Turnabout Ghosts

di _Lightning_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Presentimenti ***
Capitolo 3: *** Tutto nella norma ***
Capitolo 4: *** Ritorni ***
Capitolo 5: *** Un caso al limite ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Phoenix Wright: Ace Attorney – Turnabout Ghosts


Prologo



Giorno ??? Ore ???
Luogo ???



 

Oh, che mal di testa...

Phoenix ne sapeva qualcosa, di mal di testa. Il suo cranio aveva accumulato una vasta esperienza con ogni tipo di oggetto contundente, dalle tazze di caffè, alle fruste, agli estintori. Sperava davvero che quello non fosse un mal di testa da estintore, ma la situazione continuava a sembrargli... insolita.

Troppo insolita per una semplice emicrania da stress.


Aveva freddo e si sentiva soffocare, in quei vestiti, come se il completo fosse diventato di due taglie più piccole. Attorno a lui, scorgeva solo una penombra livida e indistinta. Si massaggiò la nuca dolente, priva di lividi, facendo mente locale per accertarsi che la sua memoria fosse ancora funzionante.

Vediamo... sono Phoenix Wright. Sono un avvocato difensore. Ho ventotto anni e...

Sbarrò gli occhi, mentre quel filo contorto di pensieri arrivava agilmente all’ultimo, incontrovertibile fatto di cui era consapevole:


... e sono morto.
 


 



Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
non so nemmeno io cosa sia... questo. Ho rigiocato la trilogia di Phoenix Wright dopo più di dieci anni e mi è venuta voglia di scriverci su qualcosa.
La storia non tiene conto degli eventi successivi a Trials and Tribulations e si ambienta un paio d'anni dopo la conclusione del caso di Dhalia. 
Ricalcherò molte particolarità dei giochi, come l'indicazione di luogo e tempo all'inizio di ogni scena, i numerosi pensieri di Phoenix e le situazioni/personaggi assurdi e paradossali. O almeno, ci proverò ;)
La grafica che fa da titolo e banner è opera mia ♥
Grazie a chiunque leggerà o vorrà lasciare un commento!

-Light-


 


 
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all'originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.
Questa storia è scritta senza scopo di lucro.


©_Lightning_

©Capcom



 

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Capitolo 2
*** Presentimenti ***


1. Presentimenti

 

Prima
8 luglio, ore 19:47
Studio Legale Wright & co.


 

 

Dopo aver affrontato una mezza dozzina di casi con sfumature paranormali più o meno marcate, Phoenix aveva iniziato a dare molto più peso ai presentimenti.  Non che avessero poi molto a che fare col paranormale, né con la Tecnica d’Evocazione Kurain, gli aveva vivacemente spiegato Maya quando gliel’aveva accennato, come se avesse appena insultato lei e tutti i suoi antenati.

Anzi! Non c’entrano proprio un tubo, Nick! Eppure, ormai dovresti essere un esperto anche tu! era esplosa alla fine, gonfiando le guance – e lui aveva preferito lasciar cadere l’argomento.

Comunque fosse, dopo il caso di Dhalia, dar retta a ciò che gli dicevano i nodi allo stomaco non gli sembrava un’idea così folle, con buona pace della tradizione e degli antenati offesi.

Quella sera, un presentimento gli disse di non passare dallo studio legale per rivedere le pratiche e le prove dell’ultimo caso. L’ufficio era lontano dallo zoo, era ormai notte, il sonno lo divorava dopo una lunga serie di indagini, e il giorno dopo si prospettava un’udienza impegnativa con Franziska e la sua frusta all’accusa.

Però Maya e Pearl lo aspettavano al solito chiosco di burger. E lo studio era di strada, giusto dietro l’angolo del palazzo. Quindi, non catalogò quella reticenza come un “presentimento”, ma come pure, semplice, umana pigrizia. Si avviò di malavoglia allo studio, digitando un messaggio per avvertire Maya che avrebbe tardato.

Ah, che peccato, Nick. Avrei offerto io, ma se arrivi così tardi...

Phoenix si lasciò scappare un grugnito, non cogliendo la logica del messaggio e alzando gli occhi al cielo nel sentire già dolere il portafogli, ma non poté fare a meno di sorridere. Imboccò spedito le vie che iniziavano a svuotarsi di lavoratori e impiegati, riempendosi di ragazzi e giovani a passeggio o seduti all’esterno dei locali e ristoranti. A quella vista, il suo stomaco mandò un debole verso di protesta, ricordandogli che non toccava cibo dal pranzo, ed era meglio dimenticare la qualità della tavola calda del bioparco. Allungò il passo, con la ventiquattrore che sbatteva con indolenza contro la gamba. 

Fame e pigrizia: ecco ciò che lo frenava dal concludere il suo dovere di avvocato difensore per quel giorno. Ma il suo cliente contava su di lui, e i burger e il suo letto avrebbero potuto attendere ancora un po’.

Col senno del poi – letteralmente – avrebbe realizzato che quella sera si sarebbe potuto trovare in tribunale, o al circo di Moe, o all’Hotel Gatewater, o sul fiume Eagle, e ciò non avrebbe fatto la minima differenza.

Non si sedette nemmeno alla scrivania, quando arrivò in ufficio, né si tolse la giacca o allentò la cravatta mentre rivedeva da cima a fondo il dossier del caso. Non si sarebbe trattenuto a lungo. Era tutto abbastanza semplice, dopotutto. Almeno, rispetto ai suoi standard: un custode dello zoo, tale Urace Vent, era accusato di aver spinto un passante nella gabbia dei coccodrilli, causandone la morte truculenta. Peccato che la morte in questione sembrasse in realtà avvenuta nel recinto dei pinguini, come era riuscito a dimostrare nel processo precedente... senonché c’era un testimone a confutare quella teoria.

Testimone che, con tutta probabilità, è il vero assassino... come al solito.

Phoenix sospirò, assecondando almeno quello, di presentimento, dettato da anni di esperienza. Si mosse avanti e indietro davanti alla finestra, ricapitolando a mente tutti i dati che aveva raccolto. Era così lineare, eppure ingarbugliato... come tutti i suoi casi. Stava giusto pensando che, dopo un pappagallo, chiamare un pinguino al banco dei testimoni non sarebbe stata un’idea poi così assurda, quando sobbalzò, colto di soprassalto da un bussare alla porta.

Nella penombra dello studio, rischiarata solo dalla lampada da scrivania, Phoenix scorse un’ombra sotto la porta.

«Arrivo» mugugnò, con un’occhiata all’orologio.

Fa’ che non sia l’ennesimo stramboide in cerca di un avvocato.

Chiuse la cartellina del caso e la cacciò in un cassetto della scrivania, per poi spegnere la luce. Recuperò le chiavi dello studio, deciso a far sloggiare l’ospite inatteso e a chiudere porta, colloqui fuori orario e richieste impossibili dietro di sé.

Devo appendere un cartello con gli orari. Accetto clienti dopo le 18 solo se fanno di cognome Fey...

Quando si affacciò allo stipite, si trovò davanti la figura allampanata di un uomo, stagliata nel corridoio male illuminato. Strizzó gli occhi: le luci al neon sfarfallavano ormai da settimane, ricreando ogni sera l’ambientazione di un film horror.

Forse avrei davvero dovuto sporgere reclamo al proprietario.


In controluce, dal buio dello studio, distingueva a malapena un completo elegante, dei baffi ben curati e un riflesso insolito sul volto dell’uomo. Che era decisamente l’ennesimo stramboide. Ma, con un brivido lungo la schiena, realizzò che difficilmente poteva essere in cerca di un avvocato.

Strinse più forte le chiavi, impugnandole discretamente a mo’ di arma, e si schiarì la voce.


«Prego? Posso aiutarla?»

L’uomo rimase immobile per un istante, quasi lo stesse squadrando meglio da capo a piedi.

«Phoenix Wright?»

Un lampo di gelo gli attraversò la schiena.

Questa voce... l’ho già sentita.

Aprì bocca per rispondere, circospetto, ma si bloccò con la voce incastrata in gola. Riuscì ora a scorgere con più chiarezza il volto allungato dell’uomo: un monocolo sul suo occhio sinistro rifletteva la luce in lampi freddi. E dei punti di sutura lo attraversavano in modo perfettamente simmetrico, dall’attaccatura dei capelli al mento.

Phoenix sentì lo stomaco scivolare nei tacchi, le gambe improvvisamente di gelatina, il cervello avvolto da un velo di melassa freddo e viscoso. Non riuscì nemmeno a provare vero e proprio panico – solo viscidi, singhiozzanti interrogativi:

Perché adesso? Perché dopo tutti questi anni? Che vuole da me?

Ma ogni altro pensiero venne spazzato via: la canna di una pistola invase la sua vista, nera e senza fondo, gelida quando si piantò a pochi millimetri dalla sua fronte.

«Perdoni il cliché, signor Wright... ma non è davvero niente di personale.»

Tutto questo... non ha senso.

Fu l’unico pensiero che gli attraversò la testa, un lampo fugace e accecante. Vi si aggrappò come sperando che qualcuno potesse sentirlo, in qualche modo.

La sagoma di una conchiglia rosa gli balenò davanti agli occhi, poi il fragore dello sparo inghiottì anche quell’ultimo sprazzo di lucidità, cancellandolo dal mondo.


 



 



Note dell’Autrice:
Cari Lettori... no, non era un bait e l’ho fatto davvero, senza se né ma :D
Non aggiungo altro, perché il tutto inizia a mettersi in moto dal prossimo capitolo ♥
Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite e un grazie enorme a Cida che ha commentato lo scorso capitolo **
Alla prossima, spero tra pochi giorni,

-Light-

 

 

 Continua...

 

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Capitolo 3
*** Tutto nella norma ***



2. Tutto nella norma

 

Giorno ???
Ore ??? Luogo ???


 

 

Fino a non troppi anni prima, Phoenix avrebbe affermato senza alcun dubbio che, una volta morti, si rimaneva morti. Questo prima di una decina di evocazioni e sedute spiritiche di troppo.

In quel momento non riuscì nemmeno a stupirsi come avrebbe dovuto, nel riaprire gli occhi dopo... il buio. Non aveva alcuna certezza su dove fosse rimasto fino a quel momento, ma non era certo di volerlo ricordare. Quello che contava era il presente – per quanto assurdo gli suonasse quel pensiero.

Si scrollò il buio di dosso, sentendolo impigliato nelle ossa. Fece per alzarsi, d’istinto, e realizzò di essere inginocchiato a terra. Aveva le gambe addormentate, scosse da un formicolio molesto.

Era strano... sentire.

L’aria gli solleticava i polmoni in modo irritante, come se fosse d’un tratto un corpo estraneo. Un odore pungente gli invase le narici: un misto di foglie marcescenti, resina e acqua stagnante.

Dove diavolo sono finito?

Trovò infine i propri occhi e si guardò intorno, con la vista che traballava come un vecchio televisore difettoso. Nella luce fioca di quello che sembrava il crepuscolo, distinse a fatica qualcosa di non troppo familiare: alberi, erba, un tappeto di foglie cadute.

Un bosco? Che ci faccio io in un bosco?

Sapeva che non era esattamente lui a essere in un bosco, ma era comunque l’ultimo luogo in cui si sarebbe aspettato di risvegliarsi.

Una folata di vento frizzante gli congelò il sudore sulla nuca, e divenne ancor più cosciente di quanto facesse freddo.

Abbassò lo sguardo: le sue ginocchia erano nude e piantate nel terreno umidiccio, come se fosse in posizione di preghiera... o di evocazione. Si tastò i capelli, trovandoli acconciati per metà in una sorta di chignon sbilenco, che disfece pettinandosi le ciocche appuntite all’indietro. Un paio di perline viola caddero a terra, confondendosi col sottobosco.

Realizzò solo allora cosa fosse quella sensazione soffocante: vestiti troppo stretti gli comprimevano la gabbia toracica, strizzandogli le costole. Vestiti tradizionali da accolita, ovviamente: una tunica color panna e una sopravveste violetta, con una fascia di un fucsia brillante legata in vita. La allentò con un dito, senza migliorare di molto la sensazione di asfissia.

Ouch... ma come fa a essere così magra con tutti i burger che divora?

Un pensiero così repentino che non gli riuscì nemmeno di focalizzarlo, almeno finché non si rese conto di quanto fosse naturale. Perché qualcuno l’aveva evocato, questo era ovvio. E quel qualcuno era una Fey. Probabilmente Maya. Almeno, così sperava. Le Fey a cui stava simpatico erano decisamente di più di quelle che lo volevano mor–

Ah, giusto. Non c
è più pericolo.

Provò lo stesso senso di vertigine che lo aggrediva al banco della difesa quando una delle sue arringhe precipitava nel baratro di un passaggio logico mancato. 

Si passò con un tremito la mano sulla fronte, aspettandosi di trovarvi un foro slabbrato di proiettile, ma tastò solo pelle increspata in un cipiglio confuso. Il suo cuore mandò un paio di battiti più forti, che avvertì nitidamente mentre riverberavano tra costole e spina dorsale – era strano anche quello, anche sentire di nuovo un cuore vivo e sensibile che pompava sangue nelle vene.

Okay. Una cosa per volta. La domanda ovvia è... perché sono stato evocato e perché qui?

In quello che sopravviveva della sua coscienza, non trovava così assurdo il fatto di essere di nuovo nel mondo dei vivi – più o meno. Conosceva il dono delle donne Fey da anni, ormai, e non riusciva più a catalogarlo come “strano”. Non del tutto, almeno.

In realtà è fuori di testa, ma ammetterlo avrebbe voluto dire far andare fuori di testa me. Bel momento per pensarci.

Scrollò il capo, ancora un po
’ stordito. Nonostante tutto, si sarebbe aspettato di ritrovarsi nello studio legale, con Maya o Pearl davanti a sé. O magari anche il detective Gumshoe e Edgeworth, che gli chiedevano di raccontare nel dettaglio come fosse morto così da chiudere il caso. Ma nemmeno quello avrebbe avuto molto senso.

Non c
’è molto da raccontare, su quel fronte. De Killer avrà lasciato la sua firma.

Scacciò quei pensieri. Non voleva ripensare a quel momento, che sembrava ora tatuato a fuoco nella sua memoria, ora disperso in una nebbia molliccia e densa.

Strinse e allentò i pugni, avvertendo solo ora le dita intirizzite. Magari Maya era abituata a starsene sotto cascate ghiacciate in meditazione, ma per lui quella temperatura era già abbastanza bassa da spedirlo in ipotermia. Trattenne uno starnuto nel naso.

L'ennesimo raffreddore, persino da fantasma... perché il mondo e l
oltre-mondo ce lhanno con me?

Si alzò cautamente, sentendo un paio di cuciture della tunica cedere con uno strappo. Sospirò, rabbrividendo in quelle vesti leggere, coi piedi che congelavano, troppo grandi per i sandali che aveva subito scalzato via.

Il bosco attorno a lui era del tutto anonimo. Doveva essere autunno, a giudicare dal colore giallastro delle foglie. Il silenzio era opprimente, segnato solo da un lieve sciabordio d’acqua in lontananza. Trovò finalmente un riferimento: seminascosto tra gli alberi, un cartello scrostato indicava la Riva del Lago Gourd.

Magnifico. Proprio uno dei posti in cui sarei voluto risorgere.

Ruotò sul posto, sentendo ancora quel mal di testa perforargli il cervello. Era un effetto collaterale dell’evocazione?

O forse fa parte del “Pacchetto Evocazioni Wright”, visto che Mia sembrava sempre fresca e pimpante, anche in questo mondo.

Si lasciò scappare una smorfia al pensiero della sua defunta mentore: era paradossale che, proprio nella situazione in cui avrebbero dovuto essere più vicini che mai, fossero invece di nuovo bloccati su piani d’esistenza diversi. 

Si allentò ancora la fascia che gli comprimeva il busto, e fu allora che tastò i contorni di un foglio assicurato sotto la stoffa morbida. Ne tirò fuori un biglietto ripiegato in quattro, con sopra la scritta traballante Per il signor NickPhoenix aggrottò la fronte. Solo Pearls lo chiamava così, eppure...

... questi non sembrano i suoi vestiti. Sono troppo grandi per...

La consapevolezza lo fulminò sul posto, asciugandogli la gola.

Quanto... tempo è passato?

Aprì rapidamente il biglietto, che si rivelò essere di poche righe appena:


Signor Nick,
vai allo Studio Legale Wright. La Mistica Maya ti spiegherà tutto. Non farti notare troppo in giro e, ti prego, non abbandonare mai, mai il mio corpo, qualunque cosa dovesse succedere.
Il tuo magatama è nella tasca.

Di’ alla Mistica Maya che mi dispiace di aver rotto la promessa.
Mi dispiace tanto.

Pearl


Phoenix sbatté le palpebre più volte, affondando una mano nella tasca e trovandovi effettivamente il magatama. Strinse le dita attorno al profilo levigato e ricurvo della pietra.

La grafia di Pearl era leggibile, ma sbilenca e traballante, come se avesse scritto su una superficie irregolare – forse un tronco d’albero o il terreno. Come se avesse scritto in fretta e furia, incalzata da qualcosa, da un pericolo incombente. Un pericolo da cui doveva guardarsi anche lui. 

In controluce, sul retro del foglio, ne scorse una prima traccia. Ruotò il biglietto, trovandosi davanti agli occhi delle lettere storte e irregolari, di un rosso vivido. Aveva visto abbastanza nomi scritti col sangue da un moribondo per sapere che era esattamente ciò che stava guardando.
 

I N U T I L E.
 

La parola spiccava sul bianco come una sentenza. Phoenix per poco non accartocciò il biglietto; frenò lo spasmo che gli attraversò le mani, cercando di trovare un filo logico a tutta quella cornice assurda in cui si era ritrovato.

Cosa era successo, per costringere Pearl a evocarlo lì al Lago Gourd, lasciando un biglietto del genere? Chi aveva scritto quella parola – e col sangue di chi? E di quale promessa parlava Pearl? Abbassò lo sguardo sui vestiti: solo allora notò la chiazza rossa che ne screziava l’orlo. Non osò passarci le dita, ma sembrava ancora abbastanza fresca.

Strinse i denti, con un misto di rassegnazione e ansia che gli imperlò la fronte.

Perché qualcosa mi dice che so già cosa potrebbe essere successo?

Dopotutto, le cugine Fey avevano una sorprendente abilità per trovarsi nel mezzo degli eventi più strani e sospetti, di solito con un omicidio a pochi passi. A quel punto, sperava solo che il sangue non fosse di Pearls. Lui non avvertiva ferite di alcun tipo, ma non aveva idea di come funzionasse nel dettaglio un’evocazione, e se la ragazzina stesse davvero bene.

Ripiegò il foglio, assicurandolo di nuovo sotto la fascia, e strinse il magatama nel pugno. Per la prima volta, gli sembrava di percepire davvero l’aura che emanava: una sottile vibrazione scuoteva l’aria, scaldandogli il palmo.

Gettò un’occhiata attorno a sé, al bosco che iniziava a perdere i contorni man mano che la notte avanzava. Doveva raggiungere lo studio senza farsi notare. Proiettò per un istante l’immagine di se stesso davanti a sé: un uomo adulto strizzato nei vestiti già abbastanza strampalati di una ragazzina. La tunica gli arrivava a mezza coscia, in modo decisamente troppo osceno per potersene andare in giro senza attirare l’attenzione – a meno di non tagliare attraverso un quartiere a luci rosse per gusti particolari.

Sospirò, per poi trattenere il fiato dentro quello strumento di tortura.

Beh, sono già morto: peggio di così non può andare.

Si incamminò a passo svelto verso il lago.

... So già che mi pentirò di averlo pensato.

 

 



 



Note dell’Autrice:
Cari Lettori, rieccoci qui!
Come vedete, questi primi capitoli saranno un po' di "avvio", in un certo senso, poi si entrerà nel vivo del caso ;)
Ovviamente, ricalcherò le orme di molti altri casi di Ace Attorney (ehi, non sono gli unici a poter riciclare sempre le stesse dinamiche) cercando però di imprimere al tutto delle svolte originali e personali.
Se notate un eccesso di corsivi e grassetti, è assolutamente voluto: volevo ricreare l'estetica del gioco, in cui determinate parole vengono evidenziate, ma trovavo troppo chiassoso farlo coi colori. Così ho optato per una via più discreta, eccezion fatta per la scritta rossa sul biglietto.
Nel frattempo, godetevi la suspense (spero!). Un grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite/liste e a chi ha commentato ♥
Alla prossima,

-Light-

 

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Capitolo 4
*** Ritorni ***


3. Ritorni

 

Giorno ??? Ore 23:00
Studio Legale Wright & co.



 

Bussare alla porta del suo stesso studio aveva un che di paradossale. Soprattutto se conciato in quel modo assurdo. Soprattutto considerando l’orario.

Soprattutto quando notò il vaso di fiori che era improvvisamente spuntato sul pianerottolo. Si fermò a guardarlo con una strana stretta al cuore – un misto di commozione e terribile disagio, perché in teoria lui, quel vaso, non avrebbe mai dovuto vederlo.

Tulipani... e girasoli. Almeno hanno scelto gli unici che so riconoscere.

C’erano anche alcuni altri fiori con tre petali arcuati, di un indaco acceso e screziato di giallo. Non aveva idea di cosa fossero, né chi li avesse scelti, ma d’istinto gli sembrarono appropriati. Erano tutti freschi, un altro dettaglio che gli annodò un groppo in gola. Distolse lo sguardo da quel piccolo memoriale e bussò, fin troppo piano. Avvertì come decuplicata la sensazione del compensato che impattava contro le nocche arrossate dal gelo.

Nessuno rispose. Phoenix si mosse irrequieto sul posto.

Forse Pearls si era sbagliata e Maya non era più lì. Era notte fonda, dopotutto: per spostarsi senza essere notato aveva dovuto aspettare che le strade si svuotassero. Aveva recuperato un telo abbastanza ampio da coprirlo alla rimessa delle barche, sul lago, e si era assicurato un paio di giornali ai piedi a mo’ di scarpe.

Almeno così sembro un clochard e non uno svitato... o al massimo un clochard svitato.

Bussò di nuovo, leggermente più forte. Stavolta, un tramestio ben distinguibile si udì dall’altro lato, come se qualcuno si fosse svegliato di soprassalto alzandosi di corsa.

Phoenix si irrigidì con un vuoto nei polmoni, preparandosi all’impatto per il quale, lo sapeva, non avrebbe mai potuto essere pronto. Dopotutto, la prima volta che lui aveva rivisto Mia, era svenuto sul colpo. Contava però sul fatto che le Fey fossero decisamente più abituate a eventi del genere.

La porta si spalancò con uno scatto e Maya apparve sulla soglia, con le vesti scomposte e lo chignon mezzo sciolto.

«Pearly!» esclamò, ancor prima di aprire del tutto la porta.

Il richiamo le morì sulle labbra, sostituito da un’espirazione secca, troncata, come se qualcuno le avesse sferrato un pugno nello stomaco. Indietreggiò d'un passo, pallida come un cencio, una mano che andò a coprirsi la bocca.

«Ehm... più o meno» tentò di sdrammatizzare Phoenix, portando un palmo alla nuca e abbozzando un sorrisetto goffo, del tutto sbagliato in quella circostanza.

La ragazza tremò. Lo fissava ancora a occhi sbarrati, paralizzata sul posto. Proprio come se avesse visto un fan–

Beh, come darle torto.

L’abbozzo di sorriso morì sul nascere nel vedere il velo lucido anche andò ad annacquarle le iridi scure.

Sembra così... adulta. O stanca. Quanto tempo è passato?

Phoenix si era aspettato da lei qualunque reazione sopra le righe: da uno svenimento, a un abbraccio euforico, a un rimprovero scherzoso tra le lacrime, a una battuta di pessimo gusto. Lei viveva in quel mondo paranormale da quando era bambina: a Kurain il confine tra il regno dei vivi e quello dei morti era labile e continuamente rimescolato dalle mani delle sacerdotesse Fey. Rivederlo non doveva essere poi così strano.

Invece, Maya si limitò a esalare un respiro flebile, quasi inudibile, che liberò infine un paio di lacrime lungo le sue guance. Phoenix si sentì sprofondare.

«Nick» mormorò soltanto, prima di avvicinarsi di un passo per abbracciarlo.

Non era l’abbraccio dirompente e spaccaossa che si era aspettato. Lo cinse con lentezza esitante, come se temesse di sentirlo svanire da un momento all’altro. Si aggrappò alle sue spalle, abbandonandosi di peso e costringendolo a sorreggerla. Era leggerissima.

Fu in quel momento che Phoenix prese davvero consapevolezza di cosa stesse accadendo. Del fatto che, chissà quanto tempo prima, lui era morto in quell’esatto punto. Forse era stata proprio Maya a trovarlo. A vedere il suo corpo, il sangue, la carta di De Killer, in un mattino qualunque uguale a tutti gli altri – non voleva pensarci.

E adesso era di nuovo lì. Solo uno spirito di passaggio in un corpo altrui, che si sarebbe dissolto presto. Perché sia Mia che Maya gliel’avevano ripetuto più volte: non si doveva abusare di quel dono; non si doveva assottigliare un confine che avrebbe sempre dovuto essere ben tangibile.

Non sapeva con che coraggio aveva potuto pensare che quella sarebbe stata una riunione felice e spensierata, condita dal loro solito umorismo pungente e infantile, da fratelli sempre pronti a stuzzicarsi.

Ricambiò l’abbraccio con la medesima esitazione e tutta la delicatezza di cui fu capace. Non seppe dare un nome alla sensazione che gli stringeva lo stomaco come un crampo molesto, facendogli pizzicare gli occhi… almeno finché il suo sguardo non si posò di nuovo sui girasoli e i tulipani – e gli iris, erano iris – disposti con cura all’interno del vaso blu. Li fissò da sopra la spalla di Maya, quasi inerte nella sua stretta.

Mi sento davvero in colpa... per essere morto?

Non ebbe il tempo di rimuginare su quel pensiero, perché Maya si staccò di colpo da lui, strofinandosi il naso e asciugandosi in fretta le lacrime. Mantenne i palmi sulle sue spalle e trasse un respiro enorme, prima di parlare:

«Pearl...»

«Mi ha evocato lei. Non so perché, ma ha detto... cioè, mi ha scritto di...»

«Aspetta. Entra, non puoi farti vedere qui... non puoi farti vedere e basta» disse lei rapida, con voce spenta, almeno finché un microscopico sorriso non le incrinò le labbra nel guardarlo, come se per un attimo si fosse voluta dimenticare di tutto ciò che era accaduto e stava accadendo per soffermarsi sul fatto che lui fosse lì.

Tipico di Maya, rispolverare quella forza d’animo anche nei momenti più dolorosi. Ricambiò esitante, sentendosi improvvisamente fuori posto – fuori mondo – ma il sorriso di Maya si affievolì subito, come spento da un respiro troppo forte.

Phoenix si lasciò guidare all’interno dell’ufficio per il polso, assecondando il gesto di Maya, che sembrava temere che potesse perdersi o svanire lungo quel brevissimo tratto. Si bloccò poco dopo la soglia, sopraffatto da un brutto senso di déjà-vu. Come quella sera, la stanza d’ingresso era illuminata unicamente dalla lampada da lettura sulla scrivania nell’altra stanza, creando ombre bluastre negli angoli più bui.

Maya accese la luce centrale, dissipando il ricordo dai suoi occhi. Phoenix batté le palpebre, scoprendo che tutto era rimasto immutato dall’ultima volta aveva messo piede lì. Si spostò come in sogno nell’ufficio, con Maya che continuava a tenergli un lembo del telo con cui si stava ancora coprendo.

Anche lì, niente era cambiato: i tomi di giurisprudenza torreggiavano come al solito nella libreria, il poster di quel vecchio film che piaceva a Mia era appeso alla parete e le foglie di Charley facevano capolino dietro la scrivania, verdi e brillanti – Maya e Pearl ne avevano avuto cura – e l’insegna dell’Hotel Gatewater brillava oltre le tapparelle. 

Mancava solo la polvere: tutto era tirato insolitamente a lucido.

Non credo di aver mai avuto una scrivania così pulita. Direi che è ironico, se non fosse tragico.

Trovò rapidamente l’unico dettaglio fuori posto: una busta trasparente per abiti appesa davanti alla finestra. Dentro vide il suo completo blu, con la cravatta rossa adagiata sulla stampella. Ebbe la spiacevole sensazione di stare guardando il suo vestito funebre.

Maya seguì il suo sguardo, irrigidendosi un poco.

«Se vuoi cambiarti...» cominciò titubante, adocchiando il completo, ma Phoenix scosse brusco la testa.

«Ho... avevo dei vestiti di ricambio, da qualche parte» aggiunse, accennando all’armadietto nell’angolo.

Maya quasi sobbalzò, abbassando il capo di lato con espressione mortificata.

«Oh. Oh, giusto. Scusa.» Inclinò un poco le spalle verso il basso. «Neanch’io voglio rivederti con quello addosso» aggiunse, più piano.

Siamo in due, credimi.

Phoenix si pentì della propria durezza, ma quello non era esattamente un argomento attorno al quale potesse aggirarsi in punta di piedi. E, al momento, avevano faccende più urgenti a cui pensare, decisamente più importanti della sua morte – anche se non sapeva ancora quali fossero, in effetti.

«Mi rendo... presentabile e poi facciamo il punto della situazione, d’accordo?» la riportò al presente, stringendole appena le braccia per riscuoterla «Non sarei io a doverlo dire, ma... sono abbastanza confuso» concluse, accennando alle proprie condizioni piuttosto... particolari.

È un miracolo se non mi hanno arrestato per offesa alla pubblica decenza. Neanch’io saprei tirarmi fuori da un’accusa del genere.

Maya esitò, fissandolo per un attimo da capo a piedi. Il primo, vero sorriso fece breccia sul suo volto, illuminandole un poco gli occhi di nuovo lucidi con una risatina sporcata dalle lacrime.

«Sei ridicolo» proferì abbracciandolo di nuovo, con più vigore rispetto a poco prima, in un modo che per un momento gli restituì la vera Maya. «Veramente ridicolo. Con questo telone addosso, poi, fai concorrenza al cappotto del detective Gumshoe.»

Oh, buon Dio.

«Grazie per avermi fatto immaginare Gumshoe con una tenuta da accolita addosso. È quasi più raccapricciante di Sbirrotto.»

«Ridicolo» ribadì lei, continuando a stringerlo come se non avesse alcuna intenzione di lasciarlo andare, adesso che era tornato.

Phoenix non si sottrasse: aveva già vissuto quella situazione, in un certo senso, e capiva quando Maya aveva bisogno di un appiglio, per quanto stavolta fosse solo temporaneo.

Mi sei mancata anche tu.

Forzò un sorriso, in qualche modo, consapevole che potesse vederlo – perché dopotutto aveva imparato a forzarne di più ampi nei momenti più bui. I suoi occhi, però, rimasero seri e appuntati sul suo completo ordinatamente appeso lì vicino, che incombeva su di loro come uno spettro bluastro. Sembrava irradiare tristezza, la stessa che sembrava aver inghiottito Maya. Strinse le labbra.

Maya… perché non mi hai chiamato prima?


 



 


 


Note dell'Autrice:
Cari Lettori, rieccomi qui con questa storia un po' folle!
Questo capitolo ha un tono un po' più sobrio, rispetto agli altri, ma spero non risulti troppo fuori luogo – anche se ho cercato di mantenere l'anima sardonica di Phoenix.
Se Maya vi sembra strana, è voluto, non allarmatevi ;) Ah, ci tengo a specificare che per me il loro è un rapporto puramente fraterno; ovviamente siete liberi di leggervi ciò che volete, ma diciamo che shippo Phoenix con "altre Fey" ahahah
Ringrazio di cuore
Cida e Sian per aver commentato gli scorsi capitoli ♥ E tutti coloro che seguono e leggono in silenzio!
La storia è praticamente stilata fino alla fine, ma nell'ultimo periodo ho avuto pochissimo tempo da dedicare alla scrittura, quindi potreste vedere degli aggiornamenti un po' più rarefatti... ma arriveranno, promesso!
A prestissimo,

-Light-

 







 

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Capitolo 5
*** Un caso al limite ***


4. Un caso al limite

 

23 ottobre, ore 23:30
Studio Legale Wright & co.

 

 

Tornare a respirare, anche se solo metaforicamente, fu un notevole sollievo.
Aveva ripescato dall’armadietto un paio di pantaloni della tuta e una t-shirt, che teneva lì come pigiama improvvisato, per quando faceva nottata allo studio. Le vesti di Pearl erano adagiate sulla scrivania, assieme al biglietto. La scritta rossa, adesso, sembrava spiccare in modo molto più vivido rispetto a prima, come se brillasse nel buio.

Ci mancano solo altri fenomeni paranormali, qua dentro...

«Il Lago Gourd? Ti sei risvegliato al Lago Gourd?»

Phoenix si riscosse e annuì, sbuffando a mezza bocca nel vedere l’espressione inquieta di Maya.

«Sì, tra le altre cose assurde.»

Maya si rannicchiò meglio nell’angolo del divano, stringendo con fare pensieroso una tazza di tè che aveva a malapena assaggiato. Phoenix fissava di tanto in tanto la propria, seduto contro il bracciolo opposto. Ne prese infine un sorso guardingo, per riempire quel lungo silenzio, ma la posò subito sul tavolinetto lì accanto.

Bene, il tè mi fa schifo anche da mor– da fantasma.

«Che ci faceva Pearls al Lago Gourd?» chiese Maya, perplessa.

«Non chiederlo a me. Credevo che me l’avresti detto tu.»

Magari pensava solo che fosse il luogo ideale per un’evocazione, visto che è poco frequentato.

Lesse la stessa supposizione negli occhi di Maya, che però non la espresse a voce alta. Era strano vederla così taciturna. Gli sembrava sempre più che fosse cresciuta, ma non aveva il coraggio di porre la domanda che gli grattava la gola da quando aveva riaperto gli occhi.

Non chiederglielo, Phoenix. Non vuoi davvero sapere quanto tempo è passato.

«Quando sono arrivato stavi aspettando Pearls?» chiese invece, poggiando i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le dita.

Maya si limitò ad annuire. 

«E dov’era andata?»

Stavolta, lei sfuggì il suo sguardo. Phoenix sospirò, avvertendo un non detto e, giusto dietro l’angolo, una bugia che non aveva voglia di sentire. Percepì una vibrazione familiare nella tasca, ancora lieve ma pronta a intensificarsi, come ogni volta in cui il magatama percepiva l’intenzione di mentire.

«Maya. Per me è già abbastanza… complesso essere di nuovo qui. Ma sono tornato perché Pearl voleva che la aiutassi, quindi non c’è motivo di nascondermi qualcosa.»

E anche in quel caso, che differenza farebbe, per me? Mi porterei il segreto nella tomba... no?

Maya posò la sua tazza ormai vuota, stringendo le labbra con fare incerto.

«Pearl… era andata a trovare sua madre, al centro di detenzione.»

A quella rivelazione, Phoenix sentì lo stomaco annodarsi.

Sto sperando che sia una bugia, ma… non vedo lucchetti psichici.

«Scusa se non te l’ho detto subito, Nick, ma non volevo risvegliare brutti ricordi» aggiunse subito Maya, come notando la reazione che lui tentò di trattenere.

Per un singolo istante, Phoenix ebbe l’impressione di sentire lo spirito di Dahlia a pesargli sulle spalle, manovrato dalle mani di Morgan Fey. Se lo scrollò di dosso, irrigidendosi appena.

«A me non possono più fare del male. A te e Pearl, però...»

«Lo so bene. Dopo l’incidente con… Dahlia, mia zia è arrivata a odiarci ancor di più. Si è persino rifiutata di rivedere Pearly.»

Immagino che il fallimento delle figlie ad Hazakura sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vasonon che mi aspettassi un comportamento diverso da Morgan Fey.

«Aspetta. Se le cose stanno così…» scosse la testa, perplesso, portando due dita al mento «… perché oggi Pearls è andata a trovarla?»

Maya poggiò la guancia contro la mano, parlando con titubanza:

«Oh, negli ultimi tempi sembrava che avessero raggiunto una sorta di… tregua. Non saprei spiegarlo nemmeno io, Pearly non mi ha mai detto molto.» 

Phoenix serrò le dita sul cuoio del divano, esitando e decidendo infine di non chiedere dettagli precisi su quegli “ultimi tempi”. Le solo fece cenno di continuare.

«Hanno cominciato con delle lettere, poi un paio di telefonate, e alla fine zia Morgan ha accettato di rivederla proprio oggi.»

«Considerando che Pearl mi ha evocato, non dev’essere finita bene.»

Maya tacque, a occhi bassi.

«Non ho ricevuto chiamate, né da lei né dal centro di detenzione, e al telegiornale non hanno detto nulla. Qualunque cosa sia successa, non dev’essere stata grave, giusto?» esclamò, con improvvisa energia resa tremante da altre lacrime soppresse sul nascere. «Magari voleva soltanto riflettere su quello che si sono dette, no?»

Phoenix provò un tuffo al cuore per quello sprazzo di ottimismo che, per un singolo istante, riportò alla luce la Maya che ricordava.

È così spenta perché io “sono” di nuovo qua… o è sempre così?

Temeva la risposta a quella domanda quasi quanto la conferma certa di quanto tempo fosse passato.

«Maya… guarda i vestiti di Pearl e quel biglietto. Non riesco ancora a connettere i pezzi, ma il quadro non mi sembra affatto positivo. E se mi ha evocato, vuol dire che è nei guai e pensa che io possa aiutarla in qualche modo.»

«E come? Come suo avvocato? Non puoi tornare in aula se sei–» si interruppe di colpo, sopprimendo l’ultima parte della frase con una mano sulla bocca.

Phoenix non si risentì e scosse la testa.

«Ovvio, che non posso. Ma forse vuole che indaghiamo su cosa–»

Un improvviso trillo molto familiare spezzò le sue successive parole. Phoenix sollevò appena un sopracciglio, divertito, quando Maya si lanciò verso la scrivania e afferrò un cellulare blu vecchio e rattoppato che conosceva bene, coi tasti consunti e i numeri appena leggibili.

Almeno lui è sopravvissuto. Lui... e la suoneria del “Samurai d'Acciaio”. Non credevo che mi sarebbe mai mancata.

«Pronto, Maya Fey!» esclamò lei, cercando palesemente di celare l'aggeggio elettronico che si premeva all'orecchio.

Subito dopo lo scansò di una buona decina di centimetri, assordata dalla voce che ne scaturì e che Phoenix riuscì a udire persino a quella distanza. E, sebbene così distorta e flebile, gli sembrò familiare…

«Ehi, amico, sono due ore che cerco di chiamarti e mi spedisce in segreteria! Quando ti deciderai a cambiare telefono?!»

«D-Detective Gumshoe!» esclamò infatti Maya, gli occhi sgranati.

Ah... lui non è mai un buon segno.

Phoenix sospirò a mezza bocca, grattandosi la nuca in un tic nervoso. Gettò un'occhiata alle vesti di Pearl sparse sulla scrivania: poteva immaginare cosa riguardasse la chiamata di Gumshoe.

«Cos– sì, cioè...» Maya gli scoccò un'occhiata fugace, incartandosi, «No! No, Pearl non è qui! Lei l'ha vista, Detective?»

Il bluff è contagioso, a quanto pare.

«Signor Detective, la faccenda è più complessa di quanto–»

«Non voglio sentire scuse! Vieni subito al centro di detenzione, non c’è tempo da perdere!»

Maya abbassò il telefono come in trance, voltandosi poi del tutto verso di lui. Phoenix non sapeva se mostrarsi divertito, preoccupato o rassegnato da quella sequenza di eventi che, in un certo senso, era quasi familiare.

«Era...»

«Gumshoe, sì. Ho sentito.»

Un battito di silenzio accompagnò quelle parole, poi Phoenix fece leva sulle ginocchia, spingendosi in piedi.

«Beh, allora… suppongo che ci convenga andare al centro di detenzione.»

«Ora?»

«E quando?» la interrogò Phoenix, con una calma che non gli era mai appartenuta veramente. «Pearl non potrà tenermi qui per sempre, no? Era così anche con Mia.»

Maya sbatté un poco le palpebre, come se stesse cercando di riscuotersi.

«Sì… anche se Pearl è molto più potente di me. Si è addestrata, in questi anni e… credo che possa mantenerti qui almeno per tre giorni. Forse quattro.»

«È molto più di quanto avevo di solito per i miei casi» sorrise appena Phoenix. «Ho avuto esperienze molto più al limite.»

Detto questo, recuperò una felpa grigia col cappuccio dall’armadietto e la indossò, a proteggersi dal gelo esterno. Non era un travestimento neanche lontanamente perfetto, ma se qualcuno l’avesse riconosciuto avrebbero inventato qualcosa sul momento. 

Magari non userò la scusa di avere un gemello identico a me; sarebbe di cattivo gusto.

Maya, però, gli sbarrò il passo, gli occhi rivolti a un punto indecifrabile… sulla sua testa?

«Nick, i capelli.»

«Cos’hanno i miei capelli?» si allarmò subito lui, tastandosi la nuca.

«Sono a punta

«Proprio come dovrebbero essere.»

«No, invece.» Maya gonfiò le guance, guardandolo come se fosse diventato improvvisamente stupido. «Non puoi mica entrare nel centro di detenzione con quei capelli, ti riconoscerebbero subito!»

«Conciato così?» Phoenix allargò le braccia, con le mani ancora piantate nelle tasche della felpa oversize. «Mi preoccuperei piuttosto della faccia, ma per quella non posso fare molto...»

«Ti ricordo che Furio Tigre è riuscito a spacciarsi per te solo perché aveva i capelli come un procospino.»

Phoenix volse gli occhi al cielo.

Non me lo ricordare... il mio ego non si è mai del tutto ripreso.

«Senti, facciamo così» annunciò poi lei, rovistando nell’armadietto che, a quanto pareva, era diventato una miniera d’oro di vestiario.

Cosa ci fanno nel mio studio, ultimamente? Il mercato delle pulci?

Con una mossa felina, agguantò un berretto azzurrino – lo riconobbe come un orrendo regalo di Natale di Larry, frutto della sua “fase artistica” – e glielo calcò testa con un’energia tale da spingerlo fino al naso.

«Maya!» protestò lui, scansandosi l’orlo da sopra gli occhi.

«Eddai, il look casual ti dona!» concluse lei, giungendo le mani con occhi raggianti.

Il look da hobo, intendi? Non so se è un complimento.

Phoenix sospirò per l’ennesima volta, trattenendo un sorriso che, però, sfumò sul nascere non appena Maya gli voltò le spalle per uscire.

La seguì dappresso, cercando di non soffermarsi sulla soglia e di non guardare i fiori nell’angolo.

Era bello tornare a scherzare con Maya, ma non poteva fare a meno di percepire sempre una forzatura di fondo. Uno stridio leggero in ogni risata e battuta, che gli ricordava come quel tempo che stavano trascorrendo insieme fosse solo in prestito.


 



 


Note dell'Autrice:
Cari Lettori,
come preannunciato, torno in terribile ritardo, ma rieccomi qui ♥
I capitoli d'introduzione sono ufficialmente finiti: da qui in poi sarà il delirio, siete avvisati! Mi terrò più o meno sempre su questa lunghezza, salvo eventi più corposi... e per me è una sfida, sappiatelo :D
Ringrazio di cuore Cida, _candyeater03 e Sian per aver commentato la storia! Non mi aspettavo minimamente di ricevere riscontro sul fandom di Ace Attorney ed è stata una bellissima sorpresa vedere che, invece, c'è ancora qualcuno che lo frequenta ♥♥♥

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