È restare, combattere ed emozionarsi che richiede coraggio

di musa07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Shoyo ***
Capitolo 2: *** 2.Tobio ***
Capitolo 3: *** 3. Atsumu ***
Capitolo 4: *** 4.1 SakuAtsu ***
Capitolo 5: *** 4.2 KageHina ***



Capitolo 1
*** 1. Shoyo ***


No, ma geniale comunque
mettersi a scrivere un’altra minilong
quando ho una BokuAka impiantata

Però a mia discolpa posso dire
che questa sarà davvero mini-mini,
tre massimo quattro capitoletti
e ho già iniziato a scrivere la seconda parte.
Sì, lo so: sono indifendibile in ogni caso.

Perdonatemi a prescindere^///^

Ah! Skiptime, ovviamente,
a quando i due militano in due squadre differenti.

 

 

È restare, combattere ed emozionarsi che richiede coraggio

 

1. Shoyo
 

- È alle sette e cinquantasette il treno? -
- Sì. -
- Il biglietto ce l’hai? I documenti anche? -
- Sì. E sì. - cerca di farlo ridere, Shoyo, ma ultimamente è un’impresa davvero titanica.
Tobio lo guarda con sospetto. Lo sa, se ne rende conto. Lo sente, l’ha sentito in quelle 48 ore nelle quali è ritornato a Tokyo, il peso del suo sguardo penetrante su di sé.
È impossibile per lui non capire Tobio. Da sempre. Il suo aggrottare delle sopracciglia, l’assottigliarsi degli occhi...
Non hanno affrontato l’argomento, anche se ha aleggiato sulle loro teste come una pesante spada di Damocle per tutto il tempo. Non per codardia, ovviamente, ma per non rovinare in qualche modo quelle preziose – quante rare ultimamente – ore insieme. A cercare di dar una parvenza di normalità.

E Shoyo aveva ben dovuto affrontare - e sostenere - un altro sguardo solo qualche giorno prima.
- Torni da lui? - gli aveva chiesto Atsumu, passando davanti alla sua camera dopo esser uscito dalla bagno, con il solo asciugamano legato in vita.
- Sì, vado da Tobio. – aveva risposto lui, fiero, sostenendo il suo sguardo (nel quale vi aveva letto una lieve canzonatura ne era certo; sapeva leggere così bene anche il suo sguardo, molto più decifrabile e aperto di quello di Tobio) – Torno a casa. -

Tobio lo abbraccia prima che lui salga sul treno. E lui vi si aggrappa in qualche modo.
L’ha preso alla sprovvista, si erano già salutati. Shoyo sa quanto Kageyama odi il momento dei saluti, se dipendesse dall’alzatore questi porterebbe avanti le lancette del tempo per rendere il tutto meno doloroso.
L’ha attirato a sé per un braccio, facendogli perdere l’equilibrio e trovarsi il volto impattato sul suo petto. Avvolto dalle sue braccia. Come una infinità di volte.
“È questo il mio posto!” pensa Shoyo, stringendosi forte. Quanto bene conosce quella stretta, quelle braccia, quel profumo… Anche se in qualche modo gli dà idea che sia un abbraccio che in qualche modo sa di disperazione, di una disperata richiesta di aiuto. E lui si aggrappa come se fosse la zattera sulla quale loro due si trovano come due naufraghi in una tempesta. L’unica speranza che rimane loro...

Sale sul treno che inizia a piovere. Dapprima piccole gocce iniziano a picchiettare sul vetro dove lui ha appoggiato la fronte, guardando il suo volto riflesso dopo che gli occhi sono rimasti incollati sulla figura di Tobio che lo salutava fino a quando non è stata inghiottita dall’oscurità. Poi il ticchettio si fa più urgente, quasi assordante.
Vorrebbe correre giù. Correre da Tobio. Chiamarlo. Vedere come questi si girerebbe aggrottando le sopracciglia facendogli venire quella curiosa rughetta tra di esse (e lo sa, lo sa Shoyo che quella rughetta è anche per colpa sua. Solo per colpa sua…) iniziando ad insultarlo. Non l’ha mai fatto in quei due giorni. Ed è terribilmente sintomatica questa cosa…
Tobio sospetta qualcosa, ed è inutile che lui continui a dirgli che non è successo niente. Perché è vero, non è mai successo niente, ma Tobio gli scandaglia l’anima, lo scruta dentro – come ha sempre fatto – e cerca risposte, rassicurazioni, che in qualche modo quella volta non ha trovato al cento per cento.

Non è mai successo niente tra lui e Atsumu.
È una battaglia di intenti, di sguardi, di provocazioni da parte dell’altro che lui scansa come il migliore dei dribblatori. Ma è una guerra che lo sta sfinendo, lo sfianca, si sente cedere, sente che le mura difensive stanno iniziando mestamente a sgretolarsi. Se n’è accorto con orrore; si è pietrificato, la gola gli si è serrata impedendogli il respiro per un lungo istante nel momento in cui si è reso conto di essersi immaginato per un attimo di avere le mani dell’altro, e non quelle di Tobio, su di sé.

Non è mai successo niente tra lui e Atsumu.

Per il momento… gli sussurra maligna una voce dentro di sé.

 

Continua…

 

Io lo sapevo, lo sapevo che se scoperchiavo il vaso di Pandora dell’angst ero finita…
È sempre colpa di ‘Tsumu comunque!

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Capitolo 2
*** 2.Tobio ***


 

Ahh, che meraviglia!
Qui un’altra giornata prettamente autunnale
sta avendo luogo.
Come sono felice *inserire occhi a cuore*
tenere le finestre chiuse, la felpina addosso, theino bollente
e avere ancora le mani ghiacciate.

Ah, già!
Ogni volta a capir quale sia il momento preciso
a livello cronologico, è il solito dramma-drammino.
Son lì che faccio calcoli che manco un algoritmo della NASA.
Quindi i due, se non ho ricordi sfalsati,
hanno 21 anni quando Shoyo inizia
a militare nei Black Jacklas.

 

 

 

2.Tobio
 

Non è mai successo niente tra Shoyo e Atsumu.
Per il momento…

È la stessa identica cosa che sta pensando anche Tobio mentre guarda il treno venir inghiottito nell’oscurità.
Resta! avrebbe voluto dirgli quando poco prima l’ha stretto forte a sé. Ma in parte aveva paura della risposta.
Non vuole forzarlo a far nulla. Vuole che Shoyo decida di restare perché è quello che desidera ancora e non perché è ancorato ad una sorta di abitudine, a qualche sorta di onore per il fatto che sono ormai quasi sei anni che stanno insieme.
Non ha neanche il coraggio di chiedersi se sia finita, perché lui non vuole che sia finita. Non vuole perdere Shoyo, si sentirebbe letteralmente morire, l’anima straziata e dilaniata, lui lo ama, farebbe di tutto per risanare il loro rapporto; però non può tirar avanti la carretta da solo...
Si chiede se Shoyo non continui a star con lui per abitudine e quando è arrivato un diversivo – un diversivo molto irritante, quanto molesto nonché insistente - un’incognita impazzita nella loro equazione pressoché perfetta ecco che magari può aver iniziato a porsi dei dubbi, degli interrogativi.
Ne ha avuto la certezza, Tobio, in quei due giorni, che Shoyo si sta annoverando nel dubbio, si sta torturando nell’angoscia degli interrogativi. Forse ecco spiegato il motivo del fatto che ha fatto i salti mortali per tornare a casa, partendo ad allenamenti finiti.

- Che succede? - gli aveva chiesto lui, preoccupato, quando alla fine dei suoi allenamenti aveva trovato un messaggio da parte dell’altro che gli annunciava che sarebbe arrivato alla stazione centrale di Tokyo quella sera. Tobio non gli aveva risposto, l’aveva direttamente chiamato, allarmato. Ok che Shoyo era tipo da cose all’ultimo momento ma mai senza prima essersi confrontato con lui.
- Niente Kags. Non posso aver voglia di vedere e stare un po' con il mio ragazzo dopo tanto tempo? -
E lui si era sentito gelare il sangue.
Quella risata era indubbiamente forzata in qualche modo, quel tono, quelle parole gli risuonava in tutto e per tutto come una richiesta di aiuto, un may day disperato e confuso.
Aveva cercato di scacciare quella sensazione, quella brutta sensazione, ma le ore di attesa che l’avevano separato dall’arrivo di Shoyo erano state la peggior tortura di sempre. Si era attanagliato nei dubbi. Che cos’era successo? Quella domanda lo aveva letteralmente torturato per ore, perché la risposta che continuava ad affacciarsi nella sua mente era sempre la stessa. Miya Atsumu…
E vedere l’espressione tirata e forzata di Shoyo non lo aveva aiutato di certo a suffragare i suoi dubbi attanaglianti.
Gli era parso di essere in una sorta di limbo, un po' come quando fai quei sogni cosiddetti lucidi e ti chiedi se stai sognando ed è solo un incubo – incredibilmente reale – o la realtà.
Non sapeva da che parte iniziare il discorso. Ma sarebbe stato più giusto dire che non sapeva se voleva iniziare il discorso. Erano due schietti e diretti di carattere. Lui brutalmente diretto, non aveva mai molto tatto né tanto meno riusciva ad indorar la pillola, di solito andava diretto alla questione, al nocciolo del problema ma la sua lapidarietà era come esser travolti da un treno in corsa per chi si trovava dall’altra parte.
Si era permesso solo una cosa… quando, mentre stava imbastendo una veloce cena, Shoyo, appena uscito dalla doccia, lo aveva abbracciato da dietro mentre lui era intento ai fornelli, appoggiandogli il volto sulla schiena. Aveva sollevato gli occhi verso la piccola finestrella sopra al gas, incrociando il proprio sguardo.
- Va tutto bene? - gli aveva chiesto, posando il mestolo e posando le mani sulle sue. E Shoyo aveva annuito.
- Ora sì. - era stata la risposta.
Ecco perché Tobio pensava che avrebbe dovuto dirgli di restare. Ma era una richiesta oltremodo egoistica, oltre che impossibile con il campionato nel vivo della stagione.
Tobio è convinto che in fondo le persone, anche le migliori, siano egoiste, vogliano sempre il bene per sé al primo posto.

Se la ricordava perfettamente quella volta che Shoyo, ridendo e con tutta la sua solita spumeggiante allegria, tempo prima gli aveva detto che era quasi certo che Atsumu ci provasse con lui in modo più o meno spudorato, praticamente nel preciso instante in cui aveva messo piede nei dormitori della sua nuova squadra.
Erano in un locale vicino al loro micro appartamentino – in una reunion con Daichi e Suga – e l’aveva detto loro come se stesse raccontando un pettegolezzo tra comari quando i loro vecchi senpai gli aveva chiesto come si trovasse con i suoi nuovi compagni di squadra. Si era portata alle labbra la cannuccia del suo cocktail e aveva incrociato i suoi occhi. Ed allora la risata di Shoyo gli era morta in gola vedendo la sua serietà, di come un lampo omicida gli fosse passato negli occhi blu. Hinata si era affrettato a stringergli la mano che era poggiata sul tavolo e che si era stretta a pugno, sorridendogli dolce, carezzandogli teneramente il dorso con il pollice, pentitosi immediatamente di averlo raccontato con così tanta leggerezza; forse gliene avrebbe dovuto parlare quando erano loro due da soli, aveva pensato Shoyo, ma a sua discolpa poteva affermare che per lui la cosa non faceva nessuno effetto, era come se gli stesse raccontando del fatto che la mascherina che Bokuto usava per dormire era a forma di gufo. Ma evidentemente Tobio non l’aveva vista allo stesso modo.
Certo, quest’ultimo aveva pensato che se il suo ragazzo lo aveva raccontato in modo così candido stava indubbiamente a esprimere che per lui non significava nulla e Tobio d’altra parte non aveva – e non ha mai - messo in dubbio la franchezza e la limpidezza di Shoyo. Non era Shoyo che lo preoccupava, né che – all’epoca – potesse considerare il loro rapporto in crisi o similari ma Miya Atsumu lo preoccupava eccome. Subito si era chiesto quanto questi avrebbe lavorato ai fianchi il suo compagno per ottenere ciò che voleva.
L’avrebbe asfaltato la prossima volta che l’avrebbe incontrato, aveva pensato. Gli sarebbe passato sopra con la macchina per poi fare la retro ed assicurarsi di averlo sottilettato per bene.
Tobio aveva notato che i loro due vecchi senpai si erano lanciati una veloce occhiata da sopra l’orlo dei bicchieri e poi Sugawara aveva stirato le labbra in un leggero sorriso che voleva esser rincuorante, come al suo solito, ma si vedeva perfettamente che era tirato, nonché perplesso e confuso, mentre aveva stretto più forte la mano di Daichi sotto al tavolo, lontane da sguardi indiscreti.

Nemmeno il Brasile e quei due anni sabbatici di Shoyo sono riusciti a dividerli. Anzi, la lontananza, in qualche modo, è riuscita a render ancora più saldo il loro rapporto ed ora Tobio è lì che si chiede se ultimamente non l’abbia dato un po' per scontato, il loro rapporto. Si chiede se magari negli ultimi tempi non si è adagiato su questa sicurezza, di non aver colto qualche segnale. Forse Atsumu lo faceva star bene come lui, magari, non ci riusciva più… A pensarla tutta aver intorno uno come Miya doveva essere indubbiamente più divertente. Era sempre allegro (anche se le sue battute erano indubbiamente discutibili), non stava mai zitto (Tobio sospettava fortemente che parlasse anche con i muri, pur di sentire il suono della sua voce); era più simile al suo Shoyo…
Magari Atsumu compensava delle sue mancanze che per Hinata, con l’andare del tempo, erano divenute troppo pesanti da non colmare…
Ma no, no! Cosa va a pensare? Shoyo di sicuro gliene avrebbe parlato se lui fosse stato mancante di qualcosa, se nel loro rapporto mancasse qualcosa.
Forse Hinata si è semplicemente stancato...
Sta scandagliando ogni cosa, ogni sensazione – è proprio un alzatore di natura, la capacità di analizzare ogni singolo dettaglio in una sola manciata di secondi – talmente concentrato da non accorgersi che la pioggia, lieve ma anche insistente, ha smesso di picchiettargli sulla testa.
- Dio, Tobio-chan, hai proprio un aspetto terribile, lo sai? -
Anche se non fosse per quel nomignolo, Tobio riconoscerebbe quella voce armoniosa ovunque. Solleva il volto all’ombrello turchese che lo sta riparando per poi volgere di lato lo sguardo, al nuovo arrivato.
Ma come diamine fa ad essere impeccabile sempre e comunque? Sembrar appena uscito dalla copertina patinata di un giornale di moda?
- No ma grazie, eh! - ribatte, ma ha percepito chiaramente che in quelle parole di Oikawa non c’è nessun tipo di scherno ma solo sincera preoccupazione. E infatti Tooru scoppia in una lieve risata cristallina, in grado di spazzare in qualche modo via le nubi che gli stanno attanagliando la mente. Ma l’altro alzatore smette molto presto, la sua risata argentea si va spegnendo in un fruscio quando lo guarda bene negli occhi.
- Tobio…? - eccolo che si è fatto serio, maledettamente serio. Che non sarebbe tanto quello il problema ma più il modo preoccupato in qui lo sta guardando. Anzi: scandagliando. La sua specialità d’altra parte.
E lui si risveglia. Ci manca solo di farsi compatire dalla gente!
- È ok, ero sovrappensiero. Devo andare, ciao. -
Ma non riesce ad andare proprio da nessuna parte. Ma non perché Oikawa l’ha bloccato per un polso – in modo delicato ma fermo – ma perché lo richiama nuovamente.
- Tobio. - e stavolta c’è solo fermezza.
E lui sospira piano, fermando la sua cacciata – bloccata sul nascere – e nuovamente porta lo sguardo sul bel volto sempre fiero dell’altro.
A distanza di tutti quegli anni Tobio ha la certezza che non si sarebbe mai riuscito a sganciare dall'orbita ammaliante di Oikawa. Nessuno ci riusciva d’altra parte.
- Hai accompagnato Shoyo in stazione. - scandagliando con lo sguardo e cercando di capire che cosa lo tormenti.
- Come lo sai? - replica lui sulla difensiva.
- Beh, non è che ci voglia un genio! – dandogli una bonaria schiccherata sulla fronte – L’alternativa sarebbe che sei qui in stazione sotto al diluvio universale perché stai pensando di lanciarti sotto ad uno shinkansen in corsa, per non si sa quale misterioso motivo, ma non mi sembri proprio il tipo. - scherza ma poi si fa serio continuando a parlare.
– E questo sguardo sofferente non deriva solamente da quanto possano essere terribili gli arrivederci in un luogo di partenze. Deve essere stato molto convincente, il chibi-chan, per essersi visto accordare l’ok di allontanarsi dagli allenamenti a ridosso di una partita di campionato… - conclude pensieroso.
E vabbè, che cosa resiste a fare o a negare? Oikawa è un mago a leggere le espressioni della gente, nonché ad intuire i loro pensieri. È inquietante questa cosa. Meravigliosamente inquietante.
È solo quando ha finito di scandagliarlo dentro che Tooru molla la presa. Gli sta dando il tempo di andarsene, se vuole, ma – al contempo – gli sta facendo capire che se ha bisogno, lui è lì.
E lui ne ha un disperato bisogno, mai come prima di allora. Ed Oikawa gli è apparso come una specie di deus ex machina (perché caspita si ricordava una cosa del genere dai suoi ricordi del liceo?!) che gli sta tendendo indubbiamente una mano. Magari non avrebbe risolto tutto magicamente, come accadeva nelle tragedie greche, ma di sicuro gli avrebbe impedito di andare a casa, nella LORO casa, da solo, a continuare a torturarsi nei suoi pensieri mentre sente l’anima andar in frantumi.
- Ci prendiamo un the, ti va? - nuovamente con un tono ammaliante, come se si stesse rivolgendo ad un animale inquieto che si sente braccato, per tranquillizzarlo.
- È quasi ora di cena. - borbotta lui, cacciando a forza le mani dentro alle tasche dei pantaloni, corrucciando le labbra mentre quelle di Tooru si stendono in un sorrisetto divertito, regalando anche agli occhi la stessa espressione.
Tobio sa quanto Oikawa si sia affezionato a Shoyo nella loro breve parentesi brasiliana. E dicasi lo stesso di Hinata stesso, se le ricorda le sue telefonate chilometriche nelle quali gli aveva raccontato entusiasta delle loro giornate insieme. E Tobio non era stato minimamente geloso, anzi: si era sentito sollevato che Shoyo avesse trovato a chilometri di distanza qualcuno che gli ricordasse in qualche modo casa. Per quanto si poteva ringraziare la tecnologia che permetteva audio, video-chiamate e diavolerie simili, Shoyo aveva imparato molto presto che avere la persona in carne ed ossa era indubbiamente, ed ovviamente, tutta un’altra cosa.

- Sì, ok: ho capito – ride Tooru - Ti offro la cena. Anzi, facciamo di meglio: andiamo a casa mia, così ti do anche degli abiti asciutti, dato che sembri un pulcino bagnato, e ti preparo da mangiare. Hum, vediamo… cosa potrei mai preparare… - si finge meditabondo, perché lo sa benissimo che Tobio va matto per il curry rice che lui sa preparare divinamente.
E Tobio accetta perché conosce perfettamente il suo vecchio compagno di squadra: non gli farà nessuna pressione per indurlo a parlare. Se vorrà farlo, lui sarà lì ad ascoltarlo, altrimenti andrà bene anche solo averlo tolto dalla solitudine di quel momento che Tooru ha percepito essere dilaniante per Tobio.

 

I vestiti caldi e asciutti che Tooru gli ha prestato sono indubbiamente un toccasana per la sua anima, oltre che per il suo corpo zuppo ed intirizzito dalla pioggia. Profumavano di bucato fresco. Sanno di ambra. Sanno di casa.
Si osserva intorno, mentre si tampona i capelli con un asciugamano, e vede che è tutto perfettamente in ordine, non c’è nulla fuori posto, ma comunque tanti piccoli dettagli palesano chiaramente che si tratta di una casa vissuta. Le innumerevoli custodie di cd vicino allo stereo, il ticchettio dell’orologio a parete in entrata, i libri e le riviste ordinatamente impilate sopra alla piccola mensola che separa in qualche modo la cucina dal soggiorno. Si avvicina alla cucina mentre sente levarsi un inconfondibile sound jazz che lo rilassa all’istante, non avrebbe mai pensato che ad Oikawa piacesse il jazz. Così come non avrebbe mai pensato di sentirsi così incredibilmente a suo agio. Sarà per la dolce melodia della pioggia che picchietta sui vetri, l’altrettanto dolce e confortante gorgoglio dell’acqua nel bollitore. È una armonia perfetta.
Così come è una atmosfera perfetta trovarsi con una tazza bollente tra le mani mentre ispira il profumo del the verde al gelsomino. Il suo preferito. Si rigira la tazza tra le mani, godendosela, mentre si stanno accomodando nel piccolo tavolino del soggiorno.
Tooru si siede elegantemente sulla sedia, di fronte a lui, appoggia i gomiti al tavolo incrociando le mani e posandovi sopra il mento. Gli occhi puntati sui suoi senza proferire parola alcuna. In attesa.
Tobio lo sa perfettamente che in uno scontro contro Oikawa di astuzia, pazienza e attesa ha già perso in partenza, quindi tanto vale iniziare a parlare.
Butta fuori l’aria, si guarda per un istante in giro per la stanza – che sa così prepotentemente di Tooru in ogni sua singola sfaccettatura – una mano va ad accarezzarsi nervosamente la nuca come in una specie di auto-coccola. Non ne ha mai parlato con nessuno. Lui non parla mai con nessuno dei suoi problemi, di ciò che lo affligge; anche Shoyo stesso gli ha sempre dovuto cavar fuori con le tenaglie ogni suo turbamento, insicurezza, paura.
E allora Tobio inizia a raccontare, si sfoga, butta fuori tutti i pensieri compulsivi che stava facendo proprio in stazione. Quando arriva a nominare Miya Atsumu vede che Tooru resta spiazzato per un attimo, lo capisce da come sgrana per un istante gli occhi, ma lo vede riprendere subito il suo naturale aplomb e compostezza, ecco perché Oikawa in campo l’ha sempre fregato, e continua a fregarlo, pensa.
Tobio gli è grato per il fatto che non lo stia compatendo o commiserando o che non se ne esca con patetiche frasi fatte ma con un:
- Dovresti andartelo a riprendere, lo sai? - lo provoca per poi farsi serio, spostare per un attimo lo sguardo da lui, prendersi una ciocca di capelli e spostarsela da davanti agli occhi, mentre raccoglie i pensieri.
- Tobio, non ti chiederò se gli hai detto queste cose che ti frullano per la testa, credo di conoscerti, almeno un po' – ride appena – e penso proprio che tu non sia cambiato di una virgola, anzi: con il tempo ti sarai ostinatamente ancora più chiuso a riccio quando qualcosa ti tormenta. Al di là del fatto che devi dirgliele queste cose, anche se ti sembrano stupide paranoie e lo so benissimo che lo sai, così come sai che dovete parlarvi. Ciò che ti posso dire io è che non posso garantirti che non ci saranno tempi duri, che magari un giorno uno dei due o tutti e due penserete di volerla farla finita; magari tu stai pensando di farlo già adesso per porre in qualche modo fine a questo strazio che ti tormenta o magari proporgli di prendervi un momento di pausa e riflessione e continuare a dilaniarti. Se non chiarisci adesso, se lasci dei silenzi ora, questi, con il tempo, peseranno come dei macigni. -
Fa per parlare, per obiettare, ma l’altro alza delicatamente una mano per fargli capire di attendere ancora un attimo, che lo lasci finir di parlare.
- Ma Tobio, quello che ti posso garantire è che se ora non vai a riprendertelo, se ora lasci andare tutto alla deriva, nel momento più buio, se non lotti adesso davvero lo rimpiangerai per tutta la tua vita. E sai perché? -
È semplicemente ipnotizzato dalla bella voce di Tooru.
- Perché nel tuo cuore senti che Shoyo è l’unico per te - conclude dolcemente – e tu per lui, credimi. -
È costretto a deglutire, sente addirittura gli occhi pizzicare agli angoli ed è così preso dall’ascoltare Oikawa che si accorge solo all’ultimo che qualcuno sta aprendo la porta.

- Lo sapevo che sarebbe successo prima o poi. Arrivare a casa e trovarvi mezzi nudi. -
E Tooru scoppia a ridere gettando un tenero sguardo al proprio compagno che sta sghignazzando a sua volta, mentre si toglie la giacca fradicia e la appoggia nell’appendiabiti in entrata. E la sua risata spezza indubbiamente la tensione.
- Non sono mezzo nudo. – borbotta lui, imbarazzatissimo, mentre cerca di coprirsi il più possibile con la felpa di Tooru, gettando occhiate furtive al nuovo arrivato che si sta avvicinando a loro.
Vede che i due si scambiano un fugace sguardo divertito mentre Hajime gli fa un veloce buffetto tra i capelli neri, scompigliandoglieli. Ovviamente è stato avvisato da Tooru che Tobio si trovava a casa loro, anche se ignora il motivo ma di sicuro qualcosa di non piacevole, ecco il perché di quella sua dimostrazione di affetto nei confronti di Tobio.
E quest’ultimo è grato del fatto che Iwaizumi sia uno che si fa gli affari suoi e non lo assilli di domande ma si limiti a scambiarsi una veloce occhiata con Oikawa ad interrogarlo con lo sguardo sullo stato mentale del loro vecchio kohai e vede Tooru socchiudere leggermente gli occhi annuendo con il capo, come a dirgli che va tutto bene. Più o meno. Ha sempre invidiato a quei due la capacità di fare delle vere e proprie conversazioni con la sola forza del pensiero e degli sguardi.

Il resto della serata scorre via in modo piacevole. È grato ai due per averlo accolto in casa loro, nella loro quotidianità, nel momento per lui più buio.
È sulla soglia, pronto ad accomiatarsi, mentre attende che Iwaizumi torni con i suoi vestiti asciutti.
- Vuoi dormire qui? - gli chiede Tooru, mentre si stropiccia gli occhi, evidentemente stanco, per poi riportarli su di lui, dopo aver inforcato gli occhiali (*ç* ndClau)
- S-sarebbe strano e… ed imbarazzante. - borbotta, infossando il volto nel collo della giacca e l’altro scoppia a ridere, di gusto.
- Non ti salto mica addosso, tranquillo. Preso come sei, in questo stato pietoso, non sarebbe per niente divertente. - continua a scherzare e Tobio gliene è grato anche se al contempo pensa che se riesce ad evitarsi i benevoli tormenti di Oikawa, vuol dire che deve essere proprio messo male, deve avere un aspetto terribile anche se, dopo quella serata, dopo le parole di Tooru, si sente indubbiamente più tranquillo, in qualche modo più sereno. E determinato.
Lui non è uno che molla, non lo è mai stato. Deve aver fiducia in se stesso. In Shoyo. E nel loro rapporto. Aveva detto bene Oikawa: in nessun rapporto di coppia l’uno può mai garantire all’altro che non ci saranno dei momenti di turbolenza nel percorso…
Lui odia viaggiare in aereo, di gran lunga il suo mezzo preferito è il treno, e si ricorda perfettamente di quella volta, andando proprio in Brasile con Shoyo seduto al suo fianco, di quante cazzo di turbolenze avessero beccato in quelle interminabili ore di volo. E durante le turbolenze aveva fatto la cosa più semplice, più naturale. Aveva cercato la mano di Shoyo ma questi gliel’aveva già saldamente afferrata nell'esatto momento in cui l’aveva visto in difficoltà.
È un gesto spontaneo, prendersi per mano, e crea un rapporto speciale con l’altra persona.
E speciale non vuol dire sempre perfetto ma vero.

 

Continua...

 

 

E figurarsi se non schiaffavo dentro il mio cicciolino adorato toouroso.

Per scrivere questo secondo capitolo ho attinto ad ogni genere di canzone – supervecchia, ovviamente! - quindi non sto qui a tarmarvi che altrimenti la lista diventerebbe più lunga del capitolo stesso.

Grazie a tutti voi che siete arrivati fino a qui. Anzi: direttamente all’inizio di questo secondo capitolo, dandomi in qualche modo fiducia. O volendo vedere fino a dove sarei arrivata *si fa meditabonda*
Ho già iniziato a scrivere anche il terzo capitolo. Cioè, la situa è grave – da quanto è inspiegabile ‘sta cosa - io ve lo dico ^///^

Cercate di non odiare troppo Tsum-Tsum... ah no, aspetta! Sono io questa, devo dare tale suggerimento a me stessa ahahah. Scherzi a parte, il prossimo capitolo per forza di cose sarà dal suo punto di vista. Mamma mia, spero di non fare un casino...

 

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Capitolo 3
*** 3. Atsumu ***


 

Ora, cosa superseria:
io e Tsum-Tsum stiamo ancora facendo amicizia
(percorso molto impervio e pieno di ostacoli ahahah)
e quando scrivo non mi piace inserire
dei personaggi che abbiano
dei comportamenti vili e meschini,
quindi in questa terza parte
ho cercato di non farlo risultare troppo stronzo.
Ci sarò riuscita?
Ai posteri l’ardua sentenza [cit.]

 


 

3. Atsumu

 

Non è mai successo niente tra lui e Shoyo.
Per il momento?

Lo ha atteso per tutta la serata, non sapendo con precisione a che ora Shoyo avesse il treno del ritorno. Ha indagato con finta noncuranza tra i suoi compagni di squadra e l’allenatore. Finta noncuranza nella sua testa, ovviamente, infatti è stato brutalmente sgamato dalla qualunque che non era una domanda o una curiosità buttata lì a caso.
Era andato sul sicuro, Atsumu, quando si era rivolto per primo a Bokuto, era matematicamente certo che Kou lo sapesse, Shoyo era così legato a lui, a lui che l’aveva preso sotto la sua ala protettiva ancora anni addietro. E anche Koutarou era terribilmente legato a Shoyo, gli voleva un bene dell’anima e l’ultima cosa che voleva al mondo era che il suo protetto soffrisse in qualche modo e Bokuto se n’era ben accorto che nell’ultimo periodo Hinata era un’anima in pena, in qualche modo sofferente nonostante si sforzasse in tutti i modi di apparir allegro e tranquillo. E Kou non era uno stupido, ingenuo forse, e aveva ben capito quale fosse la causa di tale turbamento.
Ecco perché quando Atsumu gli aveva chiesto se sapesse a che ora sarebbe rientrato Shoyo, Koutarou l’aveva fissato pensieroso e aveva in qualche modo mentito, come mai faceva, tergiversando con un generico questa sera.
E aveva trovato una sorta di muro di gomma un po' ovunque, ecco perché era rimasto nella sala comune tipo piccola vedetta lombarda* cercando di non dare troppo nell’occhio e di mantenersi in qualche modo discreto. Cosa che, vista la sua personalità, era praticamente impossibile. Nella sua testa in quella situazione con Shoyo, si considerava molto discreto (nonostante tutto, non voleva metterlo in difficoltà o in imbarazzo davanti agli altri) senza rendersi conto che se c’era arrivato perfino un cuor contento e genuino come Bokuto - che lui ci provasse con l’ex corvetto -, voleva dire che la cosa era più che palese. A sua difesa, c’è da dire che la sua testa è piena di cose, di versioni che si racconta che non collimano mai pienamente con la realtà reale dei fatti.
E quando l’ha visto arrivare, con la coda dell’occhio, l’ha visto varcare l’entrata dello stabile, si è tutto galvanizzato, alzandosi dalla poltrona di scatto come se fosse stata fuoco e girando in tondo, indeciso sul da farsi. Se fiondarsi direttamente su di lui o fingere di trovarsi davanti a lui per caso e manifestarsi sorpreso o restare casualmente bloccato con lui in ascensore. Non si era preparato nessun piano strategico, ovviamente, nonostante fosse rimasto al telefono con Osamu, o meglio: aver tarmato il gemello, per ore. E, per inciso, lui parlava, ‘Samu rispondeva a monosillabi dopo che aveva messo il telefono in viva-voce continuando bellamente a farsi i cazzi suoi ed intervallando quel monologo con qualche sapiente mh-mh o sì, certo ogni tanto.

°° Non venir a piangere da me. °° gli aveva ricordato Osamu prima che riagganciasse e lui aveva buttato fuori aria dal naso.
- Per una volta, una volta, ‘Samu, potresti stare dalla mia parte? Chiedo troppo? -
°° Solo se risulti vincente. E questo, te l’ho detto fin dal principio, è un suicidio bello e buono. Tu sei consapevole che ti stai lanciando contro un treno in corsa? Cioè, ti ci stai gettando proprio a braccia aperte. °° serio e lui aveva sospirato piano.
- Mi trovi ignobile? -
°° Che tu ci stia provando con il ragazzo di un altro? Sì. °°
- Ma non è colpa mia, ‘Samu! Non sono cose che si posso controllare queste! Non è che decidi chi ti inizia a piacere o meno. -
°° Su questo sono d’accordo. Ma noi possiamo decidere di tenerci per noi queste cose senza turbare la serenità di altri. °°
- Perché dovrei negarmi qualcosa che mi potrebbe render felice? - come se avesse detto un’ovvietà e stavolta fu il turno di Osamu di buttare rumorosamente fuori l’aria dal naso.
°° Buonanotte ‘Tsumu. Tranquillo, raccoglierò i tuoi cocci quando ti sarai schiantato contro il muro, come faccio sempre. °°

Sta ancora ripensando a quella conversazione mentre ha messo la testolina bionda fuori dalla sua stanza dopo aver sentito che la porta di quella di Shoyo – che si trova di fronte alla sua – si è aperta e poi richiusa piano.
Se deve essere sincero con se stesso al mille e per mille ovvio che si sia in qualche modo sentito geloso ad immaginarseli insieme anche se sa di non averne il diritto. Non ha mai detto apertamente a Shoyo che gli piace, anche se è impossibile che l’altro non l’abbia capito, e ok sfacciato ma non vuole lanciarsi nel vuoto senza il paracadute, senza aver un minimo di azione e reazione da parte dell’altro. Ecco perché ha ciccato come il male quando Shoyo due giorni fa ha fatto arma e bagagli ed è ritornato da Kageyama. Ma cazzo, ma proprio sul più bello? Nel momento in cui aveva visto che finalmente si era aperto uno spiraglio in quella corazza difensiva? Quando aveva scorto un varco in un muro invalicabile dove alzare la palla?

“Porca troia!” mastica impropri dentro di sé, mentre si dirige verso il fondo del corridoio. Non sta andando lì per metterlo alle corde, lavorarlo ai fianchi, ma perché ha voglia di vederlo, di passare del tempo in sua compagnia. È un compagnone, Shoyo, al pari di Kou, con un po' più di testa sulle spalle. Era impossibile per lui non rimanere abbagliato dalla sua spumeggiante allegria e dalla sua carica inesauribile.
Dovresti trovarti qualcuno con un po' di più testa sulle spalle. Qualcuno che ti freni un attimo e ti riporti sulla retta via e con i piedi per terra. Che ti rimetta al tuo posto quando sei esagitato, cioè sempre. Gli aveva detto più volte Osamu quando lui aveva iniziato a raccontargli, con toni sempre più entusiastici, di Shoyo ed era diventanto sempre più palese che si fosse preso una bella cotta.
“Machecazz!” brontola dentro di sé e, facendo delle vere e proprie acrobazie con gomito e piedi dato che ha due tazze bollenti in mano, riesce ad aprirsi la porta che dà sul terrazzo dello stabile.

- Fa freddo stasera, eh? - Atsumu tira su la cerniera della tuta dopo avergli porto una tazza di the bollente che Shoyo accetta con piacere. Sente freddo. Sia dentro che fuori.
Gli si siede a fianco, attaccato, spalla contro spalla. Lo spazio personale è indubbiamente una questione estranea per Atsumu. Anche se Shoyo non si sposta; è uno molto fisico anche lui e lo stile di vita dei brasiliani non l’ha di certo aiutato a togliersi questa mania, quella necessità di ricercare sempre un contatto fisico. (Si ricorda quanto ha dovuto gironzolare intorno a Tobio, abituandolo un po' alla volta a quei cerchi concentrici che invadevano il suo spazio restringersi sempre più).
- Già… sembra autunno inoltrato e non fine agosto. -
Atsumu studia con attenzione il suo profilo rivolto verso l’alto, cercando di capire come sia andata.
- Com’è andata con Tobio-kun? - butta là con finta noncuranza.
Non ha filtri, ovviamente.
- Tu vorresti che fosse andata male? - è la replica mentre soffia sul liquido bollente e tenendo la tazza con entrambe le mani.
- Ehy! Mi credi così stronzo? - ridendo. E Shoyo gli dedica un mezzo sguardo, divertito a suo modo.
- Non lo sei? - lo provoca, anche con una piccola punta di acidità, che è così rara da vedere in un cuor contento come lui.
- Shoyo-kun, io non ti porterei mai via da lui. -
- Ah, no? - divertito, mentre osserva il vapore bollente levarsi dalla tazza.
- No. - risponde lui sicuro, scuotendo vigorosamente le spalle, mentre appoggia la schiena al muretto dietro di loro – Devi essere tu a decidere di scegliere me, io non devo convincere proprio nessuno, non ne ho bisogno. Io non sono il sostituto di nessuno. -
- Siamo modesti vedo. - ribatte il rosso, accennando ad un piccolo sorrisetto sardonico mentre appoggia la schiena dietro di lui a sua volta.
- Sì, ma ho anche dei difetti. - ridacchia ma la risata gli muore in gola quando Shoyo, chiudendo gli occhi, gli appoggia la testa sulla spalla.
Lui è il solito cazzone, fa sempre il gradasso ma poi quando è il momento di agire, quando deve raccogliere i frutti delle sue azioni – che nella stragrande maggioranza dei casi sono provocazioni – ecco che va in panico e non sa come comportarsi. Glielo dice sempre, sempre!, Osamu; così come gli ricorda sempre che questi suoi atteggiamenti l’avrebbero prima o poi portato a farsi pestare a sangue o a prendersi badilate sui denti.
Ok, non sta andando in apnea. Forse…
Cerca di rilassare le spalle, per non farsi sentire troppo teso ma senza dargli l’idea che voglia spostarlo da lì, che la cosa gli dia fastidio. La mano dentro alla tasca della giacca si sta auto-stritolando. Ecco, ci mancava anche la salivazione azzerata. Oh, Signore! Si fa pena da solo!
Che fare? Allungare un braccio e abbracciarlo. Calma! Calma!
Sposta lentamente gli occhi verso il volto dell’altro, ogni movimento gli può essere fatale per rovinare quell'istante. Aspetta, aspetta! Come cazzo lo deve interpretare quel momento?! Come il momento giusto o come ha preso sonno e la mia spalla era la cosa più simile ad un cuscino?
Lo vede con gli occhi chiusi, le labbra socchiuse. Fissa quelle labbra e si chiede quanto morbide debbano essere. Deve avere proprio un’espressione intelligentissima in quel momento. Cioè nel momento in cui Shoyo schiude gli occhi e si ritrova i suoi a specchiarsi nei propri, alzando il volto dalla sua spalla. E Hinata può vederlo senza nessuna maschera addosso.
“Cazzooo!” ma perché si sente come una ragazzina da shojo manga al suo primo bacio?
È tutto così perfetto che teme, anche solo respirando, di veder frantumare il tutto come un bicchiere di cristallo ma è l’istinto di Atsumu che sta accompagnando la sua mano e il suo corpo, quell’istinto che tante volte lo hanno guidato e mai tradito. Socchiude gli occhi, come a godersi maggiormente il tocco della guancia calda di Shoyo sotto ai suoi polpastrelli, si sente come se tutto fosse ovattato e il tempo dilatato. Tiene d’occhio ogni minimo segnale che arrivi dal volto dell’altro, per capire se può continuare o meno.
Lo vede socchiudere un istante gli occhi per poi richiuderli. Aver visto l’intensità dello sguardo dell’altro, essersi visto riflesso nei suoi occhi, lo hanno costretto a deglutire pesantemente.
Quelle labbra lo stanno chiamando, calamitando…
Perché è così difficile? Si sta torturando dentro di sé.
“Dai ‘Tsumu, cazzo! Ce la puoi fare. Forza, forza!”
Appoggia le proprie labbra su quelle di Shoyo, leggere. È quasi un soffio. E sente una scarica di adrenalina pura.

È una frazione di secondo ma a Shoyo passano davanti agli occhi tutte le immagini di quei sei anni passati da quando ha conosciuto Tobio. Da quella prima famigerata partita come avversari, all’esserselo poi trovato come compagno di squadra. Passando per il loro primo bacio. Il loro primo appuntamento. Il primo Natale passato insieme. La prima vacanza da soli. La loro prima volta...
Pensa al loro appartamentino a Tokyo. Ai suoi due anni in Brasile, quando l’assenza di Tobio, in certe giornate, pesava più di un macigno sul suo petto.
Pensa a come il loro rapporto, il loro modo di amarsi, sia indubbiamente cambiato in quei sei anni, con il tempo è maturato, è cambiato, si è fatto adulto. E lui non ha mai considerato il suo rapporto con Tobio in crisi. Ciò che, qualche giorno prima, l’ha mandato in tilt completo è stato il fatto che per lui è incomprensibile amare una persona ed essere attratta anche da un’altra; si è chiesto se provare attrazione fisica per Atsumu volesse dire non amare più Tobio. Questa cosa l’ha destabilizzato, terrorizzato. Ha temuto che volesse dire che tutto si fosse frantumato, irrimediabilmente. Per questo è corso da lui, aveva bisogno di lui. E, al contempo, fargli sentire, capire, dirgli quanto lo amasse. Si è visto far soffrire Tobio e si è sentito morire.
E in quel preciso istante, nell’attimo in cui le labbra di Atsumu si sono appena poggiate gentili sulle sue, Shoyo ha capito. Ha compreso per l’ennesima volta che in quel cammino chiamato Vita, vuole camminare ancora con Tobio. Quando si è sentito destabilizzato per aver provato attrazione chimica nei confronti di Atsumu, pensando che questo per forza volesse dire non amare più Tobio, è caduto nell’errore della folle illusione di credere nell’esistenza della perfezione, dell’amore perfetto. E allora ha ripensato a quelle volte che lui e Tobio avevano litigato, non si erano parlati per giorni. La prima volta che era successo aveva temuto che ciò avrebbe significato per forza la rottura del loro rapporto e invece no, avevano parlato, si erano chiariti, si erano addomesticati a vicenda, l’uno aveva smussato spigolosità del carattere dell’altro. Un rapporto patinato, da copertina, non è un rapporto vero. Né tanto meno sano, perché nasconde insidie ad ogni passo. Con Tobio era cresciuto, il loro amore era maturato, cambiato, si erano conosciuti e scoperti con gradualità. Nessuno dei due aveva idealizzato l’altro ma si erano profondamente legati l’uno all’altro nei loro veri Sé.

Atsumu si sente poggiare una mano sul petto. A fermarlo. E capisce. Di aver irrimediabilmente perso. Anzi, di non aver mai avuto nessuna speranza.
Abbandona quel lieve tocco leggero delle labbra, appena appoggiate.
- Scusami… - mormora Shoyo, guardandolo negli occhi, in apprensione.
- Non ti scusare. - ribatte lui, prendendogli la mano, mentre gli posa un leggero bacio sulla fronte, sofferente in qualche modo.
Shoyo gli prende il volto tra le mani, terrorizzato all’idea di averlo fatto star male in qualche modo.
- Atsumu-san, non pensare di essere sbagliato per favore, non c’è niente in te che non vada. Tu sei forte, con te mi diverto, mi piace stare con te… -
Gli vien da sorridere a vedere quanto Hinata stia cercando di non farlo sentire triste.
- Ma non abbastanza… - mormora e per un istante, un solo istante, negli occhi passa un velo di tristezza. Ma è solo questione di un attimo, non è uno che si perde d’animo, ha questa sorprendete capacità di essere in grado di non piangersi addosso e farsi scivolare via le cose per le spalle. Certo, non può cancellare con un colpo di spugna i suoi sentimenti per Shoyo ma non è nemmeno così disperato e senza dignità da continuar a correre dietro ad una persona che non lo vuole. Ma sa che non vuole perdere Shoyo come amico, quando gli sarà passata.
- Ahhh! Questo Tobio-kun – mentre si alza e si stiracchia – lo sapevo che sarebbe stato una spina nel fianco fin da quando ci siamo incontrati per la prima volta. Non potrò proprio far altro che stracciarlo la prossima volta che ci incontreremo sul campo. -
Gli porge la mano per aiutarlo ad alzarsi; con quel gesto vuole fargli capire che non ce l’ha minimamente con lui. Certo, nell’esatto momento in cui resterà solo prenderà fuoco a ricordare quell’attimo, quel breve istante, in cui le loro labbra si sono sfiorate.
- Atsumu-san lo so che ti sto chiedendo una cosa difficile ma… ma ecco, io vorrei che noi due cercassimo di continuare a rimanere amici in qualche modo, quando… quando… -
Gli fa una tenerezza assurda mentre cerca le parole giuste per non ferirlo.
- Ehy! - richiama la sua attenzione – Ovvio. -
E vede Shoyo sospirare di sollievo, mentre si appresta a tornare da lui di corsa e stringerlo in un abbraccio prima di scappare via, dopo avergli augurato la buonanotte.
E lui rimane lì, inebetito (capirai che novità!ndC&O  -____-ndA) portandosi una mano sulla guancia, dove Hinata gli ha schioccato un fraterno bacio prima di scappare via.
Si lascia scivolare a terra, facendo scorrere la schiena sulla parete alle sue spalle, portando le ginocchia al petto.
Gli era presa propria brutta quella volta, eh! Chissà se lo poteva definire amore o forse più una cotta. Non aveva metro di paragone d’altronde, non si era mai innamorato prima di allora. Chissà come l’avrebbe capito quando gli sarebbe successo. Se gli sarebbe successo. Ma si sa: il Destino ha più fantasia di noi e non si sa mai cosa ci riservi dietro l’angolo.

 

È rimasto lì. A sfidare il freddo. E le ire funeste del coach se lo scopre a fumare. Ma davvero aveva un disperato bisogno di quel momento di auto-coccola (malsano) di una sigaretta. Sintomatico il fatto che si fosse infilato in tasca il pacchetto di sigarette nei pantaloni della tuta quando è salito da Shoyo, quasi si aspettasse che sarebbe stata una Caporeto.*
Osserva l'arzigogolare del fumo danzare nell’oscurità della notte quando sente la porta delle scale aprirsi. Velocemente getta la sigaretta a terra per spegnerla sotto la scarpa e poi recuperare il mozzicone.
- Guarda che anche se spegni la sigaretta non è che non ti rimane la puzza di fumo in bocca, eh. - gli sta dicendo il nuovo arrivato mentre gli si piazza davanti e lui è costretto a sollevare il volto per poter guardar l’altro in viso.
- Infatti mi sono portato le mentine. - tira fuori dalla tasca e gli sventola davanti la scatolina, con tono e fare saccente.
- Oh, non ti facevo così sagace. - è l’inevitabile presa per il culo mentre lui gli mostra elegantemente il dito medio.
- E quindi – continua imperterrito l’altro - ti sei beccato il due di picche? Devo ricordarmi di farmi dare i soldi da Bokuto. -
- Ci avete veramente scommesso? - sconvolto. 
- Chiaramente. - come se avesse detto una cosa scontata.
- Chi aveva puntato su di me? -
- Nessuno. Ovviamente. Avevamo scommesso su in quanto tempo ti saresti beccato il benservito. -
- Grazie per quel ovviamente… - scuote la testa divertito schioccando la lingua sul palato.
- Cioè, ma davvero pensavi di aver un minimo di possibilità? Di metterti in mezzo a quel rapporto? - ora la domanda è seria.

- Potevate anche avvisarmi o fermarmi invece di lasciarmi schiantare in quel modo. -
- A parte il fatto che non avresti ascoltato nessuno, anzi: come un bambino ti saresti buttato a capofitto proprio perché ti era stato detto di no. Tolto questo, era troppo divertente vedere come ti lanciavi contro un treno ad alta velocità con un entusiasmo senza pari. Che peccato che non sia arrivato Kageyama a prenderti a sprangate sui denti. -
E Atsumu incassa, ingoia l’amaro boccone, non può far altro, sa di essere dalla parte del torto. Non solo agli occhi degli altri – dei quali, tolte sporadiche eccezioni, importa non più di tanto – ma anche di una piccola parte della sua coscienza.
- Ohy, Omi-Omi ma tu da che parti stai? - lo rimprovera.
- Mai dalla tua sicuramente. -
- Dovresti essere un po' più cortese, sai? Un po' più empatico. Te l’hanno mai detto? Tipo in questo frangente, dovresti dirmi qualche parola di conforto. - parte tutto pomposo, come se stesse impartendo una lezioncina.
- Hah? - Sakusa inarca un sopracciglio in modo significativo.
- Cioè, in definitiva sono appena stato scaricato. Un po' di comprensione. - portando le ginocchia al petto.
- Dio, fai impressione quando cerchi di fare la brava persona, perciò smettila di farlo. Cioè sto provando un senso di ribrezzo in questo momento che tu non hai idea. - e di nuovo Sakusa si becca un’occhiata di biasimo e di rimprovero da parte dell’altro. Fa per girarsi, ma poi ci ripensa. Gli colpisce appena la punta della scarpa con la propria per richiamare la sua attenzione e vede gli occhi color caramello di Atsumu riportarsi sui suoi.
- Non ti sentire in colpa. -
E Atsumu sgrana gli occhi per un istante, Kiyoomi gli ha letto in qualche modo dentro.
- Va a riposarti ora, altrimenti domani le tue alzate saranno ancora più pietose del solito. - è la buonanotte dell’altro.

Forse, dopo tutto, non è una persona così di merda come crede di essere se la gente, in qualche modo (e i modi di Sakusa, dal suo punto di vista, sono indubbiamente discutibili), si preoccupa per lui e cerca di prendersene cura.
Certo, ciò che gli si deve indubbiamente riconoscere è che non vuole mai apparire migliore di quello che è, imbellettarsi in qualche modo, per questo la maggior parte delle persone non lo sopportano. Ma c’è chi riesce ad andar oltre.

 

Continua…

 

 

Ecco, fatti interagire anche Tsum-Tsum e Omi-Omi, prima volta in assoluto. Anche prima volta in assoluto che “muovo” Sakusa; spero di non aver combinato un casino parte seconda. E, sì: Ely ti vedo che stai sghignazzando, eh!
Il prossimo, sarà l’ultimo capitolo.
Ed io mi stupisco tantissimo per la mia velocità di aggiornamento dei capitoli. Per forza anche l’altroieri qui ha grandinato che sembrava di aver la terrazza piena di neve ^///^

Per la stesura di questa parte ho sfoderato due perle supersupervecchie dei The GazzettE Guren e Cassis

 

 

 

*libro Cuore docet
*una disfatta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 4.1 SakuAtsu ***


 

Mi sono affezionata davvero un sacco
a questa ff, non so come spiegare,
è come se avessimo fatto una sorta di percorso insieme;
è stata indubbiamente una scrittura diversa rispetto alle altre volte.
Mi è piaciuto un sacco scriverla,
non vedevo l’ora di mettermi al pc,
quando la pensavo ero tutta sorridente
(anche se in certe parti
non c’era proprio una cippa lippa di niente da sorridere!)
E mai, quando l’ho iniziata,
avrei pensato di finirla con degli accenni SakuAtsu^///^

Grazie davvero per l’accoglienza
che le avete riservato<3
*lancia patatine fritte come se non ci fosse un domani*

Quest’ultimo capitolo l’ho diviso in due parti:
la parte SakuAtsu qui presente
e la prossima – ed ultima parte - KageHina.

 


 

4.1 SakuAtsu

 

Atsumu rimane ancora avvolto da questi pensieri ma poi, lui che è uno portato all’azione, si vede muoversi verso le scale senza che la sua testa nemmeno l’abbia formulato un pensiero del genere.
- OMI?! - sporto dalla ringhiera delle scale lo chiama a gran voce, sperando di aver fatto in tempo.
Ascolta il silenzio nel momento in cui l’eco della sua voce si è spento. E poi ecco che, dai gradini dell’ultima rampa, vede sporgersi la zazzera dell’altro.
Non chiede nulla, Kiyoomi, lo guarda attendendo il perché di quella chiamata e lui scende le scale di corsa, tre gradini alla volta, con un rinnovato entusiasmo.
Sakusa continua a guardarlo interrogativo quando se lo trova al fianco, sempre e comunque troppo esagitato per i suoi gusti. Lo stanca vedere il moto perpetuo di Atsumu. E lo agita anche. E parecchio. Ma Atsumu ha sempre compreso quali fossero gli spazi che doveva rispettare con lui e di questo, lo schiacciatore, gliene è grato. Fosse solo per il fatto che si rende conto di quanto per uno fisico come Miya debba essere uno sforzo immane non toccarlo con pacche, assalti a sorpresa sulla schiena, cose che abitualemente fa con Hinata e Bokuto.
- Grazie. - gli dice solo, mentre ficca le mani in tasca a sua volta e sono lì davanti alla porta che conduce ai corridoi delle camere.
- Per averti insultato? Sei anche un masochista? - chiede il più alto tra i due con le sopracciglia corrucciate, che sono la sua comunicazione non-verbale preferita. E si becca una risata divertita da parte dell’altro mentre questi apre la porta; gli vien spontaneo ormai, sapendo che l’altro farebbe le vere e proprie acrobazie per non toccare la maniglia.
- Omi? -
- Eh? - non nascondendo l’esasperazione. Sa quanto sia logorroico e lui vuole solo catapultarsi a letto con un triplo carpiato.
- Perché mi hai detto di non sentirmi in colpa? A cosa era riferito? -
Si blocca, Sakusa, e lo guarda attentamente per poi riprendere a camminare, sperando di seminarlo. Ma il biondo continua a trotterellargli intorno.
- Ai tuoi sentimenti. Se hai provato qualcosa che ti ha fatto sentir vivo, qualcosa per qualcun altro e non solo per te stesso, beh, non ti devi sentire in colpa per qualcosa di così bello. -
- Oh! Ma allora sei umano anche tu, non sei un androide. - a metà tra il serio e il faceto e di nuovo non serve che Kiyoomi dica niente, è quel sopracciglio che si inarca prepotentemente a parlare per lui. È più che eloquente. Ma l’altro ha proprio deciso di suicidarsi questa stasera. Non è abituato che qualcuno gli dimostri attenzione fine a se stessa. Certo sarebbe più giusto dire che, nella sua presunzione, crede di non aver bisogno che nessuno lo compatisca, che nessuno comunque è in grado di capirlo ma quando trova qualcuno che dimostra un minimo di aver a cuore la sua persona, ecco che lui inizia a scodinzolare tutto felice.
- Omi, possiamo dormire insieme stanotte? - con un sorrisone, cercando di indorar la pillola il più possibile, perché lo sa, lo sa benissimo Atsumu, che sta rischiando la vita. E non batte ciglio di fronte all’espressione incredula ed infastidita dell’altro.
- Miya oggi la fortuna ti ha già aiutato una volta, non la provocare. - e riprende a camminare anche se è perfettamente consapevole che non se lo leverà di torno molto velocemente.
- Ma uffi! - eccolo infatti, che parte con la sua tiritera. - Osamu mi ha detto di no e mi ha detto che mi ha nascosto le chiavi di casa dal solito posto dove le lascia per me perché non vada a rompergli e che se suonerò il campanello fingerà una morte apparente e se continuerò a restar attaccato al citofono chiamerà la polizia fingendo di non conoscermi. Come se fosse possibile poi, dato che siamo identici. -
- Potrebbe sempre cambiare identità. E anche il paese. -
- Non gli dare queste idee. -
- Vai da Bokuto. -
- Ma c’è Akaashi da Bokkun. - sempre più sconsolato, tallonandolo – Omi, ti prego, io sono triste e sconsolato, non voglio dormir da solo. -
- Non vedo come questo dovrebbe essere un problema mio. -
- Perché siamo amici. -
Ecco, ha sganciato la bomba. Prepararsi all’esplosione 3… 2… 1…
Vede Kiyoomi girarsi al rallentatore. È una venetta quella cosa che gli sta pulsando sulla fronte, all’altezza dei due nei?
Dal canto suo, Sakusa non sa se ridere o farsi cogliere da una crisi isterica. Nel dubbio, meglio fingere indifferenza.
- Non sarei mai amico di una persona come te. Arrogante, presuntuosa, piena di sé, casinista... -
- Nient’altro? - incassa lui, in qualche modo divertito, è così abituato, da sempre, a sentirsi rivolgere quegli epiteti, non a torto.
- Non ho finito, ovviamente. -
- Attendo con ansia. - ridacchia, incrociando le braccia al petto.
Kiyoomi sospira piano, stringendosi la radice del naso tra pollice ed indice; sa quanto Atsumu possa essere insistente, non se lo leverà dalle scatole in fretta e lui ha sonno.
Rapidamente calcola quale tra i due mali in quel momento sia il minore: permettergli di dormire nella sua stanza o trovarselo fuori dalla camera che gratta sulla porta tipo film dell’orrore. Riporta gli occhi su di lui, che lo sta fissando tutto fiducioso. Gli vien anche da ridere, perché davvero quando Atsumu si toglie quella facciata da stronzo sarebbe anche simpatico a modo suo. Sotto-sotto deve essere uno molto attento agli altri, lui l’ha sperimentato, come ricordava poco prima, dal fatto che Miya ha sempre rispettato i suoi spazi, le sue manie, cercando di dargli una mano in qualche modo fin dal primo momento in cui è entrato in squadra qualche mese fa. Facendo più danno che altro, ma almeno c’era l’intenzione. E poi… e poi si vede che quel minchione sta facendo di tutto per apparir allegro ma Kiyoomi è sicuro che dentro di lui stiamo comunque soffrendo. Sakusa potrebbe apparire come uno algido, al quale ben poco importa aver iterazioni umane con gli altri, men che meno con i suoi compagni di squadra. Il che è anche vero in parte, cioè nella misura in cui aver interazioni con gli altri da un parte gli genera un’ansia tale da sentirsi la gola serrare in una morsa che gli toglie il fiato, d’altra non vuole assolutamente affezionarsi troppo alle altre persone così almeno si evita la dolorosa parte dell’abbandono. A grandi emozioni corrispondono grandi cadute a livello emotivo, meglio quindi mantenersi su un tranquillo livello pianeggiante a livello di emozioni e sensazioni, si viaggia sul sicuro. Sciocco e pessimista forse da parte sua, ma è un meccanismo di difesa che ha fatto proprio fin da quando era bambino, ormai la sua mente viaggia sul binario “se non mi affeziono, non posso soffrire”. Tuttavia, tolto ciò, non vuol dire che dentro di sé non riesca ad empatizzare con gli altri, con il loro malessere, anzi! Semplicemente non lo dà a vedere.
- Tu dormi per terra, nel futon che di solito usa Motoya quando mi viene a trovare. - puntandogli l’indice contro e dettandogli le sue condizioni – Starai distante da me, ti cambi ASSOLUTAMENTE questi vestiti lerci e domani mattina al suono della MIA sveglia ti catapulti fuori come se fossi stato schizzato via da una fionda. -
- Agli ordini! - si mette sugli attenti.
- Omi, grazie! Sarò un modello di virtù! - tutto felicemente incredulo, facendosi il segno della croce sul petto a mo’ di giuramento.
- Seh, come no… - già si sta pentendo, mentre ha ripreso a camminare.
- Possiamo chiacchierare fino a tarda notte? -
- No, ovviamente. -
- Potremmo mangiare delle schifezze... - continua ad elencare imperterrito, non facendosi minimamente scoraggiare dal non entusiasmo dell’altro.
- Men che meno. -
- Oh! - si ferma perché pare aver avuto una illuminazione come San Paolo sulla via di Damasco – Posso portare il gioco con le carte su Harry Potter. -
- Io non ho mai letto o visto Harry Potter. - seccato.
- Omi, stai scherzando vero? -
- Ti sembro uno che scherza? - fermandosi davanti alla porta della propria camera e guardandolo.
- No, in effetti… - per poi proseguire – Che genere di libri ti piacciono? -
- Perché tutte queste domande? -
- Perché siamo amici e voglio sapere se abbiamo interessi in comune, libri in comune che abbiamo letto, cose così. -
- Perché, tu sai leggere? - chiede, con una punta di sadica soddisfazione.
E a queste parole gli occhi di Atsumu si sgranano per poi scoppiare a ridere, immediatamente zittito dall’altro.
- Questa battuta! - ridacchia piano ora – Viene proprio detta su uno dei film di Harry Potter. Lo sai che Tom Felton, l’attore che interpreta Draco, ha detto che questa battuta se l’è inventata sul moment… - ma viene interrotto dall’altro.
- Ti do tre minuti Miya – e glieli indica con le dita - prima che la mia porta si chiuda per sempre e tu non troverai più nessun varco per potervi entrare che entrata di Moria scansate proprio. -
- Ok, ok… - in panico – volo. Aspettami Omi! -
Sakusa sta aprendo la porta quando si sente nuovamente richiamare.
- Due minuti e quarantacinque secondi, Miya. -
- Quella parte, le miniere di Moria, è una delle mie preferite, insieme alla battaglia del Fosso di Helm. - prima di scomparire dentro la sua camera e lui resta lì, interdetto. Ma non perché non si aspetta che Atsumu conosca così bene il Signore degli Anelli ma perché, sì… ecco… quel sorriso… non era il solito sorrisetto strafottente da cinghiate sui denti ma… ma tipo gli era anche spuntata una piccola fossetta sulla guancia destra...
 

- Alla fine ‘Samu mi ha scritto che mi aspettava per dormire insieme. -
Eccolo là Mr Gradasso: fa casino per cento, si atteggia a fighetto ma poi è un cuore di panna con il cuoricino ferito che cerca di non darlo a vedere. Si è disteso quieto-quieto sul futon che Kiyoomi gli ha preparato a fianco al suo letto. Si è presentato alla porta con addosso il suo ridicol ehm: pigiama con le volpi, spazzolino da denti in una mano e dentifricio dall’altra ed ora è lì con le mani intrecciate sotto alla nuca, che parla. Parla. Parla… Parla di tutto fuorché di Shoyo, è una ferita ancora troppo fresca. A modo suo gli fa anche una specie di tenerezza.
- Ma gli ho detto che ormai avrei passato la serata con te. -
- Potevi andare, non mi offendevo mica eh. -
- Nahhh! Avevo voglia di passare la serata con te. -
- Che fortuna sfacciata la mia... - mormora facendolo ridacchiare.
- Abbiamo un modo tutto nostro di volerci bene ma ci butteremo nel fuoco l'uno per l'altro. Almeno, io per lui lo farei anche se ho il sospetto che 'Samu a volte butterebbe me nel fuoco, ne ha di pazienza (ridacchia). Se mai un giorno avrò dei bambini, mi piacerebbe tanto fossero due gemelli. È bellissimo il rapporto ancestrale che si viene a creare. - volta il viso a guardarlo prima di proseguire a parlare - Tu li vorresti dei bambini Omi? -
- Non potrei mai avere dei bambini. - gli risponde, continuando a tenere gli occhi chiusi nella vana speranza che l’altro taccia.
- Perché? -
- Li ucciderei. -
E lo fa scoppiare a ridere, ha sempre adorato la lapidaria schiettezza di Kiyoomi, e allora Sakusa si scopre ad aprir un occhio e volgere lo sguardo verso di lui a guardare se vede formarsi nuovamente quella fossetta sulla guancia.
Poi si sporge verso il bordo del letto, allunga una mano ad aprir il cassetto per recuperare i tappi per le orecchie – in un altro chiaro segnale -, quando una delle tante frasi dell’altro attira la sua attenzione.
- Sai, io ho paura a volare. - dice il biondo, mentre fissa il soffitto. E le dita di Sakusa si fermano dall’aprir il cassetto.
Si gira ora sul fianco, in quel blaterare senza senso qualcosa finalmente ha attirato la sua attenzione, si sporge verso di lui e lo guarda con attenzione.
“Non è possibile” pensa. Mai si sarebbe aspettato che l’altro avesse paura di qualcosa e lo ammettesse. Anche se per la maggior parte Atsumu gli appare come qualcosa di irritante, indubbiamente ha da subito attirato la sua attenzione proprio per il suo modo di essere e di fare, diametralmente opposto al suo.
Atsumu pare non essersi accorto che l’altro lo sta fissando, dà per scontato di parlar da solo. Proprio per questo sgrana gli occhi sorpreso quando sente la voce dell’altro.
- Veramente? -
- Hum-hum. -
- La prossima volta che ne prendiamo uno per una trasferta, voglio sedermi vicino a te. -
- Per tenermi la mano tutto il tempo e consolarmi? - scherza.
- No, ovviamente. Per prenderti per il culo per tutto il tempo. -
- Hah?! -
Poi Sakusa scoppia a ridere. Ed è una risata lieve, cristallina, non sguaiata. L’alzatore non l’ha mai sentito ridere e lo fissa come se fosse la prima volta che lo sta vedendo.
- Non potrei mai prenderti in giro per una fobia, sarebbe indubbiamente molto ipocrita come atteggiamento da parte mia, proprio veder la pagliuzza nell’occhio dell’altro ma non la trave che è nel mio. -
Ma Atsumu sente poco o niente di quanto gli ha detto. È ancora rapito dal suono di quella piccola risata che continua a risuonargli nelle orecchie, ha ancora davanti agli occhi il suo lieve sorriso.
- Non ti ho mai visto ridere… - mormora, non riuscendo a togliergli gli occhi di dosso e Sakusa rimane altrettanto incantato dal volto dell’altro. Mormora qualcosa, quest’ultimo, prima di rimettersi supino, composto.
- Se ti minaccio di morte, di una morte lunga e dolorosa, taci? -
- Sono abituato con ‘Samu, ad esser minacciato di morte. - risponde, facendo spallucce.
- Lo sospettavo… - sospira, chiudendo gli occhi, ma sentendo dentro di sé uno strano mestamento.
Per un momento c’è silenzio, perché Atsumu sta pensando che quando Kiyoomi ride e il suo volto si rilassa i suoi lineamenti diventano veramente incantevoli.
- Grazie Omi. - ripete in un sussurro – Ti sono veramente grato per questo. Vedi io… lo so che sono un cazzone… - ma Sakusa l’ho interrompe e di nuovo si mette sul fianco e si sporge dal letto per poterlo guardare.
- Non ti devi giustificare con me. E se stai male, è giusto che tu lo dimostri; non ti sforzare di essere allegro, non c’è niente di male ad essere tristi. Anzi, ti dirò di più: tu hai il diritto di sentirti triste e confuso. Non ti rende meno forte o figo ma semplicemente più vero. -
E Atsumu sgrana gli occhi, apre la bocca per dir qualcosa ma tace (incredibilmente). Non si era mai reso conto, in quei pochi mesi in cui sono compagni di squadra, che Sakusa l’ha capito così bene come solo Osamu e Kita prima di allora.
Si mette supino, tranquillo, emettendo un grosso espiro nel quale ha buttato fuori l’aria ed ora le sue labbra si stendono, si rilassano, non sono più stirate in un sorriso forzato.
- Mi racconti qualcosa di te? -
- Dormi Miya. -
- Eddai Omi, tu non racconti mai niente di te. -
- Basti già tu, lo fai per cento. -
Ridacchia. Non può dargli torto. E anche dalla gola di Kiyoomi si leva nuovamente una piccola risatina.
- Omi? -
Parte sequela di turpiloqui nella mente di Sakusa.
- Eh?! - sempre più esasperato.
- Mi consideri figo quindi? - tutto pomposo e tronfio.
- Miya perché devi sempre rovinare tutto? - e per fortuna è buio così almeno si evita che l’altro possa vedere le sue guance imporporarsi.
- Omi-Omi, lo rifaremo un pigiama party? -
- Manco se crepo. -
Altra piccola risatina. Il silenzio e poi di nuovo la voce di Sakusa.
- Forse… -
E Atsumu finalmente si zittisce, perché è tutto felice. Anche di aver trovato qualcun altro con cui può essere completamente se stesso, qualcuno che non lo giudicherà mai.
- Buonanotte Omi. -
- ‘Notte. -
- Puoi chiamarmi Atsumu, se vuoi. -
- L’utente da lei chiamato non è raggiungibile, questo è un messaggio registrato. Fa silenzio! -
Ora si zittisce veramente, e cullato dal suono del respiro di Sakusa, finalmente Atsumu scivola lentamente in un dolce sonno.

 

Continua...


 

Ad ogni capitolo aggiungevo personaggi nelle “caratteristiche della storia”. Rido.

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Capitolo 5
*** 4.2 KageHina ***


 

Io amo proprio farmi del male
a far i calcoli dei tempi e cose simili...
L’algoritmo della NASA che mi son fatta stavolta è il seguente:
Tobio lascia casa IwaOi intorno alle 21.30-22.00,
casa IwaOi è vicino alla stazione centrale,
lo shinkansen Tokyo-Osaka ha una percorrenza di 2 ore e 53 minuti,
il dormitorio Black Jackals è vicino alla stazione centrale a sua volta.

Fine algoritmo.

E chissenne direte voi,
comprensibilmente tra l’altro,
ma ci tengo che le cose abbiano un senso
(più o meno)
anche se è un’opera di fantasia.

Enjoy

 

 

 

4.2 KageHina

 

E Tobio l’ha ben seguito il suggerimento che gli aveva dato Oikawa. Li segue sempre i suoi consigli.
Anche sapendo che è più o meno – più più che meno – una pazzia, ha prenotato al volo dall’app del telefono il biglietto dello shinkansen per Osaka. Così come quello del ritorno per la mattina dopo, all’alba praticamente, in modo tale da arrivare fresco come una rosa (spoiler: per niente!) agli allenamenti.
Non si è minimamente posto il problema di scrivere prima a Shoyo, lo ha fatto solo una volta essersi assicurato di aver un biglietto in tasca.
Sto arrivando, si è limitato a scrivergli.

Quando gli era capitato di leggere o vedere qualche film di serie B nei quali i protagonisti si fanno i veri chilometri pur di stare insieme anche per un’ora soltanto, Tobio ci aveva pensato se lui l’avrebbe fatta una pazzia simile. Ora, non sa dirsi se macinarsi i 18.555 km che separano Tokyo da Rio de Janeiro (o viceversa) possa considerarsi una pazzia. Forse no, dato che quando uno dei due si sparava quelle meravigliose 23 ore di volo, più innumerevoli scali, era sempre per star insieme almeno una settimana piena. Ecco, in quel preciso istante mentre prende posto sullo shinkansen, pronto a farsi quasi sei ore di treno andata e ritorno per stare insieme a Shoyo meno tempo, sì: indubbiamente può considerarla una pazzia. Forse non da lui, del lui di sei anni fa, prima che Hinata Shoyo gli sconvolgesse la vita. Ma ora sì, ora in quel preciso istante sì. Perché deve gridargli quanto lo ami e che se anche Shoyo lo ama ancora, allora avrebbero dovuto lottare insieme.
Ha ragione Oikawa: le cose non dette, i silenzi, a lungo andare diventano macigni. Deve chiedergli, sapere, se Shoyo lo ama ancora. E lo deve sapere guardandolo negli occhi, farselo dire guardandolo negli occhi. Anche se potrebbe far male. Tanto. Ma è inutile tergiversare, è come quando ci si deve togliere un cerotto. Via, si strappa e si soffre quell’attimo, inutile tentar di far piano, diventa una lenta agonia e basta.
Ha paura? Certo che sì. Scalpita per tutta la durata del tragitto, improvvisamente tutta la stanchezza sparita.

E Shoyo sgrana gli occhi quando, rientrato in camera sua con ancora il fiatone in gola, legge il messaggio di Tobio.
No, aspetta… come sarebbe a dire Sto arrivando?!

 

- Kags, che cosa ci fai qui? - così felice e raggiante, non ci può credere! Non che non si aspetti che Tobio la possa fare una cosa del genere ma, tipo wow: l’ha davvero fatto? Si è macinato quasi tre ore di treno per… per lui? E Shoyo si sente fortunato. Amato.
- Che c’è? Non posso venire a trovare il mio ragazzo quando ho voglia di vederlo?- lo parafrasa Tobio sussurrando.
Si guardano per un istante negli occhi, un lunghissimo istante. L’uno legge nello sguardo dell’altro che ha dovuto affrontare e combattere contro dei mostri, dei demoni interiori, e che ora sono pronti ad affrontarli insieme. Rimangono lì, muovendo dapprima un primo timido passo l’uno verso l’altro, per poi riempire quel vuoto in poche falcate, rigettandosi l’uno tra le braccia dell’altro, stringendosi forte, le dita di Shoyo che si serrano convulsamente alla felpa di Tobio mentre questi lo solleva per il sedere per portarlo dentro all’entrata secondaria dell'edificio, per poi appoggiarlo contro la parete nell’androne buio e deserto e baciarlo. Con la forza della disperazione. E nemmeno sanno come ci arrivano alla stanza di Hinata.
Shoyo muore dalla voglia dei suoi baci, delle sue carezze, ne ha bisogno, come mai prima d’ora. Ha bisogno di fare l’amore con lui; non l’hanno fatto quei due giorni, non per mancanza di tempo o di desiderio ma perché sentivano che con quel peso nel cuore sarebbe stato in qualche modo non naturale, forzato. Muore dalla voglia di sentire il suo corpo su di sé, le sua mani, le sue labbra, i suoi sospiri… Ma ha bisogno di raccontare tutto a Tobio, di quello che è successo solo qualche ora prima. Non vuole mettere nei casini Atsumu ma non può non dire a Tobio quello che è successo, non è minimamente contemplata questa alternativa. Giustifica in ogni modo e maniera Miya, lo difende a spada tratta e di questo, una parte di Tobio, gli rende onore.
Ascolta, Kageyama, in religioso silenzio. Sa di aver Atsumu a pochi metri di distanza e questa cosa è altamente pericolosa - perché potrebbe costargli la galera a vita tipo, per omicidio premeditato – sente le mani che tremano, il respiro che si fa sempre più corto, gli occhi di Shoyo che lo implorano silenziosamente mentre parla.
- Scarica la tua ira su di me Kags, ti prego. È anche colpa mia in qualche modo. - lo implora mentre gli prende le mani sulle sue – Lui non ha mai fatto niente, ti giuro. Non si è mai spinto oltre. -
E Tobio socchiude gli occhi, si calma. O almeno cerca di farlo. È indubbiamente lodevole, da parte di Hinata, difendere l’altro in quel modo, addossarsi le sue colpe.
- Sho, tu lo ami? Hai bisogno di qualcuno che non sono più io? Di qualcuno che ti rende più felice, più sereno? Di qualcuno che ti faccia sentire più amato di quanto lo faccia io? -
Son queste le domanda più importanti. Come lo è anche la risposta.
- No Tobio, no. Io amo te. - nega energicamente con la testa e quanto amore e quanta disperazione in quelle parole, in quegli occhi – E nessuno mi ha mai fatto sentir amato come lo fai tu. Fin dal primo giorno e in modo sempre più diverso, più forte. Non dubitare mai di questa cosa. -
E allora la diga si spezza. Quel lungo silenzio durato più di due giorni inizia a parlare. Si raccontano, esprimono le proprie paure, i propri dubbi, con sincerità, con il cuore in mano, senza accusarsi di niente, mentre l’uno asciuga le lacrime dal volto dell’altro con una delicatezza commovente e vedendo la piccola frattura che si era creata in quei due giorni risaldarsi, lentamente, rendendo il tutto ancora più prezioso. 
- Scusami Tobio... Tobio... non volevo farti stare male... - una litania praticamente, interrotta solamente dalle mani calde di Kageyama che gli prendono dolcemente il volto tra i palmi, facendoglielo sollevare fino a quando i loro occhi non si incontrarono.
- Shhh... - mentre gli accarezza dolcemente le guance con piccoli gesti circolari, cercando di calmarlo – Sono qui… non ti scusare... -
Ed ora hanno bisogno di qualcosa che vada oltre alle parole. Non è solo qualcosa di fisico ma di animico. Ed è come fare l’amore di nuovo per la prima volta, con quel desiderio assurdo di appartenersi, di marchiarsi in qualche modo, l’impazienza, il desiderio troppo assopito e placato, ma anche l’estrema cura l’uno dell’altro. Il perdersi ad accarezzarsi non solo con le dita che sfiorano ma anche con gli occhi. È bellissimo, Tobio, Shoyo lo sa che ha stuoli di ragazzine che gli sbavano dietro ma che lui non si accorge di avere, e questa cosa lo fa sorridere.
- Che c’è? - gli chiede l’alzatore.
- Niente, pensavo al fatto che sei bellissimo. -
- B-boke! - con il volto che inevitabilmente si infiamma. Anche se è il suo ragazzo a farglieli, lo imbarazzano sempre molto i complimenti.
Ecco, ora ci siamo! L’ha nuovamente insultato. Ora va davvero tutto bene. La piccola risata di Shoyo si sparge per la stanza mentre lo trascina di nuovo sopra sé per poterlo riprendere a baciare e iniziare a spogliarlo. Ed ad ogni strato di tessuto che cade, salta via anche l’ombra di ogni parola non detta, di ogni silenzio.
Graffiano, leccano, mordono la pelle l’uno dell’altro. Tobio affonda i denti sulla sua spalla con il chiaro intento di marchiarlo – e, forse, di fargli male – per poi passare la lingua dove sono rimasti i segni dei suoi canini, lappando via con cura il rossore che si è venuto a formare nella pelle candida di Shoyo mentre gli ha fatto sollevare il bacino per togliergli l’ultimo intralcio che ancora li separa.
Accarezzano, percorrono con la punta delle dita, con la punta della lingua, con una scia di baci ogni singolo centimetro di quel corpo, di quell’Essere mai perso. Ogni carezza si imprime nell’Anima di entrambi. Ogni tocco è una venerazione, un far sentire all’altro di esserci, sempre e comunque. Una promessa… La promessa tacita che in caso di bisogno, sarebbero state attraversate le fiamme dell’inferno per arrivare a riprendersi e ritrovarsi.
Aggrappato alla schiena tonica del suo Tobio per non perdersi, Shoyo ascolta rapito i gemiti di entrambi aver preso il posto dei sospiri a riempire la stanza.
Ascolta stregato il salmodiare cadenzato del suo nome nella voce dell’altro, sospirato.
Sente una lacrima solitaria rigargli il volto, molto semplicemente perché quello che stanno provando insieme si è fatto nuovamente strada a forza in loro.
Gli intrufola le dita tra i capelli neri scompostamente disordinati, per non permettergli di abbandonare le sue labbra nemmeno per un istante, rendendo più salda la presa allacciandogli le gambe sulla schiena per non lasciarlo andar via da lui. Così come Tobio non gli lascia prender fiato, né respiro, tuttavia attento a non creargli dolore e donargli il massimo del piacere. Shoyo fin dalla loro prima volta ha imparato che Tobio non ha una immensa passione e attenzione solo quando gioca a pallavolo, ma anche quando fa l’amore con lui.
Abbandonando quelle tanto adorate ciocche rosse ribelli, la mano di Tobio risale lungo il braccio dell’altro fino ad incontrarne le dita, per intrecciarle alle sue, nel momento in cui ha percepito di esser entrambi sulla soglia dell’oblio.
- Shoyo… Amore… -
- Tobio… -
L’ultimo mormorio. L’ultimo sospiro. Il perdersi insieme. Lo smorzare i gemiti l’uno sulla spalla dell’altro, mentre tentano di riprendere fiato con Shoyo che lo tiene bloccato per i fianchi con le gambe – vuole ancora sentirlo dentro di sé.
Si solleva da lui e porta lo sguardo sul suo volto, Tobio, e ammira quel viso arrossato dallo sforzo dell’orgasmo, i morbidi ciuffi rossi scomposti. Si sente così stanco ora…
Delicatamente esce da lui, lo ripulisce con cura, in devoto silenzio fino a quando Shoyo non gli prende il volto tra le mani, obbligandolo a guardarlo negli occhi.
- Ti amo… - gli sussurra prima che Kageyama si distenda supino e lui appoggi la testa sul suo petto, lasciandosi accarezzare i capelli.
- Ti amo anch’io. - sospira.
E per un attimo c’è silenzio mentre continuano a sfiorarsi lievi. Almeno fino al momento in cui Shoyo non inizia ad annusarlo attento.
- Tobio? -
- Hum? - stringendogli delicatamente la spalla, gli occhi socchiusi.
- Hai un odore non tuo addosso. -
- Hum…? - corruccia le sopracciglia, dubbioso, poi l’illuminazione - Deve essere quello di Oikawa. -
- Come sarebbe a dire? - ridacchia piano Shoyo, mordicchiandogli il mento.
- Avevo i suoi vestiti addosso, me li ha prestati quando sono stato a casa sua prima di venire qui. -
- Kags? - ride – Puoi darmi una spiegazione convincente sul fatto che tu fossi a casa di Oikawa, ti sia levato i tuoi vestiti e poi Oikawa ha dovuto prestartene dei suoi che non sia che il Daio-Sama ti ha strappato i tuoi di dosso. -
- Imbecille! C’era anche Iwaizumi. -
- Non è che mi rincuori molto questa cosa – scherza – anzi: la situazione sta indubbiamente prendendo una piega molto inquietante e grottesca. -
Ridacchiano piano, mentre le gambe si intrecciano tra di loro, si continuano a schioccare baci, è come se si fossero risvegliati da un lungo sogno nebbioso, si stringono e il sonno li coglie prima di quanto vorrebbero. Lottano disperatamente per restare svegli, per bearsi ancora l’uno del contatto dell’altro, ma alla fine la stanchezza per le emozioni fisiche e spirituali che hanno provato, li sopraffa.

E l’Alba, beffarda, arriva troppo presto...
Shoyo, con una non meglio precisata palla di capelli arruffati in testa, si mette seduto sul letto, lo abbraccia da dietro mentre lui è intento ad infilarsi la felpa, dopo averla raccattata da dove era stata lanciata solo qualche ora prima.
- Tobio… - mugola, strofinandogli la testa sulla schiena e lui ride piano, gli posa le mani sulle sue. Per fortuna ha messo la sveglia quei minuti prima che gli hanno permesso di svegliarlo dolcemente, quei minuti di ulteriori dolci coccole.
- Diciamoci sempre tutto, Kags… -
- L’abbiamo sempre fatto. E da questa esperienza abbiamo capito che dobbiamo continuare a farlo. -
Riesce a voltarsi per poterlo baciare un’altra volta. E un’altra. E un’altra ancora.
Il sorriso di Tobio, così raro in lui, è la miglior medicina di sempre per Shoyo.
- Ti accompagno alla stazione… -
- Stai dormendo in piedi, amore. - ridacchia.
- Mi piace quando mi chiami “amore”. - mentre si strofina gli occhi e sbadiglia ripetutamente.
- Dormi. - gli rimbocca il lenzuolo e gli posa l’ultimo bacio.
- Cerca di riposarti anche tu. -
- Sì, adesso nello shinkansen mi sparo tre orette di sonno, tranquillo. -
- Chiamami appena sei sul treno. -
- No, ti scrivo, così continui a dormire. -
- Mmm… - è il mugolio che riceve di risposta, chiaro segno che se Shoyo lo accompagnasse in stazione, con tutto il sonno che ha, sarebbe capace di perdersi anche nel binario stesso.
Poi un altro suono non meglio articolato e Tobio si siede sul letto e si abbassa per sentire cosa abbia detto l’altro.

Grazie… Per aver creduto in me… in Noi...

 

 

4.3 Finale andante con brio
 

Tobio, nel silenzio più totale nel quale verte il dormitorio, chiude la porta cercando di far meno rumore possibile, si gira e…

- Oh-oh… Ma guarda: Tobio-kun. Qual buon vento?-
E, no: Atsumu non crede che questa volta la sua scaltrezza arrogante lo salverà, né tanto meno la sua faccia di bronzo. Anzi, è quasi certo che se la vedrà saltare. Soprattutto vedendo come Kageyama ha inarcato il sopracciglio sinistro a quella battutina fulminandolo con lo sguardo e questo basta, non serve che dica altro, la sua espressione parla per lui.
Si studiano, senza avere una rete davanti a separarli questa volta. Le altezze ormai sono simili, nessuno dei due deve sollevare o abbassare lo sguardo per arrivare agli occhi dell’altro.
Le espressioni sono indubbiamente differenti. Miya ha la sua faccia da schiaffi delle migliori, quella che addotta sempre quando vuole mostrarsi strafottente e sicuro di sé, quella di Kageyama è granitica. E Atsumu la sta ben cercando di decifrare la sua espressione, a cercar di capire cosa e quanto l’altro sappia, ma è più che certo che sappia tutto. E allora l’espressione cambia, si fa più dura, più tagliente. Ok, forse ha sbagliato ieri sera sul tetto quando ha cercato di baciare Shoyo ma non si sarebbe mai perdonato con se stesso se non ci avesse provato. Solo, vallo a spiegare al ragazzo del suddetto Shoyo una cosa del genere.
Tacciono. La tensione è davvero più che palpabile. Sono come due tigri in gabbia.
- Miya! Ti sei dimenticato il tuo disgustoso spazzolino da denti pieno di germi e di batter… oh… Kageyama… -
Sakusa, uscito come una furia dalla propria stanza, si ferma con ancora lo spazzolino dell’altro a debita distanza e nella mano inguantata, li fissa entrambi, porta lo sguardo ora sull’altro ora sull’altro. Non sa di chi prendere le parti. O meglio: sa che è Atsumu dalla parte del torto, marcio, ma in qualche modo lo ha capito. Sa quanto sia impetuoso e di come cerchi sempre di ottenere ciò che vuole. Non lo giustifica, certo, anzi: lo prenderebbe lui a testate se potesse ma quel minchione si era preso una cotta mostruosa e non può biasimarlo per aver provato a far volgere le cose a suo favore.
D’altra parte non osa neanche lontanamente immaginare che dolore sordo debba aver provato Kageyama all’idea di poter perdere la persona che ama.
Si trova in questa situazione d’impasse quando è un’altra porta quella che si apre alle loro spalle.
- Ohh, adesso vado a fare la cagata del secolOHMIODIOKAGEYAMA! -
I soliti mille decibel di Bokuto. Il quale lancia uno sguardo veloce ai tre, posando poi infine lo sguardo su Kiyoomi e vedere il suo compagno di squadra, di solito sempre così imperturbabile, interdetto non è per lui indubbiamente rincuorante. Muovendosi piano si pone al fianco di Kageyama, sa di essere fisicamente molto più forte di lui, e in caso di necessità è pronto a placarlo.
- Perché non riuscite a parlare con un tono di voce umanamente sopportabile? Soprattutto di prima mattina. - stavolta è la testa di Akaashi che fa capolino dalla stanza di Koutarou e anche se lui è uno bravissimo a dissimulare la sorpresa, rimane disorientato quando vede Tobio, capendo al volo la situazione.
- Ma che succede qui? -
Ecco, quadretto completato.
E Shoyo si sente morire. No, è davvero sicuro che il suo cuore si sia fermato per più di un istante.
Con lo sguardo letteralmente terrorizzato, gli occhi nocciola sgranati, porta lo sguardo ora a Tobio ora ad Atsumu. Doveva prendere in considerazione che si potesse verificare una condizione simile!
- Tsum-Tsum scusa ma tu da dove arrivi? - il cervellino di Bokuto si è messo in moto.
- Ho passato la notte da Omi-Omi. -
- Perché hai passato la notte con Sakusa?! -
- Bokkun, per favore non complicare ancora di più le cose. - sta quasi per scappargli una risatina isterica ma non molla nemmeno per un istante gli occhi blu di Tobio.
-
 Signori, se ci potete scusare un attimo e lasciarci da soli. - dice alla fine Atsumu con il suo solito fare teatrale.
Koutarou si è spostato al fianco di Hinata e gli stringe delicatamente un braccio, per riportarlo nella sua stanza, dove non lo lascerà solo, ben si intende. Ma Shoyo non molla gli occhi da quelli di Tobio almeno fino a quando questi non li porta su di lui, facendogli un piccolo gesto con il capo, a fargli capire che può stare tranquillo.

- Ho uno shinkansen da prendere al volo. - professa nel momento in cui sono rimasti soli uscendo dalla porta sul retro, incrociando le braccia al petto.
- Sì, ed io un diretto da prendere in faccia. Me lo meriterei magari. Anzi, a tal proposito Tobio-kun, se proprio mi devi colpire, potresti evitare il volto? Sai, ci tengo al mio bel faccino. - fare il minchione è in qualche modo il suo meccanismo di difesa preferito. Ma Tobio non sembra gradire per niente. Anzi… E allora Atsumu si fa serio e cambia completamente anche l’espressione del volto oltre che del tono.
- Tobio non pensare che io mi sia preso gioco di Shoyo-kun. -
- Ti avrei ucciso veramente in quel caso. - la voce è glaciale e istintivamente ha mosso un minaccioso passo verso Miya, che però non arretra e continua a parlare.
- Non ti dirò che mi dispiace o che mi pento, perché mentirei, in parte. Mi dispiace di averti in qualche modo mancato di rispetto, questo sì, di aver pensato solo ed unicamente a me stesso. -
- L’hai destabilizzato, l’hai fatto star male con il tuo egoismo! - e la distanza che li separa ora è colmata e Tobio afferra Atsumu per il bavero della tuta e lo spinge di prepotenza contro il muro.
E il biondo incassa l'ennesimo colpo. Sta buttando fuori tutto l’orgoglio che ha, è questo che gli permette di sostenere ancora lo sguardo dell’altro che lo sta ora fissando furente.
- E cosa mi dici di te, Tobio-kun? -
- Chi se ne frega di me, stronzo! - di nuovo le dita si serrano sulla tuta dell’altro – Non voglio che Shoyo soffra. -
- Lui non è così debole. Sa affrontare le cose con una forza ed una caparbietà che è qualcosa di assurdo. -
- Lo so benissimo, cazzo! Lo conosco molto meglio di te. -
Più la voce di Atsumu si mantiene bassa e neutra, più quella di Tobio ora è un concentrato di emozioni.
Il biondo lo fissa per poi iniziare a ridacchiare piano, Tobio, destabilizzato da ciò, molla la presa.
- E allora perché hai avuto paura che te lo potessi portar via? - ed ora l’espressione si fa dura anche nel volto di Atsumu, mentre si liscia le pieghe sul colletto della tuta.
- Tobio, io non ho mai avuto alcuna speranza. Non so se tu l’abbia mai visto Shoyo-kun quando parla di te… di come gli si illumino gli occhi… ed è… - abbassa per un istante gli occhi a terra – ed è una cosa bellissima. Vedervi dentro tutto l’amore incondizionato che c’è dentro. -
Tobio si calma, respira a fondo, riporta le braccia lungo i fianchi.
- Vi invidio sai? Non è così semplice vedere due persone amarsi in questo modo, essere felici in questo modo. Forse per un istante, un lungo istante, mi sono illuso di poter esser guardato con gli stessi occhi. Con lo stesso amore incondizionato. Indubbiamente patetico da parte mia, vivere l’amore di due altre persone. - ridacchia, portandosi una mano tra i capelli a scostarsi il solito ciuffo ribelle. Caccia le mani in tasca e gli passo a fianco, fermandosi.
- Se lo farai soffrire, Tobio-kun, ti giuro che ti vengo a scovare anche nel buco di culo della terra. - gli mormora duro.
A quella minaccia ringhiata Kageyama lo ferma per un braccio senza guardarlo.
- Non ce ne sarà bisogno. - ringhia a sua volta. Si lanciano un ultimo sguardo che in qualche modo sancisce la resa.
- Oh! Qualcuno è dannatamente sicuro di se stesso e della sua unicità a quanto vedo, eh Tobio-kun? -
Miya ridacchia, Kageyama è indubbiamente l’allievo prescelto di Oikawa, c’è poco da fare.
- Tch, senti da che pulpito. Comunque, ho imparato dal migliore. - * è infatti la risposta dell’altro.
 

Atsumu butta fuori l’aria solo quando gira l’angolo. Sarebbe ipocrita con se stesso se non ammettesse che è stata dura.
- Com’è andata? -
- Oh, mio Dio Omi! Perché mi sbuchi sempre fuori all’improvviso cercando di farmi venire un infarto a soli 22 anni! -
Era così preso dal tirare il fiato che non si è accorto di Kiyoomi appoggiato alla parete, braccia incrociate al petto, che lo attendeva.
- Che bella idea, non capisco proprio come ho fatto a non pensarci prima. Ti tenderò agguati ad ogni angolo da adesso in poi. - beccandosi un’occhiataccia di biasimo.
- Comunque, per rispondere alla tua domanda, sono ancora tutto interno. - facendo una piroetta su se stesso per dimostrarglielo.
- Che peccato. -
- Omi… -
Sakusa è in grado di fiutar l’inquietudine nell’animo degli altri a chilometri di distanza e vorrebbe essere in qualche modo di conforto all’altro perché intuisce chiaramente che Atsumu, per quanto cerchi di non darlo a vedere, è comunque turbato dalla situazione che si è venuta a creare e che ha dovuto affrontare, ma non sa da che parte iniziare. Perché l’unica cosa che andrebbe fatta sarebbe un abbraccio (inizia a sudare freddo alla sola idea) o una pacca sulla spalla (già meglio ma gli vengono i conati di vomito solo a pensarci). E allora, che fare?
- Com’era la storia che mi stavo dicendo ieri? Dell’attore di Draco sulla battuta “tu sai leggere?” -
Atsumu si ferma, sbatte le ciglia interdetto per un istante, poi accenna un piccolo sorriso e inizia a spiegare.
Ha imparato a capire che ci sono tanti e diversi modi per prendersi cura degli altri, per dimostrare che ci si sta prendendo cura degli altri.
Così come avrebbe imparato che ci sono diversi modi di amare e di di farsi amare.
 

Anche Tobio butta fuori l’aria. Fa due tre respiri più profondi, sente le braccia che tremano ancora.
Hai i secondi contanti, letteralmente!, ma DEVE andare da Shoyo.
E Shoyo è lì, che lo attende, divorato dall’ansia.
E di nuovo, come la notte prima, il loro abbraccio vale più di mille parole. Promessa ed impegno, con loro stessi, di rendere ogni momento passato insieme, unico e speciale.

Cosa che avevano fatto fino ad allora.

 

FINE


 

*Postilla (secondo la tradizione giapponese, quando qualcuno fa dei riferimenti a te, si starnutisce)
Nel frattempo a Tokyo…
 

Etciuuuu
Tooru si gira nel letto, voltandosi dalla parte di Hajime, rabbrividendo e cercando tepore.
- Trashykawa se hai preso freddo ti ammazzo di pugni. -
La velocità di azione e reazione di Iwaizumi, che passa dal sonno alla veglia nel giro di 0.2, è sempre qualcosa di sorprendente.
- Iwa-chan son 23 anni che mi minacci di morte pestandomi, potresti cambiare tipo di minaccia? -
- Hah?! -
E quel tono fa venire i brividi a Tooru ogni volta, meglio tenersi cara la vita e tacere. Si accoccola meglio tra le braccia dell’altro, dove Hajime l’ha ulteriormente stretto a sé bruscamente quando l’ha sentito letteralmente ghiacciato. L’alzatore mugola tutto felice, stringendosi a lui.
- Iwa-chan… - gli soffia delicatamente sul collo, con tono di voce suadente, intrufolandogli le mani sotto alla maglia per iniziare ad accarezzargli la schiena in punta di dita – dato che ormai siamo svegli che ne dici se… -
- E poi ti domandi perché ti minaccio di pestarti sempre e comunque… hai le mani ghiacciate. -
- Ma Iwa, insomma! La mia era una proposta p0rn. -
- L’avevo capito, idiota! -
- E quindi...? -
Ma non riesce neanche a finir la frase che l’altro l’ha già fatto scivolare sotto di sé, in una chiara risposta.

 

FINE (davvero stavolta)

 

 

Ecco, adesso sono in lutto… sindrome da calzino spaiato. Dovrò ammazzarmi di rewatch (parte centocinquantamila) delle prime due stagioni, magari, per l’occasione, rileggermi anche il manga. *fissa la parete bianca davanti a sé*
E niente, con questa minilong mi sono innamorata ancor di più della KageHina. E finalmente son riuscita a regalare loro un rating arancione non sbiadito MUAHAAUHAUUU

Le ultime parole in mezzo a questi miei deliri senza senso, sono per tutti VOI che avete avuto la pazienza e la carineria di seguirmi fino a qui. Grazie, di cuore.

 

 

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