Venerdì, sabato e domenica

di Ayumi Yoshida
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Venerdì ***
Capitolo 2: *** Sabato ***
Capitolo 3: *** Domenica - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Venerdì ***






Venerdi

Venerdì, sabato e domenica





 

 

1 - Venerdì
 
“Natsu!”
Sua sorella, i capelli legati malamente in una coda e il borsone in una mano, lo salutò dal ciglio della porta con un sorriso che sapeva di lacrime. La sua nipotina, invece, gli si lanciò addosso urlando eccitata nonostante si fossero visti solo qualche giorno prima.
“Aki-chan!” esclamò Shoyo lasciandosi stritolare con fervore dalla bambina mentre Natsu si richiudeva la porta d'ingresso alle spalle. “Che bello vederti! Ma cosa ci fate qui? Domani non hai una partita a Tokyo?” chiese, rivolto a sua sorella.
Ella annuì con la testa, in silenzio.
Entusiasta, Shoyo esclamò come un fiume in piena: “Potevi avvertirmi che sareste venute! Vi avrei fatto trovare qualcosa da mangiare! Sono appena tornato dagli allenamenti e non ho-”
“Io non resto, Shoyo.” lo interruppe Natsu in un mormorio sommesso, senza alzare lo sguardo “Sono qui per Aki.” E mentre l'altro la guardava, incuriosito, balbettò: “È che... Shinichi...”
Non di nuovo.
“Vedrai che tornerà tutto a posto!” esclamò Shoyo impedendole di continuare a parlare e tentando di sorridere, fiducioso. Natsu ricambiò il sorriso, incoraggiata, soltanto per un secondo, poi il suo viso si rigò di lacrime nere e gli si lanciò addosso, stringendolo talmente forte da lasciarlo senza fiato.
“Co-continuo a ripetermelo anch'io...” sussurrò contro la sua spalla, continuando a singhiozzare a bassa voce per non farsi udire da Aki “Speriamo torni davvero...”
Senza neppure pensarci, Shoyo le portò la mano sinistra attorno al collo per consolarla.
“Ma certo che tornerà!” esclamò in tono sicuro “Stai tranquilla, ad Aki-chan ci penso io!”
Natsu sollevò lievemente lo sguardo e finalmente gli sorrise sommessamente: ormai aveva smesso di piangere, e sul suo viso restavano soltanto le due righe nere del mascara sbavato.
“Ti ringrazio tanto! Mi raccomando non dire nulla a mamma! Ti chiamo appena posso!”
Carezzò la testa della bambina, lo strinse un'ultima volta in un abbraccio disperato e calzò in fretta le scarpe da ginnastica per andarsene.
Shoyo non riuscì a dire nulla guardandola mentre si richiudeva la porta alle spalle, insolitamente ricurve sotto il peso del borsone. Quella era la terza volta dall'inizio dell'anno che il compagno di sua sorella se ne andava di casa all'improvviso, lasciando Natsu da sola. La prima volta era accaduto quando sua sorella aveva scoperto di aspettare Aki, facendo andare sua madre su tutte le furie.
Shoyo non avrebbe mai dimenticato le due notti che Natsu, poco più che ventenne, aveva trascorso a casa sua dopo essersi presentata sull'uscio di casa con le mani a proteggere la pancia e gli occhi pieni di lacrime. Poi Shinichi aveva bussato alla sua porta e da quella volta non erano più riusciti a contare le volte che era andato via di casa.
Ogni volta sua sorella correva piangendo a casa sua, diceva che era tutta colpa della sua ossessione per la pallavolo, che giocare nella squadra le impediva di essere una buona moglie ed era compito di Shoyo starle accanto. A sua mamma non poteva dire nulla, perché ella non aveva approvato sin dall'inizio quella relazione che Natsu si ostinava a portare avanti, nonostante tutto ciò che era accaduto. E lui, lui voleva troppo bene a sua sorella per vederla ridursi ancora come in quelle due maledetti notti, per dirle qualcosa di diverso da ciò che lei voleva sentirsi dire, e si faceva in quattro per consolarla e per aiutarla tutte le volte che accadeva.
Anche se ormai erano diventate davvero troppe: era appena febbraio, e gli sembrava che Aki fosse stata più con lui che a casa propria negli ultimi mesi.
“Zio Shoyo, dov'è lo zio Tobio?” gli chiese la bambina guardandosi intorno, mentre la prendeva per mano per condurla nel soggiorno.
“Lo zio Tobio è a Tokyo.” replicò Shoyo spingendola verso il divano. Accese la televisione. “Vediamo One Piece?” suggerì, ma la bambina scosse la testa vigorosamente.
“Voglio vedere Doraemon. E la zia Hitoka?”
“Poi la chiamiamo. Nel frattempo siediti.”
Ma Aki continuò l'appello, come faceva tutte le volte che arrivava a casa sua e la trovava stranamente silenziosa e vuota, al massimo disseminata di residui di dolcetti, pantaloncini e palloni da pallavolo lanciati dappertutto in allenamenti improvvisati quando si annoiava.
“E gli zii Tadashi e Tsukki?”
“Loro sono occupati in questi giorni.” cercò di tagliar corto Shoyo. Non poteva raccontarle che Yamaguchi e Tsukishima, a differenza sua e di Kageyama, alla fine ce l'avevano fatta a ricongiungersi e avevano preso casa a Tokyo, poco distante da dove abitava Kageyama. Gli avevano detto di essere impegnati con il trasloco e si parlava addirittura di matrimonio, anche se non sembrava proprio un'idea di Tsukishima. Hinata ancora non riusciva a crederci.
“Zio Shoyo, ma perché sei sempre da solo quando vengo a trovarti?” sì lamentò la bambina facendo uno smorfia e tuffandosi sul divano. Poi gli sorrise largamente: “Guardiamo Doraemon?”
Il ragazzo annuì con aria assente, cominciando a smanettare sui programmi della smart TV mentre si perdeva nei pensieri.
Da quanto tempo non vedeva Kageyama? Due mesi, se non considerava le videochiamate che facevano non appena avevano un momento libero. Da quando Kageyama era rientrato a giocare in Giappone, a Tokyo, a volte gli sembrava che vedersi e sentirsi fosse ancora più difficile di quando erano ai due antipodi del mondo[1], nonostante lui abitasse nella prefettura di Osaka, a tre ore e mezzo di shinkansen[2] da Kageyama.
Per Natale il ragazzo si era recato a casa sua e avevano passato insieme la settimana di pausa del campionato tra Natale e l'inizio dell'anno nuovo. Erano andati anche insieme al tempio il primo dell'anno, e Shoyo aveva pregato che sia la loro relazione che il lavoro andassero bene, ma forse quella preghiera stava funzionando solo a metà.
“Chiamiamo lo zio Tobio?” chiese Aki ad un tratto, distogliendo lo sguardo dalla televisione.
Shoyo annuì con la testa. Si stava sentendo con Kageyama proprio prima che Natsu gli piombasse in casa con Aki e sapeva che l’altro era a fare il solito jogging serale prima di cena, quindi non lo avrebbero disturbato.
Afferrato il telefono, cliccò sull'icona di Line[3] e, posizionato lo schermo davanti alla bambina, fece partire la videochiamata.
“Zio Tobioooooooo!” trillò la piccola non appena videro comparire il viso di Kageyama davanti ai loro occhi. Il volto nello schermo, avvolto in sciarpa e berretto pesanti, si lasciò andare ad un sorriso tirato, ma cortese per salutarla.
“Aki-chan. Come stai?”
Kageyama riusciva ad essere insolitamente gentile con Aki, anche se non riusciva mai a celare lo strano imbarazzo che provava al parlare con la bambina. Ma Aki lo adorava, e riusciva sempre a fargli fare cose che Shoyo considerava improbabili. Tipo sorridere o chiacchiere con lei per venti minuti degli unicorni multicolore molto in voga in quel momento tra le bambine.
“Sono triste perché non ci sei!” trillò la bambina mostrando nuovamente il suo solito broncio “Quando torni? Anche lo zio Shoyo è triste!”
“Aki-chan!” esclamò allora Shoyo togliendole freneticamente il telefono dalle mani.
“Scherza, qui tutto a gonfie vele!” puntualizzò con un sorriso a trentadue denti mentre lei gli mostrava la lingua, offesa, e Kageyama sospirava dall'altro lato della schermo.
“Possiamo parlare?” gli chiese in tono urgente. Shoyo annuì con la testa e, accertatosi che Aki fosse nuovamente rapita dalla televisione, si infilò gli auricolari senza fili.
“Era Natsu alla porta?”
“Sì.”
Ancora?
Il tono di voce di Kageyama era quasi rassegnato. Shoyo annuì di nuovo senza dare  segno di averlo notato.
“Dovrebbero farla finita una buona volta.” butto allora lì Kageyama con un grugnito “Separarsi una volta e per sempre. Dovresti smettere di essere così disponibile e dirglielo.”
Shoyo spalancò la bocca, incredulo.
“Ma non posso, Natsu lo ama!” protestò a voce troppo alta. Lanciò uno sguardo in tralice ad Aki, ma la bambina non lo stava degnando affatto di attenzione, troppo presa a canticchiare la opening di Doraemon. Santa riproduzione automatica.
“E lui? Sei davvero convinto che lui la ami?” gli chiese Kageyama con la voce piatta, riportandolo di nuovo a quella conversazione che non avrebbe voluto avere proprio con lui “È già la terza volta che se ne va di casa dall'inizio dell'anno, e ho perso il conto delle volte che l'ha fatto lo scorso anno.”
Shoyo abbassò la testa in silenzio, il telefono saldo nel palmo della mano. Anche loro due stavano più tempo separati che insieme, però la loro relazione andava avanti. Tra alti e bassi, discutendo di stupide gelosie immaginarie, senza poter vivere insieme i momenti più importanti, ma andava avanti.
Per quel motivo, non appena aveva saputo che anche Kageyama sarebbe tornato, aveva deciso di proporsi nuovamente come giocatore nella prima serie giapponese anche se l'unica squadra disponibile ad ingaggiarlo era stata la Suntory Sunbirds[4] di Mino, nella prefettura di Osaka, a circa cinquecento chilometri da Tokyo[5], dove Kageyama giocava nel FC Tokyo.[6]
“Non me la sento di parlare con Natsu di questo.” mormorò a voce talmente bassa che vide Kageyama corrugare le sopracciglia e spingersi l'auricolare destro a fondo nell'orecchio nello sforzo di udirlo meglio.
Il ragazzo si limitò a stringere le labbra e disse: “Ne parliamo un'altra volta, qui comincia a fare freddo e devo rientrare. Mi raccomando, prepara qualcosa per Aki-chan, non ordinare ancora da asporto!”
“Mi hai beccato, non ho nulla nel frigo!” esclamò Shoyo in tono nuovamente vivace, cercando di sorridere “Oggi non ho fatto in tempo a fare la spesa. Ma domani è sabato e-”
“Ho capito, ho capito.” tagliò corto Kageyama alzando gli occhi al cielo “ Ci sentiamo domani.” si congedò e riattaccò proprio mentre Aki strillava: “Voglio salutare lo zio Tobio!” tuffandosi sulle sue ginocchia per farsi inquadrare nello schermo.
“Nikuman[7] per cena?” le propose allora Shoyo con un sorriso forzato, ma lei improvvisò un'esultanza con le braccia al cielo che significava: “sì” senza accorgersi di nulla.
Smanettando sul telefono per ordinare la cena, i suoi pensieri andarono nuovamente a Natsu. Shoyo sperava che non avesse più pianto, in auto con la sua compagna di squadra, durante il viaggio che l'avrebbe condotta a Tokyo per la partita dell'indomani. Shoyo era certo che le continue fughe di Shinichi non dipendessero affatto da lei e o dalla sua carriera di giocatrice professionista nella Lega V2[8] come ella continuava a ripetere, ma, nonostante tutto, non riusciva a parlarle apertamente.
Ogni volta che la vedeva in lacrime capiva bene come dovesse sentirsi, la vedeva distrutta dalle continue separazioni, preda del senso di colpa, e non riusciva che a dirle: “Andrà tutto bene. Resisti. Sei forte.”
Era quello che lui stesso si ripeteva tutte le volte che le telefonate con Kageyama sembravano troppo corte, che le sue visite si facevano saltuarie, tutte le volte che, nonostante gli sforzi, risultava impossibile avvicinarsi.
Anche lui viveva costantemente una separazione, e sapeva che se ne poteva uscire. Che alla fine tutto tornava miracolosamente a posto, se ci si impegnava al massimo.
Però per tutta la notte non riuscì a spiegarsi quel senso di inquietudine che lo attanagliò mentre Aki, distesa accanto a lui, dormiva fin troppo placidamente per essere una bambina così lontana da sua madre.
 
 
 
Note:
buonasera a tutti e happy Haikyu Day!
Sono così contenta di aver scoperto questa opera e di essere parte di questo stupendo fandom, grazie a tutti coloro che l’hanno reso possibile! In primis, grazie a Furudate-sensei, per averci permesso di giocare a pallavolo con questi magnifici personaggi!
Per me Haikyu ha significato riavvicinarmi al mondo “manga, anime e fanfiction” dopo un periodo molto buio, quindi non posso che essere grata di poter vivere questa grande emozione ogni giorno!
Ringrazio di cuore chi si è fermato a leggere il primo capitolo di questa strana fic in tre capitoli, che ha visto la sua prima, forsennata stesura tra il 10 ed il 12 aprile.
Sono molto affezionata a questa storia, perché rappresenta un viaggio “interno” che mi sono ritrovata a fare più e più volte.
Capita a tutti di dover affrontare qualche difficoltà che ci sembra difficile da sormontare, una situazione che ci fa stare male, ma la cosa più bella è superare le difficoltà e poi guardarsi indietro e rendersi conto che tutto è risolto, in qualche modo.
Nel far vivere a qualcuno questa situazione così difficile, ho scelto senza indugio Hinata, che notoriamente non si arrende mai e cerca di arrivare dovunque con l’impegno. È una specie di test, perché, come ben sa chi mi legge anche su altri fandom, mi piace esplorare i lati dei personaggi che gli autori non ci fanno vedere. Questo è il mio primo approccio nel fandom di Haikyu con tematiche un po’ più tristi e meno fluff, spero di non essere andata troppo OOC.
Ho cominciato a disseminare un po’ di indizi qua e là per costruire un po’ di contesto intorno ai personaggi, il resto si scoprirà nei prossimi capitoli! Ma se avete qualche curiosità sono pronta a rispondere senza problemi! :D
Fatemi sapere cosa ne pensate! : ) Prometto che l’aggiornamento arriverà presto! : )
 
Ja ne,
 
Ayumi


[1] SPOILER! Alla fine del manga Kageyama gioca a Roma e Hinata a San Paolo.
[2] Treno ad alta velocità giapponese.
[3] Line è il Whatsapp giapponese.
[5] Dati reali presi da Google : )
[7] Ravioli ripieni di carne cotti al vapore.
[8] Seconda serie di pallavolo giapponese, maschile o femminile.

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Capitolo 2
*** Sabato ***




Sabato

Venerdì, sabato e domenica

 

 

 

2 – Sabato
 
Il campanello era suonato troppo presto per essere sabato mattina.
Con la felpa chiusa solo a metà, Shoyo sfrecciò verso l'ingresso mentre Aki continuava a lamentarsi per il sonno. L'aveva svegliata presto sperando di poter fare la spesa velocemente senza doverle comprare troppi snack di cui era ghiotta sfruttando il suo stato catatonico, ma un ospite inaspettato aveva deciso di fare capolino dietro la porta e scompigliare i suoi piani.
“Kageyama..!” disse, quasi senza fiato, quando vide il suo fidanzato in attesa sullo zerbino di casa. Ancora avvolto nella sciarpa, il ragazzo si richiuse la porta alle spalle e prese a togliersi le scarpe in silenzio.
“Potevi... Avvisarmi!” riuscì solo ad esclamare, fingendosi infastidito, Hinata, mentre il suo cervello sfrecciava dritto nello spazio felice per non tornare mai più “Avrei-”
“È stata una decisione dell'ultimo minuto.” replicò Kageyama alzando lo sguardo ed incrociando i suoi occhi solo per un momento prima di portarli nuovamente sui lacci delle scarpe da ginnastica “Ho preso il primo shinkansen[1] della giornata. Oggi la mia squadra ha il turno di riposo.”
“Non mi avevi detto nulla!”
Kageyama sospirò.
“Mi sembrava avessi altri problemi.”
Come se fosse stata invocata, Aki sbucò dal soggiorno, perfettamente sveglia, e gli sfrecciò incontro.
“Zio Tobioooooooo!” strillò lasciandoglisi addosso e strizzandolo in un abbraccio troppo forte che quasi lo spinse sul pavimento “Lo sapevo che saresti venuto!”
“Sì.” borbottò il ragazzo sommessamente, dandole delle piccole pacche sulla spalla, immobile tra le sue braccia “Eccomi qui.”
Gongolante, la bambina lo lasciò andare improvvisando un balletto sul gradino dell'ingresso per festeggiare. Con la coda nell'occhio, Kageyama notò che Hinata la stava guardando  sorridendo largamente.
Finalmente. La sera prima, quando avevano parlato, Shoyo gli era sembrato veramente abbattuto. Per quel motivo, dopo una notte trascorsa poco a dormire e troppo a pensare, alle prime luci dell'alba si era recato subito alla stazione con destinazione Mino, prefettura di Osaka, dove abitava Hinata.[2].
“Vieni anche tu a fare la spesa?” gli chiese all'improvviso Hinata mentre si stava finalmente liberando del cappotto e della sciarpa. “Volevo andarci stamattina perché oggi pomeriggio giochiamo alle cinque e mezzo e per le quattro deve essere al palazzetto a Osaka.”
“Va bene. Andiamo al kombini[3] qui vicino?”
Shoyo annuì, e Kageyama si riavvolse la sciarpa attorno al collo e indossò di nuovo il cappotto. Appena ebbe terminato, notò che Aki se ne stava immobile davanti a lui e lo stava fissando voracemente. In quei momenti somigliava più al suo fidanzato, che a sua madre.
“Cosa c'è, Aki-chan?” le chiese, già rassegnato.
“Zio Tobio, per favore mi aiuti a vestirmi? Fuori fa freddo e la mamma dice che devo coprirmi bene per non ammalarmi!”
Con un sospiro e sotto lo sguardo fin troppo divertito di Shoyo, Kageyama la aiutò ad indossare il piumino rosa, le calcò il berretto sbrilluccicoso in testa, le infilò i guanti e infine le scarpe. Soltanto quando Aki fu soddisfatta dei fiocchi dei suoi lacci finalmente uscirono di casa.
Tremando nella sua sciarpa, per tutto il cammino Shoyo sentì gelare la mano che, non affondata nelle tasche, teneva quella destra di Aki. Dall'altro lato, Kageyama stringeva  la mano sinistra di Aki, guanto grigio contro guanto rosa, in una presa troppo salda.
Probabilmente aveva paura di perderla nel dedalo di vie che separavano casa sua dal kombini più vicino, dato che lui stesso non riusciva ancora ad orientarsi bene in città. Era stato talmente poche volte e per poco tempo a Mino che spesso doveva chiedergli più e più  volte dove fossero i luoghi che frequentavano sempre.
C'era un solo posto dove Kageyama non si mostrava mai nervoso a Mino, l'immenso parco naturale alle pendici della città. Ogni volta che andava a trovarlo vi si immergevano per ore, principalmente a fare jogging, ma qualche volta anche a mangiare onigiri[4] sotto gli aceri.
Erano quelli i momenti più belli che ricordava di aver trascorso a Mino con lui, ma ormai risalivano a settembre[5], quando vi si era appena trasferito e avevano avuto qualche settimana libera per stare insieme prima dell'inizio della Lega V1.[6]
“Zio Shoyo, mi compri la cioccolata?” lo pregò all'improvviso Aki. Il ragazzo annuì senza pensarci mentre spingeva la maniglia della porta d'ingresso del kombini.
“Cosa vuoi mangiare stasera?” gli chiese Kageyama.
Shoyo scosse la testa.
“Voi mangiate pure, io non so a che ora finirò stasera. Quando torno mi accontento di quello che c'è.”
“E poi ti lamenti che non cresci.” Kageyama scosse la testa proprio come lui, rassegnato, e poi propose:  “Omurice[7]? La preparo dopo che torniamo dalla partita.”
“Verrai a vedermi?” esclamò Shoyo, incredulo. Kageyama annuì con la testa e l'altro gli sorrise largamente.
“L'omurice va bene! Però prendiamo anche dei croissant per la colazione di domani, l'ho promesso ad Aki. Quelli con il cioccolato!”
Kageyama annuì con aria assente mentre cominciava a mettere nel cestino tutti gli ingredienti necessari per il pranzo e per la cena di quel giorno, scalandoli man mano dalla lista che aveva in testa. Aveva ormai lasciato la mano di Aki che, più avanti, si stava incamminando con aria curiosa verso il reparto dei surgelati in fondo al negozio.
“Zio Shoyo, stai comprando i croissant?” trillò con troppo entusiasmo guardando il ragazzo smanettare con il braccio e la testa nel freezer.
“Te l'avevo promesso!” esclamò Hinata in risposta a voce troppo alta, sventolandole davanti agli occhi la confezione congelata.
“Evvivaaaaaaaaaa!”
Kageyama si portò una mano al viso per non guardare: Aki si stava esibendo ancora in uno strano balletto per il troppo entusiasmo, e lo stava facendo giusto nella corsia che portava alla cassa.
“Ti prego, falla smettere…” borbottò, imbarazzato, mentre la bambina ondeggiava le braccia e muoveva il bacino con uno strano broncio di concentrazione sul viso. Shoyo scoppiò in una risata che attirò ancora di più l'attenzione del signore che stava alla cassa.
“E dai, Kageyama, sei un mostro! Aki-chan si sta divertendo così tanto! Adesso lo faccio anch'io!”
Ma fece in tempo a mimare un'onda soltanto con il braccio che Kageyama glielo bloccò a mezz'aria bofonchiando: “Torniamo a casa!” in tono fin troppo imperativo e furono trascinati entrambi verso la cassa senza poter più osare muoversi.

Subito dopo pranzo, in ritardo mostruoso Hinata era scappato ad Osaka per la partita, scusandosi più del dovuto per non avergli potuto dare una mano a rimettere in ordine e con Aki. Mentre la bambina dormiva beata sul divano, Kageyama lavò i piatti, pulì la cucina e riordinò la tavola. Alle tre e mezzo si avviarono per andare in stazione, che distava circa venti minuti di cammino da casa di Hinata. Tra il viaggio in treno di mezz'ora, che passarono a giocare agli indovinelli, e la strada a piedi fino al palazzetto, arrivarono appena in tempo per vedere il riscaldamento delle due squadre.
I Suntory Sunbirds di Hinata si stavano sistemando proprio nella metà campo di fronte a loro. Mentre entrambi prendevano posto e Aki si sbracciava dagli spalti per farsi notare dallo zio, Hinata aveva già effettuato le prime schiacciate di riscaldamento. Ne aveva messe a segno due che non avevano né particolare potenza né particolare precisione, ma non era tutta colpa dell'alzata che aveva ricevuto. Sembrava  proprio lui stesso ad essere fuori fase.
Kageyama se ne accorse immediatamente, ma ne ebbe la certezza durante la partita.
La squadra contro cui i Suntory Birds giocavano era molto più forte, ma Hinata non sembrava avere animato da quella forza trascinatrice che metteva in ogni cosa. Sbagliò il primo servizio al salto, mandando la palla dritta al centro della rete e alla fine del primo set, indietro di dieci punti rispetto agli avversari, non era riuscito ancora a fare punto con le sue schiacciate, che erano state sempre murate.
Era anche un po’ colpa dell'alzatore con cui giocava, che non sembrava così navigato, ma Hinata sembrava proprio rallentato. Non saltava in alto al suo massimo, non era preciso nelle ricezioni e nelle schiacciate, non era il solito Hinata.
Preoccupato, Kageyama seguì ancor più attentamente il secondo set, i pugni strettissimi e gli occhi ridotti a fessure ad ogni pallone perso. Ma, quando mancavano solo dieci punti per la vittoria degli avversari, qualcosa si ribaltò.
Era il turno di Hinata alla battuta, e, urlando come un ossesso, egli riuscì a mandare a segno otto ace di fila nella metà campo avversaria. Il sudore gli colava a rivoli sul volto, ma lui se lo asciugò con il braccio e si rimise in posizione per il nono servizio. Effettuò due palleggi sul pavimento, poi bloccò per un secondo il pallone tra le mani e fece un respiro profondo. Erano 12 a 15 per gli avversari, e segnare un altro punto avrebbe significato non soltanto portare il morale della squadra alle stelle, ma aver quasi raggiunto gli avversari dopo aver perso il primo set e aver cominciato male il secondo. Doveva fare un altro ace.
Lanciò la palla sopra la sua testa con la mano sinistra e si preparò al salto sentendosi i piedi ancora ancorati forte al parquet.
Mentre l'intero palazzetto tratteneva il fiato e Aki urlava: “Vai, zio Shoyo!” il ragazzo colpì forte la palla con la mano destra. E la palla sfrecciò, dritta sopra la rete nella metà campo avversaria, finendo proprio nell'angolo più lontano all’interno delle due linee bianche che delimitavano il campo.
Il palazzetto esplose in un ruggito di gioia. In campo, Shoyo aveva cominciato a replicare con i suoi compagni il buffo balletto che Aki gli aveva mostrato nel kombini.
In piedi contro la ringhiera che separava la prima dalla seconda sezione di posti, Kageyama si immobilizzò: all'improvviso tutto tacque, e lui si sentì solo, l’unico a guardare quella partita in un palazzetto buio e vuoto.
Hinata, nel mezzo del campo, ormai sorrideva largamente dando cinque a tutti.
Quando tutte le luci del palazzetto si spegnevano, l'unico faro che rischiarava la notte restava sempre puntato su di lui, come in quel momento.
Quel campo era il suo palco, il palco giapponese da calcare che si era impegnato tanto a conquistare giocando all’estero.
Anche Kageyama si lasciò finalmente andare ad un urlo belluino per festeggiare il nono ace di fila. Aki sobbalzò.
“Lo zio Shoyo è troppo bravo! Vero? Vero?” gli chiese, eccitata, e lui non poté fare a meno di annuire con il capo.
Purtroppo, però, quello fu l'ultimo punto fatto da Hinata. La squadra avversaria riprese pian piano coraggio dopo il suo errore al decimo servizio e, punto dopo punto, conquistò anche il secondo set.
Mentre nel palazzetto scrosciava un applauso per vincitori e vinti e i Suntory Sunbirds davano la mano agli avversari, Kageyama afferrò Aki che tentava di correre sgusciando verso il campo e, la bambina tra le braccia, scese freneticamente i gradini degli spalti fino alla fila di sedili più vicina al parquet.
Hinata li notò quasi subito e si avvicinò per stringere forte Aki, che aveva cominciato a piangere.
“Vinceremo la prossima!” cercò di consolarla, ma la bambina non voleva saperne di staccarsi da lui, una perfetta, minuscola imitazione di sua madre il giorno precedente. Con un sospiro, cominciò a batterle una mano sulla schiena con fare protettivo per consolarla.
“Hai giocato bene.” mormorò Kageyama sentendosi stranamente nervoso: si sentiva a disagio a cercare di consolarlo quando la squadra aveva giocato una partita sotto tono ed era stato lui l'unico trascinatore che, però, non era bastato.
Hinata, tuttavia, gli sorrise, gli occhi inaspettatamente lucidi, più a disagio di lui.
“Grazie per essere venuto a vedermi.” gli sussurrò in risposta e abbassò lo sguardo per non incontrare ancora il suo.
“Che cos'hai?” gli chiese Kageyama in tono più duro di quanto si aspettasse.
“Natsu.” mormorò cercando di non farsi sentire da Aki.
“Non devi preoccuparti per lei, sono certo che abbia vinto.”
“La mamma ha vinto, vero?” li interruppe all'improvviso Aki tra le lacrime.
“Fa-facciamo il tifo per lei finché non ci chiama, va bene?” la rassicurò Shoyo cercando di sorridere “Però smettila di piangere.”
La bambina annuì e tirò su con il naso per fermare le lacrime, poi prese la mano di Kageyama.
“Zio Shoyo, fai presto e corriamo subito a casa, così chiamiamo la mamma!” disse cominciando a trascinarlo via.
“Ti aspettiamo all'ingresso.” concluse Kageyama voltandosi per seguirla.
Seduti nei sedili all'ingresso, mentre il palazzetto di svuotava lentamente ed i neon si spegnevano uno dopo l'altro, Aki si addormentò sulle ginocchia di Kageyama. Durante l’attesa il ragazzo si perse nei pensieri, gli occhi fissi sull'unico neon rimasto acceso nella sala di attesa all’ingresso. Ma non illuminava Hinata.
C'era qualcosa che turbava il suo fidanzato, oltre la questione di Natsu: non l'aveva mai sentito giù così a lungo dopo che la ragazza si era presentata a casa sua. Di solito la sosteneva sempre in quella storia d'amore senza futuro e lui e Hinata finivano per discutere come se fossero stati loro stessi i protagonisti.
Era forse preoccupato per la squadra? Gli aveva detto più e più volte di non accontentarsi della prima offerta ricevuta, di non tornare in Giappone, ma Hinata era più testardo di lui e aveva deciso comunque di portare avanti la sua decisione, anche se i Suntory Birds non erano così forti.
Gli stava venendo il mal di testa.
“Kageyama?” lo chiamò improvvisamente una voce conosciuta. Hinata era in piedi di fronte a lui, completamente avvolto nella sua sciarpa e il borsone sulla spalla, in attesa. “Andiamo?”
Kageyama annuì con il capo e prese Aki in braccio con delicatezza, cercando di non svegliarla.
“Si è stancata molto, oggi.” commentò Shoyo, intenerito “E non deve essere un bel momento per lei.”
Anche per te, vero?” avrebbe voluto chiedergli Kageyama, ma Hinata si addormentò non appena salirono sul treno per tornare a Mino, la guancia sulla sua spalla, stremato da pensieri a cui lui faticava persino a dar forma.
 


 
 
Note:
quando credi che la parte più difficile sia mettere l’idea che hai in testa per iscritto, poi ti rendi conto che la revisione è un momento ancora più difficile. Buongiorno a tutti e grazie della pazienza! Questa è la ragione del mio ritardo nell’aggiornamento! XD
Questo capitolo doveva cominciare a sviscerare molte cose, quindi ho dovuto rivederlo più volte per renderlo quanto più vicino possibile a ciò che vorrei comunicare. Spero, in ogni caso, di non essere andata OOC, soprattutto per quanto riguarda Hinata. In questo capitolo il suo dramma è ancora tutto dentro di lui, ma in qualche modo è riuscito a farsi forza durante la partita. Ho fatto arrovellare un po’ anche Kageyama, che non fa mai male XD
Chi ha letto le mie precedenti shot nel fandom sa che lo amo così tanto che il mio passatempo preferito è torturarlo, infatti adoro scrivere dei momenti in cui Aki “maltratta” lo zio Tobio, ma sempre con amore, eh! :D
Ultima cosa, il parco di Mino esiste davvero. Cercatelo su Google, il foliage degli aceri in autunno è stupendo!
Ringrazio di cuore i tre adorati lettori che si sono fermati a lasciarmi un parere, aki_penn, MoOny_ e Clau (appena possibile vi risponderò singolarmente, scusatemi se non l’ho ancora fatto! *si inchina*), tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite (Ar1anna, canyonmoon e Goodnightmoon) e le seguite (jazzy e Plxsdontcry) e che passano di qui e si fermano a leggere.
Sono felice che la storia vi stia piacendo e vi ringrazio per il tempo che le dedicate.
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo! Non disperate, ci siamo quasi! :D

 
Alla prossima!
Ayumi


 
[1] Treno ad alta velocità giapponese.
[2] Mino è la città dove ha sede la squadra dei Suntory Birds (https://it.wikipedia.org/wiki/Suntory_Sunbirds)
[3] Piccoli supermercati di quartiere in cui vendono un po’ di tutto.
[4] Polpette di riso.
[5] Il campionato di pallavolo giapponese, come quello italiano, va da ottobre a marzo. A partire da aprile si giocano play off (per la Lega superiore) e play out (per evitare la retrocessione). Per maggiori info, munitevi di traduttore! : )
https://www.vleague.jp/
[6] Prima serie del campionato di pallavolo giapponese, maschile o femminile.
[7] Omelette di riso fritto.

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Capitolo 3
*** Domenica - Epilogo ***



Sabato

Venerdì, sabato e domenica

 

 

 

3 – Domenica
 
Erano arrivati a casa talmente tardi e talmente stanchi che erano riusciti a mangiare solo qualche morso di omurice[1] e poi erano andati tutti a letto. Hinata aveva insistito affinché Kageyama prendesse il suo letto, ma alla fine vi si era sistemato con Aki, che già dormiva profondamente. Kageyama aveva disteso il suo futon[2] a poca distanza dal letto e gli aveva detto quasi subito: “Buonanotte.”
Ma dopo mezz'ora ancora non sentiva il suo respiro farsi pesante.
“Kageyama” mormorò, allora, voltandosi sul fianco verso di lui. L'altro grugnì per fargli capire che era sveglio. Hinata, allora, sgattaiolò via dal suo letto e si infilò sotto le coperte accanto a lui, avvicinandoglisi più che poteva. Senza dire nulla, Kageyama lo strinse forte a sé.
Fecero l'amore in silenzio, nascosti sotto le coperte, cercando di non svegliare Aki. Alla fine, Hinata gli stampò un bacio sull'avambraccio sinistro e si distese sulla schiena, il viso al soffitto per non guardarlo negli occhi. Anche Kageyama stava guardando il soffitto, la mente sgombra da qualunque pensiero. Due soldati nemici stesi uno accanto all’altro nello stesso letto d'ospedale.
“Cosa c'è, Hinata?”
La voce di Kageyama gli giunse particolarmente soffice all'orecchio. Sembrava preoccupato, ma  tremendamente impegnato a non dimostrarlo.
“Te l'ho detto, Natsu.” mormorò Hinata in risposta. L'altro sospirò.
“L'hai sentita, è andato tutto bene, ha vinto. Domani passerà anche a prendere Aki-chan.”
“Sì però...” La voce di Hinata, troppo nasale, si spense sull'orlo di una lamentela.
“Hai paura che Shinichi non torni più?” gli chiese Kageyama dando voce alla sua preoccupazione.
Hinata annuì con un verso sordo, poi continuò in tono lamentoso: “Non me ne ha più parlato... Non voglio che resti da sola come me.”
Kageyama si irrigidì nel futon.
Noi non siamo Natsu e Shinichi, Hinata!” esclamò dopo qualche secondo a voce troppo alta. Istintivamente, Hinata si voltò per guardarlo: giratosi verso di lui, Kageyama era furente e respirava appena. “Io non me ne andrò per non tornare più.
Shoyo si strinse nelle spalle, sentendosi minuscolo rispetto a lui.
“Lo so, ma speravo che riuscissimo a vederci di più da quando sono rientrato in Giappone.” replicò con voce piatta “Per questo sono tornato.”
In quel momento tutto fu chiaro. Gli occhi di Kageyama lampeggiarono solo per un attimo e la sua mano corse subito alla schiena di Hinata, attirandolo con forza a sé. Poteva sentire il respiro cadenzato del suo fidanzato, gelido sulla punta del naso. Hinata non aveva paura, sembrava solo sorpreso e in attesa. Avevano entrambi troppe domande da farsi, troppe idee differenti di cui convincersi l'un l'altro, mille soluzioni da esplorare. Hinata aveva provato a farlo lasciando San Paolo e cercando di raggiungerlo; in quel momento toccava a lui.
“Pensi che io non senta la tua mancanza?” gli chiese, perentorio, cercando di non lasciare trasparire l'ansia che stava provando. Sentì le dita di Hinata stringersi forti attorno alla base della sua schiena nell'ennesima, muta richiesta di aiuto della giornata.
“La sento.” ripeté senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, che continuavano a cambiare colore quando la luce lunare che filtrava dalla finestra li colpiva. “Ma è difficile vedersi, con le partite e tutto il resto.”
Inaspettatamente, Hinata strinse le labbra ed annuì con la testa, l’aria colpevole.
“Lo so.” replicò mestamente. I suoi occhi scintillavano. “Lo sapevo anche quando ho deciso di tornare. Solo che ultimamente mi pesa un po' di più.”
Era quella la realtà; nelle sue parole non c'erano lamentele o pentimenti sulla vita che si erano scelti, soltanto consapevolezza. E conseguenze che forse non avevano potuto predire quando avevano fatto quella scelta. Riflettendo inquieto su quelle parole, Kageyama gli allungò le braccia intorno al collo e lo strinse forte contro il suo petto. I capelli di Hinata attiravano pericolosamente la sua attenzione mentre cercava di pensare velocemente a qualcosa di utile, distogliendolo dai mille pensieri in fila che gli  affollavano la mente.
Forse non era quello il momento giusto. O forse sì.
“Domani diciamo a Natsu di cambiare la serratura di casa sua.” disse all'improvviso in un grugnito.
Dall'altezza del suo petto giunse una risata soffocata che gli scaldò le mani ghiacciate.
“Non ti sembra un po' estremo?” gli chiese Hinata. Sorridendo, l'avrebbe potuto giurare.
“È solo quello che è necessario.” fu la sua replica atona “Poi penseremo a noi.”
Hinata trattenne il respiro contro il suo petto, soffiando fuori aria gelida all'improvviso. La sua testa sgusciò di colpo dalle sue braccia e i suoi occhi lo fissarono proprio come avrebbe fatto Aki-chan in attesa di una tavoletta di cioccolato.
“Possiamo chiedere a Yamaguchi e Tsukishima come-” cominciò, ma Kageyama lo interruppe rispingendogli la testa tra le sue braccia e seppellendola ancora nel suo petto.
“Non voglio chiedere nulla a Tsukishima.”
“Ci avrei giurato!” ribatté Hinata, divertito. Si strinse più forte contro il suo corpo scoprendo un calore che non provava da troppo tempo.
Soltanto in quel momento riuscirono, finalmente, a prendere sonno.

“Shoyo!”
Natsu gli saltò addosso stringendolo forte come non aveva mai fatto. Shoyo sollevò gli occhi, ansioso, ma vide che non c'erano ancora tracce di mascara sulle guance di sua sorella.
Natsu non aveva ancora pianto. Più fiducioso, si separò da lei con una pacca sulla schiena per lasciarle lo spazio di salutare Kageyama.
Il suo fidanzato si lasciò stringere in un abbraccio restando rigido sul posto e fu l'ultimo a seguirli in soggiorno dopo che lei si era tolta le scarpe da ginnastica.
Seduti al tavolo, cominciarono a fare colazione. Aki dormiva ancora mentre i croissant scoppiettavano nel forno.
“Grazie di cuore per aver badato ad Aki! Spero si sia comportata bene!”
“È andato tutto bene, tranne quando ha chiesto a Kageyama di giocare alla parrucchiera!” replicò Shoyo con un sorrisetto. Vide il suo fidanzato fulminarlo con lo sguardo e si lasciò finalmente andare ad una risata con Natsu.
“Mi dispiace da morire, Tobio-kun!” esclamò la ragazza giungendo le mani in segno di scusa “Aki delle volte è così insistente...”
“Non preoccuparti, è stato divertente!” replicò Shoyo “Quando vuoi...”
Kageyama lanciò al fidanzato uno sguardo tagliente e disse all'improvviso: “Devi cambiare la serratura di casa tua, Natsu.”
La ragazza lo guardò con gli occhi spalancati, come se le avessero appena rovesciato un secchio pieno d'acqua gelida addosso.
“Scu-scusami?”
“Devi cambiare la serratura, Natsu.” le ripeté senza scomporsi “Non puoi continuare così, non va bene per te e per Aki.”
Senza dire nulla, gli occhi della ragazza si riempirono ancora di lacrime trasparenti: quella mattina non indossava neppure il mascara.
“Ma se Shinichi...” disse in un soffio, guardando Shoyo in cerca di supporto. Suo fratello boccheggiò, incapace di respirare, ma Kageyama lo anticipò: “Lascia stare tuo fratello, è un inguaribile ottimista... Non hai bisogno di Shinichi. Tu sei forte. Hai la tua carriera, puoi farcela da sola.  Tua madre capirà.”
“E io ci sarò sempre.” riuscì finalmente a dire Shoyo, prendendole le mani tra le sue sopra il tavolo. Si sentiva svuotato, impaurito, ma le strinse forte per dimostrarle che non stava dicendo bugie, che le sarebbe stato davvero accanto, anche nei momenti più difficili, anche nelle decisioni più atroci ed odiose. “Quando avrai bisogno di me, ci sarò sempre. Shinichi non ti merita. Non ti merita davvero.”
Natsu pianse, pianse e pianse finché il profumo dei croissant al cioccolato non invase la casa ed il timer del forno trillò. Poi si asciugò gli occhi con la manica della felpa e andò a svegliare Aki.
Finirono di fare colazione tutti insieme mangiando i croissant, mentre Aki sbriciolava dappertutto sul divano e loro discutevano della partita che Natsu aveva giocato a Tokyo la sera prima: se avesse vinto le quattro partite che mancavano alla fine del campionato, la squadra di Natsu avrebbe dovuto disputare i play off per poter accedere alla Lega V1.
Poi, inaspettatamente com'erano arrivate, Natsu e Aki se andarono con la promessa di rivedersi presto.
All'improvviso la casa era tornata silenziosa e i piatti sulla tavola e le briciole sul divano sembravano fuori posto nell'appartamento di un ragazzo di quasi trent'anni che viveva da solo.
Ripulirono in fretta e si lasciarono cadere sul divano. Erano già le undici della domenica mattina e il fine settimana era quasi terminato. Presto Kageyama sarebbe tornato a Tokyo con la promessa di rivedersi appena il calendario della Lega V1 l'avesse permesso. Ma quella settimana era diverso.
“Potremmo cercare di vederci anche per un giorno solo quando giochiamo entrambi di sabato o di domenica.” propose Kageyama passandogli un braccio attorno alla vita. Le gambe incrociate e la schiena affondata nello schienale del divano, Hnata si perse per un attimo nella sua espressione concentrata, poi si lasciò trascinare verso di lui. Kageyama lo strinse a sé e continuò: “Alla fine sono solo due ore e mezzo di treno. Se ci svegliamo presto...”
“Perché non chiediamo a Yamaguchi?” propose nuovamente Hinata, vincendo  l'ennesima occhiataccia del weekend.
“Ti ho detto che non chiedo nulla a Tsukishima.” borbottò l'altro in risposta.
“Ma possiamo parlarne anche solo con Yamaguchi! Magari possono darci qualche suggerimento. Anche loro sono stati lontani, finora!”
Senza aspettare una risposta che sarebbe stata certamente negativa, Hinata allungò il braccio per afferrare il cellulare e cercò velocemente il contatto di Yamaguchi su Line[3]. L'amico gli rispose quasi subito con un largo sorriso a illuminargli le lentiggini.
“Hinata! Da quanto tempo! Come stai? Ma c’è Kageyama accanto a te? Ciao Kageyama!”
Mentre si avvicinava di malavoglia allo schermo per i saluti, Kageyama sbuffò sonoramente per non essersi riuscito a nascondere per tempo.
“Guarda Kei, c'è anche Kageyama con Hinata!” esclamò Yamaguchi, entusiasta. Intravidero nell'angolo in alto a sinistra dello schermo un ciuffo di capelli biondi e sentirono chiaramente Tsukishima dire, infastidito: “Non vengo al telefono, Tadashi.” mentre l'altro rideva. Ormai si chiavano per nome, notò Hinata, e sembrava qualcosa di così strano da associare a loro due. Come il loro matrimonio ormai prossimo.
“Qui tutto bene!” esclamò Hinata con un sorriso. “Da voi? Procede il trasloco?”
Yamaguchi annuì sorridendo un po' meno visibilmente.
“Diciamo. Siamo un po' in ritardo sulla tabella di marcia, ma speriamo di poterci trasferire al più presto, dobbiamo lasciare questo appartamento alla fine del mese!”
“E il matrimonio?”
“Forse abbiamo trovato un tempio a Sapporo che celebra il matrimonio religioso!”[4]
“Ma è fantastico!” ruggì Hinata rimbalzando sul divano “Ci saremo a costo di venire in bicicletta!”
Yamaguchi sorrise passandosi una mano nei capelli, imbarazzato e grato.
“Non ce ne sarà bisogno! Sceglieremo una data che permetta a tutti di esserci!”
Hinata sorrise largamente.
“Che sollievo! A proposito di questo” Lanciò uno sguardo fugace a Kageyama, ancora in silenzio e imbronciato accanto a lui, e si fece coraggio. “Se avete un minuto vorremo chiedervi qualche suggerimento.”
“Certo! Su cosa?”
La voce di Hinata esitò soltanto un momento appena cominciò a parlare.
Come... Come vi siete organizzati quando Tsukishima era a Sendai e tu lavoravi vicino a scuola? Riuscivate a vedervi?”
“Aaaaaaah.” Yamaguchi si morse un labbro, cominciando a pensare ad alta voce. “Immagino che per voi sia più difficile, conciliare il tempo insieme con le partite e tutto il resto… Sendai è dietro l'angolo rispetto a Tokyo, e spesso ho avuto la possibilità di raggiungere Kei e lavorare da casa sua... Anche adesso, io ho potuto trasferirmi, ma capisco per voi non sia così facile... Però non rinunciate alle vostre carriere, siete arrivati così lontano! Sono certo che troverete un modo!”
Hinata strinse le labbra senza riuscire a nascondere la delusione, poi cercò di sorridere. Aveva perso il conto di tutte le volte che Kageyama l'aveva fulminato con lo sguardo, mentre parlava con Yamaguchi.
“Ci proveremo.” disse alla fine, cercando di convincersene. Yamaguchi gli sorrise, incoraggiante.
“Sono certo che ce la farete.”
“Neanch'io avevo mai pensato di arrivare al matrimonio, eppure eccomi qua.” disse all'improvviso Tsukishima dietro di lui, la voce più sostenuta del solito.
“Non dirlo sembrando così disinteressato, Tsukki!”
Non riusciva a vederlo nello schermo, ma Shoyo era certo che la mano di Tsukishima stesse stringendo il fianco del suo futuro marito, proprio come Kageyama stava facendo con lui. La sua presa si era fatta all’improvviso più salda quando Tsukishima aveva parlato. Quelle parole non erano casuali, perché Tsukishima parlava poco e mai senza un motivo, e anche Kageyama l’aveva capito. Ma in quel momento, perso tra ansie e speranze, Hinata non riusciva a connettere cause ed effetti.
Salutò Yamaguchi e Tsukishima con un cenno della mano e bloccò lo schermo del telefono per chiudere la chiamata. Ancora stringendolo in mano, alzò gli occhi e incrociò lo sguardo di Kageyama: aveva gli occhi fissi su di lui, l'espressione imperscrutabile.
“Anche se lo sapevo, è sempre brutto sentirselo dire.” disse con un mezzo sospiro. Sapeva che la loro situazione era difficile, che la distanza tra loro non si poteva colmare così facilmente, che si erano spinti troppo avanti per poter anche solo immaginare di cambiare idea con la pallavolo. Non che ci avesse mai pensato, ed era certo che neppure Kageyama l'avesse mai fatto, che la sua strada potesse essere lontana dalla rete che divideva il campo con il parquet: la pallavolo era stata gran parte della sua vita, quasi tutta la sua vita prima di conoscere a fondo Kageyama.
In fondo, se non avesse cominciato a giocare a pallavolo forse non si sarebbero neppure mai incontrati, nulla di quello che stavano vivendo sarebbe mai accaduto.
“Te l'avevo detto che non era una buona idea parlare con Tsukishima.” replicò Kageyama, ancora infastidito.
“Speravo potessero suggerirci qualcosa...”
Kageyama non gli disse nulla mentre la sua voce si spegneva: sapeva che non era mai stato un tipo espansivo. I loro amici continuavano a dire che da quando stavano insieme l'aveva reso un po' più loquace, ma lui non notava la differenza, perché parlare in maniera franca tra loro non era mai stato un problema, anche se poi finivano per discutere anche per le cose più stupide.
“Dammi il telefono.” gli ordinò all'improvviso. Stupito, Hinata glielo consegnò.
Kageyama cominciò a smanettare su Google e scaricò un file PDF. Lo aprì davanti ai suoi occhi: era il calendario della Lega V1 maschile.
“Guarda.” Puntò il dito sullo schermo all'altezza del mese di febbraio. “Per questo mese, giochiamo sempre in giornate separate, quindi ci sentiremo per telefono e basta. Però possiamo organizzarci per fare una videochiamata prima e dopo gli allenamenti. Invece, per marzo” Fece scivolare il dito sul calendario del mese successivo. “La prima partita del mese è per entrambi di sabato, però io gioco di pomeriggio, quindi puoi venire tu da me appena finisci di giocare, prima di pranzo. L'ultima partita invece è di domenica, ma voi starete ancora lottando per non retrocedere, quindi è meglio che venga io qui a Mino.”
Hinata gli lanciò un'occhiata infuocata che voleva significare: “Non perderemo!”, ma Kageyama lo ignorò e continuò:” Per aprile penso che avrò qualche settimana di stop  degli allenamenti, a Roma erano due prima di riprendere la preparazione... Quindi se tu dovrai giocare i play out posso venire io da te. E dobbiamo incastrarci anche il matrimonio a Sapporo.”
Hinata lo guardò ammirato, dimentico dell'affronto appena subito.
“Ah! Vuoi dirmi” esclamo, emozionato “che per tutto questo tempo stavi pensando a questo! Sei così intelligente, Kageyama!”
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo.
“Dato che tu sei impegnato a deprimerti, qualcuno deve pur farlo!” ribatté, corrucciato. Dopo aver udito le parole di Tsukishima, si era sentito stranamente irritato: non poteva perdere contro di lui. Lui e Yamaguchi stavano per sposarsi; loro non sarebbero stati da meno. Ce l’avrebbe messa tutta per farcela.
“Non mi stavo deprimendo!” Hinata spinse il viso verso il suo, fissandolo con gli occhi ancora scintillanti. “Vincerò tutte le partite che mancano così non giocheremo i play off e ad aprile potremo stare insieme due settimane! Prenotiamo i biglietti dello shinkansen[5]?” propose, e gli sfiorò le labbra con le sue, ancora il segno di un sorriso sul viso.
Forse non avrebbero potuto condividere a breve un appartamento, sicuramente non lo avrebbe avuto in ogni momento al suo fianco, ma ce l'avrebbe messa tutta per poterlo raggiungere a Tokyo.
Entrambi volevano vincere.
 
 
 
Epilogo
 
“Congratulazioni, Natsu!”
Dall'altro lato dello schermo, scarmigliata, rossa in viso, ma con il mascara intatto, sua sorella lo guardò sorridendo fieramente. La prima partita dei play off era appena terminata e la vittoria era stata schiacciante: 25-18 e 25-16, con un totale di venticinque punti conquistati grazie alle sue schiacciate.
“Grazie mille Shoyo! Ma mancano ancora due partite per conquistare la Lega V1!”
“Una partita alla volta.” disse distrattamente Kageyama facendo capolino nello schermo mentre era intento a sistemarsi il farfallino che aveva al collo.
La cerimonia di Yamaguchi e Tsukishima era il giorno seguente, ma Shoyo aveva insistito perché provassero i vestiti appena arrivati nel ryokan dove avrebbero alloggiato tutti gli ospiti. L'indomani ci sarebbero stati proprio tutti, persino Nishinoya e Asahi-san avevano abbandonato per qualche giorno il loro viaggio attorno al mondo che andava avanti ormai senza pause da cinque anni.
“Come sempre, Tobio-kun. Sei proprio carino con il farfallino!”
“Vero? Gliel'ho regalato io!” Shoyo riportò di scatto il cellulare davanti al proprio viso, inquadrando soltanto il suo sorriso a trentadue denti. “Aki-chan è lì con te?”
“Ho chiesto alla mamma di restare a casa con lei, ero troppo nervosa!” confessò Natsu lievemente imbarazzata “Però adesso me ne sono pentita! Avrei fatto una bella figura!”
Shoyo scoppiò a ridere, ma Kageyama distrusse il suo entusiasmo con un perentorio: “Non ridere, la prossima settimana tocca a te!”
Alla fine i Suntory Birds non erano riusciti a fare tutti i punti necessari per mantenere in maniera diretta al categoria e il sabato successivo sarebbero cominciati i play out.[6] Shoyo aveva già deciso che, a prescindere dal risultato, alla fine della stagione avrebbe lasciato la squadra. Avrebbe combattuto con tutto se stesso per non retrocedere nella Lega V2 e poi avrebbe cercato una nuova squadra. Con un po' di fortuna e mandando a segno molte schiacciate, anche delle squadre di più alta classifica avrebbero potuto notarlo.
Magari sarebbe arrivato fino a Tokyo.
“Non ricordarmelo, è la prima volta che gioco i play out!” sì lamentò ad alta voce, ma  Kageyama ormai gli stava più prestando attenzione: in piedi davanti allo specchio della camera, si stava osservando girato di fianco, indugiando sulle proprie scarpe eleganti.
Quasi non sembrava venerdì.
Di solito il fine settimana passava tra sudore, scarpe da ginnastica strette ai piedi e palloni che scivolavano sul parquet e, negli ultimi tempi, tra spasmodici viaggi in treno e malinconici rientri. Ma quella mattina il viaggio verso Sapporo era trascorso veloce, nonostante la grande distanza percorsa. Non lo aveva accompagnato la solita smania di arrivare, ma una gratitudine e una felicità inaspettate per poter essere diretto dai suoi amici con il braccio di Kageyama disteso sul bracciolo, proprio attaccato al suo.
“C'è la puoi fare, Shoyo!” gridò Natsu portandosi le mani intono alla bocca, e quel tifo gli scaldò il cuore.
“Anche tu! Adesso riposati!”
“E voi divertitevi! Salutami Tobio-kun!”
Il viso di Natsu scomparve, ancora sorridendo, dallo schermo. Come Kageyama aveva previsto, Shinichi non era più tornato, ma sua sorella stava lottando meglio del previsto. Sua mamma si era trasferita per un po’ da lei e le stava dando una mano con Aki. Fischiettando, Shoyo posò il telefono sul letto e si voltò verso lo specchio.
Era davvero strano non vedere Kageyama in maglietta, pantaloncini e scarpe da ginnastica o in tuta nel fine settimana. Il suo fidanzato lo guardò, interrogativo, ma lui si limitò ad alzare le spalle con un sorrisetto. Kageyama lo fulminò con lo sguardo e cominciò a sfilarsi i vestiti da cerimonia per rimettersi la t-shirt.
Era un venerdì diverso, ma sabato e domenica sarebbero stati più simili del solito: li avrebbero trascorsi insieme, anche se erano a nord del Giappone.
Era aprile, e, nonostante il freddo, anche a Sapporo stavano cominciando a sbocciare i fiori di ciliegio.
 
FINE

 
 
Note dell’autrice:
Scusandomi per l’immenso ritardo, metto finalmente la parola fine a questa fic. *festeggia*
So che è trascorso un sacco di tempo dall’ultimo aggiornamento e che ormai nessuno si ricorderà più di questa fic, ma questo capitolo è stato particolarmente ostico da scrivere per poter rendere al meglio le emozioni dei personaggi. Spero di averli tratteggiati in maniera degna delle controparti originali, ma nel contempo di essere riuscita a dare qualche “sfumatura dark” in più agli stupendi Hinata e Kageyama, che amo e shippo oltre ogni cosa.
Spero che chi passi di qui possa gradire questo capitolo e questa storia almeno un po’, come, nonostante tutte le difficoltà, io stessa ho amato scriverla.
Vi annuncio che sto lavorando ad un po’ di spin off/sequel/prequel/boh ispirati a questa fic, che spero di pubblicare presto!
Nel mentre, vi lascio il link di una vecchia raccolta KageHina scritta ormai lo scorso anno, in cui i capitoli, 6 e 7  sono ambientati in questo “universo futuro”.
Grazie alla gentilissima Scarlet Jeager per avermi lasciato un parere, è stato graditissimo! *_* Risponderò quanto prima alla recensione, lo prometto! E grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate, nonché a chi mi legge silenziosamente.
Grazie di cuore.
Vi lascio con un ultimo pensiero. :D
Nell’ultima frase, i fiori di ciliegio, oltre a rappresentare la rinascita della natura, vogliono rappresentare anche un messaggio di speranza per tutte le cose belle che stanno accadendo ai nostri personaggi, la riunione di Hinata e Kageyama, la nuova vita di Natsu e Aki, l’accettazione della loro mamma, il matrimonio di Tsukki e Yamaguchi e la rimpatriata tra tutti i personaggi. Scusatemi se sono stata troppo criptica XD

Alla prossima,
Ayumi

 



[1] Frittata di riso.
[2] Letto giapponese che si ripiega quando non serve più.
[3] Line è il Whatsapp giapponese.
[4] Al momento della prima stesura della fic, il tribunale di Sapporo ha appena definito che il divieto di matrimonio tra persone delle stesso sesso è incostituzionale (https://www.repubblica.it/esteri/2021/03/17/news/giappone_giudice_divieto_matrimoni_gay_anticostituzionale-292612601/)
[5] Treno ad alta velocità giapponese.
[6] Al momento della prima stesura della fic, al contrario delle esigenze di trama, i Suntory Birds sono primi in classica e il FC Tokyo è agli ultimi posti della classifica. Gomen nasai :)

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