Who wants to come with me and melt in the sun? di Kim WinterNight (/viewuser.php?uid=96904)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sette secondi ***
Capitolo 2: *** Non mangiarlo! ***
Capitolo 3: *** Senza vie di scampo ***
Capitolo 1 *** Sette secondi ***
Sette secondi
[Mare]
«Papà, papà! Dai, alzati!»
Shavo sbatté le palpebre e indirizzò al figlio maggiore
un’occhiata stralunata.
Erano le tre del pomeriggio, la spiaggia era piuttosto
quieta e quasi tutti i presenti stazionavano sotto gli ombrelloni o si erano
spostati al chiosco poco distante in cerca di un po’ di fresco.
Il bassista non era da meno e, dopo aver lasciato Daron e
John a giocare a racchettoni sul bagnasciuga, si era gettato sul telo in spugna
ed era quasi crollato addormentato.
Non fosse stato per gli insistenti richiami dei suoi figli.
«Che c’è?» bofonchiò, sbadigliando rumorosamente.
«La facciamo la catena?» strillò Shavo Dylan, saltellando
sulla sabbia e indirizzandone buona parte sull’asciugamano del padre.
«Sì, la facciamo?» rincarò Hayk, il fratello minore,
imitando esattamente le stesse mosse dell’altro bambino.
Shavo era disperato: non sapeva cosa l’avesse spinto a
proporre quella dannata giornata al mare con i ragazzi della band e tutti i
loro figli al seguito.
Aveva pensato di lasciare alle loro compagne un po’ di tempo
per rilassarsi, fare shopping e staccare dalla solita routine famigliare, ma se
n’era pentito non appena aveva messo piede in spiaggia.
Lanciò un’occhiata a Serj, il quale se ne stava comodamente
seduto su una sedia da regista arancione a leggere il giornale.
«Papà, papà!»
La vocetta del suo figlio maggiore gli trapanò ancora una
volta i timpani.
«Shavo, adesso no! Non avete ancora digerito, dovete
aspettare ancora mezz’ora prima di entrare in acqua» replicò stancamente.
«Mettetevi sotto l’ombrellone, altrimenti vi bruciate e vostra madre poi se la
prende con me!»
Shavo Dylan, in tutta risposta, rise forte e si batté sullo
stomaco. «Io ho digerito, senti!» Detto questo, si esibì in un rutto per niente
realistico. «Allora? La facciamo la catena?»
Il bassista si passò una mano sulla fronte sudata e sospirò,
desiderando ardentemente di tornare a casa e dimenticarsi di quella dannata
giornata.
«Fra un po’, ho detto che è ancora presto!» ripeté.
«No, dai! Emma e Lia sono già in acqua, non è giusto!»
strepitò indignato Hayk, scalciando altra sabbia in direzione del padre.
«Smettila, hai capito?! Emma e Lia non hanno mangiato il
gelato e hanno finito di pranzare prima di voi!» sbraitò Shavo.
«Non è vero!» urlò Shavo Dylan. «Facciamo la catena, ce
l’avevi promesso!»
«Piantatela, state facendo un chiasso infernale!»
«Ma noi vogliamo fare la catena!» replicarono in coro i
bambini, puntandosi le mani sui fianchi e fulminandolo con lo sguardo.
Shavo si chiese come facesse Serj a rimanere concentrato e
impassibile in mezzo a tutto quel delirio, e quasi quasi invidiava John e Daron
che si divertivano insieme e non dovevano avere a che fare con due mocciosi
assatanati come i suoi figli.
Li amava più di quanto amasse se stesso o qualsiasi altro
essere vivente al mondo, ma certe volte lo facevano davvero impazzire e non
sapeva come gestirli.
Quanto avrebbe voluto che Sonia fosse al suo fianco!
«Perché non aiutate Rumi a scavare la piscina?» propose,
sempre più esasperato.
«No, Rumi è noioso!» esclamò Shavo Dylan.
«Infatti, noiosissimo!» rincarò il fratello minore.
«Non offendete il vostro amico, certe cose non si dicono!»
li rimproverò il padre.
«Ma è vero!»
«Basta così! Mettetevi all’ombra e aspettate ancora
mezz’ora, chiaro?»
«No, vogliamo fare la catena!»
A Shavo si annebbiò la vista e per un attimo temette di
perdere il controllo, poi individuò Serj che se la rideva sotto i baffi, il
giornale posato in grembo e gli occhiali scuri sugli occhi.
«Portali a fare la catena, così la smettono. No?» suggerì il
cantante in tono ironico, lanciando uno sguardo a suo figlio Rumi che giocava
tranquillo sotto uno degli ombrelloni.
«Ma sei impazzito? Faccio sempre quello che vogliono, ma
stavolta non sarà così!» affermò il bassista convinto, rimettendosi disteso sul
proprio asciugamano con tutte le intenzioni di ignorare i bambini che ancora
gli saltellavano accanto.
La quiete durò per pochi istanti, poi la voce di Shavo Dylan
riempì nuovamente l’aria. «Hayk, all’assalto!» strillò.
Nel giro di una manciata di secondi il bassista si sentì
completamente investire da una tempesta di sabbia, tanto che fu costretto e a
mettersi di scatto in piedi.
Tremante di rabbia, strinse i pugni e incenerì i figli con
occhiate truci, ma i bambini schizzarono subito via, diretti come schegge verso
il bagnasciuga.
«Dove credete di andare?!» sbraitò, andando dietro ai figli.
Era completamente ricoperto di sabbia, pareva una cotoletta
impanata pronta da friggere, e fu costretto a gettarsi in acqua per potersi ripulire.
Riemerse completamente infreddolito e tremante e trovò Shavo
Dylan e Hayk che se la ridevano sulla riva, dandosi di gomito e prendendosi
apertamente gioco di lui.
«Vedrete cosa vi farà vostra madre quando glielo
racconterò!» li minacciò a gran voce.
«Ehi, Roger Federer dei senzatetto, che cazzo fai?»
Shavo udì la voce di Daron che, intento a rincorrere la
pallina in plastica blu elettrico, inveiva contro John che l’aveva colpita con
troppa forza e l’aveva spedita fin troppo lontano.
«Grazie per il complimento, Rafa Nadal! E no, Malakian, il
mio non è un complimento: stai perdendo i capelli proprio come lui!» replicò
prontamente il batterista, agitando la sua racchetta in legno in direzione
dell’altro.
Vicino ai due tennisti da spiaggia improvvisati,
stazionavano le bambine, intente a guardarli e a fare il tifo per l’uno o per
l’altro a seconda del momento.
Shavo osservò sua figlia e si ricordò improvvisamente che
doveva spalmarle nuovamente la crema solare per evitare che si scottasse;
incenerì i suoi figli maschi con l’ennesima occhiata, poi tornò a passo di
marcia verso gli ombrelloni.
«Papà, uffa!» udì piagnucolare Hayk.
Si chinò a recuperare il tubetto di crema dalla borsa a
righe orizzontali bianche e nere, sbuffando rumorosamente sotto lo sguardo
sempre più divertito di Serj.
«Fratello, perché non vieni anche tu a fare la catena
anziché prendermi per il culo?» sibilò, brandendo la confezione in plastica
come fosse un’arma.
Il cantante si strinse nelle spalle e sollevò un sopracciglio.
«Mio figlio non me l’ha chiesto, guarda com’è tranquillo» commentò serafico.
«Grazie al ca…»
«Papà!» strillò per l’ennesima volta Shavo Dylan,
afferrandolo saldamente per un polso e trascinandolo ancora verso la riva.
Il bassista lanciò un’ultima occhiata disperata a Serj, poi
raggiunse il bagnasciuga seguito dai suoi figli maschi.
«La catena! La catena!» strepitò Hayk, alzando le braccia al
cielo.
«Prima mettiamo la crema, su» esalò Shavo, sedendosi in riva
e battendo accanto a sé sulla sabbia umida. «Coraggio, Lia, vieni!» chiamò a
gran voce.
La sua figlia minore, ancora intenta a seguire con passione
la partita a racchettoni tra Daron e John, sobbalzò e prese la sua amichetta
per mano, trascinandola dal padre.
«Mettiamo la protezione, vieni.»
«Anche Emma?» chiese Lia con un dolce sorriso.
«Certo, anche Emma. Sedetevi vicino a me» le incoraggiò.
Le due bambine obbedirono e Shavo fu grato che per una volta
qualcuno gli stesse dando retta.
Cominciò a spalmare la crema sui corpi accaldati delle piccole,
sentendole ridere e squittire per il contatto con il contenuto fresco del
tubetto.
«Papà sta vincendo, lo zio Daron è scarso!» esclamò Emma,
incrociando le braccia sul petto.
Shavo ridacchiò, riconoscendo nella bambina una delle
tipiche pose di John. «Davvero?»
«Sì, guarda quanto colpisce forte la pallina!»
«Papà, tu non giochi a tennis?» chiese Lia.
«No, lui deve fare la catena con noi!» tuonò Shavo Dylan,
schizzando le due bambine insieme a Hayk.
Emma e Lia strillarono contrariate e si alzarono per
rincorrere i maschietti, mentre Shavo si batteva una mano sulla fronte e
tentava di richiamarli all’ordine per spalmare la crema a tutti.
Fu una vera e propria impresa, dal momento che i suoi figli
maschi continuavano a importunare le bambine e a comportarsi in maniera insopportabile.
«Ace! Ho fatto ace, Dolmayan, non fare il
furbo!» esplose Daron, facendo per sbattere il racchettone sulla sabbia in
segno di protesta.
«Piantala di fare i capricci, Rafa. Non era ace,
ma dove l’hai visto? E poi non abbiamo la rete, quindi non puoi essere certo
che fosse nel mio campo!» replicò il batterista, incrociando le braccia sul
petto ampio.
Shavo li osservava stralunato, finché non venne richiamato
da quegli scapestrati che volevano convincerlo a fare la catena.
Aveva cercato di ritardare quel momento fino all’ultimo, ma
ormai era impossibile gestire i bambini senza accontentarli e gli costò
ammettere che ancora una volta si stava facendo calpestare.
«Chiamo anche Rumi, aspettate!» esclamò Emma, correndo dal
figlio di Serj che ancora scavava la sua piscina sotto l’ombrellone.
«Quel pappamolle non sa neanche correre, ci rovinerà il
divertimento!» bofonchiò Shavo Dylan.
«Non è vero, è bravissimo, smettila!» lo rimbeccò la
sorellina, prendendo le difese del povero malcapitato.
Il bassista notò che Serj spalmava la crema a suo figlio,
poi il bambino li raggiunse mano nella mano con Emma.
«Allora…» Shavo sospirò. «Facciamo questa catena, va bene!»
I bambini esultarono, specialmente Shavo Dylan e Hayk che
più di tutti erano soddisfatti di aver ottenuto ciò che volevano.
Serj raggiunse il bagnasciuga, pronto a godersi la scena –
immancabilmente vestito e con gli occhiali scuri sugli occhi.
Shavo si mise in piedi di fronte all’acqua e tutti i bambini
gli si incatenarono intorno: chi gli si arrampicava sulle braccia, chi lo
teneva per le gambe e chi tirava senza pietà il suo costume.
«Tankian, fai il video!» strillò John, intento a tuffarsi
per colpire la pallina che Daron gli aveva appena spedito con un dritto.
Serj annuì con un sorriso sghembo e sfoderò il cellulare,
mentre Shavo veniva letteralmente incatenato da tutti i bimbi e trascinato fino
in acqua.
Avrebbe dovuto fare di tutto per non cadere subito in mare –
la sfida consisteva nel resistere il più a lungo possibile, visto che era praticamente
impossibile mantenere l’equilibrio – ma dopo pochi passi cominciò a inciampare.
«Corri più forte, Rumi! Sei troppo lento, uffa!» urlò Shavo
Dylan inferocito.
Il bassista si sentiva come un salame insaccato, nonostante
tutto quel gioco idiota fosse nato perché il suo figlio maggiore lo aveva
immaginato come un prigioniero disubbidiente che doveva essere gettato in mare
per essere punito.
In pochi istanti il mondo gli si capovolse attorno e si
ritrovò a impattare malamente contro la superficie dell’acqua, finendo sotto le
onde schiumose tra le grida esultanti e divertite di tutti i bambini.
«Hai fatto il conto?» sentì urlare Hayk.
«Sette secondi! Dobbiamo farlo cadere prima e battere il
record!» strepitò Shavo Dylan.
Il bassista si prese la testa tra le mani e, dopo qualche
istante di esitazione, diede le spalle alla riva e cominciò a dirigersi al
largo.
Sapeva che i bambini non l’avrebbero seguito – Hayk non
sapeva nuotare e Shavo Dylan aveva paura di stare dove non toccava – così
avrebbe avuto qualche minuto di tregua.
Si stava pentendo sempre più di aver organizzato quella
maledetta giornata in spiaggia, eppure avrebbe dovuto sapere che sarebbe andata
a finire in un modo disastroso come quello.
Quando fu a debita distanza, si volse nuovamente verso il
bagnasciuga e sospirò di sollievo nel notare l’impotenza dei bimbi che
strillavano perché volevano che tornasse indietro.
Osservò Daron e John battibeccare per l’ennesimo punto su
cui non erano d’accordo; intanto Serj sghignazzava con il cellulare in mano,
probabilmente intento a riguardare il video che aveva appena girato.
Mentre i suoi figli maschi continuavano a richiamarlo e fare
baccano, gli altri tre bimbi si erano seduti da una parte a costruire un
castello di sabbia.
Sapeva di non poter restare a lungo in quell’angolo di
quiete: la giornata non era ancora finita.
Non ne poteva più e si ripromise di non prendere mai più
un’iniziativa come quella.
Trattenne il respiro e riprese a nuotare, godendosi ancora
qualche attimo tutto per sé.
E mentre tornava verso la riva, si rese conto che chi
pensava che andare in spiaggia fosse rilassante, sicuramente non aveva la
minima idea di cosa significasse avere due figli come Shavo Dylan e Hayk
Viktor.
😊 😊 😊
[Prompt 39: “Me l’avevi promesso!”]
Ciao a tutti e benvenuti in questa mia nuova raccolta sui
System ^^
Raccolta nata in seguito alla sfida “On Holiday” lanciata da
evelyn80 che consiste in quanto segue:
Estate: tempo di vacanze per antonomasia! Al mare, in
montagna, in città o in campagna, i mesi di luglio e agosto sono da sempre
fatti per godersi il meritato riposo dal lavoro.
E perché questo non dovrebbe valere anche per i nostri amati musicisti? Non hanno
forse anche loro il diritto a una meritata vacanza?
Ecco cosa propongo: ogni partecipante, a turno, propone un prompt relativo a
uno degli ambienti che ho elencato prima, nello stesso ordine: quindi il primo
prompt sarà relativo al mare, il secondo alla montagna e così via, e ogni
partecipante dovrà scrivere una breve storia in cui si racconta la vacanza dei
nostri musicisti preferiti. Quindi, in totale ogni partecipante dovrà scrivere
quattro storie, ambientate nei quattro luoghi di vacanza, con una scadenza di
15 giorni.
Ovviamente non ci corre dietro nessuno, e i 15 giorni di scadenza servono solo
per comunicare il nuovo prompt!
Le istruzioni che avete appena letto le ho copiate
direttamente dal primo capitolo della raccolta On Holiday
di Evelyn, che ha deciso di dedicare ai Chicago!
Ecco invece la prima storia di Soul che, invece, ha scelto i
Nothing But Thieves come band da mandare in vacanza: Chi sa correre
sulla sabbia?
Ringrazio tantissimo Evelyn per avermi coinvolto e, visto
che per la precedente sfida mi ero concentrata sui Faith No More, stavolta ho
voluto dare nuovamente spazio ai miei amatissimi SOAD!
Insomma, come potevo perdere l’occasione di cominciare con
una delirante giornata al mare organizzata per soli uomini e bambini? XD
Così come i musicisti hanno diritto di “““rilassarsi””” (ma
dove? XD), anche le loro compagne ce l’hanno, no?
Comunque, il primo prompt relativo al mare, visto che siamo
solo in tre a partecipare (io, Evelyn e Soul), ce lo siamo fatto suggerire
gentilmente da mia madre ed ecco che se n’è uscita con “catena”.
E io ho subito immaginato scenari apocalittici con i figli
di Shavo che, scapestrati e indomabili, inventavano un gioco così chiamato per
far dannare ancora di più il padre! XDD
Alcune piccole note sul testo: in realtà John, oltre a Emma,
ha avuto anche un’altra figlia – Mia – ma questa storia è idealmente ambientata
prima che lei nascesse ^^
Invece Shavo ha tre figli: Shavo Dylan (il maggiore), Hayk
Viktor (il mezzano) e Lia Rose (la minore); Serj è padre di un solo bimbo,
Rumi, mentre Daron (PER FORTUNA) non si è ancora riprodotto e spero che non lo
faccia mai AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH XD
Mentre John e Daron giocavano a racchettoni, ho nominato due
famosissimi tennisti – Roger Federer e Rafael Nadal; e John dice a Daron che
“sta perdendo i capelli come Nadal” perché effettivamente il tennista spagnolo,
anche se cerca di non darlo a vedere e usa imperterrito la sua fascetta per
giocare, sta pian piano rinunciando alla sua chioma XD così come Daron che non
è che sia mai stato esattamente un capellone AHAHAHAHAHAHAH! Sarà per questo
che ha cominciato a usare sempre dei cappelli? :P
L’ace, in linguaggio tennistico, è il tipo di punto
che un tennista fa quando lancia la pallina nel campo avversario e fa punto al
primo colpo, senza che l’altro riesca a toccarla o a replicare ^^
Il titolo della raccolta è un verso tratto dalla canzone U-Fig
dei SOAD!
E niente, spero che tutto questo disagio vi sia piaciuto e
vi abbia fatto almeno sorridere, perché io sono MORTA dal ridere mentre
scrivevo!
Grazie ancora a Evelyn per avermi coinvolto in questo nuovo progetto
e a Soul che, nonostante la sua challenge “Just stop for a minute and smile”
sia attualmente sospesa, permette comunque a noi partecipanti di continuare a
sviluppare i suoi prompt *___*
Ci sentiamo presto con la prossima storia ♥
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Capitolo 2 *** Non mangiarlo! ***
Non mangiarlo!
[Montagna]
John guardò fuori dalla finestra e aggrottò la fronte: il
cielo era ricoperto di nubi nere e minacciose, pareva che avrebbe cominciato a
piovere da un momento all’altro.
Non voleva che ciò accadesse, sapeva perfettamente come
si sarebbe sentito se tuoni e lampi avessero cominciato a infuriare, facendo
tremare i vetri e le sue ossa.
Aveva deciso di seguire i suoi amici in quel rifugio,
dopo aver trascorso il pomeriggio a fare una bella escursione in mezzo alla
natura; lui e Serj erano stati i più propensi a camminare nei sentieri
sterrati, tra cespugli e alberi rigogliosi, mentre Daron e Shavo avevano
arrancato dietro di loro senza mai smettere di lamentarsi.
Il chitarrista in particolare aveva borbottato e
imprecato mentre inciampava su radici e sassi, invece Shavo si era preso qualche
momento per fotografare tutto ciò che lo circondava e caricare subito gli
scatti su Instagram.
Infine erano giunti in quel rifugio immerso nel verde, di
cui in realtà non erano gli unici ospiti; ci avrebbero trascorso la notte e
John era sempre meno convinto che fosse una buona idea.
Il vento scuoteva forte le chiome degli alberi, si
infrangeva sulle imposte e faceva sbatacchiare i rami contro il tetto, producendo
rumori sinistri e sibili ben poco rassicuranti.
«E meno male che siamo in estate» bofonchiò, continuando
a fissare il cielo plumbeo fuori dalla finestra.
«In montagna può capitare che ci sia maltempo anche nelle
stagioni più calde» commentò Serj, sorseggiando un po’ di tè nero dalla propria
tazza.
«E doveva succedere proprio oggi che ci siamo noi?»
proseguì il batterista, continuando a pregare mentalmente perché non si
scatenasse un temporale.
Teneva le mani strette sui braccioli della poltrona su
cui sedeva e gli occhi fissi a controllare la situazione all’esterno; era teso
e non sapeva come rilassarsi, non gli piaceva per niente mettere a parte dei
suoi amici la brontofobia di cui soffriva.
Anche se loro lo sapevano perfettamente e non l’avevano
mai deriso, anzi, avevano sempre cercato di distrarlo e tranquillizzarlo – tra loro
era così, erano come fratelli e John non poteva che esserne grato.
«Troveremo un modo per non pensare a quella tempesta,
vedrai» lo rassicurò Serj.
John si voltò nella sua direzione e incrociò i suoi occhi,
trovandoli calmi e rassicuranti. Sorrise appena e annuì, sentendosi un po’
meglio: il cantante era una di quelle persone che riuscivano sempre a
rincuorarlo, anche nei momenti di maggiore ansia o nervosismo. Non sapeva come
avrebbe fatto senza di lui.
«Dopo che abbiamo badato ai nostri figli per un giorno
intero in spiaggia, ci meritavamo proprio un po’ di relax» aggiunse Serj con un
sorrisetto ironico.
«Dopo che Shavo ha badato ai nostri figli, vorrai
dire» lo corresse John scoppiando a ridere.
«Qualcuno mi ha nominato invano?» esplose la voce del
bassista, precedendo di poco il suo ingresso nella stanza.
Lui e Daron li raggiunsero, stringendo in mano un paio di
thermos e qualche plaid che si erano fatti consegnare dai gestori del rifugio.
«Io e John stavamo giusto ragionando su quanto sei stato
bravo a gestire tutti i bambini al mare» lo punzecchiò il cantante, strizzando
l’occhio all’amico.
«Come se voi due foste in grado di ragionare» replicò
Daron con fare sprezzante.
«Guarda un po’ da che pulpito viene la predica!» esclamò
John piccato.
Poi un forte boato fece sobbalzare tutti e quattro,
interrompendo bruscamente i loro battibecchi; il batterista si irrigidì sulla poltrona
e riportò lo sguardo fuori dalla finestra, notando che stava cominciando a
piovere.
Sapeva di essere masochista e che sarebbe stato meglio
distrarsi, ma era troppo spaventato e ansioso per distogliere l’attenzione dalla
calamità naturale che più detestava al mondo.
Sentiva vagamente i suoi amici riprendere a parlare, punzecchiarsi
e scherzare tra loro, ma la sua testa ormai era lontana anni luce ed era come
se fosse completamente solo in quel luogo fattosi d’improvviso ostile e
spaventoso.
Si riscosse soltanto un paio di tuoni più tardi, quando
si accorse di una mano che lo scuoteva con insistenza per un braccio.
Si voltò con aria stralunata e mise a fuoco il viso
preoccupato e corrucciato di Shavo.
«Fratello, ci sei?»
John sbatté le palpebre ed evitò di replicare, mentre
tutto il suo corpo tremava senza alcun ritegno.
Con la coda dell’occhio vide Daron aggirarsi per la
stanza e frugare nei cassetti, mentre Serj si metteva a sua volta in piedi e si
avvicinava alla finestra.
John lo seguì con occhi vigili e notò che tirava le
pesanti tende, impedendogli di continuare a farsi ulteriormente del male.
«Tieni, bevi un po’ d’acqua» disse Shavo, recuperando una
bottiglietta dal piccolo tavolo presente nella camera. La porse al batterista e
rimase accanto a lui, assicurandosi che si calmasse almeno un po’.
Intanto la pioggia si faceva sempre più rumorosa e
furiosa, intervallata dai forti boati dei tuoni; per un istante la corrente li
abbandonò e li lasciò al buio, e a quel punto John tenette che avrebbe potuto
cominciare a piangere come un perfetto idiota.
Quando la luce rischiarò nuovamente l’ambiente, Daron rovistò
in uno dei cassetti e si raddrizzò, mostrando agli amici ciò che aveva appena
trovato.
Serj aggrottò la fronte. «Che c’è in quella busta?»
«Un puzzle. Che dite, lo costruiamo? Io non ho pazienza,
ma sicuramente John lo metterà insieme in due minuti!» propose il chitarrista.
«Un puzzle dentro una busta di plastica?» chiese Shavo
confuso. «Come facciamo a risolverlo se non abbiamo la scatola con l’immagine a
guidarci?»
John si riscosse, improvvisamente interessato a quell’attività.
«Non dovrebbe essere troppo difficile: innanzitutto basta costruire il bordo,
poi pian piano il disegno verrà fuori» commentò, alzandosi a fatica dalla poltrona
per avvicinarsi al tavolo.
«Ah, sì? Mi sa che non ho mai fatto un puzzle in vita
mia» bofonchiò Shavo dubbioso.
«Ma che infanzia di merda avete avuto?» fece Serj,
spostando lo sguardo dal chitarrista al bassista e viceversa.
«Io non ho mai avuto pazienza, preferivo suonare la
batteria!» esclamò Daron con orgoglio.
«Forse i tuoi genitori avrebbero dovuto comprarti più puzzle»
lo sbeffeggiò John, accomodandosi su una sedia. «Dai qua, vediamo se si può
scoprire che disegno c’è dietro» aggiunse, allungando la mano sinistra per
recuperare la busta dalle dita del chitarrista.
«Ti accontento solo perché non sono un mostro e mi fai pena,
ma i tuoi commenti sono veramente da stronzo» borbottò Daron, poi lasciò andare
l’oggetto e andò a sedersi sulla poltrona occupata fino a poco prima dal
batterista.
Serj prese posto vicino a John e i due rovesciarono i
pezzi sul tavolo, cominciando a separare quelli del bordo dagli altri.
«Speriamo ci siano tutti» disse il cantante. «Ah, guarda,
questi due li ho già incastrati!»
«Sarà una passeggiata» osservò il batterista.
Shavo rimase a scrutarli per un po’, poi si buttò sul
proprio letto e chiuse le palpebre.
La tempesta continuava a imperversare all’esterno, ma la
risoluzione del puzzle aveva talmente catturato l’attenzione di John che quasi
non si accorgeva dei tuoni che esplodevano nell’aria.
Un’ora dopo, quando i morsi della fame stavano
cominciando a farsi sentire, la tempesta era ormai finita e tutt’intorno a loro
era calmo e quieto.
Shavo si era addormentato e russava con la bocca aperta,
mentre Daron aveva messo le cuffiette alle orecchie e scuoteva il capo come un
forsennato, cantando a squarciagola le canzoni della propria playlist.
Serj e John sghignazzavano e commentavano le sue dubbie
performance, mentre continuavano imperterriti a incastrare i pezzi del puzzle
uno dopo l’altro.
«Sai che Emma lo avrebbe già finito?» John sorrise nel
pensare alla sua figlia maggiore, per poi imprecare. «Pezzo di merda, perché
non ti incastri? Queste diamine di squame sono difficilissime…»
«Anche Rumi, di sicuro. Tieni, prova con questo.»
John lanciò un’occhiata a Shavo e ridacchiò, riuscendo
finalmente a completare un’altra porzione del disegno. «Sicuramente ai
marmocchi del nostro bassista non piacciono certi giochi» commentò.
«Certo, dirai che lui perde tempo a insegnarglieli, se
non è capace!» esclamò Serj.
A un tratto la voce squillante di Daron permeò nuovamente
l’aria: il chitarrista aveva appena cominciato a cimentarsi in un brano dei
System, ovvero This Cocaine Makes Me Feel Like I’m On This Song; era un
brano difficilissimo, interpretato unicamente da Serj, perciò il risultato era
a dir poco raccapricciante.
Cantante e batterista lo guardarono basiti, mentre il
chitarrista stuprava la canzone e sbagliava due parole su tre, inceppandosi con
il testo perché non era mai stato in grado di cantare tanto veloce in vita sua.
John ghignò, indicando il puzzle quasi del tutto
completo. «Ha scelto la musica giusta: calza a pennello con questo disegno»
ironizzò.
Serj sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere e gli batté
sulla spalla. «Noto con piacere, cognato, che hai ripreso il tuo solito senso
dell’umorismo!»
«Ormai la tempesta è passata» replicò il batterista con
un sorriso sereno.
Intanto Daron si lanciò verso la fine della canzone,
agitandosi sulla poltrona e fingendo maldestramente di suonare una batteria
immaginaria.
There's nothing
wrong with me
There's
something wrong with you
There's
something wrong with me
I hope your
stepson doesn't eat the fish
There's nothing
wrong with me
There's
something wrong with you
There's nothing
wrong with me
There's
something wrong with you
There's
something wrong with me
I hope your
stepson doesn't eat the fish
There's nothing
wrong with me
There's
something wrong with you
Don't eat the
fish!
Quell’ultima esclamazione acuta del chitarrista fece ridestare
bruscamente Shavo, il quale si guardò attorno stralunato e cominciò a blaterare
con voce impastata: «Che c’è? Ancora ci sono i tuoni? Chi si è fatto male?
perché gridate? Ehi, John, come stai?»
Il batterista prese a sghignazzare e diede di gomito al
cantante; intanto Daron aveva già cominciato a biascicare un nuovo brano non
meglio identificato e pareva non essersi accorto di niente.
«Daron sta facendo il karaoke, le urla erano sue» disse
Serj, recuperando uno degli ultimi pezzi dal tavolo.
«Avete finito con quell’affare?» Shavo si alzò a fatica e
li raggiunse, aggrottando le sopracciglia sorpreso. «Cazzo, ormai ci siete! Ma
come avete fatto?»
«Non era poi così difficile» commentò John, mettendo un
altro tassello al suo posto.
Il bassista raggiunse Daron e attirò la sua attenzione,
facendo in modo che riponesse gli auricolari e tornasse alla realtà.
«Che vuoi? Mi hai interrotto sul più bello, stava per
cominciare il ritornello di Rock And Roll Deserves To Die!» si inalberò
Daron, fulminandolo con un’occhiataccia.
«Shavo, che tu sia benedetto: ci mancava solo che
stuprasse anche quella canzone!» esclamò Serj, alzando gli occhi al cielo.
«Cosa vorresti insinuare, Tankian? Che soltanto tu sai
cantare alla perfezione?» sibilò il chitarrista.
«E basta, ti volevo far notare che hanno quasi finito il
puzzle, guarda!» Shavo lo strattonò Daron per un braccio, costringendolo ad
alzarsi.
I due si accostarono nuovamente al tavolo e proprio in
quel momento John incastrò l’ultimo pezzo, appurando che non ne mancasse
nessuno e quale fosse il disegno da comporre.
«Ma che schifezza è? Un pesce?» borbottò Daron, scuotendo
la testa. «Speravo che almeno fosse un bel paesaggio o la riproduzione di un
quadro famoso, invece…»
John fece spallucce e lo guardò in tralice. «Come
potevamo saperlo, genio?»
Il chitarrista si strinse a sua volta nelle spalle.
«Motivo per cui io ci ho rinunciato fin da subito: sarei rimasto troppo deluso
da questo sgorbio che sembra un misto tra Nemo e una sardina» proseguì.
«Tu ci hai rinunciato perché non hai pazienza e non ci
riesci, ora non cambiare le carte in tavola» puntualizzò John.
«Dettagli.»
Intanto Shavo stava già fotografando il puzzle appena
completato dagli amici, per poi armeggiare con il cellulare e sghignazzare
insieme a Serj; i due confabulavano tra loro, gli occhi fissi sull’iPhone del
bassista e le risate impossibili da contenere.
«Cosa state combinando voi due?» domandò Daron,
massaggiandosi lo stomaco. «Io ho fame, andiamo a cena?»
«Certo, un attimo… ecco, così è perfetto! Vediamo se i
nostri fan sanno risolvere il rebus» concluse il bassista soddisfatto,
scambiandosi occhiate complici con il cantante.
John afferrò il proprio cellulare e notò che Shavo aveva appena
fatto l’ennesima storia su Instagram; la aprì con un sospiro e notò la foto del
puzzle con sopra la scritta Don’t eat the… e una didascalia che invitava
tutti a scoprire quale citazione si nascondesse dietro quel difficilissimo
rompicapo.
Il batterista si batté una mano sulla fronte e porse lo
smartphone a Daron, mostrando anche a lui la nuova trovata del loro amico.
«Sai che nessuno ci potrebbe mai arrivare? Cazzo, che
difficile!» bofonchiò John, scuotendo il capo con fare rassegnato. Poi
incrociò le braccia al petto e proseguì: «Forse sarebbe stato meglio inserire un
video di Daron che stuprava la nostra canzone al karaoke!»
Il chitarrista sollevò un pugno con fare minaccioso.
«Adesso però non te la scampi, razza di pallone gonfiato! La tempesta è finita»
esclamò, per poi gettarsi su di lui e cominciare a fargli il solletico.
I due cominciarono a ridere forte, mentre John si
dimenava ed entrambi rischiavano di cadere dalla sedia.
Serj indicò il puzzle e sorrise. «Lo distruggo e chiedo a
quelli del rifugio se posso prenderlo, così Rumi ed Emma lo possono risolvere
insieme» commentò.
«Io nel dubbio vado a mangiare!» esclamò Shavo,
dirigendosi verso la porta.
John si liberò di Daron e si mise in piedi, seguendolo in
tutta fretta. «Certo, ma oggi niente pesce per cena!»
«Finalmente mi date ascolto, io lo dico sempre che non
bisogna mangiarlo!» li apostrofò Serj, raggiungendoli.
Daron fu l’ultimo a lasciare la stanza, tentando ancora
una volta di importunare John e vendicarsi per le offese ricevute.
Shavo e Serj li osservarono mentre si rincorrevano giù
per le scale come due ragazzini.
«Che idioti» borbottò il cantante con un sorriso
intenerito.
«E comunque, fratello, c’è solo una ragione per cui non
mangeremo un buon fish&chips per cena» disse Shavo, strizzando l’occhio a Serj.
Questi lo guardò con aria interrogativa.
«Non c’è nel menu, siamo in montagna e qui si mangia solo
carne!»
Mentre cenavano, continuando a punzecchiarsi e
battibeccare animatamente, John si ritrovò a ringraziare mentalmente i suoi
amici: sembrava una stupidaggine, qualcosa di scontato, ma ancora una volta
erano riusciti a distrarlo e a scacciare le ombre della tempesta che
aleggiavano dentro di lui.
Non avrebbe potuto desiderare di meglio.
😊 😊 😊
Ciao a tutti, eccomi anche io a pubblicare la seconda
storia per la sfida di Evelyn *___*
Stavolta il prompt, suggerito da lei (o meglio, da suo
figlio XD) era “pesce” e io non ho proprio resistito all’idea di spedire i
nostri quattro eroi in una rifocillante (?) gita in montagna, sfruttando il
brano citato nella OS per giocare con le parole!
Per scrivere questa storia ho preso spunto dalla real
life perché da poco a casa abbiamo ritrovato un puzzle dentro una bustina di
plastica, senza scatola né disegno da poter seguire per risolverlo; beh, mia
madre l’ha costruito in men che non si dica e il disegno, anche se non
raffigurava un pesce come in questo caso, era piuttosto semplice XD
E chi poteva cimentarsi in un’attività come questa se non
John e Serj? Shavo e Daron proprio non ce li vedo, al massimo potrebbero
costruire quelli con 10 pezzi enormi (????) per i bambini di un anno XD
AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!
E ovviamente lo stralcio di testo che ho inserito è
tratto dal testo della canzone, di cui vi lascio il link perché dovete
assolutamente capire quanto Daron NON sia adatto a cantarla XD:
This
Cocaine Makes Me Feel Like I'm On This Song
E qui invece potete ascoltare l’altra canzone citata, che
però appartiene ai The Darkness e ha quindi degli acuti che immaginare che li
faccia Daron è un supplizio -____-”:
Rock
and Roll Deserves to Die
La brontofobia di John – ovvero la paura dei tuoni – è una
mia licenza poetica, insita in me fin dalla primissima storia che scrissi nel
fandom dei System e che ormai fa parte della caratterizzazione che secondo me
lui ha ^^
Il fatto che Serj “calchi la mano” sul fatto di non
mangiare pesce l’ho inserita anche alla luce del fatto che lui è realmente
vegetariano :D
E no, non ho scritto per sbaglio che Daron da piccolo
voleva suonare la batteria: è tutto vero! Lui voleva la batteria, ma suo padre
non gliel’ha mai concesso – sapete, Vartan è un artista, magari tutto quel
casino lo avrebbe distolto dalle sue opere XD – e comunque è stato meglio così,
credetemi AHAHAHAHAHAHAH! No, perché dovete sapere che Daron, nel secondo album
solista del suo progetto Scars On Broadway ha suonato tutti gli strumenti,
batteria compresa, e vi assicuro che il risultato non è assolutamente lo stesso
del primo album, nel quale alla batteria c’era John :)
Come già detto nelle note del capitolo precedente, John
ha due figlie e la maggiore è proprio la citata Emma, mentre Serj ha un figlio
di nome Rumi; Shavo ha tre figli, due maschietti e una femminuccia, mentre
Daron PER FORTUNA – ci tengo a sottolinearlo AHAHAHAHAH – NON si è riprodotto
:P
Ho fatto anche degli altri riferimenti alla OS
precedente, durante la quale i nostri eroi hanno vissuto una “rilassantissima”
giornata in spiaggia, ma per chi non l’avesse letta non sto qui a fare spoiler,
caso mai gli venisse un improvviso moto di curiosità e volesse darci un’occhiata
XD
Spero di avervi strappato un sorriso, ci sentiamo con la
prossima storia ambientata in città ♥
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Capitolo 3 *** Senza vie di scampo ***
Senza vie di scampo
[Città]
Era il 24 giugno e il sole batteva cocente e impietoso sulle
strade affollate di Firenze.
Serj staccò per un attimo gli occhi dalla mappa della città
e li portò tra la folla che lo circondava, notando che gli sguardi gli
scivolavano distrattamente addosso senza soffermarsi sulla sua figura.
Era perfetto: quegli occhiali da sole lo stavano rendendo
particolarmente irriconoscibile e lo stavano aiutando a passare inosservato.
Voleva godersi quei pochi giorni in una delle sue città
d’arte preferite, non gli andava di essere disturbato e fermato ogni due passi
dai fan affamati di una fotografia o qualche autografo; voleva bene a chi lo
seguiva e non dimenticava mai che era merito di quelle persone se poteva fare
musica e parlare al mondo degli argomenti che più gli stavano a cuore, però
c’erano momenti in cui rimpiangeva di non essere una persona qualunque e di non
poter neanche mettere il naso fuori di casa senza essere braccato da orde di
ammiratori.
Riportò la sua attenzione sulla cartina e seguì col dito il
percorso già fatto: aveva cominciato dalla Cattedrale di Santa Maria del Fiore,
ammirando il sontuoso Duomo e il fascino della cupola di Brunelleschi. Avrebbe
voluto arrampicarsi fin in cima al Campanile di Giotto e ammirare Firenze da
quel punto suggestivo, ma non aveva abbastanza tempo e si era diretto alla
tappa successiva. Aveva proseguito verso Piazza della Signoria e si era beato
di sculture stupende, monumenti ed era rimasto colpito da Palazzo Vecchio. Aveva
dovuto rinunciare a visitare per l’ennesima volta gli Uffizi – non si stancava
mai di quel luogo intriso d’arte – per via della coda infinita che serpeggiava
nei pressi dell’ingresso e si era recato direttamente a Ponte Vecchio.
Era quasi ora di pranzo e stava decidendo il da farsi, in
modo da occupare il minor tempo possibile e proseguire con i suoi giri per
tutto il pomeriggio, quando un grido particolarmente acuto attirò la sua
attenzione.
Sollevò il capo e notò un paio di ragazze che indossavano
delle maglie dei System e confabulavano tra loro, guardando dritte nella sua
direzione; trattenne un sospiro irritato e rifletté per un attimo: non poteva
scappare come un ladro, avrebbe attirato ancora di più l’attenzione, ma se
quelle due si fossero avvicinate lì nel bel mezzo di Ponte Vecchio e avessero
cominciato a chiedergli foto, autografi e chissà che altro, l’effetto sarebbe
stato lo stesso.
Non aveva scampo.
Fece finta di non essersi accorto di nulla e individuò la
sua prossima meta – Palazzo Pitti, dove voleva concedersi almeno la visita alla
Galleria dell’Arte Moderna e al Giardino di Boboli.
«Serj Tankian, sei tu?» si sentì apostrofare poco dopo in un
inglese piuttosto buono.
Finse di non aver sentito, sperando che le due fan
credessero di averlo confuso con qualcun altro, ma loro ormai si trovavano
proprio di fronte a lui e a nulla gli servì cercare rifugio dietro l’enorme
cartina di Firenze.
«Possiamo fare una foto con te?» chiese ancora la ragazza.
Serj allora si arrese all’evidenza e abbassò la mappa,
stampandosi in faccia un sorriso cordiale. «Certo» replicò, senza perdersi in
convenevoli.
Si guardò intorno per controllare se qualcuno stesse
seguendo la scena, poi attese che le giovani lo raggiungessero per scattare un
selfie tutti e tre insieme.
«Quanto sei alto!» esclamò sempre la solita ammiratrice.
L’altra doveva essere incapace di parlare in inglese, e si
limitava a fissarlo ammutolita e ammirata.
«Non tanto» scherzò Serj.
«Forse sono io a essere bassa!»
Il cantante non replicò e sperò che tutto finisse in fretta
perché aveva fame e voleva proseguire con le sue visite all’insegna dell’arte.
Le ragazze scattarono con lui alcuni selfie, poi la prima
indicò la cartina che ancora stringeva in mano. «Stai andando in giro a
visitare la città?»
Serj pensò ironicamente che fosse ovvio, ma si limitò ad
annuire.
Le ragazze si scambiarono un’occhiata e ridacchiarono.
«Non è che vuoi un po’ di compagnia? Noi siamo di Roma, ma
veniamo spesso a Firenze!»
«No, grazie, non è necessario» rifiutò educatamente,
continuando a sorridere con un atteggiamento di circostanza.
«Davvero, per noi non è un problema, non abbiamo niente da
fare! A parte aspettare il concerto di domani, ovviamente» blaterò ancora la
ragazza.
Per la prima volta Serj notò che quella che parlava era mora
e riccia, mentre la sua amica aveva evidentemente tinto i capelli di viola.
«Ho un appuntamento, non posso trattenermi» improvvisò,
cominciando a innervosirsi.
«Possiamo accompagnarti, non vorremmo mai che ti perdessi!»
insistette la riccia, facendo un passo avanti.
Serj ringraziò gli occhiali scuri che nascondevano il suo
sguardo probabilmente seccato e cercò di farsi venire un’idea per tirarsi fuori
da quella situazione scomoda.
«Siete gentili, ma non posso proprio» ripeté, per poi
voltarsi di scatto e prendere a camminare velocemente lungo Ponte Vecchio.
Il posto era gremito di turisti e lui sperava davvero di
riuscire a confondersi tra la folla. Tuttavia si dovette ricredere quando udì
le voci delle due ragazze che lo richiamavano, mentre cominciavano a seguirlo.
Era in vantaggio di parecchi metri e proseguì senza
guardarsi indietro, sperando di individuare un luogo in cui potersi infilare
per nascondersi e sfuggire alle insistenze delle giovani alle sue spalle.
Nei pressi di Palazzo Pitti si addentrò tra un forbito
gruppo di tedeschi che cercavano di decifrare le loro cartine, e non appena li
superò svoltò a sinistra in uno stretto vicolo.
Notò un negozietto e, senza preoccuparsi di che attività
commerciale si trattasse, vi irruppe come un disperato; venne investito dalla
forte aria sparata da un enorme ventilatore, oltre che da un penetrante odore
di incenso.
Si concesse di guardarsi attorno, mentre rispondeva con un
cenno della mano al buongiorno pronunciato in italiano da un ragazzo
dietro il bancone.
Si trovava in un piccolo emporio, pieno di statuette,
candele profumate, incensi e oggettistica tematica di Firenze; senza pensarci,
si sfilò gli occhiali da sole per via della scarsa illuminazione, e si accostò
al bancone.
Si guardò rapidamente alle spalle: non sembrava che le due
ragazze l’avessero seguito.
Il giovane dietro il bancone si schiarì la gola e Serj gli
rivolse un sorriso tirato.
Il commesso gli chiese qualcosa in italiano e Serj scosse il
capo.
«Non parlo italiano, scusami» si giustificò.
«Scusi lei, signore. Cerca qualcosa in particolare?» domandò
il commesso in un inglese stentato.
Il cantante avrebbe voluto dirgli la verità, ovvero che si
era infilato là dentro soltanto per trovare rifugio dalle sue seguaci, però
annuì e sorrise ancora. «Una candela alla vaniglia. Per mia moglie» improvvisò.
«Certo, subito! Se vuole ce l’ho a forma di Duomo o anche di
Ponte Vecchio. Oppure posso proporle questa a forma di cuore o rotonda, molto
semplice ed elegante» spiegò il commesso, disponendo alcuni articoli sul
piccolo bancone.
Serj ne indicò una a caso e sperò che quel tempo trascorso
all’interno del negozio facesse allontanare il più possibile le due fan che
l’avevano inseguito.
Porse al commesso la carta di credito e, una volta
effettuato il pagamento e preso in mano il sacchetto contenente l’acquisto più
inutile della sua intera vita, uscì nuovamente sul vicoletto nei pressi di
Palazzo Pitti.
Azzardò qualche passo verso l’imboccatura della stretta
strada e rimase allibito quando individuò le due fan intente ad attenderlo con
sorrisi smaglianti dipinti sulle labbra colorate di rossetto rosa acceso.
Non poteva credere che fossero ancora lì e che fossero
riuscite a vedere dove si era nascosto.
«Serj, eccoti! Hai comprato qualcosa di bello?» domandò
subito la mora dai capelli ricci.
Il cantante lanciò un’occhiata esasperata ai passanti che lo
circondavano, ringraziando ancora una volta gli occhiali scuri che impedivano
alle due giovani di leggergli nello sguardo.
Notò un gruppo di persone che dovevano avere circa la sua
stessa età e gli venne un’idea.
«Sì, scusate, i miei amici sono arrivati!» esclamò,
gettandosi letteralmente verso destra.
Avanzò a grandi falcate verso gli sconosciuti e a gran voce
disse: «Ehi, Max, sono qui! Scusa per il ritardo!»
Si piazzò vicino agli uomini e alle donne che
chiacchieravano e prese a battere sulla schiena di un tizio tarchiato fingendo
che fossero amici da una vita.
«Vi prego, assecondatemi, poi vi spiego» bisbigliò, poi
sollevò nuovamente il tono di voce e proseguì: «Max, che bello rivederti!
Firenze è bellissima, vero? Come sta tua madre?»
Gli sconosciuti lo fissavano sconvolti, poi cominciarono a
reggergli il gioco e risposero, anche se non parlavano un inglese esemplare – a
giudicare dall’accento con cui pronunciavano le parole, dovevano provenire
dall’Est Europa.
Serj lanciò occhiate furtive alle sue spalle e notò che le
due ragazze lo fissavano confuse e spaesate, non sapendo come comportarsi.
«Scusate» mormorò. «Vedete quelle due ragazze laggiù?»
L’uomo tarchiato seguì il lieve cenno del suo capo. «La
riccia e quella tinta di viola?» chiese.
«Loro. Mi stanno inseguendo, non riesco a liberarmene»
spiegò.
«Perché?» domandò una donna dai capelli ramati legati in uno
chignon.
Serj allargò le braccia e si arrese all’evidenza di doversi
svelare, anche se non pareva che quei turisti fossero in città per ascoltare
dei concerti. «Beh, diciamo che faccio parte di una band, suoneremo domani
all’Arena e i fan ogni tanto mi riconoscono. Solo che in genere si limitano a
chiedere di fare una foto insieme, ma stavolta…»
«Dai, sei un cantante? Non l’avrei mai detto!» intervenne un
altro uomo, alto e imponente nell’aspetto ma simpatico nei lineamenti del viso.
«Non ho l’aspetto da cantante? Pensa che faccio musica
metal, se così si può dire» replicò Serj con un sorriso divertito.
«Metal?! Chi, tu? Non è possibile! Mio nipote Reilly va
matto per quei tizi che urlano come se venissero sgozzati, infatti sta sempre
al festival in questi giorni» disse ancora l’uomo alto, sghignazzando.
«Se mi aiutate, giuro che farò un autografo a Reilly e a
tutti i suoi amici» implorò Serj.
Il tizio tarchiato rise. «Ti aiutiamo in ogni caso, quelle
due ragazzine sembrano molto determinate.»
«Comunque io sono Jakub, lei è mia moglie Dominika» fece le
presentazioni l’uomo più alto, indicando una donna alta quasi quanto lui dai
lunghi capelli dorati. «Loro invece sono i miei amici Jan e Berta.»
«Io sono Serj, piacere e grazie per l’aiuto» replicò il
cantante. «Da dove venite?»
«Repubblica Ceca. Tu?» chiese la moglie di Jakub.
«Sono nato in Libano, ma la mia famiglia è armena. Mi sono
trasferito negli Stati Uniti, ma attualmente vivo in Nuova Zelanda con mia moglie
e mio figlio» spiegò Serj.
«Sembra la storia di un atleta, di quelli che si vedono alle
Olimpiadi» scherzò Jan.
«Jakub, ma Alberto non fa il tassista?» domandò Dominika al
marito.
«Sì, perché?»
«E se lo chiamassi per aiutare questo signore? Magari può venire
a prenderlo e portarlo via da qui senza destare troppi sospetti!» suggerì la
bionda, sorridendo cordialmente a Serj.
«Sarebbe perfetto, in effetti» concordò Jan, dando di gomito
al cantante. «Certo che la vita delle persone famose dev’essere una rottura
incredibile!»
«A volte lo è davvero» confermò Serj con un sospiro.
Jakub, intanto, si era già messo all’opera per contattare il
suo amico Alberto. Parlò al telefono con lui per un po’, sempre in un inglese
non troppo corretto e scorrevole, poi richiuse la chiamata e sorrise a tutti.
«Arriva tra pochi minuti, non preoccuparti.»
«Grazie, davvero…» Serj abbassò lo sguardo in cerca di
qualcosa che potesse donar loro in segno di gratitudine, e notò che stringeva
ancora in mano l’inutile candela alla vaniglia che aveva acquistato poco prima
nell’emporio. «Non so come ripagarvi di questa cortesia, posso darvi questo.
Spero che alle signore piaccia» aggiunse, porgendo il sacchetto a Dominika.
Lei scambiò un’occhiata con l’altra donna, poi scosse il
capo. «Non è necessario, davvero.»
«Insisto.»
La bionda afferrò il sacchetto e vi sbirciò dentro, poi
ridacchiò e lo passò a Berta, dicendole qualcosa in una lingua che Serj non
riuscì a decifrare.
La donna dai capelli ramati portò fuori la candela a forma
di Duomo e gli occhi le si illuminarono.
«A Berta piacciono molto le candele» spiegò Dominika. «Neanche
l’avessi comprata apposta per lei!»
«Mi fa piacere!»
«E gli autografi per mio nipote?» chiese Jakub.
Serj schioccò le dita. «Giusto! Avete una penna?»
Le due donne cominciarono a frugare nelle proprie borse, poi
finalmente Berta ne tirò fuori una e gliela porse.
Serj fece un giro su se stesso e si accostò a una parete,
appoggiandovi la propria cartina per poi cominciare a scarabocchiarci sopra una
dedica per il nipote di Jakub e alcuni autografi da regalare a eventuali amici
del ragazzo.
«Kelly, giusto?» chiese conferma, notando con la coda
dell’occhio che le due ragazzine erano ancora ferme a diversi metri da lui e lo
osservavano come se temessero di perderlo di vista.
«No, Reilly» replicò Jakub, facendogli lo spelling del nome
di suo nipote.
«Perfetto, ecco a voi!» Il cantante porse ai quattro sia la
mappa della città autografata, sia la penna.
«Adesso tu rimani senza cartina» commentò Dominika
dispiaciuta.
«Non importa, ne comprerò un’altra» minimizzò il cantante,
notando che un taxi si accostava a loro.
Jakub, riconoscendo il suo amico fiorentino, si avvicinò al
finestrino dalla parte del guidatore e cominciò a parlare animatamente con
l’uomo all’interno.
Serj colse soltanto alcune parole, poi si prodigò per
salutare Berta, Dominika e Jan, prima di accostarsi a sua volta al taxi.
Le due ragazze non persero tempo e tentarono di fermarlo
ancora una volta, scattandogli fotografie e cercando addirittura di salire in
auto con lui.
Il tassista sbraitò qualcosa in italiano – forse addirittura
in dialetto – e le due si ritrassero, permettendo finalmente a Serj di chiudere
lo sportello e abbandonarsi in pace sul sedile imbottito e comodo.
«Ci penso io, tranquillo. Ciao, Jakub, ci vediamo in questi
giorni» concluse il tassista, salutando l’uomo alto e imponente con una pacca
sul braccio.
«Ciao, grazie ancora!» esclamò a sua volta Serj, facendo un
cenno in direzione dei suoi salvatori.
Poi l’auto si mosse e il cantante poté tirare un sospiro di
sollievo.
«Dove la porto, signore?» domandò il tassista, mentre
richiudeva il finestrino.
Nell’abitacolo si diffuse il gracchiare della radio in
sottofondo e il confortante refrigerio dell’aria condizionata.
Serj recuperò dalla tasca il cellulare e gli lesse
l’indirizzo dell’albergo in cui alloggiava, poi tentò di rilassarsi; nonostante
quelle ragazzine invadenti gli avessero impedito di fare i suoi giri per
Firenze, aveva conosciuto delle persone carine e gentili e in fondo si era
divertito.
«Quindi lei è famoso?» domandò ancora il tassista, con il
suo accento profondamente italiano.
«Così pare…»
«Io non la conosco.» L’uomo rise. «Cosa fa? Il politico?»
«Macché. Magari! Il cantante» replicò Serj con un sorriso.
«Ah, di quelli del festival?»
«Sì, proprio di quelli. Comunque è meglio che lei non mi
conosca: almeno non può importunarmi» si lasciò sfuggire, pentendosene subito
dopo – non era da lui lamentarsi dei fan con degli sconosciuti, ma quel giorno
si sentiva davvero esasperato.
«Questo lo dice lei! C’è mia figlia che è fissata con uno di
quei gruppi del festival…»
Serj roteò gli occhi. «Scommetto che vuole un autografo»
tirò a indovinare.
«Se non le dispiace! Perché non mi ricordo chi le piace, ma
se scoprisse che ho incontrato il suo idolo e non le ho neanche fatto avere un
autografo, come minimo mi toglie il saluto!» continuò a scherzare l’uomo,
destreggiandosi nel traffico del mezzogiorno.
Serj sospirò. «Su, mi dia carta e penna» si arrese.
Aveva cercato in tutti i modi di evitare fan, autografi e
fotografie, ma non ci era riuscito neanche quel giorno.
Mentre scendeva dall’auto e pagava la corsa al tassista, si
disse che in fondo anche quella mattinata a Firenze aveva avuto il suo fascino.
Perché forse era proprio la città in sé a rendere l’atmosfera
magica, e anche le piccole disavventure assumevano tutto un altro sapore.
Salutò cordialmente Alberto e si preparò per raccontare a
sua moglie e ai suoi amici l’ennesima fuga dai fan dei System Of A Down.
Già temeva che agli altri fosse andata molto peggio che a
lui e non vedeva l’ora di sapere ogni dettaglio.
Era l’unico modo che conosceva per affrontare la propria
fama con filosofia e un sorriso sempre stampato sulle labbra.
😊 😊 😊
AUGURI SERJ, BUON COMPLEANNOOOOO *____________*
Lettori, ho approfittato di questa raccolta e di questa
sfida per scrivere una storiella per festeggiare i 54 anni del nostro Serj!
Sono troppo felice, anche se lui, poverino, cos’ha fatto di male per meritarsi
tutto questo disagio? AHAHAHAHAHAHAHAHAH XD
Ho approfittato anche per ambientare questa storia il 24
giugno 2017, giorno che ha preceduto il concerto che i System hanno tenuto il
25 alla Visarno Arena durante il festival Firenze Rocks, al quale io ho
assistito e che è stato il giorno più bello della mia vita finora *_______*
E siccome Serj è risaputo che sia un appassionato di arte,
come potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di spedirlo a zonzo per Firenze, una
delle città d’arte più suggestive al mondo?
A tal proposito, siccome quando sono stata al concerto non
ho avuto il tempo per visitarla per bene, mi sono basata su questa pagina per
descrivere a grandi linee il percorso che ha fatto prima di essere assalito
(???) da queste due tizie su Ponte Vecchio XD:
Visitare
Firenze:Itinerario a Firenze di 2 Giorni (visitflorence.com)
Conto di tornare al più presto in questa città che mi ha
rubato il cuore, per poterla girare in lungo e in largo e potermene finalmente
innamorare ancora di più!
Il prompt stavolta dovevo suggerirlo io ed era “taxi” ^^
Spero che questa shottina vi sia piaciuta e ci sentiamo alla
prossima – e ultima – storia della raccolta, grazie ancora a chi legge e
recensisce :)
E ANCORA TANTISSIMI AUGURI DI BUON COMPLEANNO AL SOMMO SERJ
TANKIAN ♥
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