Piccoli semi

di hikaru83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Re delle fate ***
Capitolo 2: *** Ombra e luce ***
Capitolo 3: *** Grigio ***
Capitolo 4: *** Sei tu ***
Capitolo 5: *** Rinascita ***
Capitolo 6: *** Testardo ***
Capitolo 7: *** Semplicemente John ***
Capitolo 8: *** Punto fermo ***
Capitolo 9: *** Ombre ***
Capitolo 10: *** Ti ho visto morire troppe volte ***
Capitolo 11: *** Estate ***
Capitolo 12: *** Un giorno d'estate ***



Capitolo 1
*** Il Re delle fate ***


Sono qui sempre per una challenge del gruppo Aspettando Sherlock 5 link: https://www.facebook.com/groups/366635016782488/
 26 prompts challenge - Sherlock Edition : prompt 1/26 giuro che prima o poi pubblicherò qualcosa non di una challenge... giurin giurello... ma non è questo il caso LOL

Il primo prompt della challenge è: #sbornia

ṣbòr·nia/
fam.
sostantivo femminile
1.Grossa ubriacatura, sbronza: si è preso una bella s.
fig. Smaltire la sbornia, lasciare che passi
2. Lieve e momentanea infatuazione amorosa.

Io ho scelto di interpretare la prima definizione...poi i personaggi hanno fatto quello che volevano come sempre, ma ok.

Come sempre grazie alla mia stupenda beta Slanif!

Buona lettura.

 
Il re delle fate
 
 
La testa gira, le piccole luci tremano davanti ai miei occhi. Sono sbronzo, è evidente. Non dovevo bere così tanto, ma al diavolo;  non è che uno si diplomi tutti i giorni.

Faccio un bel respiro e l’aria calda di questa ormai estate è comunque più fresca di quella rarefatta del locale in cui stavo festeggiando con il resto della mia classe.

Ho lasciato il pub da una decina di minuti e sono talmente sbronzo che mi sono accorto solo ora di aver imboccato la direzione sbagliata per raggiungere casa.

Complimenti a me, davvero.

Per fortuna la recinzione del parco al di là della strada mi fa venire un’idea. Decido di imboccare quella direzione, almeno recupererò il tempo perso e, soprattutto, eviterò di farmi investire. Per come barcollo potrei cadere da un momento all’altro inciampando nella mia ombra e finire giusto davanti alle ruote di una delle macchine che sfrecciano sulla strada.

Attraverso, mentre ringrazio non so quale divinità per non essere stato investito, ed entro nel parco.

Sì, è vero, in teoria il parco a quest’ora è chiuso... Ma questo non è certo un problema per me. Conosco un sacco di punti deboli della recinzione, come quello da cui sono entrato ora spostando uno dei tubi di metallo che non è ancorato a terra come gli altri.

Mi allontano velocemente dalla recinzione – non vorrei che qualche guardia passasse finendo per mettermi nei guai.

Quando però i suoni e le luci della strada spariscono, rallento il passo, infilo le mani in tasca e mi rilasso. Qui mi sento al sicuro. Dovrei essere un po’ spaventato visto che come ho fatto io, altre persone conoscono il modo di entrare, e molto probabilmente non sono tutte persone raccomandabili, però sono rilassato; sarà l’incoscienza della gioventù.

Mi blocco sul posto quando mi accorgo di star cominciando a parlare come mio padre. Una risata spontanea nasce dalle mie labbra. Non riesco a trattenermi, è una cosa stupida ma, forse anche grazie all’alcool che mi circola in corpo, la trovo dannatamente divertente.

Cammino tranquillo, i lampioni con la loro luce giallognola illuminano i vialetti che durante il giorno sono pieni di persone chiassose e che ora sono invece vuoti e silenziosi.

La testa è ancora leggera e mi gira un po’, ma nel complesso il camminare all’aria aperta sembra mi stia aiutando a superare la sbronza. Forse una volta arrivato a casa i miei genitori , se svegli, non si accorgeranno di quanto realmente io abbia bevuto questa sera.

Imbocco un vialetto che mi conduce vicino allo stagno con relativo ponticello. Qui le coppiette stanziano costantemente. Ci sono parecchi posticini molto romantici e molto nascosti dove poter passare magnifici momenti senza essere notati. Quanto adoro questo parco!

Costeggio lo stagno fino ad arrivare al ponte. Superato questo, in meno di cinque minuti sarò arrivato praticamente di fronte a casa. Sollevo lo sguardo e osservo il cielo nero e le stelle, almeno quelle che le luci elettriche permettono di vedere.

Riporto lo sguardo davanti a me e il cuore all’improvviso fa un balzo nel petto. Proprio a metà del ponte, dove sono sicuro che fino a pochi istanti fa non c’era nessuno, c’è un ragazzo. Deve avere circa la mia età, è alto, molto magro, con la pelle chiarissima e i capelli mossi e neri. Mi sta osservando senza muovere un muscolo. Deglutisco e mi do dello stupido. Sapevo che potevo incontrare qualcuno, e non mi sembra un tipo pericoloso. È più alto di me, certo, ma se serve sono sicuro che con una spallata riuscirei a sbatterlo per terra e a correre via come una scheggia.

Mi riscuoto e obbligo il mio corpo a muoversi. Mentre mi avvicino noto quanto questo ragazzo sconosciuto sia affascinante. Non devo neanche avvicinarmi troppo per vedere che ha degli occhi di un colore indescrivibile, la pelle lattea e delle labbra piene.

«Ciao!» gli dico. Non lo conosco ma per quanto ne so è buona educazione salutare le persone.

Lui mi osserva stupito e mi fa un cenno con il capo.

«Sei davvero di molte parole...» non posso fare a meno di dire. Ma che mi succede? Perché non ho semplicemente superato questo tizio dopo averlo salutato per educazione?

Lui mi osserva come se mi stesse studiando.

«Fammi un piacere: dimmi qualcosa o crederò di star parlando con il principe delle fate.»

«Era il Re delle fate.» Una voce molto più profonda di quella che mi aspettavo mi fa sussultare.

«Come, scusa?» chiedo, ancora sorpreso che non sia una visione questo ragazzo tanto bello.

«Stavi citando sogno di una notte di mezza estate. Non esiste il principe delle fate, ma il Re.»

«Oberon. Sì lo so, ma... Lascia stare. L’importante e che non sei una visione.»

«Davvero credi in cose del genere?» Mi osserva e non posso non notare il sorrisino di scherno che è nato sulle sue labbra. Dovrei sentirmi offeso, ma stranamente non riesco a prendermela con lui.

«Dopo i litri d’alcool che ho ingurgitato, crederei anche in un Governo Ombra che ci controlla  giorno e notte,» ridacchio.

«Quello esiste,» mi dice serio.

«Cos...?» Mi sta prendendo in giro?

«Il Governo Ombra esiste.» ripete.

«Ah, sì?» Mi sento uno scemo e forse lo sono davvero.

«Certo! Mio fratello ne fa parte.»

Scoppio a ridere. Questo strano ragazzo è davvero esilarante.

«Non capisco cosa ci sia da ridere, è la verità, e se ci pensi non è molto rassicurante come cosa.»

«Beh, dipende.» Questa conversazione è quasi più assurda della situazione.

«Da cosa?» Sembra davvero interessato.

«Fra due settimane entro nell’esercito. L’idea che qualcuno da casa mi possa controllare sempre anche quando sono nei guai non è poi così male. Insomma, saprei di essere protetto,» rivelo sorprendendo me stesso. A malapena ho detto questa mia idea a mia sorella! I miei genitori ancora non lo sanno e non credo la prenderanno benissimo, ma è davvero l’unica prospettiva che mi si riserva se non voglio finire a fare il fattorino da qualche parte per chissà quanto tempo.

«Perché entri nell’esercito?» chiede. Sembra interessato sul serio.

«Voglio fare il medico, ma l’università non posso permettermela, così paga l’esercito e se non ci lascio le penne alla fine ci avrò guadagnato.» Cerco di scherzare, ma in realtà la cosa non è che mi attiri molto.

«Sei coraggioso,» Mi dice. Sembra dannatamente serio.

«Naaaaa! Me la sto facendo sotto. Ma bisogna provarle tutte per realizzare i propri sogni.»

Mi osserva interessato, abbozzo un mezzo sorriso, è davvero carino.

Una lucetta luminosa danza tra noi.

«Ohhh, guarda!» gli dico «Siamo circondati da lucciole!» Intorno a noi volano decine di questi insetti luminosi. «Che spettacolo!» sorrido, davanti al paesaggio che sembra magico.

«Le lucciole sono insetti piuttosto brutti in realtà, se poi analizzassimo il perché...» attacca lui, ma io appoggio la mia mano sulla sua bocca impedendogli di parlare con un gesto impulsivo.  Non voglio che rovini questo momento, anche se non so il perché.

«Scusa, non dovevo farlo, ma goditi lo spettacolo e non analizzare tutto. Ho la sensazione che tu rimugini troppo.» Sposto lentamente le mie dita da quelle labbra morbide.

«E io ho la sensazione che tu non pensi molto alle tue azioni,» mi risponde, ma non sembra avercela con me.

«Colpevole!» dico serio, per poi scoppiare a ridere. Dev’essere l’alcool, per forza, non ci sono altre spiegazioni.

Questa volta mi risponde con un sorriso. E lo trovo ancora più bello.

«Devo andare, ora, o i miei mi tirano il collo quando arrivo a casa.» Mi accorgo solo in quel momento che si sta facendo davvero tardi.

«Credo di dover andare anche io,» Mi risponde.

«Bene, è stato un piacere...»

«Sherlock. È stato un piacere anche per me...»

«John.» Gli rivolgo un sorriso e mi volto verso la fine del ponte. Poi mi blocco e gli dico: «Watson, nel caso in cui tuo fratello voglia tenermi d’occhio.»

«Lo potrei fare direttamente io.» mi dice, e non so perché la cosa mi fa star bene.

«Meglio ancora! Controllato direttamente dal Re delle fate. Chi può dire di avere protezioni così in alto?»

«Sei un tipo strano, John,» mi risponde con un sorriso.

«Lo so, lo so. Ci si vede, Sherlock.»  gli dico. Mi volto alzando un braccio come ultimo saluto. Dopo qualche passo mi volto di nuovo ma non c’è più nessuno sul ponte. Sherlock sembra svanito nel nulla.

Credo proprio di aver bevuto troppo.



In pochi minuti arrivo nel punto in cui c’è un altro passaggio nella recinzione. Esco dal parco, attento che non ci sia nessuno nei paraggi e raggiungo casa.
Entro senza far rumore. Riesco a non svegliare i miei genitori, ma mia sorella esce dalla sua stanza mentre io sto entrando nella mia.

«Divertito?» bisbiglia.

«Sì, direi di sì,» le rispondo.

«Sono contenta.» Si guarda per qualche secondo i piedi nudi e alla fine decide di farmi la domanda che so la terrorizza: «Sei sempre sicuro di volerti arruolare?» I suoi grandi occhi mi osservano spaventati.

«Lo sai, è l’unico modo,» le dico, avvicinandomi e toccandole una spalla.

«Lo so, però...»

L’avvicino a me e l’abbraccio.

«Stai tranquilla, Harry. Sta notte ho incontrato il Re delle fate e mi ha assicurato che mi terrà d’occhio,» le dico sorridendo.

«E questo dovrebbe farmi stare tranquilla? Quanto hai bevuto, John?» Mi guarda, scostandosi un po’ e facendomi un piccolo sorriso.

«Forse un po’ troppo,» le rivelo, aumentando il mio sorriso.

«Credo anch’io. Meglio che tu vada a dormire.» Si stringe un secondo ancora a me e poi si allontana.

«Hai ragione. ‘Notte,» le dico, scompigliandole i capelli.

«’Notte, John,» bisbiglia, poco prima di chiudere la porta della sua stanza.
 


Quando mi infilo a letto sono sfinito. Riesco solo a pensare un’ultima volta al ragazzo che ho incontrato questa notte; sempre che non fosse davvero un’illusione. In fondo era davvero troppo bello per essere vero.

«Buonanotte, Sherlock, ovunque tu sia,» riesco a bisbigliare prima che il sonno prenda il sopravvento.

Sono certo di aver visto delle lucciole fuori dalla finestra della mia stanza. chissà, forse sono già sotto la protezione del Re delle fate...
 
 

Fine



Note: so che è strano che Sherlock tenga nel suo cervello un'informazione così "inutile" come un'opera di Shakespeare, ma voi concedetemelo ^_____^

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Capitolo 2
*** Ombra e luce ***


Eccomi per il secondo prompt della challenge del gruppo Aspettando Sherlock 5 link: https://www.facebook.com/groups/366635016782488/    26 prompts challenge - Sherlock Edition : prompt 2/26

Il secondo prompt è: #SensoDiColpa

1. In psicologia il senso di colpa è un sentimento umano che, collegato alla colpa, intesa come il risultato di un'azione o di un'omissione che identifica chi è colpevole, reale o presunto, di trasgressioni a regole morali, religiose o giuridiche, si manifesta a chi lo prova come una riprovazione verso sé stessi.
2. un doloroso sentimento di disistima di sé, accompagnato solitamente da un sentimento empatico verso una persona sofferente, combinato con la coscienza di essere la causa di quella sofferenza
 
Buona lettura!






Ombra e luce
 
 
Ti ho guardato mentre tentavi di distruggerti, droga dopo droga, dopo che avevi perso il tuo equilibrio. Ti ho sempre ritrovato, riportandoti a casa e rimettendoti in sesto, per poi abbandonarti ancora.

Ti ho distrutto colpendoti ripetutamente, non fisicamente – non è questo il modo di distruggerti – ma moralmente, eliminando ogni appiglio a cui potevi attaccarti, convincendoti di essere solo, di non meritare nessuno, di dovertela cavare con le tue sole forze, cancellando così i sentimenti, quella peculiarità dell’animo umano che serve solo ad annebbiare la mente.

Sono arrivato al punto di farmi odiare da te.

L’ho fatto e, anche se ogni tuo sguardo tagliente mi colpisce a morte, lo rifarei ancora perché questo ti ha permesso di diventare forte, abbastanza da sopportare il peso del nostro passato il cui ritorno ti avrebbe travolto. Perché il passato torna sempre, per quanto noi cerchiamo di tenerlo a bada. Di rilegarlo in un non-luogo, dove non può ferirci. Quello torna comunque, fottendosene del fatto che siamo o meno pronti ad affrontarlo.

Il senso di colpa è un sentimento strano. Totalmente illogico, ma del resto è un sentimento. Sapere che quello che ho fatto è l’unico modo che avevo per fare il fratello maggiore non mi impedisce, del tutto irrazionalmente, di provarlo.

Penso a quel bambino, vestito da pirata che rideva, si sbellicava e non smetteva mai di farmi domande. Che mi seguiva ovunque, standomi appiccicato, una “petulante zecca”, come ti chiamavo ridendo e prendendoti in giro. Penso a quel bambino e mi sento in colpa. Perché quel bambino è come se fossi stato io a ucciderlo, con queste mie mani.

Mi sento in colpa per tutte le ferite che la tua anima ha subìto per causa mia. Credo  – anzi, sono certo – che se fossi stato un fratello migliore non ne saresti uscito così duramente provato.

L’unica mia scelta che riesce minimamente a lenire questo senso opprimente è aver riconosciuto in lui un’anima affine alla tua, e bisogna ammettere che per essere uno senza cuore, essere in grado di riconoscere il collegamento tra le vostre due anime è stata una grande cosa.

«Mr. Governo Ombra?» La voce di Greg alle mie spalle mi fa sussultare. Le sue braccia si avvolgono attorno al mio corpo, il mento si appoggia alla mia spalla. Io continuo a guardare il paesaggio fuori dalla finestra, continuo a guardare te e lui seduti sull’erba – è riuscito a farti sedere sull’erba; questo sì che è un miracolo! – spalla a spalla quasi a sorreggervi a vicenda.

«Greg.»

«Devi smetterla, Myc. Smettila di guardarlo e pensare al passato. Senza di te non sarebbe sopravvissuto fino a oggi.»

«Non sai com’era lui... Era il bambino più allegro del mondo e io... Io l’ho ucciso.»

«A me pare sia abbastanza vivo.»

«Sai cosa voglio dire. Rideva sempre, Greg. Sempre!»

«E adesso sta imparando a farlo ancora,» dice testardo. Ed è vero, stai ridendo ora. Con lui.

«È solo merito del dottore.»

«E sentiamo, Mr. Non-Ho-Sentimenti, chi è che ha affidato il suo fratellino a John?»

«Solo fortuna.»

«La fortuna è come il caso, e come mi hai insegnato tu, raramente il cosmo è tanto pigro.»

«Mi frequenti troppo.»

«Per me non abbastanza.»

Non riesco a smettere di pensare al dolore a cui ti ho sottoposto, che cazzo di fratello sono?

La presa di Greg si allenta solo per spostare le sue mani sulle mie spalle e obbligarmi a voltarmi verso di lui. Mi scruta senza parlare e ho paura di quello che i suoi occhi possano vedere nei miei. Ho paura che riesca a vedere me, che capisca che razza di mostro io sia in realtà e che se ne vada. Perché solo un mostro può fare quello che ho fatto e dovrei volere Greg lontano da me per saperlo al sicuro, ma sono egoista e non voglio.

«Non so come fare con te, Mycroft, non lo so davvero.»

«Greg, sono un mostro. Fossi in te me ne andrei in fretta. Posso solo ferirti.»

«Non costringermi a prendere a pugni il tuo bel viso, Myc. Non costringermi proprio.» Le sue mani, in contrasto con la frase appena detta, accarezzano il mio volto con delicatezza.

Abbasso gli occhi a fissare le mie scarpe. Come posso affrontare lo sguardo puro di Greg quando ho bene in mente quello che ho fatto a te?

Proprio per questo non mi rendo conto di nulla fino a quando le sue braccia non mi stringono forte.

«Smettila di sentirti in colpa, Mycroft. Tu non hai colpa. Tu sei l’unico che l’ha tenuto al sicuro, l’unico che l’ha sempre protetto, anche se il suo odio ti ha quasi ucciso.» Ogni sua parola sussurrata al mio orecchio vibra nella mia mente, nel mio corpo, sento le mie mani artigliarsi alla sua schiena. Il suo abbraccio diventa sempre più stretto, come avesse paura che possa sgretolarmi davanti a lui. «Amore, non sei solo.» Le lacrime bagnano la sua camicia, le mie lacrime. Mi sembra assurdo ma sto piangendo. Io che non credevo di saperlo neanche fare, sto piangendo. «Ci sono io con te, ci sarò sempre io qui con te.»

Non credo che potrò mai perdonarmi per il dolore che ti ho dato, Sherlock; ma forse, come tu stai riuscendo a tornare in vita grazie a John, io riuscirò a sopportare il peso della mia colpa grazie a quest’uomo che ha visto il mostro in me e non è scappato.

Forse entrambi abbiamo trovato la luce nelle nostre ombre.
 
 


Fine



Note: come sempre grazie alla mia superbeta! Spero che vi sia piaciuta, alla prossima settimana.

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Capitolo 3
*** Grigio ***


Sono tornata per il terzo prompt della challenge del gruppo Aspettando Sherlock 5 link: https://www.facebook.com/groups/366635016782488/ 26 prompts challenge - Sherlock Edition : prompt 3/26

Chi mi conosce sa che non scrivo cose tristi, di solito, ma qui non mi stanno aiutando a fare cose super allegre, spero che, anche se l'angst è un terreno pseudo nuovo per me, sia abbastanza credibile.

Come sempre non lo leggereste in italiano se non fosse per la mia super beta Slanif!

Buona lettura!

26 prompts challenge - Sherlock Edition : prompt 3/26
#LACRIME
Scadenza prompt: 16/6/2018
1. (spec. pl.) Goccia di umore acquoso secreto dalle ghiandole lacrimali per lubrificare la cornea; scende dagli occhi in seguito a forte dolore fisico, emozioni violente o irritazioni; estens. pianto, patimento: lacrime di dolore, di gioia; frenare, trattenere le l.
2.l. di coccodrillo, di chi mostra pentimento tardivo e spesso poco sincero per il male commesso
 


 

Grigio
 

Guardo il cielo.

Grigio, proprio come quel maledetto giorno.

Osservo la strada sotto di me. L’ultimo paesaggio che i tuoi occhi hanno guardato.

Il grigio, nelle sue innumerevoli sfumature, mi circonda. Il cielo, la strada, gli edifici, anche la gente che cammina frettolosamente sotto di me sembra grigia. Tante formiche che non hanno il tempo di guardarsi intorno per rendersi conto dell’uomo, in piedi sopra questo cornicione, che li osserva da tempo. Troppo occupati dalla loro vita per vedermi.

Sono giorni che salgo qui sopra. Aver studiato per tanto tempo in questo luogo mi ha permesso di muovermi in maniera così sicura da risultare invisibile agli occhi della gente. Questo me l’hai insegnato tu: non importa tanto il travestimento, quello è secondario, è il modo in cui ti poni di fronte a chi vuoi ingannare a essere importante. E questo vale di più se bisogna ingannare più persone. Se vuoi sparire ed essere invisibile ai loro occhi è importante che ti comporti come loro, che diventi una formica come loro e ti lasci trasportare nella giusta direzione. Nessuno farà più caso a te.

Oggi però non rimarrò fermo a osservare. Il dolore ha superato il livello di sopportazione, e lo ha fatto da troppo tempo. Sono un soldato, sono stato addestrato a sopportare il dolore, ne ho visto tanto, sentito tanto, mi ci sono circondato; ma mai ho provato una sofferenza come questa. Come se una bestia mi stesse crescendo dentro. Come se ogni giorno le sue unghie e i suoi denti strappassero, lacerassero la mia carne, la mia anima. E ogni giorno che passa – al contrario di quello che la gente dice – diventa più forte, più crudele, più assetata di sangue e di angoscia.

Prendo un respiro. Sollevo le spalle, il petto in fuori, lo sguardo dritto davanti a me. La mia ultima posa militare.

Non ho paura. Dopo questo salto non può esserci niente di peggio per me che la mia vita senza di te.

Il mio pensiero va a Greg, a Mycroft e alla signora Hudson che in questo intero anno mi sono stati vicini. Spero davvero che mi perdonino. Ho scritto una lettera per ognuno di loro.

Allargo le braccia, imitandoti. Chiudo gli occhi ricordando i tuoi. Posso quasi sentire le tue braccia sfiorare le mie, il tuo torace accarezzare la mia schiena, come se fossi qui, con me. Come se questo salto lo facessimo insieme.

Forse era questa la fine che dovevamo fare. Perché se me lo avessi chiesto, se mi avessi chiesto di scegliere tra una vita senza di te o la morte con te non avrei avuto alcuna esitazione a scegliere quest’ultima opzione.

Ma tu non mi hai fatto scegliere. Mi hai costretto a una vita dove tu non ci sei. E io questo non lo accetto. Non lo posso accettare.

La mia vita non era niente prima di incontrarti. È diventata degna di essere chiamata vita proprio in questo edificio, dopo che i tuoi meravigliosi occhi hanno incrociato i miei, dopo che la tua voce bassa e sensuale ha raggiunto le mie orecchie la prima volta. E ora, senza di te, è tornata a non essere niente.

Sono pronto. Presto tutto questo strazio sarà finito.

«John!»

Sobbalzo. È la tua voce, questa? No. Non può essere. Come può essere la tua voce? Sorrido di me stesso. Ho davvero così bisogno di te da riuscire a sentire la tua voce anche se non sei più. Anche se è un anno che non la sento più. Ed è così reale, così tua. Non l’ho dimenticata.

«John, ti prego... Non farlo...»

Oh, Sherlock, vuoi salvarmi ancora?

«John, voltati, sono qui. Voltati, arrabbiati, odiami, riempimi di pugni, ma voltati!»

I passi che sento avvicinarsi sono così reali, quasi come la tua voce, ma non può essere...

«John, ti prego...» La tua bellissima voce è rotta dall’angoscia, lo percepisco benissimo. Come può la mia mente riuscire a creare un’illusione simile?

Non posso, non posso voltarmi, non posso illudermi. Se mi voltassi ora e, come sono certo, non ci sarà nessuno dietro di me, l’angoscia sarà ancora più forte. Così – anche se non riuscirò a essere coreografico come te – mi preparo al salto.

Ma non vado molto lontano.

Delle braccia forti e lunghe mi attirano contro il corpo – un corpo vero – dietro di me. Un profumo, il tuo profumo, riempie le mie narici, i miei polmoni. Il mio cuore batte con una velocità che non ricordavo potesse raggiungere.

«John, che cazzo volevi fare? Uccidermi?»

Alzo lo sguardo – nessuno può sapere il coraggio che mi c’è voluto per farlo – e sono i tuoi occhi che vedo. Sono i tuoi, non c’è alcun dubbio. Non esiste nessuno al mondo che possiede degli occhi come i tuoi.

«Tu sei già... morto,» riesco a dire illogicamente; perché anche se la cosa è del tutto irrazionale, tu sei qui, davanti a me, in carne e ossa, vivo. Sei dannatamente vivo.

«No, non lo sono, ma Cristo! Tu ora mi stavi per uccidere.»

Vorrei chiedergli tantissime cose, così tante che non saprei numerarle. Prima fra tutte sarebbe: Come puoi essere vivo?

E lo farò, nessuno mi impedirà di farti il terzo grado, di odiarti, picchiarti, e poi stringerti a me e baciare ogni ferita che ti infliggerò.

Ma ora... Ora non posso. Ora ho solo la forza di stringermi al bavero del tuo cappotto e piangere tutte le lacrime che in questo anno mi sono impedito di versare. Singhiozzi che quasi mi impediscono di respirare, che le tue mani provano a calmare accarezzando la mia schiena. Il tuo corpo che racchiude il mio, seduti su questo pavimento grigio. Le tue lunghe gambe, le tue braccia, e io qui, in questo bozzolo a piangere come non ho mai fatto in tutta la mia vita.

***

Una macchina scura, parcheggiata al lato della strada sotto l’edificio che stava per diventare teatro di un’altra tragedia, aspetta.

Un uomo, abituato a nascondere i sentimenti davanti a tutti osserva il cornicione ora vuoto. Vorrebbe dare l’ordine di partire, ma la sua voce lo tradirà e ne è consapevole. Il cuore batte per la paura appena provata. Se non fosse riuscito ad arrivare in tempo, se non avesse capito cosa il dottore stava progettando di fare, non se lo sarebbe mai perdonato. Né per John, né per
Sherlock.

Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo al fratello. Non avrebbe mai sopportato l’odio nei suoi occhi. Proteggere John era stata l’unica cosa che Sherlock gli aveva chiesto: «Proteggilo e farò quello che devo.»

E quante volte, guardandolo in questi mesi, vedendo quanto il dolore lo stesse spezzando, si era chiesto se la scelta di non rivelargli la verità fosse stata la migliore? Per la prima volta aveva avuto incertezze e aveva desiderato mandare tutto a puttane e raccontare a John la verità.

E se in quello era riuscito a trattenersi, quando lo aveva visto per la prima volta avvicinarsi a quel tetto, aveva capito che non c’era tempo da perdere. La missione era importante, il mondo intero rischiava se non fosse andato tutto come doveva, ma Sherlock rischiava molto di più. Quindi era andato a prenderlo di persona, lui che non si sarebbe mosso neanche per la regina se non glielo avessero ordinato.

«Capo? Andiamo?» Althea, la sua fida assistente, siede composta accanto a lui. L’unica donna che riesce a capirlo, almeno in parte. Basta infatti un suo singolo cenno e la voce di Althea darà l’ordine di partire.

«Andiamo,» ordina all’autista.

Quindi la lussuosa macchina scura si mette in moto e si perde nel traffico.


Intanto sul tetto le lacrime di due uomini, stretti in un abbraccio che sembra non possa essere più separato, si mescolano alla pioggia.
 
 


Fine



Note: Spero davvero che anche questa vi sia piaciuta, ci vediamo fra una settimana circa con il quarto prompt. Grazie a tutti quelli che sono passati di qui  ^*^

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Capitolo 4
*** Sei tu ***


Per voi ecco il quarto prompt della challenge del gruppo Aspettando Sherlock 5 link: https://www.facebook.com/groups/366635016782488/ 26

Prompts challenge - Sherlock Edition : prompt 4/26
#FUTURO
Scadenza prompt: 25/6/2018

1. Che avverrà in seguito, che sarà in avvenire: la vita futura; i futuri anni, mesi, giorni; il tempo futuro.
2. Una declinazione dell'essere. Ancora non esiste perché, lungo la sicura linea del tempo, ci sta davanti - un davanti che però non si vede, che da seduto, qui, non posso indicare: si sviluppa attimo per attimo da una dimensione informe, enorme di promesse o di minacce.
 
 
 

Sei Tu
 
 
Ho sempre evitato di pensare al futuro.

Quando ero ragazzino ero troppo impegnato a pensare al presente, a correre come un matto da una parte all’altra nelle
stradine sassose del mio paese combinando un guaio dopo l’altro e facendo impazzire i miei genitori.

Quante litigate al liceo quando cercavano di tenermi buono sui libri! “Devi studiare, pensare al tuo futuro! Non ci saremo per sempre. Prima o poi dovrai cavartela da solo; tu e tua sorella dovrete essere indipendenti.” Me lo ripetevano in continuazione, ma io fingevo di non sentire – di non capire. Avevo sedici anni, il futuro che mi interessava era semplicemente quello di riuscire a convincere la ragazza più carina della classe a stare con me.

E sinceramente io, di studiare, non ne avevo proprio voglia. Non prima di aver visto il mondo con i miei occhi. Girarlo, viverlo, annusare il profumo dell’aria dall’altra parte del pianeta, perdermi nelle onde del mare cristallino, raccogliere tutto quello che di bello mi veniva offerto. Solo dopo avrei messo il naso sui libri.

Volevo essere un avventuriero, un moderno pirata. Se solo provavo a pensare al futuro mi vedevo semplicemente in viaggio, ogni volta con un panorama diverso intorno a me.

Poi il mondo l’ho visto, è vero, ma non certo come lo sognavo io.

Dopo la morte di mamma non riuscivo più a stare a casa. Mi dava fastidio ogni cosa che vedevo, ogni cosa che mi ricordava lei. Così, quasi senza sapere come, avevo deciso di arruolarmi. Non ho mai capito se papà era d’accordo con la mia scelta, o se avrebbe preferito rimanessi a casa, ma non mi ha ostacolato.

Nell’esercito ho scoperto che studiare alla fine non era tanto male, e ho fatto i test per la facoltà di medicina. Forse fu uno scherzo del destino, forse un modo strano di mamma di aiutarmi da lassù, chi lo sa, ma la domanda che mi fece passare il test fu quella sulla malattia che ce l’aveva portata via in pochi mesi. E di quella malattia sapevo ogni cosa, oramai. Ogni minimo dettaglio.

Comunque, una volta che sei nell’esercito e ti mandano in missione, al futuro non ci pensi più. Il futuro fa paura. Perché sai bene che il futuro potrebbe non arrivare. Concentrarsi sul presente è l’unica cosa che aiuta a rimanere sano di mente.

Ho passato quasi vent’anni nell’esercito, poi un ordigno esploso troppo vicino per non ferirmi ma non abbastanza da uccidermi, mi ha permesso di venire congedato con onore.

Così all’improvviso mi sono ritrovato a vivere una vita come un civile. E non avevo la più pallida idea di come si vivesse in questa nuova realtà.

Il futuro era semplicemente un’idea nebulosa, un cercare di trascinarmi giorno dopo giorno.

E quando mi ero convinto che la mia vita sarebbe rimasta una patetica esistenza, ho incontrato per la prima volta i tuoi occhi.

La vita è tornata a scorrere in me, prepotente, gioiosa. Ero vivo, davvero vivo dopo tanto di quel tempo che non sapevo dire quando lo ero stato l’ultima volta.

Con te ho passato i momenti più felici che un uomo possa vivere, così come i periodi più bui. Per ben due volte ho creduto di averti perso, ma sei sempre ritornato da me. Anche se io non volevo capire il perché tu fossi l’unica mia costante, l’unica
persona che volevo accanto.

È mio amico, mi ripetevo, il mio migliore amico. Ma non era così, in realtà. Non eri un amico, non eri il mio migliore amico, non sei solo quello. Ci ho davvero messo un sacco di tempo per capirlo, mentre tu... tu probabilmente lo hai capito dal primo istante, che insieme eravamo perfetti.

Forse non sotto una luce romantica della cosa, almeno non all’inizio, visto che «I sentimenti annebbiano il cervello», come ti piace di sovente ricordarmi. Tuttavia lo sapevi che eravamo perfetti insieme. Hai capito e accettato quello che provavi per me molto prima di quanto io solo potessi sospettare che ciò che ci univa era il sentimento più vero e intenso che potessi vivere.

«Sei stato terribilmente lento a capire, John,» mi hai sussurrato dopo il primo bacio che ti ho rubato. Ero così stravolto dall’emozione che ci ho messo qualche istante a capire le tue parole. Subito però ti ho stretto forte e ti ho chiesto scusa, piangendo sul tuo petto.

Dopo, il futuro è diventato qualcosa di bello a cui pensare, da programmare, da modificare man mano.
 

Il futuro lo vedo ogni giorno, quando ti vedo cullare quella che è diventata nostra figlia, quando dopo averle rimboccato le coperte mi prendi per mano e mi conduci al nostro letto. Quando ci stringiamo forte e tutto ha un senso.

«Il mio futuro sei tu,» bisbiglio nella notte mentre accarezzo la tua schiena.

Abbandoni momentaneamente il mio torace e mi guardi con quegli occhi da gatto prima di stringerti ancora di più a me e baciarmi delicatamente con quelle labbra morbide che sanno come farmi dimenticare persino il mio nome.


Se il futuro ha un nome, il mio si chiama Sherlock.
 
 

Fine
 

Note: come sempre un grazie a Slanif per le correzioni, e un grazie a tutte voi che seguite questa mia "avventura" soprattutto a te Pri, che ci sei sempre e non perdi mai occasioni per farmi sentire speciale, e a te Chiara che mi sproni sempre  leggendo in anteprima la ff quando ancora è in elenese antico e riuscendo persino a capirla LOL. Grazie ragazze <3 e alla prossima settimana.

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Capitolo 5
*** Rinascita ***


Ed ecco il quinto prompt della challenge del gruppo Aspettando Sherlock 5 link: https://www.facebook.com/groups/366635016782488/ 26


26 prompts challenge - Sherlock Edition : prompt 5/26
#INIEZIONE
Scadenza prompt: 03/7/2018
iniezione
i·nie·zió·ne/
sostantivo femminile
1.
L'introduzione con opportuno strumento di medicamenti nelle cavità, tessuti o vasi del corpo.
2.
In varie tecnologie, immissione di sostanze fluide sotto pressione in un ambiente chiuso.

 




Rinascita


 

L’ago lacera la mia pelle. Non riesco a ricordare cosa mi sono iniettato questa volta. Doveva essere roba piuttosto forte, visto che non so neanche dove mi trovi. Speriamo che mio fratello trovi la lista anche questa volta, o forse l’ha già trovata visto il rumore dei macchinari ospedalieri che mi fa capire almeno dove sono. Quel bip costante che rovina il silenzio di questo
luogo.

Non so da quanto sono qui, non ricordo bene cos’è successo.

Cerco di riportare gli ultimi ricordi alla mente.

Eravamo in obitorio con quel mostro, e poi... Non so. È confuso. Ricordo il sapore del sangue, gli occhi di John. E quell’uomo che rideva, rideva. Quella risata mi ha completamente fatto perdere la pazienza.

So solo questo.

Gli occhi di John, Dio come mi erano mancati! Anche se ora mi guardano con astio, preferisco questo che essere ignorato da lui.

Odiami, John, se non riesci ad amarmi. Odiami e donami tutto il tuo odio, lo custodirò io, ma non ignorarmi più. La tua mancanza è qualcosa a cui non posso sopravvivere. È il veleno peggiore di tutti quelli con cui mi sono avvelenato in questi anni.

Di tutti quelli che mi sono iniettato in queste poche settimane dalla morte di Mary.

Sento il rumore di qualcosa che si apre, non sembra però la porta. Un ometto basso e tarchiato si avvicina. I capelli sottili, radi, di un colore slavato, gli occhi tondi e sporgenti, il naso piccolo, i denti storti, il doppio mento. Indossa già i guanti in lattice. Difficile non capire le sue intenzioni. Non esiste nulla in questo uomo che non mi disgusti. Il fatto poi che sia un serial killer maniaco senza scrupoli, lo rende davvero il peggiore dei mostri possibile. E io di serial killer e persone disgustose me ne intendo, perché ne ho conosciute parecchie.

Ma sono troppo stanco... Il mio corpo ha bisogno di riposo e lui non farà nulla finché non sono cosciente; gli toglierei tutto il divertimento.

 
***
 

Quando riapro gli occhi, lo vedo seduto sulla poltroncina a osservarmi e attendere il mio risveglio.

«Finalmente ti sei svegliato. Ti ho osservato. È stato bello, in fondo. Fai con calma, va tutto bene. Non c’è fretta.» Non vede l’ora di iniziare, lo so. «Sei Sherlock Holmes.» È come se dicesse: “Ho aspettato a ucciderti perché sei Sherlock Holmes.
Devo godermi la tua sconfitta fino in fondo.”

«Come... è entrato?» chiedo.

«Col poliziotto sulla porta? Avanti, non lo indovini?» Il modo in cui gongola è disgustoso, come tutto il resto.

«Una porta segreta.» Lo stronzo ha costruito quest’ala solo per le sue vittime. Passaggi nascosti e planimetrie segrete. Non
solo è uno psicopatico, ma i suoi soldi gli hanno permesso di costruire il suo parco giochi personale dietro la facciata di
filantropo. Che schifo!

Continua a vantarsi della sua grande idea e di come ha fatto in modo di creare la scena del crimine perfetta, fino ad arrivare alla domanda che probabilmente gli interessa di più: «Voglio farti una domanda: perché sei qui? Sei entrato nella mia tana e ti
sei sdraiato davanti a me. Perché?»

«Lo sa perché sono qui,» dico con voce roca. La gola brucia terribilmente.

«Vorrei sentirtelo dire. Dimmelo, ti prego.»

«Voglio che lei mi uccida.» ammetto con un filo di voce.

Nel mio cuore spero davvero che colui che mi ha già salvato innumerevoli volte riesca a farlo anche questa. E se non lo farà, significa solo che per lui non valgo più la pena di essere salvato. Tanto meglio morire, allora.

«Se aumenta il dosaggio di quattro o cinque volte, lo shock tossico che ne seguirà mi spegnerà entro un’ora.» Devo persino suggerirgli cosa fare. È anche un pessimo serial killer. Se non fosse stato per i suoi soldi, lo avrebbe scovato persino Anderson, e senza aiuti.

«Rimetterò a posto i dosaggi. Tutti penseranno a un guasto o che... tu abbia solo tirato le cuoia.» Ridacchia soddisfatto.
Perché ogni volta che tolgo di mezzo una mela marcia, al suo posto ne arriva un’altra ancora più disgustosa?

«Sì,» rispondo soltanto. Che altro dovrei dire? Mi viene la nausea solo al pensiero di star respirando la stessa aria di questo individuo, e non c’entrano proprio nulla le droghe di cui il mio corpo è imbottito.

«Sei bravo, lo sai?» Si toglie la giacca come se si stesse mettendo al lavoro. La appoggia sullo schienale della sedia prima di riprendere a parlare con quella voce odiosa: «Prima di iniziare, dimmi come ti senti.» Si sbottona le maniche della camicia e inizia ad arrotolarle.

«Sono... spaventato,» ammetto con un sussurro sofferto. Certo che mi sono rovinato per bene... Anche a parlare faccio fatica; ogni parola è un supplizio.

«Un po’ più specifico.» Godi nella paura delle tue vittime, eh, bastardo? «Deve venire bene alla prima.»

«Ho... paura di morire.» Ho più paura di vivere senza di te, John. Che poi: potrei chiamarla vita, quella?

«Ma l’hai voluto tu.»

«Ho le mie ragioni.»

«Ma tu non vuoi veramente morire.»

«No.»

«Bene.» Ora che sa che non mi sta facendo alcun favore, la sua gioia di poter uccidere aumenta, e non riesce a nascondere il sorriso soddisfatto che nasce sulle sue labbra. «Dillo per me. Dillo!» L’ultima parola è un ordine. Questa bestia si eccita sempre più al pensiero di togliere una vita.

«Io non voglio morire.»

«Di nuovo!»

«Io non voglio morire.»

«Ancora, per scaramanzia.»

«Non voglio... morire.» Sono lacrime quelle che sento riempire i miei occhi? Io non voglio morire, è vero. Io voglio vivere, voglio la vita, voglio John. «Non vo... Non voglio morire.»

Si avvicina al mio volto. Respiro il suo alito mentre sorridendo mi dice: «Adorabile.» La sua voce è untuosa, il sorriso soddisfatto. Potrei vomitare in questo momento. Si allontana da me e si avvicina al macchinario che mi sta tenendo in vita e che diventerà l’arma con cui mi ucciderà. «Cominciamo.»

Aumenta il dosaggio come gli ho suggerito. L’ago che mi collega alla flebo. Gli basta solo quello per uccidermi.

Non contento ricomincia a parlarmi: «E dimmi: perché lo stiamo facendo? A che devo questo piacere?»

«Per sentire la sua confessione. E sapere che io avevo ragione.» Oltre che per salvare l’anima dell’unica persona al mondo senza la quale vivere non ha senso.

«Ma perché morire?»

«Nell’obitorio, la sua stanza preferita, lei parla con i morti, fa le sue confessioni ai morti.» Di questo individuo non riesco a capire le ragioni. Ho scoperto il suo lato più oscuro, ma tutti devono avere delle ragioni. «Perché lo fa?» non riesco a non chiedere.

«Perché uccido?» Sembra sorpreso di questa domanda. Gioca con le dita, ancora coperte dai guanti, in un gesto quasi timido. «Non si tratta di odio o di vendetta. Non sono una cattiva persona.» Su questo avrei da dissentire, ma non mi sembra questo il momento per fare le mie rimostranze. «Uccidere essere umani...» Non trattiene una risata. Ma che cazzo di uomo è?
«Mi fa solo sentire... totalmente felice.» E sarei io il sociopatico... «Sai nei... nei film...» continua dopo un attimo di silenzio, alzandosi dalla poltroncina su cui si era seduto aspettando la mia morte. «Quando vedi le persone morte... Fingono di essere morte. Sono solo persone vive per terra. Beh, non è così che appaiono i morti. I morti diventano oggetti. Io amo trasformare le persone in oggetti. Per possederle. E sai una cosa? Sto diventando un po’ impaziente.» Abbassa lo schienale del letto. So che vuole velocizzare il mio omicidio e non posso fare nulla per impedirlo. «Fai un bel respiro, se vuoi,» dice; poi appoggia la mano sulla mia bocca e tappa il naso con l’altra, impedendomi di respirare.

Stronzo bastardo. Provo a liberarmi, ma sono troppo debole per riuscirci.

«L’omicidio è una dipendenza molto difficile da gestire. La gente non capisce quanto lavoro ci voglia. Bisogna essere cauti, ma quando si è ricchi e famosi e... amati, è incredibile quante cose la gente sia portata a ignorare. C’è sempre qualche disperato pronto a svanire. E nessuno sospetta un omicidio se è più facile sospettare qualcos’altro.»
Cristo, è davvero troppo forte... Cerco di non stancarmi troppo per resistere con il poco di ossigeno che ho, ma non so quanto riuscirò a farlo ancora.

«Devo razionare le scorte, scegliere quale cuore fermare.»

Non posso morire per mano di questo essere viscido. John, la mia vita è nelle tue mani!

Lo guardo negli occhi annacquati. Il disgusto per questo individuo è sempre più forte, anche se dovrei essere più spaventato che disgustato, ma una parte di me è certa che John Watson arriverà a salvare questa mia inutile vita.

«Ti prego, ti prego, continua a guardarmi... Continua a guardarmi... Continua a guardarmi...» Non riesce a smettere di chiedermelo. Vedere la vita abbandonare gli occhi delle sue vittime dev’essere quello che gli dà più potere. «Perché voglio vedere il momento in cui accade.»

Non dovrei essere in grado di sentire nulla. I miei sensi dovrebbero oramai avermi abbandonato. Eppure io lo sento. Sento i tuoi passi, John, sono certo che sei tu, sono certo che stai per salvarmi. Posso resistere ancora, posso resistere perché sei qui...

«E il momento è arrivato.»

Lo credi tu. Oramai verme schifoso non hai più scampo.

Un rumore forte di una porta che viene sfondata squarcia la calma glaciale che regna su di noi. Dei passi di qualcuno che corre verso questo letto, rimbombano tra le pareti. Posso sentire la forza con cui lo strappi via da me.

«Che gli stavi facendo?» La tua voce forte e arrabbiata, John; arrabbiata con lui. Direi anche preoccupata. È musica per le mie orecchie. Il sapere – lo sperare – che la preoccupazione che ho sentito sia per me mi dà più forza dell’ossigeno che finalmente i miei polmoni ricevono. «Cosa stava facendo?» ripeti, più forte e più insistente.

«È in difficoltà. Lo stavo aiutando.»

Sei in difficoltà tu, mostro. Lui ti ha visto, ha visto cosa stavi facendo e non crederà a una sola parola che uscirà dalla tua bocca. Anche se non ci fossero prove, John sa e farà di tutto per distruggerti.

«Lo ammanetti subito!» Non so con chi stai parlando, John. Ho troppe cose nel mio cervello da tentare di riordinare. La confessione, le droghe a cui ho sottoposto il mio corpo, la mancanza di ossigeno, la tua mancanza, John. Troppe, troppe cose davvero...

«Stavo cercando di aiutarlo!» È inutile. Puoi dire quello che vuoi, mostro. John è qui per me.

«Sherlock, che cosa voleva fare?» mi domandi. Vuoi sentire la mia versione o la mia voce, John?

«Soffocarmi e farmi andare in overdose...» dico con fatica.

«Di cosa?»

«Salina.»

«Salina?» Eh, John, se non fossi venuto avrei dovuto trovare un modo per salvare la pelle. Una via di scampo. Dopo mi sarei fatto dare una missione suicida da Mycroft, o l’avrei trovata per conto mio, quello è certo. Senza di te non aveva senso continuare. Ma non potevo morire per mano di questo abominio.

«Soluzione salina.» Con fatica alzo la schiena da questo letto.

«Soluzione salina.» Ti avvicini alla flebo per controllare. Non posso non notare il tuo sorrisetto compiaciuto, anche se dura solo per pochi istanti. Sono sempre il solito, eh, John? Sono lo stesso di quando sulla metro ti ho fatto credere che stavamo per morire... Che simpatico bastardo che sono.

«Ovviamente ho fatto cambiare le sacche dall’infermiera Cornish,» dico, mentre sposto lo sguardo sul serial killer psicopatico che ha tentato di uccidermi. Vedi, schifoso essere? Vedi che è meglio trattare bene i propri dipendenti? Così non corri il rischio che ti tradiscano. «È una mia grande fan. Adora il mio blog,» continuo, guardandolo direttamente negli occhi.
Finalmente ecco l’ossigeno di cui ha bisogno il mio cuore.

«Tu stai bene?»

«No, no che non sto bene. Malnutrizione, insufficienza renale e sono fuori di testa da settimane. Che razza di dottore sei?»
Non riesco a non sorridere alla mia ultima frase. Il mio dottore, ecco quello che sei. E tu lo sai bene, oramai. «Ho ottenuto la mia confessione, però.» Mi lascio cadere nuovamente sui cuscini. Stare senza appoggio è decisamente troppo, per me.

«Non ho mai fatto alcuna confessione.» La sicurezza con cui lo dice ingannerebbe parecchia gente.

«Cosa? Cosa?» Eh, sì, John. Oltre a salvarti e contemporaneamente salvarmi, ho pure incastrato questo bastardo.

«Cosa avrei dovuto confessare?»

«Potrà ascoltarla più tardi.»

«Ma non c’è nessuna confessione da ascoltare...» Ecco il tocco da maestro, lo devo ammettere: finta sorpresa come se solo ora si fosse materializzato nella mente un pensiero. Anche se sono esausto non posso perdermi l’istante in cui capirà di essere stato sconfitto. Tutta la sua sicurezza è stata deleteria per lui. Solo che ancora non lo sa. «Oh, signor Holmes, non credo sia rilevante, ma c’erano tre potenziali registratori nelle tasche del suo cappotto. Abbiamo perquisito i suoi averi, mi spiace.»

Lo osservo, con finto stupore, e getto il mio asso.«C’è qualcosa di confortante nel numero tre. Le persone smettono sempre, dopo il tre.»

Il mostro d’improvviso capisce. Eccola la consapevolezza di essere stato fregato.

«Cosa? Che c’è? Cosa?» Tu mi guardi, ancora molto confuso, ma so che ci metterai pochissimo a capire. Credi che non ti consideri intelligente, ma so che non è così. Capisci più di quello che tu stesso ti rendi conto di capire. E infatti mi osservi e:
«Ohhh, che sbruffone!»

Tendo le labbra in un sorriso sbilenco. «Già.»

«Davvero un grande sbruffone.» È una luce orgogliosa quella che vedo nei tuoi occhi?

«Inutile ripeterlo.»

Prendi il bastone che mi avevi lasciato accanto al letto. Dovrei preoccuparmi del fatto che oramai riesci a comprendere i miei piani contorti.

«Allora, come si apre?»

«Svita in cima.»

Lo fai, ed ecco la lucina intermittente del registratore. «Due settimane fa,» affermi, senza neanche chiedermi quando avevo sistemato questo aggeggio.

«Bravo,» gli dico orgoglioso.

«Così prevedibile?»

«No, sono solo uno sbruffone.» Oh no, John, tu sei tutto, ma per me non sei così prevedibile come faccio finta di credere.
 

***
 

Mycroft mi guarda con un misto di rassegnazione, paura e qualcos’altro che non riesco ad associare al glaciale fratello maggiore che ho imparato a conoscere.

«Questa volta sei andato troppo oltre. Se non fosse arrivato in tempo...»

«È John,» affermo. Come se questo da solo bastasse, e per me in effetti basta.

«Davvero non capisco come faccia a sopportarti.» Questo in realtà non lo so neanche io, ma sono contento che lo faccia.
Mio fratello si guarda intorno guardingo.

«Non ci sono droghe in questa stanza, o in questa casa, per quel che vale. Nulla. Completamente nulla.»
John entra nella stanza con il tè. Mycroft lo osserva muoversi e sposta il suo sguardo su di me incatenandolo al mio.

«Mi sono scordato i biscotti. Li ha presi Mrs Hudson e devi mangiare qualcosa, Sherlock. Arrivo subito.» John appoggia teiera e tazze e sparisce in cucina.

«Niente droghe, Sherlock? Forse non convenzionali. Ma del resto, trattandosi di te, questa è la migliore che potessi scegliere,» dice Mycroft con sarcasmo.

John ricompare in sala portando una scatola di biscotti.

«Mhh... biscotti al burro. Non dovrei, ma del resto ogni tanto bisogna pur addolcirsi la giornata. Soprattutto se si ha un fratello con la tendenza ad attirare pazzi omicidi.» Ha uno sguardo così interessato da sembrare un bambino di fronte a una vetrina piena di caramelle.

«Sherlock farà il bravo, ora,» afferma la voce sicura di John. «Ci penso io a farlo rigare dritto.»

Nascondo il sorriso dietro alla tazza fumante.

«Non ne dubito, dottore. Non ne dubito.»
 



Fine




Note: Siamo qui anche questa settimana, come sempre il testo è in italiano grazie alla mia super beta Slanif, ringrazio tutti per seguire queste mie storie e spero che questa storia vi piacerà. Alla prossima settimana.

p.s. se vi pare di aver già sentito il dialogo tra Sherlock e Culverton Smith è perchè è preso paro paro dalla seconda puntata della famigerata quarta stagione. Ovviamente se l'avete vista in italiano, sappiamo bene che spesso le traduzioni non sono esattamente fedeli all'originale quindi se siete brave in inglese e guardate la serie in lingua originale magari non sono proprio le stesse parole, ma va beh si capisce XD

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Capitolo 6
*** Testardo ***


Piccola storia nata grazie a un'immagine trovata da Koa e alla richiesta non troppo velata di Chiara. Quindi la dedico a loro.

Presto (cioè quando torna la mia Beta perchè senza mi sento persa) pubblicherò anche quella per il compleanno di Martin. Non è facile liberarsi di me XD



Testardo

 
 

Abbiamo un esame domani, e invece di studiare sto qui, sdraiato su questo letto in compagnia di Gregory e della sua chitarra.  Semplicemente perché lui ha deciso che dobbiamo rilassarci e smettere di pensare all’esame, perché già sappiamo più del professore. Non riesco a capire perché gli sto dando retta, né di come riesca sempre a spuntarla con me, ma è così.

In realtà ci sono parecchie cose che non riesco a capire di questo strano ragazzo e la cosa invece di infastidirmi mi incuriosisce.
 
***
 

Quando il professore ha deciso che per il progetto d’esame avremmo dovuto dividerci in coppie, per un istante ho provato un senso di panico.

Se c’è una cosa che odio è dover avere a che fare con le persone. La gente è stupida, noiosa e dovere averci a che fare mi fa sempre venire una terribile emicrania.

In più sapevo che per quanto io fossi il migliore del corso – e quindi un voto molto alto assicurato –, nessuno avrebbe mai trovato il coraggio di chiedermi di fare coppia. Del resto, tutti sono coscienti che esigo il massimo – i voti dei miei esami ne sono la prova. Esigo la perfezione dagli altri e ovviamente anche da me stesso, e immagino che metta un po’ in soggezione la mente dei miei compagni di corso i quali si accontentano di un voto mediocre che permetta loro semplicemente di superare l’esame.

Dovevo decidere sul da farsi, avevo pensato che se avessi parlato con il professore avrebbe capito il mio punto di vista e avrebbe fatto un’eccezione. D’altronde, se nessuno voleva stare in coppia con me, non poteva obbligarli né poteva penalizzarmi per questo. Questa mia convinzione mi aveva tranquillizzato fino a quando non avevo percepito uno sguardo su di me.

Quando i miei occhi chiari e freddi incontrarono i suoi occhi castani e caldi rimasi di stucco. Non era la prima volta che capitava, ma era la prima che i nostri sguardi rimanevano incatenati. In genere i suoi amici lo distraevano subito e il contatto svaniva tanto in fretta che potevo credere di averlo solo immaginato.

Non che mi importasse, Gregory Lestrade era uno degli studenti più amati del nostro corso, capitano della squadra di nuoto, con una buona media scolastica, abbastanza piacente – sì, okay, non amo la gente, ma ho gli occhi e sono abbastanza onesto da ammettere che è un bel ragazzo –, nonché molto popolare. Quindi con me – Mr. Icemen – non aveva nulla a che fare.

Ma quella volta non aveva la minima intenzione di abbassare lo sguardo, anzi. Anche i suoi amici non facevano che tentare di avere la sua attenzione, ma lui li ignorava. Del resto anche io non avevo intenzione di abbassarlo. Nessuno può farmi fare una cosa così codarda.

A un certo punto, scese dal banco su cui si era seduto e cominciò ad avvicinarsi fino a raggiungermi. Non credevo volesse davvero venire a parlare con me, non lo faceva mai nessuno, e invece fu proprio quello che fece.

«Mycroft, che ne dici di fare coppia per questo progetto?» Il brusio intorno a noi si zittì, come se tutti nell’aula aspettassero la mia risposta. «Su, non fare quella faccia. Io ho bisogno di un voto alto, tu di un compagno di studi che non ti innervosisca e ti lasci lavorare in pace. Siamo una coppia perfetta!»

«Io non ho bisogno di nessuno. E non ho intenzione di prendere un voto alto. Ho intenzione di prendere il massimo, come sempre.»

«Ok il massimo ci sto. Ma proprio per questo su una cosa ti sbagli, hai bisogno di qualcuno il prof non ti farà fare il progetto da solo, e se te lo farà fare non ti darà mai il massimo come voto perché uno dei punti fondamentali è il lavoro di squadra e per quanto tu e la tua forte personalità possiate credere di essere sufficienti non credo che il professore sia d’accordo.»

«E perché dovrei accettare di farlo con te?»

«Su Myc, queste richieste indecenti a quest’ora. Almeno offrimi il pranzo prima, poi ne possiamo parlare.» Rimasi a osservarlo con la bocca spalancata per trenta secondi. A un certo punto lo vidi sorridere e scoppiare a ridere subito dopo.
Avrei dovuto arrabbiarmi, ma stranamente non lo feci. Anzi, la sua risata era talmente coinvolgente che mi ritrovai a sorridere anche io. «Sei uno spasso, Myc. Saremo una squadra formidabile. Ti basta come risposta?» Mi bastava? Beh, visto che avevo annuito e mi aveva dato appuntamento durante la pausa pranzo direi che sì, mi bastava.
 
***
 
«Cos’è, Myc, mi sembri silenzioso. Non ti piace questa musica? L’ho composta io.»

«Ti sono mai sembrato una persona molto loquace?»

Lo sento sghignazzare prima di tornare a suonare. Non devo neanche aprire gli occhi per sapere che sta sorridendo.

«Sono felice di averti chiesto di fare coppia, Myc.»

«Dimmelo domani, quando prenderemo il massimo.»

«Potrebbe anche bocciarmi, per quanto mi interessa. Sono felice per averti potuto conoscere sul serio, non per il voto che
prenderemo.»

«Oddio, non dire mai più quella parola. Bocciare! Che eresia! Non dovresti neanche conoscerla, quella parola.»

«Non capisco, Myc, è davvero così importante?»

«Cosa?»

«Essere il migliore. È davvero l’unica cosa importante, per te?»

«Hai detto che hai potuto conoscermi sul serio. Secondo te è importante per me?» Lo guardo serio, la risposta a questa domanda è così evidente.

«... Sì, anche se non ne capisco il motivo,» mi risponde. Davvero sembra che la cosa sia importante da capire, per lui.

«Il motivo? È semplice: voglio essere uno che sta al comando, non una delle marionette. Il burattinaio, se mi concedi l’espressione; e non posso esserlo se non riesco neanche ad essere il migliore qui.»

Lui ascolta attentamente, poi ci pensa un po’ su, come a cercare le parole adatte.
«Ma non ti senti mai solo, Myc?» domanda infine.

«Solo?» chiedo stupito. Nessuno si è mai preoccupato di sapere se mi sentissi mai solo.

«Sì, solo. Lassù nell’olimpo dei migliori non ti senti solo? Io mi ci sentirei. Preferisco essere semplicemente “Greg”, impegnarmi per raggiungere i miei obiettivi rimanendo comunque sempre semplicemente Greg.» E io ci credo. È evidente che per lui è così. Lui è davvero quello che mostra.

«Beh, “Mycroft” non ha nulla per cui desiderare di rimanere semplicemente Mycroft,» rispondo, il volume della mia voce molto più basso di quanto avrei voluto, sembra quasi un borbottio. Ma Greg mi sente ugualmente, del resto siamo davvero vicini.
Così vicini come non sono mai stato a qualcuno.

«Sarà, ma a me “semplicemente Mycroft” piace un sacco.»  La sua voce è chiara, non esiste menzogna, eppure io non riesco davvero a capire: sta parlando di me?

Strabuzzo gli occhi e lo osservo. Niente mi fa pensare che stia scherzando, o che mi stia prendendo in giro.

Appoggia la sua chitarra sul pavimento e si volta verso di me. «Ascolta, Myc, non so perché tu sia convinto di non valere abbastanza o di non piacere alle persone. Vali più della maggior parte di quelli che conosco, e mi piaci. Sono altresì convinto che se permettessi ad altre persone di conoscerti, piaceresti un sacco anche a loro.» La mia espressione dev’essere abbastanza esplicita perché scoppia a ridere. «Okay, okay... Troppe persone potrebbero darti più fastidio che altro. Beh, meglio per me. Ho meno avversari da battere.»

«Ma di cosa stai parlando, Gregory?» Non è tempo di scherzare ora. Devo capire. Ho bisogno di capire.

«Nessuno mi chiama con il mio nome per intero,» risponde lui, ignorando la mia domanda.

«Nessuno osa storpiare il mio come fai tu. Certo, va anche detto che normalmente a nessuno interessa chiamarmi,» rispondo.
Mi rendo conto che se fosse qualcun altro a chiamarmi in quel modo probabilmente l’avrei fatto smettere da tempo, ma con lui non ci riesco. Non mi viene nemmeno da pensarlo.

«Siamo circondati da idioti, caro Myc.» Un sorriso furbo sulle sue labbra sottili.

«Credi di essere superiore agli altri, signor Lestrade?» gli chiedo, rispondendo involontariamente al suo sorriso.

«Ovvio! Sono qui, sul mio letto, con te. Fidati: non sono per niente idiota come gli altri,» risponde con un’alzata di spalle, come se stesse dicendo la cosa più normale di questo mondo.

«Mi confondi,» rivelo.

«In cosa ti confondo?» chiede dolcemente lui.

Dolcemente... Oddio... Ho creduto che parlasse dolcemente con me. Devo avere la febbre.

«Non capisco cosa tu voglia da me. Avresti superato l’esame anche con qualcun altro. Non avevi bisogno di me; allora perché? E perché mi dici certe cose?» Sono in panico, e non riesco a nasconderlo. Cosa vuoi Greg, perché sento tutto questo marasma in me quando fino a prima di te c’era solo la calma fredda del ghiaccio?

«Mi pareva di avertelo detto poco fa. Mi piaci, Mycroft. A essere sincero, mi sei piaciuto dalla prima lezione che abbiamo frequentato insieme. E ti dirò di più: sono certo che anche io non ti sono indifferente, solo che sei troppo testardo per ammetterlo. Ma non ti preoccupare, capitolerai, mio caro. Prima o poi capitolerai. Tu sei più intelligente, più scaltro, sei più in un sacco di cose. Ma io sono molto più testardo e tenace di quanto tu creda.» Ha un bel sorriso Greg, un sorriso solare e sincero. Ma ora, ora il suo sorriso è differente. Le sue labbra si piegano in un’espressione sensuale che mi manda in pappa il cervello.

«Io ti piaccio?» riesco a chiedere, usando tutto il coraggio che ho.

Il sorriso si trasforma in una risata, una risata dolce, e mi ritrovo stretto in un abbraccio. Non ricordo neanche quanto tempo fa qualcuno mi ha abbracciato l’ultima volta.

«Esatto, mi piaci,» sussurra vicino al mio orecchio. Il suo fiato solletica la pelle sensibile e un formicolio piacevole si spande dall’orecchio fino al cuore. «E sarai mio,» aggiunge. Il formicolio supera il cuore e raggiunge direttamente una parte di me di cui non credevo avrei mai dovuto preoccuparmi mentre ripassavo per un esame. «E ora che ho scoperto le mie carte, Myc, credo possiamo riprendere a studiare... Oppure preferisci riposare un altro po’?»

Studiare sarebbe la soluzione migliore; avrei tempo per capire cosa diamine sta succedendo e sono certo potrei tornare a pensare lucidamente se si staccasse da me. Ma l’idea che sciolga l’abbraccio in cui mi tiene stretto non mi piace per nulla.
Inoltre, ho talmente tanta confusione in testa che non capirei nulla di ciò che andremmo a studiare. Sarebbe una perdita di tempo e io odio perdere di tempo.

Greg aspetta pazientemente la mia decisione, senza però lasciarmi andare.

«Possiamo stare così un altro po’?»

Lo sento sorridere, forse ho detto la cosa giusta. «Per tutto il tempo del mondo, Myc.» Il calore che si espande nel mio petto è qualcosa di nuovo e dannatamente bello.

«Questo non vuol dire che sono capitolato, sono solo stanco.»

«Oh, tranquillo, non avevo minimamente pensato che potessi aver già vinto. Ma questo non vuol dire che non mi godrò il momento, e soprattutto che non passerò il resto della mia vita a provare a farti capitolare definitivamente.»

«Il resto della vita? Non ti sembra di esagerare? Ci frequentiamo solo da qualche settimana ed è successo solo a causa di un esame.»

«Per niente. Sono una persona irremovibile: una volta che prendo una decisione, è quella, e nulla può farmi cambiare idea.»

«Vedremo... Arriverai al punto che non mi sopporterai e cambierai idea in fretta.»

«Dici così perché non mi conosci,» ribatte sicuro.

«Dico così perché conosco me,» rispondo con un sorriso.

«Tu credi di non avere un cuore, vero?» mi chiede sinceramente. Non ha paura di farmi domande, Greg.

«Non è il muscolo che alleno di più,» ammetto.

«Il cuore è un muscolo involontario, Myc. Non puoi controllarlo. E ti dico una cosa, caro il mio Mycroft Holmes: una persona che si lascia abbracciare come fai tu, e che risponde in questo modo, ha solo imparato a stare solo, ma non è destinato a rimanerlo per sempre.» Vorrei ribattere ma mi ferma: «Adesso basta, smettila di sprecare le tue energie per respingere ciò che ti dico. Chiudi gli occhi, rilassati e non pensare a nulla.»

E se anche non vorrei dargliela vinta perché non è nel mio carattere, è talmente bello stare così che per una volta credo che possa fargli credere di aver avuto una piccola vittoria.

Del resto, mi è parso di capire che avrò molto tempo per dimostrare chi dei due ha la testa più dura. Sarà proprio una bella lotta.
 


Fine

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Capitolo 7
*** Semplicemente John ***


Una cosetta nata sul cellulare, in pochi minuti. Un'immagine nella testa, venuta a galla non so perché, e ho dovuto metterla nero su bianco.
Spero vi piaccia.  



 


Semplicemente John
 





Rumore.

Urla nella testa.

Informazioni, miriadi di informazioni.

Esci.

Vai fuori.

No.

Dolore.

Solitudine.

Bugie.

Devi capire, devi scoprire.

Scomporre, analizzare, dedurre, smettere di sentire dolore.

Non lasciarti andare alle emozioni.

Immobile, seduto sul letto, con la testa tra le mani. Curvo su te stesso.

Confusione.

Voglia di farla finita, per trovare almeno un po’ di pace.

Poi un tocco.

Un semplice tocco.

Leggero, sulla schiena, all’altezza del cuore che, per quanto hai sempre nascosto possiedi.

Un semplice tocco, con solo i polpastrelli ti sfiora e tutto si fa calma.

Pace.

Silenzio.

Luce calda.

Un solo nome.

Semplicemente.

“John”



Fine



Note: Praticamente è la versione scritta della fan art “Another lazy doodle” di voodooling su tumblr (di cui ovviamente senza Martina sarei rimasta ignorante in materia 😂 quindi grazie Martina 😘, qui il link perché in altri modi non sono in grado di farvela vedere 🤣 http://voodooling.tumblr.com/post/47113342386/another-lazy-doodle-print-available-here?fbclid=IwAR3sj4wKIYB-xriZGgpxdnPjZCN-aGQSxfXaJEwcGVSCs17SlS_du-R5bO0

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Capitolo 8
*** Punto fermo ***


E rieccomi dopo un bel po' in questa raccolta. Questa breve storia è nata tutta per colpa di Izumi e la nostra chat di Whatapp dove non facciamo altro che peggiorare la nostra seria "malattia" per Martin e non solo. Perchè sclerare in compagnia fa sempre bene.
Buona lettura!





Punto Fermo
 

 
Sherlock pensava spesso. Sempre per la verità.

Il suo cervello non era in grado di non farlo, non poteva non rimuginare, catalogare, capire, creare tesi e antitesi – spesso contemporaneamente, per lo stesso argomento – analizzare fin nel più piccolo dettaglio ogni cosa, ogni persona.

Non riusciva proprio a fermare la sua mente.

Anche quella notte era così. Analizzava la scena accaduta solo poche ore prima, quel bosco, quella figura mostruosa, quel mastino che altro non era che la rappresentazione delle paure che tutti, dentro se stessi avevano, persino lui.

Se si soffermava sulla cosa faticava ad ammetterlo eppure era così. Eppure la sua parte razionale in quel caso lo aveva abbandonato.

Sapeva che quello che aveva visto non poteva essere reale, questo sì. Però... però l’aveva visto.

Con i suoi occhi!

I suoi sensi – proprio i suoi! – quelli su cui faceva affidamento sempre, quelli che erano la sua forza e la sua certezza, lo avevano forviato, ingannato.

E lui, aveva permesso loro di farlo.

Tutti loro l’avevano permesso.

Tutti... no, non proprio tutti.

Uno solo tra loro era rimasto fermo al suo posto. Uno solo tra loro non si era spostato di un millimetro. Uno solo tra loro aveva sparato, senza alcuna esitazione, senza alcuna paura se non quella per i compagni.

La paura non per la sua vita ma per quelli che erano con lui.

John.

John il soldato.

John che gli rimaneva accanto, nonostante tutto.

Lo aveva ingannato, lo aveva drogato – o almeno mentre lo faceva credeva fermamente che era drogato quello che gli stava preparando –  lo aveva usato come cavia, e chissà quante altre cose aveva fatto senza nemmeno accorgersene. Eppure John era lì, con lui, per lui, sempre.

Quella notte davanti a quella visione spaventosa tutti si erano mossi.

Sherlock stesso si era spostato di lato, lui che tra le sue visioni credeva di aver visto anche Moriarty e che ora cercava di capire se quello che avevano davanti fosse un'altra visione o una vera bestia. Questo caso gli aveva tolto la certezza granitica sui propri sensi. Tanto che doveva avere una conferma di ciò che aveva davanti agli occhi prima di agire.

Il giovane Knight aveva cercato riparo dietro a John, persino Lestrade si era avvicinato a lui lasciando andare il dottor Frankland e permettendogli di fuggire, anche se la sua fuga non era certo stata la sua scelta migliore.

John no.

John era rimasto fermo, aveva solo alzato il braccio, preso la mira e sparato.

John era al centro della scena, immobile, un porto sicuro in mezzo alla tempesta.

Ma del resto, non era questo forse, quello che John era sempre?

Tendeva a dimenticarlo Sherlock, a scordare che quell’uomo – quel dottore – risoluto ma gentile, giusto e a volte così ingenuo, era in realtà anche un soldato. Un soldato che, come tutti i soldati in guerra aveva ucciso, e superato cose che la maggior parte della gente non avrebbe mai visto e subìto.  Un uomo che non aveva paura della morte, non sembrava aver paura di nulla se non di non essere abbastanza per proteggerlo.

Perché alla fine tutto si riduceva a quello.

John lo proteggeva da chiunque, anche da quella parte di Sherlock medesimo che lo portava in pericolo spesso.

John che ora, nella notte, si volta nel sonno e lo stringe a se, riportandolo indietro da ogni pensiero, da ogni elucubrazione . John che pareva essere l’unica calma che il suo cervello non solo sopportava ma apprezzava e desiderava.

John, pensò – mentre, con un sorriso, si lasciava accogliere da quell’abbraccio possessivo carico del profumo che era solo suo – che era l’unico punto fermo della sua vita.



Fine


Note: come ho detto è nata tutta per colpa di Izumi e di una gif che mi ha mandato, e che non sono in grado di mettere qui (perchè con ste cose sono terribile) dove si vedeva appunto la scena in cui John spara, al centro della scena e tutti si muovono attorno a lui. Scena presa ovviamente dal secondo episodio della seconda stagione "I mastini di Baskerville"
Spero che la mia interpretazione vi sia piaciuta.

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Capitolo 9
*** Ombre ***



Prompt 4: Sherlock torna a casa e trova John steso sul divano che, con aria assorta, tiene in mano la sua pistola. La fissa, se la rigira tra le mani, la punta in giro, fino a rivolgerla verso se stesso. Sherlock gli si avvicina terrorizzato.

Prima di iniziare ricordate che senza ombre non ci sarebbe luce.





Ombre
 




Sherlock era immobile. Era così da diversi minuti – che a lui parevano ore – perché non sapeva cosa fare. E già questo potrebbe bastare per spiegare la gravità della situazione. Era terrorizzato di muoversi nel modo sbagliato, persino di respirare temendo di fare un rumore che avrebbe fatto fare a John un movimento inconsulto e lo avrebbe portato a premere il grilletto.

Era notte fonda, ma Sherlock aveva avuto un pessimo presentimento e aveva dovuto uscire di casa e raggiungere Watson.

Sperava che le cose, dopo tutto quello che era successo, dopo Eurus, la morte di Mary, quelle accuse che John gli aveva lanciato – e che lui riteneva del tutto insufficienti rispetto a ciò che si meritava – dopo essersi drogato fino a rischiare la vita per salvarlo, dopo tutto quel marasma di emozioni e quell’altalena di sentimenti, si stessero mettendo per il meglio.

Certo, John non era ancora tornato a vivere a Baker Street – come se fosse combattuto, Sherlock immaginava fosse colpa sua e non aveva mai insistito a proposito – ma avevano lavorato insieme a qualche caso, appena tutta la droga che aveva in corpo era stata smaltita e le crisi d’astinenza, grazie a John che mai aveva lasciato il suo fianco, erano state superate. E le cose, anche se non come prima, sembravano funzionare.

Eppure quella notte non era riuscito a togliersi quella sensazione orrenda alla bocca dello stomaco e aveva dovuto raggiungere l’uomo che era diventato il centro del suo universo anche se quest’ultimo non ne aveva la minima idea.

Poi, una volta già in strada, aveva ricevuto il messaggio di Lestrade e la brutta sensazione si era trasformata in terrore.


GL: “Sherlock, John sta bene? Mi ha portato Rosie prima di cena dicendo che doveva fare una cosa per te, ma mi è sembrato strano, non è che si sta ammalando? Non farlo stancare troppo.”


Perché John avrebbe dovuto raccontare un’idiozia simile? Perché non voleva Rosie a casa? Erano solo due delle mille domande che affollavano il cervello del consulente investigativo.

Poteva essere solo per un’avventura – aveva ipotizzato – magari aveva trovato una donna che... No! Sherlock non poteva credere che avesse mollato così la figlia, soprattutto che avesse mentito all’ispettore. Perché era certo che Lestrade non avrebbe avuto niente da ridire se fosse stata una questione di donne.

Ma allora perché John si era comportato in quel modo?

Erano giorni che Sherlock aveva notato qualcosa di diverso, ma non aveva trovato il coraggio di chiedere. Si sentiva ancora così colpevole che non se la sentiva di esporsi troppo, temendo di far soffrire John più di quello che già aveva fatto.

E il risultato di questa sua vigliaccheria era davanti ai suoi occhi.

Dopo essere entrato nella nuova casa di John – che gli aveva affidato le chiavi di scorta prima che tutto si incasinasse come era accaduto e, stranamente, non gliele aveva mai chieste indietro – si era mosso con cautela e l’aveva visto.

Sdraiato sul divano, completamente vestito, la camicia ben stirata, allacciata fino all’ultimo bottone, i pantaloni che lo fasciavano perfettamente, le scarpe annodate ai piedi. Sembrava pronto a uscire. Invece l’unica uscita che pareva avesse intenzione di fare era quella dalle loro vite.

La stanza era al buio, illuminata solo dai lampioni dalla strada che però erano sufficienti per permettere a Sherlock di osservare la scena. La canna metallica della pistola riluceva grazie alle luci esterne, e rispetto alle ombre della casa era sorprendentemente lucente, sembrava quasi viva.

Quella stessa pistola che avevano comprato insieme dopo che quella d’ordinanza di John era finita nel Tamigi, all’epoca de "Lo studio in rosa" .

John se la girava tra le mani, pensieroso. Ogni tanto la puntava verso il muro, di fronte a sé, poi riprendeva a giocarci.

Poi però, con un movimento fluido si sedette sul divano e rivolse la canna verso se stesso. E se Sherlock da prima già respirava a fatica cercando di controllare ogni cosa, in quel momento si era ritrovato a trattenere il fiato.

«Sai Sherlock,» la voce roca e stanca di John era rivolta direttamente a lui, chissà da quanto sapeva che era lì. «Sapevo che saresti arrivato, o forse lo speravo.»

«John...»

«Sai quando ho puntato la pistola contro di me la prima volta?» non sembrava che John avesse intenzione di permettergli di parlare.

«Perché non me lo dici, magari dammi l’arma prima.» Cercò di farlo parlare, avvicinandosi cautamente.

«È successo in guerra, la prima volta che ho ucciso. Poi però, come puoi aver intuito, non ho mai trovato il coraggio di premere il grilletto.» John finse di non aver sentito la sua richiesta. O forse chissà, non la sentì davvero.

«Perché sei un uomo coraggioso John, l’uomo più coraggioso che io abbia mai incontrato.»

«Sherlock, Sherlock... pensi sempre troppo bene di me.»

«Io non do’ giudizi frettolosi, lo sai. Non mi sono mai preoccupato di dire la verità a chiunque, perché dovrebbe essere differente per te?»

«Già, perché?»

«Bene, ora che abbiamo costatato l’ovvio, perché non mi dai quella pistola John?»

«Perché vuoi salvarmi Sherlock? Dopo tutto quello che ti ho fatto, dopo il male che ti ho procurato, perché diamine mi tieni aggrappato alla vita, quando dovresti solo lasciarmi affogare?»

«John, sei serio?»

«Sarebbe tutto più semplice, lo sarebbe per tutti. Tu potresti continuare a risolvere casi come facevi prima, senza avermi come una palla al piede, Rosie avrebbe un padre che la ama e non uno che non riesce a far altro che vedere Mary in lei. Ho così paura di arrivare a odiare la mia bambina Sherlock.»

«John, stammi bene a sentire.» Prese fiato cercando di trovare le parole giuste, ma poi decise di lasciar perdere, persino nel suo discorso da testimone le cose erano andate discretamente bene una volta che aveva smesso di pensare a ciò che stava dicendo e aveva semplicemente detto quello che si sentiva di dire. «Se tu ora premessi quel grilletto sai cosa succederebbe?» Nessuna risposta da parte del dottore. Sherlock avanzó un altro po’ all’interno della stanza, potrebbe quasi toccare John, se fosse abbastanza veloce forse... poi decise di non provarci, la canna della pistola sfiorava il mento del dottore e lui aveva troppa paura di non essere abbastanza veloce. La paura era un sentimento che prima di incontrare John non aveva mai capito fino in fondo. O meglio, era un sentimento, e in quanto sentimento prima di John non aveva mai potuto comprenderlo, non vivendolo personalmente. «Succederebbe che io avviserei Greg, o mio fratello, poi prenderei l’arma e ti seguirei. Perché John, senza di te non arriverei nemmeno a Baker Street senza fermarmi da qualche spacciatore, tanto vale che la faccia finita subito, non credi?»

«Sherlock tu non,» l'ex militare tentò di ribellarsi a quell'uscita del detective ma Holmes non gli diede tempo.

«Eh no John, tu non puoi decidere per le azioni che faranno gli altri dopo questo tuo gesto, non ne hai nessun diritto.»

«Sherlock, ti ho accusato ingiustamente, ti ho picchiato, ho perso ogni decenza anche come padre lasciando Rosie da chiunque, troppo intontito dall’alcool e dal rancore verso me stesso per occuparmi di lei. Non ce la faccio più. Non riesco nemmeno a guardarmi allo specchio senza provare nausea. A che cazzo servo?»

«Smettila subito John, non ti permetto di continuare a gettarti addosso fango.»

«Sherlock...»

«Non puoi toglierti la vita, non puoi, la tua vita appartiene a me, chiaro?» Lo vide sussultare, per un istante temette che con un movimento involontario avrebbe premuto il grilletto, ma John era un medico, un cecchino, e aveva le mani ferme. Finalmente allontanò la canna della pistola da sé e spostò lo sguardo verso di lui.

«La mia vita appartiene...»

«A me.» continuò il detective, inginocchiandosi di fronte a lui, come un devoto religioso verso il suo Dio. Prese la pistola dalle sue mani e l’appoggiò sul pavimento, tornando finalmente a respirare e venendo colpito dal profumo di John. Altro che ossigeno, a Sherlock sarebbe bastato quello per vivere. Prese il viso di John tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi. «John la tua vita mi appartiene quindi non puoi, non puoi davvero togliertela.» nessun suono uscì dalle labbra di John, ma i suoi occhi si riempirono di lacrime. Sherlock appoggiò la fronte su quella del dottore, senza allontanare le mani dal suo viso.

«Io non ce la faccio da solo Sherlock, ho troppe ferite ormai per riuscire a farcela da solo.»

«Tu non sei solo, tu hai un sacco di persone dalla tua parte, e per quanto io sia quello che ti da più lavoro che aiuto, tu hai me, avrai sempre me.» Sherlock non potè non notare come John si morse il labbro inferiore, combattuto se credergli o meno, e per quanto non fosse il momento adatto non potè che pensare a quanto fosse sexy l’uomo che aveva di fronte. Sentì la pelle del suo viso sotto i polpastrelli, le guance ruvide di barba che iniziavano a far venire i brividi al detective, brividi molto piacevoli. Avrebbe voluto annullare la distanza delle loro labbra, ma non riuscì a decidersi a farlo, non voleva fare niente che John non fosse pronto a fare. E lui non aveva mai dato l’idea che potesse desiderarlo in maniera diversa che come un amico.

Poi un movimento, e il sapore delle labbra di John sulle proprie gli fece completamente perdere coscienza di sé e di ciò che lo circondava. C'erano solo quelle labbra che sembravano promettergli il paradiso. Si allontanano però di scatto.

«Scusa Sherlock, non dovevo io...» Ma il detective non aveva intenzione di perdere questa occasione e così se lo tirò verso sé e premette ancora una volta le labbra su quelle del dottore. Lui sussultò, ma poi, si lasciò andare aggrappandosi alle sue spalle, le lacrime sembrava stessero sciogliendo anni di cose non dette e incomprensioni. Esistevano solo loro due, finalmente, solo loro due.
 
«John, torni a casa?» chiese Sherlock una volta terminato il bacio, con le labbra ancora così vicine tra loro da solleticarsi a ogni movimento.

«Aspettavo solo che me lo chiedessi.»

Braccia che si stringono, bocche che si cercano. La pistola dimenticata sul pavimento, e due anime che si ritrovano, quando ormai sembrava impossibile.
 
 



Fine



Note: questa povera ff sta nel mio pc abbandonata da un sacco di tempo, non ero convinta che fosse finita nel modo giusto, ma alla fine ho deciso di lasciarla così.
Il prompt era tra quelli dati per l’evento per il compleanno di Martin del gruppo FB Johnlock is the way and Freebatch of course che non erano stati sviluppati e mi era rimasto attaccato alle dita, spero che alla creatrice del prompt  e a voi che avete letto, sia piaciuta. Alla prossima.

P. S. Susanna grazie 😘

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Capitolo 10
*** Ti ho visto morire troppe volte ***


Scritto di getto, di notte, sul cellulare a causa una fanart di fuckwitjulite che ha condiviso la mia Sonietta bella (MissAdler qui su EFP) sul gruppo fb Johnlock is the way and Frebatch of course! dopo un “qui ci vuole una ff” della mia Linda (Dida77 qui su EFP, noi brutte persone abbiamo sempre ottime idee) mentre sto ideando un’altra ff grazie a un promt meraviglioso di Koa, e nulla, ve la beccate, contente?
 
 
 

Ti ho visto morire troppe volte

 
 
 
Chissà se si era mai accorto che durante la notte lui sgattaiolava nella sua stanza per osservarlo dormire.

Era una cosa senza nessuna logica, ma non poteva impedirsi di farlo.

Poteva percepire nel proprio corpo l'esatto momento in cui la paura di perderlo di nuovo, iniziava a scalfire la perfetta apparenza che si era costruito.

I respiri diventavano più corti, il cuore iniziava a battere irregolarmente, si sentiva soffocare, il petto doleva, le mani sudavano ma la sensazione di freddo era sempre più intensa.

La prima notte che era successo aveva temuto per sé stesso. Forse c'era qualcosa che non andava nel suo corpo? Poi però aveva deciso di alzarsi pensando che qualcosa di caldo l'avrebbe aiutato.

Scese le scale facendo il minor rumore possibile finché non arrivò nei pressi della porta della sua stanza. Non sapeva neppure lui perché lo fece, ma aprì quanto bastava la porta per poter vedere il suo corpo che riposava nel letto.

In silenzio, quasi religioso, trattenne il respiro mentre il cuore galoppava veloce. Un respiro lieve, un movimento ritmico delle spalle, e improvvisamente tutto il malessere sparì. Era bastata avere la certezza che lui fosse a casa, al sicuro, e vivo e la paura si era dissolta.

La mattina tutto ciò gli parve così strano, così inverosimile, che non riuscì a credere che fosse accaduto davvero e si diede dello stupido.

La notte seguente però il fatto successe ancora e ancora, ancora, ancora nelle notti successive.

Ogni volta si avvicinava di più a lui, restava più tempo ad osservarlo dormire, ad ascoltare il suo respiro.


Smise persino di trovarlo strano.


Fu solo una sera, mentre lo osservava addormentato davanti al PC, che comprese il perché non riusciva a essere sereno se non continuava ad osservarlo:

Lo aveva visto morire troppe volte nel corso del tempo.
 

Lo aveva visto morire, ogni volta che lo lasciava solo per andare a uno degli appuntamenti con una delle donne che avrebbe dimenticato di lì a poco.

Lo aveva visto morire, quando era uscito da quello spogliatoio con l'esplosivo ben nascosto sotto la giacca in modo che lui non capisse che era solo una marionetta nelle mani di quel pazzo, per pochi istanti quando pensava di non aver capito nulla di lui e persino dopo aver saputo la verità, quando aveva capito il pericolo che stava correndo.

Lo aveva visto morire, quando aveva creduto che non si fidasse più di lui.

Lo aveva visto morire, quando si era buttato giù da quel palazzo.

Lo aveva visto morire, quando era tornato e aveva capito che al suo fianco ora c'era un'altra persona, una donna diversa da tutte le altre.

Lo aveva visto morire, al suo matrimonio, mentre tentava di nascondere il suo dolore.

Lo aveva visto morire, quando aveva iniziato a seguire casi senza di lui, perdendo pezzi di sé.

Lo aveva visto morire, quando aveva ucciso per proteggerlo, come se la sua vita fosse tutto paragonata alla propria.

Lo aveva visto morire, quando lo aveva salutato prima di salire su quell'aereo.

Lo aveva visto morire, quando lo aveva incolpato della morte della moglie.

Lo aveva visto morire, quando lo aveva picchiato in quell'obitorio a causa dell'enorme senso di colpa che lo stava divorando.

Lo aveva visto morire, quando il passato era tornato a ghermirlo con le sue dita scheletriche.

Lo aveva visto morire troppe volte, ed era sempre stata solo colpa sua.

 
La nausea lo colpì.

La testa iniziò a girare, e per un tempo che non riuscì a quantificare la vista gli si annebbiò fino a vedere solo il nero.

Sentì le sue gambe diventare gelatina quindi si inginocchiò spossato per terra.

Dovette aspettare che il suo corpo accettasse quello che la mente aveva appena compreso e per non sprofondare nel buio si concentrò nel cercare un appiglio fino a trovare il suo profumo e poco dopo anche il suo respiro regolare.

Seguì quel suono per tornare indietro.

Seguì quel profumo per non impazzire.

Seguì quegli occhi acquamarina che lo accolsero come un porto sicuro per tornare a casa.

«Cancella la colpa, ho iniziato a vivere solo grazie a te. Sono vivo solo grazie a te.»

Due braccia lo avvolsero, finalmente riuscì ad ascoltare i due cuori battere con il medesimo battito, sentendosi completo per la prima volta.


Era forse questo che la gente chiamava felicità?

 


 

Fine

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Capitolo 11
*** Estate ***


Una cosetta nata per il compleanno della nostra Susanna grazie e una fanart teenlock che lei ama, sono passati giorni, ma ho deciso di non farla dimenticare nei meandri di FB anche se è una cosa piccina picció
Spero vi piaccia.  



 


Estate
 





Il muro dietro la schiena era ruvido e caldo.

Sentiva il calore del sole che ci era sbattuto fino a poco prima. Il mare cantava, e il profumo della salsedine si mischiava con un profumo che Sherlock si era accorto di amare da poco tempo.

Il suo cuore era impazzito, batteva furioso in petto. Ed era certo che lui non poteva non essersene accorto visto che una delle due mani era appoggiata proprio sul suo collo, l'arteria carotide pulsava sicuramente in maniera inequivocabile.



Quando era arrivato, all'inizio dell'estate, aveva maledetto i suoi genitori, non voleva lasciare Londra per perdere tempo in quel paese sperduto sulla costa. Faceva troppo caldo, e il sole bruciava la sua pelle candida.

Poi però l'aveva conosciuto. E mai si aveva provato quelle emozioni.



In sedici anni di vita si era sempre sentito più adulto, razionale e intelligente di chiunque avesse incontrato. Di fronte a quel diciassettenne abbronzato e sorridente però, si era sentito un impedito.

Eppure a lui non pareva interessare, anzi non pareva accorgersene nemmeno.

Sembrava che l'unico suo interesse fosse quello di baciarlo dietro a qualunque muretto un po' nascosto dagli sguardi.



In effetti da un mese non faceva altro che baciare e farsi baciare da quel ragazzo. La mattina si incontravano e lui lo portava per il paese, nei suoi luoghi preferiti, lo faceva ridere e rimaneva affascinato da quello che sapeva fare deducendo le persone. E poi lo baciava, come in quel momento. Le labbra succhiavano le sue, la lingua sembrava assaporarlo, le mani lo accarezzavano, anche il suo corpo si muoveva contro proprio.

Lo faceva sentire vivo. Era la prima volta che accadeva. Era vivo, lo sentiva, lo voleva ed era tutto merito di quel ragazzo che lo baciava dietro al muretto del capanno in cui i bagnini tenevano gli attrezzi. Tutto merito di quelle labbra calde, di quel corpo solido, di quel volto gentile.





Fine



Note : Oggi è anche il compleanno della nostra Daniela (ancora per poco ma sono ancora in tempo 😂) quindi auguroni anche a lei 😘

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Capitolo 12
*** Un giorno d'estate ***


Una piccola storia nata di getto per salutare Una Stubbs, Baker Street non sarà più la stessa senza di te.
Spero vi piaccia.






Un giorno d’estate





Il caldo era insopportabile. .

Quell'estate si stava rivelando peggiore di tutte le precedenti. .

Mezza Europa bruciava, l'altra metà era stata investita da piogge torrenziali e gradinate con chicchi di ghiaccio grandi come palline da tennis. .

Era la seconda estate dalla pandemia mondiale, la quale ogni volta che sembrava indebolita tornava però con altre varianti e altra paura. .

Rosie era cresciuta in quella casa, tra alambicchi di vetro, provette e biscotti caldi preparati da nonna Martha. .

E ora nonna Martha non c'era più. .

Era volata via da quella città afosa, dai suoi papà confusionari, dallo zio con cui fingeva sempre di litigare e dall'altro zio con cui si divertiva a spettegolare. .

Erano tutti tornati a casa, una casa che sembrava vuota senza nonna Martha. .

Sherlock era seduto sulla sua poltrona. Lo sguardo fisso in un punto, i polpastrelli delle lunghe dita delle mani si sfioravano appoggiandosi alle labbra. Greg e Mycroft di osservavano, cercando la forza nello sguardo dell'altro. John osservava la strada dalla finestra alle spalle di Sherlock, la postura rigida i pugni stretti. .

Rosie sapeva che nessuno avrebbe parlato, non c'era nulla da dire, nulla che avesse senso ed era anche cosciente che nessuno avrebbe fatto caso a lei, e così, forte dei suoi cinque anni (quasi sei come amava ripetere) sgattaiolò al piano di sotto, nella cucina di nonna Martha. La porta di casa che divideva i due appartamenti era sempre aperta, perché mai chiuderla se vivevi nella stessa casa di Sherlock Holmes? Rosie sapeva cosa cercare, la nonna glielo lasciava sempre all'altezza adatta per lei. .

Ed eccolo lì, la copertina di stoffa a quadretti bianchi e rossi con cui la nonna aveva ricoperto il vecchio quaderno sembrava la salutasse. .

Le mani tremarono una volta sfiorata la copertina ruvida. Rosie sentiva il cuore battere un poco più forte di prima. Prese il quaderno e ne scivolò fuori un foglietto. La bambina appoggiò il quaderno sul tavolo, ricoperto dal vinile beige con le viole disegnate, poi si piegò, raccolse il foglio e lo spiegò, lisciando le pieghe. Riconobbe il suo nome tra le lettere scritte con la grafia tondeggiante e ordinata che lei conosceva bene. Quindi si sedette al tavolo e si preparò a leggere, ringraziando zio Mycroft che l'aveva sfidata a imparare a leggere lo scorso inverno, non era ancora bravissima, ma se si fosse concentrata non avrebbe avuto problemi a leggere ciò che c'era scritto, anche perché erano poche righe. Con l'indice reso appoggiato alla pagina seguiva le lettere una dopo l'altra. .

.

Cara Rosie, .

c'erano tante cose che avrei voluto insegnarti, ma qui troverai tutto quello che è importante da sapere. Le mie ricette (mi raccomando sono segrete!) e tante piccole cose che negli anni ti serviranno. È tuo, ogni volta che lo aprirai, sarò lì con te. .

Ti voglio bene Paperetta.

P. S. Scommetto che quei quattro non se la caveranno senza di me, te li affido, hai sicuramente più buon senso di loro. .
E siccome so che saranno tristi e arrabbiati, prepara questi dolcetti, troverai tutti gli ingredienti in cucina. .

Le lacrime bagnarono gli occhi della bambina e fu così che la trovarono pochi minuti dopo. .

Alla fine decisero di seguire la ricetta, semplice, con tre ingredienti e senza cottura, trovandosi a raccontarsi storie di tutto quello che avevano combinato in quegli anni, di quando l'avessero fatta impazzire e di come era stata lei a prenderli quasi di peso per costringersi a parlarsi. Prepararono il tè, quello profumato preferito da Mrs. Hudson, si sedettero al tavolo della cucina continuando a raccontare episodi che credevano di aver dimenticato e mangiarono i dolcetti preparati insieme. .

In quella cucina, seduta con loro Rosie sentiva forte la presenza della nonna, riusciva quasi a vederla, con quel sorriso di chi ha appena fatto una marachella ma non era per nulla pentita di averla fatta, anzi ne era divertita. .

E seppe che la nonna sarebbe stata sempre con loro. .

.

.

Fine

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