An Unwavering Dream

di Asmodeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** File No. 1 - L'Incontro ***
Capitolo 2: *** File No. 2 - La consapevolezza dei Cursola ***



Capitolo 1
*** File No. 1 - L'Incontro ***


An Unwavering Dream

File No. 1 – L'incontro

When shadows fall you're feeling small.
It looks like walls are closing in.
Don't be afraid, the dark will fade,
Just take my hand and look again!
[Bree Sharp, "This Side of Paradise"]
 


19:20, mercoledì 7 aprile, Ferrugipoli


Ferrugipoli non era una città dedita allo svago e al divertimento, tantomeno ad una vita che esulasse dal lavoro e poco altro. Tinta di tutte le tonalità del marrone e del grigio, affermava di essere la prova dell’integrazione riuscita di natura e scienza: era una menzogna, ovviamente, e l’imponente edificio della Devon S.p.A. era la conferma di questa bugia così grande da non temere giudizio alcuno. L’enorme edificio in pietra, acciaio e vetro incombeva sulla città più imponente del Monte Camino, che si intravedeva a nord-est: per molti era una vista spettacolare e grandiosa, ma nel suo cuore era pericoloso e letale. Se questa era la prorompente presenza Scienza, di Natura in città ve n’era ben poca: i giardini e i parchi cittadini impallidivano in mezzo agli edifici industriali e ai complessi di appartamenti che affollavano una città granitica, e per quanto il Bosco Petalo a sud fosse ancora maestoso, Ferrugipoli pareva semmai una grossa ferita di acciaio e mattoni all’interno del polmone verde.
Ada percorreva le vie perfettamente lastricate con la sua solita fretta, incurante dell’umanità che le scorreva intorno: era il fiume in piena degli operai e degli impiegati cittadini, che come lei vivevano al ritmo battuto dal presidente Petri e ora ritornavano alle proprie case per cenare e riposare in attesa di un nuovo giorno di lavoro.
Pierangelo Petri: uomo buono, inventore geniale, studioso acuto – aveva sentito fin troppi complimenti per il presidente della Devon, osannato in città come un dio generoso che tutto può e a tutti dona. Anche lei aveva pensato lo stesso, un tempo, ma ora che aveva aperto gli occhi non riusciva più a vederlo allo stesso modo.
La giovane scienziata abbandonò il fiume di folla e si imbucò in una via laterale – anch’essa lastricata alla perfezione, riflesso della potenza e ricchezza dei padroni della città.
Il Nosepass Café era a pochi metri di distanza, e solo quando vi entrò finalmente arrestò la sua fretta e si permise di fare respiri più lunghi e controllati.
Nel piccolo locale angusto e spigoloso aveva trovato quell’angolo di pace che le permetteva di ricaricare le batterie dopo le lunghe giornate in azienda. Il minuscolo bar non doveva aver mai goduto dei famosi “giorni migliori”, e nessuna luce sembrava poter illuminare decentemente le superfici grigio-bluastre del locale, che tutto inghiottivano e macinavano come implacabili ingranaggi.
Eppure, nonostante fosse quanto di più lontano esisteva da Verdeazzupoli, la sua isola natale, Ada aveva trovato nel Nosepass Café il rifugio perfetto per il suo animo inquieto. Soprattutto, aveva trovato qualcuno con cui parlare, un orecchio amico con cui sfogarsi in libertà e senza paura.

 

19:35, mercoledì 6 gennaio, Ferrugipoli


«Facciamo un brindisi al signor Petri, ti va?»
Lo sconosciuto alzò il bicchiere verso l’alto, attendendo la sua mossa. Ada avrebbe volentieri fatto a meno di brindare al suo capo insieme a quello strano uomo mai visto prima – ma un bicchiere gratis era pur sempre un bicchiere gratis, e non aveva voglia di discutere anche con lui.
Alzò il bicchiere in un sorriso tirato, senza riuscire a nascondere del tutto la rabbia che provava per il presidente della Devon.
I due bicchieri cozzarono l’uno contro l’altro con un rumore sordo, e lei colse immediatamente l’occasione per annegare nel gin tutti i dispiaceri di quella giornata. La qualità dell’alcool era pessima, e sentì la gola bruciarle nella maniera sbagliata – ma dopotutto che si aspettava, da un locale che serviva l’alcool in bicchieri a forma di “nasi” di Nosepass?
«Tutto bene?» la interrogò l’uomo di fronte alla nuova smorfia apertasi sul suo volto. Aveva un viso amichevole che nascondeva una tendenza alla spavalderia, ma dietro a quegli occhi da spaccone poteva percepire un reale interesse per la sua condizione.
Ada annuì, poggiando il bicchiere e sistemandosi meglio sul duro sgabello – anch’esso a forma di naso, stavolta di Probopass.
«È stata solo una lunga giornata», sussurrò, sondando il volto dello sconosciuto in cerca di indizi su chi avesse di fronte. Era entrato in quel locale pochissimi minuti dopo di lei, sistemandosi subito al bancone sullo sgabello proprio di fianco al suo e ordinando un bicchiere per entrambi.
Doveva essere un habitué del locale, visto che il barista gli offrì immediatamente un bicchiere già pieno di alcol, ma era chiaro che non fosse originario di Ferrugipoli. L’accento nella voce le ricordava le tonalità di qualcuno cresciuto a est, come lei, e istintivamente riconobbe in lui quell’aura malinconica di chi vive lontano da casa. Indossava abiti da uomo d’affari, ma sotto la giacca e la camicia strette erano ben visibili i possenti muscoli di qualcuno abituato a fare lavori pesanti; la pelle abbronzata e il tono alto della voce, inoltre, indicavano un lavoro svolto all’aperto e sotto al sole cocente. Doveva avere circa la sua età, ma dimostrava decisamente più anni del dovuto a causa della barba che gli incorniciava il volto e ai capelli tenuti cortissimi – non certo il tipo di uomo che si vedeva tutti i giorni in quella città, piena di anonimi burocrati e operai tutti uguali e senza spessore.
«Dev’essere dura lavorare alla Devon», buttò lì lo straniero. I suoi occhi scuri scintillavano quasi divertiti, ma Ada non gradiva essere presa in giro, tantomeno da uno sconosciuto.
«Come sa dove lavoro?» lo interrogò stringendo gli occhi.
Un brivido istintivo le corse lungo la schiena: quell’uomo la stava forse seguendo? All’interno del Café vi erano soltanto altri due avventori e il barista, nessuno dei quali capaci di aiutarla in caso di difficoltà. Lei aveva con sé la sua fedele Sharpedo, che dormicchiava dentro la sua Pokéball tenuta in borsa, ma lo sconosciuto era decisamente più imponente di lei e un po’ di timore era più che legittimo.
Lo straniero la squadrò velocemente da capo a piedi e rise fragorosamente. «E dove altro potresti lavorare sennò?», ghignò. «Non mi sembri un’infermiera Joy, e a meno che tu non insegni ai marmocchi della scuola non restano molte opzioni in città».
Lo sconosciuto aveva ragione, dopotutto: quasi tutta Ferrugipoli lavorava per o con la Devon S.p.A., e lei non era certo l’eccezione. Era arrivata fin lì dalla lontana Verdeazzupoli, con tanto di ottime referenze e piena sogni da realizzare – sogni che ora erano divenuti soltanto un vago ricordo, al pari della lunga e fluente chioma cui aveva rinunciato per conformarsi alla stupida moda del capello corto della città.  
«Che vuole da me?» tagliò corto. Non aveva voglia di parlare di lavoro, tantomeno con uno sconosciuto, e cercò di chiudere in fretta quello spiacevole siparietto. Se si trovava in quel buco di bar era proprio per sfuggire alle torme di colleghi che affollavano tutti gli altri locali della città, e tirare in ballo la Devon anche lì sarebbe stata la fine per lei.
«Che cosa voglio? Nulla!» affermò l’altro. «Ero solo curioso di sapere cosa ci facesse una ragazza così per bene come te in un posto del genere… e la tua faccia dice abbastanza da sola».
«Come le ho detto, è stata solo una lunga giornata», spiegò rapidamente. «Volevo bermi qualcosa in pace prima di buttarmi a letto… e senza parlare di questo lavoro maledetto».
Le ultime parole le sfuggirono di bocca in un sussurro, e Ada sbiancò, maledicendosi per la stanchezza e le sue espressioni traditrici. Non avrebbe voluto dire nulla, ma la giornata pesante e il gin scadente non la stavano aiutando.
L’uomo svuotò il resto del bicchiere, per poi allungarlo al barista e chiedere un altro giro.
«Ti fa così schifo?» domandò, sorridendole con un ghigno alla vista del suo bicchiere non ancora vuoto. Ma parlava del gin, o si riferiva ancora alla Devon?
«Comunque, non voglio sapere niente, tranquilla. Speravo solo di averti offerto qualcosa di decente, per rallegrarti un po’ la serata…»
Ada sorrise mesta, buttando giù il resto del gin scadente.
«Sì, fa davvero schifo», ammise, anche lei senza specificare a cosa si riferisse mentre osservava l’altro che invece riceveva il suo secondo giro. Il barista doveva averla sentita, perché le lanciò un’occhiataccia prima di allontanarsi nuovamente, e lei scosse la testa davanti a quella mezza incomprensione.
Lo straniero sorrise divertito a quel siparietto. «Il nemico ti ascolta! Attenta a quello che dici…» si interruppe, prima di domandare: «Come hai detto che ti chiami?»
«Non l’ho detto», sbuffò lei, rassegnata ma ormai presa da quel discorso. «Comunque sono Ada», capitolò infine, arrendendosi alle sue domande.
L’uomo aprì la bocca in un ampio sorriso, alzando poi il secondo bicchiere in un nuovo brindisi, stavolta in solitaria: «Allora un bel brindisi per te, dolce Ada!»
Lo sconosciuto le fece l’occhiolino, prima di tracannare tutto il bicchiere in un colpo e abbandonarlo sul tavolo.
«Ti lascio alla tua serata, allora», aggiunse infine, alzandosi. «Spero che tu possa riposare bene, stanotte. Qualunque cosa tu faccia, hai bisogno di energie per continuare a farla al meglio!»
Ada lo osservò allacciarsi l’abito una volta in piedi, mentre si dirigeva dal barista per pagare. Quando tornò indietro le sorrise, sottintendendo di aver pagato anche per lei, per poi avviarsi con calma verso la porta.
Ada non seppe il perché, ma ancora una volta la sua bocca si aprì e parlò per lei.
«Come ti chiami?» chiese, le sue mani che si poggiavano sul suo braccio muscoloso a trattenerlo.
Lo sconosciuto si girò verso di lei, il sorriso ancora più ampio di prima: «Sono Ivan».
«Ivan, hai altri impegni stasera?»



19:45, mercoledì 7 aprile, Ferrugipoli


Ivan la stava aspettando al solito posto al bancone, con il loro tradizionale bicchiere di gin scadente già pronto nei due bicchieri.
«Andato tutto bene oggi?», la salutò, alzandosi in piedi nel vederla arrivare. Pareva genuinamente contento di vederla, e anche lei si era ormai abituata a quella strana compagnia impossibile.
Ivan continuava ad avere modi gentili con lei, intervallati frequentemente da quegli sprazzi di autentica spontaneità che l’avevano conquistata. Si vestiva ancora come un uomo d’affari ogni volta che si incontravano, ma lei aveva capito da tempo che quella era solo una copertura. Probabilmente era un ingegnere al lavoro presso il Tunnel Menferro, che non aveva voglia di passare per un semplice operaio quando tornava a dormire in città – men che meno ora che si vedevano con regolarità. Non le interessava scoprire il perché di quel mascheramento, o come mai vivesse a Ferrugipoli invece che soggiornare più vicino al luogo di lavoro: le bastava la sua compagnia, i brindisi col gin insieme e un orecchio amico con cui sfogarsi.
«Tutto come al solito», sbuffò lei sedendosi, mentre il solo vederlo le migliorava già l’umore. «Scusa il ritardo, è stata una giornata molto lunga…»
Osservò i possenti muscoli guizzare sotto la camicia mentre Ivan tornava a sedersi, e per un attimo si chiese come dovesse essere trovarsi racchiusi in un abbraccio da parte sua. Cancellò poi istantaneamente quell’immagine mentale, ricordandosi che il loro rapporto non implicava quel tipo di interazione. In tutte quelle settimane, mercoledì dopo mercoledì, non avevano fatto altro che parlare, senza mai andare oltre a quell’oretta di chiacchiere davanti a un gin che ormai aveva imparato ad apprezzare. Gli unici apprezzamenti che Ivan aveva mostrato di avere erano verso il suo lavoro – e i suoi capelli, nonostante lei odiasse quel taglio corto e l’aspetto spento che aveva assunto la sua un tempo folta chioma corvina.
«Che ha fatto oggi il tuo capoccia?» la interrogò.
Ivan aveva calato la maschera nei confronti del signor Petri dalla seconda sera passata insieme, non appena aveva capito che la sua fiducia nel suo capo era già incrinata. Nonostante fosse sempre lei a sfogarsi e a raccontargli del lavoro, mentre lui manteneva un forte riserbo per la sua vita personale, era chiaro come Ivan disprezzasse Pierangelo Petri e la Devon S.p.A.
«Ha messo in cantiere un nuovo progetto, l’ennesima “idea geniale che rivoluzionerà il mondo!”» sputò lei, facendo il verso al suo capo. «“Scopriremo come e cosa sognano i Pokémon”, a quanto pare. Vuoi spiegarmi tu a cosa serve quest’ennesima scemenza?»
Ivan sorrise divertito di fronte alla sua rabbia. Le era chiaro come lui stesse continuando ad alimentare il suo disgusto sempre più crescente verso il signor Petri, ma anche se non ne intuiva il motivo le andava bene.
Tutta Ferrugipoli, anzi, tutta Hoenn in realtà dipendeva da lui e dai suoi capricci. Da giovane era stato certamente una figura geniale, riuscendo a trasformare una piccola azienda mineraria in una vera e propria multinazionale capace di rivaleggiare con la Silph S.p.A. di Kanto e la Macro Cosmos di Galar. I nuovi tipi di Pokéball e i vari medicinali per Pokémon e umani prodotti dalla Devon avevano rivoluzionato la regione, e le sue ultime invenzioni come il PokéNav appena immesso in commercio lo avevano reso un idolo per tutti gli allenatori.
Eppure, negli ultimi tempi si era concentrato su idee sempre più assurde e inutili: un marchingegno per resuscitare i fossili, una macchina per trasformare gli umani in Pokémon, e ora anche la tecnologia per decifrare i sogni. Passava la gran parte del tempo a contattare esperti in giro per il mondo per acquistare pietre rare, e quando si faceva vedere in azienda era solo per avviare il nuovo, assurdo progetto del momento.
«Immagino come saranno felici azionisti e contribuenti di questa nuova invenzione…» la punzecchiò Ivan, distraendola dai suoi pensieri.
«Oh, vedrai, la adoreranno!» rise amaramente lei, roteando gli occhi disgustata. «Non gli importa nulla di come Petri butta i loro soldi, ormai è il loro nuovo dio e loro comprerebbero di tutto da lui. A qualunque prezzo».
«Ne sei convinta?» chiese l’altro, facendosi più serio.
«Li ha già convinti a comprare le famose Scarpe da Corsa Devon, ricordi?» gli ricordò. «Certo, il meccanismo interno ad aria compressa agevola la corsa e rende il tutto meno faticoso, ma…»
«… Ma basterebbe usare delle semplici scarpe da ginnastica, sicuramente più economiche», concluse lui.
«Credo che tra poco rilascerà la nuova versione delle Scarpe, tra l’altro. E vedrai come si affolleranno tutti nei negozi per comprarle, anche se a casa ne hanno già altre dieci paia…»
Ada affogò il suo sfogo svuotando il bicchiere, senza fermarsi per fare il loro brindisi tradizionale con cui prendevano in giro la Devon o il signor Petri. L’idea che la gente fosse disposta a spendere così tanti soldi per delle stupidate, quando i suoi progetti continuavano a marcire nei laboratori, la rendeva furiosa. Forse anche per questo non aveva problemi a discutere con Ivan di lavoro: anche se raccontava dettagli teoricamente riservati o confidenziali, non le importava che le sue parole potessero rischiare di danneggiare l’azienda. Per quanto ne sapeva, l’altro poteva essere in realtà una spia industriale, ma un possibile danno alla Devon S.p.A. non era qualcosa che la interessasse.
Ivan la guardava serio, preoccupato da quel cambiamento della loro routine. Le si avvicinò, roteando il bicchiere ancora pieno tra le mani prima di passarglielo, come offerta consolatoria.
«E il tuo progetto su quella maschera da sub tecnologica? Almeno ti hanno approvato i finanziamenti?» chiese infine. La preoccupazione nel tono della sua voce indicava il suo reale interesse per la faccenda, e non un’ennesima punzecchiatura contro la Devon: Ada gliene fu silenziosamente grata.
«Niente da fare, ovviamente. Così come il progetto di miglioramento del sistema di aereazione sottomarina…»
La sua voce si incrinò per la delusione, e lacrime di rabbia cominciarono a fluire dai suoi occhi.
Aveva mollato tutto a Verdeazzupoli per inseguire i suoi sogni e diventare una famosa scienziata come il signor Petri, per migliorare la vita delle persone e rendersi utile alla società. Ma la megalomania di quell’uomo l’aveva resa uno dei tanti, inutili ingranaggi di un sistema ormai avulso dalle reali necessità della gente. Tutti i suoi studi sull’ingegneria idraulica e la meccanica dei fluidi erano compressi in progetti in cui lei non credeva, e la frustrazione per quel lavoro l’aveva asciugata sempre di più della felicità di cui era sempre stata piena.
«Mollalo, Ada».
Ivan le aveva preso l’esile braccio tra le mani, e la stringeva con delicatezza mentre la fissava con estrema serietà.
«Mollalo. Lascia la Devon, Petri e questa città, e vieni a lavorare con me».
Lo guardò confusa, le guance rigate dalle lacrime roventi di rabbia che continuavano a scenderle dagli occhi troppo stanchi.
«Che… che stai dicendo, Ivan?» balbettò, girandosi completamente verso di lui.
Ivan aveva perso ogni traccia della sua solita gioviale spacconaggine, e i suoi occhi brillavano di una luce a lei sconosciuta, decisa e… anche un po’ eccitata?
«Dico che devi licenziarti da quell’inferno, e venire via con me. Sto per tornare a Porto Alghepoli, insieme a te possiamo…»
Lei lo fermò, sfilando il braccio dalla sua stretta e portandoselo al petto.
Ivan non le aveva mai detto da dove venisse, né che cosa facesse di preciso a Ferrugipoli, tantomeno che avesse un’azienda di qualche tipo, o chissà che altro, nella città costiera del nord. Ma ora che aveva scoperto le carte, la paura la paralizzò.
«Venire via con te? Porto Alghepoli?» chiese, confusa. Voleva saperne di più su quell’uomo, e quello era il decisamente il momento della verità. «Che vai blaterando, Ivan?» aggiunse. Un conto era sfogarsi contro la Devon, ma ben altra cosa era parlare di lasciare l’azienda e lavorare per chissà chi altri. «Chi sei, davvero? E soprattutto, cosa ci fai qui?»
Ivan si raddrizzò sullo sgabello, sistemandosi la camicia e buttando l’occhio intorno a loro. Al Café vi erano i soliti due avventori, habitué come loro, più il barista – ma erano comunque un pubblico eccessivo per quello che avrebbe dovuto dirle.
«Non qui. Ti spiegherò tutto, ma dobbiamo…» cominciò facendo per alzarsi, ma lei lo arrestò di nuovo.
«Dobbiamo un bel niente! Sono stufa di uomini che mi dicono cosa devo o non devo fare!»
Ada era furente, non più soltanto con Petri e la Devon ma anche con quello che credeva fosse un amico e che ora le stava chiedendo di mollare tutto per inseguire chissà che cosa.
«Mi spiegherai tutto, qui, adesso. Oppure puoi andartene da solo a Porto Alghepoli, anche adesso».
Era stata una giornata psicologicamente troppo pesante, e non riusciva più a trattenere quell’istinto rabbioso che le ardeva dentro da troppo tempo – istinto che Ivan aveva alimentato per settimane e che ora gli si rivoltava contro.
Ivan tornò a sedersi, sospirando rassegnato, ma annuì. Controllò che né il barista né gli altri avventori potessero sentirlo, poi si protese verso Ada e cominciò a raccontare.

 


 

Questa storia è il mio primo, vero esperimento con una long dopo tanti, troppi anni, nonché la mia seconda incursione nel fandom dei Pokémon.
Era tutto partito come una breve one-shot per l'evento "Back to Office" di  Fanwriter.it, ma alla fine mi sono lasciato prendere dall'ispirazione, il prompt che avevo iniziato a sviluppare è andato a farsi benedire e ne è uscita questa storia qui.
Hoenn è un po' come una seconda casa per me, e Zaffiro è stato il primo videogioco Pokémon con cui ho giocato e che non fosse di amici o parenti. Ho sempre avuto a cuore la storia lì raccontata, e trovo che sia un buon punto di partenza per parlare del difficile rapporto tra civiltà tecnologico-industriale e mondo naturale, nonchè di cambiamenti climatici e potenza degli eventi naturali.
Ho quindi deciso di esplorare l'incontro tra Ada e Ivan, qui ancora giovani ma in futuro alleati all'interno del Team Idro, e continuare ad indagare sulla loro storia. Ho ripreso l'aggiornamento del personaggio di Ada effettuato in ORAS, dove viene detto che da giovane Ada ha lavorato per la Devon S.p.A. di Ferrugipoli, e ho esplorato altresì un aspetto di Pierangelo Petri visto da un altro punto di vista, molto più critico, accennato nel manga. La storia comunque non segue alcun filone narrativo specifico di videogiochi, anime o manga, e pertanto è una mia rielaborazione della fondazione del Team Idro.
Il titolo è stato ispirato dalla colonna sonora di Pokémon B&W, ripresa anche in X&Y, "An Unwavering Heart", che è stata la colonna sonora che mi ha accompagnato nella scrittura di questi capitoli.
Spero che possa piacervi, e vi sarò immensamente grato qualora decideste di lasciare una piccola recensione.
Arrivederci al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** File No. 2 - La consapevolezza dei Cursola ***


 

File No. 2 - La consapevolezza dei Cursola

 

When I was young
I'd lie alone
And listen to the wind blow
Now I know
'Cause now I'm grown
Just how many dreamers
It takes to keep a dream alive
And I
I believe in the power of us
[Ed Goldfarb, “The Power of Us”]



Due anni prima
8:17, martedì 20 ottobre, Orocea


I tronchi galleggianti della passerella portuale affondavano sotto il suo peso, mentre Ivan abbandonava la piattaforma di scarico merci del villaggio galleggiante. Osservò il grande arco di legno installato all’ingresso del piccolo porto commerciale, lì posizionato per accogliere i viaggiatori giunti fino a quel piccolo paradiso.
«Orocea», lesse a bassa voce, un sorriso che si apriva sulle sue labbra: «Dove il sole del mattino posa il suo sorriso sulle acque». Si guardò intorno: il sole era ancora basso all’orizzonte, e tingeva il mare di sfumature rosate che creavano un’atmosfera pacifica e serena. Il suo cuore si riempì di serenità e buoni auspici, e si avviò verso il centro del villaggio pensando che, qualora fosse esistito davvero un Paradiso, avrebbe dovuto essere molto simile a quel gruppo di casupole galleggianti alla fine del mondo.
Orocea si stava ancora svegliando, ma tutt’intorno a lui era già un fremere di attività. I pescatori del villaggio stavano rientrando dal lavoro notturno, e la piattaforma di scarico merci era affollata di operai incaricati di recuperare le merci arrivate con la consegna settimanale.
Una giovane coppia stava percorrendo la passerella in senso inverso al suo, portando con sé due trolley e alcune borse, e a Ivan venne spontaneo sorridere ai due sconosciuti. Dovevano avere circa la sua età, e quando si fermarono a pochi passi da lui, notò nei loro occhi una felicità rara.
«Benvenuto ad Orocea!» trillò la ragazza, gli occhi sognanti e il tono di voce di chi parla con un vecchio amico: «Spero ti troverai bene quanto abbiamo fatto noi». Lanciò un’occhiata sognante al suo fidanzato, e Ivan invidiò quell’amore così puro che li avvolgeva.
«Sei qui in vacanza anche tu?» lo interrogò lui, un sorriso pieno in volto. «Noi purtroppo dobbiamo ripartire», annunciò indicando con la testa l’imbarcazione con cui Ivan era appena arrivato, «ma potessimo scegliere…»
«… non ce ne andremmo mai più da questo paradiso!» concluse la ragazza, estasiata. Ivan notò come guardava il sole sorridere sul mare, e capì che lei aveva trovato un secondo amore durante quella vacanza.
«In realtà, no, non sono qui per una vacanza» ammise lui, imbarazzato davanti a tutto quell’entusiasmo. «Sono un biologo marino. Sono qui per studiare i Pokémon oceanici nel loro ambiente naturale, e mi piacerebbe anche analizzare la vita dei Corsola di questa colonia così particolare…»
«I Corsola!» esclamò la ragazza, eccitata. «Sono splendidi, devi assolutamente vederli! Chiedi al Centro Pokémon, vengono organizzate delle immersioni per osservare la colonia!»
Il suo compagno ridacchio, annuendo davanti a quell’esternazione gioiosa, e Ivan lo imitò. Era bello vedere qualcuno provare così tanta gioia davanti a uno dei suoi campi di studio, e fu grato di quell’incontro inaspettato.
«Sono sicuro che li vedrà, Erica», annui il ragazzo, anticipando una sua risposta, «e anche noi torneremo a trovarli, prima o poi. È una promessa».
Ivan rimase in silenzio sorridendo, mentre i due innamorati si fissavano negli occhi condividendo in un modo tutto personale quella promessa.
La sirena del traghetto-merci risuonò allegra in quell’istante, e quel piccolo momento magico terminò.
«Temo che sia ora di partire», annunciò il ragazzo, stringendo la mano della compagna.
«È stato un piacere conoscervi. E grazie per il consiglio, Erica» li salutò, stringendo la mano di entrambi: «Vedrò di seguirlo il più possibile, e di andare a trovare i Corsola più volte che potrò!»
Erica gli sorrise ed entrambi ricambiarono la stretta, poi i due ragazzi ripresero il loro tragitto verso il battello, mentre lui attese qualche altro minuto sulla passerella, osservando le manovre di carico del traghetto prima della nuova partenza.
Salutò con un cenno i marinai che lo avevano accompagnato fin lì e che stavano approntando tutto per il viaggio di ritorno, poi si voltò e riprese il cammino verso il Centro Pokémon del villaggio, pronto per quella nuova avventura.


✧︵‿︵‿︵‿︵✧


20:35, mercoledì 7 aprile, Ferrugipoli


L’appartamento di Ivan era poco lontano dalla Scuola per Allenatori, uno dei tanti cubicoli abitati da operai e impiegati della Devon o delle società ad essa collegate. Il piccolo bilocale era preda della confusione più totale: l’angolo cucina era invaso da una quantità assurda di stoviglie non lavate, mentre pile di vestiti e documenti coprivano il piccolo divano, le sedie e gran parte del tavolo al centro della stanza.
«Scusa per la confusione, non pensavo proprio che ti avrei portato qui stasera…» si giustificò lui, e per una volta fu chiaro come il suo aspetto non corrispondesse con la sua vera età. Sebbene dimostrasse più di trent’anni, anche a causa della barba scura che gli incorniciava il volto, era ora evidente a Ada che non potevano che avere due o al massimo tre anni di differenza – circa dieci in meno di quelli che gli aveva dato la prima sera che lo aveva visto. Inoltre, era cristallino come Ivan non fosse così bravo con le donne come sembrava far credere, e ciò la fece sorridere divertita.
Ada fece un rapido tour della stanza mentre l’altro le liberava una sedia e cercava di sistemare alla bell’e meglio il tavolo invaso da fogli volanti e altri documenti a lei ignoti. Restò qualche istante a guardarlo mentre si affannava a rendere l’appartamento presentabile, poi decise di dargli una mano per velocizzare le cose.
«Da’ qui, ti aiuto io!» annunciò, cominciando a raccogliere parte dei documenti e a sistemarli un poco.
Il volto di Ivan si infiammò di fronte a quella gentilezza, e balbettò una timida protesta che il sorriso sul volto della ragazza annegò in un istante.

Continuarono a sistemare la confusione in silenzio, lei che rideva tra sé e sé e Ivan sempre più imbarazzato dalla situazione – ma alla fine riuscirono a liberare il tavolo e a sedersi l’uno di fronte all’altra. Ivan aveva preparato velocemente due ciotole di noodles istantanei per una rapida cena, nonché recuperato due bicchieri puliti dalla credenza ormai vuota. Li aveva riempiti stappando le uniche due bottiglie presenti nel frigo – di birra scura e amara che contrastava decisamente col limpido gin con cui si erano abituati l’uno all’altra – e davanti a quella “cena” improvvisata avevano ripreso il loro dialogo a cuore aperto.
«Allora…» provò a incominciare lui, tentando di raccogliere le fila del discorso interrotto dopo l’uscita dal Café nonostante l’evidente imbarazzo di avere una ragazza nel suo appartamento. Mescolava i noodles con le bacchette senza arrivare da nessuna parte, mentre abbozzava poche parole per riempire il silenzio. «Stavamo parlando…», cominciò, prima che fosse lei a continuare per aiutarlo: «… del tuo progetto per rinnovare Hoenn, esatto!»
Il sorriso con cui accompagnò quelle parole imbarazzò ulteriormente Ivan, complicando la soluzione e suscitando l’ilarità della ragazza.
«Eddai Ivan! Dov’è finito l’uomo tutto d’un pezzo di tutte queste sere?» lo sfidò lei, cogliendo l’occasione e puntandogli le bacchette contro il petto. «Mi hai convinta a valutare la tua proposta, e ora ho anche la conferma che non sei un maniaco che vuole soltanto portarmi a letto…» gli fece un occhiolino, burlandosi innocentemente del suo imbarazzo, poi continuò restando all’attacco: «ma devi ancora convincermi a mollare tutto per seguirti a Porto Alghepoli!»
Ivan era quasi paonazzo, ma prese un respiro profondo e cercò di controllarsi nonostante le risatine e le occhiate fin troppo furbe di Ada. Lei gli lasciò spazio per riprendersi, e per qualche istante rimasero entrambi zitti a mangiare i noodles ancora bollenti.
Ripensò alle rivelazioni che gli aveva fatto prima al Café, ammettendo di essere a Ferrugipoli in cerca di informazioni per un ambizioso progetto che avrebbe migliorato la vita di tutta Hoenn.
Non lo aveva ammesso apertamente, ma dalle parole di Ivan aveva intuito come l’uomo avesse studiato molto bene la Devon e le sue ultime invenzioni, specialmente quelle utilizzate dai minatori del Tunnel Menferro. Ivan lavorava lì come operaio, per pagarsi l’alloggio in città e raccogliere fondi per la sua idea, ma la sua formazione era da biologo marino e tutto il resto che sapeva lo aveva appreso come autodidatta. Si era interessato alla storia di Hoenn e alle sue leggende, e aveva acquisito sul campo nozioni di geometria, meccanica, architettura e geologia, fondendole tra loro per creare la propria personale visione del mondo che voleva costruire.
Era un giovane affascinante, a parte quell’attitudine non troppo nascosta per quello che alcuni avrebbero considerato spionaggio industriale, e Ada ne era rimasta folgorata. Non le era ancora chiaro per cosa volesse realmente lavorare, ma invidiava quello stile di vita così diverso dal suo, in cui aveva sacrificato ogni sua speranza nonché la sua stessa felicità sull’altare della Devon S.p.A. e del profitto più immediato. Ivan invece aveva viaggiato in lungo e in largo per la regione per comprendere più a fondo come vivessero insieme tra loro Pokémon e umani, senza mai risparmiarsi o rinunciare al suo vero sogno. Era una persona speciale, e per un istante le sembrò di conoscerlo da sempre, come se quel loro incontro non fosse altro che l’ultimo di una storia già vissuta di cui entrambi si erano dimenticati.
Ripreso il controllo per quanto possibile, Ivan recuperò non si sa come una mappa di Hoenn dalla montagna di scartoffie che ora occupava il pavimento, riportando anche Ada alla realtà. La posizionò alla bell’e meglio tra le due ciotole di noodles, attento a non sporcarla con le gocce di birra lasciate sul tavolo dalla bottiglia, poi riprese a parlare.
«Porto Alghepoli è solo il primo passo», cominciò a spiegare, mentre col retro di una bacchetta indicava la baia della città dove a quanto pareva voleva fondare la base operativa del suo nuovo progetto. Le aveva già spiegato le sue intenzioni più immediate al Café, annunciando che le sue doti di esperta in meccanica dei fluidi e ingegneria idraulica sarebbero state cruciali per costruire “un porto sicuro” per loro. La base operativa doveva avere vari locali direttamente affacciati sul mare aperto, e ciò poneva molti problemi che solo una scienziata capace come lei poteva risolvere.
«Costruiremo lì la nostra base, e cominceremo a reclutare persone fedeli e capaci per aiutarci nelle nostre operazioni». Ada avrebbe voluto interromperlo per chiedere chiarimenti su quelle operazioni, ma Ivan riprese a parlare immediatamente.
«Ma il vero obiettivo è un altro, e si trova più o meno qui», continuò, spostandosi sulla mappa verso sudest, nell’ampio tratto di mare tra Ceneride e Iridopoli.
«Il Percorso 127?» domandò Ada, protesa sulla mappa per osservare meglio. «Che ci facciamo lì?»
Ivana stava cercando un altro documento in mezzo alla confusione ordinata intorno a loro, ma le rispose comunque preso da una strana eccitazione.
«In realtà credo sia nel Percorso 128, ma non ne sono ancora sicuro» continuò, scombinando i plichi appena ordinati e trovando finalmente ciò che cercava. Si raddrizzò sul tavolo, un sorriso vittorioso in volto e la voce eccitata.
«Dovremo fare ulteriori ricerche, e anche per questo sarà essenziale la tua intelligenza…» riprese, provocandole una punta di imbarazzo con quel complimento gratuito. «Ma sono certo che laggiù si trovi l’Antro Abissale!» aggiunse, sbattendo sopra la mappa la copia ingrandita di una fotografia rovinata.
Raffigurava un’antica iscrizione rupestre decorata con strani disegni millenaristici. L’antico reperto mancava di tutta la parte sinistra, svanita col tempo, ma era ben riconoscibile la figura di un enorme Pokémon colossale, intorno al quale si stava scatenando una possente tempesta.
Ada non riusciva a leggere il linguaggio arcaico delle iscrizioni, ma riconobbe nel disegno il Pokémon Oceano primordiale, Kyogre. Si accigliò confusa, non capendo dove volesse andare a parare l’altro.
«L’Antro Abissale? La dimora di Kyogre?» domandò, le sopracciglia aggrottate da troppe domande. «A parte che la sua esistenza è soltanto una leggenda… Cosa c’entra con noi?» aggiunse, zittendosi per pensare mentre terminava il suo piatto di noodles.
Ivan aveva gli occhi nuovamente scintillanti di quella luce strana che aveva intravisto poco prima al Café. Ma invece di darle le risposte che cercava, l’uomo cominciò a farle a sua volta altre domande.
«Ada, da quant’è che non piove qui in città? Ci hai mai fatto caso?»
Spiazzata dal cambio d’argomento, Ada rimase per qualche istante ferma in silenzio, finché non rispose dopo una sollecitazione dell’altro.
«Non… non saprei. Settimane sicuramente, se non addirittura mesi. Ma che c’entra ora la pioggia?»
«Mesi, esattamente. Da quando ci siamo incontrati all’inizio dell’anno Ferrugipoli non ha ricevuto una singola goccia di pioggia».
Ada verificò mentalmente la correttezza dell’informazione, poi attese una spiegazione che non arrivò. Al suo posto, un’altra domanda.
«Respiri bene, quando esci dal lavoro? O per caso l’aria è pesante, tanto da preferire quella condizionata della Devon?»
Lei non capiva, ma riconobbe il vero nella seconda domanda e annuì: l’aria di Ferrugipoli era estremamente inquinata e pesante da respirare, e lei lamentava ogni giorno la mancanza della fresca brezza di Verdeazzupoli.
«L’aria qui fa schifo perché non piove mai. E credi che la situazione sia diversa altrove? Certo, a Forestopoli piove anche troppo, forse; ma il resto di Hoenn ha sete, Ada. Sta soffocando lentamente, con quest’aria sporca e marcia e senza acqua».
Ivan era di nuovo all’attacco, e la incalzò.
«Metà del Percorso 111 è un deserto, e tutt’intorno al Monte Camino la siccità avanza. Cuordilava e Brunifoglia sono aride e coperte di cenere, e il Passo Selvaggio è una brulla distesa dove la vita fatica a crescere».
«Dove vuoi andare a parare, Ivan?» cercò di intervenire, ma senza successo.
«Anche Bluruvia è in difficoltà, nonostante sia un’isola, e a Porto Selcepoli stanno cominciando a trovare Tentacool e Magikarp arenati sul bagnasciuga, confusi da un mare troppo caldo».
Ivan aveva cominciato a girare intorno al tavolo, obbligandola a seguirlo con lo sguardo mentre lui si infervorava sempre di più nel denunciare i disastri dell’ecosistema. Agitava nell’aria le bacchette, la sua cena abbandonata a sé stessa, e pareva un guerriero che colpiva nemici invisibili.
«Due anni fa sono stato ad Orocea, non so se l’hai mai visitata. Un luogo splendido, un vero paradiso costruito grazie alla coesistenza tra noi umani e la gigantesca colonia di Corsola dei fondali. Ho vissuto laggiù per tutta una stagione, studiando l’habitat marino e immergendomi in quegli splendidi fondali. Se potessi scegliere dove passare il resto dei miei giorni, sarebbe laggiù».
Ada vide il suo volto rabbuiarsi, mentre continuava a raccontare. «Eppure, Orocea non è più così tanto un paradiso. Qualche mese fa sono tornato laggiù per trovare alcuni amici, e ho parlato con i pescatori locali con cui ho lavorato a suo tempo. Sono disperati, perché hanno cominciato a trovare dei Corsola molto pallidi e di tipo Spettro tra le loro reti, e in molti giurano di aver avvistato le ombre bianche dei Cursola alzarsi dalle acque durante la notte».
Alcune lacrime rabbiose cominciarono a scendere dagli occhi scuri di Ivan, impastandosi con la barba e il tono cupo del discorso.
«Sai perché appaiono i Cursola? L’evoluzione dei Pokémon è un fenomeno straordinario, e tutti pensiamo sia sempre una benedizione. Ma per Corsola non è così, è l’esatto contrario». Ada non aveva mai pensato prima che per alcuni Pokémon l’evoluzione potesse essere un fenomeno negativo, anzi si ricordava di come la sua Carvanha si fosse esaltata dopo essersi trasformata nella possente Sharpedo.
«Quando il mare è troppo inquinato, i Corsola sono i primi a morire. Ma non restano semplici cadaveri: loro mutano tipo da Acqua in Spettro, per continuare a vivere oltre la morte e proteggere i loro amati mari. Ma se la situazione non migliora, i loro spiriti si agitano e divengono dei Cursola, pronti a maledire noi umani con l’arma più letale che conoscono: la consapevolezza».
Ivan si fermò per prendere fiato, e Ada comprese che le lacrime non erano soltanto di rabbia, ma di reale dolore e sofferenza di fronte alla durezza di quelle verità.
«Sì, i Cursola ci colpiscono con la consapevolezza di tutto ciò che stiamo facendo, che è ciò di quanto più grave possiamo sperimentare. Solo allora ci rendiamo conto di quante vite stiamo spegnendo con la nostra arroganza e il nostro inquinamento, di quanti disastri stiamo generando senza accorgercene. Stiamo uccidendo Hoenn, stiamo ammazzando questo mondo Ada!»
Anche Ada si ritrovò con le guance rigate di lacrime, un misto di rabbia e tristezza e dolore sordo che le cresceva nel petto al ritmo delle parole dure di Ivan. Era come se avesse davanti a sé un profeta, capace di dipingere nell’aria la sofferenza del mondo e di smuovere profondamente la sua coscienza.
«Non ti ho mai nascosto il mio disprezzo per Petri e la Devon», continuò, abbassando finalmente le bacchette e tornando a sedersi davanti ai noodles ormai freddi. «Non posso sopportare che un uomo così geniale e con tanta potenza industriale continui a lavorare solo per il proprio profitto, senza pensare al nostro ambiente e alle sofferenze dei Pokémon. Vorrei che vedesse Orocea oggi, che camminasse e nuotasse laggiù per vedere cosa stiamo facendo a questo prezioso gioiello, più fragile ma immensamente più bello di tutte le sue pietre preziose! Anzi, vorrei che tutti andassero a Orocea, per vedere e capire! Nessuno fa qualcosa per invertire la rotta: stiamo correndo incontro al disastro, ma tutti fingiamo di essere ciechi e rifiutiamo di cambiare strada per salvarci. E se non ci sbrighiamo, non condanneremo solo Orocea, ma tutto quanto».
Ivan aveva il volto segnato dalle lacrime, i pugni con le nocche bianche stretti intorno alle bacchette come se tutto potesse risolversi stritolando quei due poveri legnetti. Sembrava esausto dopo quel racconto, senza energie di fronte alla cecità umana – eppure il suo spirito non era vinto. Ivan aveva una soluzione a tutti i loro problemi, e Ada capì che solo col suo aiuto avrebbero potuto renderla realtà.
«Non ho ancora capito cosa hai in mente, Ivan, ma non importa». Ada ruppe il silenzio, poggiando le mani sui pugni dell’altro e aiutandolo a sciogliere quella stretta rabbiosa. «Non so cosa c’entri Kyogre, o come tu pensi che io possa aiutarti…» continuò, aprendo le dita di Ivan e intrecciandovi le sue con delicatezza, «… ma sarò al tuo fianco in questa lotta. Puoi starne certo».
Ivan alzò lo sguardo, e vide negli occhi azzurri della ragazza un fuoco che fino a quel momento aveva intravisto solo quando si osservava allo specchio, chiedendosi se fosse lui l’unico pazzo disposto a lottare per cambiare il mondo. Davanti a quella determinazione, avvertì un brivido di paura: davvero lei l’avrebbe seguito fino alla fine, rinunciando a una carriera brillante per inseguire il sogno più folle di sempre? Ora che era il momento di scegliere davvero da che parte stare, era titubante di trascinarla con sé dentro a un abisso da cui non c’era ritorno.
«Ne sei sicura?» chiese, concedendole un’occasione per abbandonarlo come avevano già fatto tanti altri. Tutti gli altri, Max compreso – e se aveva ceduto lui, perché doveva condannare proprio Ada? «Una volta che cominceremo, non potremo più tornare indietro. So che ho fatto di tutto per fartela odiare, ma alla Devon tu hai un lavoro sicuro, che dovrai abbandonare. Farà anche schifo, ma ti pagano molto bene, mentre io…»
«Mentre tu puoi offrirmi solo la verità. E forse, la giustizia, già» riconobbe lei. La sua voce era seria ed elettrizzata al tempo stesso, e per la prima volta da tanto tempo si sentiva di nuovo viva.
«Ma tu», proseguì, stringendo piano le loro mani in segno di conferma, «… tu mi hai aperto gli occhi Ivan! Non posso più far finta di non vedere ciò che stiamo facendo a questo mondo!»
Restarono a fissarsi negli occhi per alcuni istanti, mentre il tempo sembrava essersi fermato e solamente loro due sembravano continuare a esistere – loro due, e quel sogno ora condiviso.
Ivan annuì chiudendo gli occhi con aria grave, e quando li riaprì sapeva di essere pronto, di poter andare avanti fino alla fine.
Ada gli sorrise, consapevole che ormai erano legati al di là di un mero rapporto di lavoro o qualunque altra cosa avrebbe richiesto Ivan da lei. Ora che sapeva, che aveva capito ciò che lui aveva intuito coi suoi viaggi, pensava soltanto ai poveri Corsola di Orocea e agli altri Pokémon sofferenti per colpa degli umani. Voleva viaggiare anche lei, visitare tutta Hoenn per vedere con i suoi occhi i danni provocati da tutti loro, e porvi rimedio in modo radicale e definitivo.
«Mostramelo, Ivan», sussurrò: «Mostrami ciò che hai in mente per salvare Orocea, per salvare questo mondo, costi quel che costi».
«Costi quel che costi…» mormorò lui, annuendo: Ada aveva capito, senza che lui glielo rivelasse, che la sua soluzione li avrebbe portati a scontrarsi con il resto del mondo. Lo aveva capito, e lo aveva anche accettato completamente, senza riserve.
Ivan si alzò in silenzio, sciogliendosi da quell’intreccio di mani per scivolare nell’altra stanza, la camera da letto, con solennità. Tornò poco dopo, in mano una piccola valigetta portadocumenti del colore dell’oceano, con una strana A azzurro chiara impressa sopra.
Posizionò la valigetta sul tavolo, facendone scattare i fermagli d’apertura e rivelandone il contenuto alla sua complice.
Ada raccolse la cartellina portadocumenti più in alto, anch’essa color dell’oceano con la strana A stampata al centro, appena sotto all’etichetta.
«Progetto AZOTH», lesse piano, prima di aprirla e scrutare i documenti attentamente raccolti da Ivan.
Lui si sedette al suo fianco, e intercettato il suo sguardo eccitato, cominciò a spiegare.


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NdA: Benchè si tratti dell'evoluzione di una variante regionale specifica di Galar e dunque inesistente ad Hoenn, ho voluto inserire in questa storia anche i Cursola (e di conseguenza pure i Corsola di Galar) in quanto la motivazione della loro esistenza è proprio il cambiamento climatico e l'inquinamento che uccidono le colonie di Corsola. Ho pensato che tale forma regionale potrebbe apparire anche in altre regioni sotto le giuste condizioni, e che Orocea rappresenta perfettamente quel tipo di fragile equilibrio tra natura e vita umana che più è colpito dagli effetti dannosi del cambiamento climatico.

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