Il tesoro della sirena

di babastrell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L’accordo di un gentiluomo ***
Capitolo 2: *** Tutti ai posti di manovra ***



Capitolo 1
*** L’accordo di un gentiluomo ***


L'alba pareva quasi mistica. Il flebile stridio dei gabbiani in lontananza si mescolava allo scroscio delle onde sulla chiglia.

Il capitano Magnus Chase si alzò dalla sedia e percorse la cabina a grandi passi, frustrato, gli occhi fissi sulla bussola; l'ago ruotava ininterrottamente, prima in un senso e poi nell'altro, senza sosta. Di tutti i posti sperduti in cui potevano perdere la rotta, la tempesta li aveva scaricati nell'unico dove le bussole impazzivano.

Uscirne poi sembrava impossibile, come se ogni giorno fiorisse un nuovo scoglio a ostacolarli. La Mikillgulr ormai stava flottando in quell'anello di morte da quattro giorni. Abbastanza da far impazzire un uomo per il caldo. E Magnus era sicuro di essere sull'orlo della follia.

Gettò la bussola sul tavolo coperto di carte e si sedette sul letto. Era rimasto sveglio tutta la notte cercando di dare un senso alle mappe, alla disperata e inutile ricerca di una via d'uscita, e ormai, mentre il nero del cielo cedeva rapidamente il posto all'indaco, le lenzuola offrivano una tentazione dolcissima. Si lasciò cadere all'indietro, senza nemmeno togliersi gli stivali. Avrebbe potuto riposare almeno un paio d'ore prima che l'equipaggio riprendesse le attività frenetiche.

La porta della cabina si spalancò con un fragore di legno e metallo. «Capitano!».

Magnus scattò in piedi. Sulla soglia, il nostromo Keen gesticolava animatamente. Magnus tentò di cogliere cosa stesse dicendo, ma il gaelico e l'inglese si mischiavano e sovrapponevano nella concitazione del nostromo.

Avevano trovato qualcosa.

Senza attendere oltre, Magnus si precipitò fuori dalla cabina, facendole segno di fare strada.

La ciurma era ammassata attorno a una rete dentro cui qualcosa si dibatteva selvaggiamente.

«Largo!» gridò Magnus avvicinandosi.

Il capannello si allargò quel tanto che bastava per rivelargli la scena. La creatura ringhiò, mostrando due file di denti affilati come quelli di uno squalo.

Il capitano sentì il cuore sprofondare nello stomaco.

La forma era indubbiamente umana, snella e agile; all'altezza dei fianchi, la pelle scura cedeva gradualmente il passo a scaglie iridescenti che scintillavano di migliaia di sfumature sotto i primi raggi dell'alba e terminavano in un’enorme pinna.

«Dei del cielo...» mormorò.

Una sirena.

Ridicolo. Impossibile. Magnus Chase aveva fatto un vanto del non essere superstizioso, sapeva che simili esseri non erano altro che leggende per spaventare i mozzi creduloni.

Sentì le ginocchia tremare, sul punto di cedere. Gettò un'occhiata all'equipaggio: pallidi come cenci, guardavano prima lui e poi la creatura, come se si aspettassero che lui sapesse cosa fare. La sirena continuava a dibattersi sul ponte con versi immondi, cercando di liberarsi dalla rete.

Gettarla in mare. La soluzione migliore sarebbe stata sbarazzarsene e spiegare le vele mettendo quante più leghe possibili tra la nave e il pericolo.

Però non potevano farlo. Qualunque direzione avessero preso, si sarebbero schiantati sugli scogli e sarebbero diventati cibo per pesci. O peggio. Se avevano davvero davanti una sirena, era probabile che ce ne fossero altre.

La sirena sembrava essersi calmata. Aveva smesso di dimenarsi e di sibilare, respirava profondamente e fissava l'equipaggio con rabbia. Magnus immaginò che stesse cercando di capire se lui e la ciurma rappresentassero una minaccia. La rete le stringeva i polsi e la coda, impedendole di muoversi.

Il suo sguardo furente si posò su Magnus, trapassandolo da parte a parte. Un occhio era ambrato, sembrava quasi oro, l'altro era scuro e profondo. Magnus sentì un brivido lungo la schiena. Erano occhi così... terrestri. Non sembravano appartenere a un mostro. Erano gli occhi di una creatura intelligente.

Il capitano gettò uno sguardo all'orizzonte. Forse aveva un'idea.

«Mastro Gunderson, portatela nella mia cabina» ordinò.

La sirena sbarrò gli occhi dal terrore. Halfborn Gunderson, un timoniere nordico alto come un pino e altrettanto robusto, afferrò le reti con titubanza e seguì il capitano nella cabina, attento a non farsi mordere dalla creatura che cercava di divincolarsi ringhiando furiosa.

«Grazie, ora lasciateci soli» disse Magnus quando il timoniere depose con delicatezza la sirena sul pavimento.

Gunderson sembrava incerto, ma borbottò un saluto e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Magnus si concesse qualche secondo per studiare l'essere che si trascinava con le braccia verso la parete. Il viso era di una bellezza unica, spigoloso e feroce, e lo sguardo era sveglio e astuto; aveva folti capelli dello stesso verde delle alghe —un modo per mimetizzarsi con il fondale marino?— da cui spuntavano due orecchie lunghe e appuntite. Le scaglie della coda erano di uno splendore ipnotico: catturavano i raggi del sole come fossero di vetro e riflettevano un arcobaleno di rosa e verde a ogni movimento. La pinna caudale si allargava sulle assi del pavimento come un ventaglio di organza, ma dal guizzare dei muscoli Magnus intuiva che fosse molto più robusta di quanto sembrasse.

Non era necessario essere un esperto d'arte per sapere di avere davanti un esemplare di bellezza stupefacente.

La sirena appoggiò la schiena alla parete e tirò la coda verso di sé, guardinga. Magnus alzò le mani per mostrare di non essere armato.

«Mi scuso per i modi del mio timoniere. È rude, ma vi assicuro che è un brav'uomo» disse lentamente.

Non ottenne risposta, a parte un leggero cenno del capo che non seppe come interpretare.

«Credetemi, non era nostra intenzione tirarvi a bordo» continuò il capitano. «Ma temo di non potervi liberare subito».

La sirena alzò un sopracciglio.

Magnus iniziava a spazientirsi. «So che parlate la mia lingua» disse.

La sirena distolse lo sguardo. «La parlo» ammise.

Magnus sospirò sollevato. «Allora sono sicuro che troveremo un accordo»

«Non serve che mi spieghiate, Capitano, voi volete che vi mostri l'uscita del cerchio». Le iridi ambra e castana si fissarono su quelle grigie di Magnus. «Mi sbaglio?».

Il capitano sentì le guance avvampare. Quegli occhi sembravano scrutargli l'anima. «Non sbagliate» mormorò abbassando lo sguardo.

La risatina gli fece alzare la testa.

«Vi faccio ridere?» domandò sentendo il rossore farsi più intenso.

La sirena si coprì la bocca con una mano. Tra le dita si allargava una membrana traslucida, probabilmente per nuotare. Nelle pupille danzava una scintilla divertita. «Non assomigliate per niente agli altri pirati che ho visto. Siete buffo».

Magnus si sentì sprofondare. «Avrete visto tanti pirati»

«Ho vissuto qui molti anni». La sirena sembrava più rilassata, ma teneva comunque la coda fuori dalla portata di Magnus. «Voi non sembrare feroce o violento. O siete un uomo dabbene, o siete molto astuto».

Magnus tossì. «Se cercate l'astuzia temo che avreste dovuto farvi catturare da mia cugina. Io non sono mai stato la spada più affilata dell'armeria» ammise con un mezzo sorriso.

La sirena rise di nuovo. La sua voce suonava come una melodia emessa da un flauto di canne.

Magnus sorrise. «Avete una bella voce».

Forse era un riflesso del sole, ma gli parve di vedere un lievissimo rossore sulle sue guance.

«Spero si possa raggiungere un accordo, signor… signorina…». Magnus si bloccò, rendendosi conto di non sapere chi avesse davanti. Il busto aveva forme mascoline, per quanto magre e delicate, eppure c'era qualcosa nello sguardo e nei movimenti che trasmetteva una femminilità unica.

La sirena piegò la testa, come se fosse imbarazzata. «Il Popolo del Mare mi ha chiamato Aléksein Irta. Molti mi chiamano Alex. Per quanto riguarda il titolo, noi non siamo così attaccati a queste cose, siamo solo pesci. Ma, se vi mette più a vostro agio, per il momento chiamatemi pure “signorina” o “miss” o come preferite». Scoprì i denti affilati in un sorriso conciliante.

Il capitano rabbrividì alla vista di quei denti, ma ricambiò il sorriso. «Quindi ci condurrete fuori da qui, Miss Ali… Aleksi… Miss Alex?» chiese.

Alex si spostò una ciocca di capelli verdi dietro un orecchio. «Non è così facile, Capitano. Vedete, il mio clan vive qui da tanto tempo. I marinai che si smarriscono nel cerchio sono la nostra fonte di cibo».

Magnus sentì un blocco di ghiaccio pesargli nello stomaco.

«Tuttavia, potremmo comunque provare a raggiungere un compromesso» aggiunse la sirena.

«Me lo auguro con tutto il cuore». Il capitano si sistemò il colletto della camicia per nascondere il tentativo di ingoiare il groppo in gola.

Le dita palmate di Alex disegnarono un ghirigoro sulle scaglie rosa e verdi della coda. «Valutiamo la situazione, che ne dite? Voi avete bisogno del mio aiuto per uscire da questa trappola, e se io mi rifiutassi probabilmente mi ucciderete; questo però non risolverebbe il vostro problema, il mio clan vi troverà presto e voi e la vostra ciurma morirete. Nessuno vincerebbe. D'altronde, potrei accettare di salvarvi la vita in cambio della libertà, sempre che voi siate realmente il brav'uomo che sembrate e non decidiate di vendermi a un mercante una volta uscito»

«Non lo farei mai, sono un pirata gentiluomo». Magnus si mise una mano sul cuore e guardò Alex dritta negli occhi.

«Vi credo»

«Allora accettate, vincono tutti in questo modo»

«Non è esatto» replicò Alex schiarendosi la voce. «Vincereste solo voi, io tornerei alla mia vita senza vantaggi».

Magnus alzò un sopracciglio e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. «Dunque cosa avevate in mente?».

Era piacevole parlare con lei, aveva uno sguardo intelligente e una conversazione brillante. Magnus sapeva in cuor suo che avrebbe potuto semplicemente minacciarla, puntarle una spada alla gola o una pistola alla testa e obbligarla a guidarli fuori dal cerchio di morte; se poi avesse cercato di attaccarlo o di distrarlo con il suo canto —era vera la voce che il canto delle sirene incantasse i marinai?— avrebbe potuto legarla e imbavagliarla; non era violento o crudele come altri pirati, non aveva intenzione di farle del male, ma spaventandola avrebbe ottenuto quello che voleva in poco tempo. Eppure c'era qualcosa nella straordinaria creatura davanti a lui che lo intrigava, lo affascinava e gli faceva desiderare di proseguire quel dialogo sulla vita e la morte e le vincite e le perdite per ore.

Alex piegò la testa di lato, con un sorriso sghembo. «Potreste farmi un favore in cambio della salvezza». Gettò un'occhiata verso il quadrato di mare che si vedeva dalla finestra. Il sole era salito e sulle onde si rifletteva il bagliore dorato. «Anni fa, un pirata mi ha rubato un oggetto molto prezioso. Purtroppo io non posso uscire dal cerchio da sola per recuperarlo, se venissi catturata non rivedrei mai più il mare».

Magnus emise un gemito soffocato; aveva intuito dove volesse arrivare.

«Se mi aiuterete a ritrovare quel pirata, considererò ricambiato il favore».

 

AN:

Uff... Non so bene cosa dire. Questa storia è probabilmente la più lunga che abbia mai scritto e in realtà questo mi mette addosso un po' d'ansia. Mi sono imbarcat* (lol) in questo progetto solo e soltanto perché ho un'ossessione per i pirati e perché FierroChase è la mia OTP, ma ho fiducia in questa storia e scriverla mi diverte.

Probabilmente gli update non saranno regolarissimi, perché ho deciso che posterò il capitolo seguente quando avrò finito quello su cui sto lavorando (ora sto scrivendo il quinto, e quando l'avrò finito posterò il secondo. Poi posterò il terzo quando avrò scritto il sesto e così via).

Spero che questo prologo vi sia piaciuto abbastanza da dare anche ai prossimi capitoli un'occasione :)

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Capitolo 2
*** Tutti ai posti di manovra ***


Non so come si governi una nave, se voi lo sapete e vi rendete conto che quello che ho scritto non ha senso siate gentili :)

———

Halfborn studiò il percorso tracciato da Alex sulla mappa.

«Siete sicuro che possiamo fidarci?» chiese.

Magnus sospirò. «Non sono sicuro di niente» disse guardando verso la propria cabina, dove aveva lasciato la sirena. «Ma temo che sia la nostra unica speranza».

Il timoniere borbottò qualcosa nella propria lingua natia, che Magnus non comprese, ma imbracciò il timone e virò a dritta.

«Spiegate le vele!» ordinò il capitano. Si accertò di ripetere il comando con i gesti per permettere a Hearthstone, l'attrezzatore, di capire nonostante la sordità.

La ciurma si affrettò a eseguire l'ordine. Il bianco sporco della vela quadra sembrava quasi una nuvola contro l'azzurro del cielo. Magnus scese la scala che portava dal cassero al ponte e guardò il mare.

La superficie dell'acqua era liscia come olio, increspata solo dalla prua della Mikillgulr che si dirigeva verso gli scogli. Sembrava che niente potesse turbare la quiete di quell'anello di rocce baciato dal sole. Magnus rabbrividì. L'apparenza certo inganna. In quelle acque, talmente trasparenti che Magnus poteva vedere le sagome multicolori dei coralli e le ombre guizzanti dei pesci, si nascondevano mostri; discendenti di quelle creature maledette che non trovarono salvezza nell'arca, dicevano al catechismo che il capitano aveva dovuto studiare da bambino. Non che avesse mai pensato che quelle storie fossero niente più di elaborate metafore o vaneggiamenti di marinai ubriachi.

«Scogli!» gridò mastro Blitzen, distogliendo il capitano dai suoi pensieri. «A prua di tribordo»

«Mantenere la rotta!». Magnus corse a prua e pescò la mappa dalla tasca della giacca.

«Ma ci schianteremo» replicò l’uomo.

Lo superò senza fermarsi. «Lei mi ha detto che non accadrà. Proseguiamo!».

Alle sue spalle sentì Mallory mormorare tra sé: «Certo, fidiamoci del mostro divoratore di uomini».

Magnus rallentò la corsa, come se quel commento lo avesse appesantito. Aveva fatto del proprio meglio per ignorare la possibilità che il piano di Alex fosse affondare la nave sugli scogli e divorare la ciurma con l’aiuto delle altre sirene. Che si fosse inventata la storia del furto per far sì che fosse Magnus stesso a condannare a morte il suo equipaggio? Le sirene sapevano essere così sadiche?

Il capitano guardò la mappa. Il percorso si snodava tra gli scogli, verso il sole. Se la sirena diceva la verità, avrebbero potuto rivedere il mare aperto; altrimenti sarebbero diventati carne da macello. Era un salto nel buio.

Ma era anche la loro unica possibilità.

«Ai posti di manovra! E pregate i vostri dei» ordinò.

Nonostante le reticenze, i marinai si misero ai propri posti.

Magnus si arrampicò sulla prua. Le onde mosse dalla nave sbattevano sugli scogli creando sbuffi candidi.

«Virare a dritta! Mollare la vela maestra!». Abbaiare ordini non era la sua attività preferita, aveva dovuto lavorare a lungo per mettere a tacere i sensi di colpa che sentiva nel trattare i suoi amici come schiavi. Ma loro lo avevano eletto capitano, e per loro doveva essere forte e diretto.

La nave si inclinò e superò i primi scogli senza difficoltà. L’equipaggio si affrettava a destra e a sinistra per tendere le vele e sciogliere le cime.

Magnus sbirciò alle proprie spalle: mastro Blitzen traduceva gli ordini a gesti per mastro Hearthstone ed entrambi si davano da fare alle vele; miss Keen stava assicurando le cime; mastro Gunderson teneva saldamente il timone per impedire alle correnti di deviare la rotta.

«Mastro Jefferson!» chiamò Magnus.

In pochi secondi un giovane artigliere afroamericano si incespicò su per le scale da sottocoperta. «Capitano». Fece un cenno rispettoso. «Stavo fissando i cannoni. La manovra brusca ha quasi spezzato le cime».

Il capitano annuì. «Ottimo lavoro. Assicuratevi che tutti i pesi sottocoperta siano ben saldi, se ci sbilanciassimo e si aprisse una falla troveremmo l’inferno ad attenderci»

«Sì, signore». Thomas Jefferson Jr. gli rivolse un saluto militare - abitudine rimastagli dal servizio nella Marina - e sparì nuovamente.

Con un suono agghiacciante, lo scafo urtò una roccia sotto il pelo dell’acqua e l’intera nave tremò. Per poco Magnus non precipitò dalla prua, ma mantenne l’equilibrio.

«Non modificate la rotta!» gridò studiando la mappa. «Manchiamo il percorso di anche solo un nodo e per noi sarà la fine!»

«Ma ci abbiamo quasi rimesso la chiglia!» protestò mastro Blitzen. «Un altro urto del genere e sarà davvero la fine»

Mallory mollò la cima che stava annodando e si avvicinò alla prua a grandi passi. «Non so voi, ma io non ho la minima intenzione di crepare in queste acque. È una follia, che incantesimo vi ha fatto quella creatura per convincervi a fidarvi così ciecamente?».

Magnus sguainò la spada e la puntò alla gola della ragazza. «Ricordate il vostro ruolo, Miss Keen. Siete un nostromo, non un capitano. Se avete un piano migliore per uscire da questo girone infernale che sperare nella buona fede di qualcuno, uomo o donna o pesce che sia, vi prego di condividerlo e sarò ben lieto di ascoltarvi. Ma se l’unico contributo che intendete portare è spargere malcontento, allora vi consiglio di tornare a occuparvi delle cime».

Gli occhi verdi di Mallory brillavano del riflesso della spada. Magnus sperava che accettasse il rimprovero e tornasse al suo posto senza sfidarlo ulteriormente. Da giovane era scarso a scherma, e crescendo era migliorato giusto quel tanto che bastava a non ferirsi da solo; il nostromo, d’altro canto, era famosa per la sua ferocia con le armi bianche, specialmente i due pugnali che pendevano dai suoi fianchi. Offrirle un guanto di sfida simile era un rischio, come lo era fidarsi di Alex, ma il ragazzo si sentiva particolarmente incline a tentare la sorte quel giorno. Se fosse morto, per le sirene o i pugnali di Mallory, sarebbe morto sapendo di avere tentato.

«Vedo un varco tra gli scogli!». La voce di Halfborn attirò l’attenzione dei due e li costrinse a interrompere il contatto visivo.

Magnus recuperò la mappa di Alex. Davanti a loro la superficie dell’oceano era liscia, ma sulla carta il percorso deviava.

«C’è una secca davanti a noi» spiegò. «Dobbiamo virare di circa trenta gradi a babordo»

«Sì, signor Capitano!». Il timoniere virò.

Mallory si affiancò a Magnus per studiare la mappa. «Spero che siate meno ingenuo di quello che sembrate in questo momento». Era quanto di più simile a delle scuse gli avrebbe mai offerto.

«Finora ha funzionato» replicò Magnus. «Credete che Miss Alex ci abbia reso un tranello proprio tra gli ultimi scogli?»

«Io lo avrei fatto. Offrire un assaggio della libertà e poi privarne la vittima all’ultimo istante è incredibilmente crudele, ma le sirene sono famose per la loro crudeltà»

Magnus alzò lo sguardo dalla rotta per guardarla. I lunghi capelli rossi le nascondevano il volto. «Avete incontrato molte sirene nella vostra vita, signorina? Sembrate parlare con una certa esperienza».

Gli occhi della ragazza incrociarono i suoi. «Ovviamente non sapevo dell’esistenza di quegli esseri, ma sono cresciuta su un’isola. Fin da piccola mi raccontavano storie sulle creature del mare, ma mai mi sarei aspettata che quelle storie sarebbero tornate nella mia vita».

Magnus annuì. «Dovrò chiedervi di raccontarmele allora, potrebbero tornarci utili. Ora però tornate al lavoro»

«Sì, Capitano».

La guardò allontanarsi sul ponte e manovrare le vele, poi salì di nuovo sulla prua. «Miss Keen, issate la vela di trinchetto! Siamo quasi fuori».

La nave scivolò sull’acqua, sfiorando pericolosamente l’ultimo scoglio, e finalmente uscì in mare aperto. Erano salvi.

«Ce l’abbiamo fatta!» esclamò Blitzen su di giri.

Hearthstone si tolse la bandana e la gettò in aria, sorridendo come un bambino.

Thomas corse sopra coperta per unirsi ai festeggiamenti del resto dell’equipaggio.

Mallory guardò Magnus e gli rivolse un mezzo sorriso e un cenno del capo.

Il capitano però non aveva tempo per festeggiare. Attraversò il ponte e rientrò nella sua cabina, ma dove aveva lasciato Alex trovò solo una pozza d’acqua salmastra.

«Maledizione!» imprecò.

La finestra era ancora aperta. Che fosse riuscita a issarsi oltre di essa e a scappare?

«Miss Alex? Siete ancora qui?». Controllò dietro la porta e sotto al tavolo se si fosse nascosta, ma della sirena non c’era traccia.

Meglio così, no? Erano liberi e con un mostro marino carnivoro in meno. Eppure Magnus non riusciva a impedirsi di provare una certa delusione. E poi gli rimaneva ancora un dubbio: se la sirena non lo aveva imbrogliato, perché sparire prima che lui potesse adempiere alla sua parte dell’accordo?

Riprovò, a voce più alta: «Miss Alex?»

«Sono qui». Il mormorio proveniva da dentro l’armadio. «Non aprite»

«Qualcosa non va?».

Un tonfo sordo fu l’unica risposta che ricevette.

«Non posso aiutarvi se non so cosa vi succede» incalzò.

«Non sono presentabile».

Per quanto provasse, Magnus non riusciva a spiegarsi cosa volesse dire “non presentabile” nella concezione della sirena. Vestiti non ne aveva quando era stata pescata, e nemmeno aveva trucco che potesse colare. Forse si era ferita e non voleva mostrarsi vulnerabile.

«Sono sicuro che non sia così grave, signorina. Vi garantisco che ho visto la mia dose di indecenza da quando vivo in mare»

«Non aprite, vi supplico».

Magnus mise la mano sulla maniglia. «Intendete vivere nel mio armadio per sempre? Non preoccupatevi, non vi guarderò». Aprì l’anta.

Mantenere la promessa di non guardare si rivelò più difficile di quanto avesse pianificato.

Alex era raggomitolata sul fondo dell'armadio, alcune camicie le erano cadute addosso. Fissava Magnus con gli occhi sbarrati, facendo del proprio meglio per coprirsi con il tessuto candido e sottile dei vestiti. Le scaglie della coda erano scomparse, lasciando il posto a due lunghe gambe magre e… Avvampando, Magnus chiuse l’anta sbattendola violentemente. Si coprì il viso con le mani. Signorina o meno, la creatura nel suo armadio era decisamente un maschio.

«Scusatemi!» esclamò con veemenza. «Non immaginavo»

«Sono io che dovrei scusarmi, Capitano» la voce di Alex tremava, soffocata dal legno dell'armadio.

La situazione era così assurda che dopo qualche secondo a Magnus venne persino da ridere, istericamente, ma si coprì la bocca con la mano per non offendere ulteriormente la sua ospite.

«Siete ancora lì?» domandò Alex. «Sento dei rumori»

«Ci sono» rispose cercando maldestramente di ricomporsi. «Spero non vi siate offesa».

Dall’altra parte giunse un risolino impacciato. «Nessuna offesa. Voi...». La sirena si interruppe.

«Cosa?»

«Voi...» ripeté, con tono guardingo. «Non siete disgustato da…?». La domanda giunse flebile come uno squittio.

Magnus serrò le labbra. Il tono di voce lasciava intendere un certo stupore, come se Alex si aspettasse realmente disgusto da parte del suo interlocutore. Si chiese quante volte fosse stata insultata o rifiutata.

«Questa mattina avevate una coda di pesce e minacciavate di mangiarmi. E mi chiedete se a disgustarmi sia il desiderio di essere una signora?»

«Non lo desidero sempre» precisò Alex.

«Ben venga. Vi chiamerò Mastro o Signor Alex se così chiederete. O gradite un altro nome? Un giovane che conobbi anni fa a Port Royal un giorno iniziò a vestirsi da donna e cambiò il nome da Gregor a Elizabeth»

«Io non cambio nome»

«Meglio per me allora, sarà più facile ricordare».

La risata di Alex era il suono più gradevole del mondo in quel momento. «Grazie, capitano Chase».

Magnus alzò un sopracciglio. «Come sapete il mio nome?»

«È ricamato nel risvolto di una giacca. È un nome strano, Magnus Chase».

C'era qualcosa nel modo in cui la sirena aveva pronunciato il suo nome che lo faceva sembrare più bello di quanto non fosse.

«Avete intenzione di uscire da lì? Prometto di non sbattervi di nuovo l'anta in faccia»

«Ormai avete visto tutto, immagino» sospirò Alex. «Non riesco ad alzarmi, non sono abituata alle gambe»

«Vi aiuto io» replicò Magnus e aprì l'armadio, tenendo gli occhi chiusi per rispetto.

La sirena afferrò la sua mano tesa e si issò in piedi, muovendo qualche passo incerto. «Credo di riuscirci» disse. «Riesco a camminare».

Un secondo dopo Magnus la sentì inciampare e si sporse verso di lei, afferrandola prima che cadesse. Socchiuse un occhio, incontrando quelli della sirena.

«Grazie» disse lei, disorientata.

«Non vi preoccupate» rispose d'istinto.

Un secondo dopo si rese conto che Alex era decisamente nuda e che lui la stringeva decisamente forte.

Un calore familiare gli attraversò il viso e si allontanò di scatto, tenendole una mano sulla spalla per sostenerla. «Immagino vorrete mettervi qualcosa addosso» suggerì girando la testa dall'altra parte e guardando il mare alla finestra. «Purtroppo non ci sono abiti a bordo, l'unica donna del mio equipaggio preferisce l'abbigliamento maschile. Potete scegliere quello che volete tra i miei vestiti per ora, poi vedremo di procurarvi qualcosa appena faremo porto».

Alex si girò verso il guardaroba del capitano, il quale si limitò a supportare i suoi passi instabili con una mano.

«Siete molto gentile» disse Alex.

Magnus la sentì frugare tra le sue cose e indossare una camicia e dei pantaloni.

«Ecco, potete guardare» disse Alex.

Aveva scelto una camicia semplice e leggera, con le maniche a sbuffo, e un paio di pantaloni verde bottiglia che, Magnus dovette ammettere, le stavano molto meglio di quanto non fossero mai stati a lui.

«Vi stanno bene» commentò. «Ora devo tornare di sopra, devo dare l'ordine di ripartire. Venite anche voi?»

«La ciurma non si spaventerà vedendomi?».

Magnus alzò le spalle. «Temo che si spaventerebbero di più se non sapessero dove siete» disse. «Sono superstiziosi, sapete».

Alex ridacchiò e si aggrappò al braccio del capitano per camminare. «Chiunque lo sarebbe dopo quello che hanno visto».

Si mossero lentamente, per evitare che Alex perdesse l'equilibrio, e fecero le scale un gradino alla volta. La ragazza stringeva il braccio di Magnus con forza; la membrana tra le dita delle mani era sparita, ma le unghie erano ancora affilate e gli perforavano la carne attraverso la camicia.

Quando infine giunsero sopra coperta, il loro arrivo interruppe di botto il giubilo dei marinai. Tutti fissavano Alex, le orecchie allungate che sbucavano tra i capelli verdi, il viso spigoloso, il torace magro, le nuove gambe.

Il capitano le prese una mano con galanteria e si rivolse alla ciurma: «La signorina Alex sarà nostra ospite per qualche tempo, siamo in debito con lei. Se qualcuno di voi avesse problemi con la sua presenza a bordo può rivolgersi a me, ma non tollererò alcuna mancanza del rispetto che si deve a chi vi ha salvato la vita. È tutto chiaro?»

Il primo a rispondere fu Hearthstone, che annuì con forza e rivolse un saluto ad Alex. Lei rispose con un cenno.

«Grazie, mastro Hearthstone» disse Magnus. «E per gli altri?». Il suo sguardo corse su tutta la ciurma.

«Tutto chiaro, Capitano!» esclamò TJ.

Il suo grido fu accompagnato da qualche "Sì, Capitano" più o meno incerto, ma Magnus si accontentò. Non poteva pretendere che non avessero qualche dubbio, almeno all'inizio.

«Allora possiamo partire» disse. «Tutti ai posti di manovra, la festa è finita!».

I marinai si dispersero e Magnus prese la bussola dalla tasca. L'ago aveva smesso di girare impazzito e puntava sicuro verso l'orizzonte. Erano fuori dal cerchio, finalmente.

Il capitano alzò lo sguardo sulla sirena appoggiata al parapetto che fissava gli scogli, forse chiedendosi se li avrebbe mai più rivisti.

Era ora di onorare la sua parte del patto. Doveva trovare un pirata, e sapeva già dove iniziare a cercarlo.

«Spiegare le vele!» gridò. «Mastro Gunderson, fate rotta per Tortuga!».

Si avvicinò ad Alex. «Sono felice che non mi abbiate ingannato»

«Rivoglio l'oggetto che mi è stato rubato» rispose lei senza staccare gli occhi dall'anello di scogli che si allontanava. «Quando il mio clan scoprirà che vi ho fatto scappare e sono sparita, si infurieranno».

Magnus si rigirò la bussola tra le mani. «Cosa vi hanno rubato?» chiese.

Non erano affari suoi, ma non poteva negare di essere intrigato. Cosa poteva mai essere tanto importante da convincere una persona - o un pesce - a tradire la propria famiglia?

Alex spostò lo sguardo su di lui. «Un medaglione. Era di mia madre, l'ultima cosa che mi ha lasciato. So che sembra sciocco»

«Non sembra affatto sciocco». Magnus le tese la mano e mostrò un anello d'argento sottile e lavorato al medio. «Questo era di mia madre, lo portava appeso al collo perché per lei era troppo largo. Me lo ha lasciato quando è morta, e dopo sono partito in mare e non sono più tornato indietro»

«E vostro padre?».

Magnus scosse la testa. «Non l'ho mai conosciuto. Sono un figlio illegittimo, un disonore. Mia madre aveva dei fratelli, ma uno aveva già una figlia di cui occuparsi e l'altro non aveva la minima intenzione di badare a un bastardo, così mi sono ritrovato solo».

Alex si morse il labbro inferiore. I denti affilati lacerarono la pelle e un rivolo di sangue le colò sul mento. Lo pulì con il dorso della mano. «È una storia molto triste».

Magnus scrollò le spalle. «Si fa il callo anche a questo. E non è tutto. Un anno dopo la mia partenza, mia cugina scappò di casa per sposare un pirata»

«Ora mi prendete in giro»

«Vi assicuro che non sto mentendo. È l'unica parente con cui sono ancora in contatto. Vi dice niente il nome Percy Jackson?».

Alex fece un verso di sorpresa. «Il capitano dell'Argo II? Il popolo del mare non fa che parlare di lui, pare che sia figlio di Poseidone in persona e il mare risponda ai suoi comandi»

«Lo so, conosco a memoria quello che si dice di lui. Comunque non è più il capitano, dopo il matrimonio è subentrata mia cugina Annabeth al comando, quel tizio ora è il suo primo ufficiale»

«Intuisco che Jackson non rientri nelle vostre simpatie». Alex aggrottò le sopracciglia con fare scherzoso.

Il capitano sogghignò. «Non lo conosco di persona, e non penso male di un uomo per ciò che è, ma non amo molto quelli avvolti da leggende inverosimili come l'essere figlio di un dio estinto»

«Non sapevo che foste uno scettico». La ragazza piegò la testa di lato, incuriosita.

«Mi faccio un vanto del non credere alle favole, preferisco il reale al fantastico».

Alex scoppiò in una risata fragorosa e cristallina. «Osate rinnegare l'esistenza del fantastico davanti a una sirena?».

Anche Magnus rise. «Miss, se avete intenzione di restare a bordo farete meglio a imparare una cosa su di me: potrei trovarmi al cospetto di Odino o sul ponte del Bifrost e comunque mi professerei ateo»

«Le vostre credenze sono così ben radicate?». La risata della sirena si spense gradualmente, lasciandosi dietro un colpo di tosse.

«È piuttosto facile radicare le proprie credenze quando non si crede in nulla» disse Magnus.

Per qualche minuto rimasero entrambi a guardare il mare.

Poi Magnus ruppe il silenzio: «E la vostra famiglia? Qual è la vostra storia?».

Passò un lungo istante in cui Alex non staccò gli occhi dall'orizzonte, stringendo il parapetto tra le dita. «Non intendo parlarne» disse infine.

Magnus fece un cenno di assenso con il capo. «Chiedo scusa, non ve lo chiederò più». Dopo qualche secondo si schiarì la voce per riempire il silenzio teso. «Avete detto che il vostro medaglione è stato rubato da un pirata» disse poi per cambiare argomento. 

Alex annuì. «Sì. E anticiperò la vostra prossima domanda: sì, so con certezza chi sia quel pirata. Ma devo avvertirvi che quando ve lo dirò desidererete non avermi mai offerto aiuto»

«Ho dato la mia parola. Ditemi di chi si tratta».

Alex esitò. Magnus, vedendola, iniziava a temere che accettare quel dannato accordo fosse stata una pessima idea.

Quando infine Alex parlò, suoi sospetti si rivelarono fondati.

«Il capitano Loki, della Naglfar».

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