smettila di star lì a fissarmi…!”
La bambina, cambiata d’abito, e cambiata di bende, era seduta accanto a lui a gambe incrociate, facendo finta di leggere un libro dalla strana copertina. Sentendolo così severo corrucciò la fronte facendo una smorfia che nascose prontamente dalla pagina del suddetto libro. 
 
“Te l’ha dato Robin quello?” 
“Tsk! Non proprio…diciamo, l’ho preso in prestito…” 
“Significa che l’hai rubato?”
“All’incirca…” 
“Rin!” 
Scosse la testa arreso, era troppo distratto per una ramanzina, girandosi su un fianco per darle le spalle. La bambina iniziava a metterlo in soggezione, perché continuava a fissare ogni sua reazione, movimento, addirittura anche quando incurvava le labbra. Stava cercando di capire i suoi sentimenti per tirarli fuori da lui, e questo lo stava facendo letteralmente impazzire. Quasi che iniziò a capire quanto anche lui in effetti potesse essere eccessivo come lei, a volte. Un altro comportamento che avevano in comunione. 
“Per stavolta non dirò niente del libro…” 
“Non è di questo che mi preoccupo” 
Fece un po’ la adulta, la mini rossa al suo fianco. Ma lui non aveva più ribattuto, consapevole della sua sincera apprensione per lui, ma senza volerla approfondire più di così. 
 
“L’hai fatta preoccupare a morte, lo sai?” 
Si fidava di lui e sapeva che avrebbe potuto confidarsi. Preso alla sprovvista, Zoro mosse le braccia in un gesto perentorio che esprimeva tutta la sua contrarietà al riguardo, ma stando in silenzio mordendosi le parole in bocca.
“…” 
Con la stessa velocità si era alzato dal letto, messo seduto e rivoltato verso Rin. E al diavolo tutti i dolori dei suoi muscoli! “Con quale pretesa…”
Rin sospirò per la trentesima volta in quella giornata, consapevole di dover fare ancora da paciere, festeggiando mentalmente per il fatto che i due fossero momentaneamente separati, per avere la possibilità di sbollire i sentimenti. 
Continuava a dimenarsi quello, maledicendo il cosmo intero per avergli fatto incontrare la rossa, stringendo i denti per quell’ulteriore affronto che doveva subire. Tutto sotto gli occhi imbarazzati di Rin, che per fortuna era abituata fin da quando ricordava a quelle scaramucce, insulti, momenti “accesi” tra i suoi genitori. Il suo forte papà, guerriero dalla resistenza fisica e mentale ineguagliabile, dalla tempra salda e dai solidi principi, andava in escandescenza davvero con poco quando si trattava di Nami.  
“L’hai fatta spaventare davvero tanto…”
“Solo lei credi che si sia spaventata?” 
“Papà…eddai! In fondo hai chiesto di scambiare la tua vita con la sua…mettiti anche nei suoi panni…” 
“È fuori discussione!” Nonostante inizialmente ne fosse rimasto sorpreso, il suo tono non ammetteva repliche. “Ti ricordo che é stata lei a mettermi in quella situazione. Cosa le è passato per la testa???!” 
“Veramente é stato Akainu!” 
“Lei ha agito di testa sua come sempre, non come una squadra!” 
“…come sei esagerato!” 
 
 
 
Ore 19:00 
 
 
“Ti sei calmato adesso?” 
Chiese la bambina, arrivata a un quarto del testo, a uno Zoro ancora ferito nell’orgoglio che se ne stava sdraiato in silenzio. 
“Nami avrebbe dato la vita per proteggermi, e questo ti fa arrabbiare perché ti fa paura…” girò l’ennesima pagina, convinta della sua saggezza e maturità. “E tu non ci pensi due volte a mettere la tua vita in pericolo per lei…o per gli altri, e questo può farle davvero del male!” Prese memoria della pagina in cui era arrivata e chiuse il libro in tonfo secco. “Ecco, perciò, che in questo siete uguali…” 
“Si può sapere che cosa stai leggendo?” 
“L’arte di tagliare l’ego con la spada..”
 
 
 
Ore 21:30
 
“I ha il significato di essere, Al quello di unità. LAI è la realtà e il mezzo per arrivarci.” 
Rin stava leggendo il suo amato libro rubato a Zoro, quando Robin, con il braccio ancora ferito, tenuto legato sulla spalla, aveva fatto il suo ingresso nella stanza insieme a Brook. Quest’ultimo aveva portato il cibo a Zoro e chiesto a Rin di scendere a mangiare qualcosa insieme a loro. 
 
“Sanji é come te, in ripresa…e Usop, bé sta esagerando come suo solito, sta facendo la vittima per essere servito e aiutato in tutto, e perciò sta benone. E…Rufy…Rufy si è svegliato.” 
 
Quelle erano le parole che facevano da slogan quella sera. 
Quelle erano le parole che tutti erano contenti di sentire.
 
 
 
 
 
 
24 ore dopo lo scontro. 
Infermeria. 
Ore 22:00
 
 
 
Il piccolo medico aveva finito per fare un ulteriore controllo di sicurezza. Sospirando a metà tra il rassegnato e lo speranzoso. Si premurò di sentirne nuovamente il polso, misurare la pressione, sentire il battito cardiaco che era rimasto regolare: il tutto dopo essersi accuratamente accertato che non ci fossero altre emorragie interne. Appesa la boccetta sopra il capezzale del capitano, con l’antidolorifico al suo interno, e innescato il sistema a pulsante con minuziosa attenzione, lasciò cadere le braccia esauste sui suoi fianchi, liberando un respiro faticoso. 
“Chopper devi fare una pausa…non hai fatto che ricucirli tutti e curarli ininterrottamente per un giorno intero…” 
Nami, al fianco di Rufy, gli teneva stretta la mano, ma lo sguardo di apprensione ora era dedicato alla piccola renna provata. Il medico prese per sé altri minuti per respirare, per poi finalmente rivolgersi a Nami, ma prima di risponderle la osservò attentamente. Non aveva un bell’aspetto, e questo per essere gentile. 
“Nami…” si avvicinò delicatamente a lei, scrutando solo buio e sofferenza in quegli occhi solitamente luminosi, e ora, devastati dalla follia della paura della perdita, dalla preoccupazione, dall’esaurimento del non dormire, dallo sfinimento dello scontro, “devi dormire!” 
Scosse la testa immediatamente, con la risposta già pronta, “posso farcela…” 
Senza prenderla sul serio, e senza farsi fermare, poggiò svelto le zampette su tutto il suo addome, facendole uscire un immediato sibilo di dolore. 
“Lo sapevo…”, scostò appena il primo strato di benda fatto da Robin, accorgendosi del sangue che iniziava a bagnare gli strati sotto, “si é aperta la ferita a furia di star seduta qua…dovresti sdraiarti!” 
“Sto bene…” 
“Si, state tutti bene …a sentir voi io non dovrei mai fare il mio lavoro! Ma il medico sono io!” 
Chopper non aveva mai alzato la voce in questo modo, mai. Soprattutto non con Nami. Ma la stanchezza e la paura avevano colpito anche la sua intaccabile dolcezza. 
“Sei stanco, Chopper” 
Una voce profonda sulla soglia della porta fece sussultare entrambi “ma se alzi ancora il tono con Nami-San, ti spezzo le corna!” 
“Sanji-Kun!” 
“TU” lo indicò svelto l’alce, “TORNA SUBITO AL LETTO, BRUTTO INGRATO!” 
 
 
 
Ore 00:00 
 
 
“Si é assopito come un orso in letargo…” la informò Robin entrando in infermeria, in riferimento a Sanji, facendo intendere di aver approfittato della debolezza del cuoco, che a lei non avrebbe mai potuto dire di no, per tenerlo a bada. “Non aveva nessuna intenzione di riposare. Voleva stare in piedi a tutti i costi, quel testone…il povero Chopper stava avendo un esaurimento nervoso…ma alla fine li ho stesi entrambi.” 
Nami sorrise, seppur il suo fosse un sorriso spento, appena accennato, contornato da due occhi scuri e privi di vitalità. 
“Grazie di esserti presa cura di Sanji, sono contenta che ci sia stata tu accanto a lui…” 
La mora, sempre con un braccio fuori uso, prese posto ai piedi del letto dove dormiva il capitano, facendo comparire una sua mano sulla sua fronte a spostarli i ciuffi neri dal viso umido. 
“Non devi ringraziarmi per questo…”
Mentre le due si scambiarono un cenno di consenso con la testa, la mora prese il cappello di paglia dal letto, giocandoci con la mano sana e spolverandolo dalla terra da cui era ricoperto. 
Nami lo notò subito, osservando i gesti della compagna con una punta di allarmismo fuori controllo. 
“Me ne occupo io…lo ricucirò come sempre…” 
Robin alzò il capo a guardarla seria in viso, provocando in Nami una stretta al cuore, immaginando cosa stesse per dirle, in aggiunta a tutta la moltitudine di emozioni che già provava.
“…ho sbirciato un po’ nella nostra camera…”
Sentiva che Nami si era freddata, ma era talmente orgogliosa da non volerle dare nessuna soddisfazione, riprendendo a concentrarsi solo sul viso di Rufy e stringendo ancora più forte quella mano tre le sue. 
“…sta bene, si è svegliato già da un po’.” 
Nami ne fu anche lusingata delle premure di Robin, ma al tempo stesso non poteva fare a meno di mordersi le labbra con fare nervoso: se si fosse lasciata andare al sentimentalismo non avrebbe avuto abbastanza forza per occuparsi degli altri allo stesso modo, per occuparsi di Rufy. Se si fosse permessa il privilegio di crollare, non era sicura sarebbe riuscita a tirarsi nuovamente in piedi. 
Era rimasta accanto a Zoro e Rin quanto tempo aveva potuto, aiutando a medicarli entrambi. Ma loro erano forti, potevano prendersi cura uno dell’altra. 
“Nami…siamo solo io e te adesso, puoi lasciarti andare…” 
Una sensazione di panico si impadronì di lei, facendola pietrificare lì dove si trovava, al capezzale del suo capitano e migliore amico. Non aveva mai subito niente del genere, e ne era spaventata. Sapeva che Robin voleva vederla sfogarsi, vederla andare dallo spadaccino, vederla dormire, e le fu grata per l’interesse, ma lei proprio non poteva lasciarsi andare a questo, non adesso. 
“Zoro e Rin stanno bene…sono fuori pericolo.” 
Si riscosse con un brivido violento, e alzò la testa per avere nuovamente un confronto con l’archeologa.. . 
“Anche Rufy é la mia famiglia…e adesso, lui ha bisogno di me.” 
 
 
 
Ore 3:45
 
 
“Nami, ci pensiamo io, Franky e Brook…vai a dormire! Devi distendere l’addome!”  
La rossa, che ancora mai aveva mollato la stretta su quella mano, non aveva intenzione di ascoltare nessuno di questi consigli, seppur consapevole che lei stessa ne avrebbe elargito di eguali. 
“Posso resistere…” 
Robin sapeva che sarebbe stato impossibile destarla da quella idea; perciò, uscì dall’infermeria per vigilare sulla situazione al posto di Nami, lasciandola sola con Rufy. Si sarebbe occupata lei di Zoro e Rin al suo posto, accertandosi che stessero bene. 
“Grazie…” le aveva detto, prima che richiudesse la porta dell’infermeria alle spalle, dimostrando di aver intuito le intenzioni dell’archeologa. 
 
Per quanto ancora avrebbe realmente resistito? Era stremata, non sapeva nemmeno cosa la tenesse sveglia. Ma, non era giusto, pensò Nami, lasciare che quel poveretto del loro capitano, che aveva salvato la vita a tutti, rimanesse senza il suo sostegno. Zoro non poteva darglielo, seppur fuori pericolo quelle ferite avrebbero potuto ucciderlo. Sanji si reggeva a stento in piedi; Usop, seppur stesse bene, era ancora troppo provato per prendersi un simile carico. Chopper non avrebbe potuto fare di più. É vero, Robin, Brook e Franky erano abbastanza integri, ma Nami pensava che Rufy avrebbe avuto bisogno anche di uno di loro quattro. Rufy aveva bisogno di sentire la sua vicinanza, di sentire la sua voce guida per non perdersi nei meandri della luce accecante. Infatti, ogni tanto gli parlava, gli raccontava qualcosa, cercava di fargli arrivare le sue indicazioni. Lo sapeva che dopo simili battaglie il capitano poteva dormire per giorni interi, ma, stavolta, a parte il respiro e il battito cardiaco, sembrava non essere li. 
“Il coma può durare delle ore come dei mesi, o potrebbe anche non risvegliarsi mai più, seppur conoscendo Rufy, dovrebbe essere l’ipotesi meno probabile”, le aveva detto Chopper. E questo pensiero la destabilizzava, le faceva male fino all’infinito. 
Ma poi…
“Se la risparmi, puoi prendere la mia vita e il tuo onore non ne subirà nessun affronto.”
Eccola di nuovo quella voce. Quelle maledette parole. Come aveva potuto farlo? Come aveva potuto decidere per entrambi? Lei si sacrificava per Rin, lui si sacrificava per lei, e Rufy si sacrificava per tutti.
“Perché ci hai messi insieme, eh Rufy? Perché?” 
 
 
 
Ore 7:00
 
 
“…ti prego, svegliati!” 
Lo mosse appena, non troppo per la paura di scoprire che non stesse in realtà respirando da un pezzo. Passate le dovute ore aveva ripremuto il pulsante dell’antidolorifico, per paura di pensarlo soffrire senza avere voce per lamentarsene. 
Si morse il labbro inferiore, stringendosi fra le braccia e lasciando venire fuori il proprio disagio interiore. 
“Akainu avrebbe ucciso me o lui…e tu non ci hai visto più, vero? Non avresti mai potuto scegliere chi era più giusto si sacrificasse tra noi…tanto meno l’avresti mai premesso. Così hai trovato la forza per rialzarti, hai trovato la forza inumana di salvarci la vita a tutti…” 
Nami sentì come un movimento imprevedibile provenire da quella mano pallida del capitano. Bastò quello per illuminarle un attimo gli occhi. Ma bastò non sentire più niente per riperdere lo scintillio. 
“E lui? Come può essere così temerario e poi farsi fregare come un allocco? Stava per fare il gioco di Akainu… servendosi su un piatto d’argento.” 
Sospirò, continuando a stringere quella mano che pensava essersi mossa, ma che ora aveva perso metà del suo calore.
“Avevi detto che quando l’hai incontrato si era sacrificato alla Marina per salvare una donna e sua figlia…come si fa ad essere così stupidi? Un accordo lo si deve fare per bene, con una certa garanzia…io dovrei fidarmi di uno così, eh Rufy? Dovrei condividere tutto con uno così facile da fregare? 
Lo so, tu diresti di si ad occhi chiusi…”
 
 
Ore 11:00
 
 
Si sentiva così esausta, intontita e incapace di dare una definizione al suo vuoto. Che pensieri sciocchi e fuori luogo che stava facendo, e che paure stavano subentrando sotto la sua pelle; ancora una dannata volta quelle paure. Era così da lei, d’altronde, perdere sicurezze quando capitava qualcosa di così grande, assurda e senza senso. Eppure, una parte dentro di lei sembrava sussurrarle che, in realtà, non dovevano essere poi così tanto assurdi, quei pensieri. Che erano situazioni che dovevano far riflettere. 
Un altro movimento impercettibile avvertito dalla sua mano la fece sussultare. 
Rabbrividì. 
Non poteva averlo immaginato ancora. 
Un’improvvisa fitta alle tempie la costrinse a piegarsi e a proteggere il capo tra le mani, lasciando per un attimo la mano di Rufy che ricadde esanime sul materasso. 
Si sentì male per averla anche solo lasciata. 
“Mi dispiace…” la riacciuffò subito. “Non ti lascerò più.” 
Sospirò, ignorando il suo dolore fisico predominante. 
“Stai pensando che avrei dovuto stare al capezzale di Zoro a stringere la sua di mano, vero? Ma noi non siamo così, non siamo fatti per questi sentimentalismi…e poi, ci sono già stata a quel capezzale…” sospirò pesantemente ancora una volta, parlando poi con se stessa  “ sai, non é da me fare la brava mogliettina…con te però mi é più facile adesso…” 
Finalmente riuscì a ridere, anche se per un solo attimo, mentre due lacrime le scivolarono lungo le guance e si depositarono sulla sua mano che stringeva quella di Rufy; alzandola e poggiandola sulle sue labbra, lasciandoci un casto bacio sopra. 
“Non ti perdono se mi lasci sola in questo casino, hai capito?…
lo sai? 
Zoro andrebbe via…senza di te…mi lascerebbe anche lui, per sempre. Lo so, che ti può sembrare una richiesta egoista, ma non morire, ok?”
 
 
 
Ore 16:00 
 
 
Sfinita, e totalmente affranta da pensieri poco lucidi e dalle ore che passavano inesorabili dentro a un vortice di terrore, Nami lasciò cadere il capo sopra il petto di Rufy, non riuscendo più a reggerlo sulle sue spalle. 
“Sai che ti dico? Che se sopravvivi anche a questo io lo sposo quel cretino! Lo sposo davvero! É una promessa!” 
 
Il suo corpo rabbrividì tutto, quando sentì la sua mano venire stretta forte dalla stessa che stava tenendo lei. 
 
“C-carne…t-t-anta c-c-arne alla brace al m-matri- matri - monio…allora” 
 
 
 
 
 
 
 
 
50 ore dopo lo scontro. 
Camera delle donne.
Ore 00:00
 
 
 
 
Zoro si era svegliato all’improvviso, come quando un sogno, un incubo, lascia addosso la scia del suo passaggio nella psiche e condiziona la vittima per tutta la giornata. 
Sentì immediatamente che nella stanza c’era qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo che prima sicuramente non c’era.
Quando aprì l’occhio, nel visualizzare velocemente l’immagine della camera delle donne che in quella lunga giornata aveva avuto modo di studiare in ogni dettaglio, capì subito di cosa si trattasse, ma non dall’analisi del suo sguardo, bensì dal profumo che aveva invaso ogni spazio vitale. Abbassò il capo alla sua destra, e dove sarebbe dovuta esserci Rin, che ricordava perfettamente essersi appisolata, sdraiata accanto a lui, ci trovò invece il corpo di Nami che gli dava le spalle. 
I suoi cappelli sciolti e, in quel momento, un po’ arruffati, gli solleticavano la pelle del braccio. Era riuscita ad infilarsi tra loro, nonostante lo spazio evidentemente ridotto. 
Zoro era sicuro che non era poi passato così tanto tempo da quando doveva essere entrata nella stanza, poteva capirlo dall’ambiente circostante. Si avvicinò cautamente a lei, voleva vederla in viso, voleva avere la certezza che stesse bene, nonostante la scarsa illuminazione della camera, ma il suo respiro pesante e pieno d’angoscia che si liberava in aria lo fece fermare all’istante. Sembrava così stremata e debilitata, già solo a inquadrarne metà figura, probabilmente obbligata dal suo fisico a crollare. 
Mandando al diavolo ogni principio e arrabbiatura, non perse tempo, e, gli fu, per la prima, volta naturale allungare le braccia ad arpionare Nami appena sotto al seno, dal momento che il torace era leso e ricoperto di bende ben visibili. Si sentì arrossire e leggermente in colpa per il fatto che stava sfiorandola così apertamente, ma non poteva far altrimenti. 
Appena sentito il calore del suo corpo, e la morbidezza delle sue forme, continuò a sentirsi con la coscienza sporca, come se si stesse approfittando di lei. Possibile che per tutto quel tempo avesse sentito così forte quel bisogno di averla lì? Rin aveva ragione? Lui aveva protestato indirettamente perché rimasto scottato da non averla intorno? 
Ma lui lo aveva capito, lei aveva dovuto essere forte, caricarsi il peso di Rufy, ed essere il suo conforto. Zoro lo sapeva, del perché Nami non aveva potuto essere con lui in quella difficile situazione, e non poteva esserne più fiero. 
Con un gesto istintivo incastrò il suo volto nell’incavo del suo collo, respirandone tutto il profumo della sua pelle, seppur sfatta, bisognosa di un bagno, piena di ferite e di sangue secco e appiccicoso. Ma niente di tutto ciò bastava per sopprimere il suo aroma, quello di cui lui ora stava facendo rifornimento. 
La sentì muoversi, ma aspettando tuoni e saette per aver fatto di testa sua, toccandola senza permesso, soprattutto dopo quella situazione ambigua, lo spadaccino rimase invece stupito dalla ragazza, che tutt’al contrario, senza aprire gli occhi, si strusciò su di lui affettuosamente. 
Lui che già rimaneva lucido a fatica, ne fu oltremodo sorpreso, sgranando l’occhio per quella tenerezza improvvisa che non si sarebbe certamente aspettato. 
Quando ebbe la sensazione lontana di qualcuno muoversi alle sue spalle, e conscia di essere stata avvolta da un’improvvisa ondata di calore, Nami, mugugnando qualcosa, volse leggermente la testa, scontrandosi con quella del compagno. 
“Zoro…” 
Assonata ma presente, la voce appena udibile e il respiro tornato regolare, la vide aprire leggermente le labbra, cercando immediatamente le sue, senza nemmeno dedicargli un’occhiata o un’altra parola. 
Non era più arrabbiata? Non era andata lì per maledirlo o fare una scenata al suo risveglio? 
Si fece allora trovare, il verde, alzando di più la testa e prendendo le redini di quell’incontro di cui tanto si era stupito aver sentito necessità. 
Ne aveva sentito subito i contorni, di quelle labbra, e non era mai stato più bello di così, forse perché dopo un periodo di trepidante attesa, tra la vita e la morte, tutto diventa sempre diverso, assumendo diverse sfumature che prima non si potevano cogliere. O forse era solo il loro modo di fare pace ad un litigio che non era ancora avvenuto. 
Gli aveva delineati con attenzione, quei bordi, sentendo Nami essere più sensibile, poiché stava provando apertamente piacere per quella sensazione umida e morbida, di cui aveva sentito il urgenza in tutte quelle ore di sconforto. E benché non fosse nuova quella sensazione, sentirla cedere così in fretta, anche se per via della stanchezza mentale e fisica, fu una curiosa scoperta. 
Le loro labbra stavano giocando, con sempre un'eccessiva pressione che i due non sapevano mai dosare, poiché continuavano a spingerle poco delicatamente una sull’altra. 
Nami sentiva nel frattempo le mani di Zoro invaderla sul corpo, ma, seppur inizialmente si potesse pensare a lui che vergognosamente voleva dar vita, proprio in quel momento peggiore, al loro accordo, lei in realtà lo sapeva - eccome se l’aveva capito- che lui stava solo cercando conferme che lei stesse bene. 
Lo sentì un po’ timoroso passarle la mano sul torace, scendendo piano piano sulla sua pancia, la stessa dove Akainu aveva poggiato il suo pugno magmatico. Ci passò una carezza leggera, facendola tremare, per poi scendere ancora più giù, dove le bende s’intensificavano. Fu lì che la sentì mugugnare di dolore trattenuto, non appena aveva sfiorato la fasciatura più spessa, segno che seppur era scampata all’attacco mortale del marine, era comunque rimasta ferita lo stesso da quell’agguato.  
In un moto d'ira portò le braccia ad avvolgerla nelle spalle, stringendola forte a sé, e, d’istinto, con la bocca nuovamente sulla sua, in un altro bacio possessivo, saggiandole le labbra con più impertinenza. 
Non era stata tanto la ferita in sé a farlo scattare, quanto tutto ciò che gli aveva ricordato. “Potevi morire…”
Stavolta fu lei a fermagli la stretta delle braccia posandoci una delle sue mani sopra, e allontanandosi, a malincuore, dalla sua bocca, il tanto di far spazio per osservarlo bene in viso. Aprì finalmente gli occhi, dedicandogli uno sguardo serio, almeno fin quanto era possibile, visto che col suo stato comatoso riusciva a tenerli aperti a malapena. “Anche tu…” 
La guardò intensamente, capendo che non c’era ironia sul suo viso, ma tanta profondità e tanto dolore, che a volte era in grado leggere altre meno. Ma ciò che più gli passava per la testa era l’essere preoccupato per il suo aspetto stravolto e affaticato, che certamente non avrebbe mai voluto vederle addosso. 
“‘Non è la stessa cosa! Io posso combattere e resistere anche se mi vedi steso a terra…ma quel colpo, quel colpo ti avrebbe uccisa…”
“Non è giusto…” Nami trovò le forze per ribattere, nonostante non ne avesse più “tu non puoi…idiota, sei un idiota…, hai proposto la tua vita in cambio della mia, ma come ti sei permesso?” 
Le prese il volto fra le mani, cominciando a tastarlo con i suoi pollici duri. Gli occhi affaticati, il respiro lento, la pelle pallida con sfumature scure nelle zone più delicate, la bocca ancora calda. Non disse più niente; non ribatté più niente. Sapevano entrambi che era un discorso senza via d’uscita, e che con quella paura avrebbero dovuto conviverci per tutta la vita. Riguardava solo loro. E come erano fatti dentro. 
Certo era, che essere stati separati era stato solo che di beneficio per entrambi, dal momento che almeno così non si erano potuti scannare buttandosi addosso delle brutte, bruttissime parole, date, ovviamente, in pasto dalla paura. 
Non seppe resistere a baciarla ancora, insinuando prepotentemente la lingua tra le sue labbra che adesso erano socchiuse. Ancora quella pressione, ancora quel carattere, in quel modo tutto nuovo che avevano brevettato per sfogarsi. 
 
 
 
 
 
“…é meglio se riposi…”
A differenza del silenzio che Zoro s’aspettava di ricevere, lei ovviamente usciva fuori con le peggior battute. 
“Che c’è, non mi trovi abbastanza seducente stasera? Che sarà mai un po’ di sangue…Tu ne sei sempre pieno…”
“Piantala di scherzare! Si tratta della tua salute…”
Si affacciò nuovamente su di lui fino a sfiorargli le labbra con la bocca, solleticandogli il collo con i capelli. Gli posò sopra un bacio leggero e innocuo, provocandolo, anche se in realtà aveva esaurito ogni tipo di enfasi. 
Inarcò un sopracciglio: Nami voleva avere sempre ragione, come al solito, e non ascoltava minimamente le sue premure. 
No, si disse, non avrebbe ceduto minimamente, per il suo bene, doveva farla dormire, doveva farla riposare. 
Ma lei sembrava conoscere tutto di lui, tutte le sue debolezze, e sapeva quando chiamarle in causa. E lui, si adattava a lei, ai suoi sbalzi d’umore, alle sue richieste e alla sua caparbietà. 
I capelli tornarono a solleticargli la pelle, mentre lei continuava a dargli dei baci intorno alle labbra, e fu così che alla fine l’ebbe vinta, perché talmente bisognoso di quel contatto come non lo era stato mai, non riuscì a non rispondere. 
Quei baci continui erano amore, ma anche intinti di emozioni trattenute, quando rabbia, quando preoccupazione, quando paura, ma soprattutto sollievo. Sollievo di essere ancora vivi, di essere ancora insieme. Facendo finta di essere contrariato, riuscì comunque a farsi sfuggire un paio di baci soffici, prima di tornare alla solita carica aggressiva e prepotente che lo caratterizzava. 
“Vuoi dire che questo ti dispiace?” 
“Affatto. 
Ma devi riposare lo stesso…” 
“Ora che ho visto quanto sai essere accondiscendente…dolce e passionale…” 
“Oh no…che cosa hai in mente adesso…” 
“Per guarire…mi basta anche solo questo, sai?”
“Sei una bugiarda”
 

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Capitolo 26
*** Orgoglio fino alla fine ***


Capitolo XXVI
Orgoglio fino alla fine

 
 
 
 
 
 
 
 
 
La tempesta che li aveva colpiti durante la notte l’avevano superata indenni. Nami, che si era occupata anche di questo, prima di crollare, esausta, sul letto nella camera delle donne, accanto ad uno Zoro provato, si era ben premunita di minacciare il carpentiere di atroci conseguenze se non avesse seguito nessuna delle sue raccomandazioni a capo del timone, di cui lei non poteva prendere possesso. 
Per fortuna il vento era stato clemente, facendosi dominare dal cyborg, evitando di sottoporli a prove troppo ardue da superare, soprattutto dopo quella mole di problemi che già avevano dovuto affrontare. 
Ciò aveva reso Nami più felice, al suo risveglio che, sicurissima di trovare un putiferio era invece rimasta piacevolmente sorpresa del contrario. Franky aveva seguito le sue direttive alla lettera, in quel momento sommamente delicato, e Brook si era occupato delle vele e di ancorare alla Sunny tutto ciò che avrebbero potuto perdere per mare. 
Le onde, però, ancora si infrangevano una dopo l’altra, inarrestabili, sulla chiglia della nave, scandendo un ritmo irregolare e confuso, come il loro destino. 
Nami non aveva percepito niente in quella notte. Non ricordava molto in fin dei conti, non da quando la sua distrazione dai capelli verdi, che non aveva fatto altro che incitarla a riposare, ad un certo punto aveva iniziato a russare sonoramente al suo fianco mandando ai diavoli ogni naturale momento passionale andato a crearsi. Ma ciò che quella mattina la irritava maggiormente era stato il non trovarlo nel letto accanto a lei. E il fatto che questo le desse fastidio la faceva irritate ancora di più!
“Stupido, ipocrita e pure scemo!” 
Strepitava, anche mentre usciva dal bagno con indosso i vestiti puliti che andavano a nascondere una ferita all’addome medicata da lei stessa all'acqua di rose. In realtà, e Nami lo sapeva bene, non era guarita per niente, e, se non stava attenta, il taglio si sarebbe riaperto e avrebbe continuato a grondare sangue che non poteva permettersi di perdere. 
Tra uno sbuffo e l’altro, la navigatrice s’impuntò lo stesso di pensare alla rotta e monitorare l’attuale situazione, pensando che, se quello scemo si fosse realmente già rimesso in piedi, come era possibile allora che lei potesse non farcela; ma, mentre si arrampicava alla scala, venne colta in fragrante da una fitta, che sentiva invaderla e arrivarle fino alla gola. 
Lui aveva avuto ragione, aveva sempre avuto ragione su questo: i loro corpi non reggevano la stessa sopportazione. Anche lei lo aveva sempre saputo, ma era stato l’orgoglio, quel maledetto orgoglio ad agire. 
Arrivata sul ponte chiuse momentaneamente gli occhi, godendosi la brezza che le solleticava la pelle, resistendo però al dolore che le arrivava a piccole ondate. 
Le era sempre piaciuto risvegliarsi così, con un buon bagno caldo e l’aria del mare ad abbracciarla; anche perché non se ne poteva certo aspettare altri di abbracci, dal momento che per l’ennesima volta che s’addormentava con Zoro, si ritrovava poi sola al risveglio. 
Purtroppo, però, per quanto volesse riempirlo di insulti e maledizioni, quella testa verde era diventato quanto di più stimolante per l’umore potesse esserci. Certo, in fin dei conti, anche adesso il suo umore traballante era tutta colpa di lui!
Tremò al contatto con l’aria gelida. Era stata per così troppo tempo sottoshock da non rendersi conto minimamente che la temperatura e la stagione erano significativamente cambiate. 
“É inverno. É decisamente inverno!” aveva esclamato pensando ad alta voce, mentre si stringeva nelle braccia e sognava di andare a prendere un bel cappotto caldo dall’armadio; ma era così debole da pensare a quanto fosse lunga la strada fino alla sua stanza, che non trovava il coraggio. Era anche così spossata, che non riusciva quasi a muoversi. Le energie rigeneranti tornatele con il bagno stavano ora già esaurendosi. 
Fissava il mare avvolgere la Sunny, silenzioso, sentendosi quasi mancare. 
Pensava a quelle braccia - le sue braccia, calde, bollenti anzi, una fornace - che la notte prima l’avevano stretta forte, tanto forte da sembrarle surreale, come per impedirle di farla andare via, di lasciare quel letto. E quella bocca, che l’aveva arpionata, incatenata a lui, divorata, una bocca che voleva urlare qualcosa ma che non poteva farlo. 
Respirando a pieni polmoni, il ricordo di quel calore, di quell’accoglienza - impensabile per uno come Zoro - le era scivolato addosso, e in un attimo aveva surclassato tutta la tragedia dello scontro quasi mortale in cui si erano imbattuti.  
“Hei là, Nami!“ 
Quella voce. 
No, é impossibile! 

“Che stavi dicendo sul tempo?” 
Se prima aveva ingenuamente nutrito qualche dubbio, o meglio, qualche perplessità sull’idiozia dei propri compagni, ora invece, con occhi sbarrati e la bocca spalancata, Nami ne era certa. 
Quando lo aveva sentito svegliarsi sul letto dell’infermeria, la sera prima, non solo aveva tirato un sospiro di sollievo, ma, almeno momentaneamente, rinfoderato la voglia di ucciderlo lei stessa per essere stato così irresponsabile nel combattimento, superando lei e Zoro messi insieme in quanto ad azioni sconsiderate. E la giornata era diventata improvvisamente splendida, diventata ancora più piacevole la notte, in quei modi che i suoi compagni avevano di stupirla, farla dannare, sì, ma poi trovavano il modo, il loro modo, per farsi perdonare, come ritornando in vita da un attacco mortale. 
Era stato tutto così toccante, quella bellezza capace di far scordare tutto ciò che di tremendo poteva insinuarsi nelle loro vite. Finché poi, un cretino spariva dal letto al risveglio, non solo non facendole compagnia, ma mandando all’aria anche le sue cure e conseguente riposo; e l’altro deficiente era niente meno che seduto sul cornicione della Sunny con un cosciotto di pollo in mano e un cappotto che poteva scaldarlo solo sul busto, dal momento che nella parte inferiore indossava sempre i suoi soliti bermuda estivi con rispettivi sandali aperti. 
La vena della tempia aveva iniziato a pulsare veloce, e non avrebbe dovuto farlo, visto che rischiava di rimetterci lei stessa, stavolta. 
“Non può appartenere certamente al capitano questa voce, dal momento che Rufy dovrebbe essere sul letto in infermiera a riposare!” 
Era decisamente ironica, mentre con gli occhi ancora mezzi chiusi, si avvicinava al punto da dove era giunto il suono. 
“Hihihi, é proprio la mia voce invece!”
Sentì di rimando, con quella solita ingenuità allegra che per un attimo aveva dimenticato di aver sentito la mancanza. 
Avrebbe voluto sorridere, ma la persona con cui avrebbe condiviso quella gioia era la stessa che adesso voleva pestare a sangue. 
“Ma allora sei veramente scemo!!!” 
Lo strattonò per il collo con fare aggressivo, smuovendolo a destra e sinistra rischiando, terribilmente, di farlo cadere in mare. 
“Na-na-mi sof-soffoco” 
“Questo é il nulla rispetto a ciò che ho in mente di farti!” 
“Si può sapere che ho fatto?”
Smise di torturarlo solamente perché venne colta da una nuova fitta all’addome, maledicendo la sua violenza ma soprattutto l’irresponsabilità dell’amico. 
“Nami che hai? Stai male?” 
Ripreso dall’agguanto, cappello di paglia cambiò subito espressione soccorrendo la rossa, preoccupato. L’aiutò a sedersi sul pavimento in legno del ponte, facendo lui la stessa identica cosa, ma tenendole una mano sulla spalla e una sul fianco “chiamo Chopper!” 
“N-no” lo fermò con la mano, inducendolo a rimanere seduto accanto a lei “tranquillo, ora passa.” 
“Ma sei ancora ferita, dovresti riposare!” 
Rufy era però di tutt’altro pensiero, dettato dalla sua faccia allarmata e poco incline a crederle al cento per cento, almeno, solo per i primi minuti, poi si era convinto. 
Questo, com’è logico supporre, aveva scatenato ulteriormente l’ira di Nami, che però non era in grado di inveire fisicamente contro di lui. “Idiota!” L’apostrofò, guardandolo malamente. “Io dovrei riposare? Ti ricordo che ieri stavi per lasciarci le penne! Non parlavi e respiravi a stento! Non credo che Chopper ti abbia permesso di stare fuori come se niente fosse!” 
Lo vide grattarsi la testa riflessivo, mettendo sul volto un’espressione buffa che fece prima disperare la rossa, tanto da farle portare una mano sulla fronte da schiaffeggiarsi, quanto farla sorridere, per via di vederlo, in fin dei conti, così leggero. 
“Ah! Si, ha detto che un po’ d’aria mi avrebbe fatto bene!”
“Ma sono sicura che appenderti sul cornicione della nave e rischiare di cadere in mare, non fosse nella prescrizione!”
Lo vide osservarla attento e annuire, come se non avesse capito la battuta, o meglio, non l’avesse ascoltata proprio. 
“Che hai da guardare così?” 
Nami sentì sulla sua mano un calore improvviso, come fosse stata toccata da qualcosa, o meglio, stretta da qualcuno. Abbassò la testa, tanto da vedere la mano di Rufy sulla sua, e rialzò il capo, trovandolo ancora lì a fissarla in quel modo diverso. “Che c’è, ti ho chiesto!” 
“L’ho sentita…l’ho sentita la tua voce…”
Arrossì leggermente, invasa da un calore che non si aspettava di provare, assalita da quegli occhi così grandi, leggeri e sinceri - diversi da quelli di Zoro, più invasivi, pieni di desiderio, protettivi. 
“Rufy…”
“Ti ho sentita, Nami!” 
 
Arresa agli eventi, e accettando che quella dolcezza improvvisa surclassasse l’irritazione precedente ad essa, Nami appoggiò entrambe le sue mani sul pavimento, lasciandosi un po’ andare alla tranquillità della situazione, almeno finché, nella brezza silenziosa che entrambi stavano vivendo, non le uscì una frase spontanea, tanto quanto la risposta che ne seguì.
“Siete dei mostri, é tutta inutile la mia preoccupazione…avete dei corpi fuori dal comune, sovrumani!” 
Sorrise, facendosi anch’ella più leggera come il suo capitano. In fondo, se lo meritavano tutti, lei compresa.
“Per caso, ti riferisci anche al tuo futuro marito?” 
Una serenità che ebbe vita piuttosto breve, dal momento che la sua faccia diventò improvvisamente blu. “Eeeeh?” Fece finta tonta, d’improvviso. “Non so di cosa parli!” 
Il capitano, che sorrideva entusiasta al suo fianco, iniziò a ridere, battendo mani e piedi insieme, provocandola indirettamente. “Hai detto che lo sposi, no?” Continuò a ridere, ergendosi ad altalena, oscillando avanti e indietro. 
“Ti sbagli! Non ho detto niente del genere! Stavi morendo, eri febbricitante, chissà quanto hai sognato!” 
“Io so cosa ho sentito!” 
Cercò di acchiapparlo con la mano, lei, mentre con l’altra si tappava la bocca imbarazzata. 
“Ti sbagli! Non hai sentito proprio un bel niente!” 
Un tonfo poco lontano da loro interruppe la conversazione, facendoli entrambi voltare, con gli sguardi che si focalizzarono sul corpo di Usop che scendeva dalla vedetta, e si trovava davanti a loro d’improvviso. 
“Accidenti…” mormorò il nasuto, grattandosi il fondoschiena dopo la botta sul pavimento “certo che voi ne fate di casino!” Si avvicinò di più per sentire meglio quelle ultime parole che l’avevano incuriosito. “Che cos’è che avresti sentito?” 
Dal momento che i due avevano fatto talmente baccano da svegliarlo, mentre era ancora lassù, ora almeno sperava ne fosse valsa la pena di essere sceso. 
“Niente, non ha sentito niente!” 
Nami fu abbastanza veloce da catapultarsi su Rufy e tappargli la bocca, mentre lui continuava a parlare. 
“H—ha dett-tt-tto che lei…spr—-geeer-a Zoro” 
“Ti ho detto di stare zitto!” 
“Sporterà Zoro?” 
“Sssporge - raaaaaa” 
“Sporgerà Zoro? Ma che significa?” 
“State zitti!!!” 
 
Il medico di bordo, uscito da sottocoperta, aveva con un balzo raggiunto il gruppetto e, immediato, fermato la navigatrice violenta dalla sua furia, mentre inveiva contro il capitano con una mano sul collo e l’altra sulla bocca nel tentare di farlo tacere. 
“Nami! Ma che fai? Così si aggraveranno le sue ferite!” 
 
Una bella giornata avrebbe potuto essere, o tremenda, vista la piega che avrebbe potuto prendere. La ragazza, sconsolata, si abbandonò ad un verso affranto, poggiando con fare drammatico la fronte contro le ginocchia che aveva tirato su al petto.
“Siete degli stupidi!” 
Il cecchino, grattandosi la nuca con aria perplessa, prese anche lui posto sul pavimento in legno, appoggiandosi al parapetto con la schiena, dal lato di Rufy, che Chopper stava facendo rinsavire proprio in quel momento. 
“Ma io che c’entro, scusa?” 
Usop, confuso, sbirciò verso Nami che, continuava a tenere la testa sulle ginocchia, sotto lo sguardo attento di tutti i presenti, non avendo ancora chiaro quale fosse il segreto tra lei e Rufy, ma abituato alle scenate teatrali della compagna, non si sentiva affatto preoccupato. 
Lei si accorse di essere sotto tiro e, intuendo già i pensieri, corrucciò la fronte “Che cosa hai da guardare?”
Ma in quel momento, il capitano, grazie alle premure del medico, stava finalmente riprendendo conoscenza del tutto, ritornando a concentrarsi pienamente sull’amica pazza che lo aveva ingiustamente assalito, “Zoro sarà anche un idiota ma é un santo!”, azzardò gridando come fosse stato un rimprovero, con la faccia ancora un poco viola, mentre agitava un dito in aria. “Ma poi perché sei così violenta senza motivo?!”
Quella, infastidita, sfoderò il suo pugno in bella vista, rimettendosi immediatamente dritta con le spalle “posso esserlo molto di più, se non ne hai abbastanza!”
“No, Nami, poi mi tocca ricucirlo ancora!” 
Interferì l’alce parandosi davanti, mentre Rufy, dietro di lui, continuava a lamentarsi e dimenarsi non riuscendo a capirla. 
“Hai la faccia tosta di prendertela se ti dico che sei violenta, quando lo sanno tutti!” 
“Io non la provocherei ancora…” aggiunse il cecchino, sventolando la mano per aria con fare arreso, sia per Nami che teneva il pugno in bella vista senza ritrarlo, e per Rufy, che continuava imperterrito a parlare. “Cosa c’è di male nel dire la verità! Hai fatto una promessa!” 
“Fatti gli affaracci tuoi” lo rimbeccò Nami, avvicinando il pugno al suo viso, separati solo da Chopper che continuava a proteggere il capitano con la paura di finire anche lui in mezzo a quella rissa. “É ferito! É ferito!”
“Volete spiegarvi meglio?” 
“Nami ha promesso che spos…”
“Zitto! Sta’ zitto!” 
“Nami ha detto che spos…spos cosa? Sposare?” Continuò il cecchino, impegnato nella riflessione necessaria per soddisfare la sua curiosità. 
“Nami ha detto che sposerà Zoro…” 
Nico Robin, tazza e libro alla mano, con il suo solito fare pacato e rilassato, stava raggiungendo il gruppo scendendo le scale che conducevano al ponte.
Mentre catturò l’attenzione di tutti, Nami venne pervasa nuovamente dal freddo pungente che le arrivava alle ossa, dal momento che era ancora senza cappotto, ma, soprattutto, si sentiva stranamente incapace di reagire a quella confessione, sia per l’orgoglio che non le permetteva di dirlo apertamente, nonostante tutti ormai avessero capito del suo amore per lo spadaccino brontolone, e anche perché aveva sempre quella dannata paura di sbagliare. 
“Robin!” la riprese. 
“Ho origliato…mi spiace!” 
“Non ti spiace proprio per niente, invece!” 
“Ancora questa storia del matrimonio?” S’intromise Usop. “Non avevi detto che non l’avresti mai sposato?” 
“Infatti é così!” Incrociò le braccia al petto altezzosa. 
Un dito di gomma la raggiunse fino quasi agli occhi, indicandola e giudicandola. “Hai fatto una promessa!” 
Con un colpo secco, la cartografa schiaffeggiò il capitano con poco riguardo, per poi tornare ad incrociare le braccia sotto il seno con espressione trionfante, che andava a nascondere però tutta la sua ansia. “Ah, piantala! Nella disperazione si dicono tante cose che non si pensano!” 
“Brrr” il capitano continuava a grugnire e brontolare, con in sottofondo la risatina di Robin a decorare quel divertente e bizzarro quadretto.
“Chopper, piuttosto!” lo chiamò la rossa, con un tono che non prometteva niente di buono o tranquillo, o qualsivoglia connotazione positiva, “Mi dici dove diavolo é Zoro e perché gli hai permesso di alzarsi dal letto?” 
Sudando freddo, la renna si mosse quatto quatto, stando il più vicino possibile a Rufy e Usop. Dopo una manciata di sguardi con la rossa, si calmò, muovendo le testa a destra e sinistra in modalità arrendevole. 
“In realtà non ho concesso nessun permesso a Zoro...” sospirò esausto, sedendosi a terra in un gesto automatico, “quando ci si mette é impossibile fermarlo; così, ho dovuto concederli di poter alzarsi da letto per una parte della giornata, ma senza azzardarsi a fare pesi o altro sforzo fisico! Adesso comunque si trova in cucina…con Sanji!” 
Oltre l’esclamazione di stupore, i presenti alzarono tutti un sopracciglio, tranne Robin che ancora sorrideva, mentre si sistemava con sdraio e libro, in attesa della lezione che avrebbe dovuto fare con Rin. 
“Con Sanji? Proprio con Sanji?” 
“Sono lì che si fissano da più di mezz’ora. Ma nessuno parla.”
“Oh no, che hanno in mente stavolta? Un’altra stupida sfida? É di sicuro un’altra stupida sfida!” Nami preparò i pugni, pensando ai danni dell’ultima scommessa che l’aveva irritata da morire. 
“Per quanto ne so, é stato Zoro…a cercare Sanji!” 
“Volontariamente?” 
La renna annuì. 
“Robin, visto che ti piace tanto origliare, potresti dare un’occhiata a quei due?” 
La mora chiuse un attimo gli occhi per poi pronunciare una parola a bassa voce. 
Sulla porta della cucina comparve una mano con un suo occhio sopra.
 
“Sono ancora lì…Sanji sta fumando, appoggiato al piano della cucina. Zoro é seduto sul divano a braccia in conserte.” 
“Tutto qua?” 
“Tutto qua.” 
 
 
 
 
 
 
 
Il viaggio proseguiva come stabilito, seppur consapevoli che sarebbe stato meglio fare i previdenti e scegliere un posto sicuro per continuare a riabilitarsi anche a terra, con tutto l’appoggio di Usop, Nami e Chopper, e, ovviamente, il dissenso di Rufy, che nonostante le ferite ancora fresche, si sentiva già pronto per sbarcare in qualunque posto fosse capitato. 
Tramortito e messo “in punizione” dalla rossa, prima di perdere quasi i sensi sul pavimento per via del taglio e bruciatura all’addome, fu costretto dal medico stesso a sedersi e stare buono, senza avere nemmeno l’autorizzazione di stare sulla polena. 
“Ognuno deve fare la propria parte, e questa é la tua!”
gli era stato detto e ripetuto, e così non aveva potuto fare altro che ascoltare e ubbidire. 
Braccia dietro alla nuca e gambe incrociate, espressione corrucciata e occhi chiusi, Rufy, venne distratto in quei suoi pensieri - sulla storia della promessa e del matrimonio - da una voce roca e profonda che lo costrinse ad aprire gli occhi, soprattutto quando il proprietario batté le mani sul parapetto della Sunny attirando la sua attenzione. 
“Rufy! É la terza volta che ti chiamo!”
“Ohi, Zoro!”
Lo spadaccino si sedette accanto a lui, facendo molta attenzione onde evitare movimenti bruschi, vista la gravità della sua situazione fisica, stappando però, con tranquillità, una fresca bottiglia di liquore sgraffignata dal tavolo della cucina. “Certo che fa freddo!” esclamò, rabbrividendo, “ottimo motivo per scaldarmi un po’!” suoi occhi s’illuminarono come quelli di un bambino davanti ad un giocattolo nuovo. “Che buono!” 
Una voce dall’alto - più precisamente dalla vedetta su cui Usop aveva fatto ritorno - gli destò entrambi.
“Sono convinto che i modi per scaldarti non ti mancano”
prendendosi in risposta i grugniti infastiditi di Zoro e un urlo di dissenso da parte Rin, che non troppo lontano da loro, leggeva un libro con Robin, e non voleva sentire frasi come quelle.
Rufy starnutì rumorosamente, passandosi la manica del cappotto sotto al naso. “Chopper si arrabbierà molto!” piagnucolò poi, sotto lo sguardo perplesso di Zoro, che un po’ geloso del suo bottino, ma comunque altruista, allungò il braccio con la bevanda verso di lui. 
“Tiè, ti farà bene!”
L’espressione di Rufy, tra lo schifato e l’indeciso, fece frignare lo spadaccino, che non aveva voglia di sorbirsi anche i capricci dell’amico. 
“Quella roba no…sarebbe stato meglio del latte caldo!”sentenziò, ricevendo in cambio la faccia schifata di Zoro. 
 
“Stai bene?" mormorò appena, il verde. 
"Certo!" rispose con un sorriso a trentadue denti l’altro, “Mi riprendo in fretta, hihihi!"
“Mi fa piacere…" 
Zoro sospirò sollevato, continuando a tracannare per scaldarsi il prima possibile. 
 
“Pensavi davvero che sarei potuto morire così facilmente?" 
Irruppe veloce nei pensieri del capitano con un sorrisetto sulla bocca.
“Posso capirla da Nami questa paura, ma da te…”
Rufy, che non si aspettava certamente una domanda del genere, sorrise. Avrebbe potuto dargli corda, appoggiarlo come sempre, ma quella volta il capitano sapeva il fatto suo. 
“Sei diverso Zoro…ma sei sempre tu la sotto.”
Dopo qualche secondo di silenzio che parve interminabile, in cui lui continuò a bere, il ragazzo di gomma cercò di spiegarsi meglio, soprattutto quando vide un po’ di confusione nella testa dell’amico che alzava un sopracciglio stranito. 
“Quando ti ho conosciuto, ti eri offerto di sacrificarti per una donna e sua figlia. Ma tu non volevi morire per loro, non l’avresti mai fatto. Concordasti un mese, ma poi sei stato solo fregato come un babbeo!” 
“Ehi!” 
“Ah-ah-ah..” ridacchiò goliardico, pesando al passato che li accomunava. 
“E allora?” Chiese impaziente il verde, non capendo il punto. 
“Ah, si, scusa, mi sono distratto!” Si grattò il mento ripensando al suo discorso del quale aveva già perso il filo. “Insomma, stavolta sarebbe stato diverso…si trattava di Nami. 
Ti saresti fatto uccidere!” 
“Ti sbagli! L’avrei sconfitto!”  
Ne seguì un “certo, come no” dalla vedetta, e una pausa in cui nessuno dei due parlò, in cui un Rufy sorridente, guardava leggero l’amico consapevole del fatto suo. 
“Ti dico che avrei potuto almeno continuare a stancarlo abbastanza!” Continuava a ribellarsi alla verità, Zoro, in un gesto difensivo. 
“Ti ricordo che hai lasciato cadere le spade a terra. Piantala con queste patetiche scuse, Zoro!” Ancora quella voce da terzo in comodo che arrivava dall’alto. 
“Scendi un po’ qua che ti meno!” 
“La cosa é talmente semplice…” alzò la voce il cecchino per farsi ben sentire, “sei così innamorato che ti sei bevuto il cervello!” 
“Cosa diavolo hai detto? Scendi subito! Scendi subito, Usop, se hai il coraggio!” 
Ma la lite venne sospesa ancora prima di iniziare, dalle parole di Rufy che sovrastavano i loro insulti. 
“Ha-ha- ah, Zoro innamorato…che scemo!” 
Ormai aveva pure finito il contenuto della bottiglia, se non avessero smesso di torturarlo in quel modo avrebbe dovuto usare le spade su di loro per gestire i propri impulsi. “Ti ci metti anche tu?” 
Ma poi il capitano mise un po’ da parte la sua ilarità, cambiando tono nuovamente, facendosi prendere un po’ più sul serio del solito.
“Sono sicuro che avresti fatto il possibile per farlo stancare se questo avrebbe significato salvare le nostre vite, fino anche a morire. Ma poi Nami era lì, e tu…lo so che non l’avresti mai lasciata sacrificarsi…” lo guardò in volto trasmettendogli tutta la sua sincerità, “in quel momento non hai più avuto intenzione di combattere, Zoro.” 
E, con il cappello leggermente sugli occhi e una voce diventata piuttosto profonda, aggiunse il suo verdetto. “Il capitano sono io, spettava a me salvarvi entrambi! E se pensi che non l’avrei impedito che vi facesse del male, allora sono io che mi stupisco. Qualcosa in contrario?” 
“Dai su, fatela finita!” continuava la voce del cecchino ad interferire - curiosone come al solito non si perdeva una riga del discorso, facendo nuovamente digrignare i denti allo spadaccino e farlo inveire contro di lui. Il tutto avvenuto sotto le orecchie di Robin, che ancora continuava ad origliare spudoratamente i discorsi altrui con un accenno di sorriso sulla bocca, soprattutto ripensando al sacrificio di Zoro fatto a Thriller Bark, che lui si teneva sempre per sé. 
 
“Ho dovuto ringraziare pure sopracciglio arrotolato!” 
“Allora é per questo che stavate insieme in cucina?” 
“Insomma o scendi o stai zitto!” gli urlò contro Zoro, per l’imbarazzo di dover spiattellare ai quattro venti ciò che stava rivelando, mentre nel frattempo si assicurava che Nami non fosse nei paraggi. 
Un altro istante di silenzio, questa volta più lungo, sembrava che tutti avessero capito il motivo, e non avessero altro di cui parlare, almeno, finché, Rufy non interruppe quella pausa con un tono titubante. 
“Ti ha cucinato qualcosa di buono?” 
Sospirò arreso, Zoro, che per un attimo aveva scordato con chi stesse discutendo.
 “Sei irrecuperabile”
pronunciò con tono brusco. 
 
 
“Se non devi mangiare, lasciami in pace! Voglio preparare a sorpresa dei deliziosi manicaretti per Nami e Robin…e la tua vista di certo non m’ispira!” 
Zoro aveva stretto i denti ed era rimasto in silenzio, trattenendosi dall'insultarlo, consapevole che se l’istinto gli aveva suggerito di farlo, un motivo c'era, e doveva ascoltarlo. Doveva solo capire come tirare fuori quello che aveva intenzione di dire. 
Sanji continuava a guardarlo aspettando di capire cosa volesse da lui, mentre Zoro lo fissava con il broncio e lo sguardo truce. 
“Sai che non ti capisco proprio?” 

Era già abbastanza difficile così, non voleva che quello stupido infierisse. Così, il verde stringeva l’elsa della spada, nervoso, in un dettaglio che non passò inosservato al biondo, che grazie ad esso, ad un certo punto, la situazione gli fu forse chiara. 
I due rimasero in quella posizione a fissarsi, o a distogliere lo sguardo, e fissare il soffitto, i mobili, le scarpe per almeno mezz’ora senza dire una sola parola di più.
Finché poi Sanji, capita l’antifona, non accese una sigaretta, poggiato al piano della cucina con la schiena, fumando e guardando il soffitto con totale tranquillità. 

Avrebbe potuto infierire, approfittare, ma quella volta non vi riuscì. 
Rimasero in silenzio ancora per tutto il tempo della durata della stecca, finché Zoro alla fine si decise a parlare… 
“Immagino di doverti ringraziare.” 
Sanji espirò l’ultimo tiro.
“Scordatelo!” 

Gettò i resti nella pattumiera, andando poi dietro alla cucina dove si premurò di alzare lentamente le maniche della camicia, non prima però di aver sbottonato i polsini, per poi lavare le mani nel lavandino con movimenti delicati e pacati. 
“Non le ho salvate certo per fare un favore a te.” 
Zoro accennò un ghigno infastidito e si alzò di scatto dal divano.
“Siamo a posto allora!” 
“Siamo a posto!” 

 
 
E questi sarebbero dei ringraziamenti?
Usop pensò, dall’alto della sua posizione, completamente allibito dalla stupidità mascolina dei due amici testardi, mentre Rufy se la rideva e Zoro insultava Sanji, additandogli tutta la colpa della conversazione. 
 
 
“Prima, quando sono arrivato eri distratto, a cosa stavi pensando di così intenso?” 
Lo spadaccino continuava a muovere la bottiglia di vetro speranzoso di trovarci un altro goccio ancora, ma, con delusione, dovette arrendersi. 
Rufy si fece piuttosto serio, e quando succedeva ciò, c’era da preoccuparsi.
“Allora?” continuò a chiedere il verde. 
“Pensavo al matrimonio…” 
Per poco non svennero tutti, soprattutto Usop, che iniziò ad agitare le mani in aria, cercando di farsi notare solo da Rufy per impedirgli di fare danni e far indiavolare Nami per ogni suo capello. 
E adesso che ha quello scemo da agitarsi tanto?
Ovviamente lo notò subito, Zoro, mentre il capitano ancora rifletteva inesorabilmente su qualcosa di esattamente complicato. 
“Con chi vorresti sposarti?” chiese, ridendosela sotto ai baffi, lo spadaccino, immaginando ironicamente come avrebbe potuto essere Rufy con una compagna. 
“Non il mio, il tuo!” cappello di paglia indicò lui, invece, senza farsi troppi problemi. “Pensavo che ai matrimoni si mangia tanto!” 
Zoro iniziò a sudare freddo, non volendo essere nuovamente lui il protagonista di attenzioni del genere, trovando un modo per tagliare corto. “Allora hai fatto male i tuoi conti, non ci sarà nessun matrimonio! Nami non mi sposerà. É così che ha detto.”
Concluse, con un debole sorriso sulle labbra, appoggiando la bottiglia sul pavimento di fronte a lui. 
“È proprio cocciuta!” 
“Ha- ah!” 
Nuovamente il rumore delle chiappe di Usop sul pavimento che, scivolato giù di fretta e furia, non aveva fatto in tempo a scendere dalle corde, facendo un capitombolo e obbligando i presenti a concentrarsi su di lui. 
“Hai ragione! Non c’è davvero nessun matrimonio in vista!” mormorò, fiero di aver fatto in tempo a fermare un danno grande come una montagna, anzi no, quanto la Reverse Mountain. 
“Ma!”
“Niente ma! Chiudi quella bocca!”
“Umh? Che vi prende?” 
Sospirò, vedendo il cecchino fiondarsi d’improvviso sul capitano a coprirgli la bocca.
“Oh no! Che cosa state nascondendo adesso, voi due?” 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si riscosse dai suoi pensieri quando un refolo di vento ghiacciato, per via della corrente che l’aveva avvolta non appena spalancata la porta della sua camera, le solleticò la pelle, facendola rabbrividire.
Con un moto di inquietudine alzò lo sguardo, cercando la luce nell’oscurità della stanza, per dirigersi all’armadio e prendere non solo dei vestiti puliti, visto che la ferita riaprendosi aveva sporcato quelli della mattina, ma anche quelli invernali.
Non capì subito. 
Dapprima a scuoterla fu la sensazione di una presenza che la guardava, con due occhi che la osservavano, e poi uno spavento che sembrava voler inghiottire ogni parte di lei, quando si accorse che il suo letto era occupato da una figura sdraiata scomposta, con le braccia dietro alla nuca e le gambe aperte lasciate distese sul materasso. 
Nami si sentì sollevata quando capì di chi si trattasse, ma rimase comunque terrorizzata per una manciata di secondi, tanto da togliersi una scarpa e lanciarla addosso all’uomo. Non aveva urlato, o gridato, si era solo come paralizzata dal terrore. 
“Sei già nervosa?” 
esclamò lui, parando l’attacco e prendendo la scarpa tra le mani per poi lasciarla cadere sul pavimento. Zoro fece una smorfia sarcastica davanti all’irritazione evidente di Nami, a sua volta accortasi del tono fin troppo compiaciuto di lui. 
“Sei tutto scemo? Mi hai fatto prendere un accidente!” 
“Ma come, prima fai scenate per essermi alzato e poi non posso stare a letto a riposare?” 
“Ma potevi pure tornartene nel tuo!” 
Esclamò lei, riprendendo a respirare e avvicinandosi al lato del suo letto con le mani ai fianchi senza smettere di guardare il suo compagno di sventure, “avrei potuto pure essere nuda!” 
Zoro rilassò di più i muscoli, togliendo le braccia da dietro alla nuca e incrociandole sul petto, sbuffando. “Non sarebbe successo niente lo stesso!” 
Sul viso della rossa si dipinse un'espressione scettica e infastidita. "Ah, è così? Ma bravo, che superuomo che sei!"
“Ho iniziato qua la convalescenza, come avrei dovuto sapere che avrei dovuto cambiare letto? Potevi dirlo che lo rivolevi indietro!” 
“Secondo me invece ti stai prendendo un po’ troppe libertà!” 
“Ma se non l’ho nemmeno deciso io!”  
Lo spadaccino sbuffò ancora, alzandosi però lentamente e con indolenza. Era chiaro come il sole che non voleva andare via da lì. Con imperturbabile calma cercava la maglietta persa tra le coperte, nel frattempo facendo scrocchiare le ossa del collo. 
“Lascia perdere!” esclamò lei immediata, scuotendo la testa. “Rimani!” 
Lui la guardò allibito, non si aspettava certamente tanto altruismo, anche se ultimamente ne elargiva in abbondanza. “Sei sicura che posso?” chiese conferma titubante, con un ghigno sulle labbra che non riusciva a trattenere. 
“Stai zitto o cambio idea!” ringhiò in risposta, lei, spazientita. Nami non voleva certamente che lui se ne andasse, ma il suo orgoglio le impediva di rendergli tutto troppo facile. 
 
Mentre si riappoggiava sullo schienale, senza perdere la sua posizione scomposta, la osservò nei movimenti mentre si avvicinava a lui, allungava una mano oltre il suo torace, e cercava di afferrare la coperta di Rin, prendendola lui stesso per passargliela. 
“Guarda che potevi dirmi di no.”
Puntualizzò, tenendole però la coperta lontana mentre aspettava la risposta. 
“Ah, così, tanto per cambiare, passerei io per l’insensibile, per aver cacciato via un moribondo!” 
Lo guardò male, continuando ad allungarsi inutilmente, mentre lui si godeva quel soffice contatto irresistibile, in un’emozione difficile da trattenere, che però non avrebbe mai ammesso esistere.
“Tutto qui? Solo per questo mi vuoi qua?” 
“E dammi la coperta, mi sto congelando!” 
Si dimenò, fregando il suo seno sul suo torace ogni volta che allungava il braccio. “Zoro smettila di giocare!” 
“Smettila tu di giocare! Ti stai comportando come se fosse colpa mia.” 
“Certo che è colpa tua!”
“Cosa?” 
“Stamattina non c’eri! Sei un barbaro insensibile” smise di allungarsi prendendolo a schiaffi sul braccio libero. 
Zoro lasciò la coperta e la fermò con entrambe le mani. “Mi spieghi cosa significa?” 
“Lo vedi che é colpa tua? Non capisci niente!” gli rinfacciò guardandolo negli occhi. “Quando dormi con qualcuno dovresti almeno avere la decenza di restare… avrei voluto trovarti! Ma a te non frega niente, no? Che importa se io moribonda, ferita e provata, necessitavo di un po’ di conforto! Avresti potuto starmi vicino!” 
Con una gocciolina dietro alla testa, lui la prese per le spalle sdraiandola sul letto e tirandola leggermente sotto il suo corpo, infastidito per via degli insulti che sicuramente non pensava di meritare “Sei sempre inutilmente drammatica!” 
“Stupido" pronunciò a mezza voce, ancora provata dalle giornate precedenti, colpendolo sulle spalle, con le parole bloccate in gola. “Stupido! Idiota!" Strinse i pugni e si sforzò di guardarlo dritto negli occhi offuscati. Aveva sentito la sua mancanza quel giorno, l’aveva sentita più di quanto avrebbe mai immaginato, ma ammetterlo era ancora così dannatamente difficile. 
“Allora, mettiamola così”, iniziò lui ammorbidendo appena lo sguardo e l’espressione, ma senza migliorare affatto la situazione. “Smettila di frignare. E quando hai bisogno di me, dimmelo e basta!” 
“Aaah, levati di torno, non ho alcun bisogno di te! Levati, ti ho detto!” 
Continuarono a guardarsi in cagnesco, esasperati da una parolina che si metteva continuamente in mezzo a loro: orgoglio; sempre quel dannato orgoglio. Lo vide avvicinarsi comunque al suo viso, creando quella distanza pericolosa che li avrebbe catapultati in un vortice di baci da cui sarebbe stato difficile uscirne ancora una volta illesi; e, infatti, lei prontamente interruppe quell’azione prevedibile. 
“Eh no, carino, stavolta niente da fare! Sono troppo arrabbiata con te!”  
Ma quando lo guardò seria in viso, notò che non solo si era ammorbidito d’improvviso, ma la sua espressione era totalmente cambiata, intravedendo un ghigno divertito e compiaciuto sulle sue labbra socchiuse. 
“Che é questa espressione inquietante adesso?” 
“Prima mi dici di andarmene, poi di rimanere. Prima hai bisogno di me, poi non hai bisogno di me…” abbassò il viso vicino al suo orecchio soffiandovi leggermente il suo respiro, facendola rabbrividire. “Cosa vuoi veramente, si può sapere?”
“Da te? Niente! E levati!” 
“Eppure, una cosa che vuoi la so per certo…so cosa hai promesso a Rufy…” 
Continuava a sogghignare, Zoro, nel sentirla freddarsi seduta stante, mentre poteva quasi sentire tutte le sue silenziose imprecazioni biascicate fra i denti, e per la sua espressione imbarazzata che lui avrebbe voluto ricordarsi per sempre. Questo round era suo, l’aveva in pugno, aveva vinto lui. 
 
Era tesa, quasi come privata delle emozioni. Ma i suoi occhi parlavano da soli, e per quanto spesso cercassero di confonderlo, Zoro, lo sentiva per istinto, lei era terrorizzata che lui fosse venuto a conoscenza di quella promessa. 
Ora la sentiva, vulnerabile. 
 
Quel pettegolo di un capitano questa me la paga.
 
Rubato il tempo necessario per riprendersi e rimettersi in sesto, Nami alzò la testa dal materasso avvicinandosi al collo di Zoro, strofinandocisi contro il naso, e poi la bocca, lasciandoci un bacio poco casto, che lo condusse a chiudere l’occhio per un secondo. “Io? Non ho fatto nessuna promessa…” provò a convincerlo con la sua tecnica più letale, pur sapendo che con lui difficilmente sarebbe andata in porto. “Povero ingenuo, chissà quale maldicenza ti é stata raccontata?”
“R-rufy non dice bugie…tu le dici!” 
Cercava di mantenere la lucidità, lui, soprattutto quando sentì quelle mani di lei scendere sui suoi fianchi. “Nami! Non sono certo il cuoco, non attacca!” 
“Che cosa non attacca?” Mormorò a mezza voce, scaraventandolo sul letto, invertendo i ruoli. Fu svelta nel nascondersi su quel petto, senza guardarlo in faccia, appoggiandoci sopra la bocca. “E allora io non sono te. Una promessa, per di più in un momento incerto, non vale niente per me!” 
Zoro però non era un fesso: sapeva che Nami diceva una cosa, ma in verità intendeva l’esatto contrario. Forse era anche vero che le promesse sue non erano come quelle di lui. Forse era anche vero che in un momento di debolezza una persona può dire cose che non pensa, ma lei si stava impegnando troppo per nascondere questo fatto, e dai racconti di Rufy, si era impegnata troppo per nasconderlo a lui stesso. Ecco per cui, Zoro era convinto che invece tutto quello significava qualcosa. Lo sapeva. Ne era certo.
Iniziò a sorridere, ignorando tutti gli sforzi di lei nel distrarlo, nonostante non gli dispiacessero affatto quelle deliziose attenzioni, e quella posizione per lui piuttosto comoda, ma, il suo ruolo morale gli impose di capovolgere ancora il gioco e riportarla sotto di sé, nonostante le sue “amorevoli” proteste. 
Mentre lei stringeva i denti nervosa, lui continuava a guardarla con il ghigno di prima fisso in volto. 
“É ora di finirla con i giochi, Nami.”
Poggiò la fronte calda su quella fredda si lei, rimasta ancora gelata da tutta la situazione, mentre lo guardava muoversi, inerte. 
“Facciamolo, sposiamoci pure.” 
Le disse rozzamente, con il suo solito tono di voce duro e autoritario. “Per lo meno non avrai più scuse per cacciarmi dal letto quando ti gira male.” 
 
Avrebbe potuto essere un secondo round vinto consecutivamente da Zoro, se non fosse che improvvisamente cadde addosso a Nami, stordito da un suo pugno sulla nuca. 
 
“Imbecille!” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: _________________________
Salve ciurma, 
dopo la stramberia del capitolo precedente, questo é ancora più di transizione. C’erano alcuni passaggi obbligati da far “chiarire” ( Zoro/Sanji docet) ai personaggi, che non potevo proprio tagliare. É vero, se sembra che stia un po’ girando attorno alle stesse paure, argomenti, emozioni, ma non volevo fosse un sentimento facile da vivere e capire, o una consapevolezza semplice da acquisire; vi assicuro che per i presupposti iniziali, in realtà, sto tagliando un sacco e accelerando del tutto il processo. 
Magari vi ha stancato questo gioco, ma non posso proprio farne a meno, ci sono ancora parecchie cose da chiarire e buchi da chiudere (una battuta, eh?), e proprio per questo vi avverto già del forte dramma in arrivo con la storia di Rin nel prossimo capitolo (che inizialmente ero convinta di inserire in questo, ma il risultato sarebbe stato di leggere non un capitolo ma una fiction intera) quindi, questo da solo non era proprio previsto.  
In vista del momento più triste (già più volte anticipato, quindi in realtà magari non lo sarà nemmeno più, ahahah), ho però sdrammatizzato un po’, con la solita leggerezza dei Mugi, che funziona sempre. 
Una cosa é certa, questa long sta arrivando alla sua vera conclusione, nonostante abbia ancora troppa paura di non aver esplorato abbastanza il suo potenziale. 
Come sempre, vi aspetto.
Un abbraccio.
Robi
 

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Il passato del futuro – parte prima ***


Capitolo XXVII
Il passato del futuro 
– parte prima 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ritornata sul ponte della nave, Nami dovette ripararsi gli occhi dal riverbero dei raggi solari per mezzo di una mano, nonostante stesse ormai calando la sera. Si guardò subito intorno, alla ricerca di qualcosa o qualcuno, ma tutto ciò che vide furono Usop e Franky che litigavano a prua riguardo un pezzo di metallo che il carpentiere girava tra le mani, mentre Brook, in lontananza, ogni tanto osservava nella loro direzione quando si distraeva dal comporre una nuova melodia. 
“Dov’è Rin?” domandò ai due più vicini, che si volsero nella sua direzione solo in quel momento, segno che non si erano accorti prima della sua presenza.
“É con Robin da qualche parte, forse sono andate a poppa…” la informò il cecchino alzandosi in piedi e raggiungendola svelto mentre la scrutava perplesso. “É successo qualcosa?” 
Inizialmente la sua domanda era curiosa e il tono ammiccante poteva essere frainteso, fintanto che qualcosa di diverso nello sguardo di Nami lo aveva fatto ritornare serio.
“É successo qualcosa!” puntualizzò allora, mettendo le braccia sui fianchi e fissandola con una curiosità ormai appassita. 
“Non é successo niente, invece!” rispose lei, disinteressata, incamminandosi per raggiungere la parte opposta dell’imbarcazione. 
Usop, indispettito, lasciò Franky ad armeggiare con quel pezzo di metallo, seguendo la compagna verso poppa.
“Guarda che lo so che Rufy ha spiatellato quella cosa a Zoro…e lui che ha fatto? Come ha usato l’informazione?”
Nami continuava a non dargli peso, anche se al nome di Rufy scosse la testa, facendo tremare il cecchino per un solo secondo, quando la vide biascicare un “quello quando lo trovo me la pagherà cara…
“Allora?” 
Nami si voltò solo un attimo verso l’amico, allontanandolo da lei con la mano coi suoi soliti modi poco gentili e con quel suo carattere un tantino irascibile, specie quando si sentiva toccata emotivamente da vicino. 
“Ti dico che non é successo niente con quel cretino.”
In altre occasioni Usop non le avrebbe creduto, nemmeno se lo avesse pregato, ma stavolta non era così dubbioso delle sue parole, dal momento che, in effetti, la preoccupazione dell’amica sembrava essere assai più lontana dallo spadaccino. 
“Bene!” incrociò le braccia al petto fermandosi improvvisamente quando ormai erano quasi arrivati a poppa. “Allora potresti distrarlo un po’, mentre io mi occupo di riparare una cosuccia in palestra?” 
Nami si voltò stranita verso di lui, con un punto di domanda dietro alla nuca e una strana sensazione, seppur non del tutto incuriosita dagli ‘affari’ di Usop. “Che hai combinato?” Scosse però la testa contrariata ma soprattutto indifferente alle sue malefatte segrete “…e poi lo sai che appena potrà muoversi correrà ad allenarsi, ed io non posso proprio farci niente!” gli rispose mentre tendeva l’orecchio in aria, catturata da una voce femminile non troppo lontana da loro. 
Il cecchino, furbo, decise di giocare allora una vecchia carta strategica, dando vita ad una esclamazione fintamente stupita. 
“Ah. Vuoi dire che Nami, la famosa gatta ladra, non é capace di obbligare un solo uomo a fare quello che vuole? Che c’è, hai perso il tuo tocco?” 
Disturbata dal suo chiacchiericcio, la rossa scoprì subito la tattica del pirata, che, stupidamente, tirava fuori le stesse strategie che lei aveva usato già in abbondanza.
“Eh piantala Usop! Se vuoi che prenda un po’ di tempo ti costerà caro. Ma non posso prometterti niente. Ora lasciami ascoltare!” 
“Andiamo…non sei capace di tenerlo occupato in camera da letto? Dovrebbe essere una passeggiata…per una come te!” 
Il cecchino vide solo un pugno affacciarsi sulla sua testa, e lasciarci sopra un bel bernoccolo doloroso che prendeva una forma strana e che gli fece vedere le stelle per almeno un minuto buono. 
“Aia, Nami!” 
“Ma per chi mi hai presa!” 
Con i ciuffi issati verso l’alto dall’energia statica che l’avvolgeva, Nami, traducendo i pensieri di Usop, iniziò a perdere il senno.
“Ma poi, secondo te, cosa diavolo facciamo in quella stanza?”
L’amico, che inizialmente l’aveva solo guardata male, ora, quella che aveva in volto, era più un’espressione stranita, quasi sbalordita. “Beh…ma come, voi due non avete ancora…?” 
Quella continuava a guardarlo con il volto leggermente irritato, ma questo non fu comunque abbastanza per spaventare il cecchino che non riusciva a trattenere lo stupore. In procinto di parlare, venne anticipato da lei, che, arresa, ma più che altro incuriosita da qualcos’altro, lo zittì. 
“Non finché Rin non sarà tornata a casa.”
La vide però distratta, avvicinandosi furtiva alla parete della Sunny, tendendo sempre l’orecchio ma, stavolta, con la mano ad accompagnarlo. “Lo sai com’é fatto. La sua volontà é inscalfibile.” 
Il pirata, rimasto sorpreso, si toccava il mento con le dita, quasi fino ad arrossarlo, chiedendosi se fosse più giusto reputare Zoro un mito o un totale idiota. Conosceva abbastanza il suo amico per sapere che era capacissimo di prendere una simile decisione, ma ciò che più lo stupiva era, quella che sembrava essere la resa di Nami. “Persino con te?” azzardò, dunque. 
“A quanto pare” rispose lei, senza pensarci troppo, distratta e poco incline a voler approfondire la cosa. Anzi, pareva quasi aver accettato serenamente la decisione del compagno. 
Usop però voleva saperne di più, non era certo facile tenerlo lontano da pettegolezzi come quelli, rimanendo a bocca asciutta. In effetti, Nami non si confidava da un po’ con lui sulla questione, e i suoi due compagni di viaggio erano diventati troppi taciturni sulle loro faccende, nonostante vivessero insieme su quella nave ogni giorno. 
“Ma io mi chi…” 
“Vuoi stare un po’ zitto?” 
Era ormai chiaro che l’attenzione di lei non era rivolta a quella chiacchierata scomoda, e che non aveva nessuna intenzione di dar retta alle sue chiacchiere e confidenze anche su qualunque altra questione.
“Sto solo dicendo che…” 
“Ma insomma! Fa’ silenzio!” 
Si voltò, nuovamente irritata, lanciandogli un'occhiata delle sue. 
Il nasuto si avvicinò di più alla compagna, una volta ritornata in posizione furtiva, cercando di capire che cosa stesse ascoltando o che informazioni stesse rubando. 
 
 
“E come avresti potuto saperlo?”
La voce di Robin replicò a qualcosa che sembrava essere importante. 
“Non lo so"
Sentirono un’altra voce femminile rispondere, in un tono diverso dal solito, da sembrare tanto più indurito. 
 
 
“É Rin…”
Quell’affermazione uscì dalla voce di Nami, accompagnata da una nota quasi nostalgica, mentre stava improvvisamente immobile ad ascoltare la conversazione che aveva catturato tutta la sua attenzione. 
“Non la stavi cercando?” 
Usop, aveva capito da un po’ che era quella la sua maggiore preoccupazione in quel momento, e rimase in attesa di capire meglio la dinamica. 
“Mi sta evitando…” 
Nami sembrava ad Usop così pensierosa in quel momento, e così lontana da lui, che più che altro pareva parlare tra sé. La vide cercare di avvicinarsi alle due il più possibile, senza staccarsi dalla parete per non correre il rischio di essere vista. 
“Ma perché é così distante da me?”
Il cecchino sapeva che non era una domanda rivolta a lui. E, preoccupato, ma soprattutto incuriosito, rimase con lei ad ascoltare, osservando la compagna attentamente, in attesa di scorgere ogni tipo di segreto o emozione sul suo viso. 
 
 
“Voi non avreste dovuto incontrare Akainu, lo avete fatto perché con voi ci sono io che, tornando nel passato, ho interferito nella vostra rotta, poiché IO” la bambina si spintonò il pollice sul petto, indicandosi “sono voluta rimanere un’altra notte sull’isola; io sono voluta andare alla festa! Avete cambiato i vostri piani perché io ho deciso qualcosa che non avrei dovuto decidere.” 
La bambina, seduta sul pavimento in legno, e con lo sguardo concentrato sul mare, si torturava allora le mani. 
Robin la ascoltava, non troppo distante da lei, appoggiata al parapetto della nave di schiena. Il libro ormai chiuso, la tazza di caffè vuota sul pavimento: era chiaro che la lezione fosse finita ormai da un pezzo.
“Hai creato un’anomalia nella linea del tempo, quindi?” 
“Si.” 
“Posso chiederti…” la mora fece un respiro silenzioso, ascoltando con serietà come suo solito ma cercando di mantenere lo stesso un’aurea amichevole, cercando di trasmetterle conforto “Ho bisogno di sapere questo…Rin” trattenne un nuovo sospiro per sé, ma optando per una via diretta, come solo lei sapeva fare “…perché hai mangiato un frutto del diavolo?” 
 
 
Nami tremò. 
Quel mistero era qualcosa che lei stessa si domandava da così tanto tempo, almeno fin da quando lo aveva scoperto. Il che però la portava ad interrogare sé stessa e chiedersi come mai non aveva chiesto niente prima. Un presentimento, forse. Un bruttissimo presentimento sulla questione le aveva impedito di indagare oltre, come suo solito. D’altronde, quale madre permette una cosa del genere? 
 
 
La rossa più piccola continuava a torturarsi le mani con insistenza, fino a lasciarci dei segni sopra. Il suo sguardo era diventato improvvisamente duro, e quei lineamenti così delicati da bambina ora sembravano quasi scomparsi agli occhi di Nico Robin, sostituiti da qualcosa che aveva già visto, e che le aveva fatto credere, per un solo attimo, di avere davanti Zoro nel suo peggiore impeto. 
“Io sono diventata un’arma…” la sua voce era seria, non dava spazio a nessun tentennamento o indugio. Lo sguardo su Robin era fisso, che non lasciava spazio, che non faceva respirare “E come tale, ho un compito ben preciso, ed é quello di proteggere.” 
L’archeologa non avrebbe mai dubitato di quelle parole, ma era sicura che quella era una certezza che aveva bisogno di essere indagata, sviscerata, compresa. 
“Nella mia epoca, il nostro incontro con Akainu é andato un po’ diversamente…” la sentì aprirsi un poco, nonostante tutta quella durezza e rigidità che le impediva di lasciarsi andare veramente. 
“Ti va di raccontarmelo?” 
Rin guardò l’archeologa in dubbio ancora per svariati secondi, non sapendo se fosse il caso farlo, se fosse davvero il caso rivelarlo. 
“Lo terrò per me.” Aveva allora rimarcato con sincerità la pirata adulta. La sua sete di conoscenza, di sapere, non aveva limiti, e Robin, seppur mai l’avrebbe costretta a parlare, non poteva rinunciare ad una tale opportunità, a quello spiraglio di insicurezza che aveva spinto Rin a confidarsi. 
Ma la bambina non sembrava ancora del tutto convinta, fin quando improvvisamente un dolore forte la colpì al petto; e, in quel momento, mantenere lo sguardo con la mora, e tutta la sua volontà di non raccontare niente a nessuno, iniziava a diventare complicato. 
“Fa male…mi fa ancora così male” le venne fuori dalle labbra, mentre un segno rosso si rivelava sul dito della sua mano, tracciato dall’unghia dell’altra. 
Robin non le fu di conforto in quel momento, mentre continuava a guardarla. Voleva sapere, doveva sapere tutto. Ed era consapevole che coccolarla sarebbe stata l’ultima cosa di cui avrebbe avuto bisogno. 
 
 
 
“Nami, pensi sia giusto origliare?” 
La navigatrice, presissima dalla conversazione, impiegò un po’ di tempo ad uscirne per rivolgersi ad Usop. 
“Certamente!” 
“Sei sempre la solita!” 
 
 
 
“Devo riportarti indietro ai miei quattro anni…” disse poi, accennando un sorriso.  
“Perché, cosa é successo quando avevi quattro anni?” 
Robin si avvicinò, sedendosi a terra anche lei, ma sempre poggiando la schiena alla ringhiera, e piegando le gambe in avanti. 
 
“É stata l’ultima volta che sono stata una bambina.” 
 
 
 
 
 
 
 
Coco village. 
 
 
“NAMI” 
La voce di un uomo adulto che strimpellava come se fosse caduto il cielo in terra l’aveva disturbata mentre prendeva il sole tra i suoi amati mandarini, immersa nella pace di casa sua, sulla sdraio nuova di zecca, fatta piazzare appositamente fuori dal marito. 
“Indovina un po’ chi ho pescato a rubare!”
La rossa roteò gli occhi al cielo, ignorandolo velatamente, mentre il poliziotto comparso davanti alla casa di Bellemere, continuava a blaterare. 
“Questa bambina é il diavolo!… é persino peggiore di te alla sua età.” 
“Quanto sei esagerato”
con un gesto scocciato la rossa si tolse gli occhiali da sole, trovandosi davanti l’immagine provata del poliziotto che teneva Rin per la collottola, proprio come faceva con lei tanto tempo prima. Sorrise, rimettendosi però comoda sulla sdraio. 
“Ti sbagli, Rin non é come me. Non nuocerebbe intenzionalmente a nessuno.” 
“É vero!” 
Si compiacque la bambina, che, con i capelli rossi arruffati e le guance rosa, lo scrutava attentamente come se lo stesse studiando attraverso il suo sguardo profondo. 
“Tu non fiatare!” la rimbeccò.
 “Avevi detto che era timida! Be’, non mi pare proprio!” Si rivolse nuovamente a Nami. “Non fa altro che guardarmi in modo strano, come se fossi una preda e lei il leone che sta dietro ai cespugli in attesa di divorarmi. É il diavolo! Il diavolo!” 
Ridendo sotto i baffi, Nami si mise in piedi avvicinandosi ai due.
 “Guarda che lei é timida! Come il suo papà.” 
Allungò le braccia verso di loro, con fare affettuoso, incitando la bambina a spostarsi su di lei. Rin lo fece subito, aggrappandosi al collo della madre con una mano, ma nascondendo un oggetto piuttosto ingombrante con l’altra. 
“Chi sarebbe timido?” 
Zoro arrivò alle spalle del poliziotto con le immancabili spade attaccate alla vita e un onigiri in mano e uno in bocca. 
“Tu?” Lo indicò con un movimento del viso, la rossa, spupazzandosi la figlia sotto gli occhi increduli di Gen. “Zoro, ma stai ancora mangiando?” 
“Ho fame!”
“La vita casalinga non ti fa bene!” 
Rin si faceva coccolare volentieri dalla mamma, seppur il suo modo di ricambiare affetto era un po’ particolare.
“Stai pensando al tuo bottino, non é vero?” le sussurrò Nami all’orecchio senza farsi sentire dal poliziotto. La bambina annuì felice come una pasqua, evidentemente contenta di ciò che aveva preso…emh, rubato. 
“Cosa ha combinato stavolta?”
Chiese Zoro al poliziotto osservando le due davanti a lui mentre inghiottiva l’ultimo boccone. 
“Cosa ha combinato? E lo chiedi con questa leggerezza?” 
Genzo si avvicinò allo spadaccino puntandogli il dito verso il petto. “A Nami non ho dato la minima fiducia nell’educare una figlia, io puntavo tutto su di te! Dov’é la lungimiranza del miglior spadaccino del mondo?” 
“Guarda nella pancia…” iniziò a ridere la rossa, mentre metteva a terra la figlia che a sua volta non vedeva l’ora di liberarsi dell’oggetto che teneva per metà nascosto sotto al vestito, appeso a tracolla sulla sua spalla, per metterci le mani sopra. 
“Hei! Guarda che mi rimetto in forma in un baleno!” 
“Ah sì?” Nami, superando la bambina, si era avvicinata scaltra a lui, poggiandogli una mano sul bicipite e stringendolo con forza “non é così male!” gli sussurrò, provocandogli un ghigno divertito sulla bocca.
“Ma cosa state facendo!” 
Ma mentre Genzo, rosso in viso, saltellava nervoso e imbarazzato per quei due, il gruppetto venne interrotto dal rumore di una lama che sbatteva sul terreno. 
“Papà, guarda!” 
La bambina aveva rivelato l’oggetto rubato estraendolo dalla fondina, ma essendo troppo pesante da tenere in una mano era caduto a terra, fortunatamente, con la lama che puntava verso il basso. “Possiamo combattere adesso?”
Gli occhi di Nami sgranarono, mentre Zoro si fiondava su di lei per sequestrarle immediatamente l’oggetto. 
“Rin! Ma che diavolo fai!” 
“É una spada quella che hai rubato?” lo sguardo preoccupato di Nami si tramutò immediatamente in espressione delusa. “Vedi? Col cavolo che é uguale a me!”, ammise sconsolata guardando Genzo per un attimo, per poi riconcentrarsi sull’oggetto. “Fai vedere se ha un qualche valore, almeno!” la strappò svelta dalle mani del marito per poi rigettargliela addosso annoiata. “Ah! É solo ferraglia!” 
Zoro, che aveva nuovamente la spada in mano, l’ammonì subito con un’occhiataccia inequivocabile. “Devi trattarla bene!” 
Anche lui si mise ad analizzare la spada, naturalmente basandosi su altri tipi di valutazioni rispetto alla compagna, puntandola prima alla luce del sole e muovendola poi verticalmente, ma, constatando la troppa leggerezza della lama e il mancato legame con essa, la restituì al suo proprietario, che ancora sbraitava dietro di lui. 
“Lo vedete che non la state educando affatto?” Genzo s’intromise ancora, riprendendosi la sua proprietà e legandosela alla vita. “Siete così presi da voi stessi…questa bambina osserva tutto ciò che fate e lo fa tale e quale a voi!” 
“Se mi avesse copiato per bene avrebbe preso dell’oro! O una pietra preziosa…” 
Nami alzò il tono di voce, affatto ironico, irritata dal subire tali accuse del tutto infondate. Si dedicò nuovamente alla figlia, intenta nel frattempo nel cercare di ri acciuffare la spada di Genzo, mentre il padre la prendeva per il colletto del vestito, fintanto di tenerla lontana dal poliziotto. 
“Rin pensa con la sua testa, Gen…
Tesoro, anziché prendere questa ferraglia, perché non hai rubato, emh, preso in prestito, il libro di navigazione che Gen tiene nel cassetto del comò in camera da letto?” 
“Hei! Ma tu come lo sai ch…”
La bambina lasciò perdere per un attimo la missione della spada guardando la mamma schifata. “Navigazione? Che noia. Io voglio combattere con la spada!” 
“No” rispose Zoro, scuro in viso. 
“Sì invece!” 
“Ho detto no!” 
“E io ho detto sì!” 
“Cocciuta come tua madre!” 
“E tu insegnami!” 
“No!”
“Ma perché dici sempre no?” 
“É l’unica risposta che avrai su questo argomento!”
“É perché sono una femmina?” 
“Non dire queste fesserie!” 
“E che ho detto?”
“Sei una poppante!”
Nami scosse la testa, esausta ma felice.
“Hai visto Gen? Non preoccuparti per qualche furtarello innocente. É tutta suo padre. Perciò, prenditela con lui.” 
“Vuoi dire che Zoro le ha insegnato a rubare?”
La gatta ladra rise di gusto mentre osservava padre e figlia litigare animatamente e si dirigeva dentro casa.
“Zoro non ruberebbe mai.”
 
 
 
 
Passandosi l’asciugamano dietro il collo per tamponare il sudore, il verde, sul portico della casa di Bellemere, osservava esterrefatto almeno una decina di uomini che trasportavano cesti di mandarini dall’agrumeto alla casa, chiedendosi quando e perché fossero sbucati, ma convinto che la risposta non gli sarebbe sicuramente piaciuta. 
Lasciò che i colori del tramonto illuminassero quel momento, godendosi gli odori della campagna mischiati ai primi profumi della cena che iniziavano a diffondersi in tutto il perimetro. La vita di mare era la sua normalità, ma si ritrovava ad ammettere che lì, in quella campagna, in quella vita, ci stava comodo. 
Vide Nami uscire dalla casa con addosso un nuovo vestito bianco che le cadeva leggero sulla pelle, simile a quello che a lui piaceva tanto, di quella notte in spiaggia di tanti anni prima, e guardarlo con un sorriso. Passandogli accanto, si chinò leggermente per prendere un paio di frutti dalla cesta più vicina.
“Questi per la salsa…” aveva detto orgogliosa e felice, come lo era sempre stata, dei suoi mandarini. 
“Stai cucinando tu?” 
La rossa si avvicinò a lui con fare furbetto, tanto da sentire i reciproci respiri.
“Oggi vi regalo una cena.” 
“E quanto la farai pagare agli altri?” 
“Per Nojiko é gratis. Ma tu vedi di non escluderti ‘dagli altri’.”
Grugnì, guardandola male per un attimo, mentre lei era invece divertita ed eccitata di quella situazione e di quella serata in cui avrebbero festeggiato il compleanno di Rin.
“Mi spieghi chi sono questi?” 
Zoro indicò gli uomini con le ceste, che da quando lei era uscita fuori dalla casa, la guardavano con gli occhi a forma di cuore smettendo di lavorare. 
“Serviva aiuto per portare i mandarini, tu eri impegnato con i pesi…perciò…”
“Hai pensato bene di sfruttare qualcun altro…”
“Macché. Si sono offerti!” 
“Despota!” 
Zoro le mise un dito sul mento avvicinandola a sé. 
“Eddai. Per così poco?” 
Dei passi e delle voci femminili sul terriccio li distrassero entrambi facendoli voltare, sempre un po’ troppo imbarazzati di venire scoperti in rari attimi di dolcezza.  
“Sei sempre la solita, Nami.” 
Nojiko, mentre teneva Rin per mano, era apparsa davanti a loro con sulla faccia un’espressione divertita, interrompendo quel giochino ‘pericoloso’ tra i due, che chissà dove gli avrebbe condotti sennò, costringendo così il verde a separarsi immediatamente dalla rossa e, con fare indifferente, continuare a tamponarsi la fronte con l’asciugamano.
“Però voglio lo stesso complimentarmi con te…” indicò le ceste piene e gli uomini stravolti che stavano andando via dopo il lavoro, minacciati dalla presenza dello spadaccino che aveva inconsapevolmente segnato il territorio. 
“Scommetto che non hai sborsato nemmeno un centesimo! Nami! Usare il tuo bell’aspetto per una cosa simile? Brava mia sorella!” 
“Non incitarla!” Zoro ammonì la cognata, lanciandole un’occhiata di dissenso.  Ma Nojiko rise di gusto, soprattutto per il modo in cui ancora il verde sapeva stupirsi per quel tipo azioni immorali. E, lasciando la mano di Rin, occupata nel frattempo nel divorare una bustina di caramelle, aveva inscenato una risposta con fare teatrale 
“Io che c’entro! É lei la pecora nera della famiglia…hai scelto una poco di buono, caro spadaccino, e devi prenderne le conseguenze. Io invece sono una ragazza per bene che fa tutto da sola!” si lamentò, prima di entrare in casa seguita dalla bambina. 
“Come no!” ribatterono Yosaku e Johnny, apparsi dietro di lei ricoperti di buste e pacchi dalla testa ai piedi, seguendola in casa dopo aver lanciato un’occhiata sconfitta allo spadaccino. 
Nami sorrise felice, guardando come sua sorella aveva bene imparato dagli insegnamenti di Bellemere, con gli occhi che le brillavano per quella pace, per quella vita che tanto avevano sognato. 
Sentì una leggera carezza sul braccio che la riportò coi piedi per terra, e che, come al solito, quel tocco, non solo sapeva farla rabbrividire, ma aveva la capacità di riscuoterla dai pensieri.
Sorrise. 
“Hei, vado a fare una doccia.” 
Annunciò lui, superandola per entrare in casa. 
“Zoro”
Si voltò a guardarla, preoccupato da quel tono. 
Nami però si prese un momento per respirare prima di continuare a parlare. 
“Ho un pensiero fisso in questi giorni.”
“Soldi?”
Scosse la testa contrariata. Anche se, non che quello non fosse poi un suo pensiero costante.  
“Neghi a Rin l’allenamento solo perché é ancora troppo piccola?”
Lo vide pensarci su, mentre toglieva l’asciugamano madido di sudore da sulla pelle.  
“Non é per l’età.” 
“Allora? Perché é femmina?!” Il suo tono adesso aveva un che di alterato. 
“Non dire sciocchezze!” Rispose acido. “Se vuole intraprendere questa strada dovrà farlo da sola.” 
“Ma Zoro, lo sai, lei…”
La zittì con lo sguardo.
“É una vita dura. E il suo corpo dovrà sottostare a tanta fatica e lavoro. Non voglio questo per lei se non é davvero motivata.” 
“Non posso che esserne felice, allora.” 
 
 
 
La casa di coco negli anni si era ampliata. Nojiko aveva fatto dei cambiamenti che avevano sconvolto Nami in positivo, seppur l’iniziale sorpresa l’avesse destabilizzata. Aveva fatto in modo che dalla casa si ricavassero due stanze, una per lei, e una per sua sorella, con l’intento di tenerla lì, con lei, se fosse finalmente tornata a casa, e magari, con una famiglia a presso. Di sicuro si aspettava un fidanzato, non un marito e una figlia già così cresciuta. E la fortuna volle che la previdenza di Nojiko avesse potuto far rimanere in circolazione per svariati mesi i tre pirati, capitati lì un giorno qualunque, in un anno qualunque, sconvolgendo l’intero paese. 
Nojiko era contenta di vedere sua sorella felice, seppur non avrebbe mai immaginato che tra tutti quei pirati, a casa avrebbe portato proprio lo spadaccino dallo sguardo duro e penetrante, dalla tempra solida, un orgoglio inscalfibile e con un suo codice morale, che, a primo impatto, sembrava avere nulla a che fare con Nami, abituata a fregare il prossimo ad ogni occasione senza guardarsi indietro. Ma lei, la sorella, la conosceva bene, l’aveva vissuta nel momento peggiore della sua vita, nel suo momento più duro, e aveva toccato con mano il suo coraggio spropositato, la tempra solida, e il suo codice di sopravvivenza che la vedeva prodigarsi e sacrificarsi per gli innocenti. E allora, si, ciò che le veniva alla mente era proprio un pensiero sicuro: Zoro era all’altezza di sua sorella!
“E come sta capitano Usop? E il cuoco gentleman? E…il nostro caro cappello di paglia?” 
Aveva chiesto la prima sera al verde, mentre gli passava del liquore in bottiglia di vetro, sedendosi accanto a lui sul portico, mentre osservavano Nami insegnare a Rin come gestire le sue sensazioni quando sentiva l’arrivo della pioggia. 
“Stanno bene.” 
Aveva risposto Zoro, di poche parole come sempre, con un sorriso accennato sulle labbra. 
Nojiko lo aveva guardato fissare Nami e aveva sorriso anche lei. La sua sensazione, su di lui, come innamorato, e come compagno, era buona. 
“Yosaku, eh?” 
Aveva stuzzicato lui, stavolta, portandosi la bottiglia alle labbra.
Nojiko bevette il suo liquore, appoggiandosi al muro e accavallando le gambe. “Sai, qua c’è poca scelta.” 
“Che strega!” 
 
 
 
“Tra tutti i tuoi amici bizzarri, hai preso quello che mi mette più a disagio.” 
Nojiko lo rivelò a Nami una mattina.
“Però é tosto, mi piace per te. Mi piace con te.”
Nami si lasciò accarezzare dalla brezza marina, che iniziava a mancarle tanto, come i suoi amici pirati, alla pari di quando stava con loro e sentiva la lontananza da casa. 
La tomba di sua madre era sempre lì ad aspettare la sua visita, e lei era contenta di poterci passare finalmente del tempo e sentirla vicina. 
“A Bellemere sarebbe piaciuto?” 
Chiese alla sorella che stava insegnando a Rin ad annaffiare il terreno intorno. 
Nojiko alzò la testa per guardarla con un sorriso furbo, passandosi una mano tra i capelli. 
“Oh, si sarebbe presa gioco di lui fino alla morte.” Nami Rise col cuore, divertita.
 
“…ma poi, l’avrebbe sicuramente amato.”
 
 
 
 
 
La prima sera a Coco, dopo una serata movimentata, la rossa, finalmente nuovamente a suo agio, aveva aperto la finestra della sua camera in casa di Bellemerr - la loro casa - aspirando a pieni polmoni tutto il profumo di mandarini che l’aria sprigionava. 
Rinfilandosi la canottiera che la copriva fino alle cosce, si era concessa un momento per vivere una sensazione unica. 
“Casa” 
Aveva parlato a bassa voce per non svegliare il compagno già addormentato, guardando fuori verso l’agrumeto, in quel momento illuminato dalla luna. Fu un attimo, e tutti i suoi ricordi riaffiorarono nella sua mente, da quelli allegri a quelli sofferti. E non faceva altro che pensare che quelli più dolorosi le avevano portato la gioia più ineguagliabile, quella che l’accompagnava ogni giorno.
 
“Grazie Bellemere per l’opportunità di questa vita…”
 
Gli odori erano come sensazioni. 
E Nami ne era più che certa, in quel momento. 
 
“É stata una giornata impegnativa.” 
Zoro, sdraiato con la schiena sul materasso, con il lenzuolo che lo ricopriva a metà busto, aveva aperto l’occhio. 
Nami si avvicinò, serena, con gli occhi che brillavano. Seppur con sul viso una nota nostalgica.
“Intendi il fine serata?” 
“Anche quello.” 
La tirò per le braccia, portandosela accanto e avvinghiandola a lui solo per un attimo.
“Se per caso non stai bene puoi dirmelo.” 
La rossa alzò la testa, liberando solo quella dalla sua presa, guardandolo seria in volto.
“Sono a casa. Certo che sto bene!” 
“Non semplificare…”
L’ammonì, scrutandola attentamente, come se volesse scorgere in lei qualcosa che non diceva. 
Nami sorrise per convincerlo, ed era un sorriso sincero, che non voleva nascondere niente. 
Quando lui si preoccupava per lei in questo modo, e lo diceva apertamente, la metteva sempre un po’ in imbarazzo, ma allo stesso tempo era qualcosa che apprezzava. 
Zoro aveva fatto tanta strada, era rimasto sempre il solito, troppo orgoglioso e duro con gli altri e con sé stesso, ma non aveva più paura di ammettere certi sentimenti. 
La rossa poggiò la sua fronte su quella calda del compagno.
“I ricordi belli sono anche dolorosi. Ma te lo giuro, Zoro. Sto bene.” 
E Nami sapeva perché, sapeva cosa la faceva stare così bene, cosa le dava quella sicurezza, cosa sconfiggeva i brutti ricordi: averlo lì, averlo accanto a lei. E anche se non lo aveva detto a parole, lo aveva dimostrato, avvolgendosi con lui tra le lenzuola, e dandogli tutto il suo amore, senza freni, senza angoscia, senza alcun minino dubbio. 
 
 
 
Le borse con cui erano sbarcati non erano poi tante, ma Nami voleva portare con sé, in viaggio, più ricordi possibili di quei mesi bellissimi rivissuti a casa con tutta la sua famiglia per intero. E, seppur contenta di tornare dall’altra sua famiglia, le dispiaceva aver dovuto interrompere quel tempo molto prima del previsto. Così, indaffarata, continuava a mettere ogni cosa nella borsa, con dolore, rabbia e nervosismo, mentre una nube nera, in ogni senso, gli stava per investire in pieno. 
“Nami, non capisco! Perché così di fretta? Non é giusto! Non é stato abbastanza per me il tempo che abbiamo passato assieme!” 
La rossa era agitata, e Nojiko proprio non riusciva a capacitarsi del perché stessero lasciando l’isola così improvvisamente e senza alcun preavviso, spaventata dallo stesso spavento che leggeva nei loro occhi.
“Non puoi andartene! Non te lo permetto!” 
Johnny aveva fatto ingresso in casa, e nel farlo, aveva battuto la porta d’ingresso con forza contro la parete facendo cadere un quadro il cui vetro si era sgretolato sul pavimento. 
Con la voce strozzata e l’ansia di rivelare qualcosa di sbagliato, annunciò: “Una grossa nave in avvicinamento!” 
Nami alzò la testa in un gesto secco, allarmata, ignorando la sorella che continuava a lamentarsi accanto a lei. 
“Quale nave?” 
“C’è un grosso Sole dorato! O forse é un leone?” 
Il respiro le si quietò all’istante, e il suo cuore ritornò nel petto, concentrandosi nuovamente a prendere ogni cosa sua le capitasse tra le mani. 
“Perché prendi la foto che abbiamo fatto insieme?” Nojiko le fermò la mano “Lasciami almeno quella!” 
La rossa prese la foto con forza e la gettò in borsa, avvicinandosi alla sorella sconvolta, prendendole il viso tra le mani. 
“Mi dispiace! Ma devi essere forte adesso, ok? Non posso lasciare niente… niente che testimoni del nostro passaggio qui. La Marina ci sta cercando. Non metterò la tua vita in pericolo!” 
 
 
 
“Rin!” 
Urlava Zoro sotto le prime gocce d’acqua che iniziavano a cadere sopra le loro teste. “Ma dove diavolo si è cacciata!” 
“Zoro!” Yosaku, che lo stava aiutando a cercare la bambina tra l’agrumeto, s’impegnava a farlo ragionare. “Anche se la Marina vi trovasse qua, potresti sconfiggerla. Io ti aiuterò! E anche Johnny.”
“Rin! Maledizione! Se ti fai vedere adesso, prometto che non ti sculaccio!” 
“Guarda che lo sa già che non lo faresti mai, non ha nessun timore di te…” gli disse l’amico sottovoce, controllando a destra e sinistra anche lui. 
“RIN! Non é divertente! Dobbiamo salpare! Quando fai così sei uguale a tua madre!”
Lo spadaccino si guardò bene intorno, riconoscendo poi, in mezzo ai cespugli, una ciocca di capelli arancioni, che avrebbe anche potuto fregarlo, talmente si mimetizzava bene coi mandarini. 
Sorrise.
Avendo trovando la sua preda, si quietò un attimo, voltandosi verso Yosaku e mettendogli una mano sulla spalla. 
“Ascoltami. Questa é una questione più grande. Non si tratta solo della semplice Marina. É una caccia alle streghe. Non possiamo stare qua. Se accadesse qualcosa a qualcuno, Nami non se lo perdonerebbe mai. E nemmeno io.” 
L’amico lo ascoltò serio, non avrebbe mai replicato alle parole di Zoro, credeva in lui ciecamente, annuendo con la testa come sintomo di aver compreso bene la gravità dei fatti. 
“Yosaku, tu hai un compito adesso…semmai dovessero risalire alle origini di Nami, e trovare l’isola, noi non siamo mai stati qua. Hai capito? Devi negare.” 
L’ex cacciatore di taglie annuì, seppur iniziava a contorcere i suoi lineamenti quasi in preda alla vergogna.
“Dovete rinnegarci, mi hai capito? Voi siete civili…e…poi, sei un marito adesso, devi proteggerla, e devi farlo a tutti i costi.”
Era chiaro che si stesse riferendo a Nojiko, riaccendendo nell’amico una luce che lo aveva fatto rinsavire da quella brutta ferita. 
“Non ti deluderò!” 
Zoro sorrise ancora, guardandolo mentre indietreggiava silenzioso e, al momento giusto, infilava una mano nel cespuglio acciuffando svelto la bambina ‘scomparsa’. 
“Presa!” 
“Ehiiii” si lamentò quella, scalciando. “Voglio restare ancora qua!” 
“Non vuoi rivedere zio Rufy?” 
Ci scherzò su, lo spadaccino, cercando di smorzare la tensione. “Zio Usop? E zia Robin? Lo sai che ti aspettano tutti.” 
“Allora, se mi costringi ad andare via, scelgo zio Sanji!” 
“No, lui no!”  
 
 
Nami batteva un dito sul tavolo della cucina della Sunny, ancora nervosa per aver dovuto lasciare casa sua, alla quale non era riuscita a tornare per tantissimi anni, di più di quelli che aveva pianificato all’inizio, prima del previsto.
“Se Akainu non é arrivato ancora nel mare orientale, dobbiamo immediatamente andarcene da qua.” 
“L’ultima notizia del giornale lo vedeva stabilito in un’isola subito dopo la reverse mountain.” 
Fece luce Robin, coccolandosi Rin sulle gambe, che dopo aver frignato e pianto per venti minuti belli e buoni, probabilmente dovuti più alla tensione che si era creata attorno piuttosto che alla vera separazione dall’isola, ora sorrideva felice. 
“Si é avvicinato così tanto…maledetto!”
Usop si alzò in piedi sbattendo una mano alla parete. “Volevo passare più tempo con Kaya!” 
“Dovete lasciarlo a me!” Inveì Rufy, pestando i pugni sul tavolo. “Devo sconfiggerlo e farla finita una volta per tutte con la sua minaccia.” 
“Dati una calmata!” Intervenne Nami. “Tu stai dicendo di andargli incontro per non farlo arrivare fino al mare orientale?” 
Gli altri erano certi che l’idea del capitano non fosse quella, ma visto che salvava delle vite, cappello di paglia annuì lo stesso, sotto lo sguardo accigliato di Usop e Chopper che lo avevano ben inquadrato nella sua bugia. 
“Potrebbe essere un’idea.” 
Nami si toccò il mento mentre ragionava. Ma venne bloccata immediatamente da Zoro, che le afferrò il braccio. 
“Che ti prende?” 
Lui la guardò fissa in volto prima di parlare.
“Rin!” disse solo, con il suo fare serio e il tono fermo e deciso, quello che non avrebbe ammesso repliche. 
“Non possiamo certo lasciarla su un’isola da sola!” Fece spallucce la rossa, consapevole del pericolo di portarla a presso in una guerra aperta contro Akainu, ma non trovando altre alternative. Conversazione che catturò immediatamente l’attenzione della piccola, che, quando sentì le parole “lasciarla” e “da sola” si allarmò spalancando la bocca e poi gonfiando le guance indispettita. 
“Non da sola…”
La voce di Zoro risuonò come un bruttissimo eco nelle orecchie di Nami. 
“Scordatelo!” fu la sua immediata risposta, capendone l’antifona. “Pensi che saremo al sicuro, io e Rin, da sole? Scendere da questa nave é fuori discussione!” 
“Devi proteggere tua figlia!” 
“Si! Ma stando quassù! Perché é il posto più sicuro del mondo!” Ribatté violenta, non accettando di venire sminuita in nessun modo, seppur le intenzioni del verde non erano certamente quelle. 
“Hei ehi..” 
Franky cercò di placare gli animi di due sguardi truci che si guardavano uno contro l’altro, in un momento che racchiudeva già fin troppa tensione e che sembrava nascondere qualcosa di più. 
“Zoro, perché non scendi anche tu con loro? Noi siamo in sette. E poi é il nostro capitano che vuole battere Akainu. Saresti solo d’intralcio.” 
Tutti tranne Zoro erano consapevoli che il cyborg gli aveva detto di essere inutile solo per farlo sentire meno in colpa, infatti lo videro immediatamente grugnire infastidito, poco incline ad accettare una simile decisione, ma trovandosi davanti tante facce che concordavano con il carpentiere. 
“Non ti piace il tuo stesso gioco, eh?”
gli disse Nami, stuzzicandolo, ma non ricevendo da lui nessun accenno positivo. 
“Andate al diavolo!” 
 
 
 
 
Lo spadaccino, dopo essersi rifocillato per bene al piano di sotto, era rientrato nella stanza che avevano prenotato per un paio di giorni in una taverna, su un’isola lungo la rotta maggiore. Era già la quarta taverna che avevano occupato in segreto.
La paura di essere visti e riconosciuti era reale, perciò che non uscivano quasi mai da lì. Ma la tensione era tanta fuori quanto era tanta dentro, perciò, non appena poteva, fuggiva da Nami. Richiuse la porta alle sue spalle, e in un rapido sguardo, notò Rin addormentata su uno dei due letti, e la sua compagna, che, seduta sulla sedia alla finestra con le ginocchia piegate al petto e la testa poggiata sopra, non sembrava aver ceduto nemmeno un po’. 
Poggiò una scatola con il cibo ancora caldo sulla scrivania dietro di lei e, sempre stando in silenzio, si sedette sulla sedia per togliersi gli stivali con calma. 
Nami si voltò, gettandogli un’occhiata velenosa, sapendo che aveva cenato da solo di sotto, ma notando che le aveva comunque portato la sua porzione tenuta in caldo, visto il fumo che usciva dal contenitore. Colpita, ma perennemente orgogliosa, la rossa ignorò il gesto, riprendendo a concentrarsi oltre la finestra. 
Lui, che aveva notato tutto, alzò gli occhi al cielo, sapendo di stare interagendo con la versione più capricciosa di lei. 
“Si raffredda.” 
Aveva pronunciato. 
“Non ho fame.”
Aveva risposto lei, toccandosi però la pancia, visto che non mangiava dalla mattina a colazione, e in realtà il suo stomaco non aveva più voglia di stare a digiuno. 
Lui si tolse delicatamente le spade dal fianco, appoggiandole alla parete, sentendosi improvvisamente più leggero e libero di sdraiarsi. “Devi mangiare!” 
insistette una volta ritornato in piedi. 
“Ti ho detto di no!” 
Insistette anche lei, rimanendo ferma nella sua posizione. 
Sbuffò scocciato, andando a sdraiarsi sul letto, portandosi le tre spade vicino al comodino.
“Fai come ti pare!” 
“Naturalmente!” 
Il tono di Nami era pungente, carico di rabbia repressa, mentre lei continuava a non distogliere gli occhi dal fuori. 
Zoro fremeva: voleva scuoterla, urlarle contro, ma poi sapeva che lei avrebbe preso il sopravvento, che così facendo le avrebbe dato modo di avere ragione, perciò cercò di resistere. 
Si mise su un fianco pronto a dormire, quando la sentì sbuffare poco velatamente, infastidendolo ulteriormente. Voleva costringerlo a farlo parlare, ma lui non doveva cascarci. Così si voltò dall’altro lato ignorandola ancora, fintanto che una ciabatta non gli arrivò dritta addosso; il che lo fece scattare, mettendosi seduto, agitando le braccia per aria.
“‘Ma insomma! Sono io che dovrei essere arrabbiato, non tu!” 
“Tu?” Scattò in piedi anche lei. “Come pensi che dovrei sentirmi, visto che preferisci andare a combattere che proteggere noi?” 
“Io non l’ho mai detto!” 
“Volevi lasciarci sole!”
“Per proteggervi!” 
“Da sole?”
“Maledizione Nami! Non capisci!” 
“Capisco eccome. La tua sete di sangue é più importante di noi.” 
Furioso, si alzò in piedi anche lui, guardandola come non l’aveva mai guardata prima.
“Niente è più importante di voi!” 
“Allora lo dimostri male!” 
“Sei testarda! Testarda e stupida! Se voglio combattere é per toglierlo di mezzo una volta per tutte. Non pensi a Rufy senza di me al suo fianco? Non pensi agli altri?” 
“Ogni minuto di ogni dannato giorno! Pensi che non sia preoccupata per loro? Pensi che non mi senta in colpa per avere “la scusa” per mollare lo scontro? Avrei portato Rin sul campo di battaglia piuttosto che farmi sentire come mi ha fatta sentire tu.” 
“E come ti avrei fatta sentire? ‘Amata’?” 
“Debole!” 
“No, sei solo irresponsabile adesso, non certo debole!” 
“E tu sei sempre un idiota! Essere madre non dovrebbe essere una colpa!” 
“Sei una madre, infatti. Dimostralo anche tu per una volta che vuoi esserlo!” 
Dopo averle urlato contro, Zoro aveva acchiappato svelto le spade e gli stivali, prima di uscire sbattendo la porta dietro di lui. 
Arrabbiata, e con le mani che tremavano, Nami si appoggiò esausta alla finestra, nervosa per via di una conversazione inutile che era fatta solo di rabbia, legata alla preoccupazione, o, forse, al troppo amore. 
Lo sapeva, ma non voleva cedere. 
 
 
“É colpa mia?” 
La voce della bambina però la fece sussultare e riemergere dal suo muro d’orgoglio. 
“Sei sveglia?”
La rossa più piccola annuì, mettendosi seduta nel letto mentre si ripuliva gli occhi con le mani a pugnetto. 
“Hai sentito tutto, non è così?”
Annuì ancora, facendo sprofondare la navigatrice nell’obbliò. 
Nami allora la raggiunse, sedendosi dietro di lei e prendendola tra le braccia. 
“Tu non centri niente in questa stupida lite, hai capito?”
Le lascio un lungo bacio sulla fronte.
"Siamo solo un po’ agitati, tutto qua.” 
“E Papà?”
Nami chiuse gli occhi, lasciandosi andare ad un sospiro che aveva però portato anche ad un sorriso. “É solo preoccupato per gli altri. C’è un uomo tanto cattivo là fuori che vuole farci del male. “
La rossa sentì le manine della bimba stringersi sulla sua canotta, mentre la guardava spaventata. 
“Sta’ tranquilla. Non ti succederà nulla, io non lo permetterò mai. 
Vuoi che papà ritorni? Andiamo a cercarlo?” 
Rin annuì contenta. 
“Si perderà da solo senza di noi” 
Nami non poté fare a meno di continuare a sorridere nel sentire quelle parole, superando quella stupida rabbia che l’aveva manipolata.
Pur sapendo che era meglio non uscire, onde evitare di essere riconosciuti, Nami decise che era necessario infrangere qualche regola per la serenità di sua figlia e per soddisfare la voglia di tornare in pace col suo spadaccino burbero.
Con la convinzione che dal momento che era sera, sarebbe stato probabilmente un po’ meno rischioso uscire per prendere un po’ d’aria.
 
Ma, nel momento stesso in cui Nami chiuse la porta della stanza alle sue spalle,
il lumacofonino al suo interno iniziò a squillare ininterrottamente. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: ______________________________
“Il passato del futuro” è un capitolo lungo, perciò è dovuto diventare “Il passato del futuro – parte prima“, e “ Il passato del futuro - parte seconda”. 
Carico entrambi a distanza di uno o due giorni, poiché devo ancora finire di rileggere la seconda parte.
Speriamo sia una narrazione scorrevole.
;) 
 
 

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Capitolo 28
*** Il passato del futuro - parte seconda ***


Capitolo XXVIII
Il passato del futuro
 – parte seconda
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Vuoi fermarti?” 
 
Robin, completamente immersa nel racconto, sbalorditivamente descrittivo per essere narrato da una ragazzina che sicuramente aveva ereditato l’essere prolissa dalla madre, e di questo non poteva che esserne felice, iniziava a sentirsi pesante, come se fosse in attesa di qualcosa che non avrebbe dovuto sapere. Ciononostante, preferiva continuare. 
Il sentimento fu impossibile da trattenere a un certo punto. Con la mano a reggersi il petto, quasi a volerci lasciare un segno sopra con ferocia, Rin cedeva. Mano mano che i suoi ricordi di bambina prendevano forma ritornavano anche le sensazioni, le impressioni, gli sbagli. 
“Mi fa così male…” 
Scosse la testa decisa a non arrendersi. Doveva essere forte. Doveva affrontare i propri demoni. Doveva affrontare i suoi sensi di colpa. 
 
“Avete trovato Zoro?” 
Voleva sapere ogni cosa, voleva aiutarla in qualsiasi modo possibile. 
Ma la bambina scosse la testa in segno di dissenso, 
ancora una volta. 
 
 
 
 
 
“Hai visto quante luci laggiù al porto?” 
La piccola, mingherlina ma con le guance paffute, sorrideva e annuiva, felice
“E guarda che bello il mare illuminato, mamma.” 
Dello spadaccino non c’era traccia, né alla taverna né nei dintorni di essa. Nami non voleva deludere sua figlia, ma ormai era certa che da qualunque parte lui fosse andato, si era sicuramente perso. Doveva perciò trovare dei metodi per far passare il tempo distraendo Rin abbastanza per non farla spaventare: ne aveva già sentite troppe di cose spiacevoli in quella brutta giornata. 
“Ti piace tanto il mare?” 
“Si” 
“Sei contenta di vedere posti diversi o ti manca la vita che hai vissuto a Coco?” 
Il cuore della navigatrice mancò di un battito nell’attesa di quella risposta che avrebbe potuto cambiare per sempre tutta la sua vita. 
“Mmm” 
“Lo capisco, sai? Se non sai scegliere…”
“Non é questo…ma tu e papà dovreste spostarvi sempre, no? A Coco starei sola? E se poi Papà ci lascerebbe perché non é la sua casa?”
Nami rimase interdetta per un attimo, consapevole di saper rispondere a quelle domande, ma stranita per un quesito che non si era mai posta, o forse, era sempre é solo la rabbia del momento che le obnubilava la mente e la rendeva suscettibile alle insicurezze. Lei non aveva nessun dubbio su Zoro, sapeva che le avrebbe seguite senza obiettare, eppure, quella semplice domanda l’aveva riportata indietro a tanto tempo fa, quando un problema del genere avrebbe potuto farla dubitare del loro rapporto. 
“Allora, se ne andrebbe?”
All’arrivo all’entrata del porto principale, la rossa senior s’inchinò davanti alla bambina, arrivando così all’altezza della sua minuta statura, poggiando le mani all’estremità delle sue spalle, guardandola amorevolmente. Improvvisamente conscia che quella peste sapeva diventare seria e austera come lui!
“Non andrà mai via da te, mai.” 
La piccola scosse la testa imbarazzata e felice, nascondendo il viso dietro alle mani e guardando la mamma solo attraverso due dita leggermente distanziate. 
“E Coco è casa tua e sua quanto mia!”
“Allora va bene ovunque, se noi stiamo insieme.” 
Ma sapeva essere anche così amabile, come lei. 
Nami le regalò un bacio sulla tempia, scompigliandole però poi tutti i capelli e facendola adirare di proposito, prendendola in giro con quel suo fare provocatorio, “sei proprio la cocca di papà, eh?”
“Non é vero!!!”
“Ma sai almeno cosa vuol dire?”
Quella mise il broncio, incrociando le braccia al petto “no”
“Ma allora perché ti agiti tanto se non lo sai?” 
Indispettita, la bambina, continuava a girare gli occhi e rivolgerli altrove, offesa, ignorando la madre che ancora rideva da sola. “Uffa...”
“Lo dico sempre che deve viziarti di meno…” sillabò il genitore, sempre e solo per continuare a stuzzicarla. Ma, in quel momento, vide che gli occhi di Rin diventarono improvvisamente più grandi, come se dopo aver riflettuto, fosse arrivata ad una conclusione. 
“Vuol dire che mi difenderà sempre da tutti i mostri? Anche da quelli coi tentacoli?” 
“Forse si, forse vuol dire questo…” 
“Allora lo sono! Sono la cocca di papà!” 
La rossa dovette cadere a terra dalle risate che le aveva provocato, tanto da dover reggersi l’addome, dolente per lo sforzo.
“Dammi solo un attimo”, le diceva, mentre cercava di riprendere fiato.
La bambina, nuovamente scocciata per essere stata derisa, venne attirata da qualcosa che catturò la sua attenzione, dimenticandosi presto della presa in giro.
“Mamma?” 
S’inchinò allungando la mano sulla pancia di Nami. La rossa, allora, alzò la testa sorridente, guardando la bambina negli occhi, trasmettendole il luccichio dei suoi che brillavano. “Si?”
“Hai la pancia?”
“Tutti hanno la pancia, Rin” rise ancora divertita, senza distogliere gli occhi da quella curiosità.
“Ma…é diversa…sembra, sembra di più” 
Nami rise ancora, non poteva resistere a quelle parole e attenzioni così ingenue. 
Poggiò la mano su quella manina preziosa, stringendola. “Te ne sei accorta anche tu, eh?”
“Sei malata? O stai facendo come lo zio Rufy? Hai mangiato come lui?” 
E ancora giù a ridere come una scema. 
Avrebbe tanto voluto che anche Zoro si fosse goduto un momento come quello, ma allo stesso tempo era contenta che qualcosa di Rin fosse solo sua, dal momento che lui era quello che si prendeva più attenzioni, visto l’effetto che le spade avevano sulla figlia. 
“Uffa…che c’é da ridere?” 
Nami continuò a stringerle la mano, spostandola e avvicinandola al centro della sua pancia.
“Un po’ di pazienza. Lo scoprirai tra meno di sei mesi!” 
“Uffa non capisco…” batté i piedi. “Che vuol dire?” 
“Un bambino…c’è un bambino…”
La faccia stranita e confusa della piccola la fece ridere un’altra volta, era troppo buffa e impacciata per evitare di prenderla in giro. Continuava a guardarla con un punto di domanda sulla faccia ma allo stesso tempo le guance arrossate, il viso scorbutico e le labbra arricciate,  come se volesse chiedere di più ma senza sapere come fare e cosa dire. Nami lo sapeva eccome a chi assomigliava in quel momento sua figlia, vivendo una sensazione di déjà-vu.  
“Hai la stessa faccia di tuo padre quando gli ho detto di te. Certe cose non fanno proprio per voi.” 
Quella batté il piede sul terreno. “E lui lo sa che c’è un bambino lì?” 
“Secondo te perché é così eccessivamente premuroso…di solito non lo é mica!” Rivelò, lamentandosi, mentre si ripuliva con le mani il vestito dalla terra. “È per questo che è sempre così preoccupato, al limite dell’oppressione direi!”
“Solo per un nuovo bambino?” 
Nami rise di cuore.
“Dai torniamo alla taverna, vedrai che troverà un modo per tornare lì da solo.” 
Ma non appena le due si voltarono per andarsene dal porto, il silenzio inquietante tutt’attorno allarmò la rossa, che, improvvisamente, non si sentiva più tanto sicura. 
“Andiamo via…” pronunciò, tutto d’un tratto allarmata. 
Ma quando si voltò nuovamente verso il sentiero principale, una decina di canne di fucile spuntarono dal nulla, chiudendole la strada.
 
“La navigatrice di cappelli di paglia tutta sola. Non c’è tuo marito, stavolta?” 
 
In un solo attimo, quelle parole felici, quelle risate calorose, quel silenzio sereno, si trasformarono in inquietudine. 
 
“O direi ‘quasi sola’…”
Akainu osservò la bambina con un accenno di disgusto sulle labbra. La stessa che Nami cercava di nascondere tenendola appiccicata a lei. 
La navigatrice era ancora sconvolta, ma non solo di quell’apparizione, ma della sua frase. Perché stava chiedendo di Zoro? Voleva approfittare della sua assenza o gli dispiaceva che non fosse lì? Rimasta gelata, si guardava attorno per identificare una strada come via di fuga più veloce, ma nel mentre furono circondate da un intero squadrone di uomini. 
“Non pensavi che avremmo ricevuto delle segnalazioni?…un uccellino ha fatto la spia…non si trova certo da tutte le parti una rossa famosa come te…”
“Zoro ti farà fuori se tocchi sua figlia. Non ti conviene mettertelo contro.” 
“Ma lui non c’è, o mi sbaglio?” 
Nami fu costretta ad ingoiare un magone d’ansia e buttarlo giù per la gola. Il suo respiro era appena aumentato, il cuore aveva iniziato ad accelerare il suo battito.  
In un attimo, Rin, a sua volta spaventata, ma preoccupata per il genitore, cui aveva sentito chiaramente le mani tremare, era sfuggita alla sua presa, per cercare di capire cosa stesse succedendo. E, mentre la piccola guardava gli occhi di sua mamma sgretolarsi, senza capirne il motivo, qualcosa di metallico si avvicinò improvvisamente alla sua testa. 
Rimase immobile, continuando a guardare Nami, freddata, e quel terrore diventato subito nero dentro di lei. 
 
 
“All’epoca non mi accorsi di avere un fucile sulla testa, non seppi nemmeno perché non mi voltai. É stato solo un po’ di tempo dopo, che capii: la mamma mi aveva fissata con così tanta intensità per attirare la mia attenzione… tutto, pur che io non distogliessi lo sguardo da lei. 
“Va tutto bene
mi diceva.
“Guarda me. Guarda solo me.” 
Ma poi, quel Marine non era riuscito ad ubbidire ad un ordine tanto vigliacco, non aveva potuto premere il grilletto su un essere umano così piccolo, seppur pirata.” 
Rin inspirò a fondo prima di rilasciare l’aria dai polmoni. 
“Ci fu un momento in cui credetti di sentire dei denti tremare e poi un tonfo, qualcosa cadere a terra e la voce di quell’uomo, che tanto non mi piaceva subito a seguire: 
“La marina non se ne fa nulla di uno come te”. 
Solo dopo mi resi conto che Akainu lo aveva ucciso.” 
 
E, mentre la piccola faceva uscire dalla memoria i suoi peggiori tormenti, Robin rimaneva immobile ad ascoltare, tesa come una corda di violini, come se qualunque movimento inutile avrebbe potuto mettere fine a quel viaggio nei ricordi, che da nostalgico e pieno di amore prendeva improvvisamente una piega dalle tinte terribili. 
 
“Fu in quel momento però che tutti gli altri furono costretti a tenere i fucili ben puntati. E la mamma lo sapeva che avrebbero sparato per non venire uccisi a loro volta. 
Così, in quel frammento di tempo, montò il suo Clima-Tact, e in un paio di colpi, stese tutti quelli che in prima fila erano muniti di fucile, salvando loro e noi allo stesso tempo. 
Ma sai, qual é stata la cosa più strana? La mamma non ha urlato mai. Non ha detto una parola. Era fin troppo sconvolta per ragionare
…o forse sono io che ricordo solo il silenzio.” 
“Che é successo? Come avete vinto?”
Rin Tremò. 
“Vinto?”
 
 
 
 
 
“Devi stare qua, vicina a me.” 
 
Nami continuava ad attaccare i Marine circostanti con i suoi attacchi più aggressivi, e attaccava anche le file secondarie con quegli attacchi che poteva scagliare a distanza, e riusciva, in poco tempo, e con meno fatica del passato, ad annientare tutti i soldati semplici e anche quelli di più alto livello di forza, il tutto mentre con una mano teneva la bambina dietro le sue gambe. 
“Pensi davvero di salvare la tua mocciosetta?” 
La voce di quell’uomo, e per giunta con tono fintamente annoiato, continuava ad innervosirla parecchio. 
“Non ti avvicinerai a lei. Mi hai sentita?”
Gli rispose a tono, con tutto il fiato che aveva in corpo: non l’avrebbe mai permesso. Aveva una responsabilità verso la vita dentro di lei che ancora non aveva nemmeno potuto prendere forma, ma ancora di più l’aveva verso sua figlia, e per lei non si sarebbe piegata facilmente, avrebbe preso tempo, a qualunque costo.
 
 
 
 
“Akainu aveva già in mente di uccidermi. 
Non avrebbe avuto pietà di me. Nessuna.
La mamma ha capito subito che lui non mi avrebbe mai risparmiata, e l’ha capito in tempo. Non ha sprecato parole nemmeno per abbassarsi a contrattare con lui, perché lei lo sapeva già. 
L’ho vista chiara e tonda, l’idea del sacrificio in lei: si sarebbe gettata anche all’inferno per me. 
Mi ricordo il suo volto, il terrore nei suoi occhi, e non la stessa paura di adesso, legata soprattutto al sentirsi impotente davanti a lui, ma la paura per me. Una paura che difficilmente puoi dimenticare. É indelebile.
Ho questi ricordi difficili, e sono per lo più legati a dei dettagli, sensazioni, sguardi.” 
 
“Vuoi fare una pausa?” 
 
Rin scosse la testa, o forse era solo un accenno, ormai totalmente immersa in quel ricordo tanto doloroso quando difficile era tramutare le sensazioni in parole. 
 
“Lei lo ha provocato più volte, sovrapponendosi tra me e lui. Lo teneva a distanza, affrontando i soldati che si fiondavamo su di noi con facilità, ma innervosendolo sempre di più. 
Io come una stupida sono rimasta ferma lì, senza fare nulla. Ricordo solo di aver provato delle emozioni così forti, con un grigio presentimento addosso che non potevo capire, tutto dovuto allo sguardo della mamma che ancora oggi è fermo davanti ai miei occhi come fosse quel giorno. Non l’avevo mai visto così. 
Io non ero mai stata veramente in pericolo, prima di quel giorno. 
La vidi venire ferita, colpita ferocemente, senza nessun risparmio. Mi pareva di sentire lo stesso dolore sulla pelle ad ogni colpo. Me lei, nel frattempo, pensava solo a me e non a sé stessa. 
Io non ho mai urlato, osservavo tutto e basta. Ricordo questo gran silenzio. Ma quando incontravo nuovamente quello sguardo, piangevo…
“mamma, quando finisce? Mamma quando finisce”
Che stupida bambina sono stata!” 
 
“Non puoi incolparti di questo” 
Il tono di Robin era smorzato dall’angoscia e un senso di claustrofobia l’aveva colpita alla gola, riducendo ancora di più il suo tono.
“Sei troppo intelligente per prenderti le colpe per come ti sei sentita in una situazione così terribile”. 
 
“Sai, ad un certo punto la mamma si é voltata per rassicurarmi e ha detto una frase che mi ha fatta a pezzi, da lì al corso degli anni a seguire…le parole più brutte che avessi mai sentito.”
Rin alzo il capo con uno strano sorriso di resa addosso che non sapeva affatto di felicità. 
“Mi disse: “vedrai Rin…ora arriva Papà e tornerete a casa”. 
Mi soffermai parecchio su quel tornerete a casa, poiché significava che lei non ci sarebbe stata, che lei non sarebbe tornata.” 
 
Le mani le erano ormai diventate tutte rosse, graffi pieni di rabbia sfogata sulla sua pelle candida all’esterno ma provata dal continuo uso della spada all’interno, nei palmi.
Sentì il cuore di Robin sussultare, e capì di averla spaventata. 
 
“Sai che ho fatto, invece? Ho lo stesso annuito come una stupida, senza pensare al reale significato di quelle parole. Pensavo solo alle braccia di papà…pensavo solo di voler tornare a casa. Che stupida bambina. Stupida, stupida, stupida frignona viziata!” 
 
“Rin…”
Gli occhi della mora, sempre imperscrutabili, ora trasparivano un dolore concreto evidente. Era davvero riuscita a spaventarsi da quelle parole. 
“Non é umano sentirsi in colpa per aver avuto paura…!”
Provò a rincuorarla comunque, anche se si vedeva che era impaziente di conoscere il seguito, incitandola a continuare, nonostante però una paura crescente. 
Ma la bambina aveva la gola secca, quasi bloccata, vergognandosi di ciò che stava ammettendo. Sulle sue mani comparirono dal nulla quelle di Robin che fermarono il suo torturarsi, guardandola per invogliarla a respirare e prendere fiato. 
“Eri solo una bambina…anche io mi sono addossata a lungo colpe che non sono mai state mie. Devi ascoltarmi su questo…”
Rin così smise di ferirsi le mani, alzando la testa su Robin, in uno sguardo intenso e affranto, che fermò le sue parole. 
“Fu in quel momento che lui la colpì, forte…alla pancia…Fu in quel momento, quando il suo bastone cadde a terra spaccato in tre pezzi, che sentii il mio cuore fermarsi. 
Mamma. Chiamai nella mia testa. 
Ma non usciva niente. 
Mamma. Mamma.
Niente, non avevo più voce, l’avevo usata tutta. Avevo sprecato la voce inutilmente solo per paura, per colmare la mia stra maledetta paura… non riuscivo nemmeno più a piangere. Volevo urlare ma non potevo farlo. Ricordo ancora la sensazione, ricordo ancora il dolore della gola.” 
 
 
 
Nami era riuscita ad abbattere tutti i soldati da sola e con una sola mano. Akainu l’aveva colpita di sorpresa, poiché infastidito da quel suo riuscire a cavarsela nonostante la situazione di svantaggio. 
“Perché te la prendi così tanto con noi?”gli disse, mentre riusciva a reggersi sulle ginocchia, ma da lì a rialzarsi e combattere ancora a lungo iniziava a vederla veramente dura. E tutte le volte il suo esitare nel rimettersi in piedi faceva sorridere sempre più quel maledetto. E così, la rossa, faceva quello che sapeva fare meglio: prendere tempo. “Che cosa ti abbiamo fatto proprio noi? Cosa ti brucia tanto?” 
Nami sapeva che quello era l’ultimo sacrificio che avrebbe potuto chiedere al suo corpo malandato, ormai prossimo al collasso. Sentiva un fuoco acceso dentro di lei, che le dava la forza per rimettersi in piedi. Quel colpo del Marine era stato deleterio, e ne era bastato solo uno per renderla uno straccio. Le aveva fatto male. Le aveva fatto male davvero, tanto da essere consapevole che un altro colpo avrebbe potuto ucciderla. 
Sentiva del sangue scivolarle dalle gambe, e una lacrima attraversarle il viso nello stesso momento; la lacrima per il suo bambino, che ora come ora non sapeva proprio se potesse esistere possibilità di salvarlo. Le doleva così tanto il ventre, lo stomaco, le dolevano anche le gambe. Il senso di nausea era così forte, che se avesse ceduto al vomito, si sarebbe strozzata da sola. Persino la sua gola era così dolorante, tanto da non aver voglia di parlare ancora. 
Stava succedendo tutto da capo: come sua madre aveva lasciato lei senza un genitore, per salvarla, lei si ritrovava a fare lo stesso a Rin. 
Un’altra lacrima a rigarle il volto mentre avanzava e tirava via la figlia dalla traiettoria che separava lei dal marine. 
Perché doveva succedere ancora? 
E la ricordava bene la sua rabbia per la morte di Bellemere, per quel sacrificio che da bambina non era riuscita a comprendere. 
Non voleva lasciare Rin, aveva così tanto ancora da insegnarle, ma sapeva che sarebbe stata al sicuro lo stesso, protetta; non sarebbe stato come per lei, Rin aveva Zoro, aveva due famiglie intere che avrebbero lottato per lei. L’unica ragione che la faceva sorridere e che le dava la forza per accettare quel maledetto destino.
E Zoro…
É a lui che pensava. A quanto si sarebbe infuriato perché lei non aveva rispettato un patto, la promessa di stare fuori da guai. Si, si sarebbe tanto infuriato, e chi lo avrebbe sopportato, poi?
Ma dove diavolo si era perso?, si chiedeva devastata dalla sua assenza. 
Un’altra lacrima a sgorgarle sul volto. 
Le mancava così tanto. 
Ripensava alla sua carezza sul braccio, sul portico di Coco: bastava davvero poco per farla sentire al sicuro. Alle loro notti insieme, nel sentirsi l’unica a poter condividere i suoi lati più intimi. Ad essere l’unica a poterlo toccare, anche solo per dargli una lezione o una bella botta in testa. 
Zoro, lui, quello con cui aveva sempre di che discutere, era il suo più grande rammarico. L’unica cosa al mondo che non l’avrebbe fatta andare via in pace. Il calore del suo petto, l’intensità del suo sguardo quando facevano l’amore, il tocco rude della sua mano quando era preoccupato, il modo unico che aveva di imbarazzarsi quando si trattava di tirar fuori i sentimenti o compiere un gesto minimamente carino. Ciò che amava di più di lui era che si imbarazzava e vergognava di qualcosa di normale come dire “ti amo” ma non si faceva problemi a stringerle il braccio quando la sentiva vivere un momento difficile, o ad osservarla e accorgersi di tutti i suoi cambiamenti d’umore: non si rendeva conto che quello era più dimostrazione d’amore che dirlo a parole. Lui, l’uomo di cui si fidava più al mondo, da cui aveva accettato a sua volta regole e rispettato opinioni. Lui troppo severo, lui troppo poco indulgente, lui…così buono.
Non l’avrebbe mai ammesso con nessuno, nessuno davvero!, ma in quel piccolo frammento rimpiangeva ogni secondo che avevano perso. Pensava a quel momento nella taverna, rimpiangeva il non aver abbassato i toni, l’aver seguito solo il suo orgoglio. Rimpiangeva il non averlo fermato sulla porta e stretto così forte da fargli sentire che lo sapeva bene quanto si sentiva amata, e quanto sapesse che quello per lui era un vero sacrificio, il non adempiere ai suoi compiti per il suo capitano.
Le mancava. E le sarebbe mancato anche da morta. 
Tuttavia, ora, si rendeva conto di essere impotente di fronte a quella tragedia: lei sarebbe morta lì. E senza poterlo toccare ancora, senza poter vedere quei lineamenti indurirsi contro di lei, quella mascella serrarsi quando lo faceva arrabbiare, quello sguardo intenso che le prometteva la salvezza, che ora, più che mai, l’avrebbe confortata. 
 
I capelli le ricadevano a ciocche sugli occhi appiccicandosi attorno al viso sporco di sangue. 
Gli occhi gonfi di rabbia e delusione per quello sporco uomo che non meritava di chiamarsi marine, che non aveva fatto i conti con la sua furia, con quanto avrebbe potuto diventare pericolosa in battaglia se si trattava di evitare il fare del male a un bambino. 
Con una smorfia piena di dolore, era in piedi un’altra volta, pronta per una contromossa. 
 
“Tu vuoi proprio morire, vero?” 
Sibilò il marine, quasi oltraggiato da quella donna senza nessun potere che lo sfidava apertamente. 
“Non la toccherai mai!”
Gli rispose in un ghigno appena accennato, mentre si parava esplicitamente tra Rin e lui. 
Ma, nemmeno stavolta, riuscì ad evitare di esser travolta da quella potenza inaudita. 
Lui non si era risparmiato: sentito insultato nell’orgoglio da una debole donna pirata che lo aveva tenuto occupato anche fin troppo, aveva sferrato un altro colpo. 
Nami ricadde a terra come investita da un treno, e, facendo richiamo a tutte le sue forze e senza emettere un solo gemito per orgoglio, l’unica cosa che fece fu allungare un braccio verso la figlia.  Si rannicchiò il più possibile su Rin e quasi smise di respirare. 
Il sangue pulsava. 
Non era sicura di essere ancora viva.   
 
 
 
 
 
“Lei era a terra, davanti a me, in una pozza di sangue. Non un po’ di sangue, non una semplice ferita, non svenuta: era a terra, con la pancia rivolta al pavimento, in una macchia di sangue che si propagava come olio sotto di lei. Il suo viso rivolto a destra, verso di me, che mi guardava; vedevo le sue labbra sillabare il mio nome. 
Ho gattonato fino a lei, senza riuscire né a piangere, né ad urlare. Volevo chiamarla. Volevo crollare. Ma non vi riuscii. Le misi le mani sul viso, sulla spalla, la smossi…ora non non ricordo bene come andò. Nei miei ricordi non ci sono nemmeno rumori, non ci sono voci, nessun dialogo, ci sono solo visi, espressioni e paura. 
Ricordo un’ombra che avanzava, era ancora Akainu. 
La mamma si mosse in tempo, prendendomi tre le braccia e facendomi ancora una volta scudo col il suo corpo, coprendomi con il suo e, quando quell’ombra ci fu addosso, un’altra arrivò su di noi ancora più velocemente, e non vidi più nulla.” 
 
 
Robin non parlava.
Il suo viso sembrava essere attraversato da delle lame che le impedivano di muovere gli zigomi. Ancora quel senso di claustrofobia. Ancora la gola bloccata. 
“Rin…” la voce quasi non le veniva fuori, “ti prego…” fece un respiro, “se devi dirmi che morirà…basta, abbiamo sbagliato ad affrontare questa conversazione…avevi ragione, non voglio sapere più niente!”  
La mora, con le gambe improvvisamente deboli, si era messa in piedi e reggeva forte la ringhiera della Sunny.
“Non posso affrontare tutto questo…ci siamo spinte oltre…io non”
 
Rin aveva visto Robin vacillare in quel modo solo un’altra volta. Perdere quella fierezza e compostezza. 
Sussultò un attimo, nel ricordarlo, e ne capì immediatamente lo shock. 
Le permise di prendersi un momento, ma non aveva intenzione di fermare il racconto ormai avviato. 
 
 
“Quando mi sono risvegliata, non so quanto tempo dopo, ma non doveva esserne passato tantissimo poiché avevo addosso lo stesso vestito e mi sentivo sporca di terra e sangue, ricordo che mi facevano male gli occhi e anche la testa, da quanto avevo pianto. 
Ma, qualcosa di caldo e morbido mi stava tenendo stretta. Ricordo il respiro vicino al mio orecchio, il tuo respiro Robin. 
Ero tra le tue braccia. 
E ricordo il tuo cuore battere veloce sotto di me. Eri agitata. 
Non ti avevo mai sentita così. 
Vidi il tuo profilo, e vidi ancora la paura, quella che mi spaventava, così decisi di chiudere gli occhi, imponendomi di non guardare.” 
 
 
 
“Robin, cosa fai?” 
Franky era apparso di corsa nella stanza della mora, abbassando la porta delicatamente per non svegliare Rin. 
“La bambina! é ferita! Dobbiamo medicarla!” 
“lei sta bene. Il sangue é…di Nami”
Quelle parole pronunciate con timore. 
“Maledizione! Perché non hanno risposto al lumacofono! Chopper cosa ha detto?” 
L’agitazione del cyborg era palpabile; non faceva che passarsi una mano tra i capelli, muovendosi da una parte all’altra della stanza. 
“É ancora dentro. Voglio andare ad aiutarlo ma…non voglio lasciarla…”
“Dalla a me!” Si offrì, allungando le braccia davanti ad una Robin titubante nel volerla lasciare, mentre una lacrima le attraversava il viso. “Dalla a me!” 
Ma in quel momento Sanji entrò nella camera da letto dell’archeologa, con una espressione furibonda e preoccupata, non molto difficile da interpretare. “Ci sono novità?” 
Osservato dai due, il cuoco si era subito concentrato sulla rara lacrima scivolata sul viso della donna, capendo immediatamente tutto il suo turbamento, quitando così il suo. Provò improvvisamente a rassicurarla con lo sguardo, avvicinandosi a lei e, dolcemente, togliendole Rin dalle braccia. 
“La tengo io, Robin-chan. Ci penso io a lei.”
 
 
 
 
L’archeologa, scesa così per l’infermeria, incontrò Rufy seduto a terra appena fuori, oltre ad essere pieno zeppo di ferite esterne, con tanto di sangue ancora fresco, il viso barbuto provato, i lineamenti seri, gli occhi appena aperti con dentro il vuoto, poteva scorgere anche le sue ferite interiori, erano così leggibili, come uno dei suoi tanti libri. 
“Capitano!” 
Richiamò la sua attenzione con la voce che voleva incutere sicurezza ma che invece risultava essere, per la prima volta, un po’ tremante. “Devi alzarti!” 
Vide Rufy posarsi una mano a pugno sull’occhio gonfio, e strofinarla sopra. Annuì. 
“Robin…solo…un attimo.”
“Zoro? É dentro?”
Rufy si tolse il cappello, poggiandolo su una gamba. Scosse il capo in segno di dissenso. 
“Non é mai entrato…” 
L’archeologa sospirò, la situazione era pure peggiore se i suoi compagni non riuscivano a rispondere attivamente, ad elaborare la gravità della cosa. Fece comparire una mano sulla spalla dell’amico, lasciandogli una pacca sopra.
“Sono sicura che lui ha bisogno di te, in qualche modo.” 
Il capitano annuì, mettendosi difficilmente in piedi, con le lacrime che cadevano silenziose dal suo viso. Si costrinse di ricacciarle dentro. Si costrinse a rimettersi in piedi. 
 
 
 
“La seconda volta che ho riaperto gli occhi” riprese a raccontare, “mi trovavo tra le braccia di Sanji. Riconoscevo l’odore del bagnoschiuma che usava a quel tempo, mischiato al forte odore di tabacco, che in generare odiavo, ma su di lui, quel miscuglio, era buono. 
Ricordo che faceva su e giù, su e giù, come che mi stesse cullando, e devo dire che funzionava, perché era riuscito a quietare anche i miei sogni, oltre che le sensazioni di quel momento. 
Tenevo ancora lo stesso vestito, quindi sapevo che era ancora quella notte.” 
 
 
“Dovremmo metterle il pigiama e farla dormire su un letto comodo, hoho” 
La voce di Brook interruppe quel perfetto momento di pace, mentre in piedi, osservava l’esterno dalla finestra che dava sul ponte. 
“Non voglio che stia sola in questo momento” fu la rapida risposta del cuoco, che, nervosissimo, stava evidentemente non fumando solo per non farlo aspirare a lei. 
“Pensi che sia meglio portarla da Zoro?” 
“No” 
“Non essere arrabbiato con lui.” 
“Quando questo inferno passerà, lo disintegrerò.” 
“Non é stata colpa sua, Sanji”
“Una cosa e basta doveva fare! Una sola!”
Ringhiò arrabbiato, facendo ancora su e giù, su e giù per la stanza, lasciando piccoli tocchetti delicati sulla schiena di Rin.  
“Per quanto ne sappiamo, Nami é uscita dalla taverna senza avvisarlo…non avrebbe potuto fare niente…Sanji, sfoga la tua sofferenza in un altro modo…se ora te la prenderai con lui, Zoro ne approfitterà, vi userete entrambi per non affrontare il dolore.” 
“Bastardo!” 
“Sanji!”
Lo rimproverò seriamente lo scheletro, ancora intento nell’osservare il fuori. 
“Guarda, Zoro é sul ponte. Ma perché é fuori e non dentro? Ma che sta facendo?” 
Una manina si depositò sul collo pulsante del cuoco, facendolo immediatamente fermare.
“É mia…” sillabò appena.
“É tua?”
“É mia la colpa…”
La risposta improvvisa arrivò flebile dalle labbra della bambina. “Volevo trovare papà…e allora siamo uscite, e...”. 
Sanji si fermò allibito, voltandosi a guardarla mentre apriva piano un occhietto da cui usciva una lacrima. 
“Non ti arrabbiare con papà…ti prego.” 
Brook si avvicinò intenerito, accarezzandole i capelli sulla nuca. “Signorina, mi permetta di dissentire!” Abbassò il corpo, trovandosi faccia a faccia con il muso imbronciato e assonnato di Rin. “Non c’è nessunissima possibilità che possa essere colpa di un fiorellino. Lo sai che i fiori hanno dei meriti importanti? Tu che fiore sei? Qual é il tuo preferito?” 
“Il girasole” 
“Oh, che bel fiore! Ebbene, lo sai che i girasoli non hanno mai colpa?”
“Non lo sapevo.” 
 
 
 
 
 
“Zoro!”
Lo chiamò all’attenzione il cecchino. “Ma cosa cavolo stai facendo qua fuori?” 
Seduto sul cornicione della Sunny, lo spadaccino, a petto nudo, si legava una benda fai da te attorno alla ferita al braccio che grondava sangue. 
Non gli rispose, cercando difficilmente di legarla aiutandosi con i denti, in un ghigno di rabbia. 
“Zoro!!!”
Usop lo chiamò ancora, ma il diretto interessato sembrava non volerlo proprio sentire, continuando a stringere così forte quella benda fino a farla spezzare sul suo bicipite, aumentandogli la fuoriuscita di sangue e provocandogli un urlo di dolore. 
Ne prese ancora un’altra, ripetendo il tutto, e oltre i denti estrasse nervosamente la spada dal fodero, pensando di usarla in qualche modo per aiutarsi.  
“Non é qua che devi stare in questo momento!” 
“Lasciami in pace, Usop!” 
“Devi andare in infermeria!” 
Il nasuto non ci vide più niente, perché quello continuava imperterrito a ferirsi il braccio mentre evidentemente la medicazione non riusciva proprio a farla. Stringendo forte i pugni sul fianco, e con le lacrime copiose che iniziavano a scendergli, lo ammonì pesantemente anche con lo sguardo.  
“Stai soffrendo! Ma non é così che devi affrontarlo adesso! Devi andare in infermeria!” 
Ma quello continuava ad ignorarlo, stringendo la nuova fasciatura, che ancora una volta spezzò, provocandosi dolore. 
“Basta! Smettila!”
Il cecchino si avvicinò di più, stringendo tra le mani il Clima Tact distrutto, che aveva recuperato per aggiustarlo. 
“Non devi fare niente adesso, puoi crollare se devi, dannazione!”
Ma Zoro continuava a stringere, stringere forte quelle stupide bende che a poco sarebbero servite per tamponare il suo dolore.
“Prenditi un momento!” 
“Smettila di pensare al peggio.”
Rispose, ancora stringendo la fasciatura coi denti. “Solo i deboli si fanno controllare dalla paura!” 
Con il volto attraversato dal terrore, Usop si sentiva così arrabbiato con lui, sapeva che Zoro non era uno facile, o uno che sarebbe scoppiato in lacrime come loro, ma questo era troppo persino per lui. “Ma non capisci che è grave?” 
“Sta zitto!!!” 
“Zoro!”
“Sta Zitto!”
Il pirata dal naso lungo non riusciva proprio a trattenere le lacrime, che ormai avevano preso il sopravvento su di lui, innervosendo ancora di più il verde, che faceva di tutto per ignorarlo. Aveva le mani tenute a pugni stretti su quell’oggetto che lo stava facendo spiritualmente a pezzi, mentre la loro speranza minacciava di consumarli ora che la nauseante realtà aveva colpito duramente. 
“Allora se queste sono le condizioni, se essere debole significa soffrire apertamente per chi si ama, io lo sono, sono debole e ne vado fiero!”
Usop non voleva infierire sulla situazione, ma qualcuno doveva parlare con quella testa dura e farlo reagire, anche se niente sembrava funzionare, tranne che nominare una precisa parola… la peggiore. 
“Se muore…tu…” 
Fu in quel momento che lo vide voltarsi verso di lui, con il suo sguardo più duro, quello che arrivava direttamente dall’inferno, lasciando la presa dei denti sul nuovo tentativo di fasciatura. 
“Adesso basta!”
Lo ammonì lo spadaccino, con l’occhio diventato improvvisamente molto più grande. “Lei non morirà!” 
Usop, imbestialito con lui, come mai prima, stava per attaccarlo nuovamente con toni più alti, quando però notò una cosa che non aveva mai visto prima: la mano di Zoro sull’elsa della spada, stava tremando. 
“Zoro…”
sillabò allora, leggendo nei suoi occhi una paura che non aveva mai scorto. Il suo piangere e arrabbiarsi riuscì a quietarsi per un attimo, non sapendo più cosa dire, se non che sentirsi uno stupido per aver inflitto il colpo di grazia in quell’uomo, suo amico, che era sempre stato il più sicuro e inscalfibile di tutti, ma che in quel momento forse non lo era più.
Sentì una mano sulla spalla, e, voltandosi, preso dal panico vide Rufy, col cappello sugli occhi, avvicinatosi silenzioso. 
Usop era stupito di vederlo lì; e la paura di una brutta notizia iniziò a paralizzarlo. Il capitano alzò il capo, guardando dritto nella direzione di Zoro, in silenzio, aspettando di avere la sua attenzione. 
Ci volle tanta pazienza nell’aspettare che Zoro riuscisse davvero a medicarsi, dal momento che aveva solo che peggiorato di molto la sua ferita al braccio, provocandosi appositamente dolore. 
Stavano in silenzio fissando la scena davanti a loro mentre il tutto si sbriciolava e metaforicamente bruciava, pregando per la salvezza di Nami. Ognuno dei cappello di paglia erano trattenuti nei loro respiri, nelle loro paure.  
Fu solo allora che, cercando di quietare il suo panico interiore, con tutto il suo coraggio, Zoro, voltò il capo verso Rufy, che ancora aspettava immobile, e trattenuto. 
“… é viva…” 
Una notizia sperata, attesa, pregata. Il sollievo dei cuori dei presenti era arrivato fino a Brook, che in ascolto, ora lo stava rivelando a Sanji e Rin. 
Ma Rufy però non aveva finito di parlare, e Zoro lo aveva capito. 
“Ha perso molto, moltissimo sangue…sei costole rotte, un polmone collassato, un braccio fratturato…e” quando lo sguardo del verde divenne nero, Rufy si fermò. 
“Zoro” 
chiamò la sua attenzione con cautela. 
Gli amici videro lo spadaccino scivolare a terra, con la spada seguirlo, rimbombando sul pavimento della nave: per una volta non ne aveva avuto nessuna cura. 
“Niente bambino…” aveva chiuso l’occhio, ridimensionandolo, come avrebbe voluto fare con quel nuovo dolore “é questo che stai per dire?” 
“…Si, questo.” 
La voglia di crollare di Rufy era incommensurabile. Ma rimase serio. Rimase un appoggio sicuro. Rimase il capitano. Rimase il suo amico, la spalla su cui piangere.  Seppur sapesse con certezza che Zoro non l’avrebbe usata. 
 
 
 
 
“Mi risvegliai nuovamente, ancora bloccata in quella terribile notte. Niente più odore di sangue, ma di pulito, insieme ad un odore diverso ma familiare, che conoscevo bene. Indossavo il pigiama e mi trovavo tra le braccia di Usop che dormiva con la bocca spalancata, probabilmente emotivamente distrutto, seduto sulla sedia in infermeria. 
Aprii leggermente gli occhi, forse timorosa di imbattermi in qualcosa di troppo duro da sopportare, senza muovermi eccessivamente per la paura di scoprirlo. 
Finalmente lo vidi, papà. Era seduto sul letto, al capezzale della mamma, che da quella visuale non riuscivo a vedere bene, tranne che notare come due fili la collegavano ad un macchinario che monitorava i suoi segni vitali.
Ricordo il rumore fastidioso di quella macchina. Non lo sopportavo. 
Ma, ancora di più, ricordo il rumore di denti che battevano. Un rumore quasi inesistente che però ho sentito. Un rumore per me straziante. 
Penso che quella fu l’unica volta in cui lo vidi piangere. Seppur in silenzio. Seppur con lacrime quasi silenziose. Non aveva perso tanto la fierezza, quanto la fiducia. 
Ed io mi sentii così male per lui, come una stupida che pensava solamente al padre eroe infallibile, impenetrabile da ogni dolore e ferita. Perché il mio papà non aveva mai avuto paura di niente prima di quell’occasione.
Così, non gli avevo concesso nemmeno una tregua a quel ruolo, a lui che era sempre stato solo una roccia…fui così tanto ingiusta nei suoi confronti, che scelsi di tornare a dormire per non sentirlo, per non vederlo. 
Faceva troppo male. 
E lo feci. Dormii per un altro giorno di fila, e senza svegliarmi mai nel frattempo. Avevo espresso un desiderio: non volevo più vedere quelle facce spaventate, non volevo vedere la mamma a terra, non volevo vedere papà ridotto in quello stato.
E tutto si avverò. 
Al risveglio sembrava tutto già così diverso, c’era il sole che filtrava dagli oblò, l’aria attorno era più pulita. Non sentivo male agli occhi o alla testa, seppur la confusione del risveglio mi stranì. 
Papà era lì, con me, finalmente. Lo trovai al mio capezzale, mi aveva scosso con titubanza per svegliarmi, riuscendoci con successo.
“Ma quanto ancora vuoi dormire?” 
Mi disse, accogliendomi tra le sue braccia, dove mi ci fiondai svelta, senza perdere un minuto di più. Mi aveva spaventata il vederlo diverso, il vederlo insicuro e instabile. Lui era la nostra sicurezza, la nostra forza, non poteva mostrarsi perso. Non aveva questo diritto. Non poteva permettersi di crollare. E lui lo sapeva. 
“Hei-hei fa piano!” 
mi sgridò, e in quel momento notai tutte le sue nuove ferite ben “imbalsamate” da Chopper. 
“Stai bene?” 
gli chiesi, titubante e spaventata nel ricevere la risposta. 
“Io? Certo!” 
mi disse, guardandomi in faccia serio e offeso per quella domanda per lui ridicola, come aveva sempre fatto. 
Fui felice. 
 
“Mamma?”
Trovai il coraggio di chiedergli, dopo, scrutando il suo viso in cerca di qualunque segno di cedimento. Ma non ci fu. Non arrivò mai. 
“Starà bene.” 
Mi scompigliò i capelli, e mi fece segno di seguirlo in cucina, come se niente fosse stato. 
Ero così felice in quel momento. Quei gesti mi avevano dato forza.” 
 
Sospirò. 
 
“Ma ero solo stupida e ingenua. Io non avevo capito un bel niente di quel dolore.” 
 
 
 
 
Dopo cinque giorni dallo scontro, Nami si era risvegliata; niente di così eccitante, come si aspettavano tutti, aveva solo aperto gli occhi per un attimo, il tempo di costringerla con i gesti a bere qualcosa, per poi riprendere a dormire. 
Il suo corpo non era proprio in via di guarigione, che sarebbe stata molto lunga e dolorosa, ma, almeno quello stava reagendo. Per il resto sembrava quasi arrendevole, sembrava non voler stare mai sveglia. Per quattro volte aveva fatto la stessa cosa, aprendo e richiudendo gli occhi subito dopo. 
 
“Non sta lottando abbastanza!” 
Aveva detto Zoro dopo un mese in quello stato, battendo un pugno sul muro. 
“Zoro!” lo ammonì Usop, “dalle il suo tempo, per diamine.”
Il verde alzò la testa guardandolo serio in viso. “Non esiste” 
“Perché sei sempre così duro, eh? Maledizione!” 
Il cecchino lo vide entrare nuovamente in camera sua, e dirigersi verso il letto dove avevano adagiato la rossa. Lo seguì, tirandolo per il braccio ferito, facendolo imprecare. “Che cosa vuoi fare? Lasciala riposare!” 
“Deve rimettersi!” 
“Non sono tutti come te, lo capisci sì o no? Rufy fa qualcosa! Chopper!” 
Ma i due amici erano rimasti immobili sulla porta, aspettando di vedere. 
“Io posso guarire solo le ferite del corpo” aveva specificato il dottore.
“Nami!” la chiamò, avvicinandosi al letto. “Forza, svegliati.” 
La scosse per le braccia senza metterci forza. “Basta dormire.”  
La vide muovere piano la testa e aprire un solo occhio stanco. Lo guardò negli occhi infastidita, trovandoselo così vicino d’improvviso.
“Forza” con una mano dietro alla testa provò a farla sedere “devi bere e anche mangiare!” 
Lei riuscì ad allungare un braccio con estrema fatica e dargli un debole colpo sulla faccia, incenerendolo con quello sguardo che spesso sapeva dedicare solo a lui.
“Va bene” accennò un sorriso il verde “colpiscimi dai!” 
Ma la mano di lei ricadde sul materasso, come se non riuscisse più a tenerla in piedi. Stava per richiudere gli occhi quando Zoro riprese ancora a scuoterla. 
“No, devi stare sveglia, almeno per un po’!” 
Il cuore che pulsava, la rabbia che tornava ad invaderlo. “Nessuno su questa nave si é arreso, hai capito?”
La rossa continuava a guardarlo, mettendo da parte il lato arrendevole per presentargli uno sguardo di sfida. 
“Così…guardami così, me lo merito, no?” 
Alzò nuovamente il braccio colpendolo alla faccia per la seconda volta e cercando di allontanarlo da lei, spingendolo via con un’accennata determinazione. 
“Vuoi essere la più debole di questa ciurma?”
Riuscì a farla smuovere un poco di più di prima, e, soprattutto, a farla appena scaldare, capendolo da quella presa al braccio che diventava sempre più forte. “Brava”, si complimentò, lasciandola fare. “Avanti.” 
“Z-zitto” le uscì finalmente una parola dalla bocca, rimasta bloccata per troppo tempo. “Chiudi la bocca!” Allungò entrambe le braccia, allontanandolo. “Vattene! Vai via”
“No, rimango” 
“Vattene ho detto” 
“No”
“Lasciami dormire” 
“No”
“Lasciami dormire, stupido, lascia…”
Delle lacrime spontanee la presero alla sprovvista, rigandole il viso. Si sentì morire dentro, poiché non voleva piangere, non davanti a loro, non davanti a lui, che la stava provocando chiamandola “debole”, e questo la faceva più dannatamente incazzare. Lo spinse ancora, abbassando lo sguardo per nascondersi. Non aveva nessuna voglia di affrontarlo, non ne aveva la forza. 
“Vai via” 
Ma quello che sentì arrivare non era un insulto, non era una provocazione, ma erano due braccia solide ad avvolgerla per la schiena trascinandola delicatamente sul suo busto. 
“Non me ne andrò mai più” 
Poi non disse più niente. 
La lasciò piangere silenziosamente su di lui, tenendola stretta, mentre una porta alle loro spalle si richiudeva piano. 
 
 
 
 
 
Nonostante gli antidolorifici assunti in larghe dosi, le ossa le facevano male. Era riuscita però a girarsi per il fianco destro, trovando un po’ di sollievo, dal momento che non avrebbe accettato un minuto di più quella stessa posizione. Trasalì quando qualcuno, nel buio, appoggiò una mano sopra la pelle nuda della sua spalla, spaventandola. 
“Aspetta,” veva subito sentito una voce accompagnare il gesto, benché appena in un sussurro “non ti farà più male così?” 
Zoro cercò di chinarsi su di lei per osservarla meglio. Vedeva le mani chiuse in due pugni in modo così forte che le sue nocche erano diventate bianche; il viso pallido e umido dal sudore - stando in quel letto senza poter fare ancora un bagno; l’espressione dolorante - e per fortuna non più vuota come nei giorni precedenti, che lo aveva spaventato non poco, il tutto nella luce tremolante della luna che filtrava nella stanza, illuminando appena i loro visi. Nonostante non fosse più vuoto lo sguardo, Nami, sembrava lo stesso come una statua, e sembrava altrettanto insensibile.  
Voleva rassicurarla, voleva cingerla più di così, ma si era congelato a metà azione. Sapeva che i suoi gesti sarebbero stati solo un ostacolo e che non avrebbero guarito le ferite di un cuore. Tutto quello che poteva fare adesso era aspettare, e aspettare era una tortura. 
Nami lo aveva riconosciuto prima ancora di sentirlo parlare, dal suo tocco impacciato della mano. Lo sentì cingerla quasi impercettibilmente, quasi senza nemmeno toccarla, poggiando appena il capo sulla sua testa. Zoro era lì, nel letto, con lei. Nami non poteva conoscere i pensieri dell’uomo, ma lo sentiva, e sapeva che lui non ne avrebbe fatto parola, che aveva timore di farle ancora più male. Gli occhi a farsi pesanti, di nuovo, ma per la paura, e la gola secca, per l’orgoglio che non le permetteva di dire niente. 
Era arrabbiata con lui? 
Forse sì. 
Ma forse era ancora di più la paura della sua reazione a spaventarla. Era come se avesse timore che lui ora s’imponesse di essere buono e attento, ma che dentro invece avesse un fuoco acceso pronto a divampare addosso a lei. 
Che lui fosse in realtà quello più arrabbiato. 
 
“Nami”
Lo sentì parlare col suo solito tono che poteva dire tutto e niente, mentre strofinava la testa sulla sua. 
“…non farlo mai più…non provare mai più a farti uccidere…”
Il suo tono era il solito, ma una piccola percezione faceva capire che stava nascondendo una sofferenza disarmante. 
Non era sicura di aver sentito bene, non poteva aver pronunciato solamente quelle parole. 
Ma non era arrabbiato? E la predica per non aver mantenuto una promessa? 
Si poteva chiamare pure sconvolta in quel momento stralunato. Forse erano le medicine, o la situazione ancora così surreale. Certo, non c’era dolcezza nel suo tono, in quel caso si, che avrebbe dubitato di sognare…ma nemmeno rabbia. Era tutta paura e l’angoscia che aveva di perderla. 
Non riuscendo a dire niente, e terrorizzata all’idea di poter precipitare, si rannicchiò ancora di più contro quel petto robusto, con la schiena, crogiolandosi del calore che emanava - quello che tanto aveva sognato mentre pensava di morire - e, percependo il suo respiro, ma anche il battito di quel cuore forte, iniziò nuovamente a provare qualcosa, a sentire qualcosa. 
 
“Hai il battito accelerato…”
 
Fu l’unica cosa che le venne da dire, senza che nemmeno fosse una vera risposta. 
 
Lui rimase in silenzio. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Camminava avanti e indietro nella stanza, furioso oltre ogni limite. Non ci poteva credere che fosse accaduto davvero. Cosa avrebbe detto a Nami? Come le avrebbe spiegato una cosa del genere? 
“Zoro” il cyborg si fiondò in difesa della minore, mettendosi in mezzo. “É tutta colpa nostra.” 
“Ma cosa ti é saltato in testa?”
Urlava a sua figlia, ignorando l’amico, mentre lo superava. 
Non lo aveva mai fatto. Non le aveva mai urlato contro in quel modo. 
La vide seria, che tratteneva due lacrimoni sotto agli occhi con tutta la sua forza d’animo.  
“Un frutto del diavolo. Hai mangiato uno di quei dannati frutti?” 
Aveva le mani in testa, Zoro, dall’esasperazione. “Con tutto quello che già abbiamo passato. Anche questa poi…” 
“I bambini sono curiosi…” provò ad intervenire lo scheletro. 
“Zitti, é tutta colpa vostra!” Indicò Brook e Franky. “Dalla sua nave dovevate recuperare informazioni, non oggetti.”
“Ma c’era scritto ‘importante’!” 
“Dai, che male c’è, in fondo l’ho mangiato anche io…e anche io lo trovai in un forziere!”
Rufy iniziò a ridere di gusto, battendo una mano sulla spalla dell’amico esasperato. “Anche Robin, Brook e Chopper lo hanno mangiato, e siamo tutti forti!”
L’occhiata che ricevette bastò per farlo tremare, soprattutto quando aggiunse “e a Nami sarai tu a dirlo, immagino?”
“Oh, be…” il capitano si grattò la testa, non proprio convinto. 
Sospirando arreso, lo spadaccino si voltò nuovamente verso la figlia, ancora immobile e con la stessa espressione nello sguardo. “Lo sai che non potrai più nuotare?”
“Non m’importa.” 
“Non ti importa?”
“No!” 
Restava altezzosa e fiera in una posizione immobile e sicura. 
Vedendo quella convinzione, il verde placò la sua rabbia, avvicinandosi a lei. 
“Ma perché l’hai fatto se sapevi cos’era?” 
“Per proteggere.” 
“Proteggere?” 
le chiese Robin stupita. 
“Proteggere chi?” 
Fecero eco gli altri. 
“Nessuno dovrà più rischiare di morire per me.”
 
Era chiaro come il sole che la bambina non aveva superato l’evento nemmeno lontanamente come loro invece volevano credere. Era chiaro come il sole che si stesse riferendo a Nami. 
 
Zoro si quietò. 
 
 
 
 
 
Rufy, sulla polena, la sua postazione prediletta, osservava l’isola su cui ormai erano ancorati da giorni, senza essere però mai sbarcati. Ed era incredibile per lui, una tale resistenza. Ma lo aveva fatto per garantire protezione totale alla sua ciurma, a Nami. Senza di lei, poi, potevano navigare solamente il giusto. Robin non troppo lontana, lo teneva d’occhio, mentre leggeva i diari di Nami con tutte le indicazioni nautiche, in attesa di capire quale sarebbe stata la prossima direzione da prendere. 
Entrambi si voltarono, quando, al tramonto, lo spadaccino si rivelò sul ponte con la sua solita espressione enigmatica. Al seguito aveva la piccola, ancora in punizione per quello che aveva fatto. Che poi, la punizione non la sapeva ancora nessuno. 
“Sta per piovere” rivelò lei, alzando la testa verso le nuvole. 
Il capitano, che l’aveva sentita forte e chiara, orgoglioso, fece un salto dalla polena, mettendole subito il suo cappello sulla testa, “allora sarà meglio rientrare per la cena”, le sorrise, battendole un cinque con la mano. 
“Rufy”
Il verde non aveva smesso di guardarlo, nemmeno per un attimo. Aveva qualcosa d’importante da dirgli, che, nel momento in cui l’altro ricambiò il suo sguardo, capì immediatamente. 
Zoro non aveva mai chiesto nulla, non aveva mai voluto favori e non aveva mai preteso di riceverne. Ma stavolta, stavolta aveva una richiesta ben precisa. E non era per lui: era per Nami, era per Rin. 
“Qualunque cosa tu voglia fare, la faremo.” 
Fu l’affermazione convinta del moro, che aveva già intuito tutto e non vedeva l’ora di ricambiare l’amico, di rendergli un favore, di fare qualcosa che era in suo potere per alleviare il suo dolore, di essere, finalmente, la sua spalla.
 “C’è una rotta?” 
 
 
“Villaggio Shimoshiki.” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: ______________________________
Salve a tutti, 
vi prometto che sarò nuovamente brevissima. 
Eccomi con la mia ultima fatica. Se, per puro caso, ve lo starete chiedendo, si, non è finita. Ebbene, c’è anche “Il passato del futuro – parte terza.” 
Mi odiate per questo? 
Non lo so, fatemelo sapere se vi va. 
Probabilmente il modo in cui ho scelto di raccontare può dare fastidio, ma ho seguito solo l’ispirazione. 
 
Dal momento che non riesco a rispettare le scadenze che prometto, stavolta non lo scriverò direttamente. Ma spero di pubblicare in fretta. 
 
A presto con la prossima odissea. 
 
 
 

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Capitolo 29
*** Il passato del futuro - parte terza ***


Capitolo XXIX 
Il passato del futuro
 - parte terza 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La Thousand Sunny, ancorata al piccolo porto dell’isola nel mare orientale, si ritrovava ora ad essere illuminata dalla luna ormai bassa sull'orizzonte, con il colore delicato dell'alba che stava per giungere. Gli schiaffi delle onde sullo scafo erano appena accennati, e il silenzio tutt’intorno rendeva l’atmosfera pacifica, rotta solo da un unico rumore, un flebile e familiare suono metallico. 
Zoro, all’interno della sua cabina, che condivideva con Nami già da quattro anni - seppur vi dormisse poco e niente con l’idea di mantenere equità nell’equipaggio e non godere troppo del suo privilegio acquisito grazie a lei - appena finito di vestirsi, stava attaccandosi le tre spade al fianco cercando di essere meno rumoroso possibile. Ma, quando prima di uscire, si era voltato verso il letto per dare un’occhiata rapida alla compagna, aveva immediatamente scorto due occhi aperti che lo fissavano immobili. Fu come sentire il silenzio aumentare, un silenzio che non aveva fatto altro che increspare ancora di più la tempesta che portava dentro di sé. 
Era così presto per iniziare a soffrire, ma in quei giorni aveva scoperto che quello era il momento della giornata che odiava di più. Sapeva che ogni qualvolta lui si alzava dal letto lei si svegliava. 
Nami non gli aveva detto di aver bisogno di lui, ma era lo stesso così dannatamente evidente; “voglio sentirlo battere” aveva confessato una volta soltanto, riferita al suo cuore, quasi come fosse una minaccia, mentre appoggiava la testa sul suo petto diventando immediatamente più quieta. Un commento che gli ricordava in ogni nano secondo della sua giornata che la sua compagna non aveva superato quella notte maledetta. E, infatti, detestava la sensazione che provava quando doveva lasciarla la mattina, il dover andarsene sotto ai suoi occhi distanti ma vigili; ma lui aveva una missione adesso, un incarico di responsabilità che avrebbe portato avanti fino alla fine. 
Nami avrebbe voluto dirgli “vorrei che restassi”, ma dalla bocca non le usciva niente. L’unico modo per trasmettergli un’emozione era guardarlo. 
Lui allora ci si fiondava in quei due occhi, ora diventati così insensibili, distogliendo però lo sguardo prima di non riuscire ad allontanarsene più. 
Con la gola chiusa e il cuore dolorante, uscì, chiudendo la porta alle sue spalle. 
Questo succedeva da un mese ormai, e, come ogni mattina, sapeva che Nami non avrebbe più chiuso occhio, e questo sarebbe stato il suo tormento per tutta la giornata a seguire. 
 
 
 
 
 
 
 
Usop, mentre attraversava di corsa il sentiero che riportava sulla Sunny, pensava a quanto Rufy fosse riuscito a restare lucido nonostante la situazione - per Nami, per Zoro, naturalmente. Aveva dimostrato di riuscire a mantenere sangue freddo anche in situazioni così delicate. E aveva lasciato allo spadaccino carta bianca, accogliendo le sue richieste, che ancora per lui non erano così chiare. Anzi, dopo un mese sull’isola, non riusciva ancora bene a capire quali fossero le intenzioni del verde, ed era per questo giunto il tempo per delle spiegazioni. Rufy era la loro guida, e se avesse tentennato la sua ciurma non avrebbe più avuto alcun punto di riferimento. E questo ora più che mai lo doveva a Zoro; forse con l'intenzione, o la speranza, di poter ricambiargli più di un favore. Però lui non si sentiva affatto meglio, ad Usop certe scelte non solo non erano chiare, ma aveva paura che tutti, in un certo senso, si stessero arenando, con la situazione, con il viaggio, con…Nami. Anzi, il rimorso e la colpa sembravano distorcere le percezioni di ognuno. 
Ogni tanto pensava addirittura di sentirla la voce furiosa di Nami nelle sue orecchie, ma la verità era un’altra, la verità era che non l’aveva proprio più sentita la sua voce da quella stupida notte. 
 
Lui e gli altri facevano i turni per mantenere la sicurezza, controllando il perimetro e approdando le vedette, assicurandosi di non ricevere visite indesiderate. A turno finito, si era concesso di fare un giro al villaggio natale di Zoro, affascinato da quell’ambiente che tanto rispecchiava l’essere del suo amico, capendone molte sfumature; ma, dopo aver fatto visita al dojo dove il verde aveva vissuto l’addestramento, di nuovo venne accolto da una strana sensazione che lo turbava, ma soprattutto preoccupava. 
Così, imboccata l’ultima stradina che conduceva alla nave, dove l’equipaggio aveva scelto di alloggiare nonostante l’invito di pernottare in paese, quietò il suo respiro. 
Diretto alla camera di Nami, con l’intenzione di parlarle, si era però imbattuto nel medico di bordo, il suo grande amico, che, fuori dalla porta, stava rannicchiato su sé stesso seduto a terra sul pavimento, con il viso trafitto da lacrime silenziose. 
 
“Chopper…”
 
Il nasuto aveva fermato il suo percorso, mettendo un freno al suo tormento e accogliendone un altro. “É successo qualcosa?” 
La renna, presa alla sprovvista, si asciugò in fretta il muso, pensando di fare in tempo nel non essere visto, mentre voltava la testa in segno di dissenso.
“É per Nami? Non vuole mangiare neanche oggi?” 
In quel momento però, il cecchino sentì una voce distinta provenire dalla porta, e allora avvicinò l’orecchio sul legno per ascoltare, cercando di non fare altrettanti rumori. 
“Forza Nami-San, solo un paio di cucchiai.” 
Non sentì nessuna risposta provenire dalla rossa, ma dal sospirò di sollievo di Sanji e conseguenti suoni, capì che il cuoco era riuscito a farla mangiare. 
Si rincuorò. 
“Hai sentito?” disse poi a Chopper “Sanji ci sa fare.” 
Inchinandosi davanti all’alce, iniziò a scrutare nel suo sguardo, cercando di comprendere ciò che a parole non prendeva forma. “Poverino…” sospirò rammaricato. “Anche tu non hai mai potuto lasciarti andare in queste lunghissime settimane… vero?”
Chopper asserì. 
“Sei stato in gamba, davvero in gamba!” 
Ma l’espressione del medico non trovò sollievo, mentre concentrava l’attenzione nello spolverare il suo cappello. Le lacrime che aveva ricacciato dentro erano nuovamente sopraggiunte con estrema facilità. “Vorrei fare di più…io vorrei curare Nami del tutto.” 
“Chopper…” il cecchino prese posto sul pavimento accanto a lui, con lo scopo di stargli vicino, “ci sono cose che nemmeno tu puoi guarire!”
Con gli occhi ancora stanchi, l’alce si ripulì, guardandosi intorno e fermandosi all’indietro, verso la cabina. 
Sospirò amareggiato. 
“…È ora di rimettersi in piedi. Il suo fisico è pronto.” 
Quasi contro la sua volontà, i suoi occhi si fermarono proprio lì, si fissarono sulla porta chiusa. C’era silenzio, non sentivano nemmeno più la voce di Sanji, segno che Nami stesse mangiando da sola.
Usop scosse la testa atterrito, sapeva che nelle parole di Chopper c’era anche un po’ di rabbia dovuta alla preoccupazione, naturalmente. 
“É la solita testarda…”
Chiuse gli occhi un secondo, facendosi venire un’idea per correre in aiuto al suo fidato compagno, che non aveva mai visto così abbattuto. Sospirò, non trovando altre alternative. “Non vorrei, ma…devi dirlo a Zoro.” 
La renna si voltò di scatto allibita e sorpresa. “Usop ma avevi dett…”
“So cosa ho detto! Ma é l’unico che riesce davvero a spronarla, seppur con i suoi metodi.” 
La renna tornò a concentrarsi sulla porta, sapeva che quella era l’unica soluzione al problema, ma allo stesso tempo non avrebbe voluto farlo. Non avrebbe voluto dargli anche quel peso.
“Quello zuccone passa da essere brusco e irremovibile ad assecondarla in certe attenzioni.” 
Il rumore di utensili che venivano riposti su un piatto gli distrasse per un un tempo breve ma pieno di angoscia, come se si aspettassero una brutta reazione da un momento all’altro.  
“L’hai visto anche tu tornare da lei come un folle, durante la giornata?” 
“Si, l’ho visto” 
“La sta assecondando. Cosa diavolo gli é preso?” Sbuffò irritato dal non capire. 
“Quando gli ho chiesto spiegazioni sai che mi ha detto? - Se c’è un modo per attenuare il suo dolore...lo accetto in silenzio – ”
Lo imitò nel tono di voce greve. 
“Perché deve rendere sempre tutto così stoico?”
E lo faceva per davvero, Zoro, quando tornava alla Sunny e permetteva a Nami di rannicchiarsi su di lui. Prendeva quanto più poteva del suo dolore, e lo teneva stretto il più possibile. 
E Zoro lo sapeva bene cosa fosse il dolore, quello fisico senza ombra di dubbio, ma purtroppo anche quello della perdita. E lo conosceva molto bene anche Nami. Ma averlo già vissuto e superato, non aveva risparmiato nessuno dei due da subire la paura. Una paura che il verde aveva sentito dilaniarlo minuto per minuto. E, prima di vedere le ferite di Nami, prima del non sapere del suo essere viva, Zoro, non aveva idea di cosa significasse davvero avere paura.   
Il medico alzò le spalle. 
“Oh, Zoro!” per un attimo al cecchino parve di scorgere due stelle dorate al centro quelle pupille scure, come segno dell’ammirazione assoluta verso lo spadaccino. “Mi fido di lui, sa sempre il fatto suo.” 
“Tu dici? Nami dovrebbe uscirne da tutto questo, crogiolarsi nel dolore a lungo termine non penso che sia la strada giusta.” 
La porta alle loro spalle si aprì, rivelando il cuoco che sul volto indossava il suo migliore sorriso.
“A dopo Nami-San. Cerca di riposare.” 
Chiusa del tutto la porta, l’espressione del biondo cambiò drasticamente, rivelando invece un'agognata tristezza. 
Scivolò a terra, accompagnando i due compagni già ugualmente seduti, tenendo stretti i piatti in una mano e l’altra tra i capelli. Inclinò appena la testa, tenendosi per sé un urlo sofferente. 
“Sanji…anche tu.” 
Usop lo guardò stralunato: se anche lui perdeva la speranza, come avrebbero fatto loro?
“Sanji…” anche Chopper alzò il capo fissando l’amico sconvolto. “Ma tu riesci sempre a farla mangiare…”
Il cuoco sospirò. 
Non poteva succedere. Non poteva anche Sanji venire colpito così profondamente dalla distanza di Nami. Una distanza che era sofferenza. 
“Mi manca la mia Nami. La Nami di prima.”
Nascondendo volontariamente il viso dai capelli biondi, anche il cuoco dimostrava di essere fragile in questi momenti e di non essere in grado di gestire una situazione così delicata, seppur lui era sempre stato il primo a prodigarsi per lei. 
“Lei lo aveva detto…aveva detto che sarebbe dovuta rimanere sulla Sunny…e noi l’abbiamo lasciata sola, l’abbiamo lasciata a morire…”
E poi lo capirono, il malessere di Sanji si chiamava senso di colpa. Anche il migliore di loro, il “loro” Mr. Prince, che avrebbe dato tutto sé stesso per rubare un sorriso alla compagna, stava morendo interiormente dai sensi di colpa per aver lasciato che l’amore per lei, il senso di protezione nei suoi confronti, l’avessero data in pasto direttamente al nemico. 
“É solo colpa nostra.” 
Continuò, abbattendo l’atmosfera e il morale comune con un colpo di grazia dilaniante.
 
Il cuoco si mise nuovamente in piedi, seppur controvoglia, con ancora il ciuffo dei capelli biondi che copriva occhi che non voleva far vedere in quel momento; infilò la mano nella tasca e tirò fuori il lumacofonino, lanciandolo poi ad Usop che afferrò al volo. 
“Tò, chiamalo tu il marimo” ordinò, facendosi forza e incamminandosi verso la cucina ad appoggiare i piatti sporchi. “Sono già passate fin troppe ore da quando é uscito.”  
Usop, demoralizzato da quella scena, si alzò anche lui in piedi stringendo la mano in un pugno e l’altra sull’aggeggio di comunicazione. 
“Lei é la Nami di prima! É la stessa Nami, hai capito? Deve solo ricordarlo!” 
Strinse forte la presa nelle sue mani, mettendoci tutta la sua forza in modo da evitare di spaccare una parete. “Noi non ci arrendiamo. Non ci arrendiamo, vero?” 
Mentre Chopper era concentrato sul guardare le spalle di Sanji, Usop osservava ora il lumacofonino, incerto sul da farsi. 
“Dai, chiamalo” gli disse la renna, non appena il cuoco era scomparso dal suo raggio visivo. 
Il cecchino sembrava intento in un pensiero difficile, cercando di capire quale fosse la scelta migliore e, determinato, lasciò cadere il lumacofonino su Chopper. Senza nemmeno bussare, aprì la porta della camera, entrandoci con tenacia, con sottofondo la voce dell’amico che lo invitava di lasciar perdere. 
 
“Nami!”
chiamò, alzando il tono della voce più del dovuto. “Dobbiamo parlare!”
Il silenzio della stanza era peggiore di quello della nave. 
Una morsa fredda lo colpì allo stomaco, rimanendo intrappolato in quell’atmosfera lugubre, funeraria. 
La luce del sole dall’oblò filtrava pure, ma non bastava per rasserenare un dolore radicato che si poteva sentire in ogni parete, ad ogni respiro. Era quasi come se fosse circondato dal nulla.
Nami, stesa sul letto di profilo, con le braccia abbandonate tra le lenzuola, guardava un punto fermo a caso, come se lei non fosse realmente li, non fosse realmente viva. 
Inghiottì la saliva che era rimasta in gola, per avvicinarsi a lei e sedersi sul letto. Vide quelle pupille muoversi e posarsi su di lui. Si gelò. Era così freddo quel suo sguardo. Ora capiva meglio cosa avesse tanto spaventato Sanji: ogni sua occhiata trafiggeva il cuore. 
“Che stai facendo?”
 le chiese un po’ titubante, ma senza ottenere risposta.
“Lo so che stai soffrendo…, e nessuno ha il diritto di importi niente…ma”
“E allora cosa vuoi?”
Rimase atterrito dalla domanda fredda e a bruciapelo che non si aspettava.
 “Nami…”
La vedeva mentre continuava a guardarlo insensibile, ma mantenendo quell’indole battagliera che un po’ gli dava sollievo. 
Usop era consapevole che lo scontro, la paura e la perdita subita, erano state devastanti per lei, ma era anche cosciente che non era tutto lì, c’era qualcos’altro che lei doveva combattere dentro di sé e da cui era, evidentemente, difficile riemergere. Stava ancora aspettando una sua replica. Fu tentato di ignorarla. Ma proprio lui aveva detto che non si sarebbe arreso, a costo di beccarsi tutte quelle sue frasi pungenti. 
Avvicinò la mano al suo braccio ferito, provando a toccarla, ma Nami lo estrasse subito, ferendolo indirettamente. 
“Sono io! Sono Usop!” quasi urlò, con due lacrime che gli rimasero ferme sugli occhi “non ti farei mai del male!”
Lei alzò il capo con uno scatto, come se quel lamento sofferente appena udibile l'avesse scossa più delle domande quasi urlate. Quasi con timore, puntò i suoi bei occhi, che avevano perso le sfumature dorate, sui suoi. Usop non seppe definire se ciò fosse durato un attimo o protratto per molto più, perché con quel gesto che aveva irrimediabilmente aperto un buco nero dentro al suo stomaco, sino a perdere coscienza del tempo.
Fu in quel momento che qualcosa nello sguardo della rossa mutò leggermente, forse provando una sensazione di rammarico. 
“Usop…” le uscì dalla bocca, meno aggressiva di poco prima ma non ancora quieta, e non ancora calda. 
Sentendola pronunciare il suo nome con un tono però diverso, pensò che in lei allora c’era ancora del sentimento, e si rincuorò appena, asciugandosi le lacrime con il colletto della maglia. “Stupida…mi hai spaventato…” 
Finito di asciugarsi, si concentrò nuovamente su di lei, su quello sguardo che gli faceva paura, cercando nei suoi pensieri il modo migliore per mettere in luce qualche parola e forse riuscire ad affrontare un discorso sensato.
 
Il silenzio avvolgeva entrambi,
e la sensazione di impotenza cominciò a pervaderlo. 
“Mi dici perché non vuoi alzarti?” 
“...” 
“Domani ti andrà?”
“…”
“Nami sono serio. Chopper é preoccupato. É ora di rimettersi in piedi.” 
Lei non gli rispose mai, provocando in lui una reazione nervosa e impaziente, scoprendosi poco incline a subire i suoi machiavellici giochi, se lo erano davvero, dei giochi. 
“Non ti fidi di me, di Chopper…!” 
Il cecchino si alzò dal letto, quando non riusciva a trattenere l’emozione e controllare i sentimenti, doveva stare dritto. 
Ma siccome Nami continuava ad ignorarlo, provò con il pezzo da novanta, con la motivazione iniziale per cui era corso da lei in quella giornata, disturbando il suo dolore. 
“Non dici nulla su cosa sta succedendo qua? Lo sai dov’è tua figlia adesso? Lo sai delle prove immani che deve superare?”
Aveva difronte nuovamente un viso insensibile, avvolto dal nulla. Pensava con quelle domande di innescare in lei una reazione, ma rimase deluso quando sentì un semplice ma deciso
“Lo so.” 
“E non dici niente? Non ti opponi? Siamo qui perché Rin impari l’arte della spada e tu dici solo che lo sai?” 
Usop non era sicuro se sentirsi più furioso per questo o per la paura di non vedere mai più una reazione in Nami. Certo, la vecchia Nami sapeva essere brusca, e quando persino violenta, ma era pur sempre guidata dal fuoco che le bruciava dentro, che la rendeva piena di calore, ma questa che aveva davanti era tutto fuor che calda. 
Continuava a guardarla negli occhi, stralunato e intontito da lei. Voleva consolarla, voleva starle vicino, ma in fondo, si sentiva anche un po’ egoista, voleva farle capire che loro avevano tutti bisogno di lei, e che senza, si sentivano persi. Ma non poteva dirlo, poiché non poteva farle pesare un tale fardello in un momento simile. Non si sarebbe più guardato allo specchio se lo avesse fatto, ma avrebbe tanto voluto dirle della tristezza di Sanji, dei pesi che Zoro portava sulle spalle, dell’innaturale sangue freddo di Rufy, della solitudine di Robin, dell’impotenza di Chopper…ma non poteva, non era giusto, non poteva appesantire il suo carico con il loro. Cercava di convincerla con lo sguardo, di comunicare con lei tramite la sua espressione affranta, ma si rese conto che era come parlare con il vuoto e aspettare pure di ricevere riposta. Pianse, pianse lì, davanti a lei, sentendosi allo stesso tempo in colpa per aver ceduto. Non era così che avrebbe voluto spronarla, non era con la pietà o la sua tristezza che avrebbe voluto farla reagire. Era spiazzato. Aveva paura di non conoscere quella persona che continuava a guardarlo in quel modo arido, anche se non del tutto impassibile come voleva dimostrare - non ancora, almeno. 
 
“Non sarà come me…Rin! Lei imparerà a combattere, a non farsi schiacciare.”  
 
Seppur la risposta non gli piacesse, almeno era sorpreso che fosse arrivata. Alzò la testa con il respiro mozzato: l’aveva ottenuta una reazione, e adesso si domandava se quello che aveva scorto nel suo occhio fosse uno spiraglio di rabbia. Si, anche la rabbia gli sarebbe bastata, un sentimento che sperava di scorgere ancora in quei due occhi grandi, e il più in fretta possibile. 
Si calmò nuovamente, non era facile trattenere emozioni per lui, anzi, non era proprio da lui, come non era facile dosarle e trovare le parole giuste per non arrecarle più danni. 
“Tu lo sai bene…che anche il più forte dei guerrieri può deperire se colto in una situazione sfavorevole.” Sospirò. “Non capisci che sei stata una salvatrice là fuori, contro quel bastardo? Tua figlia é fortunata ad avere te come madre!” 
Ma Nami lo ignorò, non voleva sentire niente, poiché niente, nessuna parola, nessun incoraggiamento, nessun complimento l’avrebbe fatta sentire meglio. Strinse il pugno, incastrandoci anche un pezzo del lenzuolo bianco, spostando il suo sguardo altrove. 
Usop osservò tutto, e in quel momento capì davvero che ogni sua parola non avrebbe sortito nessun effetto. La vide contorcersi, la vide iniziare a stare male. Aveva aggravato lui la situazione? Aveva detto qualcosa che non doveva dire? Le aveva solo fatto un complimento in cui credeva davvero, come poteva, insomma, averla ferita? 
Si rammaricò seduta stante. 
Ma la sua indole ribelle non gli impedì comunque di parlarle come aveva sempre fatto. 
“Se ti arrendi io…io ti perdono…però, parlami almeno!” gli tremavano le mani. “Siamo sempre stati noi due, quelli più spaventati da tutto…lo so bene che ti ho sempre considerata come me, ma in realtà tu, tu sei sempre stata la più forte di tutti!” 
La porta si aprì ancora una volta in quel pomeriggio, rivelando lo spadaccino che smaltiva l’affanno per la corsa. 
 
“Che hai fatto?” 
 
Usop scosse la testa infuriato, con le lacrime che gli solcavano il viso. 
Zoro lo superò, notando subito la presa di Nami a pugno che stringeva il lembo del lenzuolo così forte da far fastidio agli occhi, mentre i suoi vacillavano nel nulla, persi sulla parete di fronte. Togliendosi veloce gli stivali e poggiando le spade al muro, prese posto sul letto, mettendo un braccio dietro al collo della rossa e portando il suo viso sul suo petto, proprio dove batteva il suo cuore, abbracciandola anche con l’altro braccio, sotto lo sguardo confuso di Usop che proprio non riusciva a comprendere. Con qualche movimento del corpo cercò di far capire a Zoro il suo dissenso, mentre Nami, immediatamente diventata calma, si lasciava quietate da quel calore e da quel suono ritmico di cui aveva tanto bisogno, ritrovando il respiro. 
Il cecchino, a cui era bastato solo lo sguardo di Zoro per essere cacciato via, chiuse la porta, uscendo dalla stanza con addosso una ferita che non sapeva spiegarsi. 
 
 
 
 
Percepiva il respirare di lei sulla sua pelle, e quel respiro era tutto ciò che voleva sentire. Zoro chiuse l’occhio, lasciandosi cullare da quel suono e dall’aria che gli arrivava sul petto. 
Non voleva sentire altro. 
Nami era vicina ma anche così lontana, una lontananza che era sofferenza, una sofferenza che era atroce, che arrecava danni allo spirito, poiché si sentiva incapace di poter fare qualunque cosa. 
Aveva sempre affrontato il dolore di qualcuno liberandolo da un peso solo grazie al combattimento, ma questo, questo non sapeva gestirlo. 
Non si sentiva in grado di vincere, di sentire la forza tra le dita, di combattere il male con la determinazione e forza di volontà. Nulla, nulla, nulla di tutto ciò era più possibile: si sentiva inutile, inefficace, e pieno di paura. 
 
 
“Usop é preoccupato.” 
 
Si sorprese, soprattutto di sentirla parlare di qualcuno degli altri. Pensò immediatamente che, forse, qualcosa di giusto il cecchino l’aveva pur fatta. Istintivamente aprì l’occhio e la guardò di sottecchi, decidendo di comportarsi nel modo più normale possibile e risponderle come se niente fosse.  
“E non può esserlo?”
Il respiro di lei si era fatto più forte. 
Zoro si fermò un attimo per riflettere, per la prima volta nella sua vita si era ritrovato spesso a soffermarsi con attenzione sulle parole da usare prima di aprire bocca. Non che di solito parlasse a vanvera, ma lui era un tipo molto più istintivo. 
“Penso che senta la mancanza della sua amica.” 
La sentì subito muoversi su di lui, senza però staccarsi o rispondere. 
Si, Usop aveva fatto centro in qualche modo. Pensando che quelle sarebbero state le uniche parole della giornata, fu costretto a ricredersi, stupendosi ancora. 
“É preoccupato per Rin. Pensa non sia giusto l’addestramento a cui vuoi sottoporla.” 
Zoro non rispose. 
Qualunque cosa Usop avesse detto, gli era grato, perché aveva funzionato, seppur in minima parte, aveva risvegliato in lei la voglia di reagire. 
A Zoro non importava niente della discussione, gli piaceva solo sentire quella voce, lo avesse pure insultato il povero Usop, ne avrebbe addirittura gioito. 
Lui continuava a stare in silenzio. 
Se avesse voluto, lei avrebbe continuato lo stesso. ad aprirsi. Aveva fiducia in lei, aveva fiducia nella sua volontà. 
La sentiva molto turbata: si muoveva continuamente sopra di lui, a differenza delle altre volte, in cui stava immobile e in silenzio fino ad addormentarsi. Probabilmente aveva udito il battito del cuore cambiare, a seconda delle emozioni dello spadaccino, poiché quello non poteva proprio nasconderlo, e sicuramente lo sentiva più lento, come trattenuto. 
Perché in Zoro si era acceso uno spiraglio di luce che negli ultimi tempi aveva perduto; sperava di sentirla ancora, voleva vederla esplodere, aveva davvero necessità che lei continuasse ad essere lei. 
 
“Gli spiegherai che non deve preoccuparsi per Rin? Gli dirai che non è così fragile? Gli dirai che starà bene?” 
 
Il suo battito cardiaco trattenuto riprese a pulsare.
Nami non poteva vederlo il sorriso comparso sulla bocca del verde, mentre rilasciava un sospiro di sollievo quasi invisibile, mentre si chiedeva se Nami stesse davvero parlando di Rin o di sé stessa. 
“Allora? Gli dirai questo?”
Il corpo della rossa aveva preso a tremare leggermente. In qualche modo si era risvegliato parte di un sentimento che era stato assopito per settimane. 
Zoro, rendendo più forte la presa su di lei con le braccia, abbassò la testa poggiandola sul capo rossiccio e strofinandoci sopra il viso. 
“Puoi dirglielo tu.” 
Una piccola sberla con la mano lo colpì dritto sul braccio, stringendo poi la presa sulla sua pelle con l’intenzione di fargli male. 
“Non fare così!” si lamentò lui, pentendosi quasi subito di quel sollievo, nonostante però non riuscisse a smettere di sorridere dentro di sé. Almeno,  finché la presa non cadde e il braccio di Nami si lasciò scivolare morbido nuovamente su di lui, fermandosi al primo ostacolo incontrato. 
Sospirò. 
 
 
Nami stette imprigionata per un lungo silenzio, lo stesso che stava quasi facendo disperare nuovamente Zoro che si era illuso di un miglioramento. Così, anziché assecondarla, decise, talvolta, di agire tempestivamente, approfittando delle briciole che Usop aveva già sparpagliato. 
“Nami…” sospirò il suo nome mentre ancora annusava la sua cute, accogliendo in lui tutto il suo profumo “è il momento.”
Lei diventò immediatamente nervosa. Quella domanda aveva alimentato il suo tormento, freddandola all’istante. Ma niente in confronto al seguito, alle parole che seguirono dopo.
“Voglio che tiri fuori tutta la tua rabbia. Con me.”
Leo scosse il capo in segno di dissenso.
“Tu non sei mai stata una donna che si trattiene.” 
“…”
“Ed io non accetterò più il tuo silenzio.” 
“…”
“Come non accetterò mai una tua resa.”
“…”
“Mettitelo in testa.”
“…”
“Mi hai sentito?”
Lei si oscurò in volto, mentre stringeva i denti in una morsa. 
Zoro non seppe se quello che gli parve di sentire era un ringhio, ma qualunque cosa fosse, lo avrebbe accettato. 
"Questa cosa non mi va più bene..." riprese con convinzione "Ti è chiaro, Nami?" 
Un movimento secco della testa lo stupì. La rossa aveva rotto la perfetta cornice che i due formavano, alzando il capo dal suo petto e guardandolo dritto in faccia. Gli occhi sgranati leggermente accesi, la bocca serrata che segnava il suo voler essere arrabbiata. Sembrava voler parlare ma non riusciva a dire niente. Ricambiò lo sguardo furente, lui, in attesa: qualunque cosa sarebbe arrivata, lui era pronto per riceverla. 
“E tu?” la sentì digrignare i denti. “Tu quando ti arrabbierai?”
Assunse un cipiglio duro, inquietante. Si aspettava tante cose da lei, ma questo, questo no. La guardò serio, senza capire. La vide farsi forza con le braccia e alzarsi del tutto da lui, allungandole e prendendo tra le mani il bavero della sua maglietta. 
“Perché non sei arrabbiato? O fai solo finta di non esserlo?” lo strattonò con quella poca forza che aveva. “Quando sei diventato così accondiscendente?” 
Di reazione spontanea le bloccò le braccia, avvicinando il viso al suo, gelandola ancora una volta con quello sguardo intenso, ma non privo di paura. Lo vide aprire la bocca in quel suo modo solito quando stava per sprigionare una reazione dura; accanito, pronto a liberare tutto il suo sdegno.
“Da quando non ti ho sentita respirare!” 
Rancore, disappunto, paura: le fasi dello sconforto di Zoro. 
La guardò con l’occhio sgranato. Voleva davvero sentirlo parlare così? Silenzio per settimane, poi finalmente parlava, e voleva solo provocarlo?
Si aspettava che lei, che tanto persisteva in quegli intenti, minacciasse di fargli rivivere ancora e ancora tutto quello che era successo, farlo pentire e piangere, ferirlo fino ad essere sopraffatto dal rimorso...E invece no? Era lei che stava vivendo il rimorso? 
“Avevo ragione, dannazione! Grondi rabbia da tutti i pori!” 
“Certo che sono arrabbiato! Pensi che non provi emozioni?”
“Sei bravo a nasconderle!”
“Sei tu la regina di questo!”
“Allora perché non te la prendi con me? Perché non ti arrabbi? Non mi hai ancora urlato contro per essere uscita da quella maledetta taverna!” 
Lo strattonò. “Ho messo in pericolo Rin! Poteva morire!” 
Lo guardava nelle iridi nere con uno sguardo pieno di senso di colpa ma, soprattutto, spaventato dalla verità. 
“Non voglio pensare a questo, adesso!” 
Zoro vedeva che era agitata, ma provava emozioni, ed era così bello vederla provare emozioni. Usop, tutto merito di Usop, che, al contrario di lui o Sanji, che continuavano ad assecondarla, aveva mostrato tutta la sua umanità e sincerità dei sentimenti. Tuttavia, tra quei frammenti confusi di verità, paura e rammarico, era rimasta un'unica certezza a cui aggrapparsi, e così importante da non poterla più trascurare ma che, anzi, doveva essere trasmessa. 
Facendo un balzo in avanti, Zoro, l’aveva buttata giù, sul letto, portandosi sopra e bloccando, senza fare forza, i suoi movimenti. Era lì, a due centimetri dalla sua bocca adesso. 
Ma lei continuava imperterrita ad insistere su ciò che lui non voleva ascoltare.
 “Dillo! Avanti! Chiedimelo!”
Con il respiro e il battito diventati accelerati, lo spadaccino non aveva perso la sua espressione irritata, Nami che continuava ad insistere sull’argomento fu abbastanza per congelargli il sangue nelle vene. 
“Allora? Perché? Perché sei uscita da quella stramaledetta stanza? Perché?”
Con l’occhio sgranato, continuò a fissarla senza distogliere lo sguardo. Se era questo il modo di farla reagire, allora lo avrebbe fatto! 
Sentendo quelle parole, quasi forzate da lei stessa, la realtà iniziò ad entrarle sotto pelle, quasi come a risvegliarla da uno stato di trance in cui non era sicura di essere stata davvero. Continuava a ricambiare lo sguardo di Zoro senza riuscire a dire niente, con la bocca arricciata e una ruga d’espressione che pulsava sulla fronte. 
“Per colpa tua!” Gli urlò contro alla fine.
E da quella sua rabbia, dall'attesa di una sua risposta ad un quesito inesistente, piano piano, iniziò a lasciarsi inconsapevolmente ghermire da quel dialogo, da quella rivelazione, da quella trappola, mentre l’unico suo appiglio alla verità veniva lentamente risucchiato dall'oscurità della realtà.  
“Per cercarti! Per dirti che mi dispiaceva di aver dubitat…”
Lo vide quasi cadere su di lei e, d’improvviso, prenderla per le labbra con le sue, attirandole nella sua bramosia. 
L’aveva spiazzata ancora, Nami non si aspettava certamente un risvolto del genere. E, ancora peggio, quando sentì le mani del verde risalire sulle cosce e alzarle il vestito. 
“…ma che ti…”
Lo sentì scendere su di lei con la bocca, annusare la sua pelle, tirare via la bretella del vestito con i denti. 
“Sei impazzi”
Non riusciva a terminare le frasi, una strana sensazione l’aveva presa in contropiede, ma non era così sicura di voler provare quello in quel momento. Non era sicura di voler provare di nuovo qualcosa, di volerla sentire. Non era sicura di niente. Ma non aveva nemmeno il tempo di pensarlo, sentiva solo quelle labbra su di lei, sentiva solo un vortice di sensazioni coinvolgerla e allontanarla da ogni cosa. 
Lui invece era sicuro, sembrava così sicuro di quello che stava facendo. O forse, aveva solo smesso di pensare.  
“A-ah”
Ma fu quando ebbe la percezione delle sue labbra sulla pancia, che ebbe un tremito.
Attento alla ferita, con una cura quasi maniacale, il verde ci lasciò sopra una leggera carezza, continuando a baciarla e ad alzarle il vestito verso l’alto.
“Lo dobbiamo accettare…” diceva, mentre non smetteva di poggiarci le labbra sopra.
Istintivamente Nami portò una mano su quella di Zoro, immobile, sul suo ventre.
“Se fossi morta lo avresti accettato?”
“…”
“Rispondi!”
E allora lo sentì muoversi a pieno ritmo sopra di lei, con le labbra sul suo interno coscia, sul quale si era strofinato con veemenza. Quella domanda lo aveva appena riportato nel vortice di quella maledetta sera, di quella paura che era entrata dentro di lui e non era più uscita. 
“Ah- Zor…” 
Nami si chiedeva se stesse perdendo davvero lucidità così in fretta solo perché inconsciamente voleva perderla. 
Deciso, lui aveva preso il controllo e lei lo stava permettendo. Lo vide risalire - faccia a faccia, un occhio dentro l’altro, il respiro trattenuto che si sfiorava - e non resistere più, e, fiondandosi nuovamente sulle sue labbra, lui, riprese ad averla. Sempre baci irruenti, sempre frenetici, sempre pieni di emozione che non riusciva ad esprimere a parole. 
 
“Non capisci” 
le sussurrò, senza però perdere quel tono rabbioso,
“tu non l’hai mai capito veramente…” 
continuò a sussurrarle, mentre le baciava il petto e sempre con la bocca scendeva sulle ferite ancora ricoperte dalle bende passandoci sopra un polpastrello.
“C-ch…che co-?” 
Lei gli alzò la testa dal suo corpo tirandogli i capelli verso l’alto, approfittandone per respirare. “Cosa non ho capito?” 
Ma ebbe un gemito quando sentì la sua mano sfilarle l’intimo e tirarlo via. 
“Zoro …non penso ch” 
“Non sei tu che mi hai intrappolato, sono io, io che ho deciso di farti entrare.”
Nami sussultò quando lo sentì dentro di lei, aspettandosi, si, la sua irruenza, ma non quei sentimenti che leggeva adesso nel suo sguardo un po’ meno enigmatico di quel che conosceva. 
Si reggeva a lui, ricordandosi di quanto, in quel singolo momento della sua vita, avesse avuto bisogno di lui, e lui non c’era stato. Fu così che gli strinse la pelle sulla schiena infilando le mani sotto la sua maglia e scavando con le unghie sulla benda sottostante, provocandogli più di un lamento. 
Ma lui in risposta la stringeva a sé, le sue dita affondavano nella sua vita, e la testa nel suo petto. Lui consumava le sue energie in quell'atto ripetuto, ritmico, costante, pieno. Si concentrava, mentre cercava di esprimere il suo sentimento. 
“Non starei mai con una donna che penserei essere debole” sussurrò ancora, alzando la nuca e avvicinandosi al suo orecchio, mentre s’impegnava in una spinta decisa. 
In quei lunghi momenti, con il reciproco aroma nelle narici, i corpi vicini, le gambe strette e i seni premuti contro il petto, Nami affogava in un ricordo che non sembrava più così lontano, fatto di sensazioni che l’avevano resa felice; finalmente spegneva il dolore mentale, finalmente smetteva di pensare. Stava sentendo qualcosa, stava provando qualcosa che la stava rendendo viva. 
Tutto ciò che la tormentava, tutti i suoi dubbi, le insicurezze ...tutto stava passando in secondo piano. C'era soltanto Zoro con lei in quella stanza, e non importava altro in quel momento. 
Il suo corpo fremeva e vibrava ad ogni spinta, le sue mani vagavano sul corpo di lui, aggrappandosi alle sue spalle con ancora più tenacia, riportando la forza in quelle sue braccia ancora deboli e stanche; non poche volte la passione, la foga, l'avevano come quietata, fatta fermare dal suo pensare troppo, e dal suo pensare troppo in fretta.
L’espressione vuota che lo sguardo di Nami aveva assunto per troppo tempo, sparì allo stesso modo di come era apparsa. I suoi lineamenti s'addolcirono e le labbra si distesero. 
La mente di Zoro correva assieme al suo cuore, in realtà con le parole era anche bravo, poteva fare spesso discorsi sensati e con poche sbavature, ma, non era bravo in queste circostanze, e allora, lo si doveva sentire dal suo cuore il suo sentimento, si doveva avere fiducia in lui per capirlo. Era stato terribilmente impulsivo in quel momento, ma la risposta di Nami gli aveva provocato una strana consapevolezza, non solo di un senso di colpa condiviso, ma di una volontà che necessitava di liberarsi da esso, di prendere forma, di uscire insieme a lui da quella trappola in cui si era chiusa volontariamente. E di farlo insieme, per non sentirsi nuovamente in colpa per esserne uscita da sola.
 
Sentiva di essere arrivato al limite, l'ultimo appiglio alla realtà prima di cadere nella voragine. 
 
Sollevando ringhi, fusa e ansimi, i due avevano dimenticato, per un lungo attimo, cosa era accaduto. 
 
 
Si lasciò quasi cadere sopra di lei, senza pesarle, poggiando la testa sul suo petto e lasciandosi cullare da quel calore che gli era mancato. 
Nami si sentiva stravolta da quell’atto furioso che condividevano ogni volta che facevano l’amore. Era consapevole che ancora una volta le loro emozioni erano state espresse nel modo più complicato.
Ora che quel momento era come terminato, non si sentiva peggio di prima, e, anzi, forse aveva acquistato una strana consapevolezza, o almeno, aveva vinto un momento in cui aveva potuto spegnere il dolore. 
Sembrava come se tutto riprendesse colore, come se il mondo tornasse ad essere nitido. Lei era viva, era viva, dannazione! 
 
Zoro ero rimasto disteso, prendendosi quello spazio di cui necessitava, soprattutto, quando Nami gli passò improvvisamente una mano dietro al collo, in una carezza nuova. 
 
“Come ti senti?” 
Le aveva chiesto.   
Ma la rossa, sentendo per un attimo il bisogno che Zoro aveva di lei, iniziò a sentirsi un po’ egoista, stava pensando a quanto lui, vista la sua posizione, dovesse essere sempre incrollabile, con un macigno dal quale non poteva liberarsi. Sentì gli occhi farsi gonfi, ma si trattenne, continuando ad accarezzarlo sulla nuca, sui capelli, immersa in una gioia strana che pensava di non meritare, provando nuovamente quel senso bruciante che arrivava quando lui si mostrava così intenso. 
 
Lo sentì sussurrare qualcosa sulla sua pelle, facendole quasi il solletico, ma per lo più, rabbrividendola.
“Se potessi prendere tutto il tuo dolore lo farei.” 
Ebbe un tremito.
Il suo corpo malandato, sopravvissuto a un attacco mortale prima, e a una dose di piacere dopo, ora tremava per una sola e semplice frase, che in realtà di semplice non aveva niente. 
Si chinò appena su di lui, lasciando un bacio sulla sua nuca verde e sudata.
“So che lo faresti…”  
 
La paura di non essere forte, la paura di essere un fallimento come madre che non riesce a proteggere i suoi figli l’aveva annientata, l’idea di cadere, l’idea di soccombere l’aveva fatta a pezzi.
Ma con quell’uomo, lo stesso che con le braccia strette attorno alla sua vita, le trasmetteva tutto il coraggio che era possibile avere, e più sicurezza di quanta ne avrebbe preteso, ritrovava un certo equilibrio in quel mondo di pirati, di bestie, di uomini bruti che facevano del male. 
Era l’eccezione, era l’unicità, era la salvezza. 
“E senza fare un beato accidenti, come sempre!”, scherzò, dando vita a un pensiero ironico. Ma Nami in realtà lo sapeva che non era così, si sentiva tremendamente ingiusta verso Zoro per aver pensato più di una volta che se lui fosse stato presente quella notte, se fosse stato lì per salvarla per l’ennesima volta, non sarebbe successo niente. Ma con che coraggio poteva affibbiargli sempre questo maledetto ruolo? 
 
“Io credo tu ne abbia già abbastanza di peso addosso.” 
Ma il suo improvviso russare fu abbastanza esplicito da farle alzare gli occhi al soffitto.
 
Aveva ragione, come tante altre volte, d’altronde, avrebbe dovuto accettare la morte e la vita, avrebbe dovuto ringraziare della salvezza di Rin…e della sua, seppur provando un dolore lecito. 
 
“Grazie.” 
 
Gli accarezzò la tempia ancora una volta, prima di chiudere gli occhi e rilassare i pensieri. 
 
 
 
Al risveglio, lo spadaccino, scombussolato, rammentò velocemente gli ultimi passaggi che lo avevano condotto a crollare esausto sopra Nami. 
Stava decisamente meglio, dopo un tempo che era sembrato lunghissimo; e non tanto per l’atto in sé che era stato consumato, quanto per quel calore che aveva avuto paura di perdere. 
Il verde si scostò da quel corpo accogliente e morbido, e, trovandola a sua volta addormentata, si premurò di ricoprirla. 
La sentì biascicare qualcosa, ma per fortuna, e finalmente, era così esausta da non risvegliarsi non appena distante dal battito vitale di Zoro. 
Iniziò a sentirsi meno in colpa per dover andare via ancora una volta, mentre riportava i pantaloni alla vita e gli chiudeva con il bottone. Si sedette sul letto per infilare gli stivali, e, prima di alzarsi e uscire con le spade in mano, si voltò un’altra volta su Nami, lasciandole un bacio sul braccio ferito.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Inchino” 
Seppur il suo aspetto fosse così calmo e rilassato, con il volto quasi simpatico, la voce del sensei sapeva essere severa e autoritaria, tanto da riuscire a mantenere un certo controllo. 
“Saluto di rito” 
I due prossimi combattenti si guardarono uno con l’altra, mostrandosi determinati e pronti allo scontro. 
Rin, nella sua divisa verde, con due spade incrociate all’altezza del cuore, e i capelli rossi ordinati che le arrivavano alla fine del volto, teneva stretta la sua spada di allenamento, con un leggero tremolio che non riusciva a far cessare. 
Il suo avversario, un ragazzo più grande di lei di età, ben tre anni di più, ma anche di stazza, sorrideva beffardo guardandola con sfida. Non appena si gettarono una contro l'altro, il bambino le rivelò qualcosa a bassa voce, tanto da farla innervosire.
Le due spade si scontrarono, una sull’altra, e poi si sciolsero per incontrarsi di nuovo. Col fiato corto, la bambina perse quasi subito l’equilibrio, talmente quella spada era pesante per lei. E, in quel momento di distrazione, il suo avversario approfittò per colpirla facendola cadere a terra e facendo volare via la sua spada. 
“Hai perso femmina!”
Con gli occhi gonfi, Rin trattenne le lacrime ma non le parole, urlandogli di essere un codardo. 
“Zitta! Cosa vuoi capirne tu!” 
“Più di te, sbruffone vigliacco!”
“Cosa hai detto mocciosa?”
Koshiro s’intromise, fermando quello che stava per essere un secondo round, ma a suon di pugni.
“Smettetela di litigare. Ryoma è vincitore dello scontro per la ventesima volta.” Decretò imparziale. In mezzo ai cori esultanti degli altri ragazzini, c’era anche Rufy, però in silenzio, che osservava tutto appoggiato al muro, sotto numerose occhiate degli stessi che ogni tanto si spaventavano di averlo seduto lì con loro. 
Il bambino vincitore, dai corti capelli biondi e dagli occhi che sembrano grigi, sghignazzò ancora. Ma prima di ridersela per bene come le altre volte, ebbe solo il tempo di vedere un’ombra nera cadere sopra di lui e buttarlo a terra. Rin aveva preso la rincorsa e si era gettata su di lui a capofitto, graffiandolo sul collo. Di risposta, quello fece lo stesso, rivoltando la situazione tirandole i capelli. 
“Smettetela, ho detto!”
Koshiro prese la bambina per la collottola, separandola dall’altro, che invece venne fulminato con lo sguardo. “Questa é una palestra, non un asilo.” 
“Lasciami subito vecchiaccio!” 
“Rin!” 
La riconoscibile voce austera di Zoro divenne portatrice di immediato silenzio. Fermo sulla porta, guardava la figlia con un sopracciglio alzato e lo sguardo severo. “Porta rispetto!” 
“Ma lui…”
“Chiedi scusa!”
“Per quale motivo?” 
Ma le bastò l’occhiata del padre per capire che quella volta non avrebbe potuto continuare a ribattere senza farlo arrabbiare. Koshiro posò la bambina a terra e alzò uno sopracciglio quando la vide guardarlo e sbuffare allo stesso tempo. 
“Scusa.”
“Scusa cosa?”
la riprese il genitore da dietro le sue spalle. 
“Scusa, sensei.” 
Il maestro poi scoppiò a ridere di gusto, lasciando tutti tramortiti, dal momento che lo faceva di rado.
I ragazzini, seduti a terra, e Ryoma, ancora in piedi, fremevano dall’entusiasmo ogni qualvolta Zoro si presentava al dojo, ma allo stesso tempo lo temevano per via del suo fare estremamente intimidatorio che riusciva a spaventare tutti, anche i più grandi. Lo guardavano con ammirazione, e quando rimaneva con loro, come spettatore, molti ragazzini si mettevano in mostra rivelando di stare esercitandosi con la tecnica a tre spade. Ma lo spadaccino non lasciava loro molte soddisfazioni, rimanendo impassibile agli scontri, e facendo spesso avanti e indietro al dojo per tutta la giornata, senza mai rimanere lì in pianta stabile.   
 
 
“Papà perché non ci sono femmine qua?”
“Ci sei tu!” le aveva risposto durante la pausa merenda. 
“Ma le femmine non combattono con la spada?”, aveva replicato, facendosi volontariamente sentire dai nuovi compagni.
“Combattono con la spada esattamente come gli uomini.” 
“Va bene.” 
 
 
Mentre i ragazzini erano in pausa nel giardino a fianco, Koshiro, Zoro e Rufy stavano seduti sul pavimento con le gambe inginocchiate, a discutere della situazione. 
Rin, però, in quanto unica bambina del gruppo, che non voleva coinvolgerla, si era allontanata, soprattutto quando le avevano detto che era lì solo grazie a suo padre, e che di spade non capiva un “fico secco”. 
Così, consumando il suo panino, preparato da Sanji, fuori dalla porta del dojo, ne approfittò per ascoltare la conversazione che avveniva all’interno. 
 
“Novità su quel Marine?” 
Chiese il maestro, mentre serviva il tè caldo nelle tazzine e spegneva l’incenso che aveva profumato tutto l’ambiente.
Zoro stava staccandosi le spade dal fianco per appoggiarle a terra e stare più comodo. 
“Starà ancora leccandosi le ferite da qualche parte.”
“Non é sconfitto, ma ha preso una bella lezione” ringhiò il capitano mentre guardava attentamente Koshiro servire i biscotti nei piatti, con la bava alla bocca. 
“Tua moglie?” 
Per la prima volta da quando il suo maestro gli rivolgeva quella domanda, in Zoro si era accesa una luce. “Sta meglio.” 
“Mi fa piacere.” 
“Sulla nave sono preoccupati per Rin. Credo vogliano sapere tutti cosa abbiamo deciso di fare.” 
“Non c’è da preoccuparsi, ha proprio un bel caratterino! e che insolenza!” servì le tazze una per ciascuno con il piattino dei biscotti al fianco. Il maestro di Zoro ancora sorrideva di gusto, mentre vedeva il suo ex allievo grattarsi la nuca imbarazzato. 
“Devi scusarla, non é colpa sua, é che ha preso tutto da sua madre.” 
“Posso confermarlo!” asserì Rufy, con gli occhi chiusi e il volto stranamente serio mentre sorseggiava il tè, bruciandosi la lingua. Zoro scosse la testa imbarazzato anche dal suo capitano, cercando di ignorarlo il più possibile.
“Sai? Non vedo proprio l’ora di conoscere Nami.” 
Zoro sudò freddo, mentre Rufy sputò il contenuto della tazza di tè in aria. “Sarà sicuramente bizzarro…”, rise divertito, beccandosi un ringhio da parte del verde. 
 
C’era qualcosa in Koshiro che non lo faceva sembrare convinto. In effetti Zoro non aveva riflettuto su un possibile rifiuto da parte del suo ex maestro, e gli sarebbe dispiaciuta una simile decisione.
“Allora?” si rivolse ancora a lui. “Un anno. Solo un anno. Quando avrà appreso le basi l’allenerò direttamente io. Ma ha prima bisogno di disciplina” puntualizzò infine.
Il sensei si fece nuovamente serio, incrociando anche lui le braccia al petto. 
“Zoro…” il suo tono allarmò lo spadaccino, che ricambiò lo sguardo incuriosito da tanta incertezza. “É solo una bambina…” 
“…”
“Non ho mai allenato nessuno di così piccolo…”
“Sicuro?” 
La domanda del verde venne spontanea. Tutti sapevano che il sensei non mentiva quando affermava di non aver dato lezioni private a Kuina, ma allo stesso tempo, sua figlia era nata in quel mondo, era sempre stata a contatto con il Kenjutsu fin dalla nascita. 
“Kuina aveva un talento naturale.” 
“E a Rin manca?”
“Non lo so.” 
Rufy continuava bere il tè e osservare i due che si fissavano intensamente, non riuscendo a capire il motivo di tanta titubanza. Anche lui aveva l’età di Rin quando venne portato nel bosco a imparare a sopravvivere, perciò non riusciva a vederci nulla di così strano.
Koshiro lo accompagnò, alzando la tazzina e sorseggiando anche lui il liquido caldo mentre rifletteva. “É stata dura in queste settimane per lei. E lo sarà ancora di più dopo.” 
Ma lo spadaccino non sembrava preoccupato, avendo visto quella sicurezza in quegli occhi lucidi, aveva fiducia in sua figlia. “Ce la farà.” 
“In Kuina prevaleva l’arroganza. In te, Zoro, la determinazione…”
“E cosa hai visto in Rin?”
L’uomo con gli occhiali tondi, e dai lineamenti delicati, presentava all’improvviso un’espressione stravagante, quasi fiera.
“Orgoglio. Un orgoglio inscalfibile.” 
Un ghigno soddisfatto apparve sulle labbra dello spadaccino. Cos’altro poteva nascere dall’unione tra lui e Nami, dopotutto? Non poteva che esultare dentro di sé. Ma il motivo della sua euforia non riguardava solo questo, non era solo la fierezza che aveva scorto negli occhi di sua figlia; c’era dell’altro. 
“Lo sai? Lei non ambisce a diventare la migliore…”
Quella puntualizzazione aveva attirato immancabilmente l’uomo che, per tutto il tempo, aveva mantenuto una compostezza invidiabile. 
“Allora, sta già un passo avanti a tutti.” 
Quando vide Zoro annuire, il samurai lo guardò asserendo con il capo. “Va bene.” Continuò a sorseggiare la bevanda lasciando Zoro in sospeso. “Ryoma é l’allievo più promettente, e anche il più piccolo dopo tua figlia. Se dopo tre mesi sarà capace di metterlo k.o una sola volta, e col solo uso della spada, l’allenerò per quanto vorrai. E ciò significherà che l’allenerò per merito.” 
Zoro sorrise di rimando, e allungò il braccio per suggellare l’accordo, ma prima di concludere decretò anche lui la sua importante regola. “Nessun discorso sul fatto che é una femmina!” 
Koshiro acconsentì, riprendendo poi a consumare il tè in pace, all’interno di una serenità spirituale che emanava con estrema facilità. 
 
 
Mentre Rufy s’era addormento sul pavimento, gli altri due avevano continuato a discutere, sul futuro e sul passato. Koshiro aveva approfittato per rivelare a Zoro che aveva sempre preso in considerazione lui, fin da quando era piccolo, anche prima della morte di Kuina, come suo sostituto, e che ancora adesso quella proposta era valida. Il verde, che aveva promesso alla sua compagna di accompagnarla fino al disegnare l’ultima cartina sulla sua mappa del mondo, rifiutò, accettando, di comune accordo, che sarebbe stato un rifiuto solo temporaneo. D’altra parte, essendo lo spadaccino più forte, era doveroso per lui non ancora stabilirsi in un posto fisso, dal momento che spesso riceva sfide bizzarre da persone altrettanto eccentriche. 
 
“Fammi capire, hai messo da parte la tua vita per diventare il migliore, ci sei riuscito, e adesso vuoi passarla ad allenare tua figlia?”
“Ti assicuro che non metto più niente da parte.” 
“Sai? Sono contento, Zoro, che hai trovato l’amore. In fondo, anche la storia di questo posto, é una storia d’amore.” 
Il maestro lo vide girare le pupille e guardare altrove imbarazzato. 
“Non c’è nessuna storia d’amore.”
“Oh, io credo proprio di sì, invece. 
Chissà se anche Kuina, se fosse stata in vita, avrebbe avuto questa fortuna: dei compagni per la vita, una famiglia unita. Quello che hai è prezioso.” 
“Come puoi avere tutta questa fiducia, nemmeno l’hai conosciuta Nami…”
“Conosco te.” 
“…”
“Anche se devo ammetterlo”  
l’uomo ad un certo punto iniziò a ridere a crepapelle, “non mi aspettavo certamente che una come lei fosse il tuo tipo di donna! Devo dire che mi hai sorpreso!”
“Eh???”
“Ho visto l’avviso di taglia sul giornale!” 
“Bruciasse all’inferno quella foto!” 
Ma mentre Zoro moriva d’imbarazzo, per la foto osé di Nami, quello continuava a ridere, eccessivamente divertito per i suoi standard. 
 
 
 
 
“La mattina in cui papà venne a svegliarmi per portarmi al dojo, non mi aspettavo che sarebbe stato così… non solo faticoso, ma anche un luogo in cui dover provare di meritare di essere lì.” 
 
Il viso di Rin era leggermente più rilassato, segno che, probabilmente, la parte più difficile del racconto era finalmente passata, e che quei piccoli ostacoli, facevano ormai parte del passato.
Anche il viso di Robin aveva smesso di essere contratto, ed era da un po’ ritornata a sedere sul pavimento, nonostante dall’angoscia, in alcuni momenti di tensione, si fosse anche lei ferita le mani. 
 
“Nei giorni a seguire lo capii, il motivo per cui lui aveva cambiato idea: per la mamma. Solo ed esclusivamente per lei.”
Robin non fiatò, seppur da tutto il discorso non si sentiva del tutto convinta di arrivare alla sua stessa identica conclusione. 
“Lei…quasi distrutta per salvare me, me!” s’indicò con le dita. “Una stupida bambina che era voluta uscire per un semplice capriccio…
e così, una decisione che era stata tanto difficile per lui, improvvisamente diventò semplice. Quell’incidente ha cambiato tutto. Papà ha capito che non poteva avere una figlia debole, che metteva in pericolo gli altri, soprattutto la mamma. Io sono stata allenata per proteggere, per evitare che lei si…”
“Rin…non vorrei contraddirti, ma hai pensato che le tue conclusioni potrebbero essere affrettate? Sei davvero così convinta che Zoro abbia pensato questo di sua figlia?” 
La bambina rimase per un attimo interdetta. No, in effetti no, non aveva mai messo in dubbio quella sua verità. Scosse la testa nervosa.
“No, no, é così ti dico. L’istinto di protezione che la mamma ha nei miei confronti é deleterio…l’hai visto coi tuoi occhi, no? Ti ricordi la pallottola che ha preso per me quando sono arrivata in quest’epoca? C’è mancato poco che non le attraversasse il cuore!” 
Arricciò le labbra cercando di non crollare ancora nelle emozioni. “É difficile crescere con questo peso, con la paura di essere la causa della morte di chi ami.” 
Dal cambio di espressione, percepì il cuore di Robin spezzarsi. Ebbe paura di aver detto qualcosa di sbagliato all’improvviso, ma non le veniva nulla in mente. 
“Lo so.” 
La sentì dire. 
“Come lo sai?” 
“Mia madre…era…ecco, simile a Nami in questo senso. Proteggere il proprio figlio è come proteggere il futuro, la speranza del mondo, e non è un difetto.” 
Rin tirò su col naso, discostando lo sguardo dall’archeologa, seppur contenta di aver ricevuto quell’informazione, ma comunque non pronta a cambiare la sua visione delle cose. 
“Ma ti ho detto della conversazione al dojo…papà ha detto che”
“Lasciati dire una cosa: io non penso proprio che Zoro ti abbia allenata ad essere una spadaccina per diventare un’arma, come ti definisci tu, o uno scudo, o un modo per evitare a Nami di sacrificarsi per te.”
“Robin…lo so che qua lo vedete ancora così scontroso e distaccato, ma ti giuro che lui prova così tanto amore, e che potrebbe, davvero …”
“E a te non ti ama?” 
“…”
Robin sorrise.
“Ma guardati, sei proprio come loro. Io l’ho capito da quando ti ho incontrata, sai? Non sapevo come fosse possibile, ma era impossibile non rendersene conto. Gli altri ragazzi sono sempre così distratti…Ma anche Usop e Sanji avevano dei presentimenti, bloccati solo dall’impossibilità della cosa. E non trovi divertente che in te, Nami ci vede sempre Zoro, e lui ci vede Nami? Non pensi che questo loro continuo affibbiarti come “identica a lei” e “identica a lui”, visto quanto si amano, sia una esplicita dichiarazione e non un’offesa?”
“Non ci ho mai pensato.” 
“Ora, visto che conosci i tuoi genitori, ti chiedo, pensi che Zoro avesse davvero avuto il potere decisionale sul tuo destino?”
 
 
 
 
 
 
 
 
"Dannazione!” 
Sanji borbottava tutto il tempo dietro ai fornelli. Da un po’ ormai non era più lui, e tutti sulla nave lo sapevano, persino Zoro, ma nulla c’era stato che lo avesse fatto ragionare e perdere meno la testa. “Lei starà bene” gli aveva detto lo stesso spadaccino, forse per consolarlo per davvero. “É più tosta di te” l’aveva poi punzecchiato. 
Ma Sanji non aveva reagito. Continuava ad accendere sigarette e dimenticarsi poi di averle in bocca, non ispirando e bruciandosi categoricamente, fino a disperdere la cenere sul pavimento e masticare senza accorgersi l’ultimo pezzo di sigaretta rimasta in bocca. E infatti, quando se ne accorgeva, esplodeva ancora, tossendo e imprecando, “dannazione!” 
Brook e Usop si guardarono atterriti, non sapendo più cosa fare, anche perché il cuoco non era certo un tipo tranquillo, con quel carattere acceso che si ritrovava era capace di menare forte se loro lo avessero disturbato. 
Ma in quel momento, a peggiorare la situazione fu Franky, che, entrando in cucina svelto, aveva annunciato che anche quella sera Robin non aveva appetito e non gli avrebbe raggiunti, chiusa nella sua stanza privata a studiare le carte nautiche di Nami, per ogni evenienza. 
“Ancora?” aveva risposto Brook, sempre più demoralizzato dalla situazione. “Sono giorni che sta da sola…” 
Videro Sanji far cadere le pentole sul lavello. “Cosa diavolo cucino a fare.” 
“Hei!” Usop richiamò la sua attenzione. “Ci siamo anche noi! Sai?” 
Ma Sanji non l’ascoltava, stringendo il marmo del lavello con i pugni. Se le sue compagne soffrivano, lui soffriva con loro. 
Il cyborg prese posto; anche lui, come gli altri, era atterrito, ma frignone, piangeva copiosamente. “Robin é molto turbata…” si asciugò le lacrime, “quello che é successo a Nami l’ha…” ma non terminò la frase, poiché più si asciugava e più piangeva. 
Il biondo, non smettendo di stringere quel marmo, s’irrigidì. 
“Ci vuole tempo per superare una cosa del genere", aveva spiegato Brook, avvicinandosi cautamente a lui senza però toccarlo, “ma diventa più facile quando sei circondato da persone che ami e che si prendono cura di te. Dico bene?” 
Sanji impiegò un momento per elaborare le informazioni di quello che voleva essere a tutti i costi un aiuto. Tenne lo sguardo abbassato. Sapeva che quel pazzo del suo compagno scheletro aveva ragione, ma non commentò, sapendo che il suo stato d’animo era perfettamente compreso dagli altri. 
“Robin non é nemmeno corruttibile…se dice no, é no. Non possiamo farci nulla.” Precisò Usop. “Però é un bene che almeno abbiamo lei per la navigazione, se succedesse qualcosa, senza Nami attiva, siamo fregati.” 
Il cecchino vide Brook e Franky mimare delle azioni che non capiva, mentre cercavano di farlo tacere poiché stava mettendo il coltello nella piaga, dal momento che Sanji aveva iniziano ad innervosirsi. 
“Che ho detto?” sibilò a bassa voce, “piuttosto, avete saputo la novità? Pare che Zoro voglia stare qua un anno…” 
“Un anno?” rispose Brook sorpreso. “Così tanto?”
“Vuole far diventare Rin una spadaccina il prima possibile…!” 
“Quel cretino…” Sanji, finalmente più calmo su un argomento, si era innervosito su un altro, “ma come diavolo le tratta le donne?” 
Ma nessuno rispose, poiché sconvolti, guardavano la botola di cucina aprirsi scorgendovi una folta chioma arancione venire giù. 
 
 
“Mi aiutate a scendere?” 
 
Aveva chiesto debolmente la navigatrice, trovando immediatamente appoggio in Franky, il più vicino. Il cyborg, nel silenzio calato tutt’insieme, aveva ancora la bocca spalancata nel trovarsi ad aiutare Nami, la vera Nami. 
 
“É stata una mia decisione, far allenare Rin. Ma non gli farebbe male se tu gli insegnassi un po’ di gentilezza, Sanji kun.”
 
Il cuoco non poteva certo non riconoscere quella voce. Con gli occhi sbarrati e il battito del cuore accelerato, smise di stringere il lavello. 
 
Il silenzio era calato rapido nella stanza, mentre gli abitanti non avevano idea di cosa dire. Nami, ricoperta ancora di bende su parte del corpo, aveva indosso un vestito nero sbracciato, e non portava le scarpe, probabilmente impossibilità nel riuscire a metterle. I capelli spettinati, e le guance appena più rosee degli ultimi giorni. 
 
“Lo so che può sembrarvi una crudeltà, Rin è pur sempre una bambina piccola…so che le volete bene e che volete proteggerla, ma è proprio per il suo bene, credetemi.
Zoro non è cresciuto poi così male, no?” 
 
Lo sguardo ancora stanco, il braccio a reggersi la pancia, gli occhi pensanti: stava ancora molto provata, ma almeno era lì, era lì con loro! 
 
“Oh andiamo, secondo voi permetterei che le venga fatto del male?” 
 
Mentre Franky teneva ancora la bocca a terra e le lacrime riprendevano a sgorgare, Sanji si voltò con titubanza, con la paura di stare sognando, ma, non appena i suoi occhi si posarono su di lei, e notarono quel colorito sulla sua pelle, ma soprattutto, gli occhi pieni di sentimento, ebbe un fremito. 
Non poteva crederci. 
 
“Sanji, lo so che pensi che spesso Zoro prenda decisioni discutibili, ma questa è una mia decisione; davvero, è mia. È vorrei avere il vostro appoggio.” 
“Nami swaaaaaan”
Iniziò a roteare per la cucina, soffermandosi ai suoi piedi in ginocchio, prendendole la mano. “Perdonami!” 
Nami guardò gli altri incerta, non riuscendo a comprendere. 
“Ti prego, perdonami!” 
Le abbracciò le gambe, iniziando a piangere come una fontana. 
Ma mentre si guardava intorno in cerca di spiegazioni e appoggio, notò che pure Usop e Brook erano intenti nell’asciugarsi il volto con dei fazzoletti.
“Quel dannato spadaccino…come diamine ha fatto?”, chiedeva Usop all’aria “devo chiamare subito Chopper”. 
Piansero ancora come tante fontanelle, ignorando Nami che continuava a guardare tutti con una vaga smorfia sul volto. Era allibita, sconvolta anche. Che diavolo stava succedendo in quella stanza? Ma non erano preoccupati per l’allenamento di Rin?
 
“Usop…” sillabò il suo nome quando i loro sguardi s’incontrarono, rammaricata per la loro ultima conversazione. Provò a trasmettergli tutto il suo calore con lo sguardo. Un gesto che fece scoppiare in lacrime ancora di più il cecchino che, a bassa voce, sillabò un “non sai quanto mi hai spaventato!” 
 
“Ma insomma, mi avete stufata, volete smetterla di piangere?” 
 
Quando finalmente il gruppo era riuscito a calmare la propria crisi, non prima di averla portata all’esasperazione, il cuoco riprese immediatamente a cucinare, presentandole un piatto pieno zeppo di leccornie sotto al naso. E Nami, non poteva più ignorare i morsi della fame. 
“Ti ringrazio Sanji, in effetti, ne ho proprio bisogno” ammise, rendendolo immediatamente contento. 
 
 
 
 
 
 
 
“Mocciosetta”
si sentì presa in contropiede,
“lo sai che origliare non é dignitoso?”
Ryoma, con due compagni al seguito, s’impiantò davanti a lei.
"Essere figlia di Zoro ti dà dei privilegi, vero?” 
Quella sbuffò, ignorandolo e affondando i denti nel panino. 
“Ma guarda questa” sbottò l’altro al fianco, facendole cadere il pane a terra con la punta della spada in bambù.
“Dimostra che sei davvero figlia sua.” 
Ryoma superò i due. “Prendi la tua spada!” 
“Lasciatemi in pace!” 
“Non hai coraggio?”
“Non ho bisogno del coraggio per uno come te!” 
“Eh?” Sboccò quello sgranando gli occhi. “Piccola arrogante! Prendi la spada, ti sto sfidando ancora! Se non accetti sei codarda!” 
“Mai!”, alzandosi in piedi, Rin, prese il suo bambù e si lanciò verso di lui a capofitto, come sempre. 
“Niente da fare, ancora non impara le regole!” puntualizzò l’amico. 
“Non é che se ti fai male corri a frignare da paparino, vero?” rise l’altro. 
Dopo molto poco, Ryoma la fece cadere a terra, tirandole prima la spada sulla testa in un colpo secco. 
Sghignazzò soddisfatto. 
 
“Ryoma!” 
 
Koshiro aveva aperto le porte scorrevoli in un colpo secco, richiamando il ragazzo con tono severo, seguito da Zoro, che, trovando Rin sul pavimento che si toccava la testa dolente, e i tre attorno che ridevano, fulminò i presenti che ammutolirono all’istante.
“Stai bene?” inchinandosi verso la figlia, pronta alle lacrime, che trattenne con anche tutto il fiato, le allungò una mano. 
“Si” annuì seria, alzandosi da sola senza accettare l’aiuto del genitore, ripulendosi la divisa dalla terra. “Tutto bene.” 
 
Sulla strada del ritorno, però, quella sicurezza era andata a farsi benedire, poiché, per tutta la traiettoria, Rin non aveva fatto altro che piangere, tenendosi la testa con la mano. 
“Fa male, fa male.” 
“Perché diavolo non hai parlato prima!”
Zoro era allibito, mentre alzava gli occhi al cielo. Entrambi sotto lo sguardo curioso di Rufy, che gli osservava ridendo, con le braccia dietro alla testa a tenersi il cappello e un filo d’erba in bocca che masticava per rallentare la fame. 
“No, no, no” agitò le mani in aria la bambina. “Non puoi essere protettivo quando ci sono quelli. Hai capito?” 
“Ho capito! Allora piantala di frignare e non lamentarti!” 
“Ma fa male!” ribadì, appena saliti sul ponte. “Fa così male che…oh ma quella è…Mamma!!!” 
 
 
 
 
Rin aveva raccontato tutto alla madre, del dojo, dei ragazzini che la torturavano, della difficoltà di combattere con una spada così pesante. E Nami aveva ascoltato senza perdersi nemmeno un dettaglio, nonostante ogni tanto sentisse una fitta allo stomaco, quella fitta, che si, era per via della sua debolezza fisica momentanea, ma aumentava quando si sentiva in colpa. 
Aveva deciso lei di far vivere alla figlia quell’inferno. Come avrebbe convissuto con quella scelta? Come se lo sarebbe perdonata? 
“Rin, mi dispiace…” disse ad un certo punto, “che devi sopportare tutto questo.” 
La bambina alzò le spalle.
“Non importa. É quello che voglio fare.” 
“Lo vuoi fare davvero?” 
“Darò una bella lezione a quel Ryoma.” 
“E così hai già trovato un uomo problematico sul tuo cammino, eh?”
“Piantala!” intervenne subito Zoro, scuotendo la testa. “Non metterle in testa strane idee.” 
“Non ho detto niente di male…tra pirati e futuri spadaccini, immagino che ne incontrerà tanti di uomini così, o no?” 
“Secondo me é solo geloso perché sono la figlia di Zoro, e sa che posso diventare forte. Chi ci prenderebbe gusto sennò a vincere contro una bambina di quattro anni?” 
“Oh, hai già capito tutto.” 
Il verde chiuse l’occhio, scuotendo la testa arreso, per poi riaprirlo quando sentì Nami emettere un suono strano, e stringere gli occhi, dolorante. Quando gli riaprì anche lei, i due si scontrarono. Zoro era diventato nuovamente serio, e lei cercava di nascondere il dolore. 
In tutto questo, Rin continuava a parlare e raccontare dettagli inutili, come ad esempio di quanto fosse buono il panino e quanto lo rivolesse indietro. 
 
 
 
 
 
“Ma poi, Ryoma, sei riuscita ad atterrarlo con il solo uso della spada?”
Un ghigno molto familiare le occupò il volto. “Oh, certo che si! Quel cretino!”
Ricordò lo scontro con tanto entusiasmo. “Vinse lui, alla fine. Era troppo avanti rispetto a me. Ma io sono riuscita a metterlo k.o con la spada almeno una volta. E ho visto i miei genitori tanto orgogliosi quella volta. Avevano puntato tutto su di me. E non per modo di dire, la mamma ha aperto un vero e proprio giro di scommesse…” sorrise fiera “ripulendo tutti i malfidati.” 
“Non ho dubbi. 
E poi? L’hai mai sconfitto?”
Di nuovo quella fierezza così trasparente che prendeva il sopravvento nelle sue espressioni. Ancora quel ghigno che suggeriva la risposta. 
“È lui quell’amico di cui hai parlato tempo fa, con cui volevi combattere usando la spada di Zoro che hai rubato?” 
Le guance della rossa junior si tinsero sorprendentemente di rosso per una manciata di secondi, imbarazzata dal dover parlare di lui. 
“Si” bofonchiò. 
“Quindi siete amici adesso?”
“Diciamo…”
Robin sorrise, portandosi una mano a coprire la bocca per non mostrare la sua intuizione. 
“E perché sei dovuta uscire di nascosto per incontrarlo? Per via della spada rubata?”
“beh…ecco, è uno stupido idiota, un anno fa ha scommesso che se mi avesse atterrata con la spada tre volte su tre, io da grande avrei dovuto sposarlo.” 
“E tu che hai fatto?”
“Bé, papà l’ha sentito…e si è infuriato molto, così Ryoma è fuggito.
“Non sono il genere di promesse da scambiarsi”, aveva detto. E si era infuriato ancora di più alle parole della mamma “Devi scommettere solo soldi”, e lui le ha rinfacciato di inquinare la purezza del Kenjutsu. 
E così, da quella volta, lo incontro di nascosto!” 
 
 
 
 
 
 
“Rin vai a vedere se é pronta la cena.” 
“Subito!” 
Il verde si avvicinò a Nami, puntandosi davanti a lei con le braccia incrociate. 
“Fammi vedere la ferita!”
La rossa, nuovamente con occhi chiusi, alzò la testa verso di lui per riprendere a fissarlo sospirando. “Perché, sapresti valutare il danno?” lo prese in giro con tono ironico. 
Divenne subito un cane rabbioso, ringhiando contro la compagna che trovava sempre modo di deridere la sua preoccupazione fin da prima della nascita di Rin.
“Qualcosa potrei capirla!”
“Sei esperto di medicina?”
“Guarda che lo so che stai solo perdendo tempo per farmi dimenticare che non stai bene.” 
Lei sospirò, alzandosi faticosamente in piedi e raggiungendolo alla stessa altezza, quasi. 
“Sono solo un po’ indolenzita, ora che non sto sdraiata é normale che mi tirano i punti.” 
“Allora oggi hai sforzato troppo!” 
“Ma davvero?” lo punzecchiò, aggrappandosi però improvvisamente al suo braccio per un leggero capogiro. “E lo dici solo adesso?”
“Uhm?” la tenne ferma a sua volta, con un braccio dietro alla vita iniziando a preoccuparsi per quel ghigno compiaciuto che aveva sul volto . “Che vuoi dire?” 
“Ah, dimentichi in fretta, eh?” 
Il pirata non poteva crederci, e, ripensando al pomeriggio che avevano vissuto insieme, ebbe un’illuminazione. 
“Oh, ora ricordi! Come al solito non perdi mai l’abitudine di svignartela!”
Sudò freddo per i primi secondi, per poi riappropriarsi della sua dignità e non cascare nel tranello. “Lo sai bene che cosa ho da fare! É un impegno bello e buono, sai?”
"Ah, questa sì che è una novità” commentò ancora sarcastica, “tu che hai qualcosa da fare oltre i tuoi interessi…ah no, si tratta comunque di spade! Accidenti! Che coincidenza!”
Stava per innervosirsi, quando ancora una volta riuscì a fermarsi “…non ci casco.” 
Lei gli sorrise, aggrappandosi al suo collo con entrambe le braccia. “Allora portami tu.”
“Non sei così malandata da non arrivare in camera!” 
“Ma sbaglio o hai detto tu che non devo sforzarmi!”
“Se avessi un berry per ogni volta che mi trascini nei tuoi giochi, io…”
“Saresti lo stesso povero in canna! 
Di un po’, quando inizieranno a fruttarmi qualcosa questi scontri che fai?” 
Iniziò con voce suadente, toccandogli i tre orecchini con un dito, facendo l’indifferente. Quasi come se non avessero già passato l’ultimo pomeriggio in una lotta personale avvinghiati sul letto. Zoro alzò un sopracciglio con fare perplesso, benché già preparato a sentirla provocarlo…in diversi modi.  
“Non si sporca un’ambizione col denaro.”
“Allora, siccome porto io da mangiare in questa “casa”, devi salvaguardarmi meglio.” Gli strinse il collo facendo un po’ di pressione dietro alla sua nuca con fare delicato. 
Lui, diventato però così serio in volto, così concentrato, fece preoccupare Nami che iniziò a scrutarlo meglio negli occhi. “Eddai, almeno fino alla porta, fai un po’ il gentile…”
Zoro sembrava avere un dubbio che lo attanagliava e che non riusciva ad esprimere. 
Inizialmente non rispose, continuando evidentemente a macinare.
“Mi chiedevo… se…ti fa male…insomma…é colpa mia?”
Nami inizialmente non capì, finché pure a lei arrivò la stessa illuminazione e scoppiò a ridergli in faccia. 
"Ma-cavolo! Devi sempre prendermi in giro... allora non ti dico più niente, scema!" si sentiva sempre più sciocco. “Tornatene da sola in camera!”
“No dai” cercò di contenersi “é da quando ti ho incontrato che mi imbarazza il tuo preoccuparti per me.” 
Ringhiò lo stesso, lui, in un’imprecazione esasperata, ma come di consueto.
 
 
 
 
“Sono rimasta lì, ad origliare, invece.” 
I suoi occhi avevano iniziato a brillare. 
“Una come me, con due genitori così, certi momenti deve rubarli, sennò rischia di rimanere a bocca asciutta, non ti pare?”
“Comprendo.” 
“Chissà perché allontanarmi per poi scambiarsi tenerezze, seppur a modo loro. 
Ma quella frase, “É un impegno bello e buono”, lo avevo capito che era riferito a me.”
Sospirò. 
 
 
 
 
“Pensi che Rin sia ancora scossa?” 
Aveva chiesto a bruciapelo quando aveva affondato il volto nella pelle del suo collo, annusando il suo profumo e stringendolo con le braccia mentre si lasciava caricare di peso. “Non proteggermi!” fu svelta ad aggiungere. 
“Penso che lo sia” fu la sincera risposta dell’uomo. 
Nami contrasse il viso così tanto che per non farsi notare sprofondò ancora più in lui. 
Lo sentì poggiare una mano dietro alla sua schiena per reggerla ma anche per rassicurarla. 
“Quello che é successo ha acceso qualcosa in lei, qualcosa che può essere bello.” 
“Che cos’é?”
“Il fuoco che la arde dentro é tuo. 
Io non ho intrapreso questa strada per proteggere nessuno.” 
“Il tuo ego Zoro, é il tuo punto debole.”
“Ma quando mai!” Si scompose. “Questa da dove viene fuori?” 
Nami sorrise, baciandogli la pelle della spalla in un contatto lungo e assaporato. 
“Forse non era tra le tue intenzioni, ma poi l’hai fatto: hai protetto lo stesso gli altri.”
Alzò la testa da quel bellissimo nascondiglio avvicinando il volto al suo. 
Lui la scrutò negli occhi, forse volendo vedere quella sincerità da vicino; alla fine, comunque, tra essere imbarazzato e contrariato, accettò quella puntualizzazione. 
 
 
 
“Capisci? Si sono indirettamente fatti un complimento reciproco, e nessuno dei due si é reso conto!”  
Con una mano si colpì la fronte mentre Robin le sorrideva serena, lasciandosi cullare dalla brezza del venticello serale e dai profumi della cena espandersi per tutta l’imbarcazione. 
 
“Così capii, capii che dovevo lavorare duramente per far sì che non cambiasse mai più niente, che tutto quello che era successo non si ripresentasse…non avrei mai potuto permettere di essere la causa, la debolezza di quell’amore forte, tenuto in piedi da sentimenti espressi nei modi più impensabili.”
 
Rin si alzò in piedi, le gambe diventate ormai insensibili, e, cercando di allontanare l’indolenzimento, si appese al cornicione guardando l’orizzonte dietro di loro. 
 
“È così che ho iniziato il mio percorso, in modo tale che più nessun sacrificio avrebbe potuto ripresentarsi sotto ai miei occhi senza permettermi prima di lottare.”
 
 
 
“Vorrei ringraziarti, Nami.” 
“Per cosa?”
 La rossa sistemò una ciocca di capelli dal viso di Rin, mettendogliela dietro ad un orecchio, mentre distrutta dall’allenamento stava accovacciata sulle sue gambe in dormiveglia. 
Sedute fuori dal dojo, con accanto a loro Koshiro, osservavano più avanti Zoro regalare un’ora di allenamento a tutti ragazzi del villaggio che lo avevano supplicato per giorni, vedendolo come idolo, dimostrandogli che ormai tutti lo prendevano d’esempio. 
 
“Perché lui é libero adesso” 
si sistemò gli occhiali su un viso stranamente un po’ umido. “Libero da una promessa ingombrante e sacrificante.”
“Ah, ma quello é solo merito suo.” 
“Ti sbagli” esordì l’uomo con voce roca, scrutando attentamente quella figura imponente non molto lontana da loro.
Nami non domandò nulla, preferendo aspettare che fosse lui a continuare. 
“É chiaro che in te ha trovato la forza per liberarsi da un simile macigno. 
É felice adesso.” 
La rossa continuò ad osservare il maestro con un sopracciglio alzato, cercando di capire se fosse sincero o meno. Ma bastò poco per farla ritornare nelle sue certezze.
“Beh, su questo niente da obiettare. Chi non sarebbe felice con una come me?” gli fece l’occhiolino. “E poi, sono l’unica che può metterlo al tappeto quando fa troppo lo stravagante!”, aggiunse, alzando volontariamente la voce per farsi sentire anche da Zoro che, di risposta, iniziò a borbottare lamentele, “sta zitta”, “strega, che idiozie stai raccontando”, “bugiarda! 
Preso alla sprovvista, il sensei spalancò gli occhi allibito e totalmente spiazzato. Ma, per una volta, questi si era lasciato vincere dalla bizzarria della cosa, scoppiando a ridere in un suono più acceso rispetto al solito, ma rimanendo sempre piuttosto composto.  
 
“Perciò” gli sentì una certa curiosità addosso “non ti ha mai raccontato niente di Kuina?” 
Nami, continuando a coccolare la figlia sotto di lei, continuamente distratta, sorrise serena, rispondendo con un'alzata di capo in segno di dissenso. 
“Ma non importa”, aggiunse poi. “La sua promessa, la sua ambizione, sono solo sue…non hanno niente a che vedere con me.” 
“Non ti dispiace?” 
“Affatto!” si chinò ancora sulla bambina, lasciandole un bacio sulla fronte. 
“Ma ti assicuro che non ha finito” una certa euforia era espressa negli occhi di Nami che brillavano, ancor di più quando si voltava a guardare davanti a sé,
“ha ancora delle promesse da mantenere…” 



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Capitolo 30
*** Seducenti contraddizioni ***


Capitolo XXX
Seducenti contraddizioni 
 
 
 
 
 
 
 
 

In quella stanza aleggiava una costante atmosfera di calore, eppure non poteva la temperatura essere aumentata d’improvviso dal momento che era iniziato l’inverno e fuori era notte fonda. Nami lo ricordava bene il brivido del freddo colpirla fino alle ossa e riempirle i polmoni, tanto da trovare quella situazione alquanto bizzarra. 
Si alzò di scatto, ritrovandosi a mezzo busto sul letto, attonita, fissando la porta davanti a sé che si intravedeva in penombra. Si trovava sul suo letto e con la mano destra teneva il lembo del lenzuolo stretto sul petto. Sentiva di avere i capelli in disordine, soprattutto i ciuffi di davanti, appiccicati al viso, e una strana vibrazione venire dritta dal suo cuore che batteva veloce, sprigionando in lei una energica sensazione adrenalinica. Sentiva di avere come i postumi di una sbornia che non aveva preso e di stare sotto antidolorifici che non le erano stati prescritti. 
Continuava a stringere quel lenzuolo mentre il respiro le si fermava in gola ad ogni ricordo. Chiudeva gli occhi e riviveva tutto, e, anche quando gli riapriva, il cuore continuava a scatenarle la stessa vibrazione; allora gli richiudeva velocemente e quell’emozione continua, che non accennava proprio a fermarsi, si palesava ancora.
Cercava di forzarsi a respirare piano ma era abbastanza conscia del fatto che tutto era troppo complesso per poterlo calmare con una appropriata respirazione. 

Non poteva proprio, calmarsi. Non poteva in nessun modo smettere di viaggiare a cento chilometri orari in picchiata, come se stesse per schiantarsi al suolo ma senza che questo accadesse mai. Così come non poteva muoversi da quella strana lentezza che limitava i suoi movimenti e la rendeva immobile, sul posto. 
Quante contraddizioni quella sera… 
Voleva ridere, voleva piangere, voleva librarsi in aria. 

La mole di emozioni di quella infinita giornata l’aveva sfinita. Ma nonostante tutti quei ricordi che aveva assimilato senza averli mai vissuti, nonostante quelle rivelazioni quando dolorose quando bellissime, e nonostante la paura delle stesse, Nami aveva capito che era stato proprio l’amore, quel giorno, a darle energia. Perché l’amore è un’energia, la stessa che lei ha preso per sé, che ha rubato, che ha fatto sua per riuscire a sopravvivere. 
Ancora profondamente sopraffatta dalle immagini che le apparivano davanti agli occhi come flashback surreali che si accendevano e spegnevano come lampi, si sforzava di respirare regolarmente. Ispirava ed espirava. 
Ed eccola quella energia manifestarsi ancora davanti ai suoi occhi, quando si distraeva.

 
Nonostante tutti quei ricordi non ancora suoi, non ancora accaduti, ne aveva appena creato uno tutto reale, tutto suo, e…lo aveva vissuto per davvero. 
Era accaduto. 
Non esisteva solo nella sua testa. 
O forse sì? 
Scosse la testa dolorante, scombussolata da ciò che vedeva, da ciò che aveva memorizzato con attenta minuzia. Non riusciva ancora a realizzarlo. Non riusciva a gestirlo. L’adrenalina che non aveva esaurito era capace di invaderle le vene e arrivarle tramite esse fino in tutto il corpo…ma allo stesso tempo pure la pace del cuore, la calma della mente e la leggerezza dello spirito. 

 
Eccole di nuovo quelle mani sul suo corpo. 
La pelle bollente trafitta da lame ghiacciate tanto da creare quelle contraddizioni surreali che non si possono capire nemmeno con assoluta lucidità.
 
Si sentiva libera. 
E non che prima non lo fosse, ma era una sensazione di libertà diversa. 
Adesso era come libera di amare, e di provare quell’amore mentre lo viveva, senza sensi di colpa, senza continue paure dell’ignoto. Perché quell’ignoto, ora, lo conosceva. 
E poi, eccolo lì, quello sguardo unico che le entrava dentro.
Caldo e freddo allo stesso tempo; in un’altra significativa contraddizione. 

Lui l’amava in maniera particolare,
…non comune, forse?
Nami non riusciva a capacitarsene. Ma perché l’amava così? In quel modo, come poteva chiamarlo, sacrificante? O quasi doloroso…
Non che lui ne avesse mai fatto parola, ma dopo quell’oggi, non era nemmeno più necessario. 
Era proprio per questo che lui si era sempre tenuto alla larga da una simile dimostrazione di “affetto”, dunque?

C’era così tanto in quel cuore. Ma quel dolore, quel dolore che era uscito fuori e l’aveva trafitta, ed era stato sconvolgente. In quel frangente aveva sentito la necessità di volerlo attenuare. Per questo che il suo occhio vigile la monitorava così spesso? Zoro aveva delle paure? 
Forse sì, forse c’era una parte fragile insita in qualche meandro della sua anima che lei aveva avuto modo di vedere per un solo attimo.
La paura della perdita…ovvero, la paura di perdere lei? Perché? Quando era successo esattamente? Quando era diventata così importante dentro quell’anima? 

 
La sua mente stava raccogliendo i cocci di ciò che era stato infranto. Ma non erano davvero cocci quelli, più che altro sprazzi, sprazzi di qualcosa di surreale. 
Surreale ma felice. 
 
Era davvero riuscita a farsi spazio dentro quell’uomo difficile, oppure era davvero così brava da averlo manipolato?
 

 
Sussultò quando sentì un tocco caldo - e dal sapore di preoccupazione - sulla schiena. 
 
 
 
 
 
 
 
Controllare il suo costante tremore era appena diventata una sfida assai difficile. Era preparata al fatto che il compagno lo avrebbe capito subito che qualcosa la turbava, ma allo stesso tempo non le importava, non poteva più evitare questo confronto a lungo rimandato o non sarebbe più riuscita ad andare avanti, e a non rompersi in tanti – troppi - altri pezzi. 
Avrebbe superato tutto, alla fine, di quei ricordi che ancora non le appartenevano. Un pezzo ogni giorno, forse. Ma ora doveva sentirlo, doveva avere la stessa consapevolezza e sicurezza della Nami del futuro per potercela fare: lo pretendeva e non aveva nessuna intenzione di aspettare più. 
Aperta con decisione la porta della camera che condivideva con la mora della ciurma, in un gesto forte e sicuro, si trovò immediatamente faccia a faccia con il protagonista di quei pensieri che, seduto sul suo letto, allenava la muscolatura alzando quello di fianco di Robin, con tanto di materasso annesso, con un solo braccio e con assoluta tranquillità. 
400…401…402…
Nonostante quella strana sospensione della realtà e l’immersione di sé stessa in un futuro lontano, la rossa rimase comunque sconvolta da quel suo fare solito, come se per un attimo avesse scordato che lui non aveva potuto sentire niente di quei ricordi e dunque era normale che la sua mente fosse libera da quei pensieri difficili, dalle verità dolorose, e da quei sentimenti espressi.
“Umh? Dove ti eri cacciata?”, lo sentì esternare con un tono leggermente nervoso, mentre allo stesso tempo, indifferente, continuava ad alzare il letto. 
404…405…406…
“Ma che cavolo stai facendo?”
Esplose inevitabilmente allora lei, in riferimento al letto che veniva alzato continuamente verso l’alto come fosse un giocattolo sopra quel braccio che faceva la minima fatica. 
“Ti faccio notare che sono l’unico che é stato confinato in una stanza!” 
Permaloso come sempre, lo spadaccino non accennava a smettere di allenarsi, voglioso di sentirsi padrone delle sue scelte e della sua condizione fisica. “…tu piuttosto, non dovresti riposare?” 
Con il solito ghigno indispettito la indicò con il dito della mano libera, a sua volta preoccupato per la condizione fisica di lei, ma, non appena captò una strana concitazione in Nami, che a sua volta lo guardava in modo sconcertante, ripose rapido il letto sul pavimento liberando un tonfo che contornava quella strana confusione.
“Umh?”
“Tu!” lo indicò immediatamente lei, avvicinandosi pericolosamente sull’altro letto, quello sul quale alloggiava e di cui si era ormai impossessato. 
“Che ti prende adesso? Vuoi un secondo round?” chiese lui tra lo spaventato e il divertito, mentre per un attimo aveva pensato al prima, quando l’aveva provocata sulla questione del matrimonio e si era portato a casa una notevole vittoria verbale, per poi sgranare, alla stessa velocità di pensiero, l’occhio e iniziare a sudare freddo all’avvicinarsi misterioso e preoccupante di lei, con quello sguardo da temere, di quelli che Zoro normalmente cercava sempre di evitare. 
“Tu!” continuava a dire, guardandolo negli occhi con il respiro affannato e le pupille che si muovevano a destra e sinistra riflesse nel suo, perplesso. 
Improvvisamente così vicini, uno di fronte all’altra in uno strano ed enigmatico confronto. C’era di tutto negli occhi di Nami, tutto un mondo di emozioni che lo stesso Zoro dovette veramente ricredersi di quei momenti in cui si era davvero convinto di averla capita sul serio. Dopo aver strizzato l’occhio, confuso, pensando che stesse sicuramente inscenando un inutile melodramma dei suoi, lo spadaccino fu costretto a ricredersi, accorgendosi di qualcosa che non poteva sapere ma che poteva sentire, abbassando così il tono duro della sua voce. 
“Che é successo?” 
Con un gesto naturale, lasciò cadere le sue mani sulle spalle di Nami, in un istinto unico che gli suggeriva la presenza di qualcosa simile a un dolore. 
Lei continuava a guardarlo senza distogliere mai lo sguardo, il battito irregolare, un leggero ansimo quasi gelato, gli occhi che si muovevano nervosi, quasi pronti al pianto, al volersi lasciare andare, ma che allo stesso tempo veniva trattenuto con una forza di volontà incredibile, contornato da una pelle d’oca che le aveva catturato tutto il corpo. 
“Mi dici che diavolo é successo?” 
“Tu…” aveva urlato un’altra volta lei con la voce mozzata e una impazienza quasi tangibile, “non puoi…come é possibile che tu…”
Aveva nuovamente strizzato l’occhio, a metà tra l’essere confuso ed esasperato dai vaneggiamenti della compagna che, quando si faceva mangiare da un dubbio, ne diventava immediatamente vittima. 
“Che avrei fatto stavolta?” 
Zoro decise di darsi direttamente alla resa, convinto che non avrebbe potuto portare a casa due vittorie consecutive con Nami nello stesso giorno. Ma iniziando a preoccuparsi più del dovuto, notando che lei non rispondeva ma continuava a guardarlo sempre più a fondo, come se stesse cercando l’entrata segreta per la sua anima.
“Nel futuro…io…e poi tu…”
Un rumore sordo la interruppe immediatamente.
“Ci risiamo.” 
Fu normale per il ragazzo impiantare sul viso uno sguardo di ammonimento, accompagnato da uno sbuffo scocciato. 
“Ancora con queste informazioni dal futuro!” 
La sua era sicuramente una puntualizzazione del tutto contraria sulla faccenda, e, lasciando la presa su Nami, incrociando poi le stesse braccia al petto, si lasciò cadere appena sulla spalliera del letto dietro di lui, appoggiandosi con la schiena e lasciando quello spiraglio necessario di distanza tra loro.
“Sei una stupida!”, aveva sbuffato nuovamente ancora evidentemente un po’ seccato. “Devi smetterla di ascoltare ricordi che non ti appartengono! Non siamo noi. Non ancora.” 
“Ne deduco che non vuoi sapere quello che so, dunque?”
Nami non aveva mai avuto l’intenzione di dire a Zoro la verità, ma quelle sue parole, quel suo essere sempre così moralmente impeccabile, la mandavano in bestia. 
“No!” aveva risposto convinto come sempre delle sue decisioni. “E smettila anche tu di ascoltare certe cose inutili!” 
Stringendo i denti, e tenendo per sé una marea di insulti e dolori che avrebbe voluto sbattergli in faccia, si trattenne. Lo amava talmente tanto da nascondergli una simile sofferenza. Ciò nonostante era così arrabbiata per quella sua supponenza, mai che si mostrasse tollerante e indulgente, che la appoggiasse, che la calmasse senza bisogno di una motivazione. 
Ma come era possibile che fosse lui l’amore? Quell’amore?
Non sapeva nemmeno più da quanto si poneva questa domanda. Eppure, in quel racconto di Rin, quella sera sul ponte, era stato così dannatamente premuroso con la lei del futuro. 
Eccoli, ancora, quei ricordi che non le appartenevano, che lei non aveva mai veramente vissuto se non per via indiretta alle parole di qualcun altro. 
Scosse la testa a destra e sinistra stringendo appena le labbra. Non aveva vissuto quel Zoro. Lei non lo conosceva quello del futuro, seppur in ogni azione raccontata era sicuramente è certamente lui, era lui così come lo era adesso. Sembrava così tanto il lui che conosceva ma allo stesso tempo era anche così lontano. Come poteva spiegarsi questo?
Lei non avrebbe dovuto ascoltare niente, forse era vero, ma ne aveva bisogno, aveva bisogno di quel Zoro che l’amava in quel modo, di quel Zoro che avrebbe continuato a superare i limiti della follia consentita anche nell’amore, e, che, evidentemente, ancora non c’era…? 
Questa cosa la torturava, le macellava i pensieri, la riduceva in quello stato pietoso, sempre alla ricerca di una certezza più assoluta di quella precedente. 
Perché voleva tanto vivere quel sentimento? Le era piaciuto così tanto ascoltarlo attraverso la voce di sua figlia che adesso non riusciva a farne a meno? 
O forse era una scusa, per spiegare quello che aveva sempre provato ma mai voluto ammettere? 
Ciò che sapeva con sicurezza, che le era rimasto impresso dalla sua storia del futuro, era quella Nami, quella Nami che dalla forza di quell’amore - di quella follia - era capace di superare ogni avversità. Anche quelle dannatamente difficili. E prendere decisioni coraggiose che andavano oltre la sua indole razionale e logica. E questo, ad un certo punto, le era piaciuto. 
In tutto quel marasma di pensieri non si era resa conto che il suo sguardo si era perso nei meandri di qualcosa di lontano, a rifugiarsi in ciò che non le apparteneva, sentendosi improvvisamente osservata, e anche in profondità. 
 
“Lo so che succederà qualcosa.” 
Nami sussultò d’improvviso, ritornando mentalmente nel presente di quella stanza a fissare Zoro negli occhi, del tutto sconvolta dalle sue stesse azioni e riflessioni. 
“…tu…che cosa sai?”
“Niente… ma hai lo stesso sguardo che una volta ho scorto in Rin. E quella volta mi accennò di un avvenimento spiacevole…”
“…e?”
“…non so altro.” 
“E nonostante questo tu stai così tranquillo?”
“Non posso disperarmi per qualcosa che non é successo. Quando sarà il momento saprò che fare.” 
E in un attimo le parole della figlia le tornarono rimbombanti alla mente come un colpo di cannone: “ti giuro che lui prova così tanto amore…”
Ebbe un altro sussulto che però riuscì a celare per tempo. 
“E se invece al momento non lo sapessi, cosa fare intendo…”
Si scambiarono un’altra occhiata, più inquieta, ma sempre intensa; fin quando lui non esordì con qualcosa che la stupì per davvero.
“Dirmi questa cosa ti farà sentire meglio?”
Sgranò gli occhi, Nami, con il cuore che batteva sempre più forte dentro al petto, diventata una scatola incontenibile di emozioni. “C-c-cosa?”
Lo vide sbuffare ancora, ma continuare a guardarla dritta negli occhi con limpida fermezza, nonostante il probabile disagio di quell’affermazione.
“Se rivelarmi questa cosa ti aiuterà a stare meglio, allora fallo, prima che cambi idea.”
Ma Nami era ancora ferma alla prima frase. Non le importava che lui si vergognasse di quella proposta gentile. Non le importava del suo tono comunque scorbutico nel proporla, non le importava delle sue precedenti affermazioni: lui avrebbe tralasciato i suoi buoni propositi per lei, per farla stare bene avrebbe, sempre in un certo modo - il suo modo unico di fare ed esporsi - condiviso volontariamente il suo dolore. Questa era la proposta sotto quel significato. E questo lui avrebbe fatto sicuramente se lei lo avesse voluto.
Evidentemente, il dolore che aveva scorto negli occhi di Nami lo aveva indotto a fare qualcosa per trovarle sollievo, senza però ammetterlo mai. 
Ancora sconvolta, la rossa improvvisamente scosse il capo in segno di negazione. Era così reale adesso, tutto il racconto di Rin; era possibile, era davvero Zoro quello. Lui era fatto così, si sarebbe caricato anche quel peso pur di toglierlo a lei. 
“Umh?” 
Confuso, e totalmente ignaro di quei buoni pensieri indirizzati a lui, continuava a guardarla, pur sentendosi lo stesso un tantino imbarazzato senza avere la minima idea di quale fosse il tormento di lei. Almeno, fin tanto che non la vide accennare un sorriso. 
“…si tratta di me…” continuava a scuotere la testa, molto più leggera di prima, “…é una cosa che riguarda soltanto me.” 
Si riprese, Nami, sfoggiando un sorriso intero, e mettendolo in mostra con tutta la sua maestria.
“Quindi la terrò per me.” 
Come da copione, lo vide subito stizzirsi, mentre allargava la pupilla del suo unico occhio funzionante, quasi arrabbiato dal suo farlo sempre impazzire in qualche sadico modo. Prima lo aveva messo nella condizione di dover sapere per forza gli avvenimenti del futuro, poi lo aveva lasciato vergognarsi per averle offerto un pizzico del suo aiuto e adesso aveva il coraggio di dirgli che era solo un informazione che apparteneva a lei? 
“Smettila di prendermi in giro!” 
Ma Nami continuava a sorridere, nonostante quei suoi occhi non mentissero per davvero, tenendolo imprigionato in uno strano dolore, misto a una coltra nebbia di speranza e gioia, che avevano messo radici dentro di lei allo stesso modo. 
“Piantala Nami!”, era furioso. Lo aveva fatto esporre alla preoccupazione mettendolo solamente dritto nel sacco come sempre. “Ti approfitti continuamente di ogni mano che ti si tende!” 
Ma lei evitò di guardarlo, sapeva perfettamente il fatto suo, e volerlo proteggere da quel dolore futuro lo vedeva come una sua personale promessa con sé stessa, seppur, viste le troppe contraddizioni di quella giornata, mantenere quel sorriso non era lo stesso così facile, ma nemmeno difficile, poiché quel gesto di Zoro, in fin dei conti, l’aveva rasserenata, seppur ancora non rispondesse del tutto al suo dubbio e non le garantisse la sicurezza assoluta che stava cercando in lui. 
“Smettila di dirmi bugie.” 
Mentre Nami continuava a perdersi in lei e in quei ricordi, la voce di Zoro, compreso il suo nervosismo, continuava ad arrivarle alle orecchie da lontano, come un eco che sentiva ma alla quale non stava dando nessuna importanza. Anche se aveva captato il cambio di tono di lui, evoluto in una voce diventata più calma. Aveva sbollito gli spiriti probabilmente, cedendo a quella sofferenza che lui non poteva sapere ma che poteva leggerle addosso. 
In quel momento Nami decise di non voltarsi, se l’avesse guardata non avrebbe saputo trattenersi più. Ma poi lui…
“Sembrava che volessi che io sapessi…” 
La mano di Zoro era finita sul suo braccio facendola stranamente sospirare. Come se quel contatto fosse addirittura nuovo. Quella stretta non era forte, ma calda, e poteva trasmettere una certa dose di preoccupazione dato il suo cambiamento nel tono e nel modo di esporsi. 
Nami d’improvviso si chiese cosa stesse facendo, dal momento che era andata da lui per un motivo specifico, per un chiarimento, ed ora invece si stava nascondendo per proteggerlo dalla verità. 
Si sentiva proprio una sciocca. Sapeva che lui la stava osservando, studiandone i cambiamenti che in lei erano da sempre così repentini, come sprazzi di qualcosa impossibile da catturare. 
C’era il silenzio della stanza, con un lontanissimo borbottio di voci dalla cucina e le onde del mare che sbattevano sullo scafo. 
E poi, all’improvviso, le braccia di Zoro che l’avvolgevano, che la stringevano forte…anzi no, in realtà era quello che stava immaginando, era quello che si stupiva di voler provare, di voler avere, di voler sentire. Ma Zoro era lì, immobile, senza aver più mosso un muscolo. Il suo profumo forte a solleticarle il naso, quella mano ancora ferma sulla sua pelle in un punto diventato caldo e ora insensibile. 
Scosse ancora la testa leggermente. 
“Tu…”
Nami decise di affrontarlo quel sentimento, di guardarlo dritto negli occhi, di capire come fosse possibile che la sua vita sarebbe stata con lui, con quell’uomo burbero di cui si fidava ciecamente ma che sapeva non essere avvezzo alla normalità, forse anche di un sentimento come quello. Che era poi ciò che più si chiedeva da sempre, da quando questa storia del futuro aveva preso inizio. 
Voltandosi e imbattendosi in lui, si era gettata nell’oscurità e nell’obblio di quell’occhio. Con il corpo contratto, gli occhi coperti dalla frangia e i denti che le mordevano le labbra screpolate, la sua mano era involontariamente finita sulla guancia di lui, facendogli stringere i denti fino ad innervosirlo, vedendolo girare l’occhio da tutt’altra parte, imbarazzato da un gesto come quello che non comprendeva. 
Lui che l’avrebbe seguita anche a Coco. Lui che avrebbe amato e cresciuto sua figlia con una tale apprensione e sacrificio. Lui che avrebbe sempre fatto il possibile per portare addosso i suoi fardelli. 
Lo aveva sentito borbottare infastidito per quella strana carezza che lo metteva a disagio, ma lo aveva spudoratamente ignorato. 
“Tu…” aveva invece ripetuto con un tono più pacato, quasi dolce. 
Nami non aveva ricevuto molti abbracci caldi e accoglienti dopo la morte della madre. E anzi, gran parte della sua vita si era basata per lo di più su mostri, barbarie e sacrifici. E poi erano arrivati loro, i suoi amici, la sua salvezza, compreso quell’uomo che aveva davanti agli occhi, lo stesso che con quella indicibile ferita mortale sul petto, era comunque riuscito a farsi forza e spingere al pieno di ogni suo limite fisico per proteggerla. Era stato cruciale quel suo sforzo nella sua ritrovata libertà. E come l’aveva guardata quel giorno, serio, con lo sguardo e il pollice rivolti al pavimento, in un gesto leale e intimo che solo lei poteva ricordare. Era una cosa sua. Solo sua. E in quel momento forse si rendeva conto di quanto fosse importante quel ricordo, quello che veramente aveva vissuto, e di quanto volesse che lo fosse. 
Senza rendersi conto si era fatta più vicina, senza distogliere lo sguardo e senza mai staccare la mano dal suo viso. 
Lo vide sempre più confuso, ancora imbarazzato per quella carezza, ancora arrabbiato per le sue bugie, ancora stranito per la sua affermazione. 
“E adesso che ti passa per la testa?”
Ancora più vicina, Nami aveva iniziato ad ispirare il profumo della pelle del compagno come fosse diventato un infuso irresistibile. Lo vedeva così bene adesso…
“Rin é solo una scusa che usi, non é vero?” gli disse a bassa voce avvicinandosi all’orecchio destro, avvertendo il freddo metallo del suo orecchino contro il naso. “É solo una scusa per tenermi a distanza…”, rivelò senza pudore, sporgendo le labbra, per poi solleticargli appena l’orecchio.
“Chi é che davvero sta mentendo qui?…”
Non le rispose, inspirando a fondo il suo odore a sua volta. La pelle di Nami aveva un profumo capace di inebriargli i sensi. Come riusciva, ancora, a rimanere impassibile? 
La mano libera di lei andò ad affondare fra i suoi capelli verdi, che da un po’ erano più lunghi, chiudendo gli occhi e concedendosi un momento di lui fintanto che ancora non l’aveva fermata. 
“Nami…” la riprese, mentre cercava di ottenere la sua attenzione, ma, soprattutto, cercava di quietare se stesso da quella situazione sfuggita di mano per l’ennesima volta, sia pure con tono di voce ponderato.
“Siamo già passati per questa strada…” le fece notare, scostando appena la mano di lei ancora poggiata sulla sua guancia. 
“No, non é la stessa strada di prima” sospirò la rossa, per niente rassegnata all’idea che aveva ben chiara nella mente e all’obiettivo che si era prefissata di portare a termine. 
“Ne abbiamo già parlato…” 
Veloce come un razzo, il verde era sfuggito immediato alla presa della compagna, lasciandola interdetta ancora una volta. 
Lei di tutta risposta gonfiò un poco le guance, scocciata di trovare davanti a sé sempre quel muro impenetrabile. 
Nami, che aveva camminato da sola per troppo tempo, in una corazza protettiva che loro, ma soprattutto che lui, aveva sgretolato un grosso pezzo alla volta, eliminando parte di quella maschera di durezza nata sulle sue spalle da ogni colpo subito, infertole dai suoi aguzzini e da quel piccolo mondo che all’epoca le sembrava grande, si ritrovava ora a riconoscere quanto per tutto questo tempo non avesse fatto altro che trovare scuse per soffocare il suo sentimento. 
Abituata a sopprimere ogni lacrima, aveva precluso dentro di sé da tempo l’idea dell’amore, seppur fosse in realtà una contraddizione, dal momento che tutte le sue azioni e sacrifici si erano fondati da sempre su quell’idea, su quel sentimento. Lottare per qualcuno quanto lottare per sé stessi. 
Era un vero peccato che Zoro in quel momento non potesse leggere nel suo cuore, altrimenti non ci avrebbe pensato due volte a lasciarsi andare a lei. 
E poi…
 
“Ci hai pensato che per uno come lui non dev’essere facile accettare di avere delle debolezze?” 
“Io sarei una debolezza?” 
“No, non tu, ma l’idea di perdere il controllo su qualcosa di così irrazionale per lui. Ci hai pensato che non si aspettasse di provare qualcosa di così, deduco, intenso che non fosse in un combattimento? Lui, così poderoso, dotato di un notevole autocontrollo, magari si sente spiazzato…da sé stesso…” 
 
Ricordando le parole dell’amico nasuto, di quella folle mattina anch’essa ricca di avvenimenti ed emozioni complesse, che sembrava così lontana adesso, ebbe un piccolo momento di lucidità che catturò l’attenzione del verde, il quale posò nuovamente la pupilla su di lei, senza però muovere nessun muscolo del corpo. 
Ricordava quanto l’avessero inizialmente offesa quelle parole e anche terribilmente agitata, per la paura di essere un peso, un macigno per Zoro, bloccandole il respiro in gola. Ma Usop aveva avuto senz’altro ragione. 
 
Nami ricambiò lo sguardo di lui, perdendosi in quell’occhio invasivo, protettivo…ma anche, pieno di desiderio. Per lei? Non lo poteva negare ormai. Forse lo leggeva davvero solo adesso, dal momento che si era concentrata totalmente su di lui. 
Lei aveva imparato a manipolare uno come Zoro fin da subito, e lui, nonostante le proteste, lo aveva sempre permesso, ma entrare dentro di lui, quello era un altro bel paio di maniche. Eppure Zoro era tutto lì, così come si presentava, seppur l’apparenza oscura che emanava ombreggiava il suo cuore buono; però lui era comunque tutto lì, alla luce del sole. Cosa cercava di nascondere con così tanta fatica? 
Era chiaro che si volessero bene fin da sempre. Ma Nami voleva, pretendeva, aveva bisogno di sapere con assoluta certezza la mole di quell’amore…la proporzione, il volume…anche se, adesso lo sapeva, fin dove sarebbe potuto arrivare.
 
“Se la risparmi, puoi prendere la mia vita e il tuo onore non ne subirà nessun affronto.”
 
Un altro sussulto partito direttamente dallo stomaco. Ma no, no, non doveva farsi influenzare così tanto da ogni singola frase, azione, ricordo, ricordo non vissuto. Eppure, lui le aveva fatte e dette quelle cose. Lui si era sempre messo in gioco per lei, fin dalla prima volta che lo aveva incontrato, in cui le aveva salvato la vita. 
Ma perché non aveva raccontato a sua figlia di quanto quell’incontro fosse stato significativo, essenziale, salvifico per lei? Necessario anche, miracoloso soprattutto, e, anche se all’epoca non avrebbe potuto saperlo…, pieno di amore. 
 
“La mamma é sempre stata l’unica per il mio papà.” 
 
Ancora. 
L‘unica. E se si trattava di Zoro, non poteva essere che veritiero. L’unicità gli apparteneva. L’unicità, la lealtà, il giuramento: quelle parole erano lui. 
 
“É solo che è un uomo estremamente rispettoso, non farebbe mai qualcosa che possa ferirti.” 
 
Ancora la voce di Usop a farle visita nella testa. Certo che il cecchino ne sapeva osservare certamente tanti di dettagli. D’altronde, Usop era diventato bravo a leggerla, forse più di chiunque sapeva capire quando lei mentiva o era sincera. Quindi era possibile che anche Zoro non fosse poi così un segreto per lui, e che quindi le sue parole fossero realmente fondate sulla verità.
 
 
Con una piccola avanzata alla volta, Nami prese posto sulle gambe incrociate del verde, rimasto sempre nella stessa rigida posizione, avanzando nel territorio come fosse ogni attimo sempre una conquista in più di terreno.  
“Nami…” 
Pronunciava il suo nome con una strana accentuazione nelle corde vocali, quella volta. Era stoico come sempre, ma c’era una debolezza insita in quella pronuncia che poteva aprire una porta. Forse per la paura della perdita di quei giorni, forse per quei contatti fisici che non riuscivano più a trattenere, forse per l’ardore che bruciava negli occhi di lei, che ora era più chiaro, non c’era solo fuoco, ma anche sicurezza. Nami aveva capito i suoi sentimenti e forse aveva iniziato ad approvarli per davvero. E questo iniziava a vedersi. 
“Avevo detto do…”
Ancora un’avanzata, ed era perfettamente incastrata in lui, con i loro nasi uno accanto all’altro, e i rispettivi cuori fermati all’improvviso. Le intenzioni di Nami erano chiarissime, e, Zoro fu costretto a sgranare impercettibilmente l’occhio, anche il suo sentimento. Non poteva crederci di poterci leggere qualcosa del genere verso di lui. 
Con le labbra rosee su quella guancia immobile e fredda, in una, per la prima volta, carezza, Nami non era più spaventata della sua vulnerabilità.
 
“Colpa tua, comunque. Hai fatto tu il macello” gli disse poi, tirandogli i capelli all’indietro per guardarlo bene negli occhi, fissandolo nel suo sguardo dà ancora minore distanza.
 “Come?” 
Sgranò ancora una volta la pupilla quello, naturalmente indispettito, lasciandosi però toccare in quel modo senza più opporsi, succube di lei, ma sempre pronto per una presa di posizione. 
“Vuoi sposarmi solo per il tuo stupido senso di responsabilità!” 
“Stai dicendo una sciocchezza!” la accusò immediatamente, infastidito, come a volersi giustificare. Non trovandosi affatto d’accordo con nessuna di quelle parole, nemmeno sull’infangare una qualsiasi azione se nata per senso di responsabilità.
“Non te ne farò una colpa…é qualcosa che é da te…perciò, puoi dirmelo se è così!” 
“Ti ho detto che stai dicendo sciocchezze…” ripeté, senza però smettere quel contatto, mentre la sentiva avanzare sempre più vicina a lui con la bocca, mantenendo calmo il respiro.
“Allora dimostralo…non sono così indifesa, Zoro…”
Lui l’aveva guardata con un ghigno leggero ma quasi divertito all’angolo della bocca.
“Questo é certo!”
“E allora…”
“Allora?”
 
 
Stupida Nami, che si ostinava a voler credere che solo concretizzando fisicamente la loro unione, avrebbero significato qualcosa. Ma lui quante volte le aveva spiegato che la questione Rin l’aveva resa emotivamente instabile, oscurandole spesso la verità che aveva sotto il naso, nonostante i loro silenzi? E lui non avrebbe mai approfittato di una tale debolezza. E quante volte le aveva detto che Rin non c'entrava niente in quel…
Si sentiva invaso, come se fosse in guerra e stesse perdendo terreno. L’odore di Nami lo aveva accerchiato, il suo calore imprigionato, le sue forme incatenato al confine. 
Aveva cercato di fare resistenza. Come già era successo tante altre volte, ma iniziava ad attutire il colpo. 
Era già iniziata da un po’, quella difficoltà di tenere a freno gli istinti, specie oramai che aveva potuto constatare quanto fosse accesa e spietata la sua metà in quel gioco. Che cosa sarebbe successo nel futuro da farle avere questo bisogno impellente? 
 
 
“Ah, vuoi dire che non ti senti esplodere quanto ti sfiora o ti tocca? Vuoi davvero dire che non senti niente quando la guardi?”
Le parole del cuoco gli rimbombarono nella testa, sorprendendolo dell’averci anche solo dato il minimo peso, facendolo irrigidire e ringhiare come un cane ferito da ricevere consigli da “uno come quello”.
 
 
“Oh, andiamo!” 
Sentì la voce di Nami sbottare all’improvviso, convinta che il verde stesse reagendo alle sue attenzioni, estraendo la testa dal suo collo e guardandolo in volto. “Ma perché fai così il difficile!” allontanando rapida la mano appena arrivata ai suoi pantaloni, e facendola risalire sul suo petto. “Non sai come si fa?” ebbe la faccia tosta di aggiungere, in un sorrisetto malandrino dipinto sul volto.
Lo sentì immediatamente prendere fuoco sotto alle sue mani. Zoro le arpionò velocemente i fianchi, sentendosi colpito nell’orgoglio, e nella sua virilità, capovolgendola e distendendola istintivamente sul letto.
“Dove diavolo sono, eh?” le disse allora, una volta sopra di lei, stentando a mantenere una parvenza di serietà. 
“Dove sono cosa?”
La voce di Nami era quasi inesistente, talmente si sentiva ormai poco lucida e accaldata, convinta di avere appena ottenuto una vittoria, conoscendo perfettamente i tasti giusti da pigiare per farlo scattare: con Zoro era sempre stato sufficiente pungerlo nell’orgoglio. E questo si, questo spesso era il suo difetto da uomo normale, che apriva un punto debole in quella enorme corazza inscalfibile. 
“Le tua corna e il forcone!” sbottò lui, iniziando improvvisamente a sorridere sadico. 
Con il viso rosso dalla rabbia la rossa iniziò a colpirlo più forte che poté sulle spalle, maledicendolo. 
“Saranno a casa tua, all’inferno, idiota!!!”
Bloccandole inevitabilmente il corpo, la guardò negli occhi, quasi sentendosi un attimo più rilassato. E osservandola, l’aveva visto, il suo desiderio impellente impossibile da spegnere. 
Nami non era fragile solo perché si esponeva di più di lui - ma poi, era davvero così? - non era fragile perché mentiva per nascondere sentimenti troppo forti, Nami non era mai stata fragile. 
Lo era stato lui, forse. 
Lui lo aveva sempre saputo, che se fossero andati fino in fondo in questa storia, lei lo avrebbe visto, lei lo avrebbe SENTITO quel suo cuore amarla. Zoro non voleva darle questo peso, il peso di essere la sua più intima fragilità. Ma era uno specchio che si rendeva conto di non poter più evitare. 
Nami affrontò a testa alta quello sguardo, conficcandoci i suoi occhi così tanto che perse la facoltà di spiccicare parola, anche se non quella di reagire a lui. Lo sospinse un pò più lontano, ma lui fu abbastanza lesto da tenerla giù. Ci volle poco per finire col ritrovarsi stesi sul letto, fra l’offesa di lei e i versetti divertiti di lui per averla provocata.
Di lì a poco, tuttavia, tornò il silenzio, interrotto solo da profondi e sentiti sospiri inquieti e ansiosi…
 
Quel patto invisibile stava per essere infranto.
Lo sapevano entrambi.  
 
Nami avrebbe sentito quanto lui fosse in realtà coinvolto da lei. E Zoro avrebbe visto il disintegrarsi definitivo di quella sua maschera piena di bugie.
 
Quell’accordo invisibile, quel desiderio schivato, quell’amore taciuto…
 
 
Zoro sapeva che se si fosse fatto travolgere avrebbe perso la padronanza di sé, reagito istintivamente e mandato all'inferno ogni cosa.
“Devi restare lucido” ripeteva a sé stesso, nonostante l’idea di aver già preso una decisione iniziasse ad alleggerirlo. 
Nami aveva allungato le braccia al suo collo, tirandolo verso lei con decisione, ma non perdendo una piacevole delicatezza in quel tocco, avvicinando i visi ricongiunti finalmente in un morbido incontro di labbra. 
Zoro, che all'inizio si era irrigidito e aveva provato l'impulso di allontanarla, ora era quasi sull'orlo del precipizio e godeva dell’essersi fatto trasportare. 
“Sono ancora padrone di me” continuava a ripetersi, mentre aveva risposto volentieri a quel contatto che era diventato subito intenso, come se quel bacio, quella unione, fosse solo un qualcosa che si concedevano in momenti importanti: dal sentirsi in pericolo in vita, all’essere arrabbiati, o, come in quel caso, ansiosi di ciò che sarebbe successo nel futuro. 
“Hai visto? Ti sei abituato in fretta a questo, dopotutto…”
Era chiaro che si riferisse alla libertà di quei baci, diventati sempre più normalità. E Nami continuava a riempirlo di carezze e attenzioni, e ogni gesto era una conquista, un farlo avvicinare ancora di più a lei fino a schiacciarlo addosso al suo corpo, in modo da impedirgli qualunque via di fuga.  
Incerto su come reagire, il verde aveva continuato ad arpionarle la pelle, tenendola più immobile possibile sotto di sé, agendo cautamente, per darsi il tempo di decidere cosa fare.
Nami d’altro canto era già solo che stupita dal fatto che lui non si fosse ancora liberato, come invece si aspettava facesse da un momento all’altro. Così, staccando i loro visi per riprendere a respirare aria che non fosse quel respiro, la rossa occhieggiò su di lui. I loro sguardi si incrociarono ancora una volta in quella strana e surreale giornata. 
Lei lo osservava con occhi curiosi, diventati immediatamente accesi nel momento stesso in cui lui aveva appena mosso le mani su di lei, strusciandole sulla stoffa del vestito, e ritornando però subito al loro posto, come se avessero avuto paura di toccarla. Fu così che la rossa decise di dimezzare i tempi, facendo scivolare le sue braccia in giù, sfiorandosi inevitabilmente con la pelle nuda del torace di Zoro, e con le sue mani, andando a stringere il bordo del suo vestito, pronta a tirarlo via. 
“Aspetta” 
Gli uscì, non certo di starle facendo fare la cosa giusta. 
“Lascia fare…” con gli occhi che brillavano di una luce coinvolgente, Nami lo convinse ad allentare la presa che aveva su di lei così da poter innalzare il vestito e levarlo definitivamente. 
Qualcosa dentro la testa di Zoro cominciò a pulsare in modo prorompente, come fosse stato appena colpito da una marea di chiodi tutti insieme. Ma accettando l’idea di non rimandare ad oltranza quell’inderogabile desiderio, scioccamente, la lasciò fare. 
A quella vista, un gemito strozzato lo aveva colto alla sprovvista: la sua incantevole compagna non indossava biancheria!, e mentre cercava di non guardarla, concentrandosi sullo sguardo, vedendola sorridente mentre ammiccava appena, ebbe la conferma che il sangue era di colpo defluito al linguine, tanto da fargli male. 
“Strega…” le aveva suggerito con un tono che cercava di essere saldo e lucido, ma che aveva perso il senso di severità. 
Le loro labbra si schiusero veloci in un altro bacio, fondendo i respiri in uno, in un ritmo incostante che aveva coinvolto anche il battito cardiaco, specialmente quando la mano di Zoro, risalita su Nami per posarsi sul suo collo, le aveva involontariamente sfiorato un seno scoperto. 
Impallidì di colpo quando lo sentì. 
Nonostante il loro breve attimo di silenzio in cui erano rimasti immobili, Zoro aveva già deciso che voleva assaggiare il sapore di quella pelle, affondare in quel collo pulsante, in un ritmo che adesso era accelerato in modo interessante, e respirarla veramente, senza più accontentarsi di cercare il suo odore nel cuscino, o dall’agrumeto di mandarini all’esterno. 
Quella brama si stava tramutando ancora, soprattutto adesso che aveva avuto un incontro ravvicinato con la sua forma più morbida. Il suo seno nudo, con il suo respiro diventato improvvisamente caldo legato a quel solo sfioramento, era appena diventato così allettante, come quando in uno scontro fisico si trovava davanti un ostacolo nuovo che avrebbe dovuto superare con il solo uso della spada aumentando il suo padroneggiarla. 
Sorridendo ancora per l’effetto inaspettato che la sua mano aveva avuto su di lei, si era fiondato in quel collo palpitante, mentre la mano dello sfioramento involontario era finita invischiata in quella folta capigliatura arancione in una presa morbida, immergendola per un tempo sufficiente da farla rilassare e superare l’imbarazzo, per poi spingerla contro di sé e continuare ad annusarla. 
Una parte di lui era ancora frastornata dalle sensazioni che si erano impadronite dei suoi sensi, e dalla sorpresa di quanto fossero soffici le sue forme, seppur ci fosse già entrato in contatto altre volte in modo diverso. Ma sentire l’eccitazione di Nami, ogni qualvolta, e in qualsiasi modo, la toccava, era diventato sicuramente il suo gioco preferito, il suo momento di gloria, con la stessa parsimonia di quando in battaglia era consapevole di avere un certo potere. Per quanto ogni tocco di Nami su di lui fosse un incendio, era molto più preparato a controllarsi, e quindi riusciva a spegnerlo in tempo in qualche modo, anche se con con sempre più difficoltà, mentre lei, lei era un rogo ingestibile, lei stessa non aveva nessun allenamento o resistenza per poter innalzare la stessa barricata di lui, e questo pensiero iniziava a farlo scalpitare come un matto sadico. Il tutto avveniva certamente all’interno della sua testa. Anche se, con quelle labbra chiuse in un ghigno maniaco, Nami, guardandolo con un occhio aperto, iniziava a spaventarsi. 
“C-che é quello sguardo orr-…”
Non terminò la frase quando si sentì sfiorata un’altra volta dalla vita al petto, dal petto ai fianchi, in un tocco che voleva essere veloce ma che si tratteneva volontariamente su ogni centimetro della sua pelle nuda. 
Nami si sentiva col fiato corto vibrare da per tutto, in una serie di emozioni che la portavano a sgranare gli occhi per lo stupore e a richiuderli svelta per vivere quelle tante strane sensazioni che non aveva mai vissuto. E, nella dolce confusione che l’aveva assalita, cercava di aprire piano un occhio per scrutare quello screanzato che si stava divertendo un mondo a prendere il controllo su di lei. 
Zoro la sentì deglutire più volte. La vedeva combattuta sul volerlo maledire, ma anche incapace di protestare, poiché le scatenava troppe sensazioni alle quali non voleva rinunciare, lasciandogli per un attimo il potere, e perdendo lei quel controllo a cui teneva tanto. 
Ma anche la paura scalpitava in loro, la sentivano forte: non erano del tutto coscienti e sicuri di quello che sarebbe accaduto da lì a poco. Anzi. Di quello che stava già accadendo. 
Dopo quelle carezze e sfioramenti, il respiro reciproco si confuse divenendo finalmente un tutt’uno, e le labbra si schiusero ancora in un tenero abbraccio, come a suggellare una prima vittoria, un primo e bizzarro step che andava necessariamente superato. 
 
Come in una strana risposta a quel gioco, lei incurvò la schiena, sollevando il capo all'indietro e concedendogli una certa libertà in cui Zoro ci si fiondò senza pensarci più. Il suo seno era così delicato, bianco, soffice, ma soprattutto... grande. In quel momento gli sembrava ancora più grande di quanto normalmente gli permettesse la vista. 
Poteva farcela. Sentiva di essere arrivato al capolinea della sua resistenza. Era tutto talmente surreale da sembrare falso, un incubo - un sogno, in verità - in cui era finito all’improvviso e da cui non poteva - voleva - svegliarsi. Tutto talmente straboccante di emozioni che ora capiva perché normalmente faceva di tutto per starne lontano.  
Sentiva che era sbagliato farsi sopraffare da quel desiderio, soprattutto dopo tutti i suoi incessanti sforzi per averlo sempre evitato, e le sue importanti ambizioni che dovevano rimanere immacolate da simili distrazioni. Lo sapeva che si stava gettando all’inferno, che stava affrontando quello che per lui era il vero male che lo spaventava. Forse ammettere già di per sé di questo suo desiderio verso Nami era già il primo passo per la sua rovina. Ma, come un cretino, mentre assaggiava quella pelle morbida, iniziò a chiedersi se invece non fosse che aveva paura di cadere in lei per poi perderla. 
Nami non era capace di fare promesse. Nami non era affidabile. 
Zoro, riemergendo da quella prima ispezione con la bocca, alzò il capo in simultanea con lei, ricambiando uno sguardo già provato da quell'insolito, imbarazzante e piacevole contatto, stringendosi, nel frattempo, piano a lei. 
Sapeva di non poterle chiedere di fargli una simile promessa, perché lei ne avrebbe sicuramente approfittato di una sua ammessa vulnerabilità…perciò zittì all’istante quella sua voglia, quella voce, esprimendosi in tutt’altro modo. 
“Ti trascinerò all’inferno con me…” 
Nami aveva strisciato nuovamente le braccia sul torace di Zoro, attraversandolo e dirigendosi verso il basso, e, stavolta, con esito positivo, arrivata all’attaccatura dei suoi pantaloni, pigiò ancora una volta su quel bottone, portando la battaglia sul risultato tanto sperato, continuando però a guardarlo dritta negli occhi, come si guarda a testa alta un avversario degno. 
“Se riuscirai a prendermi…” 
sghignazzò felice, guardandolo in quel modo tutto suo che poteva far infuriare o sorprendere, talmente tanto il suo tono era provocatorio e tanto erano del colore del fuoco quelle striature dei suoi occhi, e quella energia che sprigionavano. “e poi, non lo faresti mai…”
 
D’improvviso ne fu certo che Nami non lo stava solo facendo cadere nel vuoto. In un attimo aveva ripensato alle sue rare ma intense premure nei suoi confronti, in un modo in cui non l’aveva mai vista fare con nessun altro, e, a come lo aveva protetto, a modo suo naturalmente, dalle grinfie degli altri, in diverse occasioni, assicurandosi che lui stesse bene o che riposasse dopo uno scontro. O ripensava a tutte quelle incomprensibili reazioni che lei aveva continuamente e alla paura nei suoi occhi quando lui fronteggiava una battaglia mortale. Tutto piuttosto raro, tutto piuttosto nascosto, tutto piuttosto instabile con lei, ma era anche tutto vero. Zoro sapeva che Nami era una maestra nel mentire, nell’inscenare storie drammatiche, esperta nell’arte dell’imbroglio, ma non era mai stata capace di arrivare a tanto, ovvero di fingere dal niente un sentimento. Lui in questo l’aveva sempre smascherata fin da subito, perché quel cuore puro lo aveva sempre sentito pulsare di umanità e sofferenza celate.
E l’amava per questo. 
Mai nessuna donna lo aveva messo in tali situazioni difficili da fargli vivere un dolore, come quella momentanea situazione di dubbio nei suoi confronti che aveva vissuto. Quella volta lei gli aveva spezzato il cuore, seppur in un modo particolare, seppur per pochi istanti, e quei momenti in cui pensava che lei gli avesse traditi - lo avesse tradito - gli ricordava con una strana e dolorosa presa al cuore. Che sarebbe solo la superficie di ciò che proverebbe ora se Nami lo abbandonasse ancora e per davvero. 
Sapeva di non poter avere certe sicurezze con lei, ma lui sapeva anche che quel terribile scenario non si sarebbe mai più ripresentato. Lui la conosceva. E lo sapeva, lo sapeva bene che Nami non era capace di fingere un sentimento. Non potrebbe nemmeno fingere quello sguardo che ha su di lui. Non saprebbe  fingere quel tipo di interesse. Non ha mai saputo fingere di non volergli bene per davvero, seppur si sia sempre impegnata così tanto per nasconderlo. 
E non era solo il desiderio che aveva verso lei ad aver precluso, lui aveva sempre evitato di alimentare il dolore di quella ferita che quell’amore gli provocava. Perché non era proprio così facile da accettare da uno come lui una simile mole d’amore per una donna. Ma lei non era una donna e basta, era Nami. La donna che gli aveva fatto provare dei sentimenti difficili. La donna che lo aveva fatto ridere. La donna che lo aveva fatto cedere.
Le donne più importanti della sua vita lo rendevano fragile e forte allo stesso tempo. E come aveva fatto con Kuina, non arrendendosi, prendendo coraggio ed estraendo una spada vera pur sapendo di poter rischiare la vita, anche con Nami avrebbe preso finalmente in mano la situazione, e quella notte non si sarebbe tirato indietro. 
 
 
Per aprire quel bottone Nami si era avvicinata del tutto verso di lui, unendosi ancora in un bacio inevitabile, mentre ormai aveva tirato l’indumento abbastanza giù, sulle gambe di lui. Da come era diventato il loro contatto, dall’energia del verde nell’imprimersi dentro la sua bocca, lei era sicura di averlo fatto impazzire in quell’attimo voluto di tentennamento.
Zoro aveva improvvisamente accelerato i suoi movimenti e i suoi tempi, forse, iniziando a cedere del tutto, ormai consapevole di averle permesso di privarlo della lucidità, sconvolto dalle sue forme, attratto dal suo profumo, condannato ad essere mai sazio di quel gioco. 
 
“Ti sei mai visto così?”
Si ripeteva nella testa, ormai conscio della sua eccitazione che prendeva forma. 
“Guarda come reagisci. Riprendi il controllo, stupido. Riprendi il controllo.”
 
Ma anziché ri conquistare il fronte, mentre ancora si scambiavano un bacio che di statico non aveva niente, il pensiero di voler provare quello che stava per provare, gli diede una notevole sicurezza e voglia di contrattaccare, quasi annebbiato da sé stesso. Con le braccia percorse nuovamente tutto il corpo di Nami, arrivando ai fianchi, ma, per la prima volta, superandoli, percorrendo con entrambi i pollici gli spazi sulle cosce, tastandole con delicatezza e immergendosi sempre più verso l’interno. Sentì Nami sobbalzare, gesto che mise fine al loro incontro a fior di labbra. 
“Ehi…” esclamò, quando i suoi due pollici erano in dirittura alla sua zona più intima. “Cosa fai” 
Lui si lasciò sfuggire un sospiro incerto.
Nami però non disse nient’altro, come se in realtà avesse parlato solo per istinto, ma lo sapeva benissimo in realtà cosa stesse per succedere. Lui allora aveva messo immediatamente fine a quel percorso, non perdendo però la presa, rimanendo immobile su quella pelle liscia.  
Non sapeva se prenderlo come un invito a fermarsi o se doveva continuare. In ogni caso non smetteva di guardarla e lei faceva lo stesso con lui, respirando in modo irregolare. Lei comunque non si era tirata indietro, e lui neppure.
Si fissarono entrambi stupiti per un attimo che parve veramente lungo, ma che trovò la sua fine quando Zoro si rese conto dell’improvviso nervosismo di Nami. 
Il suo respiro ansioso gli arrivava dritto in faccia, sospiri prima veloci e irregolari, e poi spezzati, quasi soffocati dall’incertezza, o dall’ansia, o dalla sola e naturale paura dell’ignoto. Sentiva il petto di lei alzarsi e abbassarsi sotto il suo torace, in un movimento che lo tormentava ed eccitava allo stesso tempo. 
Se non fosse stato così coinvolto nel suo intento, forse non si sarebbe nemmeno reso conto di quel nervosismo impercettibile.
Aveva bisogno però della soddisfazione che aveva provato prima, quando il suo tocco l’aveva fatta gemere e rabbrividire per lui, mentre ora, la presunta paura di Nami di scoprire cosa fosse possibile provare andando fino in fondo lo sconcertava, lui le paure le affrontava a testa alta. 
L’aveva sentita tendersi e irrigidirsi immediatamente. Per un attimo credette di non essere in grado di tradurre quei gesti. Anche quando ad irrigidirsi era lui, lei non si fermava e continuava sempre a provocarlo. E lui doveva fare lo stesso? Ma lei era Nami, rientrava nella sua natura farlo. Lui era Zoro, anche volendo non poteva proprio riuscirci. L’impossibilità di pensare di poterla ferire fisicamente era molto più ingombrante di tutto il resto. 
In quel momento si rese conto che nonostante tutta quella sicurezza che lei aveva dimostrato - come era già capitato - e nonostante fosse una sicurezza sincera, anche lei aveva i suoi limiti di sopportazione, e forse stava iniziando a risentire di aver provato così in fretta quelle determinate vibrazioni. Le vide sul viso una smorfia diversa dal solito, tra il piacere e l’angoscia. 
“Non dovevi fermarti…”
Si tormentava però il labbro inferiore, mentre lo diceva…
Era un momento per lui altamente difficile da analizzare con così tanta velocità di pensiero e azione, nonostante fosse abituato ormai a prendere decisioni complicate in battaglia. 
Ritraendo i pollici dalla sua pelle, e bloccandole, delicato ma veloce, la mascella del viso, quando la sentì contrariata e pronta per una sfuriata, la guardò per il tempo di un respiro, per poi tuffarsi ancora sulla sua bocca, prendendola svelto, tastandola con la lingua, mordendola, sentendola fin dentro di lui.
“Ci abitueremo, hai detto…” le disse quasi sottovoce staccandosi ancora e guardandola riaprire gli occhi languidi ma diventati più limpidi di un minuto prima. 
 
Nami non sarebbe riuscita sicuramente a descrivere con chiarezza quello che stava vivendo. Avrebbe dovuto accettarlo ormai che lui, quell’uomo, era capace di farla sentire così vulnerabile. Ma come era possibile che bastasse un tocco di quella sua mano? 
Poteva immaginare chiunque dei suoi compagni al posto di Zoro, ed era sicura che non avrebbe provato mai quel tipo di imbarazzo, che non era tanto vergogna generale quanto era più imbarazzo per quello che mostrava di provare verso di lui, per il suo tocco, per il modo che aveva di guardarla, per il suo respiro su di lei. 
Ma come poteva spiegarlo? 
L’unica cosa che aveva in mente era il voler rimanere a tutti i costi in quella stanza, nella presa delle sue mani e rispondere subito al desiderio di entrambi. Allo stesso tempo, anche l’idea di fuggire dalla situazione, correre via senza guardarsi indietro era allettante, pur di non sentirsi così nuda e scoperta sotto quello sguardo intimo. 
Cosa avrebbe dovuto fare allora? 
Sapeva bene che se avesse scelto la fuga, poi avrebbe vissuto un malessere incessante. Ma se avesse scelto la via del coraggio, di affrontare quella sfida, lui l’avrebbe sentita per davvero e non sarebbe più potuta tornare indietro. 
E forse, lui già iniziava a capirlo. 
 
Zoro aveva capito tutto infatti. 
Non poteva avere tutti i dettagli alla mano, ma conosceva abbastanza Nami da sentire che avrebbe potuto scegliere la via della codardia, d’altronde non sarebbe stata né la prima e né l’ultima volta. 
“Nami" sussurrò il suo nome vicino alla sua bocca, “hai intenzione di tirarti indietro?”
La vena del collo gli pulsava per quel briciolo di ansia che iniziava a provare, la sua eccitazione non si era spenta, cercava solo di controllarsi in quella strana attesa e paura che lei volesse davvero mettere la parola fine.
E si chiedeva Zoro, ma proprio lui che non voleva nemmeno iniziare, ora provava questo? 
Ma lei... 
La stessa che ora lo stava guardando in quel modo così…
“Allora, vuoi tirarti indietro?” 
Non riusciva a stare zitto; il suo corpo nudo che continuava a sfiorarsi con quello di Nami gli rendeva ribollente il sangue e lo aveva reso impaziente. 
Lei. Lei era…
D’improvviso, aveva sentito i fianchi stretti tra le gambe di lei, che, ora più aperte, stavano premendo su di lui in modo da farlo conformare più facilmente al suo corpo. 
Aveva trattenuto uno strano sospiro Zoro, cercando di non mostrare il dolore piacevole che stava sentendo in quel momento. Sempre mentre continuavano a fissarsi in quel tacito e inudibile consenso. 
Nami lo sentì afferrarla per i fianchi, in maniera molto più decisa stavolta, avvertendo immediatamente la sua eccitazione sfregare sul suo ventre. 
Il suo conseguente sospiro arrivò a lui molto chiaro nelle orecchie, istigandolo a continuare in quella direzione. 
“Zoro” 
Strinse immediatamente le mani attorno a quel collo robusto e pulsante. Quando aveva ansia per qualcosa, lui poteva sempre proteggerla. Anche se, quella volta, era lui stesso il motivo della sua ansia. 
“Zoro…”
 
Sentirla pronunciare il suo nome in quel modo…
E con lui non lo faceva mai. Quel tono delicato lo usava per imbrogliare il malcapitato di turno. E non era mai stato lui. Ma quella volta, quel tono era sincero. Ed era solo per lui. 
Così sicura e vulnerabile, fragile e forte, coraggiosa e codarda. E sarebbe stata sua e non lo sarebbe stata mai. Era pronto per lei e non lo era. 
Era questa la sfida con Nami. La vera sfida che lo teneva attivo quando guardava oltre il suo obiettivo. 
 
“nessuna resa…”
Gli disse lei, appoggiando le labbra sul quel collo grosso e bollente, in un mormorio sommesso, meravigliata ancora di essere arrivata a quel punto con uno come Zoro. Solo se fosse stata una stupida sarebbe fuggita da lì.
La bestia e il salvatore. Il diavolo e l’angelo. Lo scorbutico e il gentile. Era questo che più la divertita, che la eccitava, che la emozionava tanto da farle affrontare quelle piccole battaglie. Una vera sfida che con ogni altro uomo sarebbe stata così noiosa.
 
La guardava negli occhi mentre armeggiava il sotto, nelle loro parti più private, con una delicatezza che faceva tutto il possibile per avere, sforzandosi di non lasciarsi governare solo dall’istinto e fare affidamento su tutto il suo autocontrollo, mentre voleva essere comunque sé stesso ma anche il meno ruvido possibile nel suo tocco. 
 
“Devi promettermi”
Così aveva esordito Nami, mentre continuava a lasciargli baci sul volto, sul collo, sull’orecchio, sulla spalla, non solo ricevendo calore diventato irrinunciabile ma anche trasmettendoglielo, perché aveva bisogno di un modo per sopravvivere e non affondare in quella strana e surreale attesa,
“che se mai tu non dovessi provare questo per me…”
“Ma ti sembra il momento?”
Lo aveva facilmente agitato, e naturalmente, nel momento più sbagliato per lui. 
“sta’ zitto e ascolta!” 
lo strinse ancora più forte dietro al collo, appoggiando bene il volto sulla spalla come se quel solco fosse stato scavato da lei in persona per poterci imprimere la sua forma
“Se dovessi non provare più tutto questo…non voglio che rimarrai con me solo per senso di responsabilità…”
"... Che... cosa...?"
rispose quasi congestionato da una simile stupidaggine.
"Questa tua dannata sfiducia non la sopporto piu!”
“Promettilo! É importante!” 
“Ma… adesso?”
“Adesso!”
Lui per un attimo sembrò non voler accennare nessuna risposta, trovando la cosa alquanto inutile e stupida. E Per un attimo Nami ebbe l’impressione di sentirlo ammorbidire la presa, per poi invece, abbastanza d’improvviso da sconvolgerla, diventare più salda e sicura come non lo era stata mai.  
Stringendosi ancora di più a lui, Nami sapeva che Zoro aveva deciso. Aveva deciso su ogni cosa. Non disse assolutamente nulla per un poco, rimanendo stretta a quel collo, sotto quel respiro, accanto a quel cuore pulsante in un frangente di tempo impossibile da quantificare. 
Era al sicuro. 
E lo era anche quando lo sentì entrare in lei con una decisione nuova, una consapevolezza più profonda. 
 
“Hai la mia parola…”
 
Le rispose sicuro, prima di venire entrambi travolti da conseguenti ansimi condivisi. 
 
 
 
 
 
 
 

Zoro aveva aperto l’occhio di scatto, trovandosi davanti la schiena nuda della compagna con i capelli appiccicati alla pelle candida. Aprì la bocca per parlare, pronto a intervenire col suo solito tono burbero, ma la richiuse con la stessa velocità, fissando quelle spalle ancora per un attimo, forse cercando di captarne una qualche vibrazione o segnale, con fare interdetto. 
Non riusciva a definirne la causa, ma era consapevole di essere esploso, di aver ceduto, di non aver mantenuto i suoi buoni e, quelli che per lui erano giusti propositi. Per una volta, una sola dannatissima volta, si era lasciato vincere da quella pulsione repressa e antica che aveva sempre cercato di oscurare. Non aveva più potuto farlo. Era stato troppo avventato? Aveva sbagliato a dare ascolto a Nami? Al suo desiderio? O erano tutte scuse e aveva solo ascoltato sé stesso? 

Ma ormai non poteva più indugiare su ciò che era appena successo in quella stanza, tra loro, nella loro armonia. Ma poi tra loro c’era davvero, armonia? O forse ci sarebbe stata adesso? 
In fin dei conti non poteva negare che tutto ciò che era accaduto in quella nottata lo aveva stupito, oltretutto, doveva riconoscere che era stato così bello e intenso da non potersene pentire affatto. 
Era questo che si provava a stare con una donna? O lo sentiva solo con Nami? Era lei che adesso gli aveva regalato una strana e inusuale pace che ora prendeva posto nella sua mente? Era lei che gli aveva appena regolato il respiro, facendolo sentire rilassato e a suo agio? Nessuna meditazione era mai arrivata a questo risultato. 

Si sentiva un po’ più libero di prima.
Più libero e più felice. 

 
D’altro canto, doveva ammettere che seppur dubitava dei sentimenti della donna che quella notte aveva condiviso con lui un tale sentimento - poiché un giorno sembrava provare lo stesso e il giorno dopo diventava più fredda, un giorno si preoccupava per lui, quello dopo lo ignorava - ora poteva sentirsi cambiato: molto più sicuro, perché quello che gli era arrivato, quello che Nami gli aveva dato, era prezioso e sincero. 
Insomma, Nami era sempre stata altalenante ai suoi occhi, ma se lo amasse o no, era qualcosa a cui adesso poteva rispondere. Ciò non era però sufficiente a dargli sicurezza della reazione che quell’atto poteva aver avuto su di lei, sentendo un po’ di paura per averle invece provocato l’effetto contrario. Così, aveva allungato istintivamente la mano, carezzandole appena la schiena. 

E la sentì subito, sussultare al suo tocco. 
Non riuscì ad evitare di sorridere. 
 
“Cosa c'è, ti sei innervosita?"

Il suo tono era serio e pacato, quasi come fosse improvvisamente diventato preoccupato ma allo stesso tempo anche un po’ distante per non starle troppo addosso, e in questo era bravo. 
Nami non riusciva a voltarsi, leggermente in imbarazzo in quel momento, o le avrebbe visto addosso qualcosa che nemmeno lei riusciva ad immaginarsi di vedere: quella strana felicità di averlo amato. 
Sarebbe riuscita a capire cosa avesse provato Zoro?  

Eppure lo aveva sentito. Lo aveva sentito così forte quel suo sentimento. Era esploso come neve fresca intrappolata per troppo tempo nel macigno della grandine. Era vero che sapeva dimostrarle meglio coi gesti le cose, la sua essenza e il suo amore potevano essere compresi solamente quando lui stava in silenzio. Almeno, quasi in silenzio…
 
“Sto bene. Mi serve solo un attimo per…”
 

Nami avrebbe voluto avvolgersi il lenzuolo addosso e scappare, correre via da quella stanza e rifugiarsi per un solo attimo, uno solo, in un posto dove poteva stare sola, per realizzarlo, per rallentare il battito, per chiudere gli occhi ancora una volta e…
 
“Non farlo…” 
 

Un altro respiro rimasto fermo in gola. 
Una altro brivido attraversarla per tutta la colonna vertebrale sotto la pelle scoperta, a cui quella voce aveva fatto venire la pelle d’oca. 
Che cosa non avrebbe dovuto fare? 
Stava per rispondere e ribattere quando in realtà lo sapeva eccome: stava cercando una scusa per fuggire. E lui lo sapeva. 
Ma lei non voleva fuggire. O forse sì?

Sgranò appena gli occhi, sorpresa di sé stessa, rendendosi conto forse per la prima volta di quanto stesse facendo la codarda. La codarda dalla sua stessa felicità. 
Fu un attimo. 
Si voltò verso di lui, alzando involontariamente un cipiglio, sconvolta da quanto la conoscesse e sapesse capire ogni suo “dolore”. 
Eccoli lì, quegli occhi gli uni dentro gli altri. 

Fu impossibile non rivivere tutte le immagini di qualche ora prima, una che si accavallava sull’altra nei pensieri comuni, in un intenso ricordo vissuto insieme nel presente. 
Non c’era bisogno di parlare. Di farsi domande. Di scambiarsi pareri. Era successo, era successo e basta. E non era difficile leggerne anche adesso, in quegli occhi, i potenti rimasugli di quell’amore per la prima volta consumato. E in quel modo acceso, come lava incandescente che faceva bollire i loro corpi al minimo contatto.  

 
Senza parlare, Nami si era nuovamente stesa al fianco di Zoro, continuando a tirare il lenzuolo su di sé, come se coprire il corpo equivalesse a coprire il suo sentimento.
Ma era tutto inutile, ormai.
Un po’ titubante nel non sapere esattamente cosa fare in quella situazione, e un po’ imbarazzata per aver scoperto i sentimenti a quel modo, si era poi voltata ancora a guardarlo, in silenzio, scoprendolo ancora a fissarla, già messo di fianco e con la mano a tenersi la testa mentre rimaneva quasi scoperto dal lenzuolo che lei continuava a tirare.

Presa dal panico, istintivamente aveva allungato il braccio in modo rapido e grezzo, colpendolo dritto sulla faccia, e lasciandogli una bella impronta di cinque dita proprio sopra. 
“Nami! Ma che diavolo ti prende?” aveva urlato lui, grattandosi il viso per il prurito immediato, sentendola poi ridere nervosamente con le gote rossicce. 
“E tu smettila di essere così serio!” 
“Ma sei proprio una strega!”, continuava a grattarsi, con i denti aguzzi, mentre si lasciava nuovamente supino sul letto, con la schiena sul materasso. “Stai rovinando un bel momento” aveva esternato, brontolando come al solito. 

Nami non poteva crederci che quel burbero lamentoso e spesso distaccato uomo avesse detto una frase del genere. Così, con sulla faccia un’espressione stupita, iniziò a sentirsi più tranquilla. 
“Hai detto davvero che é stato un bel momento?”
Zoro si rese conto delle sue parole, e di quel suo complimento implicito, balbettando perciò la sua rapida ritirata.
“Ho capito, ritorno a dormire!”
“No, no. Mi ha sorpreso, ecco tutto…”

Nami, che se fosse stata più lucida lo avrebbe sicuramente massacrato approfittando di quel suo commento, aveva deciso invece di prendersi la sua meritata fetta di piacere personale, sporgendosi su quel corpo miracoloso. Qualcosa, d’altronde doveva farla per distrarsi.
“Ma che stai facendo?” 
Aveva schizzato l’occhio fuori dall’orbita, quando la sua “dolce” metà lo aveva colpito con il gomito nella ferita all’addome. 

“Ops, scusa”, aveva replicato lei, cercando una posizione comoda, ma non capendo esattamente come mettersi. 
“La pianti o no di muoverti?” continuava quello, mentre la rossa era la peggior contorsionista del secolo, mentre cercava di adagiarsi sopra di lui. “Mi spieghi che stai facendo? Ahio!” 
“Ci sono…ci sono” 
Continuando invece a colpirlo ripetutamente sulla ferita, mentre cercava di sentirsi a suo agio, ma con poco successo. Eppure, ricordava che conformarsi a quel corpo non era stato poi così difficile qualche ora prima. E adesso quale poteva essere il problema?

Non voleva solo stendersi e chiudere gli occhi nel silenzio, o sarebbe impazzita, sopraffatta per tutta la notte da quelle immagini. Lei voleva sentire che tutto andava bene. Voleva sentire Zoro più vicino. Voleva un cavolo di abbraccio!
É Zoro! È solo Zoro! 
Si chiedeva cosa la stesse rendendo così agitata. Il peggio – il meglio, in realtà – era passato d’altronde. 
È solo Zoro, dannazione! 
Bé, Zoro nudo. 

 
All’ennesima gomitata sul torace, il verde, che comunque portava ancora addosso le cicatrici dell’ultima battaglia, decise di darvi un taglio capovolgendo in fretta la situazione, e Nami, mettendosi su un fianco e tenendola dentro il suo abbraccio casuale. 
“La pianti?” 
Zoro non lo sapeva davvero, ma era finito in una bella trappola. Nami voleva solo che prendersi un abbraccio. E aveva appena ottenuto quello che voleva. 
Facendo la linguaccia che lui non avrebbe potuto vedere, rispose con la sua voce da vittima indifesa. “Ma certo…adesso starò buona.”  

E Nami non poteva sapere che con la testa accanto alla sua, Zoro aveva alzato un occhio al soffitto, e allo stesso tempo aveva sorriso, trovandosi, in fin dei conti, veramente d’accordo con quella posizione. 
Per una volta soltanto, per un giorno soltanto.  
 
Il silenzio era tornato ad accoglierli. 
I respiri reciproci nuovamente insieme. 

Nami gioiva interiormente di essere finita nuovamente in quella presa, seppur non l’avrebbe mai ammesso, accettando il fattore della “casualità”.
E Zoro, poteva ringraziare lei se aveva trovato una scusa per avanzare un po’ di quell’affetto che aveva necessità di elargire, seppur non poteva negare di trovarsi irrimediabilmente goffo.  
 

 
 

“Sai…non mi aspettavo che sarebbe stato così, cosi intenso... trovi anche tu?”
Era più rilassata adesso. Sapere che lui era lì, e l’avvolgeva, sentendolo più sereno e non enigmatico come altre volte, era  una rassicurazione. Anche se, doveva ammettere di sentirsi stranita dal fatto che ricevere quell’abbraccio fosse una sua necessità. Ma solo perché quello era Zoro. Lei aveva fiuto per le cose rare, e doveva prendersele. 

Lui, d’altro canto, era contento di sentirla respirare finalmente in modo regolare, pensando di essere quindi stato lui a quietarla, adagiandosi meglio su di lei. Non poteva proprio negare quanto gli piacesse quel contatto di pelle contro pelle, respiro contro respiro. Ed era così contento di poter evitare lo sguardo di Nami, o avrebbe visto quanto dannatamente si sentiva bene con lei accanto in quel modo. E quanto fosse stupito di quanto gli fosse piaciuto.
“Piacevole…”
“Certo che tu non ti allarghi mai, eh?”

“…”
 

 
“Se lo volessi, lo rifaresti senza più opporti trovando altre stupide scuse?”
“…”
“Zoro…?”
“…”
“…”
“Non erano scuse!”
“Rispondi!”

“Si."
“…”
“E tu mi vorrai ancora, Nami?”
“…”
“Nami?”
“…”
“…”
“…”
“Certo.”

 
 

“Zoro?”
“Umh”
“Questo è uno di quei momenti in cui noi, noi ci siamo amati…”
“Prova a rilassarti invece di parlare in continuazione.” 
“Ma tu rispondimi!”
Nami lo sentì sbuffare sulla sua pelle del collo, provocandole un leggero solletico. 

 
“Credo sia così.
Ora respira il momento in silenzio.” 
“Oh, ma come sei poetico…”
“Nami!!!”
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:__________________________
Un sentito saluto a tutto il mondo di EFP che segue Rin con affetto. È passato un po’ di tempo, vero? 
Naturalmente in riferimento ai miei tempi di aggiornamento solitamente piuttosto brevi. 
Che dire, potrei parlarvi del tempo che vola, degli impegni inderogabili, delle 24ore giornaliere insufficienti per fare tutto, ma la verità è che non si tratta solo di questo. Purtroppo,  ammetto che in questo mese e mezzo (o forse di più?), ho avuto alti e bassi in fattore scrittura FF, sia per il basso coinvolgimento sul sito, che ahimè, non è colpa di nessuno, che per il bisogno di avere nuove scene ZoNami originali di cui l’autore ormai ci priva da anni. Non che queste siano vere motivazioni, forse assomigliano più a delle scuse, ma in ogni caso la situazione è anche stata questa. Insomma, discutere con voi anche di cose come: “secondo me Zoro potrebbe davvero fare cosi” o “ Nami non direbbe mai questo”, mi renderebbe super carica… leggere di diversi punti di vista sarebbe una sfida. Un feedback potrebbe essere anche questo, qualcosa di divertente senza essere necessariamente un giudizio. Anzi, mi piacerebbe da matti. Sarebbe un modo come un altro per scambiare visioni su questo rapporto che può essere letto in più modi. E, sicuramente, per me, sarebbe fonte inesauribile di ispirazione per continuare a scrivere. Anche perché, questo voi non lo sapete, ma sono praticamente instancabile sull’argomento. 
 
Ma, arrivo subito a questo ultimo capitolo caricato. CHE DIRE, non so perché ma è stato una bella manganellata in testa. Non potete sapere quanto io abbia cancellato, riscritto ri cancellato; un giorno appuntavo qualcosa e poi non mi andava più. Insomma, non sto dicendo niente di speciale, ma questo era il capitolo che più mi spaventava!, e ancora adesso in realtà, e lo giuro, non so se sia riuscita a rispecchiare l’idea iniziale, che ora quasi non ricordo nemmeno più. 
Il divertimento di Rin rientrava tutto in questo piccolo gioco, ovvero, sapere di avere una figlia così presto senza mai aver condiviso niente al livello fisico. Insomma, mi aveva stuzzicata parecchio questo preludio. E dalla difficile scoperta, l’ansia per il “momento cruciale” (chiamiamola anche da prestazione) ha preso il sopravvento fin da subito nei due poverini, arrivando così a questa fatidica notte… perciò non poteva essere facile, non poteva essere, diciamo, troppo piccante, o troppo LEVEL EXPERT. 
Insomma, non ricordo esattamente cosa avevo immaginato all’inizio – questa scena è stata una delle prime che ho visto nella mente -  ma la reazione di Nami nella mia mente è sempre stata questa: scoperto del forte amore di Zoro del futuro per lei, ne rimaneva così folgorata da chiedersi come fosse possibile, e conoscendo la sua indole nel voler avere subito risposte chiare, andava da Zoro del presente, totalmente sconvolta da quella verità, da volerlo “provare” subito (ahaha, l’amore, schiocchini…). 
 
Faccio un piccolo appunto sui capitoli passati ambientati nel futuro. 
Naturalmente, nel racconto che Rin fa a Robin, escono fuori solo gli avvertimenti in cui Rin era presente o spiava. Perciò, nonostante per trama abbia aggiunto alcuni momenti privati tra Zoro e Nami, quelli sono rimasti privati. Perciò…
Nel capitolo precedente, nel futuro, se ricordate, Zoro chiarisce definitivamente a Nami che non è mai stata lei a manipolarlo, è stato lui a farla entrare, dubbio che la rossa, nonostante senta il sentimento di Zoro, si porterà sempre dietro fino a quel momento. Perché il pensare insomma, di aver fatto cedere uno come lui, per lei, rimane uno strano traguardo, troppo sconvolgente, non tanto che le volesse bene, ma che potesse provare fino a tanto, insomma. 
 
Che dire, è tutto verde e arancio, è vero, ma spero che non vi annoi troppo. Ho continuamente la sensazione che manchi qualcosa, qualcosa di importante (No!, non le scene spinte, ci avevo pensato di non fermarmi in quel punto ma continuare, ma poi ho pensato che quel tipo di scene non ci stavano bene in questa FF, per il tipo di racconto, ecco…eheheh).  
Vi abbraccio. 
 
 
Ps: adesso mancano davvero uno o due capitoli alla fine. Il prossimo potrebbe essere l’ultimo, ma siccome mi conosco abbastanza da accogliere l’idea preventiva che il capitolo potrebbe diventare chilometrico tanto da doverlo suddividere, aggiungo la possibilità di un altro. 
 

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Capitolo 31
*** Il potere di un nome ***


Capitolo XXXI
Il potere di un nome 
 
 
 
 
 
 
 
Faceva quasi paura rannicchiata su sé stessa, con gli occhi nascosti dai capelli che le ricadevano addosso come un’armatura che la proteggeva dallo sguardo altrui. Non versava nessuna lacrima, nonostante una certa disperazione le aleggiasse sopra alla testa, e quel suo essere immobile e fredda era una reazione che lasciava di stucco. 
Troppa la paura di affrontarne tutti gli errori commessi, le illusioni mai sopite, un’amore bello ma anche doloroso e ancora mai veramente saziato. 
Nami si stringeva nelle spalle ogni qualvolta sentiva l’occhio dell’amico su di sé, e senza alzare mai la testa a guardarlo in faccia, riusciva, nonostante la vicinanza, ad allontanarsi da lui, rifugiandosi in un qualsivoglia posto lontano. 

Sentire di situazioni non ancora accadute, giocare d’azzardo coi ricordi che in realtà non potevano ancora esserlo, vivere sentimenti che non potevano ancora esistere nel suo mondo, il tutto verto ad indagare su un amore che altro non era che un abile giocoliere senza pietà. 
Nell’improvviso silenzio che la circondava, sentiva che gli occhi del cecchino erano grondanti di lacrime silenziose. Uno sguardo altro che fugace il suo, ma anzi, confuso e straziante che alimentava il suo sentimento difficile. Con la voce mozzata dall’angoscia di cose che non avrebbe dovuto sapere, Usop la guardava e la chiamava un’altra volta ancora, ripetendone il nome in continuazione, 
“Nami…” 

Aveva sentito la sua mano posarsi sul suo braccio, ad un certo punto, e toccarla, come un pizzico che la riportava alla realtà.
“Noi…non avremmo dovuto sentire niente…”
e piangeva ancora qualche lacrima, sedutole accanto, sconvolto da una narrazione sulla loro vita non ancora avvenuta da far accapponare la pelle da quell’inquietudine che quella stranezza conferiva senza indugio. 
Ma Nami sentiva solo una campana, aveva necessità di vivere quel contatto ancora mancato, quel qualcosa di così importante ma ancora non avvenuto e che invece avrebbe voluto provare subito. 

Seguiva mentalmente un percorso labirintico dei sentimenti che cercava di snodare nelle viscere del corpo, nei suoi tentennamenti che sopraggiungevano sempre carichi di inquietudini nei momenti più disparati che cercavano una risposta, una sola. 
Si sentiva seduta su un filo invisibile. Ancora faticava a crederci. Non soltanto per l’enorme mole di emozioni che all’interno si susseguivano e sovrapponevano una sopra all’altra, ma anche perché quelle parole, tramutate ora in immagini, la stavano tormentando terribilmente. 

Una cosa aveva compreso con certezza, ora più che mai riusciva a vedere chiara e tonda la forma del suo problema: lei era in attesa. Un’attesa cosi eternamente esitante di un qualcosa così agognatamene desiderata, e che non pensava nemmeno così sperata.
 
“Nami…” 

 
Immobile, gelata, chiusa all’interno di un guscio freddo e ben saldo, sentiva di pensare solo ad una cosa, in fin dei conti, solo a quella maledetta attesa che non voleva più vivere. Il dissapore di tutti i suoi problemi. 
 
“Dimmi che stai bene…”

 
La voce insistente di Usop e il suo cuore allietato non potevano che aiutarla a ritornare tra i vivi. 
Con un sospiro a spezzare la sua immobilità, la rossa riuscì a ricambiare la stretta del cecchino, pur rimanendo con il capo fermo a fissare la poppa della nave, che nascondeva parte dell’oceano e le figure di due donne ancora ferme a parlare tra loro.
“Perché hai voluto ascoltare? Perché?”
Continuava agitato, cercando di respirare. “Come potremmo fingere di non sapere niente?” 
Nami ricambiò la presa, stringendogli il palmo della mano in uno scialbo tentativo di rassicurarlo, o forse, rassicurare sé stessa. “Va tutto bene, Usop.” 

“Com’é possibile che vada tutto bene?”
Cercò di ottenere la sua attenzione, mettendosi davanti a lei, intercettando il suo raggio visivo. “Dubito assolutamente del tuo stare bene dopo queste informazioni!” 
D’improvviso, la necessità di raggiungere un altro luogo, un altro rifugio si fece impellente. Attese la fine dello sfogo di Usop, comprendendolo, ma sentendosi pronta a spostarsi, ad agire, ad affondare non tanto in un altro posto, ma nella verità, la verità di quell’amore. Un movimento d’aria, insieme alla sua nuova consapevolezza, le fece finalmente alzare la testa. Ma ancora non si mosse del tutto: lei avrebbe voluto spostarsi, camminare, correre per giunta, eppure il corpo non le obbediva.
“Ho capito!” 

Sentiva ancora Usop parlare da solo, dal momento che lei non lo aveva mai veramente risposto. “Possiamo utilizzare queste informazioni per cambiare le cose!”
Eccolo allora, eccolo il suo corpo muoversi finalmente, insieme allo sguardo che si faceva serio in modo quasi assurdo tutto insieme. 
“Che ho detto di strano?” il cecchino, che ormai aveva asciugato quasi tutte le sue lacrime, la guardò confuso, chiedendosi se non fosse impazzita a prendersela con lui. 
La vide scuotere la testa compulsivamente, come se si fosse risvegliata improvvisamente da qualcosa di assurdo, almeno, prima di vedere quelle sue braccia esili posizionarsi sulle sue spalle e scuoterlo tutto d’un colpo. 

“Non dirlo mai più!” 
“Ma Nami!” si lamentò, riuscendo a sfuggire poi alla sua presa. “Non vuoi salvarti? Non vuoi salvare il tuo…?” Inghiottì un magone bloccandosi all’istante, non sapeva cosa dire, anzi, per lo più come dirlo. Ma lo sguardo serio della rossa si posizionò dentro ai suoi occhi neri e sensibili, grandi come due calorose palle di Natale. 

“Non sono mai stata più seria, Usop. Non cambieremo niente e niente dovrai dire a nessuno, hai capito?” 
“Che cosa? Vuoi dire che quando succederà lasceremo che accada e basta?” 
“Si.” 
“Ma hai sbattuto la testa al muro per caso? Questa é una possibilità unica al mondo! Ma che diavolo ti prende?!” 

Il respiro di Nami era talmente diventato accelerato che confondeva il cecchino stesso, non riuscendo a sincronizzare ciò che diceva con ciò che provava. “Stai tremando!”
“Capisci che se cambia qualcosa cambierebbe anche Rin?!” 
Una voce graffiante, ma calda e sofferta. Una voce che parlava di troppe cose tutte insieme. 
“Dobbiamo dirlo a Zoro!”

Ancora quel volto esageratamente arrabbiato. 
“Non t’azzardare!” Quello sguardo bastò ad Usop per capire che Nami ci credeva davvero in quelle decisioni, in quelle scelte senza ritorno. “Non gli darò anche questo peso!” 
“Cosa farai allora? Soffrirai? Ti porterai tutto questo da sola?”
Usop lo vedeva il dolore quasi tangibile negli occhi di Nami. Lo vedeva, lo sentiva, lo spaventava. 
Uno sguardo di sentimenti infranti, di paura per i legami perduti e di…una responsabilità che era un macigno.  
 

“Non da sola…, giusto?”
 
Poteva essere l’amico che era sempre stato, si, Usop poteva tenere per sé quel dolore. 
Si, Usop lo avrebbe potuto portare sulle spalle. 
 
“No, non da sola.” 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Sta’ ferma” 
Con l’aiuto dei suoi incredibili riflessi allertati anche durante il sonno, Zoro aveva fatto giusto in tempo a fermarle il polso con la mano in una stretta decisa ma leggera. Occhio ancora chiuso, voce roca affatto impastata dal sonno, la pelle calda e piacevole, somigliante allo stare seduto davanti ad un falò acceso sulla sabbia, e il respiro quasi inesistente.
“Ma che diavolo! Stavi russando come un orso in letargo fino ad ora!” 
Un’altra voce lievemente stridula e dal tono sorpreso, contornata da una nota di seducente sconfitta, già si lamentava per quella difesa sempre così impenetrabile. 
La mano di Nami, rimasta bloccata a mezz’aria, stava per fare capolinea sul bordo del soffice lenzuolo di un bianco sbiadito posato in una linea quasi perfetta sulla vita dello spadaccino a coprire la sua metà del corpo più privata, mentre giaceva sdraiato al fianco destro di lei, in quel letto che li aveva entrambi accolti in quella notte incancellabile dalla memoria di entrambi. 
Nami lo sentì grugnire appena, forse mentre cercava di riaddormentarsi, ma, dall’espressione vanitosa comparsa sul suo volto improvvisamente, poteva immaginarne già il compiacimento che stava provando per il suo essere sempre così attento e preparato ad attacchi improvvisati e inferti anche dal più impensabile degli avversari. 
“Mi spieghi cosa volevi fare?” le disse poi, liberando uno sbadiglio dei suoi e aprendo subito dopo il suo occhio buono per guardarla in volto e scrutarla come al suo solito.
Con un sorrisetto da finta ingenua, Nami, seduta accanto al suo busto, alzò le spalle con indifferenza, ricambiando la sua occhiata incuriosita ma lasciandolo completamente allibito. 
“Volevo dare una sbirciatina…” 
“Ma sei scema?” 
Confuso, e un po’ imbarazzato, Zoro non sapeva dove cavolo volesse andare a parare quella sua compagna un po’ matta che, sapeva – e poteva - essere estremamente pericolosa in più di un’occasione.  
“Hei…” Nami gli puntò il dito indice sulla fronte “tu hai avuto una visuale completa…non lo trovo affatto giusto!”
Trattenendo un iniziale grugnito legato alla sua reazione di appena sveglio, i lineamenti del suo viso iniziarono subito a rilassarsi, accompagnati da un mezzo ghigno a contornargli le labbra screpolate e rigide. Lasciandole libero il braccio, ritrovandosi all’istante più tranquillo, si tirò su con le spalle poggiandosi meglio allo schienale del letto e richiudendo poi l’occhio, abbandonandosi ai sensi.
Sorrise. 
“Bé é decisamente più piacevole così!”
“Idiota!” 
La rossa scosse la testa del tutto contrariata ma anche totalmente divertita. Riacquistando la libertà per il suo polso, sospirò, fintamente rassegnata, ma mentalmente pronta ad un’improvvisata vendicativa quando sarebbe stato il momento più opportuno. 
Finché…
“Dai allora…” Zoro aprì l’occhio guardandola serio e compiaciuto allo stesso tempo. Forse mettendola alla prova. Forse per prenderla in giro. Forse per curiosità. O forse, credeva davvero nel dover pareggiare i conti 
“fai quel che devi.” 
Stupita ma soddisfatta, Nami continuò a fingere nel suo sguardo furbesco, portando sul volto un’innocenza e un imbarazzo che non le appartenevano affatto. 
Recitando una titubanza inesistente – tutto per fargli credere di stare al suo gioco - allungò nuovamente lo stesso braccio di prima verso il lenzuolo di seta, stuzzicandolo volontariamente in una finta attesa volontaria. 
Quel ghigno che il verde aveva bene impresso nel suo volto iniziò a tramutarsi in qualcos’altro: ansia, eccitazione, pulsione…
Continuava a mantenersi lucido, ma sentire quella mano strofinarglisi addosso e poi tra la pelle e il lenzuolo, iniziò a mandarlo in visibilio velocemente, più velocemente di un tempo, più velocemente di quanto si aspettasse. Aveva appena appreso che l’aver superato quella linea di demarcazione l’aveva reso meno resistente di prima, e non il contrario. 
La compagna aveva poi alzato il lenzuolo, e lui l’aveva lasciata fare per davvero, prendendosi finalmente così la sua giustizia ma rimanendo in silenzio per tutto il tempo dedicato a quella vista. 
“Ok”
Aveva esternato poi, fingendo indifferenza. E, riabbassando il lenzuolo su di lui aveva allontanato il braccio, indietreggiando e poggiandosi anche lei sullo schienale del letto.
Rimasero per un attimo in silenzio, con sottofondo un accennato grugnire di Zoro, tramutato velocemente in un incredulo 
“Tutto qua?” 
“Volevi che dicessi qualcos’altro?”
Nami, con il lenzuolo tirato su di lei fin sotto le braccia, le incrociò al petto, come fosse totalmente insensibile alla cosa.
Lo vide allontanarsi in fretta dalla spalliera che lo teneva dritto, perplesso e quasi offeso, sedendosi e avvicinandosi a lei con i denti a squalino che gli avevano occupato l’espressione. 
“Erano tante le cose che avresti potuto dire!” 
Nami, con il suo modo di fare solito, alzò le spalle fingendo impassibilità, ma ridendosela sotto i baffi mentre lo osservava crogiolarsi in un’offesa che non avrebbe nemmeno potuto spiegare veramente, rallegrata di vederlo cadere in trappola come un babbeo. Quando poteva, doveva approfittarne di quei momenti. 
“É inutile che stanotte hai fatto la carina, sei, e rimani, sempre una dannata strega!” 
Ma quando la vide pensierosa, portandosi il dito sul mento, e adagiandosi meglio nel lenzuolo che l’avvolgeva, per un attimo ebbe un momento di speranza, di una frase rimedio che avrebbe migliorato la situazione, aprendo così le orecchie all’ascolto. 
“In effetti una cosa c’è!”
“Quale”
Zoro era davvero interessato, aveva bisogno di cambiare le carte in tavola quella mattina o sarebbe sicuramente fuggito da quella stanza per andare a nascondersi da qualche parte sulla nave il prima possibile. Ma la sua compagna era sicuramente su tutt’altra linea d’onda, e lui questo non poteva proprio saperlo. 
“Gli darò un nome!”
E infatti…il verde dovette nuovamente tirare fuori tutto il suo autocontrollo per non mandarla al diavolo per l’ennesima volta, per non alzarsi subito e uscire dalla stanza sbattendo la porta incavolato.
“Scordatelo!”
E ancor di più quando sentì il seguito, tanto da potergli scatenare un attacco cardiaco così rischioso da rimanerci. 
“Lo chiamerò Peppetto”
“NON SE NE PARLA!”
“Quando chiamerò Peppetto, tu saprai cosa dovrai fare!”
“Smettila! Smettila subito di dire idiozie!”
I due, seduti a mezzo busto sul letto, continuavano il battibecco più strano che avessero mai avuto. Zoro agitava le braccia per aria, cercando in tutti i modi di far valere e capire il suo disappunto, mentre Nami continuava ad ignorarlo, contenta della sua brillante intuizione. Forse perché l’idea le interessava davvero. Forse perché la divertiva vederlo uscire dai gangheri. Forse perché amava giocare con lui. O forse, perché dopo tutto quello che avevano provato quella notte, con il batticuore del risveglio quella mattina, aveva necessità di smorzare la tensione.
“Ma dai é carino!” 
“Carino? Ho detto NO!” 
Schifato e totalmente contrariato alla cosa, Zoro, iniziava comunque ad aver paura di non avere più voce in capitolo sulla questione, dal momento che Nami ormai sembrava aver deciso per davvero; così, quella volta, insistette più del solito facendo il possibile per rimanere ostinato e non lasciargliela passare. 
“Prima di tutto no, e poi lo sanno tutti, su questa nave, che tu hai talento per scegliere dei nomi improponibili!” 
Fu allora che Nami si offese, abbassando lo sguardo sul letto con un’espressione triste e fintamente rassegnata. “Sei cattivo adesso…”
Si strinse con ancora più risolutezza il lenzuolo sotto le braccia, intrappolando la carne nuda in quell’abbraccio con sé stessa trasmettendo un’insolita parsimonia nel mostrarsi.
Con l’occhio sgranato per quella che pensava essere una stupida reazione, Zoro, per un attimo, si sentì in colpa…e non poté rimanere in silenzio, sospirando e pensando di aver esagerato. “Dai…in fondo Chelotto non era così brutto…per un granchio però…” ci tenne a precisare alla fine. 
Con la velocità della luce, Nami alzò il capo con sul volto due occhi luminosi e accecanti che abbagliarono lo spadaccino in trance. “Allora va bene Peppetto?” 
“NO!”
Resosi conto di essere nuovamente finito nelle sue bugie e finte offese, Zoro iniziò sbraitare e inveire contro di lei, rendendo chiarissime le sue volontà contrarie.
“Stavolta non la passi liscia” 
“D’accordo…” Nami alzò gli occhi al soffitto, decisa a condividere una tregua, tanto per farlo respirare un po’ “per ora vinci tu…”
“PER ORA?”
“Non hai fantasia, Zoro. Tutto qua.” 
Nello stesso momento, Nami vide quella pupilla diventare sempre più grande dentro quell’occhio indiavolato, tanto da guardarlo e sfidarlo con lo sguardo, in attesa di sentire che cosa lo infastidisse per davvero. E sorrise ancora lei, quando lo vide continuare a crogiolarsi in silenzio in qualcosa che non poteva veramente esternare, con le nervature visibili sulla sua fronte. Era alquanto consapevole di avergli fatto passare ogni sorta di desiderio per lei in quel momento!
E poi, lui scattò, e, in qualche modo, la stupì…
“Ma bastava dire un altro nome!”
Nami sorrise, ancora poco stanca di giocare, vedendolo sempre con le braccia per aria. E…
non riusciva a non pensare alla fortuna che aveva avuto ad averlo accanto. Che nonostante quel suo essere così orgoglioso e burbero, quella notte - quella notte - era stato gentile mentre l’amava. Sempre rimanendo sé stesso, sì, ma anche incredibilmente attento e premuroso.  
“Fioriccino?”
“NO” 
“Carolino?”
“NO”
Lo guardava con quello sguardo insensibile che sapeva fare bene quando sentiva la necessità di nascondere qualcosa, ma dentro, dentro, era innamorata persa di lui. 
“Sentiamo! Dillo tu allora!”
Lo osservò nei movimenti, aveva assunto una posa più austera, la schiena dritta, braccia incrociate, sorriso appena accennato. Zoro non aspettava altro che gli venisse passata la palla. 
“Bestia infernale?”
“Vai avanti…”
“Custode degli inferi?” 
“No…”
“Il dragone invincibile?”
“Zoro…”
Lo vide incrociare le braccia al petto con più forza, perdendo totalmente l’entusiasmo quando, voltandosi e incontrandosi con gli occhi di Nami, li trovò per nulla incattiviti dalle sue proposte. 
“Certo…da una che ha detto “ok”…”
Deciso a lasciare perdere l’argomento, il verde si preparò a scendere dal letto, scrutando la luce filtrare nella stanza e capendo che non era più solo mattina presto, e che gli altri, almeno un paio di loro, erano sicuramente già in piedi.
“Meglio alzarsi…prima che entri qualcuno.” 
 
“Zoro?”
 
Sapendo perfettamente di aver infierito un po’ troppo nella sua virilità da superuomo, Nami decise di mettere fine al gioco che lei aveva avuto bisogno di iniziare, strappando entrambi dalla passione della notte prima per distrarli da tutte quelle stravaganti sensazioni e intensi sentimenti. 
Fece scivolare sul letto la parte del lenzuolo che le ricopriva il corpo, quello che aveva tenuto sinora ben stretto sotto le braccia tendendo ben velate le sue forme in un insolito senso pudico. Perché, lo ricordava bene, l’occhio di Zoro su di lei, e ricordava bene la sua mano sulla sua carne. Non l’aveva mai visto cosi, mai sentito gemere per lei. L’aveva sconvolta così tanto che per tutto quell’attimo aveva sentito necessità di coprisi per equilibrare le vibrazioni. 
 
“Secondo te, “bestia infernale” é davvero appropriato?”
 
Voltandosi per risponderle con un grugnito, ancora offeso per averlo anche solo messo in dubbio, si ritrovò invece imbambolato a guardarla stupito. Non si sarebbe mai aspettato che gli avrebbe concesso una vittoria, ma, soprattutto, non si sarebbe mai aspettato che lei non stesse affatto bluffando. 
Nami lo voleva ancora…
Fu un attimo, il tempo di liberarsi del lenzuolo, che le fu addosso come un segugio. 
Dall’offesa alla passione.
“Certo che sì” aveva ribadito, prima di mordicchiarle il mento, “…strega!” 
Quando la prese per i fianchi, portandosela a sedere sulle gambe, la sentì emettere un piccolo ansimo seguito da un’esclamazione di stupore. In ripresa, Nami si schiarì subito la voce…
“Ma quale strega!, io direi più …regina dell’inferno” 
Gli sorrise maligna, baciandogli e mordendogli il collo fino a lasciarci un segno evidente sopra. Lui la lasciò fare, concentrandosi invece su di lei con le mani e pensando divertito a quei soprannomi. 
“Sta bene”
le aveva risposto, divincolandole appena le gambe per farsi subito strada in quella catabasi indiavolata e pericolosa. 
 
Nami lo faceva impazzire quando non lo prendeva sul serio. Un’abile doppiogiochista che quando voleva sapeva essere insensibile e distaccata, mandando tutto l’autocontrollo emotivo di Zoro ai posteri. Ma sapeva essere anche calda, premurosa e dannatamente provocante, mandando lo stesso tutto l’autocontrollo di Zoro ai posteri!
“Non voglio che finisca”
gli sussurrò all’orecchio con un rimasuglio di voce strozzata. 
Lui sorrideva, mentre cercava di equilibrare respiri e mugugni soffocati sulla pelle di lei, bruciante di un entusiasmo che non avrebbe mai immaginato di provare per il solo e semplice fatto che Nami non aveva paura, di lui, di loro, di lui che diventava così istintivo, che le stringeva con le unghie la carne sui fianchi in preda al piacere. 
“Non ho intenzione di fermarmi” le rispose, in parole liberate da una lunga oppressione, chiuse in quella voce dal tono basso ma profondo. 
E non potevano più parlare. E non potevano più pensare. Entrambi consapevoli di essersi cacciati in una situazione che sfuggiva al loro più maniacale controllo, in una posizione ancora più intima, che li vedeva entrambi uno negli occhi dell’altra. Tante cose succedevano tra due persone che si guardavano negli occhi così a lungo, e in un momento di vulnerabilità come quello. Tante cose si provavano. E tante se ne condividevano. 
Zoro la faceva fremere con una facilità che la stupiva. Nami non si farebbe toccare da nessun altro uomo, anzi, non si sarebbe mostrata vulnerabile, acconsentendo al piacere, davanti a nessuno altro uomo. 
“O-h” liberò un gemito strozzato sulle labbra di Zoro. “Non guardarmi…”, gli soffiò addosso. 
Lui la guardava ancora invece, e in un gesto delicato le alzava il mento e lo fermava tra le sue dita, scavando più a fondo nel suo sguardo.
Poi gemevano ancora, uno nella bocca dell’altra. 
Le mani di Nami che gli stringevano il collo, reagendo all’emozione più istintiva, quando in un tocco caloroso e delicato, quando in uno più aggressivo. 
Le guance che si strusciavano. 
Le mani di Zoro a cingerla in una presa salda e attenta in cui potersi sentire al sicuro. 
“Nami…”, sussurrò il suo nome, in un tono non ostile, ma eccitato, e…innamorato.
“Non ti fermare”, ripeteva lei, senza nemmeno farlo parlare, chiusa sempre in quella dannata paura che lui potesse mettere fine a tutto, che lui potesse privarsi di quel piacere, di quell’amore, solo per testardaggine. 
“Guarda che non ne ho intenzione” fu costretto a ribadirle, conoscendo benissimo il significato e dissapore di quella richiesta, mentre senza quasi accorgersi diventavano ancora una volta un tutt’uno. 
 
 
 
 
Nuovamente sudati e silenziosi, i due recuperavano il respiro con le schiene poggiate alla spalliera del letto, e il lenzuolo, testimone del loro nuovo incontro, tornato a ricoprirli. 
“C’è voluto così tanto per farlo la prima volta…” il respiro veloce e incandescente di Nami andava a ritmo col suo cuore, e come al solito aveva bisogno di smorzare la tensione che aleggiava sulle loro teste “e quasi niente per la seconda”. Ancora faceva finta di essere distaccata da quel sentimento, allo stesso tempo soddisfatta e colpita da quella situazione e da tutte le emozioni che stava provando, mentre strusciava la guancia su quella di Zoro solo per infastidirlo con “quelle” carezze. Quasi che iniziava a sentirsi già meglio, più lontana da ogni peso che aveva portato sulle spalle con tanta fatica fino a quel momento liberatorio. 
“Ora capisco perché é Rin la prima bambina della ciurma…” 
“Piantala di farneticare!”
Intuendo perfettamente le sue intenzioni, Zoro non poteva fare altro che ammonirla, bisognoso, al contrario di lei, di vivere e non coprire quel silenzio. Però, con un gesto gentile, le aveva spostato i capelli dalla spalla destra, lasciandoci uno strano bacio ancora ricco di passione inconfutabile, sotto lo sguardo stupito ma caldo di Nami -che si teneva privatamente per sé tutti quei piccoli dettagli - per poi allontanarsi e mettersi seduto sul bordo del letto con i piedi sul pavimento freddo. 
“É meglio separarci per un po’” 
“Che c’è…hai già paura di non resistermi più?”
“Piantala!” La fulminò ancora, sempre severo - era la sua reazione naturale d’altronde! - ma questo solo per un attimo, il tempo di guardare il viso di Nami brillare, e sorridere anche lui di rimando. 
“Meglio non dare agli altri nuovi motivi di pettegolezzo.” 
 
 
 
“Zoro?”
“Umh?”
“Quindi, come pensi che sia venuto fuori il nome Rin?” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il compagno aveva abbandonato la stanza, lasciandola sola, con la scusa del “meglio che nessuno ci trovi così”. Ma Nami lo sapeva bene che Zoro era fuggito soprattutto dallo sguardo indagatore di Robin, che, in realtà, era l’unica che avrebbe potuto introdursi nella stanza. Era troppo per lui il doversi mostrare così innamorato allo sguardo di chi lo avrebbe capito subito che cos’era successo quella notte.
Si lasciò cadere all’indietro per appoggiarsi alla superficie liscia del legno con la schiena, restando ancora avvolta in quella unione di sensazioni e profumi che non era ancora pronta a lasciare andare. 
Soddisfatta di quella loro unione, colpita di ciò che le aveva mostrato, Nami era contenta di essere finalmente riuscita a penetrare in quella muraglia di silenzi e sentimenti taciuti, non riuscendo a smettere di sorridere, gongolare, ridere da sola. 
Lei era riuscita a prenderselo, ad averlo. Era riuscita ad incastrarlo in lei. 
“Non mi allontanerà più” 
Sorrideva, mentre si rigettava tra le lenzuola. 
 
 
 
 
 
Era una fortuna che si fosse separato da Nami così rapidamente. 
Fortuna…o tragedia? 
Forse era più che altro una tregua da ciò che aveva provato, per la prima volta aveva visto un lato di lei che non credeva possibile avrebbe potuto vedere. E gli piaceva. 
Facendo forza sui bicipiti, Zoro, si era rimesso ai suoi allenamenti soliti e sacrificanti, cercando di svuotare la mente da tutte quelle immagini ed emozioni che sembravano surreali.
Solo ripensare a quei baci affiatati, in posti in cui non avrebbe mai potuto pretendere, gli provocò una stretta allo stomaco. 
Cercava di ritrovare la determinazione e concentrazione necessaria, essendo il coach di se stesso. L’unico che poteva esserlo davvero. Ma, lontano da quel letto iniziava a sentirsi una persona diversa, una persona che aveva perso per strada ogni duro proposito in cui aveva sempre creduto. Questo perché non riusciva a pentirsene affatto di ciò che aveva fatto. Della sua decisione. Di aver fatto entrare Nami in lui definitivamente. Ma nonostante tutto, il dubbio di aver potuto commettere un errore lo attanagliava. Un senso di oppressione quasi di quella contraddizione che gli bruciava dentro. 
Doveva sconfiggerla. 
“Non si torna più indietro” ammise a se stesso, sprofondando mentalmente nella voglia costante che aveva di lei.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nami trovò finalmente sua figlia affacciata al parapetto della Sunny, con la spada al fianco già ricondotta nel suo personale e bianco fodero. Come fosse pronta allo sbarco, alla partenza. Aveva lo sguardo fermo sull’oceano e sembrava piuttosto pensierosa. Accanto a lei, il solito: Zoro che russava sonoramente, stremato, a gambe e braccia aperte con la schiena sul dorso del ponte. Chiaro segno che Rin aveva chiesto a un padre, già provato da una lunga notte, l’ennesimo scontro amichevole per quel pomeriggio. 
Decise di sedersi sulle scale ad osservarla sotto i luminosi raggi del sole e rimanere in attesa della sua attenzione senza rovinare quell’atmosfera. Le voleva bene. L’amava, anzi. L’idea che da lì a poco sarebbe scomparsa dalla sua vita le faceva bruciare le mani, i piedi, e le si scombussolava lo stomaco. 
Eppure, quel pensiero sembrava talmente sciocco da vergognarsi anche solo di averlo avuto. Era normale, dopotutto, che tornasse a casa, lei stessa aveva promesso che ci sarebbe riuscita ad aiutarla. Come poteva essere gelosa della Nami del futuro? - di sé stessa- che tra poco avrebbe riabbracciato sua figlia, anche se una figlia a cui lei invece avrebbe dovuto dire addio. 
Ma adesso si sentiva più forte. Si sentiva più audace, Nami, ad affrontare tutta la grande questione insormontabile. Nonostante la verità che con dolore doveva stare attenta a non rivelare.  
E poi venne sovrastata da altre domande. Cosa avrebbe fatto Zoro, se avesse saputo ciò di cui lei già era a conoscenza? Quanto avrebbe sofferto? Avrebbe avuto la stessa idea di Usop di “rimediare” al tempo per evitarle un dolore? 
Nami aveva già deciso che sarebbe rimasta col dubbio, e che non avrebbe mai potuto rivelarglielo. Mai. O forse, solo più avanti, nel futuro. Si era divertita quella mattina a stuzzicarlo, a vederlo crogiolarsi nell’offesa, ma quello era il massimo del “dolore” che avrebbe mai inflitto al suo compagno. Non avrebbe mai voluto vederlo soffrire per davvero.
Persa nei suoi pensieri si era accorta troppo tardi che Rin adesso sostava davanti a lei e la fissava con severità. 
“Sei…strana…”
Nami sussultò. Quella aveva il passo felpato proprio come il suo!
“Ma che ti salta in mente!” arrossì davanti a quegli occhi immobili. Scosse la testa, facendo oscillare i lunghi capelli rossi liberi sulle sue spalle e respirò a pieni polmoni ritrovando la concentrazione. 
“Perché sei arrossita?”
“Ma quale arrossita!” 
Nami sapeva che con quella pulce lì aveva poco da scherzare, forse anche solo per tentativi avrebbe potuto pure scoprirli. Così, cambiò abilmente discorso come solo lei era capace di fare “Hai stremato tuo padre, eh?”
“Abbiamo combattuto un po’…ma niente spade di allenamento…” la bambina rispose accompagnando alle parole un cenno con la testa, e, abbozzando un sorriso, mise in mostra il suo esile braccio “ho finalmente tolto il gesso!”
Nami mise sul volto un’espressione di stupore, e, automaticamente, non riusciva a celare anche un dispiacere. “E perché non mi hai avvisata?” 
La rossa junior fece spallucce indifferente. “Usop ha detto di non disturbarvi…ha detto che eravate impegnati in qualcosa…non so” 
Quello non perde mai il vizio di farsi gli affaracci degli altri. 
“Quindi, in cosa eravate impegnati tu e papà?” 
“Bé…” Nami sudò freddo. “Ma piuttosto, perché non ti fai più vicina? Voglio guardati bene.” 
La trascinò per il polso a due passi dalle sue gambe, portandosela davanti al viso. 
Non sapere tutta la verità, in fin dei conti, era stato il motivo che l’aveva tenuta lontana da Rin in tutto quel tempo che lei aveva vissuto nel passato e che adesso, con un  tuffo al cuore, sentiva di aver sprecato. Vederla così affiatata con Zoro e meno con lei l’aveva tenuta un po’ a distanza. Anche se, doveva ammetterlo, adesso capiva molto bene il perché. Ma, sapeva anche un’altra cosa con certezza, che per lei la sua bambina provava qualcosa che era così immenso e prezioso da tenerlo nascosto e stretto stretto a sé. La sua mamma era intoccabile, e la proteggeva con tutto il suo cuore.
Le strinse leggermente le braccia continuando a guardarla in quegli occhi che bulicavano di dignità, e la guardava, e riguardava ancora più a fondo, mentre i suoi iniziavano a cedere al luccichio dell’emozione.  “Che c’è?”
“Sei così…perfetta”
Rin sgranò gli occhi d’improvviso. “C-che cosa dici, mamma?”
Nami le lasciò un solo braccio e si spostò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, fermandosi un solo attimo per riprendere lucidità. Si pizzicò le narici, cercando di imprimere nella sua memoria quel profumo familiare che veniva da Rin. Chiuse gli occhi e percorse tutto quel filo invisibile che aveva vissuto in quelle settimane, fino ad arrivare a quel momento, a pensare a tutto quello che invece ancora non sapeva e che avrebbe avuto modo di scoprirlo senza indizi dal futuro. Tutto ciò che avrebbe ancora passato insieme a Zoro, e tutto ciò che avrebbero vissuto quando lei sarebbe nata, la realizzazione dei loro sogni, le infinite avventure che ancora avrebbe condiviso con i suoi scapestrati compagni. Aveva una enorme famiglia preziosa che amava, e che amava oltre l’immaginabile. 
Era fortunata. 
“Mamma” si lamentò con voce abbastanza petulante, nonostante fosse smorzata dalla vergogna “non mettermi in imbarazzo in questo modo!”
Rin non era solo una bambina che voleva essere forte in apparenza ma che poi era solo fragile dentro, no, Rin era forte davvero, e si erigeva volontariamente come difensora delle persone che amava - solo questo le importava, lei era questo, era l’amore, anzi, ne era la protettrice. 
Nami aveva letto fin da subito che in lei vigeva qualcosa di speciale, ma per arrivare a capire questo, insomma, si richiedeva più tempo. Un po’ come era successo con lei. 
Dietro quel broncio imbarazzato, e quell’audacia e sguardo quando caldo, quando tenebroso, Rin avrebbe dovuto incutere paura a chiunque, come un cane rabbioso che vuole gettarsi nella mischia troppo in fretta, ma, invece, nonostante tutto questo, era molto tenera, e nonostante l’affinità - impossibile da non notare - con il padre, nascondeva un forte attaccamento alla madre. Insomma, Nami le aveva passato in eredità pure il suo cruciale istinto di protezione. E anche Zoro aveva fatto la sua parte. 
“Voglio raccontartelo… voglio che tu sappia la verità”
Nami allungò il braccio e con due dita alzò il mento della figlia che ora aveva un sopracciglio all’insù nel suo essere perplessa in uno strano imbarazzo negli occhi, nello stesso identico modo che era in grado di colpire anche Zoro. 
“Q-quale verità?” Il respiro corto iniziò ad occuparle il petto. 
“Del mio incontro con tuo padre.”
Rin si immobilizzò a sentire quelle parole, ma in fretta recuperò la sua espressione adrenalinica mentre la guardava curiosa più che mai. Ne aveva bisogno come l’aria che respirava. 
“È stato lui…” 
“A fare cosa?”
“A salvarmi!” 
Con il cuore pulsante, Rin si costrinse a trattenere le lacrime davanti all’ennesima evidenza di quell’amore importante da cui era nata, confutando quanto fosse grande il peso dell’incapacità dei suoi di rivelarsi a vicenda - e quando anche agli altri - quel sentimento.  
“È così che é andata allora?” 
Nami le lasciò andare entrambe le braccia e si sistemò i capelli dietro le spalle mentre cercavano di fuggire via con una folata di vento, e sorrise, mantenendo un tono di voce basso ma deciso. 
“Quella volta che ci siamo incontrati, io non avevo nessuna speranza verso il prossimo…soprattutto verso gli uomini, figurarsi se pirati. Ma poi…ho visto loro…”
“Papà e Rufy?”
Era diventata così impaziente, perdendo quasi tutta la calma che riusciva a mostrare con tenacia. 
Nami asserì. 
“Vedi, seppur anche Rufy fin dall’inizio é stato in grado di stupirmi, rimaneva sempre un idiota ogni qualvolta aprisse bocca o facesse qualcosa; ma tuo padre, be’ “ aggrottò le sopracciglia e abbassò la voce di proposito per evitare di farsi sentire “e questo non lo sa e mai dovrà saperlo - lui, ecco, lui mi diede una bella lezione.” 
“In che senso?”
“Diciamo che ha abbattuto il mio castello di carte. La sua lealtà, il suo essere così dritto, sincero, determinato, risoluto, forte e…così…buono, per un uomo…mi stupì e confuse, mi trascinò in un vortice fatto di speranza, ma soprattutto…fiducia. La fiducia che avevo perso per sempre.” 
Nami sorrise rallegrata di averlo finalmente ammesso ad alta voce e buttato fuori dal petto tutto insieme. Sospirò, dando una rapida occhiata all’oceano, per poi tornare a concentrarsi sulla bambina, sui suoi occhi così bramosi di sapere.
“Qualche tempo fa hai chiesto a Rufy se io e Zoro ci siamo amati fin da subito…”
Rin arrossì e si coprì la bocca con entrambe le mani. Spesso dimenticava che la mamma potesse avere occhi e orecchie ovunque, soprattutto quando si trattava di lei. Ma vide Nami brillare e capì che non c’era nessuna traccia di rabbia in lei. La sentì rallentare nella voce provocandole un immediato giramento di testa e un annebbiamento della vista. 
“Ebbene…”
“Ebbene?” Rin era sempre più impaziente. 
“Non posso certo parlare per Zoro…”
“E tu?”
Nami iniziò a ridere. Ma la sua non era una risata nervosa, non era imbarazzata, ma era sincera, era serena…era d’amore.
“Ero rimasta ipnotizzata da lui. Era riuscito laddove nessun altro uomo aveva mai potuto farcela. Mi aveva conquistata con dei gesti, con la sola presenza, con quello sguardo…con quella forza stoica portata al limite, con il suo spirito eroico” si prese un momento per sentire il vento del ricordo stravolgerle la testa “Si, Rin, io sono senz’altro sicura di essere rimasta incastrata in lui e di averlo amato fin dalla prima volta che mi ha protetta con quelle sue spalle salde.”
Rin era allibita. Le aveva confessato questo? Sua madre? La stessa che nel futuro parlava sempre di sentimenti per il padre con ironia e sarcasmo? 
“E sai perché ne sono certa?” Sorrise ancora Nami, ma stavolta, dentro quell’espressione si celava anche un po’ di inquietudine. 
“L’ho conosciuto nel periodo peggiore della mia vita…e fu così dannatamente difficile per me accettare quell’esserne rimasta affascinata. Così, convinta di possedere il controllo su quel sentimento, ad un certo punto, ho cercato di cacciarlo via, di allontanarlo da me e dai miei problemi. Lui prima di tutti gli altri. Quella volta, ho dovuto mentirgli, e lì, in quel momento, mi si é spezzato il cuore per averlo fatto. É stato uno dei momenti più sofferti.” 
 
Nami sentì un brivido scorrerle per tutta la schiena al solo ritornare con la mente a quel giorno ad Arlong Park. A guardare Zoro negli occhi e mentirgli. Rinnegarlo. Ma fu peggiore vedere quella sofferenza negli occhi di sua figlia, perennemente esclusa dai sentimenti dei suoi genitori. Così, fu rapida nell’asciugarle le lacrime da sotto gli occhi con le dita, prima che potessero bagnarle le guance e arrivare ai vestiti. Quando la vide devastata da quella rivelazione la spinse verso di lei e la fece crogiolare tra le sue braccia. Con una mano le cinse la piccola vita e con l’altra le massaggiò la cute. “Va tutto bene se piangi…” le sussurrò. “É per qualcosa di bello.”
“Grazie di avermelo detto” 
“Ma ti pare…”
Nami stessa fu costretta poi ad asciugarsi due lacrimoni, sconvolta da sé stessa per quella difficile ammissione che la faceva sentire sia libera che stupida ad averlo detto ad alta voce. Conscia del motivo per cui la Nami del futuro era restia a parlarne. Mentre la Nami del presente, lei, aveva dovuto scontrarsi con quella nuova realtà troppo in anticipo imparando una grande lezione, riuscendo così ad aprirsi a sua figlia. 
“Sai cosa vuol dire deludere un tipo così? Con tutto il suo onore e saldi principi? Ricordo bene come mi aveva guardata e non so come io abbia fatto a mantenere quel sangue freddo. Oggi non sono più in grado di sfuggire al suo sguardo.”
“Forse gli avevi spezzato il cuore anche tu?” 
“Non lo so, Rin. Ma non penso di avergli fatto male allo stesso modo di quanto ne ho fatto a me stessa. Lui non provava certo questo per me. Anche se…” 
“Se?”
“Quella volta, in effetti, fece qualcosa di così folle e avventato…ma non importa, adesso non conta. Non so se io ho salvato lui, ma ciò che é certo é che lui ha salvato me. Mi ha liberata dai miei mostri; perché Rin, anche nel mio passato ci sono stati dei mostri. Mostri cattivi, cattivi come il tuo Akainu.”
 
Il rumore di piagnistei improvvisi ed esclamazioni di stupore, risvegliarono entrambe, facendo l’inquietante scoperta che tutta la ciurma era rimasta nascosta nei punti più impensabili ad origliare, portandoli ad esclamazioni fuori luogo ed esagerate, dal  “Sono commosso” di Franky, che si passava il braccio sugli occhi continuamente, al “quanto odio quello scemo testa di muschio” di Sanji, alla risata di Rufy, alla soddisfazione di Robin, fino al “ma che carini” di Usop e Chopper che, con gli occhi lucidi, cercavano di resistere al fare lo stesso del cyborg. 
Visto l’imbarazzo di Nami e la rabbia che stava per invaderle il viso, e non solo, i suddetti elementi scomparirono dal raggio d’azione velocemente, andandosi a nascondere sottocoperta, seppur non sarebbe bastata una nave per fermare la furia che Nami avrebbe scatenato su di loro. 
 
Ripresa dall’emozione, la bambina ad un certo punto sospirò sollevata, tanto da far alzare un sopracciglio a Nami.
Ma sospirò anche lei però, serena, soddisfatta di essersi liberata di una verità così ingombrante. E di averla detta alla persona che meglio l’avrebbe custodita, seppur quei cretini avevano origliato senza permesso rovinando tutto. Nami aveva pensato subito a come si sarebbe vendicata, ma allo stesso tempo si sentiva così leggera, che, forse, quella volta, avrebbe lasciato passare.
 
“Ti va se questi giorni di allenamento che ci rimangono anziché passarli con Robin li passassimo insieme io e te?” le chiese, convinta di non voler sprecare nemmeno più un minuto con lei, ignorando tutte le regole che avrebbero dovuto impedirle di avere altri approfondimenti dal futuro.  
Ma, ad un tratto, vide la faccia di Rin stranirsi, e, Nami, poteva giurare di vederla sudare freddo mentre rimaneva paralizzata sul posto e la guardava come se stesse per infliggerle una pugnalata al cuore. 
“Che ti prende?”
“Ecco…”
“Umh?”
“Be…io…”
“Tu?”
La vide prendere un bel respiro, un gesto che pareva semplice ma che invece nascondeva più di un’insidia. Il sesto senso di Nami iniziò a metterla in guardia. 
“Volevo dirtelo prima ma…ecco io” strinse forte i pugni ai lati dei suoi fianchi, intenta a prendere una bella fetta di coraggio e innescarla nel suo corpo minuto “mamma…io, io sono già in grado di tornare a casa…”
“Che stai dicendo?”
Nami iniziò a perdere la testa. Una scomoda verità che sapeva di confusione e tristezza le stava finendo dritta in faccia. 
“So già come tornare a casa…” sospirò, per poi prendere però altro coraggio dalla sua infinita riserva. Il suo sguardo era deciso, ma molto sofferente, sofferente nel far soffrire Nami più che sé stessa. Ma in lei scorreva anche il sangue di Zoro, o per lo meno, i suoi insegnamenti, e quella determinazione la obbligava ad essere sincera, a strappare un cerotto senza indugio. 
“É da un po che so come tornarci…”
“Mi spieghi che significa?”
Il respiro improvvisamente affannato, le mani tremanti, la paura che quello che pensava sarebbe accaduto a breve, stava per accadere adesso…Non era pronta, Nami non si sentiva affatto preparata a questo. 
“Mi dispiace avertelo omesso…ma…”
“Ma?”
“Io avevo bisogno di sapere questo, prima di…” 
“Del mio incontro con Zoro?” 
“Si” annuì. “Raccontato da te.”
“E da Zoro, scusa?”
“Papà mi ha detto tutto nel futuro. Sei sempre stata tu quella che non voleva mai parlarne per niente.” 
“E quale sarebbe la sua verità?”
“Non posso dirtela.” 
“Quindi mi hai imbrogliata?”
“Be…in realtà no, perché ho lasciato scegliere a te…” Rin iniziò ad indietreggiare come una codarda. 
“Brutta screanzata! Dove vai, eh? Dove credi di filartela?”
Nami si alzò in piedi scattante, in piena confusione e pronta a vederci più chiaro sulla questione che le stava nuovamente martoriando la stabilità.
Possibile che dovesse realmente andare così?
“Dimmi qual é la verità di tuo padre”
“Non posso” tremò, sempre più indietreggiando. “Mamma calmati…” sospirò, provando un filo di paura -  Zoro per esempio non riusciva mai a spaventarla in quel modo.
 
“Devo dirti un’altra cosa…” 
 
Il sole in procinto di tramontare iniziava la sua discesa alle spalle di Rin che pian pian metteva sempre più un piede dietro l’altro allontanandosi. “Io devo tornare a casa…”
“Questo lo so, ma non appena…”
“Oggi…oggi torno a casa,…adesso anzi” 
Nami fu costretta a fermare subito i suoi passi appena cominciati, rimanendo come sospesa, incastrata dai suoni del mare che le rimbombavano attorno. Le luci calde del tramonto che alternavano il giallo all’arancione all’azzurro del cielo come se d’improvviso fosse stata trascinata inconsapevolmente in un sogno, o in uno stato mentale. 
Ma stava succedendo davvero? 
“Non voglio che ci stai male, mi dispiace di farti sempre soffrire…” tremò, e non più di paura, “ma é davvero passato così tanto tempo; io devo tornare a casa, da loro, da voi…” sospirò. “Gli altri lo sanno, è per questo che si trovavano qua fuori…mi hanno già salutata.” 
Non riuscendo a guardare sua madre negli occhi, ma facendolo lo stesso, con il senso di colpa di provocarle sempre un dolore, in qualche modo, e con la paura di doverla salutare seppur non si trattasse di un vero addio, si allontanò da lei…”mi dispiace averti fatto questo”, disse solo, trovando un modo per darle tempo e farla respirare un po’. “Ma non posso prolungarti ancora questa sofferenza, ed é per questo che poi non potrò più tornare qua.” 
“Ma che stai…Rin, no…”
Non doveva andare così. Non poteva andare così. Era tutto sbagliato per Nami, era tutto troppo stupido e insensato. Si domandava come si potesse essere preparati a una cosa del genere…
Nami era sicura di aver perduto il buonsenso, trovandosi in una bolla quasi irrazionale in cui aveva perduto ogni sorta di lucidità. Non poteva accettarlo, anche se doveva, e doveva restare lucida, doveva abbracciare quella verità, doveva calmare i nervi. Adesso si trovava dinnanzi al passo più difficile di tutti in cui avrebbe dovuto lasciare andare. 
 
“Lasciala tornare a casa” 
 
La realtà divenne d’un tratto ovattata e labile, Nami ebbe quasi l’impressione di non trovarsi realmente più dentro il suo corpo. Tranne per…una voce 
 
“Lasciala andare, Nami” 
 
Quella voce. 
Cercando di ritornare padrona dei suoi sensi e di sé stessa, avvertì un leggero spasmo, il quale si trasformò in ansia e presto imbarazzo, quando si rese conto chi fosse la persona alla quale apparteneva quella voce. 
Zoro era sveglio. 
Ritornò immediatamente nel proprio corpo, maledicendosi come mai aveva fatto nella sua intera esistenza.
Fu costretta a voltarsi alla sua destra incontrandolo nello sguardo sulla stessa lunghezza di percorso, trovandolo sempre seduto sul pavimento ma leggermente appoggiato al parapetto, anziché del tutto riverso a terra. La stava fissando sfacciatamente con un’espressione indecifrabile sul viso. Nami iniziò a percepire un formicolio sulla sua pelle, e la voglia irrefrenabile di fuggire da lì. 
Quanto aveva sentito? 
Quell’occhio magnetico e profondo che ancora la guardava immobile. La sua mente vagava ormai annebbiata per quella confessione ingombrante e troppo accecante che aveva fatto in buona fede. 
Lo vide alzarsi e raggiungerla. Ma lei, in preda all’angoscia che lui avesse sentito tutto, lo ignorò, concentrandosi ancora su Rin e trovandola lì, in piedi, davanti a loro, con una voglia incredibile di piangere e lasciarsi andare, ma come di consuetudine, tratteneva tutto pur di non fare del male agli altri. 
“Scusatemi se sono piombata così nelle vostre vite…”
Sguardo enigmatico ma che rimaneva lo stesso fiero e dignitoso. “Vi voglio bene! Più di ogni cosa al mondo!”
Nami allungò il passo e il braccio, con il tentativo di fermarla, ma trovandola, per sua fortuna, ancora lì davanti a lei. 
“Aspetta! Rin!”
La paura di vederla polverizzarsi davanti ai suoi occhi era talmente forte da farla reagire.  
“Tu non potresti mai causarmi dolore! Hai capito? Mi hai sentita bene!?” 
“Si” annuì la bambina, non riuscendo ad evitare l’emozione di quelle parole decise e sincere. 
Quell’ultimo sorriso sulle labbra della piccola era luminoso come quelle luci colorate, come quei capelli rossi, come quella voce dolce che salutava, come quel calore unico al mondo di un posto che sapeva di luogo sicuro. Guardò Zoro e lo vide accennare un sorriso; non diceva niente ma Rin sapeva che era lì, che le voleva bene, che teneva il dolore tutto dentro di sé per non farglielo sentire. E poi guardò Nami, e…
“Mi dici un’ultima cosa?” 
“Si”
“Perché avevi bisogno di sapere questo…”
La bambina posizionò bene la spada al suo fianco, colpevole di aver evitato ai suoi genitori l’ultimo abbraccio, almeno, l’ultimo per un paio d’anni al massimo - forse anche meno. Sorrise ad entrambi, prima di volatilizzarsi per davvero. 
“È anche la mia storia, no?” 
Quell’ultimo sorriso era tramontato insieme al sole, lasciando un vuoto difficile, ma ottimista, nell’attesa del suo ritorno al momento che sarebbe stato più indicato. 
 
“Si, è anche la tua storia, bambina…”
 
 
 
 
Difficile a dirsi quanto Nami era rimasta nuovamente in piedi, immobile, a fissare i colori ormai sbiaditi del cielo mentre cedevano posto all’oscurità. Aveva ancora bisogno d’aria, aveva ancora bisogno di un attimo per accettarlo. L’idea di pensare a Rin tornare a casa però, era un faro nel buio. 
Ebbe un dejavu, era successa la stessa cosa quando aveva scoperto di essere la madre di Rin.
Come sempre, anche se non lo stava volontariamente guardando, Nami sapeva che l’altro suo faro si trovava dietro di lei. 
Rimasta immobile sul ponte, nella stessa identica posizione ad osservare l’ultimo punto in cui aveva visto sua figlia l’ultima volta, si stringeva nelle spalle e si faceva coraggio. 
“Da quanto sei sveglio?”
Lo sentì muoversi appena e fare qualche passo in avanti. 
“Chissà” le rispose serio, ma nel suo tono c’era celata una forte nota ironica. 
Con un verso arrabbiato, tra l’essere estremamente imbarazzata e furiosa per il semplice fatto di non essere stata attenta - quella era già la seconda volta nella giornata in cui lui da profondamente addormentato riusciva a risvegliarsi nel momento meno opportuno - Nami non si voltò affatto, tenendo i pugni stretti stretti lunghi i fianchi. Il suo corpo parlava per lei in quel momento. 
Finché…
Si sentì così strana e spaesata quando lui l’aveva invece raggiunta e afferrata per la vita tirandosela rudemente addosso. 
“Noi due la faremo tornare. Vivrà in quest’epoca …é deciso.” Le disse serio, ma un po’ meno rigido del solito nella voce. 
Lei provò a scrollarselo di dosso, cercando di non essere accondiscendente e volendo riuscire a cavarsela da sola. Quelle parole la fecero quasi sussultare, e quella presenza al suo fianco così premurosa le fece perdere un battito. 
Possibile che adesso era tutto così, così diverso? Sentiva tutto di lui, dall’odore alle sue mani su di lei, alla voglia di non staccarsene, di averlo ancora, come se respirandolo, respirasse anche un infuso segreto che voleva tenerla incollata a lui per sempre. 
“Non è necessario” rispose, cercando di essere forte e sicura, ma quasi in procinto di lasciarsi andare e dimostrare di volere tutto il contrario “che ti preoccupi sempre per me.” 
“Voglio solo assicurarmi che stai bene” le disse ancora, mentre la annusava dietro al collo, strofinandosi sulla sua pelle calda, portandola a chiudere gli occhi in un gesto automatico. 
“É cosi.”
Zoro si chinò appena sul suo orecchio e, in modo tale che solo lei potesse udirlo e nessun’altra “spia” nascosta, le sussurrò qualcosa, una frase che la fece immediatamente irrigidire. 
Aprì automaticamente gli occhi e lo guardò in volto stupita. Lui ricambiò serio, immobile in quello sguardo imperturbabile. Ma entrambi si interruppero dal loro stesso bisogno che avevano di amarsi ancora. Strusciandosi e respirandosi, sapevano che la soluzione a tutti i loro tormenti era solo stare nuovamente insieme in quel modo nuovo che avevano scoperto, in un’altra notte ancora, in un altro mattino, in un altro tempo indefinibile…
 
 
Sopraffatta da quella eccitazione, da quelle effusioni nuove “alla luce del sole”, Nami riuscì però a trovare la forza per allontanarsene da quel calore, da quell’affetto, e prendersi per davvero quel minuto di cui aveva tanto bisogno.
Era troppo in quel momento guardarlo negli occhi e non cedere all’istante a confessargli tutto, a mettergli le mani addosso in quel torace sempre così accogliente per i suoi dolori. 
Zoro le rimase vicino ma senza arrivare a toccarla, stavolta. Aveva capito che le serviva un attimo, e voleva lasciarle il suo spazio. Non aveva senso confortarla coccolandola. Non aveva senso farla crogiolare nel dolore tra le sue braccia. Sapeva che doveva affrontarlo di petto, non poteva esserci altra consolazione. E sapeva anche che quella era la Nami che voleva sempre avere accanto. Anche se, e ne era certo, consapevole che lei gli nascondesse qualcosa di grosso e doloroso riguardo al futuro. Ma si fidava di lei per le cose importanti, e sapeva adesso che doveva lasciarla libera di agire rispettando le sue emozioni.  
 
“Zoro?”
“…”
“Ridimmi quella cosa che mi hai detto prima” 
“Non ne vedo il motivo” 
“Tu fallo e basta” 
 
Era qualcosa che aveva stupito Nami e che per quanto potesse avere fantasia, era certamente una verità che non avrebbe mai potuto sapere, e che non si aspettava certamente di sentirgli mai dire. Lui era uno che dimostrava con le azioni, i gesti, gli sguardi...Lo sentì brontolare per un po’, ma lasciò perdere quella parte e aspettò in silenzio…
E poi finalmente lui si decise ad accontentarla…
“…quella volta, quel maledetto giorno, si é spezzato anche il mio di cuore.” 
Eccolo quello spasmo. Quella lacrima unica scendere sulla guancia rosea di Nami. L’aveva detta in modo più frettoloso adesso, ma l’aveva pur detta quella frase. 
Nami aveva capito di averlo fatto soffrire davvero quella volta, così come aveva sofferto lei, e ancor peggio, aveva capito che non aveva potuto prevederlo. E non avrebbe potuto mai immaginarlo. Aveva capito di non essere sempre riuscita a capire i sentimenti di Zoro. E di aver sempre dubitato che gli provasse davvero, di così ingombranti, per lei. Ed era così bello e doloroso da riempirla e lacerarla allo stesso tempo. 
Però, sapeva, lo sapeva bene, che quella frase significava una cosa sola: l’aveva amata anche lui, da sempre. 
E quella era la verità di Zoro. 
 
 
“Dillo ancora” 
“Nami…”
 
 
 
 
Il rumore dei passi pesanti degli stivali che il verde indossava, suggerivano che si stesse allontanando e stesse tornando sottocoperta da solo. Ciò le permise di respirare, liberarsi, piangere, gioire, logorarsi, sentirsi sollevata, emozionarsi, tutto mescolato insieme in una reazione complessa. 
Un istante di nulla, mentre la mano di lui era poggiata sulla maniglia della porta della camera delle donne, che si chiuse alle spalle di Nami subito dopo. Non potevamo affrontarsi faccia a faccia in quel momento, ma vigeva in loro la consapevolezza che, più tardi, si sarebbero amati di nuovo. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Seduta sulla sedia della specchiera in camera delle donne in piena notte, mentre guardava Zoro russare, sdraiato - anzi stravaccato – sul letto, scriveva due righe su un foglio bianco che poi aveva pensato bene di ripiegare in più parti su sé stesso e infilarlo all’interno della cornice della foto che ritraeva lei e Nojiko bambine insieme a Bellemere. 
Guardò la foto e sorrise serena. 
 
“Cara Nami, 
é la Nami del passato a scriverti. Forse del tuo passato, forse del mio, chi lo sa, ma ciò che conta é che io sono te e tu sei me, perciò puoi fidarti. 
 
Rin. 

 
É per lei che ti scrivo.
Le sue intenzioni sono tra le più lodevoli…ma questo lo saprai già. 
Lei ti ama, ti ama più di quanto immagini, di quanto credi, di quanto vedi…
anche se non sei tutto il suo mondo, com’é giusto che sia! perché si, le spade le piacciono per davvero! sei nel suo cuore e nella sua volontà di proteggere. 

 
Raccontale perché hai voluto che fosse una combattente.
Raccontale perché hai deciso di proteggerla dai mostri. 
Raccontale del tuo passato. 
É molto importante che tu lo faccia perché lei soffre, ne soffre da sempre di queste mancanze. Vedrai che non te ne pentirai.
So che hai voluto tenerla lontana dalle troppe emozioni per essere preparata per il mondo che c’è là fuori, ma lei merita la verità. Tutta la verità. Ne ha bisogno per andare avanti nel suo percorso. 

Sapere dell’amore tuo - nostro - con Zoro, non la renderà più fragile, tutt’altro… Proteggila sempre come solo tu sai fare, ma per proteggerla al massimo, la verità su tutto questo amore é la strada da perseguire, partendo proprio da Arlong Park, perché é importante che sappia che salvare una vita può creare un legame eterno.
Un legame che poi ha portato a lei. 
Ps: non incolpare troppo Zoro per essersi fatto sfuggire sua figlia da sotto al naso. Non è stata colpa sua, stavolta.
E poi, puoi sempre quadruplicare il suo debito. 

 
Nami” 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
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“É una bambina” 
 
Aveva annunciato Chopper con gli occhi lucidi in quella fredda mattinata di gennaio. “É una lei” 
Brook e Franky si batterono il cinque, mentre…
“Meno male” aveva esultato il cuoco, volteggiando sul ponte della Sunny, esplodendo in tanti cuoricini rosa bagnati da lacrime “…é spiaccicata a Nami, vero? Vero, Chopper?”
Il piccolo medico alzò le spalle al cielo, impossibilitato nel rispondere a quella domanda, finché non ebbe un’illuminazione.

“Ah, sì! I capelli possono già vedersi, e sono rossi!”
“SI!” Aveva esultato ancora il biondo. “Grazie al cielo!” 
Un rumore sordo aveva interrotto quel momento emotivamente toccante, distraendoli per due secondi dall’emozione. 
“É già nato?”

Zoro, con un salto lungo, era atterrato sul ponte, con la faccia piena zeppa di gocce di sudore mischiate a quelle salate dell’oceano e il respiro pesante. 
“Ma dove diavolo ti eri cacciato???”
Lo aveva ripreso malamente il cuoco. “Al solito, scommetto che ti sei perso come un idiota!”
“Stà zitto!”
“Zitto tu!”
La porta si era aperta di scatto, mostrando due figure chiassose e allegre che prima battevano le mani e poi saltellavano a braccetto.

“É nata! É nata! Abbiamo una nuova compagna!”
Luffy e Usop, vestiti di cuffietta, guanti e camice verde natura, gioivano felici e stanchi ma impossibilitati a fermarsi. 
“Ma come siete conciati? “
Zoro riprese a respirare dalla corsa guardandoli male con il suo sguardo inorridito. 
“Guarda che avresti dovuto indossare tu sta roba!” Lo indicò Usop. “Abbiamo preso il tuo posto aiutando Nami! Sei un marito inutile!”
“Per caso ti eri perso?”

Interferì anche Rufy, togliendosi i guanti e cuffia, gettandoli sul pavimento. 
 
“Nami sta bene?
Tagliò corto lo spadaccino. 

 
 
Entrando finalmente nella sala, dove Nami, la bambina e Robin erano sistemate, lo spadaccino si avvicinò alla mora che teneva in braccio la neonata ed ebbe con lei il primo indelebile incontro. 
“É proprio piccola”
Aveva detto toccandola con un dito sulla punta del naso. 
“Vuoi tenerla?”
Sgranò l’occhio spaventato, in preda alla più strana angoscia. “Non sono certo che…”
Vide Robin avvicinarle il “pacchetto” alle braccia.  
“Va be, se c’è riuscito uno come Rufy…”

“In realtà, lui l’ha fatta cadere quasi subito”
“Che cosa? E lei sta bene?”
“…é andata pressapoco così” 
Robin lasciò cadere la bambina dalla presa delle sue mani, portando Zoro a mettere in moto i suoi riflessi d’oro, facendogliela così acciuffare tra le mani. 
“Robin, ma sei impazzita?” 
Ma in quello stesso momento notò sotto la bambina e sul pavimento una resistente rete fatta di mani, e sospirò rincuorato. “Ho capito.”

La neonata la alzò sul suo viso, osservandola meglio. Quella bambina non piangeva affatto e lo guardava attentamente ricambiando il suo sguardo. 
“Sicura che stia bene? Non dovrebbe piangere?”
“Sta bene.” 
Zoro non smetteva di fissarla, ipnotizzato da quegli occhi grandi come quelli di Nami, determinati, curiosi, ma anche un po’ freddi, come i suoi. 
“Nami ha scelto un nome?”

“Sono stati tutti bocciati…”
Robin raccontò delle varie opzioni suggerite dalla rossa e dai compagni, facendo parecchia attenzione allo stare alla larga da quelle di Rufy, che oscillavano dal volerla chiamare direttamente “pirata” oppure “guerriera femmina”, o da quelle di Sanji, come “principessa Mary Elisabeth” o “NamiNami”. Per non parlare di quelle di Franky come “cuttycherì”.
Robin lasciò andare un bel sospiro.

“Io ho proposto lilith…stando a voi, dovrebbe essere l’erede dell’inferno, no?”
Zoro sudò freddo. Come faceva Robin a sapere certe cose?
La vide sogghignare e dirigersi a prendere un libro dalla sedia accanto alla culla che Franky aveva ideato e costruito e Usop aveva dipinto con lo stemma della loro bandiera pirata. 
Si riconcentrò sullo sguardo della bambina, che per tutto il tempo non aveva smesso di guardarlo. 
“Sai?” 

Disse a voce alta, allungando anche lo sguardo in fondo alla stanza, in cui si trovava il letto in cui Nami stava riposando con il respiro lento ma equilibrato. “Questi occhi…” quelli della bambina, e quelli della compagna, “incutono un senso unico… di dignità.” 
Vide Robin avanzare verso di lui con il libro aperto e un sorriso. Indicò una riga con il dito e gli e la mostrò. Zoro avvicinò lo sguardo confuso e lèsse a voce alta. 
“Rin”

“Si” rispose l’archeologa della ciurma, annuendo fiera con la testa. 
“Rin?”
Ripeté ancora lui cercando di capire se fosse un suggerimento oppure qualcos’altro. La vide voltare pagina ancora e ancora fino a soffermarsi finalmente tra le ultime di quel librone infinito. 
“Leggi qua” 
Il verde abbassò il capo ancora di più, cercando di leggere tra quei piccolissimi caratteri. 
“Rin…” si schiarì la voce. “Colei che ha dignità.”

Robin gli sorrise. Un sorriso che Zoro, dopo il primo secondo di confusione, aveva deciso di ricambiare. 
Riguardò la neonata ancora una volta, innalzata con le sue braccia verso il soffitto. 
 
“Rin.” 
 

 
 
 
 
 
Nami aveva aperto gli occhi d’improvviso, sentendosi come se fosse stata reduce dall’ennesimo scontro mortale. 
Messa a sedere, come risvegliata da un incubo, si portò le mani sull’addome. 
Aveva sognato Akainu. Aveva sognato qualcosa di così orribile che sentiva come di voler piangere. 
Ma l’addome le doleva per davvero, ricordandosi che aveva partorito sua figlia qualche ora prima. 
Respiro affannato, scombussolamento, equilibrio disordinato. 
“Ehi…”
Sentì una mano sulla fronte. 
“Sei calda”

Zoro era lì, seduto sullo stesso letto accanto a lei, che la osservava preoccupato.
“Ho fatto un incubo…”
“Che tipo?”
“C’era…l’ammiraglio…quell’ammiraglio della Marina…quello che, che ha…” inghiottì la sua stessa saliva “…ucciso Ace”

Zoro la guardò serio, non accennando nessuna parola in proposito. Per la prima volta poteva ammettere che uno come quello, che aveva ucciso il fratello di Rufy in quel modo, era davvero pericoloso. 
“La bambina…Zoro, dov’é la bambina?”
Si avvicinò a lei incitandola e incoraggiandola a sdraiarsi di nuovo. 
“É con Robin e Chopper. É al sicuro.” 
Nami lo assecondò, ritornando supina sul materasso. 
“Va bene.”

“Devi pensare a te, adesso” 
“La bambina ha la priorità!”
Zoro la guardò negli occhi, preoccupato, e consapevole che da quel giorno in poi quel suo occhio avrebbe dovuto funzionare per dieci e le sue spade per trenta. Sarebbe diventato il più forte per la sua promessa e anche per un altro motivo ben più impegnativo. 
 
“Rin. La bambina si chiama Rin.”
“Mi piace.” 
“Anzi. Il suo nome é Roronoa Rin.”
Sorrise compiaciuto e orgoglioso, incrociando le braccia al petto. 
Nami riaprì l’occhio che aveva appena chiuso, guardandolo con una gocciolina dietro alla testa ma anche trovandosi volenterosa a condividere quell’orgoglio.
"Sbruffone."

 
 
“Di un po’. Ma prima com’è che non c’eri? Ti eri perso per caso?” 
“…”
Zoro riprese a sudare copiosamente. 
“Ma sono riuscito a tornare.” 
 

 
 
 
 
A Nami non interessava se Zoro era arrivato tardi alla nascita di sua figlia, tantomeno ce lo voleva in quel momento con lei…quello che contava veramente era che, finalmente, si sentiva come se la conoscesse davvero, dandole tutto ciò di cui aveva sempre avuto bisogno: protezione, amore sincero, lealtà. 
E non le importava se ancora non riusciva a prendere in braccio Rin come di consuetudine, ma contava solo come la guardava orgoglioso e vittorioso, come era contento quando diceva ad altri che quella era sua figlia. 
Non le importava se poi litigavano per una stupidaggine, se poi lui finiva a fare a pugni con Sanji per gelosia, o ad allenarsi per quella maledetta promessa. Non le importavano davvero queste piccolezze, perché sapeva, e lo sapeva con certezza, che lui tornava sempre da lei. E a Nami, questo l’aveva salvata per davvero, trovare qualcuno che sarebbe tornato da lei, a qualunque costo, a qualunque condizione. 
 

Zoro si arrabbiava quando Nami gli mentiva, lo scherniva, cercava di comandarlo come un damerino. Zoro grugniva quando lei lo metteva in trappola. Zoro andava in iperventilazione quando Nami lo provocava. E gli importavano eccome queste cose. Ma non gli importavano abbastanza. Perché Zoro lo sapeva, lo aveva sempre saputo, cosa c’era dietro quella maschera. Zoro lo sapeva con assoluta certezza che quando quella facciata non c’era più, tutto ciò che di più bello e prezioso che c’era nel mondo si allineava da solo donandogli un posto pieno d’amore - difeso con le unghie e con i denti fino all’ultimo respiro - d’abitare. Zoro lo sapeva che con Nami avrebbe vissuto l’amore di un nido caldo e protettivo per tutto il resto della sua vita. 
 

 
 
 
 
 
 
 
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The end 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_______________________________
E ci siamo. 
È finita. Rin è finita. 
Questa storia un po’ strampalata che tante volte vi siete ritrovati in cima alla lista delle storie aggiornate ha concluso il suo ciclo. 
Siete contenti? O siete tristi? 
Chissà in quanti hanno odiato di trovarsela spesso in mezzo ai piedi, ma, per fortuna, so con certezza che qualcuno ha esultato nel vederla aggiornata, nel vederla in cima all’elenco.
È passato quasi un anno, e, chiudo questa esperienza, che mi ha davvero coinvolta e insegnato tanto, con 31 capitoli. 
Lo so, stonano, no? Avrei dovuto finire con 30, oppure 35, sarebbe stato per lo meno più ordinato. 
Ma tutto questo disordine rappresenta me, questa storia, e tutto il mappazzone che vi ho propinato in questi mesi. 
 È iniziato con errori inammissibili – la maggior parte sono stati rimossi, per fortuna - e ha continuato con alti e bassi per poi migliorare progressivamente nei capitoli finali. Ho per questo dato una rilettura veloce alla storia per intero, tagliando e correggendo le parti più improponibili e mal riuscite, perciò, semmai qualcuno volesse darle un’altra possibilità, la lettura sarà un po’ più facile e meno malandata. Certo, non aspettatevi miracoli, ma, diciamo, quello che ho potuto rimediare, l’ho rimediato.
 
Forse l’ho conclusa per paura di annoiare.
Forse perché ero stanca di portarmela a presso.
Forse perché sono insicura su cosa scrivo e questo iniziava a stressarmi.
Forse perché EFP, con molte visualizzazioni delle FF ma pochi commenti, non mi stimolava abbastanza. 
Forse avrebbe dovuto continuare, avendo immaginato un percorso più lungo, e l'ho tagliata in anticipo tarpandole le ali.
O, forse perché doveva semplicemente finire così. 
Non so darvi una risposta sicura, perché nemmeno io ancora la conosco. Potrebbero anche essere tutte queste motivazioni insieme. Sta di fatto, che è conclusa, e non so se sia il finale che avevo pensato, probabilmente lo è ma non del tutto, anche perché inizialmente pensavo di mostrare anche “il futuro del presente”, con Nami e Zoro e la loro figlia perduta nel passato, con tutta la tragedia del momento in cui Nami scopre che Zoro si è addormentato senza vegliare sulla bambina…con tanto di finale a sorpresa che ora non vi rivelo…
Ma vabbè, non è più così importante. 
Spero che questo capitolo/finale vi sia comunque piaciuto, e che non sia stato una totale delusione. So bene quanto i finali siano pieni di aspettative…e proprio per questo deludono QUASI SEMPRE.  
Infatti, a me personalmente penso che siano la parte che m’interessa meno di tutti, ma, nonostante questo, ci tenevo a dare una conclusione che dà un senso a tutto. Spero di esserci riuscita, ma il contrario dovrete dirmelo anche voi, perché, in questo momento, io non sono in grado di capirlo. 
 
Parliamo del capitolo per un attimo. 
Allora, ho voluto dare una tregua ai sentimenti difficili di Nami, che porta sulle spalle un peso enorme, smorzando la tensione in quel battibecco insolito…
dite che potrebbe mai avvenire tra quei due una conversazione simile? Non so, ma mi sono immaginata Zoro, nella sua voglia di essere sempre il più forte, grosso, migliore, virile, avere questo tipo di bisogno. 
E Nami, che per calmare i sentimenti, ha necessità di prenderlo un po’ in giro. Non so, è qualcosa che loro, i personaggi, mi hanno stimolato. Non ho attinto assolutamente dalla vita reale, ahah. 
Poi, ho pensato che sia fondamentale rimarcare il “l’ho incastrato in me” di Nami, convinta nel passato di questa verità che invece viene smentita nel futuro, quando Zoro le dirà, più o meno, che lui ha scelto di lasciarsi andare a lei. Lo scrivo solo come rinfresco della memoria. Per il resto, non voglio certo star qua a spiegare il capitolo, perciò chiudo con i saluti.
 
Cari lettor*, è a voi appassionati che dedico Rin, con menzione speciale per tutti quelli che hanno commentato e sono stati fedeli compagni in questo viaggio, perché senza di voi, e i vostri feedback preziosi, ci tengo a rivelarvelo, probabilmente non avrei mai terminato la storia. Mi avete dato coraggio e forza di volontà. 
Perciò, ne approfitto per lanciare un appello: 
spesso basta poco per aiutare uno scrittor*, due parole di apprezzamento/consiglio/conforto/aiuto/condivisione per far sì che una storia continui a vivere e a non morire ai primi capitoli pubblicati. Sarebbe positivo sia per chi scrive e sia per chi legge, alla pari. Pensateci, siate partecipi e le storie sicuramente aumenteranno. 
So che ad esempio Rin è una storia totalmente imperfetta, ma avere comunque un parere, oltre che stimolante e coinvolgente, é, soprattutto, divertente. 
 
Grazie a tutti.
Vi abbraccio 
RobyZN
 
 
 

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