Lost in the middle

di Red_Coat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio I - "Un felice inizio" ***
Capitolo 2: *** Episodio II - La strada per il futuro ***
Capitolo 3: *** Episodio III - Benvenuta a Storybrooke ***
Capitolo 4: *** Episodio IV - Tale padre, tale figlia ***
Capitolo 5: *** Episodio V - Caccia al tesoro (prima parte) ***
Capitolo 6: *** Episodio VI - Caccia al tesoro (seconda parte) ***
Capitolo 7: *** Episodio VII - "Abbiamo un accordo?" ***
Capitolo 8: *** Episodio VIII -Eroi o Cattivi? ***
Capitolo 9: *** Episodio IX - Lucertolina ***
Capitolo 10: *** Episodio X – Chi ha paura del drago ***
Capitolo 11: *** Episodio XI – Il giusto posto ***
Capitolo 12: *** Episodio XII – La casa degli specchi ***
Capitolo 13: *** Episodio XIII – Il regno dell'Oscuro ***
Capitolo 14: *** Episodio XIV – Sotto la cenere ***
Capitolo 15: *** Episodio XV – La Strega del mare ***
Capitolo 16: *** Episodio XVI – Il volto dell'oscurità ***
Capitolo 17: *** Episodio XVII – Punti fissi ***



Capitolo 1
*** Episodio I - "Un felice inizio" ***


Mio caro papa,

So che ricevere questa lettera ti sembrerà assurdo, ma so anche che subito dopo inizierai a crederci e insieme, tu e la mamma, riuscirete a venirne a capo.
Stamani vi ho visti, finalmente. Eravate fermi davanti al tuo negozio di pegni; lei ti ha sorriso, e tu l’hai baciata, sussurrandole qualcosa.
È così che mi ricordo di voi. Certo, la mamma aveva qualche anno in più, ma tu … tu sei rimasto lo stesso. Come un punto fisso nel tempo. Il mio.
Caro, mio caro, caro papa! Neanche immagini quanto ho desiderato mostrarmi a voi, in quel momento. Uscire dal mio nascondiglio e correre a riabbracciarvi, risentire il vostro calore.
Ma non era il momento. Non lo è ancora …
Mi mancate terribilmente, e troverò ugualmente il modo di dimostrarvelo. Riuscirò a trovarlo, uno qualsiasi per aggiustare il tempo e far sì che mi renda finalmente tutto quello che mi ha tolto. Tutto quello che ci spetta.
Ero solo una bambina quando vi ho perso. Ma forse qualcosa da poter fare c’è, per tornare a quel giorno e fare in modo che vada diversamente. Sto imparando. Presto sarò pronta.
Nel frattempo, però … voglio che tu e la mamma sappiate che esisto, e che vi voglio tanto, tanto bene.

Vostra per sempre,
Emilie

PS. Saluta Bae da parte mia. Digli che sono contenta sia sopravvissuto. Spero stia bene ora.



Tremotino sollevò lo sguardo, puntando i suoi occhi neri dritti in quelli di suo figlio Bealfire, meglio conosciuto a Storybrooke col nome di Neal Cassidy.
Le mani tremanti strinsero il foglio di carta e la bocca si schiuse per dire qualcosa. Ci volle però ancora qualche istante per riaversi dalla sorpresa.

«Chi te l’ha data?» mormorò, la voce incrinata da un sentimento che non riuscì neppure lui a decifrare.

Il giovane uomo scosse la testa, sospirando.

«Era attaccata alla porta con del nastro adesivo.» replicò, poi domandò, impaziente e confuso «Cos’è questa storia, papa? Tu e Belle vi siete appena sposati e già avete una figlia che riesce a scrivere frasi di senso compiuto? Cos’altro non mi hai detto?»

Il Signore Oscuro scosse la testa.

«No, noi …» bofonchiò, poi si fece implorante «Io ho solo te, Bae.» ammise «Io e Belle non abbiamo nessuna figlia, devi credermi. Non ancora, almeno.»

Ma mentre lo diceva, i suoi occhi corsero veloci a scrutare la città tranquilla oltre il vetro della finestra.
Era davvero una splendida mattina d’inverno, quella. Una delle poche tranquille, tra un sortilegio e l’altro.
Per lui era la rinascita dopo esser stato rapito da Zelena e costretto a fare cose che non avrebbe mai osato, non dopo aver incontrato il suo vero amore.
Il ricordo era ancora fresco, ma grazie a Belle e Bae stava imparando ad andare avanti. Ne aveva passate tante, dopotutto, inclusi innumerevoli anni rinchiuso in una cella dentro ad una miniera. Una gabbia in più non poteva certo ucciderlo, anche se stavolta era stato davvero, davvero orribile. La privazione della libertà non era già di per sé un’esperienza piacevole, figurarsi l’essere inoltre usati a mo’ di giocattolino da una strega perfida e vendicativa. Fortunatamente per lui, la cosa si era risolta e avevano tutti potuto voltare pagina e dimenticare.
Baelfire dal canto suo, dopo aver salvato suo padre da morte certa ed essere stato salvato a sua volta, aveva trovato un suo equilibrio in quella città, con Emma ed Henry. Quel pomeriggio ad esempio avrebbe dovuto essere al parco con suo figlio, invece si ritrovava dentro quell’ennesimo colpo di scena, a fissare lo sguardo attonito di suo padre, che subito dopo si fiondò fuori dal negozio urlando al vento.

«So che ci sei! Fatti vedere!»

Lo seguì, stando a guardare. Ma nulla si mosse. La brezza del porto continuava a scuotere le fronde degli alberi e di quella misteriosa Emilie non vi era alcuna traccia.

«Mostrati! Adesso!» tornò a ringhiare Mr. Gold.

E solo allora Neal Cassidy capì che davvero anche lui cadeva dalle nuvole.

«Okkey.» mormorò, con un profondo sospiro «Basta così, papa! Ascolta, basta!» strattonandolo con vigore e costringendolo a guardarlo negli occhi, tenendolo per i lembi della sua costosa giacca nera.

Aveva lo stesso sguardo di quando lo aveva lasciato andare nel portale, solo che stavolta era anche peggio, perché nemmeno ricordava di averla, una figlia.
Condivideva lo sconcerto, ma a differenza di suo padre cercava comunque di non perdere la testa. Doveva esserci una spiegazione logica a tutto quel casino.
Tremotino vacillò, guardandolo la piazza come se non la riconoscesse nemmeno, mentre continuava a stringere la lettera tra le dita.

«Che succede?»

La voce di Belle li raggiunse alle spalle. Allertata dal baccano era uscita dal retrobottega e ora fissava preoccupata il marito, che senza distogliere gli occhi dai dintorni le porse la missiva.
Mentre il testo scorreva sotto i suoi occhi e la grafia chiara dipingeva la melanconia, anche lei sentì il cuore farsi sempre più pesante e lacrime affacciarsi agli occhi. Giunta alla fine si portò una mano davanti alla bocca, coprendo una smorfia di dolore.

«C-chi ve l’ha data?» domandò, con voce tremante.
«Nessuno, in realtà.» le spiegò Baelfire «Stavo uscendo e l’ho trovata attaccata alla porta.»

Fu allora che, tornando in sé, il Signore Oscuro riuscì nuovamente a parlare.

«Mi spiace, Belle…» mormorò, gli occhi lucidi, fissando il vuoto davanti a sé «Sembra che io abbia perso anche nostra figlia.»

Si voltò a guardarla, mentre Baelfire abbassò per un attimo gli occhi. Nonostante tutta l’acqua passata sotto i ponti, parlare di quegli anni faceva ancora male.
La donna sorrise, e non appena il suo sposo si voltò a guardarla si affrettò a stringerlo forte, accogliendolo tra le braccia e stampandogli un tenero bacio sulle labbra.

«Non devi scusarti, Tremotino.» mormorò «Nemmeno io sapevo di lei, ma forse non avremmo neanche dovuto.»

Padre e figlio la fissarono confusi.

«Ma non capite?» fece allora lei, staccandosi e tornando a guardare entrambi «Tutte le cose che sono successe, la sensazione che ci fosse qualcuno che vegliava su di noi, che ci aiutasse. Era lei!» spiegò, felice «Emilie. Nostra figlia … questa lettera è la conferma che aspettavamo.»
***
 

Tanto tempo fa …

Emilie era stata una bambina davvero, davvero fortunata.
Era nata ai confini del mondo magico, dove il sole non tramontava mai, in una splendida mattina di primavera.
Una bambina dolce, nata da due genitori speciali.
Suo padre era l'ultimo dei Signori Oscuri, ma dopo esser stato temuto per secoli e aver inseguito il potere per tutta la sua vita, aveva smesso di usare la magia quasi del tutto e mai per scopi malevoli, dedicandosi al servizio della sua famiglia e alla ricerca di un modo per liberarsene una volta per tutte.
Artefice di quel miracolo era stata sua madre, una principessa bellissima, che lo aveva amato sin dal primo istante, riuscendo a guardare oltre la bestia e i suoi modi rozzi.
La loro unione era perfetta, e i figli ne erano il coronamento. Primo era stato suo fratello, Gideon, che di quella principessa aveva preso il carattere studioso e da suo padre l'amore per la famiglia. Quando Emilie era nata, Gideon aveva appena compiuto diciotto anni, e come tutti l'aveva amata sin da subito.
Suo padre Tremotino l'aveva soprannominata "piccola principessa", aggiungendo a volte, per via del suo carattere avventuroso, l'aggettivo "pestifera".
E lo era davvero, la principessa di casa.
Da sua madre aveva preso la voglia d'imparare, ma da suo padre, il suo "papa", il fascino per la magia e l'abilità nell'impararla.
Già da neonata, l'unico modo per farla addormentare era mostrarle una fiamma nel palmo della mano, o lo scintillio di mille stelle.
Crescendo, nonostante i continui rimproveri di Belle, e le insicurezze di suo padre, era sempre lei a chiedergli di fare qualche magia per suo diletto.
A volte era qualcosa di piccolo, come un giocattolo nuovo apparso all'improvviso od ombre in movimento sulle pareti che narravano la storia de "La bella e la bestia", ch'era la sua fiaba preferita.
Ma pian piano che la sua mente cresceva, crescevano anche le sue domande.
Suo padre era ben felice di rispondere, accettò perfino d'insegnarle a trasformare la paglia in fili d'oro, ma non si spingeva mai oltre la semplice magia bianca, quella utile in situazioni di vita quotidiana.
Aveva compiuto da poco dodici anni, quando dopo tanti scrupoli fece la sua prima domanda importante.

«Papa. Ma se la tua magia fa cose così meravigliose, perché temi tanto che qualcun altro ti costringa a usarla?»

Lei non sapeva nulla. Non sapeva dei signori oscuri, del vero significato del pugnale, di tutti coloro che lo avevano posseduto prima di lui, e di tutto quello che si era ritrovato a dover sopportare quando era caduto nelle mani sbagliate.
Durante le loro conversazioni, Belle e Tremotino erano sempre stati attenti a non rivelarle troppo, per non alimentare quella sua curiosità e per evitare che alcune verità la sconvolgessero.
Ma tutto ciò che le avevano nascosto era venuto fuori dalle pagine dei libri che aveva letto, di notte, di nascosto da loro.
O meglio, da Belle, perché dopo un primo momento in cui aveva cercato di non assecondarla, Tremotino aveva deciso che il modo migliore per proteggerla era far sì che sapesse, e allora aveva fatto finta di non vedere la luce accesa la notte nella sua cameretta e i libri scomparsi.
Poi era arrivato il suo dodicesimo compleanno, e a quella domanda il Signore Oscuro aveva risposto facendosi serio, quasi rammaricato.

«Vedi, piccola.» le aveva spiegato «C'è un motivo per cui mi chiamano il Signore Oscuro. Ed è perché questi poteri, pur se usati per fare il bene, hanno come origine l'oscurità. Puoi fare cose meravigliose, è vero. Ma se usati male, e se nelle mani sbagliate, possono provocare tanto dolore.»

Poi aveva sorriso, dandole una carezza sulla guancia.

«Ormai hai imparato che la magia ha sempre un prezzo.» le disse «Quella oscura può costarti la vita. Io ... ci ho messo una vita per impararlo, a mie spese. Promettimi, principessa, di non avvicinarti mai ad essa. Va bene?»

La piccola si era fatta seria, ci aveva pensato un po’ su e infine aveva annuito solenne, abbracciandolo forte subito dopo. Lo aveva stupito.

«Ti amo tanto, papa.» aveva mormorato.

E Tremotino si era sciolto, abbracciandola e stampandole un bacio sulla nuca.

«Anch'io piccolina.» le aveva risposto.

Belle, osservandoli di nascosto da dietro l'uscio della cameretta, aveva sorriso a sua volta, intenerita.
Da quel giorno la piccola Emilie sembrò aver preso davvero sul serio quella promessa, perché non solo il suo amore per suo padre si era fatto più forte, evidentemente resasi conto del grande onere che l'uomo aveva portato e continuava a portare sulle spalle, ma per non turbarlo ulteriormente aveva anche smesso di chiedergli di praticare la magia, in qualunque sua forma.
Certo, era sempre felice quando, per un motivo o per un altro, lui la usava.
Ma non glielo chiedeva mai, rispettando i suoi sforzi di attenersi al bene.
Una cosa però non aveva smesso di chiedere, ovvero di ascoltare dalla sua voce la splendida storia di quell'uomo fragile trasformato in una bestia dall'oscurità, che si era innamorato di una bella principessa e da lei era stato liberato da quel fardello.
Anche perché col tempo, mano a mano che lei cresceva, io racconto si arricchiva di dettagli nuovi, pezzi del puzzle che le erano stati negati prima, quando non avrebbe potuto comprendere.
E poi suo padre era veramente bravo a raccontare, talmente da lasciarla ogni volta incantata.
Così seppe di avere un altro fratello oltre a Gideon, di nome Baelfire, che aveva dato la vita per riportare il suo amato papà indietro dal mondo dei morti.
Si era dispiaciuta molto di non averlo mai conosciuto. E quella era stata la prima volta in cui aveva accarezzato l'idea di riavvolgere il nastro del tempo.

«Non c'è un modo per tornare indietro?» aveva chiesto «Se potessi farlo, papa, potresti impedire che muoia.»

Tremotino aveva sorriso per la sua innocenza, e dandole una carezza.

«Non lo so, tesoro. Ma anche se fosse, cos'è che ti dico sempre?»

Emilie aveva sospirato.

«La magia ha sempre un prezzo.» era stata la laconica risposta.
«Ragazza intelligente.» la replica soddisfatta e intenerita di suo padre, che subito dopo le aveva fatto un occhiolino e le aveva, con una carezza, scostato una ciocca castana da davanti gli occhi «E per una vita, il prezzo è sempre un'altra vita. Non voglio che la tua anima si macchi di oscurità, principessa. Perciò promettimi di non pensarci più di tanto. Tutto quello che sai ... è il passato. Il mio presente siete tu, Gideon e la mamma.»

Lo promise, ma stavolta senza crederci più di tanto.
Nonostante l'amore per suo padre e la volontà di non deluderlo fossero forti, c'erano tante di quelle cose che avrebbe voluto cambiare, per farlo felice. Ora lo era, ma la perdita di Bae non portava che rassegnazione e tristezza sul suo volto, così come facevano tutte quelle cose che, se avesse potuto, avrebbe volentieri evitato. Magari sarebbe stato un uomo più sereno, ora. Con tutti e tre i suoi figli, senza un passato così difficile da portare, tutto solo.
Forse lo sarebbero stati tutti e tre.
E così continuò a pensarci, infrangendo il loro accordo.

 
\\\

Accadde il giorno del suo sedicesimo compleanno. Gideon era appena partito per il suo anno di Università e lei era rimasta sola con i suoi.
Era stata una splendida giornata quella, come tutte le altre. Aveva aiutato sua madre con le faccende domestiche, dal momento che l'avanzare dell'età l'aveva resa un po’ meno agile, e insieme a suo padre avevano preparato un pranzo gustoso per far sì che quelle fatiche sembrassero meno stancante.
Ma il tempo per stare insieme era scaduto. Se ne accorsero verso metà pomeriggio, quando colta da un malore improvviso Belle perse l'equilibrio e cadde dalla scala sui cui era abbarbicata.
Tremotino ed Emilie accorsero prontamente, ma ci misero davvero poco a capire che non era stato un mancamento passeggero.
Priva di forze, la donna restò persa tra le braccia del marito, che l'accomodò sul divano, offrendosi di alleviarla con la magia.

«Lascia che la usi, solo questa volta.»

Ovviamente, Belle rifiutò.
E mentre anche l'ultimo segreto veniva svelato, Emilie li guardò raccontarsi per l'ultima volta quella storia, la sua preferita, un magone le si strinse in gola, peggiorato dai singhiozzi disperati di suo padre.
Era giunto il momento di dirsi addio, alla fine.
Ma né lei né suo padre erano pronti a farlo. Anche se, forse, lei sarebbe stata un po’ più forte.
E questo pensò anche sua madre, perché poco prima di chiudere gli occhi per sempre le strinse le mani, affidandole quelle di un Tremotino distrutto dal dolore.

«Prenditi cura di papà al posto mio, me lo prometti?»

Come avrebbe potuto non farlo? Lei era la sua principessa, avrebbe dato la vita per far si che il cuore di Tremotino non conoscesse mai più la tristezza.
Eppure quel giorno non poté che restare ad abbracciarlo forte e unirsi a lui nel dolore, dopo aver seppellito l'unica donna che lo avesse mai amato davvero.
Il Signore Oscuro era abituato al dolore, a perdere ciò che amava. Ma la morte di Belle fu per lui come perdere una parte di sé, un pezzo fondamentale di ciò che era.
I primi giorni furono difficili. Rimase quasi del tutto in silenzio, tornando spesso sulla tomba della sua amata e regalandole rose che abbellissero la sua ultima dimora. Le parlava come se non se ne fosse mai andata, e sembrava quasi non percepire null'altro attorno a sé.
Emilie restò a guardare in disparte, piangendo da sola nel buio della sua stanza e cercando di dare all'uomo minor disturbo possibile. Riordinava casa, preparava il pranzo e studiava su quei libri di cui non capiva nulla, pur leggendo e rileggendo cento volte la stessa pagina, il pensiero costante alla promessa fatta a sua madre.
"Vorrei, madre. Ma come posso farlo? Ti sei dimenticata di dirmelo. Tu sola era la luce negli occhi di papà. Senza di te ... Tremotino ripiomberà nel buio, prima o poi."
E martoriata da quel pensiero, aveva finito per perdere perfino il sonno.
Nemmeno l'abbraccio e le parole incoraggianti di Gideon erano riusciti ad alleggerire il peso.

«Ci riuscirai, Emilie. Non demordere. Sai quanto papà tiene a te. Darebbe la sua vita. Noi siamo l'ultima cosa che gli è rimasta. E tu assomigli così tanto alla mamma!»

Dentro di lei, forse. Ma nell'aspetto e nei modi, più cresceva, più non faceva che rivedere suo padre. Quanto avrebbe voluto sapere come fare! Ma ogni istante che passava nel dolore senza che lei riuscisse a liberarlo era un passo in più verso il ritorno all'oscurità. Inesorabile, anche se lento.
Fino a che un giorno, dopo la partenza di Gideon alla fine del suo periodo di congedo, a tavola suo padre non le annunciò.

«Partirò alla ricerca del Custode.»

Non ne rimase stupita. Anzi, sperava quasi che glielo annunciasse, perché era l'unico modo in cui avrebbe potuto scuotersi di dosso quel torpore in cui era stato immerso.

«È l'unico modo in cui potrò liberarmi del pugnale e ricongiungermi a tua madre...» aggiunse con un sorriso, guardandola negli occhi.

Fu come vederlo ritornare da un lungo viaggio. Avrebbe voluto abbracciarlo, se non ci fosse stato di mezzo quel tavolo. Stringerlo forte, baciarlo sulla fronte e gridare entusiasta "Bentornato, papà. Ti stavo aspettando."
Certo. Non era lo stesso uomo che aveva accompagnato Belle fino alla fine dei suoi giorni.
Sembrava più stanco, e quel pezzo continuava a mancare. Ma almeno era lì, con lei, anche col pensiero.
Perciò, nell'attesa di un momento più propizio per esternare la sua gioia in maniera più completa, si limitò ad annuire ricambiando il sorriso.

«Verrò con te.» rispose.

Non era una domanda. Ma suo padre non fu ugualmente convinto.

«È un viaggio lungo e pericoloso.» fece, tentando di dissuaderla.
«Per questo verrò con te.» ribadì lei, annuendo decisa.

Tremotino sospirò.

«Emilie ...»
«Mamma ha detto che devo prendermi cura di te.» lo interruppe a quel punto «E io intendo mantenere la promessa. So che pensi di non aver bisogno di qualcuno che ti protegga, ma che succederebbe se qualcuno riuscisse a impossessarsi del pugnale? Riusciresti a farcela da solo, dopo?»

Era già successo, e non era stato affatto facile. Però allora lui era più giovane, e Belle era ancora con loro.
Lo sapevano bene entrambi, e quelle motivazioni furono già di per sé sufficienti a convincerlo. Ma non del tutto, perché anche per lei c'erano dei pericoli, rischi che il Signore Oscuro voleva evitarle.

«E tu?» le chiese infatti «Cosa saresti disposta a fare per difendermi?»

Non era un'accusa. La sua voce era dolce e sul suo viso c'era ancora quell'espressione paterna che aveva quando doveva far ragionare la sua piccola principessa cocciuta.
Ma lei non era più così tanto piccola.

«Tutto.» rispose, facendosi seria.

E lo vide farsi serio a sua volta. Lo aveva capito, che non era più una bambina. E per la prima volta parlò alla donna che era diventata.

«E se questo volesse dire cedere all'Oscurità, lo faresti?» chiese, poi senza aspettare una risposta aggiunse «Sei giovane, Emilie. Inesperta e fragile. Esattamente la preda che l'oscurità ama. Essa sa quali forme assumere per averti, e le assumerà.»
«Non cederò, papa. Te lo prometto.»
«Nemmeno se dovessi essere io a chiedertelo?»

Quella domanda così, senza preavviso, la spiazzò. Ma Tremotino aveva vissuto molto nella sua vita, e per guadagnarsi il suo lieto fine aveva dovuto combattere soprattutto contro sé stesso.
Perciò sapeva bene ciò che stava dicendo, e non fu sorpreso di vedere quell'espressione basita nei suoi occhi.

«Emilie ... ho già perso un figlio a causa dell'oscurità. Non voglio perdere anche voi.» disse, sicuro di averla convinta.

Ma lei non era Gideon.
Era testarda, proprio come sua madre.

«Non mi perderai, papa.» promise infatti, stringendo i pugni «Saprò resistere, non devi preoccuparti per me. E se tu dovessi chiedermi di cedere all'oscurità, saprò di aver fallito e me ne andrò.»

Ovviamente, entrambi sapevano bene che non lo avrebbe fatto.
Le sue parole lo dicevano, ma i suoi occhi urlavano: " Sei l'unica cosa che mi è rimasta. La mia famiglia. Per favore, non voglio perderti e restare da sola qui. Sola con la tomba della mamma, aspettando un miracolo che non accadrà."
Anche Tremotino lo pensava, e sapeva che nulla avrebbe potuto farle cambiare idea. Perciò, pur se controvoglia, decise di accettare il suo aiuto, come l'ultimo regalo di Belle, ma non solo.
Non glielo disse mai, ma la paura dell'oscurità non era l'unica cosa ad averlo frenato dal volerla con sé.
Aveva sempre visto il futuro di ogni persona incontrata. Anche se vago, frammentato e distorto.
Ma di sua figlia ... non era mai riuscito a vederne nemmeno un frammento, pur sforzandosi di volerlo.
Era come una pagina bianca, mai scritta. Come se quelle pagine appartenessero solo ai suoi passi, o come se qualcuno le avesse strappate e gettate via. E cercando di capire la sua mente era tornata indietro, a quando da piccola si era convinta di poter cambiare il corso del tempo. C'era qualcosa di fatale in quel ricordo. Qualcosa che lo fece rabbrividire.
Per questo aveva deciso che forse averla con sé era l'unico modo per proteggerla da qualcosa di così imprevedibile come un futuro non ancora scritto. Magari provando a farle cambiare idea nel momento in cui la voglia di riscrivere il passato si sarebbe riaffacciata.
Una speranza vana, lo sapeva. Ma era l'ultima cosa da fare prima di riunirsi a Belle. Dare pace a quella figlia che sembrava non essere in grado di trovarla senza di loro.
Lui poteva davvero comprenderla, in questo.
 

 
***
 

Storybrooke,
Anno 2015
Pochissimo tempo dopo la morte di Zelena.

«Quindi ... tu hai una sorella?»

Emma Swan fece quella domanda esprimendo coi suoi occhi tutto lo stupore che era ancora capace di provare, nonostante Storybrooke non fosse proprio una cittadina monotona.
Neal, seduto con lei sul divano del soggiorno del loro loft, ovvero la casa che un tempo era stata di Mary Margaret, annuì comprensivo.

«E nonostante tu non la conosca, lei ti ha salvato da Zelena e non solo.»

Ancora una volta, l'uomo annuì.

«Già ...» disse, senza sapere cosa aggiungere.

La Salvatrice annuì come se ci stesse ancora pensando, quindi bevve un sorso di vino dal bicchiere poggiato sul tavolino e schiocco le la lingua.

«Sicuro di non averla mai incontrata prima? Anche solo di sfuggita. Magari era una bimba perduta, o qualcosa di simile.»

Baelfire scosse le spalle e strofinò le mani sulle ginocchia, nervoso.

«È questo il punto. È molto più … complicato. Sia io, che mio padre ... e anche Belle ... È come se ci fosse sempre stata, ma non ce ne fossimo mai accorti. Non ricordiamo la sua faccia, o la sua voce ... ma sappiamo per certo che alcune cose sono merito suo.» rispose, rendendosi conto di sentirsi man mano sempre più confuso.
«Ma chi ti avvisò del piano di Zelena?» chiese Emma, cercando di dargli una mano a capire.
«Ricevemmo un messaggio lo stesso giorno che incontrammo Lumière.» le spiegò «E anche se decisi di ignorare l'avvertimento, quando arrivammo ... qualcun altro aveva preso il mio posto.»

Rabbrividì al solo ricordo.
La sua interlocutrice si fece sempre più attenta.

«Chi?» domandò, ora davvero rapita da tutta quella storia.

Scosse il capo.

«Un uomo sconosciuto. Probabilmente uno straccione, o un brigante. Non credo si fosse sacrificato volontariamente per mio padre.»

Emma bevve un altro sorso, versando in un calice vuoto un po’ di vino anche per lui, che lo accettò volentieri.

«E credi che sia stata tua sorella a farlo?» domandò, dopo avergli concesso qualche istante.
«Questa è l'unica spiegazione plausibile.» rispose lui «Non so chi sia questa Emilie, né se sia davvero mia sorella. Ma soltanto qualcuno interessato ad aiutare mio padre avrebbe fatto una cosa del genere, e a quanto pare ... lei gli vuole molto bene.»

Swan annuì. Il ragionamento filava. Effettivamente, chi altri avrebbe potuto desiderare di salvare dalla morte il Signore Oscuro e suo figlio, macchiando irrimediabilmente la propria anima, solo per il mero piacere di regalare loro una seconda chance? Per molto tempo erano stati in dubbio sul da farsi, reputando quelle azioni la manipolazione di qualcuno di ancor più pericoloso della Strega Perfida.
Ma quella lettera aveva cambiato tutto.

«E tuo padre che ne pensa?» domandò.

Di certo, pur se coinvolto emotivamente, Gold non era tipo da cadere in simili inganni.
Neal tornò a scuotere le spalle.

«Pensa che la lettera sia autentica, anche se non riesce ancora a capire se fidarsi o meno.»

Emma sorrise.

«Mr. Gold e i suoi irrimediabili problemi di fiducia.» sdrammatizzò, strappando un sorriso anche al suo uomo, per poi decidere «Ascolta, posso aiutarvi a trovare una soluzione. O magari lei, se è ancora a Storybrooke ... o se c'è mai stata.» sorrise «Lo sai, sono brava a trovare le persone.»

Baelfire la guardò negli occhi, pensandoci un istante su.

«Lo faresti ... senza che mio padre lo venga a sapere?» domandò, titubante.

La Salvatrice si sorprese.

«Perché?» chiese a sua volta «Ancora non si fida nemmeno di me? Non stenterei a crederci.»

Ma Cassidy scosse il capo.

«No, è che ... vorrei parlarle da solo. Possibilmente prima che lo faccia mio padre ... ho bisogno di chiederle alcune cose.»

A quel punto, Emma sorrise comprensiva.

«Ah, capisco ...» disse «Chiacchierata tra fratelli. Va bene, posso anche fare a meno dell'aiuto di Gold, purché non ve le diate di santa ragione, dopo esservi ritrovati.»

Le labbra di Baelfire si piegarono appena all’insù. Ultimamente sembrava che solo lei fosse in grado di farlo sorridere, eppure ne aveva passate parecchie e aveva ritrovato suo padre. Avrebbe dovuto essere contento. Per rendergli quel magone meno pesante, Emma gli prese le mani e lo guardò, piena di amore.

«Hey ... risolveremo anche questo mistero.» lo rassicurò, avvicinandosi e stampandogli piano un soffice bacio sulle labbra.

Neal glielo lasciò fare, chiudendo gli occhi e sorridendo appena.

«Si, lo so.» mormorò, trascinandola infine in un bacio più intenso, come quelli dei loro primi anni insieme, prima che il sortilegio li dividesse.

"È che ..." pensò, prima di spegnere la mente e pensare soltanto a lei stretta tra le sue braccia "Vorrei avere una famiglia più normale. Anche solo per un giorno. Non farebbe male un po’ di pace, una volta ogni tanto ..."

\\\

Quella sera, né Mr. Gold né sua moglie Belle riuscirono a chiudere occhio, anche se quest'ultima almeno ci provò.
Andò a dormire presto, cercando di trascinarsi dietro anche lui. Per farla contenta Tremotino acconsentì, ma non appena gli sembrò che stesse dormendo profondamente si alzò e scese nuovamente al piano di sotto, tornando a fissare quella lettera.
C'era qualcosa di strano in quelle parole. Qualcosa di ... familiare. Non poteva essere solo perché l'autrice diceva di essere sua figlia.
Sua ... e di Belle.
Ciò voleva dire ... che alla fine il "vissero felici e contenti" era arrivato.
Non per sempre, però.
Altrimenti quella missiva forse non sarebbe nemmeno giunta.
Invece era lì, a farlo ammattire.
Eppure c'era un modo per conoscere la verità, e stava per alzarsi e tornare al suo negozio quando la voce di sua moglie lo richiamò.

«Tremotino ...»

Tremò. Come sempre. E voltandosi si sforzò di sorriderle.

«Belle.» mormorò, accogliendola in un abbraccio.

La donna gli si sedette sulle gambe e gli avvolse le spalle con un braccio.

«Cosa ti preoccupa?» gli chiese dolcemente, prendendo in mano quella lettera.

Ma lui non riuscì a risponderle. Non trovò le parole per farlo.

«Io non ...» bofonchiò, scuotendo la testa «Non lo so.» si arrese.

Belle invece si era fatta una certa idea, ma pur volendolo confortare non gliela espose. Si limitò ad abbracciarlo forte e a stampargli un dolce bacio sulle labbra, che lui ricambiò con lo stesso amore, perdendocisi dentro.

«Andrà tutto bene, vedrai.» gli disse, riprendendo fiato.

Tremotino sorrise, e annuì.

«Lo spero.» mormorò, accarezzandole i morbidi capelli e inspirando il loro profumo «Davvero, davvero tanto.»

La Bella sorrise, accarezzandogli teneramente i capelli e appoggiandogli gentili baci sulla nuca. Quella dolce, dolce bestiolina ne aveva passate tante, e nonostante il suo cuore fosse ormai avvolto dall'oscurità, continuava ad essere fragile come un petalo di rosa.
Lei che non aveva mai avuto paura delle spine, gli sarebbe stata accanto come aveva sempre fatto, nonostante tutto e tutti.
Soprattutto ora che quelle confuse circostante li avevano uniti ancora di più.

\\\

Nella foresta appena fuori Storybrooke faceva freddo, quella notte, ma per fortuna Emilie sapeva abbastanza bene come costruire un rifugio adeguato.
Poté quindi contare sul discreto ma funzionale supporto di una piccola casetta su un albero di pino abbastanza grande da contenerla, e sul dolce tepore di un piccolo camino in pietra.
Di tutte le cose che aveva imparato da suo padre, quella era senz'altro la più meravigliosa.
Senza avrebbe di sicuro avuto molta difficoltà a sopravvivere, in tutti i viaggi affrontati.
Era molto diversa dalla sedicenne ch'era partita assieme a suo padre alla ricerca del Custode.
Quel viaggio l'aveva cambiata parecchio, quasi irrimediabilmente.
Spalle minute e leggermente curve, per via dei tanti anni passati sui libri, occhi d'un grigio quasi fumo, e lunghi capelli di un castano ramato crespi e sempre un po’ spettinati.
Al momento li teneva legati in una coda, ma di solito preferiva lasciarli liberi sulle spalle, pur rischiando di risultare sciatta. Detestava domarli, anche perché al momento non aveva molto tempo da dedicare loro.
Vestiva vecchi abiti di suo padre. Una delle sue camicie con quelle maniche arricciate e il collo pomposo, un pantalone di pelle e gli stivali a punta, neri.
In più, per proteggersi dal freddo autunnale, aveva messo su anche il vecchio cappotto rosso del genitore, con la pelliccia di volpe a riscaldare e proteggere i punti più vulnerabili.
Erano stracci ormai, anche se ancora in buono stato. La magia faceva miracoli anche nelle riparazioni sartoriali, ma non era questo il punto.
Indossarli era stato per molto tempo l'ultimo tentativo di averlo ancora vicino, anche se il suo odore su quei vestiti era scomparso da tempo.
Seduta sulla soglia, le gambe penzoloni nel vuoto, col naso all'insù osservava in silenzio il cielo stellato, mentre sul viso correvano le ultime lacrime.
Come aveva scritto nella lettera, rivedere i propri genitori dopo tanto tempo, ancora così giovani e ancora insieme, era stato davvero ... davvero difficile.
E il non aver neanche potuto avvicinarli era stato uno strazio che non era riuscita a sopportare a lungo.
Per molto tempo aveva combattuto per far sì che stessero bene. C'era riuscita. Ma ora ... non sapeva nemmeno se avrebbe potuto mostrarsi. Non aveva ancora trovato una risposta a quella domanda, e la terrorizzava non conoscere il prezzo delle sue azioni.
Si alzò, sospirando, e andò a scaldarsi vicino alle fiamme. Appeso sopra al camino, insieme ad una foto della sua famiglia d'origine al completo, c'era un flauto a canne, in bambù.
Lo prese, e appoggiandovi le labbra iniziò a suonare una melodia che solo lei riuscì a sentire.
Non era esattamente la stessa usata dal suo primo, diabolico proprietario, ma una più dolce, la stessa che aveva per tanto tempo accompagnato sua madre e suo padre.
La Bella e la Bestia.
E mentre suonava, le lacrime tornarono a sgorgare, annebbiando l'immagine di quella famigliola felice. Gideon e Belle, Tremotino e la piccola Emilie, che gli stringeva fiera la mano.
Smise all'improvviso, senza fiato.
E cadendo in ginocchio lasciò cadere lo strumento, prendendo il viso tra le mani.

«Scusami, papa. Scusami tanto.» mormorò, tra i singhiozzi «Non ho mantenuto la promessa, non potevo farlo. Dovevo almeno vederti un'ultima volta, per dirti addio.»

\\\

Un fischio acuto la risvegliò. Riaprì gli occhi di colpo, e subito si accorse dell'enorme errore commesso.
Si era addormentata sul pavimento, e ora era piena di dolori.
Il fuoco si era appena spento quindi non aveva rischiato una polmonite, ma comunque qualche brivido lo sentiva.
Quel rumore si fece sentire un'altra volta e, ormai completamente sveglia, si alzò infastidita e claudicante si affacciò all'uscio, sbraitando contrariata.

«Fai più piano, imbecille! Così mi farai scoprire!»

Il fante di Cuori sorrise appena, smargiasso.

«Chi vuoi che ci senta qui? Lo sai che nessuno osa avvicinarsi al confine.» le disse, scuotendo le spalle «Lo hai scelto apposta questo posto! È talmente fuori città che nemmeno gli stormi ci vengono.»

La giovane buttò fuori aria dal naso come un drago inferocito, alzando gli occhi al cielo. Di tutti i contatti che era riuscita a crearsi, quell'uomo era il più fastidioso. Ma per ora le era utile, perciò doveva sopportare.
Rientrò, rimise il cappotto nell'armadio e si legò alla cintola il fodero col pugnale.
Quindi si lanciò letteralmente fuori dalla porta, aggrappandosi ad una corda appositamente pensata per fornirle una via di fuga, o un'uscita alternativa a quella classica.
Atterrò perfettamente in piedi di fronte a lui, anche se i muscoli dolsero un poco costringendola ad un momento di stallo per riprendersi.

«Mi chiedo perché tu abbia creato anche le scale, se non avevi intenzione di usarle.» fece.
«Oggi hai proprio deciso di voler morire, eh?» replicò stizzita lei «Non c'è bisogno di fare tutte queste moine, basta chiedermelo. Come preferisci: strozzato, squartato, annegato? O magari ...» gli si avvicinò pericolosamente, appoggiando una mano sul suo petto e sogghignando «Posso strapparti il cuore e ridurlo in cenere, se ti sembra più adatto alla tua idea di morte.» ondeggiò le dita e piegò a mo’ di artigli, mimando con lentezza il gesto appena descritto.

Will trattenne il fiato per un istante e, anche quando lei di colpo si allontanò e ridacchiò, la pelle d'oca ci mise un po’ a svanire.
Forse per via di quella risata strana o di quegli occhi grigi, ma davvero non riusciva a non prenderla sul serio quando scherzava a quel modo.

«No, grazie.» rispose, guardandola incamminarsi verso la città «Preferisco vivere, il più a lungo possibile.»
«Allora non starmi tra i piedi.» concluse Emilie non appena fu abbastanza lontana.

Sottovoce, facendosi torva.

«Non provare nemmeno lontanamente a pensare d'intralciarmi o te ne farò pentire.
Ho speso la mia intera vita per questo, nessuno potrà portarmi via la mia ultima occasione.»
 

Emilie Gold




 
Note dell'autrice: Buonasera a tutti! Dunque, che dire. Questa è la mia prima volta in sezione, e come mio solito ho voluto cominciare con una storia che avesse un che di particolare.
Non so se avete notato, ma io AMO Tremotino e AMO la Rumbelle più di ogni altra cosa a questo mondo. Me ne sono innamorata alla prima visione (esattamente a gennaio di quest'anno) e da quel momento ho deciso che dopo aver visto tutti gli episodi avrei scritto qualcosa per loro.
Il finale della serie mi ha lasciato tanto voglia di piangere dentro, e quella voglia di scrivere che non mi aveva mai abbandonata si è fatto sempre più forte, però mi mancava una storia.
Fino a che un giorno ho pensato: Ma perchè la Rumbelle non ha mai avuto una figlia femmina? E come sarebbe stata altrimenti?
Ebbene, come prima cosa ho deciso di chiamarla Emilie, come la dolce interprete di Belle.
Infine, dato che Gideon era il cocco di mamma e visto che di solito le femmine sono sempre innamorate del papà ... perchè per lei dovrebbe essere diverso?
Come avete potuto capire, Emilie è molto più simile a Rumple sia di Bae che di Gideon. Ma non temete, non sarà la sua brutta copia. Ne vedremo delle belle, non vedo l'ora di farvi leggere il resto.

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Capitolo 2
*** Episodio II - La strada per il futuro ***


Passato

Durante la sua infanzia, tante volte Emilie aveva immaginato il resto del regno magico e delle creature che lo abitavano, ascoltando i racconti di suo padre e sua madre e leggendo e rileggendo i libri illustrati che ne parlavano.
E tante volte aveva sognato, ad occhi aperti ma non solo, di poter vivere simili avventure in quei luoghi assieme a sua madre, suo padre e suo fratello Gideon.
Proprio per questo quel viaggio fu un duplice sogno che si avverava, nonostante le circostanze fossero tristi.
Non aveva mai visto suo padre veramente all'opera, ed avere l'occasione di farlo era qualcosa che la elettrizzava.
Di giorno in giorno, camminando attraverso la foresta e destreggiandosi per sopravvivere, lei viveva finalmente le mille avventure che aveva sempre solo sognato, e Tremotino la vedeva crescere, assomigliando sempre di più alla donna che per sempre avrebbe amato.
Era felice. Veramente felice.
E lui era stupito e appagato nel vederla fiorire in un modo che non avrebbe mai immaginato. Cementato dal tempo e dalle loro affinità, il loro legame filiale si stringeva sempre di più.
Tuttavia, c'erano ombre che si stagliavano minacciose all'orizzonte, e la più grande ed inquietante di esse aveva zanne e squame da coccodrillo, e continuava ad avanzare rapida verso il suo cuore piegato dal dolore.
Belle, la sua via di fuga dall'oscurità, se n'era andata. Lo aveva sempre saputo, ed era solo questione di tempo prima che il mostro tornasse ad impossessarsi del suo cuore umano. Settimane ormai, forse giorni.
Non voleva che sua figlia lo vedesse. Per lei non sarebbe stato un problema, ma l'oscurità non avrebbe fatto che approfittare di questa debolezza, e prima o poi avrebbe finito per trascinarla con sé nel baratro.
Almeno, questo era ciò che temeva, il motivo per cui non avrebbe mai voluto che lo seguisse.
E mentre cercava un modo per salvarla, si ritrovò a pensare a Bae, alle sue ultime parole. Non voleva farlo ... non avrebbe mai voluto abbandonare sua figlia e commettere quel fatale errore un'altra volta.
Ma più ci pensava, più capiva che forse quello era l'unico modo. Perché da sola lei non avrebbe mai trovato la forza di lasciarlo andare, quindi sarebbe stato lui a doverla avere.
Se solo Belle non li avesse legati con quella promessa!
 
\\\
 
Una sera, seduti attorno ad un falò improvvisato, padre e figlia si ritrovarono vicini ad osservare il cielo nero sopra di loro. Le stelle erano brillanti e vivide come diamanti, la luna era un globo perfetto che spandeva la sua luce pallida sulle chiome alte dei pini, ma per quanti sforzi facessero, nessuno dei due riusciva a godersi quello spettacolo.
Il giorno appena trascorso era stato impegnativo, soprattutto per Tremotino.
Finalmente, dopo mesi di ricerche, era riuscito a trovare il Custode, ma non se l'era sentita di passargli il fardello che gravava sulle sue spalle.
Era una ragazza, Alice, sorridente e bella come sua figlia. Come se non bastasse, il fato le aveva fatte incontrare a sua insaputa, e la cosa peggiore era stata vedere come andassero d'accordo. Per la prima volta nella sua vita, aveva fatto la cosa giusta, ma non era stato facile, e adesso gli sembrava di essersi allontanato per sempre dalla sua unica fonte di salvezza.
Aveva detto che avrebbe trovato un modo alternativo, ma la verità era che non ne aveva altri e non sapeva dove cercare.
Nel frattempo, l'oscurità stava iniziando a riappropriarsi del suo corpo.
Sentiva il suo cuore farsi sempre più grave e i pensieri fare sempre più fatica a resistere al richiamo del pugnale. La punta delle sue dita era tornata a tramutarsi in un ammasso squamoso, e per ora bastavano i guanti a mascherarla, ma ben presto non avrebbe potuto fare più nulla per renderlo meno evidente.
Mentre lo osservava struggersi in silenzio, Emilie pensò alla promessa fatta, e a tutte quelle volte che lo aveva visto usare la magia e aveva tanto desiderato poter conoscere il vero Tremotino, l'uomo che aveva rubato il cuore di sua madre e per lei aveva fatto di tutto pur di redimere il proprio.
Così, dopo aver preso un profondo respiro e aver radunato le parole più dolci a sua disposizione, distolse lo sguardo dalle stelle e prese tra le sue le mani di suo padre, guardandolo negli occhi.
Sorpreso, il Signore Oscuro la scrutò sgranando i suoi.
Lentamente, la giovane iniziò a sfilare uno dei due guanti, ma l'altra mano di suo padre la bloccò.
Si fissarono in silenzio, Emilie lo vide scuotere il capo, e allora sorrise, rassicurante.
 
«Papa ... non c'è bisogno di nasconderlo.» lo tranquillizzò «Le ho viste, le tue mani. Stamane, mentre dormivi. So cosa sta accadendo.»
 
Le labbra del Signore Oscuro tremarono, e un sorriso triste le colorò. Gli occhi lucidi, si tolse i guanti e le prese le mani nelle sue.
 
«Allora sai che non puoi restare, Principessa.»
 
Quelle parole ... la sconvolsero.
Più di quanto avrebbe potuto fare una sentenza di morte. Anche più del vedere suo padre trasformarsi in ciò che considerava il suo vero io.
Avrebbe voluto protestare, aveva mille ragioni per farlo dal suo punto di vista. Eppure, quando aprì la bocca per parlare, specchiandosi negli occhi di quell'uomo spaesato e buono, l'unico suono che riuscì ad emettere fu una domanda quasi piagnucolata.
 
«Perché?»
 
Le mani di Tremotino strinsero forte le sue, lei quasi vi si aggrappò.
 
«Lo sai perché, Emilie.» le disse «Ne abbiamo già parlato. Potrei non riuscire a controllare l'oscurità. Potrei chiederti di fare cose che metterebbero te a rischio.»
«Ma io non ho paura, papa!» protestò nuovamente lei «Della tua oscurità, di tutto ciò che la mamma e tutti gli altri hanno conosciuto, di quello che potresti fare, dire o chiedermi. Io non ho paura, non ne avrò e non ne ho mai avuta! Potrò starti vicino, forse con la mia presenza e nel tuo cuore il ricordo della mamma potresti non perderti completamente.»
 
Gli occhi lucidi, la voce rotta. Lo scongiurò di non respingerla e l'unica cosa che Tremotino riuscì a provare fu tanta tenerezza per quella giovane anima che, pur avendola sempre avuta accanto, non aveva mai conosciuto la vera oscurità.
Scosse il capo, carezzandole piano il viso con la punta delle dita, e scostandole i morbidi capelli castani da davanti gli zigomi. Stava per risponderle, ma lei lo fermò, alzandosi in piedi.
 
«Io non ti lascerò mai.» decretò decisa, asciugando le prime lacrime con un gesto di stizza «Non ho intenzione di andarmene e abbandonarti al tuo destino, perciò se davvero vuoi che lo faccia dovrai essere tu il primo a voltarmi le spalle. Ma sappi che, da parte mia ... non smetterò mai di seguirti e amarti. Perché sei ... in qualsiasi forma, con qualsiasi aspetto, qualsiasi sia la parte con cui scegli di stare ... sei casa ... famiglia ... tutto quello che ho e dalla quale provengo. E questo mai nessuno potrà cambiarlo. Nemmeno l'Oscuro Signore o chi per lui.»
 
Le guance in fiamme, un sorriso sulle labbra. Dopo aver letteralmente sputato fuori tutto ciò che aveva da dire, tutto quello che colmava il suo cuore, Emilie si diede tempo per riprendere fiato.
E mentre lo faceva, sentì le mani di suo padre tremare e stringere di più le sue.
Tra le lacrime, il Signore Oscuro sorrise a sua volta, commosso, e senza dire una sola parola si alzò e la strinse forte, lasciando che anche lei lo facesse, quasi aggrappandosi alla sua giacca di pelle, sprofondando il viso nel suo petto, vicino al suo cuore.
 
«Ti voglio bene anch'io, Principessa.» mormorò, dopo un lungo momento di silenzio, accarezzandole dolcemente i capelli per placare i suoi singhiozzi nervosi «E non ti chiederò più di andartene. Promesso.»
 
La ragazza sorrise.
 
«No, sul serio.» bofonchiò, tentando di sdrammatizzare ma risultando solo più disperata «Non farlo più, papa. Mi si spezza il cuore ogni volta. Piuttosto vattene senza dirmi niente, ma non ti aspettare che io non ti segua.»
 
L'uomo sorrise, annuendo.
 
«Accordato.»
 
E finalmente, un sorriso si dipinse anche sul volto della giovane.
I patti di Tremotino erano imprescindibili, probabilmente lo avrebbe fatto davvero. Ma lei era sua figlia, lo avrebbe ritrovato anche in capo al mondo.
 
***
 
Anno 2015,
Storybrooke

 
La casa di Will Scarlett si trovava proprio in periferia, a pochi isolati da quella del Cappellaio.
Era una dimora modesta, nulla che non potesse andar bene per un tipo come lui, scapolo ed adattabile.
Era un piccolo appartamento, composto da bagno, cucina e soggiorno comunicanti e una camera da letto.
Non era un granché in quanto ad arredamento, ma Emilie in fondo non si sorprese. Di tutti i difetti posseduti da Will Scarlett, quello era il più ovvio.
Oltre al fatto che, come ogni casa appartenente ad uno scapolo, era il regno del caos.
 
«Dio, Will! Perfino la mia baracca è più ordinata.» disse, storcendo il naso mentre lanciava un'occhiata contrariata al soggiorno.
«Si, beh. Non sono esattamente un uomo di casa. Preferisco la vita là fuori.» replicò questi, rassettando sommariamente i cuscini sparpagliati qua e là su pavimento, tavolino e sofà «Ecco a lei, signorina!» annunciò soddisfatto, mostrandole il divano ora sgombro da impicci e invitandola a sedersi con un plateale gesto che la giovane trovò, con molto disappunto, una pessima imitazione di uno dei suoi -Non fare il buffone e vieni al punto!- risolse sbrigativa, facendo apparire una sedia proprio accanto a lei, in mezzo al corridoio, e accomodandocisi a gambe incrociate, in attesa.
Will sospirò. Che ragazza impossibile.
 
«Si.» disse, battendo le mani «Dunque, la situazione è questa. Se vuoi davvero integrarti qui a Storybrooke, devi smetterla di fare l'antipatica, a meno che tu non voglia essere annoverata tra i cattivi.»
 
Il che, come figlia di Tremotino, non sarebbe stata una sorpresa per nessuno. Ma lei non era lì esattamente per "integrarsi".
Sospirò spazientita.
 
«Tieni per te i tuoi noiosi discorsi da finto cittadino civilizzato.» lo rimbeccò «Lo sai perché sono qui. Ti ho solo chiesto di farmi il punto della situazione. Al resto ci penso io, se permetti.»
 
Will Scarlett alzò le mani.
 
«Ecco, appunto.» borbottò, beccandosi un'altra occhiataccia «Va bene.» soggiunse quindi, scuotendo le spalle «Cosa vuoi sapere?» domandò.
 
Emilie non perse tempo.
 
«Come sta mio fratello?»
 
Era arrivata solo da un paio di giorni lì, in quell'epoca. E dopo essersi fatta il mazzo per sventare il piano della Strega Perfida voleva assolutamente capire se ne fosse valsa la pena.
Per forza di cose, il Fante era stato messo al corrente della parentela che intercorreva tra lei, Mr. Gold e la sua famiglia, e anche dei suoi poteri, ma solo il necessario. Non voleva svelare tutte le sue carte, conosceva il tipo e sapeva che, prima o poi, questo sarebbe finito a suo svantaggio.
 
«Oh, qui si chiama Neal Cassidy.» la informò l'uomo.
 
Annuì, senza sottolineare che lo sapeva già.
 
«E sta bene. Vive con Emma Swan nella vecchia casa di Biancaneve e del Principe Azzurro. Loro sono Mary Margaret Blanchard e David Nolan, sono appena andati a vivere insieme in una villetta fuori città.»
 
La giovane annuì, facendosi attenta.
Un mezzo sorriso colorò le sue labbra.
 
«Quindi Emma e Bae stanno insieme?» chiese, soddisfatta.
 
Will ridacchiò.
 
«Dalla fine del combattimento con Zelina, si.» rispose «Sono una bella famigliola felice.»
«Ed Henry?»
 
Conosceva sommariamente la situazione dell'erede di Baelfire, durante i suoi viaggi avanti e indietro nel tempo lo aveva anche incrociato a volte.
Era un bravo bambino, ma viveva con Regina.
Benché questa fosse stata un'allieva promettente di suo padre, ciò che aveva fatto a lui e a sua madre aveva di molto aggravato l'opinione che aveva di lei.
Benché, grazie all'occhio di Cronos, avesse acquistato il potere di cambiare il passato, alcune cose aveva dovuto per forza di cose lasciarle invariate.
Avrebbe voluto liberare sua madre prima del tempo e far si che lei e Tremotino si riunissero, ma aveva desistito.
Era stato Cronos stesso, prima di essere ucciso, ad avvisarla del pericolo di modificare irrimediabilmente eventi cardine del tempo.
Il rischio era di cancellare per sempre la sua esistenza, e forse anche quella di Gideon.
Anche un evento all'apparenza insignificante avrebbe potuto rivelarsi decisivo, perciò doveva stare attenta. Quando c'era di mezzo la Regina Cattiva, poi, nessun piano poteva mai dirsi sicuro.
 
«Oh, lui sta con loro adesso. Regina ha acconsentito, visto che Henry voleva conoscere meglio suo padre. Però va a trovarla spesso.» le spiegò Will, riportandola al presente.
 
Sorrise, annuendo.
 
«Bene.» disse.
 
Poi si preparò alla domanda fatidica.
 
«E ... i miei genitori?»
 
Decidendo di tenerla un po’ sulle spine, Will Scarlett fece una faccia strana alzando le sopracciglia e arricciando le labbra.
 
«Oh, beh ...» disse, alzando gli occhi al cielo e prendendo tempo.
 
Funzionò. La signorina Gold s'irrigidì, assumendo un'aria preoccupata.
 
«'Oh, beh'. Cosa?» chiese ansiosa «Che altro c'è.»
 
Il Fante sprofondò le mani nelle tasche.
 
«Lo sai che tua madre e una gran figa e che tuo padre non la merita, si?» domandò.
 
Una provocazione che non gli giovò affatto, perché dopo un breve sospiro innervosito Emilie si alzò, lo raggiunse e gli afferrò il mento, stringendo così forte da ferirlo quasi, con le sue lunghe unghie smaltate di nero.
 
«E tu lo sai che se continui a provocarmi così finirai per morire sul serio molto male, si?» ringhiò.
 
Lui, pur tremando per lo spavento, decise di buttarla sul ridere.
 
«Ovvio che lo so.» bofonchiò «Per tutti i diavoli! Hai davvero un caratteraccio, Milly.»
 
La morsa attorno al suo viso si allentò di colpo, ma lo raggiunse uno sonoro ceffone.
 
«Ahio!» esclamò, proteggendosi la guancia arrossata con una mano.
 
Con un calcio la ragazza lo spinse contro il muro e gli puntò il suo pugnale alla gola. Era proprio il pugnale dell'Oscuro, appartenuto a suo padre, ma al momento su di esso non era inciso nessun nome.
 
«Ascoltami bene, Fante.» gli sussurrò in un orecchio «Questo pugnale non può più richiamare il Signore Oscuro ma può ancora fare molto, molto male. Non credere che io non abbia capito il tuo gioco. Prova anche solo lontanamente a pensare di metterti tra mamma e papà e giuro che il tuo sangue su questa lama sarà l'ultima cosa che vedrai. Sono stata chiara?» concluse serpentina.
 
Will annuì, appoggiando una mano su quella stretta a pugno della ragazza. La stessa che reggeva il pugnale.
 
«Okkey, d'accordo. Ho capito. Ma tu non scordati il nostro patto.»
 
Con stizza Emilie lo liberò, ma nel farlo gli lanciò un fendente che ferì il suo braccio.
 
«Ahi! E adesso questo perché?» protestò lui.
«Per avermi dato della cretina.» rispose lei «Conosco bene i patti che stringo, e come mio padre non ne ho mai infranto uno.» quindi si voltò e gli rivolse un altro, tetro sguardo «Quindi pensa a rimanere in vita e smettila di provocarmi. I morti non possono riscuotere.»
 
***
 
Passato,
Nuova Foresta Incantata.

 
Avevano continuato il loro viaggio insieme per diverso tempo da quella notte, fino a quando il Tremotino uomo era stato completamente sostituito, almeno nell'aspetto, dal coccodrillo, e Alice non aveva trovato il suo lieto fine con la giovane figlia di Zelena e Robin Hood.
Nel frattempo altre avventure si erano susseguite, e più queste le avevano permesso di conoscere il coccodrillo, più si era ritrovata ad ammirarlo e ad imitarlo.
La verità era che quella versione di suo padre era molto più simile a lei di quanto non avesse mai pensato, e anche se a volte entrambi pensavano a quando era ancora un semplice uomo, bastava una battuta e una sana risata a far tornare il buon umore.
Il coccodrillo era divertente, sagace, aveva stile e dalla sua parte quel pizzico di oscurità che serviva ad avere sempre un asso nella manica.
Inoltre, quel coccodrillo non era più tanto triste, soprattutto quando cercava di renderle le cose meno difficili, e non era poi così riluttante ad usare la magia, nonostante il suo prezzo.
Le insegnò tante cose, ma più importante di ogni altra fu ciò che le lasciò prima di andarsene, una mattina, poco prima che il sortilegio di Lady Tremaine fosse compiuto.
C'era un anello nuovo al suo dito. La fede nuziale di suo padre. E una pergamena contenente le sue ultime parole per lei: "Torna a casa, Principessa. Ora sai tutto ciò che c'è da sapere. Torna a casa, e lascia che trovi da solo la strada che mi riporterà da tua madre. Ti ameremo per sempre, e saremo sempre fieri di te, qualsiasi sarà la tua strada.
Solo, accordami un ultimo desiderio: Non restare ancorata al passato. Non lasciare che esso t'impedisca di vivere il tuo futuro.
Buon viaggio. Il tuo papa."
 

 
***
 
Presente,
Storybrooke.

 
<< Emilie. >>
 
La voce di Will Scarlett la raggiunse a risvegliarla dai suoi pensieri. Dopo il loro "piccolo litigio", lei aveva usato i suoi poteri per guarirlo e la conversazione aveva ripreso binari più pacifici.
Avevano appena finito di parlare della sua famiglia. Stavano tutti bene, per fortuna, e dal giorno della sua sconfitta Zelena non si era più vista. Non ancora almeno. Aveva imparato molto bene la storia, sapeva che prima o poi quella calma apparente sarebbe finita, perciò doveva prepararsi alla sua prossima mossa. Avendo modificato parte degli eventi del passato, non poteva sperare che la storia si ripetesse tale e quale a come l'aveva udita dai suoi genitori. Doveva rimanere concentrata.
Tuttavia ... quell'accenno a suo padre l'aveva fatta improvvisamente ripiombare nel suo passato, e un magone di tristezza le si era legato in gola.
Aveva preso a giocherellare con la fede nuziale che portava al dito, e se non fosse stato per l'involontario aiuto del fante, prima o poi qualche lacrima le sarebbe di sicuro sfuggita.
Fortunatamente però, riuscì a riscuotersi in tempo.
 
«Mh?» fece, guardandolo confusa.
 
L'uomo sospirò. Agli occhi degli altri, la loro poteva sembrare una relazione forzata dagli eventi, ma in realtà la loro era un'amicizia che aveva radici antiche. Si erano conosciuti nella foresta incantata, avevano militato insieme nella gang di Robin Hood, e insieme avevano trovato un modo per cambiare il passato. Poteva suonare assurdo, ma anche Will Scarlett aveva qualche rimpianto abbastanza pesante da rendergli quell'idea non così tanto ridicola.
Avevano combattuto insieme per renderlo possibile, legati da un patto che entrambi avevano stipulato con la piena intenzione di mantenere fede alla loro parola. Oltre a questo però, aver affrontato molte battaglie insieme li aveva irrimediabilmente avvicinati a tal punto da conoscere bene ognuno le preoccupazioni dell'altro.
Emilie non avrebbe definito la loro un'amicizia stretta, ma di sicuro nemmeno una banale conoscenza.
C'era qualcosa di lui che la induceva a mantenere costantemente un atteggiamento di distacco e difesa, ma Will nonostante il pessimo carattere della ragazza e la sua diffidenza ormai non riusciva ad essere indifferente a quei suoi momenti di turbamento.
Era una brava persona, dopotutto.
Non era più solo questione di raggiungere un obiettivo. Se lo avesse fatto lasciandola indietro o tradendola, sentiva che non sarebbe mai riuscito a godersi appieno la ricompensa.
In virtù di ciò, prese una sedia e la raggiunse sedendosi al suo fianco.
 
«Senti, lo so che non sono affari miei. Ma non pensi sia venuto il momento di prenderti ciò che desideri?» le disse «Hai lavorato sodo per questo, che altro devi fare ancora? Vai da tuo padre e presentati. Lo hai preparato abbastanza con quella lettera, no? Raccontagli tutto. Non credo che il Signore Oscuro ne rimarrebbe tanto sorpreso.»
 
Emilie sorrise, tornando sovrappensiero.
 
«No ... Non lo sarebbe.» mormorò nostalgica.
 
Poi tornò ad intristirsi, riprendendo ad accarezzare l'anello.
 
«Ma non è così facile, Will.» aggiunse «Non lo è affatto ...»
«Perché? Che altro c'è?» le domandò il fante.
 
Lei sospirò.
 
«È che ...» fece per parlare, ma lasciò morire il momento ripetendo la lezione più importante appresa da suo padre «La magia ha sempre un prezzo ... e io non so quale sia il mio, né se sono pronta a pagarlo.»
 
La voce le si spezzò improvvisamente.
 
«Dio, mi mancano da morire!» piagnucolò, prendendosi il viso tra le mani e lasciandosi andare ai singhiozzi.
 
Il Fante sospirò di nuovo.
Si diresse verso la cucina, trasse dal frigo una bottiglia mezza piena di vino rosso e ne versò parte del contenuto in un bicchiere, porgendoglielo.
 
«Per tutti i diavoli, Milly!» sbottò dispiaciuto «Hai sacrificato la tua intera vita per questo, hai rinunciato perfino all'amore. Quale altro prezzo devi pagare?»
 
La ragazza si alzò in piedi, prese il bicchiere e lo ingollò, tutto d'un fiato.
Suo padre ... il Tremotino del futuro ... le aveva chiesto di non lasciare che il passato le impedisse di vivere il proprio avvenire.
Questo era ciò che accadeva quando si rompeva un patto con Tremotino, pensò con un velo di nostalgica ironia, tentando di alleggerire quel peso che le gravava sul cuore, mentre fuori dalla finestra il cielo tornava ad annuvolarsi.
Era prevista pioggia, almeno per quel fine settimana. E lei aveva perso il suo ultimo ombrello.
Se solo avesse avuto abbastanza coraggio da affrontare le conseguenze delle sue azioni!
 
\\\
 
Lo scuolabus inchiodò proprio di fronte al cartellone, esattamente nel punto in cui Emma Swan stava attendendone l’arrivo.
Henry fu il primo ad uscirne, e la salutò con un radioso sorriso.
 
«Ciao mamma!» la salutò, felice di vederla, abbracciandola subito dopo «Come mai sei venuta tu e non … l’altra mia mamma?» domandò quindi, guardandosi intorno.
«Anch’io sono contenta di vederti.» gli rispose lei, fingendosi offesa ma abbracciandolo a sua volta e scoccandogli un occhiolino «Avevo bisogno di parlarti, così le ho chiesto di fare un cambio di turno.» spiegò quindi.
 
Incuriosito, il bambino la guardò sgranando gli occhi, e sprofondando le mani nelle tasche della sua giacca. Qualcosa gli diceva ch’era arrivato il momento per un’altra bella avventura di famiglia.
Del resto, quando si trattava della sua di famiglia, le sorprese non erano mai banali.
 
«Oh. Che c’è di nuovo?» chiese, impaziente.
«Beh, c’è un nuovo mistero in città e tuo padre mi ha chiesto un favore. Ti va di aiutarmi?» gli annunciò, guardandolo illuminarsi.
 
Conoscendolo, quella che gli aveva appena fatto poteva chiaramente essere definita una domanda retorica.
 
«Bello!» esclamò infatti «E le due cose sono collegate?»
 
La Salvatrice annuì.
 
«Può darsi. Allora, ti va una cioccolata?» propose.
«Altroché!» fu l’entusiastica risposta.
 
Qualunque fosse stata la missione, non vedeva l’ora di darle un nome.
 
\\\
 
Il locale era come al solito affollato, anche se l’ora di punta era passata da un po’.
Ruby li fece accomodare al solito tavolo e portò loro cioccolata e panna in abbondanza, poi tornò a litigare con sua nonna per la sua gonna troppo corta e a servire agli altri tavoli facendo orecchie da mercante ai suoi rimproveri.
Henry Mills bevve un sorso di cioccolata, poi incrociò le braccia sul tavolo, sporgendosi un po’ verso sua madre.
 
«Allora, qual è il problema?»
 
Emma sorrise, bevve dalla cannuccia rossa annuendo in segno di approvazione, e finalmente sputò il rospo.
 
«Beh, per farla breve potresti avere una zia.»
Ad Henry cadde quasi il cucchiaio di mano per la sorpresa.
 
«Hai un sorella? Il nonno e la nonna aspettano un bambino??» domandò, gli occhi nuovamente sgranati per la sorpresa.
 
La donna sorrise divertita.
 
«No, non proprio. Almeno spero …» disse, scuotendo il capo decisa e alzando gli occhi al cielo, dopo essersi soffermata per qualche istante sulla prospettiva di avere un fratellino «Tuo padre. È lui ad avere una sorella.»
 
Di nuovo, il volto di Henry Mills divenne la maschera dello stupore più puro.
 
«Mr. Gold ha una figlia?»
 
Swan bevve un altro sorso, poi annuì scuotendo le spalle.
 
«A quanto pare sì. E forse è la stessa persona che li ha salvati entrambi da Zelena.» spiegò.
«Wow … quindi deve essere figlia della sua prima moglie.»  fece Henry, tentando di ricucire i pezzi, ma si corrucciò quasi subito «Però … non c’era alcuna figlia di Tremotino nel libro.»
 
Emma scosse di nuovo il capo.
 
«In realtà, ieri qualcuno ha lasciato un messaggio a Mr. Gold, nel suo negozio.» proseguì «Si è firmata Emilie, e ha detto di essere figlia del suo matrimonio con Belle.»
 
Il bambino annuì, pensieroso e interessato.
 
«La cosa si fa sempre più interessante.»
«Ed ecco perché mi serve il tuo aiuto. Dobbiamo scoprire chi è questa Emilie e, nel caso sia ancora a Storybrooke, dirlo a tuo padre. Possibilmente prima di Gold.»
«Nulla di più facile per te, mamma.» scherzò a quel punto il giovane, scoccandole un occhiolino.
«Yep.» sorrise lei.
 
Finirono la cioccolata, quindi arrivò per quella missione il momento più importante.
 
«Allora ti piacerebbe ‘operazione camaleonte’?» propose Mills, pulendosi il muso con il tovagliolo dopo aver trangugiato l’ultimo sorso di cioccolata.
 
Emma Swan fece lo stesso, e annuì bevendo un sorso dal suo bicchiere d’acqua.
 
«Carino, come nome.» assentì «E che operazione camaleonte sia.»
 
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Uscendo dal ristorante, i due partner in crime si avviarono verso il maggiolino giallo della donna.
 
«Quindi, da dove iniziamo a indagare?» le chiese suo figlio, dopo essersi infilato in macchina.
 
Emma Swan attese di essersi messa al volante prima di rispondere.
 
«Innanzi tutto dobbiamo scoprire chi è. Se nemmeno Gold, l'ha mai vista, vuol dire che per qualche motivo non può incontrarli.»
«E tu sei brava a trovare questo genere di persone.»
 
La Salvatrice sorrise.
 
«Già. Dobbiamo interrogare tutti senza che si insospettiscano e scoprire se qualcuno ha mai notato qualcosa di strano.» spiegò «Se il suo interesse è quello di proteggere il Signor Gold e la sua famiglia, di sicuro non può aver agito da sola.»
«Quindi credi che abbia dei complici?» le domandò Henry, nel tentativo di seguire il suo ragionamento.
«Molto probabile, anche se non è detto. Ma anche se ha usato un'identità fittizia o ha tenuto nascoste alcune cose sul suo passato, prima o poi qualche fatto strano deve essere accaduto. Tipi del genere commettono sempre qualche errore, o lasciano sempre un ricordo nelle persone che incontrano.»
«Accidenti.» fece Henry contento «Stavolta mi sa che ci servirà anche una lavagnetta, come quella nell'ufficio dello sceriffo.»
 
Emma sorrise. Era felice per il suo entusiasmo, e lo condivideva. Era bello essere di nuovo in azione, solo loro due, come ai vecchi tempi. Mise in moto, e si avviò in direzione del porto.
 
«Dove stiamo andando?» le domandò Henry, intuendo i suoi propositi.
 
C'era una sola persona che abitava lì, e personalmente la trovava interessante, ma da quando lei e suo padre erano tornati insieme aveva un po’ paura a parlarne, perché sebbene si parlassero ancora tra di loro c'era sempre un'atmosfera gelida.
Ma stavolta non avrebbero potuto evitarlo.
 
«Ci sono poche persone che potrebbero avere da dirci qualcosa di significativo. Belle, che al momento non può parlare al telefono, e ... il nemico numero uno del coccodrillo, nonché l'unico ad aver conosciuto sua moglie.» spiegò, grave, tenendo gli occhi fissi sulla strada.
 
Pur condividendo la sua teoria, il giovane non poté non essere preoccupato.
 
«Credi voglia aiutarci?» chiese.
«Non deve volerlo per forza. Se questa ragazza è davvero in città, credo sia meglio per lui essere collaborativo. Soprattutto se ha ancora intenzione di farla pagare al Signor Gold.»
 
\\\
 
La Jolly Roger era saldamente ancorata al molo da quando la guerra con Zelina era finita. C'erano state parecchie divergenze tra Baelfire e Killian Jones nel frattempo, ma tutto era scivolato in secondo piano quando, impugnando il pugnale dell'Oscuro, la Strega Perfida aveva minacciato di usare il suo potere per ucciderli tutti, indistintamente. Uncino aveva tentato di salvare almeno Swan, ma così facendo l'aveva persa per sempre, perché da buon pirata aveva barattato la vita della donna per quella di Baelfire senza pensarci due volte.
Fortunatamente, chissà come e chissà perché, qualcuno aveva fatto in modo che la situazione si ribaltasse.
Una freccia intrisa di inchiostro di Kraken aveva raggiunto la mano di Zelena costringendola ad abbandonare il pugnale ed impedendole una qualsiasi altra reazione.
Grazie a questo, Tremotino era riuscito a riappropriarsene e insieme, la Salvatrice, Gold e gli eroi di Storybrooke avevano finalmente avuto la meglio su di lei.
L'evento aveva tuttavia sconvolto tutti, non poco, e nessuno aveva ancora dimenticato davvero l'entrata in scena di quella freccia provvidenziale.
Uncino in particolare, era ancora convinto che fosse stato tutto un piano del coccodrillo per ripristinare la propria immagine e fare in modo che Bae avesse ciò che voleva.
Questo era stato il motivo del loro ultimo litigio, l'ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
 
«Nemmeno io mi fido di Gold, ma come puoi pensare che si sia volontariamente lasciato schiavizzare da Zelena ben sapendo che lo avrebbe usato per uccidere tutti, inclusi Belle e Neal, solo per un suo tornaconto personale!?- erano state le parole di Emma Swan -Sei davvero così cieco!»
«No, sei tu che non lo conosci abbastanza!» l'aveva accusata lui, fuori di sé a causa della gelosia «Quella bestia sarebbe capace di qualsiasi cosa!»
 
In quel momento era sopraggiunto Baelfire, e la delusione sul suo volto era stata enorme.
Aveva creduto, fino all'ultimo, di poter recuperare il rapporto con quello che in fondo era stato suo salvatore e maestro di navigazione. Se non fosse stato per lui, la vita sull'isola che non c'è sarebbe stata ancora più dura.
Ma sentirlo ancora parlare a quel modo, dopo tutto quello che avevano passato ... gli ricordò che non vi era alcuna differenza tra lui e suo padre.
E anzi, se proprio avrebbe dovuto essere del tutto sincero, finalmente aveva capito che, rispetto a quel pirata, il Signore Oscuro aveva fatto notevoli passi in avanti.
Non si erano più parlati, da quella sera, e Killian Jones non era stato più visto in città se non in rare occasioni in cui non aveva fatto che lanciare occhiatacce torve ai commensali di Granny e sfoggiare tutto il macabro scintillio della sua anima nera.
Era in tutto e per tutto ciò che si diceva un brutto ceffo.
Ma la verità era che avrebbe davvero tanto voluto trovare un posto in quella città, se solo quella donna avesse avuto il buon senso di credergli.
Perciò fu sorpreso e sollevato quando, a un mese di distanza dal loro ultimo incontro, vide il maggiolino giallo giungere al portico e parcheggiarsi proprio di fronte alla sua nave.
C'era Henry con lei, ma scese da sola, e salita a bordo prese a chiamarlo.
 
«Uncino!»
 
Le mani sprofondate nelle tasche dei jeans e la chioma bionda sciolta lungo le spalle, coperte dalla sua inseparabile giacca rossa.
Non si fece attendere. Sfoggiando il suo miglior sorriso e nascondendo alla perfezione la sorpresa, uscì fuori dalla cabina di comando e la accolse con un ghigno soddisfatto.
 
«Swan! Allora è vero che il vento di tempesta ogni tanto porta anche buone notizie.»
 
Lei si mostrò indolente. Non aveva alcuna voglia di riprendere una discussione ormai conclusa.
 
«Dipende dalle notizie.» disse «Dobbiamo parlare, e non si tratta di noi.»
 
Questo lo sorprese, ma non in senso positivo.
 
«Ah, si? Beh, in questo caso dovrei ricordarti gli argomenti che non amo?»
 
Ancora una volta la Salvatrice alzò gli occhi al cielo.
 
«Non serve. Ho delle domande da farti sulla freccia che ha bloccato Zelena.»
«Ah.» fece lui, trasformando il ghigno in uno più malevolo «Sicura che tu non sia qui per parlare di noi? Perché hai sbagliato persona, sai bene di chi è stata l'idea?»
 
Stufa, la donna trasse fuori dalla tasca il proprio telefono e gli mostrò una foto della lettera ricevuta da Mr. Gold.
 
«Sai dirmi se i coccodrilli sanno anche scrivere lettere simili? Perché ho confrontato la calligrafia con quella di Mr. Gold e di Neal, e non è simile a nessuna delle due.» sentenziò.
 
Uncino si corrucciò, e avvicinatosi prese tra le mani il telefono e lesse quelle righe.
Emma Swan lo osservò attentamente, guardando tramutarsi la sua solita sfrontatezza in sorpresa pura, e anche sgomento.
Dentro di sé, Killian Jones fu improvvisamente catapultato indietro, al tempo in cui aveva cercato di uccidere Tremotino con il veleno del Rubus Noctis.
Era stato ingannato, ma se n'era accorto troppo tardi.
Senza sapere bene come mai, all'improvviso quella lettera spiegò un mucchio di cose.
 
«Allora?»
 
La voce di Emma lo riscosse, e quando tornò a guardarla per la prima volta la giovane donna lo vide quasi smarrirsi.
I suoi occhi neri si riempirono di panico mentre cercava di trovare una spiegazione plausibile al suo sconcerto, senza riuscirci.
 
«Quando hai scoperto che il veleno sul tuo uncino non era Rubus Noctis ma semplice arsenico, mi sei sembrato sorpreso. Non te lo aspettavi, vero? Tu conosci questa Emilie.» lo affrontò col suo solito piglio deciso lei.
 
Messo alle strette, non gli restò che giocarsi la sua ultima carta. Scosse le spalle e sfoggiò un atteggiamento strafottente.
 
«Perché avrei dovuto?»
«Forse perché Milah potrebbe averti parlato di una figlia femmina, oltre Baelfire. O magari era la vostra.»
 
La guerra era persa. Facendosi improvvisamente cupo e arrendendosi al nemico, Killian Jones le rivolse un lungo sguardo serio.
 
«Se fosse stata mia figlia, sta pure certa che sarebbe su questa nave ora, e non la fuori a nascondersi come una codarda, difendendone un altro.» rispose, rancoroso, per poi aggiungere lapidario «Milah e ... Tremotino ... non avevano altri figli oltre a Baelfire.»
«Come fai ad esserne sicuro?» lo incalzò, senza pietà.
«Lo sono, perché a differenza di Mr. Gold, né io né lei ci siamo mai detti bugie.»
 
Uno sguardo intenso e accusatorio la raggiunse, ma non le interessò minimamente.
Perché era così difficile parlare con quel pirata? Per fortuna il suo superpotere le permetteva di riconoscere sempre la verità.
 
«Comunque, la conosci?» domandò.
 
L'interrogatorio non era finito.
 
«No.» rispose lapidario lui.
«Davvero?» tornò ad incalzarlo, alzando le sopracciglia.
«Perché avrei dovuto?» sbottò a quel punto l'uomo.
«Forse perché a quanto pare è stata lei a mandare all'aria i tuoi piani di vendetta, e non solo.»
«E ne sei sorpresa?» sbuffò sarcastico il pirata «Dovresti saperlo che il tuo caro Signor Gold sa sempre come scappare dal pericolo.»
«Non è il mio ...» fece per chiarire lei, ma rinunciò, capendo che non ne sarebbe valsa la pena «Va bene, pensala come ti pare.» rispose, dopo un breve sospiro «Ma se hai qualcosa da dirmi in merito faresti meglio a parlare ora, perché a quanto pare questa ragazza è ancora in giro e se davvero vuoi continuare a trovare un modo per uccidere il tuo coccodrillo potresti avere non pochi problemi, dato che ha qualcuno che lo protegge, e che è abbastanza furbo da essere riuscito a rimanere nascosto fino ad oggi, nonostante Peter Pan, Zelena e due sortilegi. Sempre che tu non stia cercando di farti ammazzare, in quel caso fa come ti pare.»
 
All'improvviso, sul volto del pirata apparve un'espressione diversa, di stupore e ... speranza.
 
«Ti stai ... preoccupando per me?» chiese incredulo, accennando ad un sorriso.
 
Emma sospirò.
 
«Pensa quello che vuoi.» risolse, prima di voltargli le spalle -Il mio interrogatorio finisce qui, ora vado. Ho di meglio da fare che stare qui a vederti renderti ridicolo col tuo comportamento da bambino.-
 
La lasciò andare, ma non poté trattenersi dal sorridere.
Allora c'era, quella piccola possibilità. Però non sarebbe andata lontano se non avesse smesso di comportarsi come il pirata ch'era sempre stato.
 
\\\
 
Emma Swan risalì in macchina e sbatté la portiera, un po’ troppo violentemente anche per un tipo deciso come lei.
Sospirò spazientita, aggrappandosi al volante.
Henry attese qualche istante prima di porle la fatidica domanda, intuendo che quel dialogo l'avesse alquanto irritata.
 
«Tutto bene?»
 
La donna annuì ma lasciò ricadere pesantemente il capo all'indietro, sulla testiera del sedile.
Pensò che un bambino come Henry fosse cento volte meglio dell'uomo con cui aveva appena cercato di instaurare un dialogo, ma non disse nulla.
 
«E ... ti ha detto qualcosa di utile?» insistette suo figlio, curioso di sapere ma cercando in tutti i modi di non aggravare il suo fastidio.
 
Si riebbe, accendendo il motore del suo maggiolino.
 
«Nemmeno lui l'ha mai vista, ma a quanto pare è stata davvero lei a rimpiazzare il suo uncino intriso di Rubus Noctis con uno normale.» chiarì.
«Bella mossa quella!» commentò il bambino, entusiasta «Vorrei davvero conoscerla, quando la troveremo.»
 
Ritrovando il buon umore, Emma gli sorrise.
 
«Concordo.  Ma prima assicuriamoci che non segua le orme di suo padre, però.» disse, e stava per partire quando il suo telefono squillo.
 
Sullo schermo lesse il nome di Belle.
 
«Oh, perfetto.» commentò prima di rispondere «Finalmente qualcuno con cui discutere seriamente.»
 
\\\
 
«Belle!»
 
«Ciao Emma. Scusa se ti ho fatto aspettare. Possiamo parlare ora.»
 
«Nessun problema. Potresti dirmi ciò che pensi su questa storia?»
 
«In realtà, non credo di saperne molto. Tutto quello che ho è
una manciata di ricordi confusi.»
 
«Ricordi confusi?»
 
«Si. Non so spiegarti bene come sia possibile, ma so per certo che è mia figlia.
Nostra figlia. E penso ... di averla conosciuta, all'epoca della mia prigionia
nel castello di Regina.»
 
«Quindi sai chi è?»
 
«No, in realtà. Ricordo solo la sua voce, che aveva qualcosa di famigliare.
Venne a trovarmi, mi disse che non poteva liberarmi
ma che non dovevo arrendermi, che Tremotino mi avrebbe amata per sempre
e che prima o poi avremmo avuto modo di rivederci.»
 
«Oh ... wow. E … come mai era lì? Come faceva a sapere che eri imprigionata?
Forse era qualcuno che lavorava per Regina.»
 
«Forse. Non ne ho idea, mi spiace.»
 
«Nessun problema. Sei almeno riuscita a capire quanti anni avesse, all’epoca?»
 
«Non l’ho mai vista in viso, ma la sua voce sembrava giovane.»
 
«Quanto giovane? Come quella di una ragazza o di una donna?»
 
«Di una ragazza, sicuramente. Vent’anni, o forse qualcosa di più.
Ma potrei sbagliarmi, è difficile deciderlo solo ascoltando una voce.»
 
«Certamente.
Non ti viene in mente proprio nient'altro
che possa aiutarmi a rintracciarla?»
 
«No, mi spiace ... però forse potresti concentrarti sulla freccia che ha fermato Zelena.
Tremotino l'ha conservata, posso mandarti una foto sul cellulare.»
 
«In effetti questo sarebbe utile, si. Ti ringrazio.»
 
«Di nulla. Siamo ansiosi di trovarla quanto voi.»
 
«Già ... a proposito di questo ... che intenzioni ha tuo marito?»
 
«Per ora credo voglia solo riuscire a capire.
Conoscerla sarebbe un gran passo in avanti per entrambi.»
 
«Si ... beh, lo sarebbe per tutti.
Grazie dell'aiuto. Farò del mio meglio.»
 
«Ne sono certa. Buon lavoro, detective Swan.»
 
«Buona serata, Belle.»
 
\\\
 
Chiusa la chiamata, Emma Swan fissò la sua immagine perplessa nello specchietto retrovisore per qualche istante, cercando di fare il punto della situazione.
 
«Quindi?» tornò a chiederle suo figlio, impaziente di sapere.
«Neanche tua nonna l'ha mai vista.» gli rispose, scuotendo il capo «Ma ci ha dato un suggerimento interessante.»
 
Finalmente mosse la macchina, stavolta diretta a casa.
 
«Quindi abbiamo una pista?» domandò contento Henry Mills.
«Una specie.» assenti «Ti va la pizza stasera? Credo che avremo da fare.»
«Si!» replicò entusiasta il ragazzo «Sicura di non voler passare dalla centrale a prendere quella lavagnetta, prima?»
«Per ora ci arrangeremo.» sorrise lei «Spero che la stampante a colori di tuo padre funzioni ancora, però.»
«E che abbia dei pennarelli indelebili rossi e blu.» scherzò il bambino, assecondandola.
«Già. Senza quelli lo schema sarebbe un casino.»
 
\\\
 
«Cominceranno a fare domande, lo sai? Prima il pirata, poi Zelena e ora questo. Non potrai nasconderti a lungo.»
 
Dopo aver trascorso il pranzo a casa del Fante di Cuori e aver fatto una lunga doccia mentre lui le procurava dei vestiti nuovi, più adatti a quell'epoca e meno riconoscibili da suo padre e da tutti coloro che avevano incontrato il Signore Oscuro all'epoca della foresta incantata, Emilie aveva deciso di concedersi un'ultima notte di solitudine, nella sua casa nel bosco. Camminando sotto una fastidiosa pioggerillina che rendeva l'aria più umida e fredda, Will Scarlett decise di rompere il silenzio per avvertirla.
 
«Lo so.» rispose secca lei, continuando a guardare dritta davanti a sé, oltre la fitta nebbia che andava via via addensandosi tra i rami della foresta, come se non lo avesse proprio ascoltato.
 
L'uomo la guardò preoccupato.
 
«E molto probabilmente tuo padre andrà da Robin, e da Ewan.»
 
Stavolta la vide sospirare, ma con un movimento impercettibile.
Non rispose, ma strinse i pugni all'interno dei guanti di cuoio che indossava.
Erano gli stessi indossati da suo padre durante il loro ultimo viaggio. Gli stessi guanti con cui aveva cercato di nasconderle il suo lento ritorno verso l'oscurità.
Ora le servivano per non sentire il freddo e il silenzio che la circondavano.
Per ricordarsi di quando aveva ostentato un coraggio che non aveva, e che poteva ancora farlo.
Se c'era una cosa che aveva imparato molto bene da suo padre era proprio questo, il saper fingere alla perfezione.
 
«Stasera andrai da Granny e farai in modo che tutti sappiano che hai una cugina che risiede a New York.» decretò, dopo aver ascoltato per un po’ il rumore dei loro passi sulle foglie secche che ricoprivano il sottobosco mischiarsi al dolce ticchettio della pioggia, cambiando del tutto argomento.
 
Will la guardò stranendosi, poi sospirò rassegnato, e annuì.
 
«Lo so. Ti preparerò una valigia con tutti i vestiti che sono riuscito a procurarti e andremo insieme da Granny, dove chiederai un hamburger e una stanza.» ripeté, quasi cantilenando ciò che si erano detti prima di uscire di casa «Ma il problema rimane. Ti vedranno tutti, sarai esposta.» tornò a farle notare.
 
Ancora una volta, Emilie lo interruppe.
 
«Userò la magia per cambiare aspetto.» spiegò, algida e decisa «Chi non mi conosce sarà insospettito da qualcuno che non sono io, e chi mi ha già conosciuto non saprà chi sono realmente. Comunque sia, col casino che è appena successo nessuno ci capirà nulla.»
«E il prezzo?» le chiese allora lui, nel tentativo di scuoterlo «Dici sempre che ogni magia ne ha uno, e adesso vuoi usarla?»
«Non potrò usare i miei poteri per difendermi, se dovesse accadere qualcosa.» replicò secca ancora una volta la ragazza, continuando a non guardarlo «Ma questo non sarà un problema. So cavarmela, e le cose dovrebbero rimanere tranquille per un tempo sufficiente al mio scopo.»
 
Poi, prevenendo ogni altra sua fastidiosa obiezione, concluse ferma.
 
«Tu pensa solo a seguire il piano. Procurami una carta di credito, documenti validi e una lista di appartamenti a New York, io penserò al resto. Ora va, Will.» finì, scacciandolo con un gesto nervoso della mano.
 
L'uomo la fissò, indeciso.
 
«Emilie ... sono solo preoccupato per te.» si scusò.
«Non dovresti. Non lo sei mai stato, e non dovresti esserlo ora.» lo liquidò, facendogli segno con la testa di levarsi di torno «Ho bisogno del solito Will.» gli sussurrò, guardandolo negli occhi «Sbrigati. Ci sono molte cose da fare.»
 
E nonostante non ne fosse molto convinto, lui non poté che obbedire.
Annuì, quindi le voltò le spalle e s'incamminò. Ma fatto qualche passo si voltò per guardarla, e la vide sparire in una nuvola di fumo bianco come quella nebbia.
Sospirò, e sprofondando le mani nelle tasche scosse il capo e riprese a camminare.
Quella ragazza e il suo caratteraccio. Prima o poi si sarebbe davvero cacciata in un mare di casini fino al collo.
 
\\\
 
La pioggia scrosciava forte, fuori dal locale, spazzando le strade della città e macchiando i vetri delle case e delle auto con minuscole goccioline trasparenti che unendosi si fondevano in rivoli, precipitando come le loro compagne verso terra.
"Proprio un bel tempo per restare soli nella foresta" pensò Will Scarlett, mentre attraversava il vialetto del Granny’s Dinner riparandosi sotto un ombrello rosso cremisi.
Appena giunto sotto la minuscola tettoia posta a riparo della porta d'ingresso, chiuse l'ombrello e si diede qualche istante per ripassare la sua parte.
Affinché sembrasse più credibile possibile, nei giorni precedenti aveva fatto in modo che alcuni degli abitanti di Storybrooke sapessero di "sua cugina".
Era bastato qualche accenno durante una conversazione, piazzato qua e là con noncuranza. I più non si erano straniti, come previsto da Emilie.
A Robin Hood invece, la cosa era puzzata un po’.
 
«È solo perché non si fida di me.» si era difeso di fronte alla ragazza.
«Tsh ...» era stata la sua risposta «E fa bene. Nemmeno io mi fiderei.» aveva aggiunto con un ghigno sarcastico.
«Quindi è tutto normale, va bene.» era stata la sua replica speranzosa.
 
Emilie aveva scosso le spalle, senza aggiungere altro, e quella risposta vaga lo aveva un po’ irritato. Non avrebbe mai voluto ritrovarsi tra l'incudine e il martello, ma la posta in gioco era troppo alta.
Perciò prese un bel respiro, drizzò le spalle e afferrò il pomelo della porta, accedendo al locale con aria sicura e accomodandosi al bancone.
Ordinò una birra e un hamburger, poi domandò.
 
«Oh, Granny. Non è che per caso avresti una stanza libera?»
 
La donna gli rivolse una delle sue occhiate sorprese ma non troppo.
 
«Hai allagato casa?» replicò.
 
Il Fante ridacchiò, cercando di farlo il meno nervosamente possibile.
 
«Non è per me.» spiegò «Mia cugina ha deciso di venire a trovarmi, ma ... non ama molto il mio stile di vita rilassato. Arriverà domattina.»
«Mh. Mi sta già simpatica. Per domani dovrebbe liberarsene una, passate pure.»
 
Un'altra risatina, stavolta palesemente sollevata. Aveva abboccato. Stava migliorando nella recitazione.
 
«Lo sai, sta già simpatica anche a me.»
 
La voce di Robin Lockslay lo raggiunse alle spalle, facendolo sobbalzare.
Lo guardò accomodarsi allo sgabello alla sua destra e ordinare una birra anche per sé.
 
«Oh, bene.» rispose Scarlett, bevendo un sorso dal suo boccale «Almeno qualcuno in famiglia riesce a non essere un completo fallimento.»
 
Hood sorrise.
 
«Questo è ancora tutto da vedere.» replicò, poi trasse fuori dalla tasca il portafogli e pagò per entrambi.
 
Will Scarlett lo guardò stupito.
 
«Io ... grazie.» bofonchiò «Questo significa che ci abbiamo messo definitivamente una pietra sopra?»
 
Robin scosse le spalle, fingendo di stare ancora pensandoci.
 
«Forse.» replicò «Non ti aspettare un invito a ritornare nella compagnia, però.»
 
Il fante sorrise a sua volta, scuotendo il capo e scuotendo le spalle.
 
«È pur sempre un inizio.» commentò.
 
Sorrisero entrambi, brindando coi loro boccali già mezzi vuoti.
 
«Comunque devi smetterla di parlare così bene di Storybrooke ai tuoi parenti.» scherzò Lockslay, dopo aver finito la sua birra «Non credo che sia abbastanza grande per contenere anche il paese delle meraviglie.»
 
Will sorrise, appoggiando tristemente il boccale vuoto.
 
«Non preoccuparti.» lo rassicurò con aria mesta «Siamo una razza in via di estinzione.»
«Mh.» concluse Robin Hood, battendogli una pacca sulla spalla «Chissà per quale motivo, eh? Non so se sia una fortuna o un peccato.»
 
\\\
 
Jeans scuri, sneakers rosse a stivaletto, una camicetta bianca e una giacca di jeans imbottita con una grezza lana bianca, ben visibile sul retro delle maniche e del colletto.
Emilie osservò con una smorfia di disgusto le poche (e povere) vesti che il suo complice era riuscito a trovare, e decise immediatamente che non le avrebbe indossate, almeno non in quello stato.
Tenne le scarpe, i jeans e la camicetta, ma trasformò il giubbotto in una giacca di pelle imbottita di velluto rosso al suo interno.
Sorrise, incrociando le braccia sul petto con aria soddisfatta.
Vero che doveva sembrare ciò che non era, ma di certo non ci teneva ad apparire come una pastorella con fin troppo lana nei depositi.
Sospirò di nuovo, e si avvicinò all'uscio dove restò a guardare lo spettacolo della pioggia scrosciante che batteva insistente sulle foglie verdi degli alberi e sul terreno, sprigionando una piacevole fragranza.
Chiuse gli occhi, inspirando a fondo.
Amava la pioggia. Anche nel caos più totale, bastava uno scrosciante acquazzone per non sentire più nient'altro che il rumore del mondo che cadeva giù. Dopo, sarebbe stato sicuramente migliore, o almeno più sopportabile.
L'ennesimo sospiro le sfuggì. Si strinse nelle spalle, e allungò una mano a raccogliere qualche goccia.
Il freddo sul palmo la fece rabbrividire.
 
«Coraggio, Principessa.» si ripeté, immaginando che non fosse sua la voce che tentava di tranquillizzarla, bensì quella intensa e dolce di suo padre «Ancora un ultimo sforzo. Poi ... andrà meglio.»
 
Una goccia le sfiorò il viso, atterrando sulla sua guancia e da lì precipitando a terra.
Chiuse le palpebre, un peso sul cuore.
 
«Andrà meglio ... molto meglio, papa.»
 
\\\
 
Il mattino seguente, il cielo era limpido e l'aria più pura. Il sole sfolgorava come un diamante appena lucidato appena sopra l'orizzonte, e Will stava ancora dormendo, quando il campanello di casa sua iniziò a strillare, ininterrottamente, fino a che lui non raggiunse la porta, ancora in pigiama e mezzo assonnato, trascinandosi fuori dal letto.
Sulla soglia apparve una ragazza dai lunghi capelli neri, grandi occhi azzurri messi in risalto da un eyeliner nero e un trucco smoky sulle tonalità del grigio, e uno spesso strato di rossetto rosso sangue sulle labbra piccole e sottili.
Lo fissò rivolgendogli un sogghigno appena accennato.
 
«Buongiorno cuginetto.» esordì.
 
Will sgranò gli occhi, scrutandola da capo a piedi quasi senza parole.
 
«Emilie?!» sbottò, esternando tutta il suo stupore «Accidenti! Non si era detto massima discrezione?»
 
La giovane alzò le sopracciglia con aria ovvia.
 
«Intendevo massima discrezione su quello che gli altri sanno di me, non 'trovami abiti che mi facciano sembrare una pastorella gipsy'» specificò, aggiungendo poi «E comunque da adesso sarò Elizabeth, al massimo Lizzie. Fino a data da destinarsi.»
 
Quindi si fiondò dentro casa senza aspettare di ottenere il permesso e si avvicinò alla cucina, affaccendandosi con la macchinetta del caffè.
 
«Che fai?» domandò il Fante, chiudendo dietro di sé la porta.
«Non è ovvio?» replicò lei «Ti preparo la colazione. Tu va a sistemarti, siamo già in ritardo.»
 
Will Scarlett guardò il suo orologio da polso.
 
«Ma sono appena le sette.» protestò.
 
Emilie sorrise, impaziente.

«Appunto.» soggiunse «Ho trascorso anche troppo del mio tempo ad imparare ad accendere una dannata macchina per il caffè. È ora di fare qualcosa di più utile. Qualcosa per il futuro.»


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Capitolo 3
*** Episodio III - Benvenuta a Storybrooke ***


Episodio III - Benvenuta a Storybrooke


Storybrooke,
Un mese prima ...
 
La freccia intrisa di inchiostro scuro aveva appena colpito la Strega Perfida, trapassandole da una parte all'altra la mano che reggeva il pugnale.
Esso le cadde a terra tintinnando e mentre lei ancora urlava, senza perdere tempo Tremotino si riappropriò dell'arma, guardandola scintillare nelle sue mani quasi come se non riuscisse a crederci, e poi rivolgendo un lungo, implorante e sollevato sguardo a Baelfire e Belle.
Il primo sospirò, chiudendo gli occhi per un secondo. Aveva appena rischiato di morire per mano del Signore Oscuro, manipolato come un burattino da qualcuno più pazzo di lui.
La Bella invece sorrise, correndo ad abbracciarlo forte, gli occhi scintillanti di lacrime.
Mr. Gold, sebbene in quel momento ci fossero altre cose più importanti da fare, non poté che assecondarla.
Era rimasto per troppo tempo da solo, rinchiuso in una gabbia come un cane, sempre costantemente in pensiero per la sua famiglia e per quello che Zelena avrebbe potuto far loro, che adesso riuscì soltanto a stringersi più forte alla sua amata, inspirando il suo profumo con tutta l'aria rimastagli nei polmoni.
E mentre loro si riunivano, gli eroi pensavano al resto.
Zelena era una strega potente, l'inchiostro non l'avrebbe fermata a lungo, perciò dovettero agire in fretta.
Per prima cosa, Emma le legò al polso un bracciale che ne inibiva i poteri, e mentre l'effetto del paralizzante iniziava a svanire, il principe azzurro la bloccò ammanettandola.
La mano continuava a grondare sangue, e lei a urlare di dolore. Ma mentre lo faceva, all'improvviso guardò verso il bosco e sbraitò infuriata, ribellandosi alla stretta degli eroi.
 
«Chi sei, dannato impiccione!? Mostrati!!»
 
Regina e Cora si guardarono sconcertate, lo stesso fecero Swan e i suoi genitori, e Tremotino e la sua famiglia. Anzi, questi pensò subito a recuperare la freccia, ch'era stata spezzata e gettata. Con le ultime forze magiche rimaste, la ricompose nel palmo della sua mano.
 
«Già, chi è stato?» mormorò Regina Mills, facendosi nuovamente preoccupata.
«La riconosci?» domandò il Signore Oscuro a Robin Hood, che gli si accostò ispezionando per bene la freccia.
«È una delle mie, ma è molto vecchia. Non usiamo più questo tipo d'impennaggio da quando siamo venuti qui a Storybrooke. Questi sono uccelli della Foresta Incantata.»
 
Il principe guardò sua moglie, e lei scosse il capo. Non era neanche sua.
Allora, lanciando uno sguardo verso le folte chiome dei pini che circondavano la città, Tremotino ricordò quell'ombra minuta ch’era venuta a fargli visita proprio la sera prima.
Non aveva parlato, ma non gli si era nemmeno avvicinata. Era rimasta sempre costantemente nascosta sotto il cappuccio nero del suo lungo mantello, che lasciava intravedere solo la punta dei suoi stivali, un paio che riconobbe immediatamente come molto simili a quelli che aveva indossato in un altro luogo, ai tempi della foresta incantata.
Aveva provato a fargli delle domande, ma l'unica cosa che gli aveva lasciato era stato un biglietto con parole di speranza:
 
"Non preoccuparti, presto sarai libero.
 
PS. Brucia questo biglietto, Zelena non sospetta che la sto spiando."
 
Molte cose all’improvviso si fecero chiare, ma anche se lui ora era libero sul serio, la faccenda non era ancora conclusa.
 
«Non importa.» decretò Zelena «Non posso aver fatto tutto questo per nulla.»
 
Quindi si liberò dalla stretta di David Nolan e, le mani ancora ammanettate, trafugò la pistola dalla sua fondina e sparò un colpo verso sua sorella.
Regina non fece nemmeno in tempo ad accorgersene, perché nel tentativo di difenderla sua madre le si parò davanti prendendo il colpo destinato a lei.
Il proiettile non le lasciò scampo, trafiggendola al cuore. Sconvolta, la Strega Perfida sgranò gli occhi e lasciò cadere la pistola ancora fumante, nascondendo la sua espressione sconvolta dietro alle sue mani.
Ma mentre quella tragedia si consumava sotto gli occhi attoniti di tutti, Baelfire e suo padre si scambiarono uno sguardo complice, dopodiché Neal si precipitò verso il punto in cui la freccia era partita, deciso a svelare il mistero.
Era da tanto che se lo portava dietro, da quando anche lui aveva ricevuto uno strano messaggio, sull’isola che non c’è.
Ma, sfortunatamente, nonostante avesse corso il più velocemente possibile, anche stavolta non gli rimase che una manciata di impronte da seguire che scomparivano poco dopo nel nulla.
Chiunque fosse stato a salvarli, quel mistero sarebbe dovuto rimanere irrisolto ancora per un po’.
 
\\\
 
Quella sera, mentre con le lacrime agli occhi e il cuore gonfio pensava a sua madre e alla sua miserabile sconfitta, seduta sullo scomodo letto della piccola cella in cui l’avevano rinchiusa in attesa del processo e circondata dal silenzio, Zelena seguitò a fissare le proprie mani tremanti, incapace di credere a ciò che era stata in grado di fare.
Aveva appena ritrovato sua madre, e spinta dalla sua insaziabile gelosia l’aveva perduta per sempre, mettendo fine lei stessa a quella vita. Il suo maestro aveva ragione: Com’era ironico il destino.
Immersa in quei tristi pensieri, neanche si accorse dell’ombra nera che era entrata nel frattempo.
Se ne rese conto solo quando le luci si spensero, e drizzandosi in piedi strinse i pugni trattenendo il fiato, pensando in un primo momento si trattasse del Signore Oscuro, venuto a cercare vendetta.
Invece si trovò davanti un’ombra piuttosto minuta, avvolta in un lungo mantello nero che lasciava intravedere solo la punta degli stivali. Fu quel dettaglio a confonderla.
In un primo momento pensò che il suo intuito avesse ragione, che Tremotino avesse rimesso i panni del vecchio Signore Oscuro per ucciderla indisturbato.
Sogghignò nervosamente.
 
«Entrata ad effetto.» disse «Ma non credo ti servirà. Pensavo fossi dalla tua Belle a festeggiare, invece ti sei degnato di venire a trovarmi. Ne sono lusingata.»
 
L’ombra alzò il viso, rivelando un ghigno diverso da quello del Signore Oscuro. La pelle era candida e giovane, i denti lucidi, le labbra sottili e rosee. Si fece seria, e la poca sicurezza ch’era riuscita a trovare, all’improvviso l’abbandonò.
In un battito di ciglia, la sconosciuta oltrepassò le sbarre e la inchiodò al muro, rivelandole il suo volto.
Era una ragazza, lunghe ciglia nere ed occhi grigi. Ma la sorpresa più grande fu vederla stringere un pugnale ch’era in tutto e per tutto identico a quello dell’Oscuro, ma senza il suo nome sopra.
Glielo puntò alla gola, emettendo un’inquietante risata sommessa, molto simile a quella del suo vecchio maestro.
 
«Meno boria, Zelena.» l’apostrofò «Non ti è ancora passata la voglia di mostrarti così altezzosa?»
 
La sua voce era chiara, ma molto simile a quella di Tremotino.
Non riuscì a capire però se quel tono fosse un’imitazione per confonderla o meno.
 
«Cosa … chi sei tu?» domandò confusa.
 
La ragazza sorrise di nuovo, imitando colui al quale chiaramente s’ispirava.
 
«Colei che ti ha appena sconfitto.» mormorò, quindi senza darle il tempo di aggiungere altro la colpì al cuore, e mentre il suo sangue gocciolava sul guanto che le proteggeva le mani aggiunse, digrignando i denti «E adesso, per tutto quello che hai fatto a mio padre e alle sua famiglia, muori.»
 
Quindi estrasse di colpo il pugnale e la vide sgretolarsi in mille pezzi, come un prezioso vaso di porcellana che ha perso definitivamente il suo valore, fino a che di lei non rimase che un mucchio di polvere e una scia verdastra, che sollevatasi da essa fuggì, attraverso una delle finestra aperte.
Si voltò a guardarla, sollevando altera il capo.
 
«Ci rivedremo presto, mia cara. E ti consiglio di starmi alla larga, stavolta.» mormorò, quando per un attimo questa sembrò fermarsi a guardarla.
 
Poi, quando la scia magica finalmente scomparve, prima di riaccendere le luci Emilie si tolse il cappuccio, guardando verso la telecamera.
Quindi si smaterializzò, riapparendo molte miglia più in là, dentro la sua casa nel bosco, dove estrasse con un colpo preciso e secco il cuore dal proprio petto e lo guardò tingersi di una minuscola nota scura.
Quello che prima era solo un puntino, ora s’ingrandì, assumendo le dimensioni di una pallina.
Una piccola pallina di oscurità che andava via via ingrandendosi. Se lo rimise in petto, e cadendo in ginocchio scoppiò in lacrime.
Fu quella la prima volta in cui si rese conto di aver tradito l’accordo stretto con suo padre.
La volta in cui realizzò di aver macchiato per sempre il suo cuore con l’oscurità, solo per regalare a lui un po’ di sollievo.
 
 
***
 
Presente,
Storybrooke.
 
L'aria quella mattina era frizzante e pulita, la tempesta del giorno prima l'aveva resa più fresca e aveva fatto si che il mare, agitandosi, liberasse nell'aria parte della sua benefica fragranza salmastra.
Uncino aveva passato la notte a terra, in quelle condizione era impossibile anche per un lupo di mare come lui restare a bordo della Jolly Roger.
Si era rintanato in uno dei tanti pub malfamati e mezzi sconosciuti che popolavano i dintorni di Storybrooke, il più lontano possibile dal Granny's e dalle sue vecchie conoscenze, e aveva bevuto fino ad essere ubriaco marcio.
Poi, verso l'alba, era rientrato e dopo aver buttato quasi più della metà della bile del suo stomaco in mare era crollato sulla sua branda.
Riaprì gli occhi appena prima delle otto, con un forte mal di testa e l'umore più nero del solito.
Con questo spirito si riaffacciò sul ponte e restò a guardare il porto e i suoi dintorni, senza nessun pensiero preciso.
Fu per questo che, quasi per caso, riuscì a scorgere due figure che si avvicinavano alla città.
Uno era sicuramente il fante di cuori, ma l'altra... era una ragazza sconosciuta, vestita di nero in uno stile che, dovette ammetterlo, non era affatto male.
Aveva lunghi capelli neri e camminava spedita, ma ci fu qualcosa che gliela rese familiare. Forse il suo fisico, lui era tagliato per valutare dettagli del genere, o il modo in cui parlava, camminava e si muoveva.
Fatto sta che non poté fare a meno di osservarla e pensare che era la prima volta che la vedeva aggirarsi in città, la valigia il fante la aiutava a portare e lo strano zaino nero che aveva in spalla lo confermavano.
Eppure ... gli sembrava davvero di averla già vista da qualche parte, ma probabilmente era solo colpa dei residui fumi dell'alcool.
 
\\\
 
Will ed Emilie, ora Alexandra, camminavano chiacchierando beatamente verso il centro città, quando, passando davanti al porto, il Fante mormorò, facendo finta di guardarla ma in realtà buttando un occhio verso la Jolly Roger.
 
«Il pirata ti sta fissando...»
 
La ragazza gli sorrise, alquanto soddisfatta.
 
«Meglio per lui.» fece «Almeno avrà qualcosa di carino da fissare, oggi, dopo che la mia adorata cognatina lo ha scaricato per mio fratello.»
 
Scarlett sorrise, leggermente agitato.
 
«Si, beh. Non mi sembra ti stia fissando a quel modo. Sembra più uno sguardo minaccioso.» osservò, per poi aggiungere sottovoce «Forse ti ha riconosciuta.»
 
Alexandra si voltò di nuovo a guardarlo, ma stavolta era seria, quasi torva.
 
«Will, giuro che se continui così ti tiro un pugno in faccia, non m'interessa chi ci sta guardando. Guai a te se mi fai scoprire.» lo avvisò.
 
Solo allora il Fante capì di essersi di nuovo fatto prendere dal panico.
 
«Scusa. Non so che mi succede ...» mormorò, infilando le mani nelle tasche dei jeans e guardandosi la punta degli stivali.
«Lo so io ...» bofonchiò contrariata la ragazza, dopo un breve sospiro «Riprenditi, e segui me da adesso in poi. D'accordo?»
 
Will Scarlett annui, tornando a guardare dove camminava.
La cittadina si era appena svegliata, le strade erano già percorse dai primi abitanti che, a piedi o in macchina, si affrettavano a raggiungere il loro posto di lavoro.
Tra questi, i due neocugini incrociarono il cammino del dottor Hopper, che si fermò a salutarli con un largo sorriso proprio mentre Emilie si attardava ad osservare l'insegna del negozio d'antiquariato, sullo stesso lato della strada.
Era ancora chiuso, ma attraverso i vetri giallo pallido delle finestre riuscì a scorgere un'ombra che sembrava appartenere a suo padre.
Il cuore rallentò i battiti per un secondo, e mentre Will salutava cordialmente per un attimo lei non riuscì a stare più al passo con la conversazione.
Solo quando il Fante le diede un colpetto al braccio col gomito riuscì in qualche modo a riscuotersi.
Guardò l'espressione in attesa del loro interlocutore e si rese conto di non avere affatto idea di quello che le avesse detto. Comunque, ad occhio e croce doveva trattarsi del classico frasario di conoscenza.
Gli strinse la mano e, con gran disinvoltura, seppe cavarsi dall'impiccio, anche se dovette resistere davvero con tutta sé stessa per non tornare a concentrarsi sull'insegna che a grandi lettere recitava: Mr. Gold, banco dei pegni e antiquariato.
 
«Oh, dottor Hopper piacere di conoscerla!» esordì «Deve perdonarmi, ma è più forte di me. Adoro le anticaglie.»
 
Questi sorrise.
 
«Oh, capisco. Deve sicuramente essere una persona molto sensibile. Non a tutti è concesso il privilegio di amare qualcosa che ha già una storia dietro di sé. I più preferiscono le novità.»
 
Lei si aprì in un sorriso soddisfatto.
 
«Ah, un'analisi degna di un bravo psicologo!» replicò.
«Faccio del mio meglio.» sorrise modesto questi.
 
Ma ora era il turno di Alexandra per farsi conoscere.
 
«Non male.» si complimentò «Ma anche io sono brava nelle intuizioni. Hopper … » fece finta di riflettere «Salterino. Quindi devi essere il grillo parlante, mi sbaglio?»
 
L'uomo alzò le mani, in segno di resa.
 
«Scoperto. Non male, davvero.»
 
Risero entrambi, mentre Will assieme ad un sorriso buttava fuori in un sospiro tutta l'ansia accumulata.
C'era mancato tanto così. Forse non era stata proprio una buona idea fermarsi proprio di fronte al negozio di Mr. Gold.
 
«E questo bel cagnolone chi è?» seguitò nel frattempo Lizzie, che si era inginocchiata a raccogliere le feste del dalmata al guinzaglio del dottore.
 
Lei le piaceva. Scodinzolava allegro, e non appena lei gli prese il muso tra le mani, il cane iniziò a leccarle tutto il viso, tanto che Hopper dovette rimproverarlo.
 
«Pongo!» disse tirando un po’ il guinzaglio «Gli piacete molto.» sorrise quindi, contento.
 
Emilie sorrise intenerita, accarezzandogli il capo.
 
«Mi piaci anche tu, Pongo.» rispose, parlando direttamente a lui «Io amo gli animali, specialmente i cani.» rivelò -Quando ero piccola mio padre me ne regalò uno.» e si fermò, prima di tornare ad incupirsi e a rivolgere lo sguardo al negozio alle sue spalle.
«Un altro segno di un animo profondo.» annuì comprensivo il grillo, e a quel punto, con gran sollievo del Fante, Emilie decise che aveva rischiato abbastanza.
 
In realtà, si era attardata così tanto perché sperava di veder uscire Mr. Gold da quel negozio, oppure di veder entrare sua madre o Baelfire.
Ma non era successo, e adesso era ora di muoversi.
 
«Beh, è stato un piacere conoscerla Dottor Hopper.» concluse, sincera «Vale anche per te, Pongo.» aggiunse, strizzando un occhiolino al cane che ricambiò, facendo roteare la coda e abbassando le orecchie.
«Il piacere è stato mio, Elizabeth. Se ha bisogno, Will sa dove trovarmi.»
 
Il fante annuì.
 
«Oh, la ringrazio.» decretò lei, decidendo di concludere con un po’ di sano umorismo «Ma ho già una coscienza. Non posso garantire sul suo corretto funzionamento, ma non vorrei che si offendesse.»
 
Mentre Scarlett sgranò gli occhi, pensando che con quel solo atto di sfrontatezza la giovane avesse già mandato all'aria una conversazione salvata in extremis, Hopper sembrò cogliere il suo umorismo e sorrise, alzando nuovamente le mani.
 
«Non sia mai. Averne una è già qualcosa.» concluse.
 
Si salutarono con una calorosa stretta di mano, poi entrambi ripresero a camminare per la propria strada.
 
«Quindi?» domandò Emily, traendo un sospiro «Me la sono cavata, no?»
«Alla grande.» fu la laconica risposta del suo partner in crime «Ma devi sempre condire tutto col tuo umorismo controcorrente.»
 
Le labbra della giovane s'incresparono in un ghigno divertito.
 
«Credimi.» concluse «Se avessi veramente voluto andare controcorrente avrei detto anche di peggio.»
 
\\\
 
La serata appena trascorsa era stata piena e intensa per la detective Swan e i suoi "vice".
Davanti ad una pizza fumante e un buon bicchiere di vino, o coca cola per Henry, i tre avevano raccolto le idee e cercato di venire a capo di quel mistero fitto come la foresta incantata, e la conversazione era stata così interessante da far dimenticare loro lo scorrere del tempo e l'inevitabile arrivo del sonno.
Il primo a crollare era stato Henry, la faccia sul suo inseparabile libro di favole che raccontava il passato degli abitanti di Storybrooke, cercando invano di trovare tracce della sconosciuta forestiera che diceva di essere sua zia.
Scambiandosi un breve sorriso complice, Neal ed Emma avevano deciso di riportarlo a letto e così l'uomo lo aveva preso in braccio e gli aveva poi rimboccato le coperte, crollando al suo fianco senza nemmeno accorgersene, mentre Emma si dava da fare per lasciare la cucina quanto più ordinata possibile.
Il mattino seguente, Bae fu comunque il primo a riaprire gli occhi, ritrovandosi la testa di Emma appoggiata sul suo petto all'altezza del cuore e le braccia di suo figlio strette intorno alla vita.
Sorrise, lasciando un tenero bacio sulla nuca ad entrambi. Emma sorrise a sua volta, riaprendo gli occhi e guardandolo.
 
«Buongiorno.» mormorò sottovoce lui, per non svegliare il bambino che ancora dormiva.
«’Giorno.» bofonchiò lei, stampandogli un bacio sulle labbra.
 
Restarono ancora un istante in silenzio, abbracciati, godendosi il momento.
 
«Lo sai, mio padre aveva ragione...» disse infine la Salvatrice.
 
Neal tornò a guardarla.
 
«In merito a cosa?»
«Riguardo al vivere i momenti belli.» fu la risposta «Se avessi saputo che quell'invito a pranzo ci avrebbe portato a questo, non avrei esitato un solo istante.»
 
Sorrisero entrambi, scambiandosi un altro bacio. In realtà, dopo quell'invito era seguito un altro sortilegio ad opera di Pan, e questo li aveva divisi per un tempo sufficiente ad Uncino per tornare alla ribalta e riprovare a mettersi tra di loro.
Baelfire aveva quasi creduto di averla persa per sempre, ma poi il pirata aveva fatto una serie di mosse stupide che gli avevano fatto perdere non pochi punti e avevano permesso ad Emma di capire chi fosse realmente quell'uomo: Un'anima oscura dalla quale era attratta, ma della quale non avrebbe mai potuto essere innamorata. Per il bene di Henry e anche per il suo, Neal era la scelta giusta.
Certo, le scelte di comodo non le erano mai piaciute, ma loro si amavano ancora. Potevano ancora essere una famiglia.
 
«Allora...» propose Neal, dopo essersi staccato dalle sue labbra «Ti va di vivere un altro momento felice? Colazione da Granny?»
 
Emma assunse un'aria maliziosamente interessata.
 
«È un altro appuntamento?» domandò.
«Forse...» fece lui, fingendo ingenuità «O forse no, chi lo sa. Quindi?»
 
Emma sorrise.
 
«Faccio una doccia e sono pronta.» concluse alzandosi.
 
Neal la osservò innamorato. Sopra la biancheria indossava solo una sua camicia, piuttosto grande da coprirla ma non abbastanza da farlo del tutto.
 
«Ti serve una mano?» le chiese ammiccando.
 
Lei ridacchiò in silenzio, quindi gli fece segno di tacere portandosi l'indice destro sulle labbra, e indicando Henry.
Neal sorrise divertiti guardandola uscire dalla stanza, quindi si alzò, cercando di non svegliare il bambino che gli dormiva ancora affianco, e si rivestì, lasciando un post it sul comodino in cui avvisava suo figlio che sarebbero tornati presto.
Era Domenica, aveva il diritto di dormire quanto voleva e poi ricevere la colazione a letto dai suoi super genitori, innamorati come mai prima.
 
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Il locale era stracolmo di gente quel mattino, ma Will Scarlett e suo cugina trovarono comunque un paio di posti al bancone del bar.
Emilie seguì il Fante fino all'entrata, ma mentre lui andò ad accomodarsi lei si perse improvvisamente ad ammirare i dintorni. Non era affatto come se lo era immaginato... era anche meglio.
Seduti in un angolo a chiacchierare c'erano brontolo e un altro dei suoi amici nani. Non seppe distinguere quale, per lei erano tutti uguali.
Ma per LeRoy non dovette essere lo stesso, perché appena l'ebbe vista prese a guardarla insistentemente.
Sostenne lo sguardo, sorridendo il più scioltamente possibile.
Per fortuna, ci pensò la solare avventrice del locale a cavarla definitivamente dall'impaccio.
Era una ragazza sui venti, dovevano essere coetanee almeno all'apparenza.
Capelli neri, pelle diafana e unghie smaltate di rosso. La sua divisa da cameriera era composta da una gonna vertiginosamente corta, zatteroni rossi e una camicia scollata del medesimo colore.
 
«Buongiorno, benvenuto da Granny. Io sono Ruby.» la salutò, porgendole la mano.
 
Oh, cappuccetto rosso! Bene, era sempre stata affascinata da quella ragazza che era insieme donna e lupo mannaro. Un po' come suo padre, che a quanto pareva non era affatto l'unico mostro in città, a dispetto di ciò che pensavano i suoi abitanti.
Nel frattempo Will, da dietro le spalle della ragazza, la osservò senza dire o fare nulla, solo ansioso di vedere come si sarebbe comportata.
Forse aveva pensato che si fosse sentita spaesata, ma non fu affatto così. E per dimostrarlo si sciolse in un amichevole sorriso e ricambiò la stretta di mano.
 
«Piacere di conoscerti, Ruby. Io sono Alexandra, la cugina di quell'idiota laggiù.» si presentò allegra, gettando su di lui l'attenzione di tutti gli astanti, che a quel punto seguitarono ad osservarlo ancora più interessati.
 
«Oh, direttamente dal paese delle meraviglie!» commentò affascinata la ragazza, mentre sciolto l'imbarazzo lei si accomodava accanto al fante di cuori «È la tua prima volta a Storybrooke? Non ti ho mai vista in giro.»
 
Emilie si arrampicò agilmente sullo sgabello rosso e con un gesto del capo scacciò i capelli da davanti al viso. Avrebbe potuto scegliere di crearsi una chioma meno indisciplinata, ma almeno qualcosa di sé stessa aveva voluto tenerla, per non perdere il contatto con la realtà e sentirsi meno a disagio.
 
«Esatto, ma credimi, cento volte meglio Storybrooke. Wonderland può essere entusiasmante per i turisti.» replicò con navigata non curanza, anche se in tutta la sua vita aveva visitato il paese delle meraviglie solo una volta, con Alice «Ma dopo un po' che ci vivi desideri solo di scappare al più presto. Vero cuginetto?» aggiunse, lanciando la palla al fante, che non fu affatto contento di doverla prendere.
«Mh, mh. Già.» bofonchiò «Possiamo ordinare? Sto morendo di fame.»
 
Con suo grande sollievo, il suo tentativo di cambiare argomento riuscì alla grande.
 
«Certo.» fece Ruby «Cosa vi porto?»
«Due menù colazione salati, grazie. Birra inclusa.» chiese lui, ma prima che la penna di Ruby potesse registrare tutto Alexandra la fermò.
«Un menù colazione salato, birra inclusa.» lo corresse «E uno dolce, caffè amaro e pancake con tanta panna e una bella amarena sopra. Dimentichi, mio caro cuginetto, che detesto avere lo stomaco pieno di birra al mattino presto, quasi quanto svegliarmi col sapore del bacon in bocca.»
 
Ruby sorrise divertita.
 
«Annotato.» replicò «Comunque, non perché è mia nonna, ma dovresti dare un'opportunità al menù salato. Anche se a pensarci bene io adoro la carne, quindi si, forse sono veramente di parte.»
 
Risero entrambe, divertite.
 
«D’accordo, Ruby. Ci farò un pensierino per l’ora di pranzo.» replicò tranquilla Alexandra.
«Ne sono felice. Benvenuta a Storybrooke, Alexandra.» concluse Cappuccetto Rosso, prima di tornare in cucina a portare le loro ordinazione.
 
Nel frattempo, Will si stava già godendo la sua birra.
 
«Simpatica la lupacchiotta.» sussurrò Emilie, quasi tra sé, con un sorriso.
 
Ma il suo buon umore durò poco, perché all’improvviso una voce assai familiare li riscosse.
 
«Allora è vero, tua cugina è decisamente più simpatica di te.»
 
Cogliendoli del tutto di sorpresa, Robin Hood si accomodo vicino a Will Scarlett, fissandola con amichevole interesse.
Ritrovarselo di fronte ebbe per le lo stesso effetto che avrebbe potuto farle incontrare un fantasma. Nella vita di Emilie, quell’arciere era stato un amico e un capo molto importante. C’era stato un tempo in cui la giovane figlia del Signore Oscuro si era sentita persa e sconfitta. Lui le aveva dato non solo le motivazioni giuste per lottare e rialzarsi, ma anche gli strumenti per farlo. Era stato lui ad insegnarle a tirare con l’arco, e grazie al suo invito ad entrare nella Compagnia aveva incontrato validi amici come lo stesso Will e la valorosa Mulan, grazie ai quali era infine riuscita a raggiungere il suo scopo ultimo e ad impossessarsi dell’occhio di Cronos.
Loro l’avevano supportata e sostenuta, erano stati disposti a seguirla in quella ricerca e a rischiare tutto, perfino la vita, pur di vederla trionfante. Certo, avevano dei desideri in comune, alcuni dei quali non potevano essere realizzati senza l’occhio, ma questo a suo parere non era stato che un incentivo alla nascita di quel prezioso legame.
Per questo motivo, quando gli occhi di Lockslay incrociarono nuovamente i suoi, per un istante smise di respirare, dimenticando perfino di essere nascosta sotto un volto nuovo. Ebbe paura di essere riconosciuta, e dovette distogliere lo sguardo per non rischiare di lasciar trapelare nulla di tutto ciò.
Con suo grande sollievo, però, l’uomo sembrò essere cascato appieno nel tranello.
 
«Piacere di conoscerti, Alexandra. Io sono Robin di Lockslay.» esordì con un sorriso, porgendole la mano.
 
Will si voltò a guardarla, rivolgendole uno sguardo interrogativo. “Tutto bene?”
La ragazza si sciolse in un sorriso che sulle prime risultò un po’ nervoso. Annuì, e mentre calmava il suo cuore ignorandone la corsa, strinse la mano cercando di non tremare.
 
«Ah, ma certo. L’uomo che ha sopportato mio cugino per così tanto tempo!» rispose, scaturendo in lui una risata divertita «Ode alla tua pazienza. In famiglia ormai sei quasi alla pari d’un santo.» concluse, accennando ad un inchino genuflettendosi appena e facendo roteare i polsi, in una gestualità fin troppo riconoscibile.
 
Will sgranò gli occhi, scuotendo il capo, ma lei sorrise scoccandogli un occhiolino.
“Rilassati, è tutto sotto controllo.”
 
«Benvenuta a Storybrooke.» le rispose l’arciere «Comunque alla fine ho ceduto anche io.» puntualizzò, dandole quasi ragione.
«Come biasimarti?»
 
Nel frattempo, i loro menù erano arrivati e dalla porta d’ingresso altri due ospiti inattesi erano giunti a turbarla. Il primo ad entrare fu Baelfire, che neanche si accorse di lei. Mano nella mano con Emma salutò tutti con un
 
«Buongiorno gente!»
 
E si accomodò poi insieme a lei al tavolo riservato proprio alle sue spalle.
Da quella posizione, potè sentire lo sguardo di Emma puntato sulla sua schiena. La donna si era accorta di lei quasi subito, diversamente dal suo compagno, e fu difficile far finta di nulla, continuando a chiacchierare amabilmente con Robin e Will. Del resto il Fante l’aveva avvisata, un estraneo a Storybrooke era una rarità, quasi impossibile farlo passare inosservato.
Mentre lo faceva, con la coda dell’occhio vide la Salvatrice sussurrare qualcosa nell’orecchio di suo fratello, che di conseguenza si voltò a guardarla assottigliando le palpebre.
Il cuore tornò a battere forte. Lasciando i due uomini del gruppo alla loro conversazione, pensò che fosse meglio dedicarsi alla sua colazione. Magari gli zuccheri le sarebbero serviti a calmare l’ansia.
 
\\\
 
Emilie chiuse a chiave la porta della sua stanza in affitto al Granny's hotel, si prese un istante appena per individuare eventuali telecamere e dopo essersi resa conto della loro assenza si lasciò andare sul letto, chiudendo gli occhi e stringendo nelle mani l'anello di suo padre, che aveva trasformato in un ciondolo da tenere nascosto sotto la camicia.
Chiuse gli occhi, sospirando.
Nonostante l'avesse previsto e fosse riuscita a condurre perfettamente il gioco, la conversazione con Emma Swan era stata una delle cose più estenuanti che avesse mai avuto modo di fare da quando era giunta a Storybrooke.
La donna, dopo aver consumato con tranquillità la sua colazione, aveva lasciato andare il fidanzato e si era avvicinata al bancone, prendendo posto accanto a lei e salutandola con un sorriso che aveva tutta l'aria di un preludio ad un interrogatorio.
 
«Così tu saresti la cugina del Fante di Cuori. Benvenuta.» aveva esordito.
 
Lei aveva trangugiato l'ultimo sorso di caffè, tutto d'un fiato, ed era tornata a guardarla negli occhi, sentendo il suo sguardo trapassare quella finta pelle da parte a parte.
 
«Ti ringrazio...» aveva risposto, scrutandola a sua volta «E tu sei...?» aveva quindi chiesto, fingendo di non riconoscerla.
«Oh, hai ragione. Non mi sono presentata.» aveva sorriso la donna, ma fu solo un momento «Emma Swan, la figlia di Biancaneve e del... beh, Principe Azzurro.» quindi le aveva porto la mano, e aveva aggiunto seria facendosi seria, quasi minacciosa «Nonché vicesceriffo di questa città.»
 
Si erano scrutate intensamente, in silenzio. Infine, ritrovando tutta la strafottenza ed il coraggio di cui era capace, Emilie aveva sogghignato e le aveva stretto la mano.
 
«Oh, il Principino Azzurrino.» aveva osservato, tornando ad imitare la gestualità di suo padre.
 
Sapeva che la stavano cercando. Sapeva perché, e se Emma Swan era sulle sue tracce voleva dire che era qualcosa che interessava anche a Baelfire.
Perciò, se il detective Swan era veramente così intuitiva come diceva di essere, avrebbe colto subito quella somiglianza, anche sotto mentite spoglie.
Difatti, vederla agire in quel modo la colse di sorpresa, e nel comprenderlo il suo ghigno si accentuò. A quel punto non restava che decidere se concedere a Bae quell'incontro oppure no.
Non ci aveva messo molto, ma aveva ritenuto comunque utile concedersi un altro po’ di tempo per pensarci a mente fredda.
 
«Ho saputo che ci sono stati parecchi problemi in città, ultimamente. Che ne dici di scambiarci i numeri di telefono? Potrebbe tornarmi utile sapere chi chiamare, per ogni evenienza.»
 
Emma aveva seguitato a guardarla con sospetto, dopo essersi ripresa dallo sconcerto dovuto al suo comportamento.
Non solo era nuova a Storybrooke ben sapendo cosa questo comportava, ma non faceva neanche nulla per evitare di destare ulteriori sospetti. Di certo non era un comportamento degno di chi non voleva farsi trovare, anche se sapeva che a volte quelli veramente bravi destavano sospetti per sviare l'attenzione o confondere.
 
«Hai un telefono? Non pensavo che nel paese delle meraviglie li vedessero.» l'aveva provocata.
 
Alexandra aveva sogghignato di nuovo, per nulla colpita.
 
«Oh, ci sono tante cose che ancora ignori, Detective Swan.» le aveva risposto, aggiungendo poi con nonchalance, mentre la sua interlocutrice seguitava a scrutarla cercando di capire cosa avesse voluto dirle con quella frase «Mio cugino me ne ha procurato uno. Aggeggi fenomenali, questi cellulari. Basta un pulsante e puoi parlare con chiunque in qualunque posto tu ti trovi. Non è fantastico?»
 
Emma Swan l'aveva quindi scrutata senza risponderle. A che gioco stava giocando? Possibile che non facesse assolutamente nulla per nascondersi?
 
«Già...» aveva mormorato, mentre Emilie, china sul bancone, usava una penna estratta dalla sua borsa in pelle nera per scriverle su un tovagliolo il suo numero di telefono, assieme a qualcos'altro che la lasciò basita.
 
"Anche io so chi sei, Swan. Il tuo super potere ha ragione su di me."
 
Così aveva deciso di rivelarsi, ma senza gettare del tutto la maschera.
Quando infine la donna ebbe alzato il volto verso di lei per scrutarla sconvolta, Emilie si era alzata, aveva chiesto a Ruby la chiave della sua camera e dopo averla ricevuta aveva concluso, rivolgendole un lungo sguardo serio.
 
«Mi faccio viva io. Buona giornata anche a te, Emma.»
 
Quindi aveva fatto per andarsene di sopra, ma all'improvviso si era voltata e aveva concluso, dandole il colpo di grazia.
 
«A proposito, che splendido nome.»
 
Non avrebbe facilmente dimenticato la faccia sconcertata della sua adorata cognatina, che a quel punto non aveva più saputo se essere felice o preoccupata per aver avuto la conferma che si era aspettata di doverle estorcere a forza di duelli con le parole.
Ma lei non era venuta per nascondersi così a lungo, e se aveva dovuto farlo era per il bene della sua famiglia. Ora era arrivato il tempo di riabbracciarli.
 
\\\
 
Quella sera stessa...
 
Di fronte ad una fumante fetta di pizza, Emma aveva appena finito di raccontare loro di quella stranissima conversazione avuta con la nuova arrivata, e Neal le aveva appena chiesto un suo parere sulla vicenda, quando il telefono le squillò in tasca.
Si affrettò a rispondere.
Era lei.
 
«Alexandra?» chiese.
«Di a Baelfire che se vuole incontrarmi lo aspetto nel bosco, vicino al pozzo.» esordì la ragazza, seria «Voglio vederlo da solo, per ora.»
 
Ma la Salvatrice non volle fidarsi.
 
«Che intenzioni hai?» domandò sospettosa.
«Voglio solo conoscere mio fratello.» fu la risposta.
«Si, certo. Come facciamo a sapere che non sia l'ennesima scusa? Probabilmente Alexandra non è neanche il tuo vero nome.»
«No, infatti. È Emilie, complimenti per l'intuizione detective.» la interruppe la ragazza «Mio padre mi aveva detto che era difficile fare sì che tu ti fidassi di qualcuno.»
«E anche questo. Se sei veramente la figlia di Tremotino, come mai lui non sa niente di te?» la incalzò Swan, ma anche stavolta Emilie non ebbe paura di rispondere.
«Perché io non dovrei ancora esistere, nella vostra epoca.» replicò, poi prima che la Salvatrice potesse chiedere altro concluse, risoluta «Questa è l'ultima risposta che avrai da me. Se non ti fidi di mio padre perché io dovrei aspettarmi un trattamento migliore? Sono disposta a raccontarvi tutto, ma lo farò solo con Baelfire. Lo aspetto al pozzo, fino all'una di notte sarò lì, dopo di ché tornerò nella più totale ombra e per voi sarà difficile trovarmi.
Ho usato un incantesimo per camuffare il mio aspetto, dubito ti servirà a qualcosa avermi incontrata.»
 
La chiamata si chiuse bruscamente, e mentre Emilie ripristinava le sue vere sembianze e si teletrasportava al luogo dell'incontro, Baelfire, Emma ed Henry rimasero per un po' a riflettere increduli su quella conversazione.
 
«'La vostra epoca?'» bofonchiò Emma, confusa.
«Forse intende che viene dal futuro.» ipotizzò Henry, entusiasta «Questo spiegherebbe perché nel libro non c'è scritto niente su di lei.»
«Se è così... mio padre e Belle alla fine hanno avuto il loro lieto fine.» osservò Neal, aprendosi in un sorriso appena accennato subito dopo «Sarà felice di saperlo.»
«Si, ma perché è tornata indietro? Se stava così bene nella 'sua epoca', perché viaggiare nel tempo fino a noi?» soggiunse Emma.
 
Neal parve rifletterci.
 
«Qualcosa deve essere andato storto, e lei ora vuole rimediare. Mph, già solo questo basterebbe a farmi credere che sia figlia di mio padre.» concluse, ironico e un po' amaro.
«Quindi le credi davvero?» domandò Emma.
 
Lo vide scuotere le spalle.
 
«Non lo so. Comunque credo che dovrei incontrarla.» decise, alzandosi e prendendo il suo cappotto.
«Sicuro che non vuoi che venga?» tornò a domandargli la Salvatrice, in apprensione.
 
Bae sorrise e annuì, afferrando la maniglia della porta.
 
«Non mi è sembrata minacciosa.» la rassicurò «E credo che Belle abbia ragione, se resta nascosta ci sarà un motivo. Voglio scoprirlo.» poi le scoccò un occhiolino in segno di gratitudine «Missione compiuta, Detective. Saprò sdebitarmi.»
 
Emma sorrise.
 
«Si, beh... È stato più facile del previsto stavolta.» concluse, trovando suo figlio Henry piuttosto d'accordo.
 
Batterono il cinque, ridacchiando.
Anche lui era piuttosto eccitato all'idea di svelare il mistero dietro all'operazione camaleonte, finalmente avrebbe potuto conoscere quella zia tanto astuta da aver sconfitto Zelina senza nemmeno aver bisogno di farsi vedere.

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Capitolo 4
*** Episodio IV - Tale padre, tale figlia ***


Episodio IV - Tale padre, tale figlia

La foresta era buia e fredda, invasa da una leggera nebbiolina che ne sfumava i contorni e ne smorzava i rumori.
Baelfire camminò facendosi luce con una torcia elettrica e stringendosi nel cappotto, pensando nel frattempo che quella strana e inquietante propensione per i luoghi lugubri e misteriosi poteva essere un'altra convincente prova della tanto millantata parentela con suo padre.
Nonostante gli scarponi, il pendio che conduceva al pozzo era ripido e la pioggia lo aveva reso fangoso, quindi rischiò più volte di scivolare.
Tuttavia, quando finalmente raggiunse il luogo dell'incontro, la fonte era illuminata da candele la cui fiamma non si spegneva nonostante la forte umidità e la pioggerella che aveva ripreso a scendere.
Al di là di esso, una figura minuta, avvolta in un mantello nero il cui cappuccio era calato a celare il volto, lo attendeva in silenzio.
Nella mano sinistra stringeva una torcia in fiamme, in quella destra ciò che sembrava in tutto e per tutto il pugnale dell'Oscuro, tranne che per l'assenza di un qualsiasi nome scritto sulla lama.
Si fermò a contemplarla, prendendo fiato.
 
«Tu devi essere Emilie.» esordì, aprendo il suo ombrello.
 
L'ombra sollevò di poco la testa e le labbra sottili s'incresparono in un sorriso.
 
«Da cosa lo hai capito?» chiese divertita.
 
Neal scosse le spalle, guardandosi intorno.
 
«Solo un pazzo si sognerebbe di raggiungere la foresta con questo tempaccio. In più, questa è magia, no?» disse indicando le candele «Ti piace creare la giusta atmosfera. Proprio...come lui.» concluse, rimanendo vago di proposito.
 
Nonostante tutto quello che avevano affrontato, c'erano lati di suo padre che non aveva ancora imparato ad accettare. La sua passione per l'oscurità era uno di questi.
A quanto pare, quella ragazza era molto più avanti di lui in questo.
La vide seguitare a sorridere, soddisfatta, quindi rimise nel fodero il pugnale e lentamente abbasso il cappuccio, mostrandosi.
Non era più la ragazza del Granny's. Occhi grigi, colorito pallido, capelli castani, a cui la luce delle candele donava un riflesso ambrato.
Era... davvero giovane. E somigliava molto a Belle, almeno nell'aspetto. Il modo di fare invece era in tutto e per tutto del Signore Oscuro.
 
«Ciao Baelfire.» lo accolse «Speravo che avresti capito il perché di questo posto.»
 
L'uomo sorrise a sua volta, cercando di mascherare il disagio.
 
«Volevi mostrarmi il tuo vero aspetto, e non avresti potuto farlo in città. Troppi occhi indiscreti. Giusto?»
 
La giovane annuì di nuovo, e fece qualche passo verso di lui.
Un piede davanti all'altro, sinuosa come una serpe ma anche curiosa, come una bambina. Lo scrutò da vicino, mentre lui cercava di non vedere le somiglianze.
 
«Quindi...» mormorò, cercando un modo per smorzare la tensione.
 
Quegli occhi grigi puntati su di lui e quello sguardo che sembrava volerlo divorare lo inquietavano, la nebbia e il silenzio non erano d'aiuto.
Forse sentirla parlare avrebbe reso tutto più... normale. Ma benché avesse tante domande, Emilie lo precedette mentre decideva quale fosse quella giusta.
 
«Papa mi aveva detto che eri un bambino intelligente.» disse «Non sei più un bambino, ma hai comunque un ottimo intuito.» ridacchiò.
 
Baelfire si fece serio.
 
«Già...» mormorò, tornando a guardarla «A proposito di questo...»
 
Un indice della giovane si posò sulle sue labbra, zittendolo con dolcezza. La sua pelle era morbida, nonostante la presenza di qualche callo, e le unghie lunghe erano smaltate di un nero brillante.
 
«Risponderò a tutte le tue domande.» gli assicurò, sottovoce «Ma prima che tu chieda... sei proprio sicuro di non ricordarti di me?»
 
Facendo apparire sulla sua mano un piccolo bastone da passeggio rozzamente intagliato in un robusto ramo di pino.
 
***
 
XX secolo,
Londra.
 
Baelfire e Wendy Darling stavano giocando a palla insieme ai più piccoli Michael e John, fratelli di quest'ultima, quando all'improvviso un pianto dirotto li distrasse.
Era una bambina dai lunghi capelli bruni e gli occhi grigi, vestita di stracci.
Era caduta su un sasso nascosto parzialmente sotto terra, e ora si teneva la caviglia, lamentandosi e tirando su col naso.
In suo aiuto accorse un ragazzo poco più grande, che cercò di confortarla in tutti i modi.
Gli tolse la scarpetta sudicia e abbassò il calzoncino, rivelando una piccola caviglia sporca, gonfia e sanguinante.
 
«Oh, mio Dio. Milly, quante volte devo dirti di non correre! Non abbiamo abbastanza soldi per questo.» la sgridò «Ora rimarrai zoppa.»
«Ma Will.» protestò lei, ricominciando a piangere «Volevo giocare con quei bambini.» disse indicando verso di loro.
 
Il giovane li guardò e abbassò subito gli occhi, mormorando sottovoce.
 
«Sono dei Signorini, stupida. Non vorrebbero mai giocare con te.»
 
Quindi la prese in braccio e si alzò nuovamente in piedi, voltando loro le spalle.
Baelfire e Wendy si lanciarono uno sguardo comprensivo e complice. I due giovani straccioni non ebbero compiuto nemmeno dieci passi, che la voce di Bae giunse a fermarli.
Senza voltarsi, Will guardò Emilie e la vide sorridere trionfante.
 
«Che ti avevo detto? Li abbiamo in pugno.»
 
Quindi gli tirò un pugno sulla schiena, facendo finta di aggrapparsi.
Will trattenne un urlo di dolore.
 
«Ahu!» esclamò con rabbia, sottovoce.
«Questo è per avermi chiamata stupida.» decretò la bambina, fiera.
«Stavo cercando di essere naturale.» rispose lui «Mi viene bene insultarti.»
«L'ho notato.» replicò lei, facendo una smorfia.
«Scusatemi, possiamo aiutarvi?»
 
La voce di Baelfire li raggiunse alle spalle, interrompendo la loro conversazione.
Emilie lanciò un loquace sguardo al suo complice, e mentre questi si voltava trattenne il fiato.
Quella era la prima volta che incontrava il suo fratello perduto.
Tante volte aveva cercato di immaginarselo, ascoltando i racconti di suo padre, e quando infine poté guardarlo negli occhi... capì quanto avesse avuto ragione.
Era un bambino dolce e coraggioso, leale. Il suo sguardo era pieno di comprensione per quella bambina ferita, la sua mano destra stringeva rassicurante quella del piccolo Michael.
Era davvero...un bravo bambino.
E lo erano anche Wendy e i suoi fratelli.
Seguendo il piano, Will Scarlett assunse un'aria umile e rispose, accennando ad un inchino.
 
«Oh, no davvero. Vi siamo grati per la generosità, ma non potremmo ricambiarla. Le fascerò la caviglia e spererò in meglio.»
 
Emilie ricominciò a singhiozzare, appoggiando la testa al petto del suo "fratellone".
 
«Non voglio diventare zoppa!» si lamentò disperata.
 
Will abbassò il capo fino a sfiorarle l'orecchio.
 
«Sei davvero una splendida attrice.» mormorò, fingendo di darle un bacio.
 
Lei seguitò a piangere, ma cambiò posizione, aggrappandosi al suo collo.
 
«Grazie caro.» mormorò, facendo finta di riprendere fiato.
«Non dovete sentirvi in debito.» si fece avanti Wendy Darling «Insistiamo. I nostri genitori saranno felici di aiutarvi. E poi, stava correndo per giocare con noi, è anche un po’ causa nostra se si è fatta male.»
 
Will si prese qualche secondo, facendo finta di pensarci.
 
«Ma ho il lavoro. Non posso assentarmi, o perderò anche quel poco che abbiamo.» mentì, aggiungendo poi, intristendosi «Ho promesso ai miei genitori di prendermi cura di lei.»
«Può stare da noi fino a quando non sarà di nuovo in grado di camminare.» si offrì la ragazzina «I miei genitori sono molto comprensivi. Hanno accolto Bae, non vedo perché non dovrebbero farlo anche con vostra sorella.»
 
Will ed Emilie si guardarono.
 
«Puoi restare senza il tuo fratellone per qualche giorno?» le chiese, conoscendo già la risposta.
 
La bambina tirò su col naso, si asciugò le lacrime con le mani sporche di terra e annuì. Aggrappandosi nuovamente al suo collo, concluse trionfante, a voce talmente bassa da essere a malapena udita da lui.
 
«Anche tu non sei male come attore, Will. Davvero niente male.»
 
\\\
 
Come predetto da Wendy, i coniugi Darling furono molto comprensivi e accordarono alla piccola un soggiorno lungo tutto il tempo necessario a rimettersi, accollandosi anche la spesa per la visita del medico e per la fasciatura.
Anche se per una buona causa, Emilie aveva davvero attentato alla sua caviglia, perciò dovette rimanere a riposo e dovette portare una steccatura affinché il suo passo non subisse gli effetti di una zoppia a lungo termine.
Proprio come suo padre prima di lei, aveva rischiato di diventare una storpia pur di restare accanto a Bae, per cercare di proteggerlo da un futuro da bimbo sperduto.
Ma, come avrebbe presto scoperto, c'erano punti fissi nel tempo che non potevano essere modificati.
 
\\\
 
I giorni trascorsi con i Darling furono belli, pieni di giochi e spensieratezza. Grazie alla magia, Emilie riuscì a vivere quei momenti con suo fratello che aveva sempre considerato come sogni un po’ utopistico, ma nonostante lui fosse molto servizievole e comprensivo, aiutandola perfino con i pasti e restando con lei a giocare mentre gli altri erano fuori a godersi l'aria aperta.
Quando finalmente potè alzarsi dal letto, Bae le fece trovare un'altra sorpresa: Un bastone da passeggio ricavato da un ramo robusto.
Glielo consegnò infiocchettato con un nastro di raso rosso, dopo aver aspettato che finisse di fare colazione.
Emilie lo prese tra le mani, sinceramente stupita, e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non lasciare che lacrime di commozione si affacciassero ai suoi occhi.
 
«Oh Bae...» disse, abbracciandolo forte «Grazie mille!»
«Non c'è di che.» disse lui, con un sorriso buono «Ho preso uno dei rami potati dagli alberi del viale. Dai, provalo.»
 
Contenta, Emilie prese la mano che gli porgeva il ragazzo e si mise a sedere, poggiando a terra cautamente prima il piede buono poi quello steccato.
Si guardarono negli occhi, scoprendosi entrambi emozionati.
Infine, facendosi coraggio, si mise in piedi, appoggiandosi al bastone per non crollare.
Le sue piccole gambe pallide erano rimaste a riposo per un tempo un po’ troppo lungo, facevano un po’ fatica ora a restare ferme, ma non fu questo a turbarla.
Baelfire le prese l'altro braccio e con un sorriso la tranquillizzò, invitandola ad appoggiarsi anche a lui.
Mentre scendeva le scale, barcollando e con la costante paura di ruzzolare giù come un sacco vuoto, per la prima volta comprese come aveva dovuto sentirsi suo padre prima che la magia ovviasse a quel difetto, sempre incollato al suo fedele bastone.
Come poteva un uomo zoppo e gracile come lui difendere un bambino dolce e coraggioso come quel figlio da Orchi, soldati, e qualsiasi altro genere di pericoli comuni al mondo magico.
E se fosse scappato, se insieme a Bae avesse raggiunto quel mondo senza magia, quel suo corpo fragile gli avrebbe davvero permesso di continuare a difenderlo, di combattere per dargli una vita degna quanto quella che aveva potuto avere dai Darling?
Forse scusarlo era troppo, ma lo capì. E quando la luce del sole gli ferì gli occhi, finalmente trovò una scusa utile per lasciarsi andare.
Il suo fratellino pensò che fossero lacrime dovute al dolore, si tolse la vestaglia da giorno e la stese sull'erba, invitandola a sedersi.
 
«Ti fa tanto male?» chiese apprensivo «Forse ti sei sforzata troppo.»
 
Emilie annuì, sedendosi e appoggiando accanto a sé il bastone.
 
«È stato il sole.» replicò «Sto bene, davvero.»
 
Baelfire le sorrise di nuovo, e a quel punto, finalmente, Emilie riuscì a trovare l'occasione giusta per parlare del loro... punto in comune.
 
«Perché fai tutto questo per me?» domandò.
 
Il bambino abbassò timidamente lo sguardo.
 
«Anche mio padre era zoppo.» rivelò «So come si vive in quel modo. E so come prendermi cura di chi lo è.»
 
Milly sorrise di nuovo. Gli occhi lucidi, gli prese una mano e l'accarezzò piano.
 
«Gli volevi bene?» domandò, e lo vide intristirsi.
 
Annuì, con un cenno rapido del capo. Avrebbe voluto dire di più, ma lacrime si affacciarono ai suoi occhi.
 
«Cosa gli è successo?» domandò, ma il ragazzo ebbe solo il fiato e la voglia per rispondere, molto vagamente.
«È morto.»
 
Sapevano entrambi, anche se per motivi differenti, che non era vero. Ma per il momento era meglio per ciascuno credere a quella bugia.
E quale modo migliore per farlo se non condire il tutto con altre bugie, che facessero sembrare quel tipo di dolore qualcosa di comprensibile da entrambi. Un punto in comune.
 
«Anche i miei genitori sono morti.» disse, candidamente.
 
Ma Bae sembrò quasi non ascoltarla. Era di nuovo perso nei suoi pensieri, e solo l'arrivo del piccolo Michael e del suo orsacchiotto di peluche riuscì a restituirgli il sorriso.
Non ne parlarono più per qualche giorno, fino a che una notte, quando mentre tutti erano profondamente addormentati, Emilie non vide Bae agitarsi nel letto e poi riaprire di colpo gli occhi, respirando affannosamente.
 
«Un incubo?» chiese.
 
Nel buio, il ragazzo la guardò sorpreso, quindi annuì, mettendosi a sedere.
 
«Ti ho svegliata?» chiese, mortificato.
 
Lei scosse il capo, sorridendo.
 
«In realtà non ho mai preso sonno. Sono stanca di stare sempre a letto.»
 
Bae sorrise a sua volta.
 
«Domani è il grande giorno. Tuo fratello verrà a riprenderti.» disse, tentando di tirarle su il morale.
 
Fu il suo mezzo sorriso in quegli occhi tristi, in realtà, a confortarla. Voleva dire che c'era ancora speranza.
 
«Si ma stanotte mi sa che non chiuderò occhio.» disse, e a quel punto fu proprio lui a tirar fuori l'argomento.
«Ti mancano mai i tuoi?» chiese, sentendo di dover dare spazio al peso che gravava sul suo cuore.
 
Emilie si mise a sedere, sorridendo e scuotendo le spalle.
 
«Spesso...» replicò, sinceramente «Più di quanto pensi. Ma una volta mio padre mi disse una cosa che mi conforta tanto.» concluse, lanciando un amo al quale il suo giovane fratello abboccò rapidamente.
«Cosa?» domandò curioso.
 
Milly si fece nostalgica, e guardandolo negli occhi replicò.
 
«Non c'è niente che riesca a tenere lontano un figlio dall'amore di un padre. Un padre... troverà sempre un modo per ritornare dai suoi figli.»
 
***
 
Neal guardò quel piccolo bastone nelle sue mani, e all'improvviso nella sua mente tutto si fece più chiaro. Ecco.
Ecco dove l'aveva già vista.
Sgranò gli occhi, facendo un passo indietro e puntando un indice verso di lei.
 
«Milly...» mormorò «La piccola Milly. Eri tu.»
 
Emilie sorrise, e con un plateale movimento delle braccia spinse indietro il mantello e compì un profondo inchino.
 
«Eccomi qua.» esclamò «Sei decisamente cresciuto bene.» ridacchiò.
 
Ma l'uomo non condivise il suo buon umore.
Subito dopo quella notte erano successe tante cose. Wendy era stata portata sull'isola che non c'è dall'ombra e, due notti dopo, lui si era sacrificato per far sì che i Darling rimanessero insieme.
Emilie, che aveva trovato una scusa per restare, aveva cercato di fermarlo, ma la sua testardaggine aveva preso il sopravvento e gli eventi avevano fatto il loro corso.
A circa un mese di distanza dal suo arrivo sull'isola, Bae aveva lasciato la Jolly Roger di Uncino e si era rifugiato in una grotta, lontano dai bimbi perduti e da Peter Pan.
Lì aveva trovato un biglietto ad attenderlo.
 
"Non arrenderti. Tuo padre sta cercando un modo per raggiungerti. Arriverà presto.
Ti vuole molto bene.
E. "
                                              
Non aveva mai saputo chi lo avesse portato, ma era stata una di quelle cose che lo avevano aiutato a credere di nuovo in suo padre. Nella sua famiglia.
Quel biglietto, e quella strana conversazione avuta con la piccola Milly.
Ora tutto si spiegava.
 
«Quindi vieni dal futuro.» la incalzò serio, quasi severo «Per questo sapevi tutte quelle cose su di me, su mio padre?»
 
Emilie lo guardò in silenzio, spegnendo appena il sorriso.
 
«E quella frase sull'amore di un padre? È stato sempre lui a dirtela? Parlava di me?» seguitò Neal, nervoso, mentre lei lo fissava in silenzio.
«Tu non mi credi, vero?» gli chiese ad un tratto, invece di rispondere.
 
Con un gesto infastidito l'uomo alzò gli occhi e le braccia al cielo, scuotendo le spalle.
 
«Non lo so, dovrei?» domandò «Hai passato tutto questo tempo nascosta e ora all'improvviso te ne esci fuori con queste spiegazioni assurde e...»
 
Emilie lasciò cadere il mantello alle sue spalle, rivelando le sue vesti. Era uno dei completi di suo padre, il corpetto di pelle le stringeva il seno facendolo risultare più pieno di quanto non fosse in realtà, e i pantaloni aderivano perfettamente alla sua siluette.
Si tolse uno stivale, e sollevò il lembo destro, rivelando la caviglia marchiata da una cicatrice chiaramente riconducibile ad un impatto con una pietra od un oggetto contundente.
Bae la fissò sconcertato, non sapendo a cosa far caso per primo.
 
«Questo ti basta come prova?» domandò stizzita, rimettendosi lo stivale e poi allargando le braccia, compiendo un rapido giro su sé stessa «E questo?»
 
Infine sfilò dal collo un medaglione d'oro con una gemma a forma di occhio incastonato al centro e gliela consegnò, permettendogli di tenerla tra le mani.
 
«O magari crederai a questo.»
 
L'uomo scrutò a fondo l'oggetto, notando una strana aura brillare attorno ad esso.
 
«Cos'è?» chiese, più calmo ma non meno confuso.
 
Emilie sospirò.
 
«L'occhio di Cronos.» rivelò «L'unico oggetto in grado di farmi viaggiare attraverso il tempo. Questo gingillo sta ai viaggi nel tempo come i fagioli magici stanno a quelli nello spazio.»
 
Neal Cassidy la scrutò a lungo, poi guardò di nuovo l'oggetto e sospirò.
 
«E... Hai usato questo per raggiungermi sull'isola?»
 
Sua sorella scosse il capo, e trasse fuori dalla tasca del pantalone in pelle un fagiolo magico, mostrandoglielo mentre lo teneva tra le dita.
 
«Papa ne aveva un barattolo pieno al Castello.» spiegò mentre Bae tornava a sgranare gli occhi sbigottito «Venivano da qui, da questo mondo. Erano gli ultimi rimasti. Li ho presi quando ho deciso di partire...» sospirò, abbassando il capo mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime «Tanto a lui non servivano più.»
«Perché, cosa gli è successo?»
 
Emilie sorrise amara.
 
«Cosa pensi che gli sia successo?» rispose «Ha vissuto abbastanza da vedere la mamma invecchiare, e dopo che lei...» scosse il capo, prendendo tempo mentre la voce s'incrinava pericolosamente.
 
Si nascose gli occhi dietro una mano, quindi scosse nuovamente e con più forza la testa e concluse, sbrigativa.
 
«Ha cercato un modo per liberarsi del pugnale e della sua immortalità e alla fine lo ha trovato. Ha fatto l'eroe, come al suo solito.» sorrise nuovamente, nostalgica e amara.
«Per salvare chi?»
 
Emilie si fermò a guardarlo, titubante.
 
«Se te lo dicessi non ci crederesti.» lo avvisò, trasformando il suo sorriso in una smorfia triste.
«Ormai non mi stupisce più nulla.» fece Bae, tornando a scuotere le spalle «Andiamo, spara.»
 
La ragazza sorrise divertita.
Quindi lo guardò negli occhi e disse, a bruciapelo.
 
«Uncino.»
 
Nonostante le promesse, il volto del suo fratellone divenne all'istante una maschera di sorpresa.
 
«Uncino?!» esclamò «Quell'Uncino? Sei seria? Lo stesso con cui continuano a cercare di scannarsi a vicenda.»
 
Emilie annuì, comprensiva. Poi però storse appena il labbro, alzando gli occhi e facendo oscillare le mani.
 
«Beh, non proprio lo stesso.» spiegò «Come posso semplificarlo? In sostanza, questo non è l'unico mondo plausibile. Ne esistono altre versioni, con altrettanti Bae, e Tremotino, e Uncino.
Beh, uno di quegli Uncino aveva una figlia, Alice. Io e lei ci eravamo conosciute per caso, mentre papà non c'era, ed eravamo... siamo diventate amiche. Solo che Uncino non poteva avvicinarsi a lei perché qualcuno gli aveva avvelenato il cuore.»
 
Era un fiume in piena. E mentre cercava di stare al passo, Baelfire la fissava senza capire bene tutto quel casino. Ma alla fine del ragionamento parve riprendersi.
 
«Papa si è sacrificato per farli riavvicinare?» chiese sorpreso.
 
Era un gesto anche più eroico di quello compiuto con Peter Pan.
Sacrificare sé stesso per salvare due perfetti estranei, uno dei quali era la copia del suo peggior nemico?
Emilie oscillò il capo.
 
«Il punto è ...» rispose cautamente, quasi stesse pensando al modo migliore per aggiungere pezzi a quel puzzle incasinato «Che stavamo cercando un modo per liberarci dal pugnale, e Alice... lei era la Custode. Ovvero una di quelle pochissime persone che sono capaci di addossarsi il suo potere oscuro senza cedere all'oscurità. Ma quando ci ha viste insieme, papa non ha voluto darle quel fardello. Non se l'è sentita...»
 
A quel punto, Neal parve capire.
 
«E allora ha deciso di ripiegare su una buona azione che gli fornisse lo stesso la chiave per raggiungere Belle nonostante le sue azioni passate.» risolse, e la vide intristirsi, inclinando il capo per nascondere gli occhi lucidi.
 
Non ebbe risposta. Osservandola combattere contro le lacrime che premevano contro la sua gola, all'improvviso sentì di avere davvero qualcosa in comune con lei.
 
«Non ci posso credere, lo ha rifatto.» mormorò deluso «Ti ha abbandonata. Questo si che è da lui...» aggiunse con un sorriso amaro.
 
Emilie si riprese, scuotendo il capo e aggiungendo.
 
«Non è così semplice. Non voleva farlo, ma sono stata io a spingerlo. Voleva che tornassi a casa, che vivessi il mio futuro, ma io gli ho detto che se voleva che lo lasciassi andare da solo doveva essere lui a voltarmi le spalle. Così ha fatto...»
 
Si asciugò gli occhi con una mano, poi trasse fuori da una delle tasche del pantalone un foglietto ingiallito e ripiegato, consegnandoglielo.
Era l'ultimo messaggio di Tremotino per sua figlia.
Mentre lo leggeva, Bae la vide accarezzare in silenzio l'anello che portava al dito.
 
«Quindi quello te lo ha dato lui.»
 
La ragazza annuì in silenzio, ingoiando un altro groppo di lacrime.
L'uomo sospirò, arricciando il labbro e annuendo.
Quindi chiuse l'ombrello, fece un passo verso di lei e l'abbracciò, senza trovare opposizione.
Emilie si lasciò andare alle lacrime, sorridendo felice mentre lo stringeva a sua volta e accostava l'orecchio sul suo petto, ascoltando il battito del suo cuore.
Era lo stesso di suo padre.
Neal le diede tutto il tempo che desiderava per riprendersi. Comprendeva ogni singolo pezzo di quel dolore, la solitudine che aveva potuto trovare mentre attraverso le epoche cercava un modo per aiutarli.
 
«Quindi hai fatto tutto questo per rivederlo?» chiese, quando finalmente la giovane trovò il coraggio di staccarsi.
 
Emilie prese un respiro profondo, asciugandosi le lacrime con le dita e tornando a sorridere.
 
«Non solo.» rivelò «Vedi, quando la mamma era ancora con noi lui mi raccontava spesso della loro vita nella foresta incantata, e a Storybrooke. Non aveva segreti con me, sul serio. Mi parlava anche di te, a volte. Di come fosse stato disperato dopo averti perso e di come invece fosse stato felice dopo averti ritrovato. Aveva sempre gli occhi velati di tristezza, perché il destino vi aveva concesso poco tempo per stare insieme in quella suo nuova vita.
Ma si era rassegnato, aveva fatto pace con la tua morte.»
«A causa di Zelena?» domandò Bae, cercando di stare al passo col suo ragionamento.
 
Sua sorella annuì.
 
«Ma dopo la morte della mamma...» riprese, molto più tristemente «All'improvviso sembrava aver perso di nuovo tutta la luce nel suo sguardo. Tu gli mancavi, la mamma gli mancava... e io e Gideon non sapevamo che fare.»
«Gideon?»
«Oh, già!» si scusò, accennando ad un sorriso imbarazzato «Si, sai. Il primo figlio di mamma e papà. Mio fratello maggiore.»
 
Neal alzò gli occhi al cielo. Il suo albero genealogico non era già abbastanza incasinato?
 
«Certo, ovviamente.» mormorò tra sé, facendole poi segno di proseguire «Scusa, continua.»
 
Emilie annuì.
 
«Beh, quando mi disse che voleva partire per cercare il custode pensai che fosse una buona idea per tentare di riportarlo al presente. Così mi offrii di seguirlo, e lo feci per molto tempo. Fino al giorno in cui lui non mi lasciò con questo anello e quel biglietto. Ovviamente provai a seguirlo, ma...» si bloccò, titubante «Mi fu impedito.»
 
Neal si corrucciò.
 
«Da chi?» domandò, ma non appena lei fece per aprir bocca lui la bloccò «Aspetta, non dirmelo...» si passò una mano sugli occhi, fingendo disperazione «Visto come sta andando la storia penso di saperlo già.»
 
Emilie sorrise divertita. Annuì, e attese che lui tornasse a guardarla per rispondere, dopo una breve pausa ad effetto.
 
«Il Tremotino di un altro regno. Ma questa è una storia lunga e la pioggia si sta facendo fitta. Ti va una birra a casa mia?» propose ammiccando.
 
L'uomo sospirò.
 
«Purché tu non abbia intenzione di creare un'atmosfera lugubre anche lì, credo di aver bisogno di una poltrona comoda su cui svenire.» accettò.
 
Emilie ridacchiò.
 
«Affare fatto.» risolse «Non è una reggia ma è accogliente. E la poltrona che mi ha fatto avere Will è degna di un Re.»
«Ah, quindi centra anche lui.»
 
Emilie gli scoccò un occhiolino.
Quindi schioccò le dita, e in un attimo si ritrovarono catapultati nella piccola casa sull'albero, illuminata da un fuocherello acceso nel camino e da un candeliere da soffitto.
Baelfire si guardò intorno, sorpreso, mentre il fumo viola svaniva rapidamente.
C'erano molti oggetti che riconosceva. Nella libreria diversi volumi appartenuti a suo padre e qualche utensile del suo laboratorio, nel castello oscuro; Uno scaffale della credenza era pieno di pozioni, alcune delle quali senza etichetta ma chiaramente riconducibili al Signore Oscuro.
L'armadio era pieno dei suoi vestiti e, proprio accanto al camino, la sedia di velluto rosso di suo padre.
Emilie si portò dietro di essa e ne accarezzò la cornice d'oro della spalliera.
 
«Quella non te l'ha fatta avere Will.» osservò Neal, indicandola.
 
Emilie fece una smorfia falsamente affranta, scuotendo lentamente il capo.
 
«Però potrebbe avermi aiutato a trasportarla fino a qui.» replicò divertita.
 
Suo fratello scosse il capo, sorridendo appena.
 
«Ad ogni modo, preferisco il letto.» decise, andando a sedersi sul giaciglio costruito con assi di legno e un vecchio materasso ancora buono ma un po’ troppo duro per i suoi gusti.
 
Le lenzuola color porpora e bianche che lo ricoprivano però erano pregiate, se ne accorse sfiorandole con i palmi delle mani e fu pronto a scommettere che anche quelle provenissero dal castello oscuro.
La osservò sedersi a gambe accavallate sul suo trono, quindi sorrise di nuovo.
Quel completo da coccodrillo le stava quasi meglio che a suo padre.
Di certo entrambi avevano uno strano senso dello stile.
 
«Allora, questa storia? Il Tremotino di questo altro regno era meglio o peggio di quello che conosco io?» domandò, ora davvero curioso di sapere «È stato lui ad insegnarti la magia oscura?»
 
La vide sogghignare.
 
«Oh, no. Quella me l'ha insegnata il Tremotino che conosciamo noi, il mio papa.
Ma il Coccodrillo del Regno del Desiderio...» il sogghigno si accentuò «Era cento volte peggio, e devo ammetterlo ... mi piaceva da impazzire.»
 
***
 
Passato,
Nuova foresta incantata.
 
Col cuore spezzato, la giovane Emilie cadde in ginocchio esplodendo il lacrime, l'ultima lettera di suo padre stretta tra le mani, sul cuore, e il suo anello nuziale al dito.
"Se vuoi continuare da solo, dovrai essere tu ad andartene per primo."
Era stata lei, a dirglielo.
Ma non avrebbe mai creduto che avesse abbastanza coraggio da farlo davvero. Invece, a quanto pareva, il coraggio suo padre lo aveva trovato, e le pareva anche di sapere dove.
Baelfire.
Sapeva bene quanto gli fosse costato il lasciarlo andare, ma è la prima volta ad essere sempre più dura.
Esattamente come lo fu in quell'istante per lei.
Eccola, la sua prima volta.
Ma, anche se pianse così tanto da perdere le forze e sentire gli occhi dolere, alla fine anche lei scoprì di avere un ottimo alleato dalla sua.
La caparbietà.
Era la "piccola principessa pestifera" di suo padre, avrebbe agito come tale.
Del resto glielo aveva promesso.
"Non sperare che io non ti segua."
Erano ancora nello stesso reame, sarebbe stato facile ritrovarlo.
E così, alla soglia del suo diciassettesimo compleanno, Emilie Gold si rialzò dall'abbandono più grande, asciugò le lacrime rimaste sul suo viso, scacciò la polvere dalle vesti e strinse ricacciò la lettera ben ripiegata nella bisaccia, stringendo bene alla cintola la sua unica arma, un vecchio pugnale appartenuto a chissà chi, rimasto per secoli nascosto tra la polvere che invadeva il castello oscuro, la vecchia dimora di suo padre.
Aveva già un piano in mente: raggiungere Alice, dalla quale di sicuro suo padre sarebbe tornato anche solo per un veloce saluto, e attenderlo lì, oppure seguire le sue tracce.
Ma dopo aver percorso neanche dieci minuti di cammino all'improvviso si sentì mancare, gli occhi le si chiusero e mentre precipitava a terra un denso fumo violaceo l'avvolse, cancellando tutto il resto.
Era il prologo alla sua avventura, un'epopea alla ricerca d'un miracolo che le desse il potere di plasmare il tempo con le sue stesse mani.
 
\\\
 
Si risvegliò dentro ad un ambiente scuro e umido, su un giaciglio di paglia non troppo comodo.
Riapri lentamente gli occhi e riconobbe subito quel posto. Era una cella.
Una sudicia cella di un vecchio castello dalle mura di pietra scura.
Trattenne il fiato.
 
«Non può essere...»
 
Aveva visto il Castello Oscuro solo una volta in vita sua. Mentre preparava il necessario per il viaggio, suo padre le aveva permesso di girovagare, e nel farlo si era spinta fin lì, fino alle segrete in cui sua madre aveva vissuto la sua prima notte alla corte della Bestia.
C'era però qualcosa di strano. Perché era prigioniera di suo padre?
Forse era un suo trucchetto per impedirle di seguirlo?
Ma non aveva senso, il Tremotino che conosceva lei non si sarebbe mai spinto a tanto con la propria figlia. O forse si?
Mentre cercava una risposta, si mise all'opera anche per trovare una via d'uscita.
Conosceva quella cella così come tutto il castello, non c'era altro modo che scardinare la porta o scassinarla.
Optò per la prima ipotesi e ci provò, dapprima con un globo di fuoco, che tuttavia non sortì l'effetto desiderato.
Allora iniziò a prenderla ripetutamente a calci fino a che i chiodi arrugginiti non saltarono e lo stipite cadde al suolo con un fragore assordante.
Soddisfatta, la giovane sogghignò e fece per mettere piede fuori dalla sua prigione, ma un campo di forza glielo impedì, facendola rimbalzare contro la parete.
Mentre si rialzava barcollante, una risatina fin troppo familiare la raggiunse.
Davanti a lei era appena apparso suo padre, nella sua forma di Coccodrillo.
Ma... non era lui.
I suoi occhi erano pieni di follia e privi di quella tristezza che gli era solita, non c'era amore verso il mondo, e verso di lei.
 
«Determinata. Mi piace.» commentò divertito «Tuttavia, tesoro, niente ti permetterà di oltrepassare quell'incantesimo di protezione. A meno che io non voglia.»
 
Lei sospirò, spazientita.
 
«Papa, che stai facendo?»
 
Lo vide storcere il naso in una smorfia quasi disgustata.
 
«Non sono il tuo papa, cara. Quello stolto sta cercando di distruggerci entrambi, ma io glielo impedirò. Grazie a te.»
 
La ragazza si fermò un secondo a pensare.
 
«Aspetta...» si guardò nuovamente intorno, poi rivolse una lunga occhiata a quell'uomo e trovò oltre alla follia nel suo sguardo altre cose che non quadravano.
 
Non aveva nessun anello al dito, nessun segno del suo passato da Mr. Gold, e se possibile il suo volto era ancora più deforme del solito.
 
«Questa non è la nuova foresta incantata. In che reame siamo?»
 
Lo vide sogghignare, divertito e soddisfatto.
 
«Anche intelligente. Almeno una cosa buona il tuo papino te l'ha insegnata.»
 
Emilie sorrise.
 
«Non mi ha insegnato solo questo.» precisò «Sarai pure un'altra versione di mio padre, ma io ti conosco Coccodrillo. Conosco te e conosco lui.» si avvicinò spaventosamente alla barriera fino a sentire il suo potere sfrigolare sulla sua pelle, rizzandole le carni «So cosa stai pensando di fare, ma non ci riuscirai. Papa ormai è deciso a riunirsi alla mamma, nulla lo fermerà.»
«Oh, davvero?» sibilò il Signore Oscuro «Nemmeno il sapere che la vita della sua adorata principessina è in pericolo?» domandò perfidi, ridendosela subito dopo.
 
Ma lei non si diede per vinta, pur rabbrividendo. Alice le aveva detto quanto quella versione del Signore Oscuro potesse essere malvagia. Dai racconti di suo padre aveva saputo che Belle era morta prima che il suo amore potesse cambiare il suo cuore e il sortilegio oscuro non era mai stato lanciato, precludendogli l'unica possibilità di fuggire dalla sua prigione nelle caverne e di ritrovare Bae.
Chiunque lo avesse liberato, aveva permesso ad un essere malefico dalla mente corrosa dalla pazzia di agire liberamente per il reame.
Di sicuro suo padre era la versione migliore di sé, ma sfidare questa versione sarebbe stato arduo.
All'improvviso un'idea assurda le balenò in testa, e anche se aveva promesso di non cedere all'oscurità, vi si aggrappò perché era l'unica possibilità che aveva di riabbracciare suo padre.
 
«E cosa vuoi fare, torturarmi mentre aspetti che ritorni a prenderti?» domandò, ritrovando il buon umore.
«Oh, no.» fece lui, sghignazzando di nuovo «Non potrei mai essere così crudele con la mia figlioletta. Anche se... a ben pensarci non è così cattiva come idea.»
«Tsh, che spreco.» commentò a quel punto lei, interrompendo un'altra delle sue sghignazzate «Per essere la versione migliore di Tremotino mi sarei aspettata...di meglio.» soggiunse, imitando il suo gesticolare e la sua risatina divertita.
 
Questi si fece serio.
 
«Cosa vuoi dire?» sibilò, socchiudendo gli occhi e squadrandola minaccioso.
 
Emilie scosse le spalle.
 
«Niente.» replicò «Solo che hai tra le mani più oro di quanto tu possa produrre col tuo telaio, l'opportunità di cambiare il tuo passato e il tuo futuro, e la sprechi così? Senza nemmeno provarci?»
 
Lo vide farsi attento, e dentro di sé gioì. Non aveva ancora deciso se volesse o meno attuare il suo piano, ma a prescindere da questo cercare un modo per viaggiare nel tempo assieme ad un Tremotino libero da scrupoli sarebbe stato l'ideale.
Avrebbe potuto imparare tanto, e tenerlo occupato.
 
«Cosa stai blaterando?» le chiese, avvicinandosi verso di lei.
 
Sogghignò, e senza timore avvicinò il viso a quello del Coccodrillo. Così vicino da poter guardare l'oscurità muoversi in quelle pupille grigie.
 
«Da dove vengo io, mio padre aveva trovato un modo per viaggiare nel tempo.» mormorò, sibillina «Ma pensava fosse troppo pericoloso, quindi non lo ha mai usato.
Tu non hai niente da perdere, no? Niente che t'impedirebbe...questo piccolo esperimento.» concluse, scoccandogli un occhiolino.
 
Il Signore Oscuro parve rifletterci per qualche istante, poi all'improvviso si rianimò.
 
«No, in effetti no. Dimmi come ha fatto.» gioì impaziente.
 
Ma stavolta fu lei a sogghignare vittoriosa.
 
«Non sei tu a dire che non si ottiene mai nulla per nulla?» replicò serena «Facciamo un patto, vuoi?»
 
La bestia ne rimase sorpresa, ma non per molto.
 
«Oh, ho capito cosa stai facendo?» mormorò con un ghigno «Astuta. Veramente astuta.»
 
Senza scomporsi, Emilie fece spallucce e assunse un'aria orgogliosa.
 
«Sono la figlia di Tremotino, dopotutto.» replicò, sogghignante.
 
Questi ridacchiò.
 
«Già, degna figlia di suo padre.» si complimentò, per poi tornare a minacciarla «Ma proprio per questo, come faccio a sapere che non mi stai ingannando?»
 
Ancora una volta, la giovane non perse la calma. Annuì, seria, e rispose.
 
«Nessuno rompe un patto con il Signore Oscuro, conosco la solennità dei miei doveri.» replicò «Inoltre sono tua prigioniera, nel tuo regno, senza vie d'uscita. Mi troveresti comunque e mi uccideresti, o faresti... qualsiasi cosa tu abbia in mente di farmi.» e mentre lo diceva, agitando le braccia con nonchalance, vide quegli occhi da rettile brillare.
 
Ormai ci era dentro con tutta la suola dei suoi meravigliosi stivali a punta.
 
«Quindi …» ribadì, dopo avergli dato il tempo di pensare «Possiamo parlare, ora?»
 
E con sua somma gioia il Signore Oscuro abbassò le difese, e con un sorriso furbo replicò, divertito.
 
«Si, adesso possiamo farlo.»
 
\\\
 
L'accordo era semplice. La sua libertà in cambio delle informazioni necessarie ad aprire un portale spazio temporale.
Peccato che lei non sapesse affatto né quale fosse la formula per aprirlo, né quale fossero le condizioni.
L'unica cosa che sapeva era che sarebbe servita la bacchetta di sua nonna, la fata nera.
Com'era prevedibile, dopo averla liberata il Tremotino del Desiderio si affrettò a recuperarla ma lei fu più pronta e la fece sparire.
Ovviamente, il Signore Oscuro se ne accorse e non la prese affatto con diplomazia.
 
«Non provare a fare la furba con me, ragazzina!» sbraitò «Ridammi quella bacchetta, o me la riprenderò con la forza!» minacciò.
 
Emilie si sentì rabbrividire. Non aveva mai visto suo padre così fuori di sé, anche se sapeva che poteva accadere.
Ma doveva ricordare il motivo per cui era lì, e che quello non era suo padre.
Quindi tento il tutto per tutto.
 
«Oh, lo farei.» disse «Davvero. Ma sfortunatamente non ho...il pieno controllo della mia magia.»
 
Lui la fissò esterrefatto.
 
«Cosa!?» esclamò.
 
Lei sorrise.
 
«Si, beh... il mio papa aveva iniziato ad insegnarmi qualcosa di più serio, ma tu mi hai rapito, quindi... per quanto ne so potrei anche averla mandata direttamente nelle sue mani.»
 
Non era del tutto falso. Non aveva molta esperienza con la magia, ma sapeva benissimo dove aveva fatto finire il suo prezioso reperto.
Com'era prevedibile, questa prospettiva lo fece infuriare.
 
«Tu, ragazzina insolente!» sbottò «Faresti bene a ricordare che sei ancora mia prigioniera.»
«Ah, no. In realtà tu mi hai liberato ma io ho un patto con te, e poi mi piace questo castello. Per questo non sono scappata.» gli ricordò lei, cercando di non ascoltare il proprio cuore che faceva le capriole in petto.
«Non sfidarmi.» sibilò minaccioso «Non ho tempo da perdere con te.»
 
Messaggio non ricevuto.
 
«Sicuro?» seguitò imperterrita «Perché io sono la figlia preferita di mio padre dopo Bae, che tu ancora non hai ritrovato. E per quanto ne so potrei anche riuscire a farmi dare il pugnale senza nemmeno dover combattere, basta che io gli dica che ho trovato un modo per liberarsene.»
 
Il Coccodrillo sibilò minaccioso come un serpente.
 
«Stai giocando col fuoco.»
 
Lei sorrise.
 
«Lo so.» replicò tranquilla «Quindi... tu mi addestri, io ti ridò la bacchetta. Noi apriamo il portale, e tu puoi prenderti il pugnale e salvare Bae. Oppure puoi anche impedire che si perda. Ed io, dopo aver saldato il debito, potrò tornare a casa col mio paparino ancora immortale.»
 
Tremotino rise, a metà tra il divertito e l'irritato.
 
«Tu. Tu sei davvero... impossibile.» sbottò.
 
Lei ridacchiò a sua volta, scacciando lusingata l'aria con la mano.
 
«Ho preso dal migliore.»
 
***
 
«Non ci credo...»
 
Baelfire si alzò dal letto sul quale era seduto e chiese sbalordito.
 
«Tu hai avuto il coraggio di fare due patti con lui, uno dopo l'altro? Sul serio!?»
 
Emilie ridacchiò, allargando le braccia.
 
«Che posso dire?» replicò ingenuamente «Hai presente la storia delle mille una notte?» 
 
Suo fratello sorrise.
 
«Sono...davvero impressionato.» osservò, tornando a sedere «Sul serio, complimenti per il coraggio. Dovrei sentirmi offeso per avermi usato come moneta di scambio, ma papa lo faceva in continuazione, quindi …» alzò le spalle, rassegnato.
 
Milly fece roteare il polso inclinando il capo, onorata.
 
«Ti ringrazio.» ribatté «Ma più che coraggio è stato spirito di sopravvivenza. Qualcos'altro in comune con lui.» lo precedette, vedendolo annuire.
 
Poi però, all'improvviso, il suo umore cambiò, intristendosi, e il suo sguardo si fece assente.
 
«Vorrei fosse servito a qualcosa...» mormorò.
 
Neal la scrutò, preoccupato.
 
«Non è andata così?» domandò.
 
Un sorriso triste colorò appena le sue labbra. Scosse piano il capo, distrattamente.
 
«Sono riuscita a trovare il modo per viaggiare nel tempo, ma non a impedire che le due versioni di mio padre si affrontassero.» rivelò «Magari era un punto fisso, qualcosa che doveva accadere per forza. Quindi, quando cercai d'intervenire...» la voce s'incrinò pericolosamente, le lacrime tornarono prepotenti ad affacciarsi.
 
Non ce la fece a finire la frase. Inclinò il capo, e nascose il volto dietro ad una mano poggiata sulla fronte.
Bae sospirò, si alzò e riempì il bicchiere di vetro poggiato sul tavolo con un po' d'acqua dentro alla bottiglia di plastica.
Non era molto fresca, ma sarebbe andata bene.
Gliela porse.
 
«Tieni.»
 
Gli occhi rossi e il viso paonazzo, Emilie gli rivolse uno sguardo grato, respirò profondamente e ingoiò piccoli sorsi d'acqua cercando di scacciare i ricordi dolorosi. Inutilmente.
 
«Sono arrivata giusto in tempo...» mormorò «Per vedere entrambi le versioni morire.»
 
Soffocò un singhiozzò bevendo un altro lungo sorso.
Morse il bicchiere, inconsapevole.
 
«L'ultima cosa che papa ha fatto prima di donare il suo cuore a ‘Mano Mozza’ è stato guardarmi e sorridermi. Era tornato normale, ma vestiva come un uomo comune, con pantaloni e un giubbotto di jeans.»
 
Sorrise amara. Baelfire si corrucciò.
 
«Sai cosa gli aveva impedito di raggiungermi prima?» seguitò la giovane, di nuovo sovrappensiero «Un altro sortilegio. Che non mi aveva colpito perché io ero con la sua versione peggiore ad imparare la magia oscura, proprio come gli avevo promesso di non fare.»
 
S'interruppe di nuovo, ritornando a coprirsi gli occhi con una mano.
Sospirò profondamente.
 
«Sono davvero una pessima figlia...»
 
Baelfire tornò a sedersi, cercando di pensare a qualcosa da dire che le risollevasse il morale.
 
«Hai cercato e trovato un modo per far sì che il suo destino cambiasse.» le disse infine, aggrappandosi all'idea migliore «Sei tornata indietro nel futuro per salvarci, e lo hai fatto perché lui possa essere felice in futuro. Giusto?»
 
Emilie tornò a guardarlo, sorridendo tristemente.
 
«Così sembra...» mormorò, quasi tra sé, annuendo «E adesso non trovo nemmeno il coraggio di farmi vedere da loro.»
 
Ecco un altro argomento di cui parlare.
 
«Perché vuoi farlo proprio ora? Non funziona più restare nascosta?» domandò, curioso.
 
La ragazza scosse il capo.
 
«Non più, Bae. No.» replicò «Stavolta dovrò esserci per rendermi utile...durante i giorni di pioggia.»
 
Stavolta fu l'uomo ad incupirsi.
 
«Cosa dovrà succedere ancora?» domandò preoccupato.
 
Milly sorrise.
 
«Diciamo... che tra poco potrebbe aver bisogno di un supporto morale e una casa fuori città. Ed io sono disposta a dargli entrambi le cose.»
 
Neal la guardò sorpreso, cercò per qualche istante di decifrare quell'inutile indovinello, ma poi ci rinunciò.
 
«Quindi come intendi fare?» domandò «Entrare nel suo negozio e dirgli: ’Ciao papà, sono Emilie. Piacere di rivederti.’?»
 
Anche se non volutamente, riuscì finalmente a farla sorridere di nuovo.
Emilie ridacchiò, scuotendo il capo.
 
«No, certo che no.» replicò.
 
Quindi si alzò, prese un foglio, la penna d'oca intrisa in un pregiato calamaio in legno, e scrisse qualcosa appoggiandosi al tavolo.
 
«Ecco a te, fattorino.» sorrise, consegnandoglielo.
 
Bae la fissò sorpreso per qualche istante, poi prese il foglio, lesse e sorrise.
 
«Vuoi prenderlo per la gola, eh?»
 
Emilie ridacchiò, facendo spallucce.
 
«Magari riuscirò a farmi perdonare l'averlo colto di sorpresa.»
 
\\\
 
La serata con Emilie era trascorsa velocemente, dopo quel lungo racconto.
L'aveva invitata a casa sua e aveva fatto la conoscenza di Emma ed Henry, ma per precauzione non aveva attraversato Storybrooke col suo vero aspetto, assumendolo solo per pochi minuti davanti a loro, a porte e finestre serrate.
Al di là delle sue inquietanti stranezze e della sua propensione per la magia oscura, era una zia simpatica e premurosa, e stimava molto Emma, quindi dopo essersi scusata con lei per l'inganno fu ben lieta di proseguire la conoscenza in maniera rilassata.
Avevano parlato a lungo, erano molte le domande che sia Henry che sua madre avevano voluto farle e lei aveva fatto tutto il possibile per rispondere, tranne quando si trattava di rivelare cose in merito al futuro.
 
«Vedi, ho cambiato il passato in maniera rilevante, perciò non posso garantirvi che il vostro futuro sarà in tutto e per tutto identico a quello che conosco io. Ma quello che posso dirvi è che il vostro lieto fine è garantito...non si può dire lo stesso per tutti.» aveva aggiunto guardando Bae e sorridendogli affettuosamente.
«Quindi...sei disposta veramente a tutto pur di far sì che tuo padre ne abbia uno?» le aveva quindi chiesto Emma, e lei aveva sorriso di nuovo.
«Vedi, Emma. Voglio essere sincera con te. Al di fuori di mio padre e della nostra famiglia, io scelgo gli obiettivi, non le persone.» le disse, tranquilla «Perciò, anche se non nutro nessun odio nei vostri confronti, se un giorno o l'altro dovesse accadere di trovarci su due obiettivi differenti e contrastanti... beh, posso garantirti che agirò facendo tutto quello che posso per permettere a mio padre di essere felice.
Per ora non sarò una minaccia, né per te, né per Storybrooke.»
 
Cadde un silenzio teso in mezzo a loro. Emma la guardò negli occhi e lei sostenne con forza il suo sguardo, mentre Henry e Neal si scambiarono un'occhiata preoccupata.
Infine, con sommo sollievo di tutti, la Salvatrice concluse seria.
 
«Bene. Per ora basta questo. Ma nemmeno io mi farò scrupoli a difendere il bene delle persone che amo. E questa città ne è piena.» l'avvertì.
 
Ammirata, Emilie sorrise e annuì, incrociando le gambe.
 
«Non mi aspettavo nulla di diverso da te.» risolse.
 
Quindi dopo un breve sospirò da parte dei due uomini di casa, tutto tornò alla normalità, come la calma prima di una tempesta.
 
\\\
 
Il giorno dopo...
 
"Ora hai tutti gli indizi che ti servono. Che ne dici, papa? Giochiamo?"
 
Belle alzò gli occhi dal foglio e sorrise, guardando gli occhi di suo marito accendersi.
Si trovavano nel retro bottega del suo banco dei pegni, e Bae li aveva appena raggiunti per dar loro quel messaggio.
 
«Chi te lo ha dato?» gli chiese suo padre, serio.
 
Lui scosse le spalle.
 
«Era sotto la porta quando sono entrato.» disse semplicemente «Non te ne sei accorto?» domandò, facendo finta di non sapere.
 
Tremotino gli lanciò una lunga, profonda occhiata alla quale lui fece fatica a resistere, ma alla fine, chissà perché, decise di lasciar correre.
Sospirò e si mise la missiva in tasca, quindi trasse da sotto uno degli scaffali del tavolo da lavoro la freccia che aveva colpito Zelina e guardando sia suo figlio che sua moglie decretò.
 
«Ho un affare da concludere. Potrebbe volerci un po’.»
 
Belle fece per fermarlo, ma lui si voltò a guardarla quasi supplicante.
 
«È qualcosa che posso e devo risolvere da solo. Andremo insieme da lei.» promise quindi, sorridendole «Ma adesso lasciami fare a modo mio.»
«Basta che non ci vada di mezzo qualcuno.» bofonchiò Baelfire, preoccupato.
 
Il Signore Oscuro annuì, lanciando un sorriso sincero anche a lui.
 
«Cercherò di non usare metodi drastici.» gli assicurò annuendo.
 
Certo, pensarono tutti e tre, se le cose fossero andate per le lunghe non avrebbe potuto (e voluto) assicurarlo al cento per cento.
Ma questo era sottinteso, e poi la banda di Robin Hood era composta da uomini onesti. Se la loro rettitudine si fosse rivelata autentica non avrebbero avuto nulla da temere.

 
(Continua ...)

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Capitolo 5
*** Episodio V - Caccia al tesoro (prima parte) ***


EPISODIO V – Caccia al tesoro (parte 1)


Sola, senza più una casa né un futuro, dopo aver visto entrambi i due volti di suo padre dissolversi come neve al sole e aver seppellito il suo corpo col solo appoggio di suo fratello Gideon, per un po' di tempo Emilie divenne più cupa di suo padre dopo la morte di Belle.
Chiusa nella sua stanza, ne usciva solo per mangiare sulla loro tomba, come fossero ancora lì con lei, e sempre in assenza di suo fratello, che dopo diverse lettere senza risposta decise di mettere in pausa i suoi studi e tornare a casa da lei, per starle vicino.
Il giorno che arrivò, valige in mano e un tormento nel cuore, la trovò seduta vicino alla tomba di Tremotino, la faccia rivolta verso il tramonto e il volto atono, gli occhi rossi e gonfi unico segno del suo stato d'animo.
Non appena lo vide risalire la collina si alzò e rientro in casa, dove restò ad aspettarlo assorta nella lettura di un vecchio tomo imponente e polveroso.
Trovò la porta spalancata, pochi piatti nel lavandino e la casa invasa dai volumi.
Lei gli dava le spalle, e sembrava non essersi nemmeno accorta del suo arrivo.
Sospirò, appoggiando a terra le valige.
 
«Sono a casa.» disse, ricevendo in risposta un laconico e infastidito.
«Lo so. Smettila di sottolineare l'ovvio.»
 
Fece un giro veloce della stanza, osservando i volumi.
Il cuore s'incupì.
 
«Emilie … cosa stai facendo?» domandò, serio e preoccupato.
«Sto studiando, non si vede?» replicò sarcastica lei, senza nemmeno staccare gli occhi dalla pagina.
 
Gideon prese in mano uno dei libri, aperto su una pagina scritta nella lingua delle fate, con la traduzione scritta a penna su un pezzetto di pergamena. Non era la calligrafia di Belle, ma la sua. E parlava di sortilegi oscuri.
 
«Magia nera?» domandò «Davvero?»
 
Solo a quel punto lei sollevò gli occhi su di lei, fissandolo con astio.
Aveva le occhiaie e pesanti borse sotto agli occhi, segno evidente di una lunga privazione del sonno.
 
«Perché?» replicò stizzita «Hai qualcosa da dire?»
 
Gideon abbandonò il libro dove lo aveva trovato e, senza più indugio, si sforzò di sorridere.
 
«Certo. Avevi promesso a nostro padre. Gli avevi promesso che non avresti ceduto all'oscurità, e ora…»
«Nostro padre è morto!» sbottò lei, senza lasciarlo finire, schizzando in piedi e battendo i pugni sul tavolo, tesa «O forse ti è sfuggito anche questo?»
 
Parole che suonarono come un'ingiustificata accusa verso di lui, che ne rimase sconvolto.
 
«Ma che stai dicendo?» mormorò.
 
Ma Emilie era un fiume in piena, e senza freni, provata dal dolore e dalla stanchezza, glielo riversò contro con tutta l'acrimonia di cui era capace.
 
«Proprio così, Gideon. Nostro padre è morto, e anche nostra madre. Magari te ne saresti accorto se non fossi stato tanto impegnato ad accrescere la tua cultura, mentre loro invecchiavano.
Lo sai perché nostro padre se n'è andato? Perché non sopportava di restare da solo, senza la mamma. Hai per caso idea del vuoto che si era creato dentro al suo cuore? Delle notti passate insonni a pensarla? E dov'eri quando ha deciso di partire? O quando ha iniziato a ritrasformarsi nel coccodrillo? Ah, già. Non lo sai. Non puoi saperlo, perché … Cosa stavi facendo? Ah, sì. Stavi sfogliando un libro cercando di superare uno stupido esame universitario!»
 
Gliele sputò in faccia quelle parole. E alla fine si ritrovò in lacrime e senza fiato, con gli occhi che bruciavano come trafitti da una moltitudine di spine e il petto che doleva, come se gli avessero strappato di colpo il cuore.
Forse era così. Forse lo avevano fatto e non se n'era resa conto.
 
«Tu non c'eri quando papà ha cominciato a tornare quello di un tempo. Sono stata io, solo io, a prendermi cura di lui! Io gli stavo vicino la notte, sdraiata accanto a lui al posto di mamma, a guardarlo fissare il soffitto come se neanche esistessi. Io l'ho accompagnato in quel viaggio e ho fatto di tutto per evitare che dovesse scontrarsi con la parte peggiore di sé stesso. Io! Sempre e solo io! Eri lì con me per caso, quando si è sacrificato per quell'idiota d'un pirata? No! Non c'eri! Tu studiavi… studiavi …» ripeté disgustata, poi afferrò il libro che stava leggendo e glielo mostrò «Dimmi, tra i libri che hai imparato a memoria non hai trovato nulla sul come assumersi le proprie responsabilità? O sul come prendersi cura degli altri? Ah, già. Queste cose non s'imparano nei libri. Non in quelli che hai studiato tu …»
 
Gideon l'ascoltò in silenzio, e ad ogni parola sentì una fitta dolorosa al cuore. Avrebbe dovuto sentisse offeso, e lì per lì un po' lo fu. Ma poi iniziò a comprenderla, e pian piano anche i suoi occhi si riempirono di lacrime. Aveva ragione. Maledettamente ragione.
Ci fu un breve attimo di silenzio tra loro, attimo in cui Emilie lo fissò aspettandosi di sentirsi almeno chiedere scusa. Ma lui non seppe farlo, e allora lei prese a scagliargli contro uno per uno tutti i libri di magia nera che le capitavano a tiro, urlandogli contro tutto il risentimento di cui era capace.
 
«Studia questi, allora! Questa magia nera! È stata questa a permettere a nostro padre di ritrovare Bae, non i tuoi inutili libriciattoli! Questa! Questa! E questa!»
 
E sempre quella se lo era portato via, in un certo senso.
Prima che potesse lanciargli contro il libro successivo, Gideon si riebbe e la bloccò, paralizzandola in un abbraccio che tuttavia all'inizio lei respinse assieme alle sue parole di conforto, ancora più infuriata.
 
«Lo sai come ho fatto a sopravvivere mentre aspettavo che papà tornasse? Mentre aspettavo di vederlo morire?» gli chiese, gli occhi pieni di acredine e dolore.
 
Quindi agitò le dita, e una fitta nebbiolina viola materializzò sul palmo della sua mano il pugnale dell'Oscuro, ora senza alcun nome sopra.
Gideon sgranò gli occhi, sorpreso. E la vide ghignare amara.
 
«Magia nera.» annuì «Esatto. E indovina un po' chi è stato ad insegnarmela?» annuì nuovamente, una smorfia di dolore contorse le sue labbra «Papa. E la sua versione più oscura. Nessuno dei due ne aveva più paura. Forse perché nessuno dei due aveva più niente da perdere? O magari perché era l'unico modo per rimediare a questa follia!»
 
Urlò, facendo scomparire nuovamente il pugnale e recuperando il suo libro da terra, tornando poi a sedersi.
 
«Adesso vattene e lasciami sola con la mia oscurità.» gli ordinò «Deve esserci un modo per rimediare, e non smetterò fino a che non lo avrò trovato.»
 
Gideon la fissò rammaricato, gli occhi lucidi pieni di lacrime e tristezza. Sorrise.
 
«Tu non hai ancora abbracciato l'oscurità.» le rispose, e la vide tremare, voltandosi a guardarlo mascherando a malapena la sorpresa «Vero?» le domandò, quasi commosso.
 
Lei abbassò gli occhi, tornando a gettarli distrattamente sul libro.
 
«Non ancora …» ammise sottovoce «Un patto è un patto.» aggiunse con voce tremula «Ma nulla m'impedirà di farlo se sarà necessario.» decretò determinata, disperatamente decisa.
 
Suo fratello annuì, sedendosi accanto a lei ed osservandola con un sorriso commosso.
 
«La mamma aveva ragione …» mormorò.
 
Emilie sospirò, tesa, seguitando a fissare il libro per nascondere la tristezza sul suo volto.
 
«Riguardo a cosa?» chiese, pentendosene subito dopo.
«Sei tale e quale a papà.»
 
Una risposta che l'angosciò ancor di più. Rimase in silenzio, ingoiando il magone.
Con suo grande sollievo Gideon si alzò e la lasciò sola, ma fu per poco, giusto il tempo che serviva a rimettere a posto il contenuto delle valige e prepararle qualcosa di caldo con cui riempire lo stomaco.
Tornò con due scodelle piene di stufato e due tazze di tè.
Emilie lo guardò di sottecchi.
 
«Non ho fame.» rispose secca.
«Devi mangiare se vuoi davvero essere in grado di ricavare qualcosa da questi libri.»
 
Fu allora che, per la prima volta da che era tornato, Emilie tornò realmente a guardarlo.
 
«Non hai intenzione di fermarmi?» chiese, sorpresa.
 
Gideon scosse il capo, alzando le spalle.
 
«Non riuscirei a farti cambiare idea in nessun modo. O mi sbaglio?»
 
La vide sciogliersi in un sorriso commosso, scuotendo lentamente il capo.
 
«No...» mormorò con voce tremula «Neanche per tutto l'oro del mondo.» aggiunse sorridendo e strappando un sorriso divertito anche lui, che quindi le prese la mano e concluse, da amorevole fratello maggiore.
«Perciò se non posso farti cambiare idea, posso almeno aiutarti a trovare una soluzione che non comporti infrangere il patto tra te e papa? Del resto lo hai detto tu, i libri sono la mia specialità, e questi li conosco da prima che nascessi tu.» le domandò, e stavolta la vide davvero sciogliersi in lacrime, stringendo forte la sua mano.
«Non potrei chiedere di meglio.» mormorò, grata.
 
Subito dopo, si alzò e lo abbracciò forte, sciogliendosi finalmente in lacrime e venendo accolta dal calore delle sue braccia e da dolci carezze, come quelle che le faceva quando da piccola, durante le sue mille avventure o dopo un brutto sogno, aveva bisogno dell'aiuto del suo fratellone.
 
«Mi sei mancato.» mormorò, tra i singhiozzi.
 
Lui sorrise, lasciandole un bacio sulla nuca.
 
«Anche tu. E mi spiace di non esserci stato. Avrei dovuto capire che avevate bisogno di me.»
 
Emilie sorrise, annuendo.
 
«Avresti, si … ma meglio tardi che mai.» gli rispose, strappandogli un altro sorriso.
 
Pianse a lungo, quella sera. Aveva tanta tristezza e tanta tensione da scaricare che alla fine si senti come svuotata di qualsiasi forza ed emozione, e finì per addormentarsi china sul libro che aveva spulciato meticolosamente fino all'arrivo del suo fratellone.
Dopo aver raccolto tutte le sue lacrime, Gideon le mise una coperta sulle spalle, la prese tra le braccia e la trasportò con facilità fino al lettone dei loro genitori, stendendola sul posto del loro padre e accomodandosi al suo fianco.
Era stanco, ma aveva bisogno di riflettere e alleggerire i pensieri. Prese dal cassetto del comodino il libro preferito di sua madre e lo aprì sul suo pezzo preferito.
Nemmeno si accorse che Emilie aveva riaperto per un istante gli occhi.
 
«Anche papa aveva ragione su di te.» mormorò, ancora assonnata, facendolo sobbalzare.
 
Le rivolse uno sguardo sorpreso, poi sorrise a sua volta, chiudendo il libro e abbracciandola, disteso al suo fianco.
 
«In merito a cosa?» domandò, anche se conosceva già la risposta.
 
Emilie si perse in quell'abbraccio, raggomitolandocisi, appoggiando la testa sul suo petto e ascoltando il battito del suo cuore.
 
«Lo sai.» replicò infatti, richiudendo gli occhi e godendosi le dolci carezze sui suoi capelli «Sei tale e quale alla mamma.»
 
\\\
 
Una settimana e mezzo dopo …
 
Con un profondo sospiro Emilie chiuse e abbandonò l'ultimo libro sul tavolo e si accasciò sulla sedia, reclinando il capo e portandosi la mano sinistra alla tempia.
Gideon, intento a versarle un po' di tè, si voltò a guardarla e la vide scuotere il capo più volte.
 
«Ti sei arresa?» sorrise.
 
Le gli lanciò uno sguardo di sottecchi.
 
«Certo che no.» replicò riavendosi «Ma qui non c'è niente che possa essermi utile. Questo era l'ultimo libro.» decretò.
 
Suo fratello le si avvicinò lasciandole la tazza accanto al libro chiuso.
 
«Allora che vuoi fare, adesso?»
 
Emilie la prese tra le mani e inspirò una boccata di quel profumo rinvigorente.
Bevve un sorso, quindi replicò decisa.
 
«Zelena era riuscita ad aprire un portale temporale. Papà aveva fatto una cosa simile per Emma e Uncino, per rispedirli indietro nel tempo dopo che ne furono risucchiati. Ciò significa che i viaggi nel tempo sono difficili, ma non impossibili. Esiste un sortilegio in grado di farlo, ma …» scosse il capo, tornando a parlare tra sé «Se riuscissi a trovare un modo per renderli più semplici, potrei tornare indietro e impedire che muoia. Potrei addirittura impedire che lo facciano la mamma e Bae.»
 
Gideon sgranò gli occhi.
 
«Viaggi nel tempo …» ripeté, quasi non riuscisse a credere alle sue orecchie.
 
Emilie ghignò appena, anche se a lui sembrò più una smorfia infastidita.
Appoggiò la tazza, scostò il libro e prese il pennino d'oca intinto nel calamaio, iniziando a scrivere qualcosa su un pezzo di pergamena.
 
«C'era un qualcosa, dentro ai libri del Tremotino del desiderio.» mormorò «Un riferimento a un occhio di un dio, o qualcosa di simile. Ma la pagina era strappata, e sono sicura che non è stato lui …»
 
A quel punto, vista la pericolosità di quel piano, Gideon si sentì in dovere di richiamarla all'ordine.
 
«Emy, non è fattibile.» la interruppe con veemenza «Ne avevi già discusso con papà, ricordi? I viaggi nel tempo sono rischiosi e imprevedibili, non puoi usarli indiscriminatamente per cambiare quello che è stato.»
 
Emilie sospirò spazientita, quindi si voltò e gli rivolse un gran sorriso sarcastico.
 
«Non ho mai detto che fosse facile, altrimenti non sarei qui a scervellarmi sul come renderlo tale.» replicò seraficamente.
 
Gideon provò a replicare, ma ogni parola s'infranse contro un muro di sarcasmo.
 
«Inoltre …» seguitò la sua sorellina «L'unico vero motivo per cui papa non ha mai provato era perché aveva paura. Per lui i viaggi nel tempo erano una magia troppo pericolosa perché non aveva abbastanza informazioni, se avesse saputo quello che so io ci avrebbe riflettuto di più.»
 
Quindi si diresse nella loro stanza matrimoniale, e dall'ultimo cassetto del comodino trasse fuori un sacchetto dorato, sorridendo nostalgica mentre se lo rigirava tra le mani.
Gideon la seguì e quando la vide prendere quel piccolo tesoro ebbe un altro sobbalzo.
 
«Cosa hai intenzione di fare?»
 
La vide aprire il sacchetto e farsi scivolare nel palmo un fagiolo magico, che scintillò di una luce chiara.
 
«Devo cercare più informazioni riguardo a quel manufatto. E se nei libri che abbiamo qui non se ne parla, allora devo passare a quelli che papa ha lasciato indietro, al Castello Oscuro.» decretò, rimettendo dentro il fagiolo e richiudendo il sacchetto.
 
Si diresse quindi verso l'armadio, lo spalancò e sfiorò assorta con la punta delle dita i vestiti di suo padre e quelli di sua madre, prendendo poi una giacca beige e una camicia appartenuta a lui, e un paio di scarponcini di Belle.
Se li mise addosso e affondò il naso nel loro tessuto, sentendo le lacrime pungerle gli occhi.
Sul colletto pomposo della camicia era rimasto il profumo intenso dell'acqua di colonia usata da suo padre, la giacca l'avvolgeva come fosse un suo abbraccio, regalandole una sensazione di calore profondo e dolce.
Gideon rispettò quel suo momento, ma dovette intervenire e stringerla in un abbraccio quando la vide nuovamente crollare in lacrime, cadendo in ginocchio.
 
«Milly …» mormorò dolcemente, carezzandole piano i capelli «Mancano anche a me.»
 
La giovane parve riaversi. Scosse il capo, si staccò da lui e si asciugò le lacrime.
 
«Non lo faranno a lungo, Gideon. Posso sistemare le cose, dare a loro e a noi un vero lieto fine. Insieme. Vivi.»
 
Ma lui scosse piano il capo, amorevole e triste, prendendole il viso tra le mani e asciugandole con i pollici le ultime lacrime che si staccavano dalle sue lunghe ciglia.
 
«Il loro tempo è finito, Emilie.» sussurrò «Hanno vissuto la loro vita, e ci hanno cresciuto con amore. Ora tocca a noi …»
 
Parole che avrebbero voluto essere una carezza, e che invece la raggiunsero come una coltellata a tradimento in pieno petto.
Lo sguardo s'incupì all'istante, gli occhi si empirono d'ira e delusione.
Lo respinse all'improvviso, e voltandogli le spalle iniziò nervosamente a preparare la sua bisaccia, l'unica cosa che aveva intenzione di portare.
 
«S'è questo che pensi allora va’, fatti la tua vita.» gli rispose glaciale «Finisci gli studi, trovati una moglie, fai dei bambini e raccontagli tutte le balle che desideri su quanto il cuore di nostro padre fosse puro e pieno di coraggio e amore. Io intanto penserò a prendermi cura di lui, come ho promesso.»
 
Gideon sospirò, scuotendo il capo.
 
«Va bene, Milly. Ti chiedo scusa.» replicò, cercando di fermarla, ma lei svincolò ancora una volta e si diresse verso la porta, pronta a partire «Anche io ho fatto una promessa.» rivelò quindi, e all'istante la vide fermarsi.
 
Sospirò di nuovo, stavolta sollevato.
 
«Che genere di promessa?» gli chiese lei, voltandosi a guardarlo e facendosi seria «A chi l'hai fatta?»
«Alla mamma.» spiegò «Pochi giorni prima che morisse. Ho promesso che se papa avesse trovato il modo di raggiungerla mi sarei preso cura di te.»
 
Gli occhi della giovane si riempirono all'istante di lacrime.
Strinse i pugni, irrigidendosi.
 
«Milly. Sto solo cercando di evitare che tu faccia qualche stupidaggine.» le disse infine suo fratello, addolcendosi, quasi a volerla supplicare.
 
Lei sorrise, lo raggiunse e lo abbracciò avvolgendogli con una mani la nuca. Attese qualche istante, poi si fece di nuovo determinata e mormorò, accostando la bocca al suo orecchio.
 
«Te ne sono grata, Gideon. Ma lo sai qual è la vera differenza tra noi e i nostri genitori?»
 
Sciolse l'abbraccio, tornando a porre distanza tra di loro, e guardando quella sua espressione confusa concluse, quasi sibillina.
 
«Tu non sei la mamma, ed io non sono papà. Quindi smettila di cercare ad ogni costo di farmi cambiare idea col tuo amore fraterno e le tue buone intenzioni. Non ci riuscirai.»
 
Con grande sorpresa, stavolta fu lui a sorridere ed abbracciarla.
 
«Lo sospettavo.» le disse, osservandola scrutarlo confusa.
 
Le sfiorò delicatamente una guancia.
 
«Ma lo sai meglio di me, una promessa è una promessa. Volevo comunque fare un tentativo.»
 
***
 
Tempo dopo …
 
Quando giunse il momento di partire, Gideon la salutò con un caldo abbraccio e tante raccomandazioni.
Non aveva neanche la più pallida idea di quanto quel viaggio sarebbe stato rischioso per lei, ma quella promessa era ancora valida, quindi fece di tutto per farle sentire la sua vicinanza.
 
«Sei sicura che non vuoi che venga con te?»
 
Emilie sorrise, scuotendo il capo e accarezzandogli una guancia.
 
«Questa è la mia storia, devo farlo da sola.» fu la sua risposta «Comunque non preoccuparti. In un modo o nell'altro ci rivedremo.»
 
Il giovane uomo sorrise, abbracciandola di nuovo e poi tornando a guardarla negli occhi.
 
«Preferirei in questa vita, in questo tempo.» rispose.
 
Ma la ragazza ridacchiò.
 
«Mai porre limiti al destino.» disse, ricordando una delle ultime frasi che Tremotino aveva tanto amato ripetere loro «Fa sempre come gli pare, e ha più fantasia di noi.»
 
Il suo in particolare sembrava essersi sbizzarrito davvero parecchio.
 
\\\
 
Terminati i saluti, s'incamminò indossando i vestiti migliori di suo padre, il suo orologio e il suo anello, nella bisaccia un semplice taccuino di pelle, una penna e un sacchetto pieno di fagioli magici.
Non si voltò indietro, mai, fino a che non vide stagliarsi tra le alte cime della catena montuosa del nord le guglie del Castello Oscuro.
Furono giorni intensi, quelli che seguirono, in cui s'immerse in tutto e per tutto nello studio dei volumi più impolverati e di quelli più antichi, fino a terminare quelli dell'immensa biblioteca.
Mangiò il necessario, bevve molto thè e si addormentò esausta più di una volta china sul volume di turno.
A volte si ritrovò ad essere così assorta da dimenticarsi perfino di esistere. Tuttavia le informazioni che trovò furono vaghe, e tutte la indirizzarono ad un vecchio volume che sembrava essere assente da quella biblioteca. In uno dei libri scritti da sua madre si faceva accenno ad una mappa cifrata presente in esso, che avrebbe potuto concedere al possessore la chiave per la porta del tempo.
Si convinse che l'unico modo in cui Belle avrebbe potuto sapere di quella mappa era vedendola, quindi iniziò a cercarla per tutto il castello, stanza per stanza, fino a giungere a quella senza porte e finestre in cui il Signore Oscuro conservava la magia imprevedibile.
E fu lì che finalmente la trovò. Una vecchia pergamena chiusa dentro ad una cassaforte assieme ad altre scartoffie contenenti incantesimi in varie lingue.
Era scritta nella lingua delle fate, conduceva ad una grotta ai piedi del monte Olimpo in cui, secondo la leggenda, il dio Cronos era imprigionato.
Grazie ad uno dei libri conservati dentro ad una delle dispense presenti nella stanza, Emilie riuscì a capire che il motivo di quella prigionia era uno solo: Proteggere il tempo, poiché l'unico modo per cambiarlo non era altro che impossessarsi dell'unico occhio del gigante, onniveggente, che una volta strappato al suo proprietario si sarebbe trasformato nel più potente manufatto magico, in grado di permettere a chiunque di attraversare le epoche.
Non c'era da stupirsi che Tremotino lo avesse sepolto in quella stanza. Anche se la morte di Baelfire lo aveva ferito profondamente, l'istinto di autoconservazione aveva prevalso ancora una volta, e la paura gli aveva impedito di agire.
Emilie aveva il talento di suo padre e il coraggio di sua madre, un mix pericoloso.
C'era un solo, unico, piccolissimissimo problema: Il gigante era morto in quel tempo, ma lei aveva la bacchetta della fata nera e la formula per il portale. Restava da trovare qualcuno che avesse già attraversato il portale, e fu quella la prima volta che incontrò Emma e vide Storybrooke, quella città di cui aveva sempre, soltanto sentito parlare.
 
\\\
 
Non fu difficile convincere la salvatrice ad aiutarla, anche perché non dovette nemmeno presentarsi.
C'era una parte della magia che l'aveva sempre affascinata, ovvero la sua proprietà transitiva. Non sempre era necessario che la persona in grado di sbloccare un incantesimo fosse presente. Alle volte, come nel caso del cappello dello stregone di cui suo padre si era impossessato ingannando Anna di Arendelle, bastava una lacrima, o anche una goccia di sangue, qualcosa insomma che portasse con se la magia del proprietario.
Ebbene, nel suo caso fu sufficiente un semplice capello della Salvatrice, che si procurò coinvolgendola in una piccola imboscata, senza complicazioni.
Raggiunse la sua casa totalmente avvolta dal suo mantello nero, guanti di pelle per non lasciare impronte, una benda nera a coprirle la bocca e il naso e un paio di pesanti occhiali da sole per coprire le pupille grigie.
S'intrufolò in casa della Salvatrice in piena notte, simulando un furto e facendo quel tanto di rumore che bastava a svegliare quel pirata mano mozza di suo marito.
Si fece vedere all'ingresso della cameretta dei loro bambini, e una volta li lo stordì con una sonora botta in testa e lo chiuse dentro, senza spiegazioni.
Appena in tempo per ritrovarsi davanti la Salvatrice che gli puntava contro una pistola.
 
«Non fare un'altra mossa. Sei venuto a rubare nella casa sbagliata.» l'avvertì, ma Emilie sorrise sotto il velo da bandito.
 
Quindi si materializzò dietro di lei, le strappò una ciocca di capelli, e mentre Swan si riprendeva dallo stupore, lei si materializzò nella foresta, affrettandosi a legare la ciocca alla bacchetta di sua nonna e ad aprire quel maledetto portale.
Si sentì profondamente orgogliosa di sé quando vide l'esperimento riuscire, ma si concesse di esultare solo dopo averlo attraversato, giunta rocambolescamente nel bel mezzo della foresta incantata dopo il sortilegio oscuro.
Era a quell'epoca che aveva pensato, ma seppe di esserci capitata davvero solo dopo aver camminato a lungo fino al Castello Oscuro, e aver visto la combriccola di Robin Hood incontrarsi presso l'alto e minaccioso portone d'ingresso.
Si lasciò sfuggire una risatina e strinse i pugni, saltellando sul posto.
 
«Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta, papa
 
Era così soddisfatta di sé che non si accorse neanche di essere spiata.
Una freccia fatto di legno di frassino e piume d'anatra la raggiunse, piantandosi proprio nella corteccia dell'albero dietro al quale si era nascosta, a pochi centimetri dal suo viso.
Si voltò, e vide quello che poi sarebbe diventato il suo complice più stretto.
Will Scarlett prese un'altra freccia dalla faretra e gliela puntò contro.
 
«Stavo per farcela anche io se non ti fossi mossa.» disse serio, in quella che dal tono intuì avrebbe dovuto essere una minaccia.
 
Invece Emilie si lasciò sfuggire un'altra di quelle risatine stridule che tanto la facevano rassomigliare al Signore Oscuro.
 
«Sul serio?» esordì «Hai una mira che fa pena.»
 
Una voce femminile e autoritaria l'interruppe.
Una giovane donna dagli occhi a mandorla vestita di rosso e oro avanzò mettendosi tra di loro, abbassando con una mano l'arma del collega.
 
«Calmati Will. Usiamo la violenza solo in casi particolari, ricordatelo.»
 
Il cuore di Emilie prese a battere all'impazzata. Mulan le sorrise, presentandosi e porgendole una mano.
 
«A cosa dobbiamo l'onore di questa visita?» domandò «Hai bisogno di aiuto?»
 
Emilie si tolse gli occhiali e il cappuccio e lasciò cadere il velo che le copriva il volto. Era la prima volta che lasciava che qualcuno la vedesse. Soprattutto era la prima volta che si presentava a qualcuno del passato, e mentre lo faceva non potè non pensare a quanto fosse stata fortunata.
Mulan era stata una grande amica di sua madre, Will Scarlett … era un soggetto da tenere sotto controllo, ma poteva uscirne qualcosa di utile da un'alleanza con il fante di cuori.
 
«Emilie.» replicò, stringendo la mano alla guerriera «In effetti … sto cercando Robin Hood. Voi siete parte della sua compagnia?»
«Sei fortunata. Stiamo tornando al Castello. Seguici.»
 
Non se lo fece ripetere due volte. Durante la breve traversata, Will notò in silenzio che accarezzava spesso uno degli anelli che portava, e lo interpretò come segno di nervosismo.
In realtà, quello era l'unico modo che conosceva per poter comunicare ancora con suo padre, pur se da un'altra dimensione e un altro regno.
 
«Cosa cerchi da Robin Hood?» chiese il fante di cuori, ignaro, deciso a renderle le cose difficili.
 
Emilie si ritrovò con gli occhi dei due puntati addosso, percependo quella fastidiosa ostilità e sorridendo quasi sfrontatamente.
Quale che fosse il motivo per il quale Will Scarlett si sentiva minacciato dalla sua presenza, non aveva intenzione di stare ai suoi subdoli giochetti.
 
«In verità stavo solo cercando la vecchia dimora di mio padre. Ma dato che è stata occupata, vorrei poter risolvere la cosa pacificamente.»
 
Gioì nel vedere il fante rabbrividire. Mulan invece assunse un'aria interessata, scrutandola da capo a piedi.
 
«Tu sei la figlia di Tremotino?» domandò sorpresa «Ma il Signore Oscuro non aveva solo un figlio? Baelfire, giusto? L'ho conosciuto, non mi ha mai parlato di te.»
 
La ragazza sorrise di nuovo.
 
«Oh, è una storia complicata.» rispose semplicemente «Non ho mai avuto modo di conoscerlo, in realtà. Ma vorrei tanto, per questo sono qui. Che posso dire? La vita ci ha divisi troppo presto, è il destino della nostra famiglia.»
 
Mulan annuì, Scarlett seguitò ad osservarla cupo.
 
«È un peccato che tu sia arrivata ora. Baelfire è appena tornato sull'isola che non c'è per salvare suo figlio. Magari avresti potuto dargli una mano.»
 
Si scuri un poco, stringendo impercettibilmente i pugni.
"Mancato. Per tanto cosi."
 
«Oh, sul serio?» replicò dispiaciuta «Che peccato.»
 
Nel frattempo erano giunti al portone d'ingresso, che si spalancò aprendo loro il passaggio a quelle mura che conosceva come le sue tasche. Erano diroccate, e l'atrio d'ingresso era pieno di armi, specialmente archi e faretre, appoggiati alle pareti e ammucchiati sul pavimento. Qua a là era sparso qualche sacco contenente provviste non deperibili, come abiti o carne secca, o anche materiale per fabbricare frecce.
 
«Wow...» fece, lasciandosi sfuggire un gemito.
 
I suoi due accompagnatori le rivolsero uno sguardo sorpreso.
 
«Mio padre non era certo un fissato per la pulizia, ma non ho mai visto il castello in … queste condizioni.» osservò con leggero disgusto.
 
Will Scarlett ghignò.
 
«Siamo arcieri, non abbiamo domestici.» replicò con sarcasmo.
 
La loro chiacchierata venne interrotta dal nuovo padrone di casa, Robin Hood, che scese dal piano superiore accogliendoli con un ampio sorriso.
Capelli rossi, occhi verdi e una folta barbetta incolta. Era proprio come se lo era sempre immaginato.
 
«Bentornati. Vedo che abbiamo un'ospite.» esclamò avvicinandosi.
 
Emilie compì un profondo inchino, un piede davanti all'altro, portando una mano sul cuore e allungando il braccio sinistro verso il cielo.
 
«Voi dovete essere Sir Robin di Lockslay.» esordì sorridente.
 
Lo vide annuire.
 
«E voi sareste?»
«Emilie Gold.» si presentò.
«Dice di essere la figlia del Signore Oscuro.» aggiunse Will, in un tono che insinuava sfiducia.
«Io non dico di esserlo. Lo sono.» precisò stizzita lei.
 
L'arciere si corrucciò.
 
«Strano. Non ne ho mai sentito parlare, neanche da Baelfire.» replicò, facendosi pensieroso.
«È chiaro e giusto che non vi fidiate di me. Ma mettetemi alla prova.» li invitò «Chiedetemi qualcosa che solo la figlia del Signore Oscuro potrebbe sapere.» sperando che cogliessero il suggerimento.
 
Fortunatamente per lei, dopo averci pensato un po' Lockslay annuì e decise.
 
«Accordato. Seguitemi.»
 
Li condusse proprio nella sala da pranzo, lì dov'era nascosta una credenza segreta che solo la magia del sangue avrebbe reso visibile.
Non le dissero nulla, né le diedero in mano la chiave per aprirla.
 
«Se conosci bene il Signore Oscuro sai che in questa stanza è presente un tranello.» la invitò il capo dell'allegra brigata «Risolvilo.»
 
Un ghigno divertito si dipinse sul volto della giovane.
 
«Davvero astuto, Sir Robin Hood.» si complimentò.
 
Poi si guardò intorno, prese il vecchio bastone di suo padre ch'era stato appoggiato in un angolo della stanza e lo fece roteare davanti al punto esatto in cui sentiva provenire il potente influsso magico.
La parete s'illuminò, e in meno di un secondo lo scomparto segreto apparve, lasciando tutti a bocca aperta.
 
«Magia del sangue. Qualcosa che può rendere vani perfino i tranelli di Tremotino.» concluse lei, voltandosi poi a guardarli e rivolgendo loro un altro sorriso furbo «Ma questo voi lo sapevate già, vero?»
 
Lockslay si sciolse in un sorriso assieme a Mulan, Will Scarlett rimase sbigottito a guardarla, senza più nulla da ribattere.
 
«A questo punto non ho più alcun dubbio.» concluse Robin «La magia del sangue non mente, ma dovrai spiegarci perché né il Signore Oscuro né suo figlio hanno mai parlato di te.»
 
Emilie annuì.
 
«Devo avvertirvi però, è una storia lunga e anche piuttosto controversa. Credo ci vorrà un po', sempre ammesso che riusciate a crederci.» li avvisò, strappando loro una risata.
«Ci piacciono le sfide, e siamo una compagnia dalla mente aperta.» le rispose l'arciere «Ti ascolteremo stasera a cena. Sei nostra ospite d'onore.»
«Ne sono onorata, allora.» scherzò lei, accennando nuovamente ad un ampio inchino.
 
E conquistandosi definitivamente le simpatie di tutti. O quasi.
 
\\\
 
In tutti gli anni trascorsi al Castello Oscuro in compagnia della sua famiglia prima e di suo padre poi, Emilie non aveva mai visto la sala delle feste così piena di gente ubriaca prima d'ora.
La cena era stata semplice, a base di cervo ed ortaggi coltivati nel giardino del maniero, dove prima crescevano erbacce e prim'ancora erbe magiche.
Bevendo della buona birra, Emilie aveva iniziato a raccontare la sua storia alla compagnia, omettendo qualche insignificante dettaglio per non rischiare di confonderli. Inaspettatamente, Robin, Mulan e Little John le avevano creduto, sostenendo che alla figlia del Signore Oscuro, quale che fosse la sua epoca di provenienza, tutto era fattibile.
C'era un ragazzo, in mezzo alla compagnia di arcieri che se la spassavano bevendo.
Un giovane di statura media, dal viso delicatamente asimmetrico, quasi anonimo in mezzo a quella moltitudine, la osservò per tutto il tempo con una espressione seria ma quasi rapita, standosene in disparte ad ascoltare i suoi racconti senza la minima espressione.
Fece finta di non accorgersene, ma in realtà anche lei si perse più volte ad osservare lo sconosciuto, chiedendosi cosa gli passasse per la testa. Era un ragazzo comune, ma quegli occhi … sembrava quasi racchiudessero in sé un'anima cangiante, capace di sorrisi sghembi e ironici così come di sguardi ingenuamente malinconici.
Com'era prevedibile che accadesse per la figlia di un uomo come Tremotino, ne fu rapita ma non disse nulla.
Tanto comunque alla fine della serata fu chiaro che, oltre alla fiducia di Robin Hood e della sua banda, avesse conquistato anche qualcos'altro di totalmente inaspettato.
Era ancora troppo presto però per dire se fosse ciò che i suoi genitori avrebbero chiamato vero amore.
 
***
 
Presente,
Foresta attorno a Storybrooke
 
Robin Hood stava giocando con suo figlio, il piccolo Roland, insegnandogli a tirare con l'arco, quando alzato lo sguardo verso il bersaglio vide, in lontananza appena dietro di esso, una figura fin troppo familiare.
Rumplestiltskin, meglio conosciuto come Mr. Gold, avanzava deciso verso il loro accampamento, un'espressione poco rassicurante in volto e il fedele bastone da passeggio sempre stretto nella mano sinistra.
Si voltò verso Little John, al suo fianco, e si accorse dalla sua espressione di non essere stato l'unico a vederlo.
"Che vorrà da noi, Tremotino?" si chiese, un po' preoccupato.
Che qualcuno della sua combriccola avesse seguito l'esempio di Will e avesse tradito i suoi principi?
Erano tutti bravi ragazzi, ma un semplice arciere non poteva leggere i cuori, non era mica un dio, per quanto bravo potesse essere.
 
«Continua tu?» disse, affidando a Little John suo figlio e andando incontro al nuovo ospite.
 
Per quanto in passato il Signore Oscuro fosse stato clemente con lui, risparmiandogli la vita, sapeva che poteva ancora essere letale, perciò ad ogni passo avvertì il cuore accelerare i battiti, e quando finalmente furono faccia a faccia dovette sforzarsi molto per riuscire a sfoderare il più cordiale dei sorrisi.
 
«Mr. Gold. A cosa devo l'onore?» lo accolse, per nulla sarcastico, aggiungendo poi, lanciando una rapida occhiata ai dintorni «Dev'essere qualcosa di veramente importante se l'ha spinta fin dentro la foresta?»
 
Il Signore Oscuro sorrise molto seccamente, quindi con un movimento rapido delle mani fece apparire tra le sue dita la freccia che aveva fermato l'ascesa di Zelena, e la sua prigionia, mostrandogliela.
 
«Effettivamente lo è» disse, quindi si fece minaccioso «Dimmi, Robin Hood, vuoi essere il prossimo ad avere un naso proporzionato alle tue bugie? Potrei anche riprendere da dove ho lasciato quella volta che ti ho sorpreso a rubare nel mio castello»
 
L'arciere rabbrividì, facendosi preoccupato. Si voltò a controllare che suo figlio fosse abbastanza lontano. Lo vide giocare con Little John e si rasserenò, ma solo un poco.
 
«Deve credermi, Tremotino. Non so di chi sia quella freccia» replicò a bassa voce, anche se gli altri erano abbastanza lontani da non riuscire ad udirli «Noi non ne usiamo più di questo tipo»
 
Mr. Gold non si arrese.
 
«Da quanto tempo per la precisione?» ripeté, con molta lentezza, quasi sillabando ogni parola.
«Dal nostro arrivo a Storybrooke, ve l'ho detto»
 
Tremotino storse il naso.
Dando per assodato che il furfante dicesse la verità, non restava che un'unica, semplice soluzione.
 
«E prima, chi c'era con voi? Voglio i nomi di chi avrebbe potuto usare questo tipo di frecce»
 
Lockslay si fece pensieroso per qualche istante. Prese in mano la freccia e la esaminò con accuratezza.
 
«Will Scarlett» disse quindi «Ma lui non ha mai imparato il procedimento. Sapeva solo tirare.» riconsegnando l'arma.
 
Gold annuì riflettendoci su.
Il Fante di Cuori. Che interesse avrebbe avuto a salvarlo? Stava per chiedere se ci fosse stata anche una ragazza con lui, quando alzando lo sguardo si accorse di essere osservato.
Era un uomo sulla trentina, capelli bruni, una folta barbetta incolta, viso lievemente asimmetrico e occhi neri.
Li fissava da dietro un albero vicino, cercando di capire il più possibile di quella conversazione e al contempo di non essere notato.
Non gli riuscì, e appena si accorse di essere stato scoperto tornò a nascondersi dietro l'albero, riprendendo arco e frecce e fingendo di allenarsi.
Rumplestiltskin assottigliò le palpebre, quindi si rivolse di nuovo a Robin Hood.
 
«Vorrei parlare con i tuoi arcieri. A cominciare da quello laggiù.» disse, in un tono che più che una richiesta lo fece sembrare un ordine.
 
Hood annuì.
 
«Certo» acconsentì, facendogli quindi largo.
 
Sperando che nel frattempo quello specifico arciere avesse avuto modo di studiare una storia che suonasse plausibile e convincente alle orecchie del maestro degli inganni.
 
***
 
Passato,
Castello Oscuro

A sera tarda, quando l'alcool aveva ormai fatto il suo effetto e tutti si erano addormentati sul giaciglio a loro più confacente, rimasta sola Emilie si concesse finalmente un momento per riappropriarsi di quei luoghi a lei così famigliari, passeggiando tra i corridoio con aria innamorata e sognante fino a giungere di fronte alla porta della sala da pranzo privata, quella che aveva visto i primi dialoghi tra sua madre e suo padre e il loro giovane amore sbocciare e dopo la sua nascita, quella stanza era stata testimone di molte scene familiari. Ne accarezzò con delicatezza il legno intarsiato, poi la spinse piano e di fronte a sé vide apparire quell'ambiente intimo.
Le tende erano ancora aperte, e la luce della luna lo illuminava quasi a giorno, gettando un alone di mistero sulle credenze piene di ninnoli inutilizzati, e le ombre si allungavano sulle pareti in pietra dando quasi l'impressione di essere vive.
Ciò che però la sorprese fu trovare proprio quel giovane che l'aveva a lungo osservata durante il ricevimento in suo onore.
Era seduto su una delle sedie attorno al grande e maestoso tavolo rettangolare, lo stesso su cui molte volte lei si era chinata a studiare la lingua delle fate assieme a sua madre, che ne era esperta conoscitrice; era intento ad osservare una sfera di cristallo, probabilmente cercando di farla funzionare visto che ogni tanto la sfiorava coi polpastrelli o l'accarezzava come fosse la lampada di Aladino.
Non si era accorto di lei, talmente era concentrato. Lo fece quando, proprio osservando quei suoi impacciati tentativi di praticare la magia, la ragazza si lasciò sfuggire un risolino.
A quel punto lui alzò il capo quasi spaventato. I suoi occhi verdi scintillarono nel buio, come gli occhi di un rapace.
Si alzò in piedi e bofonchiò, imbarazzato.
 
«My Lady. Ha bisogno di aiuto?»
 
Di nuovo Emilie ridacchiò, stringendo le braccia al petto.
 
«No. Stavo solo rivivendo un po' casa» fece, intenerita e un po' bonariamente sarcastica, indicando con un gesto della mano i dintorni «Piuttosto tu ... non credo proprio che si faccia così, sai?»
 
Il giovane arciere le lanciò un'occhiata sorpresa, poi guardò la sfera confuso.
 
«Oh... è che … voi sapete come farla funzionare?»
 
Ancora una volta Emilie ridacchiò imitando spontaneamente suo padre.
 
«Certo che si» fece, avvicinandosi con calma a lui, che nel frattempo aveva preso ad osservarla in apprensione, quasi rapito.
 
Una volta faccia a faccia gli sorrise ammiccando, con un leggero movimento del polso sfiorò col palmo il vetro, che si riempì con le immagini del recente banchetto, come in una sorta di déjà-vu.
Si rividero, come in uno specchio. I loro sguardi, i loro silenzi. Ed entrambi tornarono a guardarsi provando di nuovo quella strana, intensa sensazione che li aveva coinvolti allora, solo molto più potente, grazie alla luce della luna, al silenzio e almeno per quanto riguardava Emilie all'ambiente in cui si trovavano, carico di storia ed emozioni forti quasi quanto quella che stava provando, se non addirittura di più.
Fu l'arciere a spezzare il momento, tornando a concentrarsi di nuovo sulla sfera, appoggiandovi i polpastrelli.
 
«Come hai fatto? Sono giorni che ci provo» passando senza chiedere a darle del tu, e arrossendo mentre fissava i ricordi svanire il vetro tornare vuoto.
 
Le labbra della ragazza s'incresparono in un sorriso appena accennato.
 
«La magia è fatta di sensazioni, non di ordini» gli spiegò «Devi usare il tuo cuore anziché la tua mente. Prova a ... pensare al sentimento più bello che ti è capitato di provare» concluse appoggiandosi coi gomiti sul tavolo, proprio di fronte a lui che la scrutò pensieroso, quindi sorrise e annuì.
«Va bene.» assentì lui.
 
Poi chiuse gli occhi, prese un respiro e solo quando senti il cuore accelerare ci riprovò. Fu difficile, perché lei lo osservava incuriosita e i suoi occhi grigi erano profondi, intensi ed ipnotici. Ma dopo qualche tentativo andato a vuoto spense ogni altro senso e si concentrò solo su ciò che andava fatto, e finalmente la sfera s'illuminò mostrandogli ciò che voleva vedere.
Sgranò gli occhi, sorpreso, aprendosi poi in un sorriso incredulo.
Emilie ridacchiò, battendo le mani.
 
«I miei complimenti! Hai talento per la magia» disse, strizzando le palpebre e facendogli cenno con la mano di suggerirgli il suo nome.
 
Solo allora il ragazzo si rese conto di non essersi ancora presentato e scusandosi profusamente lo fece con uno spontaneo gesto di galanteria che la lasciò basita e piacevolmente colpita.
 
«Oh, perdono» disse prendendole con delicatezza la mano nella sua, ancora protetta dal guanto che usava per tirare con l’arco, e sfiorandola con le labbra «Mi chiamo Ewan» le rivelò lasciandola quindi andare.
Emilie rimase incredula a fissarlo. Era proprio vero … che la nobiltà d’animo poteva trovarsi anche nel più misero degli uomini.
Cercò qualcosa da dire che non rompesse l’armonia di quel momento e la cavasse da quell’imbarazzante silenzio, ma mentre lo faceva si accorse osservando il globo con la coda dell’occhio che le immagini in esso riguardavano qualcuno a lei famigliare.
 
«Mio padre?» domandò sorpresa, prendendolo tra le mani e osservando il Signore Oscuro parlare con quel ragazzo e prendere in consegna da lui uno strano ninnolo «Hai fatto un patto con lui?»
 
Ewan annuì, sorridendo timidamente.
 
«In realtà… si» ammise «Gli ho donato un oggetto a me molto caro in cambio della vita di una persona importante»
 
La ragazza assentì comprensiva, tornando a guardare le immagini e focalizzandosi sull'oggetto che il Signore Oscuro stringeva in mano.
 
«Una collana?» domandò «Ed ora che il Signore Oscuro non c'è pensavi di recuperarla?» sorrise furbamente.
 
L'arciere scosse le spalle e annuì con un sorriso triste.
 
«Ho messo sotto sopra il castello, ma non ho trovato granché» rivelò mestamente, alzando poi gli occhi su di lei «Speravo che la sfera potesse darmi una mano»
 
La figlia del Signore Oscuro lo scrutò in silenzio per qualche istante, facendosi riflessiva. I suoi occhi grigi lo fissarono intensamente, studiandolo come uno strano fenomeno paranormale, e per un istante lui abbassò lo sguardo, sentendosi quasi sotto scacco.
 
«È evidente che non sapevi dove cercare» risolse infine, sciogliendosi in un sorriso mentre continuava a scrutarlo quasi divertita.
 
L’arciere la guardò stranito e soggiogato. Quegli occhi quasi vitrei gli facevano paura, ma c'era qualcosa in lei, in tutto il resto di lei, che gliela rendeva misteriosa e al contempo affascinante, affabile.
Somigliava molto a suo padre, ma non aveva assolutamente quella sua aura minacciosa, anzi.
Sembrava quasi una bambina, curiosa e imprevedibile ma buona in fondo all’anima.
Tutto cambiava invece quando la osservava praticare la magia, allora sì ch’era molto più simile a Tremotino di quanto non immaginasse.
Per questo fu un po' titubante nel chiederle quel favore, ma non dovette nemmeno azzardarsi a farlo perché fu lei ad avere l'idea
 
«Seguimi» esclamò, battendo il palmo sul tavolo.
 
Non se lo fece ripetere due volte.
La ragazza lo guidò alla stanza più segreta di quel castello, il laboratorio, muovendosi esperta tra quei labirintici corridoi esattamente come se li conoscesse da sempre, e ogni tanto raccontandogli qualche aneddoto su di essi.
 
«Oh, non credo si possa entrare. Ci ho provato ma non sono riuscito nemmeno a scassinarla. Forse è protetta da un incantesimo» la interruppe una volta giunti lì, di fronte alla porta sbarrata.
 
Emilie si voltò e gli rivolse un sogghignò, tirando fuori dalla tasca del pantalone in pelle che indossava una piccola chiave a croce, molto diversa dalle altre.
 
«Hai detto bene. Un incantesimo che può essere spezzato solo dalla chiave giusta» replicò sicura.
 
Ewan sgranò gli occhi mentre la osservava, trattenendo il fiato.
Le sue dita affusolate inserirono la chiave nella serratura, la girarono un paio di volte e la fecero scattare, aprendo loro l'accesso al tesoro più prezioso di Tremotino: la stanza degli incantesimi e delle pozioni.
Entrarono in punta di piedi, ma per motivi diversi.
C'era un'aura strana e pesante, li. Ewan l'avvertì subito, e gli sembrò quasi di essere tornato al cospetto del Signore Oscuro in persona.
Tutto il suo potere era lì, nascosto tra quelle pergamene e quelle pozioni.
Per Emilie invece fu come tornare a casa e ritrovare suo padre, il brillante e oscuro mago che le aveva insegnato tutto ciò che sapeva.
Il suo spirito era ancora lì, tra quelle provette piene di magia e i volumi impolverati tanto cari a sua madre.
Tra quelle pergamene si nascondeva anche il segreto di Cronos, e ora che vi aveva avuto accesso avrebbe finalmente potuto svelarlo una volta per tutte, elaborando un piano che le permettesse di raggiungerlo ed appropriarsene.
Ma prima c'era una cosa da fare.
 
«Dunque, una collana…» ripeté tra sé allegramente, ricacciando indietro le lacrime con un gesto delle mani.
 
Quindi si mise a cercare tra gli scaffali, gli occhi ansiosi e speranzosi di Ewan costantemente su di lei. “Comincio a capire perché a papa piacesse questa sensazione” ridacchiò dentro sé.
Aprì un paio di credenze senza trovare nulla di interessante, poi si avvicinò a quella che conteneva gli ingredienti per le pozioni, tirò un cassetto e finalmente potè esclamare vittoriosa.
 
«Oh, eccola qui. Sei fortunato che il sortilegio non l'abbia spedita a Storybrooke con tutto il resto» disse prendendola tra le mani e mostrandogliela.
 
Il ragazzo s'illuminò quasi commosso.
 
«Si, è lei!» disse allungando le mani per riprenderla, ma lei la trasse a sé prima che potesse riuscirci, guardandolo contrariarsi sorpreso e deluso.
 
Si morse le labbra trattenendo un ghigno.
 
«Questo è un osso di drago» osservò, tornando seria ad ispezionarla come se nulla fosse «Non mi sorprende che mio padre lo volesse. Te lo renderò se mi spieghi come sono andate le cose. Sono curiosa: come lo hai avuto?»
 
L'arciere tornò a sorridere. Sospirò rassegnato e annuì, scuotendo le spalle.
 
«Era di mio padre, un cavaliere al servizio di Re George. Lui lo diede a mia madre prima di partire per la sua ultima missione come talismano portafortuna, e lei lo diede a me prima di morire.» spiegò, rimanendo sul vago per non sentire nuovamente il peso di quei ricordi gravare sul suo cuore.
 
Emilie lo ascoltò con attenzione, e si accorse dei suoi occhi improvvisamente lucidi e della voce impercettibilmente tremula.
Sorrise comprensiva, sentendo un peso scendere a gravarle sul cuore.
 
«Capisco...» mormorò, poi buttò di nuovo tutto sul ridicolo per mascherare la commozione che l'essersi immedesimata in quel racconto le aveva provocato «Immagino quindi che tu non abbia barattato questo pegno d'amore per la sua vita» osservò «Chi è la fortunata?» domandò, ammiccando.
 
Lo guardò sorridere divertito.
 
«Oh, col senno di poi... nessuno d'importante» le spiegò, scuotendo il capo e le spalle.
 
Emilie Gold si corrucciò.
 
«E tu hai fatto un patto col Signore Oscuro per ‘nessuno d'importante’?» chiese virgolettando con indice e medio di entrambe le mani.
 
Ancora una volta il ragazzo tornò a ridere, stavolta sinceramente divertito.
 
«In realtà... lo era per me» chiarì, guardandola finalmente negli occhi senza più alcun imbarazzo o timore «Ero piccolo quando mio padre se n'è andato, e mia madre mi lasciava spesso a casa da solo per andare a vendere tutto ciò che riusciva a ricavare dal nostro orto e dal suo lavoro di sarta. Perciò ho sempre desiderato avere una famiglia, qualcuno da proteggere, per cui vivere, con cui condividere tutto l’amore di cui avevo sentito la mancanza. Lei invece...» sorrise di nuovo, un po' amaro «Diciamo che avevamo due modi diversi di vedere la vita.»
 
Senza accorgersene, Emilie annuì ammirata, sorridendo appena. Quella storia gli era così terribilmente familiare.
Lentamente, la mano che reggeva il ciondolo si abbassò e il palmo si dischiuse davanti a lui, mostrandogli il suo tesoro.
Incredulo, Ewan tornò ad alzare gli occhi verso quelli grigi di quella strana creatura che aveva di fronte, e quando i loro sguardi tornarono a unirsi quella strana magia accadde di nuovo.
Furono come stregati, incapaci di proferire altre parole.
Lei sorrise, sentendo il fiato farsi corto e un nodo chiudere lo stomaco.
Lui allungò piano la mano per riprendersi la collana e nello sfiorare la sua pelle ebbe un brivido.
Per un brevissimo attimo, entrambi si ritrovarono a sorridersi.
 
«Grazie...» bofonchiò lui, rimettendosi il ninnolo al collo «Ti devo molto»
 
La ragazza sorrise appena, scuotendo le spalle.
 
«Oh, avrai modo di ripagarmi» disse scoccandogli un occhiolino «Il vero amore è qualcosa di molto potente.» risolse infine, riavendosi a poco a poco e facendosi seria «La prossima volta scegli bene a chi donarlo»
 
***
 
Presente,
Storybrooke, foresta
 
Anche se erano passati ormai troppi anni da quando si erano incontrati, Tremotino non riconobbe quel giovane arciere, ma Ewan lo fece.
Nessuno poteva dimenticare il Signore Oscuro dopo averlo incontrato, anche se il sortilegio aveva restituito al suo aspetto la sua umanità.
Ma a differenza di tutti gli altri abitanti di Storybrooke, Ewan non vacillò subito ritrovandosi nuovamente di fronte a lui.
Semplicemente, strinse il ciondolo che portava legato al braccio e ricordò l'ultima promessa fatta a sua figlia. «Mio padre non dovrà mai sapere.»
Non perché si vergognasse di quell'amore, ma perché temeva per la loro incolumità. Sua, e dei suoi genitori.
Erano passati anni ormai dall'ultima volta che aveva visto quella ragazza. Secoli anzi. La stava ancora aspettando, come si erano promessi, nonostante il tempo gli avesse lasciato sulla pelle cicatrici evidenti.
E contrariamente a quanto Robin Hood poté pensare mentre lo guardava reggere il confronto col temibile Mr. Gold, quell'incontro fu ciò di cui aveva più bisogno.
Il segno che aspettava da tanto. Il momento che avrebbe avuto il potere di cambiare rotta alla sua vita.
Tutto iniziò con un cordiale saluto di Robin Hood, che fece finta di distrarlo dal suo altrettanto fittizio allenamento con l'arco.
 
«Ewan, conosci Mr. Gold vero?»
 
Abbassò l'arco e lo guardò.
L'uomo se ne stava in silenzio a scrutarlo con sguardo torvo, impettito nel suo completo scuro a coste, cravatta viola e l'inseparabile bastone da passeggio stretto tra le mani.
Ewan sorrise.
 
«Certo che sì» annuì, aggiungendo poi «Chi non conosce il Signore Oscuro, qui a Storybrooke e da dove veniamo?» tornando serio.
 
Tremotino incurvò gli angoli della bocca all'insù, in una smorfia soddisfatta.
 
«Mi spiace disturbarti, Ewan. Ma ho da farti qualche domanda e confido che la mia fama t'incoraggi a rispondermi con sincerità» soggiunse, senza scomporsi.
 
I due arcieri si lanciarono un lungo sguardo loquace, alla fine del quale il più giovane fece a Lockslay segno di lasciarli soli.
 
«Farò del mio meglio per accontentarvi, Rumplestiltskin» rispose sostenendo il suo sguardo minaccioso, e ribadendo con un cenno del capo a un titubante Robin Hood che andava tutto bene.
 
Convintosi, il capo dell'allegra brigata decise di lasciarli soli alla loro conversazione, che a quel punto che prese una piega decisamente più seria.
 
«In cosa posso esservi utile?» esordì Ewan, appoggiando l'arco su un tronco reciso, accanto alla sua faretra.
«È molto semplice» replicò il Signore Oscuro, facendo nuovamente apparire sul palmo della sua mano la prova incriminata «Conosci il proprietario di questa freccia? Il tuo capitano ha detto che sei abbastanza bravo in questo. L'hai fabbricata tu?»
 
L'uomo prese tra le mani l'arma, e mentre la scrutava attentamente il suo cuore tremò e sul suo volto apparve un sorriso quasi commosso.
 
«È una delle mie, si» ammise «Ma...questa è una freccia speciale. Come la persona per cui l'ho fabbricata»
 
Mr. Gold sospirò sollevato. Finalmente qualcuno con abbastanza sale in zucca da collaborare.
 
«E il nome di questa 'persona speciale' è per caso Emilie ?» domandò e stavolta lo vide davvero vacillare, come se avesse appena ricevuto un colpo a tradimento.
 
La mano che reggeva la freccia tremò, nella sua mente tornò prepotente il ricordo di quella promessa.
Nel frattempo, Tremotino seguitò a scrutarlo studiandone ogni movimento e constatando con un certo stupore quanto anche lui fosse sorpreso di risentire quel nome.
Lo sconcerto era autentico, e questo lo spinse a convincersi che, seppure avrebbe potuto dargli qualche informazione in più sulla misteriosa ragazza che diceva di essere sua figlia, quel giovane arciere non centrava nulla con gli ultimi eventi e probabilmente non sapeva nemmeno che lei fosse arrivata in città.
Decise comunque di ricavare quanto più poteva da quella conversazione, visto che lei stessa lo aveva sfidato a giocare quella caccia al tesoro.
E lui non perdeva mai ai giochi di questo genere.
 
«Voi... quanto sapete di lei?» domandò a sua volta Ewan, decidendo per la cautela.
 
Se Emilie era finalmente riuscita a farsi notare da suo padre significava che aveva deciso di uscire alla scoperto. Avrebbe vuotato il sacco solo nel caso in cui lei stessa lo avesse fatto per prima. Non sarebbe stato difficile convincere il Signore Oscuro a dargli ragione, o almeno a comprenderlo.
 
«So che è stata lei a fermare Zelena, e che conosce molte cose di me e della mia famiglia. Troppe per i miei gusti.»
 
Specie dopo gli ultimi avvenimenti.
L'arciere si fece ancor più serio. Ecco il motivo per cui quella promessa esisteva.
Emilie aveva avuto ragione ancora una volta su suo padre, finché non si sarebbe convinto che le sue intenzioni erano buone poteva essere un nemico temibile.
Aveva già fatto il passo più lungo della gamba rivelandogli di conoscerla, ma non aveva resistito.
Doveva sapere... se lei era di nuovo nel suo stesso tempo.
Ciò che apprese dal Signore Oscuro perciò lo sconvolse, facendo brillare i suoi occhi di lacrime di gioia.
 
«Lei...» mormorò guardandosi intorno «Lei è qui a Storybrooke. Ora?»
 
Mr. Gold lo scrutò per un istante, assottigliando di nuovo le palpebre. Poi sospirò, trasse dalla tasca del suo soprabito nero un foglietto ripiegato e glielo porse, guardandolo trattenere il respiro mentre i suoi occhi verdi scorrevano nervosamente quelle poche righe.
Era la pergamena che Emilie gli aveva fatto avere tramite Bae.
Per qualche motivo né suo figlio né quel giovane volevano parlargliene, e sinceramente la cosa stava iniziando a irritarlo.
Pensavano davvero di riuscire a fargli bere con facilità quella gigantesca montagna di frottole?
Almeno su una cosa però quel giovane era sincero: non aveva davvero mai avuto modo d'incontrarla di recente.
 
«Te lo chiederò un'ultima volta...» risolse, facendosi serio e compiendo un passo in avanti verso di lui, per poterlo guardare meglio negli occhi «Chi è Emilie? E dove si trova adesso?» lo incalzò comunque, impugnando il bastone e puntandoglielo contro.
 
Ewan gli rivolse uno sguardo quasi sperduto, ma sincero, senza arretrare di un passo.
 
«Mi creda. Glielo direi se potessi» rispose, stringendo emozionato quel plico tra le dita «Ma non lo so. È anche se lo sapessi... un patto è un patto, l'ho imparato da voi» sorrise.
 
Lo fece anche Tremotino, ma più nervosamente, mordendosi la lingua.
Se aveva deciso di metterla su questo piano allora stava giusto pensando di giocarsi anche quella carta, ma del tutto inaspettatamente l'arciere aggiunse qualcosa che lo frenò.
 
«Ciò che mi sento di dirle però è che... non ha alcun motivo per temerla. Lei...» sorrise, cercando le parole giuste «non farebbe mai nulla contro di voi. Ha sacrificato la sua intera esistenza per proteggervi, se avete ricevuto quel messaggio vuol dire che lo sapete già»
 
All'improvviso senza più parole, Tremotino fissò il plico che l'uomo gli aveva restituito e sentì in cuor suo di non poterlo contraddire.
Allora era tutto vero. Ciò che quella ragazza gli aveva detto nella lettera, ciò che sosteneva, i motivi che l'avevano spinta a salvarlo più e più volte; ripensò ancora una volta a tutte quelle che quella misteriosa presenza aveva aiutato sia lui che Belle, senza chiedere nulla in cambio.
Aveva perfino fatto in modo che fosse qualcun altro a sacrificarsi al posto di Baelfire per farlo ritornare dal regno dei morti, e gli aveva portato conforto durante la prigionia ad opera di Zelena. Più restava ad ascoltare le parole di quell'arciere, più se ne convinceva. Emilie era davvero sua figlia?
Purtroppo la vita gli aveva insegnato che nessuno compiva mai gesti simili senza chiedere nulla in cambio, inoltre non amava affatto ritrovarsi dalla parte del debitore, in qualunque caso.
L'esperienza con Zelena gli aveva ricordato ancora una volta il rischio che correva lasciando che persone di quel genere di "affezionassero" troppo a lui.
 
«Perché?» domandò, quasi rabbioso, stringendo forte il bastone tra le mani mentre tornava ad appoggiarlo a terra.
 
Ewan sorrise.
 
«La trovi e lo chieda a lei» suggerì «Non aspetta altro da tutta una vita»
 
Un ultimo, intenso scambio di sguardi tra di loro. Poi finalmente Mr. Gold decise di non insistere ulteriormente. Non che non volesse, ma aveva promesso a Belle e a suo figlio di andarci piano, e comunque anche sotto tortura quell'arciere non avrebbe mai potuto dirgli più di così.
Lasciò correre quindi, sorrise nervosamente e gli voltò le spalle, congedandolo con un gesto infastidito della mano e un formale
 
«Grazie per il tuo tempo»
 
Ma prima che potesse muovere un altro passo, Ewan lo richiamò.
 
«Mr. Gold»
 
Represse un'altra smorfia nervosa e si voltò, fulminandolo con uno sguardo.
Tuttavia, ogni cattiva intenzione morì nel momento in cui quell'uomo misterioso gli rivolse l'ennesimo sorriso sincero e una singola, per nulla enigmatica frase.
 
«Lei ed io abbiamo molto in comune. Soprattutto, sappiamo entrambi cosa vuol dire trovare il vero amore»
 
\\\
 
Intanto, al Granny's...
 
Seduta sola soletta al tavolo più nascosto del locale, quello appena dietro la porta d'ingresso, Emilie sotto le mentite spoglie di Alexandra Scarlett si godeva un meritato momento di riposo e solitudine, cercando di placare l'animo agitato che si era ritrovata ad avere e di chiarirsi al meglio le idee.
Per aiutarsi aveva ordinato un thè nero bollente e uno di quei dolci strapieni di crema pasticciera, ma non aveva toccato né l'altro, rimanendo a fissare con sguardo perso il vapore che dalla tazza si elevava verso il soffitto disperdendosi a pochi centimetri dal suo naso.
Era estremamente stanca di doversi nascondere. Aveva iniziato ad esserlo quando suo padre era stato prigioniero di Zelena, e continuava a sentirsi così anche ora che tutto era tornato a posto. Aveva fiducia in Tremotino, non ci avrebbe messo tanto a risolvere gli indizi che gli aveva lasciato, ma nel frattempo lei sentiva di aver bisogno di un abbraccio o in alternativa di un bel pianto liberato per scaricare la tensione accumulata. La cosa peggiore era che non poteva avere nemmeno queste due alternative.
Gideon non c'era, Bae non aveva ancora deciso se fidarsi e sua madre era troppo vicina al Signore Oscuro.
Il cucchiaino smise di girare a vuoto nella tazza e venne abbandonato sul bordo del piattino. Tremante, prese tra le mani la porcellana ancora rovente e se la portò alle labbra, ingurgitandone un bel sorso.
Le si ustionò la lingua, ma almeno le fu d'aiuto per non pensare al vero dolore. Chiuse gli occhi e strinse i denti, agitando il capo per resistere.
 
«Alex, tutto bene?» chiese Ruby, fermandosi al suo tavolo.
 
Sorrise, arrossendo appena.
 
«S-si si, a meraviglia» bofonchiò, pulendosi la bocca col tovagliolo «Anzi, credo che ci voglia di più del thè bollente per rimettermi in sesto oggi. Puoi portarmi qualcosa di forte con cui correggerlo?»
 
Non era solita darsi ai super alcolici ma quello sembrava il momento giusto per iniziare.
Ruby si aprì in un sorriso, comprensiva.
 
«Certo» rispose «Abbiamo del rum, se vuoi?»
 
D'un tratto si bloccò a pensarci, guardandola.
Ci mancava solo il riferimento a quell'idiota d'un pirata. Stava per rifiutare, ma poi pensò che nella sua vita per un breve periodo aveva fatto anche quello pur di spianare la strada al suo amato padre, quindi...
 
«Oh, al diavolo! E rum sia!» replicò tornando quasi inavvertitamente a riappropriarsi di quella gestualità inconfondibile.
 
Per fortuna Cappuccetto sembrò non accorgersene. Ridacchiò e si congedò con un
 
«Torno subito.»
 
Lasciandola nuovamente al suo silenzio.
Qualche istante dopo lei stava finendo di versare una buona dose di liquore nel suo thè quando al suo tavolo si accomodò in fretta il ragazzino più famoso della città.
 
«Ciao Zia!» la salutò allegramente, regalandole un largo sorriso.
 
Doveva essere appena tornato da scuola perché aveva ancora lo zaino in spalla, e tra le mani l'inseparabile libro di favole che appoggiò sul tavolo di fronte a sé.
Emilie sobbalzò, rischiando di farsi cadere il rum addosso.
 
«Henry... » lo salutò con un sorriso finto, poi mormorò sottovoce, avvicinandosi verso di lui e abbassandosi per nascondersi agli occhi indiscreti di Leroy, seduto in fondo al bancone, che ogni tanto la scrutava corrucciandosi «Cosa avevamo detto sulla segretezza?»
 
Il bambino mutò espressione in una più seria, annuì e assunse la sua stessa aria guardinga.
 
«Hai ragione, scusa.» mormorò, poi tornò ad agire normalmente ribadendo con un ampio sorriso «Come stai, Alexandra?»
«Potrei stare meglio... » bofonchiò lei, accorgendosi solo allora della presenza di Baelfire al bancone.
 
Stava chiacchierando con Ruby, insieme si avviarono al loro tavolo.
La cameriera portava un vassoio colmo di cioccolate e delizie varie, Neal guardò verso sua sorella e le sorrise salutandola con un cenno della mano.
Emilie sgranò gli occhi sconcertata, sentendo puntarsi contro di lei lo sguardo di quel nano impiccione sempre appollaiato sul suo sgabello.
Giunti al tavolo, fratello e sorella si scambiarono muti cenni mentre Ruby riponeva tranquillamente ogni pietanza sul tavolo.
 
«Ecco a voi» disse cordialmente, salutandoli «Divertitevi»
«Grazie, Ruby» risposero padre e figlio quasi all’unisono.
 
Finalmente soli, Alexandra scalò sul posto in fondo al divanetto per sottrarsi alle attenzioni ora davvero insistenti di Leroy, che così la perse di vista.
 
«Maledetto nano impiccione...» bofonchiò contrariata sprofondando nella seduta.
 
Bae rivolse una rapida occhiata alle sue spalle, poi sorrise.
 
«Leroy fa sempre così con tutti. Rilassati e bevi il tuo thè» risolse con un sorriso, storcendo però subito il naso «Accidenti, quanto rum ci hai messo?» domandò disgustato «Si sente l'odore fin qui.»
 
Alexandra sospirò alzando gli occhi al cielo.
 
«Rum? Ti piace il rum?» sorrise divertito Henry «Saresti un ottimo pirata, allora» osservò, ridacchiando poi con suo padre.
 
Emilie tornò a sedersi compostamente, tirò a sé la tazza ingollò d'un sorso, lasciandoli di stucco. O meglio, Bae rimase di stucco, mentre Henry ridacchiò divertito osservandoli.
 
«Che ci fate qui voi due? Avevamo detto che per ora dovevamo mantenere le distanze»
 
Bae alzò le spalle.
 
«Henry voleva stare un po' con te... vuoi negarglielo?» le rispose.
 
La ragazza tornò ad incrociare lo sguardo del nipote, che le sorrise annuendo.
Sospirò di nuovo, e si aprì finalmente in un sorriso.
 
«No, direi di no»
 
Neal sorrise, iniziando a mangiare il suo hamburger. Henry invece mise da parte il libro per dedicarsi alla sua cioccolata.
Fu proprio Emilie a tirare nuovamente in ballo la questione, dopo aver scrutato attentamente l'importante volume.
 
«Questo è il libro che vi ha aiutati col primo sortilegio?» domandò.
«Si» replicò entusiasta Henry, porgendoglielo «Ti stavo cercando ma non ci sei» rispose.
 
Neal la osservò accarezzare la copertina con aria sognante, quasi nostalgica.
 
«Oh, non credo di poter esserci, piccolo» la sentì mormorare tristemente.
«Ma se...» fece ancora il bambino, abbassando il tono di voce e avvicinandosi di più a lei «Se hai cambiato il passato dovresti. Invece niente. E nemmeno le altre storie sono cambiate»
 
Emilie sorrise, anche un po’ compiaciuta.
 
«È perché sono stata brava» replicò «Cambiare il passato può essere pericoloso, mi sono limitata solo ad osservarlo da lontano»
«Intervenendo quanto bastava» aggiunse Bae, rivolgendole un'impercettibile sorriso al quale lei ricambiò con tenerezza.
 
Quindi, seguendo un ricordo, aprì il volume e cercò la pagina dove, in uno stile molto approssimativo ma comunque incisivo e suggestivo, adatto a un libro di fiabe, vi era illustrato il primo bacio di vero amore tra Tremotino e la sua Bella.
Con la punta delle dita ne sfiorò i colori, sentendo le lacrime affacciarsi agli occhi.

 
 
«In un dolce bacio d'amore, le loro labbra s'incontrarono e la magia più potente del mondo iniziò a fare il suo effetto.»
 
Recitava il libro sotto di essa
 
«Lentamente, l'incantesimo che incatenava il cuore della bestia iniziò a svanire.
‘Guarda, sta funzionando!’ mormorò felice Belle.
Ma Tremotino la respinse, adirato e spaventato. Il vero amore era imprevedibile.
Inoltre, non poteva cedere a quella magia, perché l'uomo dentro al suo cuore aveva bisogno della Bestia per sopravvivere.»
 
Senza che se ne accorgesse, la sua mente fu inondata dai ricordi.
Rivide i suoi genitori innamorati osservare l'interminabile tramonto alla fine del tempo, stretti l'una tra le braccia protettive dell'altro. E rivide sé stessa tra di loro, la piccola principessa di suo padre che lo amava come se fosse il più invincibile degli dei.
Ripensò a tutte le volte che i suoi gli avevano raccontato quella storia con quelle stesse parole, fu quasi come risentire la voce di suo padre e rivedere i suoi occhi colmi di gratitudine verso Belle, che aveva saputo ridargli la sua umanità credendo e combattendo perché quell'amore fosse possibile.
Infine rivide sé stessa trovarlo e lasciarlo andare, proprio come aveva fatto suo padre all'inizio di quella lunga favola.
Quando Tremotino aveva lasciato andare Belle le aveva detto che il potere era più importante di lei. Ora, Emilie si rese conto di quanto avesse agito nella medesima maniera, dicendo a Ewan che la felicità di suo padre era più importante di quel sentimento appena sbocciato tra loro.
La verità era che avevano agito entrambi da codardi. Tale padre, tale figlia.
Eppure il Tremotino alla fine del tempo l'aveva avvisata.
Il vero amore faceva paura anche al più intrepido dei cuori. Lei aveva usato suo padre per scappare il più lontano possibile. E ora?
Non sapeva nemmeno dove fosse Ewan in quel momento, se a Storybrooke o in qualche altro reame. Com'era diventato? L'avrebbe riconosciuta?
Ma soprattutto... Il loro amore appena nato aveva resistito alle intemperie del tempo come aveva fatto quello tra sua madre e suo padre?
C'era un solo modo per scoprirlo, ma lei era ancora maledettamente terrorizzata all'idea di attuarlo. E ancora una volta la scusa di dover dare la priorità a suo padre suonava perfetta.
 
«Alexandra...»
 
La voce di Baelfire la riscosse dai cupi pensieri in cui era sprofondata. Tornò a guardarlo e vide sul suo volto e su quello di Henry un'espressione preoccupata.
Una lacrima si staccò dalla sua guancia schiantandosi sul tavolo, solo guardandola incredula si rese conto di avere iniziato a piangere.
Il fiato corto e gli occhi in fiamme, si scusò e si alzò fiondandosi in bagno, dove nuovamente represse ogni cosa sciacquandosi il viso con acqua gelida e ingoiando ripetutamente il rospo stringendo i denti, fino a che non sentì di avere tutto nuovamente sotto controllo.
Tornata al tavolo, trovò il libro nuovamente stretto tra le mani di Henry, che lo chiuse non appena la vide arrivare.
Baelfire le rivolse un lungo sguardo preoccupato e comprensivo.
 
«Tutto bene?» domandò
«Si...» risolse lei, sbrigativa, rimettendosi il giubbotto di pelle e facendo per avviarsi all'uscita «Si. È che mi sono ricordata perché sono qui.» disse «Scusatemi»
 
Neal e suo figlio la fissarono andar via di fretta, fiondandosi fuori dal locale e fermandosi al centro del marciapiede, fissando con caparbietà il sole sopra di lei.
Si lanciarono uno sguardo complice.
 
«Andiamo?» domandò Bae, con un cenno del capo.
«Yep!» rispose il bambino, rimettendosi lo zaino sulle spalle.
 
Un istante dopo erano nuovamente tutti e tre insieme, proprio di fronte al Granny's.
Emilie sospirò nervosamente nel vederseli ancora alle calcagna.
 
«Sbaglio o non hai idea di dove andare?» fece Neal, con un sorriso.
 
Lei gli lanciò un'occhiataccia non tanto minacciosa, alzò gli occhi al cielo e si rivolse a Henry.
 
«Cosa fai quando vuoi divertirti e stare da solo?» domandò.
 
Il giovane scosse le spalle.
 
«Il Castello. La mia altra mamma ci ha fatto costruire un parco giochi» disse senza nemmeno pensarci.
 
Emilie si concesse qualche istante per riflettere.
 
«È vicino al mare...» osservò corrucciandosi.
«Si, ma non incontrerai Uncino se è questo che temi» la corresse Bae «Il porto è dall'altro lato della città»
 
L'ennesimo sospiro spazientito. Alexandra guardò Henry annuire, quindi sprofondò le mani nelle tasche della giacca di pelle nera e annuì.
 
«Perfetto. Fammi strada» decise, rivolgendosi ad Henry.
 
Baelfire annuì, sorridendo di nuovo. Avrebbe dovuto avvisare Emma, pensò. Lo fece con un rapido sms.
 
"Emilie ha bisogno di schiarirsi le idee. Io ed Henry siamo al Castello con lei."
 
Mentre Henry prometteva solennemente di non dire nulla di lei all'altra sua madre, Regina, che sembrava non rientrare più di tanto nelle simpatie di quella zia così particolare.
 
\\\
 
Dopo aver visto uscire di corsa quella strana sconosciuta, Leroy aspettò che se ne fosse andata per estrarre il telefono e fare un'importante chiamata.
La voce di David Nolan dall'altro capo del telefono non tardò a farsi sentire.
 
«Leroy!» lo accolse cordiale.
«Hey, vicesceriffo. Ho qualcosa da dirti di persona» disse «Puoi raggiungermi da Granny. E porta anche Bianca.»
«Oh, va bene» replicò il Principe, dopo un attimo di stupore «Dacci solo … dieci minuti e siamo da te. D'accordo?»
«Mh» bofonchiò il nano «Fate con calma, non c'è fretta»
 
Infine, chiusa la chiamata, ordinò un'altra birra e iniziò ad ingollarla con una porzione di lasagne nell'attesa.
 
(Continua …)

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Capitolo 6
*** Episodio VI - Caccia al tesoro (seconda parte) ***


EPISODIO VI - Caccia al tesoro (seconda parte)

Presente,
Storybrooke.
 
Il mare era calmo quel giorno, mosso solo appena da leggere folate di un venticello gelido e umido, anticipo di un rigido inverno.
Per tutto il tragitto Emilie si era limitata a sorridere appena alle battute di Henry e rispondere stringata alle argomentazioni di suo fratello, camminando ricurva su sé stessa, gli occhi fissi sulla punta dei suoi anfibi neri e le mani sprofondare nelle tasche dei pantaloni.
Giunta a destinazione però i suoi occhi grigi si librarono verso l'orizzonte confuso tra cielo e mare e i suoi pensieri fuggirono, correndo verso le nuvole bianche che si ammassavano sopra la sua testa e perdendosi a volteggiare leggiadramente assieme ai gabbiani.
Trasse un profondo respiro, chiudendo gli occhi e ascoltando il dolce sciabordio dell'oceano.
Sorrise. Il sapore e il profumo della salsedine le riempì bocca e polmoni, mentre il vento le scompigliò la folta chioma nera.
 
«Lo sai, Henry» rivelò, tornando a guardare il nipote «Non avevi torto, prima. Quando mi hai detto che sarei un ottimo pirata»
 
Il ragazzino inclinò di lato il capo, come un cucciolo curioso.
 
«No?» chiese interessato «Sei stata un pirata?»
 
Emilie sorrise, alzò la manica del giubbotto che ricopriva il polso destro e mostrò fiera un tatuaggio dalla forma inconfondibile: Due tibie incrociate sovrastate da un teschio.
Lo vide sgranare gli occhi affascinato.
 
«Wow!! È stupendo!!» esclamò, sfiorando con le dita l'inchiostro nero sulla sua pelle liscia.
 
Baelfire, che nel frattempo le si era accostato, alzò le sopracciglia lanciando una rapida occhiata al tatuaggio.
 
«Mh. Questo spiega tante cose... anche come tu sia riuscita a trovarmi sull'isola che non c'è.» mormorò, cercando di non sembrare affatto sorpreso.
 
In realtà lo era eccome.
 
«Sei stata anche tu sull'isola che non c'è?!?» esclamò ancor più sbalordito Henry, che a quel punto non riuscì più a trattenere la curiosità «Come sei diventata un pirata?? Perché?? Lo hai fatto sempre per la tua missione?» seguitò a chiedere.
 
Emilie ridacchiò ma prima che potesse rispondere Neal aggiunse, sprofondando le mani nelle tasche e assumendo un tono leggermente sarcastico.
 
«Mh, si racconta. Ma soprattutto, eri consapevole dell'odio che papa nutre nei confronti dei pirati?»
 
Alzando ancora una volta le sopracciglia e sorridendole provocatorio. Emilie gli lanciò uno sguardo di fuoco, poi si aprì in un ghigno.
 
«Papa non odia i pirati.» precisò «Ne odia uno solo in particolare, ma non credo che tu voglio affrontare questo argomento ora. Sai già che perderesti.»
 
Baelfire annuì sgranando gli occhi.
 
«Oh, ma davvero?» replicò, ma prima che potesse aggiungere altro la ragazza fece roteare con impressionante rapidità il polso materializzando sul palmo della mano un globo d'acqua salmastra per poi lanciarglielo contrò, inzuppandolo dalla testa alla cinta dei suoi vecchi jeans.
 
Henry rise divertito e lo fece anche sua zia, di cuore, forsennatamente, fino a che le lacrime non le riempirono gli occhi e il fiato non le mancò in petto.
 
«Oh, Bae ehehehe!» annaspò, tornando a prendere fiato ma ricominciando a ridere subito dopo «Dovresti vedere la tua faccia ora! È troppo divertente!» disse, materializzando uno specchio e porgendoglielo.
 
Neal lo prese quasi strappandoglielo dalle mani e controllando sbigottito i capelli.
 
«Seriamente?? È questo il rispetto che porti a tuo fratello maggiore?» sbottò.
 
Quindi lanciò un occhiolino a suo figlio, e dopo aver abbandonato la sua giacca e lo specchio sulla sabbia cogliendola di sorpresa la prese di peso e corse a gettarla tra le onde, mentre lei urlava e rideva ancora più forte.
Si ritrovarono entrambi in mezzo ai flutti, a ridere come non ricordavano di aver mai fatto in vita loro, da veri fratello e sorella.
 
«Smettila di ridere di me!» le urlò lui lanciandole contro uno spruzzo d'acqua, ma mentre lo diceva rideva a sua volta senza riuscire a fermarsi.
«Scusami Bae!» ridacchiò ancora lei, riparandosi con le braccia dal suo attacco e fingendosi pentita solo per poter tornare a colpirlo ancora una volta a tradimento con un altro schizzo «Ma sei così ridicolo! Sembri un pesce lesso.»
 
Tornarono a sfidarsi, combattendo come due bambini che imparano a fare a botte. E mente lo facevano Henry li osservò con un largo sorriso felice, riprendendoli col cellulare di suo padre.
 
«Ma che sta succedendo?»
 
La voce di Emma lo riscosse. Si voltò e la vide avanzare verso di lui mentre con un sorriso sorpreso ma contento osservava i due fratelli darsele di santa ragione, ridere e schiamazzare.
 
«Sei venuta?» l'accolse contento.
 
Emma gli stampò un bacio sulla fronte e annuì.
 
«Ero convinta di trovare una situazione deprimente, invece...» ridacchiò «Spero solo che Mr. Gold non sia nei paraggi ora. Non aveva detto che voleva mantenere un profilo basso?»
 
Henry annuì ridacchiando a sua volta.
 
«Credo che ne avesse bisogno.» le disse «Si è intristita quando ha visto un'illustrazione nel libro. Probabilmente le mancano molto i suoi genitori.»
«E gli ultimi avvenimenti devono aver peggiorato la situazione...» prosegui la Salvatrice, annuendo.
 
Nel frattempo, i due fratelli avevano smesso di giocare e stavano ritornando insieme a riva.
Emilie era radiosa in viso, gli occhi brillavano e la tristezza in essi si era fatta un po’ meno pesante. Bae sorrideva a sua volta, tenendola sottobraccio e aiutandola a risalire il breve pendio che separava la spiaggia dal bagnasciuga.
Si guardarono negli occhi e per la prima volta si sentirono a casa, l'uno con l'altra.
 
«Emma!» la salutò Neal quando furono abbastanza vicini, lasciandole un delicato bacio sulla fronte, frattanto che Emilie si toglieva l'acqua in eccesso dai vestiti e dai capelli, strizzandoli a dovere e abbandonando stivali e giubbotto sulla sabbia accanto a quelli di suo fratello.
 
«Mio Dio, Neal. Sei fradicio!» osservò sorpresa la Salvatrice, cercando di non sembrare troppo divertita e al contempo di capire come poter rimediare.
 
Emilie tornò a ridacchiare, lui la guardò ridendosela a sua volta.
 
«Colpa sua.» rispose puntandole l’indice contro «Non si può mai avere una conversazione seria.»
 
Emilie gli rispose con una linguaccia, lui si finse offeso; guardandoli, madre e figlio si scambiarono un sorriso complice e annuirono.
 
«Facciamo una passeggiata, mamma?» esordì Henry «Il mare è stato agitato stanotte, voglio vedere se riesco a trovare qualche conchiglia.»
 
Emma acconsentì volentieri, prendendolo per mano.
 
«Posso sperare di ritrovarvi interi?» domandò divertita prima di lasciarli soli.
 
Alexandra alzò le mani e assunse un'aria innocente.
 
«Non posso garantirtelo.» ammiccò, regalando un sorriso a tutti stavolta.
 
La Salvatrice rivolse un ultimo sguardo innamorato a Neal, che le scoccò un occhiolino. Poi si avviò con suo figlio verso la spiaggia sottostante, lasciandoli liberi di parlare.
Ma prima che potessero farlo, Neal prese la sua giacca e l'appoggiò sulle spalle di sua sorella, che lo ringraziò facendo apparire sulla sua schiena una soffice coperta dello stesso beige dorato della sabbia sulla quale si ritrovarono seduti, uno di fianco all'altra ad ammirare la costa.
A dir la verità, all'inizio nessuno dei due parlò. Dopo aver riso con tutto il fiato che avevano in corpo, decisero entrambi di concedersi un lungo istante di silenzio ascoltando la voce del mare e lo stridio dei gabbiani.
Baelfire si avvicinò di più a lei, offrendole la spalla sulla quale Emilie poté poggiare il capo e lasciarsi andare a un attimo di tenerezza.
Quando alfine il silenzio si fece troppo pesante fu proprio Neal a romperlo, mormorando con commossa gratitudine.
 
«Non ti ho mai ringraziato per avermi salvato la vita. Con Zelena, soprattutto. Ma anche prima, sull'isola che non c'è. Non sarebbe stato altrettanto facile se non mi avessi fatto avere quel messaggio.»
 
Emilie senti le lacrime tornare a pungerle gli occhi.
Sorrise, commossa.
 
«Non devi ringraziarmi...» replicò, con voce tremula «Tu sei tutto per papa.» restando a guardare l'orizzonte fino a che lui, guardandola, non le chiese, serio.
«Quindi è solo per questo che lo hai fatto? Per far felice papa e concederci più tempo?»
 
Alzò gli occhi nei suoi, delusi e sperduti ma anche curiosi di capire. Si aggrappò al suo braccio come faceva da piccola con suo fratello Gideon quando voleva essere protetta, e scuotendo il capo sorrise di nuovo, amorevole.
 
«No. Non soltanto per questo.» ammise.
 
Poi, quasi d'improvviso, il suo sguardo tornò a perdersi e la tristezza e la malinconia ad annebbiare i suoi occhi grigi.
 
«Quando ero piccola, circa due anni o poco più, stavo sfogliando un libro di favole quando all'improvviso da quelle pagine cadde una foto...» raccontò, e Neal restò ad ascoltarla sentendo pian piano la drammaticità di quel racconto calare anche sul suo cuore «Eri tu. Così come sei adesso.»
 
Tutto gli fu più chiaro. Ogni cosa, e gli sembrò quasi di sapere come sarebbe finito quel racconto.
Sorrise, cercando di resistere alle lacrime che sentiva salire sempre più.
 
«Fu la prima volta che gli chiesi di raccontarmi di te, ma all'inizio non volle farlo. Non ci riuscì.» seguitò Emilie, e ad ogni parola Baelfire senti il cuore tremare come fosse fatto di burro «Era passato tanto tempo ormai, dal tuo sacrificio. Ma benché avesse raccontato a sé stesso di averlo accettato, quel dolore continuava ad affliggerlo come una spina nel cuore.»
 
Si fermò per dargli il tempo di riflettere e tornare ad empirsi i polmoni di quella rinvigorente aria fresca; lo senti tremare, e tornando a guardarlo lo vide sorridere con gli occhi lucidi e gonfi.
Sorrise a sua volta, abbracciandolo forte e venendo accolta a sua volta in una stretta il cui calore le ricordò quello degli abbracci di suo padre, il Tremotino eroe che aveva sacrificato sé stesso per il bene del suo peggior nemico.
 
«Fu la mamma a parlarmi di te» prosegui, non appena fu sicura che entrambi avessero recuperato le forze per farlo «Ma io continuavo a fare domande e alla fine papa dovette accontentarmi» fece una lunga pausa, la voce pericolosamente incrinata e il fiato corto.
 
Una smorfia di dolore apparve per un istante a deformare il suo viso.
 
«Non dimenticherò mai la fatica che fece... le lacrime che si sforzò di non versare... e quelle che invece gli sfuggirono, tanto copiose da spingermi ad abbracciarlo forte e cercare, in ogni modo di alleggerire il suo cuore» scosse il capo, mentre una manciata di lacrime sfuggì al suo controllo precipitando sul suo pantalone «Non ci riuscii... Mai... Era un peso troppo grande l'averti perso così... senza nemmeno essere riuscito a vivere la gioia di averti ritrovato.»
 
Neal batté le palpebre e scacciò le prime lacrime intrappolate tra le ciglia con un gesto veloce della mano.
 
«Perché...» domandò, dopo aver preso un lungo respiro «Perché gli chiedesti di me? Perché eri così curiosa?»
 
La vide sorridere, scuotendo le spalle.
 
«Perché sei mio fratello. E in cuor mio... quando ti vidi e poi mentre ascoltavo i racconti di papà... avrei tanto voluto incontrarti e dirti tutto ciò che ora sai.» sorrise tra le lacrime, schermendosi un po’ «Lo sai che siamo nati lo stesso giorno, io e te?»
 
Bae sorrise a sua volta, asciugandosi di nuovo gli occhi.
 
«Davvero?» domandò piacevolmente colpito.
 
La vide annuire, per poi tornare a guardare il mare e rivelargli, gli occhi che grondavano nuove lacrime.
 
«C'erano cose che né papà né mamma riuscivano a dirmi. Chi eri? Quanto ci assomigliavamo? Che fratello saresti potuto essere per me?? Ma anche se non ti conoscevo, ogni anno aggiungevo una candelina alla mia torta di compleanno, per te, e nell'esprimere il mio desiderio chiedevo sempre che tu, ovunque tu fossi, potessi vederci, ed essere felice insieme a noi.»
 
Lo vide sorridere, tra le prime lacrime. E stavolta non riuscì più a resistere all'impulso di stringerlo a sé, ringraziando il cielo di essere riuscita in quella missione impossibile.
 
«Sono tanto felice di averti conosciuto Baelfire. Tanto, tanto felice.»
 
Neal sorrise, sentendo il cuore empirsi di affetto e gratitudine per quella sorella che si era ritrovato ad avere.
Era quasi assurdo il modo in cui ci fosse riuscita, ma alla fine ce l'aveva fatta a farsi conoscere da lui, viaggiando indietro nel tempo, proteggendolo quando la speranza sembrava averlo abbandonato. E quel legame, la voce del sangue di cui parlava, ora la sentiva forte e chiara anche lui.
La strinse a sua volta, poi quando riuscirono a sciogliere quell'abbraccio le promise, guardandola negli occhi
 
«Anche io ne sono felice, Emilie. E ti prometto che cercherò di essere un bravo fratello maggiore per te. Il migliore che tu possa chiedere...» aggiungendo poi con un sorriso «sempre che a Gideon non dispiaccia.»
 
Emilie sorrise, asciugandosi le lacrime con le mani e scuotendo il capo.
 
«Non credo che se ne dispiaccia, no.» confermò.
 
Infine Neal tornò a stringerla tra le sue braccia e lei chiuse gli occhi, ascoltando il battito del suo cuore confondersi con lo sciabordio delle onde.
Sorrise.
 
«È buffo…» mormorò.
 
Bae le rivolse uno sguardo perplesso.
 
«Cosa?» domandò.
 
Ma la risposta che ricevette lo colpi in pieno petto.
 
«Niente...» sospirò Emilie «solo che... il tuo cuore batte allo stesso modo di quello di papà.»
 
***
 
Passato,
Castello Oscuro.
 
Nei giorni successivi, mentre Robin Hood e la sua banda proseguivano con i loro affari, Emilie trascorse la maggior parte del tempo chiusa nel laboratorio, tra provette e polverosi tomi scritti in lingue incomprensibili, a cercare di capire come superare le insidie poste a guardia di Cronos e appropriarsi del suo occhio.
In virtù dei precedenti col Signore Oscuro, e dell’integrità morale che affermava di possedere e che evidentemente aveva visto in lei, Robin di Lockslay le aveva promesso il sostegno dei suoi uomini nel caso fosse riuscita a mettere appunto un piano preciso, perciò non poteva perdere altro tempo.
Inoltre... le faceva bene dedicarsi a qualcosa di così complesso, per non pensare al nodo che sempre più spesso le si stringeva in gola ripensando a quanto le mancasse la sua famiglia e agli eventi che l'avevano portata a perderla, seppur sperava solo momentaneamente.
Alle volte cenava da sola nella sala da pranzo privata, e spesso per rilassarsi si concedeva lunghe passeggiate nei boschi vicini.
Fu durante una di queste che Mulan decise di accompagnarla.
Aveva appena nevicato, la foresta attorno al castello era diventata uno scenario spoglio e algido, seppellendo ogni colore sotto quella spessa coltre bianca.
Eppure Emilie la adorava anche in quel caso. Dovunque guardasse, regnavano pace e silenzio. Il sole raggiungeva rare volte quell'angolo di mondo in cui il Signore Oscuro aveva deciso di stabilirsi, ma quando lo faceva, specialmente nelle ore più calde del giorno, i suoi raggi dorati colpivano le stalattiti che penzolavano dai rami rinsecchiti degli alberi. In inverno perfino loro sembravano terrificanti senza foglie, ma il manto di neve che li aveva coperti donava loro un abito nuovo, quasi fossero tutti agghindati in attesa del gran ballo.
Perfino il grande salice sotto il quale lei e suo padre si erano fermati spesso a chiacchierare era vestito a festa, ed era il più bello di tutti.
I suoi lunghi rami ormai spogli erano ricoperti di ghiaccio e neve ancora fresca, sul tronco si erano creati diversi strati di ghiaccio che incontrandosi disegnavano romantiche forme e misteriosi ghirigori.
Con il cuore colmo di nostalgia e meraviglia, Emilie che ancora indossava le vesti di suo padre si fermò sotto di esso e puntò il naso verso lo squarcio di cielo azzurro che s'intravedeva tra le fronde.
Mulan le si fermò accanto e la vide portarsi la mano con la fede nuziale al cuore, stringendola con l'altra come a volerla proteggere.
Osservò i suoi occhi lucidi e guardò a sua volta il cielo, cercando di capire.
 
«Questo posto è importante per te?»
 
La ragazza sospirò, tornando a rivolgerle la sua attenzione e aprendosi in un commosso e largo sorriso.
 
«Era il nostro posto preferito.... mio e di... mio padre...» le rivelò «E stato qui che mi ha insegnato a danzare, come faceva con la mamma. Lo abbiamo fatto anche l'ultima volta che siamo stati qui...» ricordò, ma il sorriso si spense facendosi triste «È stato dopo che lei se n'era andata...»
 
Si guardò le mani, e tornò ad accarezzare l'anello che aveva simboleggiato quel legame.
Mulan sorrise comprensiva
 
«Doveva volerti molto bene.» osservò, rispettando quel suo momento.
 
Emilie sorrise di nuovo, ma senti le lacrime tornare a pungerle gli occhi e dovette reprimere a stento una smorfia di dolore.
 
«Lo amavo molto anch'io...» mormorò in un soffio, prima di decidere, tornando indietro sui suoi passi «Sarà meglio rientrare.»
 
La sua compagna di viaggio però la fermò.
 
«Posso capirti...» disse, cogliendola di sorpresa.
 
Si voltò a guardarla, ascoltando con interesse ciò che aveva da dirle.
 
«Da quando me ne sono andata non c'è giorno che io non pensi alla mia famiglia, a mio padre in particolare.» le rivelò, sciogliendosi e rivelando un'altra donna, diversa dalla indomabile guerriera a cui l'aveva abituata «È stato per salvargli la vita che sono diventata ciò che sono ora.» sorrise, quindi la raggiunse e le porse la mano «Sono stata onorata di essere una compagna di avventure per tua madre. Sarei altrettanto onorata di sostenerti, fino a che resterai con noi.»
 
Emilie la scrutò sorpresa, rimanendo per qualche istante ad osservare incredula quella mano e lo sguardo determinato di quella giovane donna.
Poi, rompendo ogni indugio, si sciolse a sua volta in un sorriso grato e accettò quell'amicizia ricambiando la stretta di mano.
 
«Ti ringrazio. Davvero, grazie.» mormorò arrossendo.
«Lo sai, tu le somigli.» le disse la guerriera «Non ho mai conosciuto tuo padre, ma non mi sorprende che ti volesse bene. Me la ricordi.»
 
Emilie ridacchiò, tornando a camminare insieme a lei verso casa, un passo dopo l'altro, sprofondando gli stivali nella neve fresca.
 
«Strano che tu lo dica» osservò «Sei la prima a farlo, in famiglia erano tutti convinti che io somigliassi di più a papà. E anche chi mi conosce per la prima volta lo pensa.»
 
Mulan sorrise a sua volta, porgendole una mano e aiutandola a scavalcare un enorme tronco caduto che bloccava il cammino.
 
«Da quello che ho sentito dire di tuo padre, credo sia semplice suggestione. Magari avrai molte cose in comune con lui, ma l'apparenza di certo appartiene a Belle.»
 
Ancora una volta Emilie arrossì, sentendo il cuore empirsi di uno strano, confortevole calore.
 
«E tuo padre invece? Che mi dici di lui, vive ancora?» s'interessò.
 
La guerriera si aprì in un sorriso appena accennato e annuì.
 
«Si, vivono entrambi» replicò «Ma sono molto lontani da qui. Ci scriviamo spesso.» le rivelò.
 
A quel punto, rischiando di essere invadente, la figlia di Tremotino sentì di dover chiedere.
 
«Perché non torni da loro? Cos'è che ti trattiene?»
 
Mulan si fermò a guardarla e dopo averci pensato su per un istante sorrise imbarazzata, alzando gli occhi al cielo.
 
«Vorrei renderli fieri di me» risolse «E tornare a casa solo quando avrò avuto modo di onorarli.»
 
Sorrisero entrambe, guardandosi negli occhi e scoprendosi simili.
 
«Sono sicura che loro saranno già molto fieri di te» le rispose la figlia di Tremotino «Ma è giusto che tu voglia trovare la tua strada.»
 
Ancora una volta la sua interlocutrice la stupì con un'affermazione a dir poco calzante.
 
«Spero che anche tu riesca a trovare la tua. E a regalare la felicità alla tua famiglia.»
 
Stavolta fu Emilie a fermarsi a guardarla, sorpresa. La vide sorriderle di nuovo e dopo un breve istante d'incertezza lo fece anche lei, scoccandole un occhiolino.
 
«Ci riuscirò, fosse l'ultima cosa che faccio in vita mia.» replicò determinata, riprendendo a camminare e concludendo tra sé.
 
"Devo solo riuscire a prendere quello stramaledetto Occhio e sarò di nuovo con te, papa. La nostra famiglia di nuovo unita, stavolta per sempre."
 
\\\
 
Dopo una settimana di lavoro passata a spulciare i libri, creare pozioni e tracciare mappe, finalmente Emilie riuscì a mettere a punto un piano adatto a sconfiggere l'interminabile serie di tranelli e prove poste a protezione di Cronos.
Era da poco sorta l'alba quando andò a riferire entusiasta a Robin Hood, due ore dopo tutta la combriccola era già riunita nel salone delle feste, attorno al grande tavolo sul quale con un abile balzo Emilie salì per farsi udire e vedere distintamente da tutti.
 
«Dunque...» esordì non appena fu sicura di avere l'attenzione di tutti, srotolando la mappa che aveva portato con sé e sulla quale erano stati sapientemente evidenziati il percorso da seguire e i pericoli da tenere a mente.
 
«Come potete vedere, la prigione di Cronos non è molto distante da qui.» spiegò «Oltre questa valle, a nord, appena fuori dalla foresta. Si tratta di una grotta posta alle pendici del monte appropriatamente chiamato Olimpo, unico accesso al regno degli dei.
Anche per questo motivo la strada è sbarrata da diversi ostacoli: i primi due sono facilmente superabili con un po’ d'impegno e qualche pozione curativa.»
«Di che si tratta?» domandò Little John, corrucciandosi.
 
Emilie osservò gli sguardi di tutti i presenti puntati su di lei. Erano pronti, ma ancora un po’ spaventati. Tutto sarebbe dipeso dalle notizie che avrebbero ricevuto, e non erano buone.
Quello fu il momento giusto per sfruttare un’altra delle preziose lezioni di suo padre, anche se stavolta non gli era stata impartita direttamente ma con l’esempio: finanche la più pessima delle novità poteva diventare accettabile se presentata con un po’ di sana ironia e tanta nonchalance, perciò decise che si sarebbe affidata ancora una volta a ciò che aveva imparato da lui, e in un battito di ciglia trasformò sé stessa nella sua degna erede, cambiando postura ed enfatizzando i gesti.
 
«Oh, beh. Un fiume costantemente in piena, la cui acqua alimenta il fiume delle anime in pena nell'oltretomba, e una foresta di rovi mortalmente velenosi. Bazzecole per gente abituata alla vita nei boschi.»
 
Un leggero brusio si levò dagli arcieri, che agitandosi presero a scambiarsi sguardi preoccupati.
Solo Robin Hood ed Ewan sembrarono non preoccuparsi eccessivamente.
Il primo perché aveva imparato a non sottovalutare mai la magia, e quella ragazza ne possedeva tanta non solo per via del suo legame col Signore Oscuro.
Il secondo... perché in quelle settimane mentre lei era assorta nei suoi studi era andato più volte a farle compagnia, e aveva imparato a conoscerla, e si fidava di lei.
Conosceva a menadito ogni incantesimo, ogni imprevisto che quel viaggio avrebbe potuto comportare. E ci teneva a finirlo, perché da questo dipendeva la sua intera vita.
Perciò non si sorprese quando la vide riprendere in mano la situazione battendo più volte il tacco dei suoi stivali sul legno del tavolo, per tornare a farsi ascoltare, e infine esclamare.
 
«Suvvia, non mi sembra il caso di agitarsi così tanto» minimizzò.
«Ma l'acqua del fiume delle anime perdute può uccidere all'istante. Che succederebbe se qualcuno di noi ci cadesse?» replicò uno degli astanti, un ragazzo dai capelli rossi che doveva avere qualche anno in più di lei.
 
Lei annuì solenne e alzò l'indice della mano destra, precisando.
 
«Hai ragione. L'acqua del fiume delle anime perdute può uccidere, ma quell'acqua non è ancora mortale. Lo diventa dal momento in cui varca le soglie dell'oltretomba. Se cadrete nel fiume Olimpo il massimo che potrete fare è morire affogati per la forza delle acque. O potrete anche salvarvi e guarire dalle vostre ferite.»
 
Stava mentendo. Spudoratamente. Se ne accorse Ewan, perché quello era uno dei punti dolenti del piano sul quale lei aveva promesso di riflettere.
 
«Mi farò venire in mente qualcosa.» aveva sentenziato sbrigativa, dopo averci riflettuto a lungo senza successo.
 
Non aveva avuto abbastanza tempo. Ma invece di esserne contrariato, il giovane arciere sorrise, osservando gli animi dei suoi compagni di brigata placarsi.
 
«E prima che voi possiate chiederlo, il problema dei rovi avvelenati potrà essere superato con un adeguato equipaggiamento e con questo...» aggiunse poi, facendo scomparire la mappa ed apparire stretta tra il pollice e il medio della mano destra una boccetta contenente del liquido semitrasparente, che brillava di una tenue luce opaca.
 
«È un antidoto che ho avuto modo di mettere a punto io stessa, grazie ad una parte del veleno che mio padre conservava nel suo laboratorio.» spiegò fieramente «Ognuno di voi ne avrà a sufficienza per sé, e se verrà a contatto con il veleno non dovrà far altro che ingurgitarne anche mezza boccetta soltanto.»
 
Stavolta fu lei a lanciare un occhiolino a Ewan, che le sorrise annuendo, fiero di lei.
 
«Qual è invece l'ultima prova.» domandò a quel punto Robin Hood, facendosi avanti.
«Oh, si...» ribatté lei, ridacchiando «Quale potrebbe essere? Un drago.» rise di nuovo «Nero, ovviamente.»
 
Ma stavolta non riuscì a sentirsi tranquilla, e non per il mormorio che tornò a levarsi dal suo pubblico.
C'era una cosa che non aveva mai avuto il coraggio di confessare a nessuno, nemmeno a suo padre: lei non aveva paura del Coccodrillo, né del buio o dei mostri sotto al letto.
Ma i draghi... quelle creature la terrorizzavano a tal punto da renderla incapace di pensare, muoversi e parlare.
E ora avrebbe dovuto affrontarne uno.
 
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Nonostante i giusti dubbi, alla fine quasi tutti i membri dell'allegra brigata si convinsero ad aiutarla nella sua impresa.
Decisivo fu l'esortativo e comprensivo discorso che Robin Hood fece subito dopo di lei.
 
«Sappiamo bene che questa è una missione pericolosa, la più pericolosa che abbiamo avuto modo di affrontare sin d'ora. Non siete obbligati a unirvi a noi, siamo io e la mia famiglia ad essere in debito con Tremotino. Ma se lo farete, avrete la mia più profonda gratitudine e giunti a destinazione potrete appropriarvi di uno dei tanti tesori che Cronos custodisce nella sua grotta, a patto che non sia un oggetto magico.»
 
Rivolse uno sguardo ad Emilie, ancora in piedi sul tavolo, e lei annuì.
 
«I tesori di Cronos sono sicuri» confermò «Il difficile sta nel riuscire a raggiungerli e a uccidere il gigante. Una volta sconfitto il drago e messo a tacere il semidio, si dice che l'anima pura che sia riuscita nell'impresa potrà possedere tutto ciò che riuscirà a portar via»
 
Non stava mentendo. Certo la leggenda diceva molto altro, ma questo riguardava solo lei, quindi pensò bene di tenere tutto quel peso per sé stessa e fece segno a Robin di proseguire.
 
«Partiremo domattina, all'alba. Chiunque voglia rimanere qui è liberissimo di farlo. Avrete tutta una notte per pensarci. Domani, chiunque volesse unirsi si faccia trovare pronto in questo salone»
 
Fu una lunga notte che Emilie trascorse da sola, nella biblioteca del castello, a leggere e rileggere la leggenda sull'occhio di Cronos tormentando la fede nuziale di suo padre che portava al dito.
Si addormentò china su un libro di favole, la pagina aperta su quella che apparteneva alla sua famiglia, e sognò i suoi ricordi più belli, accompagnati dalla voce di suo padre.
 
«Raccontami una storia, papa. La favola della buonanotte» chiedeva la piccola Emilie, con la sua vocina dolce, al calduccio nel suo lettino.
«Quale vuoi che ti racconti?» rispondeva Tremotino, sorridendole tenero.
«Lo sai» replicava lei, con sguardo furbo «Quella di te e della mamma
«Ma l'hai sentita già tante volte.» tentava scherzosamente di dissuaderla suo padre, anche se il sorriso sul suo volto diceva tutt'altro.
«Ma mi piace.» insisteva lei «Dai racconta
 
Quindi il Signore Oscuro raccoglieva una conchiglia magica dal cassetto del comodino, e con un gesto della mano liberava i ricordi in essa imprigionati, dando loro un senso attraverso la sua voce.
Ascoltò tutto il racconto, e quando la piccola Emilie si addormentò nel suo sogno lei si svegliò, accorgendosi di avere gli occhi pieni di lacrime e un sorriso malinconico sul cuore.
Afferrò la sua bisaccia poggiata sul tavolo accanto a lei e ne trasse fuori quella stessa conchiglia, che aveva portato con sé come talismano e amico inseparabile. Come un carillon la cui dolce melodia metteva a nanna i mostri dentro al suo cuore.
Se la rigirò sognante tra le mani, poi la appoggiò sul tavolo e la risvegliò con lo stesso movimento delle dita che aveva visto fare tante volte al suo amato padre.
La luce dorata di quella dolce magia illuminò il buio e non appena le restituì le immagini della Bestia insieme alla sua Bella sorrise, lasciandosi cullare da quel silenzio così carico di amore.
Il tempo scorreva veloce davanti ai suoi occhi, in poco più di un battito di ciglia i giorni erano diventati anni, venti per la precisione, e Tremotino e Belle erano tornati a scambiarsi un dolce bacio d'amore di fronte a quel pozzo che aveva infine restituito tutta la magia non solo alla loro storia, ma a tutte quelle di Storybrooke.
Trascorse il resto della notte a vedere e rivedere quelle immagini, fino a che un'ora prima dell'alba Ewan non giunse a farle compagnia.
All'inizio, talmente assorta ad ascoltare quella sorta di rassicurante rammemoratore silenzioso, non si accorse neanche del suo arrivo.
Fu la sua voce a distrarla, riportandola alla realtà.
 
«Sei qui» disse, avanzando nel buio verso di lei «Ti ho cercata dappertutto. Ho seriamente rischiato di perdermi stavolta» la rimproverò senza troppa convinzione, sorridendole e andando a sedersi accanto a lei.
«Cos'è?» chiese quindi, affascinato da quell'oggetto che risplendeva di luce propria.
 
Emilie sorrise, tornando a tenerlo sul palmo della mano destra senza interrompere il flusso delle immagini.
 
«È una conchiglia magica» spiegò «Viene da molto lontano. Papà la usò per comunicare con mamma quando dovette allontanarsi da Storybrooke, e quando ero piccola consegnò ad essa il ricordo della loro storia d'amore... me la donò per il mio quarto compleanno, perché gli chiedevo sempre di raccontarmi la loro favola»
 
Quindi lo guardò, e vide nei suoi occhi una luce famigliare, la stessa che aveva lei ogni volta che Tremotino iniziava quel racconto.
Gliela porse, e lui dopo averla guardata per un istante sorpreso e titubante la prese delicatamente tra le mani, guardando quel film muto fino alla fine.
Mentre lo faceva, Emilie lo fissò senza perdersi nemmeno una sua espressione, scoprendo con estrema sorpresa lacrime alla fine del racconto. Per tutto il tempo, le sembrò quasi di guardarsi ad uno specchio ad ogni mutamento di espressone, ogni sorriso e ogni titubanza. E quando infine la conchiglia si spense e loro tornarono al buio, illuminato solo dalla flebile luce di qualche candelabro posto ad intervalli regolari dentro ad una nicchia sul muro, Ewan tornò a guardarla e la vide sorridere come se avesse appena assistito alla più stupefacente delle magie.
 
«Non sapevo che questa biblioteca fosse un regalo di tuo padre a tua madre» disse, guardandosi intorno «Pensavo esistesse già quando lei arrivò»
 
Tornò a rivolgerle la sua attenzione e incrociò i suoi occhi grigi meravigliandosi di quanta dolcezza e quanto calore riuscissero ad emanare ogni volta che parlava delle sue radici.
 
La ragazza sorrise, commossa.
 
«La costruì apposta per lei» gli rivelò «E quando se ne andò... non ci venne più. Non fino a che non si ritrovarono, a Storybrooke. A quel punto gliene donò un'altra, se possibile anche migliore. Credo sia ancora lì... assieme a... tutto il resto»
 
Smise di ricordare e raccontare. Se il passato la guariva, ricordare quel presente in cui loro non c'erano più le provocava ogni volta una ferita maggiore della precedente.
 “Hai mai pensato di ritornarci?“ avrebbe voluto chiedere, ma scrutandola capì che sarebbe stata una sofferenza inutile. Invece le sfiorò una guancia umida di pianto con una dolce carezza e osservò, con dolcezza.
 
«Loro... dovevano amarti molto»
 
Una lacrima rimase aggrappata alla pelle rugosa del suo indice. Emilie tremò incrociando quello sguardo così dolce e comprensivo, e di nuovo a quel tocco, come se quell'impercettibile calore avesse avuto il potere di sciogliere il gelo calato nel suo cuore. Si sentì all'improvviso... di nuovo a casa, e nei gesti teneri di quel ragazzo vide ancora una volta quelli di suo padre solo... stavolta molto più chiaramente.
Di nuovo, nel silenzio avvolgente di quelle stanze i loro cuori si riscoprirono più simili di quanto non credessero, e i loro visi compirono un altro piccolo passo verso il primo bacio del vero amore.
Ma, proprio com'era accaduto a suo padre, Emilie ebbe paura ed arretrò, alzandosi, riprendendosi la conchiglia e rimettendosi in spalla la bisaccia.
 
«È giunta l'ora» risolse sbrigativa, evitando il contatto con quegli occhi verdi «Dobbiamo prepararci» disse avviandosi verso le scale che conducevano al piano inferiore, fuori dalla biblioteca.
 
Poi però, a metà strada, parve ricordarsi di un dettaglio e si voltò a guardarlo, sorridendo quasi come a volersi scusare.
 
«Tu verrai... vero?»
 
Una domanda che le venne dal cuore e che fece senza rifletterci. Si morse la lingua mentre lo vide tornare a sorridere e annuire, felice di averla ricevuta.
 
«Verrò» confermò, alzandosi e avvicinandosi nuovamente a lei «Ti coprirò le spalle» le disse appoggiando le una mano su una spalla e scoccandole un occhiolino al quale lei rispose con un semplice sorriso, prima di tornare a voltarsi frapponendo altra distanza tra di loro.
 
Ma gioendo dentro di sé, per un motivo che ancora faticava a far accettare alla parte più spaventata e razionale di sé stessa.
 

Ewan

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Tre giorni dopo...
 
Era stata una giornata faticosa quella appena trascorsa, ma mai quanto quelle che l'avevano preceduta.
Dopo aver attraversato senza problemi la foresta innevata, di fronte a loro si era parato il primo ostacolo.
Un fiume dal letto ampio e profondo che tuttavia non bastava a contenere le sue acque impetuose, che rombavano con un ruggito frastornante e solo per volere delle divinità continuavano a rimanere dentro gli argini a loro predisposti.
 
«Non si può guadare!» aveva urlato Little John a Robin Hood, eppure la sua voce era giunta come lontana alle orecchie di Emilie, in piedi al loro fianco guardando quasi con sfida quell'ostacolo «Dobbiamo aggirarlo, trovare un'altra strada.» aveva ribadito l'uomo.
«Non ci sono altre strade!» aveva deciso di replicare allora lei, scuotendo il capo e guardandoli per un istante appena «Il fiume taglia in due la valle. L'unico modo per proseguire è attraversarlo.»
 
Robin era parso rifletterci, ma alla fine si era arreso all'unica idea sensata.
 
«Non conosci un incantesimo in grado di aiutarci?» aveva chiesto, anche un po’ dispiaciuto.
 
Sul volto di Emilie era apparsa una smorfia contrita.
 
«Non posso usare la magia!» aveva replicato «Il fiume è stregato, la respingerebbe. Dobbiamo inventarci qualcos’altro.»
 
Solo allora, mentre Robin Hood si era ritrovato a pensare a quanto fosse stato un bene l'aver lasciato Roland indietro al sicuro, assieme ai pochi che avevano rinunciato a quel viaggio, Ewan si era fatto avanti.
 
«Potremmo usare gli arpioni!» aveva proposto «Creare un ponte con delle corde e usarle per aggrapparci.» indicando i giganteschi pini al di là del fiume «Quegli alberi sembrano robusti e i rami sono in vista.»
«Mi sembra una buona soluzione.» aveva assentito Mulan, raggiungendoli.
 
Robin Hood e il suo compare però non erano ancora convinti.
 
«Non puoi neanche fare qualcosa per rafforzare le corde?» aveva domandato «Vorrei tornare a casa da mio figlio. E credo che anche i ragazzi siano dello stesso avviso.»
 
Emilie ci aveva pensato su per un breve istante.
La sua magia si basava su quella oscura, ma forse con una pozione...
A quel punto aveva iniziato a rovistare nella bisaccia e ne aveva tratto fuori qualche boccetta ricolma di un liquido azzurrino, mostrandola loro.
 
«Fortuna che ho pensato di portarle» aveva sorriso «Queste dovrebbero rendere le corde indistruttibili, ma basteranno solo per una e dovremo sbrigarci, gli schizzi d'acqua potrebbero influire sulla loro efficacia»
 
Robin Hood aveva sorriso, e prendendo in consegna dalle sue mani quei prezioso preparati aveva estratto dalla sua bisaccia una freccia arpione con già legata ben stretta una robusta corda.
 
«La lancerò io» aveva decretato, sorridendole «I ragazzi sono spaventati, sarà loro d'incoraggiamento.»
 
Per fortuna il piano aveva funzionato, anche se quando era arrivato il suo turno di oltrepassare, appesa a pochi centimetri da quelle rapide impetuose, il suo cuore aveva preso a correre forsennatamente e le mani avevano cominciato a tremare e a sudare freddo, costringendola fermarsi. I flussi sembravano volerla arpionare con i loro fluenti e gelidi artigli, più volte sfiorarono la punta degli stivali appartenuti a suo padre, facendole saggiare la loro morsa, ma nonostante tutto lei continuò ad avanzare.
Fino a che la paura non iniziò a riempirla di tremori, paralizzandola.
 
«Emilie!» le aveva allora urlato Ewan, dietro di lei «Tutto bene?»
 
"No, niente affatto!" avrebbe voluto urlare "Sono appesa per le mani ad una corda su un fiume in piena la cui acqua potrebbe uccidermi, sto per avere un attacco di panico, le mie mani sono talmente sudate che probabilmente mi scivoleranno via dai guanti e non dormo come si deve da quando siamo partiti! Ti sembra che vada tutto bene??"
 
Invece si era limitata ad aggrapparsi più forte, imponendosi di non guardare giù e trattenere il respiro fino a che non avrebbe toccato di nuovo terra.
Aveva chiuso gli occhi, si era concentrata e lentamente, una mano avanti l'altra, aveva finalmente iniziato a muoversi di nuovo.
Ci aveva messo un po', ma quando finalmente era atterrata sull'altra sponda del fiume si era sentita una vincitrice. "Bene, ora devo sono sconfiggere il maledetto drago." aveva pensato, deglutendo a fatica e correndo a sedersi su un masso per evitare di svenire davanti agli occhi di tutti, le mani tra i capelli.
Le gambe avevano preso a tremare, i muscoli delle braccia dolevano da morire e il cuore continuava a correre più in fretta del suo respiro.
Quando Mulan le si era accostata appoggiandole una mano sulla spalla lei era sobbalzata, lanciandole uno sguardo terrorizzato.
Senza farglielo pesare la guerriera le aveva porto la sua bisaccia.
 
«Sei stata molto coraggiosa.» l'aveva incoraggiata.
 
Ma dentro di sé accogliendo il gesto gentile della compagna di viaggio e ingollando tutto il contenuto della borraccia, con tragicomico umorismo pensò che il coraggio non era proprio l'ingrediente principe del suo DNA, e che comunque dopo quell'esperienza non avrebbe mai più voluto vedere un goccio d'acqua in vita sua, se non compostamente adagiata sul fondo di un bicchiere. Almeno l’istinto di conservazione avrebbe tanto voluto lasciarlo a suo padre e barattarlo col coraggio di Belle.
Anche Robin Hood aveva cercato di tirarle su il morale, ma limitandosi a lanciarle un sorriso fiero e un occhiolino.
Ewan aveva invece cercato di fare la sua parte con una frase un po’ banale, ma che in quel momento era suonata la più adatta.
 
«Tuo padre sarebbe fiero di te.»
 
Non l'aveva affatto confortata ma almeno era servita a ridare coraggio e quel pizzico di sana autoironia che servirono a rimetterla in carreggiata.
 
«Oh, se la missione riesce sì che dovrà esserlo» aveva replicato con un mezzo ghigno, appoggiando la mano sull'elsa del pugnale Oscuro che portava legato alla cintola e rialzandosi, pronta alla prossima mossa.
 
«Andiamo.» aveva deciso «Sfruttiamo quest'adrenalina finché è ancora in circolo e togliamoci definitivamente il pensiero.»
 
La foresta di rovi li aveva accolti due ore dopo, al tramonto, e non sarebbe stata altrettanto facile da attraversare non fosse stato per le lacrime di Roland.
Si, il piccolo Roland era stato la chiave per far sì che la falce di cui si era dotata fosse utile a troncare quei rami stregati una volta per tutte.
Come il lato oscuro di ogni uomo, quei fusti erano non solo letali ma anche impossibili da essere estirpati o spezzati, e ricoprivano tutta la valle per tre chilometri, fino alla base del monte Olimpo, che risplendeva in lontananza come la luce in fondo al tunnel.
L'unica cosa in grado di uccidere o spezzare completamente quei forti arbusti erano le lacrime di un bambino, le più innocenti al mondo. Oppure lacrime di pentimento, come quelle che si era ritrovata a versare ripensando a quanto avesse potuto fare ancora per evitare la morte di suo padre, se solo non avesse perso tempo prezioso facendo a botte con la sua oscurità e ingenuità.
Con le prime, catturate semplicemente ascoltando da Roland stesso il racconto di come fosse rimasto orfano di madre, bagnò la lama della sua falce. Mentre le seconde le versò tremante sulla lama del pugnale, già reso puro dalla lacrima di Anna.
Quindi si pose davanti alla carovana e iniziò a sferzare i rovi con la spada, le mani, le braccia e il viso sapientemente coperti da robuste protezioni in ferro ed elmo a muso di cinghiale.
Era pericoloso, stancante, ma lei non aveva voluto lasciare quel compito a nessuno.
 
«Vi sono grata per avermi accompagnata, ma questa è la mia missione. Devo essere io a sostenere le prove e battere il gigante, se voglio risultare meritevole di possedere l'Occhio.» aveva detto loro.
 
Perciò Ewan, Mulan e Robin non poterono che sostenerla quando la stanchezza prese il sopravvento o quando, colpita di striscio da una scheggia, era caduta a terra urlando di dolore.
Il fianco aveva preso a sanguinare, ma non era quello il problema.
Il veleno mortale stava già facendo effetto e per un interminabile istante, dopo aver chiesto con un filo di voce l'antidoto, aveva perso i sensi. Ritrovando ad attenderla suo padre, in quel limbo sottilissimo e scuro che precede la morte. La sua figura brillava, come fosse il suo unico raggio di sole.
La chiamò e dopo essersi voltata lo vide scrutarla sorpreso, e anche felice di vederla in un primo momento.
Ma durò davvero poco.
 
«Papa...» aveva mormorato, un filo di voce, gli occhi già appannati dal pianto.
 
Si sforzò di scacciare le lacrime affinché la sua vista tornasse limpida. Affinché potesse tornare a vederlo chiaramente. Ma fu fatica inutile.
 
«Cosa ci fai qui, Emilie?» si sentì chiedere da Tremotino, guardandolo avvicinarsi a scrutarla dispiaciuto e preoccupato, sfiorandole con una carezza la guancia rigata di lacrime, polvere e sangue «Tu non dovresti...»
 
La ragazza non gli aveva però dato tempo di finire. Lo aveva abbracciato forte, singhiozzando, e restando per qualche istante in più tra le sue braccia quando anche lui si era mosso per stringerla a sé tenero, accarezzandole dolcemente i capelli. Stanca da quella lunga e difficoltosa impresa, Emilie aveva sentito il cuore tornare a battere.
 
«Non temere, papa.» aveva risposto, guardandolo negli occhi «Mi riprenderò il nostro tempo. C'è un modo, io...»
«L'occhio di Cronos...» aveva mormorato allora Tremotino, guardandola negli occhi incredulo, quasi sgomento.
 
Era calato il silenzio tra di loro. Con lo sguardo e un cenno del capo il Signore Oscuro l’aveva implorata di fermarsi, ma sua figlia era ritornata a sorridergli.
 
«Principessa, è pericoloso.» aveva quindi aggiunto lui, affettuosamente «Troppo pericoloso. È il prezzo potrebbe essere altrettanto alto. Hai dimenticato quello che ti ho detto? Ciò che mi avevi promesso... vivi il tuo tempo. Io e la mamma siamo felici adesso. Siamo insieme.» sorridendo in un vano, flebile tentativo di rassicurarla.
 
La verità tuttavia, era un’altra. Ora che la vedeva, viva ma persa nel mezzo di quel mare di ricordi, il suo istinto di padre era tornato ad accendersi e a tormentarlo. Avrebbe voluto aiutarla a uscire da quel pozzo senza fondo colmo di disperazione, ma si era reso improvvisamente conto di non poter fare più nulla. Lui aveva finito il suo tempo, lei … stava sprecando il proprio nel vano tentativo di riportarli indietro.
E il peggio era che, nonostante tutto l’amore e la saggezza con cui l’aveva cresciuta, in un certo senso era stato lui a spingerla dentro quel pozzo.
Perciò non aveva potuto che osservarla ora guardarlo con le lacrime agli occhi, come con uno spettro ancora troppo vivo nel cuore dei suoi cari, e ignorare implacabile tutti i suoi avvertimenti.
 
«È questo il mio tempo, papa.» aveva mormorato lei, tornando a singhiozzare, il sorriso che si tramutava sempre più velocemente in una smorfia di dolore «Qui... o altrove... da qualche parte nel mondo, ma... con voi. Con te...»
 
Le prime lacrime erano tornate a bagnare il suo volto di bimba, in quel limbo ma anche nella realtà.
Tremotino l’aveva osservata disperarsi, e dentro di sé aveva sentito qualcosa spezzarsi. Se avesse ancora avuto un cuore, probabilmente sarebbe stato quello.
 
«Io non so vivere senza di voi, papa. Senza di te. Non ho dimenticato la promessa. Né il nostro patto. Ricordo con chiarezza ogni tua singola parola» aveva seguitato sua figlia «Ma ce la farò, creerò un lieto fine che vada bene per tutti... che ci veda insieme.  Devo farlo, non posso …» singhiozzando, una mano alla bocca per cercare di reprimersi il più possibile «Non posso vivere così, senza di voi.»
 
Aveva ricominciato a piangere, senza riuscire a fermarsi, come aveva creduto di non poter più fare dopo che lo aveva visto andarsene.
E all'improvviso di nuovo Tremotino l’aveva stretta a sé, più forte di qualsiasi altra volta, appoggiando una mano sulla sua chioma mogano e stampandole un bacio sulla nuca. Anche sul suo volto era apparsa una smorfia di dolore.
 
«Scusami, Emilie...» mormorò «Avrei dovuto salutarti come si deve, prima di andarmene.»
 
Sua figlia gli aveva stretto a sua volta le braccia attorno al collo, affondando il viso nel suo petto forte e cercando di tornare ad ascoltare il battito di quel cuore che purtroppo non gli apparteneva più.
 
«Non sarebbe servito...» mormorò tra i singhiozzi «Non... Non ti avrei lasciato andare in nessun caso, papa. Non è giusto. Non lo sarà mai...»
 
Erano rimasti così, stretti in quell'abbraccio struggente e paterno, fino a quando ogni cosa aveva iniziato a svanire e la realtà era rapidamente tornata ad essere il suo presente.
 
«Ti voglio bene, principessa.» l’aveva salutata dolcemente Tremotino, lasciandola andare.
«Emilie!» aveva continuato a chiamarla Ewan, allarmato, cercando di riportarla indietro.
 
Quando i suoi occhi erano tornati a schiudersi, colpiti da una luce intensa e chiara, lì per lì aveva sperato di essere riuscita a restare, ma non appena la vista le si era chiarita del tutto si era accorta di essere di nuovo con Ewan, Robin e Mulan.
Solo... lo scenario era cambiato.
Il posto era lo stesso, e lei stringeva ancora la falce, ma i rovi erano scomparsi lasciando il posto ad erba verde e fresca, e il cielo si era fatto più azzurro.
Tutto intorno, la luce del sole splendeva radiosa.
Aveva guardato l'orizzonte di fronte a sé e aveva scorto il monte Olimpo stagliarsi ancora altero in esso, scomparendo dietro ad una nuvola bianchissima.
Non si erano mossi di un centimetro. Ma allora...
 
«Cos'è successo?» aveva bofonchiato, confusa e ancora dolorante, sia nel corpo che nell'anima.
«Le tue lacrime.» le aveva spiegato Mulan «Non appena hanno toccato terra tutto è cambiato.»
 
Emilie aveva fissato sconvolta le loro espressioni meravigliate, preoccupate e confuse, e in un istante tutto le era diventato chiaro. Lacrime di pentimento. Lacrime di un cuore innocente come quello di una bambina che cerca suo padre.
In un gesto istintivo aveva stretto sul cuore la mano con l'anello, e nel farlo aveva visto la gemma al centro di esso brillare luminosa per qualche istante ancora, prima di affievolirsi e spegnersi.
Tutti se n’erano accorti ma solo Ewan ne aveva capito il vero significato, perciò non si era sorpreso quando dopo aver incrociato il suo sguardo lei gli si era gettata tra le braccia, stringendolo forte e nascondendo il nel suo petto il viso di nuovo deformato da una smorfia di dolore, reprimendo a stento le lacrime.
L’aveva stretta a lungo, allo stesso modo di suo padre ma in una maniera molto più … tangibile, fino a che lei non si era sentita pronta a riprendere il cammino.
Non aveva più parlato da allora, proseguendo il viaggio in silenzio, tormentando quell'anello e rimanendo costantemente in bilico tra lacrime e sorrisi forzati.
Erano passati due giorni, e ormai ciò che la divideva dall'ultima prova era solo un'alba.
Giunti finalmente ai piedi dell’Olimpo, si erano accampati proprio a pochi chilometri dalla grotta, attendendo il favore delle tenebre per ispezionarne la pericolosità e mettere a punto un piano.
Emilie quella sera era stata come sempre determinata e chiara.
Il drago era gigantesco, con enormi fauci e due occhi di ghiaccio che gli permettevano di vedere dovunque, anche dietro di sé. Dormiva proprio di fronte all'ingresso della grotta, ma distrarlo era impossibile.
Avrebbero agito dividendosi in squadre: Una lo avrebbe tenuto impegnato allontanandolo il più possibile dall'ingresso, l'altra composta da Emilie Mulan, Ewan e un'altra manciata di arcieri avrebbe guidato la figlia di Tremotino fino al cospetto del gigante.
Tuttavia, stavolta non era soltanto la paura a tenerla sveglia e sovrappensiero.
Sola nella sua tenda, stava cercando di tenersi occupata preparando tutto l'occorrente per quell'ultima sfida ma la sua mente continuava a correre a quella visione pre-morte, a come suo padre l'avesse guardata triste e preoccupato, a come l'avesse salutata prima di lasciarla andare. E a quanto quell'abbraccio fosse sembrato reale.
Rabbrividì di nuovo quando ricordò la sensazione di calore che l'aveva avvolta, in forte contrasto con il freddo di quella notte, e senza rendersene conto smise di rovistare tra la sua roba e tornò a sfiorare con la punta delle dita la gemma incastonata nell'anello di suo padre.
La sua voce ancora nella mente.
Talmente assorta da non accorgersi nemmeno dell'ingresso di Robin Hood.
 
«Nervosa?» le chiese, riscuotendola.
 
Sobbalzò, voltandosi di colpo e sembrando totalmente spaesata agli occhi di quello che ormai era diventato un suo amico più che un Capitano da seguire.
Sorrise, ma senza convinzione.
 
«Un po'... » ammise.
 
Robin fece finta di non aver colto il momento.
 
«Non devi esserlo» rispose avvicinandosi e appoggiando sul tavolo una faretra ricolma di frecce e un arco «Avrai con te i migliori membri di questo gruppo» la rassicurò «E questi. Sai tirare con l'arco, vero?» domandò, rendendo conto solo allora di non averlo mai fatto prima.
 
Lei sorrise arrossendo.
 
«In realtà no» ammise «Non credevo di dover imparare... però so lanciare un pugnale e tirare di spada.»
 
Disse, battendo una pacca sull'elsa del pugnale dell'Oscuro.
Robin Hood si fece serio
 
«A proposito...» domandò indicando l'arma «Era da un po' che volevo chiedertelo. È quello vero?»
 
Emilie sorrise nostalgica, e lo trasse fuori mostrandogli la lama sgombra da qualsiasi nome.
 
«Si...» disse «Ma è un pugnale come un altro adesso...» mormorò, tornando poi a rigirarselo tra le mani, assorta «È quasi comico... per tutta la vita ha sempre cercato un modo di liberarsene, e adesso è l'unica cosa che mi resta di lui...»
 
Sospirò, sentendo un groppo avvolgerle la gola. Scosse il capo e rimise la lama al suo posto, ma prima che potesse cambiare argomento Robin le diede una pacca sulla spalla.
 
«Quello che hai fatto oggi, voglio che tu sappia che devi essere fiera di te stessa. Sei la sua degna erede.»
 
Stavolta Emilie non poté trattenersi dal sorridere amara.
 
«Si, beh... lo spero. Ma non credo possa essere possibile.» bofonchiò, ma Robin tornò a spronarla.
«Devi farlo.» le disse «Tutto quello che hai fatto fino ad oggi lo hai fatto perché ci credevi. E se riuscirai a sconfiggere il drago e a prendere l'occhio di Cronos domani, sarà solo perché ci hai creduto.»
 
Quasi sconcertata da quelle parole, la ragazza lo guardò negli occhi e scoprì così di aver conquistato non solo la sua fiducia, ma anche la sua amicizia.
Di sicuro era bravo nei discorsi motivazionali.
Annuì, sciogliendosi in un sorriso.
 
«Lo sono, Robin...» rispose, sostenendo quello sguardo fiducioso «È che... mi manca da morire la mia famiglia. Mio fratello... Mio padre e mia madre... ed è così avvilente. A volte penso a quanto avrei potuto fare per salvarli, se solo avessi saputo...» concluse scorata «Ero con lui … l’ho accompagnato proprio per evitare che accadesse, eppure non ho potuto farci niente.» abbassò gli occhi, tornando a guardare la punta dei suoi stivali.
 
Hood le sorrise.
 
«Posso capirti» le rispose commosso «Hai sentito Roland, quando parlava di sua madre. Ho rubato al Signore Oscuro per salvarla e lo rifarei, se potessi tornare indietro. Non c'è giorno che non passi senza che io non mi faccia la tua stessa domanda: Mio figlio avrebbe ancora una madre, se solo fossi stato un po’ più coraggioso, o svelto. Se solo avessi potuto... prevedere il futuro.»
 
Ascoltando quelle parole, all'improvviso Emilie parve riaversi, ricordando le parole di suo padre: "Il futuro è nebuloso, come un puzzle a cui mancano dei pezzi. Anche conoscendolo, è impossibile da prevedere con esattezza."
Però...
 
«Nulla è stabilito con certezza, Emilie.» proseguì Hood, sorridendole ora che fu sicuro di essere seriamente ascoltato «Noi possiamo cambiare il nostro futuro, basta volerlo. E tu puoi farcela, hai tutto ciò che serve per riuscirci.»
 
Emilie lo guardò negli occhi e sorrise.
 
«Come fai ad esserne così sicuro?» domandò «Ho già avuto una possibilità di cambiare il nostro futuro, mio e di papa, e ho fallito. Come sai che ora sarà diverso?»
«Perché non ho mai visto fare a nessuno, nessuno, quello che hai fatto tu da quando siamo partiti» fu la replica decisa dell'arciere «Sei stata capace di guidarci attraverso una strada impervia e su un sentiero mai battuto, con coraggio e determinazione. Hai guadato un fiume in piena le cui acque avrebbero potuto ucciderti solo sfiorandole, e infine illuminato a giorno una landa deserta e spazzare via i rovi mortali che la ricoprivano con la sola forza del tuo amore per tuo padre, per la tua famiglia» prese una pausa, per lasciarle il tempo di pensare a quelle parole, poi concluse, con un sorriso «Oggi mi hai ricordato cosa è capace di fare un cuore spinto da amore pure e giuste motivazioni»
 
La giovane si fermò a guardarlo, pensando e ripensando a quella conversazione. Non riusciva ancora a togliersi dalla testa l'espressione preoccupata di suo padre, le sue parole amorevoli ma preoccupate.
E tutto ciò che era successo dopo.
"Solo un cuore puro e la sua forza inarrestabile saranno accolti nel dominio degli dei." recitava la leggenda "Solo l'innocenza di un infante renderà vincenti coloro che vi si addentreranno."
 
Quando si era svegliata e aveva visto il miracolo, in un primo momento aveva pensato che fosse merito di suo padre, che in qualche modo fosse riuscito ad aiutarla grazie alla magia nell'anello.
Tuttavia la cosa non l'aveva convinta più di tanto, quindi quella sera, fino a poco prima dell'arrivo di Hood, si era presa del tempo per esaminare il gioiello che le era stato donato, e dopo vari tentativi aveva provato con qualcosa che sulle prima le era sembrata una sciocchezza ma alla fine si era rivelata un'intuizione esatta.
Un messaggio. Quell'anello conteneva un messaggio per lei, e solo comportandosi come se avesse tra le mani una sfera di cristallo riuscì finalmente a vederlo.
Quando il volto di suo padre, a metà tra il Coccodrillo e l'uomo buono che aveva conosciuto, era apparso in un bagliore dorato, lei aveva ricominciato a singhiozzare portandosi una mano a coprire l'espressione di totale shock che le si era stampata in viso.
Tremotino le aveva lasciato quel gioiello appena prima di andarsene e continuare da solo la sua ricerca del Custode. Approfittando del suo sonno profondo, doveva aver dedicato qualche istante per incidere i suoi pensieri nella gemma di cristallo prima di lasciargliela al dito.
 
«Questo gioiello significa molto per me, lo sai bene» le aveva detto, tra le altre cose «Ora lo dono a te. Esso ti proteggerà da qualsiasi avversità potrai incontrare nel tuo cammino, anche se non ti renderà immortale, quindi ricorda di fare attenzione. In quanto simbolo dell'amore tra me e tua madre, il suo potere è amplificato. Ma soprattutto... questo anello ti aiuterà a ritrovare sempre la strada di casa. Qualunque sia la strada che sceglierai di percorrere, da sola o in compagnia, questo anello ti permetterà di averci per sempre accanto a te... qualsiasi cosa accada.»
 
Ora che aveva modo di pensarci a mente fredda, guardò l'anello ch'era tornata ad indossare e finalmente capì appieno il significato di quelle parole, anche grazie al discorso di Robin Hood.
La luce dorata che aveva visto al risveglio era un segno.
I suoi sogni sempre pieni di bei ricordi sui suoi genitori, l'incontro con suo padre in quello strano limbo.
Tutto era stato possibile solo grazie a quel gioiello. Qualsiasi formula avesse usato, Tremotino aveva trovato il modo di rimanere con sua figlia anche dall'oltretomba, regalandole un po’ della sua essenza, del suo potere. Ecco spiegata la maggior potenza magica quando lo indossava, e il fatto che riuscisse ad usare senza fatica anche la magia oscura elementare.
Suo padre era sempre stato accanto a lei per cullarla nel sonno e rafforzarla nelle battaglie e in tutte le sue avventure. Fin dal primo istante in cui si era ritrovata a non averlo più al suo fianco.
Sorrise, mentre gli occhi tornano a gonfiarsi e qualche lacrima s'impigliò tra le sue lunghe ciglia nere.
Le serviva... solo un'ultima conferma.
 
«Hai ragione, Robin...» mormorò, ritrovando sicurezza «Solo io posso farlo.»
 
Quindi afferrò l'arco e una freccia e glieli consegnò, ponendosi poi di fronte a lui, a circa un metro di distanza.
 
«Ora però fammi un favore, colpiscimi.» chiese, indicando la spalla destra con un dito.
 
Lockslay la guardò perplesso e sconcertato.
 
«Cosa?»
 
Emilie tornò a sorridere, di nuovo quella strana luce orgogliosa e felice negli occhi.
 
«Ho bisogno di una conferma.» spiegò sbrigativa «Mira il più vicino possibile alla mia spalla. Non preoccuparti di colpirmi di striscio, mi guarirò con la magia.» ribadì.
 
Ma l'uomo non sembrò tanto convinto.
 
«Posso sapere perché?» domandò ancora una volta.
 
Ma lei fu irremovibile, implorandogli di fidarsi e svelandogli il segreto solo dopo che entrambi ebbero visto la freccia venir deviata da un impercettibile scudo creato dall'anello. Non la copriva totalmente, proteggeva solo la metà del corpo formando un semicerchio perfetto, ma sarebbe stato utile contro il drago. Anche Robin seppe così che, pure se non aveva potuto essere contento di vederla intraprendere quella pericolosa strada, Tremotino aveva comunque sempre avuto intenzione di restarle accanto ad ogni costo.
Perché amava sua figlia.
Un dono che lei non avrebbe mai più dimenticato e che il giorno dopo, faccia a faccia con la sua paura più grande, le avrebbe dato il coraggio che le serviva per affrontarla e vincerla.

 
 
***
 
Presente,
Storybrooke.
 
Henry ed Emma interruppero quel magico momento tra fratelli circa un quarto d'ora dopo, tornando dalla loro passeggiata con un mucchio di preziose conchiglie strette tra le mani.
Henry le mostrò ad entrambi, quindi ne porse una a sua zia, la più grande di tutte, affermando con un sorriso.
 
«Tieni, questa è per te. Secondo me è la più bella»
 
Senza parole, visibilmente sorpresa, Emilie la prese tra le mani trovando fosse identica a quella donatagli da suo padre. Se la rigirò tra le dita e gli occhi le divennero lucidi. Allora era da Storybrooke che proveniva?
Lanciò un'occhiata dapprima a suo fratello, che le sorrise, poi ad Emma, che fece lo stesso appoggiando le mani sulle spalle del suo ometto generoso.
Così, a lei non restò che illuminare il suo volto di un sorriso e rispondere sinceramente commossa.
 
«È molto bella davvero, grazie Henry. La custodirò con molta cura, te lo prometto» concluse, portandosi una mano sul cuore.
 
Il bambino sorrise fiero e contento.
 
«Spero che ti porti fortuna con la tua missione»
 
Stavolta, dopo aver sorriso, Emilie lanciò un'altra occhiata a suo fratello e questi le avvolse un braccio intorno alle spalle, traendola a sé e lasciando per un attimo che poggiasse la testa sulla sua spalla, accogliendo il suo silenzioso sostegno.
 
«Come hai intenzione di procedere adesso, a proposito.» chiese Emma «Ho parlato con i miei, Leroy ha chiamato papà e gli ha parlato di te.» l'avvisò «È un brav'uomo, ma quello ch'è successo con Zelena ci ha scossi un po’ tutti. Credo sia ora di presentarti come si deve anche a loro»
 
Emilie tornò seria, abbassando lo sguardo e annuendo.
 
«Lo farò. Ma voglio incontrare mamma e papà prima... voglio che siano i primi a sapere il perché.» bofonchiò.
 
Bae la strinse di più.
 
«Non dovrebbe volerci molto. Papa è stato da Robin Hood stamattina.» rivelò, incrociando lo sguardo di Emma ed Henry «Mentre noi eravamo da Granny. È convinto che tu abbia un qualche tipo di legame con lui» quindi tornò a guardarla, e la vide farsi pallida come un cencio «A proposito... ce l'hai vero?» chiese «È per questo che sai tirare così bene con l'arco.»
 
All'improvviso tutti gli occhi tornarono a puntarsi su di lei e il vento gelido a soffiare forte sui vestiti bagnati. Tremò, lo sguardo perso nel vuoto dentro agli occhi di suo fratello e la conchiglia stretta nelle mani.
 
«Papa... è stato da Robin Hood?» chiese, suscitando perplessità nei suoi interlocutori «Lui... Sai cosa gli ha detto?»
 
Baelfire la fissò preoccupato, e sentì i brividi aumentare a dismisura.
 
«Emilie... credo sia meglio tornare a casa e darci una sistemata» risolse, alzandosi in piedi «Stai tremando troppo»
 
Ma lei lo afferrò per un braccio e occhi negli occhi lo supplicò, alzandosi a sua volta e restando sulle punte per ovviare alla differenza d’altezza tra di loro.
 
«Bae, ti prego. Cosa sai di ciò che si sono detti?»
 
Emma ed Henry li osservarono corrucciandosi.
Neal sospirò.
 
«Nulla» replicò sincero, prendendo nelle sue quelle mani gelide «Sono venuto da Granny non appena lui è uscito»
 
Emma osservò con preoccupazione il volto della ragazza diventare una maschera di cera mentre rivolgeva una lunga occhiata spaesata e sgomenta ai dintorni.
 
«C'è qualcosa che dovremmo sapere?» domandò Swan, cercando di venirne a capo «Magari possiamo essere d’aiuto»
 
Ma Emilie non riuscì a mormorare altro se non
 
«No... è una cosa che riguarda me»
 
Quindi restituì la giacca a suo fratello sussurrandogli un sincero "grazie" durante un ultimo abbraccio e decise di ritornare sui suoi passi.
Si fermò un istante, voltando loro le spalle, chiuse gli occhi e prese un profondo respiro.
Infine tornò a sfoderare uno dei suoi migliori sorrise e concluse, scoccando loro un occhiolino.
 
«Grazie per questa piccola riunione di famiglia. Dovremmo rifarlo, un giorno di questi»
«Emilie!»
 
La chiamò preoccupato Neal, ma lei si limitò a sorridergli rassicurante e dispiaciuta.
 
«Ti spiegherò tutto, Bae. Te l’ho promesso» replicò con un sorriso colpevole «Devo solo aspettare di giocare a carte scoperte»
 
Emma gli prese la mano, facendogli segno con la testa di accettare quella risposta, e a quel punto a lui non restò che rassegnarsi, sorridendole e annuendo.
 
«Cerca solo di non cacciarti nei guai, okkey?» le rispose, ricevendo come replica un'altra di quelle sue risatine tanto simili a quelle del Signore Oscuro.
«Ci proverò. Non garantisco, ma ce la metterò tutta. Solo per il mio fratellone»
 
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Quella sera...
 
La polvere magica scivolò giù dalla boccetta in cui era stata riposta, spargendosi sul foglio di carta che conteneva il messaggio per lui da parte di quella ragazza, Emilie. Con un gesto ben calibrato della mano Mr. Gold diede vita alla magia, un lieve bagliore turchino e il foglio si sollevò in aria e raggiunse la porta d'ingresso del negozio, sulla quale ora campeggiava il cartello con su scritto "chiuso".
Sospirò e sorrise, soddisfatto.
Non era la prima volta che provava quell'incantesimo per tentare di venire a capo di quel mistero, ma con la freccia non aveva funzionato, e da quel risultato aveva compreso che chiunque fosse, quella Emilie aveva tutte le carte in regola per essere sua figlia.
Stavolta però il foglio si era animato, accendendo nei suoi occhi una scintilla di soddisfazione e trionfo.
Afferrò il suo bastone e si avvicinò alla porta, ma proprio quando fece per aprirla la voce di sua moglie lo bloccò.
 
«Ce l'hai fatta!» sorrise, emozionata.
 
Tremotino sorrise a sua volta.
 
«Si» rispose sollevato.
«Vengo con te» decise quindi Belle, raggiungendolo e prendendolo sottobraccio.
 
Era qualcosa che voleva fare da solo, avrebbe voluto dirle qualcosa per farla desistere da quel proposito, ma ... ormai aveva imparato che proibirle una cosa era il metodo più semplice per spingerla a farla, perciò si limitò ad annuire e aprì finalmente la porta, dando inizio a quella che si augurava sarebbe stata la fase finale di una snervante ma elettrizzante caccia al tesoro.
Un tesoro di figlia.
 
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Tornata a casa, Emilie aveva prima di tutto fatto un lungo bagno caldo per rilassare i muscoli e far cessare i brividi.
Immersa nella vasca piena di schiuma, la ragazza aveva preso a fissare il muro davanti a sé assorta nei ricordi e nei suoi patimenti. Più di tutti, il suo cuore doleva per quell'amore che aveva lasciato indietro e che ora, proprio in quel tempo, stava per ripresentarsi nella sua vita. Lo sentiva.
Senti il cuore prendere a battere all'impazzata, anche più forte di quando aveva dovuto superare il fiume Olimpo. Così chiuse gli occhi, serrò la mandibola, tappò il naso e s'immerse totalmente, ascoltando lo sciabordio dell'acqua imitare il battito del suo cuore e confondersi con esso, riemergendo solo quando senti di stare per esplodere.
Aveva affrontato draghi, vascelli pirata, magie e incantesimi d'ogni sorta e potenti streghe e stregoni, ma l'amore continuava ad essere il suo più grande terrore, specie dopo tutto quello che era successo tra di loro.
Era passato troppo tempo dal loro ultimo incontro, e c'erano troppe incognite ancora da svelare.
Cosa avrebbe fatto se, com'era accaduto a sua madre per un breve periodo, Ewan si fosse dimenticato di lei e dell'amore che li aveva uniti? E se il loro amore non avesse resistito al tempo, rivelandosi falso?
Interrogativi che le mozzavano il fiato, ma per fortuna la voce di Will Scarlett proveniente dal salotto la riscosse.
Lo aveva mandato a tener d'occhio suo padre, e a giudicare dal fragore con cui richiuse la porta d’ingresso era appena rientrato da quella missione.
 
«Amy, tuo padre e tua madre stanno andando al tuo rifugio nella foresta!» esclamò allarmato, fiondandosi alla porta chiusa a chiave del bagno.
 
Immediatamente la mente della Signorina Gold tornò a farsi lucida, e il suo sguardo riacciuffò il presente.
 
«Stanno seguendo il mio biglietto?» domandò, sgranando gli occhi.
«Si! Saranno lì in pochi minuti!» ribadì il fante «Sbrigati! Sono stufo marcio di lavorare sotto copertura.»
 
Emilie uscì dalla vasca, indossò l'accappatoio legandosi bene la cinta alla vita e strinse un asciugamano attorno ai capelli umidi, a mo’ di turbante.
Solo allora apri la porta e lo guardò dritto negli occhi.
 
«No, io sono stufa marcia!» lo affrontò, dura «Tu smetterai di lavorare sotto copertura solo quando te lo dirò io. Sempre ammesso che voglia ancora la tua ricompensa» soggiunse con un ghigno.
 
Lo vide sospirare.
 
«Come ti pare!» le rispose alzando gli occhi al cielo «Ma vedi di sbrigarti. Magari riunirti alla tua famiglia ti renderà meno irritabile»
 
Emilie ridacchiò stridula.
 
«Io non ci spererei così tanto, mio caro»
 
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Il bosco quella sera era cupo e gelido. Non c'era la luna, l'unica luce che illuminava il cammino era quella del l'incanto sulla pergamena e di un globo di fuoco che Mr. Gold aveva acceso nel palmo della mano destra, un venticello algido scuoteva le fronde degli alti pini e ombre oscure si muovevano nel sottobosco.
Stavano camminando nel bosco da circa una decina di minuti, avevano superato da poco la baita di Mr. Gold e perfino il pozzo dei desideri, quando Belle si fermò, stanca.
 
«Rumple, aspetta un secondo» lo supplicò, staccandosi da lui e sedendosi sul tronco caduto alla sua destra «Sei sicuro che la strada sia questa? Siamo quasi al confine della città.»
 
Nonostante il cappotto blu, la sciarpa e il cappello alla francese facessero del loro meglio per proteggerla dal freddo, il vestitino che aveva indossato non era proprio adatto a una scampagnata nel bosco, soprattutto di notte e con quelle temperature.
Si strinse di più tra le braccia, traendo un sospiro.
Tremotino si fermò a guardarla in apprensione, seguendo in contemporanea la pergamena, che risalita la collina davanti a loro si fermò proprio in cima ad essa.
Fu allora che, guardando meglio, vide delle luci fioche provenire dalle fronde di uno dei grandi sempreverdi svettanti da dietro il fronte. Un impercettibile sorriso vittorioso increspò le sue labbra.
 
«Siamo vicini, Belle» mormorò, tornando ad occuparsi di sua moglie.
 
Si tolse il cappotto e glielo mise sulle spalle, sorridendole e porgendole la mano.
La donna accolse quel gesto affabile e galante con un sorriso grato, quindi accettò l'aiuto a rialzarsi e tornò a stringersi a lui, percorrendo insieme l'ultimo tratto di strada.
Giunti in cima, di fronte a loro si aprì una piccola radura brulla, fatta eccezione che per quell'albero gigantesco i cui forti rami, a circa cinque metri d'altezza, ospitavano una piccola casina costruita molto rusticamente.
Le finestre non avevano ante, dalle aperture quadrate s'intravedeva l'interno illuminato da una luce fioca.
Tremotino guardò Belle con un luccichio trionfante negli occhi, lei gli strinse il braccio e sorrise contenta.
 
«Ce l'hai fatta!» mormorò fiera.
 
Lui le prese la mano, annuendo. Poi decretò, deciso.
 
«Andiamo a conoscere nostra figlia»
 
E quando lei tornò ad annuire, con un gesto della mano trasportò entrambi dentro al piccolo antro.
L'atmosfera era intima: la luce proveniva da un piccolo camino fatto con pietre di pomice, leggere e annerite dove le fiamme le avevano sfiorate, e il pavimento era coperto da una moltitudine di tappeto, che non erano l'unica cosa proveniente dal Castello Oscuro; al centro della stanza, tra il caminetto e un piccolo letto fatto di libri come base e un materasso dall'interno in lana, c'erano un vecchio tavolo sul quale era appoggiato un vecchio libro polveroso dalla copertina in cuoio, e uno dei troni della sala da pranzo del Palazzo Oscuro, per la precisione quello sul quale Rumplestiltskin si era seduto ad ascoltare la sua nuova ospite raccontargli dell'amore.
Il Signore Oscuro si attardò a guardare quel dettaglio, quasi sconcertato, mentre sua moglie Belle osservava le cornici poste sopra al camino.
Ne prese una tra le mani e osservò la foto che conteneva, mentre sul suo volto si dipingeva la più totale commozione e i suoi occhi iniziavano a brillare.
 
«Rumple...» lo chiamò con un filo di voce, porgendogli l'oggetto.
 
Con delicatezza, Mr. Gold lo prese tra le mani e si ritrovò a trattenere il fiato mentre osservava sgomento la scena ritratta in foto.
Erano loro due, lui e Belle, ma tutto sembrava così... distante.
A cominciare dal fatto che il volto della sua amata era solcato da profonde rughe di vecchiaia e i suoi morbidi capelli color cioccolato erano bianchi come l'argento. Eppure quello non fu l'unico dettaglio a confonderlo.
C'erano altre due persone nella foto, un ragazzo e una bambina, che stretta tra le sue braccia lo stringeva a sua volta, le braccia intorno al collo e la testa poggiata alla sua.
Sorrideva fiera, felice. Lo facevano entrambi.
Perfino lui stesso stentava a riconoscersi, e guardò quella bambina sentendo il proprio cuore sciogliersi sotto quello sguardo innocente e innamorato.
Belle gli si accostò, appoggiando il mento sulla sua spalla.
 
«Allora è vero» mormorò, felice e meravigliata.
 
Tuttavia, ancora una volta Rumplestiltskin decise di ascoltare la ragione e soprattutto il suo istinto di sopravvivenza, piuttosto che il cuore.
Le consegnò la foto, senza dire nulla, e si guardò intorno.
C'erano altre foto simili, in una erano solo lui ed Emilie, nell'altra la piccola e sua madre. Si attardò ad osservarla e non poté non notare quanto si somigliassero.
La prova definitiva l'ebbe quando aprì il piccolo armadio e oltre a qualche sua camicia, qualche gilet, un vestitino di Belle e un paio dei suoi completi da Signore Oscuro, trovò sul fondo, in bella mostra su una scatola di cartone nera, qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di trovare tra le cose che gli erano appartenute. Qualcosa che aveva visto solo una volta, in una delle pergamene che riempivano la stanza senza porte in cui aveva rinchiuso l'imprevedibile.
Un medaglione d'oro, oro puro che racchiudeva una pupilla limpida come uno specchio d'acqua.
Era immobile, sembrava un prezioso smeraldo circondato da candido opale. Nulla di più falso, e il Signore Oscuro questo lo sapeva molto bene.
Lo prese tra le mani, avvertendone immediatamente l'enorme potere.
 
«Cos'è?»
 
Era così assorto nel realizzare di avere tra le mani qualcosa che credeva irraggiungibile che la domanda di Belle gli giunse quasi distante.
 
«Qualcosa di enormemente potente e altrettanto pericoloso…» bofonchiò, rabbrividendo.
 
La donna si sporse oltre la sua spalla ad osservarlo meglio. Nel farlo, oltre ad accorgersi di quanto fosse pregiata la fattura di quel gioiello, si rese conto anche del suo sguardo di angoscioso terrore.
Allungò una mano verso l'oggetto per sfiorarlo, Mr. Gold osservandola con apprensione prenderlo tra le mani stava per rivelarle il nome di quell'artefatto, ma qualcuno lo prevenne.
Voce di ragazza, simile alla sua ma con un'impercettibile nota più melodica.
 
«L'Occhio di Chronos»
 
Si voltarono, e si ritrovarono davanti ad una giovane di circa una ventina d'anni.
Occhi grigi, lineamenti decisi ma delicati e una folta chioma color mogano, costretta in una coda dietro la schiena.
Vestiva con uno stile che richiamava molto quello del Coccodrillo: stivaletti neri della stessa pelle squamosa dei pantaloni a vita alta, camicia bianca con colletto a sbuffo e un giacchetto di velluto rosso cremisi le cui maniche erano composte in parte dal velluto e in parte da un broccato giallo antico decorato con un intreccio fantasia di rose rosse.
Li guardò rimanendo seria, ma gli occhi erano così gonfi e pieni di lacrime che entrambi i coniugi Gold capirono subito quanta emozione stesse cercando di reprimere.
 
«L'unico talismano in grado di donare al possessore il potere sul tempo... e sul proprio destino» seguitò la giovane, il cuore che batteva all'impazzata in petto, dopo essersi concessa un breve istante di silenzio per far sì che il suo umore del momento non influenzasse la sua voce.
 
Non ci riuscì, nonostante tutti gli sforzi quell'impercettibile tremolio la tradì portando con sua sorpresa le lacrime anche negli occhi fino a quel momento increduli di suo padre.
 
«Emilie…» mormorò Belle, illuminandosi fiera e felice.
 
Lei si sciolse in un sorriso, guardandola.
 
«Ciao mamma...» la salutò, con un filo di voce, stringendo i pugni per non piangere «mi sei mancata»
 
Quindi guardò suo padre, lo vide faticare come lei nell'ardua lotta contro i propri sentimenti, e a quel punto non ce la fece più ad ignorarsi, dipingendo per prima una smorfia dolorosa sulle labbra sottile e sciogliendosi un caloroso e sollevato
 
«Ciao papa... lo sapevo che saresti riuscito a trovarmi»
 
Sorrisero, entrambi commossi. A quel punto fu il tempo delle domande.
 
«Come hai fatto a trovarlo?» chiese Rumplestiltskin, indicando il medaglione ancora tra le dita di sua moglie.
 
Emilie lanciò un rapido sguardo all'oggetto, sorrise nuovamente alla donna e dopo averle scoccato un breve occhiolino con un movimento del polso permise alla magia di trasportarlo nel suo palmo.
Quella nebbiolina grigia apparsa per un breve istante pose davanti agli occhi dei coniugi Gold, specie di fronte a quelli del Signore Oscuro, un altro quesito importante che tuttavia si riservò per dopo.
 
«Ho seguito gli indizi...» replicò intanto Emilie, scuotendo le spalle e sorridendo innocentemente «Quelli che ho trovato sparsi nei libri e ... in tutti gli altri posti in cui li avevi nascosti.»
 
Tremotino sorrise a sua volta, intenerito. Per un brevissimo istante, alla giovane sembrò di essere tornata indietro, al giorno in cui lo aveva rivisto nella valle di rovi. Di nuovo ebbe l'impressione di averlo deluso, ma tutto cambiò quando lui tornò a chiedere, positivamente sorpreso.
 
«Hai affrontato le tre prove...»
 
Emilie sorrise di nuovo e annui.
 
«E le ho superate, grazie all'aiuto di alcuni amici e...»
 
Si tolse l'anello dal dito, fece qualche passo in avanti verso di lui e glielo consegnò. Lo riconobbe immediatamente, perché ne aveva uno identico al dito.
 
«Al tuo prezioso aiuto» concluse, lasciando che lo prendesse tra le dita e lo esaminasse.
 
Anche Belle guardò quel prezioso, sorpresa ed emozionata.
 
«È la fede nuziale?»
 
Emilie annuì rivolgendole un sorriso commosso.
 
«Ed è incantata» aggiunse Tremotino, guardandola risplendere di nuovo, un po' più forte.
 
Emilie annuì, sentendo le lacrime affacciarsi di nuovo ai suoi occhi e trattenendo il fiato quando, inaspettatamente, suo padre svelò il segreto con la stessa facilità con cui osservava il passato in una palla di cristallo.
Stavolta però, quando il suo futuro gli si presentò davanti, non poté fare a meno di tremare.
Paradossalmente, stavolta fu lui il maestro di sé stesso, e la lezione imparata fu una delle più preziose.
Anche Belle dal canto suo si scopri sconvolta, ma in maniera positiva.
Quando il messaggio finì e davanti ai suoi occhi commossi e radiosi restarono solo gli sguardi provati di sua figlia e suo marito, lei fu la prima a rompere il silenzio.
 
«Allora c'è un modo, Rumple!» esclamò entusiasta guardandolo «Un modo per essere libero dal pugnale»
 
Ma sia suo marito che sua figlia non sembrarono così entusiasti all'idea.
 
«No, non c'è mamma!» replicò lei «O almeno... non è l'unico» seria, tornando a guardare suo padre negli occhi.
 
Complici, in un unico proposito.
 
«Papa...» esordi, facendosi seria «L'unico motivo per cui ho affrontato tutto questo, per cui mi sono impossessata dell'occhio di Chronos, è stato perché volevo aiutarti.» sorrise di nuovo «Voglio aiutarci ad avere il lieto fine che meritiamo.» aggiunse, guardando anche sua madre, che la scrutò facendosi seria e sorridendo commossa nel sentirla parlare col cuore a quel modo «Tutta la nostra famiglia»
 
Rumplestiltskin la scrutò facendosi serio, e prendendosi del tempo prima di rispondere.
"I cattivi non hanno un lieto fine" le avrebbe risposto appena qualche mese fa. Ma tutto ciò ch'era successo dopo, unito a ciò aveva appreso in quei pochi istanti in cui aveva potuto osservare da lontano il proprio futuro... avevano cambiato la sua prospettiva. Perché i cattivi non potevano avere un lieto fine? Anche lui ne meritava uno, con Belle e con i suoi figli.
Una delle quali era già riuscita a dimostrargli che non era più una prospettiva così tanto utopistica. Grazie all'occhio di Chronos era riuscita a ridargli Bae, a sconfiggere Zelena e a plasmare il tempo a loro favore.
Il Tremotino di quel futuro dal quale lei proveniva era più saggio, forse, ma anche più triste. Tornando indietro e salvando Baelfire
Emilie aveva già iniziato a cambiare il corso del destino a loro favore, rendendo tutto più semplice. Perché non approfittare dell'aiuto, ora che aveva capito di potersi fidare?
 
«Papa, per favore...» tornò a supplicare Emilie, spaventata da quel silenzio «Fammi essere il tuo ombrello per i giorni di pioggia» sorridendo con le lacrime agli occhi e l'atteggiamento di una bimba indifesa.
 
Tremotino sorrise a sua volta, colpito. Oh, quanto avrebbe voluto accettare! L’arciere aveva avuto ragione sulle intenzioni di quella giovane, non erano motivate dalla gelosia come quelle di Zelena, né dalla sete di potere, ma da un sentimento di cui aveva imparato a fidarsi: l’amore, in particolare quello per loro, la sua famiglia.
E in questo sentì di poterla capire appieno.
Tuttavia, c'era un motivo per cui il suo alter ego di quel futuro ormai lontano aveva parlato a quel modo a sua figlia, lo stesso che lo spinse a chiedere, restituendole l'anello e spostandole con una carezza una ciocca ribelle di capelli da davanti gli occhi.
 
«A che prezzo, Emilie?»
 
Belle condivise la preoccupazione del marito. Era stato bello vederla, e sentire quelle parole piene d'amore nei loro confronti.
Ma cambiare il futuro era pericoloso, e lei era così giovane!
 
«Tuo padre ha ragione, Emilie. È qualcosa di... troppo grande!» le disse, poi le prese le mani e stringendole aggiunse amorevole «Hai fatto già tanto per noi, tesoro. Davvero, davvero tanto. E te ne siamo grati. Adesso è arrivato il momento di vivere la tua vita»
 
Ma ancora una volta la ragazza sospirò nervosamente.
 
«Io lo sto già facendo, mamma» replicò caparbia «La mia vita è qui, con voi. Non posso tornare indietro ora che siamo insieme!» poi guardò suo padre, e lo implorò «Qualunque sia il prezzo, papà, ormai è tardi per pensarci. Ho già usato il talismano, ho già cambiato il futuro, e sono riuscita a mantenere tutto più o meno in ordine senza farmi scoprire. Per favore, non voglio rinunciare adesso»
 
Belle scosse il capo, e fece per aprir bocca ma suo marito l'anticipò.
 
«Ewan lo hai conosciuto dopo aver viaggiato nel passato, vero?» domandò.
 
Talmente a bruciapelo che all'improvviso Emilie senti ogni altro genere di parola morirle in gola.
Lo guardò sgranando gli occhi, mentre lui continuava a fissarla assorto, nell'attesa di una risposta, anche se nei suoi occhi brillava il classico luccichio di ogni volta in cui conosceva già la risposta e restava ad aspettare che il suo interlocutore se ne rendesse conto.
 
«Chi è Ewan?» domandò confusa Belle, ma poi guardandola abbassare gli occhi con un sorriso fin troppo luminoso si addolcì, raddolcita, mentre Tremotino le spiegava sommario, seguitando a guardare sua figlia.
 
«È un arciere della compagnia di Robin Hood. In quale tempo lo hai conosciuto?» ribadì, tornando a incalzarla.
 
Finalmente Emilie si arrese, sorridendo imbarazzata e rivelando.
 
«Cronologicamente parlando, subito dopo la tua partenza per l'isola che non c'è»
 
Lo vide annuire, sorridendo appena.
 
«Per me... È stato il primo viaggio nel tempo» raccontò «Ma non con il medaglione. Nel mio tempo Chronos aveva già ricevuto la sua ricompensa dagli dei, perciò approdai in quell'epoca in cui era ancora vivo usando...» ridacchiò scacciando l'aria di fronte a sé con un teatrale gesto della mano «Una bacchetta magica e una ciocca di capelli della Salvatrice, che nel mio tempo ne aveva già attraversato uno»
 
Stavolta lesse con chiarezza soddisfazione nel volto di suo padre, mentre sua madre l'ascoltava affascinata.
 
«È sveglia come te, Rumple» osservò avvolgendogli di nuovo un braccio con le mani.
«Scommetto che sono stato io ad insegnartelo» disse lui, in quella che più che una domanda suonò come una fiera affermazione dei suoi meriti.
 
Di nuovo la senti ridacchiare, e il fatto che avesse la sua stessa risata stavolta non l'offese.
Entrambe le sue allieve, anche se in modi diversi, avevano provato a imitarlo. Lei però lo faceva così spontaneamente da far sembrare che fosse davvero tutta sola farina del suo sacco, senza alcuna intenzione consapevole di emularlo.
 
«Mi hai insegnato tutto quello che so, papa» la vide ammettere, rivolgendogli di nuovo uno di quegli sguardi affettuosamente innamorati «Eppure... sento di avere ancora tanto da imparare.»
 
Belle inclinò di nuovo il capo intenerita, guardando entrambi sorridersi.
La sintonia tra padre e figlia era evidente. E più passavano i minuti, più era chiaro che nessuno dei due avesse la minima intenzione di rinunciare a quell'inaspettata occasione. Specie Emilie, che aveva lottato tanto per averlo.
Perciò, sebbene avesse fino a quel momento sostenuto il contrario, stavolta non le restò che proporre, affabile.
 
«Beh...» propose «A questo punto credo non faccia più alcuna differenza un giorno in più o un giorno in meno. Eri mai stata a Storybrooke?»
 
La vide scuotere il capo con decisione.
 
«Prima d'ora mai, no» replicò.
«Allora credo sia il caso che tu la viva come si deve» replicò Tremotino, aprendosi in un sorriso e scoccandole un occhiolino «Potrebbe volerci tempo per insegnarti ciò che ancora non sai» aggiunse con sguardo sagace.
 
Emilie si concesse finalmente il tempo per respirare e guardando i volti giovani e amorevoli dei suoi genitori rivolgerle un sorriso, all'improvviso sentì tutto il peso sulle sue spalle cadere e non riuscì più a trattenere le lacrime.
 
«Io... grazie» bofonchiò, mentre le prime iniziavano a solcare le sue guance.
«Grazie a te, tesoro» le disse sua madre tenera, accarezzandole con una mano la schiena e avvertendola tremare «Hai fatto così tanto per noi!»
«Posso abbracciarvi?» domandò quindi, dopo un lungo sospirò, guardando suo padre.
 
Tremotino sorrise a sua volta, indulgente, annuì e senza aggiungere più nulla allargò le braccia, stringendola forte non appena lei gli ebbe buttato le braccia al collo, cominciando a piangere a dirotto.
I coniugi Gold si scambiarono un sorriso commosso, quindi anche Belle si unì al momento, completando un perfetto abbraccio di gruppo.
 
«Non preoccuparti per il prezzo da pagare» concluse Rumplestiltskin accarezzandole dolcemente i capelli con una mano «Troveremo un modo per affrontarlo. Siamo una famiglia, ora. Sei a casa»
 
Ricevendo in cambio un muto cenno di assenso da sua moglie e uno sguardo di profonda gratitudine da parte della sua giovane figlia, che realizzò con sollievo di essere finalmente uscita quello scomodo, solitario posto nell'ombra in cui era stata per così tanto tempo aver quasi dimenticato perfino quale sapore avesse l'abbraccio affettuoso di un padre.
   

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Capitolo 7
*** Episodio VII - "Abbiamo un accordo?" ***


Episodio VII - "Abbiamo un accordo?"


Passato,  
Pendici del monte Olimpo. 
 
La sera prima del fatidico scontro contro il drago, Robin Hood ed Ewan non furono gli unici a recarsi dalla giovane e inesperta Emilie Gold. 
Subito dopo di loro, quando le ombre della luna si allungavano tetre sull'accampamento dormiente e la clessidra sul tavolo aveva appena iniziato a tener conto dei minuti della terza ora della notte, si affacciò furtivamente alla sua tenda Will Scarlett, ch'entrò di soppiatto e le si avvicinò tanto da permetterle di vedere, mentre fingeva di dormire, l'espressione contratta sul suo viso. 
Era terrorizzato. Sorrise. 
E aprì di scatto gli occhi fino ad allora socchiusi, guardandolo paralizzarsi e cercare una via di fuga. 
 
«Ciao Will» lo accolse, seria ma con un tono leggermente sarcastico nella voce. 
 
Come un predatore che ha appena puntato la sua preda. 
Il fante tremò, tornando dritto come un soldatino sull'attenti. 
 
«Pensavo dormissi» balbettò, poi però mentre la guardava sogghignare alzando gli occhi al cielo si fece coraggio e aggiunse. 
 
«Meglio così comunque, devo parlarti»
 
Emilie ridacchiò imitando suo padre. 
 
«Ovviamente. Per quale altro motivo ti saresti intrufolato nella mia tenda a quest'ora della notte, altrimenti?» quindi si fece indagatoria «Non per rubare alla figlia del Signore Oscuro, mi auguro» disse facendo apparire sul suo palmo il pugnale senza più nome e puntandoglielo alla gola. 
 
Il fante di Cuori alzò le mani, irrigidendosi e prendendo ad annuire più volte, indietreggiando. 
 
«Non voglio rubare niente, te lo giuro!» esclamò cercando a fatica di mantenere il sangue freddo «Sono venuto qui solo per parlare»
 
La vide assottigliare le palpebre per scrutarlo ancora più minacciosamente con quegli occhi grigi da coccodrillo. Si fece seria per un istante, poi di nuovo una smorfia si dipinse sul suo volto da bambola di porcellana. 
Ritirò il pugnale, se lo rimise dentro lo stivale destro e con un plateale cenno gli accordò il permesso, sedendosi a gambe incrociate e schiena dritta sul giaciglio fatto di casse e un malconcio materasso di sacco. 
 
«Parla, dunque» lo invitò, esibendosi in uno dei suoi più larghi sorrisi. 
 
Ambigua, indagatrice. Si mise in ascolto, braccia incrociate sulle ginocchia.  
Will Scarlett prese fiato, strinse i pugni e annuì più volte, come a farsi coraggio. 
 
«Ti accompagnerò anch'io, domani. Mi sono offerto volontario e Robin Hood ha accettato»
 
Emilie ridacchiò, oscillando il capo. 
 
«Mh, ma che bravo» lo canzonò, una strana luce negli occhi. 
 
Quindi si alzò dal suo giaciglio con leggiadria e avanzò quasi saltellante verso di lui, muovendo armoniosamente le dita delle mani. 
 
«E cosa ti ha convinto a fidarti di me?» mormorò, avvicinandosi talmente tanto a lui da poter udire il suo respiro. 
 
Will Scarlett s'irrigidì mentre quegli occhi lo scrutavano avidi. Cercò di scansarsi, ma quello sguardo lo seguì ovunque nella stanza, mentre la ragazza continuava a stare immobile al suo posto.  
 
«Non mi fido di te» le rispose quindi, gonfiando il petto «Ma era l'unico modo per ottenere ciò che voglio»
 
Nell'ombra, le palpebre della ragazza si assottigliarono. 
 
«E cosa vuoi?» sibilò. 
«L'occhio di Cronos» fu la risposta, fin troppo audace anche per uno come lui.  
 
In un primo momento il sorriso sul volto di Emilie si spense un poco, ma ascoltandolo parlare lentamente un'idea succosa si fece largo nella sua mente  
 
«Tu non sei l'unica a voler cambiare il passato» le disse. 
«Se ti aspetti che io ti consegni l'Occhio senza battere ciglio, puoi risparmiare la fatica» lo minacciò, continuando a ghignare. 
 
Ma il fante di cuori scosse il capo. 
 
«Non me lo aspetto, no» disse «È per questo che sono venuto a parlare»
 
Colta alla sprovvista, Emilie per un breve istante non riuscì a credere alle sue orecchie. 
Ma quando iniziò a farlo, un sogghigno trionfale e impaziente si dipinse di nuovo sul suo viso. I suoi occhi grigi tornarono a brillare e lei avanzò di nuovo verso il suo interlocutore, fino ad essere di nuovo faccia a faccia con lui. 
Lo scrutò attentamente, guardandolo sudare freddo mentre cercava di mantenere un controllo. 
 
«Tu...» mormorò Emilie, incredula, sfiorandogli il petto all'altezza del cuore con un dito «Vuoi fare un accordo con la figlia di Tremotino?» sogghignò, divertita e malefica.  
 
Will Scarlett annuì e deglutì a vuoto, prima di rispondere. 
 
«Io ti aiuterò a portare a compimento la tua missione di recupero, e tu mi concederai di usarlo»
 
Nuovamente, lei rise. 
Ma stavolta lo fece in un modo se possibile ancora più strano di quello del Signore Oscuro, quasi soffiando come un gatto. 
Scosse il capo e mosse le braccia assumendo una posa assai famigliare per tutti coloro che conoscevano suo padre. Il braccio destro piegato all'altezza del ventre, quello sinistro alzato, sfiorandosi il mento con la punta delle dita. 
 
«Oh, William...» replicò divertita «Mio caro, piccolo Will. Credi davvero che per avere l'autorità su un manufatto così potente come l'occhio di Cronos ti basti aiutarmi a sconfiggere un drago?» scosse il capo, tornando ad assottigliare le palpebre «Io ho rischiato di morire, eppure non ho ancora raggiunto il mio obiettivo.» sibilò «Perché per te dovrebbe essere diverso?» chiese, e nel farlo il fante la vide farsi pensosa, muovendo le dita con rapidità, come se stesse seguendo il filo d'un pensiero improvviso. 
 
Sospirò. Ma si disse che la sua missione era troppo importante per rinunciare ora. 
Di nuovo tornò a stringere i pugni e i denti. 
Ciò che stava per dire, avrebbe segnato la sua vita. 
 
«Cosa vuoi che faccia allora?»
 
La sentì ridacchiare di nuovo. 
 
«Oh, ma è semplice.» fu la risposta «I viaggi nel tempo sono complicati, e una buona spalla potrebbe essere ciò che mi occorre per rendere tutto più facile.» lo guardò dritto negli occhi, sogghignando «Non che io mi fidi di te, intendiamoci. Ma mio padre era solito dire che uno scopo comune può rendere alleati anche due nemici giurati, e poi ... quale miglior modo per te d'imparare ad usare un artefatto così delicato se non quello di osservare un'esperta all'opera?» alzò altera il capo, scoccandogli un occhiolino. 
 
Il fante di cuore rabbrividì. 
 
«Vuoi che viaggi con te attraverso il tempo? Sulle orme di Tremotino?» domandò, incredulo. 
 
Emilie ammiccò. 
 
«Dovrai farlo comunque, prima o poi. No? Tanto vale iniziare da qualche parte, meglio ancora se non ti coinvolge direttamente» ribatté con disinvoltura.  
 
Per tutti i diavoli! Perché il suo ragionamento non faceva neanche una maledetta piega? 
Spalle al muro, una pessima sensazione già ben chiara nella mente, Will Scarlett si concesse qualche ultimo istante per pensare bene a quella proposta. 
La figlia di Tremotino aveva decisamente preso da suo padre, non c'erano dubbi, ma per quanto questo potesse rendere il tutto più rischioso il gioco continuava comunque a valere la candela. 
E poi averla dalla sua parte era cento volte meglio che farsela nemica. 
 
«Allora... abbiamo un accordo?» fece a un tratto lei, interrompendo quel silenzio teso e porgendogli una mano. 
 
Tra le sue dita si materializzarono una pergamena e un pennino ricavato da una piuma di un nero brillante. 
Scarlett sospirò pesantemente, guardando i suoi occhi grigi. 
Quindi annuì. 
 
«Al diavolo, si!» mormorò deciso. 
 
Firmando con inchiostro indelebile la sua condanna a vita e iniziando a pentirsene già un attimo dopo.  
 
\\\ 
 
Passato,  
Storybrooke, 
Pochi giorni dopo l'avvento di Zelena. 
 
Quando erano giunti in città, Emilie e Will avevano ben chiaro in mente l'epoca in cui il medaglione li aveva trasportati. 
Era il loro ultimo viaggio, questo gli aveva detto lei prima di partire. Se fossero stati fortunati anche questa volta, avrebbero potuto fermarsi più a lungo e finalmente lui avrebbe potuto riscuotere la sua meritata ricompensa. 
Stavolta però, il problema più grande da affrontare furono prima di tutto i sentimenti contrastanti di Emilie. 
Aveva appena finito di rovinare i piani alla strega perfida salvando Bae per il rotto della cuffia, ma non aveva potuto impedire che suo padre venisse rapito usando il pugnale. 
Baelfire e Belle avevano cercato d'impedirlo, ma anche loro avevano dovuto assistere impotenti mentre il Signore Oscuro appena redivivo l'implorava di rinunciare, per il loro bene. 
Emilie, nascosta nell'ombra, si era morsa la lingua a sangue pur di impedirsi di singhiozzare. 
Subito dopo, il fuoco negli occhi, aveva sfoderato l'occhio di Cronos e aveva giurato la sua più atroce vendetta nei confronti di quella donna. 
In un battito di ciglia si erano ritrovati a Storybrooke, di sera, proprio di fronte a casa sua. 
All'inizio il fante di Cuori non aveva capito cosa stesse accadendo né dove li avesse portati. 
Vide solo Zelena uscire da una botola al centro di quell'immenso giardino brullo, il pugnale dell'Oscuro in mano.  
Fu Emilie a chiarire tutto, il viso una maschera di cera e gli occhi gonfi e lucidi. 
 
«Non perderla d'occhio neanche un singolo istante» aveva ringhiato, in un tono talmente sommesso e tetro da gettare una profonda inquietudine nel cuore di Scarlett. 
«E tu dove vai?» aveva chiesto, preoccupato. 
 
L'aveva vista allungare una mano verso il pugnale che stringeva alla cintola, sotto il mantello nero, e deformare le labbra in un ghigno malevolo e rabbioso. 
 
«A preparare il terreno» aveva concluso torva, prima di sparire in un nuvola di fumo violaceo. 
 
William Scarlett rimase circa un'ora lì davanti, a fare da guardia alla prigione del Signore Oscuro, ma all'improvviso un lampo verdastro alle sue spalle lo fece sobbalzare. Lo vide illuminare il bosco in lontananza, a pochi metri dalla città, e gli parve quasi di sentire un urlo appena percettibile, nel silenzio tetro della notte. 
Sgranò gli occhi, guardando verso le finestre della casa della strega perfida, ma nonostante le luci accese non vide nessuno affacciarsi a guardare. L'esplosione era stata silenziosa e rapida, ma era stata vicina al centro abitato e qualcun altro a Storybrooke avrebbe potuto esserne spaventato. 
 
«Per tutti i diavoli!» aveva esclamato «Milly, ma che cavolo stai combinando?»
 
Rimase indeciso sul da farsi per qualche istante, poi però pensò che per il momento il Signore Oscuro avrebbe potuto essere lasciato al suo destino e corse più in fretta che poteva verso la direzione in cui aveva visto il bagliore. 
Arrivò circa dieci minuti dopo, il fiato corto e le gambe dolenti, in una zona simile a quella che aveva lasciato, fatta per lo più di ampi spazi verdi e grandi ville disabitate. 
Ne superò una dalla quale vide, affacciato alla finestra del piano superiore, il cappellaio. Si guardarono entrambi straniti ma non ebbe tempo per fermarsi a parlare. Continuò a correre fino a che, dopo un breve tratto di strada male illuminato, vide ergersi di fronte a sé un piccola villetta a un piano fatta di assi di legno dipinte di verde e di tegole rosse per il tetto spiovente. 
La porta e le finestre erano spalancate su un interno spoglio, il giardino era un disastro. 
Piante sradicate e vasi rotti sul vialetto d'ingresso, luci traballanti. 
Capì subito di averla trovata quando la sentì nuovamente urlare a squarciagola all'interno, e si precipitò a soccorrerla col cuore in gola udendo rumore di vetri rotti e mobili che veniva giù. 
 
«Milly! Emilie! Fermati!» urlò fiondandosi in quello che sembrava il soggiorno. 
 
Sembrava essere passato un uragano il divano era ricoperto da libri sventrati, il pavimento era disseminato da cocci d'ogni tipo e da un liquido appiccicoso dall'odore fortemente alcolico. 
Lei era al centro della stanza, in preda ad una paurosa crisi di nervi. 
Aveva appena finito di scaraventare contro una parete il tavolo di truciolato e la vide afferrare una sedia con l'intento di schiantarla sul pavimento, ma riuscì a fermarla seguendo l'istinto sviluppato in battaglia. 
 
«Emilie, smettila!» urlò, quindi le si scagliò contro, beccandosi un pugno in piena faccia. 
 
Il dolore lo stordì ma s'impose di non cedere. Si rialzò e prima che lei potesse sferrargli un incantesimo respingente le afferrò il braccio e lo contorse fino a farle male, immobilizzandolo dietro la schiena. 
La ragazza urlò di nuovo, ma stavolta meno rabbiosamente. La sentì cedere, e prima ancora che potesse bloccarle anche l'altro braccio la sentì scoppiare a piangere, cadendo in ginocchio. 
 
«Lasciami!!» lo supplicò. 
 
E non appena lo fece, si portò le mani al viso nascondendo la sua espressione addolorata. 
La tempesta era passata. 
Will Scarlett avrebbe dovuto essere infuriato con lei, ma dopo ciò che le aveva visto fare per suo padre in tutto il tempo speso a viaggiare insieme, le uniche cose che riuscì a provare furono compassione e dolore. 
Era stata una decisione ponderata quella di arrivare proprio durante la prigionia di Tremotino. 
Emilie avrebbe potuto lasciare quel periodo invariato e giungere direttamente al momento in cui avrebbe potuto porvi fine, invece aveva scelto consapevolmente di stargli accanto durante tutto il tempo necessario. 
 
«Ce la faccio.» gli aveva detto quando aveva cercato di dissuaderla «Devo farcela. Per papa. Lui ha bisogno di me»
 
Si era lasciato convincere, e questi erano i risultati. 
La guardò singhiozzare come una bambina, quasi fino a restare senza fiato. A un certo punto la vide trascinarsi verso una parete e raggomitolarsi su sé stessa, abbracciandosi le gambe al petto e nascondendosi dietro le ginocchia. 
Sospirò, cercando nel frigo qualcosa che andasse bene per calmarla. 
Era vuoto. Completamente. Così come lo erano la dispensa e tutti gli altri mobili.  
Bene, almeno avevano devastato una casa disabitata. 
Prese la sua bisaccia e gliela porse.  
 
«Tieni» la incoraggiò. 
 
Ma lei continuava a piangere talmente forte da strozzarsi con il suo stesso fiato. 
Tremava, non aveva neanche più la forza di muoversi da lì.  
Rinchiuse la bisaccia e l'aiutò ad alzarsi, lasciando poi che lei lo abbracciasse, nascondendo il viso nel suo petto. 
 
«Hey, Milly. Milly, guardami...» la riscosse, quando si accorse della sua reale difficoltà nel fermarsi. 
 
Era diventata paonazza, gli occhi erano fuori dalle orbite. 
 
«Tieni, bevi. Bevi! Se continui così soffocherai!»
 
La costrinse quasi, ficcandole il beccuccio della borraccia in bocca. 
L'espediente funzionò. La giovane riprese fiato tutto d'un colpo, tirando giù quanta più aria possibile e riuscendo finalmente a smettere di singhiozzare. 
Il respiro era spaventosamente corto però, e lei tremava così tanto ancora da non riuscire a reggersi in piedi. 
La fece accomodare sul divano e le si sedette di fronte. 
 
«Milly, ora calmati!» le disse deciso «Vuoi morire adesso che tuo padre ha più bisogno di te?»
 
La vide scuotere il capo, una smorfia di dolore sulle labbra sottili.  
 
«Bene. Allora devi respirare. Respira, ricordati come si fa» le consigliò, iniziando poi a mostrarglielo prendendo lentamente grandi bloccate di aria e poi ricacciandole, mentre ne seguiva il flusso con le mani. 
 
Sorrise e lo fece anche la ragazza, riuscendo pian piano a riavere controllo di sé. 
 
«G-gr-graz-zie...» bofonchiò in un soffio lei, il petto scosso dal singhiozzo. 
 
Il fante di Cuori annuì. 
 
«Dovere di scudiero.» replicò lui con un sorriso, scuotendo le spalle «Ora però dobbiamo andare. Di chiunque sia questa casa, l'abbiamo fatta davvero grossa.» replicò tornando a farsi preoccupato. 
 
Ma Emilie Gold scosse il capo, asciugandosi il viso con il pizzo bianco delle maniche a sbuffo della camicia. 
 
«N-non... è necessario...» mormorò, cercando con tutte le forze rimaste di darsi un contegno «Q-questa casa... avrebbe d-dovuto essere la tua.»
 
Sorpreso, Scarlett si guardò intorno con più attenzione. 
 
«Oh...» replicò «Carina...» concludendo poi, riuscendo finalmente a strapparle un nuovo sorriso «Beh, grazie per avermi devastato casa, allora.»
 
La sentì tornare a ridacchiare. Le bastò un cenno della mano, mentre ancora cercava di riaversi del tutto, per riportare tutto alla normalità. Incluso il suo naso dolorante.  
 
«Contento?» domandò, scacciando le ultime lacrime con un movimento del capo e tornando a guardarlo altera. 
 
Il fante tornò a scrutarla. 
 
«Non ancora» sorrise «Il frigo è vuoto» disse indicandolo. 
 
La giovane si sforzò di ridere, ma aveva ancora una pessima cera. Si stese sul divano e si raggomitolò nel mantello. 
 
«Per quello dovrai fare da te. Non sono ancora così brava, il mio addestramento è incompleto» rivelò chiudendo gli occhi «E poi ... sono troppo stanca ora»
 
Crollò, subito dopo aver detto quella frase. 
E al fante di Cuori, per l'ennesima volta, non restò che arrangiarsi. Ormai ci aveva fatto l'abitudine. 
 
\\\ 
 
I giorni che seguirono non furono meno tesi di quello appena trascorso. 
Mentre Will Scarlett si dava da fare per rendere vivibile la sua nuova dimora e rendersi riconoscibile ai diffidenti abitanti di Storybrooke, già allertati dalla presenza di Zelena, Emilie combatteva i costanti sbalzi di umore e le notti insonni passati a sorvegliare la prigione di suo padre, fino a che una sera non decise ch'era stufa di aspettare. 
Non poteva farsi riconoscere, ma ciò non significava che non avrebbe ugualmente potuto trovare un modo per fargli sapere che non era da solo. 
Così calò il cappuccio sul volto, attese che la strega spegnesse le luci e si materializzò all'interno. 
Era buio, e il silenzio era rotto solo dal cigolio della ruota dell'arcolaio al quale suo padre, chiudo nella sua misera gabbia, stava ancora lavorando. 
Smise all'istante non appena si accorse della sua presenza, e la guardò restare immobile nella luce fioca del palmo infuocato che lei stessa aveva acceso. 
Quando lui la guardò, gli occhi scavati da profonde occhiaie nere sgranati e fissi su di lei, Emilie rabbrividì. 
Era irriconoscibile, ancor più di quando l'oscurità deformava la sua pelle. 
Smunto, sporco, la barba lunga, i capelli arruffati, gli eleganti abiti ridotti a un mucchio di stracci. 
Era diventato la vaga ombra di sé stesso, la cosa più lontana dal ricordo che aveva di lui.  
E lei per un attimo temette davvero di non farcela. Ricominciò a tremare, il cuore che batteva forte in petto. Una corda invisibile le si legò stretta attorno alla gola, impedendole il respiro. La vista si appannò per qualche istante, mentre le lacrime offuscarono la vista. 
La mente iniziò a vagare alla ricerca di qualche pensiero felice che la aiutasse a superare quel momento senza crollare. 
Nonostante ciò, riuscì comunque a sentire la voce profonda e pungente di Tremotino chiederle, con autorità. 
 
«Chi sei tu?»
 
Tremò di nuovo. 
E aprì la bocca per parlare, ma subito si riebbe, bloccandosi appena in tempo e tornando a mordersi la lingua. 
Spense il globo di fuoco e usò quella mano per lasciare che, dopo un aggraziato gesto, un piccolo pezzetto di pergamena si materializzasse sulle gambe di suo padre. 
Il Signore Oscuro lo prese tra le dita, lo lesse e tornò a guardarla confuso. 
 
«Emilie?» ripeté, inconsapevole di averle provocato con quel semplice atto un dolore insopportabile al cuore «Non conosco nessuno con questo nome. Cosa vuoi da me?» la incalzò, mostrandole i denti.  
 
Minaccioso, stufo. 
Provato fino allo stremo. 
Emilie si sforzò di sorridere appena, il cappuccio calato sul volto per nascondere le sue sembianze.  
Con un altro elegante gesto della mano, cambiò il testo della missiva. 
 
"Non preoccuparti, presto sarai libero. E capirai.
PS. Brucia questo biglietto, Zelena non sospetta che la sto spiando."
 
Fu l'ultima cosa che riuscì a fare, prima che lo sgomento prendesse il sopravvento. 
 
«Perché?» ripeté Tremotino, alzandosi dal suo arcolaio e aggrappandosi alle sbarre «Chi sei? Cosa vuoi da me?!»
 
Fuori di sé. 
Il tempo delle parole era finito. Emilie si riprese la pergamena, quindi scomparve in una nuvola di fumo, per riapparire al centro della foresta, lì dove sarebbe sorto il suo rifugio. 
Crollò in ginocchio e pianse, ancora una volta, tutte le lacrime che riuscì a versare.  
Poi si alzò in piedi, tremante, e provò a compiere qualche passo. 
Si sentì... persa. Debole. 
Scorata, capì di aver bisogno di un istante per riposare e schiarirsi le idee.  
Guardò in alto, verso il cielo nero oltre le chiome dei pini. 
Le stelle brillavano vivaci, come piccole fiammelle di speranza. 
Cercò un ramo adatto su cui appollaiarsi, vi si materializzò e lì, sdraiata con la schiena a ridosso del tronco robusto, rimase per tutto il resto della notte e fino alle prime ore del mattino, quando Will Scarlett la ritrovò addormentata. 
Lì per lì neanche la vide, nascosta com'era tra le fronde verde scuro, ancora avvolta in toto dal suo mantello.  
Giunse lì dopo aver setacciato tutta la foresta, palmo per palmo, preoccupato nel non vederla tornare, e si accorse di lei solo nel momento in cui, gridando nel chiamarla, la sentì rispondere con un mugugno impastato. 
Sollevò la testa e finalmente la vide: fissava il cielo terso con aria trasognata, assente. 
Sospirò. 
 
«Milly! Ti ho cercato tutta la mattina!» la rimproverò. 
 
Ma lei non rispose. 
 
«Si può sapere cos’è successo?» ribadì «Non ne avrai combinata un'altra delle tue? È stato un miracolo che gli abitanti di Storybrooke non abbiano fatto storie!»
 
La giovane sorrise amara, chiudendo gli occhi per un momento. 
 
«L'ho visto...» mormorò, scuotendo piano la testa. 
 
Il fante di cuori assottigliò le palpebre, sperando di non aver capito bene. 
 
«Tu cosa?» ripeté. 
 
La figlia di Tremotino ridacchiò, disperatamente, passandosi le dita sugli occhi stanchi. 
 
«Papa... quella strega lo ha ridotto a una larva...»
 
Nel mormorare quell'ultima frase la disperazione lasciò il posto ad una rabbia cupa. 
 
«La pagherà fino all'ultimo, misero, centesimo» soggiunse torva, stringendo a pugno la mano con la fede nuziale di suo padre, e portandosela sul cuore. 
 
Will Scarlett attese in silenzio che quel momento passasse, pensando fosse meglio non disturbarla mentre era in vena di tagliare la gola a qualcuno. 
Ma col passare dei minuti la sua espressione si faceva sempre più rabbiosa e il suo silenzio sempre più cupo. 
Meditava vendetta, ma il tempo continuava a scorrere. Entrambi sapevano che la storia di Tremotino non poteva essere cambiata e che quel che doveva accadere non poteva essere evitato. 
Però... 
 
«Oh, per tutti i diavoli! Emilie, riprenditi!» sbottò «Non puoi cambiare la storia, ma puoi almeno fare in modo che questa follia finisca il prima possibile, no?»
 
D'improvviso la vide tornare a illuminarsi. Lo guardò, e le sue labbra s'incresparono in un sogghigno malevolo. 
 
«Hai ragione, sai?» replicò, materializzando sul palmo aperto della mano destra una freccia dall'aspetto antico. 
 
Un rapido bagliore la percorse. 
 
«Non garantisco di riuscire a resistere alla tentazione di ficcargliela dritta nel cuore.»
 
\\\ 
 
Il giorno dopo... 
 
Il piano era semplice. Seguire Zelena fino a un suo passo falso e agire quando avrebbe deciso di usare il pugnale per scagliare suo padre contro gli abitanti della città. 
Questo, con enorme sollievo di Emilie, avvenne anche prima del previsto. 
Era il tramonto quando Will Scarlett la raggiunse di corsa alla piccola casetta sull'albero che si era costruita. 
 
«Emilie! Ci siamo! Tuo padre e Zelena stanno andando verso il centro della città!»
 
La ragazza sogghignò. 
 
«Era ora...» mormorò. 
 
Poi imbracciò l'arco e la sua freccia incantata e si materializzò al limitare della foresta, lì dove avrebbe potuto avere tutto sotto controllo. 
Non prima di avergli lasciato un singolo, perentorio ordine  
 
«Va' a casa e restaci»
 
\\\ 
 
C'erano tutti. 
Baelfire, Emma, Belle, Cora e Regina.  
Zelena alzò il pugnale al cielo e da lontano Emilie guardò suo padre, fermo dietro di lei. 
Era il momento giusto. 
Prese la mira, puntò al pugnale, rilassò i muscoli e scoccò la freccia più importante di tutta la sua vita, mormorando vendicativa. 
 
«È giunto il momento, stronza. Il tuo controllo su mio padre finisce ora»
 
***
 
Presente,  
Storybrooke, casa del fante di cuori. 
 
La porta d'ingresso si aprì dopo un breve scatto della serratura. Lentamente, l'uscio si dischiuse e la punta arcuata degli stivali in pelle di coccodrillo di Emilie ne preannunciò l'ingresso al padrone di casa, che se ne stava tranquillamente spaparanzato a godersi una serata di birra e tv. 
La ragazza entrò con passo lento e fare trasognato. 
Un piede dopo l'altro, chiuse la porta dietro di sé dandole una leggera spinta e sorrise, con un lungo sospiro. 
Scarlett la guardò e sorrise a sua volta, disattivò l'audio della tv e domandò, davvero felice per lei 
 
«È andata bene, immagino...»
 
La sentì ridere. Emilie aprì le braccia, buttò indietro la testa e prese a girare su sé stessa leggiadramente, quasi danzando sulle note d'un immaginario valzer. 
 
«Li ho visti, Will!» gli raccontò quindi, intenerendosi «Mamma e papa. Li ho visti e ho detto loro tutto. Ogni cosa...»
 
Sinceramente felice per lei, William Scarlett ridacchiò a sua volta, si alzò in piedi e la abbracciò, stringendola fraternamente. 
 
«Che ti dicevo?» le rispose contento «E loro... Come l'hanno presa?»
 
Gli occhi grigi della figlia di Tremotino si riempirono di luccicanti lacrime di gioia. 
 
«Vogliono che vada a stare da loro, stasera» disse, mordendosi le labbra «Sono venuta a prendere qualcosa di adatto»
 
Si abbracciarono di nuovo, ma stavolta fu lei a stringerlo. 
 
«Grazie Will. Non ci sarei mai riuscita senza di te» aggiunse sincera, subito dopo. 
 
Lo vide scuotere le spalle con noncuranza. 
 
«Non è stato facile neanche per me, ma ci siamo divertiti in fondo. E ora... goditi la tua famiglia» le disse con affetto, lasciandola andare. 
 
Emilie Gold sorrise, quindi materializzò l'occhio di Cronos sul palmo di una mano e glielo porse, scoccandogli un occhiolino. 
 
«E tu goditi la tua ricompensa» ribatté con il medesimo affetto, guardandolo sgranare gli occhi, sorpreso e senza fiato. 
 
Non lo prese. Piuttosto tornò a guardarla, pensando fosse uno scherzo o un sogno. 
Non lo era. E a quel punto non gli restò che allungare un braccio per ritrovarselo al collo. 
Era pesante, ma forse era solo una sua impressione. 
Lo sfiorò con le dita, sentendosi potente e sentendo l'adrenalina crescere dentro di sé. 
Emilie gli schioccò un occhiolino. 
 
«Un patto è un patto, te l’avevo detto» disse, continuando a notare incredulità nel suo sguardo «Ora vai. Va a riprenderti il tuo passato» lo incoraggiò infine «Solo ricordati di evitare te stesso e il Signore Oscuro per quanto ti è possibile» sorrise, scuotendo le spalle «Non vorrai vanificare tutta la fatica fatta?»
 
\\\ 
 
Una camicetta giallo in seta color oro con collo jabot, giacca in finto cuoio senza maniche con chiusura a cerniera fin sotto al collo, pantaloni in pelle nera e gli stivali del coccodrillo. 
Questo era l'outfit scelto per mostrarsi al mondo come "figlia di Tremotino", e con questi abiti si presentò alla sua porta, venendo accolta dal sorriso radioso di sua madre. 
 
«Benvenuta» le disse, abbracciandola forte.  
«Ho fatto il prima possibile» si scusò, stringendola a sua volta. 
 
Sulla soglia del soggiorno apparve la figura slanciata di suo padre. 
 
«Hai fatto anche prima di quanto pensassimo»
 
Si scambiarono un sorriso complice, mentre Belle richiudeva la porta. 
Come fosse ancora una bambina, Emilie si perse a guardare incantata gli ambienti attorno a lei. 
Era una casa che sapeva di antico. Tutto, dalle vetrate colorate ai mobili imponenti fino ai suppellettili pregiati, era scelto con cura. Ed era tutto merito di quell'uomo che se ne stava distante a osservarla con attenzione, una luce fiera negli occhi, indossando il suo miglior completo e una cravatta viola, stringendo nel palmo della mano sinistra il suo inseparabile bastone da passeggio col manico in oro.  
 
«Che eleganza» commentò sua madre, svegliandola dalla meraviglia e squadrandola da capo a piedi. 
 
Arrossì, compiendo un giro su sé stessa. 
 
«Oh, non è niente di che» si schermì. 
 
Un sogghigno divertito colorò le labbra di suo padre, che avanzò verso di lei e indicò con un cenno gli stivali. 
 
«Permettimi di dissentire, soprattutto su quelli» soggiunse, lanciandole un occhiolino. 
 
Milly ridacchiò, mordendosi le labbra. 
 
«Te ne sei accorto» mormorò. 
 
Tremotino scosse le spalle e annuì scherzoso. 
 
«Naturalmente» replicò, per poi abbracciarla e lasciare che lei facesse lo stesso «Ti donano molto» sussurrò, facendola felice «Saranno il dettaglio importante nella tua favola» suggerì, e la vide annuire fiera.  
«È per questo che li ho indossati» gli rispose lei facendo l'occhiolino. 
 
Quindi Rumplestiltskin lasciò che sua moglie lo aiutasse a indossare il lungo cappotto nero e infine le prese entrambe sotto braccio. 
 
«Allora, Signore. Pronte per le presentazioni ufficiali?» domandò altero. 
 
Belle sorrise annuendo e stampandogli un bacio sulle labbra, Emilie si strinse più forte a lui, il cuore che ribolliva di emozione e gioia. 
 
«Non aspetto altro, papa» rispose, compiendo finalmente insieme a loro il primo passo verso il suo nuovo futuro.  
 
La sua vita ricominciava da qui, così, e in tutta onestà non avrebbe saputo chiedere di meglio.  
 
\\\ 
 
Granny quella sera era indaffarata a servire una moltitudine di clienti. C'erano tutti, dai sette nani alla regina cattiva, seduta a conversare amabilmente con il piccolo Henry ad uno dei tavoli meno in vista. Emma e Baelfire invece sorseggiavano un drink scambiandosi dolci sorrisi, un po' come facevano Biancaneve e il suo Principe azzurro. 
Le uniche grandi assenti erano le fate, troppo impegnate nella loro nuova austera vita da suore. Perfino Uncino aveva deciso di unirsi alla baldoria in quel locale, invitato da Ruby. Era il compleanno del giovane Henry, e lui aveva voluto che tutti fossero presenti. 
Si era stupito, ma alla fine aveva accettato, venendo accolto dagli sguardi diffidenti degli altri commensali, che per ora si limitavano ad ignorare la sua presenza. 
Seduto a un tavolo in disparte, sorseggiava il suo boccale di birra guardando Emma e il suo fidanzato farsi tante belle smancerie e sentendo la rabbia ribollire nello stomaco assieme all'alcool.  
Quello che ancora non sapeva era che non era stata di Henry l'idea d'invitarlo ad unirsi alla festa, bensì di sua zia. 
Subito dopo aver parlato con i suoi genitori, Emilie non era corsa da Will ma si era recata da suo fratello proprio per condividere con lui la notizia e mettere in atto la tappa successiva del piano. 
 
«È fatta!» aveva esclamato entrando in casa e abbracciandolo forte «Papa mi ha trovato! Finalmente non dovrò nascondermi.»
 
Emma ed Henry avevano sorriso, sinceramente felici per lei.  
Bae invece aveva aspettato prima di farlo, preoccupandosi un po'.  
 
«Quindi adesso... Cosa vuoi fare?» aveva chiesto.  
 
Emilie gli aveva sorriso, accarezzandogli teneramente la folta barbetta che ricopriva la sua guancia destra.  
 
«Solo stare con la mia famiglia» lo aveva rassicurato, aggiungendo poi dolcemente «Prima di tutto, ti racconterò ciò che vuoi sapere» quindi guardò Henry e aggiunse, con un sorriso «E poi stasera saremo dei vostri alla festa. Ma devo chiederti un piccolissimo favore. Voglio che tutti sappiano chi sono davvero. In particolare... Uncino»
 
Emma si era allertata, e Neal aveva sbuffato scuotendo il capo. 
 
«È una pessima idea» aveva risposto la salvatrice, appoggiando le mani sulle spalle di suo figlio prima ancora che questi potesse dire la sua. 
«Mi pareva strano» aveva replicato Neal, amaro «Vuoi che finisca in rissa? Non ce la fai proprio a non provocare conflitti, tu»
 
Emilie però non si era lasciata scoraggiare. 
Aveva scosso il capo e con un sorriso sicuro aveva replicato. 
 
«Ti sbagli Neal. Stasera io rivelerò a tutti perché sono giunta a Storybrooke. Per proteggere papa. Dirò a tutti che sono stata io a impedire che le cose degenerassero con Zelena, e che sono pronta a rifarlo se sarà necessario. Non sarà una rissa, ma se Uncino ha abbastanza sale in zucca da starmi a sentire servirà ad evitare che lui e papa si scontrino di nuovo» quindi alzò gli occhi al cielo e scosse le spalle con aria disinvolta «Viceversa, se non dovesse averne...»
«Cosa? Gli lancerai contro un incantesimo? Darai spettacolo per dimostrare a papa che sei degna di lui?» la incalzò rabbioso Bae. 
 
Senza lasciarsi prendere dall'ora, Milly gli rivolse un largo sogghigno. 
 
«Siamo gelosi, adesso?» lo schernì, poi però seguitò, impedendogli di rispondere Se il pirata ubriacone dovesse essere così incosciente da cercare rissa lascerò che la mia magia lo riporti sulla sua nave. Un semplice incantesimo di trasporto, e tutto tornerà nei ranghi.»
 
Poi tornò a parlare con Henry, inginocchiandosi di fronte a lui e prendendogli le mani. 
 
«Credimi, non lascerò che niente rovini la tua festa» guardò infine Emma, implorante -Fidatevi di me.- 
 
Così, dopo aver giurato anche alla salvatrice che avrebbe saputo tenere a bada gli imprevisti, aveva ottenuto ciò che voleva e si era attardata qualche istante in più per spiegare a Baelfire tutto ciò che doveva sapere. 
C'era una bella atmosfera quella sera. 
Il locale era addobbato con ghirlande e striscioni fatti apposta per l'occasione dai compagni di scuola del ragazzo, il jukebox suonava le hit di quell'anno. 
Al momento del loro ingresso la situazione si fece davvero tesa; il brusio dei commensali si spense, tutti fissarono con preoccupazione il Signore Oscuro nel suo completo gessato e le sue due accompagnatrici. 
Belle fu accolta volentieri da Ruby e Biancaneve, lo stesso non si poté dire di Tremotino e sua figlia. 
 
«Nonno, zia!» li accolse Henry, fiondandosi a salutarli con uno dei suoi calorosi abbracci. 
«Zia?» bofonchiò Brontolo rivolto ad uno dei suoi fratelli. 
 
Emilie guardò suo padre ed entrambi sorrisero. 
Quindi rivolse un cordiale saluto a Will Scarlett, seduto al bancone del bar accanto ad un incredulo Robin Hood. 
 
«Ciao cuginetto»
 
Il fante di cuori annuì, sorridendo e alzando il proprio boccale. 
 
«Ciao Alex!» la salutò gioviale, poi però si paralizzò di fronte ad un'occhiata di Tremotino «Signor Gold...» lo salutò impettito, abbassando lo sguardo e accennando un inchino. 
 
Padre e figlia tornarono a concentrarsi sulla folla, appena in tempo per accogliere i primi insulti. 
 
«Tu!» sbottò Leroy, puntandole contro un dito e alzandosi in piedi «Tu sei la straniera del paese delle meraviglie! Era tutta una montatura, allora! Il realtà sei sua figlia!» l'accusò puntando contro Rumplestiltskin il proprio indice. 
 
Il Signore Oscuro alzò gli occhi al cielo. 
 
«Si, lo è» sorrise. 
«È nostra figlia» aggiunse Belle, tornando a stringerla «Ed è grazie a lei se la situazione con Zelena non è precipitata. Quella copertura gli serviva per restare nascosta ai suoi occhi e potersi muovere liberamente»
 
Lo stupore si dipinse sul volto di tutti gli astanti. 
E, com'era prevedibile, finalmente Killian Jones poté reclamare il proprio posto in quella disputa. 
 
«Ma davvero?» esordì, con tutte le peggiori intenzioni «E dove la tenevi nascosta questa figlia, Signore Oscuro? Mi sembra un po' troppo cresciuta»
 
Si alzò in piedi e lo raggiunse, sfidandolo occhi negli occhi. 
 
«Che genere d'incantesimo le hai inflitto? Di sicuro uno che la rendesse una pedina nelle tue mani»
 
Tremotino ghignò, mentre Emilie strinse i pugni e s'impose di restare calma, concentrandosi sugli sguardi di Baelfire, Emma ed Henry. Neal scosse piano il capo, muovendo appena le labbra in una muta esortazione a non reagire. 
Non fu necessario comunque, perché il Signore Oscuro dimostrò ancora una volta di saper tenere a bada il suo arcinemico. 
 
«Non ho bisogno di un incantesimo per farmi amare dai miei figli» replicò «Torna al tuo rum, pirata. Lascia la magia a chi sa comprenderla»
 
Uncino ghignò, e fece per ribattere ma Granny impose a tutti il silenzio battendo un pugno sul bancone. 
 
«Va bene, ora basta. Questa è la festa di Henry, stasera niente sangue nel mio locale»
 
Emilie sorrise, tornando a stringere il braccio di suo padre e guardando negli occhi con aria di sfida il Pirata. 
 
«L'hai sentita?» lo schernì, sibilante «Ritorna al tuo angolino buio in fondo alla sala se vuoi stare qui, oppure prendi il tuo rum e continua a fare quello che sai fare meglio: l'ubriacone»
 
Questo fu davvero troppo per la pazienza di Killian Jones, già notevolmente provato dai litri di alcool che aveva ingurgitato. 
Fece per afferrarle la gola, ma con un rapido gesto lei fece ciò che aveva promesso di fare, facendolo scomparire in una nuvola di fumo violaceo e rivolgendo poi un lungo, soddisfatto sorriso a suo padre mentre dagli astanti si levava un vocio impaurito.  
 
«Non temete» spiegò quindi «L'ho solo rispedito sulla sua nave, e sono pronta a rifarlo se dovesse essere necessario»
 
Baelfire sospirò, passandosi una mano sugli occhi. 
Il peggio era passato, ma non il tempo delle domande. 
 
«Quindi è vero?» domandò Biancaneve, guardando sia il padre che la figlia con aria sconcertata «Sei stata tu a lanciare quella freccia?»
 
La giovane tornò a guardare suo padre, vedendolo addolcire il suo sguardo. 
Gli strinse la mano, poi prese anche quella di sua madre e annuì. 
 
«L'ho fatto per la mia famiglia» replicò «Ed è per questo che sono qui»
 
Biancaneve sorrise, annuendo comprensiva, e un'espressione simile apparve anche sul volto di Ruby ed Emma; Henry sorrise contento assieme a suo padre, che gli appoggiò le mani sulle spalle, gli occhi lucidi di una commozione velata, mentre i restanti ci misero ancora qualche istante per decidere se fidarsi. 
Ma a lei non importava altro che mettere in chiaro sin da subito il suo posto in quella cittadina in cui gli eroi e i cattivi non facevano che combattersi ancora, come se una legge non scritta li obbligasse a farlo. 
Le cose avevano iniziato a cambiare, e lei sarebbe stata molto contenta di aiutare quella spinta. 
 
«  
Inaspettatamente, il silenzio fu rotto dalla voce di Robin Hood che si alzò in piedi e alzò il boccale mezzo pieno verso di lei, guardando i suoi amici. 
 
«Dice la verità, ve lo assicuro» la sostenne, guardando poi con ammirazione lo sguardo interessato di Tremotino e quello emozionato di Belle «Ho visto questa ragazza affrontare molte avversità nel nome della sua famiglia. So di cosa è capace, e se è vero che i figli sono come frecce nelle nostre mani, l'uomo che l'ha cresciuta non può essere tanto diverso da quello che adesso ho davanti» fece una pausa, osservando le espressioni fiere sui volti degli interessati. 
 
Emilie aveva gli occhi lucidi, Belle si stringeva a suo marito sorridendogli fiera e lui a sua volta ascoltava quasi incredulo quelle parole, le mani in tasca e una strana sensazione in petto. 
Guardò sua figlia, e per la prima volta da che l'aveva incontrata si chiese sul serio quale fosse stata la strada che l'aveva condotta a lui. 
Conosceva la magia, ma alcuni di quegli incantesimi erano troppo complicati per essere praticati da un allievo inesperto. Inoltre, sebbene non l'avesse mai vista compiere azioni disoneste con i suoi poteri, era bastata una rapida occhiata per capire che alla base c'era la magia nera. 
Aveva un talento innato, ma quella non era la sola cosa che lo incuriosì. 
Di cosa parlava Robin Hood? Cosa aveva spinto Ewan a pronunciare quella frase sul vero amore che entrambi conoscevano? C'era così tanto da scoprire! E lei sembrava avere tutta l'intenzione di svelarsi, sarebbe bastata una semplice domanda. 
Sorrise. All'inizio l'aveva considerata solo un'ottima opportunità, ora però... il suo istinto di padre tornò a fare breccia nel suo cuore. 
Strinse la mano di Belle e mormorò, innamorato  
 
«Ti assomiglia»
 
Facendola arrossire. 
 
«Neanche noi vogliamo problemi»
 
La voce di David Nolan lo riscosse. Il Principe avanzò portandosi al centro della stanza, di fronte alla ragazza che lo accolse con un sorriso sicuro. 
 
«Bene» concluse «S'è così credo che potremo andare d'accordo»
 
Negli occhi del principe brillò la luce d'un sorriso sollevato. 
Le porse una mano per suggellare quella tregua, ma Tremotino intervenne nuovamente. 
 
«Non stai dimenticando qualcosa, Principe?» domandò, accostandosi a sua figlia e spegnendo quell'entusiasmo. 
 
Emilie ricambiò l'occhiolino che le aveva fatto, e con un sorriso soggiunse. 
 
«Non preoccuparti, papa. So come funziona questa città, la gratitudine non è propria dei suoi abitanti» disse, tornando poi a guardare Azzurro e stringendo finalmente quella mano «Ma visto che per il momento non voglio guai lo prenderò come un implicito 'grazie per averci salvato da Zelena.'»
 
\\\ 
 
La forchetta affondò senza problemi nella pasta gialla ricoperta di sugo fumante. 
Emilie tirò su e s'infilò la piccola porzione di lasagna in bocca, sotto gli sguardi attenti della sua famiglia e di Ruby. 
La ragazza lupo li aveva fatti accomodare sciogliendo ogni riserbo su di lei, e aveva sfoderato il suo sorriso più cordiale mentre prendeva i loro ordini e li serviva. 
Non poteva non ammettere di esser stata contenta di questo, e avrebbe voluto dimostrarle la sua gratitudine. 
 
«Mh...» disse, mandando giù e pulendosi delicatamente il muso con il tovagliolo «Servizio ottimo, Ruby» le disse facendole un sorriso. 
 
La ragazza accennò un inchino, sorridendo luminosa. 
 
«Ma papa me lo aveva detto che le lasagne qui non sono mai state un granché» concluse guardandolo. 
 
Tremotino, seduto di fronte a lei, si lasciò sfuggire un sogghigno divertito mentre Belle scuoteva il capo prendendo il suo bicchiere d'acqua e bevendo un sorso per maschere il divertimento. 
Anche Ruby volle unirsi a quel momento d'ilarità, ma lo fece cercando di non sembrare troppo divertita. 
Per fortuna sua nonna era in cucina al momento. 
 
«Farò finta di non aver sentito» le rispose facendole un occhiolino e tornandosene al suo dovere di cameriera. 
 
I Gold si guardarono negli occhi e si lasciarono andare ad una risatina divertita. 
 
«Meno male che mi avevi promesso che avresti evitato un’entrata ad effetto» esordì Baelfire, avvicinandosi al loro tavolo. 
 
Emilie alzò le sopracciglia assumendo un'aria ingenua. 
 
«Infatti non lo è stata» replicò, poi chiese a suo padre «Lo è stata?»
 
Tremotino scosse le spalle. 
 
«Non mi pare. No» rispose semplicemente, reggendole il gioco.  
 
Neal scosse il capo, sorridendo appena. Inutile discutere con quei due.  
 
«Sono contento che siate venuti» s'intromise il festeggiato, abbracciando sua zia, che ricambiò volentieri stringendolo forte. 
«Oh, prima che me ne dimentichi» aggiunse, prendendo la sua borsa e traendone fuori un pacchettino ben confezionato, carta color oro e nastro nero «Buon compleanno, Henry»
 
Il ragazzino sgranò gli occhi, sorpreso. Padre e figlia si guardarono, poi tornarono a concentrarsi su di lui, che nel frattempo aveva preso il pacchettino e aveva iniziato a scartarlo. 
Il regalo si rivelò essere un taccuino in cuoio e un antico calamaio incluso di pennino. 
Qualcosa che lasciò di stucco sia il giovane che i suoi genitori, inclusa Regina, che non aveva mai smesso di osservarli dal suo posto al bancone. 
Quando vide suo figlio stringere tra le mani quella piuma nera, tutto gli fu più chiaro.  
 
«So che ti piacciono molto le favole» gli disse nel frattempo Emilie, sorridendo divertita «Con questi strumenti potrai crearne una che ti veda protagonista. È un passo importante, pensa bene a ciò che scriverai»
 
Henry Mills tornò a stringerla forte, ringraziandola più volte. Mentre glielo permetteva, Emilie scambiò un rapido cenno d'assenso con suo padre, facendosi seria per un secondo. 
 
«Posso includerti nella storia?» replicò alla fine il giovane. 
 
E negli occhi dei Gold scintillò la stessa luce. 
 
«Oh, Henry...» disse melliflua Emilie, accarezzandogli una guancia mentre con l'altra mano si allungava a stringere forte quella di suo padre «Ne sarei onorata»
 
\\\ 
 
Il resto della serata trascorse senza ulteriori problemi, riempiendo finalmente di nuovi ricordi felici il cuore di Emilie Gold. 
Subito dopo la festa, tornando a casa con i suoi genitori, suo padre l'aveva presa sottobraccio e aveva esordito  
 
«Quindi adesso cos'hai in mente di fare?»
 
Lei aveva sorriso, abbassando gli occhi sulle mani strette attorno al suo braccio. 
 
«A parte stare con voi, dici?» aveva replicato, avvicinando la fronte a quella dell'uomo. 
 
Rumplestiltskin le aveva regalato uno sguardo amorevole, lei aveva buttato all'indietro la testa e scosso le spalle. 
 
«Ho in mente qualcosa» aveva rivelato, guardandolo negli occhi «C'è una casa fuori città... è molto carina, si vede il mare da ogni finestra»
 
Esattamente come aveva sperato, sia Belle che suo marito avevano capito al volo a cosa si stesse riferendo. 
 
«È la casa dove abbiamo trascorso il nostro viaggio di nozze!» aveva esclamato la donna, illuminandosi. 
 
Sua figlia aveva sorriso, annuendo. 
 
«Vorresti comprarla?» le aveva domandato allora Rumplestiltskin, toccato da quella confessione.  
 
Aveva annuito di nuovo. 
 
«Quando ero piccola mi hai insegnato a trasformare la paglia in oro» aveva spiegato «Mi sono esercitata tanto mentre aspettavo...» si era intristita, stringendogli la mano, ma quel calore le aveva dato di nuovo la forza di sorridere «Perciò i soldi non saranno un problema»
«Tuttavia...» aveva ribadito il Signore Oscuro tornando a prendere quelle mani tra le sue «Hai detto che il tuo addestramento non è completo. E mi farebbe comodo un aiuto in più al negozio. Sempre se ti va...» le aveva suggerito. 
 
Il volto della sua giovane figlia si era illuminato come mai prima, e l'aveva avvertita tremare a causa dell'emozione. 
 
«I-io...Si! Oh, si papà!» aveva esclamato, gettandoglisi al collo quasi in lacrime.  
 
Tremotino l'aveva stretta forte e lei aveva immerso il naso nella stoffa della sua giacca, inspirando a grandi sorsi l'intenso profumo della sua acqua di colonia. Anche se era più giovane, se il suo cuore era ancora annerito dall'Oscurità e i suoi capelli non erano ancora del tutto grigi, quel profumo era esattamente come lo ricordava. Lacrime di gioia avevano inondato i suoi occhi. 
 
«Ne sarei onorata e felice!» aveva mormorato, lasciandolo andare. 
 
Tremotino le aveva stretto di nuovo la mano, lanciandole un occhiolino. 
 
«Allora domani voglio che tu sia puntuale» le aveva detto, mentre Belle li osservava con un sorriso luminoso.  
 
Tornati a casa, Emilie si strinse forte a quei nuovi ricordi, aggrappandosi ad essi come al suo tesoro più prezioso. Dopo tutto quel buio, quella solitudine e quel silenzio...  
La sensazione di essere finalmente tornata a casa fu come una dolce ninna nanna per lei, una culla calda in cui crogiolarsi, e in quel confortante calore si addormentò, stesa sul letto della stanza degli ospiti, mentre loro si attardavano a parlare al piano di sotto e lei li ascoltava senza capire, solo gioendo del fatto che finalmente le loro voci non fossero più solo il frutto di una visione, un sogno o un ricordo. 
Con quella gioia in cuore si addormentò, stringendosi al cuscino, con ancora addosso i vestiti di quella serata che non avrebbe mai voluto finisse. 
Pochi minuti dopo, Tremotino e Belle salirono a darle la buona notte e la trovarono così, un sorriso sereno sul volto di bambina e una lacrima ancora incastonata tra le ciglia. 
Senza far rumore, Rumplestiltskin si avvicinò e le sistemò una coperta sulle spalle, stampandole poi un tenero bacio sulla fronte mentre sua moglie lo attendeva sull'uscio. 
Chiuse la luce e la raggiunse, restando con lei a osservare quella figlia ritrovata ancora per qualche istante mentre si stringevano a vicenda. 
 
«Era distrutta» mormorò la bella, inclinando di lato il capo «Povera piccola. Chissà da quanto tempo aspettava questo momento»
 
Il Signore Oscuro annuì, continuando ad osservarla. 
 
«Non lo so con certezza...» replicò «Ma le ho fatto una promessa, e intendo mantenerla»
 
Belle tornò a guardarlo, facendosi pensosa. 
 
«Credi davvero ci sia il modo di aiutarla?»
 
Lo vide scuotere il capo. 
 
«Non ne ho idea...» replicò rammaricato «C'era un motivo se avevo rinchiuso quella mappa e tutto ciò che riguardava l'occhio di Cronos nella stanza senza porte. I suoi effetti sono imprevedibili, così come il suo prezzo»
 
La vide intristirsi. Per contro, nel sogno Emilie allargò il suo sorriso. 
 
«Ma allora... cosa possiamo fare per lei?»
 
Di nuovo il Signore Oscuro sorrise tristemente, scuotendo il capo. 
 
«Semplicemente quello che abbiamo fatto fino a questo giorno: vivere, un giorno alla volta» le rispose, stringendola di più «E sperare che quando arriverà il momento di pagare, la mia magia basti ad arginare i danni senza crearne altri altrettanto irreparabili»
 
***
 
Il giorno dopo... 
 
La nottata era trascorsa senza alcun brutto sogno. Per la prima volta da che quel suo viaggio era iniziato, Emilie Gold aveva dormito un sonno profondo e ristoratore, e al risveglio aveva sentito una grande pace impadronirsi di lei. 
La stanza era inondata di luce, e dalla porta aperta proveniva un intenso profumo di dolci e caffè. 
Si strinse nella coperta che si era ritrovata sulle spalle e si concesse qualche altro istante per godersi quella pace, fissando il soffitto. 
Non le sembrava neanche vero... eppure era così. 
C'era riuscita. Ed era la sensazione più bella che avesse mai avuto modo di sentire. 
Guardò l'orologio sul comodino, segnava le otto. Avrebbe avuto tutto il tempo per rendersi presentabile per il primo giorno di quella sua nuova vita, e così decise di fare con calma. 
Aprì l'armadio, provò qualcuno dei vestiti di sua madre ma alla fine scelse i suoi soliti pantaloni di pelle, gli stivali, una camicetta rossa e una giacca in pelle nera. 
Pettinò accuratamente i capelli e indossò un cerchietto fatto di finta pelle di coccodrillo, di un beige chiaro. 
Infine scese al piano inferiore, dove trovò sua madre intenta a sistemare la cucina.  
Sul tavolo ben apparecchiato troneggiava un mazzo di rose rosse, il loro odore si mescolava con quello dello sciroppo d'acero per i pancake e del caffè. 
Sorrise, avvicinandosi al tavolo. 
 
«Buongiorno...» mormorò, con un sorriso. 
 
Belle si voltò. Era radiosa. I capelli che cadevano morbidi sulle spalle, un vestitino blu addosso. 
Dietro di lei, la luce del sole ch'entrava prepotente dalle imposte aperte faceva sfolgorare il suo profilo. 
 
«Buongiorno, Emilie» l'accolse, invitandola a sedersi al posto che aveva preparato per lei. 
 
Pancake con panna e cioccolato, fragole fresche e una tazza vuota. 
La giovane si accomodò, sua madre le accarezzò la mano con la sua e domandò affabile 
 
«The o caffè?» 
«Oh, the. Non bevo mai caffè» rispose. 
 
Belle annuì, versandole un po' del contenuto di una teiera in porcellana bianca. 
Prese la tazza fumante e se l'avvicinò al viso, inspirando quel fumo denso e l'odore riposante. 
Sorrise.  
 
«Hai dormito bene, stanotte?» tornò a chiederle Belle. 
 
Annuì, mettendosi in bocca un pezzo di pancake. 
Era così buono che si sciolse in bocca. Chiuse gli occhi godendosi il momento, quindi mandò giù un sorso di tè e replicò. 
 
«Non dormivo così bene da tempo»
«Puoi restare qui quanto vuoi» le ricordò sua madre. 
 
Si scambiarono un sorriso. 
 
«Lo so... mamma» mormorò Emilie, sorridendo divertita «È così... strano. E bello... sembra tutto un sogno» rivelò, arrossendo. 
 
Belle le rivolse una lunga occhiata materna, e commossa la strinse forte. 
Il suo profumo... sapeva di casa. E d'amore. 
Emilie si ci perse, e per poco non ricominciò a piangere ripensando a quanto fossero stati bui i giorni successivi alla sua partenza. 
Lei era il cuore della loro famiglia. Lei era... l'amore. 
L'orologio a pendolo nell'ingresso segnò con i suoi battiti le otto e trenta del mattino. 
La giovane Gold si riscosse all'improvviso, asciugandosi velocemente le lacrime e alzandosi in piedi. 
 
«Devo andare, ho promesso a papà che sarei stata puntuale» concluse, prendendole le mani. 
 
Belle le strinse tra le sue. 
 
«E noi sappiamo quanto le promesse siano importanti per lui» le disse, vedendola illuminarsi.  
 
Le prese il viso tra le mani, avvicinò la fronte alla sua e seguitò a sorridere. 
 
«Va'.» la congedò «E sii fiera di te stessa»
 
\\\ 
 
Un bagliore dorato squarciò il verde, e il silenzio della foresta fu per un istante rotto dal frastuono di una rapida folata di vento. 
Quando riaprì gli occhi, Will Scarlett si ritrovò nuovamente nel punto che aveva scelto per partire, l'occhio di Cronos ancora stretto tra le mani e una leggera sensazione di stordimento. 
Si concesse ancora qualche istante, cercando di non crollare sulle sue gambe. E proprio mentre stava per riprendere la via di casa, una voce lo riscosse. 
 
«Allora è vero...»
 
Guardò alla sua sinistra. Dal folto della foresta vide apparire un uomo. Non era più il giovane uomo che lui ed Emilie avevano lasciato, ma sotto quelle rughe e quella barba incolta riconobbe comunque il suo vecchio commilitone. 
 
«Ewan...» provò a replicare. 
 
Dalla sua espressione spaesata e seria gli sembrò che stesse per sbottare, invece si limitò ad aggiungere, con voce tremula. 
 
«Siete tornati...»
 
Scarlett annuì, allargando le braccia in una muta ammissione di colpa. 
Ewan si guardò intorno, guardò di nuovo lui e poi alle sue spalle. 
 
«Dov'è Emilie?» chiese, restando fermo ad aspettare una risposta. 
 
Lì per lì il Fante di Cuori rimase immobile a guardare le lacrime inumidire quegli occhi coraggiosi e stanchi, in bilico tra due scelte. 
Proteggere il segreto della sua compagna di viaggio, o permetterle di andare oltre la paura e vivere finalmente fino in fondo il suo vero amore? 
Alla fine, seppur in buona fede, decise di tacere. 
Scosse le spalle e la testa, con aria costernata. 
 
«Non c'è bisogno che tu mi dica nulla, Will» lo incalzò però il suo interlocutore «Il Signore Oscuro è venuto da me, mi ha detto che sua figlia lo ha salvato. So che Emilie è qui, dovevo solo averne una prova» disse indicandolo. 
 
Al fante perciò non restò che arrendersi. 
 
«Allora perché non vai da lei?» gli suggerì «Lo sai perché non viene da te. Se la rivuoi devi fare tu il primo passo»
 
Ewan annuì, sorridendo. Quindi trasse fuori dalla tasca un piccolo plico e glielo consegnò. 
 
«Dalle questo» chiese «Non dirle nulla. Lo farò io, stasera»
 
 
\\\
 
Il cielo sopra Storybrooke quella mattina era terso, e incredibilmente azzurro. 
Mentre percorreva a grandi falcate il viale principale di Storybrooke si fermò per un istante ad osservarlo, e a pensare a quanto potesse essere simile e al contempo del tutto differente rispetto a quelli che aveva visto finora, durante quel lungo viaggio verso casa. 
"Chissà se il tramonto sarà uguale a quello del regno dove sono nata?" si chiese, e proprio allora una voce la riscosse. 
Era quella di Will Scarlett. 
 
«Milly!» la chiamò. 
 
Si voltò di colpo, sorpresa. 
 
«Will» lo accolse «Che ci fai qui? Credevo stessi cercando di cambiare il tuo tempo» 
 
Il fante di cuori sorrise, imbarazzato. 
 
«L'ho fatto» spiegò «Ho viaggiato, ma...» trasse fuori dalla tasca del jeans l'occhio di Cronos e glielo porse, scuotendo il capo «Io non ce l'ho fatta. Non sono così bravo...» le sorrise «Mi sono limitato a... salutarli un'ultima volta senza farmi riconoscere»
 
Emilie gli sorrise intenerita, prese tra le mani il prezioso talismano e se lo ricacciò in tasca. 
 
«Quindi adesso... cosa farai?» domandò. 
 
Lo vide annuire, scuotendo le spalle. 
 
«Viaggiando con te ho capito che a volte il passato è necessario al nostro presente» le rivelò, sincero «E il mio presente è questo, quindi... cercherò il mio lieto fine in questo tempo. Il Cappellaio l'ha trovato, ce la farò anch'io» risolse speranzoso. 
 
Emilie sorrise. 
 
«Lo penso anche io» replicò, abbracciandolo «Buona fortuna allora, fante di cuori» lo salutò. 
 
Scarlett le sorrise, portandosi indice e medio uniti verso la fronte e poi accennando ad un inchino. 
 
«Buona fortuna anche a te, figlia di Tremotino»
 
La sentì ridacchiare di nuovo. 
 
«Si, beh...» aggiunse ammiccando «A proposito: vedi di ricordartene durante la tua ricerca» gli lanciò uno sguardo di fuoco. 
 
L'uomo alzò le mani, arretrando di un passo. 
 
«Solo uno stupido si metterebbe contro te e tuo padre» ribatté. 
 
Un'altra risatina. 
 
«Oh, si...» lo fissò con astio «Visto che lo sai, vedi di non essere quello stupido, o potrei anche scordarmi la nostra amicizia»
 
Will Scarlett tornò a sorridere, annuendo. Uomo avvisato, mezzo salvato. 
 
«Lo terrò a mente» risolse, e fece per andarsene ma poi parve ricordarsi di qualcosa. 
 
Estrasse un foglietto ripiegato dalla tasca e glielo consegnò. 
 
«Questo è per te» concluse scoccandole un occhiolino «Nel caso volessi aggiungere la ciliegina sulla torta del tuo lieto fine»
 
Emilie sorrise, infilando il bigliettino nell'unica tasca del giubbotto in pelle, con l'intenzione di leggerlo non appena il tempo fosse stato dalla sua parte. 
Ora c'erano questioni più importanti da risolvere.  
 
\\\ 
 
Mezz'ora prima dell'apertura del negozio di Mr. Gold, nonostante il cartello all'ingresso seguitasse a recitare "chiuso", la campanella all'ingresso suonò avvertendo il proprietario dell'arrivo di una visita. 
Tremotino sollevò lo sguardo verso l'entrata e sogghignò quando vide avanzare la sagoma austera di Regina. 
 
«Vostra altezza...» l'accolse, col solito tono irriverente. 
 
La donna gli lanciò uno sguardo contrariato. 
 
«Cos'è questa storia, Gold?» lo incalzò. 
 
L'uomo fece orecchio da mercante, continuando a trafficare con i preziosi reperti ancora da catalogare. 
 
«Di che storia parli?» domandò. 
 
La vide infervorarsi. 
 
«Lo sai bene. Chi è quella ragazza che dice di essere tua figlia?» 
 
Il Signore Oscuro sogghignò. 
 
«E a te perché importa tanto?» chiese di rimando. 
 
La regina non seppe cosa rispondere, ma all'occhio esperto del suo maestro fu evidente la gelosia divampante nel suo sguardo. 
Non rispose, indirizzandole solo un sorriso divertito, per poi voltarle le spalle e dirigersi verso il retrobottega. 
Regina lo seguì, caparbia.  
 
«Quindi è vero...» mormorò, confusa e quasi offesa «Lei è veramente tua figlia»
 
Ancora una volta il Signore Oscuro sorrise, stavolta fingendosi seccato. 
 
«Ribadisco: a te cosa importa?» le chiese, poi l'affondò con il sarcasmo «Credevo fosse Zelena quella con i problemi d'invidia, non tu. Devo preoccuparmi?»
 
Ovviamente non doveva farlo. Ma non era la gelosia a turbare la sua allieva. 
 
«Quella ragazza ha ucciso mia sorella» mormorò, a pugni stretti «È stata lei, per vendicarti. Io lo so...»
 
Gold sorrise, tornando a guardarla negli occhi. 
 
«E quali prove hai a sostegno di ciò?» sibilò «Hai trovato un corpo? Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere fuggita in attesa di... tempo migliori» concluse, scuotendo le spalle. 
 
Regina dipinse sulle sue labbra una smorfia disillusa. 
 
«Spero per te che non sia così» mormorò minacciosa.  
 
Ma non fece altro che provocare l'ennesimo ghignò sul volto del suo maestro. 
 
«Si, beh...» replicò, con una sicurezza del tutto nuova dentro di sé «Ti ringrazio per l’interesse, ma fossi in te inizierei a sperarlo per entrambi. O hai scordato ch'era venuta qui per ucciderti?» le fece notare mellifluo. 
 
La loro conversazione fu interrotta dal trillo della campanella posta sulla porta d'ingresso, e subito dopo dalla voce di Emilie. 
 
«Papa!» lo chiamò «Sono qui!»
 
Gold sorrise, lanciando un ultimo ghigno alla sovrana. 
 
«Scusami Regina. Ho da fare adesso» la congedò. 
«Ma certo, ora hai una nuova allieva» lo provocò con disprezzo «Va da lei. Sappiamo entrambi che non sarà neanche lontanamente potente quanto me e te» aggiunse maligna.  
 
Lo vide rivolgerle un ghigno sardonico. 
 
«Oh, lo vedremo» le rispose fiero «In fondo è pur sempre mia figlia»
 
\\\ 
 
Giunta di fronte alla porta d'ingresso, la giovane Gold attese qualche istante prima di entrare, lanciando un lungo sguardo all'insegna. 
Non era la prima volta che la vedeva. Subito dopo la morte di suo padre, per scuoterla dal torpore Gideon l'aveva condotta a Storybrooke e le aveva dato le chiavi del negozio, proponendole di riavviarlo insieme. 
Una soluzione che, una volta entrata, le aveva stretto un nodo in gola. 
Le luci spente, i preziosi suppellettili impolverati. 
 
«Io non voglio la sua eredità, Gideon» aveva risposto, trattenendo a stento le lacrime «Io rivoglio papà. Vivo. Con me»
 
Sorrise, una luce fiera negli occhi lucidi. Alla fine ci era riuscita. Spinse appena e lo stipite si aprì, rivelandole nuovamente il contenuto di quel prezioso scrigno dei tesori. Adesso però non era più solo un mucchio di oggetti impolverati. 
Le luci soffuse erano accese, facevano brillare ogni cosa come fosse fatta d'oro. C'era vita. C'era speranza. 
Strinse l'occhio di Cronos dentro la tasca dei pantaloni, un nodo in gola che minacciava di nuovo lacrime. 
Si schiarì la voce, e chiamò. 
 
«Papa! Sono qui!»
 
Non dovette attendere molto per ricevere risposta. Lo vide spuntate dal retro bottega, seguito da un'imbronciata Regina che si avviò rapidamente verso l'uscita, non prima di averle lanciato uno sguardo infuocato passandole accanto. 
 
«Problemi?» domandò preoccupata, una volta soli. 
 
Il Signore Oscuro sorrise scuotendo le spalle. 
 
«Non badarci» replicò con nonchalance, invitandola ad avvicinarsi. 
 
Lo raggiunse dietro al bancone e lo abbracciò, venendo accolta con amore. 
 
«Allora... sei pronta a iniziare?» le domandò. 
 
Le guance di Emilie s'imporporarono avvampando. 
 
«Assolutamente si!» affermò, affrettandosi ad aggiungere, tirando fuori dalla tasca il talismano «Prima però ho qualcosa per te...»
 
Glielo mostrò, porgendoglielo. 
Come la prima volta in cui lo aveva visto, Tremotino lo prese delicatamente e ne saggiò il peso, enorme, segno del suo grande potere. 
Sorrise tornando a guardare sua figlia. 
 
«Ho pensato...» spiegò lei «Che non c'è posto migliore dove tenerlo se non nel tuo negozio. Almeno fino a che non avrò traslocato» ridacchiò, strappandogli un sorriso «Non hai... qualcosa di simile a quella stanza senza porte in cui conservavi la magia imprevedibile?»
 
Rumplestiltskin annuì. 
 
«In effetti...» disse, inginocchiandosi «Potrei avere qualcosa di simile»
 
E da una botola nel pavimento trasse lo scrigno di pandora. Il cuore della giovane prese a battere all'impazzata, ricordando tutto ciò che quello scrigno aveva passato. 
Vide suo padre appoggiarlo a terra, aprirlo con un gesto leggero della mano e permettere al ciondolo nella sua mano di venirne risucchiato. 
Si stupì 
 
«Quello scrigno può contenere anche oggetti?» domandò. 
 
Suo padre nascose di nuovo il manufatto, quindi tornò a stringerle le mani. 
 
«In realtà no» rivelò «Ma prima di essere d’oro era attaccato ad un corpo, dunque ...» le scoccò un occhiolino, osservandola con curiosità mordersi le labbra. 
«Giusto» annuì lei, illuminandosi. 
 
Sorrisero complici. 
Quindi il Signore Oscuro la invitò con un cenno della mano a seguirla nel retro bottega, dove si accomodò sul sofà vicino al guardaroba e la spronò. 
 
«A proposito di magia: Fammi vedere cosa sai fare»
 
Gli occhi scintillanti di curiosità. Emilie si morse di nuovo le labbra, annuendo e prendendo posizione. 
Finalmente il suo addestramento poteva ricominciare, e magari anche concludersi.  
 
(Continua...
 

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Capitolo 8
*** Episodio VIII -Eroi o Cattivi? ***


Episodio VIII - Eroi o Cattivi?

La prima volta che Emilie aveva praticato la magia se la ricordava bene. Era successo nel Castello Oscuro, alla vigilia del suo settimo compleanno, all'insaputa di sua madre. 
Tutto era iniziato con una domanda ben precisa dei suoi genitori 
 
«Cosa vorresti per il tuo settimo compleanno, principessa?»
 
Alla quale era seguita una altrettanto precisa risposta, accompagnata da un sorriso raggiante. 
 
«Vorrei vedere il posto dove vi siete conosciuti. Il Castello Oscuro. E anche la foresta incantata»
 
Belle e Tremotino si erano guardati, cercando di non mostrarsi troppo sorridenti. Se lo aspettavano. Dal momento in cui aveva iniziato a parlare, Emilie aveva mostrato una vivace curiosità per tutto ciò che riguardava il mondo oltre le colline del suo luogo natio. 
Proprio come sua madre, anche se dove era nata lei il sole non tramontava mai ed era sempre primavera, il suo cuore era colmo di quello stesso desiderio di avventura e conoscenza che aveva spinto Belle tra le braccia della sua amabile Bestia. 
E allo stesso modo, ora la loro giovane figlia chiedeva di essere parte di quel mondo che fino a quel momento aveva solo immaginato. 
 
«La foresta incantata può essere anche pericolosa, Emilie» l'aveva avvisata amorevolmente suo padre. 
 
Ma lei, mordendosi le labbra proprio come sua madre di fronte a un'idea allettante, aveva sorriso e annuito, prendendogli la mano. 
 
«Lo so, papa. Per questo andremo insieme. Ci proteggerai tu» aveva risposto sicura, scaldando il cuore del Signore Oscuro e sciogliendolo come neve al sole. 
 
Belle aveva sorriso vedendoli abbracciarsi, e anche Gideon aveva capito che ancora una volta la sua sorellina caparbia era riuscita nello stesso miracolo della loro madre: ammansire la bestia. Anche se il grosso del lavoro lo aveva fatto Belle, Emilie aveva lo stesso inspiegabile tocco magico. 
In realtà però, e questo lo sapevano molto bene entrambi i coniugi, il regalo che la piccola desiderava era un altro.  
Quella sera, dopo aver ascoltato la favola della buona notte e aver finto di addormentarsi, li aveva spiati da dietro la porta della sua stanza, e si era sforzata di ascoltare i loro discorsi sottovoce. 
Danzando dolcemente sulle note di un valzer che solo loro potevano udire, stretti l'una all'altro e occhi negli occhi, Tremotino e la sua Bella si erano scambiati un dolce bacio d'amore. Poi, dopo qualche attimo di silenzio, la donna aveva mormorato, facendosi preoccupata. 
 
«Lo sai perché tua figlia vuole andare al Castello Oscuro, vero?» con un'espressione complice che suo marito ricambiò, sciogliendosi in un sorriso. 
«È una bambina molto talentuosa» annuì «E sai bene che finirà per cacciarsi nei guai se le proibiremo di apprendere la magia.»
 
Gli occhi della piccola s'illuminarono. Da dietro l'uscio strinse i pugni, gioendo. 
Ovviamente, i guai derivati dalla magia suo padre li conosceva molto bene, tanto da aver istruito a dovere anche lei. Non si sarebbe mai fatta trascinare dall'Oscurità, era pronta anche a giurarlo. 
Tremotino si fidava di lei, ma Belle era ancora timorosa. Non temeva per sua figlia, sapeva che avrebbe fatto la cosa giusta. Quello che temeva davvero, Emilie lo avrebbe capito appieno solo molti anni dopo, guardando la luce spegnersi negli occhi della donna e l'Oscurità riappropriarsi del corpo di suo padre. 
 
«Mi prometti che farai attenzione?» la sentì sussurrare, appoggiando le mani sul petto forte del marito. 
 
Tremotino smise di danzare e prese quelle dita tra le sue, baciandole dolcemente. 
 
«Nessuno dei miei figli conoscerà mai l'Oscurità» promise fiducioso «Soprattutto, non Emilie.»
 
E, inspiegabilmente, nel sentirglielo dire gli occhi della bambina si riempirono di lacrime e il suo pensiero corse al fratello mai conosciuto: Baelfire. Il suo Angelo Custode. 
Strinse la mano sul cuore, tornando a guardare i suoi genitori stretti in un altro abbraccio. 
 
«Posso farcela, Bae» mormorò fiduciosa e commossa «Mi prenderò io cura di papa, ora. Ci penserò io al suo cuore, come hai fatto tu.»
 
Nell'ombra, la voce di Gideon si fece sentire. 
 
«Lo sai che papà non t'insegnerà mai quello che vuoi davvero sapere, vero?»
 
Si voltò a guardarlo.  
Nell'ombra lo vide ancora coricato nel suo letto, le lenzuola tirate fino alle spalle e un sorriso sulle labbra. 
La piccola annuì, correndo a coricarsi con lui, che la lasciò fare e la avvolse con un suo braccio stringendola forte. 
 
«Lo so» disse, scuotendo le spalle «Ma non importa. Mi piace quando papà fa la magia. Voglio essere come lui da grande.»
 
Gideon sorrise di nuovo sotto i baffi, lasciandole un bacio sulla nuca. 
 
«Piccola principessa pestifera» l'apostrofò, sentendola ridacchiare divertita in risposta. 
 
\\\ 
 
Sebbene per i suoi genitori il Castello Oscuro fosse stato il luogo dove il loro amore era sbocciato, per entrambi quelle sale non avevano solo bei ricordi. 
Belle ricordava anche i primi tempi di solitudine e tristezza, Tremotino sapeva che quelle mura avevano visto all'opera il lato peggiore di lui, e faticava a ricordare un attimo di felicità prima e dopo Belle. 
Eppure agli occhi della loro giovane figlia Emilie non c'era niente di più bello al mondo. Adorava girare per i corridoi male illuminati dalle torce, mano nella mano con uno o entrambi i suoi genitori ma anche da sola. Erano parse stupende ai suoi occhi perfino le segrete, l'unico luogo per lei inaccessibile ma che nonostante il divieto era riuscita a visitare una notte, mentre i suoi genitori dormivano. 
O meglio Belle lo faceva, mentre Rumplestiltskin continuava a sua insaputa a vegliare su di loro.  
Tutto il giorno era un continuo di risa e giochi tra i mattoni scuri e le imponenti statue che decoravano i corridoi, e corse nell'ampio giardino della tenuta, dove ora sua padre aveva fatto crescere davanti ai suoi occhi rose di ogni tipo. 
Era per questo che non temeva la potente aura magica che incombeva sulla valle: si fidava di suo padre, e le notti continuavano a essere colme di bei sogni. 
Trascorsero una settimana in quel luogo, insieme madre e figlia si dedicarono allo studio delle stelle e alla lettura, ma il giorno del suo compleanno finalmente suo padre decise che era venuto il momento di insegnarle la magia. 
In realtà fu lei a chiederlo, durante il giro del castello. 
Erano soli, la piccola stringeva la mano di Tremotino mentre osservava con viva curiosità e nel frattempo ascoltava i racconti dell'uomo. 
Imboccarono un breve, stretto corridoio che li condusse in cima ad una delle torri del castello, di fronte ad una porta in legno decorata con splendidi intarsi in metallo rosso. 
Il suo cuore iniziò a battere all'impazzata, mentre nella mente si faceva largo un bellissimo presentimento. 
 
«Dove siamo, papa?» chiese mordendosi il labbro inferiore. 
 
Il Signore Oscuro sorrise, s'inginocchiò per poterla guardare negli occhi e prese le piccole manine tra le sue. 
 
«Di tutte le stanza del castello, mia cara, questa è la più importante. Perché qui dentro sono custoditi tutti i segreti della mia magia» sorrise scoccandole un occhiolino «Quelli confessabili.»
 
Gli occhi della bambina si riempirono di meraviglia, luccicando impazienti. 
Lo abbracciò facendolo sorridere, poi ridendo corse verso la porta. Con un gesto della mano Tremotino la spalancò, e davanti ai loro occhi apparve lo studio alchemico, pieno di preziose provette e polverosi volumi. 
La bambina si portò al centro della stanza, allargando le braccia e girando su sé stessa in punta di piedi, quasi volteggiando. Le pieghe del suo vestitino azzurro svolazzarono leggere, mentre rideva al Signore Oscuro parve di rivedere la sua Belle, una versione inedita che non aveva mai avuto modo di conoscere. 
Sorrise di nuovo osservandola battere le mani contenta. Poi la vide voltarsi e accorgersi del grande arcolaio in fondo alla stanza, vicino alla finestra chiusa. Era un po' impolverato e c'era ancora un po' di paglia accanto. 
Lo guardò sgranando gli occhi sorpresa, si avvicinò in punta di piedi e ne sfiorò la ruota con le piccole dita. 
Vedendola, Tremotino ebbe un fremito. Sorrise, con gli occhi lucidi. 
 
«Questo è...?» mormorò la piccola, voltandosi a guardarlo. 
 
Quegli occhioni grandi lo supplicarono per un'altra storia. Il Signore Oscuro annuì, raggiungendola e sedendosi sulla seggiola in legno di fronte allo strumento. 
 
«Questo è il mio arcolaio» le raccontò, sfiorando con delicatezza il legno ancora lucido «È stato per secoli un fedele compagno, a volte il mio unico mezzo di sostentamento. Un amico a cui confidavo ogni cosa.» 
«È con questo che fabbricavi l'oro?» domandò ancora Emilie, sempre più incuriosita. 
 
Rumplestiltskin sorrise annuendo. 
 
«Vuoi vedere?» chiese, conoscendo già la risposta. 
 
La vide illuminarsi di nuovo, annuendo più a più volte. 
 
«Si, per favore!» lo supplicò giungendo le mani. 
 
Suo padre seguitò a sorridere, e con un dito indicò la paglia dietro di lei. 
 
«Prendimene un po', per favore» le chiese. 
 
La piccola obbedì solerte, correndo a raccogliere un piccolo fascio di paglia. I suoi passi delicati risuonarono appena sulle travi di legno, la gonnellina azzurra sobbalzò quando tornò indietro, saltellando e ridacchiando entusiasta come avrebbe fatto il Tremotino di un tempo. 
Suo padre la osservò con occhi pieni di orgoglio, sorridendole e ringraziandola con un cenno del capo e un dolce 
 
«Grazie, principessa.»
 
La piccola Emilie arrossì accennando ad un inchino, un piede davanti all'altro e le braccia appena sollevate. 
 
«Ora... ecco come si fa. Guarda molto attentamente, tesoro. Dopo dovrai rifarlo tu» sussurrò scoccandole un occhiolino. 
 
Il volto della piccola s'illuminò. Si sedette sui talloni e ammirò rapita la magia che si sprigionava dalla ruota e dal suo lento cigolio. 
In un battito di ciglia, senza che riuscisse a capire come e perché, la paglia divenne un sottile filo d'oro nelle mani del Signore Oscuro, che dopo aver finito trasse un sospiro, ridacchiò insieme a lei. 
 
«Era da tanto che non lo facevo» rivelò sollevato «Credevo di aver perso il tocco.»
 
Entusiasta, Emilie corse a sedersi sulle sue gambe, supplicandolo impaziente. 
 
«Insegnami, insegnami!»
 
Tremotino allora decise che era il momento di un piccolo discorsetto serio, padre e figlia. 
 
«Ascolta principessa» disse, sfiorandole la punta del naso con un dito «La magia ... è qualcosa di molto difficile da imparare e praticare.»
«Lo so, papi» rispose decisa la piccola «Ma io sono brava, più brava di Regina. E se sei tu a insegnarmi magari lo diventerò davvero.»
 
Il Signore Oscuro le sorrise intenerito e divertito. 
 
«Ne sono sicuro, piccola mia» replicò «Ma la magia, tutta la magia, anche quella più piccola, ha sempre un prezzo» disse mostrandole il filo d'oro creato «Io l'ho imparato a mie spese. È importante che tu lo ricordi ogni volta che la userai.»
 
La piccola si fece seria. 
 
«Lo so, papà» lo rassicurò «Io non voglio usare la magia per fare cose brutte» appoggiò le piccole manine su quelle dell'anziano uomo che aveva di fronte «Io voglio aiutare. Te e la mamma, e Gideon. La nostra famiglia.»
 
Gli occhi del Signore Oscuro divennero improvvisamente lucidi. Sapeva che non era tutto, che seppur in piccola parte il cuore di sua figlia, anche se non ne era del tutto consapevole a causa della sua giovane età, era attratto dall'Oscurità, e sempre lo sarebbe stato. 
Ma quelle parole sincere... quel tenero tentativo di rassicurarlo... era la speranza che cercava. 
Aveva imparato da molto ormai che non esistono solo buoni o cattivi al mondo, e sua figlia era esattamente come tutti. Aveva in sé una parte di oscurità e una di luce, e avrebbe potuto usare quel potere per diventare ciò che avrebbe voluto, buona o cattiva. 
La scelta sarebbe stata solo sua, lui... avrebbe dovuto sperare che diventasse un'eroina come sua madre, ma la verità era che qualsiasi fosse stata la strada intrapresa, l'avrebbe amata per sempre. 
Sorrise, stringendola a sé e ricevendo in cambio un forte, affettuoso abbraccio. 
 
«Per ora» mormorò, lasciandole un bacio sulla nuca «Questo è tutto ciò che mi serve.»
 
\\\ 
 
Anni dopo,  
Regno del Desiderio,  
Foresta Incantata ... 
 
Gli occhi dell'unicorno scintillarono di una luce vivida nel momento in cui Emilie, con un colpo secco, estrasse il suo cuore dal petto. 
Non aveva nemmeno avuto bisogno di immobilizzarlo, anche se il suo maestro, il Tremotino del Desiderio, aveva tanto insistito perché lo facesse.  
Lei invece era riuscita a conquistarsi la sua fiducia, stupendo perfino il Signore Oscuro che a quel punto l'aveva lasciata fare, curioso di sapere come sarebbe andata a finire. 
La creatura magica l'aveva lasciate fare, agitandosi solo un po' nel momento in cui gli aveva afferrato il cuore. 
Un colpo secco, e il suo cuore ora scintillava tra le delicate mani della figlia di Tremotino. 
 
«Eccellente! Davvero un ottimo lavoro, mia cara.» si complimentò il suo alter ego, battendo le mani. 
 
Emilie sorrise appena, contenendo l'entusiasmo e scoccando un occhiolino all'animale. 
Sapeva bene quale sarebbe stato il prossimo passo del suo addestramento. 
In quelle sei settimane aveva imparato tanto sui suoi poteri e su come fabbricare pozioni magiche di ogni tipo, si era divertita, ma stava ancora aspettando. 
E anche quella versione di Tremotino aspettava di vederla capitolare verso il lato Oscuro. 
Per questo non aveva voluto immobilizzare la bestia, pur essendo in grado di farlo. Non le serviva un unicorno morto, la sua benedizione poteva fruttare molto di più. 
 
«Prima di proseguire, lascia che te lo chieda. Anche se credo di conoscere già la risposta...» le disse incuriosito il Coccodrillo. 
 
Sorrise.  
Avevano fatto passi in avanti nel loro rapporto, anche se continuavano a rimanere distanti come il giorno e la notte. 
Anche se la Bestia non lo aveva mai ammesso, nel suo cuore era tornata ad accendersi una piccola fiammella di amore, grazie alla somiglianza della giovane con sua madre Belle. 
Era stata Emilie stessa a decidere di sfruttarla, come ultima risorsa. 
Aveva capito di poterlo fare quando aveva visto la tazza col bordo scheggiato ancora ben riposta dentro a una credenza, segno che pur avendone accantonato il ricordo esso era ancora ben radicato nel suo cuore. 
All'inizio era stato difficile, il Coccodrillo non amava mostrare le sue debolezze ma sua figlia aveva imparato a conoscere la sua oscurità e così aveva iniziato ad alimentare quel piccolo seme. 
Fino a che, del tutto inaspettatamente per entrambi, i loro cuori non si erano avvicinati. 
Era un legame ancora debole, ma c'era. 
Il Tremotino del Desiderio trovava curiosa quella giovane e la sua presenza iniziava a non essere più così sgradevole, Emilie era deliziata dalla sua perspicacia e dai suoi modi di fare, e più di una volta si ritrovarono a ridere insieme di una battuta che probabilmente alle orecchie di qualsiasi altra persona sarebbe suonata alquanto macabra. 
Eppure, c'era ancora qualcosa a dividerli. Quella maledetta promessa che la Bestia era decisa a farle infrangere, anche se sapeva bene che un patto con Tremotino, anche se un Tremotino indebolito dall'amore, era impossibile da infrangere.  
 
«Vuoi sapere come l'ho convinto a fidarsi di me?» lo prevenne. 
 
Ma stupendola lui ridacchiò, agitando l'indice avanti e indietro e replicando, spiazzante. 
 
«Certo che no, cara. Avrai sicuramente fatto leva sul cuore puro di questa creatura raccontandogli del sentimento che ti lega a tuo padre e che ti ha condotto fin qui. 
La mia domanda è ... perché ti ostini a rimanere nella luce quando è chiaro a entrambi, perfino a questo unicorno, che il tuo cuore stia scalpitando per oltrepassare quel confine. 
La tua magia è sempre stata Oscura, perfino quel debole di tuo padre lo sa, e sono sicuro che non ti biasimerebbe se intraprendessi questo cammino.» 
 
Emilie si fece seria per un istante. Tutto ciò che aveva detto il suo maestro era vero. 
Aveva imparato la magia da suo padre, ma in realtà ne era sempre stata in possesso. 
Era il frutto del vero amore, proprio come Emma Swan, ma a differenza della Salvatrice, per lei questo aveva significato ereditare un potenziale magico capace di trascendere il confine tra bene e male. 
Forse questa era la risposta. 
 
«Oscurità... Luce... io detesto le etichette. Tu no?» domandò, sogghignando. 
 
Il suo maestro sorrise appena, inclinando di lato il capo. I suoi occhi scintillarono di una luce vivida. 
La guardò tornare a sorridere e ascoltò con vero interesse ciò che ebbe da dirgli.  
 
«La verità... è che per me esiste solo la magia, e nient'altro. So che ci sono forze che non riusciamo a controllare. Mio padre ne ha paura... anche tu ne hai. 
Io voglio solo imparare a conoscerle. Magari un giorno riuscirò a controllarle.»
 
Il Coccodrillo annuì, ammirato. 
 
«E quando ci sarai riuscita, ammesso che sia possibile, cosa ne farai?»
 
La ragazza sorrise, scuotendo le spalle. 
 
«Non è ovvio?» replicò «Farò tutto ciò che posso per aiutare la mia famiglia.»
 
***
 
Storybrooke, 
Presente...  
 
Le piccole fiammelle vorticarono attorno alle abili dita della ragazza, girandole intorno e cambiando continuamente forma e consistenza. Acqua, fuoco poi aria e così via. 
Tremotino la osservò in silenzio, meravigliato ma senza mostrarsi a lei. 
Quel potere... era enorme. Ne aveva visto uno simile solo con Zelena, ma quello di Emilie era ancora acerbo. Sarebbe stato lui a renderlo perfetto. 
Con un movimento ben calibrato la sua giovane figlia dissolse la magia, e dopo un lungo respiro lo fissò con un sorriso emozionato, restando in silenzio in trepidante attesa di un suo verdetto. 
 
«Questo è tutto...» ridacchiò arrossendo per smorzare la tensione e il lungo silenzio in cui suo padre si ostinava a rimanere «Lo so che non è molto ma... mi hai chiesto una prova, e questo mi diverte molto farlo.»
 
Tremotino sorrise. 
 
«Magari non sarà molto per qualcuno con nessuna esperienza di magia. Ma per me... per me è più che sufficiente» la rassicurò «Hai un ammirevole controllo delle tue abilità. Non importa quanti incantesimi tu conosca, la tua magia è forte e sai gestirla. Ti sei allenata molto, immagino.»
 
Emilie sorrise contenta, annuendo decisa. 
 
«Lo faccio ogni giorno da quando questo viaggio è iniziato» confermò.  
«E mi pare di capire che finora tu abbia usato solo gli incantesimi di attacco e difesa elementali» tornò a chiederle il Signore Oscuro. 
 
La giovane scosse le spalle. 
 
«Non ho avuto tempo per impararne altri, mi sono concentrata su quelli che avrebbero potuto essermi utili per la mia impresa» ammise. 
 
Rumplestiltskin annuì tornando a sorridere. 
 
«Naturalmente» commentò. 
 
Con un movimento rapido del polso fece quindi apparire nella propria mano il libro d'incantesimi che aveva riottenuto da Regina e lo porse a sua figlia, guardandola illuminarsi. 
Riconobbe immediatamente il luccichio in quelle pupille grigie, era lo stesso che più volte aveva illuminato i suoi occhi. La sensazione di essere di fronte a qualcosa di straordinario, che lo avrebbe reso ancora più potente. 
Emilie allungò le mani e prese tra le dita quel tomo, accarezzandone emozionata la copertina in cuoio su cui erano incise rune d'oro. 
 
«È ...» mormorò, sfiorando il rubino al centro.  
 
Tremotino annuì. 
 
«Qui c'è tutto ciò che ti serve sapere» le spiegò «L'unica cosa che dovrai fare da adesso in poi sarà studiare questi incantesimi a fondo fino a che non sarai abbastanza abile da riuscire a replicarli senza il minimo sforzo.»
 
La vide mordersi le labbra impaziente, quindi con uno slancio del tutto inaspettato lo abbracciò ridendo. Ne fu un istante sorpreso, ma poi la strinse a sua volta, addolcendosi. 
 
«Vado subito a iniziare. Sono sul marciapiede di fronte all'entrata se ti servo» lo avvisò, fiondandosi all'ingresso. 
«Emilie!» la richiamò però lui, facendosi serio. 
 
La ragazza si voltò a guardarlo, attenta. 
 
«Sono incantesimi molto potenti» l'avvisò «Inizia dalla prima pagina e...» sorrise divertito «Prenditi il tempo che ti serve.»
 
Milly tornò a ridacchiare, annuendo. Poi gli lasciò un ultimo fugace bacio sulla guancia e corse via nei suoi stivali neri a punta, come una piccola streghetta ansiosa di cominciare a fare sul serio. 
Tremotino sorrise, scuotendo il capo. Avere un'allieva era sempre faticoso, ma stavolta immaginava che si sarebbe divertito, e ne avrebbe raccolto presto i frutti. 
 
\\\ 
 
Seduta a gambe incrociate sul marciapiede proprio di fronte alla porta d'ingresso, Emilie era china sul libro degli incantesimi intenta a studiare le formule quando la voce di Will Scarlett la riscosse. 
Alzò gli occhi e sorrise. 
 
«Sei già al lavoro?» le domandò con un sorriso. 
«Will. E tu hai finito il tuo?» chiese a sua volta, facendogli un occhiolino. 
 
Scarlett scosse divertito il capo, quindi tirò fuori da sotto il giubbotto di pelle un plico e glielo consegnò, assieme a un elegante portafoglio di pelle nera che teneva nella tasca del jeans. 
Emilie mise da parte il libro per un secondo e presi i documenti li studiò con attenzione. Un sogghigno colorò appena le sue labbra. 
 
«Finalmente...» mormorò trionfante. 
 
La casa dello Stregone era sua, ora. E a giudicare dal grosso mucchio di dollari che riempivano il suo portafogli, la cosa non poteva che migliorare. 
Sulla sua nuova carta d'identità la sua data di nascita coincideva con quella di Baelfire, fatta eccezione per l'anno. Ora anche per quel mondo era ufficialmente la ventiduenne figlia di Mr. Gold e di sua moglie, Belle French. 
Sorrise divertita pensando che, quando sarebbe arrivato il momento, avrebbe potuto definirsi la sorella maggiore di Gideon. Com'era buffo il tempo. 
 
«Hai avuto qualche difficoltà?» domandò tornando a guardarlo. 
 
Il fante di Cuori sprofondò le mani nelle tasche e scosse le spalle. 
 
«La maggior parte sono sparite quando hanno capito di chi eri figlia. Il sortilegio ha giovato molto a tuo padre, non solo nell'aspetto» replicò, strappandole un altro sogghigno orgoglioso «Ti serve altro?» 
 
Emilie increspò le labbra e alzò gli occhi, fingendo di pensarci un po' su. 
Poi annuì recuperando il libro degli incantesimi e rimettendosi a studiare. 
 
«Si, una lista di attici o appartamenti in centro città a New York. Al resto penso io» poi lo guardò scoccandogli un occhiolino «Ovviamente che siano degni della figlia di Mr. Gold.» 
 
Will Scarlett si corrucciò di nuovo. 
 
«Sei appena arrivata, a che ti serve un appartamento a New York?» 
 
Milly scosse le spalle. 
 
«Mi preparo a ogni evenienza.» replicò con nonchalance. 
«Mh» sorrise il Fante «Un piano di fuga pronto all'uso. Anche questo sembra degno di Mr. Gold» 
 
Ma alla ragazza non piacque quel riferimento al lato "conservatore" di suo padre. Si fece seria, abbassò il libro e nella mano libera evocò un globo di fuoco. 
 
«Prova a ripeterlo» lo minacciò. 
 
Will alzò le mani, indietreggiando. 
 
«Pessima battuta, ho capito. Vado a stilare quella lista» si congedò, lasciandola nuovamente sola con la sua magia «Ricordati di leggere quel biglietto!» le urlò mentre si allontanava. 
 
La giovane Gold si scurì per qualche istante, cercando d'imbrigliare i suoi pensieri prima che iniziassero a correre troppo. 
 
«Non ho tempo per questo, adesso» mormorò tra sé, tornando a concentrarsi sulle formule.  
 
***
 
 
Passato,
Una settimana e tre giorni dopo la scomparsa di Tremotino... 
 
Com'era prevedibile, le sue minacce di vendetta verso Uncino e sua figlia Alice avevano inquietato non poco non solo i diretti interessati ma anche coloro ai quali erano state riferite. 
Il giorno dopo, i fratelli Gold erano stati convocati al cospetto di Regina, ora sovrana dei reami uniti. 
Solo Gideon si era presentato, e aveva tentato di mediare. 
 
«Emilie era molto legata a papa, è normale che ora sia sconvolta. Lo eravate anche voi, Vostra Maestà, quando Biancaneve uccise Cora. Ma papa le ha fatto promettere di non rendere mai il suo cuore Oscuro, e lei tiene molto a questo accordo. Non farà niente di sciocco, potete credermi.»
 
Regina aveva sorriso, intenerita e comprensiva. 
 
«Capisco ciò che vuoi dire, Gideon. Ma ciò che è successo ha smosso gli animi, e il fatto che tua sorella non sia qui oggi è fonte di ulteriore preoccupazione.» gli aveva detto «Credo che la soluzione migliore per tutti sia che io venga a farvi visita di persona. So cosa si prova, e vostro padre è stato per me molto più di un semplice maestro. Cercherò di parlarle, poi vedrò di tranquillizzare gli altri.» aveva decretato.  
 
Gideon aveva avvertito un lungo brivido gelido lungo la schiena all'idea di assistere ancora una volta ad un'altra esplosione di rabbia della sorella, ma pensandoci bene decise che quella di Regina fosse la soluzione migliore per tutti, soprattutto per lei. 
Così il giorno successivo, a pomeriggio inoltrato, tornarono insieme a casa, trovando la diretta interessata seduta a gambe di fronte alla tomba di suo padre mentre la luce del tramonto le illuminava la schiena curva. 
Era dimagrita molto, e continuava a vestire di pelle nera. 
Almeno però, pensò amaramente suo fratello, era finalmente uscita dal suo antro. 
Regina sentì il cuore spezzarsi dolorosamente nel rivederla. L'ultima volta l'aveva vista combattere contro il Tremotino del Desiderio per liberare tutti loro dalla bolla di vetro in cui li aveva confinati e al contempo cercare di resistere al lato Oscuro verso cui il Coccodrillo aveva cercato di spingerla. 
Aveva vinto quella battaglia, ma la morte del suo amato padre stava rischiando di sconfiggerla definitivamente. Era solo questione di tempo, doveva agire in fretta, nel nome del sentimento che ancora la legava al suo Maestro. 
Fece un cenno a Gideon di lasciarle sole, e mentre questi rientrava in casa lei si avvicinò cautamente, osservando lo sguardo di sottecchi pieno di odio che la giovane le rivolse continuando a voltarle le spalle e a fingere di non essersi accorta di lei. 
 
«Emilie...» la chiamò, senza ricevere risposta. 
 
Semplicemente, la ragazza continuò a fissare la lapide in marmo nero su cui era posta la foto di suo padre e tutti i fiori che era riuscita a far crescere con l'energia magica residua. Non aveva più la forza neanche per un piccolo incantesimo, eppure continuava a respirare. 
All'inizio aveva deciso semplicemente di lasciarsi morire, tanto era stato il dolore provato. Ma l'incontro con Uncino e sua figlia le aveva ridato un motivo per farlo, qualcosa che Regina conosceva molto bene: la vendetta. 
Durante l'assenza di Gideon si era riscossa, aveva mangiato ciò che era riuscita a prepararsi e aveva provato a dormire, sognando di uccidere quel buono a nulla in tutti i modi possibili. 
Fino a che, proprio poche ore prima, suo padre non gli era riapparso in sogno, in entrambi le sue versioni. 
Quella del Desiderio, e quella che aveva cercato in tutti i modi di difendere. 
Il sogno era iniziato con lei sospesa nel vuoto, un vuoto scuro e viscido che le bisbigliava parole impronunciabili.  
Poi la voce del coccodrillo si era fatta sentire, la sua risata era riecheggiata nel silenzio attorno a lei come fosse la voce stessa dell'Oscurità dalla quale si era sentita avvolta. 
 
«Oh, povera cara.»
 
Infine, il Coccodrillo in carne e ossa era apparso di fronte a lei. Gli occhi grigi che sembravano volerla incantare, il ghigno sardonico. 
 
«Coraggio, non aver timore. Basta un solo passo per attraversare quel confine. L'Oscurità non vede l'ora di giocare con te. Vedrai, sarà divertente.»
 
Aveva stretto i pugni, digrignando i denti e sentendo quel richiamo riecheggiare forte dentro al suo cuore. 
Ma proprio quando stava per capitolare, la voce di suo padre si era fatta sentire. 
 
«Principessa...» aveva mormorato, scaldandole il cuore. 
 
Alle sue spalle una luce chiara e limpida. Si era voltata e lo aveva visto, lo stesso sguardo amorevole e i modi garbati. Gli era perfino sembrato di riuscire a percepire di nuovo il suo profumo. 
 
«Papa...» aveva sussurrato, in lacrime. 
 
Lui le aveva sorriso. 
 
«Emilie, ricordi cosa mi hai promesso?» le aveva detto, avvicinandosi e prendendole le mani «Il tuo cuore è puro, fa che lo rimanga.»
«Perché?» aveva singhiozzato addolorata lei «Perché te ne sei andato? Proprio quando potevamo riabbracciarci.»
 
Il Coccodrillo aveva ridacchiato, avvicinandosi a sua volta e lanciando uno sguardo schernitore al Tremotino di luce. 
 
«Già, lui se n'è andato. Evidentemente non ti amava così tanto come dice.» aveva insinuato, poggiandole una mano sulla spalla «Io invece avevo iniziato ad affezionarmi, sai? Avremmo potuto fare grandi cose se solo tu ti fossi lasciata andare un po'.»
 
La ragazza aveva chiuso per un istante gli occhi, singhiozzando. 
 
«Io non me ne sono mai andato, Principessa. Sono ancora qui, con te.» le aveva risposto tenero suo padre, accarezzandole la guancia. 
«Bah, sciocchezze!» aveva però replicato la Bestia «La verità è un'altra, ben più semplice, e lo sappiamo benissimo entrambi. Tu puoi avere il tuo lieto fine, ma solo l'Oscurità può dartelo. Gettati tra le sue braccia, coltiva la tua collera. Vedrai, dopo sarà tutto più semplice. Perfino il dolore che stai provando ora, lo sentirai svanire come una bolla di sapone.» 
 
L’aveva sentito di nuovo ridacchiare perfidamente.
 
«Solo perché sarai così persa che finirai per non ricordare neanche più cosa vuol dire provare dolore» lo aveva contraddetto suo padre «O qualsiasi altro tipo di sentimento. Vuoi davvero dimenticare com'è essere umani?» invitandola ad aprire gli occhi e a guardarlo. 
 
Lo aveva fatto. E in quell'istante non le era sembrato neanche più un sogno. Era stato... così vivido. Reale. 
Quella lotta era reale. Così come il dolore che aveva provato quando le aveva sfiorato la guancia, permettendole di riuscire per un istante solo ad avvertire di nuovo il calore famigliare della sua presenza. 
 
«Principessa, io so bene cosa si prova. E non voglio che lo sappia anche tu. Puoi scrivere il tuo futuro nel modo che preferisci, ma ricorda. Ricordati cosa mi hai promesso.» le aveva sorriso «Abbiamo un accordo io e te, no? Non cedere mai all'Oscurità, qualsiasi sia la forma da essa assunta. Perfino...» 
«Nel caso in cui dovessi essere tu stesso a chiedermelo.» aveva allora ricordato Emilie, tornando a sorridergli tra le lacrime. 
 
Lo sguardo fiero di suo padre era stata l'ultima cosa che aveva visto. Poi tutto aveva iniziato a svanire, e lei a svegliarsi, lentamente, come se non riuscisse a staccarsi da quella dimensione. 
All'improvviso tutto il buio di cui si era circondata le aveva fatto paura.
Si era alzata in piedi, barcollando aveva raggiunto la finestra e l’aveva spalancata per poi correre fuori e urlare, con tutto il fiato che aveva in corpo, verso il cielo azzurro. 
Successivamente era caduta in ginocchio e aveva pianto tutte le sue lacrime distesa sulla tomba di suo padre, come quando da piccola dopo aver fatto un incubo correva a dormire abbracciata stretta a lui. 
Era rimasta lì a lungo, fino a che per la prima volta da che la tragedia l'aveva colpita non si era resa conto di avere ancora un corpo da nutrire e soddisfare. 
Aveva cucinato un pasto frugale e lo aveva consumato seduta davanti a quella lapide. 
Quando Regina arrivò, trovò ancora di fronte a lei il piatto vuoto e il bicchiere mezzo pieno d'acqua. 
Sorrise contenta, sedendole accanto e accorgendosi per la prima volta di quanto fosse davvero distrutta. 
Non c'era più rabbia sul suo sguardo, solo tanta tristezza, e una stanchezza infinita. 
 
«Cosa siete venuta a fare qui, Vostra Maestà?» le domandò, ma il suo sarcasmo non riuscì a ferirla. 
 
Non era più abbastanza irosa da renderlo così tagliente. 
 
«Immagino vogliate porgermi anche voi le vostre più sentite condoglianze.» aggiunse, strappando un filo d'erba e giocando ad arricciarselo attorno alle dita. 
 
Regina sorrise. 
 
«In realtà, volevo solo rivedere un vecchio amico.» rispose. 
 
Emilie sorrise amara. 
 
«Siete arrivata tardi, allora. Lui non è più qui...» concluse, reprimendo a fatica una smorfia di dolore. 
 
Regina la vide combattere strenuamente contro le lacrime che premevano contro le sue palpebre, tirando così forte i due capi del filo d'erba da riuscire a spezzarlo infine. 
La giovane chiuse gli occhi, sospirò profondamente, quindi aggiunse, schiarendosi la voce. 
 
«Immagino che il Capitano e sua figlia siano venuti a piangere da te. Altrimenti non saresti qui.» sogghignò, tornando finalmente a guardarla «Hai paura che mi trasformi nella prossima cattiva della storia e vuoi tentare di convincermi a non farlo?»
 
Regina sorrise divertita. 
 
«Forse» le rispose «Ma conoscevo bene Tremotino, e se hai preso da lui sarà molto difficile per me portare a termine questa missione.»
 
Sorrisero insieme. 
 
«Prova a mandarmi contro uno di quei patetici manichini degli eroi. Magari loro ci riusciranno.» le suggerì sagace Emilie. 
 
Regina sembrò pensarci su, corrucciandosi. 
 
«Si, ma chi? Biancaneve e il Principe Azzurro potrebbero avere una chance con il loro amore perfetto e i loro discorsi sulla speranza.»
 
Milly fece una smorfia disgustata. 
 
«Diabete o noia. Sono entrambi un buon tentativo di uccidermi, a meno che io non perda prima la pazienza.» replicò. 
«Oh, questa è un'altra delle cose che sanno fare molto bene.»
 
Ridacchiarono di nuovo, divertite. 
Nel sentirle, da dentro casa Gideon si affacciò alla finestra e le osservò stupito e sollevato. 
Aveva trovato le pentole ancora sporche, e tirato un primo sospiro di sollievo. 
Ora gli venne quasi da piangere per il sollievo che provò. 
Guardò il ritratto dei suoi genitori sul camino e sorrise. 
 
«Grazie Papa.» mormorò, tornando poi a guardare le due donne intente a conversare.  
«Temo allora che dovrò disturbare di nuovo la Salvatrice.» seguitò Regina, e al ricordo di Emma Swan e della pargoletta da lei nata, Emilie s'intristì di nuovo. 
 
Regina parve capirlo. 
 
«Emilie, ascolta...» iniziò 
«Lascia stare Regina, non ho bisogno anche della tua ramanzina. Ho già Gideon per questo.» la bloccò la ragazza, sospirando annoiata. 
«Non è una ramanzina. Sono solo preoccupata.» precisò la sovrana. 
 
Emilie ridacchiò brevemente, imitando il Coccodrillo. 
 
«Oh, ti ringrazio. Papà, hai sentito? Lei si preoccupa per me.» disse parlando alla foto sulla lapide. 
 
Poi però si scurì, rivolgendole un lungo sguardo serio. 
 
«Perché ti stai preoccupando per me, giusto? O forse ti preoccupi che possa gettare il tuo Regno nel caos?» 
 
Era una provocazione, ma non solo. Regina sapeva del suo addestramento, sapeva che era rimasta dal Tremotino del Desiderio mentre loro erano a Hyperion Heights. 
Cosa vedeva nei suoi occhi? Credeva davvero che lei potesse appartenere al lato Oscuro, o nutriva come suo padre la speranza che potesse scegliere la sua strada e diventare ciò che voleva? 
Sembrava una risposta insignificante, ma le sarebbe servita a capire in che tipo di mondo avrebbe accettato di vivere. 
Se anche Regina si fosse rivelata una patetica qualunquista, vittima della filosofia spicciola degli eroi che nonostante la morte da eroe di Tremotino continuavano a pensare che il mondo fosse diviso in buoni e cattivi, allora lei non avrebbe voluto restare un attimo di più. 
Invece Regina sorrise, inclinando intenerita il capo. 
 
«Non ti ho vista nascere, Emilie.» replicò «Ma a Hyperion Heights, dal momento del suo risveglio, tuo padre non ha mai smesso di cercarti. Era convinto che tu avessi un grande potenziale, e che saresti riuscita a usare il tuo dono per qualcosa di giusto. Voglio solo aiutarti a scegliere bene la tua strada, senza commettere sciocchezze.»
 
Emilie si corrucciò. 
 
«Sciocchezze? Tipo?» la incalzò. 
 
All'improvviso, forse accortasi da aver fatto un passo falso, Mills tacque di colpo. 
 
«Beh...» provò a replicare, ma Emilie la interruppe di nuovo, ridendo. 
«Oh, adesso ho capito.» fece alzandosi «Tu non mi reputi all'altezza di papa. Vero?» 
 
La vide sgranare gli occhi. 
 
«Non stavo dicendo questo, ma...» 
«Hai paura» l'accusò «Nonostante siano passati anni ormai, sei rimasta quella streghetta vanitosa che eri, convinta che nessuno possa essere potente quanto te. E ora, esattamente come facesti con Biancaneve, o con mia madre spingendola contro papà, ti senti in dovere di ricordarmi che io sono ancora giovane, ingenua e debole. Beh, Regina. Ti svelo un segreto: Sono cresciuta, e so quale sarà la mia strada. Posso farcela anche senza il tuo prezioso aiuto.» concluse con un sorriso fiero.  
 
Dopo un primo momento di totale stupore, la Sovrana sembrò arrendersi. Sospirò profondamente, quindi annuì e replicò. 
 
«Va bene, Emilie. Scusami.» ribadì, cercando d'ignorare la rabbia per quelle accuse infondate «Permettimi solo... di offrirti il mio aiuto. Qualsiasi cosa ti serva, in qualsiasi momento tu ne abbia bisogno, sappi solo che la porta del mio castello è aperta... sia per te che per tuo fratello.»
«Oh, grazie Vostra Altezza per tutta questa magnanimità!» le rispose lei sarcastica, genuflettendosi alla maniera del Signore Oscuro e lanciandole poi un ultimo sguardo divertito prima di rientrare «E non preoccupatevi, il piccolo mondo sulla quale ora sedete sovrana non subirà alcuna minaccia dalla temibile Figlia di Tremotino.» 
 
"Mi limiterò solo a dare una lezione al pirata e alla sua patetica pesciolina".  
Ridacchiò, afferrando la maniglia e aprendo la porta. 
 
«Fammi un thè, Gideon.» esclamò «Ho del materiale da studiare, sarà una cosa lunga.»
 
Lasciando i due a squadrarsi attoniti e anche un po' contrariati e ridacchiando fra sé.  
 
«Amo il sarcasmo. È come prendere a pugni in faccia la gente, ma con le parole. Lo devo fare più spesso.» 


 
 
***
 
Presente,
Storybrooke
 
Henry corse più che poteva per raggiungere il più velocemente possibile la casa di sua madre, il Sindaco Regina Mills. 
Superò il vialetto lastricato e bussò, riprendendo fiato mentre aspettava. 
La prima cosa che aveva fatto non appena si era accorto di quell'enorme intoppo nel loro piano era stata raggiungere il municipio, ma la donna non c'era, quindi aveva ripiegato su quella seconda opzione sperando fosse quella giusta. 
Con suo grande sollievo udì i passi della donna e poco dopo l'uscio si dischiuse. 
Sulla soglia Regina, ancora in tailleur nero da lavoro, gli rivolse un sorriso, contenta di vederlo, ma poi si preoccupò del suo aspetto stanco. 
 
«Henry... che succede?» domandò, invitandolo con un gesto a entrare. 
«È per l'Operazione Mangusta» le spiegò «Credo di aver scoperto qualcosa, ma quando sono andato a controllare ho incontrato un problema.»
 
Regina lo fissò in ansiosa aspettazione. Le cose tra lei e Robin continuavano ad andare bene, visto che in quel tempo modificato dall'opera di Emilie il varco temporale non era mai stato aperto e Marian non era mai potuta tornare da lui, ma come residuo di ciò che avrebbe potuto essere era rimasto in lei quel senso di angoscia che l'aveva spinta a chiedere aiuto a suo figlio, dopo il ritrovamento da parte di Robin della pagina che li vedeva insieme, nell'attimo del loro primo bacio. 
Tutti i progressi fatti, anche se pochi, ora erano minacciati dall'arrivo inaspettato di quella giovane donna che sembrava saperne più di quanto volesse far credere. Per questo aveva voluto far visita al suo Maestro, per capire quanto sapesse e quali fossero le sue intenzioni. Aveva appreso che Gold era per il momento all'oscuro di tutto, ma che sua figlia aveva fatto breccia nel suo cuore e presto o tardi sarebbe diventata un problema. Stava riflettendo su come agire, quando Henry era arrivato a dargli una pessima notizia. 
 
«Ha comprato la casa dello Stregone e l'ha protetta con un incantesimo. Ho provato a cercare dal nonno, ma lei sorveglia il negozio. Ci ha battuti sul tempo, credo.» disse rammaricato. 
 
Regina si diede un istante per respirare, chiudendo gli occhi mentre cercava di reprimere un impeto di rabbia. Perché era così difficile quell'impresa? Era davvero così sgradito al destino che lei avesse finalmente il suo lieto fine. Ripensò a ciò che Robin le aveva detto la sera prima, quando lei gli aveva rivelato il suo intento. 
 
«Lo sai che ti appoggerò, Regina. Ma non possiamo semplicemente pensare... a goderci il momento? Non può essere che stavolta il destino sia d'accordo con te?»
«Vorrei davvero crederlo.» era stata la sua risposta «Ma anche se ora siamo felici, rimane il fatto che... i cattivi non hanno mai un lieto fine. È quel libro a deciderlo, e solo il suo Autore può cambiare le cose. Io devo saperne di più.»
 
Era diventata un'ossessione ormai, esattamente come la vendetta lo era stata per la Regina Cattiva. Non poteva saperlo, ma questo non poteva che far piacere alla sua nuova rivale, la giovane Emilie Gold, che aveva giurato alla Regina di quel futuro ormai irrimediabilmente cambiato di darle in pasto po' dell'angoscia da lei provata.   
Faceva tutto parte del piano, anche la scelta dell'epoca in cui rimanere. Ogni mossa era stata pensata con cura e presto, molto presto, tutti gli artefici e i complici del dolore e della morte di suo padre avrebbero pagato a caro prezzo l'averla sottovalutata. 
Nel frattempo però, sia la vecchia apprendista di Tremotino che il pirata mano mozza ne stavano ricevendo un piccolo assaggio, che al momento sembrava non piacere affatto a nessuno dei due. 
Regina tornò a sorridere rassicurante. 
 
«Non fa niente, Henry.» replicò, abbracciandolo «Troveremo un altro modo, vedrai. Dobbiamo solo... prenderci qualche momento in più per pensarci.» sospirò. 
 
Come se il tempo trascorso fino a quel momento non fosse abbastanza. 
Henry sorrise. 
 
«Ci riusciremo, mamma.» replicò tornando ad abbracciarla «Tu e Robin avrete il vostro lieto fine, ne sono sicuro.»
 
"Si, lo avremo." pensò tra se Regina, determinata a venirne a capo "Dovesse essere l'ultima cosa che faccio in vita mia." 
 
\\\
 
La porta della grande villa si spalancò e la sagoma nera e snella della nuova proprietaria si fece largo nell'ingresso avvolta dall'Oscurità. 
Avanzò sicura sui suoi tacchi, a ogni passo il loro ticchettio rimbombava tra le pareti. 
Con uno schiocco delle dita accese le luci, rivelando il suo sogghigno eccitato, nel frattempo salì le scale fino a raggiungere lo studio al piano di sopra. 
Una volta lì raggiunse a grandi falcate la scrivania e allungò sicura la mano verso il primo cassetto, traendone fuori una piccola chiave dorata. 
Il sogghigno si accentuò, trasformandosi in una smorfia perfida. 
Se la rigirò tra le mani, incredula ed eccitata, lasciandosi sfuggire una risatina. 
 
«E adesso, Autore, si fa come dico io» mormorò famelica -Quell'inutile pirata si pentirà amaramente di aver lasciato che mio padre prendesse il suo posto, e con lui tutti i suoi noiosi amichetti eroi. La figlia di Tremotino è arrivata in città.» ridacchiò «Allora Regina, chi è la sciocca adesso?» 
 
\\\ 
 
Poco dopo... 
 
Faceva freddo, quella sera, e un'algida luna brillava in cielo più vicina che mai. L'anticiclone tropicale che aveva caratterizzato Storybrooke negli ultimi giorni stava lentamente lasciando il posto ad una perturbazione proveniente da nord, e a riprova di questo l'aria sapeva già un po' di pioggia e il vento sospingeva nel cielo le prime nuvole, per ora solo rapide velature sulla superficie lunare. 
Solo in mezzo al buio, Ewan stringeva tra le mani la punta spezzata di una freccia, legata ad una corda per arco e posta attorno al suo collo a mo’ di collana. 
Era lì ad aspettare la sua proprietaria da un pezzo ormai, talmente tanto da aver perso le speranze. 
Sospirò, e si voltò facendo per andarsene quando una voce lo chiamò per nome. 
Voce di giovane donna, fin troppo famigliare. 
Si voltò e la vide, stretta nel suo mantello nero, esattamente come la ricordava. 
Non era invecchiata di un giorno, mentre lui... lui aveva il viso segnato da indelebili rughe, una per ogni anno in cui l'aveva attesa con pazienza. 
E mentre la osservava, gli sembrò quasi di vedere quella sorpresa, la delusione nei suoi occhi grigi mentre cercava di ritrovare in quell'uomo il ragazzo di cui s'era innamorata. 
 
«Emilie...» mormorò «Sono io. Ewan...»
 
Fece qualche passo in avanti verso di lei, la vide esitare. Poi però lasciò scivolare a terra il mantello e con le lacrime agli occhi lo baciò sulle labbra, prendendo tra le mani i suoi zigomi irsuti e stringendolo forte, come se avesse paura di vederlo scomparire di nuovo, e stavolta per sempre.  
Commosso e affrancato, le avvolse i fianchi le mani e la strinse a sua volta, notando con sollievo che neanche la sua anima era mutata. 
 
«Credevo che non volessi più vedermi.» sussurrò riprendendo fiato, nel breve istante in cui le loro labbra riuscirono a staccarsi. 
 
La ragazza sorrise. 
 
«Non volevo venire, in effetti» rivelò con un risolino imbarazzato «Temevo che tu mi avessi dimenticata. Che mi odiassi ancora.» ammise.  
 
Abbassando il capo imbarazzata si aprì in un sorriso timido, e lo fece anche lui scuotendo il capo.  
 
«Ma poi ho pensato...» aggiunse, senza lasciargli spazio per replicare «Che non può esserci un lieto fine per me, senza di te.»
 
Ewan seguitò a sorridere, e in un impeto di passione tornò a baciarla, mordendo le sue labbra. 
Le loro mani corsero a sfiorarsi a vicenda, increduli e felici di poterlo fare di nuovo. 
 
«Dimmi che sei venuta per restare.» supplicò lui. 
 
Emilie tornò a ridacchiare, scuotendo il capo. 
 
«Stavolta si, Ewan» rispose «Stavolta... nulla potrà più separarmi da ciò che amo.» 
 
\\\ 
 
Parlarono a lungo, passeggiando tenendosi per mano fino a giungere alla collina ove lei aveva edificato la sua piccola magione temporanea. Erano molte le cose che avrebbe dovuto dirgli.  
Iniziò mostrandogli il diario che aveva scritto per mostrare a suo padre il viaggio che l'aveva condotta fino a lui. 
Frammenti inediti della sua vita, riflessioni e disegni dei momenti più importanti per lei. 
Era brava a disegnare. Ewan sfiorò quelle pagine con la punta delle dita, cautamente e lentamente, come se temesse di risultare invadente, e l'ascoltò narrare con attenzione, stregato da ogni sua parola. 
Alla fine sorrise, ammirandola. 
 
«Lo sapevo che ce l'avresti fatta.» le disse, riconsegnandole il diario. 
 
La giovane Gold lo strinse al petto, come il più prezioso dei suoi cimeli. 
 
«Non ho ancora finito» replicò, facendosi pensierosa «Ci sono ancora ... così tanti ostacoli da superare» 
 
Le prese la mano e la strinse forte, sorridendole. 
 
«Li supererai» la incoraggiò «Ora non sei più da sola.»
 
Quelle parole... la riscossero. Guardò il suo amato, i segni del tempo su di lui, il lungo cappotto blu notte a coprirne il corpo e le cicatrici di mille battaglie... inclusa quella in cui l'aveva salvata. 
L'occhio di Cronos... non sarebbe mai stata capace di farcela senza il suo sostegno. E lei per ringraziarlo cosa aveva fatto? Era solo stata capace di scappare. 
Prima che riuscisse a evitarselo, una lacrima scivolò lungo la sua guancia, brillando alla luce fioca del camino. 
 
«Emilie...» la richiamò lui, osservandola preoccupato. 
 
La giovane chiuse gli occhi, riprendendo fiato. Quindi alzò una mano, e con uno schiocco di dita trasportò entrambi nella sua nuova casa, al centro della lussuosa stanza da letto occupata da un meraviglioso baldacchino dalle lenzuola color turchese. 
Tornò a guardare il suo amato e la sua espressione stupita e confusa. Gli sorrise, e gettandosi tra le sue braccia ricominciò a baciarlo, prendendogli le mani. 
Ewan si lasciò coinvolgere, e sorrise quando, lasciandogli il tempo di un respiro, Emilie domandò implorante. 
 
«Per favore, danza con me stanotte. Ne ho bisogno... ho bisogno di noi, stasera. Solo di noi.»
 
L'arciere sorrise, carezzandole i capelli e le guance morbide. 
E sentendola abbandonarsi tra le sue braccia ricominciò a baciarla, muovendo i primi passi e conducendola sulle note di un valzer il cui ritmo era scandito dai battiti dei loro cuori. Più ardenti che mai quella sera.  


Ewan al presente
 
***
 
Il giorno dopo... 
 
Erano tantissime le notti che Emilie aveva trascorso a dormire. Ormai aveva imparato a farlo praticamente dovunque, ed era da molto tempo che aveva rinunciato al conforto di un abbraccio, anche semplicemente quello di un soffice orsetto di peluche o di un cuscino di lana di pecora. 
Era diventata grande, e aveva finito per abituarsi al buio e alla solitudine, trovandoli in qualche modo confortanti. 
Le sembrò strano perciò quella bella mattina di sole svegliarsi riscaldata dal corpo del suo amore, un uomo ora, bello e forte, che per tutta la notte l'aveva amata e le aveva regalato emozioni indescrivibili, alle quali da troppo tempo aveva rinunciato. 
La testa sul suo petto forte da arciere, le mani ad accarezzarne la pelle tonica e liscia, Emilie chiuse gli occhi e tornò ad ascoltare il battito di quel cuore, ricordando la passione della notte appena trascorsa e sentendo ogni fibra dei suoi muscoli distendersi. 
Una tenera carezza si posò sui suoi capelli. 
Alzò lo sguardo e lo vide sorriderle. Si tirò su, verso le sue labbra, per coinvolgerlo in un morbido bacio. 
Ewan la strinse forte, sorridendo e chiudendo gli occhi. 
Proprio in quel momento la sveglia del telefono cellulare di Emilie le ricordò il suo quotidiano appuntamento con la magia. 
 
«Devo andare. Papa mi aspetta.» si scusò, dopo averla spenta. 
 
L'arciere sorrise. 
 
«Certe cose non cambiano mai» replicò, strappandole un sorriso divertito ma aggiungendo poi, mentre la guardava rivestirsi «Sarà sempre così, tra noi due? Sarai sempre divisa tra l'amore per la tua famiglia e quello per me?»
 
Emilie s'intristì, inclinando di lato il capo. Lasciò ricadere a terra gli stivali a punta e con indossò solo i pantaloni di pelle di serpente strisciò nuovamente al suo fianco sulle ginocchia, fino a riuscire di nuovo a guardarlo negli occhi. 
 
«No» replicò «Perché il mio cuore non è affatto diviso. Voi, tutti voi, siete la mia famiglia, il mio mondo. E lo sarete fino a che avrò fiato per respirare. Voglio proteggervi.» 
 
Sorrise, negli occhi grigi una luce irresistibile che spinse l'uomo ad afferrarle la nuca e trascinarla nuovamente in un bacio selvaggio e appassionato, che si concluse con un cambio di guardia e lui nuovamente sopra la figura piccola e sensuale di lei. 
La sentì ridacchiare. 
 
«Ti sono mancata davvero tanto, eh?» lo schernì. 
 
Lui le lanciò un lungo sorriso famelico, scoccandole un occhiolino. 
 
«Ti servirà da lezione, per la prossima volta che partirai.» la provocò.  
 
Di nuovo, lei ridacchiò 
 
«Sei sicuro?» minacciò «Visto che ti fa questo effetto, potrei anche decidere di andar via per un tempo ancora più lungo.»
 
L'arciere ridacchiò a sua volta, ammiccando. 
 
«Prima però dovrai riuscire a sfuggirmi. E non sarà altrettanto facile stavolta, streghetta.»
 
\\\ 
 
Le tentazioni più belle sono di solito anche quelle più insidiose e irresistibili.
Lo sapeva bene Tremotino, e lo aveva imparato molto bene anche sua figlia, che nonostante la sveglia seguitasse a suonare e l'orologio a correre all'impazzata, decise di ignorarlo volutamente e concedere qualche altro istante alla sua insaziabile sete di amore. 
La solitudine aveva lasciato in lei voragini che a ogni bacio sembravano empirsi, e un freddo gelido fin dentro le ossa che solo i sospiri caldi del suo uomo sembravano riuscire a sciogliere. 
Subito dopo, lei fece una doccia veloce mentre lui le preparava la colazione, pancake e thè caldo, che consumarono nella sontuosa sala da pranzo della villa. 
 
«È bello questo posto.» osservò lui, affascinato, bevendo il suo caffè fumante.  
«È la villa in cui i miei hanno passato il loro viaggio di nozze.» gli spiegò, e lo vide sgranare gli occhi per poi ridacchiare divertito. 
«Quindi quello che è appena successo era un altro tuffo nel passato?» domandò, sogghignando. 
 
Emilie tornò a esibirsi nell'inconfondibile risatina che l'accomunava a suo padre.  
 
«In un certo senso.» replicò. 
 
Un attimo di buon umore che però durò poco. tornò
 
-Quando dicevo che fai parte della mia famiglia non scherzavo.- soggiunse lei in tono grave, tornando a farsi dolcemente seria e allungando una mano a sfiorare la sua. 
 
Ewan le strinse le dita tra le sue, portandosele alle labbra e sfiorandole appena con un bacio. 
 
«Lo so.»
«Sin dal primo istante in cui hai cercato di aiutarmi ho capito che eri il mio vero amore, ma accettarlo non è stato facile.» seguitò allora la giovane Gold, come un fiume in piena, prendendo lunghi respiri per non ritrovarsi senza fiato alla fine. 
 
Ewan la scrutò con dolcezza, ascoltando in silenzio quello sfogo e illuminandosi quando la sentì dire. 
 
«Io vorrei davvero un lieto fine con te. Ma ho paura per quello che potrebbe accadere. Ho sacrificato... tutto per regalare un attimo di felicità a mio padre. E non ho ancora pagato il prezzo di tutta la magia che ho utilizzato.»
 
Aveva gli occhi lucidi, il volto da bambina in fiamme. 
Una lacrima restò intrappolata tra le sue lunghe ciglia, con un indice Ewan gliela asciugò carezzandola dolcemente e restituendole un sorriso. 
 
«Neanche io scherzavo quando ho detto che non sei più da sola» soggiunse «Se c'è un prezzo da pagare, lo pagheremo insieme. Qualunque esso sia» le promise «Il mio lieto fine è la tua felicità.»
 
Si abbracciarono, e all'improvviso Emilie scoppiò in un pianto dirotto, in cui sentì di poter lasciar andare una volta per tutte la tensione e la tristezza residua. 
Era bello non essere più soli. 
Lo sarebbe stato ancor di più alla fine delle sue fatiche, quando tutti gli sforzi fatti avrebbero dato i loro meravigliosi frutti. 
 
\\\ 
 
Quando arrivarono insieme al negozio di Mr. Gold, trovarono lui e la sua consorte intenti in un'amabile conversazione. 
Nel vederli entrare mano nella mano, Belle si aprì in un sorriso emozionato. 
Anche Rumplestiltskin sorrise, cercando però di non sembrare troppo fiero di lei. 
Alla fine, proprio come aveva detto sua moglie, il vero amore aveva trovato la strada di casa anche per Emilie e il suo arciere. 
Certo, il fatto che fosse un membro della combriccola di Robin Hood non era molto rassicurante, ma nel vederla così radiosa ogni altro dubbio sparì. 
Quel ragazzo era sincero e onesto, sarebbe andato bene. 
 
«Buongiorno, papa. Buongiorno mami!» li salutò gioiosa lei «Ho fatto tardi, lo so. Ma è stato per una buona causa.» annunciò, guardando innamorata il suo compagno. 
 
Ewan accennò a un inchino rispettoso, salutando con un sorriso sincero entrambi ma continuando a mantenere la testa bassa in segno di rispetto di fronte al Signore Oscuro, che lo scrutava con attenzione in silenzio. 
 
«Buongiorno!» l'accolse cordiale Belle, ammiccante «Tu devi essere Ewan.» aggiunse squadrandolo con approvazione
 
Il giovane uomo annuì, ma Emilie sgranò gli occhi, guardando suo padre e il suo sorriso appena accennato. Tutto gli fu chiaro in un attimo. 
 
«Ti ricordi di lui, papa?» chiese. 
 
Tremotino annuì serioso. 
 
«Certo che si» disse «Un uomo disposto a scambiare un prezioso amuleto per la vita della donna che ama non si dimentica facilmente» poi indicò il ciondolo che portava al collo «Vedo che lo hai recuperato.»
 
L'arciere strinse tra le mani l'amuleto, facendo per scusarsi, ma Emilie lo prevenne. 
 
«Sono stata io a ridarglielo» spiegò «Mi ha aiutato a recuperare l'amuleto, era il minimo che potessi fare per ringraziarlo.»
 
Belle li guardò stringersi e nei suoi occhi brillò la gioia e l'orgoglio di madre. 
Annuì, sorridendo fiera. 
 
«Penso di sapere da chi lo hai imparato.» rispose invece Tremotino, lanciando un sorriso divertito a sua moglie, che arrossì emozionata. 
 
Emilie ridacchiò. 
 
«Vostra figlia è molto importante per me, Mr. Gold. Farò qualsiasi cosa per renderla felice.» promise deciso. 
 
Ma il Signore Oscuro sorrise, guardando la sua bambina e replicando saggiamente. 
 
«Non limitarti a giurarlo, ragazzo. Fallo e basta.»
 
L'arciere annuì, tornando ad accennare un altro inchino, mentre Emilie si apriva in un sorriso emozionato e grato. 
 
«A proposito …» soggiunse, con uno strano tono di voce, lanciando un'occhiata complice e suo padre «Stasera mi piacerebbe avervi a cena nella mia nuova casa. Ci siete già stati, no?» sorrise «Non sarà difficile trovarla.»
«Ne saremo felici, vero?» accettò sua madre, legandosi al braccio del Signore Oscuro che annuì sciogliendosi un po' e lanciando una rapida occhiata affermativa a sua figlia. 
 
Non ebbero neanche bisogno di parlarsi, bastò uno sguardo, un semplice scambio di occhiate. 
Quella sera nella villa dello Stregone una sontuosa cena venne servita, grazie a un catering di lusso e un po' di magia per gli addobbi. 
Belle fu entusiasta di avere un'altra occasione per visitare quel posto e danzare ancora una volta con la sua Bestia sulle note della loro canzone. Inoltre, Emilie volle che anche Ewan restasse, così che avesse modo di conoscere meglio i suoi, ma non solo. 
A metà serata, quando gli stomaci erano pieni e i piedi stanchi di ballare, lei e suo padre si defilarono con una scusa lasciando i rispettivi veri amori a chiacchierare tra di loro. 
Raggiunsero il piccolo studio in cui Emilie aveva trovato la chiave per la prigione dell'Autore, e una volta lì la ragazza gliela mostrò, spiegando seria. 
 
«Sapevo dai racconti del te stesso del futuro di trovarla qui. Ma non è tutto.»
 
Appoggiò una mano su una delle due lampade da muro e la spinse in basso, facendo scattare il meccanismo che rivelò lo studio segreto dell'Autore. 
Tremotino avanzò cauto e meravigliato in mezzo agli scaffali pieni libri identici a quello di Henry in cui erano narrate le loro storie. 
 
«So che l'Autore che Regina sta cercando ha il potere di riscrivere la storia, e donare un lieto fine anche ai cattivi.»
 
Gli occhi di Rumplestiltskin brillarono tornando a posarsi sulla sua giovane figlia, che gli rivolse un sogghigno complice. 
 
«E so...» continuò «Che la sua prigione è in una delle pagine del libro da lui scritto. Ma qui non c'era nulla... se non questo...»
 
Raggiunse la scrivania davanti a loro, e aprì a metà il libro di favole che vi era posato, invitando suo padre ad avvicinarsi. 
Ovviamente lo fece, e sfogliandolo con attenzione osservò con ancora più stupore le illustrazioni raffiguranti quel sé stesso dal futuro e sua figlia, dapprima solo una bambina, poi ragazza alla ricerca del loro finale perfetto.  
Era la sua storia. Quella di Emilie. 
E com'era ovvio che fosse non era ancora completa. 
L'ultima pagina quasi a metà del libro ospitava un illustrazione che lo fece rabbrividire. 
Era proprio l'esatta riproduzione di quel momento, lei che gli mostrava la stanza e lui che sfogliava attonito il libro. 
Questo poteva significare una sola cosa: ci era riuscita. Aveva riscritto la storia, ma non ancora il finale. 
Tornò a guardarla, e la vide sorridergli. 
 
«Noi due, insieme, possiamo riscrivere il futuro. Possiamo farlo davvero, stavolta. Anzi possiamo renderlo anche migliore.»
 
Il Signore Oscuro sorrise. 
 
«E il tuo tempo? Non hai paura di... scomparire? O cambiare?» domandò «Che ne sarà di tuo fratello, di Gideon?»
 
Lei sorrise, avvicinandosi e avvolgendogli le braccia attorno al collo. 
 
«Noi staremo bene, papa. Se tu e la mamma continuerete a vivere e ad amarvi, noi saremo tutti... felici e contenti per sempre.»
 
Ma il Signore Oscuro soggiunse, abbracciandola a sua volta. 
 
«Solo i Signori Oscuri vivono per sempre, Emilie. Lo sai ...»
 
Senza farsi scoraggiare, lei gli sorrise e replicò, addolcendosi. 
 
«Lo so. È per questo che avrò bisogno del tuo aiuto. Dovrai essere tu a ... tenere unita la nostra famiglia.» 
«E la mamma?» chiese ancora l'uomo «Lo sai cosa pensa della magia oscura.»
 
Emilie scosse le spalle. 
 
«Riuscirai a farle cambiare idea» soggiunse fiduciosa «Ti aiuterò. O non avrebbe senso tutto ciò che ho fatto fino a oggi.»
 
Sul volto del Signore Oscuro apparve un sorriso fiero, come anche su quello della sua bambina. L'abbracciò, chiudendo gli occhi lei gli si strinse sentendo la felicità esploderle nel cuore. 
Quel profumo... quel denso profumo che solo lui portava... odore di magia e casa... stavolta non avrebbe mai dovuto rinunciarvi. 
E se alla fine di tutto non fosse comunque riuscita a cambiare le cose, allora si sarebbe realmente arresa alla morte. 
 
***
 
Passato, 
Londra, anni 20 
 
La piccola dai lunghi capelli biondi correva a perdifiato attraverso l'immenso giardino della tenuta, stringendo forte i pugni e col cuore che batteva all'impazzata in gola. 
Dietro di lei, i latrati dei cani di facevano sempre più vicini rendendo i suoi passi sempre meno stabili. 
Un ramo sconnesso, e lei cadde rovinosamente a terra, sbucciandosi il ginocchio e macchiano la pregiata seta azzurra del vestitino che indossava di sangue e terra. 
Si rialzò immediatamente, barcollando, ma ormai era troppo tardi. 
I due dalmata di sua madre la raggiunsero ringhiando spaventosamente e paralizzandola con la paura. 
Pochi istanti dopo, sua madre spuntò da dietro un angolo, e stava per proferire la sua solita sequela di minacce quando tutto si fermò, letteralmente. 
I cani smisero di latrare, pur rimanendo in posizione di attacco, e le parole rimasero intrappolate a mezz'aria nella bocca della donna, che restò immobile come una statua. 
Confusa, la ragazzina si guardò intorno, e vide che anche il resto del tempo attorno a lei era stato congelato. 
Il volo degli uccelli in cielo, il soffio del vento tra gli alberi. Solo lei sembrava non essere stata colpita da quella misteriosa, così pensò bene di sfruttare il vantaggio e provare nuovamente a fuggire, ma una voce la bloccò. 
 
«Ciao Cruella.»
 
Proveniva da sua madre, ma non era stata lei a parlare. Da dietro la sua sagoma, una ragazza vestita di pelle nera con un paio di lunghi stivali a punta in pelle di serpente si fece avanti e le sorrise, teneramente. 
I suoi occhi grigi la scrutarono con uno strano, inquietante bagliore vivo. 
Ebbe la tentazione di scappare, ma poi... l'oscurità che era in lei la chiamò, attirandola come una calamita. 
 
«Sei stata tu a fare questo?» domandò. 
 
La giovane sconosciuta sogghignò. 
 
«Incredibile, vero?» le rispose. 
 
Sul volto dolce della piccola si dipinse un sogghigno malefico. 
 
«Come hai fatto?» domandò, avvicinandosi ad uno dei cani senza più paura e sfiorandogli famelica i denti aguzzi. 
«Oh, è semplice. Ho usato la magia» le spiegò la sconosciuta, attirando ancora una volta la sua attenzione «Ti stupirebbe sapere quante cose si possono fare con la magia» concluse, scoccandole un loquace occhiolino. 
 
Cruella sorrise di nuovo. 
 
«Insegnami» replicò affascinata. 
 
Ma la sconosciuta ridacchiò, con una risatina tanto inquietante quanto buffa. 
 
«Tempo al tempo, piccolina» le disse, chinandosi sulle ginocchia, fino a raggiungere la sua altezza «Avrai la tua occasione, quando incontrerai un uomo chiamato Isaac» le spiegò «Se saprai sfruttarla, anche tu avrai in dono la magia, e potrai fare grandi cose. Potrò aiutarti, quando sarà arrivato il momento» le promise «Per quanto ti possa sembrare assurdo, io e te vogliamo la stessa cosa... che i cattivi abbiano il loro lieto fine.»
 
Di nuovo, negli occhi della bambina che la ascoltava attenta si accese una luce sinistra, e il sogghigno si fece più inquietante. Lanciò uno sguardo a sua madre, che continuava a rimanere immobile come una statua di cera. 
 
«Come ti chiami?» chiese, tornando a guardare la giovane, allettante sconosciuta «Chi dovrò cercare quando avrò la magia?»
 
La ragazza ghignò, accarezzandone dolcemente una guancia di porcellana. 
 
«Emilie» replicò «Il mio nome è Emilie Gold. E non preoccuparti, sarò io a cercarti. Tu dovrai solo lasciare che il tempo scorra.»
 
***
 
Presente, 
Storybrooke 
Quella stessa sera …
 
Era passata l'una di notte da un pezzo quando anche Ewan decise infine di tornare all'accampamento, dopo averle promesso di ritornare da lei il giorno dopo, questa volta per restare. 
Rimasta sola, Emilie si concesse un lungo bagno caldo nella vasca idromassaggio, rigirandosi tra le mani con un ghigno perfido la chiave che aveva deciso di portare al collo con una catenina d'ora da lei filato, di modo che nessun ficcanaso potesse tentare di rovinarle i piani. 
La conversazione tra lei e suo padre era finita più che bene. 
 
«Ho visto Uncino aggirarsi intorno al tuo negozio stamane, e sospetto che non fosse la prima volta.» lo aveva avvertito, per poi domandare «Devo chiedertelo: il pugnale, quello vero, lo tieni lì?»
 
Tremotino era stato un po' riluttante a voler rispondere, ma era riuscito a convincerlo quasi subito, aggiungendo. 
 
«Non m'interessa averlo, papa. Voglio solo che non si ripeta ciò che è successo con Zelena.»
 
Guardando i suoi occhi lucidi e la sua espressione intristirsi, il Signore Oscuro aveva sorriso, accarezzandole teneramente una guancia. 
 
«Non accadrà più» le aveva assicurato «Ho preso le mie precauzioni.»
 
Le bastò questo per capire a che punto della storia fosse arrivata. Anna di Arendelle non era nei paraggi a rovinare tutto e non c'era il rischio che qualche portale temporale potesse trasportarla lì, ma il destino avrebbe comunque trovato il modo di far venire a galla anche il sotterfugio del finto pugnale consegnato a Belle. 
Non si oppose, ma si disse che doveva trovare in fretta quell'appartamento a New York e prepararsi a dare il colpo di grazia alla strega perfida, di sicuro in giro ad attendere la sua rivincita. 
Nel frattempo però, c'era un altro party da preparare, e stavolta non le sarebbe servito un catering. 
Bastavano una manciata di cattivi, tutti i destinatari della sua vendetta e ... un po' di gin per rendere il tutto più piacevole. 
Uscì dalla vasca, si mise addosso il suo accappatoio rosso sangue e raggiunse il telefono vintage sulla scrivania del piccolo studio, spostando il disco rotante sui numeri che le servivano per mettersi in contatto con la persona perfetta per quel compito. 
Pochi squilli, e una voce di donna dal tono annoiato l'accolse dall'altro capo. 
 
«Si, pronto?»
 
Sogghignò 
 
«Ciao, zietta Cruella» l'accolse «Felice di risentirmi?»
 
La donna tacque per un istante, poi la sentì sorridere. 
 
«Emilie, cara. Iniziavo a temere che ti fosse dimenticata di me» soggiunse laconica ma con una nota gioviale. 
«Oh, non potrei mai» le rispose, aggiungendo quindi «Sai, qui a Storybrooke è tutto così banale, mi è venuta tanta voglia di fare un po' di casino. Sto organizzando un party, ti unisci a noi?»
 
De Vil sorrise. 
 
«Oh, mi farebbe molto piacere. Ovviamente, io porto il gin» rispose intrigata. 
 
Emilie tornò a ghignare. 
 
«Buona idea» replicò, poi si fece seria, e assunse un tono simile a quello della sua interlocutrice «Oh, avevo intenzione di servire anche un ottimo buffet di pesce. Pensavo... al polpo. Tu conosci qualcuno in grado di procurarmene un po'?» domandò perfidamente.  
 
Cruella ridacchiò. 
 
«Ma certo cara. Te ne porterò quanto basta per darci alla pazza gioia» confermò. 
 
Emilie ridacchiò soddisfatta. 
 
«Molto bene. Ti farò avere qualche soldo per le spesucce e il mio nuovo indirizzo, vieni il prima possibile» le raccomandò «Ah, e porta la tua fuoriserie. Mi manca il profumo della pelle dei sedili e il tuo adorabilmente spericolato modo di guidare.»
 
Cruella schioccò la lingua, probabilmente dopo aver bevuto dal suo bicchiere di gin, a giudicare dal tintinnio che si udì. 
 
«Ovviamente, tesoro. Ci divertiremo un sacco, come ai vecchi tempi. A presto!»
 
La chiamata si chiuse, con un ghigno malvagio e impaziente Emilie appoggiò la cornetta e soggiunse tra sé, minacciosamente. 
 
«Oh, si che ci divertiremo. Li faremo uscire fuori di testa.»


 

Emilie Gold

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Capitolo 9
*** Episodio IX - Lucertolina ***


Episodio IX - Lucertolina


Passato, 
Regno ai confini della magia. 
Una settimana dopo la scomparsa di Tremotino... 
 
Quattro colpi cauti ma decisi sulla porta in legno dell'ingresso. 
Gideon, intento a lasciar andare i pensieri su uno dei libri della sua università, alzò il capo e si corrucciò, stranendosi. 
Guardò la porta aperta alla sua sinistra, che dava sulla camera da letto ch'era stata dei suoi genitori. 
Emilie era ancora lì, esattamente come l'aveva lasciata. 
Chiusa in un cupo silenzio dal suo ritorno, aveva versato tutte le sue lacrime durante la sepoltura dell'amato padre, poi aveva smesso e si era assentata totalmente, stringendo il cuscino con ancora il suo odore al petto. 
Non dormiva da giorni, i suoi occhi erano cerchiati da profonde occhiaie nere e, nonostante gli svariati tentativi di Gideon, ignorava perfino il brontolio del suo stomaco. 
Se ne stava lì a fissare il muro e le foto dei suoi genitori ancora insieme appese nelle loro cornici, le ante delle finestre chiuse e uno sguardo cupo, assente. 
Quando sentì bussare sembrò non accorgersene nemmeno.  
Il giovane uomo sospirò, alzandosi e andando ad aprire. 
Si ritrovò davanti l'Uncino del Desiderio e sua figlia, Alice, con un sorriso rammaricato sul volto.  
 
«Ciao Gideon» lo salutò cordiale la ragazza. 
«Come va, compare?» aggiunse il Capitano, battendogli una pacca sulla spalla con la mano buona. 
 
Gideon stava per rispondere, ma un rumore lo distrasse. 
Emilie si era alzata e ora sulla soglia della camera da letto fissava i nuovi ospiti con truce odio. 
Nel rivederla, vestita di pelle nera, pallida, e così diversa dalla ragazza solare che aveva conosciuto, Alice perse totalmente il sorriso. 
Uncino si scurì, irrigidendosi.  
 
«Che ci fate voi qui?» li accolse, offesa a morte. 
 
La prima a farsi coraggio, dopo un istante di esitazione, fu Alice. 
 
«Noi... siamo venuti per voi. In realtà, volevo sapere come stavi» le disse aprendosi in un sorriso. 
 
Un ghigno cattivo si dipinse sulle labbra della figlia di Tremotino. 
 
«Oh, ma che gentile!» la schernì, aggiungendo poi «Come sto? Dunque, vediamo... sono viva, già questo dovrebbe essere un ottimo risultato per voi. No?»
«Emilie...» mormorò contrariato Gideon, cercando un contatto visivo con sua sorella che però non trovò. 
 
Al contrario, lei lo ignorò totalmente per concentrarsi solo su Uncino, che con espressione fortemente rammaricata soggiunse tristemente. 
 
«Ascolta, Emilie. Mi spiace molto per come sono andate le cose, io...»
 
Il ghigno sulle labbra della giovane divenne una smorfia disgustata. 
 
«Ah davvero? Ti dispiace?» lo incalzò «Chissà perché non riesco a crederti neanche un po'. Per tutta la tua vita hai cercato di ucciderlo, e ora ci sei riuscito. Congratulazioni, Capitano!»
 
Uncino scosse il capo, alzando le mani come per calmare una bestia imbizzarrita. 
 
«No, no Principessa. Noi eravamo amici, davvero. Avevamo rinunciato alla vendetta.»
 
Nel sentirsi chiamare in quel modo da lui, la mente di Emilie perse definitivamente ogni contatto con la realtà. 
 
«Solo mio padre poteva chiamarmi così!» urlò, scagliandogli contro un'onda di energia che lo fece rimbalzare contro la parete alle sue spalle. 
 
La botta fu così forte che ne rimase stordito, così da permettere a lei di raggiungerlo e strappargli il cuore dal petto. 
 
«Emilie, no!»
«Per favore, no!» 
 
Urlarono allarmati Gideon e Alice, ma lei li minacciò. 
 
«Non fate un solo passo o lo riduco in polvere!»
 
Era fuori di sé. Ma quando vide l'anello di suo padre che ancora portava al dito brillare e il cuore fare lo stesso, capì che non sarebbe mai stata in grado di farlo. 
Quello era il suo cuore. Il cuore di Tremotino, anche se ora dava la vita a Killian Jones. 
E all'improvviso si sentì persa. Calde lacrime si affacciarono ai suoi occhi, tentò di respingerle ma invano.  
"Principessa". 
Perché l'aveva chiamata così? Perché accidenti l'aveva chiamata a quel modo?? 
 
«E-Emilie... Per favore... m-mi spiace...» mormorò dolorosamente il pirata. 
«Milly, ti prego.» singhiozzò Alice, le mani giunte sul petto «Mi spiace! Mi spiace davvero tanto che sia andata così!» le disse «Tuo padre era un brav'uomo. Mi ha salvata, ha salvato mio padre e lo ha fatto di sua spontanea volontà senza che riuscissimo a impedirlo.»
 
Ma gli occhi e il cuore di Emilie, in cui un tempo avevano brillato l'affetto e l'amicizia sincera per lei, ora erano solo pieni di dolore e odio. 
 
«Tu lo sapevi...» sibilò «Sapevi quanto papa fosse importante per me. E non hai fatto niente.» 
«Ci ho provato!»
«Bugiarda!» sbottò la giovane Gold. 
«Emilie!» intervenne Gideon, avanzando verso di lei cautamente «Per favore, ridagli il cuore. Lo sai perché papa lo ha fatto, lo sappiamo entrambi. Non vanificare il suo sacrificio... rispetta l'accordo. Hai giurato che non attraverserai quel confine...»
 
Le labbra della ragazza si deformarono in una smorfia di dolore. 
 
«Lo so cos'ho giurato...» mormorò, tornando a guardare quel cuore che pulsava tra le sue mani. 
 
Quel cuore vivo, puro, ancora pregno del calore che l'aveva accompagnata lungo tutta la sua infanzia. 
Strinse i denti, e gridando rabbiosa lo conficcò nuovamente dentro il petto di Uncino, facendolo urlare di dolore. 
Tornando a respirare, il Capitano le rivolse nuovamente uno sguardo affranto. 
 
«Grazie...» mormorò «Mi spiace tanto... davvero.»
 
Ma la giovane ghignò perfidamente. 
 
«Non affrettarti a ringraziarmi» mormorò «Non credere di essere riuscito a farti perdonare. Non vi perdonerò mai» disse, guardando anche una rammaricata Alice «E fino a che avrò vita in corpo io te lo giuro, Pirata. Farò in modo di restituirti il favore, ti toglierò ogni speranza di un lieto fine, e ti farò soffrire così tanto che il dolore provato oggi ti sembrerà una cosa da nulla.»
 
Gideon si scurì. 
 
«Emilie, la vendetta non è mai la soluzione giusta.» provò a ribattere, ma lei gli urlò di tacere 
«Chiudi il becco e smettila di citare papà! So benissimo cosa ha detto, ricordo con perfezione ogni istante passato con lui, e non sono più una bambina che dev'essere istruita!»
 
Implacabile, dura. 
Prese un respiro, chiudendo per un istante gli occhi. Gli sembrò quasi di sentire la voce del Tremotino del Desiderio nella sua testa: "Brava ragazza, stai facendo notevoli progressi." 
Sogghignò. 
 
«Tu hai cancellato ogni traccia di Tremotino dal mondo» concluse «Io farò in modo che nessuno si ricordi ancora del buon Pirata generoso e cordiale. Ti annienterò, in ogni reame. Troverò il modo, dovessi passare la vita a cercarlo.»
«Milly, ascoltami per favore. Papà...» provò a replicare Alice in difesa del genitore, ma la collera della giovane Gold si abbatté anche su di lei 
«E quanto a te, amica mia...» mormorò avvicinandosi a lei e rivolgendole una smorfia famelica «Mi hai inflitto la stessa maledizione che Gothel aveva inflitto a tuo padre. Grazie a te, il mio cuore non smetterà mai di far male ogni volta che ripenserò al mio papa, e non c'è antidoto a questo... non so ancora come, ma farò in modo che quel dolore non smetta mai di farti soffrire, e che ogni giorno tu sappia perché. Rimpiangerai amaramente di non aver avuto il coraggio di salvarci quando ne avevi l'occasione.»
 
Alice scoppiò in lacrime, allungando una mano verso di lei che tuttavia la scansò disgustata. 
 
«Ora andatevene. Non mi serve il vostro aiuto. Avete fatto già abbastanza» soggiunse, raggiungendo la camera dalla quale era uscita e serrando a chiave la porta.  
 
Tornando a chiudersi nel suo silenzio e nel buio che lentamente spegneva anche la luce fioca rimasta accesa nel suo cuore. 
Mentre tornava a sedersi sul letto e a fissare con sguardo atono la foto dei suoi genitori, le lacrime iniziarono a inondarle il volto innocente, brucianti come lapilli. 
Udì Gideon sincerarsi delle condizioni del Capitano e poi genuflettersi. 
 
«Scusatela, davvero. È sconvolta, non mangia da giorni... È stato il dolore a parlare, non diceva sul serio.»
 
Sogghignò perfidamente. 
 
«Oh, Gideon... così premuroso e ingenuo... proprio come la mamma» sussurrò scuotendo il capo. 
 
Spense il sorriso incattivendo lo sguardo e arpionando le lenzuola con le lunghe unghie smaltate di nero. 
 
«Certo che dico sul serio... non hai neanche la più pallida idea di quanto io sia diventata brava in queste cose durante il mio ultimo viaggio.»
 
***
 
Presente,  
Storybrooke
 
"Tremotino era diventato lo stregone più temuto e potente del reame, ma così com'era vero che la magia aveva sempre un prezzo, quello della magia Oscura era doppiamente alto. E così, come conseguenza delle sue innumerevoli azioni malvagie, il suo cuore ora stava per spegnersi, e l'Oscurità stava per rendere quel suo corpo troppo fragile per essere umano un mero burattino nelle sue mani, senza più alcuna emozione. 
Tremotino, l'uomo dietro alla bestia, avrebbe molto presto cessato di esistere." 
 
Con queste parole suo padre le aveva raccontato del difficile periodo in cui aveva rischiato di perdere del tutto la sua umanità. 
Se le ripeté sottovoce, con lo stesso tono ma con un sorriso appena accennato sulle labbra, mentre camminava ancheggiando lungo la via del porto, stretta nei suoi pantaloni in pelle, guardandosi intorno e accarezzandosi svogliatamente i capelli con una mano. 
Avrebbe potuto recarsi subito da suo padre per dargli una mano al negozio, invece aveva preferito prendersela comoda, e vi era un motivo ben preciso. 
Si fermò sulla banchina tra il secondo e il terzo molo, ad ammirare il cielo azzurro sgombro da nuvole e a bearsi dell'aria frizzantina proveniente dal mare. 
Attese, proseguendo dentro di sé quel racconto come se lo stesse ancora udendo dalla voce dolce di suo padre, fino a che un braccio non le si strinse attorno al collo e una mano tappò la sua bocca con un fazzoletto di seta rosso impregnato da un odore soffocante. 
Chiuse gli occhi, ma lo fece arrendendosi, e quando li riaprì si ritrovò nella cabina della Jolly Roger, legata per le caviglie e i polsi a una sedia con una fune di quelle spesse, usata per ancora e vele. 
Stordita e ancora dolorante, rialzò il capo trovando di fronte a sé il ghigno soddisfatto di Uncino. 
Sogghignò a sua volta, alzando le sopracciglia e imitando i suoi modi da don Giovanni. 
 
«Se volevi un appuntamento bastava chiedere, Capitano» lo schernì, lasciando che lui le rispondesse come gli pareva e guardandosi nel frattempo attentamente intorno, senza lasciarsi sfuggire alcun dettaglio. 
«Credimi, non sei il mio tipo» l'apostrofò questi, pensando di ferirla ma spingendola invece ad una risata di cuore. 
«Oh, la cosa è reciproca» gli rispose, facendo una smorfia.  
 
Stupendola, Killian l'aggredì fiondandosi addosso a lei e bloccandole ulteriormente le braccia con la sua mano e il suo uncino. 
 
«Cosa nascondi, Lucertolina? Che incantesimo ti ha fatto il Coccodrillo per spingerti a diventare la sua marionetta?» la incalzò, avvicinandosi così tanto al suo volto da poter vedere la sua espressione dura riflessa in quelle pupille grigie. 
 
Emilie ghignò di nuovo, mostrandogli la lingua imitando il movimento di quelle dei serpenti. 
 
«Ammettilo, ti piaccio» lo sfidò, ignorando la sua ira. 
«Smettila e rispondimi!» urlò il Pirata, fuori di sé «Perché aiuti quella Bestia?»
 
La ragazza esplose in una sonora e lunga risata, fino a farsi lacrimare gli occhi. 
 
«Ho detto basta!» sbottò Uncino, sparando un colpo verso le assi di legno del soffitto con la sua carabina. 
 
Improvvisamente lei si fece seria e lo scrutò, cattiva. 
 
«È insopportabile, vero?» lo incalzò «Ora capisci cosa pensa di te la maggior parte degli abitanti di Storybrooke, capitan mano mozza.»
 
Uncino sembrò irrigidirsi. 
 
«Dimmi la verità» sibilò muovendo appena la mascella «Perché sei qui?»
 
Emilie alzò gli occhi fingendo di pensare. 
 
«È buffo. Appena dico che sono la figlia di Tremotino, tutti danno di matto e pensano che ogni mia parola sia una fandonia. Chissà perché?» domandò retorica. 
 
Guardò la sua espressione disgustata e ridacchiò di nuovo, imitando il Coccodrillo. 
 
«Eppure mio padre non ha mai detto una singola bugia in tutta la sua vita. È praticamente il suo unico pregio» rise, poi tornò a scrutarlo con una smorfia cattiva «A differenza di qualcun altro presente su questa nave.»
 
Di nuovo, Uncino si scurì, serrando la mandibola. La sua mente iniziò a scavare stavolta con maggior impegno, all'affannosa ricerca di ricordi che sembravano essere andati perduti da tempo e che adesso, dall'arrivo di quella ragazza, stavano cercando invano di risalire a galla. 
E mentre lo faceva, Emilie iniziò a pensare alla prossima mossa concordata con il Signore Oscuro. 
Sarebbe stato facile, anche più di quanto aveva immaginato. E solo al pensarci sentiva già le membra fremere. 
 
«Tu sai di cosa sto parlando, vero Killian Jones?» domandò, sempre più melliflua, guardando il Pirata farsi sempre più pensoso e preoccupato «Oh, si che lo sai. Io e te...» ghignò «Abbiamo un conto in sospeso da molto più tempo di quanto credi. E ora è quasi arrivato il momento di pagarlo... mozzo.»
 
Bastò quella parola. Quell'unico riferimento al suo passato che praticamente nessuno, neanche il Signore Oscuro conosceva, per rimuovere quel velo che gli impediva di ricordare. 
Sgranò gli occhi, tremante, osservando una nebbiolina violacea avvolgere la ragazza totalmente, fino a nasconderla per qualche istante alla sua vista. 
Quando svanì, lei era libera e i suoi abiti erano cambiati. Ora indossava sempre quei pantaloni da coccodrillo e gli stivali di suo padre, ma aveva una camicia di seta bianca con collo a fiocco indossata sotto una blusa a scacchi oro e nero, corta fin sopra i fianchi. Intorno al collo portava una sciarpa di lana nera, finemente lavorata all'uncinetto.  
Si mise in posa per lasciarsi ammirare, le braccia aperte e un sorriso ammiccante. Infine scoprì il polso sul quale troneggiava il tatuaggio col teschio, mostrandoglielo fiera.  
Uncino sgranò gli occhi, sconcertato... 
 
«Non è possibile ... tu?» bofonchiò inquieto. 
 
Lei ridacchiò. 
 
«Ciao, Killian» lo apostrofò perfidamente soddisfatta «Ce ne hai messo di tempo per riconoscermi. Ma non te ne faccio una colpa» sollevò una mano, richiamando nel palmo un acchiappasogni su cui soffiò, restituendogli i ricordi rubati e dandogli finalmente un motivo per tutto l'odio e la rabbia che stava provando «Sono stata cattiva con te, lo ammetto. Ma non abbastanza» soggiunse «E sono qui per rimediare.»
 
***
 
Passato, 
Foresta Incantata,  
Baia dei Pirati.  
 
La locanda era affollata quella sera, piena di uomini di mare in cerca di un po' di meritato svago dopo mesi trascorsi a solcare i mari. 
Seduto ad uno dei tavoli in fondo alla sala, Capitan John Silver, vestito del suo soprabito nero e il cappello piumato che simboleggiava il suo rango, sorseggiava in silenzio un boccale di birra, senza mai distogliere gli occhi dalla porta d'ingresso. 
Era solo, proprio come il suo misterioso ospite aveva voluto. Era stata l'unica condizione imposta dal messaggio che lo aveva raggiunto attraverso uno strano individuo, un ragazzo che si era detto servo di un ricco Signore. 
Questi era alla ricerca di due uomini, Killian Jones e suo fratello, per chissà quale misfatto da loro compiuto visto che erano stati alle sue dipendenze fin da ragazzi, e dopo aver scoperto che fossero sulla sua nave gli aveva offerto come ricompensa tutto l'oro che la sua nave avrebbe potuto contenere... a patto che all'appuntamento si fosse presentato da solo e che nessuno, soprattutto i due interessati, fosse mai riuscito a scoprire nulla in merito. 
Da buon Pirata non poteva certo lasciarsi scappare la ghiotta occasione di scaricare due membri inutili del suo equipaggio per un bottino simile, anche se all'inizio aveva titubato, pensando ad una trappola di uno dei suoi tanti nemici. 
Alla fine però aveva ceduto, e ora era lì in mezzo a quella confusione, col cuore che batteva a mille e la mano pronta a sguainare la spada. 
Bevve un altro sorso, sospirò profondamente sentendo il nervosismo crescere. 
Poi finalmente la porta si aprì, e tra i commensali si fecero largo quello strano scudiero e il suo signore, un po' troppo minuto e gracile per essere un uomo. 
Era totalmente avvolto in un mantello nero che copriva il volto e perfino le mani, si fece condurre dal suo servo fino al tavolo dove Barbanera li attendeva e una volta lì attese che li presentasse. 
 
«Sua Signoria si scusa per il ritardo...» disse, scostando una sedia per permettergli di accomodarsi. 
«Stavo iniziando a preoccuparmi di esser stato giocato» replicò il Capitano, e vide i due scambiarsi una rapida occhiata. 
 
Il servo sorrise. 
 
«Il mio padrone ha tanti difetti, ma la disonestà negli affari non è uno di questi.»
 
A quel punto il pirata decise di rompere definitivamente gli indugi e invitare il misterioso individuo a svelarsi. 
 
«Allora capirà se, prima di iniziare, domandassi di mostrarmi il suo volto. Non amo fare affari al buio.»
 
Vide quelle piccole labbra incresparsi in un ghigno. Poi finalmente la mano si alzò e tolse via anche l'ultimo velo, rivelando il volto di una ragazza molto giovane, se non addirittura una bambina. 
I suoi modi tuttavia erano fin troppo adulti.  
 
«Posso capirla, si» replicò «Ma ora che conosce la mia identità, credo anche lei possa comprendere il perché di tutto questo mistero.»
 
Silver sorrise incuriosito e divertito. 
 
«Oh, comprendo bene sì. Nel nostro ambiente le donne...» disse lanciando un'occhiata lasciva verso una delle locandiere che servivano ai tavoli «Diciamo che non se ne vedono molte ai posti di comando»
 
La ragazza ridacchiò. Una risata strana, stridula e anche un po' inquietante che per un attimo fece tremare pure lui, il più astuto e temuto tra i pirati. 
 
«Allora, venendo a noi... ha davvero tutto l'oro che mi offre? E per due miseri mozzi?» la incalzò, tagliando corto. 
 
La ragazza ridacchiò di nuovo, poi lanciò un'occhiata eloquente al suo servo e lo vide annuire, facendo qualche passo indietro e ponendosi proprio di fronte a loro, in modo che nessuno potesse disturbarli. 
Solo a quel punto la ragazza si fece seria. Appoggiò i gomiti sul tavolo, si sporse verso di lui sfregandosi le mani con un sogghigno algido e mentre lo faceva tra le sue dita sottili spuntò un sottilissimo filo d'oro. 
John Silver sgranò gli occhi, fissandolo come incantato. 
 
«Ti piace, pirata?» lo provocò lei, facendoglielo penzolare davanti agli occhi «Ne ho a centinaia, migliaia anzi. E posso procurarmene altrettanti in poco più di un battito di ciglia. Posso riempire la stiva della tua nave così tanto da farla affondare...»
 
Il Capitano storse il naso. 
 
«Come? Con la magia?» chiese. 
 
Anche se non lo diede a vedere, la ragazza ne rimase sorpresa e in quel breve attimo di esitazione il Pirata ne approfittò. 
 
«Non voglio avere niente a che fare con una strega. Neanche per tutto l'oro del mondo.»
 
La giovane alzò gli occhi al cielo, per nulla sorpresa. 
 
«Come preferisci…» replicò senza scomporsi, quindi si alzò, ricacciò l'oro nella tasca dei pantaloni in pelle nera e si alzò, facendo segno al suo servo di seguirla «In un modo o nell'altro, io avrò ciò che voglio, ma tu...» ridacchiò «Non ti basterà una vita per accumulare tutto l'oro che io potevo darti in un giorno.» soggiunse cupa.  
 
Se ne andò, lasciandolo solo a pensarci davanti al suo boccale di birra che impiegò un lasso incredibilmente lungo di tempo per svuotarsi del tutto. 
Quando tornò alla nave era notte fonda, e gli unici svegli erano proprio i due mozzi, Liam e suo fratello Killian, intenti a strofinare le assi del ponte. 
Quando lo videro arrivare si alzarono in piedi salutandolo col solito tono dimesso. 
Lui lanciò loro uno sguardo cupo, senza parlare. 
Poi si ritirò in cabina e lì restò a pensare, fino al tramonto del giorno successivo e anche oltre. 
Emilie aspettò paziente, ritornando ogni sera alla locanda col suo servo, fino a che alla mezzanotte del sesto giorno non lo vide arrivare. 
Si affacciò alla porta della locanda, con aria torva scrutò la folla lanciando subito lo sguardo verso il tavolo dove l'aveva incontrata e lì la vide. 
Stava sorseggiando un boccale di birra assieme al suo compare, lo salutò con una mano e un sorriso sghembo e attese tranquilla che giungesse a sedersi di fronte a lei per scrutarlo con i suoi occhi grigi. Quella bambina emanava il tanfo del pericolo, pensò dentro di sé, tremando, ma nonostante ciò non tornò sui suoi passi. Nonostante gli anni di esperienza da lupo di mare, non riuscì a resistere all'ammaliante richiamo del tesoro più grande che avesse mai avuto modo di scovare. 
 
«Stai ancora cercando il modo di strappare via dalla mia nave quei due scansafatiche?» le chiese «Non sembra riuscirti granché bene a quanto sembra.»
 
Emilie ridacchiò, scuotendo il capo. 
 
«Oh, in realtà sei arrivato giusto in tempo, caro il mio Capitano» lo apostrofò «So bene quale forza eserciti su un pirata del tuo calibro una proposta come la mia, e ti reputo una persona in gamba. Perciò ho voluto concederti qualche giorno di tempo prima di prendermi ciò che mi serve con la forza. Congratulazioni, hai appena salvato la tua carriera e il tuo equipaggio.»
 
Quindi trasse fuori dalla sua bisaccia una lunga pergamena con sigillo e un pennino e glielo consegnò, allungando il ghigno. 
 
«Allora, tutto l'oro che la tua nave riuscirà a trasportare in cambio dei fratelli Jones... abbiamo un accordo?» 
 
Silver sorrise. 
 
«Prima di firmare... a cosa vi servono quei due buoni a nulla?» le domandò «Sono curioso. Perché siete disposta a pagare tutto questo oro per due schiavi?»
 
Emilie guardò il suo accompagnatore, che sorrise incrociando le braccia sul petto e sprofondando nella sedia. 
 
«Diciamo solo...» mentì, schioccando la lingua «Che ho una questione irrisolta con quel bastardo del loro padre, e ...» tornò a ghignare malefica «Sono una a cui piace fare le cose per bene.»
 
Il Capitano la scrutò con un'espressione assai affascinata e divertita, poi prese il pennino e siglò l'accordo più fruttuoso della sua vita. Quando tornò ad alzare gli occhi su di lei, vide in quelle pupille grigie una luce così intensa e cattiva da indurlo a tremare di nuovo. Poveri ragazzi, pensò per un attimo. Quella giovane dall'aspetto così dolce e ingenuo sembrava avere un animo molto più scuro e vendicativo di ciò che mostrava. Per fortuna non era lui l'oggetto della vendetta che le infiammava gli occhi, e consegnandole quei due avrebbe allontanato dalla sua nave ogni altro rischio. 
 
\\\ 
 
Quando giunsero alla nave per effettuare lo scambio, l'equipaggio era intento a far baldoria. 
Silver li mise in riga spegnendo l'entusiasmo e invitò la sua ospite a salire a bordo. Fu allora che, per la prima volta da che era partita, Emilie tornò ad incrociare lo sguardo di Killian Jones. Era ancora giovane, gli occhi pieni di speranza e sogni... che lei sarebbe stata lieta di spegnere alla prima occasione utile. 
Non poteva modificare il passato, ma poteva dargli una mano a compiersi, ed era ciò che aveva programmato di fare, arruolandosi a suo tempo tra i pirati su un vascello anonimo e acquisendolo dopo la morte del capitano. Si era procurata un incarico da bucaniere, e ora il suo ultimo passo verso la tanto agognata vendetta stava per compiersi. 
Certo, avrebbe dovuto fingere per un po'... ma pregustare già la soddisfazione sul volto sbigottito del suo nemico quando avrebbe scoperto l'inganno le sarebbe bastato per sopportare in pace e silenzio. 
 
«Voi due, fratelli Jones. Questa donna vi ha arruolati sulla sua nave» comunicò con freddezza il loro Capitano «Prendete i vostri stracci e sgomberate il ponte. Ora è lei a comandare.»
 
I due giovane uomini la scrutarono sorpresi. 
 
«Cosa?» chiese Killian, con la sua solita faccia da pesce lesso. 
 
Suo fratello Liam, più confuso di lui, la guardò e la salutò chinando il capo.  
 
«Mia Signora, noi... a cosa dobbiamo questo onore?» chiese, con un rispetto che fu deriso da molti ma che le sembrò autentico. 
 
Lo squadrò da capo a piedi, con un sogghigno, continuando a mantenere le braccia incrociate sul petto e un'aria distaccata. 
"Così ben educato. È un vero peccato che siano fratelli." 
 
«Accontentati di sapere che verrai pagato, mozzo» replicò fredda, senza neanche guardarlo, facendogli cenno di seguirla e lasciando a John Silver la sua ricompensa con un semplice schiocco di dita. 
 
Li condusse lungo il molo affollato da ubriachi e prostitute, fino alla nave che aveva acquistato esattamente così come aveva fatto con loro, quella che successivamente sarebbe diventata conosciuta col nome di Jolly Roger. 
Per ora era solo il Gioiello del Reame, appartenuta al Re e ceduta a lei in cambio di qualcosa di molto più letale di un incantesimo: la linfa del Rubus Noctis. 
Lei sapeva tutto, ogni cosa. Ma avrebbe fatto finta di essere caduta nel tranello del re per far sì che... tutto andasse come doveva. 
 
«Signori, benvenuti a bordo» li accolse, allargando le braccia e mostrando loro il suo regno. 
 
Liam e suo fratello si guardarono intorno stupiti. Era molto meglio della nave che avevano lasciato. L'equipaggio indossava la casacca blu della marina. Undici marinai esperti, in fila per uno sull'attenti. 
 
«Questo è il mio equipaggio, gli uomini migliori appositamente scelti per me dal re per una missione importante che ci aiuterà a portare prosperità al regno.»
«E quelle?» chiese il giovane Killian, guardando a bocca aperta le vele fatte di piume di fenice gonfiarsi al vento di ponente. 
 
Emilie sorrise, guardano quel luccichio nei suoi occhi. Era così vicino... avrebbe potuto allungare una mano e strappargli il cuore, ucciderlo adesso e nulla di tutto ciò che aveva ferito suo padre sarebbe accaduto. 
Il tradimento di Milah, la sua fuga, il duello che lo aveva spinto verso l'oscurità. Ma resistette, ricordando la promessa fatta. Quell'uomo non valeva una macchia scura sul suo cuore ancora immacolato. No ... non era così importante. Solo suo padre lo era, e lo sarebbe stato per sempre. 
Si contenne perciò, e tornando a recitare rispose, mostrandosi più accomodante. 
 
«Quelle sono il nostro strumento più importante, ciò che ci condurrà al nostro tesoro.»
 
Quindi guardò Will Scarlett, proprio dietro di lei, e annuì senza aggiungere altro. 
L'uomo prese da un baule alle sue spalle due giubbe come quelle indossate dall'equipaggio gliele consegnò, guardandola ergersi a benefattrice e pensando a quanto potesse essere contorta quella piccola testolina dentro a quel corpo da bambina. Era una vera strega, e non si sarebbe fermata fino a che non fosse riuscita a vedere Killian Jones totalmente immerso nella rabbia e nella disperazione, come era lei. 
 
«Non infrangerò il patto con mio padre» gli aveva detto dopo avergli spiegato il suo piano perverso «Ti dimostrerò che posso avere la mia vendetta senza muovere un dito. Non avrò bisogno di uccidere nessuno, faranno tutto da soli... mi basterà stare a guardare. Esattamente come ha fatto lui con mio padre...» 
 
Così successe. 
 
«Questa è la mia nave, ma io non posso condurla. Ho degli affari che devo gestire qui sulla terra ferma, perciò miei cari, sarete voi due a farlo per me.» disse solenne, consegnando loro le loro nuove vesti e i loro gradi.  
«Voi, Liam Jones, sarete il Capitano del mio vascello. E voi, Killian Jones...» sogghignò, guardandolo negli occhi e osservando la sua espressione attonita «Sarete il suo vice. Confido che il vostro legame vi aiuterà a portare gloria e successo al mio nome e a quello del nostro amato Re.»
 
S'inchinò profondamente, esattamente come il futuro Signore Oscuro avrebbe fatto. Solo Will Scarlett capì il perché, e sorrise scuotendo il capo. Era davvero perversa. Da quel momento in poi quel gesto in Killian non avrebbe evocato solo ricordi riguardanti Rumplestiltskin. Sarebbe stato come se il Coccodrillo lo avesse perseguitato da sempre, ancora prima di conoscerlo, come un'ombra malevola dalla quale non sarebbe mai riuscito a liberarsi. E questo, a lungo andare, lo avrebbe fatto impazzire. 
Anche se ora neanche lo sospettava. 
Era un lavoro certosino, una semina che richiedeva diverso tempo per dare i suoi frutti. Ma lei era disposta ad aspettare tutto quello che serviva. 
 
«C-Capitano?» bofonchiò incredulo Liam, stringendo in mano quella casacca e guardando negli occhi suo fratello minore, ritrovando nel suo sguardo la sua stessa sorpresa e il suo stesso sconcerto. 
 
Per tutta una vita avevano cercato di diventare ciò che adesso, in un istante e senza preavviso, il destino aveva deciso di regalare loro. 
Avevano cercato un modo per liberarsi dal giogo della schiavitù di John Silver e sognato di guidare un vascello, solcando liberi il mare. Si erano spaccati la schiena per far sì che fosse possibile. Adesso, in un attimo, tutto era come lo avevano sempre immaginato, e senza che fossero costretti al minimo sforzo. Troppo bello per essere vero, pensò per un attimo Killian. 
Liam invece cercò di capire. Era successo tutto in maniera così rapida non avergli dato il tempo di realizzare. Qualche istante prima era un mozzo sottopagato e bistrattato su una nave pirata, e ora... 
 
«Vostra Signoria, chiedo perdono ma... noi non abbiamo la minima esperienza di navigazione» disse, continuando a mostrarsi rispettoso «Siamo mozzi e...»
«Oh, lo so bene chi siete stati» lo fermò Emilie «Ma so anche cosa potrete diventare. Ho fatto qualche ricerca su di voi, siete praticamente nati in mare, ce lo avete nel sangue» replicò con persuasione «Inoltre, avete servito come mozzi sulla nave di Silver per molto tempo. Direi che sapete già tutto quello che c'è da sapere» concluse, scoccando al maggiore un occhiolino «So che per diverso tempo avete avuto questo sogno nel cassetto. Io vi sto offrendo la possibilità di realizzarlo, ad un minimo prezzo. Portatemi il Rubus Noctis e la libertà sarà vostra.»
«Si, ma voi non ci conoscete nemmeno. Perché tutta questa fiducia in noi?» tornò a chiedere Killian, scrutandola con attenzione. 
 
Emilie tornò a ghignare, scuotendo le spalle. 
Allungò il braccio e alzò la manica della camicia per mostrare loro il tatuaggio che la identificava come pirata. 
 
«Voi non conoscete me, ma io conosco voi» rivelò con sguardo furbo «Vi ho osservato per molto tempo, e so che non potrei fare scelta migliore...» quindi ridacchiò, e concluse facendo roteare i polsi con nonchalance «Diciamo che... sto investendo nel vostro futuro. E so che non me ne farete pentire. Vero?» 
 
Disse, lanciando una lunga occhiata a Liam che subito indossò la divisa e annuì, scattando sull'attenti. 
 
«Non ve ne pentirete, Milady. Lo giuro. Ripagheremo la vostra fiducia.»
 
Emilie sorrise, guardando Killian arrendersi dopo un ultimo attimo di esitazione e indossare la sua giuba per poi accodarsi alla decisione del suo fratello. 
 
«Bene allora...- concluse soddisfatta -Buon viaggio signori. E che la fortuna possa essere dalla vostra.»
 
Di sicuro la dea bendata aveva appena ripagato i suoi immani sforzi. Ora la storia era pronta per piegarsi al volere di Emilie Gold. 
 
\\\ 
 
Qualche mese dopo...  
 
La luce del tramonto inondava il molo affollato dai nuovi arrivati giunti con l'ultima nave, infiammando il cielo e trasformando l'acqua limpida in oro purissimo. 
Emilie attendeva al molo l'arrivo del Capitano osservando senza fiato quel meraviglioso spettacolo, con Will Scarlett al suo fianco che osservava la Jolly Roger inquieto. 
 
«Sono scesi tutti... come mai lui no?» si chiese ad alta voce. 
 
Milly sogghignò. 
 
«Tsh!» sbuffò «Sarà impegnato a piangere tutte le sue lacrime per il fratello. Lasciamogli un po' di tempo...»
 
Lo disse seria, poi però non riuscì a trattenere una risatina. 
Will si corrucciò.  
 
«Non sei preoccupata?» le chiese, meravigliato dalla sua calma serafica. 
 
Lei rispose con un'altra risatina. 
 
«E perché dovrei? Non è mica colpa mia se le cose sono andate come sono andate. Avrebbe dovuto fare meno lo spocchioso con qualcosa che non conosceva» risolse con non curanza, sospirando «È un difetto di famiglia, a quanto sembra. Sottovalutare il pericolo...» concluse, scuotendo le spalle. 
 
Proprio allora, mentre il fante scuoteva il capo con un sorriso, il giovane Killian Jones si affacciò alla balaustra guardando verso di loro con occhi affranti. 
 
«Eccolo...» la riscosse Scarlett. 
 
Milly preparò la sua recita indossando la maschera più efficace che riuscì a trovare. 
Le mani dietro la schiena e un sorriso fiero sul volto. 
 
«Buona sera... Capitano?» fece, fingendosi sorpresa nel riconoscere il grado appuntato sulla giacca. 
 
Killian abbassò affranto il volto, consegnandole il diario di bordo. 
 
«Il re ci ha mentito, mio fratello è morto per questo, e sono stato costretto a prendere il suo posto per il viaggio di ritorno» spiegò cupo. 
 
La gioia nei suoi occhi si era spenta. Ora c'era solo rabbia, voglia di rivalsa e vendetta. Sembrava molto più simile al Capitan Uncino che aveva conosciuto, e ne fu felice. Il dolore che stava provando la rese tale. Ma non era ancora abbastanza. 
 
«È tutto scritto nel diario» soggiunse, poi si tolse la giacca e gliela riconsegnò «Non intendo più servire sua maestà. Come posso farlo, dopo quanto è successo? Ci ha mandato incontro alla morte.»
 
Emilie assunse un'aria affranta e comprensiva. 
 
«Immagino che tutto mi sarà più chiaro dopo che avrò letto il vostro resoconto...» risolse «Dunque adesso... ha intenzione di procurarsi un tatuaggio?» chiese con un sorriso.  
 
Lo vide corrucciare le labbra e scuotere le spalle. 
 
«Se servirà a ottenere giustizia, si. Troverò un'altra nave e solcherò i mari sotto la bandiera della libertà.» 
 
La ragazza annuì. Ecco il bel discorsetto da pirata. 
 
«Mi piace» replicò soddisfatta «Anzi, visto che anche io sono stata ingannata, tieni pure la nave. Non è molto, ma... considerala il mio risarcimento.»
 
"O un modo come un altro per legare per sempre a me la tua vita da ratto di mare". 
Killian si voltò a guardare le vele che sormontavano l'orizzonte, gonfie di maestrale. Poi tornò a rivolgere a lei uno sguardo grato, accennando ad un inchino. 
 
«Voi cosa farete?» domandò. 
 
Emilie scosse le spalle sorridendo. 
 
«Non sono un pirata dell'ultima ora. Troverò un’altra nave e un altro equipaggio e continuerò ad accumulare tesori. Magari, se saremo fortunati entrambi, ci rincontreremo solcando le acque.»
 
Will Scarlett, al suo fianco, sorrise guardandola ma restando in silenzio. Era davvero una bugiarda di talento. 
Killian Jones la salutò portandosi indice e medio della mano destra alla fronte, quindi le voltò le spalle e s'incamminò verso il borgo, alla ricerca del suo equipaggio e di una pinta di rum. 
La giovane attese di vederlo sparire, mai distrusse in una fiammata la giubba e spedì il diario in un posto sicuro. 
E finalmente si concesse un ghigno trionfale. 
 
«Lo sai cosa sto per dirti, vero?» domandò il suo compagno di viaggio. 
 
Lei tornò a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli avvitandosela attorno all'indice destro. 
 
«Si...» replicò con falsa modestia «Ma ti prego, dillo lo stesso. Amo sentirmelo dire.»
 
Il fante sorrise scuotendo il capo. 
 
«Sei crudele. E un'attrice nata» la fece contenta. 
 
La sentì ridacchiare di nuovo in quel modo strano. Quindi la vide allargare le braccia e compiere qualche giro di valzer roteando su sé stessa, la faccia rivolta al sole e al cielo azzurro. 
 
«Ah, che magnifica giornata è questa!» esclamò, tornando però subito seria e dipingendo un largo ghigno famelico sul suo viso dolce «Godiamoci il momento, ti va?» domandò evocando con un rapido gesto delle mani l'occhio di Cronos. 
 
Will Scarlett si corrucciò preoccupato.  
 
«Dove vuoi andare adesso?»
«Oh, ad assistere a un imperdibile spettacolo...» replicò lei, impaziente, una strana e inquietante luce negli occhi «La morte di una stronza.»
 
\\\ 
 
Passato, 
Il giorno della morte di Milah 
 
In un battito di ciglia i due viaggiatori furono catapultati più in là nel tempo, continuando tuttavia a restare lì dove erano rimasti. 
Fu strano per Will Scarlett voltarsi e ritrovare la Jolly Roger completamente cambiata e carica di pirati. 
Il cielo su di essa non era più così limpido, ma solcato da qualche nuvola minacciosa, e il sole aveva appena superato lo zenit. 
La strada principale del borgo era affollata, e all'ingresso della taverna dell'ubriaco una donna in abiti da pirata dai lunghi capelli neri stava reclutando marinai. 
Milly la fissò con astio, Will sgranò gli occhi guardandosi intorno. 
 
«Aspetta, non mi dire che...»
 
Appoggiando un indice sulle sue labbra lei gli impose di tacere 
 
«Ora ascoltami attentamente, Will Scarlett. Tu e io non ci conosciamo, e soprattutto tu sei muto e stolto. Ciò significa che finché rimarremo qui non dovrai intralciarmi, ma soprattutto dire o anche solo pensare al nome di tu sai chi!» lo fissò assottigliando le palpebre «Spegni il cervello. È chiaro?»
 
Lui annuì, chiudendo gli occhi e concentrandosi. 
Prese un respiro, cacciò il nervosismo e annuì. 
 
«Va bene... ma che faccio se...» si morse la lingua, Milly alzò gli occhi al cielo «Tuo padre. Che faccio se lo incontro?»
 
Lucertolina ridacchiò divertita, scuotendo le spalle. 
 
«Buona fortuna. E ricordati di non firmare niente.» scherzò, consegnandogli un sacchetto d'oro «Tieni, aspettami alla locanda. Birra anche per me...» poi lanciò un'ultima occhiata alla donna che continuava a esaminare i volontari «Non ci vorrà molto.»
 
***
 
Presente, 
Porto di Storybrooke 
 
Killian s'irrigidì, serrando i pugni. Dentro di sé esplose la rabbia, ma per qualche strano motivo non riuscì a darle sfogo come avrebbe voluto. 
 
«Tu...» si limitò a ringhiare «Sei tu che mi hai dato la Jolly Roger... ed eri presente alla morte di Milah... Tu... Tu c'eri... Come facevi a esserci?»
 
Emilie si limitò a sogghignare, lasciandogli il tempo di raggiungere da solo la risposta.  
Confuso... Stordito come se avesse appena ricevuto un colpo in testa. 
I ricordi nella sua mente si mescolavano alle emozioni e fece fatica a distinguere il vero dal falso, anche a causa dell'aspetto immutato della giovane. 
Ma mano a mano che la verità emergeva, la consapevolezza di esser stato truffato si consolidava, accentuando il rancore. 
 
«Tu... sapevi... sin dall'inizio... eri lì per questo... volevi vederla morire. Volevi avere un posto in prima fila al trionfo del Coccodrillo.»
 
Milly rise, applaudendo come a un bambino che ha appena imparato a camminare. 
 
«Bravo, pesciolino» replicò «Dopotutto saresti anche intelligente se ti applicassi di più.»
 
Un'ennesima provocazione alla quale il suo spirito da pirata non potè resistere a lungo. Urlando rabbioso le si avventò contro e le piantò il suo uncino nel petto, ma invece di ferirsi lei rise a crepapelle, estraendoselo dal petto e mostrandoglielo, godendo del suo sguardo vacuo e sperduto. 
 
«Oddio, papa aveva ragione. È divertentissimo!» esclamò, asciugandosi le lacrime dagli occhi e scuotendo il capo «Hai la stessa identica faccia di quando ci provasti con lui la prima volta, non credevo di rivederla uguale, anche se ci speravo» aggiunse. 
 
Tremante e sudato come se avesse compiuto uno sforzo immane per quel semplice gesto, Killian Jones guardò le sue mani che si agitavano febbrili e si sentì svuotato di ogni energia. 
Non riuscì neanche a chiederle come fosse possibile. Si limitò a guardarla boccheggiando, attonito. 
 
«Oh, lo so cosa stai pensando...» proseguì perfidamente soddisfatta lei, rigirandosi l'uncino tra le mani e avanzando, un passo avanti all'altro, verso di lui «Perché non sei morta? Sei una Signora Oscura anche tu, proprio come tuo padre?» ridacchiò scuotendo il capo «Credimi, mi piacerebbe tanto seguire così attentamente le sue orme, ma no. Non lo sono.» ghignò, guardando i suoi occhi perdersi «Ma allora perché non sono riuscito a ucciderti? Cosa diavolo sta succedendo?» lo sbeffeggiò, imitando il suo tono imbronciato. 
 
Con un gesto della mano trasportò entrambi all'interno del negozio di Mr. Gold, che alzò lo sguardo dai suppellettili che era intento ad esaminare e fissò stranito la situazione. 
Gli bastò uno sguardo al sorriso trionfante di sua figlia e all'uncino che stringeva tra le mani per capire. 
Sogghignò a sua volta 
 
«Hai fatto presto» disse. 
 
Lei scosse le spalle. 
 
«Te lo avevo detto che non ti avrei fatto attendere a lungo.»
 
Poi fece apparire tra le sue mani una lunga pergamena molto simile a quelle sulle quali erano incisi gli insindacabili contratti di Tremotino. Anzi, non era simile. Era proprio una di quelle. 
Suo padre inclinò un po' il capo, osservandola incuriosito. 
La giovane gli scoccò un occhiolino, poi tornò a rivolgersi alla sua preda, che nel frattempo era rimasto in silenzio, cercando di non perdere la calma e di capire. Gli venne incontro la ragazza, avvicinandosi e mostrandogli il fondo della pergamena. 
 
«Dimmi, Killian. Riconosci questa firma?»
 
Certo che la riconobbe. Era la calligrafia di John Silver, il suo precedente padrone. Il cuore a mille, il pirata scorse rapido il contratto trovando ad ogni riga la macabra, terrificante risposta a tutti i suoi quesiti. 
 
"In cambio di tutto l'oro che la mia nave riuscirà a trasportare, cedo la vita dei miei due mozzi Liam e Killian Jones a Emilie Gold. 
Essi saranno sua esclusiva proprietà, fino a che lei non deciderà di liberarli o scindere il presente contratto. 
In base a quanto detto: 
 
  • Emilie Gold e tutte le cose o le persone ad ella legate non potranno per nessun motivo e con nessuna arma, magia o parola essere danneggiate o attaccate, reversibilmente o irreversibilmente. Ogni danno arrecato da uno dei due fratelli a Emilie Gold e alle persone ad ella legate per mezzo di sangue o vero amore sarà nullo.
  • Ogni azione di Killian e Liam Jones dovrà essere dapprima approvata dalla nuova proprietaria. 
  • Killian e Liam Jones sono obbligati a obbedire a ogni ordine di Emilie Gold, sia esso giusto o sbagliato in base ai loro personali principi morali. 
  • Killian e Liam Jones sono obbligati a non interferire in alcun modo negli affari di Emilie Gold. Ciò significa che per nessun motivo e in nessun modo potranno esercitare coercizione contro i piani d'azione della suddetta, senza che lei ne sia al corrente e abbia loro dato l'autorizzazione di farlo. In caso di disobbedienza, saranno severamente puniti.
  • Killian e Liam Jones sono obbligati a servire Emilie Gold e a esserle fedeli. Ogni ordine dovrà essere eseguito senza discussione e ogni azione atta a contrastare un suo ordine sarà severamente punita. 
  • Killian e Liam Jones sono obbligati ad aver cura dei beni di proprietà di Emilie Gold e delle persone a ella legate per mezzo di sangue o vero amore, salvo diversa comunicazione da parte della stessa. 
  • Killian e Liam Jones sono obbligati ad agire in favore di Emilie Gold e delle persone o delle cose a ella legate per legami di sangue o vero amore. Loro e la loro progenie avranno il dovere di agire in favore della succitata, sempre e in ogni circostanza ma soprattutto in caso di pericolo di vita. Killian, Liam Jones e la loro progenie saranno sempre e comunque obbligati ad anteporre il loro bene e la loro sopravvivenza al bene e alla sopravvivenza di Emilie Gold, di suo padre, sua madre, i suoi fratelli e coloro i quali saranno ad essa legati da sangue o vero amore. Ogni azione atta a danneggiare i succitati sarà contrattualmente rigettata e non potrà essere compiuta. Nel caso in cui fosse messa in atto, ogni danno diverrebbe nullo e i responsabili potranno essere severamente puniti nei modi e nei tempi adeguati. Nel caso in cui sia Emilie Gold stessa a chiederlo, ogni azione dovrà essere ritenuta valida solo se ella l'avrà ordinata nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, fisiche ed emotive. Nessun ordine estorto contro la vera volontà di Emilie Gold dovrà ritenersi valido, sia esso frutto di torture, inganno o instabilità emotiva. 
  • Nessuna delle persone legate a Emilie Gold per mezzo di sangue o vero amore potrà essere usata contro di lei o come merce di scambio per azioni malvagie o nocive alle stesse. 
  • Questo contratto non potrà essere modificato, strappato, bruciato o distrutto in alcun modo, inclusi quelli che prevedono l'uso della magia. Nel caso in cui lo fosse, rimane valido in ogni sua parte. In caso di smarrimento materiale del contratto, rimane ugualmente valido in ogni sua parte. 
  • Killian e Liam Jones, in quanto di proprietà del Capitano John Silver prima e di Emilie Gold ora, non hanno alcun diritto di contestazione, revisione o recisione su questo contratto, così come il loro precedente proprietario. Ogni clausola dovrà essere da loro accettata e rispettata senza parola alcuna. In caso contrario, Emilie Gold può decidere come meglio crede della loro vita e della loro morte. 
  • In caso di morte di uno o più di uno degli interessati coinvolti nel presente contratto, esso rimane comunque valido. In presenza di eredi, questo contratto e i suoi effetti rimangono validi. 
  • Beni e persone appartenenti a Killian e Liam Jones sono di proprietà di Emilie Gold, ella si riserva il diritto di deciderne il destino come meglio crede. Ogni tentativo di frode potrà essere severamente punito dalla sottoscritta.  
  • Emilie Gold si riserva il diritto di modificare o aggiornare in ogni sua parte il presente contratto. Soltanto lei o l'erede da lei designato avrà potere assoluto su di esso. Solo lei o l'erede designato avrà diritto di scissione. 
  • In caso di ambiguità contrattuale, ogni altra azione volta a danneggiare Emilie Gold e le persone o le cose a ella legate è da considerarsi nulla e punibile. 
  • Questo contratto è valido in tutte le sue clausole con questa e tutte le altre possibili versioni di Killian e Liam Jones, incluso il Killian e il Liam Jones del futuro Reame del Desiderio e i loro eredi. In caso di assenza di Emilie Gold, la loro vita e la loro morte così come quelle della loro progenie sono da ritenersi di proprietà di Rumplestiltskin e dei suoi eventuali eredi, di sangue o designati. In caso di morte del suddetto e/o assenza di eredi, il contratto è da considerarsi ugualmente valido. 
  • In caso di morte prematura di Emilie Gold, Killian e Liam Jones sono da considerarsi di proprietà di Mr. Gold e dei suoi eredi. Solo questi ultimi avranno diritto di scissione o modifica. 
  • In caso di morte di Emilie e suo padre Mr. Gold, il contratto è da considerarsi comunque valido anche senza la presenza di eredi designati. 
  • Il presente contratto è da considerarsi comunque valido per entrambi le parti nel caso di vita oltre la morte e/o resurrezione. 
 
Emilie gli concesse tutto il tempo che gli serviva per leggere quelle poche, semplici e lapidarie righe, e rimase in silenzio fino a che non lo vide irrigidire di nuovo la mascella e infiammare gli occhi di odio. 
 
«Ora ti è tutto chiaro, Uncino?» domandò restituendogli il suo arnese con un gesto rapido del polso «Lascia che lo spieghi a papa adesso.» risolse, e lui sentì di nuovo quella sensazione d'impotenza premere contro il suo petto, riuscendo finalmente a comprendere il motivo. 
 
Era quell'accordo. Lo obbligava ad essere il suo schiavetto, volente o nolente. E cosa peggiore... all'improvviso capì di esserlo sempre stato, fin dal primo momento. Ogni cosa, perfino la morte di Liam e quella di Milah, erano state previste e accuratamente mantenute in quella storia, in quel suo nuovo tempo. Non solo Emilie gli aveva portato via tutto, si era anche assicurata di strappargli le ultime cose rimaste: L'amore di Emma, la sua libertà, la vendetta... 
Mentre osservava Tremotino leggere quel maledetto contratto e sorridere sempre più soddisfatto ad ogni riga, il desiderio di uccidere entrambi si fece sempre più forte e la sua mano buona si chiuse a pugno, iniziando a tremare. 
Il primo ad accorgersene fu proprio il Signore Oscuro, che tuttavia decise di far finta di nulla. Sorrise a sua figlia  
 
«Sono impressionato. E non è una cosa che dico spesso.»
 
La giovane ridacchiò, stringendosi a lui avvolgendogli le mani intorno ad un suo braccio e appoggiando appena il capo sulla spalla. 
 
«Ho imparato dal migliore. Non hai idea di quanto tempo io abbia passato a studiare i tuoi contratti, uno ad uno, nei minimi dettagli» rivelò. 
 
Tremotino annuì lusingato.  
 
«Oh, posso vederlo» disse indicando la pergamena con cenno delle mani. 
 
Finalmente Uncino trovò di nuovo la forza per farsi sentire. 
 
«È per questo che il veleno non ha funzionato, vero?» sibilò «Non perché non fosse veleno. Hai reso ogni mio sforzo vano molto tempo prima che lo facessi. Tu sapevi del Rubus Noctis, sapevi che lo avrei usato contro il Signore Oscuro e sapevi quando lo avrei fatto. Hai usato questo vantaggio per annientarmi. E poi hai aspettato.»
«O-oooh, si!» ridacchiò Emilie saltellando e scaturendo un cenno d'ilarità anche in Mr. Gold «Non è fantastico?» 
 
Killian Jones ebbe voglia di saltarle al collo e stringere fino a vederla smettere di respirare, ma fu come se lacci invisibili gli impedissero di farlo. 
 
«Lascia che ti chieda una cosa...» chiese a quel punto Rumplestiltskin a sua figlia «Come hai fatto a renderlo effettivo?»
 
Milly sorrise. 
 
«Acqua del pozzo dei desideri, un capello dei due fratelli Jones, una goccia del mio sangue, due gocce d'acqua del fiume delle anime perdute e polvere di Cristallo dell'Olimpo» rivelò «Ho saccheggiato la tua dispensa ma direi che ne è valsa la pena, no?»
 
Il Signore Oscuro ridacchiò appena, fissando con sguardo famelico il suo nemico mortale. 
 
«Oh, direi di sì. Ho qualche dubbio sulla reperibilità di alcuni ingredienti, ma so già che scoprirò tutto col tempo» aggiunse lanciandole un occhiolino alla quale lei rispose arrossendo. 
 
Infine, la giovane tornò a rivolgersi al Capitano, avvicinandosi e godendo come non mai della rabbia che vide scintillare nei suoi occhi. 
 
«Allora, Capitano. Come ci si sente?» sibilò tra i denti guardandolo negli occhi «Cosa si prova a sapere che tutta la tua intera vita avrebbe potuto essere diversa se solo io lo avessi voluto?» ridacchiò «Pensaci... Tuo fratello... Milah... Perfino la Jolly Roger... Avrei potuto intervenire in qualsiasi momento e loro sarebbero ancora qui con te... Ma non l'ho fatto. Non ho voluto farlo... e non ho intenzione di farlo in futuro. E adesso sei nelle mie mani.»
«Perché?» ringhiò in risposta Jones «Perché lo fai? Non è solo per proteggere tuo padre, vero? Quale altro ricordo mi hai portato via?»
 
Domanda che la fece esplodere in una risata divertita, mentre Mr. Gold la fissava ammirato. Era stato proprio un bravo insegnante con lei, anche se non lo ricordava. Aveva tutte le carte in regola per meritare la sua fiducia e la sua ammirazione. 
 
«Vedi, Capitano? È questo il bello... io non ho dovuto toglierti niente... se non la possibilità di costruire quei ricordi.»
 
Entrambi, sia il Signore Oscuro che Uncino, aggrottarono la fronte. Il primo intrigato, il secondo quasi terrorizzato. 
 
«C-come?»
 
Emilie Gold ridacchiò di nuovo, portandosi le mani giunte al petto e tamburellando i polpastrelli l'uno contro l'altro. 
 
«Vedi...» spiegò con un sorriso «Nel tempo da cui provengo io, tu hai trovato il tuo lieto fine in tutti i mondi in cui ti ho conosciuto. In questo, sei riuscito a sposare la Salvatrice e avete avuto un deliziosa frugoletta di nome...» fece una smorfia disgustata «Hope. Ma guarda un po'... Speranza... Così nauseante e prevedibile.» lanciò uno sguardo a suo padre, e lo vide sorridere divertito, poi tornò a tormentare il suo topolino «Mentre nel secondo Reame, hai avuto una figlia con una strega...» ridacchiò «Tu pensa. A tua discolpa c'è da dire che non lo sapevi. Comunque sia...» soggiunse scuotendo le spalle «Tu e lei avete avuto una figlia, Alice.» il ghigno sul suo volto svanì, le lacrime tornarono prepotenti e una smorfia di dolore deformò le sue labbra. 
 
Cercò di non mostrarlo agli occhi di Mr. Gold, ma a questi non sfuggì né la sua profonda tristezza improvvisa, né il suo significato. Si fece serio. Era strano. Sebbene, fosse lì accanto a lei piangeva ancora la sua morte come se lo avesse appena perso. 
Sapevano entrambi, dopo essersi ritrovati, che poteva ancora esserci futuro per loro. 
Ma la versione migliore di sé aveva lasciato un vuoto incolmabile nel suo cuore, vuoto che l'aveva spinta a ricercare la vendetta, nonostante la promessa di non oltrepassare il confine verso l'oscurità. 
Ne era a conoscenza. Sapeva ogni cosa di lei dopo che la sua giovane figlia gli aveva offerto, assieme al suo aiuto, il libro che avevano trovato dentro allo studio dello scrittore e il suo diario, con tutti i disegni, le annotazioni e i ricordi dei giorni trascorsi a ricercarlo. 
Era una lunga lettera a lui, che rimaneva comunque suo padre, nonostante non fosse... quello che aveva lasciato. 
Quella versione di Tremotino era morta, ma lui era vivo e avrebbe voluto esserle d'aiuto. Tuttavia, decise di lasciare che quel momento fosse soltanto suo, esattamente come lei aveva fatto con Milah. Rimase ad osservarla prendersi il suo lieto fine, limitandosi ad essere fiero di lei e di come aveva magistralmente applicato tutti gli insegnamenti ricevuti, riuscendo a eludere brillantemente perfino un suo accordo. 
 
«È grazie a voi se sono qui...» mormorò rabbiosa, stringendo i pugni «Dovrei esservene grata, ma...» ghignò amara «Chissà perché non ci riesco proprio.»
 
Quindi si chinò verso i suoi stivali, sfoderò il pugnale che vi nascondeva e glielo puntò alla gola, in modo che potesse vedere la lama priva di nome scintillare davanti ai suoi occhi. 
 
«Tu hai distrutto la mia vita. Hai preso il cuore di mio padre e te ne sei appropriato, per vivere felice e contento. Mi hai tolto ogni possibilità di lieto fine, e ora...» il ghigno divenne famelico, cattivo «Io mi prenderò il tuo. Anzi no...» rise di nuovo «Me lo sono già preso» disse mostrandogli di nuovo il contratto «Perché ora quel futuro non esisterà più, per te e per ogni altra tua versione, presente, passata e futura, così come per ogni altra tua adorabile pargoletta. Siete miei... e io vi userò per cambiare le cose.»
 
Guardò suo padre e gli sorrise, ricevendo in risposta uno sguardo amorevole e fiero. 
Abbassò il pugnale, lo rimise a posto e raggiunse Mr. Gold, stringendosi al suo braccio. 
 
«Stavolta, grazie al tuo prezioso sacrificio, i cattivi avranno il loro lieto fine» rise di nuovo, divertita «Sono riuscita a prenderti il cuore senza neanche dovertelo tirare fuori dal petto.»
 
Rumplestiltskin ghignò, ma Killian Jones sembrò non essere dello stesso avviso. 
 
«Io non vi permetterò mai di usarmi come marionetta per i vostri miseri scopi» ringhiò.  
«Oh, ma non puoi fare nulla per impedircelo» gli rispose sicura di sé lei «A meno che tu non riesca... a convincermi a stracciare il contratto. Ricordi? Solo io posso decidere di liberarti.»
 
La mascella di Uncino s’irrigidì di nuovo. Padre e figlia lo videro stringere i pugni e si scambiarono un sorriso trionfante. 
Ancora qualche istante, e infine la risposta che aspettavano di sentire lì raggiunse, colmandoli di gioia. Era davvero un piacere fare affari insieme, avrebbero dovuto formare una società. 
 
«Cosa devo fare?»
 
A quel punto, Milly lasciò la parola a suo padre. Tremotino trasse da sotto il bancone una sorta di scrigno di forma cilindrica e con molta cautela vi passò sopra la lama del pugnale. I loro occhi scintillarono nel vederlo dischiudersi e lasciar uscire il prezioso tesoro che conteneva, un cappello da mago nel quale scintillava un intero universo. 
 
«Questo è un manufatto in grado di intrappolare ogni tipo di potere magico» spiegò Mr. Gold «Nello specifico, in questo momento necessito di qualcosa di molto prezioso, custodito tra le mura di un convento.»
 
Killian Jones si scurì. 
 
«Le fate...» mormorò rabbrividendo. 
 
Emilie ghignò, staccandosi da suo padre e tornando ad avanzare verso di lui per consegnargli il cappello. 
 
«Ora sono solo suorine che aspettano di essere risucchiate da questo bel copricapo.» spiegò divertita «E in quanto tali, hanno degli obblighi da rispettare» si fece di nuovo pericolosamente seria «Uno di questi consiste nel rivolgersi ogni mattina e ogni sera ad un dio in cui non credono. Ti basterà introdurti nella cappella all'ora dei vespri e appoggiare il cappello con la punta a terra, la magia farà il resto.»
 
Titubante ma senza vie d'uscita, il pirata prese tra le mani il cappello e sospirò, lanciandole un’ultima occhiata scura. 
 
«Questo mi libererà da quel maledetto contratto?»
 
Milly sorrise, scuotendo le spalle. 
 
«Può darsi» replicò, facendo morire in lui quel pizzico di speranza rimasta «Ma del resto, che alternativa hai? Vuoi che te lo ordini direttamente?» lo minacciò con un sorriso.  
 
Il Capitano sbruffò, e senza risponderle fece per andarsene, ma lei lo bloccò. 
 
«Un'ultima cosa...» disse, porgendo la mano «Consegnami la tua spada.»
 
Uncino sentì di nuovo quella forza invisibile spingerlo ad obbedire. La guardò sorpreso, sfoderando l'arma. Ma prima di obbedire resistette, osando chiedere. 
 
«A che ti serve la mia spada?»
 
La ragazza si fece seria, e mosse le dita come ad incoraggiarlo. 
 
«Questo non è affar tuo. Consegnamela immediatamente. Ogni tua proprietà mi appartiene» soggiunse, e stavolta il pirata non riuscì a sottrarsi all'ordine. 
 
Gliela mise in mano, poi le lanciò un'ultima torva occhiata e se ne andò, lasciandola finalmente libera di gioire dei suoi successi. 
Non appena la porta del negozio si chiuse, la giovane si rivolse nuovamente a suo padre, sorridendogli e ricevendo uno sguardo amorevolmente fiero. 
 
«Tieni» gli disse, raggiungendolo e appoggiando la spada sul suo cuore «Un regalo da parte di una figlia devota» aggiunse con affetto. 
 
Tremotino le strinse la mano con la sua sinistra, sfiorandole il mento con quella libera e scoccandole un occhiolino che la fece sentire di nuovo quella bimba innamorata del suo papa
Poi tornò a concentrarsi sull'arma, alzandola in orizzontale e fissando il riflesso dei loro occhi sulla lama curva. 
 
«Non credevo che un giorno mi sarebbe appartenuta» rivelò, strappandole un sorriso. 
«Il destino può rivelarsi piacevolmente bizzarro, a volte» replicò lei, facendolo sorridere. 
 
Poi però tornò farsi seria, a stringendo quelle mani forti tra le sue, e domandò, sfiorando con le dita il suo petto all'altezza del cuore. 
 
«Come ti senti?»
 
Rumplestiltskin le rivolse uno sguardo intenerito. 
Vederla preoccuparsi per lui era quasi come rivedere sua madre. 
 
«Me la cavo, per ora.»
 
Lo abbracciò, stringendolo forte quasi temesse di vederlo svanire come il Tremotino del Desiderio. 
Lui fece lo stesso, avvolgendola teneramente con le sue braccia come a proteggerla da tutte le sue paure e le incertezze che il futuro riservava. 
 
«Andrà bene, Principessa» le disse, quando la giovane riuscì a staccarsi e a tornare a guardarlo negli occhi. 
 
Quelli della ragazza scintillarono a causa delle lacrime che erano tornate a empirli. 
 
«Lo so...» disse, annuendo e sforzandosi di sorridere «Ma ho paura lo stesso... non voglio perderti di nuovo.»
 
Un singhiozzo le sfuggì, si coprì la bocca ma Rumplestiltskin la abbracciò di nuovo, emozionato quanto lei. 
 
«Non succederà, te lo prometto» mormorò lasciandole una carezza sulla nuca. 
«Ti voglio bene, papa
 
Il Signore Oscuro sorrise. 
 
«Anche io te ne voglio, Emilie.»
 
Proprio allora, il campanello dell'ingresso suonò, annunciando un visitatore. 
Baelfire li salutò con un laconico
 
«Heilà.»
 
Interrompendo il momento. Padre e figlia si staccarono, Emilie si asciugò in fretta le lacrime mentre il Signore Oscuro ritrovò il suo contegno, appoggiandosi al bancone e sorridendo al suo primogenito, che tuttavia sembrò non condividere il suo buon umore. 
 
«Tutto bene?» chiese preoccupato scrutandoli «Che ci faceva Killian qui?»
 
Poi però, ancor prima di ricevere una risposta, sventolò in aria una mano scuotendo il capo. 
 
«Anzi, lasciamo stare. Qualunque sia il malefico piano a cui state lavorando, non voglio saperne niente. Meglio così.»
 
Mr. Gold accennò ad un sorriso triste. Quella risposta sembrò non piacergli tanto, per questo Emilie rivolse a suo fratello uno sguardo dapprima sorpreso, poi contrariato.  
 
«Non c'è nessun complotto, Bae» provò a replicare, ma suo padre la fermò con un cenno della mano e un occhiolino. 
«Mi cercavi?» domandò seguitando a mostrarsi imperturbabilmente tranquillo. 
 
Neal annuì. 
 
«In realtà cercavo lei» disse indicando sua sorella «Hai impegni per cena? Henry vuole passare un po' di tempo con sua zia.»
 
Per quanto quella prospettiva potesse lusingarla, il modo freddo e distante con cui si era rivolto al loro genitore continuava a infastidirla. Rumplestiltskin sembrava averci fatto l'abitudine, ma lei lo aveva visto per troppo tempo soffrire l'assenza del figlio, prima per la sua scomparsa e poi per la sua morte, per riuscire ancora a tollerare quell'algida indifferenza. 
Volle discuterne, ma capì che non poteva farlo senza ferire i sentimenti di suo padre, quindi decise di far finta di niente e rimandare quel discorso a più tardi, quando sarebbero stati soli. 
 
«Con piacere» replicò «Da Granny o a casa mia?»
 
Compiendo l'ennesimo colpo al suo orgoglio, Baelfire rispose spostando gli occhi da lei al soffitto. 
 
«Facciamo da Granny. Voglio che Henry resti fuori dai vostri casini.»
 
Stavolta fu davvero troppo. 
 
«Sei ingiusto, Bae» gli rispose, ma ancora una volta Mr. Gold la fermò. 
«Non verrà coinvolto in alcun modo, figliolo. Sono ancora deciso a proteggerlo, come lo ero sull'isola che non c'è» replicò sincero. 
 
Neal sorrise, regalandogli finalmente un po' di soddisfazione. 
 
«Lo apprezzo» mormorò sbrigativo, per poi rivolgersi di nuovo a lei con un fugace «A stasera. Fa che sia una serata tranquilla, okkey?»
 
Quindi uscì dal locale, lasciandoli nuovamente soli. Emilie abbassò gli occhi, scura in volto. Tremotino tentò di risollevarle il morale sfiorandole il mento e invitandola a guardarlo negli occhi. 
 
«Io e Baelfire abbiamo ancora tanta strada da fare insieme, grazie a te» le disse con un sorriso comprensivo «Ci stiamo riavvicinando, ma ho tante cose da farmi perdonare.»
«È vero, ma come può trattarti ancora così dopo tutto quello che hai fatto per lui? Dopo tutto quello che ha saputo su di te da me...» replicò delusa lei. 
 
Il Signore Oscuro sorrise di nuovo, mostrandole il pugnale che teneva nascosto dentro la cassaforte alle loro spalle. 
 
«È questo pugnale» disse «L'Oscurità che sta divorando il mio cuore... ecco perché devo liberarmene. Solo quando sarò veramente in grado di essere me stesso riuscirò a riprendere il controllo della mia vita e convincerlo che non sono una minaccia. Finché qualcuno sarà in grado di controllare il Signore Oscuro, nessuno si fiderà mai veramente di me.»
 
Glielo disse con un candore sorprendente perfino per sé stesso, e con altrettanta sincerità Emilie prese di nuovo le sue mani e replicò, decisa. 
 
«Io mi fido, papa.» 
 
Poi, dopo un istante di titubanza, aggiunse. 
 
«C'è una profezia di Merlino, è ancora troppo presto perché ne siate a conoscenza ma...» sorrise «Questa profezia è molto chiara. Ci sarà, un giorno, qualcuno che riuscirà ad usare il potere del Signore Oscuro per compiere azioni da eroe, giuste e altruiste.»
 
Nello sguardo di suo padre si accese una scintilla. 
 
«David e Mary Margaret credevano che fosse Emma, ma non fu così. Sarai tu, papà. Io te l'ho già visto fare, so che lo farai quando sarà il momento. Ed è lì che voglio portarci tutti, a quel momento. Voglio che ci siano tutti quando sarai in grado di essere il primo Signore Oscuro in grado di agire per la luce.»
 
L'uomo tacque, sbalordito e al contempo per nulla sorpreso. Emilie gli aveva già ampiamente parlato di quel Tremotino eroe, sapeva che era ancora un Signore Oscuro ma che nonostante tutto era stato in grado di tenere lontano dal suo cuore e da quello dei suoi figli il fascino dell'Oscurità. Tutto questo sarebbe stato possibile grazie a Belle e al suo amore, ma non solo. 
 
«Tu puoi salvare la mamma. Puoi farlo. Lo farai, perché è per questo che sono tornata indietro. Per convincerla che è la strada giusta da seguire.» seguitò Emilie, sempre più fiduciosa, negli occhi uno scintillio commosso «Può esserci un lieto fine in vita per tutti noi.»
 
Tuttavia... per quanto la prospettiva lo allettasse, ora come ora troppe incognite si celavano dietro quel finale idilliaco. 
 
«Hai cambiato il passato, Emilie» disse «E anche se in minima parte, non possiamo più essere sicuri che anche il futuro non sia diverso.»
«Magari sarà diversa la catena di eventi che ci porterà fin lì» gli rispose però sua figlia, facendo sfoggio di tutta la saggezza accumulata col tempo «Ma la profezia di Merlino rimane valida.»
 
Anche se, per far sì che il cuore di suo padre potesse diventare quello di un eroe, l'oscurità avrebbe comunque dovuto lasciarlo per un po', e qualcuno avrebbe dovuto permettergli di imparare l'arte dell'essere eroi. 
Tappe fondamentali che aveva deciso di non rivelargli e che avrebbe dovuto affrontare da sola. Per quanto stesse cercando di essere pronta, non lo era affatto. Per questo non sopportava l'idea che Baelfire lo trattasse in quel modo. Per questo ogni volta che suo fratello era ingiusto con loro il suo cuore si accendeva di rabbia. Stava per perdere di nuovo suo padre, anche se temporaneamente, non era affatto pronta a risentire quel dolore graffiare il petto. Will le aveva già suggerito di usare di nuovo l'occhio di Cronos, ma stavolta non aveva voluto farlo. Stavolta sarebbe rimasta con loro per tutto il tempo che serviva, come con Zelena. Anche perché aveva una vendetta da portare avanti. 
 
«La mamma non mi permetterà mai di usare l'oscurità per salvarle la vita.» le rispose ancora Mr. Gold, riportandola al presente. 
 
Sorrise determinata 
 
«Lo farà. La convincerai. Ti aiuterò io... o questo mio viaggio non avrebbe alcun senso.»
 
Lo vide sorridere di nuovo, dolcemente. 
 
«Principessa...» mormorò, assomigliando per un attimo sempre più all'uomo che lei aveva conosciuto da bambina, solo... con qualche anno in meno sulle spalle «La magia ha sempre un prezzo. Anche quella che serve a riportare indietro le lancette del tempo. E solo il Signore Oscuro è immortale.»
 
Emilie sorrise, annuì. 
 
«Lo pagheremo, papà. Insieme. Come una famiglia» promise, gli occhi lucidi e il cuore che batteva forte in petto. 
 
Quindi, pieno di amore e senza più alcuna obiezione per lei, Mr. Gold tornò ad abbracciarla forte, concedendole di bagnare con qualche lacrima di sollievo la stoffa della giacca del suo prezioso completo gessato. 
Quando riuscì a staccarsi, le porse il fazzoletto di seta rossa che portava all'occhiello. Lei l'accetto ringraziandolo con un filo di voce. 
 
«Forse se dicessi a Bae e alla mamma della profezia, cambierebbero opinione su di te» propose, continuando a restare impensierita. 
 
Tremotino sorrise, scuotendo il capo. 
 
«Non credo, no» replicò «Comunque sia, preferisco guadagnarmi l'affetto dei miei figli, piuttosto che affidarmi a qualcosa di così vago.»
 
Comprensiva, Emilie sorrise e annuì. 
Era proprio come lo ricordava. Esattamente come aveva sempre saputo che fosse: onesto nonostante l'oscurità che albergava in lui e la sua insaziabile sete di potere. 
Questo valeva molto più di qualsiasi altra azione per riuscire a farsi perdonare, almeno da lei. 
 
\\\ 
 
Quella sera...  
 
La cena che Granny aveva preparato per Henry e la sua adorata famiglia era invitante. Non le piaceva Emilie, ma Henry le voleva bene così aveva deciso di mettere da parte i suoi sentimenti per dare il meglio di sé in cucina. 
Come piatto principale ovviamente una bella e fumante teglia di lasagne al ragù di carne, poi una bistecca al sangue e contorno di patatine con tanta salsa. 
Emilie era arrivata giusto in tempo per il secondo, vestita con un completino giallo oro che le lasciava scoperte le gambe e le spalle, velate da un foulard nero. Stringeva una pochette piena di strass neri e calzava décolleté dello stesso colore del vestito e con tacchi vertiginosi che avrebbero dovuto aiutarla a guardare suo fratello Neal negli occhi, mentre cercava di non dimostrare tutto il suo disappunto per il comportamento ostile tenuto quel pomeriggio. 
Si era ripromessa di non litigare in presenza di Henry, ma non appena vide Bae lanciarle un'occhiata diffidente mentre si avvicinava al loro tavolo sentì di non riuscire più a ignorarlo. Prese fiato e lì salutò con tutta la cordialità di cui era capace, concentrandosi solo su suo nipote. 
 
«Come siamo eleganti!» osservò compiaciuto Neal, prima ancora che lei provasse a parlare. 
 
Aveva giurato di non litigare, ma niente le impediva di usare il sarcasmo. 
 
«Trascorrere del tempo di qualità con la mia famiglia è importante per me. Ci tengo a fare bella figura» lo apostrofò, beandosi della sua espressione contrariata prima di passare di nuovo al piccolo Mills «Com’è andata a scuola?»
 
Finse di ascoltare la risposta, ma in realtà non fece che lanciare rapide e accusatorie occhiate ad un Neal Cassidy sempre più a disagio. 
 
«E la tua giornata com'è andata?» le chiese a sua volta il ragazzino «Ti trovi bene con il nonno?»
 
Una ghiotta occasione che lei non volle lasciarsi scappare. Del resto era stato il ragazzino a cominciare. 
Guardò Baelfire e lo vide pulirsi nervosamente le labbra col tovagliolo per nascondere il disappunto sempre più evidente. 
 
«Oh, io amo lavorare con papa» replicò tranquilla, scoccandogli un occhiolino «E mi piacciono le cose che hanno una storia alle spalle, quindi direi che questo è il lavoro perfetto per me.» 
 
Henry sorrise e stava per chiedere altro, ma con grande sollievo di suo padre Ruby soggiunse ad interrompere il momento. 
 
«Come va la cena?» domandò con la solita cordialità. 
«È tutto squisito» le rispose Henry. 
 
Milly la osservò per un istante, Neal la vide farsi pensierosa e temette il peggio, ma poi la sentì affermare con tranquillità. 
 
«Ruby, hai da fare domani sera?»
 
La ragazza sembrò esitare imbarazzata. 
 
«Oh, in realtà no, ma...» abbassò gli occhi, arrossendo «Oggi è il primo giorno di luna piena, quindi...» 
«Oh, tranquilla. Te l'ho domandato proprio per questo, sai...» sorrise Emilie, rassicurante «Ho sempre sognato di essere un lupo, e adesso con un po' di magia potrei anche riuscirci. Mi andrebbe di condividere il momento con qualcuno che possa capirmi» lanciò un'occhiataccia a suo fratello, che sgranò gli occhi e si mosse a disagio sulla sedia, quindi concluse «L'incantesimo durerà fino all'alba, giusto il tempo di correre un po', fare... cose da lupi» ridacchiò, scoccandole un occhiolino per poi rivelare «È che è un periodo un po' complicato, ho bisogno di ritrovare me stessa.»
 
Solo a quel punto la giovane ragazza lupo sembrò comprenderla. 
 
«Va bene, allora» disse, sciogliendosi in un sorriso «Staccherò al tramonto, avremo tutto il tempo per prepararci» le disse scoccandole un occhiolino che la giovane figlia di Tremotino ricambiò con piacere 
«Passo a prenderti a quell'ora. Grazie per la comprensione» rispose contenta. 
«Figurati, posso capirti» replicò cappuccetto rosso «Sarà bello una volta tanto avere un po' di compagnia.» 
 
Quindi augurò loro buon proseguimento e si congedò, raggiungendo gli altri clienti. Rimasti soli, Henry non potè non seguire il suo istinto curioso e chiederle 
 
«L'hai mai fatto prima? Trasformarti in un animale?»
 
Era sinceramente interessato. Ma Neal non apprezzava molto la curiosità che la magia di sua sorella, così ambigua, suscitava in suo figlio. La conosceva, e ne temeva le conseguenze. Non era devastante come quella del Signore Oscuro ma ad essa s'ispirava, quindi faceva poca differenza. 
Ignara di tutto e scegliendo d'ignorarlo, Emilie ridacchiò e rispose, unendo le dita di entrambe le mani e appoggiandovi il mento. 
 
«Una volta mi sono trasformata in un corvo» rivelò con aria sognante «Uno dei corvi di Malefica. Volevo vedere mamma e papà durante i loro primi anni insieme, ma non potevo farmi vedere ovviamente. Quindi ho preso le sembianze di un corvo imperiale e ho sorvolato il castello Oscuro.»
 
Baelfire sbruffò. 
 
«E li hai visti?» chiese ancora Henry, con un sorriso. 
 
Sua zia sorrise annuendo sognante. 
 
«Si. È stato il lasso di tempo più lungo che ho vissuto prima di questo tempo, qui a Storybrooke» rivelò «Ogni mattina mi trasformavo in un corvo e volavo a salutare la mamma» ridacchiò «Era dolce. A volte mi dava anche qualche cosa da mangiare... frutta fresca... qualche seme. Poi mi posavo sulla finestra dello studio di papà e aspettavo che entrasse» rise «Lui odia i corvi di Malefica, il più delle volte mi scacciava e se la prendeva con la mamma perché mi dava da mangiare. Allora io sceglievo un albero dal quale rimanere a guardarli senza essere scoperta e restavo lì tutto il giorno, fino al tramonto.»
«Quando l'incantesimo finiva» concluse Henry al posto suo.  
 
All'improvviso, Baelfire sembrò ascoltarla. Qualcosa in quella storia lo aveva attratto, forse la premura con cui era stata in grado di prendersi cura di suo padre nonostante tutto, o l'amore con cui lo raccontava. Per un istante Emilie sperò che si fosse reso conto di quanto fosse stato inclemente, e forse lo fece anche, ma poi l'orgoglio prese il sopravvento spingendolo a ripetere lo stesso errore. 
 
«Henry, puoi dire a Granny di preparare qualcosa per la mamma?» li interruppe, consegnandogli un centone «E ordina un bel dessert per tutti e quattro.»
 
Il ragazzino obbedì solerte, lasciandoli finalmente soli a discutere. 
 
«Che c'è? Ti dà fastidio che mio nipote mi apprezzi?» chiese stizzita Emilie. 
«Non è questo il punto» replicò con durezza lui, abbassando la voce. 
«E allora qual è? Hai paura che impari ad amare suo nonno?»
 
Lo vide aprire la bocca per parlare ma poi richiuderla subito, capì di aver toccato il punto. 
 
«Sei un ipocrita, come tutti gli altri. Mi aspettavo di meglio da te dopo tutto quello che io e papa abbiamo fatto per salvarti» disse perentoria.  
 
Di nuovo, Neal sbruffò. 
 
«Non sono un ipocrita, so quello che avete fatto e vi ringrazio. Ma sembri dimenticare che lui è anche il Signore Oscuro» replicò seccamente.
«E allora? Non ha diritto a ricevere l'amore di un figlio e di un nipote per questo?» ribatté con altrettanta determinazione lei.  
«Come posso fidarmi dopo tutto quello che ha fatto? Lui mente, inganna, e ha interesse solo per il suo stramaledettissimo potere. Sarebbe disposto a sacrificarci entrambi per ottenerne ancora!» sbottò allora Baelfire, sforzandosi di mantenere la calma e soprattutto di non farsi udire da nessuno.  
 
Emilie si sentì divampare. Aveva giurato che nulla sarebbe stato in grado di rovinare quella serata. Suo padre voleva che lei e Baelfire andassero d'accordo e ci aveva provato, poteva giurarlo.  
Ci aveva provato con tutta sé stessa, ma questo era... troppo, anche per lei. 
Il suo animo in fondo era buono, ma provato da mille avversità. L'amore ritrovato di suo padre e di Ewan aveva acceso una nuova fiammella dentro di lei, ma era ancora troppo flebile per riuscire a rischiarare i meandri più bui del suo cuore. 
Fu proprio quell'Oscurità residua a spingerla ad un'azione impulsiva che tuttavia sul momento non rimpianse affatto. 
Si alzò in piedi e gli sferrò un sonoro ceffone sul muso, cogliendolo totalmente di sorpresa. Fortunatamente, gli altri commensali erano distratti dalla musica e dalle chiacchiere quindi non si accorsero di nulla. 
Neal però non riuscì nemmeno a parlare, coprendosi la guancia con la mano e scrutandola preoccupato. 
Aveva le lacrime agli occhi, un nodo stretto in gola, e i pugni stretti talmente forte che le nocche divennero bianche. 
 
«Papa sta male, Bae...» mormorò, sforzandosi di respirare. 
 
L'ennesima notizia scioccante, qualcosa di così incredibile e inaspettato da lasciarlo ancor più basito dello schiaffo ricevuto. 
La guancia ancora bruciante, il cuore all'improvviso affannato. 
Tutto l'orgoglio svanì in un istante.  
 
«C-cosa? Che ha?» domandò. 
 
Emilie chinò il capo, chiuse gli occhi e si prese un istante. Soltanto il pensiero la stordiva. 
 
«Il suo cuore…» bofonchiò «L'Oscurità lo sta divorando. Presto... non rimarrà che il Signore Oscuro... Niente più Tremotino...»
 
Di nuovo. 
Soffocò un singhiozzo. Baelfire volle dirle qualcosa, ma l'arrivo di Henry lo fermò. Emilie non lo vide a causa delle palpebre chiuse, ma lo sentì quando chiese 
 
«Tutto bene?»
 
Si sforzò di darsi un contegno, represse il dolore e tornò a sorridere. I suoi occhi lucidi e il leggero tremolio sulle labbra però la tradirono. 
 
«Zia, piangi?»
 
Emilie scosse il capo, si asciugò le palpebre e si scusò rammaricata. 
 
«Perdonami Henry, è che... oggi non è la giornata adatta per questo. Sono... solo molto stanca.»
 
Guardò la torta al cioccolato che il ragazzino stringeva tra le mani. 
 
«Oh, avevi preso anche una fetta per me... mi spiace tanto...»
 
Il giovane sorrise, scuotendo le spalle. Poggiò il piatto sul tavolo, quindi la strinse forte, avvolgendole le braccia attorno alla vita. Stavolta fu lei a essere sorpresa, e rivolse uno sguardo a suo fratello che le sorrise, abbassando il capo. 
Abbandonandosi a quell'abbraccio, che per inciso attirò molti più sguardi della loro precedente scaramuccia, lo strinse forte per qualche istante, poi tornò a sorridere e decise. 
 
«Facciamo così. Finiamo il dolce, e domani per farmi perdonare vengo a prenderti a scuola e faremo quello che desideri. Passeremo un bel pomeriggio zia e nipote. Ti va?»
 
Henry sorrise contento. 
 
«D'accordo» decise, lanciando poi un'occhiata a suo padre che sorrise e tornò a scuotere le spalle. 
«A questo punto, credo di non avere scelta.»
 
Risero, e per una buona mezz'oretta sembrò che il malumore fosse passato. Rimaneva una importante questione in sospeso, ma per il bene di tutti Neal Cassidy pensò che sarebbe stato meglio affrontarla in un secondo momento. 
Ma Emilie Gold aveva imparato molto bene a fingere e riuscì a resistere fino a che, dopo averli salutati, non riuscì a raggiungere a piedi la sua casetta sull'albero, ormai vuota. 
Era una notte limpida, la luce della luna quasi piena illuminò il suo cammino e permise a qualcuno che avrebbe potuto aiutarla di raggiungerla. 
Ewan si stava esercitando alla caccia notturna quando la vide. Camminava lentamente, singhiozzando forte. La seguì da lontano, in silenzio, e poco prima che potesse trasportarsi in cima al suo rifugio la vide crollare e accorse, sorreggendola e stringendola forte. 
 
«Milly. Emilie, sono io. Sono io, va tutto bene...»
 
La ragazza non parlò, limitandosi a sprofondare il viso nel suo petto forte e aggrapparsi con tutta sé stessa al cappotto che avvolgeva le sue spalle dritte da arciere e profumava di foresta. 
L'uomo la lasciò sfogare, e ci volle parecchio prima che, stanca di piangere, riuscisse finalmente a parlare. 
La notizia della malattia di Mr. Gold lo colpì più di quanto avesse creduto, e per più di un motivo. 
Nutriva un profondo rispetto per quell'uomo, e stare con sua figlia gli aveva fatto comprendere quanto fosse profondo il legame che entrambi avevano con la loro famiglia. 
Proprio come Robin Hood celava il suo buon cuore dietro la maschera di ladro, nonostante fosse il Signore Oscuro anche Tremotino aveva un codice d'onore e un cuore buono. Non potè perciò impedirsi di provare dispiacere per lui, ed empatizzare col dolore di sua figlia.  
 
«Non c'è... nessun modo per aiutarlo?» domandò cercando di darle una mano. 
 
Lei annuì, appoggiando la testa sulle sue spalle. Erano seduti sul bordo del pavimento della casa sull'albero, ad ammirare il firmamento lontano e silente. 
 
«Esiste, ma... papa non può commettere troppe cattive azioni, rischierebbe di compromettersi ulteriormente» rivelò, sospirando pesantemente «Ecco perché sto svolgendo io le questioni più complicate. Non posso permettere che si aggravi prima che...»
 
Non riuscì a finire la frase. Tornò a farsi abbracciare da lui, che la sostenne stampandole un dolce bacio sulla fronte. 
 
«Posso aiutarti in qualche modo?» domandò, così candidamente da sconvolgerla. 
 
Lo guardò negli occhi, sorpresa e grata. 
 
«T-tu... lo faresti davvero?»
 
L'arciere sorrise, prendendo tra le mani la punta di freccia che la giovane portava ancora al collo. 
 
«Mi sorprende che tu me lo chieda, dopo tutto quello che abbiamo affrontato» mormorò comprensivo, e guardandola sorrise e la baciò, dapprima teneramente, accarezzando le sue labbra morbide, poi sempre più appassionato. 
 
Si lasciarono andare, fino a che lacrime tornarono a sgorgare dagli occhi della giovane, assieme a lunghi sospiri, come se i polmoni avessero ricominciato a bere aria nuova. 
Si limitarono a stringersi, non avevano bisogno di altro quella notte, e quando infine la giovane Gold si arrese alla stanchezza il suo amato la prese tra le sue braccia e la riaccompagnò nel suo letto, addormentandosi poi al suo fianco mentre le stringeva la mano. 
Era vero. Non c'era nulla che non avrebbe accettato di fare finché avrebbe avuto la possibilità di esserle accanto come in quel momento, perfino aiutarla in quell'impresa quasi impossibile di regalare un lieto fine al Signore Oscuro. 
Avevano già perso troppo tempo. 
 
\\\ 
 
La mattina dopo... 
 
Era ancora il crepuscolo quando un messaggio illuminò dapprima lo schermo del cellulare di Emilie, poi quello di suo padre. 
C'era un ospite importante che attendeva di essere ricevuto a Storybrooke, qualcuno da non fare attendere, così appena mezz'ora più tardi padre e figlia si ritrovarono al confine della città, vestiti dei loro abiti migliori, pronti a dare il via al loro piano di conquista del lieto fine.  
Molte cose erano cambiate grazie ad Emilie, nessuna Regina dei ghiacci aveva invaso la città, e grazie all'attento studio della giovane fu molto più facile permettere a Cruella de Vil e Ursula di oltrepassare indenni l'incantesimo di protezione che nascondeva la cittadina agli occhi degli estranei. 
I quattro si ritrovarono faccia a faccia mentre il sole sorge a dietro le alte montagne che circondavano la città, stranamente lieti di essere nuovamente sulla cresta dell'onda. 
 
«Emilie, tesoro!» esclamò Cruella richiudendo la portiera della sua De Vil. 
 
La ragazza sorrise, staccandosi da suo padre e abbracciandola. 
 
«Ciao, zietta. Non sei cambiata minimamente, è un sollievo» rispose soddisfatta, mentre Ursula e Mr. Gold si scrutavano in silenzio. 
«Anche per me, cara ragazza. Anche per me» replicò Crudelia, per poi lanciare una lunga occhiata interessata a Tremotino e aggiungere, senza sforzarsi di nascondere il vecchio rancore che li univa «Tuo padre invece è decisamente diverso da come me lo ricordavo. Decisamente migliorato.»
 
Ghignò, Rumplestiltskin fece lo stesso e stava per replicare col solito sarcasmo, ma Ursula riportò la questione su binari decisamente più seri. 
 
«Cruella mi ha detto che hai cambiato idea sull'autore. È un altro dei tuoi stupidi trucchetti o stavolta fai sul serio?»
 
Il Signore Oscuro sogghignò, rivolgendo un'occhiata complice a sua figlia, che sorrise di rimando. 
 
«No, stavolta nessun trucco» replicò «Diciamo solo... che ho imparato dal passato, e le circostanze sembrano molto più favorevoli ora».
 
La sirena lanciò un sorriso ammirato alla giovane amica, diventata complice molto tempo prima di questo incontro programmato. 
 
«Alla fine ce l'hai fatta, Lucertolina. I miei complimenti, non lo credevo possibile.»
 
Divertito e sorpreso, Tremotino aggrottò le sopracciglia e ripeté. 
 
«Lucertolina?»
 
Emilie ridacchiò coprendosi la bocca con una mano. 
 
«Oh, si. Non te lo ha detto?» spiegò con la solita noncuranza Cruella «Il Capitano la chiama così, se n'è vantata in una mail. Non mi piacciono le lucertole, ma devo dire che a lei sta bene.»
 
Il Signore Oscuro ridacchiò. 
 
«Concordo. Altro dettaglio importante per la tua storia» disse rivolgendosi affettuosamente a sua figlia. 
«Scusa papa, non potevo non ispirarmi a te» replicò lei, arrossendo un poco e prendendolo sotto braccio. 
«Non scusarti. Ne sono onorato, in realtà» rivelò, facendola contenta e osservandola con un certo tenero piacere mordersi le labbra allo stesso modo di sua madre. 
«Allora, qual è il piano? Siamo insieme, adesso che si fa?» li incalzò Ursula, sbrigativa. 
 
Contrariamente a quanto si sarebbero aspettate le due nuove arrivate, fu Tremotino stesso a sciogliere ogni dubbio. 
 
«Manca ancora un ultimo tassello» rivelò, scambiando di nuovo uno sguardo complice con sua figlia «Ma nulla che non possa essere risolto con un po' d'inventiva.»
«E qualche aiutante» soggiunse Emilie con un ghigno «Credo che Biancaneve e il Principe Azzurro saranno contenti di aiutarci. Molto... Molto contenti direi.»
«Neve e Azzurro?» fece Cruella. 
«E noi? Che faremo nel frattempo?» la incalzò Ursula. 
 
La giovane Gold sorrise. 
 
«Oh, sarete mie graditissime ospiti... e mi aiuterete a far sì che il nostro sia davvero un lieto fine coi fiocchi.»
 
\\\ 
 
Intanto... 
 
In piedi al centro della navata della cappella all'interno della piccola chiesetta di Storybrooke, Uncino osservò con aria affranta e disgustata le conseguenze del suo stesso lavoro. 
Le panche vicino all'altare divelte, i suppellettili in frantumi sparsi sul pavimento. 
Era stato esattamente come avevano detto Tremotino e sua figlia. La prima fata era caduta senza nemmeno accorgersi del pericolo, ma il suo grido aveva attirato tutte le altre che avevano cercato di salvarsi a vicenda, fallendo miseramente. Per ultima la fata turchina, lo aveva implorato di non farlo ma, sotto l'influsso venefico di quel maledetto contratto, lui non aveva potuto fare altro che chiedere perdono prima di permettere che il cappello la intrappolasse. 
Ora regnava il silenzio, e le campane avevano appena smesso di suonare per richiamare a una messa che quel giorno non avrebbe potuto essere celebrata. 
Sospirò profondamente, stringendo la mascella e i pugni, quindi prese il cappello e se ne andò di corsa prima che chiunque altro potesse vederlo. Se solo avesse avuto qualcuno a cui chiedere aiuto, non sarebbe stato costretto a una fine tanto umiliante! 
 
(Continua...
 

 

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Capitolo 10
*** Episodio X – Chi ha paura del drago ***


Episodio X – Chi ha paura del drago
 

Passato,
Epoca post primo sortilegio,
Monte Olimpo.


Era fatta. Dopo aver superato lo scoglio del fiume delle anime e aver permesso agli dei di mettere alla prova il suo cuore di figlia devota, Emilie Gold proseguì sicura il cammino che restava da fare, convinta che niente e nessuno potesse più frapporsi fra lei e il nuovo lieto fine per la sua famiglia.
Attraversarono i vasti campi che circondavano l'Olimpo, fu una traversata più lunga del previsto che costò loro due giorni e mezzo di cammino lungo le sponde del fiume, ora diventato un placido torrente. Non fu spiacevole, anzi. Il clima mite e il terreno fertile offrirono ore di sole a sufficienza per permettere alla giovane Gold di migliorare la sua abilità con l'arco e cibo e acqua fresca in abbondanza per risollevare il morale e la salute della banda di Robin Hood.
Tuttavia, una volta giunta a pochi chilometri dall'ingresso della caverna in cui era imprigionato il dio del tempo, un'ombra calò sul suo cuore.
Era l'alba, il sole appena sorto illuminava una pianura spoglia e sassosa ricoperta da grossi massi caduti dalla cima del grande Monte, voragini, scheletri anneriti ed enormi chiazze di fuliggine lungo tutto il sentiero tortuoso che conduceva all'ingresso buio dell'enorme antro, ben visibile anche da quella distanza.
Nascosti dietro la barriera sassosa che delimitava il confine dell'area, Robin Hood, Emilie Gold e un piccolo gruppo di uomini osservarono attentamente il campo di battaglia.
 
«Per tutti i diavoli...» mormorò stupefatto Will Scarlett, lasciando scorrere gli occhi su tutta quella desolazione.
«A quanto pare non siamo i primi ad aver tentato questa impresa.» commentò Robin Hood, facendosi pensoso e rivolgendo la sua attenzione ad Emilie, che gli stava accanto.
 
Lo fecero tutti, e solo allora si accorsero di una strana luce nel suo sguardo. Non li stava ascoltando, osservava a occhi sgranati il cielo e tratteneva il fiato, a bocca spalancata.
Sembrava avesse paura... anzi terrore.
Milan fu la prima a capirlo, e provò a riscuoterla toccandole la spalla e chiamandola per nome. La vide riaversi bruscamente, rivolgendole uno sguardo spaesato.
 
«Qualcosa non va?» chiese.
 
Alle sue spalle Ewan le rivolse uno sguardo preoccupato, vedendola tacere, visibilmente a disagio.
A centrare il punto, senza volerlo in realtà, fu il Fante di Cuori.
 
«Che c'è?» la canzonò con disinvoltura «Non mi dire che hai paura di un drago?»
 
Ma quella battuta parve non piacere affatto alla figlia del Signore Oscuro, che gli rivolse uno sguardo gelido e tagliente, talmente tanto che se si fosse trattato di una spada lo avrebbe di sicuro ucciso sul colpo.
Si zittì, rabbrividendo e abbassando gli occhi.
 
«Emilie...» le disse Ewan, tentando di incoraggiarla «Non sarai da sola, se vuoi. Noi ti guarderemo le spalle.»
«Ewan ha ragione.» confermò Robin Hood «Non dovrai preoccuparti, al bestione pensiamo noi. Tu pensa a portare a termine la tua missione.»
 
Continuando a tacere, Emilie tornò a fissare gli scheletri che costellavano il sentiero.
"Io... non ho paura" pensò, sentendo il cuore tremare come gelatina. Era vero, in un certo senso. Non aveva paura della morte, quella dei suoi genitori le aveva insegnato ad affrontarla, né dell'ignoto, o di un qualsiasi altro pericolo. Avrebbe affrontato anche un dio per amore di suo padre, ma la paura era qualcosa di razionale, nulla che non si potesse risolvere conoscendo ciò che poteva provocarla.
Ben diversa era una fobia, come quella che provava lei verso i draghi.
Quei mostri alati, dalle grandi zanne e gli occhi vitrei, capaci di scuotere un monte con un ruggito e abbattere una foresta con un solo alito di fuoco.
Aveva radici antiche, quel suo terrore, talmente tanto che non era ancora riuscita a capire né quando avessero attecchito né quale fosse stata la vera causa.
Suo padre era stato definito da tutti un codardo prima di diventare un Signore Oscuro, un uomo negletto, capace di lasciarsi spaventare perfino dalla propria ombra. Quell'onta lo aveva perseguitato per molto tempo prima che qualcuno riuscisse a insegnargli il coraggio, talmente tanto che perfino dopo la nascita dei suoi due figli, Gideon ed Emilie, aveva continuato a sentirsi tale a volte, costringendo Belle a rassicurarlo, seguitando paziente a ricordargli quanto in realtà le sue stesse azioni avessero reso quelle accuse nulle da tempo ormai.
Lentamente quelle rassicurazioni avevano sortito il loro effetto ed Emilie era cresciuta ammirando un Tremotino disposto ad affrontare tutto pur di proteggere la propria famiglia oltre che se stesso.
Le aveva insegnato il coraggio, diventando assieme a Belle un esempio da imitare anche in questo campo.
Eppure, un piccolo seme di quella codardia doveva essere rimasta sepolta nei geni che le aveva trasmesso, fino a che un giorno, del tutto inaspettatamente, non si era palesata ai suoi occhi.
Aveva sedici anni, e come sua madre era un'avida lettrice di libri di ogni genere. Soprattutto, amava leggere la sera, prima di scivolare nel patinato mondo dei sogni.
Leggeva favole, o racconti di avventure ambientati in ogni luogo del mondo, in modo da avere un mondo sempre diverso da visitare in sogno. Una sera era intenta a leggere un volume che racchiudeva antiche leggende della foresta incantata quando, voltando pagina, si ritrovò di fronte a un'illustrazione piuttosto realistica di un drago nell'atto di spalancare le sue fauci verso il lettore.
Era un libro incantato, quindi come tutte le altre illustrazioni che conteneva anche quella sembrava muoversi, come se volesse uscire fuori dalla cornice d'oro che la intrappolava.
Forse fu anche merito del buio totale e del silenzio che l'avvolgevano, che resero più vividi i colori e i movimenti. Di fatto, fu colta da un terribile spavento che la indusse a tapparsi la bocca per non urlare e a richiudere il libro, gettandolo lontano.
Per fortuna nessuno la sentì, perché suo fratello era partito per l'università e i suoi genitori erano fuori a guardare le stelle, stretti in un abbraccio.
Ma il cuore seguitò a batterle in gola per un bel po', gli occhi si riempirono di lacrime e per un po' non fu in grado di chiudere occhio, fissando il buio di fronte a sé a palpebre sgranate, come se temesse che quell'orrida creatura potesse ripresentarsi non appena lei avesse smesso di guardare.
Quella fu la prima volta che le capitò di vedere un drago, anche solo attraverso le pagine di un libro. E seguitando ad alimentare inconsciamente quella suggestione da quel giorno stette ben attenta a evitare in ogni modo quell'argomento, anche solo menzionando quella parola, cercando invano nel frattempo di capire da cosa derivasse quel suo terrore.
In fondo, volendo essere razionali, non era stato che un attimo di sorpresa, e dopo quel giorno aveva avuto modo di assistere a molte altre manifestazioni anche più terrificanti, prima fra tutte la visione della versione peggiore di suo padre, il Coccodrillo del Desiderio.
Eppure null'altro era stato capace di provocarle quel terrore paralizzante che l'aveva colta quella sera e che continuava a intrappolarla ogni volta che provava anche solo a pensarci.
"Io non ho paura..." si ripeté, seguitando nel frattempo a fissare negli occhi uno a uno i suoi compagni di viaggio mentre il desiderio di scappare via lontano da quel posto il più veloce possibile si faceva sempre più pressante.
"Non temo gli scheletri, né il buio, la solitudine, men che meno la magia nera o il Signore Oscuro."
Ma i draghi, quelli sì. Di quelli aveva un terrore spropositato, che trasformò i suoi più grandi propositi in cenere e le sue gambe in neve sciolta al calore del sole.
Sospirò, rendendosi conto di dover fare o dire qualcosa.
Tornò a guardare negli occhi l'unico presente che fosse stato in grado di far breccia nel suo cuore, e d'improvviso si ricordò del più grande insegnamento ricevuto.
Il vero amore rende possibile ogni cosa, perfino far nascere il coraggio in un cuore ormai assuefatto alla paura.
Annuì, seguitando a guardare il suo arciere, che le sorrise annuendo a sua volta.
 
«Io...» iniziò, ma dovette fermarsi di nuovo, scuotendo con vigore il capo per tentare di allontanare un altro brivido «Avete ragione, non posso rinunciare proprio ora.»
 
Quindi si alzò, e stringendo la mano con l'anello regalo di suo padre al petto decise.
 
«Andiamo. Entro stasera l'occhio di Cronos sarà mio, costi quel che costi.» poi si voltò verso tutta quella desolazione e aggiunse sottovoce, determinata «Te lo giuro, papa. Gli altri ci hanno provato, io ci riuscirò.»
 
Più facile a dirsi che a farsi in realtà.
 
***
 
Non appena Will, Mulan, Ewan ed Emilie Gold misero piede sul "suolo sacro" oltre la barriera di roccia, il drago che se ne stava accucciato all'ingresso della caverna lo percepì e si alzò, guardando verso di loro, ancora troppo distanti per accorgersi di lui.
Lo fecero quando, ruggendo, si levò in volo spiegando le sue enormi ali dorate e dirigendosi a gran velocità nella loro direzione.
 
«Oh, accidenti...» mormorò preoccupato Will Scarlett.
 
Ewan fece per rivolgersi alla sua amata, al suo fianco, ma la vide chiudere gli occhi e partire in quarta verso la caverna, la mano con l'anello stretta a pugno sul cuore. Corse più che poteva, continuando a tenere gli occhi fissi sull'antro e cercando di ignorare tutto il resto, incluso il folle terrore che di nuovo s'impadronì di lei.
 
«Voi pensate al drago, io la seguo!» decise Ewan.
 
Mulan annuì, sicura.
 
«Va'!» rispose sfoderando la spada.
 
Will non riuscì a reagire, ritrovandosi da solo assieme alla donna e vedendo il bestione avvicinarsi sempre più a loro, ruggendo e tagliando l'azzurro del cielo con soffi d'alito infuocato.
 
«Dannazione!» esclamò, contrariato.
 
Ma quanto doveva costargli avere la possibilità di stringere tra le mani quel maledetto occhio? Aveva sperato che fosse la figlia di Tremotino a pagare il prezzo più alto, invece...
Frenò bruscamente i pensieri, perché la sua compagna d'armi era già corsa in aiuto di Gold e del suo "scudiero", perché il drago si stava dirigendo verso di loro.
Sospirò spazientito, quindi strinse di più il suo arco e mormorò
 
«Se non fosse per quello stupido patto! Comincio a chiedermi se ne valga la pena.» quindi scattò anche lui, accorrendo a dare man forte agli altri tre mentre alle loro spalle Robin Hood e la sua banda organizzavano una buona retroguardia.
 
 ***
 
Emilie corse fino a non sentire più le gambe, fino a che il fiato riuscì a uscire dal petto.
Poi, d'improvviso il drago ruggì alle sue spalle, troppo vicino, e lei si lasciò sfuggire un grido.
Fece appena in tempo a nascondersi dietro a una roccia larga quanto bastava per riparare un uomo inginocchiato o seduto, che il drago rovesci proprio a pochi metri da lei tutto il fuoco e lo zolfo di cui era capace.
 
«Emilie!» gridò Ewan, vedendola scomparire dietro la roccia e sentendo il suo urlo.
 
Ma lei era troppo terrorizzata e il ruggito del drago troppo forte perché riuscisse a udirlo.
Strinse le ginocchia al petto sprofondando il viso dietro di esse e strizzando le palpebre chiuse, annaspando e piangendo come una bambina.
"No!" pensò "Non ce la faccio, papa. Non ci riesco!"
Negletta, umiliata, già sconfitta.
Fu così che la trovò Ewan, e quando le sfiorò un braccio per tentare di risvegliarla lei sobbalzò, lanciando un altro urlo.
 
«Sono io, sono Ewan! Emilie, sono io...» si affrettò a ricordarle, guardandola negli occhi e vedendola lentamente riprendere il controllo di sé stessa, mentre le voci di Mulan e Will Scarlett si facevano sempre più vicine.
 
Erano riusciti a distrarre il drago, ma non sarebbe durata a lungo.
Solo che...
 
«Ewan...» piagnucolò disperata la giovane Gold, poi scosse il capo, sempre più decisa, aggrappandosi a lui.
 
Il ragazzo sorrise intenerito.
 
«Emilie, ricordati perché sei qui.» la incoraggiò «Tuo padre. Il tuo lieto fine.»
 
Ma lei riprese a singhiozzare, abbassando gli occhi e scuotendo di nuovo la testa.
 
«Non ci riesco. Non riesco a muovermi. Io...» un singhiozzo la interruppe «Ho troppa paura.»
 
A quel punto il ragazzo sospirò, cercando di farsi venire un'idea, un modo giusto per aiutarla e ridarle coraggio.
Ci pensò su un istante, poi annuì.
 
«D'accordo.» disse, avvicinandosi e tenendo le braccia «Aggrappati a me.»
 
Finalmente la ragazza sembrò riaversi. Riaprì gli occhi e li puntò stupefatta nei suoi, sinceri e sicuri.
 
«Cosa?» domandò incredula.
«Forza.» la incoraggiò l'arciere scocciandole un occhiolino «Non abbiamo molto tempo, la caverna è a pochi passi e ci basterà entrare per essere al sicuro. Aggrappati a me e chiudi gli occhi, ti ci porterò io.»
 
Impressionata e grata, d'un tratto Emilie sentì uno strano calore impadronirsi del suo cuore, e non ebbe più alcun dubbio.
Obbedì, avvolgendogli le braccia attorno al collo e sprofondando il capo nel suo petto forte, che sapeva di foresta, e libertà.
Sentì il battito regolare del suo cuore, e un nodo le si legò in gola. Chiuse gli occhi e cercò di non pensare al drago, al suo ruggire, alla puzza di morte e zolfo che li circondava, e al calore del fuoco che li opprimeva.
E proprio allora accadde l'ennesimo miracolo, anche se lì per lì lei non riuscì ad accorgersene.
L'anello che portava al dito tornò a illuminarsi, quel sentimento strano, di calore e fiducia, appena nato sembrò amplificati e la sua mente si riempì di ricordi.
Sua madre, suo padre, i loro sorrisi, i loro baci, tutte le volte che il solo ricordo dell'altro li aveva salvati e risvegliati.
Scoppiarono silenziosamente nella sua testa e nel suo cuore, spazzando via tutto il resto e circondando come una meravigliosa cornice l'amore che si era resa conto di provare per quel ragazzo. All'improvviso non ebbe più alcun dubbio, e come emergendo da quel sogno meraviglioso l'immagine del Tremotino alla fine del Tempo tornò da lei, guardandola e sorridendole.
 
«Papa?» chiese, confusa e stupita.
 
L'uomo la strinse a sé, teneramente; grazie al potere dell'anello che portava al dito per un breve attimo il Tremotino alla fine del Tempo riuscì a farsi nuovamente avvertire da lei, poi la lasciò andare e il calore del suo abbraccio e il battito del suo cuore si confusero con quelli del giovane arciere che, senza mai guardarsi indietro, la strinse forte e riuscì a portarla sana e salva oltre la soglia della caverna, al sicuro dal peggiore dei suoi incubi.
 
«Emilie, apri gli occhi. Siamo al sicuro adesso. Siamo arrivati.» la risvegliò dolcemente.
 
Confusa, avvolta in un piacevole torpore, le guance imporporate e i sensi ancora storditi da quello strano déjà-vu, la ragazza obbedì, ma nel momento in cui i loro occhi s'incontrarono vide la luce dell'anello sfavillare ancora per un attimo prima di spegnersi di nuovo, e d'un tratto ogni cosa le fu chiara.
Arrossì, fissandolo come se lo vedesse per la prima volta. E lui fece lo stesso.
In quell'attimo, le loro labbra iniziarono ad avvicinarsi ma la voce di Mulan li interruppe.
 
«State bene?» domandò.
 
Era appena entrata nella caverna dando loro le spalle, senza accorgersi di averli interrotti.
 
«Oh, io direi che stanno alla grande. Anche meglio di noi.» aggiunse Will con un mezzo sorriso, guardandolo e spingendo anche la guerriera a farlo.
 
L'attimo era passato, ma era stato troppo intenso per essere ignorato.
Sorridendole e arrossendo a sua volta, Ewan la lasciò andare, permettendole di tornare coi piedi per terra. Non appena l'ebbe fatto, Emilie avvampò abbassando gli occhi e accennando ad un inchino, allargando le braccia e mormorando un sincero e imbarazzato.
 
«Grazie...»
 
L'arciere si portò il pugno chiuso al petto, annuendo con amore e profondo rispetto, lanciandole un lungo, eloquente sguardo prima di rispondere con altrettanta sincerità.
 
«Nessun problema.»
 
Rispettando la loro intimità, Mulan sorrise distogliendo lo sguardo. Diversa fu la reazione di Will Scarlett, che li osservò tristemente, un peso sul cuore.
L'attimo in cui il vero amore trova la forza di sbocciare. Lo ricordava bene, anche troppo. Ed era talmente grande il rimorso per aver permesso a quel fiore di appassire che sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa pur di tornare indietro e concedersi una seconda possibilità.
Qualsiasi cosa. Anche ad un patto col Signore Oscuro, o in alternativa con sua figlia.
Un rumore li distrasse riportando le loro menti alla realtà. Era un forte tonfo, che scosse il terreno talmente forte da far vacillare i loro piedi.
Mulan allargò le braccia cercando di ritrovare l'equilibrio, Will Scarlett fu costretto a cadere in ginocchio. Emilie ed Ewan invece si ritrovarono a sorreggersi a vicenda, rivolgendosi un sorriso.
L'arciere le strinse la mano, e in quel semplice gesto la giovane Gold si ritrovò, riacquistando quel coraggio e quella sicurezza capaci di condurla fino alle pendici del monte Olimpo e anche oltre. Al cospetto del Tempo.
D'un tratto, una voce cavernosa tuonò giungendo dal fondo della grotta, ove si era accesa una fioca luce come quella di una torcia.
 
«Venite avanti, voi!» disse calma ma autoritaria.
 
I quattro si guardarono facendosi seri e tornando a ergersi saldi, uno di fianco all'altro, formando una squadra compatta.
Ewan presa la mano della sua amata, sorridendole e annuendo. Lei lo lasciò fare, restituendogli il sorriso con dolcezza.
Quindi guardò Mulan alla sua destra, e prese anche la sua, spingendola a fare lo stesso con un sempre più esitante Fante di Cuori, che rimase per un istante di troppo a fissare quel palmo aperto verso di lui prima di decidersi ad accettare e unirsi alla squadra.
A convincerlo del tutto fu lo sguardo cupo che Emilie Gold gli rivolse, come a ricordargli del loro tacito accordo.
"Vuoi l'Occhio? Allora guadagnatelo."
Sospirò, quindi afferrò la mano di Mulan e insieme, tutti e quattro, iniziarono ad avanzare verso l'ombra che si stagliava sull'enorme parete alla fine del lungo corridoio di fronte a loro.
Ad attenderli, trovarono un enorme ciclope barbuto, vestito con una lunga tunica del colore della notte e seduto su un trono d'oro, al centro di una stanza quasi del tutto spoglia, fatta eccezione che per le torce appese alle pareti e un enorme tavolo di legno su cui era aperto un libro altrettanto importante era troppo in alto per riuscire a scorgerne il contenuto, ma Emilie non ne ebbe bisogno, così non ebbe bisogno di chiedersi come mai l'unica palpebra del gigante fosse chiusa.
C'era un medaglione d'oro zecchino al centro del suo petto, di forma allungata con al centro una gemma che, non appena loro fecero il loro ingresso nella stanza si animò, trasformandosi in una grossa cornea al cui centro brillava una pupilla azzurra e limpida come il cielo fuori da quel covo.
Ne furono sorpresi. Tutti tranne lei, che lo fissò con vittoriosa soddisfazione.
Eccolo, finalmente. L'occhio di Cronos, e con lui il libro in cui il dio prendeva nota di ogni evento fondamentale, decidendo così i punti fissi nel tempo, e il destino di ogni anima.
Ora non le restava che impossessarsene, ma prima c'era un'ultima questione da risolvere.
Lentamente, il gigante alzò una mano verso di lei, mentre quel gigantesco occhio prese a osservarla fissandola quasi volesse tentare di guardarle nell'anima.
Mentre Ewan e Mulan cercavano di non perdere di vista la sicurezza del gruppo, Will Scarlett osservò con attenzione la figlia del Signore Oscuro, vedendola sostenere con incredibile maestria quello sguardo penetrante e rabbrividendo assieme a tutti gli altri quando senti il dio esordire, con solennità.
 
«Benvenuta, Emilie Gold.
Ti sembrerà strano saperlo, ma ti stavo aspettando.»
 
***
 
Passato,
Hopkins, Minnesota.
Anno 1998
 
Sola nella sua stanza, avvolta dal buio e dal silenzio e ancora vestita con la sua giacca di pelle nera, la ragazza piangeva tutte le sue lacrime abbandonata sul pavimento in legno, mentre dalla finestra le luci blu della volante che l'aveva ricondotta a casa continuavano a lampeggiare sulle pareti grigie tappezzate di poster, gettando sinistri bagliori mentre dal salotto provenivano ovattate le voci dei coniugi Page, i suoi genitori adottivi.
Li odiava. E odiava sé stessa per aver, ancora una volta sbagliato tutto, mandando all'aria l'unica amicizia ch'era riuscita a costruirsi. Emma Swan. Un nome che avrebbe ricordato per sempre.
Alzò il braccio verso il soffitto e accarezzò la piccola stella nera sul polso. Proprio in quell'attimo una luce intensa sfolgorò alle sue spalle, inducendola ad alzarsi spaventata.
Durò un istante solo, e non appena il buio tornò, di fronte a lei vide una ragazza poco più grande, vestita di pelle nera con stivali a punta e un soprabito a frange color terra bruciata, il cui colletto appuntito le sfiorava gli zigomi dolci incorniciando alla perfezione quel volto da bambina.
La guardò, e sorrise.
 
«Lilith Paige» la chiamò.
 
Lei trattenne il fiato, scrutandola con attenzione.
 
«Noi... ci conosciamo?» chiese, compiendo un passo in avanti per tentare di guardarla meglio.
 
La giovane sconosciuta seguitò a sorridere, intenerita.
 
«No, tu non mi conosci.» le spiegò, compiendo un altro passo verso di lei «Ma io conosco te. E la tua vera madre...»
 
Un colpo al cuore. Lily tornò a indietreggiare, sgranando gli occhi e trattenendo il fiato.
La mente fu invasa da mille domande, ma una fra tutte la sconvolse.
Come faceva quella ragazza a sapere così tanto di lei. Come se l'avesse udita, la sconosciuta seguitò, paziente.
 
«È difficile vivere in un mondo che non ti accetta mai per quello che sei, con il costante sospetto di essere tu quella sbagliata. Lo so... e posso aiutarti.»
«Come?» sbottò d'un tratto la ragazzina, stanca e spaventata da quella situazione surreale.
 
La giovane donna però non si lasciò scoraggiare. Seguitò a sorridere, e prima che lei potesse iniziare a minacciarla di chiamare i suoi, trasse dalla tasca un oggetto piccolo e strano, assieme a un pezzetto di carta ripiegato in più parti.
Seguitando a guardarla con un sorriso, si avvicinò al suo letto e vi appoggiò entrambi gli oggetti.
 
«Questo ti appartiene. E quello nel foglietto è il mio numero di telefono.»  le disse.
 
Quindi tornò al suo posto, indietreggiando, e preso tra le mani il ciondolo che portava al collo se lo portò alle labbra e sparì, così come era venuta, lasciandole un ultimo, enigmatico invito.
 
«Sai dove trovarmi, adesso. Quando sarai pronta.»
 
***
 
Presente,
Storybrooke
 
La Deville bianca e nera attraversò l'imponente cancello e i due giganteschi grifoni d'oro che Emilie Gold aveva posto a guardia dell'ingresso, sui pilastri che sostenevano le mura, percorse il breve viale alberato e si fermò di fronte all'ingresso maestoso della Villa, accanto all'auto della padrona di casa, una Chevrolet Corvette bianca con gli interni e il volante foderati neanche a dirlo in finta pelle di coccodrillo.
La prima a scendere fu proprio Emilie, accomodata sul sedile del passeggero di fianco al guidatore, ovvero proprio Cruella, che per tutto il tragitto non aveva potuto fare a meno di osservare stupefatta.
 
«Però...» mormorò ammirata, guardandosi intorno e chiudendo lo sportello alle sue spalle «I miei complimenti, tesoro. Ti sei sistemata proprio bene.»
 
La ragazza sorrise, scuotendo le spalle.
 
«Oh, ti ringrazio zietta.» replicò, apostrofandola con quel nomignolo anche se sapeva benissimo non le piacesse affatto «Ho dovuto fare qualche modifica all'arredamento e alla struttura per renderla degna del mio nome...» aggiunse, scoccando un occhiolino a suo padre, che sceso dall'auto le si accostò, ricambiando il sorriso con un eloquente e divertiti.
 
Gli si avvicinò e lo prese sotto braccio, appoggiando la testa sulla sua spalla. Tremotino la lasciò fare, lasciandole un affettuoso bacio sulla fronte e appoggiando la mano sulla sua.
Salirono insieme i pochi gradini che li dividevano dall'imponente portone d'ingresso, seguiti dalle due regine del male.
Non appena le due colossali ante di legno nero si spalancarono, di fronte a loro si aprì un ambiente lussuoso e luminoso, molto diverso da quello che Mr. Gold aveva conosciuto durante il viaggio di nozze con sua moglie, fatto di colonne di marmo bianco e grigio, rifiniture d'oro e pietre preziose, tende in broccato e seta, vetrate colorate in stile gotico e suppellettili pregiate.
Sua figlia li guidò sicura attraverso i corridoi ampi e pieni di statue e preziosi quadri, fino a una stanza ampia circondata da vetrate che davano sul mare a sud, su una veduta della città a est e sulla foresta a nord.
La riconobbe subito, era la prima stanza in cui Belle lo aveva portato proprio per mostrargli quel meraviglioso panorama, e riuscì a farlo nonostante il legno che rivestiva le pareti avesse lasciato il posto a carta da parati viola con disegni floreali argento, e molti mobili fossero stati spostati in altri luoghi della casa, di modo da lasciare spazio a un lungo tavolo di marmo nero di forma ovale, sorretto da un’unica base che aveva la forma di un tronco robusto e nodoso, le cui radici sembravano sprofondare nel parquet tirato a lucido, unico finimento rimasto invariato.
Un'altra cosa di cui i tre si accorsero furono le numerose telecamere poste in ogni angolo della casa, ma la sorpresa più grande fu trovare, posto al centro del tavolo, uno dei tesori più preziosi contenuti in quella casa.
Il cappello dello stregone, in cui brillavano numerose nuove stelle, e accanto a lui Killian Jones li fissò torvo, irrigidendo la mascella e lanciando a padre e figlia uno sguardo di fuoco.
 
«Oh, e questo bel cagnolino da guardia chi è?» domandò stupita e affascinata Cruella.
 
Mentre Tremotino ignorava totalmente sia lei sia  il suo peggior nemico, avvicinandosi al capello e osservandolo con perfida soddisfazione, Emilie rivolse un'occhiata di sufficienza al Capitano, per poi replicare.
 
«Oh, credimi zietta, è tutta apparenza. Rimarresti delusa.»
 
Di nuovo, Killian le rivolse un'occhiata torva e offesa, a cui lei rispose con un ghigno, avvicinandosi e sfiorandogli la schiena con le lunghe unghie tinte di nero.
 
«Bravo bambino.» mormorò, avvicinandosi di più in modo che solo lui potesse udirla.
 
Lo vide stringere i pugni.
 
«Oh, che peccato.» fece nel frattempo Cruella, perdendo rapidamente interesse nei suoi confronti e avvicinandosi al Signore Oscuro.
«È quello che penso?» domandò Ursula, concentrandosi su ciò che era veramente importante.
«Va a ubriacarti sotto coperta, pirata.» concluse a quel punto la lucertolina, imponendo di nuovo il suo volere «Ti ho lasciato del rum in più nella stiva, così Granny non sarà costretta a vedere la tua brutta faccia.»
 
Jones tentò di resistere, fissandola negli occhi con aria minacciosa e allungando l'unica mano buona verso la pistola che portava al fianco, unica arma rimastagli, ma alla fine fu costretto a soccombere, e senza dire nient’altro lasciò di corsa la stanza, sbattendo la porta dietro di sé. Emilie chiuse gli occhi e scosse il capo, increspando appena le labbra. Poi guardò suo padre e sorrise, incontrando il suo sguardo d'approvazione.
 
«È così difficile avere un animale domestico.» commentò ironica.
 
Tremotino sogghignò. Di tutte le conquiste di sua figlia, quello di aver reso praticamente innocuo quel pirata fastidioso era il più apprezzabile.
Anche se l'averlo usato per riempire quel cappello al posto suo e sbarazzarsi delle fate in un colpo solo rischiava seriamente di scavalcarlo.
Emilie si avvicinò a lui e gli sorrise, poi raggiunse la punta nord del tavolo e scostò la sedia -o per meglio dire il trono-rivestita dello stesso broccato viola delle pareti, invitandolo a sedersi.
 
«Prego, accomodatevi.» disse, estendendo quell'invito alle sue due ospiti.
 
Le due donne si scambiarono un sorriso e presero posto l'una di fronte all'altra, lasciando una sedia di distanza da loro per permetterle di scegliere dove accomodarsi e intuendo che volesse farlo restando vicino al genitore, ma non fu necessario.
Tremotino le prese la mano invitandola a sedersi sulle sue gambe, lei gli sorrise grata, annuì e appoggiando le dita sulle sue si accomodò in braccio a lui, allungando un braccio sulle sue spalle ma continuando comunque ad appoggiare il proprio peso a terra, sulla punta degli stivali.
Solo allora Cruella parve accorgersi di quell'altro, interessante dettaglio.
 
«Oh, ma quelli non sono...?» non fece nemmeno in tempo a finire la frase.
 
Padre e figlia ridacchiarono allo stesso modo, scambiandosi uno sguardo complice.
 
«Si, lo sono.» risolse Emilie.
 
Ursula scosse il capo, alzando gli occhi al cielo ma con un sorrisetto divertito sulle labbra.
 
«Ad ogni modo, veniamo agli affari.» decise infine la giovane Gold, scambiandosi un altro sguardo complice con suo padre.
«Un momento» la interruppe Ursula «Se questa è una riunione, non manca qualcuno all'appello. Oppure hai deciso di non invitarla.» lanciando un sorriso sghembo alla ragazza.
 
Durante il lungo periodo in cui aveva fatto parte della loro piccola gang, Emilie aveva cercato in ogni modo di nascondere la sua avversione nei confronti dei draghi, ma non era stato affatto facile, e alla fine, per un banalissimo errore, era stata scoperta.
Ma se Cruella e la stessa Maleficent avevano deciso di non giocare contro di lei quella carta, diverso era stato per la strega del mare, che non aveva mai nutrito troppa simpatia per Emilie, ritenendola poco affidabile anche sulla base di ciò che suo padre era stato capace di fare con loro.
Tuttavia, come la maggior parte delle volte in cui si erano ritrovate a bisticciare, Emilie le lanciò uno sguardo minaccioso e si aprì in un sorriso che sembrava più una smorfia.
 
«Malefica al momento non è in condizione di presenziare.» disse «Ed è per questo che prima di dare inizio al nostro piano ci aspetta un'ultima facile missione.»
«Mph. Che le è successo?» domandò ancora la strega del mare, insinuando poi «E perché non mi stupisce.»
 
Stavolta fu Tremotino stesso a parlare.
 
«È stata costretta a soccombere al suo fato.» spiegò, rivolgendo poi alla sua accusatrice un sorriso sagace «E prima che tu possa dire altro, non a causa mia. Semplicemente, com'è destino di ognuno di noi, ha subito la vendetta degli eroi.»
«È morta?» domandò a quel punto Cruella, svanita «Allora perché preoccuparci di lei?»
 
Mr. Gold e sua figlia sorrisero divertiti, dandole ragione in cuor loro.
 
«Perché potrebbe tornarci utile, nel nuovo mondo che stiamo per creare.» le rispose paziente Emilie.
«E come credete di riuscire a farla ritornare dalla tomba?» li incalzò Ursula, contrariata.
 
A quel punto la Lucertolina lasciò la parola al suo amato papà, rivolgendogli un sorriso e annuendo.
 
«Come tutti ben sappiamo, la nostra amica non è una comune umana.» spiegò il Signore Oscuro «E questo ci concede un piccolo vantaggio, la possibilità di prendere una scorciatoia per ovviare a questo problema.»
«Falla corta. Che volete che facciamo?» lo incalzò Ursula.
 
La parola tornò a Emilie, che prima di rispondere tornò a rivolgerle un'occhiata irritata.
 
«Solo una piccola recita, per permetterci di agire indisturbati.» le disse, poi si alzò e prese ad avanzare melliflua verso di lei, un passo avanti all'altro.
 
Ursula la scrutò con attenzione, ponendosi in allerta, ma quando la vide estrarre dalla tasca del cappotto che indossava una conchiglia dorata, l'astio lasciò il posto alla disperazione e alla sorpresa.
Rumplestiltskin sorrise, appoggiando i gomiti sul tavolo, giungendo le mani davanti alle labbra e rimanendo in silenzio a osservare sua figlia sventolare davanti agli occhi della strega del mare l'unica possibilità tangibile di ottenere il suo lieto fine.
 
«Dimmi, Ursula cara, la riconosci?» le chiese aprendosi in un sogghigno.
 
Questa sgranò gli occhi, senza riuscire a spicciare parola.
 
«Come... come l'hai avuta?» domandò.
 
Emilie si esibì nella stessa risata di Tremotino, che continuando a osservarla con attenzione si appoggiò allo schienale e tornò a sogghignare divertito. Più il tempo passava, più l'idea di dividere gli affari con sua figlia seguitava a piacergli sempre di più.
 
«Oh, è stato facile.» proseguì la giovane Gold «Più facile di quanto credi. Ma, dato che non hai fatto altro che crearmi problemi, non lo sarà altrettanto per te.» concluse.
 
Poi mosse le dita e fece roteare il polso, e in un attimo la conchiglia sparì.
Ursula scattò in piedi, guardandola negli occhi con astio.
Emilie ridacchiò di nuovo.
 
«La rivuoi, Ursula?» la provocò «Rivuoi la tua voce?»
 
La vide stringere i pugni.
 
«Non sfidarmi, tesoro.» mormorò.
 
Ma la Lucertolina non si lasciò intimidire.
 
«E tu smettila di abbaiare, non spaventi nessuno.» le rispose, poi tornò a mostrarsi allegra e a spiegare, paziente «A proposito di cagnolini. Ti ha fatto piacere rivedere Killian Jones? Spero di sì, perché ho mandato il tuo prezioso scrigno sulla sua nave. Se lo rivuoi, non dovrai far altro che raggiungerlo e fartelo ridare. Non si opporrà, garantito.» ridacchiò di nuovo.
 
Quindi si rivolse a Cruella, che aveva preso ad osservarla con lo stesso sguardo compiaciuto di suo padre. Lei sapeva il perché di quella vendetta.
Quando erano insieme, nella foresta incantata, dopo aver preso in ostaggio Belle, Ursula aveva violato il patto tra di loro: Lei le avrebbe aiutate a ottenere il loro lieto fine, ma loro non avrebbero dovuto rivelare ad alcuno, in particolare ai suoi genitori che erano all'inizio della loro storia d'amore, né la sua esistenza né i suoi piani.
Per puro orgoglio e per il gusto di ricordarle chi fosse secondo lei il capo in quella banda, Ursula aveva violato quel patto, sbattendo in faccia a Belle la verità e costringendo Emilie a prendere una decisione dolorosa: usare un acchiappasogni per prelevare quei ricordi e permettere così alla sua storia di proseguire senza intoppi.
Belle non aveva sofferto, ma lei si. Era stato doloroso dover usare la magia su di lei per addormentarla e strapparle alcune memorie contro il suo volere, anche se per il suo bene.
Per questo subito dopo aver permesso ai suoi genitori di riunirsi, Emilie le aveva giurato.
 
«Hai commesso un grave errore, Ursula. E te ne pentirai. Nessuno rompe un patto con Tremotino senza conseguenze, e la stessa cosa vale per me che sono sua figlia.»
 
Sul momento comunque la ragazza lasciò correre, e quando giunse l'ora di salutarsi Ursula ricevette da lei solo uno sguardo torvo.
Ora, finalmente, era giunto il momento della tanto agognata vendetta, e fu davvero divertente per Cruella osservarla mentre la metteva in atto.
 
«Ah, dimenticavo.» aggiunse, tirando fuori dalla tasca il proprio cellulare, uno smartphone di ultima generazione «Lo scambio dovrà avvenire sul ponte, alla luce del sole...dove l'occhio fin troppo curioso di una fotocamera digitale può cattura queste immagini compromettenti per permettermi di mostrarli ai diretti interessati.»
 
A quel punto Cruella tornò a chiedere, divertita.
 
«E chi sarebbero?»
 
Stavolta non fu Emilie a chiarire.
 
«A questa domanda posso rispondere io.» disse Tremotino «Le uniche due persone verso cui Malefica prova un odio profondo, ancora insoluto. Biancaneve e il suo Principino Azzurrino.»
 
Emilie rise di nuovo, facendo eco a suo padre.
 
«Quindi è così?» replicò «Io sarò rischierò tutto e voi tre vi godrete la vittoria?»
 
Emilie ridacchiò di nuovo, poi si fece improvvisamente seria.
 
«Si, esatto.» annuì «E anzi, ti dirò di più. La conchiglia ora è incantata in modo che solo io posso restituirti la voce.» poi assunse un'aria innocente «L'ho promesso a tuo padre, e sai già quanto sia importante per me mantenere una promessa. Quindi lo farò solo dopo che i nostri per sempre felici e contenti si saranno avverati.» concluse, incattivendosi di nuovo.
 
Infine tornò a sorridere, scoccandogli un occhiolino e chiedendo, per l'ultima volta.
 
«Quindi, mia cara, cosa farai? Ti unirai a noi oppure cercherai invano di riavere il tuo lieto fine con le tue sole forze, magari tradendoci come avevi già in programma di fare?»
 
Ursula le lanciò un'ultima occhiata contrariata, scoprendosi smascherata e guardandosi intorno come aspettandosi una reazione da parte degli astanti. Nessuno di loro però reagì, in realtà sembrarono non essere affatto sorpresi da quella rivelazione. Vedendosi spalle al muro, sospirò e si arrese al diabolico intreccio della Lucertolina, rivolgendo a suo padre un complimento pieno di sarcasmo.
 
«Complimenti, Rumplestiltskin. Non solo ti somiglia, sei anche riuscito ad addestrarla alla perfezione.»
 
Ricevendo in risposta da lui un inchino appena accennato, sollevando un braccio, muovendo le dita e facendo oscillare la testa, in quella sua posa trionfante ormai fin troppo riconoscibile.
 
***
 
Brontolo era entrato nella chiesa come ogni mattina per assistere alla funzione e incontrare sorella Astrid per aiutarla nei suoi doveri di brava suorina, ma lo scenario che si era ritrovato davanti lo aveva sconvolto.
La navata era stravolta, le panche divelte l'altare era andato in frantumi. Delle suorine non c'era traccia.
Allarmato, le prime persone a cui aveva pensato di chiedere aiuto erano state ovviamente il vice sceriffo David Nolan e sua moglie Mary Margaret. Aveva mandato loro un messaggio ed era corso da Granny, aspettandoli pazientemente seduto al bancone del bar.
Dovette attendere molto, perché nel frattempo un altro messaggio li aveva raggiunti, invitandoli ad un appuntamento lì dove un tempo sorgeva il vecchio castello di legno dove Henry soleva nascondersi.
Erano le nove del mattino, e non appena giunsero sul luogo dell'appuntamento trovarono ad attenderli la giovane Gold, avvolta in un cappotto imbottito nero che la proteggeva dal vento sferzante.
Era seduta sull'altalena e osservava assorta le onde del mare, ma non appena udì i loro passi sulla ghiaia si voltò e sorrise.
Sembrava preoccupata, e lo erano anche Biancaneve e il suo Principe Azzurro.
 
«Avete fatto presto.» li accolse alzandosi.
 
I due la raggiunsero continuando a tenersi per mano.
 
«Il tuo tono ci è sembrato abbastanza allarmante.» replicò David.
«Cos'è successo?» la incoraggiò Mary Margaret guardandola negli occhi.
 
La giovane annuì, sprofondando le mani nelle tasche del cappotto.
Aveva esagerato il tono di proposito, servendosi dei pregiudizi che già nutrivano verso di lei per convincerli ad abboccare.
"Ho qualcosa da dirvi, e voglio farlo io prima che qualcun altro vi allarmi inutilmente."
Ora assunse un'aria seria e disse, senza mezzi termini.
 
«Stamane due mie vecchie amiche sono venute a trovarmi. Le conosco da parecchio tempo, vivevano a New York ma ora la città è diventata invivibile per loro, perciò le ho invitare a stare da me.»
 
Li vide trattenere il fiato guardandosi, mentre decidevano a chi spettasse la patata bollente. Alla fine fu David a chiedere, sulle spine.
 
«Chi sono?»
 
Emilie si fece seria, e attese ancora un istante prima di rispondere.
 
«Ursula e Cruella de Vil.»
 
La prima ad agitarsi fu Biancaneve, che sgranò gli occhi ed esclamò, scioccata.
 
«Cosa?!»
 
Ma suo marito le afferrò un braccio, rivolgendole uno sguardo rassicurante. "Tranquilla, ci penso io."
 
«Due cattive...» le fece gentilmente notare, tornando a concentrarsi su di lei.
 
Emilie scosse le spalle, sorridendo.
 
«Con me non lo sono state.» rispose semplicemente.
 
"E io non giudico le persone da questi patetici dettagliucci, a differenza vostra."
Volle dirlo, ma il suo sguardo fu molto più eloquente di mille parole.
 
«Del resto, Storybrooke non è la città dei nuovi inizi?» aggiunse invece «Perché non dare anche a loro una seconda opportunità?»
 
David e Mary Margaret le rivolsero un'occhiata preoccupata.
 
«D'accordo.» fece il Principe dopo un breve sospiro «Purtroppo però noi non abbiamo avuto la stessa esperienza. Ma se puoi prometterci che saprai tenerle sotto controllo possono restare.»
 
Di nuovo, Emilie Gold si aprì in un sorriso tranquillo.
 
«Oh, di zietta Cruella non dovete preoccuparvi. C'è un bel rapporto tra di noi, e poi a lei bastano qualche bottiglia di Gin e un po' di buona musica.»
«E della Strega del Mare che mi dici?» la incalzò Mary Margaret, stizzita.
 
A quella domanda, Emilie si scurì.
 
«Bhe, lei...» mormorò, storcendo il naso «Non so ancora se posso fidarmi. Men che meno dopo quello che ho visto stamattina. Ed è per questo che vi ho chiamati.»
 
Quelle parole furono un altro duro colpo da affrontare.
Biancaneve alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo.
 
«Che intendi dire?» domandò preoccupato il Principe Azzurro.
 
E a quel punto la Lucertolina si preparò a lanciare l'esca.
Fingendo di farlo controvoglia, trasse fuori dalla tasca il telefonino e mostrò loro un video di qualche secondo dove si vedeva chiaramente Ursula scambiare qualcosa con Killian Jones sul ponte della Jolly Roger, per poi scendere sotto coperta dopo essersi guardati intorno con circospezione.
 
«Mi fido poco di Ursula, per nulla di Killian Jones, che ha già dimostrato ampiamente il suo odio per me e la mia famiglia.» spiegò quindi, senza attendere una loro risposta «Come ho già detto, sono qui per proteggerli. Perciò stamattina quando l'ho sentita uscire di nascosto l'ho seguita, e ho deciso di parlartene.» disse «Anche perché...» seguitò
 
Estraendo dalla tasca del cappotto una copia del sonaglio di Malefica e mostrandolo loro, cercando di non lasciare che sul suo sguardo si palesasse la soddisfazione nel vederli sgranare gli occhi e trattenere di nuovo il fiato, terrificati. Era l'espressione che aspettava. I pesciolini avevano abboccato.
 
«L'ho trovato tra le sue cose. E non serve che vi spieghi cosa può significare questo per voi.»
«No, non serve!» sbottò a quel punto Biancaneve «E non era necessario neppure farle entrare a Storybrooke.» poi si aggrappò al braccio di suo marito e lo indusse a voltarle le spalle per poter parlare solo con lui «David, io non mi fido.» disse sottovoce «Come facciamo a sapere che non sia stata proprio lei a organizzare tutto?»
 
L'uomo stava per risponderle, ma Emilie lo anticipò.
 
«Credo di potervi convincere.» disse.
«Come?» domandò Nolan facendosi serio.
 
Di nuovo Emilie scosse le spalle.
 
«Sono la figlia di Tremotino. Mio padre ha iniziato a insegnarmi la magia e l'alchimia quando ero ancora una bambina, ho conosciuto tutte le sue versioni durante i miei viaggi nel tempo, e credo di riuscire creare un incantesimo simile a quello che usò per impedire a Regina di farvi del male.»
«Quindi...» soggiunse «stai suggerendo che potrebbe esserci un modo per riportare Malefica in vita?» chiese Mary Margaret, inquieta.
 
La giovane scosse la testa.
 
«Non so cosa intenda fare Ursula, né cosa centrino Uncino o Malefica in tutto questo.» mentì «Ma posso garantirvi che qualsiasi cosa accada voi e vostra figlia sarete al sicuro. Emma è la fidanzata di mio fratello, fa parte della mia famiglia quanto mio nipote Henry.» sorrise, e questa potè considerarsi l'unica verità che rendeva credibile quella ragnatela ben tessuta di bugie.
 
Difatti, vide i due ammorbidirsi, mentre riflettevano su quella proposta. Poi, considerando forse meno rischioso fidarsi di lei piuttosto che lasciare al caso una questione fondamentale come questa, James rivelò, anche se a fatica.
 
«Non è Malefica a farci paura, l'abbiamo affrontata una volta e possiamo rifarlo se restiamo insieme, ma...»
«Temete che Emma venga a sapere di quello che le avete fatto per salvarla dall'oscurità.» lo prevenne a quel punto La Lucertolina, annuendo «Lo so. Come vi ho già detto, durante i miei viaggi ho incontrato molte persone, inclusa Malefica. E ho saputo cosa è accaduto al suo uovo.» spiegò quindi, vedendoli rabbrividire.
 
Tornarono a tenersi per mano, spaventati alla sola prospettiva di dover affrontare quella verità con Emma. Allora lei ne approfittò per affondare l'ultimo colpo e portare a compimento il piano.
 
«Non dirò nulla ad Emma, ve lo prometto. E se mi darete qualche goccia del vostro sangue forse riuscirò a proteggere anche lei con una pozione o un amuleto. Ma mio padre non dovrà mai venire a sapere di questa discussione, questa è l'unico favore che vi chiedo.»
 
Non necessario per lo scopo, ma indispensabile per far sì che i due coniugi si fidassero di lei.
Si guardarono, e David fece per chiedere qualcosa ma poi annuì, sciogliendosi in un sorriso.
 
«Va bene.» risolse «Dove dobbiamo trovarci per... lo scambio?»
 
Esultano dentro di sé, Emilie addolcì la sua espressione e replicò.
 
«Qui va bene.» replicò guardandosi intorno «Mandatemi un messaggio appena sarete pronti.»
 
Si strinsero la mano, e di fronte a un pericolo simile perfino Mary Margaret riuscì a vedere nella figlia di Tremotino un valido alleato.
Dopotutto non sembrava una così cattiva persona, non quanto una strega del mare o un drago assetato di vendetta.
E quando ebbero modo di ascoltare le inquietanti rivelazioni di Leroy, non furono affatto sorpresi anzi, iniziarono a pensare di aver fatto la scelta giusta.
Volevano pensarlo. Era l'unico modo per non lasciarsi sopraffare da quel presentimento sempre più sinistro e incombente e non perdere completamente il controllo sulla realtà.
Il nano invece non si fidava minimamente della figlia di Tremotino, reputandola anche peggio del padre. Non ebbe timore a dirlo loro, quando gli raccontarono la conversazione avuta con lei.
 
«E voi le credete?» domandò scioccato «Tutti quanti conosciamo l'antipatia del Signor Gold per le fate, ora sua figlia fa entrare due cattive a Storybrooke a vostra insaputa e il giorno dopo le fate spariscono nel nulla. Coincidenze un po' troppo inquietanti, vi pare? Come facciamo a sapere che non sia opera loro, che non stiano architettando qualcosa alle nostre spalle?»
 
Biancaneve e il suo Principe ebbero un attimo di titubanza in cui tornarono a guardarsi negli occhi. A quel punto s'intromise Ruby, che aveva udito solo l'ultima domanda sopraggiungendo col vassoio.
 
«Scusatemi.» disse appoggiando il vassoio al centro del tavolo «Se posso intromettermi, io credo che possiamo.»
 
Biancaneve la guardò negli occhi, ponendosi in sincero ascolto. Si fidava dell'opinione di cappuccetto rosso, quindi decise di approfondire.
 
«Perché ne sei così sicura?» le domandò.
 
Ruby sorrise e scosse le spalle.
 
«Intuito. Di solito non mi sbaglio in queste cose.» quindi si rivolse a Leroy e aggiunse «E poi ricordatevi che è anche figlia di Belle, ed è arrivata qui per proteggere la sua famiglia.»
«Sarà, ma c'è qualcosa di losco qui, e io non mi fido neanche un po'.» soggiunse Brontolò scurendosi e scuotendo con vigore il capo.
 
Ruby alzò di nuovo le spalle e rivolse un ultimo sorriso ai tre.
 
«Ad ogni modo, stasera staremo un po' insieme, quindi domani ve lo saprò dire.»
 
Mary Margaret si corrucciò, poi sgranò gli occhi.
 
«Aspetta, stasera? Ma è luna piena.»
 
La donna annuì tranquilla.
 
«Si.» replicò «Mi ha chiesto di unirsi a me per una corsetta.» ridacchiò.
 
Stavolta fu James a rimanere stupito.
 
«È un lupo anche lei?» domandò.
 
Ma vedendola scuotere il capo riuscì a rasserenarsi un po'.
 
«No, non credo.» gli rispose lei «Ma conosce un incantesimo per mutare forma, quindi può accompagnarmi almeno fino all'alba.»
 
Mary Margaret prese a guardarla intensamente, con preoccupazione, ma non disse più nulla, attendendo la pausa tra il turno mattutino e quello pomeridiano per incontrarla da sola fuori dal locale e chiederle.
 
«Perché hai deciso di accettare questo incontro?» le chiese.
 
La vide stringere le spalle e alzare gli occhi al cielo limpido, piena di nostalgia.
 
«Ormai è da un po' che ci penso.» le rivelò «Mi manca il mio branco. Correre insieme, ululare alla luna. So che lei non è un vero lupo, ma... sarà bello fingere di non essere sola, anche solo per una sera. E poi... detto fra noi... credo che anche lei ne abbia bisogno. Non so perché, ma me ne sono accorta dai suoi occhi. È stata una richiesta sincera.»
 
Biancaneve annuì, è finalmente riuscì a ritrovare il sorriso.
Abbracciò la sua cara amica, quindi le batté una pacca sulla spalla e le scoccò un occhiolino.
 
«Divertiti allora.» concluse «Ma sta attenta, ti prego.» aggiunse.
 
Ruby Lucas annuì e tornò ad abbracciarla, stringendola forte.
 
«Grazie davvero. Anche tu...»
 
***
 
Prima di compiere il fatidico scambio, c'era ancora una cosa che James intendeva fare, ovvero parlare col suo vice sceriffo.
Emma Swan lo aveva raggiunto alla centrale immediatamente dopo aver ricevuto la sua telefonata, e dopo aver capito la situazione aveva annuito con sguardo serio.
 
«Hai già una pista da seguire?» gli aveva chiesto.
 
Lui aveva annuito, sospirando.
 
«In realtà le piste sarebbero due, non mi sento di escludere nulla.» replicò, tirando fuori dalla tasca il telefonino che la figlia stessa gli aveva regalato per natale e mostrandole il video che la Lucertolina gli aveva inviato.
 
La vide sgranare gli occhi appena vide l'inconfondibile sagoma del pirata.
 
«Uncino?» domandò sconvolta.
 
Il Principe annuì di nuovo, lasciandola ragionare.
La giovane donna fece andare ancora un paio di volte il video cercando di guardare la situazione nella maniera più lucida possibile. Certo non era facile.
 
«Non ha senso...» si lasciò sfuggire.
 
Killian Jones era diventato davvero così vendicativo da far del male alle fate, donne indifese?
Qualcosa dentro di lei le diceva di no, e lei sapeva bene di potersi fidare di quella vocina. Doveva esserci dell'altro.
 
«Chi è questa donna?» domandò allora.
 
Vide suo padre scurirsi in volto ancora di più.
 
«Ursula.» le rispose, e di nuovo notò la sorpresa dipingersi sul suo volto.
«Ursula? Quella della Sirenetta?» domandò «Non sapevo fosse a Storybrooke.»
 
Comunque in questo caso almeno si spiegava come conoscesse Killian Jones. Pirati e sirene andavano sempre di pari passo.
James annuì, sforzandosi di sorridere, e le spiegò.
 
«Non lo era, infatti. Viveva a New York, ma appena stamattina ha raggiunto Storybrooke per... far visita a un'amica.»
 
A quel punto la Salvatrice si fece più attenta, anche perché inspiegabilmente suo padre sembrava essere fin troppo a disagio.
 
«Sul serio? Chi? Ursula vive da lei?»
 
James seguitò ad esitare, facendo crescere in Emma i dubbi e i sospetti.
 
«Emilie Gold.» le disse infine, aggiungendo poi grave -E questo ci porta alla mia seconda pista.-
 
Nel sentire il nome della cognata, Emma si fece attenta. Emilie? Perché Emilie avrebbe dovuto ospitare una strega del mare? Anche se in effetti il suo cognome già di per sé poteva spiegare tante cose. Ma...
 
«Credi che centri anche lei?» chiese.
 
A quel punto Il Principe decise di essere il più sincero possibile.
 
«Sinceramente, non so cosa pensare.» replicò, poi si aprì in un sorriso dolce «È per questo che ho deciso di parlartene.»
 
Emma sorrise a sua volta.
 
«In virtù del mio superpotere?» domandò, facendo eco ai suoi pensieri.
 
David Nolan annuì seguitando a sorridere.
 
«Se c'è qualcuno che può sbrogliare la matassa, quella sei tu.» replicò, aggiungendo «E poi, Emilie sembra averti preso in simpatia.»
 
Emma annuì divertita, evitando di menzionare però la prima conversazione avuta con la ragazza che adesso, chissà perché, le tornò alla mente.
"Al di fuori di mio padre e della nostra famiglia, io scelgo gli obiettivi, non le persone. Perciò, anche se non nutro nessun odio nei vostri confronti, se un giorno o l'altro dovesse accadere di trovarci su due obiettivi differenti e contrastanti... beh, posso garantirti che agirò facendo tutto quello che posso per permettere a mio padre di essere felice.
Per ora non sarò una minaccia, né per te, né per Storybrooke."
Era passata qualche settimana da allora. Il suo obbiettivo era già cambiato?
Sospirò, tornando a guardare suo padre.
 
«Purtroppo, temo che per riuscire a farlo dovrò prima di tutto tornare a interrogare Uncino.»
 
Era la cosa più sensata da fare visto che il video lo mostrava chiaramente in atteggiamento piuttosto sospetto.
David Nolan annuì, ma con occhi preoccupati.
 
«Vuoi che ci vada io?» domandò.
 
Non gli piaceva affatto quel pirata. Men che meno sapere che continuava a provare dei sentimenti per Emma.
Sua figlia però sorrise e scosse il capo.
 
«Posso gestirlo. Il mio super potere funziona meglio con un faccia a faccia.»
 
Certo, sarebbe stata molto più felice di accettare il suo aiuto.
 
***
 
Il mare quel giorno era calmo, anche se il vento da ponente soffiava a tratti impetuoso increspandone a volte la superficie. Ma erano raffiche deboli, intermittenti, insufficienti a provocare una tempesta.
Uncino era seduto su una cassa ad ammirare lo spettacolo del tramonto che spandeva la sua luce sull'orizzonte rifrangendola sull'acqua limpida.
Sguardo serio, occhi lucidi e in mano la fiaschetta ormai vuota.
Quando sentì i passi risalire la scaletta e fermarsi a pochi passi da lui non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi per capire chi fosse.
 
«Emma Swan.» esordì, la voce ancora sicura nonostante la lieve sbronza.
 
Quindi si voltò e la vide fissarlo a braccia incrociate sul petto. Non era felice di vederlo, ma nel suo sguardo non c'era neanche la minima traccia di disgusto o altra emozione simile.
Era semplicemente seccata per tutta quella situazione.
 
«Se non ti conoscessi direi che ci hai preso gusto a venire a trovarmi. Dì la verità, non puoi fare a meno di un po' di me nella tua vita.» la provocò smargiasso, esibendosi in un sorriso sghembo.
 
Emma sospirò.
 
«Che ci facevi stamattina in compagnia di Ursula?» lo incalzò, andando dritta al punto.
 
Per un attimo lui parve stupirsi. La fissò negli occhi e quindi chiese.
 
«Tu come fai a...?»
 
La Salvatrice estrasse il telefono dalla tasca e gli mostrò il video, guardandolo prima impallidire, poi farsi livido di rabbia, stringendo a pugno l'unica mano buona.
 
«Maledetta Lucertolina. Ora capisco tutto.» bofonchiò, ma a voce così bassa che a malapena Swan riuscì a udirlo.
«Mh?» domandò inclinando il capo di lato «Chi è Lucertolina?»
 
Uncino sollevò di nuovo gli occhi verso di lei, quindi iroso replicò.
 
«Chi pensi che sia? Ti dico una sola cosa: la partita è truccata, Swan. E non puoi vincere una partita truccata. Prima che tu riesca a venirne a capo loro avranno già prevalso.»
 
Replica che la lasciò basita, talmente tanto da non indurla neppure a fermarlo quando lo vide voltarle le spalle e rientrare nella sua cabina, chiudendo a chiave la porta. E mentre lei decideva di lasciarlo solo con i suoi enigmi, lui si lasciò andare a un pianto liberatorio e rabbioso, pregando che l'indizio datole fosse sufficiente a liberarlo da quella prigione senza sbarre, perché stava iniziando davvero a non poterne più.
 
***
 
Intanto...
 
Nel silenzio tranquillo e assorto, tra scaffali pieni di ninnoli pregiati e chincaglierie, ognuna con la propria interessante storia, d'un tratto il dolce tintinnio del campanello posto sopra la porta d'ingresso si fece udire scuotendo appena l'aria.
Mr. Gold, intento a sbrigare le ultime faccende prima della chiusura, alzò il capo e vide apparire sull'uscio la sagoma minuta e slanciata di sua figlia, vestita di nero e illuminata dall'intensa luce rossa del tramonto.
La ragazza si fermò sull'uscio, attese che la porta si fosse rinchiusa alle sue spalle per esibirsi nello stesso sorriso soddisfatto che colorò le labbra di suo padre, quando vide cosa gli aveva portato.
 
«Hai fatto presto.» le disse, osservando la boccetta col sangue di Biancaneve e del suo Principe che la ragazza teneva tra pollice, indice e medio della mano destra, sollevata fin sopra alla testa in modo da renderla ben visibile.
 
Emilie ridacchiò, iniziando ad avanzare verso di lui.
 
«È stato facile.» disse «Fin troppo. Sono talmente terrorizzati che non hanno neanche provato a cercare un'alternativa.» appoggiandosi al bancone con entrambe le braccia e osservando Tremotino intascare il bottino per poi tornare a destreggiarsi tra gli scaffali.
Da sotto il bancone trasse una boccetta identica, solo piena di un liquido semi trasparente, ovvero la pozione protettiva che Emilie aveva promesso alla Real coppia. Da un cassetto chiuso a chiave invece tirò fuori una scatola di legno, la pose davanti a lei e la aprì mostrandole il contenuto.
Penna e calamaio, due bambole di pezza e alcuni spilloni.
Milly s'illuminò, guardando quei tesori con uno scintillio sinistro negli occhi.
 
«C'è tutto?» le chiese il Signore Oscuro.
 
Lei annuì, mordendosi le labbra in un gesto che all'uomo ricordò fin troppo sua madre, specialmente nella sua controparte Oscura, Lacey, opera di Regina.
Non amava ricordare quei momenti, ma a volte quel lato di Belle gli mancava, doveva ammetterlo. Ora non lo avrebbe più fatto, grazie alla loro unica figlia. Questo però significava forse che in fondo Lacey non era poi così diversa da Belle?
La vide annuire emozionata.
 
«È tutto perfetto.» gli rispose.
«Permettimi una domanda, principessa.» le disse a quel punto, con più dolcezza «A cosa ti servono delle bambole voodoo?»
 
Emilie si aprì in un sogghigno.
 
«Oh...» replicò, scuotendo le spalle «Voglio solo assicurarmi che tutti abbiamo quello che si meritano. Specie quando noi saremo fin troppo impegnati a goderci il nostro lieto fine.» concluse scoccandogli un occhiolino.
 
Tremotino sorrise.
 
«Davvero premuroso.» commentò, godendosi divertito la risata che sua figlia si lasciò sfuggire subito dopo, davvero così simile alla sua.
 
Infine lo abbracciò, raggiungendolo dietro al bancone e tornando a perdersi in quel calore, in quella stretta inconfondibile, prendendo ampie boccate di quel profumo forte e mistico.
Ancora un istante, poi controvoglia lasciò che quell'istante finisse e restando abbracciata a lui pose le mani sul suo petto, all'altezza del cuore, accarezzando la stoffa liscia e pregiata della giacca.
 
«Mi spiace di non poterti aiutare con Malefica.» mormorò afflitta.
 
Tremotino le prese le mani stringendole nelle sue. La guardò negli occhi e la vide arrossire.
 
«Ce la farò. Non devi preoccuparti.»
 
Poi le scostò una ciocca ribelle da davanti agli occhi accompagnandola dietro l'orecchio e le lasciò un bacio dolce sulla fronte.
 
«Tu pensa a goderti il momento, stasera.» suggerì scoccandole un occhiolino.
 
Milly annuì, grata. Proprio nel momento in cui stava per aggiungere qualcosa però, il telefono nella sua tasca squillò costringendola prestargli attenzione.
I suoi occhi s'illuminarono di nuovo quando vide il nome del chiamante, e senza parlare lo mostrò a suo padre, che sorrise.
 
«Anche l'ultimo tassello è andato a posto.» gli disse «Ora non mi resta che addobbare a festa la vecchia casa di Merlino e dare quella festa di benvenuto.»
 
Mr. Gold annuì.
 
«A proposito...» le disse, poi le fece segno di aspettare, schioccò le dita e, come per magia, dal retrobottega apparve un fantoccio strano, che si avvicinò ad Emilie e le fece un inchino allargando le braccia e piegandosi in avanti.
 
Era... una scopa. Il manico era il corpo e la paglia della saggina si divideva in due, formando le gambe.
 
Emilie si aprì in un sorriso larghissimo.
 
«Lasciale fare il lavoro sporco.» le disse suo padre, e a quel punto lei non poté esimersi dall'emettere un gridolino eccitato e ridere, gettandosi di nuovo al collo di suo padre e lasciandogli un bacio sulla guancia.
 
«Grazie, grazie, grazie!»
 
Aveva sempre desiderato averla, quella benedettissima scopa. La divertiva troppo, e poi era anche logico che il maggiordomo di casa sua fosse una scopa magica, no? Stava benissimo col resto dell'immagine che aveva voluto crearsi.
Tornò a guardarla e si corrucciò
 
«Ma per la festa tutti devono essere eleganti.» osservò, chiedendo poi direttamente alla scopa «Dimmi un po', sei più tipo da papillon o da cravatta?»
 
***
 
Lowell, Massachusetts
 
Era sera, una tranquilla serata di inizio autunno, e Lilith, ora conosciuta come Starla, aveva appena finito un lungo ed estenuante turno di lavoro da cameriera in una caffetteria di una stazione di rifornimento.
Salutò con freddezza i colleghi, quindi indossò il suo giaccone verde militare e si diresse spedita verso la sua macchina, un'utilitaria usata nera.
Ma una volta dentro, infilate le chiavi e accesi motore e fanali, si fermò, sospirando pesantemente e aggrappandosi al volante, come assorta in pensieri inquietanti.
Rimase a fissare l'oscurità che la circondava per un bel po', mordendosi le labbra. Poi spense di nuovo l'auto e trasse dalla tasca del cappotto il sonaglio a forma di zampa di drago e se lo rigirò fra le mani.
Dal suo incontro con quella misteriosa giovane donna erano passati anni ormai, lei era cresciuta e aveva colto l'occasione giusta per cambiare vita e città.
Eppure non aveva mai smesso di pensare a Emilie Gold e a sua madre, rimirando quell'oggetto ogni volta che il bisogno di averla accanto si faceva pressante.
Non la conosceva, non sapeva né perché l'avesse abbandonata né quale fosse il suo nome. Se volte, molto più spesso prima di quel fatidico incontro in realtà, aveva provato rabbia nei suoi confronti, rigettando perfino l'idea della sua esistenza.
Ma poi quel sonaglio così strano... e quella donna...
Sospirò di nuovo, nervosamente, quindi trasse fuori dalla tasca il cellulare e digitò il numero scritto su quel foglietto, mettendosi in attesa.
Basta esitare, era stufa di continuare a girare a vuoto intorno a domande senza risposta.
 
***
 
Bastarono appena due gocce di sangue. Non appena esse caddero dalla boccetta in cui erano conservate, quel mucchietto di polvere scuro quasi simile a cenere iniziò ad animarsi, come sospinto da un vento caldo e impetuoso la cui fonte era proprio quel sangue.
Rapidamente l'uragano s'ingigantì, la polvere si sollevò e iniziò a prendere forma e colore, divenendo prima una creatura di forma umana, ma più spettrale e rabbiosa, poi un enorme drago nero dagli occhi verdi. Infine, la signora dei draghi tornò al suo aspetto originale, quella di una bellissima donna matura che indossava delle corna nere come copricapo e un lungo abito nero in cui brillavano piccolissime gemme rosse, facendola sembrare vestita di braci ancora fumanti.
Al collo portava una collana fatta di gemme che ne potenziavano e preservavano i poteri, e tra le mani guantata di pelle nera stringeva uno scettro che raffigurava un drago nell'atto di spalancare le sue ali e le sue fauci.
Si guardò intorno, poi lanciò un occhiata ai tre responsabili della sua risurrezione.
Ursula e Cruella le rivolsero un ampio e sinistro sorriso, Tremotino si limitò a lanciarle un lungo sguardo, in attesa.
Non appena lo vide, Maleficent gli rivolse una smorfia, scrutandolo per intero.
 
«E così...» commentò «Alla fine c'è riuscita davvero a convincerti.»
 
Il Signore Oscuro annuì, compiendo un passo verso di lei e allargando le braccia.
 
«Benvenuta a Storybrooke, Maleficent.» la salutò «La città della rinascita, dove tutti possono avere il loro lieto fine.»

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Capitolo 11
*** Episodio XI – Il giusto posto ***


Episodio XI – Il giusto posto
 
Passato,
Molti anni prima del primo sortilegio.
 
Era l'alba di un freddo giorno d'autunno; la foresta incantata stava risvegliandosi e con essa i suoi rumori. Il canto degli uccelli, il fruscio delle creature del sottobosco e delle foglie mosse dal vento. Perfino il dolce gorgoglio dei ruscelli sembrava esser diventato più intenso.
Ma c'era un posto in cui la notte continuava a regnare, ed era sempre l'ultima ad andarsene.
Una valle, molto a nord, circondata da irti monti già spogli. In fondo ad essa, come una temibile bestia immersa in un sonno profondo, il Castello del Signore Oscuro, silenzioso e imponente.
Il crepuscolo colorava appena l'orizzonte dietro le cime spigolose delle montagne con la sua luce sinistra, quando il volo d'un corvo lo sfiorò.
Era un esemplare anomalo, leggermente più grande di tutti i suoi simili, gli occhi grigi e uno sguardo fin troppo espressivo.
Sorvolò le mura di pietra senza emettere un fiato, raggiunse la grande torre a est e si posò senza timore sulla testa cornuta di una delle bestie di pietra a guardia del torrione.
Solo allora il suo gracchiare si fece udire un paio di volte, poi tacque di nuovo restando a osservare l'affascinante spettacolo del sole che, lontanissimo, cercava di gettare la sua luce il più vicino possibile a quel bastione che invece pareva resistergli con diffidenza, quasi beffandosi dei suoi sforzi.
Una lotta silenziosa tra luce e oscurità, che si concluse due ore più tardi, quando finalmente i raggi solari riuscirono almeno a sfiorare i vetri dell'ala sud, ma senza andare oltre.
A quel punto il corvo gracchiò di nuovo, volando via e andando a posarsi su una delle feritoie colpite dal sole.
Da lì, riuscì a vedere il lungo corridoio pieno di armature, statue e preziosi ma inquietanti dipinti. Da una delle porte uscì una ragazza, capelli d'ebano e occhi azzurri come il vestito che indossava.
Non appena la vide, l'animale tornò a gracchiare, come a richiamarla, felice.
La giovane si riscosse e gli rivolse attenzione, aprendosi in un sorriso dolce e raggiante.
 
«Ciao!» lo accolse, avvicinandosi e regalandogli qualche carezza sulle piume lucide «Sei di nuovo qui. Lo sai che non dovresti. Tremotino s'infurierebbe se ti vedesse.» lo rimproverò amorevolmente, ma poi si morse le labbra, continuando ad accarezzarlo e notando quanto fosse contento di ciò. Belle rise di tutte quelle moine. Sembrava un bambino vivace in cerca di attenzione. Poi il momento finì e i loro sguardi s'incrociarono per un momento.
 
«Hai davvero degli occhi bellissimi, lo sai?» disse la Principessa.
 
La creatura gonfio il petto e gracchiò due volte, la prima come a ringraziarla, la seconda come a dirle "anche i tuoi non sono male".
La ragazza sembrò capirlo, e rise.
 
«Aspetta.» mormorò, tirando fuori dalla tasca del suo grembiule una manciata di semi e frutta secca fatta a pezzettini «Questo è il massimo che sono riuscita a fare, oggi.» disse, appoggiando il contenuto del palmo vicino a lui.
 
Il volatile gracchiò di nuovo, dando qualche beccata mentre la ragazza lo osservava intenerita. Si morse di nuovo le labbra, quasi senza accorgersene.
 
«Sei davvero un bell'uccellino.» disse dopo qualche istante «Peccato che non sappia parlare la tua lingua. Mi piacerebbe sapere come ti chiami.» aggiunse rammaricata.
 
A quel punto però l'animale sembrò riaversi. Smise di beccare, e con solerzia iniziò a utilizzare il resto del pasto per comporre quella che Belle si accorse fosse la risposta alla sua domanda.
Ne rimase colpita, e molte domande iniziarono ad avere risposta.
 
«Emilie?» domandò, sollevando di nuovo lo sguardo verso il corvo, che sembrò illuminarsi in un sorriso, gonfiando il petto e tornando a gracchiare, annuendo.
 
La principessa ridacchiò divertita.
 
«Oh, sei una femmina.» osservò lieta, quindi fece un passo indietro e accennò a un inchino cordiale «Bhe, Emilie. Piacere di conoscerti. Io sono Belle.»
 
E il corvo, in risposta, volò sulla sua spalla e le lasciò bacio sulla guancia, divertendola e facendola anche un poco arrossire.
Un'ultima carezza, poi a malincuore la ragazza dovette spegnere quel momento.
 
«È meglio che tu vada ora.» la avvisò dolcemente «E sta attenta. Se Tremotino ti vede potrebbe scambiarti per uno dei corvi di Malefica e farti del male. Lui odia quei corvi.»
 
Solerte, il corvo annuì di nuovo e obbedì, volando via. Ma da quel giorno la Principessa e la sua Bestia ebbero un'amica in più su cui contare.
Qualcuno che, a voler essere del tutto sinceri, non li aveva mai lasciati soli e non aveva alcuna intenzione di farlo, per nessuna ragione al mondo.
 
***
 
Presente,
Storybrooke
 
La notte era calma, limpida e fresca, la luna rifulgeva altera e piena in cielo dominandolo come fosse il suo trono e le stelle i suoi sudditi più fedeli.
Nel silenzio della foresta, il canto delle due lupe risuonava chiaro levandosi verso di essa come una lode al suo splendore.
Il pelo folto, i muscoli scattanti e i sensi accesi, le due creature corsero fianco a fianco fino a non sentire più la terra sotto le zampe, poi si fermarono a riposare sotto alla luce lunare, in cima a un ampio pendio a strapiombo su una delle più belle vallate dei boschi attorno alla città.
Fu li che l'alba le colse, non del tutto impreparate.
Non appena i primi raggi di sole le sfiorarono, il pelo ispido lasciò il posto alla pelle liscia e un po' sporca di polvere e terriccio, e i vestiti tornarono a ricoprire i loro corpi.
La prima a ritrasformarsi in umana fu Emilie, che si gettò schiena a terra, aprendo braccia e gambe ed emettendo un lungo, soddisfatto sospiro, fissando il cielo azzurro sopra di sè. Si sentiva distrutta, talmente tanto da non riuscire a muovere neanche un singolo muscolo senza sentire dolore, ma il cuore batteva forte e la mente era limpida. Finalmente, totalmente limpida.
Ruby Lucas, seduta al suo fianco, la osservò con un sorriso curioso, guardandola accendersi dello stesso sentimento che batteva dentro il suo cuore di lupo.
 
«Oh, Ruby!» esclamò Emilie «Grazie! Dio mio, che bello! Mi ci voleva proprio una serata così. Ah, se mi ci voleva! Io...» prese fiato, riscoprendosi ancora affannata «Io...»
 
Non finì la frase. Tirò fuori tutto il fiato che le restava emettendo un ultimo lungo ululato e rise, scuotendo il capo.
Solo allora Cappuccetto Rosso notò delle lacrime brillare sulle sue guance.
 
«Anche io mi sono divertita.» annuì «È stato bello avere compagnia. Ma... sicura di stare bene?» chiese, indicando la guancia.
 
La Lucertolina si asciugò le lacrime e annuì, mettendosi a sedere a gambe incrociate.
 
«Si.» rispose tranquilla «Io... ho sempre avuto tanto a cui pensare, da quando sono partita.» ammise, iniziando a intristirsi «È stato bello usare soltanto l'istinto, per una volta.»
 
Sfiorò con le dita l'anello di opale, ripensando a quanto doveva aver sofferto suo padre solo ad Hyperion Hights. Cercando un modo per riunirsi a sua madre senza riuscire a trovarlo. E sapendo lei lontana.
All'improvviso il peso che gravava sul suo cuore le sembrò insignificante, ma comunque abbastanza doloroso da mozzarle il fiato.
 
«Stai facendo molto per la tua famiglia.» commentò Ruby, riscuotendola «Posso immaginare come tu possa esserti sentita durante il tuo viaggio. Sei stata sola per tanto tempo?» domandò, cercando sinceramente di capirla.
 
La sentì sospirare appena, poi la guardò annuire.
 
«Sono stata sola per un po'.» soggiunse «Ma non nel modo in cui immagini. Era una solitudine... diversa. Più insidiosa. Invisibile... e insopportabile.» fece una lunga pausa, buttando all'indietro la testa e fissando il cielo azzurro sopra di sè come se volesse abbeverarsene fino a consumarlo «Puoi immaginare come sia vivere in mezzo a un mucchio di persone ma continuare a cercare quelle che hai perso?»
 
Una domanda che non pretendeva una risposta, seguita da un'altra ancora più importante e cupa.
 
«Aver conosciuto il tuo posto... averlo perso... e ritrovarti a cercarlo in eterno, mentre gli altri intorno a te continuano a vivere come se nulla fosse.»
 
Ormai era persa nei suoi pensieri, ma quando udì la risposta di Cappuccetto Rosso parve riscuotersi, sorpresa.
 
«Credo di capirti.» le disse infatti Lucas, annuendo comprensiva «Quando ero col mio branco, mi sentivo libera, compresa, supportata. Poi all'improvviso tutto è stato spazzato via dagli eventi e io... ora non so che darei per rivederli, tornare a stare con loro.»
 
Si guardarono negli occhi, e qualcosa di profondo le unì.
 
«È per questo che sei tornata indietro, vero?» domandò Ruby, sorridendole «Per sentirti ancora a casa.»
 
Gli occhi lucidi, il cuore improvvisamente leggero, Emilie Gold si ritrovò ad annuire senza neanche accorgersene.
E quando Ruby Lucas si mosse per stringerla in un abbraccio, di colpo si sentì finalmente davvero compresa da qualcuno che non fosse suo padre. Perfino Will e Gideon alle volte non ci erano riusciti.
Allora... c'era veramente a quel mondo, qualcuno con cui potersi dire amica?
Le si strinse forte, affondando il naso nei suoi capelli neri ancora impregnati dell'odore della foresta.
E cedette alle lacrime, lasciando andar via tutto il peso rimasto.
 
«Sai...» mormorò Ruby, dopo averla ascoltata in silenzio accarezzandole la testa «Sin dal primo istante in cui ti ho vista ho capito che non eri realmente cattiva. In fondo non sei così diversa da noi Lupi. Difendi semplicemente il tuo branco.»
 
Lucertolina sorrise, asciugandosi le guance e annuendo.
 
«Il tuo istinto di lupo non sbaglia un colpo.» replicò.
 
Entrambe ridacchiarono, tornando a sedersi l'una accanto all'altra e a guardare il sole appena sorto iniziare la sua ascesa oltre le montagne.
 
«Io...» disse dopo un po' Milly, tornando a guardare l'amica e sorridendole «Non posso farti tornare indietro per rincontrare il tuo branco. Sarebbe troppo rischioso. Ma... se ti va... posso essere io il tuo branco. Almeno nelle notti di luna piena.» quindi sorrise facendo oscillare la testa prima da un lato, poi dall'altro «Non sono davvero un lupo quindi non posso comprenderti appieno, questo è vero. Ma neanche tu comprendi appieno me, mio padre e le nostre scelte quindi...» scosse le spalle, guardandola sorprendersi e sorridendo «Farò del mio meglio. Ora... so per certo che anche tu lo farai. E...» allungò una mano aperta verso di lei, promettendo in modo solenne «Se saremo un branco, giuro solennemente di non tradirti mai. Sarai... come un membro della mia famiglia.»
 
Onorata e commossa, Ruby le rivolse un sorriso grato, allungò una mano e afferrò la sua, stringendola forte e sentendo il cuore scaldarsi di una gioia mai provata prima. Aveva avuto ragione, quella ragazza non era pericolosa.
 
«Mi farebbe molto piacere.» rispose, aprendosi in un largo sorriso e guardandola fare altrettanto.
 
Infine, tutte e due risero, rasserenate e divertite, lanciando lunghi ululati al cielo limpido sopra di loro e suggellando così la loro promessa.
 
***
 
Erano le dieci del mattino quando, unite da quel nuovo legame, Emilie Gold e Ruby Lucas rientrarono in città.
Continuando a conversare amabilmente fino a giungere sotto al grande campanile, di fronte all'ingresso della biblioteca.
 
«Beh...» concluse Milly, allegra «Io mi fermo qui.» scoccandole un occhiolino.
 
Il cartello appeso al vetro della porta d'ingresso recitava "APERTO". Ruby sorrise, sprofondando le mani nelle tasche del giubbotto in pelle nera che aveva sostituito il mantello.
 
«Io andrò da Granny. A quest'ora sarà già intenta a spadellare.»
 
Risero tutte e due, divertite.
 
«Ah, quasi dimenticavo!» esclamò a quel punto Emilie, tirando fuori dalla tasca del cappotto una busta per lettere fatta di carta nera.
 
Sopra di essa, con inchiostro dorato, la calligrafia ordinata e donnesca della giovane Gold recitava.
"Per Ruby Lucas. Importante."
 
«Cos'è?» domandò Cappuccetto Rosso, incuriosita.
 
Milly sorrise.
 
«Aprilo.» la incoraggiò.
 
Quando la giovane Lupa le obbedì, ciò che si ritrovò in mano la sorprese.
Era un biglietto d'oro su cui era stampato a lettere chiare e in rilievo, il seguente testo.
 
"La Signorina Ruby Lucas, alias Cappuccetto Rosso, è cordialmente invitata alla cena di benvenuto che si terrà a casa dello Stregone, ora Villa Gold, domani sera dalle ore 20:00. È obbligatorio l'abito elegante."
 
«Festa di benvenuto?» le fece eco, tornando a guardarla e inclinando il capo con aria curiosa.
 
Emilie sorrise e parve anche arrossire, quindi si guardò intorno con circospezione e solo allora si decise a replicare.
 
«Io... ho permesso a delle amiche di raggiungermi qui a Storybrooke.» le spiegò «Sono delle cattive ma mi hanno aiutato in passato, perciò ho pensato di dover ricambiare il favore.» quindi, osservando l'espressione della giovane Lucas cambiare in una più titubante, in bilico tra la paura e la comprensione, aggiunse, con estrema sincerità «Ascolta, so che probabilmente non riuscirai a capirmi ma... mio padre e mia madre mi hanno insegnato a guardare oltre le etichette. Ed è così che agisco... con chiunque.» la vide sciogliersi, annuendo, ma prima che potesse risponderle aggiunse, tornando a sorridere imbarazzata «E poi, ho un annuncio da fare e, mi piacerebbe tanto che tutti i miei amici fossero presenti. Tutti... i membri del mio branco.»
 
A quelle parole, Ruby Lucas tornò a rigirarsi tra le mani il biglietto d'oro, ma non ebbe bisogno di pensarci molto.
 
«Va bene. Verrò.» decise, tornando a sorridere e stringendola in un ultimo abbraccio prima di lasciarla andare «Grazie. E...» sorrise, lanciando un'occhiata all'ingresso della biblioteca «Buona chiacchierata. Saluta tua madre da parte mia.»
 
Emilie le rivolse uno sguardo pieno di profonda gratitudine, annuì portandosi una mano sul cuore.
 
«Lo farò.»
 
***
 
Passato,
Foresta incantata,
 
Il cuore a mille, imbavagliata e con le mani legate, Belle si guardò intorno cercando di capire. Aveva seguito un cucciolo di dalmata nella foresta, in barba agli avvertimenti di Tremotino, e ora si ritrovava prigioniera di una sorte peggiore di quella toccatagli nel Castello Oscuro.
Era rinchiusa in una cella più simile a una grotta, circondata da mura strette e umide che sembravano volerle crollare addosso da un momento all'altro.
Era buio, una piccola porticina di metallo serrava l'uscita.
D'un tratto, rumore di passi e una voce femminile, giovane, limpida e familiare si fecero udire. Era adirata, ma non con lei.
Urlava contro qualcuno che l'accompagnava.
 
«Ti avevo avvisata, Ursula!» diceva «Avevi un solo compito, e hai fallito! ORA SPOSATI!»
 
Di colpo il baccano cessò, e per un attimo nel silenzio che seguì Belle sentì l'angoscia crescere a dismisura.
Ma la porta si aprì, il bavaglio e corde sparirono e sulla soglia apparve la figura di una ragazza minuta, lunghi capelli castani raccolti in una treccia morbida.
I suoi abiti erano molto simili a quelli del Signore Oscuro, tanto che per un istante credette quasi di essere in sua presenza. I lunghi stivali a punta e il pantalone in pelle di coccodrillo in particolare, slanciavano la sua figura e le conferivano un passo molto simile a quello di Tremotino; una camicia nera fatta di pelle, le maniche di un materiale semi trasparente su cui erano state cucite delle perle lasciava intravedere la pelle liscia delle braccia delicate ma robuste, e al collo portava uno strano gioiello simile a un occhio.
Ma a renderla riconoscibile furono i suoi occhi grigi, e la sua espressione. Dove... dove l'aveva già vista?
 
«Belle, stai bene?» le domandò avvicinandosi con cautela e genuflettendosi più volte mentre le porgeva le mani, in un muto cenno di scusa.
 
La Principessa la osservò senza riuscire a rispondere.
 
«Io... io si, ma... chi sei? Dove mi trovo?» fissando nel frattempo le tre figure che la osservavano dietro la soglia.
 
Una di loro era Malefica, fin troppo riconoscibile, e fu questa a spaventarla di più. Pareva volerla divorare con lo sguardo, o forse era solo l'effetto della paura.
 
«Ti spiegherò tutto.» le disse la giovane continuando a guardarla negli occhi e a mostrarsi preoccupata «Non qui però. Non è posto per te questo. Vieni, andiamo in un luogo più confortevole.»
 
Le porse di nuovo la mano, e stavolta, seppur con un po' di titubanza, lei acconsentì. La condussero nel castello della draghessa, l'unico luogo che disponeva di una camera altrettanto comoda e un camino caldo in cui riscaldarsi.
 
«Mi scuso per il comportamento di Ursula.» fu la prima cosa che le disse la giovane sconosciuta, una volta congedate le sue tre compagne «Le avevo detto di portarti da me, non di rapirti o rinchiuderti in una cella. È stata imperdonabile, mi assicurerò che la paghi.» le promise, porgendole un vassoio con una tazza colma di te fumante.
 
Ora che riusciva a guardarla meglio, Belle si accorse di quanto quella somiglianza col Signore Oscuro non fosse solo una sua impressione. C'era qualcosa nel suo volto, nel suo modo di fare e perfino nella sua voce che glielo ricordava. E poi... dove aveva già visto quello sguardo.
Mentre continuava a rifletterci, appurato che la giovane non fosse una minaccia per lei, accettò quella tazza di thè, sedendo sul letto che le era stato gentilmente offerto.
 
«È tutto a posto. Sto bene.» sorrise, tentando di tranquillizzarla «Ma... ora puoi rispondere alle mie domande?» chiese.
 
La ragazza si sciolse in un sorriso dolce.
 
«Cercherò di fare del mio meglio.» annuì, aggiungendo quindi «Ma prima di tutto... io sono Emilie. E sono davvero... davvero tanto contenta di rivederti, Belle.»
 
Il volto della Principessa s'illuminò.
 
«Emilie! Il corvo? Sei, sei davvero tu?» domandò sorpresa e colma di felicità.
 
La vide aprirsi in un sorriso commosso, annuendo appena.
 
«Ma come... com'è possibile?» tornò a domandare, finendo il the e appoggiando la tazza vuota sul comodino accanto al letto, per poi concentrarsi totalmente su di lei, osservandola bene «Avevo pensato fossi vittima di un incantesimo. Allora sei davvero uno dei corvi di Malefica?»
 
Emilie ridacchiò, e ancora una volta a Belle sembrò di non essere mai andata via dalla corte del Signore Oscuro.
 
«Non proprio, ma è stato un ottimo espediente per poterti incontrare.»
 
La vide corrucciarsi ancora, osservandola con più attenzione.
 
«Io... sono sicura di conoscerti ma... non riesco a ricordare.»
«È perché...» iniziò, ma poi si fermò, scuotendo il capo con occhi stranamente lucidi «Non importa.» concluse, tornando a sorridere quasi come se farlo le costasse uno sforzo enorme «L'unica cosa che devi sapere è che non intendo farti del male, e non voglio farne nemmeno a...» sorrise di nuovo, scuotendo il capo «Tremotino. Voglio solo che capisca, e questo era l'unico modo.»
 
Quella frase sembrò scuotere Belle.
 
«Capire... cosa?» le chiese, cercando il suo sguardo.
 
Ma le fu difficile trovarlo perché nel frattempo la giovane le aveva voltato le spalle, nel tentativo di resistere alle lacrime che comunque si affacciarono ai suoi occhi.
 
«Emilie, ti senti bene?» domandò la principessa, cercando di avvicinarla.
 
Le sfiorò la spalla con una mano, e quel tocco bastò per rompere il delicato equilibrio su cui Emilie camminava.
Era... la prima volta che si ritrovava a parlare con sua madre dopo... averla persa per sempre.
E aveva creduto di riuscire a farcela, ma quel tocco le aveva ricordato che non era un sogno, che lei era davvero lì di fronte a lei. Le aveva ricordato com'era, e l'emozione fu così forte da spingerla a uscire di corsa dalla stanza, chiedendole perdono.
Chiuse la porta dietro le sue spalle, fece qualche passo e infine crollò in ginocchio in lacrime, faticando perfino a respirare, e stringendo l'anello di suo padre al petto.
"Papà, è così che ti sei sentito?" pensò, senza riuscire neppure a mormorarlo. E fu un bene, perché qualcuno la stava osservando.
 
«Non sei nemmeno riuscita a dirglielo, vero?»
 
La voce di Ursula la riscosse, costringendola a ritrovare una sorta di autocontrollo.
 
«Ah! Se vuoi lo faccio io per te.» la schernì.
 
Ma alla figlia del Signore Oscuro quell'affronto parve troppo.
Il suo sguardo si accese d'ira, strinse i pugni e si rialzò, puntandole l'ex pugnale dell'Oscuro alla gola.
 
«Attenta, seppiolina.» sibilò «Hai già commesso un grave errore, non peggiorare ulteriormente la tua situazione.»
 
Ma la strega del mare parve non essere neanche minimamente intaccata da quelle minacce.
 
«Credi di farmi paura, ragazzina?» l'apostrofò altera «Non ho paura di tuo padre, come potrei averne di te? Sei solo una sua pallida imitazione, hai ancora molto da imparare.»
 
Quindi, senza lasciarle il tempo di rispondere le voltò le spalle e se ne andò, lasciandola sola con la sua angoscia.
 
***
 
Mentre Emilie, riprese le sue sembianze di corvo, si era assentata per portare a Tremotino il messaggio che lo avrebbe spinto a compiere un passo in favore della sua amata, le tre Signore del Male erano rimaste ad aspettarla nella grande sala del trono.
Ufficialmente, quella mossa sarebbe servita al Malefico Trio per tentare di coinvolgere il Signore Oscuro nella loro ricerca dell'autore. Ma lei sapeva bene che quella discussione non avrebbe portato a nulla, che ci sarebbe voluto molto più tempo per convincere Tremotino a convincersi che quel piano fosse degno di essere seguito.
No, lei era lì per loro, per sua madre in particolare. Per proteggerla dalle cattive intenzioni delle Signore del Male, ed era proprio questo a indispettire Ursula.
 
«Già una volta suo padre ci ha usate promettendoci qualcosa in cui neanche lui credeva. Pensate davvero che lei non farà lo stesso?» domandò alle sue colleghe
 
Malefica, seduta sul suo scranno, l'ascoltava con attenzione, mentre Cruella sembrava quasi annoiata.
 
«Oh, sono così stanca di sentirti urlare.» mormorò laconicamente, prendendo un altro bicchiere di Gin dal tavolino di cristallo alla sua destra.
«Crudelia ha ragione.» disse Malefica, massaggiandosi stancamente le tempie per poi tornare a guardarla e suggerire con noncuranza «Se proprio vuoi metterla alla prova, perché sei ancora qui? Va da lei, inventati qualcosa.»
 
Ed è ciò che fece, lasciando infuriata la stanza. Basta farsi manipolare. Avrebbe dimostrato alle sue colleghe le vere intenzioni di Emilie Gold, e ottenuto il guanto di Camelot da Tremotino. Del resto perché dividere il bottino con una bugiarda? Non avevano bisogno di loro per raggiungere gli agognati lieti fini.
 
***
 
Belle era assorta nei suoi pensieri, fissando le fiamme del camino avvolta nella coperta che Emilie le aveva fatto avere. In realtà, si era assicurata personalmente che il castello di Malefica le offrisse tutti i comfort di cui aveva bisogno, inclusi un buon libro e un pasto degno di una regina.
Aveva finito di consumarlo da un po' quando la porta della sua stanza si aprì, e Ursula fece il suo ingresso, scrutandola con astio e sufficienza.
Si alzò in piedi, lasciando che la coperta ricadesse dalle sue spalle sul morbido materasso.
 
«Il pasto è stato di tuo gradimento, sguattera?» le chiese schernitrice.
 
La giovane donna non rispose, limitandosi a scrutarla con timore chiedendosi come mai avesse tutto questo astio nei suoi confronti.
 
«Ursula.» le disse, dimessa «C-che cosa ci fai qui? Io...»
«Oh, perdonami.» seguitò la strega del mare «Ti ho delusa? Credevi fosse Emilie vero?» rise, scuotendo il capo «Mi spiace, lei è tornata dal suo paparino per portargli la notizia del tuo rapimento.»
 
Lì per lì la Principessa sembrò non riuscire a capire, ma la sirena le diede qualche istante per farlo e sorrise perfida quando la vide alzare gli occhi verso di lei, a bocca aperta.
 
«Di cosa stai parlando?» domandò incredula.
 
Ursula seguitò a sorridere.
 
«Ah, non te lo ha detto allora?» le chiese melliflua «Poco male. Guardandola, immagino tu ci sia arrivata da sola. Non hai notato una strana somiglianza tra lei e il tuo padrone?»
 
Sempre più confusa e inquieta, Belle fece un passo indietro, ricadendo sul materasso e restando ad osservare attonita la Strega del Mare, che nel frattempo seguitava a fissarla come se volesse divorarla.
 
«Mi spiace, non so di cosa tu stia parlando, e a dirla tutta mi stai spaventando. Smettila.» la supplicò, ma Ursula fu implacabile.
«Oh, te lo spiego io allora di cosa sto parlando. Emilie Gold è vostra figlia, mia cara. Tua e del Signore Oscuro. È per questo che ti tratta così bene, per questo non è riuscita a restare di fronte a te per più di qualche istante. Credevamo che te lo avrebbe detto, che saresti passata dalla nostra parte e ci avresti aiutato a convincere il Signore Oscuro a unirsi a noi, eppure non lo ha fatto. Strano, no?»
 
Sconvolta, Belle sgranò gli occhi senza riuscire a credere a ciò che aveva udito. Balbettò qualcosa, ma proprio allora la porta della stanza si spalancò ed Emilie fece il suo ingresso, avventandosi furiosa sulla collega.
 
«Tu, perfida meschina traditrice!» la accusò, puntandole contro un dito.
«Ah, sarei io la traditrice ora?» fu la risposta di Ursula, che sfoderò i suoi tentacoli pronta a difendersi «E tu? A che gioco stai giocando? Non sono disposta a farmi usare da te un istante di più!»
 
Era una scenata preparata ad arte per metterla alla prova. E spingere sua madre a non fidarsi più di lei.
Perciò, anche se avrebbe voluto strapparle quei ridicoli tentacoli uno ad uno e tagliarle per sempre la lingua a mani nude, guardò il volto terrorizzato di Belle e decise che avrebbe scelto un modo diverso per fargliela pagare. Più... sottile, e a lungo termine, come i piani di suo padre.
Prese qualche respiro, sciolse i pugni e decretò, a denti stretti.
 
«Allora vattene.»
 
Perfino la sua nemica ne rimase sorpresa.
 
«Come?» le domandò.
 
In risposta, svelando il resto delle sue carte, Emilie tolse dal collo il ciondolo a forma di occhio e glielo porse, con sguardo deciso.
Mentre le osservava fronteggiarsi, Belle guardò di nuovo quel manufatto e per la prima volta lo vide muoversi. La palpebra si aprì, mostrando una pupilla fatta di opalite e di un cristallo rosso come un rubino. Era come se la guardasse, e ciò la spinse a trattenere il fiato. Qualsiasi cosa fosse, era una magia potente, anche se non oscura, e da ciò che aveva appreso da quando stava con Tremotino, solo un mago altrettanto potente sarebbe stato in grado di usarlo.
Ciò voleva dire che...
Fissò la ragazza, e per la prima volta le parole di Ursula sembrarono acquistare un senso.
Quindi... lei era davvero loro figlia? Sua, e di Tremotino? Ed era... una potente strega?
Il cuore iniziò a batterle forte in petto, ma non seppe dire se per la paura o la gioia. Tornò a guardare la giovane e lentamente sul suo volto apparve un sorriso commosso. Allora esisteva una speranza per quel cuore di tenebra. Il Signore Oscuro... lui avrebbe potuto tornare ad amare. Amarla. E lei poteva salvarlo, dimostrargli che c'era ancora un uomo dentro la bestia.
Ma un'ombra cadde su quella speranza. Se lei era davvero il frutto del loro amore, e se quello era vero amore, che ci faceva lì? Nel... passato? E come c'era arrivata?
D'un tratto capì il perché di quell'offerta e dello sguardo di Ursula.
Quell'occhio, qualsiasi cosa fosse, doveva essere quello il mezzo usato per tornare indietro. E se la loro figlia era stata costretta a usarlo, qualcosa di terribile doveva essere accaduto loro. Qualcosa in grado di spingerla ad avventurarsi nel passato per cercare di cambiarlo e così salvare il loro presente.
Proprio mentre con angoscia cercava di immaginare quale disgrazia fosse avvenuta, la voce di Emilie tornò a farsi sentire.
 
«Vuoi il tuo lieto fine senza di me? Eccoti allora.» concluse coraggiosa, guardando Ursula negli occhi «L'occhio di Cronos è tuo. Usalo. Puoi tornare indietro, fare perfino in modo che nulla sia mai accaduto. Oppure...» soggiunse, mentre, lentamente, uno dei tentacoli della strega si levava verso il gioiello «Puoi fare come ho fatto io con voi, incontrare l'autore, agire da sola e assicurarti che faccia tutto quello che gli chiedi...»
 
Mentre le osservava col fiato sospeso, Belle rabbrividì. Il tentacolo sfiorò l'oro zecchino, iniziando lentamente a stringersi attorno ad esso. Ma per qualche strano motivo la Strega del mare continuò a vacillare.
Lo notò la Principessa, e anche sua figlia, che attese di vederla sollevare l'occhio di Cronos prima di soggiungere, sicura.
 
«Ma sei sicura di riuscire a farcela senza rischi? Puoi gestirlo? E in ogni caso, sei pronta all'eventualità di veder scomparire tutto quello che conosci, inclusa te stessa? Potrebbe accadere... anche il più banale errore può farlo succedere...»
 
Il tentacolo fermò la sua ascesa, bloccandosi a mezz'aria. Ursula fissò Emilie sgranando gli occhi, la ragazza rimase immobile a guardarla lasciandosi sfuggire un sorriso soddisfatto solo quando, dopo un breve sospiro, la sirena abbandonò nuovamente l'occhio di Cronos sul suo palmo aperto e ritraendo i tentacoli. Le rivolse un ultimo sguardo di fuoco, poi squadrò da capo a piedi Belle alle sue spalle e concluse, indispettita.
 
«Buona chiacchierata. Avrai un bel lavoro da fare per riuscire a spiegarti ora.»
 
Poi uscì dalla stanza, e richiuse sbattendo la porta dietro di sè.
Rimaste sole, Emilie chiuse gli occhi per un momento, sospirando profondamente.
Stava ancora cercando di domare la rabbia, quando d'un tratto qualcuno la strinse forte, e un odore dolce, di fiori appena colti e miele, l'avvolse.
Belle, in lacrime, si era lasciata andare all'istinto di abbracciarla, e a quel punto lei non poté più ne scappare, ne opporsi. Si abbandonò a quel momento inaspettato, lasciando che la versione più giovane di sua madre la stringesse a sé e sciogliendosi in lacrime, mentre la ascoltava accarezzarle i capelli come mille volte aveva fatto quando, tentando i primi passi, era caduta.
La strinse forte a sua volta, e rimasero così fino a quando non riuscirono a trovare la forza di tornare a guardarsi negli occhi senza piangere.
Poi, Belle le strinse le spalle e sfiorò il suo viso dolce con una carezza.
 
«Oh, tesoro. Hai fatto tutta questa strada! Perché? Che ci è successo?»
 
Ma Emilie scosse il capo, prendendole le mani nelle sue.
 
«Non posso dirtelo, mamma. Non è necessario che tu lo sappia, e a dir la verità sarebbe stato meglio per tutti che tu non avessi saputo nulla.» un altro singhiozzo la indusse a fermarsi, alzando gli occhi al cielo «Ah, quella strega!» sbottò «Questo... questo non doveva accadere, non ora. Non era ancora il momento.»
«Non preoccuparti.» tentò di rassicurarla Belle «Non dirò nulla a...» ma al momento di finire la frase si fermò, sorridendo e guardandola negli occhi «Tremotino.» mormorò scrutandola attentamente.
 
Quindi sollevò una mano ad accarezzarle le lunghe ciglia e la fronte, scostandole una ciocca di capelli.
 
«I suoi occhi. Tu hai i suoi occhi.» mormorò sorridendo.
 
Emilie la strinse di nuovo, più forte di prima.
 
«Mamma» le disse «Te lo giuro, farò di tutto perché la nostra famiglia possa vivere per sempre felice e contenta.» poi però la lasciò andare e tornando a guardarla negli occhi concluse, tristemente «Ma per far si che questo accada, tutto deve restare com'è. Almeno per il momento.»
 
E così dicendo, prima ancora che Belle potesse capire, con un gesto rapido e gentile della mano fece sì che un incantesimo del sonno la raggiungesse.
Un peso cadde sul suo cuore mentre accorreva a stringerla tra le braccia, ma gli resistette; la adagiò sul letto, rimboccandole le coperte, poi fece apparire sul palmo della propria mano un piccolo acchiappasogni fatto di corda e piume di corvo.
E lentamente, tremando, sfiorò con esso la fronte di sua madre. Immediatamente, l'acchiappasogni s'illuminò e in esso convogliarono i ricordi della conversazione appena avuta e quella con Ursula alla quale aveva assistito. Tutto, la gioia, il dolore, la sorpresa, e... le parole. Ogni singola parola.
E quando ebbe finito, affranta, cadde al suo capezzale, stringendole la mano.
 
«Perdonatemi, madre.» supplicò, pulendosi il volto con la manica della camicia e cercando di frenare i singhiozzi tappandosi la bocca con la mano.
 
Non ci riuscì. Ma non riuscì neppure a continuare a piangere.
Sospirò, alzandosi in piedi. Le lasciò un bacio sulla fronte e una carezza, poi sorrise. E promise.
 
«Un giorno ve li restituirò. Ma adesso... adesso ho bisogno che voi siate voi stessa, e viviate la vostra vita com'è sempre stato. Perché…» sospirò, pensando a quanto vere e ironiche al contempo fossero quelle parole «Tutto il resto dipende davvero soltanto da questo.»
 
***
 
Presente,
Storybrooke
 
La biblioteca era silenziosa e luminosa, avvolta nella luce del sole del mattino. C'era odore di libri, di fiori di campo e miele, e... c'era una pace così grande da riuscire ad avvolgerle il cuore.
Era strano. Era lontanissimo da casa eppure, camminando tra quegli scaffali pieni di volumi, d'improvviso gli sembrò di non essersene mai andata. Esattamente com'era successo la prima volta che aveva messo piede nel negozio di suo padre.
 
«Emilie.»
 
Qualcuno la chiamò. Era la voce di sua madre. Si voltò e la vide sorriderle raggiante. Sembrava una visone celeste, con la luce del sole alle spalle e quei grandi occhi azzurri.
 
«Ciao mamma.» la salutò, venendo accolta da un caldo e confortevole abbraccio.
 
Se lo godette tutto, stringendola forte a sua volta.
 
«A cosa devo questa visita? Pensavo fossi al negozio a quest'ora.» le domandò, una volta libera.
 
Emilie sorrise.
 
«Ci andrò. Più tardi.» replicò «Ma prima avevo una cosa da fare.» alzò il palmo della mano destra aperto verso il cielo e si servì della magia per far apparire tra la punta delle dita una piccola busta regalo nera, chiusa da una coccarda dorata. Gliela porse.
 
«Per te.»
 
Belle sgranò gli occhi sorpresa.
 
«Oh.» esclamò, quindi rise, e prese emozionata quel dono dalle sue mani.
 
Emilie restò a osservarla in silenzio mentre lo scartava, e quando infine il prezioso oggetto fu tra le sue mani, per un attimo Belle non seppe davvero cosa dire.
 
«Un acchiappasogni?» domandò confusa.
 
Milly si fece nostalgica, e guardandola meglio negli occhi a sua madre sembrò stesse esitando.
 
«Emilie...» la incoraggiò, prendendole la mano «Vuoi spiegarmi?»
 
Ma la giovane si morse le labbra.
 
«È che... più che un regalo, questa è...» bofonchiò, ma poi tagliò corto «Forse è meglio che te lo mostri.» e così dicendo, liberò i ricordi intrappolati tra le corde, permettendo finalmente loro di ritornare alla proprietaria.
 
Lì per lì, la Bella rimase interdetta. L'acchiappasogni le cadde dalle mani e un singulto le sfuggì. Poi però la sua espressione si addolcì, e le labbra s'incresparono in un sorriso commosso.
Emilie la guardò negli occhi e finalmente tutte le sue paure e i suoi sensi di colpa svanirono.
Finalmente. Ora restava solo una cosa da fare.
 
«Scusami, mamma...» mormorò, scoppiando in lacrime «Mi dispiace davvero tanto ma era l'unico modo per...»
 
Senza lasciarla finire di parlare, Belle la abbracciò forte, carezzandole dolcemente la schiena e sussurrandole di non preoccuparsi.
 
«Hai fatto quello che dovevi per proteggere il nostro futuro.» le disse asciugandole le lacrime e lasciandole un bacio sulla guancia.
«Si ma...» provò a ribattere lei «Ti ho anche rubato i ricordi. Senza dirti nulla. E... so come la pensi sulla magia e... su queste cose. Avevo paura che non mi avresti mai perdonata.»
 
Riprese a piangere, anche se Belle continuava a sorridere e scuotere il capo, stringendole il viso tra le mani.
 
«Lo hai fatto per proteggere la tua vita. Per proteggere la tua famiglia.» le disse «Nessuno avrebbe mai potuto immaginare cosa sarebbe accaduto se mi avessi lasciato quei ricordi. Come sarebbero andate le cose. Hai fatto la scelta che ritenevi più giusta. E poi...» sorrise, baciandole di nuovo la fronte «Ora me li hai restituiti, no?»
 
Negli occhi di Emilie si accese una luce diversa, che lì per lì sua madre non riuscì a decifrare. Speranza, forse?
La vide smettere di piangere, e aprirsi in un sorriso commosso.
 
«Grazie, mamma...- le disse -Grazie per averlo capito. Sapevo che lo avresti fatto.»
 
"Spero solo te ne ricorderai, quando servirà. Farò il possibile perché riesca a ricordarlo."
 
***
 
August W. Boot era impegnato nella stesura di un pezzo piuttosto complicato di uno dei suoi racconti, ma qualcosa sembrava distrarlo. Forse la pagina troppo bianca, forse le parole troppo banali, fatto stava che la penna non scorreva come avrebbe dovuto, e questo sembrò irritarlo. Sbruffò dal naso, si alzò e decise che era ora di lasciare penna e calamaio e far respirare un po' di buona aria ai polmoni e alla materia grigia intorpidita.
Indossò il giubbotto di pelle sopra la camicia, gli stivali e afferrò chiavi e casco avviandosi in fretta verso la porta.
La spalancò, e all'improvviso le sue pupille si dilatarono e l'angoscia che sembrava averlo attanagliato senza una spiegazione fino a quel momento finalmente ebbe un senso.
A braccia incrociate, una spalla appoggiata sul corrimano in ferro battuto della breve scalinata che conduceva all'uscio, Emilie Gold se ne stava ad osservarlo con un sorriso sornione in volto, vestita di pelle nera e con un cerchietto in pelle di coccodrillo tra i capelli. Sulle maniche di raso semitrasparenti della camicia, alcune perline brillavano come stelle in mezzo a un cielo scuro.
 
«Ciao Pinocchio. Dove te ne vai di bello?»
 
L'uomo rabbrividì. Non la conosceva, ma aveva sentito da Emma che la figlia di Tremotino era arrivata in città e gli bastò uno sguardo per capire fosse lei. Stesso abbigliamento, stesso sorriso, stessi modi di fare, stessi occhi...
 
«T-tu...» mormorò, scurendosi «Cosa vuoi da me?»
 
Lei si alzò e si portò sinuosamente verso di lui, accarezzandogli un braccio con una mano.
 
«Oh, mi serve solo una piccola informazione... o uno scambio, se preferisci.»
 
Un brivido freddo percorse la schiena di Boot. Sapeva già di cosa si trattava. Aveva avuto il dubbio quando Henry gli aveva mostrato il "regalo" ricevuto da sua zia.
Una penna stilografica pregiata con tanto di calamaio. All'inizio aveva pensato ad un caso, ma solo adesso si accorse del suo reale significato: era stato un segno, un messaggio. Per lui? Pareva di si, a giudicare da come lo scrutava. Ma chi poteva dirlo con sicurezza? Henry gliel'aveva descritta come una giovane donna frizzante, fiera, amorevole e devota alla propria famiglia.
Ora gli appariva più come una serpe pronta ad agguantare la sciagurata preda, cioè lui.
Tentò invano di rilassarsi e dissimulò il proprio nervosismo con quello che voleva essere un sorriso ma apparve più una smorfia tirata.
 
«Perdonami, ma non so di cosa tu stia parlando.» disse in tono amichevole «Sei Emilie, vero? La zia di Henry.»
 
Lei si fece altera, e muovendosi flessuosa s'insinuò tra lui e la porta, senza che August riuscisse a impedirlo.
 
«Sssii.» disse esibendosi in un sorriso largo e sghembo «E perdonami anche tu se mi viene mooolto difficile credere ad ogni singola parola che esce dalla tua bocca legnosa, Pinocchio.»
 
Pose l'accento su quell'ultima parola, quasi volesse inchiodarlo alla realtà. Lui rabbrividì di nuovo, e stavolta i suoi occhi sgranati lo tradirono.
Apri la bocca per parlare, ma Emilie gli afferrò il bavero della camicia e lo costrinse a guardarla negli occhi avvicinando le labbra alle sue.
 
«Ascoltami bene, burattino.» sibilò minacciosa, mostrando i denti «Io sono la figlia del Signore Oscuro, lo conosco da quando ero in fasce e da quando avevo sei anni sono stata addestrata da lui. Da varie versioni di lui. Perciò so riconoscere molto bene un bugiardo.» sorrise di nuovo, più minacciosa «Io e te sappiamo molto bene quando qualcuno sta mentendo.»
 
Era così vicina che le bastava sussurrare per farsi sentire. Nel silenzio teso, le sue labbra piccole e rosate erano l'unica cosa che Boot riusciva a guardare.
Senza smettere di farlo a sua volta, Emilie Gold alzò una mano mostrandogli una boccetta di liquido trasparente stretta tra due dita.
 
«Sai cos'è questa, August?» chiese mostrando i denti.
 
Senza più fiato e irrigidito dalla paura, l'uomo scosse appena il capo. La sentì ridacchiare sommessamente, imitando la risata di Tremotino.
 
«È il mio elisir della verità.» spiegò muovendo piano il capo, prima a destra, poi a sinistra, imitando le movenze di un rettile «Un solo sorso di questo, e il tuo bel nasino tornerà di legno.»
 
Ridacchiò di nuovo, in maniera più udibile, mentre guardava i suoi occhi nocciola sgranarsi ancor di più, fino quasi a schizzare fuori dalle orbite. No. Non di nuovo. Era scampato per un soffio al tentativo di Tamara di ucciderlo, era stata proprio Emma a salvarlo giungendo giusto in tempo per impedire il peggio. Quella buona azione era stata sufficiente per permettere alla fata turchina di restituirgli la sua apparenza umana, ma dubito dopo lei lo aveva avvertito: "La prossima volta potrebbe non essere così facile".
Era andato tutto bene, fino a questo terribile momento.
Inaspettatamente, la Lucertolina lo lasciò andare, lo spinse dentro e richiuse la porta alle sue spalle, facendo fare un paio di giri alla serratura con un gesto della mano.
Era forte, nonostante l'aspetto gracile e minuto. Di nuovo intrappolato in casa sua, August Boot si chiese se non dipendesse dalla magia che le scorreva nelle vene, mentre la osservava coccolare la piccola bottiglietta col tappo in sughero come fosse un bimbo in fasce.
 
«In realtà, sai, non è proprio mio. Piccola bugia...» ridacchiò di nuovo, toccandosi la punta del naso col polpastrello dell'indice destro «L'ho rubata alle fate, ma non sperare che possano venire in tuo soccorso...» tornò a guardarlo con quella smorfia cattiva sulle labbra sottili «Non sono in casa al momento...»
 
Quindi prese di nuovo ad avanzare verso di lui, sinuosa, e ad ogni passo August arretrava a sua volta, guardandosi intorno e cercando un riparo o un diversivo.
Se solo fosse riuscito a chiamare Emma. Ma il cellulare era nella tasca dei pantaloni ed Emilie Gold non lo perdeva d'occhio. In più, ogni volta che si avvicinavano ad una porta lei la chiudeva usando la magia ancor prima che lui riuscisse ad afferrare la maniglia.
D'un tratto sentì il muro alle sue spalle e capì di non poter far altro che affrontarla.
 
«Coraggio, bravo bambino.» disse la giovane, facendo ciondolare davanti i suoi occhi la boccetta «Tu sai cosa cerco. Non farmi usare le maniere forti, non voglio. Mi sei simpatico, sai.» concluse ammorbidendosi, e stavolta, paradossalmente, sembrò sincera.
«Ascolta, io davvero non so come aiutarti.» provò a ribattere lui «Non so dove possa trovarsi l'autore. Io ed Henry stavamo provando a rintracciarlo ma...»
 
Lei lo interruppe, chiudendo gli occhi, voltando il capo e agitandogli l'indice destro davanti al naso
 
«Shh Shh Shh Shh...» fece «Smettila di arrampicarti sugli specchi.» ridacchiò di nuovo, poi si fece mortalmente seria «Io vengo dal futuro, sai?» rivelò «Ciò significa, mio caro, che ogni tua mossa mi è già stata rivelata. So che la pagina in cui è intrappolato l'autore è in tuo possesso. So che l'hai nascosta, e se non me la darai di tua spontanea volontà sarò costretta a usare la magia perché tu me la consegni»
 
Il cuore di August prese a battere all'impazzata. Stava bluffando? Henry gli aveva detto che sua zia aveva fatto un lungo viaggio per giungere da loro, ma non pensava che avesse dovuto cavalcare le epoche. Quindi lei... sapeva davvero tutto, anche quello che sarebbe accaduto?
In realtà no, anche e soprattutto perché i significativi sforzi fatti per tenere al sicuro la sua famiglia avevano modificato alcuni punti della storia, e ciò era anche il motivo per cui era stato possibile che lui stesso si salvasse dai perfidi piani di Tamara.
Emilie se ne era accorta subito quando Henry gli aveva fatto un po' il punto della situazione, ma aveva fatto finta di avere tutto sotto controllo, e ora ne raccoglieva i frutti. Ancora una volta gli insegnamenti di Tremotino avevano colpito nel segno: mai mostrare tutte le proprie carte, sempre meglio avere un asso nella manica e un occhio alle nuove opportunità.
 
«Per contro...» aggiunse, ritornando a sorridere con sincerità «Se mi aiuti mi assicurerò che tu e il tuo caro papino abbiate il vostro lieto fine e anche qualcosa in più.»
 
L'uomo parve accendersi.
 
«Cioè?» chiese, cercando di apparire il più possibile interessato quando in realtà aveva solo visto in quella l'occasione per strapparle una confessione e mettersi al sicuro.
 
Ma la giovane Gold non ci cascò. Sorrise sorniona, quindi aprì il palmo della mano e mosse le dita unite avanti e indietro un paio di volte.
 
«Prima tu, burattino...» lo incalzò «Dammi quella pagina, e concorderemo insieme i dettagli. Affare fatto?»
 
***
 
Assorto nel silenzio confortante del suo negozio, avvolto nella luce del mezzogiorno che dall'esterno filtrava attraverso i vetri gialli conferendo ad ogni cosa, mobili antichi e preziosi suppellettili, un'aurea dorata. Sovrano assoluto, lui se ne stava dietro al bancone in attesa, fingendo di lucidare qualche moneta antica quando in realtà stava solo aspettando di udire lo scampanellio che annunciava l'arrivo del sindaco.
Giunse puntuale, preceduto da un picchiettare deciso di tacchi sull'asfalto.
 
«Gold!» lo chiamò agguerrita la donna, fermandosi sulla porta.
 
Sorrise appena, soddisfatto, rivolgendole tutta la sua attenzione.
 
«Regina.» l’accolse «Qual buon vento ti porta?»
 
Lei fece una smorfia.
 
«Lo sai bene. Gli abitanti di Storybrooke non fanno che parlarne da stamattina. E non credere che mi sia bevuta la storia del pirata ubriacone.»
 
Il Signore Oscuro seguitò a sorridere appena, allargando le braccia sul bancone.
 
«Oh, immagino tu ti riferisca a quella storia delle fate.» disse laconico «Si, ho sentito qualcosa. I nani ti hanno preceduta e sono passati da me appena mezz'ora fa.»
 
Non mentiva. Proprio qualche minuto prima Brontolo con al seguito tutti i suoi compagni aveva varcato l'ingresso del negozio sbattendo la porta e brandendo il suo piccone, come se questo potesse spaventarlo.
 
«Tremotino!» aveva urlato Leroy «Cosa hai fatto alle fate? Sappiamo che sei stato tu?»
 
Lui si era limitato a esibire la sua migliore espressione confuso e a scuotere il capo, rispondendo con nonchalance.
 
«Non so proprio di cosa tu stia parlando, mi spiace.» poi lo aveva gentilmente invitato ad abbassare il piccone «Sai bene che non riusciresti a ferirmi con quello e non vorrei che tu fossi costretto a ripagarmi di qualche oggetto rotto.» solo a quel punto si era lasciato sfuggire un sogghigno «Il risarcimento richiesto potrebbe essere alquanto esoso per te.»
«Non fare il finto tonto con me, Signore Oscuro!» aveva sbottato Leroy, ma a quel punto Emma ed Henry erano entrati interrompendo il suo sproloquio.
 
La Salvatrice aveva fissato prima i nani, poi Mr. Gold e si era fatta seria.
 
«Che succede?» domandò.
«Arrestalo Emma!» aveva protestato Brontolo «È stato lui a far sparire le fate. Le ha rapite!»
 
Ignorandolo, Tremotino aveva seguitato a mostrarsi amichevole.
 
«Miss Swan, che tempismo.» la accolse.
 
Dal retro bottega era sbucata la giovane Emilie Gold, che si era avvicinata a suo padre e gli aveva sorriso, scrutando nel frattempo gli sguardi irosi che i nani le rivolsero.
 
«Sono stata io a chiamarla. In realtà dovevo parlarle di una questione personale, ma col senno di poi credo di aver fatto bene a dirle di incontrarci qui.»
«Ah, eccola! Non credere di averci ingannato, strega. Tu sei della stessa risma di tuo padre, meschina e ingannatrice. E scommetto che il mio piccone potrebbe colpirti.»
 
Con aria spaventata Emilie si era aggrappata al braccio di suo padre e aveva sgranato gli occhi, arretrando. Tremotino l'aveva stretta protettivo, mentre Emma si frapponeva tra di loro. Solo allora Leroy aveva osservato Emilie Gold sorridere, dietro le spalle del malefico Coccodrillo, che le reggeva il gioco. Davvero una perfetta attrice. Che coppia di bugiardi! Aveva stretto i pugni, pronto a smascherarla, ma la Salvatrice lo aveva anticipato.
 
«Va bene adesso basta. Leroy e tutti gli altri, fuori da qui prima che vi arresti davvero.» aveva decretato, poi aveva rivolto un sorriso alla cognata, che si era sciolta un poco «Ti richiamo più tardi, va bene?»
 
La ragazza aveva annuito grata. Mentre si apprestava a trascinare fuori gli infuriati nani, Emma non aveva potuto fare a meno di rivolgere un'ultima occhiata di sbieco a padre e figlia alle sue spalle, guardandoli scambiarsi uno strano sguardo.
La mente era corsa a quello che Uncino le aveva detto "La partita è truccata, e quando te ne accorgerai sarà troppo tardi."
Che significava? Aveva cercato di ascoltare il suo sesto senso, e quello che era riuscita a percepire non le era piaciuto affatto. Possibile che Emilie fosse più pericolosa di quanto non volesse far credere?
Rimasti soli, Mr. Gold e sua figlia si erano scambiati un lungo sguardo complice, sciogliendosi poi in un quasi identico sogghigno soddisfatto.
 
«Credi abbia capito qualcosa?» aveva chiesto Emilie, riferendosi proprio alla Salvatrice.
 
Il Signore Oscuro si era fatto serio.
 
«Non ne sono sicuro, ma sarà meglio sbrigarsi.» aveva risposto «È tutto pronto per domani sera?» le aveva quindi chiesto.
 
La Lucertolina aveva annuito.
 
«Manca solo l'ingrediente principale, ma so già dove trovarlo.»
 
Poi, facendosi pensierosa, aveva accarezzato dolcemente la sua guancia ricoperta appena da un sottile strato di barba.
 
«Sei sicuro di riuscire ad aspettare?» gli aveva chiesto.
 
Tremotino aveva sorriso, prendendole quella mano tra le sue e stampandole un bacio sulle dita affusolate.
Aveva avuto una piccola crisi, la sera prima. Per fortuna erano presenti solo lei e Baelfire, ma l'episodio sembrava averla turbata parecchio, perché attraverso i suoi occhi grigi aveva potuto vedere l'angoscia impossessarsi di lei.
 
«È tutto a posto, adesso. Sto bene.» aveva tentato di rassicurarla.
 
Peccato che il suo viso stanco dicesse il contrario. Emilie non aveva potuto trattenere qualche lacrima, e per tentare di nasconderlo lo aveva abbracciato di nuovo, aggrappandosi alla preziosa stoffa della giacca nera che indossava.
 
«Vorrei poter fare di più.»  aveva sussurrato, reprimendo i singhiozzi «Vorrei... poter mandare avanti il tempo ed evitare che tutto questo accada.»
 
Tremotino aveva sorriso, stringendola a sua volta.
 
«Hai già fatto molto.» le aveva risposto, poi aveva sciolto quell'abbraccio e le aveva preso il viso tra le mani, stampandole un bacio sulla fronte e sorridendole intenerito «Ora è il mio turno di proteggerti. E lo farò fino alla fine del tempo, principessa. Te lo prometto.»
 
L'anello al dito di Emilie si era illuminato di quella luce chiarissima che ormai aveva imparato a conoscere, tutti e due lo avevano visto, e la ragazza a quel punto era esplosa in un pianto dirotto, stringendosi al suo papa e lasciandosi coccolare.
Era passata poco più di un'ora da quell'incontro, le aveva dato il giorno libero per permetterle di svolgere gli ultimi compiti necessari, e adesso guardando Regina bruciare d'impazienza e gelosia non riuscì proprio a non approfittarne.
 
«Dimmi un po', mia cara...» disse, emergendo da dietro il bancone e avvicinandosi a lei fino a sostenere il suo sguardo iroso «A cosa pensavi quando hai mandato mio nipote a ficcare il naso tra le mie cose?»
 
Come prevedibile, lei sgranò gli occhi, sbalordita, poi sospirò e li abbassò colpevole.
 
«Non è stata una mia idea.» ammise «Henry è convinto che tu sappia dove si trova l'autore. Vuoi dirmi che non è così?» lo incalzò quindi «Perché avresti richiamato quelle due da New York altrimenti?» lo guardò dritto negli occhi, ma il Signore Oscuro non si lasciò intimidire.
 
«Innanzitutto Regina, mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro, ma mi ripeterò ancora una volta soltanto...» iniziò, sporgendosi poi verso di lei e concludendo serio «Quello che faccio e il motivo per cui lo faccio non sono affari che ti riguardano.»
 
La Sovrana si fece paonazza d'indignazione, osservandolo voltarle le spalle con nonchalance per ritornare a catalogare le sue cianfrusaglie nel retrobottega. Lo seguì, decisa ad avere l'ultima parola. C'era troppo in gioco.
 
«Questo vuol dire che avevo ragione io, qualcosa che bolle in pentola c'è.» tentò di incalzarlo nuovamente, ma lui si limitò a ridacchiare, scuotendo il capo.
 
Ostinata quanto testarda. Ma inutile, dopo il lancio del sortilegio che lo aveva ricondotto da Baelfire.
Decise comunque di giocare un po' con lei, tornò a guardarla e le chiese, curioso.
 
«Se anche fosse, cara? Perché ci tieni tanto a saperlo?»
 
La vide stringere i pugni ed esitare, per poi arrendersi e rivelargli.
 
«Io sto bene con Robin, ora.»
 
Tremotino annuì.
 
«Ne sono felice.» disse sincero «Goditi il tuo lieto fine allora.» aggiunse conoscendo già la successiva risposta.
 
Regina si irrigidì di nuovo.
 
«È questo il punto...» provò a ribattere, ma le parole le morirono in gola, e tutto ciò che ebbe per il suo maestro fu uno sguardo colpevole.
 
Questi la osservò quasi intenerito. Ma non troppo.
 
«Sai, Regina...» fece, animandosi e tornandole vicino «Ho quasi l'impressione che tu voglia chiedermi qualcosa, ma...» allargò il suo sorriso «Per quanto mi sforzi, non riesco proprio a capire cosa.»
 
La donna gli lanciò uno sguardo di fuoco. Sapeva già dove voleva andare a parare. Lui era bravo in queste cose, anche i muri lo sapevano ormai. E lei aveva due scelte adesso: dargli quello che voleva o rinunciare all'idea di salvare Storybrooke da qualunque fosse il suo piano. In ogni modo lui avrebbe vinto.
Decise di giocarsi il tutto per tutto.
 
«Voglio far parte della squadra.»
 
Il Signore Oscuro sorrise, senza scomporsi, quasi si aspettasse quella proposta.
Quindi le voltò le spalle e si diresse verso una credenza in mogano chiusa a chiave, aprendola e tirandone fuori qualche cianfrusaglia inutile.
 
«Mi spiace, ma temo non sia possibile.» le disse, senza neanche guardarla.
 
Quel rifiuto fu come un pugno nello stomaco per Regina. Certo. Non gli era più utile ora che aveva sua figlia e quelle streghe da due soldi al fianco. Stava perdendo terreno. E il cuore iniziò a correrle all'impazzata in petto.
 
«Perché no?» domandò, ma non ricevette risposta.
 
Tremotino si limitò ad ignorarla, mettere tutto ciò che aveva tirato fuori dalla credenza in un sacco e dirigersi di nuovo verso il bancone. Ma a metà strada Regina gli sbarrò la strada.
 
«Gold!» lo richiamò autoritaria.
 
Il Signore Oscuro si limitò a lanciare un'occhiataccia.
 
«Dimmi che devo fare.» gli disse lei, dopo un sospiro nervoso.
 
Una smorfia divertita comparve sul volto del Coccodrillo.
 
«Te l'ho detto, mia cara.» mormorò laconicamente «Assolutamente niente. È questo quello che devi fare ora.»
 
Quindi la superò tornando ai suoi affari, e lasciandole come unica alternativa quella di sparire, con un angoscioso senso di oppressione in petto e un nodo allo stomaco.
Aveva perso. Per ora solo quella piccola battaglia, ma qualcosa le diceva che la guerra non era ancora finita. Anzi, era appena ricominciata.
 
***
 
Gli eroi erano preoccupati, e anche molto.
Regina li trovò tutti da Granny, seduti a un tavolino all'angolo, discutendo animatamente a voce bassa per evitare di allarmare i pochi presenti.
Quando la videro entrare, solo loro restarono a fissarla in apprensione fino a che non fu abbastanza vicina per poterle parlare senza che gli altri potessero ascoltare.
 
«Allora?» domandò Biancaneve, stretta a suo marito.
 
Regina scosse il capo, desolata.
 
«Non si fida di me.» disse «Ma lui e sua figlia stanno architettando qualcosa, ne sono certa.»
 
I coniugi Charming guardarono Emma, che s'impensierì.
 
«Swan, sai qualcosa?» le chiese allora il sindaco, sempre più preoccupata.
 
La Salvatrice scosse il capo, quindi tirò fuori dalla tasca una busta nera e ne trasse fuori un grazioso invitò stampato con caratteri dorati su un rettangolo di pergamena nera. Recava il sigillo di Tremotino, lo stesso che convalidava ogni contratto del Signore Oscuro, impresso su ceralacca rosso cremisi.
Regina lo prese tra le mani e gli diede una rapida scorsa, corrucciandosi.
 
«Un gran ballo? A casa di Emilie?»
 
Sentì salire un moto di irritazione che le successive parole di Emma Swan non fecero che peggiorare.
 
«È un invito personale. Anche Neal, Henry e Ruby ne hanno ricevuto uno.»
 
Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu la domanda sorpresa di Biancaneve.
 
«Tu non sei stata invitata?»
 
Perfino il principe azzurro fu sorpreso da quella notizia.
 
«È evidente che non mi vogliono intorno.» concluse lei, con un sospiro nervoso, ansiosa di passare ad altri argomenti ma consapevole di non poterlo fare, almeno per il momento «Qualsiasi sia il loro gioco, io non sono gradita.» aggiunse, senza sapere se sentirsi sollevata o irritata «Hai intenzione di andarci?» chiese quindi ad Emma Swan, la quale rispose infilando le mani nelle tasche dei jeans e scuotendo le spalle «Henry ci vuole andare e Neal è quasi obbligato.» spiegò «In fondo sono suo padre e sua sorella. Credo che li accompagnerò e cercherò di scoprire qualcosa in più su questa storia. Essere stata invitata dovrebbe essere una cosa positiva, del resto. No?»
 
Regina si corrucciò, cercando di capire. Era davvero una situazione assurda! Perché avrebbero dovuto invitare la Salvatrice e non lei? Nemmeno Biancaneve e il Principe Azzurro erano stati invitati, ma Emma si.
Questo poteva solo significare che qualsiasi cosa avessero in mente di fare, la volevano dalla loro parte. O sotto controllo? Un sospetto si s'insinuò dentro di lui, una strana ansia prese a salire.
 
«Non ne sono certa.» le disse facendosi seria «Ma il Signore Oscuro non fa mai nulla senza un tornaconto, perciò se sei nella sua lista degli ospiti ci deve essere un motivo. Va e cerca di capirlo, ma tieni gli occhi ben aperti e sappi che metterai piede nella tana del serpente.»
 
Calò un breve ma pesante attimo di silenzio tra i commensali a quel tavolo, e per un istante anche gli astanti smisero di parlare, ma probabilmente fu solo una coincidenza perché nessuno sembrava prestare loro reale attenzione.
 
«Va bene.» concluse allora la Salvatrice, mettendo fine a quell'angoscioso momento «Grazie.» aggiunse con un sorriso «Ora vado a vedere se riesco a rimediare un vestito adeguato, pare sia richiesto il massimo dell'eleganza per entrare.» spiegò riprendendosi l'invito «Vi terrò informati.»
 
Quindi voltò loro le spalle e uscì dal locale, lasciandoli soli.
 
«Regina...»
 
La voce di David la riscosse strappandogli ai loschi pensieri in cui si era ritrovata. Lo fissò come se si fosse appena svegliata da un incubo.
 
«Credi che... siamo davvero in pericolo? O ci stiamo solo preoccupando troppo?»
 
Sperando che la risposta confermasse quella seconda ipotesi. Ma la donna si limitò a stringersi nel suo cappotto nero e a scuotere il capo.
 
«Credo che tutti quanti dovremmo riflettere sugli ultimi avvenimenti.» disse, riferendosi alla sparizione delle fate e alla sconfitta di Zelena «E ricordare una lezione fondamentale sul Signore Oscuro: mai sottovalutarlo. È meglio essere prudenti che ingenui, con lui e a quanto pare anche con la sua "progenie".»
 
***
 
Una piccola chiave arrugginita, all'apparenza quasi insignificante.
Bastò inserirla dentro alla serratura fatta di carta e inchiostro affinché il più grande desiderio di Isaac si realizzasse.
Era rimasto intrappolato tra quelle pagine per secoli, e aveva pensato di non riuscire più ad uscirne. Ora che finalmente lo aveva fatto però, non fu poi così contento di essere tornato nel mondo reale.
Si ritrovò al centro della stanza, dietro la scrivania su cui la figlia di Tremotino aveva appoggiato il libro aperto.
Loro due, stretti l'una all'altro, furono la prima cosa che vide e ciò lo terrorizzò non poco.
Poi però il suo sguardo si posò su Crudelia, e il respiro sembrò strozzarlo.
Lei lo scrutava con folle cattiveria, come una bestia affamata con una carcassa fresca.
Eppure non tremò, sentì solo tanta pena nel cuore. In fondo i giorni trascorsi insieme erano stati belli, e anche se ora lo odiava lui non poteva farlo. Non ci riusciva. Questo faceva l'amore.
 
«Guarda un po' chi si rivede...» fece la signora in bianco e nero, scrutandolo da capo a piedi e compiendo un passo verso di lui.
 
Lo scrittore indietreggiò, e aprì bocca per parlare, ma non fu necessario tentare di difendersi.
 
«Calma zietta, ricordati che ci serve intero.» ridacchiò Emilie, attirando su di sè l'attenzione di Isaac, che finalmente parve accorgersi di lei.
 
La scrutò con interesse, anche se non potè farlo per molto tempo visto il modo in cui suo padre, a cui era ancora stretta, lo fissava.
 
«Oh, eccoti.» le disse sforzandosi di sorrise e riuscendoci alla perfezione «Ero davvero curioso di conoscerti, sai? La tua storia è davvero interessante...»
 
La vide corrucciarsi trasformando il sorriso in una smorfia.
 
«Già, peccato non si possa dire lo stesso di tutti gli altri qui presenti...» disse, stringendo la mano di suo padre, che ricambiò con un sorriso.
«Quindi immagino...» rispose Isaac, scrutando il Signore Oscuro con inquietudine «Che anche per la mia liberazione io debba pagare un prezzo.»
 
Le Signore del Male sorrisero, rivolgendo a Tremotino e a sua figlia un'occhiata rapida.
Dal canto suo, il Coccodrillo si limitò ad accennare una smorfia soddisfatta prima di alzare la mano e, con uno schiocco di dita, far apparire sulla scrivania accanto al libro dal quale era uscito un altro identico per forma e dimensioni, ma con la copertina di cuoio nero finemente decorata che intarsi d'oro e al centro della quale svettava a lettere antiche il titolo: EROI E CATTIVI.
Le perfide streghe si rivolsero sorrisi impazienti, gli occhi di Emilie incrociarono brillanti quelli del proprio padre che annuì, limitandosi a sorridere e a lasciarla andare.
La Lucertolina gli scoccò un occhiolino e accennò un breve inchino portando il piede destro dietro il sinistro, genuflettendosi e allargando le braccia, poi tornò a rivolgersi all'autore, avanzando sinuosa verso di lui.
Alzò una mano, e fece apparire tra pollice e indice un foglietto ripiegato.
 
«Queste sono le istruzioni da seguire, mio caro.» disse, consegnandogliele.
 
Ma mentre, con cautela, l'autore prendeva il foglio, lei gli posò una mano sulla spalla e si portò dietro di lui, rivolgendo un lungo sguardo a Cruella. Le due si fissarono intensamente, Isaac vide lo sguardo della donna che un tempo aveva amato farsi di nuovo cupo, come quando aveva ucciso sua madre coi nuovi poteri che ingenuamente lui gli aveva donato.
D'istinto fece un passo indietro, ma la punta della lama fredda del pugnale in possesso della figlia del Signore Oscuro lo paralizzò.
Uno schiocco di dita della ragazza, e lui si ritrovò incatenato ai piedi della scrivania, legato per mezzo di catene di ferro lunghe abbastanza da permettergli di muoversi ma solo intorno ad essa.
 
«Ma cos...?» esclamò stupito, ma non fece in tempo a finire la frase.
 
Emilie gli strinse il collo con un braccio e premette il pugnale sulla sua gola, portando la bocca vicino al suo orecchio e sussurrando minacciosa.
 
«Voglio che ti sia chiara una cosa, Autore. Questa è la mia storia, e stavolta comando io.» la sentì ridacchiare sommessamente, rabbrividì sentendo il freddo impossessarsi di lui «Stavolta non ti sarà permesso né disertare, né fare il doppio gioco. Dovrai solo sedere a quella scrivania e scrivere. Non potrai vedere o parlare con nessuno, non avrai che pane e acqua fino a che la tua bella penna non avrà scritto la parola fine sulle nostre nuove storie. E vedi di sbrigarti, perché domani sera terrò una festa qui a casa mia e il bel nuovo mondo che in cui ci spedirti sarà il finale a sorpresa con il quale delizierò i miei ospiti.»
 
Con un ticchettio ritmico e suadente, Cruella de Vil raggiunse la scrivania e vi si sedette sopra, a gambe incrociate. Emilie sorrise divertita, quindi lo spinse verso di lei, che lo tenne stretto per le catene con una mano e gli accarezzò famelica gli zigomi. Isaac ebbe un altro fremito, e per quanto la sua posizione lo rendesse impossibile cercò di non guardarla, voltandosi per cercare i volti del resto dei suoi aguzzini.
Alle sue spalle, Emilie rise di nuovo.
 
«Zietta Cruella si prenderà cura di te fino ad allora.» disse lanciando un'occhiata divertita alla donna, che si leccò le labbra come un cane affamato, agguantandogli il mento e costringendolo a guardarla
«Non vedevo l'ora...» mormorò suadente «Abbiamo così tante cose da dirci, tesoro.»
 
Ormai con il cuore che batteva a mille, l'uomo cercò in tutti i modi di darsi un contegno.
"Calma, Isaac. Calma. Ricorda, non può ucciderti. Ma... può fare molto peggio."
Come se lo avesse sentito, la figlia di Tremotino aggiunse ridacchiando
 
«Oh, tranquillo. Mi ha promesso di fare in modo che tu sia in grado di scrivere fino alla fine.»
 
Fregato. Era completamente fregato. Tante volte aveva sperato che qualcuno lo liberasse da quella prigione, ora si ritrovò a pregare di poterci ritornare il prima possibile.
 
«Io...» provò a prendere tempo, mentre rifletteva sul modo migliore per poter risollevare la propria posizione «Non c'è davvero bisogno di tutto questo. Non vi tradirei, io sto dalla vostra parte.» le assicurò, voltandosi a guardarla.
 
Emilie e suo padre si scambiarono uno strano sorriso, quasi compatendolo, quindi la giovane tornò a rivolgergli un sorriso cattivo.
 
«Ma davvero?» lo canzonò, in un tono che non lasciava spazio a dubbi.
 
Quindi si voltò verso suo padre, annuì, e con un semplice gesto della mano il Signore Oscuro gli tolse la voce, aprendosi poi in un largo sorriso che sua figlia condivise.
Anche Cruella rise, e un sogghigno apparve pure sulle labbra di Malefica e Ursula.
 
«Basta chiacchiere inutili, Autore.» lo freddò con determinazione Emilie, lanciandogli uno sguardo più tagliente della lama del suo pugnale «Usa il tuo ingegno per la ricerca delle parole più adatte a cambiare le nostre storie. E che siano a lieto fine stavolta.» sogghigno appena «Abbiamo ancora il pugnale dalla parte del manico, ricordalo.»
 
Tremotino sorrise a sua volta, divertito da quel sagace paragone. Se a farlo fosse stata una qualsiasi altra persona, in particolare dopo le vicende di Zelena, probabilmente non lo avrebbe gradito. Ma Emilie era sua figlia... una figlia che non aveva visto nascere ma di cui si fidava. E la fiducia per lui non era mai stata questione da sottovalutare. Quindi annuì a sua volta, e tornò ad accoglierla sottobraccio. Uscirono insieme dalla stanza, lasciando Cruella e la sua vecchia fiamma al duro lavoro.
Percorsero insieme in silenzio i corridoi elegantemente arredati, stringendosi semplicemente la mano, seguiti da Malefica e Ursula, ma quando giunsero di fronte alla porta del piccolo soggiorno si fermarono, scambiandosi un'ultima occhiata per poi voltarsi e fissare la regina dei draghi.
 
«Credo...» le disse Emilie, sciogliendosi in un sorriso «Che stavolta tocchi a te.»
 
Malefica le rivolse un lungo sguardo interrogativo prima di capire. Fondamentale fu lo sguardo comprensivo di Tremotino, che si divise da sua figlia, socchiusa la porta e le fece cenno di accomodarsi all'interno della stanza.
 
«Un patto è un patto.» concluse serio «È tempo di riscuotere la tua ricompensa.»
 
Lo sguardo della strega s'illuminò all'istante, e il cuore prese a battere all'impazzata. "La mia piccola."
Non ebbe bisogno di ulteriore incoraggiamento. Afferrò la maniglia dorata e spinse la porta, mandando al diavolo le buone maniere e avanzando oltre l'uscio mentre i suoi occhi cercavano in ogni dove.
Non dovettero muoversi a lungo però, perché quasi subito un paio di occhi neri come la cenere incrociarono i suoi, come se aspettassero di farlo da una vita.
Lei era lì, seduta a braccia conserte su una sedia. Una giovane donna sicura di se e bella. Oh, bellissima! Era stupenda, la sua piccolina. Com'era cresciuta!
Ed era... un drago? Come lei? Oppure quel mondo le aveva tolto la magia? No, non poteva averlo fatto. Se ne accorse dalla forza con cui le resisteva, fiera e orgogliosa proprio come un drago. E comunque avrebbero avuto tempo per questo, per imparare ad essere fiere di ciò che erano. Ora era il tempo per gli abbracci, le lacrime, e le spiegazioni. Il tempo per incominciare ad essere una famiglia. Finalmente quel tempo era arrivato.

 

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Capitolo 12
*** Episodio XII – La casa degli specchi ***


Episodio XII – La casa degli specchi


La notte precedente a quella del gran ballo, Emilie rimase sveglia a fissare il soffitto della grande camera da letto in cui lei ed Ewan dormivano. Il sonno la colse appena passate le due, ma fu un intervallo breve in mezzo ad un silenzio e ad un'oscurità che le somigliava troppo a quella da cui stava cercando di scappare.
Era brava a dissimulare, grazie a ciò era riuscita a eludere ogni sospetto, perfino quelli di suo padre, ma giunta a quel punto non riuscì più a resistere e, mentre l'orologio a pendolo del grande salone batteva le cinque, lei si alzò, si rivestì indossando gli abiti più comodi e un paio di anfibi, ovviamente in tinta unita Total Black, e indossò il suo lungo cappotto nero insieme ad una sciarpa che le coprisse almeno in parte il volto.
Stava per uscire di casa quando Ewan la fermò, chiamandola per nome.
Si bloccò con ancora la mano sul pomello dorato.
Sospirò, sorridendo amaramente, e voltatasi lo vide a pochi metri da lei, addosso solo il pantalone del pigiama e il profumo che gli aveva regalato, che sapeva di foresta e tabacco.
 
«Vai da qualche parte?» le domandò, con un sorriso che non aveva nulla di accusatorio.
 
In realtà entrambi conoscevano già la risposta, ma Ewan preferiva darle l'opportunità di spiegarsi. E chiedere aiuto, visto che da sola non sarebbe mai stato in grado di farlo. Trattenendo a stento le lacrime e aprendosi in un sorriso colpevole, Emilie annuì.
 
«Non riesco a dormire...» bofonchiò, poi mostrò le chiavi strette tra pollice e indice della mano destra, avvolta in un guanto di pelle nera.
«Ti fai un giro con me?» chiese.
 
L'arciere la fissò con amorevole comprensione. Non disse null'altro per indurla a svelarsi, né per tentare di farla sentire in colpa. Annuì, semplicemente, chiedendole solo un istante per indossare qualcosa di adatto.
Dieci minuti dopo, la lussuosa auto di Emilie avanzava a velocità costante e moderata lungo la strada principale di Storybrooke, verso il confine orientale, con la giovane strega alla guida.
Gli occhi lucidi dritti sulla strada, lo sguardo serio, stanco, chiusa in un silenzio che il suo futuro sposo non volle rompere fino a che, giunti proprio a qualche metro dalla riga rossa che segnava il confine col mondo "reale", lei non fermò l'auto, spense il motore e tirò con uno strappo vigoroso il freno a meno, restando aggrappata al volante con tutte e due le mani.
L'arciere si guardò intorno. Il crepuscolo era appena iniziato, la luce del giorno era ancora troppo flebile ma la notte non era più così scura e le chiome degli alberi iniziavano a distinguersi dal cielo nero in cui le stelle brillavano ancora luminose.
 
«È questo il posto?» domandò.
 
La sentì sospirare pesantemente, quindi la guardò sbattere all'indietro la testa sul sedile e chiudere gli occhi, la mascella serrata e il fiato corto.
 
«Si.» la sentì sussurrare, con voce tremula.
 
Solo a quel punto ruppe gli indugi e allungò una mano verso la sua destra, stringendola. La sentì tremare forte, come scossa da tremiti di freddo anche se la pelle del guanto gli impedì di capire se ne avesse davvero. Tornando a fissarla la vide continuare a tenere gli occhi chiusi, ma sulla sua guancia apparve una lacrima, scintillante nella penombra del crepuscolo sempre più evidente.
 
«Emilie...» la chiamò, preoccupato.
 
Lei sospirò di nuovo, in maniera quasi esasperata.
E finalmente riuscì a riaprire gli occhi e guardarlo. Aveva un mare in tempesta dentro di sé, solo osservando la sua espressione torva Ewan capì che avrebbe tanto voluto parlarne, ma per qualche motivo non riusciva a trovare le parole. Forse...
 
«Di cosa hai paura, Principessa?» le domandò, continuando a stringerle la mano.
 
Di nuovo, la ragazza tremò, ma stavolta la mano si staccò dal volante e afferrò la sua.
Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito, scuotendo il capo quasi furiosa.
 
«Di me, Ewan...» rispose infine, lamentosamente «Di me...» ripeté, riaprendo gli occhi e fissandolo, continuando ad aggrapparsi alla sua mano «Io temo che... che prima o poi tu possa stancarti di me, di aspettarmi, di sostenermi. Temo...» trattenne di nuovo il fiato, le guance imporporate a causa dello sforzo di trattenere le lacrime e gli occhi gonfi «Temo che prima o poi anche tu, come la mamma, possa stancarti di tutto questo e andartene, perdere la fiducia in me e iniziare a considerarmi...»
 
"Solo una bestia". Non lo disse, ma non ce ne fu bisogno, perché senza ulteriore indugio lui si slacciò la cintura e la abbracciò forte, avvolgendola protettivo e carezzandole la nuca come con un cucciolo ferito. Lei non fece resistenza, semplicemente si abbandonò a quella tenerezza e iniziò a piangere singhiozzando come una bambina e aggrappandosi alle sue spalle forti come alla sua unica ancora di salvezza.
 
«Non succederà, Emilie...» tentò di rassicurarla lui, ma la giovane scosse il capo, più e più volte «Non lo farò, te lo prometto.»
«No.» replicò lei, staccandosi da lui e tornando a fissarlo negli occhi, ora nuovamente pieni del coraggio che le occorreva «Lo farai. Prima o poi anche tu smetterai di fidarti di me e deciderai che forse è meglio per te cercare il tuo lieto fine altrove...» quindi si fermò a guardarlo negli occhi, la mano ancora stretta nella sua «Solo... vorrei che quel tempo non fosse così vicino.»
 
I brividi presero a scuoterla più numerosi. Ewan le afferrò entrambe le mani, senza perdere il contatto con i suoi occhi in tempesta. Era così che riusciva a calmarla. Così, solo così, riusciva a restare con lei anche quando la sua anima era in tempesta e la sua mente altrove. Solo guardandolo negli occhi Emilie riusciva sempre a tornare al presente, ma stavolta il presente era troppo grande da affrontare da sola, per questo Ewan tornò a chiederle, scostandole una ciocca ribelle da davanti agli occhi con una carezza.
 
«Milly... sono qui per te. Te l'ho giurato, e lo rifarei, qui e in qualunque altro posto, in qualunque tempo.»
 
Di nuovo, lei rabbrividì stringendogli le mani come per aggrapparsi a quella promessa, come se fosse l'unico modo per crederci.
Ma non ci riuscì.
 
«Allora giuramelo adesso...» mormorò, fissandolo «Perché dopo il gran ballo...le cose potrebbero cambiare di nuovo, per me e papa... e potrei essere costretta a lasciarti... di nuovo...» affranta, profondamente addolorata.
 
Ewan si fece serio, dispiaciuto più dalle sue lacrime che da quella notizia.
 
«Emilie...» iniziò, ma lei non lo lasciò finire.
«Ma io voglio che tu ci sia nella mia vita. Ti voglio, Ewan.» gli disse, tutto d'un fiato «Per questo ho chiesto ad Isaac di regalarci un lieto fine, anche se finto. Per questo gli ho chiesto di includerti nella storia...» scosse il capo, tornando a reprimere i singhiozzi ma senza riuscire a fare lo stesso con le lacrime, che ripresero a sgorgare copiose «Non m'importa cosa penseranno gli altri di me. Se dopo stasera sarò una cattiva per loro, se gli eroi non si fideranno più di me e gli amici mi volteranno le spalle.» tornò a guardarlo, e lo vide dapprima stupirsi, poi tornare a sorridere «Ma se tu te ne vai... se smetterai di credere in me... Io non ce la faccio ad affrontare tutto questo da sola. Sono egoista, lo so ma...» sorrise, abbassando gli occhi e prendendo fiato «Non voglio neanche pensare ad una storia a lieto fine senza di te. Sei tu il mio lieto fine. E non voglio perderti. Non voglio che ciò che ho fatto e dovrò fare per la mia famiglia ti allontani. Non... non voglio che tu sia il prezzo da pagare.»
 
Fu quasi un sospiro quell'ultima frase. E non appena l'ebbe pronunciata all'improvviso la tempesta dentro di lei si placò, mentre lui tornava a sorriderle, più commosso e innamorato che mai. Le prese il viso tra le mani, le sfiorò la fronte con un bacio e poi scese carezzando con le labbra la linea del suo profilo fino alle labbra, nelle quali si immerse, perdendosi con lei in un lungo, lento e travolgente bacio in cui mise tutto se stesso. Tutto il suo amore, tutta la sua passione, tutto ciò che le parole non sarebbero servire a spiegare. Quando finì, entrambi si scoprirono affannati e sorridenti, le dita intrecciate sul volto e il fiato corto, il cuore colmo di una gioia e una pace quasi impossibile da comprendere se non si è mai stati innamorati davvero.
La giovane strega sorrise, arrossendo.
 
«Ti amo, Emilie Gold.» le disse il suo arciere «Il nostro amore è vero e puro, come solo il vero amore sa essere. E non c'è niente al mondo che riuscirebbe a infrangerlo.»
 
Lei gli strinse di nuovo le mani, lasciandosi sfuggire ancora qualche lacrima rimasta incastrata tra le ciglia.
 
«Niente? Mai?» domandò, ancora una volta.
 
E il suo cuore si riempì di un calore avvolgente quando lo vide sorriderle, scuotere il capo e rispondere, sicuro.
 
«Niente, mai. Qualsiasi sia il sortilegio che proverà a dividerci, io troverò il modo di spezzarlo e riportarti da me. Per sempre.»
 
Sorrisero. Gli occhi lucidi ora pieni del bagliore chiaro dell'alba.
 
«E io ti aspetterò.» promise lei, grata «Sempre e comunque, mio principe. Non importa per quanto tempo dovrò farlo. Farò di tutto perché tu possa riuscire a ritrovarmi.»
 
***
 
Restarono ancora qualche minuto stretti in un abbraccio, ad osservare l'alba che a poco a poco rischiarava il cielo di Storybrooke rendendolo sempre più azzurro.
Quindi, quando mancavano pochi minuti alle sette del mattino, scesero dalla macchina e con un cenno della mano Emilie la rese invisibile ad occhio nudo con un banale incantesimo di camuffamento. Parcheggiata sul ciglio di una stradina sconosciuta poco distante dalla strada principale, non avrebbe avuto bisogno di nessuno che la sorvegliasse, e sarebbe rimasta ad attendere il momento adatto, anche se dentro di sè Emilie Gold continuava a lasciare acceso il sempre più flebile lumicino della speranza che sua madre stavolta fosse stata in grado di capire.
Tornarono a casa lasciandosi avvolgere, e non appena furono di nuovo al sicuro la ragazza si lasciò ricadere stanca sul divano, dove restò accoccolata tra le braccia del suo promesso sposo fino a mattinata inoltrata, immersa in un sonno ristoratore finalmente privo di incubi, e cullata dal calore del suo corpo e dal battito possente del suo cuore.
Quando riaprì gli occhi, lui era ancora lì con lei, le stringeva la mano e attendeva paziente che si svegliasse.
 
«Buongiorno.» sussurrò, stampandole un bacio tenero sulla fronte.
 
I capelli arruffati, i sensi ancora un po' addormentati, Emilie sorrise, ricambiando il buon giorno e poi tornando ad accoccolarsi tra le sue braccia. Fosse stata uno dei gatti del suo giardino, avrebbe anche iniziato a fare le fusa.
 
«Niente lavoro, oggi?» domandò lui, un modo come un altro per conoscere i suoi piani per la giornata.
 
La sentì scuotere il capo.
 
«Papa mi ha dato la giornata libera...» disse, poi però si corrucciò, guardandolo e domandando preoccupata «Lo hai sentito?»
 
Ewan sorrise, annuendo.
 
«Sta bene.» disse «Voleva parlarti ma gli ho detto che stavi ancora riposando.»
«Mh...» mormorò allora lei, fissando il suo cellulare appoggiato sul tavolino di fronte a loro.
 
"E se non stesse affatto bene?" pensò angosciosamente. Come se l'avesse udita Ewan si allungò ad afferrarlo e glielo consegnò
 
«Vuoi chiamarlo?» le chiese.
 
Lei gli sorrise, prendendo il cellulare tra le mani e mettendosi a sedere. Apri la rubrica ma poi si trattenne dal toccare il tasto verde. "Forse..." si disse "Basterà un messaggio. Me lo direbbe se fosse di nuovo in pericolo. O almeno mamma e Bae mi avrebbero già chiamata."
Invece nel registro chiamate non c'era traccia dei loro numeri ed Ewan confermò che né sua madre né suo fratello si erano fatti sentire.
 
«Si staranno preparando per stasera.» le disse, tranquillo, riferendo poi che al telefono la voce di Mr. Gold sembrava calma e composta come al solito.
 
La ragazza sospirò. Ma non riuscendo a calmarsi del tutto aprì di nuovo la rubrica e tagliando la testa al toro scelse l'icona del messaggio di testo.
 
«Va tutto bene?»
 
Scrisse semplicemente, e inviò. La risposta, con suo grande sollievo, non tardò ad arrivare.
 
«Tutto sotto controllo. Ci vediamo stasera, Principessa. Goditi il tuo giorno libero.»
 
Sorrise, benedicendo la fantastica idea che aveva avuto di regalare ad ogni membro della sua famiglia un telefono cellulare che riuscisse almeno a farli restare in contatto all'occorrenza. E anche che suo padre fosse riuscito ad imparare ad usarlo in maniera tanto rapida.
Sorrise rasserenata, spegnendo lo schermo del suo smartphone e tornando ad abbandonarlo sul tavolino per potersi riacciambellare tra le braccia del suo uomo, che l'accolse con un sorriso, prendendo a giocare con una ciocca dei suoi lunghi capelli.
Restarono in silenzio per qualche minuto, Emilie si godette quel momento di calma focalizzandosi sul battito del cuore del suo amato e sulle sue morbide carezze fino a che, quasi sibillino, un pensiero non si s'insinuò nella sua mente. Sorrise malandrina, riaprendo le palpebre e guardando gli zigomi irregolari di Ewan, coperti da una folta barbetta nera.
 
«Lo sai...» disse, attirando la sua attenzione «Questo potrebbe essere il nostro ultimo giorno a Storybrooke. Oltre che il mio unico giorno libero, in ogni senso.»
 
Ewan si corrucciò facendosi pensoso, ma gli bastò una sola occhiata all'espressione ammiccante della sua futura sposa per capire come si sarebbe conclusa quella conversazione.
Sorrise a sua volta, complice.
 
«Si.» annuì «E allora?»
 
La Lucertolina tornò a ridacchiare.
 
«Bhe...» fece, allungandosi verso le sue labbra «C'è ancora un po' di tempo prima degli ultimi preparativi, e papà mi ha detto di godermelo...» mormorò provocante.
 
Questo bastò, per dare il via ad un altro di quegli attimi che nessuno dei due avrebbe mai più dimenticato. Uno di quelli in cui basta un bacio per tornare a credere nelle favole e una carezza per sfiorare il cielo con le dita.
 
***
 
Sebbene quasi tutta Storybrooke fosse nuovamente piombata nell'inquietudine per la sparizione delle fate, e guardasse con sospetto all'imminente "festa di benvenuto" organizzata dalla figlia del Signore Oscuro, Belle French rimaneva ancora schierata con quella piccolissima parte di persone che credeva alla loro innocenza. A sostenere la stessa tesi c'erano Ruby Lucas, il dottor Hopper e il suo cane Pongo, Henry, Robin Hood, e con loro in realtà quasi la metà degli altri cittadini anonimi venuti dal mondo delle favole. Strano per una cittadina come quella di Storybrooke, che aveva sempre temuto il suo vero sovrano, che non era affatto regina.
Tuttavia, almeno per quanto riguardava Belle non lo era affatto, perché nei giorni antecedenti alla sparizione e anche in quelli successivi era stata molto impegnata con suo marito e sua figlia. Tremotino, in particolare, quando non era impegnato a presidiare il vasto bottino dentro al suo negozio aveva colto ogni occasione per stare con lei. Un hamburger da Granny in onore dei vecchi tempi, un picnic nella zona del lago al parco, romantiche passeggiate in cui quasi sempre si finiva per danzare e scambiarsi dolci baci e teneri abbracci. A volte erano stati invitati a casa di Emilie per un pranzo di famiglia, altre avevano deciso di godersi l'atmosfera della propria casa e la serenità di un nido d'amore per un matrimonio che aveva tutto il sapore di un meraviglioso lieto fine.
Perfino la mattina in cui le fate erano sparite, loro erano impegnati in una colazione nella piccola sala da pranzo della casa di Mr. Gold, immersi nella luce del mattino, raccontandosi a voce bassa mentre le loro mani si stringevano.
Amore, certo. Ma oltre a questo, quegli sforzi erano serviti all'analitico Signore Oscuro per crearsi un alibi di ferro, mentre Uncino svolgeva i compiti più difficili al posto suo.
Lo stesso aveva fatto Emilie con Ewan, si era mostrata con lui e la mattina del misfatto si era fatta accompagnare prima da Granny per un'abbondante colazione, poi da Archie, col quale aveva preso appuntamento.
 
«È stato un periodo complicato. Credo di aver bisogno di qualche chiacchieratina senza impegno, e il Grillo Parlante mi sembra il più adatto a tale scopo.»
 
Ovviamente Archie aveva accettato volentieri, e adesso chiunque avesse provato a indagare su di loro avrebbe visto solo un marito devoto alla sua splendida moglie e una ragazza impegnata a costruirsi un futuro in una città nuova.
Nessuno avrebbe potuto dire il contrario. L'unico a non avere alcun testimone per i suoi spostamenti e molti sospetti sulle sue spalle continuava a restare Killian Jones, o al massimo Ursula, che appariva insieme a lui in quel video provvidenziale.
Perfino Cruella aveva un alibi, perché dopo il suo arrivo Emilie aveva tappezzato casa sua di telecamere e ognuna di esse, se ispezionata, l'avrebbe mostrata intenta a bere Gin, ridacchiare o danzare sulle note di un Charleston suonato dal giradischi. E se questo non fosse bastato, proprio nel momento in cui le fate venivano risucchiate dal cappello dello stregone Will Scarlett sarebbe stato visto entrare nella villa e fare la conoscenza della folle signora delle pellicce, parlare un po' con lei e poi entrare a bere un Gin in compagnia.
Era stata Emilie a chiedergli di farlo, senza spiegargli perché, ma questo le telecamere non avrebbero potuto rivelarlo in ogni caso, perché non ce n'erano a casa del fante di cuori, e in ogni caso quelle dentro la ex Villa dello Stregone erano mute.
Era stato questo, unito alle incredibili capacità attoriali del Coccodrillo e di sua figlia, a convincere definitivamente perfino Belle French, sempre arguta e, sebbene innamorata, obiettiva quando si parlava di suo marito.
Comunque, anche se sperava di non doverlo usare mai, aveva ancora il pugnale dell'Oscuro con sè. La prova regina della fiducia che Tremotino riponeva in lei, e questo semplice pensiero non poteva che spingerla a ricambiare in misura anche maggiore.
 
***
 
Per il loro ultimo pasto a Storybrooke, Ewan e la sua amata scelsero il parco a pochi passi dalla tenuta, all'interno del quale si trovava anche il pozzo dei desideri.
Il sole di mezzogiorno brillava in mezzo a un cielo limpido di un azzurro quasi turchese, gli uccelli parlottavano tra di loro cinguettando allegramente e saltellando da un ramo all’altro degli alberi che circondavano il lago.
Ginepri, betulle e anche qualche pino.
Era una zona sconosciuta, molto lontana da quella in cui, in un futuro non troppo prossimo che comunque ora grazie a lei sarebbe stato diverso, eroi e cattivi sarebbero stati costretti a intraprendere un viaggio verso l'aldilà, in una Storybrooke molto più deprimente di quella. Al momento, lei voleva solo godere della piacevole compagnia del suo amato, come stavano facendo anche Belle e Tremotino, a qualche isolato di distanza, concedendosi hamburger e un boccale di vino.
La loro giovane figlia invece, se ne stava seduta sull'erba fresca di un bel prato ad ascoltare il silenzio il canto degli usignoli che si mescolava al gracchiare vivace dei corvi e al picchiettare ritmico di un picchio poco distante. Per qualche minuto, affascinata, strizzò gli occhi più che poteva cercando di scorgerli tra i rami, e quando ci riusciva Ewan guardava il suo volto di bambina illuminarsi come di fronte a un giocattolo nuovo. Sorrise, divertito e intenerito. Era una strana creatura, la sua amata. Amante del pericolo e misteriosa, ma capace al contempo di capire e amare gli uccelli e il loro canto, come la più vera delle principesse. Per la prima volta da che la conosceva si rese conto di quanto il soprannome datole da suo padre fosse azzeccato.
Assorto in quei pensieri, fu difficile riuscire a riscuotersi quando la sentì chiedere.
 
«Passeggiamo?»
 
Ma lo fece. Annuì, si alzò in piedi e le porse galantemente la mano, accennando ad un inchino come il più perfetto dei gentiluomini.
Aprendosi in un largo sorriso Emilie accettò quell'auto e si aggrappò a lui, tirandosi con un balzo.
Quindi con uno schiocco di dita fece sparire ogni traccia del loro picnic e appoggiandosi a lui si lasciò avvolgere da un altro abbraccio, iniziando a percorrere insieme il sentiero in terra battuta che portava al pozzo, persi tra gli alberi secolari e il fresco profumo dei pini.
Era già stata in quel luogo, ma giungere lì con lui, in quel giorno fatidico, il cuore agitato da una miriade di emozioni diverse in grado di scuoterla sia verso il bene che verso il male... le venne quasi da piangere, quando alla fine della salita lo intravide.
Si voltò a guardare la città dall'alto della collina e sorrise ad Ewan, che le cinse i fianchi.
 
«Non ero mai stato qui...» disse «È un panorama mozzafiato!»
 
Lei lo guardò annuendo, quindi lo prese per mano e ricominciò a camminare al suo fianco verso la loro meta.
 
«Questo posto è stato importante per la mia famiglia.» spiegò «È qui che la mamma si è ricordata di papà, quando il sortilegio è stato spezzato. Erano proprio qui.» si fermò, nel punto esatto in cui i suoi genitori avevano suggellato quel momento con il loro primo vero bacio da tempo «Ed è al pozzo che hanno scelto di sposarsi.»
 
Ewan l'ascoltò in silenzio, continuando a sorridere, come uno scolaretto appassionato alla lezione. Giunsero al pozzo, la ragazza appoggiò le mani sulla pietra fredda dei bordi e d'un tratto si fece triste.
 
«Credo sia stato qui che loro...» iniziò, abbassando gli occhi, poi scosse il capo e tornò a guardare i suoi, cercandovi e trovandovi sostegno e coraggio «Si dice che le acque di questo pozzo siano magiche, che possano realizzare sogni e restituire amori e tesori perduti da tempo...»
 
Di nuovo, il sorriso sul suo volto si fece dapprima nostalgico, poi si spense. Ci pensò Ewan a restituirle la serenità, prendendole le mani.
 
«E tu ci credi?» le domandò.
 
Emilie le sorrise.
Conosceva già la risposta, ma aveva solo bisogno di qualcuno che gliela ricordasse.
I suoi occhi grigi si fecero brillanti di lacrime.
 
«Io credo...» replicò «Che non ci sia niente di impossibile a questo mondo, per un cuore che ha fede.»
 
L'arciere sorrise, riconoscendo di nuovo in quello sguardo determinato e in quel sorriso fiero la ragazza ch'era stata in grado di sconfiggere gli dei.
La vide arrossire, poi si staccò da lui e prese a volteggiare intorno al monumento, sfiorandolo con le dita.
 
«E poi ha permesso a mio padre di riportare la magia a Storybrooke, non mi servono altre prove.»
 
Ewan sorrise divertito, raggiungendola. Insieme guardarono al suo interno, verso il fondo buio, restando per un istante in silenzio. Fu lui a parlare per primo.
 
«Potremmo sposarci qui anche noi.»
 
Emilie Gold spalancò gli occhi, guardandolo.
 
«Oh...» mormorò, illuminandosi «Oh, che fantastica idea!»
 
Ma l'entusiasmo durò poco, trasformandosi in gioia commossa.
 
«Ma a ben pensarci, credo sia un altro il luogo adatto per sposarci.» disse, avvicinandosi e legandogli le braccia al collo.
 
Lui le sfiorò i fianchi con le dita, guardando le sue labbra muoversi e la sua chioma ribelle che sapeva di foresta scossa da una folata di vento primaverile.
 
«Intendi il Castello Oscuro?» domandò curioso e ammaliato.
 
Lei sorrise, scuotendo il capo.
 
«Intendo un luogo che non abbia mai vissuto una magia così potente come quella del vero amore. Uno a cui manca solo questo per essere considerato davvero "magico"...» lo vide illuminarsi a sua volta e scrutò il suo volto con soddisfazione «Tu ne conosci uno così?» domandò.
 
L'arciere la strinse a sé, coinvolgendola in un altro bacio.
 
«Si.» rispose infine, mentre i loro respiri si mescolavano «Si, ora che ci penso... lo conosco un luogo così.»
 
***
 
Tornati alla Villa, i due innamorati trascorsero il resto del pomeriggio a sbrigare gli ultimi preparativi per fare della nuova residenza della figlia di Mr. Gold una location degna del più sontuoso ricevimento che si fosse mai visto in città.
Da grande lettrice quale era, Emilie Gold aveva nel tempo sfogliato e collezionato tutti i libri che parlavano della storia d'amore tra la Bella e la sua Bestia, volumi che tra l'altro ora facevano bella mostra di sé stessi in un'ampia sezione della libreria a vetro che ricopriva una parete della sala da ballo. Fantasiose rivisitazioni della realtà, certo, ma ugualmente meravigliose. Amandole tutte e allo stesso modo, aveva pensato che sarebbe stata un'idea simpatica prendere spunti da lì per le decorazioni della grande sala da ballo, così proprio come una brava apprendista streghetta aveva usato gli ultimi insegnamenti appresi dal grimorio di Mr. Gold e grazie a essi aveva animato due meravigliose e gigantesche armature munite di alabarda perché svolgessero il lavoro di guardia, trasformato i quattro gatti neri che avevano preso a stanziare nel suo giardino in pantere dal pelo lucente e dalle zanne affilate perché li aiutassero a mantenere l'ordine in caso di necessità, e ordinato alla sua scopa maggiordomo di fare gli onori di casa accompagnando gli ospiti dalla porta d'ingresso lungo un percorso prestabilito, il più breve e il più lontano possibile dallo studio in cui Isaac era rinchiuso. Malefica sarebbe rimasta a fargli da guardia, mentre la sua giovane figlia si sarebbe unita alla festa così da avere modo di rivedere la sua vecchia amica Emma Swan, e l’idea era sembrata piacerle tanto da renderla impaziente. Per rendere l’ambiente del ricevimento più ampio e luminoso possibile lo aveva riempito di specchi che riflettevano la luce dei lussuosi candelabri da soffitto e posti in posizioni strategiche la facevano sembrare davvero immensa.
In cucina sarebbero stati gli utensili stessi a preparare le gustose e abbondanti pietanze che sarebbero state servite, mentre spolverini e candelabri avrebbero servito come camerieri e cameriere, e un'intera orchestra di strumenti musicali avrebbe suonato splendide melodie e accompagnato il canto di un soprano speciale: Il vecchio giradischi che aveva suonato durante la luna di miele dei suoi genitori e che, prima di essere animato dalla sua magia, era stato dotato di un disco con le più belle canzoni liriche di sempre, cantate dai migliori tenori che il mondo avesse mai conosciuto. Lampadari, forchette e ogni cosa in grado di scintillare era stata tirata a lucido, la stanza era stata pulita a fondo e tutte le altre porte erano state ermeticamente chiuse, fatta eccezione per quella del lussuoso bagno appena fuori dalla stanza. Tutto era stato appositamente studiato per stupire, sfoggiare, ammaliare. E mettere subito in chiaro che non c'era famiglia a Storybrooke in grado di eguagliare quella del Signore Oscuro, e che Mr. Gold non era solo un nome molto azzeccato, ma uno stile di vita, un marchio di garanzia, una promessa. L'aria era cambiata a Storybrooke, dopo l'arrivo di Emilie. Biancaneve? Principe James? Regina? Chi erano questi miscredenti?
Non c'era altro sovrano che Tremotino in città, era sempre stato così ma nessuno lo aveva mai voluto ammettere pubblicamente. Bhe, dopo la fantastica sera che sua figlia aveva organizzato per lui chiunque lo avrebbe saputo e ricordato. Molto, molto bene. E non avrebbe mai più osato metterlo in dubbio con tanta facilità.
 
***
 
L'invito di Emilie parlava una lingua molto chiara.
"È obbligatorio completo elegante" tuonava la pergamena nera.
Ma, come ogni cosa che la figlia di Tremotino faceva, questo poteva non significare niente per la maggioranza, e tutto per una singola persona. In particolare, per Baelfire.
 
«Sono la figlia di Mr. Gold. Devo tenere alto il nome della mia famiglia.» aveva risposto quando Emma gliene aveva chiesto il motivo, aggiungendo poi «E a proposito, cognatina. Assicurati che mio fratello indossi quello che gli procurerò, o giuro sulla vita di papà che non lo farò entrare nemmeno se fosse lui stesso a chiedermelo.»
 
La Salvatrice aveva sorriso divertita, credendo che scherzasse, ma quella sera stessa al rientro dalla Centrale di Polizia aveva trovato Neal in salotto, in piedi e a braccia conserte davanti a un pacco dentro al quale era accuratamente riposto uno splendido smoking, con una rosa all'occhiello e un biglietto: "Mettitelo e vieni con le tue gambe, o sarò costretta a usare la magia, me ne frego se non ti piace."
Piuttosto rude, e infatti lui non l'aveva presa bene.
 
«Siamo arrivati a questo, adesso?» fece sbruffando «Non ho per niente voglia di fare il manichino nella sua lussuosa villa fuori città solo perché abbiamo lo stesso padre.» brontolò.
 
Emma sorrise e si chinò ad accarezzare l'abito. Era di ottima fattura, probabilmente fatto su misura per lui. Fargli notare che sua sorella gli voleva bene sarebbe stato inutile. Lo sapeva già e anche lui gliene voleva, ecco perché sembrava non essersela presa più di tanto per il modo in cui si era imposta. No, a seccarlo davvero era l'essere costretto a indossare qualcosa che lo avrebbe costretto a restare imbalsamato per più di due ore, lui che aveva sempre vissuto come veniva e indossato capi il più possibile comodi e pratici.
E poi, a volere essere del tutto sinceri, non gli andava proprio di schierarsi così apertamente col Signore Oscuro. Era suo padre e non stava passando un bel periodo, certo, ma la sparizione delle fate lo aveva messo in allarme, spingendolo a schierarsi più con i nani che con lui.
Pur sapendolo però, Emilie lo aveva voluto lo stesso, e nell'invito con cui lo incoraggiava caldamente a partecipare aveva usato non Neal Cassidy, il nome scelto da lui, ma Baelfire Gold, come a volerglielo stampare dritto in faccia. "Sei suo figlio, che ti piaccia o no. Ti vuole bene e lo sai, quindi vieni e smettila di lamentarti."
E ora questo.
 
«Beh, in fondo si tratta solo di un paio di ore.» cercò di consolarlo lei «E poi ho sentito dire che ci saranno anche Ruby, Archie, e probabilmente anche August. Si sta sforzando, falla contenta.» sorrise, anche se dopo le ultime notizie neanche lei era più tanto convinta di voler presenziare, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
 
Baelfire sbruffò di nuovo, prendendo a mordicchiarsi l'unghia del pollice per poi arrendersi e afferrare la scatola.
 
«E va bene, facciamo anche questo...» brontolando poi, mentre saliva le scale verso la loro camera da letto «Sarebbe stato meglio non fosse mai venuta. Preferivo essere morto!»
 
Emma sorrise di nuovo divertita, scuotendo il capo, poi prese le chiavi e uscì di nuovo, ricordandosi di aver lasciato il vestito per la serata in macchina.
Un bellissimo abito a sirena di un rosso quasi fuoco, con uno scollo a barca e veli di tulle a ricoprire la gonna. Sembrava davvero la Principessa che era destinata ad essere, ed era così bella da far tornare al rampollo di casa Gold la voglia di accompagnarla a quel dannato ballo e stringerla per tutto il tempo.
Sali le scale e lo trovò impegnato a sistemarsi il "dannato papillon".
 
«Che te ne pare?» chiese sorridendo radiosa, appoggiandosi sensuale allo stipite della porta.
 
Cassidy si voltò a guardarla e rimase a fissarla senza fiato.
Ci volle un minuto buono prima che riuscisse a riconnettere e mormorare, affascinato.
 
«Sei... sei stupenda.» sorrise, mandando al diavolo il farfallino e fiondandosi a baciarla.
 
Emma rise, lasciandogli assaggiare un poco le sue labbra per poi interromperlo, guardando la loro immagine riflessa nello specchio.
 
«Lo stesso vale per te.» gli disse, ammiccando «Ti sta bene, davvero.» riportandolo alla realtà.
 
In effetti il tessuto con cui era stato fabbricato quel completo era incredibilmente fresco e morbido, sembrava quasi di non averlo addosso, e il taglio della giacca faceva sembrare le sue spalle molto più larghe e forti di quanto già non fossero.
Il pantalone gli avvolgeva le gambe dando alla sua figura un tono quasi eroico, e i gemelli erano due diamanti veri, scintillanti al minimo raggio di luce.
Le uniche cose scomode erano appunto il papillon, o per meglio dire il cappio, e i mocassini nero lucido, stretti e dolorosi. O forse era solo lui che non era abituato a un simile lusso. Comunque sia, ora che aveva accanto a sé la donna più bella del mondo vestita con quell'abito sfavillante, iniziò a riconsiderare anche quelli.
 
«Già, beh…» iniziò, guardandola negli occhi e avvicinando di nuovi le labbra alle sue, avvolgendogli i fianchi con un braccio «Se sei tu a dirmelo potrei anche crederci.»
 
Un altro bacio li coinvolse, più intenso, ma il momento venne interrotto dal rumore della porta d'ingresso che si apriva e chiudeva, e dalla voce di Henry.
 
«Mamma, papà! Io sono pronto!» li chiamò dal piano di sotto.
 
Sorrisero, arrossendo affannati.
 
«Vuoi che ti aiuti col papillon?» chiese sottovoce Emma, ma lui si limitò a scuotere il capo «Al diavolo!» rispose «Ho già indossato questa roba, quello può anche andare a farsi benedire.»
 
Strappandole un altro sorriso e un ultimo bacio fugace. Scesero tenendosi per mano, e non appena li vide gli occhi di Henry si s'illuminarono, e un largo sorriso colorò le sue labbra.
 
«Uao!» riuscì solo a dire «Mamma, sei bellissima! E lo smoking ti sta molto bene, papà.»
 
Risero entrambi, di nuovo.
 
«Anche tu non sei male.» gli rispose Baelfire battendogli una pacca sulla spalla, mentre Emma si chinò a stampargli un bacio sulla fronte, dando ragione al compagno.
 
Il bambino arrossì. In effetti neanche a lui era piaciuta molto l'idea di indossare uno smoking, ma si era consolato sapendo che gli avrebbe dato accesso ad una serata straordinaria in compagnia di tutta la sua famiglia, quasi al completo. Mancava la sua seconda mamma, Regina, che prima di lasciarlo andare gli aveva dato un bacio sulla fronte e un suggerimento.
 
«Divertiti. Ma tieni gli occhi aperti.»
 
Non aveva saputo dire perché. Forse si riferiva alla sorpresa che sua zia Emilie gli aveva promesso a fine serata? Era rimasto a pensarci fino a che la visione dei suoi genitori, insieme e innamorati, non lo aveva distratto.
 
«Allora, siamo pronti?» chiese Emma a quel punto, prendendo sottobraccio i suoi due uomini.
«Yep!» rispose entusiasta lui.
«Andiamo. Prima arriviamo, prima finirà e potrò togliermi questa roba di dosso.» concluse Baelfire, strappando a tutti una risata.
 
Neanche dieci minuti più tardi, la loro macchina si fermò di fronte al cancello della residenza di Emilie Gold, dove furono accolti da un parcheggiatore in divisa, appositamente assunto per risparmiare agli ospiti la seccatura di dover posteggiare, e dalla saggina magica che, come un bravo maggiordomo, li guidò dal cancello fino all'ingresso principale.
 
«Guarda papà, anche lei indossa un papillon» fece notare divertito Henry, ricevendo un accenno di sorriso da lui e un pollice in su dalla scopa, che a quanto sembrava era dotata anche di senso dell'umorismo.
 
Mentre attraversavano il cortile, illuminato quasi a giorno dalle luci che provenivano dall'interno e riempito dalla musica che già aveva cominciato a suonare, i tre non poterono fare a meno di notare le pantere che si aggiravano furtive tra i cespugli e le grandi chimere di pietra poste a guardia sopra le colonne che sorreggevano il cancello. All'arrivo di una nuova vettura, queste si animavano ripetendo sempre le stesse azioni prima di ritornare di pietra, nell'esatta posizione in cui erano solite stare: Prima spalancavano le fauci emettendo un ruggito appena udibile sopra il frastuono, poi s'inchinavano sulle zampe davanti, portando una di esse al cuore e spingendo l'altra oltre il capo.
Henry ne fu estasiato. Era stato lui a scoprire quel posto, ma non era affatto come lo ricordava. Lo fece notare anche a sua madre, che si limitò ad annuire mostrandosi d'accordo.
Baelfire invece non poté non sentirsi a disagio. C'era troppo sfarzo, troppa ostentazione, troppa... magia.
E questo gli ricordava eccessivamente suo padre dopo la sua conquista del pugnale. Sempre alla ricerca del potere, della preminenza, fregandosene delle opinioni altrui.
 
«Storybrooke è nel panico e lei se ne va in giro a ululare alla luna e organizzare feste simili. Che cosa sta cercando di dimostrare?» si chiese ad alta voce, senza sapere che anche Emma, al suo fianco, si stesse ponendo la stessa domanda, con un preoccupante sospetto nella mente.
 
***

Dieci minuti più tardi, Emma Swan era intenta a trangugiare a piccoli sorsi un po' di champagne da un bicchiere di cristallo, esaminando attentamente quando alle sue spalle una voce la riscosse, chiamandola per nome.
Non la conosceva, quindi ne fu sorpresa. Si voltò e vide di fronte a sè una giovane donna dallo sguardo severo e dai lunghi capelli neri.
 
«Oh, ciao.» bofonchiò, cercando di ricordarsi dove l'avesse già incontrata.
 
A questo punto poteva davvero essere letteralmente dovunque, in questo o negli altri mondi conosciuti. E mentre lei scavava nella memoria, la sconosciuta continuava ad osservarla con severità.
Il tentativo fallì, e lei si ritrovò a balbettare, imbarazzata
 
«Scusami, ci siamo già incontrate? Non riesco proprio a ricordare chi ti sia.»
 
La vide aprirsi in una smorfia che sembrava più irritata che divertita.
 
«Oh, beh certo.» rispose, dopo un sospiro nervoso «È passato tanto tempo, e poi non è stata neanche colpa tua ciò che mi è successo, no?» sorrise amara «Sei un'eroina. È così che vi chiamate, giusto? E gli eroi non possono sbagliare. Tu hai solo avuto la fortuna di nascere dalla parte giusta, non è così?»
 
Emma Swan rimase impassibile a fissarla, sgranando gli occhi e squadrandola per qualche istante in un silenzio attonito.
 
«Okkey, perdonami, ho capito che ce l'hai con me ma io credo davvero di non averti mai vista e ...»
«Allora mi ripresenterò.» la interruppe lei, alzandosi la manica della camicetta e porgendole la mano col polso ben in mostra «Lily Page. Colei che hai abbandonato nel momento del bisogno.»
 
La vide sbiancare, ma non fu abbastanza.
 
«Ah, e sono una cattiva, grazie a te e ai tuoi patetici genitori.»
 
Un colpo dietro l'altro. Sorpresa, stordita, sconcertata, la Salvatrice la guardò negli occhi e aprì la bocca per tentare di dire qualcosa, ma non riuscì a pensare a niente. Cercò con lo sguardo Neal, ma vide solo Emilie che fissava proprio loro due, nascondendo uno strano sorriso dietro un calice di champagne.
Non fece una piega quando si accorse di essere vista, semplicemente alzò il calice verso di lei scoccandole un occhiolino, poi si avviò verso un piccolo soppalco allestito sul fondo della sala, su cui erano posizionati un microfono dorato e due troni d'oro foderati di velluto rosso sangue.
La giovane Gold, forse per salvarla o forse no, prese il microfono e si apprestò a fare il primo annuncio della serata, picchiettando due dita sulla griglia del gelato.
Due colpetti di tosse, poi iniziò.
 
«Miei cari ospiti, prima di tutto vorrei ringraziare davvero di tutto cuore ognuno di voi per essere qui. Questa è una serata importante, sia per me, sia per la mia famiglia.» si voltò a lanciare un sorriso verso i suoi genitori, che la ascoltavano stringendosi le mani a pochi metri da lei, accanto alla porta d'ingresso della stanza.
 
Ewan era proprio accanto a Mr. Gold, vestito con un elegante completo verde scuro in seta e taffetà. Le sorrise, scoccandole un occhiolino, e lei per un istante arrossì.
Poi però tornò subito ai suoi ospiti.
 
«Ho molti annunci da fare, ma inizierò con quello più importante. Tutti voi ormai mi conoscono come una persona che non presta affatto attenzione agli stereotipi. Che siate considerati eroi o cattivi per me non fa alcuna differenza, perché prima ancora di questo noi siamo persone, con delle storie e dei caratteri differenti. In ognuno di noi c'è un po' d'ombra e un po' di luce. Alcuni prediligono l'una, altri l'altra, ma questo non cambia nulla ai miei occhi.» si fermò per un istante, e di nuovo ad Emma sembrò che la stesse fissando «Noi siamo semplicemente ciò che il nostro passato ci ha insegnato ad essere.» concluse, poi tornò a sorridere rivolgendosi di nuovo alla maggioranza degli astanti «Ed è per questo che, quando due delle mie più care amiche hanno avuto bisogno di me, io ho deciso di esserci, invitandole a raggiungermi qui a Storybrooke, dove ognuno può trovare il suo giusto posto, e il suo lieto fine.»
 
Mentre parlava, all'improvvido da una porticina nella parete dietro i troni si affacciarono Cruella e Ursula, che raggiunsero con calma la postazione e restarono in silenzio dietro di lei, osservando con occhi alteri la folla che all'improvviso si era ammutolita, e le fissava sgomenta.
Emma Swan osservò Archie, August, Ruby e tutti gli altri presenti a lei noti. Tutti, chi più chi meno, avevano la stessa espressione. Occhi sgranati, viso tirato, il respiro bloccato nei polmoni. Solo Robin Hood non sembrava particolarmente scosso da quella situazione, ma lui aveva avuto più tempo per conoscerla, sicuramente sapeva qualcosa che lei ancora non aveva avuto modo di apprendere. Si disse che avrebbe dovuto parlargli, più tardi. E notò anche la particolare assenza di Uncino. Di lui non c'era alcuna traccia, ma forse avrebbe dovuto aspettarselo vista l'inimicizia tra di loro.
 
«Gentil donzelle e gentiluomini» riprese Emilie «Mi permetto di ricordarvi i loro nomi: Cruella de Vil e Ursula, la strega del mare.»
 
Solo allora, mentre un applauso si alzava timido dalla platea, la voce di Lilith Page le sussurrò
 
«Peccato che non ci sia anche mia madre. Anche per questo devo ringraziare Biancaneve e il principe azzurro.»
 
Di nuovo, Emma le rivolse uno sguardo attonito.
 
«Chi è tua madre?» chiese rabbrividendo.
 
Seppur distanti, Lily ed Emilie si scambiarono un rapido cenno di assenso e un sorriso, poi la sua vecchia amica si avvicinò al suo orecchio e sussurrò, lentamente.
 
«Malefica.»
 
Per poi andarsene, lasciandola sola col batticuore mentre Emilie Gold proseguiva il suo discorso.
 
«Posso assicurarvi, signori, che nessuna delle due ha intenzioni malevole nei confronti della città.» s'interruppe, rivolgendo un lungo sguardo ad Ursula, che annuì seria facendole pensare che allora forse il suo incontro clandestino con Uncino non era correlato con la sparizione delle fate, ma con una questione personale.
 
Poi la giovane Gold rivolse lo stesso sguardo a Cruella, che prima annuì con un sorrisetto divertito, poi si avvicinò al microfono e scherzò, già palesemente brilla.
 
«A patto che non manchi mai il Gin.»
 
Emilie l'allontanò, ridendo e scuotendo il capo. Alcuni tra gli astanti, tra cui Robin Hood, Ruby e ora anche Will Scarlett che sembrava essere giunto appena in tempo per godersi quel discorso di apertura.
 
«Non ti mancherà zietta.» la rassicurò scherzosamente la ragazza, poi ribadì agli invitati «Non preoccupatevi, farò in modo che ne abbia a sufficienza.» ridacchiò di nuovo, prendendo dalla fidata scopa maggiordomo che era giunta con un vassoio due dei sei calici di champagne che vi erano posti.
 
Uno lo prese lei, l'altro lo porse a "zietta" continuando a ridacchiare, lasciando una corrucciata Ursula il compito di procurarsene uno per sé in autonomia. Nessuno le badava, anzi perfino il Signore Oscuro sembrava snobbarla preferendo sorridere alla spensierata giovialità da sbornia della De Vil. No, non era affatto tutto apposto. Oppure era solo davvero tutta una commedia?
 
«Bene Signori, per il momento non ho altro da dirvi se non: godetevi la serata!» concluse Emilie, alzando in alto il calice e venendo imitata stavolta da tutti gli astanti.
 
Poi l'orchestrina composta da una decina di strumenti musicali iniziò a suonare un allegro valzer, la folla si sciolse e tutti cercarono un compagno di chiacchiere o uno per danzare.
Lo fece anche lei cercando Neal, ma non lo trovò. Vide solo che, mentre Cruella si scolava una bottiglia di Gin e danzava un foxtrot su quella musica, Ursula osservava con sguardo preoccupato un piccolo gruppetto di persone affrettarsi verso l'uscita.
C'erano Belle, angosciata più che mai, Ewan ed Emilie, che stava frettolosamente cercando di convincere Ruby a restare a godersi il banchetto.
Tremotino era sparito, e anche Neal.
Intuì che fosse accaduto qualcosa, quindi si affrettò a finire lo champagne e li raggiunse, sgattaiolando fuori dalla stessa porta.
 
***
 
A differenza della Sala da Ballo, i corridoi e le stanze che la circondavano erano silenziosi e quasi bui, ma mano a mano che gli occhi si abituavano a quella nuova luce Emma si rese conto che era invece l'illuminazione della sala ricevimenti ad essere abbagliante, esagerata. Stordente.
Percorse gli anditi camminando lungo un sentiero tracciato dal tappeto rosso e oro che ricopriva il pavimento in legno pregiato, fermandosi a ispezionare ogni porta fino a che non ne trovò una aperta, dall'interno della quale udì provenire la voce famigliare di Neal.
 
«Sicuro di star meglio?»
 
Non udì la risposta di Tremotino, pronunciata a voce troppo bassa, ma capì che si trattava di lui quando sentì Emilie parlare.
 
«Non posso, papa. Non ti lascio fino a che non sarò sicura che vada davvero meglio.»
«Non c'è davvero niente che possiamo fare?» chiese Belle.
 
Ma a tale domanda seguì un attimo di silenzio preoccupante. Emma aguzzò l'udito per riuscire a sentire meglio, e solo allora si rese conto che quel silenzio probabilmente era causa sua.
Rumplestiltskin doveva essersi accorto della sua presenza, Emilie doveva aver colto quel suggerimento. Un brevissimo rumore di passi, la porta si spalancò e arretrando in fretta Emma si ritrovò a guardarla negli occhi, scoprendoli lucidi, ma di nuovo stranamente sicuri, come se quella situazione non l'avesse scossa più di tanto. O almeno non così tanto quanto dimostrava.
Dietro di lei si apriva un piccolo studio dalle pareti in legno coperte da mobili antichi. Mr. Gold era accasciato sulla sedia dell'unica, ampia scrivania presente, pallido e visibilmente provato. Alla sua destra, in ginocchio tenendogli la mano, stava Belle. Neal ed Ewan si erano portati davanti a loro, come per proteggerli. Quando la videro si rilassarono tirando un sospiro di sollievo, e lo stesso fece la Principessa. Il Signore Oscuro invece seguitò a fissarla preoccupato, chiaramente a disagio nel mostrarsi così vulnerabile.
Per questo motivo Emilie le coprì la visuale con la sua figura.
 
«Va tutto bene?» domandò comunque Emma, guardando prima lei, poi Neal che sospirò.
«È tutto sotto controllo, Emma. Grazie.» risolse sbrigativa la Lucertolina, e fece per chiudere la porta ma Belle la fermò.
 
Tutti, inclusa la Salvatrice e il Coccodrillo, la guardarono.
La Bella sorrise, rivolgendosi per prima cosa a suo marito.
 
«Rumple, forse lei può aiutarci.» mormorò supplichevole.
 
Ma lui sospirò, stringendole debolmente la mano e scuotendo il capo.
 
«Ne dubito, Belle.» rispose «Essere la Salvatrice serve a poco in questo caso.»
«E se ti sbagliassi?» domandò a quel punto Baelfire, voltandosi a guardarlo «Se potesse davvero fare qualcosa?»
 
Senza neanche accorgersene sia Emilie che suo padre assunsero la stessa espressione, limitandosi a compatirlo nella loro mente per poi tornare a sospirare, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo.
Emilie la guardò negli occhi, poi si voltò verso suo padre, guardandolo negli occhi.
Bastò uno sguardo. Un semplice scambio non verbale, poi il Signore Oscuro guardò negli occhi sua moglie, le sorrise e poi annuì rivolto a sua figlia. Solo a quel punto Emilie decise di farla entrare, richiudendo a chiave la porta dietro di lei.
Swan la osservò preoccupata, poi sospirò tornando a guardare tutti i presenti.
 
«Okkey, quindi... qual è il problema?»
 
Il Signore Oscuro sospirò di nuovo. Fu Baelfire, stavolta, a prendere la parola al posto suo, mentre Emilie smise di guardarla abbassando gli occhi e raggiungendo suo padre. Si mese alla sua sinistra, poggiandogli una mano sulla spalla.
 
«Il suo cuore. Troppa oscurità, si sta spegnendo.» le disse preoccupato.
 
Era troppo poco per riuscire a capire fino in fondo quanto pericoloso fosse, ma un brivido le corse comunque lungo la schiena.
 
«Oh...» mormorò, tornando ad osservare Mr. Gold.
 
Lo vide tornare a fissare sua moglie, le rivolse un sorriso nel vano tentavo di rassicurarla e lei in risposta alzò una mano ad accarezzargli la guancia.
Emilie li osservò contrita, in silenzio.
Dopo l'ennesimo sospiro, Emma Swan decise di tirarla fuori dall'impiccio rivolgendosi direttamente a lei.
 
«E voi credete che non ci sia davvero nulla da fare per impedirlo?»
 
La ragazza si limitò a scuotere piano il capo, ma fu proprio suo padre a rispondere.
 
«La magia ha sempre un prezzo, Miss Swan.» disse «Sono secoli che la uso, e ora è arrivato per me il tempo di pagarlo.» guardandola negli occhi con aria grave.
 
Emilie abbassò il capo, mordendosi le labbra e lasciando che Ewan la stringesse a sé nel tentativo di darle conforto. Lo stesso fece Neal, scuotendo il capo e lasciandosi sfuggire un sorriso amaro. L'unica a non perdere la speranza fu Belle, che si alzò e la raggiunse, implorandola.
 
«Emma, tu sei la Salvatrice. Deve esserci qualcosa che puoi fare.»
 
Per la prima volta da che quella lunga serie di strani eventi era iniziata, Emma Swan riuscì finalmente a intravedere un briciolo di senso in quella trama. Anche se continuava ad esserci una sorta di sottotesto anche piuttosto importante che le sfuggiva. Tuttavia, conoscendo il Signor Gold e il suo eccessivo senso di riservatezza, non le parve poi così strano neanche questo.
Si fece seria.
 
«Farò del mio meglio.» rispose a Belle, rivolgendole un sorriso per poi tornare a guardare seria padre e figlia «Ma se volete davvero che vi aiuti devo sapere la verità. Tutta.»
 
Di nuovo, i due si guardarono. L'idea di esporsi così tanto non piaceva a nessuno di loro, ma anche quello scambio di sguardi le sembrò strano, come se se lo aspettassero. Li vide stringersi la mano, poi Mr. Gold rivolse alla sua prediletta figlia un cenno di assenso e lei annuì di rimando, staccandosi quindi da loro e raggiungendola.
Aprì la porta e le ordinò.
 
«Seguimi.»
 
Conducendola fino ad un'ampia stanza quasi dall'altra parte della sua residenza. Era una sorta di piccola biblioteca, con scaffali pieni di strani e polverosi libri e qualche vetrinetta piena di pozioni che scintillavano sinistramente al buio. Emilie accese la luce con uno schiocco di dita, superò un vecchio arcolaio con ancora della paglia affianco e un bancone di legno pieno di alambicchi e raggiunse un secondo bancone, su cui erano sistemati due grossi schermi per computer, simili a quelli della stazione di polizia.
Le fece cenno di raggiungerla, mentre lo faceva Emma notò che quella stanza era di forma ottagonale, situata nell'unica torre della villa, ed era stata resa dalla ragazza molto simile alla stanza rappresentata in uno dei quadri appesi alle pareti. Era la copia esatta dello studio segreto di suo padre nel Castello Oscuro. Perfino le tende e alcuni oggetti, le sedie e i libri dentro agli scaffali. Non si sarebbe stupita se fossero stati proprio gli originali, trasportati dalla foresta incantata a Storybrooke con l'utilizzo dell'occhio di Cronos e due braccia forti per trasportarli. L'unica cosa relativamente moderna era la grande tv a schermo piatto posta proprio di fronte agli schermi, che mostrava in tempo reale le riprese di tutte le telecamere poste a sorveglianza della villa.
Prima che Emilie iniziasse a parlarle, Emma ne contò circa trenta, inclusi i corridoi. Di certo nulla le sarebbe sfuggito.
 
«I volumi presenti in questa stanza provengono tutti dalla collezione di mio padre e sono molto pregiati, oltre che rari e ricchi di informazioni utili.» iniziò la giovane Gold, mostrandole una pagina di un documento virtuale «Io e mia madre li abbiamo esaminati tutti, assieme a quelli nella biblioteca, ma non c'è nulla che possa essere d'aiuto.»
 
Quindi la guardò negli occhi e sorrise.
 
«Questi sono i nostri appunti, magari a te verrà in mente qualcosa che a noi sfugge.»
 
Emma annuì, ma prima di lasciarla andare la incalzò, credendo di prenderla di sorpresa.
 
«Non c'è davvero nient'altro? Voglio dire, tuo padre è il Signore Oscuro e tu vieni da un futuro in cui lui è sopravvissuto a questo. Non sai davvero come ha fatto?»
 
La giovane Gold spense il suo sorriso, trasformandolo in una smorfia triste.
 
«C'è un modo...» ammise, abbassando per un istante gli occhi prima di proseguire «Ma non voglio che si ripeta... né io né mio padre vogliamo essere costretti a questo. Perciò stiamo cercando un'alternativa che non metta in pericolo nessuno. Tantomeno lui...»
 
Poche semplici parole. Pronunciate in tono perentorio e per nulla rassicurante.
La Salvatrice si fece seria, poi annuì.
 
«D'accordo...» le disse, sinceramente convinta «Proverò ad aiutarvi. Ma... che accadrà se non dovessi riuscirci?»
 
Gli occhi di Emilie si fecero tristi.
 
«Allora... sarà tutto soltanto una questione di scelte. E almeno ci saremo goduti una bella festa prima del peggior temporale della nostra vita.»
 
***
 
Mentre la festa continuava, Emilie Gold voltò le spalle ad Emma lasciandola sola a risolvere il suo mistero, richiuse la porta e s'incamminò a grandi falcate verso l'unica stanza non ripresa dalle telecamere: lo studio di Isaac. Mentre lo faceva, un sorriso malevolo sorse rapido sulle sue labbra sottili. Stava andando tutto esattamente come lei e suo padre avevano previsto, ed era sempre un piacere impagabile quando un piano funzionava alla perfezione. Quasi libidinoso. Quasi, perché le condizioni di suo padre stavano peggiorando a vista d'occhio e il maledetto Autore ci stava mettendo troppo. Tremotino non rischiava ancora di morire schiacciato dall'oscurità, ma più tempo passava, meno era quello che avrebbero potuto sfruttare quando quel momento sarebbe arrivato davvero, perché erano ancora molte le cose da fare e spesso una debolezza poteva rivelarsi un'ottima opportunità da sfruttare per raggiungere obbiettivi altrimenti impensabili. Come quello di far cadere in trappola l'unico nemico del Coccodrillo ancora in grado di nuocergli per davvero. Per farlo, era necessario che credesse di avere un'occasione per distruggerlo, o quanto meno per tenerlo in pugno. Era stata un'idea di suo padre, lei l'aveva condivisa e assecondato, ma non poteva impedirmi di preoccuparsi per lui. Doveva fare in modo che gli eventi si verificassero nei tempi stabiliti, il più in fretta possibile, in modo da non destare sospetti e da rispettare e se possibile anticipare la tabella di marcia. Ma Isaac non stava collaborando, e questo non aiutava, rendendola oltremodo furibonda. Suo padre non doveva correre nessun rischio inutile.
Giunta di fronte alla porta, la spalancò con un colpo secco e si fiondò verso di lui, chinò sul libro e già talmente concentrato da aver iniziato a sudare.
Sfoderò il pugnale che portava legato al braccio per mezzo di un laccio nascosto sotto alla manica a sbuffo della camicia, e glielo puntò alla gola afferrandogli il colletto della marsina.
Malefica, seduta accanto al camino e intenta ad osservarne le fiamme vivide, non fece una piega, limitandosi ad osservarla in silenzio, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
 
«Ti ho detto niente pause, Isaac.» disse mostrandogli un'immagine sul suo smartphone.
 
Era di una telecamera diversa dalle altre, collegata solo a quello schermo. E mostrava lui accasciato sulla sedia, intento a massaggiarsi le tempie e parlottare tra sé come a lamentarsi. Un attimo di appena un paio di minuti prima. Lo scrittore deglutì, sentendo la lama premere contro il gozzo.
 
«Vedi di sbrigarti o giuro che ti stacco la lingua con le mani, altro che restituirti la voce!» sibilò minacciosa Emilie, stringendo meglio l'elsa del pugnale.
 
Questi annuì in fretta, tentando di scusarsi a gesti e poi indicando il polso con aria contrita. Emilie lo guardò corrucciandosi, poi sbruffò e rinfoderato il pugnale usò la magia per guarirlo.
 
«Meglio?» chiese sarcastica.
 
Isaac si aprì in un largo sorriso servile, accennando ad un inchino.
Malefica tornò ad osservare le fiamme, ridendosela sotto i baffi.
 
«Bene. Ne sono lieta.» disse la Lucertolina, poi tornò a mostrargli i denti «Ora scrivi!»
 
Isaac indicò con un ampio gesto delle braccia e un'espressione meravigliata il libro. Era appena oltre la metà, quasi pieno in sostanza.
Emilie afferrò le catene che gli legavano i polsi e lo avvicinò a sè, aprendogli la bocca e poi afferrandogli la lingua tra due dita, lasciando che le lunghe unghie smaltate di nero lo trafiggessero. Se avesse potuto, Isaac avrebbe urlato.
 
«Non è abbastanza.» lo minacciò, poi lo lasciò andare e fece apparire sul tavolo accanto al libro una clessidra di media grandezza.
 
La sabbia prese a scorrere veloce, in meno di mezz'ora sarebbe venuto il tempo di girarla.
 
«Quando la sabbia rossa di questa clessidra finirà di scorrere, tornerò e sarà meglio che tu sia pronto a scrivere la parola fine. O io scriverò la tua!»
 
Se ne andò, furiosa com'era arrivata, sbattendo violentemente la porta alle sue spalle. Isaac non ebbe nemmeno il coraggio di accasciarsi sulla sedia, perché nel silenzio assoluto dopo quell'uragano il fruscio della sabbia faceva un rumore quasi assordante, amplificato dal dolore alla lingua. La risata sommessa della regina dei draghi fece vibrare l'aria e scosse il suo già provato sistema nervoso.
 
«Non lo farà...» la sentì ridacchiare, e voltandosi a guardarla la vide maneggiare un globo di fuoco a pochi centimetri dalle sue dita «Ma se fossi in te non correrei il rischio di scoprirlo.»
 
Ridacchiò di nuovo, sadicamente divertita.
Isaac sospirò pesantemente, poi diede un'occhiata alla clessidra e vide ch'era già a metà. Il cuore perse un battito. "Ma che?!"
Afferrò di nuovo la penna, e più in fretta che potè tornò a scrivere, cercando di recuperare i secondi perduti e di non ingoiare troppa saliva tutta in una volta. Aveva pensato che Cruella fosse pericolosa, ma a quanto pare c'era un motivo se lei ed Emilie avevano legato così tanto, e lo aveva appena scoperto.
 
***
 
Mentre guidava la volante nel buio della notte verso il porto, Emma Swan sentì riecheggiare dentro la propria testa le ultime parole che Uncino le aveva rivolto in merito a quella storia. "La partita è truccata, e quando te ne accorgerai sarà troppo tardi."
Tutto ciò che aveva appreso alla villa quella sera sembrava confermarlo e smentirlo al contempo. Il Signore Oscuro e sua figlia erano in gran difficoltà e avevano promesso di essere sinceri con lei per permetterle di aiutarli, ma continuava ad avere l'impressione che non stessero giocando a carte totalmente scoperte. Era tutto troppo facile, troppo scontato. Negli anni aveva imparato a non sottovalutare Mr. Gold, specie quando sembrava in netto svantaggio. Ricordava quando aveva dovuto arrestarlo per l'aggressione al padre di Belle, anche in quel caso non le aveva permesso di conoscere tutti i dettagli e alla fine quell'attimo di follia omicida si era rivelato molto più sensato del previsto. Ora si ritrovò ad avere la stessa impressione: qualcosa le sfuggiva, ma per quanti sforzi facesse non riusciva a capire cosa.
E questo la inquietava, perché temeva di stare davvero sprecando il suo tempo a investigare sul colpevole sbagliato.
A confonderla ulteriormente erano Belle e Neal, che invece sembravano molto sinceri. Questo poteva solo voler dire che o anche loro erano all'oscuro dei veri motivi di Gold e sua figlia, o lei stava semplicemente permettendo a tutta quella confusione di annebbiare perfino il suo superpotere, facendosi condizionare un po' troppo dai pregiudizi.
Sospirò, fermando la macchina e abbandonando la testa sul sedile. Chiuse gli occhi, concedendosi qualche istante prima di scendere.
Dal finestrino abbassato provenivano l'odore salmastro e il dolce scrosciare delle onde del mare. Ispirò a grandi sorsi e tentò di calmare il battito del proprio cuore, ma non ci riuscì, quindi decise di rompere gli indugi e scese sbattendo lo sportello dietro di sè.
La Jolly Roger era proprio davanti a lei, stagliata contro il cielo scuro come un'ombra minacciosa scossa da un vento leggero.
La raggiunse a grandi falcate e salì decisa la scaletta che conduceva al ponte, iniziando a chiamare Killian Jones a gran voce fino a che, qualche istante dopo, un'altra ombra non la raggiunse, emergendo da sottocoperta.
 
«Emma Swan...» l'accolse il pirata, svogliatamente, la voce impastata dal rum.
 
Nell'oscurità vide i suoi occhi scintillare assieme all'uncino, colpito dalla luce lunare. Per un attimo ebbe paura che si trattasse della sua ombra fuggita, come quella di Peter Pan che li aveva quasi uccisi sull'isola che non c'è. Ma poi lo ascoltò di nuovo parlare e ne fu sollevata, almeno in parte.
 
«Pensavo ti stessi godendo la festa della Lucertolina. Che cosa ti porta sulla mia nave?»
«Ho bisogno di risposte. E voglio che tu me le dia in fretta, perché altrimenti sarò costretta ad arrestarti.» rispose perentoria lei, mostrandogli le manette che portava legate alla cintura.
 
Di nuovo, Killian Jones sogghignò amaro.
 
«Pensavo di essere stato chiaro l'ultima volta. Stai chiedendo alla persona sbagliata.» replicò indolente, ma Emma, stanca di quei sotterfugi, lo incalzò, a bruciapelo.
«Sei stato tu a rapire le fate, vero?»
 
Lo vide immobilizzarsi, smorzando il suo sorriso. Lo prese come un sì.
 
«E con loro hai rapito anche l'apprendista, in modo che Tremotino non avesse modo di reperire una cura.»
 
Di nuovo, silenzio. Uncino spense definitivamente il suo sorriso e la guardò negli occhi. Sembrava confuso, ma era troppo buio ed Emma era troppo seccata per continuare quel tira e molla con la verità. La sua espressione colpevole fu abbastanza.
 
«Cura?» lo sentì chiedere.
 
Estrasse le manette e si apprestò a legargliele ai polsi, ignorando la sua espressione che rapida passò dallo stordimento, alla rabbia fino ad una profonda delusione.
Sogghignò amaro, lasciandosi trascinare via.
 
«Complimenti Miss Swan.» disse, imitando il modo in cui il Signore Oscuro si rivolgeva lei «Hai trovato il tuo colpevole.»
 
Emma lo ignorò, sbattendolo sul retro della volante e chiudendogli in malo modo lo sportello in faccia.
Trascorsero il resto del viaggio in silenzio, almeno fino all'arrivo in stazione. Una volta dietro le sbarre, Uncino tornò a disturbarla.
 
«Ora che hai risolto il caso che farai?» le domandò, con una punta di ironia nella voce, aggrappandosi alle sbarre «Te ne andrai dal tuo bambino sperduto, dalla tua bella famigliola perfetta e proseguirai la recita?»
 
La Salvatrice smise di trafficare con il computer e lo fissò, astiosa.
"E anche se fosse?" avrebbe potuto dire "A te cosa importa?".
Invece replicò stizzita.
 
«Io non recito.»
 
Come se fosse importante precisarlo. Lui sorrise, sfoggiando il suo profilo migliore.
 
«Oh, lo so.» le rispose «Lo so che tu non lo fai.»
 
Come se non ne potesse più, Emma soffiò dal naso, lasciò perdere ogni cosa e si avvicinò alle sbarre sprofondando le mani dentro le tasche della giacca di pelle che indossava per proteggersi dal freddo. Aveva ancora indosso il vestito da cerimonia, ma a quella non aveva voluto rinunciare, pezzo importante della sua armatura quasi quanto gli abiti da coccodrillo lo erano per Emilie e il silenzio per il Signore Oscuro.
 
«Va bene, ora basta. Vuoi scagionarti? Dimmi quello che sai. Non sei stato tu? E allora chi è stato?»
 
Killian si fece di nuovo serio. La fissò per qualche istante negli occhi, irrigidendosi. Il respiro corto, la mano stretta attorno alle sbarre iniziò a tremare come vittima di uno sforzo disumano. Per la prima volta la donna se ne rese conto, e quando lo vide aprire bocca pensò di sbagliarsi, ma poi lo vide richiuderla e trascinarsi verso la panca, scuotendo il capo sconsolato.
 
«Non posso dirtelo.» le disse, arreso, sprofondando le mani nei capelli «Speravo che il tuo superpotere bastasse, ma a quanto pare mi sbagliavo.»
 
Rise, ma d'un tratto si accasciò sulla branda, aggrappandosi alla camicia e emettendo un gemito di dolore.
 
«Killian!» esclamò Emma, sgomenta, aprendo la cella e accorrendo al suo fianco.
 
Il pirata le rivolse uno sguardo e tentò di parlare da dietro la maschera di dolore che era diventata il suo volto, ma non ci riuscì.
 
«Killian, che II succede? Stai male?» tentò di aiutarlo, sbottonandogli il corsetto e la cravatta, ma lui si aggrappò alle sue mani e le sussurrò, spendendo per ogni parola un ampio sorso d'aria.
«N-non p-posso... Emma. Non posso... dirti altro... solo... N-non lasciarti ingannare dalle apparenze.»
 
Quindi lo stavano incastrando. Era questo che stava cercando di dirgli? Ma chi? Emilie o Gold? O entrambi?
E cos'era quella che gli impediva di parlare, una magia? Una sorta di maledizione o qualcosa di più?
Se lui non poteva farlo, allora forse avrebbe dovuto essere lei a suggerire le risposte?
Annuì, guardandolo negli occhi e tornando a prendere la sua mano.
 
«Io ti credo, Uncino.» gli disse, e stavolta lo fece sul serio.
 
Lo vide tornare a respirare, a poco a poco, e sciogliersi in un sorriso.
 
«Davvero?» le chiese in un soffio.
 
Annuì.
 
«Si.» disse «Perché anche io sento che c'è qualcosa di strano. Non so cosa, ma Mr. Gold e sua figlia non mi hanno detto tutto e temo che stia per accadere qualcosa, che loro stiano organizzando qualcosa. Ecco perché sono andata a quella festa, stasera.» spiegò, senza neanche sapere perché lo stesse facendo proprio con lui.
 
Forse era la pena che gli faceva nel vederlo pallido e inerme, forse il suo senso di giustizia che la spingeva sempre verso la verità. Qualunque cosa fosse, fu sempre questa a spingerla ad aggiungere, sconsolata.
 
«Ma per quanto mi sforzi, la verità continua a sfuggirmi. Sono confusa, e non riesco a capire perché.»
 
Tornò a guardarlo, temendo di non essersi spiegata bene. Invece lui le sorrise e annuì.
 
«Allora fidati del tuo istinto, Swan.» le suggerì «Fidati di te stessa e non sbaglierai.»
 
Si ritrovarono a sorridersi vicendevolmente, complici in uno sguardo.
Ma quell'attimo durò poco, perché il cellulare della donna squillò riportandola sul da farsi, al presente.
Rispose, lanciando un ultimo sorriso al pirata che nel frattempo sembrava essersi ripreso, anche se era ancora un po' troppo pallido, ma forse quella era colpa del rum.
 
«Mamma, dove sei?» la voce di Henry dall'altro lato del telefono le giunse chiara e squillante, nonostante il frastuono in sottofondo.
«Oh, c'è stata un'emergenza e sono dovuta correre in centrale, ma non era nulla di grave.» spiegò sbrigativa, rialzandosi e uscendo dall'abitacolo della cella «È tutto risolto ora, sto tornando.»
«Okkey.» replicò il bambino, senza fare altre domande «Fai in fretta però, la zia ha detto che deve fare un altro annuncio e vuole che siamo tutti presenti.»
 
"Un altro annuncio. Chissà cosa dovrò aspettarmi stavolta?"
 
«Va bene, faccio in fretta.» lo rassicurò, poi chiuse la telefonata e tornò a guardare Uncino.
 
Sorrise, con un pizzico di rammarico mentre richiudeva la porta della cella.
 
«È solo una precauzione.» si scusò «Sei il principale sospettato per il momento, ma troverò le prove per scagionarti.»
 
Jones annuì, sorridendole a sua volta.
 
«Posso almeno avere il mio rum?» domandò.
«Non è permesso bere ai prigionieri.» replicò però lei, assumendo di nuovo un'espressione contrita «Vedrò cosa posso fare domattina, quando la situazione sarà un po' più tranquilla. E...» fece una pausa, tornando a guardarlo negli occhi «Fino a che non avrò prove non dirò a nessuno che sei dentro per il rapimento delle fate. So che se ci fosse un colpevole sarebbero tutti più tranquilli, ma non voglio correre il rischio di accusare un innocente.»
 
Lo vide annuire, scrutandola da capo a piedi con i suoi intensi occhi neri.
 
«Si...» disse, quasi nostalgico «Lo so. Non è affatto nel tuo stile.»
 
Di nuovo complici per qualche istante, mentre i suoi occhi sprofondavano in quell'abisso nero all'improvviso ad Emma sembrò quasi che il tempo si fermasse e che ogni altra cosa, positiva o negativa, si dissolvesse. Il cuore prese a battere all'impazzata, e dimenticò ogni cosa, perfino la promessa fatta ad Henry al telefono appena pochi secondi addietro. Killian Jones la scrutò, e riuscì solo a pensare a quanto fosse bella, avvolta da quel vestito rosso, i capelli biondi acconciati ad incorniciare morbidi il viso.
Così tanto, da non riuscire a trattenersi dal dirglielo.
 
«Sei bellissima, Emma Swan.»
 
Quella semplice frase ebbe il potere di riscuoterla e farla avvampare. Sorrise, accarezzandosi il vestito.
 
«Grazie.» ma nel momento stesso in cui i loro sguardi s'incrociarono di nuovo sentì che non sarebbe riuscita a trattenersi neanche per un istante se non avesse lasciato in fretta il prigioniero alla sua sorte.
 
Si costrinse a riscuotersi, riprese le chiavi e lo salutò con uno sbrigativo
 
«Buona notte.» voltandogli le spalle e spegnendo le luci.
 
Quando riuscì a rimettersi al volante era sudata, aveva il cuore a mille a una strana sensazione di disagio la attanagliava. Mise in moto e cercò di concentrarsi sulla guida, ma dovette lottare in continuazione per scacciare il pensiero delle labbra del Pirata contro le sue. Pensò a Neal, ai loro momenti assieme, ma nessuno di quegli attimi sembrò neanche lontanamente paragonabile a quelli che gli suggeriva l'immagine del pirata e delle sue labbra rubino.
Quando giunse alla villa, la scopa la accompagnò nella torre, dove Emilie la attendeva a braccia conserte. S'impose autocontrollo e parve anche riuscire a raggiungerlo.
 
«Allora?» domandò seria la ragazza.
 
La Salvatrice sospirò.
 
«Uncino.» disse «Ho il sospetto che sia stato lui e rapire le fate, e l'apprendista. Abitava a Storybrooke, ma la sua casa ora è vuota. C'erano segni di lotta, sembrava ci fosse passato un uragano. Forse lo ha fatto per impedire che tuo padre trovasse una cura.»
 
Lei stessa non ne era convinta, ma mentre lo diceva osservò uno strano sorriso nascere sulle labbra di Emilie. Cattivo, divertito. E non poté dire con certezza che fosse perché gli aveva mostrato di aver creduto alle sue macchinazioni, ma non potè neanche evitarsi di pensarlo. "Fidati di te stessa".
E il suo istinto ora le diceva che Emilie stava palesemente dissimulando.
 
«Sei andata ad arrestarlo?» le domandò, una luce trionfante negli occhi.
 
Annuì. E quel sorriso malevolo si allargò fino a diventare una smorfia simile a quelle folli del Tremotino del Desiderio. Se Emma avesse avuto modo di conoscerlo, non avrebbe notato alcuna differenza.
 
«Bene.» la udì sentenziare, per poi tornare a chiedere «E ti ha detto dove sono ora?»
 
Anche di questa domanda sapeva già la risposta, eppure la fece lo stesso. Temeva qualcosa? Fu soddisfatta quando lei scosse il capo.
 
«Non ha confessato, né parlato.» le rispose la Salvatrice.
 
Ma la Lucertolina non sembrò affatto delusa. Simulò soltanto di esserlo.
 
«Certo.» fece, annuendo «Ovviamente non poteva farsi scappare questa grande occasione.»
 
E strinse i pugni, ma la sua rabbia era più vittoriosa e liberatoria del solito.
E passò in fretta.
 
«Non importa. Dovunque li abbia nascosti, noi li troveremo. Vero, cognatina?» le domandò, aprendosi in un largo sorriso e avvolgendole un braccio attorno al suo, traendola a sé e fissandola con quel largo sorriso innocente solo all'apparenza.
 
Swan sorrise a sua volta, facendo buon viso a cattivo gioco.
 
«Ovviamente, li troveremo.» replicò, sostenendo quello sguardo che all'improvviso si fece più indagatore.
 
Si scrutarono a vicenda per un lungo attimo, e quando ad Emma sembrò di stare perdendo riportò quello scontro su un campo diverso.
 
«Henry mi ha detto che dovevi fare un annuncio speciale. Me lo sono perso?» chiese tornando a sorridere spensierata.
 
Emilie si staccò da lei e si fece seria.
 
«Oh, sì...» iniziò, poi si sciolse in una risatina «Sei invitata al mio matrimonio.» assottigliando le palpebre e scrutandola come si scruta un osso.
 
Ah. Questa sì che era una novità interessante.
 
«Oh, congratulazioni!» si complimentò, sincera «Con Ewan?»
 
Emilie rise di nuovo.
 
«Ovviamente.» annuì, quindi tornò a scrutarla con quello strano sguardo famelico e chiese «Allora, verrai?»
 
Avrebbe potuto rispondere anche con un no?
Annuì, quindi fece la domanda che Emilie attendeva da molto.
 
«Quando vi sposerete?»
«Oh, presto... molto presto...» mormorò in risposta, voltandole le spalle e riprendendo a camminare verso la sala da ballo «Più presto di quanto tu possa immaginare.»
 
***
 
Mancavano meno di dieci minuti alla mezzanotte quando tutto cambiò. La festa era stata intensa e tutti gli invitati erano infine caduti vittima di una strana euforia che li aveva indotti a dimenticare le loro angosce e lanciarsi in danze, risate e disattente conversazioni.
Erano in pochi ad essere rimasti "sobri". Tra questi Emma Swan, che mentre cercava di non perdere di vista Tremotino e la sua dolce figlioletta, per tutto il tempo intenta a bere, ridere e danzare come una perfetta promessa sposa, fu avvicinata da un imbronciato August.
 
«Ti stai divertendo?» le chiese, stringendo tra le mani una coppa di champagne ancora piena.
 
Aveva gli occhi lucidi e rossi, le guance imporporate da uno strano torpore.
Non fece in tempo a rispondergli, perché nel momento in cui aprì la bocca per parlare lui le afferrò il polso e la trascinò fuori, mormorando cupo.
 
«Non qui. Ho bisogno di aria fresca.»
 
La terrazza era ampia e si affacciava su una splendida veduta sui boschi e l'oceano, in lontananza. Al momento era vuota e silenziosa, lontana da occhi e orecchie indiscreti. Un posto perfetto per le confessioni.
 
«August, che ci fai tu qui?» gli domandò, senza perdere altro tempo.
 
Ma l'uomo non fu altrettanto diretto.
 
«Quello che ci fai anche tu, immagino.» le rispose alzando il calice.
 
Poi però si avvicinò di più a lei e mormorò, cupo, l'alito che puzzava di alcool.
 
«Sei mai stata al paese dei Balocchi, Emma? Questo posto me lo ricorda molto, stasera. Spera solo di non svegliarti con coda e orecchie da asino, domani.» abbassò gli occhi «Io ho venduto la mia anima alla figlia del diavolo per evitarlo? Mi auguro ne sia valsa la pena.»
 
La Salvatrice sgranò gli occhi, e d'improvviso i sospetti che l'avevano perseguitata per tutta la sera si fecero realtà. "Di cosa stai parlando?" avrebbe voluto chiedere "Cosa hai fatto? Che sta combinando Emilie?"
Ma non fu necessario perché ogni cosa scomparve, risucchiata da una forza che alla fine trascinò via anche lei, strappandole pensieri e ricordi e sostituendolo con dei nuovi, adatti al mondo creato apposta per lei.
Il gioco era iniziato, i pezzi erano tutti sulla scacchiera e non c'era più tempo per valutare le mosse. Ora era arrivato il momento di vincere.
 
***
 
Il giorno dopo...
 
Storybrooke era vuota, silenziosa, spettrale come una città fantasma. Al loro arrivo, Gideon e Regina capirono subito in quale punto della storia il portale li avesse condotti.
 
«Il libro...» mormorò Regina, sgomenta «Dobbiamo cercare Henry, lui è di questo mondo, la storia non lo comprende.»
 
Ma Gideon la fermò afferrandole un braccio.
 
«Regina aspetta.» le disse «Questo tempo è stato modificato. Sei sicura che Henry sia ancora qui?»
 
La Sovrana dei Reami uniti parve rifletterci un istante, poi si fece ancora più cupa e annuì, dandogli ragione.
 
«Allora dovremmo cercare un qualsiasi indizio che ci riporti a tua sorella. Quello che sta accadendo a Killian e Alice è di sicuro opera della magia nera, solo una strega esperta può farlo. Dobbiamo trovare il suo laboratorio, o almeno la fonte di quella magia. Bambole Vodoo, calderoni. Sta giocando con il fuoco, spero solo che lo sappia davvero controllare…» aggiunse, parlando quasi tra sé.
 
Stavolta fu Gideon ad annuire.
 
«Potremmo guardare al negozio di Papa.» suggerì, e la trovò d'accordo.
 
Si avviarono insieme verso il banco dei pegni, ma una volta giunti a destinazione scoprirono un'altra amara sorpresa. Regina allungò una mano verso la maniglia, ma fu quasi balzata via da un'energia fortissima.
 
«Incantesimo di protezione.» mormorò, quasi come sè se lo aspettasse.
«Magia di sangue. Forse può essere spezzata.» si offrì Gideon, ma quando ci provò anche lui venne respinto.
 
Storse il naso, massaggiandosi il polso dolorante.
 
«Si, è sicuramente opera di Emilie.» mormorò contrariato «Solo lei sa come rendere un incantesimo resistente alla magia di sangue.»
 
Sembrava anche più dispiaciuto di lei.
 
«Qualcuno glielo ha insegnato.» borbottò Regina, poi però gli rivolse un sorriso comprensivo, chiamandolo per nome e tentando di rassicurarlo «Non è colpa tua.»
 
Lo vide sospirare, facendosi triste.
Scosse le spalle.
 
«Si. È da quando è tornata che continuo a ripetermelo, ma non funziona.» sospirò, un peso sul petto, ricordando con angoscia il modo in cui avevano lasciato Alice e suo padre quando erano partiti.
 
La prima era afflitta da atroci mal di testa, una febbre che l'aveva costretta a letto e fortemente debilitata, ed era preda di incubi e brividi.
Il secondo, nel cui petto batteva il cuore di Tremotino, aveva perso la memoria e la mitezza del proprio carattere, non ricordava di avere una figlia, ed era tornato alla sua vita da alcolista anonimo. Sembrava più un senza terra che un pirata, ed erano stati vani i tentativi di riportarlo a casa. Non riconosceva nessuno, ed era diventato un vero codardo, aveva paura di tutto, specie di coloro che manifestavano il dono della magia. E aveva paura di lui, di Gideon. Una paura folle e insensata che aveva perfino messo in pericolo la sua, perché quando lo aveva raggiunto per tentare di risvegliarla lo aveva riconosciuto come "il figlio del Coccodrillo" e gli aveva puntato un coltellaccio da macellaio alla gola. Solo per puro miracolo non lo avesse colpito mortalmente ma solo sfiorato di striscio. Oh, era stata davvero brava Emilie a completare la sua vendetta!
Non lo aveva ucciso, ma per Alice era come se lo avesse fatto, perché in sostanza suo padre non c'era più, sostituito da un uomo sconosciuto e imprevedibile, che non si ricordava nemmeno di lei. Nei pochi attimi di lucidità dalla malattia che la affliggeva, non faceva che piangere e ripetere che tutto questo era solo colpa sua, che Emilie la stava punendo come aveva promesso. Nemmeno Robin riusciva più a confortarla ormai, era come se la disperazione avesse messo radici nel suo cuore e crescesse rapidamente ad ogni secondo in più. Al Killian di Storybrooke per il momento tutto andava come al solito, ma vedere in che condizioni la figlia di Tremotino aveva ridotto il suo alter ego del desiderio lo aveva fatto preoccupare parecchio.
In fondo anche lui aveva una figlia di appena un anno, e la sola prospettiva di essere ancora in pericolo a causa della magia del Coccodrillo, seppur tramandata di padre in figlia, lo metteva talmente in allarme da togliergli il sonno.
Proprio per questo lui e Regina avevano deciso di partire. In realtà era stata una sua proposta.
 
«È mia sorella, la mamma mi aveva raccomandato di prendermi cura di lei se fosse accaduto qualcosa a papà. Quindi è mio dovere farlo.»
 
Ma Regina non aveva voluto sentire storie.
 
«Vostro padre è stato per certi versi anche il mio. E se Emilie è stata addestrata da lui e ha ricevuto anche solo un briciolo di quel talento, solo io posso aiutarti ad affrontarla, nella peggiore delle ipotesi.»
 
Ma neanche la peggiore delle ipotesi era lontanamente avvicinabile a quello che si ritrovarono ad affrontare. A cominciare dal doversi procurare un portale temporale da attraversare. Avevano usato la sua stessa tecnica, chiedendo ad Emma di aprirne uno per loro. Il ritorno sarebbe stato più complicato, ma meglio preoccuparsi di un problema alla volta.
 
«Almeno adesso sappiamo che si aspettava una tua mossa e che qui dentro c'è qualcosa di importante.» lo riscosse Regina, quindi si tolse i guanti e si guardò intorno «Dobbiamo cercare indizi altrove. Casa sua sarebbe l'ideale, ma basterebbe anche un diario. Non ne scriveva uno per tuo padre?»
 
Gideon annuì, stava per rispondere però di non sapere dove cercare quando un'apparizione improvvisa lo distrasse, spingendolo a strabuzzare gli occhi e puntare il dito alle spalle di regina.
 
«Quella è...» mormorò, stupefatto.
 
La donna si voltò e vide, con somma sorpresa, la saggina maggiordomo con ancora il papillon addosso far loro cenno di seguirla.
 
«La scopa dell'apprendista?!» concluse al posto suo, sorpresa.
 
La ramazza sembrò annuire, quindi tornò a chiedere loro a gesti di seguirla e li condusse direttamente di fronte al cancello d'ingresso della villa dello stregone, dove vennero accolti dall'inchino delle chimere di pietra. Se fino ad allora avevano potuto pensare ad una trappola, quella sorprendente visione tolse ogni dubbio.
 
«Credi...» mormorò Gideon, mentre attraversavano il giardino.
 
Regina lanciò un'occhiata alle Pantere che sonnecchiavano sul ramo di un albero di sughero e annuì.
 
«A quanto pare questa è casa sua, ora.» sorrise «Non mi sorprende. A Tremotino serviva il Cappello, lei gli ha comprato tutta la villa.»
 
Ma le sorprese non erano ancora finite. All'ingresso, due armature fecero loro un inchino, poi indicarono con le punte delle loro alabarde un corridoio sulla sinistra, in direzione opposta alla sala da Ballo.
Regina sospirò
 
«A quanto sembra tua sorella non solo si aspettava che venissimo, ma ci ha lasciato perfino dei messaggeri.» osservò.
 
Gideon annuì in silenzio, tornando a incupirsi. "Milly, che stai combinando?" si chiese. Tutte le risposte giunsero appena un paio di minuti dopo, quando le porte della biblioteca si spalancarono e ai loro occhi si presentò l'ennesimo, insolito spettacolo.
C'era un uomo accasciato sulla scrivania, sembrava dormiente o peggio ancora morto, ma non appena lì udì arrivare si riebbe e li guardò illuminandosi.
La prima a riconoscerlo fu la Sovrana.
 
«Isaac?» esclamò, notando le catene e l'aria afflitta
«L'autore?» domandò Gideon, osservandolo con molta attenzione.
 
Per lui in fondo non era altro che il personaggio di uno dei racconti di suo padre, era un po' strano vederlo ora per la prima volta in carne ed ossa.
 
«Regina! Finalmente!» l'accolse questi, allargando le braccia e facendo tintinnare le catene che lo legavano alla scrivania «Ah, e tu devi essere Gideon, vero? Il fratello della cara... piccola... dolce e letale Emilie.» spegnendo rapidamente il sorriso al solo ricordo.
«Dov'è mia sorella?» gli chiese il giovane, senza perdere tempo.
«Oh, beh.» rispose l'uomo, porgendo loro il grosso libro nero sulla quale si era appisolato «Qui dentro. Sta vivendo la sua favola, se così vogliamo dire.»
 
Entrambi i nuovi arrivati si scambiarono uno sguardo preoccupato.
 
«Se è così, perché tu non sei a New York a goderti la tua ricompensa?» lo incalzò Mills, ma la risposta che ricevette non la sorprese più di quanto avrebbe dovuto.
«Oh beh...» bofonchiò lo scrittore «Lo farò... dopo che il contratto sarà stato adempiuto.»
«Contratto?» gli fece eco un sempre più preoccupato Gideon «Hai stretto un patto con mio padre?»
 
Lo vide scuotere con vigore il capo.
 
«Con tua sorella, in realtà. E in mia difesa, non ho avuto molta scelta.» rispose, mostrando le catene e una piccola ferita sulla lingua che sembrava essere il segno di un artiglio e fece rabbrividire entrambi «Si, beh...» commentò ironicamente Isaac a quel punto, rivolgendosi a Regina «Diciamo pure che potresti non essere più la sua allieva migliore.»
 
Una battuta che non fece che impensierire ulteriormente Gideon.
 
«Basta così, devo parlarle.» decretò, strappandogli il libro dalle mani.
«Vengo con te.» decise Regina, ma Isaac la fermò di nuovo
«Ehm, si. Fossi in te non lo farei. E darei un'occhiata alla storia prima di buttarmici dentro a capofitto.»
 
I due viaggiatori si guardarono l'un l'altra, inquieti.
 
«Cos'è che dovremmo sapere?» domandò quindi Regina, sospirando nervosa.
 
Isaac ridacchiò.
 
«Oh, molte cose! Ma prima...» alzò le braccia, mostrando le catene ai polsi «Ti spiace?» la supplicò «Sono giorni che non mangio come si deve e non mi faccio una bella dormita! Mi è venuto il gomito dello scrittore!»
 
La Sovrana scosse il capo alzando gli occhi al cielo. Era esattamente come lo ricordava, petulante e opportunista. Stava iniziando a non dispiacersi per il trattamento che aveva ricevuto da Emilie.
Guardò Gideon, lui annuì con la stessa espressione rassegnata e allora le venne un'idea.
Alzò una mano, tenendolo per qualche istante sulle spine per poi liberarlo.... ma di una sola manetta.
Sorrise sotto i baffi della sua espressione sorpresa e delusa.
 
«L'altra quando ci avrai detto almeno la metà di quello che sai.» gli promise.
 
E a quel punto all'uomo non rimase che sputare il rospo, se non voleva restare ancorato a quella scrivania per il resto della sua vita. 

 
(Continua...)

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Capitolo 13
*** Episodio XIII – Il regno dell'Oscuro ***


Episodio XIII – Il Regno dell'Oscuro
 

Heroes and Villains
Capitolo I
 
C'era una volta, non molto tempo fa in vero, un reame al di fuori dello spazio e del tempo chiamato dai suoi abitanti Foresta Incantata. Dopo un breve periodo di pace successivo alla sua creazione, un potente e temibile stregone marciò su di esso e lo conquistò col terrore e la crudeltà, gettando su quelle terre pacifiche una maledizione terribile e un'oscurità senza mai fine. Il suo dominio fu lungo e oppressivo, sotto di lui il gentile e benevolo popolo della Foresta Incantata finì per impoverirsi e fiaccarsi, piegato dalla paura, dalla povertà e dalle malattie. Ossessionato dal potere, il malvagio stregone puniva con la morte spesso violenta chiunque dimostrasse di possedere una magia più forte della sua, così che nessun eroe indigeno rimase infine a difendere il disgraziato popolo.
Ma un giorno, un benedetto giorno, da una terra lontana giunse un Cavaliere di Luce, un uomo che aveva combattuto e vinto mille battaglie e il cui cuore si era fortificato contro l'Oscurità. Indomito, il Cavaliere marciò contro il castello dell'Oscuro e ingaggiò contro di lui una furiosa battaglia magica fino a che la sua luce non prevalse, annientando per sempre il flagello che aveva per secoli governato la Foresta Incantata.
Tremotino era il nome di quel cavaliere valoroso, e grazie a lui le tenebre che avevano oppresso quelle terre scomparvero, lasciando il posto ad una lunga e rinvigorente alba che diede ristoro al popolo abbattuto e restuì vigore alle terre riarse.
Si era sparsa una voce di fra il popolo, ai tempi del dominio dell'Oscuro. Si diceva che fosse stato l'ultimo re umano a richiamarlo, per evitare che il proprio regno cadesse in disgrazia a causa di una pestilenza che andava diffondendosi rapidamente. E che quando l'Oscuro era arrivato aveva richiesto come prezzo per quell'aiuto la giovane figlia del sovrano, Bella come il suo nome. Non acconsentendo a quel matrimonio, il Re aveva così segnato la sua condanna a morte, perché il tiranno lo aveva ucciso senza pietà, quindi aveva rinchiuso la Principessa nella torre più alta del castello e aveva messo un drago a guardia di quella prigione.
Si diceva che fosse stata proprio la dolce, coraggiosa e bellissima erede al trono a chiedere aiuto al Cavaliere di Luce, e che lui al suo arrivo se ne fosse perdutamente innamorato, ricambiato.
Proprio per questo, subito dopo aver restituito alla Foresta Incantata il suo antico splendore, i due avevano convolato a nozze con una grande festa che aveva coinvolto anche il più piccolo e remoto villaggio. Tutto il popolo, infatti, era stato invitato ad assistere, senza distinzione di ceto sociale, musica e danze erano continuate in ogni angolo della Foresta Incantata fino a notte inoltrata e anche oltre, e per l'occasione erano stati graziati tutti coloro che si erano macchiati di reati minori, come ladri di pane e i rapinatori che avevano reso un servizio al popolo durante il lungo impero dello stregone. Al più famoso tra questi, tale Robin Hood, fu addirittura assegnato l'incarico di vigilare sul popolo con la sua banda, e riferire alle Loro Maestà eventuali ingiustizie che richiedevano l'attenzione della corona. Furono liberati e salvati dalla pena di morte tutti coloro che si erano macchiati di tradimento verso lo stregone, viceversa tutti i suoi fedelissimi presero il loro posto e circa un anno e mezzo dopo, in occasione della nascita della primogenita della nuova coppia Reale, la Principessa Emilie, tutti loro furono impiccati sulle pubbliche piazze e i loro corpi furono lasciati appesi fino a che le loro ossa furono le uniche cose che rimasero, monito per tutti i pazzi che avessero avuto l'ardire di rimpiangere l'era della tirannia e il suo artefice.
Fu stabilito che la magia nera non dovesse più essere praticata e che chiunque fosse stato sorpreso a farlo dovesse essere ucciso seduta stante. In ultimo il Principe Baelfire, unico figlio del Cavaliere di Luce e della sua precedente moglie, perduta molto tempo prima a causa di un ingiusto assassinio ad opera di pirati, fu nominato capo delle guardie reali e tutore dell'ordine dell'intero regno, ruolo che assunse con estrema serietà e indomito coraggio, proprio come suo padre.
Circa due anni più tardi lo raggiunsero al Castello sua moglie la Principessa Emma, erede al trono del regno oltremare dal quale provenivano, e il loro unigenito figlio Henry, che non appena ebbe l'età giusta fu nominato cavaliere dai Sovrani in persona, e prese il titolo che prima era appartenuto a suo nonno, Cavaliere di Luce.
Erano passati ventiquattro anni esatti dal giorno in cui il Regno di Tremotino era iniziato, ventitré dalla nascita della compassionevole erede al trono, e la Foresta Incantata era tornata al suo antico splendore. Il popolo era prospero e felice, quasi nessuno ormai ricordava più gli anni bui trascorsi e la maggior parte dei sudditi delle eccellentissime Maestà avevano tutto ciò che potessero desiderare.
Ora, il regno si apprestava a celebrare un'altra importante ricorrenza: il matrimonio tra la Principessa Emilie e il suo amato, un membro della banda di Robin Hood nonché sua fidata guardia del corpo. Era stato annunciato nel corso della più bella festa a cui il Regno avesse mai assistito, dopo quella che il Cavaliere di Luce aveva dato per annunciare il suo matrimonio con la Principessa Belle. E già si mormorava che anche a quelle nozze sarebbe seguito un cambiamento positivo per tutti gli abitanti del regno. Nessuno sapeva bene cosa avrebbero fatto i benevoli Sovrani per rendere quella ricorrenza una festa anche per il proprio popolo. Altri indulti? Decreti a favore dei più poveri o dei più deboli? Di sicuro, il cambiamento più importante era già avvenuto, perché per la prima volta nella storia della foresta incantata un comune ladro ravveduto sarebbe entrato a far parte di una dinastia reale e avrebbe potuto ambire al governo dell'intero Regno. Eppure, se la maggioranza dei sudditi provava un affetto profondo verso il proprio Re, che era stato in grado di liberarli da una schiavitù così opprimente e regalare loro albe radiose, e verso la Principessa, la quale aveva trascorso tutta la sua infanzia in mezzo a loro finendo per essere considerata parte di ognuno delle loro famiglie, ce n'era una piccola parte che continuava a guardarlo con sospetto.
Erano coloro che non avevano mai amato sottostare ad alcun padrone, certo, i fuorilegge di ogni tempo, gli incontentabili.
Ma proprio dalle loro bocche, serpeggiando di taverna in taverna, stava iniziando a diffondersi un pettegolezzo inquietante. Ovvero che l'oscurità non se ne fosse mai andata via da quelle terre e da quello scranno, ma avesse soltanto cambiato forma.
Tuttavia, almeno per il momento, la corona sembrava non preoccuparsi di simili calunnie, che continuavano a far breccia solo nel cuore dei più pavidi e dei ribelli. Tanto comunque la paura di finire impiccati per tradimento continuava ad essere un ottimo deterrente, e a fare in modo che ogni pettegolezzo cattivo rimanesse sepolto sotto litri di rum e disperazione, nelle bettole dei villaggi portuali e nei quartieri più malfamati di ogni città di periferia, così che chiunque avesse sentito un uomo di mare o un bandito parlare a quel modo avesse scambiato quel pettegolezzo per gli insignificanti vaneggiamenti di un ubriacone.
 
***
 
Era il tramonto di un giorno afoso di giugno. Mentre il sole calava infuocato su un orizzonte sgombro e limpido, sulla baia dei pescatori, a poche miglia di distanza dal villaggio portuale detto la Tana, perché sede di numerose taverne ricolme di pirati e briganti di ogni sorta, un gruppo di uomini di mare stava rientrando da una lunga giornata di pesca al largo, trascinando sulla sabbia dorata la piccola imbarcazione usata per la traversata e le reti ricolme di pesci.
Erano sei, tutti adulti, e dopo aver diviso il pescato lo risposero in sei piccole ceste di vimini, una per ciascuno.
Infine si salutarono, avviandosi ognuno verso le proprie case. Tutti, meno che uno, il più giovane, un uomo sulla trentina con occhi e capelli neri e il viso abbronzato. Il suo nome era Killian Jones, ed era un orfano di entrambi i genitori che aveva trovato dopo tante lotte il proprio posto nel mondo. Da piccolo aveva viaggiato molto per mare, poi aveva incontrato una donna e con lei aveva deciso di ritirarsi in quel piccolo villaggio vivendo come pescatore. Si erano sposati, vivevano felici in una piccola capanna appena fuori il villaggio dei pescatori, e non avevano mai sofferto la fame. Come ogni altro suddito del Re, non avevano di che lamentarsi e anzi, presto il loro sogno d'amore sarebbe stato coronato dalla nascita del loro primogenito.
Eppure il richiamo del mare era ancora forte dentro di lui, tanto da indurlo, alla fine di ogni giornata, ad attardarsi ancora un istante sulla spiaggia deserta ad osservare il tramonto, chiudendo gli occhi e lasciando che l'aria salmastra gli riempisse i polmoni e il rumore delle onde accarezzasse i suoi pensieri. Quel giorno, lo spettacolo era particolarmente bello, perciò fece uno strappo alla regola e rimase fino a che anche l'ultimo spicchio di sole non fu risucchiato dalle acque dell'oceano. Quindi prese da sotto la suola dei suoi stivali una conchiglia rosa e se la mise in tasca, pensando al sorriso che sua moglie gli avrebbe rivolto quando l'avrebbe ricevuto.
Mentre camminava verso casa, gli ultimi raggi di sole ormai sempre più flebili e il cesto pieno di pesci ad appesantire le sue spalle forti, alzò gli occhi al cielo e sorrise di nuovo, ringraziando il fato per essere stato così clemente con lui.
La sua storia era iniziata nel peggiore dei modi, ma la fortuna era riuscita chissà come a trovarlo regalandogli il lieto fine che sentiva di meritare.
Un passo dopo l'altro, percorse la strada che lo separava da casa immaginando come sarebbe stato il suo prossimo futuro. Pensò al bambino che stava per nascere, il cuore ricolmo di mille speranze mentre le tenebre notturne tornavano a circondarlo. Ma lui sembrava non accorgersene neppure. Femmina o maschio, quando sarebbe stato abbastanza grande lo avrebbe portato con sè insegnandogli ad amare il mare e quel mestiere, e sarebbe stato per lui il padre che non aveva avuto. Poi, da adulto, lo avrebbe guardato negli occhi e ci avrebbe visto sé stesso, in quel momento, e tutti i sacrifici fatti per rendere il suo futuro luminoso. Oh, quanto era stato clemente il destino con lui! Pensò che fosse il caso di essere riconoscente, e cercò dentro di sé il modo migliore per farlo, dimenticando però la lezione più importante di tutte in quello e in ogni altro mondo come quello: Ogni cosa, perfino la felicità, ha sempre un prezzo. E a questa legge nessuno può opporsi, perché è la sola in grado di muovere il mondo o di fermarlo in modo che sia la vita stessa, spietata più di un Signore Oscuro, a prendersi il tributo per tutto il bene concesso.
 
***
 
A fargli capire che era arrivato il tempo di pagare iniziarono delle strane impronte, a pochi metri dalla vecchia capanna.
Erano molte, di stivali e bastoni e anche alcune di zoccoli, come se un'orda agguerrita avesse marciato verso casa sua.
Il sorriso scomparve dal suo volto e il cuore prese a battere in petto così forte da mozzargli il fiato. Quando finalmente giunse di fronte alla casa, i suoi più terribili sospetti si tramutarono in realtà.
La cascina era in fiamme, quasi completamente divorata da esse, e sull'aia c'erano segni di lotta e sangue. L'orrore si impossessò di lui, che all'improvviso perse il controllo e si fiondò dentro ciò che restava di casa sua, una mano davanti alla bocca e una a riparare gli occhi dal fumo.
 
«Milah!» chiamò, disperato «Amore! Sono Killian! Dove sei?»
 
Ma l'unica cosa che sentì fu il ruggito delle fiamme e il crepitio del legno e della paglia che ne venivano divorate.
Gli occhi iniziarono a bruciare, gonfiarsi e lacrimare, il respiro a farsi sempre più corto.
 
«Milah! Milah!» tornò ad urlare, la voce rauca e strozzata dal dolore e dalla paura.
 
La cercò ovunque, quando si rese conto di non riuscire più a trovarla cade a terra, di fronte alle macerie del loro nido d'amore, urlando al cielo tutto il suo dolore e la sua rabbia e artigliando il terreno arso e scuro con le dita sporche di fuliggine.
"Non può essere vero". La sua mente incredula e paralizzata dallo shock continuò a ripeterselo mentre cercava una spiegazione che rendesse più utile il dolore e desse un senso alle cose, mentre le ore passavano e le fiamme continuavano a bruciare alte.
Per tutta la notte rimase lì in ginocchio ad osservare tutto con occhi assenti, intontito, incapace perfino di piangere. L'alba del mattino lo trovò immobile di fronte alle ceneri del suo lieto fine, pallido come un cadavere, il volto una maschera di cera, le labbra secche e pallide e gli occhi talmente arrossati da lacrimare, ma ancora sbarrati e fissi su quella scena, come se si aspettasse di vederla cambiare in meglio da un momento all'altro.
Come un incubo che svanisce alle prime luci del giorno.
Stavolta però no, non lo fece, anzi continuò a peggiorare. Il sole era appena sorto quando una folata di vento fece volare ai suoi piedi una pergamena che era stata affissa ad un albero poco vicino per mezzo di una freccia che, a causa del forte calore, si era consumata fino a quasi incenerirsi.
Anche la pergamena lo aveva fatto, ma per sua fortuna il contenuto era rimasto intanto. I suoi occhi si mossero verso di essa con uno scatto, e non appena scorse il nome di sua moglie le sue mani la afferrarono tremanti e la sua mente si riaccese, assieme a un nuovo impeto di disperazione.
 
"Per ordine di sua maestà Ursula, Sovrana di tutti i mari,
 la suddita Milah Jones è condannata all'arresto,
in attesa di giudizio,
presso le segrete del palazzo Reale di Atlantide, la grande città."
 
Poche semplici parole che ridussero quell'aggressione ad una perentoria esecuzione di un ordine di cattura da parte di un Regno straniero.
La regina del mare? Che aveva a che fare Milah con lei? Quale abitante della foresta incantata aveva mai avuto a che fare con una di quelle infide, spietate e ammaliatrici creature del mare chiamate sirene?
C'era una sola persona in grado di rispondere, e lui non si sarebbe fermato fino a che non avrebbe potuto riavere sua moglie e suo figlio di nuovo tra le sue braccia.
 
***
 
Presente,
Storybrooke.
 
«Impiccata per alto tradimento?? Sul serio?» Regina, che fino a quel momento si era limitata ad ascoltare Isaac rilasciare aneddoti sul suo capolavoro di carta e inchiostro alternandoli a complimenti autocelebrativi, non appena udì quella notizia sgranò gli occhi e gli lanciò uno sguardo di fuoco.
 
Lo scrittore annuì.
 
«Oh, si. Emilie è stata molto chiara su questo. Ha detto, testuali parole 'Voglio che quell'impicciona di Regina e tutti quei ficcanaso di nani siano fuori dai giochi. Visto che è tutto finto, trova un albero dal quale possano penzolare tranquillamente e lasciali li a marcire per Alto tradimento nei confronti della Corona' e poi ha aggiunto 'Non posso ucciderli nella realtà, quindi lasciami divertire un po' in questa bella favoletta.'» concluse, rivolgendosi a Gideon che alzò gli occhi al cielo scuotendo il capo e aprendosi in un sorriso che sembrava di più una smorfia disperata.
 
Anche Regina rise, in un primo momento, poi però si fece pensierosa.
 
«Aspetta. 'È tutto finto'? ha detto proprio cosi?»
 
L'autore tornò ad annuire.
 
«Testuali parole» ripeté.
 
La Sovrana dei Reami uniti lanciò uno sguardo d'intesa a Gideon, che la fissò facendosi attento.
 
«Sapeva che saresti venuto, e che non l'avresti fatto da solo. Ha lasciato lui e la scopa per guidarci. È chiaro che il suo obbiettivo principale non è quello di restare intrappolata a vita in quel libro.» gli disse, e lo vide annuire, per poi tornare a chiedere all'autore.
«Hai detto che il tuo contratto non è ancora stato adempiuto. Cos'altro devi fare per goderti la ricompensa?»
 
L'uomo sorrise, lanciando ad entrambi una lunga occhiata fiera.
 
«Tua sorella lo aveva detto che sei perspicace come tua madre.» concluse infine, rivolto a Gideon «Ha detto di dirti, nel caso saresti venuto a salvarla, che tutto ciò che devi fare è raggiungerla. Il resto ti sarà chiaro quando sarai arrivato.»  e di nuovo «Testuali parole: ‘uno bravo come te coi libri non ci metterà molto a capire il da farsi.'»
 
I due viaggiatori si guardarono di nuovo negli occhi, quindi sospirarono.
 
«Perché vuole che la raggiunga?» chiese Gideon, tentando di saperne di più.
 
Ma per tutta risposta l'uomo alzò le braccia e serrò le labbra, scuotendo il capo.
 
«Mi spiace, sono contrattualmente obbligato a non dire altro.» rispose, mostrò la manetta rimanente e scherzò «Ho le mani legate, in tutti i sensi.» poi però aggiunse, quasi se ne fosse ricordato all'ultimo minuto «Comunque se volete potete dare un'occhiata ai contratti. Li ha nascosti tutti nella vecchia casa sull'albero, fuori città.»
 
I due si fecero attenti.
 
«La casa sull'albero...» mormorò Gideon, seguendo un pensiero «Fosse possiamo trovarci anche il suo diario.»
 
Ma Isaac si sbrigò a spegnere immediatamente il suo entusiasmo.
 
«Ah, no. Quello è sottochiave nel negozio di Mr. Gold» fece.
 
Regina emise un altro sospiro nervoso.
 
«D'accordo, allora tu vai a dare un'occhiata ai contratti, io rimango qui con lui a leggere il libro e ci ritroviamo quando avrai finito.» decretò, e la proposta venne approvata a pieni voti sia da Gideon che dall'autore, il quale però si azzardò anche ad aggiungere «Già che ci siamo, mentre lui è via a cercare tesori, puoi mantenere la promessa e liberarmi? Ho la nausea per la fame e vorrei approfittare di un bel divano per farmi un sonnellino.»
 
Ma Mills lo fissò con un sorriso sarcastico.
 
«E darti la possibilità di scappare come hai provato a fare nel nostro tempo?» gli chiese in tono retorico.
«Oh, non credo ci sia questo pericolo.» fu la risposta un po' rassegnata dell'uomo «Non posso uscire dalla città. È scritto nel contratto. Fino a che loro non saranno tornati temo di non poter disobbedire neanche a questa regola.»
 
Gideon si corrucciò di nuovo.
 
«Cosa ti accadrebbe se ci provassi?» domandò temendo il peggio.
 
E a quanto pareva anche Isaac stesso lo stava facendo, perché scosse le spalle e si limitò a replicare, vago.
 
«Non ne ho idea, ma non sono abbastanza audace da rischiare di scoprirlo.»
 
Il primogenito della bella e della bestia sospirò di nuovo, guardando Regina. La donna annuì lanciando ad Isaac un'occhiata di sbieco.
 
«Dice il vero, almeno su questo.» confermò con una punta di disgusto.
 
Il ragazzo sospirò di nuovo.
 
«D'accordo, allora. Dove si trova la casa sull'albero?» domandò.
 
In risposta Isaac puntò il dito verso la saggina dell'apprendista, che era appena entrata nella stanza.
 
«Segui lei.» disse «Oh, e sta attento a dove metti i piedi. Stanotte ha diluviato.»
 
***
 
Alcuni minuti dopo...
 
La saggina lo condusse a nord, verso la zona più periferica e anche più impervia della foresta. Superarono un fiumiciattolo creato dalla pioggia in un'insenatura a valle, poi presero a salire su una ripida collinetta e non appena furono in cima la creatura alzò una delle sue dita legnose indicando la chioma di una quercia gigantesca, proprio al centro della radura.
Dopo tutta la fatica fatta, finalmente Gideon poté concedersi un attimo di riposo, ma non un sospiro di sollievo.
Rischiarata dai primi cristallini raggi solari, la piccola casina era stata costruita molto in alto, sui rami più antichi, e l'unica via per raggiungerla era la corda umida che da un ramo robusto raggiungeva il sottobosco, attorcigliandosi sul terreno come un serpente. Era lì per lui, che non era mai stato molto bravo con la magia. In verità, quando non era che un ragazzo aveva imparato qualche incantesimo di base, utile alla vita di tutti i giorni, ma non si era mai esercitato e col passare degli anni aveva dimenticato anche quelli, preferendo i libri.
Quando erano ancora insieme, prima che Emilie partisse con suo padre alla ricerca del custode, in tutti i modi lei aveva provato a convincerlo a ritentare, ma lui era stato troppo distratto con i suoi libri e i suoi esami.
A ripensarci ora, gli venne da sorridere.
 
«Cos'è questo, Milly?» si chiese ad alta voce, incamminandosi verso la corda «Un altro modo per costringermi ad imparare?»
 
Le sembrò quasi di risentirla.
 
«Sei il figlio del Signore Oscuro, per l'amor del cielo! Va bene non esagerare, ma imparare qualche semplice trucchetto pratico non ti spingerà verso l'oscurità! Non puoi essere così impedito!»
 
Una volta, mentre erano da soli alla ricerca di qualche coniglio selvatico da cucinare per cena, aveva perfino fatto riferimento al Gideon che era stato prima di rinascere, quello rapito dalla fata nera e di cui aveva sentito parlare solo una volta. Aveva quattordici anni, e a brucia pelo gli aveva chiesto, guardandolo negli occhi con un sorriso curioso.
 
«Tu davvero non ricordi nulla? Eppure eri tu! Sei solo tornato indietro molto velocemente, come August quando è stato ritrasformato in Pinocchio.»
 
Lui, il fratello maggiore, quello con il sale in zucca e pochi grilli per la testa, le aveva sorriso divertito e aveva scosso il capo.
 
«Ho avuto una seconda possibilità.» le rispose paziente «E magari chi lo sa, è anche meglio così. La fata nera non è stata molto buona con me, ricordi? Magari sarei diverso, non riuscirei a vivere bene con quei ricordi brutti nella testa.»
 
Emilie aveva ripreso a camminare, facendo ballonzolare con la punta dei suoi stivaletti le balze della gonna del vestito azzurro che indossava, simile a quello di mamma Belle, solo più adatto alla sua età preadolescenziale.
Avevano camminato fianco a fianco in silenzio qualche altro istante, poi sul volto della bambina era spuntato un altro di quei sorrisi divertiti.
 
«O magari saresti... meno noioso.» gli aveva detto, palesemente provocatoria.
 
Lui aveva finto di offendersi.
 
«Noioso?» le aveva fatto eco «Che intendi con questo, principessina pestifera?»
 
Ricordava ancora la risata in cui si era sciolta subito dopo. Tale e quale a quella del Signore Oscuro, ma per nulla recitata, spontanea come i fiori di campo che portava nei capelli. Era stato allora che aveva capito: benché nata dalla luce più pura, sua sorella era attratta dall'oscurità, più di ogni altra cosa. Sapeva che in ognuno di loro, perfino in sua madre, la dolce e caritatevole Belle, si annidava un lato oscuro, ed era talmente curiosa di sapere che forma avesse da essere pronta a tentare di tutto per metterlo alla prova.
Ecco il perché di quella domanda.
Gli voleva bene, ma continuava a chiedersi dove fosse finito il Gideon che aveva aiutato la fata nera a ritornare da suo figlio, perfino a sconfiggere la Salvatrice. L'aveva uccisa, per tutti i diavoli! Lui, il calmo, studioso e innocuo Gideon, aveva ucciso l'eroina di Storybrooke e di tutti i mondi conosciuti, colei che possedeva la più forte magia di luce esistente! Certo, Fiona gli aveva preso il cuore per costringerlo a collaborare, ma Milly era sempre stata pronta a scommettere qualsiasi cosa avesse voluto che quando era stato costretto ad affrontarla per difendere i suoi amici, per un attimo la sua oscurità fosse venuta fuori e a lui fosse piaciuto. Oh, era stato così intrigante anche solo immaginare il Gideon gentile e onesto spogliarsi per un attimo di quella scorza e tirar fuori gli artigli, mostrarsi senza maschera! Quanto avrebbe voluto essere presente! Da quel giorno molte cose erano cambiate, ma quel lato di lei era rimasto, e più di una volta aveva provato a spingerlo a mostrare quel Gideon Oscuro. Piccoli tranelli volti a fargli perdere la pazienza, ma lui non c'era mai cascato. Suo padre aveva insegnato bene anche a lui.
 
«Qualsiasi sia il destino di tua sorella, devi essere pronto a sostenerla.» gli aveva detto prima del suo ultimo viaggio «Spero che mai intraprenda quella strada, ma se dovesse farlo tu dovrai diventare la sua luce, e per farlo dovrai essere forte. Più forte di lei...»
 
E ora, mentre stringeva quella corda tra le mani, quelle parole tornarono a rimbombare nella sua mente. Un'altra prova, ecco cos'era tutto questo. L'ennesimo tentativo di provare a ricordargli chi era stato. Lui però, a differenza di Baelfire, non se la prese affatto. Era così, sua sorella. Era un modo come un altro per spingerlo a guardare il mondo con occhi diversi, e visto che abbondava di ironia, a volte ne usava un po' troppa. Ma non c'era alcuna cattiveria, solo la voglia di far comprendere ed essere compresa. A preoccuparlo piuttosto era tutto ciò che aveva visto e sentito su di lei negli ultimi giorni. Erano arrivati a quel momento? Quello di mostrarsi forte anche per lei? Aveva davvero rotto il patto con suo padre e ceduto all'oscurità una volta per tutte?
Sospirò. L'unico modo per saperlo era andare in fondo a questa storia e raggiungerla.
 
***
 
Heroes and Villains

Capitolo IV
 
La Foresta di Sherwood era un ampio appezzamento collinare, circa 6 ettari di foresta di conifere temperate composta principalmente da abeti ma che ospitava anche qualche albero da frutto, pioppi, betulle e querce.
Si trovava a poche ore di cammino dal castello, a nord di esso e faceva parte del grande parco reale, ma era stato concesso in usufrutto a Robin Hood e alla sua banda come rifugio sicuro e vista la loro presenza rassicurante alcuni avevano deciso di stabilirsi lì in piccolissimi villaggi che ospitavano, tra gli altri, anche le mogli e i figli dei membri della banda.
Erano così fiorite anche le Locande, mentre per il commercio di altri beni utili si faceva riferimento alle botteghe all'interno delle massicce e protettive mura del castello.
Quale unica via d'accesso alla Corte, la banda di Robin Hood richiamava da tutto il regno non solo avventurieri pronti ad unirsi ad essa, ma anche pellegrini che volevano sottoporre il loro caso alla clemenza del Re e di sua figlia, la quale come principessa ereditaria sovrintendeva spesso alle cause che richiedevano una maggiore attenzione, assumendo così di fatto la carica di Consigliera, che non era stata assegnata a nessuno. Per questo motivo, fu quella foresta la meta che Killian Jones scelse, per riuscire a farsi ricevere dalle Loro Maestà e tentare di salvare le sorti della sua famiglia.
Ma il villaggio dei pescatori distava parecchio da quel posto, trovandosi quasi dall'altra parte del regno, e lui non possedeva cavalli né abbastanza soldi per pagare una notte in una taverna.
Quel viaggio fu quindi lungo, pericoloso e difficile, specie nei primi giorni.
Il dolore e lo shock dovuti alla tragedia erano ancora molto presenti, riempiendo le notti all'addiaccio di incubi e lacrime. Di giorno andava meglio, la ricerca di cibo e acqua lo teneva impegnato e gli faceva quasi dimenticare l'angoscia.
Non era molto bravo nell'uso delle armi, non gli piaceva tenere in mano una spada, il tiro con l'arco gli era estraneo e in più l'idea di una battaglia lo aveva sempre ripugnato, spingendolo a cercare di evitare lo scontro il più possibile. Certo, aveva avuto modo di assistere a qualche scontro, specie durante la sua infanzia sulle navi mercantili, ma per lo più si era sempre limitato all'auto protezione e a nascondersi sotto coperta aspettando che fosse tutto finito. Questo forse era l'unico motivo di attrito tra lui e la sua consorte, la quale non aveva mai conosciuto quel lato di lui, e ambiva ad una vita più "avventurosa". Ad ogni modo, erano sposati da troppo poco tempo per far si che quella differenza caratteriale risultasse nociva al loro rapporto. E lui si era convinto che una volta diventata madre, lei avrebbe rivalutato la sua opinione spinta anche dal senso materno.
Ma se questo non fosse bastato, ora avrebbe anche potuto ricordarle che per salvarle la vita aveva rischiato la sua in un lungo viaggio che lo aveva spinto fin dentro alle profondità del Regno e dell'oceano. Luoghi irti di sorprese e pericoli, spesso e volentieri ben camuffati dietro una maschera difficile da riconoscere.
Il primo di questi gli si presentò una notte, circa una settimana e mezza dopo la sua partenza.
Per tutto il giorno non aveva fatto che camminare lungo un sentiero privo di alberi lungo una zona semidesertica a poche miglia dalla costa. Un sole implacabile aveva presto fiaccato i suoi passi, per fortuna aveva trovato una fonte a cui attingere acqua fresca ma mentre stava riempiendo la sua bisaccia vide spuntare a pelo d'acqua un gruppo di occhi piccoli e squamosi che presero a fissarlo in maniera assai inquietante. Erano due coccodrilli, anche piuttosto affamati a giudicare dal balzo con cui uno di loro, il più grosso, lo attaccò riuscendo a staccargli una mano.
Per evitare di essere sbranato vivo dovette ingaggiare con quelle fauci una furiosa lotta che alla fine lo vide vincitore solo in parte, perché l'animale riuscì comunque a lasciarlo gravemente ferito. Si trascinò sanguinante verso una macchia ombrosa che poi si rivelò essere un piccolo albero di acacia, e lì si lasciò svenire, non potendo fare altrimenti.
Rimase incosciente per diverse ore, udendo a malapena i tuoni della furiosa tempesta che verso sera scatenò proprio in quella zona.
Il vento e la pioggia lo raggiunsero lo stesso, infradiciandolo ma almeno tenendo lontani i primi predatori che stavano iniziando ad avvicinarsi, fiutando l'odore del sangue.
Era il crepuscolo quando, in quel dormiveglia frastornante, udì prima degli ululati, poi un inquietante scalpiccio e infine il naso umidiccio di alcuni cani sfiorare la pelle arrossata e bruciante del suo volto.
Sentì di doversi difendere, ma non ce la fece. Tentò di aprire gli occhi per guardare in faccia il pericolo ma le uniche cose che riuscì a scorgere furono macchie bianche e nere.
Poi una voce si fece udire.
 
«Oh, ma tu guarda cosa hanno trovato i miei tesori.» disse una donna, dal tono indolente e aristocratico «La Principessa sarà molto felice di questo, bravi i miei piccini.»
 
Quindi la udì ordina, in tono autoritario.
 
«Hey, voi! Datevi una mossa, avanti! Prendetelo e portatelo in carrozza.»
 
Sentì una mano carezzare i suoi zigomi con la punta delle dita.
 
«Bentornato a casa, bel cagnolino.» rise cupa la voce, poi tutto piombò di nuovo nel buio e nel silenzio.
 
***
 
Si risvegliò diverse ore dopo, in un ampio letto a baldacchino, avvolto in lenzuola a pois bianche e nere. Si sentiva meglio, decisamente molto meglio, ma il moncone era fasciato e il non sentire più la propria mano gli provocò una sgradevole, stranissima sensazione.
Dentro di sé, con una rabbia decisamente esagerata, si ritrovò a maledire il dannato coccodrillo che aveva deciso di conciarlo così per saziare la sua fame.
Qualcuno entrò nella stanza, era un maggiordomo ma dall'aspetto decisamente bizzarro. Aveva corpo umano ma la testa di un barboncino bianco, gli occhi grandi e i riccioli delle orecchie e della fronte ben pettinati.
Non appena lo vide, accennò ad un inchino ed entrò trascinando un vassoio di cristallo su cui erano state adagiate numerose leccornie.
 
«Grazie, ma... perché tutta questa cortesia?» chiese.
 
La strana creatura in livrea argentata allungò una mano guantata di bianco verso il taschino interno della propria divisa, quindi ne estrasse un bigliettino ripiegato e glielo porse, aspettando che lo leggesse.
Con non troppa difficoltà, sorprendentemente, l'uomo riuscì ad aprirlo e a ricevere il messaggio.
 
"Ben svegliato, mio caro ospite.
 
Non badare troppo a questo valletto e consuma questo modesto pasto prima di riprendere il tuo cammino.
Ti prego, trattieniti quanto vuoi, e se desideri vieni pure a farmi un saluto prima di andartene.

Non preoccuparti di pagarmi, il mio compenso è il tuo lieto fine.
 
Cruella, Contessa di Foxtrot."
 
Killian Jones si guardò intorno sgranando gli occhi. Quindi era quella la residenza della Contessa Cruella. Aveva sentito parlare di lei da un viandante, nell'unica locanda in cui era riuscito a fermarsi. Nessuno l'aveva mai vista, ma si diceva che fosse una donna molto ricca e... particolare. Qualcuno avrebbe detto anche inquietante, non fosse stato per quella propensione alla filantropia. Perché lo facesse restava un mistero come il suo volto, ma qualcuno diceva che fosse molto vicina alla Principessa e che quello fosse un modo come un altro per aiutarla nella gestione del Regno.
Sorrise, quindi tornò a guardare la creatura dalla faccia di cane e annuì, riconsegnandogli il foglio.
 
«Porgi i miei rispetti alla tua padrona. E dille che sarò ben felice di farle visita.»
 
Il barboncino annuì e sembrò anche sorridere, ma non ne fu sicuro. Conservò nuovamente la pergamena, lasciò lì il pasto e mentre lui si apprestava a sedersi per consumarlo lo vide affaccendarsi nella stanza. Aprì un po' di più le tende di seta rosse, così da far entrare la luce del sole di mezzogiorno. Quindi si avvicinò all'enorme armadio bianco che ricopriva tutta la parete di fronte al letto, lo apri e ne trasse fuori una camicia nera, pantaloni neri di velluto e un corsetto rosso, anch'esso di velluto, decorato con fantasie floreali ricamate utilizzando filo nero. Prese anche un soprabito di pelle nera, semplice ma molto... piratesco, e un paio di stivali neri dall'aspetto vissuto. Richiuse le ante e glieli portò appoggiandoli sul letto.
Killian Jones stava per rispondere che non avrebbe potuto accettare un simile regalo, ma si bloccò, attraversato da un'altra strana sensazione.
Rimase a fissare quegli indumenti quasi come se li riconoscesse, e non si accorse neppure che nel frattempo il cane aveva lasciato la stanza.
Allungò una mano verso il soprabito... e di nuovo gli sembrò avesse un'aria familiare, quasi confortante.
Tentò di ricordare, fece appello a tutto sé stesso ma proprio non ci riuscì, e alla fine ci rinunciò, decidendo di dare precedente al proprio stomaco brontolante.
Aveva così fame da non accorgersi nemmeno di quanta familiarità avesse con quel suo "nuovo handicap", e tornò a sentirsi stranamente a suo agio con i nuovi abiti solo quando venne il momento di indossarli.
Lo fece con doviziosa cura, e osservando la propria immagine riflessa nello specchio accanto all'armadio per un attimo pensò qualcosa si accese nella sua mente. Esitò, accarezzando i nuovi abiti e il viso, poi si soffermò sul moncone.
"Perché non posso fare a meno di pensare... che è così che dovrebbe essere?"
Un rumore lo riscosse, distraendolo e facendolo sobbalzare. La porta d'ingresso si spalancò e da essa entrò svolazzando un corvo nero e grosso, che si posò sul baldacchino del letto e gracchiò
 
«La Contessa ti attende, cra! Seguimi, cra
 
Lo trovò strano, ma non esitò, afferrando la bisaccia coi suoi vecchi vestiti ormai ridotti a stracci logori e seguendo il corvo fino ad una stanza in fondo al corridoio. E mentre lo faceva, si ritrovò a pensare che stare lì era come vivere un sogno ad occhi aperti, una sorta di continuo déjà-vu, perché perfino quella casa lussuosa e luminosa aveva un che di familiare, con le sue porte di mogano scuro, i suoi ampi finestroni, le statue in marmo e le armature nelle loro nicchie.
Quando la porta del piccolo ufficio in cui Cruella lo attendeva si spalancò, la prima cosa che pensò entrandovi e ammirando il grande tavolo posto al centro di essa fu "Io non sono già stato qui, vero? Come avrei potuto?".
Non ebbe modo di rispondervi. La Contessa, che lo attendeva seduta all'ultima sedia, smise di sorseggiare il suo calice di Gin e si sporse ad osservarlo, le mani giunte sotto il mento e un sorriso inquietante sulle labbra sottili ricoperte da un pesante strato di rossetto rosso sangue.
Indossava una folta pelliccia di dalmata e un tubino nero, al collo portava una collana fatta di veri rubini e dai lobi delle sue orecchie prendevano due piccole stalattiti di diamante.
Nel vederla, Killian Jones si paralizzò, pietrificato da un terrore inspiegabile.
 
«V-voi siete Cruella?» domandò, sforzandosi di parlare.
 
Lei allargò il suo sorriso mostrando i canini affilati, e annuì.
 
«Oh, si. Sono proprio io...» disse ammiccante, quindi lo invitò avida «Vieni avanti, coraggio. Non aver paura, cagnolino.»
 
Ma lui, sentendosi anche un po' idiota in quei panni che all'improvviso gli risultarono nuovi, fastidiosi e imbarazzanti, non riuscì ad obbedire, costringendo lei, che invece però non sembrò molto infastidita da questo, ad alzarsi e raggiungerlo, con passo lento e suadente, ancheggiando sui suoi tacchi a spillo neri.
Era alta, magra e non troppo formosa, ma ugualmente attraente.
Lo scrutava come i suoi cani, tre dalmata che se ne stavano accucciati vicino alla sedia dove lei era rimasta seduta fino a quel momento, e che quando lo videro lanciare loro un'occhiata di sbieco gli mostrarono i denti, ringhiando sommessamente.
Allungò una mano verso la cintura, cercando d'istinto una spada che si ricordò di non avere, perché lui era allergico alle armi. Le temeva. Allora cos'era stato... quello?
Anche Cruella se ne accorse, perché ridacchiò guardando la sua espressione confusa.
 
«Poverino, come ti ha ridotto quella brutta Lucertolina.» lo schernì, ridendosela di gusto «Guardati, non sembri in grado di far del male nemmeno ad una mosca.» tornò ad osservare, volteggiandogli intorno come un condor.
 
Quelle strane attenzioni cominciarono a dargli sui nervi.
 
«Voi sembrate conoscermi.» le disse guardandola di sottecchi «Ma io non mi ricordo di voi.»
 
Cruella si fermò e gli lanciò un'intensa occhiata rapace.
 
«Oh, lo so...» disse «Ma tranquillo, lo farai.» quindi ridacchiò di nuovo, cupa «E a quel punto sarà troppo tardi per tornare indietro.»
 
Una frase che non fece altro che mandarlo ancor di più in confusione.
 
«La prego, Signora. Io devo ritrovare mia moglie e mio figlio, sono stati rapiti. Mi lasci andare, a che le servo io?» sbottò, implorante.
 
A quel punto la donna parve stranirsi. Si corrucciò, e chiese, veramente curiosa.
 
«Moglie e figlio?» tornò a squadrarlo da capo a piedi, e un sorriso ironico emerse sulle sue labbra «Davvero? E qual è il loro nome?»
 
Killian Jones ci mise davvero poco a decidere se parlare o no. In fondo, cos'altro aveva da perdere? Quella donna era palesemente fuori di testa, farneticava cose senza senso e probabilmente lo aveva anche scambiato per qualcun altro. Ma era amica della Principessa, forse avrebbe potuto aiutarlo a raggiungerla anche senza passare per Robin Hood.
 
«Milah.» rispose «Milah Jones, ed è incinta di quasi quattro mesi ormai. Sto andando dalla Principessa proprio perché spero possa aiutarmi a ritrovarla. La prego, interceda per me!»
 
Nel solo sentire il nome di sua moglie, l'espressione di Cruella cambiò ancora, e quando ebbe finito di parlare, lei scoppiò in una sonora risata, piegandosi in due quasi, e reggendosi la vita sottile con entrambe le mani guantate di nero.
 
«Milah! Ahahah! Senti, senti! Ahahah, quale meravigliosa ironia!»
 
Scosse il capo, asciugandosi le lacrime dalle lunghe ciglia nere. Poi spense a fatica quel momento di ilarità, e tornò a rivolgersi a lui.
 
«Ma certo mio caro che intercederò per te!» esclamò, avvicinandosi al tavolo e allungando una mano verso un pregiato posacenere in alabastro che fungeva anche da fermacarte.
Prese da sotto di esso un foglio, intinse il pennino lì accanto nel calamaio di cui era dotato e scrisse qualcosa, continuando a ridere sotto i baffi.
Quindi lo ripiegò e glielo consegnò con un ampio gesto, aggiungendo.
 
«Ecco a te, tesoro. Portalo alla Principessa, è la mia lettera di raccomandazione per te.»
 
Esibendosi in un'ultima sghignazzata mentre lo guardava esibirsi in profondi inchini e salamelecchi prima di uscire dalla stanza.
Rimasta sola, a porte chiuse, Cruella aspettò di vederlo attraversare di corsa il cortile della villa verso il cavallo che gli aveva fatto preparare, poi esplose di nuovo in una fragorosa risata guardando i suoi cani e mormorando tra sé.
 
«Cielo, che classe che ha quella ragazza. Spero proprio di ricordarmeli questi momenti quando saremmo tornati, sarebbe uno spasso raccontarli alle feste, magari davanti a una coppa di champagne mentre quel cagnolino rabbioso se ne rimane in disparte a vederci brindare. Per quanto mi riguarda, sarebbe il finale perfetto.»
 
***
 
Storybrooke,
Presente.
 
Mentre era assorta nella lettura di quel libro incredibile, ad un tratto Regina alzò gli occhi dalle pagine e si corrucciò, guardando l'autore che nel frattempo si era fiondato sul tavolo dei primi piatti e aveva preso a riempirsi il piatto con porzioni abbondanti di ogni pietanza presente.
 
«Aspetta, questo non dovrebbe accadere...» mormorò, tra sé, ma ad alta voce.
 
Isaac si voltò a guardarla, ingoiando un boccone piuttosto grande di lasagne prima di risponderle, le labbra ancora sporche di sugo.
 
«Mh? Cosa?» domandò, come se si fosse ricordato solo adesso della sua presenza.
«Questo!» tornò a ripetere Regina mostrandogli la pagina dove si era interrotta «Nessuno di noi ricordava niente delle nostre vite qua a Storybrooke quando eravamo dentro il libro. Perché invece Cruella lo fa? Questo significa...»
 
Isaac afferrò un tovagliolo di seta e si pulì le labbra prima di rispondere.
 
«Ah, quello!» disse, poi fece un'altra pausa per versarsi dello champagne e trangugiarlo d'un fiato «Beh, è una delle clausole del contratto. Alcuni personaggi ricordano.» risolse, scuotendo le spalle e tornando a mangiare.
«Chi?» domandò allora la Sovrana, incupendosi.
 
Isaac fece di nuovo spallucce, come se fosse ovvio.
 
«Cruella, per esempio. Ed Emilie...- disse, continuando a masticare.
 
Mills sentì un moto di nervosismo farsi largo dentro di lei.
 
«E anche Tremotino, immagino...» aggiunse.
 
Isaac sorrise, alzando il calice mezzo vuoto verso di lei prima di trangugiare il resto del contenuto.
Regina soffiò dal naso, come un drago. Certo, ovviamente. In ogni luogo, in ogni tempo, non c'era niente che il Signore Oscuro non avesse sotto controllo. Ecco perché era sempre stato il primo a svegliarsi dai sortilegi, prima a Storybrooke, poi a Hyperion Hights. Ma, anche così, non aveva comunque senso tutto questo.
 
«Ma nel precedente libro, lui ti aveva chiesto di non ricordare.» rifletté Regina.
 
Isaac si riempì di nuovo il calice e tornò a divorare il resto del contenuto del piatto.
 
«Probabilmente perché la sua vita era diversa. Forse voleva dimenticare qualcosa che invece in questo tempo non è accaduta.» suggerì, facendo un po' di analisi del personaggio.
 
Fu allora che Regina capì.
 
«Neal...» mormorò, sgranando gli occhi.
 
Riprese il libro, quindi tornò indietro di qualche pagina e guardò la prima illustrazione che aveva visto. C'erano Emma e Neal, vestiti in abiti nuziali dello stile usato nella foresta incantata. Erano felici, e si tenevano per mano.
 
«Questa non è solo una fiaba.» mormorò, mentre un brivido le attraversava la schiena «Baelfire è vivo per davvero, in questa linea temporale?»
 
Proprio in quel momento, la porta della grande Sala da Ballo di Villa Gold si spalancò e Gideon rimase immobile a fissarla, un'espressione sconvolta sul volto pallido, in mano una bisaccia piena di pergamene.
L'Autore li osservò lanciarsi dapprima un lungo sguardo sconvolto, quindi rivolgere a lui occhiate esterrefatte.
 
«Isaac...» mormorò Gideon, avvicinandosi «Rispondi alla domanda di Regina, ti prego.»
 
Questi annuì, quasi impietosito, e buttò giù un ultimo sorso prima di concludere, realmente rammaricato.
 
«So che è vivo per davvero.» disse «Ma non so dirvi altro. Perciò non chiedetemi come abbia fatto, perché non ne ho idea.»
 
Nonostante la sua natura lo portasse a non empatizzare più di tanto con i personaggi delle storie che raccontava, l'espressione quasi disperata che vide emergere sul volto di Gideon dopo quella risposta lo addolorò davvero molto.
Il ragazzo si abbandonò sul divano accanto a Regina, lasciando cadere i contratti e scuotendo il capo.
 
«Emilie, che hai combinato?» mormorò angosciato.
«Credi che abbia macchiato la sua anima per salvarlo?» gli domandò Regina, preoccupata quanto lui.
 
Lo vide tornare a scuotere la testa.
 
«Le istruzioni erano molto chiare. Una vita per una vita, è questo il prezzo da pagare per riavere indietro un Signore Oscuro che ha raggiunto gli inferi.» le disse «La prima volta Zelena ha ingannato Baelfire ed è stato lui ad apporre il sigillo, ma ora...» sospirò profondamente, inquietato «Non ho neanche la più pallida idea di quale sia stato il modo in cui Emilie abbia deciso di salvare Bae, ma non può essere che un omicidio...»
 
Regina assunse un'aria grave e triste, e cercando un modo per consolarlo si rese conto di non averne. Anzi, quella prospettiva non faceva che peggiorare la situazione, perché l'unica cosa che manteneva Emilie un passo indietro rispetto dall'oscurità era la promessa fatta a suo padre, e se l'aveva davvero infranta allora... per lei non poteva più esserci alcuna speranza di ritornare indietro.
Sospirò anche lei, sentendo l'ennesima fitta al cuore e chiedendo dentro di sé scusa al proprio maestro.
"Avrei dovuto impedirle di partire. O magari invitarla a restare da me, al Castello, dove avrei potuto tenerla d'occhio. Costringerla, se fosse stato necessario."
D'improvviso, Gideon si alzò e le prese il libro dalle mani
 
«Basta!» decretò «Devo andare da lei, non posso perdere altro tempo.»
«Ma non ho finito.» provò a farlo ragionare Regina «E la storia potrebbe riservare altre sorprese.»
 
Gideon scosse il capo, riprendendo in mano i contratti e porgendoglieli.
 
«Non importa, ora so tutto quello che devo sapere.» disse «Continuerai a leggere dopo che sarò entrato e se qualcosa dovesse sfuggirmi verrai ad aiutarmi. Solo in caso di estrema necessità.» la avvisò, consegnandole la bisaccia e poi lanciando uno sguardo ad Isaac, che sorrise e annuì
«Il ragazzo sa il fatto suo. Io lo ascolterei.» suggerì scoccandole un occhiolino che tuttavia alla donna non piacque per niente.
 
Era una pessima idea, anche se capiva bene l'angoscia del ragazzo.
 
«Se tua sorella ha già oltrepassato quel confine c'è poco che potresti fare per aiutarla» consigliò.
«Ma se non lo avesse ancora fatto?» la incalzò Gideon «Se ci fosse ancora una speranza, non vorrei mai pensare che un mio semplice ritardo possa aver vanificato tutto.»
 
La Sovrana lo guardò negli occhi, gli stessi coraggiosi e sinceri di sua madre. E sorrise, ricordando quante volte Belle avesse avuto il potere di salvare la Bestia dall'oscurità.
Magari tra i loro figli sarebbe successa la stessa cosa.
Lo abbracciò, sciogliendosi in un sorriso.
 
«Va bene. Ma sta attento, e ritorna tutto intero. D'accordo?»
 
Il giovane annuì di rimando, sorridendo grato. Quindi aprì il libro e cercò un disegno che raffigurasse il castello, trovandone solo uno che lo mostrava in lontananza su una collina. Mentre lo sistemava sul pavimento e cercava di appiattire il più possibile la pagina, Regina rivolse una lunga occhiata severa all'autore e lo vide trattenere a stento un sorriso. Un sospetto si s'insinuò nella sua mente. Nel suo tempo, all'epoca Gold e quell'uomo avevano stretto un'alleanza.
Probabilmente lo avevano fatto anche in quel tempo, e continuava ad avere la sensazione di star facendo esattamente ciò che Tremotino si aspettava. Il Tremotino di quel tempo però, più giovane e meno incline alla bontà, ancora alla ricerca del potere.
Se fosse stato presente, il Tremotino che era anche padre di quei due ragazzi le avrebbe detto di non lasciarsi ingannare dalle apparenze e cercare di guardare il quadro generale delle cose. Ci stava provando, ma non riusciva a distinguerlo e questo la innervosiva ancora di più, perchè le ricordava che in faccende di questo genere lui era sempre stato un passo avanti.
"Vorrei che fossi qui, Maestro." pensò, mentre osservava Gideon prepararsi "Sono i tuoi figli, mi sento così responsabile! Se ci fossi tu sarebbe tutto diverso. E forse Emilie non avrebbe avuto neanche bisogno di vendere il proprio cuore all'oscurità. Non avrebbe avuto bisogno di fare niente di tutto questo."
E, anche se lei non poteva saperlo, in risposta a quella preghiera l'anello che la Principessa portava al dito riprese a brillare, illuminando il buio della notte che la avvolgeva mentre lei dormiva abbracciata al suo futuro sposo, al sicuro tra le mura del castello di bugie che la penna dell'autore le aveva regalato.
 
***
 
Realtà alternativa,
Regno del Cavaliere di Luce
 
La notte era scura e silenziosa, tra le mura del castello, esatta riproduzione del Castello Oscuro, le ombre che si muovevano sulle pareti sembravano prendere vita e forma, sibilando parole incomprensibili in una lingua che ricordava il sibilo dei serpenti.
Era ricco di dualità, quel castello. Di giorno la luce del sole faceva risplendere ogni angolo e brillare ogni cosa come fosse fatta d'oro, dentro e fuori le sue mura. All'esterno, le mura apparivano bianche come avorio e preziose come alabastro, e i gargoyle poste a difenderli erano draghi alati, chimere, leoni rampanti e cavalieri con la spada sguainata in sella ai loro nobili destrieri. L'oro dei pennacchi rifulgeva vivido, rendendosi visibile anche a chilometri di distanza.
Non appena calavano le tenebre, però, tutto assumeva contorni più raccapriccianti.
I cavalli e i draghi di pietra diventavano scheletrici e mostruosi, l'avorio delle mura si trasformava in fredda roccia e i pennacchi apparivano come frecce acuminate pronte a trafiggere il cielo fino a farlo sanguinare.
I corridoi si riempivano allora di angoli oscuri, ombre e sussurri, l'oro delle statue si trasformava in argento e i volti perfetti e gentili dei busti diventavano maschere terrificanti e mostruose. Magia, o pura illusione ottica?
Nessuno lo sapeva, perché nessuno sembrava accorgersene. Nessuno tranne i veri padroni del Castello, ovvero Mr. Gold e sua figlia, che come il Cavaliere della Luce della leggenda avevano solo cambiato forma, mantenendo intatta la sostanza e i propri ricordi.
Il tempo scorreva diversamente in quel reame fasullo, e un giorno nella realtà poteva anche essere una settimana o un mese in quel mondo fatto di sogni e illusioni. Da quando era arrivata, Emilie non faceva che ripeterselo. "È tutto finto. Non perdere la concentrazione, non lasciare che questa realtà annebbi il tuo pensiero critico e t'impedisca di ragionare con lucidità."
Ma più andava avanti in quella recita, più le risultava difficile. Era il prezzo da pagare, l'unico inconveniente nei suoi piani di vendetta. Per questo motivo, ogni notte, lei e suo padre s'incontravano da soli sotto il grande salice al centro del cortile e parlavano, facendo il punto della situazione o semplicemente raccontandosi quello che non avrebbero mai avuto modo di confessarsi durante il giorno. Della famiglia, soltanto loro due infatti avevano conservato intatti i ricordi del mondo reale, mentre gli altri avevano assunto in tutto e per tutto le nuove identità come se non ne avessero mai avute altre. Un sortilegio diverso, che richiedeva un prezzo diverso e che presto sarebbe stato spezzato. Ma più passavano i giorni, più tutto sembrava farsi nebbioso e patinato, come se quella nuova vita fosse realtà e il mondo fuori da quelle pagine un sogno.
Per questo quegli incontri erano diventati così importanti per loro. Erano gli unici momenti in cui potevano ricordare a loro stessi il motivo per cui si erano dovuti lanciare in quel rischio.
Si incontravano sotto quel salice quando il campanile della torre suonava le due di notte, si prendevano per mano e si facevano sempre la stessa domanda per prima.
 
«Chi sei?»
«Sono Tremotino, il Signore Oscuro. Il mondo mi conosce con diversi nomi ma uno di questi è Mr. Gold. Per anni ho cercato sempre e solo il potere, antepone dolo a qualsiasi altra cosa, perché è quello che sono. Un codardo. E un uomo debole che ha sempre creduto di riuscire a riscattarsi con il potere, ma è diventato forte solo grazie a suo figlio, è al vero amore di una principessa che non credevo mai potesse essere il mio. Lei si chiama Belle. Ora, solo grazie a lei, sono un marito e un padre migliore. Un uomo che sa amare e sa cosa vuol dire essere amato davvero.»
«Sono Emilie Gold, ultima figlia di Tremotino e della sua Belle. Sono il frutto del vero amore, nata alla fine del Tempo e ai confini del mondo magico, sono una sorella e una strega. Ho attraversato mondi e epoche diverse per restituire alla mia famiglia un lieto fine degno di essere vissuto. E mentre viaggiavo ho conosciuto anche il mio vero amore. Lui si chiama Ewan, e un suo bacio è stato sufficiente a risvegliarmi quando credevo di aver perduto la battaglia più importante prima ancora di averla iniziata.»
 
Poi si prendevano per mano, e proprio come quando Milly era piccola, iniziavano a danzare sulle note inudibili di un valzer che conoscevano solo loro, continuando intanto a farsi sempre le stesse domande, come se si conoscessero per la prima volta.
 
«E da dove vieni?»
«La mia casa al momento è a Storybrooke, una città nel Maine in quello che molti chiamano mondo reale, una terra senza magia. Ma ho conosciuto molti mondi, e vissuto molte epoche. Ho più anni di quanti si possa credere, e ho visto più cose di quelle che sarei riuscito a sopportare.»
«La mia casa è dove c'è la mia famiglia. Nella piccola casina nel regno ai confini del tempo dove ora mio fratello Gideon mi attende invano. A Storybrooke, nel negozio di antichità di mio padre, a Villa Gold e dovunque il mio Ewan deciderà di restare.»
«Perché sei qui?»
«Perché questo richiede la storia. Ma questa favola non durerà in eterno, e quando tutto finirà so che dovrò fare i conti con l'oscurità che divora il mio cuore.»
«Perché è l'unico modo che ho per proteggere chi amo. Papa. Mamma. Baelfire. Ewan. Io sarò al loro fianco dovunque la storia ci porterà, perché è ciò per cui sono nata. Sarò il loro ombrello nei giorni di pioggia. A qualsiasi costo.»
 
Infine, a mani sempre più strette, Emilie chinava il capo appoggiandolo sul suo petto e ascoltando il suo cuore battere, l'unica cosa vera in quell'opprimente finzione. E lui la stringeva come faceva con Baelfire quando di notte lo cercava dopo un incubo, accarezzandole i capelli e raccontandole una storia che sapeva di famiglia, quella di una Bestia che aveva imparato ad amare grazie ad una Bella che aveva saputo come guardare oltre le apparenze.
Era importante, vitale, che il silenzio non calasse mai assoluto tra di loro. Perchè era nel silenzio che la mente tornava ad annebbiarsi, a recitare un copione già scritto. Perciò quando non avevano più nulla da dirsi Emilie iniziava dolcemente a canticchiare sottovoce la canzone sulla quale aveva visto molte volte danzare i suoi genitori. A volte, quando se la sentiva, aggiungeva anche le parole, e chiudeva gli occhi sentendo suo padre sciogliersi.
 
«È una storia sai
Vera più che mai

Solo amici e poi

Uno dice un noi,
tutto cambia già.

Ti sorprenderà
Come il sole ad est
Quando sale su
E spalanca il blu
Dell'immensità

Stessa melodia
Nuova armonia
Semplice magia
Che ti cambierà
Ti riscalderà

Quando sembra che
Non succeda più
Ti riporta via
Come la marea
La felicità...
»
 
Una poesia dolce per una melodia altrettanto delicata, una carezza per l'anima che rievocava ricordi pregni di quell'unica magia in grado di rompere qualsiasi incantesimo: il vero amore. La prima volta che l'aveva sentita, Tremotino aveva pensato fosse una cosa molto dolce, quasi commovente.
 
«È molto bella.» le aveva detto rivolgendole un sorriso e un occhiolino «E tu canti molto bene...» facendola arrossire.
 
In risposta lei aveva sorriso e mentre le prime lacrime inondavano i suoi occhi gli aveva avvolto le braccia attorno al collo, stringendolo forte.
 
«Ti voglio bene, papa.» aveva sussurrato con la voce tremula per l'emozione.
«Anche io, Lucertolina.» aveva replicato lui, strappandole un risolino divertito.
 
Lucertolina, si. E non Principessa. Non in quel mondo dove quel titolo le apparteneva già, e faceva parte di quella recita opprimente.
Lucertolina era un soprannome che apparteneva alla realtà, un modo come un altro per farle capire che non si era dimenticato di lei e di ciò che aveva fatto per loro, per restare accanto alla sua famiglia e a lui.
Quando lo sentiva chiamarla così, voleva dire che un altro giorno era passato senza che il suo papà fosse caduto nel tranello di quel sogno lucido e l'avesse dimenticata. E quando, alla fine di ogni notte, il crepuscolo giungeva a reclamare il posto della notte, loro due si salutavano con un bacio e con un "ci vediamo domani" che li conduceva sempre ad un nuovo giorno da Re ed Erede al trono e alla notte successiva, in cui di nuovo avrebbero potuto ritagliarsi un momento per loro.
Quella notte appena iniziata, però, era diversa.
Perché dopo quasi una settimana passata insonne a chiedersi angosciata per quanto tempo ancora avrebbero potuto andare avanti e se Gideon avesse o no "ricevuto il suo messaggio", il sonno fu talmente tanto da indurla a dormire profondamente e a non accorgersi nemmeno dei rintocchi dell'orologio della torre.
Quando quello dell'una di notte suonò, lei era già sprofondata in un buio fitto, e mezz'ora prima di quelli delle due la parte più oscura di lei le fece visita nelle vesti del Tremotino del Desiderio, tornato a tormentarla dal regno dei morti, o semplicemente richiamato dalla strenua lotta che aveva ingaggiato per resistergli. Lotta iniziata molto tempo fa, quando aveva dovuto scegliere tra la vita di Baelfire e la purezza del suo cuore, sacrificando quest'ultima in cambio della felicità di suo padre.
A Storybrooke e durante i suoi viaggi era riuscita a tenerlo a bada, ma ora si ritrovò di nuovo vulnerabile. Perché quella realtà fittizia era fatta dello stesso Oscuro potere che aveva impregnato l'isola che non c'è, e in essa il confine tra sogno e realtà era molto più sottile, e il velo che li separava molto più facile da squarciare.
 
***
 
Dapprima fu solo una risatina scommessa, alla quale lei reagì sobbalzando e guardandosi intorno. Era in piedi, al centro del nulla. E qualcuno, alle sue spalle o forse sopra di lei, la osservava. Occhi folli. Occhi da Coccodrillo privi di amore o speranza.
 
«Emilie...»
 
Un sussurro sottile. Quasi uno scherno.
La ragazza rabbrividì, e proprio allora quel qualcuno prese forma, materializzandosi dietro di lei e afferrandole d'improvviso le spalle.
Forse per istinto, o forse perché in fondo era ciò che stava cercando di fare da tempo, per difendersi la ragazza fece la prima cosa che le venne in mente. Estrasse dallo stivale il pugnale senza nome e glielo piantò nel cuore, ma a quel punto il Tremotino del Desiderio rise, chiudendo la propria mano sulla sua.
 
«Ma brava, cara.» le disse divertito «Ottimi riflessi. Sarai riuscita a distruggermi o...» con uno strattone la indusse a tirar fuori la lama dalle carni «Mi avrai solo reso più forte?»
 
E mentre lo guardava sanguinare e svanire senza mostrare il minimo dolore, vide rapidamente il proprio nome apparire sulla lama del pugnale e la pelle della propria mano diventare squamosa come quella del mostro che aveva appena ucciso.
Inorridì, lasciando andare il pugnale.
 
«No...» mormorò spaventata, ma il cuore che le batteva a mille in petto d'improvviso iniziò a dolerle fino a mozzarle il fiato e farla cadere in ginocchio, denti stretti e le dita scure di fuliggine che artigliavano il corsetto rosso «No...» pianse.
 
Il Coccodrillo riprese a ridere, dentro la sua testa.
 
«Inutile opporsi. Ormai è dentro di te.» una risata cupa, quasi sadica «E le piaci anche molto. Molto più di qualsiasi altro cuore essa abbia assaggiato. Quanto talento! Quanto potere! Oh, non far finta che non ti piaccia... lo sappiamo entrambi che non puoi farne a meno. Questo è il tuo destino, mia cara. Lo è sempre stato, fin dal principio. Tu ed io... insieme nell'oscurità. E vissero per sempre felici e contenti.»
 
L'ultima risata del Coccodrillo risuonò nell'aria assieme ai rintocchi delle due, tutto tremò e un'altra voce scosse ogni cosa, inducendola a svegliarsi.
Qualcuno la chiamò per nome. Era Ewan, che la scuoteva preoccupato.
 
«Emilie! Emilie, sveglia! Stai avendo un incubo! Sveglia, sono Ewan!» esclamò.
 
Riaprì gli occhi di scatto, annaspando, e si aggrappò alle sue braccia dimenticando per un istante di essere ancora sdraiata a letto.
Furono gli occhi sgranati del suo amore a fargliene rendere conto. In quel mondo, lui la amava come nella realtà, ma la storia nella sua testa era un po' diversa. Niente salti temporali a dividerli, niente lunghe attese, o cocenti delusioni. Il loro amore, almeno per lui, aveva avuto tutto il tempo per svilupparsi. Questo perché, nonostante le avesse dimostrato ampiamente di non averla mai né giudicata né incolpata, il senso di colpa per averlo fatto soffrire inutilmente continuava ad attanagliarla e in quel mondo aveva a tutti i costi voluto provare a rimediare regalandogli ricordi migliori.
Gli stessi che gli impedirono ora di comprenderla fino in fondo come invece avrebbe potuto fare se fosse stato lo stesso Ewan di sempre.
Eppure... eppure il solo averlo accanto funzionò, perché sapeva che lui, a differenza degli altri, al loro ritorno alla realtà l'avrebbe amata e compresa lo stesso.
 
«Ewan...» mormorò, guardando i suoi occhi nocciola, limpidi come il cielo del mattino «Ewan...»
 
Lui le sorrise, accarezzandole piano gli zigomi dolci e le guance umide. Quel calore familiare la riscaldò, restituendole la capacità di respirare.
Lui annuì, stringendola forte e permettendole di affondare il viso nell'incavo del suo collo, inspirando a grandi sorsi il profumo della sua pelle, che sapeva di miele e foresta.
Non poteva parlare. Non poteva neanche tentare di spiegargli, perciò si limitò a dar sfogo alle sue lacrime e ad accettare le sue carezze sopra i suoi lunghi capelli castani.
 
«Va tutto bene...» lo sentì ripetere «È tutto apposto, Lucertolina. Sono qui con te.»
 
All'improvviso il suo cuore si fermò per un battito soltanto. Si riebbe e lo guardò, sgranando gli occhi.
Lui le sorrise, scoccandole un occhiolino.
 
«T-tu...» mormorò «Come mi hai chiamata?»
 
Ewan seguitò a guardarla con amore, levando una mano per concederle un'altra carezza. Ma lei lo fermò, stringendo quella mano nella sua e tornando a chiedere, mentre la speranza riemergeva nei suoi occhi.
 
«Ewan...» mormorò «Tu...»
 
Lo vide annuire piano, commosso.
 
«Io sono Ewan.» iniziò «Sono un arciere della banda di Robin Hood e per amore ho compiuto il più grande sacrificio: guardare il tempo passare.
La donna che amo è Emilie Gold, figlia del Signore Oscuro. Per lei ho affrontato draghi, e fiumi impetuosi. L'ho vista affrontare perfino gli dei per regalare un lieto fine alla sua famiglia, ed è proprio per questo che la amo. Perché lei è indomita, come il vento e il mare, e tenace come l'edera che cresce sulle vecchie mura del Castello Oscuro. Ed è bella... come sua madre, e come il sogno più paradisiaco mai fatto.»
 
Quello, quello sembrava un sogno. Ma non lo era, per fortuna. Emilie se ne rese conto stringendo le sue mani e avvertendo il calore della sua pelle dissipare il freddo della notte che li circondava.
Mentre lo ascoltava parlare, riprese a piangere, e quando ebbe finito si avventò sulle sue labbra e le divorò, perdendosi ad ogni respiro e sentendo lui fare lo stesso. Come l'ultima volta a Storybrooke, si amarono, profondamente e completamente, perché era l'unico modo che avevano per confermare che fosse la verità e non ennesima illusione.
Quando infine si ritrovarono stretti l'uno all'altra, ascoltando quel cuore battere forte, Emilie regolarizzò al ritmo del suo respiro e aspettò di essere abbastanza calma prima di domandare, gli occhi brillanti di felicità.
 
«Da quanto tempo ricordi?»
 
Lui sorrise, tornando ad accarezzarle i capelli.
 
«È successo tre giorni fa.» le spiegò «Quando mi hai baciato sotto al salice nel cortile. Ricordi?»
 
Si. Si, lo ricordava.
Era stato uno di quei momenti in cui aveva temuto di dimenticarsi di lui, un attimo in cui i ricordi della nuova Emilie si erano fatti più intensi e per non cedervi lei lo aveva afferrato e aveva trangugiato a grandi sorsi i suoi sospiri.
Forse era stata la sua voglia di riaverlo con sé, o forse semplicemente il potere del vero amore. Alla fine, comunque, l'incantesimo si era sciolto anche per lui. Ciò voleva dire, che la discesa era iniziata.
"Quando ognuno dei protagonisti avrà ricordato il suo passato, la storia si concluderà e tutti loro torneranno a casa" diceva il contratto che aveva sottoscritto l'autore. Niente bacio del vero amore, stavolta. Per uscire da quell'incubo sarebbe bastato solo che ognuno di loro ricordasse. Ma questo processo poteva essere facilitato. Dal bacio del vero amore, per alcuni. Per tutti coloro che tuttavia non avevano ancora trovato il loro, il tempo sarebbe giunto quando "un uomo proveniente da Storybrooke" sarebbe "entrato nella storia, risvegliando con la sua sola presenza le coscienze di tutto il Regno".
Pensò a Gideon, chiedendosi se non fosse il caso di controllare a che punto fosse nella missione che gli aveva affidato. E quel pensiero la portò a concentrarsi nuovamente su suo padre.
La campana della torre suonò mezz'ora da aggiungere alle due, e d'un tratto lei si riscosse.
 
«Papa!» esclamò allarmata, alzandosi e iniziando a rivestirsi «Presto, vieni con me!» gli disse, guardando la sua espressione confusa e preoccupata.
«Dove?» le chiese lui, iniziando intanto a prepararsi a sua volta.
«Sotto al salice, nel cortile. Io e papà ci vediamo lì ogni notte per evitare che questi ricordi svaniscano. Ora che ti sei svegliato dovresti farlo anche tu, perché col sole domani potresti tornare a dormire.» spiegò «Fino a che mio fratello non sarà arrivato, il pericolo è che la magia che permea questo regno ci possa indurre a perderci.»
 
Lo vide sorridere.
 
«Ah, quindi ecco dove sparivi ogni notte» scherzò.
 
Lei gli restituì il sorriso, ma non perse troppo tempo e infilati gli stivali attese che anche lui lo avesse fatto per poi prenderlo per mano e trascinarlo fuori dalla stanza.
 
«Presto!» gli disse «Facciamo presto. Ogni secondo è importante» concludendo poi, cupa «Papa non deve addormentarsi. Non lui.»
 
Non poteva perdere suo padre proprio ora che anche Ewan si era risvegliato.
 
***
 
Lo trovarono in piedi sotto il grande salice, avvolto dall'oscurità, intento a riflettere fissando la mezzaluna che illuminava il cielo scuro sopra di loro.
 
«Papa!» lo chiamò lei, correndogli incontro.
 
Ewan li vide abbracciarsi forte e quando fu abbastanza vicino sentì il Signore Oscuro domandare.
 
«Temevo non saresti venuta. Cos'è successo?»
 
Ma non ebbe bisogno di risposte quando lo vide sopraggiungere con un sorriso.
Gli lanciò una delle sue solite occhiate severe e indagatici, e sorrise compiaciuto quando lo vide accennare un inchino e chiamarlo, rispettosamente
 
«Mr. Gold.»
 
Gli rispose con un cenno del capo, poi guardò sua figlia e la vide aprirsi in un sorriso radioso.
 
«È sveglio, papa!» esclamò contenta «Lo è da ben tre giorni!»
 
Tremotino annuì, sinceramente felice della gioia di sua figlia.
 
«Lo vedo...» disse, con una punta di ironia, lanciandogli un'altra occhiata alla quale il giovane rispose con un sorriso «Come hai fatto?» gli chiese, e non si stupì della risposta.
 
Emilie lo prese per mano ed Ewan replicò, scuotendo le spalle e sorridendo.
 
«Il bacio del vero amore» rispose Emilie al posto suo, come una bimba entusiasta per il regalo ricevuto.
 
Poi però si intristì.
 
«La mamma?» domandò.
 
Tremotino seguitò a sorridere, solo un po' più malinconico, scuotendo semplicemente il capo.
 
«Mi spiace...» mormorò allora sua figlia, staccandosi dal suo amore e abbracciandolo forte.
 
Lui l'accolse, stringendola a sua volta e accarezzandole tenero i morbidi boccoli castani.
 
«Meglio così...» le disse quando il momento finì «Se ricordasse, non credo sarebbe felice...» e a quelle parole il suo sorriso si spense del tutto, lasciando il posto ad un'espressione triste e preoccupata.
 
Sua figlia gli prese la mano, impensierendosi a sua volta.
 
«Sono io che le ho mentito.» tentò di confortarlo «L'idea è stata mia. E ad ogni modo, questo è un punto fisso nel tempo, non avremo potuto fare altrimenti.»
 
Ma suo padre annuì, restando serio.
 
«Si, lo so. Ma non sarà questo a dividerci.» le rispose.
 
Di nuovo, la Lucertolina tentò di sollevarlo dall'angoscia.
 
«Non hai avuto scelta, papi?» gli disse «È l'unico modo. So che mamma non la penserà così, ma cambierà idea. Te lo prometto, riuscirò a farla ragionare.»
 
Mentre li osservava parlare, Ewan ripensò alla conversazione che aveva avuto in macchina al confine della città, alla sua angoscia e a quegli occhi grigi pieni di lacrime. E osservandoli adesso vide la stessa immagine riflessa in due specchi diversi.
Non aveva idea di cosa angosciasse il Signore Oscuro, ma forse tutto era legato al suo cuore ancora malato, che aspettava solo di tornare al mondo reale per ricominciare a far male per davvero.
 
«Il vostro è vero amore.» disse quindi, sostenendo quello sguardo con coraggio e determinazione «La forma più pura. E questo non potrà mai cambiare. Siete stato voi stesso a dirmelo, una volta. Due cuori uniti dal vero amore troveranno sempre il modo di ricongiungersi l'uno all'altro, qualsiasi cosa accada. Dovete solo credere fermamente che sia così.»
 
Tremotino annuì, rivolgendogli uno sguardo fiero.
Quando lo aveva conosciuto, quel giovane era alla ricerca del proprio lieto fine. Non avrebbe mai pensato che lo avrebbe trovato con sua figlia. Quando lo aveva rivisto per la prima volta neanche si era ricordata di lui fino a che non aveva visto il dente di drago. Non dimenticava mai le storie dietro un suo oggetto, ma non avrebbe mai creduto che quel giovane potesse ricordarsi di quel dettaglio.
 
«Si» rispose «Ricordo bene quando te lo dissi.»
 
Era stato per convincerlo a lasciargli quel prezioso ninnolo. Il giovane arciere contava molto sul potere portafortuna di quell'amuleto, talmente tanto da non volersene separare nemmeno per ritrovare la donna che pensava fosse destinata a lui.
E Tremotino, da bravo stratega, aveva cercato di far leva su quel desiderio per indurlo a cedere. Ci era riuscito, ma ora si rese conto di quanto quelle parole dette quasi con noncuranza fossero invece diventate preziose e pesanti come l'oro.
Non solo quel dente di drago era stato davvero capace di condurlo al suo vero amore, ma ora era Ewan stesso a ricordargli di quando anche lui ci aveva creduto, per la prima volta davvero, solo grazie a Belle.
Gli rivolse uno sguardo paterno, poi guardò la mano che stringeva quella di sua figlia.
 
«E un tempo, se me lo avessi chiesto, ti avrei risposto che ci sono ostacoli che nemmeno il vero amore può superare. Ma guardandovi ora, mi rendo conto di essermi sbagliato, e anche molto...»
 
Emilie si sciolse in un sorriso commosso, allungando una mano verso di lui che la prese tra le dita e se la portò alle labbra, stampando un bacio sul palmo.
 
«Forse si tratta solo di avere più fede...» mormorò, grato e quasi divertito.
 
Ewan annuì, sorridendo a sua volta. E anche se non disse nulla, per la prima volta da quando lo aveva incontrato, ad Emilie sembrò quasi di rivedere il Tremotino che l'aveva cresciuto.
Quello che aveva di fronte era più giovane, certo. Ancora troppo Oscuro, ma già nei suoi occhi si era accesa una luce diversa, più saggia, buona e coraggiosa, e non per merito di quella realtà illusoria in cui erano immersi.
No. Quella bontà che vide affacciarsi per un momento in quella versione di suo padre era la stessa che aveva scorto per un istante anche nel Tremotino del Desiderio. Ed era soprattutto merito suo.
 
***
 
Storybrooke,
Presente.
 
«Quindi, devo solo saltare? Tutto qui?»
 
In piedi al centro della stanza, Gideon diede un'occhiata confusa al libro aperto sul pavimento e poi rivolse quella domanda a Regina e all'autore, che lo osservavano da dietro la scrivania.
 
«Esatto» rispose Isaac, annuendo con un sorriso «Pensa a tua sorella, fai un bel salto e sarai dentro. Non preoccuparti per le proporzioni. La magia farà il resto.»
 
Regina Mills si limitò ad annuire, e lasciò che fosse il suo sguardo preoccupato a parlare per lei.
Gideon Gold sospirò, quindi appoggiò la mano destra sull'elsa della spada che aveva pensato con sé, prendendola in prestito da una delle armature non incantate che costellavano il corridoio principale della Villa, e annuì prendendo un lungo respiro.
 
«Va bene allora... auguratemi buona fortuna» sorrise, ma era una smorfia preoccupata.
«Fatti valere!» gli rispose Isaac, alzando verso di lui entrambi i pollici.
«Sta attento» fu la risposta più cauta della Sovrana.
 
Fece cenno affermativo con la testa, strinse la mano sull'elsa sentendo il cuore accelerare, poi si calò il cappuccio del mantello sul volto e dopo un altro paio di passi indietro prese la rincorsa e saltò, chiudendo gli occhi e trattenendo il fiato.
Fu come lanciarsi nel vuoto.
Solo un istante di paura, gli mancò la terra sotto i piedi e avverti i suoi sensi acuirsi poi, con un tonfo sordo, le suole degli stivali tornarono a calpestare il suolo.
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo V
 
Lo straniero riaprì gli occhi sgranandoli, e allargando le braccia per riprendere equilibrio.
Intorno a lui era notte, e c'era un silenzio pacifico.
Si trovava sul sentiero che portava al castello; l'edificio svettava imponente all'orizzonte ma era difficile scorgerne i dettagli perché la luna sorgeva alle sue spalle e per ora ne illuminava coi suoi raggi lattei solo il profilo, rendendolo alquanto sinistro in verità, come un mostro che avanzava nella valle pronto a divorare chiunque avesse incontrato sul suo cammino. Il solo guardarlo lo angosciò, ancor di più pensare che avrebbe dovuto accedervi per incontrare sua sorella, l'artefice di tutto questo. Decise di concentrarsi sul modo in cui farlo, quindi tornò a guardarsi intorno alla ricerca di un'idea.
A qualche metro di distanza, qualcuno stava tentando di scaldarsi con un falò improvvisato sul bordo destro della strada. Era troppo lontano per capire di chi si trattasse, ma vide una sola sagoma nera e capì dal modo in cui rimaneva china sul fuoco che non aveva alcuna intenzione minacciosa, quindi decise di avvicinarsi.
Mano a mano che lo faceva, notò che aveva qualcosa di familiare, ma soltanto quando riuscì a guardarlo in faccia lo riconobbe, e rimase sconcertato a fissarlo mormorando il suo nome quasi senza riuscire a crederci
 
«Killian Jones...»
 
Il pirata lo scrutò intensamente, ma la sua espressione era confusa, quasi frastornata.
Provò a ricordarsi di lui, ma quando si rese conto di non poterlo fare sospirò e chiese, quasi scocciato.
 
«Perdonami, non credo di conoscerti.»
 
Scaturendo in lui un moto d’imbarazzo e una folle paura di averlo irritato. L'ultima cosa che gli serviva era che anche quel Killian Jones provasse a ucciderlo. Perciò, costretto dalla situazione, non gli restò che fare appello alla sua ultima risorsa: mentire, o almeno provare a spiegare in altro modo una verità che altrimenti avrebbe rischiato di compromettere l'intero esito della sua missione.
 
«I-io...» esitò, cercando di trovare le parole giuste «In un certo senso. Conoscevi mio padre. Voi...» sorrise, nascondendo a malapena l'imbarazzo «Avete lavorato insieme per un po'.»
 
Si, si poteva dire anche così.
Vide Killian corrucciarsi, cercando di ricordare. Lo squadrò, le rughe sulla sua fronte si moltiplicarono e per un attimo Gideon temette di aver osato troppo. Aveva ancora in mente la reazione del Killian del desiderio, la sensazione delle sue mani strette attorno al collo e l'ossigeno ridotto all'improvviso.
Fece per indietreggiare, ma quando lo vide annuire e tornare a rivolgersi a lui ancora calmo e pacato, la paura passò.
 
«Mi sembri un viso familiare, quindi ti credo sulla parola» risolse, poi scosse la testa e sorrise «Ho avuto molto a cui pensare ultimamente. Come si chiama tuo padre? Magari mi rinfrescherà la memoria...» chiese, invitandolo ad accomodarsi accanto al fuoco vicino a lui.
 
Ma proprio quando stava per accettare, decidendo se rispondere con la verità o un'altra bugia, un ringhio gutturale e sommesso alle sue spalle allertò entrambi.
Si voltò, mentre il pirata scattava in piedi.
Fu questione di un attimo, un breve istante caotico.
Dal folto della boscaglia si levò uno spettrale ululato che li fece rabbrividire fino a pietrificarli, poi una macchia d'oscurità piombò su di loro.
 
«Attento!» urlò Killian, ma il lupo lo aveva già travolto.
 
Non era un lupo comune, Gideon se ne accorse dalla stanza imponente e dagli occhi, di un blu intenso. Riconobbe la descrizione dei lupi mannari che aveva studiato nei libri di suo padre, al Castello Oscuro. Un'idea attraversò la sua mente, e lui decise di seguirla, anche perché non aveva molte altre alternative.
La bestia gli era sopra, con un morso gli levò dalle mani il bastone con il quale si era difeso e lo spezzò come fosse fatto di burro. Poi fece per attaccarlo, e a quel punto lui urlò, con tutto il fiato che aveva in gola.
 
«Fermati, Ruby! Ruby! Red!»
 
D'un tratto, l'animale si bloccò, e quegli occhi di ghiaccio lo scrutarono sorpresi.
La bestia smise di ringhiare, rinfoderò i canini, quindi avvicinò le grosse narici all'incavo del suo collo e lo annusò, decidendo infine di lasciarlo andare.
Tolse le possenti zampe dal suo petto, si mise a sedere.
Gideon sospirò sollevato, ancora tremante di paura.
 
«Voi vi conoscete?» sorrise Uncino, stupito e ancora scosso.
 
A quel punto il primogenito di casa Gold si mise a sedere, osservando il lupo.
 
«Perché mi hai lasciato andare?» chiese, ritrovando lucidità.
 
Il lupo sembrò sorridere, indicò con un cenno del capo la bisaccia che portava a tracollo e di cui nel trambusto si era completamente dimenticato.
Ci mise qualche istante a capire cosa volesse, ma quando infine la aprì un lembo di stoffa rosso sangue colpì la sua attenzione. Il cuore perse un battito.
Incredulo lo afferrò e lo tirò fuori, sgomento, mentre il lupo attendeva paziente.
Era il mantello di Cappuccetto Rosso. Senza quello, la ragazza era condannata a restare un lupo fino al mattino.
Ma che ci faceva nella sua bisaccia? Lui era sicurissimo di non averlo neanche visto a Storybrooke, eppure eccoli lì. Guardò Uncino, ancora confuso, quindi si avvicinò cautamente al lupo e lo coprì con il pesante broccato.
Questione di attimi, ancora una volta.
Un bagliore dorato, e il lupo tornò ragazza.
 
«Per tutti i diavoli!» esclamò meravigliato Killian Jones «Sei un mago?»
 
Occhi sgranati, un dito puntato contro di lui.
Gideon lo guardò confuso
 
«Cosa? No!» si affrettò a rispondere.
 
Quell'accusa, neanche tanto infondata a pensarci, lo colpì peggio di un pugno nello stomaco.
 
«Allora cos'è quello che ho appena visto? Sono sicuro di non aver mai avuto a che fare con la magia nella mia vita!» tornò ad affrontarlo Killian Jones, sempre più terrorizzato «Magia nera. Si rischia la forca per questo!»
«Lui non è un mago» intervenne Ruby, calma «È solo un messaggero» concluse lanciandogli un sorriso che Gideon non capì, e che a dirla tutta lo confuse ancora di più.
 
La giovane donna lo prese per mano, quindi lo invitò, ignorando il pirata.
 
«Vieni. Ti stanno aspettando.»
 
Ma lui resistette.
 
«No» replicò, accorgendosi solo dopo di averci messo un po' troppa veemenza «Io non posso venire con te» si scusò affranto «Ho una missione, devo...»
 
Ma lei seguitò a sorridere, annuendo e poggiando un dito sulle sue labbra, indicando Killian con un semplice movimento delle pupille.
 
«Lo so» gli disse semplicemente «So già tutto. Sono qui per questo. Lei aveva detto che saresti arrivato.»
 
Quindi fissò Uncino, tranquilla.
 
«Non crucciartene, Killian Jones. Questo non è il tuo cammino, ma il suo» disse guardando Gideon, che la scrutava come un bambino alle prime armi col mondo.
 
La bocca socchiusa, uno stupore genuino in volto, la mano che stringeva la sua quasi dimentica del resto del corpo.
Scomparirono insieme nel folto del bosco, lasciando a Killian Jones abbastanza tempo per respirare e riflettere.
Non aveva idea di cosa avesse voluto dire quella strana ragazza, né chi fosse quel giovane dal volto amico, ma arrovellarsi non sarebbe servito, e gli avrebbe fatto perdere solo altro tempo prezioso.
"Meglio così" decise mentre tornava a riattizzare il fuoco "Magia nera... l'ultima cosa che mi serve è una taglia pendente sulla mia testa."
 
(Continua...)

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Capitolo 14
*** Episodio XIV – Sotto la cenere ***


Episodio XIV – Sotto la cenere


 
Romperò le tue catene / prigioni delle tenebre e della lunga notte /
dalle quali sei impedito / affinché tu non sia condannato
 insieme con questo mondo

 
Raimondo di Sangro - "il disinganno"
 


Passato,
Foresta incantata,
Qualche giorno prima del secondo sortilegio oscuro.
 
La foresta era piena della calda e accogliente, confortante luce del pomeriggio, che riusciva a illuminare il sottobosco penetrando attraverso le folte fronde degli alberi, proiettando splendidi giochi di luce sul pavimento di foglie secche.
La ventenne Emilie camminava quasi saltellando, lasciando andare i suoi occhi su quello spettacolo e cercando in quelle ombre forme conosciute, come faceva con le nuvole. Un passo dietro a suo padre, che invece proseguiva spedito verso la prossima meta.
Da qualche settimana, il Coccodrillo era tornato a impossessarsi quasi del tutto del suo volto, lasciando poco spazio all'uomo che era stato assieme a Belle. Nonostante qualche nota fosse diversa però, nella sua voce e nei suoi discorsi quell'uomo rimaneva presente, ma ormai era più un'ombra dietro al Signore Oscuro, e non viceversa.
Mostrarsi a lei in quel modo era stato difficile. Nonostante ciò, la sua reazione lo aveva sorpreso, e anche un po' preoccupato. Perché, sebbene il cambiamento l'avesse all'inizio un po' sorpresa, Emilie sembrava averlo accolto con allegria, sciogliendosi in un sorriso radioso e abbracciandolo forte. La sua mano destra aveva sfiorato le squame che ricoprivano la pelle della sua guancia e dolcemente aveva sussurrato, gli occhi lucidi
 
«Bentornato, papa
 
Da quel momento, Tremotino non era più riuscito a non pensarci, come se la peggiore delle sue profezie si fosse avverata davanti ai suoi occhi.
Aveva sognato sé stesso, quella notte. Il demone che viveva dentro di lui e stava lentamente tornando a riappropriarsi del suo presente. Lo stesso demone tentatore che aveva incontrato prima che Gideon rinascesse.
Quella volta era riuscito a sconfiggerlo, ma ora, con Emilie, le cose erano tornate a complicarsi.
 
«Di cosa hai paura, Signore Oscuro?» gli aveva la peggiore versione di sé «Non hai visto il suo sorriso? Non hai visto come ti ha guardato? Lei non ha paura dell'oscurità, perché dovresti averne tu? Coraggio, lei ti vuole così. La faresti felice, molto felice. Lascia andare il passato, proprio come hai sempre voluto. Il Signore Oscuro e sua figlia, insieme, possono scrivere una nuova pagina di storia, e magari stavolta puoi davvero vincere. Non è questo che voleva, la tua Belle? Che tu e tua figlia foste felici? Non vorrai mica abbandonarla a sé stessa? Spezzarle il cuore …» il Coccodrillo aveva riso di nuovo, divertito «Oppure fallo. In ogni modo, il male vincerà.»
 
Al solo sentirlo accennare a Belle, il suo cuore aveva tremato e lui era riuscito a rinsavire, ma non era riuscito a provare completo disgusto né per quella risata, né per il piano di quel Tremotino.
Aveva ragione. Lo aveva già fatto altre volte, più o meno volontariamente. A tentarlo adesso però non era più il potere, ma … sua figlia.
 
«Papa!» la voce della ragazza alle sue spalle lo risvegliò dai suoi pensieri «Papa, aspetta!» esclamò, ma la sua voce era allegra.
 
Come sempre, negli ultimi tempi. Si voltò a guardarla, celando la preoccupazione dietro una maschera non proprio perfetta. La vide tagliare la distanza tra di loro prendendo tra le mani i lembi del vestito appartenuto prima di lei a sua madre, con un'espressione eccitata in volto che assomigliava fin troppo alla sua, i capelli spettinati lungo le spalle, gli occhi grigi pieni di luce.
 
«Non mi hai detto dove stiamo andando.» disse, prendendolo sottobraccio.
 
Tremotino sorrise, ma tristemente.
 
«Non manca molto, ormai.» le disse, quindi ripresero a camminare insieme, e lui tornò a chiudersi in un silenzio fin troppo assorto che Emilie riuscì a rompere solo un paio di volte.
 
La prima quando gli chiese, divertita da tutto quel mistero.
 
«Non puoi darmi un indizio? Sono troppo curiosa» ridacchiando di nuovo, come faceva sempre.
 
Di nuovo, suo padre aveva sorriso.
 
«È solo …» disse, ma si bloccò per cercare le parole giuste ed evitare che la sua voce tradisse le sue emozioni.
 
Era diventato sempre più difficile riuscire a frenarsi. E lui non era più abituato a doverlo fare, era stato troppi anni lontano dall'oscurità, aveva perso attimi preziosi per fortificarsi cercando di far felice la sua famiglia. Chiuse gli occhi, quando la voce del Coccodrillo tornò a farsi udire. "L'amore è una debolezza, e tu ne sei caduto vittima. Guarda come ti sei ridotto. Non riesci neanche più a pensare con lucidità. Ti ricordi com'eri, quando ci incontrammo la prima volta? Ricordi come fu facile 'fare squadra'? Sei tornato il Tremotino debole di un tempo, non negarlo."
Sospirò, scacciando quel pensiero con un cenno del capo e concentrandosi sullo sguardo all'improvviso preoccupato di sua figlia.
 
«È un posto in cui non sei mai stata.» le rispose, facendo finta di nulla e scambiando di nuovo il suo tono di voce normale con quello canzonatorio del Coccodrillo, più per strapparle un altro sorriso che per dar ragione alla sua cattiva coscienza «Un promemoria per me … e una lezione per te.» concluse, scoccandole un occhiolino che sortì l'effetto sperato.
 
Tornarono a camminare in silenzio, o meglio lui lo fece, mentre Emilie, incapace di trattenere la gioia e l'impazienza continuò a notare ogni minimo cambiamento "magico" nella luce e nei colori, lanciandogli ogni tanto appigli che lui però non colse mai. Non fino a quando lei non si fermò, e lo guardò negli occhi prendendogli una mano.
 
«Papa, guardami.»
 
Gli occhi di Tremotino guizzarono su di lei. Sospirò, un nodo in gola e gli occhi lucidi all'improvviso preoccupati.
 
«È colpa mia, vero?»
 
Quella domanda lo colpì allo stomaco con una violenza tale da mozzargli quasi il fiato. Era rimasto così tanto invischiato nei suoi dilemmi interiori da dimenticarsi del tutto di lei, ma non avrebbe mai creduto che riuscisse ad accorgersene. Invece lo aveva fatto, e adesso lo fissava con gli occhi gonfi, come colta in flagrante dopo una birichinata quasi degenerata in tragedia.
L'istinto di fingere di cadere dalle nuvole fu forte, così come la voce del Coccodrillo nella sua testa: "Perspicace, la ragazza." ridacchiò "Bene, mio caro, è il momento. Coraggio, respingila!"
Ma non riuscì a fare né l'una, né l'altra cosa. Rimase fermo a guardarla stringere forte la sua mano, e mormorare affranta.
 
«Ho fatto qualcosa di sbagliato. È per questo che sei in pensiero, non è così?»
 
Sotto le squame e il raso delle maniche a sbuffo, la sentì tremare, e fu lo strattone che gli serviva per tornare in sé. Si commosse guardandola prendersi la colpa per una cosa che riguardava solo lui. Non sarebbe dovuto accadere.
Le sue labbra si deformarono in una smorfia di dolore, scosse il capo e la trasse a sé, stringendola in un forte abbraccio.
 
«No, Emilie. Non è colpa tua. È mia …» mormorò, accarezzandole i capelli «Solo colpa mia.»
 
Lei si sciolse in un pianto liberatorio, stringendolo a sua volta. Come a volerlo salvare.
Restarono così per un breve istante, il tempo necessario a far sì che i loro gesti parlassero dell'affetto che li legava, e che esprimere a parole sarebbe stato molto difficile. Poi, avvolgendole le fragili spalle con un braccio come sotto la sua ala protettiva, Tremotino scostò alcuni cespugli che sbarravano loro la strada e le mostrò cosa li attendeva: Una landa desolata, la terra riarsa costellata solo da piccoli arbusti inceneriti. Sullo sfondo, un castello ormai diroccato.
Proprio come il sole dietro le nuvole, il Signore Oscuro guardò il sorriso di sua figlia riaccendersi scacciando rapidamente la tristezza che l'aveva turbata.
 
«Malefica!» esclamò a fil di labbra, staccandosi da lui e avanzando nel sole pieno.
 
Il cielo era azzurro, la luce quasi accecante, e quel paesaggio così impervio da spaventare. Ma lei non aveva paura, ansiosa di ascoltare la prossima lezione che il suo papa aveva preparato per lei e già dimentica del rimorso e della tristezza provata poco prima.
 
«Vedi quell'albero laggiù?» le chiese, puntando l'indice destro contro l'orizzonte, verso la sagoma scheletrita di quello che un tempo era stato l'albero più grande della radura.
 
Emilie annuì, illuminandosi. Conosceva la storia: Malefica aveva perso il suo fioco, e per ritrovarlo Regina l'aveva portata fin lì, dove la strega era riuscita a recuperarlo e ritornare la regina dei draghi.
 
«È lì che ritrovò sé stessa.» replicò, tornando a guardarlo.
 
Tremotino sorrise e annuì, con un cenno della mano trasportò entrambi a pochi passi da esso, in una nuvola di fumo viola. Ora che gli era più vicina, Emilie riuscì a distinguere i dettagli di quel vecchio tronco, dalle possenti radici che bucavano il terreno, alla sommità dei suoi rami più alti, neri come la fuliggine che li ricopriva.
 
«Vedi …» iniziò allora Tremotino, compiendo un passo in avanti e guardandola «Noi, tutti noi, siamo come questo albero. Tizzoni spenti. Innocui, all'apparenza, ma basta un gesto …» e con un movimento rapido della mano accese di colpo le fiamme, facendola sobbalzare per lo spavento.
 
Solo per un attimo, però. Perché subito dopo, la luce ardente delle fiamme negli occhi, tornò a guardarlo e gli sorrise divertita.
 
«E tutto ciò che era sepolto in noi torna a bruciare, più forte di quando credevamo di averlo spento.» concluse lui, sorridendole a sua volta.
 
Emilie si fece attenta, e addolci la sua espressione inclinando di lato il capo e rivolgendogli un sorriso intenerito. Bastò quel gesto, e Tremotino seppe ch'era riuscita a cogliere il punto.
 
«Questa, Principessa, è la lezione più importante di tutte. In ognuno di noi c'è una parte di luce e una di oscurità. Ma, mentre la luce nasce e cresce a poco a poco, come un'alba, l'oscurità è più violenta, più … letale. E subdola.
Può restare sepolta sotto la cenere per anni e anni, silente, come un mostro in attesa. Magari non emergere per tutta la durata della nostra vita. Ma basta la miccia giusta per farla esplodere all'improvviso. E c'è un solo modo per evitare che faccia danni: essere pronti, conoscendola e cercando di alimentarla il meno possibile.» sorrise, sfiorandole con una carezza la guancia, e asciugando con il pollice l'unica lacrima che era riuscita a sfuggire dagli occhi lucidi della sua bambina cresciuta troppo in fretta «Io l'ho capito troppo tardi. È stata tua madre a insegnarmelo.» le disse, paterno «Ma tu … tu sei ancora all'inizio del tuo cammino, hai tutto il tempo per imparare come si fa.»
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo VII


La Foresta era calma e silente, addormentata come tutto il resto del paesaggio. Un passo dopo l'altro, Ruby scivolava nella notte sicura e rapida, guidata dalla pallida luce lunare.
Mentre la seguiva, osservandola in silenzio, Gideon sentì un brivido percorrere la sua spina dorsale, e se ne vergognò. Tra tutti, Cappuccetto Rosso era il personaggio che più lo aveva affascinato, sin da bambino, e non solo per la sua dualità, per il suo legame con la Foresta e quello stile di vita libero a cui i continui viaggi dei suoi genitori lo avevano abituato, facendo sì che all'età di soli sette anni conoscesse già a memoria tutti i posti più belli del cosiddetto mondo reale. C'era qualcosa in Ruby Lucas che lo affascinava, quel riuscire a restare in bilico tra le sue due realtà, il lupo e l'umana, senza mai vacillare. C'era voluto del tempo, lo sapeva benissimo.
E adesso rimaneva il fascino di un essere a metà tra natura selvaggia e umanità, qualcuno nato per riuscire a domare entrambi.
Non si stupì che sua sorella Emilie la trovasse interessante.
Quel pensiero lo riportò al presente, al nocciolo del problema.
 
«Dove stiamo andando?» chiese, stringendosi nel mantello quando realizzò di star tremando per il freddo «Mia sorella è con te?» domandò.
 
Cappuccetto Rosso sorrise, rivolgendogli uno sguardo quasi compassionevole.
Scosse il capo.
 
«Lei è lì» gli rispose, indicando con un cenno del capo la gigantesca e spettrale sagoma del castello che si stagliava con le sue guglie contro il cielo nero.
 
Era visibile perfino dalla fitta foresta, talmente grande che Gideon si stupì quando la sentì aggiungere.
 
«Ma non puoi arrivarci adesso, soprattutto non di notte. Sei ancora troppo lontano.»
 
Si corrucciò.
 
«Lontano?» chiese, tornando a guardare il mostro all'orizzonte «Non sembra così distante, a vedersi.»
 
Ruby tornò a guardarlo, annuendo ma stavolta con più serietà.
 
«È per via del maleficio.» disse, facendogli poi una domanda che lo lasciò basito «Hai letto il libro prima di venire, giusto?»
 
Gideon si fermò, sgranando gli occhi e trattenendo il fiato. A Cappuccetto bastò questo per capire, più di mille parole.
 
«T-tu...» mormorò allora il giovane uomo, esitando un'ultima volta prima di porre la fatidica domanda «Tu sei sveglia? Ricordi chi sei?»
 
La vide annuire, aprendosi in un sorriso.
 
«Sei stato tu a risvegliarmi.» gli rispose «E ora che sei arrivato, presto lo faranno tutti.»
 
Avrebbe dovuto esserne almeno compiaciuto, invece quella notizia non fece che innervosirlo. Perché era la conferma che Emilie avesse architettato ogni cosa fin nei minimi dettagli.
Sospirò, tirando fuori l'aria dal naso come un drago.
 
«Allora forse saprai rispondermi.» le disse, tornando a guardarla «E ti prego di farlo con la massima sincerità.» fece una pausa, gli occhi di Ruby scintillarono nell'oscurità «Tu...» mormorò, stringendo i pugni «Diresti che mia sorella è un'eroina o una cattiva?»
 
Ruby Lucas sorrise, mostrando i canini affilati in un modo che però non risultò affatto minaccioso, anzi. Era innocente, come un cucciolo, un'anima pura.
 
«Mi hai chiesto di risponderti con sincerità...» disse «Lo farò seguendo il mio istinto. Emilie Gold è un'anima libera, come un lupo. Lei non ha pregiudizi, non ama le gabbie. Il potere, la ricchezza, il dominio sugli altri, non le interessano. Lei vuole una sola cosa: che il suo branco sia felice e al sicuro.»
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo X
 
Era l'alba quando Killian Jones riaprì gli occhi. Il fuoco era spento, gli uccelli, nascosti tra le chiome verdi degli alberi sopra la sua testa, cinguettavano allegri salutando il giorno.
Il castello, pur sempre imponente, era tornato a splendere d'Avorio e oro, lontano all'orizzonte in mezzo ad un cielo azzurro e terso, come un cavaliere nobile e coraggioso scintillante nella sua armatura.
Era stata una nottata difficile, la prima in cui era riuscito ad addormentarsi, ma non senza incubi. L'incontro con quello strano duo, il lupo e il mago, lo aveva turbato e la faccia di quel ragazzo era rimasta a fissarlo tra le fiamme fino a che gli occhi, pesanti e arrossati, non si erano chiusi da sè, sprofondandolo in un sonno che per la maggior parte del tempo era stato solo un buio pozzo senza fondo.
Proprio pochi minuti prima del risveglio, però, un sogno strano, assurdo quasi, lo aveva turbato.
Aveva sognato Milah divorata dallo stesso coccodrillo che gli aveva staccato la mano, le sue urla strazianti lo avevano indotto a sudare e tremare ma ancora i suoi occhi non si erano aperti. Lo stava ancora facendo, quando una visione celestiale aveva spazzato via tutto.
Il sangue, le urla, il freddo mortifero. D'improvviso due occhi verdi e una cascata di capelli dorati invasero il suo spazio, e lui restò a fissarlo per un’infinità indecifrabile prima di riaprire gli occhi, confuso dalla luce del sole.
La luce... Era quella che aveva visto? Se così era stato, perché quegli occhi gli erano sembrati per un momento l'unica cosa reale in un mondo fatto di illusioni? Quella sensazione rimase per un po', mentre la vita riprendeva pigramente.
Bevve un po' del rhum nella fiaschetta che aveva portato con sé, lavò il volto stanco con l'acqua fresca di un ruscello vicino e si chiese, specchiandosi sulla sua superficie cristallina, cosa fosse quella confusione che aveva invaso la sua mente.
Ma a differenza di Tremotino e di sua figlia, lui non aveva nessuno a cui confidare quei pensieri, nessuna voce amica che lo aiutasse ad aggrapparsi a quei ricordi.
Così, dopo appena dieci minuti di cammino e a mezz'ora dal risveglio, la potente magia illusoria che permeava quel regno tornò ad offuscare la sua mente e quei ricordi svanirono, risucchiati e sepolti sotto la maschera che Emilie gli aveva affidato: quella dello sfortunato protagonista travolto e ucciso dagli eventi.
Si ritrovò a fissare il cielo azzurro, i pensieri che vagavano stanchi e annoiati da una nube dalla forma strana al volo rapido di un uccello.
Erano trascorse quasi tre ore quando uno scalpiccio di zoccoli lo indusse a voltarsi, e nel farlo vide un carretto carico di tronchi d'abete, trainato da un vecchio calesse con un paio di purosangue, avanzare verso di lui.
Alla guida vi era un uomo anziano dalla faccia barbuta e sincera, accanto a lui sedeva un ragazzetto dal viso angelico con un cappellino rosso a punta sui capelli rossicci, vestito con un abito a bretelle dello stesso colore del cappello e sotto una camicia bianca.
La cosa più strana di tutte fu notare che il vecchio stesse parlando con un grillo seduto proprio sulla sua spalla, vestito di tutto punto con frac, cilindro e perfino con un piccolo ombrellino stretto tra le zampe, a mo' di bastone da passeggio.
Lì per lì non era neanche riuscito a notarlo, lo fece solo quando furono abbastanza vicini da potersi guardare negli occhi.
Nel vederlo sul ciglio della strada, il vecchio fermò i cavalli e gli rivolse un sorriso gentile.
 
«Oh, salve!» lo accolse.
 
Jones alzò la mano buona in segno di saluto e sorrise.
 
«Heya.» replicò.
 
Il bambino e il grillo si acquietarono, ma l'insetto nel fissarlo sembrò scurire la sua espressione, e notandolo il marinaio pensò che fosse per via dei suoi abiti, effettivamente un po' troppo loschi.
 
«Siete un pirata?» chiese il ragazzetto, venendo subito bonariamente rimproverato dall'uomo anziano, in evidente imbarazzo.
«Suvvia, Pinocchio. Non sono domande da fare queste, a uno sconosciuto.»
 
Tuttavia, per niente offeso e neanche tanto sorpreso in realtà, Killian Jones si limitò a sorridere scuotendo il capo.
 
«Nessun problema, il ragazzino ha ragione.» disse, affrettandosi quindi ad aggiungere «Dev’essere per via dei miei abiti. Ma non sono un pirata, no. Mi chiamo Killian Jones, sono un pescatore. Sono in viaggio per richiedere un'udienza con la Principessa.»
 
Ancora una volta, mentre il vecchio e il ragazzo sorrisero rassicurati, il grillo lo fissò impensierito.
 
«Oh, se è così puoi unirti a noi» fece l'uomo alla guida del carro «Io sono Geppetto, e questo è mio figlio, Pinocchio. Sono il falegname di corte, e sto andando proprio al Castello.»
 
Ma a quel punto l'insetto si intromise, volando verso l'orecchio del falegname per sussurrargli qualcosa che Killian non riuscì a sentire.
 
«Oh, sciocchezze!» esclamò però Geppetto, facendo quindi segno a lui di avvicinarsi «Coraggio, salta su. Ti ci vorranno molto meno tempo e fatica.»
 
Sinceramente grato, Killian annuì e si accomodò vicino al bambino, che gli lasciò un po' di spazio sulla panca e per tutto il tempo non fece che osservare la sua mano mozza con un misto di curiosità e inquietudine. Avrebbe tanto voluto chiedergli come si fosse fatto quella ferita, ma Jones capì che voleva evitare di essere rimproverato di nuovo, e a lui di certo non andava di parlarne, quindi preferì far finta di nulla.
Parlarono del più e del meno, mentre i cavalli proseguivano a passo veloce il cammino. Per tutto il resto del viaggio, il grillo non fece che fissarlo in silenzio, facendo ogni tanto qualche osservazione saggia o qualche domanda arguta, ma mai perdendolo di vista.
Fino a che, finalmente, a mezzogiorno e mezza il lungo sentiero non li condusse proprio sotto le mura del castello, che da vicino risultò essere molto più splendente ed imponente di ogni più rosea immaginazione.
 
«Dite, siete già stato a corte?» chiese curioso Geppetto, mentre attendeva che il ponte levatoio fosse del tutto abbassato.
 
Per rispondergli, Killian dovette lottare contro la quasi ipnotica sensazione che lo spingeva a restare con la bocca spalancata e il naso all'insù, a fissare le mura solite e bianche stagliarsi contro il cielo azzurro.
Non c'erano guardie nei bastioni, o meglio lui non ne scorse. Niente arcieri, né sentinelle armate.
Le uniche erano poste all'ingresso, due nelle torrette che sostenevano il cancello e quattro ai lati di esso. Le prime indossavano solo una cotta di maglia con un leone rampante rosso su sfondo bianco, e brandivano arco e frecce. Le seconde invece indossavano un'armatura senza elmo e come unica arma avevano una grossa e affilata alabarda. Erano quattro uomini alti, spalle larghe e visi truci. Le loro armi e le loro armature erano talmente lucide da scintillare sotto il sole di mezzogiorno.
Quando il carro si accostò loro, bastò un cenno e un saluto amichevole da parte di Geppetto perché le loro espressioni diventassero meno dure. Lo salutarono come se si conoscessero da sempre, poi squadrarono lui.
 
«E questo pirata? Chi è?» domandò quello che doveva essere il capitano, un uomo pelato con una brutta cicatrice a sostituire l'occhio destro.
«Oh, lui è con noi.» disse allora il falegname «Gli abbiamo dato un passaggio.»
 
Killian si affrettò ad annuire.
 
«Mi chiamo Killian Jones.» si presentò, cercando di mostrarsi più cordiale possibile «Sono un pescatore, provengo dal villaggio a sud della baia dei pirati. Sono venuto per incontrare la Principessa.»
 
A quella notizia, tutte le guardie sembrarono irrigidirsi. Il capitano lo squadrò da capo a piedi, facendo un passo indietro e sostenendo il suo sguardo.
 
«La Principessa, eh...» mormorò, e anche se talmente accennato da risultare quasi invisibile, Jones fu sicuro di scorgere un sogghigno beffardo sulle labbra sottili.
 
Lo fissò ancora per un istante in silenzio, poi annuì, e gli ordinò di scendere.
 
«Vieni con me, tu.» gli disse, poi salutò con un sorriso affabile Geppetto e suo figlio «Voi potete andare. Lunga vita al Re!»
«Per i secoli dei secoli!» rispose Geppetto, salutandolo con un cenno della mano «Buona fortuna, Killian Jones!»
 
Questi sorrise, restituendo il gesto di saluto e guardandoli scomparire tra la folla.
 
«Bene, ora veniamo a noi.» fece a quel punto la guarda, quindi lo prese per un braccio e lo condusse dentro al piccolo abitacolo al piano terra della torretta est, che fungeva da armeria e ufficio doganale.
Richiuse la porta, quindi estrasse una pergamena da una grossa bisaccia di cuoio e la srotolò sull'unico tavolo presente, intingendo una lunga piuma nera dentro al calamaio e porgendoglielo.
 
«Firma qui!» ordinò, fissandolo.
 
Killian si corrucciò, avvicinandosi e dando un'occhiata al testo. Sembrava un contratto, sigillato con il sigilo reale. Ma la scrittura era così rapida e arzigogolata che non riuscì a comprendere nulla del testo, con una prima occhiata veloce.
 
«Cos'è?- chiese quindi.
 
La guardia sbruffò, seccata, seguitando a fissarlo.
 
«Vuoi incontrare la Principessa? Sarai responsabile di ogni tua azione che possa nuocere a lei e alla famiglia reale.» gli spiegò, sommariamente e con poca voglia «Se dovessi tentare di far del male a uno dei membri della famiglia reale verrai giustiziato. Se sei un mago oscuro o un sovversivo, verrai condannato a morte senza subire un processo.» a quel punto si fermò, e gli rivolse un lungo, famelico sorriso «Vuoi incontrare la Principessa? Se le tue intenzioni sono malvagie, non avrai scampo. Se non firmi, verrai arrestato e processato.»
 
Killian Jones rabbrividì, il fiato gli si gelò nei polmoni e il sangue gli si ghiacciò nelle vene. Nessuno gli aveva mai parlato di contratti, condanne a morte o processi per tradimento. Ogni giorno al Castello arrivavano centinaia di pellegrini da ogni parte del regno per chiedere udienza alla famiglia reale. Nessuno di loro, una volta tornato a casa, aveva mai fatto cenno alla firma di un contratto o alla possibilità di essere condannato a morte per direttissima. Perché? Mentre la sua mente si agitava alla ricerca di una spiegazione, fu tentato di fare un passo indietro ma la guardia lo stava ancora scrutando, molto attentamente, in attesa. Lo stava mettendo alla prova?
Tremò, di nuovo, fissando il pennino tra le dita di ferro dell'uomo che continuava a mostrargli i denti in una smorfia malignamente divertita.
Poi però si ricordò del vero motivo per cui era lì. L'unico motivo. Gli occhi di Milah, il suo sorriso, la prospettiva di crescere un figlio insieme.
Questo bastò a restituirgli il coraggio. Riprese il controllo del proprio corpo, afferrò il pennino nero e senza più esitazione firmò, sbottando deciso.
 
«Al diavolo! Non sarà uno stupido contratto a fermarmi.»
 
La Principessa. Lei era l'unica in tutto il Regno in grado di restituirgli speranza. Avrebbe venduto anche l'anima pur di poterla incontrare solo per un breve istante.
 
***
 
La notte per Gideon era trascorsa tranquillamente.
Ruby lo aveva accompagnato a casa sua, dove Granny l'aveva accolta con un abbraccio commosso e l'aveva tempestata di domande grazie alle quali il giovane uomo aveva capito che anche lei si era svegliata dal sonno dei ricordi, nel momento stesso in cui Ruby era entrata in casa.
Subito dopo, la lupa li aveva presentati, e se sulle prime lui era stato soggiogato dal silenzio indagatorio della donna, si era rilassato quando l'aveva sentita chiedergli
 
«Emilie viene dal futuro, quindi immagino che anche tu lo abbia fatto. Hai fame? Il viaggio deve essere stato faticoso.»
 
Gideon si era sciolto in un sorriso, annuendo.
 
«È stato complicato, si. E ho un po' di fame, in effetti.» aveva risposto toccandosi lo stomaco.
 
Aveva usato un eufemismo, in realtà. Lo stomaco doleva, si contorceva, e la nausea gli attanagliava la gola. Non riusciva più a distinguere se fosse per colpa del salto compiuto o del tempo trascorso. Non aveva toccato cibo praticamente dal suo arrivo a Storybrooke.
La nonna a quel punto aveva annuito, gli occhi illuminati da un impercettibile sorriso.
 
«Bene.» aveva decretato.
 
Gli aveva offerto un piatto abbondante di stufato di cinghiale, acqua fresca di sorgente per placare la sete e un letto comodo in cui sprofondare le stanche membra. Mentre cercava di addormentarsi, il pensiero corse a sua sorella e il cervello esaminò fino all'ultima sillaba le parole di Granny su di lei.
 
«Non mi fido ancora di lei.» aveva detto «È colpa sua se siamo qui, e non so cosa abbia in mente. Ma mi fido dell'istinto di un lupo...» aveva aggiunto, guardando sua nipote «E del fatto che neanche io, per quanto mi sforzi, riesco a sentire puzza di carogna quando la incontro. Neanche tu lo sei.» aveva concluso tornando a scrutarlo con attenzione.
 
L'istinto del lupo. Si era addormentato cercando di decidere se quelle parole fossero una dolce ninna nanna o un funesto canto funebre, e nel sogno i ricordi si erano mescolati. Non ricordava suo padre come il Coccodrillo, non lo aveva mai visto come tale. Eppure nel sogno sentì una risata simile a quella, vide sua sorella danzare attorno a un fuoco vestita come lui, la pelle del completo da Coccodrillo che si confondeva con le squame che le ricoprivano il volto da bambina e le mani affusolate. Avrebbe dovuto non sembrare più lei. Avrebbero dovuto, come nella maggior parte dei sogni che la gente faceva, essere diversa, distante dalla reale immagine. Invece si paralizzò inorridito nell'osservarla voltarsi verso di lui e sorridergli con una smorfia larga e cattiva, gli occhi grigi scintillanti di una luce opaca, scoprendola identica alla Emilie che ricordava. Allora un pensiero aveva attraversato la sua mente, fugace, ma troppo forte per essere ignorato.
Quello non era un sogno, era lei, la sua piccola, dolce e letale sorellina Emilie, proprio come aveva detto Isaac. E proprio in quel momento Emilie si era lasciata andare ad un'altra risata ossessiva, frenetica, ricominciando a danzare.
Una mano di donna, raffinata ma forte, aveva afferrato la sua spalla. Si era voltato, e due occhi neri pieni di una luce malefica avevano incrociato i suoi: Sua nonna. La fata nera.
Non li ricordava, non avrebbe dovuto farlo, eppure di nuovo lo fece.
E nel momento stesso in cui la sua coscienza era stata risvegliata la donna rise, carezzandogli la guancia con la punta fuligginosa delle dita.
Avrebbe voluto arretrare, divincolarsi, scacciarla. Invece tutto quello che riuscì a fare fu restare immobile a godersi quella carezza, accettando con cuore pateticamente grato le sue false parole.
 
«Bravo bambino.» gli disse, con una dolcezza materna che non le apparteneva e stonava così tanto coi suoi occhi cattivi e i suoi abiti neri da angelo della morte «Va’ a divertirti con tua sorella.»
 
E all'improvviso la repulsione svanì è un desiderio insano di obbedirle si impadronì di lui. Provò ad opporsi, in tutti i modi e con tutte le sue forze, e lei dovette capirlo perché tornò a ridere beffarda, alzò una mano e gli mostrò qualcosa che stavolta lo terrorizzò così tanto da indurlo davvero a svegliarsi: il suo cuore, pulsante e vivo, stretto tra quelle dita macchiate di fuliggine. Incatenato a oscuri propositi.
Si ridestò di colpo, sbarrando gli occhi verso il soffitto ed inalando aria come se avessero appena tentato di soffocarlo, ma per fortuna l'alba era sorta da un'ora e sia Granny che sua nipote erano uscite a raccogliere legna e acqua.
Si mise a sedere, prendendosi la testa tra le mani e sentendo il cuore balzargli in gola. Per lo meno quello era il segno che nessuno aveva provato a strapparglielo dal petto.
Sospirò profondamente, appoggiando una mano sul petto e reggendosi con l'altra al materasso imbottito di paglia.
La testa gli doleva da impazzire, e girava forte, come se lo avessero appena colpito sulla nuca, tanto da costringerlo a rimettersi sdraiato e fissare il soffitto, senza alcun pensiero in mente.
Non ne volle nessuno. Neanche quello per cui era lì, in quel mondo fatto d'illusioni. Richiamò alla mente l'ultimo esame sostenuto e ripassò quelle informazioni banali, come l'ultimo appiglio a cui aggrapparsi, ma ben presto si rese conto di non riuscire a pensare senza che il mal di testa lo tormentasse, quindi alla fine si arrese e rimase a fissare il soffitto fino a quando, mezz'ora dopo la porta non si spalancò e Ruby fece ritorno.
Come un tarlo, quell'incubo lo tormentò durante la breve colazione, fatta di latte fresco e torta di mirtilli selvatici, che consumò distrattamente.
Era quasi mezzogiorno e loro erano in viaggio da più di tre ore, ma lui continuava a combattere contro quei ricordi bruscamente riemersi e la sensazione spiacevole che gli davano, passo dopo passo, respiro dopo respiro.
Ruby se ne accorse, ma non disse fino a che non furono arrivati di fronte all'entrata di una caverna inserita in una gigantesca parete rocciosa.
 
«Siamo arrivati.» fece, e lui si riscosse bruscamente come dopo un pesante tonfo.
 
Si guardò intorno, e per la prima volta i suoi occhi videro ciò che lo circondava.
Una fitta foresta di pini alle spalle, un ampio spiazzo erboso e poi una montagna che si estendeva in alto, fino a scomparire oltre una fitta coltre di nuvole.
 
«Mh?» bofonchiò, e la fissò sbattendo le palpebre, corrucciandosi «Una grotta?» chiese spostando lo sguardo da lei all'entrata buia.
 
Ruby annuì seria.
 
«Da qui in poi dovrai proseguire da solo.» gli spiegò «Questa è la via più sicura per entrare al castello. Ti condurrà direttamente nei sotterranei. Una volta lì, cerca una guardia reale con un pennacchio rosso sull'elmo e un cuore sulla gorgiera.»
 
L'istinto si mosse prima della mente.
 
«Il fante di cuori.» bofonchiò Gideon, e Ruby sorrise annuendo.
«Lui sa chi sei, ti condurrà da Emilie.» confermò.
 
A questo punto avrebbe potuto salutarla e riprendere il cammino, ma non riuscì a evitarsi di porre quell'altra, fatidica domanda.
 
«Hai detto … che questa è la via più sicura. Perché?»
 
La vide scurirsi di nuovo, guardandosi intorno come se stesse prendendo tempo cercando di decidere se svelargli quel mistero o no. Alla fine decise di farlo.
 
«Ogni giorno, persone da ogni angolo del regno decidono, per un motivo o per un altro, di chiedere udienza alla Principessa. Ma … la magia ha sempre un prezzo. E così anche i suoi favori.» narrò, come se stesse leggendo un passo del racconto in cui era intrappolata.
 
Gideon rabbrividì di nuovo, stavolta più visibilmente. Certo. Avrebbe dovuto aspettarselo. Ma … una parte di lui continuava a non voler né vedere, né pensare. Anche se il canto della Emilie del sogno riecheggiava sempre più forte nella sua mente, assieme alla risata della Fata Nera.
Il lupo lasciò cadere gli occhi sulla spada che il giovane uomo portava al fianco, indicandola con un cenno del capo.
 
«La sai usare?» domandò.
 
Gideon si aggrappò all'elsa, annuendo fin troppo frettolosamente. La ragazza lupo sospirò.
 
«Sfoderala allora. Ti servirà.» regalandogli un ultimo consiglio prezioso prima di ritrasformarsi e sparire nel folto del bosco «E non fermarti a riposare, l'ossigeno non è molto e la strada lunga e tortuosa. Buona fortuna, figlio di Tremotino.»
 
***
 
Quando Killian Jones arrivò al castello, Emilie stava duellando con suo nipote Henry con spade di legno e una corona di corteccia d'albero sulla testa. Era un gioco fin troppo familiare: la regina cattiva contro il cavaliere senza paura. Ridevano e si scambiavano battute audaci mentre Emma Swan, che in quel mondo si chiamava solo Emma, li osservava stretta al suo principe: Baelfire.
Erano seduti entrambi su un gigantesco masso nel mezzo del giardino, vestiti di bianco e oro. Al fianco Bae portava la spada che nella realtà era stata del Principe Azzurro, e sui riccioli castani era posato diadema d'oro zecchino, che scintillava ai raggi del sole. Era un serpente attorcigliato attorno ad un filo d'oro, simbolo dell'esercito di sua Maestà, ma non solo. Anche se non se lo ricordava, era il simbolo della famiglia alla quale apparteneva. Un serpente, per rappresentare il Signore Oscuro, e l'oro che richiamava il cognome che Egli aveva assunto a Storybrooke.
Tra tutti i membri della famiglia reale, solo lui ed Emilie indossavano un simbolo simile. Per lui era quel diadema, per Emilie un anello con una lucertola che portava sempre sul dito medio della mano sinistra, simbolo della sua volontà di essere "l'ombrello per i giorni di pioggia" per suo padre, ma anche della sua carica come consigliera reale.
Emma non lo aveva, perché oltre a non appartenere alla loro famiglia era figlia delle uniche due persone che non aveva mai, neanche minimamente, mostrato gratitudine per quello che Tremotino aveva donato loro, e la lista era infinita. Belle indossava, quasi sempre, una spilla a forma di geco, che simboleggiava affetto, benevolenza e fedeltà, e non c'era bisogno di spiegare il perché.
Il regalo per Henry era stato molto più speciale: quale nipote del re, lui portava un bracciale sul polso sinistro. Quale futuro autore che sia Emilie che Mr. Gold stavano tenendo d'occhio, quel bracciale aveva la forma di un serpente che stringeva quel polso più forte che poteva, senza la minima intenzione di lasciarlo andare.
Il quadretto famigliare era perfetto e idilliaco, e il duello si stava svolgendo bene. Con una mossa rapida il giovane principe affondò un colpo che sembrò andare a vuoto, ma poi la spada volò via dalle mani di Emilie e lei rise, alzandole al cielo e dichiarandosi sconfitta.
Risero assieme a lei tutti gli altri.
 
«Sei migliorato.» commentò Baelfire rivolto a suo figlio, applaudendo e battendo una pacca sulla spalla del ragazzo.
 
Questi arrossì ringraziandolo, e anche Emma stava per aggiungere qualcosa, ma una voce li distrasse.
 
«Vostra Altezza. Siete richiesta con urgenza nella sala delle udienze.»
 
Emilie si voltò, riconoscendo subito quel tono. Di fronte a lei si stagliava la sagoma alta di Will Scarlet, in una lucente corazza argento. Portava il suo elmo col pennacchio rosso sotto braccio, e non appena i loro occhi s'incrociarono, lo vide sorriderle con un guizzo fin troppo riconoscibile. Era sveglio.
Questo poteva solo voler dire che …
 
«Killian …» sillabò soltanto il suo nome, senza dar voce alle lettere, in modo che solo lui potesse capire.
 
Lo vide annuire appena, impercettibilmente. E sul suo volto di bambina comparve un ghigno fin troppo eccitato, che si sforzò di spegnere subito.
"Finalmente. È iniziata".
Si scusò con il resto della sua famiglia, poi si avviò con lui e non appena furono abbastanza lontani cambiò i suoi abiti con l'uso della magia oscura. In una nuvola di fumo viola gli abiti da giorno della principessa scomparvero, per lasciar posto a una pomposa veste porpora coi bordi ricamati d'oro e tempestati di rubini e conchiglie.
 
«Come sto?» ridacchiò, mostrando il pezzo forte della sua collezione.
 
Will la osservò con la coda dell'occhio, senza smettere di camminare. Scosse il capo, con un sorriso divertito, scorgendo la punta degli stivali da Coccodrillo.
 
«Li hai portati anche qui?» domandò con una punta di finto rimprovero nella voce.
 
Emilie ridacchiò di nuovo, stavolta in maniera fin troppo simile a quella di suo padre, battendo le mani un paio di volte.
 
«Oh, si!» mormorò tra i denti, con quella vocetta stridula, emettendo poi un'altra risatina, stavolta però più gutturale e inquietante «L'hai visto? Come ti è sembrato?» tornò a chiedere, aggrappandosi al suo braccio come una bambina curiosa.
 
Will Scarlet se la scrollò di dosso, sbruffando seccato ma senza riuscire a levarsela da torno. In realtà la giovane non fu neanche sicura lo volesse davvero, per questo tornò ad aggrapparsi a lui con più forza e gli bloccò il cammino, guardandolo negli occhi.
 
«Allora? Allora?» insistette «Era disperato? Ti pare abbia ricordato qualcosa?»
 
Will sospirò di nuovo, fermandosi e fissandola.
 
«Era disperato, si.» le disse, guardandola illuminarsi di una sadica gioia «Ma tutto quello che ho fatto è stato scortarlo verso la sala delle udienze, in silenzio. Quindi non chiedermi altro, perché non lo so.»
 
Quella risata gutturale si ripeté.
Finalmente Emilie lo lasciò andare e riprese a camminare, allungandosi sulla punta degli stivali e saltellando allegra. Fecero qualche altro passo, lei volteggiando e fischiettando come un uccellino in festa, lui standole dietro svogliatamente, scuotendo il capo e fissandola con un'espressione annoiata.
La osservò con quell'aria indolente fino a che non raggiunsero la porta che conduceva all'interno delle mura, nascosta sotto un romantico pergolato tra due colonne bianche ricoperte d'edera. Emilie afferrò la maniglia, quindi spense la sua esuberanza e si voltò a guardarlo, con un sorriso famelico.
 
«Vai a chiamare, papa. Voglio che assista anche lui.» gli ordinò.
 
Come se sè lo aspettasse, il fante dei cuori sorrise mordendosi le labbra, e annuì, alzando gli occhi al cielo e infilandosi di nuovo l'elmo.
 
«Non temi possa ricordare?»  chiese, prima di lasciarla.
 
Emilie emise un rumore secco sbattendo la lingua contro il palato.
 
«Non saprà neppure della sua esistenza. Digli di restare nascosto dietro il paravento.» disse, poi gli schioccò un occhiolino «Tu invece resterai con me.»
 
L'ennesimo sospiro.
 
«Ovviamente.» disse il Fante, e alla Principessa sembrò che stesse sorridendo.
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo XI
 
«In ginocchio, e aspetta qui.» 
 
Queste erano state le uniche parole che il cavaliere dal pennacchio rosso gli aveva rivolto dopo averlo preso in consegna dal capitano delle guardie, e ancora una volta Killian si era ritrovato ad obbedire senza fiatare, chiedendosi nel frattempo perché, se era vero che ogni giorno pellegrini da tutto il regno giungevano al castello, non ne avesse visto nemmeno uno, né nel cortile interno del castello, né nei corridoi. Aveva continuato a chiederselo per i cinque minuti successivi, mentre in ginocchio e a capo chino era stato costretto a fissare la punta dei suoi stivali contro la pietra dura.
Cinque interminabili minuti, i più lenti della sua vita. Poi d'improvviso la grande porta d'oro in cui era scolpito lo stemma reale si spalancò, e di fronte ai suoi occhi apparve la Principessa, vestita di porpora e oro, seduta sul trono delle udienze, un ampio scranno d'oro zecchino e diamanti sormontato da un baldacchino fatto di legno pregiato e veli di seta azzurra, che lasciavano intravedere un soffitto empito di affreschi dai colori brillanti, rappresentazioni della storia del Cavaliere di Luce. In nessuno di essi il Re era visibile, il suo volto era spesso coperto da un elmo o da una maschera bianca a mezzo volto, ma a Killian Jones non venne neanche minimamente la voglia di chiedersi perché.
La sua attenzione fu calamitata dalla dolcissima Sovrana, che lo fissava con un sorriso benevolo. Sembrava una bambina, il suo aspetto era quello di un angelo protettore e la sua aura era chiara, limpida come la luce del sole.
Alzò una mano verso di lui e lo invitò ad avanzare.
 
«Tu devi essere Killian Jones.» gli disse «Vieni avanti, non aver timore.»
 
Rassicurato da quel tono morbido e premuroso, il marinaio si fece forza e riuscì a rialzarsi, camminando fino ai piedi del trono ma tornando subito a inginocchiarsi di fronte a lei, abbassando di nuovo il capo e appoggiando i palmi delle mani contro il tappeto di velluto rosso che ricopriva il legno del pavimento.
Il Fante di cuori continuava a fissarlo in silenzio dietro la sua armatura, in piedi alla destra del trono. Si impose d’ignorarlo e concentrarsi solo sulla sua richiesta, ma anche così il disagio seguitò ad attanagliarlo. Era strano, come se mille occhi sconosciuti lo fissassero da ogni parte della stanza.
Perfino gli affreschi sembrarono rivolgergli attenzione, i sorrisi trasformati in ghigni.
Probabilmente era semplice suggestione.
 
«Vostra Altezza.» iniziò, cercando di non pensarci e di concentrarsi sul presente «Vi sono grato per avermi concesso udienza e vi sarò eternamente debitore per la vostra magnanimità.»
 
La Principessa seguitò a sorridere, inclinando il capo.
 
«Oh, lo so che lo sarai.» disse, godendosi quell'attimo fino all'ultimo istante.
 
Averlo in pugno a Storybrooke era stato divertente. Ma vederlo ridotto così, a mera ombra di sé stesso, mansueto e devoto come il cagnolino che era sempre stato, le riempì il cuore di orgoglioso giubilo, che crebbe ancor di più quando scorse, con la coda dell'occhio, suo padre osservare la scena da dietro il paravento nero alle spalle di Will. Sorrideva. Divertito e fiero.
 
«Parla dunque.» riprese, tornando a porre la sua attenzione al suo ospite «Cosa ti ha portato al mio cospetto?»
 
Suo padre non sapeva di Milah, della messa in scena che aveva architettato per il Pirata. Sarebbe stato un regalo da parte sua, perciò mentre si apprestava ad ascoltare la risposta voltò il viso verso il suo nascondiglio, facendo finta di osservare il suo fante di cuori.
Ignaro di tutto, Uncino continuò, il volto basso e i pugni stretti.
 
«Vengo per chiedere un'intercessione, Vostra luminosissima Altezza.» disse, ed Emilie per poco non esplose a ridergli in faccia «Mia moglie Milah è stata rapita, la nostra casa è stata bruciata e non so dove possa essere. Ho solo questo indizio.» disse, porgendogli una pergamena bruciacchiata.
 
Dietro il paravento, Tremotino si scurì per un momento, sorpreso. Emilie gli sorrise, poi tornò seria e si rivolse nuovamente al suo interlocutore, raccogliendo dalle sue mani quel pezzo di carta e scorrendolo con falso interesse. Non aveva bisogno di leggerlo, sapeva già a mena dito cosa ci fosse scritto, aveva scelte lei stessa, con cura, ogni singola parola, e l'aveva dettata ad Isaac.
Attese qualche istante, strategicamente in silenzio, poi abbassò la pergamena e assunse un'aria affranta, guardandolo. Era ancora inginocchiato, la testa bassa, gli occhi chiusi.
 
«La prego, Vostra Altezza. La prego, mi aiuti a trovarla. È incinta.» si agitò, affondando le mani nelle tasche del soprabito nero alla ricerca di qualcosa «Ho incontrato una persona, durante il mio viaggio. La Contessa Cruella, lei...» estrasse un piccolo plico e glielo porse, le mani giunte come a pregarla «Lei mi ha dato questo per voi.»
 
Emilie alzò gli occhi su di lui, squadrandolo da capo a piedi, poi fissò il plico e fece una smorfia che poteva facilmente essere scambiata per un sorriso. Si chinò a raccoglierlo, lo srotolò senza perdere di vista il suo interlocutore, e lesse avida il contenuto.
La scrittura di zietta era chiara e sofisticata, con inchiostro nero aveva scritto in mezzo al foglio queste poche, semplici parole.
 
"Ciao Lucertolina,
Devo ammetterlo, hai stile.
Povero tesoro, non maltrattarlo troppo.
Non sono sicura che abbia ricordato, ma qualcosa è successo.
Non trovi anche tu che quei vestiti gli donino?"
 
Una risata perfida, una risata da coccodrillo. Le salì dallo stomaco fino alla gola, ma dovette di nuovo trattenersi, mentre sentiva lo sguardo di suo padre su di sé e anche quello del Fante, che si era voltato a guardarla, senza riuscire a resistere alla tentazione di godersi la scena.
Piuttosto, indosso la sua maschera preferita ed entrò in scena con la migliore delle sue performance.
 
«Oh, Killian Jones …» mormorò affranta «Oh, io …» gli occhi le divennero lucidi, la voce s'incrinò «Io sono affranta, davvero.» scosse la testa, quindi si alzò e lentamente, un passo dopo l'altro come avvicinandosi a un animale ferito, si portò proprio di fronte a lui e s'inginocchiò alla sua altezza, accarezzandogli una guancia umida con la punta delle dita «Io ti chiedo scusa, con tutto il mio cuore. Ma non credo di poterti aiutare, perché vedi … se la regina Ursula ha decretato l'arresto di tua moglie, un motivo deve esserci.»
 
Quale meraviglia! Quale... paradisiaca sensazione di appagamento la invase. Non era quello il Killian Jones che stava cercando di ferire, ma era comunque uno dei tanti che avevano rovinato la vita di suo padre, il responsabile della maggior parte dei suoi guai, e infrangere con quelle parole fu quanto di più vicino alla parola "magico" potesse esserci.
Confuso, stordito, incredulo, il pirata la fissò sbattendo le palpebre. Aveva appena parlato come una mamma che consola il suo bambino, lo stava accarezzando come se fosse un cucciolo ferito, ma le sue parole erano state crude e crudeli. Scosse il capo, senza nemmeno accorgersene.
 
«No, no Vostra altezza, ve lo giuro. Deve esserci stato un equivoco, ne sono certo. Milah non farebbe mai male a nessuno, come potrebbe avere a che fare con questo. Lei non ha mai solcato il mare, non è mai stata con i Pirati ne ha mai incontrato una sirena. La prego!» disse, aggrappandosi alle sue mani e iniziando a singhiozzare «La prego, mi aiuti a ritrovarla! Farei qualsiasi cosa per riaverla con me. Per veder crescere nostro figlio!» stava piangendo come un bambino, quando pronunciò quell'ultima frase.
 
Emilie, gli occhi pieni di una soddisfazione estatica, guardò quello spettacolo pietoso e sorrise. Attese, per lasciare che quella sensazione di atroce dolore gli entrasse nella mente e nelle ossa. Quindi tornò seria e sospirò, alzandosi in piedi e voltandogli le spalle.
Mise un piede sul primo dei tre scalini che conducevano al trono, alzò i lembi della gonna con le mani mettendo in mostra la pelle di serpente degli stivali, e guardò suo padre, che le rivolse un sorriso interessato. Glielo restituì, scoccandogli un occhiolino.
 
«Va bene …» decretò, e i singhiozzi cessarono «Proverò ad aiutarti, mio caro.»
 
Si voltò, per bearsi del sollievo e della profonda gratitudine che apparirono sul volto del pirata.
 
«Ma bada bene» soggiunse alzando l'indice destro «Posso fornirti il denaro e i mezzi necessari per raggiungere la corte della Regina del Mare, ma non potrò far nulla se la condanna sarà già stata emessa.» s'incupì di nuovo, con una strana espressione in volto.
 
Ritornò da lui, si inginocchio e gli appoggiò una mano sul petto, all'altezza del cuore, sollevando le dita come fossero artigli.
 
«Perché vedi, Killian Jones …» mormorò, guardandolo negli occhi con voracità «Le sirene sono creature crudeli. E a un traditore come tua moglie riservano spesso una sola punizione.» un'altra pausa, un sorriso malevolo comparve sulle sue labbra «Gli strappano il cuore dal petto …» sussurrò, mimando quel gesto e osservandolo tremare «E lo divorano, senza alcuna pietà. Fino all'ultima, insignificante goccia di sangue.» concluse, portandosi il pugno semichiuso alle labbra e mordendo selvaggiamente il cuore invisibile stretto tra le dita.
 
La violenza di quel gesto sembrò risvegliare l'uomo, che l'aveva ascoltata fino ad allora come ipnotizzato. Si ridestò scuotendo il capo, e schizzò in piedi, stringendo i pugni.
 
«Non lo permetterò!» esclamò «Io farò in modo che non accada. Arriverò prima che accada, la riporterò a casa, da me.»
 
La Principessa lo fissò con sguardo fiero, quella strana luce cattiva ancora negli occhi.
 
«Allora torna a casa, e aspetta. Avrai ciò che chiedi nel minor tempo possibile.» decretò, guardandolo aprirsi in un sorriso sollevato e pieno di riconoscenza.
 
S'inchinò a lei, e fu solo allora che la vide. La mano mozza. Il suo segno distintivo.
 
«Grazie, Vostra Altezza. Grazie davvero dal profondo del mio cuore.» le disse, appoggiando il braccio menomato sul ginocchio e portandosi la mano buona all'altezza del cuore.
 
Lo congedò, e attese che fosse a un passo dalla porta già spalancata prima di richiamarlo. Il Pirata si voltò a guardarla, attento, e allora lei si aprì di nuovo in un sorriso. Bastò un gesto della mano, e l'uncino tornò al suo posto. Killian Jones lo fissò dapprima sorpreso, poi però una strana espressione colorò il suo volto. Stava cercando di ricordare. La guardò, confuso, e a quel punto la vide sorridergli.
 
«Questo …» disse «è un simbolo del nostro patto. Un regalo da parte della tua magnanima Sovrana.»
 
E Killian Jones, come un povero agnello al macello, sorrise inchinandosi di nuovo a lei.
 
***
 
«Sei una bugiarda coi controfiocchi, lo sai?»
 
Il Pirata era appena uscito dalla stanza quando le parole di Will Scarlett la colpirono. Lo guardò, lasciandosi andare a un ghigno liberatorio.
 
«Lo so…» annuì, gli rispose guardandolo togliersi di nuovo il suo elmo.
 
Si fissarono, una luce complice negli occhi, e finalmente lei poté esplodere nella risata ch'era stata costretta a trattenere.
Aveva il suono del cristallo che si infrange, il Fante di cuore la vide aprire le braccia, fare una piccola piroetta e poi tornare a reggersi lo stomaco.
 
«Ora va! Assicurati che quell'idiota abbia quello che gli serve.» gli disse, riprendendo poi a ridere, mentre finalmente Tremotino usciva dal suo nascondiglio.
 
La osservò compiaciuto.
 
«Il tuo compare ha ragione.» disse, riportandola alla realtà «È stata una recita ammirevole.»
 
Emilie smise di sghignazzare e si voltò a guardarlo, alzando fiera il mento.
 
«Trovi?» gli fece eco, inorgoglita.
«Ah!» fece il Fante di cuori, scuotendo il capo con un sorriso e salutando entrambi con un breve inchino «Eccola che torna a montarsi la testa. Meglio che vada, ho altro di meglio da fare.» concluse ricacciandosi l'elmo in testa e lasciando la stanza da un ingresso secondario posto dietro al paravento.
 
«Si, bravo. Torna al tuo dovere, Fante di Cuori.» lo salutò con la stessa boria lei, ma non ebbe tempo per aggiungere altro, perché suo padre la riportò alla realtà.
«Lascia che ti chieda una cosa.» le chiese tornando a stringerle le spalle con entrambi le mani, invadendo totalmente il suo campo visivo e fissandola dritta negli occhi «Tu come sapevi di Milah. Sono stato io a dirtelo?»
 
La vide farsi seria, ma solo per qualche attimo. Lo guardò negli occhi a sua volta, colse della preoccupazione, e allora sorrise tranquilla scuotendo il capo.
 
«Semplicemente...» disse «Viaggio molto. E durante i miei viaggi...» fece una pausa, allargando un poco il suo sorriso e ammiccando «Come posso dire... mi sono imbattuta in alcune reminescenze.»
 
Oscillò il capo, tornando ad imitarlo. Ma Tremotino non si fece ingannare, non da quel trucco che conosceva fin troppo bene. Piuttosto seguitò a fissarla, mentre la sua mente rovistava nel baule del tempo alla ricerca di quella foto ancora fin troppo nitida.
E finalmente ricordò, quel dettaglio insignificante ma strano, quella voce fuoricampo, quell'ombra appena fuori inquadratura.
Milah non era l'unica donna a bordo della Jolly Roger, quel giorno. Arrampicata su uno degli alberi maestri, mescolata tra la folla disomogenea della ciurma, c'era una ragazza dagli occhi grigi e i capelli castani arruffati dal vento. Indossava una giubba a scacchi nera e oro, stivali in pelle e un pantalone nero con una lunga fusciacca di seta color oro.
Emilie. L'aveva vista solo per un'istante, alla locanda, sul molo e poi di nuovo sulla nave. Quando aveva ridotto in cenere il cuore di Milah, lei era rimasta ad osservare in silenzio da quella cima, e quando lui se n'era andato era sparita anche lei.
Non ci aveva fatto caso, quel giorno. Troppo coinvolto. Troppo concentrato sulla sua missione per badare a un'ombra sullo sfondo.
Ma ora... tornò a guardarla, e quel sorriso malevolo lo colpì in pieno petto, facendogli tremare il cuore.
Sua figlia...
 
«Tu eri lì, quel giorno...» mormorò, e la vide annuire mordendosi il labbro, come faceva sua madre ogni volta che qualcosa accendeva il suo interesse.
 
Ancora una volta, l'immagine di Lacey si frappose alla sua. Sapeva ciò che si aspettava da lui, quella ragazza. Ma tutto ciò che riuscì a mostrarle fu uno sguardo appesantito dalle lacrime. Era una storia già vista. Con Baelfire, con Belle. L'oscurità in lui che sfiorava cuori puri trasformandoli in carbone.
E, per la prima volta da che l'aveva incontrata, ebbe paura per lei.
 
«Oh, Emilie...» mormorò, la voce già incrinata dal pianto.
 
Ma lei lo fermò, appoggiando l'indice destro sulle sue labbra e prendendolo per mano.
 
«No, papa...» mormorò, dolce, come fosse un bambino da far addormentare «No, non devi. Lo so. So già tutto, e non farò un solo passo avanti, o indietro.»
 
Lo fissò, sorridendogli teneramente. Infine, tornando ad accarezzare i suoi capelli, si allungò sulla punta dei piedi e gli lasciò un tenero bacio sulla fronte.
 
«Non piangere.» lo implorò, seguitando a sorridere con l'innocenza di una bambina «Sorridi, ti prego. Io sono esattamente dove vorrei essere. Lasciami essere il tuo ombrello nei giorni di pioggia, in tutti gli uragani della tua vita.»
 
***
 
Heroes and Villains
Capitolo XIX
 
Sebbene non fosse sua abitudine sottovalutare gli avvertimenti, quando era entrato nella grotta Gideon aveva teso a sottovalutare quello di Ruby, per un buon tratto di strada. Non sembrava un'ambiente tanto pericoloso. Certo, era pieno di vicoli ciechi e un po' cupo, ma tutto sommato non diverso da altre grotte che aveva avuto occasione di visitare. Passeggiò tranquillamente guardando col naso all'insù le stalattiti dalle forme assurde che pendevano dall'alto soffitto, ma d'un tratto fu costretto a fermarsi, perché dopo un piccolo arco che lo costrinse ad abbassarsi per passare, la strada s'interruppe bruscamente in un profondo e nero strapiombo e la volta si alzò fino a scomparire nell'oscurità.
Si ritrovò in una gigantesca stanza dominata da fitte tenebre, e per un interminabile istante rimase immobile, incapace di pensare ad una soluzione.
I suoi pugni si chiusero, frementi. "E adesso?" si chiese. "Mi pareva fosse così facile."
Proprio allora, una voce lo chiamò, ma non proveniva dall'esterno, bensì dalla sua mente, da quel sogno che stava a tutti i costi cercando di dimenticare.
 
«Gideon...» cantilenò la fata nera, e con la coda dell'occhio vide un'ombra levarsi ad afferrargli la spalla.
 
Rabbrividì, scattò per scacciarla ma per poco non precipitò dentro quell'abisso, ritrovandosi appeso come un salame ad una corda di canapa consumata.
Guardò in basso seguendo un istinto quasi primordiale, e vide, molti metri sotto di sé, un lungo sentiero male illuminato da una serie di piccole fiammelle azzurre. Fuochi fatui.
Vide anche che la corda a cui era appeso non era altro che una scala a pioli che conduceva fino in fondo alla parete, proprio all'inizio del sentiero.
Il cuore iniziò a battergli forte, strinse i denti e imprecò, sottovoce, dimenticando per un attimo la buona educazione.
Quindi appoggiò i piedi sullo scalino più vicino e iniziò a scendere, lentamente e con cautela, in mezzo al buio e ai crepacci, le mani tremanti e sudate che stringevano forte la corda.
Impiegò molto più tempo del previsto ad arrivare, e quando lo fece, toccare di nuovo terra gli sembrò un miracolo. Sospirò, ma il sollievo durò poco.
Con un mormorio sinistro, il fuoco fatuo che gli stava davanti sparì, riapparendo poco più in là. Guardando meglio, vide che il sentiero su cui si ritrovava era una stretta striscia rocciosa praticamente sospesa nel vuoto. Inoltre, si accorse che il mal di testa era tornato, insieme ad una sensazione opprimente che gli attanagliava il petto e stringeva un cerchio attorno alla testa. Una lieve vertigine lo fece vacillare, costringendolo a cercare di mantenere l'equilibrio allargando le braccia. "Quando in profondità sono sceso?" si domandò, voltandosi a guardare la parete di roccia. Era identica a quella dell'entrata, solo … sottoterra.
Sospirò di nuovo, una leggera palpitazione lo seguì, ricordandogli le parole di Ruby: "Fa in fretta, e non fermarti a riposare. L'ossigeno non è molto, e la strada è lunga e tortuosa."
 
«Beh.» disse scuotendo le spalle «Non credo di avere altra scelta, ormai. Giusto, Emilie?»
 
Infastidito, come se lei potesse rispondergli.
Un passo dopo l'altro, la spada sguainata e gli occhi sempre più ciechi persi nel buio, l'aitante eroe seguì i fuochi fatui che continuarono a tracciare per lui la strada, mentre tutto attorno le ombre sembravano animarsi, sussurrare parole incomprensibili e sogghignare fameliche. Il cammino fu davvero lungo, più di quanto si sarebbe aspettato. Mentre l'ossigeno continuava a calare, lo spettro che l'aveva tormentato in sogno tornò a perseguitarlo, facendosi forte dell'oscurità in cui erano immersi, e a lui sembrò di essere caduto dritto nella pancia di una bestia mostruosa.
Più volte quell'essere strisciante tentò di ucciderlo, di fargli perdere il senno e l'equilibrio. Una risata sommessa, una voce che chiamava il suo nome, che cantava un'inquietante ninna nanna rimasta fino a quel momento nascosta dentro ai cubicoli del suo subconscio. Mani nere che prendevano forma e gli afferravano il braccio, dita che si allungavano a sfiorare la stoffa nera del mantello.
 
«Va' via …» prese a mormorare, sempre più pallido, sempre più perso «Vattene. Tu non esisti. Non sei reale.»
 
Ma lei rideva, in quel modo dolce e al contempo malevolo e terrificante che le apparteneva.
 
«Si che lo sono, figliolo. Sono qui, per te. Vieni dalla mamma …»
 
Mancava appena una manciata di passi quando esplose.
 
«Basta!» sbottò, contro il nulla «Tu non sei mia madre, non lo sarai mai! MAI!»
 
Allora, la risata della fata nera si fece udire più forte e gli parve come se qualcuno gli afferrasse i capelli, strattonandolo e tirandolo fino a farlo urlare di dolore. La vide. Di colpo, lei si materializzò davanti ai suoi occhi e le sembrò fin troppo reale per essere solo un'allucinazione. Gli occhi neri bramosi e ambigui, le labbra rosee, il ghigno prepotente e una corona di piume nere a circondare il viso dolce.
 
«Stupido bambino irriconoscente.» sussurrò, avvicinando il viso al suo «È così che mi ringrazi? Se io non sono tua madre, allora dimmi, dov'è la donna che dice di esserlo? Dov'è ora?»
 
Era un copione già scritto, uno scherzo della memoria, un brutto incubo reso reale dal potere effimero di quel luogo. Ma, pur sapendolo, lui dovette lottare contro sé stesso per reagire e non lasciarsi travolgere, e anche così non fu affatto la vittoria che si aspettava.
 
«Lei è morta!» urlò, colpendola allo stomaco con l'elsa della spada con tutta la forza rimasta e allontanandosi da lei.
 
La vide contorcersi, il volto deformato da una smorfia di dolore, le mani sul grembo. Ma sapeva. Lui sapeva che non era sufficiente, e quando la guardò tornare a ergersi altera e sentì la sua risata sadicamente divertita il terrore si impossessò totalmente di ogni singola fibra del suo corpo, assieme alla consapevolezza.
 
«Lei …» mormorò, mentre lacrime cocenti iniziavano a rigargli le guance pallide e i ricordi tornavano prepotenti ad offuscare la ragione «Lei è morta … dopo avermi amato tanto. E aver vissuto una vita lunga al fianco di …» non ce la fece a finire la frase, perché proprio mentre lo faceva si rese conto dell'inganno.
 
Stava … lui stava giocando davvero a quel gioco?
La fata nera tornò a ridere, perfidamente soddisfatta.
 
«Si, esatto mio caro. Loro sono morti, e ti hanno lasciato qui. Da solo. Con me.»
 
Sbigottito, le braccia abbandonate lungo i fianchi e la punta della spada che sfiorava la nuda roccia sotto la suola dei suoi stivali. D'un tratto, anche l'ultimo frammento di memoria tornò e nulla fu più come prima. La solitudine, la disperazione, la rabbia. Il vecchio Gideon prese il sopravvento su quello che era diventato, e ogni sua certezza andò in frantumi con un fracasso assordante. Fiona tornò a cantare, raggiungendolo e prendendogli il viso tra le mani. Quella ninna nanna … era la stessa che aveva cantato a suo padre, appena neonato.
Incapace di muoversi, totalmente privo di ogni altro istinto, completamente arreso a lei, lasciò che le sue dita sfiorassero i suoi zigomi e lo spingessero a incrociare i suoi occhi
 
«Bambino cattivo. Vuoi fare l'eroe? Credi davvero di esserlo? O sei soltanto un rifiuto, qualcosa che qualcuno ha gettato via?» gli chiese, dolce come una mela avvelenata.
 
Ma proprio allora, quando stava per arrendersi, un altro frammento di memoria lo colpì.
 
«Farei qualsiasi cosa per te, figlio mio.»
 
Suo padre. La sua voce tenera, rotta da un pianto di commozione.
Ancora una volta fu grazie a lui che Gideon riuscì a tornare, perché vi si aggrappò come aveva fatto con le sue mani quando aveva cercato il suo aiuto per sconfiggerla, ed era stato proprio Tremotino a trovare il modo per riuscirci.
Perché era suo figlio, e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarlo dall'Oscurità. Esattamente come allora, suo padre tornò in suo soccorso, a quel ricordo ne seguirono altri e tutta la sua vita tornò, assieme alla ragione. No, loro non lo avevano abbandonato, anzi.
Avevano ricominciato, insieme, e lo avevano cresciuto con amore, come i migliori genitori che avesse mai potuto desiderare di avere. Fino all'ultimo giorno, e anche adesso.
Le lacrime sparirono dal suo volto, proprio nel momento in cui la fata nera stava per agguantare il suo cuore. Le afferrò la mano, stringendola forte fino a farle male, e con coraggio sostenne il suo sguardo iroso.
 
«Ti sbagli.» le disse «Tu hai gettato via tuo figlio. Mio padre e mia madre … loro non l'hanno mai fatto, con nessuno di noi.» sorrise, incontrando la paura in quel volto fino a pochi attimi prima sicuro della vittoria «Ed io non so se sono o sarò mai un eroe. Ma di sicuro non sono un codardo, né il tuo burattino.»
 
Quindi, senza che lei riuscisse a impedirglielo, affondò la lama nel suo ventre e la vide sgranare gli occhi, la bocca spalancata in un urlo muto. Scomparve, dissolvendosi in una manciata di polvere che cadde al suolo, raccogliendosi in un mucchietto di sabbia scura come il carbone. E finalmente Gideon poté concedersi di tremare.
Abbassò il capo, si passò una mano sugli occhi lucidi e asciugò le ultime lacrime intrappolate tra le ciglia.
 
«Questa me la pagherai, Emilie.» mormorò sciogliendosi in un pianto liberatorio che tuttavia durò davvero fin troppo poco, tramutandosi presto in un sorriso bonario.
 
Alzò gli occhi al cielo, aprì la bocca per dire qualcosa ma poi ci rinunciò, scuotendo il capo. Non ne valeva neanche la pena. Piuttosto, si chinò e raccolse tra le dita una manciata di quella polvere, esaminandola e accorgendosi solo allora della reale entità di quel nemico.
 
«Polvere di fata …» mormorò, facendo una smorfia «Davvero, Milly?»
 
Un luccichio lo distrasse, spingendolo a spostare la propria attenzione verso una strana luminescenza che aveva preso a circondarlo. Sembrava … come se l'aria avesse preso a luccicare, tutto intorno. Ma guardando meglio, vide che tutto il pavimento era cosparso da uno strato sottile di quel pulviscolo. Alzò di nuovo gli occhi al cielo, e solo allora li vide. Centinaia di cristalli, anneriti eppure lucidi, che andavano via via disgregandosi.
Erano loro i responsabili di quelle illusioni, non Emilie. Qualcosa li stava spingendo a disgregarsi, probabilmente la natura effimera di quel luogo, di tutto quel gigantesco sogno ad occhi aperti che era la storia contenuta in quel libro, e la loro polvere, penetrando attraverso i polmoni, era come la peggiore delle droghe allucinogene mai inventate, capace di sfruttare la magia presente in quel posto per rendere vivo qualsiasi sogno o incubo.
Sorrise di nuovo, scuotendo il capo.
 
«Maledetta Principessa pestifera …» sussurrò, asciugandosi di nuovo gli occhi bagnati da altre lacrime, stavolta di stanchezza e sollievo «Ora basta mettermi alla prova.» sibilò deciso, rinfoderando la spada e riprendendo il proprio cammino «Ora verrò da te, e sarà meglio che tu abbia una buona spiegazione per tutto questo.»
 
Ma c'era ancora un ostacola da superare, il più pericoloso di tutti. L'unico che gli avrebbe permesso davvero di trasformare sé stesso in un eroe, o in un cadavere.
 
***
 
Un enorme drago sputafuoco, le squame nere come la pece, gli occhi verdi come due smeraldi fiammeggianti.
Lo attaccò non appena mise piede nell'ultima stanza dell'enorme grotta, trovandolo già esausto dal combattimento con la Fata Nera e dai sintomi dell'atassia, eppure riuscì comunque ad evitare il getto di fuoco che gli scagliò contro, rotolando alle sue spalle appena in tempo per non finire incenerito.
"Ah, dannazione!" sbottò dentro di sé, mentre cercava di decidere se il fiato corto dipendesse dalla carenza di ossigeno o dal fatto che tutto il tempo trascorso sui libri li avesse reso fisicamente incapace di sostenere uno scontro simile.
Tuttavia, mentre cercava di riprendersi un dettaglio del drago lo attirò.
Gli era familiare. C'era qualcosa in quella mostruosa figura che aveva già visto, proprio come era accaduto con Ruby. Furono i bagliori verdastri degli occhi fissi su di lui a suggerirgli la risposta, spingendolo a sorridere, ma non ebbe altro tempo.
Il bestione tornò all'attacco, dispiegando le enormi ali e cercando di agguantarlo con le forti zampe. Riuscì a impedirglielo abbassandosi nuovamente e rotolando, ma un forte dolore alla gamba lo costrinse a terra. Strinse i denti, soffocando un urlo, e abbassò gli occhi sull'arto, trovando il pantalone incenerito all'altezza del polpaccio, e la carne arsa e sanguinolenta.
Di nuovo, imprecò ringhiando tra i denti.
 
«Maleficent!!» urlò, rivolgendosi al drago, che stava per tornare a sputare fuoco contro di lui e stavolta lo avrebbe preso in pieno «Lo so che puoi sentirmi! Maleficent!! Svegliati!!»
 
Di colpo l'imponente bestia si bloccò, con la zampa a mezz'aria e le fauci ancora spalancate. Lo guardò e il bagliore nei suoi occhi si spense, acquistando luce umana. Gideon sospirò, quindi si schiarì la voce e tornò a ripetere.
 
«Non ho intenzione di ucciderti, Maleficent! Ma non voglio neanche morire qui, non è per questo che sono venuto!»
 
Sorrise amaro, guardando la ferita e ripensando a quella frase. Era venuto per Emilie, e il debito che lei aveva nei suoi confronti cresceva di minuto in minuto. Una luce limpida esplose in silenzio, costringendolo a chiudere gli occhi per non rimanerne accecato. Poi una voce si fece udire
 
«Allora non morirai, ragazzo.»
 
Spalancò le palpebre, il cuore in gola, ritrovandosi di fronte la regina dei draghi nella sua forma umana. A parte le corna, la lunga veste nera e lo scettro, non aveva un'aria minacciosa. Anzi, sembrava guardarlo con amore materno, quello vero stavolta.
Sospirò, sorridendo.
 
«Grazie per avermi risvegliata.» gli disse la strega, poi avanzò di qualche passo, afferrò la piccola chiave che portava legata al collo per mezzo di un filo d'argento «Prendi. Questa chiave ti permetterà di accedere all'ingresso delle segrete.»
 
Sembrava tutto così assurdo, ora. Una patetica messa in scena appositamente studiata per farlo uscire di testa. Ma il freddo era reale, e anche il dolore atroce che lo avvolgeva stringendogli la gamba in una morsa lo era. Allungò una mano verso la chiave, la afferrò, quindi annuì con un sorriso e stava per chiederle un aiuto con la ferita, visto che in fondo era stata lei ad infliggerla, quando la vide scomparire in una nuvola di fumo nero e denso.
Sospiro, scuotendo il capo e stendendosi a terra. Chiuse di nuovo gli occhi, appoggiando il palmo della mano destra sulla fronte. Era calda, e sudata.
Lo sapeva che non poteva stare lì a lungo, sapeva che non poteva addormentarsi proprio adesso. La chiave era nelle sue mani, doveva muoversi, in fretta.
Ma la gamba pulsava, il suo corpo era così pesante e i suoi occhi a poco a poco si chiusero. Non seppe dire per quanto tempo restò così, incosciente e abbandonato, ma quando si svegliò, di soprassalto, come se il suo subconscio fosse invece rimasto vigile e lo avesse costretto a farlo, si ritrovò pieno di dolori, col fiato ormai così corto da costringerlo ad annaspare, e con un freddo così pungente ad avvolgerlo da non riuscire a smettere di tremare neanche volendo.
Si mise a sedere, con un movimento un po' troppo avventato. La testa gli girò vorticosamente e il mondo per un attimo finì sottosopra. Chiuse gli occhi, reggendosi le tempie con entrambi le mani. Quando ebbe ritrovato il controllo tornò a guardare la ferita e la trovò ancora lì, macilenta e gonfia.
Doveva curarsi se voleva uscire da li. Ma come? Non aveva portato niente con sé utile allo scopo, una manciata di erbe mediche e qualche benda non avrebbero funzionato. Gli sarebbe servita una soluzione più rapida, come una pozione, o … un incantesimo di guarigione.
Sbatté un paio di volte le palpebre, cercando di ritornare lucido. Certo, ecco la prova regina. Ecco perché Ruby lo aveva chiamato con quello strano nomignolo, "Figlio di Tremotino". Strinse i denti, allungandosi verso la ferita, ma all'improvviso si arrese allo sconforto, scoppiando in un pianto dirotto.
 
«Io non so usare la magia!» mormorò, rabbia mescolata a rammarico, delusione.
 
Emilie, era lei quella brava negli incantesimi, era lei la degna figlia di suo padre. Lui aveva solo la buona memoria di sua madre e il suo spirito perseverante, la passione per i libri. Si ricordò di aver letto un incantesimo utile allo scopo, ma farla funzionare richiedeva un livello maggiore di conoscenza, che lui non aveva. Si abbandonò di nuovo a terra, le braccia spalancate, aspettando la morte. Gli sembrò quasi di sentirla, sua sorella.
 
«Sei un'idiota. Avevi il Signore Oscuro a tua disposizione e non gli hai neanche chiesto di insegnarti qualche trucchetto basilare.»
 
Scosse il capo, il sale delle lacrime bagnò le sue labbra secche. Aprì la bocca per parlare, ma d'un tratto un ricordo attraversò la sua mente. Emilie … lei aveva iniziato a imparare la magia a sette anni, e a una di quelle lezioni aveva partecipato anche lui. Tremotino aveva colto l'occasione di una passeggiata nei boschi per insegnarle proprio un trucco simile. Sua sorella era caduta, scivolando su un masso ricoperto di muschio e seminascosto sotto il terreno. Si era fatto appena un graffio, ma invece di piangere aveva guardato suo padre e gli aveva chiesto, a brucia pelo.
 
«Voglio curarmi da sola. Insegnami.»
 
La richiesta non lo aveva sorpreso, anche se aveva letto un po' di preoccupazione nello sguardo di sua moglie Belle. La bambina però aveva insistito, e allora lui l'aveva accontentata.
 
«Chiudi gli occhi.» aveva detto calmo, prendendole una mano e invitandola a porre il palmo aperto sulla ferita.
 
Sicura e fiduciosa, la bambina aveva obbedito senza esitazione, con un sorriso. A quel punto Tremotino l'aveva lasciata andare, e le aveva suggerito.
 
«Ora smetti di pensare, e ascolta solo con il cuore. Senti l'energia che scorre dentro di te, attraverso te. Ci riesci?»
 
La piccola Emilie aveva seguitato a sorridere, annuendo.
 
«Bene.» le aveva detto suo padre, sorridendo a sua volta «Ora devi soltanto darle una piccola spinta, risvegliarla. Ricorda, la magia vive di sensazioni, è qualcosa che va oltre la logica, si nutre delle tue emozioni. Con lei non puoi fingere. Dalle ciò che vuole, e avrai qualcosa in cambio.»
 
L'aveva vista annuire di nuovo, prendere un grande respiro profondo e distendere i nervi. Solo qualche istante ancora, poi una luce limpida, calda e dorata come quella del sole del mattino si era irradiata dal suo piccolo palmo, e in men che non si dica la ferita era scomparsa e il dolore passato.
Belle era rimasta ad osservare in silenzio alle spalle del marito, un sorriso sottile dietro labbra che non riusciva a concretizzarsi, mentre Tremotino aveva sorriso e lodato sua figlia per la notevole impresa compiuta, lasciandosi abbracciare forte e ascoltandola ridere felice.
Gideon aveva ricordato sempre e solo quel dettaglio, di quell'avvenimento. La paura di sua madre, e aveva fatto di tutto per non inquietarla ulteriormente. Forse per questo si era dedicato ai libri, che erano la cosa che più affascinava Belle. Per farla felice, o per non rischiare che i fantasmi di quel passato che non era mai riuscito a ricorda tornassero.
Per Emilie e suo padre invece la magia non era mai stato un problema, ma la soluzione, anche quando era stata la magia stessa a togliere loro il lieto fine che avrebbero voluto. Sospirò, rimettendosi seduto e tornando ad allungarsi col palmo aperto verso la ferita.
Scacciò le lacrime, schiarì i pensieri e tornò a chiudere gli occhi, richiamando a sé la voce di Tremotino.
 
«Va bene …» mormorò, poi seguì l'esempio della sua sorellina.
 
Rilassò i muscoli, si diede tutto il tempo per sentire l'energia di quel luogo e dentro di sé. Un lento pulsare, appena sotto quello del proprio cuore. Un canto limpido oltre le ombre. Ci volle forse un'istante di troppo, perché non era mai stato abituato a questo, ma alla fine riuscì a canalizzarla e a mormorare speranzoso.
 
«La sento …»
 
Qual era il prossimo passo? Ah, giusto. Sensazioni…
A cosa pensava Tremotino quando la usava? A cosa aveva pensato Emilie quel giorno? Sapeva di non poter contare sui loro ricordi o desideri. No, se voleva farlo funzionare doveva darle un pezzo di sé, qualcosa di potente. Un … pensiero felice.
Felice come l'abbraccio caldo e avvolgente di sua madre, il suo sorriso, le risate innocenti di sua sorella, l'amore premuroso di suo padre, il tramonto alla fine di una lunga giornata, il verde delle gemme sui rami degli alberi in primavera. La sua famiglia unita, prima che tutto quel dolore la travolgesse.
Tutti e quattro attorno a un tavolo consumando un pasto frugale e parlando del più e del meno, sereni, come se non dovesse finire mai.
Fu proprio quell'immagine, l'ultima e la più preziosa che aveva, ad accendere la magia in lui. Proteggere, curare, amare.
Tre parole che il suo inconscio gli suggerì e che innescarono il miracolo. Un calore tenue irradiò il suo palmo, poi una tenue luce chiara illuminò l'oscurità e le sue labbra si mossero quasi senza che lo volesse, recitando l'incantesimo necessario.
Quando riaprì gli occhi, la magia aveva funzionato e la ferita era sparita assieme al dolore. Un largo e commosso sorriso apparve sul suo volto pallido e stanco.
 
«Ce l'ho fatta …» mormorò incredulo, guardando il palmo aperto della sua mano «Ce l'ho fatta!» ripeté, schizzando in piedi e scagliandolo al cielo.
 
Si fermò, osservando la volta scura, quindi trasse a se quel pugno e sorrise portandoselo al petto, mentre lacrime commosse tornavano a bagnare i suoi occhi.
 
«Grazie, papà.» mormorò, riacquistando consapevolezza di sé.
 
"Per non esserti arreso. Per non averci lasciati andare. Per averci amati più di quanto amassi te stesso."
 
Quindi riprese la sua bisaccia e strinse la chiave appesa al petto, ritrovando determinazione.
 
«Ti ho fatto una promessa, e la manterrò. Mi prenderò cura di Emilie, quindi riposa in pace. Tocca a me, ora.»
 
***
 
Le segrete del castello erano un luogo se possibile ancora più tenebroso di quella grotta, ma non appena riemerse dalla piccola porticina in legno una ventata di aria nuova lo avvolse e riuscire a tornare a respirare regolarmente fu bellissimo. Quella parte di castello era stata adibita ad armeria, perciò puzzava di polvere da sparo, zolfo, umidità e olio di ricino, ma ciò non gli impedì di ispirarne profonde bloccate, la schiena appoggiata alla parete fatta di dura pietra e le gambe ancora tremanti.
Si concesse un istante, guardandosi intorno. La stanza era piccola e semivuota, fatta eccezione che per qualche armatura e delle casse piene di armi di ogni tipo.
La porta d'ingresso era socchiusa, fuori non c'era nessuno a guardia del prezioso bottino, se non un soldato addormentato che ronfava alla grande.
Sorrise, abbandonando la chiave su una delle casse e calando il cappuccio del mantello nero sul volto. Uscì in punta di piedi, stringendo l'elsa della spada e stando ben attendo a non fare alcun tipo di rumore. Si mosse come un'ombra, cercando di capire come uscire da quel labirinto. "Trova il Fante di cuori, ti condurrà da lei" gli aveva detto Cappuccetto Rosso.
Cosa sapeva di Will Scarlett? Le favole tradizionali parlavano poco di lui, sua madre che lo aveva incontrato a Storybrooke lo aveva descritto una volta come un uomo spiritoso e romantico, un buono di cuore con una leggera dipendenza da alcol e una paura patologica di finire annegato. Era stato un arciere di Robin Hood, quindi quasi sicuramente amava tutto ciò che sollevano fare gli uomini di quella risma. A ben pensarci, che ci faceva il Fante di cuori con sua sorella? Si erano conosciuti a Storybrooke o ...?
Si fermò a riflettere, nascosto dietro una pila di grosse casse di legno sigillate, ma mentre lo faceva un pennacchio rosso attirò la sua attenzione. Apparteneva a un giovane uomo che al momento stringeva il suo elmo sottobraccio e attraversava svogliatamente il corridoio pieno di guardie, diretto proprio verso di lui.
Gideon trattenne il respiro, prendendo ad osservarlo con più attenzione. Non era affatto come se lo era immaginato, ma forse era meglio così.
Non appena gli fu abbastanza vicino si protese ad afferrargli un braccio, guardandolo negli occhi e aspettandosi di ricevere un rimprovero, o un colpo di spada. Invece l'uomo si limitò a guardarlo, scrutandolo con attenzione dalla testa ai piedi.
 
«Sei Will Scarlett, vero? Il Fante di Cuori.» gli chiese, quando il silenzio iniziò a durare troppo.
 
Finalmente questi si sciolse in un sorriso che più che felice sembrò sollevato.
 
«E tu devi essere Gideon. Dimmi che lo sei, ti prego. Così potrò smetterla di indossare questa ridicola divisa.» disse, laconico, guardandosi con commiserazione.
 
L'aitante eroe annuì, e stavolta lo vide davvero sorridere.
 
«Dov'è mia sorella?» domandò, quasi ordinandoglielo «Che le è successo? La conosci?»
 
Il sorriso si trasformò in una smorfia.
 
«Sfortunatamente, si. Fin troppo bene.» gli rispose il Fante, ma c'era una luce particolarmente affettuosa nei suoi occhi che contraddisse le sue parole «La prossima volta invece di startene sempre sui libri dai un'occhiata a quello che combina la tua sorellina, non immagini che fatica sia stata starle continuamente dietro. Le ci vorrebbe un guinzaglio.» suggerì.
 
Quindi ridacchiò, divertito della sua espressione spaesata e sorpresa.
Gli battè una pacca sulla spalla e gli fece cenno di seguirlo.
 
«Guarda come ti ha ridotto, poveraccio.» commentò facendo strada «Vieni, ti porto da lei e chiudiamo questa storia. Per tutti i diavoli, perché ci hai messo così tanto?»
 
***
 
Quando Malefica aveva riacquistato le sue vere sembianze e i suoi ricordi, Emilie l'aveva visto dalla sfera di cristallo, nel privato della sua stanza. La prima cosa che la regina dei draghi aveva fatto dopo essersi congedato da Gideon era stata raggiungerla e chiederle di sua figlia.
 
«Non si è ancora svegliata, ma non dovrebbe volerci molto ora che mio fratello è tra noi. Puoi aspettarla nel tuo castello, o rimanere qui con noi. A te la scelta» le aveva detto.
 
Dopo un attimo di esitazione la Regina dei Draghi aveva preferito tornare al suo luogo, per riassaporare quelle atmosfere famigliari, lasciandola ai suoi impegni, più urgenti che mai.
Ancora seduta di fronte alla sua sfera di cristallo, Emilie aveva guardato emozionata suo fratello imparare l'arte della magia e un sorriso commosso e felice era sorto sul suo viso quando lo aveva sentito mormorare quel sincero
 
«Grazie papà.»
 
Eppure, quando mezz'ora più tardi lui giunse finalmente al suo cospetto, accompagnato da Will Scarlett che subito si congedò lasciandoli ai loro affari, una miriade di emozioni diverse le zampillarono in petto, lasciandola quasi senza fiato.
Lo scrutò con occhi lucidi, come se non riuscisse a credere a ciò che vedeva. Gideon le rivolse una lunga occhiata seria, che voleva essere di rimprovero, ma la gioia era troppa perché lei ne venisse colpita.
Invece, scorse gli abiti neri logori e impolverati e sorrise contenta
 
«Benvenuto nel mio piccolo antro, fratellone.» lo accolse, scoccandogli un occhiolino «Il nero ti dona.»
 
Lo guardò reprimere un impeto di rabbia. Strinse i pugni e i denti, chiudendo gli occhi e inspirando.
Si diede tempo, e lei glielo concesse.
 
«Emilie...» esordì infine, una nota nervosa nella voce di solito sempre sicura e pacata «Cosa significa tutto questo?»
 
Era l'unica domanda che riuscì a porre. L'unica che non risultasse troppo cattiva e offensiva. Ma per tutta risposta lei inclinò di lato il capo e lo scrutò con genuina curiosità.
 
«Questo cosa?» domandò.
 
E stavolta lui non riuscì più a impedirsi di sbottare.
 
«Questo! Tutto questo!» esclamò con veemenza, allargando le braccia «E quello che hai lasciato indietro. Che cosa stai facendo, Emilie? Cos'hai fatto? Perché hai voluto che venissi, che ricordassi?!»
 
Se fino ad allora lei era rimasta ad ascoltarlo impassibile, quasi distratta, nell'udire quelle parole i suoi occhi si accese di una luce sinistra che conosceva fin troppo bene. Si alzò in piedi, lo raggiunse e lo guardò dritto negli occhi.
 
«Ricordare?» gli fece eco «Quindi hai ricordato? Della fata nera, e di tutto il resto? Quanto?»
 
A nulla servì cercare di evitare il suo sguardo, ogni tentativo di fuggire fu vano alla fine lui fu costretto ad ammettere, sbottando di nuovo.
 
«Tutto, Milly! Ho ricordato... tutto.» mormorò chinando il capo, gli occhi lucidi «Perché hai voluto farmi questo?» le domandò, ma la vide scuotere il capo e allora l'affrontò «Non dirmi che non lo sapevi.»
 
La sentì ridacchiare.
 
«Lo immaginavo, lo speravo ardentemente, certo.» ammise «ma non ne ero completamente sicura.»
 
Rise di nuovo, contenta, battendo le mani.
 
«E dimmi, quando è successo? È stata la polvere di fata, vero?» domandò, più curiosa che mai.
 
Ma Gideon non aveva alcuna intenzione di ricordare. Era stato già sufficiente farlo una volta.
 
«Emilie, basta!» sbottò, con più veemenza del necessario.
 
Se ne accorse guardandola sgranare gli occhi e scrutarlo prima sorpresa, poi affascinata. Mai, in tutta la sua vita, si era ritrovato perdere la pazienza a quel modo. Prese un respiro e cercò di calmarsi.
 
«Ti prego...» mormorò, ricacciando in dentro le lacrime «Ti prego, dimmi che non hai infranto il patto. Dimmi che non hai dimenticato la promessa.»
 
Per la prima volta da che quella conversazione era iniziata, la vide farsi seria, quasi offesa da quell'affermazione.
 
«Io non ho dimenticato un bel niente» rispose «Ricordo tutto di papà, ogni singola parola. Ogni gesto, ogni sorriso e ogni lacrima.»
«Allora, spiegami perché da quando sei partita tutto continua a raccontare il contrario. Prima Killian e Alice, ora questo. Come sei riuscita a salvare Bae, cosa hai fatto per renderlo possibile?»
 
Incrociando le braccia sul petto e facendo un passo indietro, Emilie lo fissò con aria ostile.
 
«Tu cosa credi?» gli chiese, algida.
 
Una semplice domanda, un altro tranello.
Gideon sospirò sconfitto e scosse il capo, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
 
«Io voglio soltanto riavere indietro la mia sorellina.» mormorò, rivolgendole un lungo sorriso tenero «Ma dal tuo ritorno dopo il viaggio con papà non riesco più a trovarla, e mi spaventa l'idea che tu possa essere diventata...»
«Una cattiva?» lo interruppe bruscamente lei, ancora ostile, rivolgendogli un lungo sguardo di fuoco «E se io sono una cattiva tu cosa saresti, un eroe?» poi sorrise, scuotendo il capo «Non cadere in quel tranello, Gideon. Tu sei molto di più di questo. Noi... siamo molto più che questo.»
 
Poi si addolcì di nuovo, si avvicinò e gli prese il viso tra le mani. Dita calde, affusolate, morbide come seta.
 
«Vuoi tua sorella?» gli chiese, come parlando ad un bambino «Eccomi, sono qui. Sono sempre stata qui, non me ne sono mai andata veramente.»
 
E finalmente, per la prima volta da che era arrivato, riuscì davvero a vederla e riconoscerla. Le prese la mano, la strinse contro il suo petto.
 
«Allora torna a casa con me. Metti fine a questa follia, libera Alice e Killian e torna indietro. Sei ancora in tempo, Emilie.»
 
Ma lei scosse il capo, lasciandogli la mano e tornando a porre le distanze tra di loro.
 
«Non posso. Non ancora.» replicò «Fino a che Killian Jones non avrà completato il suo viaggio all'interno di questa storia nessuno di noi potrà tornare indietro.»
 
Lo vide battere spaesato le palpebre un paio di volte, come se stesse cercando di dare un senso a quelle parole.
 
«Killian Jones?» domandò, ricordando il suo incontro con quell’uomo spaesato e così diverso dal pirata che conosceva.
 
La giovane Gold annuì.
 
«Quando ho preso l'occhio di Cronos, ho scoperto le sue regole.» spiegò «Ci sono cose che non posso modificare, eventi che devono necessariamente avvenire e il libro era uno di questi. Tutto ciò che ho potuto fare è stato piegare questo tempo a favore di papà e della nostra famiglia. Killian Jones aveva un debito con noi, più di uno in realtà...»
 
Un sorriso amaro si dipinse sulle labbra sottili di Gideon.
 
«Quindi hai usato lui come capro espiatorio.»
 
Emilie tornò a ridacchiare.
 
«Non posso dire che non sia stato divertente. Almeno ho potuto prendermi qualche soddisfazione.»
«Ma... io non posso restare... tu hai maledetto Alice, devi salvarla.» le disse, cercando di riportarla a più miti consigli.
 
La vide fermarsi di nuovo a guardarlo, una strana luce malevola negli occhi.
 
«Come sta?» chiese soltanto.
«Come pensi che stia?» le fece eco lui, in tono di rimprovero ma senza riuscire ad essere aspro «Emilie, hai usato la magia nera su di lei!»
 
La sentì ridere.
 
«Certo! In che altro modo avrai potuto attirarti qui, sennò.» gli rispose divertita.
 
Si fermò a guardarla, senza più niente da aggiungere. Era come vederla camminare sul filo del rasoio, ma ogni tentativo di salvarla cadeva nel vuoto.
 
«Comunque non preoccuparti» lo rassicurò, cogliendo l'opportunità di riempire quel silenzio «Quando torneremo a Storybrooke li lascerò andare, promesso.»
 
La fissò, quel guizzo nei suoi occhi gli confermò la verità. Promesse da marinaio.
Forse però c'era ancora speranza per lei. Glielo dicevano i suoi occhi, i suoi gesti, le parole che nascondeva. O forse era soltanto lui che voleva continuare a illudersi.
 
«Vuoi davvero salvarmi, fratellone?»
 
Quella domanda lo raggiunse cogliendolo di sorpresa. Si riscosse, e la guardò.
 
«Allora, ora che sei arrivato, resta un po' con noi.» gli domandò, implorante come quella bambina curiosa ch'era sempre stata «Oppure vai in soccorso del pirata e aiutalo a tornare presto a casa. A te la scelta.» gli rivolse un lungo sguardo affettuoso «Io preferirei che restassi.» gli suggerì «Mi sei mancato. E qui in fondo si sta bene…»
 
Infine sollevò dal tavolo vicino alla finestra, lo stesso su cui era poggiata la sfera di cristallo, una campanella di bronzo e la fece suonare a lungo, fino a che un paio di servitori non entrarono inchinandosi nella stanza.
 
«Scortate il nostro ospite fino alla sua stanza, e preparategli un pasto e un bagno caldo in modo che possa riprendersi dalle fatiche del viaggio.»
 
Gli lasciò un bacio sulla fronte, quindi gli voltò le spalle e uscì dalla stessa porta da cui erano entrati i servi, lasciandolo con un'ultima promessa.
 
«Prenditi tutto il tempo che ti serve. Quando vorrai rivedermi, ora sai dove trovarmi.»

 
 (Continua …)
 
#ouatedit from May the Pasta be with you

Gideon ed Emilie Gold

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Capitolo 15
*** Episodio XV – La Strega del mare ***


Episodio XV – La Strega del mare
 
NOTE: Tutte le foto utilizzate sono miei cosplay di Emilie. Non è permesso salvarle o condividerle al di fuori di questa storia salvo mia previa autorizzazione.
Buona lettura!
PS. La canzone che vi consiglio di ascoltare durante la lettura è questa: https://www.youtube.com/watch?v=7GlyAgm7j1w


Nonostante le premesse, Emilie era stata buona con Gideon.
Gli aveva concesso la stanza più bella e comoda del castello, con un enorme letto a baldacchino, un'ampia biblioteca e una terrazza che dava su un incantevole squarcio del giardino, con un laghetto artificiale popolato da ninfee, uccelli di giorno e lucciole di notte.
Il bagno gli era stato preparato con acqua calda al punto giusto, petali di rosa ed essenza di lavanda, un toccasana per i suoi nervi, e i vestiti, cuciti con materiali pregiati, seguivano le tonalità dell'oro e del bianco.
Il regalo più sorprendente però era stato quel libro che aveva trovato aperto sulla scrivania, una copia del libro di Henry, ma con una storia diversa: la loro.
Era rimasto a fissare attonito l'illustrazione in filigrana, un'immagine di Emilie del tutto inedita per lui, e non appena aveva compreso cosa fosse quel volume si era seduto alla scrivania e aveva iniziato a sfogliarlo, cedendo alla curiosità.
Così, la vita di Emilie dopo la sua partenza gli si era manifestata in modo limpido e imprevedibile, e ben presto i minuti passati a leggere si erano trasformati in ore e l'angoscia si era trasformata prima in dolore, poi in sorpresa, in gioia e infine in una strana, confortante rassegnazione. Il libro s'interrompeva a metà, facendo riferimento a quello in cui erano intrappolati ora.
Un'illustrazione mostra a Emilie accanto a Mr. Gold, entrambi incombevano minacciosamente su Isaac che seguitava a scrivere sotto dettatura.
"Fu così..." recitava la didascalia "Che Emilie Gold comprese che, se voleva continuare a proteggere il suo bene più caro, doveva fare in modo che il tempo si piegasse al suo volere."
C'era un appunto scritto a penna, a bordo pagina. La calligrafia era proprio quella di sua sorella, e il testo si componeva di quattro semplici parole: Punti fissi nel tempo.
Trattenendo il fiato, Gideon le fissò, e all'improvviso capì il motivo di tutta quella sceneggiata. Ma certo!
Non si può riscrivere il destino, solo tentare di piegarlo al proprio volere, ed era ciò che Emilie aveva tentato di fare. Quel libro, quella storia, sarebbe accaduta comunque ma Tremotino avrebbe avuto un ruolo marginale e alla fine nulla sarebbe cambiato della sua realtà.
Ora che c'era Emilie, però, tutto sarebbe stato diverso, e forse tutto ciò che sarebbe accaduto in questa realtà fasulla avrebbe influito anche sul presente, con un prezzo da pagare assente o ridicolmente basso.
Cavalcare il drago invece di ucciderlo, ecco qual era il piano! Sorrise, una lacrima si affacciò ai suoi occhi.
 
«Piccola Principessa pestifera che non sei altro...» aveva mormorato commosso.
 
Comunque sia, non era stato tutto così semplice, e alla fine quello che aveva temuto si era avverato. Baelfire... scambio di corpi. Era un criminale quello morto al suo posto, ma era stata lei a spingerlo e questo equivaleva ad omicidio, intenzionale per giunta.
Sentì un dolore attraversargli il petto, chiuse il libro e si accasciò sulla sedia, sprimacciando due dita sulle palpebre socchiuse.
 
«Milly...» mormorò, e stava per cedere al pianto ma un paio di colpi alla porta lo distrassero.
 
Decisi, forti. Pensò alla cena e schiarendosi la voce invitò ad entrare, ma non appena la porta si aprì sulla soglia apparve chiara la figura di Baelfire, e a lui mancò di nuovo il fiato.
Si fissarono in silenzio per qualche istante, Gideon sgranò gli occhi mentre l'altro parve vacillare, imbarazzato.
 
«Oh, perdonami. Credevo ci fosse mia sorella. Mi ha detto di incontrarci qui, ma...» sorrise imbarazzato «A quanto pare mi ha giocato un altro scherzo. Ama queste cose.»
 
Un sorriso amaro piegò le labbra di Gideon.
 
«Già...» mormorò, abbassando gli occhi e scuotendo il capo «Le adora...»
 
Quelle parole, il tono dolceamaro in cui vennero pronunciate e la strana circostanza che li aveva fatti incontrare all'improvviso sembrarono ridestare Neal, anche se solo per pochi istanti.
Si fece serio, lo osservò con attenzione corrucciandosi, quindi chiese, facendo qualche passo in avanti per poterlo osservare meglio.
 
«Comunque...» disse «Tu... Hai un'aria famigliare...»
 
Come un ladro colto sul fatto, Gideon tornò ad alzare il viso verso di lui e trattenne il fiato, fissandolo a sua volta in silenzio.
Lo aveva sempre visto solo in fotografia, i capelli ricci, gli occhi sinceri, un jeans e una maglietta come unici abiti. Ora che lo aveva di fronte si sentì quasi mancare, e la sua mente ripiombò nel passato. Agli occhi tristi di suo padre quando ne parlava, ai mille segreti che aveva preferito portarsi nella tomba piuttosto che condividere con i suoi due figli quella sofferenza.
Baelfire... Era vivo. Ed erano uno di fronte all'altro.
Aprì la bocca per parlare, ma riuscì solo a balbettare una serie di parole all'apparenza scoordinate.
 
«I-io... N-noi... Gideon. Mi chiamo Gideon...»
 
Baelfire inclinò di lato il capo, poi si sciolse in un sorriso e gli porse la mano.
 
«Oh, sei il nostro nuovo ospite.» disse «Non pensavo che Emilie ti avesse dato proprio questa stanza. Beh, piacere di conoscerti Gideon.  Presentiamoci come si deve. Io sono Baelfire.»
 
Un altro passo in avanti, quel sorriso sicuro negli occhi. Nel prendergli la mano, Gideon gliela strinse più forte del previsto temendo che potesse accorgersi del tremore che lo aveva colto, e questo sembrò divertirlo.
 
«Woah! Hai una bella stretta.» ridacchiò, riuscendo finalmente a strappargli un sorriso.
 
Avrebbe voluto chiedergli tante cose, ma poi si ricordò che in quel mondo non avrebbe potuto rispondergli. Forse... tornò serio a fissarlo, nella mente un pensiero. "Emilie... cosa ti aspetti che faccia? È per questo che hai voluto che ci incontrassimo?". Lo fissò, riflettendoci su per qualche istante, poi si decise. Da qualche parte doveva pur iniziare.
 
«Perdonatemi... Vostra Altezza...»
 
Era tutto così ridicolo! Anche l'altro dovette pensarlo, perché tornò a sorridere, scuotendo il capo e aggiungendo.
 
«Oh, no ti prego. Chiamami solo Baelfire, o anche Bae se vuoi. Potrà sembrarti strano, ma sento di potermi fidare di te. È come se ti conoscessi da sempre.»
 
Gideon annuì, aprendosi in un sorriso commosso.
 
«Anche per me è così...» confermò.
 
"È pensare che avresti dovuto essere tu il fratello maggiore. E ora... ora lo sei."
Sorrisero, guardandosi.
 
«Va bene... Bae.» accettò, tornando quindi a chiedere «Dunque tu... prima... cosa intendevi con ‘proprio questa stanza’?»
«Oh...» fece allora il Principe, poi sorrise un po' imbarazzato «Bhe, vedi...»
 
Abbassò il capo, nascondendo appena il disagio e la tristezza.
 
«Questa è la stanza preferita di Belle, era la sua camera da letto prima che lo Stregone le portasse via tutto. Devi essere una persona veramente speciale se hai avuto il permesso di vivere qui.»
 
Gideon si guardò intorno, e finalmente capì il perché di quella strana, confortante sensazione che lo aveva avvolto non appena aveva messo piede in quell'ambiente.
Le rose che ricoprivano le colonne del terrazzo, i libri, i quadri, perfino il profumo... Tutto parlava di Belle.
E un sorriso tornò a dipingersi sulle sue labbra. Certo, era ovvio. Al preferito della mamma andava la stanza preferita della mamma.
Fu in quel momento che realizzò. Se Baelfire era vivo, anche Belle...
Scosse il capo, cercò di resistere alla tentazione ricordandosi che no, non era la stessa Belle che lo aveva cresciuto, era solo un'altra illusione. Ma poi... l'unica cosa che riuscì a pensare era che le mancava terribilmente. Le mancavano i suoi abbracci, i suoi sorrisi, i suoi modi gentili e amorevoli. Il modo in cui lo guardava, lo scintillio orgoglioso nei suoi occhi ogni volta che incrociavano gli sguardi.
Non poté più trattenersi dal chiedere
 
«Belle... Sarebbe possibile... vederla?»
 
Baelfire sorrise, annuendo.
 
«Credo di sì.» disse tranquillo «Seguimi.»
 
***
 
Fu più di un tuffo nel passato, molto più di un semplice incontro.
Quando la porta del piccolo salotto in cui Belle e Tremotino si trovavano al momento si aprì, e i loro sguardi incrociarono il suo, non bastarono più tutti i discorsi razionali, le frasi motivazionali e i buoni propositi.
I "Non sono loro!" si dissolsero contro i loro volti familiari, tutti i "Non è reale!" persero irrimediabilmente sostanza contro i loro sguardi ancora così indelebili nella memoria, e ora di nuovo così reali.
"Mamma... papà..."
Le sue labbra si dischiusero, riuscì ad impedirsi appena in tempo di pronunciare quelle parole.
Fu Baelfire invece, a farlo al posto suo.
 
«Mamma, papà. Lui è il nostro nuovo ospite, Gideon. Voleva conoscervi.» disse, in tono garbato e con gesti moderati.
 
Le reazioni a quella rivelazione furono differenti. Belle sorrise, ma non come ad un figlio ritrovato, seppur con la sua solita affabilità e gentilezza.
 
«Benvenuto.» lo accolse «Spero ti troverai bene, il Castello è casa tua ora.»
 
Parole dolci, ma solo lui ne comprese appieno il significato. Lui, e Tremotino, che non appena udì il suo nome sgranò gli occhi e lo fissò, trattenendo il fiato, osservandolo poi mentre si avvicinava titubante a sua madre e si lasciava stringere le mani da lei.
Fu proprio grazie alle lacrime affacciate agli occhi del Signore Oscuro in quel momento, che Gideon comprese. Come sempre, Tremotino era sveglio.
Si lasciò abbracciare da Belle, la ringraziò per la sua cordialità cercando di non lasciar trasparire l'emozione nella voce, poi si rivolse a lui sorrise.
"Papà... so che non sei... non sei tu, ma... sei molto più simile a lui di quanto ricordassi."
Cos'era accaduto? Era merito di Emilie, o...?
 
«Belle ha ragione...» lo accolse Rumplestiltskin, allargando le braccia «Questo castello, ora è anche casa tua...»
 
Poi lo abbracciò, e in quel calore Gideon si perse di nuovo. Chiuse gli occhi, sprofondò per qualche istante il viso nell'incavo della sua spalla e lasciò che qualche lacrima gli sfuggisse mentre lo sentiva sussurrare, con affetto, come l'ultima volta.
 
«Resta quanto vuoi, figlio mio.»
 
***
 
Ancora una volta sepolta dal buio, quello che invadeva la sua stanza, Emilie osservò la scena da lontano, grazie al vetro della sua palla di cristallo, e quell'abbraccio sciolse anche lei, che d'improvviso sentì di non potersi più trattenere.
Gli occhi pieni di lacrime, reclinò il capo e nascose il volto in mezzo alle braccia incrociate sulla scrivania, abbandonandosi ai singhiozzi. "Te lo avevo promesso, Gideon. Li riavremo, e sarà così per sempre."
Era il suo sogno che iniziava ad avverarsi, e un senso di completezza e pace l'avvolse. Cullata dal profumo delle rose e da quello dell'acqua di colonia di suo padre con cui aveva bagnato i polsi e il collo, chiuse gli occhi e si addormentò così, un sorriso commosso sulle labbra sottili. E nel sogno rivide la sua famiglia unita, un assaggio di quello che sarebbe potuto essere: mamma, papà, Gideon e Baelfire, insieme nella piccola casetta ai confini del tempo, rose rampicanti sulle pareti e un dolce vento di primavera ad accarezzare i suoi capelli.
Vide Ewan stringerla forte, una dolce bambina appena nata tra le loro braccia che sorrideva loro. Notti stellate passate a fissare il cielo sopra il castello Oscuro, mille viaggi insieme per il mondo e attraverso la Foresta Incantata.
Fu confortante. Un abbraccio da sé stessa. "Puoi riuscirci, Emilie. Tutto inizia da qui. Non mollare proprio adesso." "Non lo farò, piccola Emilie. Non mollerò, te lo prometto."
Al risveglio, la notte aveva lasciato il posto all'alba e sulle sue spalle era stata posta una calda coperta fatta di lana e intrecciata con fili d'oro. Lì per lì non seppe capire chi fosse stato, si guardò intorno ma non vide nessuno, tuttavia sembrò ricordare di aver intravisto, nel dormiveglia, la sagoma di Gideon avanzare verso di lei e carezzarle i capelli con dolcezza, per poi rimboccarle le coperte a quel modo come soleva fare quando lei era piccola e, molto più spesso di quanto si potesse pensare, si addormentava china sui libri di favole o meglio ancora tra le braccia di Tremotino, che in quel caso l'accompagna a letto adagiandole dolcemente la testa sulle sue spalle e continuando ad accarezzarla.
Allora, Gideon era sempre rimasto a guardare con un sorriso intenerito. Mai avrebbe immaginato che un giorno gli sarebbe toccato prendere il testimone dalle mani di suo padre, ma era un onere piacevole, per lui che era sempre stato abituato a supportarlo. In fondo era proprio questo a unirli, la voglia di prendersi cura a tutti i costi della propria famiglia.
Aveva sorriso pensandoci, e lo fece anche Emilie adesso, stringendosi nella coperta e crogiolandosi ancora per qualche istante in quel calore confortante.
Si alzò, stringendo i lembi tra le dita per non lasciare che le scivolasse via dalle spalle, e raggiunse il parapetto del piccolo terrazzo, restando ad osservare l'alba che con la sua sfolgorante luce dorata ridonava vita al palazzo, e scacciava le malefiche ombre della notte.
Non era solo un incantesimo. Era la metafora dell'amore tra la Bestia e la sua Bella, della lotta interiore di ciascuno di loro tra il buio e la luce. Una lotta che non sarebbe mai finita davvero.
Restò come una bambina curiosa e sognante ad osservare il giorno nascere fino a che l'alba non finì, poi decise che era giunta l'ora di ritornare sui propri passi.
Abbandonò la coperta sul letto, quindi tornò alla sua sfera di cristallo e con movimenti ritmici e calibrati delle dita la usò per richiamare l'immagine della regina di Atlantide.
Seduta sul suo trono, la donna attendeva.
 
«Ursula!» la chiamò, e la vide voltarsi ad osservarla come se le stesse di fronte.
 
Non fu molto felice di vederla, in realtà.
 
«Ti sei ricordata di me, Lucertolina.» l'accolse perentoria.
 
Emilie sogghignò.
 
«Come potrei dimenticarmi di te?» replicò, poi si fece seria «Non mi sono ancora presa la mia vendetta per quello che hai fatto a mia madre.»
 
Gli occhi le scintillarono di vibrante odio.
Ursula sogghignò
 
«Non ti è bastato avermi usata come esca e avermi confinata qui sotto?» le rispose.
 
La Lucertolina ridacchiò.
 
«Oh, quello non era niente.» disse «Il peggio deve ancora arrivare.» poi cambiò argomento e ritornò seria «Allora, sei pronta al prossimo passo verso il tuo lieto fine?»
 
La strega del mare sbruffò, alzando gli occhi al cielo e voltandosi dalla parte opposta, verso le punte del tridente che scintillava sinistramente nella sua mano sinistra.
 
«Non mi sembra di avere altra scelta.» replicò, poi però tornò a fissarla con astio «Abbiamo un patto. Hai detto che mi restituirai la mia voce e che mi lascerai andare una volta finito tutto questo.»
 
Il ghigno sul volto di Emilie si accentuò.
 
«Non serve ricordarmelo, mia cara. Goditi il presente e fai quello che ti ho chiesto, senza iniziative personali. Poi potrai riottenere la tua voce e andartene in giro per il mondo ad allietare gli uditi più fini per tutto il tempo che vorrai.» ridacchiò, quindi lasciò che la sua immagine svanisse e aspettò di essere di nuovo sola per tramutare il sogghigno in un’espressione di pura cattiveria, evocando la conchiglia con la voce di Ursula nel palmo di una mano e sfiorandola con le lunghe unghie smaltate di nero.
 
«Obbedisci, povera anima sfortunata, e tutto andrà bene. Provocami un'altra volta di più e lo rimpiangerai per il resto della tua vita, lo giuro sul cuore di mio padre.»

 
***

Avvenne poco dopo il suo incontro con la Principessa. Uncino stava seguendo a passo svelto il Fante di cuori attraverso l'intricato reticolo di corridoi, osservando con una certa soggezione il gran numero di preziosi oggetti che occupavano la maggior parte delle nicchie, quando uno sguardo attirò la sua attenzione.
Era lo stesso che lo aveva risvegliato nella dimora di Crudelia, e non appena si rese conto a chi appartenesse rimase immobile a fissarla.
Passò loro di fianco, mano nella mano col giovane figlio.
 
«Vostra Altezza!» s'inchinò pronto il Fante, ma l'attenzione della principessa Emma fu calamitata dal volto di quello sconosciuto che accompagnava.
 
Anche lei lo aveva sognato, proprio la stessa notte.
E nel sogno lui le aveva detto due semplici parole:
 
«Svegliati, Swan!»
 
Si fissarono, in silenzio. Dalla bocca di Uncino sfuggì in un sussurro il suo nome.
 
«Emma...»
 
Lei batté le palpebre un paio di volte, tremando. Mentre Will Scarlett seguitava ad osservarli con molta attenzione.
 
«Mamma, vi conoscete?» chiese il giovane Henry, e questo sembrò riscuotere entrambi.
 
Si fissarono ancora per qualche istante, poi lei iniziò a scuotere il capo e lui parve come riaversi da uno strano torpore, ripiombando nel buio della sua falsa identità.
Si affrettò a inginocchiarsi, genuflettendosi fino a toccare terra con la faccia.
 
«Perdonatemi, Vostra Altezza! Sono stato estremamente irrispettoso.»
 
Lei si sciolse in un sorriso, arrossendo appena.
Si chinò a sfiorargli la spalla con il tocco gentile di una mano, e bastò quel gesto perché altri ricordi sepolti emergessero in entrambi le menti.
Killian Jones la vide vestita con strani abiti e una giacca rossa di pelle, luminosa come una stella nell'oscurità ma anche... così diversa dalla Emma che gli stava di fronte.
Altre immagino lo colpirono dopo, senza dargli il tempo di realizzare o respirare: le onde di un mare in tempesta, vele spiegate al vento, un alto campanile e una città estranea, talmente diversa da sembrare assurda. Un cartello verde che recitava "Benvenuti a Storybrooke".
 
«Io ti credo, Killian» disse la voce di Emma nella sua testa.
 
Ma non poté ricordare oltre, perché all'improvviso il cuore prese a dolere e il fiato gli si mozzò in gola e lui quasi perse l'equilibrio, sentendo le forze abbandonarlo di colpo.
Ma, nonostante questo, non riuscì a staccare gli occhi da quelli della donna. Anche lei aveva ricordato, ma non erano solo frammenti.
Gli ultimi istanti con lui, il malore nella sua cella, i sospetti su Emilie e suo padre. I volti dei suoi genitori, Biancaneve e il Principe Azzurro.
Di colpo, quelle immagini avevano squarciato l'oscurità e lei aveva fissato Uncino come se lo vedesse per la prima volta dopo tanto tempo. Come un miracolo inaspettato.
Si erano aggrappati l'uno all'altra per non cadere, e il resto del mondo era scomparso.
Henry e Will Scarlett erano rimasti a fissarli, ma se il primo era stato semplicemente curioso di sapere chi fosse quell'uomo che sembrava conoscere sua madre, Will Scarlett se ne era rimasto in disparte, un'espressione preoccupata sul volto, studiando ogni loro movimento e pensando solo a quanto Emilie sarebbe stata felice o scontenta di sapere che, infine, la Salvatrice aveva iniziato il suo lento risveglio.
Li aveva lasciati scrutarsi ancora per qualche istante, poi aveva deciso di intervenire.
 
«Mia Signora!» l'aveva richiamata, tossendo un paio di volte per attirare la sua attenzione.
 
Poi aveva afferrato il braccio di Uncino e gli aveva ordinato.
 
«Perdonatemi, ma ho ricevuto l'ordine di scortarlo fuori dalle mura» disse, accennando ad un inchino.
 
Emma lo scrutò confusa, da capo a piedi come se stesse cercando di ricordare chi fosse.
Se fosse stata la Emma che Emilie aveva voluto tenere al suo fianco, la sposa del Principe Baelfire, sarebbe arrossita, si sarebbe scusata per aver intralciato il suo lavoro e li avrebbe lasciati andare sorridendo con garbo al nuovo arrivato.
Invece seguitò a stringere l'uncino del pirata come se non riuscisse a staccarsene, e fece per aprire bocca, ma Killian la prevenne. Sembrava essere tornato appieno nel ruolo che gli era stato assegnato, si staccò da lei e si inginocchio scusandosi e profondendosi in mille inutili salamelecchi senza mai incontrare il suo sguardo.
 
«Mamma, andiamo?» fece Henry, ancora ignaro di tutto «Papà ci sta aspettando.»
 
Altra notizia che sembrò stravolgerla. Lo fissò battendo le ciglia e di nuovo fece per parlare ma, Will Scarlett trascinò via il Pirata inchinandosi di nuovo e ripetendo, rispettosamente.
 
«Di nuovo, scusatemi.»
 
Se ne andarono, ma il Fante di cuori non smise di osservarlo, e così li vide voltarsi l'uno verso l'altra e seguirsi, fino a che furono abbastanza vicini per farlo.
Subito dopo, Killian Jones tornò a chiudersi in un silenzio che durò fino a quando, raggiunte le scuderie, il Fante gli consegnò il destriero che lo avrebbe condotto a casa, un ronzino dalle zampe forti e dalla lucente chioma grigia.
 
«Badate bene. Ciò che esce dal castello dovrà rientrarci» lo avviso, ma il Capitano sembrò non averlo nemmeno udito.
 
Saltò agilmente in groppa al cavallo, prese le redini e solo allora si accorse della scortesia.
 
«Oh, certo.» disse, tornando a sorridere un po' imbarazzato «Avete la mia parola, questo cavallo sarà il mio tesoro.»
 
Scarlett sorrise. "Tesoro..." pensò. "Il cavallo un tesoro... è già tanto che tu sia vivo, dovresti stare attento a questo, non a un inutile cavallo".
Scosse il capo, un sorriso divertito appena accennato sulle labbra. Quindi fece dietro front e si diresse a gran velocità verso gli appartamenti della Principessa, trovandola seduta alla scrivania del suo piccolo studiolo.
Accarezzava con la punta delle dita la sfera di cristallo che le era di fronte, un sogghigno malevolo sulle labbra sottili.
Non appena lo vide, il sorriso si allargò divenendo famelico.
 
«Abbiamo un problema...» disse, e la vide annuire calma.
«Si... ho visto...» mormorò, lasciandosi sfuggire una risatina inquietante.
 
Will assottigliò le palpebre, con aria confusa.
 
«Allora perché non mi sembri affatto preoccupata?» domandò, quasi infastidito.
 
Emilie appoggiò i gomiti sul tavolo e giunse le mani, le dita intrecciate a sfiorare il mento.
 
«Per cosa?» domandò «Perché la Salvatrice potrebbe svegliarsi da un momento all'altro, o perché sembra avere un legame speciale con quell'idiota di uno stoccafisso?»
 
Will scosse le spalle e fece per rispondere, ma si bloccò, restando a osservarla meglio. Era nervosa. Irritata. Lo capì da quell'impercettibile nota stridula nella voce, dal tremolio involontario delle pupille grigie. Ma soprattutto dai pugni stretti che faticavano a riprendere una posizione normale.
Eppure il fatto che non avesse ancora perso la calma del tutto gli fece comprendere che aveva un piano. O, cosa più probabile, ne aveva concordato uno con suo padre nel caso quello spiacevole imprevisto fosse accaduto.
 
«Quindi cosa farai?» le chiese, cedendo alla curiosità.
 
Emilie tornò a sogghignare ed estrasse dal cassetto della scrivania una piccola boccetta piena di uno strano liquido rosso rubino, che scintillava di una luce inquietante.
 
«Quello che so fare meglio...» disse mostrandoglielo mentre lo faceva oscillare, tenendolo stretto tra pollice e medio della mano destra «Prendere tempo.»
 
***
 
Due ore dopo, la Principessa e sua cognata erano sedute al piccolo tavolo in marmo sotto al pergolato ingombro di rose rampicanti in fiore, l'una di fronte all'altra, disquisendo amabilmente del più e del meno mentre aspettavano che le foglie di thè, messe a macerare nella brocca di fine porcellana bianca assieme ad acqua bollente, rilasciassero la loro pregiata essenza.
Era stata Emilie stessa a chiedere quell'incontro, con la scusa di accertarsi delle condizioni di salute della sua cara cognata, che tuttavia aveva guardato con diffidenza sia lei che quell'invito.
Da quando quei ricordi avevano iniziato a risvegliarsi erano passate solo un paio di ore, ma più di tutte c'era una cosa che la tormentava. I suoi genitori, dov'erano? Non li aveva visti da nessuna parte, e l'istinto continuava a suggerirle che Emilie e suo padre sapessero più di quanto volevano dire.
Aveva pensato di chiedere prima di tutto a Tremotino, ma era stato un buco nell'acqua. Preventivamente allertato da Emilie, l'uomo aveva ascoltato in silenzio le sue parole e alla fine si era limitato a sorridere quasi compatendola.
 
«Non so davvero di cosa tu stia parlando, Emma...» le aveva risposto serafico «I tuoi genitori sono morti molto tempo fa, ricordi?»
 
Infido. Ammaliatore. Bugiardo.
 
«Sicura di non essere... semplicemente vittima di una suggestione?»
 
No! No che non lo era! Dove sono? Dove li avete nascosti?
Avrebbe voluto urlare, ma improvvisamente anche quell'impeto d'ira l'era sembrato così inconsueto. Si era ammutolita, chiedendosi cosa le stesse accadendo e perché tutta quella confusione, quindi si era scusata ed era tornata da Baelfire ed Henry. Ma la situazione non era migliorata.
 
«Allora...» iniziò Emilie, decidendo che fosse arrivato il momento per i discorsi seri.
 
Si alzò in piedi, con gesti morbidi e calibrati iniziò a versare il the "corretto". Prima a sé stessa, poi ad Emma, che la osservò in silenzio, tesa.
 
«Come stai? Bae ed Henry mi hanno detto che ti hanno vista un po' strana.» ridacchiò, poi si fermò rivolgendole una lunga occhiata che la Salvatrice sostenne, con quel coraggio che le era fin troppo familiare.
 
«Sto bene...» le disse, semplicemente «Solo...»
 
Ci pensò su ancora per qualche istante, poi sospirò e fece per parlare, ma sorprendendola Emilie la prevenne.
 
«Mi hanno detto che hai incontrato un mio ospite, stamattina. Killian Jones. È stato lui ad averti turbata?»
 
Fu talmente improvviso che Emma ne rimase sconvolta. Sgranò gli occhi e per un istante smise di respirare.
Si fissarono di nuovo, quasi sfidandosi.
 
«Che cosa sai?» domandò allora Emma, facendosi seria.
 
Emilie a quel punto prese la tazza tra le mani, la strinse e se la portò alla bocca, lentamente, bevendo un grosso sorso.
Quando la abbassò, sulle sue labbra sottili era apparso un sogghigno impercettibile.
 
«È un caso complicato...» disse «Io e papà ce ne stiamo occupando.»
 
Un altro tuffo al cuore. Allora era vero, Tremotino sapeva.
 
«Se è così, perché quando gliel'ho chiesto mi ha risposto che non ne sapeva niente?»
 
Dalla gola della Lucertolina emerse una risatina inquietante, e quella fu l'unica risposta che ricevette.
 
«Emma, Emma...» soggiunse intenerita e divertita la giovane Gold, scuotendo il capo «Mia cara, piccola Emma...»
 
Così simile a suo padre!
Si attardò a versarsi un altro po' di tè, quindi prese di nuovo la tazza tra le mani, ma stavolta prima di bere si fermò a guardarla, invitandola con i gesti a fare lo stesso.
La Salvatrice esitò di nuovo, ma poi si lasciò convincere perché Emilie aveva già svuotato la sua tazza, quindi non poteva esserci niente di pericoloso nel fare lo stesso.
La Lucertolina osservò con attenzione i suoi gesti e solo quando la vide poggiare la tazza ormai vuota sul piattino si sciolse in un sorriso.
 
«Dimmi, ricordi il nostro primo incontro?» le chiese, riponendo anche la sua.
 
Tornò ad appoggiare i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani intrecciate, sporgendosi verso di lei e mostrandole i canini bianchi e sporgenti come zanne affilate. Fu la prima volta che se ne accorse... lei... lei sembrava molto più Lucertolina ora. Perfino più di quanto lo fosse a ... come si chiamava quella città... Story... Story qualcosa...
Cercando di rispondere alla sua domanda, si affannò alla ricerca di altri ricordi ma all'improvviso sentì la presa su quella sua vecchia identità svanire e gli occhi farsi pesanti mentre le unghie di Emilie, smaltate di nero, iniziarono ad allungarsi diventando artigli pericolosi, e il suo collo e il dorso delle sue mani a riempirsi di squame. La sua immagine e tutto il resto iniziò a sfocarsi, i contorni si dispersero.
Si aggrappò al tavolo per non cedere, ma ormai era troppo tardi. Mentre Morfeo la trascinava giù, sentì la Lucertolina ridacchiare di nuovo e concludere, minacciosa.
 
«Ti dissi che avrei fatto qualsiasi cosa per la mia famiglia, incluso sbarazzarmi degli ostacoli. Quindi non prenderla sul personale, ma è tempo che tu ti rimetta a dormire. Questo è il Regno di Tremotino, non il tuo, Salvatrice. Sogni d'oro, ihih.»
 
***
 
«Emma! Emma!»
 
La voce familiare di Neal la raggiunse, facendosi largo in mezzo all'oscurità che la avvolgeva, fitta e viscida come una fuoriuscita di petrolio.
Lentamente, una luce iniziò a farsi spazio verso di lei seguendola, e le palpebre iniziarono a sollevarsi.
Si ritrovò distesa nel suo letto a baldacchino, indosso una vestaglia, Neal ed Henry al suo capezzale. La stanza era inondata dalla luce calda del tramonto, e c'era un delizioso profumo dolciastro. Cannella.
La mente ancora un po' intorpidita, guardò il sollievo dipingersi sui volti di suo marito e suo figlio e d'improvviso si rese conto di non ricordare più nulla delle ore precedenti. Era come... come se i suoi ricordi fossero scomparsi, lasciando un vuoto enorme e anche un po' spaventoso.
Batté le palpebre, guardandosi intorno e rendendosi conto di essere ancora troppo debole per muoversi.
 
«Mamma, come stai?» le chiese Henry, dolce e preoccupato.
 
Gli strinse la mano sforzandosi di sorridere.
 
«Sono stanca...» rispose, un filo di voce «Ma sto bene.»
 
Poi guardò Neal, e chiese.
 
«Cosa mi è successo?»
 
L'uomo la scrutò impensierito.
 
«Non ricordi?» domandò a sua volta, e nel vederla annuire scambiò con Henry uno sguardo preoccupato d'intesa «Sei svenuta, eri con mia sorella. Lei ti ha impedito di cadere e farti male, e ha ordinato ai servi di portarti qui.»
 
Emilie? D'un tratto nella sua mente si aprì un varco, ma non fu abbastanza per restituirle la verità. Si sentì inquieta, decise che avrebbe dovuto parlare con lei, ma proprio allora la ragazza entrò cautamente dalla porta, sorridendole allegra e cordiale come sempre.
 
«Oh, ben svegliata cognatina.» le disse «Stavo iniziando a preoccuparmi. Come ti senti?» domandò, avvicinandosi a suo fratello e posandogli una mano sulla spalla.
 
Un gesto che a molti sarebbe potuto sembrare di conforto, non fosse stato per le lunghe unghie smaltate di nero e gli abiti che indossava, neri anch'essi. Lunghi stivali a punta in pelle di coccodrillo, pantaloni e corpetto fatti del medesimo materiale, e una camicetta le cui maniche a palloncino erano tempestate di perle e lasciavano intravedere la pelle pallida delle braccia.
Le labbra sottili erano ricoperte da uno spesso strato di rossetto nero e gli occhi da un pesante strato di mascara.
Non era una tenuta inusuale, ma le ricordò di nuovo qualcosa e l'inquietudine crebbe.
 
«Emilie...» bofonchiò «Cosa mi è successo?»
 
La sentì sorridere, mentre si dirigeva verso il comodino versandole il contenuto di una caraffa in ceramica dentro una tazza posta accanto ad essa.
 
«Oh, nulla di grave. Il dottore ha detto che potrebbe essere stato qualsiasi cosa, anche un po' di stanchezza in più o...» ammiccò, guardando suo fratello «Beh, sai... la notizia che tutti stiamo aspettando...» le schioccò un occhiolino che la fece immediatamente arrossire.
 
Guardò Baelfire e lo vide sgranare gli occhi, tremando. Henry invece s'illuminò
 
«Mamma, sei incinta?»
 
Swan si agitò nelle lenzuola, sistemando meglio la schiena sul cuscino.
 
«Io... No... Non credo...» balbettò, e d'istinto si sottrasse all'amorevole stretta di suo marito, ancora sconvolto e che parve non accorgersi di nulla.
 
Neanche lei seppe spiegarsi il motivo. Erano una coppia sposata, avevano già avuto un figlio che più di una volta aveva chiesto loro di regalargli una sorellina, ed era passato molto tempo dalla nascita della principessa, tutto il Regno sarebbe stato contento di accogliere un altro infante a corte, specie per i festeggiamenti che ne sarebbero seguiti.
Eppure quella stupida sensazione di disagio continuava a tormentarla. Non è così che dovrebbe essere. Ma allora... come?
E perché continuava a sognare i suoi genitori? L'ultima volta era stata appena prima di svegliarsi, e l'aveva inquietata non poco. Li ricordava felici al suo fianco poco prima del matrimonio con Baelfire, e aveva sempre pensato che fossero rimasti nel loro regno oltre il vasto oceano, ma durante quel sogno li aveva visti addormentati in una bara di cristallo, mano nella mano, circondati solo da un cupo silenzio e tetre pareti di roccia calcarea.
Era angosciata, e la presenza di suo marito e suo figlio non le era di alcun conforto, anzi.
Guardò Emilie, che non aveva mai smesso di osservare con estrema attenzione ogni sua mossa, e la voce di Killian Jones tornò a scuoterla. "La partita è truccata. E te ne accorgerai quando sarà troppo tardi."
Le mancò il fiato. Quando... quando le aveva detto quelle parole? Quando... quando si erano conosciuti veramente?
Il suo sguardo si indurì, e anche l'espressione di Emilie divenne più cupa. La vide stringere i pugni reprimendo un moto di rabbia.
 
«Milly...» le disse, e la vide riscuotersi e tornare a sorriderle con disinvoltura, ma con una strana, vorace luce negli occhi.
«Si?» fece la Lucertolina, pensando già al modo migliore per far scattare il piano C.
 
Emma guardò con aria seria e dispiaciuta suo marito e suo figlio, che la fissarono confusi.
 
«Possiamo... parlare un momento da sole?»
 
I pugni della Lucertolina tremarono, il sorriso divenne una smorfia.
 
«Ma certo, cognatina.» le rispose affabile, poi sorrise a fratello e nipote e chiese loro, gentile e innocente, di lasciare la stanza e chiudere la porta.
«Va tutto bene.» li rassicurò, prestando particolarmente attenzione a Baelfire, che sembrava altrettanto inquieto.
 
"Dannata Salvatrice! Mamma e Bae non possono svegliarsi ora, non devono. Papa non merita di subire anche questo!"
Trattenne l'istinto di urlare, ma non appena la porta si richiuse le due donne si lanciarono a vicenda sguardi accusatori.
Emilie non parlò, pronta a tutto, con ancora in mente le parole che Tremotino le aveva rivolto subito dopo l'incontro con Uncino, quando lei gli aveva chiesto di lasciarla fare.
 
«I cattivi non hanno mai un lieto fine, Principessa.» le aveva detto con amorevole autorevolezza «Sei sicura di volerti schierare da quella parte?»
 
In quel momento lei aveva sorriso e senza dire niente lo aveva abbracciato, gli occhi lucidi e il cuore pieno di gioia, riconoscendo il Tremotino che l'aveva cresciuta.
Ora però quella verità tornò a sbatterle prepotentemente in faccia il prezzo da pagare, e fece parecchio male. "Non importa" pensò sostenendo coraggiosamente lo sguardo della cognata "Non me ne frega niente. Salvatrice o no, non ti permetterò di rovinare tutto! Stavolta non vincerai tu."
 
«Emilie...» Emma la richiamò, riscuotendola da quei pensieri.
 
Lei si aprì nel suo più radioso sorriso e tornò a ripetere.
 
«Si, cognatina?»
«Voglio vedere i miei genitori.»
 
Una coltellata in pieno petto avrebbe fatto meno male, eppure la Lucertolina accusò il colpo e addolcì il suo sorriso.
 
«Ti mancano?» disse, inclinando il capo, decisa a non dargliela vinta.
 
"Dovrai passare sul mio cadavere, prima."
Swan fu sorpresa di vederla così calma, ma capì di aver toccato un nervo scoperto. Fu l'istinto a suggerirglielo, e quel breve momento di esitazione nel respiro subito dopo aver udito quella domanda.
Annuì, stando al suo gioco.
 
«È da tanto che non ricevo una loro lettera. Sono preoccupata.» disse, e stava per suggerire una partenza immediata quando Emilie, sorprendendola di nuovo, la anticipò.
«Potremmo andare a trovarli. In fondo si tratta solo di una settimana di viaggio in mare. Ti accompagnerò io» propose, e stavolta non poté impedirsi di esultare guardandola trattenere il fiato.
 
"Che c'è, Salvatrice? Credevi che non fossi stata in grado di prevedere anche questo? Mi sottovaluti. E io adoro quando la gente mi sottovaluta!"
 
«Sei... Sei sicura?» tentò di svincolarsi Emma, che tutto voleva tranne essere costretta ad affrontare un viaggio da sola con quella che sembrava esser diventata la sua peggior nemica «E i tuoi doveri nel castello? Ci sono persone che ancora aspettano di avere un'udienza con te, e poi...»
 
La Lucertolina scoppiò in una risata fresca e gioviale, scuotendo il capo e avanzando verso di lei. Si sedette al suo fianco, le prese le mani e tornò a guardarla negli occhi, stavolta con più cattiveria di quella che si sarebbe aspettata.
 
«Oh, non devi preoccuparti per quello. Papa è pienamente in grado di assolvere quel tipo di responsabilità.» disse «Del resto è il Re, no?» una domanda che suonò come un avvertimento.
 
Emma si zittì, rabbrividendo mentre la giovane prese ad accarezzarle il dorso della mano con le lunghe unghie smaltate di nero. Tornarono a fissarsi.
 
«Partiremo anche oggi stesso se lo desideri. Ogni tua parola è un ordine...» sussurrò pericolosa Emilie, lasciando volutamente a metà la frase prima ancora di pronunciare la parola "Salvatrice".
 
Emma Swan la fissò, capendo di essere caduta in un tranello che ancora non comprendeva. "Cosa sta succedendo? Non posso fidarmi di lei!"
Ma ormai il gioco era fatto. Annuì, ritraendo la mano, e vide Emilie aprirsi in un altro, inquietante largo sorriso.
 
«Va bene. Vorrei partire il prima possibile.» decise.
 
"Se proprio deve essere, tanto vale giocare fino in fondo."
 
«Perfetto!» esclamò allora la Lucertolina, alzandosi e sorridendo trionfale «Allora lo comunicherò subito a papa e al capitano della flotta. Partiremo con la prima nave disponibile.» annunciò, poi le si avvicinò, pose un ginocchio sul materasso e le accarezzò i capelli, avvicinandosi inquietantemente al suo viso perché avesse modo di fissarla per bene e stampare ben in mente le sue successive parole.
 
«Penso a tutto io, cognatina, non preoccuparti. Andrà tutto, esattamente come deve andare.»

 
 
***
 
«Rumple?»
 
La voce dolce e candida di Belle lo riscosse. Erano a passeggio nel grande e ben curato roseto del castello che Emilie aveva voluto per loro, un anticipo del loro lieto fine perché potessero crederci di più, e come sempre lui la teneva sottobraccio stringendola a se e lei si abbandonava a quella dolcezza da gentiluomo con una sicurezza e una tranquillità che spesso, agli inizi della loro conoscenza, lo aveva turbato. Eppure, per quanto fosse felice di averla accanto, Tremotino non riusciva a godersi l'attimo, e non soltanto perché sapeva di dover fare i conti con lei una volta che la verità fosse venuta a galla. Continuava a pensare a sua figlia, a quello che era stata in grado di fare e a ciò che stava diventando. Continuava a preoccuparsi per lei e per sé stesso, perché non voleva affatto dipendere dal suo aiuto, che diventava sempre più prezioso ogni giorno che passava. Avrebbe voluto farle fare un passo indietro, ma Emilie sembrava non volersi più fermare. "Cosa posso fare per convincerla?"
Le parole non erano più sufficienti, ma non aveva il coraggio di muoversi verso di lei, di tradirla come aveva fatto con Baelfire. Ed era troppo ben addestrata per cadere in un tranello semplice come quello che aveva usato con Bae per fargli dimenticare di aver usato il potere del pugnale per uccidere un uomo.
Doveva agire in fretta, prima che la situazione degenerasse e il debito diventasse troppo grande. Per questo la mattina precedente, mentre Emilie era impegnata coi suoi doveri da Principessa, lui aveva voluto parlare in privato con l'unica persona che, almeno all'apparenza, aveva una presa altrettanto potente sul cuore della ragazza. Ewan, il suo vero amore.
 
«Sarò sincero con te.» gli aveva detto «Sono molto preoccupato per il cuore di mia figlia.»
 
Poi, dopo averlo visto sorridere ed essersi sorpreso della sua calma, aveva aggiunto.
 
«Non so quanto tu sappia di noi, quanto lei ti abbia raccontato, ma prima dell'arrivo di Belle io non mi sarei fermato davvero davanti a niente. L'unica cosa di cui mi importava davvero era ottenere quanto più potere possibile.»
 
Di nuovo, Ewan aveva annuito.
 
«Lo so.» gli aveva detto «Emilie mi ha raccontato tutto della vostra storia.» quindi aveva scosso le spalle e aggiunto, con un sorriso umile «Tutto quello che lei sapeva.» sottolineò, come a volergli confermare che si, c'erano cose che il Tremotino del futuro non aveva potuto o voluto dirle.
 
Rumplestiltskin aveva annuito, guardandolo negli occhi.
 
«Allora sai anche che, grazie a questo, non mi è difficile cogliere le stesse intenzioni nello sguardo e nel cuore altrui.» gli aveva detto, facendosi serio.
 
Ewan non si era scomposto. Sapeva, dai racconti di Emilie e da quel poco che conosceva del Signore Oscuro, quanto fosse difficile per lui chiedere aiuto. Preferiva manipolare o fare tutto da sé piuttosto che abbassarsi a una simile richiesta, perciò gli rese le cose facili e lo prevenne.
 
«Non posso fermarla.» gli aveva risposto, scuotendo il capo «Lei è più simile a voi di quanto pensiate. Non si fermerà neanche se mi mettessi a implorarla in ginocchio.»
 
Il Signore Oscuro aveva sorriso, ma era stata più una smorfia di disappunto.
"Me ne sono accorto." avrebbe voluto dire. Ma si trattenne, tornando a fissarlo e aggiungendo
 
«Non ti chiedo di fermarla, piuttosto di esercitare su di lei quel potere che sai di avere...»
 
"Smettila di assecondarla. Falle cambiare idea, fai esattamente ciò che Belle ha fatto con me. Forse non la convincerai, ma almeno riuscirai a frenarla."
Il cuore di Ewan si era riempito di una gioia fiera, e la luce nei suoi occhi aveva confermato a Tremotino che il messaggio dietro quelle parole fosse stato compreso.
 
«Ci proverò.» aveva giurato il giovane, portandosi una mano al cuore e inchinandosi in segno di profondo rispetto «Farò del mio meglio, lo giuro.»
 
Solo allora Rumplestiltskin si era concesso un altro passo falso, levandosi per un ultimo istante la corazza. Gli aveva posto le mani sulle spalle e, nel tono più sincero che era riuscito a trovare, aveva concluso.
 
«Lei è mia figlia, ragazzo. Te lo chiedo per favore, prenditi cura del suo cuore.»
 
Erano passate poco più di ventiquattro ore da quel momento, e sebbene le intenzioni del giovane fossero risultate pure come il suo amore, continuava a non sentirsi tranquillo.
 
«Rumple?»
 
Di nuovo, la voce di Belle lo raggiunse, e stavolta trovò la forza per riscuotersi del tutto, guardarla negli occhi e risponderle con un sorriso che non tradì alcuna emozione.
 
«C'è qualcosa che non va?» gli chiese però Belle, che lo aveva osservato scurirsi per un periodo di tempo un po' troppo lungo.
 
Tuttavia, da grande maestro illusionista qual era sempre stato, Tremotino riprese del tutto il controllo di sé stesso, le prese le mani e scosse il capo, sfiorandole il viso con una carezza.
 
«Stavo solo cercando di decidere quale di queste rose sarebbe stata bene tra i tuoi capelli.» disse.
 
Poi si voltò verso le piante, estrasse il pugnale che portava al fianco, un semplice pugnale da combattimento, e con esso recise un bocciolo rosso sangue, privandolo delle spine e porgendoglielo, come aveva fatto la prima volta, inchinandosi profondamente e sorridendole con dolcezza.
La bella sorrise, ricambiando l'inchino e accettando con gratitudine il dono, quindi riprese a camminare sottobraccio con lui, fidandosi della sua risposta e lasciandolo solo coi suoi patemi d'animo a sperare, nonostante tutto, che il momento in cui si sarebbe svegliata fosse arrivato il più presto possibile.
 
***
 
 Heroes and Villains
Capitolo XXII
 
(Dodici giorni dopo...)
 
Il mare era in tempesta e la notte scura, illuminata solo dagli spaventosi fulmini che spaccavano il cielo a metà. La fragile imbarcazione sopravviveva a fatica ai cavalloni sempre più giganteschi, e a bordo di essa i marinai, sempre più disperati, lottavano con tutte le forze rimaste per non lasciarla affondare.
Tra di essi, Killian Jones, preda del terrore più puro che torceva le budella o rendeva le mani fragili come burro. Si era assunto il compito di occuparsi delle vele, ma la situazione stava precipitando sempre di più.
 
«Ve lo avevo detto!» urlò uno dei marinai vicini, aggrappato all'albero maestro «È la Principessa! Non avremmo mai dovuto portare a bordo quel pirata!»
 
Killian gli lanciò uno sguardo di fuoco. Come poteva dare la colpa a lui? Cosa poteva saperne lui delle leggende che giravano intorno al Castello?
Era stato proprio quell'uomo a raccontargliele, due giorni prima, quando aveva saputo il motivo per cui si era imbarcato.
 
«Hai chiesto aiuto alla Principessa? Sei matto, compare! Non lo sai di chi è figlia?»
 
Era caduto dal pero quando, a bassa voce, l'uomo gli aveva raccontato che secondo alcune voci lo Stregone non aveva mai lasciato il suo trono ma piuttosto aveva cambiato aspetto e sposato con l'inganno la Principessa Belle, diventando il buon cavaliere di luce e dando continuità alla sua stirpe con la Principessa Emilie, una strega di abile talento e pericolosamente perfida.
 
«Impossibile!» aveva provato a ribattere lui, sconcertato «Ho incontrato personalmente la Principessa, è stata lei a darmi il denaro e le provviste necessarie a questo viaggio. Era bella, e caritatevole.»
«Certo!» aveva risposto l'uomo «Perché è così che deve apparire! Ma è solo una facciata.» poi la voce si era abbassata ancora di più «Ma hai provato a guardare il Castello di notte? Si dice che sia allora che l'incantesimo svanisce e tutto torna come prima. È solo allora che il vero volto del Re e di sua figlia si rivelano. Per questo le visite notturne sono proibite. Ve lo dico io, lo Stregone non ha mai lasciato quel trono, e adesso ha anche un'erede.»
«Ma non ha senso!» aveva risposto un marinaio, ridendo di gusto della fervida fantasia del collega «Allora come spieghi il benessere del Regno? E il Principe Baelfire, da dove credi che sia arrivato? Perché mettere al bando la stregoneria?!»
 
Solo a quel punto la conversazione aveva preso una piega così assurda da convincerlo a catalogare quelle chiacchiere come quelle di un ubriacone.
 
«È un'illusione, vi dico! TUTTA SOLO UN'ILLUSIONE!» aveva urlato l'uomo, puntando quindi il dito contro di lui e ringhiando minaccioso, l'alito che puzzava di rum «Chiunque abbia fatto un patto con la Principessa o con suo padre è destinato a morire, è questo il prezzo da pagare. Tu ci ucciderai tutti.»
 
Era stato fermato prima ancora di riuscire a mettergli le mani al collo. Il Capitano, un uomo di mezza età chiaramente fedele al Re e alla Principessa, gli aveva ordinato di smetterla all'istante minacciando di punire quei discorsi sediziosi con la passerella perciò a lui non era rimasto che obbedire.
Adesso però, appena qualche ora più tardi, con la minaccia della morte ormai talmente vicina da non fare più paura, l'uomo ripartì all'attacco e non ci fu più nulla a cui appellarsi per farlo desistere.
 
«Smettila, idiota di un ubriacone!» sbottò uno degli astanti, tentando di difenderlo.
 
Killian Jones provò a ribattere ma non fece neanche in tempo ad aprire bocca perché un'onda più grossa delle altre li travolse, facendolo sbattere con violenza contro lo scafo e trascinandolo privo di sensi giù, nelle profondità dell'oceano.
Si risvegliò diverse ore dopo, il corpo indolenzito adagiato su una roccia umida. Si guardò intorno, accorgendosi di essere ospite di una caverna. Accanto a lui, ad osservarlo con attenzione, c'era una donna dai capelli rossi e il volto di bambina, con due conchiglie a coprirle i seni e una stella di mare a decorarne la chioma.
Era immersa in acqua, ma gli bastò un'occhiata sola per capire di trovarsi al cospetto di una sirena.
Annaspò, sconcertato, e fece per alzarsi ma dovette desistere, la testa doleva e girava vorticosamente.
 
«Piano, piano.» lo avvisò premurosa la creatura «Avevi un bel livido, ho dovuto fasciarti la testa per evitare che peggiorasse.»
 
Si toccò la testa e avvertì il tocco ruvido della benda usata per medicarlo. Imprecò dentro di sè, ma la preoccupazione per l'equipaggio e per la sua salute vennero subito sostituite dalla gioia per il fortunato incontro.
 
«Perdonami se sono scortese, ma tu sei una sirena, vero?» domandò.
 
La giovane donna ridacchiò, annuendo.
 
«Mi chiamo Ariel» replicò gentile.
 
Il cuore di Jones fece un doppio salto per la felicità.
 
«Allora puoi portarmi da lei!» esclamò, lasciandosi sfuggire i suoi pensieri ad alta voce.
 
Ariel gli rivolse uno sguardo incuriosito.
 
«Lei chi?» domandò.
 
Solo allora il pirata realizzò il suo errore, ma scosse il capo e decise di proseguire ugualmente.
 
«Mia moglie, Milah!» spiegò, quindi le raccontò di come era stata rapita, del suo incontro con la Principessa e della sua missione «Devo riuscire a ottenere un incontro con la Regina Ursula, la Principessa mi ha garantito che...»
 
Tuttavia, la sirena abbandonò il suo sorriso e assunse un'aria rammaricata, scuotendo il capo.
 
«Oh, mi spiace ma non è possibile.» gli disse, distruggendo i suoi sogni «Gli umani sono banditi ad Atlantide da quando la Regina Ursula è al potere. Mi spiace...» ripeté, veramente affranta.
 
Killian rimase interdetto. Banditi? Come?
 
«Perché?»
 
Di nuovo, quella domanda gli sfuggì dalle labbra, ma ancora una volta l'innocente sirena non lesinò una risposta.
 
«Nessuno lo sa con certezza. Dicono che sia a motivo della sua voce.»
 
Troppo impegnato a metabolizzare la moltitudine di notizie apprese, Killian Jones non si accorse che ora lo sguardo della sirena era cambiato, divenendo una maschera di cattive intenzioni. Durò poco però, perché non appena tornò a guardarla lei riprese a sorridere innocente, sbattendo le lunghe ciglia.
 
«La sua voce?» domandò, mentre un sospetto s'insinuava in lui.
 
Cercò di seguirlo, ma lo perse a metà strada distratto da un’altra intuizione.
Ariel annuì.
 
«Si dice che non abbia più il canto di una sirena perché, molto tempo fa, quando non era che una principessa, un pirata osò rubaglielo. Da quel momento, ha giurato vendetta e che chiunque aiuti un essere umano ad entrare ad Atlantide sia reo di morte.» s'intristì «In realtà, non avrei neanche dovuto salvarti. Ma non ho potuto non farlo, vi ho visto in difficoltà e ho cercato di fare del mio meglio.»
 
Killian si aprì in un sorriso benevolo.
 
«Grazie.» le disse, quasi commosso «Ti devo la vita.»
 
Ariel sorrise. "Mi devi molto di più, pirata."
 
«Comunque, anche se non posso portarti ad Atlantide posso aiutarti a scoprire quale è stato il destino di tua moglie. Hai detto che si chiama Milah?»
 
Jones tornò a sperare, illuminandosi e mettendo di nuovo da parte le mille domande che avevano invaso la sua mente. "Perché la Principessa non mi ha parlato di questo odio di Ursula per gli umani? Perché ha acconsentito che raggiungessi Atlantide se sapeva che non avrei mai potuto metterci piede senza rischiare di morire? Era forse... una trappola? O sapeva che avrei incontrato Ariel?"
 
«Potresti farlo davvero?»
 
La sirena tornò ad annuire, affabile.
 
«Lavoro a corte.» mentì «Ho la fortuna di essere molto vicina alla nostra amata Regina.» poi propose «Non so quanto tempo ci vorrà, ma tu potrai aspettare qui nel frattempo. Questa grotta è collegata alla terraferma, ti basterà imboccare quel breve cunicolo per ritrovarti in una piccola spiaggetta che ha tutto ciò ti che serve per permetterti di sopravvivere. C'è anche una piccola capanna, credo sia stata costruita da qualche pescatore.» spiegò, indicando una cavità nella roccia larga il necessario per permettergli di passare, anche se forse avrebbe dovuto abbassare appena la testa e piegare un poco le ginocchia.
 
Non se ne lamentò comunque, grato al fato benevolo. Per una volta la fortuna era dalla sua parte.
 
«Va bene. Grazie ancora, Ariel...» le disse «Ti aspetterò su quella spiaggia. Il mio nome è Killian Jones.»
 
La sirena sorrise, celando abilmente un ghigno prima di rituffarsi in mare e sparire oltre i flutti.
Non ebbe bisogno di ulteriori istruzioni. Tornò ad Atlantide, nel sontuoso palazzo che Emilie le aveva regalato, e attese semplicemente che i giorni passassero come era stato stabilito.
Uno... tre... cinque...
Al tramonto del sesto giorno, Ariel riapparse sulla soffice sabbia dorata dell'atollo su cui Killian Jones l'aveva attesa, consumato dai dubbi e dalle paure, portando con sé un'infausta notizia.
 
«Tua moglie è già morta, Killian Jones.» disse, dopo aver tergiversato un po' fingendo una compassione che non provava, non fino in fondo almeno.
 
Lo vide annaspare, senza fiato.
 
«C-cosa?» mormorò, un filo di voce già fin troppo incrinato.
 
La sirena lo scrutò con attenzione, inumidendo i suoi occhi. "Emilie, degna figlia di tuo padre. Posso quasi sentire il suono dei suoi sogni che si infrangono."
 
«Mi spiace. Davvero.» soggiunse, dandogli il tempo di metabolizzare «La sua esecuzione si è svolta il giorno stesso della sua cattura, sotto gli occhi vigili della Regina.»
 
Un singhiozzo sfuggì dalle labbra dell'uomo, che si lasciò cadere sulla sabbia, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
Rimase in silenzio, Ursula attese tutto il tempo necessario, continuando a recitare la sua parte con la testa alla propria ricompensa. "È colpa tua, Killian Jones. Io mi fidavo di te, e tu mi hai tradita. Ti sto solo ricambiando il favore." si disse, per mettere a tacere la propria coscienza.
Si sedette accanto a lui, accarezzandogli la schiena e mormorando dolcemente
 
«Sono affranta, Killian, davvero.»
 
L'uomo abbassò il viso, e iniziò a piagnucolare.
 
«Aspettavamo un figlio. Avremmo dovuto... vivere, invecchiare e morire insieme.»
 
Pianse, sprofondando il volto nelle mani. Ariel continuò ad accarezzarlo senza dire niente, fino a che la rabbia non prese il posto del dolore e lo spinse a chiedere.
 
«Qual è stato il motivo della condanna?»
 
A quel punto, guardandolo negli occhi ardenti come tizzoni, la sirenetta prese un respiro e si preparò a scagliare il colpo definitivo.
 
«È per questo che sono profondamente dispiaciuta, Killian Jones.» soggiunse, quindi rivelò «Alto tradimento. È stata la stessa Principessa Emilie a volere la sua morte.»

 
***
 
L'ira sul volto di Killian Jones, divampante come un incendio, bruciò immediatamente ogni altra emozione.
Attraverso le nebbie che riempivano la sua sfera di cristallo, Emilie lo vide fissare Ariel come se neppure la vedesse e ritornare quello di un tempo, anche se non fu certa che i ricordi fossero davvero riaffiorati o fosse tutto merito solo di quella funesta notizia.
 
«Ottima recita, mia cara Ursula.» sogghignò.
 
"In trappola. Ancora una volta." pensò, e il ghigno soddisfatto si allargò sulle sue labbra sottili, coperte da un pesante strato di rossetto nero "Oh, Lucertolina. Quanto sei brava!".
Sollevò le mani verso l'immagine del pirata, la sfiorò con le dita lunghe e squamose e si abbeverò dell'odio che vide scintillare nei suoi occhi come del più prelibato nettare mai esistito.
 
«Ora vieni da noi, Killian Jones. Finiamo questa storia esattamente come l'abbiamo iniziata.»
 
(Continua...)

 

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Capitolo 16
*** Episodio XVI – Il volto dell'oscurità ***


NdA: La soundtrack consigliata per la lettura di questo capitolo è Darkside di Neoni

 
Episodio XVI – Il volto dell'oscurità


Passato,
Pendici del monte Olimpo,
Caverna di Kronos.

 
«Kronos, Dio del tempo e vassallo degli Dei, se sai chi sono sai anche cosa voglio da te.»
 
Con voce ferma e un coraggio quasi innaturale per una ragazza come lei, minuta e all'apparenza fragile, Emilie Gold sfoderò la spada e la impugnò alzandola verso di lui.
La lunga lama scintillò sinistra, colpita dalla luce delle torce che proiettavano le loro ombre sulle pareti di rocce.
Quella di Emilie, proprio di fronte a quella del dio, sembrava quasi più grande di lui.
 
«Consegnamelo, e avrai salva la vita!» dichiarò determinata, infiammata dal calore del fuoco divampante della vittoria.
 
Il Dio sorrise, benevolo, ma anche intenerito, osservando prima lei, poi gli sguardi impietriti dei suoi accompagnatori.
 
«So chi sei, Emilie Gold.» continuò «E so cosa ti ha portato qui. Io vedo tutto, ogni cosa del passato e del futuro della tua famiglia mi è chiara perché a me è stato comandato di fissare i giorni e stabilire i modi e i tempi.
Nulla accade senza che io ne sia al corrente, nessuna foglia cade senza che io lo abbia deciso. Per questo so che non potrò oppormi al volere degli Dei, oggi.»
 
Quindi alzò un braccio, molto lentamente per evitare che la sua enorme stazza provocasse un terremoto o ferisse i suoi ospiti, e con un gesto indicò l'enorme libro posto sull'enorme scrittoio proprio a pochi passi da lui, ma a molti metri da loro.
 
«Quindi lascia che ti dia un ultimo consiglio, prima che il mio fato si compia. Niente può cambiare ciò che è già stato.»
 
Emilie, che fino a quel momento era rimasta ad ascoltare in rispettoso silenzio, sogghignò.
"Lo vedremo..." pensò, e stava per ripeterlo ad alta voce quando il gigante tornò ad avvertirla.
 
«Il tempo, proprio come ogni altra cosa sotto questo cielo, ha le sue regole, che non possono essere sovvertite. Se vorrai farlo, ti scontrerai con la sua realtà e ti accorgerai ben presto che non è dissimile dallo spazio in cui tutto si muove, fatto di punti fissi da attraversare obbligatoriamente per poter raggiungere la tua meta. Quando ti ritroverai faccia a faccia con essi, l'unica cosa che potrai fare sarà accettarli e guidare la tua nave attraverso la tempesta, sapendo bene che finirà.
Ricordalo, Emilie Gold: i punti fissi nel tempo sono come le costellazioni nel cielo notturno. Sono una guida, non un ostacolo. Non cercare di contrastarli, ti ferirai e i tuoi piani falliranno.
Piuttosto cogline i segni, e il tuo destino si compirà proprio come il tuo cuore spera.»
 
Ci fu un istante di silenzio in cui si scrutarono con la massima attenzione. Un brivido percorse la schiena di William Scarlett e della ragazza con cui aveva stipulato quello che ora come ora sembrava un accordo non più tanto vantaggioso per lui.
Ma se per il Fante si trattava di paura, il brivido che sconvolse Emilie fu l'ebrezza di sapere che, ancora una volta, aveva avuto ragione.
Cambiare il futuro, quello era il suo destino; le parole di Kronos glielo avevano appena confermato. Ecco perché nel futuro dal quale proveniva Kronos era già morto. Era stata lei a ucciderlo, e sarebbe successo quell'oggi.
Sogghignò.
 
«Grazie per le tue sagge parole.» disse, continuando a impugnare la spada contro di lui «Quindi è a te che devo dare la colpa delle sfortune che hanno colpito mio padre e la mia famiglia» lo sfidò caparbia.
 
Un guizzo balenò negli occhi della divinità, sembrava divertita e quasi ammirata dal coraggio di quella mortale, che ignorandolo proseguì
 
«Hai detto che nulla accade senza che tu lo abbia deciso. Ma vedi, a differenza di mio padre che credeva in un fato prestabilito, io ho fatto mie le parole di mia madre... Nessuno a parte me può decidere il mio destino.»
 
L'ultimo avvertimento. I suoi occhi brillarono trionfanti mentre Kronos sorrideva.
 
«Se è così…» replicò calmo, iniziando ad alzarsi.
 
La stanza tremò quando pose il primo piede a terra, e al secondo per poco il gruppo non cadde di nuovo in ginocchio
 
«Allora vieni a scrivere il tuo futuro, Emilie Gold.» la invitò.
 
E mentre lo diceva, iniziò a rimpicciolirsi fino a diventare alto appena un paio di metri più di lei.
Finalmente faccia a faccia, si fronteggiarono ancora per un altro singolo istante in silenzio.
 
«Con molto piacere.» mormorò infine la giovane Gold, e con uno scatto si avventò su di lui scagliando il primo colpo.
 
Andò a vuoto. Nonostante la stazza e l'evidente disparità di forze, l'aver accettato il suo destino non sembrava averlo convinto a rendere le cose facili ai suoi assalitori.
Era agile, e sfruttò quel vantaggio per difendersi e parare la maggior parte dei colpi e delle frecce che la retroguardia, composta da Ewan, Mulan e William Scarlett.
Non fu una sorpresa, per nessuno di loro. Una delle cose che Emilie aveva imparato da suo padre era conoscere bene il nemico prima di affrontarlo, e per assicurarsi di essere adeguatamente supportata aveva messo anche loro al corrente delle questioni principali.
 
«Kronos è il dio del tempo…» li aveva avvertiti «E come tale lo governa. Può manipolarlo, fermarlo, e tutto ciò che vi viene in mente. Inoltre è un ciclope, e il suo occhio gli permette di vedere non solo chi siete, ma anche chi siete stati. Tuttavia, non ha altri poteri se non questi. Nient'altro, se non la preveggenza e un occhio un po' troppo impertinente. Può conoscere le vostre debolezze, i vostri punti deboli, saprà se avete paura o se siete feriti, ma non userà la magia per attaccarvi, solo la sua agilità e la sua forza da semidio. Ricordate che sono stati gli dei a sceglierlo per questo ingrato compito da custode. E ora, a quanto pare, lo hanno abbandonato, quindi non è che un semplice mortale, come noi altri. Per batterlo dovremo essere compatti e decisi, come un sol uomo. Nessuna esitazione, nessun momento di stallo. Non lasciamogli il tempo di pensare o studiarci, miriamo all'obbiettivo e colpiamolo nel minor tempo possibile. Se inizieremo a stancarci, lui avrà vinto.»
 
Memori di quelle parole e spronati dalle esortazioni di Emilie e dal suo coraggio indomito, i tre riuscirono nel loro intento, e quando una delle frecce intrise di Rubus Noctis colpì l'unico occhio del Dio, la giovane Gold ne approfittò per portarsi dietro di lui e trafiggerlo con la lama avvelenata della sua spada.
Il gigante cadde in ginocchio, gemendo. Una luce cristallina si propagò dal suo occhio ferito, e un miracolo accadde.
La catena d'oro che lo legava il medaglione scomparve e il pesante ninnolo cadde a terra, tintinnando pesantemente. Gli occhi di Emilie brillarono.
Estrasse di colpo la spada, e nell'istante in cui lo fece il ciclope cadde con la faccia a terra, dissolvendosi in un nugolo di argenteo pulviscolo.
Lì dove prima regnava il caos e il rumore della battaglia, d'improvviso si fece pace e silenzio.
Tutti gli occhi si puntarono su di lei, che trattenne il fiato fissando incredula l'oggetto ai suoi piedi.
"Ce l'ho... fatta?"
Guardò la sua spada, poi il punto in ciclope era scomparso e infine, lentamente e con gesti calibrati, si chinò, allungando le mani verso il prezioso tesoro.
Non appena le sue dita riuscirono a stringerlo, la catena d'oro riapparve, e la pupilla azzurra tornò a fissarla. L'ennesimo brivido percorse la sua spina dorsale.
"Ce l'ho fatta!"
L'opale al centro dell'anello che portava al dito ricominciò a brillare, e finalmente la realtà assunse contorni definiti.
 
«Ce l'ho fatta, papa.» mormorò fissando quella luce cristallina, poi scoppiò in un pianto liberatorio, sprofondando il viso nelle mani mentre i suoi compagni, sciolti dalla tensione del momento, accorrevano ad abbracciarla e sostenerla.

"L'occhio di Kronos è mio! Da adesso in poi, nessuno potrà mettersi tra noi e il nostro lieto fine, papa. Nessun destino oserà di nuovo arrivare a tanto!"
 
***
 
Quella sera per volere di Robin Hood nell'accampamento si tenne una grande festa, con canti, balli, musica e tutto l'alcool che riuscirono a reperire, in onore di Emilie Gold e dell'indomito coraggio e della sua fine astuzia, che avevano permesso a lei di portare a termine con successo la sua missione, e a loro di diventare possessori del più grande tesoro mai visto, fatto di monete d'oro, gioielli e pietre preziose così grandi da stare a fatica in una mano. Nascosto in un anfratto della caverna che, a giudicare dalla puzza, dalle varie ossa carbonizzate e dalle varie chiazze scure sulle pareti, era stato l'antro del drago, ora più docile e completamente cieco senza il suo padrone a controllarlo, erano serviti parecchi sacchi e diversi uomini per riuscire a trasportarlo tutto.
Adesso, avvolti dalla notte, gli uomini valorosi di quella spedizione, inclusi Will Scarlett e Mulan, danzavano e ridevano a ritmo di una ballata, inebriandosi con del buon idromele.
Perfino Robin Hood, condividendo la gioia era immerso in una danza quasi febbrile, ma in quel disordine allegro c'era invece qualcuno che non riusciva a sorridere.
Emilie Gold, seduta in disparte su un masso, stringeva in una mano la conchiglia che conteneva i ricordi della sua famiglia, e nell'altra il medaglione appena conquistato. La pupilla era tornata ad essere fatta di zaffiro, la fissava come se stesse aspettando una sua decisione. Era così semplice, così facile.
Il prossimo passo era salutare, prendere ciò che era necessario e iniziare il viaggio sulle orme di Tremotino.
Tuttavia... alzò lo sguardo, e fissò il giovane arciere che danzava vicino alle fiamme con un sorriso sincero, ricordando le sue parole e quel bacio, quell'atto di coraggio che lo aveva spinto a rischiare la sua vita per permetterle di superare l'ultimo ostacolo ed entrare al cospetto di Kronos. Coraggio... Era stato solo questo a spingerlo? E cos'era quell'esitazione ora, quel peso sul petto alla sola idea di doversene separare?
Come richiamato da quei pensieri, lui si voltò a guardarla e proprio allora, spaventata, lei abbassò il fiato, stringendo il medaglione e chiudendo gli occhi.
"Non posso..." pensò, cercando di convincersene "Papa... non posso. Devo realizzare il nostro lieto fine. Devo riportarvi da me. Ci riuscirò, in un modo o nell'altro. Devo seguire il mio destino, proprio come mi hai detto tu."
Ma l'anello scintillò di una luce viva, e la voce di Tremotino tornò da lei.
 
«Non restare nel passato, Principessa. Non permettere al passato di portarti via il futuro.»
 
Scosse il capo, le labbra deformare in una smorfia di dolore. "Il mio futuro siete voi. Tu e la mamma. Gideon. Insieme. Non lascerò a nessuno l'occasione di portarmela via. Nessuno!  Neanche..." al mio vero amore. Lo aveva capito subito, ma ora il cuore era diviso, e lei sapeva bene perché. In ogni storia c'era sempre un eroe e un villain, nella sua lei era l'eroina indomita e il suo nemico... era sé stessa.
La sua più grande debolezza, l'unica cosa che poteva fermarla era la magia più potente di tutte. Ewan, il vero amore.
 
«Emilie…»
 
Un brivido la riscosse. Riaprì gli occhi, e vide i suoi che la fissavano, pieni di quel sentimento che all'improvviso la terrorizzò.
"Devo lasciarlo andare. Deve andarsene, oggi."
Risoluta, ma col cuore in pezzi. Una lacrima le sfuggì apparendo sulla sua guancia e scintillando della luce arancio acceso del falò poco lontano. Quello fu il segno. Anche lui l'aveva capito.
Si fece serio, triste.
 
«Quando partirai?»
 
L'ennesimo colpo al cuore.
 
-Stasera. Dopo la festa.- disse atona, voltando la faccia dalla parte opposta.
 
"Non dirlo, ti prego."
 
«Lascia che venga con te.»
 
Il cuore si fermò, e il passato si mescolò al presente. Rivide lei con suo padre, servitrice fedele, figlia devota, proporgli quel viaggio, l'ultimo, che li avrebbe divisi e uniti per sempre.
Represse un altro singhiozzo, scosse il capo, poi seppellì il dolore dietro una maschera di cera e replicò, dura.
 
-Non puoi. Non devi. Il tuo posto è qui, la tua epoca è qui.-
 
Un sorriso colorò appena le labbra del giovane Ewan. Entrambi sapevano bene che non era vero.
 
«Milly...» provò a replicare con dolcezza, prendendole le mani.
 
Ma lei si sottrasse a quelle carezze, si alzò e voltandole le spalle replicò, dura come la roccia.
 
«Tu sei la mia debolezza. E non posso averne se voglio andare fino in fondo. E io voglio andare fino in fondo.»
 
Quindi si alzò, e voltandogli le spalle concluse, prima di ritirarsi nella sua tenda.
 
«Per favore. Se mi ami davvero come dici … non seguirmi.»
 
***
 
Non le obbedì, non come lei avrebbe voluto. La lasciò andare, concedendole di trascorrere gli ultimi momenti da sola e rispettando il suo silenzio, ma quando i rumori della festa tacquero e venne davvero l'ora di salutarsi, accanto al falò ormai spento ad attenderla non c'era solo Robin Hood.
Ewan e William Scarlett se ne stavano pazienti accanto a lui, e non appena lo vide Emilie trattenne il fiato, lanciandogli un ultimo, rapido sguardo torvo per poi tornare a ignorarlo. Lo fece per tutto il resto del tempo, fino a che non fu l'ora dei saluti.
La accompagnarono nel luogo prestabilito, al limitare della foresta, dove nessun altro li avrebbe visti o seguiti. Il primo a salutarla con una salda stretta di mano e un abbraccio fu proprio Hood, al quale la ragazza rivolse un sorriso grato e sincero.
 
«È stato un vero onore combattere al tuo fianco, Emilie Gold.» le disse «Non so se succederà, ma spero di rincontrarti un giorno. E spero che ciò che hai fatto oggi non sia stato vano. Avrai il lieto fine che cerchi, ne sono certo.»
 
Quasi senza riuscire a trattenersi, William Scarlet rivolse una rapida occhiata ad Ewan, che continuava a fissarla con gli occhi lucidi. Lei si sforzò di non vedere nessuno dei due, neanche quando Hood, passando al fante, gli raccomandò.
 
«Non sei stato un arciere malvagio, cugino. Ma avresti potuto fare di meglio.» lo schernì scherzoso, scoccandogli un occhiolino.
 
Scarlett ridacchiò nervoso, stringendogli la mano.
 
«Ti sei assunto un grosso onere. Proteggila a costo della tua vita.»
 
Will annuì, fingendo di non vedere il lieve ghigno sul volto della sua nuova "partner" e le lacrime negli occhi stanchi di Ewan. Loro non lo sapevano, ma poche ore prima era stato lui a rivolgergli quelle stesse parole.
 
«So che partirai con lei.» gli aveva detto «Ti prego, proteggila a costo della tua vita.»
 
In quel caso, lui aveva sbruffato alzando gli occhi al cielo.
 
«Oh, per tutti i diavoli! Vieni con noi!» gli aveva risposto «È chiaro a tutti come il sole che voi due vi piacete! Magari è il tuo vero amore, e io ho già perso il mio! Non voglio proteggere la tua fidanzata. L'unico motivo per cui ho accettato questo viaggio è perché l'occhio di Kronos mi serve!»
 
In quell'occasione, Ewan si era limitato a sorridere, annuendo bonariamente e appoggiandogli una mano sulla spalla.
 
«Lo so.» gli aveva risposto «Per questo te la sto affidando. Tu sai cosa si prova. Con lei ti lascio in custodia il mio cuore.»
 
Poi se n'era andato, e ora era arrivato il momento di dirsi addio e rinnovare quelle promesse.
 
«Ci proverò.» disse, inchinandosi ad entrambi.
 
Stavolta, Emilie non poté ignorarlo.
 
«Non sarà necessario.» replicò fredda, poi tornò a parlare a Robin «Ho imparato molto stando al tuo fianco, Robin Hood. Ti devo molto. Non dimenticherò tutto quello che mi hai insegnato, e quello che hai rischiato per me. Ci rivedremo, in un altro tempo. E allora pagherò il mio debito.» concluse, profondamente grata.
 
Si abbracciarono, stringendosi forte come due vecchi amici che si dicono addio, poi Emilie fece segno a Will di seguirlo e fece per andarsene, ma Ewan ruppe finalmente il silenzio e le afferrò un braccio.
 
«Aspetta!»
 
Si bloccò, tremante, e lentamente, ad occhi sgranati si voltò a guardarlo. Lui, occhi lucidi e un sorriso sincero sulle labbra rosee, la lasciò andare e si tolse dal collo un piccolo ciondolo, la punta di una freccia legata ad uno spago.
 
«Tuo padre dice che i pegni d'amore sono tra gli amuleti più potenti.» le disse, e nel sentirlo parlare a quel modo un nodo le si legò di nuovo in gola.
 
Lottò per non scoppiare in lacrime mentre, con una delicatezza quasi solenne, lui gliela faceva indossare. Era macchiata di sangue.
 
«È la freccia che ha trafitto l'occhio di Kronos.» le rivelò, arrossendo e schermendosi mentre aggiungeva «Era la mia.»
 
Un fremito più forte degli altri. Senza più riuscire a trattenersi, Emilie cedette alla tentazione e lo baciò, appassionatamente, senza preavviso, stringendolo forte e lasciandosi stringere come se quello fosse l'ultimo bacio della loro vita. Durò a lungo, talmente tanto da costringere Robin e Will ad abbassare gli sguardi con un sorriso e fare qualche passo indietro.
Quando finì, affannata, specchiandosi nei suoi occhi Emilie si accorse di star piangendo.
 
«Ti avevo detto di lasciarmi andare, Ewan.» piagnucolò, sottovoce «Perché non l'hai fatto? Ora non potremo più tornare indietro.»
 
Lui sorrise, sfiorandole di nuovo le labbra con le sue e stringendola forte a sé, protettivo.
 
«Non voglio tornare indietro.» le rispose «Non lo farò, mai.» promise, poi vedendola aprirsi in un sorriso commosso aggiunse devoto «Va' da tuo padre, Emilie. Combatti per il tuo lieto fine. Ti aspetterò, dovessi farlo per tutta una vita. Sarò qui quando tornerai. Perché ti amo …»
 
Poi la lasciò andare, ma prima che lo facesse lei lo coinvolse in un ultimo, intenso bacio, concludendo in un sospiro, mentre le loro labbra continuavano a cercarsi.
 
«Non farlo, ti prego. Ti amo anch'io …»
 
***

 
Heroes and Villains
Capitolo XXX
 
Sola nell'immensa Biblioteca, unica stanza del Castello che le trasmettesse ancora un briciolo di malinconica sicurezza, Belle si fermò di fronte ad uno degli enormi finestroni che la illuminavano e prese tra le mani la rosa che portava tra i capelli.
Amorevolmente adagiata su un palmo, con le dita iniziò a sfiorarne i petali di velluto, trasognata, gli occhi lucidi, mentre i ricordi si facevano strada e irrompevano a scacciare quella realtà fittizia in cui era stata per troppo tempo intrappolata.
Era stato un processo improvviso. Subito dopo aver ricevuto in dono quel fiore, una sensazione di déjà-vu le aveva riportato alla mente prima la sua famiglia d'origine, il suo passato a corte, poi gli anni trascorsi assieme alla Bestia nel Castello Oscuro, e d'improvviso si era sentita mancare, ma aveva cercato di non darlo a vedere.
Aveva aspettato di essere sola per sgattaiolare in quella stanza e trovarla esattamente come la ricordava, e ora finalmente la vera Belle riemerse, con i suoi dubbi e le poche, condivisibili certezze.
Un groppo le si legò in gola.
"Ingannata. Di nuovo …"
Non riuscì a non pensarlo, perché tutte le prove convergevano su quella schiacciante verità. E cosa ancora peggiore, non era stato solo Tremotino a ingannarla, ma anche la loro unica figlia.
"Lo ha insegnato anche a lei …" chiuse gli occhi, lasciando che qualche lacrima calda le sfuggisse dalle ciglia e inspirando a grandi sorsi il profumo intenso della rosa. Un dolore intangibile le trafisse il cuore. "Quando finirà? Quand'è che il mostro tornerà a essere un umano?"
"Mai!" le suggerì l'inconscio tradito. E stavolta, nonostante tutti i buoni proposito, non riuscì proprio a dargli alcun torto.
 
***
 
La stanza era in disordine, immersa in un caos che rendeva quasi irriconoscibili i dettagli. C'erano vestiti e accessori di vario genere abbandonati sul letto e dentro due enormi valigie, e fogli e pergamene sparsi sul pavimento, sulla scrivania e su qualsiasi altro spazio utile. Emilie Gold, con indosso il suo completo di pelle nera e i soliti stivali, era intenta a ispezionare con molta attenzione l'ampia e ben fornita dispensa alchemica situata dietro la scrivania.
Prendeva tra le mani una boccetta o un sacchetto, ne leggeva con attenzione l'etichetta, se la rigirava con aria crucciata tra le dita e poi la rimetteva a posto o la accomodava nel piccolo borsone di cuoio che già ospitava un piccolo mortaio in oro e diversi sacchetti e boccette, alcune vuote, altre piene di strani liquidi o di pozioni pronte all'uso, scuotendo il capo o annuendo convinta a seconda della scelta.
Quando la porta si spalancò, non alzò neanche lo sguardo per vedere chi fosse, troppo concentrata sul piano da seguire.
 
«È una pessima idea!» Will Scarlett entrò di corsa, ma subito si fermò perché i vari oggetti che sommergevano il pavimento non gli permettevano di avanzare oltre.
 
Emilie non gli rispose neanche, scurendosi in volto.
 
«Milly, mi stai ascoltando?» la incalzò, sospirando indispettito.
 
Lei gli rispose laconica.
 
«Attieniti al piano. Andrà tutto come previsto.»
«Stiamo parlando della Salvatrice! Vuoi davvero affrontarla da sola?» sbottò a quel punto il Fante, esasperato.
 
Lei si fermò per un istante, lo guardò negli occhi e si aprì in un largo sorriso che aveva tutta l'aria di una beffa.
 
«Oh, ti stai preoccupando per me? Che carino!» lo canzonò, poi si fece di nuovo seria «Non farlo, non ce n'è bisogno.»
 
Scarlett scosse il capo, quindi si portò una mano alla fronte, girò i tacchi e uscì, così com'era arrivato, diretto verso l'unica persona che poteva aiutarlo nella titanica impresa di far cambiare idea alla testarda Lucertolina: Gideon.
 
«Non potevo fare un patto con suo padre, no? Ho scelto proprio lei! Se lo avessi fatto con il Signore Oscuro scommetto che sarebbe stato molto più semplice!» si lamentò sottovoce.
 
Svoltò l'angolo e imboccò un lungo corridoio che lo avrebbe condotto alla stanza del suo obiettivo, ma proprio a metà strada una voce lo fermò, chiamandolo per nome.
Belle. Perché tra tutti proprio Belle? Strinse i pugni, alzando gli occhi al cielo e iniziando a sudare freddo. "Ho detto che volevo fare un patto col coccodrillo, non essere scuoiato vivo da lui! Dannazione! Accidenti a me quando ho deciso di mettermi in affari con questa famiglia!"
Si voltò, lentamente dandosi il tempo per riprendere fiato, e si sforzò di sorriderle, inchinandosi con deferenza.
 
«Vostra altezza!»
 
La vide abbassare il volto contrita, scuotendo il capo e scacciando l'aria con una mano.
 
«No. No, ti prego. Chiamami … chiamami solo Belle!»
 
La fissò, sgranando gli occhi. Era sveglia? Di male in peggio.
Arrossì avvampando, memore degli avvertimenti ricevuti nel corso del tempo da Emilie che potevano benissimo essere riassunti in uno solo: "Mia madre per te è off limits, chiaro? Sfiorala anche solo col pensiero e sei morto!"
All'inizio aveva considerato eccessivo quell'atteggiamento, ma ora, con lei che lo guardava come un cucciolo bastonato e il suo cuore che batteva all'impazzata, tutto assumeva molto più senso.
"Questo è il Regno di Tremotino, Will!" si disse "Non fare scemenze se ci tieni che la tua testa rimanga attaccata al collo."
Tanto più che il Signore Oscuro sarebbe potuto apparire da un momento all'altro o, peggio ancora, avrebbe potuto benissimo starsene in disparte a osservare la scena da una sfera di cristallo come soleva fare sua figlia. I sudori aumentarono, e il fiato si accorciò.
 
«I-io …» balbettò, lanciandole un rapido sguardo per poi tornare a inginocchiarsi, allontanando gli occhi da lei «Io non credo di poterlo fare, Vostra Altezza. Mi spiace.»
 
Belle sembrò capire. Lo fissò per qualche istante scrutandolo, poi sorrise e annuì, quasi come per darsi della stupida.
 
«Ho bisogno di parlarti. Puoi concedermi un minuto? Stavi andando da qualche parte?»
 
"Perché? Perché devi essere così maledettamente gentile con me?"
Il Fante si rialzò, annuendo.
 
«In realtà si, ma non è urgente» mentì, pensando che forse lei poteva essere la persona più adatta ad aiutarlo con la questione Emilie.
 
"Se ha ricordato, forse …"
La bella sorrise, e gli chiese di seguirlo conducendolo fino alla Biblioteca, l'unico posto in cui non sarebbe stato difficile inventare una scusa per giustificare la loro presenza assieme. Una volta lì, Belle chiuse la porta e lo condusse ad uno dei tanti lunghi tavoli presenti, invitandolo a sedersi e facendo lo stesso.
A disagio di fronte a lei, Will Scarlet faticò a trovare una posizione comoda, continuando ad avvertire gli occhi di Tremotino e di sua figlia che lo fissavano da ogni angolazione.
 
«Allora …» fece, nella vana speranza di poter scacciare quella pessima sensazione solo dando voce alle proprie intenzioni «Perché avete voluto parlarmi in così gran segreto?»
 
Belle sorrise, ma apparve amareggiata.
 
«Io …» iniziò, ma le ci volle ancora qualche istante per trovare le parole giusta da usare «Voglio soltanto capire.» disse infine, annuendo come per convincersene.
 
Di nuovo, William Scarlet si mosse sulla sedia cambiando posizione in una più rigida.
 
«Mia figlia … lei cos'è per te?»
 
"Un gigantesco, mastodontico casino! Una dannatissima patata bollente!"
 
«Sono il suo consigliere.» disse invece, mordendosi la lingua quando la vide sorridere e la sentì chiedergli di nuovo sincerità.
«Per favore, ne ho bisogno. So che tu ricordi. Che lo hai sempre fatto, perché dovevi aiutarla. Quindi ora dimmi … perché? La ami?»
 
Per poco il Fante di Cuori non si strozzò con la sua stessa saliva.
Tossì per riprendersi, poi sorrise, sinceramente divertito.
 
«No, davvero!» si affrettò a precisare, a disagio, poi però si rilassò e rispose, con la massima sincerità come lei chiedeva «Io ed Emilie abbiamo avuto un obbiettivo in comune all'inizio, abbiamo viaggiato per parecchio tempo insieme e questo ci ha fatto diventare … buoni amici. Amici, tutto qui.» annuì, aprendosi in un altro sorriso divertito «Un'amicizia un po' complicata, a volte piuttosto …» si fermò alla ricerca delle parole «Difficile.» per non dire esasperante «Ma siamo davvero solo buoni amici.»
«Quindi vieni dal futuro anche tu?» gli occhi di Belle divennero due grandi caleidoscopi.
«Si. Anche se da un'epoca diversa dalla sua. Più...vicina.» la risposta coincisa.
«Hai fatto un patto con lei?»
 
Ecco la domanda che avrebbe dovuto aspettarsi. L'unica che le avrebbe permesso di capire fino a che punto il cuore di sua figlia era stato corrotto dall'oscurità del marito.
Il Fante ne fu pienamente consapevole, ma non poté impedirsi di rispondere. Non avrebbe saputo spiegare altrimenti il suo legame con la pericolosa Lucertolina. Avrebbe voluto, ma non c'era altra spiegazione.
Trattenne il fiato per qualche istante, poi annuì, ma subito si affrettò ad aggiungere.
 
«Sono stato io a volerlo. Il mio vero amore …» si bloccò, perché il solo ricordarla faceva, nonostante il tempo trascorso, ancora male al cuore «Credevo che l'occhio di Kronos mi avrebbe aiutato a sistemare le cose, ma viaggiando con lei ho capito che non ne ero capace. Credo … » sorrise, mentre Belle lo fissava attenta «Credo sia per questo che ha voluto che la accompagnassi. Era questo il patto, io l'avrei aiutata nei suoi viaggi, e quando avrebbe deciso di fermarsi mi avrebbe permesso di usare l'occhio.»
 
Tacque, osservando il volto della bella colorato da un leggero sorriso che stavolta non seppe decifrare.
 
«E tu lo hai usato?» domandò, una luce nuova negli occhi, più comprensiva.
 
Non stava più ascoltando la storia di Emilie, ma la sua. E gli parve quasi di vedere della comprensione nei suoi occhi.
"Oh, per tutti i diavoli Belle, non farlo! Sono finito se lo fai!"
Annuì, cercando di sottrarsi a quell'empatia.
 
«Si, ma poi ho rinunciato.» disse soltanto, non andando oltre nella spiegazione per non peggiorare ulteriormente la situazione.
 
Tra di loro scese di nuovo il silenzio, uno meno teso, ma ugualmente carico di un marasma di tristezza, comprensione e sensi di colpa che culminò con l'ennesima domanda, una a cui stavolta non poté rispondere.
 
«Le fate. È stata lei, vero? O … mio marito?»
 
Sospirò, scuotendo il capo e alzandosi.
 
«Credo dovreste chiederlo a lei.» le disse «Chiedeteglielo, e avrete una risposta.» poi, prima che potesse protestare aggiunse, rivolgendole un lungo sguardo sincero «Quello che posso dirvi è che potete crederle. L'ho vista affrontare il peggior genere di cose mentre viaggiavamo. Pirati, draghi, perfino Dei. Tutto questo … » aggiunse, guardandosi intorno e allargando le braccia «Tutto questo era davvero necessario. Un passaggio necessario per proteggere la cosa a cui tiene di più: la sua famiglia.» concluse indicandola con un cenno.
 
Belle sorrise di nuovo, profondamente triste.
Abbassò gli occhi e William Scarlet dovette trattenersi a fatica quando la vide resistere a stento al desiderio di scoppiare in lacrime. Avrebbe voluto continuare a rassicurarla, magari consolarla con un abbraccio, ma s'impose di salutarla con un semplice inchino, fare dietro front e uscire il più presto possibile dalla stanza, lasciandola sola coi suoi dubbi e i suoi patemi.
Richiuse la porta alle sue spalle, fece qualche passo e poi accostò le spalle contro il muro di pietra, buttando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi.
Il cuore lanciato in una folle corsa, un groppo in gola e le gambe tremanti, espirò e ispirò più volte nel tentativo di calmarsi e ritrovare un contegno. Una soffice brezza soffiò dalle feritoie portandogli l'odore fragrante delle rose che occupavano il giardino in quella parte di castello.
 
«Aaah!» sospirò, mentre la testa ricominciava a girare «Will Scarlett, che tu sia dannato quel giorno che decidesti di vendere il tuo futuro al miglior offerente!»
 
Ben sapendo, in cuor suo, che pur con tutti i contro avrebbe rifatto quella scelta un altro milione di volte.
 
***
 
Emilie era ancora intenta a ultimare i bagagli, quando la porta della camera si aprì ed Ewan fece il suo ingresso. Non disse nulla, né le permise di parlare.
La raggiunse e la trasse a sé, trascinandola in un lungo, intenso bacio che aveva il sapore di quello che si erano dati quando avevano dovuto dirsi addio, la prima volta.
Dopo un primo istante di sorpresa, la ragazza si arrese, abbandonandosi a quell'attimo, sospirando e gemendo quando le mani forti del suo promesso sposo iniziarono ad accarezzarle il corpo e il suo fiato caldo si posò sulla pelle del suo collo, già ricoperta da uno spesso strato di squame verde scuro.
 
«Non partire …» la supplicò, e quelle semplici parole riuscirono a spegnere il fuoco quanto bastava per permetterle di respingerlo, e tornare a guardarlo negli occhi.
 
Quello che lesse le lasciò un sapore dolce amaro in bocca.
 
«Hai parlato con mio padre, vero?»
 
Scoperto, lui abbassò il capo, annuendo senza aggiungere altro. Non ne aveva bisogno, lei sapeva già tutto. Eppure un sorriso amaro le si dipinse in volto. Scosse il capo.
 
«Come può non fidarsi di me? Di me, sua figlia!» mormorò affranta.
 
Ewan tornò a guardarla, poi le prese le mani tra le sue, ignorando i guanti che nascondevano le squame e le unghie sempre più spesse.
 
«Sai che non è così. Lui si fida.» tentò di difenderlo «Teme soltanto …»
 
Ma ponendo un dito sulle sue labbra Emilie lo zittì.
 
«Lo so che cosa teme, è mio padre. Lo conosco da quando ero in fasce. Ho conosciuto molte versioni di lui, e tutte temevano la stessa cosa: L'oscurità nel mio cuore, e il vedermi diventare più potente di loro. Mr. Gold non è diverso dal Tremotino del Desiderio in questo, solo …» abbassò il viso, gli occhi lucidi «Solo che almeno lui mi considera sua figlia … ed è molto più simile a mio padre di tutti gli altri.»
 
Buttò gli occhi sulla punta dei suoi stivali, e sospirò. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Il momento in cui avrebbe dovuto convincere quella versione di Tremotino a non temerlo. Fidarsi di lei era un conto, guardarla come un alleato e non come una rivale era tutta un'altra cosa. Questa versione aveva a cuore il bene dei suoi figli, tutti, perciò sarebbe stato più facile, ma l'avrebbe messa alla prova e lei doveva prepararsi a tutto.
Tuttavia, Ewan seguitò a scuotere il capo, poi le prese il volto da bambina tra le mani e lo costrinse a guardarla, esclamando quasi allarmato.
 
«No. Emilie! Lucertolina, guardami!»
 
Di colpo, lei si fermò, trattenendo il fiato e riuscendo a spegnere i pensieri. Solo allora se ne accorse. Ma cosa … cosa le stava succedendo?

«Emilie, questa non sei tu. È il Tremotino del Desiderio. I tuoi incubi, ricordi? Ora che siamo alla fine della storia, ti stai trasformando in ciò che temi di più! Lo farà anche lui. È per questo che io e tua madre siamo qui, per questo ci avete voluti!»
 
I suoi occhi grigi iniziarono a muoversi come impazienti, perché a quelle parole la stanza si era riempita di sussurri e malevole risate e il mondo aveva iniziato a sbiadirsi. Un'atroce fitta di mal di testa la colse. Strinse i denti, appoggiandosi a lui e reprimendo un urlo che divenne un soffocato gemito di dolore.
 
«S-sto … p-p-perdendo .. i-il controllo!» annaspò.
 
Ewan la sostenne, stringendola forte e seguitando a sussurrare.
 
«No, non devi! Resta con me, Emilie. Pensa a noi!»
 
Tornò a baciarla, quasi togliendole il fiato, e nel mentre le prese le mani e strinse insieme a lei la cosa più preziosa che avevano: il loro amuleto.
All'istante, le voci cessarono e il Coccodrillo del desiderio tornò a nascondersi nei suoi incubi. Nella sua parte più oscura. Sollevata, annaspò, stringendosi forte a lui e scoppiando a piangere.
 
«Grazie …» sospirò, senza fiato, guardando prima lui, poi l'amuleto stretto nella sua mano destra.
 
I guanti in pelle coprivano le squame, ma lei riuscì a sentirle ugualmente. Sospirò, mentre lo guardava fissare preoccupato quella seconda pelle che lentamente si appropriava del suo corpo, i suoi occhi grigi di solito limpidi ora appannati da un velo sempre più pesante.
Era più rapido di quanto si sarebbe aspettato. Anche in Tremotino quella trasformazione stava avvenendo, ma non così. Lei … lei era già all'ultimo stadio. Perché? Eppure l'oscurità nel suo cuore era molto meno presente, solo un pulviscolo.
Le sfiorò le guance umide, preoccupato.
 
«Lascia che venga con te. Non puoi farcela da sola.» la supplicò, in pensiero.
 
Ma di nuovo, lei glielo negò.
 
«Posso farcela. È così che dev'essere.» mormorò stringendo l'amuleto sul cuore e sospirando stancamente «Tu … tu devi restare qui. Prenditi cura di mio padre.» tornò a guardarlo, e lo implorò «La mamma. Si sta svegliando. Ti prego, pensaci tu. Papa non deve affrontare tutto questo da solo.»
 
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Avrebbe voluto essere ancora lei la sua spalla, ma ogni tipo di magia aveva un prezzo e questo era quello da pagare per aver usato impropriamente la penna dell'Autore per raggiungere i propri scopi.
Isaac avrebbe pagato il suo, adesso toccava a loro. Meglio questa trasformazione, guardare faccia a faccia il proprio lato oscuro, che il doversi confrontare con qualche altro tipo di irrimediabile imprevisto. Anche se non era affatto pronta a vedere che faccia avesse la versione peggiore di sé stessa.
Si abbandonò tra le braccia del suo amato, stanca, confusa, spaventata, e mentre si lasciava accarezzare lo guardò e allungò una mano verso le sue labbra. Lui sorrise, lasciandola fare.
 
«Grazie … per avermi aspettato.» mormorò.
 
L'arciere le prese la mano e se la portò alle labbra, sfiorandole con un bacio.
 
«Un patto è un patto.» sorrise, poi dolcemente soggiunse «Lo rifarei altre cento volte se volesse dire stringerti sul cuore come adesso.»
 
Emilie sorrise, le lacrime sempre più numerose intrappolate tra le lunghe ciglia scure. Fece per rispondere, ma la stanchezza si fece sempre più pressante e in un impeto di terrore, prima di sprofondare di nuovo nel buio di un sonno popolato dal peggiore dei suoi incubi, si spinse in avanti, verso le sue labbra, cercandole un'ultima volta e sussurrando di nuovo un disperato.
 
«Ti amo!»
 
***
 
Belle stava ancora riprendendosi dalla conversazione avuta con Will Scarlet, meditando cosa fare con la propria vita e la propria famiglia, quando la porta della biblioteca si spalancò ed Ewan, occhi grandi e cuore sincero, accorse da lei, inginocchiandosi con rispetto e trascinandola nuovamente nella realtà.
 
«Belle, devo parlarti.» le disse, dandole del tu come lei stesse gli aveva chiesto di fare a Storybrooke, quando tutto era iniziato.
 
La principessa sospirò, gli occhi lucidi.
 
«Perdonami ma …» si sforzò di ribattere «Non è proprio il momento adatto.»
 
Non si sentiva in grado di ragionare. Non sapeva se dare la colpa al peso degli eventi o alla velocità con cui le si scagliavano addosso, magari era soltanto colpa della magia di quel posto. Ne aveva passate tante, e nonostante le apparenze era al fianco del Signore Oscuro da abbastanza tempo per riuscire a quando la magia e la sua essenza infestavano persone o luoghi. Non riusciva ancora a percepirne la vera entità, ma ora che la sua mente era sveglia sapeva che l'incantesimo che permeava quel libro, quel Regno fittizio, avvolgeva le menti e le stordiva come un veleno. Era merito di suo marito e sua figlia, se ne era convinta. Erano stati loro a volerlo, a gettarla in quella mischia a sua insaputa. Perché non si fidavano di lei. Ancora. Di nuovo.
Ma proprio quando credeva di aver capito ormai tutto, Ewan tornò a parlare, e il suo castello di carte crollò di nuovo.
 
«Perdonatemi voi, madre.» le disse, e immediatamente l'espressione della donna si addolcì e lei si fece attenta.
 
Le stava parlando in qualità di genero, non di suddito. Stava facendo appello al suo essere più profondo, alla Belle che aveva amato la Bestia fino ad ammansirla. O almeno questo credevano tutti.
 
«Ma devo assolutamente parlarvi. Si tratta di vostra figlia e vostro marito, ed è necessario che sappiate ora che siete sveglia. Perché la loro sopravvivenza è nelle nostre mani adesso.»
 
Un tono grave, un appello accorato. In un attimo, come una luce sfavillante, la speranza tornò a farsi largo nel suo cuore.
 
«Cosa …» mormorò, boccheggiando per la sorpresa «Cosa vuoi dire?»
 
E così, senza farsi pregare, Ewan le raccontò ogni cosa di ciò che sapeva. Le disse del piano di Emilie per governare il tempo, del perché di quelle bugie e di quel bieco trucco, di quel mondo fittizio e di come la storia sarebbe dovuta finire, di come sarebbero tornati a casa, a Storybrooke. Soprattutto, le disse del ruolo che spettava loro. E mano a mano che il racconto proseguiva, gli occhi di Belle si riempirono di lacrime e le mani corsero al cuore.
Così … ancora una volta … era lei l'unica salvezza per il cuore di Tremotino? Ma perché non dirglielo prima? Perché tenerla all'oscuro di tutto? Ewan lo aveva saputo in anticipo, perché lei no?
La risposta le fu chiara quasi subito: avrebbe cercato di dissuaderli, di trovare un'altra strada, di evitare l'inevitabile. Avrebbe intralciato i loro piani, qualcosa che né il Signore Oscuro né la Lucertolina volevano. Fu come un pugno nello stomaco, ma si impose di resistere.
 
«Belle.» la richiamò Ewan, dopo averle concesso qualche istante per riprendersi dallo choc e pensarci.
 
La donna tornò ad alzare gli occhi su di lui e lo fissò, ritrovandosi in quello sguardo.
 
«Rumplestiltskin ha bisogno di te, ora.» la avvisò, e non c'era accusa o supplica in quel tono, solo tanta comprensione.
 
"So che sei arrabbiata, ma rimandalo a dopo. Se lo ami davvero, combatti per lui ancora una volta, poi deciderai se sarà l'ultima. Quando tutto sarà finito e saremo tornati, pienamente consapevole di noi stessi."
La vide trattenere il fiato, e seppe che aveva capito. Sospirò a sua volta.
 
«Cosa succederà?» gli chiese, preoccupata.
 
Aveva bisogno di saperlo. Doveva sapere a cosa stava andando incontro per prepararsi al peggio. Ewan inspirò più profondamente stavolta, e preparò con cura le parole consapevole che quella sarebbe stata la verità più dura di tutte.
 
«La Bestia, dovrai incontrarla ancora una volta. E prenderti cura di lui come hai fatto quando l'hai conosciuto.»
 
Un sospiro stanco. La bella annuì abbassando il capo come se se lo aspettasse. Non le erano sfuggite le avvisaglie, erano state anche quelle a spingerla a svegliarsi. Un piccolo cambiamento nella voce, nel modo di porsi, e poi quel sottile strato squamoso che riemergeva dalla pelle, rendendola spessa e di un verde sempre più scuro. Se ne era accorta subito, anche se lui aveva tentato di nasconderglielo con le lunghe maniche a sbuffo e il colletto sfarzoso delle camicie che indossava. E spaventata si era chiesta prima cosa gli stava accadendo, poi quanto tempo ci sarebbe voluto prima che la trasformazione raggiungesse il culmine.
Il Coccodrillo stava ritornando, e sebbene non le piacesse, alla fine aveva pensato che era abituata ad affrontarlo. Ma sua figlia?
 
«Ed Emilie? Accadrà qualcosa di simile anche a lei?»
 
Possibile che fossero già a questo punto? Aveva detto di aver conosciuto tante versioni di suo padre, di essere stata addestrata da loro. Che avesse imparato anche …?
 
«Ognuno di noi, dentro di sé, ha un lato oscuro.» la voce limpida di Ewan tornò a riscuoterla.
 
Vi si aggrappò e tornò ad ascoltarlo costringendosi a farlo con estrema attenzione.
 
«Tu lo hai conosciuto quando Regina ti ha trasformato in Lacey. Tremotino lotta con esso da tutta una vita e grazie a Uncino ha potuto dargli perfino un nome. Ma Emilie …» sospirò, e per la prima volta da che quella conversazione era iniziata lo vide in difficoltà.
 
Guardò le sue labbra, poi gli occhi e le mani, giunte sull'unico ginocchio alzato. Tremava.
L'amava fino a questo punto? Sorrise, e guardandolo non poté non provare empatia verso di lui.
 
«Lei … non ha mai avuto modo di farlo davvero. Lo ha sempre, soltanto immaginato, perché il suo cammino fino a noi è stato una lunga, frenetica corsa verso suo padre che non le ha dato un attimo di tempo per fermarsi e restare con sé stessa. Questo reame però, specie alcune parti di esso, hanno il potere di realizzare tutti i tipi di sogni e desideri, di materializzare le paure e amplificare ogni cosa.
Da quando è arrivata, gli incubi hanno un solo, unico protagonista: Il Tremotino del Regno del Desiderio, la versione più folle di lui, quella che l'ha rapita a suo padre e l'ha addestrata alla magia oscura …»
 
Belle trattenne il fiato. Rapita?
Non conosceva quella parte della storia, perché non aveva mai letto il libro che la raccontava e sua figlia non le aveva mai detto nulla in merito. Ma ascoltando quelle parole di colpo capì molte cose.
Sua figlia, la dolce Emilie, non aveva seguito soltanto le orme del padre, ma anche le sue.
Come con lei, gli eventi l'avevano portata al cospetto di una Bestia ed esattamente con la stessa forza e lo stesso amore era riuscita non solo a sopravvivere, ma anche a domarla, e forse sarebbe anche riuscita a farsi amare come figlia se il destino non avesse giocato d'anticipo uccidendo entrambi, il Tremotino che amava e quello che temeva.
Di nuovo, la donna rabbrividì, riuscendo quasi a sentire la moltitudine di sentimenti che affollavano il cuore e la mente della sua bambina.
Ma c'era ancora qualcosa che Ewan voleva dirle, la più importante di tutte.
 
«Emilie è stata molto tempo con lui prima di ritrovare suo padre.» spiegò «Si era abituata alla sua presenza ma lo temeva anche, perché non era come il Signore Oscuro che conosciamo noi. Lui…» si fermò a guardarla, scrutando con attenzione la sua espressione contrita.
 
Sospirò, quindi riprese, più lentamente, usando le parole che Emilie gli aveva suggerito.
 
«Il Regno del Desiderio è un Regno nato da un desiderio espresso al genio della lampada.» spiegò sommariamente «Una sorta... di realtà parallela. In quel Regno, Regina è stata sconfitta prima di poter lanciare il suo sortilegio e tu…»
 
Si fermò di nuovo, guardandola trattenere il fiato.
Aveva capito. Ricordava bene l'ultima volta che aveva visto Regina, prima di essere catturata da lei. Era stato il giorno in cui aveva deciso di tornare, di ritornare da lui e combattere per il loro amore.
Poi, Regina l'aveva rapita impedendoglielo e c'erano voluti più di vent'anni prima di poterlo rivedere, di poterlo riabbracciare e provare a ricominciare.
Cosa sarebbe successo invece, se lei non ci fosse più stata?
Se nella peggiore delle ipotesi la cella in cui fosse stata confinata avesse finito per diventare la sua tomba e Rumplestiltskin, una volta trovato il modo di scappare dalla sua prigione, lo avesse scoperto? Libero dopo mesi, forse anni di prigionia nelle miniere, accecato dalla rabbia e del dolore di averla persa per sempre.
Si portò una mano alla bocca reprimendo un singhiozzo. Ewan annuì, affranto.
 
«Ora capisci…» le disse.
 
Poi, si alzò, si avvicinò a lei e le prese le mani.
 
«Il suo cuore dipende da voi, madre» le disse «Emilie sa. Lo ha già visto, e teme profondamente ciò che potrebbe accadere se questo destino si ripetesse.»
 
"Perchè tu non sei immortale, e Tremotino è ancora un uomo alla ricerca di vendetta e potere."
 
«Non arrendetevi.» la supplicò «Questo mi ha chiesto di dirvi vostra figlia. È giusto che siate arrabbiata, che siate stanca. Lui non è una persona facile da amare, lo sapevate già quando avete deciso di farlo. Ma non lasciatelo andare, soprattutto non adesso. Siete la sua luce, l'unica cosa che gli impedisce di non impazzire. E in questo Regno fatto d'illusioni basta veramente poco per perdere la testa.»
 
Quelle parole chiare. Quel tono sincero. Era la verità che voleva sentire, e sapere che fosse stata proprio Emilie a chiedergli di trasmettergliela la rincuorò non poco. Allora non era ancora tutto perduto. Ma appurato questo, il cuore e la mente corsero al presente, a suo marito.
Stava davvero diventando di nuovo la bestia che aveva cercato di salvare? Avrebbe sul serio perso il controllo di sé? A cosa avrebbe dovuto assistere? Qual era il finale scritto per quella storia? Ed Emilie? Nel pensare a lei ebbe un sussulto.
 
«Emilie non può partire, allora! Non può affrontare tutto questo da sola! Ed Emma! È in pericolo se lei è destinata a diventare come quel Tremotino!»
 
O anche qualcosa di molto peggiore, perché il suo dolore, amplificato dalla magia di quel reame, non era dissimile da quello del Tremotino del desiderio.
Ewan sorrise appena, grato di essere riuscito a farla ragionare. Era lieto che la sua futura sposa avesse deciso di affidargliela. "Tu e mia madre siete più simili di quanto possiate immaginare." gli aveva detto durante il loro ultimo giorno a Storybrooke "Quando verrà il momento, se c'è qualcuno che potrà convincerla a stare al fianco di papa, quello sei tu."
Si era sentito lusingato. Ora era anche felice di essere riuscito ad aiutarla.
Annuì.
 
«Devi andare con lei. Devi restarle accanto! Sei il suo vero amore» lo incoraggiò Belle, alzandosi e guardandolo negli occhi, aggrappandosi alle sue mani come poco fa lui aveva fatto con lei.
 
L'uomo seguitò a sorridere, ma più tristemente, scuotendo il capo.
 
«Non posso.» le rivelò «Siamo alla fine della storia, e ciò che deve accadere sarà difficile per entrambi. Le ho promesso di restare, per prendermi cura dei suoi genitori.»
 
La bella sorrise commossa e affranta, poi però un pensiero le attraversò la mente e a giudicare dallo sguardo che li incatenò lo fece anche nella mente di lui. Restarono in silenzio a fissarsi per qualche istante, poi quasi contemporaneamente mormorato o l'unica soluzione possibile.
Non potevano lasciarla sola, non potevano permetterle di perdere il controllo e abbandonarsi al proprio lato oscuro. Qualcuno avrebbe dovuto seguirla, e c'era una sola persona in grado di farlo.
 
«Gideon.»
 
***
 
Solo di fronte allo specchio, Tremotino fissò la sua immagine e un ghigno iniziò ad emergere lentamente sulle labbra sottili.
Non aveva mai smesso di udire il richiamo dell'Oscurità, ma a Storybrooke tutto era stato diverso, più complicato, specie dal ritorno di Belle che lo aveva costretto a ricorrere a compromessi, estenuanti lotte e astute scappatoie per tenerla accanto a sé e al contempo continuare a bere alla coppa del potere.
L'arrivo di Emilie, se in un primo momento lo aveva reso felice, lentamente aveva iniziato a spaventarlo e preoccuparlo, anche se doveva ammettere che si era rivelata una pedina utile e più facile da gestire, molto più manipolabile di tutte le altre. "Lei ti ama, per quello che sei!" gli aveva suggerito la voce nella sua testa "Ama la tua oscurità, e vuole aiutarti. Appoggerà qualsiasi tuo piano, ti basta una parola e farà qualsiasi cosa tu voglia."
Tutto vero. Ora però, le cose iniziavano a prendere una pessima piega, proprio con Zelena, e lo spirito di sopravvivenza gli suggeriva di prendere le dovute precauzioni. "Devi sbarazzartene, perché non appena sarà riuscita a diventare più potente di te ti tradirà, proprio come tutti gli altri. È già successo, vuoi davvero ricascarci?"
Il ghigno si trasformò in una smorfia, le mani si chiusero a pugno.
 
«Nessuno è più potente di me …» mormorò, tra i denti «Né ora, né mai.»
 
"Non ancora." rispose l'oscurità "Ma presto lo sarà!"
Stava per cedere. Ancora un altro piccolo passo, e lo avrebbe fatto. Ma proprio allora, la porta del suo laboratorio si spalancò e Belle entrò nella stanza di corsa, chiamandolo disperata.
 
«Rumple!»
 
Non ebbe nemmeno il tempo di risponderle, sentì solo le sue mani dolci e calde sulla pelle ricoperta di squame e poi il sapore intenso di uno dei suoi dolci baci in cui lo coinvolse, senza dargli modo neanche di respirare. Fu come svegliarsi dopo un lungo sonno, come riemergere dalle profondità di un oceano dopo aver appena rischiato di annegare.
 
«Belle!» le disse, come riconoscendola per la prima volta, guardando quegli occhi azzurri e innamorati pieni di lacrime «Cosa …?»
«Non cedere, Tremotino!» lo implorò lei, prendendogli le mani e sorridendogli in quel modo che solo lei aveva, come un angelo venuto per redimere la sua anima nera «So che è difficile, ma non cedere adesso ti prego! Emilie! Nostra figlia ha bisogno di te!»
 
All'improvviso tutte le notti passate con la ragazza sotto quel salice, a raccontarsi e ricordare se stessi come non avevano mai fatto prima con nessun altro, riemersero prepotenti e le nuvole che avevano rischiato di inghiottirlo iniziarono a dissiparsi, fuggendo definitivamente quando la sua Belle, riconoscendo in quegli occhi sperduti quelli della sua amabile Bestia, riprese a baciarlo con più foga, riportandogli la luce e permettendo alla metà umana del suo cuore di tornare a battere.
La strinse, cedendo al richiamo delle sue labbra, e ogni cattivo proposito svanì, lasciando solo il ricordo di quell'attimo di esitazione. Belle. La sua dolce, meravigliosa, coraggiosa Belle.
Ancora una volta il bacio del vero amore aveva adempiuto il suo compito.
 
***
 
«Tua moglie è già morta. È stata la Principessa stessa a volerlo.»
 
Poche semplici parole, e il velo che separava la finzione dalla realtà si dissolse, stracciato in mille pezzi, e tutto il dolore provato nella sua vera vita prima di quella farsa gli piombò addosso, bruciante come lava incandescente, travolgendolo e cancellando ogni traccia della bontà e dei buoni propositi che si era ritrovato a provare.
La maschera cadde, e tutto gli divenne chiaro. Guardò Ariel, e la vide per quello che era: l'ennesima marionetta nel gioco del Coccodrillo e della sua fedele Lucertolina.
Irrigidì la mascella, gli occhi in fiamme.
 
«Demoni maledetti!» sibilò tra i denti, stringendo l'uncino e tornando a giurare vendetta «Vi strapperò la pelle fino all'ultima squama, lo farò anche se il cuore dovesse scoppiarmi in petto per il dolore.»
 
"Al diavolo il contratto! Questa farsa finisce ora!"
 
***
 
Tre giorni dopo …
 
Il mare era calmo, una tavola piatta e scura sulla quale la pesante e maestosa nave della flotta personale del Re avanzava rapida e silenziosa.
Si chiamava Dark Princess, e non era un caso che Emilie avesse scelto proprio quella tra le dodici a disposizione, anche se non era la sola a poter compiere in sicurezza un viaggio così lungo.
Dark One, Dark Crocodile, Dark Fairytales, King's Revenge, Black Heart, Mother's Prayer e Father's Hope erano i nomi delle principali fregate, ciascuna di esse era dotata di vele nere, ampi ponti, numerosi cannoni e di una polena che ne richiamava il nome.
Quella della Dark Princess era una sirena, le fauci spalancate a mostrare i denti aguzzi, le unghie come artigli e mostruosi serpenti marini al posto dei capelli. Era una versione Atlantidea di Medusa, e numerose erano le leggende sul suo conto.
I più sediziosi sostenevano che rappresentasse proprio la Principessa, nella sua vera forma, ma nel guardarla ora Emilie si lasciò sfuggire un ghigno divertito.
"Oh, poveri piccoli patetici omuncoli." pensò, assorta nel silenzio teso ch'era sceso dal momento in cui avevano iniziato la traversata di quelle acque pericolose "Non ne avete neanche la più pallida idea. Posso essere anche più spaventosa di così."
 
«Capitano!» chiamò, mentre tutto intorno le tenebre si facevano più fitte e la nebbia calava a coprire la visuale.
 
L'uomo, un insignificante omaccione di mezza età alto ma goffo, seppure abile nella lettura delle mappe e nella navigazione, aveva assunto quel titolo solo formalmente. Di fatto, a decidere ogni cosa era lei.
 
«Si, Vostra Altezza!»
 
Un altro brivido percorse la schiena della Lucertolina, ma stavolta non fu né il freddo né la soddisfazione.
Sospirò.
 
«Mantenete la rotta e avvisatemi immediatamente quando avremo superato la nebbia.»
«Si, signora!» le rispose ubbidiente quello, scattando sull'attenti per poi precipitarsi affannosamente a dettare gli ordini alla ciurma inquieta, ma che non osava emettere fiato per paura delle sirene e di una sua reazione.
 
Anche se non davano a vederlo, tutti avevano notato il suo cambio di atteggiamento. Erano in mare da tre giorni e la benevola Principessa era sparita, lasciando il posto a una spietata dittatrice con l'animo da pirata, la cui pelle del collo e delle mani era ricoperta da squame che non si sforzava neanche di nascondere.
Aveva indossato il suo completo nero e gli stivali di suo padre, e acconciato i suoi capelli in tante piccole trecce che andavano subendo una strana, inquietante trasformazione: da castani a grigi, con sfumature verdi sempre più presenti e vive, nel senso che le ciocche colpite da quel fenomeno, a ben guardare, sembravano davvero vivere di vita propria, strisciare anzi.
Alcuni tra i più pavidi avevano iniziato a pensare che quelle leggende avessero ragione, e ben presto la paura si era appropriata di almeno la metà dell'equipaggio.
A passo deciso e quasi marziale fece per avviarsi verso la cabina di comando, quando la voce della Salvatrice la fermò.
Non si erano ancora viste da che la nave era salpata, e il solo averla a bordo la innervosiva. A quanto pareva la cosa era reciproca visto che anche Emma aveva accuratamente evitato la sua compagnia.
Proprio per questo, non appena si sentì chiamare per nome sul suo volto apparve un sorriso perfido.
 
«Oh, ma guarda un po'. La mia adorata cognatina ha deciso di onorarmi della sua presenza» l'accolse voltandosi e lasciandosi ammirare.
 
Emma avanzò verso di lei senza timori.
 
«Smettila con questa farsa» le disse, ma non appena le fu di fronte cambiò idea e un'ombra inquieta attraversò il suo sguardo.
 
Emilie la osservò attentamente, beandosene.
 
«Cosa…» mormorò, ma non appena si accorse di averlo fatto ad alta voce si zittì, limitandosi a scrutarla.
 
Le squame, i canini sempre più evidenti, i capelli che sembravano essere fatti con la stessa pelle di serpe degli stivali. Che accidenti stava succedendo? Rivolse la sua attenzioni all'equipaggio che li circondava, e vide che tremava di paura.
 
«Stai bene?» si preoccupò.
 
Un guizzo famelico balenò in quegli occhi grigi dove ora l'oscurità si muoveva ben visibile, e inquieta.
 
«Mai stata meglio in vita mia…» la sentì sibilare, e le bastò quel cambio nel tono di voce per capire che qualcosa stava accadendo.
 
Si pose sull'attenti, portando una mano al pugnale che teneva in cintola.
"Quanta fretta!" ridacchiò la Lucertolina dentro di sé, ma finse di non aver visto e ritornò a sfidarla.
 
«Allora, risolto il tuo problema con il mal di mare?»
 
La Salvatrice si ritrovò a tremare. Quel tono, vibrante e acuto ma anche molto simile a quello del Tremotino di un tempo, non metteva solo i brividi. Era terrificante, e non seppe spiegarsi perché.
"Che ti succede, Emma?" si disse "Di che hai paura, è solo Emilie!"
Già. Solo Emilie. Ma chi era in realtà quella ragazza? Che voleva da loro? Da quando era arrivata, a Storybrooke, non aveva fatto che chiederselo.
Scosse il capo, concentrandosi sul presente.
 
«Basta, Gold!» sbottò «Basta fingere. Lo sai che sono sveglia, sputa il rospo e rispondimi! Perché siamo qui?»
 
La sentì sogghignare di nuovo, le mani si mossero ad imitazione dei gesti paterni.
 
«Te lo sei già dimenticato? Ti sto portando dai tuoi genitori, non volevi vederli?» replicò voltandosi a fissarla.
 
E stavolta non poté impedirsi di non notare l'incredibile somiglianza. "Si sta trasformando in ... lui?"
Angosciata, si guardò intorno e maledisse la sciagurata idea che aveva avuto di accettare quel viaggio insieme a lei. Era caduta dritta nella sua trappola, qualsiasi cosa fosse o stesse diventando.
Come se avesse avvertito i suoi pensieri la ragazza si voltò a guardarla e li rivolse un largo sorriso famelico mostrando i canini affilati
 
«Attenta Emma Swan. Quella che hai di fronte non è la stessa Emilie che hai conosciuto a Storybrooke. Non mi sottovalutare.» le disse.
 
La Salvatrice strinse le palpebre, facendo un passo indietro. Perché quelle parole? Era una richiesta di aiuto? O …
 
«È una minaccia?» le fece eco.
 
Una risatina gutturale la raggiunse.
 
«No.» le rispose Emilie, scuotendo le spalle e compiendo un ampio gesto plateale con le mani «Non ancora. Solo un amichevole consiglio dalla tua tenera e indifesa cognatina.» concluse, e stavolta sembrò davvero sibilare minacciosa.
 
Tirò fuori la lingua imitando un serpente, e di nuovo quello strano fenomeno che l'aveva colta quando era ancora solo la sposa del Principe Baelfire tornò a farle girare la testa.
Vide l'immagine di Emilie traballare, e la sua lingua trasformarsi davvero in quella biforcuta di un serpente. Vacillò, e per poco non cadde a terra come se un brusco scossone della nave l'avesse spinta a farlo, ma lo scafo era perfettamente saldo sulle acque calme.
Chiuse gli occhi, dandosi un attimo di tempo, e il cuore iniziò a battere all'impazzata. "Che diavolo mi sta succedendo?"
Emilie, una mano a sfiorare il mento e il dorso dell'altra sotto il gomito, rimase ad osservarla soddisfatta in silenzio. Avrebbe voluto infierire, ma ci sarebbe stato tutto il tempo per farlo.
"Prima il dovere, poi il piacere!" le ricordò il Coccodrillo nella sua testa.
Rimase semplicemente a osservare il cigno che arrostiva sul fuoco della sua rabbia e nel frattempo si lasciò trasportare dalla magia di quel luogo, tra i più "infestati" del Reame.
Detto La Baia delle Tentazioni, era un tratto di mare in cui L'Oscurità regnava sovrana, e come un veleno s'insinuava dentro ai cuori dei naviganti nutrendosi dei loro incubi. Ma lei non aveva bisogno dell'antidoto. Per il suo cuore non c'era già più niente da fare. "E tra poco, Emma Swan, sarai mia!"
 
«N-non … mi sembri tanto indifesa in questo momento.» in visibile difficoltà, ma ancora in piedi, la Salvatrice si rialzò, riacquistando una certa compostezza nella postura e sbattendo più volte le palpebre, tornando a guardarla.
 
La Lucertolina si fece seria, iniziando a far danzare ritmicamente le dita, in maniera quasi ipnotica.
 
«Oh, ecco che mi sottovaluti di nuovo.» soggiunse, compiendo qualche passo verso di lei.
 
Lentamente, sicura di sé, ciondolando il capo. Swan volle indietreggiare, ma non appena lo fece si accorse di non riuscire più a stare dritta sulle gambe, quindi ci rinunciò, allargando le braccia per non perdere l'equilibrio.
 
«Dovresti imparare a non giudicare un libro dalla copertina Miss Swan. I tuoi genitori hanno già fatto un simile errore, e non gli è andata affatto bene.»
 
Ora erano faccia a faccia. Emma la fissò sgranando gli occhi, terrorizzata a morte da quelle parole, e si accorse che le squame ora le coprivano quasi la metà del viso. No, quella non era decisamente la Emilie che ricordava. Ma in fondo … l'aveva mai conosciuta davvero?
Cedendo ai dubbi, permise all'Oscurità il primo passo verso di lei.
 
«Cosa gli hai fatto?» domandò, stringendo i pugni.
 
Ma la Lucertolina riprese a ridacchiare.
 
«Tempo al tempo, Emma.» la canzonò «Tempo al tempo. Un tic e un tac alla volta e tutto ti sarà chiaro.» poi le rivolse un lungo sguardo disgustato e la freddò, laconica «Goditi il viaggio e stammi fuori dai piedi, per ora! Ed è l'ultimo consiglio che avrai da me.»
 
***
 
Due giorni dopo …
 
«Terra! Terra! Proprio di fronte a noi!»
 
Quando la voce della vedetta si fece sentire, l'intero ponte si risvegliò dal torpore in cui era immerso e i marinai, eccitati e sollevati a dire il vero più del dovuto, accorsero ad ammassarsi sulla prua e intorno al parapetto di legno scuro, alcuni si arrampicarono perfino sugli alberi e sulle cime per riuscire a scorgere quello che, dopo giorni in mare immersi nella paura e nel silenzio quasi assoluto, sembrò quasi un miraggio.
Ma l'entusiasmo durò poco.
 
«Via! Levatevi di mezzo cani rognosi!» emergendo dalla cabina di comando, la Principessa avanzò decisa verso di loro, facendo schioccare le cime come fosse fruste e colpendo gli uomini più vicini.
 
Si diresse verso il timone, alcuni marinai vedendola arrivare corsero ai ripari, il più lontano possibile, ma la maggior parte furono spinti via dalla sua magia fatti rotolare verso prua e un paio di loro vennero afferrati per il collo da una mano invisibile e sollevati da terra per poi essere gettati tra i flutti. Ormai libera dai guanti e da ogni tipo di coscienza, la Lucertolina artigliò il parapetto con le sue lunghe unghie da coccodrillo e i suoi occhi grigi fissarono immobili l'orizzonte altrettanto mesto.
In mezzo a colossali e minacciose nubi, una terra brulla e silente se ne stava distesa come un cadavere trascinato dalle correnti.
Ghignò, poi tornò ad accendere il suo sguardo d'ira e voltò di scatto la testa verso la ciurma terrorizzata.
 
«Capitano!»
 
L'uomo accorse zoppicando, perché un paio di giorni prima, durante uno scatto d'ira, lei lo aveva appeso per la caviglia ad una fune e fatto ricadere violentemente a terra come un sacco vuoto.
Nonostante tutto, per non inquietarla ulteriormente, tentò di inginocchiarsi evitando il suo sguardo quando lei gli si rivolse.
 
«Si, Vostra Altezza!» rispose prontamente.
 
Ma proprio quando stava per aprire bocca Emma Swan riemerse da sottocoperta, attirata dal fracasso. Si guardò intorno, poi tornò a guardare lei e il cuore perse un colpo.
 
«Che sta succedendo?»
 
Un moto di rabbia, uno dei tanti sempre più incontenibili da quando era salita a bordo di quel vascello, esplose nel petto di Emilie. Strinse i pugni, desiderando di poter artigliare quel collo e stringere fino a sentirla perdere i sensi. Il Coccodrillo rise nella sua testa.
 
«Puoi farlo! Cosa te lo impedisce? Avanti, divertiti! Levati il pensiero! Sarebbe un peso morto in meno di cui occuparsi. Lei è la Salvatrice dopotutto, credi davvero che lascerà in pace tuo padre? La sua sola esistenza è una minaccia! E magari, se lo fai in questo reame, il tuo cuore sarà al sicuro, no?»
 
Non seppe dire cosa fu, se l'accenno a suo padre, quella nota stonata sul suo cuore o forse un briciolo di coscienza rimasta, ma per un attimo la sua mente offuscata dai dubbi e dalle paure tornò a respirare, e la mano corse a cercare l'anello. Non lo trovò. Lo aveva lasciato al Castello, nelle mani sicure di Ewan, perché per ciò che doveva affrontare non poteva avere dubbi o punti deboli.
Ebbe paura. Si guardò intorno e per un ultimo, singolo istante prima di tornare ad essere divorata dalle tenebre che ormai ricoprivano completamente il suo corpo e la sua mente capì fino a che punto si era spinta osservando i volti di Emma Swan e del suo equipaggio. "Cosa … che sto facendo? Ewan! Papa! Dove siete?!"
Poi una fitta dolorosa alle tempie e la risata del Tremotino folle del desiderio la costrinsero a chiudere gli occhi. Cadde in ginocchio, reggendosi la testa con le mani e gemendo. E nel mentre, un'altra voce si fece udire, ma stavolta non era quella del Coccodrillo ma di suo nonno, Peter Pan.
"Sei sola, esatto. Di nuovo. Era questo che volevo capissi. Ora, finalmente te ne rendi conto."
Spaventata da quel cambiamento improvviso ma ancor di più dal dolore che sua cognata, chiaramente vittima di un incantesimo, sembrava provare, Emma accorse in suo aiuto.
 
«Emilie!» la chiamò, inginocchiandosi al suo fianco e tentando di riscuoterla, stringendole le spalle.
 
Ma con rabbia, quasi scaraventandola lontano, Emilie la respinse, ferendola inavvertitamente con i lunghi artigli.
Istintivamente, Emma si protesse il braccio ferito mentre tra di loro calava un silenzio teso. La ferita era superficiale, ma bruciava comunque. Nel vederla, Emilie rabbrividì e guardandola per la prima volta da che si era risvegliata la Salvatrice capì: aveva paura. Il linguaggio da pirata, le zanne e gli artigli, le squame da coccodrillo. Era questo che le stava accadendo, si stava trasformando … in ciò che le faceva più paura. Peccato che sapesse così poco di lei! Avrebbe potuto prevedere quale genere di mostro fosse, anche se qualcosa le diceva che Tremotino faceva di sicuro parte del quadro.
 
«Emilie, va tutto bene …» mormorò, tentando di rassicurarla, ma l'Oscurità tornò a impossessarsi di lei.
«Gettate l'ancora!» ruggì fuori di sé la Lucertolina, poi tornò a minacciare l'equipaggio e lei sfoderando zanne e artigli «Muovetevi inutile ammasso di gentaglia! Io e la principessa scendiamo qui …» concluse cupa, mentre il mare iniziava a incresparsi e le nuvole minacciose si apprestavano a raggiungerli.
 
E ascoltandola, Emma si chiese per la prima volta chi stesse parlando e a chi si stesse riferendo, se a lei o ad Emilie stessa, la sua preda principale.

 
 
***
 
Le rovine del vecchio Castello giacevano inerti sul suolo riarso, come lo scheletro di un gigantesco mostro adagiato nel mezzo di una pianura desertica.
Ad ogni passo, una folata di polvere si alzava e il vento che soffiava a tratti contribuiva a spargerla nell'aria, facendo sì che i dintorni fossero immersi in una foschia sinistra e fastidiosa, che irritava gli occhi e rendeva riarsa la gola.
Dietro le rovine, gli scheletri degli alberi di quello che un tempo era stato un rigoglioso bosco di sempreverdi erano ammassati come un mucchio di scheletri, e ricoprivano l'intera montagna.
Per giungere a quel luogo erano state necessarie due ore di cammino, immerse nel silenzio e nella più totale oscurità. Dopo essere scese dalla nave, Emilie l'aveva condotta sulla spiaggia ciottolosa e si era rifiutata di rispondere a ogni sua domanda sul perché quel posto le sembrasse così famigliare.
 
«È casa tua del resto, no?» le aveva detto la prima volta con sarcasmo, ma quando lei aveva cercato di insistere aveva perso la pazienza.
«Oh, per l'amore del cielo, sta zitta e seguimi!» aveva sbottato con un ringhio «E tieni quella tua boccaccia chiusa fino a che non saremo arrivate, o potrei anche decidere di ucciderti lungo la strada!»
 
Nonostante la situazione richiedesse un'azione più diretta, la Salvatrice ricordò l'ultimo avvertimento che l ragazza le aveva dato prima di completare la sua trasformazione e decise di darle retta. "Potrei non essere la stessa Emilie che hai conosciuto a Storybrooke. Non sottovalutarmi."
Che fosse stata davvero un'ultima, disperata richiesta di aiuto? O un tentativo di avvertirla di ciò che le stava accadendo, di dirle che purtroppo lei non aveva alcun controllo su quella situazione e che avrebbe dovuto cavarsela da sola nel cercare di salvarsi e tirarla fuori da lì?
Mentre la seguiva in silenzio e ne notava il passo deciso e veloce, i pugni stretti e la schiena dritta, si ricordò del suo giubbotto rosso, la sua armatura, e all'improvviso tutto ebbe più senso. Decise di crederle, di aiutarla, ma mentre cercava un modo per farlo si dimenticò del pericolo che stava correndo, e non si rese neanche conto che, nel vederla così assorta e nell'intuire le sue intenzioni, la Lucertolina le aveva rivolto un ghigno famelico, gioendo.
Risalirono la collina, attraversando la distesa brulla fino a ritrovarsi al cospetto del vecchio maniero.
 
«Un momento … io questo posto lo conosco!» esordì attonita Emma Swan, fermandosi proprio a pochi metri del portone principale, divelto e crollato sulla breve scalinata sottostante.
 
Solo allora, finalmente, Emilie si voltò di nuovo a guardarla, allargò le braccia e con un ampio, inquietante sorriso da rettile le rispose, fiera.
 
«Benvenuta a casa, Emma Swan. O forse dovrei dire … bentornata.»
 
Uno sciame di ricordi la avvolse, ma non erano quelli della sua identità fittizia. No. Erano reali. E la spinsero a mormorare, guardandosi intorno con sgomento.
 
«La foresta incanta … questa è …»
«Dove potevano essere Biancaneve e il suo Principino Azzurrino se non nel loro castello? Esattamente come ti avevo detto.»
 
Di nuovo, un sibilo serpentino concluse la frase. Stavolta ben udibile e chiaro.
Emma tornò a guardarla con sospetto, compiendo un passo indietro mentre un terribile presentimento s'insinuava in lei
 
«Ma qui non c'è nessuno! Dove sono gli abitanti e le guardie? E perché sembra che sul castello sia esplosa una bomba?»
 
La Lucertolina ridacchiò divertita, appropriandosi di nuovo della gestualità e del tono di voce del suo amato paparino.
 
«Oh, bhe cara, è semplice … » si fece seria, sfregandosi le mani «Questo è il regno di Tremotino, dopotutto.»
 
Tremotino. Si, ma quale?
Fu come ricevere una coltellata in pieno petto a sorpresa. Lo smarrimento, il dolore e il panico la assalirono all'improvviso e prima ancora che riuscisse a riprendersi un rombo possente simile al ruggito di una creatura fece tremare la terra, costringendola a cadere in ginocchio per non farsi male.
Guardò Emilie, aspettandosi di vederla vacillare, invece lei continuò a restare in quella posizione trionfale e a guardarla impassibile. Nessuna paura. Nessuna esitazione. Nessuna … emozione. Non era lei, non più. Ora era solo il gran maestro degli incubi, Oscurità pura senza più nulla di umano che recitava la parte di una ragazza alla ricerca di suo padre.
Un'altra scossa, stavolta più forte, e mentre cadeva a terra la sentì di nuovo ridacchiare. Un'ombra nera alle sue spalle si levò dall'interno del cortile del castello e sfrecciò su verso il cielo, oscurando il sole per un istante prima di precipitare su di lei.
Giganteschi artigli la strinsero e una possente zanna ricoperti di squame nera la intrappolò, impedendogli ogni tipo di movimento. Un drago.
Il cuore prese a battere all'impazzata mentre la sua mente, ancora stordita, cercava di riprendere il controllo e trovare una soluzione.
Un'enorme occhio felino la fissò, la cornea scintillante d'una malevola luce dorata.
Lì per lì credette fosse Emilie ma poi la vide sghignazzare dietro la bestia, e fu allora che quell'essere parlò, restituendole la verità.
 
«Ciao, Emma. Ne è passato di tempo dal nostro ultimo incontro.»
 
Voce di donna, giovane e cupa, anche se deformata dal fuoco che gli bruciava in gola.
Sgranò gli occhi, tremando.
 
«Lily?»
 
La Lucertolina ghignò di nuovo, soddisfatta.
 
«Già, Lily.» le fece eco canzonatoria «Non te lo aspettavi, vero? La tua piccola amichetta. Oh, lo so, avrai mille domande ora nella tua testa, ma lascia che sia qualcun altro a risponderti. Qualcuno che di sicuro ne sa molto più di me.»
 
Quindi guardò il drago, e ordinò decisa.
 
«Portala da loro!»
 
***
 
Incurante delle sue proteste e delle sue urla, Lily la trascinò in volo fino ad una caverna poco distante dal castello, gettandola ai piedi di un piedistallo ai piedi dei quali giacevano mazzi di fiori ormai secchi o morti e alcuni scheletri di soldati in armatura.
Si rimise in piedi a fatica, provata dalla caduta e del turbolento viaggio. In realtà, si sentiva sfinita, e aveva voglia di urlare ma nessuna forza di farlo. Non capiva neanche cosa fosse stato a fiaccarla così.
 
«Oh, ma guarda! Cosa abbiamo qui?»
 
La voce della Lucertolina tornò a scuoterla. In piedi dietro il piedistallo, lo indicò con un gesto rapido della mano ciondolando il capo e prendendo a girare attorno a quello che sembrava in tutto e per tutto un guscio di cristallo.
Spinta da una curiosità irresistibile e da un sesto senso insindacabile, Emma si avvicinò e non appena riuscì a guardare oltre la parete di fragile vetro il suo cuore perse un colpo e gli occhi le si riempierono di lacrime.
I suoi genitori giacevano addormentati, mano nella mano e la restante sul cuore, vestiti dei loro abiti migliore e con le corone ancora in testa. Erano … come li aveva lasciati. Come li ricordava a Storybrooke.
 
«Mamma … Papà!» singhiozzò, e fece per aprire quella bara e tentare di svegliarli, ma una zampata di Lily la scaraventò contro la parete di roccia alle sue spalle.
 
Gemette, stringendo i pugni e i denti per resistere al dolore.
 
«Ah! Ah! Ah!» le disse Emilie «Non così in fretta, Salvatrice. Prima …» concluse rivolgendosi al drago «C'è un conto in sospeso da pagare.»
 
Un altro ghigno malefico le deformò la faccia.
La vista appannata, il fiato corto, la donna batté più volte le palpebre per tentare di mettere a fuoco le due creature, che ora erano una vicino all'altra e la fissavano.
 
«Di cosa state parlando?» mormorò in un soffio, cercando di rialzarsi.
 
Vide Emilie rivolgere un lungo sguardo al drago, poi fece un passo indietro e con una deferente riverenza le lasciò il posto, svanendo in una nuvola di fumo violaceo, lasciandole sole a fronteggiarsi.
Un ringhio sommesso, gli occhi del drago si accesero di un bagliore infuocato. Le rivolse uno sguardo carico di rabbia, quindi, una zampa alla volta, iniziò ad avvicinarsi a lei, coprendole la vista della bara in cui erano chiusi i suoi genitori.
Ora di nuovo cosciente e abbastanza in forze da riuscire a difendersi, la mano della Salvatrice corse istintivamente al fianco, cercando una spada che non possedeva e rimanendo sconvolta quando invece riuscì a stringerne l'elsa.
La fissò attonita, poi rivolse un sguardo al drago che continuava a fissarla come se lo sapesse già.
 
«Lily, non so cosa ti abbia promesso Emilie ma devi credermi: tutto questo non è necessario» tentò di dissuaderla.
 
Ma la creatura non sembrò neanche ascoltarla.
 
«Non voglio farti del male» ribadì, senza arrendersi.
«Me ne hai già fatto» le rispose però il drago, grave e rabbioso «Anche se non puoi ricordartelo.»
 
Con un cenno dell'enorme testa squamosa indicò sé stessa.
 
«È così che sarebbe dovuto essere. La mia vita sarebbe stata così se tu non fossi nata. Se i tuoi genitori non avessero deciso di usarmi per salvare te. Per colpa tua, tutto questo è ancora solo un sogno e io sono stata soltanto una povera orfana sfortunata.»
 
Di nuovo, paura e confusione s'impossessarono di lei. Guardò la bara, poi di nuovo la sua vecchia amica e infine scosse il capo.
 
«Cosa... cosa significa? Che ti hanno fatto, Lily? Spiegami, troveremo una soluzione.»
 
Un ultimo appello disperato, che tuttavia la draghessa non accolse.
 
«È questa la soluzione» le rispose invece «Vuoi la verità? Sveglia i tuoi genitori e chiedila a loro. Ma prima... prima sconfiggimi. Sconfiggi il tuo lato oscuro una volta per tutte» concluse, un altro, inquietante ringhio sommesso.
 
Quindi, senza darle ulteriore tempo per ribattere, ruggì e le si avventò contro, costringendola a sfoderare la spada e unirsi alla battaglia.
 
***
 
Con un urlo stridulo e agghiacciante, il drago trafitto dalla spada di Emma si accasciò a terra, e una luce esplose, costringendola a inginocchiarsi e chiudersi su sé stessa, nascondendo gli occhi chiusi dietro le braccia incrociate.
La sentì ruggire di dolore, resistette fino a che il silenzio non tornò a posarsi su di lei. Lentamente alzò la testa, e la vide.
Lily era lì, nella sua forma umana, vestita di nero e con indosso quella che sembrava un'armatura. L'elmo decorato di piume nere le copriva il cranio ma non la faccia, ch'era pallida e sudata. Semi distesa a terra, si copriva il fianco con le mani ma non sembrava in pericolo di vita.
Barcollante, Emma si alzò.
La lotta era stata dura, il drago era più forte di quanto si fosse aspettata e l'aveva messa a dura prova. Ferita ad un fianco e ad una gamba, ammaccata in più punti, bastava un movimento più brusco del normale per provocarle una fitta di dolore tale da mozzarle il fiato.
 
«Lily…» fece, con voce tremante «Come stai?»
 
Una voce sconosciuta di donna rispose per lei.
 
«Starà bene  disse, e guardando nella direzione da cui proveniva vide Malefica avanzare fuori dall'oscurità, maestosa e regale nel suo abito da regina dei draghi nero e viola, un diadema sul capo in mezzo alle robuste corna, stringendo il lungo scettro nero come un bastone da passeggio, nella mano destra.
 
Si avvicinò a sua figlia, le sorrise e si chinò su di lei, usando la magia per guarirla e aiutandola ad alzarsi porgendole premurosa una mano.
Lily le sorrise, annuendo e ringraziandola con un abbraccio per poi ritornare a rivolgersi ad Emma, sempre più confusa.
 
«Stai alla larga da noi da adesso in poi, Salvatrice. Altrimenti la tua oscurità ti si rivolterà contro, e stavolta sarà la fine.»
 
Poi guardò sua madre Malefica, e questa dopo aver rivolto un ultimo sguardo di sfida alla figlia di Biancaneve la prese per mano e batté lo scettro a terra, facendo sparire entrambe in una nuvola di fumo nero.
Rimasta sola, Emma si concesse il tempo per riprendere fiato, cadendo in ginocchio e appoggiandosi alla sua spada.
Si rese conto di non riuscire più a pensare con lucidità, ma non era colpa della magia.
Lily, figlia di Malefica. Il suo lato oscuro. Colpa sua? Perché avrebbe dovuto essere colpa sua?
Scosse il capo, si rialzò e si avvicinò alla bara di cristallo, che a un suo tocco si dissolse lasciandola libera di sfiorare il viso dei suoi genitori con una carezza.
Era stanca. Non aveva neanche la forza di piangere, voleva solo riabbracciarli al più presto e tornare a casa. La sua vera casa. Non ne poteva più di quel posto infernale, di non sapere neanche più cosa fosse vero e cosa falso.
Represse le lacrime, e si chinò a baciare la fronte di entrambi, attendendo paziente che riaprissero gli occhi. Non ci misero molto, in realtà, appena qualche istante in più di un battito di ciglia, e quando dopo averla guardata Biancaneve la chiamò per nome alzandosi per abbracciarla, sentì finalmente di poter piangere.
Li abbracciò, lasciandosi stringere, e cullata dalle loro carezze finalmente riuscì a ritrovarsi.
 
«Emma. Come sei arrivata qui?»
 
Quella domanda, posta da suo padre mentre ancora la accarezzava, la riportò bruscamente alla realtà.
Si guardò intorno, e il cuore ricominciò a battere all'impazzata.
 
«Emilie» mormorò, tornando a rivolgere loro uno sguardo deciso da eroe «Dobbiamo andarcene.»
 
***
 
Heroes and Villains
Epilogo
 
Era notte, e la luna sorgeva alta e piena in cielo facendo risaltare il profilo minaccioso del Castello e l'argento che ne ricopriva le guglie, quando Killian Jones giunse finalmente sotto le sue mura.
Non aveva incontrato ostacoli lungo il percorso, e dopo aver ottenuto da Robin Hood un lascia passare con una scusa, nascondendogli la verità su chi fosse e sul fatto che avesse già incontrato la Principessa in precedenza, si era affrettato nel suo viaggio, senza fermarsi neanche a riposare se non qualche giorno alla locanda dell'allegra brigata, per scoprire se le voci fossero vere e Robin Hood avesse davvero qualcosa a che fare con la Lucertolina.
Ovviamente ce l'aveva, ma ovviamente anche lui era una pedina del suo gioco e continuava a non ricordare il vero sé stesso. Fu proprio l'arciera a comunicargli che per questa volta sarebbe stato il Re stesso a riceverlo, notizia che gli fece un estremo piacere fino a che non lo sentì non aggiunse.
 
«La Principessa è dovuta partire per qualche giorno assieme a sua cognata, la principessa Emma. Sei fortunato però, il Re ha deciso di incontrarti comunque, la tua storia deve averlo colpito in qualche modo.»
 
La mascella si era irrigidita all'istante, e il cuore aveva tremato. Allora il Coccodrillo sapeva! Forse … lo stava aspettando? Solo in quell'istante aveva cominciato a sospettare di star cadendo dritto in un'altra trappola, ma ormai il lascia passare era nelle sue mani e pensò che se Tremotino lo attendeva, non aveva la benché minima intenzione di tradire le sue aspettative.
Una cosa però lo angosciava: Emma.
Continuava a pensare a lei nelle mani di Emilie Gold e l'angoscia lo divorava mentre cercava invano di capire con quale proposito l'avesse portata lontano. Continuava sognarla, a ripercorrere con la mente gli ultimi giorni a Storybrooke prima di quella maledetta festa, a vederla bella e sfavillante in quel vestito rosso fiamma che le accendeva il viso e risaltava le curve del suo corpo.
"Non ci cascare, Emma." ripeteva guardando le nuvole o le stelle "Qualsiasi sia il loro gioco, non cascarci. Sta attenta."
Lo pensò anche adesso, mentre osservava l'alto portone aperto e il ponte levatoio abbassato, segni inequivocabili che qualcosa di estremamente pericoloso lo attendeva. Non c'erano guardie, né arcieri o qualunque altro tipo di linea difensiva, non che il Signore Oscuro ne avesse bisogno.
Sfoderò la spada, lanciò un'ultima occhiata all'ingresso, poi iniziò ad avanzare, deciso ma cauto. Il silenzio era assoluto, rotto soltanto dai rumori della notte e da qualche altro suono macabro e incomprensibile. Ringhi sommessi, sibili malevoli, fruscii appena percepibili che si diffondevano nel buio attraversando le ombre sinistre.
Più volte, mentre percorreva il cortile prima e i corridoi poi, gli parve di vedere un ombra seguirlo o di percepire occhi maligni nascosti nell'ombra ad osservarlo, ma ben presto si rese conto che era solo tutta colpa di una strana magia, e che tutte le voci che aveva sentito su quel luogo erano vere: il Castello era un luogo maledetto come il suo vero padrone, impregnato di oscurità che si nascondeva colpita dai raggi del sole ma tornava a invaderlo libera durante la notte.
Salì senza far rumore un'altra rampa di scale, poi imboccò un corridoio illuminato dai raggi della luna seguendo un'idea appena nata: Il Coccodrillo aveva giocato con Emma, allora lui avrebbe giocato un po' con la sua Belle.
Ma proprio allora, come richiamato dai suoi peggiori ricordi, Rumplestiltskin apparve in fondo al corridoio in tutto il suo macabro splendore.
Elegante e bizzoso nel suo completo da Re, giallo e oro con pantaloni di pelle marroni e l'immancabile camicia con maniche e colletto a sbuffo, l'oscurità era tornata a ricoprirgli il volto e le mani e ora assomigliava decisamente molto di più a quello che per secoli lo aveva perseguitato nei suoi sogni.
Si fece serio, ogni traccia di esitazione scomparve dal suo volto. Impugnò più saldamente la spada e lo sentì ridacchiare divertito.
 
«Salve, Capitano.» lo accolse «È da tanto che non ci si vede. Sei venuto a prenderti la tua vendetta?»
 
Poi, lentamente e con sicurezza, iniziò ad avanzare verso di lui e il sogghigno si spense lasciando il posto ad un'espressione di puro, malefico livore.
 
«Coraggio allora … fatti avanti.»
 
Si fermò, proprio al centro del corridoio, a pochi metri da lui e lo attese beandosi della sua rabbia.
Killian Jones ghignò, mostrando finalmente il vero sé stesso.
 
«Sono venuto a prendermi la tua pelle, Coccodrillo.» gli rispose, e lo vide annuire con un mezzo sorriso divertito «E lo farò oggi una volta per tutte.»
 
Poi urlò e fece per attaccarlo ma proprio allora qualcuno alle sue spalle lo fermò, premendogli un fazzoletto umido e puzzolente sulla bocca. Si divincolò, mentre il Coccodrillo tornava a ridere, ma le forze scemarono rapidamente e l'ultima cosa che vide prima di scivolare nel buio e nel silenzio di un sonno appiccicoso fu il ghigno soddisfatto del Signore Oscuro mentre gli rispondeva con sufficienza.
 
«Beh, temo che dovrai aspettare ancora un po' per il tuo lieto fine, Uncino.»
 
***
 
«Uff! Quanto si agita! Che hai fatto per farlo abbaiare così? Hai affondato tutto il prezioso rum e la Jolly Roger in un colpo solo?»
 
Scuotendo le spalle e ricomponendosi, Cruella de Vil lanciò prima un'occhiata al pirata disteso ai suoi piedi, poi all'uomo che le stava davanti, sistemandosi i capelli e rivolgendogli un sogghigno divertito che questi ricambiò.
 
«E adesso? Che ne facciamo? Se hai finito di giocare con lui, posso tenerlo io?» gli chiese.
 
Di nuovo, Tremotino sorrise.
 
«Mi spiace, Cruella.» rispose «Ma temo di aver bisogno dei suoi preziosi servigi ancora per un po'.»
 
Poi, mentre la donna simulava un'espressione triste e poi tornava a sorridere divertita per quell'inaspettata ma piacevole distrazione, il Re agitò una mano e il pirata scomparve in una nuvola viola.
Sorrise soddisfatto, quindi tornò a guardare la sua complice.
 
«Ci vorrà un po' prima che si svegli.» le disse «Approfittiamone, e concediamoci il brindisi della vittoria. Ti va?»
 
Gli occhi di De Vil scintillarono.
 
«Oh, sì.» replicò entusiasta, aggiungendo quindi, mentre lo prendeva sottobraccio e lui glielo lasciava fare, sforzandosi di ignorare l'odore del gin «Devo ammetterlo, Signore Oscuro. Giocare con te è molto più divertente di quanto ricordassi.»
 
***
 
La piccola barca, unica via di uscita da quell'inferno, li attendeva sulla spiaggia esattamente lì dove l'aveva lasciata, e nel vederla in un primo momento la speranza si riaccese nei loro cuori, ma quando videro apparire, in una nuvola viola, la Lucertolina e il suo inconfondibile ghigno, essa lasciò il posto alla paura e allo sgomento.
Seduta all'interno dell'imbarcazione su uno dei due banchi, schiena dritta, gambe unite e mani sulle ginocchia, la cosa più terrificante fu scoprire che le sue treccine si erano trasformate in tanti piccoli serpenti verdi, neri e dorati, che percepita la loro presenza si ersero contro di loro sibilando.
Anche se erano lontani, d'istinto James si frappose tra lei e le sue due donne. Lui e sua moglie avevano già affrontato una creatura simile.
 
«I suoi occhi, David» mormorò Biancaneve «Non guardatela negli occhi.»
 
Emilie sogghignò
 
«Lo sai, Salvatrice?» esordì calma, una inquietante nota serpentina nella voce «Ho cercato di essere buona e paziente, con te. Davvero. Sono stata gentile, ti ho trattata bene, ti ho perfino offerto la mia amicizia» si fermò, sospirando nervosamente.
 
Un istante di silenzio, poi un ghigno tornò a piegare le sue labbra pallide e sottili e lei si alzò, di colpo, puntandole contro un dito.
 
«Ti avevo chiesto un solo, piccolo, insignificante favore!» ringhiò, le lunghe unghie che artigliavano l'aria «Puoi tenerti la città, la tua piccola famigliola e il tuo ridicolo entourage di fenomeni da circo, ma stai alla larga da me, non metterti in mezzo e soprattutto lascia in pace la mia famiglia.» socchiuse le palpebre, stringendo i pugni, con rapidità inquietante tornò a ghignare «Un favore semplicissimo, ma invece ops!» fece, roteando il polso e aprendo il palmo vuoto, mostrandoglielo «Ecco! Ti ho riportato il tuo naso, l'ho trovato nei miei affari!»
 
Occhi sgranati, pieni di livore.
 
«Non siamo noi ad averti attaccato!» provò a ribattere il Principe «Ti abbiamo accolta a Storybrooke, ma da quando sei arrivata non hai fatto altro che provocare guai. E adesso questo!»
 
La Lucertolina rise, quasi isterica.
 
«Oh, fa silenzio tu, principino!» lo freddò con determinazione, rivolgendogli poi un sogghigno perfido e aggiungendo cattiva «Non prendo lezioni da un qualunquista ipocrita che non ha esitato un attimo a sacrificare la vita di una neonata innocente solo per il timore che la propria figlia non ancora nata potesse un giorno trasformarsi in una cattiva.»
 
Il coraggio dagli occhi di David scomparve, lasciando il posto alla paura. Ancor più esagerata fu la reazione di Biancaneve, che udendo quelle parole perse completamente la testa e urlò, in preda al panico.
 
«No! Non puoi farlo! Noi avevamo un patto!»
 
Lacrime bollenti iniziarono a scorrere sul suo volto arrossato mentre le braccia lasciavano andare sua figlia e si protendevano verso di lei.
Emilie le rivolse una smorfia di disgusto, squadrandola dall'alto in basso con superiorità.
Emma, che fino a quel momento era rimasta in silenzio credendo di trovarsi di fronte a una ridicola pantomima, d'un tratto si rianimò e la fissò mentre con disinvoltura rispondeva alle accuse di Biancaneve.
 
«Il patto era che proteggessi vostra figlia dai piani di Malefica e da quelli di Ursula e Uncino» disse, poi si aprì in un largo sorriso perfido e soggiunse «Non dai miei. E neanche dalla verità.»
«Mamma, di cosa sta parlando?» si fece allora avanti Emma, stufa di tutto quel mistero, sentendo di dover pretendere una risposta.
«Non è vero niente, tesoro. Non ascoltarla, sta mentendo.» tentò di dissuaderla il principe mentre stringeva e consolava sua moglie per impedirle di perdere la testa.
«Tsh!» fece infastidita Emilie «Certo, Emma! Non credere alla figlia di Tremotino.» le disse altera imitando di nuovo la risata di suo padre e gesticolando come lui.
 
Poi tornò a guardarla negli occhi, e per un istante soltanto la Salvatrice riuscì a vederla davvero, di nuovo.
Era lei. Era Emilie. E le stava dicendo la verità.
I suoi genitori le avevano mentito. Perché? Come avevano potuto?
 
«Se non è vero niente, di che parlava Lily? Perché mi ha attaccato? E perché Malefica avrebbe dovuto farlo? Da cosa volevate proteggermi?»
«Dalla verità» le rispose Emilie, vedendo che né Biancaneve né suo marito avevano il coraggio di farlo «E la verità è che loro non sono diversi da me e da mio padre. Nessuno lo è. Non esistono persone totalmente buone o cattive, solo persone che hanno fatto una scelta e devono lottare ogni giorno per mantenerla.
E la sola idea che, una volta cresciuta, tu avresti potuto scegliere l'oscurità li ha fatti uscire fuori di testa. Hanno rapito una bambina, Lily, la figlia di Malefica, e con un incantesimo le hanno addossato tutta la tua oscurità estirpandola dal tuo cuore. Per questo hanno dovuto mandarla via, lontano dalla foresta incantata. Perché non facesse ulteriori danni. Una neonata. Ma tanto a chi importava? Era la figlia di una cattiva, sarebbe diventata comunque un mostro, come sua madre. No?»
«No!! Basta, smettila!!» tornò a urlare Biancaneve, poi si aggrappò alle braccia del suo principe e sprofondò il volto nel suo petto, inorridita al solo ricordo di quei giorni, dell'errore commesso.
«Emma, abbiamo rimpianto quella scelta per tutto il resto della nostra vita» mormorò David, concentrandosi solo su sua figlia.
 
Ma lei, raccapricciata da quel racconto e dalle implicazioni che portava con sé, d'improvviso si rese conto di non riuscire più ad ascoltarlo.
Guardò Emilie alle sue spalle, e d'un tratto le sembrò molto più umana di loro.
 
«Oh, ma davvero?» la sentì tornare a schernirlo, con un ghigno sardonico sulle labbra «Non mi siete sembrati molto afflitti in questi ultimi tempi.»
«Lo siamo stati!» sbottò il principe, fronteggiandola «Ma poi abbiamo capito che dovevamo concentrarci sul nostro futuro. Sul nostro Regno e su Emma, per non rischiare di impazzire.»
 
Emilie annuì con saccenza.
 
«Si» disse «Si, conosco quella sensazione. È la stessa che prova un assassino.»
«Noi non siamo assassini! Voi lo siete!» tornò a urlare Biancaneve, che strappata la spada dalle mani di suo marito le si avventò contro con l'intenzione di ucciderla.
«No! NEVE!» urlò il Principe, ma era troppo tardi per fermarla e non appena la lama sfiorò la sagoma di Emilie la ragazza rise, guardando negli occhi la sua avversaria e permettendo alla magia di fluire dalle sue pupille grigie.
 
L'ultima cosa che Biancaneve udì prima di tramutarsi in pietra fu Emma che gridava il suo nome.
 
«Mamma!» ripeté, il cuore a mille raggiungendola solo per capire che non c'era nulla da fare.
 
Biancaneve era diventata una statua di pietra, un monumento all'orrore della paura, la mente resa folle dalla magia del luogo e dai suoi stessi sensi di colpa.
Rabbrividì, e gli occhi le si riempirono di lacrime.
 
«Vedi, Swan?» le domandò Emilie «Questo è il destino di chi non affronta il proprio lato oscuro. Cedervi o imparare a controllarlo, non abbiamo altra scelta. Nessuno di noi ce l'ha.»
 
Poi si rivolse al Principe, sconvolto, addolorato, tremante.
 
«Non ho intenzione di punirti oltre, caro il mio Principino» gli disse «Lascerò che la tua coscienza diventi il tuo torturatore principale. Ma fino a che questa storia non sarà finita, fino a quando non saremo tornati a Storybrooke, desidero che tu rimanga a fissare la faccia pietrificata di tua moglie chiedendoti quale sia la reale differenza tra te e noi, cosa faccia di te un vero eroe.- quindi sorrise, quasi nostalgica -Confido che saprai darmi una risposta, quando saremo ritornati.»
«Emilie» la supplicò a quel punto Emma «Liberala, ti prego.»
 
Ma, tornando a sogghignare, la Lucertolina le negò quel favore.
 
«Mi spiace, non posso.» disse, prima di avvolgere entrambi in una nuvola di fumo violaceo.
 
Si ritrovarono nell'ampio cortile del vecchio castello in rovina. Una di fronte all'altra, pronte a combattere.
 
«C'è un solo modo per liberare tua madre e riportare tutti a casa, Salvatrice.» le disse, guardandola già intristirsi e scuotere il capo «Come in ogni favola che si rispetti, devi prima sconfiggere il cattivo.»
 
Poi sorrise, fece un passo indietro e spalancò le braccia, ascoltando la magia fluire potente e il proprio corpo cambiare.
Una lunga coda di serpente al posto delle gambe, zampe e artigli al posto delle mani, lingua biforcuta e pupille feline.
 
«E in questa storia…» concluse ghignando «La cattiva sono io. Perciò sbrigati e uccidimi prima che ti divori in un sol boccone!» ruggì, lanciandosi in una rapida sequenza di attacchi.
 
Prima le scagliò contro la sua coda e la vide riuscire ad evitarla per un pelo, poi tornò a graffiare l'aria coi suoi artigli e mentre lo faceva Emma notò che la stava evitando di proposito.
Era... una farsa anche quella?
 
«Smettila Emilie!» le urlò «Non voglio attaccarti, né tantomeno ucciderti! Tu non sei cattiva!»
 
Una verità che le sfuggì dalle labbra e che, non appena l'ebbe urlata, la travolse. La Lucertolina si fermò a guardarla, e sogghignò.
 
«Ne sei sicura, Emma Swan?» le chiese «Sei davvero convinta di quello che hai detto?»
 
La Salvatrice si fermò, ripensando alle parole di Gideon. Lo aveva incontrato sulla nave, poco dopo essere salpati. Si era fatto trovare nella sua stanza e le aveva chiesto aiuto.
 
«Mia sorella è complicata» le aveva detto «È rimasta sola per tanto tempo, ha lottato perché papa potesse essere felice e ha salvato Bae. Ma per farlo ha dovuto macchiare il suo cuore d'oscurità, e da quel momento credo che le cose per lei abbiano iniziato a cambiare.»
 
Sulle prime non aveva capito, ma poi Gideon l'aveva guardata negli occhi e l'aveva supplicata, con tutto il cuore.
 
«Lei non è cattiva, Emma. Solo triste e spaventata. L'oscurità potrebbe usarlo contro di lei, potrebbe spingerla a oltrepassare il limite» aggiungendo, con un sorriso commosso «Sei la Salvatrice, no? Salva mia sorella da sé stessa, Emma. Solo per stavolta, salvala. Quando questa storia sarà finita e saremo tutti tornati a Storybrooke, potrai chiederle tutte le spiegazioni che vorrai ma ora, per favore, aiutami a ricordarle chi è.»
 
Aveva avuto modo di pensarci, durante la lunga traversata, e la rapida trasformazione di Emilie in quella mostruosa creatura ora non fece che ricordarglielo. Sorrise, annuì guardandola e fece quello che nessuno si sarebbe mai aspettato da un eroe.
Lasciò cadere la spada a terra, alzando le mani in segno di resa mentre gli occhi della serpe la fissavano, attenti e vitrei, ma con una strana luce fiera.
 
«Ci credo, si.» disse addolcendosi in un sorriso «E detto fra noi, le favole in cui l'eroe uccide il drago mi hanno sempre messo una tristezza infinita» concluse, scoccandole un occhiolino.
 
La creatura sorrise, divertita, rilassando i muscoli e zittendo le serpi dentro e sulla sua testa. Stava per arrendersi, pensando che una favola che si concludeva con l'eroe che invece di uccidere il cattivo lo salvava era proprio quello che sperava, quando dal corridoio principale giunse il Principe Azzurro, spada sguainata e nel cuore un solo desiderio: finire quella storia nella maniera più classica possibile.
Emilie non si accorse di nulla, Emma fece appena in tempo a vederlo e gridargli di fermarsi, ma non venne udita e poté solo stare a guardare quando la lama trafisse il ventre della ragazza, sprigionando una luce cristallina mentre i suoi occhi, colmi di sorpresa e dolore, si sgranavano e la bocca si riempiva di sangue.
Il finale era scritto, la favola era conclusa.
In un battito di ciglia, esattamente com'era stata cambiata, la realtà tornò prepotente al suo posto.
 
***
 
Presente,
Storybrooke,
Villa Gold

 
Quando gli occhi del principe si aprirono sulla realtà, tutto divenne nero e drammatico all'improvviso.
Si ritrovò nel bel mezzo della festa organizzata da Emilie Gold, nelle mani il suo sangue e la spada con cui l'aveva trafitta.
La ragazza era ancora in piedi di fronte alla Salvatrice, gli occhi sgranati, le mani sul ventre, ogni segno di Medusa era scomparso e ora sembrava solo una vittima innocente, l'ennesima, una bambina caduta sotto i colpi dell'infallibile spada del Principe James.
Increduli e inorriditi, gli ospiti presenti trattennero il fiato guardando quella scena così surreale e tutta la tensione accumulata sfociò in un boato di preoccupazione quando la videro aprire la bocca per parlare ma invece riuscire soltanto a sputare un altro fiotto di sangue prima di crollare al suolo.
 
«Emilie! No!» urlò Gideon, in piedi tra la folla che immediatamente si aprì per farlo passare.
 
Confusa e spaventata, la mente sempre più annebbiata dal dolore e da una stanchezza pericolosa, Emilie afferrò le mani che si protesero a sorreggerla. Prima quelle di Ewan, poi quelle di Mr. Gold, che cercando di non tremare la strinse forte, il cuore che batteva all'impazzata e gli occhi già umidi quando vide che lo cercava, battendo le palpebre per tentare di schiarire la vista sempre più offuscata.
 
«P-papa…» mormorò, aggrappandosi alla sua mano.
«Sono qui, Principessa. Sono qui» le rispose.
 
Belle al suo fianco ritornò a stringerlo, soffocando un singhiozzo, il cuore in pena nel vederle quella bambina che li aveva cercati così tanto intensamente spegnersi a quella velocità, tra le braccia del suo vero amore.
Sorrise nell'assistere a quel momento di tenerezza, e lo fece anche Ewan stringendola forte a sé come se questo bastasse a strapparla agli artigli della morte, ma senza riuscire a reprimere una smorfia di dolore.
Mentre li osservava, David Nolan rabbrividì gettando a terra l'arma del delitto e fissando lo sguardo carico di delusione di sua figlia. Scosse il capo, aprendo la bocca per parlare ma non riuscendo a farlo. Non c'erano parole adatte a spiegare le circostanze e i motivi così assurdi che lo avevano spinto a una simile azione. Soprattutto, non riuscì a trovarne nessuna che non lo facesse assomigliare ad un cattivo.
Ora che la follia scatenata dalla magia corrotta del libro in cui erano rimasti intrappolati era svanita, restava solo quella inquietante domanda: Perché? Era davvero questa l'unica scelta possibile?
Gli sforzi di Emma per restarle vicino nonostante avesse giocato con lei e cercato di ucciderla gli diedero già una risposta.
 
«Emilie! Guardami! Riesci a sentirmi?» ripeté Gideon, cercando di mantenere il sangue freddo e di non sentire la disperazione crescente dentro di sè.
 
Aveva appena ritrovato sua sorella, e adesso rischiava di perderla per sempre.
La ragazza annuì, ma le palpebre iniziarono a socchiudersi.
 
«Guardami, Milly! Non chiudere gli occhi! Non devi, resisti!» la incoraggiò, un nodo in gola.
«Che accidenti è successo?» domandò allarmato William Scarlet emergendo dalla folla e raggiungendo Ruby Lucas al fianco di Emma.
 
Bastò un'occhiata al Principe e al suo sguardo colpevole per capire, e sentì il forte impulso di sferrargli un pugno su quel grugno da eroe che si ritrovava, ma poi si trattenne quando vide l'amica compiere un ultimo, enorme sforzo per richiamare l'attenzione di Tremotino.
 
«P-papa …» tornò a chiamarlo, riscuotendolo dal dolore e dalla paura.
 
l'uomo le strinse la mano, lei vi si aggrappò e gli fece segno di avvicinarsi, sussurrando quindi, con l'ultimo fiato rimasto.
 
«Io … mi serve la tua magia …»
 
Magia. Certo. L'unica cosa a cui dare la colpa per quell'irrimediabile imprevisto ma anche l'unica che avrebbe potuto aumentare le sue possibilità di salvarsi.  La magia del Signore Oscuro, la stessa che aveva curato tante volte le sue ferite e che avrebbe potuto farlo di nuovo, salvandole la vita.
 
«Mi serve la tua magia, papa …» ripeté, e l'uomo sembrò riscuotersi dal torpore «Per favore …»
 
Baelfire rabbrividì.
Sui volti di Ewan e Belle apparve prima stupore, poi preoccupazione e infine, specie su quello dell'arciere, un sorriso che raggiunse anche William Scarlett, contagiandolo. Rumplestiltskin guardò Gideon, in ginocchio di fronte a lui, e lo vide annuire.
Era … la cosa giusta. Forse non l'unica, ma non avrebbe permesso mai più ad uno dei suoi figli di andarsene.
Emilie aveva sacrificato sé stessa per permettere a Baelfire di vivere, di essergli accanto adesso. Ogni singolo istante insieme dopo il suo ritorno dall'oltretomba lo dovevano a lei, e adesso era giunto il momento di ricambiarle il favore.
Sorrise, ritrovando compostezza e annuendo.
 
«Va bene» mormorò, carezzandole dolcemente i morbidi capelli castani e lasciando andare la sua mano.
 
Pose il palmo aperto sulla ferita, lasciando che la magia fluisse libera cancellando la maggior parte dei danni e rendendo molto meno gravi quelli che restavano. Ma soprattutto, alleviando le sue sofferenze.
Ci volle qualche minuto, e in quel silenzio teso, mentre tutti gli occhi erano puntati su di loro, Belle guardò suo marito prendersi cura della loro bambina con la sua magia e una strana, confortante sensazione avvolse il suo cuore come un abbraccio.
Con un singhiozzo, la ragazza tornò a respirare avvertendo il dolore sparire e la presa sulla vita farsi più forte. Non abbastanza però, da permetterle di riaversi del tutto. Quando Tremotino finì il suo lavoro e la magia smise di fluire in lei, il peso di quel corpo tornò a schiacciarla. Ora che la vista era tornata limpida, lo guardò di nuovo e lo vide scuotere il capo, nervosamente.
Sorrise, tornando ad aggrapparsi alla sua mano e mormorando un sincero
 
«Grazie …» prima di abbandonarsi alla stanchezza crescente, che almeno però non aveva più l'odore della morte.
 
Non più, grazie a lui. Il Signore Oscuro. Suo padre. Il suo eroe.
Si abbandonò tra le braccia di Ewan e chiusi gli occhi reclinò il capo, scivolando in un buio e in un silenzio confortanti.
 
(Continua …)

 

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Capitolo 17
*** Episodio XVII – Punti fissi ***


Episodio XVII – Punti fissi


Passato,
Foresta incantata.
 

Era buio. Un buio pesto, denso, fatto di angoscia e incubi e permeato dall'odore acre della paglia in decomposizione che ricopriva il pavimento di pietra e di quello avvolgente e nauseabondo degli escrementi che riempivano le latrine di ogni cella.
Prigioniero della sua, un uomo si agitava nell'affannoso tentativo di liberarsi dalle pesanti catene che gli ancoravano i polsi alla dura roccia di cui era costituito il muro. Il tintinnio del metallo si mescolava ai gemiti degli altri prigionieri e allo squittio dei grassi ratti che scorrazzavano qui e là alla ricerca di cibo, o qualsiasi altra cosa che potesse sostituirlo, e alla lunga finì per suscitare dagli uomini più in forze grida di protesta.
 
«Ah, falla finita amico!» gli gridò uno di loro, a qualche metro.
 
La cella era profonda, perciò non riuscì a vederlo, ma riuscì a immaginare molto bene la rabbia ribollire sul suo volto.
 
«Nessuno è mai uscito vivo da qui, perciò rassegnati! Marcirai e morirai in questo buco, come tutti noi!» concluse ringhiando, e gli altri si unirono a lui riempiendolo di risate di scherno e insulti irripetibili.
 
L'uomo, un insignificante, pallido e segaligno uomo di mezza età, sospirò fermandosi per un istante a riprendere fiato.
Fissò gli altri suoi due compagni di cella, uno scheletro abbandonato alle sue manetta alla sua destra e un uomo morto da qualche giorno che già aveva iniziato a gonfiarsi e puzzare, alla sua destra.
Sospirò, voltando inorridito la faccia. Da quando era stato rinchiuso, otto settimane prima, non aveva smesso di sperare che qualcuno prima o poi si accorgesse di lui, per qualsiasi cosa. Tutto, anche la ghigliottina, sarebbe stato meglio di quell'inferno, ma il signore di quelle terre era morto da poco senza lasciare eredi e i criminali come lui, assassini, ladri e contrabbandieri con nulla da perdere e nessuna famiglia alle spalle a reclamarli, sarebbero stati presto dimenticati. Era quella la fine che avrebbe fatto. La fine di un topo di fogna.
Sospirò, abbandonandosi ad un pianto silenzioso, sentendo le forze scemare rapidamente. Ma proprio nel momento in cui stava per accettare la sua sorte, una voce si fece udire alle sue spalle.
 
«Che spettacolo penoso…» mormorò «Davvero patetico.»
 
Il cuore accelerò di colpo, mozzandogli il fiato in gola. Si voltò di scatto e si accorse di una sagoma non tanto alta apparsa nell'ombra proprio a pochi passi dal lui. La voce era quella di una ragazza, ma non c'erano finestre lì dentro e l'ultima torcia si era spenta giorni fa, perciò non riuscì a distinguere quasi nulla, se non la punta affilata dei suoi stivali e la luce terrificante di due occhi grigi in cui sembrava muoversi qualcosa.
 
«C-c-chi sei tu?» mormorò, balbettando a causa della paura.
 
Un ghigno largo si aprì, mostrando denti bianchi e lucidi.
 
«Cosa vuoi da me? Come hai fatto ad entrare?»
 
La sentì ridacchiare in una maniera che gli mise i brividi. Stava per morire? Erano già iniziate le allucinazioni?
 
«La domanda, mio caro, non è chi sono... ne cosa voglio... ma cosa vuoi tu dalla vita?» fece l'ombra, insidiosa «Vuoi davvero morire così? Non mi sembra proprio... o quelle a cui ho assistito prima erano solo convulsioni?» ridacchiò di nuovo, quasi a volerlo schernire.
 
Tentando invano di riappropriarsi della propria lucidità mentale, l'uomo si aggrappò alla vaga familiarità di quella strana entità. Dove l'aveva già vista? Le ricordava qualcosa, ma cosa? Non riuscì a ricordare, e questo lo agitò ancora di più.
Si divincolò tentando di allontanarsi, scalciando a vuoto e schiacciando la schiena contro il muro.
 
«Va via! Vattene! Demonio!»
 
Di nuovo, un coro di proteste si levò dai suoi compagni di prigionia. Qualcuno lanciò qualcosa contro le sbarre di ferro della cella e il tonfo che si udì lo fece sobbalzare.
 
«Sta zitto e muori, idiota!» gli disse lo stesso uomo di poco prima.
 
Iniziò a sudare freddo, mentre osservava l'ombra muoversi lentamente. Cambiò posizione, poi iniziò ad avanzare verso di lui, un passo dopo l'altro fino a stargli di fronte. Solo allora, finalmente, poté vederla.
Era davvero una ragazza, vestita di pelle, un mantello nero a coprire le spalle e i capelli legati in una morbida treccia che le pendeva da una spalla.
Si inginocchiò alla sua altezza e seria mormorò.
 
«Stammi a sentire, avanzo di galera. Mi serve il tuo aiuto per salvare mio fratello, e tu me lo darai, perché io posso offrirti qualcosa che altrimenti non potresti più ottenere: vita, e libertà.»
 
L'uomo tornò a fissarla negli occhi, sgranando i suoi, terrorizzati, stanchi e solcati da profonde occhiaie nere.
 
«C-chi sei tu?» tornò a chiedere, continuando a scavare nella memoria.
 
La giovane sospirò spazientita, lanciandogli uno sguardo di fuoco.
 
«Continui a fare le domande sbagliate.» mormorò tra i denti, minacciosa.
 
Poi si alzò, gli voltò le spalle e le scrollò.
 
«E va bene. Pensavo fossi il prigioniero più disperato e quello con più voglia di vivere, ma a quanto pare mi sbagliavo. Chiederò a uno di quei simpaticoni, vediamo se saranno più intelligenti di te» risolse, e allungò una mano verso la porta, ma lui la fermò.
«No! NO! ASPETTA! Aspetta!» strillò, ricominciando a sudare e tremare.
 
L'ombra si bloccò, voltando leggermente la testa verso di lui. Non ne fu sicuro, ma gli parve di scorgere un sogghigno.
 
«Davvero puoi liberarmi? Puoi farmi uscire vivo di qui?» chiese, dopo aver ripreso fiato.
 
Finalmente, la giovane si voltò verso di lui rivolgendogli di nuovo la sua attenzione. Sorrise, trionfante ma in un modo che aveva qualcosa di inquietante. Non ci badò. Niente poteva essere più spaventoso della morte in quell'inferno sotterraneo.
 
«È quello che ho detto.» gli disse lei, con un vocetta stridula, gesticolando platealmente e aprendosi un largo sorriso che tuttavia si spense subito «Avrai indietro la tua libertà e la tua patetica vita, caro. Quello che ti serve per ricominciare» sibilò seria.
 
La guardò, scrutandola con ancor più attenzione. Bella, innocente e pericolosa. Sembrava il diavolo. Accidenti, se lo sembrava! Ma qualsiasi cosa fosse, una strega o altro, era la sua unica via di fuga da lì.
Prese fiato, annuì e senza più esitazione rispose, quasi grato.
 
«Che devo fare?»
 
La ragazza tornò a sogghignare. Poi fece un passo indietro, agitò abile i polsi e tra le sue dita apparvero una pergamena con sigillo e un pennino rosso. Glieli porse, ma lui ancora non riuscì a ricordare.
 
«Firma.» la sentì sussurrare «E assicurami la tua fedeltà. I dettagli li definiremo in seguito.»
 
Non dovette neanche sforzarsi. Come un topolino attirato dal formaggio, la sua esca cadde dritta nel tranello assicurandole il pezzo di carne che le serviva per tirare fuori Neal Cassidy dalla trappola ancor più grossa in cui era andato ad infilarsi.
Il primo passo di Emilie Gold verso l'oscurità si era appena compiuto.
 
***
 
Aria, fresca e pulita, e un gradevole profumo di pini. Questa fu la prima cosa che l'uomo, tale Duke, avvertì non appena il fumo violaceo che li aveva trasportati fuori svanì. Le gambe vacillarono per la stanchezza e l'emozione, ma ce la fece a non cadere, e mentre gioiva aprendo le braccia alla fredda notte della foresta e urlando al cielo il suo entusiasmo, Emilie lo osservò con una smorfia infastidita.
Mise a tacere la sua coscienza con un rapido comando che non sortì l'effetto sperato, poi lo interruppe strattonandolo.
 
«Basta! Non abbiamo tempo per questo» ordinò perentoria «Seguimi!»
 
Duke obbedì, come un cagnolino fedele, e per i successivi cinque minuti di cammino in mezzo alla neve ancora fresca che ricopriva il suolo, mentre lo sentiva continuare a ringraziarla, a giurarle che avrebbe trovato un modo per ripagarla, a cantare e raccontarle ogni cosa della sua stupida vita, Emilie Gold continuò a sentire il proprio cuore martellarle il petto dolente. Si sentiva esausta, ma non si chiese perché. Continuò soltanto a schermare ogni altra sensazione o percezione ripetendosi ossessivamente, dentro di sé: "Devo farlo. È l'unico modo. La morte è un punto fisso nel tempo, ma non deve essere necessariamente quella di Bae. Lui deve vivere."
Con le dita della mano destra sfiorò la sinistra, cercando il suo anello, ma non lo trovò. Non poteva. Era stata lei stessa a darlo a William Scarlett, con la promessa di non seguirla.
 
«Non perderlo, per nessuna cosa al mondo. E non seguirmi. Devo fare una cosa» gli aveva detto, ma come al solito lui non si era arreso alla prima, rapida spiegazione.
 
Quello sguardo terrorizzato e angosciato, aveva spaventato anche lui.
 
«Cosa? Che succederà?» le aveva chiesto, in ansia.
«Niente» era stata la sua perentoria risposta «Devo solo…»
 
"Uccidere un uomo." avrebbe potuto dire. Ma si era limitata a mordersi la lingua, abbassare lo sguardo colpevole per colpa di un segreto che William Scarlett ancora non conosceva, e concludere, sbrigativa, scuotendo il capo.
 
«Papà ha molti tesori nel suo castello, ma ce n'è solo uno che considera inestimabile. Devo proteggerlo, ad ogni costo.»
 
Poi si era voltata, aveva fatto qualche passo ed era svanita in una nuvola di fumo, ignorando la raffica di domande e preoccupazioni che era seguita.
Erano arrivati in quel villaggio due mesi prima, per una ragione all'apparenza banale.
 
«Il viaggio è lungo e noi dobbiamo fare provviste. Questo è il posto migliore, ci sono stata una volta con mamma e papà.»
 
Tutte bugie, o almeno la prima parte. In realtà quei due mesi le erano serviti per preparare il contrattacco al malefico piano di Zelena, che comprendeva tra le altre cose il sacrificio di Baelfire per riportare in vita Tremotino.
La perfida strega aveva usato un candelabro per piazzare l'esca, ma ciò che stavolta non aveva calcolato era la sua presenza. Ora c'era lei, e nessuno della sua famiglia sarebbe rimasto vittima dei suoi sporchi giochetti. Nessuno... non più del necessario.
Il Signore Oscuro sarebbe tornato in vita, quella notte, ma Baelfire non ne avrebbe pagato il prezzo. Qualcun altro lo avrebbe fatto al posto suo, qualcuno che non aveva alcuna relazione con loro, e che non aveva nulla da perdere. Era stata illuminante la lista dei condannati a morte affissa al grande portone del castello. Tra quei nomi, Emilie aveva trovato quello del povero Duke perfetto. Orfano, senza moglie e figli, ladro, ubriacone, viscido e spregiudicato. Qualcuno che meritava la morte più di suo fratello, e l'inferno più del paradiso. Avrebbe voluto mandarci Zelena all'inferno, ma per quello avrebbe dovuto aspettare ancora un po'.
Sciaguratamente, proprio allora la voce del Coccodrillo era tornata a farsi sentire, sussurrandole che quella folle idea fosse la migliore, l'unica giusta.
"È perfetto! Salverai tuo fratello, sventerai i piani di Zelena e riavrai la tua famiglia. Un nuovo, felice inizio!"
Già... peccato che il prezzo da pagare fosse la vita di un uomo, un uomo tutto sommato innocente.
Non le aveva dato tregua. E nei giorni che avevano preceduto quella fatidica notte, mentre aspettava il momento propizio, i sogni su suo padre si erano avvicendati agli incubi sulla sua versione peggiore.
"Principessa, non farlo. Il tuo cuore, ricordati il nostro patto. La mia felicità... non vale il prezzo di un omicidio. Niente potrà mai valere tanto."
"Debole! Ricordi cosa ti ho insegnato, ragazzina? Tu puoi fare questo e altro. È l'unico modo, l'unica cosa giusta da fare. Se qualcuno deve morire, allora sia qualcun altro! Il nostro lieto fine vale qualunque prezzo! Qualunque! Quindi fallo! Non te ne pentirai..."
"Si, invece! Lo farai, e lo farai per sempre. Emilie... non oltrepassare quel limite. Non ho mai voluto questo per te, per nessuno di voi."
Giorno e notte, quella conversazione era continuata ininterrottamente e anche dopo aver ceduto l'anello a William. Le voci di suo padre continuavano a rimbombare,  e per la prima volta da che era partita per non sentirle Emilie aveva guardato con attenta disperazione tutte le maschere di Tremotino e ne aveva scelta una, la più comoda, la più sicura, e l'aveva indossata.
Dietro di essa, la Emilie insicura, spaventata, era svanita. O meglio, c'era ancora, solo... non era più lei. Lei, qualunque cosa fosse, si era limitata a guardarla con una smorfia di disgusto e compatimento, a distanza, lasciandola indietro mentre il passo diventava più deciso e il cuore più calmo. "Rimani lì a frignare e commiserarti nella neve, Emilie. Debole, fragile Emilie. Io regalerò a Bae e papà il lieto fine che meritano. Che noi meritiamo."
E fu così, in quel momento, non con il Tremotino del Desiderio e neanche dopo la morte di suo padre, ma in quel preciso istante, mentre conduceva il suo sacrificio sull'altare della morte, che Lucertolina nacque. Oscura, spietata, vendicativa, determinata e folle. Proprio come il Coccodrillo, ma con qualcosa, solo un minuscolo qualcosa, di lei. In fondo era tutto ciò che le serviva per fare ciò che andava fatto.
 
***
 
Mancava poco, davvero poco. Solo una manciata di minuti, e tutto si sarebbe compiuto. O avrebbe potuto compiersi, se il sigillo della cripta non fosse ormai caduto nelle mani di Emilie.
Era stato facile, più facile del previsto. Non aveva potuto farlo con Zelena in circolazione, perciò aveva dovuto ricorrere alla magia per sottrarlo alle mani di sua madre, durante un loro momenti di distrazione.
Erano passati pochi minuti da quel momento, ora quella nuova Emilie fissava irritata e nervosa quel misero uomo guardarla con aria confusa, la preziosa chiave stretta nelle mani.
 
«Tutto qui? Mi hai liberato solo per aprire questa vecchia cripta?» le domandò, sempre più stupito e a tratti anche inquieto.
«Si, esatto.» gli rispose, guardandosi nervosamente intorno alla ricerca di un qualsiasi segnale di pericolo «Ora sbrigati. Fallo, e poi sarai libero» promise, stringendo i denti e i pugni per la fatica di controllarsi.
 
"Fallo, pezzo di idiota! Zelena potrebbe già essere qui!"
Un vocio sommesso, sempre più vicino. Il cuore perse un battito quando le parve di riconoscere la voce di Belle e, successivamente, realizzò che quella nuova voce che udiva era quella di Bae. Baelfire. Era lì. Abbastanza vicino da sentirlo.
 
«Avanti, miserabile! Apri quella maledetta cripta, o giuro che ti scannerò con le mie mani!» lo minacciò, puntandogli contro il pugnale senza nome.
 
L'ultimo istante di esitazione svanì, e finalmente la cavia obbedì, impugnando la chiave nel modo in cui lei gli aveva mostrato e girandola nella serratura.
Quando le sue grida risuonarono, a Belle e Neal mancava un'ultima manciata di metri, ma non avvertì ancora la presenza di Zelena.
Sorrise, malignamente soddisfatta, quindi si calò il cappuccio sul volto per evitare ulteriori problemi, e dentro di sé sentì esplodere il caos quando, gemendo, la sua vittima chiese.
 
«Che mi succede? Avevi promesso che sarei stato libero, che sarei stato vivo! Ho firmato!»
 
Il ghigno del Coccodrillo apparve sulle sue sottili labbra, seguito dalla sua inconfondibile risata.
 
«Beh, libero lo sei» ghignò «E lo sarai per sempre ora... buon inferno, canaglia. E grazie per il tuo prezioso aiuto.»
 
Poi sparì, in una nuvola di fumo, proprio nel momento in cui il Signore Oscuro iniziava a riemergere dalla cripta, e il resto della sua famiglia sopraggiungeva.
Restò quanto bastava per assicurarsi che tutto "filasse liscio". Senza l'onere di dover proteggere Baelfire, suo padre fu libero di affrontare Zelena, ma come tutti i punti fissi nel tempo il pugnale trovò il modo di finire nella mani della Strega dell'Ovest, e implodendo dentro di sè Emilie si impose di non intervenire quando questa costrinse suo padre a seguirla. Avrebbe voluto evitarlo. Ma non poteva.
Le parole di Kronos ripresero a risuonare nella sua testa nel momento in cui vide quella fatalità accadere.
"Ricordalo, Emilie Gold: i punti fissi nel tempo sono come le costellazioni nel cielo notturno. Sono una guida, non un ostacolo. Non cercare di contrastarli, ti ferirai e i tuoi piani falliranno.
Piuttosto cogline i segni, e il tuo destino si compirà proprio come il tuo cuore spera.
"
Pregò, mentre guardava suo padre soccombere e sua madre e Bae, ancora vivo, arrendersi sbigottiti. Supplicò e infine imprecò bestemmiando dentro di sé i nomi di tutti gli dei che conosceva. Perché? Perché quello doveva essere un punto fisso nel tempo? Ma alla fine, quando grazie all'intervento di Lumiere sua madre e suo fratello riuscirono a scappare, decise che se era inevitabile lei non sarebbe rimasta a guardare, e allora se ne andò, sparendo così com'era arrivata e riapparendo in un punto lontano della foresta, molto lontano, dove nessuno l'avrebbe sentita urlare.
 
***
 
Non fu un grido, ma un ruggito lacerante, straziante, che la scosse dentro, sconquassandola e spaccandola in due. Da una parte la Lucertolina e il suo maestro, dall'altra la piccola, tenera e debole Emilie e suo padre.
E in mezzo lei, persa, forse per sempre.
Non era Zelena a farle rabbia, né quello che sarebbe accaduto. Sapeva che suo padre sarebbe sopravvissuto e avrebbe potuto lottare, vincere anche più di prima ora che Bae era con lui.
No, quel dolore aveva radici più profonde, radici oscure che poté vedere solo quando, mossa da un istinto superiore, con un colpo secco e deciso si strappò il cuore dal petto e riuscì a guardarlo, a fissare quel minuscolo puntino nero che lo macchiava ora irrimediabilmente proprio al centro.
Il segno del patto infranto, del primo passo verso l'oscurità. Il vero prezzo da pagare per la vita di suo fratello.
 
***
 
Passato,
New York
Sobborghi di China Town.

 
Con un boato assordante, il primo petardo esplose nel cielo notturno di New York, riempendo l'oscurità coi suoi mille, sgargianti colori.
La moltitudine variegata che affollava le strade del quartiere iniziò a fermarsi, puntando occhi e naso verso l'alto e restando ad ammirarli a bocca aperta. Ben presto, tutti rimasero immobili a godersi lo spettacolo, tutti tranne due individui, che proseguendo spediti il loro cammino strisciarono dentro un vicolo e da lì s'infilarono prima in un altro vicolo ancora più buio poi su per una rampa di scale antincendio ormai arrugginite.
Appena dentro il sudicio appartamento ormai vuoto, i due si guardarono intorno con circospezione. Fu William Scarlett il primo a parlare, dopo essersi concesso qualche istante per riprendere fiato. Starle dietro era stata un'impresa, stavolta più delle altre.
Più volte le aveva chiesto di rallentare o almeno di dirgli dove stessero andando, ma non aveva ottenuto risposta a nessuna delle due domande.
Ora la guardò, cercando di scorgere la sua espressione da sotto il cappuccio della felpa nera che aveva indossato sotto a un giubbotto di jeans, ma ancora una volta lei evitò il suo sguardo.
 
«Che ci facciamo qui?» domandò «Sembra disabitata. Devi incontrare qualcuno?»
 
Il suo stupore era autentico.
La loro ultima missione era stata un successo, Bae era vivo e Tremotino era riuscito a rientrare in possesso del pugnale, perciò aveva creduto di potersi godere un po' di meritata pace ora, invece Emilie lo aveva trascinato in quella città caotica lontana chilometri da Storybrooke. Perchè?
Aveva provato a chiedergli anche questo, aggiungendo
 
«Tua madre e tuo padre sono salvi, tuo fratello è vivo. Non vuoi andare da loro? Non vuoi assistere al matrimonio?»
 
Ma di nuovo aveva ricevuto in cambio silenzio. In realtà, sembrava non lo avesse neanche sentito, per tutto il tempo; prima in macchina, poi in aereo e in taxi, Emilie Gold non aveva fatto che restarsene zitta, le cuffie nelle orecchie, la musica ad alto volume e un'espressione funerea in volto, accarezzando in continuazione l'anello di suo padre che aveva rimesso al dito. Non aveva chiuso gli occhi neanche una volta, battendo le palpebre per resistere al sonno sempre più pressante. Lo stava facendo anche adesso, ma quando lui le parlò per un istante guardandola gli parve di vederla precipitare dalle nuvole.
Si riscosse, batté un paio di volte le palpebre, poi sospirò nervosa e replicò, seccata.
 
«Non è disabitato, questo posto. È ben lungi dall'esserlo!»
 
L'ultima frase la urlò, quasi. Poi iniziò ad aprire tutte le porte e a perlustrare ogni stanza, lamentandosi dello squallore ogni volta.
 
«È una vergogna!» disse, quando ne rimaneva solo una.
 
Sogghignò impercettibilmente, quindi la spalancò con un calcio e si precipitò al suo interno, restando immobile al centro della sala e concludendo con disprezzo.
 
«Un essere così potente e una casa così orrenda. Di certo non devi preoccuparti che ti crolli sulla testa, vero Dragone?»
 
William Scarlett sgranò gli occhi, precipitandosi nella stanza e rimanendo sbigottito a fissare il vecchio uomo seduto in fondo alla stanza, gambe incrociate su un vecchio futon logoro.
Non appena quegli occhi di drago incrociarono i suoi, per un istante la paura lo paralizzò. Bene.
Ora era solo in una stanza fatiscente in mezzo ai due esseri più terrificanti che conoscesse, il Dragone e la figlia del Signore Oscuro.
Cosa aveva intenzione di fare, ucciderlo? Era già abbastanza sorprendente vederla sfidarlo con tale audacia ben sapendo quale fosse la sua vera forma.
Tuttavia, con sua grande sorpresa e altrettanto sollievo, l'uomo non sembrò affatto colpito da quell'irruenza. Anzi, proprio come Kronos, le rivolse un sorriso divertito e le rispose, calmo.
 
«La vita è già abbastanza complicata, non serve aggiungere ulteriori pesi. Ma tu questo lo sai già, vero Emilie Gold?»
 
Di nuovo, il Fante trattenne il fiato. Guardò Emilie e la vide stringere i pugni, le labbra deformate in una smorfia di disprezzo.
 
«Tu lo conosci?» le chiese.
«Non ho bisogno di farlo!» gli rispose lei «E tu smettila con i tuoi giochetti, e dammi ciò che mi serve.»
 
Con un'irriverenza che infiammò di rabbia le iridi grigie e la pelle pallida della ragazza, il Dragone tornò a rispondere calmo.
 
«Come ben sai, tutta la magia ha un prezzo. Quella a cui ambisci tu ne ha uno particolarmente alto.»
 
Stufo di non capirci più niente, William Scarlett si frappose tra di loro dando le spalle all'uomo e strinse le spalle di Emilie, rigida come un pezzo di marmo.
 
«Milly, che diavolo sta succedendo? Di cosa parla? Come diavolo faccio ad aiutarti se non me lo dici?»
«Non mi serve il tuo aiuto, William» gli rispose però la ragazza, un filo di voce, sibilando a denti stretti «Aspettami fuori.»
 
Quindi, prevenendo altre proteste, usò la magia per rispedirlo fuori dallo stabile, dove fu costretto ad aspettare visto che la porta dal quale avevano avuto accesso era stata chiusa, proprio da lei poco prima.
Sospirò, buttando l'aria dal naso.
 
«Ma certo!» si lamentò «Ovviamente! Perché mi hai trascinato fin qui se non ti servivo? Che accidentaccio ci sono venuto a fare?!»
 
Diede un calcio alla porta, poi s'impose a fatica autocontrollo e si sedette sulle scale ad aspettare, rassegnato, pensando alla sua compagna di viaggio e al suo cambiamento negli ultimi tempi. Non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo quella sera che lei era sparita, dopo avergli consegnato l'anello.
Gli aveva detto di aspettarla e non cercarla per nessun motivo, aveva obbedito ma subito dopo averla vista tornare aveva iniziato a pentirsene.
Cupa, gli occhi grigi costantemente lucidi e velati, il comportamento ancora più tenebroso e imprevedibile di prima. Alle volte sembrava davvero un' altra persona, anche se non la conosceva ancora così bene per poterlo affermare con altrettanta certezza. Ma una cosa l'aveva capita: non era una cattiva. Gli era stato chiaro sin da subito che dietro quei modi e quei sorrisi sghembi si nascondeva solo una ragazza che voleva giocare, una persona forse un po' troppo sopra le righe, ma non cattiva. Spericolata, pazza, incontrollabile, testarda, ma non cattiva.
Per questo quella sera, quando l'aveva vista tornare, aveva avuto paura. Perché per un attimo, il breve attimo in cui si erano guardati negli occhi, William Scarlett si era accorto che quella luce buona dentro i suoi occhi era svanita, si era spenta, e un'altra più inquietante aveva iniziato a brillare. Una luce spietata, sinistra. Segno indelebile di una ferita irreparabile.
Non gli aveva fornito alcuna spiegazione, ma lui non aveva insistito per averne, forse per rispetto, forse per paura.
Era durato poco, per fortuna, poi si era lanciata a capofitto nella prossima missione, la solita Emilie era tornata e lui aveva creduto fosse tutto risolto. Nulla di più sbagliato, visto che ora si trovava lì, ad aspettarla sperando che non facesse il solito macello.
Sprofondò le mani nei capelli, scuotendo il capo e ripensando alla promessa fatta a Robin ed Ewan. Quanto avrebbe voluto tornare a Storybrooke e restarci, consegnare loro quella patata bollente e godersi la vita!
 
«Per tutti i diavoli, inizio ad essere stufo!»
 
E mentre lui cercava di non esplodere, Emilie Gold sfidava l'ennesimo drago, ma stavolta da sola e per un motivo diverso.
 
«Quanto oro ti serve? Posso darti tutto quello che vuoi!» gli disse, contenendo a fatica la rabbia che premeva per esplodere.
 
Il vecchio saggio seguitò a guardarla, spegnendo un po' il suo sorriso.
 
«Lo so. Non è l'oro il problema.» le rispose «Ma una parte di te è appena morta. E per riportarla in vita mi serve l'unica cosa che le apparteneva. Il tuo tesoro più prezioso…» concluse, abbassando gli occhi sull'anello proprio nel momento in cui Emilie tornò a stringerlo, portandosi la mano al petto e sgranando gli occhi, terrificata.
 
Un gemito le sfuggì dalle labbra, piegate in una smorfia.
Il Dragone non disse nulla, si limitò ad osservarla per qualche istante ancora con i suoi occhi saggi, scrutandole l'anima, poi sorrise e allungò il palmo aperto verso di lei.
 
«Tre sacchi d'oro e quell'anello.» le disse «Paga il prezzo, e l'oscurità svanirà da te.»
 
Ma stavolta il viso della giovane si fece di cera, e d'improvviso la sua coscienza sembrò tornare a funzionare.
 
«No! Non posso.» esclamò, quasi senza accorgersene, stringendo il pugno chiuso ancor di più verso di sé.
 
"Questa è la mia bussola! È l'ultima cosa che mi resta di papa, riesco a sentirlo ancora, ed è tutto grazie a questo! Non posso farlo! Non posso!"
Sarebbe come ucciderlo per sempre. Come... lasciarlo andare.
Ma il Dragone non ne fu affatto stupito, anzi. Le sorrise, quindi annuì piano.
 
«Capisco…» replicò «In tal caso... credo che dovrai imparare a convivere con la tua oscurità.»
 
Di nuovo, Emilie sembrò ridestarsi. Lo fissò con stupore, gli occhi improvvisamente lucidi. Annuì, lentamente.
 
«È quello che farò.» disse, la voce chiara e sicura «Lo farò senz'altro. E nel frattempo troverò un altro modo per tornare indietro, un modo che non richieda questo.» aggiunse, mostrandogli l'anello, un sorriso sicuro sulle labbra «Del resto, è ciò che so fare meglio: trovare un'altra strada.»
 
***
 
Presente,
Villa Gold.

 
Bastò un istante. Nell'attimo preciso in cui Regina entrò nella sala dove si era consumata la tragedia, guardò la folla, le loro singole reazioni, e ogni cosa del gioco di Emilie Gold le fu chiara, permettendole di vedere la scacchiera completa.
Erano tutte lì, ogni pedina, esattamente dove la ragazza aveva sempre voluto che fossero.
C'erano i cavalli; Ruby, Will, Malefica. Le torri; Cruella, Belle e Robin Hood. E gli alfieri: Ewan, Baelfire e Gideon. Infine c'era lei, Emilie Gold, la regina, e suo padre, Tremotino. Il Re. Ancora una volta al centro di tutto.
Nulla era stato lasciato al caso, ogni pedina, anche la più insignificante, era stata scelta con cura dopo ore, settimane, anni passati ad ascoltare sempre la stessa fiaba della buona notte, ogni notte con un dettaglio in più, ogni volta con qualcosa in più da notare e appuntare.
Riuscì quasi a vederla, quella bambina che ogni sera tornava ad ascoltare la storia dei suoi genitori, chiedendo ora di questo, ora di quel personaggio, cercando di visualizzarlo, di immaginarlo.
Ed ecco che anche l'ultimo tassello andava a posto e l'immagine di quella ragazza a terra tra le braccia del suo amato e di suo padre, implorandolo di usare la sua magia per salvarle la vita, assumeva tutto un altro significato. Certo. Era ovvio.
La regina conduceva il gioco, conosceva bene ogni sua pedina, ma era sacrificabile, come il resto della scacchiera. Tutto pur di non permettere a nessuno di fare scacco matto al Re.
Povero Principe Azzurro, ammutolito dietro di loro, le mani ancora sporche di sangue, gli occhi sgranati.
Poveri loro, vittime inconsapevoli di un gioco che non comprendevano.
Perfino Regina stessa per un istante si sentì smarrita, confusa, stordita all'impatto con la dura realtà. Ma alla fine dovette ammetterlo: con Emilie, Rumplestiltskin si era davvero superato, poco importava di quale sua versione si trattasse. Forse era anche merito di quella mescolanza, di quella fortuita coincidenza, se Emilie era diventata così brava a giocare. Quante ore aveva passato davanti alla scacchiera ad osservare l'ultima partita di suo padre?
Quanto tempo aveva trascorso a valutare tutte le eventuali mosse e contromosse, quelle da ripetere e quelle da cambiare? Non era decisamente da lei, ma ci era riuscita. Oh, se c'era riuscita!
Ricordò i contratti che Gideon aveva trovato nella piccola casina sull'albero, la dovizia di particolari con cui erano stati stilati, la cura dietro ogni sillaba. Non era pura emulazione, era qualcosa di più, un tributo, un arabesco narrante la storia di suo padre intrecciato con creatività e passione all'interno del tessuto stesso del tempo.
Difficile da vedere a colpo d'occhio, ma impossibile da dimenticare.
Senza più fiato, gli occhi improvvisamente lucidi, Regina sorrise guardando la giovane Emilie stringere la mano di Mr. Gold, poi spostò la sua attenzione su Gideon e lo vide perso, nella paura e nel dolore.
Non sarebbe tornato indietro con lei. Non avrebbe più potuto farlo, perché oramai ne era parte anche lui, di quel nuovo, strano futuro. Tutti, indistintamente, perfino lei stessa. Ogni cosa, anche la più insignificante, era stata studiata per non dar loro via di scampo e piegarsi al disegno di quella mente.
Lo seppe nel momento stesso in cui il giovane alzò gli occhi e le rivolse un sorriso addolorato. Lo aveva capito? Anche lui si era accorto del piano di sua sorella? Di sicuro lo aveva fatto il Tremotino di quel tempo, perché seppur addolorato non rifiutò la sua richiesta e, pur conoscendo il prezzo, usò la sua magia per evitarle almeno la morte e le atroci sofferenze fisiche che l'avrebbero altrimenti preceduta.
Subito dopo, mentre Ewan si precipitava fuori tenendola tra le braccia, quella piccola folla gli fece largo, lasciandolo passare e stringendosi attorno ad Emilie come se non fosse stata opera sua quella gigantesca messa in scena che li aveva rapiti alla realtà e trasformati in marionette.
Robin, Geppetto, il Grillo, Granny, perfino il dalmata Pongo si accodò scodinzolando a quella processione accompagnando la ragazza fino all'ambulanza che già attendeva fuori, mentre lo schieramento "nemico" iniziava a sfaldarsi.
Per cominciare, superato lo shock il Principe provò a scusarsi con sua figlia, gli occhi lucidi, sconvolto come non lo aveva mai visto.
 
«Emma, devi credermi. Io non... non so cosa mi sia preso?»
 
La donna annuì, ma non riuscì a risparmiargli uno sguardo d'accusa.
 
«Ne parliamo dopo» disse soltanto, precipitandosi fuori assieme agli altri.
 
Anche Baelfire provò a fermarla, accortosi solo adesso di quanto gli fosse accaduto e profondamente rammaricato. Di essere stato ingannato di nuovo, di essere stato usato per l'ennesima volta.
 
«Emma!» la chiamò, ma lei lo zittì come aveva fatto con suo padre «Non ora, Neal» disse, quindi prese Henry per mano e lo condusse fuori.
 
Proprio in quel momento, nella stanza che continuava a svuotarsi risuonò il grido di Biancaneve.
 
«David!»
 
Aveva il viso rosso dal pianto, tremava, e quando riuscì ad abbracciarlo iniziò a singhiozzare, ma il Principe non riuscì a consolarla stavolta. Sembrava essere tornato il David Nolan di un tempo, quello confuso, spaventato e colpevole, prima che il sortilegio fosse spezzato.
Si strinsero, inquieti. Poco distante Malefica e sua figlia si presero per mano e uscirono dopo essersi scambiate un mutuo cenno d'assenso.
Mentre li seguiva con lo sguardo, Regina vide riapparire sulla porta d'ingresso Mr. Gold e Belle, stretti l'uno all'altra, visibilmente preoccupati.
Lo sguardo che Rumplestiltskin lanciò al Principe quando questi si affrettò a chiamarlo e a raggiungerlo non lasciò spazio ad alcun tipo di dubbio.
Mentre lo ascoltava bofonchiare patetiche parole di scuse e inutili ammissioni di colpa, Mr. Gold strinse quasi convulsamente il manico dorato del bastone da passeggio resistendo per un pelo all'impulso di piantarglielo in mezzo ai denti e farlo tacere una volta per tutte. Fu merito di Belle, che intuendo i suoi pensieri gli sfiorò il braccio stringendosi di più a lui. Regina la vide sussurrargli qualcosa, ma il baccano nella sala era ancora troppo per permetterle di capire.
Seppe che aveva funzionato quando vide il suo maestro sospirare e annuire controvoglia. Prese per mano sua moglie, fece per andarsene, ma d'un tratto si bloccò e tornò a voltarsi verso il Principe e Biancaneve.
 
«So bene…» disse, controllando a fatica la rabbia «Che tutto questo non può essere solo colpa vostra. La magia ha sempre un prezzo, specie quella della penna dell'autore. Mia figlia lo sapeva bene, quando ha deciso di usarla. Tuttavia…» si fermò, indurendo di nuovo il suo sguardo e lasciando la mano di sua moglie per poter puntare contro di loro il suo indice accusatore «La mano che ha mosso quella spada era la tua. La vostra.» ringhiò, tra i denti «Perciò sarà meglio che le conseguenze derivate siano minime e insignificanti, perché in caso contrario voi due…»
«Rumple!» preoccupata e spaventata dall'improvvisa foga del marito, Belle lo interruppe, frapponendosi tra lui e i due eroi.
 
Tremotino la guardò, grave. Poi sospirò, scuotendo il capo e tentando invano di darsi un contegno.
 
«Potrebbero esserci ripercussioni di uguale entità!» risolse, tornando a puntare contro di loro il bastone per poi voltare a tutti e le spalle e dirigersi a grandi passi verso la porta che dava sul corridoio secondario.
 
Belle si scusò con i due, tentò di rassicurarli senza successo, poi affranta si congedò, affrettandosi a seguirlo. Rimasti soli, Biancaneve e il Principe si strinsero, tentando di rassicurarsi a vicenda con il loro solito carico di speranza e baci. Regina sorrise scuotendo il capo e distogliendo lo sguardo, e proprio allora, provvidenziale, Gideon apparve dal fondo della sala, richiamandola e rivolgendole uno sguardo che sapeva già di scuse.
 
«Regina, io…» iniziò.
 
Era scosso, visibilmente scosso, ma cercava di mantenere la lucidità.
 
«Tu non tornerai indietro con me. È questo che vuoi dirmi?» domandò, senza accusarlo, sciogliendosi in un sorriso benevolo.
 
Lui sospirò, scuotendo il capo e tentando di sorriderle grato.
 
«Non posso. Non ancora.» disse «Tornerò, ma... non ora. Ti prego, dammi solo un altro po' di tempo. Sistemerò tutto, Alice e Uncino e tutto il resto. Ma…» prese fiato, accortosi di aver parlato senza neanche respirare.
 
Gonfiò il petto, tornò a fissarla e concluse, implorante.
 
«Dammi solo qualche altro giorno. Non posso lasciarla sola, di nuovo.»
 
Si morse le labbra, mentre lo diceva. E guardandolo Regina rivide prima sua madre, poi suo padre. Ah, quella famiglia! Così impegnati a farsi la guerra, così rapidamente disposti a deporre le armi e salvarsi a vicenda.
Sorrise, annuendo. Poi assunse un'aria falsamente seria, appoggiò una mano sulla sua spalla e lo guardò dritto negli occhi, replicando.
 
«Un mese, hai un mese di tempo. Più una settimana per sistemare le faccende importanti. E quando avrai finito tornerai, e riporterai indietro anche lei.» si sciolse in un sorriso storcendo il naso e scoccandogli un occhiolino «O almeno mi porterai la sua promessa che non causerà ulteriore scompiglio. Abbiamo un accordo?»
 
Grato quasi fino alle lacrime, Gideon annuì, accennando ad un inchino.
 
«Si.» disse «Si, accordato Vostra Altezza.»
 
Dolcemente commossa, Regina lo abbracciò, stringendolo forte e lasciando che il ragazzo facesse lo stesso.
 
«Sta attento.» gli raccomandò, sentendolo annuire.
 
Poi lo lasciò andare, e guardandolo un'ultima volta prima di sparire dietro una nuvola di fumo pensò che di nuovo il suo vecchio maestro aveva avuto ragione: il destino aveva uno strano senso dell'umorismo, alle volte. Specie se si conosce già il futuro.
 
***
 
Di fronte alla villa regnava il caos. Quando Regina, quella del presente, arrivò a bordo della sua vettura dopo essersi ritrovata nel mezzo del suo salotto presidenziale, vide la gente che usciva a frotte, frettolosamente, il più delle volte sostenendosi vicendevolmente. Cercò Henry, ma non lo trovò. Invece la voce di Robin Hood, da dietro le sue spalle, si fece udire.
 
«Regina!»
 
L'abbracciò, lei lo lasciò fare, si baciarono.
 
«Robin! Stai bene?» gli domandò, il cuore in gola, spaventata da quella confusione, fuori e dentro la sua testa, prendendogli il viso tra le mani
 
A differenza di quanto Isaac aveva scritto, Regina non era morta durante gli eventi di Heroes and Villains, bensì aveva trascorso tutto l'arco narrativo attendendo il momento della sua esecuzione, in una cella del Castello, la più isolata e profonda, condividendo con i  nani quel destino.
Era stato orribile, ma non aveva ricordato nulla fino a che non era tutto finito, e la realtà era tornata al suo posto.
Lo sgomento era stato tanto, lo aveva cercato ma poi aveva ricordato che lui era stato invitato alla festa e la semplice paura si era trasformata in angoscioso terrore. Quel bacio, riuscire a stringerlo di nuovo tra le braccia e sentire le sue potenti braccia da arciere che la stringevano di nuovo, riuscì a ridestarla. Lui le sorrise, tranquillo.
 
«Sto bene, Regina. Va tutto bene ora, sta tranquilla» le disse, rassicurante, sfiorandole appena le labbra.
 
Voleva credergli. Ma non ce la fece ad ignorare i troppi indizi, prima fra tutti quella sicurezza strana, come se quella questione neanche lo riguardasse.
Era lei che aveva bisogno di rassicurazioni? E lui, allora? Tutto quello che era accaduto, il fatto che Emilie e suo padre lo avessero usato per chissà quali scopi, come poteva non essere neanche un po' scosso?
Lo lasciò andare, facendo un passo indietro e guardandolo negli occhi domandò, seria.
 
«Tu lo sapevi?»
 
Lui le sorrise, annuendo. E quando lo vide farlo, le mancò il fiato.
 
«Lo sapevo» ammise «Ma prima di ogni altra cosa, Regina, lasciami aggiungere questo. Conosco quella ragazza da molto tempo, molto più di quanto tu possa immaginare. E mi fido di lei.»
«Come puoi farlo?» sbottò a quel punto la donna, sempre più sconvolta «Ti rendi conto di ciò che ha appena fatto? Dov'è adesso?»
 
Ma la risposta che ricevette spense anche l'ultima fiammella di quel fuoco che aveva preso a ribollire nelle sue vene, come una secchiata di acqua fredda.
 
«Ewan l'ha portata in ospedale. David Nolan l'ha trafitta.»
 
Di nuovo smise di respirare per un secondo. E mentre lo faceva si voltò, richiamata da un vocio familiare.
Poco lontano, Mary Margaret, David Nolan e Ruby erano immersi in una conversazione che aveva qualcosa di terribilmente famigliare.
 
«Ruby, come puoi dirlo? Guarda quello che ci ha fatto? Guarda a cosa ha spinto David!» sbottò una sconvolta Biancaneve, stringendo il braccio del suo sposo che faticava a restare concentrato su di loro.
«Capisco che tu sia sconvolta, Bianca» provò a scusarsi la lupa «Ma devi fidarti di me. Emilie non è cattiva, non è stata colpa sua.»
 
La Principessa rimase inebetita a guardarla, la bocca spalancata, gli occhi sgranati.
 
«Stai dicendo che è colpa nostra? È così? Tu davvero la stai difendendo, Ruby?»
 
A quel punto, ritrovando un briciolo di autocontrollo, David le prese la mano e si frappose fra loro due.
 
«Lascia stare, Neve.» le disse, poi lanciò un'ultima occhiata a Ruby e si sforzò di sorriderle «Per favore, fammi sapere quando si sveglierà.»
 
La lupa sorrise a sua volta annuendo, dispiaciuta ma grata che lui avesse compreso la situazione, almeno in apparenza. Poi tornò a guardare Biancaneve e provò ancora una volta a spiegarsi, ma il Principe Azzurro la trascinò via mormorando torvo.
 
«Andiamo.»
«Dove?» le chiese la sua sposa, opponendosi.
«A casa. E poi a cercare di parlare con Emma.» fu la risposta, fredda e diretta, guardandola negli occhi.
 
Quel semplice accenno alla loro figlia sembrò ridestarla. Emma. Certo. Ora era lei l'unica cosa che contava. Doveva capirlo, che erano stati obbligati a mentirle. Per salvarle la vita, per non darle un'ulteriore dolore. Era solo e soltanto per questo che lo avevano fatto.
Regina li osservò defilarsi mentre la folla continuava a restare nel giardino in attesa di un imprecisato qualcosa. Di nuovo, guardandoli Regina si stupì. Erano preoccupati, tutti loro, ma non per sé stessi.
Osservò Pinocchio avvicinarsi a Ruby e scambiare con lei qualche parola, riuscì a catturare il nome di Emilie prima che i due, guardandosi intorno con circospezione e accorgendosi di lei, decidessero di allontanarsi voltandole le spalle.
 
«Robin … cosa sta succedendo?» tornò a chiedere, una leggera nota di irritazione nella voce, riportando l'attenzione sul suo vero amore e osservandolo di nuovo sorriderle «Spiegami cosa centri tu con Emilie, con tutto questo.»
 
L'arciere annuì, le prese la mano e le stampò un bacio sulle labbra.
 
«Te lo spiegherò, Regina. Ma non qui. Non adesso. Andiamo a casa, ti va?» propose con dolcezza, aggiungendo poi, prima che potesse obiettare «È una storia piuttosto lunga e complicata.»
 
E a quel punto lei, sentendo di non poter fare altrimenti, accettò l'invito e lo seguì, in silenzio, cercando nel frattempo di capire lo schema di quella scacchiera prima che qualcos'altro potesse stravolgerlo e travolgerla.
 
***
 
Il Van procedeva spedito nella notte, lungo la strada illuminata solo dai fasci di luce bianca dei fanali. Mentre stringeva il volante e cercava di concentrarsi solo sulla guida, David Nolan si ritrovò assorto nella difficile risoluzione di un rebus che gli si era palesato davanti nel momento in cui la Emilie Medusa era entrata in scena. Nel silenzio teso che avvolgeva l'abitacolo, spostò per un istante l'attenzione su Biancaneve, che fissava a braccia incrociate la strada, palesemente in panico e irritata, e riportò alla mente l'immagine di lei resa di pietra dallo sguardo della Creatura, e la successiva domanda della Lucertolina. "Cosa ti rende diverso da noi, David Nolan? Cosa fa di te un vero eroe?". Mille cose, avrebbe voluto rispondere.
Ma poi si rese conto di non riuscire a trovarne neanche una. L'amore per la sua famiglia? Emilie stava combattendo per la stessa cosa. Lo spirito di sacrificio? La lealtà? Stessa risposta. Eppure, Emilie era palesemente una cattiva, lui un eroe. Ma allora perché si sentiva così in colpa adesso? Per un breve istante credette di capire cosa avesse voluto dire con quella domanda la giovane Gold, ma poi per qualche motivo la risposta gli sfuggì.
Sospirò, rallentando la corsa delle vettura.
 
«Stai bene?» chiese, tornando a concentrarsi sulla sua amata.
 
Biancaneve seguitò a fissare la strada, ma le sue labbra si contrassero.
 
«Non posso credere che anche Ruby si sia lasciata coinvolgere!» sbottò, scuotendo il capo «Lei sta dalla sua parte! Come può farlo?»
 
Pur comprendendo la sua indignazione, ancora una volta non riuscì a mostrarsi comprensivo quanto avrebbe dovuto. Ed era sempre colpa di quel tarlo.
 
«Non pensarci troppo.»  si limitò a mormorare, sentendo di dover aggiungere altro ma non riuscendoci.
 
Sua moglie tornò a fissarlo, il fuoco negli occhi.
 
«Sei serio?» lo incalzò.
 
Lui seguitò a fissare la strada, senza dire o fare nulla. Per un brevissimo istante gli sembrò che stesse per esplodere, poi però con un gesto di stizza la vide tornare a sprofondare il silenzio nel sedile, e si trattenne a stento dal sospirare grato. Rimasero a lungo assorti in quel poco confortante silenzio, come se non riuscissero a fare altro. Rientrarono a casa, Biancaneve scese sbattendo la portiera e si rintanò dentro alla camera da letto, lui scelse il divano senza neanche rendersene conto e, spente le luci, rimasero entrambi a fissare il soffitto per tutta la notte, ignorando gli occhi stanchi, incapaci di catturare anche solo un breve istante di sonno perché, anche se non volevano ammetterlo, i tragici, repentini eventi che li avevano riportati al presente avevano riportato davanti ai loro occhi lo spettro che da tempo giaceva dormiente dentro i loro cuori.
Eroi, o cattivi? Bianco, o nero? Ovvio, non c'era una via di mezzo. Ma allora … perché l'oscurità dentro i loro cuori adesso faceva così male?
 
***
 
Durante il breve tragitto che l'ambulanza fece dalla villa all'ospedale, mentre stringeva forte la mano di Emilie sentendola mai come prima fragile e piccola, Ewan rimase a guardarla assorto in un silenzio carico di ansia e dolore.
Tutto il resto, gli operatori che cercavano di confortarlo e si davano da fare per mantenerla stabile, il bip lento ma costante della macchina per la misurazione cardiaca che indicava il sonno profondo in cui era caduta, il sibilo della maschera per l'ossigeno che l'aiutava a respirare e perfino il lamento della sirena che risuonava chiaro per le strade e anche dentro l'abitacolo, tutto questo neanche lo percepì, trascinato in un turbine di ricordi e angoscia senza fine.
Ogni bacio, ogni battaglia combattuta insieme, ogni sorriso e ogni lacrima, d'improvviso gli parvero insopportabili ma necessari alla sua sopravvivenza.
Trattenne il fiato guardando quel volto da bambina ora pallido e ancora un po' macchiato di sangue, e gli occhi gli si riempirono di lacrime che faticò a trattenere.
Uno dei due medici se ne accorse, gli batté una pacca sulla spalla sussurrandogli qualcosa ma di nuovo le sue orecchie non lo percepirono, non fino a quando la vettura si fermò e i due in camice lo invitarono con fermezza e garbo a farsi da parte.
 
«Stia tranquillo, ci pensiamo noi adesso. È in buone mani.»
 
Strinse i pugni, annuendo ma continuando a seguire la barella fino a che gli fu possibile.
All'entrata della struttura, ad accoglierli trovarono Viktor Frankenstein, impettito nel suo camice e già circondato da persone che chiedevano di lei. C'erano Will Scarlett, Ruby e sua nonna, Geppetto e Gemini Hopper e Gideon, anche lui visibilmente provato.
Non appena li videro entrare si affrettarono ad avvicinarsi, ma Frankenstein lo impedì frapponendosi tra la paziente e loro.
 
«D'accordo, statemi tutti a sentire.» disse cercando di calmare gli animi «Ora è importante che facciate tutti un passo indietro e mi lasciate fare. Se quello che mi avete detto è vero, il grosso del lavoro potrebbe già essere stato fatto, ma non è ancora fuori pericolo.» fece una pausa, per assicurarsi di essere ascoltato e compreso, prima di concludere serio «Prometto che farò di tutto per salvarla. Lo giuro. Ma potrebbe volerci un po'. Tutto quello che potete fare per lei ora è aspettare» e nell'affermarlo, con la massima sincerità e una compassione impropria per uno come lui, guardò Gideon ed Ewan negli occhi, come a scongiurarli di ascoltarlo.
 
Non ebbe bisogno di ulteriore incoraggiamento. Pur comprendendo il significato di quelle parole, l'arciere era così sconvolto da non riuscire più a muoversi. Si limitò ad annuire, lasciando che fosse suo cognato ad aiutarlo nell'impresa di farsi da parte.
Gideon annuì ringraziandolo dal profondo del cuore
 
«Ci fidiamo di te, Viktor.» gli disse, annuendo e accennando un lieve inchino.
 
Quindi lo prese sotto braccio e lo trascinò via, voltando le spalle a lui e a sua sorella.
 
«Vieni.» gli disse, stringendolo «C'è un distributore, più in là. Beviamo qualcosa di caldo mentre aspettiamo.»
 
Abbandonato a quell'abbraccio confortato re Ewan annuì, ma di nuovo non riuscì a parlare o anche solo pensare mentre, voltatosi per un solo istante, guardò la barella scomparire oltre la porta del reparto assieme al dottore e a lei, ancora incosciente, sempre più pallida.
Sospirò, a lungo e stancamente, le gambe sempre più flaccide. L'aveva persa tante volte, ma questa... questa era la prima volta che temeva di doverlo fare per sempre.
 
***
 
Con una brusca frenata il maggiolino giallo si fermò proprio di fronte alla stazione di polizia ed Emma Swan scese di fretta dal sedile del guidatore, mentre suo figlio Henry le rivolgeva un'occhiata confusa e preoccupata da quello del passeggero.
 
«Non dovevamo andare a casa?» le domandò, osservandola raggiungere a grandi falcate la porta dell'edificio.
«Ci vorrà solo un minuto. Aspettami qui, okkey?» gli rispose lei, e dopo averlo visto annuire si fiondò dritta dall'unico abitante di quel posto, almeno al momento.
 
Uncino la attendeva dietro le sbarre, ma non come avrebbe pensato di trovarlo. Era visibilmente confuso, gli occhi irosi e lucidi, la testa tra le mani, seduto sulla branda imprecava sottovoce; non appena la sentì entrare alzò lo sguardò e si sforzò di sorriderle, senza mascherare il sollievo.
 
«Swan!» la chiamò, aggrappandosi alle sbarre «Adesso capisci? Era di questo che parlavo» le disse.
«Tu lo sapevi? Sapevi dell'Autore e di tutto il resto?» lo incalzò, dura.
 
Sorpreso dall'astio dentro al suo tono di voce, il pirata scosse il capo.
 
«No…» mormorò, ribadendo poi con più foga, dopo averla vista alzare gli occhi al cielo e scuotere il capo «Ovviamente no, Swan! Non so nulla dei loro piani, devi credermi io sono solo …» s'interruppe di colpo, portandosi una mano al petto e stringendo i denti.
 
La Salvatrice lo osservò con attenzione, pensierosa.
 
«Solo cosa?» disse, mentre lo guardava tornare a sedersi, improvvisamente stanco «Killian, che ti succede? È opera sua? Di Emilie?»
 
Annuendo rapido, il pirata si distese sulla branda portandosi una mano alla fronte e aggrappandosi con l'altra alla sua collana col teschio.
 
«Per tutti i diavoli, Swan!» gemette «Vuoi uccidermi per caso? Ti ho già detto cosa devi fare!»
 
Ma a quel punto la donna, facendosi seria, si avvicinò alle sbarre e vi si aggrappò, facendosi seria e determinata.
 
«Si…» disse «Si, è vero. Ma …» s'interruppe di colpo, scuotendo il capo.
 
Quel silenzio, la sua espressione. In un istante Uncino capì di averla persa e all'improvviso, ora che il dolore lo aveva lasciato andare, balzò in piedi e corse ad afferrarle le mani.
 
«Emma, no. Per favore, non cascarci. Lei è sua figlia!» le disse, in un ultimo, disperato tentativo di riportarla da lui.
 
La vide annuire.
 
«Si, è vero.» disse «Ma non è soltanto questo. Nessuno in questa città lo è, neanche tu.»
 
Quindi si staccò da lui, compiendo lentamente qualche passo indietro.
 
«Forse è vero, quel gioco era truccato e anche questo lo è. Ma l'ultima volta che ci siamo visti ti ho promesso che avrei ascoltato il mio sesto senso, che avrei cercato la verità. L'ho fatto …» concluse, e prima ancora che potesse finire la frase la risposta era già sul suo volto.
 
Il Pirata la vide scuotere lentamente il capo, e aprirsi in un sorriso triste, come un silente tentativo di scusarsi con lui.
 
«E la verità, Killian, è che Emilie Gold non è cattiva. Forse suo padre lo è, ma non lei. Non lo è mai stata. Anzi, forse … è più simile a me e a te di quanto lei stessa non osi ammettere.» sorrise di nuovo, quasi intenerita nel vedere la disperazione e la rabbia sul suo volto «Non sarà il ritratto dell'eroismo più puro, ma neanche io lo ero quando sono arrivata. Tu non lo sai, ma … tutto ciò che mi ha spinto a Storybrooke è stata la mia famiglia. Henry …» fece un'altra pausa, gli occhi le si riempirono di lacrime «Sono arrivata in città per proteggerlo, proprio come lei.»
 
Killian scosse con vigore il capo. "No, Emma! Ti sbagli! Lei non è come te, non lo sarà mai!" avrebbe voluto dirle, urlarle "Quella Lucertolina è infida, velenosa e cattiva, malvagia fino al midollo, come il Coccodrillo dal quale proviene! Non fare l'errore di sottovalutarla come ho fatto io! Smettila di pensare da eroina e uccidila! Uccidili entrambi prima che sia troppo tardi!"
Fece per aprire bocca, ma prima ancora che riuscisse a emettere un fiato Emma lo fermò di nuovo.
 
«È c'è un'altra cosa che non sai, Killian.» aggiunse «Dal momento in cui Neal è entrato a far parte della mia vita, noi siamo diventati una famiglia. E nella mia famiglia c'è  una specie di motto.» sorrise, commossa «Noi ci siamo sempre, l'uno per l'altro.»
 
Parole che fecero più male di un calcio negli stinchi. Comprendendo di averla ormai persa per sempre, il Capitano scosse il capo e iniziò a mormorare, aggrappandosi alle sbarre e cercando di raggiungerla.
 
«Emma, no. Per favore, Emma! Ascoltami!»
 
Ma lei gli aveva già voltato le spalle, lasciandolo solo nella solitudine della sua rabbia e della sua sete di vendetta, che senza un vero amore a mitigarla si era fatta sempre più insistente, insaziabile. Proprio come il Tremotino del Desiderio, rinchiuso tra sbarre invalicabili senza la sua Belle e senza più un solo buon motivo per avvicinarsi al bene. Peccato che al momento non potesse comprenderlo, e che Emilie Gold non fosse presente per godere di quel momento tanto atteso.
Avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo. Era il prezzo della vendetta.
 
***
 
Rientrata in macchina, Swan chiuse lo sportello e si concesse un ultimo istante prima di ripartire, abbandonando la testa sul sedile e lasciandosi andare ad un breve sospiro di sollievo. Era stata una decisione difficile, ma sentiva di aver preso quella giusta e quella sensazione era impagabile. La sensazione di essere in pace con sé stessa. Sorrise, avvertendo un movimento sul sedile del passeggero.
 
«Non dovevi aspettarmi in macchina, ragazzino?» domandò divertita, riaprendo gli occhi e puntandoli su suo figlio, che la guardava con un sorriso contento e fiero, come faceva sempre quando una delle loro missioni andava a buon fine.
«Scusami.» le rispose, non troppo convinto, scuotendo le spalle.
 
Risero entrambi, poi però Henry tornò a chiedere, speranzoso.
 
«Quindi ora che farai con papà? Lo perdonerai?»
 
Emma si scurì un poco, allacciandosi la cintura e mettendo in moto.
 
«Non ho niente da perdonargli.» ammise «Qualsiasi cosa abbiano fatto tuo nonno e tua zia, lui non centra nulla.»
 
Sospirò di nuovo, stavolta però più pesantemente.
 
«Perché non mi sembri convinta, allora?» le chiese il ragazzo, inclinando curiosamente la testa.
 
Tentando di tornare a nascondersi, Emma gli lanciò un sorriso furbo e si concesse un istante per guardare lui invece che la strada.
 
«Sul serio? Mi stai facendo un interrogatorio?»
 
Henry sorrise, ma con una luce triste negli occhi. No, non era questo il problema, ed Emma lo intuì senza avere bisogno di ulteriori spiegazioni. Sospirò ancora, tornando seria a guidare fissando la strada.
 
«Ascolta, Henry…» disse, in quel tono che anticipava uno dei suoi discorsi seri «Io … credo di aver bisogno di un po' di tempo per capire …»
«Come una pausa di riflessione?» le venne incontro il giovane, come al solito un passo avanti a lei.
 
Stupita ma non troppo, lei sgranò gli occhi e lo guardò, aprendo la bocca per parlare ma rinunciandoci immediatamente.
 
«Forse … più o meno …» replicò esitante, arrendendosi all'evidenza.
 
Nel frattempo, la strada si era fatta più familiare e davanti a loro era apparsa la sagoma del loft, non più tanto confortante ora. Le luci all'interno erano accese, ma c'era un silenzio strano tutto interno. Nel guardare al suo interno, la Salvatrice tornò a scurirsi.
Affrontare Uncino era stato più facile del previsto. Ma Neal … all'improvviso sentì di non riuscirci. Sentì di star commettendo un grosso errore, ed ebbe quasi la sensazione di tradirlo, la stessa che aveva avuto appena qualche ora prima, dopo aver desiderato per un istante le labbra di Killian Jones contro le sue.
Era ancora confusa. Molto confusa. Ma lo scontro con Emilie e tutto quello che era successo dopo era stato illuminante. Ora aveva davvero solo bisogno di un po' di tempo per schiarirsi le idee e ragionare a mente fredda sulle scelte da prendere. Sospirò, tirando fuori tutta l'aria ancora presente nei polmoni e riempiendoli con quella fresca e frizzante della notte.
Poi spense il motore, slacciò la cintura e aprì lo sportello.
 
«Forza.» disse, più rivolta a sé stessa che al ragazzo, che comunque propose, comprensivo
«Vuoi che torni a dormire dall'altra mia mamma?»
 
Lei si fermò sul ciglio del marciapiede a guardarlo stranita, quasi cadendo dalle nuvole. Ci rifletté su un istante, poi scosse il capo.
 
«No, non è necessario.» replicò, come fosse ovvio «Davvero, non preoccuparti. Mi arrangerò. Tu puoi restare con papà, tutto il tempo che vuoi.»
 
"Non è giusto lasciarlo solo, non ora. Non è giusto cacciarvi di casa perché io ho bisogno di nuovo di pensare." si disse, ma non lo aggiunse. Piuttosto gli scompigliò i capelli e lo strinse a sé, percorrendo con lui il vialetto fino alla porta d'ingresso, trovandola socchiusa.
Neal era seduto sul divano, un'auricolare nelle orecchie e una bottiglia di birra in mano, assorto in funesti pensieri. Non appena li vide entrare si alzò in piedi, chiamandola per nome e implorandola con lo sguardo.
La Salvatrice guardò Henry, che le sorrise e annuì per poi defilarsi in silenzio, salendo nella sua camera e chiudendosi la porta alle spalle. Bastò questo per permettere all'uomo di capire.
 
«Emma, te lo giuro. Io non ne sapevo nulla!» tentò di difendersi, mascherando a fatica la rabbia che provava per essere stato di nuovo raggirato.
 
Ma lei sorrise, annuendo e addolcendosi un po'.
 
«Lo so, Neal. Non devi spiegarmi niente, ti credo.» rispose sincera.
 
Lo vide sospirare, passandosi una mano tra i capelli. Quei riccioli castani ora brizzolati che sapevano di vento e libertà. Provò ad immaginarseli tra le dita, come quando erano ancora dei ragazzi con nulla da perdere e tutta la vita per loro stessi. Forse era stato questo a fermarla, a contaminare il loro amore. Tutto quel caos, quei segreti, la confusione provocata dalle assurdità di quella cittadina in cui vivevano e per cui erano nati.
 
«Neal …» tornò a chiamarlo, e quando i loro occhi ripresero a fissarsi a vicenda, sentì il cuore battere forte.
 
Strinse i pugni, resistendo alla tentazione di provare a vedere che effetto le avrebbe fatto ora un suo bacio, dopo quello anche solo immaginato con uncino. No, quello non era il modo adatto. Chiodo scaccia chiodo non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, adesso.
 
«Dovresti andare da lei, ora.» si limitò a dirgli, cercando le parole migliori per iniziare.
 
Lo vide sgranare gli occhi e scuotere il capo.
 
«Dopo quello che ha fatto? Neanche per sogno!» le disse, arrabbiato «Lo sapevo che sarebbe finita così! Me lo sentivo! Lei e papà sono uguali, non avrei dovuto fidarmi!»
 
Ma ancora una volta, pur comprendendolo, la Salvatrice tentò di farlo ragionare.
 
«Ti sbagli, Neal.» disse, e lo vide farsi serio, guardandola negli occhi.
 
Per un istante, dopo aver sentito quella semplice asserzione, Baelfire pensò che stesse scherzando, ma poi guardandola meglio si accorse della verità. Ne era convinta? Emma … gli stava davvero dicendo … di perdonare l'inganno di cui era stata vittima?
 
«Parli sul serio?» chiese, sconvolto «Emma, lei ci ha usato. Tutti noi. Siamo solo pedine, tutto per far felice papà. Per compiacerlo!»
«Non è ciò che ho visto io, Neal …» gli rispose lei, continuando a sorridere e scuotendo piano il capo.
«Era un'illusione! Tutta un'illusione fatta apposta per confonderti. Niente di quello che hai visto era reale!» tento di dissuaderla lui, scaldandosi, ma con una semplice domanda Emma spense quel fuoco in un istante.
«Anche Gideon lo era?» replicò, e a quel punto di colpo lui si zittì.
 
Gideon…
Non riuscì a pensare ad altro. Di colpo, il pensiero si fermò sull'immagine di quel giovane uomo venuto all'improvviso a sconvolgere le cose e risvegliare le menti, e tutto assunse contorni più definiti. Gideon… era reale?
E anche quello che aveva detto loro su Emilie lo era? Tento di convincersi che fosse solo un'altra patetica illusione parte di quel mondo assurdo, ma più lo faceva, più i contorni della sua immagine si facevano solidi, e le sue parole dure come ferro. Fino a che non ricordò ciò che aveva visto appena un'ora prima, quell'uomo sconosciuto che correva verso Emilie gridando il suo nome e prendeva il posto che gli aspettava accanto a suo padre in quella terribile situazione.
Suo padre.
Non il Signore Oscuro, solo … suo padre. Da dove venivano? Perché loro erano così diversi da lui? Così … uniti? Come quando lui aveva ancora un padre, un posto in cui tornare e di cui sentire la mancanza.
Alzò gli occhi e tornò a guardare nuovamente Emma, in silenzio, ascoltandola ripetere con quel sorriso compassionevole, sicura di aver ottenuto la sua attenzione.
 
«Va da loro, Neal. Prenditi il tempo che ti serve per crederci …» gli suggerì, ma il sottotesto di quella frase lo fece nuovamente restare senza fiato.
«E tu?» le chiese, in preda ad un panico quasi folle -Noi?-
 
La Salvatrice scosse le spalle, continuando a mostrarsi serena.
 
«Credo …» disse «Che abbiamo tutti bisogno di un po' di tempo, adesso.»
 
Quindi, trattenendo a fatica le lacrime, gli si avvicinò e gli stampò un dolce, delicato bacio sulla guancia per poi abbracciarlo forte, sorprendendolo.
 
Per un istante lo sentì tremare, ma dopo le sue braccia forti la strinsero a sua volta e in quell'abbraccio dolce e caldo le parve quasi di trovare la risposta che stava cercando.
Calma, serenità, famiglia. Tutto ciò che avevano sempre sperato per loro stessi. Era sufficiente per chiamarlo vero amore?
 
***
 
Giunto all'ospedale dopo aver riflettuto a lungo e aver lasciato che la donna della sua vita tornasse a casa dai suoi, per l'ennesima volta avrebbe osato aggiungere, Baelfire Gold si diresse a passo spedito verso un angolo della sala d'attesa, dove Gideon ed Ewan erano ancora impegnati in una discussione iniziata circa un'ora prima.
Era appena entrata nel vivo in realtà, perché solo adesso l'arciere stava iniziando a riprendersi dallo shock.
Non appena lo videro arrivare, i due si fecero immediatamente preoccupati, e a ragione perché la sua espressione era delle più cupe e sembrava volesse gonfiare di botte entrambi, ma poi non lo fece.
Piuttosto si limitò a restare in piedi di fronte a loro e ad esordire, rivolto a suo cognato.
 
«D'accordo, spiegami una cosa: perché?»
 
Questi batté le palpebre, confuso, cercando di riaversi per capire, ma in realtà non ce ne fu neanche bisogno. Quella domanda aveva già una risposta, ed era stata la stessa Belle a dargliela, quando erano tornati insieme nella foresta incantare. Fu Gideon a capirlo per primo, e sorrise mentre Ewan replicava con un confuso.
 
«Come?»
«Bae …» fece per parlare, ma questi lo precedette puntandogli un dito contro.
«E tu: chi diavolo sei tu in realtà?» sbottò «Dammi una risposta soddisfacente o giuro che non crederò più a una sola parola.»
 
Intenerito, Gideon seguitò a sorridergli inclinando il capo con una gestualità così famigliare per lui da rendere ancora una volta ogni altra risposta superflua.
Rimasero in silenzio, a fissarsi. Poi, abbandonando ogni collera, Neal si sedette ad una delle sedie di fronte a loro e incrociò le mani, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
 
«Come sta?» domandò, occhi bassi, senza fare diretto riferimento a sua sorella.
 
Comunque, non fu necessario. Ewan scosse il capo, tornando a bere dal bicchierino di plastica che stringeva tra le mani, ormai semivuoto.
 
«Viktor ci ha detto di aspettare.» replicò Gideon, indicando con un cenno del capo la porta della sala operatoria «In effetti potrebbe volerci davvero un bel po' prima che si risvegli.» osservò battendo una pacca sulla spalla di Ewan, che parve ignorarlo.
 
Il primogenito di casa Gold si lasciò sfuggire un sorriso amaro e anche un po' sarcastico.
 
«Il dottor Frankenstein. Siamo proprio in buone mani, eh?»
 
Strappando un sorriso anche a Gideon e così facendo lasciandogli intuire che anche lui ne sapesse molto più di quel mondo di quanto i suoi abiti, in puro "stile foresta incantata", facessero intuire.
Lo squadrò con attenzione lanciandogli un'occhiata obbliqua, poi chiese, in maniera forse un po' troppo brusca.
 
«Quindi dove sei nato? Qui, o nella foresta incantata?»
 
Mostrandosi come al solito comprensivo, Gideon non si offese, anzi. Dentro di sé ringraziò il cielo per quella domanda, perché era un passo in avanti verso un rapporto un po' meno complicato. Anche se gli parve strano quando considerò di nuovo di star in realtà parlando con il suo fratello maggiore. Strano ma anche rincuorante in un certo senso. Ora era lui il fratello di mezzo, anche se forse lo era sempre stato. Ed era la prima volta che si parlavano davvero, entrambi consapevoli di farlo.
 
«Qui.» rispose con un sorriso tranquillo e sincero «Ma ci sono rimasto poco, in realtà. Quando avevo circa un anno mamma e papà sono partiti, abbiamo girato il mondo e siamo tornati alla Foresta. A Storybrooke e nel mondo reale ci sono tornato da grande, qualche volta.»
 
L'ultima con Emilie, cercando di persuaderla a non avventurarsi in quello che ormai era diventato un problema di tutti. Eppure ora, guardandolo e guardandosi, non gli dispiacque più non esserci riuscito.
Bae ascoltò con attenzione quelle parole e annuì, in silenzio, con quella che sembrò un po' d'invidia in fondo allo sguardo confuso e ancora lievemente arrabbiato. Lo capiva. Non era facile accettare tutte quelle assurdità. Non era facile sapere di essere stato lasciato indietro, anche se non era colpa di nessuno stavolta. Lo osservò sprofondare sulla sedia e prendere a tormentarsi le mani, incapace di chiedere altro. In realtà, entrambi avrebbero voluto farlo ma rispettarono quel silenzio dandosi il tempo per accettare la presenza reciproca.
 
«Caffè?» chiese invece Gideon, liberandolo da quella conversazione.
 
Annuì.
 
«Si, per favore.» lo ringraziò sospirando nervosamente.
 
Ewan si limitò ad annuire, ancora chino su se stesso e chiuso nel suo silenzio contrito. Li lasciò soli, allontanandosi verso la macchinetta e infilando le mani nelle tasche del pantalone. Mentre li osservava da lontano ignorarsi, con un mezzo sorriso agitato si concesse il lusso di tornare a guardarsi intorno. Ruby era ancora lì, poco lontano da loro, chiacchierava amabilmente con Will Scarlet e per un istante una strana sensazione gli si legò alla bocca dello stomaco.
Era stata il suo angelo custode in Heroes and Villains, e tornati alla realtà era stata la prima a chiedergli come stesse e ad offrirgli quei pochi spiccioli, supporto emotivo e una camera nel B&B di sua nonna, se avesse voluto.
Ora, mentre la osservava, senza accorgersene i suoi occhi tornarono a scrutare quel volto lupesco e quelle labbra rosse con un'intensità tale da spingerla a voltarsi verso di lui e rivolgergli un sorriso, nel momento in cui lo vide avvampare.
Imbarazzato, Gideon ricambiò il gesto e le voltò le spalle, costringendosi a concentrarsi sui maledetti caffè. Non era proprio il momento quello per … per cosa?
 
«Che accidenti mi prende?» bofonchiò, senza riuscire a levarsi dalla testa l'immagine della ragazza lupo e dei suoi denti affilati «Un mese. Un solo mese, Gideon. Non hai tempo per questo.»
 
E mentre lui lottava per tornare ad essere quello con la testa sulle spalle, Bae lo faceva per mostrarsi comprensivo verso quello che in fondo non era altro che un uomo terrificato a morte per la donna della sua vita. Che poi quella donna fosse anche sua sorella, la stessa che lo aveva usato e ingannato faceva poca differenza ora, almeno per Ewan.
Sospirò di nuovo, poi lo risvegliò con un fin troppo piratesco
 
«Hey …»
 
Ewan si riscosse, spostando gli occhi su di lui. Si sforzò di sorridere, ma non ci riuscì.
 
«Mi spiace per prima…» disse «Ero … sconvolto.»
 
L'arciere annuì, continuando a mostrargli pazienza.
 
«Comprensibile.» gli disse, senza trovare la forza per aggiungere altro se non un quasi banale «Non sarebbe facile per nessuno.»
 
Eppure, detto da lui, anche quel luogo comune sembrò carico di affetto. Cassidy tornò a sospirare, quindi annuì e chiese, tentando di nuovo di comprenderlo ma stavolta con più delicatezza.
 
«Quindi … tu e mia sorella … vi conoscete da tanto?»
 
Lo vide sorridere, quasi impietosito da quel misero tentativo, ma poi annuì e spiegò.
 
«Dipende.» disse «Dal tuo punto di vista sono pochi anni, dal suo … forse qualche secolo.»
 
Si concesse un sorriso amaramente divertito prima di proseguire, chiarendo il concetto.
 
«Ci siamo incontrati nel suo passato, poco dopo il tuo incontro con Robin Hood al Castello Oscuro.»
 
Baelfire s'illuminò, lieto di poterci capire finalmente qualcosa.
 
«Oh, ecco dove ti avevo già visto!»
 
Risero, sciogliendosi un po'.
 
«Non fartene una colpa se non mi hai riconosciuto subito. Non sono uno che ama farsi notare.» lo rassicurò, e finalmente nei suoi occhi stanchi tornò un po' di allegria.
«Però lei ti ha notato.» replicò Bae senza pensarci, ma pentendosene subito dopo «Scusa …» si affrettò ad aggiungere, ma di nuovo l'arciere scosse il capo.
«Hai ragione.» gli rispose «Lei lo ha fatto. Credo … credo che fosse destino.»
 
Neal sospirò dal naso.
 
«Destino…» mormorò, pensando poi tra sé "Non mi sorprende che vi siate innamorati. Mi sembra di sentir parlare papà."
 
Ewan intuì i suoi pensieri, erano gli stessi che faceva lui, a volte, quando cercava di capire cosa avesse spinto Emilie tra le sue braccia. Gli stessi che avevano fatto Belle, Gideon e perfino Mr. Gold stesso, dopo averlo conosciuto. Tutti prima o poi arrivavano a quella conclusione, anche se dentro di sè lui, pensandoci più razionalmente, non riusciva a dar loro ragione. Tra i due, era sempre stata lei quella più vicina a suo padre, non viceversa. Forse era stato proprio per questo che si erano scelti, che lei lo aveva scelto. Aveva bisogno di qualcuno che la capisse, qualcuno che non le ricordasse né il padre che aveva perso né quello che cercava di salvare. Qualcuno con cui sentirsi completamente sé stessa, senza alcun tipo di condizionamento o similitudine.
Qualcuno che fosse tutto per sé, con cui poter costruire un futuro tutto nuovo, e in fondo era esattamente quello che cercava anche lui.
 
«Comunque…» concluse, tornando a guardarlo ma parlando di più a se stesso, sull'onda dei ricordi «Innamorarmi di tua sorella è stata la cosa migliore che potesse capitarmi.»
 
Nel dirlo, la voce s'incrinò e gli occhi tornarono lucidi.
Baelfire lo guardò, e s'impensierì tornando a cercare di capirlo.
 
«Riesci a dirlo anche adesso, dopo tutto quello che è successo?» domandò, ma stavolta senza cattiveria, pesando le parole «Scusami, ma... ti ha lasciato indietro per amore di papà. Riesci a sopportarlo?»
 
Ewan lo ascoltò attentamente, e a quella domanda sorrise, scuotendo il capo e rivolgendogli uno sguardo carico di compassione. Come Gideon, ed Emma prima di lui.
Cos'è che avevano visto? Perché sembravano tutti scusarla, anche alla luce degli ultimi eventi?
Alla spasmodica ricerca di una risposta, non si accorse nemmeno che Gideon era tornato con i loro caffè, interrompendo quella conversazione.
Fu proprio lui a rispondergli, rivolgendogli un sorriso tranquillo.
 
«Nostra sorella è come un libro aperto, Bae.» gli disse, porgendogli la tazzina fumante «Uno di quelli che non puoi cercare di capire fermandoti alle prime pagine. Devi leggerlo tutto, con molta attenzione, andare fino in fondo, arrivare all'ultima riga.» poi sorrise, divertito e nostalgico, e aggiunse «Il problema è che le piace da impazzire sconcertare il lettore, specie se è qualcuno che le sta a cuore.»
 
E a quelle parole, Ewan non riuscì più a trattenersi, cedendo nuovamente alla nostalgia e al pianto. Era stanco. Emotivamente provato e fisicamente distrutto.
Per fortuna però, anche e soprattutto grazie ai nuovi fratelli che Emilie era riuscita chissà come a procurargli, non dovette affrontare da solo quel momento.
Il primo a sostenerlo fu Gideon, sedendogli accanto e prendendo dalle sue mani la tazzina prima che gli si rovesciasse addosso.
La appoggiò sul tavolino davanti a loro e lo abbracciò, sussurrandogli parole di incoraggiamento.
Perfino Neal s'intenerì, e alzatosi mise da parte i suoi sentimenti ancora contrastanti e si unì a quell'abbraccio per poi concludere, sciogliendolo.
 
«D'accordo, basta indovinelli per stasera. È tardi, e tu sei distrutto. Vieni a casa mia, hai bisogno di dormire e la Villa non mi sembra il posto adatto ora. Non dopo quello che è successo, con Cruella e Malefica come custodi.»
 
Per la prima volta, Gideon si dichiarò apertamente d'accordo, ma Ewan provò a schermirsi.
 
«A Emma sta bene?» domandò, cercando una scappatoia per poter rimanere.
«Oh, lei non sarà a casa stasera.» fu la risposta vaga «Andiamo, niente scuse. Facciamo un bel pigiama party tra maschi, io, tu ed Henry.» ridacchiò, tentando di mitigare l'imbarazzo «Puoi venire anche tu, se vuoi» aggiunse, rivolto al fratellastro.
 
I due invitati si scambiarono un'occhiata loquace e preoccupata.
 
«Mi spiace…» mormorò in risposta Ewan, ma lui scosse le spalle senza aggiungere altro e ancora una volta Gideon lasciò cadere il discorso dimostrandogli vicinanza con una semplice e calorosa pacca sulla spalla.
 
Infine insieme, tutti e tre, si avviarono verso casa. Henry fu entusiasta di vederli arrivare, e sebbene comprendesse il momento difficile, specie per "zio Ewan", fu lieto di avere l'opportunità di fare la loro conoscenza.
Ordinarono un paio di pizze, confrontandole con quelle insuperabili di New York, qualche birra e una cocacola, e parlarono del più e del meno cercando di alleggerire l'atmosfera con aneddoti divertenti sui loro rispettivi vissuti e sugli argomenti d'interesse più disparati.
A metà serata, tuttavia, benché trovasse piacevole parlare con loro, specie con Henry, Ewan si scusò e si defilò occupando la camera per gli ospiti, ovvero quella che un tempo era stata prima di Emma e poi di Henry.
Gli altri tre restarono a guardare, al piano di sotto, fino a che anche Henry non crollò sul divano davanti alla tv.
A quel punto, senza più nulla da discutere, i due fratelli si ritrovarono sul pianerottolo esterno, l'ultima birra in mani e ancora troppi pensieri per la testa. Restarono a guardare il cielo nero e buio per un bel po', poi finalmente Baelfire si decise a parlare.
 
«Continuo a non capire…» disse, seguitando a fissare le stelle.
 
Gideon lo guardò.
 
«Cosa?» domandò, già pronto a tentare di fornirgli una risposta.
 
Lo vide scuotere le spalle e compiere un ampio gesto circolare con la mano che reggeva la bottiglia.
 
«Tutto.» disse, e per qualche istante sembrò che stesse per aggiungere altro, ma poi rimase in silenzio.
 
A quel punto, Gideon sorrise, attirando su di sé lo sguardo perplesso dell'altro.
 
«Ti faccio ridere?» gli chiese, sorridendo a sua volta.
 
Lui scosse il capo.
 
«È solo che ti capisco.» rivelò, tornando a guardare le stelle «Alle volte neanche io ci capisco niente, ma prima con papà e poi con Emilie, ho imparato a non pensarci troppo.»
 
Neal ridacchiò.
 
«Insegnamelo, ti prego.»
 
Gideon si unì a quel momento di leggerezza ridacchiando a sua volta.
 
«Quanto tempo hai?» domandò, ed entrambi si lasciarono sfuggire l'ennesima risata.
 
Leggeri come palloncini, finalmente i loro cuori riuscirono a tornare calmi, avvolti da quella strana sensazione di cordialità e convivialità. Davvero assurdo, ritrovarsi con un fratello e per giunta più simile di quanto entrambi avrebbero mai potuto sperare. Ma era bello, appagante. E per la prima volta da che quel casino era cominciato, Neal Cassidy sperò che quel momento potesse diventare una piacevole abitudine.
 
***
 
Seduta accanto a lui sul divano, una mano che stringeva un calice di vino e le dite dell'altra intrecciate nelle sue, mentre ascoltava quell'incredibile racconto dalla sua voce calda e vibrante Regina si perse nei dettagli, senza riuscire a farne a meno, fino quasi a dimenticarsi della sua presenza. Era una storia incredibile, Emilie era incredibile!
 
«Ha fatto tutto questo, da sola?» chiese alla fine, sbalordita, mentre lo schema iniziava a delinearsi chiaro in mente.
 
Lo vide annuire, ma era ovvio che non avrebbe potuto essere quella la risposta. Come poteva una ragazza come lei elaborare un piano così macchinoso da sola?!
 
«Credimi, Regina. È stata la cosa più avvincente che mi sia mai capitato di vedere. Ho avuto qualche dubbio all'inizio, quando ho saputo di Cronos…» le rivelò «Ma mi sono dovuto ricredere quando l'ho vista affrontare prima il fiume e poi i rovi.»
 
Ecco, quel dettaglio era interessante.
 
«Hai detto che il suo anello si è illuminato?» chiese, corrucciandosi, come se stesse seguendo un filo nascosto nel discorso.
 
Robin annuì, e a quel punto la vide aprirsi in un sorriso trionfante. "Ma certo!" pensò "Deve essere quello. Tremotino non l'avrebbe mai lasciata sola."
Giunse a quella conclusione quasi senza accorgersene, ma non appena ebbe formulato quel pensiero un altro, più funesto, fece subito capolino. "Certo … lui non l'ha mai lasciata … neanche un istante."
Fu quasi invidiosa. E subito iniziò a chiedersi come avesse fatto. Evidentemente il Signore Oscuro del futuro non aveva mai smesso di farsi domande, e questo lo aveva portato a conoscere altri segreti, come la magia che gli aveva permesso di creare quell'amuleto da regalare a sua figlia. O forse non era accaduto in futuro. Forse anche il Tremotino di quel tempo sapeva come fare, ma aveva tenuto per se quel segreto. Tsh, aveva sempre un asso nella manica, quel tratto di lui non sarebbe mai cambiato, e se da un lato la irritò, dall'altro la confortò saperlo. L'istinto di conservazione del Signore Oscuro … amava quel lato di lui! Era il principale ingrediente dei suoi piani migliori.
 
«Credi che lo abbia visto?» disse, tornando a concentrarsi su Robin «Suo padre. Credi che le sia ancora possibile vederlo?»
 
Robin Hood si stranì un poco di quella domanda.
 
«Non lo so, ma da quello che ho visto è possibile che lo abbia fatto quel giorno.» disse, poi però le sorrise stringendole di più la mano «Cosa hai in mente?»
 
Arrossendo un poco, lei si sciolse a sua volta, scuotendo le spalle.
 
«Niente di preciso…» mentì «Solo … forse lui può aiutarci a sciogliere quell'altro dilemma.» disse, facendogli l'occhiolino.
 
Robin scosse il capo sfiorandole una ciocca di capelli con tenerezza.
 
«Non è necessario, Regina.» disse «Emilie mi ha già detto tutto quello che c'è da sapere.»
 
Lei fece una smorfia contrariata, pensando a quell'ultima parte del racconto. In realtà non ci sarebbe stato neanche bisogno di udirla, aveva letto il contratto e non ci aveva trovato nulla di particolarmente astruso. Più che un contratto sembrava un accordo di collaborazione scritto e firmato da entrambe le parti.
Le voci principali erano poche e coincise
 
  • Emilie Gold s'impegna a preservare il lieto fine di Robin Hood finché le sarà possibile, a patto che questo non interferisca col lieto fine di Tremotino e della sua famiglia.
  • Robin Hood s'impegna nello stesso proposito, sempre nei limiti del possibile, e a proteggere le persone a lei legate per mezzo di amicizia, vero amore o parentela, fatta eccezione che per Peter Pan e La Fata Nera, i quali sono da considerarsi nemici di entrambe le parti.
 
Il resto era un formulario di preamboli legali, necessari ma non ai fini di lettura.
Tutto ciò che Robin doveva fare per sopravvivere gli era stato detto in un secondo momento, poco prima della partenza della ragazza, e tra le altre cose includeva evitare assolutamente di parlarne con Regina.
 
«Mio padre ha bevuto una pozione dell'oblio quando è venuto a conoscenza del suo futuro, e a ragione. Potrebbe rovinare tutto, ma tu devi saperlo per evitare che ti vada male come alla tua versione precedente.» gli aveva detto, aggiungendo poi «Niente aldilà, niente lieto fine. Sei stato cancellato, come se non fossi mai esistito. Vuoi evitare che ti accada? Allora segui queste semplici regole: Sta lontano da Ade e Zelena, a qualsiasi costo, lascia che Regina se la cavi da sola se devi, e tieni gli occhi ben aperti se qualcuno dal tuo passato dovesse riemergere. Ricordati che quella stronza è Perfida di nome e di fatto, non esiterebbe un solo istante a usarti per incasinare la vita di sua sorella. È Regina il tuo vero amore, non permettere a nessun altro di frapporsi tra lei e te, di separarvi.» poi, seriamente rammaricata, aveva concluso «Vorrei davvero dirti di più, ma non posso. Quando arriverai a Storybrooke e ti sembrerà di aver aggiunto il tuo lieto fine con lei, sta in guardia, e considera ogni giorno da quel momento come un giorno totalmente nuovo da vivere.»
 
Erano già arrivati a quel punto? Se lo era chiesto più volte, specie negli ultimi giorni, prima di Heroes and Villains, ma poi si era accorto di non saper trovare una risposta, e i dubbi di Regina, la sua paura per i piani di Mr. Gold, la sua smania di trovare l'autore e ottenere con la forza il loro lieto fine, gli avevano confermato che non era ancora giunto il momento. Per lui forse, ma lei continuava ad avere paura, a non abbassare la guardia. Lo considerava il segno che il tempo dei "giorni nuovi", quelli in cui il destino sarebbe stato tutto da riscrivere, non era ancora arrivato. Le prese entrambe le mani, prima che potesse tornare a obiettare, appoggiando i loro calici sul tavolino e guardandola negli occhi.
 
«Regina …» iniziò, in bilico sul da farsi.
 
Non avrebbe dovuto parlargliene, ma … forse invece si? Sentiva di doverlo fare, e aprì la bocca per iniziare, ma poi sorrise, scosse il capo e la baciò, così intensamente e a lungo da annullare qualsiasi altra resistenza. E quando alla fine la sentì cedere sotto le sue mani da arciere, capì che la scelta migliore era iniziare a vivere da quel momento il presente come se fosse qualcosa di totalmente nuovo. Carpe Diem, specie attimi meravigliosi come quello che stava ancora accadendo.
Era la cosa più importante che Emilie gli aveva insegnato, qualcosa che aveva sempre saputo ma che quella ragazza straordinaria aveva reso ancora più reale e importante: anche senza pozione dell'oblio, l'unico modo per preservare il proprio futuro era vivere appieno il presente senza farsi troppe domande.
 
***
 
Il giorno dopo...
 
Fu una notte difficile da passare, un po' per tutti ma in particolare per chi non aveva ancora imparato a fare i conti con l'oscurità nel proprio cuore.
Per tentare di sopravvivere, ognuno mise in pratica i suoi metodi. Ruby e William Scarlett, sorprendentemente uniti da un'amicizia comune, rimasero ad attendere l'esito in ospedale, addormentandosi l'uno sulla spalla dell'altro in una convivialità fraterna rassicurante; Belle e Tremotino trovarono conforto nella ritrovata fiducia reciproca, e nella forza del loro vero amore; Ewan rimase a fissare le stelle, le uniche che gli avevano fatto compagnia durante i lunghi anni di separazione da lei, che ora era di nuovo in lotta col suo destino; Emma accolse l'invito di Granny e si lasciò consolare da una buona cena e una cioccolata alla cannella, mentre cercava di fare ordine nei pensieri e programmare le prossime mosse. Mary Margaret e suo marito invece, si ritrovarono di nuovo da soli contro sé stessi, impugnando come arma per sconfiggere i propri demoni l'unica che sapessero usare: le loro incrollabile convinzioni.
Sfortunatamente, anche se all'inizio parve funzionare, alla lunga perse la sua efficacia, e alle prime luci dell'alba i due si ritrovarono di nuovo l'uno di fronte all'altra, nel soggiorno di casa. Nessuno dei due aveva chiuso occhi, entrambi per paura di incontrare qualche fantasma in sogno.
La prima a farsi avanti fu lei, restando a fissarlo in piedi di fronte al divano mentre lo guardava cercare le parole adatte.
 
«Bianca, mi spiace …» esordì, e la vide intristirsi scuotendo il capo.
«No, è a me che dispiace.» gli disse, avvicinandosi e abbracciandolo «Mi sono lasciata trasportare dagli eventi, ero sconvolta, e me la sono presa con te quando avrei dovuto starti vicino. Scusami...»
 
Scoppiò a piangere, ancor non del tutto libera dall'angoscia. Il Principe la strinse a sua volta, sprofondando il naso nell'ebano dei suoi capelli che sapevano di foresta e sfiorandole la nuca con tenere carezze. Le ciglia catturarono le prime lacrime, trattenendole, ma non avrebbero potuto farlo a lungo. Scosse il capo, sentendo l'angoscia montare. Aveva pensato a lungo durante la notte. A tutto e a niente, cercando di evitare completamente il discorso Emilie e dimenticare ciò che lo aveva spinto a ferirla. Alla fine aveva trovato un modo per resistere al senso di colpa, una bugia a cui aggrapparsi come a una fune in mezzo al mare in tempesta.
"È come ha detto Tremotino. È stato un incidente, provocato da ciò che lei stessa aveva architettato. E io stavo cercando di difendere la mia famiglia, non ho colpe."
Convincente, ma non quanto avrebbe voluto, perché a farlo ancora vacillare era la domanda posta dalla ragazza stessa poco prima che lui la colpisse: "Cosa fa di te un eroe? Cosa ti rende diverso da noi?
"
Ormai ne sapeva abbastanza di quella famiglia, conosceva gli sforzi fatti da Tremotino per salvare suo figlio e l'amore che li legava. In cosa era diverso da lui? Poteva definirsi un eroe senza vergogna? La risposta più banale fu ancora una volta la sua salvezza: Il Signore Oscuro mente, il Signore Oscuro inganna. Ma un eroe non uccide, mai, per nessun motivo e in nessun caso. E lui lì, in quel mondo fatto di incubi, aveva provato il forte desiderio di farlo e lo aveva fatto. Se fosse stata quella la realtà, Emilie Gold sarebbe già morta, per mano sua.
Ma se era stato tutto solo finzione, come mai lei ora era in coma in ospedale e lui lì a tormentarsi? Se Mr. Gold avesse davvero avuto pietà di lui glielo avrebbe detto, che quell'incidente era l'ungi dall'essere casuale, che la sua smania di voler fare l'eroe si era amplificata a dismisura sotto l'effetto di quella magia corruttiva e lo aveva trasformato in un assassino, spingendolo contro un'ignara Lucertolina che non lo avrebbe mai creduto veramente capace di un simile gesto. Era diventato la versione peggiore di sé stesso, come tutti loro, e prendendo il sopravvento aveva cambiato il finale di quella storia dando vita ad un imprevisto che era costato caro a chi l'aveva pensata e scritta.
Ma conoscendolo, Tremotino aveva voluto prendersi così la sua vendetta. Non c'era incubo peggiore per lui del dover affrontare l'Oscurità dentro sé stesso disarmato e spaurito. Un povero pastorello sprovveduto, proprio come quando lo aveva trovato la seconda volta. Senza deludere le aspettative, era proprio quello che stava accadendo.
Con un impeto disperato la baciò, prendendole il viso tra le mani e inspirando a grandi sorsi il suo profumo. Biancaneve gli rispose con la stessa intensità, segno evidente ch'era impegnata nella stessa identica lotta, ma con un pensiero in più verso di lui, verso chi amava e che sentiva di star perdendo. Odiava quella sensazione. Odiava sentirsi vulnerabile, sentire il terreno cedergli sotto i piedi e il mondo cambiare senza che potesse evitarlo. Odiava quella ragazza per esserci riuscita senza che se ne accorgessero. Loro si erano fidati, e lei li aveva traditi, rivelando ad Emma la verità e mettendo tutti in grave pericolo. Assurdo non si fosse accorta delle troppe, paradossali somiglianze con ciò che lei stessa aveva fatto a Regina anni prima.
Quando il bacio finì, un altro più breve ma di uguale intensità li coinvolse. Poi sorrisero, gli occhi lucidi, ritrovandosi e sospirando come se fino ad allora fossero rimasti ad annaspare in mezzo alla tempesta.
 
«Come stai?» gli chiese dolce lei, posando una mano sul suo cuore.
 
Lui la prese tra la sua e la strinse, sforzandosi di sorridere.
 
«Me la caverò.» le disse, riuscendo quasi per miracolo a non mostrarsi stanco, o vacillante.
 
Lei però dovette accorgersene lo stesso, perché gli rivolse uno sguardo afflitto, e sollevò la mano libera a sfiorargli il mento e lo zigomo, coperto appena da un sottile strato di barba.
Restarono così ancora per qualche minuto, poi lui la sciolse e afferrò la cintura con la pistola e il distintivo abbandonati sul comodino la sera prima.
 
«Devo andare.» le disse «Siamo rimasti troppo a lungo fermi a guardare, per quella faccenda delle fate. Qualcuno deve trovarle.» disse, fallendo miseramente il tentativo di cambiare argomento.
«Ed Emma?» gli chiese sua moglie, continuando a mostrarsi preoccupata.
 
Ancora una volta lui le sorrise, scuotendo le spalle.
 
«Dalle tempo. Capirà.» le rispose, ma stavolta nel sentirlo parlare a quel modo lei non si arrabbio.
 
"Si, capirà." pensò mentre lo guardava uscire di casa e lo salutava con un bacio a stampo sulle labbra.
Capirà, ma cosa? Che siamo noi i cattivi? Perché non lo siamo, non lo siamo mai stati. Mai come allora, era importante che la loro figlia primogenita lo sapesse: erano loro gli eroi, non viceversa. Tremotino li aveva aiutati in passato, si era addirittura sacrificato per salvare la città da Peter Pan, ma rimaneva un cattivo, uno per i quali cambiare richiedeva tempo. Ed Emilie … non era ancora riuscita a capirla, ma la portatrice di tutto quel caos e quelle disgrazie, amica dei cattivi e amante dei loro metodi deviati, non poteva che essere una di loro, tale e quale a suo padre.
Con quelle nuove consapevolezze in testa, Biancaneve guardò partire il suo Principe Azzurro a bordo del furgoncino che gli apparteneva, quindi rientrò in casa, richiuse la porta e si diresse verso la stanza del loro ultimo genito, un figlio maschio nato durante l'attacco di Zelena, a cui l'intervento di Emilie aveva risparmiato molti inutili pericoli, primo fra tutti il diventare parte di un cerchio magico per l'apertura di un portale temporale. Era stata la magia della Strega Perfida a farlo nascere prima del tempo, la Lucertolina lo aveva indirettamente salvato scagliando quella freccia contro quest'ultima.
Avrebbe dovuto chiamarsi Neal, come quel cognato che non sapeva neanche di avere, ma il suo sacrificio da eroe era stato evitato e così, pur amandolo e rispettandolo, non c'era stato bisogno di nessun tributo nei suoi confronti. Avevano quindi deciso di chiamarlo Leopold, come suo padre il re. In punta di piedi la principessa entrò nella nursery, si avvicinò con un sorriso sognante alla culla e lo prese tra le braccia, guardandolo sorridere con tenerezza materna.
 
«Buongiorno, Leo …» sussurrò, lasciando che quella piccola manina paffuta stringesse il suo indice.
 
Era bello. E aveva i suoi occhi. Si chinò a stampargli un bacio sulla fronte che sapeva di latte e sussurrò, di nuovo sicura di sé.
 
«Non preoccuparti. Mamma e papà ti terranno al sicuro, qualunque cosa accada.»
 
***
 
La prima a raggiungere la stazione di polizia fu Emma, il cui sonno fu molto meno agitato di quello dei suoi genitori. Era rimasta sveglia fino a tardi a pensare ad Emilie e a ciò che sapeva di lei, tenendo in considerazione anche le parole di Uncino e ovviamente la questione delle fate. Non poteva più ignorarla, anche se continuava a credere che la ragazza non fosse il nemico.
Se non era cattiva allora, perché le aveva rapite, e dov'erano finite?
Alle prime luci dell'alba era uscita e aveva raggiunto il convento con il suo maggiolino giallo.
In assenza di testimoni aveva deciso di concentrarsi sugli indizi, e tutti le avevano confermato ciò che aveva già compreso: magia.
Le fate erano state portate via dalla magia, un tipo potente e devastante.
Tremotino, forse? Si era sforzata di seguire tutte le piste e di non escludere niente, neanche le ipotesi più strampalate. E se Zelena fosse tornata? Era sparita poco dopo la sua sconfitta, le telecamere della stazione si erano spente e così nessuno aveva mai saputo cosa le fosse accaduto.
Se fosse stata lei a rapirle, per dare inizio a un altro dei suoi piani? E se invece, come le aveva detto uncino, quello fosse un altro tassello nel piano di Emilie e Mr. Gold? Perché avrebbero dovuto farlo? Perché proprio le fate e l'apprendista?
Avrebbe avuto bisogno di interrogarli, ma Emilie non poteva risponderle al momento, e qualcosa le diceva che Gold non aveva alcuna intenzione di parlare e non l'avrebbe avuta in futuro.
Fu allora che il suo sesto senso la guidò verso Ewan, Belle e Gideon, le uniche persone che avrebbero potuto aiutarla a chiarire i punti bui di quella faccenda.
Decise di lasciar perdere i primi due per il momento, troppo coinvolti emotivamente, e concentrarsi su Gideon, che gli era da subito sembrato disponibile e posato.
Gli chiese d'incontrarsi da Granny, e di fronte ad un caffè e una fetta di torta lo aggiornò sugli ultimi eventi.
Come aveva immaginato, non cadde dalle nuvole ma lo vide vacillare abbassando gli occhi, leggermente imbarazzato.
 
«Sto cercando di ritrovarle, Gideon.» gli disse, parlando con la massima onestà «Puoi aiutarmi? So che sei arrivato da poco, ma…»
«Non è questo il problema, Emma.» le disse, saggiando bene ogni singola parola «Purtroppo temo... temo davvero di non sapere cosa dirti.» quindi scosse il capo, dispiaciuto «Il fatto è che questo è un punto fisso nel tempo, uno di quelli che mia sorella non poteva evitare. Non so quanto lo abbia modificato, come ha fatto con Heroes and Villains, ma…» si fermò di nuovo, visibilmente imbarazzato, e sospirò «Devi risolvere da sola la matassa, mi spiace.»
 
Stava mentendo. Non totalmente, aveva soltanto smozzicato la verità, ma glielo lesse negli occhi che lo stava facendo, e guardandolo meglio, leggendo tra le righe di quelle parole, seppe anche perché. Ecco i colpevoli: sua sorella e suo padre. Il movente? Lei doveva mantenere intatta quella specie di scaletta temporale, lui … a cosa avrebbe potuto servirgli la magia delle fate? Cosa stava architettando il Signore Oscuro?
Sospirò, annuendo e poi chinandosi verso il suo interlocutore.
 
«Dammi solo un indizio.» tentò, cercando nella sua reazione la risposta che cercava «Un nome, un dettaglio, qualsiasi cosa va bene. Al resto ci penso io.»
 
Lo vide irrigidirsi, per poi sciogliersi di colpo e scuotere il capo, alzandosi in tutta fretta.
 
«Non posso, Emma. Davvero.» disse «Non voglio contribuire a modificare ulteriormente la linea del tempo.»
 
Quindi fece per andarsene, ma fatto qualche passo si bloccò e si voltò di nuovo a guardarla, lasciandole un'unica, semplice ma concisa frase.
 
«Fidati del tuo istinto. Non ha mai fallito, che io sappia.»
 
La donna sorrise, lasciandolo andare e annuendo grata. Era la risposta che cercava. L'unica che le serviva davvero. Quindi finì il suo caffè, prese qualcosa da portare ai suoi due uomini e si avviò verso casa, già molto più sicura di sé di quando si era allontanata.
Trovò padre e figlio intenti a preparare il tavolo per la colazione. Non appena la videro, entrambi si aprirono in un sorriso.
 
«Mamma!» l'accolse entusiasta Henry, correndo ad abbracciarla «Sei tornata?»
 
Lanciandogli una rapida occhiata, Emma vide che Neal la scrutava speranzoso. Non voleva deluderlo, perciò scosse il capo e gli rivolse uno sguardo dispiaciuto, avvicinandosi comunque ad abbracciarlo. Non ebbe bisogno di chiedere scusa, lui capì e cambiò argomento, seppure con un filo di tristezza negli occhi.
 
«Grazie per il caffè.» disse prendendo in consegna la busta di carta col logo del Granny's Dinner.
 
Lei si voltò ad osservarlo mentre raggiungeva il tavolo e iniziava ad estrarne il contenuto.
 
«Mi aspettavate?» domandò, quando si accorse del posto in più.
«Oh, no.» si affrettò a spiegare Cassidy «Quella è per Ewan. Non sai la fatica che abbiamo dovuto fare per convincerlo a venir via dall'ospedale.»
 
La Salvatrice si fece attenta, guardandosi intorno e lanciando poi un'occhiata alla sua ex camera da letto.
 
«Ha dormito qui?» tornò a chiedere.
«Anche zio Gideon.» rivelò Henry con un sorriso contento.
«Non so se abbia dormito, ma comunque ci ha provato.» replicò Neal, e fece per aggiungere altro quando un rumore dal piano di sopra lo distrasse.
 
Si voltarono tutti e tre. Alle loro spalle, ancora pallido e visibilmente stravolto, era emerso il soggetto della loro discussione, che non appena la vide sembrò arrossire sorpreso.
 
«Buongiorno.» lo accolse lei, in tono amichevole ma anche un po' preoccupato.
 
Indossava ancora gli abiti della sera prima, l'elegante completo blu scuro che Emilie aveva fatto confezionare apposta per lui, ma era scalzo, completamente, aveva tolto la giacca, le cravatta e i gemelli e sbottonato fino a metà la camicia di seta nera, in un attimo in cui l'angoscia era stata così tanta da stringergli il petto in una morsa e spezzargli il fiato. Non indossava mai la canottiera, il che di solito non era un problema con la sua fidanzata, perché lasciava ben in mostra il petto scolpito da anni di tiro con l'arco e la pelle liscia lievemente abbronzata dal sole. Ora però mise in seria difficolta sia Emma che Neal, che non era mai stato geloso ma aveva iniziato ad esserlo un po' dopo gli ultime eventi, prima con Uncino e poi con tutti gli altri. Il folto strato di barbetta incolta e i capelli un po' spettinati non aiutavano di certo, anche se lui non aveva assolutamente nulla da invidiare al suo ora ufficialmente cognato. Ma durante il breve istante in cui si attardò a guardarlo Emma notò quanto questi ultimi dettagli lo facessero assomigliare molto a Graham, sebbene con molte altre differenze nel viso e nella corporatura. In realtà, era la perfetta seppur azzardata fusione tra i due mondi, tra l'indomito cacciatore e il sofisticato gangster di quartiere, e la naturalezza con cui rivestiva simultaneamente quei ruoli la lasciò piacevolmente colpita.
Non sembrava neanche tanto vecchio, nonostante la barba. Quanti anni poteva avere? Trenta? Quaranta? No, non doveva esserci molta differenza di età tra loro due, anche se Milly, probabilmente a causa dei numerosi viaggi nel tempo, sembrava essere rimasta ferma ai suoi diciotto anni. Le fece i complimenti dentro di sé, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
Anche Henry lo notò, e non poté neanche non avvertire l'improvviso disagio tra di loro. Dovette percepirlo anche la mente ancora annebbiata dell'uomo, perché di colpo chiese scusa e iniziò ad abbottonarsi la camicia e a darsi una sistemata passandosi una mano tra i capelli e sugli occhi.
 
«Non mi sono ancora abituato alla vita in appartamento.» tentò di spiegarsi «E a Emilie non da fastidio, perciò …» poi si rivolse a Neal, senza un vero motivo «Posso camminare scalzo, vero? Non ho gli stivali, e i mocassini sono assurdamente scomodi.» domandò, arrossendo di nuovo, con uno charm da gentiluomo navigato.
«Già…» bofonchiò in risposta Neal, sciogliendolo dall'imbarazzo ed aprendosi in un sorriso complice «Dovrebbero chiamarli strumenti di tortura, non scarpe.»
 
Quella battuta funzionò, perché riuscì a trascinare tutti in un breve, confortante momento di ilarità che bastò a sciogliere la tensione e restituire a ciascuno la sua fetta di buon umore.
 
«Tranquillo, ti capisco.» gli rispose affabile Neal «Magari dopo colazione ti accompagno alla villa a prendere qualcosa.» si offrì generosamente.
«Grazie, ma … dovrei tornare in ospedale per dare il cambio a Will.» fu l'esitante risposta del cognato, seduto accanto a lui.
«Ci pensa Gideon.» si affrettò ad informarlo Cassidy, battendogli poi una rassicurante pacca sulla spalla «L'hai sentito ieri sera, potrebbe volerci un po' prima che si svegli e se sarai stanco non potrai esserle di nessun aiuto. Sistemati, prima. Stasera ti prometto che ti porterò da lei, se non dovesse svegliarsi prima.»
«Posso venire con voi alla villa?» domandò a quel punto Henry, stupendo gli adulti.
«Davvero? Perché?» gli chiese sua madre, inclinando il capo.
«Nel libro il Castello si animava di notte e tornava ad essere normale di giorno. Voglio vedere se anche le chimere lo fanno.» spiegò il ragazzino, e nonostante l'accenno alla storia di Heroes and Villain riuscì di nuovo a strappar loro un sorriso.
 
Almeno ad Ewan ed Emma, che erano il suo principale obbiettivo. In realtà voleva essere d'aiuto a suo zio, cercare di conoscerlo come aveva fatto con sua zia, e la complicità che trovò negli occhi dell'uomo lo rassicurò. La simpatia era reciproca.
 
«Non mi sembra una buona idea.» replicò tuttavia Neal, preoccupato che Cruella e Malefica potessero essere ancora in giro.
 
Lui ormai c'era abituato, o almeno stava cercando di rassegnarsi e sopportarlo in silenzio, seppur con mille difficoltà. Non voleva però che suo figlio iniziasse a simpatizzare anche per loro, bastavano già due cattivi in famiglia. Non che credesse che Henry potesse diventarlo, ma era inutile e deleterio rischiare inutilmente. Inoltre, Cruella era imprevedibile e tenerlo lontano da lei era l'unico modo che sentiva di avere per proteggerlo. Per fortuna, stavolta ci pensò Ewan a cavarlo dall'impiccio.
 
«Ho un'idea migliore.» disse, chiedendo poi con un sorriso cordiale «Sai tirare con l'arco?»
 
Henry s'illuminò, scuotendo il capo.
 
«Puoi insegnarmi?» domandò eccitato.
 
Emma e Neal si scambiarono un sorriso compiaciuto e sollevato. Ci sapeva fare con i bambini. E anche con gli adulti.
Lo osservarono sciogliersi nel primo vero sorriso della giornata, annuendo divertito.
 
«L'ho insegnato a tua zia, posso farlo anche con te. A patto che tu ci aspetti in macchina e non ti muova da lì. Ci metteremo poco.» promise, poi lanciò un occhiolino a Neal dando prova di aver capito i suoi timori.
 
Si, era decisamente un ottimo diplomatico.
Mentre guardava Neal sciogliersi in un sorriso ed Henry accettare quell'accordo ben volentieri, Emma si concesse il tempo per osservare il suo uomo con affettuosa comprensione. Non l'aveva mai visto così … sereno. Forse non se ne accorgeva ancora, ma lo era. E da quando era tornato dall'Isola che non c'è e aveva deciso di dare una seconda possibilità a suo padre, salvo la breve digressione che li aveva divisi, non faceva che migliorare.
Seduti l'uno affianco all'altro, intenti a finire la colazione, i due cognati si ritrovarono a parlare come se si conoscessero da sempre, scambiandosi rapide battute, cenni d'intesa e anche qualche pensiero profondo ora che Ewan sembrava essere tornato pienamente consapevole di sé stesso. Chissà come ci riusciva? Si chiese, osservando il modo in cui ancora una volta Baelfire aveva gestito la situazione. Con suo padre, con lei, con sua sorella e ora con Ewan. Chiunque fosse, lui aveva un talento speciale per riuscire a strapparlo dai pensieri più cupi e restituire un sorriso a ogni volto.
Era il suo modo di essere, quello per cui lo amava. Il modo che aveva di trasformare qualsiasi posto in Casa. Forse per questo dopo averlo perso la situazione di Tremotino aveva iniziato di nuovo a precipitare. Quasi senza accorgersene, si ritrovò di nuovo a pensare a lui, a quella strana ma resiliente famiglia e al motivo che li aveva spinti fino a lì, a quello che aveva spinto Tremotino a fare tutto ciò che aveva fatto, ogni cosa. E d'un tratto capì che la chiave del mistero stava proprio lì, in mezzo a tutto quell'amore.
Ancora una volta, fu Emilie a fornirle la risposta.
 
«Farò qualsiasi cosa per proteggere la mia famiglia.» le aveva detto, con una sicurezza incrollabile.
 
La stessa di Tremotino, di Gideon e di Belle. La stessa che aveva spinto Neal a rischiare la propria vita per richiamare suo padre dall'oltretomba e avere anche solo un'ultima possibilità di rivederla.
Anche rapire le fate faceva parte di quel "qualsiasi cosa"?
Avrebbe dovuto scoprirlo, e in fretta, perché più ci pensava, più quella storia seguitava a non piacerle.
 
***
 
Aveva bisogno di pensare, di mettere in ordine le idee ed elaborare un piano d'azione, perciò si diresse alla stazione di polizia, l'unico posto che le venne in mente.
Una volta lì si sarebbe aspettata di dover sostenere un'altra conversazione con Killian Jones, ma per fortuna lo trovò impegnato con suo padre, che stava inutilmente cercando di interrogarlo.
Il Principe lo tempestava di domande, ma lui continuava a tacere, disteso sulla sua branda con aria indolente da duro, fissando a tratti il suo uncino, a tratti il soffitto macchiato di muffa.
 
«Non ti dirà nulla neanche se volesse. Non può.» disse, riprendendo posto alla sua scrivania senza neanche salutare.
 
I due uomini si voltarono a guardarla, e il pirata schizzò in piedi, un po' troppo speranzoso.
 
«Swan! Sei tornata!» esclamò.
«Non per te.» lo freddò lei, iniziando quindi a scarabocchiare qualcosa su un blocco appunti.
 
David Nolan si corrucciò.
 
«Come sarebbe che non può?» domandò, cercando di capire.
 
Emma gli lanciò una rapida occhiata, guardandolo avvicinarsi.
 
«Emilie o Mr. Gold... o entrambi... devono avergli fatto una sorta d'incantesimo per farlo stare zitto. Appena prova a parlare, ha un attacco di cuore o qualcosa di simile.»
 
Sbalordito, Nolan guardò il Pirata scuotere le spalle alzando gli occhi e le braccia al cielo, in quella che interpretò come una pessima quanto ipocrita ammissione di colpa.
Sospirò, rivolgendogli un'ultima occhiata scura per poi avvicinarsi a lei e sbirciare il taccuino.
 
«Quindi sospetti di loro?» domandò, cercando al contempo di incrociare il suo sguardo.
 
Non ci riuscì neanche una volta, perché lei seguitò abilmente a evitarlo. Era proprio come sua madre.
 
«Non sospetto di nessuno, sto solo seguendo una pista.» fu la risposta lapidaria e vaga.
«Posso... darti una mano?» si offrì, tentando di nuovo, e quando lei gli rivolse uno sguardo serio carico di astio, lui sorrise mostrandole il tesserino «Sono pur sempre il vice sceriffo.» le sorrise.
 
Ma, più severa di quanto si sarebbe aspettata, lei lo respinse con una lapidaria sentenza.
 
«Hai appena cercato di uccidere uno dei principali indiziati. Non mi sembri il più adatto per quest'incarico.»
 
Lasciandolo basito a fissarla mentre, una rabbia sempre più crescente in corpo, seguitava a cercare di stilare quella maledetta lista.
 
«Limitati a fare la guardia al prigioniero. Faccio da sola.» mormorò dopo qualche istante, notando che il silenzio si era fatto teso e suo padre non la smetteva di fissarla impietrito.
 
Lo sentì sospirare, segno che stava sforzandosi di non cedere ai sentimenti.
 
«Emma…» iniziò, ma lei lo interruppe alzando la cornetta del telefono e ordinando da Granny qualche caffè e un paio di hamburger per pranzo.
 
Mordendosi la lingua e scuotendo esasperato il capo, il Principe Azzurro attese con pazienza che avesse terminato, poi provò di nuovo ad aprir bocca ma sua figlia tornò all'attacco, ordinandogli, senza neanche guardarlo.
 
«Ho bisogno di concentrarmi su questo caso. D'ora in avanti ti occuperai delle chiamate meno urgenti e delle ronde e lascerai a me il resto.»
«Ascolta, capisco che tu sia arrabbiata, ma lascia almeno che ti spieghi.» provò comunque a replicare lui, tutto d'un fiato, approfittando di quella pausa. Ma se ne pentì subito dopo, perché esasperata la Salvatrice colse la palla al balzo ed esplose, senza più mezzi termini.
 
«Spiegare cosa? Che mi avete mentito su Malefica per chi sa quale assurdo motivo? Che ho dovuto affrontare l'unica amica che io abbia mai avuto e ho scoperto che l'unico motivo per cui mi odia a morte e qualcosa che voi avete fatto prima che nascessi per assicurarvi che diventassi un'eroina? Oppure vuoi spiegarmi perché hai cercato di uccidere Emilie, che fino ad allora si era solo limitata a provocarvi?»
 
Lo vide sgranare gli occhi, più sconcertato da quell'ultima domanda che dal resto.
 
«Lei aveva pietrificato tua madre, ci aveva minacciato e stava per ucciderti.» mormorò.
«Non l'avrebbe mai fatto!» si oppose invece lei «E vuoi sapere come lo so?» chiese, ma poi tornò a sbattergli in faccia il suo livore «No che non vuoi, né tu né Mary Margareth volete davvero saperlo, non v'importa. L'importante è essere riuscito a fare l'eroe e uccidere il mostro, vero? Perché è così che agite! Peccato che non funzioni così in questa città, nella vita vera. Ed Emilie viene da lì, dalla vita vera.»
 
La sputò quella frase, talmente tanto rivoluzionaria da risultare assurda anche alle orecchie del più anticonvenzionale Uncino, che restando in silenzio scosse il capo, appoggiandosi alle sbarre e chiudendo gli occhi. Dirle che si stava sbagliando ora sarebbe stato inutile se non deleterio, quindi preferì quel muto cenno di dissenso alle parole, che tuttavia non sfuggì ad Emma. Lo ignorò, ignorò entrambi e tornò al suo schema.
 
Cruella,
Malefica,
Lily,
Robin Hood,
Ewan,
William Scarlett

 
Erano i nomi di coloro che le erano più vicini, coloro i quali l'avevano aiutata fuori e dentro Heroes and Villains. Grande assente in quella farse era Ursula, che sembrava essere sparita anche da Storybrooke ora. Un'idea si fece largo rapida nella sua mente.
 
«Killian…» disse, riottenendo la sua attenzione «Cosa voleva Ursula da te?»
 
Si voltò a guardarlo, e lo vide scurirsi come colto in flagranza di reato. Aveva toccato un nervo scoperto, e qualcosa le diceva che non c'erano tabù in merito a questo argomento. Il Capitano sospirò, scuotendo la testa svogliatamente e sfoggiando il suo miglior sorriso sornione.
 
«Senti, tesoro …» iniziò, ma lei alzò gli occhi al cielo, si alzò e lo raggiunse interrompendolo
«Hai due opzioni, o mi dici la verità adesso, con le buone, oppure userò le cattive per tirartela fuori a forza.»
 
Ma lui non cedette, continuando giocare all'infallibile seduttore.
 
«Oh, e quale sarebbero le cattive?» chiese ammiccando.
 
E attirando su di se le ire del Principe.
 
«Hey, pirata!» esclamò infatti, gonfiando il petto e facendo per avventarglisi contro, ma Emma si frappose tra di loro.
«Papà, ti ho detto di starne fuori.» ripetè decisa, e a malincuore lui dovette cedere.
 
Salvatrice e Capitano tornarono a guardarsi negli occhi.
 
«Hai detto che non centri nulla con Emilie, che non puoi parlare e che devo seguire il mio istinto per scoprire il resto.» tornò a ripetere Swan, seria «Sto cercando di farlo, quindi rispondimi: cosa voleva Ursula da te?» concluse, lentamente e continuando a rimanere concentrata sulla sua reazione.
 
Visibilmente a disagio, l'uomo tentò un ultimo disperato salvataggio.
 
«Lei non centra nulla con le fate.» disse, scuotendo il capo «E in ogni caso ora che ha avuto la sua vendetta ha lasciato Storybrooke.»
 
Non era la risposta che aspettava, ma almeno era la verità.
 
«Per dove? Di quale vendetta parli?» lo incalzò, e finalmente riuscì ad aprire quel guscio ostinato.
«Su di me, Swan.» lo vide sbottare, irrigidendo la mascella «Non l'hai capito? Tutto questo è stato tutto una grossa montatura per permetterle di vendicarsi senza che nessuno potesse opporsi.»
 
S'interruppe, e rapidamente la sua espressione cambiò, diventando più cupa, furente.
 
«Quel dannato Coccodrillo e la sua maledetta Lucertolina hanno giocato di nuovo con me.» soggiunse tra i denti «Stanno continuando a farlo anche adesso e tu stai qui a chiederti dove sia andata Ursula.»
 
Ma non ebbe neanche il tempo di finire la frase che una fitta più forte delle altre lo lasciò senza fiato, gettandolo in ginocchio sul freddo pavimento della cella, spingendolo ad aggrapparsi alle sbarre e a digrignare i denti.
 
«Killian! Che ti succede? Di nuovo? Killian!»
 
La voce di Emma gli giunse ovattata, sentì che anche David cercava di aiutare, ma le sue indicazioni gli risultavano incomprensibili. La vista appannata, i sensi intorpiditi, l'ultima cosa che sentì prima di cadere al suolo e chiudere gli occhi fu il rumore delle chiavi nella serratura della cella e, ma questo fu sicuro di esserselo immaginato, la risata della Lucertolina in sottofondo che si confondeva con lo stridio dei cardini arrugginiti.
Svenne, e per rianimarlo Emma e suo padre furono costretti ad usare il defibrillatore in dotazione alla centrale. Ci volle un po' comunque, prima che riuscisse a riaprire gli occhi. Nel frattempo, padre e figlia colsero l'occasione per spiegarsi e spiegare. Emma gli raccontò ciò che aveva saputo in merito ad Emilie ed Uncino, gli rivelò di Gideon e di quanto aveva appreso sulla ragazza, del motivo che l'aveva spinta a schierarsi dalla sua parte, ma solo dopo che il Principe si fu scusato per quella menzogna ed ebbe cercato di spiegare la difficile posizione in cui erano venuti a trovarsi lui e sua madre e i motivi che li avevano spinti ad agire in quel modo.
 
«Credimi, io e tua madre ce ne siamo pentiti amaramente, abbiamo rimpianto quella scelta ogni giorno delle nostre vite, ma non potevamo far altro che andare avanti.»
«Come avete potuto pensare che fosse giusto?» aveva chiesto allora lei, gli occhi lucidi pieni di pietà per quella neonata che aveva vissuto una vita forse anche peggiore della sua.
«Non lo era.» concordò David Nolan «Non lo sarà mai, hai ragione. Ma avevamo paura, Emma. Abbiamo avuto paura di perderti, perché accade sempre, prima o poi, a chi cede all'oscurità. E noi non potevamo lasciare che accadesse. Siamo stati avventati e codardi, è vero. Ma lo abbiamo fatto per proteggerti, perché abbiamo pensato che fosse la scelta migliore fino a quando non abbiamo capito che quella creatura nell'uovo non era un mostro, ma una bambina. Ma quando l'abbiamo vista era già troppo tardi per tornare indietro.»
 
Emma Swan si era sentita all'improvviso persa, aveva sorriso e per un po', un bel po', non aveva più parlato se non per rispondere alle sue domande con frasi quasi telegrafiche. Quando infine Uncino aveva riaperto gli occhi sussurrando il suo nome, non aveva trovato lei ad accoglierlo ma suo padre, che lo aveva accolto con un secco.
 
«Lei non c'è. È andata a interrogare qualche sospettato.»
 
Aveva provato ad alzarsi, ma si era sentito troppo debole per farlo.
 
«Posso avere dell'acqua?» aveva chiesto con un filo di voce, la gola riarsa.
«Acqua? Pensavo preferissi il rum.» era stata la risposta sarcastica, e lui aveva sorriso, intuendo l'astio ma senza avere la forza per replicare con la stessa veemenza.
 
Con tutta calma il Principe prese una bottiglia d'acqua da uno degli armadietti nella stanza, la aprì e gli usò la cortesia di portargliela fin dentro la cella, porgendogliela ma rovesciandogliene parte addosso quando fece per prenderla.
 
«Ma che accidenti stai facendo?!» sbottò, riavendosi e mettendosi a sedere.
 
Il Principe gli rivolse un lungo sguardo accusatorio.
 
«Stammi a sentire, pirata. Tu non mi piaci, e non mi piacerai mai. Mia figlia ora è felice, ha un uomo che la ama e un figlio che li adora entrambi. Prova anche solo a pensare di rovinare tutto e metterti in mezzo, e farò qualsiasi cosa in mio poter per fartene pentire.»
 
Killian Jones sorrise, stancamente, prese la bottiglia dalle sue mani e bevve tutto d'un sorso l'intero contenuto, alzandola come avrebbe fatto con un boccale di birra prima di gettarla a terra.
 
«Non ne avrai bisogno.» disse, aggiungendo poi, amaro «Ci ha già pensato la Lucertolina a farmi una promessa simile.» poi, leggendo lo sconcerto più totale nella sua faccia sbigottita «A quanto pare volete la stessa cosa, tu e lei. Forse tua figlia non ha poi tutti i torti.»
 
***
 
A villa Gold, tutto sembrava essere rimasto come lo avevano lasciato poco dopo la festa. Le chimere era tornate di pietra, ma al loro passaggio si rianimarono e compirono di nuovo l'inchino che Henry si aspettava di vedere; nel giardino, immerso nella luce tranquilla del mattino, le pantere sonnecchiavano appollaiate sui rami dell'unica, robusta quercia presente, fatta eccezione per una sola di esse, che si era distesa proprio di fronte al grande portone d'ingresso, dove le due armature continuavano a fare la ronda. Non appena li videro avvicinarsi si voltarono e parvero guardarli, come se ci fosse davvero qualcuno dietro le strette fessure degli elmi, all'altezza degli occhi.
Non appena li riconobbero, accennarono ad un inchino e li fecero passare. L'interno era stato spazzato e rinfrescato a dovere, erano ancora presenti gli specchi, ma ogni traccia evidente della festa era stata cancellata, perfino le macchie di sangue sul pregiato parquet, e rimanevano solo gli strani domestici, spolverini, piccole ramazze e qualche appendiabiti, a ricordarne la folle, fiabesca atmosfera.
 
«Le piace davvero tanto quel film, eh?» commentò a mezza bocca Baelfire, contrariato, osservandoli tirare laboriosamente a lucido l'ampio salone principale.
 
Ewan sorrise.
 
«Le piace qualsiasi cosa riguardi i suoi genitori.» gli rispose, superando l'accesso al salone per dirigersi verso l'ampio, elegante corridoio poco più in là.
«Già, me ne sono accorto.» fu la replica seccata di Baelfire «Non la trovi eccessiva?» chiese poi, senza preoccuparsi troppo di risultare sgarbato.
 
L'arciere seguitò a sorridere, scuotendo il capo e facendo eco alle parole di Gideon della sera prima.
 
«Le piace lasciare un segno.» replicò «Distinguersi. A volte può sembrare esagerata, ma …» s'interruppe, facendosi triste «Credo sia l'unico modo che conosce per farsi ascoltare.» quindi si fermò di fronte a una porta chiusa, a metà corridoio, appoggiò una mano sulla maniglia e con l'altra indicò i dintorni «Pensaci, Bae.» gli disse «Questo è tutto ciò che ha. Anche adesso … non ti sembra che stia urlando?»
 
Di colpo, risvegliato da quella domanda a bruciapelo, Neal Cassidy si guardò intorno e tutto gli apparve diverso, meno fastidioso, perfino la luce abbagliante delle lampade a muro in stile neogotico, poste a intervalli regolari sulle colonne lungo tutto il corridoio.
Al di là dei forti richiami a Tremotino e alle sue più varie, fiabesche quanto esagerate reinterpretazioni, oltre la minacciosa e improbabile presenza di guardiani armatura in ogni angolo del corridoio e di esotici animali feroci vaganti tra le ombre del giardino, all'improvviso un forte senso di paura e disperazione lo raggiunse, e finalmente capì.
Era questo ciò che lo disturbava? Tutto quel caos … quello splendore accecante … servivano a nascondere questo? La paura, l'insicurezza, la solitudine. Per la prima volta dopo tanto tempo, il suo pensiero tornò agli anni passati da solo in una caverna nel cuore dell'isola che non c'è, e d'improvviso qualcosa si riaccese. Ricordi, sopiti da tempo chissà per quale motivo, attimi a cui aveva cercato di non pensare più e che adesso tornarono prepotenti a scuoterlo.
Tremò, facendosi profondamente serio, mentre Ewan gli rivolgeva un sorriso comprensivo. A differenza sua, lui aveva letto il diario di Emilie, era stato tra i primi a saperlo e perciò sapeva, che non era sempre stato da solo sull'isola che non c'è, che lei aveva fatto molto di più che scrivergli un messaggio pur di evitare che la disperazione lo consegnasse nelle mani di Peter Pan. C'era stato un periodo, breve per lui ma insopportabilmente lungo per sua sorella, in cui un'altra bimba perduta gli aveva fatto compagnia. Non era la Emilie che lo aveva trovato a Londra, né quella che lo aveva poi salvato. Ma aveva condiviso la solitudine con lui, facendosi carico di quel peso quando aveva iniziato ad essere troppo per una sola persona. Aveva l'aspetto di una ragazzina con due treccine bionde, due occhi grandi di un azzurro intenso, e gli aveva detto di chiamarsi Molly, di venire da molto lontano e di essere lì per ritrovare suo fratello e riportarlo a casa, perché suo padre era morto ed era tutto ciò che gli era rimasto. Tutta la sua famiglia. Ora, finalmente capì.
 
«Molly …» mormorò, gli occhi improvvisamente lucidi e l'animo pesante «Era lei. Era sempre lei …»
 
Ewan gli sorrise, battendogli una mano sulla spalla e annuendo, le lacrime intrappolate tra le ciglia.
 
«Avrebbe potuto andarsene in qualsiasi momento da quell'isola. Ma ha scelto di restare, di diventare … una bimba perduta. Perché ne avevi bisogno. Tutti e due ne avevate bisogno.» mormorò, concludendo poi, amaro «Solo che, ora lo vedi anche tu … lei da quell'isola non è mai davvero tornata.»
 
Un moto di sconcerto, rabbia e vergogna lo colse. Ricordava bene ogni singolo giorno con Molly. Le risa, il calore familiare, i giochi. Nonostante la minaccia di Peter Pan e lo sconforto dovuto all'abbandono, grazie a lei era riuscito a non crollare, e per un brevissimo lasso di tempo l'Isola che non c'è era tornata ad essere ciò che avrebbe dovuto, un posto di sogni, di giochi e spensieratezza. Poi tutto era precipitato, Peter Pan aveva cercato in tutti i modi di dividerli e alla fine ci era riuscito. Ma la speranza che quella bambina dalle bionde trecce gli aveva lasciato, il coraggio che era stata capace di infondergli, quelle non era riuscito a strappargliele, ed erano ciò che gli aveva permesso di sopravvivere. Speranza, coraggio. Se n'era privata per darle a lui, e si sentì profondamente in debito, una sensazione che lo mise fortemente a disagio, perché più ne sapeva, più quella cifra simbolica aumentava. Ora non era più solo una questione tra lei e suo padre, non era più soltanto per far felice quell'ingombrante genitore.
Quanto aveva sacrificato per salvare lui, Baelfire, suo fratello? Per non lasciare che la disperazione lo divorasse e la morte lo cancellasse per sempre dalle loro vite? Guardò Ewan negli occhi, tristi e innamorati, e lo seppe. Tutto.
Aprì la bocca per parlare, ma all'improvviso una voce l'interruppe.
 
«Ah, siete voi.»
 
Lilith, la figlia di Malefica, era in piedi a pochi passi da loro, vestita di nero, accompagnata dalla fedele saggina maggiordomo.
 
«Questo tizio ha voluto che lo seguissi.» spiegò, poi lo congedò con un cenno del capo e uno sbrigativo «Grazie.» e infine tornò a rivolgersi a loro, chiedendo seria «Emilie si è svegliata?»
 
Ewan scosse il capo, tristemente, ingoiando a fatica le lacrime. La giovane donna parve partecipare a quel dolore, abbassò gli occhi e fece una smorfia.
 
«Spero lo faccia presto.» disse, poi scosse il capo e tornò a domandare «Potete avvisarmi quando lo farà? Devo ancora ringraziarla.»
 
Sorrise, pur rimanendo quasi inespressiva.
Ewan annui, ma fu Baelfire a parlare.
 
«Ringraziarla per cosa?» domandò corrucciandosi.
 
La donna lo fissò stranita per qualche istante, lanciò un'occhiata a Ewan e lo vide annuire di nuovo, come a volerla rassicurare. Quindi si decise, e spiegò, solenne.
 
«Mia madre. È stata lei ad aiutarmi a trovarla, ma ha fatto molto di più. Mi ha dato una ragione per continuare a vivere, una famiglia, e ora anche una casa.»
 
***
 
Primo pomeriggio.
Il campanile sopra la biblioteca aveva appena rintoccato le due quando Archibald Hopper attraversò trafelato le porte a vetro dell'ospedale, e si diresse a piedi su per le scale, fino al primo piano.
Appoggiò il suo mazzo di fiori assieme a tutti gli altri, fece un passo indietro e guardò quella gioiosa marea di petali e bigliettini con sorpresa e un sorriso commosso. Poi alzò lo sguardo oltre la porta della terapia intensiva, osservando con tenerezza la ragazza addormentata nel primo dei tre letti. Appena un'ora prima, Ruby Lucas lo aveva raggiunto nel suo studio con una lettera per lui. Non era lei ad averla scritta e non era lui il destinatario. Era stata Emilie a lasciarla alla ragazza lupo, prima che il suo piano si compisse.
 
«Perchè la stai dando a me?» le aveva chiesto.
 
Cappuccetto aveva sorriso.
 
«Emilie non è cattiva.» era stata la risposta «Solo... persa. Quando abbiamo corso insieme, l'altra sera, sotto la luna, ho avuto come l'impressione che stesse cercando un modo per nascondersi. Da se stessa forse, o da un dolore troppo grande. Vorrei aiutarla, ma non so come» aveva concluso, intristendosi.
 
Perciò era andata da lui. Il grillo parlante. La buona coscienza. Era il suo ruolo, quello che la fata turchina gli aveva assegnato. Negli anni lo era stato per molti, non soltanto per Geppetto e Pinocchio. Avrebbe potuto fare lo stesso per quella ragazza? Seguitò a guardarla, cercando di trovare una risposta. Avrebbe voluto. Ma non era facile essere la coscienza di qualcuno che non sapeva neanche chi fosse. Di qualcuno così perso nel mezzo di tante storie diverse da aver dimenticato la propria.
 
«Sai una cosa, Archie?»
 
La voce di Viktor Frankenstein lo riscosse. Se lo ritrovò accanto, sorseggiava un caffè e guardava la ragazza corrucciato, scuotendo il capo.
 
«Da quando è arrivata all'ospedale ho visto accadere una cosa che non credevo fosse possibile in questa città: tutti, cattivi ed eroi, si sono riuniti attorno al suo capezzale con la speranza che si svegli presto.
Perfino alcuni bimbi sperduti sono venuti a vedere come stava, e ho visto Trilly andarsene, poco fa. Quella ragazza... non so come abbia fatto, ma è riuscita a riunirli tutti sotto un'unica causa.»
 
Quelle parole sembrarono illuminare gli occhi del grillo di una luce nuova, intensa e piena di speranza. Lo guardò, sorrise e mormorò, dando voce ai propri pensieri.
 
«Un vero miracolo... dovremmo tutti fare qualcosa per ringraziarla, allora.»
 
***
 
La sontuosa camera da letto era avvolta dalla semioscurità, pregna dell'odore del fumo delle sigarette e invasa dal suono di un charleston proveniente da un giradischi vecchio stile, posto accanto alle grandi finestre coperte dalle tende di pesante broccato rosso e nero. In mezzo ad essa, gli occhi avidi puntati sulla preda, Cruella si ergeva in tutto il suo decadente splendore, la pelliccia abbandonata ai suoi piedi e il lungo tubino di paiette nere già parzialmente slacciato sulla schiena e un sogghigno cattivo sulle labbra, coperte da un pesante strato di rossetto rosso sangue.
 
«Bene, bene cagnolino. Siamo di nuovo soli.» sussurrò seducentemente «Sei stato molto cattivo l'ultima volta, mi hai fatto molto male, quindi ora sarai severamente punito…» ghignò, pregustando il piacere.
 
Dall'altra parte della stanza, i polsi stretti da un paio di manette e ancorati alla testiera dell'imponente letto a baldacchino ricoperto da preziosi tessuti, Isaac si agitò cercando di liberarsi o in alternativa di urlare, ma non riuscì a fare né l'una né l'altra cosa, perchè subito dopo averlo tramortito con una dose massiccia di cloroformio, lei lo aveva trascinato lì, legato al letto e perfettamente imbavagliato con un fazzoletto di velluto rosso.
Quando aveva firmato quel maledetto contratto, non si sarebbe mai aspettato che quella sarebbe stata la sua sorte ultima. E non poteva neanche protestare, perché non era colpa di nessuno se il destino gli aveva assegnato Cruella de Vil come Vero Amore. Un amore malato, folle, spaventoso, ma pur sempre amore.
Senza che loro due lo sapessero, aveva fatto a entrambi la stessa promessa:  ricchezza, amore e un lieto fine come si deve.
Cruella lo ricordava molto bene quel giorno, quello in cui aveva deciso di firmare, e stava pensando proprio a questo quando quel suo patetico tentativo di sfuggirle la risvegliò.
 
«Tu sei una cattiva, Cruella. È vero.» erano state le parole della Lucertolina -Ma anche i cattivi ambiscono a un lieto fine, e può sembrare strano, ma il tuo è il più classico di tutti. Vuoi l'uomo che ami, una bella casa, feste lussuose e Gin come se piovesse. Sbaglio? Io posso darti queste cose, e molto altro. E posso fare in modo che duri a lungo, molto più a lungo dell'ultima volta.-
 
Il ghigno su quelle labbra sottili l'aveva intrigata e spinta ad ascoltarla. C'era qualcosa di letale, in quella ragazza. Qualcosa di pericolosamente affascinante, e lei amava cose di quel genere. Esattamente come amava Isaac. Un'arma a doppio taglio. Dopo tutto, non era forse questa la definizione di amore?
Finalmente era venuto il momento di riscuotere, e non ci sarebbe stata Salvatrice in grado di impedirglielo. Si, Emilie l'aveva messa al corrente anche di quel dettaglio. Non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Ridacchiò, svogliatamente, gettando all'indietro la testa e iniziando ad avanzare verso di lui. Il cuore dell'autore perse un colpo. Per cosa doveva essere punito? Per aver pensato di tradire Tremotino? Non era un po' troppo severa quella orrenda fine?
 
«Sta tranquillo, tesoro.» la sentì mormorare, e rabbrividì talmente tanto da iniziare a tremare «Ho aspettato a lungo questo momento. Ho intenzione di godermelo tutto, fino in fondo.»
 
Poi quelle lunghe unghie smaltate di nero afferrarono i suoi zigomi e lo costrinsero a guardarla negli occhi. Quegli occhi folli, spaventosamente attraenti, incorniciato da quella folta schiera di ciglia spesse e nere. La vide ridere di nuovo, più cupamente, mostrando i denti bianchi e aguzzi, e seppe di essere spacciato.
Ora che il suo lieto fine le brillava tra le mani, niente e nessuno glielo avrebbe più portato via.
 
***
 
A: Mr. Gold (Storybrooke)
Da: Tremotino (Hyperion Hights)
 
Se stai leggendo questa lettera, probabilmente ciò che pensavo non sarebbe mai accaduto è successo, il destino ha giocato ancora una volta le sue carte e mia figlia è riuscita a sorprendermi ancora. Nostra figlia.
È per lei che ti scrivo, perché se è riuscita a raggiungerti, tu potresti essere l'unico in grado di fare qualcosa per lei, qualcosa di concreto, che le impedisca di perdersi ulteriormente e le permetta di ritrovarsi. Nessuno può farlo meglio di te. Come sappiamo molto bene entrambi, il vero amore ha diverse forme e quello che ci lega a lei lo è, l'amore di un padre per i propri figli e di una figlia per il proprio padre, più forte di qualunque avversità, di qualsiasi scherzo del destino.
Emilie ci ama profondamente, talmente tanto da essere disposta a perdersi pur di ritrovarci. Avrei voluto avere più tempo, ma qualcosa ci ha divisi all'improvviso. Ora io sono qui, e lei spero sia tornata a casa come le avevo chiesto, ma qualcosa mi dice che non è così, che la prova più grande di tutte è già iniziata. Tremo ogni volta che ci penso, quando provo ad immaginare cosa sia …
Sento di essere arrivato alla fine della mia storia, mentre lei è solo all'inizio, perciò ho chiesto a Regina e Gideon di prendersi cura di lei, qualsiasi cosa accada. Il loro aiuto però servirà a poco, se ciò che penso si realizzerà, e a proposito di questo c'è una cosa che devi sapere, qualcosa che potrai verificare tu stesso, ora che lei è lì con te.
Nostra figlia ha sempre avuto un solo desiderio: riavvolgere il tempo. Sin da piccola, è sempre stata diversa dal resto degli altri bambini, da tutti noi. Riavvolgeva i nastri dei filmini di famiglia, si perdeva nei vecchi album pieni di foto dei nostri viaggi e dei nostri momenti, riascoltava sempre la stessa storia ma da punti differenti di vista, faceva domande che gli altri non si sarebbero mai sognati di fare e ipotesi che agli occhi di tutti, perfino ai miei, sembravano solo fantasticherie. Seguiva minuziosamente ogni mio gesto, ogni passo, e custodiva nel suo piccolo cuore, con la speranza segreta di poterle un giorno rileggere, pagine di vita che ormai mi ero già lasciato alle spalle, non le importava quanto brutte o dolorose fossero. E più il tempo passava, più quel desiderio cresceva, spingendola a diventare ciò che è ora. Le ho sempre detto che vivere nel passato le avrebbe impedito di vivere il suo futuro, e ne ero convinto fino a che un giorno, poco prima che tutto cambiasse e ci costringesse a partire, senza dirle nulla provai a guardare nel suo futuro seguendo un'intuizione.
Ciò che vidi … fu il mio passato. Non lei, ma me stesso. E te. E allora capii che lei era nata per rompere gli schemi, per dissolvere le mie certezze. E che il suo futuro era nel mio passato. Per questo scelsi di accettare che mi accompagnasse, perché volevo proteggerla da quel destino assurdo e difficile. Ma me ne sono pentito subito, e continua farlo. Niente può impedire al destino di avverarsi, niente può impedire al futuro di accadere. Stupidamente, esattamente come la prima volta, ho commesso l'errore di pensare di poter cambiare il futuro senza conoscerlo davvero e così facendo gli ho dato invece inizio. Non sono riuscito a proteggerla, ma spero che tutto ciò che le ho dato possa farlo al posto mio.
E se stai leggendo questa lettera, significa che in qualche modo ho avuto ancora una volta ragione.
Non ho bisogno di dirti nient'altro, solo t'imploro: proteggi il cuore di nostra figlia, e tutto andrà bene. Lei è più importante di qualsiasi forma di vendetta, di qualsiasi tipo di potere, di qualunque lieto fine. Ora che il destino ci ha concesso una seconda possibilità, non sprecarla, e forse un giorno non lontano, quando lei sarà arrivata alla fine del suo viaggio o anche prima di quel momento, riusciremo a rivederci, quando il vero amore avrà vinto su ogni altra cosa, e ognuno avrà imparato ad accettare l'oscurità dentro al proprio cuore.
Proteggila fino alla fine, a qualsiasi costo. È la mia unica, e ultima richiesta. E amala come continuerò a fare io, dovunque questa strada mi condurrà. Lei si fida di te, e anche io. So che farai la scelta giusta, perché è già successo e può accadere di nuovo, in qualunque momento.
Solo se lo vorrai davvero, con tutto il tuo cuore.
Buona vita.

 
Detective Weaver
 
***
 
Era da poco passato il tramonto, e il cielo sopra Storybrooke andava via via scurendosi, divorato dalla notte.
Solo, nella semi oscurità e nel silenzio quasi assoluto del retrobottega del suo banco dei pegni, Mr. Gold fissava con aria assorta e torva i cinque oggetti disposti ordinatamente sul tavolo da lavoro di fronte a sé, la mente brulicante di pensieri.
Il cappello del mago e il pugnale alla sua destra, la lettera ricevuta dal sé stesso del futuro e il diario di Emilie alla sua sinistra. Al centro, sfavillante e pregno di potente energia magica, l'occhio di Kronos.
Era stata Regina a consegnargli quella missiva, non la Regina che conosceva, ma quella che Weaver aveva mandato da lui col preciso scopo di avvisarlo. Ovviamente tutte le informazioni che quella lettera conteneva non le erano state rivelate, e la sua versione futura non le aveva neanche parlato dei suoi sospetti e della visione che aveva avuto sul futuro della ragazza. Nessuno lo aveva saputo, neanche Emilie stessa, che nel suo diario e in ogni altro discorso aveva sempre sostenuto di non sapere cosa le riservasse il futuro, perché suo padre le aveva detto di non aver visto niente. Ovviamente le aveva mentito, naturalmente per proteggerla e forse anche un po' per paura di peggiorare le cose. Sospirò, appoggiando entrambe la mani al bancone e sospirando pesantemente. A quel punto della storia, avrebbe dovuto senza esitazione usare il cappello per liberarsi dal pugnale mantenendo intatto il potere, mandando all'inferno le fate, l'apprendista e Uncino.
Ma quel presente non esisteva più, e il futuro era già cambiato. Quel diario... lo fissò, ripensando all'ultima sconvolgente sorpresa.
Tra tutti i disegni con cui Emilie lo aveva decorato, ce n'era uno che non le apparteneva, un carboncino su un vecchio pezzo di pergamena. Era suo, un suo disegno di Baelfire, lo stesso che lo aveva accompagnato durante tutti quegli anni bui in cui aveva cercato un modo per ritrovarlo. L'unica immagine che aveva di suo figlio da bambino, e da ciò che aveva potuto comprendere dalle pagine di quel racconto, anche l'unica immagine che Emilie aveva di suo fratello, il suo "Angelo Custode". Era nata lo stesso giorno dello stesso mese, lo aveva considerato un segno, e si era assunta il compito di prendere in consegna da lui il testimone e diventare per il Tremotino del futuro quello che Bae era stato per lui nel passato. Il custode del suo cuore, della luce in esso. Solo quando lo aveva perso per sempre, cosa che non sarebbe più potuta accadere in quella nuova realtà temporale, Tremotino aveva iniziato a cambiare davvero.
Poi erano arrivati Gideon ed Emilie, e la speranza era rinata.
Era di questo che parlava il Tremotino della lettera? La pagina di vita che aveva imparato a lasciarsi alle spalle grazie a loro?
L'intuito gli diceva di sì, e questo fu in grado di spiegargli anche l'inevitabile incidente che l'aveva colpita.
Una vita per una vita, c'era sempre un prezzo da pagare per ogni tipo di magia, anche quella in grado di cambiare la storia e il tempo.
Nel momento stesso in cui Emilie aveva deciso di sacrificare un perfetto sconosciuto al posto di Baelfire aveva venduto un pezzo del proprio cuore all'oscurità e cambiato per sempre non soltanto il loro futuro, ma quello di tutta Storybrooke.
Tutto ciò che era accaduto dopo era stato opera di quella scelta, e ciò che sarebbe accaduto da quel momento in poi sarebbe stato solo e soltanto merito del caso e delle loro azioni.  Non c'era più alcun vincolo, nessun punto fisso da rispettare. Era tutto in mano al caos ora, ed Emilie ne era l'artefice. Pur di cambiare il futuro di quel padre tanto amato, aveva mandato all'aria il lieto fine di tutti gli altri, proprio come aveva fatto lui tempo addietro per mezzo del sortilegio Oscuro.
Tornò a guardare il cappello, la galassia oscura che vorticava al suo interno, poi prese tra le mani il pugnale e lentamente ne sfiorò con la punta delle dita la lama con su inciso il suo nome.
"Mi serve la tua magia, papa." era stata la sua ultima richiesta, prima di addormentarsi.
La richiesta di una bambina che aveva imparato a conoscere suo padre meglio di quanto non lo avesse fatto con sé stessa. Ecco perché, assieme ad essa, gli aveva sussurrato un sincero "per favore", rivolgendogli una lunga, intensa occhiata dispiaciuta.
Le parole della lettera tornarono a risuonare nella sua mente, e tutto gli fu chiaro.
"Proteggila, a qualsiasi costo. Lei vale molto più di qualsiasi forma di potere, di qualunque lieto fine." e ancora "So che farai la scelta giusta, solo se lo vorrai davvero, con tutto il cuore."
E dopo un breve istante di esitazione abbandonò il pugnale e ogni altro proposito per concentrarsi su di lei, l'unica cosa che importava ora. Non si sarebbe svegliata senza il suo aiuto. Senza la sua magia. Doveva scegliere a cosa dare la priorità, se al potere o al bene di sua figlia.
Sospirò, scuotendo il capo. Sempre la stessa scelta, ripetuta all'infinito. Rimise il pugnale al suo posto e tornò a rinchiudere il cappello nello scrigno, stringendolo tra le mani assieme all'occhio di Kronos.
Stava ancora riflettendo sul  da farsi, quando la campanella posta sopra la porta d'ingresso lo richiamò.
Pochi istanti dopo, la voce di Gideon si fece udire.
 
«Papà! Sei qui?» domandò.
 
Sorrise, sciogliendosi un po'. Rimise i due artefatti nel loro nascondiglio deputato e lasciando il diario e la lettera dove si trovavano afferrò il suo bastone da passeggio e uscì allo scoperto, apparendo dalla tenda dietro il bancone e sorprendendolo ad osservare con la sua stessa cura gli oggetti esposti, sfiorandone ogni tanto qualcuno con un sorriso nostalgico.
 
«Benvenuto. O forse dovrei dire bentornato» lo accolse.
 
Gideon sorrise divertito.
 
«È tutto così assurdo» disse «L'ultima volta che siamo stati qui insieme, io ed Emilie…» s'interruppe, facendosi triste e un po' a disagio «Era molto diverso.»
 
Mr. Gold lo osservò tentare di non incrociare il suo sguardo, allo stesso modo con cui Emilie lo faceva quando, parlando con lui, gli capitava di ricordare quel futuro nel quale lo aveva perso per sempre.
 
«Posso immaginare…» si limitò a rispondere, annuendo e avvicinandosi a lui.
 
Era vero. Appena qualche settimana prima non si sarebbe mai neanche soffermato a pensare a come sarebbe stato il mondo dopo di lui, ma poi era arrivata Emilie, e la sua visione delle cose era totalmente cambiata.
Quel futuro, sbiadito, triste, spento. Lo avrebbero cambiato insieme, come le aveva promesso. Le luci di quel banco dei pegni non si sarebbero mai spente definitivamente e la polvere non avrebbe mai coperto ogni cosa fino a quasi annullarla. Lui non se ne sarebbe mai andato, era questo il desiderio di Emilie. Che la luce dorata di Tremotino non smettesse mai di brillare, che non lo facessero neanche le loro. Un sogno impossibile, folle, come tutti i sogni ad occhi aperti dei bambini, perché in fondo al cuore dopo averlo perso lei era rimasta tale. Una bambina sperduta, alla ricerca di una nuova felicità da raggiungere insieme.
 
«Sono stato da lei…» mormorò Gideon, riportandolo al presente.
 
Si fece attento, annuendo.
 
«Come sta?» domandò, anche se sapeva già la risposta.
 
Il ragazzo sospirò, scuotendo il capo.
 
«Credi... credi che si sveglierà?» domandò, la voce improvvisamente incrinata, tornando a guardarlo negli occhi con disperazione.
 
Per un attimo, Rumplestiltskin pensò che forse avrebbe dovuto dirglielo, della lettera e della scelta da compiere per permetterle di tornare da loro. Ma poi sorrise, gli batté una pacca sulla spalla e annuì.
 
«Lo farà» disse soltanto, limitandosi a dargli speranza «È una ragazza forte, come sua madre.»
 
Strappando a entrambi un sorriso. Infine, confortato, Gideon lo abbraccio e lui lo accolse, stringendolo forte.
"Farò la cosa giusta." si disse, mentre in silenzio lo ascoltava trattenere le lacrime. "Non perderò l'occasione, stavolta."
 
***
 
Un'ora dopo, le luci della biblioteca si spensero, e mentre Storybrooke si preparava ad un'altra laconica notte, Belle French richiuse a chiave la porta dell'ingresso principale, stringendosi nell'elegante cappotto blu di Prussia e avviandosi a piedi verso il centro città, diretta all'ospedale.
Non aveva smesso di pensare neanche un istante a sua figlia, a ciò che aveva fatto per loro e che Ewan le aveva raccontato. E ci aveva pensato così tanto da finire per cercarla prima nei gesti di suo padre, comprendendone appieno la preoccupazione e il turbamento successivo all'incidente, perché di questo si era trattato, e poi nelle pagine dei libri che la circondavano, ricordando ciò che aveva letto nel diario che Tremotino le aveva mostrato quella sera stessa.
Fogli ingialliti sui quali, con calligrafia a volte arzigogolata e precisa, altre più incerta e confusa, aveva inciso i momenti più significativi del suo viaggio. Lettere d'inchiostro nero, che iniziavano sempre allo stesso modo: "Caro papa...".
All'inizio c'erano solo loro a narrare quella strana, emozionante e per certi versi terrificante avventura, corredate da un paio di foto che la giovane aveva sottratto a qualche album di famiglia. In una, la Belle e il Tremotino del futuro sorridevano insieme stretti in un romantico abbraccio, rifulgendo nella luce dorata del sole del tramonto, nell'altra Gideon portava in braccio una Emilie bimba, di circa sei anni, o forse qualcuno in più, e le stampava un bacio sulla guancia mentre lei rideva forte, gli occhietti strizzati e la boccuccia spalancata a cui mancavano due dentini, i capelli legati in due treccioline castane sbarazzine.
Poi, quasi a metà, il racconto subì una brusca frenata, le parti scritte diminuirono e si aggiunsero altre immagini, disegni a carboncino che divennero mano a mano sempre più dettagliati, spesso corredati da una breve didascalia.
Il primo disegno era quello di due bambini stretti in un abbraccio dentro una scura caverna. Ci mise poco a capire chi fossero. La bimba era Emilie, ma bionda. Il maschio, più grande e protettivo, Baelfire. E quella era l'isola che non c'è.
La data riportata era quella del primo arrivo del ragazzo sull'isola.
"Caro papa, oggi ho rivisto Bae. Sta bene. Vorrei che lo sapessi... che il te stesso di questo tempo lo sapesse. Ma lo saprai, a tempo debito. Nel frattempo... forse posso fermarmi un po'. È così buio qui... così tetro... e lui è così solo... forse in due la paura lascerà il posto alla speranza."
Si era commossa, e ancor più lo aveva fatto scorrendo avida quel racconto. Peter Pan, la lotta per sfuggirgli, la rabbia, la paura, il dolore. Una cosa la colpì, spingendola quasi alle lacrime. In uno dei disegni era raffigurato con dovizia di particolari l'anello che Tremotino portava al dito, e nella pagina al fianco c'era lui, sempre lui, la sua versione futura, il sorriso dolce e gli occhi sinceri e sicuri, saggi. Sotto una semplice didascalia, il tratto incerto e ricalcato più volte, come se fosse ritornata a scrutare quel ritratto più e più volte in quei mesi difficili aggrappandosi a quel sentimento per non perdere il filo.
"Mi manchi tanto, papa."
E sotto l'anello un'altra didascalia ugualmente ingarbugliata: "Non dimenticare."
Ricalcata talmente tante volte da aver quasi bucato la pagina.
Guardandolo, Belle aveva visto avverarsi il desiderio più grande del suo cuore, ed era stata così commossa e felice da essere costretta a fermarsi per piangere, accorgendosi dalle pieghe a forma di goccia che solcavano quei fogli che lo aveva fatto anche Emilie, a suo tempo.
Poi la fuga, e le missioni successive. Trovarla, proteggerla da Ursula, Malefica e Cruella, salvare Bae, e la lista di cose da vedere e da cambiare, mescolate senza un'apparente ordine logico.
 
  • Milah
  • Uncino
  • Il Coccodrillo (*_*)
  • Mamma e papà da giovani (❤️❤)
  • Zelena
  • Eroi e cattivi (non vedo l'ora)
  • New York (alta priorità!!)
  • Storybrooke
  • Mangiare le lasagne da Granny e controllare se fanno davvero così schifo.
  • Il banco dei pegni (❤️)
  • Villa di Merlino (idea!)
  • Sistemare la memoria di Gideon (ci divento matta!)
  • Ruby :3
  • Un giro sulla De Vil con Cruella (🤟👅)
  • Robin Hood
 
Era una prima parte della lista, il resto era sparso qua e là, sotto la dicitura pt.2, pt.3 e via dicendo, come se temesse di dimenticarsi qualcosa. C'erano altri disegni, attimi di quel viaggio che aveva voluto fermare con quel metodo ormai collaudato.
In uno riconobbe sé stessa e il corvo che Emilie aveva usato per incontrarla senza farsi riconoscere, sorrise intenerita e divertita e si soffermò ad ammirare la dolcezza con cui era stata ritratta.
La didascalia recitava soltanto "Mammina dolce", e dava inizio ad un'altra parte scritta che raccontava uno per uno i giorni passati a spiarli in quella forma, di giorno corvo, di notte ragazza.
Lettere appassionate, tenere e a volte anche argute, umoristiche. Come lo era il Tremotino della foresta incantata, lo stesso di cui Belle si era innamorata.
L'intensità dell'animo della ragazza rendeva la sua voce vivida e penetrante e il racconto accattivante, i disegni si arricchivano di dettagli che riguardavano notizie inedite, insignificanti per loro ma succose per lei, come la miscela per ricreare il profumo che indossava suo padre o i cibi preferiti di sua madre; la luce perfetta per ammirare i colori dei loro abiti, le sfumature dei loro occhi e dei loro capelli. Tuttavia, il racconto tornò ad interrompersi e incupirsi quasi bruscamente subito dopo quella fase, e bastò una sola parola per capire.
Zelena. Esattamente come  era stato per Tremotino, anche Emilie aveva vissuto quel periodo in preda a una profonda angoscia e una disperazione struggente, culminate con una sentenza che l'aveva inquietata non poco.
"Addio, stronza. Stavolta non ci avrai." e subito dopo una data, quella del loro matrimonio, con scritto "Ritenta e morirai." seguita da un più allegro e dolce "Auguri mamma e papà. E vissero felici e contenti.❤️❤️❤️❤️".
Non un accenno a come avesse fatto a salvare Bae o sconfiggere Zelena. Tutto era riassunto con un semplice "È fatta, papa." seguito da un altro cuore, stavolta nero, e dall'icona stilizzata di un coccodrillo. Aveva tremato, e allora si era ricordata del racconto di Ewan, del Tremotino del Desiderio, di cui il diario non faceva menzione, e del cadavere dell'uomo che avevano trovato accanto alla cripta quando Tremotino era tornato. Tutto le era stato chiaro, anche il prezzo che aveva dovuto pagare. Aveva ucciso un uomo per salvare Bae. Una vita per ottenerne due in cambio. Astuta, ma così facendo aveva macchiato il suo cuore.
Ecco perché quel silenzio, e tutta quella rabbia, quella tristezza. Era stato il Tremotino del Desiderio a insegnarglielo? Aveva ceduto al suo richiamo, alla fine? Quello rimaneva un segreto tra lei e la voce della sua coscienza.
Il quaderno era finito e Bae era salvo, la sua famiglia era unita e lei ancora viva, ma il suo cuore? Era a quel punto che ci aveva pensato. Quel diario era come un capitolo ormai chiuso della sua vita. Il primo forse, sicuramente il più difficile. Ma non era la fine della sua storia. Era l'ungi dall'esserlo, proprio come lo era per suo padre. Il futuro era ancora tutto da scrivere.
Così aveva chiuso prima, e si era diretta verso il centro alla ricerca di qualcosa che potesse farglielo capire, ridarle speranza.
Un quaderno nuovo, pieno di pagine bianche da riempire. Lo aveva trovato su uno degli scaffali di una piccola cartoleria proprio a pochi passi dall'ospedale. Un bel quaderno con la copertina in finta pelle pitonata color verde oliva, che le aveva ricordato sia lei che suo padre. 200 pagine in carta riciclata, gialle e ruvide come quelle di una pergamena, senza alcun tipo di rigatura o margine per permetterle di esprimere quella creatività dirompente in tutta libertà.
E prima di farselo incartare, carta gialla e fiocco blu, con la penna che aveva in borsa le scrisse sulla prima pagina una dedica e una lista da cose da fare.
 
"Un nuovo diario, da dedicare a chi vuoi. Per scrivere il tuo futuro.

La mamma
"
 
"Pt. 1
 
  • Sposare Ewan.
  • Disegnare.
  • Cantare.
  • Ballare.
  • Amare.
  • Vivere." 

 
***
 
Quando arrivò all'ospedale l'orario delle visite era da poco passato, ma Viktor Frankenstein la fece comunque passare, e si attardò a rispondere alle sue domande.
 
«Credi che le ci vorrà tanto per svegliarsi?» fu la prima, e invece di risponderle subito lui le sorrise, ammirato e anche un po' invidioso.
«Sei la prima che me lo chiede.» le spiegò «Tutti gli altri mi hanno chiesto se fosse davvero in grado di farlo, ma tu sei talmente sicura che la magia di tuo marito funzionerà da darlo per certo.»
 
Belle sorrise.
 
«Lo sono…» ammise, annuendo «Non dovrei?» tornò a chiedere, strappandogli un altro sorriso
«Tremotino ha vinto ancora.»  le rispose, con una certa difficoltà nel doverlo ammettere per la seconda volta «Le ho fatto tutti i controlli necessari, non ci sono danni gravi, ma ha subito un brutto colpo. Credo sia per questo che non si sveglia. Ci vuole tempo…» concluse, poi indicò Ewan, seduto al suo capezzale.
 
Era arrivato due ore prima, ma era talmente stanco che aveva fino per cedere al sonno, stringendole la mano e appoggiando il capo sul bordo spesso del materasso.
 
«Credo che ora sia più lui ad aver bisogno di una mano.»
 
Belle sorrise, inclinando il capo e piegando le labbra con un'espressione intenerita. Si congedò, ringraziandolo con profonda gratitudine e avviandosi verso sua figlia.
Era pallida, più magra di quanto ricordasse, ma sembrava serena, anche se forse un po' troppo seria.
Era l'unica ospite della terapia intensiva, la tv di fronte al suo letto era accesa e trasmetteva un famoso cartone animato la cui storia era fin troppo famigliare: La Bella e La Bestia.
Era stato Ewan a volerlo per lei, ma Belle ignara si limitò a notarne la coincidenza e sorridere di nuovo, dolcemente divertita, osservandone qualche scena prima di decidersi a risvegliarlo, sfiorandogli le spalle con una carezza.
Ewan si riscosse, il suo primo pensiero fu per Emilie ma quando vide che nulla era cambiato si guardò intorno e nel trovare lei si sciolse in un sospiro.
 
«Belle…» mormorò, la voce impastata e gli occhi ancora socchiusi.
 
La donna lo accolse con un sorriso.
 
«Ho parlato con Viktor, dice che va tutto bene.» lo informò con tenerezza «Perchè non vai a casa a riposare?» lo incoraggiò quindi, gentile.
 
Lo vide scuotere il capo, e non si stupì della sua risposta.
 
«No, non posso. Devo essere qui quando lo farà. Comunque non riuscirei a dormire, in ogni caso.»
 
Belle gli si sedette accanto, accarezzandogli materna la schiena.
 
«Hai almeno mangiato?» domandò «Vuoi che ti porti qualcosa?»
 
Lo vide scuotere il capo.
 
«Bae mi ha offerto un hamburger, da Granny» disse, poi però qualcosa si ruppe e lui, di colpo, proruppe in lacrime senza riuscire più a trattenersi, lasciando che lei lo stringesse in un confortante abbraccio e singhiozzando, mentre cercava di spiegarsi.
 
Non ne ebbe bisogno. Belle conosceva fin troppo bene quel dolore, l'aveva provato quando con un gesto eroico Tremotino si era sacrificato per salvarli, uccidendo Peter Pan e trascinandolo con sé nell'aldilà.
Per questo non le fu difficile trovare le parole per confortarlo, i gesti adatti a fargli sentire la sua vicinanza.
 
«La amo, la amo così tanto!» lo sentì lamentarsi, prendendo fiato con un ampio respiro strozzato.
«Anche lei ti ama molto» gli disse, ricordando i disegni e i brani nel diario che parlavano di lui.
 
"Caro papa,
oggi ho incontrato il mio vero amore. Lo so perchè ho avuto paura, proprio come te. E come te sento già che dovrò lasciarlo andare presto. Ma non voglio. Non vorrei mai farlo... ma devo. Perchè se lo guardo un'altra volta in quegli occhi, rischio di non ripartire più."

Accanto, un primo piano dello sguardo del ragazzo.
"Caro papa,
oggi ti ho rivisto. Ed è stato tutto merito di Ewan. È stato un attimo, ma mi è sembrata un'eternità. Aveva i tuoi stessi occhi, il tuo stesso sorriso, e mi ha chiamata Principessa.
Come faceva a saperlo?
"
Appena sotto, due cuori incoronati e sotto ognuno le loro iniziali, due E maiuscole puntate.
"L'ho lasciato andare, papa. O forse è lui che ha lasciato andare me. Sono passate solo poche ore, ma ne sento la mancanza come mi mancherebbe respirare, e so che tutto il tempo del mondo non basterebbe a dimenticarlo. Ma devo andare avanti (o indietro, a seconda dei punti di vista), perchè ho ancora molto da fare.
Vorrei presentartelo, vorrei che tu e la mamma foste ancora qui per conoscerlo. E lo sarete. Un giorno o l'altro, alla fine del tempo, riuscirò a presentarvelo.
"
E poi, come ultimo messaggio e la data di appena una settimana addietro:
"Caro papa... cosa devo fare con lui? Non posso farlo soffrire ancora... mi si stringe il cuore, ma non posso tornare indietro. Non adesso. L'amore è un fardello davvero pesante da portare..."
Ed un suo ritratto, l'immagine dell'uomo che era diventato.
Sorrise, stringendolo più forte. Era felice che il cuore di sua figlia fosse in mano a un uomo così. Non avrebbe saputo chiedere di meglio per lei. Attese di sentire i singhiozzi spegnersi, poi lo lasciò andare e lo sentì schermirsi, profondamente in imbarazzo.
 
«Scusami. Non so cosa mi sia preso. Perdonami, davvero.» disse, seguitando a inchinarsi versi di lei, una mano sul cuore.
«Non devi scusarti.» lo tranquillizzo, regalandogli un altro sorriso.
«Le avevo appena chiesto di sposarmi.» le rivelò, gli occhi ancora troppo lucidi.
«Vi sposerete.» cercò di rassicurarlo la donna, ma lo vide scuotere il capo con fin troppa certezza.
«Non credo sia quello che vuole.» lo udì risponderle «Non ora almeno. Non fino a che voi…» s'interruppe, passandosi una mano sugli occhi e stropicciandosi le palpebre, scuotendo il capo.
 
Di nuovo, Belle trovò il modo di confortarlo.
 
«Voi due dovete sposarvi.» gli disse, chinandosi a guardarlo negli occhi «È a questo che serve il vero amore, me lo hai ricordato tu. Anche con Tremotino è stato difficile, lo è tutt'ora, ma non dobbiamo arrenderci. Sei tutto ciò di cui Emilie ha bisogno nella sua vita. Devi farglielo capire.»
 
Ewan tacque, un sorriso appena accennato sulle labbra, gli occhi sempre meno confusi e velati, ricordando le parole che il Signore Oscuro gli aveva rivolto quando erano ancora Re e Cavaliere, in Heroes and Villains.
 
«Non ti chiedo di fermarla, piuttosto di esercitare su di lei quel potere che sai di avere…» gli aveva caldamente suggerito, e non poté non notare ora la forte assonanza con ciò che Belle gli aveva appena detto.
 
Poteva considerarlo la loro benedizione per le nozze?
Annuì, rivolgendo un ultimo lungo sguardo prima a lei, poi a sua figlia, tornando a prendere con dolcezza quella mano tra le sue.
 
«Lo farò.» mormorò, accarezzando gli zigomi dolci della ragazza addormentata «Lo giuro, lo farò.»
 
E finalmente, ritrovata un po' di serenità, si sciolse in un sorriso.
 
«Grazie, Belle.» le disse «E ringrazia anche Tremotino da parte mia. Digli... che farò quello che gli ho promesso. Lo farò perchè la amo più della mia stessa vita.»

(fonte: pinterest)

"Se lo guardo un'altra volta in quegli occhi, rischio di non ripartire più."
 
***
 
L'orologio a pendolo dentro al salone da ballo aveva appena finito di battere le quattro del mattino, quando la magia si compì, ed Emilie riaprì gli occhi.
Non era stato casuale. Lo seppe nell'istante stesso in cui il suo cuore tornò a battere e i suoi occhi si riaprirono, e guardandosi intorno cercò il responsabile di quel miracolo, ma non lo trovò. Ewan era tornato a casa, incoraggiato da Belle, per potersi concedere almeno qualche ora di sonno almeno decente, e in quel momento nel reparto non c'era nessuno. Si mise a sedere, levandosi dalle braccia i tubi che la collegavano alla flebo quasi a metà, e la fermò con l'apposita rotella. Sospirò, chiudendo gli occhi quando un capogiro la scosse. Si sentiva stanca, ma era viva. L'anello ancora al suo dito brillava. Sorrise, gli occhi lucidi.
 
«Grazie…» sospirò sottovoce, prima di toglierlo e riporlo sul comodino.
 
Solo allora si accorse del piccolo pacchetto lasciato da sua madre. Lesse il biglietto, il cuore tremò nel riconoscere la calligrafia.
 
"Ti voglio bene. La mamma."
 
Lo prese tra le mani, ma non lo scartò. Piuttosto usò la magia per metterlo al sicuro, quindi si alzò e con calma, un passo alla volta, le braccia semiaperte per mantenere l'equilibrio, si avviò verso l'uscita. Appena oltre la porta a vetro un intenso profumo di fiori la raggiunse, avvolgendola come in un abbraccio. Le bastò voltarsi per vedere la moltitudine di omaggi che gli abitanti di Storybrooke avevano lasciato per lei.
Ortensie blu e viola, mughetto, violetta, narcisi gialli, campanule, genziane, papaveri e rose, gialle, bianche, rosse e rosa ognuno simbolo di amicizia, speranza, ammirazione e augurio di pronta guarigione.
Si fermò a guardarle, si concesse qualche istante per leggere e raccogliere tutti i biglietti allegati e sorridere ad ogni messaggio. Alcuni nomi la sorpresero non poco: Geppetto, Granny, Archibald Hopper, Lily e sua madre Malefica, perfino Cruella si era disturbata a portarle qualcosa. Uno era di Emma ed Henry, ma il nome di Baelfire non c'era. Un altro apparteneva a Gideon, ed erano margherite, il suo fiore preferito. Ma il dono più bello fu quel gigantesco mazzo di rose avvolto in carta lucida color oro, legato insieme da due nastri, uno verde e uno viola. Sfiorò con le dita i petali di velluto di ciascuna delle rose regalatale da Ewan. 11 rosso cremisi, 9 rosso fuoco, 7 viola. Nel linguaggio dei fiori, che lei conosceva molto bene grazie ai suoi genitori, specialmente grazie a sua madre, quella lettera silenziosa diceva più o meno questo: "Ti amo da impazzire, dal profondo del mio cuore. Il nostro amore è vero, puro ed eterno. Sei la cosa più preziosa che ho, sarò soltanto tuo per il resto dei miei giorni."
Si era impegnato. Qualcosa le diceva che avesse chiesto aiuto anche a suo padre o a sua madre. Sfilò una rosa rossa dal mazzo, si voltò verso la telecamera di sicurezza e ne ispirò il fragrante profumo, sciogliendosi infine in un sorriso commosso e lanciando un bacio all'occhio elettronico, portandosi una mano sul cuore. Quindi si voltò e scomparve, avvolta da una spessa coltre violacea.

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