Deeply Inside

di LadyKant
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. I hear someone whispering my name ***
Capitolo 2: *** Going Under ***
Capitolo 3: *** The Hidden Truth ***
Capitolo 4: *** I'll Find My Way Home ***
Capitolo 5: *** Dancing in the Dark ***
Capitolo 6: *** Before I come undone ***
Capitolo 7: *** Somewhere I belong ***



Capitolo 1
*** 1. I hear someone whispering my name ***


Un rumore.

C’era stato un rumore e l’aveva sentito, ma che rumore fosse era troppo difficile da mettere a fuoco, ci pensò qualche istante a quanto fosse difficile e poi fu di nuovo il nulla.

Fu una sensazione di freddo a riportarlo a galla, ma era come aprire gli occhi senza farlo, si chiese cosa potesse essere prima che i suoi pensieri si spegnessero lentamente.

Riemerse ancora dall’ombra per qualcosa che aveva stuzzicato uno dei suoi sensi, ma sempre per poco tempo e sempre senza capire cosa fosse.

Successe ancora e si chiese quanto tempo fosse passato da quando era riemerso l’ultima volta ma riaffondò prima di poter pensare ad una risposta.

Poi era cambiato qualcosa, se ne era reso conto perché per la prima volta poteva avvertire quello che lo circondava, sentiva una superficie morbida e calda tutto intorno a sé, ma non poteva muoversi, il suo corpo era pesante ed immobile e poi voci accanto che parlavano tra di loro, non capiva le parole ma quella che sentiva più vicino a sé era proprio bella, solo sentirla così vicino lo faceva sentire tranquillo, poi fu di nuovo il nulla.

Ritornò quando avvertì un tocco gentile sulla guancia, quella bella voce era ancora lì vicino e ora capiva alcune parole, gli stava parlando piano, sottovoce ma gli sembrava un discorso senza senso per dirgli di svegliarsi, che era ora di tornare a casa, che era un idiota, che non aveva mai capito niente, che non poteva farcela da solo, che alternava ricordi a minacce, promesse e rimproveri. Sentiva però affetto in quelle parole, tanto e gli sembrò una cosa che gli era mancata come l’aria, Non aveva fatto altro che cadere e a tratti galleggiare in un buio che solo ora gli era difficile sopportare. Altre volte era riemerso e la cosa lo stancava e confondeva al punto che non poteva fare altro che accettare il buio come un sollievo, un posto dove non pensare, dove niente poteva arrivare tranne lui stesso e dove nessuno poteva intaccare la pace nell’oblio che era la sua casa.

Ma quella voce era come una mano tesa, un eco di qualcosa che sapeva di conoscere, un appiglio a cui aggrapparsi per uscire da quella palude nera e per quanto il nulla fosse un rifugio sicuro, solo le sensazioni che gli dava quella voce gli fecero desiderare per la prima volta di non tornare indietro.

Di chi era quella voce e per la prima volta si chiese, chi era lui? Questa domanda lo congelò, com’era possibile che non se lo fosse chiesto subito.

E intanto quella bella voce parlava e quella mano gentile gli accarezzava la testa e sentiva la sua mano stretta in una più grande e calda, stretta come se fosse importante.

E poi un bacio? Era stato un bacio quel tocco delicato?

“ Torna da me idiota, sono settimane che mi fai fare la parte della ragazza in gonnella, quel ruolo è tuo, per gli Dei io sono un Re! “

E poi la stretta alla mano si fece più forte.

“ So che puoi sentirmi Merlin… “

Merlin, quel nome gli era così familiare che lo riconobbe come proprio.

“ ..hai combattuto tanto, combatti ancora un po' e torna a casa e da me. Non so tutto quello che è successo, ma so cosa mi hai tenuto nascosto e Merlin, davvero, per quanto io sia in collera con te, non osare restare in questo letto ancora, non osare restare dove sei, dove non posso fare nulla “

Un Re? Che lo voleva accanto? Ma chi era e perché sentiva di voler ricambiare il suo tocco, di chiedere scusa. Cos’era successo e perché non ricordava nulla? Troppe domande e lui era talmente stanco. Da quanto era cosciente? Sembrava tanto come mai gli era successo e ora ne risentiva, l’ombra lo stava riavvolgendo, ma per la prima volta sentiva che c’erano sussurri nel buio, un’altra voce?
 
“ Sono bugie…”
 
No, non era una vera voce, sembrava qualcosa di più leggero, un eco di qualcosa
 
“ Non è reale, lasciati andare “
 
Aveva quasi la sensazione che fosse lui stesso a parlare, ma ora era troppo stanco per pensare, troppo pesante per non lasciarsi cadere, anche se dopo quello che aveva provato nel sentire quella bella voce e quella stretta alla mano, la pace che gli offriva il buio non gli sembrava più così assoluta, ma per il momento era ancora più forte di lui e lo trascinò lontano da quelle sensazioni. Per ora.

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Capitolo 2
*** Going Under ***


L’unica cosa che lo teneva ancorato alla realtà era la sua corona; il peso e il freddo che sentiva sulla testa erano ciò a cui si aggrappava per non perdere il filo del discorso che stava avvenendo attorno a lui.
La situazione ai confini nord di Camelot era sempre stata delicata, si trattava di una zona isolata, il terreno arido impediva di far sorgere insediamenti e l’area era diventata facile meta di banditi e fuggitivi; spesso gli ultimi villaggi prima di quella terra abbandonata subivano saccheggi e proprio a causa di questo i rappresentati di questi erano stati chiamati dal Re per trovare una soluzione.
Era un problema serio da risolvere, ma i suoi pensieri scappavano sempre verso quel letto dal quale il suo servitore non si muoveva da due settimane.

Le immagini di quel giorno gli scorrevano davanti senza sosta, in lui nascevano sempre più domande e la mente si perdeva in un altalenarsi di rabbia, gratitudine, paura e ansia, lasciandolo incapace di muoversi.
Si sentiva prigioniero di sé stesso, immobile, proprio come lo era Merlin.
 
Ma non era il momento per pensarci, strinse con forza il bordo del tavolo aggrappandosi alla solida consistenza del legno, il pollice che si muoveva avanti e indietro avvertendo la ruvidità del materiale lo teneva focalizzato sulla discussione che stava avvenendo, ora doveva rimanere concentrato. Per le ore seguenti si fece violenza per escludere ogni altro pensiero, i delegati dei paesi se ne andarono con l’accordo di avere un distaccamento fisso di una pattuglia di Camelot nei pressi dei confini in modo che potessero proteggere i villaggi. Appena le porte della sala del trono vennero chiuse, si concesse un minuto abbandonandosi sul trono, lasciò cadere il capo all’indietro e chiuse gli occhi. Solo un istante pensava, solo un momento.
 
Un timido bussare lo riportò alla realtà, esalò un sospiro stanco ed aprì gli occhi rimettendosi in posizione composta. All’invitò ad entrare risposte un servitore che si fece avanti con un profondo inchino.
 
“Perdonate il disturbo Maestà, il medico di corte ha chiesto di poter parlare con Voi appena possibile”
 
“Grazie, puoi andare, andrò da lui personalmente “
 
Aspettò di vederlo uscire prima di scattare in piedi nervosamente e dirigersi verso le stanze del cerusico.
Si impedì di pensare al motivo per cui voleva vederlo mentre andava sempre più veloce.
Aprì la porta senza nemmeno bussare, non si era reso conto della fretta con cui era entrato, se non quando vide il medico sussultare, prima di inchinare brevemente la testa verso di lui.
 
“Cosa è successo? Si tratta di Merlin? “
 
“Sì Sire, ma non riguarda il suo stato attuale, quello purtroppo rimane invariato”
 
Arthur vide la desolazione sul volto dell’anziano cerusico, sembrava invecchiato nelle ultime settimane, si stava dedicando a cercare una soluzione consultando ogni libro su cui riusciva a mettere le mani ed era sicuro che avesse provato a fare ricorso anche a quelle arti che in gioventù aveva dovuto abbandonare.
Se per lui Merlin era importante, per quell’uomo era il figlio che non aveva mai avuto e l’impotenza di fronte a quella situazione lo stava visibilmente segnando.
 
“Ho bisogno che mi raccontiate nei dettagli quello che è successo, ho trovato qualcosa durante le mie ricerche, ma per esserne certo devo avere più dettagli possibili.”
 
“Gaius ti ho già detto come è andata, cosa vuoi che ti dica di più!”
 
“Maestà per favore...”
 
A cosa poteva servire parlarne ancora, non era già abbastanza frustrante tutta quella situazione? Guardò Gaius negli occhi e vide riflesso il suo stesso stato d’animo, lo stesso sconforto. Annuì e si avvicinò al tavolo sedendosi pesantemente sulla sedia, mise i gomiti sul tavolo e nascose il viso tra le mani. Si tolse la corona con un gesto di stizza e l’appoggiò sul tavolo, in quel momento non era un Re, non era un capo, ora era solo Arthur, solo un uomo.
 
“Cosa vuoi sapere? “
 
“Quello che è accaduto alla fine Sire, Vi chiedo di essere il più specifico possibile per favore”
 
Era difficile parlarne, quella giornata aveva stravolto la sua vita in un modo con cui ancora non era venuto a patti, era dilaniato da sentimenti contrastanti a cui cercava di non cedere del tutto perché la priorità era svegliare Merlin, il resto per un po’ poteva ancora aspettare.
 
“Non so cosa dirti Gaius, da quando siamo finiti in acqua è tutto confuso”
 
“Ripartiamo da lì allora, prima che finiste in acqua”
 
Arthur fece un profondo respiro prima di iniziare a parlare.
 
“Eravamo nei tunnel di quella miniera abbandonata che avevamo individuato con te, stavamo seguendo una delle galleria quando Merlin mi ha gettato a terra mentre stavamo camminando, aveva visto arrivare un…un…incantesimo…“
 
Si fermò un momento, non era ancora venuto a patti con quell’aspetto, si rese conto di avere la mascella talmente contratta da fare male e di aver smesso di respirare solo quando la mano del cerusico si appoggiò delicata sul pugno che stava stringendo.
 
“E’ stato colpito ad una gamba e ha urlato. Gaius, quell’urlo è stato…”
 
I pugni si strinsero ancora di più, così come la stretta del cerusico che però non parlava, osservava e aspettava in silenzio.
 
“Ho cercato di alzarmi ma quell’idiota continuava a volermi tenere a terra, mi spingeva giù cercando di coprirmi con il suo corpo mentre intorno a noi piovevano questi dardi che sembravano brillare... poi ha urlato ancora, ma non era dolore, o meglio non solo, credo abbia detto qualcosa ma non ho capito, poi quelle cose hanno smesso di cadere e l’ho sentito lasciarsi andare, sembrava un burattino a cui avevano tagliato i fili. Non sapevo cosa fare, l’ho scosso ma non succedeva nulla, solo dopo qualche istante l’ho sentito gemere e l’ho spostato da me sdraiandolo a terra sulla schiena. Non credo avesse capito che era finita, continuava a stringermi come se ne dipendesse della sua vita, sembrava confuso, penso fosse stordito dal dolore. Mio dio Gaius, avresti dovuto vedere come era ridotta la sua gamba, non avevo mai visto nulla del genere “
 
A quel punto Arthur non poté impedirsi di abbassare la testa, sopraffatto da quello che stava provando, il senso di colpa era un peso sul petto che lo soffocava, l’ansia un gelo che lo paralizzava, la vergona verso sé stesso gli bruciava sotto pelle e la rabbia verso quel ragazzo che non aveva pensato nemmeno un secondo prima di rischiare la vita per lui si alternava a quella verso sé stesso per non essere stato in grado di fare di più.
 
“Ricordo quel boato incredibile, non ho capito cosa fosse finchè non ho visto quel muro d’acqua e rocce venire verso di noi, ho pensato solo che saremmo morti e ho guardato Merlin. Lui…Lui stava guardando l’acqua, poi ha voltato la testa verso di me e...”
 
Di colpo scattò in piedi, quello era il momento in cui era cambiato tutto.

Gaius lo guardò camminare nervosamente avanti e indietro per la piccola stanza, sapeva che prima o poi avrebbero dovuto parlare di quello. Appena li avevano trovati Artù aveva raccontato a lui quella parte in pochissime parole, come se fosse stato vissuto da qualcun altro, ricordò di aver provato a parlare ma il Re lo aveva fatto tacere puntandogli un dito contro e ordinandogli di pensare solo a curare Merlin.
Non se l’era presa, per una persona abituata a diffidare dalla magia, quello che doveva aver vissuto doveva essere stato sconvolgente. Ma ora doveva sapere.
 
“Maestà mi rendo conto che quello che avete scoperto vi abbia sconvolto ma…”
 
“Sconvolto? Sconvolto Gaius? Lui ha…Lui è…dannazione mi ha mentito per anni! Tu mi hai mentito per anni! Non so neanche chi sia la persona in quella stanza!”
 
Gaius rimase impassibile di fronte alle urla del Re.
 
“Sapete chi è Merlin. Chi è per voi. Quello che avete visto non cambia la persona che è, lui è lo stesso, i suoi sentimenti lo sono, la sua anima lo è”
 
“E’ un maledetto stregone! Come diamine fai a dire che non cambia nulla!”
 
“Non cambia e lo sapete anche Voi”
 
“E’ un bugiardo!”
 
“Vi ha mentito è vero, come vi ho mentito io. Ci sono cose che vi sono state taciute per proteggere Voi, il vostro destino e Merlin stesso. Lui odiava avere segreti con Voi, mentirvi era qualcosa che non sopportava, molte volte avrebbe voluto dirvelo, anche contro il mio consiglio e nonostante il mio affetto per Voi non mi pento di avergli consigliato di tacere, non eravate pronto. Quel ragazzo ha messo da parte la sua vita per Voi e l’ha fatto senza pensarci e con il cuore in mano perché tiene a voi più di quanto non si possa credere, specie per uno nella sua posizione. Non dirò a voi cosa fare, non vi dirò di non essere in collera e non parlerò a nome suo. Vi chiedo solo di dirmi cosa ricordate altrimenti tutto questo non ha senso, andate in quella stanza e ponete fine a tutto”
 
Artù lo guardò stringendo i pugni, tutte le emozioni che gli si agitavano dentro non sapeva gestirle, non sapeva riconoscerle, sentiva solo un enorme buco in mezzo al petto e una rabbia che gli scorreva come lava nelle vene. Si girò e colpì il muro con un pugno, il dolore gli percorse il corpo come una scossa e su quello si concentrò. Sarebbe venuto il momento per le spiegazioni, per le urla e per tutto quello che ne sarebbe derivato, ma non era quello il momento. Non voleva che Merlin morisse, mai l’avrebbe mai voluto, doveva svegliarsi e poi niente gli avrebbe impedito di tirargli un pugno, metterlo alla gogna e nelle prigioni finché non si fosse sentito soddisfatto, poi gli avrebbe concesso di parlare.
 
“Pensavo non capisse cosa stesse accadendo, poi però ha guardato quello che stava arrivando e poi me con uno sguardo disperato. Mentre l’acqua ci stava per colpire mi sono abbassato su di lui per proteggerlo e l'ho sentito dire delle parole e i suoi occhi…i suoi occhi…sono diventati dorati. L’acqua che avrebbe dovuto colpirci non l'ha fatto, eravamo avvolti in una luce calda che ci proteggeva, la stessa che vedevo brillare nei suoi occhi “
 
Gaius si avvicinò al Re e gli prese la mano tra le sue, voleva bene a quel ragazzo, lo aveva visto crescere ricercando l’approvazione di un padre che metteva la sicurezza del regno prima di tutto, nascondendo insicurezze e paure dietro ferocia e crudeltà. Aveva visto quel ragazzo trincerarsi dietro un muro di arroganza e freddezza per rispecchiare le aspettative di un uomo che pur amandolo, non era mai stato in grado di dimostrarlo nel modo in cui un figlio ne ha bisogno. Aveva visto quel muro iniziare ad incrinarsi dopo che Merlin era entrato al suo servizio e l’aveva visto crollare negli anni seguenti. Erano davvero due lati di una stessa medaglia, due persone che insieme riuscivano a scacciare le ombre e rendersi una versione migliore.
Non mollando la presa sulla mano lo tirò verso il tavolo dove iniziò a pulire l’escoriazione che si era procurato.
 
“ Cosa è accaduto poi?”
 
Arthur ricordò di aver fissato quegli occhi dorati senza che il suo cervello recepisse la situazione, rifiutando la chiara realtà che si trovava davanti. Merlin non aveva mai staccato lo sguardo da lui e poteva vedere chiaramente il terrore che provava.
Si era allontanato da lui come se scottasse, sguainando la spada e puntandogliela al petto, guardando quel volto così conosciuto ma che mai gli era sembrato così estraneo, continuando a ripetersi che non era possibile.
Si guardò intorno, il nero dell’acqua scorreva con una violenza inaudita, la luce intorno a loro li illuminava dolcemente.
Merlin continuava a fissarlo con uno sguardo disperato.
 
Non sapeva dire quanto rimasero in quella posizione, cercando negli occhi dell’altro risposte a domande non formulate, la spada tremava leggermente appoggiata al collo di Merlin.
 
Si riscosse quando sentì delle gocce d’acqua sul viso, alzò la testa e vide che la luce che li proteggeva tremava, spostò lo sguardo su Merlin e vide che tremava nello stesso modo, la fronte aggrottata per lo sforzo e per il dolore. Negli occhi un dolore ancora maggiore.
 
Non sapeva cosa fare, non gli era mai successo di dover puntare la sua arma contro una persona a cui teneva, men che meno contro l’unica persona a cui aveva aperto il suo cuore, l’unica che non si sarebbe mai aspettato potesse tradirlo.
 
Dagli occhi di Merlin continuavano a scendere lacrime silenziose, perso nei suoi pensieri non si era nemmeno reso conto che avesse iniziato. Lo vide cedere per un secondo, lo stesso in cui un po’ d’acqua entrò e li bagnò entrambi, facendogli riaprire gli occhi, guardarsi intorno e tornare a fissarlo. Non riusciva a parlare, non riusciva a muoversi, non riusciva a capire quale emozione fosse più forte in quel momento, non riusciva a staccare gli occhi da quelli di Merlin.
 
Quando altra acqua entrò, vide gli occhi di Merlin stringersi come se stesse facendo uno sforzo enorme.
Lo senti sussurrare un flebile “mi dispiace” prima di mormorare qualche parola a lui incomprensibile.
In un istante la luce smise di proteggerlo e venne portato via dalla corrente senza opporre resistenza, senza staccare gli occhi dai sui.
 
Artù rimasto pietrificato. Tremava più forte, gli occhi sgranati, incapace di pensare.
La luce lo stava proteggendo ancora nonostante fosse solo.
Solo.
Si guardò lentamente intorno. Tutto tremava in lui, le sue mani, il suo cuore, la sua anima.
L’acqua scorreva impetuosa tutt’intorno a lui, ne sentiva il frastuono e ne vedeva la potenza tramite quella poca luce che arrivava dalla luce che lo avvolgeva.
Era solo.
Sentiva il costante rombo dell’acqua, bloccato nel posto sicuro che Merlin aveva creato e lasciato per lui, non ci vide più ed iniziò ad urlare fino a che la gola gli fece male.
Era costretto in quel punto, un passo in avanti e sarebbe stato travolto da quel mare nero che vedeva scorrere impazzito.
Urlò ancora.
Lasciò la spada e crollò sulle ginocchia, il peso dell’impotenza lo schiacciava.
Ancora una volta si trovò a non sapere quanto tempo fosse passato, si sforzò di distaccarsi dalle sue emozioni e trovare una soluzione ma fu impossibile. Non sapeva come uscire da lì e più il tempo passava più le domande diventavano assillanti. Il chiedersi perché gli avesse mentito per tutto quel tempo diventò quasi secondario di fronte al dolore che gli causava il sapere che non era stato meritevole della fiducia di Merlin. Non gli avrebbe mai fatto del male, non l’avrebbe allontanato, loro erano qualcosa che non poteva essere descritto, una parola ancora non coniata, un legame che andava oltre ogni cosa conosciuta. Ed era normale, chiaro, ovvio. Come poteva non esserlo? Lui ne era certo, lo sapeva da sempre e nel profondo, sentiva quella certezza quasi fosse qualcosa di concreto che poteva toccare.
Non aveva mai dubitato che per Merlin fosse lo stesso, ovvio come lo era per lui. Ma si era sbagliato. Era strana la sensazione che dava questa scoperta, sembrava di essere feriti da una lama sottile che non si ferma mai, sapere che le certezze che per lui erano le fondamenta della sua vita non erano le stesse per Merlin lo facevano rimanere senza fiato.
Dava per scontato che la fiducia e la presenza l’uno per l’altro fosse eterna e immutabile, che nulla avrebbe mai potuto dividere le loro strade. Loro due, nonostante tutti, nonostante tutto.
Solo in quel momento realizzò quanto fosse infantile come pensiero, niente è immutabile, niente è scontato. Pensare che una persona ci starà accanto per sempre qualsiasi cosa noi facciamo è molto egoista e quando si chiese cosa avesse fatto per guadagnarsi il diritto di avere questo pensiero non trovò una risposta.
Cosa aveva dato lui a Merlin? Non lo sapeva, non trovava una risposta.
Perché si era sacrificato per lui, perché non mollava mai il suo fianco, perché lo considerava degno di tutto questo, perché non se ne andava come tutti, perché non capiva che dentro di lui non c’era la luce che diceva di vedere, perché non capiva che per quanto si sforzasse niente lo toccava nella maniera corretta, perché non lo lasciava solo come si meritava, perché non sapeva cosa provava ma l’idea di perderlo era così insopportabile.
Perché ancora lo stava proteggendo.
La sua mente divisa tra testa e cuore, bugie e amore, luce e buio.
Non poteva rimanere ancora lì, sarebbe impazzito, doveva trovarlo e ogni cosa sarebbe stata rimandata una volta tornati a casa, perché sarebbero tornati insieme.
Si stupì di questo suo pensiero dopo quelli precedenti.
Forse una volta passata la rabbia avrebbe provato a capire.
Per il momento si aggrappò all’idea che la luce che lo avvolgeva fosse legata a Merlin e il vederla significava che era vivo. Non sapeva se le cose fossero così ma era l’unica idea che trovava accettabile. Continuò a ripeterselo come un mantra per tutto il tempo in cui rimase imprigionato in quel punto.
Sfiorò la luce e la sentì calda e vibrante, ma per quanto facesse non riusciva ad oltrepassarla, aveva pensato di colpirla con Excalibur, ma se avesse funzionato si sarebbe trovato sommerso dall’acqua e non sapeva se quel gesto avrebbe ferito Merlin.
 
“Non ne potevo più Gaius, non so quanto tempo fosse passato, forse ore, avvolto in quella luce calda ma sommerso dall’acqua e dal frastuono. Ad un certo punto l’acqua si è calmata ed il livello è sceso velocemente, mi sono alzato, ho estratto la spada e mi sono guardato intorno ma non c’era niente, poi ho avvertito una presenza alle mie spalle, di colpo non avevo più forze e sono crollato a terra, ma prima che mi fosse impossibile tenere gli occhi aperti ha detto qualcosa del tipo “Eccola qui la sua ancora”, poi più niente, credo di essere svenuto"
 
“L’altra volta non avevate detto che avesse parlato”
 
Artù vide Gaius aggrottare la fronte e ripetere la parola “ancora” tra sé e sé, come se stesse cercando di ricordare qualcosa.
 
“L’ho ricordato ora, è importante?”
 
“Non ne sono sicuro, continuate per favore”
 
“Quando ho aperto gli occhi l’ho fatto a fatica, mi sentivo prosciugato da ogni forza, non riuscivo a tenere gli occhi aperti e vedere chiaramente. Ci ho messo un po’ a tornare vigile, sentivo delle voci ma erano lontane e a tratti delle esplosioni che mi facevano chiudere gli occhi, la luce era troppo intensa. Poi c’è stato silenzio. Sono riuscito a mettermi seduto e mi sono guardato intorno. Ho visto Merlin. Era seduto con le spalle alla parete di roccia, la gamba ferita era stesa a terra, il viso era per metà coperto di sangue e guardava fisso davanti a sé.
C’era un uomo.
Si stava avvicinando a lui lentamente, gli stava parlando ma non so cosa gli dicesse, erano troppo lontani. L’ho visto indicare verso di me e quando Merlin mi ha visto ha sgranato gli occhi terrorizzato e ha provato ad alzarsi ma non ce l’ha fatta, io ho provato a fare lo stesso ma non ci sono riuscito, non ne avevo le forze. Ho chiamato Merlin ma lui stava guardando davanti a sé, aveva alzato le braccia e una luce accecante era nata dalle sue mani e si stava scontrando contro una luce uguale nata dalle mani di quell’uomo.
Era potenza pura Gaius, nonostante fossi distante, la forza e il calore di quell’energia si avvertivano.
Sembravano alla pari ma ad un certo punto l’uomo mi ha guardato con un ghigno che sembrava divertito, poi la sua luce si è affievolita e lui si è dissolto mentre l’energia di Merlin lo avvolgeva prima di svanire a sua volta. Quando ho guardato verso Merlin lui non si muoveva e aveva già chiuso gli occhi"
 
Gaius lo fissava con occhi sbarrati, la sua voce tremava mentre gli porgeva una domanda.
 
“Si è dissolto prima che Merlin lo colpisse? Siete sicuro?”
 
“Io…sì credo di sì. Ma che vuol dire?”

“Sire siete sicuro?”
 
Arthur si prese qualche secondo per rivedere la scena nella sua mente.
 
“Sì sono sicuro”
 
Gaius lo fissò con uno sguardo inorridito e guardò la porta della camera di Merlin come se vi stesse vedendo le fiamme degli inferi.
 
“Cosa succede Gaius?”
 
L’anziano non rispose, continuò a fissare la porta con gli occhi sbarrati e il fiato corto. Artù gli prese e le spalle e le strinse.

“Gaius. Parla. Che succede?”
 
L’uomo volse la testa e lo guardò negli occhi, sbattè le palpebre un paio di volte e sembrò riacquisire il controllo. Strinse la mano del re sulla sua spalla e lo guardò con un dolore negli occhi che straziava l’anima.
 
“Ho bisogno di parlare con qualcuno, devo trovare un modo per contattarlo, non so neanche si possa fare, solo Merlin era in grado di farlo”
 
Si stava alzando ma il Re lo tenne seduto.
 
“Chi devi contattare? Dimmi cosa sta succedendo”
 
Vide Gaius serrare le labbra ed evitare il suo sguardo. Strinse più forte la stretta sulle sue spalle e ripeté la domanda. Ancora silenzio.
 
“Gaius parla!”

“Sire vi prego, lasciatemi occupare di questo, poi vi racconterò ogni cosa”
 
“No! D’ora in poi mi dirai ogni cosa. Voglio sapere cosa succede e lo voglio sapere ora”
 
Il medico chiuse gli occhi e dopo qualche istante chinò il capo annuendo leggermente, Artù lasciò la presa e incrociò le braccia al petto. L’espressione di Gaius era talmente seria che il Re si chiedeva cosa potesse essere peggio di scoprire che la persona a cui più teneva gli aveva sempre mentito, di averlo visto combattere con un altro stregone, vincere e non aprire più gli occhi.
 
“Vi prego solo di ascoltare e poi di lasciarmi andare. Se quello che temo è vero non abbiamo molto tempo, Vi prego fatemi cercare un modo per parlare con chi devo, fatemi avere delle risposte per Voi così da poter salvare Merlin, poi potrete fare di me quello che volete”
 
Artù deglutì di fronte a questa premessa, i muscoli tesi e un rivolo di paura che gli corse lungo tutta la schiena. Fece un cenno di assenso col capo.
 
“Merlin non ha studiato la magia, è nato con essa, è parte di lui come per me e per Voi il sangue che ci scorre nelle vene. Lui è unico, si dice che sia destinato ad essere il più grande mago che abbia mai camminato e mai camminerà su questa terra, in lui c’è l’essenza stessa della magia.”
 
Gaius si fermò un secondo di fronte agli occhi sgranati del Re.
 
“So che sembra incredibile, ma dovete credermi, il suo nome e il Vostro sono stati scritti insieme nelle trame del destino. Siete destinati a costruire il più grande regno di pace che il mondo vedrà mai, siete descritti come due lati della stessa medaglia ed il fatto che siete qui ad ascoltare e Merlin sia steso nella sua stanza mi fa credere che questo sia l’inizio di quanto è stato annunciato.”
 
Artù ascoltava incredulo. Merlin il più grande mago di tutti i tempi? Merlin? Unire l’idea del suo imbranato servitore a quella che Gaius stava descrivendo sarebbe stata impossibile se non avesse visto Merlin in quelle miniere. Era davvero stato tanto cieco? Ma come poteva immaginarlo. Riconsiderando quello che era successo negli anni sono questa nuova luce poteva vedere che c’erano stati tanti segnali che non aveva colto, parole lasciate in sospeso, momenti persi.
 
“Chi ti ha detto tutto questo? La stessa persona a cui volevi rivolgerti?”
 
“Sì Sire”

“E chi sarebbe? Un altro stregone immagino”
 
“No Sire, non lo è. Ho bisogno di rivolgermi a qualcuno la cui conoscenza è millenaria, qualcuno che tiene a Merlin e che spero ci possa aiutare”
 
“Millenaria?”
 
“Sire sto parlando del grande drago”
 

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Capitolo 3
*** The Hidden Truth ***


 
Sentì un peso addosso, qualcosa di caldo lo sfiorava e lo teneva stretto. Era una sensazione bellissima, sapeva di casa, di qualcosa di conosciuto e desiderato, di pace e sicurezza.
 
Quella bella voce era ancora con lui, gli stava parlando ma poi si era incrinata, la sentiva così fragile mentre pronunciava il suo nome. Gli si strinse il cuore, se avesse potuto piangere era sicuro l’avrebbe fatto, ma non era sicuro di ricordare come si facesse, non era sicuro di poterlo fare. Tutte le sensazioni che provava gli arrivavano come filtrate attraverso quel buio che lo avvolgeva, tutto in lui era bloccato, i pensieri, i movimenti, le emozioni.
 
Si chiese se fosse sempre stato così.
Si chiese se sarebbe sempre stato così.
 
Non aveva una risposta, non la voleva, non era pronto. Accolse il buio come una tregua da questi pensieri.
 
Ritornò in sé quando si sentì sollevare e stringere, non aveva peso, sentiva un calore ed un profumo che gli dava la sensazione di essere a casa, quella stretta forte era così rassicurante che avrebbe voluto non perderla mai. Cos’era? Chi era? Perché la sua mente non lo aiutava, perché era tutto così estenuante. Come poteva provare tante cose e non riuscire a dare un nome a nessuna di esse.
Poi sentì quel calore allontanarsi, cosa avrebbe dato per poter allungare una mano e riafferrarlo, ma la mano rimaneva inerte. Perché riusciva a provare così tanto senza neanche sapere chi fosse, ma non riusciva a muoversi verso quello che voleva?
 
Sentì ancora quella bella voce ma stava urlando, era arrabbiata? Non sembrava solo collera, sembrava qualcosa di più profondo, qualcosa che lo faceva sentire addolorato, oltre la rabbia c’era qualcosa che non sapeva decifrare che gli si infilava sottopelle e lo raggelava.
 
Aveva già sentito quella voce urlare ne era sicuro, ma non così. Ma chi era?
 
La sua mente scivolò nel nulla prima che potesse rendersene conto.
 
All’improvviso fu solo dolore.
 
Il buio intorno che lo circondava diventò palpabile, ora l’oscurità che lo aveva isolato la poteva sentire, come se fosse immerso in una sostanza densa e gelida che si faceva sempre più consistente e che lo avvolgeva.
La stretta si fece sempre più forte, se avesse potuto urlare lo avrebbe fatto.
Faceva male.
Riusciva a sentire ogni parte di sé stritolata in quella morsa ghiacciata.
I polmoni erano talmente schiacciati che non riuscivano più a far arrivare l’aria, il dolore era talmente forte che smise ogni pensiero coerente.
 
Pensò che fosse la fine, si trovò a desiderarlo, pregò fosse ora.
 
In uno sprazzo di lucidità si trovò a pensare che era passato troppo tempo, avrebbe dovuto essere già morto.
 
Il dolore continuava e lui annaspava, urlando nella sua mente come non aveva mai fatto prima.
 
Quanto male può sopportare una persona prima di crollare?
Quanto dolore si può sopportare prima che la fine sia l’unica cosa che si desidera?
Quanto si deve soffocare prima di non volere più aria?
 
Non ce la faceva più, nella sua mente gridava, se qualcuno poteva sentilo che ponesse fine a tutto, facesse cessare quella tortura, pregò che l’incoscienza che lo aveva salvato tante volte tornasse e lo annullasse.
 
Poi una luce si fece strada all’improvviso come un fulmine, sentì il buio che lo stritolava lasciarlo libero e i polmoni riempirsi d’aria, fece un profondo respiro aprendo gli occhi.
 
Qualcuno lo stava chiamando.
 
La stessa bella voce di prima…Arthur.
 
Due occhi celesti e quel viso tanto amato presero forma nella sua mente.
Come aveva fatto a scordarlo? Cos’era successo?
Si mise a sedere guardandosi intorno, provò a sforzarsi di ricordare ma i suoi ricordi sembravano persi nella stessa nebbia che vedeva intorno a sé.
Dove si trovava? Dov’era Artù?
 
Si alzò in piedi e fece qualche passo, provò ad urlare chiedendo se ci fosse qualcuno, ma la nebbia era così densa e fitta che sembrava assorbisse ogni suono.
Si strinse di più nella leggera giacca che indossava e continuò a vagare senza avere idea di dove stesse andando.
 
Più il tempo passava più sentiva crescere l’ansia e la paura, era solo, senza punti di riferimento e non aveva idea del motivo, il terrore che fosse successo qualcosa di brutto era un pensiero che non riusciva ad allontanare.
 
Si impose di non smettere di camminare, crollare e piangere non avrebbe portato a niente, anche se era l’unica cosa che voleva fare.
Vagò per ore prima di rendersi conto che a parte il freddo, a livello fisico non sentiva nulla, né fame, né sete, né stanchezza.
 
Visto che era solo decise che di usare la magia, chi avrebbe potuto vederlo in quella nebbia! Pronunciò l’incantesimo per far comparire del fuoco ma non accadde nulla.
Riprovò.
Ancora niente.
Riprovò ancora.
Non accadde nulla.
 
In quel momento il terrore prese il sopravvento, crollò in ginocchio ed iniziò a tremare come mai prima mentre le lacrime trovarono facile strada per scorrere; si abbracciò in maniera disperata piantandosi le unghie nelle spalle mentre un urlo di disperazione lasciò la sua gola.
 
Era davvero solo.
Solo e indifeso.
Era nel panico.
 
Non sapeva quanto tempo fosse passato, si era imposto di non crollare, ma forse non era così forte come pensava, come voleva. Non era stato in grado di impedirselo, quando si era accorto che la magia non era più con lui era stato troppo; la magia era la sola cosa che sapeva non avrebbero mai potuto togliergli. Era con lui da quando era nato, c’era in ogni momento della sua vita, la sua unica vera certezza.
L’aveva sentita tante volte reagire in lui, per lui, con lui. L’aveva sentita a volte quasi opporsi, a volte vibrare di gioia, a volte potente, a volte rassicurante.
E ora non c’era più, il vuoto che sentiva sembrava senza una fine, risucchiava ogni brandello della sua anima.
Aveva sempre avuto la bizzarra idea che la magia gli scorresse nelle vene, poteva quasi sentire quel benefico calore scorrere in lui, ora avvertiva solo gelo e vuoto.
 
Dopo un po’ le lacrime avevano smesso di scendere, il suo corpo non stava più tremando, sedeva immobile con lo sguardo perso, si sentiva solo un guscio vuoto…vuoto di ricordi, di magia, di coraggio.
 
“Devi ricordare o tutto sarà perduto”
 
Alzò la testa di scatto, chi aveva parlato? Intorno a lui non c’era altro che nebbia e freddo, forse se l’era immaginato.
 
“Devi ricordare o tutto sarà perduto”
 
“Chi sei? Fatti vedere!”
 
Una figura prese forma nella nebbia, avvicinandosi lentamente.
 
Merlin non si mosse, senza la sua magia era solo un ragazzo solo e disarmato, anche se si fosse messo a correre non avrebbe trovato altro che uno spesso strato grigio in tutte le direzioni.
 
Quando la figura gli fu di fronte scattò in piedi con tutti i sensi in allerta, gli occhi sgranati e i pensieri annullati.
 
La figura non distolse lo sguardo.
 
Merlin scosse la testa, riaprì e chiuse gli occhi più volte, ma quella persona era lì che lo guardava, in attesa.
 
“Chi diavolo sei tu”
 
“Lo sai”
 
“Non è possibile! Questo è un incantesimo, tu sei uno stregone!”
 
“Sai chi sono. Sai cosa sono. Questo non è un incantesimo”

“Non te lo chiederò ancora, chi diamine sei?”
 
La figura lo guardava con rassegnazione e una delusione mista a rancore.
 
Non riusciva a reggere quello sguardo.
 
Non era possibile vedersi guardare in quel modo.
 
Non era possibile guardare quegli occhi.
 
Non era possibile perché erano i suoi.
 
La persona che aveva davanti era sé stesso.
 
Merlin scosse la testa e cerco di attaccare la persona davanti a sé, ma questa indietreggiò semplicemente evitando il colpo. Riprovò ancora e ancora ma andava sempre a vuoto, aveva ragione Artù quando gli diceva che avrebbe dovuto allenarsi ed imparare a combattere; strinse i pugni con rabbia e continuò il suo attacco.
 
“Non puoi colpirmi, non l’hai capito? Smettila, non abbiamo molto tempo”
 
“Non sei me, non è possibile!”
 
“Non stai usando la magia. Non puoi vero? Lo so perché siamo la stessa persona, sto cercando di aiutarci”
 
“Non posso usare la magia perché mi avrai fatto qualche incantesimo!”
 
“Non puoi perché l’hai ripudiata dopo quello che hai fatto”
 
Merlin si fermò di colpo sorpreso da quella frase, guardò in quegli occhi e cercò tracce di menzogna, ma non era in grado di reggere il proprio sguardo, vedeva l’ombra di un’accusa ed era come essere davanti ad uno specchio. Non è mai facile fissarsi allo specchio per troppo tempo, ci si può vedere quel lato che teniamo nascosto anche a noi stessi, quelle verità che non riusciamo ad ammettere, quei sentimenti che ci vergogniamo di provare.
No, non era possibile, non doveva farsi ingannare, se fosse stato vero sarebbe stato un tipo di incantesimo che lui non era in grado di fare. Doveva smascherarlo e poi cercare di scappare da quel posto.
Pensò di chiedergli una cosa che solo lui poteva sapere, qualcosa che non aveva detto ad anima viva, qualcosa che sperò l’altro non sapesse, perché se avesse risposto…
 
Si mise davanti all’altro sé stesso e fissandolo gli chiese cosa fosse successo l’inverno precedente di importante.
 
L’altro lo guardò sorpreso e poi sorrise.
 
“Intendi la notte dopo la festa per quegli ospiti in visita? Intendi quello che è successo nelle stanze di Artù?”
 
Merlin sgranò gli occhi e gli sembrò che l’aria venisse risucchiata dai suoi polmoni.
 
“Non è possibile”
 
“Lo è. Ora devi ricordare. Sono qui per riprendere la nostra magia, ora fammi il favore di concentrarti e ricordare quello che è successo”
 
Non era possibile, solo lui e Artù sapevano di quella notte, ed erano stati attenti, nessuno li aveva visti, nessuno aveva mai sospettato nulla.
Doveva fidarsi? No non poteva, ma forse assecondarlo avrebbe portato a qualcosa, che non fosse quella solitudine e quel mondo avvolto nella nebbia.
 
Ammise in un sussurro di non ricordare nulla del modo in cui era arrivato lì.
 
“Qual è l’ultima cosa che ricordi?”
 
Dovette concentrarsi per afferrare l’ultimo ricordo. Stavano cavalcando verso delle miniere, girava voce di un mostro che si era nascosto li ed alcuni abitanti di un villaggio non molto lontano da Camelot erano scomparsi. Ricordò che Artù non ci aveva pensato un secondo quando lo aveva saputo, gli si era accesa negli occhi una luce di eccitazione che non vedeva da un po' in lui, da quando era diventato Re aveva avuto altre priorità e non molte occasioni per tornare sul campo e aveva voglia di azione.
Avevano consultato Gaius che aveva cercato di dissuadere il Re ad andare, ovviamente senza successo. Quell’asino testardo non avrebbe mai rinunciato! Aveva quindi mostrato loro delle vecchie mappe e poi lo aveva preso in separata sede per parlargli della creatura che pensava avrebbero trovato, dandogli indicazioni e facendo mille raccomandazioni.
 
“Non c’era nessun mostro alla fine, abbiamo trovato tracce di un orso, dalle impronte uno di notevoli dimensioni, Artù l’ha ucciso”
 
“Poi che è successo?”
 
Chiuse gli occhi, rivide lui e Artù camminare per i tunnel delle miniere, stavano tornando verso l’uscita.
 
“Mi sono girato per dire qualcosa e ho visto dei dardi luminosi arrivare verso di noi, ho spinto Artù a terra ma mi hanno colpito alla gamba”
 
In un secondo il ricordo del dolore atroce che aveva sentito fu vivo nella sua mente, si guardò la gamba ed era sana.
 
“Com’è possibile? Ricordo che la mia gamba era ferita gravemente”
 
“Queste non sono semplici miniere, centinaia di anni fa qui c’era un tempio dedicato alla Sacra Dea, si dice fosse un luogo dove Lei compariva, la sua magia percorre questi luoghi. Tu, noi, siamo sostanza stessa della magia, di sicuro la richiesta di aiuto di una magia sofferente non è rimasta inascoltata. Nei secoli gli uomini hanno perso memoria di questo luogo, ma qui possono avvenire cose che in nessun altro posto sarebbero possibili. Ora concentrati e vai avanti”
 
“Ricordo il dolore come se lo provassi ora. I dardi non si fermavano, cercavo di tenere giù Artù e tra le urla ho lanciato un incantesimo sperando non se ne accorgesse, volevo fermare quello che ci stava attaccando e così è stato. Poi è tutto confuso, credo per il dolore”
 
Merlin cercò di afferrare i ricordi, ma sembravano sfuggirgli.
L’altro sé stesso si girò all’improvviso come se avesse sentito un rumore, in effetti anche a lui sembrava di sentire qualcosa, sembrava un suono metallico. Un suono che lui conosceva bene. Un metallo che aveva pulito, maneggiato e riparato troppe volte per non riconoscerlo. Tutto il suo essere prese vita cercando freneticamente con lo sguardo tra la nebbia fitta il proprietario di quel suono. Vide una figura zoppicare nella nebbia, gli corse incontro senza nemmeno pensarci.
E poi lo vide.
Zoppicava, una mano si reggeva una spalla che sembrava ferita, il sopracciglio spaccato lasciava una scia di sangue fino al mento.
Lo chiamò mentre il sorriso si faceva sempre più grande.
Artù alzò la testa verso di lui e uno sguardo di puro orrore gli si dipinse sul viso. Merlin si fermò di colpo a pochi passi da lui, il sorriso che si smorzava lentamente.
Perché lo guardava così?
Artù estrasse la spada e gli si avventò contro
 
“Tu…maledetto stregone”
 
Merlin indietreggiò
 
“E’ solo colpa tua”
 
Merlin rimase pietrificato, tutti i suoi incubi avevano preso forma. La persona che più amava lo guardava con rabbia, il disgusto disegnato su ogni tratto, la delusione negli occhi. Perché?
Quando la lama si stava abbattendo su di lui alzò le braccia per proteggersi in un gesto istintivo ma non si rese conto di averlo fatto, la sua mente era concentrata sul modo in cui quegli occhi lo stavano guardando.
Chiuse gli occhi nel momento in cui la lama lo stava per colpire.
Dopo qualche istante li riaprì, davanti a lui non c’era più nessuno.
Si guardò intorno confuso.
 
“Era un eco. Un’ombra legata ad un ricordo”
 
Merlin rimase immobile, non era mai successa una cosa del genere, Artù non l’aveva mai guardato in quel modo.
 
“Cosa è accaduto dopo che hai fermato l’incantesimo?”
 
“Artù era chinato sopra di me, era terrorizzato e lui non lo è mai. Ha guardato alla mia destra e poi di nuovo verso di me e sembrava disperato, sembrava che mi stesse dicendo addio solo con lo sguardo. Ho guardato anche io e ho visto un muro di acqua e rocce venirci addosso. Era la fine, ma lui doveva vivere, non avrei mai permesso gli accadesse qualcosa.
 
“Ne sei sicuro?”
 
“Certo! L’ho guardato, non avevo il coraggio di parlare, ma dentro di me stavo implorando che mi perdonasse. Mi sono rivelato facendo uno scudo per noi un attimo prima che l’acqua ci travolgesse”
 
Ricordava lo sguardo di Artù, poteva vedere tutte le emozioni che lo avevano attraversato. Incredulità, rabbia, dolore, delusione, sgomento, paura.
Si era allontanato da lui puntandogli la lama al petto.
Tremava.
Lo sentiva dalla lama che si era sollevata fino ad arrivare al collo.
Non era riuscito a staccare gli occhi da lui, vedere quegli occhi che lo guardavano come fosse un estraneo faceva male, male come non ne aveva mai provato. Era un dolore profondo e violento. Sentì le forze venirgli meno per un secondo e subito delle gocce d’acqua lo colpirono. Si concentrò per mantenere la presa sull’incantesimo.
Artù si guardò intorno e poi tornò con lo sguardo su di lui, la delusione negli occhi, la rabbia nei gesti, il dolore sul viso.
Era troppo.
Sentiva le lacrime scorrergli sul viso, il dolore per aver deluso Artù era troppo, quegli occhi gli stavano maciullando il cuore.
Perse per un istante il controllo e altra acqua li colpì riportandolo cosciente.
Non avrebbe retto molto, non aveva più il controllo delle sue emozioni, il dolore fisico era terribile, quello del suo cuore insostenibile.
Doveva salvarlo, non importava cosa pensasse di lui, doveva vivere. Lui era già morto davanti a quello sguardo, averlo deluso era stata come una lama nel cuore, come se ogni passo che aveva compiuto fino a quel momento fosse stato inutile, perso in un’esistenza senza uno scopo.
Formulò un nuovo incantesimo, due persone erano troppe da proteggere, ma solo una era importante, solo una aveva un senso, solo una meritava di essere salvata. Solo Artù.
 
“Mi dispiace”
 
Riuscì a dire solo questo prima di lasciarsi andare tra le acque impetuose.
 
“Non è andata cosi”
 
Merlin guardò il suo gemello senza capire
 
“Questo è quello che vuoi ricordare. Non quello che è successo”
 
“Non è vero!”
 
“Bugiardo!”
 
Merlin lo guardò senza capire, era caduto in acqua e poi non ricordava altro
 
“Ricordi le sue ultime parole?”
 
No, non le ricordava, Artù non aveva parlato, ne era sicuro, lo aveva solo guardato in quel modo terribile e il suo mondo era crollato in un attimo. Le sue certezze erano svanite, sentiva il gelo corrergli nelle vene, un senso di vuoto al centro del petto talmente grande che pensò che se ci avesse visto un buco vero non se ne sarebbe stupito.
All’improvviso un ricordo esplose nella sua mente.
Mentre stava per lasciarsi andare Artù lo aveva guardato e aveva mormorato poche parole, con un tono freddo e uno sguardo di ghiaccio.
 
“Tu per me sei morto”
 
Sentiva ogni parte del suo corpo congelata. Artù aveva detto questo? Ne aveva il chiaro e allucinante ricordo. Non sentiva nulla in quel momento, solo vuoto, un immenso, buio e gelido vuoto.
 
Lo vide apparire tra la nebbia, lo stesso sguardo, lo stesso odio
 
“Tu per me sei morto”
 
Rimase immobile mentre spariva tra la nebbia.
 
“Lui non è qui”
 
Merlin non rispose, non riusciva ad elaborare la situazione, i ricordi lo stavano schiacciando, le emozioni lo stavano dilaniando.
 
“Cosa è accaduto poi?”
 
Niente, non era accaduto niente. L’acqua lo aveva travolto, per quanto aveva potuto non aveva mai staccato lo sguardo da Artù, lui era al sicuro e questo bastava, aveva sentito un gran dolore e poi il buio.
 
“Smettila di mentirti”
 
“Non ricordo altro, lo giuro!”
 
“Concentrati! Il tempo sta per finire!”

“Il tempo per cosa? Non so altro, come lo devo dire!”
 
Successe di nuovo, il lampo di un ricordo.
 
Cadde in ginocchio, un mormorio continuo di No ripetuti tra le lacrime.
 
“Cosa è successo?”
 
Quando l’acqua lo aveva colpito il dolore era stato troppo, aveva implorato aiuto e la sua magia era accorsa.
 
Pronunciò poche parole, la voce rotta, il cuore in frantumi
 
“La mia magia è accorsa, ma appena me ne sono reso conto l’ho allontanata da me, non era me che doveva salvare, è stato per pochi istanti”
 
Ora lo vedeva chiaramente nella sua mente, in quei pochi attimi Artù era in acqua, le rocce che lo colpivano con la stessa potenza dell’acqua.
 
“Questo dovevi ricordare. Lui è morto. Di chi è la colpa?”
 
Il dolore che provava era così intenso che lo sentiva riflettersi in ogni parte del suo corpo, in ogni anfratto della sua anima.
 
“E’ mia”
 
Qualcosa si ruppe nella sua mente, ogni pensiero si spense, la sua anima frantumata.
 

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Capitolo 4
*** I'll Find My Way Home ***


Entrò nella stanza di Merlin sbattendo la porta ed iniziando a girare intorno al letto come un leone in gabbia. Come diamine si stava permettendo di fargli provare tutto quel casino di emozioni da solo, non era in grado di gestire tutte quelle emozioni, sembrava che si fossero staccate da ogni angolo di lui e ora gli vorticassero nel petto senza sosta, lasciando un’agitazione sottopelle che non lo faceva stare fermo e che sembrava scorrergli nelle vene come un torrente impazzito, senza dargli pace.
 
Quell’idiota si permetteva di starsene lì a dormire, mentre lui impazziva come una bussola senza il suo nord. L’avrebbe pagata cara, non sapeva ancora come, ma tutto questo lo avrebbe pagato. Con le braccia incrociate ed un broncio degno di un bambino si avvicinò al letto e si sedette pesantemente accanto a lui borbottando su stregoni definiti potenti ma che non riuscivano a fare una cosa facile come aprire i dannati occhi.
Continuò a borbottare mentre prendeva posto nel letto, si sedette con la schiena appoggiata alla spalliera del letto e con la mano inizio a giocare pigramente con le ciocche scure di Merlin e mentre lo faceva il suo volto perse ogni traccia di broncio per mostrare una profonda malinconia.
Poteva comandare eserciti, decidere della vita e della morte altrui con una freddezza invidiabile, non permetteva che niente lo scalfisse, ma quel ragazzo aveva il potere di farlo boccheggiare.
Da quando era entrato nella sua vita niente era stato più lo stesso, si era trovato a confrontarsi con un mondo che non aveva mai voluto vedere, con cui non aveva mai dovuto fare i conti, si era accorto che aveva passato anni ignorando i suoi stessi pensieri, seguendo quelli di suo padre, annullandosi, creando muri intorno a sé stesso.
 
Merlin era arrivato come un terremoto e con il tempo aveva fatto crollare tutto, sin dal loro primo incontro lo aveva sfidato, non aveva abbassato la testa ed aveva sostenuto la sua idea fino alla fine.
 
Lui lo aveva mai fatto?
 
Suo padre poi lo aveva messo al suo servizio come valletto personale era stata la fine della vita per come la conosceva.
 
Merlin aveva visto Arthur quando lui neanche sapeva ci fosse. Quando lui neanche sapeva chi fosse.
 
Si rendeva conto che Merlin aveva letteralmente fatto di tutto per farlo uscire allo scoperto, per mostrarlo al mondo, sostenendo che quella era la persona che si meritava di essere.
Per tanto tempo non era sceso a patti con questo, chiudendosi a riccio, allontanando tutto quello che poteva anche solo fargli sospettare di avere un cuore o provare emozioni, di ammettere la paura di mettersi in discussione, di mostrarsi.
 
Merlin aveva scardinato tutto e lui per quanto si fosse opposto aveva iniziato a provare qualcosa. Ci aveva messo anni a capire che l’idea di non provare nulla, quell’idea che lo aveva protetto e dietro cui si era nascosto, forse era sbagliata; forse non era provare nulla, era non saper dare un nome o un temere anche le conseguenze più semplici. Chi avrebbe mai detto che uno nella sua posizione, un Re, avesse queste paure da donnicciola. Ancora oggi a volte, quell’idea che fosse meglio non provare nulla tornava nella sua testa, a volte aveva il sospetto di non provare le cose nel modo giusto, come se dovesse provarle, anche se non riusciva a sentirle davvero. Concedersi di ammettere di provare qualcosa era stato difficile, così come capire che nome dare ai sentimenti, concedersi di provare rabbia anche ingiustificata, imbarazzo, felicità.
La cosa più dura era stata la vergogna.
Concedersi di pensare di provarla verso sé stesso, verso il modo in cui era terrorizzato da questo sentimento perché temere qualcosa, soprattutto sé stesso, andava contro l’idea di impavido guerriero che aveva. Ancora non lo riusciva ad ammettere veramente, era un pensiero che non era pronto ad afferrare, quando osava pensarci sentiva come se dentro gli si scavasse un solco doloroso e non era pronto ad affrontarlo.
 
Senza pensarci si sdraiò e abbracciò Merlin nascondendo il volto tra la sua spalla e il collo, stringendolo disperatamente. L’idea che fosse così vicino ma così irraggiungibile era devastante. Sottovoce chiamò il suo nome aumentando la stretta e sentì la sua voce incrinarsi.
Al diavolo l’essere un Re e il mostrarsi forte, ora voleva solo dare sfogo al suo essere solo un ragazzo disperato e tenere stretta l’unica persona che per lui era speranza e luce.
 
Si era addormentato quando Gaius bussò alla porta e lo ringraziò mentalmente per aver avuto la delicatezza di non entrare in quella stanza, anche se era casa sua. Si ricompose alzandosi in piedi ed andò ad aprire.
 
“Sire ho trovato un modo per contattare il drago, non so se funzionerà, ma dovremmo tentare”
 
Artù annuì. Quando Gaius gli aveva detto del drago era rimasto a fissarlo senza che un pensiero si connettesse nella sua testa, pensò che dopo quella giornata nessuna notizia lo avrebbe mai più sconvolto.
Si era ripromesso di non arrabbiarsi più, era inutile. Ma solo per il momento, quando Merlin sarebbe stato sveglio e di nuovo in salute avrebbe urlato fino a che le corde vocali avessero retto.
Gaius non aveva parlato di un drago qualsiasi, ma si quel dannatissimo drago che era convinto di aver ucciso, lo stesso drago per cui era rientrato a Camelot accolto come un eroe.
 
Invece era stata tutta una presa in giro.
 
E Merlin un Signore dei Draghi! Per l’amor del cielo Merlin! Quello che inciampava nei suoi stessi piedi, che non riusciva a portare un vassoio senza rovesciare qualcosa era non solo un Signore dei Draghi, ma anche l’ultimo e tanto potente da esserlo del Grande Drago.
 
Quanta vita aveva vissuto nella bugia?
Quanto tempo aveva sprecato senza vedere cosa accadesse intorno?
Quanto aveva ignorato chi aveva accanto?
Quanto poco gliene era importato?
Alla fine chi tra lui e Merlin stava dormendo?
 
Gaius aveva tentato di dare spiegazioni ma non era da lui che le voleva e non era il momento giusto.
 
“Va bene, cosa dobbiamo fare”
 
“Dobbiamo andare nel bosco, se avremo successo non scateneremo il panico. E dobbiamo portare Merlin”
 
“Non se ne parla! Non sappiamo né chi né cosa lo abbia attaccato, potrebbe riprovare! Dentro le mura del castello è al sicuro”
 
“Sire, avete ragione, ne sono convinto anche io, ma l’unica cosa a cui il Grande Drago risponderà è il legame con il suo signore”
 
Non aveva scelta.
 
Senza dire una parola si voltò verso il letto e facendo la massima attenzione possibile scostò le coperte da Merlin e lo prese tra le braccia sollevandolo dal letto.
Si incupì constatando come fosse diventato ancora più leggero, erano settimane che riuscivano a fargli ingoiare solo qualche cucchiaio di zuppa e quelle erano le conseguenze.
Lo accomodò meglio che riuscì sentendo la testa di Merlin cadergli sulla spalla, se lo strinse contro più forte. Gli mancava ed averlo così vicino, sentire quel calore addosso era come un colpo di cannone al petto.
Gaius gli si avvicinò e pose una coperta sopra Merlin, lo vide prendersi quel secondo in più per sistemarla mentre guardava il volto addormentato di quello che considerava un figlio; vide i suoi tratti addolcirsi mentre gli faceva una veloce carezza sulla testa e quando alzò gli occhi verso di lui vide tutto il dolore che stava provando. Non se lo meritava. Nessun meritava quello strazio.
Non era il momento per le parole ma cercò di trasmettergli con lo sguardo tutta la speranza che provava nel cuore, la stessa che forse avevano iniziato a trascurare.
 
Seguì Gaius per un corridoio laterale in modo che potessero uscire dal palazzo senza dare troppo nell’occhio, issò Merlin sul suo cavallo e gli si sedette dietro tenendolo stretto. Il medico montò sul suo destriero e si avviarono fuori dalle mura del castello.
Cavalcarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri fino a che arrivarono in una radura piuttosto ampia che si apriva nel bosco, il sole stava tramontando e la luce calda faceva quasi brillare alcune rocce che si trovavano nel mezzo di essa.
Artù fece scendere Merlin e dietro indicazione di Gaius lo depose a terra facendogli poggiare la schiena contro ad una delle rocce e si allontanò da lui; dopo averlo tenuto stretto per così tanto tempo non voleva lasciarlo, ma lo fece a malincuore avvertendo subito una sensazione di freddo.
 
“Sire vi prego, nel caso dovessimo avere successo e il Grande Drago arrivasse, non reagite, non attaccate. Non sarà qui per farci del male”
 
Arthur annuì anche se nella sua testa l’idea di un drago che non intende attaccare era inconcepibile.
 
Gaius si avvicinò a Merlin e gli prese delicatamente una mano, vide che la stringeva con affetto. Come poteva essere per il medico vedere il suo ragazzo spegnersi lentamente non riusciva ad immaginarlo. Suo padre non aveva mai mostrato calore nei suoi confronti, sapeva che lo amava, ne era certo, ma quanto avrebbe dato per un momento del genere. Quanto avrebbe potuto essere diverso se avesse ricevuto un calore e un affetto come quello che stava vedendo in quel momento? Quanto avrebbe potuto essere più a suo agio con emozioni e sentimenti se ne avesse ricevuti.
Sua madre non aveva fatto in tempo a conoscerla, ma da come aveva sentito parlare di lei era certo che la sua vita sarebbe stata diversa, sicuramente il suo cuore più caldo, la sua anima meno in tempesta.
Guardano gli occhi di Gaius e il modo in cui stringeva la mano di Merlin si chiese se quello non fosse l’aspetto dell’amore, quello vero, quello puro e disinteressato.
Provò un violento sentimento di invidia e se ne vergognò.
Quanto aveva perso, quanto non aveva avuto, quando vuoto che sentiva in quel momento.
 
Vide Gaius estrarre dalla borsa che aveva portato una piccola ciotola, una fiala e un pugnale.
Tolse il tappo dalla fiala e la fece annusare a Merlin che sembrò non reagire se non per una lacrima che scivolò dagli occhi chiusi che rapidamente il medico raccolse con il bordo della piccola ciotola.
 
“E’ una sostanza irritante, non mi è venuto in mente altro per avere una sua lacrima”
 
Gaius rispose ad una domanda che lui non aveva posto, lo fece con la voce tremante, chiaro segno della preoccupazione che lo stava divorando.
Sollevò la mano di Merlin e fece un piccolo taglio su un dito in modo che alcune gocce di sangue finissero nella ciotola insieme alla lacrima e si alzò in piedi.
Guardo per un attimo verso di lui come se chiedesse un’approvazione, Artù annuì per istinto senza neanche sapere a cosa stesse acconsentendo.
Il medico portò l’attenzione sulla ciotola e iniziò a mormorare delle frasi che Artù non capì, piano piano il tono della sua voce si alzò e il Re si rese conto che era la stessa frase ripetuta ma in una lingua a lui sconosciuta.
Stava facendo un incantesimo.
 
Tutte le leggi di Camelot che suo padre aveva così strenuamente difeso erano state infrante dalle persone a lui più vicine, era sollevato che non fosse più in vita per vederlo.
Avrebbe dovuto fare dei cambiamenti una volta che tutta questa situazione sarebbe stata risolta, sempre che riuscissero nella loro impresa.
Il tono di Gaius crebbe sempre di più fino a che l’incantesimo fu urlato verso il cielo, i suoi occhi ebbero per un momento la stessa luce dorata che aveva visto in quelli di Merlin.
Lo vide respirare affannosamente come se avesse compiuto un grande sforzo senza mai smettere di fissare in alto, lui fece lo stesso con trepidazione.
 
Non seppe dire quanto tempo era passato, ma Gaius si voltò verso di lui con un’espressione affranta

“Mi dispiace Sire, solo un Signore dei Draghi può evocare un drago, credevo di aver trovato l’incantesimo giusto”
 
Artù lo fissò. Non era possibile, quella era la loro unica possibilità. Guardò Merlin abbandonato contro la roccia e sentì lo sconforto invaderlo rapidamente.
Non fece in tempo a pensare a qualcosa da dire che un rumore in lontananza catturò la sua attenzione e il suo sguardo scattò verso l’alto, così come quello di Gaius.
Quello che provò quando vide un enorme drago volare verso di loro fu paura…e speranza.
Nonostante tutto il primo istinto fu di portare la mano all’elsa della spada ed estrarla, Excalibur ben salda nella sua mano gli dava la sicurezza per affrontare quella situazione impossibile, l’unica cosa concreta e stabile in quel momento.
Gaius lo guardò di sfuggita facendogli cenno di non muoversi.
Il drago si posò davanti a loro, enorme, maestoso, gli enormi occhi gialli che sembravano leggergli dentro.
Artù non sapeva cosa fare, non aveva mai visto una creatura così grande e mai così da vicino, l’unica volta che lo aveva visto, quel drago era in volo sopra di loro e lui era convinto di averlo abbattuto.
 
“Hai usato il legame tra un Drago e il suo Signore per chiamarmi Gaius, trovarti qui con il figlio del mio carceriere conferma la gravità di quanto avevo già avvertito”
 
Il drago parlava.
Il drago conosceva Gaius.
 
Artù rimase impietrito, non riusciva a smettere di stringere Excalibur in modo spasmodico. I pensieri si rincorrevano tra di loro talmente veloci che non riusciva a fare nulla se non rimanere immobile.
 
“Non ti avrei chiamato se non fosse grave Kilgharrah, si tratta di Merlin”
 
Il drago aveva già smesso di osservarli e stava guardando il mago seduto a terra.
 
“È successo nelle miniere vicino ai monti di Andor, il mago con cui stava combattendo si è dissolto prima che l’incantesimo di Merlin lo colpisse”
 
Il grande drago lo guardò prima di riportare la sua attenzione sul ragazzo steso a terra. Fece qualche passo avvicinandosi, il muso arrivò quasi a sfiorare Merlin.
Artù sentì il panico invaderlo e si avvicinò a loro con la spada in mano pronto a combattere l’enorme animale.
Il drago non lo guardò neppure
 
“Posa l’arma giovane Pendragon, non ti servirà”
 
“Allontanati da lui, mostro!”
 
Lo urlò con tutto il fiato che aveva in corpo ponendosi tra Merlin e l’immenso drago.
 
“Tu, figlio di Uther Pendragon, difendi uno stregone, un signore dei draghi, un figlio della Magia”

“Non te lo ripeterò, allontanati da lui! Ora!”
 
Gaius gli si avvicinò e gli posò una mano sul braccio, invitandolo ad abbassare la spada, il suo sguardo era severo.

“E’ un drago Gaius! Il maledetto drago che ha attaccato Camelot! Come puoi essere così tranquillo!”
 
“Kilgharrah non è un nemico Sire, Vi prego, abbassate l’arma”
 
“Giovane Re, non sono qui per attaccare e anche se ne avessi intenzione non potrei farlo, l’ordine che mi è stato dato dal mio signore non me lo permette”
 
Il drago si voltò e lo fissò.
 
“Il momento per parlare verrà, ma ora devi fare attenzione. Il tuo destino è legato a quello del giovane mago, il fato ha intrecciato le vostre vite da molto prima che i tuoi antenati nascessero; sei destinato a costruire il più grande regno di pace, libertà ed uguaglianza che il mondo vedrà mai, ma quello che sta accadendo ora potrebbe impedirlo, portando invece secoli di guerre e morte”
 
Gaius fece pressione sul braccio dove aveva posato la mano e in silenzio invitò nuovamente il Re ad abbassare l’arma, lui lo fece ma senza mollare mai la presa su Excalibur.
 
“Tu ed il giovane stregone siete due lati di una stessa medaglia, senza di lui il fato che ti attende non potrà compiersi, ma lui è talmente lontano che non riesco quasi ad avvertirlo, perso in un mondo di ombre”
 
Artù poteva sentire il suo sangue gelarsi nelle vene.
 
“Cosa vuol dire perso, lui è qui! Aiutaci a svegliarlo, lui è il tuo padrone! Salvalo!”
 
“Non obbedisco a te, Re di Camelot, ma solo al giovane mago. Non posso fare quello che mi chiedi, non posso salvarlo neanche se potesse chiedermelo”
 
Era finita dunque?
Se neanche il drago poteva fare nulla cosa restava?
Guardare Merlin consumarsi fino a che il suo cuore avesse smesso di battere?
E poi cosa ne sarebbe stato di lui?
Sarebbe stato solo, ancora, ma con un cuore che poteva soffrire, un’anima che poteva dilaniarsi.
Non avrebbe retto tutto quel dolore. Non ancora. Non di nuovo. Non più.
Davanti agli occhi gli passarono immagini di un futuro senza Merlin, un futuro dove la felicità sarebbe stata solo un ricordo, dove si sarebbe annullato in attesa che i giorni passassero verso una fine che avrebbe posto fine allo strazio che avrebbe vissuto ogni giorno.
 
Si avvicinò al drago, la spada in mano ma puntata verso terra, la stretta sull’elsa forte, il suo unico appiglio ad una realtà in cui tutto era stato stravolto.
 
“Per favore, salvalo”
 
Il drago si voltò a fissarlo
 
“Non posso”
 
La morte di Merlin prese forma nella sua mente, cruda, violenta, insostenibile.
Puntò la spada in avanti sul terreno e si appoggiò su di essa per non crollare a terra.
Gli venne in mente che diversi anni prima, quando si era accorto di iniziare a provare altro dall’apatia era stato male. Non era abituato ad ascoltarsi, a sentirsi, a vedersi e in quel momento aveva maledetto Merlin, aveva pensato di mandarlo via, a volte aveva sperato che morisse. Si vergognava di quel pensiero ora, ma nel momento in cui questo era nato era solo una via di fuga per tornare quello di prima, quello che si vantava di non provare nulla, quello che non aveva bisogno di nessuno perché tanto nessuno ha bisogno di lui.
 
Ora avrebbe dato la sua vita per salvare quella di Merlin
Non era possibile tutto quello che stava accanendo.
Non stava succedendo.
Non a Merlin
Non a lui
Non a loro
Al diavolo il destino, il fato, il resto del mondo, niente aveva più senso.
 
“Non posso salvarlo giovane Re, ma la sua ancora può farlo”
 
Artù sollevò la testa di scatto.
Ancora? Era già stato chiamato così, come poteva saperlo quel drago? Voleva dire che poteva salvarlo?
 
Guardò Gaius in cerca di risposte, ma l’espressione che vide era la stessa che gli aveva visto in volto quando erano a casa sua e lui aveva finito di raccontare cosa era accaduto nelle miniere.
Sembrava stesse di nuovo guardando gli inferi.
 
“La magia che ha colpito il giovane stregone è antica e potente, così come il luogo dove tutto è avvenuto. La strada per salvarlo passa dal cuore della magia, tra ombre e inganni, nello stesso luogo dove lui è perso”
 
“Sono stati i Catha vero? Solo loro hanno questo genere di conoscenza, solo loro hanno questo genere di brama”
 
Gaius aveva parlato senza sollevare la testa, il tono sembrava quello di una condanna a morte.
 
“Solo un sacerdote Catha poteva avere accesso alla magia di quei luoghi, solo la loro conoscenza è in grado di sapere come prendersi la magia di Merlin”
 
Artù li guardava senza capire cosa stesse accadendo.
 
“Gaius? Si può sapere di cosa state parlando?”
 
L’anziano medico guardò il grande drago per minuti interi senza parlare, poi si voltò verso di lui ed iniziò a parlare.

“I Catha erano un popolo molto importante centinaia di anni fa, un popolo dedito alla conoscenza, alla cultura, allo studio. Avevano conosciuto la magia, l’avevano studiata ed avevano imparato a padroneggiarla con il solo scopo di aiutare gli altri e prendersi cura di quello che li circondava. Con il tempo e lo studio il loro potere aumentò sempre di più e più cresceva più ne venivano ammaliati e il loro scopo diventò unicamente quello di accrescerlo. Nel corso delle generazioni vennero prima venerati al pari degli Dei, poi additati come demoni ed infine stregoni. Crearono un tempio nei tempi antichi, nello stesso luogo dove ora sorgono le miniere, un posto dove convogliare le antiche energie, un luogo che in seguito venne distrutto e dato alle fiamme. I Catha si annientarono tra di loro, alcuni scapparono, altri furono eliminati ai tempi della grande purga. Erano diventati troppo potenti, maestri nelle arti mentali, in grado di usare magie crudeli ed infime al fine di ottenere quello che volevano”
 
“Quindi hanno fatto un incantesimo a Merlin per rubargli la magia? Lui ha sconfitto quel mago prima che potesse scioglierlo, per questo non si sveglia?”
 
“No giovane Pendragon, lo stregone non è stato sconfitto”
 
“Sire ricordate di aver detto che lo stregone si è dissolto un attimo prima di venire colpito?”
 
Arthur annuì, l’espressione grave di Gaius gli fece correre un brivido lungo la schiena
 
“Lo stregone non è morto, il tipo di incantesimo che ha compiuto era stato menzionato in alcuni testi molto antichi e anche in quelli si dubitava che fosse possibile da compiere. Solo uno dei Catha avrebbe potuto avere la conoscenza per trovarlo ed applicarlo. Voleva la magia di Merlin, sapeva quanto fosse potente ed unica”
 
Gaius si sedette sopra una roccia accanto a Merlin e gli posò una mano sulla spalla.
Non l’aveva mai visto così e gli fece stringere il cuore vedere il dolore e la rassegnazione su ogni suo tratto.
 
Fu il drago a continuare per lui.
 
“Lo stregone ha dissolto il suo corpo materiale per diventare pura energia, un tutt’uno con la sua magia. In questo modo ha potuto colpire come nessuno aveva mai fatto. Non è morto, sta continuando ad agire anche ora perché si trova nella magia di Merlin, nel suo corpo, nella sua mente”
 
Artù guardò Merlin come se si aspettasse di vedere in lui i segni visibili di quello che gli era stato detto, ma non era cambiato nulla, era ancora appoggiato alla roccia, la testa abbandonata dolcemente come se dormisse.
 
“Lui ha affrontato quello stregone per tutto questo tempo, lo sta facendo ancora?”
 
“Non possiamo sapere cosa stia succedendo nella mente di Merlin, né in quale modo stia agendo per raggiungere il suo obiettivo. Sento il legame con il giovane stregone farsi sempre più sottile, sta quasi svanendo. Il tempo a sua disposizione non è molto. Sta rinnegando la sua magia, se la abbandonerà volontariamente la sua vita cesserà immediatamente”
 
“Perché dovrebbe abbandonarla? Gaius ha detto che per lui è come la vita stessa”
 
“A volte non è la nostra vita la cosa a cui teniamo di più”
 
Quello che aveva sentito era surreale, lui era solo un uomo, come poteva sconfiggere qualcosa di così potente, cosa aveva a che fare lui con tutto quello?
 
“L’anima di Merlin e la tua sono legate giovane Re, posso intuire i dubbi che ti invadono la mente, ma solo tu puoi fare in modo che il destino per cui siete nati si compia”
 
“Cosa devo fare?”
 
Il drago non aveva mai smesso di fissarlo.
 
“Lo devi raggiungere”
 
Gaius scattò in piedi e si mise davanti al Re,

“No! Quello che gli chiedi di fare è impossibile”
 
Artù vide Gaius tremare davanti a sé, era terrorizzato da quello che il drago aveva detto. Lui non lo era. La sola possibilità che esistesse un modo per salvare Merlin aveva messo a tacere ogni dubbio, paura o pensiero che gli aveva dato il tormento nelle ultime settimane.
 
“Lo farò”
 
Gaius si voltò e gli mise entrambe le mani sulle spalle.
 
“Sire no! È troppo pericoloso, non sappiamo cosa incontrerete, una magia di questo tipo è sconosciuta e potente e Voi siete troppo importante per Camelot!”
 
“Camelot è solo un luogo, un’idea. Sono le persone che la rendono quella che è, non il loro Re. Non c’è niente che tu possa dire per fermarmi, ora che so che esiste un modo per salvarlo non intendo perdere tempo”
 
Il Re prese le mani di Gaius tra le sue e le strinse delicatamente.
 
“Devo salvarlo Gaius, so che puoi capirmi”
 
Niente lo avrebbe fermato, avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare Merlin, così come sapeva che a parti inverse sarebbe stato lo stesso. Il suo regno, il suo popolo, sarebbero andati avanti anche senza di lui, ma lui non poteva restare ancora da solo, non poteva sopportare ancora quel vuoto nel petto, quella costante sensazione di mancanza.
 
Strinse ancora le mani di Gaius e poi le lasciò voltandosi verso il drago.
 
“Cosa devo fare”
 
“Posso condurti nella mente del giovane mago, ma cosa incontrerai non lo so dire. Vedrai e sentirai cose che potrebbero non essere reali, il tuo legame con il giovane stregone è la sola cosa sui cui dovrai contare.
Devi trovarlo e impedirgli di abbandonare la sua magia”
 
Arthur annuì deciso, ogni parte di lui era pronta.
 
“Devi essere sicuro Artù Pendragon, anche per me non esiste modo di salvarti, così come non posso fare per il giovane mago. Una volta compiuto l’incantesimo non mi sarà possibile scioglierlo, l’unico modo per uscirne sarà la magia di Merlin”
 
Chiuse gli occhi, respirò a fondo.
 
Non aveva bisogno di pensarci, la sola cosa che era importante era Merlin.
 
Non lo avrebbe lasciato solo, proprio come Merlin non aveva mai lasciato lui.
 
Se lo sarebbe ripreso e sarebbero tornati insieme
Forse invece sarebbero morti insieme
Insieme nonostante tutto.
 
“Sono sicuro”
 
Gaius lo guardò addolorato, ma non disse nulla.
 
“Siedi accanto al mago, giovane Re”
Artù fece come gli era stato detto, si sedette accanto a Merlin e gli prese la mano.
 
“Sto venendo a prenderti”
 
Lo sussurrò all’orecchio del mago, mentre nella sua mente lo stava implorando di resistere.
 
Guardò Gaius e gli promise che lo avrebbe riportato a casa.
 
Fece un cenno di assenso al drago e pochi secondi dopo fu come se qualcosa lo avesse colpito talmente forte da stordirlo.
 
Aprì gli occhi a fatica e si rese conto di non essere più nella radura, era solo, circondato da una nebbia fitta, un freddo glaciale che penetrava nelle ossa, nell’anima, nei pensieri.
 
Si alzò in piedi ed urlò il nome di Merlin con quanto fiato aveva in gola.
 
Quando l’eco del suo grido scemò era ancora solo, niente era cambiato.
 
“Non saresti dovuto venire”
 
Si girò di scatto, due occhi blu lo stavano fissando.
 
Poi fu il buio.

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Capitolo 5
*** Dancing in the Dark ***


Aprì gli occhi a fatica, le palpebre sembrava non riuscissero staccarsi.
La prima sensazione che avvertì fu il freddo, totale, pungente. Sembrava che ogni parte di lui fosse congelata e quando alzò un braccio vide che la nebbia gelida che aveva visto intorno a sé aveva creato su di lui un sottile strato di ghiaccio.
Quanto tempo era passato?
In un lampo gli occhi che aveva visto prima che il buio si chiudesse su di lui gli invasero la mente.
 
Merlin!
 
Dopo qualche tentativo si mise seduto e lo vide, gli dava le spalle.
 
Lo chiamò
 
Merlin voltò la testa mostrando il profilo del viso senza però guardarlo.
 
“Non saresti dovuto venire”
 
Che diamine stava dicendo?
 
Si mise in piedi con difficoltà e fece un passo verso di lui, il mago si allontanò come di riflesso.
 
“Non saresti dovuto venire”
 
Il tono era serio, freddo e distaccato e lo fece fermare, preso alla sprovvista. Vederlo li non era di certo quello che si aspettava; si era preparato ad una lunga ricerca, alla vista di Merlin ferito e prigioniero, era pronto a combattere. Nel momento in cui aveva capito che poteva fare qualcosa aveva sentito scorrere sottopelle una gioia selvaggia, aveva pregustato il momento in cui lo avrebbe trovato, il momento in cui lo avrebbe stretto talmente forte da farlo diventare una parte di sé, aveva quasi potuto sentire il calore di quel corpo stretto al suo.
Invece non era successo, Merlin era lì, ma lontano e non lo guardava.
Quanto può mancare uno sguardo?
Stupido quanto sia l’assenza delle cose più semplici e scontate a ferire di più.
 
“Che stai dicendo? Muoviti, dobbiamo andarcene da qui, questo posto non è reale”
 
“Lo so”
 
“Lo sai?”

“Lo so”
 
Arthur rimase qualche istante in silenzio. Lo sapeva? Sapeva che non era reale? Allora perché rimaneva così distante? Perché neanche lo guardava?
 
In un solo momento tutte le emozioni che lo avevano sommerso nelle ultime settimane si unirono in un tutt’uno, la preoccupazione, l’impotenza, il dolore, il vuoto, la paura diventarono una cosa sola trasformandosi in rabbia, una rabbia feroce che gli percorse le vene, come se una miccia fosse stata accesa, ogni suo pensiero si infiammò. In poche falcate lo raggiunse, lo girò e lo afferrò per il bavero della giacca avvicinandoselo al viso.
 
“Che diamine succede?”
 
Il silenzio che ne seguì provocò una nuova scarica di rabbia, il volto di Merlin rivolto da un lato, gli occhi che ancora rimanevano ostinatamente lontani dai suoi gli fecero perdere il controllo, la presa sulla giacca si fece più forte e lo strattonò con violenza.
 
“Guardami quando ti parlo. Cosa diamine sta succedendo!”
 
Aspettò qualche secondo prima di girarsi e guardarlo e Arthur pensò che sarebbe stato meglio non l’avesse fatto.
Il gelo che sentiva all’esterno era niente rispetto a quello che vedeva negli occhi di Merlin, nessuna emozione, nessun calore, solo gelido niente.
Di colpo la rabbia fluì via da lui e si sentì svuotato, come se il freddo di quello sguardo lo avesse paralizzato. Mai Merlin lo aveva guardato così. Nei suoi occhi c’era sempre qualcosa di assurdamente vivo, qualcosa che arrivava dritto al cuore. Nel corso degli anni era stato in grado di vederci ogni emozione che attraversava il cuore di Merlin, aveva visto il coraggio, il dolore, la gioia, la rabbia, l’amore. C’era sempre qualcosa e quando Merlin era diventato lo specchio della sua anima tutto il vuoto che lo aveva sempre accompagnato si era riempito come per riflesso delle emozioni che vedeva in lui. All’inizio non le aveva capite, le aveva rinnegate per la paura della loro intensità, ma alla fine le aveva accettate ed anche provate.
Vedere ora tutto quel niente lo aveva riportato a quando lui stesso si considerava niente, quando non sentiva niente, quando non gli importava niente.
 
Quegli occhi così vuoti non potevano di certo essere di Merlin, avrebbero potuto essere i suoi, ma non quelli del mago.
Gli tornarono in mente le parole del grande drago, aveva detta che avrebbe visto e sentito cose che avrebbero potuto non essere reali e che solo il loro legame contava.
 
Lasciò la presa su di lui e fece un passo indietro, il suo sguardo divenne freddo come quello del ragazzo di fronte a lui.
 
“Tu non sei Merlin”
 
Si fissarono per interminabili attimi di silenzio, poi Merlin fece un sorriso, una piccola cosa amara, così tanto estranea alla sua natura che Arthur fu sempre più convinto della sua teoria.
 
“Da quando sai chi sono?”
 
“Io so chi sei”

“Tu sai quello che ho voluto farti vedere”
 
“Tu non sei Merlin”
 
“Sono io. Anche se non ci vuoi credere. Questo è quello che sono, quello che ti ho sempre tenuto nascosto, come la mia magia. Questo è quello che mi hai fatto diventare, dovendo mostrare solo la parte di me che avresti accettato. Sono quello che hai distrutto, creando te stesso”
 
Arthur cercò di non mostrare quanto quelle parole lo avessero ferito, ma gli sembrava di sanguinare per quanto lo avevano fatto. Si sforzò di ricordare che quello davanti a lui non era Merlin, ma quelle parole non riuscì ad ignorarle perché erano vere.
Era stato talmente preso dalla sua vita, dalle sue paure, dai compiti che doveva eseguire, che non si mai fermato a pensare a come lui influisse su Merlin.
Come aveva fatto a non pensarci?
Aveva sempre e solo pensato al tempo che aveva perso prima di rendersi conto di vivere sepolto in sé stesso, a quanto gli ci era voluto per trovare il coraggio di cercare il motivo che l’aveva portato a quel punto, a quanto fosse stato difficile concedersi di aver bisogno di aiuto per farlo perché quel motivo era sepolto talmente a fondo che dubitava della sua esistenza.
E in tutto questo Merlin era sempre stato al suo fianco.
 
Lui aveva avuto tutto questo dal loro rapporto, Merlin invece cosa aveva avuto?
Lui ne aveva goduto come un assettato nel deserto, Merlin cosa aveva ricevuto?
Lui aveva conosciuto il calore, Merlin aveva assorbito il gelo e il niente che riempivano il suo cuore, la sua mente e la sua anima?
 
Quello che aveva davanti era davvero una conseguenza del suo disinteresse, della sua arroganza e della sua paura? Aveva davvero prosciugato Merlin al punto di creare quegli occhi tanto inespressivi?
Non poteva guardarlo, vedere quel vuoto nei suoi occhi gli ricordava la paura di essere così nel suo io più profondo, quella paura che aveva messo da parte ignorandola, rimandando il momento di affrontarla, coprendola con ogni scusa possibile.
 
Quando menti per tanto tempo quella bugia diventa una seconda verità, forse l’unica di cui ti concedi di ricordare.
 
“Avresti fatto meglio a non venire”
 
Arthur chiuse gli occhi e cercò di controllare quella valanga di emozioni e paure che lo stava sommergendo. Riprese il controllo quando un formicolio intenso gli percorse la spina dorsale. Cos’era stato?
Quanto riaprì gli occhi si rese conto di essere solo. Si guardò intorno ma non vide nulla a parte la nebbia e per un breve istante ne fu contento. Quello seguente se ne vergognò. Quello ancora dopo ebbe paura di quel pensiero.
 
Si aggrappò alle parole del drago, quella era una delle cose non reali che avrebbe potuto incontrare, doveva esserlo, anche se la paura che fosse così fu enorme perché se questo era quello che avrebbe dovuto affrontare non era sicuro di potercela fare da solo.
Avrebbe voluto dire affrontare sé stesso, le sue paure più nascoste, le sue debolezze.
 
Gli venne in mente un pensiero che gli fece paura.
Lui era nell’anima di Merlin, il loro nemico anche. Dato il modo in cui quest’ultimo gli aveva parlato doveva aver trovato il modo di vedere i suoi ricordi e le sue paure, forse aveva già fatto in modo che il vero Merlin se le trovasse di fronte, magari attraverso un’immagine di sé che temeva.
 
La paura che seguì il pensiero seguente fu peggiore.
 
Quanto male poteva fargli una copia di sé stesso, un Arthur che sapeva quali tasti toccare? Esattamente quanto la copia di Merlin aveva fatto con lui, con la differenza che nel suo caso l’incontro era durato poco, ma in che stato poteva essere Merlin dopo settimane? Il terrore di trovarlo annientato nell’anima, nella mente e nel cuore si impadronì di lui. Se fosse stato così sarebbe stato in grado di aiutarlo? Di rimettere insieme i pezzi di un’anima frantumata?
 
Si mosse senza volerlo, i passi sempre più veloci finché si ritrovò a correre, il nome di Merlin urlato con ogni briciolo di energia che possedeva. Non poteva perderlo, no, non sarebbe stato perso, non in quel modo, non con tutto quel dolore.
 
Nella nebbia vide un’ombra, rallentò la sua corsa e si avvicinò lentamente con tutti i sensi all’erta.
 
Era Merlin, ma non sembrava reale, non come la persona che si era trovato prima di fronte, sembrava un riflesso, un fantasma, qualcosa di incorporeo. Era inginocchiato e gli dava le spalle, era chinato sopra qualcosa e stava piangendo. Quando provò a posargli una mano sulla spalla, non ci riuscì, la sua mano gli passò attraverso, come se fosse parte della nebbia, la stessa che si diradò mostrano una persona stesa davanti a lui.
Lo riconobbe, era quel signore dei draghi che avevano cercato nella foresta, Balinor.
 
“Posso salvarti! Non posso affrontare il drago da solo”
“Ho visto abbastanza per sapere che mi renderai fiero”
“No padre!”
 
Quell’uomo era il padre di Merlin? Perché lui non ne sapeva niente? Vide quell’uomo morire, fu testimone dell’ultima leggera carezza che fece al figlio, vide il dolore di Merlin e fu straziante. Lo fu molto di più vedere il suo riflesso apparire e infuriarsi per la morta di quello che credeva fosse l’unica speranza per Camelot mentre Merlin si tappava la bocca per non fargli sentire i singhiozzi per poi alzarsi e fare finta di nulla.
In quel periodo stavano iniziando ad essere veramente amici, ma nonostante questo era stato cieco. Ora iniziava a farsi un’idea delle cose che Merlin aveva dovuto affrontare e si sentì in colpa pensando che nel farle era sempre stato solo. Ricordava che in seguito gli aveva detto di averlo visto piangere per quell’uomo e che nessun uomo meritava le sue lacrime; Merlin aveva risposto con una battuta dicendogli, ridendo, che lui sicuramente non le meritava. Aveva anche aggiunto che lo avrebbe seguito in battaglia perché voleva stare al suo fianco. Ripensò a quanto era rimasto sorpreso che volesse seguirlo ad affrontare un drago; quella era stata la prima volta in cui, di fronte a così tanta convinzione, aveva visto Merlin sotto una luce diversa. Forse quella era stata la prima pallida scintilla di quello che in seguito avrebbe visto e provato per lui.
 
L’immagine che aveva di fronte svanì come se un colpo di vento l’avesse spazzata via.
 
Rimase a guardare la nebbia e gli fu chiaro che quello che aveva visto non era un altro inganno, quello era un ricordo. Si sentì in imbarazzo, quelli erano momenti personali di Merlin, non avrebbe dovuto vederli così, avrebbe dovuto essere lui a parlargliene se avesse voluto. Scoprirli così gli sembrava scorretto, aveva la sensazione di rubargli qualcosa.
 
Riprese a camminare cercando di allontanare ogni pensiero che non fosse trovare Merlin, non doveva cedere, avrebbe fatto il gioco del loro nemico. Ma era difficile. Quel mondo fatto di nebbia, quel gelo e quella solitudine non erano solo intorno a lui, sembrava avessero il potere di entrargli dentro scatenando un vortice di dubbi e dolore.
Doveva sbrigarsi o ne sarebbe diventato parte.
Sperò che al suo servitore questo non fosse già accaduto.
 
Davanti a lui Merlin riprese quella forma incorporea, un altro ricordo? Pensò di andare oltre ma la curiosità fu più forte e si fermò, sapeva che non era la cosa giusta ma una parte di lui voleva sapere cosa si fosse perso, cosa non aveva saputo vedere, quanto non aveva fatto.
Lo vide mentre stava camminando con qualcuno tra le braccia. Una ragazza? Chi era? La stava adagiando dolcemente a terra e le sorrideva mentre le accarezzava dolcemente i capelli.
 
“Deve esserci qualcosa che posso fare, voglio salvarti”
“Mi hai già salvata Merlin, non solo con la tua magia, ma con il tuo cuore, mi hai fatto sentire amata”
 
Una stilettata di gelosia lo colpì in pieno petto, troppe domande gli affollarono la mente. Chi era quella ragazza che si era sentita amata da Merlin, perché lui non ne sapeva nulla, quanto si era perso della vita della persona che gli era più vicino?
Faceva male, un male fottuto. Lui aveva aperto il suo cuore, i suoi pensieri, le sue paure. Merlin no. Era sempre stato con lui, aveva ascoltato, assorbito ogni cosa e fatto di tutto per aiutarlo, per non lasciarlo solo, ma non aveva mai aperto davvero sé stesso; sapeva dei sentimenti che provava per lui, ne era certo, ma dietro a questo c’era un mondo che a lui era stato precluso e questo lo feriva.
Quella ragazza aveva avuto qualcosa che a lui era stato negato. La verità.
Vide Merlin iniziare a piangere, doveva tenerci molto a lei perché il suo viso era una maschera di dolore.

“Non voglio lasciarti”
“Un giorno Merlin io mi sdebiterò”
 
La ragazza morì tra le sue braccia, Merlin pianse più forte e la sollevò stringendola in modo disperato.
 
Anche quella visione sparì in un alito di vento.
 
Non seppe dire quanto passò, era troppo scosso per capirlo, ma fu di nuovo quel formicolio a farlo reagire; era una sensazione strana quella che gli lasciava addosso, come volesse spingerlo ad andare oltre, ma ora non aveva tempo per pensare anche a quello.
Riprese a camminare chiamando il nome del suo servitore, ricevendo in risposta solo il silenzio.
 
Un altro ricordo gli si formò davanti, sembrava volesse bloccargli il cammino.
 
C’era Merlin e stava parlando con qualcuno, gli si avvicinò fino ad essergli accanto.
Nimueh apparve davanti a loro e Arthur istintivamente portò la mano sulla spada.
 
“Sai già cosa voglio chiederti?”
“Sì”
“Lo farai?”
“Senza dare niente in cambio non ho il potere di ridare la vita”
“So che c’è un prezzo da pagare”
“Per una vita deve esserci una morte, l’equilibrio del mondo deve ristabilirsi”
“Sono pronto ad offrire la mia vita per quella di Artù, qualsiasi cosa mi chiederai la farò, la sua vita vale più della mia”
 
Smise di ascoltare.
Merlin aveva offerto la sua vita a quella strega per salvarlo? Quando era successo? Molte volte era stato in pericolo di vita e se ci pensava era sempre comparsa una miracolosa erba curativa giusto in tempo per salvarlo. Chissà quante volte era stato Merlin a farlo, chissà quante volte aveva rischiato la vita.
Sorpassò quel ricordo anche se non era ancora svanito, doveva trovare Merlin, doveva trovarlo, poi tutto il resto. Continuò a ripeterselo come un mantra.
 
Erano comparsi molto altri ricordi, ma li guardava per sempre meno tempo, non voleva, non poteva. Ci passava in mezzo ed andava oltre, ma sembrava che gli si attaccassero addosso come una patina dolorosa.
 
Aveva visto un Merlin bambino attorniato da altri ragazzini che lo additavano continuando a chiamarlo mostro finché non era arrivata sua madre a scacciarli e ad accoglierlo tra le braccia tremante ed in lacrime.
Aveva visto quando Merlin aveva creato una frana per metterlo in salvo da un’orda di banditi, lasciandosi catturare e portare da Morgana per poi essere torturato.
Aveva visto quando lo aveva aiutato ad estrarre Excalibur.
Aveva visto quando si era confrontato con Cedric.
Aveva visto quando era stato colpito per proteggerlo.
Aveva visto momenti in cui aveva sofferto.
Aveva visto lacrime, tante, troppe.
Aveva visto sacrificio, devozione, amore.
 
Quanto non se ne sentiva degno, quando si sentiva piccolo di fronte a quanto era stato fatto per lui, quando non meritava Merlin.
 
Si fermò in mezzo a quel nulla guardandosi intorno, non poteva continuare a vagare alla cieca in un mondo di nebbia, si sarebbe perso, non solo fisicamente, ma in tutti i modi in cui una persona può perdersi. Ci era già andato vicino e sapeva che non poteva continuare in quel modo perché non sarebbe cambiato nulla, perché quella nebbia di ricordi lo avrebbe sopraffatto, perché il senso di colpa lo avrebbe distrutto.
 
Se il luogo in cui si trovava era l’essenza di Merlin doveva cercare il fulcro di quella, doveva cercare la sua magia, doveva cercare il loro legame, doveva sentirlo.
Chiuse gli occhi e si impose di non pensare a nulla, si concentrò sul battito del suo cuore e solo con quello chiamò Merlin ed insieme a lui, per la prima volta, la sua magia.
 
Provò e riprovò fino a quando non ottenendo nulla la frustrazione lo fece crollare in ginocchio.
L’esasperazione prese il sopravvento, le lacrime iniziarono a pungergli gli occhi e la disperazione gli fece colpire il terreno con pugni sempre più rabbiosi, doveva sfogarsi, liberare quel senso di impotenza che lo stava divorando.
Pianse e colpì sempre più forte.
 
Quanto poteva reggere ancora? Quanto poteva sopportare prima di cedere?
 
Accadde di nuovo, quel formicolio lo distolse dai pensieri e gli fece portare l’attenzione sulla spada che sembrava brillare nel fodero dove era riposta, la tirò fuori e rimase a bocca aperta quando vide la lama brillare di una luce fioca.
Si alzò e sentì quello stesso formicolio attraversargli il braccio fino alla mano che impugnava la spada. Provò ad agitarla e vide che a seconda della direzione in cui la spostava la luce cambiava di intensità.
 
Che la magia avesse risposto al suo appello?
Che quel formicolio fosse lei?
 
Spinto da una piccola scintilla di speranza si alzò ed iniziò a camminare aggrappandosi ad Excalibur, seguendo la direzione verso la quale la luce aumentava di intensità.
Proseguì senza sosta, ignorando il dolore alle gambe e la stanchezza fino a quando la punta della spada non colpì qualcosa, sembrava un muro. Con una mano toccò quello che aveva di fronte, non riusciva a vederlo ma sì era chiaramente un muro.
La spada brillava talmente forte che sembrava fosse fatta di luce.
Non ci pensò neanche un momento, brandì Excalibur con entrambe le mani ed iniziò a colpire la parete che aveva davanti, qualsiasi cosa ci fosse dall’altra parte era quello che stava cercando, era qualcosa a cui era arrivato, niente lo avrebbe fermato.
La furia con cui stava colpendo era qualcosa che non aveva mai provato e quando vide la prima crepa sul muro si abbatté contro di essa con tutta la forza che aveva, tutti i suoi pensieri, il suo cuore e la sua forza si fusero insieme e alla fine il muro crollò aprendogli un varco.
 
Lo superò e quello che si trovò di fronte lo lasciò a bocca aperta.
 
Non c’era più nebbia, si trovava in uno spazio aperto, un prato immenso sotto un cielo plumbeo carico di nubi, davanti a sé un enorme cratere.
Si avvicinò e guardò in basso, quello che vide gli mozzò il fiato.
Nel centro di quell’enorme buco c’era Merlin, in ginocchio, immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo perso nel vuoto fisso davanti a sé, la pelle dello stesso colore della nebbia che aveva appena abbandonato.
Non aveva mai visto nessuno in quello stato, era pura distruzione.
Ma era lui.
Era Merlin.
Non sapeva come, ma ne aveva la certezza, sentiva la sua anima vibrare e sentì quel formicolio familiare fare lo stesso.
Scattò verso da lui, ma appena si mosse oltre il bordo del cratere sbatté contro qualcosa di invisibile che lo fece cadere, si rialzò e provò senza risultato.
Impugnò Excalibur e colpì, riprovò con una disperazione sempre maggiore ma non cambiò nulla.
Appoggiò entrambe le mani su quella parete che non riusciva a vedere e chiamò Merlin con tutto il fiato che aveva in gola, ma lui non sembrava sentirlo.
Con le mani ben piantate su quel muro invisibile iniziò a camminare lungo tutto il perimetro del cratere cercando un varco.
 
Si fermò quando vide sé stesso camminare verso Merlin.
 
Il panico lo invase, non poteva rimanere a guardare, doveva fare qualcosa, fargli capire che non era reale. Iniziò a battere i pugni e ad urlare il suo nome.
 
La sua copia era ricoperta di sangue, sembrava uscita da un massacro, si era fermata ad un passo dal ragazzo in ginocchio e gli stava parlando, ma non sentiva nulla di quello che stava dicendo. Vide Merlin alzare appena la testa, lo sguardo talmente perso che si chiese se vedesse veramente chi aveva di fronte.
La sua copia estrasse la spada e gliela puntò al collo.
Vide Merlin sollevare un braccio e tendere la mano verso l’uomo di fronte a lui, non avrebbe saputo dire se in uno strenuo tentativo di fermarlo, per chiedere aiuto o solo per appigliarsi a lui, ma appena le su dita lo sfiorarono questo indietreggiò e sembrava urlasse dal dolore. Si accasciò a terra e si contorse come se stesse bruciando su un rogo fino al momento in cui si dissolse.
Il braccio di Merlin ancora teso davanti a sé tremava incontrollabilmente fino a quando ricadde inerte a terra, chinò la testa fino a ripiegarsi su sé stesso e non si mosse più.
 
Arthur impazzì.
 
Colpì quello che aveva davanti con tutte le sue forze urlando a squarciagola il nome di Merlin.
Lo stava perdendo. Le mani gli sanguinavano per la violenza dei colpi ma non sentiva alcun dolore. Lo stava perdendo. Un terrore totale lo aveva invaso. Lo stava perdendo.
 
“Non saresti dovuto venire”
Si girò di scatto. Merlin era dietro di lui. No, non era Merlin, era lo stesso con cui aveva parlato appena arrivato in quell’incubo. All’inizio era stato tratto in inganno, ma aveva visto troppo perché accadesse di nuovo. Si lanciò contro di lui sguainando la spada ma invece di colpirlo gli passò attraverso come fosse stato fatto di aria.
 
Quando si voltò si ritrovò davanti un Merlin in ginocchio che lo guardava terrorizzato.
“Perché mi fai questo?”
 
Gli mancò il fiato, ma fu solo un momento, era un inganno, lo sapeva.
 
Guardò sul fondo del dirupo e vide che Merlin era ancora là. Come aveva osato quel mago ridurlo così, distruggerlo, ferirlo, usare il loro legame per annientarlo?
 
Non c’era più nulla in Arthur che non fosse pura furia e nonostante le sembianze che aveva assunto provò a colpirlo ma senza risultato. Ancora e ancora.
 
“Combatti codardo! Battiti contro di me!”
 
“Perché dovrei? Tu non puoi farmi niente”
 
“Mostrati! Tu non sei Merlin!”
 
“Lo sono”
 
Un formicolio più forte dei precedenti lo percorse ed ebbe la sensazione di venire appoggiato, sostenuto.
 
“No! Non lo sei”
 
Un altro leggero brivido, come a confermare le sue parole. Arthur sorrise appena, un sorriso gelido come la morte, freddo come l’ira più profonda, feroce come la disperazione.
 
“Non puoi più ingannarmi, non sei lui. Mostrati e combatti”
 
Merlin sorrise e la sua immagine lasciò il posto a quella di un uomo di mezza età, i capelli e la barba erano rasati, una lunga veste nera fermata in vita da una cintura di ferro con al centro un simbolo che non conosceva. Lo guardava divertito, sapeva di avere il pieno controllo.
 
“Finalmente ti mostri stregone”
 
“Sono Almier, ultimo gran maestro dei Catha, servitore della Sacra Dea, al vostro servizio”
 
Si inchinò beffardamente senza staccargli mai gli occhi di dosso.
 
“Si può sapere che diamine vuoi da Merlin?”
 
“Ancora non è chiaro? Voglio la sua magia e con essa voglio sottomettere Camelot e ogni regno conosciuto”
 
“Perché?”
 
“Osi anche chiederlo? La tua stirpe ha massacrato la mia gente, distrutto il mio popolo. Nei secoli siamo stati braccati come animali, torturati, sterminati, sottomessi. Restituirò ogni torto subìto, riporterò i Catha al loro legittimo posto, signori di un mondo che era nostro di diritto, avrò il potere che ci è stato negato”
 
“Non ti permetterò di fare niente del genere!”
 
“E come pensi di fermarmi? Te l’ho già detto Sire, non saresti dovuto venire”
 
“Perché non avrei dovuto farlo? Pensavi sarei rimasto a guardare mentre distruggervi Merlin, la mia gente e ogni cosa la tua testa malata intende fare?”
 
Lo stregone scoppiò a ridere guardandolo con finta compassione
 
“Tu non puoi fermarmi. Se tu non fossi venuto il tuo amico mi avrebbe già consegnato la sua magia, ma tu no, hai dovuto interferire e ora lui soffrirà in modo molto peggiore perché sarai tu a distruggerlo”
 
“Mai!”
 
“Tu, io, sé stesso…cambierà solo la forma, cambierà il tipo di dolore, ma non la sua fine. E quando accadrà io avrò la sua magia e sai qual è la cosa migliore? Che farò tutto comodamente da qui. Prenderò il comando anche del suo corpo e la gente vedrà lui infliggere morte e dolore, lo odieranno, proveranno ad eliminarlo e tu non potrai fare altro che guardare, bloccato nella nebbia, rivivendo tutto ancora e ancora fino a che non ti consumerai”
 
Arthur partì all’attacco, incapace di ascoltare altre parole, ma lo stregone rise di lui, una risata crudele che rimase nell’aria anche dopo che svanì nel nulla.
 
Si ritrovò solo, preda di una ira profonda, disperato per la sua incapacità di trovare una soluzione, scoraggiato per l’inferiorità che sentiva verso il nemico. Tornò verso il bordo del cratere e poggiò la fronte contro la barriera invisibile guardando Merlin che era rimasto immobile nella stessa posizione, piegato su sé stesso, perso in un dolore infinito.
Vederlo così straziato era una sofferenza che andava oltre l’immaginabile, sentiva la sua anima sgretolarsi, ogni sua speranza annullata come lui.
 
Non riuscì a muovere un muscolo quando vide il finto sé stesso riavvicinarsi a Merlin, continuò a guardare sentendosi annientato, le lacrime uniche testimoni di quel momento. Neanche Merlin si mosse, sordo ad ogni parola, insensibile ad ogni gesto, lontano da ogni cosa.
 
Il familiare formicolio lo percorse, ma non riuscì a distrarlo.
 
Divenne più forte, come se cercasse di farlo reagire, ma non ci riuscì.
 
Poi fu come se un fulmine lo avesse attraversato e si riscoprì a sbattere le palpebre intontito. Il familiare formicolio tornò e con lui uno strano senso di urgenza e di…esasperazione? Gli sembrò di avere addosso gli occhi di Merlin quando, a suo dire, non credeva in sé stesso comportandosi da asino.
 
Pensò di stare impazzendo.
 
Di nuovo quella sensazione, stava per ignorarla di nuovo quando un pensiero folle gli attraversò la mente, ci mise qualche momento prima di dirlo a voce alta.

“Sei magia vero? La magia di Merlin?”
 
Per pochi istanti il formicolio divenne frenetico.
 
Sì, ne era sicuro, stava impazzendo.
 
Quella sensazione tanto sconosciuta ma familiare lo invase ancora e pensò che non avesse niente da perdere, pazzia o meno, doveva provare.

“Puoi aiutarmi a salvarlo?”
 
Il formicolio lo percorse interamente più volte, lo sentì vibrargli dentro, fargli battere il cuore più forte per poi scivolargli lungo il braccio fino nel palmo della mano che come dotata di volontà propria impugnò Excalibur che brillò di nuovo. Sentì un potere sconosciuto ma familiare forgiarsi insieme al metallo e fluire in lui rendendoli parte di esso.
 
Finalmente capì.
 
Gli venne da sorridere quando si rese conto del pieno significato della parola “àncora”.
 
Merlin si era legato a lui, lui si era legato a Merlin, la magia si era legata ad entrambi, ancorandoli uno all’altro.
Merlin non poteva cedere quello che non era più solo suo, aveva bisogno di Arthur per farlo. Almier questo doveva averlo capito, per questo lo aveva chiamato “la sua ancora”, per questo aveva preso le sue sembianze, non solo per fargli male, ma perché pensava che fosse la chiave per ottenere quello che voleva.
 
Arthur percepì il potere che gli scorreva nelle vene e ne rimase impressionato, ma non ne ebbe paura e se ne stupì perché gli avevano sempre insegnato a diffidare dalla magia, a temerla, a vederla come il nemico; invece non era così, perché quello che sentiva dentro era rassicurante, gli dava la forza di andare avanti. La frustrazione e il senso di impotenza svanirono, al loro posto una determinazione feroce.
 
Ripose la sua fiducia in quel potere senza nessuna esitazione e lasciò che lo guidasse.
Impugnò Excalibur e la puntò davanti a sé appoggiandola contro il muro invisibile che lo separava da Merlin, appena la punta della spada lo toccò questo venne percorso da un’onda dorata che ne rivelò la forma, non era un muro, ma un’enorme cupola che chiudeva il cratere.
La cupola sembrava percorsa da onde dorate e vibrava come se fosse fatta di vetro.
 
Vide la sua copia alzare lo sguardo verso di lui e sgranare gli occhi, in un secondo se lo ritrovò alle spalle pronto a colpirlo, ma non ci riuscì perché in quell’istante la cupola si frantumò con una violenta esplosione, generando una potente onda d’urto che lo scaraventò lontano da lui.
 
Arthur istintivamente si coprì la testa con le braccia ma non venne colpito, la magia di Merlin lo aveva protetto e lui si trovò a ringraziarla dal profondo del cuore.
Approfittò del fatto che lo stregone non fosse tornato all’attacco per scendere nel cratere, non ci pensò neanche un momento, scese a mani nude, ignorando il dolore, la fatica, la paura.
 
I suoi piedi non fecero in tempo a toccare terra che stava già correndo verso Merlin e quando lo raggiunse si lasciò cadere sulle ginocchia davanti a lui, stava per toccarlo ma si fermò quasi avesse paura di romperlo. Gli pose gentilmente una mano sulla spalla e si abbassò fino a sussurrargli all’orecchio.
 
“Merlin…sono io…sono qui”
 
La mano di Arthur gli carezzava la schiena con tocchi leggeri, la sua voce continuava a chiamarlo, ma Merlin non reagiva, rimaneva piegato su sé stesso, immobile.
 
Prese delicatamente il suo volto tra le mani e gli fece sollevare la testa.
Deglutì a vuoto di fronte a quello che vide, gli occhi di Merlin erano completamente spenti, vuoti, lontani, sembrava un guscio vuoto, un corpo senz’anima.
 
Le sue mani tremavano mentre con i pollici gli carezzava gli zigomi

“Sono qui, ti prego…”
 
Merlin sembrava non vederlo, non accorgersi neanche della sua presenza.
Abbassò la testa senza però lasciare la presa sul suo volto, si sentiva sconfitto, impotente di fronte al totale annichilimento che aveva di fronte, le lacrime iniziarono a scorrergli sul viso, pregò la magia di tornare da Merlin, di salvarlo, di riportarlo da lui.
In risposta senti la magia scorrere tra di loro, sofferente, ma nulla cambiò.
Lo scosse con forza, urlando il suo nome tra le lacrime, ma neanche questo sembrò raggiungere Merlin, di fronte a quello sguardo perso si sentiva annientato.
 
Percepì la presenza di Almier alle sue spalle quando ormai era troppo tardi per fare qualsiasi cosa, non si preoccupò neanche di voltarsi, l’idea di aver perso Merlin lo aveva annientato completamente. Chiuse gli occhi e lo attirò a sé, stringendolo. Se la fine era giunta non avrebbe desiderato altro che passare i suoi ultimi istanti stretto a lui.
 
Sentì la magia esplodere e tutto perse consistenza.
 
Aprì gli occhi e vide che tutto era immerso in una nube bianca, percorsa da saette di un oro caldo e brillante, sembrava di essere fuori dal tempo, fuori dallo spazio, fuori da ogni cosa.
Almier si stava muovendo a rallentatore, gli occhi confusi come se non capisse quello che stava succedendo, Arthur si sentì percorso dal familiare formicolio ed impugnò Excalibur che brillante di potere trapassò il corpo dello stregone ponendo fine alla sua vita e dissolvendolo per sempre.
 
Merlin era ancora immobile tra le sue braccia, lo sollevò di nuovo prendendogli il volto tra le mani, cercando uno sguardo, un barlume di vita, ma quegli occhi ancora sembrava non lo vedessero, erano vuoti, lontani, ma erano dorati.
 
“Merlin…”
 
Riuscì a pronunciare solo il suo nome.
 
Una singola lacrima cadde da quegli occhi che rimanevano pieni solo di un nulla infinito.

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Capitolo 6
*** Before I come undone ***


 
Nessuno sapeva cosa aveva provato, nessuno lo avrebbe mai saputo.
 
Nemmeno Artù.
 
Soprattutto Artù.
 
Come puoi spiegare le tue paure più grandi? Come puoi descriverle senza sentirti un fallimento? Come puoi ammettere ad alta voce quello che ti terrorizza quando non riesci a dirlo nemmeno a te stesso.
Le sue paure se le era trovato davanti tutte, nel modo peggiore, senza eccezioni, senza difese, continuamente.
E si era arreso. Si era perso. Aveva voluto farlo. L’aveva desiderato con ogni fibra del suo essere.
 
Come poteva dirlo ad Artù?
 
Lo desiderava anche in quel momento.
 
Come poteva dirlo ad Artù?
 
Non voleva essere salvato, non c’era più niente da salvare, lui non c’era più.
 
Come poteva dirlo ad Artù?
 
Sapeva che quello che aveva vissuto non era reale, che quello che aveva visto non era successo ma per lui era accaduto davvero, ci aveva creduto; nella sua parte più profonda si era rotto qualcosa che non sapeva ricostruire, ne poteva sentire i frammenti dentro di sé, taglienti come vetro rotto.
Non avrebbe più potuto mettersi in faccia un sorriso e fingere di stare bene, non lo voleva fare, non voleva mentire. La verità era che in quel momento non voleva niente se non il niente stesso.
 
Come poteva dirlo ad Artù?
 
Come poteva guardarlo negli occhi e non rivedere mentre sguainava la spada e senza pietà lo uccideva, mentre lo denigrava, mentre soffriva, mentre rinnegava ogni cosa tra loro, mentre lo guardava con delusione.
 
Come poteva.
 
La sua magia aveva provato a raggiungerlo, tentando di avvolgere la sua anima, cercando di lenire il suo dolore, provando a confortarlo. Gli aveva fatto percepire la realtà che lo circondava, aveva sentito la stretta di braccia forti intorno a sé, le stesse che avrebbe riconosciuto ovunque, quelle di Artù. Che pace che aveva provato, per un secondo non aveva avuto pensieri.
Era stata la sua magia ad accorgersi del pericolo che stava arrivando, lui non aveva reagito, non ne era in grado, ma l’aveva pregata di proteggere l’uomo che lo stringeva, a qualunque costo, l’aveva implorata di fare quello che lui non poteva.
 
E lei aveva risposto subito, agendo libera, potente, rabbiosa.  
Era esplosa intorno a loro, proteggendoli, creando qualcosa di unico, di privato, di confortante.
Un momento che avrebbe voluto durasse per sempre ma che si era interrotto quando aveva sentito Artù chiamarlo, solo il suono della sua voce era stato in grado di paralizzarlo, l’idea di affrontarlo gli aveva fatto mancare l’aria. Ed era scappato. Ancora. Si era rintanato in quell’angolo della sua mente che lo aveva salvato dall’impazzire, quel posto lontano da tutto, anche da sé stesso.
 
Nessuno avrebbe capito. Non era più lui, non sapeva neanche chi fosse, cosa fosse, se fosse ancora qualcosa. Sarebbe mai stato in grado di sorridere di nuovo? Di affrontare il mondo? Di accettarsi?
Era sicuro di no, era stato troppo.
Troppo quello che aveva provato, troppo quello che aveva visto, troppo quello che non voleva provare, troppo quello che temeva.
 
Era un codardo e lo sapeva.
 
Forse tutto quello che gli era successo lo aveva segnato per sempre. E se non fosse più tornato quello di prima? E se anche potendo non era quello che voleva fare?
Non vedeva più la differenza tra quello che voleva e quello che poteva, tutto sembrava mischiarsi, non avere senso, corroderlo da dentro come un veleno.
Sentiva un mostro dentro di sé, un uragano di rabbia pronto ad esplodere al minimo tocco, avrebbe pianto e urlato fino a stramazzare al suolo se ne fosse stato in grado.
 
Ma non poteva farlo, forse non voleva.
 
I pensieri gli affollavano la mente, sentiva troppe voci, troppe versioni di sé stesso che gli dicevano cosa fare e ne era sopraffatto.
Avrebbe mai sentito di nuovo la sua voce? L’avrebbe riconosciuta? Poteva anche non esserci più, annientata da tutto quello che aveva visto, a cui aveva creduto, a cui aveva ceduto.
 
Perché la verità era solo quella, lui era crollato, così tante volte che la sua debolezza era stata l’unica costante, fino a diventare l’unica cosa reale, l’unica certezza, l’unica verità. E non aveva il coraggio di guardare oltre, perché sapeva che quello che avrebbe visto lo avrebbe disgustato al punto che neanche il suo angolino buio lo avrebbe salvato.
Per questo si era ritrovato a preferire quel nulla rassicurante, quella solitudine, quell’apatia, quell’assenza di pensieri. Affrontare sia il codardo che era diventato, sia il mostro che bramava cose terribili, era troppo. Meglio il nulla.
 
Cosa avrebbe detto Artù?
 
Non avrebbe mai capito, non poteva sapere, non doveva sapere.
 
Sentiva in lontananza la voce di Artù che lo chiamava, quella bella voce che l’aveva raggiunto quando sembrava impossibile, cercava di nuovo di farsi strada nel buio. Ma ora non voleva essere salvato, sapeva quanto non ne valesse la pena. Voleva solo il buio e la pace.
Ma quella voce scavava in lui, testarda come il suo proprietario.
La rabbia divampò improvvisa.
Perché non lo lasciava stare? Perché era entrato di nuovo nella sua anima? Sapeva che era lì per salvarlo, ma perché? Perché non lo lasciava stare nel suo gelo, nella sua indifferenza, perché non lo uccideva? Perché non poneva fine al dolore di entrambi?
Ricordava la sua stretta disperata e la sua voce rotta dalle lacrime.
Di sicuro non poteva sapere cosa gli fosse successo, non poteva aver visto, non avrebbe mai provato a salvarlo, nessuno lo avrebbe fatto.
 
Così com’era nata, la rabbia scomparve, soffocata da un sentimento più forte, la paura.
 
Il confronto con Artù lo spaventava più di quello con sé stesso, perché si rendeva conto che aveva rischiato la vita, aveva sacrificato tempo, messo a rischio il suo futuro che, a differenza del proprio, era brillante, grandioso, felice. Perché lo aveva fatto? Lui non ne valeva la pena.
 
Si trovò a pensare che se Artù fosse morto, lui avrebbe potuto rifarsi una vita fingendo di essere la persona che avrebbe voluto, oppure poteva tornare ad essere quella che ci si aspettava che fosse. Magari invece sarebbe stato sé stesso. Ma chi era lui? La persona orribile che aveva avuto quel pensiero terribile su Artù, la stessa che lo aveva desiderato, la stessa che non se ne vergognava anche se avrebbe dovuto.
 
Come poteva valere la pena salvarlo?
 
Forse lui era davvero quella persona, forse lo era diventato, forse lo era sempre stato.
Forse invece era la paura a parlare.
Forse.
 
Come poteva dirlo ad Artù?
 
Come poteva guardarlo ancora negli occhi dopo quello che aveva pensato?
Come poteva ancora guardare sé stesso?
 
Forse quello che avrebbe dovuto morire era lui, sarebbe stato tutto più facile.
 
Era un codardo, come poteva dirlo ad Artù?
 
Cosa avrebbe dovuto fare?
Affrontarlo? Mentirgli? Rimanere lontano fino a quando non lo avesse dimenticato?
 
Lo sentiva, il suo corpo avvertiva di non essere solo, sentiva il calore, il profumo, i tocchi delicati. Sentiva la sua presenza costante e non voleva perderla, ne sarebbe morto, ma se si fosse svegliato e gli avesse parlato sinceramente sarebbe morto lo stesso, ma col dolore di vedere il disgusto e l’orrore negli occhi di Artù.
 
Sarebbe stato meglio se fosse morto.
 
Forse era l’unica cosa da fare.
Non poteva chiederlo ad Artù, doveva farlo lui. Liberarlo. Liberarsi.
 
Sapeva che nonostante tutto la sua anima non si era lasciata andare del tutto, inconsciamente un filo di speranza di essere salvato c’era ancora, ma sapeva che quel filo era la causa di tutto il dolore, di tutti i problemi, di tutta la paura.
Bastava tagliarlo e lasciare libera la sua anima di cadere nel buio più profondo, diventare parte del nulla dal quale sarebbe stato impossibile dividerlo, far perdere la sua mente, non avere più paura, più pensieri, niente.
 
Si ritrovò allucinato da questa idea e la desiderò con ogni fibra di sé, sempre di più.
 
Mentre mormorava un addio, un ringraziamento e delle scuse, immaginò il viso di Artù, l’ultima cosa che avrebbe voluto vedere prima di perdersi.
 
E poi si lasciò andare.
 
Finalmente non avrebbe sentito più nulla.
Finalmente avrebbe zittito il suo cuore.
Finalmente avrebbe allontanato da tutti il mostro che era diventato.
 
Non era successo.
Una mano lo aveva afferrato.
 
Aveva aperto gli occhi e aveva visto solo luce, tanta, troppa.  
Li aveva richiusi subito, quel bagliore faceva male, dopo tutta quell’oscurità era doloroso.
 
C’era uno squarcio nel buio e lì era comparsa quella mano che lo aveva afferrato e tirato verso di sé. Si era ritrovato immerso in un calore rassicurante, trascinato fino a schiantarsi contro un petto forte, stretto tra braccia che sapevano di casa.
 
“Quante volte devo venire dentro la tua testa da idiota prima che tu decida che sia sufficiente?”
 
Nonostante il tono burbero la stretta intorno alle sue spalle non diminuiva.
 
“Arthur”


Lo sentì appoggiargli la testa sulla spalla e annuire leggermente.
 
“Arthur”
 
Non riusciva a muoversi. Artù era lì. Ancora. Perché?
 
“NO NO NO lasciami!”
 
Merlin si divincolava come un ossesso, non doveva essere lì, non doveva vederlo, non doveva salvarlo. Con una spinta si staccò da lui e senza guardarlo si voltò dandogli le spalle
 
C’era troppa luce, troppo calore, troppe emozioni, doveva andarsene! Dov’era finito il suo rifugio nel buio? Dov’era finita la sua via di scampo?
 
Sentì Arthur scattare verso di lui e non fu abbastanza veloce da allontanarsi.
 
Si coprì il volto con le mani mentre Artù lo girava verso di sé, cercò di divincolarsi ancora ma senza successo.
 
“Non guardarmi!”
 
“Perché?”
 
“Non guardarmi, lasciami!”
 
“Merlin…perché? Cosa pensi che potrei vedere?”

“ Me ”
 
Arthur smise per un secondo di respirare, quella risposta fu come un pugno in pieno petto. Come poteva Merlin essere arrivato al punto di pensare certe cose? Quanto male gli avevano fatto?
 
La sua rabbia era pari solo al suo dolore.
 
Gentilmente le sue mani salirono ad incorniciargli il volto.
 
“Guardami”
 
Merlin scosse la testa, negandosi.
 
Arthur rimase nella stessa posizione, non lo avrebbe forzato, doveva essere lui a fare il primo passo, a volerlo, a lasciarlo entrare.
 
“Sono qui Merlin, ti vedo e niente mi impedirà mai di volerlo farlo”
 
Vide Merlin irrigidirsi talmente tanto che le dita che lo nascondevano gli si conficcarono nella pelle del viso. Dovette farsi violenza per non prendere quelle mani tra le sue.
 
“Qualsiasi cosa sia successa, siamo ancora qui, insieme. Tu sei qui. Io sono qui. E non ce la faccio più senza di te. Ti prego Merlin, torna da me. E perdonami. Perdonami per non essere venuto prima, perdonami per non aver capito, perdonami per averti lasciato solo, ora e in tutti questi anni. Perdonami e torna da me, ti prego!”
 
Merlin tremava, la sua testa continuava a negare, le sue dita premevano sempre più forte sul volto. Aveva sentito Arthur lasciare la presa dal suo viso e abbracciarlo talmente stretto che quasi gli mancava il fiato. E lo aveva sentito piangere. Piangeva, si scusava e gli chiedeva di tornare da lui.
 
Ma come poteva? Come poteva essere lui a scusarsi? Come poteva meritarsi tanto amore? Come poteva far tornare da lui la persona che era diventato?  
 
“Vattene Arthur, non c’è nulla da salvare, non sai cosa sono diventato”
 
Cosa sei disposto a fare per salvare chi ami?
Quanto ti puoi spingere per riparare qualcosa di rotto?
Fino a che la cura non diventi peggiore del male.
 
Arthur prese una decisione e gli sussurrò una domanda all’orecchio.
 
“Vuoi che ti uccida Merlin?”
 
Merlin smise di tremare di colpo e si irrigidì. Arthur avrebbe giurato che i suoi occhi fossero sgranati anche se non poteva vederli.
 
La risposta avvenne in un sussurro identico.
 
“Sì”
 
Arthur si staccò da lui e Merlin sentì subito la mancanza di quel calore.
 
Davvero l’avrebbe ucciso?
Davvero avrebbe posto fine al suo dolore?
Davvero?
 
Sentì il suono metallico di Excalibur che veniva estratta dal fodero.
 
Era davvero la sua fine? Avrebbe dovuto avere paura, ma non era questo che provava, c’era sollievo, rammarico, dolore, ma non paura.
 
“Merlin tu sei parte di me, l’ho sempre pensato e lo penso anche ora”
 
Merlin si trovò a pensare a quanto strano fosse il tono che Arthur stesse usando.
 
“Quindi se quello che vuoi è che ti uccida, conosco un solo modo per farlo”
 
Sembrava quasi che stesse…no non poteva essere…
 
“L’unico che possa funzionare…”
 
No!..no!...NO! Quello sembrava…
 
“…è quello…”
 
…un addio…
 
“…di uccidere me!”
 
Mentre la lama di Excalibur stava per colpire il collo di Artù, Merlin aveva lanciato un incantesimo per disarmarlo e gli si era lanciato addosso aggrappandosi alla sua maglia in una stretta disperata. Il pianto che ne seguì fu improvviso, violento, devastante.
Le braccia di Arthur si chiusero intorno a lui come una corazza, una difesa contro il male che lo stava divorando, contro il male che sentiva essere ancora in lui.
Quando le sue ginocchia cedettero sotto il peso di quella violenta ondata di emozioni, Arthur si inginocchiò con lui senza mai lasciarlo ed attese con pazienza che Merlin si sfogasse, che buttasse fuori tutto, che lasciasse andare quello che lo stava corrodendo.
Tra le lacrime lo sentì parlare.
 
“Non sai cosa sono diventato…”
 
Arthur lo strinse più forte.
 
“Non sai quello che ho fatto, non sai quello che ho pensato, non sai quello che ho desiderato…”
 
“No, non lo so. Ma so quello che ho pensato io quando ho scoperto la tua magia, la nostra magia. So quello che ho provato quando mi sono trovato davanti una copia di te che mi ha mentito, ferito e illuso. So cosa ho sentito quando ho visto alcuni tuoi ricordi, so cosa ha divorato il mio cuore e la mia anima. Ho avuto paura Merlin, alcuni pensieri mi hanno terrorizzato, di altri mi vergogno. Quindi no, non so cosa hai fatto, cosa hai pensato e cosa hai desiderato e non ti chiederò di parlarmene perché io stesso non so se ne sarei in grado. Ma sai qual è l’unica cosa che so? Che nonostante tutto siamo ancora insieme. Siamo stati feriti, distrutti quasi, ma io sono qui e non vorrei essere altrove. Ho fatto tutto quello che era in mio potere per arrivare da te e anche tu sei qui e mi hai salvato.”
 
Merlin non riusciva muovere un muscolo, la sua mente era invasa dalla confusione, la voglia di allontanarsi da lui, di perdersi nel buio che era stata la sua salvezza per così tanto si mischiava con il desiderio di lasciarsi salvare da Arthur, fargli cancellare il dolore e il vuoto che sentiva dentro.
 
Arthur si staccò leggermente da lui e gli circondò di nuovo il volto con le mani spingendolo delicatamente ad alzare il volto.
Gli occhi che si trovò davanti erano inondati di lacrime, ancora spenti, ancora lontani.
 
“Ti prego Merlin, torna da me”
 
Con delicatezza posò le labbra su quelle del ragazzo di fronte a lui, cercando di trasmettergli l’amore che provava, il desiderio di riaverlo con sé, di riempire quel vuoto che poteva quasi toccare.
 
Merlin a quel tocco sentì come se si fosse riversato in lui un fiume di emozioni, sentì le ombre che avevano riempito la sua mente allontanarsi, sentì il gelo lasciare la sua anima, sentì il suo cuore battere furiosamente, la sua magia scorrere nelle vene come impazzita.
 
Arthur era lì, nonostante tutto era lì, nonostante lui era lì.
 
Le sue braccia si mossero senza che le controllasse e si aggrapparono al collo di Arthur, stringendosi a lui ed iniziò a ricambiare il bacio.
Artù sgranò gli occhi, incredulo, lacrime iniziarono a scorrere anche sul suo viso mentre lo stringeva più forte, sorridendo nel bacio.
 
Una luce immensa li avvolse, calore, pace, amore.
 
Quando Merlin riaprì gli occhi si trovò sdraiato a fissare il familiare baldacchino del letto della stanza reale.
 
Come ci era arrivato lì? Cos’era successo?
 
Sentì un movimento accanto a sé e quando si volto trovò il sorriso di Arthur ad accoglierlo.
 
“Bentornato a casa Merlin”

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Capitolo 7
*** Somewhere I belong ***


“Bentornato a casa Merlin”
 
 
Erano le parole che gli aveva detto Arthur quando aveva aperto gli occhi, ricordava il tono emozionato, il sorriso felice e la mano grande e calda che stringeva la sua. Si era addormentato vinto dalla stanchezza, al suo risveglio non sapeva quanto tempo fosse passato, era ancora nel letto del Re, ma solo.
 
Era davvero Arthur quello che aveva visto prima accanto a sé oppure era l’ennesimo inganno?
 
Stavolta gli sembrava diverso, ma dopo tutto quello che aveva visto, non aveva la forza di sperare che fosse vero.
 
Arthur era già venuto a salvarlo, tante volte. E nonostante questo alla fine rimaneva sempre solo, con il cuore un po' più piccolo, con l’anima più ferita.
 
Arthur era morto, tante volte. Facendogli da scudo, sacrificandosi o vittima del nemico e il suo cuore era morto con lui, ogni volta, sempre più a fondo.
 
Arthur l’aveva ucciso, tante volte. Con le sue stesse mani oppure decretando la sua condanna a morte.
 
Arthur era stato ucciso da lui, tante volte. Tramite la magia che reagiva in maniera autonoma quando quello che gli accadeva era troppo da sopportare, per proteggerlo dal dolore, difenderlo, vendicarlo.
 
La sua mente si era rifugiata ogni volta in un buio più profondo, per non vedere, per non provare ancora quella sofferenza, allora perché si trovava in quel letto? Perché era lì da solo? Perché gli sembrava di non avere forza? Sentiva la magia scorrere in lui ma il suo corpo sembrava pesante da muovere.
 
I pensieri nella sua testa correvano veloci, si sovrapponevano, si mischiavano. L’idea che quella fosse la realtà faceva più paura di tutte le illusioni che aveva vissuto perché avrebbe voluto dire che Arthur aveva scoperto il suo segreto nel modo peggiore in cui potesse farlo Sentiva di meritare tutto il dolore che aveva provato perché la verità era che l’aveva tradito, ma nonostante questo lui era venuto a salvarlo, era arrivato nel momento in cui stava cercando di  annientarsi e le sensazioni che aveva provato erano state così profonde da scuoterlo; ricordava la gioia di sentirlo vicino, il terrore di perderlo, la magia che li legava, l’amore.
Cosa ne sarebbe stato di loro da quel momento in avanti? Avrebbe dovuto spiegargli perché aveva mentito, fargli capire che non era stata mancanza di fiducia ma volontà di proteggerlo. Aveva il terrore che il loro rapporto sarebbe cambiato, che non l’avrebbe più guardato allo stesso modo, che si sarebbero allontanati e nel migliore dei casi il suo destino sarebbe stato quello di osservarlo da lontano, ma sapeva che non avrebbe potuto sopportare la sua assenza, non dopo anni in cui il loro legame era stata la sola cosa che lo aveva reso vivo.
Avrebbero dovuto parlare, lo sapeva, negli anni non aveva mai avuto paura di confrontarsi con Artù, gli aveva sempre detto quello che pensava in maniera sincera senza nessun timore, ma questo era diverso, non sarebbe stato in grado di affrontare con lui un discorso che toccava così profondamente le corde della sua anima quando non era in grado di farlo neanche con sè stesso. Malgrado tutte le scuse dietro cui poteva nascondersi, Merlin sapeva che aveva sbagliato a mentirgli e a non fidarsi, sapeva che il tradire la fiducia di Arthur era l’unica cosa che non gli sarebbe mai stata perdonata e si vergognava di non avergli mai dato la possibilità di scegliere e ora si sentiva profondamente sbagliato di fronte alla realtà.
 
Stava provando a mettersi seduto quando le porte della camera si aprirono. Vide Arthur entrare nella stanza e chiudere la porta cercando di fare meno rumore possibile e bloccarsi nel momento in cui si rese conto accorse che era sveglio. I loro occhi si incatenarono gli uni agli altri, nessuno dei due distolse lo sguardo cercando di leggervi quello che stava provando l’altro.
 
Merlin si irrigidì non appena il Re fece un passo nella sua direzione. Era davvero lui? Perché si avvicinava? Voleva ucciderlo? Lo avrebbe fatto la sua magia?
 
Arthur lo vide immobilizzarsi e sgranare gli occhi, sembrava terrorizzato. Gli fece male l’idea che avesse paura al punto da provare a tirarsi indietro e gli si strinse il cuore a vedere che non ci riusciva; si avvicinò lentamente cercando di sembrare calmo, sorridendo con quanta più tranquillità potesse.
 
Merlin sentiva il panico diffondersi nelle vene, Arthur era sempre più vicino, i suoi occhi crollarono sulle lenzuola, incapaci di guardarlo. Lo aveva sentito sedersi sul bordo del letto e la sua mano si era appoggiarsi piano sulla sua. A quel semplice tocco un brivido gli corse lungo il braccio, ma la paura non gli permise di fare nessun movimento, non riusciva a credere che quello che stava accadendo fosse reale e si aspettava di vedere l’ennesimo incubo prendere forma davanti a lui.
 
Strinse gli occhi in attesa di quello che sarebbe accaduto, di un dolore che era diventato la sua costante.
 
Invece sentì solo la sua mano venire stretta e il suo nome venire appena sussurrato.
 
Provò a sollevare la testa e vide un sorriso sul volto di Arthur.
 
Quel sorriso stonava così tanto con la confusione che aveva in mente che aggrottò la fronte mentre gli ripassavano davanti agli occhi tutti i momenti che aveva vissuto, il cuore iniziò a battere impazzino, il dolore che provava era quasi palpabile.
Arthur era lì con quello sguardo disponibile, pronto ad ascoltare, a capire, ad aiutare, ma lui non sapeva come affrontarlo e distolse di nuovo il proprio, facendolo vagare per la stanza non sapendo neanche lui cosa guardare, qualsiasi cosa o niente era meglio che affrontare i suoi occhi.
 
Avrebbe dovuto parlare, avrebbe dovuto spiegare. La sola idea ebbe il potere di paralizzarlo, nessun pensiero oltre la paura correva nella sua mente.
 
Arthur vide passare sul volto di Merlin tutte le emozioni che il mago stava provando, la confusione, la sorpresa, la paura. Non smise di stringergli la mano, non smise di sorridere, non smise di mostrarsi tranquillo anche se dentro aveva un vulcano di emozioni. Sapeva che quello era un momento delicato, sapeva che sarebbe bastato niente per distruggere Merlin per sempre, farlo chiudere e perderlo.
 
“Come ti senti?”
 
Merlin aveva provato a togliere la mano da quella di Arthur, ma lui non glielo aveva permesso, la sua stretta gentile ma salda non gli aveva permesso di allontanarsi da lui.
 
Cosa avrebbe dovuto rispondere?
 
Arthur sapeva che non sarebbe stato facile, la sua stretta si fece solo un po' più forte, per fargli capire che lui c’era e non l’avrebbe lasciato andare, aveva quasi paura di vederlo svanire all’improvviso.
 
“Come ti senti?”
 
Merlin deglutì a vuoto. Non era pronto. Non sapeva cosa dire.

“Guardami”
 
Merlin non rispose e non si mosse.
 
“Guardami, per favore”
 
No, non poteva guardarlo, non riusciva a farlo. Non poteva essere il vero Arthur. Non era possibile.
 
“Merlin…sai che sono piuttosto testardo e non mi muoverò da qui fino a quando non mi guarderai. Non puoi neanche scappartene via perché al momento sei debole come un gattino e per la stessa ragione non puoi neanche fare qualche strano incantesimo, quindi per favore guardami”
 
Merlin rimase senza fiato.
 
“So cosa stai pensando signor mago potentissimo e sono assolutamente in collera con te per tutto quello che mi hai tenuto nascosto, ma di gogna a vita, punizioni più che meritate e di tutto quello che dovrai fare per farti perdonare parleremo dopo. Ora vorrei solo che mi guardassi e mi dicessi come stai”
 
Merlin boccheggiò a bocca aperta per qualche istante, prima di alzare timidamente lo sguardo. Questo fece sollevare le labbra di Arthur in un lieve sorriso che mandò Merlin ancora più in confusione.
 
Come faceva ad essere così tranquillo? Perché non stava dando di matto? Perché? Lui era un mago, glielo aveva nascosto, lo aveva tradito, gli aveva fatto rischiare la vita ed invece che urlare e arrabbiarsi faceva dell’ironia? Non poteva essere la realtà. Era impossibile.
 
“Ti stavo per perdere”
 
Merlin si irrigidì al punto che strinse la sua mano a pungo, le unghie conficcate nella pelle.
Nonostante i suoi pensieri quella sembrava una reazione decisamente da Arthur, totalmente imprevedibile e generosa proprio come era lui.
Il vero Arthur sarebbe stato lì per aiutarlo e lo avrebbe fatto nonostante lui non volesse aiuto convinto fin nel profondo di non meritarlo.
Se invece quello che aveva davanti non era il vero Artù presto gli avrebbe rinfacciato i suoi errori, avrebbe visto la delusione nei suoi occhi, si sarebbe sentito inadeguato, ancora una volta non all’altezza delle sue aspettative.
 
Aveva disperatamente bisogno di aiuto o di morire, andava bene uguale, purché quella tortura finisse.
 
Stava impazzendo.
 
Non riusciva a respirare, gli mancava l’aria,
 
Aria.
 
Aveva bisogno di aria.
 
Non respirava.
Si portò una mano al petto, sentiva un peso opprimente, il cuore batteva impazzito.
 
Aria.
 
Aveva bisogno di aria.
 
Il respiro era sempre più affannato.
Aveva bisogno di aiuto.
 
Aria
 
Aveva bisogno di aria.
 
Tremava
Lacrime iniziarono a scorrere lungo il viso.
Si sentiva sopraffatto.
 
Aria
 
Aveva bisogno di aria.
 
Doveva stare calmo
Doveva stare calmo
Doveva stare calmo
 
Se lo ripeteva, ma l’aria continuava a mancare.
Sentiva il respiro sempre più veloce, più inutile.
Aveva bisogno di aria.
Si portò le mani al visto cercando un appiglio, un rifugio.
 
Aria
 
Aveva bisogno di aria.
 
Sentì le sue mani venire afferrate e tolte dal suo viso
Una fronte premuta contro la propria
Un respiro calmo contro il suo disperato
 
“Respira. È tutto a posto”
 
Lacrime
 
“Va tutto bene, sono qui”
 
Alzò la testa, occhi negli occhi, panico nella calma, tempesta nel sereno.
 
Arthur
 
 
L’aria ritorna nei polmoni
 
Arthur
 
Il cuore rallenta la sua corsa
 
Arthur
 
Mani che si aggrappano alle spalle del ragazzo chinato sopra di sé
Un respiro pieno, più lento
Un sussurro
 
“Sei…sei reale?”
 
Arthur sollevò la testa e sgranò gli occhi a quella domanda, li richiuse per qualche istante per impedire alle lacrime che sentiva bruciare di uscire, non era il momento per piangere.
Con delicatezza avvolse con le braccia il corpo di Merlin e si sdraiò con lui tenendolo stretto.
Posò le labbra sulla sua fronte e con la voce incrinata gli rispose di sì.
Le mani del mago si strinsero sulla sua casacca.
 
“Questo è…reale?”
 
“Sì Merlin, è reale”
 
Arthur lo sentiva tremare.
 
“Come faccio…come posso crederci ancora. Sei già venuto. Tante volte. E non era mai vero”
 
Arthur se lo strinse contro così forte come a volerlo inglobare in sé.
Come puoi dimostrare a qualcuno che quello che sta vivendo è la realtà?
 
“Staremo così fino a quando non ne sarai convinto”
 
Sentì Merlin stringersi a lui ancora di più e le sue braccia fecero lo stesso, non l’aveva mai visto così fragile, così lontano dalla persona che era sempre stata.
 
“Puoi sempre chiedere conferma al tuo amico Drago, ultimamente l’ho incontrato anche troppo spesso a proposito. Oppure potrei farti incontrare la tua fidata gogna, quella credo proprio che avrà il sapore della realtà!”
 
Nascosto tra le braccia di Arthur, Merlin sentì nascere un piccolo sorriso e se ne stupì. Quanto tempo era passato dall’ultima volta? Pensava di non ricordare neanche come si facesse.
Le altre volte in cui Arthur era venuto a salvarlo era stato diverso, non aveva mai sentito quel calore così confortante, non ricordava di aver sentito il battito del suo cuore, così forte, così vicino e mai Arthur aveva usato quel tono da asino reale, quello stesso tono che sapeva gli faceva saltare i nervi.
Che fosse vero?
E se invece non lo fosse?
Ogni volta ci aveva creduto ed ogni volta il dolore di vedere le sue speranze infrangersi era stato devastante.
 
“Non ce la faccio…non ancora…per favore…basta”
 
Arthur non riuscì ad impedire ad una lacrima di scappargli dagli occhi, il tono che Merlin aveva usato era talmente sfinito che gli si strinse il cuore.
 
“E’ tutto finito, non ti lascerò mai più solo, te lo giuro”
 
Queste parole provocarono un pianto violento in Merlin, che si strinse ad Arthur nascondendosi ancora di più sul suo petto. Non sapeva se fosse la realtà o una bugia, ora aveva solo bisogno delle braccia di Arthur intorno a sé, del suo calore, del suo profumo.
 
Arthur aspettò che il pianto di Merlin si calmasse, non smise mai di stringerlo.
 
“Faccio chiamare Gaius, non vedeva l’ora ti svegliassi. E faccio anche portare qualcosa da mangiare, sei diventato un mucchietto di ossa peggio di quello che sei sempre stato”
 
Merlin non rispose, si staccò lentamente da lui in modo che potesse alzarsi e andare a comunicare alla guardia di far venire il cerusico e il pasto, ma non staccò lo sguardo da lui neanche per un secondo. Arthur se ne rese conto, ma fece finta di nulla.
 
Gaius entrò in stanza senza nemmeno bussare e corse ad abbracciare Merlin, il sovrano lo vide piangere mentre lo stringeva e vide le mani di Merlin tremare mentre con timore si chiudevano sulle spalle del medico per poi iniziare a piangere a sua volta e poggiare la testa sulla sua spalla.
 
“Gaius?”
 
“Sì ragazzo mio sono qui”
 
“Sei davvero tu? E’…è vero questo?”
 
“Sì è tutto vero”
 
Arthur si chiese per quanto tempo Merlin avrebbe posto questa domanda e per quanto altro l’avrebbe solo pensato senza il coraggio di dirlo ad alta voce. Quando il loro abbraccio si sciolse Gaius lo aiutò a mangiare e poi lo fece stendere a letto per farlo riposare, Merlin per tutto il tempo aveva risposto a monosillabi, continuando a guardare sia lui che Gaius con timore, poi si era addormentato probabilmente sfinito da tutte quelle emozioni.
 
Uscirono dalla stanza per lasciarlo riposare.
 
“Si riprenderà Gaius?”
 
“Ci vorrà tempo Sire”
 
“Cosa posso fare?”
 
“Non possiamo fare niente, solo non forzatelo e stategli accanto, abbiate pazienza”
 
Gaius inchinò la testa in segno di saluto e si allontanò mentre Arthur si dirigeva alla sala del trono per una riunione del consiglio. Avrebbe voluto restare con Merlin ma non poteva esimersi dagli impegni ufficiali, sperava solo di tornare prima che si svegliasse; per precauzione aveva dato ordine alle guardie fuori dalla sua stanza di non far entrare nessuno a parte Gaius e di avvertirlo nel caso sentissero qualche rumore.
 
 
 
Merlin avvertì qualcosa di freddo stringere su di lui ed aprì gli occhi confuso. Era nelle segrete, incatenato per il collo e per i polsi da anelli in metallo, come ci era arrivato? Arthur era davanti a lui e gli stava puntando Excalibur al petto.
Il mago iniziò a tremare, non era possibile, non ancora, non di nuovo.

“Pensavi davvero che avrei fatto finta di niente stregone? Pensavi che avrei lasciato libero nel mio regno un mostro come te?”
 
“Arthur cosa…”

“Non osare pronunciare il mio nome!”

 
“Ti prego, io…”
 
“Mi hai tradito dal primo giorno, sei solo un inutile scherzo della natura, brucerai sul rogo e di te non rimarrà traccia, verrai dimenticato e la magia verrà cancellata da questa terra insieme a te”
 
“Non ti ho mai tradito, ti prego Arthur”
 
Il pugno che lo raggiunse fu violento ed improvviso, Merlin avrebbe mai saputo dire se faceva più male il colpo ricevuto o sapere chi lo aveva fatto. Vide Arthur dargli le spalle ed uscire dalla cella.

“Arthur! Arthur! Ti prego Arhur!
 
 
 
“Merlin! Merlin svegliati!”
 
Merlin aprì gli occhi di scatto per trovarsi di fronte Arthur che lo guardava spaventato mentre lo scuoteva per le spalle. D’istinto si staccò da lui cercando di indietreggiare, Arthur si trovò per l’ennesima volta a mostrargli i palmi delle mani per fargli capire che non gli avrebbe fatto nulla.

“Stavi avendo un incubo. Urlavi”
 
Merlin non disse nulla.

“Cosa stavi sognando”
 
Merlin scosse la testa
 
“Merlin hai incubi ogni volta che ti addormenti, non ti ho mai chiesto nulla ma sono passati giorni e non sta migliorando. Per favore, fidati di me”
 
“Non posso”
 
“Perché”
 
“Perché te ne andrai, succede sempre”
 
Arthur gli prese le mani tra le sue e non gli lasciò modo di toglierle.
 
“Non succederà”
 
“Ogni volta…”
 
“Ogni volta?”
 
“Ogni volta sono solo”
 
Arthur non sapeva più cosa fare, erano giorni che avevano sconfitto quel dannato stregone e ancora Merlin era prigioniero del suo dolore, ancora non si fidava, ancora aveva paura.
Era l’ombra di sé stesso, sembrava fragile come una foglia in autunno che aspetta di sfaldarsi nel vento. Ogni volta che chiudeva gli occhi faceva incubi ed ogni volta che si svegliava era sempre più confuso, più sofferente, più lontano.
Non sapeva come aiutarlo, come avvicinarsi a lui.
 
Come già era successo in passato la soluzione arrivò tramite un familiare formicolio.
 
“Magia mi senti?”
 
Merlin lo fissò sgranando gli occhi
 
“So che mi senti, ho bisogno che mi aiuti a convincere quest’idiota che è tutto vero, puoi farlo?”
 
“Cosa stai…”
 
“Taci Merlin, non sto parlando con te”
 
Si sentì percorrere da quella sensazione familiare che l’aveva guidato, confortato e aiutato quando era nell’anima di Merlin.
 
Arthur sorrise.

“La senti Merlin? Tu hai ancorato la tua magia a me, solo a me. Per questo la posso chiamare, per questo mi risponde, a questo devi credere, questa è l’unica cosa reale”
 
Merlin lo fissava con occhi enormi ed Arthur non resistette, tramite le loro mani ancora strette lo tirò a sé, ne liberò una mano e la porto sulla sua nuca e poggiò le labbra sulle sue, ma non si mosse, rimase in attesa, immobile.
 
Accadde tutto all’improvviso, la magia esplose nella stanza avvolgendoli nella stessa nube in cui si erano ritrovati quando erano stati in pericolo, avvolgendoli in quello spazio di pace solo per loro. Merlin sentì le sue palpebre abbassarsi e davanti ai suoi occhi passarono le immagini di quello che aveva vissuto nelle settimane precedenti, si rivide piegato dal dolore, distrutto nella resa. Il suo cuore perse un battito quando si rese conto che nelle immagini che vedeva la figura di Arthur perdeva consistenza mostrando lo stregone Catha che vi si nascondeva dietro. Capì che la magia gli stava mostrando la verità. Osservò il vero Arthur affrontare una copia di sé stesso, scoprire parti del suo passato attraverso ricordi che gli apparivano davanti, percepì il suo dolore e la sua disperazione. Lo vide entrare in contatto con la sua magia fino ad accettarla. Lo vide mentre lo salvava da sé stesso.
 
Con una spinta si staccò da Arthur e la nube si dissolse.
 
Arthur lo fissava sconvolto, con un’espressione che mai gli aveva visto in volto, una lacrima corse sulla sua guancia e Merlin senza neanche pensarci allungò una mano e la raccolse con il pollice, guardò il dito bagnato e abbassando lo sguardo se lo portò alle labbra baciando quella lacrima.
 
“Hai visto tutto vero?”
 
Arthur non rispose ma lo abbracciò stringendolo in maniera disperata, Merlin si appoggiò a lui come se fosse svuotato di ogni forza
 
“Quindi questo è reale”
 
“Sì Merlin, è reale”
 
Lo stregone rilasciò un lungo respiro e annuì sulla spalla del sovrano.
 
Si era trovato immerso in un oceano di dolore, di paura, di insicurezza e si era arreso, lasciandosi annegare in quel mare, Arthur ci si era tuffato dentro e lo aveva riportato a galla, salvandolo in tutti i modi in cui una persona può essere salvata, accettandolo per quello che era davvero, anche quei lati che lui stesso avrebbe sempre temuto.
Non era solo.
Era amato.
Decise di non dubitare, di credere, di fidarsi di Arthur, di sé stesso, di loro.
Per una cosa del genere valeva la pena rischiare e tornare a respirare.
 
“Grazie Arthur. Ora sono a casa”  
 
 
 
 
____________________________________________________ fine __________________________________________________
 
 
Grazie a tutte le persone che hanno letto questa storia, l’avete resa possibile con la vostra vicinanza e i vostri consigli.
Mi avete resa felice ad ogni commento, il merito di questa storia è solo vostro!
 

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