Believer di mikimac (/viewuser.php?uid=775246)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First things ***
Capitolo 2: *** Second thing ***
Capitolo 3: *** I was broken from a young age ***
Capitolo 4: *** Third things third ***
Capitolo 5: *** I was choking in the crowd ***
Capitolo 6: *** Last things last ***
Capitolo 7: *** But they never did, ever lived, ebbing and flowing ***
Capitolo 8: *** Pain! ***
Capitolo 1 *** First things ***
First things
Ciao a tutti. Il seguente racconto è un
Omegaverse. Si tratta della continuazione di una mia vecchia storia intitolata
“Tre Alfa per un Omega”. Non è necessario avere letto la prima parte per
leggere la presente.
La storia è scritta senza scopo di lucro e
spero che non ne ricordi altre, ma, in questo caso, sarebbe completamente
involontario.
Il titolo del racconto è preso da una
canzone, “Believer” di Imagine Dragons del 2017.
Buona lettura.
First
things
First
I’m say all the words inside my head
I’m fired up and tired of the way that things have been, oh-ooh
The way that things have been, oh-ooh
Believer
Ero
solo.
Mi
trovavo sicuramente in riva al mare, sulla spiaggia. Sentivo la sabbia rovente
sotto i miei piedi nudi. Era la stessa spiaggia in cui era approdato Sherlock,
il giorno in cui aveva raggiunto l’Isola.
Un
vento caldo mi bruciava la pelle delle braccia e delle gambe, dove non
arrivavano i pantaloncini e la maglietta, che indossavo ogni giorno sull’Isola.
Mi sembrava di andare a fuoco, ma era solo una sensazione. Spiacevole, certo, ma
solo una sensazione. Mi fissai le mani e le braccia. Non stavano bruciando. Non
erano nemmeno rosse. Ero abbronzato, come sempre, ma non vedevo nulla che
giustificasse il calore intenso che sentivo.
Mi
guardai intorno, ma non riuscivo a stabilire da dove arrivasse né da che cosa
fosse originata l’aria bollente che mi stava investendo.
Sentivo
delle urla. Avevo riconosciuto le voci di coloro che stavano gridando per il
dolore, per la paura. Alcuni sembravano in agonia.
I
miei figli. Mio padre. Mio fratello. Gli altri Omega, che abitavano sull’Isola.
Non
capivo perché stessero urlando. L’aria bollente era fastidiosa, ma non
dolorosa.
Che
cosa stava accadendo?
Ad
ogni secondo che trascorreva, il panico si impadroniva sempre più di me.
Dove
era Sherlock? Dove erano i miei figli, la mia famiglia, i miei amici? Perché li
sentivo, ma non li vedevo? Eppure, malgrado la giornata fosse buia, come se
stesse per scoppiare un temporale, non lo era così tanto da impedirmi di vedere,
che cosa mi circondasse.
Il
mare era burrascoso. Le onde si infrangevano violente sulla battigia e
trascinavano via tanta sabbia, quando tornavano indietro, quasi volessero
erodere e distruggere i confini dell’Isola.
Fu
guardando verso l’orizzonte che le vidi e rabbrividii per la paura.
Navi.
Centinaia,
migliaia di grandi navi e piccole barche, che si stavano dirigendo verso la
spiaggia.
Cariche
di Alfa.
Ero
paralizzato dal panico. Sapevo che dovevo correre ad avvertire tutti che la
barriera era stata infranta, che l’Isola era stata scoperta, che eravamo tutti
in grave pericolo, ma le gambe non si muovevano. La voce si rifiutava di uscire
dalla gola.
Con
uno sforzo immenso, mi voltai e le vidi.
Le
fiamme. Alte. Ruggenti.
Stavano
divorando l’Isola. E i cadaveri di tutti coloro che amavo.
Io
ero immobile. Impotente. Inutile.
Tutto ebbe inizio da questo incubo.
Mi svegliai urlando, chiamando in modo
disperato i nomi dei miei cari. Avevo il cuore in gola. Non sentivo nemmeno la
voce di Sherlock e le sue mani su di me. Respiravo affannosamente, non
riuscendo a capire quale fosse la realtà.
Quella pacifica e felice che stavo vivendo
quando mi ero addormentato nel mio letto la sera prima o quella che avevo
vissuto nel peggior incubo mai avuto nella mia vita?
Mi voltai verso Sherlock e mi vidi
riflesso nei suoi occhi chiarissimi. L’espressione atterrita del mio viso
spaventò persino me.
Finalmente, la sua voce rassicurante fece
breccia nel terrore che mi aveva attanagliato l’anima.
“John calmati. È stato solo un sogno,”
ripeteva in tono dolce.
Io mi lasciai trasportare fuori
dall’incubo da quella voce bassa e calma.
Stavo dormendo. Sognando.
Dio
fa che non sia una visione. Pregai.
“Papà stai bene?” Mi voltai di scatto
verso la direzione da cui era giunta la domanda.
Mycroft mi fissava, cercando di nascondere
la paura, ritto in piedi in mezzo alla porta. Greg faceva capolino dietro di
lui, insicuro se essere curioso o spaventato. William stava urlando disperato
dalla sua culla.
Mi passai una mano sul viso, costernato:
“Sono riuscito a svegliare tutti. Mi dispiace,” mormorai con voce roca.
Sherlock mi fissò per alcuni secondi, per
essere sicuro che fossi tornato in me, poi si alzò e andò verso i bambini:
“Papà ha fatto solo un brutto sogno, ma sta bene. Andiamo a calmare Will, prima
che svegli tutti gli abitanti dell’Isola con le sue urla. Ci manca solo che
arrivi il vecchio Severus a sgridarci perché stiamo facendo troppa confusione,”
sogghignò, come se fosse stato uno scherzo fra lui e i bambini.
Gli fui grato per quello che stava
facendo. Io non riuscivo a smettere di tremare. L’orribile sensazione che
qualcosa di sconvolgente avrebbe travolto l’Isola, mettendo tutti in pericolo,
non riusciva ad abbandonarmi.
E avevo ragione.
Sto scrivendo questo diario, in questo
momento in cui ho ben presente nella mente ogni avvenimento, per non
dimenticare. Non è destinato a nessuno. Anzi, questa storia dovrà rimanere un
segreto per il resto dell’Umanità o avremo compiuto il nostro sacrificio per
nulla. Semmai qualcuno dovesse trovare questo diario, penserà senz’altro che
sia un racconto di fantasia. Allegorico. O le fantasticherie di un pazzo.
Credete pure ciò che volete, perché è
giusto che sia così.
Io racconterò la mia incredibile storia e
sarò di parte, ovviamente. Non può esistere il contradditorio di altri, perché
molti non ci sono più. È giusto, comunque, ricordare che cosa sia accaduto,
perché dobbiamo essere meglio di come siamo stati.
Per i nostri figli.
Perché questa è la storia di come la nostra
vita sia stata cambiata e stravolta, in un modo che non potrà mai più tornare
come prima. Di come abbiamo perso alcune delle persone più importanti per noi e
di come abbiamo dovuto cominciare una nuova vita, lasciandoci alle spalle il
passato.
Nota dell’autore
Grazie a chi sia arrivato fino a qui.
Il secondo capitolo sarà pubblicato
giovedì prossimo.
Ciao!
|
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Capitolo 2 *** Second thing ***
Second Thing
Second
thing
second
Don’t you tell me what you think that I can be
I’m the one at the sail, I’m the master of my sea, oh-ooh
The master of my sea, oh-ooh
Believer
Erano
trascorsi tre anni, da quando Sherlock mi aveva raggiunto sull’Isola. Quando
siamo entrati nel villaggio, tenendoci per mano, erano stati tutti increduli e
spaventati. Un Alfa era riuscito a superare la Barriera e a raggiungere
l’Isola! Era inaudito. Da quando gli Omega si erano nascosti dal Mondo Esterno,
si potevano contare sulle dita di una mano gli Alfa che erano riusciti
nell’impresa. Pochissimi eletti in un arco di tempo lunghissimo. Millenario.
I
maghi della Consulta dell’Accademia sottoposero la Barriera a un esame
approfondito per assicurarsi che fosse ancora attiva e che gli incantesimi che
la controllavano non avessero perso efficacia o potenza.
Non
trovarono nulla di strano. O sbagliato. O manomesso. La Barriera era in ottima
salute e gli incantesimi funzionavano in modo perfetto, come avevano sempre
fatto dal giorno in cui erano stati lanciati. Sherlock aveva superato la
Barriera perché il suo amore per me era superiore alla brama di quell’immenso potere,
che aveva acquisito quando si era creato il nostro Legame.
Sherlock
accettò di essere esaminato con educata esasperazione. Si vedeva chiaramente
che riteneva tutto il procedimento una inutile perdita di tempo e non risparmiò
battute taglienti ai maghi della Consulta. Però capì perfettamente che gli
Omega erano agitati e preoccupati per la propria incolumità e che volevano
essere certi dell’assoluta inviolabilità dell’Isola. Nessuno voleva che gli
Alfa arrivassero e ci catturassero, per costringerci a formare un Legame, in
modo da aumentare il loro potere magico.
Se
i maghi avessero conosciuto Sherlock la metà di quello che lo conoscevo io, non
si sarebbero presi il disturbo di sottoporre la Barriera a un esame così
approfondito. O di esaminare Sherlock stesso. Se esisteva qualcuno nel Mondo
Esterno cui il potere non interessava per nulla, quello era Sherlock Holmes. Gli
altri Omega non lo conoscevano. Dovevano essere certi che il nostro segreto
rimanesse tale. Per la nostra stessa sicurezza.
Non
potevamo sapere che il pericolo stava crescendo sull’Isola stessa, insinuandosi
fra di noi, con la subdola illusione che il Mondo Esterno potesse donarci solo
amore e parità.
Sherlock
ed io ci eravamo sposati alcuni mesi dopo il suo arrivo. Mycroft e Greg lo
accolsero in modo completamente diverso. Greg riempì Sherlock di domande su suo
padre e sulle meraviglie del Mondo Estremo, mentre Mycroft era più riluttante a
fare avvicinare lo zio, quasi vedesse in lui un rivale, qualcuno che potesse usurpare
il suo posto, strappandogli lo status di fratello maggiore. Per fortuna si
trattò solo dei primi giorni. Quando rimasi gravido del figlio di Sherlock, i
miei figli avevano accettato mio marito come padre.
William
Watson nacque dopo una gravidanza complicata. Il parto rischiò di ucciderci
entrambi. I medici furono costretti a rimuovere tutto il mio apparato
riproduttivo. Per quanto fui addolorato dalla cosa, mi consolai, pensando che
avevo dato un erede a ognuno degli Alfa più importanti della mia vita.
Tutto
sembrava scorrere tranquillo.
Sherlock
faceva i suoi esperimenti e insegnava chimica nella scuola di magia. Io facevo
il medico presso la Consulta dell’Accademia. I miei figli crescevano felici ed
equilibrati. Mio padre stava invecchiando serenamente, rassicurato dal fatto
che né io né mio fratello Michael saremmo mai stati mandati nel Mondo Esterno.
Tutto
era calmo e sereno.
Troppo.
Forse
è vero che bisognerebbe avere paura di essere felici, perché solo così si ha
qualcosa di importante da perdere.
Le
prime avvisaglie che qualcosa non andava si manifestarono durante una seduta
del Consiglio Generale, convocato dal Collegio degli Anziani. Alcuni maghi si
sentivano troppo stanchi e vecchi, per continuare a governare l’Isola, così si
erano dimessi dal Collegio ed era necessario eleggerne i sostituti.
Era
una bella giornata di primavera. La temperatura non cambiava molto sull’Isola da
una stagione all’altra. Erano i frutti della terra a evidenziare i cambi di
stagione. La sala del Consiglio era piena. Tutti gli Omega adulti erano
presenti. Persino a Sherlock era stato concesso di presenziare, in via del
tutto eccezionale, anche se non aveva diritto di parola o di voto.
Lui
era venuto più per curiosità che per interesse. Io pensavo che si sarebbe
annoiato e che dopo cinque minuti dall’inizio della riunione si sarebbe alzato
e sarebbe uscito, per tornare ai suoi esperimenti.
Non
ci fu occasione. L’atmosfera, all’interno della sala, si surriscaldò molto in
fretta.
Severus
McGranitt, il Presidente del Collegio degli Anziani, si alzò in piedi. Il
silenzio calò nella stanza, senza che lui avesse bisogno di alzare una mano.
Con la sua voce pacata e profonda, Severus iniziò a parlare: “Cari amici, tutti
sappiamo il perché di questa assemblea speciale. Trascorre sempre tanto tempo
fra la sostituzione di uno degli Anziani e l’altra, ma eccoci qui. Due nostri
colleghi hanno deciso di lasciare il servizio della comunità, per godersi il
giusto riposo. Siamo quindi qui…”
“Chiedo
la parola!” Nel silenzio della sala, esplose una voce giovane e impaziente.
Tutte
le teste si voltarono all’unisono per vedere il volto del giovane Omega che
aveva osato interrompere il discorso di Severus. Se anche il Presidente fosse
stato infastidito o irritato dall’interruzione, non lo diede a vedere in alcun
modo. Alzò appena un sopracciglio: “Non è certo questa la procedura normale,
Sebastian. Non puoi attendere la fine delle elezioni per fare il tuo
intervento?”
“No,
Severus. Non posso. Dopo quello che dirò, le elezioni potrebbero essere
inutili,” ribatté Sebastian.
Un
feroce mormorio di disapprovazione si levò da diverse parti. Notai il padre di
Sebastian che, furibondo, cercava di costringere il figlio a sedersi, tirandolo
per un braccio. Il giovane Omega lo ignorava, il suo sguardo fisso su Severus.
Conoscevo
Sebastian Moran. Aveva un paio di anni meno di me. Era già stato nel Mondo
Esterno due volte e presto vi sarebbe tornato per la terza. Era biondo, più
alto della norma, per un Omega. Il fisico era scultoreo e perfetto. Gli occhi
erano verdi con pagliuzze dorate.
Un
brivido mi attraversò la schiena. Non era freddo. Sembrava che avessi davanti
la materializzazione del mio peggior incubo.
Eppure,
ero amico di Sebastian. Avevamo sempre scherzato insieme. Stavo facendo il
tirocinio come praticante, quando era nato il suo secondo figlio. Io gli ero
stato accanto, tenendolo per mano per tutto il tempo del travaglio, dato che
suo padre era in pronto soccorso con l’altro bambino, che era caduto e si era
procurato un taglio alla fronte.
“Se
proprio devi, parla Sebastian. Hai la nostra attenzione,” gli concesse Severus.
“Abbattiamo
la Barriera e riveliamoci al Mondo Esterno. Non possiamo rimanere nascosti in
eterno. Non possiamo continuare ad andare nelle città degli Alfa e dei Beta
come se fossimo dei ladri…”
Un
vociare quasi feroce lo costrinse a fermarsi. Gli Omega più anziani si erano
alzati in piedi, furiosi e oltraggiati. Non si riusciva a capire che cosa
dicessero, ma si poteva intuire.
Io
ero allibito. Come si poteva proporre una cosa del genere? Come poteva
Sebastian pensare che nel Mondo Esterno non saremmo stati in pericolo? Con un
brivido freddo ricordai lo sguardo famelico con cui Charles Augustus Magnussen
mi aveva osservato, quando mi aveva fatto prigioniero.
Certo,
esistevano Alfa di cui avremmo potuto fidarci, come Sherlock. O come Mycroft
Holmes. O come Gregory Lestrade. Però come potevamo mettere in pericolo le vite
dei nostri figli, sperando che incontrassero degli Alfa degni di loro?
“SILENZIO!”
Intimò Severus.
Le
voci si zittirono. L’attenzione di tutti si spostò sul vecchio mago. Il suo
viso non tradiva alcuna emozione. Per un attimo, solo per un fuggevole attimo,
mi parve di vedere aleggiare una profonda tristezza, in quegli occhi saggi.
Come la consapevolezza di qualcosa che non poteva essere evitato. Fu solo un
attimo, però. Talmente rapido che non sono nemmeno sicuro di averlo veramente
visto.
“Sebastian,
sai anche tu che il Mondo Esterno non è ancora pronto per il nostro ritorno.
Gli Alfa…”
“Ne
abbiamo uno qui. – Moran interruppe subito McGranitt, senza nascondere l’astio
che provava – Come tutti potete ben vedere, gli Alfa non sono dei mostri. Anzi.
Oppure, solo John Watson merita di essere completo, di avere la propria anima
gemella? Solo gli eroi hanno diritto
al Legame?”
“O
gli stupidi,” intervenne Sherlock, in tono lapidario.
“Mi
stai dando dello stupido?” Sebastian si voltò a fissare il mio Alfa con occhi
gelidi.
“Sherlock…”
Tentai di fermarlo, ma non ebbi molta fortuna.
“Anche
un cieco capirebbe che ti sei fatto irretire da un Alfa molto intelligente, che
ti ha convinto a ribellarti al buon senso della tua gente.” Rispose Sherlock,
sprezzante.
“Tu
che cosa saresti? L’eccezione che conferma la regola? L’unico Alfa che ci
rispetta come persone e non vuole sfruttarci?” Ribatté Sebastian, con lo stesso
tono.
“No.
Sicuramente ce ne sono altri. Però il Legame aumenta in modo notevole il potere
magico dell’Alfa. Per loro natura, troppi Alfa sono ambiziosi, avidi e affamati
di potere. Tu sei mai stato nelle zone in cui si vedono tutt’ora gli effetti
delle Guerre del Dominio? La terra è arida e devastata. Non vi nasce né vi
cresce nulla. Si creano vortici improvvisi, che feriscono mortalmente chiunque
vi si trovi in mezzo. E per fortuna, perché prima quei poveretti impazziscono.
I nostri maghi più potenti tentano da millenni di cancellare o mitigare gli
effetti di quei potenti incantesimi, ma non sono mai giunti a nulla. Con la
tecnologia attuale e il potere del Legame a sorreggerli, basterebbero
pochissimi Alfa a scatenare guerre che decimerebbero la popolazione. O peggio. Vuoi davvero avere
questo sulla coscienza? Milioni, miliardi di morti?”
“E,
comunque, questa opzione non è inclusa nel nostro ordine del giorno. –
intervenne Severus, in tono leggero – Questa discussione ci ha fornito validi
elementi su cui riflettere, per decidere del nostro futuro, ma, come dicevo
quando ho iniziato a parlare, oggi siamo qui per eleggere i nuovi membri del
Consiglio degli Anziani ed è l’unica cosa su cui delibereremo.”
Sebastian
capì di essere stato messo a tacere. Con un’espressione torva a oscurare i suoi
bellissimi occhi verdi, si sedette accanto al padre, senza più dire una parola.
L’elezione
procedette come da tradizione. Non ricordo nemmeno chi fu eletto e per chi
votai. La mia mente continuava a portarmi all’incubo, che sempre più di
frequente visitava le mie notti. Aveva sempre più il sapore di una profezia.
Non
sapevo ancora che la realtà poteva essere più terribile del mondo dei sogni.
Angolo dell’autrice
Ed
ecco introdotto il personaggio che causerà non pochi problemi all’Isola.
Naturalmente, se c’è Sebastian Moran, non molto lontano c’è un altro
personaggio molto amato della serie. Comunque, lui apparirà un po’ più avanti.
Grazie
a chi stia leggendo il racconto.
A
giovedì prossimo.
Ciao.
|
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Capitolo 3 *** I was broken from a young age ***
I was broken from a young age
I was broken from a young age
Taking my sulking to the masses
Writing my poems for the few
That looked at me took to me, shook to me,
feeling me
Singing from heart ache from the pain
Take up my message from the veins
Speaking my lesson from the brain
Seeing the beauty through the…
Believer
La
vita sull’Isola aveva ripreso a scorrere serena, dopo la riunione del Consiglio
Generale. Io ero sempre un po’ timoroso che per Sherlock fosse anche troppo
tranquilla, per non dire banale o noiosa. A volte lo sorprendevo a osservare
l’orizzonte, quasi cercasse di capire che cosa accadesse al di là della Barriera,
che proteggeva l’Isola. Non volevo che rimpiangesse la sua vita nel Mondo
Esterno. Capivo che potessero mancargli le grandi città, con le loro luci e i
grandi palazzi, il vociare della gente, le attività che vi si svolgevano quotidianamente
o la tecnologia. Per non parlare di parenti e amici.
Una
notte decisi di affrontare l’argomento. Eravamo sposati. Se lui si sentiva
triste o malinconico o se avesse avuto nostalgia della sua vita precedente,
doveva sapere che lo capivo. E che avrei fatto di tutto pur di vederlo felice.
Anche lasciarlo andare.
La
luna splendeva in cielo, enorme e piena. Una leggera brezza faceva muovere le
leggere tende bianche della finestra della nostra camera da letto. I bambini si
erano addormentati. Potevo percepirne il leggero respiro attraverso il silenzio
della casa.
Mi
spostai verso mio marito, circondandogli il busto con le braccia e appoggiando
la testa vicino al suo cuore. Lo sentii irrigidirsi leggermente, come se avesse
compreso che avevo bisogno di parlargli di una cosa importante.
“Che
cosa c’è che non va?”
“Volevo
chiederlo io a te. Ormai sei sull’Isola da tanto tempo. Posso capire che ti
manchi il Mondo Esterno. Soprattutto la tua famiglia.”
Sentii
il petto di Sherlock sollevarsi per un paio di volte, mentre ridacchiava
divertito: “Se c’è qualcosa che non mi manca è proprio la mia famiglia. Noi non
siamo molto uniti. Certo non come lo siete tu e la tua famiglia. Sicuramente
non siamo nemmeno una tipica famiglia del Mondo Esterno. I miei genitori
potrebbero quasi non essersi accorti del fatto che sono sparito. Sono così
impegnati nei loro studi, che non fanno caso al tempo che passa. E Mycroft…”
“Ti
vuole bene. Come tu ne vuoi a lui,” affermai, in tono dolce.
Sherlock
non ribatté subito. Sentivo che stava riflettendo, che voleva essere onesto con
me: “So che Mycroft mi vuole bene, ma lo ammetterò solo qui e ora. Non ripeterò
questa frase nemmeno sotto tortura.”
“E
anche i tuoi genitori ti amano. Staranno sentendo la tua mancanza.”
Sherlock
sospirò: “John, perché vuoi parlare di questo?”
Mi
sollevai, per poterlo vedere in viso: “Io so che cosa tu abbia lasciato
indietro. Hai rinunciato alla tua vita, per stare con me.”
“Non
avevo tutta questa vita, prima di incontrare te. Non mi piace fare il
melodrammatico…”
“Davvero?”
sogghignai.
“Fin
da bambino mi sono sentito respinto dagli altri. Secondo Mycroft, ero troppo
intelligente per loro e questo li spaventava, spingendoli a prendermi in giro.”
“Mi
dispiace molto. I bambini possono essere crudeli, a volte, ma questo non vuole
dire che tu non possa sentire la mancanza del Mondo Esterno.”
“John,
io sono felice, qui. Ci sei tu. Ci sono i nostri figli. Nel mondo dal quale
provengo, io mi sono sempre sentito incompleto. Fuori posto. Mi mancava
qualcosa e nulla riusciva a riempire quel vuoto. Poi, sei arrivato tu e
quell’abisso è svanito. Non tornerei alla mia vecchia vita per niente al
mondo.”
Gli
sorrisi. Ero felice del fatto che lui stesse bene sull’Isola. Che fosse
appagato dalla vita che conducevamo insieme: “Semmai dovesse arrivare il giorno
in cui sentirai la mancanza del Mondo Esterno, tu me lo dirai, vero?”
“John…”
Gli
misi un dito sulle labbra: “Ho capito che ora
stai bene, ma non è detto che sarà così per sempre. Siamo sposati, Sherlock.
Dobbiamo condividere e affrontare qualsiasi cosa accada insieme. Se ci
dovessero essere dei problemi, non voglio che tu ti tenga tutto dentro. Devi
promettermi che me ne parlerai. Va bene?”
Sherlock
mi sorrise: “Come lei comanda, mio signore.” Sussurrò con voce bassa. Un lampo
divertito attraversò i suoi occhi chiarissimi, illuminati da un raggio di luna.
Mi girò sul schiena, mettendosi a cavalcioni sopra di me. Sentivo il suo membro
già semi duro premere contro il mio. Si abbassò su di me, appropriandosi delle
mie labbra. Ogni discorso sul Mondo Esterno fu cancellato dalla mia mente. Non
rimase altro che Sherlock. E il suo corpo.
La
pace, però, non durò a lungo. Trascorsero solo alcune settimane. Un pomeriggio,
Sherlock stava facendo i compiti con Mycroft e Greg, mentre io stavo dando la
merenda a Will, quando sentimmo bussare alla porta. Sherlock ed io ci
scambiammo uno sguardo interrogativo. Non stavamo attendendo nessuno.
“Avanti,”
dissi, in direzione della porta.
Con
nostra sorpresa, fece il suo ingresso Ron Lovegood, il segretario personale di
Severus McGranitt. Basso e magrissimo, con capelli color cenere tagliati
cortissimi e piccoli occhi cangianti fra il verde e l’azzurro. Salutò con un
cenno del capo Sherlock e si diresse verso me. Il vecchio mago continuava a
provare una certa diffidenza nei confronti di mio marito, perché suo figlio era
uno degli Omega morti a causa di Charles Augustus Magnussen. Per quanto
Sherlock avesse tentato di aiutarmi a fermare Magnussen, Ron associava il suo
essere un Alfa con la morte del figlio.
“Benvenuto,
Ron. Posso aiutarti in qualche modo?” Chiesi, con un sorriso.
“Siete
stati convocati al cospetto del Presidente del Consiglio degli Anziani, il
magnifico Severus McGranitt,” rispose Ron, pomposamente.
“Entrambi?”
Domandai, senza riuscire a nascondere la sorpresa. Era già insolito che fossi
chiamato io, ma la richiesta della presenza di Sherlock poteva essere
considerata quasi straordinaria.
“È
ciò che ho detto,” ribatté Ron, con un puntiglio leggermente irritato.
“Il
tempo di portare i bambini da mio padre e saremo da Severus,” confermai, prima
che Sherlock potesse intervenire e offendere il molto suscettibile Ron.
Con
un altro cenno del capo, l’uomo se ne andò, chiudendosi dietro la porta. Sherlock
ed io ci scambiammo uno sguardo sorpreso e curioso.
Nel
giro di neanche mezz’ora, eravamo nella sala d’attesa dell’ufficio di Severus. La
porta si aprì e ne uscirono Alastor e Cornelius Diggory, con un’espressione
addolorata sul viso. I due uomini erano più o meno coetanei di mio padre. Ci
salutammo in tono dimesso. Immaginavo che cosa potesse essere accaduto e mi
dispiaceva per loro.
“Entrate
pure,” ci invitò la voce cordiale di Severus.
Entrammo
nello studio dell’anziano mago, che si alzò per stringerci la mano: “Grazie per
essere venuti con così poco preavviso,” ci salutò McGranitt, con un sorriso
cordiale.
“Siamo
molti curiosi di sapere in che cosa possiamo esserti utili. Nella sala d’attesa
abbiamo incrociato i Diggory. Horace è morto?”
Severus
sospirò: “Sì, si è spendo stanotte. Ora è in pace.”
“Mi
dispiace per la perdita dei Diggory. Sono simpatici. Non ricordo di avere
conosciuto questo Horace. Era molto anziano?” Intervenne Sherlock.
“Direi
proprio di sì. Con i suoi 362 anni, era l’Omega più anziano del’Isola,” rispose
Severus.
Sherlock
lo fissò a bocca aperta, incredulo: “362… anni?”
McGranitt
inclinò la testa canuta, mentre un sorriso divertito gli allungava le labbra:
“Lo sai che l’incantesimo che protegge l’Isola ha come effetto collaterale la
dilatazione del tempo. Contiamo gli anni con l’alternarsi delle stagioni, ma quando qui
sono passate tutte e quattro, da voi si sono alternate per almeno tre volte.”
“Quanti
anni hai?” Mi domandò Sherlock a
bruciapelo.
Io
alzai gli occhi al soffitto ed evitai di rispondere: “In che cosa possiamo
essere utili?” Chiesi di nuovo, ignorando la domanda di mio marito.
“Vuoi
dire che mi sono sposato con un vecchio? – insistette Sherlock – non sei più
vecchio di Mycroft, vero?
“Ho
bisogno che andiate in missione nel Mondo Esterno,” si intromise Severus.
Le
sue parole distolsero Sherlock dal suo interesse sulla mia età. Entrambi fissammo
McGranitt sorpresi. Tutto ci saremmo aspettati, tranne che ci chiedesse di
lasciare la sicurezza dell’Isola. Un brivido gelido mi percorse la schiena.
L’incubo si ripresentò nella mia mente con tutta la sua forza devastante.
“Perché?”
Domandò Sherlock, in tono teso.
“Abbiamo
perso i contatti con Sebastian Moran.”
“Avete
mandato Moran nel Mondo Esterno, dopo quello che è accaduto durante la seduta
del Consiglio Generale? Non avete capito che qualcuno, sicuramente un
pericoloso Alfa, lo stava manipolando? Siete così incoscienti di vostro o
desiderate tanto essere scoperti e imprigionati?” Sbottò Sherlock, furioso.
Io
non riuscii a intervenire. Non andava bene che mio marito si rivolgesse
all’Omega più importante e potente dell’Isola usando quel tono, ma non potevo
dargli tutti i torti. Inoltre, non riuscivo a controllare la paura che mi aveva
attanagliato il cuore.
‘Fai che non sia una premonizione,’
pregai silenziosamente.
“Capisco
il tuo punto di vista e lo condividerei pure, se avessimo qualche altra
possibilità di scelta. Hai notato in quanti siamo, Sherlock? Siamo appena sopra
la soglia dell’estinzione. Se rinunciamo ad avere altri bambini, dovremo
davvero palesarci al Mondo Esterno. È stato un rischio calcolato.”
“Calcolato
male!” Sibilò Sherlock.
Gli
afferrai un braccio. Dovevo essere pallidissimo, perché notai subito
l’espressione preoccupata con cui mi scrutò: “Ora basta. È tardi per
recriminare. L’Isola è in pericolo. Perché hai pensato a noi due?” Domandai,
riuscendo controllare la voce, affinché non tremasse.
“Sebastian
si dovrebbe trovare a Londra. È un luogo che voi due conoscete molto bene, nel
quale potrete muovervi con facilità. Inoltre, potreste contare sull’aiuto dei
vostri amici. Dovete trovare Sebastian e riportarlo all’Isola, sperando che non
abbia fatto qualcosa di cui dovremo pentirci.”
Annuii.
Sherlock aveva ignorato le parole di Severus, troppo preoccupato per me,
persino per continuare a insultare il vecchio mago: “Stai bene?”
“Hai
avuto un’altra premonizione, vero?” Mi domandò Severus, con dolcezza.
“John
non ha delle premonizioni,” ribatté Sherlock, stizzito.
“Di
solito no. Ne ho avuta solo una, in vita mia. Riguardava il nostro incontro e
lo scontro con Magnussen.”
“Sembra
che l’Isola comunichi con te, quando si sente in pericolo,” constatò McGranitt,
con un sospiro.
“Andremo…”
“John!
Non siamo obbligati…”
“Sì
che lo siamo. – interruppi Sherlock con forza – Dobbiamo impedire agli Alfa di
trovare l’Isola. Anche se temo che, stavolta, sarà molto più complicato
proteggere il nostro segreto. L’altra volta si trattava di un singolo Alfa. Se
davvero Sebastian è stato convinto a tradire il nostro segreto, il nostro
intervento potrebbe essere del tutto inutile.”
“Speriamo
di no, John. – sussurrò Severus, in tono grave – Speriamo di non esserci mossi
troppo tardi. Speriamo di riuscire a proteggere i nostri figli dagli Alfa, fino
al giorno in cui capiremo che possiamo fidarci di loro.”
Non
c’era molto che potessimo aggiungere. Non aveva senso recriminare. Dovevamo di
nuovo avventurarci nel Mondo Esterno, sperare di trovare il nostro nemico e di
riuscire a sconfiggerlo.
Con
un immenso peso sul cuore, Sherlock ed io tornammo a casa, per prepararci alla
missione. Non assistemmo alle esequie di Horace Diggory. Il giorno dopo, Londra
ci accolse, con la sua umida nebbia, che nascondeva alla vista le persone e gli
edifici.
Angolo dell’autrice
Così
John e Sherlock lasciano l’Isola, per andare alla ricerca di Sebastian Moran.
Nel prossimo capitolo faranno la loro comparsa Mycroft e Greg, gli unici
alleati su cui i nostri potranno contare.
Grazie
a chi stia leggendo il racconto.
A
giovedì prossimo.
Ciao.
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Capitolo 4 *** Third things third ***
Third things third
Third
things third
Send a prayer to the ones up above
All the hate that you’ve heard
has turned your spirit to a dove, oh-ooh
Your spirit up above, oh-ooh
Believer
Eravamo
arrivati a Londra di notte. Era una prassi consolidata nei secoli, che gli
Omega raggiungessero il Mondo Esterno durante la notte, il momento in cui su
ogni luogo regnava la quiete. Persino in una città cosmopolita e piena di vita
come Londra, c’era una frazione della notte, durante la quale incontrare
qualcun altro era molto difficile. In quel breve periodo, i nottambuli si erano
ritirati nelle loro dimore, appena prima che coloro che si erano coricati
presto si alzassero, per iniziare la giornata. Londra ci accolse con la sua
nebbia e le sue luci soffuse. Sonnolenta, eppure così vitale.
Mi
voltai a guardare Sherlock. Aveva occhi chiusi ed era concentrato. Le narici
erano leggermente più dilatate del solito, quasi stesse annusando l’aria, per
riconoscere ogni componente presente nel suo profumo. Il corpo sembrava teso,
in ascolto di ogni più piccolo rumore. Sapevo che la sua brillante mente stava
riconoscendo ogni suono, attribuendogli un nome e una origine.
Sherlock
si stava riappropriando della sua
città. Del suo mondo. Di
quell’universo al quale aveva rinunciato per stare con me.
Osservai
gli angoli delle sue labbra sollevarsi in modo lievissimo. Un sorriso
compiaciuto di riconoscimento per qualcosa che non percepiva da diverso tempo.
Aprì
gli occhi, che brillavano allegramente. Avvicinò il viso al mio e mi baciò
sulle labbra. Fu un bacio delicato e dolce. Un bentornato a casa.
“Londra
non è cambiata molto, in questi anni. Stessi odori e stessi suoni. Sono certo
che non avremo problemi a riappropriarci delle sua abitudini.”
“Sono
trascorsi comunque quasi sei anni. Per fortuna, essendo uomini adulti, qualunque
conoscente dovessimo incontrare non noterà alcuna differenza.”
“Semplicemente,
portiamo bene i nostri anni. – sogghignò Sherlock – Pensa a quanto sarà
invidioso Mycroft.”
“Oh,
Sherlock!” Sbuffai, ma non riuscii a trattenere un sorriso. Il rapporto fra
Sherlock e Mycroft era stato sempre molto conflittuale, ma sapevo che i due
fratelli si amavano e rispettavano molto, malgrado lo negassero in modo deciso.
“Andiamo
a riprendere possesso del 221B di Baker Street? Credo che persino mio fratello
sia a letto, a quest’ora, e che possiamo attendere che il sole torni a
splendere alto in cielo, prima di incontrarlo.”
“Sei
gentile a volere lasciare dormire Mycroft ancora un po’.”
“Non
è gentilezza, John. Alla luce del sole, potrò contare meglio ogni ruga che si è
aggiunta sul suo viso e rinfacciargliela una a una,” ribatté Sherlock,
serafico.
Io
ero incredulo, ma scossi solo la testa. Mio marito non sarebbe mai cambiato.
Riaprire
la porta del 221B di Baker Street, riportò alla mente tanti ricordi. In quel
piccolo appartamento avevo portato Sherlock, dopo averlo trovato completamento
fatto non lontano dal luogo in cui eravamo comparsi. Lì aveva ritrovato Mycroft
e Greg. Lì Sherlock ed io ci eravamo Legati.
La
casa era silenziosa. Al 221A viveva la padrona di casa, una simpatica signora
dall’età indefinibile, che si prendeva sempre cura di ogni Omega che si
presentava nell’appartamento. Per quanto ripetesse in continuazione che lei non
era una governante, il suo istinto materno da chioccia la portava sempre a
preparare manicaretti per i suoi inquilini e a riordinare l’appartamento,
giusto perché “una donna vede sempre meglio di un giovane uomo dove si annidi
lo sporco.”
Salimmo
silenziosamente le scale, che portavano al piano superiore. Il salotto era
ordinato e pulito, illuminato dalla luce dei lampioni, che filtrava dalle
finestre, attraverso le tende semiaperte.
Sherlock
mi circondò la vita con le braccia, scostando il bavero della giacca dal mio
collo. Le sue labbra calde si posarono appena sotto l’orecchio, tracciando un
percorso delicato lungo il collo. Chiusi gli occhi, appoggiandomi al suo petto
con la schiena. Potevo sentire un certo rigonfiamento premere contro i miei
pantaloni.
“Che
ne dici di provare quanta confusione facciano le molle del materasso?”
“Non
ho nulla in contrario. Speriamo solo di non svegliare tutto il vicinato,”
sussurrai, sorridendo.
“Correremo
il rischio,” sentii la risatina profonda di Sherlock riverberare dal mio collo
fino a raggiungere il mio cuore. Mi mancavano i miei figli, ma mio marito era
con me. Potevo pensare a questa come a una vacanza. Forse un po’ movimentata,
ma sempre solo un breve distacco dalla mia famiglia.
Potevamo
permetterci di divertirci. Di fare l’amore. Nessuno ci avrebbe biasimato.
Continuando
a baciarci, toccarci, accarezzarci, trovammo la camera da letto, dove
trascorremmo la nostra prima notte nel Mondo Esterno.
La
mattina dopo, Londra era ancora immersa nella nebbia. Fummo svegliati da un
leggero bussare e dall’invitante profumo di tea e pane abbrustolito.
“Yohoo…
ragazzi? Posso entrare o siete in condizioni indecenti?” Domandò una maliziosa
voce allegra.
Sherlock
sbuffò e si coprì la testa con il cuscino, così io mi alzai, infilandomi le
prime cose che mi capitarono sotto le mani.
“Signora
Hudson, buongiorno. Non avrebbe dovuto disturbarsi a prepararci la colazione.
Potevamo fare da soli.”
“Oh,
lo so caro, ma ho pensato che, dopo le vostre attività notturne, aveste bisogno
di qualcosa di sostanzioso. Dio solo sa, quanto siate sbadati voi uomini,
quando fate la spesa. Sono pronta a scommettere che non avete comprato nulla di
veramente adatto a ricostruire tutte le energie disperse stanotte,” ridacchiò.
Io
arrossii leggermente: “Ehm… grazie… usciremo presto e staremo fuori tutto il
giorno… probabilmente…”
“Va
bene, caro. Non sono la vostra governante, quindi non è necessario che tu mi
metta al corrente dei vostri programmi. Io però, prima mi cambierei. Non mi
sembra che quei pantaloni siano della tua misura,” salutò, strizzandomi
l’occhio.
Guardai
i pantaloni che non ero ancora riuscito ad allacciare e realizzai che erano
quelli di Sherlock.
Dopo
colazione. Decidemmo di mettere in atto il nostro piano.
“Dato
che Mycroft non è ancora piombato qui, direi che il vostro incantesimo di
dissimulazione funzioni,” constatò Sherlock, mettendosi in bocca un ultimo
pezzetto di pane e marmellata.
“Certo
che funziona! Lo hanno ideato i nostri maghi migliori proprio per impedire alle
telecamere del Mondo Esterno di registrare le immagini degli Omega. È stata una
precauzione necessaria, dopo ciò che è accaduto con Magnussen,” ribattei,
leccandomi la marmellata da un paio di dita.
Alzai
gli occhi su mio marito e lo trovai intento a fissarmi. Ricambiai lo sguardo,
un po’ perplesso: “C’è qualcosa che non va?”
“Non
leccarti le dita in quel modo o non usciremo da qui per le prossime settimane!”
Mi rispose Sherlock, con voce roca e un sorriso beffardo sulla labbra.
Risi
di cuore, rasserenato dal fatto che Sherlock fosse così sereno. Lui certamente
pensava che sarebbe andato tutto bene e il suo contagioso ottimismo mi aveva
messo di buon umore. Gli avevo raccontato il mio incubo. Eravamo arrivati alla
conclusione che, trovato Sebastian, tutto si sarebbe risolto per il meglio.
“Raduniamo
la squadra?” Proposi.
Sherlock
scattò in piedi: “Che il gioco abbia inizio!”
Prendemmo
un taxi e ci dirigemmo verso il Diogene’s Club.
Mycroft
Holmes era sempre stato un uomo abbastanza abitudinario. Ogni mattina andava al
Diogene’s a fare colazione e a leggere il giornale, immerso nella pace delle
sue altezzose mura silenziose. Un momento di quiete, prima di farsi travolgere
dagli impegni della giornata lavorativa.
Non
fu difficile entrare. L’incantesimo che impediva alle telecamere di
riprenderci, funzionava anche sulle persone. Se lo volevamo, gli altri ci
vedevano come ombre fuggevoli, fantasmi passeggeri, di cui non ricordavano i
lineamenti e la fisionomia.
Quando
entrammo nella stanza, Mycroft era seduto sulla sua solita poltrona, con il
carrello della colazione accanto e il giornale spalancato davanti al viso. Mi
guardai intorno. La stanza era arredata con mobili severi, dalle linee
semplici, decisamente costosi. Su un tavolo, al centro e riparata da una
campana di vetro trasparente, si trovava una splendida rosa rossa, non ancora
del tutto sbocciata.
Sentii
Sherlock trattenere il respiro, sorpreso. Vidi i suoi lineamenti addolcirsi e
intenerirsi. Capii che quella era la rosa incantata che aveva lasciato a
Mycroft, per fargli sapere che stava bene.
Infilai
le dita di una mano fra quelle di Sherlock e le strinsi delicatamente. Lui si
ricompose e, con tono canzonatorio, apostrofò il fratello: “Non credi che
mangiare quella roba ti faccia ingrassare?”
Vedemmo
oscillare lievemente le pagine del giornale, che fu abbassato e piegato con un
movimento lento e misurato. Mycroft non era invecchiato. Aveva qualche capello
bianco in più. Le rughe sembravano appena più profonde. Forse aveva messo su un
paio di chili. Però era sempre lui. Ci osservava con quei suoi profondi e
perforanti occhi azzurri. Come il fratello minore, anche lui sezionava e
catalogava l’interlocutore, per avere un vantaggio nella eventuale
negoziazione. Nel nostro caso, però, stava solo stabilendo se stessimo bene.
Soddisfatto del proprio esame, si concesse, alfine, un sorriso ironico: “Veramente,
fratello caro, se c’è qualcuno che ha messo su peso, quello sei tu. Non che tu
stia male, intendiamoci. Si vede che John voleva qualcosa di più concreto da
abbracciare, non solo un mucchietto d’ossa.”
“Può
darsi. Tu, invece, fai una vita troppo sedentaria. Dovresti trovare qualcuno
che voglia stringere te, così, forse, avrai un incentivo per smettere di
abbuffarti di dolci,” ribatté Sherlock, sprezzante, ma con una nota di
malinconia nella voce, come se fosse dispiaciuto per la vita solitaria del
fratello.
“Siete
tornati per trovarmi un fidanzato o per fare una vacanza nel Mondo Esterno?”
“L’Isola
è in pericolo. – mi intromisi – Abbiamo perso i contatti con un Omega. Lui ha
idee un po’… rivoluzionarie. Vorrebbe che abbattessimo la barriera che protegge
l’Isola dal Mondo Esterno e che ci ricongiungessimo con voi.”
“È
stato sicuramente plagiato o convinto da un qualche Alfa, che ha un secondo
fine. Non escludo che voglia convincere gli Omega a mostrarsi al mondo, solo
per sfruttare i loro poteri a suo beneficio,” intervenne Sherlock, in tono
secco.
“Farò
subito cercare l’Omega scomparso dai miei uomini. E potremmo anche coinvolgere
Gregory Lestrade. Come sovrintendente di Scotland Yard, può darci una notevole
mano nelle ricerche.”
“Greg
ha fatto carriera?” Chiesi, contento per lui.
“Sì.
Si sta dimostrando un ottimo capo. Arriverà molto alto. Come si chiama l’uomo
che dobbiamo trovare?”
“Sebastian
Moran,” risposi.
Una
strana espressione comparve sul viso di Mycroft. Era a metà fra la
preoccupazione e la paura. Anche Sherlock la aveva notata: “Hai già sentito
questo nome?”
Mycroft
si alzò dalla poltrona, fece un paio di passi verso di noi e ci porse il
giornale, che stava leggendo. La prima pagina era occupata dalla fotografia a
colori di due giovani uomini che sorridevano felici all’obbiettivo. Il titolo,
che la sovrastava, annunciava a caratteri cubitali il fidanzamento fra il
miliardario James Moriarty e il promettente modello Sebastian Moran.
Angolo dell’autrice
Ora
tutti i giocatori sono in campo. Che il gioco abbia inizio.
Grazie
a chi stia leggendo il racconto.
A
giovedì prossimo.
Ciao.
|
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Capitolo 5 *** I was choking in the crowd ***
I was choking in the crowd
I
was choking in the crowd
Living my brain up in the cloud
Falling like ashes to the ground
Hoping my feelings, they would drown
Believer
Il silenzio del Diogene’s si infiltrò
nella stanza in cui ci trovavamo. Non era, però, quello pacato e sereno, a
volte annoiato, caratteristico delle altre sale dell’esclusivo club. Il nostro
era carico di tensione e preoccupazione. Potevo quasi sentire le cellule dei
cervelli dei fratelli Holmes lavorare alacremente alla ricerca di una
spiegazione e di una soluzione alla notizia che avevamo letto sul giornale.
Non che ci fosse nulla di sensazionale
in quell’annuncio di matrimonio. Era, senza ombra di dubbio, una notizia di
gossip molto appetitosa. Un miliardario che sposava un modello in ascesa attirava
la curiosità del pubblico, affascinato da quel mondo così lontano dalla
monotona vita quotidiana della maggior parte della gente. Eppure, sentivo
chiaramente che Mycroft stava evitando di parlare di qualcosa, che lo
preoccupava molto, in attesa che arrivasse il nostro ospite.
Sentii i suoi passi avvicinarsi. Erano
rapidi e decisi, come se fosse irritato.
“Signor Holmes, pensavo che avessimo
chiarito anni fa che non gradisco questo tipo di convocazioni, nemmeno da parte
di uno che si spaccia per un membro minore del governo, mentre è molto più
potente di quanto molti pensano!” Anche la sua voce era seccata. Decisamente,
non gli era piaciuto il modo perentorio in cui Mycroft gli aveva chiesto
(praticamente ordinato) di unirsi a noi.
Mi alzai e fronteggiai la porta. Vidi
la sua espressione mutare da indispettita a sorpresa in
un batter d’occhio. Gregory Lestrade aveva più capelli grigi dell’ultima volta
in cui ci eravamo visti, ma i suoi occhi erano ancora di un nocciola vivace e
brillante. Malgrado facesse prevalentemente lavoro l’’ufficio, il suo fisico
era ancora perfetto.
Senza dire una parola, fece due rapidi
passi verso di me e mi avvolse in un abbraccio caloroso, in cui potei percepire
la sua gioia, il suo affetto e il suo rimpianto. Ricambiai l’abbraccio, che si
prolungò, fino a quando una voce un po’ seccata ruppe il silenzio della stanza:
“Gary, smetti immediatamente di abbracciare mio marito in quel modo o ti dovrò
sfidare a singolar tenzone!”
Greg
mi lasciò andare, regalandomi un rapido sorriso e afferrò Sherlock,
abbracciandolo con forza: “Tu, bastardo! Ce l’hai fatta!”
Riuscii
a sopprimere un sorriso, quando notai il viso di mio marito. Era sorpreso e un
po’ imbarazzato. Non sapeva bene se ricambiare l’abbraccio o respingere Greg
con una spinta. Alla fine, optò per sollevare appena le braccia e picchiettare
sulla schiena del poliziotto, sperando che si allontanasse il prima possibile.
A
salvare Sherlock, intervenne il fratello: “Sovrintendente, spero che abbia
finito con le effusioni, perché non siamo qui per una rimpatriata goliardica.
Credo che persino lei abbia capito che John e Sherlock sono tornati a Londra
perché c’è un problema, non in gita premio.”
“Che
cosa è successo?”
Mycroft
non rispose, ma allungò il giornale a Greg, che fissò la foto con sguardo
interrogativo.
“Sebastian
Moran è un Omega,” risposi alla domanda muta.
“E
sta per sposare James Moriarty? – chiese Greg, allibito – Cazzo. Questo sì che
è un problema.” Concluse, passandosi la mano libera fra i corti capelli
brizzolati.
Un
brivido gelido mi attraversò la schiena. Che cosa stava combinando Sebastian?
Con chi si era messo? Quanto aveva raccontato riguardo all’Isola al suo
promesso sposo? E quanto era pericoloso James Moriarty, se Mycroft e Greg erano
così preoccupati?
“Come
avrete letto dal giornale, Moriarty appartiene a una famiglia molto ricca. –
spiegò Greg – Possiedono banche, terre e diverse abitazioni, in giro per il
mondo. Il fatto è che nessuno sa bene da dove provenga la ricchezza dei Moriarty.
Sono comparsi dal nulla, una ventina di anni fa. Si dice che siano coinvolti
con la criminalità organizzata. Anzi, si vocifera che James Moriarty sia la mente
che si nasconde dietro a diverse imprese criminale.”
“È
un uomo pericoloso, quindi,” sospirai, avvilito.
“Molto.
Sono anni che lo teniamo d’occhio, sperando che faccia una mossa falsa –
intervenne Mycroft – Purtroppo, è molto intelligente. Se riusciamo a
individuare qualcuno che potrebbe incastrarlo o collegarlo a qualche reato,
viene eliminato o sparisce nel nulla.”
“Stai
perdendo colpi o diventando pigro, fratello. Un tempo, non ti saresti lasciato
sfuggire una minaccia alla Corona, in questo modo.” Sogghignò Sherlock.
“Non
è facile riuscire a fare condannare qualcuno che sa coprire così bene le
proprie tracce. – ribatté Mycroft, in modo piccato – Io ho delle regole da
seguire. Uomini come James Moriarty si nascondono nelle zona d’ombra lasciate
dalla legge. Di persona non è coinvolto in nessun reato, in nessun atto
criminale. Lui è la mente. E intrappolare una mente è un’impresa difficile.”
“Che
cosa può volere da Sebastian?” Domandai, temendo la risposta.
“Vuole
gli Omega. – rispose Sherlock, in tono deciso – Deve essere stato lui a
spingere Sebastian a chiedere di abbattere la barriera. Non oso pensare a che
cosa potrebbe fare un uomo come Moriarty, se mettesse le mani sugli Omega.”
Un
silenzio opprimente cadde nella stanza. Tutte le idee che mi venivano in mente
non portavano a nulla di buono per noi Omega.
“Quanto
è affidabile questa barriera che protegge l’Isola?” Domandò Mycroft, in tono
pratico.
“Molto.
I nostri maghi la monitorano in continuazione, in modo da essere sicuri che non
possa cadere e rivelare la nostra presenza al Mondo Esterno,” risposi.
“Se,
però, venisse sabotata dall’interno…” mormorò Sherlock.
“Nessun
Omega metterebbe in pericolo la nostra sicurezza, danneggiando la barriera,”
ribattei, in tono deciso.
Sherlock
prese in mano il giornale e mi mostrò la foto: “Come fai a esserne così sicuro?
Sebastian ha già tentato di farla abbattere. Ora che sa che il Consiglio non
voterà mai a suo favore, chi ti dice che non provi a sabotarla dall’interno?”
Non
potevo credere che qualcuno potesse tradirci e consegnarci agli Alfa: “Anche
lui ha dei figli. Non penso che li voglia vedere mentre vengono messi all’asta
e venduti al miglior offerente!” Sbottai, caparbio.
Sherlock
si avvicinò a me e mi prese le mani, portandosele alle labbra: “L’amore è una
cosa strana. Può portare le persone a fare l’impensabile. Se davvero questo
Moriarty è un genio del male, può avere convinto Sebastian che la cosa migliore
per gli Omega sia uscire allo scoperto. Una volta abbattuta la barriera e
svelata l’Isola al Mondo Esterno, qualsiasi cosa accadesse, Moriarty potrebbe
dire a Seb che non è stata colpa sua, che era in buona fede, che pensava che
gli Alfa fossero diventati migliori. E, intanto, gli Omega sarebbero indifesi e
alla mercé di chiunque voglia sfruttare i loro poteri.”
Sapevo
che aveva ragione. Scossi la testa, per allontanare quel terribile pensiero, ma
sapevo che l’ipotesi di Sherlock era tutto fuorché infondata. Noi due eravamo
la prova vivente di che cosa potesse fare l’amore.
“Ho
bisogno di conoscere la posizione dell’Isola, almeno in modo approssimativo. –
intervenne Mycroft – Farò controllare la zona dai nostri satelliti e ordinerò
che mi avvisino, se dovesse accadere qualcosa di anomalo.”
Ero
riluttante a rispondere. Per quanto mi fidassi dei padri dei miei figli, erano
pur sempre una minaccia per la sicurezza dell’Isola.
“Tu
sai che noi non faremmo mai nulla per mettere in pericolo i nostri figli. –
aggiunse Greg – Ti abbiamo aiutato anche quando Magnussen ti ha catturato, per
il loro bene. Intanto che escogitiamo un modo per capire che cosa stia
succedendo, non farà male a nessuno controllare la zona. Non è necessario che i
controllori sappiano che cosa stanno guardando. Lo sapremo solo noi.”
Sherlock
mi fissò negli occhi. Dovevo fidarmi. Eravamo lì per quello. Riferii a Mycroft
le coordinate dell’Isola.
Mentre
Mycroft comunicava con la sua assistente, Greg mi sorrise: “Come sta mio
figlio?”
Sorrisi
al pensiero dei miei figli. Li amavo tutti e tre, come provavo un profondo affetto
per i loro padri. Mycroft era il padre del mio primogenito, mentre Greg lo era
del secondo. Erano stati concepiti durante le mie missioni nel Mondo Esterno.
Dovevo contribuire a salvare la razza degli Omega. Ero stato fortunato. Avevo
trovato due partner fantastici. E poi avevo conosciuto Sherlock.
“Sia
Mycroft sia Gregory sono bambini svegli e intelligenti. – rispose mio marito – Myc
è riservato e portato per le materie scientifiche, mentre Greg è vivace e
curioso. Sono dei fratelli maggiori bravissimi per nostro figlio Will.”
“Così
vi siete sposati e avete avuto un bambino. – constatò Greg, senza riuscire a
nascondere una leggera nota di rammarico nella voce – Sono contento per voi.”
“Grazie,
Greg. Sei sempre un caro amico.” Mormorai.
“Anthea
organizzerà la sorveglianza. Quale sarà la nostra prossima mossa?” Domandò
Mycroft, tornando a unirsi a noi.
“Andrò
a parlare con Sebastian. – risposi, in un tono che non ammetteva repliche –
Devo capire fino a che punto siamo in pericolo e riferirlo a Severus. Solo allora
potremo decidere che cosa fare.”
Sherlock
si sfregò le mani: “Bene! Credo che andremo a un ricevimento di fidanzamento. Sarà
divertente. Immagino che tu possa procurarci gli inviti, fratello. Oppure non
sei così potente come hai cercato di farmi credere per anni?”
“Gli
inviti sono in arrivo. Cerca di ricordarti che siamo a caccia di informazioni,
fratello caro. Non provocare Moriarty o Moran. Non vogliamo che mettano in atto
il loro piano, quando non abbiamo ancora predisposto una contromossa.”
“Non
preoccuparti, Myc, so benissimo come ci si comporti a questi noiosissimi eventi
sociali. Non avrai motivo per lamentarti di me,” ribatté Sherlock, strizzando l’occhio
al fratello in modo sbarazzino.
Era
bello osservare i due fratelli Holmes mentre si punzecchiavano. Era il loro
modo strano e originale di dimostrare l’affetto che provavano l’uno per l’altro.
In
quel momento, mi sentivo bene, circondato da alcune delle persone più
importanti della mia vita.
Fu
l’ultimo momento sereno, prima dell’inizio della fine.
Angolo dell’autrice
Mycroft
e Greg non potevano mancare. Che cosa è una storia di Sherlock senza di loro?
Grazie
a chi stia leggendo il racconto.
A
giovedì prossimo.
Ciao.
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Capitolo 6 *** Last things last ***
Last things last
Last things last
By the grace of the fire and the flames
You’re the face of the future, the blood in my veins, oh-ooh
The blood in my veins, oh-ooh
Believer
La sera avvolse Londra in un abbraccio
umido e freddo. La nebbia non era mai salita del tutto e aveva offuscato la
giornata. Mi sembrava quasi che il sole non volesse illuminare il nostro mondo.
Come se sapesse già che cosa sarebbe accaduto.
Eravamo seduti in una delle auto nere
di Mycroft. Tutti e tre indossavamo uno smoking nero, con camicia bianca e
cravatta nera, come richiesto dall’invito. Avevamo stabilito che Greg non
sarebbe venuto con noi. Non volevamo che i nostri avversari sapessero quali
fossero le nostre reali forze. Greg era il nostro asso nella manica, anche se
speravamo di non dover ricorrere alla forza.
I
Moriarty non vivevano in una semplice villa. Sarebbe stata troppo poco per
loro. Il padre di James aveva sposato la figlia di una famiglia nobile decaduta.
In cambio del denaro per salvare dalla rovina le loro proprietà, Moriarty aveva
ottenuto l’accesso a corte e a tutti i circoli più esclusivi e aristocratici.
Così quella sera, la festa di fidanzamento era tenuta in un piccolo, ma
grazioso castello, nella campagna che si trovava non molto lontana da Londra.
L’arrivo
fu spettacolare. Sulle mura del castello erano stati accesi dei piccoli fuochi,
le cui fiamme bucavano la fitta coltre della nebbia, indicando il cammino agli
ospiti. Il cortile interno risplendeva di luci soffuse, per esaltare quelle
interne, che rendevano la vecchia, ma ben tenuta dimora sfavillante.
Quando
entrammo nell’atrio, erano già arrivati molti ospiti. Erano presenti politici
importanti, aristocratici prestigiosi, uomini d’affari con patrimoni milionari,
gente dello sport, dello spettacolo e della moda. Insomma, chiunque avesse
almeno un po’ di fama o potere si trovava a quella festa. I camerieri, in
livrea rossa, passavano agilmente in mezzo agli invitati, portando vassoi
carichi di cibo e di bicchieri di vino. Una piccola orchestra, composta da una
decina di musicisti, suonava una piacevole musica di sottofondo.
I
futuri sposi erano in piedi davanti alla porta del grande salone dei
ricevimenti, a stringere mani e dare il benvenuto. Osservai Sebastian e rimasi
senza fiato. Non solo per la sua indubbia bellezza. Afferrai il polso di
Sherlock e lo costrinsi ad abbassarsi, in modo che potessi parlargli
all’orecchio: “Sono Legati,” sussurrai.
Sherlock
annuì: “Me ne sono accorto. Stai attento. Moriarty e Moran, ora, sono più
pericolosi che mai,” mormorò, in tono grave.
Spostai
lo sguardo da Sebastian al suo Alfa. Non ne rimasi particolarmente colpito.
Visto mentre salutava gli invitati, James Moriarty appariva annoiato e
scostante. Non aveva concesso un sorriso a nessuno. Era più basso di ogni altro
Alfa presente nella stanza, magro e con folti capelli neri. Anche lui indossava
uno smoking nero, come tutti gli altri uomini partecipanti alla festa. Come se
si fosse sentito osservato, Moriarty spostò lo sguardo verso la fine della fila
delle mani che doveva ancora stringere.
E
ci vide.
La
sua espressione cambiò completamente e repentinamente. I suoi occhi neri
brillarono di una gioia quasi folle. Le sue labbra si stirarono in un sorriso
rapace e avido. Affrettò i saluti, accogliendo gli ospiti davanti a noi in modo
quasi scortese.
Un
brivido gelido mi attraversò tutta la schiena. Lui ci stava aspettando.
“Mycroft
Holmes! Che onore averla qui, alla mia festa. Le voci che sussurrano che non
partecipa a eventi mondani, non sono quindi vere,” esordì, con voce allegra e
suadente.
“Non
sempre le voci di corridoio sono fonte di verità. Ogni tanto, anche a me piace
divertirmi. – ribatté Mycroft, con un sorriso amichevole, che non raggiunse gli
occhi – Soprattutto stasera. Mio fratello Sherlock e suo marito John sono
tornati a Londra, dopo una lunga assenza, e portarli a questa festa mi è
sembrato un diversivo piacevole.”
James
ci studiò come uno scienziato studia un pezzo raro e prezioso della propria
materia, appena venuto in suo possesso: “Ho sentito parlare di voi. È un onore
avervi fra i miei ospiti. Mi dispiace solo non potervi dedicare il tempo che
meritereste, ma sapete com’è… non posso trascurare i miei doveri di padrone di
casa. Però, vi posso garantire che presto avremo un piacevole incontro a
quattro. Vero, Sebastian?”
Gli
occhi verdi di Seb cercarono i miei. Mi sfidavano a biasimarlo o a criticare la
sua scelta. Io provavo solo una immensa pena per lui. Ero stato fortunato.
Sherlock era un Alfa meraviglioso, con nessuna mira di potere. James era il suo
opposto e Sebastian lo avrebbe scoperto molto presto. Speravo solo che non
dovesse pagare un prezzo troppo alto, per il suo errore. O che non dovessimo
pagarlo tutti.
“Vi
conoscete?” Domandò James, in tono malizioso, notando lo sguardo che Seb ed io
ci eravamo scambiati.
“John
ed io ci conosciamo da molto tempo,” rispose Sebastian, in tono secco.
“Oh,
ma che meeeravigliosa coincidenza! – esultò James, sfregandosi le mani – Vai
pure a parlare con il tuo amico, caro. Immagino che abbiate molte cose da
dirvi. Rimango io qui, a ricevere i nostri invitati.”
Sebastian
annuì e si voltò verso un corridoio, lungo e stretto, non particolarmente
illuminato, che conduceva a un’ala del castello non interessata dalla festa. Io
feci un cenno a Sherlock e seguii il mio vecchio amico. Camminammo per alcuni
minuti in silenzio, fino a raggiungere una terrazza, che si affacciava sul
giardino interno. A differenza dell’ingresso, non una luce illuminava
l’esterno. Le piante erano avvolte dalla nebbia, che le rendeva spettrali
testimoni del nostro incontro.
Sebastian
arrivò al centro della terrazza e si voltò verso di me: “So che cosa tu mi
voglia dire, John. Perché lo hai già capito, vero?” Esordì, in tono combattivo.
Sospirai:
“Seb, io non sono il nemico…”
“Ti
ho fatto una domanda.”
“Sì.
So che ti sei Legato a Moriarty…”
“Si
chiama James. Anche lui verrà sull’Isola, come Sherlock.”
Scossi
la testa: “Credi davvero che la Barriera gli permetterà di passare? Lo hai
guardato bene? Ti sei informato sulla sua famiglia?”
“Io
lo amo,” sibilò Seb.
“Lo
so. Lo spero. Perché stai mettendo in pericolo tutti gli Omega, non solo te o me. Tutti. Compresi i tuoi figli…”
“Non
mettere in mezzo i miei figli!” Sbottò Seb, facendo un minaccioso passo verso
di me. Io non indietreggiai. Non avevo paura di lui. Ero solo incredulo,
incapace di capire come avesse potuto non vedere la vera natura di James
Moriarty.
“Non
sto parlando di loro per minacciarti o ricattarti. Sto solo cercando di farti comprendere
che rendere l’Isola accessibile a tutti gli Alfa metterebbe in pericolo tutti
noi Omega, inclusi i tuoi figli.”
“Tu
non capisci, John. – sussurrò Seb – Gli Alfa non sono un pericolo per noi. Sono
il nostro naturale completamento. Noi non dovremmo vivere in esilio sull’Isola,
lontani da tutti. Noi siamo parte integrante di questo mondo e dovremmo godere
di tutti i privilegi che avremmo se…”
“Non
avremmo privilegi. – lo interruppi, un po’ irritato – Conosci la storia, sai
perché siamo stati costretti a isolarci.”
“SONO
TRASCORSI MILLENNI, JOHN! – urlò Seb, allargando le braccia, esasperato – Le
Guerre del Dominio risalgono alla notte dei tempi. Per Alfa e Beta non sono
nemmeno storia, ma leggenda. Non puoi dare il beneficio del dubbio agli Alfa?
Perché non possono essere migliorati? Perché non possono semplicemente amarci,
senza pensare di sfruttare i nostri poteri per aumentare il loro,” concluse, in
tono accorato.
“Perché
io ho vissuto abbastanza in questo mondo per vederli all’opera e ti posso
assicurare che non sono cambiati. – risposi, in tono pacato – Non parlo solo
dello scontro con Magnussen, che sarebbe già abbastanza esemplificativo. Io mi
riferisco agli Alfa in generale. Sono prepotenti, dominatori ed egoisti.”
“Solo
Sherlock è un Alfa senza ambizioni di potere e affidabile? Hai trovato l’unica
mosca bianca in mezzo a tanti Alfa infidi e menzogneri?” Ribatté Seb, con
sarcasmo.
“No.
So che ce ne sono altri. Però ne basta uno. Ne basta uno, che usi i nostri
poteri nel modo sbagliato, e sarà la fine per tutti.”
Ci
guardammo negli occhi. Le mie ultime parole galleggiavano fra noi, quasi si
stessero combattendo, per stabilire chi di noi avesse ragione. La musica della
festa era un lontano sottofondo alla notte nebbiosa e cupa. L’umidità mi stava
penetrando sotto la pelle, facendomi sentire gelido e rigido.
“Per
fortuna, non tutti gli Omega la pensano come te, John. – riprese Seb, con una
voce bassa e profonda – Per fortuna, non tutti gli Omega vogliono ancora
seguire la guida di Severus McGranitt. È giunto il tempo del cambiamento, John.
Speravo che tu avresti condiviso e approvato il mio operato, proprio perché hai
trovato il tuo Alfa. Stando così le cose, dovrai adattarti a ciò che accadrà,
come tutti coloro che non condividono il nostro desiderio di progresso.”
“Che…
che cosa vuoi dire, Seb? Che cosa hai fatto?” Il terrore si stava impadronendo
di me.
“Quello
che andava fatto, John. La Barriera è stata abbattuta. James ed io andremo
all’Isola e daremo un passaggio verso il Mondo Esterno a chiunque voglia unirsi
a noi.”
“Come
è stato possibile? La Barriera non può essere abbattuta dagli Alfa! Non con i
loro limitati poteri!”
“Infatti,
è stata abbattuta dall’interno. Non sono l’unico Omega stanco di questa
situazione. Altri Omega vogliono trovare il loro Alfa, Legarsi a lui e vivere
come avremmo sempre dovuto fare: liberi e completi.”
Ero
incredulo. Esterrefatto. Terrorizzato.
Se
la Barriera era davvero caduta, l’Isola era visibile a tutti i satelliti che
circondavano la Terra. La nostra non era più una casa sicura. I miei figli
erano in pericolo. Dovevo raggiungerli, metterli al sicuro… ma come?
Sentii
dei passi dietro di me. Qualcuno stava arrivando di corsa. Mi voltai di scatto
e riconobbi Sherlock e Mycroft. Dalle loro espressioni capii che doveva essere
successo qualcosa di grave anche alla festa.
“Devo
lasciarti, John. Il mio sposo mi attende. Faremo il primo giro dell’Isola
tenendoci mano nella mano. Con la nostra presenza, sarà un mondo migliore.”
Mi
voltai per ribattere a Seb, ma lui svanì nel nulla. Dove prima si trovava
Moran, c’era solo nebbia.
“Anche
Moriarty è sparito nello stesso modo,” mi informò Sherlock, appena mi
raggiunse.
“La
Barriera è stata abbattuta. – mormorai, sconvolto – L’Isola è visibile al mondo
intero. Per gli Omega è la fine.”
Angolo dell’autrice
E
adesso cominciano i veri guai. Non si può biasimare Sebastian. Lui è veramente
innamorato di James e ha piena fiducia in lui. Si potrà dire lo stesso del
nostro caro Moriarty? Chissà…
Grazie
a chi stia leggendo il racconto.
A
giovedì prossimo.
Ciao.
|
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Capitolo 7 *** But they never did, ever lived, ebbing and flowing ***
But they never did, ever lived, ebbing and flowing
But they never did, ever lived, ebbing
and flowing
Inhibited, limited
Till it broke open and it rained down
It rained down, like…
Believer
Il silenzio in
macchina era opprimente. Io continuavo a spostare lo sguardo fra Mycroft e il
paesaggio che correva accanto all’auto. Sembrava quasi di essere fermi. La
nebbia aveva avvolto la notte con il suo fitto abbraccio e non capivo come
l’autista potesse percorrere la strada a velocità così con una visibilità tanto
ridotta. Quello, però, non era il problema più impellente. Dovevamo scoprire
dove fossero andati James e Sebastian e se veramente la Barriera fosse caduta.
Ancora non potevo credere che degli Omega avessero deliberatamente messo in
pericolo la nostra comunità. Per che cosa, poi? Che cosa aveva promesso loro
Sebastian? Potere? Prestigio? Denaro? Libertà? Aveva davvero importanza avere
una risposta?
Mycroft sospirò: “I
satelliti hanno registrato l’improvvisa comparsa di una grossa isola
nell’Oceano Atlantico. La mia assistente è riuscita a distruggere i dati e a
disturbare la ricezione degli altri satelliti, ma non abbiamo molto tempo. Gli
altri paesi si accorgeranno presto che qualcosa non va e ripristineranno la
funzionalità dei loro satelliti.”
“Avrai dei
problemi?” Domandai. Non volevo che si scatenasse una guerra, prima ancora di
sapere che cosa fosse comparso.
“Oh, no. Questi
giochetti che ci divertiamo a fare anche solo per capire quanto siano bravi i
reciproci informatici. E ti posso garantire, John, che tutti hanno ottimi
esperti.”
“In parole povere,
quanto tempo abbiamo?” Intervenne Sherlock.
“Al massimo un paio
d’ore.”
“Non arriveremo
nemmeno all’Isola!” Sbottò Sherlock.
“Ti sbagli. – mi
intromisi, con voce tesa – Unendo i nostri poteri, potremmo teletrasportare una
piccola imbarcazione direttamente all’Isola. È sicuramente la stessa cosa che
ha fatto Sebastian.”
L’abitacolo si
riempì di un silenzio sbigottito. Io scossi la testa: “Non avete proprio idea
di che cosa possano fare un Alfa e un Omega Legati. È per questo che gli
Anziani ritengono che il nostro ritorno nel Mondo Esterno sia troppo
pericoloso. Un potere così grande nelle mani sbagliate può causare danni
incalcolabili.”
Mycroft riprese
presto il controllo della situazione: “Ho ordinato ad Anthea di mandare una piccola
squadra di uomini scelti su uno dei nostri mezzi più piccoli. Saremo pronti a
partire in venti minuti. Ho avvisato anche Greg. Mi sembra giusto che anche lui
sia presente alla difesa dell’Isola.”
Sapevo molto bene
quale fosse il sottinteso, nel discorso di Mycroft. Lui e Greg avrebbero difeso
l’Isola, ma volevano conoscere i propri figli. Chi ero io per impedirlo?
La piccola
imbarcazione ci attendeva in una darsena isolata, nell’insolitamente silenzioso
porto di Londra. Al squadra scelta da Anthea era composta da una decina di
persone, lei compresa, armati e decisi. Erano tutti Beta. Fui grato a Mycroft
per questo. Loro non sarebbero mai stati interessati agli Omega, quindi ero
certo che ci avrebbero difesi, senza secondi fini.
Greg era già
arrivato. Dalla sua espressione preoccupata, capii che le notizie non erano
buone: “Mentre venivo qui, ho sentito alla radio la bizzarra notizia che su
internet giri la voce che una grande isola sia comparsa improvvisamente sui
satelliti di tutto il mondo, per poi sparire di nuovo. Si chiedono se si tratti
di Atlantide, risalita dal fondo dell’Oceano.”
“Sono notizie
divulgate dai miei sottoposti per depistare chi abbia visto l’Isola. Spero che
questo non le provochi dei rimorsi, sovrintendente,” spiegò Mycroft.
“Assolutamente no.
Più teniamo tutti all’oscuro di ciò che sta davvero accadendo, meglio è. Che
cosa facciamo qui, comunque? Impiegheremo ore per raggiungere la nostra meta e
il vostro depistaggio non avrà senso.”
“Ti sbagli, Greg,
non ci vorrà così tanto. – ribattei – Sei pronto, Sherlock?”
“Che cosa devo
fare?”
“Nulla. Prendimi le
mani. All’incantesimo penserò io. Ho bisogno che tu condivida la tua energia
con me. Pronto?”
“Pronto.”
Presi le mani di
Sherlock. Erano calde e sicure. Mi infusero tanta forza e fiducia. Gli sorrisi
e intrecciai le nostre dita. Chiusi gli occhi e comincia a pronunciare la
formula, concentrando la mente sul punto in cui volevo che io, le persone e
l’imbarcazione ci trovassimo. Una luce verdognola avvolse il piccolo natante,
prima che, con uno schiocco, svanisse nella nebbia.
Quando riaprii gli
occhi, l’Isola era davanti a me. Vicino alla spiaggia era ancorata una nave,
più o meno delle dimensioni della nostra. In lontananza si notavano alcune
colonne di fumo.
“Hanno dato fuoco ad
alcune delle abitazioni. – sibilai – Dobbiamo avvicinarci senza farci vedere.”
“L’occultamento si è
alzato appena siamo apparsi. Dalla nave non ci vedranno arrivare,” mi informò
Anthea.
Annuii, ma non
riuscii a sorriderle. Pensavo ai miei figli, a mio padre, a mio fratello, ai
miei amici. Gli Alfa arrivati sull’Isola si stavano comportando come dei
conquistatori. Come aveva potuto Sebastian pensare che sarebbe andata in modo
diverso?
“Stanno bene. Ne
sono sicuro.” Mi rassicurò Sherlock, stringendomi una mano.
Alzai gli occhi sul
suo viso e vidi che stava cercando di tranquillizzare anche se stesso. Lui
amava i nostri figli quanto me ed era preoccupato come lo ero io. Ricambiai la
stretta di mano, senza riuscire a dire nulla.
Arrivammo velocemente
vicino alla nave di Moriarty. A bordo c’erano solo due uomini. Era evidente che
James e Sebastian non si aspettavano un attacco dal mare né resistenza a terra.
Sopraffatti i due uomini di guardia, sbarcammo e ci inoltrammo nell’Isola,
facendo attenzione a non farci vedere.
La natura rigogliosa
ci permise di arrivare a ridosso del villaggio senza che nessuno notasse la
nostra presenza. Gli Omega adulti erano stati radunati nella piazza principale,
sorvegliati da sette Alfa armati. Accanto a loro, riconobbi alcuni Omega, che
non facevano parte del gruppo dei prigionieri, ma potevo notare il loro
nervosismo e la loro diffidenza. Cercavano di stare lontani dagli Alfa e li
guardavano di sottecchi, come se fossero pronti a reagire più a un loro attacco
che a una fuga degli Omega prigionieri. Doveva essere accaduto qualcosa che
aveva creato dei dubbi sull’alleanza fra loro e gli invasori.
Cercai con lo
sguardo il volto di mio padre e di mio fratello. Tirai un sospiro di sollievo,
quando li vidi, un po’ acciaccati, ma in ottima salute. Mancavano i bambini.
Probabilmente erano rinchiusi da qualche parte, con la minaccia di fare loro
del male, se gli adulti osavano ribellarsi. Questo spiegava perché un numero
maggiore di Omega non tentasse di sopraffare un numero così esiguo di Alfa e di
loro titubanti alleati.
“Quanto è potente un
Omega non legato?” Sussurrò Mycroft.
“Abbiamo poteri più
forti di via Alfa, ma credo di riuscire a convincere i miei amici a non porre
resistenza. Le cose non stanno andando come si aspettavano e non vedono l’ora
che qualcuno gli dia la possibilità di porre fine a tutto,” risposi con più
convinzione di quella che in realtà provavo.
Mycroft fece un
segnale ai propri uomini. Nel giro di pochi minuti, gli Alfa invasori vennero
sopraffatti. Gli Omega loro alleati osservarono i nuovi arrivati con gli occhi
sbarrati, senza reagire. Noi siamo sempre stati molto pacifici. Vivendo
isolati, non provavamo brame di conquista. Sapevamo che cosa fosse la lotta.
Potevamo avere reazioni anche violente, ma non sapevamo che cosa volesse dire
combattere veramente.
“Non vi preoccupate.
Siamo amici. – esordii, facendomi avanti – Il capo di questi uomini è il
fratello di Sherlock. Potete fidarvi di loro. Non faranno del male a nessuno
che non si opponga.”
“John!” Era la voce
di mio padre. Sentii il sollievo, nel suo tono.
Lo raggiunsi e lo
abbracciai: “Padre. Dove sono i bambini?”
“Sono nella Sala del
Consiglio. Severus si è rinchiuso lì, insieme ai bambini. Li ha riuniti appena
ha visto la nave degli invasori. Sebastian e il suo Alfa stanno cercando di
convincerlo ad arrendersi. Noi non abbiamo avuto il coraggio di ribellarci,
perché quegli uomini ci hanno detto che avevano un’arma capace di fare saltare
in aria il palazzo, con dentro i bambini e Severus. Non potevamo essere sicuri
che ci stessero mentendo.”
“Che cos’altro è
successo? Gli alleati di Sebastian non sembrano più molto convinti della loro
scelta. Non hanno nemmeno tentato di opporre resistenza.”
“Un paio di Alfa
hanno tentato di forzare il Legame con alcuni di loro. – rispose mio padre, in
tono grave e rabbioso – Ti lascio immaginare come sia finita.”
Non avevo bisogno di
sentire altro. Scossi la testa. Quale errore aveva commesso Sebastian!
Possibile che fosse ancora convinto di avere fatto la scelta giusta? Non aveva
compreso quali danni potevano fare gli Alfa? “Riuscite a tenere sotto controllo
questi uomini, mentre noi andiamo ad aiutare Severus?”
“Andate pure. Qui ci
pensiamo noi,” garantì mio padre.
Ci spostammo verso
il Palazzo del Consiglio. Davanti c’erano altri sette uomini, compresi
Sebastian e James. Non avevo mai visto in azione lo scudo protettivo del
palazzo, ma ogni Omega ne conosceva l’esistenza e l’invulnerabilità. Era stato
creato dai primi Omega giunti sull’Isola e pensato per resistere persino al
potere congiunto di un Omega e di un Alfa.
“Avanti, Severus.
Non farmi arrabbiare. – stava dicendo James in tono annoiato, guardandosi le
unghie – Non vuoi avere davvero sulla coscienza la morte dolorosa di qualcuno
dei tuoi amici, vero?”
Osservai il viso di
Sebastian. Era scuro. Sembrava furioso. Mi chiesi con chi.
“Mio caro signor
Moriarty, non credo che farà nulla di così drammatico. – giunse la risposta
dall’interno – Se torcerà un capello anche un solo Omega, perderà la fiducia di
quelli che hanno creduto nelle sue bugie.”
“Bugie bugie bugie.
– cantilenò James, facendo il verso a Severus – Che cosa importa ciò che io ho
promesso? Tanto la vostra Barriera è caduta. Se anche non sarò io a sfruttare
il vostro potere, lo farà qualcun altro.”
“Noi non siamo qui
per sfruttare il potere degli omega! – sbottò Seb – Dobbiamo convincere gli
ostinati che il Mondo Esterno non è un pericolo per noi. Che potremmo viverci
senza dover temere gli Alfa!”
“Come vedi,
Sebastian, non tutti gli Alfa sono sinceri. – intervenne Severus – Non sono
cambiati.”
“Non cercare di
mettere zizzania fra di noi!” ruggì James.
“Non ho bisogno di
fare nulla, signor Moriarty. – ribatté Severus serafico – Bastano le sue azioni
e quelle dei suoi uomini.”
Fu a quel punto che
gli uomini di Mycroft entrarono in azione. Ciò che seguì, non si poté nemmeno
definire uno scontro vero e proprio. I cinque uomini al soldo di James vennero
sopraffatti in fretta. Quello che mi stupì, però, fu il sorriso sulle labbra di
Moriarty. Lo avevamo sconfitto. Avremmo ripristinato la Barriera, prima che i
satelliti potessero tornare in linea. Perché sorrideva, come un gatto che
avesse intrappolato un topo?
“Guarda guarda chi è
arrivato. Il prode John Watson, cavaliere senza macchia e senza paura delle
tradizioni Omega, con i suoi impavidi amanti. – ridacchiò Moriarty – Immagino che
pensiate che sia tutto finito.”
“È tutto finito.”
Ribattei, secco.
“Mi credete molto
stupido. – sbottò Moriarty, praticamente offeso – Pensate davvero che io sia
venuto qui con solo questi pochi uomini?”
“Che cosa hai fatto,
James?” Domandò Seb, sconvolto.
“Ciò che dovevo. Da quando
siamo giunti all’Isola, un apparecchio sulla nave invia un segnale di
localizzazione ai miei soci, sparsi per tutto il mondo. Avendo più o meno un’idea
della posizione dell’Isola, non si sono posizionati troppo lontani. Presto arriveranno
qui. E vi conquisteremo. Grazie al Legame che formeremo con voi, diventeremo
così potenti, da poter dominare il mondo.”
C’era una luce di
folle gioia negli occhi neri di James Moriarty. Sebastian era inorridito. Si era
fatto ingannare. Aveva spalancato le porte all’inferno. L’Isola e i suoi
abitanti erano a un passo dalla rovina.
Angolo dell’autrice
Mi
sa che gli Omega siano nei guai fino al collo. Riusciranno a trovare una
soluzione per salvarsi?
Grazie
a chi stia leggendo il racconto.
A
giovedì prossimo, per l’ultimo capitolo.
Ciao.
|
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Capitolo 8 *** Pain! ***
Pain
Pain!
You made me a, you made me a believer, believer
Pain!
You break me down, you built me up, believer, believer
Pain!
I let the bullets fly, oh let them rain
My life, my love, my drive, it came from…
Pain!
You made me a, you made me a believer, believer.
Believer
Un silenzio inorridito cadde sul
nostro piccolo gruppo. Tanti sacrifici, tanti Omega morti per proteggere il
nostro segreto e tutto era stato vanificato da un amore sbagliato. Uno strano
suono arrivò alle mie orecchie. Non capivo che cosa fosse, ma ne trovai presto
la fonte: era James Moriarty.
Stava ridacchiando.
Lo fissai allibito. La sua risata si
fece sempre più rumorosa e piena di scherno.
Mycroft era stato il primo a
riprendere il controllo e contattò la sua assistente con un walkie talkie: “Anthea,
il radar segnala navi in avvicinamento?”
Ci fu un lungo minuto di silenzio,
prima che all’apparecchio gracchiante si sentisse la voce della giovane Alfa. Dal
tono grave capimmo subito che non erano buone notizie: “Sì, signore. Ci sono
una decina di imbarcazioni, che si stanno dirigendo verso l’Isola. Provengono un
po’ da tutte le direzioni. Le prime arriveranno tra meno di un’ora. Signore… se
sono tutti complici di Moriarty, non riusciremo a difendere l’Isola da questo
attacco.”
“La signorina è molto gentile a
preoccuparsi per noi, ma quello che dice non è del tutto vero. – intervenne una
voce pacata, dalle nostre spalle – Esiste un modo per mettere in sicurezza gli
Omega e l’Isola. Questo, però, comporterà un grande sacrificio da parte di
qualcuno.”
Ci voltammo verso il nuovo arrivato.
Severus McGranitt ci aveva raggiunto, seguito dai bambini, che si guardavano
attorno un po’ spauriti. Quando ci vide, Greg corse verso me e Sherlock, con le
braccia spalancate: “Papà! Papà! Sei tornato!”
Mi inginocchiai e lo strinsi a me.
Greg mi gettò le braccia al collo e strinse con tutta la forza che aveva. Lo sentivo
tremare. Alzai gli occhi e incontrai lo sguardo del mio figlio maggiore. Mycroft
teneva in braccio Will, troppo piccolo per capire che cosa stesse accadendo. Allungò
le braccia verso me e Sherlock, piagnucolando. Mycroft lo sostenne in modo che
non gli cadesse dalle braccia. Il viso del mio figlio maggiore era serio e il
portamento rigido. Stava cercando di non apparire spaventato, ma lo sforzo era
chiaramente visibile. Sherlock si avvicinò a lui e prese Will, stringendolo a
se. Allargai un braccio, facendo segno a Mycroft di raggiungere Greg, fra le
mie braccia. Lui lo fece, senza farselo ripetere. Lo sentii rilassarsi.
“Oh che bel quadretto. – canticchiò Moriarty,
in modo canzonatorio – Sono bei bambini. Mi faranno guadagnare tanti soldi al
mercato degli Omega, ap…”
Non terminò la frase. Lo vidi volare
in terra, colpito da un’onda magica.
“Maledetto bastardo. Non avrai i
nostri bambini!” Ringhiò Sebastian.
Mi staccai dai miei figli, cercando di
raggiungere Seb. Sapevo che era sconvolto, ma attaccare James avrebbe ucciso
anche lui, non solo l’Alfa: “Fermati, Seb! Non è così che risolveremo il
problema!”
Un’altra onda magica travolse
Moriarty, sollevandolo e lanciandolo contro un albero. Sebastian cadde in
ginocchio, urlando di dolore: “Sarà l’ultima cosa che farò, ma lui non godrà i
frutti del suo tradimento!”
Con un urlo disumano, Sebastian
scaricò tutta la propria forza magica sul compagno. Moriarty era troppo
stordito per reagire. I due giovani uomini furono avvolti da un alone rosso
fuoco e svanirono nel nulla.
Mi bloccai, a pochi passi dal posto in
cui si era trovato Seb. Fissavo l’erba, appiattita e leggermente bruciacchiata.
I bambini piangevano, ora veramente spaventati. Mi voltai e vidi Greg, Severus,
Sherlock, i militari e persino Mycroft, cercare di consolare e calmare i
piccoli Omega terrorizzati. Gli altri Omega adulti non tardarono ad arrivare,
richiamati dal frastuono provocato da ciò che era accaduto.
La morte di Moriarty, però, non aveva
messo in salvo l’Isola.
Le navi dei suoi complici si stavano
ancora avvicinando.
L’agitazione e il panico stavano
travolgendo tutti gli Omega. Nessuno vedeva una via d’uscita. La Barriera era
stata abbattuta e ci sarebbe voluto troppo tempo per innalzarla un’altra volta.
Inoltre, non sapevamo con quali armi fossero equipaggiate le navi che stavano
arrivando. Non avevamo la sicurezza che la Barriera potesse reggere a qualsiasi
tipo di attacco. Nel corso dei secoli, era stato il segreto della nostra
esistenza a proteggerci, più della Barriera magica che circondava l’Isola.
“Amici, non siate così spaventati. –
la voce rassicurante di Severus e il suo sorriso dolce erano quasi assurdi, in
quella circostanza – Prendete i bambini e andate alle vostre case. Andrà tutto bene.
L’Isola presto sarà di nuovo sicura.”
La calma e la sicurezza, con cui
Severus aveva pronunciato quelle parole, risollevarono il morale degli Omega. Qualcuno
ebbe il coraggio di fare un timido sorriso. La piccola piazza antistante il
Palazzo del Consiglio si svuotò velocemente.
“Che cosa intendeva dicendo che c’è un
modo per proteggere l’Isola?” Domandò Mycroft, in modo pratico.
Severus lo fissò per qualche secondo,
prima di rispondere: “La Barriera originale è stata creata dagli Omega, quando
furono sicuri di essere tutti sull’Isola. Esiste, però, un incantesimo, che può
creare una Barriera molto più potente e quasi indistruttibile. Per lanciare
questo incantesimo, però, è necessaria l’azione congiunta di tre Alfa e un
Omega, che si trovino al di fuori dell’Isola, e dei nostri maghi più potenti.”
Severus parlava guardando me. Il suo
sguardo era carico di tristezza e compatimento. Sapevo che cosa sarebbe accaduto,
ma avevo bisogno di sentirmelo dire a voce alta. Posi la domanda, già
conoscendo la risposta: “Che cosa farà il nuovo incantesimo?”
“Sposterà l’Isola in uno spazio e in
tempo sfasati da quelli del Mondo Esterno. Noi saremo qui, ma nessuno potrà più
raggiungerci. Lo stesso incantesimo rallenterà ulteriormente lo scorrere del
tempo sull’Isola. Per uno dei nostri anni, all’esterno trascorreranno almeno
una decina di anni. Questo ci permetterà di non dover mandare più i nostri
giovani nel Mondo per essere ingravidati per molto, molto tempo. Forse, per
allora, potremo veramente palesarci agli Alfa e formare con loro quel nuovo
mondo, cui tutti aneliamo.”
Guardai i miei figli. Le lacrime mi
offuscavano la vista. Non li avrei mai più rivisti, ma sarebbero stati al
sicuro. Come potevo separarmi da loro per sempre? Come potevo lasciare che
cadessero nelle mani degli Alfa? Ero lacerato.
Una mano prese una delle mie e strinse
forte: “Non esiste un altro incantesimo? Uno che consenta almeno all’Omega di
rimanere sull’Isola?” Era stato Sherlock a porre la domanda. Anche l’idea di
separarmi da lui per sempre mi faceva inorridire. Possibile che non esistesse
un modo per salvare l’Isola senza che il mio cuore andasse in pezzi?
“Mi dispiace.” Sussurrò Severus.
Strinsi la mano di Sherlock, prima di
lasciarla e di andare verso i miei figli. Presi Will dalle braccia di mio padre
e strinsi a me Greg e Mycroft con l’altro braccio: “Obbedite al nonno e a zio
Michael. Vi voglio bene.” Mormorai, mentre lasciavo un leggero bacio sulla
testa di ognuno di loro.
“Non ti preoccupare, baderò io a loro.”
Mi rassicurò Mycroft. Io sorrisi.
“Non mi aspetto nulla di meno da te,
Myc. – intervenne Sherlock, stringendoci fra le sue braccia – I fratelli
maggiori devono sempre prendersi cura dei minori. Io so che sarai eccezionale, perché
tuo padre lo è stato con me. Racconta a Will di noi. Lui non potrà ricordarci,
ma tramite te, saprà che siamo stati costretti a lasciarvi perché vi amiamo più
di ogni altra cosa al mondo.”
Non avrei mai voluto sciogliere quell’abbraccio,
ma non avevamo molto tempo. Il calore dei miei figli si impresse sulla mia
pelle e io sperai che vi rimanesse per sempre.
Tornammo sulla nostra imbarcazione,
portando con noi gli uomini di Moriarty come prigionieri. Sulla spiaggia dell’Isola
si allinearono una decina di maghi, a distanza di circa un paio di metri l’uno
dall’altro. Ci allontanammo, prendendo il largo.
“Tra al massimo venti minuti le prime
navi arriveranno in vista dell’Isola.” Ci informò Anthea.
“Grazie. Ordina di fermare i motori e
scendete sottocoperta. Che nessuno salga, qualsiasi cosa accada, che nessuno
torni sul ponte fino a quando lo dirò io.”
La donna annuì. In pochi minuti sul
ponte eravamo rimasti solo Mycroft, Greg, Sherlock ed io.
Mi voltai verso Greg e Mycroft: “Mi
dispiace. Non ho nemmeno avuto il tempo di spiegare ai bambini chi foste. Mi sarebbe
piaciuto presentarveli, farvi parlare con loro, ma…”
Greg mi mise una mano su una spalla: “Non
avevamo tempo. Come non lo abbiamo ora.”
Annuii con un gesto secco. Mi voltai
nuovamente verso la spiaggia dell’Isola. Severus ci aveva spiegato che cosa
fare. Ci allineammo anche noi. Io davanti. Sherlock, Greg e Mycroft dietro di
me a circa un metro l’uno dall’altro. Chiusi gli occhi e allargai le braccia,
iniziando a pronunciare le parole dell’incantesimo. Più le ripetevo, più l’aria
intorno a me diventava incandescente. Un vento magico mi avvolse e mi sollevò
dal ponte, quando la mia energia magica si unì a quella dei tre Alfa, che
facevano parte della mia vita. Aprii gli occhi di scatto. Stavo praticamente
urlando le parole, con i palmi rivolti verso la spiaggia. Dalle dita partirono
dei raggi di energia, che si unirono a quelli provenienti dall’Isola. Un vento
sempre più violento e caldo mi investì, ma non mi spostai di un millimetro.
Vidi la Barriera emergere lentamente
dal mare e salire sempre più in alto. Alle sue spalle, l’Isola scompariva,
pezzo dopo pezzo. Quando fu completamente avvolta dall’energia magica, un
bagliore accecante mi costrinse a chiudere gli occhi. Ricaddi pesantemente sul
ponte. La braccia di Sherlock mi avvolsero e mi strinsero, ma io sentivo solo
gelo, dentro di me. Aprii gli occhi e guardai oltre il parapetto della nave.
L’Isola non c’era più.
Sono trascorsi anni, da quel triste
giorno. Sherlock ed io ci siamo costruiti una vita qui a Londra. Viviamo ancora
al 221B di Baker Street. Il nostro amore ci unisce come non mai. È stato la
nostra salvezza. L’ancora che ci ha impedito di impazzire. Io ho trovato lavoro
come medico nel pronto soccorso di una piccola clinica, ma faccio anche da
assistente a Sherlock nei suoi casi. Sherlock è un consulente investigativo e
aiuta la polizia in quei casi complicati o strani che non riuscirebbero a
risolvere, senza la mente brillante del mio magnifico marito.
Dell’Isola non abbiamo più saputo
nulla.
Questo diario si chiude qui. Come ho
scritto all’inizio, lo nasconderemo nella speranza che venga rinvenuto quando
finalmente gli Omega potranno ricongiungersi con il resto mondo, per creare una
civiltà nuova. Forse migliore. Lo spero molto, perché questo darebbe un senso
al dolore che mi accompagna ogni giorno, per la separazione dai miei figli. Ciò
che mi consola, è la consapevolezza che loro stiano bene. Le loro rose sono
ancora boccioli freschi e dai colori vivi. Non un solo petalo è caduto. Sono sulla
mensola del camino, ognuna sotto la propria cupola di cristallo. Quando non
siamo impegnati in un caso, Sherlock ed io ci mettiamo sul divano, abbracciati,
e le guardiamo, cercando di immaginare che cosa stiano facendo i nostri figli. Sapendoli
al sicuro e felici.
FINE
Angolo dell’autrice
Ogni
storia che arriva a conclusione è una soddisfazione, perché chi la scrive cerca
di fare del proprio meglio per intrattenere chi legge, ma è anche un po’
triste, perchèsi tratta pur sempre di una fine.
Come
questa.
Grazie
a chi abbia letto il racconto.
Ciao.
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