Con gli occhi degli altri...

di LadyBlueSky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Rosso ***
Capitolo 2: *** 2. Lei ***
Capitolo 3: *** 3. Natali ***
Capitolo 4: *** 4. Crudeltà ***
Capitolo 5: *** 5. Mistake ***
Capitolo 6: *** 6. In the middle ***



Capitolo 1
*** 1. Rosso ***


1.   Rosso

 

 

Dolore…

 

Il mio primo ricordo di te è questo: dolore!

Quando ti ho conosciuta, quando mi hanno presentato a te, eri una ragazzina. Nemmeno sedici anni.

Esile. Composta. Educata. Schiva. Diffidente anche. Ma una ragazzina.

Quanto tuo padre ci ha fatto conoscere ho provato pena per te: ti avrei rovinato la vita.

Lo sentivo, il Maestro che ti parlava di me, che ti spiegava minuziosamente ogni cosa, che mi legava a te indissolubilmente.

Non hai emesso un sibilo. Non hai versato una lacrima. Non hai avuto uno spasmo. Ho davvero ammirato la forza nascosta che percorreva le tue membra.

Ma quando, qualche sera dopo, finalmente mi hai visto, nei tuoi occhi l’odio e il rancore si sono annidati in maniera troppo chiara per negarli.

Non hai pianto, ancora. Ma hai odiato me e la mano di tuo padre, che ci aveva avvolti in una catena che non avrebbe mai potuto spezzarsi.

Da quel giorno mi hai portato con te, ma non mi hai più rivolto una singola occhiata. Una parte del dolore che ti avevo causato si era chetata, ma l’altra ti avrebbe bruciata per sempre.

Ancora, non ho potuto provare che pena. Eri una ragazzina, alla quale la mia presenza avrebbe impedito una vita normale.

Eri una ragazzina a cui non importava di me, anche se comprendevi in una certa misura la mia importanza. A prescindere, non era abbastanza per perdonare la mia presenza coercitiva.

La prima volta che ho sentito la sua voce, attutita da strati di tessuto, gridava. Chiedeva aiuto. Per tuo padre.

Ma era troppo tardi.

Non sapevo chi fosse, ma dato che chiamava il vecchio Berthold Maestro ho intuito fosse il suo allievo.

Il Signor Mustang. Roy.

Ti avevo sentita pronunciare il suo nome qualche volta, nel buio sicuro della notte. Gli eri già allora affezionata in una maniera che tuttavia ancora non riuscivi a comprendere. Come avresti potuto dopotutto? La solitudine era la tua realtà.

 

“Posso affidarle la mia schiena’”

 

Quando hai pronunciato quelle parole non potevo crederci. Davvero?

Davvero eri arrivata a tanto?

Davvero ti fidavi di lui a tal punto?

La prima volta che ho visto lui i suoi occhi erano sgranati, e nel suo sguardo ammirazione e orrore si mescolavano in torbidi mulinelli.

Anche lui, al pari tuo, mi odiava. Odiava la mia presenza .

Forse, addirittura, iniziava ad odiare anche chi mi ci aveva messo.

Però mi ha accarezzato – ha accarezzato me o te quel giorno? – e tu hai rabbrividito.

Mi ha chiesto per sé, e tu hai acconsentito. Se avessi avuto una voce, allora, avrei gridato. Ma non ho mai avuto voce, e non avevo modo di mettervi in guardia.

Gli hai permesso di guardarmi, di studiarmi, di avermi completamente. E vi siete salutati.

 

Dolore…

 

Il mio ultimo ricordo di te sarà questo: dolore!

Sarà anche il mio ultimo ricordo di lui.

La sola differenza è che, stavolta, il tuo dolore sarà voluto.

Dolore per prendere coscienza. Dolore per espiare. Dolore per chiedere perdono.

Mi dispiace, bambina: non ci sarà alcun perdono. Non oggi almeno.

Il dolore di lui, invece, è lo stesso che hai provato tu anni fa. Il dolore di una scelta che non ne da altre. Perché lo so, lo so, che sta soffrendo per ciò che gli hai chiesto, che sta soffrendo perché sarai tu a patire, dopo.

Non vi capisco. Davvero. A voi due proprio non vi capisco.

Perché non lasci che lui ti accarezzi – che ci accarezzi entrambi – come vorrebbe fare? Perché non lasci che stavolta lui abbia te, invece che me?

Ormai sono domande inutili. Hai preso la tua decisione, e ho imparato presto che non sei una che si rimangia le parole o recrimina. No, tu sopporti e ti assumi tutte le responsabilità.

Che sia per questo che il vecchio mi ha affidato a te?

E va bene, ragazzina: facciamolo! Che sia questa la fine.

E mentre il rosso delle fiamme ci avviluppa entrambi – il rosso delle MIE fiamme – riesco a vedere che la catena che tuo padre ci ha imposto non era poi così assoluta come credevo.

Non posso che sperare che quella che lega voi sia più ignifuga almeno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’Autrice (più o meno):

 

Allora, da dove partire? Diciamo che se non lo so io dubito possiate saperlo voi.

Questa idea si arrovellava nella mia testolina da tanto, tanto tempo. Trovare un modo per buttarla giù così da dargli un qualche senso e una quale forma è stato tragico, lo ammetto.

Cosa ne sia venuto fuori, soprattutto in questa prima one-shot, non saprei dirlo. Sono soddisfatta ma non lo sono, ma se ci avessi messo mano avanti non penso che le cose sarebbero migliorate.

Nella mia testa il protagonista è chiaro, è sempre stato chiaro, ma ho volutamente cercato di far sì che non si capisse nemmeno alla fine. Se ci sono riuscita o meno lascio decidere a voi.

In questo caso vediamo in maniera un po’ contorta quello che è uno spezzone del rapporto RoyAi dagli occhi del TATUAGGIO che lei porta sulla schiena. Mi rendo conto che sembra una follia, tranquilli.

In una certa misura è più uno scorcio di Riza che di entrambi, ma ho pensato che non poteva che essere così dato che è stato prima di tutto un peso suo, poi un peso anche di Roy e poi di entrambi.

Detto questo… Passo la mano a voi. Se mi dovete lanciare uova e pomodori avvisatemi che almeno gli occhiali me li tolgo eh xD

 

ByeBye

LadyBlueSky

 

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Capitolo 2
*** 2. Lei ***


2. Lei.

 

 

Non ho mai voluto diventare madre, semplicemente perché sapevo che non avrei voluto esserlo.

Non ero come la maggior parte delle ragazze della mia generazione; non condividevo i loro desideri e le loro volontà.

Quand’ero giovane mi dicevano che ero un cavallo matto – e se di cognome fai Mustang sembra proprio una battuta di infimo livello.

Era mio fratello quello che sognava una famiglia, una bella moglie e una casa stabile. Proprio da idillio insomma. Lo sognava, lo voleva e alla fine se l’è preso. Per troppo poco tempo.

E così mi sono ritrovata io con un marmocchio attaccato alla sottana. Il giorno del loro funerale ho riso e pianto insieme, pensando a quanto la cosa mi sembrasse grottesca.

Ma ho comunque preso con me quel bimbo che tanto assomigliava al mio fratellone, anche se la dolcezza nello sguardo non poteva che essere di sua madre.

Ho fatto del mio meglio con quello che avevo. Né più, né meno.

E comunque Roy è sempre stato un bambino indipendente, intraprendente e sveglio. Anche se forse, forse, una buona parte di quel carattere malizioso e un po’ farfallone è stato dettato dall’ambiente in cui l’ho fatto crescere. Ma in fondo ho sempre saputo che sarebbe stato una persona buona.

Sì, sono sempre riuscita a sapere, a capire, con Roy – anche quando si nascondeva dietro a quel ghigno bastardo e menefreghista.

Di Lei, invece, ho sempre saputo troppo e troppo poco.

Fa quasi strano pensarci adesso, a come tutto sia scaturito da quello che potrei benissimo definire un infantile capriccio di un moccioso fastidioso.

Quando mi ha detto di voler studiare l’Alchimia gli ho detto che andava bene, che poteva scegliere quello che voleva.

Avevo deciso quando lo avevo preso con me che gli avrei permesso di vivere la vita che voleva senza rompergli le scatole. Almeno sarei stata diversa dai miei genitori.

Tuttavia, all’epoca, ancora non avevo idea di come questa decisione avrebbe toccato la vita di molti, né delle ripercussioni che ci sarebbero state.

Anche dire che l’ho cresciuto suona tanto di barzelletta, dato che è stato più il tempo che ha passato lontano da me che altro che quello che ha passato con me.

Tuttavia, Roy non è cresciuto da solo. No, Roy è cresciuto con Lei.

Ricordo le lettere che mi mandava nel periodo dell’apprendistato, tante nei primi tempi e sempre più rade man mano che gli anni passavano; palava del suo Maestro, di quanto fosse severo e di quanto lo ammirasse, dei suoi studi che proseguivano.

E scriveva di Lei – della ragazzina bionda; della figlia del Maestro Hawkeye; della sua amica.

Ridacchiavo sempre, leggendo di Lei. Di come scriveva di Lei.

Roy nemmeno se ne rendeva conto, ma da quelle lettere trapelava già allora un profondo affetto che si stava trasformando in ingenuo amore adolescenziale.

Curiosa, mi chiedevo quanto sarebbe durato, quanto sarebbe sopravvissuto una volta che lui fosse uscito da quella casa. Gli amori adolescenziali sono, per definizione, finiti. Si concludono. Terminano.

Quando mi scrisse che sarebbe entrato all’Accademia Militare decretai per lui la parola fine.

 

“Ecco, ora non rimarrà che una vaga malinconia che pian piano si trasformerà in dolce ricordo.”

 

Allora non avevo ancora capito nulla.

Iniziai a sospettare qualcosa un paio d’anni dopo, quando tornò a casa a seguito del funerale del vecchio.

 

“E Lei?”

 

L’occhiata che mi rivolse valse tutte le parole che non avrebbe mai pronunciato, non allora almeno.

Nel suo sguardo si annidava qualcosa che quasi mi provocò un brivido, viscido e fastidioso.

Mi disse che sarebbe stata bene, ma il tono era così piatto e falso che credergli era impossibile.

Cos’era successo? Cos’era successo in quei pochi giorni? Dov’era l’ammirazione per il suo Maestro? Dov’era l’infantile affetto che lo aveva legato a Lei?

Non chiesi. Sapevo che non avrebbe parlato.

I sospetti iniziarono a trasformarsi in paura di aver ragione nel periodo di Ishval.

Roy non scriveva quasi mai a casa – quattro lettere in totale – e più che lettere erano telegrammi.

 

“Sto bene.”

“Sono vivo.”

“C’è Maes…”
“Lei è qui!”

 

Sgranai gli occhi, orripilata.

Merda!

Già Roy, così giovane, così idealista. Ma Lei… Era una ragazzina! Quanti anni aveva allora? Non sapevo l’età esatta ma a venti non ci arrivava.

Avevo imparato ad interpretare le poche parole di quei messaggi, così come avevo imparato a leggere tra la falsa arroganza che quel ragazzo usava come scudo. Le uniche cose che mi scriveva erano quelle degne di nota, e se aveva voluto farmi sapere della sua presenza lì…

Non chiesi più nulla da quel momento. Nemmeno quando quell’Inferno ebbe fine e i sopravvissuti poterono tornare a casa – quei pochi che tornarono.

Lui tornò distrutto, con qualcosa di peggio del rimpianto a scavargli nelle iridi. Con qualcosa di più forte del dolore a trapassargli gli occhi.

Un peccato…

Fu lui a dirmi che avevano iniziato a lavorare insieme, a spiegarmi quell’idea folle che aveva preso a bruciarlo – a bruciare anche Lei; a bruciare loro.

Ebbi la certezza dei miei sospetti anni dopo. Erano stati trasferiti a Central City.

Maes era morto… Quel giorno c’erano stati i funerali.

Era venuto al locale, a bere così tanto da stordirsi. Le ragazze intorno a lui, che cercavano inutilmente di accaparrarselo a turno. Neanche uno sguardo per loro.

Fu a mezzanotte passata, quando ormai si era arreso con la testa appoggiata sulle braccia, fradicio, che lo sentì dire il suo nome.

 

Riza…”

 

Lo guardai sottecchi, la sigaretta che si consumava tra le mie labbra tremanti.

Erano anni, anni, che non pronunciava più il suo nome.

Alzai la cornetta sospirando e invocando la pazienza.

Nemmeno mezz’ora dopo la porta del locale si aprì, e finalmente la vidi.

Rimasi scioccata.

Non era la ragazzina di cui Roy mi parlava nelle sue lettere – e come avrebbe potuto più esserlo? – ma una giovane donna in pieno boccio.

Il mio primo pensiero su di Lei fu che non c’entrava nulla con quel posto, con quel locale.

Vestita alla meglio, i capelli severamente raccolti, e un’aria marziale che non l’abbandonava nemmeno smessa la divisa.

Schiena dritta, spalle rigide, sguardo secco. In mezzo a tanto sfarzo e ostentazione e abiti colorati e risatine alterate spiccava in maniera quasi fastidiosa. E gli sguardi, malgrado tutto, erano per Lei.

 

“Non c’entri nulla qui…”

 

Mi scusai per l’ora e per Roy, ma si limitò ad un’alzata di spalle. Di poche parole la ragazza!

Qualche cliente decisamente alticcio le lanciò un paio di commenti poco ortodossi, e per risposta si beccarono un’occhiata tale da far quasi passare la sbronza.

Storsi il naso. Quello era un comportamento che le ragazze non avrebbero mai avuto. Non in maniera così diretta per lo meno. Avrebbero ridacchiato e ammiccato, e poi sarebbero scivolate vie elegantemente.

Mi chiesi istintivamente se avesse mai avuto un uomo, se un uomo avesse mai avuto Lei.

La risposta arrivò una frazione di secondo dopo.

Si avvicinò a Roy e lo scosse delicatamente finché lui non alzò lo sguardo.

 

Riza…”

 

Di nuovo il suo nome dalle sue labbra…

Ma Lei scosse la testa, limitandosi ad aiutarlo a tirarsi su.

E da come Roy si appoggiò a Lei, da come le circondò le spalle mentre Lei lo prendeva per la vita, da come entrambi indugiarono nella più invisibile delle carezze, da come lui faceva ciondolare la testa fino ad appoggiarla alla spalla di Lei

Capii tre cose quella sera.

Primo: Roy non era assolutamente sbronzo!

Secondo: un uomo Lei lo aveva avuto, un uomo aveva avuto Lei.
Terzo: quell’uomo era Roy.

E seppi anche che quello non era stato sesso, non era stato un aversi nel senso più carnale del termine.

No!

Lei era stata quella che di Roy aveva avuto la dolcezza di carezze date per volontà e non per seduzione; aveva avuto i baci infuocati che tolgono ossigeno e fanno girare la testa; le mani che s’intrecciato così forte da far male; le braccia che si avvolgono anche dopo.

Soprattutto, Lei di Roy aveva avuto il sonno.

Unica tra tutte.

E seppi anche che quella notte, nessuno dei due avrebbe dormito solo.

Quando la porta del locale si fu chiusa alle loro spalle scoppiai a ridere sguaiatamente.

 

“Ah, Roy-Boy… Ti sei scelto proprio una bella gatta da pelare!”

 

 

 

 

Angolino dell’Autrice (più o meno):

 

Ed eccomi di nuovo qui! E questa volta i lanci di frutta e verdura marcia me li aspetto seriamente xD
Prima di tutto i ringraziamenti, che sono d’obbligo:

MizukiSun3008 grazie per aver messo la storia tra quelle da ricordare.

Tammy1997 grazie per aver messo questa storia tra le seguite.

RedLolly grazie mille per aver commentato!

 

Ora… Passiamo a questo nuovo capitolo. Un’altra epopea. E seriamente non ho idea di cosa ne sia venuto fuori.

In questo caso il narratore non ho mai voluto fosse un mistero, infatti credo che tutti abbiano capito chi parla: Chris Mustang ovviamente xD

Un personaggio difficile da trattare senza rischiare di sfondare nell’OOC. Ho provato in tutti i modi a tenere per lei quella che penso sia la sua linea di pensiero, scindendola tra la donna diretta che è e l’affetto che mostra seppur a modo suo per il nipote.

Un paio di piccole specifiche: nella mia testa l’addestramento a casa Hawkeye di Roy almeno un paio d’anni sarà durato, se non di più. Da informazioni ufficiali sappiamo che si è avvicinato all’Alchimia già da ragazzino in effetti. Sappiamo altresì che entra in Accademia a 18 anni.

In più (santa wikipedia inglese) ai tempi di Ishvar Roy dovrebbe avere 23 anni e Riza 19 se non sbaglio. Da qui il commento orripilato di Chris.

Sempre nella mia testolina ho immaginato che Roy scrivesse di tanto in tanto alla zia, quando studiava, e che qualcosa le raccontasse pure. Ho immaginato anche che Chris e Riza non abbiano mai avuto modo di sconoscersi. Tutto comunque – il loro primo incontro – è opera della mia fantasia.

Così come il fatto che, a Ishvar, Roy e Riza abbiamo diciamo intrapreso una relazione. Non preoccupatevi: su questo tornerò xD

Diciamo che il 90% di questa one-shot è tutta un po’ campata per aria.

Divertente è stato mettere a confronto Riza con le ragazze del locale. Forse ho anche un pochino esagerato. Abbiate pietà dai xD

Detto ciò me la filo che è quasi l’una di notte e domani ho a sveglia all’alba.

 

ByeBye

LadyBlueSky

 

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Capitolo 3
*** 3. Natali ***


3. Natali

 

 

Non so quanti anni io abbia. Non li ho mai davvero contati.

Non mi è mai importato di contarli, forse per il semplice fatto che il conteggio in sé lo si esegue nell’ottica di un qualcosa che finirà, di un qualcosa di conclusivo.

Gli esseri umani, ad esempio, contano i propri anni e festeggiano gli stessi perché sono creature finite per natura intrinseca. O forse semplicemente perché sono così ossessivi da dover tenere tutto sotto controllo e avere una spiegazione ad ogni cosa. Più o meno

Io non ho mai sofferto di queste paranoie, di queste ridicole psicosi.

Il tempo, a me, non da noie. Il suo scorrere non intacca quello che è il mio compito e la mia natura.

Pensavo sarebbe stato così per sempre.

Ora so che nulla è eterno, a questo mondo. Nulla è immutabile. Credo che sia quello che gli esseri umani chiamano il senno di poi. O forse evoluzione

Hanno iniziato a contare per me più di 400 anni fa, più o meno. Non lo so. Non ricordo. All’epoca non m’interessava.

Mi hanno dato un nome, mi hanno dato un’età. E li ho lasciati fare. Ricordate? Le stupide paranoie umane.

Ho dato loro ciò che chiedevano, ciò di cui necessitavano. Li ho lasciati proliferare con disinteresse.

A pensarci ora forse non avrei dovuto essere così ospitale. Forse le cose si sarebbero risolte prima, o forse addirittura non sarebbero mai nemmeno iniziate.

Non so se esista un modo per spiegarla a parole: la viscida sensazione di migliaia di persone che ti scorrono dentro, occupando tutto lo spazio possibile, esistente, con grida e lamenti incomprensibili. E sai che non sono tue, che non ti appartengono, che appartengono a qualcun altro, ma di te hanno fatto una dimora non voluta e non scelta.

È qualcosa di destabilizzante, una volta che se ne prende coscienza. Ingloba ogni cosa, toglie ogni cosa, inibisce ogni altra cosa. Potrei dare la definizione di rivoltante.

Non ho avuto modo di scamparvi, a questo destino.

 

Mi hanno dato un’età.

Mi hanno dato un nome.

Mi hanno dato uno scopo.

 

Allora ho capito che non avrei dovuto essere così ospitale.

E ho provato disgusto.

Tutte quelle persone… Tutte quelle nuove vite che erano germogliate e che crescevano anche grazie a me… Tutto quello che ogni giorno potevo osservare…

Tutto sarebbe finito. Tutti sarebbero diventati un fiume di anime senza più un’esistenza propria, una coscienza singola, un’identità a cui aggrapparsi.

Non so se sia questo ciò che gli esseri umani chiamano amore materno, ma non mi viene in mente paragone più calzante per descrivere la disperazione della comprensione e il rimorso per la mancata protezione.

Avrei voluto fare qualcosa, in un raptus momentaneo. Avrei voluto cambiare qualcosa.

Ma non sapevo cosa. E ho stretto le redini della mia natura ipocrita: immobilità.

Poi, chissà quando e quanto tempo dopo la mia presa di coscienza, sono arrivati loro.

Come fiori spuntati dal cemento, prima Lui e poi Lei.

Esistente al limite, provate fin dall’infanzia dalle regole impietose della vita, che si sono trovate e allacciate.

Cresciuti insieme, tra sogni e disillusioni, tra affetto nascosto e un acerbo amore poi sbocciato.

Li ho seguiti, con avidità. Anche loro come tutti quelli che li avevano preceduti si sono nutriti di quanto avevo da offrire. Ma invece si sorpassare questo dono con disinteresse ne hanno fatto una ragione per vivere e un sogno per poter morire.

Invece di dare a me uno scopo, hanno fatto di me e delle mie genti il loro scopo.

E grazie a loro ho capito che la mia natura non era l’immobilità. No, non c’era mai stata immobilità.

Ho dato loro i natali.

E un giorno, piccoli esseri umani, quando giungerà la vostra ora, vi riaccoglierò nel mio grembo.

Insieme.

Così come da quando avete camminato su di me, così come quando vi stenderete dentro di me.

Gli esseri umani dicono “che la terra ti sia lieve” quando perdono qualcuno. E io voglio essere la più lieve delle terre.

Prima che quel giorno avvenga, tuttavia, voglio dare i natali anche a ciò che genererete.

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’Autrice (più o meno):

Ok… Ehm Ehm… Diciamo che mi rendo perfettamente conto della necessità di dare spiegazioni. Vi racconto solo questo piccolo aneddoto prima, perché secondo me rende bene l’idea di COSA mi sono imbarcata a fare xD Il mio migliore amico, il primo a leggere sempre ciò che scrivo, un po’ per affetto un po’ perché non me le manda a dire e quindi mi fido ciecamente del suo giudizio, mi ha detto questo: “se scrivessi sotto effetto di LSD forse, forse, potrei giustificare cosa ti frulla nella testa!”.

Ora spiegazioni. Questa one-shot è assurda, astrusa e incomprensibile per molti versi. Volevo che lo fosse, in realtà, ma allo stesso tempo mi sono divertita a spargere indizi sul/sulla protagonista che è (rullo di tamburi grazie): AMESTRIS!

Vabbè, finisco le spiegazioni e poi mi vado a rintanare nel mio angolino. Promesso xD

I 400 anni sono ovviamente indicativi. Sappiamo, da fonti ufficiali (sempre sia lodata Wikipedia), che la data di nascita di Hohemhein è il 17 settembre 1464, per cui se i conti sono esatti dovrebbe avere 450/451 anni quando Bortherhood si ambienta. Sappiamo inoltre (episodio 35 dell’anime) che il primo grosso spargimento di sangue ad Amestris risale al 1588. I conti più o meno tornano insomma.

La “viscida sensazione di migliaia di persone che ti scorrono dentro” è ovviamente un riferimento alla Pietra Filosofale che viene fatta appunto scorrere sotto la terra, e che di fondo non sono che le anime degli abitanti di Xerxes. Il termine inibisce fa anche riferimento a questo concetto, che è spiegato dallo stesso Hohemhein all’interno dell’anime a Mei.

Precisazione forse inutile: ovviamente NATALI non è inteso come la festa, ma come la terra che da i natali (bello che mi ricordo ancora qualcosa di letteratura dopo tutti questi anni xD).

L’ultima frase può essere intesa a piacimento. Ho lasciato spazio alla fantasia. Potete prenderla come dare i natali ad uno Stato diverso, a nuove idee o magari anche a qualcuno.

Roy e Riza in questa one-shot non vengono propriamente intesi come coppia, passatemi il termine dai. Ho voluto puntare su un aspetto diverso, romantico ma non romantico. Vabbè, se non lo so spiegare nemmeno io siamo proprio in regola dai xD

Prima di chiudere il papiro (ancora un po’ più lungo della storia in sé) un ringraziamento speciale a RedLolly, i cui commenti e messaggi leggo davvero volentieri dato che non ti fermi mai alla superficie ma riesci a scavare proprio nei punti che cerco di mettere in evidenza e mi dai anche nuovi spunti di riflessione.

Ora me la filo che sennò mi trucidate qui xD

A presto.

 

ByeBye

LadyBlueSky

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Capitolo 4
*** 4. Crudeltà ***


4. crudeltà

 

 

 

Oh, ma ciao piccolo uomo. Finalmente ci conosciamo, eh?

Sapevo che prima o poi saresti passato di qua. Era talmente ovvio che non c’è mai nemmeno stato il gusto di scommettere.

Perché sai, piccolo uomo, tutti quelli come te prima o poi passano di qui.

C’è chi ci arriva troppo presto; c’è chi ci arriva con una calma esasperante a mio avviso.

La maggior parte non sopravvive.

Tutti si chiedono cosa sia o dove si trovino.

Fammelo dire, piccolo uomo: mi hai fatto aspettare parecchio. Stavo quasi iniziando a pensare di essermi sbagliato. Il che non succede mai.

Le condizioni non sono certo le solite, quelle tradizionali, ma dopotutto sono le variabili che rendono le cose interessanti a mio modesto parere. E tu piccolo uomo, sei una variabile di quelle deliziosamente fastidiose. Al midollo, se permetti.

TuLeiVoi

Ah, che gran casino. Voi esseri umani siete sempre così: un casino. Gli Alchimisti in particolar modo. Tu – Voi – siete da emicrania, se solo avessi un cervello che potrebbe dolere. Una gran fortuna per me.

È stato divertente, sai? Scavare in quella notevole massa grigia che ti ritrovi. Notevole davvero.

Come se non sapessi già tutto di te!

Ma concedimelo, un piccolo vezzo. Hai avuto l’ardire di farmi aspettare, oh.

Addirittura, ti sei autoimposto di non volermi incontrare.

Qualcosa pur mi dovevi, per la tua arroganza.

Beh, ad essere sincero qualcosa mi dovrai comunque. Non volermene: nulla di personale. Tuttavia le regole del gioco le conosci anche tu, e ben lungi da me avere una qualsivoglia volontà di cambiarle. In fondo è divertente, un modo come un altro per spezzare la noia. Ed è anche interessante.

 

“Come pagherai?”

 

Mi diletto a chiederlo giusto per passare un po’ il tempo.

Il più delle volte è una domanda inutile, visto che so la risposta prima ancora di vedervi.

Oh, piccolo uomo, perché mi guardi così? Hai capito vero? L’ho detto io che hai una notevole massa grigia. Non mi stai certo deludendo.

Te ne prego, non fare quella faccia terrorizzata. Non sono mica così crudele!

Ok, forse non la penserai allo stesso modo – e come te tutti gli altri – ma dopotutto le definizioni sono qualcosa che piace molto a voi umani. A me no. Le vedo solo come l’ennesima trappola che vi autocostruite.

Perché ti guardi intorno, piccolo uomo? Sei solo qui. Non vedrai certo i suoi occhi.

Non sorprenderti, suonerebbe offensivo verso il mio complimento di poco fa.

So a cosa – chi – sta pensando. Chi stai cercando con lo sguardo. In fondo, io sono anche te.

E Lei.

Assurdo. Siete stati insieme così a lungo che persino io fatico a scindervi. Forse avrebbe dovuto esserci anche Lei qui. Forse sarebbe stato più facile da capire.

Anzi no! Che me la scampi. Altrimenti mi verrebbe il diabete.

Sapete davvero essere sdolcinati in modo fastidioso.

Ma dopotutto, se così non fosse, tu saresti arrivato qui molto prima. Perché io lo so – lo so! – che è stata lei la ragione di questo ritardo.

L’ombra che ti ha coperto. La mano che ti ha guidato. Gli occhi che ti hanno vegliato.

Se si potesse, penso sarebbe questo il pagamento corretto. Ma, ripeto, le regole sono le regole.

Non imbroglierò, piccolo uomo. Giocherò corretto.

Per cui vai, piccolo uomo. Vai pure. C’è ancora qualcosa che devi fare. Certo il metodo sarà un po’ particolare, ma penso che questa volta sia decisamente più importante il fine che il mezzo.

Oh, te ne prego no! Non fare quella faccia sconvolta.

Non sono stato crudele. Credimi.

Non ci vedi, piccolo uomo?

C’è solo oscurità?

Sembri un bambino che impara a camminare, e i cui passi malfermi lo fanno ruzzolare a terra.

Per pietà! Ti ho preso la vista, non l’equilibrio! Vedi almeno di stare fermo in piedi, oh!

Cos’è? Ti senti inutile? Effettivamente lo sei.

Ah, no, mi sbagliavo. Non sei inutile. A quanto pare scindervi è proprio impossibile.

Smielati. Fastidiosamente smielati!

Ma vedo che finalmente hai capito.

Non sono stato crudele.

Ti ho preso la vista, non gli occhi.

C’è una bella differenza.

Decisamente non sono stato crudele.

Altrimenti, avrei preso lei.

 

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’Autrice (più o meno):

 

Dopo un sacco di tempo ritorno… Con l’ennesima follia com’è giusto che sia xD Sinceramente dubito che sentivate la mancanza di queste piccole perle da psichiatria, ma ho iniziato e quindi andiamo avanti ;)

Questa one-shot la posso definire solo in un modo: il risultato di scrivere quando si è simili ad un’ameba causa pressione bassa!

Ho troppo e troppo poco da dire su questo capitolo. Il/la protagonista non so se si sia capito ma… LA VERITÀ!!!

È stato qualcosa che non so definire, quindi lascio la parola a voi. Ho cercato in tutti i modi di attenermi a quello che vediamo nell’anime e nel manga per quanto riguarda questa figura. Probabilmente ho esagerato con il cinismo, ma non ho trovato formula che mi sembrasse più giusta.

Il resto è un agglomerato di frasi, parole, citazioni e indizi. Ho provato ad amalgamare tutto e non so se ci sono riuscita.

Qui Roy e Riza… Niente, è solo un po’ come vedo io il loro rapporto, con molto meno miele e sdolcinatezza varie. Forse un po’ di zucchero c’è, ma lo prendo come un edulcorante e non come vero zucchero xD

Infine… RedLolly… Mia cara eccomi qui. In super velocità come sempre ma torno anche per te xD Perché la passione che hai per questa coppia e questo fandom mi danno una carica che non immagini nemmeno! Ed è una cosa rara per me. Non sai quanto! E soprattutto non finirò mai per ringraziarti dei meravigliosi commenti che mi lasci. Se trovi qualcosa da criticare divertiti pure: una critica da qualcuno che riesce ad andare così a fondo in quello che legge è solo che bellissimo e utile.

P.S ci sentiamo in privato promesso ;)

Per tutto il resto…

 

ByeBye LadyBlueSky

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Capitolo 5
*** 5. Mistake ***


5. Mistake

 

 

 

 

 

“Ricordo la prima volta chi ti ho vista.”

 

Un essere minuscolo, urlante. Fragile.

Guardandoti ho pensato che fosse un errore. Di aver commesso un errore.

Perché doveva esserci un errore.

Era sbagliato. Non aveva senso.

Come potevo aver creato una vita?

 

“Ricordo la prima volta che ti ho visto.”

 

Un ragazzetto dall’aria arrogante e il sorriso deciso. Forte.

Guardandoti mi sono chiesto se non fosse un errore. Se non avessi commesso un errore.

Perché, per la miseria, più il tempo passava e più mi accorgevo che doveva esserci stato un errore.

Era sbagliato. Non aveva senso.

Come potevo star creando la vita di un Alchimista?

 

 

“E il tempo passava, e di te capivo sempre meno.”

 

Troppo esile. Troppo delicata. Fragile.

Ti sbucciavi le ginocchia costantemente. Ti tagliavi con i coltelli da cucina. Ti pungevi con gli aghi da cucito. Riuscivi a ferirti pure con le pagine dei libri.

E non mi seguivi. Non seguivi i miei passi. Non seguivi la mia strada.

Decisamente c’era stato un errore.

 

“E il tempo passava, e di te mi pareva di capire sempre meno.”

 

Troppo arrogante. Troppo imperscrutabile. Forte.

Non mi ascoltavi, non mi capivi. Potevo tenerti ancorato a quella sedia ma niente. Potevo obbligarti sui libri ma era inutile. Riuscivi a distrarti anche con un raggio di sole che illuminava la polvere.

E non mi seguivi – o se lo facevi ci mettevi il tuo buon impegno a farmi perdere qualche capello prima.

Sentivo già che non stavi seguendo la mia strada.

Probabilmente c’era davvero stato un errore.

 

“E poi sbirciavo di tanto in tanto dalle finestre…”

 

Improvvisamente sembrava che i ruoli s’invertissero.

Lo tenevi in riga.

La guardavi e abbassavi il capo.

Cosa diavolo c’era di sbagliato? Dov’era stato il mio errore?

 

“E vi ho visti crescere…”

 

Un errore dopo l’altro.

Una sequenzialità di errori se proprio vogliamo. Uno più uno fa due. Queste sono le regole.

Per uno scienziato, un Alchimista, le regole della matematica e della fisica sono tutto. E c’è un’unica Verità possibile.

Ne sono sempre stato convinto.

 

“E allora quell’Errore dove stava?”

 

Era forse nel sorriso deciso che le vedevo in viso?

Era forse nel sorriso meno arrogante ma più vero che gli vedevo affiorare?

Era forse nelle ginocchia sbucciate di entrambi, scorticatesi a causa della testardaggine di arrampicarsi su qualche albero per coglierne i frutti?

Era nelle tazze di caffè che gli portava nelle ore tarde per aiutarlo a studiare?

Era nella tazza di tè delle prime luci dell’alba per ringraziarla della nottata in bianco?

 

“Dov’era? Dov’era l’Errore?”

 

Forse negli occhi fermi che mi hanno comunicata la sua decisione, la sua scelta di vita.

Forse negli occhi tremanti quando hanno saputo la verità, lo scopo, della mia scelta.

 

“No, nessun errore. Avevo visto giusto dall’inizio.”

 

Ma poi non ha pianto. Non una singola lacrima, non un singolo lamento. Nulla.

Ma poi ha tremato, dicendomi come stavano le cose. Ha abbassato di poco lo sguardo e la voce si è fatta meno decisa. Tutto.

 

“Due anni…”

 

Due anni di silenzi. Due anni di parole silenziose.

Due anni di Nulla e di Tutto.

Due anni e finalmente l’ho visto, l’Errore.

 

“Ogni Alchimista, dal primo all’ultimo, sarà sempre una creatura votata alla Verità.”

 

Una massima di vita che non ho mai abbandonato, o mai ho voluto abbandonare.

Poi avete deciso di stravolgere ogni mia convinzione.

 

Credevate che non avessi visto?

Credevate che non avessi capito?

Oh, l’ho fatto. Dal primo momento. Ho semplicemente guardato dal filtro sbagliato.

 

Per questo te l’ho chiesto.

Per questo non te l’ho mai chiesto.

 

Roy… Mia figlia…”

 

L’Errore è sempre stato mio.

Con Lei.

Con Lui.

E questa, alla fine l’ho capito, è stata anche l’unica cosa che a voi mi ha legato.

Un Errore.

È ciò che vi ho dato.

È ciò che vi ho lasciato.

 

“Un Errore…”

 

Eppure, ora che di me non resta nulla, mi rendo conto che forse, forse, è stata la cosa migliore.

Vi ho dato un Errore…

 

“Com’è che ho la vaga sensazione che lo trasformerete in una Verità?”

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’Autrice (più o meno).

Potrei iniziare scusandomi, ma credo che ne abbiate già le scatole piene delle mie scusa xD

Ok, battute a parte purtroppo ho avuto e continuo ad avere problemi con il PC: lavorare in smart working non è MAI una buona cosa sta scoprendo (soprattutto dopo un anno e mezzo). Ho perso gran parte di quello che già avevo scritto causa un BANALE problema tecnico e riscrivere tutto con il tablet è un incubo. La cosa positiva è che ho il vizio di scrivere anche con carta e penna, quindi almeno il 50% del lavoro non è andato a p******.

Passiamo a questo capito il cui protagonista è…?! Bethold Hawkeye.

Mandatemi pure a quel paese forza xD

Questo capitolo nasce più come flusso di coscienza che altro in realtà, e credo che la cosa sia palese in una certa misura.

Cambia lo stile. Ovvio. Non potevo farne a meno.

Il tutto si conclude con un capitolo un po’ (tanto) sconclusionato. Si passa dal “tu” alla terza persona, in una giostra non sempre chiara e attraverso le stagioni dell’infanzia e dell’adolescenza di Roy e Riza, qui visti in un’ottica un po’ deformata: quella di un uomo che prima che padre è stato alchimista.

La mia visione Bertholt sta tutta in queste righe: un uomo non esente dall’affetto, ma incapace di mostrarlo; un uomo preda di un demone che è stata la sua ricerca, e che lo ha spinto in tutte le direzioni tranne in quella (forse) giusta; un uomo che vede il mondo tramite il suo essere Alchimista, e non il suo essere umano.

Però a mio avviso è stato proprio lui a formare, almeno in una certa misura, Roy e Riza. Con i suoi, appunto, errori. Dopotutto anche dagli errori nasce qualcosa di buono, no!??!?!?

Per concludere…

RedLolly! Mia cara! Il commento del precedente capito l’ho divorato. Proprio divorato. Prossima settimana dovrei avere il PC in riga (lo spero almeno) e vedrò di rispondere ad ogni commento e ad ogni conversazione privata. Perché il bello delle ff sono proprio questi legami dietro ad una tastiera a mio avviso.

Per il resto…

 

 

Alla prossima

LadyBlueSky

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Capitolo 6
*** 6. In the middle ***


6. In the middle

 

 

 

“… Questa Guerra ci sta insegnano fin troppo, a mio avviso, e nella maniera sbagliata.

A tutti Noi. Nessuno escluso.

È strano come improvvisamente, in questo luogo sterile, a cui abbiamo tolto e continuiamo a togliere, qualcosa possa germogliare.

O forse crescere.

Non lo so…

Inizio a non comprendere più certe cose. Le banalità della vita quotidiana mi sembrano ora misteri invalicabili; le piccole cose a cui ero abituato, ciò che era scontato, improvvisamente sembrano arcani irrisolvibili.

Loro rientrano in questa categoria. Ma suppongo non sia colpa di questa Guerra.

Credo che sia così per natura o forse per una folle scelta…”

 

 

Rileggere queste righe, ad anni di distanza, è straniante.

Non strano. Non doloroso. Non faticoso. No.

Straniante.

È come se non fosse reale, ma lo fosse; è come se non fosse la mia vita, ma lo fosse; è come se non fossero i miei ricordi, ma lo fossero.

È una giostra sulla quale sono salita più o meno consapevole di quale fosse l’effettivo giro, e dalla quale ho scelto di non voler scendere.

In realtà penso sia molto più facile di così in realtà: è la classica storia del “se ti prendi l’uomo devi prenderti anche tutto ciò che lo accompagna”.

Più basilare di così.

Lo sapevo dall’inizio, questo principio. Sapevo che sposando Lui sarebbe stato un po’ come sposarsi anche Loro – in senso lato magari, ma il risultato è lo stesso.

Dopotutto, è stato il ruolo finale che ho scelto per me: né dentro, né fuori. In mezzo.

In mezzo ad ogni cosa, ad ogni persona. Ad ogni legame.

Incastrata, per mia volontà, tra le volontà altrui.

Incastrata tra Loro.

Ricordo di averLi conosciuti nello stesso modo, anche se in tempi diversi: attraverso una lettera.

Durante il periodo in Accademia, Lui mi scriveva di Lui.

Durante Ishvar, Lui mi scriveva di Lui.

Durante Ishvar, Lui mi scriveva di Lei.

Quando tutto si sia confuso non lo so, forse lo è sempre stato.

Quando tutti si sono confusi non lo so, forse lo sono sempre stati.

Eppure ricordo un episodio, una frase, una richiesta.

 

“Insegni come vivere. Insegnami come vivere in un mondo che non sia Ishvar…”

 

Me lo ha chiesto con la disperazione nella voce, e con il rimpianto negli occhi.

Me lo ha chiesto come un bimbo spaventato dal mondo.

Me lo ha chiesto come un uomo senza più nulla.

Me lo ha chiesto malgrado davanti al mondo fingesse fosse semplice.

 

“Raccontami. Raccontami, ti prego. Raccontami chi sei e chi sei diventato.”

 

Raccontami di te.

Raccontami di chi eri lì.

Raccontami di chi ha camminato al tuo fianco, di chi cercavi gli occhi, di chi c’era quando non c’era nessuno.

Raccontami di Voi.

Questo gli ho chiesto senza cattiveria o gelosia.

E lui parlava di Voi.

 

Ci sono troppi Voi, qui. Troppi legami.

C’è troppo…

 

Vi ho conosciuti dai suoi racconti, dall’affetto delle sue parole, dalle battute irriverenti e dagli insulti affettuosi.

Vi ho conosciuti come la sua famiglia; sgangherata, assurda, piena di buchi, che a malapena stava in piedi e che nemmeno si sognava di definirsi tale. Eppure Vi ho conosciuti.

Poi Vi ho visti, e ho capito che non avrei mai compreso.

Non del tutto. Non veramente.

 

In mezzo a tutto.

In mezzo a tutti.

Il ruolo che ho ritagliato per me.

 

Non ho capito Maes e Roy – fratelli non di sangue, ma di qualcosa che del sangue se ne fregava.

Non ho capito Maes e Riza – estranei che fingevano di essere tali, ma si capivano con uno sguardo.

Non ho capito Roy e Riza – il cui baratro che li separava sembrava infinito, ma che erano così lontani da essere vicini.

Alla fine ho smesso di cercare di capire.

Alla fine ho smesso di cercare una motivazione.

Ma ho imparato.

 

In mezzo a tutto.

In mezzo a tutti.

Il ruolo che ho ritagliato per me…

Perché non c’era posto migliore per assistervi.

 

 

Non sono mai stata un soldato, né un alchimista.

Non conosco il peso della divisa, tantomeno quello della Guerra.

Ma l’Amicizia e l’Amore

Ho imparato con Voi.

Ricordo ancora quel giorno

Elicia era nata da poco, e tra infinite tribolazioni eravate riusciti a venire. Per farci le congratulazioni. Per un abbraccio. Per conoscere la mia bimba.

Ricordo di aver sorriso serena, mentre allungavo le braccia e Riza la accoglieva tra le sue.

Ricordo di aver ridacchiato divertita, quando Roy si è avvicinato e gli è stata gentilmente messa in braccio la bimba, e la sua espressione stranita.

Ricordo il flash della macchina fotografica che ha abbagliato tutti, le espressioni stupite e quel pezzo di carta che sarebbe diventato tra i più importanti.

E ricordo le parole di Maes a loro, la sua richiesta che era anche la mia.

 

“Se qualcosa va storto…”

 

Sarete Voi ad occuparvene.

Non ho mai avuto dubbi. Mai.

Ho sempre detto che non avremmo potuto scegliere persone migliori.

Quella foto, stampata poco tempo dopo, mi ha dato la conferma.

Una famiglia…

Lo sembravate, la sareste stati e lo siete stati.

Anche se il mondo non ne ha mai saputo nulla per molto tempo.

Anche se per anni nessun altro a parte me e Maes ha sentito Elicia dire quelle due paroline.

 

“Zio, mi prendi sulle spalle?”

“Zia, balli con me?”

“Zio. Zia. Mi raccontate una storia?”

 

No, il Mondo non l’ha saputo per lungo tempo.

Ma io sì.

Ma lui sì.

Siete stati per Elicia una famiglia, la stessa che siete stati per Maes. Lo siete stati anche per me.

Ricordo i giorni peggiori, quelli in cui ogni cosa andava nascosta, in cui ogni gesto doveva essere accurato, controllato, studiato.

Ricordo il dolore negli occhi di mia figlia, che non capiva; ricordo le sue lacrime perché pensava di avervi fatti arrabbiare; ricordo che chiedeva di Voi, e io dovevo mentire per tutti.

E ricordo quel giorno

Dimissioni dall’ospedale, ma fasciature che nascondevano ferite ancora sanguinanti.

Il campanello aveva suonato ed Elicia, come suo solito, ch’era corsa ad aprire.

E il silenzio.

Mi ero precipitata spaventata e la mia bimba era al sicuro tra le braccia di Riza, una mano di Roy sulla sua testolina e l’altra che si poggiava delicata sul fianco della donna.

 

“Zio. Zia.”

 

Lacrime visibili.

Mie. Di mia figlia.

Lacrime invisibili.

Roy. Riza.

No, non avremmo potuto fare scelta migliore.

Lo pensavo allora e lo penso oggi.

L’ho pensato quel giorno all’ospedale, quando Elicia ha conosciuto sua cugina.

L’ho pensato quando ho saputo della scelta della mia bambina: la divisa.

L’ho pensato quando si è diplomata e il Comandate Supremo Mustang le ha dato mostrine e diploma.

E lo penso oggi, il giorno del suo matrimonio, mentre c’è qualcuna che la tranquillizza come io non riesco a fare e c’è qualcuno che l’aspetta per accompagnarla verso qualcun altro.

Una famiglia

Sgangherata, assurda, piena di buchi e di rattoppi, che ora sta in piedi e che malgradi non si sia mai sognata di definirsi tale lo è, lo è diventata e lo è sempre stata.

E io sono in mezzo.

Ma non c’è posto migliore.

 

 

 

Angolino dell’Autrice (più o meno):

 

Beh, almeno stavolta sono stata (semi) veloce a pubblicare. Il che potrebbe essere un record xD

Passando alla storia… Immagino che si sia capito chi parla: ovviamente Glacier!

Lo so, ormai qui stiamo alla follia, ma è anche questo il bello xD

Anche in questo caso un capitolo che per certi tratti può ricordare il precedente per stile di scrittura, anche grazie al fatto che passiamo a parlare di terzi in senso generico a sembrare di parlare direttamente con loro. Anche in questo caso come nel precedente è una scelta voluta, studiata e adattata. Nulla viene lasciato al caso (sì, come no! Non ci credo nemmeno io!).

In questo capitolo ho cercato di capire Glacier, la sua vita, i suoi sentimenti, e il suo legame.

Il tutto si risolve in qualcosa che in una certa misura va da sé.

Gran parte delle cose sono frutto della mia fantasia (diciamo un buon 98% dai), tuttavia sappiamo che Maes le scriveva da Ishvar, e mi fa strano pensare che non abbia mai scritto di CHI era lì con lui. Il resto è quasi una conseguenza logica. In una certa misura è quasi una MaesRoyRiza (nella mia mente sono tre personaggi inscindibili, vista Ishvar; perché è lì che loro 3 sono nati come quelli che abbiamo conosciuto noi). Glacier è il quarto elemento, una variabile entrata nel gioco delle parti per Maes, ma che è impossibile scindere dal resto. Così come Elicia.

Nella mia mente Glacier ha il ruolo dell’esterna e dell’interna; è quella che sa ma non sa; è quella a cui racconti ma non racconti; è quella che mette insieme le tessere del puzzle pezzo dopo pezzo, parola dopo parola, azione dopo azione. E non è stupita, ed è vissuta con Maes abbastanza tempo da capirne i legami. Mi piace pensare che lei abbia sempre saputo, ma che abbia rispettato il suo “ruolo” per così dire.

Tutta la questione Elicia è SERIAMENTE nata dalla fantasia, ma un po’ di zucchero non guasta. Nei limiti del possibile. In più l’ho sempre immaginata come una cosa MOLTO possibile.

Questo capitolo in realtà in certa misura sarà ripreso, o almeno saranno riprese alcune questioni qui inserite. Sì, mi piace creare collegamenti pure nelle raccolte che dovrebbero essere fini a sé stesse. Sono un caso disperato.

Infine…

RedLolly! Mi ucciderai a breve perché ancora non mi sono messa a recensire come promesso. Se vuoi ti do l’indirizzo così mi vieni a tirare il collo direttamente (che sarebbe più che giusto). In realtà sappi che sto abbozzando le recensioni, perché un minimo di senso logico in una recensione è d’obbligo. E sappi che sei stata lo sprone per questo nuovo capitolo; mi hai dato la carica che mi serviva. Non so davvero come ringraziarti! Per tutto! Grazie anche per il commento del precedente capitolo. Domani se tutto va bene inizio a mettermi in pari. Incrocio le dita.

 

A presto.

LadyBlueSky

 

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