Jason Grace and … the barbarians

di RLandH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il grosso grasso problema barbaro ***
Capitolo 2: *** I vicini non si scelgono, in particolare quelli che durano un’eternità ***
Capitolo 3: *** Combatti. Muori. Sciaqua. Ripeti. ***
Capitolo 4: *** Jason Grace in Edizione Limitata ***
Capitolo 5: *** Il Barbaro ***
Capitolo 6: *** Quando distribuivano “Buon senso” e “Profilo Basso”, Jason Grace doveva essere svenuto da qualche parte ***
Capitolo 7: *** Il ('Idromele)Party del Piano 20 ***
Capitolo 8: *** Non si va in missione senza una profezia – o i commenti enigmatici di un dio tutore ***
Capitolo 9: *** Un’idea stupida, ma con centrifuga ***
Capitolo 10: *** Il destino dei Nove Mondi può essere sull’orlo del collasso, ma il Karma non perde mai un colpo! ***
Capitolo 11: *** Chalet di lusso dotati di ogni confort per trascorrere vacanze indimenticabili tra Jotun che vorrebbero solo cuocerti allo spiedo. Offerta irripetibile della Utgard.Short.Rent. ***
Capitolo 12: *** Jason Grace spacca il cielo (e poi sviene, ovviamente) ***
Capitolo 13: *** Hai presente tutti quei miti sul non fare infuriare le divinità marine? Ecco, sì, forse andavano letti meglio ***
Capitolo 14: *** Ah, ecco, perché nei libri non ci sono mai due Bob ***
Capitolo 15: *** Be, almeno Jack ci ha guadagnato un appuntamento ***
Capitolo 16: *** Attenzione Spoiler! Anche se effettivamente questo potrebbe essere l’ultimo … ***
Capitolo 17: *** Non fidarti della Strige del Piano Quattrocento-dieci ***
Capitolo 18: *** Signori, Signore ed altre strane entità: è il momento di una crisi di nervi ***
Capitolo 19: *** Stellan si accende come una lampadina due volte, che non è molto, ma è strano che sia successo due volte ***
Capitolo 20: *** Tre dee e una testa ***
Capitolo 21: *** Jason Grace copia spudoratamente Wanda Maximos (non che lui sappia chi sia) ***
Capitolo 22: *** Nico Di Angelo presta la sua tavola Ouija a qualche spettro e una valchiria ***
Capitolo 23: *** Nonna Castoro raccontaci una storia (possibilmente quella del misterioso regno di Saguenay)! ***



Capitolo 1
*** Il grosso grasso problema barbaro ***


Buongiornissimo Kaffèèè … Scrivo così perché oggi è il mio compleanno, quindi sono vecchia, ed ho deciso di premiarmi con questa breve piccola storia.
I capitoli saranno 3, massimo 4 (perché sono prolissa) e sono stati creati con lo stesso concetto di Leo Valdez e … WTF?!?, ovvero come idea carina per una What If (Se può la Marvel, posso pure io).
Differentemente dalla storia di Leo, questa non fa da apripista ad una vera e propria storia, cioè magari se quella di Leo era un Pilot, questa è tipo “un prequelino” caso mai volessi. Ho deciso di spezzarla in più capitolo a causa dell’eccessiva lunghezza che la storia stava prendendo. Comunque, nonostante la storia sia breve, per poter scrivere i prossimi capitolo credo ci vorrà un po’, stesso discorso del Crepuscolo (un mese di fuoco).


Ho scelto Jason perché è un personaggio il cui interesse per me è cresciuto da zero a mille, nel crescendo dei libri.
Quindi sì, questo è un tributo al Golden Boy di Percy Jackson, forse non il migliore, ma prendetelo come tentativo.
Poi, dulcis in fundo, questa storia non è nata da un’idea originale, qualcuno su A3O l’aveva già pensata, vi lascio il link della ff in questione, ma anche solo leggendo l’inizio capirete che a parte l’idea hanno poco altro in comune. In realtà ho scoperto che oltre questa ne esistono ben altre 3 di ff con questo tema, credo pubblicherò questa anche su A3O così saranno quattro.
(Link:
https://archiveofourown.org/works/15756735/chapters/36660399)

Detto queste premesse, spero possiate apprezzare la ff.
Un bacio
RLandH

Ps1- “PICCOLO” SPOILER DI TOA (TBL & TToN) e spoiler minori su MC&TGOA

Ps2 – Ho disegnato (MALE) Thrud: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Thrud-Thordottir-890978835

 

 

Jason Grace and … the barbarians

 

 

Il grosso grasso problema barbaro

 

L’ultimo ricordo di Jason era di essersi preso una bevanda fredda con suo fratello … Apollo, su una spiaggia.
E che era in pace.
Era un bel ricordo, non era come aveva sempre pensato avrebbe virato la sua vita – onestamente aveva cambiato idee più volte su come si sarebbe direzionata la sua esistenza – però era stato bello.
Era morto, ovviamente, quello non era bello, ma era successo.
Jason aveva sognato come sarebbe stato essere vecchio, sposato e con dei figli.
La vita andava come doveva andare.
E lui non aveva rimpiatti – o meglio ne aveva – ma molti meno di quanti pensasse.
Ricordava la morte.
La sensazione di morire.
Apollo al tavolino che lo ascoltava.
Il sorriso divertito della ragazza di nome Silena.
E la pace.

 

Avevi detto che avrei potuto ucciderti io
Quello lo ricordava come qualcosa di distorto.

 

Aveva aperto gli occhi, aveva incontrato il viso pallido di una bella donna, dalla chioma rossa “Ascoltami” aveva detto lei.

Jason aveva cercato di capire che coso stava succedendo.
La prima cosa che aveva messo a fuoco era stata la lama della spada della ragazza sulla sua gola, lei gli era a cavalcioni sul petto, “Un fiato ed una mossa e sei morto” gli aveva impartito.
Jason era sveglio, supino su una superficie morbida e stanco.
Non aveva osato muovere un muscolo dalla minaccia, mentre cercava di elaborare quello che stava succedendo e che poteva fare.
Gli imperatori!
Apollo!
… Piper!
Poteva provare ad evocare i venti e fulmini.
“Non ti farò niente, ma devi ascoltarmi attentamente o entrambi la passeremo male” le aveva detto lei, calma.
“I tuoi amici stanno bene, me lo ha detto Kym” aveva chiarito quella.
“Kym?” aveva boccheggiato Jason, sentendo la pressione della lama sulla gola.
Avevi detto che avrei potuto ucciderti io.
“Kymopoleia[1]. Siamo vecchie amiche, sei qui per un favore a lei” aveva dichiarato quella, “Lei ti vuole vivo” aveva dichiarato la sconosciuta.
“Ma sono morto!” era stata la risposta di Jason, alterata.
“Sì, ma la morte ha tante facce” aveva dichiarato.
“Kymopoleia ti spiegherà tutto ma tu dovrai assecondarmi dopo. Se dirai la verità nulla sarà valso e tu continuerai ad essere morto – in quella maniera sgradevole in cui lo siete voi – ed io non avrò un bel quarto d’ora” aveva chiarito lei.
Jason era rimasto in silenzio.
“Non pensare di usare i fulmini, noi sei l’unico che sa fare questo trucco, comunque” le aveva detto lei e lontano, come un eco, Jason aveva potuto sentire l’eco di un tuono.
“Hai capito?” aveva chiesto quella.
Jason aveva annuito, confuso e disorientato.
“Giuralo su … ehm … su cosa giurate voi?” aveva domandato confuso. “Lo Stige?” aveva provato Jason, “Ecco, sì, giuralo su quello, che non mi contraddirai” aveva detto lei poi.
“E se non lo faccio sono morto?” aveva chiesto Jason pratico.
Di nuovo morto.
Quella aveva annuito. Aveva un viso duro, bianco come l’acqua neve e i capelli biondo ramato, gonfi come un nido di rovi.
Indossava un’armatura, anche se Jason non ne aveva mai vista una così, con piastrine piatte di ferro lucente. Una manica, invece di essere coperta dalla corazza, portava allacciato un mantello, dove sarebbe dovuta esserci una cappa di pelliccia, c’erano piume bianchissime.
Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Jason non aveva capito cosa intendesse, fino a che non aveva sentito il freddo della lama nel profondo, in lui.
Veloce e letale.
Poi era morto.
Ne era stato certo, perché era già morto.

 

Piper era ad un bar, era con Leo, stava raccontando qualcosa di divertente ed il suo amico ascoltava assorto.
Sembravano felici.

 

Si era svegliato di soprassalto, ancora una volta era steso supino su una superficie morbida. Era un letto a due piazze, si era sollevato stordito e confuso, realizzando di essere in una stanza.
Era capiente, sì, più grandi di qualsiasi stanza singola avesse occupato nella sua vita.
Oltre il letto, da due piazze, c’era un angolo cottura, un piccolo soggiorno, che con la camera compieva un unico ambiente.
C’era una finestra, coperta da tende stesse.
La prima cosa che aveva stordito Jason era stato però l’odore delle lenzuola, sapevano di fresco, un odore che Jason associava a qualcosa che non riusciva ad identificare e c’erano lupi sulla federa – nostalgico.
La stanza aveva due porte, una socchiusa dava su un piccolo bagno.
C’era una cassapanca di legno pallido, levigata e liscia, un armadio a doppia anta, dall’aspetto antico, massiccio e di legno scuro, sulle legno davanti era stata incisa finemente un albero rigoglioso, mezzo su un anta e mezzo sull’altra.
C’era anche un camino, senza rialzo e il focolare sul pavimento, coperto da una cappa di mattoni quadrata, prima di essere assorbito nel soffitto in un cono, il mattonato creava un cornicione, che aveva la funzione di mensola, su cui erano state sistemate delle cornici.
Foto.
Una foto dove Jason – perché era lui – piccolo come un bambolotto stava tra le braccia di una sconosciuta, Beryl Grace, anche Thalia era nella foto, minuscola, cinque anni al massimo, mentre la loro madre provava all’obbiettivo un sorriso stanco, la piccola Thalia ne esibiva uno pieno di vita, le mancava un dentino da latte.
C’era una foto sua e di Piper anche, l’avevano scattata dopo la sconfitta di Gea, pochi giorni dopo aver lasciato il campo, quando le cose andavano bene.
Pieni di aspettative per una vita che non si era mai concretizzata.
Fece male.
L’ultima foto non era mai stata scattata, ma Jason fu ugualmente pregno di gioia nel vederlo. Erano loro sette, però c’erano anche Reyna, Nico ed il Coach che sorridevano all’obbiettivo, parevano una schiera di adolescenti normali in campeggio – e un satiro incazzato – in una schiera di arancione e viola.
Quella foto non era mai stata scattata, non erano mai stati tutti assieme.
Non erano mai stati così felici.
Però era bella, perché Jason l’aveva immaginata un milione di volte. C’era anche lui in quella foto, questo lo rendeva più doloroso, perché non sarebbe mai stato così.
E poi c’era l’albero e Jason si era dannato che non l’avesse notato prima, eppure aveva gli occhiali inforcati.
Un angolo del soffitto era sfondato e rami spessi quanto braccia scendevano da lì, quasi invitandolo ad una salita, certo che avrebbero potuto sostenere il suo peso.
Il legno era d’uro, ma splendido, con foglie verdi grandi. Dal foro del soffitto scendeva una brezza piacevole, Jason aveva assottigliato gli occhi per poter spiare meglio, notando che non vedeva piani superiori solo il resto dei rami, lunghi e infiniti.
Fu quasi tentato di arrampicarsi, ma realizzò di non avere armi con se – e non aveva voglia di morire per la terza volta.
Cominciò ad aggirarsi per la stanza e lì sulla cassa-paca trovò la sua moneta, piccola e d’oro come era sempre stata.
Aprì l’oggetto trovandolo pieno di biancheria per la stanza, lenzuola, strofinacci e asciugamani.
Si diresse all’armadio, aprendolo lentamente, c’erano appesi dei vestiti, all’anta suoi, alcune magliette in verde petrolio nuove, tutte recitavano la stessa scritta.
Hotel Valhalla.
Ma prima che potesse interrogarsi su quello, ciò che lo aveva stordito era stata l’immagine restituita dallo specchio nell’anta interna dell’armadio.
Era Jason ma non era Jason.
Era lui, sì, con gli stessi capelli biondi paglierino, la statura, gli occhi blu dietro le lenti di vetro, la stessa montatura d’orata.
Il naso dritto, le spalle … era lui e non lo era.
Mancava quell’infinitesimale piccolo dettaglio della cicatrice, lì sul labbro, quando da bambino aveva provato a mangiare  una cucitrice.
Era una ferita insulsa, una riga bianca appena visibile, ma era sua.
Era la cosa più vecchia che avesse mai posseduto, prima di scoprire di aver avuto una madre, una sorella, che ci fosse stato qualcosa prima della Lupa e di Roma, aveva avuto quella cicatrice.
Era cresciuta con lui.
Sempre sulla sua faccia.
Così il viso, senza di lei, l’immagine che restituiva era estranea.
Si era guardato le braccia ed aveva notato che ogni ferita, ogni graffio, cicatrice che aveva raccolto da che era bambino ed aveva brandito una spada era scomparsa.
Avevano preso Jason ed avevano cancellato tutto quello che ne era stato di Jason.
Ed anche il suo aspetto non sembrava più suo.

Si era allontanato dallo specchio inorridito e si era seduto sul letto, incapace di razionalizzare quello che era successo.
Era morto, lo ricordava, contro Caligola.
La sconosciuta avevano detto che i suoi amici erano salvi, ma poteva essere vero?
Chi era?
Cosa c’entrava Kymopoleia?

Lui era nei Campi Elisi, lo ricordava. Aveva avuto un contatto leggero con suo fratello, una sorta di connessione astrale. Ricordava di aver incontrato Silena ed il suo fidanzato e tanti altri.
Aveva anche giocato a carte con Menelao e Augusto, quell’Augusto.
‘Sono contento che di Roma sia rimasto ancora così tanto di cui andare fiero’ gli aveva detto. Un imperatore di cui essere orgoglioso!
Ed in quel momento nulla aveva senso …
Dal suo vagabondare era stato risvegliato solamente dal bussare contro la porta.
Era rimasto congelato.
Aveva sentito un vociare appena.
Forse non se la sente?’
Forse è solo scioccato e non sa che sta succedendo?’

“Avanti” aveva miagolato Jason, recuperando dalla tasca dei suoi jeans, la moneta, pronta a lanciarla in alto.
“Imbarazzante ma se non mi apri non posso entrare” aveva risposto una delle due voci, con un tono più alto, era un ragazzo.
Jason si era alzato con fatica, con i riflessi tesi e la mano pronta al lancio ed aveva raggiunto la porta.
Dietro l’uscio c’erano due adolescenti.
Un maschio ed una femmina. Lui era alto, con le spalle larghe e i bicipiti prominenti, occhi verde pistacchio, pelle diafana e capelli biondo dorato, stretti una treccia che partiva dalla sommità del capo e scendeva sulla schiena, alla maniera di un moicano, rasato ai lati.
Lei era il suo opposto, tranne per l’altezza, era slanciata, ma scura, con un viso morbido, lunghi e sciolti capelli neri, composti da ricci stretti e leggeri.
Aveva occhi castani dolci.
Entrambi indossavano la maglietta verde greggio con la scritta Hotel Vallalah.
“Ecco, io e Mel ti abbiamo preparato dei muffin, pensavamo potessi averne bisogno” aveva detto amichevole lei, allungando verso di lui un cestino, coperto da un fazzoletto. “Oh meglio, io ho fatto i cestini e Mel ha fatto i muffin, è bravo” aveva cinguettato poi.
Mel, il ragazzo era arrossito.
“Sì, ehm … io sono Thumelicus, sì lo so è latino, ma è una lunga storia[2], chiamami Mel, mi chiamano tutti Mel e lei è Madina” aveva parlato di nuovo il ragazzo.
“Jason” aveva risposto meccanico lui, mentre prendeva il cestino offertoli dalla ragazza.
“Devi essere parecchio confuso, eh” aveva valutato Mel.
Jason aveva annuito, sincero.
“Confuso molto, ma devo ammettere che svegliarmi in luoghi sconosciuti senza avere idea di come ci sia arrivato, mi è in realtà famigliare” aveva scherzato.
Osservando poi l’espressione stranita dei due avventori.

 

 

“La prima cosa da accettare è che sei morto. Probabilmente sei morto facendo qualcosa di eroico, difendendo qualcuno, aiutando qualcuno …” aveva cominciando Madina, a raccontare, dopo che si erano accomodati nel piccolo salottino sul divano di quella che – da quel momento – doveva essere la stanza di Jason.
“O semplicemente con una lama alla mano, abbastanza perché fosse ritenuta eroica” era intervenuto Mel cominciando a spostare la carta da uno dei muffin che aveva portato.
Jason aveva ricordato le parole della sua – seconda assassina – “Io non credo di ricordarlo bene” aveva cominciato a dire, non sapendo come doversi destreggiare.
Non era un bravo bugiardo, perché non era un bugiardo.
Si era limitata ad imitare come si era comportato naturalmente, la volta scorsa.
“Ero con la mia  … ex-ragazza, mio fratello ed una sua amica …” aveva detto alla fine Jason, niente di tutto questo era una menzogna alla fine.
Madina aveva sorriso con gentilezza, “Non ti preoccupare, la tua valchiria dirà tutto a cena” lo aveva tranquillizzato, con molta allegria, “Adoro sempre il momento della Valchiria” aveva aggiunto, accomodandosi affianco a Jason sul divano.
“Valchiria?” aveva chiesto Jason.
“Le guerriere che raccolgo le anime degli eroi” aveva spiegato Madina come se fosse stato ovvio.
“Sì. La Valchiria che ha raccolto la tua anima mostrerà a tutti le tue gesta! Vedremo probabilmente a grande schermo la tua morte, non è piacevole, ma è intrattenimento. Comunque, sii contento, non sei morto sei un Einherjar, uno dei guerrieri immortali di Odino. Sei morto, sì, ma sei nella forma migliore possibile” aveva detto orgoglioso Mal.
Odino?
Odino era una divinità nordica, “Odino, tipo il padre di Thor?” aveva chiesto Jason.
“Sì, ma non come nella versione della Marvel. Più … ambiguo” aveva risposto Madina, poi avevano proseguito il loro discorso.
Jason era un einherjar ora, un guerriero immortale, ogni giorno doveva combattere nei campi in preparazione del Ragnarok – la fine del mondo – e mangiare alla tavola di Odino.
Non erano richieste altre funzioni.

“Quindi è una specie di aldilà” aveva valutato.
Era ancora morto.
Solo che sembrava terribilmente vivo, era difficile da spiegare, quando si era trovato nei Campi Elisi, non si era sentito così, si era sentito leggero, privo di ogni mal pensiero, ogni dubbio, incertezza, dissipato.
Era come vivere a mollo, nella gioia. In quel momento si sentiva vivo. Nella sua peggiore forma di vità.
“Si, solo che ecco, è un aldilà molto aldiquà” aveva dichiarato Madina, “Pensa che alcune volte riusciamo anche a farci una scampagnata per i nove mondi, sì, ne esistono nove. Midgard è comunque il più bello” aveva esclamato lei.
“Per questo ci teniamo aggiornati su come funziona il mondo” aveva stabilito Mel, ingurgitando un altro muffin, “Altrimenti saremmo un po’ indietro. Madina è nata nel milleseicento ed io sono un po’ più vecchio” aveva raccontato lui.
“Poi, sarà che sono figlia di Ullr – un dio norreno, quello dello scii[3] – ma combattere, a me, diverte proprio, è una vera botta di adrenalina!” aveva raccontato Madina, “A me no, infatti non vengo a combattere tutti i giorni, siamo così tanti che non se ne accorgono mica” aveva dichiarato Thumelicus.
“Comunque tranquilla a cena Odino e gli altri responsabili, racconteranno tutto molto meglio, anche i nostri doveri” aveva detto la ragazza, lanciando uno sguardo piuttosto critico all’amico.
Mel aveva riso con imbarazzo.
“Scusa, porto i segni di una vita con un’arma alla mano” si era difeso il ragazzo, alzando ambedue le mani.
Nonostante la sua affermazione, aveva la carne liscia priva di qualsiasi imperfezione.
Nessuna ferita, nonostante a loro dire combattessero ogni giorno.
“Mi è sparita una cicatrice” si era lasciato sfuggire, toccandosi poi con le dita li dove sapeva dovevano esserci i resti della sua impresa con la spillatrice.
“La trasformazione in einherjar cura tutte le tue ferite, letteralmente[4]” aveva raccontato Mel.
Madina aveva allungato una mano verso il suo amico, lui si era sfilato dallo stivaletto a mezza-gamba un coltello dalla lama sottile e le aveva tagliato il palmo della mano, secco. Lei aveva emesso un lamento, ma aveva cercato di non sgocciolare su Jason, sui muffin o sulla tappezzeria.
Jason aveva potuto osservare come il taglio, marginale, si fosse rimarginato in fretta sulla pelle della ragazza.
Mel aveva ripreso a parlare: “Di solito non è sempre così veloce, il taglio era superficiale e Madina è una semidea, loro ci mettono meno tempo” aveva chiarito subito lui.
Anche lui era un semideo.
“Questo, Jason, vale per tutte le ferite” aveva dichiarato lei, “Anche fuori di qui, siamo più veloci a rimarginare le nostre ferite, siamo difficili da riuccidere” aveva specificato.
“Ma fuori di qui siamo assolutamente mortali” aveva chiarito immediatamente Mel, “Se muori, bang, la tua anima … ehm … si dissolve? Finisci nel regno di Hell? Non ci teniamo a scoprirlo.
Jason aveva battuto gli occhi.
Madina aveva continuato il discorso del suo amico, “Ma qui dentro siamo praticamente immortali, si rimarginano ogni ferita, anche quelle letali. Letteralmente moriamo e torniamo in vita. Non è sempre bellissimo, come processo, ma prima ci fai l’abitudine, meglio è. Anche perché preparati per i prossimi dieci anni morirai un bel po’ di volte. Le battaglie sono un casino” aveva raccontato allegra lei, con gli occhi lucenti.
“Ora, forse, ti lasciamo ad elaborare le informazioni” aveva cominciato Mel, ma Jason aveva indicato loro l’albero che irrompeva nella sua stanza.
Così era cominciata un’altra serie di nozioni utili e terribilmente confusionarie.
Quello era l’Yggdrasil l’albero del mondo, che sorreggeva tutti i mondi. “Quando diventi esperto è un buon modo per spostarsi, ma ecco, non te lo consiglio. L’Yggdrasill è animato da creature non troppo amichevoli e se dovessi cadere da lì finiresti nel Ginnungagap. Il nulla” aveva detto gentile Madina.
“Adesso, ha ragione Mal, ti lasciamo elaborare. Così ti presentiamo anche gli altri abitanti del nostro piano, siamo al ventesimo” aveva aggiunto la ragazza.
“Sì con te siamo ufficialmente cinque, possiamo finalmente organizzare una partita di calcetto” aveva scherzato Mal, “Se non fosse che Fred non esce mai” aveva aggiunto con un tono più cupo.
“Ti richiamiamo per la cena va bene?” aveva chiesto invece Madina alzandosi, “Uhm, ecco, puoi fare un giro, ma fai attenzione ogni porta potrebbe portarti potenzialmente in un mondo pericoloso …” aveva aggiunto lei con imbarazzo.
“Grazie” aveva risposto solamente Jason. Stanco.

Aveva scoperto che il suo bagno aveva una vasca e memore dei tempi a nuova Roma ne aveva approfittato.
Era finito nell’oltremodo norreno, per desiderio di Kymopoleia.
Stava mentendo a tutti, perché glielo aveva detto una sconosciuta.
Ed era comunque morto, ma non abbastanza.
Sentiva la mancanza dei Campi Elisi, più della sua vita, più dei suoi amici … era strano, no?
Ma Jason aveva avuto l’impressione che tutta la sua vita fosse un conflitto, una sfida, una fatica e finalmente aveva potuto liberarsi ed in quel momento, eccolo, a combattere per il resto della sua vita fino alla fine dei tempi.
Perché?

Si era ammollato nella vasca, quando avevano bussato nuovamente alla porta, Jason si era mosso meccanico, per andare ad aprire, con l’asciugamano allacciato alla vita e gli occhiali dimenticati sulla cassapanca. Ci vedeva ugualmente, bene, abbastanza da aver creduto per una vita di vederci, ma ora si rendeva conto che la sua vita era un filo appannata.
Straniamento quello la resurrezione non lo aveva curato.
“Oh, Wotan!” aveva esclamato Thumelicus quando lo aveva visto, “Scusa ero in … bagno” si era giustificato Jason, “Nessun problema, solo che è la tua grande serata e dobbiamo andare” aveva detto quello, grattandosi il capo.
Lui aveva annuito, recuperando dei vestiti nell’armadio, aveva imitato Mel ed aveva messo la maglietta dell’hotel, sembrava un po’ come quella del campo, di appartenenza.
Thumelicus gli aveva sorriso, poi erano uscita dalla stanza, Jason aveva osservato un lungo corridoio, con moquette ed una fila di porte che sembrava tendersi verso l’infinito.
Il suo cicerone aveva cominciato ad indicare il suo ingresso, quello di Madina e degli altri due avventori.
Si era fermato davanti ad una porta ed aveva bussato, carico di aspettative.
Nessuna risposta.
“Fred, sono io Mel. Sto andando a cena, c’è anche Jason, quello nuovo, e la sua gran serata … non è che vorresti venire?” aveva chiesto Mel con aspettativa, “Le ragazze ne sarebbero contente” aveva aggiunto.
Era seguito del teso silenzio e poi una risposta, “No, je … io credo resterò qui …” piano, con lo stesso tono miagolato di un gatto.
Thumelicus aveva chiuso gli occhi e sul viso si era dipinta un’espressione sconfitta.
Il ragazzo si era staccato ed aveva invitato Jason a seguirlo, “Uhm … Fred non esce molto. Ogni tanto lo fa, siamo un po’ preoccupati che si dissolva. Può succedere” aveva raccontato quest’ultimo.

Avevano preso un ascensore e Mel aveva digitato uno dei primi piani, sebbene l’ascensore avesse trovato il suo arresto subito dopo di loro.
Nel cubicolo erano entrati un ragazza che aveva ricordato a Jason immediatamente Rachel, con un sorriso sbarazzino ed una matassa di riccioli rossi, sebbene se soluzioni finissero lì, ed un ragazzo dall’incarnato scuro, i riccioli, una baionetta legata alla schiena e vestito come se fosse uscito da una ricostruzione della guerra di secessione, per quanto fosse probabile fosse uscito direttamente da lì.
“Oh ciao, Mel, nuovo vicino?” aveva chiesto subito quello.
“Sì. Jason loro sono Tj e Mallory, diciannovesimo piano, praticamente delle leggende qui[5], più di Leif Eriksson e suo padre” aveva dichiarato Mel, con un sorriso bell’allegro.
“Devo dire che non ho idea di chi sia” aveva ammesso Jason.
Mortale, indovino? Hai proprio la faccia da mortale” si era inserita Mallory, con un sorriso da rana, l’amico le aveva tirato un buffetto con il gomito.
Jason aveva ricordato le parole della sconosciuta, annuendo, pieno di vergogna per la sua stessa menzogna. “Leif Eriksson è stato il primo europeo a giungere in America, ben quattro secoli prima di colombo” aveva spiegato subito Tj. “Lo vedrai a mensa, siede al tavolo di Odino!” aveva aggiunto Mel, “Mi ricordo ancora quando è arrivato” aveva scherzato poi.
Jason iniziava a farsi l’idea che non fosse solo un po’ più vecchio di Madina.

 

La sala da pranzo era enorme, piena di tavoli con altrettante persone, creando un mare di teste, su cui sopra scivolavano nell’aria splendide fanciulle.
Valchirie, le aveva definite Mel.
La sala era dominato da un enorme albero d’oro, il più grande e bello che Jason avesse mai visto, che faceva pendent con il soffitto tempestato da tondi clipei dorati.

Il tavolo addossato alla parete era il più evidente, era rialzato rispetto gli altri. Il posto centrale era occupato da un vecchietto, con il sorriso arzillo e l’occhio coperto da una benda. Doveva essere Odino, il patriarca della mitologia norrena, lo Zeus degli altri. La cosa che spiccava di più era sicuramente l’abbigliamento da allenatore di football che avrebbe trovato l’approvazione di Coach Hedge ed i due corvi, neri e grossi, appollaiati sulle sue spalle. Al suo fianco, era una corte di altri signori, più o meno pittoreschi.
“Quello è Wotan, padre-tutto, signore degli Asi e fondatore del Valhlala” aveva dichiarato subito Mel.
“Pensavo si chiamasse Odino” aveva commentato Jason.
“Oh, sì, giusto è il nome ehm … scandinavo. Io appartengo ai cherusci ed uso il nome nostro” aveva dichiarato.
“Sono un popolo germanico, vero?” aveva chiesto Jason, se li ricordava i cherusci, per un fatto storico, che dopo milleni Roma non aveva ancora superato[6].
Mel aveva sorriso, “No. Sono i Romani ad averci chiamato così, germani. Però sì era un popolo, oltre il Reno, se lo ricordano in pochi” aveva raccontato poi il germano.
Jason aveva chiuso gli occhi per un secondo.
La sconosciuta aveva detto di mentire. “E cosa sono gli Asi?” aveva chiesto per non entrare nel discorso della romanità.
“Gli dei, gli dei della guerra, ci sono Asi e Vani, diciamo che gli Asi comandano, circa, cioè non credo che qualcuno lo direbbe mai ad alta voce a portata di orecchio della divina Freya[7]” aveva risposto con allegrezza Mel, mentre lo guidava tra il dedalo di tavoli, appena dopo essersi congedati da Tj e Mallory.
“Quelli accanto ad Odino sono i Thegn, gli alti funzionari, sono tutti uomini che Odino ha scelto personalmente, quello lì, è proprio Leif” Mel aveva indicato quelli che sedevano al tavolo di Odino, anche se Jason non era riuscito a distinguere bene quale fosse il famoso Leif Eriksson.
Però aveva riconosciuto subito Madina, che sventolava una mano verso di loro.

Non era sola al tavolo, con lei c’era un’altra ragazza, era di origine nativo americane, ma era diversa da Piper, quello fu il primo pensiero di Jason. Aveva il viso piatto, gli occhi allungati, verso la forma di una mandorla, l’incarnato caramello e capelli nerissimi, lisci e dritti.
“Oh, tu sei quello nuovo!” aveva canticchiato lei, sorridendo, aveva labbra sottili, allungando una mano verso di lui, indossava guanti imbottiti.
Differentemente da loro non aveva la maglietta verde bottiglia, ma sfoggiava un abbigliamento di pelliccia ed una collana con le perline.
“Io sono Astrid” si era presentata.
Non era un nome che si aspettava, doveva ammettere.
“Jason” aveva detto lui, stringendole le mani.
“Spero Jason che la tua morte eroica non sia stata una casualità, perché noi, piano venti, abbiamo il minor numero di morti in battaglia e voglio tenere questo record” aveva dichiarato Astrid con fermezza.
Madina aveva scosso il capo sconsolato, “Scusala, Jason, Astrid è molto competitiva” aveva provato a giustificare l’amica.
“Anche oggi Fred non viene?” aveva chiesto, invece, Astrid, a Mel, ignorando Madina..
L’altro aveva fatto un cenno di diniego.
Astrid aveva arricciato le labbra contrite, infastidita da quella notizia, prima di distogliere l’attenzione della conversazione muta che stava avvenendo tra Mel e Madina.
“So combattere” le aveva detto Jason, insicuro anche del perché l’avesse fatto.
Astrid aveva annuito, “Bene, perché noi due passeremo molto tempo assieme, come puoi immaginare” lo aveva avvertito lei, con una mano aveva fatto cenno ai due loro commensali.
Mel e Madina erano ancora assorti in una conversazione fitta, sottovoce, composta di gesti e sguardi.
Ah, erano una coppia!
Oh. Madina era lì almeno dal mille-e-seicento.
“Hai dovuto fare da reggi candele” aveva valutato Jason.
Il suo pensiero era andato a Leo, che aveva sempre vissuto male quella situazione.
Leo, chi sa se avrebbero potuto rincontrarsi. Madina e Mel avevano detto che di tanto in tanto potevano uscire.
 “Quattrocento anni” aveva risposto Astrid, anche se non era una domanda, mentre sfilava da una delle bretelle di cuoio quello che aveva tutto l’aspetto di un corno potorio. “La mia fortuna che avevo questo” aveva dichiarato lei, “Lo avevo addosso quando sono morta, ospita molto più idromele dei bicchieri che danno qui” aveva stabilito.
Jason non era sicuro fosse una battuta perché il viso di Astrid era rimasto ieratico.

Odino aveva attirato l’attenzione di tutta la sala, aveva delle notizie interessanti prima di procedere con il pasto e con l’usuale giornaliero bagno di sangue.
“Prima di tutto accogliamo i nostri nuovi ospiti” aveva stabilito, lasciando la parola ad un uomo che si chiamava Helgi, che Mel subito si era predicato nello spiegare fosse il receptionista dell’hotel e uno dei guerrieri dell’elite.

“Sarah Topika” aveva chiamato quello.
Da un tavolo si era alzato una giovane donna, più grande di Jason, aveva occhi grandi di un nero profondo, l’incarnato caffè-latte e i capelli tinti di un biondo piuttosto accesso. La donna aveva un espressione piuttosto confusa, differentemente da Jason lei doveva essere una mortale in tutto il suo splendore.
“Ora, visioneremo dalla Valchiria-Cam la tua eroica morte, Sarah” aveva detto Hodi.
Vicino al tavolo, dal cielo era scesa una ragazza, “La Valchiria che ha raccolto la tua anima è Samirah Al-Abbas” nel dire quell’ultima cosa, si era levato dall’intera sala un brusio di applausi e fischi.
Jason aveva guardato la ragazza incriminata.
Poteva essere una sua coetanea, aveva un hijab verde, con una fantasia di fiori rosa, che copriva il capo, lasciando scoperto un viso bronzeo con un espressione soddisfatta.
Gli abiti assolutamente civili, erano nascosti dietro un armatura con placche argentee sottili … come quelli della sconosciuta.
La ragazza che lo aveva salvato-ucciso era una valchiria.
Samirah aveva premuto qualcosa sulla sua armatura e subito davanti ai loro occhi aveva proiettato qualcosa.
Sembrava come un ologramma.
C’erano due bambine che piangevano, una era quasi adolescente, ma non esattamente e l’altra era più piccola, Sarah era già ferita, ma brandiva tremante un coltello contro qualcuno.
L’uomo si era fatto avanti, Sarah non era arretrata.
L’uomo le era balzato addosso, c’era stata una colluttazione, era durante un po’ , in qualche modo l’uomo aveva preso il coltello ed aveva ferito Sarah al ventre, le ragazzine avevano urlato.
Poi era successo qualcosa, c’era stato un po’ di disturbo nella ricezione.
Quando la telecamera era tornata a registrare,
Sarah era livida, abbracciata alle ragazzina più piccola, la più grande era il telefono, forse a chiamare i soccorsi.
Una figura si era affacciata nella scena, era stata molto veloce – ma brillava di luce dorata[8] – ed aveva dato a Sarah il coltello da stringere nella mano.
La visione si era interrotta, mentre la donna spirava per la ferita ed anche lei si illuminava di una forte luminescenza aurea.
Helgi aveva sbuffato, esausto, che a Jason aveva ricordato Chirone, mentre Odino aveva ridacchiato.
“Valchiria, questo intervento è … irregolare” aveva dichiarato Hodi stanco, ma il sorriso soddisfatto di Samirah non aveva fatto una piega.
“Lei può fare tutto quello che vuole, praticamente, non sarà una valchiria per sempre ed ha il bonus dell’aver salvato il mondo … due o tre volte” aveva commentato Mel.
“Io adoro la Valchiria-Cam di Samirah, c’è sempre qualche irregolarità[9]” aveva aggiunto Madina, battendo le mani sul tavolo.

Jason aveva guardato Sarah, era pallida e delle lacrime solcavano il suo viso, “Non ti preoccupare Helgi” aveva preso la parola Odino, “Non possiamo che riconoscere il coraggio mostrato da questa giovane donna, nel proteggere quelle due giovani. Erano le tue figlie?” aveva chiesto poi il padre degli dei alla diretta interessata.
“Le mie nipoti” aveva miagolato Sarah.
“Sei morta combattendo, sei morta valorosamente e con un’arma alla mano, Samirah non è stata forse molto ortodossa” Odino aveva fatto una pausa scoccando uno sguardo alla valchiria, che ora sembrava molto meno convinta, e fischiettava guardando in un’altra direzione, “E neutrale. Ma questo luogo è ora la tua casa. Benvenuta nella nostra Sala” le aveva detto, alzando un calice.
Un’altra valchiria aveva subito allegato alla donna un calice con cui brindare, che quella aveva accettato tremante.

Helgi aveva chiamato un’altra anima, con un nome per Jason impronunciabile, questa volta si era alzato un ragazzo, giovane come Jason, con i capelli neri lisci ed il trucco sugli occhi ed una maglietta di una band metal, aveva un’espressione dura ed arrabbiata, ma quando la valchiria che l’aveva salvata – una dodicenne con un sorriso frizzante – si era subito addolcito.
Il ragazzo aveva aiutato dei suoi compagni ad uscire da una finestra, mentre la loro scuola era in fiamme, era morto poi per l’esalazione del fumo, ma l’aveva fatto con il coltellino svizzero alla mano.
Anche lui era stato accolto nella Sala.

Jason aveva cominciato a sudare freddo, cosa avrebbe inventato la sua valchiria, per lui …?
Helgi aveva ripreso a parlare:
“Jason Grace” il suo nome non gli era mai parso più estraneo.
Astrid gli aveva messo una mano sulla spalla e lui si era alzato.
Percepiva tutti gli occhi dalla sala su di lui.
Tutti.
Nel mentre davanti al tavolo di Odino si era palesata la sua misteriosa salvatrice.
“Oh, Thrud Thordottir, non porti molto anime tu …” aveva valutato Helgi. Lei aveva ridacchiato, prima di voltare il viso verso Odino.
“Oh, nonno!” aveva chiamato subito, con un tono in falsetto e bambinesco.
Solo quando era stato appellato, Jason aveva notato che Odino aveva tolto l’occhio sano dalla sua figura per guardare quella che doveva essere sua nipote. “Durante il mio salvataggio, la Valchiria-cam è rimasta … ehm … distrutta” aveva dichiarato Thrud, fingendo vergogna.
Si era sollevato un brusio per la sala.
“Questo è altamente irregolare” aveva commentato uno dei thegn di Odino, mentre il tavolo principale cominciava a confabulare tra loro.
Jason aveva un problema.
Lo stava capendo.
Aveva vissuto abbastanza situazioni disagianti da riconoscere un problema quando lo vedeva.

 




[1] La sorellastra di Percy, conosciuta da lui e Jason in TBOO

[2] Thumelicus è la versione latina di un nome germanico che dovrebbe essere Thumelik, credo. Ma ehi.

[3] NON STO SCERZANDO. Ullr è conosciuto come il Dio che Scia (ed è rappresentato con gli scii) ovviamente anche dio con l’arco ed altre cose fighe. MA IL DIO DELLO SCII, PLS.

[4] Magnus lo descrivere simile al processo di Captain America prima e dopo il siero (quindi in realtà che corregge ogni cosa). Nel suo caso lui si era anche irrobustito, Jason era nella sua forma migliore già di per se, quindi capita solo questo. Uhm, ho pensato di lasciargli gli occhiali, perché sì. Ma se ci pensiamo Jason non si era mai accorto di averne bisogno, quindi non so … essendo stati donati da un Dio mi piaceva l’idea che ne avesse davvero bisogno.

[5] Sono due personaggi cardine di MC&TGOA

[6] 100 punti a chi indovina! Indizio: Teutoburgo!

[7] La mitologia Norrena divide il pantheon in Asi e Vani, che sono due stirpi in guerra, che poi hanno fatto pace. Gli Asi sono le divinità bellicose, mentre i Vani sono le divinità della natura (conosciamo poche divinità vani, che però sono state adottate nel pantheon Asi, tra queste quella figona di Freya).

[8] Le Valchirie sono in grado di vedere I Guerrieri destinati al Valhalla di luce dorata; perciò, qualcuno è intervenuto (coffcoff*Alex*coffcoff)

[9] Questo è un inside Joke, nella saga di Magnus, Samirah (che è viva, quindi invecchia, perciò non sarà sempre una valchiria) porta tre anime nel Valhalla e non va mai liscia. Quindi pensavo di continuare così, inoltre, Samirah è implicitamente la valchiria preferita di Odino, quindi …

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Capitolo 2
*** I vicini non si scelgono, in particolare quelli che durano un’eternità ***


BUONSALVE.
Dopo una scarpinata infinita, una giornata folle, una notte insonne, un esame passato, un girovagare senza metà ed un rientro, sono pronta a mettermi nel letto e dormire per le prossime settantadue ore.
Però ho deciso anche di aggiornare.
Un capitolo un po’ più ferraginoso di quello precedente, che in realtà comprenderebbe una seconda parte che avverrà più avanti (ahimè i miei buoni propositi mi stanno abbandonando per la lunghezza) non sto “complicando” la storia, sto solo allungando i tempi di scrittura (della trama). Ad un certo punto ho realizzato: ho creato degli oc ed ho deciso di usarli e caratterizzarli meglio (non tutti, non sarebbe possibile).
Insomma sì questo capitolo parla un sacco dei nostri simpatici nuovi personaggi.
Vorrei ringraziare chi ha letto, ma soprattutto Farkas per la recensione.
Buona Lettura

Ps – Eccovi, qui, una simpatica Astrid https://www.deviantart.com/rlandh/art/Astrid-891761787

 

 

I vicini non si scelgono, in particolare quelli che durano un’eternità

 

 

La sala era avvolta in un discreto brusio.
La valchiria Thrud aveva un’espressione mortificata sul viso giovane.
Jason era granitico.
Cosa doveva fare?
Thrud aveva detto di non contraddirla, ma Thrud l’aveva ucciso.
Il padre dei numi (Jason si chiese se era corretto chiamarlo così), d’altronde, era tranquillo ed aveva sorriso accomodante a sua nipote.
Anche Thrud aveva ricambiato il gesto con il nonno.
“Potremmo fare come ai vecchi tempi” aveva proposto il signore degli Asi.
Altro mormorio si era alzato nella sala.
“Come ai vecchi tempi?” aveva chiesto uno dei Thegn, sembrano tutti sconvolti dalla proposta.
Thrud aveva preso la parola, “Certo, mio nonno, il saggio Odino, propone, per una volta di ritornare alle care vecchie usanze ed io potrei raccontarvi le eroiche gesta che Jason Grace ha compiuto” aveva ghignato Thrud.
Ricordava quello che le aveva detto: Tienimi il gioco.
Non aveva solo messo Jason in pericolo, ma anche se stessa.
“E come sapremmo se sono vere?” aveva chiesto qualcuno dei Theng.
“Nobile Jim Bowie, tu accusi me? La figlia di Thor e Sif? Di poter mentire davanti questa sacra Sala?” aveva chiesto con esagerata scena la ragazza, “Mi sento offesa! Come Valchiria, donna e discendente di Padre-tutto” aveva dichiarato poi Thrud, portandosi una mano al petto.
L’uomo che aveva parlato, non più così giovane, con i basettoni calcati e l’espressione d’un uomo che avrebbe voluto essere in qualsiasi altro luogo che lì.
“Non mi permettere Mia Signora” aveva dichiarato Jim Bowie, mortificato, sedendosi di nuovo al suo posto.
La valchiria aveva perso la sua espressione da bambola frastornata, per riprendere su un certo compiacimento.
Jason aveva sentito sospirare Astrid, le aveva lanciato uno sguardo ed aveva visto la ragazza nascondere il viso dietro una mano.
“Io lo dico sempre, momento migliore della giornata” aveva esclamato Madina senza perdere il sorriso allegro.

Thrud aveva gli occhi di tutti addosso, ma non sembrava affatto turbata da questo, aveva giocato appena con la punta della sua treccia, come a simulare un nervosismo che non aveva. A Jason aveva ricordato Drew Tanaka, la sorellastra poco gentile di Piper, per quel suo modo di fare così calcolato.
“Spero non vi dispiaccia se non sarò molto poetica, ho tristemente ereditato l’arte oratoria da mio padre” aveva cominciato subito Thrud, strappando una risata divertita dall’intera sala.
“Dunque, in un caldo giornata estiva sono stata attirata dal nostro Jason Grace, vi basta guardarlo per capire perché” aveva aggiunto la valchiria, sollevando la mano verso di lui.
In quel momento erano tornati tutti a puntare gli occhi su Jason, che si era sentito con le guance in fiamme, sicuro di essere rosso.
Aveva sentito Mel e Madina sghignazzare, da un tavolo non lontano qualcuno aveva anche fischiato.
Thrud aveva sorriso, con una punta di divertita cattiveria ed aveva ripreso.
“Quindi eccolo Jason Grace, in compagnia nella sua bella fidanzata” aveva ripreso a parlare Thrud.
Il suo primo pensiero era andato a Piper, con quel suo modo che aveva preso a guardarlo nell’ultimo periodo, come se avesse voluto dire qualcosa ma come se le sue labbra fossero incapaci di tradurre i suoi pensieri e il dolore che aveva nel pensare a lei.
E quell’immagine di Piper e Leo al bar, come comuni adolescenti.
E poi … poi aveva pensato che aveva raccontato a Mel e Madina di essere con Apollo e Meg, anche se non gli aveva nominati.

Thrud aveva ripreso, “Dovevano incontrarsi con il di lui fratellastro, Lester ed una sua buon’amica, ma … ecco, che il nostro impavido futuro eroe affronta un problema che non aveva calcolato.
C’è questo uomo … un bruto, per quanto appaia raffinato. Peccato la mia camera si sia rotta, lo avreste apprezzato” aveva ghignato lei.
C’erano state un’altra serie di risatine divertite nella sala.
Stava parlando di Caligola …
“Oh, il bruto voleva qualcosa da loro, qualcosa di bello e di dorato” aveva scherzato la valchiria, facendo una pausa, aveva sollevato le mani all’altezza del viso, circa, con i palmi rivolti verso il basso, poi aveva fatto tremolare le dita, per creare atmosfera, che era stato seguito da una serie di ‘uhh’ e ‘ohh’ dei commensali.
Elios ed Apollo. Thrud stava facendo riferimento al suo fratellastro e al titano.
Qualcosa di bello e dorato, scommetteva che Apollo avrebbe apprezzato sicuramente la definizione, scommetteva anche che avrebbe apprezzato anche Thrud.
La valchiria aveva ricominciato a parlare, “Allora, ecco, Jason impavido è già pronto a parare la sua bella, lei di rimando non è da meno. Ottimo gusto, signor Grace, a proposito, una che probabilmente tra qualche anno la ritroviamo qui in sala” aveva scherzato quella.
No, no, Jason voleva che Piper diventasse vecchia, rugosa e grigia e andasse nei campi elisi, nella pace, dopo una lunga vita. “E tra lui e lei, il belloccio se la passa proprio male, le sue navi pure peggio – ebbene sì uno di quei fastidiosi magnati convinti di avere il mondo tra le mani perché manovrano quello che ritengono l’unico metallo importante … l’oro” – c’era stato un momento di pausa, che aveva procurato degli ululati in sala.
Tutti gli occhi erano per Thrud, tranne qualcuno. Jason aveva riconosciuto al tavolo di Mallory e TJ, altre persone, tra di esse una di loro la stava guardando. Non gli era chiaro se fosse un uomo o una donna, aveva un visetto vispo e bello, lo stesso sguardo divertito di Thalia quando aveva un’idea, con due scintillanti occhi diversi.
“… Lo scontro e aspro, brutale. E Jason muore lì, su quella spiaggia e io lo raccolgo luminoso d’oro come la luce d’un faro nell’aspro oceano. Non potevo lasciare un’anima così luminosa a quell’accattona di Ran”, evidentemente Jason si era distratto durante la sua epica morte, ma dalle facce degli avventori, che lo guardavano annuendo, sembravano tutti piuttosto soddisfatti della sorte che Thrud gli aveva dato.
“Mi pare giusto” aveva commentato dall’altro del suo scranno Odino, Jason era quasi certo di aver visto uno dei suoi corvi annuire.
Thrud aveva sorriso al commento del nonno.
“Ma che arma aveva?” aveva strillato qualcuno, Jason aveva cercato nella sala chi aveva parlato.  Era un uomo, aveva il viso sbarbato ed i ricci scuri e nerissimi, aveva un accenno di gobba ma della fierezza nello sguardo, perdeva un po’ di regalità perché indossava anche lui l’armadietto verde petrolio.
Se Thrud fosse stata colta in fragrante, avrebbe dovuta essersi ripresa in fretta, “Ottima domanda, Richard!” aveva canticchiato lei, “Forse una valchiria un po’ irriverente potrebbe aver fatto cadere la sua lama” aveva dichiarato con un certo divertimento Thrud, strizzando l’occhio all’uomo.
Helgi aveva aperto la bocca forse per esclamare quanto tutto quello fosse altamente irregolare, ma Odino l’aveva preceduto, “Bene, bene” aveva stabilito.
Jason Grace, benvenuto!” aveva stabilito padre-tutto.
C’era stato un applauso e Jason aveva potuto sedersi nuovamente al suo posto.
Per quella sera ne era uscito illeso.

“Questa volta Samirah è stata derubata della gloria” aveva scherzato Madina, “Sarò onesta mi mancavano le odi vecchia maniera, certo una volta erano in poesia ed in una lingua vera” aveva dichiarato invece Mal. La fidanzata gli aveva strizzato una guancia, “Oh come fiero il mio cheruscio” lo aveva stuzzicato.
Una giovane Valchiria si era avvicinata per versare loro da bere, aveva sorriso a Jason con un certo compiacimento e lui era stato certo di esser diventato ancora più rosso.
Astrid aveva sollevato verso di lei il suo bel corno potorio di un colore alabastro, sporcato sulla punta di nero fuliggine.
“Quattrocento anni a vederli tubare più di quanto farebbe un colombiere” aveva scherzato Astrid, ferrea.
“Credo in vita di aver fatto passare questo ad un mio amico, forse non è stato molto gentile” aveva valutato Jason.
Astrid non lo aveva distolto lo sguardo, “Che c’è?” aveva chiesto Jason, prima di portarsi alle labbra un po’ del sidro che gli avevano versato.
Era dolce.
Ed anche buono.
“Sto cercando di capire cosa sta complottando zia Trudy” aveva risposto poi Astrid.
Oh .. la valchiria …

Odino aveva attirato l’attenzione alla sala, “Bene, mie graditi ospiti, prima che possiamo darci ai bagordi dell’idromele alle buone carni” e nel dirlo aveva ammirato con l’unico occhio sacro, l’albero d’oro, tra i cui rami c’era una capretta saltellate, che si era fatta piuttosto rigida alla menzione, “Permettetemi di spiegare ai nostri nuovi ospiti come funziona qui, per l’occasione ho presentato una breve presentazione in power point[1]” aveva detto Odino.
Si era sollevato in piedi ed aveva tirato fuori dalla tasca da ginnastica un telecomando, che aveva premuto, alle sue spalle era comparso un quadrato di luce, come se un proiettore si fosse accesso.
“Oh, per la gloria di mio padre!” aveva esclamato Madina, senza quel suo tono allegro.
“Riportatemi qualcosa dopo” aveva dichiarato invece Mel, la ragazza stava per rimproverarlo di qualcosa, quando il guerriero cheruscio si era infilzato alla giugulare con una forchetta.
Jason si era ritrovato sporco di sangue, mentre osservava Mel afflosciarsi atterra, tremare, sputare sangue e poi liquefarsi in una polvere d’oro.
“Lo amo, eh, ma certe volte è un po’ melodrammatico” aveva dichiarato Madina, mentre toglieva con un fazzoletto il sangue dalla faccia.
“Lo sai queste pellicce quanti anni hanno? Un millennio! Dovrò andare al negozio di Blitz per farle smacchiare. A nessuno piacciono le presentazioni di Odino ma Mel esagera, ogni volta” aveva strillato Astrid.
Nessuno sembrava dare peso a loro.
“Cosa è appena successo?” aveva chiesto Jason.
“Hai presente quando sei in una di quelle situazioni in cui pensi: cavolo preferirei ficcarmi una forchetta in gola che essere qui. Questo. Dopo una vita in catene, Mel ha deciso che non permetterà più a nessuno di costringerlo a fare ciò che non vuole, anche assistere ad una presentazione power point” aveva scherzato Madina, il suo sorriso sembrava meno bello, quando il viso era rosso di sangue.
Jason era ancora interdetto.
“Tranquillo, è ancora vivo, si sta riformando nella sua bella camera sul suo comodo letto. Domani lo rivedremo per la colazione e la battaglia” aveva detto Astrid, ancora irritata, “Io invece stanotte dovrò uscire di nascosto per farmi sistemare da un elfo oscuro questo” aveva indicato le macchie di sangue sulla sua pelliccia. “Questa renna l’avevo cacciata ed acconciata personalmente” aveva rimarcato[2].

Il lamentio di Astrid era stato soffocato dalla presentazione power point in centoventi-tre slide presentata da Odino, molto lentamente, decisamente logorante, al punto che Jason si era azzardato a togliere la forchetta dalle mani di Madina, molto cautamente, quando l’aveva vista tristemente interessata ad imitare il fidanzato.
Di rimando, lui cominciava a farsi un’idea del perché del gesto di Thumelicus, Odino sapeva essere più pedante di Terminus e del professor Jakob alla scuola maschile.
Le informazioni che aveva dato erano comunque molto interessati, aveva parlato di nuovo dei guerrieri immortali, del Ragnarok, ma poi si era dato in un attenta descrizione dell’universo, diviso dei suoi nove mondi e di tutte le creature che lo abitavano.
Era quasi rassicurante sapere che i giganti, di ghiaccio, erano cattivi anche in quel pantheon.
“E quindi sì, il Ragnarok avverrà quando tre uova di gallo si schiuderanno” aveva concluso, mostrando l’ultima slide: era il soggetto dagli occhi eterocromi che sedeva al tavolo di TJ e Mallory, esibiva un sorriso da gatto del Cheshire, in un selfie vicino ad un uovo, poi era apparsa una slide blu fluo con la scritta in azzurrino che ringraziava per l’attenzione.
Le parole di Odino, le finali, avevano ridestato la sala, dal quasi sonno vegetativo in cui erano atterrati.
“Prego, buon appetito” aveva dichiarato il signore degli Asi.

 

“Oh, grande Thor, stavo per ficcarmi una forchetta in un occhio” aveva ammesso Astrid.
“Io non sono sicuro di riuscire a memorizzare tutte le informazioni” aveva detto invece Jason, ottenendo uno sguardo stupido da ambedue le ragazze.
“Ma hai ascoltato?” aveva chiesto perplessa Madina, “Nessuno ascolta tutti gli interventi di Odino, finiremmo per morire di vecchiaia. Sì, anche qui” aveva dichiarato sprezzante Astrid.
“Be, non so niente di queste cose, informarmi è importante, poi Odino, non è il signore? Non ha fama di essere un dio … ehm, colto?” aveva chiesto retorico.
Non sapeva niente di divinità norrene, quel poco che sapeva era una specie di refuso che Annabeth aveva vomitato mentre cercavano di progettare i templi per le divinità minore.
La sua amica era tornata da Boston, da poco, ed era tornata con una strana infatuazione per le divinità nordiche – prima di fagocitare Jason su tutte le informazioni possibili su nuova Roma e i college.
Pensaci Jason … potremmo frequentare la stessa università” aveva dichiarato una volta, mentre Jason si divertita a disegnare un tempio anfiprostilo per Eros – sebbene non avesse particolarmente a cuore il dio in questione, dopo la sofferenza che aveva dato a Nico, forse per questo la sua vita amorosa era andata a scatafascio?
Ma non solo quella, non avrebbe mai seguito i corsi a San Francisco, non sarebbe mai diventato un architetto con Annabeth.
Non avrebbe mai sposato Piper.
Non sarebbe mai diventato padre.
Non avrebbe mai più riabbracciato Leo.
E Nico … che finalmente si era aperto a qualcuno e lui era morto …

Il forte rumore d’un piatto sbattuto lo aveva ripreso.
Thrud aveva posato a loro tavolo un arrosto fumante, “Oh sì, guerriera cacciatrice immortale di anime e cameriera, sì” aveva dichiarato stanca quella, sedendosi davanti a loro.
“Ciao Zia Trudy” aveva dichiarato Astrid.
“Ciao dolcezza, ciao figlia di Ullr, vedo che continuato ad essere tre, numero magico” aveva dichiarato Thrud divertita.
“Per alcune culture quattro è il numero della morte” aveva civettato Madina. “Per fortuna siete già tutti morti” aveva dichiarato la valchiria, “Adesso servitevi, arrosto di cinghiale, il mio preferito” aveva asserito Thrud.
Astrid non se l’era fatto ripetere due volte ed aveva infilzato con la forchetta un bel pezzo di arrosto.

“Be, Jason per domani, credo tu avrai bisogno di prendere un’arma dall’armeria non posso prestarti più la mia spada, capiscilo” aveva espresso ad un certo punto la Valchiria, nel farlo gli aveva preso una mano e l’aveva stretta amichevole, Jason aveva sentito chiaramente che Thrud aveva lasciato qualcosa nelle sue mani.
“Pensavo ci fosse sta sera” aveva valutato Jason, la famosa battaglia quotidiana.
“Oh, per la gloria, no, si combatte dall’alba al tramonto[3]” aveva dichiarato Astrid, “Facciamo mezza mattinata” aveva corretto Madina.
“Capito, trovati una spada nuova” aveva ripetuto Thrud alzandosi, non prima di aver riempito i due bicchieri ed il corno di sidro, gli aveva anche fatto l’occhiolino.
Non doveva usare la moneta – o almeno immaginava intendesse quello.
Forse era troppo romana.
Poi Thrud si era congedato e Jason aveva infilato, cercando di non dare nell’occhio, il biglietto nella tasca dei pantaloni sbiaditi.
“Devi aver proprio fatto colpo su zia Trudy” aveva rimarcato Astrid, prima di calarsi con pochi sorsi l’intero corno. Madina aveva ridacchiato prima di raccontare che la valchiria in questione non portava poi molto anime lì.
Astrid si era sollevata in piedi, facendo oscillare la chioma, era nera e liscia come la seta, Jason doveva ammettere che si sposava male con l’immagine di una terribile guerriera einherjar vecchia di secoli che spendeva giorni e giorni a combattere. “Tutti a dormire, ora. Nella propria stanza. Domani vi voglio tutti vivi” aveva dichiarato, battendo le mani, “Tranne io, dovrò convincere Blitzen a darmi consigli per tirare via il sangue dalla pelliccia di wapiti[4].
Madina aveva scosso il capo, facendo oscillare la capigliatura afro, “Sì, sì, tranquilla, recupero solo un po’ di arrosto per i nostri due fuggiaschi” si era difesa quella.
Jason si era alzato con Astrid, non era sicuro di voler tornare in camera per leggere il biglietto – e cominciare a capirci qualcosa – o per andare a dormire.
“Jason” lo aveva richiamato la guerriera, mentre si lasciavano alle spalle il tavolo, seguiti da Madina che aveva raccolto su una ceramica una pila di carne con contorno di patate e carote, “Domani devi cercare di uccidere loro” aveva ammiccato verso il tavolo del piano diciannove.
Mallory Keen aveva fatto un segno verso di loro, un cenno del capo, che Astrid aveva ricambiato. Tj lo aveva salutato con gentilezza e Jason si era ritrovato a fare lo stesso.
Con loro c’era anche un enorme energumeno, che teneva una mano sul fianco di Mallory e con l’altra gesticolava. Di spalle vedeva un biondo ed immaginava la persona dagli occhi bicromi.
Anche la valchiria Samirah Al-Abbas si era unita alla combriccola. “Sono stati riconosciuti i migliori qui dentro, ucciderli è sempre segno di prestigio” aveva spiegato la guerriera.
Jason non aveva voglia di uccidere dei ragazzi che gli sembravano pure simpatici, anche se per poco.
“Oggi il Momento della Valchiria è stato emozionante, ma non abbiamo avuto le tre norme, peccato” aveva sbuffato alle loro spalle Madina.
“Sono tre profetesse che annunciano il Destino di ogni guerriero, di solito alle iniziazioni si affacciano” aveva aggiunto quella.
Sì, una cosa che Jason non voleva era un’altra possibile profezia su di lui. Ne aveva avute troppe nella sua vita. Una aveva ucciso il suo migliore amico – anche se poi era risorto – ed un'altra aveva quasi ammazzato la sua ex e ridotto lui alla versione scandinava di uno zombie.
“Forse sono una persona troppo ordinaria” aveva dichiarato Jason, più una speranza che altro.
Erano finiti per lui i tempi delle brutte profezie.
Astrid aveva buffato, “Ad una gamba forse. Ignorando l’eroica morte, se zia Trudy ha spostato il culo dal suo fancazzismo militante e perché deve aver pensato che ne devi valere la pena” lo aveva pungolato lei, mentre raggiungevano le porte dell’ascensore.
“Anche le persone ordinarie sono capaci di atti straordinari” aveva dichiarato Jason, con un sorriso tranquillo.
“Ma sentilo Madina, con i suoi occhi blu, alto e biondo” aveva replicato Astrid, “Mr. Ordinarietà questo kavdlunait bianco come la neve” aveva aggiunto.
“Non sono particolarmente brillante, ma quella era un’offesa” aveva dichiarato Jason. “No, la parola di per sé no, come la ho usata io? Può darsi” aveva risposto Astrid serafica.
Jason si era voltato verso Madina, “Non è roba germanica[5]nope” aveva detto quella, sorridendo tranquilla.

 

Quando era stato solo nella sua stanza, Jason aveva aperto il biglietto.
C’erano scritte solo tre cose, in inglese: domani, diciassette, lavanderia.
La grafia di Thrud era … insospettabilmente bella e femminile, piena di lettere tondeggianti dagli spazi ampi.
Si era seduto sul letto, tenendo quel bigliettino tra le mani, pieno di confusione nel viso.
Cosa … cosa doveva fare?
Aveva estratto dalla sua tasca anche al sua moneta.
Thrud gli aveva detto di prendere una spada, probabilmente la sua arma era troppo romana e allo stesso tempo perché si stava fidando ciecamente della valchiria?
Che stava succedendo?
Era morto. Era nei campi elisi.
Era in pace.
Nervoso si era sollevato di nuovo lasciando biglietto e moneta sul letto e rigido come una stecca si era avvicinato ai rami dell’albero dell’universo con reverenziale timore.
Ne aveva toccato con solo la punta delle dita le foglie ed aveva sentito un brivido lungo la sua schiena.
Se si fosse arrampicato, forse avrebbe potuto trovare la via di casa.
Ma quale era?
Quale tra i nove mondi era la strada per casa?
E dove era Casa?
Di Argo non era rimasto niente, della casa di Beryl Grace neanche un ricordo, non gli piaceva la scuola, era troppo vecchio per stare con Lupa, si sentiva un estraneo a Nuova Roma e vedeva nel campo Mezzo-sangue tutti quei sogni che non aveva avuto, tutti quei progetti che non aveva realizzato.
Si fermò, colto da un pensiero, poteva realizzarli? In quel momento, poteva?

Si allontanò di fretta dall’albero, lanciandosi sulla cassapanca ed aprendola, all’interno, c’erano più cose rispetto la biancheria domestica, rispetto a prima.
La stanza esisteva per soddisfarlo. Questo spiegava le foto, quelle della sua infanzia che mai aveva visto, quella che non era mai stata scattata, perfino il bagnoschiuma all’aroma di pino silvestre che aveva trovato nella doccia.
Il valhalla era un paradiso, a modo suo, era il luogo dove finiva i giusti – per i criteri dei nordici – non diverso, in un certo senso, dai campi elisi o le isole dei beati.
Aveva trovato dei fogli A3, delle squadre ed un set di matite a mine dalla punta spessa, c’era anche un goniometro ed un compasso.
Aveva cercato oltre ed aveva trovato un astuccio pieno di matite colorate.
Aveva steso i fogli per terra e si era amato di squadrette e lapis.
Non aveva mai pensato a se stesso come un progettista, fino alla fine dell’estate prima, quando aveva cominciato a lavorare seriamente con Annabeth – circa, vista la difficoltà logistica – al suo progetto. Alla sua promessa.
Perfino il suo professore di edile, si era congratulato con Jason, ‘Hai un talento’, aveva detto. E Annabeth gli aveva proposto di frequentare la stessa università a San Francisco e faceva ancora male pensarci.
Era un einjerjar, ma poteva ancora disegnare.

 

Non ebbe la chiara idea di quanto si fosse addormentato, ricordava di star perfezionando un ingresso siriaco per un tempio da dedicare alla dea Iris, non lontano dalla casa dove alloggiavano i suoi fratelli, quando aveva capito di non essere più dov’era.
Non era un sogno, era finito altrove, come durante la gigantomachia, che a volte, sfuggivano al controllo dei propri sogni.
Riconobbe subito il luogo, nonostante fosse notte, le acqua del lago del campo le avrebbe riconosciute, erano oscure, ma scintillati alla luce della luna.
Will Solance era apparso sulla riva luminoso come una lampadina, senza eufemismi. Indossava una felpa per ripararsi dal freddo.
Era finita l’estate. Jason non era reale e non riusciva a percepire quanto facesse in realtà freddo.
“Nico?” aveva chiesto timoroso Will.
“Sono qui” la voce di Nico, era venuta dalle spalle di Jason, si era voltato alla sua ricerca, ma era riuscito a scorgerlo solo quando Will lo aveva raggiunto, illuminandolo.
Nella note, senza luci, Nico era parso solo una voce.
“Come sapevi che ero sveglio?” aveva indagato subito il figlio di Ade, “Che fidanzato sarei, se non mi accorgessi che non … me lo ha detto Valentina” aveva risposto Will, sedendosi accanto a lui, vicino alla riva ma non troppo.
“Cioè in realtà Valentina ti ha visto uscire e lo ha detto a Rupert, che stava tornando in casa dopo un’incuriose in cucina per cui sarà punito severamente” aveva spiegato Will.
Nico aveva riso – era un suono quasi estraneo per Jason – “Questo posto si è fatto molto più vivace, noto” aveva commentato.
“Lo è sempre stato, ma visto che tutti gli occhi erano su Percy, Annabeth e te, quando c’eri, era più facile passare inosservato” aveva raccontato Will, senza perdere lo smalto. “Oh, l’infinita faida Apollo-Ares non sarebbe durata così a lungo” il racconto del figlio di Apollo era stato sporcato da qualcosa di malinconico.
Nico aveva allungato una mano ed aveva preso quella del ragazzo, cercando di essere supportivo.
“Mi spiace di averti fatto preoccupare, sono io il significativo fastidioso” aveva dichiarato Nico, “Sì, infatti, abbiamo stabilito che io sono l’abatjour” aveva risposto per le rime Will.
I due avevano riso e Jason si era sentito molto impacciato; era decisamente di troppo e ricco di vergogna nello spirare quel momento di intimità di Nico.
Ma era così dannatamente felice per lui, che se la stesse cavando bene.
Quando aveva lasciato il campo, per cercare Leo, aveva lasciato un Nico che cominciava ad aprirsi al mondo, onesto con se stesso, ma ancora spaventato di ciò che lo aspettava.
“Vuoi dirmi che succede?” aveva chiesto delicato Will.
Nico aveva annuito, “Jason, qualcosa non va” aveva detto, la sua voce era sottile, come un vetro crepato, “Gli è successo qualcosa? Era lui che ti chiamava dal Tartaro?” la voce di Will si era fatta immediatamente ansiosa, Nico aveva scosso il capo.
“No, non era lui. Quello che ho detto ad Apollo era vero.
Jason stava bene, non come Hazel che era nel posto sbagliato o Leo che era così strano … solo che adesso, adesso … non lo sento più” aveva dichiarato Nico.
“Ovunque sia non lo sento più … non lo sento più
in pace. Non so cosa sia successo” aveva raccontato.
Will aveva fatto una pausa, il suo viso era ancora crucciato, “Lui … uhm … potrebbe aver passato il fiume Lete ed essere, ecco, reincarnato?” aveva chiesto, pieno di timore.
Nico aveva chinato gli occhi, quasi vergognoso, “No, è successo con Bianca … la sensazione è diversa. Devo dire che è stato più brutale, come qualcosa spezzato … un momento la percepivo e quella dopo non era più lì. Jason c’è … io lo sento, ma è distante, distantissimo e non è più in pace” aveva specificato Nico, accompagnando l’azione con un certo gesticolare, per dare decisione.
“Oh Nico” si era lasciato sfuggire Jason, pieno di vergogna per quella preoccupazione che stava creando.
“Hai provato ed evocare qualcuno? Nel senso per avere la risposta … per vedere come sta, se è sempre lì” aveva proposto Will, il suo tono era cauto.
Nico lo aveva guardato con le sopracciglia crucciate, “Ero uscito per farlo, sai … di nascosto; tu, Chirone e Mr. D. non siete proprio fan di me che pratico la negromanzia; quindi, …” aveva risposto il suo amico, con un tono un po’ rigido.
“Non sono fan di te che ne abusi e ti fai viaggi in solitaria per il tartaro o in compagnia di
trogloditi[6], non di te che lo usi con giusta moderazione” si era difeso Will, stringendoli la mano.

 

“Jason” qualcuno lo aveva chiamato.

Jason non aveva mai visto il resto di quel momento, perché aveva aperto gli occhi, stanco, affaticato, con il viso riverso sui fogli su cui si era addormentato, prono sul pavimento della sua stanza.
“Jason!” la voce di Astrid era raschiante da fuori la porta, mentre batteva contro il legno.
Lui si era tirato su a fatica, con il collo indolenzito … bene, il valhalla curava ogni ferita mortale ma non le posizioni scomode del dormire ed era andato a fatica ad aprire la porta.
“Hai la faccia di uno che pare stato colpito in faccia da uno scudo” aveva dichiarato Astrid, quando Jason si era palesato.
La ragazza aveva i capelli stretti in due trecce e non indossava più gli abiti di pelliccia, ma una maglia di ferro sopra un paio di calzoni e stivali imbottiti. Aveva uno scudo largo in bronzo dorato, legato alla schiena e portava un’accetta allacciata alla cintura.
Jason aveva annuito, “Mi ci sento, ieri mi sono addormentato sul pavimento” aveva ammesso, sincero, spostandosi per far vedere ad Astrid i resti della sua follia artistica. Quella non aveva fatto una piega, “Non varrà come giustificazione per morire” aveva rimarcato la ragazza, “Andiamo a fare colazione” non pareva un invito.
Jason si era chiuso la porta alle spalle ed era uscito così come era vestito, aveva ancora indosso la maglietta ed i jeans sbiaditi del giorno prima.
Astrid che faceva da apri-fila si era chinata per raccogliere un piatto davanti la stanza di Fred, vuoto, Madina lo aveva lasciato lì pieno, la sera prima. “Be, non si è ancora disciolto” aveva valutato la ragazza, prima di fermarsi a dare due colpi alla porta.
Non aveva ricevuto risposta.
“Oh, Fred, per la gloria degli dei, sei una parodia di un anirniq … a nessuno importa di quella cosa, lo sai” aveva strillato Astridi, prima di allontanarsi.
“Cos’è un anirniq?” aveva chiesto Jason, Astrid lo aveva guardato, ferma in viso, “Uhm … noi, è il respiro e l’anima che permane oltre la morte” aveva risposto la ragazza con semplicità, “Solo che spesso quando un anirniq pervade nel mondo, lo fa più per la vendetta, però ecco, entriamo in tutto un altro campo adesso” aveva dichiarato lei, muovendo circolarmente le dita delle mani, ad indicare l’hotel.
“Non è scandinavo, come la parola di ieri” aveva valutato Jason.
Astrid aveva chiamato l’ascensore, “Buon osservatore, si non lo è, è il credo di mia madre” aveva risposto la ragazza.
Forse anche lei era una semidea, aveva pensato Jason, padre dio e madre umana, nativa, l’opposto di Piper. Forse suo padre era un dio figlio di Thor, giacché aveva chiamato Thrud zia più volte.
“Hai risolto per la pelliccia, poi? Sai dopo il suicidio di Mel?” aveva chiesto Jason, mentre prendevano l’ascensore. “Oh, grazie … Sono dovuta uscire di nascosto e raggiungere il negozio dell’unico elfo oscuro che sa qualcosa di vestiario e forse domani riavrò le mie cose” aveva dichiarato Astrid, “Ovviamente non avevo soldi per pagarlo, mi è costato una settimana di turno a Casa-Chase. Grazie per averlo chiesto comunque” aveva ammesso la ragazza, l’ultima parte l’aveva aggiunta abbassando lo sguardo.
“Oh, prego … aspetta hai detto Casa-Chase?” aveva chiesto Jason.
Le porte dell’ascensore si erano aperte, ad investirli era stato un vento quasi artico, “Oh, chiudi-chiudi-chiudi!” aveva strillato la ragazza cominciando a premere ripetutamente contro il pulsante dell’ascensore per la chiusura delle ante.
“Cosa è appena successo?” aveva domandato Jason, avendo ancora negli occhi l’immagine dell’innevato spazio, che si erano lasciati dietro. Ed il freddo penetrante che aveva colpito il viso. Per un secondo aveva pensato di essere di nuovo alla corte di Borea – ma quella era un’altra vita.
“Mondo non esattamente simpatico” aveva dichiarato Astrid spostandosi nervosa, “Sì, io credo di aver digitato male” aveva ammesso Jason pieno di imbarazzo. Era sicuro di aver premuto il pulsante che aveva premuto Mel, il giorno prima, forse però si era confuso tra cinquecento e passa piani.
L’ascensore, d’altronde, offriva un pannello dei pulsanti piuttosto notevole, che occupava la lunghezza intera dell’ascensore ed era di notevolmente larghezza. Jason non riteneva fosse da lui un errore di questo genere, però poteva riconoscere la probabilità di caduta in errore.

“Quello era Jotnheim, il mondo dei giganti di ghiaccio. Si, uhm … non è frequentato esattamente da personcine simpatiche. Io e da un paio di secoli che dico che certi piani andrebbero bloccati, onde evitare spiacevoli incontri. Una volta sono finita a Muspellsheim, il regno del fuoco, ma … ehi … io sono solo Astrid Einardottir” aveva ammesso calma lei, sistemando i capelli, che erano sfuggite alle trecce, dietro l’orecchio.
“Da quanto tempo sei qui, se posso chiederlo?” aveva chiesto Jason, mentre spazzava via un po’ di neve che si era depositata sulla sua maglietta. “Mille anni, secolo più, secolo meno” aveva dichiarato Astrid, “Il tempo poi si confonde” aveva aggiunto, questa volta le porte si erano aperte sul piano giusto, la sala con i tavoli, l’albero d’oro spendente con la capretta saltellante e le valchirie a cavallo di destrieri fatti d’aria.

“Ascolta il piano: adesso mangiamo, andiamo in armeria, vediamo se riusciamo a tirare un po’ di spada, poi combattiamo ed uccidiamo i ragazzi del piano diciannove” aveva dichiarato Astrid, tirando dritto verso il medesimo tavolo della sera prima. Non erano presenti né Mel né Madina.
In realtà Jason poteva notare che la sala sembrava semideserta, anche al tavolo dei Thegn mancavano più della metà. “È presto, vero?” aveva chiesto, aggiustandosi gli occhiali.
“Hai presente quella frase fatta da: mi riposerò da morto? Dimenticala” aveva dichiarato Astrid accomodandosi sulla panca.
Jason l’aveva imitata.
Una valchiria era venuta a servire loro da bere, succo di frutta ed un piatto di affettati, “Salume di cinghiale” aveva dichiarato, prima di allontanarsi dopo aver strizzato l’occhio a Jason.
Astrid aveva roteato gli occhi, “Non farti sedurre da una valchiria, non finisce mai bene, chiedi a Sigfrido … piano centoventidue” aveva dichiarato quella poi, piegando le labbra in un sorriso freddo.
Jason era avvampato, “No, io … no, ho una… avevo, cioè … c’è … questa raga-Piper!” era riuscito a farneticare, mordendosi poi il labbro, aveva sospirato.
“Avevo una ragazza, Piper, c’eravamo già lasciati, però non sono pronto a farmi sedurre da … valchirie” aveva dichiarato Jason, grattandosi il collo.
Piper.
Tra le sue morti l’aveva sognata, assieme a Leo – stavano bene.
Stavano bene.
Astrid lo aveva guardato, intensamente, “Prendilo come consiglio da applicare per i prossimi secoli, ecco” aveva detto poi.
“Ma loro non sono tipo … uhm vergini guerriere?” aveva chiesto Jason, dopo una pausa, forse nella sua mente aveva inevitabilmente sostituito le valchirie con le cacciatrici …
Oh, Thalia.
Doveva … contattarla?
“Oh, per la gloria degli dei no. Sono quasi tutte zitelle, ma per scelta, ma sicuramente la castità non è una prerogativa. Perché dovrebbe esserlo? L’imene da maggiore capacità nell’utilizzo di un’arma?” aveva replicato Astrid, lo aveva fatto con un sorriso quasi spontaneo, perdendo quell’alone di boria e rigidezza che sembrava accompagnarla in ogni suo commento.
“Direi di no” aveva ammesso, rosso di imbarazzo Jason.

Avevano fatto colazioni, con una certa velocità, qualcuno aveva chiacchierato con Astrid, del più e del meno, la ragazza era stata molto schietta nelle risposte e poi aveva condotto Jason in un altro piano dell’hotel. “A proposito sai dove è la lavanderia?” aveva chiesto lui, mentre riprendevano l’ascensore, “Provi già la fuga?” lo aveva interrogato Astrid.
Jason aveva aggrottato la fronte, “Cosa?” aveva chiesto, “Oh, be, oltre la porta di ingresso … che tecnicamente non potremmo mai varcare e la scarpinata sull’albero, una delle uscite per midgard è in lavanderia” aveva spiegato Astrid.
Jason era rimasto in silenzio, “Oh, non ne avevi idea” aveva valutato lei. Jason aveva annuito.
Thrud voleva farlo fuggire?
“Allora deve essere un piano di zia Trudy” aveva commentato Astrid, senza particolare inflessione nella voce, doveva conoscerla bene evidentemente.

 

Astrid lo aveva condotto in quella che doveva essere l’armeria, “Non so come farti vestire” aveva dichiarato lei, “Buona parte di noi ormai combatte con quello che ha addosso senza problemi, però ecco, per il ragnarok dovremmo indossare armature e co, ma appesantiscono tantissimo e se non ci sei abituato e come combattere dentro una pentola rovente che ti schiaccia a terra” aveva dichiarato la ragazza, mentre valutava tra le spade, una da dare a Jason.
“Fa schifo anche non combattere con l’arma con cui sei arrivato qui” aveva aggiunto lei, nel dirlo aveva sfiorato la sua accetta, “Ma succede: Lars altrimenti dovrebbe combattere con un estintore. Una volta lo ha detto, è stato esilarante” aveva ammesso, sembrava divertita, nonostante il suo tono fosse piatto.
Jason aveva raccolto una spada.
Erano diverse dalle spathe e i gladi a cui era abituato lui. Ne aveva presa una, aveva l’elsa sottile, con un pomello polilobato sulla cima. La parte per proteggere la mano era stretta e dritta, la lama era pesante, lunga ed affilata da ambo i lati. Il metallo aveva delle notevoli sfumature ocra, che davano all’arma un aspetto suggestivo. La spada non era particolarmente bella o elegante, ma aveva qualcosa.
“Quello è in ferro di torba, dal colore direi limonite” aveva commentato Astrid, “Buono o cattivo?” aveva chiesto Jason, che doveva ammettere che in lame conosceva l’oro imperiale, il ferro di Stige ed il bronzo celeste, oltre che le armi standard, anche se non le maneggiava spesso, visto che potevano ferire i mortali. “Impermeabile, di solito viene utilizzato per utensili e navi. Se ci hanno fatto una spada e perché non avevano molto altro ferro” aveva valutato Astrid, prendendola e soppesandola, “Direi che è americana, comunque, anzi canadese” aveva fatto una pausa.
“Si chiama Panikpak” aveva detto restituendola, “La ha fatta mio padre, chiama tutte le sue spade così, o Atuat … come buona parte delle spade da queste parti, intendo le spade che trovi qui, buona parte le fabbrica mio padre, non che le spade da queste parti si chiamano così!” aveva dichiarato Astrid.
Jason aveva avuto una brutta analessi in relazione a Caligola e tutte le navi con il medesimo nome, della sorella, ormeggiate alla baia. Era un’ossessione, era un significato specifico.
Astrid lo aveva guardato con aspettativa.
Jason si era fatto rigido un secondo, stringendo l’elsa della spada e poi aveva chiesto: “Tuo padre è come Vul…Volevo dire come un dio armaiolo?” aveva chiesto.
Astrid aveva fatto oscillare le trecce nere, come aveva mosso il capo, “Non esiste un dio del genere, i nani sono i fabbricanti. Mio padre è semplicemente un fabbro, cioè in realtà è un semidio, però non c’entra nulla, è un fabbro, dicevo – uno bravo, istruito da Dvalinn in persona” aveva dichiarato con orgoglio Astrid.
Jason l’aveva guardata.
“Uhm … è uno dei nani più celebri della mitologia, non che uno dei fabbri e armaioli più notevoli dei nove mondi. Ha forgiato la Tyrfing[7]. È stato anche l’amante di Freya, la dea più cazzuta di tutto il reame?” aveva proposto Astrid. Jason aveva annuito, “Questo è il momento in cui ti confesso che degli dei norreni conosco solo Odino, Thor e Loki?” aveva proposto.
“Ricordami di fare un’incuriose ad Adsgard per andare alla biblioteca” aveva dichiarato Astrid, “I potremmo andare anche a quella pubblica di Boston” aveva valutato lei.
Panikpak vuol dire qualcosa?” aveva domandato Jason, “Madre-asfissiante!” aveva detto la guerriera prima di fare una pausa, “No, è semplicemente il nome di mia madre” aveva replicato mentre gli passava anche una cotta di maglia ed un elmo.
“Niente corna?” aveva chiesto Jason. Dagli occhi tristi che Astrid aveva assunto, per aver citato sua madre, Jason, figlio della sconosciuta Beryl Grace non aveva voluto, insistere. “Roba da galli” aveva risposto Astrid – aveva fatto una piccola smorfia che pareva un sorriso.

All’armeria avevano incontrato anche Mel, che doveva essere in piedi da ore.
Non aveva i segni sul collo nudo della forchettata mortale, ma anzi sembrava in perfetta forma, nudo dalla vita in su, sudato, con le guance arrossate ma inflessibile, con scudo rettangolare ricurco al braccio e con una spada corta alla mano, indossava su un braccio una lorica di ferro lucidissimo, sorretta al busto da una spessa cinghia e degli schinieri coordinati. “Mel sta cercando di diventare un guerriero Berserk, ma non ci riesce. Troppo disciplinato” aveva dichiarato Astrid, con un filo di rabbia.
Jason aveva un solo pensiero in mente.
Mel combatteva come un mirmillone.
Una vita in catene, aveva detto Madina.
Ed era un cheruscio.
“Era un gladiatore” si era lasciato sfuggire Jason, “Sì, ma a lui non piace parlarne” aveva dichiarato Astrid, mentre si avvicinava a lui.
Jason ebbe un brivido, ricordando poi le parole di Thrud. Iniziava a sospettare che il tacere la sua identità non fosse solo dovuto al fatto che aveva sconfinato in un altro pantheon.
Il ragazzo aveva messo giù lo scudo ed aveva sorriso raggiante verso di loro, “Pronti a morire?” aveva chiesto tutto allegro.
“Mai” era stata la risposta fiera di Astrid.


 

Madina aveva raggiunto loro, dopo, con calma, mentre beveva dal bricchetto di un succo alla pesca. Indossava gli spallacci, i para-gomiti e le ginocchiere. Gli indisciplinati ricci erano sistemati in uno chignon mirabolante ed aveva un’espressione serena. Più che una guerriera pronta ad un combattimento mortale, sembrava pronta ad una gara di roller, senza roller e con faretra legata alla cintola ed arco alle spalle.
“Jason, caro” aveva detto Madina, mettendoli un braccio attorno alla spalla, “Probabilmente a parte quella brutta storia con il mafioso e la tua ex, hai la faccia di un bravo ragazzo che non si è mai messo nei guai. Quindi non ti preoccupare se sarai sopraffatto dal terrore, vorrai scappare e morirai con un’arma sulla schiena. Magati domani andiamo a fare yoga mortale[8] così ti prepari meglio. Però sai come si dice … La prima volta fa sempre schifo” aveva dichiarato la figlia di Ullr con tranquillità.
“Astrid te lo concederà questa volta. Io ti coprirò nella fuga. Posso centrare in mezzo agli occhi una formica” aveva aggiunto Madina, tirando un paio di colpi alla sua faretra piena di frecce.
Mel gli si era avvicinato, ancora vestito da mirmillone, “Io invece ti dico: scatenati. Non avere timori, niente di quel che succederà oggi, avrà conseguenze” aveva dichiarato con allegrezza ed un sorriso da squalo.
“Grazie ad entrambi per i consigli” aveva dichiarato Jason pieno di disagio, aveva seguito Astrid con lo sguardo, era un po’ più avanti di lui.
Stava parlando con un nerboruto guerriero con un uniforme americana, l’elmetto e la faccia dipinta da verde che ricordava a Jason quei soldati nei film sul Vietnam ed una donna slanciata, biondissima e regale.

La guerriera dai capelli scuri era tornata da loro, “Ho parlato con Freydis[9], il novantatreesimo piano, organizzerà un colpo dall’alto. Loro vanno sul boschetto a sud e noi prenderemo a nord, insieme a Jemmy ed il centoventicinquesimo piano” aveva dichiarato, prima di spiegare per bene il suo piano.
Jason, terribilmente romano, trovava la strategia un po’ caotica.
“Quindi, sì, squadra venti-novantatré-quarantacinque-centoventicinque” aveva valutato Madina con espressione seria. “Il piano settantotto?” aveva chiesto invece Mel.
“Hanno abbandonato il gruppo, per unirsi ai piani diciotto, centosedici e trecento-novantanove” aveva detto sdegnosa Astrid.
“Non è un problema” aveva dichiarato Madina con calma.
“Occhi sul premio sempre” aveva ripreso la parola Astrid, “Sopravvivere?” aveva chiesto Jason.
“Sempre, a qualsiasi cosa e vincere. Quando combatteremo al Ragnarok saremo un unico esercito, ma oggi, troviamo nemici ideali, formiamo gang. Siamo tutti contro tutti” aveva spiegato Astrid.
“Ma soprattutto tutti contro il piano …” aveva ripreso Madina, “Diciannove!” l’aveva anticipata Jason, che gli aveva sentiti ripetere quella cosa un certo numero di volte, “Esatto, Jason, al momento sono considerati i più forti e benedetti da Odino in persona” aveva dichiarato Madina.
“Però” aveva attirato l’attenzione Mel, “Ci stiamo, ehm, fidando di Freydis?” aveva chiesto preoccupato, “Sì, è una figlia di buona donna ma è una delle più vecchie amiche di mio padre” aveva risposto quasi indignata Astrid.
“Ha ingannato i suoi amici e costretto suo fratello a commettere degli omicidi per coprirla” aveva risposto Mel, “Nessuno può costringere un fratello a fare niente, dovresti saperlo, visto come è finita la tua famiglia” l’aveva offeso senza ritegno Astrid, evidentemente.
Se Mel non l’aveva caricata di forza, era stato per il tempestivo intervento di Madina, “Lo hai fatto di nuovo” l’aveva rimproverata.
Astrid aveva perso l’espressione di supponenza per una più consapevole, “Scusa” aveva ammesso, prima di cambiare repentinamente discorso, “Fred piuttosto?” aveva chiesto.
Madina si era morso il labbro.
“Ci fa da copertura dal cielo, ha detto. Si apposterà sul balcone” aveva dichiarato Mel, ancora rigido. “Be, spero non provochi un terremoto come quello che ha scatenato nel millesettecento-cinquantacinque che ha raggiunto perfino Midgard[10]” aveva detto Astrid.
Madina le aveva tirato un buffetto a pugno chiuso – neanche troppo gentile – sulla spalla, “Astrid!” l’aveva rimproverata.
“Sai perfettamente che non è per quello che non esce! E tu sai anche che è una paturnia inutile, abbiamo perfino la progenie di Loki di questi tempi” aveva risposto Astrid massaggiandosi la parte indolenzita della spalla. “Se non impari ad essere più gentile, resterai da sola ed immagino non debba essere bello per l’eternità” il rimprovero di Madina era sembrato molto materno, accompagnato con un sorriso stanco.
Jason non aveva potuto aspettare il resto della frase, perché Mel lo aveva preso in disparte, con gli occhi luccicanti, “Non preoccuparti di loro. Madina come me ha dovuto imparare come ci si comporta, con le cattive, ed Astrid invece è cresciuta sola come un cane e non ha mai imparato l’educazione; dovevi vederla un millennio fa cosa era!” aveva dichiarato il guerriero cheruscio, “Adesso andiamo. Jason, preparati a rimanere strabiliato” aveva enunciato conducendolo verso un ampio portone.
Bianco, a due ante, immenso quasi.
Si erano accodati all’uomo vestito da soldato, che aveva ora un nutrito gruppetto di persone alle sue spalle e la donna elegante dai capelli biondi.

All’uomo vestito da soldato si erano aggiunti altri compagni, tutti suoi coetanei, così come alla regale donna bionda e tutta la sua troupe. Fredys, immaginava fosse quello il suo nome, aveva voltato lo sguardo verso di loro, aveva occhi azzurrissimi, uno sguardo affilato come un coltello. I capelli erano un biondo-ocra, come il grano ardente, stretti in una treccia severa. “Nuovo?” aveva valutato lei, guardando Jason; la voce di Freydis era dura come pietra che batteva contro altra pietra. Mel aveva annuito per lui, “Buona morte nýlidi[11]!” aveva dichiarato lei, sorridendo, prima di spalancare le ante del portone. Jason era stato invaso dalla luce, del sole più forte che avesse mai visto.

Mel aveva ragione: Jason avrebbe dovuto prepararsi ad essere stupito.
Dopo la vita – e la morte – che aveva avuto, i luoghi che aveva visitato, mitici e reali, il paradiso quasi, Jason non credeva di poter ancora essere meravigliato, ma lo era.

Quello che si apriva davanti a lui, in quella che pareva la corte interna dell’hotel, era uno sconfinato campo verde, dalla forma quadrata. Quasi una maestosa Central Park, imprigionata ai bordi da alte mura in marmo bianco, da cui si affacciavano ringhiere d’oro. Da cui gente di ogni tipo si affacciava, facendo grida da stadio, stendardi di ogni genere pendevano. In un tripudio di colori che si riversavano sul bianco marmo come un carnevale.
Jason aveva seguito con lo sguardo il profilo del palazzo, perdendo i contorni in nebbia fitta e lontananza.
Davanti a lui il giardino, però era terra, incolta, con colline, discese, zone boschive e campi aperti, tutto in un ecosistema ampio, sì, ma finito. Come un piccolo mondo in miniatura.
Da porte, come quella che aveva attraversato Jason, centinaia e centinaia di soldati si riversavano all’interno del giardino, che sembrava, anche pullulato essere in grado di contenerli tutti e rimanere vasto.
Quello, sì disse, era diverso dai panorami luminosi dei campi elisi, dalle acque tranquille e le sabbie argentee … e pensò anche: fosse magnifico[12].
Poi vide un uomo correre davanti a lui e cadere atterra strangolato da un laccio, a cui erano legate due pietre, che gli era finito addosso.



[1] Letimov ricorrente della saga di Magnus Chase

[2] Per favore non odiatemi Astrid, non è una di quelle militanti della moda che non hanno problemi ad indossare pellicciotti, ma è una persona che viene da un certo contesto storico. Vi dico, io, che le pellicce sono forse una delle poche cose rimastele della sua “prima vita”.

[3] Un tempo (cioè credo fino a prima della prima guerra mondiale o giù di lì) si combatteva solo durante le ore diurne e nelle stagioni calde, questo spiega anche perché c’erte guerre *coffcoff*anibalica*coffcoff* duravano vent’anni e passo.

[4] È una tipologia di cervo nord-canadese.

[5] Le lingue scandinave (che sono al momento per 4 diverse: norvegese, danese, svedese e islandese) sono tutte lingue germaniche, nota inutile ma …

[6] Non è un’offesa, Will intende proprio la specie.

[7] Se avete letto Magnus Chase conoscete già la spada in questione, se no, diciamo che è una signora spada (attenzione al genere) che può creare un po’ di complicazioni. Tipo deve uccidere ogni volta che è sfoderata.

[8] Magnus ci fa sapere che nell’Hotel Valhalla c’è una stanza che serve a questo.

[9] Freydis (Eriksdottir) è un personaggio che appare nella Eirik Saga Rauda e Groelandinga saga, sorella di Leif Eriksson e figlia di Erik, nonché un bel tipetto, pure parecchio infame. Secondo la Wiki di Riordan si trova nel Valhalla.

[10] 1755, c’è stato un terremoto a Boston!

[11] Novellino in islandese (che tra le lingue scandinave è la più antica, anche se Fredydis è tecnicamente di famiglia norvegese, però ecco, suo padre si è trasferito in Islanda e se non sbaglio con i suoi fratelli lei ha vissuto anche in Groenlandia – e in Vinlandia)

[12] Jason è stato cresciuto come Romano, quindi bho per me l’educazione militare deve averla avuta. Inoltre, tra tutti i pg di Riordan, Jason tra tutti e sempre stato quello più aperto ai confronti e quant’altro. La prova nasceva anche dal suo voler migliorare Roma prendendo le cose che aveva apprezzato dal Campo Greco e co … Cioè non lo so, mi sembrava il pg adatto ad apprezzare.

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Capitolo 3
*** Combatti. Muori. Sciaqua. Ripeti. ***


ECCOMI.
Credeteci o meno, nonostante questo capitolo sembri come i precedenti – e così come gli immediati a seguire – iniziano ad esserci le basi per una storia “seria”.
Vorrei ringraziare chi preferisce/segue ed in particolare Farkas ed Edoardo811 per aver recensito! E ovviamente chi legge!
Una piccola promessa: la scena di battaglia è stata un parto e la ho riscritta sedici volte, con altrettante diverse conclusioni. Nessuna mi soddisfaceva al punto tale da aver pensato di bypassarla direttamente. Ma Jason meritava il suo battesimo di sangue.
Era un po’ che non scrivevo personaggi Riordiani nell’universo Riordiano, quindi, spero di aver reso giustizia a Magnus, Alex e Jack (SOPRATTUTTO JACK).
TW: C’è un po’ di MISGENDER per Alex, ma perché Jason non sa – e cerca di fare del suo meglio.
Inoltre: allego qui un’immagine di Thumelic,
https://www.deviantart.com/rlandh/art/MEL-892729039
Ho molta difficoltà a fare gli uomini e si vede, ho dovuto scegliere uno stile diverso, palesemente copiato da una foto, a posta.
Buona Lettura,
RLandH

Combatti. Muori. Sciacqua. Ripeti.

 

“Giù nýlidi!” aveva strillato Freydis, facendolo piombare con la faccia contro l’erba fresca, prima di buttare fuori un po’ di rimproveri in una lingua nordica che Jason non conosceva.
Da qualche parte dietro di loro era esplosa qualcosa. “Ancora mi abituo a queste cose!” aveva strillato la guerriera vichinga, mentre si toglieva le mani dalle orecchie.
Jason si era tirato sui gomiti, aveva le orecchie che fischiavano, il sangue che colava dal naso per l’urto, ma l’esplosione non gli aveva colpiti.
“Hai miei tempi si usava solo spada e ascia” aveva dichiarato lei con voce ruggente.
Jason era ancora confuso dagli eventi per riuscire ad interpretare correttamente le illazioni della donna. Non aveva neanche capito come avesse perso Mel nella bolgia.
Era solo successo.
Jason aveva combattuto, oh sì che lo aveva fatto, anche contro eserciti di mostri – ma non aveva mai visto un campo di battaglia più caotico e nonsense di quello.
“Sì, be è piuttosto nuovo anche per me” aveva dichiarato Jason, cercando di pulire con il braccio il sangue che era preso a colare dal naso, gli faceva un certo male. “Ma sì, immagino” aveva valutato la donna, tirandosi in piedi, mentre faceva oscillare la sua ascia, mogia, calma.
Poi aveva sorriso, inaspettatamente aveva sollevato l’ascia verso di lui per colpirlo. Jason era ancora reclinato per terra ed aveva cercato Panikpak per difendersi, ma la spada gli era ancora ostica.
Il colpo di Freydis non era mai arrivato, la donna era stata colpita in piena testa da una freccia, che l’aveva passata da parte a parte, facendola esplodere in polvere d’oro.
Jason era rotolato giù da una cunetta per togliersi dalla prospettiva di essere colpito anche lui.
Evidentemente aveva ragione Mel, doveva ricordarsi di dirglielo.
“Oh ti sei preso il tuo tempo” aveva dichiarato Astrid, che era proprio lì. Jason non l’aveva vista arrivare, “Credo che Freydis abbia orchestrato la nostra divisione” aveva dichiarato lui, tirandosi in piedi, onestamente poteva aspettarsi che anche la sua vicina di casa pensasse di piantargli la sua bella lancia in pancia.
“Lo so, quel dannato sassone non farà altro che rinfacciarmelo” aveva dichiarato Astrid. Aveva un labbro spaccato ed un occhio gonfio, ad una mano aveva la sua accetta, era diversa dalle asce che aveva visto nell’armeria – o quella di Freydis – era più piccola, con l’orlo della lama più ampio e tondo.
“Se posso essere onesto non capisco” aveva dichiarato Jason alla fine, quasi sconfitto. “Freydis è un tipo particolare, non ha una bella fama, ha tradito due sue compagni, ma è un’amica di mio padre ed è la madre di una persona a me cara. Perciò io di lei mi fido, nonostante tutto. Non ho dubbi che la sua lama, quando verrà il Ragnarok sarà rivolta contro i miei nemici” aveva dichiarato Astrid, mentre lo conduceva per la vallata erbosa.
Jason l’aveva seguita, svelto, “Tuo padre le ha dato una mano, vero?” aveva chiesto poi alla fine. Non sapeva come lo aveva pensato, ma aveva avuto questa impressione, se pensava all’indignazione che aveva avuto prima, mentre parlava con Madina. “A tradire i suoi amici? No. Tradire i compagni di Freydis? Quello sì” aveva ammesso senza vergogna Astrid, “Però non erano suoi amici. Lei lo era, lo è ancora oggi” aveva dichiarato un po’ più tesa.
Famiglia. Argomento ostico.
“Anche tuo padre è qui?” aveva chiesto Jason, sollevando le sopracciglia. Non … non sapeva se fosse il caso di parlare di famiglia. Jason Aveva notato fosse sempre una danza complicata, per quasi tutti i mezzosangue e per buona parte dei suoi amici. Avrebbe voluto dire che lo fosse anche per lui, ma Beryl Grace non era altro che un nome sorto nel tempo, una memoria vaghissima, così come Thalia e Giove … Giove era un’idea.
Lupa lo aveva cresciuto e poi Roma … e sì, non avere una famiglia era stato difficile, ma non più di ogni altre cose. “Sì. Piano centododici, non scende quasi mai a combattere. Te lo ho detto: forgia armi per lo più. Ogni tanto fugge su Nidavelir, il regno dei nani. Lui è un buon guerriero, o non sarebbe finito qui, ma è … un fabbro. Non è certo Volund ma è un buon fabbro” aveva dichiarato Astrid con voce rude, poi si era voltata verso Jason, facendo oscillare le trecce scure – nere come piume di corvo.
“Senti, io non ho problemi a parlare di mio padre, mia madre, la mia famiglia in generale, partendo da Nonna Sif e finendo con il mio defunto pronipote Svane; però, ecco, sappi che non è così per tutti” aveva annunciato lei, seria, aveva uno sguardo duro, ruggente come il metallo, occhi chiari come il ghiaccio.
Jason si riteneva un bravo osservatore da sapere che non era del tutto vero.
Come Mel” aveva valutato Jason, non era stato mai bravissimo nel capire i sentimenti umani – la strategia, il combattimento, il corpo ma non i sentimenti – ma aveva ancora occhi.
“Come Mel e Fred, se mai uscirà” aveva confermato Astrid, piena di vergogna, almeno nella voce, con l’espressione invece ancora fredda come il ghiaccio. “Comunque, sì, te ne sei accorto … ogni tanto sono sgarbata. Non lo faccio a posta e non è una scusante” aveva dichiarato la ragazza prima di dargli nuovamente le spalle, Jason poteva immaginare che nelle sue orecchie quella frase fosse un mantra ripetuto ad oltranza da Madina.
“Mel ha detto che non hai mai imparato l’educazione” aveva considerato Jason, non era un rimprovero o altro, aveva anche detto fosse cresciuta sola come un cane. Questo lui lo poteva capire, aveva passato anni, come unico bambino nel branco della Lupa, c’era voluto tempo, quando era arrivato a Nuova Roma ad abituarsi agli altri, ad abituarsi ai comportamenti sociali degli altri. Per un anno aveva letteralmente ringhiato a chi si avvicinava di soppiatto[1]. Jason aveva visto una serie di emozioni balenare dietro gli occhi chiari di Astrid, ma alla fine aveva ridotto le labbra in una fessura, “Uhm … mio padre sapeva disciplinare il ferro meglio di quanto sapesse fare con me” aveva concesso.

“Quanto tempo dobbiamo restare vivi?” aveva domandato Jason, mentre la seguiva, a carponi, lungo la piana, a riparo dietro un’altura, diretti verso la foresta.
C’era stata un’altra esplosione, più lontana, ma non di molto.
“Fino a che non suona il corno” aveva dichiarato Astrid, “Ma puoi morire, tranquillo. Mel è già morto” aveva dichiarato Astrid, prima di fermarsi.
“Primato rovinato?” l’aveva presa in giro Jason. “Sì. Erano ben settantanove giorni che nessuno del piano venti moriva durante il giorno, se si esclude il suicidio di Mel con la forchetta” aveva risposto Astrid, “Adesso, alzati e scatta veloce, dobbiamo entrare nel bosco” aveva dichiarato.
“Cosa c’è nel bosco?” aveva chiesto Jason, invece. “Uhm … Un fortino e … Alex Fierro! Lo ho … ehm … la ho … ho visto la sua persona entrare” aveva dichiarato Astrid, piena di imbarazzo, “Penso sia una trappola, ovviamente, ma … infondo che importa?” aveva chiesto quella.
Jason si era lasciato sfuggire un sorriso, “Siamo qui per morire infondo” aveva concordato.
“Siamo qui per rischiare di morire e non farlo” l’aveva corretta lei.
L’attimo dopo, Astrid si era sollevata in piedi ed era scattata svelta come una gazzella verso il boschetto, Jason l’aveva imitato.
Aveva gambe più lunghe rispetto la ragazza e l’avrebbe superata, ma aveva preferito rimanere alle sue spalle, riusciva a vedere oltre Astrid, la ragazza  alle sue spalle. Aveva usato il vento, poco, non sapendo come gestire quel potere, lì, per non farlo vedere, per creare delle correnti d’aria che rendessero la traiettoria della frecce.
Una era vibrata pericolosa ad un passo dalle loro occhie.
“O tutti dei!” aveva dichiarato Astrid, “Meno male che avevano il vento contro” aveva valutato Jason, “Meno male … ma non c’è vento qui” aveva risposto quella, assottigliando gli occhi chiari.
Jason era avvampato.
Poi Astrid si era lanciata eclettica nel bosco.
Lui preferiva di solito il campo aperto, ma non aveva senso rimanere scoperto ad una pioggia di frecce, davanti a quel caos albergante, di lame e scudi, tutti contro tutti.
Terribilmente caotico.
Molto di più di quanto fosse stata la battaglia contro Gea, dove almeno era stato possibile distinguere chi fosse contro chi.
Il bosco nascondeva insidie, specie per lui, che non lo conosceva, ma aveva osservato come svelta ed attenta era Astrid.
Aveva passi sottili e leggeri come quelli di una cerbiatta, saltava da un albero all’altro, nascondendosi dietro le cortecce. Posava la schiena contro il tronco ed attenta che neanche un filo di capelli scuri sfuggisse alla sua vita, osservava più in là, per poi saltellare.
Erano anche mille anni che lo faceva.
“Allora … ti eviterò l’impiccio del mentirmi, non chiedendoti niente” aveva esordito lei, il suo tono era basso, ma duro come l’acciaio.
“Cosa?” aveva chiesto Jason, aggrottando le sopracciglia.
“Uhm … Non ti sei mosso sul campo come si muovono quelli di oggi. Eri preciso ed attento, a tutto. Ti ho visto intimidire Gunther del quattrocentesimo piano con una sola occhiata. Zia Trudy ha messo su una scenetta per te, oh certo! Il vento!” lo aveva pizzicato lei.
“Il vento …” aveva ripetuto Jason, certissimo di non essersi fatto beccare, era stato un movimento leggero di dita, una brezza forse si, ma veloce, per deviare la freccia.
Poi si era voltata verso di lui, l’espressione non più così austera, “Oh! Il tatuaggio, ovviamente!” lo aveva stuzzicato.
Gli occhi chiarissimi di Astrid avevano seguito il profilo del suo braccio, lì dove nella parte interna, era inciso in nero la sua inequivocabile appartenenza a Nuova Roma.
“Sono fan dei Romani; colpa di mia madre, ha fatto una comparsa nella serie degli anni Settanta, IO, Claudio … e poi dai, siam tutti cresciuti con il gladiatore” aveva provato Jason, mentendo, circa. Non aveva mai visto il secondo film, anche se Gwen una volta aveva tenuto una seduta durata un’ora, durante una riunione del senato, per lamentarsene. Beryl Grace di rimando aveva davvero fatto una comparsa nella serie da lui citata.
Jason l’aveva scoperto molto tardi nella sua vita, glielo aveva raccontato Thalia. Dopo aver dismesso la sua ricerca di Leo ed aver cominciato a frequentare la scuola, aveva provato a procurarsela, così alcuni suoi compagni – decisamente più navigati di lui con internet, e senza incorrere nel rischio che qualche mostro fosse attirato dai loro macchinari – gliela avevano scaricata. Aveva visto tutti e tredici gli episodi, cercando, nello sfondo, la fugace figura di Beryl Grace – era quasi certo di averla intravista, durante il sesto episodio.
“Sì, come no” aveva ribattuto Astrid, riportandolo con i piedi per terra, “Stai tranquillo, ogni tanto capita che qualcuno il cui dominio non è qui, ci finisca. Una valchiria al momento giusto. Se non ricordo male, credo ci sia un guerriero figlio di Perun[2] da qualche parte” aveva replicato lei.
Jason non credeva fosse così semplice o Thrud non sarebbe stata così categorica.
“Quindi non ti chiederò niente” aveva stabilito Astrid, “Anche perché ho l’impressione che zia Trudy potrebbe essersi messa nei guai”.
Jason si era morso le labbra, “Grazie” aveva concesso alla fine.
Astrid aveva fatto qualcosa che somigliava ad un sorriso, ma Jason non si sentiva così audace da definirlo in quella maniera. “Solo, ecco, magari terrei la tua propensione alla romanità più nascosta. Mel non ama molto i romani” aveva esclamato lei.
“Immagino sia da imputare al fatto che fosse uno schiavo” aveva valutato lui; cheruscio e gladiatore, non vedeva molte altre possibilità; Astrid aveva sollevato le spalle, “Immagino sia per quello” aveva concordato lei.
Jason aveva sentito un frusciare alle sue spalle, si era lanciato verso Astrid, facendola ruzzolare per terra, un fischio aveva tagliato l’aria mentre un laccio con due pesetti aveva colpito il tronco di un albero.
“Che riflessi” aveva constato Astrid, “Sono stato cresciuto a test mortali” aveva concesso Jason, stringendo le labbra. Non sicuro di quanto potesse essere onesto. Conosceva Astrid da poco meno di ventiquattro ore. Anche se lei lo aveva già scoperto.
“Anche io” aveva dichiarato Astrid, calma, “Il mondo wicinga[3] non era gentile con una skraeling[4]” aveva aggiunto.
“Non capisco niente di quello che dici, lo sai?” aveva chiesto Jason, poi.
Astrid si era lasciato sfuggire un sorriso divertito, “Devi proprio cominciare a studiare” aveva ammesso lei.
Lui aveva annuito, “Potresti alzarti?” aveva chiesto poi Astrid. Jason, realizzando di esser steso ancora sopra la ragazza, si era spostato, a metà tra l’imbarazzo e la consapevolezza che fossero ancora nel pieno di una battaglia. 

Avevano dovuto camminare per almeno un’altra ora nella foresta, avevano ucciso il lanciatore pazzo, due trapezisti armati di lancia ed un soldato della Prima guerra mondiale.
Jason ci aveva guadagnato anche un foro di proiettile fresco alla spalla.
Però, aveva potuto osservare una cosa, Astrid era una furia. Era davvero una furia ed anche terribilmente brutale.


Però avevano trovato il famoso fortino.
“Ciao Magnus! Immaginavo che dove ci fosse Alex dovevi esserci anche tu” aveva commentato Astrid, aveva perso gran parte dell’allegrezza, avendo recuperato la sua espressione calma. Gli occhi cerulei erano quasi spaventosi, con il viso macchiato di sangue, rispetto alla sera prima non sembrava toccata dal fatto che probabilmente avrebbe dovuto bruciare i vestiti.
Anche Jason, per fortuna doveva già andare in lavanderia.
Magnus, la persona a cui Astrid si stava riferendo, aveva sorriso verso di loro.
Era sul tetto del fortino – se così poteva essere chiamato, un’accrocchi di pannelli in ferro ed altri metalli in un patchwork spaventoso. Leo lo avrebbe amato.
“Sì, abbastanza prevedibile” aveva constato il ragazzo di nome Magnus. Era giovane, aveva valutato Jason, sembrava suo coetaneo, ma lì, non voleva dire nulla, il ragazzo poteva avere quasi duemila anni, differentemente da gran parte dei membri dell’hotel, sfoggiava dei pantaloni di jeans sbiaditi ed una t-shirt, esibiva anche un paio di converse verde pistacchio. Aveva un viso bello, fresco, un po’ appuntito, capelli biondi, lunghi fino alle spalle[5], leggermente ondulati sulle punte. Sembrava un po’ Kurt Cobain, o almeno Jason imputava a quello, il senso di famigliarità che il ragazzo gli suggeriva[6]. “Però non credo di ricordare il tuo nome” aveva ammesso con somma vergogna Magnus, grattandosi il capo biondo.
Aveva gli occhi grigi.
“Sul serio?” aveva esclamato Astrid, offesa.

Mango! Sei pessimo!” aveva ghignato una voce alle loro spalle. Jason si era voltato di scatto, non lo aveva sentito, ma qualcun altro si era avvicinato.
Era la ragazza – Jason non ne era sicuro – con gli occhi eterocromi, uno scurissimo e l’altro biondo come l’oro fuso, aveva uno sguardo affilato da gatta ed un sorriso piuttosto divertito. L’incarnato era zucchero cotto e i capelli corvini, sporcati sulle punte di verde.
“Mi chiamo Astrid! Vivo da qui da MILLE ANNI. Due settimane fa ti ho ucciso” aveva ribattuto acida la ragazza. “Oh, sì, sei quella che mi ha ucciso con un arriccia capelli per l’Epica-Guerriglia-Notturna!” aveva ricordato Magnus, mentre con un movimento svelto era scivolato via dall’accrocchi-fortino, per essere sull’erba.
Jason non aveva tolto lo sguardo dall’altra invece, che non si era mossa di un centimetro, indossava sgargianti pantaloni rosa ed una maglietta verde brillante, non quella dell’hotel, ma gli occhi di Jason erano per le mani, in cui stringeva una garrotta fatta di un filo sottile, ma d’oro lucente.
“Io sono Alex, immagino che tu non conosca ancora molte persone” aveva cinguettato lei – Jason non era davvero sicuro fosse una ragazza, era molto androgina – “Lui lo sapete chi è!” aveva dichiarato Astrid, ammiccando a Jason.
Si era comunque presentato, per cortesia.
Magnus lo aveva studiato, come se stesse cercando qualcosa – Jason ebbe il timore di sapere cosa fosse e istintivamente aveva nascosto il braccio con il tatuaggio.
“La presentazione più originale da quella di Mango, a quanto si dice” aveva dichiarato Alex.
“Sono oggettivamente contento che mi abbiano rubato il primato” aveva concesso il biondo con un sorriso nervoso.
Astrid aveva stretto il manico sulla sua piccola accetta, “Domanda veloce, Jason” aveva detto, mentre faceva saettare gli occhi chiari ad Alex ed il suo fil di ferro.
“Quanto sei bravo come spadaccino?” aveva chiesto lei, serissima. Per una miglior coerenza con le menzogne di Thrud, Jason avrebbe dovuto dire che era pessimo o passabile o qualcosa del genere, ma la serietà nello sguardo di Astrid lo confondeva.
“Sono bravo” aveva dichiarato, con sicurezza.
Era cresciuto con spada e lancia alla mano. Era bravo.
Astrid aveva piegato appena le labbra, “Be, perché dovrai essere maledettamente bravo, perché l’alternativa è vederla contro non so … un grizzly?” aveva dichiarato lei, facendo saettare gli occhi contro Alex.
“Lo so, hai affrontato anche M
ánagarm[7], una volta” aveva dichiarato l’altra, mettendo da parte la sua garrota, nella tasca posteriore dei suoi pantaloni.
Jason si era voltato contro Magnus, intuendo dovesse essere lui il suo avversario, aveva stretto di più la presa su Panikpak, trovandola ancora così estranea.
Magnus si era slacciato la collanina che portava al collo e l’aveva fatta roteare in aria, quando l’aveva afferrata non aveva più un laccio, ma una lama d’oro splendente.
Ei amico, era ora!” aveva dichiarato qualcuno.
“Scusa amico” aveva dichiarato Magnus, riferendosi alla sua spada. “Jason-Jack, Jack-Jason” aveva dichiarato Magnus, inclinando il polso, facendo oscillare la sua lama, come se la stesse introducendo – probabilmente lo stava facendo.
“Ei, Salve Jason. Scusa se dovrò ucciderti, poi dopo possiamo scambiarci le nostre playlist” aveva dichiarato ancora la voce, era la spada. La spada parlava.
Jason aveva schiuso le labbra.
“Lo so, fa uno strano effetto” aveva dichiarato Magnus. Jason sapeva di armi parlanti, Apollo aveva una freccia che gli sibilava cose, ma poteva sentirla solo lui.
“Jack, non credo che Jason voglia avere la tua playlist di Katy Perry o Taylor Swift” aveva provato il proprietario, riferendosi alla spada.
Era una situazione paradossale, “Sciocchezze Magnus, a tutti piace Katy Perry, giusto Jason?” Jack si era rivolto direttamente a lui.
“Ehm … mi piace Hot e Cold” aveva provato Jason colmo di imbarazzo, “Vedi?” era stata la risposta della spada con un tono anche piuttosto soddisfatto.
“Oh, dei del cielo, volete anche un po’ di idromele a Kanelbullar?” aveva richiamato la loro attenzione Astrid.
Non era più al fianco di Jason in quel momento, “Magari dopo” aveva risposto Alex, era stata lei la prima a rompere lo stallo, lanciandosi su Astrid, disarmata, ma quando l’aveva raggiunta non era umana, ma era una bel puma dalla forma snella e flessuosa.
L’altra non si era data per vinta ed anche se era finita sotto le zampe bestiali, aveva ficcato la lama all’altezza della spalla della pantera.

“Alex è uno shapeshifter” aveva dichiarato Magnus, come Frank, era stato il pensiero dolce che aveva passato la mente di Jason.
“Quindi, vogliamo far qualcosa o chiacchieriamo soltanto?” aveva domandato Jack, “No, perché per me non dovrebbe esserci nessun problema. Nei convenevoli sono anche più affilato di quanto taglio” aveva ripreso a blaterale la spada.
“Ti prego combattiamo o non starà zitto” lo aveva letteralmente implorato Magnus.
“Va bene” aveva ammesso Jason, più rilassato.
Non aveva mai combattuto con così tanta rilassatezza, neanche quando erano semplici allenamenti a Campo di Giove. Tutto aveva uno scopo, tutto doveva essere preciso. Si allenava per il futuro, per quella profezia che sapeva essere per lui.
Ogni duello, anche il più sciocco, era stato vissuto con … dolore.
Alla fine di quello scontro sarebbe probabilmente morto, solo che vista la situazione, la cosa non gli provocava brividi.
“Va bene!” aveva concesso rilassato, “Inoltre: preferisco Florence e the Machine” aveva aggiunto.
Quell’ultima frase era stata interpretata da Jack come un’offesa personale visto che aveva cominciato a vibrare nella mano di Magnus.
Ebbe quasi l’impressione che fosse la spada a guidare lo spadaccino verso di lui, che il contrario.
Jason si era quasi distratto quando aveva sentito un ruggito – sicuramente non da pantera – alle sue spalle, ma aveva intercettato il colo, parando con Panikpak.
I due ferri avevano cantato insieme.
“Troppo rude, decisamente non il mio tipo” aveva dichiarato Jack.
“Scusa è una spada un po’ … provolona?” aveva provato, imbarazzato Magnus, quasi danzando, mentre arretrava. “Panikpak terza è troppo rude, sua sorella Panikpak sedici è molto più dolce, prendi lei la prossima volta, ti prego!” lo aveva supplicato la spada.

Jason aveva vissuto situazioni che faticava ancora a realizzare essere davvero successe, ultima essere rapito dal paradiso da una Valchiria Chiacchierona, ma la conversazione con la delirante spada parlante marpiona e fan di Katy Perry era in cima alla lista.
Però Magnus era davvero un signor spadaccino, o meglio, era molto bravo, ancora un po’ grezzo, di chi probabilmente aveva imparato l’arte della spada in modo duro e crudo – probabilmente affinandosi nella lotta proprio lì nel Valhalla, fino alla morte – ma dove arrivavano i limiti di Magnus, aggiustava le cose Jack, che non era decisamente solo una spada chiacchierona.
Ne aveva avuto la conferma quando Magnus l’aveva lasciata ed era stata la spada a continuare il duello, non in autonomia, ma quasi.
L’altro enherjar la guidava da lontano. Jason, si sentiva sia fuori allentamento, sia pressato. Jack era diversa da qualsiasi spada avesse mai provato e doveva ammettere che Panikpak non era alla sua altezza, ne ebbe la conferma dopo una vibrazione, posteriore ad un impatto, fin troppo forte, nel vederla saltare via metà.
Aveva evitato l’affondo di Jack per poco, ritrovandosi un taglio brutale sopra la clavicola.
Anche con tre quarti di spada aveva continuato a menar la lama, consapevole di star combattendo ormai consapevole di aver finito.

Astrid e Alex alle loro spalle avevano continuato il loro scontro, composto da versi, strazzi ed urli.
Magnus aveva fatto qualcosa con le mani, Jason, impegnato a guardare il profilo scintillate di Jack, non aveva visto bene, ma per un momento per quanto breve aveva sentito il bisogno di lasciar perdere.
Era la stessa sensazione dei campi elisi. Pace.
Pace fluttuante, eterea.
“IGNORALO!” aveva sentito urlare Astrid, “È opera dell’alf siedr! È la pace di Frey!” aveva specificato.
Jason aveva lasciato scivolare dalla sua presa Panikpak.
Era forte il potere di Magnus, era forte la pace di Frey, ma lui era stato educato con il dilectus[8], per quanto l’avesse poi trovata insofferente.
Onore e disciplina.
Oh Marte Ultore!
Aveva mosso la mano svelto, richiamando gli spiriti del vento, o i venti, molto di più di quanto avesse fatto per cambiare le direzioni delle frecce. Sapeva ci fossero. Lì sentiva nell’aria, così come la sera prima aveva visto le valchirie cavalcarle. Non era certo affatto di poterli dominare, non era nel suo dominio, però lo era, da quel momento lo era. Aveva evocato delle piccole turbine, aveva disorientato Jack così e sbalzato Magnus, che era finito a terra, poco lontano dal fortino.
“Amico che è successo?” aveva chiesto Jack, mentre tornava tra le mani del suo proprietario, “Confesso una certa confusione anche io” aveva ammesso quello, tirandosi su, massaggiandosi la nuca.
Jason aveva guardato i resti di Panikpak sull’erba nuda … e già che aveva ballato, valeva la pena continuare.
Aveva recuperato la moneta e l’aveva fatta scattare verso il cielo, quando l’aveva afferrata, aveva afferrato il gladio di Giunone[9].
“Oh! Per l’ultimo fidanzato di Taylor Swift, un nuovo amico!” aveva ghignato Jack su di giri, “Ed anche … be, come me!” aveva esclamato Jack felice.
“Uhm?” aveva provato Magnus, “Forgiata per un dio!” aveva dichiarato Jack soddisfatto, “Ed ovviamente non abbandonato dal suo BRO per infilarsi sotto le gonne di una donna” aveva aggiunto infastidito.
Magnus aveva roteato gli occhi, Jason indovinò dovesse essere una situazione ricorrente.

Jason aveva avanzato, rincuorato, si sentiva più forte, accompagnato dal vento, dalla sua spada – romana – e dal tempo. Il sole luminoso del campo, che filtrava dalle fronde degli alberi, cominciava ad offuscarsi.
Prima venne una luce, il lampo, poi il tuono.
“Jason!” la voce di Astrid era arrivata inaspettata, si era voltato verso la sua amica, aveva un colorito esangue, giacché buona parte di esso le imbrattava il viso ed il corpo. I vestiti erano stracci e tagli le deturpavano la pelle.
Ma non stava chiamando per avere il suo aiuto, gli occhi chiari di Astrid erano scintillanti di rimprovero.
Era stato stupido … e aveva esagerato.
Si era voltato ed era andato contro Magnus, mentre i raggi del sole tornavano a fluire su di loro. L’altro era rimasto sconvolto per un secondo, confuso, ma aveva presto risposto allo scontro, senza perdere.
Jason dovette ammettere fosse stanco, esausto, drenato … ma libero.
Magnus era letale e capace e Jason rispondeva.
Ebbe l’impressione che nulla avrebbe potuto fermare quello scontro che nessuno avrebbe potuto sovrapporre l’altro, che avrebbero lottato in eterno.
Senza che Jason potesse disporre dei suoi altri poteri e come aveva l’impressione l’altro stesse rispondendo.
Ed ebbe anche la sgradevole illuminazione che se Magnus non lo avesse ucciso, Jason non sarebbe riuscito ad ucciderlo ugualmente. Una parte di lui sapeva che quel combattimento non poteva essere davvero per la vita e … Magnus non era un mostro, non era un nemico, non era un imperatore pazzo, era un ragazzo come lui …
E Jason … Jason non ci era abituato.

Era stato ferito alla gamba da Jack e con Giunone aveva affettato una parte della faccia del ragazzo ed erano andati avanti così, ripetutamente, finché non era finiti ad essere altro che dei colabrodi, incapaci di stare in piedi. Jason si ara accasciato per primo, Magnus aveva fatto un po’ di passi, ma poi era caduto anche lui.
Esausto e morente, senza riuscire a stillare il corpo mortale.
Jason si era trascinato verso di lui, “Uhm …” aveva provato Magnus, sputando un po’ di sangue e tossicchiando, “Potremmo suicidarci?” aveva proposto.
Jason aveva provato a ridere, ma continuava a sentire dolore in ogni centimetro di se, mentre con gli occhi sfiorava la luce dietro le fronde. Era quasi … liberatorio.
“Sei bravo” aveva riconosciuto Jason, “Grazie, tu di più” aveva risposto Magnus.
Poi erano rimasti lì, pallidi e dissanguati.
Il sole era stato oscurato dalla figura di Alex, la maglietta era quasi disintegrata, i pantaloni verde erano macchiati di rosso e respirava a fatica.
Mancava l’occhio nero e parte della faccia.
“Devo uccidervi io? Eh?” aveva chiesto, nonostante tutto con il sorriso soddisfatto di un gatto sornione – con meno denti.
“Sarebbe fantastico, amore” aveva risposto Magnus.

 

Nico era in contemplazione, non era al campo, Jason sapeva dove fosse: era nel labirinto. In qualche maniera ancora vivo. Per sempre vivo. Una creatura a sé che non poteva essere soffocata.
Nico era seduto per terra, teneva tra le mani una maschera di Medusa. Stava provando un’invocazione.
Il suo amico aveva rovesciato sul fuoco una coca-cola, una cool-aid, delle patatine fritte, due hamburger ed una fetta di cheesecake ai lamponi, anche un paio di ossa di costine, ricoperte di grasso. Una delle più sostanziose offerte che avesse mai visto.
“Ho bisogno di parlare con loro. Con uno di loro” aveva dichiarato, la sua voce era dura, inflessibile. Nico era sempre stato potente, il più potente, ma in quel momento, la sua forma rispettava la sua forza.
Il fuoco era scintillato, da rosso, a blu, a verde, era divampato, si era alzato colonne di fumo, fuliggine, storto.
Poi un viso era affiorato, “Il nostro sonno non può essere disturbato” aveva dichiarato una voce, era gentile, Jason la conosceva. Viso pallido, occhi blu e crine nerissimo, un sorriso dolce decorava un volto attraente. La ragazza di nome Silena.
Nico stava evocando uno spirito dei Campi Elisi.
“Voglio sapere di Jason Grace, era uno di voi ed ora non lo è più” aveva dichiarato il suo amico.

 

Jason si era svegliato di soprassalto.
Era nella sua bella camera al piano venti dell’hotel.
Era morto una quarta volta, questa volta ci aveva pensato Alex a mettere fine alla sua piuttosto lenta agonia. Fino a quel momento era stata l’unica morte vagamente piacevole che aveva avuto, per i canoni del morire.
Però stava bene in quel momento, si sentiva in forze ed anche riposato.
Se escludeva Nico dalla sua testa ovviamente – non che volesse farlo.
Si era alzato, scostando le coperte, i suoi vestiti erano nuovi e non una traccia delle ferite che aveva addosso erano presenti.
Aveva comunque deciso di buttarsi in doccia e cambiarsi, guidato più dal fatto di sentirsi addosso i suoi vestiti da più tempo del necessario.
Aveva indossato dei jeans ed una maglietta, recuperato dall’armadio della stanza. Non era sua. Però era di un vibrante viola che ricordava la maglietta del Campo di Giove senza esserlo.
Aveva osservato il pavimento della sua stanza dove erano ancora sparsi fogli in tutti i luoghi.
Doveva finire, realizzò.
Ma non era quello il momento a dargli manforte, ci fu anche un tocco alla sua porta.

Jason aveva aperto.
Mel era lì, con indosso la maglietta dell’hotel ed i pantaloni cachi di trekking, tutt’altro che con l’aspetto di un feroce gladiatore – doveva essersi abituato bene allo stile moderno[10].  Inoltre, non aveva più i capelli sistemati in una treccia, ma lì portava sciolti, coprendo la rasatura sulle tempie. Non sembrava più un terribile guerriero mirmillone ma appariva un adolescente trasandato degno di una comunità hippy – circa. Jason non ne aveva mai vista una, ma lo immaginava così.

“Come è stata la prima giornata a Idavol?” aveva chiesto allegro, con un sorriso bello luminoso.
“Dove?” aveva domandato Jason, “Il campo, si chiama Idavol!” aveva chiarito subito l’altro, mentre si faceva da parte per farlo uscire dalla stanza.
“Sono morto di stenti, letteralmente” aveva raccontato Jason, aggiustandosi gli occhiali sugli occhi. “Meglio che a me, “Mi hanno decapitato, con una spada, solo che ci hanno messo tipo tre o quattro colpi, ha fatto davvero schifo ed un male cane” aveva raccontato l’altro.
Madina era uscita dalla sua stanza, indossava un abito bianco, con la gonna a campana che arrivava fino a metà polpaccio. Anche Astrid si era palesata, Jason aveva sentito il rumore della porta che si chiudeva alle loro spalle.
Si era voltato per cercare la ragazza, aveva ancora i capelli inumiditi, raccolti in due trecce severe, era vestita in maniera piuttosto bislacca, sfoggiava una casula di pelliccia, dall’aria pesante e datata, lunga fino a metà delle cosce, da cui uscivano pantaloni a palazzo. Doveva essere la sua versione borghese.

“Tu non dire niente!” aveva subito esordito indicando Mel.
Probabilmente si riferiva alla questione relativa a Freydis.
“Oh, povera, sei morta vero?” aveva chiesto Madina, prendendola in giro, “Perché io no!” aveva gongolato. Astrid l’aveva ignorata a pie pari preferendo superarli per fermarsi davanti la consueta porta di Fred, solo che alla fine non aveva bussato, scoraggiata.
Madina aveva pensato a riempire il silenzio che era aleggiato nel corridoio, “Jason. Io e Mel andiamo a fare un doppio a Tennis-Mortale con Halfborn e Mallory, due ragazzi del diciannove” aveva dichiarato subito quella, “Se vuoi puoi venire a vederci” aveva aggiunto la figlia di Ullr.
Tennis mortale?” aveva chiesto Jason perplesso. “Oh, è fantastico! Una volta abbiamo utilizzato una bomba a chiodi come palla! La prossima volta prenoto la stanza per un singolo, sarà divertentissimo” aveva stabilito Mel, facendoli l’occhiolino.
“Io invece devo andare ad aiutare al Rifugio” aveva attirato la loro attenzione Astrid, “Come pegno a Bltiz per smacchiare la mia pelliccia di wapiti che un idiota ha insozzato con il suo sangue” aveva rimarcato la ragazza, assottigliando lo sguardo verso Mel. “Siamo nel ventunesimo secolo, Astrid, non hai sentito tutti i discorsi che fanno quei due del novantasettesimo piano?” aveva chiesto retorico.
“No, io indosso pellicce e mangio carne di balena” aveva risposto Astrid.
Jason aveva declinato l’invito di Madina, per quanto doveva dichiararsi interessato a vedere cosa fosse il Tennis-mortale, “Comunque vorrei andare in lavanderia” aveva aggiunto.
La figlia di Ullr l’aveva guardato attenta, come se volesse capire per bene quello che nascondeva, ma poi aveva scosso il capo, “Sì, certo, ti spiego la strada” aveva concesso.
“Ma no, dai lo accompagno io, sarebbe una tragedia se sbagliasse strada ed aprisse una porta per Helheim” si era intromesso Mel con un sorriso tranquillo.
Jason faceva davvero fatica a recuperare tutti i nomi, mitologici. “Poi ti raggiungo per il tennis” aveva rincuorato la fidanzata.
Astrid aveva imboccato la via verso l’ascensore, forse non interessata a fare da guida a Jason anche nel pomeriggio; lui sospettava fosse risentito per come era andata la battaglia.
Madina si era mossa per imitarla, quando una voce li aveva tenuti incollati lì.
“Uhm … ragazzi?” l’invocazione era venuta dalla stanza di Fred.
Tutti e tre gli altri ragazzi del piano erano saltati su immediatamente.
“Oh! Fred!” aveva esclamato Madina avvicinandosi subito all’uscio, “Avete notato che ad un certo punto oggi ha quasi piovuto, ho visto un lampo e sentito un tuono” aveva fatto notare Fred da dietro la porta.
“Dovevo essere già morto” aveva valutato Mel.
Sì lo era.
“Ma si, Otto o Lars oppure qualche altro figlio di Thor si sarà divertito” aveva proposto Medina; “Mi sembrava diverso” aveva suggerito il ragazzo dietro la porta. “Io scommetterei su Vladimir, quello figlio di Perun; quello di un altro pantheon” aveva mentito subito Astrid, prontissima. Fred era rimasto in silenzio, “Può essere” aveva concordato Fred, ma non era sembrato molto convinto.
“Senti, Fred, perché non vieni a vedere la partita, questa è la volta buona che vediamo ad Halfborn esplodere la barba” aveva proposto lei gentile, materna, mettendo una mano sulla porta. “Uhm … no, io credo che starò qui sta sera” aveva risposto quello, prima di allontanarsi dalla porta, Jason aveva sentito dei passi distanti.

“Non esce mai-mai?” aveva chiesto il romano.
“No, l’ho fa, di tanto in tanto” aveva risposto Mel, amareggiato.
Astrid era rimasta in silenzio per un attimo, “Che si secchi l’Hvergemir! Fred, a nessuno importa di chi sei figlio, parola di Skraeling!” aveva dichiarato, riprendendo a marcia dura verso l’ascensore.
Madina aveva gettato un ultimo sguardo alla porta di Fred con tristezza, prima di imitare l’amica e Jason e Mel l’avevano imitate.
“La famiglia è un tema sempre delicato, in particolare da queste parti” aveva asserito Mel, Jason aveva annuito, poi aveva commentato: “Padre assento, sorella scappata-di-casa e matrigna …sui generis.
Jason non aveva parlato di Beryl, sembrava strano parlare di lei, la conosceva pochissimo.
Il gladiatore barbaro aveva annuito, “Io avevo un rapporto molto altalenante con mio cugino” aveva dichiarato quello; grattandosi il capo.

Avevano preso l’ascensore tutti insieme, si erano aggiunti altri inquilini dell’hotel e piano, piano, avevano cominciato a separarsi.
“Di qua!” lo aveva chiamato Mel, mentre lo conduceva per un corridoio, fuori dalle ante dell’ascensore.
Il corridoio era semi vuoto, con alcune piccola eccezione.
Erano passati dei figuri, con indosso la maglietta verde dell’hotel con l’aggiunta della scritta Staff, che avevano lanciato ai due una serie di sguardi poco amichevoli.
“Perché siete qui?”  uno si era fermato. Era lo stereotipo del vichingo, alto, spesso, con i cappelli biondissimi lunghi ed una barba bionda e curata.
Aveva occhi chiari e rudi.
“Oh, ciao Askr!” aveva dichiarato Mel, con una faccia di bronzo, alzando anche la mano per segno di saluto. “Solo lo Staff può entrare, Thumelicus” aveva stabilito Askr senza perdere un minimo della sua rigidità.
Mel aveva voltato il viso verso Jason, “Ho un appuntamento con un membro dello staff” aveva provato Jason – era una mezza verità.
“Con un membro dello staff? Non sarà la mia Embla!” aveva risposto subito quello, stringendo i pugni. “Oh, no, no!” aveva dichiarato subito Jason, “Non conosco nessuna Embla” aveva aggiunto.
Possibilmente quella cosa aveva fatto arrabbiare Askr anche di più – a quanto pare.
“Jason è appena arrivato, non sa niente dei miti” si era inserito Thumelicus, “Ah, si, sei quello senza video, giusto?” aveva chiesto Askr recuperando un po’ di calma, sebbene avesse ancora l’aspetto rigido e duro.
Jason aveva annuito. “Comunque non me ne importa, questo è solo per lo staff – levatevi di torno” aveva ruggito Askr, a salvarli dall’essere cacciati dal grosso vichingo, era arrivata giusto Thrud in persona.
“Oh, uomo, ci penso io” aveva squittito quella con un sorriso rilassato, palesandosi.
Indossava ancora l’armatura a piastrine sottile, ma sotto si vedeva la maglietta verde petrolio dell’Hotel. La gonna di pelle, gli anfibi e i capelli biondo rosso lasciati sciolti.
Askr aveva chinato il capo, rispettoso, “Certamente Lady Thrud” aveva dichiarato quello, “Inoltre, se cerchi Embla oggi è di turno alle piscine” aveva avvertito subito quello. Askr si era fatto esangue in viso, aveva chinato il capo, mormorato qualcosa – che Jason non era sicuro fosse un grugnito, prima di scomparire a gran velocità.
Mel aveva subito detto a Jason: “Askr ed Embla sono i primi due esseri umani creati. Lui è molto geloso, perché sai un tempo erano solo loro due, invece, ora ci sono così tanti uomini nuovi. Non si è ancora abituato” aveva raccontato subito.
“Sì, sono tipo Adamo ed Eva nostrani, un’immagine che possa risultarti più chiara” aveva dichiarato Thrud, attirando nuovamente la sua attenzione, “Certo un po’ diverso, niente serpenti e mele del peccato” aveva aggiunto.
“Ah, faccende cristiane!” aveva dichiarato Mel, “Se mi chiedi di Cura e Pandora, forse qualcosa ne so” aveva aggiunto lui, con nervosismo.
Thrud aveva sorriso ferace, “Non ci serve, guerriero, grazie per aver scortato Jason, ma puoi andare guerriero” lo aveva congedato Thrud. L’ultima parte non era sembrata molto un invito. Nonostante l’aspetto giovanile e l’aria sbarazzina, Thrud era una dea, Jason lo riusciva a percepire, non una potentissima, forse era prima una valchiria e poi un membro di una stirpe divina, ma lo era, a tutto tondo. Emanava quella riottosità lucente.
Mel aveva annuito ed era scappato, dopo aver salutato Jason, alla stessa velocità di Askr. “Buona fortuna per il tennis” aveva strillato Jason alla sua schiena.



Jason aveva seguito la valchiria, nella stanza delle lavasciuga, “Allora Jason Giovesson” lo aveva interrogato lei, facendo chiudere la porta alle sue spalle, “Quale parte del fingiti mortale, uno particolarmente, cieco hai perso?” aveva chiesto retorica la valchiria.
Lui aveva abbassato lo sguardo, colmo di senso di colpa. “Credo che Astrid lo abbia capito” aveva dichiarato subito Jason poi.
Thrud aveva sollevato un sopracciglio, “Tu dici?” aveva chiesto sarcastica, “Io credo l’abbia capito pure Odino dall’alto del suo trono” aveva stilettato, “Ma siamo fortunati … perché starà in silenzio” aveva aggiunto, la sua valutazione sembrava più un pensiero tra sé e sé. L’espressione sempre smaliziata si era cristallizzata in un tono serio e pensieroso.
“Senti Jason, non pensiamoci ora, abbiamo altro da fare” aveva dichiarato poi Thrud, spogliandosi della sua espressione seria ed anche della cotta di piastrine.
La porta alle loro spalle si era aperta, lei si era fatta rigida e Jason si era voltato di scatto.
“Oh! Non sapevo fosse occupato” aveva civettato la voce falsamente gentile di Freydis Erikdottir, che differentemente da prima pareva molto meno una guerriera vichinga ma più una regina, con la gonna blu pavone, collane e bracciali d’oro ed i capelli biondi lasciati sciolti.
Alle sue spalle c’erano altre due persone, uno era uno dei compagni di piano della donna, l’altro non lo conosceva.
“Molto occupato” aveva risposto Thrud, con espressione maliziosa.
Freydis aveva ricambiato il gesto, analizzando Jason con ogni centimetro degli occhi, “Sì, oggi valutavo non male il nuovo acquisto del piano venti” aveva aggiunto.
Jason doveva dichiarare di sentirsi profondamente a disagio davanti una donna, per quanto attraente, ma così adulta, essere così sfacciata con lui. “Hai cercato di uccidermi con un’ascia” aveva guaito. “E domani probabilmente lo farò” aveva tubato di rimando la donna.
“Adesso se potresti per caso … lasciarci” aveva dichiarato Thrud, attirando nuovamente l’attenzione su di lei.
“Certo, andiamo via subito” aveva dichiarato con una certa fretta, uno dei due uomini, era alto, ma non molto spesso, aveva capelli chiari, quasi bianchi, lunghi fino alle spalle, la barba anche quella lunga, curata ed avvolta in una treccia. Jason fu catturato dagli occhi: stanchi, il colore era un ceruleo intenso, ma macchiati di rosso. Tutto nell’uomo urlava: stanchezza. Nonostante vivere nel valhalla rendeva gli einherjar più luminosi di qualsiasi altro spettro, Jason non avrebbe faticato nell’immaginare l’uomo vagare nei Prati d’Asfodelo, “Buona continuazione Lady Thrud e Jason” aveva aggiunto quello chiudendo la porta. C’erano stati mugugni dietro l’uscio, simbolo di un bisticcio.
“Come sapeva il mio nome?” aveva chiesto Jason.
“Per le viscere di Ymir, Kym aveva detto tu fossi intelligente” aveva risposto Thrud. Jason aveva incassato l’offesa, “Giusto la mia pittoresca presentazione” aveva considerato.
“Comunque al di là di come Einar sappia il tuo nome, il problema è Freydis” aveva valutato Thrud.
“Mel non ha una grande opinione di lei” aveva detto Jason, ed onestamente neanche lui. “Vuoi la verità? È una donna malvagia. Non dovrebbe esistere una persona fatta di sola cattiveria, tutti siamo l’equilibrio, sì, ma Fredys punta decisamente tanto da un lato” aveva considerato.
Jason si era sentito inquietato, “Pensi … ecco, lei volesse lasciare l’hotel? Astrid mi ha detto che qui c’è una delle uscite” aveva dichiarato Jason.
“Si. Spero sia per andare in qualche casino a derubare gente, però” aveva considerato, “Ma questo sarà un problema per un altro giorno e un’altra persona” aveva squittito, prima di prendere Jason per mano e guidarlo verso le lavatrici.
Era un Intera parete, la più Alta che Jason avesse mai visto, e lunghissima. Tutte le lavatrici erano impilate lunga sopra l’altra, in colonne altissime, che si susseguivano in fila quasi infinite. “Non è mica facile lavare la biancheria di tutto l’hotel. Si fa un sacco di ricorso al Alf Seidr, ma nessuno ha ancora inventato l’incantesimo per ammorbidire le lenzuola” aveva dichiarato la Valchiria.
Jason aveva riso.
Thrud aveva cominciato a camminare al fianco delle lavatrici, si era fermata alla quindicesima colonna partendo da destra ed aveva schioccato le dita, una traballante scala di legno era sfrecciata verso di loro. “Vai, entra nella sesta” gli aveva ordinato.
“Cosa?” aveva chiesto Jason.
“Astrid non ti ha mentito, questo è uno dei modi per lasciare l’hotel, le acque che vengono usate qui sono quelle provenienti da Hvergelmir – e dai suoi affluenti – che è il calderone primordiale. Alcune di queste lavatrici sono collegate a specifici fiumi che si connettono ai nove mondi. Il Valhalla è pieno di porte, semplicemente alcune non lo sembrano. Da quella lavatrice puoi prendere il Vina, uno dei fiumi che scendono nel mondo degli uomini” aveva dichiarato tranquilla lei.
“Sono … confuso” aveva ammesso Jason.
“Hai la faccia di uno che lo è spesso, eh” lo aveva preso in giro Thrud.
Jason non poteva contraddirla.
Thrud aveva ripreso: “Viaggiare seguendo i fiumi è difficile, tre quarti dei norreni non sanno farlo. Non chiedermi perché ma solo gli egizi sono pratici[11]. In particolare, i fiumi che vanno nel regno mortale, se non si esce in tempo si finisce in quello dei morti – che è un problema anche per te” aveva sottolineato.
“Ma tranquillo” aveva ripreso subito la valchiria, quando aveva visto il viso di Jason, “L’acqua non sarà il tuo elemento ma di qualcuno lo è” gli aveva strizzato un occhio.
Jason non era stato molto rincuorato, “Okay, romano di malafede, ho scelto il Vina perché l’unico fiume di cui non si conosce la foce. Quindi non finirai nei domini di Hela” aveva chiarito.
“Immagino di non avere molta scelta” aveva ponderato Jason.
“Ma che sciocchezze, ne abbiamo sempre una, anzi ne abbiamo sempre milioni” aveva dichiarato Thrud.
Jason aveva preso a salire lungo la traballante scala di legno, seguito dalla Valchiria.
Aveva aperto l’oblo della sesta lavatrice.
“Mel e Madina hanno detto che se muoio fuori di qui. Muoio di nuovo” aveva ricordato Jason. “Sì, ma sei un caso molto particolare, cerchiamo di non scoprire cosa ti succederebbe” aveva stabilito la Valchiria.
“Tu puoi morire?” aveva chiesto Jason, guardando l’interno della macchina, sembrava il classico interno di ferro di una lavatrice, senza se e senza ma. “Sì, tutti possiamo morire, anche gli dei, siamo solo maledettamente più difficili da uccidere. Tranne lo zio Baldr, con lui è stato molto facile” aveva ridacchiato. “Il lavaggio va impostato in runico, quindi dovrai fidarti di me” aveva ripreso Thrud, “Quindi entra” lo aveva invitato.
Jason si era finilato nel cestello, era abbastanza ampio perché ci stessero in due.
“Allora sì, Vina. Boston. Le coordinate” aveva sentito bisbislgiare la valchiria mente pigiava i dati, “Ma si, dai, lavaggio a freddo” aveva aggiunto.
Poi si era chinata ed era entrata nello scompartimento con lui, “Ho impostato la chiusura automatica” aveva spiegato, “Comunque io non dovevo venire, però hai visto come sono buona” aveva ripetuto la valchiria.
L’oblo si era chiuso di scatto e l’acqua aveva cominciato ad uscire e riempire lo spazio, così come il cilindro in cui erano aveva cominciato a giurare.
Jason avrebbe mentito, in seguito, dichiarando di non essere stato preso dal panico – ma era una menzogna.
Presto si era ritrovato in un vortice d’acqua letale.
Aggrappato a Thrud con una mano.
Sballottato da corretti fortissime.
Era riuscito a schiudere gli occhi, solo per vedere  azzurre acque e armi d’oro.
Poi come in una giravolta onirica aveva visto altro, era passato sotto qualcosa, sembrava un galleggiante, grande come una testa umana … e con capelli. sentiva voci distorte.
Oh, si, stai diventando un ottimo utilizzatore del Seidr, non c’è da stupirsi, sei un figlio di Frey, in fondo” aveva commentato il galleggiante.
Jason aveva allungato una mano, per sfiorarlo, ma le correnti del Vina avevano trascinato lui e Thrud lontano, a fondo, con violenza.

Aveva pensato di morire soffocato, ma quando i suoi polmoni in fiamme lo avevano costretto a respirare ancora, aveva trovato l’aria e l’inconfondibile odore di stagnazione dei fiumi di città.
“Eccoci! Vivi sull’ansa del Charles” aveva ghignato Thrud, sollevandosi in piedi, in un attiamo, differentemente da Jason era di nuovo asciutta e perfetta.
Lui era zuppo, appesantito e tossicchiante.
“Trovo questo sempre molto affascinante” aveva commentato una donna.
Jason aveva sollevato gli occhi, aveva fatto fatica a riconoscerla, visto l’aspetto così umano.
Una donna dal viso pallido e levigato, occhi grandi, di un verde mare, capelli scuri, neri, che sotto il sole freddo di quella giornata, riflettevano di un verde scuro.
E l’espressione dura ed inconfondibile.
Jason aveva rantolato: “Divina Kymopoleia.”



[1] Avevo trovato un headcanon dove qualcuno ipotizzava questo scenario, di Jason che arrivava Nuova Roma dopo essere stato letteralmente cresciuto dai Lupi, quindi aveva questo comportamento assai feroce. Mi ha fatto troppo ridere, quindi, se eccolo …

[2] Perun è lo “Zeus” del Pantheon Slavo.

[3] Tecnicamente wicinga è un antica denominazione anglosassone del termine vichingo, che, approfitto qui per dirvi che non era uno popolo (non esiste un unico popolo vichingo) ma più uno “stato sociale” / “mestiere” dei guerrieri scandinavi. Comunque, Astrid è “str0nza” e lo fa apposta.

[4] Skraeling è il termine con cui i coloni groenlandesi/islandesi si riferivano ai nativi americani, ci sono diverse traduzioni (da lingua germanica a lingua germanica)  ma si applica di solito il più comune “Barbaro” (proprio dall’islandese) a me piace molto anche “Urlatore” però.

[5] Io faccio parte di quella fetta di Fandom che ha deciso di ignorare il fatto che Magnus abbia tagliato i capelli durante la saga (essendo ambientato un paio di mesi dopo la fine della saga potrebbero benissimo essere ricresciuti – Cioè non ho idea di come funzioni capelli/unghia per gli einherjar, ma facciamo finta di niente).

[6] Viene ribadito all’interno della saga che Magnus somiglia a Kurt Cobain, ma chiaramente non è per quello che Jason trova famigliarità.

[7] Il nome sarebbe con la R finale, cioè Managarm, MA lo ho edulcorato della r finale, come Riordan fa per Frey(r) e altri nomi “norreni”. Comunque, non voglio entrare nel merito su Managarm per ragioni (come Jason anche i lettori non dovrebbero avere una chiara idea). Se avete per puro caso letto la mia ff “Il Crepuscolo degli Idoli” avevo già citato questo simpatica creatura, che nella mia storia sonnecchiava ai piedi di Agroboda.

[8] Leva militare romana

[9] Ho commesso un errore nei capitoli precedenti, dimenticato che Jason ha il Gladio di Giunone, che diventa un giavellotto, e non ha più IVLIVS che era la lancia/spada. Mi pare che il Gladio non possa “nascondersi” però visto che Jason scopre il suo poter proteiforme, essendo comunque una spada divina, posso “aggiustare” le cose con il fatto che Jason abbia ricalcato la forma della sua precedente arma per l’aspetto borghese. Sì, scusate.

[10] In Magnus, Tj e Halfborn indossano spesso vestiti del loro secolo, anche Astrid tecnicamente lo fa, ma mi piaceva l’idea che Mel e Madina non lo facessero – per ragioni di trama.

[11] Riferimento a Kane Chronicles (In realtà il discorso sarebbe lungo e complicato).

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Capitolo 4
*** Jason Grace in Edizione Limitata ***


ECCOMI.
Avevo detto 3 o 4 capitoli massimo?
Mentivo, come Loki, più a me stessa che a voi.
Questi ultimi trenta giorni per me sono stati mortali, ma ne sono uscita viva, sfortunatamente mi aspettano brutte monete pompeiane da classificare (ed un sacco di Giano, Giano come il prezzemolo, aspettatevelo pure qua, perché ne ho fin sopra i capelli). Però eccoci.
Come avevo detto a qualcuno: capitolo di sole chiacchiere.
Quindi si, chiacchiere.
Oltre a Kymopoleia (che forse non fa una figura esattamente brillante, in un momento, ma aveva le sue attenuanti. Quando mai i figli di Poseidone hanno mai brillato per furbizia?), Jason fa conoscenza ambigue, alcune, credeteci, fondamentali.
Spero possiate apprezzare, vorrei ringraziare chi legge/segue/ricorda e preferisce e chi ha recensito (grazie Farkas, grazie Edoardo811).
Inoltre, comunico che da questo capitolo comincio a introdurre informazioni, probabilmente assodate per chi ha letto la saga di Magnus Chase, ma ignote a chi non la ha ancora fatto (principalmente perché siamo nella sezione “Percy Jackson”, vi prego possiamo avere il Riordan-verse come abbiamo il Grisha-verse?) sfruttando la famosa presentazione di Odino del capitolo due.
Qui abbiamo una piccola Freydis selvatica:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Freydis-Eirikdottir-894948333
A proposito di tale personaggio, come ho detto in una nota in precedenza, Freydis è elencata tra i guerrieri immortali ed effettivamente ho scoperto che la donna appare nella raccolta “9 From the Nine Worlds” a questo punto non se … ehm … fingere che non sia successo e continuare come un treno con la mia Freydis o dover aggiustare con una piccola operazione (nel senso, fare un evento che colleghi meglio il canone alla mia storia, che può essere fatto molto velocemente *coffcoff*mele-di-Idunn*coffcoff*.
Comunque, nel frattempo:
Buona Lettura.

baci
RLandH

P.S. - Probabilmente nei prossimi giorni sistemerò i capitoli (azione molto più fattibile qui che in altre mie storie).

 

Jason Grace in Edizione Limitata

 

Thrud era scomparsa nella maniera in cui sapevano fare così bene gli dèi.
Così Jason era rimasto con le ginocchia nel fango dell’ansa del fiume Charles. “Sei stato fortunato sai, una decina di anni fa … probabilmente saresti uscito da quel fiume con più braccia del mio sgradevole marito” aveva dichiarato con immenso divertimento la divina.
“Poi lo spirito del fiume è andato a lamentarsi con mio padre e quel vegliardo ha tirato su il suo culo dal suo bel trono ed è venuto a mettere a posto le cose … circa” aveva raccontato Kymopoleia, allungando una mano verso Jason, per aiutarlo ad alzarsi, lui l’aveva seguita.
In piedi, era alto tanto quanto lei.
Kymopoleia era diversa da come l’aveva vista l’altro anno – era l’altro anno? O era morto da più tempo – era, come poteva dirsi, molto meno divina. Quando l’aveva veduta, era una gigantessa dalla pelle di madreperla e capelli di alghe fluttuosi, in quel momento era molto più umana, con una pelle pallida, ma pur sempre rosa carne, capelli scuri con riflessi verdi, gli occhi meno grandi, ma sempre dalla forma a nespola, ma terribilmente umani. Di un bel verde acquamarina.
Somigliava a Percy, in qualche maniera.
Aveva ancora la sua espressione austera, che era decisamente smorzata dalla camicia leggera blu mare decorata con stelle marine e pesci stilizzati colorati.
Kymopoleia lo aveva colpito, con gentilezza, con ambedue i palmi sulle spalle e Jason era stato immediatamente asciugato. “Uhm …” aveva commentato solamente il ragazzo, colpito da quell’azione.
“Lo so, la camicia è orribile” aveva valutato la dea poi, rude, notando come l’occhio di Jason doveva essere rimasto troppo sulla stoffa.
“Ma è un gesto di pace da parte di mio padre … e non so … lui non fa mai nei gesti di pace, quindi …” aveva cominciato a farneticare la dea.
Jason non era sicuro di doverla interrompere, così l’aveva lasciata lamentarsi della sua famiglia con calma, inclusi padre, fratelli, marito ed una certa anche di Percy, che era il diretto responsabile del famoso gesto di pace di Poseidone.
Perché, a detta di Kymopoleia, Poseidone non si sarebbe mai mosso in una carineria se non fosse stato imbeccato dal suo figlio prediletto.
“In realtà era per l’aspetto in generale. Anche per la situazione. Probabilmente più per la situazione” aveva provato Jason, poi, quando la terribile dea delle tempeste aveva dato lui il tempo di parlare.
“Per gli abissi, Jason Grace, la nebbia fa miracoli ma i mortali non sono completamente ciechi, se fossi apparsa enorme sulla riva del Charles avrebbero pensato di trovarsi in un racconto di J. G. Ballard” aveva dichiarato la dea, stizzita.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Non hai letto The Terminal Beach[1], immagino” aveva considerato Kymopoleia.
“Riguarda le divinità norrene?” aveva chiesto Jason, genuinamente.
La dea aveva stretto le labbra in una linea dritta, “No. Ma immagino non mi stupisca che tu voglia parlare di questo” aveva considerato, “Accompagnami. Abbiamo bisogno di qualcosa di forte” aveva dichiarato quella.
Il ragazzo aveva aggrottato le sopracciglia, “Le divinità bevono?” aveva chiesto poi.
“Che romano imbarazzante che sei …” aveva dichiarato la dea acre, mentre gli dava le spalle.
Jason aveva ricordato il viso divertito di Bacco che osservava lui e Percy combattere contro i gemelli.

 

Jason aveva seguito Kymopoleia lontano dall’ansa, verso l’Aubudun Square, nella direzione di un plesso di edifici, su cui capeggiava l’insegna: Università di Boston.
“Questo è il regno di Atena – non ho idea del perché di tutti i luoghi del mondo, trovi così interessante questo, considerando che dall’altro lato della riva c’è il M.I.T.” aveva dichiarato la dea, mentre tagliava la piazza del campus in obliquo.
Kym spiccava tra la gente solo per il colore vivace della sua camicetta e dal fatto che fosse vestita come in una giornata primaverile, circondata da gente in cappotto. Anche Jason non sentiva il freddo. Probabilmente doveva essere un effetto collaterale della sua condizione di non-così-morto.
“Quindi è l’unica caffetteria in tutta Boston dove puoi trovare qualcosa adatto al palato divino; credo sia opera di un accordo tra quella vecchia ciabatta e Kiv…Kva…Il tipo norreno dell’Idromele” aveva dichiarato Kymopoleia, indicando a Jason, un chioschetto carino, nel centro della piazza.
Nessuno degli indaffarati studenti dell’università di Boston sembrava notarlo.
I pochi avventori del bar, erano come Kymopoleia belli vistosi.
C’era un uomo con una lunga barba, troppo lunga per essere mortale, visto che scendeva fino ai suoi pedi, raccolta in una treccia austera, il viso però era tranquillo, rilassato, mentre agitava le mani raccontando qualcosa di divertente ad una giovane donna, con orecchie lunghe da mucca e coda abbinata.
“Oh, non si vedono greci così a nord di solito” aveva dichiarato l’uomo dalla lunga barba.
Kymopoleia si era sistemata su una sedia con mera tranquillità, inclinando il capo con un sorriso freddo e circostanziale, “Sono figlia del mare, seguo la corrente” aveva risposto.
Jason l’aveva imitata.
“Chi è?” aveva chiesto Jason, spiando l’uomo, che era tornato a godersi la sua cheescake in compagnia della ragazza dai dettagli bovini.
Kymopoleia aveva fatto un cenno di diniego, “La sua accompagnatrice è un huldra, credo, lui non so … non conosco tutti gli dèi del nord. Sono stata a cena a casa di Aegir, sarebbe la versione nordica di mio padre, circa, è un gigante ed ama tutte le sue figlie, le sue onde. E lui adora avermi a cena! Differentemente da quel simpaticone del mio vecchio” aveva risposto con acredine la dea.
Jason aveva cercato di fare mente locale, sulle divinità, cercando l’informazione nel lungo power point che Odino aveva presentato durante la sua prima cena al Valhalla.
Aegir era il signore dei mari, sposato con la dea Ran, anche lei divinità marina ed avevano avuto nove figlie. Ran raccoglieva tutto ciò che finiva nelle acque e Aegir dava delle feste epiche.
Ecco le sue informazioni.


Un cameriere era venuto a prendere la loro ordinazione.
Jason a primo acchito avrebbe pensato ad una ninfa, maschio, se fossero esistiti, ma non lo era, nonostante il forte odore di pino silvestre bacche, era alto, chiaro e luminoso – quasi un raggio di sole – con orecchie appuntite e occhi splendenti.
“Cosa posso portarvi?” aveva indagato subito quello; nonostante il tono gentile, gli occhi chiari avevano lanciato a Kymopoleia uno sguardo di terrore e a Jason uno di stizza.
 “Quella Gotlandsdricka così buona che fate qui” aveva dichiarato Kymopoleia. L’Elfo – Jason supponeva fosse quello – aveva chinato il capo verso di lui, con un sorriso annoiato, di chi doveva essere abbastanza seccato, con le palpebre calate, appena assonnate, “Una Doctor Pepper alla ciliegia?” aveva provato Jason, incerto.
L’uomo aveva segnato ambedue le ordinazioni e si era allontanata, aveva una camminata leggera e priva di rumori.
Lui aveva guardato la dea, che se ne stava a braccia conserte, con il viso granitico.
Jason era seduto ad una caffetteria carina, di fronte un’università, a prendere una bevanda con una terribile dea – che qualche tempo prima aveva cercato di ucciderlo. La sua vita aveva preso una piega decisamente surreale.
In quel momento non poteva che evocare nella sua mente, quel momento, inesistente, sfiorato appena, in cui aveva condiviso da bere con Apollo, lì, dove si riposava. Lì nella pace.
“Allora?” aveva rotto il silenzio la dea delle tempeste.
Allora?” aveva risposto Jason.
“Non hai niente da chiedermi?” aveva chiesto Kymopoleia, come se fosse ovvio, come se non avesse fatto tutto lei e lasciato Jason in mezzo alla marea – letteralmente, era arrivato lì da una lavatrice magica con annesso fiume mitologico.
Hai fatto tutto tu!” aveva risposto, di rigetto, “Mia signora” aveva aggiunto, cercando di ricomporsi, di essere cortese, ricordando che stava ancora parlando con una dea.
Kymopoleia lo aveva guardato con espressione contrista, prima di tranquillizzarsi, con la successiva aggiunta di Jason.
“Oh, sì, lo so che ho fatto tutto io. Ho partecipato, d’altronde. Tu non hai domande? Pensavo ne avessi. Di solito voi semidei ne avete sempre un sacco” aveva valutato Kymopoleia.

Lui aveva cercato di trattenere il sospiro, che sarebbe probabilmente risultato sfrontato alla dea, “Oh sì, ne ho molte. Come? Perché? In che maniera? Che sta succedendo? Perché?” aveva ammesso Jason.
Kymopoleia aveva sorriso, mentre la cameriera tornava verso di loro, per portare loro le ordinazioni che avevano chieste.
“Il come è stata la parte più semplice: Le Valchirie sono le uniche creature a poter andare avanti e indietro dai regni dei morti senza problemi, tranne le divinità inerenti a quel capo, tipo zio Ade, e i loro figli. Sì, parlo anche del ragazzino emo che passa il tempo a cacciare lucertole” aveva cominciato Kym.
“Chi?” aveva domandato Jason, genuinamente confuso.
“Nico. Nostro cugino, non so perché, ultimamente Leto e Stige mi hanno detto che si è dato alla caccia di rettili; probabilmente è una forma per combattere il lutto” aveva dichiarato Kymopoleia. “Strano” aveva valutato Jason, non riuscendo ad immaginare Nico, darsi ad un tale hobby, ma d’altronde, quanto lo conosceva nel profondo?
Lutto?
“I miei amici … qualcun altro?” aveva chiesto Jason alla fine. Kymopoleia aveva sbuffato, “Sono sopravvissuti tutti, fortunatamente per loro. Il tuo amico Frank Zhang ti ha reso onore, uccidendo Caligola. Io ho aiutato, ho divorato quasi tutte le sue navi” aveva dichiarato lei alla fine, soddisfatta.
Jason aveva sentito il suo cuore scaldarsi a quelle parole.
Era rimasto in silenzio per un po’, mentre portava una mano sul petto, rincuorato. “Oh, che dolcezza” lo aveva preso in giro Kymopoleia, “Stavo dicendo: oltre le divinità ctonie e i loro figli, sono poche le altre creature a cui è concesso andare e tornare dal regno dei morti intonsi. Perfino Hermes ha zone specifiche dove può arrivare, come il palazzo di Ade. Tra le poche, esistono le valchirie” aveva spiegato la dea delle tempeste.
Lui aveva bevuto un po’ della sua bevanda, era dolciastra e chimica, credeva di preferire di gran lunga il sidro che aveva consumato nel valhalla, era dolce, ma molto meno stucchevole. “Sì, ma perché una valchiria?” aveva chiesto Jason.
“Non mi sembravi stupido Jason Grace, te lo ho spiegato: loro possono andare e venire da questo mondo all’aldilà senza ripercussioni e portare fuori le anime, da qualche tempo abbiamo scoperto che non si limita solo alla loro sfera” aveva dichiarato Kymopoleia con ovvietà. “Sì, ho capito … ma perché una creatura di un altro pantheon? Non c’era nessun altro?” aveva chiesto Jason.
“Evidentemente lo sei, allora” aveva dichiarato Kymopoleia, “Immagini la figlia di Poseidone che chiede a Zio Ade di liberare il figlio prediletto di zio Zeus dalla morte? O pensi che qualcuno avrebbe tentato l’impresa, nel nostro pantheon?” aveva domandato lei.
“Nessuno ne avrebbe avuto il coraggio, sì” aveva risposto Jason, considerando quanto più ipotesi, prima di proseguire: “E se fossi andata tu, Plutone ti avrebbe detto di no, mentre mio padre avrebbe potuto averla presa sul personale, perché tende a prendere le cose sul personale. Probabilmente anche Giunone avrebbe detto la sua” aveva valutato Jason, davanti quella confessione.
Kymopoleia avrebbe annuito, “Zio Ade avrebbe anche potuto cedere, sei una persona importante per il piccolo rettilofono-in-erba ma è una persona terribilmente rigorosa. Uno strappo qui per te e poi chi sa che sarebbe successo” aveva raccontato lei. “Quindi da un lato: un domino divino che avrebbe portato presso al collasso del confine tra vita-e-morte; e dall’altro: un possibile scontro tra i tre pezzi grossi, di nuovo” l’aveva anticipata Jason. “Ecco sì, intelligente, dicevo, non solo bello” aveva stabilito Kym, mentre ingurgitava un po’ della sua gotlandsdricka, che sembrava una birra ma dalla consistenza più densa.
Jason aveva fatto saltare la sua linguetta dalla sua lattina di Dr. Pepper, per nervosismo, “Così hai seguito il buon esempio di Trivia ed hai scelto una terza via” aveva dichiarato lui, riconquistando lucidità.
Kym aveva posato il boccale, dopo averne svuotato mezzo, “Sì, be, ho conosciuto Thrud qualche secolo fa, sa cosa si prova ad essere la figlia di troppo. Suo padre venera quei due … Modi e Magni, e uno dei due non è ancora nato[2], credo, sua madre adora quell’altro figlio Ullr” aveva cominciato a spiegare Kymopoleia.
Ullr? Il padre di Medina! Aveva considerato Jason.
Questo … questo voleva dire che Medina e Astrid, giacché sua nonna era Sif, erano cugine?
Ambedue nipoti di Thrud?
 Il pensiero lo frastornò per un secondo, prima di ricordare che la cosa probabilmente doveva essere decisamente normale anche da quelle parti, i legami di parentela erano sempre strani e diversi quando riguardavano gli dei.
Se ci pensava bene, Percy, Hazel e Nico erano suoi cugini ed Annabeth e Frank suoi nipoti e … Leo suo nipote acquisito.
E Chirone era suo zio!
Ringraziava gli dèi a non avere avuto parentele con Piper.
Sarebbe stato strano, ripensandoci.
“Così io ho mamma che adora Tritone e quelle due svenevoli delle mie sorelle Roda e Bentesicima; mio padre ha Percy, Tyson e Polifemo, dei, Polifemo sul palmo della mano. Ripeto Polifemo, quello pensa che mangiare le persone con il formaggio sia accettabile” aveva dichiarato Kymopoleia.
“Senza formaggio, lo sarebbe?” aveva chiesto Jason.
Sua cugina lo aveva guardato con un’espressione confusa, poi aveva ridacchiato, “Oh, sei anche divertente” aveva considerato, “Strano. Ti ho sempre visto come un ragazzo piuttosto noioso” aveva valutato la dea.
Jason aveva sospirato, incassando l’offesa con tranquillità, era una dea infondo, meglio non turbarla.
“Sì, oltre questo, Thrud sa che vuol dire avere spasimanti non richiesti. Certo suo padre non la ha ceduta come premio ad un gigante con cento braccia e una spiccata allergia alle faccende domestiche” aveva considerato Kym, “Però in compenso ha un nano malvagio che cerca di insidiarla da millenni. Ci siamo conosciuti secoli fa, quando una volta hanno sconfinato nelle mie zone e io la ho aiutata, da lì è stato tutto in discesa. Una volta lei ha decapitato Briareo” aveva dichiarato Kymopoleia, divertita.
“Rispetto quanto si possa pensare, i pantheon si scontrano spesso. Puoi chiedere a tuo fratello, adora raccontare quella volta che stava cercando di trombarsi un dio nordico ma è stato ghiacciato da una spada parlante” aveva dichiarato Kym.
Immaginava fosse Apollo, doveva essere Apollo.
E le spade parlanti dovevano essere qualcosa di molto comune tra i norreni, evidentemente.
 “O gli incontri clandestini tra Chirone, Mimir e Bastet” aveva aggiunto Kymopoleia.
Quanto segreti potevano essere se lei li sapeva?


“Sì, Astrid mi ha detto che può capitare; nel Valhalla c’è un figlio di Perun, che a quanto pare è una divinità di un altro pantheon” aveva considerato Jason, non sapeva quale.
“Un villano! Non mi sorprende che abbiano deciso di affogarlo e bastonarlo” aveva concesso Kym, prima di mandare giù un altro po’ della sua bevanda, “Giusto; questo mi ricorda che devo spiegarti perché la tua situazioni è particolare” aveva considerato Kym.
“Immagino riguardi il fatto che nonostante le contaminazioni siano normali, Thrud mi abbia minacciato di non dire niente a nessuno” aveva considerato Jason.
Togliendo che Astrid lo aveva già scoperto e che a detta stessa della valchiria anche Odino lo sapeva.
Kymopoleia aveva ridacchiato, “Certo sì; tecnicamente se tu fossi morto, su quella spiaggia, contro Caligola – come è successo – e una valchiria, tipo Thrud, avesse raccolto la tua anima per caso. Non sarebbe successo niente. Okay, zio Zeus starebbe ancora brontolando, ma zio Ade avrebbe fatto, cito, ‘spallucce’” aveva raccontato immediatamente lei.
“Ma io sono finito nei Campi Elisi” aveva ricordato Jason.
“Sì, Thrud ha derubato la tua anima dai Campi Elisi e le ha portata dal Valhalla, da dove idealmente non puoi andare via” – Kym aveva finito la sua bibita – “Ora, zio Ade non fa il censimento delle anime nei Campi Elisi, ma si occupa solo di chi è condannato agli eterni supplizi, Tantalo, Sisifo se capisci il genere. Quelli che tentano le fughe, di solito. Quindi non dovrebbe succedere nulla” aveva valutato subito Kym, “Ma adesso immaginati se per caso: Zio Ade, personcina sempre a modo e per nulla rancorosa, scoprisse che la figlia di uno dei suoi amati fratelli li ha rubato un’anima e la ha data a Wotan. Aggiungici che è l’anima del figlioccio preferito di Era, che non brilla in simpatia, sposata con quel carattere di miele di tuo padre.
E onestamente non conosco bene Wotan, è uno abbastanza strano, ma non ti darà mai indietro. È un vichingo, gli unici che concordano al cento per cento con i romani sul ‘se vis pacem para bellum’, e poi c’è Thor – che è un signor guerriero e padre di Thrud” aveva raccontato Kymopoleia.

Jason era rimasto in silenzio, “Sono … posso essere la causa di una guerra tra … Pantheon?” aveva proposto lui. “Oh, sì, Lyanna Stark, quindi devi stare in silenzio” lo aveva ammonito Kymopoleia, come se non fosse stata lei ad aver organizzato tutto. Jason trovò auspicabile, per se stesso, non chiedere chi fosse Lyanna Stark, specie per non confondersi ulteriormente; il giovane semidio preferì chiedere:“Okay; ma perché?” alla fine.
Kym aveva sorriso, soddisfatta e compiaciuta, come una gatta sorniona, “Oh, ovviamente perché voglio la mia dannata Action Figure” aveva replicato l’altra.

 

Jason era rimasto in silenzio. In un lungo silenzio.
“Cosa?” aveva esclamato alla fine. “Per i ricci di mari, Jason Grace. Tu mi hai promesso una action figure, un tempio ed anche uno stendardo, a me ed ogni dio minore mai considerato fino ad oggi” aveva dichiarato lei, battendo l’indice sulla superficie del tavolo, “Inoltre, mi avevi detto che se non fossi stata soddisfatta … avrei potuto ucciderti … ma come posso farlo se sei già morto?” aveva dichiarato Kymopoleia.
Logica ineccepibile – aveva pensato.
“Quindi hai chiesto a Thrud di portarmi in questo stato sospeso tra la vita e la morte per farti un action figure?” aveva chiesto Jason, perplesso.
Prima che Kymopoleia potesse rispondere, qualcuno si era seduto al tavolo con loro. Era una donna, dal viso acuminato e severo, con occhi e capelli nerissimi, come piume di corvo. “Scusate non ho potuto non sentire: parlavate di Thrud? Come sta la fanciulla?” aveva chiesto quella.
Aveva un sorriso zigrinato ed un’espressione piuttosto folle.
Era una conversazione privata” le aveva risposto di rimando Kymopoloia, con la sua espressione letale, quella che Jason aveva ricevuto su di sé, quando si erano incontrati nell’egeo.
La sconosciuta aveva ridacchiato, “Ma io e Thrud siamo praticamente una famiglia. A breve le darò un bel fratellino, per ora io e la sua simpatica madre ci dividiamo l’affidamento del mio cavallo, Gulfax splendida bestia” aveva dichiarato la donna.
Jason era sconcertato.
“Quale parte di conversazione privata ai perso?” aveva chiesto retorica Kymopoleia, con una voce algida, di chi pareva pronta a rovesciare uno tsunami sulla sconosciuta.
La sconosciuta aveva riso con amarezza, “Io non sono sicura che una bella deuccia greca che si fa chiacchierine con un einherjar mentre discutono di far portare ad una valchiria qualcuno in uno stato così … peculiare” aveva dichiarato quella, “In questo posto vige la regola della Non Chiedere Non Dire” aveva dichiarato Kymopoleia, senza battere un ciglio.
JARNSAXA!” un’altra voce si era aggiunta alla mischia, un’altra bella donna era giunta. Per Jason fu stupido, ma il primo pensiero che ebbe fu quella che la sconosciuta dovesse essere Proserpina. Una bella ragazza, vestita con un abito floreale, il viso a cuore e ondulati capelli rossi spartan; meno aggrovigliati di quelli di Thrud o di Rachel Dare.
“O sei arrivata Gerd!” aveva tubato subito la sconosciuta – il cui nome doveva essere dunque Jarnasaxa – con espressione civettuola.
L’altra l’aveva guardata con una punta di amarezza, “Ti prego non tormentarli; ho lasciato il cinghiale al giardiniere ed ho solo mezza-giornata, prima che … non so … Alfheimer vada in fiamme. Ho bisogno di caffè e di lamentarmi del mio matrimonio, per favore” aveva dichiarato Gerd.
Jarnsaxa aveva inclinato il capo, “Almeno tu hai un marito e non fai l’amante del giovedì sera” si era lamentata quell’altra, alzandosi, non senza aver lanciato uno sguardo di sfida a Kymopoleia.
“Dannate Jotunn” si era lamentata la dea della tempesta marina. Jason aveva sbattuto le palpebre, “Quelle erano due gigantesse?” aveva chiesta.
Decisamente diverse da come le aveva figurate, faceva davvero fatica ad associarle ai figli di Gea, del calibro di Polibote e Porfirione con i loro aspetti grotteschi e le fattezze animali.
Kym aveva ridacchiato, “Uhm … diciamo che giganti è un po’ una traduzione fallace. Alcuni di loro sono giganti e altri assolutamente raccapriccianti, del genere che Polybote potrebbe apparire quasi attraente, ma … non affiancarli ai nostri giganti. Sono Jotun” aveva spiegato lei.
“Credo che nonostante l’eccessiva lunghezza della presentazione fatta da Odino, io abbia ancora un certo numero di mancanze” aveva stabilito Jason.
Kym aveva riso, “Quel simpatico monocolo ti dirà che tutti i giganti sono malvagi, nonostante ne abbia una per madre e diverse amanti di quella stirpe. Non che ricordo molto, faccio fatica a stare dietro agli intrecci amorosi di zio Zeus e papà, figurati di … altri pantheon” aveva spiegato la dea.
Jason aveva osservato le due gigantesse, avevano occupato il tavolo che era stato lasciato libero dall’uomo barbuto e dalla huldra, che avevano preso a conversare in una maniera fitta.
“Passeggiamo – dopo averti lasciato vorrei partecipare ad un convegno che si tiene qui e mi piacerebbe che Atena non ti vedesse, è una vecchia ciabatta ma non a caso ha uno sguardo da rapace” aveva scherzato Kymopoleia lasciando sul bancone un paio di dracme.

 

“Non capisco, comunque” aveva dichiarato Jason, mentre ballonzolavano per i corridoi interni dell’edificio, sarebbero potuti apparire come due studenti universitari, probabilmente. Lui una matricola del primo anno e lei probabilmente una studentessa dell’ultimo anno, se si escludeva la camicia variopinta della ragazza e la maglietta verde bottiglia con scritto Hotel Valhalla che sfoggiava Jason.
“La storia dell’Action Figure. Cioè in realtà, ho lasciato tutto nella mia camera al collegio. Melinoe[3] mi aveva detto che Apollo e Meg avevano raccolto e portato tutto a Nuova Roma e ne ho parlato molto con Annabeth, sono sicura che stia lavorando anche lei” aveva valutato Jason.
“La mia futura cara sorella, ha cominciato l’università, adesso pensa solo a come progettare edifici che sembrano fatti di plastica; i romani d’altronde stanno facendo il loro lavoro, molto lentamente e non hanno cominciato mica da me, ma da divinità più note. Poi, sai c’è stata una nuova gestione e guarda un po’ siamo tornati sotto Marte Ultore … i greci invece non stanno facendo niente” aveva replicato Kymopoleia, dando uno sguardo piuttosto infervorato ad un povero studente che aveva osato avvicinarsi troppo.
“Solo che non capisco … rischiare di scatenare una guerra tra pantheon per … un action figure” aveva dichiarato Jason.
Per me, voleva dire.

Kym aveva fermato bruscamente la sua avanzata, “Jason Grace” lo aveva chiamato con lo stesso tono accondiscendente che usavano di solito le madri – nel caso di Jason, era lo stesso di Lupa, quando lo richiamava da bambino perché aveva mangiato qualcosa che non doveva mangiare.
“Apollo mi ha detto della promessa che gli hai fatto stringere ed è stata onorevole da parte tue, chiedere tutta quella considerazione per i tuoi simili … però anche tu hai fatto una promessa a me” aveva dichiarato lei.
“Ho bisogno di quei templi, abbiamo bisogno di quei templi … Sai, no, esistiamo in funzione di quanto i mortali credono in noi” aveva dichiarato Kymopoleia; eppure Jason trovava qualcosa di sbagliato, incerto. “La mia pagina di Wikipedia è più breve di quella Otone. Tu sai chi è Otone?” aveva chiesto retorica.
“Sì, è stato un imperatore romano, si certo è stato in carica solo tre mesi” aveva provato Jason, prima di fermarsi, osservando l’espressione indignata della dea.
Non è questo il punto” aveva rettificato lei, “Tu mi hai fatto una promessa; come hai costretto Apollo a farne una. Non puoi dimenticare” aveva replicato Kymopoleia.
“E come dovrei fare?” aveva chiesto Jason, confuso, mentre le porte delle aule, si aprivano facendo fluire un mucchio di studenti su di loro; “Nel senso mi sembra ovvio che non posso contattare nessuno dei miei vecchi amici” aveva ripreso a parlare, “Ne essere, be, me stesso” aveva aggiunto.
Astrid lo aveva capito, ma se lo avesse detto ad alta-voce rischiava di farsi uccidere da Mel.
Kym aveva sorriso serafica, “Questo è un problema tuo, ma adesso posso di nuovo ucciderti e non è detto che questa volta tu finisca nelle isole beate, è ancora molto dubbio dove finiscano gli einherjar” aveva rimarcato lei.
Jason aveva avuto una brutta sensazione, pensando al regno di Hel o il Nulla Cosmico.

Poi Kymopoleia aveva fatto l’ennesima cosa che Jason non si era aspettata ed aveva accarezzato gentilmente la guancia di Jason, “Sii speranzoso, hai l’eternità” aveva dichiarato lei.
“Sempre se non mi uccidi brutalmente prima” aveva dichiarato Jason con un certo divertimento, lei aveva annuito.
Phaínetaí moi kènos ísos theoisin[4]” aveva sussurrato Kymopoleia, poi, come un congedo.
“Non so il greco” aveva provato Jason – aveva provato ad impararlo, alla scuola militare, ma non era mai riuscito – il suo cervello era settato sul latino ed il greco … era difficile.
Kymopoleia aveva sorriso, poi aveva allungato verso di lui un foglietto riccamente ripiegato, “Vai al punto rosso, da lì troverai un modo per tornare al Valhalla. Nel resto della mappa ci sono alcune zone interessanti di Boston, le ha segnate Thrud quindi non so cosa siano” aveva dichiarato lei.
“Siete molto amiche” aveva valutato Jason.
“Sì, è una persona fantastica da avere a fianco, non andarci a bere, però, la chiamano Thrud la Potente per una ragione” aveva scherzato, “Ora devo andare, Thoth farà un intervento sull’Importanza delle Vie Fluviali durante la guerra di Secessione” si era congedata lei. “Thoth? Intendevi Thor?” aveva chiesto Jason, confuso. Kymopoleia aveva riso, di lui, con un certo divertimento.
“Intendevo quello che intendevo, fidati. Ricorda, comunque: tieni nascosta la tua storia e se per caso non sarò soddisfatta ti ucciderò” aveva aggiunto lei, sparendo tra la moltitudine di studenti.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, confuso da quello scambio.

Poi era rimasto lì, imbambolato, mentre il corridoio si svuotava di quel cambio dell’ora. A risvegliarlo era stata la presenza dell’uomo con la barba, intrecciata elegantemente, che svettava in maniera piuttosto netta sul completo composto da maglioncino senza maniche, camicia a maniche lunghe e pantaloni cachi, che lo aveva chiamato: “Giovane Einherjar”. Creando così l’ambigua immagine a metà tra lo stereotipo di un professore di filosofia ed uno stregone delle leggende. “Scusa non volevo avvicinarmi troppo furtivamente, i giovani guerrieri hanno un atteggiamento ruspante ed anche se è difficile uccidermi una spada nel ventre fa ancora male” aveva dichiarato quello.
“Certo?” aveva provato titubante Jason.
“Io sono Bragi dalla Lunga Barba, signore della poesia” aveva dichiarato quello, “E professore di Esegesi della Poesia Germanica” aveva aggiunto il dio, “Tengo dei corsi anche ad Asgard; se lo chiederai a mio padre, egli permetterà anche a te giovane abitante del Valhalla di partecipare” aveva proposto quello, allungando verso di lui un bigliettino.
“Uhm … grazie” aveva provato il giovane einherjar, raccogliendo il biglietto, “Io sono Jason Grace” aveva ammesso solamente lui, osservando poi il biglietto, c’era scritto qualcosa in caratteri runici, che lui non comprendeva.
Bragi si era  accarezzato la lunga barba, “Hai compagnie pittoresche Jason Grace, una terribile signora delle tempeste. Appartenente alla stirpe dei Romei per lo più” aveva dichiarato quello.
Jason sapeva che quel termine era il modo in cui ci si riferiva ai greci durante l’impero bizantino, quando non c’era distinzioni tra elleni e romani.
“Le relazioni tra diversi pantheon non finisco mai molto bene” aveva dichiarato Bragi il dio della poesia, con un sorriso lesto.
Jason era arrossito, “No! Lei è … una dea che ha deciso di … tormentarmi” aveva dichiarato Jason con disagio; non potendolo spiegare in altra maniera.
“Spero che Idunn non mi senta, ma di sicuro sarai ben invidiato per i tuoi tormenti” lo aveva preso in giro il dio della poesia.
Era stato certo di esser diventato di fuoco, “Devo andare” aveva dichiarato alla fine, “Con permesso, divino Bragi” aveva aggiunto. L’altro aveva annuito, “Torna a casa giovane einherjar, sei fuori dal tuo mondo, ma torna presto a trovarmi, qui o di là; sto pensando di istituire un corso di scrittura creativa. Pensi che ai tuoi compagni piacerebbe?” aveva chiesto, “Magari puoi sottoporre un questionario?” aveva chiesto allora Bragi.
Jason aveva avuto un’immagine di Mel e Madina che passavano le loro giornate a giocare a Tennis-Mortale in un corso di scrittura creativa.
O anche Jason – non era mai stato un uomo particolarmente dedito alla poesia o la creatività; forse avrebbe dovuto iscriversi lui al corso di scrittura creativa.
Bragi era sul punto di allontanarsi, quando Jason lo aveva richiamato. “Mio signore Bragi” aveva esordito, “Oh certo, dimmi giovane guerriero Jason” aveva risposto quello, “Esattamente … chi è Jarnsaxa?” aveva chiesto; ricordando la jotunn che aveva interrotto in precedenza il suo discorso con Kymopoleia e che aveva ascoltato parte della loro conversazione.
Con quel sorriso quasi seghettato.
“Oh la terribile Jarnsaxa! La personale spina nel fianco di mio padre, l’incubo che ha ogni volta che si corica a letto” aveva raccontato con estremo divertimento Bragi.
Jason aveva deglutito, immaginando Odino, vestito da ginnastica e l’espressione rilassata, mentre era torturato dagli incubi di una Jotunn spettrale. “Il mio caro fratellino, Thor, nonostante sia sposato con una donna bellissima, ha sempre avuto un certo gusto per le signore. Di norma predilige giovani damigelle dai costumi delicati, ma stranamenti egli ha un cuore palpitante per Jarnsaxa, brutale guerriera e moglie di lancia” aveva spiegato.
“Pericolosa?” aveva domandato Jason.
Bragi si era accarezzato la barba, con calma, “Con la lama e lancia può essere mortale; una jotunn che non conosce paura e raramente chi non conosce terrore è nemico affrontabile … ma ciò che teme mio padre di più è il suo ventre” aveva aggiunto il dio, “Il figlio di Thor e Jarnsaxa avrà tre anni, quando avverrà il Ragnarok, così mio padre Odino guarda al ventre della jotunn con lo stesso spavento con cui aspetta la liberazione del lupo” aveva raccontato.
Fenris! La sua liberazione era uno dei passaggi chiavi per l’inizio della fine, lo ricordava dalla presentazione.
Jason aveva stretto le labbra, questo non aiutava i suoi propositi. “Quindi, ovviamente, mio padre, uomo saggio, fa tutto ciò che è in suo potere per tenere mio fratello e la donna jotunn lontano l’uno dall’altra, cosa che, ammetto non vada a genio a nessuno delle due parti” aveva soppesato Bragi.
Jason sia era morso un labbro, “Probabilmente non è niente” aveva stabilito, non credendoci anche lui. Se Jarnsaxa era l’amante di Thor … non doveva avere molta simpatia per Sif la moglie, madre di Thrud.
Thrud che aveva azzardato qualcosa di pericoloso e molto stupido per aiutare un’amica ...
Sicuramente” aveva concordato Bragi, serafico, “Ma se Jarnsaxa ti ha preso in antipatia, comunque, io comincerei a guardarmi le spalle. Il suo nome vuol dire, letteralmente, armata con spada di ferro” lo aveva avvertito.
Jason si era sentito mortificato, “Comunque, ecco, tieni il programma delle lezioni di quest’anno sull’Esegesi” aveva detto il dio, tirando fuori dalla tasca un foglio ripiegato, “Ci sono anche segnate delle ottime monografie” lo aveva avvertito Bragi, strizzandoli un occhio.
Aveva iridi dello stesso colore del miele denso.

 

La mappa di Kymopoleia lo aveva guidato verso, il quartiere di St. Elizabeth, lungo la strada nota come Commonwealth Avenue. Ci aveva impiegato quasi un’ora nonostante la sua prestanza fisica, per attraversare quanto richiesto; almeno aveva potuto godere di un giro panoramico della città, non era mai stato a Boston prima di quel momento. Lupa aveva fatto tante raccomandazioni a Jason, che erano andate ad accrescersi a Nuova Roma: evita New York, evita Boston, evita Memphis.
Immaginava che fosse per non turbare le sedi principali degli altri pantheon.

 Jason seppe doveva dovesse andare, ancora prima ancora di raggiungere il corrispettivo del cerchio rosso sulla mappa.
Era una maggiore di dimensioni notevoli, in mattoncini scuri, evidenziate anche dalla presenza di gargoyles sui doccioni agli angoli del tetto. Con finestre a vasistas colorate, con rifiniture in legno.
L’ingresso era composto da una larga scalinata in marmo, composta di pochi gradini.
Ma ciò che la rendeva più che riconoscibile, prima ancora della sua imponenza, era la moltitudine di giovani ragazzi che affollavano l’ingresso.
E dal cartello lì, sul ciglio della strada, che a caratteri cubitali recitava: Spazio Chase.
Nel momento in cui aveva letto quelle parole, aveva ricordato le lamentele a denti stretti, della mattina stessa, che Astrid aveva fatto in ascensore: Casa-Chase.
Chase.
Poteva essere una coincidenza?

 



[1] The Terminal Beach è una raccolta di racconti di Ballard, Kymopoleia fa riferimento in particolare alla novella The Drowen Giant.

[2] In Magnus Chase, Thor ha tatuato sulle nocche i nomi di Modi e Magni (che avrà tre anni quando avverrà il Ragnarok, perciò al momento non è ancora nato).

[3] È una dea ctonia/ninfa figlia di Persefone con Ade e Zeus. Sì non O Ade O Zeus ma entrambi (NON VOGLIO SAPERE LALALA).

[4] EHEHEH; non ho intenzione di riportare la traduzione, o la corretta scrittura se aveste voglia di impegnarvi a tradurla (così c’è anche il livello di trascrivere la grafia giusta in base alla fonetica). Se conoscete il greco e/o il passo, sapete cosa dice. E vai di teorie!
Ringraziamo Saeko_san per la trascrizione fonetica. Che ormai non fa neanche più domande quando arrivano le mie strane richieste.

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Capitolo 5
*** Il Barbaro ***


ALLORA ALLORA, nessun disegno bello questa volta (sto decidendo se farvi Madina o Jarnsaxa).
Cosa posso dire di questo capitolo?
CHIACCHIERE, ma si entra nel vivo, circa. La verità è che questo capitolo doveva essere spaccato a metà ed accorpato una parte allo scorso ed una parte al prossimo.
MA SONO PROLISSA.
Comunque, se vi chiedete il perché, di una scena, la risposta è contenuta nel primo romanzo della casa di Magnus Chase:
Hearthstone passes out even more than Jason Grace (tough i have no idea who that is)”, che è anche il momento per cui ho pensato a questa ff.
Sarò onesta, fino a prima dell’ultima di TOA ero davvero convinta che Jason sarebbe finito al Valhalla.
MA ECCO a che servono le ff, no?
Vorrei ringraziare chi legge, chi segue/preferisce/ricorda ed ovviamente chi legge.
Grazie Farkas; grazie Edoardo811.
Spero possiate apprezzare questo capitolo,
un bacio
RLandH

 

Il Barbaro

 

Astrid aveva fatto la sua comparsa mentre scendeva da una vertiginosa scala a chioccia, in pantaloni morbidi e maglietta dell’hotel, sprovvista della sua pelliccia, appariva incredibilmente attuale. Con le trecce sottili, i pantaloni morbidi e la t-shirt, Astrid sembrava una ordinaria ragazza degli anni duemila, di origini miste, con una chiara discendenza nativa. Qualcosa di assolutamente ordinario, nel senso positivo del termine.
I capelli erano un po’ arruffati, ma mentre portava giù grossi scatoloni non sembrava particolarmente provata dalla fatica, doveva essere un’altra gentile conseguenza della non-morte.
“Oh! Ciao Jason!” aveva dichiarato lei, notandolo sul fondo della scala, “Hai già finito con i piani malefici con zia Trudy?” aveva chiesto poi.
“Così pare. Per oggi” aveva risposto lui, allungando le braccia per raccogliere lo scatolone, ma Astrid l’aveva ignorato a pie pari, percorrendo gli ultimi gradini e superandolo, per dirigersi verso il soggiorno, “Spero non stia combinando niente di troppo pericoloso” aveva valutato la giovane guerriera.
Jason si era aggiustato gli occhiali, tremolante, “Non ti preoccupare” le aveva detto, cercando di rassicurarla.
“Menti proprio male, sai?” aveva risposto Astrid, posando lo scatolone al centro della stanza.
C’erano una serie di diviani, sistemati in due L affrontate, che creavano un rettangolo nella stanza, intorno erano pieni di scaffali, con tazze, posate e quant’altro, c’era anche un sacco di poster che andavano da nomi di bad, incontri a messaggi propositivi.
“Carico di libri!” aveva dichiarato Astrid, attirando l’attenzione di tutti.
Dei ragazzini sui dodici e tredici anni si erano subito fiondati, non aspettando che la guerriera aprisse la scatola.
“Come piccoli piranha” aveva dichiarato Jason, osservando i ragazzini. Giovani come i bambini che venivano riconosciuti al campo e come quelli costretti al primo anno di prova a Roma, più magri e grigi, con occhi grandi e spaventati.
“Cos’è questo? Una specie di campo per semidei norreni?” aveva chiesto subito Jason. Astrid lo aveva guardato parecchio stupida, “No? Che idea bislacca!” aveva dichiarato, “No, questo è un rifugio per ragazzi senza tetto” aveva dichiarato Astrid, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
Jason aveva annuito, anche se animato da una certa perplessità.
“È stata un’idea di Magnus e Alex, quando erano ancora in vita, vivevano come barboni, il che è parecchio strano considerando che questa magione era di Magnus” aveva spiegato poi Astrid, “Onestamente il loro pensiero è stato comunque molto carino, se ci rifletto. Avevo un amico che ne avrebbe giovato parecchio da vivo, di un posto del genere, ma ai miei tempi dormire sotto il cielo con un occhio aperto, sperando non ti uccidessero nel sogno era abbastanza comune” aveva aggiunto la guerriera.
Jason l’aveva guardata, “So, cosa si prova” aveva dichiarato alla fine.
Non era mai stato senza un tetto, per quanto non avesse mai trovato un luogo da chiamare casa, ma era stato un semidio, dove anche a Nuova Roma non aveva mai trovato pace.
Non esisteva tranquillità per loro, neanche da morti.
“Ti prego ricordati che sei un ragazzo ordinario” aveva sottolineato Astrid.
Magnus si era affacciato verso di loro, aveva un espressione cotta, mentre stava distribuendo da una cesta delle sciarpe.
Aveva salutato Jason facendo oscillare i capelli biondi, “Ehi là! Sei venuto a dare una mano ad Astrid?” aveva inquisito proprio il padrone di casa.
“No, è venuto a prendermi. Il piano venti senza di me è perduto” lo aveva anticipato la guerriera, con espressione inflessibile.
Un ragazzino di dodici anni si era avvicinato furtivo ed aveva rubato un paio di sciarpe dalla cesta di Magnus, che non ci aveva dato troppo peso.
Erano fatte a maglia, di quella lana grezza tremendamente urticante, anche solo per guardarla, di colori sgargianti. “Non sono opera di Blitz, vero?” aveva chiesto con un tenue paura Astrid, ammiccando proprio agli indumenti.
“Oh, no, le ha spedite qui mio zio, sua moglie le ha fatte lei. Ha imparato a fare la maglia, così mi ha detto mia cugina” aveva spiegato Magnus.
“Direi che ‘imparato a fare’ sia molto generosa come definizione” aveva dichiarato Astrid, mordace. Jason invece aveva battuto le ciglia, realizzando quell’informazione, “Sei … sei ancora in contatto con la tua famiglia?” aveva chiesto, stupito.
Magnus aveva scosso il capo, “Complicato. La zia che ha fatto questo non la ho mai vista, per lei e per mio zio, il fratello di mia madre, pensa che io sia morto … cioè sono morto, ma pensa che sia morto-morto. Ho contatti solo con mia cugina, ma perché il tragico giorno del mio funerale la ho incontrata, quindi era un po’ difficile, ecco, inventare una scusa plausibile” aveva raccontato Magnus.
“Lei tiene il segreto?” aveva chiesto Jason.
“Ne ha anche lei. Abbiamo trovato un terreno comune ed un’ottima amicizia” aveva dichiarato Magnus, il suo tono era pieno d’amore, ma anche tristezza e nostalgia, un tono che Jason conosceva bene, perché lo usava anche lui, quando parlava o pensava a Thalia.
Dedizione ed amore, ma anche rimpianto per il tempo perso.
“Legalmente questo posto è suo, sia la casa, sia il centro, i suoi genitori pensano che qui ci siano dei collaboratori. Parlano con Alex per lo più” aveva spiegato Magnus.
Jason aveva annuito.
Aveva una sola domanda da fargli. Sembrava anche un’ottima domanda, ricollegando le informazioni che aveva raccolto nella sua vita.
Chase.
Magnus aveva una cugina con dei segreti. Annabeth aveva sviluppato un interesse per la mitologia norrena negli ultimi tempi.
Prima che potesse porre la domanda, però il giovane guerriero del Valhalla lo aveva invitato a fare un giro.
Jason si era lasciato trascinare.

Lo Spazio Chase era grande.
La sua grandezza gli permetteva di ospitare un numero di persone abbastanza numeroso, cosa che non avrebbe dovuto essere poi granché positiva – faceva quasi impressione quanti ragazzi vivessero per strada.
“Non riusciamo a convincere tutti a venire, o oppure tornare a scuola o … non so è complicato. Almeno qui hanno un pasto ed un letto, l’inverno dormire fuori è letale. Se non fossi morto come sono morto probabilmente sarei morto assiderato” aveva raccontato Magnus, lo aveva fatto con la stessa tranquillità di come avrebbe commentato il sole.
Jason era rimasto interdetto: Magnus era il proprietario di una villa, ma viveva per strada …
“Come sei morto? Se posso chiederlo. Non so come funziona l’etichetta?” aveva valutato Jason.
“Oh, be, tre quarti degli abitanti del Valhalla sono felicissimi di raccontare della loro gloriosa morte, gli altri sono persone normali. La mia morte ha fatto parecchio schifo: era coinvolta una palla di fuoco, un arco da cupido giocatolo e Jack” aveva raccontato Magnus, cercando di forzare un sorriso che non era arrivato agli occhi grigi.
“Oh” aveva dichiarato Jason, “E già. Pensa che avevano mano messo la telecamera di Sam, quindi si è vista una versione anche più imbarazzante. Grazie, Jason, mi hai salvato dalla Presentazione Più Pittoresca di questo secolo” aveva aggiunto Magnus, sorridendo in maniera più sincera.
“Merito di Thrud” aveva provato Jason, incerto. “A proposito della tua valchiria, Halfborn mi ha detto che non si palesava con un anima da secoli e perfino Sam, che è una sua compagna, si è dichiarata parecchio stupita, Thrud sta spesso da sola” aveva raccontato Magnus.
Si era fermato davanti ad una porta.
All’interno della stanza dove si erano fermati, Alex regnava come una maestà. Indossava una gonna rosa, con del pizzo sull’orlo verde pistacchio, in tinta con un maglioncino[1]; stava lavorando con un tornio a pedale, mentre modellava a mani nude dell’argilla ancora morbida.
Davanti ad Alex, c’era un gruppo di giovani ragazzini, che andavano dai dieci a diciassette anni, esigui, che tentavo la stessa impresa, con molta meno convinzione e maestria.
“Alex adora … modellare” aveva dichiarato Magnus pieno d’orgoglio.
“Posso fare una domanda … indelicata?” aveva chiesto Jason.
Magnus si era voltato verso di lui, perdendo di vista il suo amore, per sorridere sornione, “Al momento è una ragazza, dopo potrebbe non esserlo. Chiedile sempre come vuole essere chiamarla e rispetta quello che ti dice, consiglio spassionato, se non vuoi che ti decapiti” aveva risposto Magnus, anticipando la domanda di Jason.
Sì, avrebbe voluto chiederli del genere della sua compagna, lo confondeva infinitamente e non voleva … sbagliare.
Era comunque arrossito per la sua ingenuità, “Io … va bene” aveva dichiarato alla fine Jason.
Alex cambiava fisicamente? Cambiava animo? Era importante in fin dei conti?
“Non essere imbarazzato, lei non ama parlarne particolarmente, non per vergogna, ma perché si è stufata parecchio; però … ecco, non ha problemi a spiegare a chi vuole imparare” aveva sottolineato Magnus, studiandolo, con gli occhi grigi, attento.
In quel momento Jason era stato certo, che dovesse avere qualcosa a che fare con Annabeth.
“Se stai pensando che potrei avere pregiudizi? Non è il caso, con la mia famiglia non è il caso” aveva dichiarato alla fine Jason, con tranquillità.
Pensando a suo padre e le sue infinite stranezze.
Magnus aveva sorriso compiaciuto e poi era tornato a guardare la sua ragazza.
Alex stava spiegando come mettere le mani ad un ragazzo, con una certa irruenza, di chi non era molto pratico con la calma, però muoveva le dita precise ed attenta, sotto le sue mani, l’argilla si modellava come … be, argilla.
Era brava Alex, contava solo quello, stava creando un alabastron[2] dal corpo allungato, con una terra di un rosso aranciato.
Brava, brava davvero. A Nuova Roma esistevano dei vasai, fuori dal Campo di Giove, uno dei mezzi di sostentamento – e pochi contatti con l’esterno – era direzionato proprio nella vendita di vasellame. Sia nuovo sia antico, esistevano figli di Trivia capaci di incantare gli oggetti con così tanta maestria da farli apparire come vasi di epoca romana; erano gli incubo di tutti gli autenticatori del mondo.
Alex avrebbe superato anche i migliori, realizzava …
Ebbe un’idea. Stupida, ma un’idea.
“Fa … ehm … solo vasi?” aveva chiesto Jason a Magnus. “No, i vasi sono la cosa che le piace di più, ma non fa solo vasi” aveva risposto, “Però, ecco, si puoi chiederlo a lei, no. Alex è capacissima di rispondere” aveva cinguettato Magnus.
Jason aveva annuito.
Nonostante la promessa che aveva fatto a Kymopoleia, Jason non sapeva come si realizzasse un action figure, però sapeva come si faceva un votivo – sperava che alla dea delle tempeste andasse bene, ugualmente.

 

“Andiamo a mangiare dei falafel” quella di Magnus Chase non era stata una domanda, quando un’affermazione, “Il mio amico Amir fa i migliori della città” aveva aggiunto propositivo.
Jason era seduto su un divano che stava spiegando ad Alex Fierro – quello era il suo cognome – la sua proposta; la ragazza sembrava intrigata, “Aspetta, Mango: gli adulti stanno discutendo” aveva dichiarato lei. “Senti, amico, perché non mi fai un disegno di come vuoi questa statuina? Così non sbaglio. Cioè non fraintendere, verrebbe probabilmente più bella, ma sembri tenerci proprio ai dettagli” aveva dichiarato con tranquillità Alex, infilando una ciocca di capelli verdi dietro l’orecchio.
“Falafel?” aveva proposto Magnus, questa volta, ammiccando ad Astrid che sosteneva una cesta piena di prodotti per la pulizia. “Uhm … verdura contro stufato di maiale, sono già morta Magnus Chase, non infierire su di me. Poi devo andare a ritirare la mia pelliccia da Blitz; come se avessi accettato” aveva dichiarato Astrid, volgendo gli occhi chiari verso Jason.
“Sì, certo, ti farò un disegno. Faccio schifo con le figure umane e so fare solo disegno tecnico ma posso provarci” aveva detto Jason, prima di notare lo sguardo affilato di Astrid su di lui.
Jason lo riconosceva.
“Io … ehm … la mia fidanzata era vegetariana, quindi, ecco, sì per un po’ sto riscoprendo la natura cacciatrice in me” aveva dichiarato Jason, osservando l’espressione delusa formarsi sul viso di Magnus. “Tranquillo, Mango, ti accompagno io” aveva cinguettato Alex.
Il sorriso era tornato a splendere sul viso dell’altro ragazzo, se fosse stato un mezzosangue della sua ‘parte di mondo’, Jason avrebbe immaginato fosse un figlio di Apollo.
“Bene, io ho pulito tutti i bagni di questa magione. Sette, a chi servono, sette bagni?” aveva chiesto retorica Astrid, posando il secchio per terra.
“La famiglia Chase era molto numerosa un tempo” aveva dichiarato Magnus, il suo tono di voce era allegro, ma la felicità non aveva raggiunto gli occhi. Astrid doveva averlo capito perché non aveva fatto altre battutte, “Ci vediamo domani” aveva dichiarato la guerriera, “Tornate?” aveva chiesto Magnus guardando sia Astrid sia Jason.
“Uhm … sì?” aveva provato Jason, confuso; “Lo ho promesso a Blitz, quindi sì, per una settimana ci sono” aveva dichiarato Astrid con fermezza.
Magnus aveva annuito, “Allora ci mettiamo d’accordo per farti fare un turno di notte. Di solito viene un adulto dai servizi sociali oppure Blitz o Heartstone, ma ogni tanto sta uno di noi” aveva dichiarato l’einherjar. “Non vedo l’ora” aveva dichiarato Astrid, poco convinta.

 

“La tua pelliccia?” aveva dichiarato Jason, mentre osservava la giovane abbandonare il manor, con le trecce al vento lungo la schiena, senza la casula di pelliccia. Indossava una sacca di pezza legata di traverso sul busto. “Uhm … lo ho data ad un ragazzo, che probabilmente cercherà di venderla per comprarsi della droga – si usa ancora in questi tempi, come negli anni ottanta?” aveva risposto Astrid.
“Credo di sì, non so, non frequentavo molto … la vita mondana?” aveva risposto incerto Jason.
Astrid non aveva fatto una piega, “Comunque non vale niente, la pelliccia è rovinata ed acconciata male, per questo preferisco l’altra. Non ha neanche valore nell’essere vecchia di mille anni – nel Valhalla si conserva tutto come nuovo” aveva dichiarato lei, mentre scendeva gli ultimi gradini del patio di ingresso dello Spazio Chase.
Qualche ragazzo che si attardava fuori, ancora, al calar del tramonto li aveva guardati ancora.
“Perché non volevi che restassi con Magnus?” aveva chiesto Jason, raggiungendola.
“Perché tu sei tremendamente ovvio e lui è un ragazzo … be, lui è sensibile ed Alex è sveglia” aveva dichiarato Astrid con assoluta calma.
Lui aveva sentito la vergogna attraversarlo.
“Giusto, ho preso queste cose per te dalla biblioteca della casa” aveva dichiarato Astrid poi, mettendo una mano dentro la sacca di pezza, tirando fuori dei libri.
Li aveva porti verso Jason; e lui aveva sorriso al gesto.
“Grazie” aveva detto prendendo i libri, con gentilezza. Erano due, uno era di una dimensione notevole, l’altro era un po’ più affrontabile. “Edda Poetica e Edda In Prosa” aveva letto.
“Tutto quello che hai bisogno di sapere sul mondo e la poetica norrena” aveva dichiarato Astrid, mentre imboccava la strada, Jason l’aveva affiancata.
“Oh! Questo mi ricorda che ho conosciuto Bragi” aveva dichiarato Jason.
“Mi è molto simpatico, a volte è un po’ pedante, però riesce a rendere interessante la poesia. Ha scritto lui l’Edda Poetica anche se i mortali non ne hanno idea. Pensano siano una semplice raccolta di miti” aveva raccontato Astrid.
Jason aveva annuito ed aveva osservato i libri, erano belli, appartenevano alla stessa collezione, uno era rilegato in una copertina rigida rossa e l’altro in una verde, sulle due copertine in tintura d’oro era scritto il nome dell’opera ed era raffigurato un albero, inscritto in un cerchio, su cui erano intessuti una fantasia di trecci viminei. Jason immaginava fosse una rappresentazione stereotipata dell’Yggdrasil.
Aveva osservato le edizioni, erano pregiate, curate, però anche di una certa età. Non così tanto antiche, ma abbastanza da essere più vecchie di Jason – più vecchie di quanto Jason sarebbe mai stato.
Aveva aggrottato le sopracciglia quando aveva letto il nome del curatore di quella edizione: M. Chase. Aveva aperto la prima pagina di uno dei due libri per cercare il nome completo e lo aveva trovato: Magni Robert Chase.
“Pensi che fosse il nonno di Magnus?” aveva chiesto Jason ad Astrid.
“Può darsi. Quella era casa sua prima” aveva replicato quell’altra, “Caso mai ti fossi dimenticata, oggi, lui non sapeva neanche il mio nome. Non siamo esattamente amici per la pelle” aveva aggiunto Astrid.
“Comunque grazie per i due libri. Ci metterò un po’ a mettermi in pari, sono dislessico, ma grazie” aveva dichiarato alla fine Jason, grato.
“Be, hai l’eternità. Non aspettarti che legga per te, però. Chiedi a Madina, lei adora fare queste cose” aveva dichiarato Astrid, nel farlo si era lasciata sfuggire un sorriso.
Jason l’aveva guardata.
“Sono un figlio di Giove” le aveva detto. “Pensa, io credevo Raijin[3]” aveva replicato Astrid per nulla stupita, con un sorriso sornione stavolta ben visibile sulle labbra, “Potevo anche essere un figlio di Perun, a quanto pare” aveva dichiarato Jason, non era sicuro che il dio in questione fosse un signore dei fulmini, ma in base a come la stessa Astrid aveva cercato di scaricare la colpa sul figlio di quell’ultimo dio, per il maltempo provocato da Zeus. “Troppo appariscente, fidati. Anche se ammetto che quando hai usato il vento ho pensato tu potessi essere un Uccello del Tuono[4]” aveva dichiarato Astrid, “Sono enormi uccelli con ali colorate che spostano il vento con le ali ed emettono saette dagli occhi. Mia madre spergiurava di averne visto qualcuno quando era giovane.” aveva aggiunto lei, con espressione pensosa, aveva rilassato la postura solo dopo ed aveva aggiunto: “Poi ho visto il tatuaggio” aveva stabilito, indicando l’avambraccio di Jason. Doveva trovare un modo per coprirlo, per evitare di scatenare su sé stessa l’ira funesta di un gladiatore cheruscio e perché il suo segreto doveva restare tale … o si sarebbe scatenata una guerra tra pantheon.
 “Immagino anche l’assenza di ali multicolore” aveva provato Jason. Astrid aveva ridacchiato, “Saprai abbastanza che gli dèi sono in grado di ottime messe in scena” aveva detto lei.
Jason l’aveva guardata, “Te lo ho detto perché non lo potrò più dire, per tanto tempo, forse per l’eternità. Ed insieme alla cicatrice che non ho più, essere figlio di Giove era una delle poche cose che … mi rendeva me. Ora sono un einherjar – e non sono neanche sicuro di poterlo pronunciare bene – in un mondo che non conosco” aveva buttato fuori.
Astrid lo aveva guardato, aveva allungato una mano e gli aveva accarezzato il viso, gentile, poi gli aveva anche pizzicato una guancia. “Non piangerti addosso, non sta bene ad un guerriero. Sei una skraeling come me. Ti abituerai” aveva detto lei, il suo tono era stato calmo, ma nel fondo Jason aveva percepito dolcezza.
“Vuol dire estraneo, vero?” aveva chiesto Jason.
“Oh, be, vuol dire: barbaro, in islandese[5]. I norvegesi di Groenlandia e Islanda[6] chiamavano così la gente di mia madre, i thule[7] – nessuna relazione con i nazisti misterici. Di rimando loro chiamavano la gente di mio padre kadvkunait, che era pressoché la stessa cosa, anche se alla fine è finito per diventare il termine ‘danesi’ per i groenlandesi il che è assurdo, perché non erano danesi” aveva raccontato lei con una punta di divertimento.
Astrid era una creatura a metà; un po’ come Piper.
Solo nata, probabilmente, quando i due popoli erano in guerra … la rappresentazione vivente di una convivenza che poteva esistere e che mai era avvenuta.
“Ieri mi hai chiamando così” aveva ricordato Jason. “Certo! Sei uno straniero bianco e biondo” lo aveva imbeccato lei.
Jason aveva riso.
Lo era.
Era uno straniero, più di quanto fosse mai stato.
“Senti, come dicono i Sioux: Non è come nasci, ma come muori, che  rivela a quale popolo appartieni” aveva esclamato Astrid.
Jason aveva sorriso, “E che si dica quel che si vuole, il Valhalla accettata tutti gli uomini coraggiosi[8]” aveva terminato lei.
Jason l’aveva guardata per un secondo, poi si era sporto per abbracciarla, aveva usato un braccio solo ed i due libri erano finiti per fare da scudo tra di loro.
Astrid era rimasta rigida, però aveva ricambiato poi.
Si erano staccati l’uno dall’altro abbastanza in fretta.
Lei era arrossita sulle guance e non riusciva a guardarlo negli occhi e Jason si sentiva a disagio.
“Per il resto non posso dirti altro, intendo su mio padre e la mia condizione, ma solo perché la situazione sarebbe così delirante da essere quasi imbarazzante” aveva ammesso Jason, grattandosi dietro la nuca, cercando di non far cadere le due Edda e tentando di eliminare l’atmosfera che era nata tra lui ed Astrid. Faceva ridere se ci pensava, ridere per isteria, era stato portato in una condizione di non morte, rischiando di scatenare una guerra tra pantheon, perché sua cugina voleva una action figure ed il diritto di ucciderlo alle sue condizioni.
“Immagino riguardi il votivo che vuoi far fare ad Alex” aveva considerato Astrid.
“Sì. Questo è un altro problema, nel senso, finché si tratta di progettare sono bravo, ma poi disegnare a mano, probabilmente farò un piccolo obbrobrio …” aveva aggiunto colmo di disagio.
Fortunatamente, Kym, lo avrebbe ucciso presto.
Astrid aveva chiuso gli occhi, quasi in contemplazione, “Sai … sai … potremmo … unire l’utile al dilettevole” aveva considerato lei, “Ma prima devo recuperare la mia pelliccia di Wapiti e progettare l’omicidio di Mel per vendetta” aveva aggiunto lei.

 

Astrid lo aveva condotto ad un bel negozio di abbigliamento, o così pareva dai vestiti dietro la vetrina, per quanto le luci fossero spente e la saracinesca d’ingresso abbassata.
Jason aveva indentificato delle sagome al suo interno.
La sua compagna si era messa a battere contro il vetro di una vetrina.
La porta si era aperta giusto un secondo dopo, rivelando un elfo, doveva esserlo, dall’incarnato chiaro come la carta lucida, gli occhi grigi, stanchi, e capelli chiarissimi. Rispetto l’elfo che lavorava al bar, quello che aveva davanti, aveva un aspetto più spento e terribilmente umano.
Era vestito anche in colori scuri, tranne che per una accesa sciarpa a doppio colore. “Oh! Tu non sei Blitz, sei Hearthstone, giusto? L’elfo stregone?” aveva domandato subito Astrid.
Quello li aveva guardato, aveva annuito poi. “Sono venuta a riprendere la mia pelliccia, da Blitz” aveva specificato Astrid, l’altro aveva annuito, aveva guardato Astrid ed aveva fatto una smorfia, frustrato, aveva anche sollevato gli occhi al cielo.
“Posso aspettare qui, se vuoi, mentre lo ehm … vai a chiamare” aveva detto la ragazza, ma Hearthstone si era fatto da parte e gli aveva lasciati entrare.
Il negozio non era molto grande, ma era interessante, da un lato c’erano vestiti casual, affrontato a quello, una parete di abiti lunghi da cerimonia, per uomini e donne.
La terza parete,  quella che si vedeva entrando dalla porta, esibiva un bancone, dietro al quale erano esposte cotte di maglia. Considerando che il resto dell’abbigliamento pareva molto mortale, era certo che quei particolari capi fossero occultati dalla foschia.
Sul bancone c’erano delle scatole di cibo cinese, non ancora aperto.
Hearthstone aveva chiuso la porta, a chiave, e si era congedato con un gesto della testa, aveva guardato con gentilezza ambedue, sebbene avesse trattenuto lo sguardo su Jason più del necessario.
Astrid lo aveva chiamato Elfo Stregone.
“Non parla?” aveva chiesto Jason.
Astrid aveva sollevato le spalle, “Può darsi, probabilmente … Mi pare di aver capito che non possa sentire, forse non può neanche parlare” aveva proposto lei.
Hearthstone era apparso di nuovo, da dietro una porta laterale, che Jason non aveva notato, ma era tornato tranquillo, seguito da un nano dall’incarnato scuro, con i capelli stretti in una serie di rasta a loro volta, costretti in una coda alta. Sfoggiava un completo gessato porpora molto evidente, ma sicuramente pregiato, mentre teneva tra le braccia la pelliccia di wapiti di Astrid.
Per essere un nano, non che Jason ne conosceva molti, poteva valutare che lo sconosciuto fosse incredibilmente proporzionato ed armonico.
“Oh! Giovane Astrid Figlia di Panikpak!” l’aveva salutata quello.
“Oh, rispettabile Blitz figlio di Freya” aveva ripiegato Astrid, prima di voltarsi verso Jason, “Lui è un nuovo acquisto, Jason figlio di …” aveva fatto una pausa la ragazza, guardandolo.
“Beryl” aveva dichiarato lui, seguendo il ragionamento.
“Nuovo amico del Valhalla?” aveva domandato Blitz, osservandolo. “Sì, piano venti, arrivato ieri” aveva spiegato Jason.
“Blitz invece è uno svartalfar, un elfo oscuro. Troverai tutto nell’Edda” aveva dichiarato Astrid, riferendosi a Jason.
Blitz aveva annuito, prima di chiamare Astrid con lui, per discutere di qualcosa relativa alla pelliccia ‘troppo preziosa per essere trattata così’. Lasciando Jason un po’ in disparte, con l’elfo Hearthstone che aveva preso una delle scatoline di cibo cinese, aveva allungato verso Jason, mostrando dei ravioli al vapore. Un’offerta.
“No, ma grazie mille” aveva detto Jason in imbarazzo.
L’altro aveva annuito, tornando a guardarlo, come se lo stesso valutando. Forse lo stava facendo.
Jason sapeva di fare una bella impressione, almeno era così quando era in vita.
“Ho qualcosa in faccia?” aveva chiesto alla fine Jason. L’elfo aveva scosso il capo in senso di diniego.
Astrid era tornata subito, rilassata ed allegra, mentre sfoggiava la sua pelliccia castano-dorata di Wapiti – sembrava molto più lucida e brillante di quanto avesse fatto il giorno passato, prima del suicidio di Mel con la forchetta; “Bene, ora che sono di nuovo completa, Jason Grace, ci aspetta del cinghiale e sidro!” aveva esclamato lei.

 

“Quindi quei due erano?” aveva chiesto curioso Jason, mentre si lasciavano il negozio alle spalle, “Non li troverai nelle Edda, ma sono due eroi. Hanno salvato il mondo. Blitz è il miglior stilista dei nove mondi e l’altro è un elfo stregone. Sono ammessi al Valhalla. Veramente a pochi vivi, fuori le valchirie, è concesso tale onore” aveva spiegato subito Astrid, mentre continuava a passare le mani sulla sua pelliccia. “Blitz ha detto che il modo di trattare la pelle e come ho fatto le cuciture è stato sublime” aveva aggiunto piena di soddisfazione la guerriera. “Questo è stato il primo lavoro che ho fatto completamente da sola, caccia all’animale incluso – mio padre forgiava il ferro, non aveva idea di come si tenesse un ago in mano” aveva raccontato.
Jason le aveva sorriso.
“Non ti ci vedo impiegata nelle opre femminili” aveva ammesso Jason.
“Certo; la gente quando pensa alle guerriere vichinghe pensa a tutte queste potenti virago. Non è sbagliato, esistevano valchirie e le mogli di lancia” aveva raccontato Astrid, “Ma io non ero ne l’una nell’altra, cioè sapevo cacciare e menare di spada, ma più per difesa che per vera passione” aveva dichiarato quella.
Jason aveva fatto schioccare le labbra, “Avrei giurato fossi autentico materiale da valchiria” aveva aggiunto. “Oh, be, nel corso dell’ultimo millennio, lo sono diventata, zia Thrud, Aslaug ed anche Guinilla mi avevano chiesto di unirmi, ma non fa per me. Non ho la pazienza di stare a raccogliere anime o a servire da bere” aveva raccontato Astrid.
“Nel nostro … il mio … nel pantheon greco romano abbiamo … le cacciatrici, sono un gruppo di guerriere immortali che accompagnano Artemide nella caccia e nelle battaglie” aveva raccontato Jason, non era sicuro di sapere perché.
“Lo so!” le aveva risposto Astrid, stupendolo, “Giro il mondo da un millennio e non lo ho passato confinato nella mia cameretta. Ho conosciuto una cacciatrice, fammi pensare, si chiamava Zoe Nighshade … credo, qualcosa come trecento o quattrocento anni fa, chi li conta più i secoli” aveva detto quella.
“Una cacciatrice, quello mi sarebbe piaciuto, ma ero decisamente inadatta” aveva aggiunto Astrid. “Giusto già morta” aveva commentato Jason. “Tra le altre cose” aveva risposto serafica Astrid.
Dopo il silenzio, non troppo lungo, prolungato e pesante, Jason aveva chiesto come sarebbero rientrati all’Hotel. “Dall’Ingresso. Non possiamo usarlo per uscire – senza previa autorizzazione di Odino, su richiesta delle Norne o affari del genere – ma possiamo rientrare senza problemi. Immaginalo come una prigione, a nessuno importa come entri ma solo come tenti di uscire” aveva raccontato Astrid, con divertimento.
Jason aveva sospirato, “Spero di abituarmi da qui a mille anni” aveva esclamato.

 

Jason aveva sentito che qualcosa sarebbe andato storto prima ancora che andasse. Non sapeva come classificare la sensazione, ma era stato certo che anche Astrid l’avesse sentita nel momento stesso in cui l’aveva percepita lui. Si era fermato d’improvviso attirato da qualcosa, un rumore, un’energia … era difficile da spiegare. “Possiamo far finta di niente” aveva suggerito Astrid.
Un uggiolato spaventato aveva attirato la loro attenzione, accompagnata da un urlo roborante: “Ti ho trovato”
Jason si era voltato verso la ragazza, “Non fa per me. Intendo, far finta di niente” aveva dichiarato Jason.
Tutti gli uomini coraggiosi” aveva borbottato Astrid. “Jason … se ti lanci in questa cosa e muori … sei morto” aveva specificato lei.
Jason le aveva sorriso, “Ho vissuto per quasi diciassette anni della mia vita così; mi è andata male una sola volta, in fondo” le aveva detto.
Astrid aveva sbuffato, “Solo oggi sei morto di stenti” aveva ricordato lei. Jason aveva seguito l’inquietante fonte di potere ed il vociare.
Oh te immonda bestia!” aveva esclamato ancora la voce.
Jason aveva riconosciuto chi era il proprietario. Era un uomo, anzi un ragazzo, non più vecchio di Jason, nonostante la sua voce imperiosa. Il viso pallido, gli occhi furbi, aveva capelli biondo cenere, fluenti. Indossava una camicia di jeans, in coordinato con i pantaloni chiari, oltre una camicia rosa pastello. A guardarlo sembra un giovane idolo degli anni Ottanta. Se si ignorava l’arco, con la freccia incoccata, puntato perentoriamente contro un lupo uggiolante, che tentava senza successo di scomparire, appallottolandosi su sé stesso, ma la sua massa lo rendeva praticamente impossibile.
Astrid aveva sbuffato, “Ti prego, quello è un lupo. Fidati non è una buona idea” aveva dichiarato la ragazza.
Ma Jason a guardare la bestia, che forse sarebbe apparsa minacciosa e pericolosa in altre circostanze, in quel momento sembrava un cuccioletto, latrante, con un una ferita rosso vermiglia sulle zampe ed il manto grigio cenere.
Aveva pensato a Lupa.
Lupa potente e guerriera, che si era presa cura di lui.
“Che succede?” aveva strillato Zeus. Lo sconosciuto si era voltato immediatamente verso di loro, “Vi pregherei di non interrompermi.  Io sono Váli l’Ardito e devo uccidere questa bestia” si era dichiarato immediatamente quello.
Lo aveva detto con un tono chiaro, ma tracotante di superbia, a Jason aveva ringorgato la spocchia e la boria di Caligola, il suo assassino.
E sapeva come comportarsi – circa.
“Scusa non credo di conoscerti” aveva dichiarato Jason.



[1] Quando Magnus descrive l’armadio di vestiti di Alex, tra questi spiccano anche delle gonne. Ebbene sì, Alex indossa anche delle gonne, credo la faccia a prescindere dal suo genere.

[2] Nonostante il nome, non è fatto di Alabastro (i primi modelli egizi sì) quello che sta facendo Alex è un alabastron corinzio. Allora: Perché Jason sa il nome delle tipologie dei vasi? Non so, ho idea che a Nuova Roma siano molto più ‘Old Fashion’ de il Campo Mezzosangue. However, i vasi greci sono belli, peccato io ne conosca tre in croce.

[3] Dio dei fulmini giapponese

[4] Avete visto animali fantastici? Sì, quello è il Thunderbird, però … mancano le corna, in quella versione e le ali arcobaleno.

[5] Il termine Skraeling è molto dibattuto, in islandese MODERNO (la più pura delle lingue scandinave) vuol dire: Barbaro (aka: lo straniero), in danese invece era “Persona gracile” ed il termine trova la sua origine dal verbo skraekja, ovvero urlare. Quindi potrebbero essere urlatori.

[6] Nota inutile: i tempi in cui Astrid è vissuta, corrispondono al tentativo di colonizzazione vichinga dell’America del nord, quando l’Islanda e la Groenlandia erano state colonizzate per lo più da norvegesi (anche la conquista americana è stata guidata dai norvegesi, forse per questo è fallita. Lol. I Vichinghi come li immaginiamo e ricordiamo noi, ovvero il terrore d’Europa erano per lo più i Danesi, meanwhile gli svedesi, per la maggiore, facevano bordelli ad Oriente. EVVIVA LA GUARDIA VARIAGAAAA).

[7] Popolazione antenata degli attuali Inuit. Nessuna relazione con la “Thula”.

[8] La citazione è un rifacimento a quella di C. R. Kiernam, da La Leggenda di Beowulf, che riportava “Hanno trovato la morte che cercano tutti gli uomini coraggiosi, e ora sono einheriar […] E questa notte […] loro banchetteranno alla tavola di Odino nel Vlahalla e al mattino si sveglieranno con gioia al canto del gallo Gullinkambi per galoppare di nuovo nei campi di Idavoll. Non moriranno vecchi e malati e costretti a letto”.

 

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Capitolo 6
*** Quando distribuivano “Buon senso” e “Profilo Basso”, Jason Grace doveva essere svenuto da qualche parte ***


EHILA’!
Indovinate chi ha finito di catalogare le monete? Sì, io.
ALLORA, parliamo un po’ di questo capitolo: mi sono accorta di averlo scritto “troppo presto” ma avevo già cominciato, così sono andata avanti. Ho finito per accorpare a questo capitolo il prossimo, in un pessimo Frankestain. Vi prego, comprendetemi, con questo capitolo siamo, circa al “capitolo 2” che avevo originariamente pensato quando avevo ipotizzato di stare sui 4/5 ahaha.
Un paio di note, fuori dal testo, gli dèi norreni non hanno sempre un ruolo preciso (es: Thor è il signore dei tuoni e quindi viene considerato il responsabile del mal tempo etc … però Frey è il dio della pioggia, ad esempio) perciò ho dato io a Vali il suo “ruolo” visto che nell’Edda non è specificato.
Secondo punto, non sapevo se mettere o meno tutte le note per ogni dio, nel senso, Jason non conosce tutto, quindi mi sembrava corretto non-inserirlo. Comunque, tre su quattro, dei “servi” sono mitologici, uno è mio. Non dico altro.
Anche oggi non ho un disegno, cioè si lo ho, ma non mi piace … quindi non so se postarlo.
Detto questo: vorrei ringraziare chi legge, preferisce, ricorda e segue, ma soprattutto chi recensisce. Grazie Farkas! (E grazie ad Edoardo811 per la lettura, ps - Astrid se ne è pentita 2 minuti dopo.)

Baci,
RLandH

 

 

 

Quando distribuivano “Buon senso” e “Profilo Basso”, Jason Grace doveva essere svenuto da qualche parte 

 

Váli l’Ardito aveva occhi oro come lo champagne, molto belli, anche se sgranati in un’espressione di puro stupore.
“Come?” aveva domandato cupo lo sconosciuto.
“Sì, ecco, io non credo di conoscerti” aveva risposto Jason con tranquillità, chiedendosi se il suo piano avrebbe avuto o no, qualche vago affetto. Astrid al suo fianco aveva trattenuto il respiro.
“Ah” si era lasciato sfuggire Váli, “Questo è molto imbarazzante” aveva dichiarato l’altro, l’espressione di pura boria che aveva animato il suo viso fino a quel momento era venuto a sopprimersi, “Davvero? Neanche una menzioncina piccola-piccola?” aveva chiesto Váli, speranzoso.
 “Tabula rasa” aveva risposto Jason, mentre inclinava il capo, nel tentativo di spiare oltre le spalle di tale Vali, per osservare il lupo.
Quello ferito, se possibile, si era ancora più arricciato su se stesso, assumendo l’aspetto di una macchia di pelo ispido ed arruffato.
Vali sembrava leggermente abbattuto, “Io … è così ingiusta la vita di noi Dei, un tempo i mortali tremavano alla sola menzione del nostro nome ed ora eccomi qui, che vedo due liceali … aspetta! Quella è l’Edda” aveva dichiarato Váli, recuperando barlume di gioia.
Jason aveva abbassato lo sguardo sui due tomi, “Così pare” aveva dichiarato strozzato Jason.
Váli aveva sorriso soddisfatto, come un gatto pasciuto, “Io ci sono! Appaio proprio ne La Voluspa! Il primo canto dell’Edda Poetica” aveva spiegato subito, con contentezza.
“Oh buono. Lo ho appena preso, qualche spoiler?” aveva recuperato compostezza Jason. Vali aveva sorriso soddisfatto, al giovane einherjar aveva ricordato un po’ suo fratello Apollo, prima della fase lesteriana. “Ovviamente” aveva risposto subito Váli con molta soddisfazione, “Ne la Voluspa sono anche descritto quasi al meglio di me: letale e veloce” aveva gongolato il dio.
Il lupo ferito, non si era ancora spostato, “Ovviamente, posso raccontarvi tutto io. Non ho la lingua sciolta di Bragi, ma quando sei l’ardito cosa serve?” aveva dichiarato Váli con soddisfazione. Aveva abbassato l’arco e la freccia, non sembrava più intenzionato a terminare l’immonda bestia. “Vi racconterò tutto su di me, così poi potrete adorarmi” aveva stabilito il dio.
“Non vedo l’ora” si era lasciata sfuggire Astrid, carica di sarcasmo, ma la cui affermazione non aveva sfiorato minimamente il dio, ancora appagato all’idea di soddisfare il suo ego.
“Possiamo anche adesso, davanti un bel boccale di idromele e cinghiale arrosto” aveva proposto Jason con scioltezza.
Váli aveva annuito, facendo muovere i capelli biondi sbarazzini, Jason aveva sorriso, poi il dio aveva parlato di nuovo: “Prima però devo uccidere questa immonda bestia” aveva dichiarato.

Ovviamente.

Vali aveva dato loro le spalle ed il lupo che fino a quel momento si era calmato, aveva ripreso una posa più spaventata possibile, presto si sarebbe ridotto ai minimi termini, nascondendo anche la testa sotto le zampe.
Jason aveva voltato lo sguardo verso Astrid.
Lei aveva scosso il capo.
Lui aveva infilato una mano in tasca per prendere la sua moneta.
Astrid aveva sospirato stanca, “Ehm … Ora che ci penso, tu non sarai mica quel Váli?” aveva chiesto lei, con tono alto.
Il dio non aveva potuto resistere.
“Ti sono tornato in mente?” aveva chiesto pieno di speranza Vali, voltandosi nuovamente verso di loro, dimenticandosi completamente del lupo.
Jason aveva chinato lo sguardo verso Astrid, la ragazza sembrava aver palesato sul viso la consapevolezza di aver appena commesso un’imprudenza. “Io …” aveva provato Astrid schiudendo le labbra, “Certo che ci è tornato in mente” aveva dichiarato Jason, “Infondo lo hai detto tu stesso, no, sei Váli L’Ardito … il Dio più glorioso … ehm … di Asgard?” aveva aggiunto, pieno di insicurezza, Jason.
Vali aveva aggrottato gli occhi, “Ovviamente!” aveva ammesso quello, pieno di orgoglio, “Tyr sarà terribilmente geloso che due giovanotti come voi mi abbiano chiamato il più glorioso” aveva stabilito. Vali con allegrezza.
“Sono stato definito il Vendicatore, lo Spettinato … Freya mi ha chiamato anche il puzzolente, una volta, ma è una vecchia baldracca; quindi, non conta” Aveva ripreso a parlare Váli con un tono rilassato.
A parere di Jason, Vali aveva un ottimo odore, una di quelle acque di colonie che ispiravano, con l’olfatto, la sensazioni di posti freschi – come l’alito dome una gomma da masticare – ed aveva capelli biondo cenere lucenti e puliti di fresco. Quindi sì, nessuno dei soprannomi sembrava adattarsi a Váli.
Eccetto, il vendicatore, ad occhio, Jason immaginava che arco e frecce non fossero per sola gloria. “Ma ovviamente Glorioso mi si addice, anche più di Ardito. Sì, da ora, mi presenterò così: Váli il Glorioso” aveva stabilito quello.
Il lupo aveva smesso di cercare di ridurre la materia di cui era composto, preferendo di finalmente cominciare con il darsi alla fuga. Era più grosso di un lupo normale, anche più di lupa. Aveva un manto grigio platino, che sarebbe sicuramente apparso maestoso e bellissimo, se non fosse stata la pelliccia chiara coperta di sangue – Jason non poteva esserne sicuro perché il colore era più luminoso e vibrante del rosso naturale – così come la peluria era un groviglio di nodi e sporcizia, di chi non doveva aver passato momenti felici.
Nonostante la bestia fosse, appunto, più grande di un semplice lupo grigio, aveva un ventre scarno e zampe sottili, legate ad un evidente inedia. L’arto anteriore destro era sollevato, putrida carne macellata, attraversata da due frecce scrosciante di rosso vivido.
Le tre zampe sane, secche come fuscelli, non avrebbero mai potuto sopperire alla mancanza della loro sorella e per il lupo una fuga non era possibile.
Jason lo aveva osservato con attenzione, si era accorto anche di Astrid che aveva emesso un singulto strozzato alla vista del lupo.
Con il suo gesto aveva attirato l’attenzione di Váli, “Certo, Glorioso ha decisamente un tono più epico di Spettinato” aveva ammesso Jason attirando nuovamente l’attenzione su di lui. Il dio si era spostato un ciuffo di capelli da davanti al viso in un gesto perfettamente calcolato come naturale, ma che grondava di bisogno d’attenzione.
Sì, aveva pensato Jason ingenuamente, avrebbe dovuto presentarlo a suo fratello Apollo.
“Ovviamente, anche perché ora non lo sono mica più, una volta adempiuto il mio proposito. Ci tengo tantissimo ai miei capelli, sono sempre lisci, perfetti e senza nodi. Uso solo balsami di qualità” aveva precisato il dio.
“Oh, come ci piacerebbe conoscerli” aveva bisbigliato Astrid.
Il lupo nel frattempo, titubante, aveva cominciato a fare qualche passo, tenue ed incerto, con lo stesso andamento di un camaleonte, cercando di non fare rumore.
“Questo che sto usando ora è balsamo al bianco spino, lo ha prodotto Lady Sif, riesce a malleare anche i suoi capelli e sono d’oro … oh quanto mi piacerebbero” aveva spiegato subito Váli, prima di svestire i panni del terribile dio Ardito e Vendicatore per indossare quelli di un aitante idolo anni ottanta che presentava con allegrezza una pubblicità di prodotti da bagno.
Jason si stava sforzando di guardare Váli e non deviare lo sguardo verso il lupo, che ancora arrancante come un camaleonte aveva fatto che pochi metri.
Aveva occhi gialli come miele denso che di tanto in tanto voltava verso di loro.
Erano occhi stranamente umani. Colmi di riconoscenza e terrore.
“Quindi al bianco spino e agrifoglio … niente vischio, immagino” aveva commentato Astrid, in una maniera incredibilmente naturale.
“Ovviamente” aveva risposto stizzito Váli, “In onore del più meritevole dei miei fratelli … Il vischio è bandito dalla mia dimora” aveva stabilito quest’ultimo.
“Oh, non vi era alcun dubbio che tale pensiero vi avesse attraversato” aveva cinguettato Astrid, la sua espressione sempre ieratica, si era modificata in una versione più stucchevole e dolce. Non fosse stata per la pesante pelliccia di wapiti che aveva indosso, in quel momento, Astrid Einardottir sarebbe potuta passare per una adolescente bostoniana in piena regola, che faceva sorrisi languidi al dio super strano davanti a loro.
Tutto regolare.
Il lupo aveva approfittato di quell’ulteriore distrazione di Váli, per proseguire, era quasi arrivato al fondo dell’isolato, ad un passo dallo sparire tra le ombre di una città che andava ad imbrunirsi.
Sarebbe stata notte presto.
Presto sarebbero state ventiquattro dalla sua presentazione alla Sala dei Caduti.
Sembrava che quella giornata fosse stata infinita … era perfino morto due volte.
Váli aveva perso quella sua espressione bonaria e piena di gioia per riprendere un tono più grave, “Questo mi ricorda che ho da consumare un’altra vendetta” aveva stabilito il dio, voltandosi di scatto verso la bestia.
Il lupo però aveva approfittato delle ultime parole di miele di Astrid per scomparire in un vicolo buio. “Dove è andato?” aveva strepitato Váli.
Jason ed Astrid si erano voltati l’uno verso l’altra, di scatto. Inventa qualcosa, aveva usato il labiale la guerriera, senza un fiato di voce.
“Il lupo, mio signore?” aveva provato Jason.
“Sì, il lupo mezzo jotun che era qui, che cacciavo da eoni. Difficile non vederlo: grosso e grigio” aveva risposto Váli, leggermente spazientito.
Astrid aveva sbuffato ed aveva tirato un buffetto a Jason, se voleva essere affettuoso, non lo era sembrato per niente.
Oh Jotun.
Come Jarnasaxa.
E quelli cattivi.
“Credo sia andato a … sinistra” aveva provato Jason, il lupo era andato a destra, forse era uno Jotun, ma era ferito … e come aveva detto Kymopoleia non tutti erano cattivi, o meglio … aveva riportato che Odino avrebbe dipinto i jotun come tutti cattivi, ma egli aveva delle amanti di quella stirpe, così come Kym era andata a cena da Aegir che organizzava feste favolose. Quindi non potevano essere tutti cattivi, no?
Jason aveva bisogno di crederci se aveva appena permesso ad un mostro crudele di fuggire da un dio vendicatore.
Vali li stava guardando, i suoi occhi chiari avevano perso la dolcezza ed erano freddi come due lamine di ghiaccio – nonostante il colore così caldo. “Lo avete fatto a posta, vero? Voi vili adulatori!” aveva sentenziato.
“Servi degli ingannatori! Voi adulate Loki e la sua schiatta! Non osate mentirmi oltre” gli aveva aggrediti senza remore il dio.
Astrid aveva parlato per prima, senza grazia, “Nobile Váli! Noi siamo Einjhair, i caduti, coloro che servono Odino, tuo padre!” aveva risposto con schietta onesta.
“Come se fosse la prima volta che nelle Sala si insidiasse qualche infame[1]” aveva replicato sagace il dio.
Jason aveva potuto vedere l’espressione sul viso di Astrid colorarsi di rabbia, piena di indignazione, “Io sono Astrid figlia di Einar, nipote di Sif La Bella, da più di mille anni combatto ad Idavoll, per seguire Odino fino alla fine; vi sono fedele da quando ancora gli uomini vi veneravano sotto lo sguardo di Sol e lui è Jason Grace morto con orgoglio per salvare i suoi cari e protetto di Lady Thrud, tua nipote” aveva stabilito Astrid fiera. Gli occhi verdi erano rifulgiti come gemme.
Vali aveva assottigliato lo sguardo, infastidito, probabilmente da non poter accusare i due di molto, “Nipotastra[2]” aveva bofonchiato solamente.
“Bene, divino Váli, noi ora ci congediamo, ci aspetta il banchetto alla sala e combattere, domani, come nel prossimo avvenire” aveva commentato Jason, avvolgendo le mani attorno alle spalle di Astrid.
Váli li aveva studiato, “Ma voi lo avete fatto … vero? Distrarmi per permettere alla bestia di scappare” aveva considerato il dio.
Astrid aveva ancora l’espressione crucciata e labbra strette.
Jason aveva sospirato profondamente.
Basso profilo, giusto?
Così si erano raccomandate Thrud e Kymopoleia, giusto?
“Sì” aveva ammesso, “Astrid non c’entra niente, il suo è stato cameratismo” aveva dichiarato Jason.
Vali si era fatto vicino, pericolosamente vicino, con un’espressione poco felice sul viso – per usare un eufemismo.
“Perché?” aveva chiesto con voce sottile ed acuta, letale come la stilettata di un coltello.
“Perché era ferito” aveva ammesso Jason, “E spaventato … e non c’è onore nel braccare una preda ferita” aveva risposto onesto Jason, “O lo sarebbe stato, forse … se la tua non fosse stata un’esecuzione” aveva dichiarato.
Astrid aveva trattenuto il respiro, Jason non aveva bisogno di guardarla per sapere che la sua espressione dovesse essere dipinta di orrore.
Jason era stato tante cose: strategico, intelligente, di tanto in tanto, buono forse, ma su tutti era sempre stato … leale.
Ai suoi amici.
Al suo credo.
E a se stesso.
Vili aveva fatto un azione, uno scatto netto ed aveva afferrato il colletto di pelliccia di Astrid. “Ragazza” l’aveva avvertita con solamente quella parola.
“No” aveva risposto Astrid, aveva riacquisito la sua espressione calma, scostandosi, “Non avrai la mia pelliccia ne romperò bastoni per te. Siamo einherjar non puoi ucciderci” aveva dichiarato lei.
“Fuori dal Valhalla potrei … e lo farò, legittimamente” aveva stabilito Váli.
“Non puoi perché siamo gli uomini di Odino, Padre-Tutto, signore della Guerra e della Morte” aveva stabilito lei con certezza.
“Tu parli con parole furbe. Sei certa di non essere figlia di Loki” le aveva detto Váli fredda, “Mia madre era solo una donna e mio padre era un mezzo-dio, figlio della rigogliosa Sif dai capelli d’oro” aveva stabilito Astrid senza perdere un battito.
Váli aveva sorriso freddo, “Solo un mezzo-dio, dici?” l’aveva stuzzicata.
La guerriera aveva aggrottato le sue sopracciglia a quella constatazione, “Comunque lingua argentina, hai ragione” aveva stabilito Váli, “Avrei tutto il diritto di uccidervi per aver aiutato lo jotun mio nemico, ma potrei avrei problemi con papà. Quando si arrabbia con te sa essere tremendamente creativo, non auguro a nessuno un padre esperto di trasformismo con un carattere facile al rancore” aveva dichiarato il dio.
Sicuramente quello Jason poteva capirlo bene.
“Ma se tutti i conflitti si fossero risolti con la morte … allora saremo molto meno” aveva aggiunto, aveva perso l’occhio freddo, per un’espressione più amichevole.
Jason, doveva essere onesto, non era sicuro alla precisione dove stesse andando a parare, ma poteva immaginarlo. “Voglio proporre un Holmagag” aveva dichiarato Vali.
“Un dio, contro due mortali” aveva aggiunto Astrid.
“Un dio, contro due einherjar di stirpe divina. Non mentitevi li riconosco i miei simili” aveva soffiato Váli con calma.
“Non hai appena detto di non volerci uccidere?” aveva domandato Jason.
Ovviamente. Vi sfido ad un Holmagang; ovviamente a primo sangue. Non avrebbe senso comunque. Vincerei io!” aveva stabilito il dio con un sorriso calmo.
Astrid aveva voltato lo sguardo verso Jason, aveva sillabato qualcosa con le labbra, somigliava moltissimo ad un ‘Io ti odio’; poi aveva aggiunto: “La sua non è spocchia, il glorioso Váli sopravviverà al Ragnarok” aveva spiegato Astrid, con un tono didascalico, ma colmo di rabbia – indirizzata tutta a lui.
“Se non la nostra morta cosa vuoi?” aveva chiesto allora Jason, guardandolo. Non sapeva esattamente cosa fosse un holmagang, ma immaginava dovesse somigliare ad un duello – almeno. “Be, dovreste ripagare il guidrigildo qualcosa dello stesso valore della vita di quel mezzo-jothun … direi quindi la vostra esistenza. Se dovessi vincere io, sareste miei schiavi fino al Ragnarok; poi potremmo ridiscuterne. Se quella testa vuota di Thor può avere servitori me li merito anche io” aveva decretato Vali.
Jason si era voltato verso Astrid, “Siete dunque due nithigir” aveva dichiarato il dio, “Non osare chiamarci in quella maniera. Siamo onorevoli Caduti, morti con una spada alla mano e degni del Valhalla” aveva replicato Astrid.
“Quindi accettate?” aveva chiesto Vali, “Un secondo” aveva stabilito Astrid, prendendo Jason per mano e portandolo da parte, ma sempre sotto l’occhio vigile del dio.

 

“Ho fatto un macello, vero?” aveva chiesto Jason.
“Oh, be, vediamo un po’: hai salvato un lupo Jothun, che tra tutte le dannate creature a questo mondo sono quelle che mi piacciono di meno. Ringrazia che non fosse Managarm o ti avrei fatto ingoiare il mio corno. Ah, giusto … hai fatto incazzare il dio della vendetta, non il dio dei fiori di campo e delle buone intenzioni, ma il dio della vendetta. Lui è letteralmente nato con l’unico scopo di Vendicare. Che ci ha sfidato a risolverla alla vecchia maniera e se perdiamo saremo suoi schiavi. Io, Jason Grace, sono una donna libera! E se per caso dovessimo vincere e non succederà, avremmo il dio più rancoroso dell’eternità addosso fino alla fine dei tempi – Váli sopravviverà al Ragnarok” aveva ringhiato Astrid.
Jason le aveva messo le mani sulle spalle, “Mi dispiace di averti messo in questo macello. Se ne dovessimo uscire vivi … circa vivi, troverò il modo di sdebitarmi, ma ora devi spiegarmi cosa è esattamente un Holmagang e come funziona” aveva chiesto chiaro, soffocando tutte le preoccupazioni che gli stavano salendo.
Non aveva mentito, prima, ad Astrid, gli era andata male solo una volta.
Aveva affrontato giganti, mostri … e dei.
Ad ucciderlo era stato un uomo, indipendentemente da come Caligola volesse considerarsi, solo un uomo.
Non aveva paura di un dio, neanche del dio della vendetta.
“Perché sei così tranquillo?” aveva chiesto Astrid.
“Perché come ti ho detto: le volte che mi è andata bene sono maggiori di quelle dove è andato” aveva dichiarato Jason.
“Ma basta una” aveva risposto Astrid rigida.
“Ma siamo ancora qui” aveva replicato lui.
La guerriera si era morsa le labbra, timorosa, spaventata, poi aveva annuito: “Tralasciando tutta la storia. È un modo di risolvere un conflitto, ci si sfida in un quadrato delimato da quattro legni e su una pelle, di solito, ma insomma … credo che anche la mia pelliccia andasse bene” aveva cominciato a spiegare lei, facendo scivolare la mano sulla pelliccia che indossava, per spiegare perché Vali l’avesse afferrata.
“Si piò sfidare chiunque, indipendentemente dallo status, sai per onore, debiti, disaccordi … una volta nel Valhalla due persone si sono sfidate per stabilire chi avesse trovato la mela più rossa. Chi non accetta la sfida o la disattende diventa un nithingr, uno svergognato, nomea che può portare alla sanzione di fuori legge” Astrid aveva chiuso le labbra, trattenendo il fiato, ricordando probabilmente qualcosa di lontano. “Per i norreni la condanna di fuori legge è … difficile, vuol dire esilio e nessuna considerazione. Morte, per lo più. Fame, stenti, mostri” aveva sussurrato lei.
Jason aveva ricordato quello che Astrid aveva detto a lui, quando erano all’interno dello Spazio Chase, aveva un amico che avrebbe giovato di avere un tetto sotto la testa … forse?
“Comunque” aveva recuperato lucidità Astrid, “Gli Holmagang andrebbero, per tradizione, combattuti su isola, all’incrocio di tre vie … ehm … ma sono elastici. In realtà si può trovare un campione, tipo a noi per battere Váli servirebbe non so … Thor? Di solito la sfida avviene dai tre ai sette giorni dopo che è stata lanciata. Tecnicamente ci si accorderebbe sulle regole adesso, sai, numero e tipologia di armi, o se andare senza.  Ma non tutti gli Holmagang si risolvono in combattimenti, una volta … ehm … lo hanno fatto anche a scacchi, non molto vichingo, ma possibile” aveva aggiunto lei.
“Be, io sono un bravissimo spadaccino ed un ottimo giavellottista” aveva provato Jason, Astrid lo aveva guardato, “Sei bravo pure a progettare cose, no?” aveva provato Astrid, “Cioè non so quanto Váli sia bravo con la matita. Sicuramente è uno spadaccino ottimo, un arciere fenomenale e brutale guerriero a pugni crudi” aveva aggiunto la guerriera.
“Possiamo accettare la sfida ora per sette giorni da ora ma tipo prendere tempo alla sfida?” aveva proposto Jason, “No. Ora o niente” aveva stabilito Astrid.
“Prima di tutto se lui è un Dio della Vendetta, chiediamo come pagamento del guidrigildo di non portare rancore” le aveva suggerito Jason.
Lei aveva annuito, “Sono concessi di norma tre scudi e si deve decidere chi avrà il primo colpo” aveva aggiunto Astrid.
“Lasciamo a lui il primo colpo e scegliamo noi il luogo?” aveva chiesto Jason. “E chi di noi due combatterà o se fare un due contro uno” aveva sottolineato Astrid.
Jason aveva sorriso: “Conosco il luogo giusto” aveva dichiarato Jason, lei non sembrava ricambiare la sicurezza che lui stava ostentando.

 

“Se dovessimo vincere noi, non ci porterebbe rancore divino o valente Váli” aveva esordito Astrid quando aveva raggiunto il dio, quello aveva sorriso, “Improbabile, ma va bene” aveva stabilito quest’ultimo, “Hai una mente veloce” aveva considerato. Astrid era arrossita, guardando di sfuggita Jason.
“Prima dello scontro tutti quanti giureremo sul nostro impegno” aveva sottolineato la guerriera, approvato dal dio.
“Combatteremo entrambi” aveva provato Jason, “In cambio di questo ti daremo il primo colpo, visto che sei lo sfidante” aveva dichiarato lui.
Vali aveva sollevato le spalle con disinteresse, “Che mi importa. Armi?” aveva provato.
“Lancia e Ascia” aveva risposto Astrid. “Accetto … e propongo anche la spada, niente fa sanguinare meglio di una bella spada” aveva aggiunto Váli compiaciuto.
Avevano accettato entrambi.
“Voglio che la pelle sia di lupo, uno bello che avrò sacrificato per l’occasione” aveva gongolato Váli.
Jason aveva sentito di odiarlo con ardimento, così aveva preso la parola: “Sette giorni?”
Il dio aveva annuito, “Sì, purché sia sette giorni precisi, all’imbrunire. I legni dovranno essere di quercia, sacra benedetta, insomma dei pezzi dell’Yggdrasil e toccherà a voi prenderli. Dal tronco … speriamo non scivoliate accidentalmente nel vuoto” aveva aggiunto Vali soddisfatto.

Astrid aveva annuito, rigida; Jason aveva parlato di nuovo: “Allora sceglierò io il campo. Deve essere un’isola? Che sia Manhattan” aveva dichiarato.
Váli lo aveva fulminato con lo sguardo, anche Astrid lo aveva guardato, con confusione, “Non possiamo combattere a Manhattan” aveva risposto il dio.
“Perché? È un’isola e al suo interno c’è un parco molto grande dove è possibile combattere e dove certamente è possibile trovare tre vie che si incontrano” aveva replicato Jason facendo il finto tonto.
“Scegli un altro luogo” aveva ringhiato il dio, Astrid aveva schioccato le labbra, “Forse …abbiamo trovato noi un nithingr” aveva ammesso lei, dando man forte a Jason. “Lo so che stai cercando di manipolarmi lingua argentina” aveva ringhiato Váli, lei era rimasta ieratica nella sua espressione: “Non sono io che mi sto comportando come un … pollo. Mio Signore Vali L’Ardito” aveva aggiunto lei.
Váli aveva sorriso, forzatamente, “O come godrò della vostra compagnia quando mi apparterrete. Ho infinti calzini da farti rammendare” aveva asserito.
“Sette giorni da ora, all’imbrunire a Central Park, dove si incontrano tre vie” aveva ricordato il dio, allungando ambedue le mani verso di loro, “Giuratelo sul vostro onore” aveva stabilito Váli.
Jason stava per allungare una mano, “Uhm … se disattendi il giuramento finisci ad Heleheim … se sei un Einherjar è proprio in direttissima” lo aveva avvertito.
Jason aveva preso la mano destra del dio, con la sua, “Lo giuro sull’onore” aveva sancito.
Chiedendosi se funzionasse per lui … come per gli altri.
Thrud lo aveva fatto giurare sullo Stige, forse … era stato per renderlo famigliare.
Astrid lo aveva imitato con la mano sinistra.
Váli se n’era andato in un abbaglio d’oro, pieno di sadico divertimento.
“Mi dispiace per tutto questo” aveva dichiarato Jason, “Se ti dispiace ora … pensa dopo” aveva risposto sterile lei.
Non avevano più parlato, per tutto il resto del tragitto fino all’Hotel. E dopo.

 

Astrid aveva parlato di nuovo solo a cena, quando lo aveva raccontato a Madina e Mel. “Come vi è venuto in mente? Siete completamente pazzi?” aveva esclamato sconvolto Mel. Jason doveva dichiarare che quella non era la reazione che si sarebbe aspetta dal suo compagno di piano.
Di rimando Madina sembrava quasi su di giri, “Oh, perché a me queste cose non capitano mai?” aveva chiesto.
“Di essere sfidata per aver salvato uno jotun?” aveva chiesto retorica Astrid, mentre inforcava con una certa rabbia una patata, quasi fosse la faccia di Jason.
“A proposito, quale era l’Utile e Dilettevole con la storia del votivo?” aveva domandato Jason, “Tu scherzi?” aveva replicato lei, con rabbia.
“Ragazzi … no, adesso parliamo con Odino, troverà una scappatoia” aveva stabilito Mel, invece; nel loro breve scambio Mel aveva tirato un pizzicotto alla sua fidanzata. “Se volete posso fare da campione” aveva dichiarato Madina, sotto lo sguardo contrariato del suo fidanzato. “Compagni; io adoro combattere e guardare scontri eclatanti, come deve essere voi due contro Váli Odinsson in un terzetto” aveva ricominciato a parlare Mel, serio, “Ma voi non potete diventare schiavi” aveva stabilito.
Jason aveva conosciuto Mel da pochissimo tempo, pochissimo, poco più di ventisei ora, però gli era sembrato un ragazzo sempre sul … pezzo, un po’ come Leo, con la battuta pronta a fiorire sulle labbra, nonostante la situazione orribile in cui fossero finiti.
Mel si era letteralmente tirato una forchetta in gola per evitare una presentazione Power Point, il Re del Melodramma, eppure in quel momento, sul suo viso, c’era solo serietà.
Madina aveva allungato una mano per prendere quella del suo fidanzato in una maniera amorevole e confortante, si era avvicinato a lui ed aveva sussurrato qualcosa al suo orecchio, dolcemente.
Mel era uno schiavo, aveva ricordato Jason, spostando il braccio con il tatuaggio per poterlo nascondere sotto il tavolo, con un certo disagio.
Erano stati interrotti dall’arrivo di Thrud, che aveva versato loro del vino, “Oh, questo è nuovo” aveva scherzato Mel, riacquisendo il suo buon umore, almeno fittizio, dopo una bella sorsata, soddisfatto.
Jason non si era potuto assaporare, visto che la sua valchiria non aveva avuto la creanza di servire a lui.
Forse era ancora troppo giovane, per i loro canoni. “Oh, è un rosso greco, Nostos Bled da Creta, invecchiato un paio d’anni nel fondo marino[3], me lo ho portato un’amica” aveva risposto Thrud con allegrezza.
Poi aveva guardato meglio gli altri, “Cosa sono queste facce lunghe? Siete più tristi di mio padre quella volta che ha perso il finale di stagione di Battle Star Galattica” aveva dichiarato lei.
“Oh, niente, durante il Tennis-mortale, sono morto. E sono morto anche durante la battaglia ad Idavoll, ci hanno messo quasi cinque colpi a decapitarmi” aveva ribadito subito Mel.
“Io sono arrabbiata con Jason” aveva risposto Astrid, prima di ingurgitare una patata. “Ma come, con quel faccino da bravo ragazzo?” aveva indagato Thrud, strizzando una guancia di Jason.
Quando nessuno era rimasto al suo scherzo la valchiria aveva continuato il suo giro da cameriera divina, non senza lanciare uno sguardo preoccupato a Jason, forse in relazione a quanto detto da Astrid o al pensiero di come fosse finita tra lui e Kym.
Oh cielo, Giove Divino, come si sarebbero infuriate sia lei sia Thrud.
“Comunque sei stato fortunato Jason, se avessi trascinato Madina in uno scherzo del genere ti avrebbe già ucciso un paio di volte” aveva considerato Mel.
“Non stuzzicarmi” aveva scherzato rudemente Astrid, “Oh, sì, ti avrei ucciso fuori dal Valhalla” aveva stabilito Madina, era sorta, leggera, e rassicurante una risata.
Per un secondo la situazione si era allentata.
“Stavo pensando una cosa sai … Vali ha detto … uhm … mezzo-jotun?” aveva considerato Jason. “Molto comune in realtà. Tecnicamente Thrud è jotun per tre quarti, Fred tecnicamente lo è.  Wotan è mezzo-jotun” aveva dichiarato Mel.
“Sì, però ha ragione il nostro nuovo amico, non ho mai sentito la denominazione per un lupo quale mezzo-jotun. O sono Jotun o sono ecco … grossi lupi normali, no?” aveva valutato Madina.
“Non aveva il pelo di Skoll e Hati, i lupi che inseguono Sol e Mani; così come non aveva il pelo irsuto di Managarm … o gli occhi blu della stirpe di Frenrir” aveva considerato Astrid, doveva essere la lista di tutti i cattivi lupi Jotun che aveva incontrato o conosceva.
Poi era sceso il silenzio,
“Be, comunque è stata una cosa stupida e comunque vada a finire, non è valsa la pena” aveva stabilito Astrid, “Da domani dimenticati Idavoll e le scorribande, da domani io te ci alleneremo nella stanza dei duelli mortali, fino all’Holmagang” aveva stabilito Astrid, poi aveva pugnalato con molta decisione la sua bistecca al sangue, Jason era stato certo fosse la sua faccia la prossima cosa che sarebbe stata a contatto con quel coltello.

 

Quando era rientrato nella sua stanza, aveva trovato ancora i disegni che aveva lasciato dalla mattina sul pavimento, gli aveva raccolti e messi nella panca, aveva sistemato i libri sopra di esso, intenzionato a leggere qualcosa, Vali stesso aveva detto di essere presente in una delle due Edda.
Prima si era fatto la doccia.
Kymopoleia aveva dichiarato la sua intenzione di ucciderlo se avesse fallito.
Jarnasaxa incubo di Thor … sì, Jason non credeva che la scortesia della figlia di Poseidone ed il coinvolgimento i quella di Thrud sarebbero passate inosservate alla Jotun.
Avrebbe dovuto affrontare un dio per evitare di essere schiavo.
E Astrid avrebbe dovuto pagare con lui, per via della sua sconsideratezza.
Aveva tirato una testata contro le mattonelle del bagno, con un solo, stupido pensiero, perché non era potuto rimanere nel Campi Elisi?
Lui si trovava bene … si trovava in pace.

 

Con ancora i capelli bagnati, si era infilato nel pigiama e poi sotto le coperte, con la fantasia dei lupi, con l’Edda poetica sotto l’ascella.
Aveva inforcato gli occhiali – che strano, no? Ogni ferita, ogni difetto aggiustato, tranne che quella piccola imperfezione che era la sua vista.
Aveva aperto le prime pagine ed aveva cominciato a leggere, con gli occhi: La Voluspa, la profezia della veggente.

Ascolto io chiedo a tutte
le sacre stirpi, maggiori e minori, figli di Heimdallr!
Tu vuoi che io, o Valföthr,
come si deve racconti
 l’antica storia delle creature
 quelle che io remota ricordo[4].



Jason si era addormentato, esausto con in mente l’immagine dei figli di Bor – uno Jotun, per l’appunto – che creavano Midgard.
Secondo le note, uno di questi era Odino, che era anche il soggetto a cui si appellava la veggente, mentre Midgard era la terra, il mondo in mezzo, come aveva ascoltato nel power point della cena prima. Aveva immaginato Odino giovane e possente, senza la tuta e quel sorriso storto un po’ ambiguo, ma valente e potente, con gli stessi capelli biondi di Vali.
Erano stati sogni agitati, animati di corpi, sangue ed un albero immenso che dalla terra si stagliava verso il cielo, così in alto da non potersi vedere. E le radici che si allungavano in ogni dove, come una rete, una trappola.
Era stato su quei rami per un secondo … e poi aveva aperto di nuovo gli occhi.
… Ma non si era svegliato.

Jason si era abituato, dopo tutto quel tempo, a capire quando ciò che viveva era un sogno, o un ricordo, o  la vita di qualcun altro o qualche momento che gli dei, per qualche ragione, gli suggerivano di conoscere. Dopo anni, ci si faceva l’abitudine.
Istintivamente, la prima cosa che aveva fatto, era stata cercare Nico, negli ultimi tempi era stato il protagonista di quasi tutti i suoi viaggi onirici, ma era stato deluso.
Era in un luogo che non conosceva, una ampia stanza si apriva davanti a lui, lunga, spaziosa, con finestre colorate ed una luce forte, sebbene diversa, troppo luminosa per essere naturale.
Al suo fianco piante di ogni tipo decoravano l’ambiente. La stanza era affiancata, ai lati, da due soppalchi che seguivano la lunga stanza. Con un tetto a capanna.
Era una casa lunga[5]!
Jason aveva riconosciuto le fattezze di una casa a modo suo, con un tavolo in legno, un divanetto, c’era perfino una televisione ma ciò che aveva attirato la sua attenzione era stato il trono. Davanti ad un muro, sollevato su un palchetto c’era un trono, il più bello e degno che Jason avesse visto, anche quello di suo padre o di Odino, composto tra corni di cervo intrecciati.
Magnifico e selvaggio, si era avvicinato, attirato.
L’aveva quasi toccato, quando una voce lo aveva ridestato da quell’incanto.
“O divini dei, che dramma, mia signora, che dramma” aveva sentito qualcuno languire, si era voltato di scatto Jason.
A piangere era un elfo, con i capelli biondi come la birra chiara. Indossava una salopette verde sozza di sangue e guanti bianchi e rossi sbucciati.
“Stellan!” lo aveva rimproverato una foce femminile, ma anche quella era colma di terrore, “Non possiamo andare nel panico entrambi” aveva guaito la donna.
Jason l’aveva riconosciuta, era la Jotun Gerd. Indossava ancora il vestitino a fiori, solo che gli occhi erano lucidi ed i capelli invece che riccioli perfetti erano un nido di rondine. “Va tutto bene” aveva cercato di rincuorarlo lei, materna, prendendo le guance dell’elfo.
“Oh, ma non capisce mia signora, sono sempre stato quello strano, un poco di buono, ma poi ho cominciato a lavorare per lei signora, un lavoro umile ma che incarico … e invece” aveva pianto l’elfo.
Gerd lo aveva abbracciato.
“Stellan, non puoi piangere così, o lo farò anche io” aveva dichiarato quella, poi allontanandosi. “Non facciamoci prendere dal panico, mio marito non tornerà dalla caccia tra più di una settimana, con Thor lì presente il ritardo è assicurato” aveva stabilito lei, cercando di recuperare lucidità.
“Quel fastidioso di Skírnir sarà con lui, tutto il tempo, gli altri due possiamo gestirli no” aveva proposto lei. “Mia signora … si accorgeranno dell’assenza, lui … lui si sente” aveva dichiarato Stellan.
“Stellan! Cosa ho detto? Non possiamo essere nel panico entrambi” aveva stabilito lei, con il labbro tremolante e gli occhi lucidi di chi era pronta ad una crisi di nervi.
Gerd aveva cominciato a fare respiri brevi, come una donna partoriente, “Adesso, potrei autoinvitarmi a colazione da Frigga per parlare un po’ e potrei provare  a sedermi sul trono di Odino, magari …” aveva provato lei, incerta.
“Mia signora se è stato usato il Seidr” aveva proposto Stellan, il giardiniere.
Gerd era caduta sulla pedana, portandosi le ginocchia al petto, “Devo-pensare-devo-pensare” aveva singhiozzato.
Stellan era rimasto impalato come uno stoccafisso.
Jason era semplicemente confuso da quello che stava vedendo.
Lei aveva steso le gambe e si era tirata su, “Okay” aveva sentenziato, incerta, “Ho un piano o una cosa che ci somiglia” aveva camminato spedita verso un alberello piccolo, che occupava la porzione di un angolo. Aveva foglie verdi ed allungate, aveva afferrato con forza un rametto e l’aveva staccato.
“No, signora, no, ci metto tanto amore a crescere Aidan!” aveva languito Stellan.
“Gli hai dato un nome?” aveva chiesto Gerd sconvolta, “Ad ogni pianta e giardino della dimora” aveva detto con orgoglio Stellan.
La jotun aveva scosso il capo, “Lascia perdere, allora, ascoltami attentamente, stiamo per fare qualcos-” ma il discorso della donna era stato interrotto.
Il cigolio di una porta, gli aveva distratti, una giovane era apparsa, “Mia signora, sono tornata!” aveva dichiarato con allegrezza, “Oh, Beyla, sei qui! Ora! Proprio ora! Pensavo che tu … be, sì, non serve che riprendi il servizio proprio ora, puoi prenderti anche la serata. Byggiy non è ancora tornato dalla sua giornata alla SPA e Skínir sarà fuori con mio marito per almeno una settimana” aveva dichiarato Gerd, nervosa.
“Come sempre, la signora è sempre piena di grazia e gentilezza” aveva dichiarato Beyla sospirante, “Ma sarei una serva sciatta se vi lasciassi da sola senza tutte le dovute riverenze, specie quando Lady Sif è qui” aveva dichiarato subito quella.
“Sif è qui?” aveva chiesto Gerd confusa, poi dopo un respiro profondo, aveva chiuso gli occhi sconsolata, e sconsolata aveva detto: “Ovviamente. Ho incontrato Jarnsaxa e ora Sif è qui.”
Stellan era dritto come una pala, ma tremolante come un aspic.
Beyla aveva guardato la sua signora con aspettativa. Jason non riusciva a capire di che stirpe fosse, aveva orecchie tonde come quelle degli uomini, mancava della radiosità degli dèi, ma aveva una bellezza a modo suo luminosa, come quella degli elfi – in rapporto ai pochi elfi che Jason aveva visto.
Se la sua pelle fosse stata verde, avrebbe pensato fosse una ninfa.
 “Allora … sì … uhm … Magari potresti sistemare il gazebo, fuori, farla accomodare lì, io arrivo subito!” aveva cominciato incerta Gerd, Byla aveva annuito pacata ed aveva annuito rispettosa, prima di potersi però congedare, la sua signora aveva parlato di nuovo: “Mi raccomando, Beyla, lontano dal recinto!” la voce di Gerda era stata pregna di isteria.
“Oh, signora, o signora” aveva dichiarato Stellan disperato, appena Beyla era scomparsa dietro la porta.
“Ora che ci penso, l’invito di quella serpe di Jarnsaxa mi sembra troppo coincidenziale, visto quanto successo” aveva valutato la gigantessa, poi si era voltata verso Stellan.
“Mio buon servitore, ascoltami, con Sif qui, non posso allontanarmi, Beyla e Byggivi saranno costretti a servirci e riverirci, quindi non avranno tempo per pensare a lui, ma questo ci da un’unica soluzione: dovrai andare tu” aveva stabilito Gerd, prendo una mano di Stellan.
L’attimo dopo, l’elfo aveva tra le sue mani il ramo di sorbo, “Dove, mia signora?” aveva chiesto titubante.
Probabilmente terrorizzato di doversi sedere sul torno di Odino – se il signore degli Asi ne era geloso come Giove, Jason poteva provare empatia.
“Nel Valhalla” aveva dichiarato Gerd. Stellan aveva cominciato a piangere, “No, no, non piangere. Non ti preoccupare, starai lontano dalla Sala dei Caduti e quel trono maledetto[6], devi dare negli alloggi, al piano venti, risiede uno skraeling, il sorbo lo riconoscerà” aveva dichiarato con gentilezza lei.
Stellan aveva annuito, ancora con le lacrime sulle guance.
Jason aveva sentito il fiato spezzarsi in gola.
Gerd la jotun lo sapeva?
Era stata Jarnsaxa?
“Ma come mia signora?” aveva chiesto l’elfo, “Nello stanzino c’è il kit da arrampicata di mio marito, e delle cuffie per evitare lo scoiattolo e sei … un servo di Frey, l’albero non ti sarà ostile” aveva cercato di rassicurarlo, ma non lo sembrava neanche lei.
“Per lei mia signora questo ed altro” aveva ammesso Stellan, pieno di tremori.
La jotun aveva messo le mani sulle sue spalle, e con sicurezza, per quanto potesse smembrarla una ragazzina, tremolante con gli occhi lucidi di pianto e la nevrosi ad un passo; Gerd aveva detto, allora, solenne: “Per tutte le alleanze politiche e perché i sacrifici fatti non diventino vani, Stellan, dobbiamo ritrovare quel cinghiale!”



[1] Questa affermazione è un diretto riferimento ad un’affermazione fatta da Guinilla (<3) in primo di Magnus Chase – che non era stata molto “esplicita” sulla questione, ma sappiamo coinvolgesse un figlio di Loki, in combutta con il padre.

[2] Vali e Thor (che è il padre di Thrud) sono mezzi-fratelli, essendo ambedue figli di Odino ma di due madri diverse (Momento Shock: Nessuna delle due è Frigga. Ebbene sì, la Marvel ha mentito).

[3] HO SCOPERTO QUESTA PRATICA DI RECENTE, dovevo infilarla da qualche parte. Ovviamente è Kym l’amica.

[4] Per la traduzione de “La profezia della Veggente” ho fatto un po’ una crasi tra tutte le traduzioni che sono riuscita a trovare in giro. Comunque ringraziamo gli autori di Bifrost per aver fornito tutti gli incipit.

[5] Una Longhouse, una tipologia abitativa medievale, e se qualcuno mi sentisse descriverla così … uhm … cioè non solo come la chiama Jason ma proprio per la descrizione misera ... mi ritirerebbero il titolo.

[6] Il trono di Odino, non è maledetto, ovviamente, ma Gerd ha le sue ragioni per considerarlo tale (AKA: Freyr la ha vista la prima volta mentre sedeva su quel trono – ah, sì, giusto, dal Trono di Odino si vedono tutti e nove i regni).

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Capitolo 7
*** Il ('Idromele)Party del Piano 20 ***


E LO SO CHE SONO IN RITARDISSIMO.

MA: Sono stata in vacanza, cosa che non succedeva da eoni.
Quindi perdonatemi, pls.
Per l’illustrazione, uhm … ho fatto Gerd e Jarnsaxa ma non mi piace e non so se postarla, però ho finalmente fatto una caricaturale dei nostri giovani eroi.
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Jason-Grace-and-the-Barbarians-898018264
Non sono una gran far di questo style, però, sì dai ci stava.
Come sempre ringrazio chi legge/segue/preferisce/ricorda ed un grazie di cuore a Farkas e Edoardo811.
Questo capitolo mi ha preso un po’ la mano, devo ammettere e non è andato esattamente dove doveva andare. Però giuro, la parte introduttiva e finita (a capitolo 7 era anche ora) e finalmente possiamo procedere con la missione.
(Abbiamo anche il limite di tempo canonico del mondo di PJO per fare le cose).
E niente spero lo possiate apprezzare.
Un Bacio
RLandH

Ps – I due personaggi all’inizio potranno sembrare molto WTF, ma giuro avranno il suo senso. Prima o poi :^

Il (‘Idromele)Party del Piano Venti

 

“Io ti odio” aveva sillabato Astrid prima di colpirlo dritto sul naso con l’elsa della sua accetta.
Jason era ruzzolato atterra, dolorante e con fiotti di sangue che scendevano giù da un naso maciullato. “Lo so” aveva dichiarato lui, calmo.
La conversazione tra lui ed Astrid stava andando così da tutta la mattina.
Jason aveva anche cercato di introdurre il suo sogno, relativo alla notte scorsa, ma la guerriera non aveva voluto ascoltare una parola, aveva preferito cercare di uccidere Jason in ogni modo possibile.
In realtà … non stava cercando di ucciderlo.
Se Jason fosse morto, si sarebbe riformato nella sua piccola stanzetta al piano Venti e sarebbe sfuggito allo sguardo diligente di Astrid.
Quindi, sì, la sua compagna stava cercando di farlo a pezzi – senza ucciderlo.
E Jason non le portava neanche un po’ di rancore.
Infondo era colpa sua e del suo, dannatissimo, senso di giustizia, che lo aveva già ucciso una volta.
“In piedi, di nuovo” aveva impartito lei.
Jason si era tirato su, aveva un occhio gonfio, la bocca impastata ed il sapore ferruginoso del sangue. Non vedeva benissimo Astrid, ma anche lei non era una rosa di campo.
Aveva un grosso taglio sulla tempia, le mancava un pezzo di treccia ed un orecchio.
“Comunque, volevo dirti …” aveva cominciato Jason. “Non mi interessa” lo aveva smontato lei per l’ennesima volta, prima di lanciarsi su di lui con l’accetta alla mano ed un grido di battaglia, che la faceva somigliare davvero ai nativi americani dei film stereotipati degli anni Sessanta.
Quel pensiero aveva distratto Jason, abbastanza da evitare per un solo soffio la lama che aveva avuto tutta l’intenzione di conficcarsi nella sua spalla.

Jason aveva risposto con un fendente della sua spada – Panikpak VI, visto che nei confini del Valhalla, era meglio non sfoggiare troppo Giunone – che aveva avuto un bacio piuttosto rumoroso con la lama dell’accetta di Astrid.
La sua compagna era feroce, ed attenta, non aveva la stessa maestria e tattica che Jason poteva sfoggiare, dopo tutta la vita modellata secondo la rigida educazione di Roma, ma si sapeva difendere bene.
D’altronde, per anni, Astrid aveva millantato una vita all’insegna della morte. Jason aveva infilzato la ragazza, su un fianco, abbastanza defilato da non aver colpito nessun organo vitale. Astrid lo aveva maledetto in una lingua che Jason non conosceva.
Lei gli aveva tirato una testata, il ragazzo era barcollato un po’ all’indietro, ma non aveva abbandonato la presa sull’elsa della spada, ma aveva deciso di affondare ancora di più nella carne.

Astrid aveva afferrato con difficoltà la sua ascia, Jason doveva averle reciso qualche legamento, perché era piuttosto indecisa nei movimenti e mancava di forza, ma alla fine era riuscita a colpire Jason con la lama lungo la coscia.
Lui era indietreggiato.
“Oh ma che bravi che siete ragazzi” qualcuno aveva disturbato il loro arrancare per terra, con tanto di battito di mani.
Jason si era voltato osservando due guerrieri che li guardavano. Erano, alti e grossi. Uno sfoggiava una lunga barba spessa, scura ed ispida, l’incarnato di porcellana e capelli acconciati in trecce con anelli d’oro.  Indossava quella che aveva tutta l’aria di essere una cotta di maglia, ma che era composta da quattro anelli, collegati da un singolo anello, allacciato ai pantaloni di cuoio portava un machete, ma Jason sapeva fosse uno scramasax – lo ricordava in relazione alle lezioni sull’utilizzo di armi bianche che aveva ricevuto a Campo di Giove, nessuno la usava mai … era un arma barbara.
Su un braccio teneva fermo uno scudo tondo in legno, su cui era dipinto un cerchio rosso pieno, attraversato da una croce greca oro che divideva in quattro spicchi identici su cui scintillavano delle B speculari.
L’altro uomo aveva un aspetto più ordinato, con i capelli scuri portati corti ed una barba rada, aveva una pelle olivastra ed un naso importante. Ma erano le vesti che avevano attirato Jason, indossava una maglia di ferro ad anelli sottili, almeno così di poteva vedere, sopra una camicia morbida arancione con clavi dorati, la veste raggiungeva le ginocchia e sotto sfoggiava calze bianche e sandali … anche lui aveva uno scudo con la croce e le B.

“Ottima tecnica ragazzo, sicuro di essere morto di recente?” aveva domandato il più ordinato dei due uomini, se così avessero potuto essere chiamati, ambedue sarebbero parsi a Jason sulla ventina, ma … più vecchi dei giovani di quell’età che si vedevano in giro, o che almeno lui aveva visto. “Ma lei è più carina” aveva ridacchiato il barbuto.
“Direi invece che voi siate variaghi” aveva stabilito Astrid, sfilandosi la lama di Jason dalla pancia, sulla maglietta si era cominciata ad aprire una macchia bruna, che progrediva sulla stoffa come inchiostro rovesciato. “Lui” aveva detto il ragazzo ordinato, “Io sono romano dalla testa ai piedi” aveva stabilito l’altro, parlava inglese, ma il suo tono era più musicale e di miele.
Jason aveva avuto un brivido a quella notizia, due sentimenti opposti avevano tormentato la sua anima, il sollievo di non essere solo ed il terrore di essere scoperto. Per testimoniare le sue parole, quello aveva mostrato il braccio, portava legata un’armilla che copriva la parte del dorso, ma la parte interna, coperta solo da lacci, per un tratto, esponeva la carne nuda, svettava una scritta.
Che confuse Jason, non poco.
S P Q R; sotto la scritta, oltre le bande che segnavano i suoi anni al Campo di Giove, vi era il disegno di una spira di grano, il cui gambo si intrecciava in un anello, tempestato di gioielli.
Jason non lo conosceva.
“Che tatuaggio strano” aveva dichiarato ingenuamente, mentre si premeva una mano sulla gamba ferita; quella mattina aveva coperto il suo tatuaggio con una banda, che aveva trovato nel suo armadio.
“Ti prego non dargli spago” aveva dichiarato il variago, scuotendo il capo. “Questo è simbolo di mio padre, Pluto” aveva dichiarato il suo interlocutore con orgoglio.
Non era lo stesso tatuaggio che aveva Hazel.
“Intendevi Plutone, non si chiama così?” era intervenuta Astrid. “Oh, no, quello è il Signore dei Morti. Mio padre è il dio dell’Abbondanza[1]” aveva specificato quello, “Sì, sì ma tu sei morto povero e solo esattamente come me” era intervenuto il variago, dando un colpetto sulla spalla del suo amico, interrompendo la sua spiegazione. O che Jason potesse sottolineare fossero praticamente lo stesso dio.
“Volevamo avere la stanza dei duelli, in vero, visto che sono ore che siete qui dentro” aveva dichiarato il Variago.
Jason doveva concordare, non aveva neanche fatto colazione. Astrid aveva annuito, alla fine, “Sì, ho bisogno di risanare la mia ferita” aveva stabilito lei, annoiata, restituendo Panipak VI a lui, che l’aveva ripresa con incertezza. La testa aveva smesso di pulsare ed un occhio aveva cominciato a sgonfiarsi appena, le ferite si stavano rimarginando, sapeva che sarebbe successo, ma quella era la prima volta che accadeva, tutte le altre volte, era morto prima.
I due avevano annuito, “Perfetto, grazie bella ragazza” aveva stabilito quello con la barba lunga, passandosi proprio una mano tra i peli ispidi, “Se volessi dividere con me un giaciglio e vino dolce, non mi tirerei indietro” aveva stabilito con un certo orgoglio il variago.
Astrid era arrossita, anche Jason l’aveva fatto, giurava anche che il romano figlio di Pluto lo stesse facendo. “Oh, déi, Esben” si era lamentato giusto quest’ultimo.
“Grazie passo, Jason impegna tutto il mio tempo” aveva dichiarato Astrid, indicandolo, sfacciatamente, lo aveva detto con il suo tono calmo e l’espressione austera. Jason si era fatto ancora più paonazzo, mentre Esben il variago lo studiava con una certa criticità.
“Ora è meglio che andiamo” aveva stabilito il figlio di Pluto, spintonando il suo amico, verso la piccola arena attrezzata nella stanza dei duelli.
Jason quando l’aveva vista, quella mattina preso, aveva avuto un mancamento. Al centro, in una forma che ricordava un quadrato, con molto impegno, era steso un tappetto di pelle acconciata, fermato, sul pavimento, agli angoli da quattro bastoni di legno, che delimitavano il campo e tendevano la pelle al suo massimo. Esistevano tre porte per accedere alla stanza.
Era sistemato come il campo per un holmagag.

 

“Ho fatto un sogno-non-sogno” aveva ripetuto Jason, mentre percorrevano il corridoio verso l’ascensore, “Me lo hai già detto e ti ho risposto che non mi interessa, ora. Prima dobbiamo pensare a Váli l’Ardito che affronteremo tra sei giorni. Sei” aveva rettificato Astrid, mentre si arrestava davanti l’ascensore.
Le porte si era aperte, rivelando il viso fin troppo compiaciuto di Freydis Erikdottir, che esibiva un sorriso da gatta dello Cheshire.
Differentemente da come l’aveva veduta Jason, il giorno prima, il suo viso era leggermente diverso, un paio di zampe di gallina spuntavano all’angolo degli occhi – era strano?
Affianco a lei, c’era uno dei due uomini del giorno prima, quello biondo, con l’aspetto stanco, sbiadisco, che si addiceva ad un fantasma che ad un guerriero einherjar.
Astrid aveva sussultato quando gli aveva visti, ambedue. “Ma guarda un po’ cosa c’ha portato il carro di Freya” aveva stabilito Freydis. Osservandoli con interesse.
Astrid aveva forzato un sorriso sulle sue labbra, che le dava un’espressione ancora più caustica, “Ti stanno sputando di nuovo le rughe” aveva dichiarato.
Freydis non aveva perso il suo sorriso compiaciuto, “Inevitabilità del caso. Troverò un’altra mela” aveva dichiarato, nonostante l’espressione rilassata, il suo tono tradiva un certo fastidio.
“Mi chiedo come tu possa” aveva valutato Astrid, Fredydis aveva roteato gli occhi.
Hjarta[2]” si era introdotto l’uomo-spettro, attirando l’attenzione su di lui. Aveva un tono grave, cavernoso. Aveva parlato guardando Astrid, allora Jason aveva notato, che gli occhi dell’uomo, dietro la stanchezza e le screziature rosse e lucidi, esibivano un colore verde ghiaccio, come quelli di Astrid.
Lei aveva però una forma allungata, stretta, eredità probabilmente di sua madre thule. “Fathir[3]” aveva risposto la ragazza, con un tono pregno d’emozione.
Jason non conosceva la lingua norrena, ma riusciva ad interpretare quella parola, senza molti dubbi. L’uomo aveva detto qualcos’altro in quella lingua e la figlia aveva annuito; Freydis aveva roteato gli occhi, “Come siete sentimentali” si era lamentata, in inglese, quel commento era bastato perché Astrid cominciasse a parlare con suo padre in un'altra lingua ancora, suo padre era più incerto nei termini. Jason indovinava fosse una lingua nativa. Riusciva ad individuare il tema del discorso, però, visto che aveva sentito l’uomo pronunciare un nome piuttosto noto: Váli.
“Possiamo muoverci, stiamo bloccando l’ascensore” aveva dichiarato Freydis con un tono seccato.
Astrid si era voltato verso Jason, “Vai avanti, io arrivo tra poco” aveva dichiarato.
Jason aveva annuito, con incertezza, mentre entrava nell’ascensore, Einar – così doveva chiamarsi[4] – era invece uscito per raggiungere sua Astrid.
I due si somigliavano come la luna e la lana, vedendoli insieme nessuno avrebbe mai potuto indovinare fossero padre e figlia.
Lui era rimasto in ascensore con la belva.
“Non preoccuparti se la tua avventura con Thrud ha avuto risvolti così drammatici. Uno dei suoi pretendenti è finito pietrificato, una volta” aveva tubato subito Freydis appena le porte si erano chiuse.
“Immagino abbia saputo di Váli” aveva valutato Jason. Lei aveva ridacchiato, “Mio fratello siede tra i Thegn … tal volta carpisco le notizie ancora prima che avvengano” aveva dichiarato Astrid con un certo divertimento.
Jason aveva annuito, quasi esausto, “Váli è un bel tipo. Troppo arrogante, sapere che non morirà lo rende stupido. La morte non è l’unico modo in cui qualcuno può essere annientato” aveva dichiarato Freydis, strizzandoli un occhio, sfacciata.
“Potrei averlo notato, ma è pur sempre un dio e i sono un uomo” aveva stabilito Jason. “Ed un bel uomo come te andrebbe a raccogliere delle mele per me?” aveva domandato Freyds.
“Parli delle mele di Idunn, quelle che rendono immortali?” aveva chiesto Jason.
Non era arrivato a leggere nell’Edda di loro, ma le ricordava – citate molto parzialmente e velocemente – dalla presentazione di Odino. Mele d’oro, che coincidenza, che esistessero anche in quella mitologia. Solo che le loro rendevano immortali.
“Sì. Nonostante io sia morta da vera virago, armata e coraggiosa, ero anche vecchia. Tragicamente vecchia” aveva esclamato Freydis, “Il che è un peccato, perché come puoi vedere da giovane ero un bel bocconcino, per questo di tanto in tanto mangio una bella succulenta meletta[5]” aveva raccontato, “E la mia anima torna bella e giovane. Le mele non rendo semplicemente immortali” aveva aggiunto con un certo divertimento.
“Ma non dura molto” aveva constato Jason.
“Meno di quanto durerebbe per un dio – ovviamente” aveva aggiunto con una punta di rassegnazione la donna, passando le dita sulla lunga chioma bionda-bianca, alcuni fili d’argento brillavano. “Ieri cercavi un modo per andare a prendere una mela?” aveva indagato Jason.
Freydis aveva ridacchiato, con una punta di cattiveria, “Non chiedere mai ad una donna la sua età e i suoi piani segreti” aveva stabilito lei, con un sorriso lezioso.

 

Jason aveva lasciato l’ascensore con una cattiva sensazione addosso, con il sorriso di Freydis ad inseguirlo lungo il corridoio.
Aggiunto, al sogno della notte prima. Era sparito un cinghiale e la jotunn Gerd serviva uno skraeling del piano venti dell’Hotel Valhalla.
Per Jason, lo skraeling, il barbaro, a cui la gigantessa poteva fare riferimento poteva riguardare solamente solo lui o Astrid. Lei era letteralmente la skraeling per eccellenza, lo era letteralmente, riguardo a Jason, lui era anche più barbaro e straniero di lei.
Aveva incontrato Gerd quel giorno stesso, mentre era con Jarnsaxa, che aveva origliato almeno una piccola parte della conversazione tra lui e Kym, che ai loro occhi, doveva essere straniera.
Gli faceva male la testa.

“Ehilà!” lo aveva salutato subito Mel, che era appoggiato allo stipite della sua porta, indossava la maglietta verde dell’hotel sopra dei pantaloni rossi a rombi verdi e stivali di pelliccia, creando uno strano patch-work di stili.
“Non sei a Idavol?” aveva chiesto Jason, realizzando l’orario, “Oh, oggi ho saltato. Ti ho fatto i cupcake, pensando che probabilmente Astrid ti farà saltare anche il pranzo” aveva dichiarato quello, indicando con il dito un cestino quadrato che era ai suoi piedi.
“Madina?” aveva indagato Jason, “Lei è andata. Combattere le fa bene, se resta troppo tempo tranquilla si innervosisce. Ieri sembrava divertita dalla situazione, ma non lo è per nulla, ha passato la nostre sveglia ad intrecciare cestini” aveva risposto Mel, recuperando proprio il cestino, sembrava uno di quelli da picknick che si vedevano nei film romantici.
Jason aveva aperto la porta della sua stanza ed aveva lasciato l’ingresso libero anche a Mel, che lo aveva seguito con passo svelto.
“Grazie per il cibo” aveva dichiarato Jason.
“Prego. Te lo dovevo! Infondo se non mi fossi suicidato l’altra sera, tu e Astrid probabilmente non avreste mai incontrato Vali. Come una partita di genga finito male” aveva cominciato Mel.
Jason aveva scosso il capo, “Credo sia più colpa della mia lealtà cieca e dell’ego smisurato di Vali” aveva stabilito lui.
Senza remore di offendere il dio in questione.
“Oh, be, Adoro cucinare, comunque; quando ero piccolo, era uno dei pochi ambienti della domus dove potevo nascondermi per non lavorare. La schiava che la gestiva aveva un certo debole per me, credo le ricordassi un figlio che aveva perso” aveva raccontato Mel con tranquillità.
Lavorare.
Jason si era toccando la banda, sotto cui era nascosto il suo marchio, il suo orgoglio.
“In realtà credo piacessi un po’ anche alla Domina” aveva aggiunto, “Anche se era difficile da dire, dopo essere diventata vedova era diventata come quelle persone che paiono avere sempre un limone in bocca” aveva raccontato, mentre lasciava il cestino a Jason.
Mel si era accomodato sul divano, mentre lui, di rimando, si era mangiato tre cupcake fatti con fragola e crema di cioccolato da solo, prima di raggiungerlo.
Mel era stato uno schiavo domestico di un lanista e poi era divenuto gladiatore? O era stato venduto?
Nella mente di Jason vorticavano queste domande, ma si era reso conto fosse meglio non farle, anche Astrid si era raccomandata.
“Meglio ovviamente del giovane padrone di casa. Lui era … è brutto se dico fosse sbagliato?” aveva domandato il germano, crucciando le sopracciglia pallide.
Jason aveva scosso la testa.
Mel gli era sembrato un ragazzo allegro, uno di quelli dall’aria spensierata, che nascondeva i suoi traumi per bene sotto a un tappetto metaforico, che di solito ricordava un sorriso. Un po’ come Leo.
La nostalgia si era fatta prepotente dentro di lui ed era stato difficile, si era reso conto, trattenere le lacrime.
“Sei … tutto bene?” aveva chiesto Mel, aggrottando le sopracciglia bionde.
“Ho fatto un sogno … sai un sogno molto strano” aveva dichiarato Jason, fingendo che il suo improvviso umore fosse da imputare a quello, cosa che in parte non era del tutto sbagliato, “Che non mi aiuta con questa storia dell’Holmagang” aveva chiarito.
Voleva parlare del suo sogno, era ovvio, che se avesse visto qualcosa, doveva avere un significato. Queste cose non capitava a lui per caso.
Gerd aveva bisogno di un eroe del loro piano.
“Imparerai che in questo posto raramente un sogno è conseguenza di un indigestione di arrosto di cinghiale” aveva stabilito Mel, prendendo uno dei suoi cupcake, “Parla” aveva impartito. In quel momento, nonostante fosse vestito in quella maniera improbabile e come globo poteva offrire solo un pasticcino, Mel aveva tutta l’austerità degna di un Re.
Jason aveva annuito ed aveva raccontato, cercando di essere quanto più preciso possibile, lui non aveva idea di metà di quello che aveva visto, ma forse se fosse stato esauriente, Mel avrebbe potuto tradurre per lui.
Alla fine del racconto, per Jason, era stato ovvio che Thumelicus avesse avuto una visione più chiara di quella che aveva avuto lui.
“Oh, Mentula[6]!” aveva esclamato Mel, preoccupato. Jason era rimasto piuttosto sorpreso da un imprecazione in latino, ma non aveva fatto commenti.
Il suo compagno si era alzato come una scheggia, “Vuoi spiegarmi?” aveva chiesto Jason, pregno di perplessità.
“Sì, ma prima devi raccontare questa storia ad un'altra persona” aveva dichiarato Mel.
“Se ti riferisci ad Astrid non mi vuole sentire” aveva risposto Jason, anche se era ovvio che il suo amico avesse in mente una persona precisa, forse Madina.
Jason aveva imitato Mel, quando questi si era fiondato fuori dalla sua stanza per raggiungere la porta più vicina a quella di Jason e mettersi a battere contro di essa.
Fred, come aveva fatto per i due giorni precedenti non aveva dato segni di vita.
“Ascoltami figlio di … Frederick! Questo è davvero, davvero, importante” aveva stabilito Mel, continuando a picchiare contro la porta.
“Jason ha avuto un sogno e credo possa riguardare te” aveva strillato Mel.
Lui aveva aggrottato le sopracciglia, “Ma sicuramente riguarda la tua famiglia!” aveva stabilito Mel.
La serratura della porta era scattata, se Fred avesse avuto l’intenzione di lasciare solo uno spiraglio aperto, non era stato accontentato, perché Mel aveva usato tutta la sua forza per irrompere nella stanza, Jason l’aveva seguito ed avevano tramortito e travolto nel mezzo lo sconosciuto del piano venti.

La stanza di Fred era piena di piante.
Un albero dal tronco chiaro e le foglie rosse, faceva da sovrano nella stanza, ma in ogni dove, in ogni angolo, era possibile trovare piante di ogni genere, da veri e propri cespuglietti a piane grasse in vasetti della dimensione di pugni di bambino.
Quello che non era occupato da piante era occupato da fogli. Se Jason aveva pensato a se stesso, come disordinato con il suo materiale da disegno, se aveva pensato a Leo come confusionario, Jason doveva riscrivere il suo concetto di disordine e caos.
“Sei peggiorato” aveva constato Mel con tranquillità, mentre allungava una mano per raccogliere un foglio di carta, Jason aveva osservato l’oggetto, era in carta rigida fatta in percentuale di cotone e sopra era raffigurata un immagine in carboncino.
Era la jotun Gerd, vestita come la Vergine Maria – strano.
Aveva uno stile di disegno strano, diverso da quello che aveva visto nella sua amica Hazel, che riusciva con i suoi colori a dipingere una realtà magnifica, filtrata dai suoi occhi pieni di vita e di ardore. I disegni di Fred erano cupi, avevano delle forme allungate, profonde, oscure, come di qualcuno che aveva perso da tempo la luce.
Erano belli, ma inquietanti.
A parte quelli con le croci. Ce n’erano un sacco.
“Stavo aprendo la porta” si era lamentato Fred, ancora seduto sul suo pavimento che si massaggiava il naso, dove la porta aperta da Mel lo aveva colpito dritto sul naso.
Jason aveva guardato lo sconosciuto vicino, “Ciao, io sono Jason Grace” si era presentato.
“Oh, be, Madina non potevi essere” aveva replicato quell’altro, sollevandosi.
Fred era più alto di lui, anche di Mel, ma era sottile come un giunco, con braccia senza muscoli e gambe dritte come pertiche, sembrava un fuscello.
La sua carnagione era bronzea, come se fosse stato fino a quel momento esposto alla luce del sole, aveva capelli scuri e ricci, lunghi fino alle spalle ed occhi neri come il caffè.
La cosa che attirava di più lo sguardo però era il fatto che il ragazzo sfoggiava una camicia da notte di un bianco panna, con lo scolo a barca che metteva in evidenza le clavicole. “Io sono Fred di Clermont” si era presentato, pulendo il sangue con la manica della camicia da notte.
Se l’urto lo avesse storto, il naso sarebbe tornato immediatamente dritto. “Abbiamo i cupcake, dai” aveva provato Mel, Fred aveva borbottato qualcosa in francese, Jason aveva abbastanza famigliarità con le lingue romanze – in particolare quella – da sapere che non erano complimenti.
Anche Mel vista la smorfia che aveva manifestato.
“Non fare caso a lui. Era uno di quei guerrieri-monaci con la croce sullo scudo. Non ha superato bene questa cosa del paganesimo” aveva bisbigliato Mel, per chiarezza.

Fred si era voltato verso il suo piccolo soggiorno, differentemente da Jason non aveva un divano davanti ad un camino, ma aveva un tavolo tondo con delle sedie, anche se tutte erano sepolte di fogli, pergamene e piante.
Il proprietario della stanza aveva cominciato a spostare fogli da tutte le parti, alcuni li aveva impilati in una torre più cadente di quella di Pisa sul tavolo, altri erano caduti rovinosamente a terra in fruscio di fogli.
“Perché dici questo, Thumelicus?” aveva chiesto retorico Fred, “Avevo undici anni quando mi hanno messo una spada in mano. Vai, uccidi gli infedeli, riconquistiamo la Sacra Gerusalemme. Oh, cielo, siamo finiti a Costantinopoli e niente paradiso per te, Fred, per te … i pagani!” aveva raspato quello, assieme ad un’altra serie di rimproveri in francese; nel mentre aveva sgomberato tre sedie.
“Non è tipo che tutta la mia vita è stata una menzogna e che ho commesso azioni indicibili in virtù del nulla cosmico. E sono figlio di una gigantessa … una degna sposa di Satana, direbbero, non so se è un miglioramento, rispetto la presunta meretrice che credevo inizialmente. Cioè lo è lo stesso, visto che è sposata ed io sono un bastardo. Ma, ehi, è una gigantessa ed io sono in un posto che le odia” aveva scherzato forzatamente Fred, c’era ferocia nel suo sguardo.
“Oh, oh, stai parlando con lo schiavo gladiatore cheeeruscioo” aveva ridacchiato Mel, spostando una sedia per potersi accomodare.
Jason lo aveva imitato.
Fred aveva roteato gli occhi, “Sì…sì … blablabla … ero uno schiavo … blabla … il mio domino era il male puro con il pallino dell’incesto … blabla …ecco, perché non esco mai” aveva stabilito quello.
Mel non aveva perso il suo sorriso rassicurante, come se i commenti appena fatti non riguardassero affatto lui.
Fred aveva lanciato lo sguardo su Jason, “Uhm … tu? L’Aldilà è come te lo aspetti?” aveva chiesto.
No.
“Pensavo a spiagge caraibiche e fiumi di martini” aveva raccontato Jason.
Mel aveva ridacchiato, “Adoro come evolva così stranamente il concetto di Paradiso nel corso dei secoli e per i vari popoli” aveva ammesso.
“Esiste un solo paradiso e noi siamo solo in perpetuo inferno” aveva stabilito Fred, sedendosi anche lui, “Cosa è successo a Mia Madre?” aveva chiesto poi il proprietario della stanza.
Fred era figlio di Gerd, la jotun che aveva sognato e l’amica di Jarnsaxa; Mel si era riferito al sogno di Jason con problemi relativi alla famiglia di Fred, lo stesso si era dichiarato figlio di una gigantessa.
Pareva, quasi, ovvio.
“Amico, prego” Mel aveva invitato Jason a parlare.
Jason aveva raccontato di nuovo il sogno; Mel aveva annuito ad ogni parte, mentre Fred lo aveva guardato con occhi allarmati.
Appena terminato, il figlio di Giove aveva aggiunto, “Però, ecco, mi servirebbe una spiegazione ampia. Chi sono queste persone, che vuol dire che hanno perso un cinghiale?” aveva chiesto.
“Breve storia: Gerd è mia madre. La moglie di Frey, il dio dell’estate” aveva cominciato Fred, “Il padre di Magnus Chase, per intenderci” si era inserito Mel, ma il figlio della jotun aveva continuato dritto come una spada.
“Sì, ecco, il matrimonio tra Jotun e dei, Asi o Vani, ma anche tra Asi e Vani … non distraiamoci, è sempre stato caldeggiato per la pace e la prosperità. Frey per sposare Gerd ha dovuto rinunciare alla sua Spada, Sumarbrander[7], contro cui perirà durante al Raganarok. E no, non la ha offerta al padre della sposa come Dote, è una storia lunga e complicata … quindi facciamo finta di niente.
Comunque, immagino che mia madre pensasse alla rinuncia della spada quando faceva riferimento ai Sacrifici compiuti. Beyla e Skirin sono due servi di Frey, anche l’altro con la B … non è che posso ricordarli tutti” Fred aveva fatto una pausa, per osservare la foglie, a piatto largo, di una piantina che era rimasta sul tavolo.
“Idromele?” aveva chiesto per un secondo.
“Magari sì” aveva ammesso Jason.
Così, Fred si era alzato, per recuperare da quello che pareva un piccolo frigo-bar delle boccette – sì, Jason doveva pensare anche lui a procurarselo.
“Non so chi sia Stellan. Ma non mi sorprende che mia madre abbia preso un giardiniere per aiutarla, quei tre sono servi di Frey” stava raccontato Fred, il pensiero di Jason era galoppato a Vali, servi, forse era solo un altro modo per dire schiavi, come rischiavano di diventare lui e Astrid, “… mia madre è la dea del cortile, dei campi, queste cose qui” aveva dichiarato Fred.
“Pensavo quella fosse Sif” era intervenuto Jason.
Odino nel Power Point l’aveva definita così, lui l’aveva catalogata come una Demetra giovane dai cappelli d’oro, la nonna di Astrid e Madina e la shampista di fiducia di Vali.
“Hai una mente troppo rigida, amico mio, la mitologia norrena è fluida” aveva cercato di spiegare Mel, “La situazione è complicata, perché è stata la confluenza di due pantheon” aveva dichiarato.
“Come Greci e Romani?” aveva chiesto Jason, genuinamente confuso.
“Oh, no. Greci, Romani ed Etruschi hanno avuto circa gli stessi dei a cui hanno cambiato nomi, qualche particolare la e qua e discreta importanza. Nel Ludos con me, c’era un ragazzo figlio di Feronia, praticamente Proserpina etrusca, che per i tusci era importante mentre per i romani … oh, be … meno. Però, sì, insomma, gli stessi Dei … con gli Asi e i Vani è stata una somma. Due Pantheon in uno[8]” aveva dichiarato Mel.
“Tanto satanasso più, satanasso meno” aveva dichiarato sprezzante Fred, versando da bere per tutti e tre, “Comunque mia madre è la Dea del Cortile[9]. Lei ama le piante, ed io ho un pollice verde invidiabile. Mi piace far crescere le cose” Fred aveva detto l’ultima cosa, con un magone nella voce.
Magone di chi probabilmente aveva dovuto falciare vite.
Fred aveva portato sul tavolo, oltre piccole bottigliette, alte quanto un pugno chiuso, anche un set di porcellane per prendere il tè. “Servitevi” aveva dichiarato spento il proprietario.

Jason aveva bevuto il suo idromele, “Una cosa orribile di questa situazione è l’incapacità di ubriacarsi. Mi manca. Il vino era una delle poche cose belle della mia vita” aveva dichiarato Mel, per spezzare il silenzio che era venuto a crearsi tra loro.
“Oh, sì” aveva considerato Fred.
Probabilmente doveva essere una sfortunata condizione dell’essere einherjar – male per Jason, non credeva di aver mai bevuto alcolici nella sua vita e questo non spiegava perché Thrud non aveva dato lui il vino. “Vogliamo andare avanti? Vogliamo parlare del cinghiale? Dello Skraeling? Di Stellan che viene a cercare uno di noi?” aveva chiesto Jason.
“Oh, giusto il Verro D’Oro” aveva commentato Fred, sorseggiando un po’ del suo idromele. “Vello?” aveva indagato Jason, sentendo un nome famigliare.
Aveva pensato all’albero di Thalia.
“No, Verro con la R” aveva spiegato Mel, più gentile dello sguardo, non esattamente velato, di scontentezza di Fred.
“Non hai preso l’Edda?” aveva chiesto poi il germano.
“Nell’altra stanza” aveva dichiarato Jason, “Inoltre, sono arrivato ai nani che creano i Dvergar[10], qualunque cosa siano” aveva aggiunto lui. Fred aveva sollevato un sopracciglio, “Non è proprio così, sono i Nani che sono Dv …” aveva cominciato, “Diciamo che ora, questa cosa è … complicata. Però, restiamo concentrati” era intervenuto Fred, prendendo un’espressione seria, che non gli si addiceva molto.
“Una volta avevo l’Edda qui dentro, credo di averci disegnato sopra” aveva constato Fred, Mel lo aveva ignorato a pie pari.
“Allora, Il cinghiale di Frey, è noto anche come verro, che è un tipo di maiale, d’oro per il colore ed il materiale del manto, si chiama Gullinbursti. Super-veloce, in grado di correre sull’aria e sull’acqua e, inoltre, emette luce propria. Nessuna notte lo è veramente, finchè c’è Gullinbursti, che con le sue setole d’oro può illuminare qualsiasi ambiente” aveva spiegato, pratico Mel.
Jason aveva immaginato, nella sua testa, una scena molto ridicola, pensando a questo cinghiale luminoso che correva al fianco di Tempesta o Arione.
“Sì, be, Frey ha avuto questa lanterna pelosa come regalo da Brokkr, un nano, su commissione di Loki. Storia molto in breve, Loki ha rasato i cappelli di Sif, ha fatto infuriare suo marito Thor, così lui ha costretto il dio infame a metterci una pezza” aveva cominciato Fred.
“Perché ha rasato Sif?” aveva chiesto Jason. “Loki e la sua progenie fanno cose a caso tutto il tempo, non fidarti mai di loro e la risolvi” aveva detto schivo Fred. Mel aveva mimato con le labbra un ‘non-è-vero”.
“Comunque Loki incarica i Nani di forgiare una nuova capigliatura d’oro per la dea.  Fanno una sfida, noioso e blasfemo, quindi andiamo avanti, morale della favole ne viene fuori la parrucca più costosa del mondo, un’altra serie di roba più o meno utile, tra cui il Verro d’Oro” aveva dichiarato Fred, bevendo un altro sorso del suo idromele.
Questo, a pensiero di Jason, era dolciastro.
“Quindi, mentre i servi erano fuori, Gerd ad un appuntamento con Jarnsaxa … il cinghiale luminoso è scomparso?” aveva ricapitolato lui, pensando al suo sogno.
In quel momento capiva perché l’elfo Stellan avesse affermato che il cinghiale era notabile.

Mel aveva annuito, “E, adesso, il povero giardiniere sta venendo qui per cercare lo skraeling tra noi … ecco, io pensavo potessi essere tu, sei suo figlio … e un … ti senti sempre estraneo qui” aveva provato Mel, “Però potrebbe essere anche Astrid, visto che lei è una skraeling, o Madina che è di origini di capoverdiane, anche se figlia di Ullr, o io che non sono ne germano ne romano o Jason per un qualsivoglia ragione” aveva affermato Mel.
Come essere un’anima strappata dai Campi Elisi?
“Può darsi” aveva bisbigliato lui.
Fred aveva sbuffato, “Tutto possibile. Sicuramente non mi arrampico sull’albero dell’Universo per cercare un elfo in missione … Se Mamma ingoia l’ansia e dice a suo marito che si è perso il cinghiale risolve tutto” aveva stabilito Fred calmo, “Io non voglio farne parte” aveva detto pieno di acidità.
Mel aveva tirato un buffetto sulla spalla del mezzo-jotun.
“Be, io dovrei comunque raccogliere i legni per l’holmagang” aveva valutato Jason, ricordando una delle condizioni di Vali. “Giusto tu devi pensare a quello” aveva ricordato Mel, con espressione seria.
Fred aveva osservato la scena, “Oh, cosa mi sono perso?” aveva chiesto, “Esci dalla stanza più spesso e lo saprai” aveva scherzato Mel, ma non sembrava particolarmente pieno di allegrezza.
Il mezzo jotun aveva fatto una smorfia e bisbigliato qualcosa in francese, che somigliava ad imboccare la strada per un certo paese.

“Io credo che le cose siano più complicate, di un certo cinghiale scomparso. Gerd sembrava davvero terrorizzata” aveva considerato Jason, “Inoltre, Gullinbrusti non è un semplice cinghiale superveloce-fiaccola. Lui è un portatore di luce, senza di lui … le notti, credo, diventeranno più buie? Ha senso? Si registra il rapimento del cinghiale di Frey in qualche cronaca?” aveva chiesto Mel, preoccupato.
“Nessuna, affare senza precedenti. Probabilmente nessuno lo ha rapito, avranno lasciato il recinto aperto; Mamma è terribilmente distratta” aveva dichiarato Fred, con un tono pacato, prima di sollevarsi dalla sua sedia.
“A prescindere da come debba evolversi questa storia, i sogni sono il modo in cui il diavolo si insidia … scusate volevo dei gli dèi comunicano con noi, circa. Come aveva scoperto un tale infame[11], esperto di seidr, i sogni più consistenti per noi einherjar sono quelli che facciamo quando risorgiamo” aveva deliberato Fred, cominciando a frugare per la sua stanza, anche dentro i vasi delle piante.
“Chiaramente se il nostro Jason, qui, ha avuto una visione è perché in questa storia c’è più dentro della carne in un pasticcio” aveva raccontato chiaro Fred.
Aveva rovesciato una pila di fogli che raffiguravano una Gerd-Madonna con braccia oranti, con un corpo esageratamente allungato, che richiamava nella pose una croce.
Fred doveva vivere un profondo disagio intimo …
“No, no” aveva farfugliato Fred, prima di avvicinarsi ad un ficus e cominciare ad estrarre della terra, aveva trovato un elsa, e da lì, aveva tirato fuori una lama bastarda, lunga, – decisamente più del vaso in cui era contenuta –   aveva delle rune incise sopra di esse, emettevano delle luci fievoli. “Elle est là!” aveva strillato soddisfatto Fred, lasciando ondeggiare la spada.

“Non mi piace” aveva considerato Jason.
“A me sì, guarda che lama, che affinatura …  Quella è Angurvadal!” aveva esclamato eccitato Mel, rispetto Jason, con un sorriso da orecchio ad altro, “Unica e sola, lo ho rubata un paio di secoli fa! La Spada dell’Angoscia, ottima filatura, ma ciò che la resa nota è la luminescenza: fioca … perché siamo in tempi di pace” aveva stabilito Fred.
La cosa sembrava aver rilassato Mel, un po’. Fred si era avvicinato a loro, con ancora il ferro ondeggiante, era splendida come lama, lunga, di un ferro così chiaro da sembrare bianco, lucido, bellissimo.
 “Comunque via il dente, via il dolore … vediamo se le Norne, immagino siano loro, le signore del fato e del futuro … abbiano qualcosa per noi” aveva dichiarato, sollevando la spada.
“Non lo decapitare, ci vorrà un sacco e farà male” era intervenuto Mel, “Fidati di me, andrà dritto come con il brie” aveva dichiarato Fred.
Jason aveva sospirato e teso il collo.
Era stato netto. “Voglio assolutamente quella lama!” era tutto quello che Jason era riuscito a sentire, da parte di un super eccitato Mel.

 

Fred aveva avuto ragione, era finito altrove. Non aveva subito compreso dove fosse, non conosceva l’ambiente ma era certo non fosse la casa di Gerd e Freyr. Però era una casa, accogliente, calda e piena di voci.
Aveva messo a fuoco bene l’ambiente, aggiustando i suoi occhiali, e l’aveva vista.
Una ragazza, bella, con un’espressione corrucciata, con gli occhi piegati su un foglio e capelli biondo cannella. “Non riesco a capire questa cosa … che senso hanno gli integrali?” aveva chiesto lei, con un tono amareggiato ed un sospiro pesante.
Lei era in un soggiorno, di una casetta accogliente.
“Mi chiedo se in questa casa ci sia qualcuno capace in una materia astrusa come la matematica” aveva dichiarato una voce, Jason si era voltato, alle sue spalle, su un divanetto, c’era un ragazzo che stava cercando di accordare una chitarra. Aveva capelli scurri, ritti sulla testa, tenuti con una bandana di spugna. Jason lo conosceva, ne era certo, certissimo, ma non lo ricordava.
“Uhm … ho già provato a chiederlo a Giorgina, con l’ipotenusa è stata una forza, ma lo studio di funzioni sono troppo anche per lei” si era dichiarata lei.
Il ragazzo aveva riso, “Dee, Cal sei imbarazzante” aveva stabilito quello.
“Lit!” lo aveva ammonito lei, decisamente irritata.
Quello aveva ridacchiato, divertito da quella reazione.
Lit … Lit … Certo … Lityerses, il mietitore di uomini.
Jason era stato responsabile di una sua parziale trasformazione in Oro, mentre cercavano Era, con Piper e Leo. Sembrava tutto così lontano.
Cal aveva sbuffato, poi aveva raccolto i suoi pensieri. “Lo sai che è complicato” aveva ammesso lei. “Lo so, io e Giorgina stiamo facendo i piccioni viaggiatori” aveva stabilito l’altro, “Ma vedo la situazione complicata solo da un lato” aveva aggiunto Lit.
Cal aveva annuito, “Va bene … allora …” si era sollevata, chiudendo di scatto il libro.
Prima che potesse fare altro, però era stato Lit a parlare, una genuina imprecazione, Jason aveva seguito il suo sguardo, così come Calypso, allarmata, ma dalle ombre era apparso un pallido Nico di Angelo.
“Calypso!” aveva chiamato subito quello.
“Nico!” aveva risposto lei, preoccupata, “Devo parlare con Leo” aveva dichiarato Nico.

 

Jason era tornato dal regno onirico, trovandosi comodo sul suo letto nella sua stanza.
Fred aveva avuto torto.
Le Norne – se erano davvero loro, chiunque fossero – non avevano altro da dire a Jason, almeno sulla questione Gerd e cinghiale.
Ma avevano da dire su Nico.
Nico che aveva raggiunto Leo, chi sa … se fosse riuscito a rimanere un altro po’ avrebbe potuto vedere il suo amico. Non vedeva Leo da quella battaglia, non riusciva a ricordare l’ultima cosa che gli avesse detto.
Perché non doveva essere l’ultima cosa.
Si era tirato su, con fatica, sentendosi pesante, ed era sceso dal letto, per raggiungere l’esterno della sua stanza, si era aspettato di trovare Fred e Mel ansiosi, ma ciò che aveva incontrato era stato Astrid.
Braccia conserte ed espressione dura.
“Cosa stai facendo?” aveva chiesto lei.
“Oh mangiato qualche cupcake e poi sono andato a dormire” aveva raccontato Jason, tranquillo.
Astrid aveva stretto gli occhi, “Ti ho già detto che menti male” aveva stabilito lei.
Jason aveva schiuso le labbra, “Non hai mai, mai, pensato che potresti essere tu incredibilmente brava nel leggere le persone?” aveva provato Jason.
“Nel senso, nessun altro … ha notato il mio blef” aveva dichiarato Jason.
“Sei nel Valhalla da due giorni! E lo ho scoperto io! Hai sfidato un dio all’Holmagang!” aveva replicato lei, nonostante il tono fosse leggermente allarmato, l’espressione di Astrid poteva essere descritta in una sola maniera: stanca.
“Come è andata con tuo padre?” aveva domandato Jason, “Male, chiaramente. Lui è arrabbiato con me e io sono arrabbiata con lui. Ma niente di nuovo sotto il Carro di Sól, va avanti così da quando Urbano II reclutava per la Crociata – e no, io non sono Vali. Che hai combinato?” aveva sentenziato Astrid.
“Sono morto” aveva ammesso alla fine Jason, “Fred mi ha decapitato” aveva specificato.
L’espressione dura di Astrid si era sciolta, il suo viso era tatuato dalla confusione. “Cosa? Perché? Fred!” aveva esclamato. “Sei riuscito a vedere Fred? Lo hai fatto uscire?” aveva esclamato lei.
Jason si era sentito inghiottito da tutte quelle domande, “No. Sono entrato io. Vieni, ti aggiorno. Non chiedermi come ma le cose si sono complicate” aveva raccontato Jason, ammiccando verso la stanza del mezzo-Jotun.
Astrid lo aveva seguito, con le sopracciglia scure arricciate, pregna di perplessità, “Perché ogni volta che ti vedo, la situazione è peggiorata?” aveva interpellato lei.
Jason si era morso il labbro, pieno di disagio. E questo era niente.
“Sul serio” aveva aggiunto Astrid, la sua espressione era marziale – per un secondo aveva ricordato Reyna quando sentiva qualche stupidaggine.
“Ti ho detto che oggi ho avuto un sogno, no?” aveva provato lui, prendendo la direzione per la porta della stanza di Fred.
“Ti ho detto che non lo volevo sapere” aveva sottolineato lei, stanca, “Perché sapevi che i sogni non sono mai sogni” aveva considerato Jason, “Volevi fare lo struzzo” aveva aggiunto, con un sorriso leggermente divertito. “A volte lo sono, capita di rado, ma succede. Una volta ho sognato di essere inseguito da un Caciotta di Formaggio Gigante” aveva raccontato lei.
Jason aveva riso a quell’inaspettata confessione, era davvero un’immagine parecchio strana a cui pensare. Astrid che scappava da una caciotta.
“Smettila di ridere” lo aveva rimproverato lei, “Riguardava Váli?” aveva chiesto lei, mentre Jason bussava alla porta.
Lui aveva fatto un segno di diniego.


Je ne … Non è che devo recuperare tutti quanti oggi” aveva sentenziato Fred, quando aperto la porta aveva identificato la figura di Astrid.
“Anche io sono felice di sapere che non sei sbiadito” aveva risposto lei. “Ma ci ho provato intensamente” aveva replicato Fred, facendosi da parte per fargli entrare.
Mel era ancora al tavolino che beveva idromele da una tazzina da caffè, aveva salutato Astrid con un sorriso da orecchio all’altro.
“Questo posto è peggiorato. Lo sai che l’Hotel ha anche un servizio di pulizia sì?” aveva dichiarato Astrid. Fred le aveva sorriso – aveva un modo freddo di farlo, “Be, magari tra una settimana posso chiedere al divino Váli di mandarmi la sua domestica” aveva scherzato acido.
Astrid gli aveva mollato una ginocchiata sull’inguine, seguita da un colpo secco di palmo sul naso, che aveva fatto ruzzolare il proprietario della stanza per terra, tra le cartacce.
“Sai cosa odio di più dopo i lupi?” aveva chiesto retorica lei.
Mel si era alzato per aiutare Fred a tirarsi su.
A Jason sembrava così strano il guerriero, nei due giorni che era stato all’Hotel aveva a malapena interagito con gli altri, sebbene tutti, ogni giorno si fermassero – almeno una volta per uno – alla sua porta nel tentare di farlo uscire. Madina li aveva sempre riportato da mangiare.
Jason si era fatto l’idea di qualcuno di fragile … forse non aveva torto, anche se la fragilità di Fred era diversa. Infondo era un uomo che aveva dedicato la sua interezza a qualcosa che in qualche modo si era dimostrato falso, falso almeno per lui – visto come era finita la sua vita e non-morte, Jason non si sentiva così audace da escludere l’esistenza di qualsiasi cosa, incluso il Paradiso Cristiano.
“Gli Jotun? Perché mi ricordo che con Gunilla potevi andarci a braccetto” aveva sentenziato Fred, tirandosi su, “O gli uomini? Visto che scappano tutti a gambe levate” aveva aggiunto, con una punta di cattiveria.
“I cristiani” aveva replicato lapidaria Astrid, tirando dritto verso il tavolo.
“Bambini, non litigate. Fred è uscito dalla sua vita ascetica e Jason ha avuto un sogno importante” si era intromesso Mel, “O se volete risolverla lo sapete: faccio un quadrato con quel tappetto” aveva aggiunto, con un sorriso rassicurante.
Astrid si era voltata di nuovo verso Fred, “Inoltre, per tua informazione, un aitante variago, giusto, oggi mi ha invitato a dividere il giaciglio con lui” aveva dichiarato.
Fred aveva sorriso, “Oh, confessami i tuoi peccati, infedele” aveva ghignato, avvicinandosi a lei. Nonostante il tono dei due fosse rimasto inalterato, cattivo, Jason poteva vedere chiaramente la sinergia tra i due.
Quello doveva essere il loro modo di comunicare – se ben ricordava, anche la volta che aveva visto Astrid fuori dalla porta di Fred, lei non aveva usato toni gentili.
“Sono ottocento anni che fanno così” aveva cercato di giustificarli Mel, con un bel sorriso stampato in faccia.
“No, voglio sapere cosa è successo perché tu abbia deciso di aprire le porte del tuo tumulo” aveva replicato Astrid, prendendo un po’ di idromele dal tavolo, invece di usare le tazzine di porcellana di Fred, aveva preferito ricorrere al suo corno – Jason cominciava a sospettare che quella fosse l’arma che aveva con se alla morte, più dell’ascia.
“Ah, sì, giusto, questo ci ricorda. Hai visto qualcosa?” aveva chiesto Fred.
“No, solo un mio caro amico che andava a trovare il mio migliore amico” aveva dichiarato Jason.
Avrebbe potuto rivedere Leo …
“Oh, sì, anche a me capitava continuamente, vedevo o mio cugino o Gaio Giulio. In un paio di volte anche visioni decisamente intime che sarebbe stato meglio non vedere ma di cui Madina ha giovato parecchio – poi” aveva raccontato Mel, senza peli sulla lingua.

Jason si era seduto attorno al tavolo, abbastanza certo di non voler conoscere i racconti piccanti del cugino di Mel, di Gaio Giulio o Madina, particolarmente l’ultima, sarebbe stato imbarazzante poi, quando l’avrebbe incontrata.
Astrid lo aveva salvato, “Raccontatemi, che cosa è successo. Siate veloci, devo requisire Jason per degli allenamenti, come sapientemente ricordato da questo lestofante qui, tra una settimana potrei davvero essere a pulire casa di un dio famoso per non lavarsi neanche le mani” aveva dichiarato Astrid, “Senza dimenticare che devo già fare la sorvegliante allo Spazio Chase” aveva aggiunto.
“Ah, sì, credo di aver letto quella parte sull’Edda” aveva considerato Jason, “Ma credevo che Váli avesse già raggiunto i suoi propositi[12]” aveva valutato, l’occhiataccia di Astrid era bastata perché decidesse, saggiamente, di non contraddirla oltre.
“Vai, faccia-pulita, racconta a questa bestia il tuo sogno” l’aveva invitato poco garbatamente Fred.
Astrid non si era degnata neanche di scomporsi.
“Possiamo aspettare Madina così non dovrò raccontarlo ancora una volta?” aveva chiesto Jason.
“Il fatto che non invecchiamo non vuol dire che Elli non possa prenderci[13]” aveva spillato Astrid, “Non so più come dirti che non capisco quello che dici” aveva ripetuto Jason.
“Non è più colpa mia. Ti ho fornito il materiale e tu mi hai messo in un pasticcio” aveva risposto.
Jason aveva alzato le mani in segno di resa, consapevole di non poter dire molto altro, così aveva ripetuto il suo songo per la terza volta.
L’espressione sul viso di Astrid era passa da boria, poi era virata per l’interesse, caduta nella genuina preoccupazione ed in ultimo in una maschera di dura, irrigidita a quel termine che le pesava ancora sul cuore.
Gothri Mathr[14]!” aveva esclamato Astrid, alla fine.

“Come vedi niente di importante, mamma si è persa il cinghiale-lampadina del marito, niente di più disdicevole rispetto a quando lui ha perso il telecomando della televisione e lei non ha potuto assistere all’incoronazione di quell’eretica di Elizabeth II” aveva liquidato la faccenda Fred.
“Ed invece no!” aveva risposto subito Astrid.
“Non è mai successa una cosa del genere, il nostro mondo è ciclico, avvengono sempre le stesse cose ed avvengono in un preciso ordine. Letteralmente la nostra vita è una gara continua contro il Ragnarok. Disfare l’inevitabile” aveva raccontato la guerriera.
Come la Tela di Persefone, aveva pensato Jason, anche se non ne era certo.
Per i Romani, e i greci, le profezie erano ineluttabili, ma non erano mai chiare, mai precise, era sempre un mistero, continuo. Quasi mai l’interpretazione data era corretta.
Le profezie erano assolute e contemporaneamente nulla più che linee guida.
Jason non sapeva come fossero le profezie per loro, esseri comuni – se così potevano essere definiti, ma se qualcosa che aveva capito Jason dalla profezia della Veggente presente nell’Edda e dalla presentazione di Odino la prima sera: l’universo norreno era stato già tutto previsto, per filo e per segno.
Senza margine di errore – almeno per chi era citato.
Il Ragnarok stesso era già cominciato, o almeno il processo che lo avrebbe avviato, con la morte del dio di nome Baldr, da quel momento in poi, gli einherjar stavano disfacendo l’inevitabile, in un continuo tentativo di ritardare la fine.
Ineluttabile.
Aveva pensato a Jarnsaxa che era costretta a stare lontana da Thor così da non partorire un bambino, che avrebbe avuto tre anni nel Gran finale. Un altro piccolo tassello da sfasciare prima che fosse incancellabile.
Mel aveva schioccato le dita davanti alla sua faccia, “Scusa, amico, ma parevi aver preso il Bifrost con la mente” aveva dichiarato con innocenza. “Lo avevo fatto” aveva ammesso Jason.
“…Quindi, evento, fuori dal programma … mai successo. Non riguarda il Ragnarok o direttamente noi, ma è strano. Forse è un nuovo ciclo, ma io sono in giro da mille anni e Mel ne compie duemila tra un po’” aveva rettificato Astrid.
“Ho intenzione di organizzare un’orgia di combattimenti” aveva stabilito Thumelicus, “Non per vantarmi ma potrei effettivamente essere il più vecchio residente del Valhalla, o giù di lì” aveva detto estasiato.
Duemila anni.
Mel si svegliava tutti i giorni ed andava a combattere ad Idavol aspettando la fine da duemila anni.
Sembrava il pensiero più spaventoso che Jason fosse riuscito a fare.
Duemila anni.
“Sì, di norma la gente ha il buon senso di dissolversi prima. Gli esseri umani non sono fatti per la vita eterna, cioè questo tipo di vita eterna” aveva dichiarato Fred.
“Non so perché dite così. Io adoro stare qui. Certo è stato un po’ triste vedere quasi tutti i miei amici nel tempo dissolversi, ma da seicento anni a questa parte non è capitato frequentemente. Poi ho voi” aveva dichiarato Mel, “Anche tu Fred sei qui da ottocento anni” aveva sottolineato.
“Solo perché non riesco a disciogliermi. Aveva ragione Fratello Philippe sono un mulo testardo” aveva ringhiato Fred.
“Per favore, voi, concentrati” era intervenuto Jason.
disciogliersi … come gli dèi dimenticati, chi sa che cosa accadeva davvero?
Sì andava nel nulla o … lui sarebbe potuto tornare ai Campi Elisi?

“Sì, ha ragione, Jason. Concentrati. Parleremo dell’Orgia di Mel, dopo. Indipendentemente dal fatto che il ciclo sia nuovo o sia un fuori programma, la cosa ci riguarda. Tua madre, Fred, vuole uno di noi” aveva ricordato lei.
Jason aveva guardato Astrid attentamente, lei aveva ricambiato.
Entrambi erano consapevoli di essere papabile indossatori del ruolo di Skraeling.
Il che, ovviamente, arrivava nel momento meno propizio possibile – quello, assolutamente, sembrava molto più in linea alla vita di Jason di qualsiasi evento avvenuto negli ultimi due giorni.
Mel aveva bevuto un po’ del suo idromele, “Inoltre, Astrid, dimmi, se sbaglio … ma, ecco, Gullinsporti è un portatore di luce, no? E vive ad Alfheim, il regno senza notte … non so, ecco, ci pensavo, le cose potrebbero essere correlate?” aveva proposto.
Astrid aveva fatto un verso strozzato, somigliate ad un singulto. Jason aveva allungato una mano per metterla sulla sua spalla, lei non si era ritratta come fosse stata incandescente, segno di una seria preoccupazione.
Però era stato Fred a parlare, con un tono che mischiava il divertito e l’isterico: “Oh Saul sulla strada di Damasco, immagina se davvero qualcuno avesse appena staccato la spina al regno degli Elfi.”

Tra di loro era caduto un silenzio teso come la corda di un’arpa. Pensante; anche la risata forzata di Fred si era assopita.
“Non è così, vero?” aveva chiesto Jason, che non sapeva neanche come o dove fosse il Regno degli Elfi, ma che la questione non pareva possibile.
Nel dirlo aveva guardato Astrid.
Lei aveva ancora l’espressione spaventata di una cerva sul bordo di una strada, “Probabilmente non sarà così” aveva provato, ma l’algida sicurezza che sembrava sempre permeare Astrid, in quel momento somigliava ad un ghiacciolo in una giornata d’estate in California.
“Alfheim esisteva da prima che fosse di Frey ed è stata di Frey molto a lungo prima di ricevere il Cinghiale” aveva considerato la ragazza, giocando con nervosismo contro una punta delle sue trecce.
“Vero. Come dicevo, la mamma che fa la mamma” aveva replicato Fred.
L’atmosfera non sia comunque alleggerita, stranamente. Il pensiero, per quanto infondato, si era insediato in tutti, in qualche maniera.
Onestamente Jason non aveva idea se la cosa potesse essere possibile. Il Mondo degli Elfi funzionava ed esisteva da prima del cinghiale; quindi, non avrebbe neanche dovuto essere discusso il problema ma se aveva turbato i suoi compagni …
“Sì, infatti, preoccupazione inutile” aveva dichiarato Mel.
Tutti aveva annuito, “Cioè non sarà mica come il mjolnir senza in quale il Grande e Potente Thor diventa utile come una carrozza ad un pesce. Non è come che gli dèi ed il mondo si impigriscano fino a dipendere da cose che un tempo erano loro a malapena appendici vestigiali” aveva borbottato Fred.
Come quando avevano rubato la folgore a suo padre ed era dovuto andare Percy, dodicenne a recuperarla – se l’avevano raccontata correttamente a Jason – perché senza quello, il divino Giove era inutile.
L’ultima frase di Fred aveva riportato su di loro, pesante come il cielo sostenuto da Atlante, la consapevolezza.
“Penso di star per svenire” aveva considerato Mel, aveva un viso bianco lenzuolo e gli occhi spalancati, pieno di timore e pregno di consapevolezza.
Astrid si era sollevata, di scatto, nervosa; nell’azione aveva fatto anche rovesciare la sedia alle sue stanze; Jason era trasalito al colpo improvviso.
Fred aveva avuto intenzione di dirle qualcosa, ma poi forte rumore si era espanso per tutta la stanza, per tutto l’hotel, per essere preciso.
Jason conosceva quel suono, lo aveva sentito a Campo di Giove, di tanto in tanto, non era molto Romano.
“È un olifante!” aveva considerato infatti.
A Nuova Roma avevano sempre elefanti, e per quanto brutto fosse, capitava che quando qualcuno di essi si spegnesse – per vecchiaia, a Nuova Roma tenevano tantissimo a quegli animali – qualche figlio di Vulcano si cimentasse nel lavoro gli avori.
Per lo più statuine dedicati agli dei – forse Kym avrebbe più apprezzato di una statuina di ceramica? Decise comunque di accantonare il pensiero – ed ogni tanto qualche olifante.
“L’ultima volta che ha suonato è stato quando Gunilla ha capito chi fosse la spia” aveva bisbigliato funereo Fred, ricordando forse qualcosa di spiacevole.
Jason non aveva idea chi fossero le due persone a cui loro si stavano riferendo[15].
Il suo pesante, ombroso e grave dell’Olifante aveva continuato a riempire l’ambiente.
“Sì, ma questo allarme vuol dire che i confini del Valhalla sono stati violati[16]. Qualcuno che non ha il promesso di essere qui, è entrato” aveva raccontato Astrid.
“Tecnicamente qualcuno che Odino non si aspettava. Qualche settimana fa è entrato Big Boy[17] ma non è suonato l’Olifante, ma quando mille-trecento anni fa un’anima da Helheim ha tento di entrare qui, dovevate sentire che tuoni” aveva raccontato Mel.
“Ragazzi, è Stellan” aveva dichiarato Jason.
Doveva essere Stellan, l’elfo giardiniere di Gerd.
Astrid aveva annuito, “Se l’Olifante sta ancora suonando vuol dire solo una cosa” aveva cominciato a dire, “Non lo hanno ancora trovato”.



[1] Pluto è un dio greco (con maggiore culto in Samotracia), dio della ricchezza e dell’abbondanza, spesso rappresentato con Eirene, la pace. I romani lo hanno erroneamente accorpato ad Ade, creando Plutone. Però si Pluto è un dio greco, che ha per figlio un romano che ai suoi tempi ha fatto parte del Campo di Giove e che gira con un variago. Strano? BIZANTINO. 
(Momento meme, questo personaggio è fratello di Hazel, quanto lo è Nico, ma non è fratello di Nico)

[2] Cuore  

[3] Padre

[4] Il padre di Astrid deve chiamarsi Einar, perché Astrid più volte ha dichiarato di chiamarsi Einardottir, inoltre anche Thrud lo chiama Einar, prima di infilare Jason in lavatrice.

[5] Nelle scorse note avevo parlato di una differenza tra la mia Freydis e quella di Riordan, in 9 FROM THE NINES, Freydis appare vecchia, però, ecco, visto che abbiamo delle comodissime Mele di Idunn.

[6] Letteralmente M*nchia in latino, Thumelicus è un germano molto strano.

[7] Se avete letto la saga di Magnus Chase, questa storia la conoscete benissimo e sapete dove è la spada. Se no, be, il primo libro si chiama La Spada dell’Estate ed io potrei avervi lasciato un indizio/spoiler da qualche parte nei capitoli precedenti. Fischietta.

[8] Teoria piuttosto accreditata (che se non sbaglio è sostenuta da Snorri stesso) vede nei Vanir, gli dèi della terra/stagioni/roba-naif il pantheon originale norreno, mentre gli Asi (che anche mitologicamente emigrando, seguendo Odino) come dei guerrieri venuti assieme ai popoli indoeuropei (Se non sbaglio: Thor carissimo, ha la stessa radice indoeuropea di altri due dei molto fulminosi, il nostro amico Zeus e l’ormai sempre citato Perun).  Non vorrei dire una castroneria, ma mi pare che i germani fossero molto più devoti agli Asi che hai vani, ma insomma castroneria probabilmente.

[9] Come sempre la mitologia Norrena non ha sempre posti fissi. Comunque, l’unione di Gerd con Feyr, ho trovato in alcune versioni, viene interpretato come l’estate che riscalda i campi, o una cosa simile.

[10] Strofa 10 della Volupsa. I dvergar sono fantocci di terra. In realtà su i dvergar è piuttosto dibattuta la questione, cioè cosa sono e chi li ha creati veramente (Bugge interpreta l’azione legata ai Nani – in questo caso anche la versione di Jason).

[11] Allora, ennesimo riferimento al personaggio sinistro di cui parlava Guinilla. Di lui non ne parleremo in questa storia, tranquilli. Solo che a me piace fare gli intrecci e contestualizzare le cose.

[12]  Váli ha promesso di non lavarsi le mani ne pettinarsi fino a che non avesse adempiuto ai suoi propositi (Vendicare Bald) per questo nello scorso capitolo mi ero riferito a lui come “Lo spettinato”. Cioè, tecnicamente Bald si è “vendicato” ma, ecco, sì, la persona con cui si è vendicato è tipo la punta dell’Iceberg della questione.

[13] Elli è la Dea della Vecchiaia.

[14] O buon uomo! (Addirittura, coniugato correttamente in vocativo – grazie all’autorevolissima fonte di Wikipedia).

[15] Guinilla è un personaggio di Magnus Chase (per farla molto breve, la Loro Clarisse) e il tipo che ha beccato è un riferimento al 'Famoso figlio di Loki' (nel capitolo su Vàlii c’è un riferimento, così come in un'altra nota).

[16] Questa cosa non è presente in Magnus Chase e la sto inventando di sana pianta. Yeah.

[17] Questo è un riferimento a 9 FROM THE NINES WORD. BIGBOY è un personaggio di Magnus Chase (e che PERSONAGGIO <3 potrebbe, tipo, essere il mio preferito. Tipo.) che ovviamente non vive nel Valhalla e che potrebbe guardarlo solo con il bincolo.

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Capitolo 8
*** Non si va in missione senza una profezia – o i commenti enigmatici di un dio tutore ***


ECCOCI.
Scusate se sono scomparsa ma sono dovuta partire per località ignota per un po’ (dovuta poi – lo ho scelto io ahah) e poi, be, il mio cane ha deciso di mangiare la fibra del wi-fi, quindi indovinate chi ora è attaccata con il router improbabile del telefono?
Sì. Io.
Comunque vorrei ringraziare per le recensioni, ed il supporto, Farkas ed Edoardo811, ma chi ve lo fa fare?
Anche un cuore per chi legge/segue/ricorda/preferisce.
Ora, faccio una premessa, adesso, per come si conclude questo capitolo, il prossimo probabilmente sarà un po’ WTF (Non lo ho ancora scritto, ma sto decidendo se cominciare in media-res o continuare cronologicamente).
Oggi, abbiamo un disegno nuovo, ma lo posterò alla fine.


Un bacio
RLandH

 

 

Non si va in missione senza una profezia – o i commenti enigmatici di un dio tutore

 

“Stavo pensando ad una cosa” aveva dichiarato Mel, attirando l’attenzione di Jason, che era riemerso da un armadio – avevano deciso di cercare Stellan nel locale caldaie (sì, ne esistevano uno; Jason Grace aveva smesso di farsi domande).
“Dimmi” aveva dichiarato.
Mel lo aveva guardato con espressione seria, aveva una ditata di fuliggine nera che gli attraversava la fronte. “La Signora di Alfheim … ha incaricato Stellan di trovare uno skraeling, no. Uno di noi, nel ventesimo piano” aveva considerato.
“Hai idea di chi sia?” aveva chiesto Jason, da come aveva capito lui, che al venti fossero tutti a modo loro, stranieri. Mel aveva scosso il capo, nel farlo la treccia dritta era oscillata, “No. Penso Fred, lui è il figlio di Gerd. Da come mi hai raccontato il sogno, non credo che lei stesse pensando ad un barbaro uscito fuori da una profezia” aveva considerato Mel.
“Ha semplicemente dato l’indicazione a Stellan” aveva considerato Jason, “Forse non ha esplicitamente detto il nome di suo figlio perché … uhm … il Giardiniere, tecnicamente, lavora per Frey?” aveva proposto lui. Mel aveva sollevato le spalle, “Sì, può darsi, ma non volevo parlare proprio di questo.  Gerd ha chiesto al suo servitore uno skraeling da trovare … pensando forse a suo figlio, ma non credo che quello sia lo skraeling di cui ha bisogno” aveva sottolineato.
Jason si era morso il labbro, “Perché il sogno lo ho avuto io” aveva considerato.
Mel aveva annuito, “Probabilmente questo è il tuo wyrd, amico. Váli o meno” aveva dichiarato, prima di proporli di cambiare stanza.
Wyrd.
Jason non sapeva cosa significasse ma scommetteva che la traduzione fosse pesantemente vicina a: non ci interessa se devi pensare all’Holmagang il fato ha deciso che dovrai cacciare un cinghiale.
L’Olifante stava ancora suonando e tutto l’hotel stava cercando l’infiltrato – questo aveva trasformato l’intero posto in una bolgia con gente che strillava a destra e manca e correva in ogni dove.
Jason doveva dire che quello che lo aveva colto più di sorpresa era stata la felicità che aveva pervaso gli abitanti del Valhalla. Sembrano tutti eccitatissimi a quella personale piccola caccia, come se nessuno fosse sul serio impensierito all’idea di un’effrazione in quel luogo.

Avevano intrapreso la strada per le piscine, quando una figurava aveva fermato il loro avanzare, “Finalmente! È un po’ che vi cerco!” aveva esordito la voce. Era una valchiria.
Una giovane ragazza, forse coetanea di Jason, con un viso di rame, occhi scuri ma luminosi, il capo coperto da un hijab verde con fiori rosa, indossava solo parzialmente un’armatura, spallacci, ginocchiere, proteggi-gomito, per il resto sfoggiava una maglia di lana e pantaloni di jeans. Aveva anche un’ascia allacciata alla cinta, che le dava un’area minacciosa.
“La grande Samirah Al-Abbas!” aveva dichiarato Mel, con un sorriso aperto sul viso e tanto riconoscimento.
Jason la ricordava come la valchiria che spesso girovagava intorno al tavolo del piano diciannove e come quella che aveva portato un’anima, la stessa sera che Jason era arrivata.
La preferita di Odino.
Thumelicus di Confluentes[1] e Jason Grace, giusto?” aveva domandato retorica Samirah. “In carne e spirito” aveva risposto subito Mel, facendo anche un inchino.
Samirah lo aveva guardato con un certo stoicismo, “Il divino Bragi vuole vedervi” aveva dichiarato serafica. “Ora?” aveva chiesto Jason, facendo una circonferenza, appena, accennata, con l’indice, per indicare il caos che si stava stagliando ai loro lati. “Lungi sapere da me come funzionano il tempismo degli dèi” aveva risposto Samirah, nonostante il tono calmo della valchiria, Jason ci aveva letto dentro tanta compressione.
“Quindi il buon vecchio Bragi è tornato, eh? Si è stufato di tenere corsi agli universitari?” aveva chiesto Mel, affiancando Samirah.
“Non saprei, ‘stamattina si è presentato a colazione. Odino era felicissimo di vederlo, fino a che il figlio non gli ha sussurrato qualcosa” aveva spiegato subito la valchiria, “Ed ora questo” aveva aggiunto, ammiccando al suono cavernoso dell’Olifante che si dipanava in ogni dove.
“Hai paura di essere trascinata in un'altra missione pericolosa?” aveva domandato Mel. Samirah aveva riso, “Se il mio sesto senso funziona, questa volta non capiterà a me” aveva dichiarato, oscillando un po’ la testa, “Inoltre, sebbene stia ancora facendo il mio lavoro di valchiria, quest’anno ho gli esami finali, devo scrivere elaborati per l’università e sono entrata nella banda della scuola, per i crediti extra” aveva dichiarato.
“Oh, alle prossime cene, ci delizierai con qualche strumento?” aveva chiesto subito Mel.
Jason avrebbe giurato che il suo amico fosse stranamente accomodante ed interessato alla valchiria, tanto che questa si era fatta rigida per un secondo, “Oh, no è così con tutti. Non ci sta provando, inoltre, ha una fidanzata che adora il tennis-mortale” era intervenuto Jason.
“Oh, no, certo che no!” aveva strillato Mel, allontanandosi con un balzo dalla valchiria. Samirah era anche arrossita, immaginava più per il nervoso che per l’imbarazzo. “Non fa niente. Ma ho delle regole di vicinanza” aveva dichiarato, “Comunque, suono il triangolo, non credo allieterei molto” aveva stabilito lei. “Meglio di questo” aveva caldeggiato Jason.
“Credo che un lamantino in amore sia comunque un suono migliore” aveva dichiarato Mel, l’attimo dopo averlo pronunciato, quasi come una presa in giro, l’Olifante aveva smesso di roborare per l’hotel.
Sia grazie” aveva dichiarato Samirah, solenne.

Avevano seguito la valchiria dentro l’ascensore, nonostante Jason lo avesse preso ormai un certo numero di volte, doveva dichiararsi sempre stupefatto. Sam aveva sbuffato, chiudendo pollice e indice sull’attaccatura del naso, “Odio questo posto” aveva bisbigliato.
Doveva avere problemi a ricordare bene il piano, poi aveva sciolto la mano ed aveva digitato un tasto.
Piano quattro centonovantadue.
Per un secondo non era successo nulla, poi da una parete dell’ascensore, era sputato un cilindrino, sistemato in orizzontale, dove Samirah aveva posato il pollice.
Un campanello svelto aveva suonato. Il tubicino era rientrato e la salita era ripresa. “Una delle stanze ad accesso limitato, oh” aveva cominciato Mel. “Non ci entravo da quasi mille e cinquecento anni” aveva asserito Mel, pieno di gioia.
Jason guardava invece i piani. Erano in alto.
Voleva dire qualcosa?

Quando l’ascensore era arrivato, erano stati accompagnati da un campanello, di nuovo, e dall’apertura delle ante.
Davanti loro era apparsa un’ampia camera.  C’erano delle persone sedute su dei divanetti ad L, affrontati l’un l’altro. “Io vi lascio qui. Ho il giro di ricognizione da fare e devo andare al corso di volo; inoltre non potrei proseguire oltre. Buona fortuna, ragazzi” aveva dichiarato Samirah, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Grazie” aveva dichiarato Jason, anche Mel l’aveva imitato ed ambedue erano usciti dall’ascensore.
Non era stato necessario avvicinarsi troppo per riconoscere almeno una persona.
Madina era in piedi vicino ad un divanetto, indossava la maglietta dell’hotel, mancava una manica ed era completamente insozzata di sangue.
Lei però sembrava stare bene, anche se aveva un ematoma su una guancia e le mancava qualche porzione di corpo.
“Ehi! Siete arrivati!” aveva dichiarato subito, saltellando, letteralmente, verso Mel quasi saltellando. Aveva schioccato un bacio sulle labbra del fidanzato ed aveva abbracciato Jason. “Che giornata folle, che è stata oggi; ero lì, con una lama nella pancia quando è cominciato a suonare quel coso. Serio, ho proprio sperato di non morire; sapevo che ci sarebbe stato qualcosa di fantastico” aveva dichiarato Madina.
Jason aveva ricambiato l’abbraccio, trovandolo stranamente catartico.
Mel aveva intrecciato le dita a quelle della sua fidanzata, o almeno a quelle che rimaneva, “Oh, dèi meravigliosi!” aveva esclamato poi lei, girando con lo sguardo verso i divanetti.
C’era Bragi, seduto, con le gambe accavallate. Con i pantaloni cachi, il maglioncino sopra la camicia e le scarpe crema squadrate, dando l’impressione di un tranquillo bibliotecario.
In una mano teneva una piuma d’oca e nell’altra un quadernino, con un rilegatura in pelle.
Sembrava interessato ai loro scambi.
Affianco a Bragi, c’era Stellan, che iper-ventilava, mentre teneva tra le mani un ramo di sorbo. Il suo aspetto dal vivo era leggermente diverso dal sogno, nonostante tutti tremori che aveva avuto, era sembrato più in salute. Ora pareva, quasi, opalescente.
I capelli biondi erano sparati da tutte le parti, aveva il viso graffiato ed … emanava un forte odore di pino silvestre.
“Mio divino, signore, perdonate la mia figura” aveva manifestato subito Madina.
“Loro sono il mio ragazzo Thumelicus e il mio buon amico Jason” li aveva presentati subito la ragazza con un certo nervosismo. “Ho conosciuto già entrambi, cara” aveva dichiarato con gentilezza l’uomo, facendo oscillare la penna.
“Lui invece è il giovane Stellan, Brightflower, la causa del trambusto di questo pomeriggio” aveva dichiarato Bragi, calmo, indicando l’elfo.
Mel si era voltato immediatamente verso di lui, Jason aveva annuito, impercettibilmente. “Si è infiltrato qui da Alfheim” aveva dichiarato Bragi.
“Lo ha fatto lungo l’albero, non so neanche come sia scappato allo Scoiattolo!” aveva esclamato Madina piena di ammirazione.
“Cera d’api” aveva bisbigliato il diretto interessato.
Bragi aveva annuito, “Stellan, ci delizierà con un racconto preciso, appena sarà finita. Prima sedetevi con calma, manca ancora qualcuno” aveva dichiarato il dio.
I tre avevano eseguito l’ordine, accomodandosi al divano affrontato a quello di Bragi.
“Così è tornato nel Valhalla” aveva dichiarato Mel.
Jason non aveva ascoltato la risposta con attenzione, nello scambio che si era susseguito. Aveva osservato Stellan, con una gamba tremolante e gli occhi spalancati come quelli di un animale all’angolo di una strada che vedeva i fanali.
Ovviamente, Bragi doveva aver saputo della vicenda del Cinghiale. I piani di Gerd di tenerla nascosta dovevano essere sfumati.
L’Elfo continuava a far saettare lo sguardo da loro, al sorbo e alle ante dell’ascensore.
Il suono della campanella, che segnava l’arrivo di quest’ultimo, aveva distratto anche Jason, che si era voltato verso di esso.
Dietro le porte era apparsa la figura slanciata di Thrud, ai suoi fianchi, come piloni, c’erano due figure: Astrid, con quella sua espressione rigida come il ferro, e Fred, che aveva smesso la camicia da notte.
Ciaooo ziooo Braaagiiiii! Mia madre è ancora arrabbiata perché non sei venuto al pranzo due martedì faaa” aveva strillato Thrud, facendo ondeggiare la mano.
Bragi aveva sorriso, “Uhm … che ragazza adorabile” aveva sospirato Bragi, “Certo, tesoro, di a tua madre che io e Idunn saremo felici di venire la settimana prossima” aveva dichiarato a gran voce.
Come per Samirah, anche Thrud non era entrata, lasciando a Fred e Astrid fuori alla porta. Nessuno dei due aveva un aspetto sereno.
Avevano percorso i metri che li separavano come due condannati a morte.

 

“Oh bene, tutto il piano venti e qui al completo, mi pare di capire” aveva considerato Bragi, osservando i due nuovi venuti. “Astrid, giusto? Ci siamo conosciuti qualche secolo fa, alla mia gara di poesie” aveva ripreso il dio della poesia prima di dirottare lo sguardo verso Fred. “Sì. Ho scoperto che le rime baciate non piacciono poi molto” aveva risposto tetra Astrid.
“Temo invece che io e te non abbiamo mai avuto l’onore di conoscerci” aveva considerato Bragi, passandosi le mani sulla lunga barba intrecciata, con la stessa dedizione di un vecchio sapiente, “Ma immagino tu sia il figlio di Gerd, hai i suoi stessi occhi dolci” aveva dichiarato.
Quell’affermazione aveva fatto strabuzzare i, suddetti, occhi a Fred ed inarcare un sopracciglio scuro di Astrid.
“Sì” aveva dichiarato il ragazzo, “Frédéric di Clermont, monaco della chiesa di Santa Maria Principale[2]” si era presentato con un certo melodramma il mezzo-Jotun. Bragi aveva sorriso, mesto, “Se non ricordo male, fu distrutta una volta dai normanni” aveva considerato quello.
“Sì, la mia vita è uno stand-up comedy senza fine” aveva detto pigro Fred.
Mel aveva sciolto la presa dalla mano del suo fidanzato e si era lanciata letteralmente sul mezzo Jotun, quasi lo aveva fatto cadere, ma non lo aveva lasciato. Fred si era ritrovato anche una serie di baci sulle gote e adorabili smancerie varie. “Sono così felice di vederti!” aveva dichiarato Madina, piena di gioia. Davanti a tutta quella bontà, anche il viso sempre indisponente di Fred aveva dovuto sottomettersi. Era arrossito con vigore ed era riuscito a malapena a trattenere un sorriso; aveva ceduto, alla fine, ed aveva abbracciato la ragazza di rimando. “Sì anche io, Madina, ora staccati, però” aveva dichiarato, riconquistando un po’ del suo contegno.


Bragi non si era scomposto; essere un dio immortale doveva aver dato lui una certa tolleranza nel trattare adolescenti eterni. “Prego ragazzi, sedetevi” li aveva invitati dolcemente, prima di illustrare ai due nuovi venuti la presenza di Stellan.
Questi aveva sollevato una mano guantata, con un certo nervosismo, ancora incerto della sua posizione lì.

Volete dell’Idromele, ragazzi?” aveva chiesto Bragi, calmo. “Io no, grazie, signore” aveva risposto per primo Jason, che aveva ancora in bocca il sapore di quello che aveva bevuto, prima di essere decapitato, da Fred.
Anche gli altri avevano declinato, rigidi e preoccupati. L’unica che aveva accettato era stata Madina, con un sorriso disteso. Non era sciocca e da come stringeva la mano del suo fidanzato, Jason aveva dedotto avesse compreso la preoccupazione che albergava in loro, ma pareva più rilassata rispetto tutti.
Forse perché non aveva partecipato all’idromele del primo-pomeriggio assieme a loro, o forse era la sua natura.
“Allora, mie giovani eroi, siamo qui, per una serie di situazioni spiacevoli che ci hanno coinvolto” aveva cominciato il dio, posato. “Oggi, sfortunatamente, dovrò fare le veci del mio caro padre che ha avuto altro intoppo. Nulla che interessi noi, per ora” aveva dichiarato quello.
Madina aveva ridacchiato, “Intende che sarà affidato ai ragazzi del piano diciannove” aveva commentato lei, senza malizia.
Bragi aveva fatto schioccare le labbra, “Non ho avuto modo di conoscerli, ma ho sentito solo belle storie” aveva commentato, mentre allungava una mano poi, per dare una pacca sulla spalla di Stellan.
“Ma voi siete qui per questo giovane elfo qui e la sua signora, Gerd” aveva aggiunto Bragi, putando gli occhi, chiari, sulla figura di Fred.
“Una missione! Oh, dei del cielo, una missione” aveva dichiarato Madina, quasi saltando su dalla poltrone, “Sono passati cento anni dall’ultima” aveva raccontato, piena di vita.
Poi aveva dato uno sguardo ai suoi compagni, “Perché non parete sopresi?” aveva chiesto, confusa.
“Effettivamente, sì” aveva considerato anche Bragi. Jason si era fatto rigido ed aveva direzionato il suo sguardo verso Fred, il monaco lo aveva preceduto, “Riguardava mia madre” aveva stabilito lui cupo.
Bragi aveva accettato la menzogna di buon gaudio, “Be, sì … Ecco lascerò a Stellan spiegare cosa è successo” aveva dichiarato.
L’elfo aveva raccontato la vicenda che Jason aveva sognato, evitando di citare l’uscita pomeridiana di Gerd con la jotun Jarnsaxa – sebbene Jason scommetteva fosse una manovra inutile, Bragi aveva preso il caffè nello stesso posto delle due – si era però premurato di aggiungere del suo tentativo di incursione nel Valhalla, senza molto successo.
“Sul serio? Hai scalato Yggdrasill con i rampini?” aveva chiesto stupita Astrid, aveva gli occhi scuri quasi luccicanti, cosa che aveva fatto avvampare Stellan – curiosamente gli elfi non arrossivano rosso sangue, ma una tonalità più tenue.  
“Poi, sì, ecco, non sono un grande stregone, ma mi destreggio nell’Alf Seidre, almeno in quanto modo di comunicare con la natura” aveva dichiarato, facendo oscillare il ramo di Sorbo, ancora sano nella sua mano – Jason ricordava che lo aveva chiamato Aiden.
“Bene, cerchiamo il barbaro che vuole la bella Gerd” aveva stabilito Bregi.
Stellan aveva passato il ramo di sorbo a Madina, che era stata la prima a raccoglierlo; non era successo nulla di particolare, lei lo aveva ondeggiato, quasi speranzosa accadesse qualcosa, ma non era capitato.
“Peccato” aveva sbuffato, prima di allungare il ramo verso il fidanzato. Mel lo aveva preso senza particolare enfasi, sicuro che non sarebbe accaduto nulla, così era stato infatti.
Aveva allungato il rametto verso Jason, lui di rimando, lo aveva preso con una mano tremolante. Non era successo nulla, si era sentito, vergognosamente, più leggero.
Astrid lo aveva raccolto dopo di lui, anche lei rigida, “Oh, grazie alla gloria degli Asi!” aveva ammesso lei poi, quando nulla era successo.
“Oh, Saul a Damasco” era stato il commento spento di Fred, strappando il ramo dalle mani della sua amica. Tra le sue dita olivastre, il ramo aveva quasi preso vita, cominciando prima a vibrare e poi ballare, quasi. “Bene perfetto!” aveva stabilito Astrid.
“Io e Mel ti accompagneremo alla riceva di Gullinsburti” aveva stabilito Madina invece, mettendo una mano sulla spalla del suo fidanzato.
“Tecnicamente, verrei anche io” aveva dichiarato Stellan con coraggio, “Quattro è un numero sfortunato, no” aveva dichiarato Madina, allora; poi si era rivolta verso il suo fidanzato, “Duello mortale, amore, per decidere chi accompagnerà Fred?” aveva chiesto Madina, prima di crucciare le sopracciglia.
Mel sembrava pensieroso, molto pensieroso.
Jason lo aveva guardato ed aveva trovato il germano ricambiare il suo sguardo; aveva ricordato la conversazione che avevano avuto nel locale caldaie neanche un’ora prima. Mel aveva annuito, quasi ad invitarlo.
“Dovrei dire una cosa” aveva dichiarato Jason, sentendo l’attimo dopo la presa ferrea – e le unghie, anche oltre i jeans dei pantaloni – di Astrid sulla coscia, però, quello non l’aveva affatto fermato.
Jason aveva raccontato il suo sogno, o almeno il suo coinvolgimento in esso, anche se da semplice spettatore.
“Molto curioso” aveva commentato Bragi, anche se il suo tono sembrava in qualche modo distante, i suoi occhi erano puntati da qualche parte oltre le loro spalle, Jason non aveva bisogno di voltarsi per scoprire che fosse un semplice punto vuoto. Era con la mente che galoppava veloce, con qualcosa che loro non dovevano capire.
“Hai sognato altro?” aveva chiesto poi curioso, Jason aveva risposto con una parziale onestà, raccontato di aver sempre e solo veduto i suoi amici. “Ho anche cercato di indurre una visione post-mortem” era intervenuto Fred, posando la mano sull’elsa della sua spada Flusso di Angoscia.
“Un caso unico …” aveva esaminato Bragi, aveva distolto lo sguardo dal rassicurante vuoto per puntare gli occhi su quelli di Jason. Era passato molto, moltissimo, dall’ultima volta che un dio aveva guardato Jason così, con serietà immensa e dritto negli occhi – anche il suo precedente incontro con il medesimo Bragi, o quello con Kym, non lo avevano scosso così.
Aveva sentito brividi saltargli lungo la schiena.
Sapeva cosa stava per succedere … Lo sapeva anche Astrid visto che aveva stretto la presa sul suo ginocchio, così tanto da aver fatto impallidire le nocche, così tanto che Jason aveva potuto sentire le unghie raschiare la carne, attraverso il tessuto dei jeans.
“Io credo che tu, giovane Jason Grace, debba accompagnare Stellan e Fred” aveva stabilito.
Anche l’elfo lo stava guardando, dal momento che non possedeva più il sorbo, non faceva altro che tendere ed arricciare le dita preda di un tic nervoso.
“Credo fosse come avevo detto io” aveva considerato ad alta-voce Mel.
Fred era lo skraeling di cui Gerd aveva bisogno, ma non quello che il destino aveva scelto … quell’infame compito toccava a Jason, ancora. Anche dopo la morte.
Astrid si era lamentata in una lingua aspra e dura, probabilmente quella dei Thule.
“Probabilmente era Skuld che sussurrava nei tuoi sogni” aveva considerato Madina, “La Norna addetta alle predizioni del futuro” aveva spiegato poi, dopo aver colto la confusione – che ormai doveva essere parte integrante della sua stessa natura – sul viso di Jason.
“Questo mi ricorda che … credo voi abbiate bisogno della profezia di una Vǫlva. Penso, che per una facezia come questa, le norne non si scomoderanno” era intervenuto Bragi.
Jason aveva deviato lo sguardo dal dio, quando aveva sentito quella parola, con un certo imbarazzo.
Jason si era voltato verso Mel e Madina, preferendo, vigliaccamente, evitare lo sguardo tetro – più tetro – di Fred che ancora guardava il ramo ballerino e Astrid che probabilmente lo stava maledicendo in tutte le lingue che aveva imparato nell’ultimo millennio.
“Conosco la Vǫlva giusta. Visioni profetiche precisissime. Sono settecento anni che non può più Scommettere alla Battaglia Reale di Natale” aveva dichiarato Mel, alzandosi in piedi.
“Be, sì, prima cominciamo a fustigarci, prima finiremo di sanguinare” aveva dichiarato tetro Fred, alzandosi anche lui. Stellan li aveva imitati, con un certo nervosismo.
“Oh, ragazzo, tieni, finché sei qui indossa questo … così la gente si ricorderà di non cercare di ucciderti” aveva dichiarato Bragi, lasciando all’elfo giardiniere un elmetto, era di ferrò molto lucido, nonostante il colore fosse un’panna opaco, sulla parte frontale, c’era un simbolo, probabilmente una runa, composta da una stanga dritta, attraversata d’obbliquo da un altro trattino, più breve.
Not” aveva letto Stellan, osservando il simbolo, “Il bisogno” aveva aggiunto.
Bragi aveva annuito, “Mie giovani eroi, è stato per me un piacere parlare con voi, vi invito a proseguire per questa missione, di cui godrete di tutto l’appoggio che Asgard in tempi complicati, come questi, può darvi” aveva dichiarato, prima di congedarli, passandosi le mani sulla portentosa barba.
Astrid si era morsa un labbro, “Jason tra sei giorni deve essere presente ad un holmagang con me” aveva dichiarato.
Bragi non era sembrato poi molto stupito da quella confessione, probabilmente già conoscente. “Sì, avevo sentito qualcosa. Fanciulli, posso tentare di mitigare l’animosità di Váli, forse posso convincerlo a posticipare l’incontro per darvi il tempo, visto il grande sacrificio che Asgard ti sta ora chiedendo” aveva ponderato il dio della poesia.
“Abbiamo giurato di essere lì” aveva ricordato Jason, avendo finalmente il coraggio di guardare Astrid, che di rimando aveva deciso di puntare tutte le attenzioni sul dio.
“Sull’onore?” aveva chiesto Bragi, c’era angoscia ed un po’ di speranza – che non lo avessero fatto – nella sua voce. “Lo abbiamo fatto” aveva confermato Jason, lugubre, mentre Astrid ispirava profondamente.
“Io … io sono certo, Jason Grace, che tutto abbia una ragione” aveva provato il dio, “E non vedo l’ora di scrivere i miei nuovi versi su di voi. Giovedì terrò un convegno sull’introduzione alla mia nuova opera, comunque: Edda-in-Versi2.0 se voleste partecipare” aveva dichiarato.
“Spero di essere morto” aveva risposto sfacciato Fred.
Astrid aveva sospirato.
Jason era rimasto calmo, Madina aveva aggrottato le sopracciglia. “Be, tranquillo, amico; la morte è una delle poche ragioni che viene accettata per la mancata partecipazione ad un duello” aveva sussurrato Mel al suo orecchio.
Stellan sembrava oltremodo sconvolto.

 

 

 

“La state facendo tutti tragica” aveva dichiarato Fred, incrociando le braccia sotto al seno, “Io non ho tempo, io non c’entro niente. Aiutare qualcuno mi ha già messo abbastanza nei guai” aveva stabilito arrabbiata Astrid. “Sei troppo buona, tesoro, per pensarlo davvero” aveva squittito Madina, tirando una guancia della sua amica, facendola ridere.
“Sentite, io non vi conosco, se siete qui, siete certamente tutti degni di ogni merito” aveva cominciato a parlare tremolante Stellan.
Mel stava invece guardando il frenetico scorrere dei piani. Il Valhalla aveva cinque centoquaranta piani sicuri ed altrettante porte per i vari mondi, per cui, prendere l’ascensore era come farsi un giro nel labirinto – o almeno così aveva capito Jason.
“Però per la mia signora è importante; il matrimonio tra lei e suo marito non è sempre …” aveva cominciato Stellan, ma Fred aveva parlato più forte, “Ti prego, non voglio sapere della vita sessuale di mia madre” aveva dichiarato perentorio. L’elfo aveva taciuto, “Comunque è necessario ritrovare Gullinbursti, non solo perché è una creatura dolce. Ma è una creatura forgiata da Brokkr, lo stesso che ha creato il Martello di Thor, non credo, ecco, che sia da prendere così sottogamba una sua sparizione” aveva dichiarato l’elfo.
Era caduto nell’ascensore un momento di puro silenzio; nonostante il loculo fosse spazioso, Jason lo sentiva affollato.
“Lo ritroveremo” aveva rassicurato l’elfo, sorridendoli e posandoli una mano sulla spalla. Stellan aveva annuito, “Inoltre, ecco, io, temo davvero quello che possa succedere. Gullinbursti è una delle luci dei nove-mondi” aveva bisbigliato quest’ultimo.
Fred si era voltato di scatto verso Mel, con un dito puntato, “Non dire niente!” aveva strillato. Mel, aveva fatto una smorfia e sollevato le mani in senso di resa.
Madina aveva guardato la scena confusa – ignorante dell’ipotesi del suo fidanzato sul fatto che il cinghiale del verro potesse essere uno dei motivi dell’eterno giorno della terra degli elfi.

Jason aveva rivolto uno sguardo ad Astrid, l’espressione austera sul viso e gli occhi verdi tumultuosi. “Mi dispiace” aveva sussurrato.
“Lo dici, spesso, vero?” aveva risposto Astrid, fredda, come una stilettata. Jason aveva annuito, colpevole.
“Non è colpa tua, la storia di Gullinbursti … se le Norne ti hanno scelto, non puoi sottrarti. O meglio puoi farlo e pagarne il peso” aveva detto Astrid, “Ma di Váli, sì. Di Váali sì” aveva sottolineato lei, burbera. “Sì, quello è colpa mia. Abbiamo giurato solo di presentarci lì – chiederò al divino Váli di cambiare le condizioni, dicendo che lo servirò fino al Ragnarok e oltre” aveva stabilito Jason. Lo aveva detto di getto, ma pensava che fosse giusto.
Astrid era stata buona con lui, le aveva fatto da Pigmalione, lo aveva aiutato ad Idavol, lo aveva fatto sentire meno solo, nella sua condizione e lo aveva aiutato, anche quando Jason stava combinando qualcosa di stupido – come salvare un lupo mezzo-jotun.
Astrid lo aveva guardato, intensamente, “No” aveva stabilito perentoria. “Forse tu godrai nel fare il cavalier servante, ma io mi prendo le mie responsabilità” aveva aggiunto. “La situazione di Váli è colpa tua, ma il mio coinvolgimento è colpa mia. Ho questo brutto vizio non riuscire ad abbandonare le persone” aveva dichiarato lei.
Madina si era sporta per abbracciarla, “Perché sei buona come il pane” aveva dichiarato, dandole un bacio sulla guancia “E per questo ci stia comunque accompagnando dalla volva” aveva aggiunto.
“Un pane un po’ bruciato ai bordi, così ha un sapore cattivo” aveva aggiunto Fred, guadagnando una pestata di piede letale.
“Avevo un amico con lo stesso, be … difetto fatale” aveva considerato Jason, pensando a Percy.
Lui invece, lui era quello che non agiva mai tempestivamente e rifletteva troppo sulle sue decisione, rimuginava troppo[3]; decisamente, decisamente la morte lo aveva cambiato.
Con Váli ed il lupo era stato l’istinto, lo stesso atavico istinto che Lupa lo aveva sempre invitato a seguire e che al campo aveva cercato di limitare, mitigare.
Era stupido e nonostante tutte le conseguenze, Jason non si sentiva in colpa – si sentiva in colpa per aver coinvolto Astrid, ovviamente, ma non per aver salvato il lupo-jotun.
Senza considerare che si era sentito, letteralmente, trainato in quella direzione, ancora prima concretizzare quello che stava facendo.
“Solo fino alla Vǫlva, poi andrò allo Spazio-Chase e probabilmente chiederò alla combriccola del piano diciannove di allenarsi” aveva stabilito Astrid, ricomponendosi.

 

Quando le porte dell’ascensore si erano aperte, la prima cosa che aveva investito Jason era stata una zaffata di carne cruda miste a spezie, poi gli occhi erano venuti in suo soccorso.
In puro ferro luccicante, si poteva vedere, chiaro come sotto il sole, una cucina industriale ed un mucchio di valchirie intente a lavorarci dentro, in una cacofonia di chiacchiere, urletti ed ordini gridati a gran voce.
“Benvenuti nel posto più bello del Valhalla” aveva dichiarato Mel, entrando in cucina.
Un sibilo aveva tagliato l’aria ed un coltello aveva sfiorato l’orecchio del germano, evitato Jason per altrettanti pochi centimetri e si era conficcato nell’ascensore.
Stellan aveva urlato senza vergogna – giacché lui da un coltello poteva essere ucciso
“Non sono ammessi Einherjar qui” aveva impartito subito una voce. Era stata una donna a parlare, capelli rosso fiammante, che scendevano dritti fino ai fianchi, viso duro e di ferro ed occhi fiammeggianti. Era molto alta, con spalle ampie ed il fisico di una body-builder, aveva delle fattezze eleganti, a modo suo, sebbene l’aspetto somigliasse a quello di qualcuno abituato a piegare persone come fossero sedie sdraio – a Jason aveva ricordato un po’ Clarisse.
Indossava una cotta di ferro, sulle spalle un pesante mantello fatto di piume bianchissime, a rovinare l’immagine da virago era in grembiule nero con la scritta in rosa shocking: Bacia la Cuoca – ma solo quello.
Sfoggiava una collana d’oro, larga e dall’aria pesante, attorno al collo taurino.
“Salve mie meravigliose signore!” aveva dichiarato con scioltezza Mel, “Non vi disturberò, avrei bisogno solo di qualche porro” aveva provato.
La valchiria aveva le sopracciglia, altrettanto rosse peperone,  crucciate, “Cosa devi farci Thumelicus figlio di Harmin?” aveva chiesto, mentre una valchiria, una ragazzetta giovane e magra scivolava fra loro per recuperare il coltello dalla parete dell’ascensore. Si era salutata sia con Mel, sia con Madina come vecchie amiche ed aveva lanciato uno sguardo interessato a Stellan.
“Be, lo sai Boudicca, sono pazzo per i porri” aveva dichiarato lui, avvicinandosi – Jason aveva deglutito al nome della valchiria – “No, in realtà devo andare da una vǫlva” aveva ammesso.
Boudicca aveva sbuffato, “E vieni a prendere dei porri, da me? Sai, cosa, piccolo screanzato? Vai. Non voglio neanche sapere, ma se tu o i tuoi amici  mettete in disordine la mia dispensa, vi pentirete di non essere a passare lo straccio a casa della divina Hela” aveva dichiarato la valchiria.
Mel le aveva ringraziata di cuore, spronando gli altri a farlo anche.
“Tranquilla, faccio io da scorta” era intervenuta una voce per Jason, nota.
All’angolo dei suoi occhi, seduta allo spigolo di una lunga tavola di ferro, c’era Thrud, armata di pela-patate ed una piramide di tuberi al fianco.
“Quando c’è da lavorare la piccola dea fugge sempre” aveva ghignato un’altra valchiria, ma Thrud non aveva dato cenni di esserne infastidita in alcuna maniera.
Beudicca aveva annuito, “Sì, tanto quando peli le patate con la buccia tiri via pure tre quarti della parte buona” aveva sentenziato.

 

Era stata Thrud a condurli nella dispensa. “Mi avete proprio salvato – odio i turni in cucina” aveva dichiarato la valchiria, “Speravo che lo zio Bragi mi tenesse a chiacchierare con voi” aveva aggiunto, con le braccia conserte.
Jason era ammirato dalla dispensa che il Valhalla offriva, era grande come un ipermercato, composta da scaffali, celle frigorifere ed ogni reparto immaginabile. Solo la sezione per i cereali occupava quattro scaffali in altezza ed almeno un chilometro in lunghezza. “Non si sfamano fino all’eternità infinite anime con solo un cinghiale, anche se al nonno piace dirlo” aveva chiarito Thrud, notando il suo sguardo.

Mel era sparito nella sezione orto-frutta in cerca dei suoi porri, Stellan li era andato dietro – guidato dal fatto che probabilmente Mel sembrava l’unico consapevole di ciò che faceva.
Madina ed Astrid erano ammirate tanto quanto lui. “Non ero mai entrata qui” aveva dichiarato la seconda, “Be, ora so da dove tira fuori Mel la farina; quella che la stanza produce quando la immagini non ha lo stesso buon sapore di quella che usa lui” aveva dichiarato la figlia di Ullr.
Thrud si era avvicinata a Jason, dopo aver lanciato uno sguardo, non poì così ammonitorio a Fred, che stava prendendo senza pietà delle barrette di cioccolata da nascondere sotto il farsetto.
“Ti va di parlarmi del pasticcio in cui ti sei infilato con i miei zii?” aveva chiesto, non c’era molta dolcezza nella sua voce.
“Bragi mi ha reclutato per una missione” si era giustificato Jason, “Oh, be, sei nel Valhalla da due giorni … ma non sono stupita” aveva confessato lei, grattandosi sotto il mento, “Con quel simpaticone di Váli?” aveva chiesto.
“Ho avuto un alterco … tra sei giorni avremmo un holmagang a primo sangue” aveva cercato di minimizzare la cosa.
Thrud gli aveva tirato un buffetto sulla collottola, “Profilo Basso, Jason! Avevo detto profilo basso!” aveva ringhiato, stava tenendo un tono basso e quello era l’unico motivo per cui non stesse gridando. “Cosa racconto a Kym?” aveva sussurrato quella.
“Kym?” aveva domandato confuso Jason, non che la terribile signora dei mari non fosse da tenere in considerazione, ma a lui, pareva una delle ultime personalità di cui doversi preoccupare, o almeno sicuramente dopo Vali o Gerd.
“Sì!” aveva risposto Thrud, “Cosa le dico? Scusa, hai presente il semidio per cui rischiamo di scatenare una guerra infra-pantheon, sì, lui si è messo a sfidare mio zio, quello a cui ne mare ne fuoco possono arrecare danno?” aveva chiesto retorica Thurd.
Ne mare ne fuoco?
Jason aveva avuto un brivido, perché aveva ricordato lui, i versi della Profezia dei Sette[4], ma allo stesso modo, dopo un primo momento di panico, aveva … calmato. Ne il mare, ne il fuoco; nessun accenno alla tempesta.
“Perfetto ragazzi, ho i porri” aveva dichiarato Mel, tornando da loro, con le braccia piene di pori, alle sue spalle il giovane Stellan lo stava imitando.
“Okay, vi scorto fuori, non voglio sentire Beodicca lamentarsi poi” aveva dichiarato Thrud, attirando l’attenzione, “In realtà dovremmo andare nelle stanze delle valchirie” aveva considerato Mel.
“Chi vuoi incontrare?” aveva chiesto Thrud.
“Kráka”  aveva risposto Mel; la figlia di Thor aveva emesso una risata soffocata, “Oh poveri voi!” aveva dichiarato.

 

I piani ordinati per le valchirie, sia quelle einherjar sia quelle appartenente alla stirpe degli dei – ed anche quelle mortali che non potevano vivere nel loro mondo – erano molto diversi dagli altri piani dell’hotel. Ne occupavano tre, con corridoi lunghissimi.
Differentemente dagli altri piani, tutte le camere delle valchirie erano senza porte, tra i soffitti e le pareti c’erano scale a chioccia che collegavano gli spazi senza bisogno di ricorrere all’ascensore. Per il resto c’erano un sacco di cianfrusaglie in giro e ragazze, alcune passeggiavano da un parte all’altra in pigiama e altre non erano neanche del tutto vestite.
Jason nel vederle aveva avuto un ricordo del suo tempo nel Collegio Maschile, i piani dedicati alle Valchirie sembravano un grande dormitorio.
“Questo posto è fantastico” aveva dichiarato senza mezzi termini Madina, “Anche se mi dispiacerebbe non averti intorno sempre, saresti un ottima valchiria” aveva concordato il suo fidanzato, si era sporto per darle un bacio sulla tempia, un porro era fuggito alla fuga ma era stato intercettato da Jason.
“Scusate, io non posso proseguire” aveva dichiarato perentorio Fred, quando una giovane donna, dalla pelle caramello, curve generose e capelli biondo tinto, umidi e gocciolanti, aveva appena attraversato il corridoio con solo un asciugamano addosso.
“Peccato che la profezia serve a te” aveva dichiarato Astrid, prendendolo a braccetto.
“Kráka è la centotreesima porta sulla destra. Mi raccomando non entrate in quella a sinistra” si era raccomandata Thrud.
“Non vieni con noi?” aveva chiesto Jason. “Oh, no, vi aspetterò nella mia stanza, duecento dodici B del piano superiore, mi farò una bella vasca rilassante, tanto Kráka ha il vizio di tirarle per le lunghe” si era congedata, tirando con una mano indietro i voluminosi capelli.
“Ah, non pensarci, bella, sei di turno in cucina, solo perché sei la figlia del Potente Thor non te la caverai!” era stata immediatamente rimproverata da un’altra.

 

“Stavo pensando una cosa” aveva detto Jason, mentre percorrevano il corridoio, poco prima di dover evitare un arriccia capelli abbandonato per terra, vicino una spada corta che somigliava interessatamente ad un gladio. C’erano anche valchirie romane?
“Ho paura di chiedertelo” aveva risposto subito Astrid. “Sappiamo, scusa Stellan, che una delle preoccupazione della divina Gerd fosse quello di essere uscito con la Jarnsaxa” aveva considerato Jason. L’elfo era arrossito – in quella maniera sinistra che non era rosso – degli elfi, per essere stato colto sulla sua palese omissione. “Ma ovviamente la Jotun c’entra qualcosa. Non può mica essere che non sia così, no?” aveva chiesto con tono retorico Fred.
“Anche Gerd è una jotun” aveva dichiarato Madina, tirandoli una gomitata leggera e complice, “Nessuno sta saltando a conclusioni” aveva specificato.
“La mia signora sì, notava che la cosa fosse troppo coincidenziale” aveva dichiarato l’elfo timoroso, lanciando sguardi di sottecchi a Jason, realizzando quanto la portata del suo sogno significasse. Lo aveva letteralmente spiato. “Magari, hanno solo lasciato il cancello aperto ed il maiale è scappato” aveva dichiarato Fred, “Ed adesso è ad Alfheim ha grufolare in giro” aveva aggiunto.
Stellan lo aveva guardato, pieno di imbarazzo, “Magari” aveva bisbigliato – lui e Gerd non avevano testato quella possibilità.
“Aspettiamo la profezia? Non ha senso fare il conto senza l’oste” aveva stabilito Mel, sicuro di se, mentre contava le porte.
“La conosci bene questa v
ǫlva?” aveva domandato Mel, non c’era gelosia o incertezza nella sua voce, “Oh, be, sua madre, come lei era una valchiria ed è stata la mia valchiria” aveva dichiarato con un certo calore nella voce il guerriero Germano. “È sempre speciale il rapporto tra una valchiria e la sua anima salvata” aveva considerato Mel, “Per i primi tre anni … poi si dimenticano completamente di te” aveva sentito il bisogno di sottolineare Fred, guadagnando un’altra pedata brutale da Astrid.
“Be, sono comunque oberate di lavoro” aveva giustificato la cosa Madina.
“Poi non è vero … io sono rimasto in contatto con la mia Valchiria fino a che non è morta, circa, pace al suo spirito, e poi con sua figlia” aveva sottolineato Mel, con voce piena di dolcezza.
“Anche io” aveva considerato Astrid, “E capiterà anche a te Jason, visto che era zia Thrud” aveva precisato.
“Sempre se non finite schiavi di Vá-ahhhh” Fred non era riuscito a finire la sua cattiveria, quella volta.
“Ma esattamente con Vulva[5] a cosa vi stare rifendo?” aveva chiesto Jason, sicuro di aver pronunciato male la parola; ne era stato certo l’attimo dopo che un ilarità infantile aveva inondato tutti quanti, incluso Stellan.
Non quello che stai pensando!” lo aveva rimproverato Astrid, “Devi cominciare a studiare meglio l’Edda” lo aveva rimproverato Astrid, “Indovina!” aveva invece risposto Mel, “Nel senso Volva è l’indovina; loro sono in grado di interpretare i sogni, scorgere spicchi di future e leggere le rune” aveva specificato.
Jason ancora rosso di imbarazzo aveva annuito.
Immaginava la Vǫluspá, la veggente che aveva riportato la profezia del Ragnarok come la Sibilla Cumana e le Vǫlve come aruspici o … sì, indovini.
“Comunque avrebbe fatto ridere una vulva che prevede il futuro” aveva commentato Mel; aveva perso un porro, dopo una gomitata ammonitrice della sua fidanzata.

 

Avevano raggiunto la porta, come le altre era una quadratura in un muro senza la porta.
Sì poteva vedere l’interno, notevolmente più grande della stanza di Jason, con buoni due ambienti. In quello visibile, che appariva come un soggiorno c’era una donna.
Aveva alzato gli occhi verso di loro, erano di brace, un castano ribollente da apparire quasi rosso. Jason era rimasto intimorito. Kráka, se quello era il suo nome, non era la donna più bella che Jason avesse mai visto – aveva visto Venere, aveva visto le sue figlie, nessuna donna arrivava per lui alla bellezza di Piper, probabilmente mai una avrebbe raggiunto quello, ai suoi occhi – ma aveva qualcosa che aveva visto raramente, la compostezza e la regalità.
Guardandola, Jason aveva pensato all’aurea austera di Reyna quando si presentava in senato con il manto porpora alle spalle e alle lezioni storia, così, pensava, Livia Drusilla doveva apparire.
L’incarnato di Kráka non era bianco come la polvere, come una donna del nord, ma era scottato dal sole, un po’, una sfumatura più crema.
Non indossava un abito elegante, in vero, non indossava neanche un vestito, erano reti da pesca, di corda, di infiniti e diversi colori, con maglie fitte, che drappeggiavano il suo corpo.
la donna aveva un corpo snello, con braccia toniche senza grasso, ma un accenno di muscolatura, un collo di cigno, dita lunghe acconciate al grembo.
Era seduta vicino un’arpa, con una gran cassa incredibilmente grande.
I capelli erano castano-dorati, erano portati sciolti e liberi come la natura voleva, come aveva notato raramente alle donne nel Valhalla fare.
“Mel” aveva detto la donna alzandosi, in piedi era flessuosa e più alta di quanto Jason avesse immaginato, era più alta di lui, di Thrud, forse rivaleggiava con Boudicca, “Sono felice di vederti” aveva dichiarato con voce melodioso.
“Kráka anche io” aveva esclamato lui, con gioia, chinandosi su ginocchio. Poi gli aveva presentati tutti con garbo ed in ultimo aveva presentato la donna a loro, non l’aveva chiamata però come si era rivolta fino a quel momento.
“Lei invece è la mirabolante Aslaug Sigurdsdottir” aveva detto con orgoglio. Fred e Stellan aveva trattenuto il respiro, Astrid aveva chinato rispettosa il capo, mentre Mel si era sbracciata in ode di ammirazione per una tale valente valchiria, guerriera e regina.
Lei aveva sorriso accomodante, senza perdere quella sua aria però imperiale, “Come posso aiutarvi?” aveva chiesto.
“Sì, mia buona amica, non veniamo qui per piacere. Al mio amico Fred serva una predizione per il futuro, abbiamo portato dei porri come pagamento, so quanto ti piacciono” aveva dichiarato Mel.
“Qualcosa che posso avere quando voglio e come voglio?” aveva scherzato Aslaug, facendo arrossire tutti, “Non preoccuparti, Mel, per un vecchio amico … posso provare ad aiutarvi” aveva considerato, mentre dava cenno ai due giovani di scaricare i porri sul tavolo.
“Non ho avuto sogni, ne il mio occhio vede bene, qualcosa temo sia accaduto” aveva considerato, “Ma posso, provare ad interpretare le rune” aveva valutato.
Si era voltata verso di loro, con aspettativa.
“Vuoi … Lei non ha personali?” aveva chiesto Astrid, “Ne ho, legno, pietra, ferro … materiali magici impronunciabili, ma è il vostro di futuro. Il legame personale aiuta incredibilmente” aveva risposto la Volva.
“Uhm … io non ho quelle cose, lo sai” aveva risposto Fred, mortificato, guardando Astrid.
Jason non sapeva neanche a cosa stessero facendo riferimento. “Io … ehm … non le ho portate” aveva dichiarato Stellan grattandosi il dietro, Madina aveva scosso il viso e Mel si era guardato le scarpe.
“Grande Odino” si era lamentata Astrid, da una tasca della sua pelliccia messa a nuovo aveva tirato fuori un sacchetto di pelle, “Adesso, sarò ufficialmente tirata in mezzo” si era lamentata.
“Le hai comprate? Le hai fatte? Con cosa?” aveva chiesto Aslaug.
“Olmo. Le ha create un mio amico, per me, lui era un praticante di seidr e alf-seidr … io no, però” aveva ammesso Astrid, cupa in viso, con un tono melanconico.
Kráka aveva annuito, raccogliendo il sacchetto, “Legno potente. Da quello che è nata la prima donna; quale runa manca?” aveva domandato, “Nessuna” aveva risposto la guerriera. Le sopracciglia perfettamente curate della Volva si erano incrinate, “Non va bene. Ogni set dovrebbe avere una mancanza a testimoniare della sofferenza subita” aveva dichiarato.
“Sono morta prima di compiere diciassette anni, direi di averlo ampiamente dimostrato” aveva risposto burbera Astrid. La Volva non aveva fatto una piega, se non un sorriso mesto, poi si era voltata verso di loro, “Chi è il più coinvolto?” aveva chiesto.
Fred aveva indicato Jason, lui Stellan e l’elfo il mezzo-Jotun. “Stellan e Fred sono stati incaricati dalla Signora di Alfheim, mentre Jason ha sognato l’incarico” aveva spiegato Madina.
Kraka aveva annuito, “Va bene, allora, il figlio di …” aveva cominciato, poi si era interrotta, venendo l’espressione di panico che si era dipinta sul viso di Jason e di Astrid, “… Dello straniero” aveva concluso la Vǫlva, ma un guizzo di curiosità era salito sul viso, prima di concentrarsi su Mel, che li guardava interrogativi. “Dicevo, lo straniero, sì, il figlio dello straniero, pescherà la runa da togliere” aveva dichiarato, facendo ticchettare il sacchetto come se fossero i numeri della tombola.
Jason aveva allungato una mano, infilandola nella bisaccia, aveva sentito sotto le punta delle dita il legno freddo, era stato tentato di raccogliere la prima tessera, ma poi aveva sentito qualcos’altro a spingerlo infondo, così aveva cercato fino a che con il tatto non aveva trovato quella che secondo lui era giusta.
“Non dirmela” aveva dichiarato Aslaug.
“Cosa è, tipo, un trucco da mago da strada” aveva dichiarato Fred, offeso. “Meglio. Molto meglio” aveva risposto Kráka, prima di richiudere il sacchetto ed agitarlo nelle sue mani, si era alzata e si era diretta verso il tavolo della stanza, facendo accatastare tutti i porri da un lato, “Mi raccomando ragazze, non sembra ma con questo ortaggio si posso accalappiare ottimi partiti” aveva detto, strizzando l’occhio ad Astrid – che era arrossita. La donna si era allontanata, recuperando poi da un lato, posata, ad un muro una scopa a cui aveva fatto cadere la parte della sagina, rivelandosi così come un bastone con una biforcazione finale, “Sì, non mi rende molto onore” aveva ricominciato.
Aslaug aveva aperto il sacchetto ed aveva fatto rovesciare le rune, ma queste non avevano toccato il tavolo, erano rimaste sospese a mezz’aria, come le mani della indovina, in posizione orante.
Aveva mosso le dita della mano libera, mentre un sibilo era uscito dalla sua gola, parole troppo basse e veloci per essere interpretate, il bastone da stregona era luccicato di una luce dorata accecante.
“Ragazzi, giù” aveva gridato Aslaug, non avevano ricevuto il comando fino a che i tasselli di rune avevano cominciato a schizzare per la stanza come schegge impazzite.
Jason si era lanciato a terra, afferrando Astrid con lui.
Fred era caduto nell’azione, ma aveva evitato i proiettili. Madina li aveva evitati con grazia, Mel era stato colpito su una spalla, causa la vicinanza con la strega, mentre Stellan in pieno petto, finendo poi a terra tra i lamenti.
“Interessante” aveva esordito Aslaug, osservando il tavolo.
Stellan, Jason e Fred si erano avvicinati, l’ultimo massaggiandosi il gomito su cui era caduto. L’elfo invece era sorretto da Madina, che lo aveva aiutato ad alzarsi. Astrid e Mel erano rimasti in silenzio, dietro.
Jason aveva spiato alcune rune erano finite sul tavolo, anziché in giro per la stanza.
“So cosa c’è scritto, ma … cosa vuol dire?” aveva chiesto Stellan, con ancora la voce impastata di dolore e la mano sullo stomaco.
Aslaug aveva annuito, voltandosi verso l’elfo, “Parliamo del pagamento prima” aveva dichiarato, “Pensavo i porri lo fossero” aveva dichiarato Fred.
“I porri erano per leggere il vostro futuro, non per dirvelo” aveva dichiarato ovvia lei.
Astrid aveva sospirato pesantemente.
Jason era cereo, guardando quei simboli che per lui erano ignoti, mentre sentiva quasi bruciante nella mano la runa esclusa. “Cosa vuole?” aveva chiesto Stellan, pieno di timore.
Kráka aveva sorriso: “Facile. Un paio di brache villose.”

 

 

 

 

Kráka, di cui non sono molto felice; https://www.deviantart.com/rlandh/art/Kráka-the-Seer-899338267

Fred in tutto il suo cupo splendore; https://www.deviantart.com/rlandh/art/Frederic-of-Clermont-899511843

 



[1] Nome Romano dell’odierna Coblenza.

[2] Nome antico di quella che è, oggi, è la Cattedrale di Notre-Dame du Port. (Chicca inutile, ma la prima crociata è partita da Clermont; Fred è stato un crociato ma è morto durante la quarta)

[3] A quanto pare questo è il difetto fatale di Jason – cosa che, bo, mi sembra molto lontano da Jason. Avevo sempre pensato fosse il suo grossissimo spirito suicida (insieme al bisogno di essere l’eroe TM)

[4] Ovviamente Jason fa riferimento al fatidico verso “Fuoco o tempesta, il mondo cader faranno” [semicit.-] in realtà anche quella di Thrud è una profezia presa dalla Gylfaginning presente ne l’Edda in Prosa(Quella di Snorri), che al momento Jason non sta leggendo.

[5] Volva si legge, in islandese, grazie a quel segnetto sotto la O come Vulva. In italiano fa ridere (se hai 12 anni o sei me), ma anche in inglese.

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Capitolo 9
*** Un’idea stupida, ma con centrifuga ***


BUON NATALEEEEE
A titolo del tutto eccezionale, troverete le note nel fondo.
Come avevo preannunciato, troverete in questo capitolo un deragliamento rispetto al precedente. Scusate.
Buona Lettura.

 

 

 

Un’idea stupida, ma con centrifuga

“Mi sono perso puoi ripetere” aveva ammesso Jason.
Astrid lo aveva guardato, non c’era giudizio nei suoi occhi, “Sì, devo concordare” aveva stabilito, dando uno sguardo, più severo, a Mel.
Il ragazzo era seduto sul suo letto con espressione incerta, al suo fianco era sistemata la sua ragazza a gambe incrociate.
La stanza di Mel era … spartana. Non aveva il cammino né particolare mobilio, solo alcuni cassoni, il letto era praticamente una branda di legno, su cui sopra c’era un materasso sottile.
Come Jason aveva uno spazio unico che non divideva due ambienti: la cucina, che sembrava molto più grande di quella di Jason, con tanto di una mensa a sigma, e la camera da letto che comprendeva anche l’ambiente di ricevimento. Anche lui aveva dei rami che fuoriuscivano dal soffitto.
I colori delle pareti erano tinte piatte di un rosso scuro, le uniche variazioni erano nei piccoli quadrati[1], nel mezzo della parete dove erano disegnate delle rune – ormai Jason era in grado di riconoscerle.
“Kráka è stata la terza moglie di Ragnar Lothbrok – sì quello a cui la serie tv si è ispirata[2]” aveva cominciato Mel, “L’eroe della Ragnarssaga” era intervenuta calma Madina.
Per Jason nessuna delle due cose aveva un significato.

Mel aveva dato un bacio alla sua fidanzata, mentre Fred aveva virato lo sguardo verso Astrid, “So chi è Ragnar, voglio solo sapere cosa c’entra Richard Cuor-di-Leone” aveva dichiarato lei, offesa. “Quel Batard è sempre in mezzo” aveva replicato Fred, riscoprendo il suo nazionalismo.
Jason si era perso un po’ di nomi prima rispetto Richard CuorDiLeone. “Ma alla fine è importante? Nel senso, sappiamo che le Braghe le ha Richard Cuordileone, giusto?” era intervenuto timidamente Stellan, era la prima volta che parlava da quando avevano lasciato l’alcova dell’indovina.
“Credo che sapere per bene le cose, serva a dare alle persone una prospettiva maggiore e più completa” aveva dichiarato Jason.
“Cielo … dove lo avete trovato questo?” aveva chiesto Fred, “Non so. Ieri ha accettato un duello mortale a scatola chiusa” lo aveva piccato Astrid. “Pensavo avessimo fatto pace” aveva considerato Jason, ricordando la loro conversazione in ascensore. “Se non diventiamo thrall – no, non ti spiegherò il significato” aveva dichiarato lei, ieratica.
“Bene, sì” aveva attirato nuovamente l’attenzione Mel, “Ragnar Lothbrok, che vuol dire proprio Braghe Villose, era in possesso di questo portentoso paio di pantaloni in grado di resistere ai morsi di un Lindworn con cui poté salvare Thora, la sua seconda moglie-e sto andando fuori tema di nuovo. Scusate.
Comunque quando Ragnar morì, in una fossa di serpenti, la sua eredità fu spartita tra i suoi figli … che non erano pochi, ha avuto tre mogli, tra cui la mia buon’amica Kráka”
(Fred aveva sentito il bisogno di interrompere la narrazione, sottolineando che se fosse stata davvero una buona amica, avrebbe letto loro la profezia.)
I pantaloni sono passati a: Ubbe, che era il figlio bastardo[3] … sì, nonostante le tre mogli” aveva fatto una pausa Mel.
“Forse Kráka lo rivuole perché dovevano essere proprietà dei suoi figli” aveva considerato Jason, pensando alla sua matrigna. “Uhm … Kráka non è il tipo. Amava i figli di Thora come amava i suoi; però anche vero che Ubbe aveva un rapporto complicato con suo padre” aveva risposto Mel, sollevando le spalle, prima di riprendere.
“Allora … comunque Ubbe ottiene i pantaloni, fa la sua meravigliosa vita nella Grande Armata Danese, era un Berserk, ho grande stima per loro – okay, mi sono perso di nuovo.
Ubbe morì nella Battaglia di Cynuit, così i pantaloni sono diventati di Odda Del Devon come Spoglie di Guerra. L’aldermanno ha dato i pantaloni al Re del Wessex Alfred il Grande, che ovviamente come un bravo cristiano non li ha mai indossati. Le Braghe sono al suo erede, fino a suo nipote Athelstan che è diventato Re degli Inglesi” aveva fatto una pausa, “Troppe informazioni?” aveva chiesto Mel.
Decisamente troppe informazioni” aveva risposto Jason.
“Tagliando la testa al toro; i Pantaloni sono passati per tutta la casa del Wessex ed oltre, passati da un re ad un altro, fino anche alla dinastia dei Normanni. Credo che ad una certa si siano persi ma poi Henry II il Plantageneto li ha recuperati. I pantaloni sono andati a Richard I, suo figlio. Insomma, il CuordiLeone.
Qui è successo il fatto. Nessuna delle braghe ha mai raggiunto i Re inglesi finiti nel Valhalla, per qualche ragione. Forse perché nessuno di loro lì indossava alla morte o non saprei.
Fatto sta che Riccardo quando ha compreso che sarebbe morto, dopo una balestrata finita male, ha deciso di mettersi avanti ed ha organizzato un banchetto degno del Valhalla con indosso le braghe. Quindi è morto vestito con i pantaloni durante il banchetto. Ora, la sala dei Caduti accetta tutti coloro che hanno avuto una morte gloriosa” aveva detto Mel.
Tutti gli uomini coraggiosi, aveva ricordato Jason, le parole di Astrid.
“Però, ecco, chiunque ha avuto una vita degna … o almeno che Odino ritenga tale” aveva dichiarato Mel. “Quindi tutta questa lezione di storia serviva solo per dire che i Pantaloni li ha Richard CuordiLeone e che è qui?” aveva chiesto Fred.
Mel aveva annuito. “Più breve, amore” lo aveva rimproverato gentilmente Madina. “Certo; o ci perderemo Jason per una buona volta” era intervenuta Astrid. “Grazie eh” aveva replicato lui.
“Ora come togliamo i pantaloni a Richard Cuordileone?” aveva domandato Jason. “Con un holmagang?” aveva provato Stellan.
“Non dire quella parola” aveva dichiarato Astrid.
“Io stavo pensando anche a quella cosa di Jarnsaxa” si era introdotta Madina, “Quella che ha detto Jason, prima” lo aveva interpellato.
“Che la signora Gerd trovava strano la coincidenziale presenza di Jarnsaxa all’appuntamento?” aveva ripreso retorico Jason.
“Ne parliamo dopo la profezia” aveva dichiarato Astrid.
“No, potremmo non avere tempo … Dobbiamo vincere i pantaloni da Re Richard perché Kráka ci legga la profezia e da quello cominciare” aveva considerato Jason.
“Senza dimenticare che probabilmente il verro è in giro per Alfheim” aveva sottolineato Fred, alzandosi dalla sedia in cui era seduto.
“Dividiamoci in tre gruppi” aveva proposto Madina, “Ognuno con un ehm … ragazzo della profezia?” aveva proposto, “Uno andrà a dare un occhio ad Alfheim, uno a Jotunheim ed uno da Richard, per metterci avanti” aveva dichiarato pratica la figlia di Ullr.
“Non posso tornare ad Alfheim a mani vuote!” aveva esclamato Stellan, “Sarò mezzo Jotun ma non andrò a Jotunheim” aveva strillato Fred.
Madina aveva voltato il viso verso Jason, “Non so se il caso che lui venga a Jotunheim … è qui da due giorni, è morto contro un uomo mortale” aveva dichiarato lei con leggero imbarazzo. “In realtà potrebbe essere l’ideale. Kráka lo ha definito figlio di un dio straniero … è un semidio come te, vi rimarginate più in fratta di chiunque altro – perché immagino tu voglia andare” aveva considerato Mel, “In vero, sono più preoccupato che una persona audace come te vada in giro per il regno dei giganti” aveva valutato, ricevendo un buffetto. “Per favore, Thumelicus di Confluentes, sono figlia del dio dell’inverno, praticamente. Non c’è più niente a Jotunheim che mi spaventi” aveva stabilito lei, con una risata fresca.
Mel aveva sorriso, ma gli occhi erano leggermente cupi. “E che ultimamente sei così … agitata” aveva valutato lui, accarezzando la schiena della sua fidanzata. Lei aveva roteato gli occhi con un leggero tocco di melodrammatica esasperazione, “Sono una semidea, amore mio, io sono sempre in-movimento” aveva scherzato poi lei, stampando un bacio sulla guancia del fidanzato.
“A proposito di Jason figlio di un dio straniero … non mi sei sembrato molto sorpreso?” aveva valutato Fred, passandosi le dita sul mento meditabondo.
Thrud aveva consigliato a Jason di fingersi un mortale completamente cieco, lui stesso aveva adottato fino a quel momento quella versione, ma in quel momento, “Io … io credo che una parte di me lo avesse sempre saputo” aveva balbettato.
Non era stato così, non era mai stato così, aveva saputo di chi fosse figlio ancora prima di imparare a gattonare, ma ricordava, distante, a Nuova Roma alcuni ragazzi essersi giustificati, di volta in volta così.
Una parte di me lo aveva sempre saputo.
La giustificazione sembrava aver soddisfatto gli altri abitanti del Valhalla, meno Fred che lo aveva guardato con una certa supponenza.

“Quindi … cosa vogliamo fare?” aveva attirato nuovamente l’attenzione Astrid, salvando Jason, in angolo, dagli occhi scuri e penetranti del mezzo-Jothun.
“Bene, io andrò a parlare con mia madre … così dimostrerò che quel Verro è probabilmente a grufolare in giro” aveva dichiarato Fred, ben distratto dalla sua amica.
 “Oh! Sei passato in una mattinata da: non esco dalla stanza a cambio mondo” aveva sottolineato Astrid colpita. Il ragazzo aveva ricambiato con una stoccata come sguardo, “Vieni con me, infedele. Vedi un po’ i Nove Mondi, prima di ritrovarti china come un uncino a lavare i pavimenti” aveva considerato lui, con un sorriso divertito. “Va bene, ma chiederemo un permesso al Divino Bragi, nessuna folle scalata per l’albero, giro improbabile di ascensore o fiumi mortali” aveva stabilito Astrid. “Non dovremmo comunque raccogliere i legni per fare il … ehm … ring?” aveva chiesto Jason, ricordando quella parte fosse integrante nell’accordo con Vali.
“Tu non ci pensare neanche, Jason caro. Nessuno può avere un lascia passare per il Regno dei Giganti, probabilmente solo Magnus Chase, ora come ora” lo aveva avvertito Madina.
“Fai tu con Richard, Mel, visto che sei praticamente un professore di storia” era intervenuta Astrid, “Dovresti essere capace nel vincere un combattimento contro un quarantenne ubriacone” era intervenuto Fred. “Parla così solo perché è finito al nostro piano anziché quello destinato ai crociati” aveva ridacchiato la ragazza dai capelli scuri. “Sono finito sul vostro piano solo perché noi siamo lo scarto della società norrena” aveva risposto piccato Fred.
Jason si era lasciato un sorriso vedendoli interagire. “Questo non mi era mancato per nulla” aveva squittito Madina, invece, “A me sì!” aveva replicato Mel, sorridendo.
Astrid aveva tirato la guancia del suo amico crociato con un pizzicotto, senza vergogna; “Sai, vero, che anche dormire sulla graticola di San Lorenzo sarebbe meglio che voi” aveva risposto acido Fred.
Gli altri lo avevano tranquillamente ignorato, Mel aveva riso con un certo divertimento, prima di rispondere: “Tranquillo, Fred. Io e il qui presente Stellan lasceremo il Re di Inghilterra in mutande – letteralmente.”
“Non mi farai combattere nell’Holmagang, vero?” aveva chiesto l’elfo, quasi spaventato, nonostante prima lo avesse proposto lui stesso. “Oh, no, fidati di me! Sarà fantastico” aveva esclamato con occhi luccicanti Mel, alzandosi dal suo letto per recuperare da sotto il letto un altro baule, che aveva aperto, sbirciandosi dentro Jason aveva riconosciuto un paio di lame.
“Poi quella agitata sono io, sì” aveva scherzato Madina.

 

 

 

“Morire prima di un holmagang è una legittima scusa per evitare l’infamia di nithigir” aveva detto Astrid, guardandolo bene. Jason stava raccogliendo, da terra, tutti i disegni relativi ai templi che aveva cercato di progettare negli ultimi giorni.
“Cercherò comunque di non morire” l’aveva rassicurata Jason, tenendo i fogli in bilico, per raggiungere la cassapanca dove andavano riposti.
Astrid lo aveva guardato ancora, prima di sollevare appena l’angolo della bocca in un piccolo sorriso: “Questo non vuol dire che non cavalcherò fino a Gjallarbru per ripescare la tua anima da Hellheim” aveva asserito lei, nella voce non c’era stata nessuna particolare inflessione, ma Jason poteva sbirciare il sorriso timido.
“Senza molta originalità: non so cosa voglia dire lo sai … ma credo potrei farmi un’idea” aveva considerato Jason.
“Lascerò la tua fantasia galoppare” aveva asserito Astrid, mentre li dava le spalle, per osservare con curiosità le fotografie sul caminetto di Jason. Si era soffermata su quella che riguardava lui e Piper. “Direi: Porta degli inferi” aveva provato il figlio di Giove.
“Qui, siete carini. Sembrate proprio una bella coppia” aveva considerato Astrid, “Lei è come me?” aveva chiesto Astrid voltandosi.
“Skraeling? A metà tra due mondi? Forte e combattiva?” aveva chiesto retorico Jason, “Comunque, no. Nessuno è come lei” aveva dichiarato Jason, senza cattiveria.
Astrid si era voltata verso di lui, stranamente aveva un sorriso, “Ne sei ancora innamorato?” aveva valutato.
Io penso lo sarò per sempre” aveva ammesso Jason, non sentendo menzogne nelle sue parole. Astrid aveva inclinato il capo, facendo oscillare le trecce, “Forse sì, forse no. Certi amori bruciano più della fiamma di Lopt … certi sbiadiscono come stinge la memoria” aveva considerato lei.
“A te non è successo” aveva valutato Jason; era stato dal modo in cui l’aveva detto, da quella melanconia che Jason pensava di conoscere bene. “Non so di cosa stai parlando” aveva replicato Astrid senza battere ciglio, “Ieri hai parlato di un tuo amico che viveva sotto le stelle …” aveva cominciato lui, che aveva avuto probabilmente l’accusa di nithigir.
Astrid lo aveva interrotto, “Sono venuta a portarti questa” aveva dichiarato, allungando verso di lui una giacca di pelliccia, era di un grigio scuro con macchie scure – non aveva idea di che animale fosse –  lunga almeno fino ai fianchi.
“Non sono i pantaloni villosi di Ragnar Lothbrok, non possono resistere al veleno di un lindworm ma sono incantanti affinché possano tenerti al caldo dall’inverno di Jothueim” aveva stabilito lei.
“La maglia interna è irrobustita dai capelli di mia nonna Sif e le cuciture delle maniche dai capelli d’oro di Freya” aveva spiegato Astrid.
“Creazione di tuo padre?” aveva chiesto Jason, “Una parte. Una parte invece è opera di uno stregone” aveva raccontato. “Pensavo che come Einherjar non potessi percepire il freddo” aveva considerato Jason, raccogliendo la pelliccia.
“Non a Jotunheim” aveva detto lei.

Jason aveva raccolto la pelliccia, era morbida, ma non sembrava molto pesante, ma anche solo nel toccarla aveva sentito una scarica elettrica pervaderlo. Sentiva la magia, la sentiva chiaramente. Si era seduto sul suo divanetto davanti al camino, continuando a passare il palmo sulla pelliccia morbida, trovandolo quasi rilassante.
Astrid si era seduta accanto a lui, “Non è senza pagamento” aveva determinato lei; Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Dimmi” aveva dichiarato alla fine, oggettivamente stupito. Astrid lo aveva guardato con serietà, con gli occhi acquamarina freddi ed intensi, “La runa che hai preso da Asluag” aveva dichiarato lei.
Quando avevano lasciato le stanze di Kráka, Astrid aveva recuperato tutte le tessere proiettile che la volva aveva sparato in giro per la stanza, meno quelle che erano rimaste sul tavolo – erano comunque una profezia – e quella che aveva lui.
Jason aveva infilato una mano nella tasca dei sui jeans, aveva sentito prima il calore ribollente di Giunone, poi aveva cercato ancora trovando la tessa. C’era potere, era meno di quello della sua moneta, ma c’era comunque, era più elettrico, meno ribollente.
Giunone sembrava un esplosivo, una miccia infuocata che aspettava di esplodere, mentre la tessera era meno ribollente. Più intrigante. E di qualche modo più pensante, d’altronde aveva senso, agli occhi di Jason, quella era la scrittura del destino.
“Eccola” aveva detto, dandola ad Astrid. La tessera era di legno lucido, trattato, un lato era liscio e levigato, mentre l’altro aveva un’incisione rubricata sopra, sembrava una N, sebbene le due barrette laterali fossero notevolmente più lunghe.
“Cos’è?” aveva chiesto Jason, incuriosito, “Halgaz” aveva dichiarato Astrid, “Non so leggere le Rune nella maniera di Kráka, le leggo come una persona informata. Loro sono il linguaggio della natura, della magia …” aveva cominciato lei, prima di un sospiro: “Però conosco i significati, non posso tirare fuori una profezia ma posso dirti che cosa significano. Halgaz ha più di un significato …Grandine, per esempio; un altro è Rottura, intesa come Cambiamento” aveva considerato Astrid, la sua voce si era dipinta di un tono lugubre.
“Direi calzante” aveva considerato di rimando lui, “Visto che, ecco, … stanno succedendo cose fuori dal preciso programma del Ragnarok … oltre che, be, me” aveva dichiarato Jason. Anche lui era abbastanza esterno al tracciato, probabilmente.
Astrid aveva guardato la Runa e l’aveva restituita a Jason, lui non aveva compreso bene perché, ma aveva accettato la tessera indietro. “Bene, cambiati, adesso andiamo a mangiare così potremmo fare anche questa cosa il prima possibile e tornare ad occuparci di Vali” aveva considerato Astrid, sollevandosi dal divano con un movimento fluido. Il suo tono, nell’ultimo commento, era stato distaccato, rispetto quanto prima.
“Grazie mille” le aveva detto Jason, rimettendo a posto la runa nella sua tasca.
“Oh, prego. Non morire” si era sentito rispondere.

 

 

C’era un’aria diversa nella Sala dei Caduti. Jason lo aveva capito appena messo piede nella stanza, un brusio sommesso, che veniva soffocato a malapena dall’arpa di Bragi, che aveva deciso di allietare la stanza.
Probabilmente stavano ancora tutti parlando del tentativo di invasione avvenuto quel giorno, eppure nessuno sembrava aver notato troppo Stellan ed il suo elmetto con la runa.
Jason con indosso la pelliccia calda e stranamente non ingombrante di Astrid, aveva raggiunto i suoi amici.
“È quello” stava farfugliando Fred nell’orecchio di Mel, mentre con gli occhi cercavano qualcosa alle spalle di Jason – probabilmente Riccardo Cuor di Leone.
“Oh, stai proprio bene” aveva detto Madina con un sorriso divertito, anche lei si era cambiata, indossava dei pantaloni lucidi ed una giacchetta leggera, “Pensavo che Jotunheim il clima fosse mortale” aveva considerato Jason, ricordando il breve incidente con l’ascensore.
“Oh sì, ma io non lo sento. Vantaggi dell’essere figlia di Ullr” aveva scherzato lei.
Jason aveva annuito, “Allora come andiamo? Con l’ascensore?” aveva chiesto poi Jason.
“Noi sì” aveva replicato Astrid, “Sì, ecco, il fantastico permesso di Bragi, in vece di Odino” aveva dichiarato Fred facendo oscillare un bellissimo foglio di pergamena.
“L’Ascensore è la via ufficiale” aveva dichiarato Madina, “Ma io ho … premuto il tasto per lì” aveva ricordato Jason, giusto il giorno prima, assieme ad Astrid.
“Il Wyrd” aveva commentato Madina – anche Mel aveva usato quella stessa parola, in precedenza –  guadagnandoci un cinque con il suo fidanzato. “No, sì, le porte sono sempre apribili, ma se tu lo prendessi suonerebbe di nuovo l’Olifante e poi avreste una squadriglia di valchirie alle calcagna” aveva spiegato Astrid.
“Possiamo provare con le lavatrici? Con una sono arrivata ad Asgard” aveva proposto Jason, non sapeva bene come arrivare nella terra dei giganti, visto che sapeva solo quella che giungeva verso la terra.
“Oh, sì. Sarebbe una buona idea, ma prima dovremmo … sapere dove è di preciso Jarnsaxa” aveva considerato Madina.
“Nessuno di voi due è abbastanza vichingo per farlo” aveva sentenziato Fred, senza particolare brio. “Le abilita di navigazioni delle acque magiche sono difficile anche per gli uomini scandinavi abituati a farlo” aveva tradotto Astrid, “Persino io farei fatica. Ed avevo nove anni quando ho attraversato l’Atlantico” aveva raccontato lei.
“Perché il Romano ci sta guardando?” aveva interrotto il flusso del discorso Mel, attirando la loro intenzione, mentre indicava con un coltello verso un tavolo. Jason aveva seguito lo sguardo, voltandosi, alle sue spalle c’erano i due guerrieri della mattina, seduti ad un tavolo non lontano: Esben il Variago e il Figlio-di-Pluto. I due commentavo a mezza bocca prima di tornare a guardare verso il loro tavolo. “Calmati Mel” si era introdotta Astrid, “Il suo amico ha una cotta per me, credo” aveva detto. “Una volta ci hai litigato, vero?” aveva domandato Madina, grattandosi sotto il mento; “Come con chiunque si dica fieramente figlio di Roma! Lo ho anche ucciso, asciata nel collo, molto divertente” aveva raccontato con gaudio Thumelicus.
Jason aveva fatto saettare lo sguardo verso Astrid, lei aveva ricambiato la sua occhiata, “Ritorniamo all’imminente problema chiamato Jotunheim? Oppure a non andare” aveva attirato l’attenzione la skraeling.
Quel commento aveva fatto tuffare il tavolo nel silenzio.

“Potreste sedervi su Hilthskjalf” aveva considerato Stellan, introducendosi nel discorso, fino a quel momento era rimasto in religioso silenzio. “Intendi il Trono di Odino, su Asgard?” aveva chiesto retorica Madina, “Quello da cui è possibile vedere ogni cosa” aveva risposto Stellan. Jason non la riteneva un’idea molto oculata, non se il Padre-Tutto era geloso del suo trono quanto lo era il suo buon padre.
Il loro discorso era stato introdotto dalla presenza di Thrud, che si era avvicinata verso di loro, con due vassoi in mano, piene di ciotole fumanti.
“Zuppa di Porri per voi” aveva dichiarato subito lei, posando le ciotole, “Boudicca ha uno strano senso dell’umorismo … in realtà ci sono anche un po’ di patate” aveva dichiarato.
Jason l’aveva guardata attentamente, “Puoi sederti con noi?” aveva chiesto.
Thrud non se lo era fatto ripetere due volte, accomodandosi al suo fianco, immediatamente, dando un colpo a Stellan per farlo spostare. “Ho dovuto pelare patate tutto il giorno – un po’ sono in quella zuppa assieme alla mia pelle” aveva ridacchiato quella, facendo oscillare le trecce grano ardente spesse.
Un’altra valchiria era passata da quelle parti, dando uno sguardo pregno di veleno a Thrud che si era seduta lì con loro. Fred l’aveva fermata per prendersi una bella coppa di vino caldo speziato, anche Jason lo aveva imitato, ma aveva preferito dell’acqua – nonostante non potesse avvelenarsi con il vino.
“Per le tette di Freya, Jason, che splendida mis che indossi” aveva scherzato la valchiria, tirando un ciuffetto della pelliccia.
L’invocazione aveva avuto l’effetto collaterale di far arrossire – bluire? – violentemente Stellan e far sbiancare Fred, che di rimando si era fatto anche un segno della croce.
“Di questo volevamo parlarti” aveva rivelato Jason. Madina aveva aggrottato le sopracciglia, confusa, forse chiedendosi perché Jason fosse così aperto con una Valchiria, praticamente uno dei seguici di Odino. “Dobbiamo trovare la jotun Jarnsaxa” aveva detto il figlio di Giove, omettendo di citare jotunheim, anche perché non era detto, in fin dei conti, che dovessero arrivare fino alla terra del gelo.
Thrud aveva chinato il capo, “Oh, interessante … Volete il suo indirizzo di casa?” aveva chiesto Thrud. “Tu … lei … sa dove abita?” aveva chiesto Madina.
“Oh, certo. Vostra madre non vi ha mai mandato a spiare a vostro padre e la sua amante? La mia sì ed ha mandato anche un sacco di volte tuo padre” aveva raccontato Thrud con nonchalance, ammiccando a Madina.
Astrid aveva inclinato il capo, “In effetti … una volta, ma non era la sua amante, era solo Freydis” aveva risposto neutra. Mel aveva riso di gusto, anche Jason aveva sorriso, sebbene non fosse sicura che quella fosse una battuta.
“Lo sapete però che la cara vecchia Jarnsaxa vive a Jotunheim?” aveva chiesto Thrud.
Madina si era morsa un labbro, “Ne avevamo un vago sospetto” aveva ammesso, con espressione fintamente innocente.
“Oh, è avete anche un piano per arrivarci?” aveva chiesto divertita la valchiria, “Lavatrici?” aveva proposto Jason. Lei aveva riso, “Va bene, vi darò una mano a raggiungere il mondo dove non dovreste andare … Ma sfortunatamente non posso venire con voi – il nonno vuole parlarmi” aveva dichiarato Thrud lanciando uno sguardo alla tavolata principale. Il seggio di Odino era vacante.

 

“Thrud, tu sai leggere le Rune?” aveva chiesto Jason, “Chiaramente so leggere le rune, ma non so leggere il linguaggio dell’universo[4]! Io con il Seidr e la Magia Runica non voglio averci niente a che fare. Pugni crudi e fulmini” aveva rimbeccato lei subito.
Jason aveva scosso il capo, mentre sistemava meglio sulla spalla il laccio della bisaccia, con il cibo che aveva riempito, per il viaggio.
Thrud aveva dato loro appuntamento un’ora dopo il pranzo, così potevano sistemare tutti quello che serviva loro. Jason aveva recuperato del cibo, dalle cucine, con la gentile assistenza di Mel – anche in quel caso avevano dovuto evitare un paio di coltellata dalla Signora della Cucina – e per la prima volta la compagnia del suo vicino di stanza non lo aveva rassicurato.
Jason aveva cercato di fare un po’ di conversazione in riferimento al Figlio-di-Pluto. “Non c’è nulla da dire. Odio i Romani, in particolari quelli che adorano riempirsi la bocca sulla grandiosità di Roma … e Roma non l’hanno neanche vista con i loro occhi. La vera Roma” aveva ottenuto come risposta.
Jason si sentiva davvero uno di loro, ne era sempre stato felice, ma aveva percepito per la prima volta la vergogna per quel sentimento, nelle parole di Mel, piene di rancore ma anche annegate nella tristezza.

Madina era tornata dalla sua stanza, con un paio di scii allacciati alla schiena, assieme ad un arco. Faretra e frecce legate alla vita. Aveva anche un pugnale allacciato alla coscia. L’indomabile massa di riccioli neri, erano stati sistemati in una treccia leggermente ordinata, che tagliava la schiena dritta come una spada.
“Degna di una figlia di Ullr” aveva considerato subito Thrud, osservandola, c’era della vaga ammirazione nella sua voce.
“Grazie” aveva cinguettato Madina, pienamente soddisfatta di quel complimento.
“Allora fanciulli, ho impiegato quest’ora per recuperare qualcosa dalla biblioteca della mia nonnastra … Non ho potuto prendere tutte le pergamene che riportavano Jotunheim, ma ho preso quello con la casetta della sg…amante di mio padre” aveva esordito Thrud, prima di infilare una mano nell’orlo dello scollo e tirare fuori un foglio di pergamena, piegato.
“Grazie” aveva detto onesto Jason.
“Adesso prenderemo un fiume per Jotunheim … ma come ho detto, il nonno mi vuole. Comunque, voglio che se sappiate che se dovessero scoprirvi: io non vi coprirò e, soprattutto, vi svenderò come un stoccafisso appena pescato” aveva dichiarato subito Thrud.
“Non mi aspettavo diversamente” aveva replicato Madina, senza perdere neanche un centimetro del suo sorriso.
“Perfetto, andiamo” aveva attirato nuovamente l’attenzione su di se la valchiria, schioccando anche le dita, prima di imboccare la strada per la direzione opposta all’ascensore.
Jason l’aveva guardata titubante, ma aveva deciso di seguirla. Madina però, in un gesto inconsulto, lo aveva preso delicatamente per un braccio. “Sei sicuro? Possiamo aspettare per la profezia” aveva valutato lei, il suo tono non tradiva nessun nervosismo, non era preoccupata per sé stessa, ma per … lui.
“Se stanno accadendo cose fuori dall’ordinario, una profezia potrebbe non servire e … inoltre, io non so se ho tempo” aveva valutato Jason, lasciando sfuggire la malinconia.
Madina aveva sorriso, “In realtà nessuno di noi ha, davvero, tempo. Sembra assurdo detto da una che vive da secoli in un hotel dove non si può morire, ma, ehi, la fine è inevitabile – e non solo perché lo dice la Vǫlva. Come è che si dice, Jason? Cogli l’attimo!” aveva esclamato lei, con un sospettoso divertimento nella voce, Jason aveva scosso il capo sconsolato e si era limitato a seguire le due donne.
“…Quam minum credula postero[5]” aveva bisbigliato tra sé e sé.

 

Thrud aveva fatto prendere loro le scale nascoste, come quelle che aveva preso nel mattino con Mel. Solo per raggiungere la lavanderia avevano dovuto prendere una scala, quasi infinita … nonostante fossero partiti solamente dal ventesimo piano.
Una volta Annabeth le aveva detto che l’Olimpo si trovava al seicentesimo piano dell’Empire State Building, si chiedeva, se da percorrere a piedi, la sensazione che si provava fosse vagamente simile.
Avevano raggiunto il piano dedicato alla Lavanderia con più tempo di quanto Jason avesse preventivato, ma almeno erano riusciti ad evitare Askr quella volta.
Avevano raggiunto la stanza delle lavatrici ed ancora una volta Jason si era dovuto dichiarare confuso ed atterrito da quell’immagine parete di oblo lucenti.
“Allora … allora” aveva considerato Thrud, sollevando l’orlo della manica della sua maglietta, che indossava sotto l’armatura a lamine. Sul polso era scritto qualcosa, anche se in runico. Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Non posso ricordare mica tutte le porte. Il Valhalla ne ha troppe e la terra dei Giganti non è la mia meta preferita di vacanze” si era giustificata lei.
Madina aveva ridacchiato della battuta, “Allora: Lavatrice Otto in altezza e dodici in lunghezza” aveva dichiarato lei, prima di crucciare il viso, “Questo sarà complicato. La lavatrice si collega ad uno dei bracci dell’Ǫrmt, uno dei fiumi che corrono verso Asgard. È uno dei quattro che mio padre deve prendere al posto del Bifrost sennò prenderebbe fuoco” aveva cominciato a raccontare Thurd, prima di fare un movimento con la mano, per scacciare il pensiero, “Comunque mio padre lo prende, casualmente, ogni volta che deve ritornare da Jarnsaxa” aveva dichiarato quella.
“dovremo guadare il fiume come Salmoni” aveva considerato Madina.
“Cosa che potrebbe non essere  semplice senza la barca pieghevole di Frey, o quella di unghia di Hel o … anche solo un Drakkar” aveva dichiarato Thrud.
Madina aveva arricciato le labbra. La giovane dea aveva roteato gli occhi, prima di posarli su Jason, “Forse, sareste molto più fortunati se aveste una forza tempestosa al vostro fianco” aveva dichiarato lei.
Jason era confuso.
Thrud gli stava chiedendo di usare i suoi poteri per darsi la spinta? O di invocare Kym?
E se fosse stato la seconda, Kym avrebbe avuto potere sui fiumi sacri norreni?
“Preghiamo una delle nove onde?” aveva chieste Madina, “Magari una tempesta vi risponderà. Cercherò di darvi una bella spinta io. Sono una figlia di Thor ed una valchiria, vento e fulmini mi sono amici” aveva considerato quella, “Metti anche una bella centrifuga” aveva provato Jason.
“Che bello, inizi ad avere del senso dell’umorismo” aveva detto Thrud, prima di avvicinarsi ed abbracciarlo, “Per-favore-non-fare-altri-danni” aveva bisbigliato, prima di sciogliersi ed abbracciare anche sua nipote. “Mi fido più di te che di lui” aveva dichiarato Thrud, lasciandole la mappa.
“Mi raccomando fate attenzione. Sarete a Jotunheim quando non vadrete più acqua sopra di voi, ma ghiaccio. Non così forte che due einerjhar non possano spezzarlo ma ecco … non credo che potreste morire assiderati, ma non mi sbilancerei, sicuramente però, se non sarete veloci, la corrente potrebbe riportarvi ad Asgard. Dritto nelle sale degli dèi” aveva chiarito la valchiria.

Jason aveva sistemato la scala, piuttosto sbilenca, per raggiungere l’oblo che Thrud aveva indicato. Aveva aperto lo sportelo e si era infilato nel cilindro, Medina lo aveva seguito subito e si erano acquattati l’un l’altro, nell’azione, Jason era stato colpito dritto sulla tempia da uno degli scii della sua amica. “Mi dispiace!” aveva dichiarato subito lei, mortalmente preoccupata. “Tranquilla, non è peggio della volta che mi hanno tirato un mattone” aveva risposto lui.
Thrud aveva cominciato a trafficare con i programmi della lavatrice, “Ora vi metto un po’ di spirti nei venti al muschio” aveva asserito la valchiria, prima di chiudere l’oblo alle loro spalle. Madina era stata colpita sul fondo della schiena e la ragazza era finita diretta su Jason, urtandolo con la testa sul naso. “Scusa ancora!” aveva trillato, “Sì, non credo che queste porte siano progettate per due persone” aveva considerato lui. “Oh, be, non con le mie gambe lunghe e tu con i tuoi muscolacci” aveva ghignato lei, senza vergogna.
Jason aveva riso, “Sono un po’ nervosa, non ho mai viaggiato tramite fiume divino senza … be, senza una barca” aveva detto lei, mentre l’acqua cominciava a filtrare e riempire lo spazio.
“Fa schifo” aveva assecondato Jason, onesto.
L’acqua aveva raggiunto il suo mento, quando il cilindro aveva cominciato a girare, l’attimo dopo non c’era più niente alle loro spalle solo acqua ripidissima e fredda.
Una spinta forzuta alle loro spalle gli aveva sparati come proiettili in avanti, finendo però schiacciati dalla forza ripida dell’acqua stessa.
Jason con fatica, i polmoni infuocati e gli occhi aperti in due spiragli appena, si era allungato per afferrare la mano di Madina.
Oh! Kym ti prego! Aveva supplicato Jason, con gli occhi chiusi e le labbra serrate. Una spinta alle loro spalle era venuta a dar forte ai venti che aveva Thrud aveva dato loro.
Davvero Kym? Aveva pensato.
Jason si era sforzato di aprire gli occhi, ricordandosi di dover vedere il ghiaccio sulla sua testa, ma vedeva solo luce, violenta luce.
Si era avvicinato alla superficie, per un secondo, aveva sentito infiniti sussurri portati dalle acque, come milioni di voci insieme.
Così, tu è quel… che cos’è esattamente?” Jason aveva riconosciuto la voce di Fred.
Problemi, ecco cosa è … Poi lo sai no, ho ancora …Erik” la voce di Astrid era stata molto più lontana, infinitamente, aveva perso il momento.

Jason aveva tenuto sollevato lo sguardo verso la superfice, mentre un cielo di luce lampeggiante e macchie blu scorrevano feroci sopra la sua testa.

Nessun accenno di ghiaccio. Solo cielo e correnti ruggenti che virano contro di loro. Jason aveva tenuto strettissima la mano di Madina, spaventato all'idea di perderla.

Le correnti fredde e frastornati lo avevano costretto a chiudere gli occhi, aveva avuto non poco fastidio nel riaprirli, aveva intravisto nel letto del fiume ancora una volta armi dorate che avevano riflesso la luce del mondo.

Per un secondo, uno solo, aveva avuto la tentazione di allungare una mano e afferrare un'elsa di vibrante oro.

Non lo aveva fatto; la corrente brutale lo aveva riportato verso la superficie.

Anche questa volta, come l'ultima aveva sfiorato con la testa quella che aveva avuto l'impressione fosse una boa pelosa - per quanto sembrasse assurdo anche solo pensarlo.

"Curioso come oggi tu sia in ritardo e ieri tu fossi così ansioso di andare via"

"Mi perdoni mio signore Mimir"

La voce era sembrata così cupa da aver lasciato anche su Jason, che l'aveva sentita lontana come un eco attraverso le rapide, un profondo senso d'angoscia.

"Sarò onesto, figlio di Frey: ci aspettano tempi ... sconosciuti" aveva detto ancora la prima voce, quella di Mimir, apparteneva ad un uomo, maturo, cavernosa e profonda, ma terribilmente lontana ormai da Jason. La risposta che Mimir aveva ottenuto era stata un semplice e vago suono distorto da fiume.

 

Le correnti avevano virato con forza in una direzione e quelle dell'Ǫrmt si erano fatte più portentose, quasi schiaccianti, ma ciò che maggiormente aveva preoccupato Jason era stata Madina.

La sua amica aveva cominciato ad agitarsi inspiegabilmente, come scossa da convulsioni, forse era stata la lunga mancanza di aria.

Jason l'aveva afferrata per tenerla stretta, spaventato. Gli occhi di Madina erano spalancati ma non vi era iride, solo bianca sclera.

Aveva tenuto stretta la sua amica, contro il suo petto, con un braccio e con vigore aveva teso l'altro ... non aveva mai evocato il vento sotto l'acqua, aveva solo respirato Dylan, una volta, quando aveva incontrato Kym.

L'Acqua apparteneva a Nettuno e suo zio non era un uomo generoso con i suoi nipoti. Ma nonostante l'aiuto di Kym, quelle acque non rispondevano a nessuno, se non al caos.

I venti come cavalli marini, le correnti, gli avevano risposto.

Avevano dato la spinta che serviano a Jason ed una bolla d'aria per Madina e poi il suo soffitto aveva smesso di essere intessuto di luci e voci ma si era aperto in una rigida coperta di bianco.

Era Jotunheim.

Aveva sollevato una mano ed aveva realizzato di non poter invocare alcun fulmine, o Madina sarebbe morta folgorata, forse i venti, aveva pensato.

E poi aveva sentito Haglaz pesante nella sua tasca.

La rottura.

Aveva ignorato Panikpak appesa alla sua cintola ed aveva afferrato Giunone, senza lancio l'arma si era comunque trasformata in un gladio a Jason era bastato che la usasse per colpire il ghiaccio, attraversata da giusto un impulso elettrico.

Il ghiaccio si era rotto e Jason aveva approfittato dello squarcio per potersi aggrappare ed issare con Madina. Le correnti alle loro spalle si erano assopite lasciandoli in balia delle vampate opposte.

Con fatica si era tirato fuori dal ghiaccio, lanciando malauguratamente Madina via da lui. "La prossima volta una barchetta" aveva commentato Jason, tremolante ...l'aria di Jotunheim era davvero algida. Aveva sentito un calore, dalla pelliccia pervadere il suo corpo.

Madina si era tirata su, il freddo del regno dei giganti doveva averla rinvigorita.

"Lo hai sentito?" aveva chiesto Madina, il suo tono era agitato e pregno di preoccupazione. "Fred? Mimir?" aveva chiesto Jason incerto, non era neanche sicuro della correttezza del nome che aveva detto.

"Mimir? No! Odino!" aveva replicato Madina; Jason aveva scosso il capo dopo aver aggrottato le sopracciglia. "Odino e le Norne!" aveva dichiarato subito la figlia di Ullr, "Hanno... hanno detto che una tavola del destino si è scheggiata".

 

 

 




[1] Secondo Stile Pompeiano per farla breve (Il più brutto, ma ehi è arrivato fino all’epoca di Claudio).

[2] Vikings. Serie che, oibò, io non consiglio, ma è ritenuta da tutti bella.

[3] Secondo le Gesta Danorum

[4] Le Rune sono la lingua con cui comunica l’universo, una sorta di DNA del mondo, ma sono anche l’antico alfabeto norreno. Quindi si, Thrud sa leggere le rune ma non interpretarle.

[5] “…confidando il meno possibile nel domani”; è il meno seguito della, più celebre, locuzione: Carpe Diem, del nostro buon amico Orazio

Allora, eccomi, come ho detto: questo capitolo è stato molto “Whaaat” rispetto al precedente, perdonatemi. Presto, avremo la profezia, lo prometto.
Ci ho messo una vita intera ad aggiornare, ma perché nelle vacanze natalizie mentre tutti sono felici, io lavoro, anche se oggi mi sono goduta almeno il natale.
Yeah.
Come sempre, ringrazio Farkas ed Edoardo 811, sul serio mie giovani fanciulli, chi ve lo fa fare? Grazie di cuore.
Prima di abbandonarvi vi lascio:

MADINA: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Madina-Ullrdottir-901404232

THRUD (Il mio soggetto preferito): https://www.deviantart.com/rlandh/art/Thrud-Thordottir-900845244

STELLAN: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Stellan-Brightflower-900844375

Inoltre, sotto consiglio di Farkas, ho stilato una lista di tutti i personaggi apparsi/citati fin’ora (cioè in realtà ho dimenticato i servi di Frey):
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Jason-Grace-and-the-barbarians-Until-Now-901414722

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Capitolo 10
*** Il destino dei Nove Mondi può essere sull’orlo del collasso, ma il Karma non perde mai un colpo! ***


Eccomi tornata.
Spero abbiate passato tutti buone vacanze, le mie lo sono state circa, all’insegna del lavoro.
Scusate per un capitolo no-sense, vorrei riuscire a scrivere più velocemente e non essere così vacua, ma sembra impossibile per me. Siamo al capitolo 10, nessuna ombra di profezia, nessun cinghiale. Niente.
Comunque, come sempre, grazie a chi segue/legge/ricorda/preferisce e a chi recensisce. Un grazie di cuore a Farkas, chi ti fa subire questo strazio?
Un bacio
Buona Lettura!

 

Il destino dei Nove Mondi può essere sull’orlo del collasso, ma il Karma non perde mai un colpo!

 

“Le Norne incidono il destino degli uomini su delle tavole, realizzate dal legno dell’Yggdrasil. Se una tavola si scheggia … ecco, sembra una cosa piccola, ma sembra, proprio, un segno di malaugurio” aveva dichiarato Madina, mentre avanzavano nella neve.
Mentre Jason affondava ad ogni passo, lei sembrava immune alla gravita, saltellando quasi come una fata, mentre teneva tra le mani la pergamena che Thrud le aveva dato.
Jason aveva guardato gli scii appesi alle spalle delle sua vicina, “Quando eri ad Idavoll, noi abbiamo notato una cosa” aveva esordito Jason, riportando a Madina la loro preoccupazione.
La scomparsa del cinghiale aveva segnato un punto mai successo prima.
Una deviazione dall’ordinario.
“Ecco sì, l’inizio di un ciclo diverso, assieme a … be, la tavola che si incrina e … quello che ha detto Mimir” aveva considerato lei.
Tempi sconosciuti … aveva considerato Jason, che aveva raccontato alla ragazza, anche quello che i sussurri avevano portato a lui. Inoltre, aveva scoperto che a quanto pareva la sua boa pelosa, era il retro della testa di un dio senza corpo.
Non doveva più stupirsi.
“Potrebbe essere cominciato un nuovo ciclo? Sarebbe assurdo, no? Però, ora che ci penso, Kráka aveva detto che … non aveva ricevuto più sogni” aveva considerato Madina.
“Speriamo sia tutto … una brutta coincidenza” aveva dichiarato Jason, ma non ci credeva molto neanche lui. “Quando mai lo è?” aveva chiesto retorica Madina, voltandosi verso di lui con un sorriso raggiante – non sembrava minimamente preoccupata dell’eventualità della nascita di quella rottura.
“Ciò che mi da pensare però … è il momento” aveva dichiarato Madina, prima di portare gli occhi sulla mappa, “Se si è scheggiata la tavola e perciò si sono persi il verro o il contrario?” aveva chiesto con una certa confusione Jason. “O …” aveva proposto.
Madina lo aveva guardato, “Non esistono coincidenze nel nostro universo, tutti è terribilmente deterministico, anche nel suo fuori programma” aveva chiarito lei, voltandosi verso di lui.
Jason aveva annuito.
“Quindi, quello che mi interessa è il rapporto causa-effetto. Scompare il cinghiale, perciò si incrina il cammino del mondo o … il contrario?” aveva chiesto Madina.
Jason ebbe una spiacevole sensazione … era anche lui parte di quel sistema, era una causa o un effetto. Era un’anima dell’Elisio trapiantata nel Valhalla.
Forse la sua presenza era stata possibile a causa della scheggiatura delle tavole del destino, oppure la sua stessa presenza l’aveva provocata.
“Potrei … potrei essere io” aveva mormorato.
Sapeva di dover mantenere un profilo basso, ma questo era prima che un ciclo perfetto e ben organizzato da millenni cominciasse a cambiare.
“Non preoccuparti Jason, capita continuamente che figli di divinità straniere capitino qui. Pensa solo a Maes, il figlio di Pluto! O quello di Perun” lo aveva tranquillizzato lei, immediatamente.
Jason non era stato rincuorato, perché continuava a pensare che lui era arrivato prima, un giorno sì, ma un giorno prima rispetto la sparizione del cinghiale.

Un rumore, un frusciare quasi sottile gli aveva distratti, erano scattati entrambi, Madina aveva incoccato l’arco pronta a saettare una freccia, mentre Jason aveva sfilato subito Panikpak; alle loro spalle si era materializzato un lupo. Come Jason affondava nella neve, per questo tre quarti delle zampe sparivano nel bianco, lasciando libero solo un corpo enorme con una pelliccia grigio chiaro.
Era una creatura immensa, splendida, con un manto luminoso ed occhi dorati come coppe di champagne. Era il lupo che aveva salvato da Váli, Jason ne era certo.
“Non sembra bellicoso” aveva constato Madina con l’arco ancora incoccato, “Non dovrebbe esserlo … è il Lupo mezzo-jotun che ho salvato” aveva ammesso Jason. Quello sentendosi preso in causa aveva inclinato la testa, in una maniera quasi buffa.
Madina non aveva comunque abbassato la freccia, mentre Jason aveva fatto un passo verso di lui, non molto abituato ad avanzare nella neve, “Se ti apre la giugulare morirai lo sai?” aveva domandato retorica lei. Il Lupo aveva fatto un balzetto verso di lui, facendo attenzione a non annaspare nella neve, la sua espressione era giocosa e divertita, dopo quell’azione, un po’ più vicino a Jason, aveva steso le zampe anteriori e sollevato il posteriore, chinando il muso, quasi nel farlo affogare nella neve, aveva infilato la coda tra le gambe, in un atto che pareva di sottomissione.
Jason aveva fatto un altro passo, avanzando, cauto, aveva allungato una mano mostrando il dorso, “Non vuoi azzannarmi la mano, vero?” aveva chiesto.
“Se torniamo in tempo al Valhalla prima che si cicatrizzi, potrebbe ricrescerti immediatamente, oppure aspettare la prossima morte” aveva esclamato Madina.
Ma Jason era certo, il Lupo non lo avrebbe morso.
Aveva sfiorato al testa del Lupo, aveva sentito il morbido pelo sotto la sua mano, nella zona tra le orecchie, il lupo si era spinto contro il suo palmo.
“Sei amichevole, eh” aveva constato Jason, il Lupo si era ritratto per un secondo prima di rimettersi in posizione normale, facendo ondeggiare felice la coda. “Tranquillo per ieri, non è stato un problema” aveva commentato Jason.
Il Lupo aveva avvicinato ancora la testa, per farsi accarezzare tra le orecchie, cosa che lui aveva accettato di fare di buon grado, “Sei un coccolone, eh” aveva scherzato divertito. Il Lupo si era prodigato nel lappare la sua mano affettuosamente.
Aveva sentito alle sue spalle Madina ridere, con un certo gusto, “Apprezzo davvero che tu abbia trovato un nuovo amico” lo aveva richiamato, aveva abbassato le armi.
“Adesso dobbiamo andare, puoi venire con noi, amico” aveva considerato Jason, il Lupo si era allontanato, poi aveva inclinato il capo, prima di volgere e sparire via veloce in una serie di balzi, così come era venuto.
“Strano?” aveva detto Jason, voltandosi verso Madina. “Hai salvato un lupo mezzo-jotun, Jason … ho l’impressione che lo rivedremo” aveva esclamato la ragazza mentre sistemava nuovamente freccia ed arco nella faretra.
Jason aveva guardato le tracce del lupo nella neve, esistevano solo nella direzione in cui era andato via e non ve n’erano in quelle in cui era venuto, come se fosse apparso dal nulla.
Magari era un potere da Jotun.
“Riprendiamo?” aveva chiesto Madina, poi, attirando nuovamente l’attenzione di Jason.

 

“Ci siamo quasi, comunque” aveva affermato Madina. Dopo l’incontro con il lupo avevano fatto il resto del viaggio in un silenzio tranquillo.
Davanti a loro era apparsa una casa, aveva una forma lunga, ma piuttosto stretta, la facciata era a capanna ed il tetto era fatto interamente di fieno
La porta era l’unica cosa che spiccava, era di un legno lucido e di classe, con istoriato in oro, la rappresentazione dettagliata di una battaglia, ma sopra, attaccato con un chiodo c’era una tavoletta di legno chiaro, con rune scarabocchiate sopra.
“Uhm” Jason si era voltato verso Madina, in cerca di spiegazioni, “Tipo un incantesimo? Un avvertimento?” aveva chiesto.

Madina aveva messo via la mappa, “Uhm … premettendo che ho imparato a leggere le rune solo qualche secolo fa e che so leggere il futhpark recente e questo è più complesso, essendo quello antico[1], direi che c’è scritto: Sono ad Utgard, viola la mia proprietà e farò dei tuoi genitali gioielli” aveva dichiarato Madina, allegra.
“Utgard?” aveva chiesto Jason, “È il palazzo di Utgard-Loki, in un certo senso è la capitale di Jotunheim” aveva risposto Madina.
Chi sa se era il Loki rappresentato nei film della Marvel, non ricordava avesse un nome così lungo; decise che quello non era la priorità.
“Che facciamo?” aveva chiesto Jason allora, “Oh, be, potremmo tornare indietro o dare un’occhiata all’interno della casa, visto che ci siamo già … almeno non facciamo sprecare il viaggio” aveva considerato lei.
Jason aveva annuito, “Hai un piano per entrare?” aveva chiesto, “Nel seno gli Jotun sono stregoni, vero?” aveva chiesto lui.
“Sì, quasi tutti ma non tutti, Jarnasaxa è una guerriera non credo che si sia abbassata ad usare il seid” aveva risposto la sua amica, facendo le virgolette con le dita sull’utilizzo del seid. “Pensavo fosse un potere da donne” aveva considerato Jason, “No, il seid è per tutti, viene lasciato alle donne perché non è considerato virile e tal volta, guarda caso, chi ne fa utilizzo è visto in maniera piuttosto ambigua. Anche il nostro buon signore Odio Padre-Tutto pratica il Seid ma si guarda bene dal dirlo” aveva risposto onesta Madina.
Jason lo vedeva davvero ambigua, da quel punto di vista; Roma educava all’onore, alla disciplina ma anche all’utilizzo di ogni mezzo per la vittoria, per la gloria.
Inoltre, nel poco tempo che aveva speso nel Valhalla, Jason aveva visto Magnus Chase utilizzare l’alf seid e da quel che sapeva lui, il ragazzo era l’eroe del momento.
“Non chiedere, non ha senso. Se potessi leggere il futuro e praticare le magie lo avrei fatto bendata, ho qualche potere, ma decisamente irrisorio rispetto ad altri” aveva dichiarato Madina, aveva mosso le dita, un turbinio sottile di aria si era avvolto intorno alle sue dita, con piccoli cristalli di ghiaccio.
“Controlli il vento!” aveva esclamato Jason, ammirato, “Sì, ma non abbastanza da richiamare i venti, controllare un cavallo d’aria come le valchirie” aveva detto demoralizzata la ragazza, sciogliendo il piccolo tornando.
Jason avrebbe voluto prenderle la mano e dirle che poteva insegnarle, che era sicuro di poterlo fare, ma aveva sentito nelle orecchie l’eco delle parole di Thrud.
“Dai, proviamo ad entrare” aveva rotto il silenzio Madina, con un sorriso dolce sul viso, avendo recuperato la sua abituale allegrezza.

 

Jason non aveva avuto certezze della teoria di Madina, riguardo l’utilizzo del seid da parte di Jarnsaxa; però aveva cominciato a nutrire dei dubbi, quando aveva osservato che a bloccare il catenaccio della porta c’era un semplice catenella sottile come un nastro. “Oh!” aveva commentato Madina, schiudendo le labbra.
“Immagino che non si rompa facilmente” aveva valutato Jason, “No” aveva constato Madina, prendendo la catena tra le mani, “È come Gleipnir … una catena realizzata con elementi impossibili, viene dritta dalla forgia di Nidavellir. Ovviamente non è così resiliente” aveva spiegato Madina.
“Come la catena che tiene il lupo Fenris incatenato” aveva considerato Jason, ricordando la nozione, non ricordava se venisse dall’Edda o dal Power Point di Odino. “Sì e no. Effettivamente il lupo era incarcerato proprio con Gleipnir … ma adesso hanno cambiato catena, anche le catene impossibili si usurano” aveva dichiarato nozionistica.
“E se il Lupo si libera, verrà il Ragnarok” aveva dichiarato Jason. “Esatto, un continuo rincorrere l’impossibile … fratture a parte” aveva raccontato Madina.
“Se … ecco … la catena si è usurata vuol dire che nonostante la forza è … tecnicamente distruttibile? No?” aveva domandato Jason, soppesandola con le dita, era leggera …
“Certo, magari se avessimo degli strumenti giusti credo … magati qualcosa forgiato a Nidavellir pure, oppure non so uno strumento eccezionale” aveva valutato lei
Leo avrebbe avuto sicuramente una soluzione più chiara e pratica, oltre che capace …
“Io …” aveva cominciato Jason, “Tu?” aveva chiesto lei, “Ho un’idea” aveva ammesso alla fine Jason, dopo aver pensato al suo amico Leo.
“Non importa quanto improbabile sia il ferro … se riscaldato diventa morbido o una cosa del genere, vero?” aveva chiesto Jason.
“Oh, be, se riuscissimo a riprodurre il calore della fucina di Nidavellir, forse … ma si servirebbe anche qualcosa con cui romperlo, oltre i tuoi bicipiti si intende. Io ho un pugnale, che si difende benissimo, ma non è una spada leggendaria, neanche … Panikpak credo” aveva dichiarato.
Giunone, sì.
Però … se avesse tirato fuori Giunone probabilmente avrebbe dovuto dire la verità, o una parzialità di verità, che era Romano o Greco, a Madina – la fidanzata di Mel.
Aveva stretto la sua moneta in una mano, e poi aveva ricordato una cosa. “Sotto la pelliccia, c’è tipo una grata di oro fatto con i capelli di Sif … anche quelli sono opera nanica? Non erano stati fatti insieme a Gullinbursti” aveva dichiarato Jason.
“Sì, certo … ma sei sicuro di voler fare a pezzi il cappotto di Astrid? Non so se lo hai notato, ma ci tiene moltissimo alle sue pellicce” aveva considerato Madina.
Jason aveva strusciato le mani sul pelo morbido del suo vello, ricordando come per due giorni avesse continuato a fare storie per la pelliccia di wapiti che Mel aveva sporcato di sangue, per cui erano finiti per incontrare Váli. “Non ci avevo pensato” aveva considerato Jason.
“Sai quando arriviamo nel Valhalla, la stanza ci dà tutto quello di cui abbiamo bisogno, qualcosa che abbiamo avuto o qualcosa che abbiamo sempre desiderato, sai … e lei ha un sacco di pellicce” aveva considerato Madina.
“Va bene” aveva valutato Jason, “Però se avessimo un calore così forte da riuscirsi con la limonite o il tuo ferro?” aveva chiesto.
O la mia spada di Oro Imperiale.
“Be, Jason, io sono figlia dell’Inverno … se il tuo padre misterioso fosse Logi o una qualche divinità straniera legata alle fiamme” aveva considerato Madina.
“No” aveva dichiarato Jason senza esitazione, poi l’aveva guardata.
Madina era giovane, forse sua coetanea, con la pelle scura come il pecan, alta e flessuosa, con un’espressione buona, così buona, che Jason credeva di averla vista poche volte sul viso di una persona.
Frank.
Hazel.
Dakota.
“Non so se funzionerà” aveva dichiarato Jason, incerto su come dosare le sue parole, incerto di quella gentile fiducia che impropriamente Madina stava facendo dono, “… è qualcosa che sento dentro che non so spiegare” aveva mentito alla fine.
“Se non dovesse funzionare, ci prepareremo per un’ulteriore bagno ghiacciato …” aveva dichiarato lei, “Oppure mi schianterò sul legno con gli scii …” aveva aggiunto Madina con una punta di divertimento.
Jason le aveva sorriso, un pensiero si era affacciato su tutti gli altri, avrebbe voluto presentare Madina – ed anche Mel – ai suoi amici.

Aveva preso con le mani le catene, era leggera e sottile, aveva preso un respiro profondo e poi un altro ed un altro ancora, cercando di focalizzarlo, dentro di lui, in cielo.
Jotunheim era un altro regno, un altro mondo, non rispondeva alle regole di suo padre, ma c’era comunque un cielo sopra la loto testa e così aveva raccolto quell’energia, quella bolla e poi era venuto giù dal cielo, una folgore degna della potenza di Giove, e lì, la saetta aveva toccato la catena, nel punto preciso lasciato libero dalle sue mani e ….
La catena di cui era fatta non era di semplice metallo, che ad una tale potenza e calore si sarebbe fusa, ma aveva comunque arrossato uno degli anelli tanto da averlo reso malleabile. Aveva afferrato la catena da entrambi i lati tirandola con forza, prima che il freddo della terra dei giganti la solidificasse ancora.
“Per la gloria degli Dei! Jason sei … quello era un fulmine!” aveva gridato Madina completamente strabiliata da quella azione. “Sì … puoi darmi una mano?” aveva esclamato di rimando Jason, mentre osservava il pulsante metallo rosso cominciare ad allungarsi, quasi come gomma.
Madina aveva raccolto Panikpak dalla sua cintola e l’aveva fatta calare sul metallo incandescente, la lama si era spezzata, ma anche uno un piccolo frammento dell’anello, aveva finalmente avuto una piccola apertura.
Scusa!” aveva dichiarato lei offesa, guardando i resti della spada di ferro di palude, piena di vergogna. “Non è importante … credo ci siano centinaia di queste spade” aveva considerato Jason, ricordando che Astrid aveva detto fossero opera del suo padre armaiolo, “Inoltre è la seconda che rompo” aveva dichiarato.
“Ci credo!” aveva esclamato Madina piena di stupore, “Jason hai bisogno di un’arma divina, con questo potere” aveva aggiunto. “Sei un semidio, sei un semidio potente” aveva considerato, “Io ho un pugnale di ferro normale, ma ho l’arco realizzato con tasso sacro a mio padre e gli scii sono presi dalla corteccia dell’Albero del Cosmo” aveva raccontato lei.
Jason aveva annuito, “Io … lo sospettavo” aveva ammesso, “Non è discriminazione o altro, i semidei non sono migliori degli altri guerrieri per qualcosa, in uno scontro diretto Astrid e Mel mi farebbero appezzi. Ma i semidei possiedono un potere che non può essere incanalato in oggetti … be, qualsiasi” aveva dichiarato lei, mentre recuperava le catene ammirata, poi aveva cercato di far scivolare via un anello dalla serratura, riuscendo poi ad eludere definitivamente la catena.
Jason aveva aperto la porta con una spallata.
“Potresti essere figlio di Taara[2], di Perkunas[3] o Zeus, chissà. Qualche idea?” aveva chiesto Madina.
Jason si era fatto rigido come una tavola, “Io ….” aveva annaspato.
Madina che era buona aveva messo una mano sulla sua schiena calma, “Tranquillo, tranquillo” aveva dichiarato.

La casa di Jarnsaxa era stata vittima di un tornado. “Credo che o ci sia stata una lotta o la nostra Jotun è stata vittima di una furia” aveva considerato Madina, mentre schivava i resti di un tavolo di legno fatto a pezzi.
L’intera casa era stata rivoltata, a primo acchito aveva pensato che qualcuno si fosse introdotto per cercare qualcosa, ma la furia che imperiava dava manforte alla visione di Madina.
“Io … penso la seconda” aveva dichiarato, non c’erano urti contro un muro significativi, non c’erano i segni di una lotta, ma sicuramente di una furia.
Furia di una frustrata donna Jotun.
“Sai … questa situazione diventa ogni momento più strana” aveva considerato Madina, osservando per terra i cocci di una ceramica e di un corno sfregiato; una cassettiera era stata rovesciata a terra, avendo fatto cadere una pioggia di posate in ferro argentato ed altre stoviglie, anche una serie di letalissimi pugnali.
“Non sono sicuro che qui dentro ci sia il cinghiale, ma potrebbe esserci passato” aveva considerato Jason, avanzando, qualcosa si era attaccato alla soletta della sua scarpa, l’aveva sfilato subito, trovando della carta rigida che aveva inumidito.
Sopra, sbiadito, c’erano delle rune. Jason riconosceva sicura la figura dell’halgaz, con il simbolo della mutina maiuscola con la stanghetta orizzontale posta invece in obliquo. Era un foglio strappato.
“Madina” aveva dichiarato, sventolandolo.
Lei si era alzata, abbandonando una pianta che era stata svasata, per osservarla, “Chi sa se ci sono altri pezzi” aveva considerato.
“Questa è la Grandine” aveva dichiarato Jason, indicando il simbolo, “Direi più la Acca” aveva risposto Madina, prima di strizzare gli occhi.
“Uhm … c’è scritto... a questa parola manca un pezzo, non riesco a capire, il resto sì: dai tuoi servigi. H” aveva spiegato Madina.
“H?” aveva domandato Jason, confuso, “O Halgaz?” aveva insistito.
“Halgaz come parola è la grandine, ma è anche la runa che simboleggia il suono [H], credo sia una firma puntata, come io userei mannaz, la runa che simboleggia l’uomo” aveva spiegato Madina.
“Quindi H … H cita dei servizi, che possiamo presuppore riguardassero Jarnasaxa” aveva considerato Jason osservando il foglietto, “E dalla devastazione in questo posto mi viene da pensare che la cosa potrebbe averla vagamente irritata” aveva considerato Madina, tirando un cacio ad una cesta di frutta secca rovesciata.

“Troviamo il resto della lettera” aveva stabilito Jason con sicurezza, ottenendo un cenno d’assenso di Madina, che aveva cominciato a cercare in giro. “Il nostro mondo non ha coincidenze” aveva dichiarato la figlia di Ullr, “Scompare il cinghiale della signora di Alfheim dopo che lei è andata a prendersi qualcosa da bere con una Jothun … ed ora, la suddetta è fuggita ad Utgard, casa sua e rovesciata ed un biglietto fatto a pezzi” aveva ripercorso i fatti.
“Vuoi vedere come la cosa diventa ancora più insostenibilmente coincidenziale?” aveva chiesto Jason avvicinandosi a lei, “Questa è la runa che Kraka mi ha fatto pescare” le aveva detto, mostrandoli la tessera dell’halgaz.
Madina aveva guardato la runa incantata, quasi sconvolta. Aveva allungato una mano ed aveva sfiorato con i polpastrelli l’incisione sulla tessera.

Rúnar munt þú finna
ok ráðna stafi,
mjǫk stóra stafi,
mjǫk stinna stafi
[4]

Aveva mormorato Madina, i suoi occhi erano stati vacui e la sua voce era stata piana, a Jason per un secondo aveva ricordo Rachel Elizabeth Dare, ma Madina, nonostante tutto, era consapevole. Non era una profezia, era una litania – a modo suo.
“Cosa hai detto?” aveva chiesto Jason, Madina aveva rivolto gli occhi verso di lui, per un secondo lui aveva immaginato che la sua compagna avrebbe risposto di non aver parlato, ma non era stato così: “Sono delle strofe del Discorso di Har, un’opera letteraria, parla di Rune, ma niente di troppo rilevante” aveva liquidato la faccenda, sembrava sincera.
Rune tu troverai, lettere chiare, lettere grandi, lettere possenti” aveva spiegato poi Madina. “Azzeccato” aveva considerato Jason, “Mi piace un sacco la letteratura, il che fa ridere, prima della mia morte ero praticamente analfabeta, sapevo scrivere solo il mio nome: Madina Modja … e non ero sicura della differenza tra una i e una j” aveva risposto con allegrezza.
“Penso che citare passi letterari ad hoc sia una capacità che trovo molto interessante” aveva considerato Jason, “Piper, la mia rag–la mia ex-ragazza aveva una storia cheeroke praticamente per ogni occasione” aveva riferito lui con calma, con un sorriso carico di melanconia.
“Avrei voluto essere così ferrata anche io così, ma anche nei salmi ero piuttosto scadente” aveva raccontato Madina, il suo tono sembrava leggermente intristito, ma non così tanto, poi recuperando il sorriso, aveva aggiunto: “Io ho recuperato, infondo la cultura norrena è comunque la mia, se non per nascita, sicuro per morte”.
Non è come nasci, ma come muori, che rivela a quale popolo appartieni, mi pare che così dicano i Sioux” le aveva detto Jason; Madina le aveva sorriso in una maniera piuttosto sorniona, “Però questa non è della tua Piper ma della nostra Astrid” lo aveva beccato.
Jason aveva annuito, “Vediamo se troviamo altri frammenti” aveva considerato.

 

Avevano trovato altri biglietti del foglietto, nulla che potesse essere ricomposto, qualche runa che componeva una parola, il nome di Thor.
Dignità tua” aveva letto Madina, sventolando un pezzo della lettera, “Secondo me questo va o prima o dopo amore e thor. Qualcosa sul genere: Dignità tua e l’amore, probabilmente, che nutri per Thor o Thor nutre per te” aveva spiegato la figlia di Ullr.
Jason aveva annuito, “Forse è troppo ardito perché di questo mondo non so nulla, ma se, ecco, Jarnsaxa avesse prestato i suoi servigi per rapire il verro, motivata dall’amore che prova per Thor, inoltre, Bragi mi ha detto che Odino fa di tutto per tenere i due amanti divisi, quindi forse, Jarnsaxa si è sentita offesa nella dignità? Troppo ardito?” aveva proposto Jason.
Madina aveva sollevato le spalle, cupa in viso, “Non saprei. Forse. Dietro questa storia c’è H?” aveva proposto di rimando.
“Sei tu l’esperta di mitologia norrena tra noi due, c’è una qualche H che potrebbe avere un conto in sospeso con Gerd, o Frey o anche gli dei in generale?” aveva chiesto Jason.
Perché aveva come l’impressione di star chiedendo se ci fosse una creatura al mondo che suo padre non avrebbe volentieri posseduto.
“La H è un’iniziale molto in voga per gli Jotun, inoltre, ecco, potrebbe non esserci un gigante, ma chiunque, perfino Odino ha nomi che iniziano con la H. Potrebbe anche un lattaio che decide di rovesciare gli dei … Una volta Padre-Tutto è stato torturato pure da un re umano!” aveva risposto Madina, con visibile incertezza nel viso.
Jason aveva annuito, “Sicuramente, come pensato da Gerd, Jarnsaxa centra qualcosa, H o meno, per quanto la mia Runa mi faccia pensare di sì. A questo punto le soluzioni sono due: o torniamo all’Hotel, sperando che Mel e Stellan abbiano recuperato i pantaloni e Kráka possa darci indizi, piano che mi sembra ottimo, o …” aveva cominciato Jason, anche solo per avere tutti gli amici insieme, “… o potremmo raggiungere Astrid e Fred per parlare con Gerd è vedere se un certo H. ha un conto in sospeso con lei” aveva concluso, anche quello sembrava accettabile.
“O …” aveva cominciato Madina, “Andiamo ad Utgard a chiederlo alla diretta interessata” aveva detto, ammiccando al foglietto nelle sue mani, su cui capeggiava la parola dignità.

Jason l’aveva guardata; realizzava improvvisamente che Madina sarebbe stata un’ottima compagna di merende. “Ecco … avevo l’impressione che Utgard, da come lo hai definito, sia tipo una rocca-forte jotun impenetrabile” aveva provato Jason.
Come cercare di raggiungere il mediterraneo nonostante ci fosse un veto su di loro. Madina aveva inclinato il capo, facendo oscillare la treccia spessa e scura, “Ecco” aveva cominciato, “Sicuramente è una roccaforte, è qui nello Jotunheim ma si trova ai confini di Midgard” aveva dichiarato Madina, mettendo da parte il messaggio frastagliato, per raccogliere invece la vecchia pergamena di Thrud. “Non sono due mondi diversi? Nel senso Midgard non è la terra?” aveva chiesto Jason.
“La geografia dell’universo è terribilmente strana, amico!” aveva risposto Madina, liquidando la faccenda, “Se vuoi posso entrare nel cuore è cominciare a spiegarti come Utgard oltre al palazzo sia anche il recinto di Midgard. Letteralmente: il recinto esterno[5]. L’ultimo avamposto …” aveva cominciato Madina, con l’intenzione di essere interrotta.
Troppe informazioni per Jason.
“Sei sicura?” aveva domandato Jason, “Sei sicura di voler andare?”
“Eri sicuro quando hai deciso di sfidare Vali?” aveva domandato retorica lei.
Jason aveva annuito, alla fine.
“Sai arrivarci?” aveva chiesto Jason, mentre Madina dava uno sguardo alla mappa, “Qui è menzionato. Con i miei scii potrei portarci entrambi, ci metteremmo un bel po’ in più …” aveva constato poi, prima di sollevare lo sguardo verso qualcosa alle sue spalle, con un sorriso bello splendente sulle labbra.
“Però forse qualcuno può aiutarci” aveva considerato Madina, ammiccando con il mento.
Jason si era voltato ed il lupo era lì, in piedi sulla soglia.
“Ci stiamo fidando del mezzo-jotun?” aveva domandato Jason, ma non era sul serio una richiesta.
“Sei tu che due minuti fa lo stavi coccolando come fosse il tuo barboncino” aveva dichiarato Madina, scrollando le spalle, con un sorriso allegro ad illuminarle il viso.
Jason aveva guardato il lupo nei suoi occhi d’oro, sembravano buoni e limpidi.
La creatura si era tirata indietro per permettere loro di uscire; “Ehm … Madina esiste un modo per avvertire gli altri?” aveva domandato Jason, “Per mandare un messaggio” aveva provato.
Come i messaggi di Irisi, o le Aquile …
“A meno che tu non abbia un Gonfiabile a forma di gorilla[6], no” aveva dichiarato Madina, Jason aveva sbattuto le ciglia e si era anche aggiustato gli occhiali, come se quel gesto avesse potuto aprire di più le sue orecchie. “Cosa?” aveva chiesto.
“Me lo ha raccontato Mallory. Comunque, no, nel senso, se uno di noi due fosse bravo nel seid potremmo mandare un messaggio con la magia” aveva dichiarato Madina poi.
Jason si era morso il labbro, “Immagino, perciò, nessun dio dei messaggi nel pantheon?” aveva chiesto alla fine, Madina aveva annuito, “Esatto. Dici che è strano? So che i greci ed i romani lo hanno, me l’ha detto Mel, aspetta … Mercurio, come il metallo” aveva valutato la figlia di Ullr.
Jason era uscito dalla piccola casa di Jarnsaxa, seguito dalla sua amica. Anche se la pelliccia di Astrid lo riscaldava naturalmente, fuori dal tepore dell’abitazione, aveva sentito di nuovo, come schiaffi sulla carne, l’aria gelida di Jotunheim.
“Lo stiamo facendo davvero?” aveva chiesto Jason.
“Chi sei tu e che ne hai fatto del ragazzo che salva jotun da divinità spaventose, senza remore?” aveva domandato Madina, retorica.
Già, aveva pensato stancamente Jason, adesso si riconosceva più in sé stesso.
“Mi sono già messo nei guai” aveva dichiarato stancamente.
“Già …” aveva concesso Madina, “Siamo qui e siamo senza permesso, le tavole del destino si sono rotte ed il cinghiale luminoso che probabilmente illumina Alfheim la terra senza notte è scomparso. Sai cosa succede agli elfi quando cala il sole? Se non lo sai, non è bello” aveva risposto lei, cominciando a sfilarsi gli scii.
Per l’ultimo periodo da lei pronunciato Madina aveva perso quella verve di gioia che sembrava impregnare ogni sua parola, le era rimasto il sorriso e gli occhi dolci, ma il suo tono era stato perentorio.
A Jason fu subito chiara una cosa: Madina sarebbe andata.
Forse smaniava per una missione, per qualcosa da fare, o come lui, con Váli ed il Lupo, aveva sentito un richiamo incontenibile.
“Vengo con te” aveva concordato e lei aveva sollevato il pollice verso di lui entusiasta, “Penso che i miei scii possano portare entrambi, anche se …” la ragazza aveva fatto cadere la frase, inclinando il capo ed indicando il lupo.
Il mezzo-jotun si era avvicinato a Jason ed aveva piegato le articolazioni delle zampe, per dar lui un facile accesso alla sua schiena. “Vuole essere cavalcato?” aveva domandato Jason. Madina si era sistemata i suoi scii di legno dell’albero di Yggdrasill ai piedi, “Così pare. Magari sei un futuro Ulfhethinn!” aveva dichiarato lei.
Jason aveva guardato il lupo, lui aveva uggiolato, non molto contento di quella prospettiva, neanche Jason lo era in quel momento, anche se non sapeva cosa significasse. “Lui non è concorde” aveva dichiarato infatto, indicando il Lupo mezzo-jotun.
“Non mi sorprende!” aveva riso Madina, “Sono i Guerrieri vestiti di Lupo – animaleschi e con la furia guerriera donata da Padre-Tutto in persona. Combattono in braco. Nel Valhalla i piani cinquanta-tre e cinquanta-quattro sono occupati da loro. Ne vivono tre a camera. Se hai miei tempi la gente credeva ai lupi mannari è perché loro hanno dato una bella mano” aveva racconto subito lei, piena di gioia, “Mel lo vuole diventare vero?” aveva ricordato Jason.
“No, Mel vuole essere un Berserker; combattono da soli e spesso vestiti di pelle d’orso” aveva raccontato Madina, “Ma povero amore mio, è terribilmente disciplinato e riflessivo per cadere nella berserksgang” aveva raccontato.
Figlio della rigida educazione della scuola gladiatoria. “Troppo Romano” aveva commentato Jason, “Spettacolare, ma padrone di sé. Almeno in quello” aveva soppesato Madina, il suo tono era stato distante, “Andiamo?” aveva recuperato la sua allegrezza lei.
Jason aveva annuito, voltandosi verso il Lupo, era decisamente più imponente di qualsiasi creatura avesse mai visto fino a quel moneto, anche di Lupa. “Spero di non farti male” aveva dichiarato Jason, allungando una mano per afferrare la pelliccia morbida e folta della bestia e con uno slancio si era issato sul dorso della bestia.
Si era sentito sicuro.
“Andiamo?” aveva ripetuto Madina.

 

Sebbene fosse il Lupo a guidare la corsa, con falcate ampie, guidati da balzi così forti e degni di un canguro, anziché di uno della sua specie – cosa che aveva preoccupato non poco Jason, se una bestia di tale potenza era stata ferita da Váli, cosa attendeva lui? –  Madina di tanto in tanto scivolava al loro fianco e lì superava.
Jason nel vederla nella neve aveva la stessa impressione di vedere uno spirito della natura.
Era rapida, leggera ed assolutamente a suo aggio, tra il vento freddo e la bianca coltre di neve. Di tanto in tanto Madina muoveva le dita, un piccolo sfarfallio e il manto di neve davanti a lei si modificava un poco, appiattendosi o irrigidendosi per permetterle di scattare un salto che lei voleva particolarmente. Jason aveva conosciuto la signora della neve nella sua vita, la fredda e terribile Khione, eppure in quel momento, non avrebbe potuto immaginare quel titolo per nessun’altra che per Madina.
Il che era surreale, realizzava, lei che era una personalità così solare e luminosa.
“Be … pff … amico … pff … grazie” aveva bofonchiato Jason, tra un colpo di tosso ed un altro. Il lupo aveva emesso un verso gutturale, ma soddisfatto.
Jason si era tenuto stretto al manto della bestia.

Il lupo si arrestato di fretta, usando tutte le sue forze per frenare l’avanzata nella neve e cercare di non cadere e rotolare via, con Jason sulla groppa. Madina era scivolata al loro fianco con grazia ed eleganza, anche se quando l’aveva avuta vicino, Jason aveva potuto osservare che la sua amica aveva il fiatone, ma gli occhi scuri luccicavano come stelle.
La sua amica aveva sgranato gli occhi, così Jason aveva seguito il suo sguardo, per vedere cosa aveva fatto arrestare il Lupo.
Si era aspettato di vedere Utgarda o qualcosa di strabiliante, come quando aveva veduto Idavoll, invece, non lontano da loro, su un altura non troppo distante da loro, erano ferme delle donne a cavallo.
Solo che i loro destrieri erano fatti di ossa e tenebre, così come i loro manti. Visi bianchi e spigolosi. Erano cinque.
“Oh, immagino che non siano niente di buono” aveva considerato Jason. Aveva da loro la stessa impressione, quando da ragazzino, durante l’assalto a Monte Othro[7] aveva visto sul campo di battaglia aveva intravisto i Makhai – gli spiriti della Battaglia, alcuni con loro, alcuni contri, ma tutti ugualmente spaventosi.
“No! Tranquillo, non ci diranno niente … credo” aveva dichiarato Madina riprendendo colore e così era stato, le donne non avevano dedicato a loro niente più di uno sguardo distante, prima di girare i loro destrieri ed allontanarsi da lì.
Solo una di loro era rimasta lì a guardarli, Jason si chiese come avesse fatto a non notarla bene tra le sue compagne, spiccava anche solo per i capelli, tinti – presumeva – di un colore innaturale. La donna aveva alzato una mano ed aveva fatto un cenno di saluto.
Madina aveva risposto timidamente con un movimento appena accennato delle dita, poi aveva guardato Jason, “Amico!” lo aveva rimproverato – lui si era sentito colto in imbarazzo ed aveva eseguito un saluto forse troppo eccessivo, muovendo entrambe le braccia.
La cavallerizza aveva tirato le briglie della sua bestia ossuta ed era scomparsa nella neve, impresa ardua visto i capelli sgargianti e il lungo mantello nero.
“Chi erano? Cosa è appena successo?” aveva chiesto Jason confuso.
Il lupo aveva uggiolato e tremolato per tutto il tempo, terribilmente spaventato. “Erano le Dísir … diciamo che puoi figurartele come le valchirie di Hellheim[8] e Nilfheim[9]. Erano qui a raccogliere anime, probabilmente” aveva dichiarato Madina.
Jason non lo aveva trovato molto rassicurante, da come avevano spiegato le cose la stessa Mel e Madina il primo giorno, non esisteva una seconda vita da einherjar per loro.
“Sono spaventose” aveva considerato Jason, Madina aveva riso, “Non sono mai uscite dalla fase Viking Metal. Ma sono simpatiche, sul serio, solo che se per caso hai la sfavorita idea di inimicartele … ecco, sì, non finisce bene” aveva asserito Madina con tranquillità. Jason aveva aggrottato le sopracciglia, il lupo aveva latrato, neanche lui molto rincuorato. Madina aveva infilato una mano nella sua giacchetta ed aveva estratto la mappa di Jotunheim data da Thrud. “Allora secondo questa carta ci aspetta ancora un po’ di arranco nella neve” aveva considerato Madina, “Tu come stai Jason?” aveva chiesto poi con più dolcezza, “Reggi bene il freddo?” aveva chiesto.
“La pelliccia magica di Astrid funziona divinamente. Sono contento di non averla distrutta” aveva risposto Jason con un sorriso gentile. Madina aveva annuito e poi si era data uno slancio, aiutata con un movimento di dita dai suoi poteri, sfilando nella neve. Jason aveva chinato lo sguardo verso il lupo, ancora un po’ segnato dalla presenza delle Dísir, Jason aveva aperto una mano ed aveva accarezzato il manto con gentilezza, “Sì, anche io sono preoccupato” aveva confessato, empatico.
Il lupo aveva inclinato il capo per dare a Jason un accesso più facile ad una zona di pelo sotto le sue orecchie, così Jason aveva eseguito il consiglio.
L’azione aveva calmato la bestia, abbastanza perché decidesse di riprendere la sua corsa.

 

Utgard era comparsa davanti a lui, improvvisamente; Jason avrebbe giurato che l’attimo prima non ci fosse e dopo un battito di ciglia era lì.
Enorme. Immensa. Grandiosa.
Jason dovette dichiararsi piuttosto stupito, perché invece della lunga casa rettangolare in legno con tetto di paglia – e muschio – come quella di Jarnsaxa, davanti a loro si era aperta la visione di uno Chalet iper-moderno, con tre piani, di cui uno interamente fatto con una facciata di vetro.
Era su un pendio, non troppo in alto, rispetto loro, ma abbastanza da dominare Jutland.
Alle sue spalle spiravano enormi montagne, come un muro di roccia.
Jason intravedeva una faccia, accennata, sulle montagne, la riconobbe come il viso – ancora in fase di completamento – di Cavallo Pazzo, come aveva ascoltato distrattamente al Collegio.
Quelle erano le Black Hills!
“Valicate quelle montagne, saremmo a Midgard. Sì, al contrario non funziona. L’universo è un posto da pazzi” aveva dichiarato Madina, smontando dagli scii con scioltezza.
Poi aveva fatto un respiro profondo, “Tutte le montagne a modo loro sono Utgard, non solo le Black Hills” aveva spiegato subito Madina, prima di prendere un respiro.
“Nel peggio potremmo fuggire direttamente da lì” aveva borbottato Jason.
“Sì, peccato non finiremo sul versante del Wyoming. Ci sono vissuta lì … Ho imparato a ciaspolare prima di camminare” aveva raccontato con un’espressione divertita. Il Lupo aveva chinato le zampe per permettere a Jason una discesa agevolata e leggera.
“Pensavo ci vivessero i nativi” aveva dichiarato Jason alla fine, ricordava che le montagne del Wyoming erano terre degli autoctoni. Una nozione del collegio, anche quella.
“Oh, be, così è ora, così è stato. Tranne per un certo periodo durante la Caccia all’Oro! Però, nel settimo secolo, le alture vertiginose, le temperature letali e gli Arapaho tenevano lontani gli uomini bianchi, cosa che mia madre gradiva mooolto” aveva scherzato Madina con un bel sorriso.
“Pensavo fossi di Capoverde” aveva commentato Jason, mentre affondava nell’alta neve fino alle rotule, “Mia madre è nata lì e, be, gli indigeni ci hanno permesso di star lì, ma non eravamo molto integrati. Ho conosciuto solo la sua cultura, sono morta che parlavo portoghese e credevo nel Signore, in parte credo di crederci ancora adesso[10]” aveva raccontato senza malizia.
Jason aveva annuito, pensando a Fred ed invece a sua crisi mistica che lo spaccava, ancora, dopo ottocento anni. Per lui sembrava difficile comprendere ambedue i sentimenti, tra Madina e Fred.
“Io sono cresciuto a vicino San Francisco. Molti terremoti” aveva dichiarato Jason, colmo fino all’orlo di disagio, grattandosi la nuca. Spesso provocati anche degli scontri tra mezzosangue e mostri.
Al campo e prima ancora quando era con il branco.
Ricordava, quasi dolcemente, il periodo con loro; dormiva abbracciato al pelo morbido di Lupa quando sentiva freddo; a quel pensiero aveva declinato lo sguardo al loro amico a quattro zampe, ma il mezzo-Jotun era scomparso …
“Oh!” aveva dichiarato Madina, notando anche lei l’assenza, “Senza neanche salutare” aveva sottolineato Jason, facendola ridere.
Ma come aveva valutato Madina stessa, anche lui ne era certo, avrebbero rivisto il Lupo.

La salita per Jotunheim era stata più snervante e faticosa di quanto fosse apparsa, almeno per lui, che era affondato ad ogni passo, la fatica lo aveva così tanto stremato, che aveva cominciato anche a sudare. Il che era surreale rispetto l’aria glaciale che albergava lì, se fosse stato umano a Jason sarebbero esplosi i polmoni. Madina era tranquilla di rimando, Jason sospettava fosse una combo della sua vita nelle alture delle Black Hills e la sua origine divina.
Quando erano stati vicino lo Chalet modello-Saint-Moritz, Jason aveva visto che era preceduto da uno striscione, sorretto da due pali, issati nella neve. C’era una vistosa scritta in caratteri futhark runico, immaginava antico.
“Penso che se non diventerò schiavo di Vali, dovrò proprio imparare questa benedetta lingua” aveva considerato Jason.
“Oh! Che gioia!” aveva esclamato Madina, piena di vitalità, Jason l’aveva guardata: “Annuale Gara di Biathlon per gli Audaci” aveva dichiarato piena di gioia.
“Cosa è?” aveva chiesto Jason, “Scii di fondo e tiro con l’arco in un'unica competizione, cosa che puoi immaginare è fatta su misura per me” aveva risposto lei, facendo ondulare l’arco e gli scii che portava appesi alle spalle.
“In notturna?” aveva domando Jason, “Contro degli Jotun?” aveva aggiunto. “L’ho già fatto, duecento-trentacinque anni fa e sono qui per raccontarlo” aveva risposto lei, strizzando un occhio e continuando dritto verso il palazzo.
Jason, in quel momento, si sentiva terribilmente in empatia con Astrid quando era accorso a salvare il Lupo.
Chi di comportamenti audaci ferisce di comportamenti audace perisce, si disse.
Jason seguì Madina.



[1] Il Futhark è l’alfabeto runiko. Il Futhark recente è quello noto come il Futhark scandinavo (quindi di epoca medievale), composto da 16 caratteri.
Il Futhark antico invece è quello germanico (che insomma risale sicuro al I secolo d.C, però credo che sia ancora più vecchio), composto da 24 caratteri. Ho deciso di dare quello più antico agli Jotun per testimoniare la loro “antichità” (secondo la mia amica germanista, gli Jotun sono un po’ come i titani, la categoria di divinità prima della nuova generazione, composta da dei, visto che Odino a sua volta è figlio di Jotun. Teoria potata avanti anche dalla serie tv Ragnarok).

[2] Signore dei fulimini della mitologia finlandese (i loro “vicini”)

[3] Signore del fulimini della mitologia baltica … cioè insomma il ruolo è più o meno pieno.

[4] Rune tu troverai
lettere chiare,
lettere grandi,
lettere possenti,

[5] Utgard è considerata la capitale di Jotunheim, ma è su Midgard. LASCIAMO PERDERE VAAAA …
In realtà ho parlato con la mia amica germanista (Ormai presenza fissa) è mi ha spiegato che c’è questo bug della mitologia norrena, dove Midgard e Jotunheim sono considerati due mondi ma sono separati dalle montagne(?). Ed è per questo che di tutti i mondi “vengono” sempre nella terra e tocca a Thor salvarci tutti.
Ho cercato una rappresentazione:
https://www.germanen-plakat.de/wp-content/uploads/kosmos-asgard-midgard-mittelerde-utgard-niflheim.jpg
E quindi, sì, i terrapiattisti pensano che ai confini della terra ci sia Utgard con gli Jotun. AMO.

[6] Ebbene sì, è un riferimento ad una scena di Magnus Chase. No, non voglio contestualizzare.

[7] La battaglia di Monte Othro avveniva in contemporanea a quella di Manhattan, quello che Jason narra di quell’evento, in questo particolare momento, non è conforme al canone riordiano – ma può essere.

[8] Diciamo che una descrizione di questo genere delle Disir è molto, molto, blanda e semplicistica.

[9] Questa cosa può sembrare confusionaria, ma Hellheim e Nilfheim sono nello stesso mondo, ma occupano due posizioni diverse. Nilfheilm è il vero è proprio mondo della morte, dove risiedono tutti gli uomini non morti di morte valorosa (circa), mentre Hellheim è l’ultimo “girone” se permettete il termine, di quest’ultimo, che sarebbe il vero e proprio “inferno” dove risiedono i malvagi. (Personalmente mi piace immaginare Nilfheim come una grande casa di riposo ahah).

[10] Forse troppo profondo? Forse no? Comunque, voleva essere un riferimento alla conversazione di Magnus e Sam a proposito della loro fede, che credo sia stato uno dei pezzi di Riordan che mi è piaciuto di più. Molto delicato.

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Capitolo 11
*** Chalet di lusso dotati di ogni confort per trascorrere vacanze indimenticabili tra Jotun che vorrebbero solo cuocerti allo spiedo. Offerta irripetibile della Utgard.Short.Rent. ***


Eccomi! Con più note che mai.
Confessione: questo capitolo ed il prossimo dovevano essere uno solo e invece poi no (a questo punto: DOVE E’ LA NOVITA’?). In realtà tutta la parentesi Jotunheimiana dovevano essere solo due capitoli. Mi odio.
Comunque, qualche gigante, siate preparati, alcuni importanti, altri molto meno. ED OVVIAMENTE IL PERSONAGGIO CHE NON POTEVO NON METTERE.
BIGBOY, disegnato da me, qui:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Utgard-Loki-898407003
Ci sono decisamente troppe poche fanart su di lui!
Vorrei sempre ringraziare Farkas <3 e chiunque legga/ricordi/preferisca.
Buona Lettura!
Baci
RLandH


           

Chalet di lusso dotati di ogni confort per trascorrere vacanze indimenticabili tra Jotun che vorrebbero solo cuocerti allo spiedo.
Offerta irripetibile della Utgard.Short.Rent.

 

 


“Oh, Ymir marcescente, pensavo che oggi avrei avuto una buona giornata” aveva commentato una donna con un tono lugubre.
Jason l’aveva guardata cercando di studiare se fosse o meno una minaccia, anche Madina era stata sullo stesso avviso.
La donna indossava un abito che pareva morbido ma fatto interamente di legno, con spalline composte di rami che circondavano la sua testa. “No! Non voglio intervenire” aveva stabilito lei, alzando le mani in segno di resa, dando loro le spalle e sparendo verso lo Chalet.
Jason aveva guardato Madina, ma quella aveva sollevato le spalle.
“UTGAAARD-LOKIII!” aveva gridato la donna, sparendo dietro il portone principale; lasciando i due davanti uno spiazzo semicircolare che precedeva l’uscio.
“Utgard-Loki è il signore dei giganti di brina. Il padrone di casa” aveva snocciolato Madina, anticipando la sua domanda.
Prima che Jason potesse commentare oltre, un enorme aquila dal manto castano lucente, con sfumature rossastre, degne di bellezza ed imperiosità di quelle di Roma, era atterrata davanti a loro, affondando gli artigli neri nella neve bianca.
“Oh!” aveva esclamato Madina piena di emozione.
L’aquila aveva spalancato le ali, creando un’effusione di aria che aveva costretto Jason a chiudere gli occhi, l’attimo dopo non vi era più un uccello davanti a lui, ma un uomo, vestito di piume d’aquila.
Un viso appuntito e capelli nerissimi, portati lunghi fino alle spalle, un sorriso seghettato e poco rassicurante. L’uomo era affascinante, spaventoso, ma affascinante.
Indossava un gilet lungo fino a metà polpaccio, composto da piume castano lucido brillante, lasciato aperto su una camicia bianca e pantaloni nero lucido; tutto nel suo vestiario cozzava con il clima artico intorno a loro.

“Oh, buongiorno sua maestà” aveva dichiarato subito Madina, chinando anche il capo. “’Sera, caso mai. Sol è sfuggito anche oggi a Skoll” aveva risposto lui, seccato, “Inoltre, figlia di Ullr non ti era stato cortesemente detto di non avventurarti più da queste parti?” aveva chiesto retorico l’uomo.
“Ho difficoltà con la cortesia” aveva ribeccato Madina, prima di far oscillare gli scii, “Ho sentito di una gara di Biathlon[1]” aveva cinguettato innocente.
“Non ho intenzione di invitarvi ad entrare. La gara si terrà domani all’alba … se saprete sopravvivere qui di notte, non vi fermerò” aveva dichiarato il signore, guardando sia Madina, sia lui.
Jason aveva sussultato quando aveva visto quegli occhi scuri su di lui.
Quello aveva inclinato il capo, “Tu sei …?” aveva domandato, cercando di mascherare una certa confusione. “Jason Grace, sono un … einherjar” aveva risposto Jason.
“Un nuovo adepto, lo prepariamo subito ai Nove Mondi” si era intromessa Madina.
“Di solito la gente impiega più secoli per venirsi a suicidare … ma, sapete cosa? Non mi interessa. Non vi inviterò nella mia dimora e non dovrò preoccuparmi di tenervi in vita” aveva dichiarato quello, alzando una mano in segno di sdegno.

Un gigante, attirato dalla loro presenza si era palesato, grosso e nerboruto, con una barba lunga biondo-argentea, chiusa in una treccia, con anelli morbidi, aveva un viso duro come l’acciaio, attraversato da cicatrici e rughe pesanti, anche i capelli erano biondi, anche quelli lunghi ed ordinati in una treccia disciplinata. “Non ho potuto non notarli, Big Boy” aveva detto con una voce profonda e cavernosa.
Big Boy aveva sorriso, “Oh, nobile Fornjotr, questi due einherjar volevano partecipare alla competizione di domani, cosa che io non ho intenzione di fermare. Le mie gare sono sempre aperte a tutti” si era scansato il gigante.
“Ma Domani” aveva sottolineato Fornjotr.
Jason aveva guardato diverse facce, che si palesavano dallo chalet per osservarli, interessati. La donna vestita di legno era ancora sulla porta con espressione insofferente. Jason lo stava comprendendo, aveva visto quello sguardo centinaia di volte sul viso di tutti i mostri che aveva incontrato nella sua vita, stavano valutando chi dovesse fare loro al barbecue.
“E non li stai invitando?” aveva sottolineato Fornjotr allusivo. “Io no, non sono miei ospiti. Siete forse ospiti di qualche mio ospite?” aveva chiesto Big Boy, smettendo di guardare loro per rivolgere lo sguardo allo chalet.  Lui non aveva ancora del tutto chiaro tutti gli usi e i costumi della scuola, ma aveva l’idea che i norreni avessero un loro rito per gli ospiti, forse non protocollato come i tessera hospitalis, ma aveva il sospetto, piuttosto concreto, che se avessero avuto un invito per la notte, nessuno avrebbe potuto ucciderli – o almeno non avrebbe potuto farlo platealmente.
“Tipo un più-uno?” aveva chiesto Jason, guardando le facce contorte da sorrisi affilati. Diffidava che qualcuno dei giganti si sarebbe offerto di assicurare la loro sopravvivenza fino al mattino dopo.
C’era stato un minuto, uno intero, di imbarazzante e pesante silenzio si era premuto su di loro.
Lo Jotun Fornjotr non aveva smesso di sorride famelico, mentre sul viso di Big Boy si era palesata una genuina irrequietezza. Madina continuava a sorridere rilassata invece, come se la cosa non la tangesse affatto.
Forse vivere tutto quel tempo nel Valhalla e morire ogni giorno, rendeva impermeabili alla preoccupazione.
Altri giganti si erano avvicinati a loro, erano creature strane di forme e dimensioni diversi.
Alcuni erano umani come altri, alcuni brutti, altri belli, qualcuno era enorme, come montagne.
Jason aveva infilato una mano nella sua tasca, trovando la rassicurante presenza di Giunone nel palmo della sua mano.
“Oh sì, io! Che smemorato che sono!” si era sentita una voce.
Tutti gli occhi si erano rivoltati in una direzione, inclusi quelli di Jason.
Tra un mormorio di: Chi è stato? Come ha potuto? Ma che problemi ha?
La folla si era schiusa, permettendo a Jason di intravedere il suo presunto salvatore.
Quando la figura, sgomitando ed a fatica, era emerso tra loro Jason si era dovuto dichiarare: stupito.
Lo sconosciuto, dalla voce presumeva fosse un uomo, indossava una tuta d’apicoltore arancione vibrante, aveva un capello come il suo mestiere richiedeva abbinato, da cui scendeva un velo scuro che ne copriva i connotati. Il velo, i guanti azzurri e gli scarponi marroni erano l’unica cosa che si distingueva dalla macchia arancione.
Era una creatura dalle spalle sottile, ma alta ed allampanata, come un giunco.
Bee?” aveva domandato Big Boy, incerto.
“Oh, sì, avevo invitato la figlia di Ullr qualche giorno fa, son proprio smemorato” aveva ripetuto quello con voce colma di ingenuità.
Altro mormorio si era alzato nella folla. Big Boy aveva assottigliato gli occhi cattivi, “Fárbauti?” aveva domandato poi.
Dalle spalle dell’apicoltore era comparso un’altra figura. Per un secondo Jason ebbe un mancamento, pensando che davanti a lui si fosse palesato Giove, ma non lo era. L’inganno era stato guidato dalla folta barba attraversata di fulmini. Fárbauti era imponente, massiccio. Spaventoso.
Aveva una barba folta attraversata di fulmini e la testa calva, indossava una cotta di maglia pesante e pantaloni di ferro.
Al fianco di Fárbauti era scivolata la donna vestita di legno, a Jason era parsa alta e flessuosa, ma accanto allo jotun appariva piccola come una bambina.
Nel vederla, così sottile e delicata, lui ebbe un’illuminazione: lei era una dea. C’era qualcosa, si rese conto, nel vedere giganti e dei di fianco, nella loro aurea, che lì rendeva diversi.
Fárabauti aveva guardato la donna con intensità, lei aveva ricambiato, si era morsa un labbro, aveva guardato poi loro, con odio, poi l’apicoltore e poi di nuovo Fárbauti, aveva sbuffato ed abbassato le braccia.
Il gigante aveva guardato Big Boy, “Se mio figlio dice che sono suo ospiti, loro sono suoi ospiti” aveva dichiarato l’uomo con voce dura come il ferro.
C’era stato un sospiro frustrato che collettivamente aveva accolto l’intero gruppo. “Spero tu sappia ciò che fai Laufey” aveva dichiarato, frustrato Fornjotr, guardando la piccola donna – intuendo dovesse essere lei ad aver deciso. Laufey – Jason era certissimo di aver già sentito quel nome – aveva sorriso graziosa verso lo jotun, “Non è sempre così, Fornjotr?” aveva chiesto sibillina.
“Bene” aveva concesso Big Boy, con un tono calmo, “Giacchè siete venuti con il nobile Býleist e, visto, che lui è mio ospite, per estensione lo siete voi. Finchè sarete sotto il mio tetto, sarete protetti. Io sono Utgard-Loki – no nessuna relazione con l’altro Loki – e benvenuti nella mia umile dimora” aveva dichiarato.
“Grazie” aveva cinguettato Madina.
“Grazie” aveva detto, incerto, Jason, ma anziché guardare il gigante vestito d’aquila, aveva guardato l’apicoltore.

 

Ascoltami Bee” aveva esordito Laufey, appena si erano diretti nelle stanze che l’apicoltore doveva aver ricevuto come ospite di Utagard.
Jason non era riuscito a vedere neanche metà degli interni della dimora, tanto che erano stati spinti velocemente nella camera.
L’Apicoltore si era fatto nervosismo sotto lo sguardo della donna, “Tre quarti della mia famiglia è sotto chiave, non ho intenzione di passare la prossima festa della mamma solo con Helblindi!” aveva dichiarato lei furente, prima di chiudersi la porta alle spalle, non dando all’altro la possibilità di reagire.
Fárbauti, il gigante con la barba elettrica aveva riaperto la porta, “Lo sai, Bee, la mamma si agita sempre. Fai attenzione, non hai una moglie che raccolga il veleno per te” si era congedato più gentile l’uomo.
“Siete consapevoli che lei è lo stoico albero e tu l’imponente fulmine e non il contrario?” aveva urlato Bee a quelli che dovevano essere i suoi genitori, non ricevendo risposte.
“Quelli erano Fárbauti e Laufey … i genitori di Loki, di quel Loki” aveva commendato Madina, con gli occhi quasi luccicanti.
“Sì, nessuno se li aspetta mai così. Specie la mamma, colpa della Marvel, la hanno travisata un po’ – e dagli anni Sessanta che è arrabbiata per questa cosa, non parlatene con lei[2]” aveva dichiarato subito Bee, sfilando via il cappello con il velo protettivo.
Sotto la retina era apparso un viso giovane e fresco, una pelle rosa, cosparsa di lentiggini delicate, un paio di occhioni ambra caldi ed una matassa di riccioli oro-rosso.
“Mentre io sono Býleist Laufeyson, il fratello di quel Loki, quello decisamente meno famoso. Potete chiamarmi Bee se volete[3]” aveva dichiarato quello allegro, posando il copricapo sul tavolo.
“Oh, salve Bee, io sono Madina e lui e Jason” aveva dichiarato subito Madina, presentandolo.
“Grazie Bee per l’aiuto” si era intromesso lui, con nervosismo.
“Già, sì, grazie mille! Ma perché?” aveva domandato Madina con tranquillità, “Cioè non vorrei sbagliarmi. È un po’ che non leggo la Voluspa ma, ecco, mi pare che tu-Lei guiderà l’esercito di Hellheim assieme ai suoi fratelli” aveva considerato.
Bee aveva ridacchiato, dirigendosi con un passo morbido verso il piccolo frigobar personale. “Sì, sì, ma quello sarà al Ragnarok, tra spero ancora un po’ di tempo” aveva dichiarato, chinandosi sul piccolo frigo e tirando fuori, con nonchalance un corno potorio, “Un po’ di Idromele?” aveva chiesto.
Jason stava per rifiutare, ma il suo stomaco lo aveva tradito.
“Penso preferiate un po’ di pane tostato e miele” aveva dichiarato Bee, rimettendo a posto il corno, un battito di mani secco e la stanza era stata invasa da un certo ronzio.
Una nuvola di api si era palesata, portando sul tavolo rotondo della stanza un piatto con pane abbrustolito e tirando un barattolino di miele. “Grazie ragazze” le aveva congedate l’apicoltore – le api erano scomparse così come erano arrivate.
“Ah sì dicevo – Ragnarok. Lontano! Anche Big Boy spesso scende a compromessi con gli einherjar quando vuole, ma solo con quelli che dice lui” aveva dichiarato Bee, facendo loro l’occhiolino.
Jason lo aveva guardato confuso, “Potrei averlo sentito in giro” aveva dichiarato Madina, allusiva.
Bee aveva sviato il baratolo di miele e stava spalmando con tranquillità sul pane, “Mangiate su, è miele molto speciale. Le ragazze raccolgono il nettare dai fiori che crescono sui rami dell Yggdrasill e lo producono ad Alfheim. Invece, io lo conservo a Myrkheimr[4]” aveva dichiarato tutto tronfio Bee, allungando verso di loro il vassoio.
Jason lo aveva guardato, “Siamo ospiti, giusto? Non può avvelenarci, vero?” aveva chiesto Jason, Madina aveva annuito, “E sarebbe anche molto maleducato rifiutare” aveva sottolineato Bee.
Jason aveva preso una fetta di pane tostato ed aveva dato un morso.
Il miele di Bee era il miele più dolce che Jason avesse mai mangiato, ma non era stucchevole, era delizioso. Nel profondo, dietro lo zucchero, poteva sentire un retrogusto diverso, nostalgico, famigliare, a cui non sapeva dare nome.
“Fantastico” aveva dato voce ai suoi pensieri Madina.
“Grazie, le ragazze ne sono molto soddisfatte!” aveva dichiarato Bee, battendo le mani, pieno di vita.
Jason aveva dato manforte, mentre l’uomo li invitava a prendere posto intorno al tavolo.
“Okay, diciamo che io posso credere che tu sia uno di quei giganti che non aspetta il Ragnarok leccandosi i baffi” aveva cominciato a parlare Madina.
“Lo sono! Ho il cinquanta per cento di probabilità di non sopravvivere, sapete, la veggente mi ha abbastanza evitato. Però, diciamo, vivere mi piace un sacco” aveva dichiarato lui, spalmando un po’ di miele anche per sé stesso.
Jason e Madina aveva sorriso a quell’affermazione. “Sì, credo che su questo possiamo concordare tutti e tre” era intervenuto lui. Era strano, non si sentiva minacciato da Bee, non si sentiva addosso quell’angosciante senso di pericolo.
“Comunque, devo ammettere, che raccogliere mezzosangue einherjar non sia nella mia lista di cose preferite da fare e che il mio aiuto non sia stato esattamente disinteressato” aveva chiarito subito Bee, con calma, dando un morso alla sua fetta di pane.
“Ovviamente” aveva dichiarato subito Madina, con un tono di voce calmo; Jason aveva annuito, “Cosa possiamo fare per lei?” aveva domandato.
“Prima di tutto: datemi del tu. Secondo: niente. Qualcuno pagherà per voi” aveva stabilito Bee con tranquillità. Jason aveva dovuto dichiararsi sorpreso, uno solo nome tuonava nella sua mente.
Kym!
Solo Kym poteva essere stata – chi altro, se no?
Ma non avrebbe potuto chiederlo, non con Madina lì.
“Bragi?” aveva azzardato allora Jason, “Gerd?” aveva proposto invece Madina.
“E come potrebbe ripagarmi quel poetuccio? Gerd? Be, sì, mi lascia andare ad Alfheima a smielare quando voglio, quindi sì, se me lo avesse chiesto lo avrei fatto ma no …” aveva risposto lo jotun con estrema calma, prendendo tempo, quasi a voler tenere alta la suspense.
Jason aveva ascoltato attentamente, così come Madina, alla fine Bee aveva ceduto senza le loro domande: “È stato Váli, ovviamente” aveva dichiarato, come se la cosa fosse stata lapalissiana.
Váli?” aveva domandato Jason, pieno di confusione.
“Davvero?” aveva chiesto confusa Madina; anche a lei doveva sembrare strano.
“Chi se, no?” aveva rincarato Bee.
“Letteralmente, chiunque altro al mondo?” aveva domandato Jason, retorico, sbalordito dall’espressione sconcertata di Bee, nel vedere la loro palese curiosità.
“Ma che strano” aveva considerato Bee, dando un morso alla sua fetta di pane.
Jason si era voltato verso Madina, lei aveva sollevato le spalle.
“Possiamo …” aveva cominciato Jason.
“Non vi consiglio di uscire da questa stanza, non potete essere attivamente uccisi, ma potreste essere vittima di un fatale incidente. Però se volete c’è il bagno, ma non posso promettere di non ascoltare” aveva risposto lo Jotun.

 

“Forse Váli vuole essere certo che tu combatta all’holmagang” aveva proposto Madina, “Certo, non posso diventare il suo schiavo se muoio ucciso da un gigante, no?” aveva risposto Jason.
“Può darsi … ma” aveva cominciato Madina, “Ma Jason, tu sei nuovo da queste parti, nuovissimo, ma fidati che a me pare abbastanza strano l’idea che Váli, il dio venuto al mondo per vendicarsi…” – Sì, Jason aveva afferrato abbastanza bene quel concetto – “ … Decida di venire a Jotunheim per chiedere a Býleist, uno jotun, fratello di Loki, quel Loki che ha orchestrato la morte di Balder, fratello che Váli, su tutti, vuole vendicare… per chiedergli di salvare l’einherjar che lo ha sfidato, non permettendoli di uccidere la sua preda mezza-jotun” aveva buttato fuori Madina.
Onestamente no, non aveva senso, il minimo senso, ma Jason era figlio di una mitologia che a lui pareva non avere senso neanche un secondo del tempo.
La stessa esistenza di Jason sembrava un brutto lancio di dadi. “Madina, è scomparso il cinghiale luminoso, si è rotta una tavola del destino, Mimir prevede tempi straordinari, forse anche Váli si è ridotto a misure eccezionali” aveva provato.
“Non so, se almeno fosse stata Gerd, insomma …” aveva borbottato Madina.
Jason aveva recepito quell’informazione ed aveva aperto la porta del bagno, se si fosse aspettato lo Jotun con un orecchio alla porta, sì dovette riconoscere deluso.
Bee stava bevendo dal suo bel corno potorio con calma. “Sì?” aveva chiesto quello, osservando lo sguardo di Jason.
“Prima hai detto che Gerd ti permette di andare ad Alfheim?” aveva chiesto Jason.
“Sì” aveva risposto con tranquillità l’altro. Bene, ma non benissimo. “È difficile avere accesso ad Alfheim?” aveva chiesto. “Be, se sei bravo no, immagino, ma di norma gli elfi sono un gruppo di perfettini, boriosi ed intolleranti e non prendono di buon occhio le novità, specie quelle che portano diversità. Penso sia impossibile entrata ad Alfheim senza ritrovarsi due piedipiatti alle costole” aveva risposto Bee. “Ma tu puoi andare? Hai tipo un permesso speciale?” aveva chiesto allora Madina.
“Sì, ho un salvacondotto. Perché mi state facendo queste domande?” aveva chiesto poi.
Jason aveva richiuso la porta, “Alfheim ha più controlli di un’ambasciata, mi pare di capire” aveva valutato il romano, “Direi Nilfheim, ma lì è più all’uscita” aveva replicato Madina. “Questo vuol dire che, ecco, chi ha fatto il tu-sai-cosa doveva avere un permesso …O qualcuno si sarebbe accorto di un arrivo non previsto?” aveva chiesto retorico Jason.
Madina aveva annuito, “Chiunque fosse, aveva il permesso” aveva ripetuto lei.
“Adesso abbiamo uno jotun che arriva misteriosamente a salvarci, per conto del più improbabile dio che potrebbe farlo, con un salvacondotto della Signora degli Elfi” aveva sottolineato Jason.
“Senza dimenticare, che Bee è il fratello di Loki, cioè non voglio dire che se un tuo parente è infame, lo devi essere per forza anche tu, Mel mi ucciderebbe se mi sentisse dire questo. Però, ecco, Loki è famoso per le sue arti elusive, probabilmente anche Bee ne ha un po’ … inoltre, non hai sentito prima la signora Laufey? Loki e Bee hanno un terzo fratello” aveva sottolineato Madina.
Helblindi” le era andato dietro Jason, “Con la H, immagino”. Madina sembrava condividere la sua preoccupazione, “Solo perché aiutarci?” aveva chiesto lei, poi. “Non so, forse abbiamo preso un granchio” aveva dichiarato lui.
Madina aveva preso un respiro profondo, “Dobbiamo parlare con Jarnsaxa” aveva dichiarato.
Jason era d’accordo.
Quando erano usciti dal bagno, Bee li stava aspettando con braccia conserte. “Non so cosa stiate complottando, non ho intenzione di ostacolarvi, ma ho giurato sul mio onore di tenervi in vita fino a domani all’alba” aveva stabilito quello.
“Fantastico” aveva detto Madina, fingendo credibilissimo entusiasmo, “Dobbiamo parlare con una jotun” aveva detto invece Jason, anche solo per studiare l’espressione di Bee, quello non aveva fatto una piega, “Qui ce ne sono” aveva risposto.
“Jarnsaxa. Ci serve lei” aveva detto, solenne, Jason. Nessuna reazione aveva attraversato Bee.

 

 

“Questo è molto … imbarazzante” aveva commentato Jason, contento, per la prima volta, di potersi sfilare gli occhiali e tornare ad una visione leggermente offuscata del mondo. Era vulnerabile, certo.
Madina di rimando non sembrava condividere un’oncia del suo nervosismo e non aveva avuto problemi a scivolare via dai suoi pantaloni sportivi e rimanere con la pelle nuda in vista.
“Non siate timidi” aveva dichiarato Bee, mentre toglieva la sua tuta arancione da apicoltore, non avendo vergogna a mostrare la sua nudità. Appena Jason aveva tolto via la giacca di Astrid, aveva sentito il freddo di Jotunheim pungerli anche le ossa.
Jarnsaxa, a quanto pareva, aveva deciso di passare la serata in una sauna. Sauna che si configurava in una casetta di legno, all’esterno dello chalet di Utgard.
“Tranquilla, non permetterò di bollirci vivi” aveva detto Madina, prima di aprire la porta, come Jason era rimasta in intimo, forse non così folle da lasciarsi completamente nuda ed il pugnale legato al cuoio, allacciato alla gamba.
Jason era entrato in boxer, una mano chiusa a pugno con dentro Giunone e Halgaz.
“Oh, cosa c’hai portato Bee” aveva cinguettato una voce, di donna, non era stata Jarnsaxa, che era lì, Jason l’aveva riconosciuto subito.
Una donna intrigante, aveva braccia e cosce sode, il ventre piatto, definito, un petto voluminoso, capelli neri come l’ebano scuro e l’espressione rognosa sul viso, di chi, neanche un giorno di pace aveva incontrato.
Oltre lei, seduta in disparte sul gradone di legno, nella sauna c’erano già altre due persone.
Una bella donna dai capelli oro-bianco, offerente di curve morbide in ogni posto che Jason avesse mai immaginato una donna dovesse averle. E l’uomo, grosso, con addominali scolpiti e bicipiti spessi come acciaio. Un po’ in disparte era davanti l’ara infuocata che riscaldava la stanza.
“Mia signora Grid, loro sono Madina e Jason. Ragazzi, loro sono Grid – forse l’unica persona qui dentro che vi può prendere il simpatia – Logi il signore del fuoco e Jarnsaxa Spada di Ferro” aveva detto Bee.
“Lei è la madre del divino Vidar!” aveva esclamato con allegrezza Madina, rivolgendosi a Grid, “Oh, sì, il mio bambino però ora è ad Asgard” aveva dichiarato quella.
“Come dovrebbe mio figlio se ne avessi uno” aveva replicato Jarnsaxa, puntando gli occhi su di loro, erano dello stesso colore della brace.
“Tu … Jason … tu, eri con la romeia, l’altro giorno, l’amica di Thrud!” aveva dichiarato Jarnsaxa.
Madina aveva saettato lo sguardo verso di lui, pregna di perplessità.
“Sì” aveva ammesso Jason, che senso aveva mentire? “E lei era con Gerd” aveva considerato poi.
Nel sentire pronunciare il nome della signora di Alfheim, Jarnsaxa si era irrigidita, cosa che non era passata inosservata ai presenti.
“Logi, credo che la temperatura si sia fatta troppo alta per noi giganti di brina, sembra di essere a Mullspheim” aveva dichiarato Grid alzandosi e recuperando un asciugamano per coprire la sua nudità.
Logi aveva soffiato sul braciere per alzare ulteriormente la fiamma, “Sì, io inizio ad avere una certa fame. Scommetto che sono il doppio più veloce di te a mangiare” aveva dichiarato Bee, guardando il signore del fuoco. “Anche tuo fratello ai tempi ci provò e non fu fortunato” lo aveva rimproverato Logi, “Ma io sono quello sveglio della famiglia” si era giustificato Bee.
Era riuscito a sbarazzarsi dei due, lasciando loro con Jarnsaxa.
“Deboli” aveva commentato a mezza-voce la Jotun, con la bocca chiusa in una linea dritta. Non stava parlando di loro, ma dei suoi amici che l’avevano abbandonata.
“Che volete?” aveva chiesto poi Jarnsaxa, “Tanto siete qui per me. Lo ho capito” aveva detto quella, guardandoli in maniera cruda.
“Siamo colpevoli” aveva ammesso Jason, mentre cercava di raccogliere le idee, come dire ad una gigantessa che volevano sapere se era coinvolto con il furto di un cinghiale luminoso?
“Vi ha mandato Thrud? Cosa sta complottando?” aveva chiesto Jarnsaxa.
“No, Gerd” aveva mentito Madina.
Il nome della signora di Alfheim aveva di nuovo irrigidito Jarnsaxa, che aveva cercato di riacquisire controllo distogliendo lo sguardo da loro e passandosi le mani sui capelli per lisciarli.
“Oh! Tu sai qualcosa” aveva stabilito Jason, “Io so molto di molte cose” aveva risposto lei, senza particolare efficacia nel dissimulare.
“È stato H a dirti di distrarre Gerd?” aveva domandato Madina avvicinandosi subito, con sicurezza. Jarnsaxa si era ritratta indietro ed era scivolata via, per paura che la figlia di Ullr si avvicinasse troppo. I suoi occhi si erano spalancati per un secondo, Jason aveva visto nelle iridi scure, anche offuscato dall’assenza degli occhiali, un chiaro sentimento: paura.
Ma non credeva fosse rivolta a loro.
“Hai paura di H” aveva stabilito Jason; Jarnsaxa lo aveva guardato, distante, con gli occhi vacui, “Sì” aveva detto, senza colore, poi aveva recuperato lucidità, “Non so di che parlate” aveva detto alzandosi, immediatamente, riacquisendo lucidità.
Solo allora Jason aveva realizzato che era completamente nuda. Jason aveva sentito una vertigine nel vederla e l’imbarazzo era esploso sul suo viso brutale. Madina aveva chiuso la mano a tunnel e l’aveva portata alle labbra soffiando con vigore, una folata di vento aveva investito a pieno la gigantessa, riportandola a sedere.
“Oh, maledetta, hai portato la temperatura decisamente sotto lo zero!” aveva ringhiato offesa Jarnsaxa, incrociando le braccia.
“Cosa hai combinato con Gerd?” non aveva demorso Madina. Jarnsaxa aveva sciolto la sua espressione crucciata in un sorriso sardonico, “Gerd è una mia buon’amica” aveva dichiarato, ma non sembrava affatto sincero, “Però … potremmo fare un accordo” aveva proposto quella.
Jason si era messo sull’attenti, così come aveva fatto Madina, “Cosa vuoi in cambio?” aveva chiesto lui.
“Se domani vincerete al Biathlon vi dirò cosa mi ha chiesto di fare H” aveva affermato Jarnsaxa; “Ma se vincerò io, dovrai dirmi cosa ha combinato la Piccola-Sif” nel dirlo, la jotun aveva guardato Jason.
“Astrid?” aveva domandato lui confuso, pensando alla nipote della dea.
Jarnsaxa aveva aggrottato le sopracciglia nere, “No, Thrud!” aveva ricevuto come risposta.
Jason aveva sentito un certo brivido correre lungo la sua schiena. “Non sappiamo niente di Thrud” aveva detto lui alla fine, cercando di sembrare più onesto possibile; “Sei proprio un boy-scout, vero? Non hai mai mentito nella vita, vero?” aveva chiesto quella, facendo oscillare i capelli neri.
Fu tentato di risponderle che una volta aveva finto di essere un ghoul ed aveva pranzato anche con loro, ma non poteva
“Se non vinciamo, noi?” aveva chiesto allora Jason per prendere tempo.  “Allora ognuno si terrà i propri segreti e voi dovrete preoccuparvi solo a come sopravvivere. Bee non vi salverà due volte” aveva risposto Jarnsaxa. “Accettiamo” aveva detto Madina, di getto.
“Formalizziamolo?” aveva proposto la donna jotun; “Lo giuro sul mio onore” aveva dichiarato.
“Lo giuro sull’anello di Ullr” aveva dichiarato Madina, senza incertezza.
Jason aveva avuto il sentore che sarebbe svenuto.
“E tu, boy-scout?” aveva chiesto Jarnsaxa, guardandolo, “C’entra H? Quanto è pericoloso?” aveva chiesto Jason.
La sua domanda aveva confuso Madina, che gli aveva tirato una gomitata, “Non funziona così” aveva detto la gigantessa. “Tu parlerai delle tue motivazioni, io devo tradire la fiducia di un’amica” aveva detto Jason.
Non era stato reticente per quello, non fino a quel momento almeno – era più preoccupato che il suo segreto avrebbe portato ad una guerra tra pantheon – ma dopo aver pronunciato quelle parole aveva realizzato, con orrore, che era vero.
Vero.
Thrud. Kym.
Madina aveva stretto gli occhi, realizzando la portata delle parole di Jason ed aveva abbassato lo sguardo, con una certa tristezza negli occhi.
“Eh va bene. Diciamo che quando Odino, la notte, si stende nel suo talamo e va a dormire con il timore di cosa verrà ad ucciderlo il giorno dopo: non pensa al mio ventre florido, né Loki che porta caos, né la gola di Fenris, ma pensa ad H” aveva risposto.

Forse H era davvero la rottura, lo spezzarsi dell’equilibrio.
“Lo giuro sul mio onore” aveva confermato Jason.

 

Quando erano usciti fuori dalla capanna riscaldata, Jason aveva potuto osservare un nerboruto gigante fuggire via strillando, coperto di sangue. Il Lupo mezzo-Jotun teneva con orgoglio era lì impettito, con il muso insozzato, che sorvegliava i loro vestiti.
“Oh, grandi dei, ha fatto la guardia” aveva detto Madina, recuperando i suoi pantaloni. Jason si era chiuso la pelliccia addosso ancora prima di infilarsi la maglia, tanto il freddo pungente lo aveva colto.
Lupo aveva sentito le parole di Madina ed aveva scodinzolato soddisfatto. Immaginava che una pelliccia magica come quella di Astrid, potesse fare gola.
Si erano incamminati tutti e tre lungo la passeggiata di legno che collegava la sauna al resto di Utgard. “Stavo pensando: tu sei una figlia di Ullr, dio della neve, degli scii e della caccia. Letteralmente la prova di domani per te è un gioco. Quindi o Jarnsaxa è la presunzione fatta persona, o è molto sciocca o sta progettando qualcosa” aveva considerato Jason.
Era sceso il sole ed una notte quasi soffocante era calata su di loro. “La terza, Jason. Siamo ad una competizione di Utgard-Loki, non è l’abilita con scii ed arco che sarà valutata ma quella con lo Siónhverfingar” aveva detto Madina.
“Ovvero?” aveva chiesto Jason, spaventato.
“Un tipo di seid, il più ingannevole. Le visioni fasulle, la confusione. Le illusioni – o almeno quelle sono le arti di Utgard-Loki, ognuno usa il suo” aveva detto quella, calma, “L’unica regola e non farsi beccare. Tipo, se domani, per caso, dei fulmini cadessero dal cielo …” aveva detto lei.
Jason aveva annuito, “Ma se il Sion-on-so-pronunciarlo è in grado di creare visioni fasulle non potrebbero nascondere e creare finti bersagli?” aveva chiesto Jason, sapeva che nel biathlon si dovevano colpire bersagli.
“Sai Jason, mi sei simpatico, anche perché mi stai facendo fare sostanzialmente un’avventura… però non ti conosco così bene da poterti svelare tutti i miei segreti. D’altronde una ragazza ha bisogno di mantenere una po’ di mistero” aveva risposto Madina strizzandoli l’occhio.
Questo aveva guidato Jason ad un’altra riflessione: era arrivato nel Valhalla solo tre giorni prima.

 

Avevano raggiunto il portone di Utgard, lasciato aperto, sotto lo sguardo di alcuni giganti, alcuni interessati a loro ed altri, decisamente, colmi di acredine nella loro direzione.
Anche il padrone di casa era lì, indossava un completo da sera, composto di piume d’aquila, con un’espressione piuttosto placida. “Oh, siete riusciti a far scendere la temperatura anche nella mia sauna” aveva detto leggermente piccato. “Ho un talento per raffreddare le situazione” aveva giocato Madina con un sorriso onesto sul viso.
“Non avevo dubbi, Madina Ullrdottir. La cena sarà servita a breve, se ve la sentite, siete i benvenuti” aveva esclamato, senza colpo ferire, Utgard-Loki facendosi da parte.
Jason era entrato, osservando il signore dei giganti, seguito da una molleggiante Madina; l’espressione placida e divertita del gigante si era congelata appena i suoi occhi si erano posati sul Lupo.
“Lui no” aveva detto, “Lui non è ammesso qui” aveva dichiarato, nonostante il tono di Utgard-Loki fosse stato privo di ogni artifizio, di ogni malia, ma duro come il martello contro il ferro, Jason aveva visto sul viso sempre divertito un’espressione colma di tristezza. Lo stesso Jotun era infelice del suo bando. Il Lupo aveva uggiolato, ferito da quelle sferzate, ma prima che Jason potesse intervenire lo aveva visto chinare il muso e fari da parte, sparendo nell’alta neve.
“Questo spiega perché se n’era andato prima” aveva commentato Madina; Jason aveva sentito una stretta allo stomaco, il lupo era solo, non aveva dimora, non era amato dagli dèi, né dagli jotun.
Un esiliato.



[1] Avevo detto nell’ultimo capitolo che il Biathlon è con l’arco, in realtà quello vero è con i fucili, ma qui siamo a Juntheim.

[2] Se avete visto il primo film di Thor, lì Laufey è rappresentato come un Gigante di Ghiaccio, nei fumetti anche Farbauti appare, come una donna, mi pare. Non so che droga si fossero presi Lee e Kirby (cioè sì, perché Loki è l’unico che va con il matronimico) ma Laufey è la madre (considerando chi è Loki, non mi azzardo a dire Donna ahahah) e Farbauti il padre. Inoltre, Laufey viene elencata tra le aesir-donne.
Altre informazioni inutili: Laufey (Foglie) chiamata anche Nal (aghi di pino) è spesso associata all’albero e Farbauti (Crudele attaccante) il fulmine , che abbattendosi sul legno darebbe origine al fuoco (che spesso è associato al Loki – tal volta a Logi, ma capite che la similitudine dei nomi ha un senso), ovvero Loki.
Quindi sì, decisamente Loki non è un gigante di ghiaccio. Ah, Lee e Kirby, ah.

[3] Metto una nota per dire che l’etimologia del nome di Bee non ha senso. Può essere: Camminatore di Api o Tempesta Lampo o Calma Tempesta o Tempesta violenta. Chiaramente tra le quattro ho scelto l’unica a caso.

[4] Nome del regno dei nani (Letteralmente Terra Oscura) altra denominazione di  Nidavellir, che è noto anche come Svartalfaheim (Giusto per non farsi mancare nulla, 3 nomi), in realtà se non ricordo male, nel riordanverse lo chiamano così.
In realtà la mia amica germanista dice che  Nidavellir è la forgia, più che il mondo. Mentre Svaralfaheim è “la terra degli elfi oscuri”, ora, tra nani (Identificati come i Dvergar) ed elfi oscuri si stanno ancora dando botte da orbi i linguistici, però, Riordan li classifica come due specie diverse, ma molto simili, che coabitano lo stesso mondo. Perciò, Bee, fa politically correct ed invece dichiamarla la terra dei nani/elfi-oscuri, la chiama la Terra Oscura, per non far torto a nessuno.
Questa nota serve a qualcosa? No, ma io la lascio.


BEE:  https://www.deviantart.com/rlandh/art/BEEBOY-901403878

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Capitolo 12
*** Jason Grace spacca il cielo (e poi sviene, ovviamente) ***


EHILA’ stranieri!
Come va? Spero bene!
Io ovviamente no: mi si è rotto il telefono; quindi, ho vissuto nei meravigliosi anni ’90, poi sono stata male (ma no, niente covid) e per due settimane sono stata trincerata in casa. Inoltre, ho avuto un'altra serie di problemi personali, che mi hanno stressato parecchio ...
Morale della favola, i capitoli che ho scritto in questo tempo sono stati tutti influenzati dalla febbre (e dalla rabbia). Help.
Un grazie di cuore a Farkas per le recensioni, davvero, grazie <3 e a tutti colore che seguono/preferisco o anche solo leggono questa epopea delirante che è questa storia.
Spero che questo capitolo non vi deluda. Davvero.
Nel frattempo vi allego due disegnini fatti:
 - La nostra bellissima signora di Alfheim: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Gerd-905591821
- Lady Laufey:  https://www.deviantart.com/rlandh/art/Laufey-mother-of-Loki-905591472

Buona Lettura,
baci RLandH

 

Jason Grace spacca il cielo (e poi sviene, ovviamente)

 

La cena era andata relativamente bene, qualcuno aveva cercato di ucciderli lanciando dei coltelli, con la scusa di passarli a qualcun’altro vicino loro, ma era finita abbastanza bene. Erano ancora tutti vivi, anche grazie al provvidenziale intervento di Bee e Grid, che si era mostrata ben disposta alla loro presenza – Jason aveva visto anche Madina scambiarci un paio di parole, quando la sua amica era tornata le aveva detto che la madre di Vidar avrebbe fatto sapere a Bragi che erano vivi e salvi e che sarebbero tornati l’indomani – o almeno così sperava.
Madina si era raccomandata con la gigantessa di non essere molto specifica sul luogo in cui erano, ma non godevano di molte speranze.

“Adesso ci metteremo a dormire in una casa piena di giganti. Tu ci credi?” aveva esclamato Madina, piena di vita, quasi elettrizzata all’idea.
“Che ne dici se facciamo dei turni, per ogni evenienza?” aveva chiesto Jason.
Mentre Bee si palesava da loro con una bella tazza di latte-e-miele, indossando un guardaroba notturno. “Non sono molto entusiasta, inoltre, ecco, per la legge dell’ospitalità nessuno cercherà di farci del male attivamente, ma comprendo il tuo scetticismo” aveva considerato Madina, “Comunque, ecco, spero, di riuscirmi a riposare adeguatamente per competere domani” nel dirlo aveva passato le mani per lisciare la superficie dei suoi splendidi scii.
Erano di legno lucidissimo, ma erano stati dipinti con rune e figure dragonesche.
“Complottate come volete, io ho bisogno di dieci ore di sonno, probabilmente non sentirò la chiamata dell’alba” aveva dichiarato Bee, recuperando una mascherina da mettersi sugli occhi, prima di scostare le coperte del suo letto.
Aveva fatto capire, neanche troppo sottilmente, che non aveva intenzione di dividere il suo giaciglio con loro, affidando a loro il suo divano.
“Comincio io, con i turni di guardia, così sarò più riposata per questa mattina” aveva detto Madina, dando a Jason una pacca gentile sulla spalla.

 

Jason lo aveva saputo, dal primo momento, quando si era steso sul divano, che i suoi sogni non sarebbero state nubi nere.
Ne era stato certo quando i suoi occhi si erano aperti davanti un piccolo acquario pieno di pesciolini insospettabilmente colorati, si era guardato intorno cercando di indovinare in quale parte dei nove mondi fosse finito, quale divinità avrebbe visto quell’oggi, senza averne una minima idea. Ma l’ambiente aveva restituito a lui solo l’immagine di una piccola casa caotica, piena di libri, fogli e vestiti sparsi. Aveva scavalcato biancheria sospetta, fino a raggiungere la finestra, unica fonte di luce, tramite le fioche luminarie di una città addormentata. Aveva dovuto abituare gli occhi al buio, ma forse anche grazie alla sua condizione di Einherjar era stato più facile.
Aveva riconosciuto nella notte il profilo monumentale di un ponte, il Golden Gate Bridge … era a San Francisco, non lontano da Nuova Roma e il Campo di Giove.
Perché era lì?
Un rumore alle sue spalle, lo costrinse a voltarsi, allarmato. Nico Di Angelo era scivolato via dalle ombre senza fare una piega, “Spero di essere nel posto giusto” aveva commentato a mezza bocca, osservando l’ambiente circostante con spirito critico. Aveva un dito di fuliggine sulla guancia magra e bianca.
Jason avrebbe voluto correre in contro ed abbracciarlo, ma sapeva di non poterlo fare, però si era avvicinato, non era stato minimamente preparato a ciò che era accaduto dopo. Nico si era lanciato in avanti, una figura oscura si era fatta spazio. Jason aveva assistito alla colluttazione, aveva sentito il suono del ferro fendere l’aria, ma tutto era cessato con uno strozzato urlo di Nico.
“Fermati cretino! Sono io!”
Dii Imortales, Nico! Ma suonare il campanello, no?” aveva risposto esausto Percy.
Qualche attimo dopo la casa era stata illuminata dalla luce calda di una lampadina. Nico, non più avvolto dalle ombre, pareva più emaciato che mai, era bianco, coperto di fuliggine. Indossava una maglietta rosso sgargiante su cui era scritto a caratteri cubitali:
El Perro Caliente; che per qualche inspiegabile ragione Jason vedeva bene nell’armadio di Leo.
Percy era affannato, ma in pigiama di
pile azzurro su cui erano stilizzati sopra mitili e pesciolini – come la camicia di Kym.
“Scusa Percy, ma non posso più fare le cose da persona civile” aveva detto Nico, a disagio, guardandosi intorno. Aveva puntato gli occhi sull’acquario nel soggiorno. “Ti fidi di loro?” aveva chiesto. “Di chi?” aveva detto Percy, guardando, casualmente, nella direzione di Jason – che era frapposto tra lui e l’acquario.
“Dei Pesci!” aveva detto Nico, come se fosse ovvio. Percy lo aveva guardato, poi l’indignazione si era dipinta sul suo viso, “Certo! Sono i
miei pesci!” aveva esclamato protettivo.
I pesciolini, sentendosi presi in causa, avevano nuotato furiosamente a destra e manca.
Nico non era sembrato convinto.
“Ma, mi vuoi dire che succede?” aveva chiesto Percy.
Nico si era fatto ancora più bianco in viso, “Io … non volevo coinvolgerti, so quanto ci tieni alla tua vita
normale …” aveva detto Nico, “Strano, sei piombato nel mio soggiorno come un ladro” aveva replicato Percy. Nico aveva assottigliato lo sguardo, “Sì, io non volevo coinvolgerti prima, ma ora, be, una divinità marina, credo, stia cercando di uccidermi. Ad Indianapolis sono quasi morto affogato in una doccia. In una doccia! Percy! La gente non si affoga in una doccia!” aveva raccontato Nico, sedendosi sul divano del loro amico, dopo aver calciato via, la scatola di una pizza.
Percy lo aveva seguito, “Immagino non sia successo solo lì” aveva valutato, “Ah, no. Ho quasi pensato di emigrare in Nevada, nel deserto. Ho quasi fatto fuori anche Leo e Lyt. Per questo, be, sì, potrei averli lasciati … altrove” l’ultima parola Nico, l’aveva detta guardando a disagio l’acquario di Percy.
“Sono venuto da te, perché magari puoi aiutarmi a capire” aveva detto Nico, “Insomma; è il tuo campo” aveva aggiunto il figlio di Ade, un filo di rosso aveva imporporato le guance, quando aveva realizzato quanto Percy si fosse avvicinato a lui. Forse, il loro amico non era più il suo tipo, forse aveva una felice relazione, ma come sapeva bene Jason, certe cose non passavano mai velocemente.
“Fantastico, chiamo Annabeth” aveva detto Percy.
Nico lo aveva fermato, “No, io, ecco, ho la strana sensazione che non dovrei dirlo a nessuno” aveva detto il figlio di Ade.
Percy aveva sollevato un sopracciglio, “Chirone, non sa che sei in giro, vero?” aveva chiesto.
“Immagino che ora sia lui sia il Signor D. avranno notato che non sono al campo, ma nessuno sa perché” aveva risposto Nico, nel farlo aveva guardato ancora i pesci.
Stava mentendo, lo sapeva Will e lo sapeva la sorridente Silena, nei Campi Elisi.
Lo sapeva anche Jason, perché ne era la causa e …
sospettava lo sapesse anche Kym.
Doveva essere Kym.
“Be. Nico, qualche anno ed una decina di missioni mortali fa, ho imparato una cosa: senza Annabeth sono perso, spesso letteralmente” aveva replicato Percy. Inopinabile.

 

Madina lo aveva svegliato con tocchi gentili ed amichevoli.
“Sogno agitato?” aveva chiesto lei.
“I miei amici, loro non stanno passando un bel momento” aveva raccontato, parzialmente, Jason. Un’espressione di dolcezza aveva inondato il viso di Madina, “Un giorno passerà. Un giorno, loro saranno altrove e lontano. Da un certo punto di vista è bello, perché, ecco, non ti senti più così frustrato dalla loro lontananza, da un altro … i ricordi cambiano ogni volta che li ripercorriamo” aveva detto, accarezzandoli, la fronte gentile.
Era stanca.
“Facciamo cambio” le aveva detto Jason, tirandosi su dal divano, per permetterle di stendersi. Madina aveva ubbidito senza lamenti.
Jason si era alzato dal divano, raggiungendo la piccola cucina della suite, stanco, con il sogno ancora pesante sul cuore.
Da che la sua anima era stata strappata dalle isole aveva avuto diversi sogni su Nico …
Nico che realizzava lui non fosse più nel regno di sua competenza, che lo raccontava al suo ragazzo, aveva avuto contatti con Leo ed era ovvio, si disse stupidamente, che Kym avrebbe tenuto d’occhio la situazione.
Una figlia di Poseidone aveva fatto rapire l’anima del figlio di Giove dall’Orco, per consegnarlo ad Odino, ponendo un fiammifero vicino al barile di fuoco greco che avrebbe potuto incendiare una guerra sociale tra gli Olimpi ed una tra due pantheon diversi.
Kym doveva aver ignorato l’abitudine di Nico del sorvegliare i suoi cari, affidandosi solo al loro zio, e l’abitudine di controllare solo i regni immortali dove risiedevano le anime di chi aveva avuto sfortuna.
Chi scapperebbe mai dai campi elisi, infondo?
Ma doveva aver saputo di Nico e doveva aver valutato che provocare la morte di Nico, fosse un prezzo accettabile …
E, dei immortali, Jason si sentiva responsabile anche di quello.

Non aveva svegliato Madina per il resto della notte, decidendo che il suo riposo era più importante di quello di Jason. Si era tirato su, tutta la mattina, grazie a caffè e miele di Bee.
Nonostante ciò che aveva detto lo Jotun prima di addormentarsi, si era svegliato anche lui, poco prima che sorgesse l’alba. “Pensavo avessi bisogno di dieci ore di sonno” aveva detto Jason.
Quello aveva sorriso esausto, “Sì, ma prova ad avere per famiglia un gruppo di mentalisti con poteri ingannevoli. Dieci ore di sonno sono pura utopia” aveva dichiarato quello, mentre raggiungeva il suo minibar per recuperare il suo grande corno.
“Allora, avete bisogno di uno stregone, per fare qualche malia?” aveva domandato quello, “Cosa ci guadagni?” aveva chiesto Jason.
“La vita di un apicoltore è insospettabilmente noiosa” aveva replicato Bee, senza colpo ferire; Madina li aveva raggiunti, con il sonno ancora impastato sul viso, “Ho sognato gli altri” aveva dichiarato senza particolare cupezza. “O meglio, ho sognato Mel e Stellan. Stanno bene, hanno recuperato le braghe; a quanto pare è una storia divertente” aveva dichiarato lei, calma. Fino al giorno prima, a Jason era parsa rilassata e tranquilla, ma in quel momento pareva quasi leggera.
“Vinciamo la sfida, filiamo dritti nel Valhalla e continuiamo” aveva dichiarato ristorata Madina; Jason aveva annuito – “Oh potremmo filarcela ora, visto che è andata” aveva soppesato Jason.
Avevano deciso di andare ad Jotunheim per guadagnare tempo, caso mai non avessero saputo della profezia. “Negativo, amico mio, abbiamo giurato” aveva ricordato lei.
Giusto!” aveva concordato Jason, passandole una tazza di tè caldo con il miele.
“Allora” aveva esordito Madina, “Io competerò alla prova, mentre Jason, caro, tu dovrai occuparti del resto” aveva spiegato subito lei.
“Nelle competizioni di Utgard-Loki ogni atto è permesso, purché non sia rilevabile” li aveva avvertiti Bee, con un sorriso tranquillo.

“Ecco, tesoro, tu sarai Eihwaz” aveva detto Grid dando a Madina una pettorina su cui era presente una runa, sembrava un uncino acuto, che lei aveva indossato sopra la maglietta verde bottiglia ed i pantaloni elastici. La runa Eihwaz era visibile sia dal petto che dalla schiena.
Portava gli scii su una spalla, arco e frecce infilate nella faretra, legata alla schiena da una cintola che le tagliava il ventre in obliquo.
“Grazie” le aveva detto gentile Madina, congedandosi, aveva strizzato uno sguardo a Jason, prima di mettersi in fila con gli altri partecipanti.
Non lontano da Jarnsaxa, in tuta da scii ed occhialini protettivi.
Erano sulla cima di una montagna, ma non vi erano saliti, era arrivata lì, si era scavata intorno a loro, con Utgard sul suo cucuzzolo.
“È un illusione?” aveva domandato subito Jason a Bee, “No, sì. Forse qualcuno ha solo modellato il mondo” aveva risposto l’uomo con calma, “Bene, sei pronto a fare la tua magia” aveva dichiarato Bee.
Utgard-Loki stava spiegando a gran voce le regole, il percorso era di una certa vastità, terminava in un luogo riconoscibile da una lunga e luminosa banda rossa, passava due diverse alture – e Jason non aveva idea come fosse previsto per i partecipanti risalire con gli scii – uno slalom in una foresta, venti bersagli in movimento. Ognuno dei partecipanti avrebbe avuto frecce su cui inciso la propria runa di riconoscimento.

“Il primo che taglierà la linea segnerà la fine della competizione. Nessun bersaglio toccato dopo sarà conteggiato” aveva dichiarato Utgard-Loki, “Inoltre: non si vola e non sono ammesse magie” aveva riso nell’ultima frase da lui affermata.
Aveva sollevato le braccia verso il cielo, “Adesso miei Giganti e Gigantesse … ed ovviamente Einherjar di fortuna, potete cominciare” aveva gridato Utgard-Loki e dalle sue mani erano eruttate scintille.
L’attimo dopo era cominciata la folle discesa.
“Andiamo su-su” aveva detto subito Bee, cominciando a correre e Jason aveva osservato come anche altri jotun, che non avevano partecipato alla gara di scii stavano cominciando a scendere.
“Ragazze mi raccomando seguite la figlia di Ullr” aveva detto Bee, ad una piccola ape che aveva presto deciso di scomparire nella neve.

Il gigante, come lui, affondava ad ogni passo, ma sembrava decisamente più a suo aggio di quanto avesse mai fatto Jason. Un fruscio alle loro spalle li aveva disturbati.
Era un gigante, quello del giorno prima, grosso, che era stato poco felice della loro presenza lì. Fornjotr. “Oh, Bee, qui fuori la tua protezione non ha valore” aveva ringhiato, tirando fuori un’ascia.
“Io non sono un combattente” aveva dichiarato Bee, “Cioè lo sono ma faccio schifo” aveva precisato. Jason aveva infilato una mano nella tasca ed aveva lanciato Giunone in aria, quando l’aveva ripresa, lei si era trasformata in un gladio scintillante.
“Fai la magia illusoria, io mi occupo di lui” aveva detto Jason, calmo. Calmissimo.
Stava affidando a Bee, di cui non si fidava affatto, l’aiuto che Madina aveva chiesto, cosa che Jason non poteva permettere.
Kym stava progettando l’omicidio di Nico.
Nico aveva trascinato Percy.
Jason non avrebbe lasciato da sola anche Madina.
“Tu non sei uomo da cicatrici sulla schiena, vero, Einherjar?” aveva domandato il gigante, sollevando la sua ascia, “Io so che è un modo di dire sul fatto che sono coraggioso, ma in realtà sono morto pugnalato alla schiena, due volte” aveva risposto Jason.
“Be, sicuramente sei divertente” aveva dichiarato lo jotun.
O i nordici avevano un senso dell’umorismo raccapricciante, perché Jason non era mai stato divertente.

 

Fornjotr aveva sollevato l’ascia e si era lanciato verso di lui, Jason lo aveva evitato per un miracolo, i suoi riflessi pronti erano stati gravemente inficiati dalla coltre di neve su cui erano.
Aveva approfittato del fianco libero del Gigante, per colpirlo sull’anca.
La lama d’oro era scintillata alla luce tiepida del mattino, ma la punta aveva avuto uno scontro netto con l’armatura di cuoio.
Fornjotr aveva riso, di lui. Jason aveva fatto scattare l’altra mano, a palmo aperto, con violenza ed una fonte d’aria bruciante lo aveva attraversato irrompendo contro il petto del gigante che era stato sbalzato via. Quello era finito con forza contro un tronco, finendo per spezzare l’albero.
“Questo è stato inaspettato” aveva dichiarato lo jotun con un colpo di tosse, tirandosi su con fatica, “Sei un figlio di Njord?” aveva chiesto poi, con una risata.
“No” aveva risposto Jason, mentre l’uomo aveva fatto passi pesanti per recuperare la sua ascia, Jason aveva sentito l’aria farsi più fredda, quasi elettrica.
“Meglio per te, perché il suo vento non è nulla rispetto la mia tempesta” aveva ringhiato, impregnando l’aria di una risata piena; aveva alzato nuovamente la lama verso il semidio, lanciandola. Jason non aveva usato il vento per deviarla, lo aveva sfruttato per sollevarsi dalla neve, “Esattamente: quanti dei della tempesta esistono in questa mitologia?” aveva domandato lui, stringendo la presa su Giunone.
“Non importa. Io sono il più vecchio!” aveva specificato Fornjotr con vigore, “E non mi interessa da chi tu sia schizzato fuori” aveva ruggito.
Jason aveva sentito i venti su di lui, nemici, non era come Dylan, che era suo opponente, ma che a Jason era comunque possibile domare, no, questi venti queste energie erano per lui estranee.
Aveva visto creature come Tempesta, solo che invece di essere maestosi cavalli di vento, erano lupi. Enormi, aggressivi.
Jason era schizzato nel vento evitandoli. Fornjotr aveva raggiunto invece il tronco dove si era ficcato l’ascia per recuperarla. Il figlio di Giove aveva fenduto l’aria con un taglio d’oro di Giunone, aveva decapitato un lupo, che si era dissolto in una folata d’aria. Jason aveva evitato gli altri, a balzi, fino a tornare sulla neve, tenendosi sollevato però dalla terra, di meno di un centimetro, abbastanza per non affondare.
Fornjotr lo aveva caricato ancora, Jason aveva usato Giunone per intercettare la lama, avevano cozzato l’un l’altra un paio di volte.
Prima che Jason con uno slancio, posasse una mano sul pettorale dello Jotun, stringendo le dita sulla clavicola, l’attimo prima che un lupo di vento addentasse con denti glaciali come schegge di ghiaccio sul braccio armato. Nonostante la pelliccia di Astrid, aveva sentito il dolore del morso.
Jason aveva stretto le labbra e i denti, resistendo al dolore e all’urlo.
Io.sono.la.tempesta” aveva stabilito, fissando gli occhi dritti nello sguardo verso lo jotun, prima che sentisse un’energia potente fluire dentro di lui, fulmini brucianti erano scintillati nelle sue vene, prima di riversarsi sullo jotun, folgorandolo in pieno.
Fornjotr era caduto per terra, decisamente scosso, tanto era bastato perché perdesse il controllo sulle sue bestie di vento, la morsa sul braccio di Jason si era allentata del tutto, lasciando solo il dolore, aveva guardato il suo braccio, la pelliccia era sbrindellata e Jason poteva vedere la maglia di ferro d’oro scintillante sotto. Astrid si sarebbe infuriata.

Lo Jotun si era tirato su, c’era stanchezza nel suo viso, nel suo corpo, “Sei bravo ragazzino! Questo non è Thor – roba da Signore. Forse Odino? Un tempo anche lui sapeva giostrarsi nelle tempeste, ma no: Perkunnas? Perun? Zeus?” aveva chiesto retorico. “Giove. Io sono un figlio di Giove Ottimo Massimo” lo aveva corretto Jason, sentendo l’elettricità correre sotto la sua pelle.
Se lo jotun avesse avuto intenzione di tirarsi su ancora, era stato fermato da una grossa zampa lupesca che aveva spinto Fornjotr a terra.
Il Lupo esiliato era apparso dal nulla, davanti a lui, ed aveva messo a terra Fornjotr. “Ah, che strani amici, che ti sei fatto, Drefabróker[1]” aveva sospirato quello. Il Lupo aveva ringhiato senza arretrare di un solo passo. Aveva girato il muso verso Jason, ed aveva sollevato il collo, come ad accennare un proseguimento.
Jason aveva annuito, recuperando la sua spada, le ferite avevano cominciato a rimarginarsi.
Drefabróker, non sapeva perché, ma non li pareva fosse un nome. Non veramente.

Jason si era rimesso a correre, cercando di identificare Madina, ma dopo tutto quel tempo non sapeva come trovarla, intorno a lui era sceso il silenzio, tutti i competitori della sfida erano scomparsi.
Jason fatto un balzo, sollevandosi nell’aria per riuscire a non affondare nella neve, cercando di destreggiarsi per la foresta, in cerca di un indizio. Poi l’aveva vista ronzante davanti a lui, una grossa ape gli era volata davanti per allontanarsi.
Jason l’aveva seguita, certo fosse una delle ragazze di Bee.
La sua fede era stata ricompensata, perché, luminoso ed arancione aveva trovato l’apicoltore. “Su, Ilda, pungi quell’energumeno lì” aveva sussurrato lo jotun ad un’ape che era schizzata subito verso un gigante, l’attimo dopo quello era caduto per terra.
“I pungiglioni delle ragazze sono piuttosto potenti” aveva scherzato Bee, strizzando verso di lui l’occhio; “Sai che ogni volta che un’ape punge qualcuno, muore?” aveva chiesto retorico Jason. “Le altre api sì, le mie no” aveva risposto Bee, indignato, con una mano sul petto.
Aveva pensato a Percy difensivo verso i suoi pesci.
“Sono tipo caricate al sonnifero?” aveva chiesto Jason, “ – Io sono un dio calma-tempeste, le mie ragazze portano la quiete e …” aveva risposto lui.
“Sarebbe stata utile contro Fornjotr” lo aveva interrotto Jason seccato, “Probabile, ma tu andrai via. Io domani sarò ancora qui, con Mr Gigante Ancestrale… e tu stai lievitando” era stata la risposta onesta e sconvolta di Bee. Jason era atterrato sulle piante dei piedi e poi era affondato successivamente nella neve. “Madina?” aveva chiesto.
“Oh, la tua amica sta andando una furia, evita alberi e frecce, modella la neve sotto di lei ed ha preso tutti i bersagli fino a ora, neanche mezza illusione la ha ingannata” aveva dichiarato subito Bee, ammirato, “Utgard-Loki aveva preparato certe sottigliezze impossibili da vedere, perfino per uno attento come me” aveva raccontato, prima di ammettere che l’aveva persa di vista.

Un frusciare veloce aveva annunciato l’arrivo di Drefabróker, che li aveva guardati interessato, chinando la testa di là. “Riusciamo a cavalcarti in due?” aveva chiesto lo Jotun, “Non importa, io volo” aveva dichiarato Jason, prima di sollevarsi di nuovo in cielo.
“Piccola peste in che casino mi hai messo?” aveva sentito, lontano, Bee lamentarsi, aveva ricevuto in risposta un ululato.
Jason si era sollevato appena oltre le fronde, cercando dal cielo la sua amica. Aveva osservato gli ultimi jotun che affrontavano la discesa boschiva, una era appena caduta colpita in pieno da una lancia.
Aveva osservato invece i giganti rimasti ancora in piedi che avevano smontato dagli scii e li avevano issati sulle spalle per poter arrampicarsi sulla salita prevista nel discorso.
Aveva individuato, subito, Jarnsaxa, slanciata e decisa, con passo spedito verso la vetta – a guardarla da quella distanza pareva più alta e grande – affondava nella neve, ma teneva il ritmo battente, più avanti degli altri. Jason non aveva la minima idea di dove fossero finiti gli scii, ma aveva l’arco teso ed una freccia incoccata, pronta a colpire.
Lui non si era perso d'animo; Jason aveva cercato Madina tra le persone rimaste indietro. Aveva impiegato del tempo per trovarla, ma aveva riconosciuto, alla fine, la chioma disordinata di riccioli scuri della sua amica.
L’ordinata treccia pareva un pallido ricordo. Madina aveva sistemato gli scii sulla schiena, nella custodia, aveva però l’arco alla mano. Aveva notato che alcuni jotun, come la sua amica, non affondavano nella neve – nell’Edda, aveva letto, oltre i giganti di fuoco, che vivevano in tutt’altro modo, c’era una differenza: quelli di ghiaccio e quelli di roccia – ma nessuno sembrava così svelto come lei.
Jason l’aveva vista arrestarsi improvvisamente, poi senza esitazione aveva teso l’arco alla sua destra e lesta aveva scoccato una freccia. Aveva osservato il dardo fendere l’aria verso il niente, l’azione aveva attirato l’attenzione di alcuni Jotun. La confusione di Jason, però, si era dissipata un momento dopo, quando aveva visto che Madina non aveva mirato verso il nulla; la freccia si era conficcata nell’aria, l’attimo dopo al posto del nulla era apparsa una cerva di legno, immobile, su cui il dardo era piantato.
Madina lo aveva veduto nonostante l’illusione.
Jason aveva sorriso, rincuorato, la sua amica aveva rivelato, in precedenza, che aveva ancora dei segreti su se stessa.
Il pensiero l’aveva distratto, abbastanza da non vedere un grosso jotun infuriato lanciare una lancia verso la sua amica, neanche Madina lo aveva notato, Jason si era concentrato ed aveva chiamato il vento, forte e potente per cui un destriero fatto d’aria aveva deviato di molto la mira, evitando la ragazza. Madina non se n’era neanche accorta.
Jason fece un respiro profondo; Madina era spedita nella sua salita, a superarla, oltre Jarnsaxa vi erano solo pochi altri giganti, la maggior parte era alle sue spalle; lui doveva darle un vantaggio.

Il figlio di Giove aveva chiuso gli occhi ed aveva fatto un lungo e profondo respiro, Sapeva di poter far qualcosa, lo sapeva, perché aveva ricordi – sbiaditi – degli anni di Roma di averlo letto negli annali, dei poteri strabilianti che erano stati mostrati da alcuni figli di Giove. Non lui, non fino a quel momento.
Però, in cuor suo, stranamente, sapeva di potere.
Forse prima, in vita, no, ma in quel momento non era più un semplice mezzosangue, era un einherjar.

 

“Lo sai che nel 1888 un figlio di Giove ha scatenato un Temporale di Neve[2] di proporzioni apocalittiche sulla east-cost?” aveva chiesto retorica Reyna.
“Cosa faceva lì?” aveva domandato Jason, genuinamente confuso. “Non so. Era finita la guerra di secessione da un ventennio, magari c’era ancora qualcosa in pasto” aveva valutato quella, tranquilla, “Tu pensi di poterlo fare?” aveva domandato lei interessata.
“Sembra … Forse” aveva risposto, insicuro, Jason.

Prima però di tentare alcuna cosa, aveva ricordato le regole del gioco. Non era questione di barare ma di non farsi notare. Così, Jason aveva cercato con lo sguardo Bee e Drefabróker, lì aveva trovati, stavano risalendo l’altura spediti, lo Jotun sulla groppa del lupo. Lui era arrivato al loro fianco, ma volando non era in grado di reggere l’andatura veloce della bestia.
“Jason!” aveva esclamato Bee, vedendolo. “Devo fare una cosa: pericolosa per me, per tutti” aveva dichiarato Jason, mentre Drefabróker si era arrestato, per permettere a Jason di issarsi sul suo dorso, proprio dietro Bee – per un secondo aveva ricordato Festos con Piper e Leo.
“Fantastico. Ti odio, perché mi metti sempre in queste situazioni” aveva ringhiato Bee, nel dirlo aveva tirato un buffetto con il tallone sul fianco del lupo, che ne era stato piuttosto infastidito.
“Bee, tu sei un’illusionista, vero?” aveva chiesto poi Jason, “Sì. Be, mi diletto. Mio fratello Loki dice che sono a malapena un mago prestigiatore impiegabile per una festa di bambini, ma lui ora è legato tra due rocce con degli intestini e un serpente che gli cola veleno in faccia ed io sono libero. Così penso sia ovvio chi sia l’incantatore più bravo” aveva raccontato trionfante Bee, ricevendo in risposta un ringhio da parte di Drefabróker.
Jason lo aveva ignorato a pie pari, “La gara funziona per Swa-Incantesimi Illusori, che però non devono essere scoperti. Devi nasconderci” aveva esclamato Jason, perentorio.
Bee aveva annuito, aveva slacciato un poco il colletto, per prendere aria. “Secondo te, cosa è meglio: seid o magia runica?” aveva domandato Bee poi. Il figlio di Giove si era fatto rigido, “Non ne ho-” aveva provato Jason, ma presto era stato chiaro che la domanda fosse stata posta al lupo, quello aveva emesso un ululo, preciso, come se avesse espresso un’opinione chiara. “E Rune sia! Allora... Odio la magia runica, sono un dannato jotun!” si era lamentato Bee, prima di infilare una mano nella fessura sul davanti della tuta per estrarre un sacchetto, “Spero di non perderle” si era lamentato, mettendosi a frugare. Per Jason era eccezionale che riuscisse a farlo mentre cavalcavano il lupo, Jason era letteralmente arpionato al pelo, con il viso schiacciato sulla schiena di Bee.
“Perfetto! Algiz, la protezione” aveva dichiarato il gigante, recuperando una tessera. Aveva una forma esagonale ed era di un materiale di pietra levigata, liscia e luminosa, su cui era inciso qualcosa, in oro-bronzo. Bee aveva sussurrato qualcosa, con un tono basso e veloce, come una cantilena, poi una luce brillante li aveva avvolti, “Ecco, sì, ora siamo ben schermati” aveva dichiarato tronfio.
Jason aveva annuito, forzandosi a lasciare la presa dalla pelliccia grigia del lupo, per sollevare le braccia al cielo, spaventato.
Aveva richiamato ogni vento su cui avesse percezione, anche se erano ostili, diversi, selvaggi, ma lui ci aveva provato, si era appellato ad ogni del suo corpo forza per tirarli giù, i più freddi ed acuti, dalle altitudini più lontane, fino alla terra. E lo aveva fatto, gli aveva domati tutti, più feroci di Tempesta, di Dylan, di chiunque.
Freddo.
Era venuto giù il freddo, così come le correnti, forti, che si scontravano l’un l’altro, i gelidi venti delle alture e quelli più miti delle quote terrestri. E quella lotta aveva fatto scivolare il mondo in un algido clima, così freddo, come neanche Jotunheim era mai stato, così forte che anche tramite la pelliccia di Astrid lo poteva sentire. Poi era cominciata la neve, neve, pesante e dura come proiettili, sferzata in ogni direzione, come una bufera. Era neve, come pioggia.
E i fulmini, prodotti dai venti termici differenti, alimentati da Jason, dal suo potere, dalla sua vitalità, qualsiasi tipo di vitalità.
“MA …” si era lasciato sfuggire Bee, mentre il figlio di Giove si era impegnato, profondamente, per tenere il temporale di neve controllato, nella zona che a lui serviva.
E fulmini e tuoni erano crollati sulla neve, sull’altura, bloccando ogni avanzata, ogni possibilità.
Jason aveva tenuto su il Temporale di Neve fino a che aveva potuto, fino a che il suo corpo aveva retto, la sua energia lo aveva sostenuto. Aveva sentito il sangue gocciolare via dal naso, la testa rimbombare e la vista farsi oscura.
Aveva sentito il lupo ululare, pieno di terrore. Bee si era voltato verso di lui, con un viso quasi granitico, gli occhi spalancati, ammirato, ma anche terrorizzato, “Cavoli, amico, sei un Ergi[3]. Un ergi maledettamente potente” aveva valutato. Jason lo aveva ignorato, anche perché volendo non sarebbe riuscito altrimenti, sentiva ogni muscolo del suo corpo, ogni centimetro della pelle, andare a fuoco. Bruciava. La testa pulsava come percorsa da un martello, ma non poteva cedere.
Il roborare del vento e il picchiare dei tuoni aveva offuscato ogni altro suono, perfino quello dei suoi stessi pensieri. Jason aveva sentito il sapore del ferro, del sangue, sulle labbra.

“Sai Jason, tu sei terribilmente potente, ma a volte, ho l’impressione che tu non ti renda neanche conto che hai dei limiti”
“Se tu che mi hai chiesto di farlo, Reyna”
“No ti ho solo chiesto se potevi”


Aveva tenuto su la tempesta fino a che aveva potuto, fino a che non era collassato.
Fino a che i suoi arti non si erano fatti di gelatina ed aveva perso la presa con le gambe sul dorso del lupo.
E quando non era riuscito a reggere più i venti e i fulmini, era crollato.



[1] Drefabróker non ho idea di quanto sia corretto, perché ho preso le parole dal dizionarietto, ma ho tentato di coniugarle io (Uhm, dovevo chiamare la mia amica germanista, ma poverina al momento è in piena crisi esistenziale da vasi germanici), ma non ho intenzione di tradurlo. Per ora. Comunque: Drefa è il termine all’infinito, mentre Brók/Brøker è il nominativo (ho inserito l’er, che mi pare sia accusativo).

[2] Non è quello che state pensando; pace e amore da IL METEO ( http://www.la-meteo.it/temporali-di-neve-e-nevicate-estreme-primaverili/);
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/62/Occludedfront.gif/350px-Occludedfront.gif

[3] Un altro modo per definire gli stregoni che praticano il seidr.

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Capitolo 13
*** Hai presente tutti quei miti sul non fare infuriare le divinità marine? Ecco, sì, forse andavano letti meglio ***


ECCOMI!
Prima di tutto: ho risolto tre quarti dei miei problemi (questo vuol dire che avrò tre quarti in meno del tempo per scrivere, ma non importa, possiamo farcela).
Questo capitolo come l’ultimo (e metà del prossimo) è stato scritto sotto il flusso della febbre, ma ho avuto modo di sistemarlo un po’ per dargli un po’ più di coerenza. Non ci sono riuscita, a metà c’è un enorme, anzi gigantesco, nodo gordiano che è stato riscritto dodici volte senza successo.
Bene, riguardo al titolo, per scriverlo sono state prese in causa diverse persone, cioè ho tormentato tutte le mie amiche lol, il titolo originale, ve lo lascio, perché mi piaceva troppo: La Cat(fish)fight Divina.
Detto questo sempre un enorme grazie di cuore a Farkas per le recensioni e a chiunque segua/preferisca o anche solo legga.
Oltre questo, finalmente la povera Jarnsaxa ha anche il suo disegno e ne ho anche un altro, che metterò al fondo.
Comunque, ecco, la nostra ‘Saxa nella Sauna: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Jarnsaxa-the-rival-of-Sif-907217284
Baci
RLandH

 

Hai presente tutti quei miti sul non fare infuriare le divinità marine? Ecco, sì, forse andavano letti meglio

 

Jason era nel Valhalla. Aveva riconosciuto la camera da letto spaziosa di Kráka, aveva riconosciuto anche la valchiria. Era seduta al suo tavolo da pranzo che osservava con incredibile attenzione le rune di Astrid. La donna aveva al suo fianco una serie di fogli su cui stava scrivendo fittamente in linguaggio runico. “Quindi hai creato tutti quei casini ai piani dei Re solo per non ammettere che non avevi idea di cosa dicesse il futuro?” aveva chiesto un’altra voce, Jason aveva potuto vedere un’altra valchiria raggiungere Kráka e posando una tazza di te freddo con ghiaccio alla sua con-sorella.  Era alta, quasi quanto Boedicca,ma più snella della cuoca valchiria. La donna esibiva una folta capigliatura bruna, discinta, che scendeva sulla schiena dritta come una spada e le spalle ampie. C’era qualcosa di profondamente ruggente in lei. La stessa imperiosità di Reyna.

“Lagherta come sei mal pensante!” aveva risposto Kráka fintamente indignata.
Lagherta aveva sollevato un sopracciglio nero, con uno sguardo piuttosto critico, “Va bene, è successo qualcosa. Il mio dono è oscurato, devo farlo alla vecchia maniera e la vecchia maniera prevede un’attenta analisi di tutti i significati” aveva raccontato Kráka, “Devo valutare l’ordine, la distanza, il modo in cui sono cadute, le inclinature” aveva riportato, sembrava stanca. Lagherta le aveva posato una mano sulla spalla, gentile, “Va bene, ma dovrai rispondere tu alle domande del bel cherusco” aveva dichiarato con estremo divertimento l’altra. “
Laghertaaaa!” si era lamentata Kráka voltandosi sconvolta verso l’altra valchiria, che di rimando aveva aperto la porta, aveva lasciato entrare Mel, prima di scivolare fuori.
Mel indossava la maglietta dell’hotel, i suoi capelli erano lasciati sciolti, invece che nella treccia severa, ed indossava un paio di pantaloni di pelle del colore del cuoio. “Belle le tue
braghe nuove” aveva commentato Kráka, “Quando le aveva Richard erano pelose, ma appena le ho messe sono diventate così” aveva risposto scanzonato il suo amico, “Le rivuoi?” aveva chiesto. “No, serviranno più a voi che a me” aveva dichiarato con nonchalance Kráka, con un sorriso mesto. “Sai? Prima che andasse verso la sua morte, ho cucito per il mio Ragnar una tunica resistente a qualsiasi arma – ora è con lui a Nilfheim” nel pronunciare il nome del regno dei morti, Kráka aveva assunto un tono lugubre; suo marito era stato un grande guerriero e, forse lei non doveva accettare che non stesse lì, nella Sala dei Caduti[1]; “E be, allora lui ha dato i pantaloni resistenti a qualsiasi veleno al piccolo Ubba” aveva commentato, con voce spenta, “Alla fine è stato ucciso a causa dei morsi di centinaia di serpenti, divertente no?” aveva scherzato forzatamente lei, gli occhi pregni di dolore. Mel si era fatto colmo di disagio, abbassando gli occhi sui suoi nuovi pantaloni di pelle. “Ti stanno meglio che ad Ubba” aveva recuperato calore Kráka.
Mel aveva annuito, poi con tranquillità, recuperando lucentezza, aveva chiesto: “Quindi mi serviranno un paio di pantaloni a prova di veleno?” desideroso forse di cambiare argomento.
“Può darsi. Devo farti una confessione, vecchio amico, non sta andando benissimo. È chiaramente successo qualcosa. Però di una cosa sono certa; guarda qui” aveva considerato Kráka, indicando una Runa. Mel l’aveva guardata, anche Jason si era sporto per osservarla. Il simbolo inciso sulla tessera somigliava ad una F con le stanghette laterali oltre ad essere fra loro parallele, e della medesima lunghezza, non erano perpendicolari a quella verticale, ma obblique.
Fehu” aveva letto Mel, “Fehu. La runa di Frey” aveva ripetuto Kráka, “Tra i suoi infiniti significati: la ricchezza” aveva aggiunto la volva. “Se ci troviamo a doverci confrontare con un vasto tesoro probabilmente incontreremo un drago, dici?” aveva chiesto Mel retorico, dando un pizzico all’orlo dei suoi pantaloni. “Può darsi, può darsi. Forse incontrerete semplicemente un figlio di Frey, è un dio della fertilità, non mancano” – Mel aveva borbottato qualcosa, che Jason non aveva capito. La volva aveva continuato dritta come una frecci: “Oppure vuol dire che troverete il dannato cinghiale luminoso” Kráka aveva fatto una pausa, stanca. “Inoltre, la tessera è inclinata, è un presagio non felice, Mel. Il desiderio di Ricchezza porta gli uomini in vie infelici, lo ho visto con la mia famiglia” aveva raccontato con un tono di voce calmo. “Questa canzone la conosciamo entrambi” aveva sussurrato Mel, allungando una mano per metterla sulle spalle della donna, calmo.
“A proposito, quando sei salito nei piani dei Re, hai parlato con tuo padre?” aveva chiesto Kráka, improvvisamente. Mel era avvampato.
Jason non aveva sentito la risposta.

  

 

Jason si era svegliato grazie al sapore zuccherino sulle sue labbra. Aveva aperto gli occhi con fatica, incontrando il viso lentigginoso e pieno di aspettativa di Bee. “Buongiorno Ergi” aveva dichiarato lo Jotun allontanandosi. Jason aveva battuto le ciglia, ricordava che lo Jotun lo avesse chiamato così anche un’altra volta.
Ormai esausto di tutte quelle informazioni vorticanti, Jason aveva deciso di mandare giù tutto. Si era tirato su, realizzando di essere stato steso nella neve fino a quel momento. “Spero non tenessi troppo alla tua pelliccia, la hai intrisa del tuo sangue” aveva commentato Bee, aggiustandoli il colletto del cappotto. Jason aveva abbassato lo sguardo, osservando le macchie scura intessute nella pelliccia. Astrid non sarebbe stata affatto contenta. “La prova?” aveva chiesto subito Jason, scacciando velocemente il pensiero della sua compagnia di piano, armata d’ascia e piuttosto infervorata.
“Tranquillo, Jason caro, ho vinto” aveva sentito Madina alle sue spalle. Jason si era voltato, subito, vedendo la sua amica. Le mancava una manica della maglietta, i capelli erano sciolti, ad uno scii mancava un pezzo, non aveva più l’arco, aveva uno strappo sul ginocchio sinistro ed indossava due scarpe diverse. “Alla fine eravamo rimasti sono io, Jarnsaxa e l’ennesimo Thrym, ma la provvidenziale comparsa di uno sciame d’api e di un maestro del seid mi hanno aiutato” aveva spiegato subito lei, prima di correre immediatamente da lui, per abbracciarlo, stretto.
“Quando non ti svegliavi, mi sono preoccupata tantissimo” aveva sussurrato nel suo orecchio, dolcemente, “Ti avevo chiesto un fulmine, non di aprire il cielo” aveva aggiunto, staccandosi Madina, prima di stringerlo di nuovo. “Quanto ho dormito?” aveva chiesto Jason, con del panico. Da quanto tempo erano a Jotunheim?
“Un paio d’ore. Il miele delle ragazze ti ha rimesso su” si era inserito Bee, nel discorso.
“Tardi, ovviamente, ti abbiamo dovuto trascinare via da Utgard, prima che i giganti si decidessero ad uccidervi” aveva affermato Bee, “Ma Utgard-Loki mi ha dato una medaglia, con tanto di coccarda” aveva esclamato Madina, mostrando con orgoglio il suo premio.
Jason non sapeva se ridere, davvero, “Il nostro altro premio?” aveva chiesto poi, invece. Madina aveva riso con un po’ di imbarazzo ad imporporarle le guance, prima di ammiccare ad una direzione. Drefabroker stava tenendo un dialogo con Jarnsaxa.

 

Si erano avvicinate alla jotun, “Allora, sono rimasta anche troppo. Qualcuno potrebbe pensare che abbia preso in simpatia i thrall di Odino” aveva asserito, subito, Jarnsaxa, sollevando ambedue gli indici delle mani, per sottolineare la situazione.
“Siamo Onorabili Guerrieri” l’aveva corretta Madina e per Jason era stata la prima volta che la sentiva perdere la sua giocosità. Jason ricordava quel termine usato anche da Astrid, ma non conosceva il significato, ma non doveva essere bello. “Sottigliezze” aveva dichiarato Jarnsaxa.
Jason aveva preso la parola, puntando gli occhi dritti in quelli della gigantessa, “Facciamo velocemente, allora?” aveva proposto, attirando il consenso di quest’ultima.
“Bene, il vostro accordo, Boy-Scout, prevedeva che io vi dicessi quello che H mi ha chiesto: distrarre Gerd, perché lei doveva prendere qualcosa … non ho idea di cosa fosse” aveva dichiarato Jarnsaxa.
Quello, lo sapevano loro.
“Lei? H è una donna? Non è Helblindi?” aveva chiesto Madina, subito.
Bee si era interessato alla menzione del fratello ed anche il Lupo aveva ululato, contrariato. “Helblindi? Ah, come si vede che non lo conoscete” aveva riso di loro Jarnsaxa. “Helblindi? Ragazzi non so che idea vi siate fatti della mia famiglia, ma mio fratello probabilmente ora è nell’isola di Pasqua in compagnia di un’aitante dea polinesiana. A lui non importa di inimicarsi nessuno mai; è letteralmente l’Immortale[2]” aveva dichiarato Bee.

Jason si era voltato verso Bee; non poteva fidarsi completamente, ma aveva avuto l’impressione che Jarnsaxa quando avesse usato il femminile parlando di H, lo avesse fatto quasi sopra a pensiero.
E se dunque, Bee, era del tutto disinteressato alla questione, li aveva davvero aiutati, per richiesta di Váli.
“Quindi chi è H?” aveva chiesto Madina, non perdendosi nei pensieri, differentemente da lui.
 “Quando ho detto che H è l’incubo di Odino quando si mette nel suo lettuccio, intendo dire fa paura anche a me. Non vi dirò chi è!” aveva considerato Jarnsaxa. “Non ci hai praticamente detto nulla” aveva valutato Jason, senza particolare accusa nella voce.
La jotun aveva fatto una smorfia, “Questo era il vostro accordo, Boy-scout, non è colpa mia se avete accettato una proposta imbarazzante; però il vostro amico è più sofista di voi, sarà nel sangue, e mi ha convinto a scucire qualcosa in più” aveva considerato la jotun, voltando il capo verso il lupo, che si era fatto cortesemente da parte.
Sebbene, Jason ne era certo, aveva lanciato uno sguardo al vetriolo verso la gigantessa.
Grazie, aveva bisbigliato lui, rivolto alla bestiola.
Jarnsaxa aveva ripreso, “Be, comunque, dite ad Odino che non lavoro più per H” aveva ripreso lei,  Jason iniziava a sospettare che la lettera che Jason e Madina avessero letto, riportassero un licenziamento dai servigi.
“Non vi dirò cosa mi ha offerto o altro. Se qualcuno vorrà risposte, sarà Thor a dover venire da me” aveva sottolineato subito la signora. Madina aveva inclinato il capo, “Non facevo la donna di Thor un’affarista” aveva considerato. “Sono una lama di ferro, in ogni senso” aveva risposto pratica Jarnsaxa, “Ma voglio essere gentile, dite grazie al vostro amico; H ha un galoppino, il suo porta lettere e tutto fare, come dire” aveva aggiunto, enigmatica.
Jason aveva osservato le labbra rosse come ciliegie delineate in un sorriso sardonico, “Ci vuoi tenere a lungo sulle spine?” aveva chiesto. “Calma, Boy-Scout, non si è mai presentato ovviamente, però, ho un certo occhio. Un mezzo-dio, un po’ troppo brillante” aveva considerato. Jason ebbe un brivido lungo il suo corpo, a quel pensiero.
“Un einerjhar?” aveva chiesto Madina, con orrore nella voce, dando voce ai suoi pensieri. “Giovane, sì fa per dire, dall’aspetto vostro coevo, bellino, luminoso. Sì, un einherjar bello splendente, ma direi meno spigoloso rispetto a voi” aveva sottolineato Jarnsaxa, strizzando un occhio verso di loro. Jason aveva aggrottato le sopracciglia, voltandosi verso la sua amica, che si era morsa un labbro, “Un einherjar di Folkvang, giusto?” aveva domandato retorica Madina, ignorando a pie-pari Jason. “Cos’è Folkvang?” aveva chiesto, ignorante, Jason – anche Jarnsaxa lo aveva ignorato; Madina aveva liquidato la faccenda con un te-lo-spiego-dopo.
La gigantessa aveva sollevato le spalle, come a scrollarsi di dosso la questione, “Come ho detto: non si è presentato. E fossi in voi, andrei via, c’è un’orda di giganti che vi ha trovato” aveva riso di gusto Jarnsaxa.

Jason si era voltato, vedendo un’orda di giganti correre verso di loro, discendendo dal versante di una vallata – a quanto pare Jotunheim era composta di alture e discese, degne di montagne russe.
“Bene, fantastico, io vi lasciò qui. I miei obblighi finiscono ora, verso tutti, tutti voi” aveva detto Bee, ammiccando a lui, Madina e il Lupo.
Jarnsaxa aveva mosso le dita come cenno di saluto. Bee aveva sorriso di nuovo, “Bene, salutami la tua cara mamma e stai lontano dai tuoi fratelli” aveva aggiunto, guardando specificatamente il lupo, prima di scomparire con uno schiocco di dita. “Odio il seid, a me toccherà camminare” aveva detto Jarnsaxa, come ultimo congedo.
Madina aveva inserito di nuovo gli scii, “Sali su … ehm … il lupo, non credo tu sia nelle condizioni di evocare un fulmine” aveva dichiarato la sua amica.
La creatura si era prostrata in modo che Jason potesse issarsi su, sentiva le ossa fatte di vetro. Madina aveva tirato fuori la mappa, “Dobbiamo ritrovare una vena d’acqua dei fiumi cosmici” aveva detto, con espressione confusa, probabilmente la mappa di Thrud non doveva essere utile, se non si sapeva dove si fosse.

 

Il lupo aveva messo il turbo e Madina l’aveva affiancato velocemente. “Puoi guidarci?” aveva provato Jason, accarezzando il collo del Lupo, quello aveva continuato la sua corsa, non era sicuro potesse rispondere affermativamente.
Madina non si era persa d’animo, alla fine.
Peccato, i giganti si fossero dimostrati incredibilmente più veloce e motivati di quanto loro stessi avessero valutato.
Madina aveva tirato fuori il suo arco, a questo punto Jason aveva valutato fosse un’arma proteiforme, con cui aveva scoccato delle frecce contro alcuni loro avversari, non smettendo di sciare. Come nella prova. “Non manchi mai il bersaglio, è tipo un potere da figlia di Ullr?” aveva chiesto Jason.
“No! Solo pratica, pratica, pratica. Il sangue di mio padre mi aiuta a scoccare e scivolare contemporaneamente” aveva risposto Madina, con divertimento. “Ti ho vista colpire un bersaglio invisibile” aveva valutato Jason, “Non lo era per me” aveva risposto lei, “Appena torniamo all’Hotel ti spiego tutto e tu mi spieghi come hai svergognato Thor in persona” aveva valutato Madina.
Un’ascia era schizzata vicino all’orecchio di Jason, quasi mozzandoglielo. Un gigante li aveva raggiunti, piuttosto agguerrito, con una spada ed una Morgenstern alla mano, oscillato ad un passo dalla testa di Madina, Jason aveva chiamato il nome della sua amica, prima che un lampo dorato seccasse il gigante da lato a lato, era ruotato attorno a loro e così Jason era riuscito a identificare cosa fosse: una spada.
Jack.
“Ho scaricato l’album Lungs di Florence and The Machine, buoni gusti, amico” aveva esclamato la spada. “Grazie?” aveva provato Jason.
“Jack tieni lontano i giganti!” qualcuno aveva ordinato.
“Grazie a tutti gli dei!” aveva esclamato Madina, davanti a loro, sospeso in aria, c’era uno splendido cavallo, enorme, incantevole, con otto zampe – con l’esclusione di quel dettaglio, aveva ricordato a Jason l’Arion, lo stallone maestoso di Hazel – e cavalcato da due einherjar con un viso famigliare. Magnus Chase ed Alex Fierro.
La runa di Fehu.
“Tu stai cavalcando un lupo!” aveva esclamato Magnus, vedendolo, guadagnando una sonora pacca dal partner, “Avete bisogno di una mano?” aveva chiesto Alex, “Stanley è veloce come il vento e può portare quattro persone” aveva sottolineato.
Il lupo aveva annuito, guardandolo con i grandi occhi d’oro, facendolo scendere. “Grazie di tutto amico” aveva detto Jason, di cuore, accarezzandolo, si era anche chinato e l’aveva baciato tra le orecchie. Madina si era slacciata gli scii, “Grazie! Grazie!” aveva esclamato lei, scoccando un bacio sia sulle labbra di Magnus sia su quelle di Alex, grata.
Era salita in sella e Jason l’aveva seguita, “Come sapevate?” aveva chiesto pratico Jason, “Oh, ci ha informato l’innamorato di Mango!” aveva risposto con un certo divertimento Alex, pizzicando il fianco del figlio di Frey. “Utgard-Loki non è il mio innamorato!” aveva dichiarato Magnus, sconvolto, “Non faccio io le regole[3]” aveva ottenuto come risposta da Alex. Il fidanzato aveva ignorato quell’ultima affermazione ed aveva dato una scossa al cavallo, che era partito ad una velocità ruggente.
Chi sa come sarebbe stata davvero una sfida tra Stanley e Arion!
“Dobbiamo arrivare ad un fiume cosmico. Sarebbe meglio l’Ǫrmt porta ad Asgard ed ha un affluente al Valhalla!” aveva esclamato Madina, sventolando la mappa.
Jason vedeva poco, con i capelli ricci della compagna che lo schiaffeggiavano in faccia ripetutamente. “Ottima idea, servirà che Mango ci salvi con la sua grossa banana!” aveva esclamato Alex.
Jason era arrossito fino alla punta dei capelli, per quell’uscita inaspettata, “Ti prego!” aveva strillato Magnus, anche lui cotto di imbarazzo, “È una barca, una barca pieghevole gialla, per questo la chiamiamo la Grande Banana!” si era affrettato a giustificarsi subito il figlio di Freyr.

La Grande Banana grazie alle sue doti pieghevoli poteva prendere forme e dimensioni diverse, così aveva spiegato Magnus.
Quando era servito a loro, così avevano detto a Jason, aveva preso le dimensioni di un modesto vascello, in quel caso era una barca stretta e slanciata, con una sola fila di remi, della giusta lunghezza per quattro persone. Una delle due estremità aveva una testa di cavallo scolpita nel legno. Di un giallo accecante come un limone. “Un piccolo dreki in miniatura[4]!” aveva detto ammirata Madina mentre saliva su, soddisfatta.
“Non si chiama Drakkar?” aveva chiesto Alex, sedendosi nella panca dietro Madina, con genuina confusione, “Oh, no, errore di trascrizione francese. Me lo ha assicurato Astrid!” aveva spiegato didascalica la loro amica.
Jason si era seduto alla coda, Magnus alla prua.
Sotto il loro peso la nave aveva oscillato, ma aveva ugualmente spaccato il ghiaccio che ricopriva i fiumi di Jotunheim. Dei decisi colpi di remi avevano aiutato la situazione.
“Spero sia il fiume giusto” aveva detto Jason, osservando le acque cristalline, che scorrevano ai loro fianchi. “Almeno questa volta siamo sopra l’acqua e non dentro una centrifuga” aveva provato Madina, per rialzare l’umore. “Finché nessuno di questi va a Nilfheim, va tutto bene. Non muoio dalla voglia di incontrare mia sorella maggiore. Ogni volta che incontro un parente la situazione diventa più strana” aveva cinguettato Alex. “Tecnicamente Stanley è tuo nipote ed è adorabile” aveva provato Magnus, debolmente.
“Oh sì! Io e Jason abbiamo conosciuto tuo zio Bee, molto gentile anche lui” aveva detto subito Madina, mentre continuava a remare con assoluta calma.
Di rimando sul viso di Alex era sorta genuina confusione e rivolgendosi a Madina aveva chiesto: “Davvero? Gentile? Un membro della mia famiglia?”.
“Sì, ci ha salvato. Ci ha dato da mangiare, dove dormire e ci ha aiutato con la competizione” si era introdotto Jason, ripeterlo lo rendeva surreale.
“Sì, tua nonna era abbastanza arrabbiata con lui” aveva considerato Madina “Hai conosciuto anche mia nonna?” Jason non poteva vedere Alex in viso, ma dal tono della voce, riusciva a leggere genuina ammirazione. “Una tipa un po’ legnosa” aveva scherzato Madina, anche Jason aveva ridacchiato di sottecchi a quel commento, “Abbiamo conosciuto anche tuo nonno” aveva raccontato lui.
“Quindi, dicevate, uno dei miei zii vi ha aiutato senza tentare di rifilarvi una polpetta avvelenata?” aveva chiesto Alex, con interesse, voltando il capo per guardare Jason.
Lui aveva annuito, “Sì, a quanto pare era un favore per Váli” aveva raccontato, perché continuava a parere del tutto folle, dirlo anche ad alta voce.
“Váli, chi?” aveva chiesto Magnus, “Come Váli chi?” aveva chiesto Alex con genuina confusione. “Sì”, aveva risposto brevemente Jason, prima di procedere a raccontare quanto era successo con il dio-nato-per-vendicarsi e la brutta faccenda dell’Holmagang.
“E quindi Váli ha deciso di tenerti in vita. Ha senso, Big Boy si comporta così com me ogni due per tre” aveva considerato Magnus.
Alex di rimando aveva ridacchiato, come se avesse ascoltato una battuta divertente, ma che nessun altro aveva potuto sentire. “Ti prego non fare altre battute su di me e Utgard-Loki, ti prego” aveva supplicato il figlio di Frey. “Mango mi fai passare per una fidanzata pessima[5]” si era difesa Alex.
C’era stato un momento dolce, un silenzio rassicurante, ancora carico della risata provocata dalla battuta, per Jason era stato stranamente famigliare. Si era sentito un semidio in missione, un’immagine che lo aveva sempre angosciato, ma in quel momento sembrava bello.
“Oh, il lupo, è tornato!” aveva esclamato Madina, attirando l’attenzione proprio verso il loro amico a quattro zampe, stava galoppando sull’ansa del fiume a loro fianco.
“Oh, non mi piacciono molto” aveva commentato Magnus con un tono di voce lugubre, osservando la bestia che teneva a pieno regime il loro remare. “Immagino dopo la disavventura con Fenris” aveva commentato Madina, Magnus aveva deciso di dare le spalle, “Sì, sì” aveva detto, calmo, ma la sua voce era incrinata da un certo dolore, che sapeva a Jason di altro. “Però, lui è buono, ci ha dato una mano” aveva dichiarato Madina perentoria.
“Volete farlo salire a bordo?” aveva chiesto Alex, “Magnus, a te andrebbe bene?” aveva chiesto gentile poi al suo fidanzato, differentemente dal suo tono pieno di divertimento e leziosità, in quel momento era apparsa quasi dolce. “Non tutti i Lupi hanno gli occhi blu, no?” aveva proposto Magnus, sembrava che quelle parole fossero uscite dalla sua bocca con una tenaglia.
Be, amico, se fosse un problema ci penseremo noi” aveva stabilito Jack, vibrando da qualche parte sotto i vestiti di Magnus.
Jason aveva preso quell’ultimo commento come un assenso, “Sali a bordo!” aveva invitato il lupo che con un balzo si era lanciato sulla piccola banana in miniatura, tra il posto di Jason e quello di Alex Fierro, facendo oscillare pesantemente l’imbarcazione. Jason aveva allungato una mano per grattare la creatura sotto il mento; non credeva che avrebbe potuto portare un lupo mezzo-jotun nel Valhalla, ma sapeva che a Jotunheim non poteva essere felice, era un esiliato.
Probabilmente, per questo, era a Midgard la prima volta che lo aveva visto.
“Mango, tranquillo, non ha decisamente gli occhi blu” aveva considerato Alex, voltandosi il più possibile per poter vedere bene la creatura. Il lupo, Jason ne era stato certo, aveva lanciato uno sguardo diffidente, verso Alex e poi anche Magnus.
Il figlio di Frey aveva guardato il lupo per poco, aveva aggrottato le sopracciglia pallide ma poi era tornato a guardare di fronte, verso lo scorrere del fiume, “Mi sembra che l’atmosfera si sia riscaldata” aveva dichiarato Magnus, con un certo nervosismo addosso.
Alex aveva guardato per un ultimo secondo il lupo, poi aveva detto: “Podemos llevarnos bien, hermano?”
Jason aveva dello spagnolo un vago ricordo del farfugliare di Jason, ma aveva realizzato quasi subito che la domanda  - se lo era – non era per lui, ma per il lupo, questo aveva inclinato il capo, quasi incuriosito. Alex aveva strizzato un occhio, ma poi, era tornato a guardare il mondo rivolto al fiume.
“Mango, mi spieghi perché dobbiamo remare la tua banana magica? L’ultima volta non è stato così” aveva sottolineato.
Magnus aveva sospirato, “Alex, non ne ho idea” aveva risposto, prima di mettersi a ridere.
“In realtà mi chiedo perché stiamo viaggiando lentamente, quanto io e Jason abbiamo preso la centrifuga siamo andati velocissimi” aveva considerato Madina. “Forse, appunto perché eravamo dentro la centrifuga” aveva considerato Jason.
“Be, comunque, a me non dispiace questa lenta uscita in barca” aveva ammesso Magnus, “Questa è una delle poche volte che sono in giro senza dovermi preoccupare che forze occulte cerchino di far cadere il mondo” aveva aggiunto, rilassato.
Oh, aveva pensato Jason.
“Oh” aveva detto Madina.
“Ma per voi sì, vero?” aveva indagato Alex sfacciata, “Non eravate a Jotunheim per una gita di piacere” aveva commentato. “No, in effetti” aveva ammesso Jason, non credeva avesse senso mentire, a quel punto. “Siete usciti di nascosto, vero? Ce lo ha confermato quel ragazzo del vostro piano, quello con il taglio alla moicana” aveva raccontato Magnus. “Oh, Mel!” aveva sclamato Madina, il suo tono si era impregnato di gioia. “Sì; non eravamo convinti che avremmo avuto un permesso per andare a Jotunheim” aveva confermato Jason. “Siete stati fortunati, una volta sono uscito di nascosto e mi hanno sguinzagliato dietro una squadriglia di Valchirie” aveva raccontato subito Magnus, “Sarò onesto, quando è arrivata una delle aquile di Big Boy non eravamo molto convinti” aveva esposto il figlio di Frey. “Oh, be, immagino che il signore dei giganti di brina che scrive: Scusa Magnus puoi venire a recuperare due mezzosangue fuor d’acqua a casa mia? Possa risultare piuttosto ambiguo” aveva valutato Jason.
Avevano riso del suo commento. “Poi, però, in effetti, quando siamo andati a controllare al vostro piano e Mel ci ha confermato che eravate lì” era intervenuta Alex, probabilmente aveva voglia di fare una battuta sul suo fidanzato, ma alla fine aveva rinunciato, perché anticipata dallo stesso. “Bene, quel che finisce bene” aveva detto Magnus.
Jason aveva sorriso.
Il Lupo aveva drizzato le orecchie e si era tirato su dalla posizione cucciata, in cui aveva cercato di appallottolarsi per permettere la comodità a Jason – era davvero enorme e la Grande Banana non lo pareva così tanto. Aveva cominciato a guardare a destra e sinistra, con un certo allarmismo.
“Il lupo si sta agitando” aveva esclamato Jason e quello era bastato per scuotere, in effetti, tutti i presenti.
L’attimo dopo la nave aveva cominciato ad andare più velocemente, decisamente più velocemente, condotta da correnti agitate.
“Ma che sta succedendo?” aveva esclamato Alex, mentre cercava di tenere un remo, ma l’acqua era più potente di quanto fossero i loro tentativi di annullare la corrente.
“Forse siamo nell’Ǫrmt?” aveva domandato Jason, non erano più a Jotunheim visto l’aspetto verdeggiante al loro fianco – fin troppo magico e bucolico.
“No” aveva detto Madina, “Non è l’Ǫrmt. Questa è la valle dei veleni. Siamo nel Slidr, il fiume che viene da oriente. Di buono c’è, che fa tappa a Midgard prima del regno di Hel” aveva considerato Madina, ma la corrente si era fatta ancora più audace; come se una forza, come una calamita, li stesse trascinando verso qualcosa.
“Be, riesci a riconoscere quando saremo a Midgard, così evitiamo di pranzare da mia sorella oggi?” aveva chiesto Alex, cercando di sollevarsi in piedi, ma non era stato necessario che Madina rispondesse, perché la corrente gli aveva guidati in un piccolo affluente, erano finiti dritti in un mulinello.
Jason aveva visto onde alte, coprire quasi il cielo, poi era stato la volta delle rapide, tutta una serie di infinti sballottamenti e acqua in ogni dove.
Non aveva capito nulla, era stato solo caos. Lui era riuscito a sentire sulle labbra, quando l’acqua era crollata su di lui come una colonna crollata, brutale, il sapore del sale.
Poi il caos si era quietato.
Erano su una lunga superficie di un blu intenso, piatta come una tavola. Nel bel centro del blu dell’acqua. Lontano, ma non così lontano, Jason riusciva ad intravedere il profilo di una costa. “Direi che siamo a Midgard” aveva commento Alex, “L’odore di Midgard è assolutamente riconoscibile” aveva aggiunto.
Jason sentiva solo il forte odore di mare impregnare le sue narici.
Forse, aveva pensato, Kym era venuta in suo aiuto.

L’attimo dopo la barca aveva tremato, Lupo aveva cominciato a ringhiare ed abbaiare, spaventato, un pilastro d’acqua si era alzato, il loro piccolo Dreki era oscillato pericolosamente e Jason aveva potuto osservare come l’onda che era emersa dalle acque, non era quello che sembrava, ma una figura era affiorata dal mare
Enorme. Gigantesca.
Era una donna: capelli biondo lucente, raccolti in ciocche umide, con grumi brumosi, da cui gocciolava rosso scuro, a metà tra una terribile tinta, che l’acqua stava lavando, e sangue ancora fresco. La donna esibiva una cotta di cuoio ed una lunga gonna, che spariva tra le acque dell’oceano. Quello che aveva colpito Jason era stato il viso, grigiastro e deformato in una maschera di furore.
“Dei” aveva sussurrato Alex.
“Dimmi che non è Blóthughadda. Dimmelo” aveva sussurrato Magnus, quasi speranzoso.
“Una delle figlie di Aegir, giusto?” aveva provato Jason, titubante. Immaginava che la grande signora degli abbissi, potesse essere una delle Onde, o Ran, ma Magnus l’aveva chiamata in quel modo.
“Mango posso anche dirtelo se ti fa stare meglio, ma resta lei” aveva risposto Alex. Il suo fidanzato si era voltato verso di loro, “Ragazzi, mi dispiace sul serio, non ho immaginato che i miei vecchi problemi vi avrebbero messo nei guai” si era scusato il figlio di Frey.
“Magnus Chase!” aveva tuonato Blóthughadda, “Jason Grace!” aveva chiamato anche lui, cogliendolo di sorpresa, “Voi avete mancato di rispetto alla mia nobile famiglia!” aveva stabilito.
“Anche io?” aveva chiesto confuso Jason. “Il possente Fornjotr è mio nonno, la tempesta” aveva spiegato spazientita la gigantessa, “Ed ora io, Blóthughadda Aegirdottir riparerò la sconfitta di mio nonno e l’affronto di mia madre” aveva stabilito.
“Ed ecco è così che moriremo” aveva commentato Alex, “Tu non puoi diventare un delfino?” aveva chiesto Madina, Alex aveva sorriso, “Certo. Allora è così che morirete” aveva corretto il tiro, “Meglio?” aveva chiesto con sarcasmo all’altra ragazza, che aveva sorriso imbarazzata. Quasi era ammarato dalla loro scioltezza davanti una situazione così pericolosa.

Jason poteva catturare un vento, sapeva come respirare sott’acqua, si chiese se potesse imporre ad uno spirito di permettere a Madina e Magnus di sopravvivere.
Poi si era alzato subito, “Madina ed Alex sono innocenti” aveva gridato, “Tragico. Il mare non guarda questo” aveva replicato Blóthughadda, con assoluto disinteresse.
La situazione sembrava inevitabile, quando la donna aveva sollevato le sue enormi braccia per permettere al mare di alzarti. “Pensavo che gli dèi non potessero intervenire direttamente” aveva considerato Jason, almeno così era con gli dei greco-romani; forse per i norreni era diverso. Blóthughadda aveva sorriso, piena di sarcasmo, “Oh, certo. Ma io sono mezza-jotun” aveva risposto poi.
Magnus aveva sfoderato Jack. “Amico! Mi stai dicendo che avremo uno scontro epico? Che bello! Ormai cominciavo ad annoiarmi” Aveva esclamato subito la spada, “Ho preparato la mia play-list da battaglia” aveva aggiunto agguerrito. Il figlio di Frey aveva guardato la sua spada, “Jack, amico, siamo in una situazione di per sé abbastanza critica, possiamo evitare Katy Perry, per favore” aveva stilettato alla sua arma, prima di voltare lo sguardo verso la gigantesca dea. “Roar sarebbe stata perfetta” si era difeso, offeso, Jack.
Magnus era stato sul punto di urlare qualcosa, che immaginava prevedesse un holmagang, quando l’acqua sollevata era riscesa giù nel mare, delicatamente.
“Fatto cilecca?” aveva chiesto Alex, con un certo divertimento.
Blóthughadda si era guardata intorno circospetta ed incerta, “Tranquilla, l’ansia da prestazione capita a tutti” aveva aggiunto Magnus, seguendo la battuta del suo partner.
Un’altra colonna d’acqua si era sollevata, alle loro spalle, che aveva quasi fatto rovesciare la nave, di nuovo. “Questo è il brutto momento per ricordare che Aegir ha nove figlie” aveva commentato Madina, ma dalle acque non era spuntata nessuna sconosciuta.
Kymopoleia si erigeva spettrale e spaventosa.
Aveva dismesso la camicia fantasiosa, indossava una lorica squamata di bronzo e rame, con placche verde ruggine, su cui erano cresciute escrezioni marine, con bande di ferro, più pesanti e larghe sulle spalle, una pteruges di cuoio, schinieri di bronzo con motivi marini e loriche maniche d’oro lucente. Lo scudo issato sulle spalle, legato da bande di cuoio morbido ed un giavellotto alla mano. Era la solita Kym, spaventosa come solo la tempesta violenta poteva essere, ma più romana – ma sempre Kym[6].
“Kymopoleia, mia buona amica, cosa ti porta qui?” aveva detto civettuola Blóthghadda; “Quella non è decisamente del nostro universo” aveva considerato Alex, mentre Madina cominciava a prendere i remi per mettersi a vogare per portare via la nave da lì. “Sì, spero che nessuno di noi abbia irritato una divinità straniera” aveva commentato Magnus, “Cioè, spero di non essere io, tendo a farmi più nemici di quanti io sia consapevole” aveva aggiunto, spento.
“Sì, ho questo talento anche io” aveva detto Jason. Il Lupo aveva tremolato spaventato. “Niente, Blóthghadda cara, sei semplicemente nel mio territorio” aveva stabilito.
“Credevo il tuo territorio fosse nel vecchio mondo” aveva risposto l’Onda.
La dea romana aveva sorriso forzatamente, “Io e mio padre stiamo tentando un riavvicinamento” aveva raccontato, “Anche con tuo marito?” aveva chiesto Blóthghadda, “Può darsi” aveva risposto Kym, di rimando la mezza-jotun aveva fatto una smorfia.
“Comunque mi spiace di essere entrata nel territorio di Nettuno, ma di solito ti vedo bazzicare senza problemi dalle parti di mio padre e mia madre” aveva commentato la norrena.
“Perché tuo padre differentemente dal mio è una brava persona e non un taccagno rancoroso” aveva cinguettato Kym.
Alex, Magnus e Jason avevano preso i remi ed avevano cominciato a far spostare la nave dalla traiettoria delle due dee. “Ti prego Grande Banana puoi andare più veloce?” aveva supplicato Magnus alla sua imbarcazione.
“Tolgo subito le tende, fammi solo uccidere questi quattro semidei qui” aveva dichiarato Blóthghadda, “Tuo padre può anche reclamare i loro corpi e tesori, mi dispiacerà non portare Magnus e Sumarbrander a mia madre, ma credo che con un po’ di elasticità possiamo accordarci” aveva commentato Blóthghadda, aveva un sorriso parecchio tirato sulle labbra.
Jason percepiva l’elettricità tra le due dee, si era sporto, “Ho sempre saputo che le divinità marine fossero molto gelose” aveva considerato ad alta-voce.  “Sì, lo sono” aveva risposto Alex. Bene, aveva pensato Jason, aveva considerato, non sarebbe finito con una chiacchierata.
“Perché continuano tutti a cedermi via?” aveva chiesto infervorato Jack, che svolazzava irritato accanto a loro. “Non ho intenzione di farlo, amico, vorrei solo non morire” si era giustificato Magnus, alla sua spada.
Kymopoleia aveva chinato il capo verso di loro. Jason aveva sentito quegli occhi verde mare su di lui, specificatamente su di lui.

Phainetai moi kenos isos theosinCosì aveva detto, qualsiasi cosa significasse.

Kym aveva sorriso, poi aveva riportato lo sguardo su Blóthghadda, “Temo di non poterlo fare, amica mia. Come ho detto, mio padre sa essere un uomo rancoroso ed ho già vissuto con il suo rancore per millenni” aveva mentito.
Era lui. Kymopoleia stava cominciando una faida con una dea straniera per lui.
“Non rendiamo una buona amicizia una sgradevole inimicizia” aveva dichiarato la dea norrena, Kym aveva sorriso, “Sono d’accordo. Fatti da parte, ucciderai questi mezzosangue quando vorrai fuori dalla mia vista” aveva risposto calma. “Abbiamo giocato ad Aliossi insieme, Kym, vedo il tuo inganno. Cosa stai nascondendo? In che affari ti stai infilando?” aveva replicato Blóthghadda, con estremo divertimento, un sorriso cattivo, “Siamo divinità acquifere, Adda, ci immettiamo in ogni spazio disponibile” aveva scherzato l’altra.
L’attimo dopo l’acqua sotto di loro era esplosa.
Jason era riuscito a vedere le due Dee affrontarsi, la spada lunga di Blóthgadda aveva urtato lo scudo di Kymopoleia e il mare intorno a loro si era sollevato in mulinelli d’acqua come piedritti ondulati. Tifoni d’aria, sale e acqua, e gorghi profondi fino ai baratri della terra.
Se Jason, quel giorno, aveva spaccato il cielo, Kym e Blóthgadda stavano squarciando quello, la terra ed anche il mare.
“Dobbiamo raggiungere la costa!” aveva esclamato Magnus, l’attimo prima che un tornado sbalzasse la loro nave. Prima che schiantassero di nuovo sopra la superficie dell’acqua, Jason aveva cercato di usare i venti per attutire l’urto, per rallentare, ma ogni forza del vento non rispondeva più a lui, attirato come falena ad una fiamma, dallo scontro delle due dee.
Jason si era preparato all’urto brutale, “Questo è il momento in cui avrei dovuto prendere quelle lezioni di magia runica da Hearth” aveva commentato Magnus, si era stretto ad Alex, “Potrei trasformarmi in uno pterodattilo? Un drago?” aveva chiesto lei. Jason aveva serrato gli occhi.
Piper, aveva visto. Il sorriso dolce di Piper, la sua risata cristallina, capace di scaldare l’inverno più freddo e quegli occhi splendenti. “Posso provare, non mi sono mai trasformata in un animale così grande!” aveva esclamato Alex.
“Una balena?” aveva strillato Madina, “La tua dimensione dovrebbe inficiare sull’impatto con la superficie, no?” aveva aggiunto.
Alex aveva allungato una mano, quando la barca si era completamente rovesciata, afferrando Magnus, preoccupata. Jason si era stretto al lupo e Madina aveva afferrato lui.
“Ci penso io” una voce, udibile appena aveva parlato. Jason aveva aperto gli occhi, trovando occhi ambra fissarlo.
Poi avevano urtato l’acqua.

Non aveva fatto male, quando erano riemersi, Jason si era accorto che con le ginocchia poteva toccare il fondo e che l’acqua non superava il suo bacino.
Era zuppo.
Si era guardato intorno, non era più nel pieno dell’oceano, ma era nei pressi di una spiaggia: nera e fangosa.
Madina era piegata a vomitare acqua, tossicchiando, ma ancora cosciente. “Wow. Pazzesco” aveva detto appena aveva potuto parlare, tirandosi su. Le ciocche dei capelli appesantite dalla salsedine. Alex era in piedi, con l’acqua fino alle ginocchia, zuppa, che sosteneva il suo fidanzato, “Che è successo?” aveva domandato, pieno di confusione Magnus; in una mano reggeva il suo foglio di carta giallo, che era la Grande Banana nella sua forma in borghese.
“Le dee stanno ancora combattendo, la giù. Dove dovremmo essere noi!” aveva esclamato Jack, alle loro spalle, nel pieno delle acque, un ciclone d’acqua dominava la scena.
Jason le aveva guardate, le aveva intraviste: sagome magistrali, ruggenti nella tempesta, non erano più sole. Blóthgadda aveva due persone al suo fianco, siluette sinuose ma imponenti, lo stesso poteva essere per Kym. Erano altre dee …
Forse erano altre figlie di Aegir che si erano aggiunte alla mischia, forse Kym aveva bisogno di una mano. Aveva infilato una mano nella tasca, toccando prima la runa halgaz e poi la moneta di Giunone. Non poteva lasciare la dea, così.
Aveva osservato una delle dee colpirne un’altra che non era Kymopoleia.
La sua amica aveva delle alleate.

Forse le sue sorelle? Sapeva che ne doveva avere, certamente divinità marine non bastavano affatto.
“Sarà una strana giornata per i mortali” aveva parlato una voce. Si erano voltati di scatto, a pochi passi da loro. Era un giovane uomo, indossava una giacca a vento verde petrolio, da cui sfuggiva un cappuccio di pelliccia grigio-scuro. La giubba era aperta sul davanti, lasciando scoperta una maglietta scura con il logo dei Wolf e jeans larghi, sopra un paio di stivaletti con i lacci e la suola a carrarmato. Un viso smunto e bianco, in contrasto con il colore dei capelli ferrugine. Aveva una spruzzata d’efelidi delicata sulle gote magre.
“Oh, salve” aveva detto Madina, con il suo solito tono allegro, alzando la mano come saluto; “Salve a te, Madina Modja Ullrdottir” aveva detto quello tranquillo. Madina non aveva perso il suo sorriso, ma Jason aveva visto un lampo di preoccupazione attraversare gli occhi scuri. Il ragazzo non era parso particolarmente pericoloso – ma di quei tempi le cose non erano mai così ovvie. “Accendo un fuoco o vi raffredderete troppo; anche se siete Einherjar” aveva considerato lo sconosciuto, guardandoli con una certa criticità. Aveva occhi ambrati come lo champagne. Famigliari. Lo sconosciuto li aveva invitati a raggiungerli sulla spiaggia. Madina aveva voltato il capo verso Jason, aveva allungato una mano per stringere quella di lui. Jason aveva annuito, prendendo la mano della sua amica, in ingenuo gesto di sicurezza

Hola hermano, sei tu che ci hai salvato?” aveva domandato Alex, mentre si avvicinava alla spiaggia con il suo ragazzo. Jason aveva guardato ancora lo sconosciuto, sentendo quella sensazione di familiarità, un po’, pensava Nico, bianco in viso, ombroso nell’espressione, ma poi si era concentrato sugli occhi zafferano e la pelliccia grigia che lo avvolgeva, calda e morbida, come quella del suo bestiale amico. Lì, assente.
“Sei il Lupo!” aveva constatato.
Il lupo aveva sorriso, aveva un’espressione ferace, in qualche modo, “Sì. Non posso restare in questa forma molto a lungo, è troppo faticoso” aveva risposto quello, poi si era voltato verso Alex, “Ciao sorella o fratello? Mi confondo” aveva replicato. “Sorella in questo momento, grazie” aveva detto la suddetta, mentre raggiungevano la spiaggia.
“Aspetta lo hai chiamato Fratello in maniera amichevole o è davvero tuo fratello?” aveva chiesto Magnus, perplesso.
Lupo aveva trovato dei legni dalla spiaggia ed aveva dato loro fuoco, come un braciere, per le fiamme che aveva imposto sopra. “Sei uno stregone!” aveva rivelato Madina, “Come tutta la mia stirpe” aveva risposto quello.
Jason lo aveva guardato, “Grazie mille, sul serio, grazie per tutto” aveva dichiarato Jason avvicinandosi a lui, a sorpresa lo stregone si era lanciato verso di lui e lo aveva stritolato in un abbraccio intenso, che gli aveva fatti cadere sulla fanghiglia. Astrid lo avrebbe, per davvero, ucciso.





(Ed ecco il disegno: Kym vs Adda: https://www.deviantart.com/rlandh/art/An-Epic-Fight-905593161  )

[1] E già il povero Ragnar non è morto in battaglia (ed è stato ucciso in una delle manieri più “creative” che possano esserci: è stato gettato in una fossa di serpenti e lasciato a morire. Cioè. Decapitare non era più comodo?)

[2] Letteralmente: colui che si sottrae alla morte.

[3] Questo è meta-testo; non faccio io le regole. Ogni volta che appare Utgard-Loki, Magnus ci tiene a sottolineare che è bello (in realtà lo faceva anche Percy con Luke, ma shh) e Utgard-Loki è sicuramente l’essere mitologico/divinità che aiutato di più Magnus (okay, una volta ha tentato di accopparlo, ma il più delle volte è stato suo alleato), anche se be, con i suoi secondi fini. Quindi sì, io non faccio le regole. E per me, Alex, ci scherzerebbe da morire.

[4] Un “drakkar” è lungo circa una 20 di metri, di solito, è può imbarcare 25 uomini (qui, è un 4 posti, quindi sì, miniatura) di solito la testa è di una bestia feroce, tipo Lupo/Serpente (qualcuno ha detto progenie di Loki?), ma ho scelto il cavallo perché sono animali cari al buon Frey – sempre meglio del cinghialozzo.

[5] Ricordiamo sempre che Alex è Genderfluid, e non è sempre facile riuscire a distinguere il suo genere dal suo aspetto( tranne se sei Magnus). Comunque, tendenzialmente è più spesso in aspetto femminile.

[6] La versione romana di Kymopolia è Cymopoleia, ma visto che la pronuncia del latino classico della C è una K, il nome non cambia. Come per Apollo: la perfezione non può essere migliorata. Ahaha. Per questo, in realtà, fino a questo momento mi sono riferita a Kym come Romeia (cioè come i bizantini si chiamavano).



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Capitolo 14
*** Ah, ecco, perché nei libri non ci sono mai due Bob ***


Buona sera, scusate l’orario davvero strano, ma ho deciso di aggiornare con questo capitolo per più di una ragione.
Da domani in poi non avrò molto tempo, già per una settimana sarò senza pc – e scrivere da altro è complicato – comunque mi dispiace lasciare senza aggiornare per tantissimo tempo. Il capitolo in realtà era molto, molto, più lungo, ma editarlo in poco tempo sarebbe stato impossibile (già normalmente, editati, i miei capitoli sono un bordello, figuriamoci senza), perciò ho scelto il punto dove poteva essere interrotto.
Perciò il capitolo, per i miei standard, è terribilmente corto.
Dopo questo, oggi nessun disegno (ne avrei fatto uno, ma non mi piace).
Però ci tengo a ringraziare ovviamente chi ha letto, chi ricorda e preferisce e soprattutto Farkas, per la recensione e la sua presenza. Grazie.
Detto questa,
buona lettura.

Ah, ecco, perché nei libri non ci sono mai due Bob.

 

 

 “Wow, Jason, pare tu gli piaccia proprio” aveva ghignato Alex, con una punta di divertimento. Mentre si arenava sulla sabbia, assieme a Magnus, raggiunti anche da Madina, che pareva l’unica di loro a non percepire il tremore del freddo. “Sono contento anche io, però, ora sono una cotoletta” aveva ammesso Jason. Il Lupo si era sentito pieno di imbarazzo ed era balzato via, “Sì, sì scusa” aveva detto, allungando una mano verso di lui, per aiutarlo ad issarsi su.
Poi avevano raggiunto gli altri intorno al fuoco.
“Dove siamo?” aveva chiesto Alex, “Nello specifico? Vicino ai vostri cugini slavi; siamo a Fort Ross Cove, da qui, prendendo quella strada sull’altura potreste raggiungere il sito di Fort Ross. Dietro quegli arbusti si vede un po’” aveva spiegato il Lupo, indicando una direzione sulla parte più a nord dell’insenatura, in cui si trovavano. “Non so se lo sapete, ma dentro il sito c’è nascosto uno degli ingresso per il Campo Segreto degli Slavi, il Jav Club, o un nome simile, da quello che so è, tipo, posizionato in un piano della realtà diverso, all’interno del tronco del loro albero sacro, o una cosa così assurda anche da pronunciare. ” aveva spiegato Lupo, “Più in generale siamo in California a nord di San Francisco” aveva aggiunto.
Due pensieri avevano attraversato Jason: Il campo di Giove e Nuova Roma, che erano stata la sua casa, aveva chinato lo sguardo sul suo braccio, dove sotto la pelliccia sbrindellata di Astrid e la benda c’era il suo tatuaggio, la sua appartenenza e i suoi anni dedicati al campo. A quella vita.
E San Francisco … Nico! Nico, che era lì, o almeno lo era ieri notte.

“Oh, wow!” aveva esclamato Madina, “Perché tutti hanno un campo tranne noi norreni?” aveva chiesto invece Magnus, ottenendo un paio di alzate di spalle di Lupo, “Non chiedetemi perché gli dèi trattino i loro figli come fanno” aveva detto acre, pieno di rancore.
Jason lo aveva guardato.
Mezzo-Jotun. Váli aveva definito Lupo mezzo-jotun, immaginava, che in quel momento dovesse essere anche un mezzo-dio. Esiliato ed inviso a dei e giganti. “Radigost [1]vi darà del cibo e Trojan[2] un passaggio sicuro per Boston. Non sono abbastanza bravo nel tele-trasportare me ed altre quattro creature per tutto il paese” aveva rivelato, “Cioè magari potrei anche esserlo, ma non sono sicuro di volerci provare” aveva aggiunto, con un tono più cupo lui.
“Grazie!” aveva detto Madina, “Dobbiamo essere nel Valhalla il prima possibile, senza dimenticare che Jason deve essere a New York tra quattro giorni” aveva valutato lei.
Quattro giorni e qualcosa, aveva pensato Jason, cupamente. Troppe cose. Troppe cose.
Il cinghiale, H, Vali, Blothghadda, Kym e Nico. Troppo. Troppo per tre giorni e mezzo.
Il viso di lupo si era ingrigito, “A proposito di quello … posso, posso, parlarti in privato?” aveva chiesto quello, ammiccando a Jason.
Lui aveva annuito.

 

Jason si era allontanato dal suo gruppo, assieme al ragazzo-lupo; il figlio di Giove era più basso, ma il mezzo-jotun aveva un fisico più filiforme, di chi probabilmente non mangiava abbastanza. “Per quella storia. Grazie. Io ti sono debitore, ti sarò debitore fino alla fine dei tempi, anche se non dovessero arrivare mai” aveva dichiarato quello, con un tono saldo. Guardandolo, qualcosa, seppur poco, Jason riusciva davvero, davvero, a vedere della similitudine con Alex, probabilmente era davvero suo fratello. L’occhio ambra di Alex era uguale ai due occhi del mezzo-jotun.
“Oh, wow, grazie. Non credo di meritare tutta questa devozione, mi hai aiutato a trovare Utgard, hai convinto Jarnsaxa ed hai evitato che diventassimo frittelle. Credo che siamo ampiamente pari” aveva considerato Jason.  Quello aveva risposto con un sorriso allegro, “Non è per la mia vita che ho un debito con te. La mia vita non vale nulla, ma è per la gentilezza, qualcosa che non provavano da un bel po’. Sei un estraneo, ma mi hai aiutato, sei stato carino” aveva osservato quello.
Jason non sapeva come dover reagire a quella confessione.
“Io … io …” aveva boccheggiato.
Lui aveva sorriso, “Non ti preoccupare. Comunque, anche non volendo avresti la mia imperitura fedeltà, è un brutto vizio che ho ereditato da mia madre” aveva dichiarato quello, “Sai è la dea della Fedeltà” aveva precisato. 
Jason aveva aggrottato le sopracciglia a quell’ultimo commento, poi aveva fatto una considerazione, una piuttosto stupida. “Ho appena riflettuto che non abbiamo avuto tempo di presentarci” aveva detto Jason, prima di allungare una mano verso di lui e ripetere il suo nome.
L’altro aveva ricambiato la stretta, con delicatezza “Giusto, sì, Váli Lokison” aveva aggiunto, con un sorriso divertito.
“Aspetta…” aveva sputato fuori Jason.
“Un terribile caso di omonimia – cioè non del tutto, credo che Odino lo abbia fatto tragicamente a posta[3]” aveva scherzato Váli, anticipandolo. Jason era rimasto in silenzio, per un secondo, poi aveva realizzato: “Lo hai detto tu a Bee. Sei tu il suo Váli” aveva ragionato.
“Sì. Caso mai fossi un po’ manchevole in mitologia, Bee è mio zio, Alex è – momentaneamente – mia sorella. Loki, quel dio con una pessima fama, signore degli inganni, è mio padre, mia madre si chiama Sigyn, lei è la dea della fedeltà” aveva raccontato.
Per Jason aveva decisamente più senso da questo punto. Il Váli che li aveva fatti entrare ad Utgard era lui e non il figlio di Odino.
Figlio dell’Inganno e della Fedeltà, sembrava così strano.
“Grazie ancora” aveva ripetuto Jason.
“Come ho detto, avrai la mia imperitura amicizia” aveva replicato l’altro, “Se a Central Park avrai bisogno di una mano per gonfiare quel pallone gonfiato, io ci sarò. So che mi hai visto in una condizione piuttosto debole, ma era diverso” aveva stabilito.
Jason aveva annuito, incerto, decisamente non abituato a tutta quella devozione. “Adesso devo andare, la sfiga dell’essere esiliato e che non posso mai stare troppo a lungo nello stesso posto e anche dopo aver mangiato un cuore di un altro ergi, non possiedo ancora il potere di resistere contro il potere ti tutti quegli aesir … e … be, è un po’ imbarazzante, ma quando riprendo l’aspetto di un lupo, dopo essere stato umano, torno sempre molto affamato e quattro einherjar semidei, tra cui uno con cui condivido il sangue, sono un banchetto molto prelibato e vorrei che tu rimanessi vivo” aveva dichiarato Váli, lasciando Jason, piuttosto sconvolto e confuso.
“C…certo” aveva bisbigliato Jason, “Credo dovrei proprio finire di leggere l’Edda” aveva considerato, “Sì, sono nel capitolo cinquanta, dopo la morte di Baldr. Scusa per lo spoiler!” aveva risposto Váli con tranquillità, prima di allacciare le braccia attorno al busto di Jason in un abbraccio amichevole, lui era rimasto per un secondo fermo, poi aveva ricambiato la presa. Non era decisamente abituato a tutta questa affettuosità – specie dai Lupi. Erano creature da branco, ma non così generose d’affetto, in particolare Lupa, lei voleva guerrieri.
“Senti Váli” aveva detto Jason sciogliendo la presa, “Scusami se approfitto ancora di te, ma tu hai qualche idea di chi possa essere H?” aveva chiesto.
Váli aveva inclinato il capo da un lato, come avrebbe fatto nella sua forma canina, “Forse. Ma non voglio tirare a caso, scomodando magari qualcuno che non dovrei” aveva risposto, “Ti consiglio, a proposito, di non accusare nessuno di cospirare contro Odino o di cercare di derubare qualche dio. La mia famiglia gode di una sfilza di orribili punizioni guidate da supposizioni – alcune vere come me e te ora, altre meno” aveva aggiunto Váli, con un tono ricco di dolore.
Jason era avvampato, pensando a come lui e Madina avessero ipotizzato che H fosse Helblindi. Jason aveva annuito, “Se avrò conferme, sarai il primo a saperlo” l’aveva rassicurato Váli, strizzando l’occhio verso di lui. “Buona permanenza con i cugini Slavi; sono simpatici” aveva dichiarato il mezzo-jotun, prima di licenziarsi, l’attimo era scomparso dalla sua vista, lasciando Jason solo nella spiaggia

 

“È andato via?” aveva domandato Madina, con un pizzico di delusione nella voce quando l’aveva visto tornare da solo, “Sì, altrimenti ci avrebbe mangiato o una storia simile” aveva affermato Jason, sedendosi al loro fianco.
Madina lo aveva guardato con un’espressione confusa, così come Magnus, le cui sopracciglia pallide erano schizzate, per dipingere un’espressione di pura perplessità.
“Sì, be, lui non gode esattamente di buoni precedenti” aveva notato Alex. “Era davvero tuo fratello per caso?” aveva chiesto Magnus, poi, osservando la fidanzata, con un certo sospetto – infondo, da come aveva compreso Jason, il figlio di Frey non aveva avuto molte buone esperienze con i famigliari della sua partner. “Una persona pensa di aver un limitato numero di animali per parenti e invece no. Sì, Mango, era un mio fratellastro” aveva risposto Alex. “Váli” aveva detto Jason, guardando Madina, “Váli Lokison” aveva specificato, sperando che la sua amica capisse bene.
“Il nipote di Bee, quindi. Ha senso, non è stato il figlio di Odino a raccomandarci, ma lui” aveva detto lei, cogliendo in pieno. Jason aveva annuito.
Magnus aveva guardato la sua ragazza, “Váli è quello … sai, di cui ci ha raccontato tuo pa-tua madre[4], quella volta?” aveva domandato lui, riferendosi a qualcosa legato al loro passato. Lei aveva annuito, “L’altro” aveva risposto, “Poi ti spiego bene a casa” aveva sussurrato[5].
C’era stato un momento di silenzio tra loro, i forti venti ed i vortici, nell’oceano si erano placati, le dee dovevano aver portato a termine il loro scontro.
Kym aveva sfidato una dea norrena per salvarlo, Kym stava cercando di uccidere Nico. Nico stava indagando su di lui.
Jason li stava trascinando in una guerra fra pantheon. Senza dimenticare gli slavi.
“Bene, bene, andiamo ad incontrare i cugini slavi?” aveva chiesto Madina, alzandosi, cercando di tirare via un po’ di melma dai pantaloni.
Magnus si era sollevato anche lui, “Oppure, senza scomodare un altro pantheon, a San Francisco, un po’ più a sud, c’è mia cugina Annabeth ed il suo ragazzo. Sono due semidei che io conosco” aveva detto Magnus.
Jason lo aveva sospettato, ma sentirlo, chiaramente, lo aveva scosso. Era un sogno che impattava sulla realtà.
“Ovviamente io voto Percy e Vortice. Mi manca la mia ragazza” aveva squittito Jack.
“Riusciranno a riportarci a Boston, velocemente?” aveva chiesto Madina, “Diciamo che dalla camera di Annabeth possiamo farlo” aveva raccontato Magnus.
Jason era rimasto in silenzio, per un lungo momento.
“Tutto bene?” aveva chiesto Madina, guardandolo con quei suoi grandi occhi buoni. Jason era rimasto in silenzio teso, aveva chinato lo sguardo nel suo avambraccio dove, sotto la pelliccia, sapeva esserci il suo tatuaggio.
Aveva sospirato, stanco, davanti l’ineluttabilità del fato. Esisteva un modo per evitare una guerra tra pantheon? Annabeth non avrebbe mai, mai, creduto che morto fosse semplicemente finito nel Valhalla ed avesse aspettato mesi prima di palesarsi – specie se un Nico vagante avesse per caso accennato che la sua anima fosse scomparsa dall’idilliaco aldilà greco.
Jason aveva annuito, guardando la sua amica, in particolare ed aveva confessato: “Devo dirvi una cosa.”

 

Non avrebbe avuto senso mentire ancora, scappare dagli slavi o altro.

Oh, Fortuna, assistimi.

 

 

Be, fanciulli e fanciulle, niente Pantheon Slavo, mi spiace, lo ho introdotto solo per scopi futuri (mi piacerebbe scrivere Mario Rossi e gli dei del Prav Club o qualcosa di simile).
Comunque, detto questo,
qui ci salutiamo per un po’, spero di poter comunque scrivere un po’ di più in qualche modo.
E che, be, la situazione che stiamo affrontando passi.



[1] Radigost è un dio slavo, protettore delle città, dei commercianti, dei viaggiatori, degli stranieri e dell’ospitalità (Ebbene sì, Tolkien non ha preso solo dai Norreni).

[2] Non voglio entrare nello specifico con Trojan “per ragioni”. Comunque, spesso ci si riferisce a Trojan in relazione al suo “sentiero”. Così.

[3] Parliamo un po’ di Vali Lokison … storici e linguisti non hanno ancora deciso se questo dio esiste o meno, giuro la situazione è parecchio controversa. Se volete, possiamo parlarne, ma ho deciso di non appesantire questa nota, anche perché, nel Riordanverse Vali esiste (citato sia nella wiki, sia ne Il Martello di Thor).

[4] Per chi non avesse letto Magnus Chase. Loki è la madre di Alex (e non il padre lol).

[5] Oh, be, è un chiaro riferimento ad una conversazione tra Magnus e Loki ne IL Martello di Thor. Non è una cosa bella.

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Capitolo 15
*** Be, almeno Jack ci ha guadagnato un appuntamento ***


Facciamo collettivamente finta che questo capitolo non esista, si?
Un grazie di cuore a Farkas <3 e a chiunque spenda tempo leggendo questa baraonda.

Comunque, ecco a voi un Vali Sfigato: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Vali-Lokison-910062970

 

 

Be, almeno Jack ci ha guadagnato un appuntamento

Avevano utilizzato la Grande Banana per spostarsi lungo la costa fino a San Francisco, non si erano mai allontanati dalla terra, onde evitare altre dee marine poco socievoli.
Madina lo guardava di sottecchi, non era sembrata particolarmente arrabbiata per la confessione della romanità di Jason, quanto più perché il ragazzo aveva mentito più e più volte.
Da un lato aveva detto che comprendeva perché avesse evitato di dirlo a Mel, visto il suo poco amore per i romani, dall’altro non riusciva neanche a capacitarsi perché anche Thrud avesse continuato con quella menzogna. “La storia è più complicata” aveva ammesso Jason, non avendo il coraggio di guardarla negli occhi.
“Quindi sei tu il Jason che ha salvato la vita di Percy con un Action Figure?” aveva chiesto invece Magnus, “Nel senso, la divina Kymopelia è venuta a salvarci per quello?” aveva insistito. Jason aveva annuito, pensando come quella proposta assurda, avesse letteralmente fatto deragliare tutta la sua esistenza. “Siamo vivi grazie ad un Action Figure! Fantastico!” aveva esclamato Alex, realmente ammirata.
“Sì, per questo mi serve il tuo aiuto” aveva confessato Jason, “Vuoi che io ti faccia un ex-voto della terribile dea Romana delle Tempeste?” aveva chiesto la figlia di Loki, “Adesso, non credo ti servirà il disegno” aveva considerato Jason.
Astrid aveva detto che poteva dargli una mano nel fare il disegno, visto che Jason sapeva fare solo oggetti inanimati simili a case e templi – aveva detto due cose insieme, probabilmente avrebbe voluto utilizzare l’inquietante abilità di disegno di Fred, così da farlo uscire dal suo isolamento.  Però, quello era prima che Jason avesse un sogno profetico e trascinasse tutti nel caos.
Madina lo aveva guardato di sottecchi, indecisa, probabilmente su tutto, prima di parlare, “Io sono immune alle magie illusorie. Uno dei vantaggi dell’essere figlia di mio padre, Ullr è il signore dell’equilibrio” aveva rivelato.
Jason l’aveva fissata con un certo spaesamento, “Io … wow” aveva ammesso, “Ti avevo detto che te lo avrei detto, dopo” aveva spiegato subito la ragazza per chiarire la sua confessione. “Questo spiega come hai visto i bersagli invisibili” aveva provato Jason, “Perché per me non lo sono mai stati” aveva specificato Madina. “Sarebbe stata un’abilità dannatamente utile durante la partita a Bowling Mortale” aveva considerato Magnus, prima di raccontare le sue vicissitudini con Utgard-Loki[1].



“Sapete no, quando ho salvato Váli Lokison da Váli Odinson pensavo di aver fatto un vero sbaglio. Mi sono ritrovato bloccato in una sfida con un dio ed ho trascinato Astrid in questo” aveva detto Jason. Stavano tagliando il mare, lungo la costa, nessun mortale, o mostro marino, sembrava essersi accorto di loro. L’acqua era piatta come una tavola, come se, neanche qualche ora prima, due dee non si fossero combattute non lontano dalla faglia di San Andrea – forse i mortali l’avrebbero imputato a quello.
“Però, poi c’è stata la missione, se non avessi salvato Váli, lui non ci avrebbe mai aiutato. Strano, no? Forse anche divertente?” aveva ripreso Jason e probabilmente non avrebbero scoperto niente da Jarnsaxa – considerando come stava reagendo alla lettura della profezia Kráka – almeno aveva un indizio. Un Einherjar di Folkvang.  A proposito doveva chiedere a Madina cosa significasse.
“Wyrd. Non strano, ma Wyrd[2], permettimi il gioco di parole” si era inserito Magnus.
“Solo per questa potrei lasciarti” aveva sottolineato Alex, “Posso perdonarti l’essere bianco e morto[3], ma non l’essere poco divertente” aveva aggiunto.
“Jason non sa cosa è il Wyrd. Credo” aveva commentato Madina, guardandolo, attentamente, Jason aveva annuito, confermandolo. Non era neanche la prima volta che lo sentiva in quei giorni.
“Il Wyrd è la legge superiore” aveva risposto Magnus, “è la rete che intesse il mondo, il passato che influenza il futuro ed il futuro che influenza il passato” aveva spiegato calmo, “Quello leggibile con le rune” aveva proposto Jason, ricordando tutte le conversazioni che aveva avuto in quei giorni. Magnus aveva annuito.
“Il wyrd è il fato?” aveva chiesto Jason. Alex aveva risposto, “Circa. Credo vada bene, ciò che bisogna ricordare è che: il Wyrd va come vuole” aveva spiegato, “Nel bene e nel male, accadrà ciò che deve accadere” aveva terminato.
Jason era stato spinto ad aiutare Váli, si era sentito calamitato lì, senza averne idea. Era il Wyrd?
‘Aiuta il mezzo-jotun, così che possa restituire il favore a tempo debito’.
Quindi … aveva pensato, che ne era stato il Wyrd davanti ad una delle tavole del destino scheggiate? L’intervento di Jason, guidato lì, da una cosa minuscola come la pelliccia di Astrid rovinata da Mel, era tutto parte di un piano?
Era avvenuto, prima o dopo, la scheggiatura?
Jason era parte integrante di quella macchina perfettamente oliata che era l’ordine cosmico norreno, quindi?
Tutti quei pensieri avevano affollato la sua mente, brucianti, una valanga.
Le chiacchiere di Madina, Alex e Magnus si erano assopite, vuotate nelle sue orecchie, mentre quella cacofonia di pensieri si rovesciava in lui.

 

Quando avevano tagliato con la Piccola Banana il Golden Gate, Jason aveva sentito l’aria sparire dai suoi polmoni quando aveva riconosciuto il profilo imponente di San Francisco, della sua vita.
San Francisco era il posto più vicino dove era possibile andare da Nuova Roma, era sempre necessario avere un permesso, ma era più facile ed era meglio che essere in missione. Non aveva potuto trattenere il sorriso che era sorto sulle sue labbra a quel dolce ricordo.
“Non ero mai stato a San Francisco” aveva rivelato Magnus, “Nonostante mio zio non abiti così lontano – certo, lui ha pagato per il mio funerale, quindi immagino non si aspetti di vedermi alla porta, però, sì, ecco, contavo di venirci prima o poi, Annabeth vive qui” aveva considerato, prendendo il telefono dalla sua tasca con tranquillità – era un miracolo che fosse sopravvissuto a tutto il marasma della giornata.
“Come faremo a tornare a Boston da San Francisco? Siamo letteralmente dall’altra parte del paese” aveva considerato Madina. Jason aveva deglutito pensando al suo imminente incontro, così come il terrore di dover attraversare il paese e tutto il pericolo che avrebbero incontrato. Essere mezzosangue era essere una calamita per mostri, immaginava fosse anche per i norreni e, scommetteva, che essere einherjar fosse ancora più pericoloso.
Magnus le aveva risposto, “Oh, be, vedi quanto siamo cacciati dai jotun e mostri noi?” aveva domandato retorico il figlio di Frey, Madina aveva annuito, “Sono morta così” aveva rivelato quella. “Per i Greci ed i Romani è venti volte peggio[4]” aveva anticipato Alex, guadagnando un piccolo rimprovero dal suo fidanzato.
Madina aveva invece guardato Jason, “Oh, be, non so le proporzioni precise, ma è, tipo, impossibile evitare creature e dei.  Ho un amico che è stato espulso da non so quante scuole a causa dei mostri ed uno a cui Giunone faceva la baby-sitter” aveva raccontato Jason. La sua amica sembrava davvero ammirata. “Ecco, sì” aveva ripreso il discorso Magnus, “Spostarmi per me con l’albero è pericoloso, ma non quanto per Annabeth senza, è infinitamente più rischioso” aveva raccontato, “Così, Hearthstone ha utilizzato la runa Raido per creare un passaggio tra una sua porta e quella sul retro del negozio di vestiti di Blitz … non può essere usata spesso e quando viene usata, impiega ventiquattro ore per ricaricarsi, da quel che mi ha detto è stato ispirato dalla magia dei maghi egizi” aveva spiegato.
“Maghi egizi. Ecco, questi ci mancano nel Valhalla” aveva sogghignato Madina.
“Quindi, sì, Annabeth ha un passaggio sicuro per Boston” aveva aggiunto Alex con un tono calmo.

Avevano attraccato con la nave, nella Baia di San Francisco.
Jason era rimasto sconvolto dalla visione che si era palesato davanti a loro. C’era un gruppo di genti marine, tritoni e quant’altro che stavano spostando rottami verso il litorale e valutando oggettistica varia, mentre la baia ed il golfo erano invasi da relitti, del tutto assenti agli occhi dei mortali.
“Che è successo qui?” aveva commentato Alex a mezza-bocca, “Mia cugina mi aveva detto che c’era stata una battaglia nella baia ma non mi aspettavo che fosse così grave” aveva considerato Magnus, prendendo la mano della sua ragazza.
Madina guardava l’ambiente con una certa apprensione, “Ora è molto meglio, mesi fa era molto, molto, peggio” aveva dichiarato invece lei.
Aveva la voce, calma, tranquilla. Jason si era voltato immediatamente verso di lei, imitato dagli altri. “Tu … tu eri qui?” aveva domandato alla fine. “Dopo la battaglia” aveva risposto Madina, con calma, come se fosse ovvio. “Io … lo ha voluto Mel” aveva detto calma. Jason era confuso.
“Sai Jason, mia madre, reduce dalla sua esperienza, riteneva che certe catene non si sciogliessero mai, specie se ci nasci” aveva aggiunto con voce lugubre Madina, a rispondere ad una domanda che lui non aveva posto.
Mel era nato schiavo? Stava dicendo quello Madina? Era giovane ed era stato educato nell’arte gladiatoria e era difficile che uno schiavo nato come tale finisse nelle arene, a meno che non fosse venduto come punizione ad una scuola gladiatoria, dove non sarebbe stato più protetto da quel poco che aveva[5]. Ricordava che Mel avesse parlato di una Domina quando era bambino …
“Ma parlane con lui, se vuoi … potresti anche accennarli che sei un Romano. Sì, Mel non ama i romani, ma ancora meno i bugiardi” aveva terminato Madina, dandoli un buffetto sulla spalla – con gentilezza.

Prima di poter attraccare, sul bordo della Piccola Banana si era posato un grosso gabbiano, che ovviamente, non lo era. “Ei voi” aveva strepitato una voce.
Jason era saltato osservando la figura davanti a loro, era un uccello, dalle dimensioni di un condor, con le piume di un grigio sporco ed il viso più bello che Jason avesse mai visto, quello di Piper. “Tu … tu sei una Sirena!” aveva esclamato Jason[6].
“Oh, be, complimenti Capitan Ovvio” aveva risposto la Sirena, “Io sono Jia e sono il questore di Baia. Sono stata incaricata di sorvegliare i territori limitrofi a Nuova Roma, specie dopo gli ultimi tempi. Identificate voi stessi e la ragione della vostra visita” aveva asserito quella con voce secca e raschiante.
Madina aveva preso la mano di Jason preoccupata, “Chi ti ha incaricata?” aveva chiesto Alex, coraggiosa. “Sono stata selezionata personalmente dal Pretore Zhang e se non risponderete alle mie domande con le buone dovrò ricorrere alle cattive” aveva dichiarato Jia.
Jason aveva sussultato alla menzione del nome del suo amico, un gran calore aveva avvolto il suo petto nel ricordare il sorriso chiaro, buono e pieno di luce del figlio di Marte. Frank era ancora pretore – titolo che Jason aveva dato lui, pieno di fiducia – ed era riuscito a far collaborare anche una sirena. Jason non credeva che le sirene potessero voler collaborare con i semidei.
Prima che Jason potesse rispondere era stato Magnus a parlare, “Oh, non ci serve!” aveva esclamato subito Magnus, “Immagino che questo valga solo per i non-mortali” aveva considerato il figlio di Frey, indicando le imbarcazioni mortali che attraccavano con assoluta calma.
“Immagini bene, ma non puoi intortare a chiacchiere me, ragazzino. Incanto gli uomini da prima che i tuoi avi sapessero di essere al mondo” aveva dichiarato la sirena senza perdere smalto, “Immagino!” aveva risposto prontamente il figlio di Frey, “Io sono Magnus Chase, un einherjar del Valhalla, sono in visita a mia cugina” aveva dichiarato con tranquillità.
“Oh, il famoso Magnus Chase, l’uomo che ha battuto ad una gara di insulti Loki Laufeyson” aveva valutato Jia, leggermente ammirata. Jason era davvero sorpreso da quanto velocemente le informazioni si fossero disseminate tra i vari pantheon, considerando che fino a quel momento Jason non aveva neanche avuto idea esistessero i norreni.
In effetti aveva vissuto tutta la vita senza sapere neanche dei Greci – doveva essere una specie di gioco degli dèi, quello di tenere i mezzosangue all’oscuro. “… Un uomo che potrebbe provare a raggirarmi ed avere solide possibilità” aveva considerato Jia, interessata, con gli stessi strabilianti occhi di Piper, stretti in un’espressione sospettosa. “Colpevole di quello! Ma ho usato solo la mia buona parlantina e molti complimenti, ad insultare faccio schifo. Dicevo, siamo qui in visita da mia cugina Annabeth, anche lei credo sia piuttosto famosa” aveva ripreso Magnus.
“Sì, sì, potrei averla incontrata qualche anno fa” aveva replicato Jia.
Jason aveva drizzato la schiena, abbastanza colpito da quella notizia, di cui non aveva mai saputo nulla. Non lo sorprendeva, Annabeth aveva vissuto più avventure di chiunque lui avesse mai conosciuto, più di lui – Deì, aveva anche un cugino einherjar figlio di Frey – ma era così strano scoprire cose nuove di persone che pensava di conoscere come i palmi delle sue mani.
Poi, riflettendoci, aveva valutato che non doveva sorprendessi poi troppo, in fin dei conti, pensava genuinamente che lui e Piper si amassero e che avrebbero passato la vita insieme.
“Tranquilla Jia, puoi andare, garantisco io per loro” aveva salmodiato una voce.
Jason si era voltato subito, sull’attenti.
Per un secondo aveva intravisto Kymopoleia, fermato da quegli occhi, ma ad un’occhiata più attenta, si era dovuto ricredere. Aveva gli stessi occhi verde mare della dea della tempesta e di Percy, ma la somiglianza finiva lì. Il viso della sconosciuta era più dolce ed infantile di quello di Kym, il tono della sua pelle era di un azzurro chiaro, la sua forma era più morbida ed appesantita, sfoggiava inoltre una chioma riccioluta di un verde rame. Jia aveva sbuffato, “Come lei desidera, mia signora Bentesicima” aveva detto, prima di spiccare il volo ed abbandonarli, non senza aver lasciato un ricordino sul bordo della barca.
“Ehm … Grazie?” aveva detto Jason.
“Sì, Grazie” aveva dichiarato l’altra con un tono basso piuttosto infastidito, “Oggi, io e le mie sorelle abbiamo dovuto affrontare le figlie di Aegir per voi. Non ho idea di cosa voi abbiate fatto per aver fatto muovere la mia istrionica sorella. Kymmi ha detto che lo ha fatto per te, Magnus Chase, perché a breve saremo tutti una grande famiglia felice. Ovviamente io conosco Kym e le-” aveva aggiunto Bentesicima, interrompendosi bruscamente, quando Magnus aveva aperto la sua bocca.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, non sembrava una scusa molto credibile e sicuramente un’altra divinità interessata a quella storia non aiutava Jason, ne Kym, ne Nico.
 “Oh, certo. Quando Annabeth e Percy si sposeranno. Sarà un matrimonio fantastico, un po’ affollato, penso, dovremmo tenere su due pantheon. Pensi che il divino Poseidone permetterà di celebrare le nozze ad Atlantide? No, perché io ho, problemi con tutte le divinità marine del mio Pantheon, incluso il Serpente, forse non mio nonno …” aveva parlato sparato dritto come una macchinetta Magnus.
Jason si era perso.
Anche Madina a giudicare dalla sua espressione. Alex invece sfoggiava un bel sorriso sornione dal soliloquio del suo fidanzato. “Ahhh … chiudi la bocca e sbarcate, prima di inimicarvi anche le divinità di questo pantheon!” aveva strillato Bentesicima.

 

“Annabeth è parecchio strana, a quanto pare abbiamo avuto un tempismo perfetto” aveva considerato Magnus, sarcastico, mentre leggeva un messaggio sul telefono, l’altra mano in quella della sua fidanzata.
Madina seguiva loro calma, affiancata da Jason.
Se i primi due parevano una coppia di fidanzatini adolescenti standard, Jason e la sua amica, attiravano non pochi sguardi.
Jason indossava una lurida pelliccia sbrindellata e Madina indossava dei vestiti a strappi. La foschia, d’altronde, riteneva che intervenire sulla moda dei mezzo-sangue non fosse suo dovere, portava a molti mortali confusi a guardarli.
“Bella San Francisco. Piena di salite, sarebbe fantastico farci jogging” aveva esclamato Madina, comunque, piena di meraviglia negli occhi, guardandosi a destra e manca. “La mia solita fortuna” aveva commentato Jason ad alta voce, rispondendo a Magnus, con un’espressione crucciata sul viso, confuso e timoroso di quello che avrebbe dovuto dire.
“Annabeth dice che ci incontrerà subito e ci porterà alla porta, ma prima deve capire come sistemare una piccola crisi che sta affrontando” aveva spiegato Magnus leggendo il messaggio di sua cugina. Jason aveva annuito, “Io, ecco, dille che puoi aiutarla” aveva commentato Jason, con un sospiro pesante.
Sapeva di non poterlo fare, anzi, sapeva quasi di non doverlo fare, Kym si sarebbe infuriata, Thrud ne avrebbe pagato le conseguenze. “E può?” aveva chiesto Alex al posto del suo ragazzo.
Jason aveva annuito.

 

Annabeth aveva dato loro appuntamento ad una caffetteria vicino il suo dormitorio, non lontano dall’Università di San Francisco. Come quando aveva raggiunto l’università di Boston, Jason aveva sentito un mancamento attraversarlo.
“Sei nervoso, vero?” aveva domandato Madina, con gentilezza, “Tecnicamente dopo il trapasso, non possiamo incontrare i nostri famigliari, le regole vorrebbero che stessimo ad Idavoll ogni giorno. Però, alla fine, tutti sgattaiolano per vedere i propri cari” lo aveva rassicurato con gentilezza.
A fermarlo dall’abbracciare la ragazza era stato guidato solamente dalla consapevolezza di averne ricevuti troppi in quella giornata. “Madina … io … non voglio mentirti oltre” aveva ammesso Jason, alla fine.
Madina lo aveva guardoto, con gli occhi scuri, carichi prima di angoscia e poi di dolcezza, prima di un sospiro, “Non mentivi, per paure, eh?” aveva chiesto retorica, senza malizia.
“Credi che qui faranno qualcosa da mangiare?” aveva chiesto Magnus, “Spero non falafel, se ne mangio ancora …” aveva risposto Alex, “Io spero che Percy si porti la mia dama, non la vedo da mesi, se non trovasse la mia affilatura più attraente?” aveva chiesto Jack, la voce era venuta dalla gola di Magnus. Al suo collo, portava allacciata una collanina con il simbolo di Fehu.
Kráka lo aveva interpretato come negativo, o quasi.

Annabeth non ci aveva messo molto a palesarsi dopo. Jason l’aveva riconosciuta subito. Era Annabeth ma non lo era – un po’ come era stato per lui, quando si era rivisto allo specchio dopo il trapasso – era un’adulta. I mesi dall’ultima volta che Jason l’aveva vista dal vivo sembravano, in quel momento, improvvisamente più lunghi. Della ragazza in blue jeans e maglia arancione non era rimasto molto. Era una bella ragazza, con una camicia scozzese e pantaloni in velcro; l’incarnato ambrato, capelli biondi raccolti in una coda bassa, da cui sfuggivano ciuffi incontrollati.
Annabeth aveva avuto una camminata dritta e fiera, come Jason sapeva fosse lei, alle sue spalle c’erano Percy e Nico.
Il figlio di Poseidone aveva un aspetto piuttosto tranquillo e rilassato, con la felpa slacciata sul davanti ed i jeans chiari, Nico al suo fianco era ingobbito con gli occhi scuri spalancati, guardingo. Aveva abbandonato i vestiti di Leo, per qualcosa di Percy, in cui sembrava esserci caduto dentro. Nel vederlo, così spaventato, come sperava non l’avrebbe più visto, dopo Spalato, dopo la guerra, il cuore di Jason si era spezzato.
Nico fu il primo a vederlo.
Mentre Annabeth aveva riconosciuto subito la testa del cugino e si era diretta con un sorriso cristallizzato e nervoso verso di lui, Nico aveva visto lui. Gli occhi scuri si erano spalancati, un lampo di confusione, di terrore, di gioia, tutto insieme dietro le iridi.
Aveva abbandonato il fianco di Percy per correre verso di loro, quasi urtando Annabeth nel mentre. “Nico!” lo aveva rimproverato lei, ma quando si era accorto di Jason il fiato le era sparito.
Jason si era alzato ed era andato da loro.
Nico lo aveva guardato negli occhi, quasi tremante.
“Manca la cicatrice” aveva sospirato, con le mani quasi tremolanti, allungando una mano sul suo viso.
“Sono io, Nico; sono io” aveva commentato con voce calma Jason, timoroso che quella correzione sul viso, che aveva rovesciato il suo aspetto, lo rendesse in quel momento una copia ai suoi amici. Nico aveva abbozzato un sorriso, “Lo so. Lo so” aveva risposto Nico, “Riconosco la tua traccia vitale – e che sei ancora morto” aveva terminato.
“Sì, ora ti spiego tutto. Vi spiego tutto” aveva risposto Jason.
“Direi che ovvio, sei un Einherjar” aveva detto Annabeth, quando gli aveva raggiunti, abbracciandolo, stretto, come un serpente. Jason aveva ricambiato. Nico era arrossito alla consapevolezza di non averlo fatto anche lui e così era stato.
Ultimo era stato Percy, “Sono così felice di sapere che sei vivo, circa, amico” gli aveva sussurrato.
“Sì anche io” aveva ammesso Jason.
Madina, Alex e Magnus erano rimasti a guardare la scena.
Annabeth si era voltata verso il cugino ed aveva tirato un buffetto sulla nuca, “Potevi dirmelo!” lo aveva rimproverato. “Cosa ti scrivevo, credo che il tuo amico sia nel Valhalla? Non si danno queste notizie a cuor leggero” aveva risposto Magnus sulla difensiva.
“Potevi dircelo tu, Jason. Mesi fa!” aveva detto allora Annabeth, voltandosi verso Jason.
Ovviamente, era quello che chiunque si sarebbe aspettato da un buon amico; lui stesso lo avrebbe fatto, se fosse finito nel Valhalla mesi a dietro.
“Penso sia molto complicato” aveva risposto Jason.
Madina lo guardava con sguardo pieno di confusione, “Mesi?” aveva chiesto, confusa.
“Non sono morto quattro giorni fa” le aveva risposto Jason, “Ma molti mesi fa” aveva raccontato. Ringraziava, quasi, in quel momento, che Thrud lo avesse fatto giurare sullo Stige di non urlare e non di mantenere il segreto, forse lo aveva fatto proprio per quello, consapevole che un giorno avrebbe dovuto rendere i conti.
Forse quel giorno non lo pensava così vicino.

“Okay, penso sia il caso che ci sediamo tutti e parliamo per bene, se Jason se la sente” aveva attirato l’attenzione di tutti Alex, sollevandosi dalla sedia, nel tentativo di racimolare anche altre sedute per permettere di sistemare tutti.
“Percy hai portato la mia ragazza?” aveva chiesto invece Jack, Magnus aveva sbuffato liberandosi la sua spada dal ciondolo. Il figlio di Poseidone aveva annuito, sfilando dalla tasca la sua biro a cui aveva fatto saltare il cappuccio. Qualche mortale si era girato, “Dannati ragazzini e i loro cannoni spara-coriandoli” aveva sentito un vecchio borbottare, mentre beveva il suo caffè con un’espressione contrariata.
“Scusate un secondo” si era congedato Percy, mentre adagiava Vortice, dritta, su una sedia ad un tavolino di distanza, Magnus non aveva dovuto fare la stessa manovra con Jack che ci era volato accanto da solo. Anche quell’azione aveva guadagnato qualche confuso sguardo dei mortali, ma che si era acquietato quando Percy si era allontanato, segno che la Foschia aveva corretto la percezione.
Jason si chiedeva cosa dovessero percepire le persone nel vedere la scena, perché a Jason pareva surreale – ed era morto e risorto. Due spade, attorno ad un tavolo, una delle due parlanti che riempiva l’aria di chiacchiere con un soliloquio di tutto rispetto.
“Okay, sì, questa è la cosa più strana che ho visto questa settimana e non ne ho viste poche” aveva rivelato Madina, alzando le mani.
“Tranquilla, lo facciamo quasi una volta ogni due settimane … appuntamento tra spade” aveva liquidato la faccenda Annabeth. Lo aveva detto con l’assoluta serietà con cui diceva le cose lei, anche in una situazione così pittoresca.
Jason aveva un singulto nel petto, perché in quel momento, l’unica cosa che avrebbe voluto dire era: mi siete mancati tantissimo.
Ma non riusciva a muovere la lingua.
“Parliamo delle cose serie: Jason?” aveva dichiarato la figlia di Atena, rivolgendosi verso di lui, distogliendolo dai suoi tremori.
“Sempre se te la senti con noi tutti ...” Si era intromessa Madina gentile. Aveva sorriso di nuovo, in quella maniera delicata e dolce, di chi sapeva comprendere bene i turbamenti degli altri.
Era una ragazza esuberante, di quelle capaci di portare il colore in ogni stanza, ma aveva anche un’empatia incredibile.
Jason le aveva sorriso, di rimando, incoraggiato.
“Non è non sentirmela, ma è il pericolo in cui vi metterei” aveva risposto Jason e nel dirlo aveva voltato lo sguardo su Nico.
“Sono morto del tempo fa, non so esattamente quanti mesi, combattendo contro … be, non un boss criminale, quasi, contro un Imperatore Romano” aveva raccontato Jason.
Nessuno era parso particolarmente sconvolto dalla notizia, tranne Madina, “Oh, per la gloria di Asgard, sei morto nella battaglia della Baia?” aveva chiesto subito, con espressione apprensiva negli occhi scuri.
“No, prima, a Santa Barbara” aveva asserito Jason, con uno sguardo cupo, recuperando quel ricordo, pieno di dolore.
 “Però è stato comunque un membro del triumvirato?” aveva chiesto Madina, sembrava incerta di che parole dovesse usare. Questo aveva confuso decisamente Percy e Nico, di rimando Annabeth aveva inclinato la testa e studiato la ragazza con interesse. Alex e Magnus reduci della confesssione alla Baia non erano parsi molto sopresi. “Madina è in giro da qualche secolo, si è fatta il suo bagaglio di esperienze e conoscenze” aveva giustificato la cosa Jason. Madina aveva annuito, “Inoltre il mio ragazzo è stato molto interessato agli avvenimenti” aveva spiegato con calma.
“Ah, davvero? Noi l’abbiamo scoperto praticamente a cose fatte” si era lamentata Alex, “Stavate anche salvando il mondo, voi” aveva ricordato Madina, con delicatezza.
“Quante volte negli ultimi anni il mondo è stato in pericolo?” aveva chiesto Nico, con genuina confusione.
“Se contiamo: tre noi, in cinque anni, una volta Carter, una volta Magnus …” aveva cominciato ad elencare Percy.
La cosa aveva inavvertitamente provocato una risata, che aveva disteso la situazione leggermente pungente che si era creata.
“No, fidatevi, questo è niente. Dovevate esserci alla fine del ‘settecento, credevo che il mondo finisse tre volte a settimana” aveva replicato lei.

Jason aveva sospirato, guardando la sua nuova amica, “So, che può sembrare brutto, forse, qui è il momento in cui …” aveva cominciato a raccontare in imbarazzo Jason. Madina aveva sorriso incoraggiante, “Qui è dove vuoi fermarti e raccontarlo solo ai tuoi amici” era intervenuta Alex, “Chiaro, semplice, comprensibile” aveva spiegato per lui.
Jason aveva sorriso cotto di imbarazzo, “Sei anche tu mia amica” aveva detto guardando Madina, perché fosse chiaro.
“In realtà, vorrei dirlo solo a Nico, cioè volevo dirlo solo a Nico, ma con Annabeth e Percy qui mi sembrerebbe stupido …” aveva specificato Jason, senza contare che si rendeva conto, egoisticamente, di non volerlo fare. “Inoltre, non voglio mentirti ancora ed è una situazione lunga e forse, sarebbe il caso che te la racconti dopo, anche con gli altri. Magari con Mel” aveva detto, prima di voltarsi verso Alex e Magnus che non sembravano turbati dai suoi segreti.
“Jason” aveva detto Madina, “Ho vissuto seicento anni, ormai ho capito come inquadrare le persone. Mi hai mentito, ma capisco che non sei una cattiva persona. Con il tuo buon cuore hai spinto due jotun e due dee ad aiutarci” aveva sottolineato lei, carica.
Jason era arrossito, anche se non sapeva bene perché. “Dii Immortales, amico, non hai perso tempo!” aveva fischiato Percy.
“Allora, facciamo così, noi ci ordiniamo un bel piatto di falafel ed una diet coke, mentre voi discutete” aveva invitato Magnus carinamente. Nel guardarlo in quel momento, non lontano da Annabeth, Jason si chiedeva come non avesse notato prima quanto evidente fosse la loro somiglianza.
Avevano lo stesso attento sguardo intelligente, Jason non credeva di poter descrivere in altro modo. “Grazie cugino” aveva dichiarato la stessa Annabeth, guardando lui.
“Sì, be, io non mangerò Falafel” aveva dichiarato Alex, mentre si alzava per attirare l’attenzione del cameriere, che con suo sommo stupore, stava raccogliendo l’ordinazione di Jack.

Jason, invece, con Nico, Annabeth e Percy si era seduto, momentaneamente, a qualche tavolino di distanza, sotto un’ampia finestra da cui si vedeva bene il quartiere, pieno di universitari.
“Deve essere bello” aveva commentato a mezza-bocca Jason con voce sognante; aveva sentito la mano di Annabeth sulla sua, con gentilezza, “Diciamo di sì, ma solo di martedì, giovedì e venerdì” aveva risposto con una risata. Jason aveva contraccambiato con divertimento. “Possiamo riprendere questa scena da Friends dopo e parlare del fatto che Jason è passato dai Campi Elisi al Valhalla?” aveva chiesto retorico Nico.
“Tu sai cosa è Friends?” aveva domandato Percy, quasi con curiosità, come se vedesse una fiera rara; l’altro lo aveva guardato con un certo biasimo negli occhi, quasi a sottolineare non fosse quello il punto, ma lo sguardo di Percy non era cambiato di una virgola, “Will dice che devo recuperare qualcosa come ottanta anni di cultura pop” si era giustificato Nico, rosso in viso, come un peperone; “Ora possiamo parlare di Jason?” aveva chiesto.
Percy si era fatto scattare una risata.
Tutti gli occhi erano poi tornati su Jason, “Allora, amici miei, la questione è pericolosa, si rischia una guerra tra i nostri genitori” e nel dirlo, aveva guardato sia Nico, sia Percy, quasi singolari, “E non provocherebbe non pochi problemi con il mondo norreno” aveva raccontato con una pausa.
Senza considerare quel piccolo incidente delle tavole del destino scheggiate. Gli altri avevano annuito attenti, “E questo ti spiegherà anche perché hai l’impressione che un dio marino sta cercando di ucciderti” aveva aggiunto con calma, attirando l’attenzione del suo amico, che si era drizzato come una freccia, “Perché lo sta facendo, probabilmente” aveva aggiunto.
Annabeth lo aveva guardato, con gli occhi grigi, dritti su di lui, quasi rapaci, “In quale casino sei finito Jason?” aveva chiesto posata.
“Amici, è un segreto. Dico davvero, fino a questa mattina eravamo in tre a saperlo, più una quarta che aveva i suoi dubbi, adesso saremo in sei a saperlo, e quattro con troppe informazioni” aveva raccontato nervoso; “Quindi nessuno – nessuno – dovrà saperlo oltre” aveva rivelato lui, per un secondo i suoi pensieri erano galoppati verso Thalia, Piper e Leo, certo anche Hazel e Frank, ma per primo sua sorella, che doveva aver affrontato, di nuovo, la sua morte, poi per la donna dei suoi sogni ed il suo migliore amico, che non lo avrebbero mai dovuto sapere. Per la pace. “Non volevo neanche dirlo a tutti voi – avevo pensato di dirlo a Nico perché si stava mettendo nei guai, ma non volevo, perché non volevo darvi questo peso” aveva spiegato Jason.
“Non sei Atlante, amico, non devi tenere il peso del mondo sulle spalle” lo aveva rassicurato Percy.
Jason aveva sospirato e alla fine aveva raccontato tutto.
Aveva omesso il ruolo di Thrud, descrivendola come una valchiria, sia per non esporre la sua amica ulteriormente, sia perché sarebbe stato inutile ai fini della storia, per i suoi amici. Non aveva potuto fare per Kym la stessa cortesia.
“Mia sorella? Mia sorella Kym? Alta venti piedi, incazzata come una faina e poco simpatica?” aveva chiesto Percy sconvolto, “Ha convinto una valchiria ad andare nel regno di Zio Ade a rubare l’anima di un figlio di Giove da portare nel Valhalla per un Action Figure?” aveva materializzato Percy, sconvolto.
“Questo non ha parecchio senso” aveva ammesso Annabeth.
“Sarò onesto” aveva considerato Jason, “Credo che Kym abbia una sua agenda, ma non ho idea di quale sia, non sono neanche sicuro di volerla sapere – in realtà ora sono in missione – però questo non cambia quello che ha fatto” aveva spiegato.
“Certo una figlia di Poseidone è entrata nel regno di Ade per prendere l’anima di un figlio di Giove. Solo questo basterebbe a far arrabbiare i tre” aveva soppesato Annabeth.
“Mio padre potrebbe andare sul piede di guerra per questo. Non la prese molto bene quando Sisifo si diede alla fuga” aveva raccontato Nico.
“Io credo che Kym puntasse molto all’idea che tuo padre non lo avrebbe notato. Di solito immagino non presti attenzione alle anime in fuga delle Isole dei Beati o dei Campi Elisi, chi vorrebbe mai andare via da lì?” aveva risposto retorico Jason.
Nico aveva annuito, “Sì, decisamente sono i campi della pena i posti dove c’è grande attenzione a chi esce di straforo. Immagino che la divina Kymopoleia avesse preso leggermente sotto-gamba la mia … la mia … preoccupazione” aveva confessato Nico, con un po’ di rossore sulle gote.
Jason aveva allungato una mano per posarla sulla spalla del suo amico, “Sono grato e onorato della tua amicizia Nico, così come della tua preoccupazione” aveva raccontato, “Non cercare più di scoprire dove è la mia anima e credo che Kym ti lascerà in pace, nel dubbio, proverò a contattarla, anche se non so bene come” aveva raccontato, grattandosi la nuca.
Kymopoleia si era inimicata la figlia di Aegir per lui, forse avrebbe potuto smetterla di tormentare Nico – se fosse stata davvero lei.
Nico aveva annuito, “Tutta questa situazione è surreale” aveva considerato Annabeth, “Ma va bene, lavoriamo con quello che abbiamo” aveva considerato pragmatica.
“Smetterò di fare domande … anche perché ora non è più necessario” aveva ammesso Nico, aveva sorriso verso Jason, i suoi occhi erano quasi lucidi, “Io sono contentissimo che tu stia bene. Quando … quando non ti ho sentito più in pace è stato terribile” aveva raccontato.
Jason gli aveva arruffato i capelli, “Va bene, non devi più preoccuparti, io ora sto bene, circa, sono già in missione, come dicevo, niente di nuovo sotto Sol” aveva scherzato – mentendo.
Non era il caso, si disse, di tirarli in mezzo alla questione di Gullinsporti, di H e dell’altro Váli. “Dei, tutti uguali, neanche nella morte ti lasciano in pace” aveva scherzato Percy.
La risata sulle loro labbra era stata gelata solo da Annbeth, delicata, per quanto possibile, “Con gli altri, Jason, so che hai detto che deve essere un segreto, ma sei davvero sicuro? Neanche a Thalia?” aveva chiesto.
“Nessun altro” aveva risposto Jason, con dolore.
“Perfetto, mi inventerò qualcosa con Lit, Leo e Calypso per il mio comportamento” aveva provato Nico – Jason avrebbe dovuto dirgli di tacere anche con il suo ragazzo, ma aveva dubbi che il suo amico lo avrebbe fatto davvero, “Credo che nessuno dei tre mi crederà a pieno, ma Leo si è abituato alle mie stranezze, Calypso è più strana di me e a Lit non frega nulla” si era giustificato Nico.
“Sei proprio sicuro, amico?” aveva chiesto, invece, Percy guardando Jason, “Nel senso, noi vorremmo incontrarci prossimamente, sarà strano dover mentire” aveva considerato con un’espressione cruciata. Annabeth aveva messo una mano sul braccio del suo fidanzato, con calma, “Percy, questa è una decisione di Jason e noi dobbiamo rispettarla. Capisco la tua scelta, il bene dell’equilibrio del mondo prima di quello personale, però, è ingiusto, mi rendo conto … magari quando la situazione sarà diversa, tu potrai incontrare anche gli altri, ne sarebbero pieni di gioia” aveva considerato Annabeth, con quel suo tono rassicurante, calmo e gentile. “Amici, mettervi in questa situazione è l’ultima cosa che avrei voluto. Questa situazione è l’ultima cosa che avrei voluto” aveva rivelato Jason, “Se posso essere veramente sincero: io stavo bene, perché ero certo che nelle vostre mani sarebbe andato tutto bene” aveva aggiunto.

Jason aveva sentito il bisogno di piangere e gli altri erano stati così cortesi da avergli dato il suo tempo, raggiungendo gli altri. L’ultimo ad alzarsi era stato Nico, lo aveva fissato con intensità, con i suoi occhi scuri, “Egoisticamente: io sono felice” aveva sancito il figlio di Ade, prima di congedarsi. Jason aveva sorriso, prima di tirar via gli occhiali e nascondere le lacrime con una mano.
Quando era arrivato, Annabeth stava raccontando qualcosa di divertente a proposito dei suoi fratelli minori – ne aveva? Jason non lo sapeva, pensiero che gli aveva dato le vertigini – al cugino, mentre Alex e Percy dibattevano su come stesse andando l’appuntamento tra Jack e Vortice, la spada era arrivata a cantare l’intera discografia di Enya.
Madina stava spietatamente interrogando Nico, con quel suo sorriso pieno di divertimento, poteva osservare come il suo amico fosse così rosso d’imbarazzo, da parere quasi su una graticola.
“Jason caro, è così bello mangiare qualcosa che non ha dei miele dentro – nonostante fossero sante quelle api” aveva dichiarato, mostrando con orgoglio il suo kebab. “I falafel di Amir però sono meno speziati e più buoni” aveva considerato Magnus, mentre si guadagnava un buffetto sulle dita dalla ragazza quando aveva cercato di prendere una manciata delle sue patatine. Jason aveva sorriso, “Sai sto proprio sognando l’arrosto di cinghiale di questa sera” aveva raccontato, aggiustandosi gli occhiali. I suoi occhi erano ancora arrossati e lucidi, dal pianto.
Gli altri avevano ridacchiato, “Okay questa andrebbe approfondita” aveva detto Percy.

 

Jason sarebbe voluto rimanere di più, sarebbe voluto rimanere per sempre; anche Magnus e Jack sarebbero voluti rimanere di più, ma il destino del pantheon norreno non prevedeva quell’attesa.
Avevano seguito Annabeth nel suo dormitorio – che a Jason aveva ricordato, senza alcun dubbio, i piani delle valchirie all’Hotel Valhalla – fino alla sua piccola stanza.
“Fate attenzione” aveva dichiarato la proprietaria.
La stanza di Annabeth era spartana, ordinata, senza un grammo fuori posto, ma il pavimento era occupato da un plastico tridimensionale di un’acropoli moderna. Jason aveva riconosciuto alcuni dei suoi templi, di cui i disegni erano rimasti nella sua camera al collegio.
“Sto unendo l’utile al dilettevole, un progetto per una mostra e la creazione di un’acropoli al campo mezzo-sangue, ne faremo anche uno per Nuova Roma ma li è più complicato perché ha una geografia più ordinata ed ha già dei templi. Il Campo ha molti spazi ampli e vuoti che potremmo sistemare bene” aveva raccontato la sua amica, guardandolo, “Tranquillo, ti ho citato nel progetto; sei tra i ringraziamenti, senza il quale niente di tutto questo sarebbe possibile” aveva spiegato subito.
“Grazie Annabeth” aveva detto Jason, non per la citazione, “Apollo e Meg hanno portato i disegni a Nuova Roma ed Hazel a me. Non avremmo mai lasciato la tua opera incompiuta” lo aveva rassicurato con fermezza.
“Di positivo c’è che ora, puoi partecipare attivamente, Magnus può farmi avere i tuoi disegni” aveva aggiunto Annabeth, indicando suo cugino.
Jason lo aveva ringraziato di cuore.
Annabeth aveva sorriso, “Okay, adesso, proveremo ad aprire questo portale, cercando di seguire le istruzioni del tuo amico elfo” aveva spiegato con tranquillità.
La sua amica aveva recuperato un pennarello e con linee dritte, sicure, aveva scritto delle rune, copiate da un foglietto.
“Quali sono?” aveva chiesto Jason, a Madina. “La prima, quella che sembra una B, è Berkenna; poi c’è Raido, la R,  Kenaz, quello che sembra il simbolo del maggiore-minore” aveva spiegato prontamente Madina; Annabeth lo aveva guardato, “Da quello che ho capito: Creazione-Movimento-Segreto” aveva detto con semplicità, indicando le varie rune.
L’armadio di Annabeth si era illuminato, poi la luce si era affievolita, trasparendo solo dalle ante socchiuse, “Da quello che ho capito, ora il passaggio sarà aperto fino a che saranno aperte le porte, poi ci vorranno ventiquattro ore per ricaricarlo” aveva spiegato didascalica Annabeth.
Magnus aveva dato un forte abbraccio alla cugina ed aveva battuto il pugno con Percy, Jack aveva piagnucolato di voler avere più tempo con Vortice.
Annabeth aveva aperto le ante dell’armadio, lasciando che una calda luce d’oro li investisse. Alex aveva salutato tutti ed era stata la prima a saltare, seguita dal suo ragazzo che dibatteva con la sua spada emotivamente sconvolta. Madina aveva guardato Jason un secondo e poi era balzata dentro anche lei.
“Non è un addio” Nico aveva parlato prima degli altri, esponendosi, “Io posso muovermi nell’ombra, New York e Boston sono vicine. Non è un addio” aveva ripreso, “E qualsiasi cosa tu stia per dire sul: non dovremmo, è pericoloso, risparmiatela, sono andato e tornato dal tartaro così tante volte che nessuna situazione mi sembra più pericolosa” aveva stabilito con sicurezza.
Annabeth aveva sorriso, colpita, “Hai sentito il capo, non è un addio” aveva considerato Percy, “Sempre se mia sorella non decide di ucciderci tutti prima” aveva aggiunto con divertimento. “Risolvo io” li aveva rassicurati Jason, con il cuore pesante, sofferente all’idea di doversi separare ancora.
“Allora, arrivederci” aveva asserito Jason – ma non ne era sicuro – prima di attraversare anche lui la porta.

Non era stato diverso dal passare una soglia, una qualsiasi altra, se non fosse stato per il calore e l’attimo. In un battito di ciglia era passato dalla stanza del dormitorio di Annabeth a quello che pareva un piccolo magazzino straripante di roba.
Jason aveva urtato contro un appendiabiti morbido, pieno di piumini.
“Ecco, ben arrivato” lo aveva chiamato una voce. Jason aveva riconosciuto subito l’elfo oscuro Bltizen, “Cosa ti ha fatto di male quel cappotto?” aveva chiesto, ammiccando ai resti del vestito di Astrid, “Nulla rispetto a quello che mi farà la proprietaria” aveva risposto lui.
Blitzen aveva allungato una mano, per invitarlo a consegnarli l’indumento, “Tanto non posso permetterti di uscire così dal mio negozio, ho una reputazione. I Nove Regni sono pettegoli e non si dica che Blitzen Freyason permetta a gente scapigliata di uscire dal suo negozio” aveva aggiunto con estrema professionalità.
Jason si era sfilato la pelliccia per dargliela.
Infondo, l’elfo oscuro aveva restaurato l’altra.
Blitz gli aveva dato una camicia a rombi, pulita, per sostituire la maglietta. Quando lo aveva accompagnato fuori dal magazzino, all’interno del suo negozio.
Jason aveva avvisto i suoi compagni tirati a lucido, Madina con gli scii legati alla schiena, sopra un abito a fiori spezzato alla vita. Magnus con una camicia di flanella ed Alex che curiosava invece al reparto pantaloni, per prenderne un paio verde pistacchio.
C’era anche l’elfo muto, stava parlando a Magnus, con movimenti precisi ed eleganti delle mani, il figlio di Frey stava osservando tutto attentamente, “Sì, amico, ha funzionato perfettamente” aveva risposto con un sorriso pieno d’orgoglio, l’altro aveva gesticolato qualcosa, “Ah, sì, meno male che non ci siamo disintegrati nel vuoto cosmico” aveva detto Magnus, meno convinto.
“Come stai?” aveva chiesto Madina, invece, venendo verso di lui, con un tono dolce e preoccupato, “Come se fossi finito in una lavatrice emotiva” aveva risposto Jason, “Non molto romano” aveva aggiunto.
Anche se lui non lo era mai stato veramente.
“Dovremo accantonare lo stereotipo che i romani non hanno cuore, allora” aveva risposto lei con gentilezza.
“Ehm ehm …” aveva attirato l’attenzione Magnus, “Noi, ecco, pensavamo di restare qui con Heart e Blitz a fare quattro chiacchiere, siete invitati ovviamente” aveva aggiunto.
“Grazie dell’invito Magnus, ma abbiamo una missione da terminare” lo aveva anticipato Madina. Il figlio di Frey aveva annuito, ma Jason aveva potuto osservare un’espressione preoccupata palesarsi sul viso dell’elfo, che immediatamente aveva cercato con lo sguardo il suo amico proprietario del negozio.
Blitz aveva parlato, interpretando l’espressione di Heartstone, “Missione? È successo qualcosa di grave?” aveva chiesto.
Madina aveva guardato Jason, “Non so, può darsi? Un dio si è perso qualcosa – nella norma credo” aveva ammesso, non era ne una menzogna ne la verità. “Spero non sia quel dannato martello di nuovo” aveva replicato Alex, “Perché io un altro abito da sposa non lo metto” aveva sottolineato.
Jason non aveva idea di cosa stessero dicendo, “Magari, quando avremo scansato il Ragnarok per l’ennesima volta, potete raccontarmelo?” aveva invece chiesto Madina.

 



[1] Riferimento al secondo capitolo della saga di Magnus

[2] Riferimento ad un gioco di parole di uno dei titoli di Magnus Chase, “Things get Wyrd”  (che giuro non ricordo per nulla come fosse in italiano) che gioca con i termini “Weird” (che nell’inglese antico voleva dire: magico, mentre in quello moderno: strano – e deriva proprio dall’altro termine) e Wyrd. Intraducibile in italiano, ma dovevo.

[3] In The Ship of The Deads, Magnus ed Alex avevano un excursus sui libri della Biblioteca della Chase Mansion ed Alex si lamentava della mono-tematicità dei volumi in quanto fossero troppi “Uomini Bianchi morti” e Magnus sottolineava che anche lui soddisfaceva le tre categorie.

[4] Magnus ha vissuto per due anni per le strade di Boston, senza aver mai incontrato mostri fino alla sua morte (anche se aveva Heart e Blitz ha proteggerlo), comunque anche Alex, Mallory e TJ (che erano semidei) non raccontano mai di spiacevoli incontri con mostri. In vero, nell’universo Riordiano (ma anche mitologico) i mostri scandinavi sono più “sobri” di quelli greci (Ovviamente per gli Einherjar è tutta un’altra cosa).

[5] Gli schiavi romani potevano godere del Diritto Romano del non essere uccisi ed anche addirittura di dover essere curati in caso di infortunio (OH, Più DI UNO STAGISTA. Sto scherzando) Non era niente, ma almeno sapere che il tuo padrone non poteva ucciderti random era qualcosa, i gladiatori per ovvie ragioni (combattevano nell’arena) non godevano di questo “privilegio”.

[6] Mi sono ispirata alla rappresentazione che Riordan fa in SoM invece che quella più mitologica.

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Capitolo 16
*** Attenzione Spoiler! Anche se effettivamente questo potrebbe essere l’ultimo … ***


EHILA’ sono tornata.
Chiedo scusa per l’assenza prolungata, ma ho la giustificazione della vita: Ho avuto il covid. Mi ha messo davvero, davvero K.O. e ci ho messo dodici mila anni a scrivere questo capitolo. Poi dopo che è passato il covid (di cui porto ancora addosso i segni, con la tosse più spaventosa del mondo) mi è ripiombato addosso tutto quello che avevo da fare – tra cui infiniti progetti (che devo realizzare e non ho idea di come fare).
E niente, quindi, ho scritto questo capitolo ed è uscito fuori straordinariamente lungo, con qualche evento importante e …
TW: Una cosa di cui non ho mai parlato, i discorsi tra Fred e Astrid potrebbero risultare a volte offensivi, vi posso assicurare che i due personaggi si vogliono molto bene, ma sono figli del loro tempo (nonostante sono ormai in giro da quasi un millennio, per arrotondare): Astrid è vissuta nell’epoca in cui il cristianesimo cominciava ad infiltrarsi nel mondo norreno (e la cosa non era sempre visto positivamente), mentre Fred è un monaco-crociato (anzi morto durante la quarta crociata – che è molto particolare) cresciuto a pane ed odio verso i non-cristiani (anzi i non cattolici, ricordiamo sempre come è finita la quarta crociata). Comunque, ripeto, i due personaggi si vogliono molto bene.
Oltre questo, vorrei ringraziare Farkas per il sostegno e le recensioni.
Buona Lettura!
RLandH

Vi regalo la profezia: https://www.deviantart.com/rlandh/art/The-Prophecy-912853174 (avevo voglia di sperimentare con la prospettiva)

 

 

Attenzione Spoiler! Anche se effettivamente questo potrebbe essere l’ultimo …

 

“Dove è la mia giacca?” aveva chiesto la ragazza con una punta di veleno, “Intendo quella bellissima, cucita con l’oro dei capelli di mia nonna e della Signora della Magia che ti ho prestato” aveva specificato.
“Un lupo di vento la ha rovinata, la ho lasciata da Blitzen” aveva risposto Jason, pregno di vergogna, Astrid si era ammorbidita un po’. “Sono contenta che tu non sia morto, Jason” aveva aggiunto lei, un po’ più dolce.
Jason era stato sul punto di fare una battuta, abbastanza scontata sulla sua partecipazione all’holmagang, quando aveva osservato come era vestita la ragazza. “Stai … indossando una corona di fiori?” aveva domandato, notando la ghirlanda sulla sommità corvina della testa della ragazza, “Me ne ero dimenticata. Comunque, sì, la signora di Alfheim quando è nervosa si diverte a fare queste cose” aveva detto colma di imbarazzo, aveva mosso le mani, come a voler togliere la ghirlanda dalla testa, ma poi aveva lasciato perdere.
“Ti sta bene” aveva commentato Jason, non era una menzogna. Con i capelli sciolti, lunghi e neri, dritti sul viso tondo caramello, la ghirlanda con petali gonfi di rosa e pervinca, creavano un’ottima crasi. Astrid lo aveva guardato insicura, “Grazie?” aveva provato Astrid, con le gote leggermente arrossate; “Immagino non si sposi bene con il kyrtill[1] di lana” aveva detto lei, pizzicando la sua maglietta. “No, funziona bene” aveva considerato Jason, “Tu funzioni bene” aveva specificato.
Astrid aveva ridacchiato, con nervosismo e le gote rosse, “Oh, Jason certo di non essere figlio di un dio della poesia, eh?” aveva rimediato lei.
“Solo fratello” aveva declinato Jason, “Ma fa degli Haiku pessimi, quindi …”

“Come è andata con Lei, con Gerd?” aveva chiesto Jason, cambiando argomento, “Nulla di che, ha parlato per lo più con Fred. Devo dire che è isterica e stressata, come l’aveva descritta il figlio. La divina Gerd non ha idea di chi possa essere stato. Io però ho guardato il cancello del cortile del cinghiale e il sigillo magico – sì, Frey ne aveva fatto uno – non è stato rotto” aveva raccontato la ragazza, “Vuol dire che chiunque sia stato: o è un maestro nel seid così esperto da ingannare il Signore del Alf Seid in persona o era contemplato nel vincolo” aveva sottolineato Astrid.
Jason aveva annuito, un brutto presentimento lo aveva colto, “Inoltre, be, tutti e tre i servitori di Gerd e Frey quel giorno non erano presenti. Tranne Stellan che si occupa del Giardino, che è nella parte frontale della casa, rispetto il cortile del cinghiale” aveva buttato fuori la giovane, “Abbastanza strano anche questo” aveva sottolineato lei.
Jason aveva annuito, concordando; “Sì, nel sogno, la donna, Bayla o Beyla, non ricordo, era ritornata. Uno era con Frey a caccia e l’altro era ancora assente[2]” aveva considerato, ricordandosi quel dettaglio.
Troppo coincidenziale. Si chiese se H avesse organizzato per bene le cose, per assicurarsi che non ci fosse nessuno in casa, se non un piccolo Elfo – forse per questo Jarnsaxa aveva avuto il compito di invitare fuori la sua amica proprio in quell’occasione.
Se era stato preparato da tempo, allora, forse Jason ed il suo arrivo non significavano nulla, erano solo una coincidenza.
Anche se non esistevano, secondo lui. “Ho sognato Kráka, tra le rune c’era quella di Fehu … forse era in relazione a questo?” aveva proposto.
La nipote di Sif aveva annuito, con gli occhi chiari rivolti verso di lui, “Hai avuto un altro sogno? Pare proprio che il wyrd ti abbia scelto Jason – che mi piaccia o meno” aveva commentato Astrid, spenta. Non doveva gradire troppo la distrazione rispetto la sfida.


Jason aveva dovuto confermare la cosa, dopo un momento di silenzio la skraeling aveva domandato: “Con Jarnsaxa, voi? In generale con Jotunheim … sono stupita di vedervi tutti interi”; con gli occhi verdi aveva raggiunto anche gli altri, “Sarà meglio raccontarlo tutti insieme” aveva considerato, “Comunque, posso assicurarti che dei Lupi di vento hanno provato a prendersi qualche pezzo” aveva terminato Jason.
Non lontano Stellan stava raccontano con orgoglio qualcosa, mentre Mel continuava a fare piroette per far vedere a Fred e Madina i suoi nuovissimi pantaloni. “Certo che ci avete messo tempo, voi” aveva ghignato il monaco cristiano, con un sorriso sarcastico, interrompendo la narrazione dell’elfo. Anche lui indossava una coroncina di fiori, sembravano gigli.
Inspiegabilmente sembrava un Bacco Rinascimentale.

“Sì, abbiamo cenato con i giganti” aveva raccontato Madina piena di soddisfazione, “La bontà di cuore di Jason ha pagato – visto che il suo bel Lupo ci ha garantito l’ingresso” aveva raccontato Madina, “Abbiamo partecipato ad una gara ed ho vinto una coccarda” aveva aggiunto orgogliosa, mostrando anche l’oggetto in questione.
Astrid sembrava particolarmente colpita, “Sì, a quanto pare era l’altro Váli” aveva dichiarato Jason, raccontando poi brevemente le dinamiche con il lupo. Aveva visto sul viso della Skraeling dipingersi un sorriso consolatorio – qualcosa sembrava filare dritto.


“La nostra avventura è stata fantastica” aveva esordito Mel, “La prova che in questo posto ci si può ancora divertire” aveva aggiunto pienamente soddisfatto. “Sì!” aveva confermato Stellan con gli occhi luccicanti come astri, “Per metà del tempo io ho pianto e strillato” aveva raccontato con meno divertimento l’elfo.
“Ai piani dei Re parleranno di noi per molti secoli” aveva scherzato il guerriero ceruscio, ignorando apertamente il commento dell’altro, prima di alzare una mano per darsi il cinque con l’elfo, che aveva ceduto incerto. “Ovviamente io ho rischiato di morire-morire ed è stato fottutamente spaventoso” aveva spiegato Stellan, ma era stato ignorato apertamente.
“Bene, noi abbiamo sprecato il nostro tempo, come avevo detto mia madre è semplicemente isterica, voi?” aveva asserito Fred, nel parlare il suo tono era stato particolarmente roccioso ed aveva lanciato uno sguardo ad Astrid, che lo aveva guardato in maniera tesa.  C’era qualcosa di volutamente taciuto in quello scambio.

“Abbiamo scoperto diverse cose” aveva aggiunto invece Jason, prima di chiedere della profezia e se la veggente fosse riuscita ad interpretarla.
“Come lo sai?” aveva chiesto Mel, stupido, sotto lo sguardo piuttosto confuso di tutti gli altri, “Ovviamente, l’avrà sognato” si era inserito Fred nella questione, con più vigore, “Metà delle cose che non sappiamo le scopriamo così” aveva ricordato, “Inoltre, il nostro buon amico ha già avuto sogni” aveva stabilito.
Jason aveva annuito confermando le parole di Fred, “Incredibile, Jason, gli dèi stanno investendo un sacco in te” aveva considerato Mel come aveva fatto Astrid prima di lui; “Comunque, crede di aver risolto qualcosa, ma non è del tutto certa” aveva stabilito il germano, parlando della veggente. “Allora, forse le nostre informazioni possono aiutarla meglio” aveva considerato Madina, soppesando, “Quando vi deciderete a dirle. Credo, sicuramente, che anche le nostre” si era intromessa Astrid.
Fred aveva spalancato gli occhi scuri, “Sì, tra un te, una ghirlanda e le urla isteriche di tua madre, io ho scoperto qualcosa” aveva sottolineato il lascito di Sif.
“Congratulazioni Nancy Drew” aveva risposto Fred facendo la linguaccia alla sua amica, ma la sua espressione non era mutata di un centimetro.
Jason non aveva idea di come Fred un’einherjar che viveva come ascetico da due secoli, conoscesse Nancy Drew.

Si erano così decisi a raggiungere il piano delle valchirie, “Comunque, quando Magnus Chase è venuto a dirci del messaggio di Utgard-Loki mi sono spaventato da morire, volevo andare con loro, ma Bragi mi ha fatto rimanere qui” aveva detto, punto sul vivo Mel.
La sua fidanzata gli aveva tirato un delicato buffetto sulla collottola, “Oh, amore mio, io ti appaio come una damigella in pericolo? O Jason? Nessuno di noi due sta bene con una gonna, comunque” aveva chiesto divertita Madina, prima di sporgersi per dargli un bacio sulla guancia. Mel era alto, con spalle impostate, ma Madina al suo fianco lo ridimensionava, essendo altrettanto lunga e fiera.
“Quindi hai conosciuto Utgard-Loki? Complimenti è come se avessi perso la tua verginità mitologica” aveva dichiarato Fred, con una punta di cattiveria. “Stai alludendo a qualcosa di specifico, Fred?” aveva risposto ferace Astrid.
La prima istintiva risposta del monaco era stato farsi il segno della croce, ma prima che potesse dar fiato alla bocca, Madina aveva ripreso il controllo della situazione, parlando lei: “Abbiamo fatto anche una sauna con Jarnsaxa, Grid e Logi!”
“Nuda in una stanza con tre giganti, Madina tu corteggi con vigore la morte” le aveva dato manforte Astrid, dandole una genuina pacca sulla spalla. “Non eravamo proprio nudi” aveva sentito il bisogno di intercedere Jason, occhieggiando Mel. Il suo amico aveva boccheggiato qualcosa verso di lui, sembrava sul genere: non-sono-geloso. Si era chinato sulla sua fidanzata ed aveva stampato un bacio sulla sua tempia, “Avrei voluto decisamente essere lì, dopo questa” aveva considerato.
 “Oh, giusto come ho fatto a dimenticarlo: abbiamo incontrato un gruppo di Dísir!” aveva raccontato Madina, come se fosse una cosa divertente.
“Magari erano sicure che avresti tirato le cuoia” aveva scherzato Fred, Madina aveva sollevato le spalle, “Sai, Fred, sono proprio contenta che tu abbia smesso di fare l’eremita, ma i tuoi commenti non mi erano mancati per nulla” aveva replicato la figlia di Ullr.
Fred aveva allungato una mano e le aveva scompigliato i capelli, “Io invece stavo benissimo senza di te, senza nessuno di voi – incluso anche chi non conoscevo” aveva sottolineato, mentendo.

 

I corridoi dell’hotel erano stati abbastanza vuoti, segno che gran parte degli einherjar fossero impegnati nel combattere ad Idavoll.
Fred aveva fatto un breve resoconto della loro avventura ad Alfheim, che aveva previsto, molte tazze di tè corretto, corone di fiori e piagnistei da parte di Gerd – e qualcosa che non volevano dire, visto gli scambi continui di sguardi con Astrid.
Mel aveva raccontato concitato e pieno di brio invece il putiferio che aveva creato nei piani dei Re per sfilare i pantaloni di Richard I, con interventi di Stellan; in realtà Jason si era perso nel discorso diverse volte.
Stellan così cotto dall’eccitazione era inciampato nelle parole molteplici volte, Mel, invece, come sempre, si era concesso infinite digressioni su tutti i personaggi coinvolti. “Sì, tesoro, mi sono persa” aveva dichiarato Madina, piena di confusione, “Dopo aver perso all’Holmagang” si era intromesso Stellan, con più sicurezza, “Ovviamente è stata una vittoria impropria” si era difeso Mel; “Richard III ci ha detto che il primo aveva un debole per il forte-sesso?” aveva raccontato tutto pieno di imbarazzo l’elfo.
“Il nostro Stellan lo ha sedotto!” aveva terminato trionfale per lui Mel. L’elfo era diventato del colore delle more, “Lo ho solo convinto di una mia disponibilità e che fossi molto francese[3]” si era difeso.
Fred lo aveva bruciato con lo sguardo e lo aveva offeso in francese. Jason lo aveva sempre trovata una lingua molto delicata ed elegante, almeno quando sentiva Frank e Piper usarla, di rimando Fred sapeva renderla spietata.
“Comunque, quando si è sfilato le braghe, Stellan è fuggito con loro e quando Re Richard ha provato ad inseguirlo io lo ho decapitato” aveva terminato Mel, “Ora, dovrò guardarmi da lui per il resto dell’eternità” aveva aggiunto con una punta di divertimento.
“Sì, ma il vostro viaggio?” aveva chiesto Astrid, rivolgendosi a Jason e la figlia di Ullr, “Siete tornati da Jotunheim!” aveva dichiarato, “E Madina ha anche una coccarda!” aveva aggiunto con ironia Fred.
Madina aveva fatto un sunto molto veloce di tutta l’avventura, limitando moltissimo la capacità di spaccare il cielo di Jason, non che l’essere screditato lo avesse rattristato, doveva ancora cercare di capire come elaborare un discorso con Mel a proposito della sua romanità.

“Divinità Romane?” aveva chiesto subito Mel, essendosi concentrato su quella parte del discorso, per l’appunto.
 Jason aveva sentito i brividi lungo la sua schiena, così come aveva osservato il respiro di Astrid farsi stretto. “Oh, sì, una delle figlie di Aegir voleva uccidere Magnus, solo che ci ha trascinato per sbaglio nel territorio di una figlia di Nettuno” aveva risposto senza particolare preoccupazione. “Ah, le divinità marine bisticciano sempre” aveva considerato Mel.
Prima che l’argomento potesse essere ripreso, però avevano raggiunto il caotico piano delle valchirie.
Quando le porte dell’ascensore si erano aperte con un sonoro din, Kráka era già lì. Indossava ancora l’abito di reti e masticava con furore un porro crudo, “Penso che sia inevitabile” aveva considerato esecra, guardandoli.
“Ci sei riuscita?” aveva chiesto speranzoso Mel, “Forse” aveva concesso la vǫlva, “Abbiamo delle informazioni per te, forse possono aiutarti” aveva commentato Jason.
“Informazioni che in realtà tu avresti dovuto dare a noi” aveva sottolineato Astrid. Kráka l’aveva guardata con una punta di fastidio, “Be, skraeling, il wyrd è impazzito, scusa per lo spoiler, a proposito è l’ultimo che riceverai per un bel po’” l’aveva rimproverata.

Si erano diretti nelle stanze di Kráka, lì c’erano altre due valchirie, una delle due era Lagherta, ma quando avevano visto loro sei entrare si erano volatilizzate in un attimo. La donna bruna non aveva però risparmiato uno sguardo eloquente verso la veggente. “Uhm … ditemi, vediamo se c’è un senso più chiaro” aveva commentato Kráka, con un sorriso nervoso, quasi chiudendo in faccia la porta a Lagherta.
La donna li aveva fatti accomodare attorno al tavolo tondo, dove ancora erano sistemate le rune, circondati da foglietti di ogni genere, riempiti da fitte scritture. La veggente aveva fatto cadere tutti gli appunti per terra, dando poi loro la parola.
Jason aveva cominciato: “Allora, dietro tutta questa storia c’è qualcuno che si fa chiamare H, è una Lei, Odino la teme ed onestamente anche Jarnsaxa, ha chiesto a quest’ultima di distrarre Gerd mentre un suo minions andava a rapire il cinghiale …” i suoi amici stavano ascoltando attentamente, “Minions?” lo aveva interrotto Kráka. “Si, i piccoli omini gia…servitori?” aveva provato Jason, incerto, Kráka aveva annuito, “Ecco, sì, un suo servitore, che Jarnsaxa ha detto essere un einherjar ma più morbido” aveva considerato, per quanto fosse vacua quella descrizione.
“Io credo intendesse un caduto di Folkvang” aveva ripreso Madina, Jason ricordava lo avesse detto anche a Jarnsaxa, poi si era voltata verso di lui, “Folkvang è l’altro valhalla, possiamo chiamarlo così? Dove finiscono i coraggiosi, metà qui, metà lì” aveva spiegato didascalica la figlia di Ullr.
Bene, se Jason aveva tenuto bene il conto, i norreni avevano quattro regni della morte.
“Perché un einherjar dovrebbe fare questo?” aveva domandato Astrid, stanca, “Io punto su un figlio di Loki” aveva detto Fred, guadagnando una gomitata sul fianco da Mel.
“No, ma questo ha senso” aveva esclamato Kráka, portandoli alle rune, “Ah, giusto anche questa. La mancanza che volevi” aveva detto Jason, infilando una mano nella tasca dei pantaloni ma trovandoci solo Giunone – la moneta lo aveva seguito, ma la tessera era rimasta nella pelliccia di Astrid – “Come non detto. La runa era Halgaz, la grandine, ma anche la rottura o la H” aveva dichiarato Jason.
“Stai imparando” aveva considerato Kraka,
Jason aveva sorriso allietato dal complimento, “Meno di una decina d’anni e passerai per un norreno perfetto” aveva aggiunto.
“Alto e biondo lo è già” aveva commentato a mezza-bocca Fred.
Kráka aveva rivolto lo sguardo a loro, invitandoli a sistemarsi attorno al tavolo ovale del suo soggiorno, su cui dal giorno prima le rune continuavano a vegetare. Erano sei.
Astrid aveva palesato quel dato ad alta-voce, “Oh, sì, credo sia indicativo, sei come sei siamo noi” aveva considerato.
“Sant’Agostino diceva che sei era il numero perfetto” aveva valutato Fred, “Ma non era il numero del diavolo?” aveva chiesto Madina, guardandolo interessata.
“Ecco, perché non mi piacciono i cristiani, tutto con loro è il controsenso di tutto” aveva commentato Astrid a mezza voce, “Quello è tre volte sei” aveva specificato Fred, ignorando apertamente la sua amica skraelinger.
“Questa è Berkenna, la creazione” aveva detto Jason, indicando la runa con il simbolo che somigliava ad una B dalle pance acuminate.
“Anche sì, ma non in questo caso” aveva considerato Kráka con voce sicura, “A meno che tu non consideri le donne solo come fattrici” aveva precisato.
Guardandolo dritta, nei suoi occhi magnetici.
“No?” aveva risposto Jason, sembrava una risposta semplice, ma la donna rendeva le cose difficili con quegli occhi, “No?” lo aveva provocato lei, “No. Decisamente no!” era stato più specifico Jason. Kráka aveva sorriso con una punta di cattiveria.
“Bene sì, questa è Berkenna, la creazione ma non in questo caso, qui è la Signora. Però andiamo con ordine!” aveva richiamato l’attenzione sulla tavola la valchiria.

“La prima Runa da leggere è Dagaz, in questo caso: completamento” aveva esordito quella, indicando una delle tessere, Jason l’aveva osservata, sembrava un segno dell’infinito, solo molto squadrato, quasi come una farfallina stilizzata, “Poi abbiamo Ewhaz, sono indecisa lo ammetto tra il significato di movimento o collaborazione. Direi movimento” il dito si era mosso verso un’altra tessera, somigliava ad una M – Jason sapeva non fosse Mannaz, il corrispettivo della M – Jason la ricordava sulla pettorina di Madina, durante il biathlon.  Kráka aveva guardato Astrid, aspettandosi che lei dicesse qualcosa, ma quella aveva alzato le mani in un segno di resa.
Berkenna, il potere e la signora” aveva detto la veggente poi, indicando la runa famigliare a Jason e direzionandosi ancora, quella volta aveva indicato un segno difficile da identificare con una lettera, erano due stampelle parallele, però sfalsate, congiunte all’estremità superiori da una stecca obliqua, “Ur: la forza primitiva – qualcosa di bestiale e selvaggio” aveva fatto una pausa.
“Il cinghiale” aveva valutato Mel, dando fiato ai pensieri di tutti.
Kráka aveva annuito, poi aveva concentrato le ultime attenzioni: “Qui viene la belva, metaforica. Questa runa è Algiz” – la tessera che aveva indicato somigliava ad un tridente – “la Protezione” aveva spiegato. Jason la ricordava come la runa che aveva evocato Bee prima che Jason invocasse i fulmini di neve. “Ed infine abbiamo Fehu. Potrebbe riferirsi all’abbondanza e la ricchezza, ma, ora, credo di no” aveva spiegato paziente Kráka.

“Grazie per il breve corso di lettura futhpark, dovresti proporlo a Bragi, vuole creare una classe di letteratura” aveva commentato acido Fred, Jason lo aveva guardato di sottecchi aspettandosi il solo rimprovero di Astrid abbattersi sul figlio di Gerd, ma la ragazza fissava con sguardo vacuo le rune.
Kráka lo aveva guardato con estremo fastidio, “Figlio di un gigante, vero? Le buone maniere mi sembrano quelle!” aveva domandato con una voce leggermente infastidita, “La Signora è una regina di portamento ed eleganza” era intervenuto feroce Stellan.


 “Comunque” aveva ripreso la ragazza, “L’interpretazione che ritengo più corretta di questa profezia sia: Per completare il vostro incarico, dovrete andare, probabilmente collaborando, nel regno della Potente signora e lì troverete la possente bestia, ma dovrete proteggervi dal figlio di Frey” aveva spiegato Kráka, “Senza interruzioni: mi sembra auspicabile immaginare che Folkvang sia il Regno della Potente Signora e che il figlio di Frey sia l’einherjar” aveva spiegato con un tono calmo.
Jason vedeva proprio nella sua voce un reverenziale timore nel doversi confrontare contro un futuro relativamente incerto, lei che aveva sempre posseduto la chiara vista – un po’ come era capitato agli oracoli in precedenza. “Ed Halgaz?” aveva chiesto Jason.
“Non fa parte di questa serie, non fa parte di questo. Non sto dicendo che non sia connesso. Lo hai detto tu stesso Halgaz è la rottura ed H è l’artefice di questa storia. Ma la profezia parla del verro d’oro di Freyr. Se vuoi qualcosa di più esteso, dovremo provarci di nuovo!” aveva considerato Kráka. “Facciamo una cosa alla volta, meglio!” aveva dichiarato Fred, ma la sua voce era stata soffocata da quella di Mel.
“Fantastico, grazie Kráka” aveva detto il germano, con gentilezza ed un sorriso allegro ad illuminare il suo viso. La volva sembrava essersi sciolta per un secondo davanti a quella gentilezza, “Vorrei essere stato più d’aiuto in realtà. Un figlio di Frey a Folkvang è come una goccia nel mare” aveva detto con un tono piuttosto interrotto. “Sì, Magnus è vagamente l’unica eccezione[4], di solito le loro anime finiscono di là” aveva spiegato Madina con calma, a voce bassa, a Jason. “Oh, ma dai. La solita fortuna, vero?” aveva domandato con gentilezza Kráka, con un sorriso storto sulle labbra.
“Be, sì. Ovviamente se è stato un einherjar figlio di Frey, immagino avesse le capacità di rompere il sigillo ed il permesso per entrare ad Alfheim” aveva considerato Jason, guardando prima Astrid, con il suo racconto, poi Madina, rimembrando quanto dedotto con i racconti di Bee e Jarnsaxa.
“Non so, miei giovani caduti. Io non posso aiutarvi più di così; ovviamente, sento il bisogno di ricordarvi che Folkvang, anche se è locato su Vanheim, è come il Valhalla, tecnicamente, è inaccessibile” aveva raccomandato Kráka, “In ogni modo se voleste andare, comunque, salutatemi il mio Ivarr[5] vive lì. Buona Fortuna, signori miei!” aveva cinguettato, accompagnando la cosa lanciando loro un bacio. Poi erano stati gentilmente cacciati dalla stanza, lasciando ad Astrid appena il tempo di recuperare le sue rune.
Aveva ancora quello sguardo vacuo e confuso.

“Non siamo neanche riusciti a chiedere chi sia H secondo lei!” aveva commentato Madina, con una leggera frustrazione nella voce. “Credo che non abbia modo di leggerlo, amore” aveva detto Mel, avvolgendo con un braccio le spalle della fidanzata, “Poteva darci una sua teoria” aveva comunque proposto Stellan, assecondando Madina. “Sciocchi barbari! Mi pare palese!” aveva dichiarato Fred, attirando l’attenzione su di loro, lo avevano guardato tutti, tranne lui che aveva tenuto lo sguardo su Astrid e la sua improvvisa lividita.
“Hel ovviamente. Una H. Donna, che fa paura a Odino. Hel! Come ho detto in precedenza; prole di Loki” aveva dichiarato con assoluta sicurezza.
Mel aveva sbuffato, “Non so, non sono convinto, Hel è machiavellica, infida anche, ingannatrice, malevola” aveva cominciato ad elencare il guerriero cheruscio, “Io non parlerei così di una dea” aveva commentato Stellan, timoroso, “…Ma è anche schietta. Hell non si nasconde dietro altri” aveva sottolineato Mel.
“Stai bene?” aveva chiesto Jason, guardando Astrid invece.
Lei lo aveva osservato con attenzione, “Sono leggermente preoccupata, Jason. Dobbiamo trovare il cinghiale, dobbiamo andare a Folkvang, abbiamo un nemico pericoloso, un altro di cui diffidare. Dobbiamo affrontare Váli, non abbiamo ancora raccolto i quattro legni per il campo” aveva dichiarato Astrid, con voce incerta, quasi spaventata, sollevando una mano.
Jason lo percepiva, che nella sua voce, nel suo pathos e nella sua stanchezza c’era qualcosa di storto e ne ebbe la conferma dallo sguardo che Fred le aveva lanciato.
“Un problema alla volta Astrid” aveva dichiarato Mel, gentile, sciogliendo la presa dalla sua ragazza, per mettere ambedue le mani sulle spalle dell’amica, “Andrà tutto bene” aveva dichiarato, “Sì, sì, mio madre ha detto che ti regalerà un’arma se le riportiamo il cinghiale” aveva asserito Fred attirando l’attenzione.
“Bene; qualcuno, per caso, conosce la lavatrice per andare a Folkvagen?” aveva chiesto Jason.
“Sì, sono otturate. Per Folkvagen ci sono solo due vie: l’Ascensore che si aprirà al Ragnarok per permettere alle sue armate di riunirsi e l’Yggdrasill” aveva raccontato Mel, didascalico, recuperando la sua solita certezza.
“E se non si ha il benestare di Freya non si può entrare, tecnicamente. Nel senso, è come un paradiso, ci sono solo situazioni eccezionali” aveva bofonchiato Stellan. “Come questa?” aveva chiesto retorico Jason, ammiccando non solo al contesto in cui erano finiti, ma anche alla presenza stessa dell’elfo ancora vivente lì. “Diciamo che fra la Signora di Alfheim e la Regina di Folkvang non scorre esattamente buon sangue” aveva spiegato Stellan con un tono incerto.
“Non sono stupita[6]!” aveva commentato Astrid seccata.
Erano cognate, giusto?
 “Non importa, prima faremo le cose per bene. Chiederemo a Bragi il permesso. Come abbiamo fatto con Alfheim” aveva chiarito Mel, con un certo nervosismo. Astrid aveva perso quell’espressione un po’ vacua che l’aveva dominata fino a quel momento, per scoccare uno sguardo sinistro a Mel.

 

 

 

“Ragazzi, temo di no” aveva dichiarato Bragi, con voce spenta.
Li aveva accolti in una stanza diversa rispetto quella della loro riunione la prima volta. Era una piccola stanza ricavata da una biblioteca.
Jason sospettava fosse la sua camera nel Valhalla. Appoggiata ad una parete c’era una grossa arpa d’oro massiccio, con fili sottili scintillati. Sopra svettava la foto sorridente di una bella donna.
“Io non sono mio padre” aveva detto il dio, passandosi le dita sulla lunga barba stretta in una perfetta treccia ordinata – l’aveva decorata anche con degli anelli di ferro lucido – “Non posso obbligare Freya ad accettarvi, posso chiederlo, ma non posso convincerla senza tradire il segreto di Gerd. Freya ama molto suo fratello, ma disprezza molto sua cognata” aveva spiegato il dio, “E Folkvagen è il suo regno, è suo diritto scegliere chi accettare o meno” aveva considerato.
Loro erano rimasti in silenzio, “Ci manderà una squadra di valchirie alle calcagna se proviamo ad andare senza permesso?” aveva chiesto Fred con un po’ di coraggio.
“Dei! No!” aveva risposto subito Bragi, “Al momento, mio padre si è dovuto assentare, non sono stato formalmente nominato vicario, ma mi considero tale, in qualità di unico dio presente. Per me avete il permesso di andare ovunque, nessuna valchiria è venuta a disturbarvi quando avete raggiunto il Jotunheim, ma non posso promettervi che Freya vi farà entrare o vi permetterà di restare, come anche Hell. A dispetto di tante cose, ragazzi miei, i mondi non sono recinti, ma gli aldilà, quelli sono un’altra cosa” aveva detto con un tono calmo e pieno d’amarezza.
“Ma se spiegassimo a Freya che le tavole del destino si sono spezzate?” aveva provato Madina, “Freya è la più valente maga dei nove regni, si sarà già resa conto che qualcosa non va” aveva dichiarato.
“Questo è indubbio, ma spesso l’egocentricità di noi dei, è il nostro peggior nemico” aveva considerato Bragi.
Jason aveva sollevato un sopracciglio, colpito da tanta spontanea autocritica.

“La smettiamo?” aveva chiesto Astrid, cogliendoli tutti di sorpresa, “Noi abbiamo un invito” aveva stabilito con voce dura come un sasso, attirando la loro attenzione.
“Davvero?” aveva chiesto Fred, genuinamente perplesso.
“Noi abbiamo un invito?” aveva chiesto Jason, “Non noi, noi come piano venti. Mel ha un invito con un più uno molto variabile” aveva risposto Astrid, non aveva voltato lo sguardo verso l’interrogato, differentemente da Jason, che invece lo aveva fatto, il suo amico era dritto come una spada e legnoso. “Ah?” aveva chiesto Madina, voltandosi verso il suo fidanzato. Sul viso della ragazza era dipinta un’espressione di puro caos.
“Aspetta!” aveva esclamato Fred, “Questa è la prima volta che vedo in quattrocento anni, il nostro buon Thumelicus mentire alla sua dolce metà” aveva dichiarato con sfacciato divertimento.
“Non ho mentito” aveva risposto netto Mel, quasi offeso.
“Mia madre dice che omettere è come mentire” aveva risposto Stellan, l’elfo si era guadagnato uno sguardo piuttosto colmo di confusione da tutti loro – Bragi incluso.
“Tua madre è una donna molto saggia” aveva risposto il dio della poesia con assoluta calma. “Possiamo tornare al mio fidanzato che ha detto qualcosa ad Astrid e non a me?” aveva chiesto Madina, per la prima volta Jason non vedeva sul suo bel viso quell’espressione allegra e rilassata.
“Non lo ho detto ad Astrid!” aveva replicato Mel, voltandosi verso la nipote di Sif.
La ragazza aveva ancora l’espressione dura sul viso, quasi seccata, “Sì, me lo disse … ehm … come si chiamava: Clodoveus? Clodovicus? Son secoli che si è dissolto! L’abitante della stanza due prima di Fred!” aveva spiegato, ammiccando al ragazzo in questione.
“Oh, wow. Io sono ottocento anni che sto nella mia stanza!” aveva considerato quello.
Qualcuno davvero, davvero, vecchio.
“Quel Longobardo traditore! Come tutta la sua risma!” aveva replicato Mel, pieno di furore, per il tradimento portato verso di lui.
“Oh, Mel che esprime odio verso qualcuno di diverso da Romani!” aveva considerato Fred.
“Certo che sono indignato verso i Longobardi, quell’infami traditori si sono uniti ai Marcomanni[7]!” aveva dichiarato indignato Mel.
“Hanno ripudiato Odino e i nostri dei[8]” aveva considerato Astrid, Fred aveva sollevato un sopracciglio, “Erano nemici del Sommo Imperatore[9]” aveva valutato.
“Erano in guerra con l’Esarcato[10]” aveva osservato Jason a mezza-bocca, prima di realizzare ciò che aveva detto, si era voltato verso gli altri, ma erano ancora tutti macerati dall’odio per una popolazione piuttosto vecchia, per badare a lui, anche Madina non lo stava guardando, ancora confusa dall’omissione del fidanzato.
“Io credo di non avere nulla contro di loro, ma, ecco, è bello che abbiate qualcosa in comune, anche se è odiare arbitrariamente un popolo!” aveva commentato Stellan, colmo di imbarazzo.
Dopo quel suo messaggio c’era stato un lunghissimo momento di silenzio, che aveva scatenato poi una risata breve, ma in qualche modo liberatoria.

Mel si era voltato verso la sua fidanzata, un paio di ciuffi biondi, scivolati alla treccia erano finiti sul viso bello, “Ecco” aveva cominciato a dire, “Tecnicamente mio cugino, non so come abbia fatto, è un fottuto ammagliatore degno della stirpe di Utgard-Loki, ha convinto Freya a farmi andare in visita lì. Quando avrei voluto, con chi mi aggradava” aveva raccontato cotto di imbarazzo, Jason vedeva vero e proprio disagio su quel viso.
Ricordava distrattamente che Mel avesse detto a Jason di aver avuto problemi con suo cugino.
Certo, era interessante che il germano avesse un padre nel Valhalla ed un cugino a Folkvang.
“Ma praticamente la tua famiglia sforna solo prodi guerrieri! Un padre ed un cugino einherjar” aveva esclamato Stellan, attirando l’attenzione di tutti, e dando voce ai pensieri di Jason.
Mel si era voltato verso di lui, aveva visto negli occhi scuri una luce diversa, strana, quasi splendida. Poi il cerusco aveva sorriso stanco, “Sì, la nostra stirpe è degna dei déi. Anche mio nonno e mio zio erano guerrieri, però non sono qui …” aveva raccontato Mel, con fatica, ma anche ammirazione.
Stellan aveva annuito. Forse erano morti vecchi, dopo una lunga vita, aveva pensato Jason.
“Perfetto; quindi, rispondi a tuo cugino con duemila anni di ritardo per dirgli che vai a prenderti un tè?” aveva chiesto Astrid, quasi impaziente.
Mel si era fatto rigido, come una spada, “È complicato” aveva dichiarato, “Non ho un buon rapporto con mio cugino!” aveva reso chiaro.
“Okay, non importa, Mel. Siamo stati ad Alfheim, no? Abbiamo dimenticato di dirti che il sole era alle tre del pomeriggio? Alfheim ha sempre il sole zenitale. Complimenti avevi ragione. Entro tre giorni saranno al tramonto” aveva dichiarato Astrid.
Mel era sbiancato, anche Jason. Anche Bragi pareva turbato.
Madina aveva trattenuto un singulto. “Sai Astrid, sei passata da: tutto questo è esagerato, devo pensare alla mia sfida a … Priorità massima trovare il cinghialotto” aveva considerato Fred, “Questo era prima che andassero in tragedia le tavole dell’universo” aveva esclamato lei, sulla difensiva.
“Okay, ragazzi, devo interrompere questo discorso, immagino che abbiate tanto di cui discutere. Fatemi sapere se devo organizzare un trasporto per Folkvang!” aveva dichiarato Bragi attirando la loro attenzione, prima di cacciarli dal suo salottino.

 

 

L’interruzione di Bragi aveva fatto dimenticare completamente il dibattito tra Fred e Astrid, ma non quello che riguardava Mel.
“Quindi?” aveva chiesto Astrid con calma, “Accetterai l’invito con tuo cugino?” aveva chiesto a bruciapelo, osservando attentamente.
Mel si era morso un labbro, nervoso, “Va bene!” aveva concesso alla fine, quasi con fatica, come se le parole bruciassero sulle labbra.
“Risponderò alla missiva vecchia di duemila anni, sempre se mio cugino nel mentre non si è dissolto!” aveva aggiunto Mel, nel dirlo aveva sciolto la mano da quello della sua fidanzata, “Non ci credi neanche tu!” aveva considerato Fred, ad alta-voce.
“Be, io, ecco, devo andare a recuperare l’invito, è una vecchia pergamena, chissà dove l’avrò messa” aveva detto evasivo al massimo Mel, prima di balzare in avanti e vaporizzarsi alla velocità della luce … letteralmente. Per risparmiare tempo, si era colpito con la spada che teneva legata alla cintola, in un movimento fluido e leggiadro, nel pieno petto. Era morto velocemente e con un lamento a malapena.

“Vedo che durante il mio confino, lui non ha perso la sua vena melodrammatica” aveva considerato Fred, con un tono piuttosto asciutto. “Almeno questa volta non ci ha inondato!” aveva considerato Astrid. Jason aveva ancora lo sguardo ai residui di polvere d’oro in cui era scomparso il suo amico, sul tapetto del corridoio, assieme ad una macchia di sangue. “Si … si è app … che … è … successo?” aveva chiesto sbigottito Stellan, indicando il punto vuoto dove un tempo era Mel, legittimamente sconvolto.
“Tranquillo, sta bene, si è riformato nella sua stanza, penso abbia ritenuto più conveniente che prendere l’ascensore” aveva commentato Madina, con un sorriso tirato, cercando di tranquillizzare Stellan, posando anche una mano sulla sua spalla. Le sue spalle però erano rigide, così come i suoi occhi scuri erano pregni di preoccupazione ed il sorriso che aveva sulle labbra era di vetro, diverso da quello caloroso che aveva sempre.
“Voleva una visione da defunto” aveva dichiarato con leggero sdegno Astrid, Jason si era voltato verso di lei, “Penso tu ti sia accorto che quando siamo morti siamo più sensibili alle visioni, al linguaggio dell’universo …” aveva spiegato la nipote di Sif.
Jason aveva annuito, doveva dichiararsi abbastanza ignorante da quel punto di vista, era sempre stato sensibile ai sogni, da vivo, da morto nell’elisio, nel Valhalla, addormentato e quanto transitava da una morte alla vita. Astrid aveva crucciato le sopracciglia scure, probabilmente non del tutto convinta dell’espressione che doveva aver sfoggiato Jason, “Sono sempre stato tormentato dai sogni. Più o meno da quando avevo due anni” le aveva spiegato lui, con un tono di voce basso, ricordando che Astrid conosceva il suo segreto – almeno a metà.
Aveva parlato con un’intonazione placida, timoroso di essere udito da Fred e Stellan, ma i due stavano parlando con Madina.
Astrid aveva inclinato il capo, con genuina curiosità, “Non importa” aveva stabilito poi, secca, “Madina, recupera il tuo fidanzato, qualsiasi cosa stia cercando di tergiversare. Non credo riusciremo a partire prima della cena, tra poco suoneranno le campane di fine battaglia ad Idavoll” aveva considerato la nipote di Sif, prima di prendere il polso di Jason, “Noi andiamo ad ucciderci, quindi. Per ingannare il tempo!” aveva considerato.
Lui, stranamente, non era trasalito a quel commento, aspettandoselo.
“Con quella ghirlanda sul capo, sei ancora più inquietante!” le aveva risposto Fred, “Io non ti dico cosa sembri tu!” le aveva risposto venefica la skraeling, ammiccando alla medesima corona di fiori sfoggiata dal monaco-guerriero. Madina aveva voltato lo sguardo verso di loro, gli occhi scuri ancora pieni di preoccupazione, “Ah. Giusto, allenatevi!” aveva detto, riprendendo nella voce, il suo solito calore, “E a Jason serve un’arma adeguata. Ricordate cosa ha detto Kráka, è il figlio di un dio straniero … ed ho visto la sua potenza!” aveva commentato lei, omettendo di proposito le informazioni.
“Tra di noi, l’unico a possedere un’arma magica è il cristiano al tuo fianco” aveva considerato Astrid. “Me la sono guadagnata!” aveva risposto senza nascondere l’acidità Fred.
“Tranquilli!” si era intromesso Jason, infilando una mano in tasca, sentendo Giunone bruciante nella mano, “Troveremo una soluzione” nel dirlo aveva guardato Madina, pagliuzze negli occhi, in pagliuzze negli occhi, perché lei capisse.

 

 

Lui ed Astrid si erano staccati perciò dal gruppo ed avevano raggiunto la sala per il Duello Mortale. L’avevano momentaneamente trovata occupata da due energumeni, vestiti di pelle-di-orso, indemoniati, che tiravano fendenti a destra e manca. Jason non aveva mai visto un duello più caotico di quello. Perfino nelle strategie di solo attacco di Lytersis figlio di Mida aveva percepito più logica. “Chi è H per te?” aveva chiesto alla fine Jason ad Astrid. La ragazza aveva inclinato il capo come se la domanda l’avesse colta di sprovvista, soprappensiero, “Non so? Hyrrokkin[11]? Hel? Fred potrebbe avere ragione. Oppure, una principessa con H come iniziale furibonda con Odino. I nomi con la H vanno per la maggiore. Per non parlare dei soprannomi!” aveva valutato Astrid. Il suo tono era stato distante ed incerto, i suoi occhi erano rivolti al duello, dopo quel commento non aveva detto altro, inerente alla faccenda; di tanto in tanto parlava, gridando all’uno o l’altro di metterci più grinta. Jason era certo che presto l’avrebbe trascinato a combattere in corridoio, ma non avrebbe scucito altro delle sue teorie.
C’era qualcosa di strano in Astrid, c’era da prima della profezia, ma era solo peggiorata dopo.
 “Senti, Astrid, c’è un bagno, qui?” aveva chiesto poi, con un po’ di imbarazzo, “Segui il corridoio a destra, prendi la terza porta, poi il quarto ingresso da sinistra. Non sbagliare, non ti piacerebbe ciò che c’è nel terzo ingresso a sinistra o nel quarto a destra” aveva replicato lei, prima di maledire in una ambigua lingua uno dei due che aveva affettato solamente un braccio dell’altro.
Jason aveva annuito defilandosi in fretta e furia.
Aveva trovato il bagno, che componeva di una pavimentazione di lucide mattonelle nere, sul pavimento, e rosa raso sulle quattro pareti, su cui erano intarsiati anche dei fiori. Per il resto era un gabinetto piuttosto standard, Jason si era immaginato lo spogliatoio di una palestra, ma era più l’angolo casa di una casetta carina.
Jason aveva aperto l’acqua del lavello, facendola scorrere, si era tolto gli occhiali ed aveva raccolto l’acqua mettendo le mani a coppa sotto il getto, prima di lanciarla contro la sua faccia, per rinfrescarsi.
 Non credeva di aver bisogno di acqua, dopo il bagno non previsto nell’oceano, ma li aveva fatto inaspettatamente bene, davvero, aveva sentito la stanchezza premere sulle palpebre, mentre aspettava  che la stanza fosse libera per il duello. Onestamente non sapeva perché Astrid non si fosse messa a combattere anche in mezzo al corridoio – le sembrava proprio il tipo.
Dovevano andare nell’altro paradiso, per recuperare il cinghiale, doveva affrontare Váli e non doveva dimenticare di contattare Kym.
Come doveva fare? Poteva fare una chiamata tramite arcobaleno alla Signora delle Tempeste?
Poteva chiedere un incontro con una dea in quella maniera.
Non era irrispettoso?
Inoltre, così Iris avrebbe saputo fosse vivo, per un secondo aveva anche pensato di pregare suo fratello Apollo.
Era così egoista pensare quanta pace aveva sentito nei campi elisi?

 

Jason Grace era morto poco più tardi quel pomeriggio, non era stato per mano di Astrid, che era rimasta invece uccisa da un affondo in pieno petto – quasi accidentale – da parte sua. Per Jason era stato quasi angosciante, quell’azione. Anche se non aveva ucciso per davvero la sua compagna, era stato così estraniante, quasi disgustoso, vedere la lama di Giunone affondare nel suo petto.
Jason non uccideva mezzosangue.
Astrid era scomparsa velocemente, era riuscito appena, ad intravedere, sulle labbra della sua compagna un piccolo sorriso soddisfatto – di chi probabilmente non vedeva più così tragicamente lo scontro con un dio.
Jason era morto poco dopo, mentre abbandonava la Sala dei Duelli Mortali. Era stato colpito alla gola da un nunchaku volante lanciato dai due duellanti posteriori.
Su una cosa, Madina aveva avuto ragione, alla morte era possibile abituarsi.
Anche Astrid, comunque, non aveva torto, la morte li rendeva sensibili.

 

Jason non aveva idea di dove fosse, ma non erano i suoi amici che stava guardando. Davanti a lui, in fila come lapidi stavano alti pilastri di legno chiaro, tavole, su cui rune incandescenti brillavano.
Su, una, si apriva uno squarcio, come se il legno fosse stato scheggiato. La prima scheggiatura era sottile, appena, come se qualcuno avesse urtato il legname, all’angolo, senza influenzare le rune, senza influenzare nulla. Ma da lì, come una ragnatela schegge di legno si aprivano come punte irte di un istrice. Jason ebbe l’impressione che una delle tavole stesse per piegarsi su sé stessa, quella dove una lunga scheggiatura, attraversava un’intera riga di rune.
“Ho vissuto per millenni e proprio non riesco a comprendere” aveva ringhiato una voce. Una donna era comparsa nel campo visivo di Jason, lui aveva sollevato lo sguardo, per osservarla.
Era elegante, adulta, con un’espressione severa ed una matassa di capelli rossi, come quelli di Mallory del Piano Diciannove. “Cosa è successo?” aveva domandato la donna, allungando una mano verso la più scheggiata delle tavole.
“Mia signora Frigga” si era introdotta una voce famigliare, Jason si era voltato, riconoscendo Samirah la Valchiria, con l’hijab verde con fiori rosa ed un impermeabile verde bottiglia, sopra un paio di leggings. Il viso aveva un’espressione profondamente mortificata. “Oh, Samirah ben arrivata … hai avuto difficoltà a trovare questo posto?” aveva chiesto la regina degli dèi – o almeno così aveva compreso Jason dalla lettura dell’Edda. “No, mia signora” aveva confermato la valchiria, “Ma non ho trovato Mimir” aveva rivelato la ragazza.
Un’espressione indicibile si era palesata sul viso della dea, prima di recuperare calma. “Certo … Non hai trovato Mimir … non è che possa andarsene in giro, non ha le gambe” aveva detto, cercando di mantenersi con un’espressione serafica.
Mimir … Mimir … Jason l’aveva sentito parlare mentre era nel fiume cosmico, lo ricordava come il dio-boa-peloso.
Samirah si era morsa un labbro, comprendendo lo stato d’animo della dea. “Samirah so che mio marito, in passato, ti ha chiesto molto …” aveva ripreso la dea, “Investigherò” l’aveva anticipata la valchiria, “Non mi scomoderò nel chiederti di non dirlo ai tuoi amici … sarebbe controproducente” aveva confidato Frigga. Aveva un sorriso dolce, materno, non somigliava a Giunone. Non sapeva perché, quella realizzazione dava a Jason le vertigini, fino a che non aveva realizzato la portata delle sue parole …
Mimir era scomparso.
Il cinghiale.
Le tavole del destino.
Samirah si era congedata, mentre Frigga era rimasta immobile davanti le tavole, con sguardo pieno d’apprensione sul volto antico, aveva allungato una mano verso una di esse e in quell’occasione l’aveva sfiorata. “Perché non riesco a leggerti?” aveva chiesto a mezza-bocca la Regina degli Asi.
Jason aveva spalancato gli occhi ed una realizzazione lo aveva colto: non esisteva più il futuro.
Il mondo norreno era già determinato, dalla mano del Wyrd, il cui passato e futuro si influenzavano … qualcosa si era definitivamente spezzato.
Anche Mimir lo aveva detto! Tempi sconosciuti, aveva detto. Così come Kráka aveva dichiarato che non ci sarebbero state altre profezie!


Mimir era scomparso, ma dopo la prima scheggiatura … che era avvenuta dopo il cinghiale.
Gullinbursti andava ritrovato! Aveva esclamato con sicurezza.
 Un’altra figura si era avvicinata alla dea Frigga. Jason aveva distinto il profilo di un giovane uomo, per un secondo aveva pensato fosse suo fratello Apollo – nei suoi fasti, lontano dall’incerta incarnazione di mortale, come lo aveva veduto l’ultima volta – ma aveva qualcosa di meno scanzonato, più sacrale. Era giovane, con il viso ambrato, i capelli vividi come l’argento lucente, bello, ma non accecante. “Nonna!” aveva salutato Frigga, con un inchino rispettoso, “Mi hai forse chiamato?” aveva chiesto quello, gentile.
“Sì, mio caro nipote” aveva dichiarato Frigga con un tono materno, allungando un braccio ed avvolgendolo attorno alle spalle del ragazzino, “Tuo nonno padre-tutto ha bisogno di te, ora, Forseti[12]” aveva dichiarato.
Il giovane dio aveva annuito, prima di posare gli occhi, due biglie d’argento, verso le tavole scheggiate. “Davvero, dunque, il futuro è … scomparso?” aveva chiesto, con un timore nello sguardo.
“Temo” aveva ammesso Frigga colma di dolore, “Nonna, forse, oggi, parlo scioccamente e con il cuore pesante di chi sente ogni giorno il fardello dell’essere orfano … ma … Nonno da anni, secoli, tenta di evitare il ragnarok, sarebbe così terribile se esso non arrivasse mai?” aveva chiesto con timore Forseti.
“Bambino mio, la veggente mi disse che avrei pianto solo due volte, una alla morte di tuo padre ed una a quella di tuo nonno. Vorrei mai, mai più, provare un dolore così intenso come quello che provai alla morte di Balder …” aveva commentato lei con una voce calma, piena di rimorsi.
“… sarebbe meraviglioso non dover vedere tutta quella morte e distruzione, Forseti, ma tu più di tutto che sei signore della Giustizia, dovresti sapere che il nostro egoismo non è giusto. Il mondo è un otre che si riempie d’acqua, una volta che è piena fino all’orlo, ogni altra goccia sarà sprecata e l’acqua che ristagna diventa marcia, solo il cambiamento, il rinnovo, Forseti, porta alla vita. Spero che la fine avvenga più lontano che mai, ma spero sempre avvenga” aveva commentato Frigga.
“Solo la morte da valore alla vita” aveva considerato Forseti, pieno di vergogna.
Frigga aveva sorriso con fatica.

 

Si era svegliato con la voce lontana di Forseti nelle orecchie. Era steso nel suo letto, comodo, nella stanza del Valhalla.
Aveva sentito lontano un vociare fuori dalla porta, abbastanza sicuro che fuori stesse capitando qualcosa che doveva avere come protagonista Mel ed il suo imminente viaggio a Folkvang. Probabilmente anche Astrid doveva essersi riformata e lui aveva da raccontare la visione che aveva appena avuto. Non aggiungeva niente a ciò che avevano scoperto, ma rendeva tutto tragicamente più perentorio – oh certo, era scomparso Mimir, di cui Jason aveva percepito la presenza.
La cosa doveva avere un senso, erano gli ultimi disperati tentativi del wyrd di aggiustare le cose?
Si era alzato dal letto, facendo scivolare lo sguardo sulle due Edda al suo fianco.
Avevano senso in quel momento? Si chiese.
Allungò una mano e raccolse l’Edda Poetica, sfogliando le pagine veloci fino al capitolo di Váli, anzi dei due Váli, prima l’uno e poi l’altro.

E Váli poterono legare
con ceppi di battaglia.
Molto vennero stretti
i lacci di budello.

 

Jason dovette dichiararsi piuttosto confuso[13].

 

Un tocco sulla porta lo aveva distratto, “Avanti!” aveva detto, senza particolare gioia, aspettandosi di vedere far capolinea Astrid, oppure una furiosa Thrud; invece era Mel, bianco in viso, seguito da uno Stellan piuttosto interessato.
“Ehi amico!” aveva detto Mel, con un tono allegro, che non raggiungeva i suoi occhi. “Ehi!” aveva risposto Jason, chiudendo il libro. “Ti disturbo?” aveva chiesto Mel, circostanziale.
“Ne approfittavo per istruirmi, anche se ho un brutto presentimento… Comunque, siamo pronti a partire?” aveva chiesto Jason, tirandosi su, si era seduto di nuovo sul letto senza accorgersene. “No”, aveva risposto imbarazzato Mel, “Ho perso l’invito, o meglio non lo ho perso-perso, penso di sapere chi … dove possa essere, però, ecco, mi serve una mano per recuperarlo” aveva ammesso colmo di imbarazzo Mel, prima di indicare Stellan.
“Squadra che vince non si cambia!” aveva scherzato Stellan, alzando una mano, con discreto nervosismo.
Jason aveva annuito, “Non dobbiamo tornare a Jotunhaim?” aveva chiesto retorico, “No, no. Solo fino al piano quattrocentodieci![14]” aveva risposto Mel, con ancora un po’ di imbarazzo ad adornare le guance rosse. Non era certo del perché, ma il pittoresco numero di quel piano dava una sensazione piuttosto sinistra. “Certo amico!” aveva detto comunque Jason, se quell’invito era necessario per ritrovare la bestia e rimettere a posto l’ordine cosmico dell’universo norreno, non c’era nulla che si potesse fare.
Aveva infilato comunque una mano nella tasca dei pantaloni di jeans per sentirsi rassicurato dalla presenza di Giunone. “Non mi chiedi perché lo sto chiedendo proprio a te?” aveva domandato comunque il guerriero germanico, Jason aveva sorriso: “Pensi che Madina sia arrabbiata con te, cosa assolutamente non vera, e quello che devi fare ti imbarazza, temi che Astrid ti giudicherebbe, probabile, e Fred ti prenderebbe in giro, sicuramente. Io sono abbastanza nuovo perché il mio parere non ti influenzi, lo stesso per Stellan” aveva dichiarato Jason, “Credo” aveva aggiunto incerto.
“Penso anche che tu sia un gran figo e molto bravo, sei qui, invece che nel nulla cosmico” aveva dichiarato Mel, con un sorriso, leggermente più sincero. Jason era arrossito a quel complimento assolutamente spontaneo. Stellan aveva tossicchiato, “Io sono qui perché serve il terzo membro. Numero magico” aveva considerato, “No, no, avevi ragione prima: squadra che vince non si cambia!” lo aveva rassicurato Mel.
L’elfo non era stato molto convinto.
“Comunque tranquilli: avremo finito prima che suoni il corno della cena!” aveva aggiunto Mel, recuperando il suo buon umore.
Jason non ne era stato molto convinto.
“Io spero sia prima che tramonti il sole nel mio mondo” aveva miagolato Stellan



[1] La sopratunica vichinga.

[2] Jason fa riferimento a Beyla, la serva che rientra a casa durante il sogno, Skinir (il famosissimo, la cosa più simile al dio dei messaggi) che è con Frey a caccia, e Byggivir che aveva il giorno libero. I tre sono i servi mitologici di Frey, mentre Stellan è una simpatica aggiunta.

[3] Questo è un riferimento a Riccardo I e Filippo Augusto la cui relazione è ancora oggi oggetto di dibattito [è trattata vagamente nell’opera teatrale di  James Goldman (The Lion Winter – belle ambedue le trasposizioni cinematografiche) che ruota però sulle figure di Henry II e Eleanor], comunque i simpatici artisti medievali ci hanno messo il loro https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/90/Richard_Lionheart_and_Philip_Augustus.jpg.

[4] Forse è fin troppo ardita come affermazione, ma ricordo che Freya diceva che i suoi nipoti finissero sempre da quelle parti.

[5] Ivarr The Boneless, figlio Maggiore di Ragnar ed Aslung (Sì, la serie Tv Vikings ne fa il minore per motivi randomici. Non fidatevi di Vikings)

[6] Prima che i Vani si unissero agli Aesir, i primi praticavano l’incesto (non diverso da Zeus ed Hera, se ci si pensa), quindi si … ehm … Freya e Frey erano un po’ i fratelli incestelli

[7] I Longobardi sono in giro da prima del 600 d.C., erano un popolo della Scandinavia (credo Svezia) anche se vengono definiti “Germani”. Hanno combattuto al fianco di Arminio a Teutoburgo, ma poi si sono alleati con Marobuodo dei Marcomanni, nemico giurato di Arminio (Re dei Cherusci), che era filo-romano.

[8] I Longobardi sono stati una dei primi popoli “scandinavi” a convertirsi dal paganesimo norreno al cristianesimo (ariano, come poi avrebbero fatto goti e compagnia bella ma non i carolingi).

[9] Carlo Magno. Fred è chiaramente molto posteriore al buon Carlo Imperatore, ma ne tiene comunque un’alta considerazione.

[10] L’Esarcato di Ravenna era un baluardo dell’Impero (Romano) Bizantino in suolo italico in epoca Longobarda.
A dispetto di queste note gratuite, io amo i Longobardi.

[11] Una Jotun forzuta che cavalca un lupo ed usa una vipera come briglia. Insomma, una figona. In alcune versioni, è considerata una donna-troll invece che una Jotun (Il che è vagamente interessante perché le donne-troll dovrebbero essere figlie di Loki …)

[12] Dio della mitologia norrena, figlio di Balder e Nanna.

[13] Traduzione del verso 35 della Voluspa, trascritto ne il sito Bifrost: https://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-1.Voluspa.html#34
Che consiglio sempre, perché è puntuale e ben referenziato.

[14] Non è una nota: 100 punti se indovinate cosa c’è in questo piano :^

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Capitolo 17
*** Non fidarti della Strige del Piano Quattrocento-dieci ***


BACK FROM THE DEAD.
Non è vero, sono ancora morta, ma non nel Valhalla, più ad Hellhaim.
Comunque spero che tutti abbiate passato una buona Pasqua, almeno migliore della mia ahah.
Devo confessare che ultimamente sto facendo una fatica infernale a scrivere, non solo questa ff, ma le storie in generale (ed il fatto che prossimamente mia aspettino settimane di fuoco mi uccide) però, cercherò di aggiornare il più possibile; comunque devo dire che rispetto al precedente, mi sono divertita a scrivere questo capitolo.
Vorrei ringraziare come sempre Farkas per la gentilezza mostrata nel sorbirsi questa epopea.
Ed ovviamente a chiunque legga/ricordi/segua/compagnia bella.
Buona Lettura ed un bacio a tutti <3

Non fidarti della Strige del piano quattrocentodieci[1]

 

“Mimir è scomparso. Questo non va bene” aveva commentato Mel, sentito il racconto di Jason.
“Sì, ripensandoci bene, nelle uniche due volte che ho incrociato Mimir lui stava parlando con una persona e si è riferita a lui come figlio di Frey” aveva ricordato Jason, grattandosi il capo.
Non ne poteva essere assolutamente sicuro, anche perché, per quanto stupido apparisse non aveva mai dato troppa importanza a quei due sfioramenti con il dio scomparso. Ma se i fiumi cosmici avevano ritenuto importante guidarlo lì, anche se per un solo momento, doveva accettare che dovessero esserlo.
“Sai, Jason, quattro giorni fa, pensavo proprio che questo posto fosse diventato noioso” aveva replicato Mel, “Non andavo in missione dalla seconda metà del settecento, praticamente” aveva aggiunto, rincuorato in qualche maniera.
Poteva sembrare rilassato Mel, differentemente da Stellan, appoggiato ad un angolo dell’ascensore, che si teneva serrato il suo elmo da vivo, sulla testa, ma non lo era. “E secondo te il figlio di Frey da cui dobbiamo guardarci e lo stesso con cui Mimir parlava, ora che anche lui è scomparso?” aveva chiesto retorico l’elfo. Retorico perché non c’era una risposta chiara.
Jason aveva guardato i grandi occhi, come laghi, di Stellan, pieni di incertezza, senza poter in alcuna maniera trovare una soluzione al suo quesito, che sembrava logico, così aveva rivolto lo sguardo a Mel.
“Da chi stiamo andando?” aveva chiesto. Non pensava davvero che Mel rispondesse, era sembrato evasivo, fino a quel momento, ma non poteva fare altro che provarci lo stesso.
Mel si era morso un labbro, “Uhm … la mia Sorella di Latte?” aveva provato il germano, incerto delle sue parole.
“Una cosa?” aveva chiesto Jason, confuso, “Conosco i fratelli di sangue, di giuramento” aveva provato. “Quando nascono due bambini ed una persona non può o non vuole allattare il suo. I due bambini che condividono lo stesso latte sono chiamati così” aveva raccontato Mel incerto, “Il nostro caso è stato un po’ particolare” aveva ammesso.
Jason aveva annuito, “Quindi è come un membro della tua famiglia?” aveva chiesto, non del tutto convinto di quanto potesse entrare in questo discorso. Stellan aveva schiuso le labbra, “Anche la tua amica di infanzia è un einherjar? Vive qui!” aveva esclamato l’elfo stupefatto. “Sì, ha avuto la graziosa idea di morire con un’arma alla mano e proprio non ho idea di che diamine ci facesse una valchiria lì” aveva raccontato Mel. C’era qualcosa di strano nella sua voce.

L’ascensore aveva raggiunto il suo piano, annunciandolo con il suo abituale din confortevole. “Dei, mihi vires dabis[2]” aveva ringhiato Mel, quando le porte si erano schiuse.
“Ohh …” aveva esclamato Stellan confuso, Jason era rimasto irretito.
Perché quel posto sapeva di casa, come se un piccolo pezzo di Nuova Roma fosse stato spalmato nel Valhalla, incluso l’enorme striscione rosso vibrante, su cui era dipinto in oro, con caratteri latini: S P Q R, che dava il benvenuto al corridoio. “Questo è il piano dei romani” aveva dichiarato Jason sconvolto, chiedendosi perché non fosse finito lì.
“Sì, quelli morti nei campi di battaglia contro i germani, per la maggior parte, le valchirie non fanno troppe distinzioni, ma anche quelli che combattevano con e contro i variaghi o altri in generale. Insomma, l’Hellheim del Valhalla” aveva detto indignato Mel, uscendo dall’ascensore.
“Oh! Il piano quattrocentodieci, come il Sacco[3]!” aveva commentato Jason, “Be, il piano esisteva da prima del Sacco, ma rimane una felice coincidenza” aveva considerato Mel, mentre percorreva il corridoio.
Alcune porte erano aperte e Jason non aveva potuto fare a meno che dare una spiata, sentendo un rivoluzionario moto di infanzia.
Aveva anche spiato un paio di uomini giocare ad Aliossi.
Qualcuno li aveva notati ed aveva riservato non pochi sguardi agonistici contro Mel, il suo odio per i romani doveva essere ormai ben noto a tutti, in duemila anni.

Mel si era fermato davanti ad una porta, “Ora, vorrei essere faccia-a-faccia contro Nidhoggr[4] che incontrare lei” aveva ammesso, “Perché ci hai chiesto di venire? Nel senso, abbiamo appurato perché hai chiesto a noi, ma perché volevi compagnia?” aveva domandato Jason.
Non potevo farlo da solo” aveva ammesso Mel, calmo, per quanto le sue labbra tremolassero, “Lei … mi annichilisce” aveva ammesso. Aveva sospirato ed aveva bussato alla porta.
Quella si era aperta dopo un momento, senza annunci di particolare evidenza; Jason, doveva ammettere, si sarebbe aspettato una gorgone con tanto di zanne da cinghiale e chele di granchio, ma ciò che lo aveva accolto era stato diverso.
Era una bella donna, sulla quarantina, ma ancora piacente, con l’incarnato olivastro, un viso a cuore incorniciato da riccioli neri e serpentini. Non era molto alta, ma neanche minuta, con un seno florido e fianchi larghi, con una vita sottile come quella di una clessidra. Indossava una tunica porpora lunga fino alle caviglie con un generoso scollo a V – che non lasciava spazio all’immaginazione – ed una stola rosso amianto. L’unica cosa che non la faceva apparire come una creatura perfetta, era un naso leggermente pronunciato – che non le toglieva niente.
Jason era rimasto stregato, da lei, ma non per il suo aspetto incantevole, ma per gli occhi … erano castani e letali come quelli di un barracuda.
“Sono innamorato” si era lasciato sfuggire Stellan senza vergogna
“Oh! Chi non muore si rivede!” aveva esclamato la donna. “Tecnicamente siamo tutti morti!” aveva biascicato Mel, con un tono insospettabilmente insicuro.
La donna aveva sorriso, come il suo sguardo, anche quello era raccapricciante e poco amichevole, “Entrate, entrate” aveva concesso la donna, “Mi annoio molto di questi tempi!” aveva detto senza mezzi-termini.

La stanza della donna era incantevole, era della stessa dimensione di quella di Jason, divisa in due ambienti, uno doveva essere la camera da letto, ma l’altra era una stanza che riproduceva, in una versione ridotta, un triclinio di rappresentanza. Al posto del ninfeo, al centro c’era un quadrato con della terra ed un albero: il suo collegamento con l’Yggdrasill.
C’erano i tre kline d’uopo, che circondavano da tre lati il piccolo giardino. “Accomodatevi miei cari!” aveva stabilito la donna, occupando quello centrale, stendendosi su un fianco.
Mel si era seduto su quello sinistro, Stellan si era seduto lì accanto, non rispettando la tradizione del letto. Jason si era seduto in quello libero, non imitando la parola di casa.
“Non posso offrivi nulla da mangiare, non ho niente qui e nonostante tutte le mie richieste, Odino trova indecoroso darmi una valchiria personale” aveva cinguettato la donna, “Come se una signora dovesse servirsi da sola” aveva considerato quella.
“Non serve, tra poco serviranno il cinghiale” aveva detto Mel, la sua voce era sottile come quella di un topolino, “Inoltre sono qui da poco, ma mi pare di aver capito che la stanza ti da tutto quello che vuoi” aveva sottolineato Jason.
Era stata la prima volta che aveva parlato alla donna, questa aveva subito fatto saettare i suoi occhi predatori verso di lui, come se lo notasse davvero per la prima volta in quel momento.
“Tu sei?” aveva chiesto, ringalluzzita, “Ehm … Jason Grace” aveva risposto lui, sentendo per la prima volta il suo tono amaro sulla lingua. L’espressione sul viso della signora si era illuminato. Jason si disse che non poteva conoscerlo, certo, Jason era romano, era figlio di Giove, era stato uno dei ragazzi della profezia, ma quella signora era nel Valhalla da quasi duemila anni, era sorella di latte di Mel.
 “Lui è un nuovo avventore del piano venti!” si era intromesso il suo amico attirando l’attenzione nuovamente sulla sua persona. La signora non aveva deviato gli occhi scuri da Jason come se lo stesse sondando attentamente, “Va bene!” aveva detto, volgendosi poi finalmente verso Mel, “Perché sei qui? Non che mi dispiaccia vedere il tuo bel visino” aveva chiesto con mestizia.
La bocca di Mel si era curvata in una smorfia insofferente, prima di parlare, “Per quello che è mio” aveva dichiarato, ci aveva messo almeno un minuto buono, lungo, come se avesse dovuto processare attentamente ogni parola.
La donna aveva sorriso, come una fiera, “Oh, Thumelicus ma tu non possiedi nulla” aveva risposto lei, con voce graffiante. “L’invito di mio cugino!” aveva replicato Mel, senza perdere il suo tono, come se le parole di lei non l’avessero toccato, sebbene Jason, poteva chiaramente vedere l’infelicità nel suo viso.
Quella aveva schiuso le labbra, “Oh!” aveva esclamato stupita, “Perché lo vuoi? L’ultima volta che ci siamo visti hai dichiarato che lo odiavi e non volevi avere più niente a che fare con lui” aveva dichiarato.
“Sono passati anche duemila anni” aveva sottolineato Mel.
“Improvvisamente voglia di amore familiare? Cose che non posso capire” aveva considerato quella.
“Sì. So che hai tu l’invito” aveva insistito Mel, “Sei una delle poche persone che avrebbe saputo dell’invito e che non avrebbe avuto dubbi a prenderlo per il solo gusto di poterlo fare” aveva terminato.
 La donna aveva ridacchiato, “Sono felice che ricordi” aveva dichiarato quella, inclinando il capo, facendo oscillare i capelli riccioluti. C’era qualcosa di magnetico in quella donna, letale e famigliare.
“Sai un po’ ti invidio, guardati: sei bello e giovane, invece, eccomi qui, come una mela ammaccata” aveva dichiarato la donna.
“Penso mia signora, che lei sia ancora incantevole” aveva dichiarato Mel sempre rigido; Jason aveva un altro sospetto, aveva pensato alla conversazione che aveva avuto con Freydis in ascensore qualche giorno prima: “Vuole delle mele di Idunn” si era lasciato sfuggire. Le Mele non ridavano semplicemente la giovinezza, restituivano la forma migliore, anche ai non-morti.
“Bello ed anche intelligente!” aveva ridacchiato la donna, indicandolo, “Sicuramente non lo hai ereditato da tuo padre” aveva decantato. Jason aveva trattenuto il fiato; Stellan lo aveva guardato con discreta perplessità e anche Mel era confuso, lo vedeva dipinto sul suo viso.
“Ah” aveva esclamato la donna leggendo la situazione, “Va bene, non importa. Thumelicus, visto che sono di buona lena, procurami almeno uno spicchio di mela e ti darò l’invito” aveva asserito.
“L’invito è mio!” aveva replicato Mel, il suo tono non era agitato, ma era lontano dalla calma. “Non avevamo stabilito che tu non potessi possedere nulla? Tutto ciò che hai è mio. Tutto ciò che sei è mio” aveva replicato la donna senza battere ciglio – una voce imperiosa.
Mel aveva avuto un singulto.
Jason aveva ispirato ed aveva capito. “Lei era la tua padrona” voleva solo pensarlo, ma lo aveva detto ad alta voce. Erano stati fratelli di latte, avevano diviso lo stesso latte materno, sospettava che fosse quello della madre di Mel … lui era stato schiavo da ragazzino, Madina aveva detto fosse nato in catene, probabilmente la sua stessa madre era stata una schiava.
“No!” aveva esclamato Mel, “Sì!” aveva replicato lei.
“Eri un … thrall?” aveva domandato Stellan, piuttosto confuso. Mel lo aveva ignorato guardando la donna: “Non è mai stata la mia domina. La sua bisnonna lo era, suo prozio lo è stato, ma non lei” aveva stabilito, “Lei è la mia sorella di Latte” aveva ribadito Mel.
 “Be, sì, non ha torto, tecnicamente. Provai a comprarlo, avevo sedici anni, ma ero sotto la mano di mio marito, nonostante il mio sangue notevolmente più nobile. E quello non ha voluto. Quindi, si, certo, Mel ha ragione, non ero la sua padrona, ma lui era un bene della mia famiglia … per il resto, sì, eravamo pari. Tutti e due piccoli bambini, nati a due mesi di distanza l’uno dall’altro – nella Germania Magna” aveva replicato la donna, con una punta di cattiveria.
Jason ricordava che Samirah avesse chiamato Mel: Thumelicus di Confluentes, doveva essere il nome latino di una città tedesca. Forse quando era nato lui, si chiamava ancora così.
“Questo non cambia. Era duemila anni fa e io sono morto. L’unico che ora ha i miei servigi è il sommo Wotan ed io scelgo, come libero uomo, di servirlo” aveva dichiarato alzandosi.
“Provo una gran pace nel vederti ancora così pieno di illusioni, Thumelicus” aveva detto la donna, roteando gli occhi, davvero stizzita. “Iulia tu mi sei stata più cara di chiunque per molto tempo” aveva commentato Mel, con voce quasi colpevole – Jason fu certo che Madina non avrebbe apprezzato –  “So chi ero e cosa ero, ciò che eri tu, ma ho bisogno di quell’invito” aveva terminato Thumelicus.
Nel farlo si era inginocchiato davanti a lei. Mel aveva usato il tono dolce e gentile di un amante, quasi.  Iulia sorrise, in una maniera fredda come il ghiaccio, “Oh, Thumelicus” aveva cominciato, melensa, “Le prime volte che mi hai rivolto parole così di miele, avevamo tredici anni. Tu eri uno schiavo e la cosa era decisamente sbagliata, a modo suo era elettrizzante per questo. Quante fustigate mio fratello ha convinto l’Archimagirus[5] a darti per questo?” aveva chiesto, con cattiveria lei. “Venti. Ma ora non ho più le cicatrici” aveva risposto Mel, vibrando nella voce e nel corpo. “Sì, lui tendeva a reagire male a queste cose. Era un ragazzino così problematico, pensava che noi fossimo tutto quello che aveva” nel dire quell’ultima cosa Iulia aveva preso una nota malefica.
“Ti prego” aveva ripreso Mel, con un tono ancora dolce, ma sbavato di incertezza. “Dicevo, Thumelicus, avevo tredici anni quando mi parlasti con così tanta dolcezza … e da quel momento, mio caro, gli uomini che lo hanno fatto non sono mancati. Mariti, amanti, fratelli … Ma non si diventa me, ascoltando tutti gli idioti infatuati che ti dicono parole di miele” lo aveva atterrato Iulia, sciogliendo con un movimento secco la mano di Thumelicus dalle sue.
Mel si era allontano da quella confessione con terrore, quasi scottato.
Il sorriso di Iulia era cattivo, una falce di luna come la scure di un’ascia. La donna si era alzata dal suo kline, “Ti ho preso l’invito, perché potevo, che sia giusto o meno. Non sono senza cuore ed accetto volentieri di ridartelo in cambio di una mela di Idunn, diciamo mezza-mela, giusto per essere giovane per dei simpatici lustri” aveva scherzato lei.

Jason si era tirato su, “La prego” aveva dichiarato con voce stanca lei, “Stiamo affrontando una situazione terribilmente drammatica – ed avremmo bisogno di “quell’invito” aveva dichiarato con voce perentoria Jason, alzandosi anche lui. Sovrastava in altezza Iulia di parecchi centimetri, ma tra i due, lei era certamente la più spaventosa. “Dici?” aveva domandato lei, con divertimento, “La cosa dovrebbe riguardarmi?” aveva chiesto retorica. “Sì, ne va del mondo in cui viviamo?” aveva risposto Jason.
“Be se è nel mondo in cui viviamo … Be, Jason, forse non hai esattamente capito chi io sia: ho cospirato contro mio fratello, ma penso che tu non possa darmi torto per questo, ho ucciso mio marito – forse più di uno – e, potrei o non potrei, aver complottato contro anche il mio stesso figlio. Pensi mi importi di esplodere come una supernova? Ho duemila anni!” aveva risposto Iulia con divertimento, “Se anche dovessi morire, mi sono comunque divertita più di tutti e tre sommati insieme” aveva aggiunto, scoccando uno sguardo prima a Mel e Stellan, che aveva sussultato.
Jason ebbe la bruttissima sensazione di sapere chi fosse Iulia in quel momento. La donna aveva sorriso della confusione e dell’orrore che si era manifestata sul viso di Jason, voltando il capo verso Mel di nuovo, “Come ho detto: portatemi una mela d’oro e tutto andrà meglio” aveva commentato, con un tono di miele.

Jason si era seduto stanco affianco a Thumelicus, “Te lo ho detto. Ha questo potere di annichilire la gente, è un lascito di Apollo, forse per quello” aveva provato Mel, per rincuorarlo.
Jason aveva scosso il capo, “No” aveva dichiarato, era qualcosa di peggio della sua discendenza di Apollo, Jason lo conosceva come una divinità svagata, egocentrica sì, pure molto melodrammatica, ma era ‘a posto’, ma immaginava che ai tempi in cui Mel doveva vivere a Roma, come schiavo, Apollo dovesse essere nel massimo del suo fulgore e quindi anche un narcisista egomaniaco con l’abitudine di punire chiunque lo guardasse storto.
Perciò era possibile che con quest’ottica Iulia, nome di una gens romana piuttosto celebre, discendente da Apollo e Venere, potesse risultare compatibile, con il suo indomito carattere sprezzante, ottimo materiale come lascito di Apollo.
Come d’altronde suo fratello – e Jason sapeva a chi si stava riferendo.

Sorrise stanco, arreso e, quasi, nauseato. “Freydis” aveva esordito, “Lei consuma le mele d’oro, magari ne ha una in più o sa come raggiungere il giardino dell’Esperidi?” aveva provato.
“Non è facile da rag … Giardino dell’Esperidi? Quello è greco! Non ha un nome, questo, è solo il frutteto di Idunn” lo aveva corretto con gentilezza. Jason si era morso il labbro, “Credo sia il nome più famoso” aveva considerato, “In realtà anche i celtici ne hanno uno di giardino” aveva considerato Mel.
Iulia si era accomodata di nuovo sul suo letto, accavallando le gambe, con espressione piuttosto annoiata, “Se potete recuperare le mele dalla mia stanza va bene … ma lo credo difficile” aveva detto casualmente.

Jason si era alzato, così come Mel, che lo aveva seguito, con espressione abbattuta, “Ti odio, Iulia” aveva dichiarato il germano, con una voce sottile, spiando la donna, che aveva sorriso di pura circostanza, “Non essere così duro con me. Ho fatto recuperare il tuo corpo dall’arena a Ravenna e ti ho tributato tutti gli onori” aveva considerato. “Grazie, se avessi incontrato Caronte avrei dato la moneta con il faccione di Tiberius” aveva detto Mel, imboccando la strada per la porta, seguito da Jason.
“Avete dimenticato qualcosa … Potete lasciarlo qui, se volete. Trovo gli elfi gradevoli da guardare” aveva considerato Iulia, attirando la loro attenzione.
I due ragazzi si erano voltati, subito, notando Stellan ancora seduto sul letto. Con gli occhi rivolti alle punte degli stivali da giardinaggio di plastica.
“Amico?” lo aveva chiamato.
Stellan aveva sollevato lo sguardo, i suoi occhi erano biglie accese di un azzurro intenso, come fil fuoco da gas.
Iulia aveva drizzato le spalle, con una leggera preoccupazione sul viso, ed allora Stellan si era alzato, le mani invece di essere morbide lungo il fianco, erano tese e rigide a quarantacinque gradi, con i palmi rivolti verso di loro. Con una voce sottile, appena un sussurro, aveva ripetuto qualcosa. Alle orecchie di Jason era parso nulla più che un borbottare. Una luce vibrante d’azzurro si era dipanato dalle mani di Stellan e poi lo aveva avvolto. Era così accecante, che Jason aveva dovuto chiudere gli occhi, quando la luce era venuta a scemare, lo spettacolo che l’aveva accolto era stato sorprendente.
L’albero che occupava il soggiorno di Iulia, al posto di un ninfeo, non era più un piccolo alberello dalle foglie verde bruno a spilli, ma una creatura quasi viva.
Il tronco era rimasto piccolo, ma i rami si erano estesi come rampicanti, come zampe, fino a raggiungere Iulia e farla prigioniera in spire di legno e foglie.
“Sta tramontando il sole nel mio mondo. Non può succedere. La notte ci distrugge, la notte ci uccide” aveva dichiarato Stellan grave. Gli occhi erano ancora scintillanti come lampadine al neon.
“Adesso ho capito perché Gerd lo ha preso come giardiniere” aveva esclamato Mel, sconvolto, ma non meno di Jason.
Il figlio di Giove aveva guardato Iulia, un ramo, vivo, come un serpente le stringeva la gola sottile, “Pensi mi importi? Qui non posso morire … e di certo se Alfheim muore non è un problema mio” aveva rantolato lei, prima che Stellan stringesse un pugno e la corda intorno al suo collo si facesse un filo più stretta. “Non posso tenerla così a lungo” aveva dichiarato lui con voce più incerta voltandosi verso di loro, “E lei non parlerà” aveva considerato. “No, non lo farà. Una volta rubò la spilla più cara dell’Imperatore, dono della sua amatissima prima moglie, e non volle mai rivelare dove fosse” aveva raccontato Mel, “Il caro prozio aveva anche minacciato di farmi tagliare una mano, come ai ladri” aveva detto la donna.
La frase sarebbe risultata molto più d’effetto, se la giovane non l’avesse detta con un disperato tono raschiante.
“Però … “ aveva cominciato Jason, dopo uno sguardo veloce con Stellan, “Tu sei il suo fratello di Latte, tu la conosci meglio, almeno tre noi tre, da sapere dove terrebbe l’invito” aveva considerato Jason. Mel si era morso il labbro, “Certo, le sistemavo la camera, tanto da sapere dove sistemava il suo tesoretto segreto – incluso la spilla di Vipsania Agrippina[6] - ma sono passati anche duemila anni. Ho smesso di lavorare per lei che avevo quattordici anni” aveva espresso Mel, “Sì, ma avete vissuto entrambi qui. Tu sei la persona che conosce questo posto come le sue tasche e conosci lei, non come le tue tasche, ma abbastanza, no, per provare?” aveva domandato retorico Jason.
“Oh … potreste prendere la mel-” l’invettiva di Iulia, era stata soffocata da un bavaglio di legno.
Mel si era voltato verso Jason, “Allora: Agrippina è troppo paranoica per permettere che una leva – anche se così blanda e con molta incertezza come quella – potesse essere fuori dal suo controllo. Deve essere qui, ma in un posto improbabile, assolutamente impensabile e probabilmente anche irraggiungibile” aveva stabilito Mel, cercando di recuperare il controllo.
“Bene, mettiamo a soqquadro questo posto” aveva esclamato Jason, pieno di furore. Iulia Agrippina aveva lanciato verso di loro uno sguardo al vetriolo.

 

Jason aveva smontato il letto, tirando via lenzuola, coperte e rovesciando il materasso. Aveva tolto anche le assi di legno ed aveva cominciato a scoperchiare il pavimento, tessera dopo tessera, del mosaico arzigogolato che lo componeva, fino a rivelare il calcestruzzo sotto – era sorprendente come il Valhalla fosse preciso nelle ricostruzioni – Mel invece aveva cominciato dal soffitto, cercando di intercapedini e fessure. Poi aveva cominciato a spostare i mobili, “La prima volta nascondeva un porta-gioie, in una botola, sotto il baule” aveva detto, prima di cominciare a fare a pezzi ogni cosa.
E poi era andato nel bagno, cominciando a smontare tubi, spostare la vasca, rompere specchi.
Jason era passato all’ambiente del triclinio.
Aveva sentito sul suo collo nudo l’occhio predatorio della donna, ma lui aveva guardato solamente Stellan.
L’aria era impestata di un odore così intenso, da risultare quasi stucchevole, di pino. Jason aveva visto gocce sottili di sudore, scivolare dal naso, dal viso dell’elfo, così come i capelli d’oro, sotto l’elmo erano unti e posticci.
La sua posa non era più rigida, ma scossa da lievi tremori, in ultimo gli occhi luminescenti, erano più opachi. Stava soffrendo. Non sarebbe riuscito a controllare la piccola piantina ancora a lungo … e Jason sospettava che per quanto farlo sembrasse semplice – ne aveva conosciuti nel corso della sua vita di clorocinetici, alla mente balenava la ruggente Meg, figlia di Demetra, l’ultima che aveva incontrato, sapeva non fosse un potere gentile con cui confrontarsi, ma portentoso, ma Stellan non stava semplicemente controllando un albero, stava controllando un’estremità dell’Yggdrasill, l’albero che sorreggeva i mondi.
Non immaginava quanto potere dovesse star usando, quanta energia dovesse star drenato da se stesso …
E soprattutto non avrebbe retto.
Aveva sventrato i tre kline, utilizzando la forma di spada di Giunone, cercando di non farsi notare troppo dagli altri.
Prima di rovesciare anche i supporti in legno. Mel era arrivato subito dopo, zuppo come se avesse fatto un bagno, “Splendida spada, amico!” aveva dichiarato mentre cominciava a far saltare le prime mattonelle in marmo della sala di rappresentanza.
“Non ha un frigidarium qui. L’ultima volta, dopo che la domina Livilla l’aveva trovata l’aveva spostata nella stanza del bagno, ma era durata poco, fratelli insospettabili. Non ho più nascondigli. D’Altronde, dopo essersi sposata e dopo che io sono stato venduto-e-morto, lei ha potuto vivere oltre trenta anni” aveva considerato Mel piuttosto spento.
Stellan aveva mosso la mano, liberando Iulia Agrippina del suo bavaglio. “Tutto inutile, mi credi stupida? Non avrei mai, mai, messo qualcosa dove tu potessi trovarlo!” aveva considerato quella, con un tono oppresso.
Jason la guardò attentamente, “Certo!” aveva detto, “Quando ero al collegio, avevo un compagno di corso con una passione assolutamente inconcepibile per Edgard Allan Poe” aveva esordito.
Un espressione confusa si era dipinta sul viso di Iulia Agrippina e su quello di Mel, “Una sua massima mi è rimasta molto impressa, perché, ecco, si adattava a molte situazioni della mia vita: Il posto migliore per nascondere una cosa è in piena vista” aveva dichiarato Jason.
“Forse sarebbe stato meglio saperlo prima che riducessimo questo posto ad una discarica ecco” aveva valutato Mel, “Adesso dovremmo aspettare due ore” aveva aggiunto.
Lui aveva guardato il suo amico, osservando l’espressione frustrata sul suo volto, ma poi si era rivolto alla donna, non pareva più una bestia famelica, ma di una persona preoccupata; il ragionamento di Jason la preoccupava. “Non sarà necessario. Lei è la Securitas[7] aveva declinato Jason. Mel aveva aggrottato le sopracciglia, “Si … uhm … credo” aveva mormorato, per nulla certo delle sue parole. In quel momento era già morto, se Jason aveva fatto bene i conti – doveva ammettere che i numeri a volte, a mente, non erano facili, così come i fatti storici. “Lei è Iulia Agrippina Augusta, nota come Agrippina Minor; consacrata come la dea Securitas, la sicurezza” aveva spiegato.
Agrippina aveva ridacchiato, “Grazie per non avermi definita solo come la madre di Nero. Comunque, sì, consacrata dea-vivente[8], da quel cucchiaino di miele di mio fratello Gaius Caesar, che entrambi conoscete bene” aveva considerato, l’attimo prima che la corteccia che le avvolgeva la gola, aveva serrato la stretta. Jason aveva sentito un dolore fantasma, bruciare sulla sua schiena, lì, dove sapeva che la lancia lo aveva trapassato. Caligola, non voleva pensare a Caligola.
La bile era risalita lungo l’esofago.
Mel si era voltato di scatto verso di lui, Jason aveva ricambiato pieno di nervosismo, “Madina mi ha detto che conosci il Triumvirato … ed è capitato anche a me. Ne parliamo dopo, se vuoi” aveva provato. Mel aveva inclinato il capo, “Va bene, amico. Riconosco le mie priorità” aveva sottolineato il barbaro, voltando il capo verso Agrippina, “Quindi secondo te, ha addosso il mio invito?” aveva chiesto perplesso.
“Sì, certo. Forse è anche un po’ tardi per chiederlo: ma come è fatto?” aveva domandato Jason, ricordandosi che la cosa poteva essere imbarazzante. Probabilmente, avrebbe dovuto pensarci prima, ma trovava davvero difficile, che un invito di origine divina passasse inosservato. Jason aveva un vero radar per quello.
“Ehm …” aveva cominciato Mel, “È come una delle fibule di Domagnano[9], sai quelle a forma d’aquila, solo che al posto delle paste vitree ci sono vere gemme, sul retro c’è inciso il messaggio di Italicus” aveva spiegato il germano.
Jason non aveva idea di che forma avessero le fibule di Domagnano, ma il pensiero stesso era stato silurato da un altro.
“Hai detto Italicus?” aveva chiesto.
“Mio cugino” aveva risposto Mel, con ovvietà. Fino a quel momento, Jason non aveva mai associato un nome ad un cugino – così come quel nome era per lui, in qualche maniera un piccolo campanello.
Italicus … cheruscio … Italicus … Oh!
Italicus Re dei Cherusci?” aveva chiesto alla fine, “Il figlio di Flavus?” l’ultima parte l’aveva chiesta con terrore, recuperando tutte le sue conoscenze romane, da riallineare nella sua mente.
Sperava davvero, ma davvero, tanto di sbagliare.
“Sì?” aveva confermato tutti i suoi timori Mel, “Inizio a sospettare tu sia un vero esperto di storia romana” aveva chiesto.
“Raagaaazzi” aveva piagnucolato alle loro spalle Stellan, salvandolo inconsciamente da una situazione decisamente più spinosa. Si erano voltati verso di lui; i tremori dell’elfo si erano fatti decisamente più fitti. Non avrebbe resistito ancora!
“Concentrati, dobbiamo cercare l’oggetto!” aveva detto Jason, riacquisendo lucidità, Mel aveva annuito, “E che facciamo? La perquisiamo?” aveva chiesto Mel, ammiccando al vestito piuttosto lascivo della donna, che non lasciava presagire nessun nascondiglio, che non fosse particolarmente scomodo.
Jason era avvampato tale e quale a Mel.
“Oh Padre dei Numi! Da un barbaro un comportamento così villano me l’aspetto, ma da un romano!” si era beffata di loro Iulia Agrippina, con un tono terribilmente melodrammatico.
Non sono un romano!” aveva gridato Mel, come se quelle parole l’avessero offeso più di qualsiasi ingiuria mai detta.
Jason aveva pensato a quanto fosse maledetta la sua vita, fin da quel momento, quando a due anni sua madre l’aveva dato a Lupa.
“Oh, sarà una cosa divertente di cui parlare nei prossimi secoli, sempre se saremo ancora qui” aveva commentato Agrippina – sebbene dallo scintillio sinistro nei suoi occhi, Jason fu certo, che gli avessero dato un’arma per il futuro, così come il fatto che non lo stesso usando per una ragione – “Adesso c’è un’altra cosa di cui parlare. Mia nonna, Iulia Augusti Filia[10], aveva come nonno il grande e potente Apollo e tutta la mia stirpe ne ha sempre fatto un gran vanto. Insomma, conoscete mio fratello, preferiva farsi chiamare Neo Helios che Stivaletti, però … La mia cara nonnina ha sposato in seconde nozze mio nonno: Marcus Vipsanius Agrippa, di cui porto il nome. Lui non era un lascito, lui era un semidio: figlio di Marte Ultore![11]” aveva esclamato con divertimento Agrippina.
I due ragazzi l’avevano guardata con estrema perplessità, “Grazie per la lezione!” aveva provato Mel, ma il suo tono divertito non lo sembrava molto. “E mentre tutta la mia famiglia si è sempre vantata con amore del divina discendenza dal signore del sole – ed onestamente questo aspetto è opera suo, ma io ho onorato tutti i miei avi” aveva ringhiato, con un movimento potente delle braccia era riuscita a far saltare qualche legaccio vimineo, “Per questo, be, sono sopravvissuta a tutti i miei fratelli! E a quasi tutte le congiure. Non perché sia particolarmente più intelligente di loro, forse di qualcuno sì, ma perché io: sono un lascito di Marte” aveva stabilito, più libera nei movimenti era riuscita a sciogliere gli ultimi ostacoli.
“Scusatemi ragazzi non riesco!” aveva provato stremato Stellan, sollevando una mano, tentando di riprendere il controllo della pianta, ma Agrippina aveva spezzato un pezzo di legno spesso come un avambraccio, come fosse stato un fuscello, “Inoltre, già che sono nata nella Germania Magna[12], mia madre che non era una donna stupida, mi ha esposto anche ai loro dei… Wotan veglia su di me!” aveva esclamato divertita, portando una mano all’orecchio, dove scendeva un pendente d’oro, l’aveva sfilato poi questo era esploso nella sua mano.
Non aveva più un orecchino, ma una spatha d’oro imperiale.
Mel, nervoso, aveva sfilato il suo gladio dalla fodera, mentre Jason dopo un momento aveva lanciato la sua spada in aria, afferrando a sua volta il giavellotto.
“Io mi siedo” aveva squittito Stellan, trovando un posticino nella stanza.
“Non ricordavo che nell’Antichità alle donne romane fosse concesso di potersi allenare” aveva considerato Jason, ricordava che durante il suo tempo a Nuova Roma, aveva studiato che permettere alle donne di poter accedere alle cariche era stato un argomento discusso, ma approvato solo dopo l’Incoronazione a Imperatore del Sacro Romano  Impero di Carlo Magno.
Per loro, i discendenti degli dei: la Grande Roma era finita[13], definitivamente, i semidei non erano più così tanti e la gloria di quella Roma, incarnata dalla dodicesima legione andava protetta[14].
Al meglio.
Per Jason non c’era nulla di così astruso (così come non lo era sembrato quando lo aveva studiato), conosceva donne combattenti capaci di picchiare duro come Vulcano sul ferro, come Reyna, sua sorella, Annabeth.
“Che vuoi che ti dica, sono sempre sui generis!” aveva risposto con cattiveria Agrippina, “Giusto perché tu lo sappia, al momento ho un record di morte incredibilmente basso ad Idavoll” aveva aggiunto.

 

 Nb: Perché ho messo Agrippina nel Valhalla?
Perché è una figona che ha combattuto i ruoli di genere per tutta la vita. Scherzo, circa. Agrippina nasce in Germania (nella città di Ara, come detto nelle note), le hanno anche alzato una statua e la “festeggiano” ancora oggi. Inoltre, è davvero sopravvissuta a qualsiasi cosa (la guerra in Germania, la morte di tutta la sua famiglia, Tiberio, Caligola, l’esilio, Messalina [che fece uccidere sua sorella Livilla]) tranne a suo figlio Nerone (che comunque dovette organizzare tre diversi complotti per ucciderla). Inoltre, è morta indicando agli assassini di colpire il ventre che aveva generato Nerone (e potrebbe aver avuto un’arma alla mano visto che erano andati ad ucciderla).
Insomma, nulla mi toglie, che se fosse stata una barba germanica, Agrippina sarebbe stata una Donna-di-Scudo … E poi Wotan le fa queste cose.

COMUNQUE, ecco a voi un disegno di IAA (In questo disegno non ha l’orecchino pendente citato nella storia, ma uno molto più bellino con un uccellino blu, che è ispirato a quello trovato in una campagna di scavo, sebbene fosse di epoca repubblicana):


https://www.deviantart.com/rlandh/art/Iulia-Agrippina-Augusta-913951647



[1] Il titolo è un riferimento ad una serie tv (Non fidardi della S*ronza dell’Interno 23), ho utilizzato la parola Strige che è una traduzione del termine latino Stryx (un uccello del malaugurio) da cui poi è derivato il termine Strega.

[2] “Oh Dei, datemi la forza” Credo. I miei crediti in Latino sono una farsa ahaha.

[3] Il Sacco di Roma del 410. Volevo mettere Teutoburgo, ma la data non si prestava molto bene!

[4] Drago della mitologia norrena

[5] Era lo schiavo amministratore degli schiavi.

[6] Figlia di Agrippa (generale di Ottavio – e uomo senza il quale non sarebbe esistito l’Impero Romano) e della sua Prima Moglie. Era la sposa di Tiberio (da lui tanto amata), il quale fu costretto a ripudiarla da Augusto, quando divenne erede, per sposare la di lui figlia Giulia (vedova di Agrippa, perciò matrigna di  Vipsania Agrippina – La dinastia Giulio-Claudio è esilarante).
Quindi sì, la spilla rubata da Giulia (che per chiarire ogni dubbio non è la Giulia figlia di Agusto) apparteneva a Vipsania Agrippina.

[7] Nel corso della storia un certo imperatore (famoso per le scarpe e i cavalli lol) fece coniare delle monete, dove da un lato (il rovescio) apparivano tre nobili fanciulle, insignite come tre dee: una di queste era la Securitas.

[8] Non è del tutto vero. Agrippina Minore è stata rappresentata come dicevo nella nota sopra, come la Dea Securitas in una moneta (assieme a Livilla e Drusilla), ecco la moneta (direttamente dall’OCRE con amore – trovata in Inghilterra): http://numismatics.org/ocre/id/ric.1(2).gai.33.

[10] Sebbene noi ci rivolgiamo a Giulia come Giulia Maggiore, per i contemporanei lei era nota così.

[11] Se di solito Riordan appioppa ai personaggi storici importanti illustri paternità divine (ma va bene, Augusto si dichiarava figlio di Apollo pur avendo un padre), con Agrippa si può fare. Era di una famiglia così sfigata e “plebea” che non sappiamo quasi nulla sui genitori.
Comunque Agrippa era il BFF di Augusto e marito della di lui figlia, come detto prima, che sposò in terze nozze (per Agrippa e seconde per Giulia) avendo con lei cinque figli, una dei quali era Agrippa Maggiore, moglie di Druso Germanico (figlio di Druso Germanico, fratello di Tiberio) e madre di Caligola, Agrippina Minore, Livilla ed altri bambini.

[12] Agrippina è nata in castrum romano in Germania, divenuto città con il nome: Colonia Claudia Ara Agrippinensium, proprio in suo onore.

[13] In realtà per molti la Grande Roma continuava, in particolare nel mito di Carlo Magno, “leggittimo” successore. E Roma, nei cuori della gente, finisce davvero solo con la fine del medioevo e con il rinnovo del Neo Classicismo, con Roma che viene “ripresa” perché guardata come qualcosa di passato. Nota barbosa.

[14] Non è detto in nessun libro; però è un problema che mi aveva sempre incuriosito, sebbene le donne romane se la passassero meglio delle greche, di poco, non avevano tutta la libertà che noi “oggi” pensiamo avessero e sicuramente non combattevano (rimane un mistero visto che 3 dei della guerra su 4 erano donne: Bellona, Minerva, Vittoria) – quindi, sì, be ad una certa devono aver valutato il problema e trovato una soluzione.

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Capitolo 18
*** Signori, Signore ed altre strane entità: è il momento di una crisi di nervi ***


Allora gentili lettori, sono tornata? Non proprio.
In questo momento non sto vivendo, diciamo, quello che sarebbe definito: Best time of my life.
Sarò onesta: scrivere mi crea molta fatica. Moltissima.
Mi sono dovuta forzare per scrivere questo capitolo e credo si veda, la parte onirica è stata scritta infinite volte, continuando a cambiare soggetto.
Mi sento drenata da ogni forza, però ho deciso che dovevo aggiornare, anche solo per uscire da questo sentimento.
Però si vede, il capitolo è brutto (e forse alcune narrazioni si sentono forzatissime). Quindi, non è improbabile, che in futuro io possa rimetterci mano, infinite ed infinite volte.
Prima di andare avanti:

1.       GRAZIE A FARKAS. SUL SERIO GRAZIE <3

2.       TRIGGER WARNING: Il capitolo contiene sangue, non roba gore, ma sangue, però si fa riferimento anche alla morte, ci sono morti (molte) in maniera non valhalliana anche se la cosa è trattata molto da lontano.
E gli Dei, gli dei sono un TW a se stante.

Detto questo, perdonatemi per questo schifo,
Buona Lettura,
RLandH

 

 

Signori, Signore ed altre strane entità: è il momento di una crisi di nervi

 

“Allora, chi vuole cominciare le danze?” aveva domandato Iulia Agrippina, muovendosi sinuosamente, con la spatha alla mano. “Due contro uno?” aveva chiesto Mel, incerto.
“Oh, be, siete un gladiatore quindicenne piuttosto sfigato e … be, Jason non ha proprio una morte che depone a suo favore” aveva ridacchiato la donna.
Lui aveva sentito la rabbia a quelle parole. “Potrei essere più forte di quanto mi valuti” aveva considerato, cercando di mantenersi calmo.
“Oh, sì, ti prego non considerare la mia spavalderia per incoscienza. Sono l’unica persona qui dentro a sapere esattamente quanto sia corretto valutarti” aveva risposto lei, senza particolare enigma.
“Mi sembra abbastanza evidente che sai esattamente chi sia Jason” aveva considerato Mel.
Iulia Agrippina aveva sorriso, piena di soddisfazione, “Ovviamente! Il Valhalla mi piace, ma quando ho compreso che non avrei avuto la mia gloriosa scalata, ho cominciato a tenere le orecchie dritte per il mondo esterno! Non potevo lasciare alla mia famiglia tutto il divertimento” aveva raccontato, sollevando l’arma, pronta alla difesa, “Comunque, fa molto ridere: io so chi è Jason, so chi sei tu Thumeliculus[1], e voi?” aveva chiesto retorica.


Su una cosa Iulia Agrippina non aveva mentito era un lascito di Marte fatto e finito, dopo aver lasciato appesa quella frase, provocando confusione nel viso di Mel, si era lanciata con vigore contro di lui, spada tesa.
Jason aveva cercato di intercettare la lama con la sua lancia, ma Iulia Agrippina aveva deviato il movimento all’ultimo minuto, scendendo in scivolata e colpendo con un piede lo stinco di Jason, con la letale combo che poteva esserci tra l’essere un einherjar e di chi doveva aver avuto la benedizione di Marte. Jason era finito faccia a terra, con un dolore atroce allo stinco, aveva sentito lo sferragliare delle spade, si era voltato notando come Mel avesse incrociato il suo gladio con la spatha di lei, prima che Agrippina lo colpisse alle spalle.
“Un po’ delusa, ma ti concedo il beneficio della sorpresa. Lo so, mi vedi vecchia e molle…e come tutti quanti mi prendi sottogamba” aveva riso di lui Iulia, prima di mollare una ginocchiata a Mel, che si era scansato in tempo, perdendo la tensione delle spade e quasi rischiando di farsi affettare la faccia – impedito solo dalla spinta che Jason era riuscito a dargli.
“Sai vero che se fosse morto non sarebbe stato permanente?” aveva chiesto Agrippina, divertita. “Non abbiamo tempo!” aveva ringhiato Mel, recuperando la spada con nervosismo, “Allora vai a prendere quello che ti ho ordinato. Certo, ora sono incazzata, quindi ne vorrei una intera!” aveva ringhiato.
Jason aveva sentito il dolore allo stinco farsi molto più leggero, il suo corpo, in quel luogo, si stava riprendendo alla velocità della luce.
Si era alzato, assottigliando lo sguardo.
Agrippina era potente. Il potere divino nei lasciti era sempre ambiguo, ogni tanto si manifestava meno, altre molto, come se fossero stati semidei; Frank era un proteiforme come il suo avo, così come Octavian possedeva la capacità di interpretare il futuro. Agrippina doveva essere così, doveva possedere la forza di Marte, come Frank doveva esserne stata benedetta. Aveva notato Jason, che, come Einherjar, era più potente, più scattante, di quanto fosse stato da semplice semidio – altrimenti non avrebbe mai evocato la bufera di fulmini – e così doveva essere per lei; se Jason avesse ricordato bene, per uccidere Iulia Agrippina avrebbero dovuto ricorrere a diversi espedienti.
Una volta avevano affondato la barca su cui era, non solo lei era sopravvissuta a quello ma era stata costretta fuggire a nuoto dai finti pescatori, mandati dall’imperatore, che l’avevano bersagliata con le lance.
Ed avevano fallito. Agrippina non era morta neanche così.
Jason ebbe un’altra angosciante rivelazione: Agrippina era più forte di loro, nella bruta maniera del dio della guerra.
Avrebbe usato la sua forza e non ne avrebbe fatto vergogna – e Jason in quel momento sapeva perché non avesse detto nulla sulla sua origine. Voleva che Jason usasse i suoi poteri, voleva che li palesasse davanti a Mel e si dovesse giustificare dopo.
Era la sorella di Caligola, in fin dei conti.

“La smetti di prenderci in giro?” aveva chiesto Mel, sfacciato.
“Siete voi che perdete tempo, avete anche messo fuori uso l’elfo” aveva risposto divertita Agrippina, chinando il capo e facendo oscillare una cascata di riccioli. Prima, aveva raccolto la maggior-parte di loro in una crocchia, lasciando solo due ciuffi dalla nuca pendenti, ma dopo la corsa, diverse ciocche avevano abbandonato la posizione.
Mel aveva tentato un attacco, non molto convinto, nonostante i duemila anni spesi a Idavoll, doveva aver tenuto il suo stile di combattimento gladiatorio. I mirmilloni erano una fortezza, si riparavano dietro gli scudi e si scoprivano solo per attenti, precisi e mortali affondi, ma Mel non aveva lo scudo.
La sua difesa, in quell’occasione, si traduceva nella lontananza.
Jason si era guardato intorno, in cerca di uno scudo da passare.
“Vuoi davvero lasciare tutto in mano al ragazzino morto al suo secondo combattimento in arena? A Ravenna?” aveva detto con biasimo Agrippina, verso di lui.
Agrippina era per l’attacco, come strategia, non lasciava il tempo di respirare, ma non era vorace come Lit, era una danza.
Attacco, passo indietro, attacco, passo indietro.  E se fosse stata bloccata, avrebbe morso con quel che poteva. Ginocchiate, pugni, calci negli stinchi.

“Oh, mia Augusta cosa sta succedendo?” aveva esclamato una voce alle loro spalle, Jason si era voltato in tempo, per vedere un paio di giovani uomini, vestiti da legionari romani, di diverse epoche, che guardavano la scena. Tra loro, non c’era il famigliare volto di Maes figlio di Pluto, forse i bizantini avevano un altro piano, o forse come Jason era finito altrove; magari in un piano con la guardia variaga.
“O niente, mie prodi, do una lezione ad un paio di barbari” aveva replicato divertita lei. “Oh, Thumelicus sei passato per la decennale scazzottata?” aveva chiesto uno di loro, “Un po’ in anticipo” aveva valutato quello. Indossava un’armatura di secondo secolo, con la lorica manicata scintillante.
“Oh, ciao! Alexius” aveva risposto Mel, con un tono insospettabilmente gentile, “Sì … no è un fuori programma” aveva aggiunto.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, voltandosi verso il suo amico, “È un’ausiliare dacio! Ci scambiamo le ricette dei biscotti” aveva specificato, pieno di imbarazzo. Jason lo aveva guardato con ancora più confusione in viso, Mel aveva alzato le spalle pieno di vergogna.
“Augusta, dovremmo intervenire?” aveva chiesto uno dei soldati, “Oh Seppius! Non ti preoccupare posso gestire entrambi” aveva dichiarato con innocenza Iulia Agrippina.
Mel aveva digrignato i denti, “Niente di tutto questo è importante” aveva considerato con una certa rabbia, “Ti prego” aveva aggiunto, con un tono di disperazione.
“Mia signora” aveva commentato uno degli altri uomini, ne Alexius, ne Seppius, “Io ho servito vostro padre con orgoglio e non posso permettere che due barbari si facciano scempio di voi” aveva commentato. Iulia Agrippina aveva roteato gli occhi, “Ma lo sapete vero che nessuno di voi morirà, veramente?” aveva chiesto per loro Jason.
Era strano come pensiero, ma … si potevano letteralmente uccidere senza morire.  Era una delle prime cose che aveva detto Mel: scatenati, qui nulla a conseguenze.
Era un pensiero estraniante.
“Sì ma il tempo!” aveva uggiolato Stellan dai resti del divano, era ancora in stato comatoso, con gli occhi semichiusi e il viso più livido che mai.
“Bene, allora cominciamo” aveva esclamato Iulia Agrippina piena di soddisfazione. I guerrieri romani si erano lanciati nella mischia con incredibile soddisfazione, “Lasciate in pace l’elfo! È vivo!” aveva provato Mel, quando qualcuno si era avvicinato per vedere quello, ancora steso sul divano.
E poi era cominciata la mischia pesante.

Jason era riuscito ad intercettare con la lancia una spada, aveva colpito lo scudo dell’altro con un pugno, l’elettricità delle sue nocche si era riversato nel ferro in una maniera così impetuosa da renderlo incandescente, sorpreso Alexius lo aveva fatto cadere, Jason lo aveva colpito dritto sul naso, prendendo lo scudo e lanciandolo a Mel.
Mel aveva appena preso una coltellata sulla spalla da Seppius, ma aveva risposto con un pugno sul naso del romano. “Attento, scotta!” lo aveva avvertito Jason. Mel aveva raccolto l’oggetto, con pura confusione sul viso.
Jason era caduto colpito allo stinco da Alexius, che si era tirato su, con il naso maciullato e sangue grondante. Jason aveva mosso la mano, come se avesse schiaffeggiato l’aria e questa aveva colpito in pieno il soldato dacio, che si era ritrovato sbalzato.
“Non credo avessero capito il tuo potenziale” aveva detto Iulia Agrippina, affondando precisa la lama, Jason l’aveva intercettata in tempo. “Hai avuto la benedizione di Marte” aveva considerato Jason, “Sì, sai super forza e grande resistenza. Utile non indispensabile. Ho sempre trovato mediocre che il grande Marte Ultore non possedesse tra i suoi poteri non so: fuoco e fiamme? I romani sono sempre stati bravi in quello” aveva considerato Agrippina, “Ma tu hai molti doni. I figli di Giove che possiedono i fulmini sono portentosi, quelli che comandano i venti poi, ma insieme” aveva considerato divertita lei, “Roma doveva essere fiera di avere un capo così notevole. Mi chiedo come tu abbia accettato di rinunciare, di come tu non sia diventato: Princeps” aveva scherzato.
“Non ho attitudine al comando, sono più un mediatore” aveva considerato Jason, affondando con la lancia. Aveva colpito di striscio il fianco dell’Augusta, che aveva sferzato la sua spatha verso di lui. “Vediamo che ne pensa Thumeliculus!” lo aveva avvertito; Agrippina aveva spiccato un salto notevole, provando a colpirlo dall’alto, Jason aveva usato Giunone per difendersi, intercettando il colpo, fermando la lama, non prevedendo il calcio in pieno sterno che aveva ricevuto poi.
Sentendo diretto il dolore sulle sue costole, accompagnato dal rumore secco di qualcosa spezzato, come se fosse stato colpito da una statua di pietra.
Il colpo l’aveva sbalzato, aveva usato i venti, sottili, i pochi che poteva richiamare lì, per attutire la caduta, ma era capitato dritto contro un pezzo di legno scheggiato, che era finito dritto sul suo braccio ed aveva perso la presa di Giunone che aveva finito per rotolare via.
“Oh, be, sono abbastanza delusa” aveva commentato Agrippina sollevando la mano, Jason aveva intercettato il fendente con l’unica cosa che aveva libera: la mano destra, sentendo, dritto, sulla carne l’oro imperiale. La lama era stata così affilata e potente che non aveva potuto sentire altro che un cieco e sordo dolore, alcune dita erano saltate e l’oro aveva scavato la pelle, fino a scontrarsi con l’osso.
Jason aveva sentito la mano andare a fuoco, così come aveva sentito il sangue esplodere.
“Ma cos …” aveva boccheggiato Agrippina rimasta sorpresa da quel gesto, “Tanto tra un’ora e due sarà integra” aveva commentato Jason, incerto su cosa avrebbe dovuto fare in quel momento.
Il pezzo di legno nella spalla rendeva i movimenti del braccio sinistro impossibili, doveva aver reciso qualcosa di importante, il dolore alla mano destra era esasperante. Anche lo sterno era spappolato e la rigenerazione stava lavorando lentamente.
Giunone era rotolata lontano.
“Sì, diciamo che combattere qui può essere molto creativo” aveva considerato Agrippina, cercando di recuperare la sua lama, incastrata nell’osso di Jason.
“Certo, adesso morirai dissanguato” aveva considerato, comunque, Agrippina, “Miracolo che non sia di shock. Si dice così?” aveva aggiunto. Faceva strano sentirle sulle labbra una parola così odierna.
Jason le aveva sorriso, rinvigorito. Aveva avuto un’idea!
Agrippina l’aveva suggerita,
implicitamente.

“Può darsi, ma non sarò il solo” aveva ripreso Jason, cominciando a sentire terribilmente fastidioso respirare. Agrippina aveva aggrottato le sopracciglia, “Fisica base, qualcosa che non andava di moda ai tempi di Roma” aveva considerato. Poi lo aveva sentito, montare dentro lui, quell’energia crescere, vibrare nel sangue, la stessa che aveva sentito a Jotunheim, era stato un semidio potente, lo sapeva, ma ora lo era anche di più.
Agrippina aveva capito troppo tardi quello che era successo, “Iovis filius Irrumatur[2]!” aveva esclamato l’augusto prima del colpo. Jason aveva evocato un fulmine, non uno potente, non uno di quelli dal cielo, ma da lui dalla sua elettricità, da dentro. L’oro imperiale aveva fatto ciò che doveva, fino a raggiungere il lascito di Marte.
“L’oro è uno dei migliori conduttori in natura” aveva tossicchiato Jason, sputando sangue – abbastanza sicuro che una delle sue costole dovesse aver fatto danno – mentre Agrippina si rovesciava a terra, con le dita nere, contorta. Una mortale sarebbe morta, una semidea forse no, un einherjar di sicuro no.
Ma il colpo elettrico e le urla, avevano attirato l’attenzione di tutti. “Che le hai fatto?” aveva domandato Alexius tenendola per le spalle, “La ho folgorata” aveva risposto Jason ovvio.
Seppius continuava a sanguinare ma aveva raccolto la sua spada, pronto a prendersela con Jason, ma era stato attirato da un pugno di Mel.
Jason si era sforzato di parlare; “Sei stata sconfitta” aveva dichiarato; l’evocazione del fulmine lo aveva devastato. “Non finché respir-” la frase di Agrippina era stata tranciata da una lama nella gola, era stato Alexius il dacio a farlo.
“Ma cosa fai?” aveva strepitato il terzo uomo, Jason non sapeva il suo nome, “Ero un pretoriano, uccidere imperatori e famigliari è il nostro passatempo preferito” si era giustificato quello.
Agrippina era esplosa in una nuvola di fumo d’oro brillante. “Capisci perché amo questo romano?” aveva detto pieno di vita Mel.
Al posto del corpo della donna era rimasta un’altra cosa, un oggetto piatto, dalla forma di un’aquila, con le ali strette – non ancora spiegate – con il collo e la testa di profilo, come i dipinti di Horus, ed un unico occhio sano. Era attraversato da fili d’oro che dividevano gemme preziose.
“Immagino che quella sia la spilla” aveva considerato Jason.
“Sì” aveva sentito una voce femminile alle sue spalle, si era voltato ed aveva visto che nella parte di camera notturna di Agrippina, il letto era tornato a posto e sopra di esso stava la donna. “Sei stata veloce?” aveva commentato Jason stupito, “Spiegaglielo tu” aveva commentato quella, ammiccando a Mel. “Quando è parecchio che stai qui diventa sempre, sempre, più veloce” aveva spiegato il germano.
“Prendiamo la spilla ed andiamo via, l’abbiamo vinta” aveva detto Jason, togliendosi finalmente la lama dalla mano, “O almeno, Mel e Stellan lo faranno, io credo resterò a morire qui” aveva considerato Jason. “Alexius, cortesemente, fai quello che ti piace ed uccidi il pretore Jason Grace” aveva detto Agrippina, vendicativa.
Mel si era irrigidito, mentre raccoglieva la spilla.
“Ah, non te lo ha detto? È un romano! Figlio di Giove addirittura” aveva esclamato la donna, ma Jason non riusciva a sentire bene, iniziava ad avere le trabecole, come quando dimenticava di mettere gli occhiali e si sentiva perso. Aveva osservato la mano, trovandola nulla più che una macellazione di sangue e putridume, che aveva raccolto sotto di sé una forte macchia rossa sulla calce. Anche il dolore allo sterno aveva cominciato a farsi piuttosto serio, dandoli un po’ di problemi a respirare. “Ho abdicato …” era riuscito a dire, sentiva anche male alla spalla dove si erano infilate le schegge di legno, ma rispetto al resto era nulla, assolutamente nulla. “Ex-pretore di Roma” aveva specificato Agrippina, ma la sua voce era distorta e lontana.
Jason si era sforzato di tenere gli occhi aperti, mentre osservava Mel, guardarlo, con gli occhi verde scuro, aveva in mano l’aquilotto d’oro. “Penso … penso …” aveva provato a dire, “Non è semplicemente un ex pretore, è un eroe della grande Nuova Roma, Apollo, il dio in persona, ha celebrato i suoi riti funebri. Hanno fatto una statua in suo onore!” aveva raccontato Agrippina, “Fidati tengo d’occhio la mia gente” aveva esclamato.
Aveva intravisto come macchia sfocata Stellan, avvicinarsi. Aveva sentito le sue mani calde sul torace, “Io credo che una costola abbia perforato un polmone. Il mio alf seidr nel curare le persone umane, lascia a desiderare, forse, ecco, potremmo ucciderlo, così morirà subito … o rischia di soffocare nel sangue” aveva borbottato.
Mel si era chinato, continuando a guardare Jason ed aveva messo una mano attorno alla spalla di Stellan, “Ci vediamo a cena, Jason, tra poco suoneranno il corno” aveva commentato Mel, con freddezza, raccogliendo l’elfo, come se fosse stato leggero come una piuma.
“Penso si sia arrabbiato” aveva considerato Agrippina, con un tono quasi divertito, “Nessun problema, farete pace, unendovi nell’odio verso mio fratello” aveva detto, accarezzandoli i capelli quasi materna.
Alexius si era sollevato, “Taglietto veloce alla gola?” aveva proposto.

Jason era morto per la seconda volta in quella giornata.

Il mondo si era tinto di un colore azzurro intenso, ma non aveva alcuna idea di dove fosse. Aveva riconosciuto davanti a lui, alte colonne, immense, con circonferenze così larghe che Jason non sarebbe mai riuscito a coprire la grandezza, abbracciandole. Le colonne terminavano in immensi capitelli ionici, con volute grandi come ruote di una macchina. Ogni cosa era coperta di licheni, conchiglie marine e un pesce aveva sfiorato il viso di Jason, nuotandoli accanto.
Si era voltato di scatto, era sotto l’acqua, realizzava, per questo il mondo era tinto di questa foschia blu e nera, ma ovviamente non lo percepiva, non veramente. Lui era una proiezione, uno spirito.
Aveva potuto osservare allora che il colonnato enorme non faceva altro che incorniciare un cortile, gigante, solo che non era erba, ma composto di alghe e varietà marine. La luce era data dalla bioluminescenza delle creature. Vorticavano intorno a lui come lucciole. Era uno spettacolo suggestivo e splendente.
“Ammetto che questo posto ha il suo fascino” aveva chiocciato una voce femminile, Jason aveva potuto vedere una donna.
Capelli biondissimi come argento, che sfoggiava una lunga tonaca azzurra, che le gonfiava ad ogni passo, scoprendo le gambe bianche e le calze vermiglie. “Be, Kolga non ha il fascino della sala dei banchetti di tuo padre ma ci si può lavorare” aveva scherzato una voce famigliare. Jason aveva riconosciuto subito Benetescima, vestita con una toga elegante di un vibrante color corallo. Kolga aveva rivolto uno sguardo sprezzante alla dea marina, “Mi dispiace per averti tirato addosso un relitto” aveva dichiarato Bentescima, “Mi dispiace di averti scatenato un tornado” aveva replicato Kolga.
Doveva essere una delle Nove Onde di Aegir. “Pensi che faranno pace quelle due bisbetiche?” aveva chiesto alla fine Bentescima, sedendosi su una panchina fatta di pietra, che somigliava ad un sarcofago, “Adda porta tanto rancore, ma mi pare che tua sorella sia anche brava in questo gioco” aveva scherzato Kolga.
Jason ebbe un brivido, seguendo lo sguardo delle due dee, aveva trovato le due figure di cui parlava.
Jason aveva fatto dei passi veloci, scoprendo di poter fluttuare come in acqua, sebbene non sentisse il freddo e l’acqua.

Kymopoleia aveva indossato di nuovo la sua camicia con la fantasia con le figure marine, i capelli verdi come alghe fluttuanti. Al suo fianco ondeggiavano anche le treccioline d’oro, coperte di sangue, da esse, in vero, fuoriusciva una macchia di rosso, che colorava l’acqua, di Blóthughadda, anche lei indossava abiti più moderni: una maglietta nera con qualche scritta oscena sopra. “Scusami, amica mia, prima mi sono fatta prendere la mano. Avevo litigato con mio marito” aveva detto Kym, la sua voce era dura come l’acciaio ed ogni parola sembrava costarle una fatica. “Non mi importa, Kym! Ti sei frapposta tra me e la mia vendetta, se lo avessi fatto io?” aveva chiesto retorica. “Non era la tua vendetta, ma quella di tua madre” aveva sottolineato fredda Kymopoleia, “Se dovessi mettermi a pareggiare tutti i conti di mio padre farei prima a smettere di avere una vita” aveva considerato.
Blóthughadda le aveva lanciato uno sguardo al vetriolo, “Non somigliano a delle scuse queste” aveva dichiarato la dea dell’onde insanguinate.
Kym aveva sorriso con la stessa freddezza dell’acqua gelida, “Per la mia buona fede, ho intenzione di farti un bel regalo, so che non può acuire la tua rabbia, ma spero possa placare un po’ del tuo rancore verso di me” aveva detto Kym. Sembrava volesse mantenersi dolce e gentile, ma il suo tono era algido, così come i suoi occhi. Stava recitando una parte, probabilmente costretta dalla sua famiglia, che voleva evitare possibili scontri tra pantheon divini.
E per se stessa, perché il suo segreto non fosse esposto.
Che non si sapesse di lui
Che si scoprisse che la figlia di Aegir avesse da recriminare anche contro di lui e non solo Magnus.


Blóthughadda sembrava improvvisamente più interessata, “Cosa?” aveva chiesto, con la stessa curiosità di una bambina, “Quello!” aveva detto Kym, indicando verso il cielo.
Sopra di loro, attraverso il foro dell’Impluvium, si vedeva il soffitto del mare, nel suo denso blu che andava sempre più a rischiararsi. Una visione di pura magnitudine.
Ma tra le onde, tra i pesci, le creature, calava, spezzata in due come un grissino una nave da crociera da cui povere anime rimanevano appese nel buio. Jason sentiva l’orrore crescere in sé, ogni parte del suo corpo dove aveva ricevuto una ferita mortale era pulsata. “Ognuna di quelle anime è un’offerta per te, Sangue delle Onde, per la rete di tua madre” aveva dichiarato incolore Kym, come se tutte quelle morti non la riguardassero per nulla.
Perché così era!
Kym era una dea delle tempeste, divoratrice di navi, uomini e terre, così crudele e distruttiva che Poseidone stesso, che ferocemente amava tutti i suoi figli, l’aveva costretta al duro esilio. Kym che aveva scelto di unirsi a Gea e non aveva avuto remore a uccidere, annegare ed avrebbe dato lo stesso fato a lui, se non l’avesse persuasa. “Te lo concedo Kym, è un grande dono” aveva detto la mezza-Jotun. “Certo! Non da perdonarti ma non da pungolare mio padre a chiamare un Thing tra Pantheon” aveva concesso Blóthughadda.
Ma ciò a cui Jason riusciva a pensare era che quelle morti, tutte quelle morti, erano a causa sua, al di là della fame di rabbia della figlia di Aegir, della testardaggine di Kym, della loro spietatezza, del loro sorridere davanti a quell’orrore, era la vita innaturale di Jason, in quel momento ad aver guidato quella carneficina.
“Be, sì questo è farlo bene!” aveva ghignato Kolga, soddisfatta, affiancandosi alla sorella, con i capelli biondi, aperti come quelli di un anemone, con un sorriso pregno di gusto.
Sul viso di Bentesicima, delle onde gentili, invece, vi era dipinta un’espressione di nausea ed orrore.
Aveva afferrato sua sorella e l’aveva portata via, erano passate al fianco di Jason come un turbinio veloce, ma le aveva seguite galleggiando nel nulla, nello sconvolgimento più puro.
“Cosa hai fatto? Tutte quelle persone! Nostro padre…” aveva ringhiato piena di livore Bentesicima, “Ho fatto ciò che andava fatto, poche centinaia di vite, al posto di un mondo dilaniato tra una guerra tra pantheon” aveva risposto fredda Kym “Sono la signora del mare violento, nostro padre lo sa, prenderò la sua furia a testa alta” l’aveva freddata.
Bentesicima non aveva lasciato la presa sul polso di sua sorella, aveva sul viso, la stessa rabbia che aveva visto molte volte balenare in Percy, davanti le ingiustizie. “Questo tuo comportamento è ingiustificabile e senza senso!” l’aveva rimproverata.
“Ho fatto ciò che dovevo” si era giustificata irreprensibile Kym. Un'altra figura si aggiunta a loro, occhi verdemare, un viso spigoloso e spento, capelli ruggine come quella dei battelli e l’espressione sul viso del dolore, vestita come una rispettabile matrona greca. Doveva essere Rodo, la terza figlia.
“Hai visto ciò che ha fatto?” aveva chiesto Bentesicima con l’ardore bruciante di dolore ed ingiustizia, “Ho visto” aveva risposta l’altra, con la voce cupa. “Esageri” aveva detto piccata Kym, “Nostro padre ha fatto ben di peggio e molte altre volte” aveva ringhiato.
“Ma sono le ragioni che hanno mosso nostro padre ben diverse” l’aveva rimproverata Rodo, “Poseidone, non agisce in virtù di alcuna giustizia che non sia la sua” aveva detto Kym, inopinabile.
“Vero” aveva detto Rodo, “Ma mai in maniera gratuita, dunque, Kym, a quale torto ti stai appellando?” le aveva detto, il suo tono era incolore, ma gli occhi verdissimi no.
Kym si era allontanata, dalle sorelle con un balzo, quasi scottata, “Abbiamo delle ospiti da intrattenere” aveva commentato recalcitrante.
Bentesicima l’aveva lasciata andare, “Non sarà per quella storia?” aveva chiesto pregna di turbamento, Rodo aveva sollevato le spalle magre e spigolose, prima di rispondere.



Quando aveva aperto gli occhi, Jason aveva visto sfumare davanti ai suoi occhi il blu dell’oceano e distante, come se le sue orecchie fossero state piene d’ovatta, la risposta di Rodo.
Poi il mondo aveva preso il contorno abituale della sua stanza. Tranne, si era accorto dai rumori, che non era solo.
Si era tirato subito su, con l’urgenza del vomito a premere nella sua gola, disgustato e colpevole di sé stesso. Ma la sua urgenza era stata placcata dallo spettacolo che si era aperto davanti a lui: Fred che ispezionava la sua stanza.
“Che stai facendo?” aveva chiesto Jason, tenuto ancora in ostaggio dalle nebbie della morte.
“Cerco indizi!” aveva risposto pratico il figlio di Gerd, senza preoccuparsi di turbarlo. “Indizi su cosa?” aveva chiesto Jason.
“Su cosa sei veramente!” aveva risposto senza perdere un briciolo di posizione Fred, mentre apriva la sua cassapanca. Sono un mostro, un imbroglione, una persona la cui sola esistenza ha portato solo sciagure! Avrebbe voluto rispondere, ma aveva detto, duro come il ferro: “Sono un semidio” e visto che ormai la cosa era andata fuori controllo aveva aggiunto: “Figlio di Giove” e nel farlo aveva mostrato il braccio, spostando la fascia per vedere il tatuaggio.
Fred lo aveva osservato critico.
“Non mi basta” aveva stabilito, “Cosa intendi?” aveva chiesto Jason.
“Erano due secoli che non uscivo dalla mia stanza, ma sono sempre rimasto in ascolto. In ottocento anni che sono stato nel Valhalla, Loki e gli altri Jotun hanno tentato infiniti giochi per anticipare il Ragnarok, ci sono stati momenti molto drammatici. Tipo nel millenovecentoquattordici quando ci siamo andati vicinissimo a non poter fermare la catena o l’altro anno. Però, poi sei arrivato tu e letteralmente il giorno dopo, sono cominciati i problemi.
In ordine: è sparito un cinghiale magico – che a quanto pare era diventato la corrente per il sole eterno di un mondo che non può permettersi il tramonto, è sparito il dio della conoscenza, gli dei romani e norreni hanno cominciato a bisticciare, si sono rotte le tavole dell’universo” Fred aveva fatto un respiro profondo, dopo quello sciorinamento di fatti.
“Come sai di Mimir?” aveva chiesto Jason, che non aveva avuto modo di parlarne con nessuno tranne Stellan e Mel. “Pensi di essere l’unico che sogna? L’unico sensibile? Sono mezzo jotun sono un parafulmine per le stranezze, sono sensibile al seidr meglio di quanto sarai tu in mille anni, sono uno stregone che mi piaccia o meno” aveva spiegato Fred, “E questo mi riporta ad altro: il giorno dopo che sei arrivato hai evocato un fulmine ed era diverso da quelli di Gunilla e lo hai rifatto ora. La tua energia è sbagliata. Tu sei sbagliato e da quando sei qui hai solo fatto casino” aveva dichiarato.
Jason si era alzato, “Smettila” aveva detto all’altro. Perché non voleva sentire quella verità, perché aveva ragione, perché Kym aveva appena affogato centinaia di persone per tenere al sicuro il segreto di Jason.
“Hai trascinato Astrid nelle tue lotte. Ma tu lo sai che è stata uccisa e divorata da un lupo-jotun? No, è! E la hai costretta ad inimicarsi un dio. Hai mentito a Mel, per i tuoi sogni sono due giorni che si crea nemici. Signore mio buono, hai anche portato Madina a Jotunheim per i tuoi sospetti” aveva sclerato.
“Quelle sono state scelte di tutti. La missione era la missione, andava soddisfatta. Se non lo facessimo … tramonterebbe il mondo su Alfheim e da come è scritto nell’Edda mi pare di capire che gli Elfi non possano permetterselo” aveva dichiarato Jason, sentendo i nervi a fior di pelle.
Ma sentendo anche le parole più fastidiose, più difficili da pronunciarsi ogni momento.
Stanco, esausto, spossato.
“Sì, ma tutto è cominciato nel momento in cui sei arrivato.  Astrid mi ha raccontato delle tue menzogne. Quindi, Jason Grace, presunto figlio di Giove, chi sei veramente?” aveva chiesto Fred a denti stretti, “E chi ti manda?” aveva aggiunto. “Ho mentito solo perché Thumelicus mi è parso abbastanza contrario all’idea di avere un romano in giro!” aveva gridato Jason, spazientito. Fred aveva riso, “Non è vero! Hai cominciato da prima!” aveva stabilito il figlio di Gerd, come se fosse stato in giro tutto il tempo con loro e non chiuso nella sua stanza, “Non mi manda nessuno!” aveva dichiarato Jason, “E se sono la causa di questo non ne sono consapevole!” aveva strepitato. Realizzando la menzogna nelle sue stesse parole.
Ne aveva sempre avuto il sospetto – ma, in quel momento, ne aveva la certezza.

Prima che Fred perdesse definitivamente il buon senso, la porta della sua stanza si era spalancata, “Per gli dei, che state combinando?!” aveva strepitato Astrid, comparendo sulla soglia.
Non aveva più la corona di fiori ed i capelli erano chiusi nelle trecce, indossava una pesante giacca di pelle, con il bordo di pelliccia e sotto calzoni da uomo.
“Mi assicuro non ci sia un altro Ned!” aveva dichiarato Fred, pieno di rancore. “Jason non è Ned!” aveva stabilito Astrid sicura, “Chi è Ned?” aveva chiesto Jason, confuso.
“Il precedente inquilino di questa stanza. Era un figlio di Loki, lavorava con sua madre per provocare il Ragnarok[3]. Non lo vediamo in giro da duecento anni ormai, presumo sia scomparso” aveva spiegato didascalica Madina, comparendo alle spalle di Astrid.

“Certo! Infatti, non hai notato che letteralmente il destino ha cominciato a dissiparsi appena lui è arrivato. Lui che come tu mi hai detto è arrivato senza un video? Perfino Magnus Chase ne aveva uno, anche se contraffatto” aveva stabilito Fred, che per essere un eremita era ben informato.
“Jason non è un figlio di Loki venuto qui a portare caos. Al massimo è vittima di una cospirazione” aveva dichiarato Astrid calma, “Presumo ad opera di mia zia Thrud. Niente di questa storia è colpa sua, tranne la cosa di Váli” aveva spiegato subito, cristallina Astrid.
Jason l’aveva guardata, i suoi occhi verde-acqua erano piantati su Fred, lui aveva chinato il capo, “Non sei obbiettiva in questo momento” le aveva detto.
“No” aveva risposto Astrid, poi aveva continuato – stupendo probabilmente tutti i presenti – “Non lo sono. Non lo sono per nulla – ma non credo che Jason sia responsabile. Guardalo, è palesemente sull’orlo di una crisi di nervi. È qui da tre giorni e gli è capitato di tutto” aveva considerato lei. “Non mi sento di contraddirla” aveva commentato Jason.
“Fidatevi!” aveva preso la parola Madina, “Ho conosciuto Jason bene ed ho visto come è” aveva considerato quella, “Più trasparente del vetro soffiato” aveva detto.
“Il vetro soffiato non è molto trasparente” aveva soppesato Fred, “Tutti hanno diritto ai loro segreti” aveva dichiarato Madina, strizzando l’occhio verso di lui.
Jason aveva sentito il suo petto riscaldarsi, “Grazie” aveva detto calmo, pieno di amore e riconoscenza, “Ma Fred ha ragione. Tutto questo è colpa mia” aveva dichiarato alla fine.
Il figlio di Gerd non gli aveva concesso neanche un sorriso trionfale, se possibile il viso olivastro era impallidito, Astrid era diventata ieratica e l’espressione di Madina si era gonfiata di lutto, “Ma ha ragione anche Astrid, non è colpa mia” aveva considerato.
“O lo è o non lo è” aveva insistito il monaco crociato.
“Io … credo che la mia presenza abbia scatenato tutto questo, ma la mia presenza qui non è dipesa da me. Questo intendo” aveva considerato Jason.
Non poteva dirlo.
Aveva detto a Thrud e Kym che non lo avrebbe fatto – e già Nico, Percy ed Annabeth conoscevano la verità – ma iniziava a chiedersi se le due avessero avuto reale coscienza delle loro azioni. Erano dee e mai gli dei pensavano a lungo alle conseguenze delle loro azioni.
E per tenere quel segreto Kym aveva compiuto un massacro.
“Pensavo avessi detto fosse meglio non parlarne” aveva cominciato Madina, circospetta, “Non lo so più. Poco fa Fred ha detto che prima del mio arrivo le cose si erano fatte tranquille. Ed ora? Possono essere cambiate le cose da anche solo questa mattina?” aveva chiesto Jason.
Quella mattina si era svegliato a Jotunheim.
Aveva affrontato un gigante.
Aveva spaccato il cielo.
Aveva acquisito un nemico e scatenato un conflitto tra dei Romani e Norreni.
Aveva rivisto i suoi amici – e li aveva messi in pericolo, mortale.
Aveva scoperto fosse scomparso un dio.
Aveva affrontato un’Augusta romana – sorella dell’Imperatore-Dio che l’aveva ucciso.
Aveva assistito imponente ad una strage, fatta in suo nome.
Fred aveva scoperto tutto.


Si era seduto sul letto, stanco, quando il corno della cena aveva suonato, segno che la giornata ad Idavoll fosse conclusa e che ai Caduti fosse concesso il loro meritato pasto.
“Il Valhalla non è mai tranquillo. Andiamo a cenare” aveva detto Astrid, perentoria, “Qualsiasi discorso sarà meglio a pancia piena” aveva concordato Madina, tentando di risistemare il morale.
Jason si era alzato, Fred lo aveva guardato, con ancora diffidenza nel suo sguardo. “Qualunque sia la ragione: io non la ho voluta” aveva detto, guardandolo. Ed era sincero.
Era felice nei Campi Elisi, era felice davvero, così felice da aver deciso di non bagnarsi nel fiume Lete, non fino a che non avesse visto Piper e Leo palesarsi lì, con lui, in un lontano – lontanissimo – futuro.
Il figlio di Gerd si era morso un labbro, poi aveva sospirato, “Non ti conosco abbastanza da fidarmi, pagano” aveva dichiarato alla fine. Jason aveva annuito, accettandolo.

 

Thumelicus era già a cena, con Stellan dall’altro lato. L’elfo aveva tolto l’elmo dei vivi e stava bevendo con ingordigia una coppa di vino-e-miele, per riprendere colore.
Mel aveva sciolto la treccia, perciò capelli d’oro chiaro, scivolavano su un viso imbronciato. Le ferite dello scontro si erano assorbite totalmente, sembrava solo un’adolescente normale, con un venerdì girato.
Tra le mani aveva la spilla a forma d’aquila di Italicus.
Madina era corsa verso di lui schioccando un bacio sulla guancia, “Spero non sia per me, mi piacciono solo chincaglierie delicate e con motivi floreali” aveva dichiarato allegra, “È l’invito per Folkvang” aveva risposto lui, cercando di apparire divertente come sempre, ma con occhi vacui. “Stai bene, tesoro?” aveva chiesto Madina a disagio, quasi oscillando da un piede all’altro, prima che lui l’afferrasse per la vita e la portasse in braccio sul suo bacino e dandole un lungo bacio sulle labbra, ravanante d’affetto.
Qualcuno nella stanza aveva fischiato impunemente.
Fred si era trascinato accanto a Stellan, così anche Astrid accanto a lui.
Jason aveva preso posto sulla panca accanto a Mel, tenendosi ad una certa distanza se Madina avesse voluto accomodarsi su di essa, invece che sulle cosce del fidanzato.
Mel non lo aveva guardato.
“Bene portiamo quell’affare a Bragi, andiamo a farci un giro a sodoma-e-gomorra e poi recuperiamo quel cinghiale” aveva considerato Fred, mentre una valchiria si avvicinava verso di loro, con un piatto grande pieno di arrosto di cinghiale.
Jason ci mise un momento per riconoscere i tratti eleganti ed un po’ spigolosi di Lagherta. Si era guardato intorno, osservando tutte le immortali cameriere della sala.
Non riconosceva da alcuna parte l’hjab verde pistacchio a fiori rosa shocking di Samirah, che immaginava fosse in cerca di Mimir, così come Jason voltando veloce lo sguardo, aveva potuto vedere che il tavolo di solito occupato dal tavolo diciannove, poteva contare della sua focosa rossa e del gigante vichingo.
Aveva ripreso a guardare le valchirie.
Kráka stava versando da bere e scherzava con un uomo, ma tra tutti i visi di donne, il secondo che cercava – dopo Samirah – non c’era.
Thurd.
“Bene, giovani sfortunati eroi, mangiate” aveva cinguettato Lagherta, versando delle sonore coppe di spezzatino nei loro piatti, “Ho sentito che oggi hai fatto il bis. Dopo i reali, sei andato a portare caos anche al piano dei romani” aveva cinguettato divertita la valchiria. “Oggi i Romani, domani Asgard” aveva scherzato Mel.
Lei aveva ridacchiato, prima di allungarsi verso l’altro tavolo, ma Jason l’aveva intercettata.
“Mia signora” aveva affermato, “’Mia signora’ chiamaci tua madre, al minimo io sono ‘sua altezza’” aveva dichiarato la valchiria, cogliendolo di sorpresa, “Scherzo, puoi chiamarmi Lagherta, ha un bel suono e non lo sciuperai” aveva ghignato quella.
“Volevo … sapere dove fosse Thrud” aveva ammesso Jason.
“Ovviamente a marinare i suoi doveri, come sempre. Lady Thrud si nasconde sempre dietro il fatto che è figlia del potente Thor” si era lamentata Lagherta, “Io non la vedo da … quando vi ha portato da Kráka” aveva dichiarato, prima di riprendere il suo servizio.
Jason aveva sospirato.
“Questo non ci aiuta per nulla” aveva detto Astrid, giocando con un cubetto di spezzatino con la forchetta.
Non avevano detto niente poiché Bragi, in veste di Odino, aveva attirato l’attenzione ed aveva dato il benvenuto ai nuovi arrivati.
“Spero si godano il cinghiale e l’idromele prima che il tessuto di cui sono composti i mondi si sfaldi” aveva considerato Fred con un tono pregno di sarcasmo, “Spero accada presto, ho bisogno di movimentare un po’ la mia vita” aveva scherzato Mel forzatamente.
Stellan aveva voltato gli occhi verso di lui ed aveva sillabata senza emettere suoni un: come-stai.
Jason aveva annuito, incerto di cosa volesse dire.
Aveva mangiato un po’ del suo spezzatino, nonostante sapesse fosse ottimo, sulla sua lingua sapeva di cenere. Aveva cercato con gli occhi per la sala, cercando ancora, inutilmente, Thrud, quando aveva trovato qualcuno guardarlo.
Non lontano, Freydis – in quel momento – giovane con la pelle liscia come una pesca ed i capelli biondi sciolti, lo guardava mentre sbocconcellava del cibo. Al suo fianco c’era Einar padre-di-Astrid spettrale come sempre. Lui sembrava indossare l’espressione più infelice del mondo, meno la donna, che stava lì come una gatta sorniona.
“Freydis ha avuto le sue mele” aveva dichiarato Jason.
“E allora? Hai detto tu stesso che poteva averle” aveva chiesto Mel, il suo tono era sembrato seccato. Questo aveva attirato lo sguardo degli altri. “Ieri non le aveva – ci ho pensato solo ora. L’altro ieri aveva cercato di andare a prenderle ma non c’era riuscita” aveva raccontato.
“Quindi il piano che avevi avuto era stupido? Oh, wow” aveva commentato Mel.
“Bene, mi pare di aver capito che qualcuno ha scoperto che ti inginocchi davanti all’idolo di un’Aquila” aveva sogghignato Fred.
Stercore! Non ci credo che lo sapeste tutti” aveva commentato spento Mel, “Io lo ho scoperto con te” aveva squittito Stellan, “Io probabilmente dopo di te” aveva ammesso Fred, sollevando le braccia.
“Oh, potente Thor, per i primi due giorni girava con la scritta SPQR in bella vista” si era giustificata Astrid. Mel era arrossito pieno di vergogna. Jason aveva guardato il suo braccio scoperto in quel momento, senza particolare remora.
“Io lo ho scoperto oggi” aveva ammesso Madina, “Era dovere di Jason dirti la verità” aveva sottolineato.
“Pensi che Freydis possa entrare qualcosa con tutta questa storia?” aveva domandato invece Astrid, mentre lasciavano Mel ad elaborare la notizia. C’era qualcosa di rigido nella voce della skraelinger.
“Non lo so, non la conosco. Solo che …” Jason si era morso un labbro, non lo sapeva, aveva guardato Astrid, “Mi stai chiedendo se la donna che mente, inganna e sfrutta la gente da duemila anni può essere coinvolta in un divino furto? Può darsi ma se Freydis voleva le mele d’oro e basta?” aveva chiesto con un’onestà quasi disarmante l’altra.
“Però è vero che ci sta guardando” aveva commentato Madina, “Conoscendola avrà fatto una qualche scommessa sulla nostra esistenza” aveva chiuso il discorso Astrid.
“Vado a consegnare questo a Bragi” aveva dichiarato Mel, mostrando la sua spilla, Madina si era sollevata per permettere al fidanzato di scivolare via.
Stellan si era voltato subito verso Jason, “Non ha detto una parola da quando siamo andati via” aveva dichiarato, “Ma cosa è successo?” aveva domandato Astrid, allora, notando per la prima volta come era tesa l’aria, forse. “Abbiamo affrontato la sua sorella di Latte” aveva risposto per lui Stellan, “Parlare della sua famiglia e della sua vita prima della morte, rende Mel sempre nervoso. Specie ora che stiamo per incontrare suo cugino” aveva cercato di giustificare Madina.
“No, è arrabbiato perché ha scoperto che sono un romano, figlio di Giove ed ex-pretore di Nuova Roma” aveva dichiarato Jason con un tono basso, perché quella confessione – ormai priva di valore perché nota all’intero tavolo – non superasse le loro orecchie.
“Digli che hai combattuto contro il Triumvirato” aveva detto Madina, gentile e comprensiva, posandoli una mano sulla spalla.
Certo, lo aveva detto anche Agrippina, avrebbero potuto riunirsi sull’odio verso l’imperatore Caligola, che a questo punto, visto la vicinanza con la madre di Nero, Jason immaginava anche lui dovesse averlo conosciuto. Un brivido lo attraversò, “Siete andati a San Francisco per Caligola” aveva detto, sottovoce, mentre occhieggiava Mel al tavolo principale, dove era Bragi con i Thenn.
Uno di loro, si accorse Jason, con spaventoso ritardo, somigliava a Mel, lo stesso biondo chiaro e viso bello – ma anche terribilmente più famigliare. Thumelicus figlio di Harmin, così lo aveva chiamato Boedicca, che risiedeva al piano dei Re.
“Sì anche” aveva ammesso Madina, “Gli imperatori Dei hanno riportato in vita molti germani, galli ed altri nel corso del tempo per riformare il loro esercito ausiliare, ogni tanto son venuti a pescare anche da queste parti. Ovviamente non Caligola, lui preferiva automi e mostri vari, ma voleva parlare con Mel. Non so cosa si sono detti” aveva sussurrato – Jason era abbastanza certo stesse mentendo – “Ma è così. Dopo La Battaglia alla Baia, siamo andati a tributare gli onori ai germani caduti due volte, ma io so che voleva farlo anche per Caligola. Come ti ho detto, certe catene non scompaiono mai” aveva ripetuto.
Jason aveva annuito.
Ovviamente se era stato cresciuto con Agrippina – coetanei – Caligola aveva vissuto con loro, nella stessa casa, doveva averlo visto crescere, lo aveva anche fatto frustare, ma doveva essere il suo domino. Ricordava Jason, quando aveva parlato dei sogni, come Mel avesse detto fosse rimasto imbrigliato nella vita di Gaio Iulio.
Agrippina Minor era nata a ridosso con le campagne germaniche di suo padre – dove Caligola si era guadagnato il suo tenero nomignolo – così come doveva aver fatto Thumelicus. Erano nati ambedue nel quindici dopo cristo, circa, se Jason avesse aggiunto i sedici anni che Agrippina aveva detto Mel avesse, avrebbe portato la data di morte del suo amico al trentuno.
Anno della morte di Seiano, per mano dell’Imperatore Tiberio … e l’ingresso di Caligola a Capri. O almeno Jason pensava di ricordare. Aveva studiato quelle cose, ricordava, il tempo, come rarefatto nella sua memoria. Lui, Dakota, Gwen ed un sacco di Dr. Pepper per non addormentarsi.
Una vita che somigliava sempre di più ad un sogno.

Mel era tornato con l’espressione più truce del mondo, scivolando silenzioso al fianco di Madina, “Bragi ha detto che levato il desco, potremmo partire, sta disponendo un mezzo” aveva chiarito subito. “Spero ci facciano cavalcare cavalli di vento” aveva esclamato Stellan, subito, con un sorriso allegro sulle labbra, attirando l’attenzione di tutti. “Scusate, io … mi piacerebbe un sacco” aveva ammesso. Jason aveva sorriso verso di lui, “Devo dire che è una cosa molto piacevole” aveva raccontato.
In quel momento stavano guardando tutti lui, “Puoi evocare i venti?” aveva chiesto Astrid, confusa, quasi, “Sì avevo un cavallo di vento di nome Tempesta” aveva detto pieno di dolcezza.
Non aveva idea se avesse potuto evocarlo ancora. L’ultima volta che aveva evocato i venti avevano risposto dei Lupi. Erano figure positive per lui, Lupa era madre di Roma, ma non in quel Pantheon.
“Fantastico, recuperato il cinghiale, Jason porterà tutti in giro su cavalli di vento” aveva esclamato Madina, con un tono di voce sprizzante di divertimento, ma la sua allegrezza non aveva contagiato il resto del tavolo.
“Finiamo di mangiare e muoviamoci” aveva detto tetro Mel.

 



[1] Il Lus finale viene utilizzato come diminutivo, circa, prendendo come esempio: Romolo Augusto, chiamato Romolo Augustolo. (Per le ragazze si usava La, come nel caso di Iulia Livia, nota come Iulia Livilla).

[2] Bastardo Figlio di Giove

[3] Ned è il nome che ho deciso di dare al famoso figlio di Loki già citato in precedenza in questa storia e nella Storia di Magnus Chase. Il personaggio, formalmente non aveva nome, ora ne ho dato uno. So, forse un po’ out-of-the-blue ma se riguardate il capitolo, i personaggi ne parlavano con abbastanza confidenza.

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Capitolo 19
*** Stellan si accende come una lampadina due volte, che non è molto, ma è strano che sia successo due volte ***


RLandH dove eri finita?
Ho passato le ultime settimane o a scavare quaranta-gradi all’ombra (senza ombra) come una talpa o a identificare ceramica romana (spoiler non sono esattamente bravina in questo campo), quindi semplicemente sono cotta. Poi sono tornata a casa ed ho ripreso a lavorare. VIVA ME.
Ho usato ogni momento libero per scrivere questo capitolo e, bho, cioè è finito così, non so se è bello o brutto.
La situazione sta delirando un po’, al punto che il titolo originale era: La situazione nel frattempo è delirata, seguito dal secondo titolo, che forse avrei preferito: ‘EX on the FIELD’ Edizione Folkvang, che un riferimento al programma trashissimo “Ex on the Beach” per questo in inglese (anche in italiano si chiama così), di cui, spergiuro, non ho visto neanche un episodio (nonostante io non sia manchevole nei programmi trash). Poi dopo un edificante conversazione con LarcheeX (se siete fan di Inuyasha vi prego leggete le sue storie) ne mezzo di una stazione, si è optato per questo.
Ringrazio di cuore Farkas perché perde ancora tempo a recensire questo piccolo delirio, che finalmente posso dire, con gioia, aver cominciato la sua parabola finale.
Un bacio e buona lettura, lascio due disegni infondo.
RLandH

Stellan si accende come una lampadina due volte, che non è molto, ma è strano che sia successo due volte

 

Benvenuti sulla Glamexpress, qui parla Glam” aveva dichiarato una voce piuttosto allegra, alzando anche le braccia come segno di saluto.
Era una ragazzina, Jason non le avrebbe dato più di quindici anni, con un viso tondo, i capelli lunghi fino alle spalle di un eccentrico turchese. Indossava un paio di pantaloncini rosa, lunghi fino a mezza-coscia, con le sneakers abbinate. La maglietta era colorata con una scritta piuttosto vivace: Han Solo spara per primo!
“Sono confuso” aveva dichiarato Mel ad alta voce.
“Tu … Lei è una Disir” aveva commentato a mezza-bocca Jason, ricordando le dee trasportatrici di anime, con i loro mantelli oscuri come la notte ed i cavalli di ossa, eppure c’era quella con i capelli pastello, che li aveva salutati.
“Sì, amici miei. Lei è Glaumvör, una delle dìsir. Non ero sicuro che le valchirie avrebbero potuto ricevere il permesso di spostare anime dal dominio di Odino a quello di Freya. Una valchiria che ufficialmente come valchiria[1] porta un’anima da un oltretomba all’altro potrebbe creare un pericoloso precedente, secondo la mia adorabile matrigna” aveva spiegato Bragi.
Jason aveva sentito ogni nervo del suo corpo tendersi a quel commento, “Ma le dìsir, in quanto, anche dee del destino, possono essendo al disopra di tutto” aveva commentato didascalico e rispettoso Bragi.
La piccola dea aveva sorriso, “Preferisco Glam” si era presentata questa, “E sarò felicissima di scortarvi!” aveva ridacchiato.
Nonostante il tono pieno di giocosità e divertimento di quest’ultima, la stanza si era fatta insostenibilmente più pesante.
Jason non ne aveva avuto l’impressione la prima volta che le aveva viste – forse solo una sensazione – ma aveva accomunato le dìsir alle valchirie, le devote di Odino, ora realizzava fossero creature ben al di là, erano vere e proprie signore del destino.
“Quanto sarebbe problematico come precedente?” aveva chiesto con gentilezza Madina, il suo tono sembrava disinteressato, ma i suoi occhi tradivano tutta la sua insicurezza. Jason non aveva detto quella parte della storia, non esplicitamente, ma Madina doveva aver dedotta il resto della storia da sola – d’altronde aveva scoperto che Jason era morto da mesi.
Bragi aveva sollevato le spalle, “Ah non saprei sull’immediato. Ma immagino che molti, potrebbero appellarsi a questo per cercare di cambiare paradiso” aveva cominciato Bragi, “O i vivi potrebbero corrompere le valchirie, quelle ancora mortali, per cambiare luogo ai propri cari” aveva considerato Astrid, “Oh, sì, ti prego, facciamolo così posso andare all’inferno che dico io” aveva considerato Fred, guadagnato una spallata dalla sua buona amica.
“Oh! Ymir Marcescente! Speriamo proprio di no! Se già lo spostamento di un’anima da un nostro mondo all’altro sarebbe tragico, ma se le valchirie si mettessero a spostare anime tra un aldilà e l’altro di diversi Pantheon potrebbe divenire la miccia di un vero conflitto” aveva considerato il dio della poesia.
Jason si era fatto rigido come una spada, anche Madina aveva strozzato un singulto, guadagnandoci un’occhiata dal suo fidanzato.
“Per evitare questa spiacevole situazione, me ne occuperò io” aveva dichiarato Glam, invitandoli verso l’Ascensore per seguirla, “Ti prometto mio buon Bragi che li riporterò qui entro ventiquattro ore asgardiane” aveva aggiunto. “Andiamo” aveva detto alla fine Fred, essendosi tolto dalla testa l’idea di essere portato in un inferno di fuoco e dolore, “Togliamoci questo dente.”
“Buona fortuna mie prodi eroi, gli dei vi sono grati per il vostro contributo” aveva detto Bragi quando li aveva congedati, “Scriverò dei versi in vostro onore.”
“Questo mi sembra piuttosto famigliare” aveva commentato a mezza-bocca Jason, ricordando ciò che aveva subito nel corso della vita, per smorzare l’aria, cercando di soffocare l’immagine che Bragi aveva aperto nella sua mente.
Dei celesti, Thrud e Kym!
“Sì, ma io non ho mai avuto una canzone personale, vorrei qualcosa come: Madina Ullrdottir La Coraggiosa” aveva raccontato con il suo solito tono felice Madina, ma con una voce un filino troppo acuta, prendendo la mano del suo fidanzato, “Che ne dici di Madina La Sconsiderata?” aveva commentato a mezza-bocca Fred – era stato ignorato a pie-pari.
 Mel non si era ritratto dal gesto della fidanzata, “Io sono finito negli Annali di Tacito, conta?” le aveva chiesto, “Be, probabilmente è più di quanto avrò mai io” aveva considerato Fred.
“Tranquillo Fred, con la mia incredibile abilità nel fare rime baciate scriverò la canzone di Fred il Rompiscatole” lo aveva preso in giro Astrid, “Parla quella che è stata tagliata fuori dalla Vinland saga[2]” aveva replicato il monaco.
Le porte dell’ascensore si erano chiuse, mentre Glam cominciava a digitare tasti – probabilmente non – casuali dei piani.
“Il mio fratellastro ha scritto una canzone tragica per il mio funerale” aveva commentato Jason, l’aveva ascoltata dalla playlist di Spotify della dea Melione, molto toccante.
La dìsir aveva fatto saettare lo sguardo incuriosito verso Jason.
“Mi ricordate i vostri nomi? Passano un sacco di persone sotto il mio sguardo” aveva commentato Glam alla fine.
Si erano presentati, incerti, mentre le porte dell’ascensore con un sonoro ‘ding’ si apriva sul nulla cosmico.
“Jason Grace, hai detto? Molto interessante!” aveva esclamato quella. “Interessante?” aveva chiesto Jason pieno di preoccupazione.
“Attenti ai piedi, o potreste cadere nel nulla cosmico … cosa che a questo punto non so cosa potrebbe comportare” aveva dichiarato Glam, uscendo per prima dall’ascensore, ignorando la domanda che le era appena stata posta, solo allora Jason si era accorto che davanti a loro, c’era un grosso ramo, con un diametro di almeno due metri, dalla corteccia grande, nodosa, di un colore castano vibrante d’oro. Quando erano usciti tutti, tenendosi in fila indiana, aggrappati alla maglietta della persona di fronte – a Fred era capitato l’ingrato compito di reggersi alla dìsir., Jason aveva avuto il coraggio di guardare il mondo davanti a lui, c’erano rami, infiniti ed eterni altri rami che si dipanavano e perdevano nel nulla, come grosse autostrade di legno, tutti però, come raggi sbilenchi si riunivano al tronco, che da quella distanza a Jason pareva solo un muro eterno alto di cui non si vedeva la cima ne il fondo.
“Lo Scoiattolo?” aveva chiesto Astrid, con un certo nervosismo. Jason sapeva dello scoiattolo maledicente che poteva entrare nella tua mente e tormentarla con verità scomode e menzogne.
“Oh! Tranquilli quel birbante non ci proverà affatto ad avvicinarsi a me” aveva detto Glam con tranquillità. Jason aveva visto la schiena di Mel, davanti a lui, irrigidirsi come fosse fatto di ferro.
“Stellan Brighstide, giusto?” aveva chiesto Glam, da capofila, l’elfo aveva avuto un singulto, “Sì, certo!” aveva detto con un nervosismo ben netto, “Sei per metà un Liósálfar, giusto?” aveva chiesto la dea. “Sì” aveva risposto pieno di vergogna il ragazzo. Jason non aveva mai sentito quel nome prima, “Vorrei che tu passassi avanti? Riesci?” aveva chiesto con gentilezza. “P-posso” aveva detto Stellan, ma le sue parole sembravano profondamente incerte.
Astrid si era fatta da parte, mentre Madina lasciava la presa sulla salopette dell’elfo, così il ragazzo aveva cercato di scavalcare prima la nipote di Sif, poi Fred, aveva quasi preso la mano della Dísir, quando era scivolato su una parte curva e ripida del tronco ed era quasi caduto, a salvarlo era stato il tempestivo intervento della dea stessa e dei venti di Jason, che si erano mossi prima ancora delle sue mani.
Nessuno aveva detto nulla.
“Calmo, calmo, va tutto bene” aveva sussurrato dolce Glam, tenendolo saldamente.
Stellan aveva ricambiato la stretta della dea, aggrappandosi a lei con una morsa serrata.
“Va meglio, ora?” aveva chiesto con gentilezza la disir, “Sì, si” aveva ammesso rincuorato Stellan, “Va bene, passeremo per i mondi bui, a me non fa effetto, ma temo che un’oscurità profonda come quella del nulla cosmico potrebbe avvilirvi. Questo luogo, infondo, non vi appartiene. Quindi, ho bisogno che tu rischiari questo scuro mondo, con la tua magia, che tu dia un calore paliativo” aveva spiegato calma.
“Cosa sono i Liósálfar?” aveva chiesto Jason calmo, alla persona a cui era aggrappato: Mel, perché la sfortuna era sempre sua amica.
Mel si era voltato di profilo, con gli occhi verde oliva, ancora collerici, “Dovrei …” aveva cominciato, “Ricordati che le missioni mortali non ammettono ignoranza, amore” lo aveva richiamato, con un tono carico di gentilezza Madina, “Sono gli elfi della luce” aveva sbuffato Mel.
“Pensavo che tutti gli elfi fossero elfi della luce” aveva considerato Jason, “Se così fosse non avrebbero bisogno di questa denominazione, no?” era stata la pigra risposta di Mel.
“Senti” aveva detto Jason dopo un sospiro, “Amico, mi dispiace tantissimo di non averti detto che sono un Romano figlio di Giove” aveva ammesso, “Non dimenticare ex-pretore” aveva considerato Thumelicus.
“Sì, scusami. Non sono stato corretto” aveva ammesso Jason; “Ma mettiti nei miei panni. Sono nell’aldilà vichingo…” era stato interrotto da Mel stesso, che aveva replicato: “E hai finto di essere un mortale scemo come un altro”; “Quello me lo ha detto Thrud. Forse si è accorta sia stata una cosa stupida raccogliere la mia anima, che dovevo finire non so nelle Isole Beate, nei Campi Elisi o degli Asfodeli” aveva insistito lui.
Mel aveva cercato di guardarlo, dandoli un profilo velenoso, ma gli occhi cominciavano ad essere un po’ meno scuri. Una parte di Jason avrebbe voluto dire a Mel che neanche lui era stato del tutto sincero, certo aveva detto di essere un guerriero cheruscio, ma non aveva mai detto tutto il resto – incluso suo cugino o che la sua sorella di latte fosse la dannata Agrippa Minor. Ma non era giusto si rese conto, “Amico, mi dispiace. Quando ho capito che eri un gladiatore e quanto odiassi Roma, ho avuto paura. Anche perché io amo Roma, non tutta e non tutta insieme, per i miei amici sono molto più greco. Ma sono sicuro di una cosa: la Roma che amo non è la stessa che odi, sono passati duemila anni ed altri tanti regni, imperi e sovrani. A Nuova Roma non ci sono schiavi, di nessun genere, non ci sono gladiatori né combattimenti all’ultimo sangue. Anzi se vuoi sapere l’ultimo ludo che ho visto sono stato costretto io a parteciparci, con un mio amico, contro due giganti” aveva spiegato.
“La tua Roma è la Roma di Augusto, Tiberio e Caligola – e, fidati, quelli che sono venuti dopo non sono migliori. Ma la mia Roma è la Roma di Reyna, Frank, Dakota che sono persone meravigliose” aveva ammesso, “Ed, ecco, se non cadiamo nel nulla cosmico, spero tu possa perdonarmi, anche perché si prospetta una vicinanza piuttosto lunga” aveva aggiunto.
“Con una capacità dialettica così pessima sei riuscito a diventare Pretore di Roma?” aveva chiesto retorico Mel, sembrava una battuta, una battuta alla Fred che stonava sulle labbra di Mel, ma era comunque una battuta. “Lasciavo a Reyna l’incombenza di scrivere i discorsi, io ero il braccio armato e lei la testa” aveva ammesso Jason, con un sorriso gentile, anche se Reyna avrebbe potuto essere ambedue senza problemi, “Infatti, dopo di me, si è beccata altri tre pretori.”
“Wotan, che imbarazzo. Ricordo che Caio Iulio passava un sacco di tempo da ragazzino a provare discorsi da megalomane in camera sua” aveva considerato Mel.
“Oh, devo dire che è diventato davvero bravo. Sul serio, spaventoso” aveva aggiunto Jason, un lieve sorriso complice aveva attraversato i due ragazzi, ma era stato breve le labbra di Mel erano tornate dritte e gli occhi cupi.

“Oh! Mon Deu!” aveva esclamato Fred, prima di un’altra serie di improperi in francese che Jason non aveva compreso, ma aveva invece individuato ciò che lo aveva sconvolto.
Stellan era luminoso, di una luce bianca e fredda – non sapeva perché ma aveva immaginato che la sua luce avrebbe dovuto essere calda – ma non era quello che attirava l’attenzione, ma la cosa a cui era accanto.
Era l’unico punto di luce in quel buio pesto, ma il ramo su cui era una biforcazione più piccola di un altro, ben più grande, enorme, come un’autostrada a sette-corsie, che doveva essere collegata direttamente al tronco, parcheggiata, come se fosse stato un posteggio, c’era un destriero da incubo.
Un enorme cavallo fatto di ossa e mantato di oscurità, agganciato ad un carro nero come l’ossidiana, scoperto sulla cima, con due ruote, oscure, con i raggi fatti di ossa, abbastanza spazioso per ospitarli tutti e sette.
“Lei è la mia Judy” aveva detto Glam con orgoglio, con gli occhi luccicanti pieni di amore, accarezzando il muso del cavallo. Jason aveva pensato alla grossa signorina O’Leary.
“Bene, Stellan caro, sali sul carretto, la tua luce terrà illuminato l’ambiente ed i tuoi amici saranno al sicuro. Io siedo sul cocchio davanti” aveva dichiarato Glam spingendo leggermente l’elfo, “Chi di voi mi farà da copilota?” aveva domandato gentile, Jason aveva ponderato la cosa e quando Madina aveva fatto scattare la sua mano in cielo, l’aveva fatto anche lui, anche Mel li aveva imitati subito.
“Oh! Così tanti volontari” aveva esclamato estasiata la dísir, “Ma credo prenderò il giovane monaco” aveva detto, battendo una mano sulla spalla di Fred, “Noi due abbiamo un po’ di cose di cui discutere” aveva considerato quella, “Ah sì?” aveva chiesto il figlio di Gerd, privo della sua abituale pesantezza emotiva a favore di genuina confusione, “Sì, sì, di quella volta che ho quasi raccolto la tua anima a Costantinopoli, ma tu sei rimasto stoicamente in vita” aveva commentato a mezza-bocca quella, mettendoli una mano sulla spalla.
“La mia anima è stata raccolta da una valchiria di nome Tomris” aveva considerato Fred, con una leggera acredine nella voce; “Oh, sì, ma è una storia molto più divertente” aveva scherzato Glam.

Stellan era salito sul carro, seguito da Madina, dritta con un balzo, Mel le era stato dietro immediatamente, pronto a riprenderla se fosse caduta, poi si era issato su anche lui.
Astrid si era voltata verso Jason, facendo oscillare le trecce nere, “Come va con il nostro germano preferito?” aveva chiesto, “Ho notato una certa tensione, ma anche un paio di risate.”
“Be, va bene direi: Fred mi odia, Mel mi odia e tu sei arrabbiata con me” aveva scherzato lui, “Almeno ho Madina e Stellan” aveva aggiunto.
“Nah, non sono arrabbiata con te, te lo ho detto. Hai fatto un casino con Váli ma è anche colpa mia che ti ho spalleggiato, come ho detto: difetto mortale. Inoltre, se tu non avessi salvato l’altro Váli, tu e Madina sareste permanentemente morti” aveva commentato Astrid, salendo sul carro e guardandolo, “E mi piace avere intorno Madina, rende il mondo un posto leggermente più colorato. Riguardo a Mel, gli passerà, è una persona troppo buona per odiare arbitrariamente qualcuno solo per chi è e Fred … odia tutti, indiscriminatamente” aveva aggiunto.
Jason l’aveva raggiunta.
“Lo sai, vero, che Fred vi ama tutti?” aveva chiesto retorico Jason, “Sì, ma non glielo dire, gli permettiamo di vivere nell’illusione che pensiamo ci odi tutti” aveva scherzato lei.
Jason le aveva sorriso, “Ti prometto che usciremo fuori dall’Holmagang da uomini liberi” aveva considerato lui, Astrid lo aveva guardato, “No, probabilmente no, ma ci proveremo” aveva risposto lei.
Era stupido, ma gli era mancato parlare con Astrid.
Glam aveva dato una sferzata alle briglie e la sua Judy aveva preso la corsa sul nulla, loro erano stati colti all’improvviso da un singulto, che gli aveva quasi fatti ruzzolare orizzontalmente, e poi erano partiti alla velocità, nel nero, tra i rami, le bestie e l’infinito.

Jason vedeva piccole luci sottili, “Quelli sono i mondi, credo” aveva raccontato Astrid, mentre Madina si sollevava per sporgersi ed osservare meglio tutto, sostenuta dal suo fidanzato se avesse avuto la sgraziata idea di cadere di sotto. “Non sono nove” aveva considerato Jason, “Certo, i rami portano a diversi, diversi, portali nei nove mondi” aveva spiegato Astrid, “E tu ti sei arrampicato sul Yggdrasil da solo?” aveva chiesto Jason, ammirato, a Stellan.
Pensando a come lo aveva visto controllare i rami, “Oh, sì, sono un giardiniere, possiedo l’alfseidr” aveva considerato, “E sei mezzo- elfo della luce, qualsiasi cosa significhi” aveva commentato Jason. “Tutti gli elfi sono elfi della luce” aveva risposto Stellan calmo.
 Jason si era voltato verso Mel, un po’ in cerca di spiegazioni, un po’ ricordando la conversazione che avevano avuto in precedenza; “Se vuole che segua questo dogma non lo contraddirò” aveva risposto Mel con una leggera incertezza sulla voce. Lui aveva deciso di annuire, dopo tutto il discorso fatto sembrava stupido mettersi a pontificare su quello. Lo sguardo sul viso dell’elfo si era fatto vacuo, arrivando a distogliere gli occhi per destinarli al nulla cosmico.

Il figlio di Giove si era voltato verso Astrid, “Pensavo di aver risolto con elfi, elfi oscuri e nani” aveva rivelato lui, con un leggero imbarazzo. La skraeling aveva fatto roteare gli occhi, “Sono nell’Edda in Prosa, l’altra” aveva spiegato poi pratica, prima di continuare dopo aver avuto un segno d’assenso da Jason, “Esistono i dvergar che sono i nani, gli Elfi Oscuri, i  Svartálfar, nani ma discendenti di Freya, poi ci sono gli alf, elfi, la maggior-parte sono efli della luce, ma esistono anche Dökkálfar gli elfi neri, che no non sono elfi oscuri[3]” aveva terminato Astrid.
Un solido minuto era intercorso tra loro.
“Penso dovrò prendere degli appunti” aveva spiegato Jason, con un certo imbarazzo.
Astrid aveva scosso le trecce nere, “Oh, tranquillo, questa cosa non è chiara neanche a loro e a gli elfi, che sono un bel po’ perfezionisti e forse un po’ razzisti, piace far finta di nulla” aveva raccontato lei, calma.
Un pensiero, dopo quell’ultima nota, aveva attraversato la mente di Jason: mezzo- Liósálfar, voleva dire metà di qualcos’altro? Era lì, il vero problema?

 

Judy di tanto in tanto posava i piedi su qualche legno, facendo sobbalzare il carro e cadere loro. “Oh cielo divino, il tronco!” aveva strillato Madina, indicando qualcosa, erano vicini alla corteccia centrale, del grande albero del mondo, ancora, davanti a loro si apriva un muro di legno esterno, solo che da così vicino, non aveva né fine ne inizio anche lateralmente.   “Ti fa sentire infinitamente piccolo” aveva considerato Mel esterrefatto. “Ma no! Intendo dire che a Jason ed Astrid servono dei legni, giusto?” aveva considerato la ragazza, recuperando il punto. “Me n’ero quasi dimenticata” aveva considerato Astrid, guardando anche lei il tronco.
Sia Astrid, sia Mel avevano ragione: anche lui aveva dimenticato quella piccola condizione per la sfida – quattro legni che dovevano essere raccolti da loro – ed il fatto che il tronco dell’Yggdrasil fosse davvero così enorme e potente da lasciare senza fiato. Appariva anche così l’Olimpo?
Qualcosa di così mastodontico da farti percepire immensamente piccolo?

“Ragazzi reggetevi, brusca virata!” aveva squittito la dea, attirando nuovamente la loro attenzione, prima che la cavalla scendesse, improvvisamente, in picchiata, accompagnata da un urlo poco virile di Fred.
E poi erano stati invasi dalla luce.
Una luce diversa.
Quasi sbagliata.
Calda, forse troppo, annebbiante.
“Il Glamexpress finisce la sua corsa!” aveva esclamato la Dísir.
Jason aveva messo a fuoco il mondo davanti a lui, era come una gigantesca Idavoll, solo più bella, campi d’oro e verde, con alberi da frutto, pace. L’aspetto che un glorioso doveva avere.
Fiori di ogni tipo.
Tutto di una bellezza travolgente.
E luce, “Se dovessi nascondere un verro luccicante, questo sarebbe il luogo giusto” aveva considerato Madina, “Non si noterebbe per nulla con tutta questa luce”.
“Questo è il giardino dell’Eden?” aveva chiesto Fred, scivolando giù da cocchio, “No, sciocchino!” aveva cantato una voce femminile.
Si erano voltati tutti, per vedere chi aveva parlato.
Jason era rimasto senza fiato, il primo pensiero era stato: Venere. Ma Venere aveva sempre qualcosa di qualcuno, gli occhi iridescenti di Piper, il sorriso divertito di Thalia, i biondissimi capelli di Annabeth, le movenze gentili di Hazel ed era un continuo puzzle di tutte le donne a cui era stato legato, la donna davanti a lui era semplicemente splendida, in una maniera superba, senza possibilità di difesa.
Alta, flessuosa, dalla pelle d’ambra, i capelli biondi, imbevuti del sidro del sole, ed un sorriso smaliziato, composto la labbra piene e denti perlacei perfetti; indossava un prendisole bianco, con le spalline sottili e la gonna corta che scopriva le cosce. Alle orecchie, tonde, perfettamente uguali, piccole e graziose, scintillavano orecchini dalla forma di gatti.
“Giovani Einerjar lei è la divina Freya!” si era apprestata subito a introdurla Glam, “Non che fosse necessaria la presentazione” aveva aggiunto, prima di elencare i loro nomi.
Freya si era mostrata abbastanza interessata a Thumelicus, ma tutte le sue attenzioni erano finite su Fred, appena Glam aveva pronunciato il suo nome.
“Il bastardo della mia cara sorella acquisita” aveva commentato Freya e tutta la sua eleganza era scomparsa, succhiata in un gelido freddo. “Sì” aveva squittito Fred, cercando di non guardare troppo la dea, “Hai suoi stessi occhi da pes-occhi gentili” aveva detto la dea senza dolcezza, “Grazie mia signora” aveva risposto Fred incolore.
“Perfetto, mia signora, io mi congedo, verrò a riprenderli tra ventiquattro ore midgardiane” aveva concesso la dísir, “Certo, ovviamente Glam se per quell’ora, qualcuno di loro sarà rimasto qui; di al caro Odino che li considererò acquisiti al mio dominio. Si è preso Magnus, mi deve ancora qualcosa” aveva soffiato la dea.
“L’accordo non mi sembra così male, qui è bellissimo” aveva considerato Madina, “Probabilmente verrei ucciso tutti i giorni solo per rendere felice la dea” aveva detto Fred.
Stellan che era rimasto in silenzio tutto si era fatto rigido, Jason l’aveva visto incerto, cercare con lo sguardo Mel, da che era arrivato nel Valhalla era la persona con cui aveva stretto di più, ma il germano aveva uno sguardo di ferro rivolto fuori.
“Potrebbe non essere così semplice, ma lascerò a voi due signori queste quisquiglie” si era congedata con quelle parole Glam.

Bene ragazzi, immagino avrete già cenato, ma mi sono permessa di organizzare una festa per l’arrivo di Thumelicus figlio di Harmin, cugino di Italicus re dei Cherusci” aveva dichiarato la dea, posando lo sguardo su tutti loro.
“Ne siamo immensamente riconoscenti, mia signora” aveva detto Astrid con gentilezza e posatezza, chinando il capo, assecondata da tutti loro.
Freya aveva sorriso, “Snorri vi aiuterà a sistemarvi” aveva chiocciato la dea, prima di farsi da parte per far bassare un baldo vichingo.
Jason aveva pensato immediatamente allo Snorri dell’Edda, ma l’uomo viveva tra i Thenn nel Valhalla, sedendo alla tavolata di Odino.
L’uomo davanti a loro era molto diverso, alto e spesso, con una lunga barba bianca con striature di grigio, stretti in una treccia, così era per i capelli. La possanza del corpo si era piegata con il tempo.
Era ansiano, ma ancora vigoroso, a modo suo.
Forse era semplicemente un altro caso di omonimia.
Astrid aveva emesso un singulto, prima di correre verso Snorri, sotto cui i baffi spessi si era aperto un sorriso, pieno, “Astrid!” aveva detto pieno di gioia, anche la ragazza lo aveva chiamato.
S’erano abbracciati.
“Dei come sei bella, così tragicamente giovane!” aveva detto lui, con una voce a metà tra la gioia pura ed il dolore, “E tu invece sei un vecchio bacucco! Che gioia vederti così vecchio” aveva ammesso lei.
Allora Jason aveva capito e si era sentito stupido per non averlo fatto subito.
Nel Valhalla, così come doveva essere a Volkfang, si giungeva con l’aspetto della propria morte. Astrid, come Jason, Fred e gli altri doveva essere tragicamente morta giovane, il suo amico invece doveva aver avuto una lunga vita.
Astrid l’aveva preso per mano, “Loro sono i miei amici” aveva detto elencandoli tutti per bene. Anche Stellan, era diventato viola come un mirtillo quando si era sentito apostrofare così, “Lui è, invece, Snorri Thorfinnson il mio più vecchio amico” aveva raccontato, “Letteralmente” aveva precisato il vecchio, “Non avevo neanche due anni, quando posavo l’orecchio sulla pancia di Panikpak per sentire questo diavoletto scalciare” aveva ammesso lui, scompigliando l’acconciatura di Astrid.
“È un piacere conoscerla signor Thorfinnson, ho letto tanto di lei” aveva detto invece Fred, prendendo la mano dell’uomo con estrema ammirazione.
“Svolta inaspettata” si era lasciato sfuggire Jason, “Direi di no, Snorri Thorfinnson è, praticamente, l’iniziatore della cristianizzazione del mondo vichingo” aveva spiegato Mel.
“Io sto con Jason, comunque, Fred non è mai così gentile, non lo sarebbe neanche con il papa in persona. Sul serio ha preso a sberle quello del Drago una volta” aveva replicato Madina.
Quello del Drago?” aveva chiesto Jason confuso, “Giwargis è una persona molto meno piacevole di quanto la gente intenda” aveva detto Mel, “D’altronde lavorava per Diocleziano[4].”
Jason decise di non informare il suo belligerante amico che quello era il suo imperatore preferito.
“Forse … forse … vuole fare bella figura con un amico di Astrid” si era intromessa la dea Freya, con un sorriso di chi la sapeva lunga, “Vado a direzionare meglio per la festa. Volevo assoldare il dj migliore dei Nove Mondi, ma a quanto pare Bragi era impegnato a fare il Baby Sitter così ho dovuto ripiegare su altro” aveva detto la dea, leggermente sconsolata, “Ricordatevi di non lasciare i confini dell’aldilà, o potreste morire male e potrebbero esserci molti problemi burocratici per me, e scoprireste che anche Hela è più gentile di me, quando mi arrabbio” aveva detto Freya con scioltezza, prima di voltarsi verso Stellan, e del tutto a sorpresa aveva pigiato il naso dell’elfo.
Una vibrante luce, calda, amichevole, era esplosa nel ragazzo, come se fosse stata una lampadina, poi si era assopita.
“Come ti senti?” aveva chiesto lei, gentile, “Rinvigorito” aveva ammesso l’elfo con disagio, “Non permetterei mai ad un cittadino di mio fratello di ferirsi. Ti ho donato la mia benedizione, giovanotto, per almeno ventiquattro veglie sarai come un einherjar” aveva spiegato la dea.
“Ah!” avevano detto all’unisono Jason, Mel e Stellan, “Non prendete a male, Bragi. Solo Odino avrebbe potuto farlo e non è uomo da dispensare magia così gratuitamente, ha una reputazione” aveva stabilito quella quasi divertita.
“Sì, giusto, la magia la praticano solo le donne, circa” aveva commentato Jason, “O almeno così piace dire loro, conosco molti uomini che fanno trucchetti. Inoltre, se mi permettete: è uno spreco utilizzare un dono solo a metà” aveva risposto Freya.
Jason concordava.

 

Loro quattro avevano seguito diligentemente il vecchio Snorri, che parlava amorevolmente con Astrid, con gli interventi tal volta molesti di Fred.
Per un po’ aveva pensato che Snorri potesse essere lo stregone di Astrid, quello che le aveva donato la pelliccia e le rune.
Ma visto come Freya aveva ricordato che la magia fosse affare da donne – o da Jotun – e dal fatto che quello Snorri fosse un così devoto cristiano da avere pure l’ammirazione di Fred, dubitava potesse anche essere uno stregone, ma la vita era piena di sorprese.
“Come è riuscita ad organizzare una festa così velocemente? Neanche un’ora fa lo abbiamo detto ufficialmente a Bragi” aveva considerato Jason, certo lo avevano accennato al dio prima, ma ne avevano avuto conferma solo dopo lo scontro con Iulia Agrippina.
Mel sollevato le spalle, “Uhm … è la dea Freya, signora dell’amore, della magia ed altre cose, probabilmente ha una festa nel corno da tirare fuori ad ogni occasione” aveva raccontato, il suo tono era rigido, con gli occhi saettava a destra e manca, forse teso del dover incontrare suo cugino.
Jason a quella descrizione non aveva potuto che evocare l’immagine di Piper con la sua cornucopia che rovesciava bicchierini da cocktail e stuzzichini.


“Oh dei di Asgard!” aveva esclamato Madina, attirandolo fuori dai suoi pensieri.
Ovviamente la festa della divina Freya non somigliava ai cocktail con gli ombrellini e gli stuzzichini che Jason aveva appena ipotizzato.
Non somigliava neanche alla prima immagine di festa che aveva avuto quando la dea ne aveva parlato, aveva teorizzato qualcosa nello stile del campo mezzosangue  - gente da campeggio che canta il corrispettivo norreno delle canzoni country, intorno al fuoco - non sapeva perché, non il coachella.
Davanti Jason si apriva un mare di carne, teste e gioielli al neon, che si muoveva al ritmo di una musica profonda.
Doveva dichiararsi confuso, Jason perché non riusciva a distinguerne i suoni.
“Io … wow … non mi invitano mai alle feste, sono tutte così?” aveva chiesto Stellan.
“Somiglia a Woodstock!” aveva esclamato Mel, “Oh me la ricordo. Anche quella l’aveva organizzata Freya vero?” aveva considerato Madina.

“In mezzo a tutta questa gente … trovare Gullinsburti sarà come cercare l’ago in un pagliaio” aveva riconsiderato Jason, avrebbero potuto riversarsi sulla luce, ma il Folkvang sembrava una terra in eterno giorno, anche se un giorno, caldo e nostalgico, come se fosse il pensiero di una bella giornata che una rappresentazione reale di un meriggio soleggiato.
“Seguitemi, che vi darò degli abiti più consoni” aveva detto Snorri.
“Abiti, io vedo vestita pochissima gente” si era lamentata Astrid, Madina aveva già cominciato a sfilare la maglietta, “Freya non è mica la dea dell’amore per gioco” si era giustificata. Davanti alle spalle nude, coperte da solo le spalline sottili della canottiera di Madina, Fred era diventato rosso come un pomodoro, finendo per doversi nascondere gli occhi e finendo dritto contro Stellan, invece, molto curioso di guardarsi intorno.
“Ti prego Madina: non uccidere Fred” aveva dichiarato Astrid.
“Amico, sei morto da seicento anni, puoi sopravvivere a una spalla nuda” aveva replicato Madina, strizzando l’occhio verso il monaco. “Ma ai tuoi tempi le donne non rischiavano di passare per sgualdrine anche se facevano vedere solo una caviglia?” aveva risposto Fred, “Non so, sono sempre stata fuori tempo” aveva risposto pratica la giovane.

 

Snorri li aveva condotti in un ambiente molto più riservato, non era proprio una casa lunga ma ci somigliava abbastanza. Era fatta di legna e paglia, dentro era piena di bauli di ogni genere.
Appena passato il capolinea dell’infisso, Jason aveva riconosciuto una valchiria, non poteva essere altrimenti. Era longilinea e bellissima, con un viso di rame, capelli nerissimi e vestita di piume. “Oh! Hai portato i devoti di Odino” aveva commentato con voce rude.
“Questa splendida fanciulla, qui è Amenza. È una strega-valchiria” aveva spiegato subito Snorri, “In vita è stata un’Amazzone di Dahomay[5]” aveva spiegato pratico, “Sì, be, mi è capitato il giro sfortunato. Avrei preferito il Valhalla” aveva ammesso Amenza senza perdere verve, prima di chinarsi, “Prendete! Qui, a Folkvang abbiamo un’etichetta” mostrando loro l’interno di un baule.
“Vi lascio nelle sapienti mani di Amazena. Nel frattempo, io andrò a preparare la stanza di ricevimento per il nostro giovane guerriero” aveva dichiarato Snorri, ammiccando a Mel. Giusto, aveva pensato Jason, formalmente erano lì per la spiacevole riunione di famiglia del suo amico, anziché per cercare il cinghiale.
A quell’affermazione il guerriero germano si era fatto teso come la corda di un’arpa.

Jason aveva preso i vestiti con un certo timore, mentre Madina esclamava piena di gioia davanti ad una stoffa piena di lustrini.
“Certo! Diamoci ai bagordi … non è come se avessimo fretta” si era lamentato con nervosismo Fred, mentre osservava con un cipiglio piuttosto confuso un paio di pantaloni di pelle lucida. Francesi, aveva detto l’amazzone, facendo roteare gli occhi, diretta a Fred.
 “Io terrò i miei. Sono i pantaloni di Ragnar Lothbrok” aveva dichiarato Mel, nervoso. Amenza aveva sorriso verso di lui, “Oh, certamente! Thumelicus Harminsson, per te, c’è altro. Non vorremmo tu apparissi meno davanti al nobile Re Italicus” aveva chiosato, senza vergogna.
Le guance di Mel si erano tinte di un fortissimo rosso porpora imbarazzo. “Sarò sempre meno” aveva detto lui, insoddisfatto, “Siete entrambi morti con un’arma alla mano, tale vi rende degni in egual misura” aveva dichiarato Amenza con un rinnovato vigore.
Non è come si vive, ma come si muore che stabilisce il popolo a cui appartieni, così aveva detto Astrid. Jason si era voltato verso la ragazza, trovando uno sguardo corrisposto. Si erano fissati per un secondo, poi ambedue avevano distolto gli occhi.

Avevano dato a Jason dei pantaloni d’oro lucido, luccicanti, tristemente appariscenti, così come un Fedora coordinato. “Si abbinano ai tuoi occhiali” aveva scherzato Astrid, che aveva tolto la sua lunga toga blu a favore di un abito corallo dalle spalline scoperte, che la faceva apparire più una odierna adolescente che una mezza-vichinga dell’undicesimo secolo. “Tu sembri molto moderna” aveva considerato Jason, perdendosi forse troppo a guardare il corallo risaltare con la pelle d’ambra scura.
Astrid aveva aggrottato le sopracciglia. Sì, faceva schifo nel fare i complimenti, “Sei bellissima” aveva ammesso Jason alla fine.
Era vero, ma aveva sentito le sue parole come un tizzone ardente sulla lingua.
Astrid lo aveva fissato per un secondo con un’espressione intensa, prima che un leggero rossore animasse le guance, “Grazie” aveva risposto, quasi timida.
“Sembra una meretrice!” si era infilato subito nel discorso Fred senza colpo ferire, osservando Jason con espressione turpe. Astrid aveva tirato un buffetto sulla collottola del suo amico.
Il monaco indossava lo stesso stile di pantalone e cappello di Jason, ma invece di essere d’oro lucido, erano di un rosso scarlatto, ugualmente luccicante.
Niente di tutto quello sembrava molto vichingo, a prescindere.
“Non ho una maglietta?” aveva chiesto Jason speranzoso, osservando che a Fred era stato dato anche quel lusso; “Gloria ai Vanir no! Sarebbe uno spreco” aveva risposto Amenza senza esitazione.
Jason era arrossito.
“Forse … ha ragione” aveva considerato Astrid, ondeggiando una mano il palmo aperto davanti Jason, con una notevole incertezza.
Fred aveva guardato la sua amica con lo sguardo più accusatorio del mondo, mentre Jason aveva disperatamente agognato una maglietta.

Qualcuno era entrato all’interno. “Troppo presto!” aveva strillato Amenza, mentre tutti gli occhi erano al nuovo arrivato.
Era magro, un po’ emaciato, luminescente come solo gli einherjar potevano essere, con l’incarnato quasi fluorescente, i capelli così biondi da sembrare bianchi, gli occhi azzurri come il vetro. Più che una persona sembrava un fantasma.
Un fantasma famigliare!
Lo sconosciuto aveva ignorato Amenza, aveva ignorato tutti loro, tranne Astrid.
Il suo sguardo era inchiodato su di lei, come se il resto del mondo non fosse esistito all’infuori di lei.
La sua amica era rimasta in silenzio. I suoi occhi erano penetranti, ancorati al nuovo arrivato.
Una conversazione da infinite parole stava avvenendo nei loro sguardi, senza bisogno che una sola parola fuggisse alle loro labbra. Improvvisamente tutti, all’infuori di Astrid e lo sconosciuto, sembravano di troppo.
“Che … che sta succedendo?” la voce di Stellan era stata l’unica cosa che aveva interrotto quel silenzio quasi spettrale. “Oh, il giovane Er-” aveva cominciato a spiegare Amenza, ma era stata superata dal ragazzo stesso, “Atuat!” aveva chiamato, il suo tono era un tumulto di sentimenti: gioia, rimpianto, amore, tristezza. La sua voce era profonda, quasi cavernosa, che mal si sposava con il suo aspetto efebico.
Eppure un campanello, sottile, appena udibile, era suonato nella mente di Jason – a cui non riusciva a dare una spiegazione.
Astrid l’attimo dopo lo stringeva già, l’aveva raggiunto con uno slancio e se l’abbraccio che aveva dato al vecchio Snorri era sembrato intimo, quello, quello lo era di più. Per un secondo, uno solo, aveva immaginato non fossero quei due, ma così stretti fossero lui e Piper – lo avrebbe abbracciato così?
“Oh grande Odin, Erik!” aveva sentito Jason bisbigliare.
“Oh quello è Erik!” aveva esclamato Madina, con lo stesso tono illuminato che avevano gli studenti al collegio quando risolvevano un integrale, “Sì” la voce di Fred era stata veloce, quasi raschiante, strappato tra i denti. “Decisamente non male il ragazzino” aveva considerato la figlia di Ullr.
“Chi è Erik?” aveva chiesto Stellan al suo posto.
Anche Jason aveva avuto quel pensiero, brevissimo, ma era bastato uno sguardo più attento, più a lungo, agli zigomi alti, il viso di carta-da-zucchero ed i capelli biondo-quasi-argento.
“Il figlio di Freydis” aveva esclamato.
Chiamato con lo stesso nome del nonno.
Somigliava a sua madre e Jason ricordava ciò che Astrid le aveva detto.

Freydis è un tipo particolare, non ha una bella fama, ha tradito due suoi compagni, ma è un’amica di mio padre ed è la madre di una persona a me cara
“Il fidanzato di Astrid” aveva detto Madina, “Credo che il termine corretto sia Ex, ma non sono ferrato in questo gergo giovanile” aveva risposto spietatamente Fred.
“Tecnicamente non si erano lasciati quando sono morti” aveva insistito Madina, “Sì, avevano litigato da ben due ore” aveva risposto pratico il monaco.
Jason aveva perso interesse per quelle facezie, o almeno nell’ascoltare i due bisticciare, non potendo evitare di guidare i suoi pensieri a Piper e l’ambigua situazione in cui erano stati interrotti.
Dei, Jason l’amava e lei pensava che il loro amore fosse fittizio. “Io li trovo carini” aveva squittito Stellan

Astrid si era sciolta dall’abbraccio con Erik e si era voltata immediatamente verso di loro, con le gote leggermente arrossata e gli occhi colpevoli.
“Ehm … miei buoni amici, quest’uomo è il mio … Erik” aveva detto, cercando di recuperare la sua compostezza. Loro quattro si erano presentati a turno, il primo era stato Jason che aveva detto solo il suo nome, poi Madina che si era presentata orgogliosa della sua genealogia paterna, Stellan che come un essere umano – elfo – normale aveva declinato il suo nome ed il suo cognome ed in ultimo era stato il figlio di Gerd.
“Io sono Frederic da Clermont, cavaliere dell’ordine equestre del Santo Sepolcro e spada di Dio sceso in terra” aveva detto tronfio.
“Perché ho l’impressione che non è la Spada che voglia confrontare ora?” Madina aveva bisbigliato all’orecchio di Jason, che aveva trattenuto a stento una risata.
“Oh, io sono Erik Freydisson! Ero un godijan” aveva spiegato pratico il ragazzo, “Cosa che è una stupidaggine, visto che è uno stregone” aveva replicato subito Astrid.
“Sai che non conosco questa roba da pagani” aveva esclamato Fred, anche se dal sopracciglio scuro sollevato della skraelinger e dal tono stesso utilizzato dal monaco non sembrava affatto convinto della sua affermazione.
“Io non lo so davvero” aveva commentato Jason. “Ti ho detto che devi documentarti!” lo aveva rimproverato Astrid, “Sono passati solo quattro-giorni e due li ho spessi a Jotunheim” si era difeso Jason.
Stellan era intervenuto, didascalico: “Godijan è il sacerdote, colui che è immune alla magia.”
“O Prete”, “Io sono un prete in realtà” avevano parlato in contemporanea Astrid ed Erik.
Jason aveva aperto le labbra ad O, mentre Madina si era trattenuta dal ridere, “Ed, ecco, scoperto perché ad Astrid non piacciono i cristiani” aveva sibilato Fred.
“Ebbene sì, il clero mi ha rubato il marito” aveva ammesso Astrid, occhieggiando Erik, che era diventato viola melanzana.
“Buon Odino, se avete finito con queste chiacchiere, sarebbe ora che vi recaste dal nobile Italicus, per la festa” aveva ghignato la Valchiria, attirando la loro attenzione.
Era seguita da Mel, che ne aveva approfittato subito per parlare: “Io, ecco, vorrei … che ci fosse solo Madina” aveva ammesso, “Infondo una riunione di famiglia occuperà molto tempo e sarebbe un peccato per i miei amici non godere di questa festa” aveva ammesso poi più calmo, per quanto non sembrasse affatto il solito Mel.
C’era qualcosa nel suo sguardo; era distante.
Rivedere la sua famiglia doveva destabilizzarlo tanto.
“Certo, certo!” aveva detto Madina, con una gioia abbastanza fittizia, “Godetevi la festa, ballate per me, bevete idromele … insomma, noi vi raggiungiamo” aveva aggiunto, un po’ più sincera, intrecciando confortante le dita con quelle del fidanzato.
Tutti avevano guardato la valchiria, “Come vi pare! Io non faccio la Party Planner ma raccolgo le anime dei caduti” aveva risposto secca Amazena.

“Mentre noi nel Valhalla moriamo ogni giorno, qui fanno festa, che disgusto” si era lamentato Fred ad alta-voce, mentre scivolavano tra i colpi accalcati delle persone.
Una miriade di teste oltre loro c’era un palco montato in legno, che aveva Freya in persona sulla cima ed altre persone a cui Jason non aveva tirato che un occhio a pena.
Lui camminava tenendo la mano di Stellan, timoroso di perdere l’elfo secco tra la folla, e tenendo la maglia del monaco.
Astrid era un paio di teste dietro di loro in compagnia del suo ex-fidanzato prete.
“Mi chiedo come possiamo trovare un cinghiale qui” aveva commentato Jason; c’era una calca infinita di persona, coprivano l’interezza di un campo grande quando Idavoll.
Inoltre la luce non rendeva affatto chiaro, riconoscere una qualsiasi altra fonte di luminosità. “Io ed il demonietto qui presente uniremo le nostre mani e fungeremo da ferro per pietra di Magnesio” aveva spiegato subito Fred, “Egli è a quanto pare un demonio fatto di luce ed io sono uno stregone, come abbiamo appurato” aveva aggiunto. O Jason sospettava avesse detto questo, una musica composta di suoni ritmici e parole stridenti si erano alzate sulle loro orecchie, otturando ogni possibile suono.
“Davvero?” aveva chiesto Stellan, che non sembrava affatto turbato dall’essere stato appellato in maniera poco gentile dal monaco, “Si me lo ha detto Glam” aveva confermato.
C’era sempre la possibilità che una dea del destino mentisse.
“Oh, wow! Non sono abituato alle cose semplice” aveva ammesso Jason.
“Non sarà semplici, sicuramente; ma questa è la nostra missione” aveva considerato Fred, con gli occhi verde oliva aveva declinato lo sguardo verso la confusione di teste che era alle loro spalle, Jason sapeva istintivamente cosa stesse cercando, si era voltato anche lui allora.
Astrid era rimasta un po’ indietro, muoveva il capo a destra e sinistra, mentre Erik le teneva una mano sulla spalla della ragazza quasi possessivo.
“Tu sei innamorato di Astrid” aveva detto Jason, voleva essere un pensiero ma era sfuggito alle sue labbra quel pensiero, “Ti prego non dirmi che eri tu quello sveglio della cucciolata” aveva replicato Fred, “No quello era Coriolanus” aveva replicato Jason.
Ottenendo uno sguardo stranito da Fred, che non si era affatto aspettato quella risposta, “Era un lupo, con cui vivevo quando ero piccolo; sapeva aprire le maniglie delle porte con le zampe” aveva ammesso lui.
“Sei stato cresciuto con un Lupo?” aveva chiesto Stellan, incuriosito ed intimorito, la cosa aveva messo in allarme anche Fred, che si era subito irrigidito, “Sono stata cresciuta da Lupa, che è una divinità protettrice di Roma, con tutto il suo branco, composto da altri lupi e, no, nessuno Jotun cambia forma malefico, solo una madre selvaggia” aveva dichiarato Jason rigido.
Lupa era stata una madre, ferace e feroce, decisamente meno abituata ai connotati materni di quelli che la gente si auspicava, ma erano giusti per la severa Madre di Roma ed era stata migliore di Beryl Grace.
“Una meretrice, lo sai” aveva risposto Fred, con una crudeltà fredda.
“Anche” aveva replicato Jason senza scomporsi, “Lei lo sa?” aveva chiesto Jason.
Fred aveva sollevato un sopracciglio: “Che la tua dea è una meretrice? Spero per lei di sì” aveva risposto.
Jason lo aveva guardato piccato, profondamente legato a Lupa, “No, Astrid” aveva risposto pratico.
“Sei diventato il mio padre confessore? Perché in caso, dovrei dirti che non è cambiato niente in queste ore” aveva stabilito venefico Fred.

 

“Miei buoni ospiti e caduti onorevoli!” aveva gridato Freya, attirando l’attenzione sul palco, agitando le braccia. Si era cambiata ed era ancora più splendida dell’ultima volta che Jason l’aveva vista un’oretta prima, “Sono così felice di vedervi tutti qui in questa mai festicciola” aveva squisito divertita.
Al suo fianco c’erano due figuri, uno era vestito assolutamente per bene, con un completo gessato a tre pezzi ed un paio di vistosi baffi argenti a mezzaluna rovesciata, l’altro era uno splendido e biondo … Apollo.
“Essendo Bragi impegnato a fare la balia agli altri caduti, quelli noiosi, ho dovuti chiedere aiuto a due miei vecchi amici” aveva commentato Freya mettendo le braccia attorno alle spalle dei due dei.
“Posso presentarvi Febo Apollo e Weles” aveva esclamato a gran voce, “Signori della Musica, decisamente molto più capaci e soprattutto carini di Bragi” aveva esclamato.
A Jason sembrava proprio che non avesse preso bene che il signore della Musica fosse rimasto al servizio di Odino.
“Quello è roba, tua vero?” aveva chiesto Fred, ammiccando ad Apollo in giacca di pelle e maglia con Icarus. “Direi di sì, è mio fratello” aveva ammesso.
Si chiedeva se Apollo sapesse che lui era lì e se avesse rispettato quanto Jason aveva chiesto, con l’ultimo fiato: non dimenticare.
“Non perdiamo tempo” aveva stabilito Fred, declinando Freya ed i suoi affari.
Jason aveva cominciato a pensare, che quella situazione dovesse raggiungere del surreale.

Fred gli aveva condotti dietro una bancherella che vendeva drink alcolici e carne di squalo marinato, con un’assoluta faccia di bronzo. Stellan si era fermato chiedendosi se avesse potuto averne un po’ da mangiare, ma era stato strattonato di malavoglia da Fred. “Non aspettiamo Astrid?” aveva chiesto Jason, volgendo lo sguardo verso la folla, realizzando di non riuscire a vedere affatto la sua amica, “No, dalle il tempo di stare con l’unico amore della sua vita. Con la fortuna che si ritrova tra quattro giorni, sarà schiava di un dio” aveva declinato Fred.
Non erano lontani dalla musica ma Jason riusciva a sentire i propri pensieri in quell’occasione.
Fred aveva sfilato la sua spada magica dal fodero ed aveva guardato la lama, emanava un bagliore sottile, ma chiaramente visibile nella luce morigerata del paradiso di Freya.
“Una guerra si sta avvicinando?” aveva chiesto Jason.
“Ah, non so se una guerra, romano, ma qualcosa sicuramente” aveva replicato duro, sistemando nuovamente la spada nel fodero ed allungando una mano verso l’elfo, “Prendila” aveva ordinato con un punta di insofferenza.
Stellan aveva avuto un tremito, prima di allungare una mano e prendere quella che gli era stata tesa ed aveva preso quella del monaco. Fred aveva sussurrato qualcosa, ma Jason non aveva compreso le parole, erano state dette a denti stretti, con un tono basso, come un sussurro.
Jason non aveva compreso le parole ma aveva sicuramente compreso il potere dietro di esso.
L’elfo si era illuminato nuovamente, come quando si erano trovati sull’albero, ma in quell’occasione, lo scintillio che l’ammantava si era spostato, come una curva sinusale, che aveva attraversato il braccio, scintillato sulle mani che lo univano con il figlio di Gerd e poi avevano invaso a pieno il figlio dello jotun.
Stellan si era affievolito, mentre la luce bianca e luminosa che avvolgeva Fred si era tinta di un colore violaceo, come una lampadina al neon.
“È la seconda volta che divento una lampadina in una giornata. Non è strano?” aveva chiesto Stellan, ma era stato ignorato a pie pari da Fred.
“Bene …” aveva detto il monaco, anche se non sembrava andare affatto in quella maniera, “Adesso dovremmo cercare il cinghiale, più saremo vicini, più sembrerò una torcia” aveva ammesso con voce spenta Fred.
“Sarai, ehm … tipo attirato?” aveva chiesto Jason, “Sì, di solito funziona così” aveva ammesso Fred. “Possiamo lasciarci le mani?” aveva domandato invece Stellan.
“No. Siamo una cella galvanica, ora” aveva replicato Fred, “Sai cosa è una cella galvanica?” aveva chiesto Jason sorpreso, “Ottocento anni sono un mucchio di tempo per scoprire che non tutte le diavolerie lo sono fino in fondo” aveva commentato sprezzato il monaco.
Jason aveva alzato le mani, in segno di resa.
“Ohh! Sento qualcosa” aveva detto l’elfo, attirando la loro attenzione, aveva chinato lo sguardo davanti ai suoi scarponcini di plastica da giardiniere, dove era appena spuntato un fiore pieno di petali bianchi, poi un altro. “Perché i fiori?” aveva chiesto Jason.
“Siamo stati incaricati da mia madre, la signora del cortile, forse” aveva ipotizzato Fred, “No, io credo sia il mio potere che … interagisce con la natura. Credo …” aveva provato l’elfo, incerte. “Va bene, seguiamo il sentiero di fiori” aveva concesso Fred.
I primi fiori avevano cominciato ad appassire ma nuovi erano sorti, creando così un percorso di petali bianchi da seguire.

“No! Stiamo rientrando nella bolgia” aveva detto Stellan, mentre osservava i fiori sparire tra i piedi della massa sudata, “Non possiamo lasciare le nostre mani” aveva dichiarato Fred con sicurezza, Jason si era sporto per prendere la maglietta del monaco, ma era stato fermato da quello stesso, “No. Interferiresti con il seidr e l’alfseidr con la tua magia” aveva spiegato subito il monaco, per la prima volta il suo tono non era stato pieno di insofferenza e maleducazione, ma era di una serietà implacabile.
“Cercherò di non perdervi di vista” aveva promesso Jason, “Cerca di non farti un nemico mortale, anche qui” era stato rimbeccato.
Jason aveva sorriso con una certa amarezza, “Non posso fare promesse in merito” aveva dichiarato.
Come i tre si erano avvicinati, la folla si era spostata un po’, interessata alla luce che emanavano i due, ma la cosa non aveva suscitato poi troppo interesse e presto la gente aveva ricominciato a chiudersi a tenaglia su di loro, per inghiottire loro tre nel corpo unico.

Ci aveva provato sul serio, Jason, a non perderli di vista; ma tra tutte quelle teste era stato difficile, tra la gente che lo inondava, sgomitava, oltre che la musica così forte da impedire ai suoi stessi pensieri di affacciarsi … e poi era arrivata la schiuma da un cannone. Che aveva confuso ancora di più Jason.
Il cantante lo aveva visto con la coda dell’occhio, era l’uomo vestito per bene, con i baffi a mezza-luna rovesciati verso il basso e la voce più ipnotica e magica che avesse mai sentito, mai nella vita.
Si era sentito frastornato, incantato, completamente rapito ed ammirato da quella voce. Weles così lo aveva chiamato Freya.
Era rimasto così incanto da quelle parole sconosciute, quel tono così profondo, da annegarci dentro. Tutti erano lì, presi da un ballo tribale, quasi viscerale. Jason aveva sentito delle mani toccarlo, si era sentito praticamente divorato da quello, ma non aveva avuto alcun impulso dell’andare via. Di cercare i suoi amici.
Era completamente in balia di quella musica.
Non evocava niente in lui se non la fame, se non il bisogno intero, di restare lì, di lasciarsi trascinare, di svuotare la mente. Era come nei Campi Elisi, nessun pensiero, nessun peso, era libero. Libero[6].
E poi una mano lo aveva preso.
“Jason! Jason! Dei! Jason!” una voce lo aveva chiamato, una mano lo aveva preso, più reale e tattile di chiunque altro al mondo.
Astrid? Era una voce di donna infondo?
No!
Si era voltato.
Piper.
Assolutamente senza senso.
“Non puoi essere tu Jason. Jason tu … non … può” aveva mormorato piena di dolore.
Ma era Piper con i suoi occhi dai mille colori, la pelle di rame i capelli sfilacciati con le piume e le perle.
E dei, bellissima
“Piper, tu …” aveva provato, ma non sentiva niente, oltre i suoi pensieri.
Piper lo aveva stretto in un abbracciato quasi soffocante, prima di staccarsi, con il terrore nei suoi occhi cangianti.
“Cosa … chi sei tu?” aveva detto lei, spaventata, prendendo una mano sul suo viso, toccando con il pollice il labbro, dove non esisteva più alcuna ferita, “non sei Jason” aveva considerato, piena di angoscia, scappando poi.
Jason l’aveva inseguita, “No! Piper! Sono io! Lo giuro sullo Stige!” aveva gridato inseguendola.
Perché Piper era lì?
Cosa era successo?
Era stato un regalo di Apollo? Sapendo tutto l’aveva portata lì?
Era un gioco a caso di Freya dea dell’amore che doveva darsi una mano con Afrodite?
Non aveva senso.
Eppure questi pensieri che un tempo lo avrebbero costretto a fermarsi, a riflettere, non erano nulla, assolutamente nulla davanti all’unico pensiero che divampava nella sua mente: quella era Piper.

Aveva inseguito la ragazza sgomitando tra la folla.
Piper era uscita dalla ressa, si era voltata verso di lui ed aveva estratto katoptris dalla fondina puntandola verso di lui. “Chi sei? Sei il demone del dito di ferro[7], vero?” aveva chiesto Piper piena di ardore.
“No sono io! Sono Jason!” aveva esclamato lui!
Cos’era il demone del dito di ferro?
“Non ti credo. Ho visto Jason morire! Ho pianto sul suo corpo e tu non sei neanche riuscito ad imitarlo bene!” aveva ringhiato Piper, “Perché siamo qui? Dove siamo? Pensi che mi farò ingannare?” aveva chiesto Piper senza perdere mordente.
Jason aveva sentito la sua schiena farsi dritta come spilli, era ovvio che Piper fosse finita in una situazione tragica come lui.
“Io … sono io … io posso provarlo!” aveva detto Jason.
Perché se non avesse potuto provare di essere sé stessa a qualcuno che non fosse Piper, non avrebbe potuto provarlo a nessun altro.
“Puoi chiedere a Nico, Percy ed Annabeth, inoltre” aveva aggiunto Jason più tranquillo, sollevando le mani in segno di resa.
Piper aveva ancora il pugnale verso di lui, ma la sua mano tremolava, “Jason non si vestirebbe mai così” aveva considerato Piper, “Jason non mangerebbe neanche ad una cena con dei ghoul ma lo ha fatto ad Itaca” aveva provato lui.
“Risaputo” aveva risposto Piper, ma il suo tono sembrava più cedevole.
Jason aveva sorriso, “Ti ho detto, dopo la battaglia contro Gea che da quel momento cominciava la nostra vera storia e tu mi hai baciato, decidendo che quello sarebbe stato il nostro primo bacio. E siamo stati felici e poi in un giorno di pioggia, il tredici di gennaio, mi hai chiesto spazio e, dei, se era spazio che volevi, ti dissi: sarei andato anche sulla luna, senza ironia” aveva ammesso Jason.
Piper aveva deglutito.
“Jason” aveva sospirato, lanciandoli le braccia al collo, stretta, amichevole, materna e famigliare.
Jason aveva odorato i suoi capelli, aveva recuperato quella dolcezza.
“Perché sei qui? Chi è il demone del Dito di ferro?” aveva chiesto.
“Perché sei qui tu? Dove è qui? Come sei vivo? Che è successo alla tua faccia?” aveva chiesto di rimando.
“Allontaniamoci dove potremmo parlare meglio!” aveva considerato Jason.

Aveva fatto un riassunto a Piper, molto stringato, evitando di citare la fine del mondo ed il coinvolgimento di Thrud e Kymopoleia, riferendosi solo a questo strano evento che era capitato senza ragione, che una valchiria avesse raccolto la sua anima. Si era sentito un vermo, ma aveva anche percepito la necessità di quella menzogna.
“Se è mai esistito un uomo coraggioso da meritare questo onore nella morte, questo sei tu” aveva detto Piper, carica di dolcezza e affetto.
Jason le aveva sorriso, “E tu?” aveva chiesto.
“Oh, be. Dopo che mi sono trasferita a Tahoma le cose avevano cominciato a funzionare, in maniera molto mortale. Ma poi sono cominciate delle strane morti … ed a quanto pare il Demone del Dito di Ferro, un farabutto cambia-faccia mangia fegati si è insediato nella nostra comunità così ho cominciato ad investigare, insieme a Shell, lei è la mia rag-amica e Barnabas, un tipo strano è figlio di uno scarabeo-d ’Acqua” aveva cominciato a spiegare, “Be, investigare omicidi commessi da un demone mutaforme non è come affrontare un gigante. Paradossalmente è molto più difficile, specie quando incastrano una tua amica degli omicidi e i nativi non vivono esattamente il tempo migliore della loro vita … senza dimenticare che è morto un bel ragazzo bianco come la neve” aveva dichiarato Piper con rabbia.
“E come sei finita qui?” aveva chiesto Jason.
Piper lo aveva guardato, con i suoi intensi occhi d’oro, con dei riflessi verde giada, i più bei che aveva visto, “Oh quello è stato molto divertente!” aveva detto Piper ed il suo tono era cambiato improvvisamente.
Jason aveva sentito freddo – uno glaciale lungo la schiena, “Vivo qui!”.
Il sorriso era storto, arcigno e cattivo.
“Sei tu a non essere Piper!” aveva esclamato indignato, sentendosi stupido.
“No, però l’imitazione era abbastanza convincente!” aveva replicato la Finta Piper, passandosi la mano sulla camicia a quadri di flanella.
“Cosa è successo a Piper?” Jason l’aveva chiesto recuperato Giunone dalla sua tasca, “Quella parte era vera. Per tenere una menzogna devi farla vicina alla verità. Sta dando la caccia ad un demone della consunzione. A mio avviso, gente poco simpatica, ma nulla che una lingua ammagliatrice non possa gestire” aveva dichiarato quella in modo annoiato.
“Non sono incline a crederti” aveva declinato Jason, con nervosismo.
La Finta Piper aveva sorriso piena di cattiveria, “Questo è un problema tuo” aveva ammesso.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, facendo schioccare la moneta in aria ed afferrando la lancia – anche lì non sarebbe morto, giusto? – osservando con nervosismo la donna, “tu sei H, vero?” aveva chiesto. La domanda era sorta spontanea come i fiori bianchi di Stellan.
H? Sì, anche se tecnicamente io sono colei che è chiamata Heidi[8]” aveva detto la Finta Piper con un tono pieno di gioco, aveva lasciato Jason elaborare la notizia. Dopo un buon minuto di silenzio era stato ovvio al romano che Heidi si era aspettata una reazione che non c’era stata.
“Non ti dice niente?” aveva chiesto, con un po’ di incertezza.
“No, dovrebbe?” aveva chiesto Jason, “Sono nuovo in queste cose” aveva ammesso. Ovviamente, avrebbe dovuto conoscere Heidi, Jarnsaxa aveva detto fosse l’incubo di Odino.
“Hai letto l’Edda?” aveva chiesto la donna, “Sì, non tutta però” aveva risposto Jason
Quella situazione stava prendendo una piega paradossale.
“La Vǫluspá?” aveva insistito la donna, “Si certo!” aveva detto Jason. L’inizio e la fine del mondo, anche se a quel punto, stava andando tutto a rotoli.
“Io sono lì” aveva insistito Heidi. Jason aveva sentito l’inquietezza darsi una mano con l’imbarazzo, perché quella situazione era quasi soffocante.
“Nessun campanello? Sul serio? Capo-verso ventuno?” aveva chiesto Heidi quasi indignata. “Mi dispiace?” aveva provato Jason, che si era ritrovato a corto di parole, “Non ora, ma stai sicuro che lo farai, che ricorderai il mio nome e mai lo dimenticherai Jason Iovisson” aveva risposto lei, con una punta di spietatezza.
Jason aveva stretto il pungo sulla lancia, pronto a combattere.
Poi l’espressione collerica di Heidi si era addolcita, “Aspetta …” aveva cominciato, “Per caso la hai letta in inglese?” aveva chiesto.
“Sì” aveva risposto Jason.
“Oh, per tutti i vanir, quale atrocità. Leggeresti mai l’Eneide in inglese? I testi vanno letti in lingua originale per apprenderli e goderne al meglio” l’aveva bacchettata.
“Non so l’antico norreno ma avevo messo in conto di impararlo, grazie” aveva replicato Jason.
Heidi aveva riso divertita, “Ne parleremo meglio dopo, ma adesso, Jason Iovisson, dobbiamo andare. Prima che la festa degeneri in un’orgia che potrebbe scandalizzare i tuoi occhi puri – abbastanza ironico per un romano, se ci penso” aveva dichiarato lei. “Perché dovrei venire con te?” aveva chiesto Jason.
“Perché non hai scelta … Forse ti ho mentito sulla tua fidanzatina? O forse dovrai prepararti ad affrontare Bei-Capelli senza la tua compagna se non fai come ti dico” aveva replicato Heidi quasi divertita.
Un freddo brivido aveva attraversato la schiena.
Si era voltato alla ricerca di Astrid ed Erik, ma in tutta quella marmaglia di persone non sarebbe mai riuscito a vederla, non vedeva neanche i suoi amici luminosi.
Heidi poteva star mentendo, ma poteva anche star dicendo la verità, non solo su una o sull’altra, ma su entrambe. Piper!
O mentiva, usando l’amore della sua vita come leva ed Astrid, che in quel momento poteva essere in cerca del cinghiale in compagnia del suo fidanzato-prete.
Era rimasto fermo, ondeggiando da un tallone all’altro, nel dissidio più totale. “Eccolo, il proverbiale difetto fatale: il temporeggiare. Fai la tua scelta, Jason Iovinsson, le lancette del fato scorrono veloci” lo aveva incalzato Heidi, “Presto il wyrd non potrà più indirizzarti dove vuole e dovrai assumerti la responsabilità delle tue scelte” lo aveva stuzzicato.
Jason si era voltato di scatto, “Posso impiegare eoni a prendere una scelta, ma è una mia scelta sempre” aveva ringhiato; anche se non sentiva del tutto sincerità nella sua voce – era corso a salvare Váli Lokison perché lo aveva sentito, quasi un insistito atavico, prima ancora della ragione – “Oh, calma Ragazzone” lo aveva preso sfacciatamente in giro Heidi.
“Ma visto che il wyrd sta implodendo, questa volta la scelta la prendo io, giacché non ho voglia di vederti soppesare tutto, mentre ti mordi il labro e sfoggi un viso da lupetto bastonato” lo aveva avvertito la donna, l’attimo prima di soffiare sul viso della polvere d’oro. Jason non era riuscito ad opporre alcuna resistenza, neanche vocale; “Fratelli miei, speriamo che Santa Lucia non mi faccia causa per copyright” era stata l’ultima cosa che Jason aveva udito prima di perdere i sensi.
Regolare.

 

Glaumvör: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Pop-Art-910062642
(Che inizialmente doveva avere un ruolo molto più ampio di quello che le è stato destinato)

H(eidi): https://www.deviantart.com/rlandh/art/Golden-Lady-923693983

 



[1] AKA: attività extra di Sam non contano.

[2] A scanso di equivoci non si sta parlando del fumetto, di cui mi hanno parlato comunque molto bene (ma per cui io ho trigger perché quando stavo scrivendo dei vichinghi in america continuava ad uscire sempre fuori) nonostante non mi pare appaia Freydis (ed in quella saga è una figona) ma si riferisce alla Saga di Erik il Rosso (che secondo la mia amica che ha vissuto in islanda dovrebbe invece chiamarsi: La Saga Rossa di Eirik – e ho pure dubbi se prima della R ci vada una I lol) che ha una sezione prima dedicata a Leif che arriva in America e poi la vera e propria Vinland saga con quel figone di Thorfinn (che spoiler, è il protagonista del manga a quanto pare). Comunque, ovviamente essendo Astrid mezza Skraeling e mezza “Vichinga” pare abbastanza probabile che sia stata concepita durante gli eventi della Vinland Saga. Comunque il povero Einar è stato ridotto a “Vichingo base 3) e Astrid è del tutto assente.

[3] In realtà i  Dökkálfar sono gli elfi oscuri, in opposizione agli elfi della luce e gli Svartálfar sono gli elfi neri (ma nel Riordanverse gli Svaralfar sono elfi oscuri, Blitzen). Alcune fonti riportano che siano la stessa cosa, altre no. Alcune fonti dicono che i nani e gli elfi oscuri siano la stessa cosa, altre no. Nel riordan verse Elfi Oscuri e Nani sono una specie molto, molto simile, cioè praticamente gli Elfi Oscuri sarebbero i semidei dei nani (così mi è parso di capire) così ho deciso che i Dokkalfar sono un’altra cosa ancora.

[4] Giwargis è il nome siriaco di Giorgio, qui stanno parlando di S. Giorgio (quello che ha sconfitto il drago). Non entro nel merito, perché non voglio offendere/indignare qualcuno.
Giorgio era un combattente (se non sbaglio guardia pretoriana di Diocleziano, secondo l’angiografia almeno – che non è una fonto storicamente accurata) morto e risorto più volte – da avermi fatto pensare che sia divenuto un Einherjar e che continuava a ritornare nel Valhalla e ‘risorgere’ più volte.

[5] Le Mino del Dahomey, anche dette le Amazzoni del Benin, erano un gruppo di guerriere-donne del Dahomey del diciannovesimo secolo (uno dei pochi corpi interamente femminile – anche perché non avevano più uomini) che se le sono date due volte con i francesi. Presto uscirà un film con Viola Davis sul tema, che sicuramente salterà la parte poco simpatica in cui il Dahomey trafficava in schiavi)

[6] WELES o Veles/Volos è il dio della musica, ma anche della magia e degli ingannatori della mitologia slava. Sì, alla fine un dio slavo lo ho dovuto infilare a forza, ma è più un cameo (tipo Frey in ToA).

[7] E’ un mostro della mitologia Cheeroke, che prende l’aspetto di una persona “lontana da casa” e che si nutre del parentato. Insomma, un demone mangia uomini trasformista.

[8] Il nome Heidi andrebbe scritto Heiði, ma visto che quel simbolino carino è uno dei pochi che ho sempre trascritto come D come nel nome di Thrud, lo ho modificato (di solito lascio solo le vocali accentate perché sono particolari). Ho deciso di risparmiarmi una battuta sul cartone animato giapponese, in quanto ritengo che probabilmente Jason con la vita che ha avuto non ha probabilmente mai visto il cartone. Così sì, mi sono dovuta legare le mani.

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Capitolo 20
*** Tre dee e una testa ***


Buongiorno.
Al momento sono fuori porta a catalogare materiale ceramico di età romana repubblicana e sono molto triste.
Nell’ultimo capitolo del Crepuscolo avevo detto che sarei probabilmente rientrata in una wave-Jacksoniana presto perché era uscito TSATS ma in realtà non lo ho ancora letto (cioè, non lo ho ancora finito e sto andando lentissima). Se sono rientrata a scrivere è merito più di qualche ff letta che di Riordan.
Comunque, in fondo al capitolo vi lascio una nota lunga e prolissa.

 

Tre dee e una testa



“Ovviamente Aldermann non ci ha invitato alla sua festa. Come tutti gli altri. Siamo paria!” aveva commentato con estrema tristezza una donna, Jason l’aveva osservata. Era un’elfa, indovina Jason dalle orecchie puntute, dalla pelle chiara e lucida, fredda, in contrasto a cappelli rosso-oro, mossi che le incorniciavano il viso a cuore. Era incantevole ma tremendamente triste, mentre continuava a battere con le dita sulle sue cosce. Era vestita con una camicetta floreale vecchia e dei jeans sbiaditi, molto mondana. Jason non capiva bene, poi aveva visto Stellan, più magro, più basso, più giovane, con la salopette verde bottiglia sopra una maglia arancione. “Recuperò la vergogna di nostro padre, Ingrid” aveva dichiarato Stellan, prendendo la mano della giovane, “Che anche Adermann ed ogni elfo di Alfheiman saprà della gloria dei Brightflower” aveva dichiarato convinto Stellan. Ingrid si era chinata ed aveva baciato il fratello sulla fronte, “Come sei dolce, fratellino. Ma nulla di ciò che faremo ci restituirà la dignità …” aveva dichiarato Ingrid, ma era stato interrotto da Stellan, “Noi abbiamo la nostra dignità!” aveva dichiarato con vigore, con gli stessi occhi chiari lampeggianti di furore e giustizia che Jason aveva visto contro Agrippina. “In noi abbiamo il sangue dei Myrkálfar …”
E poi la scena si era come sciolta davanti ai suoi occhi. Era stato accecato dal bianco, della neve. Tutta intorno, come una coperta di silenzio sul mondo. Una donna, diversa, era apparsa nei suoi occhi, era alta e scura, vestita di vesti pesanti, i capelli riccioluti sistemati sotto un fazzolo e lunghe gonne ampie, le teneva sollevate, perché ogni passo la fece scivolare più giù nella neve. “Està frio! Madina, venha para casa!” aveva gridato quest’ultima. Non era spagnolo. Jason, aveva cercato con lo sguardo Madina e l’aveva vista, unica macchia di colore nelle bianche montagne del Wyoming. I capelli scuri scompigliati e liberi e vestita di turchese. Indossava un vestito antico, non era così esperto da riuscire a capire, di quanto lo fosse, con un corpetto dritto che le schiacciava il seno ed una lunga gonna, gonfia sui fianchi che si apriva come un bocciolo sulla neve, con merletti a tombolo che attraversavano la scollatura a barca e le maniche strette. Non indossava altro, i piedi nudi e le caviglie immerse nella neve. Jason vedeva il suo sorriso, mentre con gli occhi spiava le vette innevate.
Estou em casa, mãe. estou em casa na neve” aveva urlato Madina, con i fiocchi di neve che le danzavano intorno.
E la scena era cambiata ancora.
Dal freddo bruciante al caldo. Un caldo devastante ed un mondo pieno di rumore, odori e colori. Una piccola finestrella su una città caotica, con tetti d’oro bombati, e … chiasso. Aveva riconosciuto, lì, lontano un edificio famigliare, ma non sapeva perché …
Ciel, Frederic! Tout cela est magnifique! La puissance de Dieu!” aveva detto una voce maschile. Era un giovane, aveva il viso pieno e tondo, chiaro con le guance scottate dal sole, la parte alta della testa era fasciata e le bende erano luride ed insozzate, non stava bene, perché i suoi occhi erano lucidi, ma si sforzava di mantenersi allegro. Jason si era voltato nella stanza, seguiva uno stile di decorazione che gli era estraneo. Riconosceva però, il ragazzo sul triclinio. Fred. Aveva una cicatrice quasi estranea che tagliava il viso, portando via un pezzo di naso. L’incarnato olivastro era chiaro come la polvere e gli occhi lucidi. Come il suo amico anche lui aveva delle bende, sulla testa, sul braccio. “Aucun dieu n'a fait ça! Que les hommes!” aveva detto solamente tetro Fred, con il tono pregno della sua rabbia.
E l’immagine era cambia ancora ed ancora.
Jason stava guardando un catino pieno d’acqua.
C’era un ragazzo, era giovane. Era bello. Con il viso di alabastro ed i capelli biondi delle querce. I suoi occhi erano chiari e luminosi, come l’estate – non avrebbe potuto descriverli in altra maniera. Era Erik Freydisson, senza quell’alone spettrale da einherjar, ma vivo. Erik aveva sorriso ed aveva detto qualcosa. Jason si era guardato intorno, riconoscendo pareti di terra-argilla e legno. Era una capanna una specie. E poi aveva visto Astrid. E per un secondo era rimasto senza fiato. Sembrava più piccola, non nell’aspetto, quasi gemello a come la conosceva Jason, ma negli occhi. Erano giovani. Lei aveva allungato le mani ed aveva preso quelle di lui, aveva detto qualcosa, con un tono basso, quasi un sussurro, in una lingua che non conosceva, così dura da non riuscire a percepirne le parole. Lui le aveva sollevato il viso e l’aveva baciata con dolcezza prima su una guancia poi sull’altra. C’era gentilezza nella sua voce, ma anche dolore. Astrid era arrossita ed aveva deviato lo sguardo, occhi verdi colmi di tristezza, verso il catino, aveva allungato una mano e l’aveva immersa. Lui aveva allungato una mano ed aveva cominciato a far scivolare una manica del grembiule arancione della nipote di Sif.
Jason non aveva visto altro di quell’intimità, perché era altrove.
Aveva riconosciuto un impluvium, che dominava la scena. Era una giornata terribilmente umida, lo respirava nell’aria. Pioveva, sia dal rumore dell’acqua che batteva sul tetto, sia dai rivoli d’acqua che scivolavano dal compluvium – il foro nel soffitto – fino alla vasca per riempirla. L’acqua cheta della impluviun continuava a ticchettare. Jason sapeva per certo chi avrebbe visto, se non per il luogo, almeno per logica.
E poi aveva visto Mel, aveva circa la stessa età che nel Valhalla, aveva un occhio pesto e gonfio di un viola invadente, un labro aperto ed il naso schiacciato in più punti; portava i capelli biondi ed indisciplinati, lunghi sulle spalle e sfatti. Zoppicava ed alcune ferite sembravano fresche. Sembrava passato in un frullatore; Jason non lo avrebbe mai riconosciuto non fosse stato per gli occhi oliva-scuro.
Mel era in compagnia di un’ancella, vestita con una lunga pretexa.
“Ecco, sì, mio signore. Il gladiatore che avevate chiesto” aveva detto pieno di incertezza.
Jason aveva visto il suo interlocutore. Occhi cattivi, predatori, dietro un viso all’apparenza gradevole, carino, quasi ingenuo, ma Jason conosceva la verità.
Caligola. Uno giovane e tremendamente diverso dal mostro che lui conosceva.
“Mio signore, non pensavo di rivedervi” aveva detto Mel, ma la sua voce era cedevole ed impastata, come se parlare fosse doloroso. Aveva parlato in latino, ma Jason aveva compreso. “Sono sorpreso quanto te” aveva dichiarato Caligola, con un sorriso cattivo disegnato sul viso giovane.
Era in una casa accogliente e calda, una che Jason non aveva mai provato nella sua breve vita mortale. C’era una splendida donna dai capelli chiari, quasi bianchi e la pelle chiara e luminosa che gironzolava per la casa canticchiando, poi aveva urlato qualcosa.
Se non avesse conosciuto uno di quei suoni, Jason non avrebbe capito fossero nomi: Narfi e Váli.
Due uccellini erano da una finestra aperta, uno aveva un delicato piumaggio rosso ed uno azzurro, che si erano inseguiti, sembravano passerotti che era poi esplosi in due figuri umani, bambini. Un Váli Lokinsoon con i suoi occhi gialli come lo champagne era apparso davanti a lui, assieme ad una sua piccola copia di lui.
La dea della fedeltà – doveva essere lei – aveva detto qualcosa e Jason aveva distinto il suono della parola ‘padre’ ricordando come Astrid aveva appellato suo padre. I bambini avevano ripagato con qualche commento che Jason non aveva capito, ma davanti al sorriso caldo della loro madre avevano riso i due bambini, vibranti di gioia. Oh, come infausto era stato il destino a spegnere la gioia dal viso di Váli. Jason aveva sentito la stessa atavica rabbia che aveva provato per Cupido quando aveva spezzato l’animo di Nico.

E poi era cambiato tutto ancora, ed ancora, in un vortice infinito di frammenti ed immagini senza alcun senso.
“Perché?” aveva chiesto Jason confuso. Chiedendo un senso a quelle visioni. Erano i suoi compagni, tutti. E poi si era aperta un’altra scena …


Era il caffè all’università di Boston, la stessa dove aveva incontrato Jarnsaxa la prima volta. Ma era autunno ed un tappeto di foglie rosse e marroni decorava tutto. Poi l’aveva riconosciuta bella e letale, Kym!
Jason lo aveva capito subito che quello che stava vedendo era una visione diversa. Prima aveva avuto una visione della vita dei suoi compagni, un piccolo scorcio, dal più recente – Stellan vivente – a Mel, il più antico. Ma quel momento era diverso.
Kym non era nella sua fulgida forma divina, ma pareva nella sua forma umana. Era seduta al tavolino che sorseggiava un alcolico di fortuna.
Aveva sollevato gli occhi verde-mare e per un secondo Jason aveva avuto la netta impressione che lo potesse vedere, ma non era vero, guardava nella sua direzione, ma non lui, si era voltato ed aveva visto Thrud arrivare.
Sembrava una collegiale qualsiasi, anziché una divina valchiria, con i capelli crespi e fulminanti in ogni direzione, avvolta in un pesate giaccone con un collo di … piume?
“Thrud ben arrivata” aveva detto Kym pigramente, mentre la ragazza faceva strisciare una sedia prima di accomodarsi.
“Kym” aveva replicato la figlia di Thor.
“Hai fatto quello che ti ho chiesto?” aveva chiesto la valchiria, aveva fatto passare diversi minuti, si era guardata intorno circospetta.
“Intendi recuperare quel pezzo di arredamento da giardino del tuo fidanzato? Sì” aveva risposto Kym stizzita. Thrud aveva gonfiato le guance, leggermente offesa, “Alvis è una persona adorabile!” aveva difeso il suo amore Thrud, “Solo che papa non lo capisce” aveva aggiunto.
Jason era stato per un momento terribilmente confuso, credeva che Kym avesse aiutato Thrud a sbarazzarsi del suo fastidioso spasimante.
Kym aveva riso con un divertimento quasi cattivo, “Per mio padre è il contrario. Lui trova fantastico il mio marito, con mille mani che non mette neanche il sottobicchiere sul tavolo di vetro” aveva replicato offesa la dea. Thrud aveva riso, complice, “Ah, come siamo sfortunate amica mia: tuo padre ti ha imposto un uomo che non vuoi, mentre il mio mi nega quello che voglio” aveva commentato quasi tragica.
Kym aveva sbuffato, “Anche a me hanno negato quello che volevo” aveva detto lapidaria.
Thrud le aveva sorriso, le sue labbra erano cattive ed i suoi occhi erano scintillati quasi di una luce sinistra, “Sai, però, cara, Kymopoleia io … potrei avere una soluzione per il nostro problema” aveva commentato Thrud.
Kym aveva sollevato un sopracciglio scuro.
“Ho parlato con una Flagd[1]” aveva spiegato Thrud. “Sai che non ho idea di cosa dici? Adesso cominciò a sciorinarti anche io termini greci a caso … tipo kamelopardalis[2]” aveva risposto schietta ed irritata Kym, “Perché ora parli di giraffe?” aveva chiesto Thrud, “Hai capito!” aveva abbaiato Kym. La figlia di Thor aveva sbuffato ed aveva risposto poi, seccata: “Un strega.”
“Va bene, cosa ti ha detto questa strega?” aveva domandato Kym.
“Come possiamo ottenere tutto quello che vogliamo senza incorrere nel Ragnarok” aveva detto la Valchiria, “E nell’ira dello zio Ade” aveva replicato Kym.
Oh, stavano parlando di lui!

“Devo dire che tutto questo è molto caotico” aveva sentito una voce femminile alle sue spalle, per un secondo aveva pensato ad Heidi quando si era voltato, ma aveva incrociato gli occhi pieni di buone intenzioni di Glam, la dísir.
Le palpebre erano coperte da un sottile strato colorato di un viola accecante che urtava da morire con il caschetto blu brillante.
Erano sistemati in un piccolo bar, composto da un bancone – dove nessuno era presente – e dei tavolini bianchi, tre, mentre la parete straripavano di libri, fumetti e quant’altro di ogni genere. Jason non aveva dea di che posto fosse.
“Non siamo abituati al caos da queste parte, siamo soggetti al Wyrd, tutto già scritto … a modo suo, lui va come vuole” aveva ammesso Glam, “Ma qui stiamo andando completamente fuori i binari” aveva ammesso quella.

Jason aveva boccheggiato, avrebbe dovuto rispondere alla Dísir che era colpa sua, ma aveva il sospetto che la donna lo sapesse già. “So cosa stai per dire” lo aveva anticipato Glam, “Diciamolo al tre” aveva squittito.
Jason aveva sospirato.
“Uno …” aveva cominciato a contare, “Aspetta … così non è chiaro, dillo dopo che ho detto tre” aveva specificato.
“Quindi: uno” aveva ripreso Glam, “Due …”
“… Tre …”
“ È colpa mia se sta succedendo tutto questo” aveva ammesso Jason, non aveva senso negare niente ad una dea del destino nel mezzo di un delirio onirico.
È un personaggio apparso troppo tardi per essere effettivamente rilevante nella storia” aveva canticchiato allo stesso tempo Glam. “Cosa?” aveva chiesto confuso Jason, “Non è realmente colpa tua, penso sia ovvio. Non sei realmente colpevole” aveva specificato Glam, “Questo purtroppo non ti rende estraneo” aveva spiegato calma, “Avevo detto che eri interessante, no?” aveva chiesto retorica Glam.
Sì, lo aveva detto prima di portarlo a Folkvagen. “Siamo marionette che ballano guidate dai fili di chi è venuto prima di noi” aveva ripetuto Jason, “Oh, George R.R. Martin … sei un po’ nerd anche tu?” aveva squittito divertita Glam, “Io … no? Lo ho sentito da un mio compagno al college” aveva ammesso Jason colmo di imbarazzo, “Ho una DSA” – sapeva che restare sul vago non era giusto, ma non era neanche una bugia, forse Jason non aveva un disturbo dell’apprendimento base, ma il suo cervello era settato su altro – “Ho una certa difficoltà nel leggere” aveva sottolineato. Una volta aveva speso ben un quarto d’ora a cercare di interpretare una scritta prima di rendersi conto che non era scritta in latino[3].
“Esistono gli audio libri” lo aveva stuzzicato la dea, “A proposito, perché ti sei definita personaggio?” aveva chiesto, ricordando quella strana frase. Glam aveva ridacchiato divertita, “Meta-narrazione Jason! Tutti noi, senza eccezioni siamo protagonisti di una storia, che sia stata vomitata fuori assieme a fumo verde, pescata da un pozzo o da una sfera di cristallo[4], tutti protagonisti di una storia” aveva ammesso la Dísir, “Ed io mi sono infilata nella tua abbastanza in ritardo” aveva considerato quella.
Diverse risposte erano venute in mente a Jason, la sua storia era stata già raccontata da una profezia, da una canzone, dalle memorie. La sua storia era finita, Glam non era in ritardo, era fuori tempo massimo. Era Jason che stava rubando il tempo. “Sei il mio Deus ex machina?” aveva indagato alla fine Jason, decidendo che dovesse essere la cosa a cui postare più attenzione. Glam era una dísir, una signora del fato, una guardiana delle anime che potevano spostarsi da un paradiso ad un altro.
“Sì … a proposito di questo, non sono proprio sicura di poter intervenire fino in fondo, oltre che, be, non so esattamente quale sia la tua situazione. Il futuro è un mistero, oggi” aveva raccontato quella, facendo oscillare il caschetto azzurro.
“Non è la prima volta che viene detto, sì” aveva ammesso Jason, ricordando anche la profezia a fortuna di Kráka. “Quasi una sensazione elettrica” aveva squittito Glam e sembrava stranamente sincera, mentre spostava le sedia per accomodarsi.
Aveva invitato Jason per seguirla, “Tranquillo siamo in un non-tempo, ora stai dormendo ma tranquillo dormirà decisamente molto meno tempo di quanto impiegheremo qui” aveva soffiato.
“Di solito mi capita il contrario, sogni relativamente brevi e poi scopro di aver praticamente raggiunto il coma” aveva ammesso calmo, “Probabilmente sarebbe successo anche qui, il wyrd ti voleva mostrare i tuoi amici, tutti i tuoi amici … rifletti su questo, probabilmente cerca di dire qualcosa, ma io lo ho intercettato” aveva ammesso Glam con totale no-chalance. 
Jason aveva annuito, “Credo abbia senso” aveva considerato, anche se non era sicuro che perdere il flusso di informazioni che una forza primordiale voleva mostrarli fosse furbo, “Certo che ha senso, chi tra me e te è la dea che serve il destino?” aveva inquisito quasi divertita. “Touchè” aveva ammesso Jason, “Quindi, cominciamo” aveva considerato la ragazza battendo le mani.
“Come rimettiamo a posto le tavole del destino?” aveva proposto lui.
“Dritto al punto, mi piace” aveva scherzato la dea, “Ma no, cominceremo da una storia molto più interessante: Star Wars, hai presente?” aveva chiesto, per dare anche più enfasi, Glam si era indicata la maglietta rosa e bianca con la scritta: Han Solo spara per primo.
Jason doveva dichiararsi piuttosto stupito, “ È dove ci sono quelli con le orecchie a punta? I Vulcaniani?” aveva chiesto poi, cercando di recuperare dalle sue memorie qualcosa che aveva detto Leo una volta. “Quello è Star Trek” lo aveva corretto Glam. “Quello con gli orsetti carini-bruttini, allora” aveva proposto Jason, anche quello veniva da una memoria con Leo, ‘Ascoltami, fratello, sicuramente il De Bello Gallico ha il suo perché, ma la cultura pop merita di essere conosciuta anche da chi è cresciuto dai Lupi” aveva scherzato Leo.
Va bene, sono pronto alla cultura pop’ aveva scherzato Jason, accettando, ma poi era stato tempo di costruire l’Argo II, di raggiungere Nuova Roma e poi l’Europa e poi non c’era stato più tempo.
Jason aveva cercato Leo per un po’ dopo la battaglia al Campo Mezzosangue e poi si era arreso, per un po’.
Ci sarebbe stato tempo, si era detto, per recuperare tutta la cultura pop che i confini di Nuova Roma lo avevano privato, con Piper e con Leo quando sarebbe tornato.
Ma aveva avuto torto: non aveva avuto tempo.
“Il fatto che tu riconosca Star Wars dagli Hewok è indecente, ma possiamo dire così” aveva concesso Glam, “Per farla breve e riducendo una trama composta di film, libri, fumetti e canoni diversi – nel primo film, che è il quarto, i ribelli combattono contro un oscuro imperatore” aveva spiegato lei. Questo suona familiare, aveva pensato Jason, ma non aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, “L’Imperatore governa l’universo intero, ma esiste un’alleanza ribelle che cerca di rovesciarlo, ora lasciamo da parte Luke, Han e Leia, okay” aveva ripreso.
“Abbastanza facile, non so chi siano” aveva soffiato lui.
Glam aveva sorriso come un gatto del Cheshire, “Be tesoro, un po’ sembri Luke Skywalker” aveva soffiato divertita lei, prima di riprendere a parlare: “Ora l’alleanza ribelle deve sconfiggere l’Imperatore, quello è il loro grande obbiettivo, ma nel frattempo questi ha fatto costruire una macchina distruggi pianeti di nome Morte Nera, che non esita ad usare” aveva spiegato.
Jason era solamente più confuso, ma aveva ascoltato nuovamente le parole, “Rovesciare l’Imperatore è ancora necessario, ovviamente si rovescia l’Imperatore probabilmente si risolveranno tutti i problemi, o quasi … ma sospetto che questa Morte Nera sia diventata effettivamente prioritaria” aveva considerato.
L’Imperatore era ancora il cattivo, ma l’arma capace di distruggere pianeti era probabilmente più prioritaria, come lo era stato per loro dover svolgere tutte quelle missioni mentre cercavano di raggiungere Atene, come … recuperare l’Atena Partenone, per ricucire la frattura. “Mi piacciono i ragazzi svegli” aveva ammesso Glam, “Le tavole del destino sono l’Imperatore” aveva considerato Jason, “Ed Heidi è la Morte Nera” aveva concluso Jason.
“Il che fa ridere per più di una ragione” aveva soffiato Glam, prima di inclinare la testa, “Oh, in questa metafora Váli Odinsson dove lo metteresti?” aveva indagato tutt’altro che lieto Jason, quasi nel tentavi di sdrammatizzare, “Darth Vader, sicuramente” aveva detto Glam, schioccando le dita.
“Se entro ventiquattro ore riesco a tornare al Valhalla, giuro che recupero tutti i film” aveva ammesso lui. La piccola dea aveva ridacchiato, mentre faceva oscillare il polso, per eseguire un movimento della mano, simile, era una riproduzione di Gebo, la runa del dono. Tra le sue mani era apparsa l’Edda Poetica, una coppia diversa da quella che Astrid aveva preso in prestito per lui dalla biblioteca dei Chase. La copia di Glam era più vecchia, bella ed elegante, con carta sottile, le rune vergate in raffinate con pennino e calamaio, accompagnate da disegni e miniature esplicative. “Ora Hannibal Lecter aveva costruito un pulsate di distruzione per l’autodistruzione[5], sfortunatamente nessuno lo ha fatto per Heidi, ma ha anche molto altro” aveva squittito Glam. Jason aveva schiuso le labbra, ma alla fine aveva deciso di tacere.
 “Cominceremo da lei, come posso … per proseguire poi, a Váli, ai Váli, fino alle tavole, per quel che posso, si intende, resto ancora una misteriosa dea del destino” aveva ripreso Glam, “E non dimentichiamo il cinghiale” aveva considerato Jason, “Non dimentichiamo il cinghiale, no no” aveva dato man forte Jason.
Jason aveva recuperato il libro che Glam aveva evocato. “Cominciamo da Heidi” aveva sospirato, “Che di sicuro non è quella a cui le caprette fanno ciao” aveva commentato Glam divertita, Jason aveva sollevato un sopracciglio, “Oh, Odino Padre-Tutto hai delle serissime lacune da sistemare” aveva aggiunto.
Jason aveva sospirato, stanco, passando le dita sulla copertina delicata dell’Edda, ricordando le parole di Heidi stessa.
Nella Vǫlupsa, lei era lì, così aveva detto.
Capo-verso ventuno” aveva ricordato.
Glam aveva sorriso soddisfatta: “Bene, mio giovane Padawan, stai recuperando punti …”
Jason aveva aperto il libro cercando il capoverso ventuno della Vǫlupsa, notando che il libro che Glam li aveva fornito ospitava tre colonne a pagina, una era in inglese, una era scritta in caratteri runici ed una doveva essere la trascrizione in caratteri latini della scritta runica.
“Forse … è la domanda sbagliata” aveva ripreso Jason, “Ma la maglietta?” aveva indagato, Glam aveva sorriso serafica: “Vuol dire che anche le canaglie possono essere eroi o gli eroi possono giocare sporco[6].”

Jason aveva aperto gli occhi.
La prima sensazione che aveva provato era stato estraniamento, una confusione pesante sulle sue palpebre, ma poi tutto il sogno con i suoi amici e la lunga conversazione con Glam era venuta alla sua memoria, poi aveva realizzato di essere da qualche parte.
Era seduto per terra, circondato da un anello di rune.
Alcune avevano un aspetto famigliare ma altre decisamente no.
In una stanza completamente vuota, senza arredi, senza finestre – neanche inferiate – con l’unica compagnia di una porta di legno spesso.
Il pavimento era nuda terra battuta e le pareti erano muro stuccato con cui si dipanavano grottesche scene, che Jason riusciva a distinguere male nella penombra.
L’unica fonte di luce nella stanza era il tiepido chiarore tendente al rosso emanato dal cerchio di rune.
Jason sospettava di sapere cosa fosse, ma decise di tentare ugualmente, stendendo una gamba, trovando un muro d’aria ad impedire di passare il cerchio. Era costretto in quella posizione seduta, senza potersi muovere, oltre il metro scarso.
“Bene, come mi libero di questo?” aveva pensato ad alta voce.
“Non lo puoi fare; sono rune futhorc, rune due-punto-zero[7]” aveva risposto una calma voce maschile a Jason, comunicandoli che non era l’unico nella stanza. Si era voltato da dove veniva il rumore, incrociando però solo buio. “Non ti vedo” aveva dichiarato.
“Sfortunatamente non ho bisogno di sigilli magici per essere messo in castigo” aveva dichiarato stanco la voce. “Anche lei rapito da Heidi?” aveva chiesto Jason, “Più dalla mia stupidità” aveva considerato la voce maschile, “Anche le menti più acute possono essere fallaci” aveva sospirato quello stanco.
Jason aveva roteato gli occhi, intuendo che attitudine avesse il suo compagno di stanza. “Sono felice che tu ti sia svegliato comunque, da solo cominciava ad essere esasperante” aveva commentato la voce, “Immagino, magari in due riusciamo anche ad escogitare un modo per uscire” aveva considerato Jason, prima di presentarsi poi.
“Oh, sì, io sono Mímir, il consigliere di Odino, il dio del sapere” aveva risposto tronfia la voce.
“Oh” si era lasciato sfuggire Jason, “Il dio scomparso” aveva considerato.
Ricordava di aver sognato l’incontro tra Frigga e Samirah a proposito della sparizione del dio in questione. Scomparso.
Stranamente non ne avevano parlato con Glam, forse la Dísir non lo aveva ritenuto importante, non quando Gullinsbursti e Heidi.
“Il dio senza corpo giusto? Samirah Al-Abbas la sta cercando” aveva comunicato Jason, “Samirah? Odino di tutte le valchirie doveva proprio mandarmi quella ragazzina bisbetica” si era lamentato Mímir, “Però questo vuol dire che saremmo salvi a breve” aveva considerato piuttosto soddisfatto, “Samirah e Magnus potranno anche essere poco collaborativi, ma sono decisamente bravi nel loro lavoro. Salvi presto, sicuramente”.
Jason non ne era del tutto sicuro, senza deprivare Magnus del suo talento, era venuto in soccorso di Jason solo qualche ora prima – o forse giorno.
“Posso chiederle come è stato rapito?” aveva domandato Jason, mentre riprendeva ad osservare le rune che lo circondavano, cercando qualcosa che lo potesse aiutare. “Oh, sono stato molto stupido, dopo aver perso i miei due apprendisti, ho avuto bisogno di qualche nuovo aiuto, sarebbe sciocco lasciare sprecare tanta sapienza, ma, ahimè ho scelto male, e non mi sono accorto che quella stregaccia vanir aveva già messo gli artigli sul mio protetto” aveva spiegato il dio, pieno di vergogna. C’era qualcosa nel fondo della memoria di Jason che stava gridando qualcosa, ma non sapeva dove cercare, dopo il tiro-mancino della divina Giunone la sua mente non era più stata la stessa. Se mai la era stata.
 “Non conosco molto bene le rune, sapresti indicarmele, riconosco solo Mann … e Rad” aveva ammesso stanco Jason, oltre la lettura dell’Edda avrebbe dovuto chiedere a Glam qualche ripetizione in runico.  La prima la ricordava per Madina, era l’uomo ma era anche la M, la sua iniziale. Non doveva esistere nelle rune vichinghe o essere uguale, la stessa cosa doveva valere per Rad, il viaggio, che era una delle rune del set di Astrid[8].
Le rune erano sei, la prima era una stanga dritta attraversata da una barra obliqua con il lato alto a sinistra,  verticali, la seconda era era la R tutta acuminata di Rad, ma era rovesciata – e Jason sapeva doveva significare qualcosa – seguita da Mann con le due stangate oblique della M che si incrociavano continuavano fino alle barre, poi c’era una F con le barre orizzontali spezzate in due segmenti che formavano la v, la seconda, poi c’era quella che sembrava una C composta di segmenti dritti e freddi e l’ultima era una semplice I maiuscola.
“Be, questo è grave per un einerhjar, ma ti aiuterò, così tu aiuterai me” aveva spiegato pratico Mímir, “Sono Nyd, Rad, Mann, Oss, Peorth e Is” aveva spiegato pratico, “Tutte le rune sono leggibili dal tuo punto di vista, tranne Rad che è al rovescio. Dunque, sono Bisogno, trasporto ma al rovescio, uomo, dio, contenitore da riempire e ghiaccio

Il cigolio della porta in quercia aveva distratto Jason e Mímir dalla loro conversazione.
La luce dell’altra stanza aveva accecato per un momento gli occhi di Jason, che si era ormai abituato al tenue bagliore della stanza e una silhouette era emersa, più luminosa della luce stessa, per un momento, solo quando la porta si era richiusa Jason aveva potuto distinguere la figura.
Una donna era apparsa, illuminata di una fredda luce dorata. Quando la luminescenza era divenuta abitudine ai suoi occhi, Jason era riuscita a distinguere le forme.
Era una splendida donna, slanciata, con un corpo snello e curve generose, come la più perfetta delle creature, aveva un viso splendido da diva degli anni Venti della Hollywood dell’Epoca d’Oro, che Beryl Grace aveva incorniciato alle pareti della sua stanza. La donna aveva capelli biondi, ondulati che scendevano sul viso bellissimo, fino alle spalle. Occhi d’oro puro, un oro diverso da quello di Piper, ma come monete sonanti.
Indossava un abito che non sembrava fatto di stoffa, ma di lamina d’oro che aderiva al suo corpo come un guanto. Jason si era sentito stordito davanti a quella visione.
“Heidi” aveva ammesso come un sospiro, consapevole di chi fosse veramente.
Dopo averla studiata, Jason l’avrebbe riconosciuta senza neanche bisogno di una sua presentazione …
“Oh, be, stiamo facendo progressi” aveva considerato Heidi divertita, “Immagino che l’assenza di flanella possa aver aiutato” aveva squittito divertita, “Ben sveglio, comunque … spero che Mímir non ti abbia annoiato troppo” aveva considerato Heidi, avvicinandosi all’angolo buio dove risiedeva il dio senza corpo, “A volte può essere fin troppo indisponente” aveva considerato.
Quando Heidi aveva raggiunto l’angolo si era chinata per raccogliere qualcosa, dando le spalle a Jason, quando si era voltata, lui aveva potuto osservare che la dea teneva tra le sue mani aveva un boccia per pesci rossi, dove galleggiava una testa, con capelli rossastri.
Gli occhi di Mímir erano aperti, neri e profondi che si erano fossilizzati su Jason, sembravano cercare di comunicare qualcosa, se avesse imparato il codice mors da Leo forse avrebbero potuto comunicare così. “Lo abbiamo decapitato per questo” aveva canticchiato.
“Tu non hai fatto proprio nulla e non è stato per questo” si era difeso prontamente il dio nella boccia.
Heidi aveva raggiunto Jason e si era inginocchiata di fronte a lui, facendo attenzione a non far rovesciare la boccia o spiegazzare il vestito. Due imprese ardue in cui era riuscita, “I tuoi compagni erano sciocchi e per questo che la memoria li ha mangiati” aveva aggiunto il dio.
La dea non era sembrata per nulla turbata da quei commenti, mentre sistemava la boccia sul pavimento di fronte Jason, con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
La lettura della Vǫlupsa con Glam aveva preparato Jason meglio di quanto avesse fatto la presentazione infinita di Odino, sapeva esattamente quello di cui stavano discutendo i due e le ragioni che avevano portato i Vanir a decapitare Mímir, ma aveva deciso di tacere – consapevolmente.
Preferiva che la sua ignoranza, per una volta, non fosse un’arma contro di lui.
“Mímir è il saggio per eccellenza, è ciò che più si avvicina all’onniscienza nel nostro mondo. Nessun dio è, ovviamente, onnisciente ma Mímir è la cosa più vicina che si potrebbe avere” aveva spiegato Heidi ignorando il dio, prima di infilare una mano nella vasca ed afferrare i capelli rossi fluttuanti come alghe lunghe e tirandolo fuori. Gli occhi di Mímir si erano allargati in neri pozzi e la pelle rosa era divenuta di un verde lugubre, quando aveva tirato fuori la testa dalla vasca e l’aveva buttata via come se fosse stata una vecchia palla.
Jason aveva sentito un suono doloroso e bagnato quando questa era caduta sul pavimento battuto, “Ma con le tavole del destino crepate, quasi rotte, non c’è nulla da sapere. Il futuro è nebbia, appartiene a tutti” aveva riso Heidi.
“Perché hai rapito Mímir?” aveva indagato Jason, “Uhm … caos?” aveva proposto Heidi, “Godo del caos che posso creare Jason Iovisson” aveva ammesso, “E poi mi serviva la sua acqua” aveva aggiunto oscillando la mano ancora zuppa, facendo schizzare alcune goccioline anche sul viso di Jason, che aveva cercato di ritrarsi. “Certo avrei potuto raccogliere direttamente l’acqua, ma sarebbe stato altrettanto divertente?” aveva aggiunto. “Lo hai usato come una bustina da tè?” aveva chiesto Jason perplesso, osservando la testa ancora gorgogliante di Mímir per terra, “Non darmi meriti che non ho, Odino è stato il primo, lo ha anche bello-bello marinato. Gli Aesir sono così volgari, così ovvi … quasi impensabile che siano rimasti così a lungo” aveva risposto Heidi.
“Pensavo che i Vanir vivi fossero solo tre: Freya, Frey e Njord” aveva ponderato Jason, decidendo su che sentiero muoversi, pensando alla sua conversazione con la dísir. L’espressione rilassata di Heidi si era incrinata, “Sì, circa, ma una volta, Jason Iovisson, eravamo molti molti di più e governavamo su questo mondo” aveva sospirato la dea, “Ma Mímir non sbagliava: eravamo deboli ed abbiamo permesso al tempo di logorarci fino a divorarci” aveva commentato.
“Sai quando mi hanno raccontato dei due pantheon che si univano dopo la guerra mi era sembrato strano ed avevo ragione … è stato un lento annichilimento” aveva detto con una certa cattiveria, che non si sposava in lui. Lui che era figlio di Roma che aveva accolto ogni dio che aveva incrociato, o quasi, che aveva fatto di dei stranieri i suoi dei. “Molto Romano non trovi?” lo aveva interrogato Heidi.
“Direi no” aveva risposto Jason, non aveva senso mentire, lei aveva preso il viso di Piper, lo conosceva, “Tipico commento da romano, anche se ti piace fingerti greco” aveva squittito lei, “Prima dell’Impero Romano nei loro territori esistevano cinquecento lingue, dopo che è finito solo cinque. Avete preso quello che dovevate e lasciato solitudine” aveva replicato.
Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant[9], così aveva scritto Tacito.
“E quello che hanno fatto ai Vanir? Hanno preso quello che volevano e poi vi hanno lasciato sfumare, dimenticati” aveva replicato lui, calmo, cercando di non arretrare da quello sguardo famelico.
“Sì, si sono presi il Seidr e qualche altra cosa e lasciato il nulla. Però ti prego, Jason, non pensare che lo faccia per qualche fine nostalgico;” aveva scherzato Heidi, “Allora sei la classica cattiva che vuole vedere solo il mondo bruciare” aveva detto Jason.
“Per favore, Jason Iovisson, non scambiarmi per una Loki qualsiasi” aveva risposto Heidi, drammatica.
“Dov’è Astrid? Come sai chi sono?” aveva chiesto rabbioso lui, “Dei, un altro cambio di discorso netto, non sei proprio bravo nei giochi mentali, vero? Tu sei proprio il ragazzo d’oro, sì … quello onesto e sempre sincero, noioso, probabilmente mi sarei divertita di più con i tuoi cugini, sai quello sarcastico e quello melodrammatico” aveva scherzato Heidi.
Jason aveva provato rabbia e indignazione per primi nel sentire parlare di Percy e Nico così sguaiatamente e poi mortale preoccupazione.
Heidi sapeva tutto di lui. E non voleva che raggiungesse loro.
“Sei tu quella che ha detto che voleva il caos” aveva ammesso Jason. Heidi aveva ridacchiato, “Touché. Diciamo che Loki prospera nel caos perché vuole solo l’attenzione: ma io non voglio l’attenzione … non ne ho bisogno, fidati” aveva detto serafica lei. “E cosa vuoi?” aveva domandato con mordente Jason, “Lascerò la tua fantasia galoppare” aveva ridacchiato lei.
“Astrid?” aveva chiesto Jason, decidendo che non aveva molto di cui parlare con Heide, era probabilmente solo affamata di caos, per fini che lui non comprendeva. “Ah, la nipote di Lady Sif, sì, sì … il tuo è un feticismo? Sai donne skrælingjar?” aveva chiesto divertita.
Jason era arrossito imbarazzato, “Cosa? No!” aveva risposto, Heidi aveva riso di lui, “Uhm … Hai ragione è stato poco carino” aveva ricominciato la dea sollevandosi, con una espressione piuttosto divertita, “Dove è Astrid? Come sai chi sono? Perché sono qui?” aveva deciso di ringhiare solamente Jason.
Heidi aveva ridacchiato, “Perché sei qui-qui o perché sei finito in questo pasticcio?” aveva indagato Heidi. Jason aveva schiuso le labbra, “Entrambe?” aveva risposto lui, “Me lo stai chiedendo?” aveva proposto lei con divertimento.
“Entrambe” aveva replicato Jason, “Sei finito in questo pasticcio per tante ragioni diverse, ma la più importante: eri necessario. Sai è bello, essere necessari, nessuno mai lo è veramente, ma tu sì” aveva replicato. “Così può scoppiare una guerra tra pantheon” aveva replicato Jason, “tra le altre cose” aveva ammesso Heidi. Altre cose … non prometteva bene.
“E perché sono qui-qui?” aveva indagato Jason, ammiccando al cerchio di rune che lo teneva prigioniero. “Perché nonostante tu sia noioso come poche cose al mondo, sei riuscito ad incasinare le cose e se non capisco come risolvere la cosa potresti rovinare tutto” aveva considerato Heidi, con un tono piuttosto secco. “Come?” aveva chiesto, “Ti sembro il super cattivo che rivela i piani prima che siano conclusi? Anche solo dirti come lo hai quasi mandato a monte potrebbe darti troppi indizi” l’aveva rimproverato Heidi.
Sollevandosi Heidi lo aveva guardato con una punta di divertimento, “Quindi non mi dirai che cosa vuoi fare, come ti sto ostacolando, dove sia Astrid, perché tu abbia rapito Mímir” aveva considerato Jason.
“Il fascino del mistero” aveva scherzato lei, “Magari potresti dirmi anche solo perché il cinghiale” aveva quasi scherzato lui.
“In effetti quello posso dirtelo, le ragioni sono due: la più superficiale volevo punire Freya e Frey” aveva detto subito Heidi, “Per questo hai nascosto il cinghiale qui, sì, ha senso” aveva valutato Jason, “Sì, senza contare che era l’unico posto dove la sua luce non sarebbe stata notata” aveva esclamato divertita la donna, prima di proseguire: “La seconda, la più importante: vedere se potevo” aveva aggiunto.
“La rottura del ciclo” aveva sospirato Jason.
“Un piccolo esperimento” aveva ammesso Heidi, “Che potrebbe avere come conseguenza la morte di un intero mondo” aveva ringhiato Jason. “Oh, dei, mi chiedo dove altro sia successo” aveva risposto seccata la donna.
Nonostante Heidi avesse detto non fosse stato per nostalgia, Jason non credeva fosse stata sincera. Heidi era sopravvissuta a tutta la sua gente, considerando che Njord, Freya e Frey erano stati formalmente adottati dagli Aesi, Heidi era l’ultima dei vanir.
“Comunque, nonostante io sappia della tua noia dilagante e della tua passione del temporeggiare, Hera e Lupa ti hanno donato tanta di quella resilienza” aveva scherzato, “Quindi mi prenderò un’assicurazione” aveva detto la dea e poi aveva fatto qualcosa che Jason non si era aspettata.
Era entrata nel cerchio, era stato scioccante perché ingenuamente aveva pensato che se nulla poteva uscire, nulla poteva entrare.
Aveva richiamato i suoi poteri ma si era ritrovato inerme e quando Heidi si era avvicinata, qualcosa dentro di lui si era sciolto e la luminosità sottile da femme fatale, si era fatta iridescente come neon. Heidi lo aveva afferrato per il mento con le sue mani, delicate all’apparenza ma dure come tenaglie e Jason aveva sperimentato qualcosa che da molto tempo – da prima della sua morte o forse anche antecedete – non provava: un desiderio divorante, per quanto la fame fosse priva di discernimento.
Sentiva fluire in lui lo stesso inebriante sentimento che aveva provato quando aveva indossato per la prima volta la corona d’alloro dei pretori e la toga viola, lo stesso sentimento incendiario di quando Piper lo aveva baciato dopo la battaglia, o quando i fulmini lo avevano animato a Jotunhaimer; ma ancora più affamato di quello, di tutto quello.
“Sazia la tua fame” aveva ordinato Heidi e Jason aveva ubbidito, senza neanche accorgersene. “Devi essere vocale, Jason Iovisson, che tu voglia saziarti” aveva insistito la dea.
“Sì” aveva confessato Jason, senza vergogna, “Devi dirlo” aveva insistito, “Voglio saziarmi” aveva mormorato quasi ebete.
C’erano voluti tre sorsi prima che l’arsura del suo cuore fosse appagata e realizzasse che ciò che impastava come sapore la sua bocca era l’acqua della boccia di Mímir.
Heidi era sfuggita al suo campo visivo, la sua luce era appena una fiammella, come se si fosse consumata lei stessa, e la stanza era tornata in buio quasi soffocante.
Come macchia indistinta Heidi si era chinata recuperando qualcosa, un lamento l’aveva accompagnata; Mímir.
“Devi sapere Jason Iovisson” aveva cominciato la donna con voce calma, “Che chiunque beva dalla fonte di Mímir – e si intende qualsiasi acqua dove lui sia immerso o lo sia stato recentemente e non solo quella baciata dalle radici dell’Ygrdasill – guadagna poteri senza eguali, ma non senza dare nulla in cambio” aveva spiegato la dea, “E finché sarai lì dentro non potrai pagare il conto” aveva scherzato la dea con un divertimento quasi crudele.
“Cosa mi accadrà se non … pago?” aveva chiesto Jason con un leggero panico, “Oh be, niente, perché l’equilibrio si è completamente sballato” aveva risposto la donna, facendo ricadere la testa nella vasca, “Finché avrai tu Mímir non potrò pagare il conto” aveva considerato Jason, realizzando la portata della cosa, “Sì e a te converrà che l’equilibrio non si ristabilizzi o mi chiedo cosa possa accadere da chi prende senza dare” aveva riso Heidi.

“Incantò, dovunque poteva,
incantò i sensi” Jason aveva fatto una pausa nella sua lettura, “Vuol dire quello che temo?” aveva chiesto spaventato. Glam aveva cambiato leggermente il suo aspetto, nel momento in cui lui aveva letto la Vǫlupsa, “Sì, lei è la strega più potente che potrai mai conoscere e credo che al mondo solo in tre possano resistere ai suoi poteri: Loki, Odino e Freya” aveva spiegato Glam, “Neanche tu?” aveva chiesto speranzoso Jason, “O mio giovane Padawan io sono solo una serva del destino, non una tiratrice di fili” aveva scherzato Glam. “Come resisto al suo potere?” aveva domandato Jason, “Non lo fai, speri solo di non trovarti tra lei e i suoi incanti” aveva risposto la dísir.


Ero sotto il tuo incantesimo” si era difeso Jason, “Sarebbe fantastico se a qualcuno fregasse effettivamente qualcosa, parlane con il tuo amico Váli quando lo vedi, potrà spiegarti una o due cose sulla bontà del wyrd” aveva ricevuto come risposta e poi aveva abbandonato la stanza.
E Jason si era ritrovato di nuovo in un buio pesto, senza neanche la compagnia della testa parlante.
Aveva sbuffato, non poteva neanche invocare l’aiuto di Glam, la dísir era stata chiara: poteva intervenire solo in non-luoghi.
“Bene, come … esco da qui” aveva valutato Jason, osservando le fievoli luminose rune aggiornate di Heidi.
Le aveva riguardate: bisogno, trasportare ma al rovescio ,dio, uomo, contenitore da riempire e ghiaccio, aveva ripetuto ancora ed ancora.
Bisogno, fermare – era quello, no? Il contrario di trasportare – dio, uomo, contenitore e ghiaccio.
E poi lo aveva capito, o almeno aveva pensato di capirlo: Bisogno di tenere l’uomo-dio nel contenitore di ghiaccio. Probabilmente il ghiaccio ed il contenitore erano solo un modo diverso per esprimere la prigionia.
Bisogno di tenere il semidio della prigione.
Sì, doveva essere quello, per questo Heidi aveva potuto varcare la sua prigione, o forse poteva perché era la sua maledizione.
“Rune tu troverai, lettere chiare, lettere grandi, lettere possenti” aveva ripetuto Jason, ricordando le parole che qualche giorno prima erano state dette da Madina a Jothunahim.
Le rune erano la magia più potente del mondo norreno, anche più del seidr e dell’alf seidr. Erano come i numeri, come la matematica dell’universo, erano il modo corretto per esprimere in magia le funzioni che esistevano ed il modo giusto per manipolare le cose.
Erano diverse da qualsiasi altro tipo di magia.
 Non sapeva come contraffare il potere di Heidi, era una delle streghe più potenti in circolazione, l’ultima dei vanir e l’incubo di Odino e lui era solo un figlio di Giove bravo a volare.
Non aveva bisogno di fare molto per rendersi conto che in quel cerchio non poteva usare ne fulmini ne aria, probabilmente il ghiaccio significava quello: la deprivazione.
Non sapeva come uscire da quella situazione, aveva ringhiato con nervosismo e si era battuto stupidamente le mani sulle cosce in un indesiderata ricerca di calma per la sua frustrazione.
Aveva infilato le mani in tasca alla ricerca di Giunone, aveva estratto la moneta e l’aveva fatta schioccare in alto, quando era caduta sulla sua mano era ancora una moneta, non sapeva neanche perché l’avesse fatto, aveva rimesso Giunone a posto e per questo aveva sentito qualcos’altro nella sua tasca, trovando poi cosa era. Hagalaz, la runa che Kráka gli aveva fatto estrarre dal gruppo di Astrid. Erano fatte di legno d’olmo, il legno della prima donna, create da un praticante di magia – sia seidr sia alf-seidr – così aveva spiegato Astrid. Immaginava fosse stato Erik Freydisson, che erano stregone ed un prete.
Rune potenti.
“H” aveva ricordato Jason, “Come Heidi” aveva valutato guardando quella specie di N, con le bande verticali più allungate, “Grandine” aveva ricordato anche, “Tristemente simile al ghiaccio” aveva aggiunto e poi “… Un altro è Rottura” aveva ricordato le parole di Astrid, nella sua camera, dopo l’estrazione.
Jason aveva preso la runa di Hagalaz perché la serie della sua amica doveva avere una mancanza, doveva avere una sofferenza. Jason aveva rotto l’equilibrio, in qualche maniera, soprattutto quello di Astrid.
Aveva guardato ancora la runa, il legame personale lo rendeva più potente, erano rune fatte di magia pura, di un legno potente, realizzato da un giovane per la sua innamorata – Jason aveva visto il loro amore imperituro da morti e da vivi – e lui lo aveva spezzato.
Ed era una magia possente.
“Perché ho l’impressione che tu sia rimasta con me per questo momento?” aveva chiesto retorico. Era stato il Wyrd.
Hagalaz era la grandine, la H, il cambiamento ma lui aveva bisogno della rottura.
“Padre, Giunone, Kym … Odino, Glam … Váli” aveva invocato quasi pieno di vergogna prima di avvicinare la tessera alle rune disegnate.
Aveva sentito la sua mano incendiarsi, il calore, più potente di un fulmine, più bruciante, ma non si era fermato, le rune di Heidi si erano illuminate ancora di più di un rosso vermiglio senza vergona, mentre quella di Astrid ardeva di un fuoco verde intenso, ma Jason non aveva ceduto ed aveva posato la tessa su Peorth. Per un secondo il mondo era stato avvolto da un brillante colore giallo, che aveva accecato i suoi occhi, e poi era stato il buio, le rune si erano spente, tutte, e la stanza era scesa nel buio.
Aveva allungato le mani sul pavimento battuto al buio, prima di usare la logica ed aveva creato tra indice e pollice della mano sinistra un rivolo elettrico per illuminare qualcosa.
Aveva trovato hagalaz spezzata e rotta.
La rottura.
“Immagino io non sia stato creato per tenere unito niente” aveva considerato spento e stanco, quel gesto lo aveva drenato di ogni suo potere.
Non aveva riunito i romani e i greci, non aveva ritrovato Leo, non aveva aiutato Nico, non aveva creato i templi … non era riuscito neanche a farsi amare da Piper.
Jason Grace non era mai stato l’unificatore, era sempre stato la grande rottura.
Aveva raccolto i due pezzi in cui si era rotta la runa e gli aveva messi in tasca, un flebile guizzo di energia li animava ancora e così aveva cercato la porta al buio.
L’aveva trovata, forse eccedendo nella sua sicurezza Heidi non aveva pensato a blindarla di magia e l’aveva aperta, era stato poi avvolto nella tenue luce del giorno.
Un piccolo soggiorno, lo aveva accolto. Un divanetto basso, con sopra una trapunta, cassettiere in legno, vetrinette piene di cianfrusaglie ed un tavolino basso al centro della stanza pieno di riviste. Non sembrava la tipica casa di una dea distruttrice, più di una casalinga degli anni Cinquanta, ma … immaginava che ognuno avesse le sue stranezze.
“Che sfortuna, speravo davvero tu non ti liberassi” aveva sospirato una voce femminile a lui nota. Non era Heidi.
Heidi non aveva lasciato un allarme di sicurezza, ma un mastino.
Jason si era voltato verso la voce, sotto l’uscio di un’altra stanza aveva incontrato un viso una giovane donna con indosso una lunga tunica blu egiziano, stretta alla vita da una cintola di cuoio, un mantello di piume di cigno legato ad una spalla e arruffati ed elettrici capelli biondi grano ardente.
Aveva sospirato, “Fantastico” aveva detto sarcastico.
“Ciao Jason, mi dispiace davvero tanto” aveva detto piena di imbarazzo la donna, “Ciao a te, Thrud” aveva risposto stanco Jason alla sua valchiria.

 

 

NOTA NECESSARIA: Non so quando aggiornerò perché … ho perso la voglia.
Poi, personalmente questa storia è tragicamente vicina al finale, è ora di tirare tutti i nodi al pettine e cercare di risolvere le questioni (Sappiamo dove è il cinghiale, anche se non lo *abbiamo* ancora trovato – c’è da dire che Stellan e Fred erano sulla buona strada, abbiamo scoperto chi ha preso Mímir, chi è H e all’incirca cosa vuole), prima fra tutti l’incontro di wrestriling di Jason con Váli l’altro. Detto questo, non tutte le questioni trattate saranno risolte direttamente (tipo i lunghi piani di H), ci tenevo a dirlo.
Detto questo, il capitolo appena letto è stato un delirio ed in origine dovevano essere due capitoli ben distinti ma ho deciso di unirli in uno per stringere il tempo.

Forse la rivelazione su Thrud può sembrare un po’ OUT OF THE BLUE, ma così è così è sempre stato pensato. Prossimamente avremmo qualche spiegazione.
Riguardo a Glam, il personaggio doveva apparire molto prima ed avere un ruolo molto più esteso (la sua prima comparsa è effettivamente durante le vacanze a Jothunheim) che avevo deciso di tagliare, essendo lei comparsa tardivamente, ma poi ho deciso di ‘ridimensionare’ soltanto, perché nessuno poteva fare il Deus ex machina come lei.



[1] In realtà le Fladge sono le streghe/donne-troll figlie di Loki (partorite dopo aver mangiato un cuore) per una licenza poetica ho deciso di appioppare questo nome a tutte le “streghe”. Inoltre, più avanti, probabilmente, vi esporrò meglio perché, vi dico solo che mi sono rifatta ad alcune interpretazioni e teorie di  Abraham Viktor Rydberg ( scrittore e filosofo svedese dell’1800).

[2] Giraffa; la parola mi fa ridere per nessun particolare motivo.

[3] Ho lasciato la DSA di Jason piuttosto ambigua senza “categorizzarla”, poiché in quanto romano ha il cervello settato sul romano e quindi non ha lo stesso problema netto di lettura di Percy, che Riordan paragona alla Dislessia, per via della difficoltà di lettura dei caratteri. Posso assicurarvi, come esperienza di prima mano, che anche con una DSA che non è per forza dislessia, si possono avere anche difficoltà con la lettura.
 Insomma Jason è effettivamente capace di leggere i caratteri senza problemi, essendo latini, ma il suo cervello cerca di interpretarli come parole in latino prima che in inglese (questa cosa super meme mi è capitata a Roma, dove ho passato mezz’ora a cercare di interpretare una scritta convinta fosse latino, ma era inglese ahaha)..

[4] fumo verde, pescata da un pozzo o da una sfera di cristallo, sono riferimenti a tre metodi profetici: 1) Fumo Verde: ovviamente il nostro buon oracolo; 2) Qui nello specifico Galm fa riferimento alle acque dell’Albero della mitologia norrena, ma in realtà è anche un modo per avere le profezie dalla Dea Fortuna a Palestrina; 3) Non credo abbia bisogno di presentazione.

[5] Un riferimento a Rouge One e Mads Mikkelsen

[6] Forse lo sapete già: Han solo shots first è un riferimento ad una controversia di cui è stato vittima Star Wars, dove Han Solo nel suo ingresso alla locanda, nella prima edizione del film: spara a Greedo per primo. Secondo Lucas in questa versione Han Solo appariva troppo ‘a sangue freddo’ e nelle ri-edizioni questa azione è stata cambiata prima in Greedo che spara per primo e manca Han e poi una dove sparano contemporaneamente. Personalmente io preferisco un Han che spara per primo a simboleggiare come sia passato dalla Canaglia (vera e propria canaglia e non solo ‘tsundere’ a eroe riluttante). Nell’Ottica di questa storia, Glam intende sia il fatto che anche l’ultimo degli uomini può diventare eroe oppure che anche un eroe (poiché Han Solo è stato scritto per essere un eroe) deve ‘sparare per primo’ all’occorrenza. Elucubrazioni inutili … o forse no.

[7] Sono le rune anglosassoni – come sempre i filologi si stanno ancora scannando per stabilire le origini, ma una teoria abbastanza accreditata sia che sia una derivazione di quello scandinavo. Ha comunque dai 2 ai 10 caratteri in più del Fuþark vichingo (che dei tre è il più breve ed è quello a cui fanno riferimento in questa specifica storia. Diciamo che è quello coevo ad Astrid e che anche Fred e Madina hanno imparato; fun fact Mel conosce il Fuþark antico (che era quello che Agrodoba aveva utilizzato sul “lucchetto” della sua porta), che era quello in uso ai tempi dei romani e gli studiosi ipotizzano abbia subito influssi dagli alfabeti italici. Altro fun fact: esiste una ulteriore serie di rune medievali. Ultima nota, in Magnus Chase tecnicamente vengono spesso mostrate rune anglosassoni come il Peorth di Hearth ed il Feoh di Magnus ( che nelle rune vichinghe è Fe, leggermente diverso. Il Feoh ha due line parallele oblique, mentre il Fe ha die quarti di cerchi), ma ho preferito dare ai vichinghi del Valhalla le Rune Vichinghe.

[8] La Runa con la M di Mann è anglosassone che corrisponde al vichingo madr (La prima è una M con una x tra le sbarre oblique e la seconda è un m minuscola), Rad è uguale nei due alfabeti.

[9] Dove fanno il deserto lo chiamano pace. Tecnicamente solitudinem è solitudine, ma si intende il nulla in questo caso.

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Capitolo 21
*** Jason Grace copia spudoratamente Wanda Maximos (non che lui sappia chi sia) ***


EDIT: Ho modificato leggermente il testo; nessun cambiamento a livello di trama/forma.

Pensavo che dopo aver letto The Sun and The Star mi sarebbe tornata voglia di scrivere in questo fandom, ma non è stato così. Devo ammettere che il Calice degli Dei mi aveva ridato un po’ più di voglia e metà di questo capitolo lo avevo scritto dopo l’uscita del libro, la serie mi ha dato la spinta definitiva per finirlo.
Però sarò onesta: non è un capitolo che mi ha divertito scrivere ed ho trovato la cosa molto pesante e un po’ mi dispiace perché il mio “Riordan” preferito è quello comico-divertente, cercherò di fare meglio prossimamente, anche se, be, ormai siamo al momento “buio” della trama.
Detto questo, spero possiate comunque apprezzare questo brano.

Un bacio
RLandH

BUONA LETTURA

Jason Grace copia spudoratamente Wanda Maximoff (non che lui sappia chi sia)[1]

 

Jason si era voltato verso uno degli usci della stanza – uno che conduceva ad una vecchia cucinina – trovando la sua Thrud, con indosso il mantello di piume di cigno, che scendeva su una sola spalla, ma invece degli abiti da guerriera indossava una lunga tunica blu egizio ed i capelli elettrici grano ardente erano liberi ed arruffati, anziché nelle abituali trecce.

Thrud aveva lasciato l’Hotel quella mattina senza aver avvertito nessuno su dove sarebbe andata. Jason non ci aveva dato particolare peso fino a che il Wyrd gli aveva mostrato la sua valchiria dopo aver parlato con una strega- Thrud gli aveva mentito, non avrebbe dovuto stupirsi infin dei conti Jason l’aveva vista mentire, senza battere ciglio, davanti tutta la gran sala di Odino, davanti le valchirie, gli einherjar, gli dèi e i thane. Thrud aveva complottato con Kym.


Jason avrebbe dovuto aspettarselo, con l’aggiunta di ciò che aveva scoperto di Heidi nella volupsa, ma la verità, la verità nuda e cruda, era che Jason si era fidato della sua valchiria e, per tal ragione, non se lo era aspettato affatto. Aveva boccheggiato per dire qualcosa, ma aveva richiuso le labbra perché si era reso conto di non avere parole. Aveva osservato in un silenzio quasi religioso la valchiria, Thrud aveva gli occhi azzurri velati della medesima tristezza, di chi non avrebbe voluto essere lì. Jason si chiese se la sua melanconia fosse guidata dalla situazione in cui era finita o perché fosse stata scoperta.

“Be, alla fine ti sei già scusata in anticipo per dovermi fare male” aveva cercato di sdrammatizzare Jason, ricordando quella prima conversazione che avevano avuto, nella sua stanza nel Valallah, quando Thrud lo aveva sovrastato con una lama alla gola. Si era sentito stupido, subito dopo, era completamente privo della vena di sarcasmo di Percy o dell’arguzia brillante di Leo; Jason era di per sé poco incline a quei giochi, era solo, terribilmente, stanco. “Oh Jason” aveva sussurrato colpevole Thrud e il suo nome pronunciato così sembrava quasi una supplica.

 

Era strana Thrud, da vedere, senza le sue trecce l’armatura di placche argentee, sembrava quasi una creatura dolce. “Solo: perché?” aveva chiesto Jason stanco. “Perché cosa?” aveva chiesto con una gentilezza che non le si addiceva Thrud, mentre faceva roteare il suo polso, tra le dita magre si era formato un piccolo lampo folgorante che si era addensata in una lancia elettrica. Era una cosa stupida, ma si era quasi aspettato un martello. Ricordava alcune delle prime parole che Thrud aveva detto, non era l’unico che poteva fare scherzi con i fulmini.

D’altronde la Potente Thrud era figlia di Thor signore dei fulmini. “Perché questo? Perché distruggere l’equilibrio?” aveva indagato lui, chiedendosi come potesse non essere ovvio.

Ma dall’espressione più scioccata che Thrud aveva assunto, la domanda doveva averla colta parecchio di sorpresa, “Non è ovvio?” aveva indagato lei, retorica.

“No?” aveva risposto Jason, “Ti sei alleata con la Splendente! Ha rapito Mimir il signore della sapienza, rubato Gullinsburti provocando il tramontare del sole ad Alfheim, rapito Astrid-tua-nipote e maledetto me! O certo è stai attivamente cercando di rompere l’Equilibrio” aveva gridato Jason.

Thrud lo aveva guardato con un certo imbarazzo, “Primo: Astrid sta bene, secondo non succederà a nulla a quel verro, lo riporterò io stesso se necessario, e il sole continuerà a splendere indisturbato a casa di Frey; era solo un esperimento” aveva risposto pratica la dea; “Perché?” aveva insistito Jason.

“Non è ovvio?” aveva chiesto delusa Thrud, “No!” aveva detto Jason, frustrato dall’insulsaggine di quello scambio, sembravano un cane che cercava di mordersi la gola. L’espressione della valchiria però non tradiva che legittima confusione, come se davvero fosse stato ovvio, così Jason aveva cominciato a raschiare nella sua memoria per cercare una risposta, aveva ricordato la conversazione che aveva origliato, nel sogno, tra Kym e Thrud, “Non sarà mica per il tuo fidanzato?” aveva chiesto sconvolto.

“Sì!” aveva risposto la valchiria con un furore che la faceva apparire davvero la Possente Thrud, aveva però avuto pietà di Jason ed aveva proseguito: “Certo, sì, per avere il mio fidanzato che amo da più di mille anni e che mio padre non vuole per nessuna specifica ragione, se non perché è così-e-basta, ma anche perché non voglio che il Ragnarok accada perché nonostante tutto amo mio padre, amo mio nonno ed amo la mia grande ed incasinata famiglia. Forse non apparirò nel Ragnarok, ma non voglio che la mia famiglia muoia, che i miei fratelli siano orfani!”

Man mano che aveva parlato il suo tono si era fatto da possente a stridulo, ma pregno di realistico dolore.
“Che bilioni di anime e uomini debbano morire così perché è già scritto e perché io non credo e non voglio più vivere in un mondo deterministico” aveva aggiunto, riacquistando della pacatezza.

Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Questo … questo è sensato” aveva ammesso Jason di malincuore, “Ma non si può evitare l’inevitabile” aveva aggiunto incerto. “Certo! Questo lo so, Jason!” aveva risposto Thrud, “Ma Jason ognuno di noi conosce la data della propria morte e nessuno dovrebbe possedere un tale conoscenza. So la tua storia, so le profezie che ti hanno visto protagonista” aveva ringhiato lei. Jason, Jason sapeva quello di cui stava parlando: la parte migliore della vita era l’attimo e l’ignoto di quello che sarebbe accaduto, no?

Per questo le profezie del mondo mediterraneo erano così sibilline, si conoscevano squarci, piccoli spiragli, ma mai fino a che il futuro non era diventato passato, ma i norreni conoscevano tutto, già tutto.
Gli era venuto in mente Bee che alla fine dei tempi avrebbe governato i morti con Loki ed Helblindi anche se non ne aveva alcun interesse perché così era scritto, Vali Odisson così audace che era sicuro di vincere ogni sfida perché sarebbe sopravvissuto al Ragnarok e Jarnsaxa che doveva rimanere lontana dall’uomo che amava perché non poteva avere un figlio che non solo era destinato a nascere e sopravvivere – ma che lei voleva. “Lo so che ogni cosa deve avere una fine. Ma dovrebbe essere una cosa spontanea, una cosa misteriosa” aveva soffiato Thrud.

 

“Okay, sì mettiamo caso che un ciclo già scritto sia una realtà terribilmente distopica in cui vivere … tu pensi che Heidi, l’ultima dei Vanir, una volta che avrà rotto l’equilibrio non procederà ad uccidere tutta la tua famiglia Aesir?” aveva chiesto senza vergogna Jason.

“Probabilmente sì, ma a quel punto probabilmente sarà mortale anche lei. Perché, se per caso ti fosse sfuggito, non possiamo sconfiggere Heidi” aveva specificato, “Ogni volta che è stata uccisa e tornata in vita. È stata infilzata, bruciata e non ti dicono cosa le hanno fatto negli ultimi secoli, ma lei sopravvive Jason, sopravvive ad ogni cosa. Sopravvive sempre.”

“Stai giocando il destino del mondo su delle probabilità?” aveva chiesto Jason quasi rabbioso. “Non tutti, Jason Grace, possono vivere la propria vita come una partita a scacchi, qualcuno gioca anche a bocce” aveva replicato quasi offesa Thrud.

“Non ha senso” aveva replicato Jason, “Qualcuno ogni tanto deve agire” aveva sospirato. Jason si era morso un labbro, “Ovviamente, Thrud non posso rimanere qui ad aspettare. Devo distruggere la Morte Nera!” aveva esclamato. Thrud aveva aggrottato le sopracciglia biondo ardente: “Cosa?” aveva chiesto.
“È una metafora” aveva spiegato Jason, “Da un programma che si chiama Star Wars o Star Treck, mi confondo sempre” aveva risposto, sapeva che era quello senza i vulcaniani ma la cosa finiva lì.
 “Devo ammettere che ora sono confusa io … ma non, credo, sia importante” aveva ponderato la figlia di Thor, “Il mio scopo è tenerti qui, fino a che le tavole del destino saranno irreversibili … poi potremmo riportare il verro a casa, lo faremo insieme” aveva aggiunto. “E conti che le tavoli si danneggino per sempre prima che ad Alfheim tramonti il sole o no?” aveva risposto Jason, senza particolare calma. Thrud si era guardata il polso, dove indossava un bracciale loricato, ma lo aveva trattato come un orologio, “Abbiamo almeno altri cinque o sei giorni prima che il sole tramonti” si era giustificata. “Bene, ma devo comunicarti che non ho intenzione di rimanere cinque o sei giorni qui” aveva considerato lui, “Non solo perché voglio salvare Alfheim, aiutare Astrid e perché no evitare il mondo collassi, ma ho un appuntamento a Manhattan tra quattro giorni” aveva replicato Jason.

“Tre e mezzo in realtà” aveva risposto Thrud arricciando le labbra, “Mi dispiace davvero, ma temo sarai costretto a perdere quell’appuntamento” aveva ammesso lei, “Di positivo Jason: non avresti mai vinto contro Vali” aveva sospirato.

“Ho affrontato di peggio” aveva ponderato Jason, pensando giusto a Fortnojir il giorno prima, così come tutti i mostri, imperatori e giganti che avevano affollato la sua breve vita. “Non mio zio, fidati, non mio zio” aveva sospirato lei, quasi affranta.

“Non ho comunque intenzione di rimanere qui e non scoprirlo” aveva soffiato Jason, guardandola audace e rigido, con gli occhi putati su quelli di lei. “Ammiro il tuo ardore e sono sentitamente dispiaciuta di non poterti dare la sfida che ti meriti. Anche se non ho idea di come non farti male, perché non voglio e … non voglio avere la furia di Kym addosso, poi” aveva considerato.

“Quanto Kym sa di questa storia?” aveva inquisito Jason, improvvisamente, pensando alla terribile signora del mare. “Un po’ ma non abbastanza. Non prenderla male, eh, voglio un gran bene a Kym ma come tutte le dee del mare è tremendamente meschina e guarda solo il suo orticello … o qualsiasi cose ci sia in fondo al mare come corrispettivo” aveva risposto stizzita Thrud.

Comprensibile.
“E Kym vuole me” aveva valutato Jason, non del tutto corretto, voleva il suo ingegno, la sua promessa, la sua Action Figure e perfino la possibilità di poterlo uccidere. “Questo è indubbio, Jason Grace, sei la prima persona o cosa che io abbia mai sentito Kym non solo volere ma pretendere” aveva ammesso Thrud. “Cosa non si fa per un action figure personale” aveva risposto lui derisorio – a Percy sarebbe venuta meglio la battuta, ma lui era Percy.

Thrud aveva ridacchiato, “Ah, Ymir marcescente, voi uomini non capite mai niente” aveva ridacchiato lei con una risata così fresca e frizzante che aveva dato quasi la nausea a Jason, mentre sollevava la sua lancia.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Però penso sia il momento di smettere di ciarlare e cominciare a ballare” aveva proposto Thrud, “Sì, penso sia ormai inevitabile” aveva risposto Jason cupo.
 “Giusto per la cronaca: sono una valchiria ma sono anche una dea” aveva sorriso a tutto denti Thrud.
Lui aveva recuperato Giunone dalla sua tasca e l’aveva fatta schioccare in cielo, quando era ricaduta nella sua mano non era più una moneta, era un giavellotto, contro la lancia di Thrud. Lei aveva un’arma da corpo a corpo, spessa, dall’approssimativa lunghezza di circa tre metri, mentre il suo giavellotto era sottile e più leggero.

Jason si sentiva ancora lo sconosciuto al Campo Mezzosangue contro l’esplosiva Clarisse La Rue, solo che sospettava Thrud sarebbe stato tutto un altro paio di maniche, più elettrica e pericolosa, come Thalia.
Roma contro Germania Magna[2].

Jason aveva mosso per primo, con la sua lancia, sentendo l’elettricità che attraversava il suo corpo, differentemente dal suo scontro con Iulia Agrippina sarebbe potuto morire, differentemente dalla augusta romana, Thrud non lo volva uccidere.

Kym era la sua assicurazione.

E se fosse morto … in quel caso sarebbe morto come era accaduto in precedenza: facendo ciò che riteneva giusto!

Non era così che aveva detto ad Apollo? Se un eroe non è disposto a perdere tutto per una grande causa, allora era davvero un eroe?

E Jason era un eroe, era l’unica cosa che sapesse per certo di sé stesso.

 

Thrud aveva raccolto la sua sfida e intercettato il suo giavellotto con la sua lancia, un fulmine azzurro si era confrontato contro una scarica elettrica rosso rampante, che aveva reso l’aria incandescente. “Ho affrontato titani, giganti, dèi e jotun!” aveva ricordato Jason senza perdere d’animo, mentre osservava intorno a lui sottili fuochi essersi accessi intorno a loro, cominciando a mangiare la piccola casa anni Cinquanta di Heidi. L’Oro Imperiale per quanto potente aveva subito non poche alterazioni, essendosi deformato leggermente, questo non lo aveva scosso.

Aveva soffiato e mosso le mani, utilizzando l’aria ed il vento per gonfiare le fiamme. I venti di … Vanaimer erano molto meno forastici ed imperiosi di quelli di Jotunheim, per quanto fossero sempre estranei.

Erano venti sediziosi, volubili, ma ancora plasmabili. Thrud aveva stretto la mano libera in un pugno e rubato l’aria dal fuoco, costringendolo ad una resa implacabile. “Ti prego, noi siamo la tempesta” aveva esclamato la valchiria, senza cattiveria.

“Stessi poteri, sì” aveva realizzato Jason, potevano controllare i fulmini e le correnti, ambe due probabilmente potevano comandare le tempeste. Inoltre, se per puro caso, Thrud non avesse potuto per caso volare come figlia di Thor, sicuramente avrebbe potuto come valchiria.

Figli della tempesta, figli dei signori dei fulmini.

“Be, quasi” aveva soffiato Thrud, “Come figlio di Giove sei più forte e come einherjar il tuo potere è ancora più eclatante, ma non sei ancora al livello di una dea” aveva scherzato lei, “Questo non mi può fermare … questo non mi ha mai fermato” aveva aggiunto Jason.

Thrud aveva infilato la punta elettrica, rompendo il pavimento in mattonelle di maiolica, ficcandosi nella terra battuta, “Sai quale è la differenza tra un dio e un semidio?” aveva chiesto senza cattiveria, “Direi di sì” aveva detto Jason piuttosto seccato, “Due genitori divini” aveva specificato, comunque, Thrud, un impulso elettrico aveva scosso la lancia e poi la terra e senza vergogna, erbacce di ogni genere avevano cominciato a crescere a dismisura spaccando il pavimento e viticci senza controllo avevano cominciato ad arrampicarsi sui suoi pantaloni d’oro luccicanti.

Jason era scoccato in cielo, sentendo ancora le radici risalirlo come animali vivi ed usando la lancia per spaccare il soffitto ed alzarsi. “Pensavo che Gerd fosse la dea della terra!” aveva gridato.
Thrud lo aveva raggiunto nel cielo, con la mantella di piume di cigno svolazzante; sembrava un’autentica dea guerriera, una Bellona nordica. “Gerd è una jotun! Mia madre è la dea delle messi!” aveva chiarito Thrud.

Sì, Sif era la Cerere norrena, questo faceva della sua avversaria una figlia di Giove e una figlia di Cerere, un potenziale distruttivo immenso.

 

Jason aveva evocato un tornando, preso dal panico dell’unica azione che potesse fare, guidato dagli spiriti eccitati del mondo di Freya, intessendo nell’aria fili elettrici, sapendo fosse una maniera piuttosto sciocca di affrontare. Thrud aveva quella sua gamma di poteri e quelli ereditati di sua madre. Tutto un altro campo. “Onestamente, non fraintendere, preferisco le nocche crude che i germogli di mia madre, ma si può far di tutto alle giuste condizioni” aveva risposto Thrud, rubando i suoi spiriti e guadagnando bruciature elettriche che avevano scalfito solo i suoi vestiti, “E questo è il mio mondo, Jason, questi sono i miei venti” aveva replicato “Tra uno skraelingar ed un norreno loro sceglieranno di ubbidire sempre a me.”

Jason l’aveva guardata, “No, Thrud gli anemoi non conoscono padrone” aveva guidato le sue parole sentendo gli spiriti dell’aria frizzanti sotto le sue nocche. Creature tempestose si erano annidiate ai fianchi di Jason, emettendo rumori foschi e temporaleschi, dalle forme imponente e arruffate, sembravano lupi composte di venti ed acque piene, “che non sia per loro scelta” aveva considerato. Jason aveva pensato a Favonio che serviva Amore, per sua scelta, per gentilezza.

Dylan così iroso che si era lasciato sottomettere.

Tempesta che era un cavallo imbizzarrito che si era lasciato domare.

Eppure, nessuno di loro era devoto fino alla fine, ma solo fino ai propri desideri.

Così erano gli anemoi.

I venti non conoscevano padrone o fedeltà che non fosse quella che più li appagava, per natura, erano creature audaci, volubili e selvagge. Le più libere per eccellenza su tutte le altre.

Nessuno che non avesse mai volato nella pura aria poteva comprende quel sentimento di leggerezza e furtività e, forse, anche chi poteva farlo non lo comprendeva a pieno.

 “Questo è un discorso da mortali Jason, io sono una dea” aveva replicato con voce elettrica, i capelli biondo ardente erano percorsi da piccoli fulmini sottili e come i lupi temporaleschi – simili a quelli che lo avevano aiutato a Jotunheim – avevano risposto a Jason, mentre cavalli rombanti – come Tempesta – avevano risposto a Thrud.

I lupi erano creature avulse agli dèi germani, per la maggior parte, loro nemici, come erano stati per i greci. Ma la Lupa era la Madre di Roma e Jason era un fiero figlio della Lupa. E lui era fiero di quelle bestie.

“Una dea che sta volutamente conducendo il mondo alla distruzione” aveva considerato Jason e quella situazione aveva ricordato a lui Kym che si era alleata con Gea perché voleva attenzione; Thrud voleva il suo fidanzato e non vedere la sua famiglia morire per la fine del mondo.
Jason non sapeva neanche come affrontare la cosa, neanche come parlare con Thrud, ma non poteva, perché era ovvio che la sua amica avesse già risposto a tutte le sue domande e si fosse convinta dell’eccepibilità della sua tesi.

I cavalli di Thrud avevano dato la carica, in una sfuriata di tonanti zoccolate che avevano roborato il cielo d’oro di Vanaheimr, mentre i lupi con furiosi ringhi aveva ricambiato la cavalcata.
Jason non avrebbe potuto perdere, non contro Thrud anche se ella era una dea, aveva sconfitto giganti, Percy più giovane di lui aveva vinto anche dei, e Jason non sarebbe stato da meno.

Mentre tra nitriti ed ululati l’aria si impestava di tempesta, aveva cercato di racimolare da ogni piccola porzione della sua memoria qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse guidarlo su Thrud. Ma niente sembrava guidarlo in tal senso, sentendo solo rabbia zampillare in lui, ripensando a tutti i sorrisi allegri e divertiti, così come le volte che la giovane valchiria l’aveva sempre confortato ed aiutato a modo suo – per quanto non fosse stata guidata da nessuna altruistica ragione.

Jason avrebbe voluto urlare di rabbia mentre continuava a ripetere nella sua mente le stesse scene, in eterno, come in un brutto film di cui Glam avrebbe sicuramente saputo il nome … e mentre una rabbia elettrica sorgeva in lui, Jason aveva sentito un’energia diversa.

Qualcosa era squillato letteralmente dentro di lui, dritto dalla sua ghiandola pineale!
Non aveva mai sentito una sensazione simile, neanche quando il Wyrd lo aveva guidato dai due Vali, non riusciva neanche a spiegare quella sensazione era come un incendio che bruciava nell suo corpo, dalla sua testa e si manifestava anziché in fuoco vivo, in una idea!

Era come se la proverbiale lampadina si fosse accesa della sua testa, dalle sue folgori e per un momento si era sentito come Leo, quando aveva una di quelle sue trovate inaspettate.

Aveva avuto un’idea.

Qualcosa che sembrava leggermente fuori da se stesso, ma era un’idea.

Aveva evocato un fulmine nella sua mano, una piccola palla di incandescente energia elettrica blu luccicante che aveva poi scagliato. Thrud l’aveva evitata svelta, con un verso di scherno, “Palle, Jason? Prova con delle saette!” lo aveva provocato lanciandoli di forza una tromba di vento.

 

Jason non si era dato per vinto e ne aveva sfornato un altro, che aveva mancato Thrud di nuovo, mentre con fatica cercava di non disperdere il potere.

Era difficile manovrare tutta quell’energia, forse era meno potente della tempesta di fulmine a Jotunheim, ma era più prolungato. Durante la competizione di biathlon aveva squarciato il cielo, ma era stato un momento, in quell’occasione era molto, molto, peggio. Aveva formato un altro fulmine e lo aveva lanciato, questa volta non aveva neanche cercato di colpire Thrud.

E la valchiria aveva realizzato qualcosa, “Che stai combinando Jason?” aveva chiesto, osservando come la palla d’energia era esplosa in un nervo di saetta.

“Quella è … Oss?” aveva chiesto riconoscendo la forma che il fulmine aveva preso, “Circa” aveva mormorato Jason, creando Peorth con i fulmini, la conca vuota da riempire. Thrud aveva chetato i suoi venti per allontanarlo, ma Jason era riuscito a creare un altro per imprigionarla.

Thrud aveva provato ad evocare un fulmine ma aveva fallito. Oltre questo si era accorta di non avere più la presenza dei venti a sorreggerla e se non era crollata al fianco come una frittella era perché Jason aveva ordinato ai grossi lupi di vento di sorreggerla.

Con fatica Thrud si era aggrappata al garrese di un grosso lupo composto di venti e vapore così denso da averle permesso una presa.

“Come … come è possibile?” aveva chiesto spaventata.

“Nyd, Rad capovolto, Oss, Peorth e Is” aveva spiegato netto. “Cos … Sono rune anglosassoni” aveva esclamato lei con terrore, “Sì. È una prigione per un dio” aveva detto pratico Jason, “Ho copiato dalla signora Heidi.”
L’espressione di Thrud era passata dal puro orrore di non poter evocare i suoi poteri a puro stupore. “Tu non puoi aver padroneggiato l’arte delle rune! Non puoi aver imparato le rune per osservazione” aveva esclamato la figlia di Thor con stupore e indignazione negli occhi.

“Ho bevuto dalle acque di Mimir, merito del tuo capo, quindi sì, ho acquisito una conoscenza che non possedevo” le aveva spiegato – e avrebbe dovuto pagare prima o poi quel sapere – “Inoltre, be, sono romano, la nostra forza principale è basata sul prendere qualcosa è migliorarlo!” aveva detto sfacciato. Aveva sollevato una mano e comandato al lupo di vento di scendere di quota fino a che entrambi non fossero stati con i piedi a terra. Erano però ancora prigionieri del cerchio aereo di rune elettriche, Jason si chiedeva quanto ancora avrebbe potuto reggere senza consumarsi.

 

“Gullveig ti ha fatto abbeverare alla fonte della conoscenza?” aveva esclamato Thrud tirandosi in piedi, aveva le gambe che le tremavano, “Non ha senso” aveva ammesso.

“Sì, be, ho imparato che il wyrd raramente lo ha” aveva risposto schietto lui, “Tipo tu che rischi di far morire un mondo intero e scatenare una guerra tra pantheon per avere un appuntamento con il tuo ragazzo” aveva ammesso, “Cioè, non potevi parlare con tuo padre e basta? Lo so perfino io e mio padre è Giove!” aveva esclamato quasi indignato.

“Hai rimosso la parte sull’universo deterministico e la mia famiglia che morirà?” aveva chiesto retorica e leggermente indignata la valchiria. “No, ma sono arrabbiato con te” aveva ammesso lui, “Tu sei la mia valchiria!” le aveva detto.

Un’espressione di pentimento e vergogna si palesa sul viso di Thrud, “Comunque avrei riportato il cinghiale in tempo” cerca di giustificarsi. “Bene, adesso dimmi dove è Astrid? E i piani di Heidi? E come hai buttato in mezzo Kym!” aveva esclamato.

Kymopoleia poteva essere una terribile signora dei mari, poteva aver agito per le più egoistiche ragioni e solo qualche ora prima commesso un massacro – ma anche Thrud doveva risponderle. “A proposito di questo lo sai che una nave da crociera di persone è morta per colpa di questo casino con la mia anima?” aveva aggiunto. Anche se immagino non ti interessi, aveva pensato. Perché Thrud poteva sembrare terribilmente umana, ma era ancora una dea figlia di due dee.

“Mia nipote è con quel ragazzo, il figlio di Frey, il suo fidanzato” aveva soffiato, “E onestamente non so i piani di Gullveig, non è che sia proprio una cattiva di James Bond che annuncia i suoi piani ai tirapiedi, tipo me. Un giorno è venuta è mi ha detto: ei ho un piano per annullare in Ragnarok e per permetterti di stare con il tuo fidanzato, ma abbiamo bisogno della tua amica straniera” aveva raccontato, impegnandosi anche ad imitare la voce di Heidi; sfortunatamente non era somigliata per niente.

“E tu hai pensato: sì, certo. Diamo retta alla strega cattiva?” aveva chiesto retorico Jason. “Forse non hai mai sentito la vera voce di Gullveig, Jason. Ma lei ti entra dentro, lei è la signora dei Seidr, la prima, più potente di Freya e Frigga” aveva spiegato Thrud con un tono acuto e infastidito, “È lei che ha portato la magia dei vani agli aesi per prima” aveva spiegato.

 

Jason l’aveva sentita la suadente voce di Heidi, più potente della lingua ammaliatrice di Piper, più potente delle volontà insidiosa di un eidolon. Quando Jason era stato posseduto dallo spirito, era stato come essere prigionieri in un corpo che non rispondeva e quando aveva sentito la lingua ammaliatrice della progenie di Venere era stato come se la sua mente non fosse più riuscita a raggiungere il suo corpo, ma la lingua dorata di Heidi era stata diversa. Jason si era semplicemente sentito spinto a volere quello che lei voleva.

Era rimasto in controllo del suo corpo per tutto il lasso di tempo e la sua mente non era naufragata in liti lontani, era solo che dentro di lui si era accesa morbosa e senza controllo una sete. Una sete di qualsiasi cosa lei avesse gradito. Era stato arsito dal bisogno e lei lo aveva dissetato.

incantò, dovunque poteva, incantò i sensi’ così Glam lo aveva costretto a studiare durante il loro incontro onirico. Gulveig era la corruzione fatta in carne e magia.

Jason aveva cominciato a sentire le gambe farsi molli, mentre cominciava a sentire il potere che stava esercitando cominciare a drenare fuori la sua energia.

 

 

Un roboante rumore lo aveva distratto, ambedue avevano fatto schizzare gli occhi nella medesima direzione, lontano, ma sempre più vicino, velocemente, una colonna di fumo, terra e aria stava tagliando i campi verdi folti e pieni, nella loro direzione, accompagnato da uno scalpitare furioso.

“Cos’è?” aveva chiesto Jason con una preoccupazione evidente nella voce, stringendo la presa su Giunone, “La cavalleria” aveva detto spenta Thrud, “La tua cavalleria” aveva specificato, offesa, candendo sull’erba poi a gambe incrociate.

Jason aveva aguzzato gli occhi dietro le lenti d’oro ed aveva visto una mostruosa figura correre verso di loro. Era una bestia quadrupede rande come un orso grizzly il cui manto era giallo come l’oro e luccicante sotto la luce calda del sole di Vanhaimer …su cui a malapena si vedevano due figure umanoide sulla groppa. Ed erano splendenti come stelle. La creatura sembrava davvero una lampadina luccicante.
“Hanno trovato il verro” aveva esalato Jason, con il cuore leggero.

“Ti ho detto che era una situazione sotto controllo; il maiale era perfettamente al sicuro qui nella terra dei vani” aveva biascicato Thrud, che si era accomodata come una quaglia sull’erba, con le gambe accavallate all’indiana, e le braccia incrociate sotto il seno.

“Sono contento di sapere che un mondo che è sempre illuminato non morirà a causa di un buio perenne” aveva risposto Jason al suo commento.

“Il sarcasmo non fa per te” aveva ridacchiato Thrud, “Lo so” aveva sospirato Jason, “Se riuscirò a sopravvivere a questa settimana chiederò a mio cugino di darmi ripetizioni.”

Thrud aveva riso, “Il fratello di Kym, vero? Lei dice che è uno moccioso irritante” aveva commentato.
Jason si era morso l’interno della guancia.

 

Gullinbursti non sembrava un vero verro, non solo per la stazza da orso – che da vicino sembrava ancora più immenso – e con la peluria composta di setole d’oro scintillanti sotto la luce del sole, ma sembrava somigliare più ad un cyborg-verro, con giunzioni in metallo dorato, bulloni e ingranaggi e luminoso come una lampadina. “Non è …naturale” aveva esclamato Jason, insicuro delle sue parole. “Dillo a qualcun altro!” aveva ringhiato il maiale dopo un grugnito poco amichevole.

Jason aveva sollevato le sopracciglia – non sapeva neanche perché dovesse dichiararsi stupito, aveva visto cose più strane. “Ti prego non provocarlo!” aveva sibilato Fred con la sua voce opaca e fredda, mentre smontava dall’immane bestia, “Gullinsbursti è senziente, Jason!” lo aveva rimproverato bonariamente Stellan. “Ovviamente, non sono nato da Scrofa ma sono stato creato dalle portentose forge di Nidavellir” aveva ammesso imperioso il verro, “Non come la bestiaccia che soggiorna qui” aveva aggiunto tronfio.
“Parla di Hildisvíni il cinghiale da battaglia della Signora Freya, lo abbiamo trovato nel suo recinto” aveva spiegato pratico Stellan, che era rimasto a cavallo della bestia, rispetto qualche ora prima sembrava più emaciato e spento, ma non scintillava più come una fiaccola. “Freya di solito utilizza una slitta trainata da gatti e cavalca il cinghiale solo in battaglia, ma ultimamente non ci sono state guerre e per tal ragione il cinghiale è stato lasciato un po’ a sé. In realtà era molto contento di avere compagnia e … credo che anche a Gullinbursti andasse a genio” aveva spiegato concitato Stellan.

Jason nel mentre era scivolato per terra, sull’erba fresca, incapace di reggersi più sulle gambe, ma ben attento a non perdere controllo sui suoi fulmini, che erano rimasti sfrigolati nel cielo.

“Quel cinghiale è pomposissimo e non ha neanche un pelo bello e irsuto come il mio” aveva soffiato il verro magico. “Un ottimo nascondiglio, in un mondo molto luminoso, nell’unico altro recinto abbastanza resistente per contenere un verro magico. Chiunque sia dietro questa storia è stato bravo. Proprio sotto il naso di Freya” aveva considerato Fred. Degno di Heidi.

Jason avrebbe dovuto metterli al corrente di tutto, ma aveva chiesto invece: “Come mi avete trovato?”, sapeva di essere ancora Vanaheimr, il mondo era luminoso e sorprendentemente bello e calmo, ma non erano più nei campi di battaglia dell’oltretomba governato da Freya.

“Ho percepito una concentrazione di magia così forte che è stata impossibile ignorarla” aveva risposto Fred, prima di sollevare gli occhi verde-oliva verso il cielo.

Lì nel cielo terso, senza neanche una nuvola, forme – rune – elettriche scintillavano in cerchio sopra le loro teste. Anche Stellan aveva seguito il suo sguardo, boccheggiando qualcosa – leggeva le rune probabilmente, era un praticante di alf seidr ma probabilmente non era ignorante su nessun tipo di seidr.

“Costa sta succedendo qui?” aveva chiesto inquisitorio Fred, deviando lo sguardo dal cielo per far saettare lo sguardo tra lui e Thrud.

Jason aveva fatto un breve rendiconto, accertandosi di riportare tutto – meno qualcosa, meno la cosa di Astrid.
“Dietro tutta questa storia c’era Guillveig detta Heidi, che ha rapito prima il cinghiale poi Mimir. E vuole distruggere il tessuto spazio-temporale del nostro mondo, ma non per vendetta. Ti ha costretto a bere dalla fonte di magica, hai imparato la magia runica per osmosi e Thrud, rinomata valchiria, figlia di Thor e Sif, lavora per la strega delle streghe. E tu sei qui perché lei in combutta con una dea marina romea ha lavorato per questo” aveva esclamato Stellan, ammirato, spalancando gli occhi azzurri luccicanti.

Fred si era focalizzato su altro: “Stellan, ti prego non essere così entusiasta” lo aveva rimproverato, “Jason; primo: quanto pensi possa durare la tua prigione? Mi sembri già a terra” aveva chiesto, “Secondo: hai di nuovo la faccia di uno che sta nascondendo qualcosa” aveva asserito. Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Primo: non lo so” aveva ammesso, “Per ora posso resistere, ma chiaramente la cosa mi sta consumando” aveva spiegato pratico, mentre sentiva gli occhi cominciare a farsi liquidi “Sì ti sto nascondendo ancora qualcosa. Diverse cose, in vero” aveva ammesso Jason.

“Sei colpevole di tutte le cose che stanno accadendo” lo aveva preso in giro Fred, “Anche” aveva risposto lui. “Ma perché? Non sei il primo figlio di dio straniero che finisce dalle nostre parti” aveva valutato il ragazzo chiudendosi le dita sul mento, attento e riflessivo.

Il figlio di Gerd era stato il primo a riconoscere nella presenza di Jason qualcosa di sospetto, prima di lui stesso, “Pensi centri con l’intervento della dea romea?” aveva considerato poi, “In realtà vorrei concentrarmi su un'altra cosa: Astrid” aveva detto. L’espressione di Fred era passata da riflessiva a rapace, “Cosa?” aveva chiesto con una voce sottile come lo scricchiolio di un vetro. Jason aveva spiegato loro l’inganno con cui Gullveing lo aveva catturato: aveva usato Piper e Astrid.

“Astrid potrebbe essere in pericolo, quanto potrebbe essere tutto falso, ma credo che potrebbe essere vero, ma Thrud ha detto che ora è con il suo fidanzato ma credo che anche Erik lavori per Heidi” aveva considerato Jason. “Erik è un cristiano” aveva replicato Fred, ma non sembrava particolarmente offeso dalla prospettiva.  “Ci sono oltre duemila anni di storia che ti dicono che credere in qualcosa non ti rende una brava persona” aveva soffiato Thrud. “Il punto è che, quando ho nuotato nei fiumi magici ho sentito Mimir – allora non sapevo fosse lui, mi sembrava più una boa pelosa, ma ora lo so – parlare con un figlio di Frey, che era venuto in ritardo, il dio si era poi lamentato di essersi fidato della persona sbagliata. Jarnsaxa ha detto che il messaggio di Guilveig le era arrivato da un einherjar di Fólkvang Astrid aveva detto che il sigillo che proteggeva il cortile di Gerd non era stato rotto, Bee ha detto che ci voleva l’esplicito permesso della signora per arrivare. Quindi o chi è entrato aveva il permesso di Frey e Gerd o un maestro del seid, come Astrid lo ha presentato. Lui ha detto di essere un godijan, ma lei ha detto che era un ergi. E giusto due minuti fa Thrud lo ha appellato come figlio di Frey” aveva spiegato tecnico, “Quindi, ecco, soddisfa molte delle condizioni necessarie.”

Inoltre, c’era la questione delle mele, che Jason non aveva esplicitato, perché sembrava ancora una teoria rada.
Quando Jason aveva lasciato l’Hotel Valallah la prima volta con Thrud – quando Jarnasaxa aveva di proposito allontanato Gerd dalla sua casa – avevano incontrato Freydis ed Einar, con un loro compare, che avevano cercato di abbandonare l’hotel.

Sempre era la delizia di spose malvagie, così aveva detto Glam riferendosi ad Heidi.
Sembrava un po’ sessista dirlo ma Guilveig agiva tramite le donne, forse perché erano quelle che facevano più uso della magia, rispetto gli uomini.

 

“Putain!” aveva esclamato Fred con una rabbia e rancore; Jason si era voltato verso Thrud che era ancora seduta per terra con espressione insofferenza, “Non guardate me. Parte del suo fascino è non condividere i dettagli. Pensi che io avrei mai collaborato con l’amante di mio padre?” aveva chiesto ironica.
“Avresti potuto, avete un paio di cose in comune” aveva considerato Jason, “Tuo padre vuole tenerti lontano dal tuo amato, quanto tuo nonno vuole tenere tuo padre lontano da lei.”

Un’espressione confusa si era dipinta sul volto bello di Thrud, “Non l’avevo mai vista così” aveva ammesso.
Stellan si era voltato verso il verro, “Venerabile Gullinbursti potrebbe raccontarci la storia di come è stato rubato?” aveva chiesto con un tono di voce reverenziale.

“Non lo avevate ancora chiesto?” aveva indagato Jason, “Ti sei mai trovato ad un quadrello di distanza da un grosso cinghiale magico infervorato?” aveva ringhiato Fred, “No, ma ho affrontato sei giganti in cinque diverse occasioni, anzi facciamo sette buttandoci dentro anche un jotun” aveva risposto.

“Devi lavorare sull’acume delle tue risposte” lo aveva preso di nuovo in giro Thrud – no, Jason non pensava che avrebbero avuto l’idilliaco rapporto tra Einerjhar e Valchiria che avevano Mel e Kráka o Magnus e  Samirah. “Rubato? Ti paio, giovane elfo, un paio di calzari che possa essere rubato? Al massimo rapito! E anche con la giusta dizione, ti paio una bestia che possa essere rapibile? Io sono il potente Gullinbursti, dal verro d’oro, così veloce da non affondare sulle acque” aveva replicato offeso il cinghiale ed un'altra serie di improperi avevano seguito quelle frasi, “Cosa è successo?” aveva chiesto Jason, “Nobile Gullinbursti” aveva aggiunto rispettoso poi, notando il tono con cui prima si era rivolto Stellan. “Oh, be, il giovane figlio del padrone si è palesato ed ha detto che suo padre lo aveva mandato a prendermi, perché facessi un po’ di compagnia a quella tronfia bestia di Hildisvíni. Odio quel cinghiale, ma il padrone è buono ed ama molto sua sorella” aveva spiegato il verro, “Aveva senso, mi sono detto: il padrone era andato a caccia con i suoi servi, la cameriera era in licenza e la signora aveva abbandonato la casa” aveva aggiunto, “Con me era rimasto solo il giardiniere, ma il giovane elfo esce poco in cortile.”

Stellan si era fatto viola-blu in viso.

Il tono del verro aveva avuto una sfumatura un po’ melanconica e triste e Jason aveva intuito che l’animale non gradisse stare da solo, ma fosse orgoglioso. Probabilmente aveva interpretato le azioni del suo signore come una scusa: era lui ad aver bisogno di compagnia e non il cinghiale di Freya.

“Non è che per caso il figlio del signore si chiama Erik Freydisson?” aveva provato Jason, “Quello il suo nome è. Il giovane Erik dai capelli d’oro” aveva ammesso il verro, “Il signore non ha mai avuto molto acume nello scegliersi le donne” aveva proferito, “La sua ardita sorella, la sua bisbetica Signora moglie, l’affamata Liv Dagsdotter[3] e quella donna Chase maledetta[4] ma sicuramente Freydis Eriksdottir era la più serpe delle serpi” aveva spiegato il cinghiale.

 

Jason aveva guardato Fred con un sopracciglio alzato, “Vuoi gongolare? Questa storia è possibile per colpa tua” aveva liquidato la questione l’altro, “Mi importa più di Astrid” aveva aggiunto, “Andiamo a cercarla”, “Non così in fretta” lo aveva richiamato Jason, “Cioè, volevo dire: andiamo subito, però prima forse recuperiamo Mel e Madina e … aiutatemi ad uscire da questa situazione” aveva spiegato, ammiccando alla giovane donna prigioniera del cerchio magico.

“Dobbiamo riportare anche Gullibursti a casa” aveva aggiunto agitato Stellan, “Astrid ha la precedenza” aveva soffiato Fred. “Sì, ha la precedenza, ma nel momento in cui allenterò la pressione, lei sarà libera e …” aveva provato Jason. “Ho imparato a riprodurre le rune non la magia runica” aveva aggiunto imbarazzato. Stellan si era voltato verso Fred, lo stava guardando alla stessa maniera di Jason, con una certa aspettativa. Il figlio di Gerd li aveva guardati con espressione confusa, sotto il loro medesimo sguardo, “Voi … voi volete che lo faccia io?” aveva chiesto retorico.

“Sei un ergi, no?” aveva provato Jason, incerto, “Hai fatto quella cosa con le luci prima” aveva aggiunto.
“Odio ricorrere ai talenti di mia madre” aveva detto offeso.

Poi si era voltato verso Stellan, “Dammi una verga” aveva soffiato, l’elfo aveva fatto germogliare da terra una pianta dal tronco verde, troppo giovane per essere un albero, “Scusa” aveva detto imbarazzante quello, davanti l’acido sguardo accusatorio di Fred. Jason si era chiesto dove fosse finito tutto il potere distruttivo che aveva tirato fuori contro Agrippina Minor.

“Lasciamo perdere” aveva soffiato il monaco francese, sfoderando dal suo fianco la sua spada magica, quella aveva emesso un’intensa luce rossastra – la guerra era vicina.

“Non conosco bene queste rune, quali sono?” aveva chiesto Fred, “Anglosassoni” aveva ricordato Jason. Fred si era voltato con gli occhi spalancati verso di lui, sconvolto, “Ah già che c’era la prossimità volta scrivilo anche con l’alfabeto fenicio, eh” lo aveva rimproverato.

“Scusami, quando torniamo all’Hotel chiedo a Bragi se mi insegna a progettare una prigione per un dio con rune più di tuo gusto” aveva replicato Jason. “Questa volta ti è venuto bene” lo aveva lodato Thrud, non aiutando la situazione.

Fred aveva sbuffato, stanco, “Sai è difficile di per se gestire una magia, il seidr è il più grande potere ma può disperdere morte, se usato inconsciamente o male; io sto utilizzando una spada come seidrstaf[5] quindi non sto esattamente seguendo le regole, inoltre io, contro la mia volontà, pratico il seidr che è ben diverso dalla magia runica” aveva cominciato a spiegare Fred mentre  incideva sull’erba fresca le rune che erano presenti in cielo fatte di fulmini, “Inoltre, le rune anglosassoni mi sono piuttosto ignote” aveva aggiunto arrabbiato, mentre osservava attentamente i movimenti di Thrud, che era ancora seduta per terra.

“Per nulla rassicurante” aveva detto Stellan nervoso, “… ma fortunatamente, si fa per dire, le regole di un mondo assai preciso ora stanno collassando. Quindi forse funziona” aveva scherzato forzatamente Fred.

“So già la risposta, ma lo chiederò comunque, non abbiamo modo per mandare un messaggio?” aveva chiesto Jason, ricordando la conversazione che aveva avuto con Madina, dove lei aveva citato un gorilla gonfiabile. “Così possiamo avvertire Samirah” aveva aggiunto, pensando al sogno in cui la dea Frigga aveva incaricato la giovane valchiria di ritrovare la testa scomparsa di Mimir.

“Skirnir è la cosa più simile ad un dio messaggero, ma non credo che ci darebbe molto retta” aveva considerato Stellan, “Un ergi particolarmente dotato potrebbe usare la magia per mandare messaggi. Ma ehi, io non sono uno particolarmente dotato, penso che voi due siate più talentuosi di me” si era lamentato Fred.

Le rune che stava incidendo nella terra erano abbastanza grandi, quanto due palmi di un uomo adulto affiancati e profonde nella terra almeno cinque centimetri.

Dopo ogni runa, che Fred aveva inciso, si impegnava a spostare la terra con le unghie per essere sicura non si deformasse di neanche un millimetro. “Non esiste davvero un modo per comunicare?” aveva chiesto Jason con un tono quasi lacrimoso, sconvolto da quel caotico sistema.

Tra greci e romani esistevano almeno tre-quattro mezzi: le Aquile, i messaggi di Iris e Fiocca, le raccomandate di Hermes e la ferrovia dei sogni dei figli di Morfeo e Hyponos. “Davvero? Nessuna magia? Creatura, incantesimo? Dio?” aveva chiesto di nuovo.

“Sei sordo? La magia stessa. Se sei un mago abbastanza bravo puoi mandare un messaggio” aveva risposto Fred infervorato. Stellan si era morso un labbro, soppesando bene qualcosa, prima di schiudere le labbra, “Forse” aveva ammesso.

Jason aveva fatto scattare la testa verso di lui, anche Thrud, sinceramente interessata, e anche Fred, stupito e confuso. Stellan era diventato lo stesso color blu dei mirtilli e il verde delle sue vene era risaltato come sulla carta, “Mi sento molto imbarazzo” aveva ammesso, “Mia sorella” aveva ricominciato a parlare. Jason aveva pensato all’elfa del suo sogno, con l’espressione carica di rabbia e rancore, “Mi ha detto che in alcune parti dei nove mondi, al di là, del nostro cortile, diciamo, esistono degli esseri che portano messaggi” aveva cominciato imbarazzato, “Non solo persona ma anche tra vivi e morti” aveva spiegato. “Ingrid è una personalità focosa e come me è capitato che lasciasse Alfheim … una volta ha conosciuto della gente di Túatha Dé Danann” aveva spiegato.
“Ti prego non raccontarci tutta la tua vita, voglio solo sapere le creature” aveva replicato Fred, senza particolare cortesia. Jason lo aveva fulminato con lo sguardo per la scortesia ma non aveva voluto dire nulla, perché comprendeva la necessità di velocità.
Astrid poteva essere stata rapita, Jason doveva prepararsi ancora all’Holmagang.
“Le api” aveva spiegato Stellan. “Api?” aveva chiesto Fred confuso, “Api?” aveva ripetuto Jason, “Oh!” aveva esclamato Thrud, “Come pensate di chiamarle? Ballando la samba?” aveva chiesto poi divertita.
“Abbiamo almeno un dio delle api?” aveva chiesto invece Fred arrestando le sue incisioni nella nuda terra, Stellan aveva annuito, “Sì. È un amico della signora Gerd, anche se non è proprio un … dio” aveva considerato Stellan. “Chi lo avrebbe mai detto che come sempre in questo mondo le cose sono sempre mai come dovrebbero essere?” aveva chiesto Fred retorico.

Gli occhi di Thrud si erano ridotti a due spilli, forse confusa, forse no, ma Jason sapeva di chi stava parlando. “Bee” aveva detto attirando l’attenzione.

“Cosa?” aveva chiesto Stellan, “Stai parlando di Bee, volevo dire Bylest!” aveva risposto.
Lo jotun che aveva sempre le api con se e che permetteva alle sue ragazze di passare da un mondo all’altro e raccogliere il polline dai fiori del cortile di Gerd.

Sì.

“Oh! Il fratello di Loki Laufysson!” aveva esclamato Thrud, dando voce ai suoi pensieri.
“Bene, come lo chiamiamo questo Jotun che sicuramente non vedrà l’ora di aiutarci?” aveva chiesto Fred.
“Come si fa sempre? Ti siedi e preghi sperando che qualcuno arrivi?” aveva proposto Stellan.
Faceva abbastanza schifo come piano.

“Credo che senza un sacrificio non verrà nessuno” aveva sospirato Jason. “Di solito nei Blot” aveva parlato Fred, “Così mi ha detto Astrid si chiamano i riti che prevedono agli dèi, si sacrificano, per l’appunto, animali e-o persone, ma non solo, anche oggetti” aveva cominciato Fred. “C’è bisogno di un godijan, un sacerdote, come Erik, ma forse anche un ergi, come me, può andare bene. L’importante è ciò che si sacrifica, qualcosa che abbia valore, qualcosa che gli dèi possano consumare” aveva ricordato. “Inoltre, ecco, credo che tu sia comunque un godijan? Sei un monaco, giusto? Alla fine, Erik era un prete cristiano, pure” aveva ponderato Jason, quasi rimpiangendo di non aver ascoltato i consigli di Terminus e non aver intrapreso il corretto corsus honorum e non essere diventato Pontifex Maximus.

“Ad Alfheim non facciamo più queste cose, la gente preferisce i cocktail party e i video di piccoli gnomi che fanno i buffi” aveva cominciato Stellan, “Ma di solito deve essere un luogo sacro” aveva mormorato. “Non posso credere che un cristiano debba spiegarvi che ogni luogo è sacro se è ritenuto tale. Comunque, siamo alla presenza di una dea” aveva detto, ammiccando a Thrud. “Sapete? Nessuno mi definisce mai così” aveva considerato quella, con un’espressione leggermente adirata.

“Ti sei chiamata dea tutto il tempo” aveva considerato Jason, “Sì, io mi considero tale, ma per tutti sono solo una valchiria estremamente potente. La Possente Thrud, mai la Dea Thrud e nessuno mi ha mai definito sacra” aveva quasi gongolato. “Ovunque risieda un dio e un luogo di culto, sì” aveva ammesso Jason, ricordando una vecchia lezione e decidendo di ignorare apertamente la sua valchiria.

 

Rimane, perciò, insoluta una domanda era: cosa offrire? Oltre la sua vita?

Aveva la sua libertà ma era già in palio per qualcos’altro, restava solo Giunone e … aveva abbassato lo sguardo sul suo avambraccio, dove sapeva esserci il suo tatuaggio.

La morte lo aveva privato dell’unica perla che Chirone gli aveva dato, per celebrare la sua prima e unica estate di campo, e il taglio sul suo labro, che avevano reso il suo viso la Faccia di Jason Grace, non ricordava un giorno che non l’avesse avuta sul suo viso, troppo piccolo per ricordare un tempo prima.

Non aveva più niente, solo quattro lettere, una saetta e le bande che segnavano il suo tempo a Nuova Roma e a Campo di Giove.

Sapeva che cosa sacrificare a Bee e sapeva che lo Jotun se ne sarebbe nutrito con sommo gusto e divertimento.
Fred aveva inciso l’ultima runa ed aveva infilato la spada nella terra, dove le sue rune luccicavano di un rosso tempestoso e poi aveva detto con voce cupa: “Frederic da Clermont, cavaliere dell’ordine equestre del Santo Sepolcro e spada di Dio sceso in terra, figlio di Gerd, ho eretto questa prigione per Thrud La Possente, figlia di Thor e Sif, ne stimata e traditrice del suo signore Odino” e nel farlo aveva usato il filo della lama per tagliare un palmo della mano, imbevendone il  sangue che era gocciolato lungo il ferro, fino a bagnare l’erba e la terra.

Le rune si erano illuminato dello stesso vibrante rosso della sua spada, prima di affievolire in tenue rosso che era rimasto acceso, come una luce tenue e soffusa. “Va bene, Jason, preparati a togliere il tuo potere” aveva stabilito Fred.

Jason aveva sollevato le mani ed aveva richiamato i fulmini che si erano dissipati in schioppetti di luci e folgori fino ad assopirsi e tutto quello che caricava l’aria di magia si era rotto. Ed improvvisamente lui si era ritrovato con l’aria dei polmoni, come se fosse uscito da una tomba, di nuovo vivo.

Fred aveva impugnato la lama e Stellan sollevando le mani pronto ad attaccare nel caso che Thrud si fosse liberata. La valchiria aveva allungato una mano ed aveva incontrato un muro d’aria davanti a lei, “Preferivo quella di Jason era più larga ma … questa è decisamente più respirabile” aveva considerato, “Mi dispiace Frederik ma credo che Jason sia un semidio più potente e forse anche un ergi più promettente.”

Fred l’aveva guardata: “J’en ai rien à foutre. Sono un seguace dell’unico vero Dio e del tuo parere non mi importa” aveva risposto seccato e cattivo.

“Bene, pensiamo al sacrificio” aveva considerato Jason, riuscendo a sollevarsi dalla posizione in cui si era seduto, quando aveva sentito i muscoli ricominciare a funzionare bene ed essere capaci di sostenerlo nella posizione eretta.

 

Fred l’aveva guardato con i suoi occhi verdi intensi, “No” aveva stabilito poi, “Avevo pensato fosse una buona idea perché non credevo di avere abbastanza abilità per tenerla prigioniera, “Pensavo che avrebbe dovuto combattere fino all’arrivo della Squadra Suicida di Samirah. Ma, ecco, con Gullinbursti potremmo essere a Fólkvang in pochissimo e lì avremmo tutte le valchirie che vuoi Jason. Oltre Madina e Mel” aveva considerato l’uomo, “E se dobbiamo affrontare uno stregone esperto di alf seidr e figlio del diavolo come Erik Freydisson abbiamo bisogno di tutto l’aiuto che possiamo” aveva terminato.

“Quindi la lasciamo così?” aveva chiesto Jason, ammiccando alla dea seduta tra le rune. “Non hai paura che la tua prigione si sciolga appena ti allontani?” aveva chiesto preoccupato, “Jason, che mi piaccia o no, sono un Ergi, non sarò uno bravo, non sarò uno potente e non avrò il potenziale, ma sono uno stregone. Un incantesimo non decade solo perché ti allontani, il tuo lo avrebbe fatto perché era fin troppo arzigogolato, le rune erano letteralmente fulmini che hai creato con le tue forze. Ma queste sono rune incise e sigillate con il sangue, forse Heidi potrebbe liberarla sì” aveva considerato Fred, “Ma lo farà? Tornerà qui ad aiutarla? E se così fosse? Tutto quello che Thrud doveva fare era chiuderci qui. Ora sappiamo il suo segreto e se non moriamo definitivamente, be, il suo segreto sarà pubblico” aveva stabilito con fierezza.

“Allora, ciao Thrud e addio” aveva detto Jason, guardando la sua valchiria con voce triste, “Per quello che vale, Jason, mi dispiace. Sul serio, volevo solo che la mia famiglia vivesse, che la fine del mondo non arrivasse mai e che io potessi stare con l’uomo che amo” aveva sospirato lei. “Lo fai sembrare molto ragionevole” aveva ammesso Jason, triste.

Perché Jason comprendeva quel sentimento, davvero, nella sua forma più pura, era morto per quello, sarebbe morto ancora ed ancora per quello.

Avrebbe fatto ciò che era possibile per un solo altro minuto con Piper, per rivedere i suoi amici e per … evitare che il mondo finisse. Era pronto ad essere la tempesta che avrebbe fatto cadere il mondo.

Avrebbe dato tutto per salvare i suoi amici … anche Thrud.

Ma unirsi ad una terribile strega della vendetta?

Avvelenatrice di menti?

È lastricata di buone intenzioni la strada per l’Inferno” aveva considerato Fred, nonostante le sue parole e la sua solita attitudine, non c’era malizia né ferocia nelle parole del monaco, ma erano solo una fredda costatazione.

Forse nel mondo norreno non c’era un inferno vero e proprio in cui le anime avrebbero dovuto fare i conti – o forse sì, con i quattro aldilà Jason era confuso, come era confuso dalla scala dei valori di quel mondo – ma sembrava una risposta appropriata.

Thrud aveva abbassato gli occhi e per la prima volta non era sembrata una terribile valchiria ma una giovane ragazzina piena di sensi di colpa.

 

“Magari, quando torniamo al Valhalla possiamo chiedere a Bragi di mettere una buona parola con …” aveva provato Jason, ma era stato interrotto da Fred, “Non prendertela troppo a cuore, Jason, le daranno massimo una bacchettata sulle mani” aveva detto, “Non è una ragazzetta senza arte né parte, è una dea, figlia di Sif e Thor.”

Lui si era morso il labbro, aveva pensato a suo fratello Apollo, che era stato punito da loro padre con la mortalità e costretto a lavorare come servo. ‘Non dimenticare’ gli aveva detto e Jason sperava non dimenticasse, così come guardando Thrud non sapeva cosa sperare.

Capiva le sue motivazioni, ma le sue azioni erano state avventate e quasi criminose, eppure …
“Come stavo dicendo, parlerò con Bragi perché metta una buona parola con tuo padre sulla cosa di Aviss” aveva ripreso a parlare ignorando il commento del monaco e tutto quello che frullava nella sua testa.

Thrud lo aveva guardato, spalancando gli occhi pieni di sorpresa, aveva schiuso le labbra, come se avesse voluto dire qualcosa, ma alla fine aveva taciuto, preferendo regalare loro un sorriso quasi dolce, molto meno folle, ma quasi adorabile – Jason si chiese come fosse possibile essere così volubili – e contro ogni previsione aveva parlato ancora: “Prima devo dire di no, ma ora lo capisco bene cosa lei veda in te.”

Jason pensava di sapere di chi stesse parlando.

Fred aveva fatto roteare gli occhi, piuttosto insofferente, dirigendosi verso il verro d’oro che era stato ben felice di non curarsi di tutta quella storia per gironzolare in giro con un certo gusto, probabilmente Gullibursti era il tipo di creatura a cui piaceva stare in mezzo agli altri senza doverci interagire.

“Prima che tu lo dica Jason, probabilmente non è un addio” lo aveva anticipato Thrud, scivolando supina sull’erba, quasi rilassata, “Va bene” aveva detto solamente Jason, “Ava atque vale, come si dice dalle mie parti” le aveva detto.

Ciao e ti saluto.

“Farvel[6], Lady Thrud” disse posato Stellan, facendole quasi un inchino. Lei aveva annuito, con gli occhi chiusi, quasi come se si stesse condendo una pausa rilassante, stesa in un campo, e non in una prigione di rune e poi aveva parlato, congedandosi da loro: “Farvelir[7], prodi guerrieri.”

 



[1] E’ un riferimento allo scontro tra Wanda e Aghata in Wandavision!

[2] Il Javelin come arma è molto romana – ed era una lancia più da lancio che altro – mentre la Spear è proprio la lancia da combattimento e la più antica al mondo (di età del Bronzo) è stata trovata in Germania e possiamo valutare che gli dei aesi siano di origine germanica.

[3] Questo è un delirio. Storicamente Liv Dagsdotter di Vestmar, era la moglie di Halfdan il Mite Re di Vestfold e madre di Guðröðr il Cacciatore Hálfdansson che è stato a sua volta re di Vestfold e anche Re di Romerike (due regni in territorio norvegese); era di origine sueone, apparteneva al clan dei Yngling. Questo particolare Clan si diceva discendente da Frey nella forma del dio Yngvi. I primi re di questa dinastia scadono molto nel mito (insomma come Romolo e Remo figli di Marte o Enea etc), nonostante ciò, è una dinastia storicamente esistita. Dunque, gli storici hanno deciso di porre la linea di demarcazione tra mito e storia nel momento in cui anche cronache non epiche hanno cominciato a parlare di loro, proprio con Guðröðr il Cacciatore, ponendolo come fondatore storico della stirpe dei Figli di Frey. Così, ehi, ho deciso che sua madre si è dilettata con il dio.

[4] Si sta parlando di Natalie Chase, il cinghiale che è molto critico, ha una bassa opinione della donna anche in base a ciò che sappiamo della sua famiglia, che era molto intessuta con il mondo “nascosto”. Personalmente adorerei se Riordan ci raccontasse un po’ di più dei Chase.

[5] un bastone di metallo che veniva probabilmente usato durante i rituali; alla Gandalf intendiamoci.

[6] Era l’addio norreno (in uso fino al 1000 d.C.) quando ci si congedava da una donna.

[7] L’addio norreno (in uso fino al 1000 d.C.) quando ci si congedava da un gruppo di uomini.

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Capitolo 22
*** Nico Di Angelo presta la sua tavola Ouija a qualche spettro e una valchiria ***


Ho modificato il capitolo precedente, davvero solo due cosette.
Oltre questo, ho trovato piuttosto fastidioso scrivere questo capitolo: ma andava fatto.
Voglio comunicarvi che a livello “narrativo” la storia si sta appropinquando al finale, ma a livello di “narrazione” non ho idea di quanto ci vorrà, devo ammettere che una parte che avevo considerato breve potrebbe effettivamente essere più lunga di quanto avessi preventivato, nonostante questo ho deciso di tagliare diverse cose.
Detto questo, ho scritto più di metà del prossimo capitolo, penso sia stata “colpa” della serie tv, nonostante abbia più criticità che altro, mi ha decisamente rimesso voglia di scrivere, sto anche pensando di concludere la saga dei Kane (mi manca giusto l’ultimo).
Un bacio, se tutto va bene, dovrei tornare presto!

Ps - https://www.deviantart.com/rlandh/art/Thumelicus-Mel-from-Confluentes-1022859992 (Ecco a voi un Mel selvatico)

 

Nico Di Angelo presta la sua tavola Ouija a qualche spettro e una valchiria

 

La cavalcata del verro era forte e impetuosa, per questo non ci avevano impiegato molto a raggiungere la folle festa – ben lungi da essere conclusa – che si erano lasciati dietro ore prima e abbandonare Thrud alla sua prigione.
I venti erano aspri e cattivi contro il loro viso, quasi irritati da quanto era stato fatto alla loro padrona; Jason aveva detto che gli anemoi, o come si chiamassero il corrispettivo norreno, non conoscevano fedeltà che non fosse al più forte, ma erano comunque turbati da quanto era accaduto tra lui e la possente Thrud. Anche lui d’altronde era turbato, la Valchiria era la sua valchiria, per quanto poco ortodosso fosse stato il loro incontro, non era dunque normali aspettarsi tra i due un legame imprescindibile?
“Tutto bene?” aveva strillato Stellan, appena dopo che il verro avesse appena spiccato un salto, “Si!” aveva risposto.
 Jason aveva sellato cavalli alati, venti, per fino l’indomito cavallo di Hazel, ma non pensava di aver mai montato una bestiaccia simile. La velocità era imponente e brutale, da farlo quasi sbilanciare e le setole d’oro erano fredde, un metallo duro e rigido, che si conficcavano come lamelle sui suoi polpacci.
Jason non aveva avuto idea quanto lontani fossero finiti prima di quel momento, si chiese quanto Stellan e Fred avessero dovuto camminare prima di raggiungere il recinto, seguendo il percorso di fiori.
Quando erano giunti nei pressi della festa, Jason aveva scorso una figura che imponeva loro di fermarsi; era una valchiria, dal lungo mantello fatto di candide piume di cigno, ma armata di una paletta tonda rossa da vigile urbano.
Bite!” aveva sospirato Fred con un tono quasi sconfitto. Il Monaco crociato era incastrato tra Stellan – che teneva le metaforiche redini del verro – e Jason che era l’ultimo sulla grossa sella di cuoio e per tutto il viaggio che gli aveva separati dal luogo dello scontro con la divina Thrud non aveva pronunciato mezza parola, cosa che non era decisamente da lui. “La conosci?” aveva chiesto Stellan titubante e preoccupato.
La valchiria si era avvicinata a loro, era la più giovane che Jason avesse mai visto, sembrava una ragazzina di tredici anni massimo, con i capelli ricci, pieni di boccoli, di un biondo lucente come l’oro lustrato e un visetto a forma di cuore, con occhi grandi e splendenti come pietre preziose, il sinistro era azzurro zaffiro e il destro rosa quarzo.
“Sì” aveva risposto pigramente Fred, scivolando giù dalla groppa del maiale con un movimento felpato e agile, “Sai con chi stai parlando ragazzina?” aveva grufolato proprio Gullinbursti.
La valchiria aveva ignorato a pie pari il verro per concentrare l’attenzione su di loro; nonostante la giovane età, mostrava un aspetto imperioso e sicuro. Anche se Jason era stato poco nel Valhalla aveva imparato a riconoscere le opportune differenze: la valchiria non era né viva né un einherjar ma una dea, come Thrud.
Bonjour, ma noble dame” aveva proferito Fred con una gentilezza stuzzicante, così strana da sentire con il suo tono usualmente secco e infastidito.
La ragazzina aveva battuto le ciglia bionde un paio di volte, prima di arrossire improvvisamente, “Oh! Frédéric!” aveva esclamato e lo aveva pronunciato in quella maniera elegante con cui solo il monaco cristiano chiamava sé stesso, quando si presentava per esteso, rispetto il più basico Fred o Frederik. “Non ti avevo riconosciuto” aveva ridacchiato piena di imbarazzo, prima di prestare attenzione anche a Jason e Stellan, salutandoli con un cenno della mano breve. “Non sapevo partecipassi a feste così dissolute … e con Gullibursti!” aveva ridacchiato con le gote arrossate. La piccola guerriera armata di paletta aveva una piccola infatuazione per il dispotico Fred.
“Il Wyrd non è smette mai di sorprenderci” aveva considerato il monaco, grattandosi una guancia nervoso, “Tu sei stata messa a fare la guardiana-di-porta?” aveva indagato, “Oh, sì. Non mi piace la musica forte né questo Freyachella… lo hanno chiamato così, che cosa buffa” aveva risposto la ragazzina, “Ma mi piace un sacco picchiare la gente! Lo sai” aveva chiarito con un luccichio più sinistro negli occhi eterocromi.
“Ah, sì, so chi sei, una delle nobili nipoti” aveva grufolato il verro, perdendo presto interesse. “Siamo stati invitati alla festa” aveva considerato Stellan con nervosismo, “Io sono Stellan Brightflower, figlio di Ubbe Brightflower e loro sono due nobili guerrieri della Sala dei Caduti”. In realtà la festa l’avevano praticamente fatta per loro, aveva pensato Jason, ma aveva preferito dire: “E cercavamo giusto una valchiria!”
“Oh! Be, ne avete trovata una! Hnoss figlia di Othr e Freya!” si era presentata, pizzicandosi il mantello di piume bianche, prima di fare un generoso inchino rispettoso. “E sì, riconosco due nobili caduti” aveva considerato voltando il sorriso carico di gioia verso Fred. “Hnoss è la mia valchiria” aveva detto leggermente insofferente.
“Io sono Jason Grace” si era presentato, “E come posso aiutarvi?” aveva chiesto la ragazzina incuriosita, “Andiamo abbastanza di fretta, uno dei … una nostra amica è stata rapita e noi dobbiamo mandare un messaggio alla valchiria Samirah Al-Abbass” aveva parlato di fretta Fred.
“Inoltre, dovremmo ricongiungerci a due nostri compagni” aveva parlato Jason, “Madina Modja e Thumelicus di Confluentes. Erano con il Re Italicus dei Cherusci” aveva aggiunto.
“Credo siano ancora a Sessrúmnir e non siano mai venuti alla festa” aveva valutato la ragazzina, giocando con un ricciolo biondo.
“È il corrispettivo della Sala dei Caduti di Freya, dove si tengono i banchetti” Stellan aveva anticipato la domanda che pensava Jason stesse per porre; in realtà lo sapeva, Odino l’aveva spiegato nella sua lunga presentazione la prima sera al Valhalla, mentre riportava il sistema di partizione delle anime dei guerrieri, ma ringraziò di cuore l’elfo per la premura.
“Vi guido io” si era offerta Hnoss, “Puoi lasciare la tua postazione?” aveva chiesto Fred, la ragazzina aveva ridacchiato come se le fosse stata la situazione più colma di imbarazzo del mondo, “Io posso fare tutto quello che voglio, Frédéric” aveva sciorinato con allegrezza.

“Quindi tu sei la Valchiria di Fred?” aveva inquisito Jason mentre seguivano la ragazzina per un pertugio un po’ meno chiassoso, verso la sala di Freya.
Avevano lasciato Stellan con il cinghiale, il giovane Elfo aveva deciso di non voler in alcuna maniera abbandonare il cinghiale una volta di troppo e nessuno aveva deciso di giudicarlo per quello, infondo era la sua missione; così lui e Fred avevano seguito la giovanissima.
“Oh, sì! Lo ho visto la prima volta a Constantinopoli!” aveva raccontato ben felice la ragazza, giocando con una ciocca di ricci biondi, aveva ricordato a Jason un po’ Hazel, ma solo un po’. “Mi sono affezionata alla città durante gli anni che la guardia variaga era lì … ho deciso di rimanerci e quando ho visto Frédéric combattere mi sono emozionata …” aveva cominciato a spiegare lei.
Jason si era voltato verso il suo amico, che aveva un’espressione ieratica, Jason ricordava bene che quando Mel aveva spiegato la sua relazione con Kráka, figlia della sua valchiria, il figlio di Gerd aveva detto che la mietitrice della sua anima lo avesse considerato solo per un breve periodo di tempo, prima di dimenticarsi di lui. Hnoss, però, non sembrava essersi per nulla dimenticata di lui.
“… quindi è rimasto ferito in battaglia e sapevo che le ferite presto o tardi lo avrebbero ucciso. Il milleduecento non era proprio un secolo particolarmente luminare per la medicina” aveva recuperato il filo del discorso Hnoss, “Se fosse morto in battaglia sarebbe stato più semplice” aveva considerato, “Mi perdoni mia signora, la prossima volta cercherò di morire quando è più d’uopo” aveva risposto colmo di sarcasmo Fred, ma la sua parlata velenosa era scivolata completamente alla valchiria, “Non ti preoccupare. Solo che penso meritassi una morte più gloriosa che la setticemia” aveva considerato la ragazzina, con una voce lacrimosa. Jason aveva ricordato il suo sogno, di un Fred malandato, bendato e ferito, su un letto, incapace anche solo di raggiungere la finestra per guardare il mondo fuori.
“Mi ero incaponita però con l’idea che un tale splendido guerriero, meritasse gli onori dell’aldilà. Così per lui ho dovuto bisticciare con una dísir per raccogliere la sua anima. Lei lo voleva portare ad Helheim, ma ammettiamolo: sarebbe stato uno spreco” aveva detto trionfale la ragazza.
“Non lo sapevo” aveva ammesso Fred, con una punta di reverenza.
“Non potevo permettere che un’anima luminosa coma la tua appassisse in quel mondo grigio” aveva risposto secca la ragazzina, putando il naso all’insù con sicurezza, Jason aveva sorriso, per l’espressione pregna di sorpresa e dolcezza di Fred, per quanto luminoso fosse l’ultimo aggettivo che avrebbe usato per l’anima di Fred.
Però, forse Fred era un po’ come Nico, un anima tormentata che nascondeva un cuore grande e amorevole, desideroso solo di un legame.
“Oh, era Glam!” aveva considerato poi Fred, cogliendoli di sorpresa, “Intendo, Lady Glaumvör” aveva specificato, “Ah, sì. L’unica di loro che non sembra essere uscita da una band viking metal” aveva concesso Hnoss, “La signora ha detto che c’eravamo già incontrati” aveva ricordato Fred. Era stato quando aveva dato loro un passaggio sul suo carro.
Inoltre, Jason trovava decisamente probabile che la sua dea-ex-machina rinunciasse ad un’anima per permettere che venisse portata da una valchiria. “La dísir mi ha concesso di prendere l’anima di Frédéric, con la condizione che la portassi nel Valhalla e non qui” aveva aggiunto con un tono un po’ spento, “Di solito porto, ovviamente, tutte le anime che raccolgo qui, ma forse è stato meglio così, non avevo idea in quel momento che egli fosse figlio della mia venerabile zia” aveva ponderato.
“Penso che se fossi finito in questo mondo dissoluto mi sarei buttato giù dei rami dell’
Yggdrasill” aveva esclamato il mezzo-Jotun, facendo sfuggire una risata a Jason, “Quasi più melodrammatico di Mel” aveva ponderato.
“Invece, la tua valchiria, chi è?” aveva chiesto con gentilezza Hnoss, la domanda aveva fatto sprofondare Jason in un principio di angoscia, chiedendosi come avesse fatto a cacciare via in fretta dalla mente la dea prigioniera, “Questo è un altro problema, dobbiamo contattare la valchiria Samirah Al-Abbas” aveva ricordato, evitando la domanda.
Era Samirah incaricata di recuperare Mimir.  Hnoss aveva accettato la sua svicolata con grazia, o forse non aveva compreso il suo desiderio e si era concentrata sulla parte importante, ed aveva detto: “Ah, Samirah! Non la conosco molto, ma mia madre ne ha una buona opinione, poi è la valchiria di Magnus Bane … è stata anche la valchiria di Odino[1] a modo suo.” Jason non conosceva questa storia, ma scommetteva fosse qualcosa di interessante, “Oh, no no. Samirah non è la mia valchiria, la possente Thrud lo è” aveva riferito, non sapendo neanche perché. Fino ad un momento prima non aveva voluto dirlo ad alta-voce, ma poi gli era sembrato ingiusto lasciare che si credesse il falso, “Solo che Lady Thrud potrebbe aver voltato la causa degli dei ed essersi addestrata con una strega ancestrale ed aver aiutato a rapire un dio e una nostra amica” aveva chiosato Fred, lasciando fuori la questione del maiale di Gerd.
Probabilmente per proteggere sua madre, perché la storia del verro non arrivasse alle orecchie della divina Freya.
“Ah, sì, mi sembra proprio affare della squadra suicidio” aveva soppesato Hnoss, il suo tono aveva perso tutto l’infantilismo che aveva avuto fino a quel momento. “Squadra Suicidio?” aveva chiesto Jason, “Sì, dopo la morte della povera Gunilla; Padre-Tutto aveva bisogno di avere un nuovo C.O.O. per le valchirie, ovviamente scelte tra le sue signorine del Valhalla, ma non ha avuto molta fortuna, voleva Samirah Al-Abbas ma lei ha rifiutato il ruolo diverse volte e alla fine ha finito ad ammaestrare la Squadra Suicidio, quella addetta alle missioni potenzialmente stupide o mortali o mortalmente stupide” aveva considerato, “Ovviamente ho fatto richiesta” aveva ridacchiato.

Hnoss li aveva condotti dentro la Grande Sala di Freya.
Era molto meno caotica di quella del Valhalla, ma era molto più elegante e bella, sembrava più una gigantesca sala da tè elegante, in stile liberty. Con tavolate tonde e sedie di ferro con ricami floreali e cuscini morbidi trapuntati. Lucidi pavimenti di marmi colorati, e fiori da ogni lato.
Jason ne era elettrizzato.
Anche le Valchirie sembravano più leggiadre e meno stressate
I rami dell’
Yggdrasill che si diramavano dal soffitto erano lussureggianti e pieni di foglie verde-oro grandi e sane, sembravano più un arredo che l’accesso ai Nove Mondi. Nessun animale sembrava zampettarci in mezzo, se non graziosi uccellini colorati.
I tavoli erano quasi tutti vuoti, con l’eccezione di una grande tavolata tonda, coperta da una tovaglia bianca elegante, imbandita di ogni leccornia immaginabile. Cinque persone erano sedute sulle ricche sedie di legno imbottite; quattro erano uomini ed erano tutti inequivocabilmente pareti: biondi, alti con carnagioni pallide e con gli occhi verde oliva. L’ultima figura era Madina, che in tutto quel biancore spiccava particolarmente.
Era stata la prima a vederli, aveva aperto la bocca in un sorriso luminoso e si era alzata subito lasciando la tavolata, con in mano un pasticcino colmo di crema e una spolverata di granella di pistacchio. Loro avevano lasciato indietro Hnoss che gli aveva rassicurati che avrebbe chiamato prontamente Samirah.
“Oh! Siete qui” aveva detto Madina stampando loro due baci a testa, sulle guance, “Dove è Astrid? Stellan?” aveva indagato subito, “Stellan è fuori con Gullinbursti” aveva risposto schietto Jason, “Meno male” aveva sospirato lei; “Astrid si è fatta rapire dal su ex ragazzo che lavora per Gullveig, come Thrud” aveva riassunto spietatamente Fred, “A proposito c’è Gullveig dietro a tutto questo.”
“Vi ho lasciato soli per poche ore” aveva considerato Madina, schiudendo le labbra, sorpresa, ma cotta di preoccupazione, “Un po’ di più di un paio” aveva ponderato Jason, anche se non aveva idea di quanto tempo fosse effettivamente passato.
“Bene, penso dobbiamo muoverci” aveva stabilito Madina, prima di voltare lo sguardo verso la tavolata con espressione un po’ triste.
Jason aveva riconosciuto Mel, aveva sciolto la treccia da moicano e sembrava un ragazzino in barbe, con pantaloni di pelle da metallaro, ma con un sorriso dolce ad adornare il viso. “Vedo che è andata bene” aveva considerato, rincuorato, ricordando le cose che Iulia Agrippina aveva detto. “Chi sono gli altri tre?” aveva chiesto, poi, Jason, “Astrid è stata rapita, direi che non è il momento di parlare della felice famiglia di Mel” aveva detto Fred, con il suo tono secco.
“Sì, hai ragione” aveva considerato, “Ma è un momento così bello, è come quella cosa strana di cui parla Magnus Chase … la terapia. Tipo quando guarisci una ferità dell’anima” aveva ammesso Madina, girando lo sguardo. “Comunque, sono Italicus, il cugino di Mel, e il figlio di lui, Chariomerus e il padre, cioè lo zio di Mel, Flavus” aveva spiegato, “Gli ultimi re dei Cherusci” aveva considerato melanconica.
La fine della famiglia di Mel e del suo popolo e della sua eredità.
“La famiglia del tuo ragazzo è fuori dal comune. Sono tutti Guerrieri Caduti” aveva concesso Fred, con un tono stizzito; aveva ragione se si considerava che anche il padre ne era uno. “E sono in piedi da quasi duemila anni … nessun’anima dura così tanto. Il genere umano si corrode prima, ma non loro, loro resisteranno fino al Ragnarok e anche oltre ne sono certa” aveva commentato Madina.
“Tutto molto bello, andiamo a salvare Astrid” aveva sottolineato Fred, “Certo. Sai dov’è?” aveva risposto Jason, non voleva essere fastidioso, ma era un problema da considerare.
Un lampo di luce d’oro lo aveva distratto, aveva attirato anche gli altri quattro avventori del tavolo, che subito erano balzati in piedi con armi alle mani.
Tre valchirie si erano manifestate davanti a loro e Jason aveva percepito immediatamente la differenza con Hnoss, trovandole molto meno delicate e luminose, erano invece: acute, dure e sferzanti.
Samirah era al centro con una maglia di ferro, sopra una felpa e un jumper di piume di cigno, indossava l’hijab verde con le decorazioni floreali rosa e un’espressione funerea, al suo fianco c’era una ragazzina dall’espressione nervosa, il taglio a scodella, che indossava un impermeabile di piume, stretto alla vita, da cui sotto spuntavano pantaloni morbidi con una fantasia da pied-de-poule aderenti a gambette ossute e la terza: statuaria e ingombrante, con i ricci pieni era Lagherta – l’amica di Kráka.
“La Squadra Sucida immagino” aveva considerato Jason, “Salve. Sono felice di rivedervi” aveva detto Samirah, alzando il polso per mostrare qualcosa di simile ad un orologio, “Siamo state chiamate qui di gran carriera … e non per essere scortese ma siamo impelagate in una missione precaria” aveva riportato.
Hnoss era apparsa, il suo aspetto non era più quello di una ragazzina di tredici anni, ma si era invecchiata un po’ – utilizzando qualche malia – che l’aveva fatta apparire più alta e leggermente più donna, “Sì, sono stata io. Hnoss figlia di Freya” si era presentata, “Questi ragazzi hanno una comunicazione urgente per voi.”
Jason aveva riassunto a grandi linee quello che era accaduto – lasciando fuori il rapimento di Gullibursti e l’intervento massiccio di Glam nei suoi sogni – e rivelando che una visione aveva aggiornato Jason sul ruolo di Samirah.
“Ah” aveva detto il capo della Squadra Suicidio, “Sylvie[2]” aveva detto girandosi verso la ragazza con i capelli a scodella, “Aggiorna subito la divina Frigg di questa svolta degli eventi” aveva ordinato, quella aveva annuito ed era sparita in una nuvola di oro e polvere, come un mostro.
“Noi andiamo a recuperare quella screanzata di Thurd?” aveva inquisito Lagherta, con un sorriso fin troppo soddisfatto.
Sempre era la delizia di spose malvagie, ricordava le parole di Glam.
“Fate attenzione” le aveva ammonite Jason, “La lingua ammagliatrice di Heidi è la più … forte che io abbia mai sentito” aveva ammesso cupo, e gli era sembrato poi che le donne fossero più facilmente vittima del suo incanto – o almeno così diceva l’Edda, forse era perché erano avvezze all’arte magica, sicuramente Jason non lo avrebbe mai detto ad alta voce, non dopo essere finito vittima di quel incantamento. “Gulveig è piuttosto abile ad avvelenare i cuori delle donne, specie quelle con i tuoi precedenti” aveva parlato per lui Fred, senza vergogna alcuna.
Jason si era aspettato che la donna lo fulminasse con lo sguardo, ma Lagherta aveva solamente ridacchiato, l’espressione insofferente era stata manifestata da Samirah, “Grazie per la preoccupazione” aveva detto Samirah senza gentilezza, prima di rivolgersi a Jason ed addolcire il suo sguardo, “Abbiamo portato dei tappi e non abbiamo bisogno di parlare per sentirci” aveva spiegato, muovendo le mani con movimenti lesti e veloci delle dita – linguaggio dei segni.
“Come vedete bambini” aveva detto Lagherta, strizzandoli l’occhio, “Samirah ha sempre tutto sotto controllo e io sono già una buona figlia di puttana senza bisogno di una strega che mi sussurri nell’orecchio, inoltre …” Lagherta aveva fatto una pausa, prima di infilare la mano nell’orlo della sua veste per tirare fuori una lunga collana di perline di vetro – a Jason aveva ricordato quelle del campo mezzosangue, anche se la sua aveva solo due perle – al cui centro svettava un amuleto di legno su cui era stata bruciato sopra tre simboli, uno era una attraversata da una banda obliqua e l’altro sembrava un incrocio tra una Y maiuscola e un tridente, l’ultimo sembrava una F con i bracci obliqui, “Naudhiz, Algiz, Ansuz” aveva letto Madina, “Bisogno, protezione e prosperità” aveva soppesato Fred, “Circa” aveva replicato la valchiria, “Non ti misuri con ergi e gothi senza un sospensorio.”

Stercore. La situazione è peggiorata in fretta” aveva stabilito Mel quando avevano raccontato tutto, Jason aveva osservato attentamente gli altri tre avventori, piuttosto incuriositi. Un uomo era anziano, ma i suoi capelli erano ancora di un fulgido biondo luccicante, si teneva con un bastone, con un corpo curvo, ma il suo aspetto trasudava ancora una certa regalità. Uno era un uomo adulto, il cui corpo cominciava ad infiacchirsi, ma conservava un’austerità fredda e romana, era vestito come un ausiliare, indossava loriche d’oro ed aveva un occhio bendato – la cosa lo aveva lasciato confuso per un momento, pensava che la condizione di einherjar dovesse guarire ogni ferita. L’ultimo, il più giovane, comunque due volte più vecchio di Mel, era un uomo più secco e nervoso, ma aveva gli stessi capelli biondi e occhi verde scuro-castano del suo parente, a Jason più famigliare.
Mel però sembrava molto più rilassato.
“Thrud ha detto che Astrid non è in pericolo” aveva considerato Jason, “Se le storie su Erik sono vere, probabilmente non è in pericolo, probabilmente non sa neanche di essere stata rapita” aveva ponderato Madina, “Come la troviamo?” aveva chiesto.
“Non sai fare, esempio, un incantesimo rintraccia persone?” aveva chiesto Jason, “Ti ho già spiegato che sono uno stregone piuttosto carente” aveva soffiato Fred, “Letteralmente dieci minuti fa hai costruito una gabbia per chiuderci un dio” aveva replicato Jason. “Lo hai fatto tu, in realtà” aveva risposto Fred piccato.
Hnoss si era avvicinata, “Io forse potrei farlo” aveva ammesso la valchiria, “Non so solo picchiare duro con la lancia, ma posso eseguire anche incantesimi complessi” aveva raccontato orgogliosa, occhieggiando Fred, “Puoi trovare qualcuno?” aveva domandato Jason, “Se avessi qualcosa di suo” aveva ammesso.
“I vestiti!” aveva strillato Madina, “Quelli che ci siamo tolti” aveva sottolineato. A Jason non sarebbe dispiaciuto riavere la maglia verde dell’hotel e dei pantaloni che non scintillassero. “Probabilmente sono stati bruciati e rispediti al Valhalla, non per cattiveria, ma mamma ha una forte allergia alle cose brutte” aveva spiegato imbarazzata.
Astrid – una volta salvata – non sarebbe stata per nulla contenta di sapere che avevano dato fuoco ad una delle sue pellicce.


Fred aveva cominciato a tastarsi le tasche dei pantaloni e Jason aveva avuto un’illuminazione, recuperando dalla tasca dei pantaloni Hagalaz. “Questo?” aveva detto, mostrando la tessera della runa spaccata a metà, “Che cosa hai combinato?” aveva chiesto con sorpresa Mel, “Ho usato questa per rompere il giogo di Heidi” aveva spiegato con una certa calma, “Apparteneva al set di rune di Astrid e, pensandoci, le aveva avute dal suo amico stregone che presumo fosse Erik” aveva ponderato.
Se non avesse trovato l’una, magari avrebbe potuto trovare l’altro.
Hnoss aveva raccolto le due schegge dalle sue mani, per poter valutare, “Uhm. Olmo, buona scelta, hanno un ottimo potenziale incantato” aveva considerato la valchiria – la stessa cosa che aveva detto Kráka. “Sono impregnate di una forte energia magica” aveva ammesso, “Una che puoi sentire nero su bianco, una forza naturale e trascendentale, decisamente più esplosiva di quella del povero Erik figlio di Frey, che ha un energia vitale sempre calma e rasserenante, per caso la vostra amica Astrid è una figli di Thor o Odino o una diretta discendente?” aveva chiesto Hnoss, “Discende da Sif” aveva spiegato Madina, pratica, “Ah, be, all’ora questa tessera ha assorbito il potere di qualcun altro” aveva detto leggermente sconsolata la valchiria, “Qualcuno come un figlio di Giove, eh?” aveva detto ironico Fred occhieggiandolo, “Non ho mai sentito una loro energia, ma è più probabile che se appartenesse a un lascito di Sif” aveva considerato.
“D’altronde Kráka lo aveva detto che la runa dovesse essere la mancanza di Astrid” aveva ponderato Mel, d’altronde hagalaz come Giunone aveva seguito Jason in tutte le sue disavventure.
“Mi dispiace all’ora, forse se avessi le abilità di mia madre, potrei, ma …” aveva soffiato Hnoss, prima di riconsegnare la runa spezzata a Jason.
Madina si era voltata verso Fred, “Tu dove pensi che andrebbe Astrid se dovesse avere un incontro intimo non sapendo di essere stata rapita?” aveva inquisito.
“Nessuna parte, Madina” aveva risposto Fred, “Non con noi qui, non senza sapere del verro e non prossima ad un Holmgang” aveva aggiunto con fermezza, sì, realizzava Jason, “Andarsene non sembra qualcosa da Astrid” aveva considerato.
Forse non era davvero in pericolo, ma sicuramente non li avrebbe mai lasciati così. “Sì, lo so, Freddie, ma devo cercare di pensare trasversalmente” si era difesa Madina, incrociando le braccia sotto al seno, “Io andrei a casa” aveva risposto Mel, cogliendoli di sorpresa, “Lì, sul Palatino, nascosto nelle cucine per non dover spazzare il pavimento” aveva confessato emotivo.
Jason aveva ricordato il suo sogno, quando Mel pestato e rovinato era stato portato all’attenzione di Caligola e tutti gli altri suoi compagni nei sogni, le alture di neve del Wyoming, la calura distruttiva di Costantinopoli … e la capanna di terra, legna e argilla di Astrid e Erik.
“Se posso intromettermi” aveva parlato uno dei tre uomini, avvicinandosi, quello dall’aspetto più vecchio, aveva una voce calma e posata.
Da vicino, dietro le rughe calanti del viso, la somiglianza con Mel sembrava appassire, aveva un naso più adunco ed un’espressione più solenne, ma gli stessi ridenti occhi verde come olive pressate. I capelli biondi, quasi bianchi per la vecchiaia, portati lunghi e scriminati in due, sul capo.
“Ragazzi, lui è mio cugino Italicus” aveva spiegato pigro Mel, “Re dei Cherusci” aveva aggiunto, “Famiglia loro sono i miei compagni di piano: Fred, depresso e cristiano, e Jason, bugiardo patologico e romano” aveva aggiunto, senza reale cattiveria.
“Ciao famiglia di Mel” aveva risposto pigro Fred, “Ave Italicus, cheruscōrum rex” aveva commentato invece Jason, ignorando la frase pungente di Mel.
Italicus aveva annuito cortese e colpito, “Dunque, dicevo” aveva ripreso poi il re, “Nel corso dei miei duemila anni in giro ho conosciuto diverse entità di indistinguibile acume e valore … e capacità ovviamente. C’era questa v
ǫlva con abilità oltre ogni immaginazione” aveva raccontato, “Hai ancora il suo numero di telefono per caso?” aveva chiesto Madina con una punta di curiosità.
“Oh, be, la giovane Groá è morta da tempo e sfortunatamente la sua anima non riposa né in questi lidi, nè nella Sala dei Caduti di Padre-Tutto” aveva considerato Italicus cupo, “Ma anche nella morte, come si direbbe in questi pazzi tempi moderni, Groá non ha mai mancato la chiamata” aveva sentenziato.
“Stiamo davvero per fare un invocazione?” aveva considerato Fred con un tono leggermente ansioso, ripensando a quella che avevano quasi fatto per Bee, davanti la prigione di Thrud, “Più un evocazione” aveva ponderato.
“Io non so come si fa” aveva miagolato Hnoss, “Chiamare un’anima dal regno di Hell è un affare pericoloso di per se, ma chiamarla da un regno dei morti ad un altro  è tutta un’altra faccenda” aveva spiegato, “Sì, per questo ci ha portato qui una dísir” aveva considerato Mel, grattandosi il capo. Certo, rubare un anima da un’oltre tomba ad un altro era una questione che poteva scatenare una guerra.
Jason aveva schiuso le labbra ed un pensiero invadente e brutale si era manifestato nella sua mente ed era sceso fino alle sue labbra, quella sicurezza, quelle certezze, come la creazione della prigione di Thrud, non erano completamente sue e Jason cominciava a sospettare che fosse per colpa dell’abbeverata alla fonte della magia.
Doveva pagarne il prezzo.
“Hai la faccia di uno che ha appena avuto un’idea” aveva considerato Fred, “So, come fare un invocazione, so come farlo a grandi linee almeno – o almeno so a chi chiedere” aveva spiegato subito pratico, “Nelle mie ormai piuttosto innumerevoli e bizzarre morti, ho avuto un certo numero di sogni” aveva raccontato – “Sì probabilmente sei il semidio con i sogni più vividi fra tutti” era intervenuto Mel a sorpresa – “e tra questi ho visto un mio amico invocare l’anima di un morto dai Campi Elisi, un posto da cui raramente si possono chiamare i morti” aveva spiegato.
“Indovino: il ragazzo che gira con gli anelli a tema teschi e le camice con i parrocchetti?” aveva scherzato Madina, alludendo a Nico – per un secondo Jason aveva dimenticato che Madina aveva conosciuto i suoi amici. “Bene, come ha fatto?” aveva chiesto Fred, mettendo una mano sulla sua spada, amichevole e nervoso, “A grandi linee, ma potremmo chiedere direttamente a lui” aveva specificato, “I semidei greci hanno un modo di comunicare piuttosto veloce … non ero sicura potesse funzionare con Samirah, ma sono sicuro che con Nico sì” aveva ammesso.
Era una sicurezza difficile da spiegare.
Forse in futuro ne avrebbero potuto fare buon uso anche i norreni, infondo Jason aveva letto che Heimidall il dio che poteva vedere tutto, soggiornava nei pressi del ponte arcobaleno … forse un nesso, la comunicazione, poteva significare qualcosa.
Inoltre Jason era stato un pretore del Campo di Giove e membro del Senato di Nuova Roma, ma era stato anche un membro della Cabina 1 e Consigliere del Campo Mezzosangue, era sia greco, sia romano, era un romei come Kym … ed era anche norreno.
Non è come nasci, ma come muori, che  rivela a quale popolo appartieni – aveva detto Astrid, neanche una settimana fa, prima che tutto andasse in malora.

“Mi serve qualcosa d’oro, una moneta, un ninnolo, qualsiasi cosa … e una bacinella d’acqua, una parete bianca e uno specchio” aveva commentato, “Forse una fonte di luce luminosa bianca a raggio” aveva aggiunto. Si era rivolto particolarmente ad Hnoss, ma aveva osservato la famiglia reale della casa dei Cherusci darsi da fare in un batter d’occhio.
Flavus aveva dato a Jason il suo bracciale d’oro, Chariomerus era tornato con un bacile di legno colmo d’acqua e Hnoss aveva tirato fuori uno specchietto per il trucco da qualche parte. “Potresti non riavere il bracciale” aveva avvertito Jason, guardando la lorica romana. l’uomo aveva ridacchiato, “L’oro aveva valore nella vita, ora non è nulla …” aveva sentenziato, senza impiccio.
Jason aveva annuito, osservando il viso orgoglioso dell’uomo, vestito come un armigere romano e non un germano, nonostante il crine e i baffi biondi, “Forse è il momento sbagliato, ma perché la benda?” aveva domandato.
Forse Flavus la indossava come tributo a Odino, “Perché mi manca un occhio, no?” aveva risposto con ovvietà, questo aveva confuso ancora di più Jason, che aveva aggrottato le sopracciglia. “Wotan ha sacrificato un occhio per la conoscenza e io l’ho fatto per il mio onore ad Andetrium[3]” aveva risposto orgoglioso, “Chi ti è davanti Jason Grace pretore di Nuova Roma è il
praefectus cohortis Marcus Iulius Flavus, centurione di Roma[4]” aveva stabilito con orgoglio.
Jason aveva sorriso – ma il tossicchiare di Mel aveva fatto presto scemare l’azione.

“Per la parete bianca va bene quella?” aveva chiesto Italicus, ammiccando ad un lato della parete, che era compostata di cassettoni e marmi chiari, “Sì” aveva ammesso Jason.
“Ci serve solo una fonte luminosa ora” aveva ponderato, “Forse potrei incanalare un fulmine” aveva considerato, ma avrebbe potuto produrre una luce bianca? “Ma preferire aiutare con lo specchio.”
“Diciamo che la mia spada esplode in intensità di colore in base a quanto vicini ad uno scontro siamo ma il colore è sul mio stato d’animo. Ultimamente è rossa, ma potrei riuscire a renderla bianca?” aveva considerato Fred, “Ti prego” aveva sospirato Madina.
“Cosa stai cercando di fare?” aveva inquisito Mel, “Creare un arcobaleno, usando la diffrazione dello specchio nell’acqua …lasciamo perdere, è una cosa che ho imparato in collegio. Lo facevamo per passare il tempo quando pioveva e non potevamo uscire in cortile e la segreteria aveva scoperto le VPN per il- non è importante” aveva fatto una pausa arrossando a quella strana confidenza, prima di ricominciare il discorso, “Comunque con l’arcobaleno possiamo contattare chiunque” aveva rivelato, “Certo, pagando un dazio alla dea Iride, sì” lo aveva anticipato Mel.
Per un secondo lo aveva dimenticato, nonostante la sua fierezza di uomo germano, Mel era cresciuto a Roma, nella casa del Princeps, con la nozione degli dei classici.

Fred aveva estratto la sua spada magica e una rossa luce sinistra si era dipanata davanti a loro, il ragazzo aveva fatto lunghi sospiri, come a calmare il suo animo agitato e lentamente la luce era passata un rosso incendiario ad un bianco quasi accecante.
Tutta quella luce non era decisamente positiva – una guerra si era fatta più vicina.
“Bene e ora?” aveva chiesto Madina con interesse.
“Dobbiamo immergere lo specchio in acqua ed inclinarlo a quaranta-due gradi con la superficie riflettente verso il muro e dobbiamo irradiarlo con un fascio di luce” aveva spiegato bene, osservando come Hnoss aveva allungato il suo specchio per darlo a Mel.
Era uno di quelli dalla forma circolare, rivestito in argento lucido da un lato, da cui spuntava un piccolo anello per sorreggerlo.
“Ai miei tempi, Jason avresti potuto convincere molti uomini di essere un messaggero degli dei” aveva ghignato divertito il guerriero germanico mentre si accucciava per terra per immergere l’artefatto nella tinozza, “Lasciando da parte i fulmini” aveva detto piccato Fred.
Nessuno aveva badati a lui.
Fred si era spostato per puntare il fascio di luce verso lo specchio, senza un figlio di Frey o di Apollo non era stato molto facile, ma Hnoss era riuscita a dargli una mano in qualche modo, mentre Madina aiutava il fidanzato a trovare l’inclinazione perfetta.
I tre guerrieri germano-romani osservavano la scena con un certo gusto ed interesse, “Che giornata interessante, eh?” aveva ghignato divertito Flavus.
C’era voluto un po’ – e non senza improperi in francese dalle labbra di Fred – quando finalmente un tenue e piccolo arcobaleno aveva trovato la sua strada nel cassettone di marmo, pratico Jason aveva offerto l’oro di Flavus e richiesto l’invocazione.
Sfocato e leggermente scuro, il viso di Nico Di Angelo era apparso nel suo campo visivo.
“Jason!” aveva esclamato vedendolo, spalancando gli occhi scuri sorpreso; “Lo hai detto tu stesso che il nostro non era un addio” aveva scherzato Jason, “Oh, be, non mi aspettavo così presto” aveva ammesso Nico, nervoso, prima di aggiungere frettolosamente, “Non che mi dispiaccia sono sempre felice di vederti” aveva ammesso con un tono più allegro.
“Ciao Nicoo!” aveva strillato Madina, che era fuori dall’inquadratura, “Oh, ciao!” aveva risposto l’altro aggrottando le sopracciglia, prima che Jason spiegasse chi aveva parlato, “Ah, certo” aveva ammesso, “Sei stato fortunato, se chiamavi due minuti prima mi avresti trovato con Will e non sopporto mentirli, ma è andato in infermeria … non puoi mai sapere quanto uno scorpione decide di pungerti” aveva buttato fuori.
“Stanno tutti bene?” aveva chiesto preoccupato, “Uno scorpione ha punto Drew, uno scorpione standard intendo, non un mostro velenoso, quindi a parte le sue lamentele che si sentono fino alla cabina 13, sì stanno tutti bene, ma io odio mentire al mio ragazzo. Ah, sì, la doccia ha smesso di cercare di uccidermi” aveva ammesso.
“Volete anche un cazzo di tè?” aveva chiesto Fred che stava ancora direzionando la sua lama, “Questo è Fred che mi ricorda che non ti abbiamo chiamato per piacere, ma ho bisogno del tuo aiuto Nico” aveva ammesso. Il suo amico aveva annuito, “Tutto quello che vuoi Jason” lo aveva rassicurato, “Devi spiegarmi come hai fatto l’invocazione a Silena” aveva detto, “Come-come lo sai?” aveva domandato retorico, “Lo ho visto in un sogno” aveva ammesso e si chiedeva se non lo avesse visto all’ora per questo – se davvero ogni sogno, ogni immagine, più banale che avesse visto, fosse un messaggio del Wyrd.
“E se possibile molto in fretta!” aveva ringhiato Fred. “Jason la necromanzia non è una pratica consigliata a chi non è affiliato alle divinità ctonie” aveva considerato Nico nervoso, “Be, sono morto quindi un certo grado di famigliarità dovrei averlo ora” aveva provato, “Riflettendoci dobbiamo evocare lo spirito di una profetessa per avere una lettura del futuro, quindi più che una necromanzia dovremmo fare una psicagogia – dovrebbe essere questo il termine” aveva provato Hnoss, affiancandosi a lui e salutando audace Nico – “Oh anche lui è carino!” aveva ridacchiato nell’orecchio di Jason.
“Sì” aveva considerato Nico, “Ma quanta gente siete?” aveva chiesto poi confuso, “Uhm, sette einherjar e una valchiria!” aveva risposto contenta la guerriera. “Sicuramente l’energia dei morti non vi manca” aveva valutato ironico il suo amico.
 “Nico, abbiamo davvero bisogno di questa cosa” aveva supplicato Jason. Il suo amico si era morso il labbro, “Va bene – ma Jason non vorrei tu morissi di nuo-permanentemente. Promettimi di non farlo” aveva stabilito il suo amico con sicurezza.
“Tutto per te” aveva replicato Jason, con un sorriso calmo.
Nico era arrossito, “Va bene …” aveva concesso alla fine, sebbene la sua espressione fosse tutt’altro che serena “Prima di tutto, vi servirà uno specchio d’acqua …”

 

“Quindi facciamo una psicagogia greca officiata da un einherjar romano in un regno vichingo per richiamare una vǫlva da Hellheim?” aveva chiesto sconvolto Stellan, mentre Madina lo aggiornava. La piccola congregazione composta da un elfo, sette spettri, un verro gigante meccanico e una valchiria dea aveva lasciato le calde stanze di Sessrúmnir per raggiungere il luogo adatto, guidati dalla giovane Hnoss, che conduceva la fila come una maestra in gita scolastica conduceva un gruppo di studenti distratti – quello che rendeva più comica la scena era che la giovane aveva ripreso il suo aspetto un po’ più infantile, che la faceva apparire la più giovane del gruppo.
A chiudere la fila c’era il grufolante Gullinbursti più seccato che mai – che millantava che avrebbe potuto portare tutti sulla sua groppa.
Ognuno di loro aveva qualcosa tra le mani utile per l’invocazione.
“Stavo pensando Stellan …” aveva cominciato Jason, “Tu potresti andare … la tua missione è finita” aveva ponderato.
Thrud aveva detto che il sole sarebbe tramontato ad Alfheim non prima di un paio di giorni, però sarebbe stato il caso di riportare il verro il prima possibile, “Lo so” aveva detto l’elfo con le gote blu come due mirtilli, “Dovrei, ma non riesco ad andarmene e voltare le spalle a voi e Astrid” aveva considerato.
“Ma come sei dolce, ti mangerei di baci” aveva detto Madina, tirandoli una guancia e facendo quasi cadere il barattolo di miele che aveva tra le mani – era uno dei barattoli prodotti dalle ragazze Bee, Jason non sapeva perché ma lo aveva trovato esilarante.
“Sentite so che è una cosa assolutamente di troppo, ora, ma mi chiedevo come fa Flavus a mantenere la sua cicatrice?” aveva domandato Jason, mentre osservava il retro della nuca dell’uomo che aiutava il suo vecchio figlio a progredire – Italicus era un vecchio baldanzoso, ma era pur sempre un vecchio, “Lo stato di Einherjar non dovrebbe cancellare tutte le cicatrici e menomazioni?” aveva chiesto, toccandosi il labbro integro.
“Ah, non so” aveva ammesso Mel, sollevando i palmi in alto, mentre Madina aveva ridacchiato, “Nella stessa maniera in cui il Valhalla mantiene il tuo tatuaggio Jason … anche i quelli sono ferite, intagliate con l’inchiostro sulla pelle … dovrebbero rimarginarsi, ma il Valhalla le lascia perché sa che sono tue scelte, sono importanti, basta desiderare di averle per conservarle” aveva spiegato, “Di solito nessuno vorrebbe tenersi addosso una cicatrice o una menomazione” aveva considerato Jason, se non avesse avuto tra le mani una cassetta piena di ossa di pollo e cinghiale dello scarto della cena, non avrebbe esitato nel toccarsi la cicatrice.
“Oh, tesoro come fai a saperlo?” aveva invece indagato Mel divertito, “In duemila anni non ci ho mai pensato” aveva considerato poi. La sua fidanzata aveva ridacchiato: “Oh, be, amore, sarebbe fastidioso se dopo ogni morte mi guarisse l’imene” aveva risposto Madina senza alcuna vergogna, strizzando l’occhio verso il fidanzato.
Jason era arrossito e anche Stellan – o la sua versione blu – mentre Mel aveva ridacchiato, colpendosi in faccia con la mano.
Si era morso un labbro, nervoso, pensando a quella stupida cicatrice che si era fatto a due anni.
Fred si era voltato verso di loro con uno sguardo cattivo e arrabbiato, Jason si era aspettato un commento indisponente sulla natura libertina di Madina, ma l’altro aveva proferito tutt’altre parole: “Sono contento che vi divertiate, non è come se Astrid fosse stata rapita” aveva ringhiato.
La vergogna aveva colpito tutti e quattro.

 

“Eccoci, qui!” aveva stabilito Hnoss, ammiccando al lungo fiume che si apriva davanti a loro, aveva acque azzurre luccicanti sotto la luce del sole di Vanheim da sembrare che diamanti grezzi ne luccicassero sulla superficie. Il fiume aveva delle anse poco sinuose e si apriva in una biforcazione d’acqua. “Questo è il fiume Tanais che divide la terra in tre” aveva aggiunto con orgoglio. “Forse lo ricordo male, ma il Tanais non era il nome antico del Don?” aveva considerato Jason, “E percorrendolo probabilmente vi ritrovereste nell’oblast’ russo” aveva ammiccato divertita Hnoss, “Vanhaimer è il regno a oriente” aveva spiegato.
“Jason” lo aveva chiamato Madina, “Sì ho capito, la geografia dei fumi e delle montagne dei Nove Mondi non ha senso e tutto esiste su piani diversi” aveva ponderato.
A Jutheim avevano trovato le montagne del Wyoming e avevano preso un fiume che era passato per una terra velenosa e poi li aveva condotti fino alle coste della California, vicino a Fort Russ.
“Comunque è l’unica grande fonte d’acqua qui. E il bel ragazzo nell’arcobaleno ha detto che ci serviva” aveva stabilito la valchiria, mettendo le mani sui fianchi, “Pensate andrà bene?” aveva inquisito, “Lo faremo andare bene” aveva stabilito Jason, “Procediamo.”

“La regola è che non si possa entrare nel regno del morti…” – “Siamo già morti” lo aveva interrotto Flavus, “… ma si chieda al defunto di uscire” Jason aveva ricordato a tutti le parole di Nico, prima di passare la pala a Stellan, “Perciò bisogna scavare una buca” aveva stabilito.
“E devo farlo io?” aveva chiesto l’elfo, “Be, Stellina tu sei l’unico sicuramente vivo al cento per cento e, be, uma…mortale” aveva sottolineato Fred, ammiccando alla valchiria che era figlia di due dei a quanto Jason aveva capito – di Freya e il di lei marito – “Tecnicamente la nostra categoria di dei è mortale” aveva sottolineato Hnoss, ma era stata ignorata. “Il rituale è pensato per i vivi” aveva commentato Jason, forse avrebbe funzionato anche per loro, ma era meglio limitare le stranezze.
Stellan aveva annuito, prendendo il badile dalle sue mani e cominciando a scavare, avevano scelto il luogo non lontano dall’ansa limosa del fiume.
“Quanto dovrei proseguire?” aveva chiesto poi, “Una tomba … più o meno” aveva considerato, “Va bene” aveva detto sconsolato l’elfo.
“Bene, adesso dobbiamo preparare una triplice libagione: prima latte e miele, seguito da vino e in ultimo acqua … e tutto dovrà essere cosparso di farina d’orzo” aveva spiegato Jason, ricordando le parole che aveva ascoltato da Nico.
Nel frattempo Italicus stava ordinando a padre e suo figlio di disposto una maschera – Jason aveva ricordato che il suo amico aveva usato una di Medusa – sul fondo della buca e altre ossa di creature morte. “Ora dovremmo immolare un olocausto, ma Nico ha detto che patatine e coca-cola andrebbe bene lo stesso, soddisferà la fame comunque, anche se non di sangue” aveva ponderato Jason.
“Non capisco, non abbiamo già portato il cibo” aveva chiesto Madina, “Nel dubbio ho preso un sanguinaccio con sangue di cinghiale” aveva esclamato Hnoss con un certo orgoglio. “Un banchetto è per l’anima di Groá, un banchetto è per la fame di Hela” aveva spiegato Italicus, stupendoli – Nico non aveva effettivamente spiegato quella parte, ma aveva senso pensandoci, era agli dei che si facevano sacrifici di solito.
“Perfetto” aveva considerato  Jason, “Stellan: prendi le patatine e la coca-cola e buttale nella tomba tra le ossa unte di grasso, poi rovescia il sanguinaccio dicendo le parole che ti dirò tra poco, dopo butta la candela accesa nella tomba” aveva ponderato Jason.
Mel aveva recuperato la candela tra il materiale che avevano portato e si era occupata di accenderla con una pietra focaia, “Noi ci metteremo attorno al tumulo per respingere le anime dei morti che non sono be … quella che ci serve. Purtroppo, non possediamo i doni di un figlio della morte” aveva ponderato, “Dovremmo anche ripetere una litania: noi amiamo l’uomo, noi amiamo il tumulo[5]” aveva spiegato Jason.
“Per nulla inquietante, no no” aveva detto Chariomerus, “Più che altro questo non è un tumolo, è una tomba piuttosto basica” aveva valutato confuso Fred, “E stiamo evocando una donna.” “Allora: noi amiamo la donna, noi amiamo la tomba?” aveva proposto Madina.
“Qualcuno potrebbe farlo anche con noi?” aveva chiesto invece Flavus mentre prendeva posto attorno alla tomba, chinandosi sulle ginocchia, “Essere a Midgard e invocare le nostra anime?” aveva aggiunto. “Sì … credo” aveva risposto Hnoss, “Ma non so come funzionerebbe tecnicamente: nel Valhalla e a
Sessrúmnir le anime sono più corporee? Possono lasciare il dominio e essere creature di carne e sangue, ma chi riposa a Nilfheim e Hellheim non può. Sono spettri e ombre dei vivi … non so cosa succederebbe se qualcuno richiamasse l’anima di un einherjar” aveva ponderato.
“Ritengo che queste disquisizioni di teoria magica potrebbero essere fatte quando qualcuno non è scomparso, no?” aveva interrotto Fred la questione, la piccola valchiria era saltata colta dalla vergogna, “Perdonami tantissimo” aveva uggiolato come un cucciolo ferito e tanto era bastato per far sorgere uno scrupolo di colpa sul viso indisposto di Fred.
“Spero davvero funzioni … deve” aveva ammesso Jason, “Stellan: ecco le parole che dovrai dire …”

“… ma, dea, ti supplico, regina di sottoterra, di far uscire l’anima dai confini della terra, mostrando agli iniziati il volto buono della signora Groá” aveva terminato Stellan, lanciando poi la candela nella fossa.
Era un bene che la signora della morte norrena fosse una donna, avevano potuto riciclare un’invocazione alla dea dei fantasmi greca.
Loro avevano continuato la loro litania, erano rimasti sul classico, senza successo.
Per un lungo momento non era successo nulla, la luce tenue della candela si era assopita nella terra umida. “Abbiamo fallito” aveva ammesso con vergogna Madina, “Forse questo incantesimo vale se siamo a Midgard non su … regno dei morti?” aveva provato, “Non siamo più a
Sessrúmnir, Madina, siamo a Vanhaimer è una terra viva quanto Asgard e Midgard” le aveva risposto suo ragazzo, “Ma non è terra dei mortali” si era inserito Stellan incerto, “Midgard e Alfheim lo sono.” “No, ha funzionato, lo sento” si era intromesso Fred lugubre, “Sì, è qualcosa che interferisce nell’aria” aveva ammesso la valchiria.
Appena le parole di Hnoss si esaurirono, il fuoco aveva divampato dalla fossa, prima rosso, poi era marcito in un sinistro verde perverso. Dalle fiamme si era condensata una figura, Jason ne vedeva solo il profilo, era una creatura morta ed avvizzita, dai lunghi capelli neri e il corpo scheletrico. “Hela!” aveva sussurrato ammirato e spaventato Flavus, “Questo … questo è poco ortodosso, ma molto interessante” aveva concesso la dea, la sua voce era fredda come una notte d’inverno, accompagnata da una bufera di neve.
Non somigliava a né a Vali, né a Alex, né a Samirah. “Accetto la tua richiesta, Stellan Brightflower, della stirpe dei Dökkálfar” aveva sentenziato.
Stellan si era fatto rigido davanti quell’appellativo.
Hela era bruciata in fiamme verdi e quando il fuoco si era esaurito, era rimasto solo fumo grigio verdastro e poi tra le volute di fumo si era manifestato altro. Una figura ingobbita nera, da mani nodose e scheletriche, con il viso scolorito e grigio. Si erano alzati tutti per raggiungere Stellan, l’unico di loro a fronteggiare la strega fino a quel momento.
Il viso di Groá era bianco come l’osso di una seppia, con capelli grigi sottili come fili di ragnatela e occhi infossati neri come pozzi senza fondo, ne iride e ne pupilla. Sembrava emanare un’aura oscura che nascondeva il sole raggiante di Vanheimer. Ne giovane ne vecchia, ne viva ne morta, ne tangibile ne fumosa, tutta una serie di metà e nullezza.
“Qui è Gróa, moglie di Aurvandill l'ardito, che risponde sempre alla chiamata” aveva risposto la voce della donna, con una voce cavernosa, ma distante, come se non avesse parlato dalle sue labbra – che si erano sì mosse – ma da un posto oscuro e profondo, lontano, come il centro della terra.
“Oh, che orribile vista” aveva commentato Gullibursti, “Oh, che lingua insolente” aveva risposto lo spettro con un atteggiamento leggermente indisponente.
“La prego ignori il verro” aveva miagolato Stellan, con pieno disagio, prima di voltarsi verso Jason, in cerca d’aiuto, ma prima che lui parlasse era stata Fred a palesarsi per primo, facendo un passo in avanti: “Mia rispettabile Groá ti offriamo latte-e-miele, vino e acqua per dissetare la tua fame” aveva soffiato, “E cosa chiedi guerriero per questo lauto banchetto?” aveva chiesto la spirito, che senza vergogna si era poi avventata sul calice colmo di latte, “Prima che tu ponga la tua manda e bene che tu sappia che il futuro è una coltre di nubi della tempesta” lo aveva avvertito con quella sua voce profonda, da scavare le ossa.
“Nessuna profezia, nessun presagio, noi cerchiamo una persona che ci è cara e che ci è stata sottratta” aveva ammesso Fred, “Ella risiede ad Nilfheim e volete che io parli per voi?” aveva chiesto Groá, “No, mia signora, lei risiede nel Valhalla e mangia al tavolo di Odino, ma ora è scomparsa” aveva spiegato.
Groá aveva bevuto il vino rosso, che era colato dalle sue labbra avvizzite, come sangue viola, “Il suo nome?” aveva domandato la strega.
“Ella è Astrid Einardottir, nata come Auat occhi-di-ambra-verde, dalle trecce nere e il cuore impavido. Figlia di Einar Acre-acciaio figlio di Sif” aveva recitato Fred, come un poeta, con colore e calore.
Groá aveva abbandonato la coppa di vino vuota ed aveva bevuto l’acqua, “Essa è corrente di ogni energia e magia” aveva ammesso con voce cupa, “E dalle acque dovrete passare” aveva ponderato, “Lì nella terra della metà dove ogni cosa vive e muore assieme, dove il tempo scorre e l’inevitabile accade” aveva spiegato, “Lei riposa tra le viti selvatiche, lì alla baia dei pianori, nel Regno di Saguenay” aveva stabilito la strega.
“E?” aveva provato Fred, “E questo è tanto e tutto guerriero” aveva detto Groá, poi era scomparsa in un fumo verde e polvere nera, senza alcuna altra parola.
La fossa era rimasta vuota, senza ne ossa, ne maschera, il cibo, tutto il cibo, era stato consumato e solo la candela spenta e consumata era rimasta nella fossa.
“Non è stata molto chiara” aveva ponderato Flavus, “Un po’ lo è stata” aveva considerato Italicus, “Dobbiamo andare a Midgard mi sembra ovvio” aveva dato man forte Mel, “La terrà a metà dove si vive e muore assieme” aveva specificato.
“Sì, ma dove?” aveva chiesto Madina, “Forse le acque ci porteranno lì … comunque credo sia in Canada” aveva provato Jason, era stato fortunato ultimamente con i fiumi magici.
“Canada?” aveva chiesto Hnoss confusa, “Sì, è una città del Canada, l’abbiamo studiata a Geografia perché è stata creata all’inizio degli anni 2000 unificando altre tre città” aveva risposto Jason, rispolverando le sue conoscenze di geografia e quella particolare relazione in collegio.
Come cittadino di Nuova Roma aveva sempre trovato interessate la geografia, conoscere i limites era fondamentale. “È in Quebec comunque” aveva aggiunto Jason, “Non ricordo molto altro, tranne che è un luogo turistico.”
“Be, se è l’unico indizio che abbiamo, io lo prendo” aveva considerato Fred, “Bene andiamo in questo posto noto come Canada” aveva ammesso Stellan, grattandosi una guancia, “In realtà ho sempre desiderato andare a Midgard” aveva ammesso.
“Be, se è l’unica cosa che sappiamo, penso sia il caso di cominciare da lì …” aveva rivelato Jason, “La strega ha detto che le acque ci avrebbero portato, nella città c’è un fiume con lo stesso nome” aveva ponderato, ammiccando alla forca d’acqua davanti loro – era stato fortunato con le acque nelle ultime volte.
“No, troppo … semplice” aveva ponderato, prima di voltare lo sguardo verso Mel. “Perché mi guardi?” aveva chiesto confuso il gladiatore, “Questo è il momento in cui intervieni spiegando tutto per filo e per segno” aveva risposto, “Mi sembra un po’ troppo moderno per i miei canoni” aveva risposto il guerriero, leggermente imbarazzato. “Per favore, tesoro, sei uno dei pochi che ha capito cosa è l’internet” aveva detto Madina, “Oh, mi lusingate, non smettete” – si era pavoneggiato Mel – “Ma devo ammettere che in questo caso non ho idea a cos’altro si possa riferire.”
“Vedi perché una cosa non mi torna? Perché Mel non la conosce” aveva sottolineato Fred.
Il cheruscio era arrossito colto in imbarazzo da tutti quei complimenti, Jason aveva annuito, comprendendo il punto del crociato: niente era mai così semplice.
Ricordava che la città si trovava nello Scudo Canadese, protetto dalle intemperie naturali ed una zona temperata anche negli inverni, un’oasi verde … non aveva neanche idea perché al suo professore di geografia così importato così tanto studiare quell’insignificante città nel Canada francese.
Però, iniziava a sospettare che forse, in qualche modo, il Wyrd doveva aver avuto il suo ruolo – ben, prima che ricevesse anche la profezia sulla sua morte.
Fin da allora.
Madina si era morsa un labbro, “Cosa succede?” aveva chiesto Jason preoccupato, “Lo sai che sono morta nel 1600, vero?” aveva chiesto retorica Madina, “Sì” aveva ammesso lui confuso, “Anche se andava scemando il fenomeno in quegli anni si parlava sempre di El Dorado – non sai quanta gente europea, americana e quant’altro si è persa in amazonia per cercare le ricchezze di El Dorado” aveva ammesso, “Anche su nelle alture fredde del Wyoming, erano arrivate le voci” aveva raccontato. Jason aveva annuito, non molto stupito, il mondo era stato costellato di terre leggendarie e uomini che avevano fatto quanto era necessario per trovarle: alcuni per la gloria, alcuni per l’avventura e alcuni per la ricchezza. Alcune di quelle terre erano davvero esistite ma la nebbia le aveva celate agli uomini, altre erano leggende, altre erano posti a metà – come Ogigia. Immaginaria e reale.
“E ricordo che c’era questo ragazzo apachese che diceva sempre che era nella natura dei bianchi morire per la loro fame dell’oro – non prenderla male, riporto solamente quello che aveva detto” aveva raccontato, “Nessuna offesa” aveva ammesso Jason, “Sono romano, ricordi? Uno dei popoli più affamati di sempre” aveva ricordato, “E questo ragazzo, non ricordo il suo nome … è passato tanto tempo da quando ho saputo quella storia. A mia madre non piacevano gli uomini e le persone in generale” aveva raccontato.
“Madina mi sto perdendo” aveva ammesso Jason, “Sai ci sono persone come Mel che hanno vissuto quasi duemila anni e la loro mente è una biblioteca che può immagazzinare volumi e volumi senza essere mai piena, ma io? Io molto meno” aveva detto, “Diciamo che il giro era lungo e non ricordo perché stavo pensando a El Dorado ma ho sentito parlare del Regno di Saguenay e decisamente non relativo a una cittadina del Quebec” aveva ammesso.
Lo aveva detto solo a Jason, ma probabilmente il loro discorso era arrivato anche agli altri, “Non ricordi altro?” aveva chiesto preoccupato, “El Dorado del Nord America? Può avere senso?”.
“Comunque sia, questo è il momento in cui vi devo interrompere” aveva miagolato Hnoss, tutti avevano guardato la Dea-Ragazzina. “Tecnicamente non potete lasciare i domini di mia madre fino al ritorno della Dísir che vi ha condotto qui. Avete il permesso di Bragi di venire qui e di mia madre di restare, ma formalmente …” aveva provato imbarazzata Hnoss, “… Non possiamo andare via” aveva concluso Jason.
“Sì, se vi accadesse qualcosa: mia madre e Odino potremmo entrare in conflitto. Non litigano spesso ma un tempo c’è stata una guerra tra Vani e Aesi prima che io nascessi” aveva ammesso Hnoss.
Ecco, sì, quello che serviva in quel momento non era sicuramente una guerra tra pantheon norreni.
Forse, Heidi aveva organizzato anche quello.
“Be, Hnoss mi piacerebbe proprio vederti provare a fermarci” aveva risposto Fred.



[1]

[2] OVVIAMENTE è un tributo a Lady Loki del MCU, ahaha.

[3] Flavus perse uno dei suoi occhi mentre combatteva la rivolta illirica durante l'assedio di Andetrium nel 9 d.C.

[4] Sappiamo che Flavus aveva ottenuto la cittadinanza ma non sappiamo quale nome romano avesse, ho scelto letteralmente il primo nome romano che mi è venuto in mente e la gens la stessa di Arminio. Tecnicamente il grado di Flavus doveva essere centurione ma probabilmente anche prefetto di coorte – che era il grado delle coorti ausiliare.

[5] Buona parte di questo rito è copiato da quello proposto da Eschilo ne Gli Evocatori e ne I Persiani con alcune semplificazioni (tipo le patatine al posto del sacrificio animale, infondo Nico fa così nei libri e, be, Octavian legge il futuro nelle interiora dei peluches) e dei cambiamenti – tipo la maschera. Purtroppo, degli Evocatori non abbiamo una versione integrale o comunque ampia e o trovato pochissimo in materie. PERO’ vi lascio comunque un link di riferimento: file:///C:/Users/User/Downloads/207-393-1-SM.pdf; https://core.ac.uk/download/pdf/74322296.pdf

 

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Capitolo 23
*** Nonna Castoro raccontaci una storia (possibilmente quella del misterioso regno di Saguenay)! ***


Per favore, leggete la nota in fondo.
Buona lettura!

 

 

Nonna Castoro raccontaci una storia (possibilmente quella del misterioso regno di Saguenay)!

 

“Sarebbe stata utile la Banana Gialla di Magnus!” aveva soffiato Madina, mentre si accoccolava sulla schiena del suo fidanzato. “Lo dici tu?” si era lamentato il verro, mentre correva così veloce da sfiorare solo le vorticose acque dei Tanai. La sua velocità era immensa, ma Jason non sembrava percepirla affatto!
Erano tutti e cinque in groppa alla bestia, sebbene Jason non ne avesse avuto la percezione, aveva la sensazione che la bestia fosse aumentata di volume, così che tutti quanti potessero cavalcare il garrese.
“Tuo cugino è stato molto gentile” aveva sospirato Stellan, voltando la testa per poter guardare oltre la sua spalla, rivolgendosi a Mel.

Il gladiatore si era fatto rigido, “Sì” aveva ammesso.

Italicus e il resto della sua famiglia si erano mostrati ben disposti a trattenere la vivace Hnoss – la piccola-dea sembrava molto interessata a piacere a Fred ma molto meno disposta a permettergli di fuggire; Jason aveva gridato alla ragazza, mentre la vedeva affrontare l’impavido Flavus, che sarebbero tornati in tempo.
Ricordava che anche Freya si fosse raccomandata di non lasciare il suo oltre-tomba, all’inizio della festa.

 

“Mi ha detto che per tutta la vita non ha fatto altro che pensare a me” aveva ammesso Mel, “Mi ha detto che aveva chiesto che le mie ossa fossero restituite a lui, che fossero seppellite, lì al di là del reno, con i miei avi” aveva ammesso Mel, “Ma Iulia mi aveva bruciato e tumulato dove voleva lei, senza nome e senza effige, dove poteva trovarmi sempre” aveva ammesso cupo e angosciante, “Perché per lei non avevo avi, ero solo suo” aveva ammesso cupo.

Ricordava le parole che Agrippina aveva usato quando aveva parlato di Mel: Tutto ciò che hai è mio. Tutto ciò che sei è mio. “Ho odiato Italicus. Quando sono morto io avevo sedici anni e lui solamente sette … lo avevo visto una sola volta prima di quel momento; mio zio lo aveva portato da me per conoscerlo; avevo tredici anni. Trovavo orribile, anche solo guardarlo. Io indossavo questa tunica, corta, ero uno schiavo e lui, dèi, lui era vestito come un bel bambino romano, di rosso amianto, e mio zio gli aveva dato questa … effige di Freya che portava al collo e io lo sapevo fosse di mia madre” aveva ammesso con cupo disturbo, “Non potevo averne la certezza, ma lo sapevo che era di mia madre.”

Erano rimasti tutti in lungo silenzio, mentre Thumelicus cercava di venire a capo dei suoi sentimenti.

“Poi sono morto lì, sulla sabbia nell’arena. Solo, sotto lo sguardo di persone venute e a godere del mio dolore e il pollice alzato[1] del governatore della città – non ricordo neanche il nome dell’uomo che ha scelto il mio destino – e mentre morivo, mio cugino viveva e cresceva, ereditava la terra, il sangue e la gloria che erano stati destinati a me” aveva ammesso Mel.

“Ero nel Valhalla, ero felice, avevo ottenuto quello che ogni uomo germano avesse mai desiderato … eppure, non ho fatto altro che provare rabbia nel pensare a mio cugino che diventava il Re di un popolo che era mio, fantoccio di un governo che aveva messo mia madre in catene e me a morire in una fossa per il ludibrio del pubblico” aveva aggiunto arrabbiato. “Mio padre era un Re, uno dei pochi ad aver fatto saggiare la scure a Roma, quando ella era inarrestabile e sono stato concepito principe, ma sono nato schiavo e morto schiavo” aveva ammesso e poi aveva cominciato a piangere, in singhiozzi quasi incontrollabili.

“E … ho pensato ... lui voleva seppellirmi con mio … padre, nella mia terra … e mi ha pensato e io ho-ho passato duemila anni …” e il resto delle parole erano singhiozzi difficili da interpretare, un po’ in inglese, un po’ in latino.

Madina lo stringeva forte e la situazione si era sentita quasi pesante. Jason non aveva detto nulla, Stellan neanche e perfino Fred aveva avuto il buon gusto di tacere la sua lingua velenosa.

 

“Comunque non per rovinare questo momento di pace e tranquillità mentre draghiamo” aveva cominciato a parlare Fred, dopo che i singhiozzi di Mel si erano fatti più assopiti. L’ambiente aveva cominciato a mutare, non c’era più quella dolce atmosfera luminosa e calda di Vanaheim. “Ma ci sono alte probabilità che possiamo finire a metà da qualche parte tra il rialto centrale della Russia e il mar Nero. Il Tanai non è un fiume della vita e una manifestazione sovrapposta del Don, in due mondi” aveva sospirato Fred, “Tecnicamente nei territori della Scizia” lo aveva corretto Mel, “Nell’Ynglinga saga, Snorri pone Vanaheim nella Grande Svezia, cioè la Scizia” aveva spiegato meglio, con il suo tono ancora un po’ umorale.
Jason aveva sorriso: quello sembrava molto di più Mel.

“Scizia, Rialto Russo … cosa vuoi che cambi? Saremmo comunque in mezzo al continente eurasiatico!” aveva risposto Fred. “Be, abbiamo preso  la biforcazione che andava a sud-ovest, quindi forse saremmo più vicini al versante europeo” aveva provato Madina, “Per caso mio prode Gullinbursti, lei sa dove siamo?” aveva chiesto Stellan, passando una mano sulla testa dell’automa, “Questo non è Venaheim” aveva ammesso il cinghiale.
Jason si era guardato intorno, il calore della luce d’oro di Vanaheim si era assopita, a favore di un clima più grigio e umido.

La natura davanti ai loro occhi era mutata in un verde più inteso con alti alberi, sembrava meno il lussureggiante ambiente di Vanaheim, con quella sua natura ambigua, lucente e sconosciuta – quasi più creata dall’idea di piante e alberi che vere e proprie specie animali note –  e più una folta natura a Jason famigliare.
“Quello è un acero” aveva riconosciuto, ammiccando ad un albero, che aveva riconosciuto tra gli altri e poi … ne aveva notati di simili.

“Sei un erborista?” aveva chiesto sarcastico Fred, “Sì, be, una volta mia sorella è stata trasformata in un Pino e dopo che lo ho scoperto mi è venuto in mente di documentarmi. Sai caso mai succedesse ancora qualcosa di simile” aveva risposto Jason pratico, cosa, che se ci pensava, era successa ancora, visto che una volta Nico era stato trasformato in un fiore, in base a quello che aveva raccontato Hazel. “Oh, dèi, sta bene, ora?” aveva chiesto Madina con preoccupazione, “Sì. Mio cugino la ha ritrasformata in una donna ed ora è una Cacciatrice immortale che fa il culo ai mostri per hobby” aveva risposto schietto Jason, sorridendo.

Thalia era immortale e, tecnicamente, anche Jason lo era, forse dopo che avessero risolto quella situazioni e quando le acque si fossero calmate, forse in un ventennio, avrebbe potuto trovarla.  Quella prospettiva l’aveva improvvisamente messo di umore ottimo.

“Buon per l’acero, possiamo farci lo sciroppo” aveva commentato Fred acido, “Non è semplicemente un acero” era intervenuto Stellan con un certo orgoglio, “Ha foglie verde scuro, opposte caduche! È un acero zuccherino!” aveva esclamato, “Gli avete anche ad Alfheim?” aveva inquisito Mel, “Sì, sono presenti nei grandi parchi delle zone dove abito, sono molto particolari, perché non prendono piede ovunque” aveva raccontato Stellan con un certo divertimento, “Sono così anche da voi?” aveva inquisito.

“No, in Francia siamo pieni di Aceri e ci sono anche in Giappone; sono letteralmente ovunque” aveva risposto Fred, “Ma non l’acero zuccherino!” lo aveva corretto Jason, “Si chiama così perché è la linfa è dolce!” aveva spiegato, “È quello da cui si ricava lo sciroppo … come dicevi Fred” aveva detto, “E come a Alfheim non si trovano ovunque, anzi hanno un territorio piuttosto limitato!” aveva spiegato.

Forse era perché aveva bevuto dalle acque di Mimir che il suo cervello stava correndo così velocemente, che tutte le conoscenze che aveva accumulato nel corso del tempo, anche superficialmente, ora tornassero così prorompenti.
“C’è una città, bambini!” aveva chiamato Gullimbursti.

 

Da oltre le fronde degli alberi, si iniziavano ad intravedere edifici moderni, “Non mi sembra il Rialto Russo” aveva detto Mel, “Non ci vado dalla Rivoluzione di Primavera, quindi non sono molto affidabile” aveva aggiunto, grattandosi il capo, la voce aveva perso la sua vena melanconica.

“Perché non siamo in Russia o in Scizia o alla foce del Mar Nero. Siamo in Canada” aveva risposto Jason.
“Non possiamo essere il Canada! Non possiamo essere così fortunati da essere in Canada!” aveva esclamato Fred, “Eravamo sul Don, come siamo finiti in Canada?” aveva chiesto retorico. “Perché il mondo ha altri due fiumi Don, oltre il Don di Russia!” aveva esclamato Mel, anticipandolo, “Uno in Inghilterra, uno in Ontario!” aveva aggiunto, “Questa abitudine degli yankee di rinominare le cose in base a quelle esistenti” aveva spiegato divertito, “Probabilmente tra il nostro bisogno di dover andare in Canada o forse il fatto che i piani dei mondi convivano, siamo accidentalmente finiti nel Don canadese?” aveva ponderato Mel, “Be, la strega lo aveva detto no? Ci avrebbe condotto l’acqua” aveva sospirato Madina.

“Probabilmente è così. Forse nel resto dei mondi le distanze non sono uguali alle nostre, ma dei punti devono coincidere” aveva ponderato Jason.

“Come se per tutto il tempo fossimo stati nello spazio del nord America, ecco” aveva ponderato Jason, “Forse se avessimo preso l’altro braccio del fiume saremmo finiti nel Don Russo o Inglese” aveva considerato.
“Jason potresti avere un’affinità piuttosto divertente con le acque” aveva ponderato Madina.
“Quindi siamo in Canada!” aveva detto Stellan, “Ed è un bel posto?”

 

Non erano semplicemente in Canada, erano a Toronto.

A nove ore di macchina da Saguenay – meno a cavallo di un verro-automa-senziente.

Tourtier con carne e patate – secondo la gentile cameriera è il piatto tipico” aveva annunciato Mel, sembrava stare decisamente meglio, gli occhi non erano più neanche lucidi. “Non ho molta fame” aveva ammesso Fred, “C’è qualcosa di vegetariano?” aveva chiesto Stellan, “Patatine fritte” aveva risposto il germanico.

Jason non si era fatto troppi complimenti.

Si erano fermati in un piccolo ristorantino non lontano dalle acque del Don. Avevano sistemato Gullibursti in un posto d’auto lungo fiume – mentre il verro si lamentava della mancanza di verde da grufolare – sperando che i mortali potessero vederlo come una macchina ben lucida che un verro con il pelo d’oro brillante.
Mentre Mel e Madina avevano potuto mangiare durante il loro tempo con Italicus e il resto della famiglia, loro non toccavano cibo dalla cena nella Sala dei Caduti.

Jason non sapeva neanche quanto tempo avessero speso da all’ora.

Fred aveva un’espressione conflittuale, ma alla fine aveva ceduto ed aveva mangiato un po’ del suo tourtier. Madina stava invece studiando una cartina con interesse. “Quanto tempo abbiamo prima dell’incontro con Glam?” aveva chiesto alla fine.

Madina si era morsa un labbro, “Non è stato facile tenere conto del tempo, ma credo ci siano rimasti, circa, otto ore per andare a Sanguay, trovare Astrid e ritornare a Vanaheim, se non vogliamo che Freya passi un brutto quarto d’ora con Odino” aveva ammessa Mel.

“Andiamo dunque” aveva emesso Fred, prima di infilare in bocca un generoso pezzo di cibo.

Stellan si era sollevato tenendo ancora la sua confezione di patatine fritte.

“Sono d’accordo” aveva detto Mel, “Ma prima, visto che siamo in Canada, potremmo raccogliere qualche informazione sul Regno di Saguenay. No?” aveva inquisito, “Come stavo dicendo prima a Jason, Saguenay è una città giovane, duemila due, praticamente l’altro ieri; anche se il fiume e la regione no” aveva ponderato, “Ed io nel lontano mille-seicento-diciassette ho già sentito questo nome” aveva sospirato Madina.
“Cosa stai proponendo?” aveva chiesto Fred.

“Sto pensando, ecco, che forse … esiste una Saguenay mitologica a cui quella reale fa riferimento, come in Alabama esiste la città di Troy” aveva ammesso lei, “Troy è una città molto reale” aveva risposto Fred, “Avete capito il punto” aveva risposto Madina.

“Abbiamo solo otto ore” aveva ponderato Stellan, “Per questo non vorrei piombare in una città del Quebac per cercare Astrid e scoprire che altrove” aveva detto Madina, “Gróa ha parlato del Regno di Saguenay, non della città, del territorio o del fiume. Regno

“Va bene, facciamo così, diamoci un’ora di tempo per scoprire qualcosa di utile” aveva proposto Mel. “Sprechiamo tempo, sì” aveva considerato Fred quasi rancoroso, “Posso accettare, ma non dividiamoci. La mia amica Hazel diceva che il Canada era la terra dei mostri” aveva spiegato. “Faremo a gruppetti” aveva proposto Madina, “Magari tre-e-due o due-due-uno” aveva aggiunto, “Io non posso stare da solo, non sono mai stato nel mondo mortale, non conosco gli usi e i costumi” aveva esclamato Stellan, “Perché lo schiavo romano, il crociato e la ragazza dei seicento li sanno?” aveva ponderato Fred retorico, “Parla per te, eremita. Io e Mel abbiamo passato molto tempo nel mondo mondano, Freddy” aveva ridacchiato Madina.
“Va bene, uno di voi due prendete l’elfo. Io e Jason ci faremo una chiacchierata” aveva buttato fuori.

Questo Jason non se lo era aspettato.

Madina aveva preso senza vergogna Stellan sotto braccio, “Fantastico, io e te non abbiamo passato tanto tempo assieme” aveva cinguettato.

In effetti: Jason, Mel e Stellan avevano affrontato Iulia, Fred e Stellan avevano trovato il cinghiale, Mel e Stellan affrontato Richard I – “Ne sono felice” aveva ammesso l’elfo.

 

 

 

“I posti migliori dove fare ricerche sono quasi sempre le biblioteche. Dei miei amici ci hanno trovato un’arpia che sputava pezzi di profezie” aveva raccontato Jason, con un tono leggermente vago, mentre attraversavano l’arco sorretto dai due grigoni in pietra nera della Biblioteca Pubblica di Toronto.

“Pensi che Hnoss passerà dei guai?” lo aveva sorpresa Fred di rimando, “Non credo” aveva ammesso Jason, “Siamo in missione per il Wyrd alla fine” aveva considerato, “Sai, la voglio odiare. Sarei stato ben felice di rimanere bloccato in un inferno perenne che dover affrontare la crisi della mia fede” aveva ammesso Fred, “Ma continuo a ricordare il suo visino di bambina, avvolta nella luce d’oro” aveva soffiato “È avrei dovuto ringraziarla.”
“Per averti dato un’altra possibilità?” aveva chiesto Jason.

Hnoss aveva detto di aver combattuto con Glam perché l’anima di Fred potesse diventare quella di un einherjar. Fred aveva scosso il capo in segno di diniego, “Per Astrid” aveva risposto, “Senza … Hnoss non avrei mai conosciuto Astrid e se non mi sono dissolto negli ultimi anni e solo perché non potevo sopportare di non vederla mai più” aveva ammesso, “Anche se ogni giorno è un agonia in questo circo.”

Jason conosceva quel sentimento, Giunone lo aveva ingannato, preso e rapito, gettato, cancellato e ricostruito, ma gli aveva dato Piper, anche se era durata poco, anche se non era del tutto vero. Jason aveva avuto Piper ed era morto per lei, come Fred sarebbe vissuto per Astrid.

“Questo è molto dolce” aveva ammesso Jason, “Non siamo amici e non mi piaci ancora” aveva stabilito. “Non hai mai pensato di confessarti?” aveva indagato, “Jason, io ho fatto tre voti: obbedienza, povertà e castità” aveva ammesso, “Un voto è un impegno imperituro, fino alla cessazione, essere morto e risorto non è una scusa per cedere. Così come il mio ruolo: io sono un monaco, anche da morto” aveva stabilito.
“Sono sicuro che possa trovarsi un compromesso” aveva ponderato Jason, “Il mio compromesso è sbarazzarmi del suo orrido fidanzato” aveva risposto.

 

“Scusate giovanotti, ma devo chiedervi di fare silenzio. Queste è la casa del sapere e il silenzio è la prima regola” erano stati disturbati da una signora che si era avvicinata a loro. Era piccola di statura, con la pelle marrone e i capelli grigio-bianco, tirati indietro in una crocchia perfetta. Doveva avere sangue nativo americano ma Jason non era così informato da riconoscere la tribù, anche se aveva dei decori in pittura rossa sul viso. I suoi occhi erano leggermente allungati, di un bel castano dolce ed aveva un naso leggermente ingombrante, che la faceva sembrare dolce indossava un maglioncino di kashmire, su cui era cucita l’immagine di una marmotta, e al collo pendevano degli occhiali tondi da una cordicella di perle. “Ci perdoni signora” aveva detto pieno di vergogna Jason, mentre Fred aveva incrociato le braccia sotto il petto, ben disinteressato ad apparire contrito.
“Cercavamo informazioni” aveva cominciato lui, “Oh, siete decisamente nel posto giusto” aveva risposto divertita la signora, “Non lavoro qui, ma conosco questo luogo come ogni angolo della mia sacca” aveva risposto lei con voce piatta ed una punta di divertimento. “Forse posso aiutarvi” aveva aggiunto, “Cerchiamo informazione sul Saguay” aveva risposto Jason, “Probabilmente un agenzia di viaggi sarebbe stata meglio, ma posso lavorarci” aveva ridacchiato quella, strizzando l’occhio verso di loro.

“Bene, osservando quell’orologio – abbiamo venticinque minuti” aveva stabilito Fred, “Poi andremo a Sagueay o come si chiama” aveva risposto Fred.

La signora aveva riportato loro un paio di libri, sembrava caricarli con tranquillità nel suo piccolo corpo con estrema tranquillità. “C’è molto materiale” aveva considerato Jason, “Molto ma non abbastanza” aveva detto la signora anziana, “Non esisterà mai abbastanza materiale rispetto quanto dovrebbe essercene, su qualsiasi cosa. Il mondo è così misterioso” aveva aggiunto con allegrezza la donna.

“La ringrazio, io sono Jason e lui è Fred” aveva risposto, indicando il suo amico, mentre raccoglieva i libri dalle mani della signora, per guidare lui e il suo amico verso un posto dove poter studiare. “Io sono A-gaskw” aveva risposto la donna con tranquillità.

“Bene” aveva detto Fred sedendosi su una sedia, “Alcuni libri sono in francese, io prendo questo” aveva aggiunto, allungando una mano per raccogliere alcuni testi. “Saguenay deriva dalla parola Saki-nip della lingua Innu: dove l’acqua scorre” aveva letto Jason, osservando Fred, quello aveva annuito: “Gróa lo aveva detto: le acque ci avrebbero condotto” aveva considerato, “Inoltre, in questo articolo c’è scritto che la città è stata fondata dall’unione di altre quattro: una di queste era Baia” aveva aggiunto rincuorato Fred, “E se ricordi …” aveva provato, “ , sì” aveva terminato per lui Jason, recitando le parole della strega.

“Madina aveva torto!” aveva esclamato Fred, tirandosi subito in piedi, Jason lo aveva guardato e aveva voltato la pagina quasi distrattamente, prima di osservare il testo scritto sulla pagina, “Non per abbatterti, ma tecnicamente Saguenay è su un fiordo” aveva riportato, il testo del libro recitava proprio le meraviglie del Fjordo, “ma il quartiere di La Baia no, è una zona pianeggiante, una baia sabbiosa” aveva risposto Fred senza perdersi d’animo, mostrando un brano del libro che stava leggendo lui.

A-gaskw si era avvicinata di nuovo a loro, “Ragazzi, i toni, per favore” li aveva rimproverati bonariamente, Jason era arrossito di imbarazzo, “Ci scusi” aveva sussurrato. Fred di rimando aveva preferito sbuffare.
“In quelle zone ci sono anche le viti selvatiche?” aveva chiesto Jason, poi sottovoce, “Sulla sabbia, intendo. Perché non mi pare che le viti crescano sulla renella” aveva replicato, “Dirmi che non hai mai bevuto un Carbenet Franc, senza dirmi di aver mai bevuto un Cabernet Franc” aveva replicato Fred, pungolandolo con cattiveria. “Oh, scusami se non sono un esperto di vini!” aveva replicato con un tono punto Jason. “Giovanotti!” aveva ribadito A-gaskw, con un tono meno gentili, e la terra aveva leggermente tremato, i due si erano immobilizzati, dritti come lame e tutti i loro sensi si erano svegliati improvvisamente. La gente intorno a loro aveva cominciato a vociare allarmata, affrettandosi a lasciare la struttura. Un allarme pragmatico si era dipanato per tutta la biblioteca invitando gli avventori ad abbandonare le aule celermente ma in maniera ordinata.
“Andiamo anche noi” aveva stabilito Fred, “Come, ora che si è liberato il posto e potete far baccano?” aveva chiesto la donna, perplessa, “No, no. Restate qui” aveva aggiunto A-gaskw.

“Lei non è semplicemente una vecchina gentile, vero?” aveva chiesto Jason, guardandola guardingo, “Ovviamente no, giovanotto, io sono una Nonna!” aveva ripetuto imperitura, sedendosi al loro tavolo, la gente aveva cominciato a lasciare la struttura senza badare a loro, probabilmente mascherati dalla Foschia emanata dalla donna.

“Toronto non ha un piano sismico, questa cosa è molto imbarazzante, sapete?” aveva comunicato la donna con un tono leggermente apprensivo, come se avesse parlato dei suoi figli o nipoti e non di una città intera.

“È stata lei?” aveva chiesto Fred, “Sì, circa. Non è nelle mie corde, ma posso far tremare i miei santuari. I poteri posso fare cose grandiose e spaventose, bisogna solo capire come adoperarli” aveva ammesso con gentilezza, “Ogni luogo di sapienza e un mio luogo” aveva ammesso. “Lei è, come …” Jason si era interrotto, sembrava sgradevole dire qualcosa sulla falsa riga della ‘Dea Minerva dei Nativi Americani?’

Primo a nessun dio piaceva essere comparato ad altri, secondo definire l’insieme dei gruppi autoctoni come un’unica identità sembrava sbagliato.

 “Una dea della Sapienza?” aveva chiesto Fred, anticipandolo, leggermente più diplomatico. A Jason non era mai parso che il suo compagno di corridoio fosse una persona abile a comunicare, fino a che non lo aveva visto con Snorri Thorfinnsson – probabilmente gli anni in monastero avevano insegnato a Fred qualche educazione o guizzo di empatia.

 “Io sono A-gaskw, del popolo degli Algonchini, nonna di Glooskap” aveva risposto, come se quella definizione avesse dovuto chiarire ogni cosa, mentre i suoi contorni cominciavano a cambiare ma invece di un orrido mostro, come si sarebbe aspettato Jason, davanti loro si era formato l’aspetto di un animale antropomorfo, una marmotta gigante, con un visetto dolce ed amichevole, con ancora i capelli grgio-bianchi chiusi nella crocchia e il trucco rosso sul muso. “E come tutte le Nokemis so molte cose. La vecchiaia da saggezza” aveva ammesso la dea bonaria. “Penso sia la prima volta che mi trovo così a mio agio con una dea” aveva sospirato Fred, “Nessun atavico terrore o freddo disagio” aveva ponderato. “Ne sono lieta. Odio quando i miei colleghi scuotono il capo e fanno la voce grossa, è così soffocante” aveva detto gentile la dea marmotta.
“Lei può aiutarci a risolvere un arcano?” aveva chiesto Jason, consapevole che avrebbero ricevuto una missione improbabile, che avrebbe fatto perdere loro ancora più tempo, ma non aveva dubbi che una dea non avrebbe potuto palesarsi davanti a loro senza pretendere qualcosa in cambio. “Io posso fornirvi gli strumenti, ma non le soluzioni” aveva risposto con gentilezza la dea. “Aiutati che dio ti aiuta” aveva sospirato Fred, “Dai ad un uomo un pesce e domani sarà affamato, insegna ad un uomo a pescare e non avrà più fame” aveva recitato Jason.

“Bene. Due ragazzi pragmatici – ne sono felice” aveva concesso la dea, “Cosa cercate?” aveva inquisito. “Un luogo che abbia una baia con dei pianori, viti selvatiche e corrisponda al Regno di Saguenay” aveva spiegato Jason.
“Oh, be, avete un bel problema da mettere nel sacco – era dai tempi di John Cartier che non vedevo qualcuno cercare il Regno di Saguenay” aveva considerato.

“Quindi non è la città omonima?” aveva chiesto Fred, con una leggerà irritazione, “Forse. Non lo so” aveva ammesso la vecchia, “Lasciate però che vi racconti una storia. Una storia antica …” aveva risposto. “Possiamo averla nella versione breve, non per cattiveria o mancarle di rispetto ma hanno rapito una nostra amica” aveva insistito Fred.

L’espressione dolce del viso di A-gaskw si era fatta leggermente acida e indisposta, “Ah, l’impazienza, la colpa più grande dei giovani. Scoprirete con il tempo che a far di fretta le cose non ci si guadagna nulla, ogni secondo va assaporato, perché è vero che il tempo non ci aspetta, ma anche correndo non riusciremo mai a raggiungerlo” aveva ammesso.

“Amica. Prigioniera” aveva ribadito lapidario Fred.

“Touché” aveva risposto la dea marmotta, “Procederò con la versione breve …”

 

“…Molti anni, secoli fa, tra i popoli che abitavano queste terre si era intessuta una leggenda, di un luogo: Saguenay, una terra ricca di ori, diamanti e abitata da un popolo estraneo e diverso da tutti gli altri. Nessuno ovviamente aveva mi cercato Sanguenay con così tanta insistenza, fino all’arrivo degli europei, in particolare dei francesi” – la dea castoro aveva lanciato un lungo sguardo di ammonimento a Fred, che era arrossito ed aveva deviato gli occhi – “E nessuno più dei francesi era stato interessato a questo leggendario luogo. Ne avevano sentito parlare per la prima volta da Donnacoda, un capo irochese che era stato fatto prigioniero nel vecchio continente, egli aveva intrigato gli uomini affamati di ricchezze con questa terra leggendaria”
“El Dorado del Nord America” si era lasciato sfuggire Jason, ricordando il discorso che Madina aveva cercato di fare sulle rive del Tanais, la dea lo aveva guardato, “Scusi, non volevo interromperla” aveva ammesso Jason vergognoso, “Non preoccuparti ragazzo, ma hai ragione” aveva confermato A-gaskw.

“Le parole di Donnacoda erano una maledizione, ovviamente” aveva ripreso a parlare, “Francesco I di Francia comandò che questa leggendaria terra fosse trovata. Molti partirono per conto del re, ma molti altri partirono per loro stessi. E nel tempo, nello spazio, la ricerca continuò, quella fame d’oro e ricchezze aveva infettato la mente degli uomini come una malattia” la dea castoro aveva fatto una pausa.

Jason aveva pensato a Heidi, la signora dell’oro, che poteva avvelenare la mente con le sue parole.

“Tanti di quegli uomini si sono persi alla ricerca di quella terra al nord che prometteva ori e ricchezze. Si è arrivati a pensare che quella di Donnacoda fosse un inganno, che i nativi avevano permesso di proseguire, per vendicarsi della loro ingordigia che gli aveva cacciati e rovinati” aveva detto con un tono di voce spento e pieno di dolore. Era la sua terra, era il suo popolo, quello che era stato decimato, cacciato e perseguitato.
Fred aveva abbassato il capo pieno di vergogna, “Qualcosa che ci caratterizza da sempre” aveva sospirato poi – lui che era morto combattendo per conquistare una terra al posto di un'altra. “Per molti, per molto tempo, quella di Donnacoda era sembrata una vendetta; il Regno di Saguenay è stato cercato in lungo e largo, questa terra è stata sezionata, scaglionata e ispezionata in ogni cubito, ma niente è mai stato trovato” aveva detto A-gaskw.
“Il mio amico Percy diceva che certi miti sono davvero solo miti, come Atlantide” aveva parlato Jason, “Una terra piena di flutti e frutti, magica e ricca che era esistita ingurgitata dal mare, scomparsa”, come era scomparsa Saguenay, aveva valutato, “Solo un’altra chimera che gli uomini inseguono” aveva ammesso Fred, c’era frustrazione della sua voce, “Sì” aveva ammesso la dea, “Ma la leggenda di Saguenay esisteva ben prima della maledizione di Donnacoda, esisteva tra le leggende dei popoli e dei clan con un solo avvertimento” aveva fatto una pausa eccessivamente drammatica: “State lontani da quella terra e da quelle genti.”

“Si aveva una descrizioni delle genti?” aveva inquisito Fred, A-gaskw aveva sorriso compiacente, prima di rispondere: “Sì, si diceva che gli abitanti del Regno di Saguenay fossero pallidi come la neve, dai lunghi capelli biondi come il sidro del sole e vestissero oro e argento” aveva spiegato.
Fred aveva annuito.

“Vi lascio riflettere, mentre vi porto del tè. Non si potrebbe bere qui, ma visto che non c’è anima qui, credo possa aiutarvi” aveva detto la dea castoro sollevandosi, “Abbiamo su-per-giù dieci minuti” le aveva detto Fred, “Ho un ottimo bollitore” aveva risposto quella pragmatica.

“Il tuo cervello potenziato dall’acqua di Mimir ti ha fatto giungere alla mia stessa conclusione?” aveva chiesto Fred, retorico. “Può darsi” aveva ammesso Jason. “Ti dicevo, quello, che mi ha detto il mio amico” aveva cominciato, “Esattamente Jason quanti amici hai?” aveva chiesto Fred a brucia-pelo, era una domanda strana ma era una bella domanda.

“Molti” aveva schiuso le labbra Jason, rischiarato a quel pensiero, anche se molti di loro non li avrebbe mai più incrociati, “Dicevo: Percy mi raccontò di Atlantide, che è un mito della mitologia greca che è un vero mito …” stava dicendo, ma era stato interrotto da Fred. “Saguenay non è un’allegoria! È un posto reale” aveva ponderato il figlio di Gerd. “Potrebbe essere un luogo dove le cose si uniscono?” aveva borbottato Jason, “Sai dove i piani delle esistenze si uniscono, come il Don, la terra dei Veleni o le montagne del Wyoming” aveva spiegato meglio.

Fred aveva aggrottato le sopracciglia scure, “Cos-lascia perdere” aveva stabilito, prima di grattarsi una guancia, “Dici?” aveva chiesto perplesso, “Uhm” aveva provato Jason, “Váli …Lokisson mi ha spiegato che gli dèi Slavi hanno predisposto un campo per i loro semidei che non esiste in questa realtà, quindi non so, forse Saguenay potrebbe essere una tasca nello spazio?” aveva proposto, ricordando quello che il giovane mezzo-Jotun aveva raccontato loro. “Sì, hai davvero tanti amici” aveva ponderato Fred con un tono leggermente invidioso, “Ma non credo. Gròa ha detto che il Regno di Saguenay è qui, nel luogo dove si vive e muore allo stesso tempo” aveva ricordato.

“Quindi un luogo sulla terra, a nord, di qui, abitato da uomini pallidi biondi e ricchi di gioielli” aveva ponderato Jason con un tono angustiato. “Un luogo con viti selvagge e pianure” aveva ricordato Fred, “Che è stato cercato in lungo e in largo”, Jason aveva terminato per lui: “E mai trovato.”

 

A-Gaskw era tornata, con un’espressione colorita, “Vi ho portato un tè all’agrifoglio, ha molta caffeina” aveva affermato con estrema gentilezza, “Molto gentile” aveva ammesso Jason con un tono gentile, raccogliendo la tazza che aveva steso verso di loro, “Siete giunti a qualche conclusione?” aveva domandato.

“Oh, sì, Saguenay è un luogo molto reale che non esiste” aveva risposto Fred turbato. Jason aveva bevuto un po’ del suo tè, era buono ed era forte, “Oh, dei che buono” aveva esclamato, facendo ridacchiare la dea, “Grazie caro” aveva squittito.

Fred aveva aggrottato le sopracciglia, il suo viso era insofferente e non aveva neanche toccato il tè. Jason sapeva quello che stava provando. “Forse state guardando dalla prospettiva sbagliata” aveva ponderato la dea.

 “Ah sì?Quale è quella giusta?” aveva indagato Fred. “Questo è un mito algonchino, o forse Innu visto che è dalla loro lingua che viene il nome, che ha preso piede negli altri popoli, tanto che è arrivato fino al Wyoming da Madina più di un abbondante secolo dopo, dove sono i Siux” aveva spiegato la dea.

Jason aveva ricordato il mantra che Astrid gli aveva detto prima di ritrovarsi nel pasticcio dell’Holmagang, che apparteneva al popolo Siux.

“Ma perché Erik e Astrid dovrebbero ripararsi in un mitologico regno algonchino? Astrid appartiene al popolo Thule, i più vicini a loro per cultura sono gli odierni eschimesi” aveva risposto Fred, “Quindi dovremmo cercare un mito eschimese?” aveva chiesto poi stanco lo stesso. “Ti direi di sì, ma non credo. Astrid è una vichinga, è stata cresciuta da quel mondo lì, da suo padre” aveva considerato Jason, “Pensa che quando ha avuto bisogno di citarmi un aforisma ne ha scelto uno Siux, non uno Thule. Inoltre Erik è in tutto e per tutto un vichingo” aveva ricordato.

“Non è un vichingo, è un prete” aveva ricordato Fred, “Per cultura resta un vichingo” aveva risposto Jaosn, trovandolo ovvio. “Prima cosa, i vichinghi non sono un popolo Jason, sono un ruolo sociale” lo aveva corretto.
“Okay, non lo sapevo. Come ho detto, sono in questo posto da cinque giorni solamente, due dei quali li ho spesi a Jotunheim e uno a Vaneheim” aveva risposto sulla difensiva. “Comunque, non hai torto, per cultura appartiene ai popoli scandinavi. La famiglia di Erik è norvegese, mentre quella di Astrid alle colonie islandesi” aveva ammesso Fred.

“Credo dovremmo guardare dalla prospettiva norrena della faccenda” aveva considerato Jason, voltandosi verso A-gaskw in cerca di conferma.

“I thule vivevano anche in Groenlandia, comunque” gli aveva riferito la dea A-gawask, “Quindi Saguenay è in Groenlandia?” aveva chiesto Fred, “No, è un luogo Innu o loro vicino” aveva ricordato Jason, interogando poi la dea castoro, “Non ha detto che il nome veniva da una parola di quel popolo?” aveva chiesto.
“Così ho detto” aveva confermato A-gaskw, “Allora, è probabile considerare che Saguenay dovesse essere una terra loro vicina, forse nel loro territori; probabilmente loro stessi sono stati gli iniziatori della leggenda” aveva ammesso Jason, voltando lo sguardo verso Fred. Il figlio di Gerd era stato leggermente titubante, ma poi aveva annuito, “Ha senso” aveva concesso.
“Non è che avrebbe un libro che parli di questo popolo e dove erano stanziati?” aveva inquisito Jason, poi volgendosi verso la donna, “Mia signora” aveva aggiunto più rispettoso, l’attimo dopo nelle zampe pelose della dea si era manifestato proprio un tomo, “Ecco a te, caro” aveva detto.

“Non potrebbe aiutarci è basta?” aveva chiesto Fred, leggermente spazientito, “Primo: se lo facessi come imparereste? Secondo: non ho davvero idea, sono sempre stata troppo pragmatica per cercare luoghi leggendari” aveva risposto la dea, mentre offriva il libro a Jason.

“Niente in cambio?” aveva chiesto, “Di solito gli dèi vogliono sempre qualcosa?” aveva considerato, “La compagnia di due baldi giovani, mentre si tiene il naso sui libri e quanto più una nonna possa desiderare, sono diventata vecchia e sbiadita e sono pochi a ricordarsi di me” aveva detto con un tono bagnato.
Jason aveva sorriso con gentilezza, “Grazie” aveva ammesso alla fine, prendendo il libro e cominciando a studiare le mappe.

Gli Innu occupavano una regione a nord, nella zona di Charlettowon, nei territori del Labrador, a nord di Saguenay aveva visto, dal novecento al millecinquecento almeno.

Un luogo che fosse vicino agli Innu e fosse legato al mondo norreno, in qualche maniera.

“Sicuramente Mel conoscerebbe il mito in questione, lui sa tutto – non so come faccia” aveva soffiato Fred, quando lo stesso guerriero germano aveva schivato la responsabilità dicendo di non avere idea. Certo, forse dal punto di vista norreno, avrebbe potuto dare di più – duemila anni erano tanti per informarsi su vari miti.

“E credo tu sappia molto di Astrid” aveva cercato di consolarlo Jason, “Non così tanto” aveva ammesso Fred, “Starle vicino mi faceva male quasi quanto starle lontano.”

 

Dopo quella frase erano rimasti in un silenzio lungo e pesante, alternato solo dallo sfogliarsi delle pagine dei tomi e dai commenti incoraggianti della dea, che ad una certa aveva tirato fuori dei biscottini da dividere con loro. Jason era a metà di un dolcetto, con ancora il sapore dell’agrifoglio in bocca, quando aveva osservato gli occhi neri di Fred scintillare come stelle. Il ragazzo stava mormorando qualcosa a mezza bocca in francese, che somigliava ad una preghiera al suo Dio, quando improvvisamente si era tirato su dal libro come una molla, con una parola a metà della bocca e l’espressione illuminata.

“Hai avuto un’idea?” aveva chiesto Jason, anche se era una domanda inutile.

“E se fosse una questione come la Migdàl Bavèl?” aveva chiesto retorico Fred, ignorando a pie pari la sua questione, “Cosa?” aveva domandato Jason incuriosito, “La Torre di Babele, sai la manifestazione fisica della hybris degli uomini distrutta da Dio? È un passaggio piuttosto famoso della Genesi 11, versetti da 1 a 9 cristiana” aveva spiegato, “Sono confuso ma interessato. Sono ignorante in questioni … religiose” aveva ammesso, “Lo so me lo hai detto, ti hanno cresciuto i lupi, lupi pagani” aveva ponderato Fred.
Aveva anche definito Lupa una meretrice; sperava la dea non lo scoprisse mai.

Fred poi aveva ripreso a parlare: “…e nel Libro dei Giubilei, per quanto io lo abiuri. Però, la Torre è presente anche in altri simpatici brani non molto cristiani, il cui più famoso è sicuramente un poema sumerico con un nome impronunciabile, che non ricordo né mi interessa ricordare” aveva detto Fred con un tono freddo. “Due miti condivisi in due mitologie diverse” aveva considerato Jason, notando le similitudini in quella circostanza, “La mia fede non è una mitologia, ma sì” aveva risposto mantenendo calmo un tono collerico, “Però non era qui che volevo arrivare” aveva rivelato. “Oh” aveva ammesso Jason, “Per avere bevuto dalle acque di Mimir non sei particolarmente brillante” aveva soffiato Fred, “Riconosco la mia ignoranza. Penso che come aspirante costruttore di templi avrei dovuto sapere di più di una Torre di Babele” aveva ammesso Jason, con un sorriso di circostanza.

Era divertente però che la hybris degli uomini riguardasse una costruzione, Annabeth avrebbe apprezzato l’ironia, visto che riteneva la sua ambizione il suo difetto fatale e la capacità di immaginare costruzioni il suo più grande pregio.

“Sei ancora giovane, ragazzo, sono sicura avrei molti modi e molto tempo di ampliare la tua conoscenza” lo aveva consolato A-gaskw, “L’importante è che la tua fame di sapere non trovi mai acquiescenza.”
Jason le aveva sorriso grato.

Etemenanki” aveva sospirato Fred poi, “Questa la conosco” aveva ammesso Jason, “La pietra angolare del Cielo e della Terra. La ziqqurat più famosa di Babilonia. La mia amica Annabeth dice che a oggi abbiamo solo la ricostruzione data da Erodoto” aveva ricordato Jason, chiedendosi da dove venisse quella memoria così netta e certa. Forse erano le acque?

“Mattoni cotti colorati e quasi centro metri per lato ed altre tanto alta[2]: un capolavoro. Una torre così alta da essere vicina agli dei” aveva riportato, “Da sfidare il Signore” lo aveva corretto Fred, con un luccio negli occhi,

“Capisci?” aveva chiesto.

“Un luogo condiviso da due miti ma reale e fattuale” aveva realizzato Jason. “Sì. Se questo Saguenay fosse come la torre di Babele? Non una tasca nello spazio, non una sovrapposizione di mondi né una chimera inarrivabile. Un luogo molto reale che ha dato origine a interpretazioni mitologiche successive” aveva esplicitato Fred.

Jason aveva annuito.

“Quando gli Ebrei furono deportati a Babilonia, durante il regno di Nabopolassar, trovarono la torre alta solo venti metri o circa, probabilmente in restauro, probabilmente scoprirono che in precedenza era stata alta il quadruplo e e davanti l’opulenza del popolo dei Babilonesi elaboreranno il loro – mio signore perdonami – mito, che prevedeva che il loro Dio aveva punito quell’audacia[3]” aveva stabilito Fred. “Sei stranamente ferrato in storia” aveva ponderato, “Non ero certamente un monaco amanuense, ma come religioso studiare era praticamente un obbligo” si era difeso Fred, arrossendo sulle guance. “Potresti dare ripetizioni a Mel” aveva ponderato, “Ah, non ancora. Quel barbaro suicida ha una memoria eclettica” aveva sospirato Fred.

“Quindi Saguenay potrebbe essere un luogo reale che si è stabilizzato nella mitologia nativo americana e, probabilmente, vichinga” si era inserita la dea Castoro.

“Quindi ci serve un luogo reale, vicino alle zone degli Innu dove gli algonchini possano aver incontrato degli stranieri alti e biondi e pieni d’oro?” aveva domandato retorico Jason.

Ed improvvisamente la cosa gli era parsa ovvia.

Vinland” lo aveva anticipato Fred, “Una terra calda, ricca, aldilà del male con viti selvatiche” aveva aggiunto.
Certo: Vin-land la terra del vino, aveva considerato Jason, “Viti selvatiche come quelle citate nella profezia di Gróa” aveva ricordato.

Dopo quello, tutto stava nel ritrovare dove esattamente fosse sorta una civiltà vichinga nell’America del Nord: Boston? Jason sapeva che la statua di Leif Erikson – il nonno di Erik Freydisson – era nella cittadina americana, dove esisteva uno dei portali, c’era passato davanti proprio il giorno in cui aveva avuto un appuntamento con Kym e poi aveva raggiunto Casa Chase e ricordava qualcosa del genere anche nella presentazione di Odino.

“Aveva ragione Mel: sono tornati a casa” aveva esclamato Fred.

“Che giorno è oggi, Madina? Possiamo inciderlo sulle tavole sacre? Fred mi ha dato ragione” aveva sentito una voce maschile strillare.

 

Evocato come uno spirito, Mel si era palesato.

“Oh, abbiamo compagnia!” aveva detto A-gawska felice, ammiccando alla nuova presenza: le nuove, in vero. Mel era apparso, accompagnato da Madina. Lui indossava ancora i pantaloni di pelle di Ragnarok, ma sopra non indossava più la camicia da festa, ma una giacca imbottita. Madina non indossava niente di troppo pesante ma aveva smesso gli abiti da festa, teneva tra le mani delle buste con la marca di un negozio sportivo.
“Ragazzi, lei è la divina A-gaskw, dea della sapienza e nonna di Glooskap” aveva spiegato subito Jason ricordando l’onomastica della dea castoro e sollevandosi in piedi, “Mia signora, loro sono: Madina Modja figlia di Ullr e Thumelicus Herminsson da Confluentes, due nobili caduti di Odino” aveva spiegato calmo.

“Siete andati a fare compere? Non dovevate fare delle ricerche” aveva inquisito Fred confuso, “Be, ci sembrava una buona idea” aveva risposto subito Mel, “Anche se è bellissimo vedere te e Jason in pantaloni di lustrini, avevamo pensato forse avreste voluto qualcosa di meno scintillante, ma se non vuoi” aveva scherzato Madina. “Dammi subito quelle buste” aveva risposto Fred, frustrato.  “Grazie” aveva ammesso Jason, indossava ancora i pantaloni luccicanti d’oro in accordo ai suoi occhiali, per fortuna, era riuscito a recuperare una maglietta mentre operavano il rituale di invocazione – o avrebbe continuato a stare a petto nudo fino a quel momento. E si era accorto che anche Fred, continuava ad indossare i pantaloni rossi scintillanti. “Stellan?” aveva chiesto, “Sta facendo la guardia al verro. Dei simpatici turisti pensano sia un Moster-Truck e continuano a farsi foto. Gullinbursti è in realtà molto felice di questo” aveva ammesso Mel.

“Come ci avete trovato?” aveva chiesto Fred, “Oh, be, il tempo che ci eravamo dati era finito, quindi le ipotesi erano: o vi aveva trovato un mostro o eravate stati rapiti o avevate trovato qualche indizio” aveva buttato fuori Madina, “Quando non abbiamo sentito nessun dramma in giro, abbiamo sperato nella terza e quale migliore posto della Biblioteca?” aveva inquisito Mel, aprendo le braccia, “Adoro questo odore; mi riporta al portico di Ottavia. Non ci andavo spesso, ma ogni tanto ho accompagnato Iulia e le sue sorelle” aveva detto squisito Mel, prima che la sua espressione dolce si inasprisse.

“Inoltre, be, l’abbiamo trovata chiusa a seguito di una scossa di terremoto che il resto della città non ha sentito” aveva ponderato Madina, “E quanto pare avete effettivamente trovato qualcosa!”

“Sono stati molto bravi” aveva concesso loro la dea castoro, “E a quanto pare Fred mi stava dando ragione su qualcosa” aveva gongolato Mel.

“Sì. Non darti troppe aree” aveva sbuffato Fred, “Abbiamo capito dove è il regno di Saguenay” aveva ammesso Jason, “Ai miei tempi conoscevo un mucchio di persone che sarebbero andati in brodo di giuggiole a questa notizia. C’è gente che ci ha perso il senno per l’El Dorado del Nord America” aveva ammesso Madina divertita. “Mi correggo comunque. Non sappiamo geograficamente dove è il Regno di Saguenay, ma abbiamo capito che è il corrispettivo per la Vinland” aveva spiegato Jason di nuovo, “Quindi, sì, Mel, avevi ragione: Erik e Astrid sono tornati a casa loro” aveva concesso Fred.

 

“Be, sì, figo. Quindi torniamo a Boston?” aveva chiesto Madina, “Non credo. Le acque ci hanno portato qui, no?” aveva ponderato Jason, “Inoltre: Saguenay è una leggenda Algonchina, ma è una parola Innu, quindi dobbiamo pensare a quel territorio” aveva aggiunto.

“Senza dimenticare che Vinland non è un posto specifico, è una delle regioni – regioni perciò non città – con cui i norreni indicavano il Nord America, insieme al Markland ed Helluland” aveva spiegato calmo Mel. Jason sorrise davanti quella sicurezza, non c’era occhio asciutto e la sua espressione era calma e decisa, quasi allegra, avrebbe osato dire: Mel sembrava Mel.

“Inoltre, Astrid non è di Boston. Ha sempre detto di essere nata su in sola” aveva ammesso Fred, “Come ho detto: sai molto di lei” aveva ponderato Jason, sorridendo verso di lui.

“Quindi ricapitoliamo: cerchiamo un posto in nord America, in territorio Innu o vicino, che sia un’isola e che abbia – o avesse – il clima abbastanza mite da avere terra florida” aveva provato Madina mentre lasciava a Jason e Fred i vestiti da indossare.

“Posso dire da quello che ricordo degli studi recenti, la colonizzazione è probabilmente avvenuta in Canada che negli Stati Uniti” aveva ricordato Mel. “Bene, meno male che siamo in biblioteca” aveva soffiato Madina, “Vi prendo una cartina” aveva detto la dea.

Jason aveva guardato la mappa storica delle popolazioni native che aveva già preso, “Sappiamo già che gli Innu erano nel territorio del Labrador e Terranova, dove condividevano lo spazio, parzialmente, con i Thule, la popolazione di Astrid” aveva detto Jason, puntando il dito verso la cartina.

Proprio a nord, di dove erano.

La dea Castoro aveva steso una mappa geografica del Nord America, senza confini civili, ma solo con gli elementi ambientali. “E proprio sicura di non volere qualcosa in cambio?” aveva chiesto Fred questa volta, “Per favore” aveva sospirato solamente la dea castoro, “Non dimenticatevi di me.”
“Mai” aveva rassicurato Jason – aveva già cominciato a costruire e progettare templi per dei minori, perché non aggiungere anche una dea algonchina?

“Lo giuro sullo Stige, mia signora, non la dimenticherò” aveva insistito e la dea castoro si era congedata con quelle parole ed un inchino gentile e cortese, “Allora vi lascio. Avete tutti i mezzi per risolvere questo enigma” aveva ammesso.

Nessun reale e concreto aiuto, solo supporto e strumenti.

In un certo senso lei era il corrispettivo di Minerva e … di Bragi, eppure era sembrata così diversa, così calorosa. Non era stata la saggetta rigida ed eterna della dea romana, né della caos e creatività del dio norreno, era stata calma e rassicurante.

 

“Questa parte lasciatela a me” aveva dichiarato Madina, “Vivevo in una casa nel mezzo delle montagne del Wyoming, guardare carte era l’unico modo per vedere il mondo!” aveva squillato, mentre posava il dito sul punto in cui erano in quel momento. Jason non era sicura di sapere esattamente dove Toronto fosse in una mappa senza limiti scritti, ma riconosceva le coste de Lago Ontario. Fred aveva sbuffato: “Lungi da me offenderti, Madina” aveva cominciato a parlare con un tono leggermente supponente, “Sembra che tu lo voglia fare” aveva risposto l’altra con una punta di cattiveria ben evidente.

“Sì, be, c’era una ragione per cui ai miei tempi alle donne non era permesso di parlare” aveva risposto piccato, “Adesso ti ficco un pugno in gola” aveva replicato Madina, “Questo non cambia che la soluzione, ora è ovvia” aveva ponderato.

“Ah sì? E quale sarebbe?” aveva chiesto di rimando quella, “Non ti sembra ovvio?” aveva risposto, ammiccando alla mappa, “Seguiamo il San Lorenzo, che parte proprio da questo lago, passiamo vicino alla

Nuova Saguenay e … oh, irrompiamo nella Baia di San Lorenzo, dove c’è … oh, guarda” aveva cominciato Fred sarcastico, seguendo il corso del fiume fino alla baia, doveva aveva fatto vagare il dito fino ad una terra insulare, prima di finire: “Ah, eccola qui: Terranova, nel territorio di Terranova e Labrador, un’isola proprio sotto i territori Innu.”

Ed era proprio lì: Terranova.

Sì, sembrava abbastanza ovvio, visto così.

“Bene, andiamo prima di trovarci un gruppo di valchirie alle calcagna o qualcuno decida di voler provare un Moster-truck in piena città” aveva sentenziato Madina.

“Sì” aveva ponderato Jason, “Andiamo a salvare Astrid.”

 

 

NOTA IMPORTANTI: Scrivere questo capitolo è stato super macchinoso, principalmente perché non succede niente e questi parlano – e neanche di loro, ma di miti a cas. Forse avrei dovuto inserire uno scontro, ma non ne avevo voglia (tranquilli ci saranno, ricordiamo che siamo quasi pronti all’Holmagang). Detto questo il capitolo esiste e non hanno risolto subito l’inghippo di Saguenay perché mi dopo essermi vista la serie tv ho capito che non potevo farlo.
Il più grande difetto della serie tv è stato il fatto che praticamente i ragazzi riuscissero a risolvere ogni mistero dopo praticamente due minuti (vedi Medusa, vedi quello dei materassi, vedi Crono, VEDI LUKE) e per me ha tolto molto pathos. Da un lato mi dispiace di avergli fatti sembrare degli stupidi perché la soluzione a me sembrava ovvia, però ho pensato: se non ne hanno sentito mai parlare e non hanno accesso ad Internet, forse così ovvia non era.
Diciamo che già partivano avvantaggiati con Madina che la conosceva come El Dorado del Nord America e Jason conosceva la città ‘perché il Wyrd’ (che probabilmente potrebbe essere la più pigra forma di scrittura di sempre).
E quindi niente, per scusarmi di un capitolo assolutamente macchinoso. Inoltre, non so, volevo dare un po’ di luce a Fred; mi dispiace di aver “sidelato” Stellan, ma capite che ormai è incollato a quel verro.
Riguardo ad A-gaskw non ha avuto un gran ruolo e poteva essere quasi cancellata, ma alla fine ho deciso di tenerla perché è una dea adorabile e perché nei suoi miti è davvero la “Nonna gentile” che ti aiuta senza chiedere nulla in cambio ma il suo aiuto non è mai diretto, ma sempre indiretto; nei miti da a suo nipote gli indizi e gli strumenti di cui ha bisogno e permette a lui di imparare/sbagliare come deve. Quindi, sì, un piccolo cameo mi sembrava carino (sono pessima: ho evitato gli slavi per non appesantire e poi ho disturbato gli dei algonchini).



[1] Ebbene sì, il Gladiatore ci ha mentito.

[2] Tecnicamente: 91,5.

[3] Ragazzi, non è proprio così. Questo è quasi un volo pindarico.

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